Amori e Dissapori

di Lorelaine86
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** capitolo 4 (non betato) ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Amori e Dissapori

Bella

Mi ero preparata con grande, anzi immenso anticipo: non volevo lasciare niente al caso.

 Avevo persino puntato due sveglie a un intervallo di cinque minuti l'una dall'altra, ed entrambe avevano suonato al momento giusto.

Alice Brandon Cullen aveva mantenuto la promessa, e mi aveva salvato la vita e la salute mentale offrendomi un lavoro al Ritz una famosa catena di ristoranti chic, eleganti e lussuosi della sua famiglia. Lavoro duro, ma grosse mance.

 Non era il giorno adatto per girarmi e rimettermi a dormire, insomma.

L'autobus arrivò incredibilmente in orario e mi lasciò ad appena due minuti a

piedi dal classico edificio in ricco stile georgiano dove cinquant'anni prima avevano aperto il primo, favoloso ristorante. Per una volta nella vita, era andato tutto secondo i piani.

C'era pure il sole.

"Scusi?" mi voltai e vidi una madre esausta, intralciata da un bambino di tre anni, un bebè e un passeggino, che si divincolava per scendere dall'autobus. "Mi darebbe una mano, per favore?"

Con un'espressione che diceva ‘oggi niente può andarmi storto’, presi il passeggino e feci scattare l'apertura, come avevo fatto centinaia di altre volte quando dovevo badare ai figli dei miei amici.

Ma il passeggino non si limitò ad aprirsi: spalancò le fauci come una tigre affamata, e... assaggiò un pezzo dei miei collant. Appena mi chinai per constatare il danno, il piccolo marmocchio di tre anni mi spalmò generosamente addosso il biscotto che stava masticando: una grossa macchia beige  si materializzò sulla giacca.

Avevo già perso l'equilibrio, quando una motocicletta sfiorò il marciapiede per evitare il traffico e completò l'opera buttandomi per terra.

Poteva andare peggio... no?

Dopotutto potevo finire sotto un autobus.

Non tutto era perduto, pensai mentre mi ricomponevo. Ero in anticipo, quindi con un po' di fortuna sarei riuscita a sgattaiolare nel bagno del personale, pulirmi e mettermi il paio di collant di ricambio che avevo infilato nella borsa per puro caso, prima che mi vedesse il signor Cullen. Raccolsi una ciocca di capelli che era uscita dalla forcina e la fissai dietro l'orecchio, poi suonai il campanello sul cancello di ferro battuto dell'entrata posteriore; dall'interno qualcuno mi  aprì.

Solo allora realizzai la verità che avrei dovuto capire nel momento in cui il passeggino m'aveva aggredita: la mia fortuna era rimasta sull'autobus, come un ombrello dimenticato. Una mancanza di cui non ci si accorge fin quando non scoppia a piovere. E ora ne avevo proprio bisogno.

Il sole splendeva, adesso. Ma quando l'uomo che mi sbarrava la strada verso il bagno si voltò, avrei giurato di aver sentito lo scoppio di un tuono.

Forse perché aveva una somiglianza più che vaga col diavolo in persona.

Aveva  una massa di folti capelli, di un rosso luminoso, il naso diceva che i suoi antenati un giorno avevano dominato il mondo intero. Aveva delle sopracciglia altezzose, scure e dritte, ma neanche la curva sensuale del labbro inferiore riusciva a cancellare l'impressione che fosse molto più

abituato a dare ordini piuttosto che riceverli.

Gli mancavano un paio di corna, anche se dei capelli così folti sarebbero riusciti a nascondere.

Gli occhi, che avevano il colore dell’erba in fiore, potevano addolcire un po' la sua espressione, ma in quel momento mi stavano squadrando con un lungo sguardo critico che passò dalle calze bucate alla macchia di biscotto che mi decorava il seno sinistro; fino ai capelli, che sentivo sfuggire da tutte le parti dalle forcine allentate dalla caduta.

"Bella Swan" disse in fretta, prima che lui potesse dare voce a quelli che chiaramente erano i suoi pensieri. Lo guardai dritto negli occhi e gli diedi la mano con l'aria di una donna che, nonostante l'apparenza, sa il fatto suo. Ma lui non la strinse, la ignorò completamente.

Saggia mossa, pensai rendendomi conto solo allora che nel tentativo di salvarmi avevo messo la mano in una chiazza d'olio.

"È il mio primo giorno" aggiunsi con meno sicurezza di qualche attimo prima.

"No, signorina Swan, non credo proprio" rispose accennando al mio aspetto con un leggero movimento della mano.

Per un attimo rimasi incantata dal delicato e sensuale accento di lui, che avrebbe convinto chiunque a fare qualsiasi cosa. Poi compresi che cosa aveva detto in realtà.

No?

Come no?

 Non avevo intenzione di darmi per vinta, e permettere a quel demone con le gambe lunghe di mandarmi via senza neanche darmi la possibilità di spiegarmi. Quel lavoro era troppo importante, era l'opportunità per rimettermi in piedi e dimostrare alla mia  famiglia che non ero una fallita

senza speranza. Una chance per ricominciare a vivere.

