“Bella..."
"Senti
Edward, se è per quello che è successo con la
First Lady..."
Tre
settimane e non avevo ancora rovesciato nulla! Mi accadeva ancora di
tremare
quando scoprivo Edward a guardarmi, ma la consapevolezza di sentire i
suoi
occhi addosso non mi faceva venire i nervi.
Quel
giorno, però, lui non era stato abbastanza veloce a spostare
lo
sguardo
altrove e notai qualcosa nella sua espressione, qualcosa di tenero
che
mi sorprese; per poco non versai un budino di cioccolato addosso a un
membro
della famiglia presidenziale. La First Lady
non si era certo lamentata, anzi, mi aveva sorriso
e io che mi profondevo in scuse, e m’aveva interrotta dicendo:
"Se
quell'uomo avesse guardato me in quel modo, mia cara, non mi sarebbe
caduto
solo il budino..."
"No,
non è stata colpa tua" rispose Edward al mio posto.
Allora
sapeva che era stato lui...
"Stai
andando via? Stiamo per pranzare"
"Grazie,
ma non mi farà male stare per un po' lontana dal cibo" e
anche da
lui.
Fin da quel primo episodio, il posto accanto a Edward era sempre stato
mio,
come se tutti avessero capito che effettivamente io volevo sedere
lì.
Anche
se rifiutavo di ammetterlo, persino a me stessa.
"Per
una volta potrai goderti il pranzo tranquillamente, senza dover
trattenere il
fiato o preoccuparti perché potrei rovesciarmi qualcosa
addosso"
"Però...
dovrò preoccuparmi perché un passeggino potrebbe
attaccarti,
oppure
una moto investirti" disse Edward con tono serio, mentre le piccole
pagliuzze
dorate danzavano nei suoi occhi.
Quindi
feci una smorfia con la bocca, un invito a fare un po' di autoironia
insieme
e io dovetti trattenere il respiro per soffocare una risata.
No.
Non volevo reagire in maniera così stupida. Presto lui
sarebbe partito,
sarebbe
tornato in Italia, pensai aggiungendo così un mattone al
muro che
avevo
costruito intorno al mio cuore. "Mi dispiace, Edward, voglio solo
prendere
un po' d'aria"
"Hai
lavorato per tre ore senza sosta e ti aspetta una serata altrettanto
dura.
Non penso che un po' d'aria possa bastare a tenerti su"
"Mangerò
un panino"
"Ma
è troppo poco! Hai bisogno di mangiare cibo vero"
Di
fronte a una tale bellezza, quel melodioso accento e il suo corpo
snello,
con le spalle larghe e i fianchi stretti, muri e mattoni erano
perfettamente
inutili e una ragazza doveva essere pronta a tutto per salvarsi.
"Ti
rendi conto, vero, che sembra di sentir parlare tua madre?"
Attaccare
la sua mascolinità era una mossa per mandarlo via. Invece,
inarcando
un sopracciglio, lui mi disse: "Perché tu la conosci, vero?"
Prima
che potessi replicare, Edward mi spinse per un braccio, aprì
la porta davanti a
me e disse: "Okay, d'accordo: prima un po' d'aria e poi mangiamo" E
senza considerare minimamente le mie possibili proteste, mi spinse in
strada.
Delicato
e morbido come il miglior gelato, pensai: prima è freddo,
poi la sua
dolcezza
ti si scioglie in bocca. "E poi qualcuno deve guardare le spalle alla
tua
divisa" riprese atteggiandosi a body guard.
Quella
espressione, ebbe la meglio su di me.
"Che
c'è? Che ho detto?" fece Edward stupito.
Scossi
la testa, premendomi forte le labbra contro i denti, cercando
invano
di reprimere una risata nervosa. "Ti piacciono gli spaghetti
western?"
Gli
ci volle un attimo per reagire, ma quando lo fece scoprii che,
nonostante
l'apparenza, Edward Mansen era capace di ridere. E che quando
rideva,
sembrava anche più giovane. Meno minaccioso, anche se molto
più
pericoloso
per il mio cuore. E così mi ritrovai a camminare con lui su
King's
Road.
Mentre
io avevo solo intenzione di passeggiare guardando le vetrine, e
riempirmi
gli occhi con tutte quelle cose esotiche e bellissime che non potevo
permettermi,
Edward sembrava aver qualcosa in mente, oltre che una meta
precisa.
Infatti mi condusse in una stradina lontano dai negozi, aprì
un
cancello,
si diresse verso il seminterrato e, dopo aver tirato fuori una chiave
dalla
tasca, aprì la porta.
Ma
io rimasi immobile all'ingresso, rifiutandomi di entrare.
"Non
volevi un po' d'aria fresca? Allora che fai lì? Ho un
piccolo giardinetto,
puoi
sederti lì al sole, mentre io preparo il pranzo"
Il
suo sorriso mi rassicurò, la sua mano tesa mi
sembrò un'ancora di salvezza e
per la prima volta in un anno avevo davvero fame.
"Piccolo?"
esclamai un attimo dopo, quando lui mi ebbe fatto strada nel
cortiletto:
era interamente ricoperto di vasetti di odori e erbe profumate,
appoggiati
o appesi ovunque, mentre l'unico spazio rimasto era occupato da
una
panchina a due posti. "È davvero minuscolo, ma...
è fantastico!" E
mentre
il mio lato femminile suggeriva che stavo commettendo uno sbaglio, la
cuoca
che era in me smise di preoccuparsi appena ebbi in mano una foglia di
basilico
appena colta, che strofinai tra le dita per liberarne il profumo.
"È come avere
un pizzico di Italia a Londra" dissi prendendo il bicchiere che lui mi
aveva
passato.
