The Wammy's Hospital

di Luce Lawliet
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** reparto numero 7. Lettera L ***
Capitolo 2: *** la supremazia della lettera B ***
Capitolo 3: *** una Torre, una fortezza. ***
Capitolo 4: *** prudenza ***
Capitolo 5: *** la vendetta dello shinigami ***
Capitolo 6: *** pericolo...tentazione...non posso fidarmi di lui. ***
Capitolo 7: *** sommersa nel buio. ***
Capitolo 8: *** mi devi un favore ***
Capitolo 9: *** Diversa. ***
Capitolo 10: *** Bramosia. ***
Capitolo 11: *** Delitto al chiaro di luna ***
Capitolo 12: *** inside, I'm still a monster ***
Capitolo 13: *** "But I won't go this way..." ***
Capitolo 14: *** Li detesto, gli strizzacervelli. ***
Capitolo 15: *** extra ***



Capitolo 1
*** reparto numero 7. Lettera L ***


  
 
 
 
                                                                                                                 The Wammy's Hospital.

                                                     
                                                                                                1.
              
                                                                       Reparto numero 7. Lettera L.

 
 
 
 
Che cosa ci faccio, qui?
Una delle domande più scontate e risentite del mondo, a mio parere.
Dove mi trovo?
Cosa sta succedendo?
Perchè non riesco a muovermi?
A chi appartenevano questi volti sconosciuti e seminascosti da strane maschere bianche, che mi guardavano, sotto il bagliore di un enorme cerchio di luce bianco, accecante, che mi induceva a stringere con forza le palpebre dal fastidio, per poi chiuderle nuovamente?
Riaprii gli occhi, quando sentii uno di loro spostare appena il cerchio di luce.
No, non era un cerchio, ma una semplice lampada piatta, una di quelle che si vedono comunemente negli studi dentistici.

Tuttavia, mi dava ancora fastidio.

Feci per alzare un braccio e mettermelo davanti al viso, ma avvertii istantaneamente qualcosa serrarmi il polso. Ruotai appena la mano e sentii il fruscio della stoffa spessa e ruvida graffiarmi la pelle, mentre i lacci ai quali le mie braccia erano strette bloccavano qualsiasi mio tentativo di muovermi.
Allora ruotai la testa alla mia destra, lanciando uno stanco mugolio.

Notte o mattina?

Non riuscivo a capirlo; il luogo in cui mi trovavo era buio. Troppo.

Sapevo di essere sdraiata, sicuramente. Su un letto piuttosto scomodo, oltretutto.
Ero agitata, percepivo la paura farsi strada nella parte conscia del mio cervello, eppure il mio petto si alzava e si abbassava con preoccupante tranquillità.

Oh, no.
Poteva voler dire solo una cosa.
Le persone sopra di me dovevano essere medici.
Mi avevano somministrato qualcosa, un sedativo.
Ma perchè l'hanno fatto...?, pensai.
Voltai di scatto la testa. Perchè ero lì?

<< Perchè?!?>>, urlai inaspettatamente, cercando di alzarmi. Una delle persone mascherate mi appoggiò una mano sulla fronte. Che tocco sgradevole. Riconobbi la consistenza asciutta e sfregante del lattice sulla mia pelle, l'odore di guanti nuovi, monouso.

<< Shhh, tranquilla>>, fu tutto ciò che le mie orecchie udirono.

Di nuovo silenzio.
Tranquilla...? Cos'è, cercava di fare dello spirito?
Se ne avessi avuto la forza avrei ribattuto, ma la cosa che più bramavo in quel momento era lasciarmi andare in un sonno, dimenticandomi questi sconosciuti e il motivo per cui ero lì.

<< Sai dirci il tuo nome?>>.
Un'altra voce, più lontana, più severa. Le mie orecchie la udirono appena. Le mie palpabre non rispondevano più ai comandi.
Ed ecco che avvertii nuovamente quella mano pesante e massiccia, sicuramente maschile, su di me. << Ricordi come ti chiami?>>, ripetè la voce, più dolcemente stavolta.

<< Lyanne Stoinich>>, riuscii a dire, prima di perdere i sensi.
 
 




Erano passati tre giorni, ormai.

Troppo pochi perchè si decidessero a spiegarmi una volta per tutte cosa stesse succedendo, troppi per pensare di poter restare ancora.
Quel luogo dalle pareti di cemento, dalle finestre inferriate, dai letti provvisti di lacci, dai dieci infermieri che avevo visto passeggiare ogni ora per il corridoio, dai pasti completamente privi di carboidrati o altre sostanze in grado di non farti sentire costantemente fiacca...quel luogo dalle urla laceranti che si facevano strada fra le pareti dei piani superiori, giungendo fino a me, era un Ospedale psichiatrico.

In quei tre giorni non mi avevano fatta uscire dalla mia stanza neanche una volta. Era una precauzione, avevano bisogno di controllare che non fossi un soggetto violento o autolesionista. Così mi aveva spiegato un infermiere, senza aggiungere altro.

Tuttavia, oggi era diverso.
Lo notai, in primo luogo, quando fu il dottor Yagami ad aprire la porta della mia stanza, non quel dannato infermiere di cui non conoscevo il nome e neanche mi importava saperlo.
Abbassai lo sguardo, mentre l'illustre medico varcava l'ingresso e si sedeva sul letto, di fianco a me. Il pavimento, un regolare ammasso di piastrelle rettangolari e quadrate, ormai usurate e scheggiate, consumate dal tempo, non era luminoso, ma perlomeno, era pulito.
L'unica finestrella della mia stanza, protetta da sottili sbarre d'acciaio, guidava la vista verso l'esterno, ovvero verso quella che sembrava un'estesa foresta. Non ero sicura di cosa ci fosse oltre, dato che riuscivo a scorgere solo le fitte cime verdi dei cipressi. Nessuna strada, nessun'abitazione.

Era l'eco di una parte del mondo priva di vera civiltà, abbandonata al suo destino da Dio.

Cercai di non spostare l'attenzione dalle irregolarità delle piastrelle, quando in qualche punto indefinito al fondo del corridoio, nasceva un urlo smorzato e rabbioso, che mi fece deglutire. Forse il dottore se ne accorse.
Gli lanciai un'occhiata in tralice.
Indossava un lungo camice bianco e stringeva nella mano sinistra una cartella medica. Probabilmente la mia. Il problema nasceva dal semplice quanto trascurabile fatto che io non fossi malata.

<< Come stai oggi, Lyanne?>>.
Non c'era asprezza, nella sua voce. Non ce n'era mai. In un certo senso, qualcosa nel suo timbro, forse il silenzio fra le sillabe, o forse la prudenza con cui costruiva perfino le frasi più semplici, mi ricordava mio padre.

<< Sto come ieri, signore. E il giorno prima.>>, risposi atona. Non c'era motivo di reagire male con quell'uomo e anche se avessi voluto farlo, non ci sarei comunque riuscita. Lui sorrise e segnò un appunto sulla cartellina.

<< Con questo intendevo dire che mi sento bene!>>, mi affrettai a spiegare, temendo che fraintendesse. Ma lui sorrise stancamente, per poi sottolineare qualcosa. Gettai uno sguardo alla matita. Nuovissima, gommina sulla punta ancora inutilizzata, mina perfettamente appuntita.
Forse troppo.
Per un attimo mi interrogai a cosa sarebbe potuto succedere se uno dei pazienti dell'Ospedale gliela avesse strappata dalle mani con la forza e usata contro di lui; avrebbe potuto essere un efficace strumento di morte.
Poco ortodosso, certo. Ma efficace.
Il dottore seguì il mio sguardo e abbassò la cartellina. << Sono solo normali appunti. Cerco di costruirmi un tuo profilo psicologico>>.

<< Per studiarmi?>>, obiettai, riabbassando lo sguardo.

<< No, per conoscerti meglio>>.

Mi passai lentamente una mano fra i capelli. Da quel che ricordavo, possedevo una massa non indifferente di ricci rossi, soffici e lunghi quasi fino ai fianchi. Ora percepivo la stopposità e i nodi che si erano formati, mentre sulle punte, il colore sembrava quasi sbiadito.

<< Senta>>, iniziai a dire. << sono tre giorni che sono chiusa qui dentro. Mi sento benissimo, non ho ragione per stare qui, per favore mi faccia uscire>>.

<< D'accordo>>, rispose, lasciandomi basita.

<< Posso andare? Davvero?>>.
Il dottore sospirò, per poi alzarsi lentamente. << Non vedo perchè no>>. Mi porse la mano per farmi alzare. << Sei una ragazza tranquilla ed educata. Credo sia giunto il momento di farti uscire. Manderò un'infermiera a guidarti per mostrarti l'Ospedale; ti farà vedere dove sono le docce dello spogliatoio femminile e la Mensa Comune>>.

Aggrottai la fronte. La sua mano stringeva ancora la mia.

<< Non mi sembra giusto tenerti sempre confinata in questa stanza>>, sorrise. Mi adombrai; ecco cosa intendeva dire: uscire dalla stanza. Io non volevo uscire dalla stanza, ma dall'istituto!
Chi diavolo erano quelle persone?!
Perchè non mi lasciavano andare via?

<< Signore, la mia famiglia...>>, mi bloccai. Stavo per propinargli una storiella cotta a puntino, sul fatto che i miei genitori sarebbero stati certamente in pensiero per me, non vedendomi tornare a casa, ma io non avevo più genitori.
Istintivamente, mi ricordai di un'altra cosa: gli avevo detto il mio nome quando ero anestetizzata. Sicuramente avevano già svolto ricerche su di me e sapevano chi ero.

Merda.

Ci riprovai, misurando le parole. << Dottor...Yagami, giusto? Ecco, mi sentirei seriamente molto, molto più tranquilla se lei avesse la cortesia di spiegarmi cosa sta succedendo. Che cos'ho fatto per essere qui?>>.
Il dottor Yagami si sistemò gli occhiali, che gli erano scivolati sulla punta del naso. << Davvero non rammenti nulla?>>.
Io scossi la testa, ma avvertii come se fosse mia la perplessità del dottore, ben celata sotto i lineamenti rigidi e la luce gentile negli occhi scuri.
L'uomo rimuginò per qualche secondo, infine il suo viso si rilassò. << Non credo sia il momento giusto, questo. Facciamo così: ora chiamo l'infermiera per farti da guida; quando sarai pronta, fatti accompagnare nel mio studio questo pomeriggio alle diciassette. Per te va bene?>>.
Finalmente, colsi una nota di sollievo nella mia testa.
Il dottor Yagami si incamminò lungo il corridoio. Lo sentii chiamare una certa signorina Misora. Voltò la testa verso di me e mi fece segno di raggiungerlo.
Svelta, sgusciai fuori da quella stanza grigia che sapeva di cella e mi affacciai al corridoio, proprio mentre una giovane donna, coperta anche lei da un camice bianco, si avvicinava al dottore, per poi lanciarmi un'occhiata che sembrava amichevole.
Il dottore appoggiò una mano sulla mia spalla. << Lyanne, vorrei presentarti Naomi Misora, l'infermiera più disponibile e in gamba di questo posto! Naomi, questa è Lyanne>>.

<< Non dare retta a quest'adulatore. Sono semplicemente l'infermiera di questo reparto>>, sorrise lei, porgendomi una mano. Pelle liscia, unghie curate.

<< Naomi, vorrei che le mostrassi l'istituto. Alle diciassette accompagnala nel mio studio>>, le disse il dottore, prima di incamminarsi lungo il corridoio.

<< Ah, e falle conoscere gli altri! Può darsi che andranno d'accordo>>, aggiunse.

Naomi appoggiò una mano sulla mia schiena. << Allora, andiamo>>.

<< Gli altri chi?>>, le chiesi, confusa.

<< Oh, intendeva gli altri pazienti. Sai, hanno più o meno tutti la tua età, anno più, anno meno...>>, mormorò, sistemandosi una ciocca corvina dietro l'orecchio.
Riflettei.

<< Un momento, sta dicendo che qui tenete sia maschi che femmine?>>.

L'odore di imbottitura e di disinfettante mi irritava le narici. Imboccammo una rampa di scale e giungemmo al piano terra. L'ambiente già era cambiato: pavimento in piastrelle color champagne, lucide, pareti verniciate di bianco e celeste. Solo che lì l'odore dei medicinali era molto più forte. Imboccammo un altro corridoio, molto breve, che ci portò ad un'ampia sala, in quel momento occupata da ragazzi intenti a farsi gli affari loro.
Nel gruppetto notai solo una ragazza, una biondina evidentemente denutrita, intenta ad esaminarsi le ciocche di capelli. Se ne stava seduta su un divano bianco, con le gambe nude, coperte da quelli che sembravano shorts molto shorts, penzolanti su uno dei braccioli.
Un bambino inginocchiato a terra era intento a comporre un puzzle di almeno mille o duemila pezzi, bianco quanto i suoi riccioli. Essendo rivolto verso il pavimento, non riuscii a vedere il suo viso.
Un ragazzo completamente vestito di nero era in piedi, davanti alla finestra, intento a sgranocchiare qualcosa. Non riuscii a capire cosa fosse, perchè Naomi mi condusse ad un'altra rampa di scale.
<< Le docce femminili sono nei sotterranei.>>, mi spiegò. << Puoi venire a lavarti tutti i giorni e puoi decidere se farlo dalle diciotto alle diciannove o dalle ventuno alle ventidue. Non ti conviene trasgredire gli orari, perchè dopo verrà qualcuno a chiudere e gli spogliatoi non saranno accessibili fino alle diciotto di domani. Però...visto che il signor Yagami ti vuole nel suo studio per le diciassette, solo per questa volta faremo uno strappo alla regola, ok?>>, propose, tirando fuori dalla tasca del camice un mazzetto di chiavi.
Le usò per aprire il lucchetto che bloccava le ante. << Vai pure. Hai tempo un'ora, quindi prenditela con calma. A sinistra ci sono gli spogliatoi, a destra le docce. Guarda poi negli scomparti sopra gli armadietti, ci sono degli accappatoi puliti. Siccome ci sono poche signorine qui dentro, non rimarrai mai senza! Intanto, io vado a procurarti dei vestiti più adatti>>, concluse, allontanandosi.
 
 



Il getto bollente della doccia scorreva come un elisir lungo la mia schiena tremante, risvegliando il mio sangue dal torpore, riaccendendo i miei sensi.
Mi ci voleva, davvero, pensai, mentre mi strofinavo sui capelli una seconda dose di shampoo, con il vapore che saliva ad avvolgermi il corpo, ammorbidendo la mia pelle.
Il profumo del bagnoschiuma al cocco non fu di grande aiuto, poichè ricordò al mio stomaco da quanto tempo non mangiavo cibo che si potesse definire tale.
Mi passai la spugna, ormai sepolta dalla schiuma, lungo le braccia, lentamente, riempiendo ogni centimetro di pelle, poi sul collo, infine sul seno.
Chiusi gli occhi, abbandonandomi al tepore, alle gocce caldissime che mi scorrevano lungo le guance come lacrime senza il sapore amaro tipico della tristezza.

<< Dio, com'è invitante!>>, sentii sospirare dietro di me.

Mi voltai di scatto, sorpresa, percependo chiaramente che quella voce acuta e femminile era molto vicina a me.
Le docce erano disposte in fila, l'una attaccata all'altra, ma separate da una parete che concedeva quel minimo di privacy, dato che non c'erano ante o sportelli sul davanti.
La ragazza bionda che avevo adocchiato poco prima era lì, una mano appoggiata sulla parete laterale, ma abbastanza ritratta, in modo da non venire bagnata dall'acqua.
In sala non avevo prestato molta attenzione al suo viso, ma ora che era di fronte a me, la osservai attentamente.
Era alta quanto me, ma molto più magra. Indossava un top nero e gli stessi short di prima, che mettevano in risalto le sue gambe snelle, in quel momento incrociate in una posa che mi ricordava molto quelle delle modelle mentre sfilano in tv.
Le guance del suo viso erano leggermente scavate, i capelli biondi erano sciupati e rovinati, tant'era che si poteva notare perfettamente la tinta che andava via via affievolendosi, per poi lasciare spazio al suo castano naturale, vicino al cuoio capelluto.
Malgrado questo, il viso conservava tratti delicati, decisamente molto belli.
<< Cosa è invitante?>>, le chiesi. Avrei piuttosto preferito chiederle cosa ci facesse lì, ma quello che aveva detto mi aveva lasciata perplessa.
Lei scrollò le spalle e fece un sorrisetto malizioso, soffermando i suoi grandi occhi nocciola sul mio seno. << Il modo in cui ti passi la spugna qui...>>, allacciò le dita attorno al suo braccio << ...qui...>>, si accarezzò il collo. << ...e qui>>, fece un gesto esplicito, avvolgendo entrambe le mani attorno al suo seno.
Voltai la testa di lato. << Ti dispiace andartene? O perlomeno, se devi lavarti, cercati un'altra doccia, questa è occupata>>, risposi, cercando più che mai di non usare il classico tono da va' all'inferno, che ogni tanto mi sfuggiva con la gente che non mi piaceva.
Lei non spostò lo sguardo dai miei occhi e non accennò ad andarsene.

<< Come ti chiami?>>, volle sapere.
Non le risposi.

<< Sei sorda?>>.

<< Cosa ti sfugge del concetto della parola privacy?>>, sbottai, tentata dall'idea di schizzarle dell'acqua addosso.

<< D'ora in poi dimentica il significato di questa parola, tesoro. In più della metà delle stanze ci sono delle telecamere che seguono i tuoi movimenti tutto il giorno!>>, ridacchiò, sfilandosi il top con un movimento fluido.
Lanciai un'occhiata agli angoli del soffitto.

<< No, qui no>>, disse, anticipando i miei pensieri. << Se hai bisogno di aiuto basta che premi quel bottone rosso dietro di te. Ce n'è uno in ogni doccia>>.
Mi voltai. In effetti, all'inizio avevo notato quel bottoncino, ma non mi ero chiesta a cosa servisse. Tornai a fissare la ragazza e con stupore notai che si era sfilata anche i pantaloncini, rimanendo in intimo e posizionandosi sotto il getto, il suo corpo a pochissimi centimetri dal mio. << Il mio nome è Misa Amane>>, disse, togliendomi la spugna dalle mani.

<< Non te l'ho chiesto!>>, esclamai, alzando la voce.

<< Io invece ho chiesto il tuo>>, rispose lei, per niente allarmata dal mio tono. Immerse la spugna sotto il getto e subito dopo fece un'espressione scioccata. << Sei fuori di testa, ragazza? L'acqua così calda rilassa i tessuti...se non vuoi che a trent'anni il seno ti arrivi alle ginocchia, devi usare quella fredda!>>. Girò la manopola, mentre il vapore spariva, poco a poco.
Feci un passo indietro.
Ma cosa vuole, questa?!
Il suo viso mi ricordava tanto qualcuno, ma in quel momento non riuscivo a capire chi. Amane, aveva detto?
Spalancai gli occhi.
Ma certo che ne avevo sentito parlare...era una modella che in seguito era stata beccata a fare uso massiccio di droghe. Era da quasi un anno che non appariva più sulle riviste e negli shows.

<< Devo andare>>, balbettai, a disagio.

<< Prendo il tuo posto, allora>>, disse, infilandosi sotto il getto d'acqua ghiacciata. << Ci vediamo, Fanciulla Senza Nome!>>.

<< Mi chiamo Lyanne!>>, berciai, piccata dal suo pessimo senso dell'umorismo.

Lei si morse il labbro inferiore. << Reparto numero 7, lettera L>>.

<< Come?>>.

<< Il tuo nome inizia con la L. Ti manderanno in una stanza del reparto numero 7.>>, rispose.
Io annuii, pur senza capire di cosa stesse parlando e afferrai l'accappatoio che avevo preso da uno degli scomparti, per poi avvolgermelo addosso. Feci per uscire.

<< Ah, Lyanne?>>, mi richiamò Misa. << Due cose. La prima: non dire a Naomi che mi sto facendo la doccia. La seconda: sta' alla larga dall'infermiere del tuo nuovo reparto!>>.

<< Perchè?>>, volli sapere, strofinandomi i capelli.
L'espressione sul viso della bionda cambiò. La sua voce assunse una nota di minaccia, me ne accorsi, anche se si sforzava di nasconderla.

<< L'infermiere che fa il turno di notte nel tuo reparto si chiama Light e non ti azzardare a toccarlo, perchè se lo venissi a sapere, da me aspettati qualsiasi cosa. Mi sono spiegata?>>.

Pazza, pensai.
Probabilmente come tutti gli altri pazienti.
Mi allontanai in fretta, decisa a non restare un altro minuto con lei.
Intanto, mi pulsavano nelle orecchie le sue parole.

Reparto numero 7, lettera L.
Reparto numero 7, lettera L.
Reparto numero 7, lettera L.

 
 
 
                                                                                                                     [ continua]
 

Grazie a voi che avete seguito l'inizio della mia storia fino a qui ^^
Se foste così disponibili a lasciarmi un parere sulla storia e dirmi se conviene continuarla ve ne sarei grata!
Grazie ancora,
Luce 

 

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Capitolo 2
*** la supremazia della lettera B ***


 

 

 

 

 

 

                                                                                                                                   2.

 

                                                                               La supremazia della lettera B.

 




La Mensa Comune era più piccola di quanto immaginassi, forse perchè l'Ospedale non conteneva un'eccessiva massa di schizzati.

In un certo senso, sembravano divisi in due gruppi: quello dei normali giovani depresso/problematici, che non si sentivano più a loro agio nel mondo, che non possedevano quindi un ambiente accettabilmente compatibile con quello dei loro simili, perciò se ne stavano sempre con le cuffie alle orecchie, in modo che i duemila decibel vomitassero puro rock nel loro cervello, fino a stordirli; sospettavo che se le togliessero solo per fare la doccia. Per tutta la giornata camminavano con un broncio talmente lungo che rischiavano di incespicare sul loro stesso mento, e poi c'erano loro.

Quando parlo di loro si rischia che i termini Ospedale psichiatrico, Casa di Cura, Centro per Malattie Mentali in questo caso debbano essere completamente ribaltati.

Forse non mi sono spiegata bene.

Il gruppo dei loro era nettamente ristretto, anche se probabilmente ne mancavano alcuni all'appello. C'era un giardino attorno all'Ospedale, cinto da un'alta recinzione elettrica, nel quale a tutti i pazienti era permesso accedere, a qualunque ora del giorno.

Quando non incombevano fulmini e nubi nere, loro se ne stavano quasi sempre all'aperto.

Personalmente, io non rientravo in nessuna delle due categorie: non mi sentivo una che viveva nel suo " non ambiente" personale, ma loro mi spaventavano oltremisura.

Non parlavo mai con nessuno, a meno che qualcuno un po' più coraggioso degli altri rock-dipendenti non mi si avvicinava per salutarmi.

Non restavano a lungo, però. Avevo capito che la loro era soltanto una leggera attrazione, la curiosità nei confronti della nuova arrivata. Sarebbe svanita in due settimane, o poco più.

Quando feci la mia entrata, davanti al bancone in cui due cuoche servivano i pasti si era già formata una considerevole fila di affamati, che mi fece sbuffare.

Afferrai svogliatamente un vassoio di plastica verde e mi misi in coda, dietro una ragazzina con un buffo vestitino giallo e bianco. Non riusciva a star ferma, in una mano stringeva il vassoio, nell'altra una bambolina di porcellana, vestita esattamente come lei. E ci parlava anche, con lei. Le sussurrava parole tra i capelli di nylon, disordinati e arruffati e ridacchiava. Aggrottai la fronte. Doveva avere più o meno sedici anni, come me.

Decisi di non pormi oltre il problema e allungai il collo, con la speranza che quelli prima di me non si fossero già fregati le cose più commestibili.

Un movimento d'aria improvviso dietro di me e due mani mi strinsero i fianchi, facendomi sobbalzare e cascare di mano il vassoio.