Mi  giunse all'orecchio il suono familiare di una cucina che si preparava a servire centinaia di clienti e, buttando là un nome, dissi: "Alice Cullen può garantire per me"

Alice era lo chef del Ritz; ci eravamo conosciute quando era stata invitata a tenere un seminario alla scuola di ristorazione. Io  non partecipavo alla lezione: ero stata esclusa per via di un pasticcio che avevo combinato con una scultura di ghiaccio, ma avevo trovato Alice nel bagno degli studenti che vomitava dal nervosismo. Dopo averle portato del ginger ale, l'avevo distratta raccontandole una storiella: Alice avevo riso così tanto che aveva deciso di portarmi con sé in classe come sua assistente, cosa che lasciò il direttore impotente di fronte al fatto compiuto.

"Oppure può chiamare il signor Jasper. Il colloquio l'ho fatto con lui" continuai pensando che a quel punto della giornata Alice doveva già averne fin sopra i capelli di me.

"Il signor Jasper  è fuori per lavoro ed Alice è presso una convention: organizza il banchetto per il presidente."

Come a dire: cosa mi faceva pensare che uno dei due avesse tempo da perdere per togliere le castagne dal fuoco per me?

"Emmett Cullen è nel suo ufficio. Forse preferisce avere questa conversazione con lui", mi propose con una punta di perfido divertimento.

"No!" avevo conosciuto Emmett quando ero venuta per il colloquio: era spaventoso. Tutto il contrario di suo fratello, che aveva un debole per i sorrisini. "No, sono sicura che è impegnato."

"Allora mi dispiace, signorina Swan, ma ci sono rimasto solo io."

Okay. Se hai soltanto limoni, l'unica cosa che puoi fare è una limonata,

dicono. Provai con un "sorrisino": "E lei è?"

"Edward Mansen. Non sarò un Cullen, ma il signor Jasper Cullen è mio cugino. Questo fa di me un'alternativa accettabile?"

Seducente sarcasmo, pensai, ma allora non era semplicemente un cameriere arrogante con un'ansia di potere. E neanche il direttore di un ristorante con un'ansia di potere.

 Era della famiglia.

"Per il pranzo di oggi dirigo io questo ristorante" continuò lui senza neanche aspettare che facessi un cenno di conferma. "E lei, signorina Swan, è in uno stato inadeguato persino per pulire il pavimento, figuriamoci servire a tavola i clienti che abbiamo qui!"

"Signor Mansen... Edward" dissi  facendo appello a tutte le mie risorse e ricominciando a sfoderare il sorriso che aveva funzionato così bene con Jasper Cullen. Poi, con un ampio gesto che abbracciò il mio aspetto inzaccherato, mi rivolsi al senso di fair play dell'uomo.

“Non crederà che di solito esco di casa così, vero?"

"Non è questo il punto" rispose lui, sempre più irremovibile.

"Invece sì!" protestai scattando. In effetti, ammisi subito dopo ,aveva ragione lui.

"Be', no... non lo è, ma ho avuto un incidente."

La fronte di lui si corrugò e le sopracciglia si abbassarono verso il centro, enfatizzando l'espressione da diavolo e concentrando l'attenzione sui suoi occhi.  Mi accorsi in quel momento che erano solcati da lampeggianti striature dorate.

"Che incidente? È ferita?"

"Ferita? Oh, no..."

La domanda mi provocò un sincero sorriso di sorpresa: in fondo, anche lui era umano.

"Ho solo litigato con un passeggino." Tirai su la gamba, apparentemente per mostrare il danno ma consapevole che quella era una delle mie qualità fisiche più apprezzabili. In quel preciso istante,però, mi resi conto che il passeggino non avevo preso solo il nylon delle calze.

"Sta sanguinando." L'espressione di lui si addolcì e il diavolo assunse un ruolo diverso: tentazione allo stato puro.

"Oh, no!" esclamai esasperata, non solo come risposta alla osservazionedi lui. Gli uomini, erano banditi dalla mia vita. Poi, utilizzando la preoccupazione di lui a mio vantaggio, dissi: "Cioè, non

tanto..." mi strofinai un gomito. "Solo un piccolo colpo quando sono caduta dal marciapiede, nient'altro. La moto mi ha sfiorato appena..." mi fermai di colpo, appena mi accorse che stava spargendo olio su tutta la manica della camicetta.

Ero sul punto di dirgli che doveva solo darmi una lavata e sarei stata pronta a iniziare, ma decisi di risparmiare il fiato.

Edward Mansen, accidenti a lui!

Avevo ragione. Nessuno, in possesso delle proprie facoltà mentali, avrebbe permesso a un disastro come me di praticare l'insidiosa arte di servire il cibo in un ristorante pieno di ricconi e celebrità.

"Okay" mormorai quindi sconsolata.

"Okay?" ripeté lui con accento cockney. Assolutamente meraviglioso.