"Senza
il mare, le barche, la spiaggia..." rispose lui sarcastico.
"Dev'essere
meraviglioso…"
"C'è
una vecchia piazza che la sera è piena di gente. Ci sono le
montagne...
c'è tutto" disse con un largo gesto della mano.
"Deve
mancarti molto. Ma ci tornerai presto, vero?" chiesi sistemandomi
sulla
panchina. Lui fece altrettanto appoggiandosi all'indietro, quasi senza
sfiorarmi. "Il mese prossimo. Anche la mia famiglia lavora nella
ristorazione, più in piccolo rispetto ai Ritz. Sono venuto
qui proprio per
imparare da loro, in modo che, quando tornerò,
dovrò prendere il posto di mio
padre..."
Non
sembrava entusiasta all'idea e istintivamente sentii il desiderio di
avvicinarmi,
prendergli la mano. E invitarlo a confidarsi.
"E
tu, Bella? Che progetti hai per il futuro?" chiese lui salvandomi dal
commettere
un'imprudenza e spostando l'attenzione da se stesso a me.
"Di
sicuro non prenderei il posto di mio padre. Sono la fallita di casa"
"Ti
riferisci all'impresa di catering? No, quello non è un
fallimento, è
esperienza"
"Questo
lo dici tu" ormai volevo raccontargli tutto, così continuai:
"Uno
dei
soci era il mio fidanzato, Edward. Il bambino..." Lui mi prese la mano,
fermandomi.
"Ero così impegnata a costruirmi un impero, da non accorgermi
di
cosa stava succedendo sotto il mio naso. Sono troppo stupida anche per
stare
al mondo, figuriamoci per far funzionare un'impresa"
"No...
È stato lui, lo stupido"
Edward
E io
me ne intendevo di stupidità, pensai, mentre Bella chiudeva
gli
occhi
e anche l'argomento girando la faccia verso il sole. Era già
ottobre, ma
il
bel tempo prolungava l'impressione che fosse estate. Lei almeno aveva
avuto
il coraggio di seguire il proprio sogno, mentre io avrei vissuto quello
di mio
padre, emulando i miei famosi cugini Cullen e portando i propri
ristoranti
a un livello più alto di eleganza e lusso.
Quando
Jasper mi aveva chiesto di ritardare la partenza per dare a tutti loro
un
po' di respiro, mi ero aggrappato alla proposta con tutte le forze:
qualsiasi
cosa
per sfuggire all'inevitabile.
Mio padre non si era opposto.
D'altronde, la
famiglia Cullen era in
subbuglio
per colpa di una serie di scheletri venuti fuori dagli armadi. Sguardi
cupi,
lunghe riunioni, Rosalie con una faccia da funerale dopo uno scontro
col
patrigno, Carlisle. Debiti che dovevano essere pagati, per salvare
l'onore...
Mi domandai
quale onore ci fosse nel continuare a vivere una menzogna quando ora,
con
l'esempio di Bella e con la speranza di averla
accanto,
il mio sogno mi tornava davanti, sempre più chiaramente.
Le
liberai la mano riluttante, per lasciarla al sole con il suo drink,
andai in
cucina
e cominciai a mettere insieme qualcosa di semplice da mangiare. Era
meglio
sbrigarsi, per tornare il prima possibile al ristorante. E alla
lucidità
mentale.
"Che
fai?"
Mi girai:
la faccia di Bella era arrossata per via del sole e la bocca mi
fece
tornare in mente le grosse ciliegie del frutteto di mia nonna. "Preparo
il
pranzo.
Niente di entusiasmante come un panino, solo un po' di pasta con
funghi
selvatici e panna"
"Ambrosia,
cibo degli dei" disse lei ridendo.
"Io...
veramente... mi ha insegnato mia nonna a cucinare" risposi
farfugliando
e probabilmente arrossendo.
"Mi
serve il prezzemolo..."
"Te
lo porto io"
Quando
tornò, Bella prese un panno e se lo legò attorno
alla vita. Mi spostai. Ai
fornelli c'era spazio per tutti e due.
"Bella..."
Lei
alzai lo sguardo dalle erbe che stava tagliando, proprio come
immaginavo
sarebbe successo, e un ricciolo ribelle le ricadde su un occhio.
Lo
spostai con un soffio. No, pensai, chiaramente non aveva idea di
quanto
fosse sensuale, altrimenti non l'avrebbe fatto in quel momento, da
sola
con me...
"Sì?"
mi incitò, visto che non parlavo più.
"Niente.
Solo Bella... che nome è?"
"È
il diminutivo di Isabelle Marie"
"Isabelle"
ma questa volta lei continuò a tagliare, muovendo il
coltello affilato
da
vera professionista, cosa che indubbiamente era. Il sogno che avevo
sepolto
cosi in fondo, fin quasi a dimenticarlo, si dissolse all'improvviso
nella
mia
testa, per far posto a ciò che m’aveva
ossessionato fin da quando Bella
Swan
mi aveva dato la mano unta per presentarsi, e mi aveva sorriso.
Lei raccolse il prezzemolo e
lo buttò nella
padella dei funghi.
"Bella..."
E
questa volta, quando lei alzò lo sguardo, mi chinai per
baciare quel
sorriso
stupendo.
Forse
avrei fatto ancora in tempo a tornare alla lucidità, se lei
non avesse
ricambiato il bacio. Se quel bacio non fosse stato ciò che
aspettavo
da
tanto, se lei non fosse stata la sola donna che poteva completare il mio
sogno,
facendo sembrare possibile qualsiasi cosa.
scusatemi ma non ho il tempo materiale di rispondere ai vostri
bellissimi commentucci, ma vi posso assicurare che li leggo sempre e mi
fanno sempre gongolare di gioia. baci Lory
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