<< Misa! Sei una cretina!>>, sibilai, chinandomi a raccoglierlo, mentre la biondina sopra di me rideva come un'ossessa.

All'inizio avevo considerato Amane come una facente parte della categoria depressiva, ma ben presto, compresi che apparteneva all'altra sezione.

Ogni volta che mi trovavo vicina a lei, avvertivo una singolare nota di minaccia, nella sua voce, nei suoi occhi vitrei, da bambola...perfino nel suo look. Quando non esibiva mezzo sedere davanti al genere maschile, tendeva a vestirsi da Gothic-Lolita, una cosa a mio parere impressionante. Tra l'altro, il fatto che i suoi abiti fossero neri quanto il mezzo chilo di ombretto che si stendeva sulle palpebre quasi tutte le sante mattine, non mi tranquillizzava per niente.

Al mio insulto, scoprì i denti. << Grrr...paura, Lilly?>>, disse, imitando un felino e punzecchiandomi le spalle.

<< Lasciami in pace>>.

Mi ritrovai sotto il naso il suo dito ( unghia perfettamente laccata di nero) che puntava verso il bancone. << Oggi servono melone e pancetta, più la marmellata! Non ti sembra un sogno?>>.

<< La marmellata mi fa venire la nausea e poi sono vegetariana>>, ribattei, ringraziando mentalmente quella dea soprannominata Sfiga, che aveva deciso di diventare la mia miglior amica per tutto il tempo in cui sarei stata in quella gabbia di matti.

<< Oh? Io invece la adoro! Sono cresciuta a carne e riviste!>>, replicò lei, passandosi una mano sul corsetto nero, lisciando le pieghe che si erano formate.

<< Com'è andato l'incontro di ieri con il dottor Yagami?>>, mi domandò subito dopo.

Sospirai. L'incontro era stato un disastro su tutta la linea. A partire dal fatto che ero nervosissima e avevo finito per rovesciare il tè caldo, gentilmente offertomi da lui, su una pila di fascicoli nuovi, il dottore mi aveva fatto delle domande alle quali non ero neppure riuscita a pensare a cosa rispondere.

Domande del tipo: << Ricordi come sei arrivata qui?>> e roba del genere.

Non potrei neanche provare a descrivere la vergogna che mi divorava le membra, mentre facevo scena muta. Sapevo che non rispondendo gli avrei dato l'impressione che temevo di più, ovvero, di aver bisogno di aiuto.

<< Ha detto che gli sono sembrata spaventata e timida, perciò ha lasciato perdere; intende organizzare un appuntamento collettivo domani, alle quindici. In questo modo spera che io mi... sciolga un po'>>.

Misa alzò gli occhi al cielo. << Oh, nooo! Significa che dovrò venire anch'io...che palle. Grazie tante!>>, sbottò, lasciandomi di stucco.

<< Che cosa vuoi da me? Ha deciso tutto lui!>>, mi difesi.

<< Grazie per essere una mocciosa spaventata e timida! Se continuerai ad essere così, qui ti divoreranno in meno di una settimana!>>.

Mi voltai, ben decisa a non darle più retta.

Ancora tre ragazzi davanti a me e finalmente sarebbe stato il mio turno per l'ordinazione.

Voltando lo sguardo di lato, notai il bambino del giorno prima, quello albino, intento a disegnare numeri su diversi mazzetti di carte, disposti a terra, ai piedi del tavolo sul quale era appoggiato il suo vassoio ancora vuoto.

A mio malgrado, mi rivolsi nuovamente a Misa. << Mi dici che problema ha quel piccolino?>>.

Lei, che stava mangiando con gli occhi uno spilungone con degli inquietanti piercing alle sopracciglia, seguì il mio sguardo, per capire di chi stessi parlando.

<< Uuuh, non ti facevo così pedofila, Miss Timidezza! Ti piace Near?>>, ridacchiò. << Non ha assolutamente nessun problema>>, aggiunse, subito dopo, in tono più serio. << Anzi, ha un cervello persin troppo perfetto, a detta del nostro caro dottore!>>.

Le lanciai un'occhiata spiazzata.

<< Il suo Q.I. è decisamente superiore alla media, quella palla di neve è una specie di genio della Matematica, o roba simile>>, spiegò, infine. << Il fatto è che non esce da questo posto da quando era un cosino così! E' passato in mano a cinque famiglie diverse, ma continuavano a nascere problemi, allora il dottore ha deciso di tenerlo qui>>.

<< La decisione più stupida che quel vecchio abbia mai preso in tutta la sua vita!>>, ribadì una voce maschile, la cui sfumatura non sapevo se definire ironica o alterata.

A parlare era stato un ragazzo completamente vestito di nero, che ad un primo momento avrebbe anche potuto passare per il fratello maggiore di Misa. Sottile come un giunco, alto, dal portamento superbo e occhi color acqua ghiacciata, con i capelli che gli sfioravano le spalle, ancora più biondi di quelli della ex-modella.

Quasi di riflesso, mi ritrassi di pochi centimetri. Quel tizio era uno dei loro, per intenderci, e non mi era mai piaciuto...il suo sguardo mi ricordava troppo quello di un criminale.

<< E questa?>>, fece un cenno con la testa verso di me, senza guardarmi negli occhi. << E' il tuo nuovo cagnolino?>>.

<< Fatti i cazzi tuoi>>, ribattè lei, facendomi l'occhiolino.

<< Preferirei farmi te>>.

<< Scusa, non parlo con gli psicopatici, né tantomeno ci scopo assieme!>>, cantilenò Misa, in modo abbastanza udibile, così che altri potessero sentire e così da suscitare l'irritazione momentanea del biondo, il quale fece per afferrarle un braccio, ma si bloccò, come tutti gli altri ragazzi, quando una scagliò il proprio vassoio pieno verso le cuoche, lanciando un urlo di collera.

<< Non voglio il melone, mi fa schifo il melone! Perchè non posso mangiare quello che voglio, almeno una volta in questo fottuto Ospedale? Andate all'Inferno!!>>, ruggì, dando feroci gomitate nelle costole di quelli dietro di lei. Mi feci immediatamente da parte per lasciarla passare.

Misa le lanciò un'occhiatina muta mentre quella belva le passava accanto e disse all'orecchio del biondo: << Non capisce che lo fanno per il suo bene? Il melone la aiuterebbe a buttare via quei venti chili di cellulite che ha per gamba>>.

Una decina di teste si voltarono verso di lei, la quale finse di essere sorpresa di ricevere tutte quelle attenzioni. Io sbarrai gli occhi.

Che ragazza sgradevole, come se nessuno avesse capito che l'aveva fatto apposta a parlare a voce alta. Infatti, la belva fece immediatamente dietro front, per fronteggiarla. Era una ventina di centimetri più alta di lei e grossa quasi il doppio.

<< Tappati la bocca, lurida cocainomane, o giuro che te la chiuderò io!>>.

Con la coda dell'occhio vidi una delle cuoche dirigersi all'angolo del bancone e premere un bottone rosso.

Emergenza, richiesto personale alla Mensa Comune! Emergenza, richiesto personale alla Mensa Comune!

Gli altoparlanti diffusero pigramente il segnale d'allarme, attraverso tutte le stanze dell'istituto.

Mi trovavo abbastanza vicina a Misa per rendermi conto che sul suo volto non vi era traccia di timore o sfida, solo semplice superbia. Una superbia scevra di alcun tipo di limite, una superbia che io avrei pagato tutto l'oro del mondo per potermene appropriare.

<< La droga non mi ha rovinata; tu sei diventata una botte di vino marcio e scadente, proprio come tutte le bottiglie che ti bevevi e bevi ancora di nascosto, poco prima dell'orario di chiusura nella Mensa, quando nessuno ti guarda!>>, rispose lei con uno splendido quanto velenoso sorriso milledenti.

C'era da aspettarselo che la tipa reagisse, infatti alzò immediatamente il braccio, la mano tesa al massimo, pronta per scaricarle un durissimo schiaffo in pieno volto, ma la voce del ragazzo biondo la fermò.

<< Fallo e andrai in guai seri>>.

La ragazza si morse le labbra, gli occhi lanciavano lampi di odio e di isterismo, mentre la mano ancora alzata sembrava preda di convulsioni e tremori.

Li fissò entrambi con uno sguardo omicida, da folle, borbottando qualcosa tra i denti. Infine li oltrepassò. Non ebbi i riflessi abbastanza pronti nel notare che si stava dirigendo verso di me. << Fuori dai coglioni!>>, sibilò. Ricevetti una bella spinta inaspettata che mi fece perdere l'equilibrio e sbilanciare a terra. D'istinto, mollai il vassoio e cercai di aggrapparmi alla prima cosa che trovai.

Un altro vassoio, tenuto in mano da qualcuno. Un vassoio pieno.

Disgraziatamente, la caduta mi impedì di assicurare un appiglio alle mie dita; lo slancio mi fece finire addosso a quel vassoio di faccia, sicchè tutto il contenuto si riversò sul petto del legittimo proprietario.

Crollai sul pavimento, picchiando con le ginocchia e i gomiti. Udii i passi strascicati della mia assalitrice allontanarsi lungo il corridoio, per poi affievolirsi velocemente. Il vassoio vuoto della persona che avevo urtato era rovesciato sulle mie mani.

Sospirai e alzai lo sguardo, intenzionata a scusarmi, ma ciò che vidi mi fece svanire qualsiasi forma di coraggio e qualsiasi voglia di parlare.

Una larga macchia rossa sul suo petto, bagnava la sua maglietta bianca e inquinava il puro candore della stoffa. Avrebbe potuto essere scambiato per sangue e nessuno se ne sarebbe accorto. Non era sangue, bensì marmellata. Marmellata di fragole, a giudicare dal colore. Osservai le sue braccia, abbandonate sui fianchi, le mani, anch'esse sporche, le dita allargate, i palmi aperti. Il mio sguardo si spostò automaticamente verso l'alto, sul suo viso.

Occhi scarlatti, color cremisi, dello stesso, identico colore di quella marmellata che ora impregnava il suo busto, quasi come fosse la macchia incancellabile di una ferita mortale.

Il suo sguardo, in quell'istante perso nel mio...non era tra i più amichevoli.

Anzi, quello non era per niente uno sguardo.

Quando riacquistai per un istante mezzo grammo di lucidità, mi accorsi che tutti i ragazzi della mensa avevano formato un cerchio attorno a noi due; perfino Misa e il tizio biondo di fianco a lei si erano fatti da parte, immobili, senza dire una parola.

Lui mi stava fissando ormai da una quindicina di secondi, senza cambiare espressione.

Cominciai ad innervosirmi; che stava succedendo?

Mi misi in ginocchio e feci per mettermi in piedi, togliendo le mani dal vassoio. Neanche il tempo di rendermene conto, che il ragazzo sopra di me alzò un piede, di scatto; l'impatto del calcio sul vassoio lo scaraventò contro il muro, rischiando di colpire una delle due cuoche. Il vassoio si ruppe a metà, impiastricciando la parete di rosso cremisi.

Non riuscii a trattenere un urlo di sorpresa.

Se avessi lasciato le mani immobili una frazione di secondo in più, quella botta mi avrebbe fratturato tutte le dita in un colpo solo.

La ragazzina con la bambola di porcellana in mano gemette e si rattrappì contro il muro; alcuni ragazzi sussultarono.

Non avevo abbastanza fiato per tornare a respirare. Lo vidi chinarsi verso di me.

<< Se il tuo volto non mi avesse fatto venire il voltastomaco, ti farei pulire le mie scarpe con la lingua>>. Bastò la sua voce bassa e soffiante, come quella dei cobra, a farmi sentire come se mi avesse appena pugnalato alla gola.

I miei occhi si spostarono sulla punta delle sue scarpe, impiastricciate di marmellata, prima che il ragazzo dagli occhi rossi se ne andasse, percorrendo la stessa strada dell'altra tipa. Un attimo dopo, le ante principali della Mensa Comune si spalancarono e fecero la loro entrata due robusti infermieri.

Il gelo sembrò sciogliersi, come neve su una stufa elettrica.

<< Perchè ci avete messo così tanto?>>, si lasciò sfuggire una cuoca, con una mano appoggiata sul petto.

<< Che cos'è successo?>>, domandò uno dei due.

<< B>>, si limitò a rispondere la donna, indicando l'uscita secondaria. I due si scambiarono un'occhiata esasperata e non persero tempo, scomparendo con la stessa flemma con cui erano arrivati.

Dal canto mio, non riuscivo a staccare lo sguardo da dove fino a pochi secondi prima erano posizionati i piedi di quel brutale schizofrenico che mi aveva quasi fatta morire di paura. Non stavo scherzando, sentivo ancora il cuore pulsarmi dolorosamente nel petto e le dita delle mani imbalsamate dai brividi freddi che percorrevano il mio corpo come scosse elettriche.

Il sinistro torpore venne scacciato da una mano calda che mi strinse la spalla; in quel gesto riuscii addirittura a scorgere un briciolo di conforto, ma forse ero troppo atterrita e probabilmente fu solo una mia impressione.
L'amico della modella si era avvicinato a me. Mi aiutò a rialzarmi, senza dire una parola, mentre gli altri riprendevano con il chiacchiericcio e gli spintoni, in modo da accaparrarsi le ultime fette di pancetta, come se non fosse accaduto nulla.
Misa fischiò. << Ora capisco cosa intendeva dire quando ha detto che gli hai fatto venire il voltastomaco>>, commentò, lanciando un'occhiata alla mia faccia, probabilmente ancora scioccata, le iridi immobili, che non reagivano ancora ai miei comandi e la mia voce ormai prosciugata in fondo alla gola dall'ondata di panico.

<< Dalle almeno il tempo di riprendersi, Amane.>>, la ammonì annoiato il biondino, accompagnandomi sulla sedia più vicina.

<< Riprendersi da cosa? Manco l'ha toccata, per me è già stata fortunata!>>, ribattè lei, accosciandosi sul tavolo e appoggiando gli stivali neri aderenti e lunghi fino alle ginocchia firmati Jimmy Choo sulla sedia accanto alla mia.

In circostanze normali mi sarei chiesta se fosse permesso tenere vestiti di marca e scollati, ma non mi posi il quesito. Probabilmente quella ragazza rappresentava l'unico strappo alle regole di quel postaccio.

<< Comunque, ricordi quando eravamo sotto la doccia e ti ho accennato alle telecamere?>>, iniziò a dire.

<< Avete fatto la doccia insieme?>>, la interruppe il biondo, lanciando a entrambe un'occhiata indecifrabile.

<< Allora, ti ricordi?>>, continuò, ignorandolo. << Lo scopo di quegli aggeggi è tenere sotto controllo i movimenti dei pazienti in generale, certo, ma qui hanno la precedenza i casi gravi. Mi ascolti o no?>>.

<< Sì...sì>>, balbettai, incapace di trasformare la voce in qualcosa di più che un sussurro spezzato.

<< Ehi, questa si è bloccata!>>, sbottò il ragazzo, afferrando qualcosa dal tavolo e gettandomelo addosso. L'acqua che mi schizzò in faccia fu come un battito di mani in un momento di ipnosi.

<< Co...che diavolo fai?!>>, mi lamentai, scuotendo la testa, sollevando spruzzi di goccioline sugli stivali di Misa, la quale si ritrasse con una smorfia.

<< Casi gravi, capito? Beyond è uno di quelli. Anzi, è il più grave di tutto questo dannato Ospedale. Comincia fin da subito ad allenare l'istinto di sopravvivenza e la prossima volta che lo vedi, cambia strada prima che lui veda te! Non so tu, ma se il mio radar non è rotto, ho captato migliardi di onde negative provenienti da lui solo ed esclusivamente per te!>>.

Misa incrociò le braccia al petto, mentre il ragazzo vicino a lei mi squadrava, quasi con compassione.

<< Casi gravi...>>, borbottai tra me e me.

<< Già. E se ti fossi chinata a leccargli le suole, avresti capito a cosa alludo. Con casi gravi intendo cavigliere elettroniche che ti agganciano alla gamba, semplici sistemi di monitoraggio che però trattengono tutti i pazzi furiosi come quello dall'ammazzare di botte le mammolette imbranate come te!>>, spiegò, sghignazzando. << I pazienti con quegli affari attaccati alla caviglia si contano sulle dita di una mano, ma ti conviene stare alla larga da loro, non sai mai cosa aspettarti>>.

Non sai mai cosa aspettarti..., pensai.

Ovviamente.

Del resto, cosa mai avrei dovuto aspettarmi, in un manicomio?

Mi coprii la faccia con le mani; di colpo non avevo più fame.

Ero completamente fuori posto, non c'entravo niente - niente!- con tutto questo.

Io non sono...

<< ... come voi!>>, gemetti.

Le risatine, il rumore delle sedie spostate, l'odore nauseabondo della carne...tutto ciò fu in grado di farmi martellare le tempie al limite della sopportazione. Mi alzai dalla sedia con uno scatto, dirigendomi a passo svelto verso l'uscita della Mensa.

Prima di oltrepassare le porte, tuttavia, udii chiaramente la voce squillante di Misa: << Che ti dicevo? La divoreranno in meno di una settimana...>>.

Quasi mi misi a correre, per raggiungere le scale. Spesso rischiai di scontrarmi con altri ragazzi, poichè continuavo a fissare il pavimento, per nascondere il mio volto arrossato, i miei occhi strabordanti di lacrime amare agli sguardi curiosi di tutti quegli sconosciuti.

Raggiunsi velocemente il reparto numero 7, il mio reparto.

Trattenni il respiro, finchè non sbattei alle mie spalle la porta della mia stanza e non la bloccai, spingendoci davanti il letto a una piazza, con le coperte ancora disfatte. Non volevo vedere nessuno, non ci riuscivo.

La verità era che continuavo a pensare ai suoi occhi. Penetranti, rossi come il sangue...possibile che la natura fosse stata così generosa - o spietata?- da concedere una peculiarità del genere?

Li avevo sentiti muoversi lungo il mio volto, vogliosi di scoprire i segreti racchiusi nella mia anima, smaniosi di appropriarsene.

La sensazione che gli occhi di quel ragazzo vedessero cose che nessun altro era in grado di vedere non accennava a sparire, così come quella che mi implorava di non restare in quel posto un minuto di più.

Non potevo, non lo sopportavo. Io ero una ragazza normale, il mio posto non era lì.

Io non sono un caso grave, mi dissi, riconoscendo solo in quel momento il vantaggio di quella posizione. Non lo ero, perciò non erano le mie azioni quelle prese sul serio. Avevo una possibilità, forse. Trassi un respiro profondo, finalmente più calma.

Dovevo assolutamente escogitare un modo per andarmene da lì quella notte stessa. Il dottore credeva di potermi offrire aiuto, ma io non lo volevo.

Non avevo bisogno dell'aiuto di nessuno. Era di questo che tentavo disperatamente di convincermi da quasi tutta la vita.

 

 

                                                                                                       [ continua ]

 

 

 

In realtà, questo capitolo avrei voluto farlo un po' più lungo, ma all'ultimo ho cambiato idea! Ci terrei inoltre a ringraziare:

akachika

So I don T Know

starhunter

per le recensioni, e anche

BeyondTheLimit

per averla inserita tra le Ricordate e infine

akachika

nao

per averla aggiunta fra le Seguite! Grazie a tutte, davvero! ^^

Bene, detto questo...vi auguro buona serata!!

Bacioni,

Luce. 

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Capitolo 3
*** una Torre, una fortezza. ***





                                                                                                                                    3.

                                                                                  Una Torre, una fortezza.






Nella sottile bruma delle 11.45, la notte sembrava permeata dall'atmosfera e dai sussurri del vento, accompagnati dalla caligine che andava pian piano infittendosi lungo il giardino intorno all'istituto, concentrandosi per lo più nella zona del lago.

Il nostro girovagare serenamente per il Wammy's Hospital concludeva sempre alle 11.30, orario da non trasgredire, se non in caso di eventi straordinari. Ben presto iniziai ad accorgermi che quel luogo altro non fosse se non una sottospecie di prigione: chiudevano a chiave tutte le porte per non far uscire i pazienti. Seriamente!
Lo facevano gli infermieri notturni, a causa delle menti non troppo a posto, che dovevano essere tenute sotto controllo; le porte venivano riaperte alle 7.30 di mattina. Fino ad ora la mia non l'avevano mai chiusa a chiave, forse perchè non avevano ancora compreso di quali aiuti necessitassi. Non ero l'unica ad aver ricevuto quella formalità di gentilezza, Misa mi aveva spiegato più o meno come funzionavano le cose, tra i vari reparti.

Ciascuno di essi era diviso in due sezioni: la prima era quella in cui tenevano i soggetti meno violenti e pericolosi, usiamo pure la parola inoffensivi; in genere, finchè non cambiavano atteggiamento e non provavano a fare stupidaggini, tipo tentare la fuga ( come stavo per fare appunto io) o assumere atteggiamenti più nervosi e di conseguenza sospetti, venivano trattati come ragazzi normali.

L'altra sezione era occupata interamente da quelli che Misa chiamava i Perduti...o era i Perdenti? Bah, non mi ricordavo già più, comunque, erano i loro, tra i quali anche i casi gravi. Mi bloccai un momento a pensarci: Misa avrebbe mai osato dare a se stessa il nomignolo di Perdente, anche se quando me ne aveva parlato, aveva fatto riferimento al gruppo in generale?
Scossi la testa. No, sicuramente aveva detto Perduti.

Poggiai l'orecchio sul legno verniciato di bianco della porta, trattenendo il respiro per sentire se arrivava qualcuno: non avevo ancora avuto la possibilità di incontrare quell'infermiere di cui mi aveva parlato Misa, ma dal tono che aveva usato, ordinandomi di tenermi alla larga, doveva essere un tipo spaventoso. O forse...ricordai le sue parole.

...perchè se lo venissi a sapere, da me aspettati qualsiasi cosa.

O forse aveva cercato di dirmi fra le righe che si trattava di merce di sua proprietà.

Afferrai la maniglia fredda della porta e la abbassai con lentezza.

Non avevo un piano preciso: sospettavo sigillassero anche i portoni d'ingresso, ma questo non avrebbe costituito un problema per me...almeno, non se riuscivo a trovare ciò che mi serviva. E l'unico posto dove forse avrei potuto prendere quello che stavo cercando era lo studio del dottor Yagami ( ma quello doveva essere per forza chiuso a chiave, a meno che lo stesso dottore non si trattenesse lì dentro fino a notte fonda), ma anche la scrivania nella quale di solito sedeva Naomi, nella hall.
Chiusi la porta alle mie spalle e mi incamminai lungo il corridoio in punta di piedi. Quasi tutte le luci erano spente.

Se mi facevo beccare da uno solo degli infermieri, per me era finita, sarei stata classificata automaticamente come una disturbata e a quel punto, come avrei fatto a tirarmene fuori?

Cercai di non pensarci. La hall era al piano terra, mi sarebbe bastato scendere la prima rampa di scale, in fondo al corridoio. Mi aggrappai al corrimano, mentre appoggiavo il piede al primo piolo, molto lentamente. Subito dopo mi diedi della stupida. I gradini non erano di legno, quindi era impossibile che rischiassi di farli scricchiolare. Scesi le scale come un fulmine, finchè non giunsi alla sala d'attesa.

Ecco, lì dominava il buio più totale.

Vagai alla cieca con le braccia, schiaffeggiando spesso per sbaglio le pareti, facendomi un male cane, oltretutto, e non avvertii la presenza della scrivania fin quando non ci finii addosso. Sbarrai gli occhi, preoccupata che il rumore avesse messo in allarme il personale, ma siccome le luci non si accesero e non udii voci o passi affrettati, trassi un respiro profondo. Quella mattina avevo visto Naomi prendere delle graffette da uno dei cassetti. Li aprii, senza far rumore, mettendomi a rovistare con le dita, lanciando ogni tanto delle occhiate alla porta dietro di me.