"Ci rinuncio. Andrò da McDonald’s, là cercano sempre qualcuno."

 

 

Edward

La guardai sistemarsi un ricciolo bruno a forma di cavatappi, che era sfuggito alla forcina: in realtà si stava imbrattando ancora di più la faccia, mentre se lo arrotolava dietro l'orecchio con la mano piena d'olio.

Era davvero un disastro!

Alla notizia che era stato Jasper ad assumerla, la mia prima reazione era stata di stupore vero e proprio. La seconda era stata l'istinto di rispedirla a casa. Perdere un giorno di paga e, soprattutto un giorno di mance, le avrebbe permesso di riflettere sugli standard richiesti al personale di un ristorante come il Ritz.

La terza, invece... la terza era stata puramente fisica. Quando lei mi aveva sorriso - con il sorriso sincero, non quello calcolato per cercare di incantarmi -mi ero sentito invadere tutto il corpo da un calore che faceva invidia al sole di settembre. Una virile reazione naturale che mi fece capire molto bene come mai mio cugino Jasper, per il quale conoscere belle donne era diventato un lavoro, l'avevo assunta.

"Aspetta."

Lei si fermò, si guardò indietro e si spostò un altro ricciolo ribelle dalla faccia.

Aveva idea di quanto fosse sensuale quel gesto?

Sì, ovviamente. Proprio come il primo sorriso, anche quella era una mossa calcolata per catturare la mia attenzione e tenermi in pugno.

Funzionava.

"Come?" chiese Bella. Poi, vedendo che non rispondevo: "Non mi dica che rivuole indietro la divisa?"

Deglutii, cercando di scacciare l'immagine di lei che se la toglieva, un pezzo alla volta, lasciandola cadere ai suoi piedi.

"Non ce n'è motivo. Ormai è buona solo per spolverare" risposi facendo di tutto per risultare sarcastico.

Quella ragazza era una grana.

Avrei dovuto fare un favore a tutti e mandarla via, ma un mese dopo sarei ritornato in Italia a prendere il posto di mio padre, ed assumere il ruolo per cui ero nato. In trappola...

Quest'ultima parola rotolò nella mia mente con la pesantezza di un macigno. Ma la fermai. Dovevo concentrarmi sul problema che mi stava davanti.

La signorina Bella Swan.

Il suo atteggiamento strafottente sembrava dire ‘non me ne importa niente’, ‘alla faccia tua’, ma al di là di questo vidi il crollo di una speranza, che mosse qualcosa di molto profondo dentro di me. Qualcosa che non riuscivo a soffocare.

"Venga" dissi voltandomi bruscamente. Camminando verso la stanza del guardaroba, dovetti resistere alla tentazione di girarmi e controllare se lei avesse obbedito.

Sì, per fortuna lei m'aveva seguito.

"Un'inserviente le troverà qualcosa per disinfettare la ferita, e le darà una divisa pulita. Quando sarà di nuovo presentabile, venga in sala e si faccia vedere da Michael, il capo cameriere." Stava quasi per sorridere. "L'avverto subito: lui non si lascerà impressionare da un sorrisino e, a differenza di me, non le darà una seconda occasione."

"Non se ne pentirà, Edward " disse lei in uno slancio improvviso. Quindi si corresse: "Cioè no... signor Mansen".

"Faccia in modo che sia così" la ammonii secco. "Altrimenti se ne pentirà lei".

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


 

Edward

Il pranzo fu faticosissimo, tra l'afflusso di vip e artisti di ogni tipo e l'arrivo inaspettato di un rampollo minore della famiglia reale, anche lui da sistemare con tutta la sua comitiva in un ristorante già completamente stipato. Per tutto il tempo tenni gli occhi su Bella.

Non era affatto sciolta. Non sapevo che cosa avesse raccontato a Jasper delle sue esperienze precedenti, ma certamente non aveva fatto la cameriera in un locale della categoria più lussuosa, decisi tra me, dopo averla vista cavarsela per un pelo in un paio di occasioni. Tuttavia, anziché essere irritati, persino i vip abituati al meglio rispondevano allegramente ai suoi "oops" allarmati, incoraggiavano i suoi sforzi e alla fine le lasciavano addirittura mance spropositate.

Assistere a uno spettacolo del genere mi stava snervando, eppure c'era qualcosa di speciale in quella donna, un calore istintivo al quale la gente reagiva positivamente.

Un sorriso che avrebbe sciolto i ghiacciai.

Emmett, che nel frattempo mi aveva raggiunto, seguì il mio sguardo e disse:

 "Non è l'amica di Alice, quella? Come sta andando?"

"Diciamo che le piace il rischio. Se arriva alla fine del pranzo senza rovesciare un piatto di zuppa addosso a qualcuno, potremo davvero gridare al miracolo."