Dovevo fare in fretta, c'era un dettaglio che mi preoccupava più degli altri: le telecamere. Sapevo che ce n'era una nella hale e anche se era buio, probabilmente aveva gli infrarossi e sarebbe bastato pochissimo per accorgersi di me, a meno che gli incaricati non stessero facendo una pausa.
Invero, ci speravo.

Sul mio volto si dipinse un'espressione gioiosa, mentre le mie dita stringevano tre graffette. Senza curarmi di chiudere il cassetto, scattai nel corridoio principale e mi inginocchiai, mettendomi davanti alla serratura. La mia mano si strinse attorno ad un lucchetto; lo avevo immaginato. Mi misi subito all'opera, infilandomi nella tasca dei jeans una graffetta. Un'altra la inserii tra il lato fisso di una delle porte e lo stipite. L'ultima la piegai leggermente, per poi introdurla nella minuscola serratura del lucchetto.

<< Che stai facendo, qui al buio?>>.

Non riconobbi la voce, ma fu abbastanza allarmata da far perdere un battito al mio cuore. Mi voltai di scatto, consapevole di essere stata scoperta. Mentre mi sforzavo di mettere a fuoco la figura che si avvicinava a me con tranquillità, con le dita continuavo ad armeggiare, nel furioso tentativo di sbloccare quel dannato affare.

Tuttavia, l'ansia iniziò a scemare, non appena mi accorsi di una cosa, anzi, di due cose.

1) Perchè non aveva dato l'allarme?

2) Come mai era così tranquillo? E se fosse stato uno degli "inoffensivi"? Questo avrebbe spiegato il fatto che non mi avesse immediatamente afferrata per impedirmi di scappare.

Trassi un respiro di sollievo e gli feci segno di parlare a voce bassa.

<< Fai attenzione, potrebbero sentirci. Piuttosto, avvertimi se arriva qualcuno, per piacere>>, gli dissi, voltando nuovamente la testa verso il lucchetto.

Sentii i suoi passi avvicinarsi ulteriormente. << Stai cercando di fuggire, vero? Ti sei già stufata di questo Paradiso?>>, mi sussurrò, raggiungendomi.

<< Paradiso, lo chiami? A te piace qui?>>, gli domandai, incredula.

<< Per niente. Però molti hanno già provato a svignarsela da qui, senza risultati. I loro tentativi erano talmente stupidi da non sembrare neppure convincenti...>>, sbottò, appoggiandosi alla parete.

<< Perchè loro non erano me!>>, ribattei, soddisfatta, una volta sentito il clakt del lucchetto. Lo sentii trattenere il respiro. << Complimenti...! Me lo insegneresti?>>.

Tirai via il lucchetto. << Non ho tempo, devo andarmene. Vieni con me!>>, gli proposi. Tuttavia, non mi rispose.

Insistetti. << Su, coraggio! Mi hai appena detto che odi questo posto!>>, sussurrai, porgendogli una mano.

Lui si staccò dal muro e me la strinse, con scarsa convinzione. << Non ho detto che lo odio, Lyanne, ma che non mi piace>>.

Un attimo prima di aprire il portone, mi chiesi come facesse a conoscere il mio nome, ma prima di formulare il pensiero in parole, la sua presa attorno alla mia mano divenne improvvisamente più ferrea; lo sentii torcermi il polso e bloccarmi l'avambraccio dietro la schiena. Si mise dietro di me e all'altro braccio toccò la stessa sorte. Non l'aveva fatto con cattiveria; fu questo che mi trattenne dal lanciare un urlo.

<< Ma che fai?!?>>, esclamai, più sorpresa che spaventata.

Senza dire una parola, mi costrinse ad indietreggiare, allontanandomi dal portone. Non appena capii che si dirigeva verso le scale, l'agitazione prese il sopravvento.

<< No, no, no!!! Lsciami subito, laff...mmh!>>, i miei strilli furono presto soffocati. Il ragazzo mi strinse entrambi i polsi con una mano sola, l'altra la portò sulle mie labbra.

<< Piantala, non mi sembra il caso di svegliare tutti i pazienti dell'Ospedale! Ora, senza fare storie, sali con me e torni in camera tua.>>, disse, con un tono gentile, ma che non ammetteva repliche. << E ti consiglio di non provare a mordermi>>, aggiunse, poco dopo.

Non riuscivo a crederci. Ce l'avevo quasi fatta, l'uscita era davanti a me...ma lui era forte. A nulla servirono i mei tentativi di fargli perdere la presa sulle mie braccia, sicchè presto mi arresi, notando che ad ogni mio strattone, la morsa diventava sempre più stretta.
I miei occhi si erano ormai abituati al buio e dopo aver salito le scale, adocchiai il cartello appeso al soffitto, reparto numero 7.

Mi tolse la mano dalle labbra, per chiedermi quale fosse la mia stanza.

Una volta entrati, mi lasciò di colpo e io mi fiondai sulla parete opposta, fissandolo con occhi truci. Mi aspettavo che se ne andasse, chiudendomi dentro, invece accese l'interruttore e chiuse dolcemente la porta dietro di sè.
Quando tornò a guardarmi, cominciai finalmente a capire e sul mio volto si dipinse una tetra consapevolezza.

<< Tu sei Light, vero?>>, mormorai.

<< Mi conosci?>>, chiese in tono colloquiale, puntando i suoi occhi color caramello nei miei. Abbassai la testa verso il pavimento, ma anche senza più fissarlo, potei intuire che stava sorridendo. << Guardami, Lyanne>>.

Non era un ordine...almeno, credevo. Tuttavia, feci come mi disse, e lo guardai.
Alla luce delle lunghe lampade al neon della mia stanzetta, tra i suoi capelli color castagna sembravano scorrere filigrane dorate, mentre il suo portamento, le sue spalle larghe e la sua altezza lo facevano sembrare più imponente di quanto non fosse già.

Bello, fu il mio primo pensiero.

Il taglio del viso era così delicato che pareva quello di un bambino, dagli zigomi morbidi, poco pronunciati, e la pelle nivea. C'era qualcosa, però, che induriva il tutto. In un primo momento non avrei saputo dire se era la strana luce apparsa nei suoi occhi mentre mi scrutava, o quell'aria pateticamente dominante, che fingevo in tutti i modi di non aver notato.

Bastardo, fu il mio secondo pensiero.

Non fosse stato per lui, a quest'ora sarei già stata libera!

<< Non è come credi...>>, iniziai a dire, ma lui si mise a ridacchiare.

<< Dicono tutti così. Lavoro in questo posto da un anno, ormai, e ne ho fermati tanti come te, ma devo ammettere che sei stata la prima a scambiarmi per uno di voi!>>, ammise, mentre io riabbassavo gli occhi, improvvisamente colpita da un attacco di vergogna. << Come hai potuto anche solo pensarlo?>>, chiese, poi, socchiudendo le palpebre.

Strinsi i pugni.

Sono stata una stupida.

<< Ho aspettato a bloccarti, perchè ero curioso di vedere quale strategia avresti adottato. Niente male quel trucco con le graffette, fammi indovinare...fratelli maggiori?>>, ipotizzò, incrociando le braccia al petto. << A proposito...ne hai altre addosso?>>.

Pensai alla graffetta nascosta nella taschina anteriore dei jeans. Scossi la testa. A quel punto Light cambiò espressione. << Mentre ti riportavo verso le scale, mi era sembrato di vedere i cassetti della scrivania nella hall aperti...se hai preso qualcosa, sarà meglio che te ne liberi. Immediatamente>>.

<< Te l'ho detto, non ho nient'altro>>, insistetti. Ero sempre stata in gamba a mentire, ma in quanto a improvvisare, valevo meno del due a briscola.

Il ragazzo diede un'occhiata al suo orologio da polso. << E' quasi mezzanotte>>, sospirò, con aria stanca. << Non costringermi a perquisirti con la forza>>.
Serrai la mascella dal disappunto. Meglio non creare problemi, forse. Tirai fuori la graffetta dalla tasca e gliela porsi, senza guardarlo. Sentii i suoi passi raggiungermi in fretta; prese l'oggetto dalle mie dita.
Dopodichè iniziò a scrutarmi, con un'attenzione quasi maniacale, che riuscì ad infastidirmi parecchio. Sicchè gli domandai cosa volesse ancora.

<< Voltati>>.

<< Perchè?>>, chiesi, facendo mezzo passo indietro.

<< Fallo e basta>>, il suo tono era più autoritario, adesso.

Obbedii e ruotai su me stessa, molto lentamente, cercando di capire cosa avesse intenzione di fare. La mia fantasia galoppò subito a briglia sciolta e me lo immaginai tirare fuori da chissà dove un paio di manette e usarle per incatenarmi al letto, in modo che fosse impossibile per me tentare nuovamente la fuga. Che scemenza, mi dissi, poco dopo. Aveva sicuramente le chiavi, gli sarebbe bastato chiudermi dentro. Sobbalzai quando mi sentii le sue mani addosso. << Che stai...?!>>.

<< Non ti muovere!!>>, ordinò, seccamente. Strinsi le labbra, per impedirmi di gridare. Partendo dalle spalle, le sue dita scivolarono lungo le mie braccia, poi sui fianchi, mentre i miei muscoli si irrigidivano, dopo essere stati toccati. Probabilmente lui se ne accorse, perchè finì di controllarmi il più velocemente possibile. Dopo essersi assicurato che le mie tasche fossero davvero vuote, si allontanò da me. Lo vidi armeggiare con un piccolo mazzo di chiavi dentellate e sul mio volto prese forma la rassegnazione.

<< Aspetta! Non vorrai...>>.

<< Domattina farò una chiacchierata con il dottor Yagami, riguardo al tuo comportamento di questa notte. Spiacente, ma devo assicurarmi che non provi più a fare cose simili. Ora, da brava, vai a dormire>>. Detto ciò, aprì la porta e mi lasciò sola nella stanza. Sentii la serratura che scattava. La porta aveva anche un rettangolino di vetro infrangibile, posto a poco più di metà altezza. Vidi Light indicarmi il letto e sparire lungo il corridoio.
Rimasi attonita per una decina di secondi, prima di decidermi a spegnere la luce. Un attimo dopo saltai sul letto, affondando la faccia nel cuscino per attutire i brontolii di rabbia. Tuttavia, in un certo senso, mi sentivo anche sollevata.

Quell'idiota si credeva tanto furbo?

Light...sicuramente penserai di avermi fregata..., disse la vocina vittoriosa, nella mia testa ... ma io ho nascosto l'ultima graffetta nella fessura della porta.

Okay, be', il fatto che mi avesse chiusa dentro segnava un punto a mio sfavore, ma ormai per me non faceva più differenza fuggire di notte o di mattina. Perchè avevo in mente un'altra idea per scappare. Il giorno dopo avrei chiesto a Naomi di poter andare a nuotare al laghetto, all'interno del giardino. Quel pomeriggio avevo fatto un giretto all'esterno dell'edificio e avevo notato che la corrente veniva tenuta staccata dalla recinzione fino al crepuscolo. Il reticolato era chiuso anch'esso da un lucchetto. Se riuscivo a recuperare la graffetta senza farmi vedere, forse sarei riuscita ad andarmene adattando lo stesso stratagemma.
 
 
 

<< Che vuol dire che non ci posso andare?!>>, berciai, perdendo momentaneamente la calma, quando il giorno seguente Naomi si rifiutò categoricamente di darmi in prestito un costume per andare a nuotare.

<< Esattamente questo! Se volevi nuotare potevi andarci stamattina, non ti avrei fermata, ma sai benissimo di avere un incontro tra un quarto d'ora con il dottor Yagami e non devi mancare!>>, rispose con tono disinteressato. Fui tentata di lanciare un'imprecazione; certo che lo sapevo, ma la notte prima me n'ero completamente scordata e stamattina avevo dormito quasi fino a mezzogiorno.

Dannazione. Decisamente, questa era la mia settimana sfortunata.

<< Il dottore ti sta aspettando al secondo piano>>, aggiunse, prima di tornare a timbrare una pila di lettere.

Mi voltai senza dire un'altra parola. Per di più, quel giorno il personale straripava, mai visti così tanti infermieri in un solo pomeriggio. Salii le scale con un andi simile a quello degli zombie nel film " La notte dei Morti Viventi".

Gettando un'occhiata alla sala giochi, incrociai un paio di occhi grigio scuro e mi fermai. Avrei dovuto continuare a camminare, andare a quella stupida riunione col dottore; invece percorsi la sala fino al centro e mi sdraiai di pancia, mettendomi esattamente di fronte al bambino di nome Near.

Stava giocando a scacchi, da solo.

Rimasi a fissarlo in silenzio per un minuto buono; era...ammaliante, il modo in cui pensava, sfiorandosi i riccioli candidi, mentre lo sforzo nello stabilire la prossima mossa gli irrigidiva appena la pelle eburnea delle guance rotonde.

Studiai la scacchiera. << I tuoi Bianchi hanno teso un'imboscata alla tua ultima Torre Nera.>>, commentai, mantenendo il tono di voce piuttosto basso, per non distrarlo.

<< E' rimasta da sola e lontana dagli altri pezzi. E' improbabile che riesca a farcela>>, mi rispose lui. << Oserei dire impossibile, ormai...>>, aggiunse, sollevano una manina per guidare il suo Cavallo Bianco e segnare in tal modo la definitiva sconfitta della Torre.

<< Aspetta>>, lo bloccai, sfiorandogli dolcemente il polso. << Ci tieni a quel pezzo?>>.

Il piccolo rimuginò per un po', infine si decise a rispondere: << Tengo ai Bianchi così come tengo ai Neri. Rappresento entrambi e nessuno. Ma prima o poi uno dei Re vedrà i propri compagni cadere e rimarrà solo>>.

<< Allora, posso provare a salvare la Torre Nera?>>, gli chiesi, con un sorriso. Finalmente, Near alzò lo sguardo per fissarmi negli occhi.

Annuì, appena. Sembrava sorpreso del fatto che qualcuno si fosse offerto di giocare con lui.
Rimise a posto il Pedone Nero che aveva mosso prima, permettendomi di riprovare la mossa. Sfiorai con la punta dell'indice il bordo della Torre Nera, per poi muoverla con decisione al centro della scacchiera, proprio davanti alla sua Regina Bianca. Il bambino rimase interdetto, anche se la sua espressione non cambiò minimamente.

<< Così la perderai comunque>>, obiettò, portando già la mano verso la Regina. Io rimasi zitta, attendendo quella mossa, che però non arrivò. Infatti, Near si era soffermato a fissare la disposizione dei miei pezzi, in particolare la mia Regina, seminascosta dalla Torre. Se lui avesse mosso la sua, mangiando di conseguenza la Torre, non avrebbe avuto possibilità di salvezza, contro la mia. Ed essendo stata un'amante dell'arte degli scacchi da tempo immemorabile, avevo imparato a capire quale fosse il momento giusto per rischiare. Era oltremodo impensabile che un giocatore si lasciasse sfuggire il pezzo che più di tutti gli traeva vantaggio, potendo gestirlo come più gli aggradava, perciò il piccolo lasciò perdere, spostando invece un Alfiere, privandomi di un pedone.

Il mio sguardo cadde sulla Torre Nera. Esposta, ma al contempo, protetta.
Quello era sempre stato il mio pezzo favorito. Vedevo la Torre come una fortezza inespugnabile, la più resistente e impenetrabile fra tutti gli altri. Per qualche motivo, mi venne spontaneo paragonarla a quest'Ospedale. Un luogo protetto, controllato, inscalfibile agli occhi dei nemici. Quanto avrei voluto essere così!
Intoccabile, forte. Non costantemente preoccupata, nonchè troppo codarda per muovermi nella vita reale così come facevo sulla scacchiera.

Solo dopo mi accorsi che Near aveva iniziato a dire qualcosa.

<< ... *I quadrati bianchi e quelli neri sono come i passi della mia vita.....
Luminosi e a volte bui, ma necessari per il mio cammino.....
E' che aspetto di incontrarTi: lo so che dovrò combattere contro molte insidie.....
Pedoni, Alfieri, Cavalli e Torri. Quanta strada per raggiungerti,
mi accorgo che per questo mio cammino sto perdendo molti pezzi: forse erano di peso
...>>, la sua voce si affievolì, mentre alzava per la seconda volta lo sguardo. Conoscevo questi versi, ma mi stupii nel constatare che fossero noti anche a un bambino.

<< ...comunque necessari per capire la mia debole natura,
ho capito che dovrò tanto riflettere prima di fare il prossimo passo,
ho paura di cadere e di rimanere solo
....>>, continuai, sorridendogli. Quando lanciai un'occhiata sulla parete alle spalle di Near, quasi mi venne un colpo: erano le 15.36!

Salutai frettolosamente il bambino e corsi fuori dalla sala giochi, valicando tutto il corridoio a velocità ammirevole, finchè non giunsi alla stanza dell'appuntamento, in quel momento aperta. Mi sporsi, il fiatone ancora ben udibile.

In tutto eravamo in cinque, escluso il dottor Yagami. Alcuni volti, tipo Misa e il ragazzo biondo del giorno prima ( mi pareva si facesse chiamare Mello), li conoscevo già, gli altri due appartenevano alla donna-armadio che mi aveva spinta in Mensa e a un ragazzo con le braccia ricoperte di arcani tatuaggi neri e verde scuro. Non appena mi vide, Misa tirò una gomitata nelle costole di Mello.
<< Ehi, la Carotina se l'è presa comoda, oggi!>>, ghignò, sistemandosi meglio sulla poltroncina dove era seduta.

<< Lyanne. Nelle mie riunioni gradirei che tutti rispettassero gli orari. Se dico che mi aspetto di vederti alle 15, tu non vieni quaranta minuti dopo>>.

La voce del dottore risuonò nella stanza gentile, ma severa.
Pregai che nessuno notasse quanto ero nervosa per la figuraccia che avevo appena fatto.

<< Vai a sederti>>, mi incitò il dottore, indicandomi le ultime due sedie libere. Si erano disposti tutti in cerchio, distavano sì e no due metri ciascuno.
Le ultime due sedie libere erano quella più vicina al dottore e quella di fianco al ragazzo tatuato. Senza esitazione, scelsi la seconda, solo per dimostrare al signor Yagami che non avevo problemi a stare vicino agli altri, seppur quel tizio mi incutesse non poca inquietudine. Ora che gli ero abbastanza vicina, potei notare un altro tatuaggio, impresso con inchiostro grigio e verde scuro, rappresentante una vipera attorcigliata sul suo collo. Non riuscii a staccare lo sguardo da lui per almeno una decina di secondi.
Ogni qualvolta che il ragazzo deglutiva, la testa del rettile, disegnata esattamente sul suo pomo d'Adamo sembrava pulsare, muoversi, come per affondare le zanne della mandibola spalancata in un sibilo muto nella sua gola, mentre le sue spire sembravano avvolgerlo ad ogni inclinazione del collo.
Quella visione bastò a farmi accapponare la pelle. Spostai la mia attenzione verso qualcos'altro. Intanto, la ragazza-armadio non smetteva di scagliare occhiate omicide e provocatorie verso Amane, la quale si stava tirando su due ciocche di capelli biondi, un po' più ordinati del solito, legandole in due alti codini laterali e fregandosene altamente di lei. Mello pareva più che mai...annoiato. Giocherellava con una catenina che teneva appesa al collo, mentre i suoi occhi chiari vagavano tediosamente per la stanza. Mi schiarii la voce.

<< Ehm...manca ancora qualcuno?>>, mi azzardai a chiedere, dato che il posto accanto al mio era vuoto. Il dottor Yagami si passò una mano sul mento, con fare pensieroso.

<< Sì. E se non arriva entro cinque minuti, mando qualcuno a prenderlo>>, disse, infine.

<< Non occorre>>, disse una voce proveniente dalla porta. Non appena alzai lo sguardo, ogni centimetro del mio corpo divenne un blocco di granito. Guardai il posto vuoto, accanto al mio, poi tornai a guardare lui.

Oh, no, lui no. Perchè il dottore lo aveva invitato?

B se ne stava davanti alla porta, la testa sporta e inclinata, come se le sue spalle leggermente incurvate non riuscissero a reggerne il peso, e le mani nelle tasche dei jeans chiari. Quando il dottore si voltò per guardarlo, ne approfittai subito per sporgermi dalla mia sedia, verso il multi-tatu. << Scusa, ehi...>>, bisbigliai nervosamente, cercando di farmi sentire. << Ehm, ciao, senti, ti scoccia se facciamo cambio di posto?>>.

Per tutta risposta il bastardo allungò il braccio e mi mostrò il dito medio, senza spostarsi di un millimetro e continuando a fissare il vuoto davanti a sè. Strinsi violentemente le mani a pugno, imponendomi di non farmi prendere dal panico, ora che B si stava avvicinando.

Non lo guardare.

Lo sfregare penetrante delle gambe della sedia sulle piastrelle lucide, quando lui la spostò, fu tanto irritante da farmi fischiare le orecchie. Anche l'altra ragazza fece una smorfia infastidita. Con la coda dell'occhio, lo vidi appoggiare le scarpe sulla sedia, piegandosi in una posizione davvero insolita, con le ginocchia rivolte al petto, equilibrando tutto il suo peso sulle piante dei piedi. Oddio. E se fosse scattato di nuovo, come l'ultima volta?
Tornai a fissare il dottore, ben decisa a non incontrare nemmeno per sbaglio i suoi occhi più rossi del fuoco, consapevole che non sarei stata in grado di sopportarne la vista una seconda volta. Feci un respiro profondissimo. Misa doveva aver intuito che la vicinanza di quello strano ragazzo mi provocava ben peggio che un semplice disagio, perchè si metteva a ridacchiare ogni volta che mi irrigidivo o mi fissavo le scarpe.
<< Bene.>>, la voce del dottore mi distolse in parte dall'agitazione. << Ora che ci siamo tutti, possiamo finalmente cominciare>>.
 
 
                                       
                                                                                                                                      [continua]
 
 




Oddio, quante recensioni!!
Sinceramente, non me lo sarei mai aspettata e devo dire che la cosa mi ha resa felice oltre misura!!!!!^^
Inoltre, ci tengo davvero a ringraziare un po' di gente:

Angel of hope

animefan95

Chichiro

doppia_kappa

NunuMemeLulu

otakufangirl97

starhunter


ramona37

per aver inserito la storia fra le Seguite,

depp

Lulosky

nao

uadjet


per averla inserita fra le Preferite

e un grazie megagalattico a tutti coloro che hanno recensito l'ultimo capitolo!!
Mi raccomando, non abbandonatemi e fatemi sapere cosa ne pensate, critiche incluse!!!!!! =)



*Quelli sono alcuni versi di una poesia intitolata " La preghiera dello scacchista", se non ricordo male; ho voluto inserirli perchè mi sembravano adatti alla situazione...XD

 

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Capitolo 4
*** prudenza ***


                                                                

                                                                             4.
 
                                                        Prudenza.

 

 

 

 

<< Lyanne, smettila! Perchè ti preoccupi tanto?>>, replicò Misa, seguendomi a ruota lungo i sotterranei, neanche fosse la mia stessa ombra. << Torniamo indietro, dai!>>.

Non le diedi retta e continuai a marciare lungo lo stretto corridoio che conduceva agli spogliatoi femminili. I miei occhi importunati dalle pungenti luci al neon appese al soffitto vagavano lungo le mie gambe, scrutando i miei passi lunghi e traballanti, che da un momento all'altro mi avrebbero fatta finire per terra.

<< Degnati di rispondermi, almeno!>>.

<< Non ti ho chiesto di seguirmi>>, riuscii a dire. << Torna indietro, se vuoi; io non ci riesco>>.

Mi fiondai sul lavandino più vicino e aprii entrambi i rubinetti al massimo. Feci scorrere l'acqua per un po', poi mi sciacquai il viso. Sentii Misa sbuffare.

L'acqua, purtroppo, non mi fu di alcun aiuto. Continuavo a sentire la gola secca, la fronte e le guance accalorate. Dentro l'Ospedale il personale aveva proibito la sistemazione di specchi, perchè erano considerati pericolosi, perciò si era provvisto ad attaccare dei quadrati di latta argentata, perfettamente riflettenti, alla parete, sopra i lavandini. Misa si chinò verso uno di essi e si passò un indice lungo le palpebre inferiori, cercando di sistemare la matita sbavata. << Ma ti senti davvero male?>>, mi chiese, dopo un po'.

Chiusi gli occhi, deglutendo. Cominciavo ad avvertire le mani gelide e sudaticcie.

Lei si appollaiò sul lavandino accanto al mio. << Oh. Credevo l'avessi detto apposta, così da filartela, ma stai iniziando a cambiare colorito>>, osservò.

Era vero. Neanche dieci minuti dopo che il dottore aveva intrapreso un discorso sulle norme di sicurezza dell'Ospedale, riferendosi ovviamente a ciò che era successo in Mensa il giorno prima, ero stata costretta ad interromperlo, supplicandolo di farmi uscire. Non avevo dovuto pregare più di tanto; alla fine aveva desistito, permettendomi di andare. Manco a dirlo, Misa si era offerta volontaria per accompagnarmi fino ai sotterranei, tanto per essere certa che non svenissi durante il tragitto. Notando lo sguardo del dottore, pensai che ci avrebbe affibbiato dietro anche uno degli infermieri che se ne stavano fermi e tranquilli ai lati della porta, ma poi compresi che erano lì per controllare B.

Scacciai all'istante l'immagine della sua faccia dalla mia testa, mentre mi gettavo altra acqua sul viso. Avvertii qualcosa sfiorarmi il braccio e vidi Misa porgermi un asciugamano bianco. Lo afferrai e mi asciugai in silenzio.

Poi feci un respiro profondo. << Soffoco...>>, ansimai, passandomi una mano tra i capelli, nel tentativo di scostare quelle ciocche fastidiose dagli occhi.

<< Sì, anch'io resto senza fiato ogni volta che sono vicina a Ronnie...che è il tizio ricoperto di inchiostro, per intenderci. Dio, hai visto che maglietta aderente indossava? E quei pettorali...>>.

<< Davvero, mi manca il fiato!>>, insistetti, interrompendo il suo blaterare, che in quel momento mi faceva sembrare le orecchie perforate da un trapano.

<< Oooooooook gioia, andiamo in giardino allora?>>, propose, porgendomi una mano, le lunghe dita affusolate, in attesa di accogliere le mie.

<< Va bene>>, convenni, senza stringergliele; uscimmo silenziosamente dal bagno e io tenni lo sguardo basso per evitare di guardare il mio volto attraverso quei falsi specchi. Avevo paura di scoprire come quel posto mi stava facendo diventare.

 

 

Per essere le 16, il cielo si era fatto preoccupantemente buio, mentre una brezza invadente e violenta fomentava le cime dei frassini presenti in giardino a piegarsi.

Sottomesse al dominio del vento pungente, le foglie danzavano in turbini furiosi attorno a noi, mentre le imposte dei piani superiori cominciavano a sbattere, prima piano, poi sempre più prepotentemente. Passando dalla hale non avevamo incrociato Naomi, fortunatamente, ma tutti i pazienti che in quel momento si trovavano all'esterno dell'edificio iniziavano a rientrare, scontenti dell'improvviso cambiamento climatico.

Tuttavia, non appena respirai l'aria fresca, profumata di pioggia, mi sentii un po' meglio. Le gambe mi traballavano ancora e le guance erano sempre bollenti, ma almeno non ansimavo più.

<< Temporale in arrivo>>, osservò Misa, gli occhi puntati su una spessa coltre di nubi nere e minacciose, che sembravano fare a gara per raggiungere il tetto dell'istituto. Non appena terminò la frase, risuonò l'eco basso e prolungato di un tuono. << Temo che tra un paio di minuti ci toccherà rientrare, altrimenti gli infermieri verranno a cercarci. Preferiscono non lasciarci stare all'aperto sotto la pioggia. Per loro è meglio prevenire i malanni, che curarli...>>, aggiunse, con un'ombra di disprezzo nello sguardo. << ...e hanno anche il coraggio di chiamarlo Ospedale!>>.

Feci qualche passo, scendendo i gradini di pietra dell'ingresso. Ero uscita solo una volta, fino a quel momento, e per pochi minuti, solo per osservare meglio la recinzione, quindi non avevo fatto caso a come tenessero il giardino. L'erba era molto più curata di quanto pensassi; non c'erano fiori, tranne alcuni ciuffi di margherite che crescevano liberamente, per lo più attorno alle radici degli alberi. Vidi Misa rabbrividire dal freddo e raggomitolarsi nel suo corsetto nero. Essendo quasi pelle e ossa era naturale che patisse, ma per me, che mi sentivo scorrere lava al posto del sangue, nelle vene, quelle folate gelide furono un vero toccasana.

<< Io resto qui, finchè non mi chiamano>>, la informai. << Non è necessario che aspetti con me>>. Lei non se lo fece ripetere due volte e si fiondò all'interno dell'edificio, al caldo. Camminai finchè non mi trovai in una parte del giardino totalmente ingombrata dagli alberi. Mi tolsi le scarpe e rimasi a piedi nudi, saggiando quel soffice tappeto d'erba, i ciuffi che mi solleticavano le dita, le margherite che mi accarezzavano la pelle, e mi sedetti con la schiena appoggiata al tronco ricoperto di muschio di un altissimo olmo. Alcune gocce di pioggia avevano iniziato a cadere, ma la folta chioma del olmo riusciva a proteggermi, per il momento. Con un moto di nostalgia, mi persi con lo sguardo ad ammirare la folta vegetazione che si espandeva al di là di quell'alta rete metallica.

Provai a pensarci.

Come mai non riuscivo a ricordare?

Chiusi gli occhi e mi premetti le mani sulle tempie. Invero, sarebbe stato falso ammettere che non ricordavo nulla. Solo che...i ricordi non erano come avrebbero dovuto essere.

Per quanto mi sforzassi, non riuscivo a trovare uno scorcio nella memoria abbastanza utile da permettermi di ricostruire i fatti. Dunque... ricordavo il nome di mio padre, Nikolaus Stoinich, ma non il suo volto. Non l'avevo quasi mai visto, poichè a causa del suo lavoro girava per il mondo, senza mai fermarsi per più di una settimana a casa. Mia madre soffriva molto a causa della sua lontananza e infine pensò bene di chiedere il divorzio quando compii due anni.

Serrai la mascella. Se avevano fatto delle ricerche su di me, per quale motivo non erano entrati in contatto con mio padre?

Forse aveva cambiato nome, si era costruito un'altra famiglia.

Dalla rabbia, strappai via un mazzo di margherite che crescevano di fianco a me, sollevando un grumo di terriccio che andò a depositarsi sui miei pantaloni. Cercai di pulirli alla bell'e meglio, quando qualcosa sul mio polso sinistro attirò la mia attenzione. Sollevai la mano e osservai la piccola cicatrice raffigurante una sottile riga spezzata che incorniciava il mio polso, dando l'impressione di un filo bianco, stretto attorno alla pelle rosea.

E quello, come me l'ero procurato?

Lo osservai meglio; aveva tutta l'aria di un...taglio da lametta. Sbarrai gli occhi e mi coprii quasi istantaneamente il polso con la manica della felpa. Se qualcuno degli infermieri l'avesse visto avrebbe pensato a un tentativo di suicidio. Quasi sicuramente non se n'erano accorti, altrimenti mi avrebbero già fatto delle domande a proposito.

Sentii il mio respiro farsi più rapido.

Non è possibile, non posso essermelo fatto da sola... e perchè, poi?

Il polso destro non presentava alcun segno del genere, il che mi fece confondere ancora di più. Il bagliore di un lampo mi offuscò la vista per un paio di secondi, prima che risuonasse il secondo rombo, più violento. La pioggia si era fatta più fitta, sentivo i capelli più umidi. Con la mano grattai il terriccio, nel punto in cui avevo strappato i fiori, e lo appallottolai, per poi scagliarlo contro la recinzione che fungeva da gabbia.

<< Odio questo posto!>>, berciai, osservando con livore i fili metallici, ormai impregnati di fango. Uno starnuto mi prese in contropiede. E poi un altro. E un altro ancora.

Gli occhi iniziavano a bruciarmi. Probabilmente mi stavo beccando l'influenza. Appoggiandomi al tronco, mi misi in piedi e feci un passo verso le scarpe, ma qualcosa mi fece perdere l'equilibrio. Crollai in ginocchio, colpendo con la rotula proprio la radice dura e rinsecchita che sporgeva dalla buca che avevo fatto scavando. Era su quella che avevo inciampato. Maledicendo la mia goffaggine, mi raddrizzai a fatica, sentendo il mio ginocchio implorare pietà. Il mio piede era ricoperto di fango. Con la manica della felpa provai a toglierlo via, quando l'occhio mi cadde sulla radice scoperta. C'era qualcosa che spuntava dal terreno, qualcosa di trasparente. Lo afferrai, tirandolo fuori dalla fanghiglia. Il profumo di terra bagnata si stava facendo fortissimo e tanto bastò a farmi scordare per un momento il bruciore alla fronte e il dolore al ginocchio. Era una busta di plastica, una di quelle usate per tenerci dentro degli oggetti, richiudibili tramite una cerniera. C'era qualcosa, nell'involucro. Lo aprii e tirai fuori quell'oggetto piatto e scuro.

Restai perplessa, notando che si trattava di un quaderno nero.

Perchè mai qualcuno avrebbe dovuto seppellire un quaderno?

Me lo rigirai tra le mani, incuriosita. Una ventata improvvisa mi fece sfuggire di mano l'involucro di plastica. Con una smorfia infastidita, mi nascosi il quaderno sotto la felpa. La tentazione di aprirlo era forte, ma avevo le mani impiastricciate di terra.

<< Cappuccetto Rosso, sarà meglio che torni dentro>>, disse una voce maschile alle mie spalle, facendomi sussultare appena. Mi voltai, incontrando lo sguardo di Light.

Non sembrava felice di stare sotto la pioggia. Probabilmente era uscito per incitare a rientrare tutti gli altri ragazzi, ma il suo dolcevita marrone, ormai fradicio e incollato alla pelle per via della pioggia, e il modo in cui scuoteva la testa, per togliere le ciocche bagnate dagli occhi, mi impedirono di spostare lo sguardo di un millimetro.

Lui si accorse di essere fissato e perse momentaneamente la sua aria professionale, concedendomi un mezzo sorriso. Abbassai in fretta lo sguardo, sperando che non avesse frainteso, mentre mi rialzavo, lentamente.

<< Non avevi una riunione con il dottore?>>, mi chiese, una volta che ci incamminammo verso l'edificio.

Tu guarda che razza di ficcanaso!, pensai, mentre mi cingevo i fianchi con le braccia, come per proteggermi dal freddo, anche se in realtà, cercavo di non far scivolare il quaderno.

<< Non mi sentivo molto bene, gli ho chiesto se potevo uscire e ha acconsentito. Vai a chiederglielo, se non ti fidi!>>, risposi, continuando a guardare per terra.

<< Mi fido>>, disse semplicemente. Mi voltai a fissarlo, cercando di tenere le palpebre aperte e sforzandomi di mettere a fuoco il suo viso.

<< Ti consiglio di farti una doccia, sembri un tortino di fango>>, mi informò, ridacchiando. Mi accompagnò fino all'entrata, poi diede un'ultima occhiata al giardino per essere sicuro che non ci fosse nessun altro. Vidi due dei suoi colleghi correre in fretta al coperto, per poi fargli un cenno. Chiusero il portone.

 

Dopo la doccia, mi sentii un po' meglio, sebbene la fronte fosse ancora accaldata. Non mi conveniva rivelare che forse avevo la febbre, temevo mi avrebbero costretta a prendere dei medicinali. Naomi mi aveva detto di lasciare sulle panchine degli spogliatoi i miei vestiti sporchi; avevo messo il quaderno sotto una massa di accappatoi, per poi nascondermelo nuovamente sotto una maglia, una volta rivestita.

Il reparto numero 7 era sempre tranquillo. Non ci avevo mai fatto caso, ma forse ero sola, in quella sezione. Tanto meglio.

Prima di chiudere la porta della mia stanza, però, udii la voce di Light.

<< Lyanne>>, disse, raggiungendomi. << Posso parlarti?>>.

Annuii, lasciandolo entrare.

Mi sedetti sul letto, tenendo le mani conserte, per non fargli notare il corpo estraneo sotto la maglia. Light mi sorrise. << Va bene, ascolta. Sono più che sicuro di non andarti a genio, dopo quello che è successo ieri notte. Siccome sono l'infermiere del tuo reparto, però, mi seccherebbe se mi portassi rancore per il resto della tua vita... voglio solo che tu capisca una cosa: in questo periodo di tempo, io potrò diventare il tuo migliore amico...o il tuo incubo peggiore. Dipende solo da te, capisci?>>.

Cercavo di ascoltarlo, anche se la testa pulsava terribilmente.

<< Lyanne...? Perchè piangi?>>, mi domandò, corrugando la fronte.

<< Non...non sto piangendo>>, mormorai, perplessa.

Lui mi si avvicinò, osservandomi attentamente gli occhi, poi mi appoggiò il palmo della mano sulla fronte.

<< Dio, come scotti!>>, si lasciò sfuggire un verso stupito.

<< Fa caldo qui dentro...>>, sospirai, chiudendo gli occhi.

<< No, no, Lyanne, tu hai almeno 39 gradi di febbre!>>, si lamentò lui, raddrizzandosi. << Torno subito, tu sdraiati>>.

Non appena se ne andò, tirai fuori il quaderno dalla maglia e lo infilai sotto il materasso. Subito dopo mi lasciai cadere sul letto, sfinita.

Light tornò con un bicchiere in mano e due pastiglie nell'altra.

<< Tieni, manda giù>>, mi ordinò, porgendomene una.

Oh, no.

<< Cosa sono?>>, mormorai, diffidente.

Quella che mi porgeva era grande e verde, l'altra perfettamente tonda, bianca.

<< Questa verde è un antibiotico, l'altra contiene fermenti lattici. Ingoia prima l'antibiotico e in fretta, così non sentirai il sapore>>, mi spiegò, mettendomela nella mano. Tuttavia non la misi in bocca.

<< Non mi servono medicinali>>, insistetti, testarda, anche se in realtà, l'unica cosa che volevo era che il dolore alle tempie e il bruciore passassero. Mi sentivo tremendamente fiacca. A quel punto Light mi rivolse un'espressione strana.

<< Preferisci un antipiretico? Basta chiedere...>>.

Sentii le guance diventare scarlatte, mentre mi mettevo in bocca la pastiglia e la ingoiavo bruscamente. Light mi porse il bicchiere con un sorriso vittorioso; glielo sottrassi con una manata. L'acqua fresca che mi scorreva giù per la gola cancellò il saporaccio vomitevole dell'antibiotico.

<< Ora prova a dormire un po'. Tra qualche ora verrò a svegliarti per farti prendere l'altra. Sono in fondo al corridoio, se ti serve qualcosa>>, disse, uscendo dalla stanza.

Non gli risposi, perchè lentamente le mie palpebre si chiusero e mi staccai dalla realtà, sprofondando nel mondo dei sogni.

 

 

Un rumore di passi mi costrinse a svegliarmi. Sollevai pigramente la testa dal cuscino, strofinandomi gli occhi, per scacciare il sonno. Sbadigliai.

Fuori pioveva ancora a catinelle.

Mi misi a sedere sul materasso e mi accorsi che la testa aveva fatto notevoli miglioramenti. Non avvertivo più la presenza del tamburo impazzito tormentarmi le tempie.

In quel momento mi venne in mente il quaderno. Lo tirai fuori dal il materasso e mi misi sotto le coperte, per evitare che qualcuno lo vedesse, passando davanti alla porta della camera. La rilegatura era nera e morbida; il quaderno in sè era piuttosto sottile. Aprii la copertina e lessi la prima pagina. Gli angoli erano macchiati di fango e c'era qualche schizzo d'acqua al centro del foglio, ma nessun danno serio.

Questo quaderno appartiene a L Lawliet.

L Lawliet. Chissà chi era?

Un pensiero mi stuzzicò la mente. E se fosse stato uno dei pazienti dell'Ospedale a nascondere quel quaderno sotto terra, per evitare che venisse trovato, magari perchè aveva scritto pensieri poco opportuni nei confronti dei dottori e degli psicologi che lavoravano lì, rischiando di finire nei guai? Per quanto ne sapevo, poteva benissimo essere stato questo Lawliet a seppellirlo.

Però... credevo di essere l'unica lettera L, nel mio reparto. Sfogliai le pagine del quaderno. Era scritto solo fino a metà, con date risalenti all'anno scorso.

Sotto le coperte era quasi impossibile decifrare quella calligrafia piccola e non molto leggibile, perciò misi il quaderno sotto il letto e uscii fuori dall'intrico di coperte.

C'era un minuscolo bagno, provvisto di water e lavandino, connesso alla mia camera. Mi ci trascinai di malavoglia. Feci un respiro profondo, poi alzai lo sguardo, verso lo specchio di latta, sopra il lavandino.

Avevo lasciato la porta del bagno aperta, quindi riuscii a scorgere la finestra della stanza riflessa nello specchio, che si trovava esattamente di fronte. Un lampo improvviso illuminò le pareti, facendo apparire i miei ricci quasi argentati, a causa del bagliore.

Non ricordavo di avere un colore di pelle così spento. Inoltre, anche se era passato solo qualche giorno, mi sembrava di essere già dimagrita. Mi soffermai ad osservare i miei occhi tondi, di un insolito color glicine, ben visibile soltanto se una persona mi stava molto vicina, altrimenti venivano facilmente scambiati per grigio chiaro.

Le mie ciglia ramate creavano piccole ombre lungo le mie guance. Avevo sempre odiato le mie efelidi, ne avevo tantissime sulla punta del naso e sulle guance, che andavano diradandosi verso il collo e i lati del viso.

Scostai lo sguardo e tornai in camera, accorgendomi solo in quel momento che c'era qualcuno seduto sul letto.

<< Misa!>>, esclamai.

<< Ti senti meglio?>>, mi chiese, alzandosi in piedi. Si era sistemata i capelli e messa il rossetto. Per un secondo, non riuscii a non sentirmi invidiosa. Era così bella...! Accanto a lei mi sentivo un rospo. << Stasera, dopo cena, andiamo alla Sala Giochi!>>, mi informò.

<< Perchè?>>.

<< E' il compleanno di Mello>>.

<< E quindi?>>.

Misa sbuffò. << Ma sei scema o cosa? E' una buona occasione per divertirci un po'. Cercheremo di tirar su una festicciola, se così si potrà chiamare...niente alcolici, solo un po' di musica>>, sbottò, facendo il broncio.

<< Dovresti essere al settimo cielo, il dottore vi ha dato il permesso di farlo, è già qualcosa, no?>>, obiettai, chiedendomi se la musica non mi avrebbe nuovamente fatto martellare la testa. Misa mi lanciò un'occhiatina sorpresa. << Sai che ti dico? Hai ragione: è già qualcosa!>>, rispose, ridacchiando. << Ce l'hai qualcosa di decente da metterti, almeno?>>.

Presi fiato per dirle che gli unici indumenti in mio possesso erano quelli che indossavo - e che, tra l'altro, non erano neppure miei-, ma prima di parlare, un'altra voce prese forma dietro di noi.

<< Mi era sembrato di riconoscere la tua voce, Misa>>.

L'espressione della ragazza mutò, non appena riconoscemmo entrambe la voce di Light. Ci raggiunse, in silenzio. Mi aspettavo che Misa partisse in quarta, facendo la civetta ed esponendogli gran parte del decolletè in faccia, ma con mio enorme sconcerto, rimase più rigida di una canna di bambù.

<< Penso che almeno sei o sette milioni di persone al mondo sarebbero in grado di riconoscerla, Light>>, rispose, con un tono di sfida, che però, non aveva nulla di ironico.

Il ragazzo sorrise senza allegria. << Molto umile da parte tua ammetterlo. Come ti senti?>>, chiese, rivolgendo la sua attenzione verso di me.

<< Meglio, grazie.>>, risposi, ancora un po' sconcertata dall'atmosfera tesa che si era andata a formare nel giro di quindici secondi.

Lui si avvicinò e mi toccò nuovamete la fronte. << La febbre non ti è scesa del tutto>>, osservò. << ma è notevolmente calata. Prendi anche questa, per favore>>, aggiunse, porgendomi la Yovis, che aveva lasciato vicina al bicchiere, sul lavandino del bagno. Obbedii senza fare storie, pregando che dopo quella non me ne desse altre.

Non mi resi subito conto che lo sguardo di Misa saettava da me a lui, formulando quella che sembrava una sorta di muta accusa. Non capii il motivo di quell'atteggiamento.

<< Ah, ecco, riguardo ai vestiti...>>, iniziai a dire.

<< Devo andare.>>, mi interruppe. << Ne parliamo in Mensa>>, disse, eclissandosi. Il rumore dei suoi tacchi echeggiò per tutto il corridoio. Quella frase mi aveva lasciata basita. Dal modo in cui aveva pronunciato quel ne, mi nacque il dubbio che non si stesse riferendo ai vestiti. Sentii Light emettere un sospiro. Mi voltai verso di lui e mi rivolse un sorriso, quasi come giustificazione.

<< Spero che le star non siano tutte come lei>>, disse, passandosi una mano a sistemarsi il ciuffo che gli ricadeva sugli occhi. Il suo sguardo era evasivo, però.

Incapace di trattenermi, gli domandai: << E' arrabbiata con te?>>.

Il ragazzo scosse la testa, con aria annoiata. << Non è arrabbiata. E' offesa>>.

L'espressione del mio viso mi tradì; Light capì che non avevo afferrato il concetto, quindi si affrettò a spiegare: << Probabilmente non è abituata ai rifiuti...ho perso il conto di quante volte ci ha provato con me, ma visto che l'ho sempre respinta...be', forse ne ha fatta una questione personale>>.

Ecco spiegato tutto. Annuii, ma quando Light fece per andarsene, mi venne in mente un'altra cosa.

<< Come mai sei qui? Credevo dovessi svolgere il tuo turno solo di notte...>>.

<< Infatti. Solo che oggi uno dei pazienti doveva essere trasferito e non c'era abbastanza personale, quindi mio padre mi ha chiesto di dare una mano>>.

<< Tuo padre?>>, gli feci eco.

<< Il dottor Yagami è mio padre>>.

 

 

Il tavolo di Misa quella sera era occupato anche da Mello e da un ragazzino che non conoscevo. C'era una gran confusione, in Mensa. Mi sedetti di fronte a Misa, appoggiando il vassoio sul tavolo. Alla mia destra, Mello formava dei piccoli "cannoni" di mollica con le dita, per poi spararli con il cucchiaio, a mo' di catapulta, verso Near, il quale se ne stava inginocchiato a terra, vicino a noi, giocando con una serie di palline colorate, ignorando i suoi tentativi di provocazione.

Terminate tutte le scorte di pane, il ragazzo si arrese e iniziò a tagliare un pezzo di carne, con molta fatica. Già, perchè le posate erano tutte di plastica - un'altra misura di sicurezza -, perfettamente flessibili, il che rendeva difficile usarle.

Più di una volta mi era capitato di trovarmi con il coltello spezzato in due nella mano, mentre cercavo di sbucciare una mela.

Con il cucchiaio, mescolai pigramente la minestra fumante che avevo nel piatto. Era stato Light a obbligarmi a prenderla, anche se non mi attirava affatto.