"Perfetto, proprio quello che ci manca... Che ci facciano causa. Ascolta:

mio padre vuole che lo raggiunga all'ufficio principale, e mi ha fatto capire che

sarà una cosa lunga. So che è la tua serata libera, ma mi chiedevo se potessi sostituirmi"

"Non c'è problema"

"Grazie Ed. E tieni d'occhio quella ragazza"

Non c'era problema neanche per quello. Era guardare da un'altra parte che mi risultava ogni minuto più difficile.

 

Bella

Se riuscii a sopravvivere al mio primo giorno di lavoro fu solo grazie all'adrenalina. Certo, sarebbe stato un pochino più facile se Edward Mansen non avesse continuato a osservare ogni mia mossa, guardandomi come se fossi una catastrofe imminente. Ma non accadde niente di tragico, e alla fine della settimana anche quel perfezionista del capocameriere mi aveva concesso un cenno di approvazione.

Ma il diavolo non si arrendeva. Ogni volta che alzavo lo sguardo, avevo la netta impressione che gli occhi verdi di Edward fossero fissi su di me.

Ogni volta che mi parlava, era per criticare qualcosa, di solito i miei capelli.

Quel giorno, però, ero davvero nei guai. A uno dei suoi tavoli era seduta una donna, il cui viso era un'istituzione sulle copertine delle riviste di gossip:

si era scolata diligentemente un'intera bottiglia di vino, mentre aspettava qualcuno che non si era presentato all'appuntamento per il pranzo. Non aveva toccato né il pane, né l'olio d'oliva alle erbe, né i piccoli stuzzichini che le avevo portato come antipasto nella speranza di indurla a mangiare qualcosa.

 

 

Edward

Allertato da un sesto senso per i problemi, cercai Bella con insistenza.

Almeno per una volta, però, non era stata lei a causare il guaio. Anzi l'aveva contenuto, prestando il braccio alla famigerata cliente come fosse una ricca ereditiera, invece che una signora barcollante. Avanzai di qualche passo per aiutare entrambe, ma Bella mi bloccò con uno sguardo che mi intimava ‘stai indietro, me la cavo da sola!’ e scortò la donna fino all'uscita posteriore, per evitare i paparazzi all'esterno che aspettavano solo un regalo simile.

Quando ritornò, era passata quasi un'ora.

"Dove diavolo sei stata?" chiesi appena la incrociai di nuovo. Ormai ero praticamente fuori di me per la preoccupazione.

 "Mi scusi. È che non avevo abbastanza soldi con me e sono dovuta tornare a piedi"

"Cosa?"

Fraintendendo l'esclamazione, lei si mise subito sulla difensiva: "Dovevo assicurarmi che quella poveretta tornasse a casa sana e salva"

"Peccato che lei non abbia avuto lo stesso pensiero gentile"

"Era sconvolta" rispose lei sinceramente preoccupata. "Quindi... sono nei guai, signor Mansen? Che pena c'è per la diserzione? Fucilazione davanti al carrello dei dessert?"

"Troppo poco doloroso, Bella. La tua punizione sarà sedere vicino a me a pranzo"

Per un attimo sembrò sconfitta, ma si riprese. "Una vendetta audace"

Appena si sedette accanto a me al tavolo del personale, però, pensai che in realtà era ‘avventata’ l'aggettivo più adatto a descriverla.

Adesso, infatti, ero davvero troppo vicino a quelle sottili ciocche a spirale che, come sempre, erano scappate dalle forcine. Davvero troppo vicino per non sentire gli ormoni in subbuglio.

"Raccontami un po': che lavoro facevi prima di lavorare qui?" chiesi, facendo uno sforzo per distrarmi.

 

Bella

Quindi era questo che voleva, scavare nel mio passato in cerca di qualche buona ragione per sbarazzarsi di me.

"Non facevo la cameriera" dissi. Dal momento che non c'era motivo di mentire, elencai tutti i lavori che aveva fatto nell'ultimo anno, sempre due alla volta: avevo cucinato in un fast food, in un ristorante slow food, in un pub; per riuscire a pagare la banca e tenermi un tetto sulla testa.

L'elenco produsse l'effetto di lasciare Edward momentaneamente senza parole e darmi un po' di sollievo: potevo resistere alla sua bellezza, se chiudevo gli occhi, ma la voce non mancava mai di farmi diventare le ossa molli come argilla.

"Tu cucini?" domandò Edward, mentre mi servivo una cucchiaiata di risotto.

Volevo far durare il pranzo il meno possibile.

"Be', alcuni certificati col bordo dorato dicono così. In realtà, fino all'anno scorso ero legata a una società di catering che avevo avviato subito dopo la scuola"

"E...?"

Lo guardai. I lampi nei suoi occhi si erano addolciti, trasformandosi in pagliuzze dorate, e mi resi conto che non era solo la sua voce a turbarmi.

"Che cosa è successo?"

Deglutii. Dovetti concentrarmi bene per ricordarmi come si parlava.

"Uno dei miei soci ha avuto un bambino"

"E l'altro?"