Vidi Misa lanciarmi un'occhiata furtiva.

Voltai lo sguardo, ben decisa ad ignorarla, frugando con gli occhi ogni tavolo, alla ricerca di un volto in particolare. Cercavo B, anche se non riuscivo a trovarlo. Ogni volta che ripensavo a cosa era successo il giorno prima, avvertivo le farfalle nello stomaco.

Tornai alla brodaglia giallina, sotto di me. Immersi il cucchiaio e me la portai alla bocca, bruciandomi la lingua. Misa continuava a guardarmi di sottecchi. Seccata, le rivolsi un'espressione che sottointendeva la frase: << Che vuoi?!>>.

Finalmente, si riscosse. << Cosa dicevi prima, a proposito dei vestiti...?>>. Dentro di me, trassi un respiro di sollievo; avevo temuto stesse per dirmi tutt'altro.

<< Dicevo che i vestiti che porto addosso sono tutto quello che ho!>>, le risposi.

Sbuffò. << Mmm, non importa, te ne presto uno io. Vieni in camera mia più tardi, così ti potrai cambiare. E poi, devo cercare di sistemarti quei capelli...>>, mormorò, scrutando con diffidenza la mia chioma ribelle.

Non mi sentivo così entusiasta. Insomma, quel Mello non lo conoscevo molto bene...anzi, non lo conoscevo proprio. Inoltre, non avevo nemmeno un regalo.

<< In realtà non mi sento ancora molto bene, forse non dovrei...>>. Tentativo fallito.

La risposta di Misa fu autoritaria. << Tu verrai, anche se dovessi trascinarti io stessa per i capelli, ok?>>. Non osai ribattere.

A quel punto intervenne Mello, addolcendo la pillola. << Mi faresti un bel regalo, presentandoti. Più ragazze ci saranno, più mi divertirò!>>, affermò, con aria fin troppo sicura.

A quelle parole, Misa scattò immediatamente. I due iniziarono a punzecchiarsi, riempiendosi di insulti e frecciatine, che però non ascoltai, essendo impegnata ad osservare la persona seduta due tavoli oltre il nostro, da sola. I suoi occhi rossi erano rivolti nella nostra direzione. B non stava guardando solo me, ma anche Misa e Mello, con una certa insistenza. Non riuscivo a capire in che modo...con sorpresa? O perplessità?

Tornai con la faccia verso di loro e finalmente mi decisi a parlare.

<< Chi è L Lawliet?>>.

Mello e il suo amico smisero di parlare. Mello si voltò a fissarmi e a Misa andò di traverso l'acqua che stava bevendo. Perfino Near, che con le mani torturava una pallina gialla, aveva il faccino rivolto verso di me. Tutto d'un tratto, il tavolo si era fatto stranamente silenzioso.

Misa si schiarì la voce. << Ehm, chi?>>.

La guardai negli occhi, contemplandola per qualche secondo. << Chi è L Lawliet?>>, ripetei, scandendo bene le sillabe.

<< Dove hai sentito questo nome?>>, mi domandò Mello, evidentemente allibito.

Qualcosa nella mia testa sussurrò: prudenza.

<< L'avrò sentito da qualche infermiere...mentre passavo davanti alla hall>>, spiegai, impassibile.

Misa continuava ad osservarmi con un'espressione davvero indecifrabile sul volto etereo, senza dire niente. Mello tornò a concentrarsi sulla mela. << Era...un ragazzo>>, rispose, infine.

Grazie per l'accurata spiegazione, pensai tra me e me.

Misa battè i palmi sul tavolo, alzandosi in piedi. << Su, Raggio di Sole, andiamo a farci belle!>>, esclamò, fin troppo entusiasta.

<< Ma non ho neanche mangia...>>.

<< Abbiamo poco tempo! E comunque, qui non hanno buste per gli avanzi, quindi ti toccherà aspettare la colazione domani!>>, ribattè, quasi tirandomi di peso via dal tavolo.

Sentivo Misa canticchiare, mentre salivamo le scale.

La sua stanza si trovava nel reparto numero 8. Quasi mi aspettavo avesse delle lucine intermittenti, un letto a baldacchino e chissà cos'altro. Invece era quasi come la mia, ad eccezione di una poltrona, in un angolo, completamente seppellita dai vestiti. Per non parlare del resto! Sul letto c'erano riviste di moda che coprivano il cuscino, stivaletti di pelle, rossi, firmati Gucci, un pezzo di stoffa nera decisamente troppo corto per essere una gonna, collant con ghirigori rossi, un pacchetto di crackers lasciato a metà.

Sul pavimento regnava il caos più totale: un mazzo di rose ormai avvizzito e calpestato chissà quante volte, un orsacchiotto di peluche bianco, un fondotinta schiacciato, foglietti di carta sporchi d'inchiostro, ombretti ed elastici colorati e piumosi, braccialetti di stoffa, nastrini, Ray-ban rotti, un orologio da polso fermo, un paio di lingerie, fotografie accartocciate, cuffiette per ascoltare la musica ingarbugliate e un tubetto di mascara.

Lei si accorse che ero rimasta interdetta. << Ho sempre avuto la donna delle pulizie, i lavori di casa non so farli!>>, mi spiegò con un'alzata di spalle, come se fosse la cosa più naturale del mondo. << Cerca di sederti sul letto, fatti spazio tra le riviste. Che taglia porti? Una 42?>>, ipotizzò, osservando a occhio e croce la mia vita. << A proposito, come mai oggi sei arrivata in ritardo alla riunione?>>, mi chiese, andando in bagno.

<< Stavo giocando con un bambino e ho perso la cognizione del tempo>>, risposi, rigirandomi tra le mani una minigonna viola. Solo a guardarla, mi vennero i brividi. Misa tornò, stringendosi tra le mani una spazzolina e dei cosmetici.

<< Non sei un po' grande per giocare con i bambini?>>, mi prese in giro, facendomi voltare di schiena.

<< Non sei stata tu stessa a dirmi che era un genio? Infatti, era un po' come parlare ad un adulto...>>, dissi, ricordando la partita a scacchi.

Misa mi fece girare verso di lei. << Aspetta. Stai parlando di Near?>>.

<< Sì!>>.

<< Mi stai dicendo che gli hai parlato? Non ci credo>>.

<< Si può sapere qual è il problema?>>, ribattei, piccata.

Misa agrottò la fronte. << E' impossibile, Lyanne. Prima d'ora, quel bambino non ha mai aperto bocca con nessuno, pazienti o dottori che fossero. Near non ha mai parlato con nessuno!!>>.

 

 

continua.

 

 

 

 

Mi dispiace per avervi fatto attendere più del solito :(

Avevo intenzione di pubblicarlo 4 giorni fa, ma prima di salvarlo è scattato il contatore a casa mia ed è andata via la corrente, così ho dovuto riscriverlo TUTTO da capo!!! =(

Brrr, che brutto ricordo... allora, che ve ne pare?

Inoltre, ci tengo ad augurare buone vacanze a tutti!!!!!!

Finalmente!!! Ora che ho finito con scuola e Conservatorio, cercherò di aggiornare il più in fretta possibile, promesso!!!!

Ringrazio le 6 persone che hanno inserito la storia tra i Preferiti,

le 14 che l'hanno inserita tra le Seguite

e un grazie speciale a quelle che hanno recensito l'ultimo capitolo!!!

A presto, baci

Luce

 

 

 

 

 

 

 

 

  

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Capitolo 5
*** la vendetta dello shinigami ***


                       

                                                                  5.


                                                " La vendetta dello shinigami".

 

 

 

<< E io ti dico che con me ha parlato! Se non ci credi non so cosa dirti!>>, ripetei per la terza o quarta volta, mentre la biondina dietro di me si stava mettendo d'impegno a dividermi le ciocche di capelli senza farmi troppo male. Il crepitio secco e minaccioso di un tuono improvviso la fece sobbalzare. << Ahi!!!>>, mugugnai, quando mi tirò i capelli.

<< Dannazione a questo tempaccio. Comunque, non ci crederò finchè non me lo proverai! Tu non hai la benchè minima idea di quante volte Mello abbia tentato di far reagire quel folletto bianco; non ha mai lanciato neanche un verso e la cosa ha fatto irritare il ragazzo>>. Mi sfuggì un sorrisetto. << Si vede che io ci so fare più di te, di Mello e di tutti i medici di quest'Ospedale!>>. Misa alzò gli occhi al cielo. << Oppure>>, riflettei. << Magari ha provato simpatia per me, per questo mi ha parlato!>>.

<< Senza offesa, ma decisamente tu non sei la persona più simpatica dell'istituto, Lilly>>, ribattè la ragazza, fissandomi una molletta.

<< Lyanne>>, la corressi con un'occhiataccia. << Lilly è il nome di un cane della Walt Disney>>.

Misa ridacchiò. << Ok, ho capito l'antifona: ti secca avere come soprannome quello di una cagna?>>.

<< Insomma, dacci un taglio!! Non sei divertente!!>>, gridai, sottraendo bruscamente la testa dalle sue mani. Invece di intimidirsi di fronte al tono aggressivo che non avevo quasi mai usato in vita mia, lei mi afferrò per le spalle e avvicinò il volto al mio orecchio. << Sai qual è il tuo problema? Sembri venire da un universo parallelo; hai paura della gente, ti scandalizzi quando gli altri ti parlano usando un linguaggio poco scurrile, sei spaventata e timida...>>, sussurrò, solleticandomi l'orecchio con le labbra.

Dentro di me si accese una fiammella di stizza. Mi alzai dal letto, fronteggiandola, ben decisa a non starmene zitta, questa volta. << Non vengo da un universo parallelo, vengo dall'Estonia, che a quanto ne so è uno stato che fa parte dell'Unione Europea, che a sua volta fa parte della Terra; non mi fa paura tutta la gente, diciamo solo...quella con problemi mentali; i linguaggi volgari sono l'ordine del giorno, ma grazie a dio, esiste ancora qualcuno in grado di usare la bocca per parlare, non per bestemmiare dal mattino alla sera, solo perchè tutti gli altri lo fanno; infine, io sarò anche introversa, ma credimi se ti dico che non venderei l'unghia del mio alluce sinistro per il tuo carattere, né ora, né mai!>>, dissi tutto d'un fiato, avvertendo il cuore pulsarmi forte nel petto.

Misa sembrava in trance. Mi fissava con un'espressione vuota, lo sguardo assente. Sembrava quasi avesse riavvolto un nastro e riascoltato ciò che avevo detto più volte. Infine mi si avvicinò, arrivando a sfiorarmi il corpo con il suo. << Immagino che ora tu voglia sentire dalle mie labbra una frase del tipo: " oh, allora un po' di palle ce le hai anche tu!", o qualcosa del genere, non è così? Spiacente, ma mi pare che tu ancora non abbia afferrato la situazione. Alzare di mezza ottava la tua vocina da verginella incartapecorita non ti servirà a niente! Se non vuoi crearti problemi in un posto come questo, devi prima ficcarti bene in testa che fare la tosta non basta!>>.

<< Certo...in altre parole, dovrei comportarmi come te?>>, le chiesi, infilando volontariamente uno spruzzo di acidità nella voce.

<< Tu non hai idea di cosa voglia dire comportarsi! Sei così...infantile, così scontatamente ingenua!>>.

Deglutii. << Io sarei...ingenua?>>, sussurrai, indecisa se correre via da quel pandemonio di stanza, allontanandomi il più possibile da lei, o mostrarle la mia idea di " tostaggine", magari centrandole in pieno il volto con uno dei suoi stivali di Gucci. Purtroppo, non ero decisamente tipo da fare una cosa simile.

Misa fece spallucce. << Lo dico per te, ragazzina. Dopotutto, se certe cose non le avessi sperimentate sulla mia stessa pelle, che interesse avrei di raccontarti balle?>>.

<< ...Si può sapere, a te, cosa potrebbe importare?>>, mi lasciai sfuggire, anche se in realtà ero ancora perfettamente controllata. Se Misa intendeva in questo modo dare il colpo di grazia alla mia scorta di pazienza, be', mi conosceva proprio poco; era ben lontana dallo sfiorare quel limite. << Perchè mi stai sempre con il fiato sul collo?>>.

<< Perchè mi ricordi me, la prima volta che ho messo piede qui. In un certo senso, ho notato nette somiglianze tra questo posto e i titolari delle aziende di moda per le quali lavoravo tempo fa, e la cosa mi ha aiutato ad affrontare il tutto, ma tu...tu non sai nemmeno perchè sei qui! E se il dottor Yagami non ti ha spiegato nulla al riguardo, significa che non hanno ancora le idee chiare su di te!>>, mi rispose, con tono di voce piatto.

<< Non mi piace stare qui. E' terrificante. A volte, nel cuore della notte...mi svegliano delle grida>>, mormorai, rimettendomi a sedere, lentamente.

<< Lo so. Le sentiamo tutti>>, confermò lei, sedendosi di fianco a me e dissotterrando dalla massa di stoffa un tubino di satin nero. << Questo è di Marc Jacob. Super comodo ed elasticizzato, ti sentirai come una vera modella!>>, aggiunse, porgendomelo.

<< Chi è che grida?>>, insistetti, senza mostrare alcun interesse per il vestito.

Misa sospirò, lasciandoselo cadere in grembo. << Non tutti i pazienti riescono a starsene buoni e tranquilli, sai? Una parte di loro, in genere i novellini... ce ne sono un bel po', qui dentro...si comportano in modo piuttosto provocatorio e, a detta dei medici, rischioso nei confronti degli altri pazienti. A persone come loro toccano continuamente dei castighi, affinchè si ricordino chi è che comanda davvero>>.

<< Castighi di che genere?>>, volli sapere.

<< Be', l'elettroshock, ad esempio. Ne avrai sentito parlare!>>, rispose lei, passandosi una mano dietro il collo, sistemandosi qualche ciocca bionda sfuggita al suo controllo.

Non le risposi subito. Stavo pensando a ciò che mi aveva detto poco prima di giungere a parlare di questo. Quando mi aveva rivelato che lo faceva per me...voleva che io imparassi a comportarmi. Ma comportarmi come?

Da quel che avevo capito, bastava un'occhiata di troppo, un comportamento insolito, un leggero cambiamento di abitudine e rischiavi di essere classificato come soggetto sospetto, costretto a sorbirti cure e metodi dei quali non avevi certo bisogno.

Quindi...era possibile che Misa non mi mollasse quasi mai, solo perchè voleva essere certa che non facessi la stessa fine di quelle persone trascinate a forza lungo i corridoi, nel cuore della notte, costrette ad urlare invano, in attesa di essere "castigate"?

<< Sì>>, mi decisi a rispondere. << Ne ho sentito parlare. E gli altri metodi?>>.

Gli occhi vitrei di Misa assunsero una sfumatura opaca. << Aghi>>.

Disse solo questo.

La fissai, perplessa. << Aghi?>>.

<< Aghi.>>, ripetè, come se fosse una cosa normalissima. << Punture. Iniezioni. Siringhe. Sostanze che ti annebbiano gli occhi e i sensi, bruciandoti le cellule cerebrali, intorpidendoti i muscoli, così da indurti col passare degli anni a perdere l'uso corretto dei nervi motori. Oh, e non dimentichiamo la loro funzione principale: farti diventare una specie di fantoccio per qualche ora, in modo da tenerti placido e non pericoloso per loro>>.

La ascoltavo, senza essere in grado di proiettarmi nella mente la visione di ciò che mi aveva appena rivelato.

<< Chi sarebbero loro?>>, chiesi.

Dalle labbra di Misa sfuggì una risatina. << Aaah, guarda chi sta cominciando ad usare la testa, adesso!>>, esclamò, ironica. << I responsabili dell'Ospedale, con loro, intendono i pazienti innocui, ma in realtà, si riferiscono al personale. A nessuno importa davvero di noi, finchè restiamo qui>>.

Scossi la testa. << Non mi torna. Se davvero ci fossero pazienti " innocui", perchè li terrebbero qui e non in un normalissimo centro di assistenza? Hai presente...case di riposo per gli anziani, istituti correzionali per giovani scapestrati...>>.

<< Praticamente, ti sei data la risposta da sola. " Innocui" era solo un modo di dire>>.

Si alzò dal letto e recuperò un paio di nastri vellutati dal pavimento, attorcigliandoseli ai polsi con aria annoiata.

<< Aspetta un attimo.>>, mi venne in mente un'altra cosa. << Tu sei stata arrestata per uso di droghe, giusto? Hai mai avuto problemi comportamentali, prima di essere portata qui?>>.

Si passava fra le dita il nastro, tendendolo e arricciandolo, senza guardarmi in faccia. Infine, alzò lo sguardo, imprigionando i miei occhi nei suoi.

<< No. Solo comuni crisi, partorite dalla troppa popolarità, ma non mi sono mai trovata vittima di una denuncia, o con le manette ai polsi. A confronto con alcune mie colleghe, io ero un gattino>>.

Aggrottai la fronte. << Ma allora...che ci fai qui?>>. Non mi rispose. << Voglio dire... ti hanno arrestata, no? Avresti dovuto finire in prigione, non in manicomio! Non riesco a capire...e poi...con tutti i soldi che hai, avresti potuto uscire dal carcere quando volevi, dico bene?>>.

La ragazza continuava a restare muta, limitandosi a guardarmi, senza un'espressione precisa. Sembrava essersi imbambolata...oppure, stava cercando una giustificazione plausibile da offrirmi come risposta. In entrambi i casi, avevo la sensazione che non volesse rispondermi. Perciò fui la prima ad arrendermi.

<< Ehm, questo mi piace>>, dissi, tentando di distrarla, pescando a caso dal materasso sotto di me un vestito, senza nemmeno guardare cosa fosse.

Lei fece una faccia quasi stralunata. << Ti piace quello??>>.

Abbassai lo sguardo, per capire il motivo di tale stupefazione. Avevo preso un indumento abbastanza strano, tanto che dovetti rigirarmelo più volte tra le mani, per capire dove fossero le maniche. Non c'erano. Era una sottospecie di maglietta nera, aderente e...scollata. Non una scollatura di quelle a V...sembrava quasi che qualcuno avesse strappato la parte superiore della stoffa. C'era uno spazio talmente largo che capii istantaneamente quale fosse la funzione di quella roba e la gettai sul letto con una smorfia spaventata. Non lasciava affatto spazio alla fantasia, dato che era fatta apposta per mettere in bella vista tutto il reggiseno.

Che orrore.

<< Non questo, in realtà mi piace...mmm....>>, balbettai, affannandomi a cercare qualcosa in mezzo a tutto quel ciarpame degno di chiamarsi abito. Mi venne da piangere; non c'era un bel niente che mi piacesse!

 

 

 

Non c'era ancora nessuno, alla Sala Giochi. Misa si diresse verso uno stereo lasciato appositamente sul tavolo, infilandoci uno dei suoi cd. Mi guardai intorno, indecisa su cosa fare.
<< Non abbiamo neanche un regalo. Faremo una figura un po' sciatta, non credi?>>.
La risata di Misa invase tutta la Sala.
<< Ho già in mente cosa regalargli. Se vuoi tu puoi fare lo stesso>>, disse, lanciandomi un'occhiata maliziosa ( ma forse fu solo una mia impressione).

<< Per quanto tempo ci permettono di tenere la musica ad alto volume?>>.

<< Fino alle 10.30. Allo scadere di quell'ora, se le ronde notturne che circolano qua attorno sentono ancora le casse gridare, ci sbattono tutti quanti in camera, mandando al diavolo il coprifuoco delle 11.30>>, rispose lei, andando ad aprire un finestrone per far entrare un po' d'aria fresca. << Non c'è ancora nessuno?>>, chiese, indirizzando la testa bionda verso il corridoio.
Mi sporsi a guardare.
Non fosse stato per le luci al neon, quel posto di notte avrebbe potuto essere facilmente scambiato per un labirinto.
Le pareti imbottite erano coperte in buona parte da grossi quadri, raffiguranti per lo più nature morte. Più in alto c'erano i ritratti di quelli che supponevo fossero i medici che lavoravano qui tempo fa. Chissà perchè, ma trovai antipatiche tutte le facce che vidi.

Fu il dipinto vicino alla finestra centrale, che attirò la mia attenzione.

Due fanciulle piangenti erano riverse a terra, vicine a quella che sembrava una zona di mercato. Le espressioni facciali dei soggetti, anche quelli in secondo piano, erano talmente ben fatte che per un secondo mi parve di sentire nella mia testa le urla concitate dei venditori, mentre un gruppetto di bambini inseguiva le oche, facendo così rovesciare una montagna di mele da una delle bancarelle. Le risate mute dei bambini, imprigionate in quelle luminose pennellate a olio, creavano un netto contrasto con le lacrime incolore che rovinavano i volti delle due splendide ragazzine. C'era una creatura, sopra di loro. Una creatura fatta di colori cupi e oscuri, che stringeva una falce e tendeva una mano, costituita da tre, ossute e lunghissime dita, verso di loro. Nessuno le aiutava, nessuno sembrava vedere l'essere spaventoso intenzionato a ghermirle.

<< Sei un'appassionata dell'arte?>>, chiese Misa alle mie spalle, facendomi sussultare. << Guardi quel dipinto come se fosse l'ottava meraviglia del mondo>>.

Passai una mano, accarezzando la cornice dorata. << Questa sembra...la morte>>, azzardai, facendo un cenno verso la creatura mostruosa, al centro del quadro.

<< Ci sei quasi arrivata. Il dipinto rappresenta un'antica leggenda giapponese e il titolo dell'opera è una specie di tributo ad essa. " La vendetta dello shinigami">>.

<< Cos'è uno shirigami?>>, le chiesi.

<< ShiNigami>>, mi corresse. << Sono delle sottospecie di demoni che giocano a loro piacimento con la vita dei mortali. Io sono per metà giapponese e il culto degli Dei della Morte è piuttosto praticato, in quelle zone. Questo dipinto narra di uno shinigami, il più perfido e malvagio tra tutti i suoi simili, che provava grande interesse per il nostro mondo e gli esseri che lo abitavano. In particolare, per una donna, una contadina. Abitava con le sue figlie in una casetta non lontana da una scogliera e soleva ogni mattina all'alba sedersi su uno scoglio, pregando per il ritorno del suo sposo, perso in mare. Ma col passare degli anni, la donna diventava sempre più debole e preoccupata, perchè non riusciva a sfamare le figlie.
Allora lo shinigami scese sulla Terra, rendendosi visibile ai suoi occhi e proponendole un patto: lui le avrebbe permesso di rivedere il marito se lei avesse accettato ad andare con lui nel mondo degli shinigami. La donna accettò, così il Dio della Morte fece tornare in vita lo sposo. Per molti anni tutto andò bene, le figlie divennero adulte, ma un giorno lo shinigami si presentò nuovamente alla donna, imponendole di rispettare il patto. E a quel punto, la donna commise l'errore più grave della sua vita, rifiutandosi di mantenere la parola data. Allora lo shinigami le profetizzò che la mattina seguente sarebbe scesa la morte, da parte dei suoi più cari amici>>.

Rimasi ad ascoltare in silenzio, senza staccare la mano dalla cornice.

<< Quindi la donna è morta?>>, immaginai.

Misa ridacchiò. << No. Non dimenticarti che stiamo parlando dello shinigami più bastardo di tutta la storia dell'umanità. Le sue parole furono molto ambigue, infatti, solo dopo la donna comprese che il Dio della Morte aveva omesso volontariamente di dirle su chi avrebbe scagliato la sua vendetta...dava per scontato di essere lei e avrebbe preferito morire piuttosto che restare per sempre imprigionata in un mondo di ombre e morte. Il mattino seguente, le due sorelle andarono al mercato; fu allora che lo shinigami si mostrò a loro, terrorrizzandole a morte. Per giorni non diede loro tregua, le seguiva costantemente, impediva loro di dormire, le minacciava...le due sorelle non riuscirono più a mangiare, né a riposarsi. Gli abitanti del villaggio in cui vivevano avevano cominciato a nutrire forti sospetti su di loro, giungendo infine alla conclusione che le due sorelle fossero delle streghe, per via dei loro comportamenti sempre più violenti e isolati>>. Misa si interruppe per riprendere fiato.