Deglutii di nuovo e inspirai. "Era il padre"

Era passato un anno. Mi dissi che l'avevo superato e guardando negli occhi di Edward Mansen riuscivo persino a crederci. "Hanno voluto indietro i loro soldi: erano stati tutti investiti nell'attrezzatura"

"Avete dovuto venderla?"

"Già" Con un'enorme perdita, che avevo dovuto sostenere io. Avrei fatto qualsiasi cosa per evitarlo... "Lavorare come cameriera è il mio modo per rimettermi in piedi. Alice mi ha parlato delle mance che i vostri dipendenti guadagnano. Un anno e sarò in grado di ricominciare"

Questa volta, però, da sola. "È tutto signor Mansen? Finita l'inquisizione? Perché io avrei finito"

"Chiamami Edward, per favore" disse lui, poi si alzò appena allontanai la sedia dal tavolo. "Abbiamo iniziato col piede sbagliato, Bella, ma voglio che tu sappia che ho apprezzato quello che hai fatto oggi"

"Oh..." sussurrai imbarazzata, facendo del mio meglio per ignorare il mio stupido cuore che non voleva smettere di battere all'impazzata.

"Solo una cosa..."

Troppo presto... "Quale?"

"La prossima volta prendi un taxi. Lo paghiamo noi" disse lui con un calore e una simpatia inaspettati.

 

Edward

Mentre lei si allontanava, mi resi conto di averla mal giudicata. Ora non la osservavo più per trovarle un difetto, ma per il semplice piacere di farlo.

Vicino a me Jasper, la cui attenzione era stata richiamata dallo scoppio di una risata, sorrise. "Proprio carina, non è vero?"

"È più di questo, Jazz. Molto di più"

Si era trovata in una brutta situazione,senza la minima responsabilità, ma era determinata a ricominciare: ci vuole coraggio per farlo. E cuore.







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Finalmente sono riuscita a postare questa storiella che sinceramente non mi convince più di tanto, coooomunque.
volevo scrivere della goffagine di Bella in chiave comica e spero di esserci riuscita, Edward l'ho trasformato nel mio ideale di uomo, ovvero uno Stronzetto e spero di esserci riuscita anche qui. Naturalmente il nostro Eddino riuscirà a restistere all'attrazione che prova per Bella? E Bella si renderà conto che è attratta da Eddino? mah chi lo sa!
vorrei ringraziare chi ha recensito, chi ha messo la storia tra le seguite e chi ha semplicemente letto la storielluzza. GRAZIE!

 trevifra : ecco a te il capitolo due nella speranza che ti piaccia anche questo! e grazie mille per il complimento.

 vanderbit: in effetti la storia inizia a delinearsi, ma è una mia piccola pecca, adoro scoprire i personaggi una pagina alla volta, "l'effetto suspance" è tipico delle cavolate che scrivo. spero il capitolo ti piaccia!

 1918: ciao!! allora come ho detto prima volevo una Bella simile al libro, solo un pò più "esagerata". spero di esserci riuscita e spero il capitolozzo ti piaccia!

 Amy Dickinson: finalmente rispondo alla mia Beta ufficiale!!! Come al solito le mie storielle hot ti piacciono eh? hihihi ^^, vabbè lo ammetto sn brava a scriverle ù_ù mi viene naturale! sono contenta che i personaggi ti piacciano anche se sai tutto dei miei personaggi perchè i miei "scleri da mente perversa" te li propino in continuazione. spero il cap ti piaccia!

bene ho finito...ah no, vorrei invitarvi a leggere gli altri miei scleri:

ff concluse:

Lo Scapolo 

Stand by me

Isola Esme

ff in corso :

Fozen rose

I confini della passione

ff di cui mi sono occupata o che adovo:


Tesoruccio, quand'è che metterai la testa a posto?!
Living in Manchester

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


“Bella..."

"Senti Edward, se è per quello che è successo con la First Lady..."

Tre settimane e non avevo ancora rovesciato nulla! Mi accadeva ancora di

tremare quando scoprivo Edward a guardarmi, ma la consapevolezza di sentire i suoi occhi addosso non mi faceva venire i nervi.

Quel giorno, però, lui non era stato abbastanza veloce a spostare lo

sguardo altrove e notai qualcosa nella sua espressione, qualcosa di tenero

che mi sorprese; per poco non versai un budino di cioccolato addosso a un

membro della famiglia presidenziale. La First Lady non si era certo lamentata, anzi, mi aveva sorriso e io che mi profondevo in scuse, e m’aveva interrotta dicendo:

"Se quell'uomo avesse guardato me in quel modo, mia cara, non mi sarebbe

caduto solo il budino..."

"No, non è stata colpa tua" rispose Edward al mio posto.

Allora sapeva che era stato lui...

"Stai andando via? Stiamo per pranzare"

"Grazie, ma non mi farà male stare per un po' lontana dal cibo" e anche da

lui. Fin da quel primo episodio, il posto accanto a Edward era sempre stato mio, come se tutti avessero capito che effettivamente io volevo sedere lì.

Anche se rifiutavo di ammetterlo, persino a me stessa.