<< E poi?>>, feci, impaziente. Non mi piaceva essere lasciata sulle spine.

<< E poi le bruciarono vive, davanti ai genitori>>, concluse lei, lasciandomi senza parole. << Ma è solo una vecchia leggenda.>>, aggiunse, poco dopo. << Ce ne sono un'infinità legate al culto dello Shintoismo, alcune più simpatiche, altre ancora più cruente. Come facevi a non conoscere questo dipinto? E' uno dei più famosi al mondo!>>.

Sbattei le palpebre, sorpresa. << Davvero? Non lo sapevo, chi è l'autore?>>.

<< Boh>>, rispose lei, lasciandomi di stucco. A volte mi chiedevo se Misa ci facesse o ci fosse.
 
 


Per fortuna, ero riuscita a raggirare Misa, convincendola a farmi indossare dei pantaloni di velluto neri e un top non troppo scollato, pieno di ridicoli fiocchetti e nastri lucidi che facevano da spalline. Tutto sommato non ero appariscente, in confronto a lei. Grazie al cielo, avevo il 36 di piede, quindi Misa aveva dovuto rinunciare a farmi indossare i suoi terrificanti trampoli da 12 cm, permettendomi di indossare un innocuo paio di ballerine, a detta sua vecchie, sconce e offensive per gli occhi, che avevo trovato rovistando nell'armadio delle scorte, negli spogliatoi.

Altro che tante ragazze, mi ero detta, mentre sbirciavo gli invitati. Praticamente sono tutte ragazze!
 
In realtà, il numero delle invitate era ristretto: eravamo in sette. Osservando con attenzione le ballerine, mi accorsi che erano le ragazze più carine dell'Ospedale. Ovviamente, Misa aveva alzato al massimo le casse dello stereo, in modo che tutti si lanciassero nelle danze. Io mi ero tenuta in disparte. Non sapevo ballare, su quella musica, poi!

Tuttavia, avevo tenuto d'occhio Misa e Mello, mentre ancheggiavano, l'uno appiccicato all'altra, ed infine compresi quale fosse il regalo che gli aveva preparato la modella.

Dopo circa undici minuti che tenevano le labbra incollate, senza quasi poter respirare, un'altra ragazza prese il posto di Misa, scostandola senza troppe cerimonie, conducendo il festeggiato verso il divano appoggiato al muro. << Raggio di Sole, unisciti a noi!>>, mi incitò Misa, indicandomi il gruppo di femme fatali che si erano abbarbicate attorno a Mello.

Scossi la testa, ben decisa a non fare un passo verso di loro.

Misa insistette. << Non fare la maleducata, anche tu devi dargli il tuo regalo, no?>>.

<< Avevi detto che il tuo valeva per tutte e due!>>, ribattei.

Aggrottò la fronte. << Te lo sei inventato. Non ho mai detto una cosa del genere!>>.

<< Sì che l'hai detto!>>

<< E invece no!>>

<< E invece sì!>>

Misa sbuffò, lanciandomi un'occhiataccia e mimando con le labbra la parola " verginella", per poi raggiungere il divano e sedersi sulle gambe di Mello.

Effusioni serali.

Ecco cosa mi toccava subire per un'altra ventina di minuti. Vidi due graziose brunette lanciarmi un'occhiatina, sussurrarsi qualcosa all'orecchio e lanciare risatine. Cercai di ignorarle quanto più mi era possibile. Quel Mello... in effetti era un bel ragazzo, ma decisamente, non era il mio tipo.

<< Senti, se davvero non hai intenzione di unirti a noi...>>, mi disse Misa, voltandosi verso di me. << ...andresti fuori a controllare che non arrivi qualche piantagrane?>>.

La fissai senza capire; fece vagare la sua mano lungo la camicia nera del biondo, per poi lasciarla scivolare lentamente molto più in basso, mentre sul volto di Mello si dipingeva un'intensa espressione di godimento.

Trattenendo a stento una smorfia, mi fiondai in corridoio, chiudendomi la porta alle spalle e donando alle mie orecchie un po' di tregua. Gettai un'occhiata sfinita all'orologio digitale appeso alla parete. Mancava un quarto d'ora alle 10.30. Se avessi saputo che la suddetta festicciola era solo un'occasione da non perdere per dar libero sfogo alla natura selvaggia, mi sarei categoricamente rifiutata di andarci.

In sostanza, Misa mi aveva chiesto di avvertirla nel caso fossero arrivati degli infermieri a controllare la situazione, o a dirci di smettere. Ad essere sincera, non mi piaceva fare da sentinella, ma era sempre meglio che restare in mezzo a quel baccano, costretta ad assistere a quella specie di filmino porno. Già, se li trovavano ad amoreggiare tutti insieme appassionatamente, probabilmente si sarebbero ficcati nei guai. Quale sarebbe stato il castigo?
Provai a non pensarci. Le parole di Misa mentre sceglievamo i vestiti erano ancora ben impresse nella mia memoria. Passeggiavo lungo il corridoio, ascoltando il rumore dei miei passi sul pavimento bianco e plastificato.
Presi in considerazione l'idea di andarmene e tornare nella mia stanza. Magari avrei potuto dare un'altra occhiata a quel quaderno...ma sapevo che se li avessero beccati, Misa non mi avrebbe mai perdonata.

Mi fermai, notando una figura, proprio in fondo al corridoio. Non feci in tempo a metterla bene a fuoco, mi accorsi solo che aveva i capelli scuri e scompigliati, prima che tutte le luci - tutte! - sfarfallassero, per poi spegnersi di colpo, facendo immergere l'Ospedale nel buio più assoluto.
 
 
 

Dalla sorpresa, indietreggiai bruscamente, sfiorando con le mani la parete alla mia destra. Dietro di me, mi giunsero le voci stupefatte delle ragazze nella Sala Giochi. Voltai la testa, ma non vidi assolutamente nulla. Non riuscivo neanche a capire quanto fossi lontana da loro. Avvertii dei passi affrettati al piano di sotto e immaginai che il personale si fosse allarmato.

Un lieve rumore di passi mi indusse a spostare l'attenzione verso la figura davanti a me. Non riuscivo a vederla, ma sentivo che si stava avvicinando.
Uno scalpiccio tenue e lento...un suono che si faceva via via più forte.

<< Chi c'è?>>, domandai, rivolta all'oscurità.

I passi continuavano ininterrottamente, delicati e sicuri.
Alla mia destra, poco più avanti, il tenue bagliore della luna crescente illuminava con misericordia una discreta parte del corridoio, concedendo ai miei occhi di non cadere nell'inganno delle ombre...almeno, fin dove la luce me lo concedeva.
Oltre ai passi, iniziai ad avvertire un leggero respirare.

<< Chi sei?>>, chiesi ancora, imponendomi di non indietreggiare.

Sembrava che lui o lei...la persona che mi stava venendo incontro stesse provando a spaventarmi. Il mio cuore inquieto non nascondeva il fatto che ci stesse riuscendo.

<< Lyanne! Dove sei finita?>>, latrò una voce alle mie spalle.

Non volevo risponderle, non volevo voltarmi. Non ancora.
Ancora pochi passi e la luce della luna avrebbe rivelato la persona davanti a me.

<< Lyanne!>>, ripetè la voce di Misa, più decisa.

L'Ospedale fu nuovamente illuminato dalle lampade al neon del soffitto. Da qualche parte, udii alcune esclamazioni di gioia.

<< Eccoti!>>, esultò Misa, raggiungendomi. << Non hai sentito che ti chiamavo?>>, mi ammonì, con aria scocciata.

Non le risposi. Mi limitai a fissare il corridoio vuoto, davanti a me. Non trovai alcuna spiegazione illuminante. Com'era possibile...?
Ero più che sicura di aver visto e sentito qualcuno. Era vicinissimo a me, fino a pochi secondi fa...non poteva essersi nascosto così in fretta.

<< Lyanne...?>>

Mi strofinai gli occhi con una mano, cercando di capire cosa fosse successo. Quando ritirai le dita, me le ritrovai impiastricciate di ombretto perlato.

<< Ehiii...pianeta Terra a Lyanne, c'è qualcuno in ascolto?>>, brontolò Misa, sventolandomi una mano davanti alla faccia. 

<< Misa...>>, iniziai a dire, notando due infermieri salire le scale, confabulando sul black out di poco prima. << ...spero che ti sia divertita, perchè mi sa che la festa è finita>>.
 
 
 
                                                                                                               
                                                                                                               ***
 
 



13 maggio.
Hanno terminato i lavori di restaurazione nella cappella, sul retro; finalmente potrò tornarci.
L'infermiere Light è piuttosto irrequieto, in questi giorni. Non ne capisco la ragione. Non mi sembra di aver fatto nulla che possa avergli causato turbamento, eppure in questo periodo è diventato seriamente intrattabile.

Tuttavia, non mi sembra una cosa gentile farglielo notare; probabilmente tra il lavoro e gli studi non ha sufficiente tempo per riposarsi come vorrebbe.

Quanto vorrei uscire di qui!

Manca poco, fortunatamente...solo un mese e me ne andrò per sempre da questo posto infernale!
La scorsa settimana la lettera S, alias Sean, ha avuto una delle sue crisi e ha finito col picchiare a sangue un ragazzino del reparto numero 3. Nel tentativo di calmare le acque ci sono andato di mezzo anch'io.
Mi ha spaccato il labbro, sbattuto contro il muro e incrinato una costola, prima che la cavigliera si decidesse ad attivarsi, trasmettendogli un'ondata di impulsi elettrici che alla fine sono riusciti a tenerlo tranquillo.

I casi gravi sono una cosa davvero preoccupante.
Sono contento di non trovarmi nel suo stesso reparto; devo cercare di stare il più lontano possibile da quell'individuo, soffre di schizofrenia, i farmaci e l'elettroshock non mi sembra servano a molto. Io sono stato fortunato, ma quel ragazzino è stato trasferito d'urgenza al San Marc...

 
 

Mi interruppi a leggere.

A quanto mi era sembrato di capire, questo L Lawliet aveva avuto problemi con i casi gravi dell'Ospedale. Be', anch'io mi trovavo in una situazione simile, se ripensavo al mio incontro ravvicinato con quel...come si chiamava? Beyond?

Aveva accennato qualcosa riguardo a una cappella, nel giardino sul retro. Nascosi il quaderno sotto il materasso e uscii dalla mia stanza.

Quella era una mattina serena, il temporale si era protratto fino all'una, ieri notte, lasciando il posto a un cielo plumbeo, ma all'apparenza tranquillo.

Il giardino profumava di pioggia, l'erba era intrisa di rugiada.

Mentre mi incamminavo, facendo il giro dell'istituto, vidi alcuni pazienti, tra cui la ragazzina con la bambola di porcellana che avevo adocchiato in Mensa, tempo fa, che avevano sistemato una coperta sulle panchine, sotto gli alberi, per sedersi.
Avanzai a passo svelto. Ero curiosa di scoprire se c'era davvero una cappella, nell'Ospedale...chissà, magari c'era anche una chiesetta.
Ero sempre stata una ragazza credente, nonchè molto religiosa.
Eppure, da quando mi trovavo lì, non avevo mai pregato neanche una volta. In un certo senso, era stato grazie a quel Lawliet se mi ero ricordata di avere una forte fede.

Il retro del giardino comprendeva la zona oltre il laghetto. Lì il terreno era più irregolare, meno curato. Gli alberi erano più fitti e la vegetazione cresceva spontanea, tanto che dovetti tenere lo sguardo ben puntato a terra, per evitare di inciampare sui massi e sulle radici che fuoriuscivano dal suolo bagnato e incrostato di fango.

Finalmente, la vidi.

Non era affatto come me l'ero immaginata. La cappella in questione, probabilmente, era una nicchia racchiusa all'interno di quella che sembrava una chiesa, collegata alla facciata posteriore dell'Ospedale tramite un ponticello coperto.
Mi avvicinai, improvvisamente intimorita.
A prima vista, sembrava quasi una cattedrale in miniatura. In stile gotico-romanico, emetteva una penetrante ombra di maestosità, nel suo aspetto. Mi persi ad osservarne l'immensa e ampia facciata, slanciata, l'enorme vetrata al centro, che presentava un finto portico. Un edificio sepolto dal silenzio, dall'antica pietra grigia chiara, sopra il quale spiccava una guglia, che fungeva da copertura per il campanile.
Il massiccio portone non era bloccato da alcun catenaccio, quindi, forse era possibile entrare. L'ingresso era preceduto da una scalinata di pietra che un tempo doveva essere stata bianca, ma che ora era scheggiata e ferita da numerose crepe, che con la loro lunghezza mi concedevano di farmi solo una vaga idea di quanto doveva essere vecchia quella chiesa.
Una volta giunta davanti al portone, mi voltai.
Non c'era nessuno.
Chissà se qualcuno veniva a pregare, ogni tanto.
Presi fiato, ed entrai.
 
 
 
                                                                                                            [ continua]
 
 
 
Mi dispiace di non aver risposto alle vostre recensioni, mi affretterò a farlo il prima possibile, ma è una vera impresa, perchè in questi giorni mia madre continuava a sottrarmi il computer perchè le serviva e io non riuscivo mai a terminare questo sacrosanto capitolo!
Aaaaalleluuuuujahhhhh, ce l'ho fatta!
L'ho scritto con un po' di fretta, proprio perchè non riuscivo mai a terminarlo, quindi qua e là potrei aver scritto qualche ca***ta!
Non fatevi problemi a segnalarmelo ( quando avrò tempo controllerò bene anch'io).
 
Come sempre, ci tengo a ringraziare

le 8 persone che hanno inserito la storia tra le Preferite,

le 18 che l'hanno inserita tra le Seguite,

le 2 che l'hanno inserita tra le Ricordate
 
e un grazie 100000000000000000 a Rebel Girl, Shaila Light, Lulosky, akachika, LABESTIAPAZZA, redseapearl, starhunter, Ramona37 e animefan95, che sono state tanto gentili da recensire lo scorso capitolo!! ^^
Un bacio a tutte quante, ci vediamo presto!!
( il prima possibile, spero!!!) XD
P.S. chi sarà mai la persona che Lyanne ha intravisto in fondo al corridoio?
Si accettano varie ipotesi!! XD 


 

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Capitolo 6
*** pericolo...tentazione...non posso fidarmi di lui. ***


 



                                                                          6.


                                          Pericolo... tentazione...non posso fidarmi di lui.

 

 

Non c'era molta luce ad illuminare l'interno della chiesa, attraverso le sottili finestre ad arco acuto che sormontavano le pareti laterali, mentre percorrevo la navata centrale. Rimasi piacevolmente sorpresa; era un luogo confortevole. Vista da fuori, la chiesa mi era sembrata più piccola. Non c'era nessuno, all'interno. La quiete regnava sovrana, lì dentro, com'era giusto che fosse. Mentre procedevo attraverso le tribune, tirai su col naso un paio di volte, deliziata del fatto che nell'aria vi fosse un intenso profumo di incenso e di fiori freschi.

Mi interrogai. Non credevo che in chiesa si potessero portare dei fiori.

Oh, be'...l'effluvio era decisamente gradevole.

Mi fermai, accomodandomi sulla prima panchina centrale, quella più vicina all'altare.

Non so dire con certezza per quanto tempo rimasi lì a pregare.

Rimpiangevo di non avere il mio crocifisso preferito con me. In genere lo tenevo appeso ad un nastro di velluto nero, che portavo sempre al collo, ma da quando ero nel Wammy's Hospital, non l'avevo più trovato. Forse ce l'aveva il dottore, o qualche infermiere. Avrei dovuto chiedere che mi venisse restituito, era un oggetto molto prezioso per me, finemente lavorato, d'argento, vecchio ma bellissimo.

Sorrisi, lieta che mi fosse tornato in mente un altro ricordo.

Rimasi in quel luogo sacro per un paio d'ore. Più di una volta mi parve di sentire un rumore di passi, ma ogni volta che mi voltavo, l'atmosfera intorno a me era sempre la stessa.

  Non c'era nessuno, soltanto io.





 

Una volta uscita dalla chiesa, mi trovai ad imprecare addirittura in latino, a causa del fango che mi aveva inzaccherato le uniche scarpe che avevo. Il colore del cielo si era incupito e ciò mi fece presagire che presto si sarebbe presentato un altro temporale. Che schifo di posto: passare una bella giornata assolata e afosa era forse chiedere troppo?

Decisi di tagliare attraverso gli alberi, magari lì il terreno era meno scivoloso. Mentre osservavo con finto interesse la danza delle fronde alla forza del vento che soffiava sempre di più, udii una voce.

Una voce maschile. E sembrava molto alterata.

Spinta dalla curiosità, la seguii, giungendo in un punto ancora più fitto tra gli alberi, nel quale un ragazzo che non avevo mai visto era chino su una persona inginocchiata per terra. Mi avvicinai per guardarli meglio e per capire cosa stesse dicendo il tizio in piedi.

<< Lo sai, mi hai deluso...>>, disse, raddrizzandosi e sistemandosi la felpa.

La persona sotto di lui stava tremando, ma non avrei saputo dire se era per la paura o per il dolore. Riucii ad intravedere un filo di sangue che gli scendeva da un punto indefinito del braccio. Quando fui abbastanza vicina, quasi boccheggiai.

Era Near.

Aveva le guance arrossate, le labbra ben serrate, ma gli occhi erano lucidi. Pur non conoscendo la sua situazione, capii immediatamente che il ragazzo sopra di lui gli aveva fatto qualcosa. Anzi, stava per fargli qualcosa.

<< Near, io ti ho chiesto così poco...>>, esordì il ragazzo, afferrandogli un braccio e tirandolo su, come se fosse un bambolotto di cinque chili. Il piccolo evitò il suo sguardo e cercò di liberare il braccio dalla sua presa, strattonandolo.

Il ragazzo scosse la testa e alzò il braccio con uno scatto, indirizzando il pugno rigido verso il suo volto.

<< Non provarci o avvertirò il personale!>>, gridai improvvisamente.

Near spalancò gli occhi, vedendomi. Subito dopo alzò lo sguardo verso il ragazzo, il quale aveva rivolto la testa verso l'alto, come se stesse cercando di ricordare qualcosa...o di riconoscere la voce. Mi fiondai verso Near, allontanandolo da lui. La sua mano si strinse con forza attorno alla mia. << Stai bene?>>, gli domandai.

Non mi rispose, intento com'era a lanciare occhiate cariche d'ansia verso lo strano tizio il cui sguardo saettava da me al bambino, senza una particolare espressione.

Quando tornò a guardare me, mi rivolse uno dei sorrisi più falsi che avessi mai visto in vita mia. << Scommetto quello che vuoi che non ti risponderà.>>, disse, avvicinandosi a noi. << E ora levati dai piedi>>, aggiunse, facendo per afferrarlo.

<< No>>, mi opposi, tirando Near dietro di me. Sentii le sue manine afferrarmi nervosamente la maglietta.

Ora il tizio era esattamente di fronte a me. Mi sovrastava di almeno una trentina di centimetri, aveva i capelli castano chiaro, tagliati così corti che parevano un sottile strato di velluto sulla testa. Però aveva un'orrida cicatrice sulla tempia destra, che andava prolungandosi fino a seghettare il suo sopracciglio destro in una forma irregolare, sfiorando la palpebra e scomparendo alla base del naso.

Incapace di controllare i miei occhi, lasciai che vagassero lungo il suo corpo, notando altri due particolari.

Il primo era la sua mano destra. Un costante battito, forse una sorta di tic alle ultime tre dita, costringeva la sua mano a violenti tremori. Non fosse stato per l'inspiegabile celerità con cui muoveva, avrei immaginato stesse tremando dalla rabbia.

Fu il secondo particolare, però, a mettermi in guardia.

Indossava dei bermuda color caki, che mi permisero di accorgermi di uno strano bagliore metallico, sopra la scarpa sinistra.

Una cavigliera elettronica.

Oh, merda!, fu tutto ciò che riuscii a formulare nella mente.

Un caso grave.

Mi trovavo da sola, di fronte ad uno dei pazienti probabilmente più pericolosi e violenti dell'Ospedale.

Lui ridacchiò, facendo come se non stessi parlando sul serio. << Sei sorda?>>, sibilò, inclinando la testa. << Conto fino a tre. Ti conviene sparire entro il termine della conta. Uno...>>.

Non mi accorsi della sua mano fin quando non mi afferrò con forza i capelli, strattonandomi la testa con così tanta violenza, che mi costrinse a piegare il collo all'indietro.

Avvertii un bruciore insopportabile alla cute, quando sentii alcune ciocche congedarsi dal mio cranio.

<< Be'...? Sei ancora qui?>>, mi beffeggiò il ragazzo, con un sorriso sadico stampato sul volto sfregiato, soffiandomi addosso il suo alito che sapeva di tabacco.

Portai istintivamente le mani attorno al suo polso, nel tentativo di fargli mollare la presa, ma più mi agitavo, più la sua stretta diventava ferrea.

<< Due...>>

<< Near, corri dal dottor Yagami!!>>, lo incitai, soffocando con la mia voce quella del ragazzo. Near, con gli occhi sbarrati, non appena sentì il mio ordine, si mise a correre il più in fretta possibile, in uno scatenato zig zag tra le piante, dirigendosi verso l'entrata dell'istituto.

<< Ehi, dove vai?! Torna qui, torna subito qui!!!>>, gridò lui, mollandomi con uno spintone. Traballai per non perdere l'equilibrio e mi sorressi alla corteccia di un albero.

Feci per mettermi a correre, ma lui si voltò nuovamente verso di me, passandosi una mano sulla nuca.

<< Maledetta troietta...>>, ringhiò, sputando saliva per terra. << razza di mocciosa!!>>.

Mi portai una mano alla testa, cercando di massaggiarmi la parte dolente, per cancellare almeno in parte la fitta. Avrei voluto allontanarmi da lui, scappare a gambe levate, ma in quel momento mi bloccava la strada...e avevo il terribile sospetto che se mi fossi messa a correre, cercando di raggirarlo, sarebbe comunque riuscito a prendermi.

Avvertii una gocciolina fredda sulla fronte; stava ricominciando a piovere.

Inutile illudersi dell'arrivo di qualche infermiere: mi trovavo ancora nel retro e non mi sembrava ci fossero telecamere esterne.

<< Sei l'ultima arrivata, vero?>>, mi domandò, avvicinandosi. << Magari siamo anche nello stesso reparto>>. La sua voce era diventata improvvisamente più gentile.

Indietreggiai, decisa a non rispondergli. Lui si accorse della mia agitazione e alzò le mani, come per tranquillizzarmi. << Non voglio farti niente. Voglio solo sapere il tuo nome. Ci sono così poche femmine nella mia sezione...>>, sospirò, esaminandomi da capo a piedi. << ... che c'è, non vuoi dirmelo? Non importa...andrò a dare una sbirciata nella lista di controllo della hall>>.

Esitò, dondolando sui talloni.

<< Dovresti rientrare anche tu. Tra poco è ora di pranzo. Te l'hanno già detto che gli orari non vanno trasgrediti, vero?>>.

Si diresse verso l'entrata principale, passandomi accanto. Un suo movimento improvviso mi fece voltare la testa verso di lui, ma troppo lentamente, così che non potei evitare il suo ginocchio piegato, che andò a scontrarsi sul mio polpaccio.
Un dolore acutissimo mi pervase come una scarica di corrente, lungo tutta la gamba, facendomi lanciare un urlo strozzato. Un urlo che però fu immediatamente smorzato, poichè la fitta affievolì completamente la mia voce. Udii uno scrocchio spaventoso provenire dalla caviglia, che si inclinò, incapace di reggere il mio peso, e caddi a terra.