"Per una volta potrai goderti il pranzo tranquillamente, senza dover trattenere il fiato o preoccuparti perché potrei rovesciarmi qualcosa addosso"

"Però... dovrò preoccuparmi perché un passeggino potrebbe attaccarti,

oppure una moto investirti" disse Edward con tono serio, mentre le piccole

pagliuzze dorate danzavano nei suoi occhi.

Quindi feci una smorfia con la bocca, un invito a fare un po' di autoironia

insieme e io dovetti trattenere il respiro per soffocare una risata.

No. Non volevo reagire in maniera così stupida. Presto lui sarebbe partito,

sarebbe tornato in Italia, pensai aggiungendo così un mattone al muro che

avevo costruito intorno al mio cuore. "Mi dispiace, Edward, voglio solo

prendere un po' d'aria"

"Hai lavorato per tre ore senza sosta e ti aspetta una serata altrettanto

dura. Non penso che un po' d'aria possa bastare a tenerti su"

"Mangerò un panino"

"Ma è troppo poco! Hai bisogno di mangiare cibo vero"

Di fronte a una tale bellezza, quel melodioso accento e il suo corpo

snello, con le spalle larghe e i fianchi stretti, muri e mattoni erano

perfettamente inutili e una ragazza doveva essere pronta a tutto per salvarsi.

"Ti rendi conto, vero, che sembra di sentir parlare tua madre?"

Attaccare la sua mascolinità era una mossa per mandarlo via. Invece,

inarcando un sopracciglio, lui mi disse: "Perché tu la conosci, vero?"

Prima che potessi replicare, Edward mi spinse per un braccio, aprì la porta davanti a me e disse: "Okay, d'accordo: prima un po' d'aria e poi mangiamo" E senza considerare minimamente le mie possibili proteste, mi spinse in strada.

Delicato e morbido come il miglior gelato, pensai: prima è freddo, poi la sua

dolcezza ti si scioglie in bocca. "E poi qualcuno deve guardare le spalle alla

tua divisa" riprese atteggiandosi a body guard.

Quella espressione, ebbe la meglio su di me.

"Che c'è? Che ho detto?" fece Edward stupito.

Scossi la testa, premendomi forte le labbra contro i denti, cercando

invano di reprimere una risata nervosa. "Ti piacciono gli spaghetti western?"

Gli ci volle un attimo per reagire, ma quando lo fece scoprii che,

nonostante l'apparenza, Edward Mansen era capace di ridere. E che quando

rideva, sembrava anche più giovane. Meno minaccioso, anche se molto più

pericoloso per il mio cuore. E così mi ritrovai a camminare con lui su King's

Road.

Mentre io avevo solo intenzione di passeggiare guardando le vetrine, e

riempirmi gli occhi con tutte quelle cose esotiche e bellissime che non potevo

permettermi, Edward sembrava aver qualcosa in mente, oltre che una meta

precisa. Infatti mi condusse in una stradina lontano dai negozi, aprì un

cancello, si diresse verso il seminterrato e, dopo aver tirato fuori una chiave

dalla tasca, aprì la porta.

Ma io rimasi immobile all'ingresso, rifiutandomi di entrare.

"Non volevi un po' d'aria fresca? Allora che fai lì? Ho un piccolo giardinetto,

puoi sederti lì al sole, mentre io preparo il pranzo"

Il suo sorriso mi rassicurò, la sua mano tesa mi sembrò un'ancora di salvezza e per la prima volta in un anno avevo davvero fame.

"Piccolo?" esclamai un attimo dopo, quando lui mi ebbe fatto strada nel

cortiletto: era interamente ricoperto di vasetti di odori e erbe profumate,

appoggiati o appesi ovunque, mentre l'unico spazio rimasto era occupato da

una panchina a due posti. "È davvero minuscolo, ma... è fantastico!" E

mentre il mio lato femminile suggeriva che stavo commettendo uno sbaglio, la

cuoca che era in me smise di preoccuparsi appena ebbi in mano una foglia di

basilico appena colta, che strofinai tra le dita per liberarne il profumo. "È come avere un pizzico di Italia a Londra" dissi prendendo il bicchiere che lui mi aveva passato.

"Senza il mare, le barche, la spiaggia..." rispose lui sarcastico.

"Dev'essere meraviglioso…"

"C'è una vecchia piazza che la sera è piena di gente. Ci sono le

montagne... c'è tutto" disse con un largo gesto della mano.

"Deve mancarti molto. Ma ci tornerai presto, vero?" chiesi sistemandomi

sulla panchina. Lui fece altrettanto appoggiandosi all'indietro, quasi senza sfiorarmi. "Il mese prossimo. Anche la mia famiglia lavora nella ristorazione, più in piccolo rispetto ai Ritz. Sono venuto qui proprio per imparare da loro, in modo che, quando tornerò, dovrò prendere il posto di mio padre..."

Non sembrava entusiasta all'idea e istintivamente sentii il desiderio di

avvicinarmi, prendergli la mano. E invitarlo a confidarsi.