Cercai di alzarmi, puntellando le mani nel terreno molle, ma lui mi schiacciò la scarpa con la propria. Fu come se un tritacarne si stesse rigirando più volte sul mio piede, strappandomi la carne a brani. I miei occhi si inondarono di lacrime a causa dei violenti crampi.


<< Torna dentro, se ci riesci>>, esclamò lui, scoppiando in una secca risata, prima di togliere la scarpa e spostare la mia gamba ferita con un calcio.

Dalle contrazioni, quasi non riuscivo a respirare.

Lo vidi allontanarsi a passo svelto e ondeggiante, per poi scomparire, voltando un angolo dell'edificio. Non so per quanto tempo rimasi immobile, con i muscoli paralizzati e i brividi in tutto il corpo. La pioggierellina, diventata ormai un acquazzone, si accaniva su di me, infradiciandomi i vestiti, incollandomi i capelli alla schiena e alleviando appena il terribile bruciore che avvolgeva la mia caviglia. La guardai, troppo spaventata per provare a muoverla. Era rossissima, quasi cianotica, e aveva iniziato a gonfiarsi. Le lacrime che mi scendevano lungo le guance, mischiandosi alla pioggia, mi appannarono la vista. Con indicibile lentezza, riuscii a mettermi a sedere. Quando però commisi l'errore di raddrizzare appena il piede, mi sfuggì un gemito e strinsi la mascella, affondando le dita nel fango.

Era rotta, ne ero sicura.

Il mio respiro si fece affannoso.

Cosa dovevo fare, adesso?

Presi in considerazione l'idea di gridare, sperando così di attirare l'attenzione del personale, ma avevo il fiatone e tutto ciò che usciva dalle mie labbra erano singhiozzi spezzati. Deglutii la saliva amara, cercando di acquisire un respiro più regolare.

Avevo tanto freddo.

E un insistente martellio alle tempie si era presentato, come se la caviglia martoriata non fosse già abbastanza. Mi rannicchiai su me stessa, circondandomi il petto con le braccia e abbassando la testa. Fu in quel momento, forse, che mi accorsi di non essere sola.

C'era qualcuno, in piedi, a pochi passi da me.

Continuavo a piangere, ma mi sentivo già più rilassata. Speravo solo che lui o lei mi avrebbe aiutata almeno ad alzarmi.

<< Guarda chi si rivede>>, disse la persona vicina a me.

Avevo già sentito quella voce.

Sollevai appena la testa, ignorando le gocce d'acqua che mi ricadevano sugli occhi, e incontrai lo sguardo di Beyond.

Anche lui era completamente bagnato, ma non sembrava curarsene, dato che si limitava a fissarmi con un mezzo sorriso che gli sollevava un angolo della bocca. Si avvicinò silenziosamente, colmando la distanza tra di noi. Non appena lo vidi chinarsi, mi ritrassi, terrorizzata, ben consapevole che in tal modo la caviglia sarebbe peggiorata. Infatti, mi sfuggì un lamento, più simile a quello di una bestiola in trappola, che di una persona. La caviglia pulsava e le contrazioni non accennavano a sparire.

<< Non devi agitarti così. Non voglio farti del male>>, mi assicurò lui, piegandosi sui talloni e lanciando un'occhiata alla caviglia.

<< E'...quello...>>, ansimai. Il tremore spezzò le mie parole.

<< Come?>>

<< E' quello che ha detto anche lui>>, sussurrai, incerta se mi avesse sentita o meno. Lo vidi avvicinarsi ulteriormente.

<< Metti un braccio attorno alle mie spalle>>, mi disse. Qualcosa nel tono della sua voce, non seppi cosa di preciso, fece apparire quella frase come un ordine.

<< Non ho chiesto il tuo aiuto!!!>>

La mia voce risuonò ferita, umiliata, sprezzante e disperata, più di quanto lo volessi. E non mi importava come l'avrebbe presa. In quel lasso di tempo che sembrava essersi fermato, continuavo a chiedermi cosa mai potessi aver fatto di ingiusto per trovarmi in quel luogo. Lo volevo sapere.

Perchè mi hai abbandonata, Signore? Mi odi così tanto?

<< Io non sono lui>>, mormorò il ragazzo, a pochi centimetri dal mio orecchio. Lo guardai di nuovo.

Una pelle diafana, della stessa consistenza del marmo bianco, ma più setosa, pura e intoccabile, impreziosita dalle gocce di pioggia che la imbrigliavano nel loro abbraccio cristallino.

Perfetta ed eburnea, come le ali degli angeli.

Questo sembrava, questo era.

Occhi di un demone incastonati nel corpo di un angelo.

Pericoloso e tentatore.

Abbassai lo sguardo.

Non posso fidarmi di lui.

Percepii un tocco diverso sulla mano, vellutato, caldo. Mi prese il polso, la forza celata dalla morbidezza di quel gesto, e lo mise attorno al suo collo. Dallo stupore mi mossi appena e il dolore divenne insopportabile. Strinsi le labbra con tanta forza che sentii il sapore del sangue sulla lingua.

Ma, in fondo, perchè continuare a soffrire in questo modo?

Dopo un ultimo attimo di esitazione, circondai le sue spalle con il braccio, assicurando una buona presa alle dita. Feci la stessa cosa con l'altro braccio. Lui portò una mano attorno al mio fianco e, facendo attenzione a non muovermi troppo la caviglia, avvolse l'altra sotto le mie ginocchia, sollevandomi da terra e premendo il mio corpo contro il suo.

Era molto caldo.

Infine, si rimise in piedi e iniziò a camminare.

Quasi senza rendermene conto, appoggiai la testa contro il suo petto, vogliosa di appropriarmi di quel calore e della sensazione di conforto che portava con sè.

 

 

Non ero mai stata in infermeria. Era spaziosa e preoccupantemente piena di armadietti e valigette, kit di pronto soccorso. Beyond mi depose con delicatezza su uno dei lettini.

La carta che rivestiva il sottile materasso non ci mise molto a inumidirsi; ero ancora zuppa da capo a piedi.

<< Ora chiamo qualcuno>>, disse lui, dirigendosi verso la parete opposta, per premere un bottone rosso.

<< Perchè l'hai fatto?>>, mi sfuggì, mentre cercavo di togliermi i capelli dal viso.

Lo vidi sospirare. << Il dottore non ha gradito il nostro piccolo malinteso, quel giorno in Mensa. Pretendeva che mi scusassi con te e ho pensato che questo favore bastasse. Ora non ti devo più nulla>>.

Tirai su col naso, evitando di guardarmi la caviglia. Non tremavo più.

Il capogiro persisteva, però, lento e indugiante.

Sentii uno strano fischio metallico e vidi che Beyond aveva schiacciato il bottone della chiamata. Feci un respiro profondo e mi passai una mano sulla faccia, per togliere le lacrime. Un movimento davanti a me mi fece ritrarre bruscamente.

<< Stammi lontano!>>

<< Volevo asciugarti le lacrime. Ti stai spalmando un sacco di fango sul viso>>, rispose lui, mostrandomi la mano che reggeva un fazzoletto di carta, come per sottolineare l'innocenza di tale gesto. Tuttavia, il mio sguardo ostile lo convinse a porgermi il pezzo di carta e a lasciar fare a me. Mi strofinai tutto il viso, finchè il fazzoletto divenne inutilizzabile.

<< Spiegami la ragione>>, mi disse Beyond, guardando di sbieco la mia caviglia, grossa quasi il doppio del normale.

<< E' pazzo, no? Quale altra spiegazione ci dovrebbe essere...>>, ribattei.

<< No. Intendevo, il motivo per cui sei intervenuta. Perchè darsi tante pene per una cosa così piccola?>>, replicò, lasciandomi perplessa. Capii poco dopo che si stava riferendo a Near.

Mi chinai lentamente, sollevando con attenzione la stoffa dei miei jeans. Chissà se sarei riuscita a sfilarmi la scarpa senza rimettermi a piangere o a gridare. Il dolore si era placato, ma avevo il terrore che tornasse all'improvviso.

<< Perchè>>, risposi, raddrizzandomi. << avevo un fratellino, una volta>>.

Lo sguardo di Beyond era talmente vacuo da rasentare noia o indifferenza, ma poi tornò a guardarmi e l'interesse si accese nei suoi occhi, sotto forma di incandescenti fiamme purpuree.

Sperai non mi chiedesse nient'altro e tentai di cambiare argomento.

Non vedevo l'ora che arrivasse il dottore.

<< Soffri di albinismo oculare?>>, la domanda mi uscì di bocca quasi senza il mio permesso. Lui inizialmente parve spiazzato da quello strano quesito, poi ridacchiò e scosse la testa.

Sapevo che chi era affetto da albinismo oculare tendeva ad avere le iridi rosse o rosa e per il colore dei suoi occhi non avevo saputo trovare altra spiegazione.

Strinsi le palpebre, quando la caviglia tornò a bruciare.

<< Posso darle un'occhiata?>>

Beyond non attese la risposta e si inginocchiò. << Poteva farti di peggio>>, commentò, guardandomi di sbieco.

<< Be', questo è confortante, davvero>>, borbottai. Vidi le sue labbra curvarsi in un sorriso. << Guarda che parlo seriamente. Sean è un caso grave e i tuoi stessi anni di vita coincidono alla metà dei ragazzini che ha picchiato a sangue in questo istituto. Lo castigano continuamente, ma sembra che non impari mai la lezione>>.

Iniziò a tirare lentamente la stringa della scarpa, per sciogliere il nodo.

Intanto, qualcosa nella mia testa sembrò accendersi.

[ ...la lettera S, alias Sean, ha avuto una delle sue crisi e ha finito col picchiare a sangue un ragazzino del reparto numero 3...]

Certo...l'avevo letto solo questa mattina, nel quaderno che avevo trovato il giorno prima.

Dal modo in cui mi sfiorava punti particolari dell'osso, osservandomi il piede con attenzione, mi sembrò quasi un medico.

<< Ho una laurea in medicina>>, disse inaspettatamente lui, neanche mi avesse letto nella mente. << Non è rotta>>.

Tirai un sospiro di sollievo.

Chissà se lui conosceva il tizio a cui apparteneva il quaderno...feci per domandarglielo, ma una voce allarmata riecheggiò nell'infermeria.

<< Lyanne, che è successo?>>

Naomi mi venne vicino, seguita dal dottore. << Cosa stai facendo? Allontanati!>>, aggiunse, rivolgendosi a B.

<< L'ho accompagnata qui, non riusciva a reggersi in piedi>>, si affrettò a spiegare, infilandosi le mani nelle tasche.

Naomi afferrò uno sgabello e vi appoggiò sopra la mia gamba.

<< Hai fatto quello che ti avevo chiesto?>>, gli domandò il dottore, inforcando un paio di occhiali ed esaminando il mio piede.

<< Sì, ho riparato l'errore fatto in Mensa, lei può confermarglielo. Vero?>>, disse, rivolgendosi a me. Be', io avrei avuto ancora qualcosa da ridire, ma in fondo, il suo aiuto mi era stato molto utile. << Sì>>, mormorai, cercando di non fare smorfie, mentre il dottor Yagami mi toglieva la scarpa.

<< Allora puoi andare, Beyond>>.

<< Preferisco restare, se non le dispiace>>.

La sua risposta fece aggrottare la fronte del dottore. Anch'io rimasi perplessa. Beyond si appoggiò allo stipite della porta e da quel momento non mi tolse gli occhi di dosso.

Premettendo che odiavo stare al centro dell'attenzione, dovetti sforzarmi il doppio per non fare troppe smorfie.

Era una distorsione, niente di grave. Però occorreva una fasciatura stretta e avrei dovuto camminare almeno per un paio di giorni con una stampella.

<< Posso sapere come è successo?>>, mi domandò il dottore, mentre avvolgeva la garza attorno al mio piede.

<< In giardino. E' stato un ragazzo di nome Sean, mi ha aggredita>>, risposi.

Le mani del dottore si fermarono.

<< Sul serio? E' stato Sean?>>, il suo sguardo si spostò verso Naomi. << C'era qualcuno con te che può confermare questa versione?>>

Per un secondo, rimasi stralunata. Cosa...? Non si fidavano?

Anche in quel posto servivano dei testimoni?

Cercai di lasciar correre.

<< Sì, lui può confermarglielo.>>, risposi, indirizzando un'occhiata sicura verso B, il quale alzò un sopracciglio, rivolgendomi uno sguardo falsamente sorpreso. << Vero?>>, aggiunsi, ripetendo le parole che aveva usato poco prima con me.

Il ghigno che prese forma sulle sue labbra mi mise in guardia.

<< Beyond?>>, lo incitò il dottore.

Lui puntò lo sguardo verso il pavimento. << In realtà, io visto solo lei a terra, che piangeva. Non ho fatto caso se Sean fosse lì o no>>.

Sbarrai gli occhi dallo sdegno.

Ma cosa cavolo stava dicendo...?!

Subito dopo, la cosa mi fu più chiara. Poco prima aveva detto: << ...ho pensato che questo favore bastasse. Ora non ti devo più nulla>>.

Tornai a fissare il dottore, decisa a non dargliela vinta. << C'era anche Near. Lui lo confermerà, perchè era con me. Se non fossi intervenuta, l'avrebbe picchiato. Non sto mentendo! Il suo braccio sanguinava...>>

<< In effetti, prima ho medicato una ferita sul braccio di Near. L'avevo trovato davanti al suo studio, forse la stava cercando, dottore>>, intervenne Naomi.

Quindi Near era andato ad avvertire il dottore.

<< E poi, non sarebbe una novità, né la prima volta che Sean ci causa dei problemi>>, aggiunse l'infermiera, squadrando la mia caviglia con aria di disapprovazione. Almeno c'era qualcuno che ragionava, in quella stanza.

<< Quindi, cosa farete?>>, volli sapere, notando che il dottore stava per andarsene.

<< Devo pensarci. Tu lascia che la gamba riposi, Lyanne, non alzarti subito dal letto, attendi almeno un'oretta>>.

<< Resto io con te. Tu puoi andare>>, disse Naomi, rivolgendosi a B.

Il ragazzo scomparve dalla mia visuale, ma prima che l'infermiera potesse chiudere la porta, un tornado biondo si fiondò nell'infermeria, rischiando di urtare lo sgabello sul quale era appoggiata la mia povera gamba.

<< Ehi, Lilly! Cosa ti è successo?>>

La voce acuta di Misa risuonò come un trapano nelle mie orecchie.

<< Ti ho detto di non chiamarmi Lilly!>>, sbottai, cercando di scostarmi da lei.

<< Fuori, Amane! La ragazza deve riposarsi>>, la ammonì Naomi, indicandole la porta e voltandosi, per raccogliere una boccetta di antibiotico.

Mentre Naomi era girata, Misa le rivolse con la mano un gesto osceno, per poi tirare fuori qualcosa dalla tasca degli shorts e lanciarmelo. Lo afferrai al volo. Era una piccola penna.

Naomi spinse letteralmente fuori Misa dall'infermeria e si diresse verso una scrivania bianca, posta in un angolo. Una delle pareti dell'infermeria aveva una grande vetrata, da cui si poteva scorgere il corridoio. Vidi Misa affacciarsi e scarabocchiarsi qualcosa sulla mano.

Poi schiacciò il palmo contro il vetro e riuscii a leggere:

 

                                                                                                          ALLORA?

 

Sospirai e tolsi il tappo della biro.

Poi alzai la mano, permettendole di leggere.

 

                                                                                                              SEAN

 

Fu il suo turno.

 

                                                                                               QUEL COGLIONE SFREGIATO!!!

        
                                                                                                        ORA STAI BENE? 

 

Annuii. Lei fece un sorriso e scrisse qualcosa sull'altra mano.

 

                                                                                                        OK. A DOPO!

                                                                                                                 


 

Sorrisi stancamente. Decisi di sdraiarmi un po' sul lettino, in attesa che il dolore passasse. Il dottore avrebbe voluto somministrarmi un anestetico, ma avevo detto di no. Provai a chiudere gli occhi, scacciando tutti i ricordi relativi all'ultima ora e senza accorgermene, mi addormentai.

 

                                                                                                                  ***

 

 

Due ore dopo mi trovavo davanti alla Mensa Comune, insieme a Misa.

<< Devi farmi un favore>>, esordii.

<< Tu ne devi fare uno a me: stai - alla - larga - dai - casi - gravi! E' così difficile da capire?>>, rispose lei, mettendosi le mani sui fianchi.

<< Parlo sul serio, ascolta...>>

<< Anch'io parlo sul serio!>>

<< Ascolta!!>>, sbottai, cercando di non perdere l'equilibrio su quella dannata stampella color verde vomito. << Devo entrare nello studio del dottor Yagami>>.

<< E che ci vuole? Ci sei già andata una volta!>>

<< No, devo entrarci, ma in modo che nessuno se ne accorga!>>, risposi, riducendo la voce a un sussurro. Misa si bloccò e strinse le palpebre.

<< E per quale motivo?>>, volle sapere.

<< Ho bisogno di dare un'occhiata ad un fascicolo>>.

Lei assunse un'espressione incuriosita. << Prima andiamo a mangiare. Ora come ora non saprei come fare, forse Mello potrebbe aiutarti. Quale fascicolo vorresti leggere?>>, mi chiese. << Quello di B?>>

<< No. Il mio>>

 

 

 

                                                                                                               [ continua]

 

 

 

Lo so che ho lasciato un sacco di quesiti in sospeso!!!

In realtà volevo scrivere un capitolo più lungo, ma ho sempre il timore di farlo "troppo" lungo e, di conseguenza, di rendere la scrittura troppo pesante!

Ringrazio le 11 persone che hanno inserito la fic nelle Preferite,

                 le 2 che l'hanno inserita tra le Ricordate

                 e le 22 che l'hanno inserita tra le Seguite,

ma soprattutto, grazie mille a coloro che hanno recensito lo scorso capitolo!!

Il prossimo aggiornamento sarà più rapido;) e dal settimo capitolo, le vicende si faranno più interessanti, ma anche più macabre, si entrerà un po' più nel vivo dei generi della mia fic, per intenderci...forse scriverò con uno stile un po' più aspro...e a tal proposito, non so se aggiungere tra gli avvertimenti " non per stomaci delicati"...mah. Ci penserò =)

Ditemi cosa ne pensate di questo capitolo!!

A presto, un bacione!!!!!!!!!!!

Luce

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  

 

Sorrisi stancamente. Decisi di sdraiarmi un po' sul lettino, in attesa che il dolore passasse. Il dottore avrebbe voluto somministrarmi un anestetico, ma avevo detto di no. Provai a chiudere gli occhi, scacciando tutti i ricordi relativi all'ultima ora e senza accorgermene, mi addormentai.

 

***

 

 

Due ore dopo mi trovavo davanti alla Mensa Comune, insieme a Misa.

<< Devi farmi un favore>>, esordii.

<< Tu ne devi fare uno a me: stai - alla - larga - dai - casi - gravi! E' così difficile da capire?>>, rispose lei, mettendosi le mani sui fianchi.

<< Parlo sul serio, ascolta...>>

<< Anch'io parlo sul serio!>>

<< Ascolta!!>>, sbottai, cercando di non perdere l'equilibrio su quella dannata stampella color verde vomito. << Devo entrare nello studio del dottor Yagami>>.

<< E che ci vuole? Ci sei già andata una volta!>>

<< No, devo entrarci, ma senza che nessuno se ne accorga!>>, risposi, riducendo la voce a un sussurro. Misa si bloccò e strinse le palpebre.

<< E per quale motivo?>>, volle sapere.

<< Ho bisogno di dare un'occhiata ad un fascicolo>>.

Lei assunse un'espressione incuriosita. << Prima andiamo a mangiare. Ora come ora non saprei come fare, forse Mello potrebbe aiutarti. Quale fascicolo vorresti leggere?>>, mi chiese. << Quello di B?>>

<< No. Il mio>>

 

 

 

[ continua]

 

 

 

Lo so che ho lasciato con un sacco di quesiti in sospeso, ma il prossimo aggiornamento sarà più rapido, tranquille!!! ;)

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Capitolo 7
*** sommersa nel buio. ***


 

 

     
                                                           7
.

                                                                            Sommersa nel buio.

 

 

Mentre mescolavo controvoglia uno yogurt, il martellio alle tempie finalmente era diminuito, pur senza sparire del tutto. Misa era ancora incuneata in un'interminabile fila, nell'attesa di riuscire a prendere un po' di carne.
Pizza.
Quanto mi sarebbe piaciuto stringere tra le mani una fetta di pizza, un piatto di pasta...insomma, qualcosa di decente. Invece, dovevo accontentarmi di quella poltiglia bianchiccia. Avvertii uno spostamento d'aria di fianco a me e mossi appena gli occhi per distinguere la chioma dorata e inconfondibile di Mello.

<< Cosa offre la casa, stasera?>>, mi chiese, allungando il collo per sbirciare ciò che conteneva il mio vassoio.

<< E' ancora mezzogiorno>>, risposi, atona.

<< Oh? Non me n'ero accorto>>, replicò lui. In effetti, il tempo era seriamente peggiorato, mantelli di nubi nere avevano coperto l'azzurro smorto del cielo, senza risparmiarne neppure uno spicchio, e la pioggia continuava furiosa.

Il cielo si estende all'infinito e perciò ha un numero infinito di lacrime da versare.

<< Sei a dieta, dolcezza?>>, mi chiese ancora, addentando una fetta di ananas.

<< Non ho fame>>.

<< Yogurt magro, senza grassi, senza colesterolo, senza frutta e con due gocce di latte. Sembra gustoso>>, commentò.

<< E' una merda>>, sbottai, strappandogli una risatina stupita.

<< Stare assieme a Misa ti condiziona molto più di quanto tu stessa credi, lo sai?>>, sghignazzò.

<< Non parlavo dello yogurt, ma di quel bastardo>>, aggiunsi, gli occhi fissi, intenti a squadrare con odio quel mostro di nome Sean, il quale era appena entrato in Mensa, dirigendosi a passo traballante, come quello di un ubriaco, verso il ripiano sul quale era stata appoggiata una pila di vassoi puliti. Ne prese uno e si diresse verso il bancone del cibo, superando tutta la fila. Scossi la testa, disgustata. Nessuno di quei poveri vigliacchi, poi, contestava nulla. Ovviamente.

<< Mello>>.

Lui si voltò verso di me.

<< Spiegami per quale dannatissimo motivo non ha reagito.>>

<< Che cosa?>>, mi chiese lui, aggrottando la fronte.

Incrociai il suo sguardo cristallino. << Mi sembrava di aver capito che quell'aggeggio alla caviglia servisse per non farlo uscire di testa e per impedirgli di fare male a qualcuno!>> Ridussi la voce a un sibilo. << Mi spieghi allora che cazzo è successo?! Come ha potuto aggredirmi, senza che quel coso lo elettrificasse?!>>

Lui spinse il suo vassoio da parte. << Non è semplice da spiegare. Sono macchine elettroniche, programmate per reagire in caso di violenza. Il problema è che possiedono un sensore capace di rilevare i battiti del cuore, tenendoli sotto controllo 24 ore su 24. Reagiscono solamente quando i battiti superano una certa velocità al minuto. In genere ciò avviene quando un individuo è arrabbiato o soggetto a un momentaneo sforzo fisico>>. Iniziò a giocherellare con un ciondolo che portava appeso al collo. << Si vede che Sean non ha dovuto sforzarsi più di tanto. D'altra parte, se ci pensi, anche quella volta con B è successa una cosa simile. Ma credimi se ti dico che se avesse voluto farti male sul serio, avrebbe reagito eccome>>.