"E tu, Bella? Che progetti hai per il futuro?" chiese lui salvandomi dal

commettere un'imprudenza e spostando l'attenzione da se stesso a me.

"Di sicuro non prenderei il posto di mio padre. Sono la fallita di casa"

"Ti riferisci all'impresa di catering? No, quello non è un fallimento, è

esperienza"

"Questo lo dici tu" ormai volevo raccontargli tutto, così continuai: "Uno

dei soci era il mio fidanzato, Edward. Il bambino..." Lui mi prese la mano,

fermandomi. "Ero così impegnata a costruirmi un impero, da non accorgermi

di cosa stava succedendo sotto il mio naso. Sono troppo stupida anche per

stare al mondo, figuriamoci per far funzionare un'impresa"

"No... È stato lui, lo stupido"

 

Edward

E io me ne intendevo di stupidità, pensai, mentre Bella chiudeva gli

occhi e anche l'argomento girando la faccia verso il sole. Era già ottobre, ma

il bel tempo prolungava l'impressione che fosse estate. Lei almeno aveva

avuto il coraggio di seguire il proprio sogno, mentre io avrei vissuto quello

di mio padre, emulando i miei famosi cugini Cullen e portando i propri

ristoranti a un livello più alto di eleganza e lusso.

Quando Jasper mi aveva chiesto di ritardare la partenza per dare a tutti loro

un po' di respiro, mi ero aggrappato alla proposta con tutte le forze: qualsiasi

cosa per sfuggire all'inevitabile.

Mio  padre non si era opposto. D'altronde, la famiglia Cullen era in

subbuglio per colpa di una serie di scheletri venuti fuori dagli armadi. Sguardi

cupi, lunghe riunioni, Rosalie con una faccia da funerale dopo uno scontro

col patrigno, Carlisle. Debiti che dovevano essere pagati, per salvare l'onore...

Mi domandai quale onore ci fosse nel continuare a vivere una menzogna quando ora, con l'esempio di Bella e con la speranza di averla

accanto, il mio sogno mi tornava davanti, sempre più chiaramente.

Le liberai la mano riluttante, per lasciarla al sole con il suo drink, andai in

cucina e cominciai a mettere insieme qualcosa di semplice da mangiare. Era

meglio sbrigarsi, per tornare il prima possibile al ristorante. E alla lucidità

mentale.

"Che fai?"

Mi girai: la faccia di Bella era arrossata per via del sole e la bocca mi

fece tornare in mente le grosse ciliegie del frutteto di mia nonna. "Preparo il

pranzo. Niente di entusiasmante come un panino, solo un po' di pasta con

funghi selvatici e panna"

"Ambrosia, cibo degli dei" disse lei ridendo.

"Io... veramente... mi ha insegnato mia nonna a cucinare" risposi

farfugliando e probabilmente arrossendo.

"Mi serve il prezzemolo..."

"Te lo porto io"

Quando tornò, Bella prese un panno e se lo legò attorno alla vita. Mi spostai. Ai fornelli c'era spazio per tutti e due.

"Bella..."

Lei alzai lo sguardo dalle erbe che stava tagliando, proprio come

immaginavo sarebbe successo, e un ricciolo ribelle le ricadde su un occhio.

Lo spostai con un soffio. No, pensai, chiaramente non aveva idea di

quanto fosse sensuale, altrimenti non l'avrebbe fatto in quel momento, da

sola con me...

"Sì?" mi incitò, visto che non parlavo più.

"Niente. Solo Bella... che nome è?"

"È il diminutivo di Isabelle Marie"

"Isabelle" ma questa volta lei continuò a tagliare, muovendo il coltello affilato

da vera professionista, cosa che indubbiamente era. Il sogno che avevo

sepolto cosi in fondo, fin quasi a dimenticarlo, si dissolse all'improvviso nella

mia testa, per far posto a ciò che m’aveva ossessionato fin da quando Bella

Swan mi aveva dato la mano unta per presentarsi, e mi aveva sorriso.

 Lei raccolse il prezzemolo e lo buttò nella padella dei funghi.

"Bella..."

E questa volta, quando lei alzò lo sguardo, mi chinai per baciare quel

sorriso stupendo.

Forse avrei fatto ancora in tempo a tornare alla lucidità, se lei non avesse ricambiato il bacio. Se quel bacio non fosse stato ciò che aspettavo

da tanto, se lei non fosse stata la sola donna che poteva completare il mio

sogno, facendo sembrare possibile qualsiasi cosa.


scusatemi ma non ho il tempo materiale di rispondere ai vostri bellissimi commentucci, ma vi posso assicurare che li leggo sempre e mi fanno sempre gongolare di gioia. baci Lory

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Capitolo 4
*** capitolo 4 (non betato) ***


CAPITOLO 4

Un bacio, un unico quanto dolcissimo bacio bastò a far crollare il muro che

avevo costruito intorno al mio cuore per un anno intero.

No, c'erano state anche tre settimane di sguardi, che da freddi erano

diventati molto, molto caldi. Anche i sorrisi erano cambiati completamente:

prima tesi, ora pieni di tenerezza. Tre settimane di sguardi e un bacio.

E un po' di pasta con funghi e panna, servita da un uomo che non

sembrava più il diavolo ma Adone in persona.

Dopo avermi baciata, edward non aveva detto una parola. Si era limitato a

servirmi il pranzo e poi era tornato con me al ristorante. E la sera, per tutte le

lunghissime ore di lavoro - mentre sparecchiavamo e apparecchiavamo i tavoli per il giorno dopo - lui non  mi aveva guardata neanche una volta. Lo

capivo: se l'avesse fatto, se i nostri sguardi si fossero incontrati, mi sarei

sciolta come cera calda sul pavimento.

Ma alla fine della serata lei lo aspettò.

"Se stai cercando Luc, è rintanato con Max. Sembra proprio che sarà una

cosa lunga. Puoi aspettare fino a domani?"

"Sì. Sì, certo."

Solo che il giorno dopo Edward non c'era. Fu Jasper a dare

la notizia che Edward era tornato in Italia. "Aveva messo da parte i suoi piani per un po', per aiutarci in queste ultime settimane di difficoltà. Sarà dura trovare un degno sostituto, ma..."

smisi di ascoltare.

Se n'era andato senza una parola.

Era tornato in Italia, nel suo piccolo paese vicino al mare, dove lo aspettava il posto di suo padre. Mi sarei licenziata in quell'istante, ma mi sentivo troppo in debito con Alice per la possibilità che mi aveva offerto.

Sapevo che non l'avrei rivisto, tuttavia continuai a guardare la porta,

come se lo aspettassi...

Dopo aver dato un preavviso di una settimana, per i sei giorni seguenti

lavorai come un congegno ben oliato, almeno a vedermi dall'esterno. Mi

comportai come la cameriera perfetta: efficiente, calma, invisibile. Niente

"oops", né cibo che cadeva. Ma neanche allegria. Avevo deciso di evitare

qualsiasi tipo di emozione. In fondo, che motivo avevo, ormai, di

emozionarmi?

Un bacio. Che cos'era, un bacio?

Niente, mi ripetei cercando di convincere me stessa, e mi congratulai per

come stavo riuscendo a tenere tutte le emozioni sotto controllo. Dovevo

sopravvivere solo a quell'ultimo giorno.

All'improvviso la porta del ristorante si aprì, facendo entrare il rombo del

tuono che minacciava di porre fine all'estate prolungata, con una folata d'aria

gelida. E qualcos'altro...

Edward! Non era possibile...

alzai lo sguardo. Lui era lì che mi guardava, e sei giorni di perfezione

finirono in una frazione di secondi, il tempo che il vassoio mi sfuggisse dalle

mani.

Edward si avvicinò proprio mentre Mike si faceva avanti discretamente per

riportare l'ordine. Era lì, vicino a me, e mormorava parole dolci e rassicuranti:

"Bella... perdonami, non riuscivo a dire niente." mi cinse con un braccio e mi

fece entrare nell'ufficio, poi chiuse la porta e mi strinse mentre tentavo di

divincolarmi... "Per poter parlare con te, prima dovevo parlare con mio padre,

spiegargli tutte le cose che avrei dovuto dirgli molto tempo fa. Che i suoi

sogni non sono i miei, che io non posso prendere il suo posto. Solo dopo aver

fatto questo potevo tornare da te, mia Isabelle Marie."

"Hai mandato tutto all'aria?"

"Ho abbandonato il sogno di mio padre per uno tutto mio, Polly. Un

ristorantino affacciato su una piccola baia riparata." Era così vicino che

adesso faticavo a respirare.

"E... come l'ha presa?"

"Con filosofia, diciamo così. Mia sorella, invece, è felicissima."

"Bene. Quindi questo ristorantino..."

"Un posto pieno di calore, di vita, dove il cibo sia in grado di toccare

l'anima. Pensi di poter condividere con me un sogno del genere?"

"St... stai dicendo che hai bisogno di qualcuno che cucini?" chiesi

con prudenza.

"Sto dicendo che vorrei averti come socia." Prese una busta che aveva in

tasca e tirò fuori dei documenti. "Ecco le carte."

le guardai, vidi il nome e rimasi senza respiro per qualche secondo:

Isabelle Marie.

Iniziai a tremare, gli occhi umidi in lacrime di commozione. "E se dico di

no?" sussurrai travolta da mille emozioni.

"Allora continuerò a chiedertelo. Così..." Poi appoggiò delicatamente le

labbra contro le mie.

Le gambe ressero, e fui costretta ad appoggiarmi a lui.

"Non ne sono sicura..." sussurrai parlando a fatica. E lui mi baciò di nuovo.

"Potrebbe volerci del tempo."

Edward mi prese le mani, come per accompagnarmi verso una nuova vita, un

sogno condiviso. "Vieni in Italia con me, mia Bella, e io ti aspetterò per

tutto il tempo che vorrai."

 

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