<< Voleva farlo. Gliel'ho letto negli occhi, in quel momento aveva intenzione di ammazzarmi>>, mormorai, senza guardare la stampella che avevo appoggiato di fianco a me. Vidi Misa avvicinarsi al nostro tavolo con passo svolazzante e il vassoio pieno tra le mani coperte da guanti neri. Si sedette di fronte a Mello e aprì un cartoncino di latte.

<< Mel, Lilly ha un favore da chiederti>>, esordì, trangugiando una lunga sorsata.

Esitai. E se i dottori non avevano ancora scoperto nulla su di me?

Se l'avessero fatto mi avrebbero messa al corrente...o no?

<< Oh, a proposito, restituiscimi la penna>>, aggiunse, rivolgendosi a me. << E tieni questa, scrive in nero. Ci sono troppo affezionata a quella blu, mi serve per farmi i tatuaggi>>.

Frugai nella tasca anteriore dei jeans e le porsi la penna, sporgendo il braccio. Me la tolse di mano con una manata. << Imbecille! Non sventolarla così, davanti a tutti! Lo sai cosa mi farebbe Naomi se scoprisse che le ho rubate dalla sua borsa?>>, mi ammonì, lanciandomi un'occhiataccia.

<< Le hai rubate?>>, ripetei, fingendomi interessata, mentre seguivo con lo sguardo la lettera S.

<< Dove pensi di essere? Certo che le ho rubate, qui non ti danno niente in prestito, se non sotto la loro supervisione...ecco perchè ho preso anche questi!>>, rispose, infilando due dita sotto la manica dei lunghi guanti di velluto, per mostrarci un accendino. << Nel corsetto ho le sigarette>>, ghignò, facendo un'occhiata d'intesa a Mello. << Te ne offrirei una, ma sono certa che tu non abbia mai fumato in vita tua, vero Virgin Mary?>>, concluse, schernendomi.

<< Se ti diverte tanto attribuirmi certi soprannomi>>, mi lasciai sfuggire, più per stizza che per altro. << non oso chiederti a che età hai perso la verginità>>.

Stranamente, Misa rimase muta.

Un gemito inaspettato sfuggì dalle mie labbra, quando il martellio nella mia testa si acuì.

<< Scusate>>, borbottai, afferrando la stampella e dirigendomi verso l'uscita della Mensa. C'era troppo chiasso, lì dentro, la cosa non mi aiutava per niente.

In realtà non ero poi così sorpresa, avevo sempre sofferto di emicrania, era una cosa frequente, ma oggi mi dava particolarmente fastidio.
Stare in quel corridoio, tuttavia, equivaleva a dire incontrare parecchi infermieri, perciò mi diressi con decisione verso le scale, superando vari reparti.

Ce n'era uno, in particolare, che avevo sempre adocchiato di sfuggita, il reparto numero 2, nel quale venivano tenute le persone che non erano più in grado di interagire normalmente con l'ambiente esterno. Ad esempio, qualche giorno fa, una donna aveva fatto un disegno, colorandolo con le dita e poi me l'aveva regalato. Non mi aveva parlato, non mi aveva sorriso. Naomi mi aveva rivelato che si trattava di una donna matura, ma autistica, il cui corpo era imprigionato nella mente di una bambina di otto anni. Mi aveva anche detto il nome di quella malattia, ma proprio non me lo ricordavo.

La mia pancia brontolava come non mai, mentre iniziavo ad allungare la gamba sul primo piolo. Porca miseria, non avevo mai avuto bisogno delle stampelle in vita mia e in questa specie di Alcatraz non c'era nemmeno un ascensore!
Be', per la verità uno c'era, ma ai pazienti non era permesso usarlo... non era giusto, però. Davvero pretendevano che salissi quattro rampe di scale conciata così?
Mi bastò mezzo secondo per decidere e mi diressi verso l'ascensore.

<< Ragazzina, l'ascensore è vietato per te, lo sai?>>, berciò una voce sibilante e severa, che mi fece imprecare mentalmente e allo stesso tempo quasi inciampare.

Balbettai qualche scusa, voltandomi in imbarazzo per essere stata immediatamente sgamata, ma rimasi a bocca aperta quando vidi B davanti a me. Sghignazzava, compiaciuto.
A stento mi trattenni dal mandarlo a quel paese...credevo fosse uno degli infermieri.

<< Una ragazza momentaneamente impossibilitata a camminare bene non può scalare una montagna di scale, lo sai?>>, ribattei, mimando il tono della sua voce. Non mi riuscì granchè bene e mi parve che lui non avesse nemmeno colto l'ironia.

<< Vieni qui, allora>>.

<< Come?>>

<< Ti porto io>>.

<< Mi po... stai scherzando? Peserò cinquanta chili!!>>, esplosi, voltandomi per schiacciare il pulsante di chiamata dell'ascensore.

Premettendo che ancora non capivo come avesse fatto a portarmi in braccio fino all'infermeria, in quanto a muscoli non gli avrei mai dato un centesimo... ma questa sua improvvisa disponibilità mi aveva preso in contropiede.

<< Veramente, sarei pronto a giurare che pesi di più...>>, osò lui, il quale sembrò saggiare col pensiero il momento in cui mi aveva sollevata da terra.

Cos'era quella?
Una frecciatina?!
O solo un'osservazione?
Bah.

Spinsi con foga l'interruttore, ostinandomi a restare voltata per non guardarlo.
Il mal di testa non mi dava tregua.

<< Grazie, ma preferisco usare l'ascensore>>, mormorai. << E poi, sbaglio o avevi detto di non volermi fare più gentilezze?>>

<< Sbagli. Avevo detto che non ti dovevo più nulla. La proposta di adesso l'ho fatta solo perchè mi andava.>>

A me però non importava. Non mi era ancora sbollita la collera per la menzogna che aveva detto al dottore. Perciò rimasi muta, a testa alta, ascoltando il rumore dell'ascensore che scendeva pigramente verso di noi.

<< O forse... cerchi di tenere le distanze da me perchè ti piaccio?>>

Istantaneamente, le mie dita divennero della stessa consistenza di un ghiacciolo, mentre il soffio d'aria che avevo percepito all'orecchio - dato che si era tremendamente avvicinato - si trasformava velocemente in un brivido, un tremito che mi accarezzò i capelli, per poi scivolare come una goccia d'acqua lungo il collo e la schiena.
Non so di preciso cosa mi stupì maggiormente: ciò che aveva appena detto o il fatto che me lo avesse letteralmente sussurrato, con le labbra appoggiate al mio orecchio.
Mi voltai per sputargli in faccia una risposta decente, ma mi persi nel sorriso che stava nascendo in quell'attimo che pareva ancestrale.
Un sorriso che prometteva guai.
Dipendeva dalla mia risposta.
Il mio ego orgoglioso cominciò a farsi sentire poco dopo.

Due volte!

Erano due volte sì e no che ci eravamo parlati - ed era anche un ottimo record, considerando il tizio in questione -, ma cinque minuti di normale scambio di frasi piatte e prive di emozioni - da parte sua, ovviamente -, non lo autorizzavano a sparare certe cazzate sul mio conto.
Subito dopo aver formulato quel pensiero nella mia testa, sospirai con aria afflitta, rendendomi conto che quel Mello aveva ragione, quando aveva asserito che stavo diventando volgare almeno quanto Misa.

<< Ora come ora saresti l'ultima persona per la quale mi prenderei una cotta in questa gabbia di leoni>>.

Le porte dell'ascensore si aprirono e mi ci infilai dentro, il più in fretta possibile. I pulsanti andavano dal primo al quinto piano. Premetti il pulsante del secondo, ma prima che le porte si chiudessero, lui infilò in mezzo una mano, bloccando la chiusura. Le porte emisero un brontolio sordo e si riaprirono.
Cercai di mantenere un'espressione tranquilla.

<< Io sarei l'ultima persona?>>, quel ghigno era disgustosamente irritante. << Io no e Sean sì?>>

<< Non ho mai detto niente del genere>>, sibilai.

Lui ridusse gli occhi a due fessure rosso fuoco. << Spiegami una cosa, come mai ogni volta che mi fissi sembra che ti venga il voltastomaco?>>

Avevo ripuntato lo sguardo sui pulsanti, ma non mi servì guardarlo per capire che stava ancora sorridendo.

<< Questo dovrei chiedertelo io. La prima volta sei stato tu a dire che il mio volto ti faceva venire il voltastomaco. Stavolta sono certa di non sbagliarmi>>.

<< La prima volta avevi la mia marmellata ben spalmata sotto le narici, raccapricciantemente simile al sangue... credo che avrebbe fatto lo stesso effetto a tutti>>, asserì, abbassando il braccio.

Adesso avevo due opzioni: la prima era di pigiare nuovamente quel benedetto pulsante e sperare che stavolta mi lasciasse in pace. ( Altamente improbabile).
La seconda era uscire da quella scatola metallica che stava iniziando a causarmi attacchi di claustrofobia e affrontare con le mie sole forze le scale. ( Altamente impossibile).
Perciò schiacciai nuovamente il tasto del secondo piano più volte, pregando che le porte si chiudessero in fretta.

Questa volta, neanche il tempo alle ante di mettersi in funzione, che Beyond con un solo movimento fluido entrò nel vano, piazzandosi esattamente di fronte a me e distanziandomi di pochissimi centimetri; dalla sorpresa mi ritrassi, sbattendo contro la parete dietro di me.

Esci. Subito. Di. Qui.

L'ordine che il cervello impartì al mio corpo fu rapido, ma la mia gamba fasciata no. Infatti, prima di poter fare un passo, le porte cigolanti si chiusero e io mi ritrovai per l'ennesima volta quella mattina ad inveire mentalmente in modo davvero preoccupante.
L'occhiataccia che gli rivolsi lasciava intendere che volevo una spiegazione. Si strinse nelle spalle. << Anch'io devo andare al secondo piano>>.

<< Non avevi detto che l'ascensore era vietato ai pazienti? A prima vista sembri uno che rispetta le regole...>>, mi serrai le labbra con circospezione. Era a causa del male alle tempie se parlavo così, ma avevo paura di essermi spinta oltre, stavolta.

B aprì la bocca per dire qualcosa, ma il rumore cigolante dell'ascensore sovrastò la sua voce. Udimmo una specie di tremolio, come se il vano stesse graffiando contro le pareti della galleria verticale nella quale era racchiuso. La cabina traballò e mi sfuggì la stampella di mano.

<< Ehi...! Ma che...>>, esclamai, spaventata. Ora che non avevo più l'appiglio a cui tenermi, d'istinto allungai la mano verso il braccio di B, ma mi ritrassi, aggrappandomi come meglio potevo alla parete alle mie spalle.

<< Fa sempre così>>, mi rispose lui, completamente a suo agio. Un altro scossone e l'ascensore riprese a salire.

<< E' incredibilmente lento>>, sbuffò lui, ruotando il collo in una maniera a dir poco incredibile. Per fortuna non avevo mangiato niente: una visione del genere mi avrebbe fatta rimettere, il suo collo sembrava fatto di gomma!

<< Facevamo prima a prendere le scale>>, mi lanciò un'occhiata di falso rimprovero. << La prossima volta vedi di obbedire senza fare storie>>.

<< Non ci sarà una prossima volta>>.

<< Sei incredibilmente indisponente, oggi>>.

<< E' l'istinto di conservazione>>.

<< Credi in Dio?>>

<< Cosa?>>

Ed ecco che venimmo nuovamente scossi dall'ascensore, questa volta violentemente, tanto che io riuscii a tenermi dritta solo grazie al muro d'acciaio dietro di me. B invece, si sbilanciò in avanti, allungando le braccia ai lati della mia testa, appoggiandosi alla parete con le mani ed evitando così di finirmi addosso. Ma io rimasi pietrificata.

Ora i centimetri si erano estinti.
Rimaneva solo un misero pugno di millimetri a separare il suo volto dal mio.
Percepivo il suo odore, avvertivo il suo respiro regolare contro le mie labbra. Odorava di fragole.
Caricai i polmoni d'aria per gridargli di togliersi immediatamente, ma lui fu più svelto.

<< Hai gli occhi color glicine>>, disse, e sembrava sinceramente colpito. << Non me n'ero accorto>>.

Il mio respiro fece presto a diventare affannato e irregolare.

<< Nessuno ci fa mai caso. Ti sposteresti?>>

Lui non si mosse. << Guarda che non mi dai fastidio>>.

<< Tu ne dai a me!>>, ribattei.

<< Non ti piace questa posizione?>>, mi domandò inaspettatamente, ed ecco il solito ghigno superbo e malizioso.

Grazie al cielo, le ante dell'ascensore si aprirono con un lamento e la vista del corridoio mi provocò un sospiro di sollievo.

<< Non mi piaci quando fai così>>, dissi, ma il sorriso sul suo volto non fece altro che ampliarsi. Secondo tentativo. << Non mi piaci quando usi quel tono...>>. Quel tono...quel tono?? Accidenti, non avevo il coraggio di usare l'aggettivo a cui stavo pensando. Terzo tentativo. << Non...non mi piaci tu!!>>

Con uno scatto, si allontanò da me e si chinò a raccogliere la stampella caduta. Se la rigirò tra le mani, poi me la porse.
Gliela sottrassi con una manata, solo perchè non volevo notasse le mie mani tremanti. Uscii dall'ascensore, puntellando la stampella, nel ridicolo tentativo di trovare un minimo di equilibrio. Sembravo un'impedita e probabilmente era ciò che stava pensando anche lui.

<< Bene. Ci vediamo, ragazzina>>, disse lui, dirigendosi verso le scale.

Rimasi spiazzata.

<< Come...? Non avevi detto che dovevi salire anche tu qui?>>

<< Ho mentito>>, rispose, come se niente fosse. Intrecciò le mani e fece scrocchiare le nocche. << Odio usare l'ascensore, ma i novellini infortunati si spaventano sempre, poichè nessuno si prende la briga di avvertirli che quella vecchia ferraglia fa le bizze. Che tu ci creda o no, basta poco perchè i leoni imprigionati in questa gabbia si trasformino in teneri agnellini piangenti...>>, il suo sguardo volò vago verso il mio volto e mi augurai che non si stesse riferendo a me. << Ho pensato che se fingo di fare il bravo ragazzo, forse il dottore mi concederà un po' di libertà in più. Miro a liberarmi della cavigliera. E' proprio fastidiosa, specialmente quando sono sotto la doccia>>.

Perchè me lo sta dicendo?, rimuginai, mentre mi sforzavo di non proiettarmi nella testa la sua immagine nuda sotto lo scroscio dell'acqua.

<< E speri che io ti aiuti nell'impresa?>>, azzardai, con aria incredula.

<< Non lo spero. Lo so>>.

Superbo, non c'è che dire.

<< Cosa ti dà tanta sicurezza?>>

Lui mi concesse un ultimo sorriso, prima di iniziare a scendere la rampa. << Mi devi un favore!>>, esclamò, prima di sparire dalla mia vista.

 

 

                                                                                            ***

 

 

Ore 17.46.

Anzi, più precisamente sarebbe stato corretto dire: "ora dello sclero improvviso e assolutamente irrispettoso di Misa nella mia camera".
Era impazzita per due ragioni.
La prima era che aveva stranamente litigato con Mello; non mi ero neanche sforzata di capire il motivo, attraverso le sue parole spezzate e prive di senso. La seconda era che aveva portato in camera mia un completino che si ostinava a farmi provare, vogliosa di giocare alla personal stylist. Era piombata in camera proprio mentre stavo leggendo quello strano quaderno e la cosa non mi aveva fatto granchè piacere.
Dopo venti minuti di parlantina e di litigi nel tentativo di tener lontane le sue mani guantate che volevano levarmi la maglietta, mi scocciai.

<< Senti, invece di sclerotizzarti parlando sempre di Mello e giocando alla Barbie con me, perchè non vai a fare qualcosa di utile, che ne so... le parole crociate, ad esempio?>>

<< Che? Ti sembro una vecchia?>>

<< Io le facevo spesso>>, obiettai, non prendendola come un'offesa.

<< Oh, povere noi!>>, borbottò lei. << E non possiamo andare all'aperto. Le previsioni hanno detto che lungo la costa arriverà un uragano, stanotte.>>, mi avvolse attorno al collo una sciarpa di cachemire viola. << Questa ti sta d'incanto. Peccato che non ci tieni al tuo aspetto, saresti così kawaii se solo mettessi più in mostra le tette>>.

<< Kawa che?>>

<< Vieni, andiamo a fare un giro>>, mi prese per mano e mi guidò al primo piano. Quasi tutti i pazienti avevano assalito la Sala Giochi, i corridoi erano deserti. Misa arricciò le labbra scintillanti di gloss e mi lanciò un'occhiata furbetta.

<< Andiamo a farci una doccia?>>, propose, aumentando la stretta sulla mano.

<< Ma le docce aprono alle 18...>>

<< Tra poco, quindi! Aspetta, ho visto Mello...>>, mi fermò, frugando con gli occhi in mezzo a quella baraonda di gente.

Le lasciai la mano. << Vai da lui. Io devo andare al bagno...>>

<< D'accordo. Dieci minuti e arrivo anch'io>>, mi fece l'occhiolino e si diresse con coraggio in mezzo al branco.

 

 

Mi bagnai il viso lentamente, approfittando del fatto che non ci fosse nessuno, in quel momento. In genere l'acqua calda calmava le pulsazioni alle tempie, ma oggi sembrava tutto inutile. Forse dovevo chiedere un'aspirina al personale...

Mi asciugai con un pezzo di carta e gettai un'occhiata al quadrato di latta attaccato al muro. Provai a sorridere. In effetti, la sciarpa di Misa era la più bella che avessi mai visto in vita mia. Vellutata al tocco, sembrava viola, ma sotto le luci al neon assumeva delle sfumature blu ed era finemente intrecciata in disegni di ghirigori fantasiosi, che sembravano accendere il colore dei miei occhi. Afferrai gli estremi, per vedere se ci fosse una firma.

Burberry.

Strabuzzai gli occhi, incredula.
Quanto caspita guadagnavano le modelle?
O Misa era una shopaholic o le riviste di moda la ammiravano davvero tanto.

Uscii dal bagno e percorsi il corridoio del sotterraneo per dirigermi verso l'ascensore. La mia stampella produceva un ticchettio ovattato quando la appoggiavo a terra, simile ai rintocchi di un orologio.
C'era un'unica, lunga luce al neon che percorreva il soffitto del corridoio e in quel momento sfarfallava appena.
Tra me e l'ascensore c'erano le scale, dalle quali vidi scendere una Misa piuttosto scombinata.

<< E' scoppiata una zuffa di sopra?>>, le chiesi, osservando i suoi capelli spettinati.

Adesso il lucidalabbra si trovava dappertutto, tranne che sulla sua bocca. Compresi all'istante.

<< Mello e io abbiamo fatto pace>>, rispose, sistemandosi il colletto della camicetta nera. << Dove stai andando?>>

<< In ascensore. Le docce sono ancora chiuse>>.

Misa mi restò a fianco, osservando divertita il mio modo di procedere con la stampella.

<< E per la tua cartella clinica? Hai deciso cosa fare?>>

<< Ci sto lavorando...forse, però, la cosa più semplice è chiedere direttamente al dottore, ma...>>

<< Quel dottore è un fesso galattico. Fa tanto il paparino premuroso, quando poi è un gran brocco superficiale. Dammi retta, meglio evitare come la peste di instaurare un clima di fiducia con lui o con l'infermiere del tuo... oh, cazzo!>>, le sfuggì, quando la luce sopra le nostre teste si fulminò.

<< Che palle, non di nuovo!>>, sbottò.

<< Un altro black out?>>, chiesi, incredula. Avvertii il respiro di Misa accanto a me. << No. E' questa maledetta luce che si fulmina sempre. Ho perso il conto di quante volte mi sono ritrovata al buio, nuda, mezza insaponata, sotto la doccia. No, sta ferma; vedo se riesco a raggiungere l'ascensore. La luce all'interno del vano dovrebbe essere funzionante>>.

Percepii il suono dei suoi tacchetti che avanzavano esitanti e la sua mano che strofinava la parete.
Mi portai una mano alla testa, massaggiandomi con le dita una tempia. Avevo una strana sensazione, un formicolio alle dita che non accennava a sparire. E c'era un odore nell'aria che prima non avevo notato.

<< Vieni avanti, Lyanne! Occhio a non cadere!>>

E' una parola, pensai, mentre mi facevo strada, tastando il pavimento alla cieca con la stampella. Per un momento, mi sentii come una non vedente.

<< Trovato!>>, esultò lei. Sentii il click del pulsante di chiamata e il rumore metallico dell'ascensore che scendeva giù.

Con la stampella urtai inavvertitamente la sua gamba.

<< Ahi! Mi hai fatto male!>>, berciò.

<< Scusa>>.

<< Fa' attenzione. Non voglio finire come te>>.

<< Quest'Ospedale è da demolire. Non c'è niente di buono qui>>, sbottai, contrariata.

<< Cos'è quest'odore?>>, chiese lei, tirando su col naso. L'aveva sentito anche lei. Un odore dolciastro, leggermente nauseante. Mi voltai, cercando di capire da dove provenisse.

Ed ecco che le porte si aprirono. La forte luce dell'ascensore illuminò gran parte del corridoio.

Misa trasse un respiro di sollievo. << Alla buon'ora! Vieni Lilly. Mi sono davvero rotta, ho intenzione di dirgliene quattro a quell'idiota del dottore. Che ci vuole a chiamare un tecnico come si deve?

Inoltre, potrebbero anche dare una sistemata ai bagni, i lavandini sono praticamente mezzi diroccati e...Lyanne? Che hai?>>

Non risposi.

Avevo perso la voce.

La mia mente si era paralizzata.

<< Lyanne?!>>

Sapevo che Misa mi stava fissando, ma non stava guardando nella direzione giusta. Non appena i miei occhi si dilatarono dall'orrore, la ragazza seguì il mio sguardo, verso la parete di fronte a noi.

Non so cosa attirò per primo la sua attenzione, ma so che io vidi prima il corpo. Un corpo avvolto nell'ombra, rigido e penzolante.

La seconda fu la sua gola, che reggeva a malapena la testa, gli occhi sporgenti, ruotati fino a mostrare solo il bianco, la pelle del collo segata dal filo metallico allacciato varie volte attorno ad esso, e annodato attorno a uno dei tubi della luce, ormai spenta.

La terza fu la persona accovacciata per terra, esattamente sotto il cadavere, che teneva la testa verso l'alto, come se stesse ammirando la scena da un' angolazione molto interessante. Dalla mia gola sfuggì un gemito soffocato, e lui voltò di scatto la testa verso di noi.

<< AaaAAAAAAAaAaAaaahhhhh!!!!!!!!!!!>>, l'urlo che si sprigionò dalla bocca di Misa era imbevuto di terrore e panico, mentre la lunghezza del sotterraneo amplificava la sua voce in un'eco mostruosa.

Indietreggiò bruscamente, inciampando per terra.
Si rialzò e corse verso le scale, ma perse nuovamente l'equilibrio.
Raggiunse i gradini e sparì dalla mia visuale, senza smettere di lanciare urla d'orrore.

Io non provai neanche a correre.
Non riuscivo a muovermi, qualsiasi tentativo della mia testa di connettersi al corpo era vano. Lo vidi alzarsi in piedi e dirigersi verso di me.
Mi rattrappii contro il muro, lasciandomi scivolare a terra, la voce congelata, gli occhi bloccati dalo sgomento e dalla paura agghiacciante.
Riuscivo a vedere le gocce di sangue che colavano dalla gola lacerata di Sean, per poi battere dolcemente sul pavimento, scandendo il suono dei passi della persona che si stava avvicinando a me.
Le porte dell'ascensore si chiusero, sommergendo nuovamente l'angusto corridoio al dominio dell'oscurità.

Nascosi il volto tra le mani, anche se ormai il buio non mi permetteva di vedere nulla. Mi coprii le orecchie con disperazione, per non sentire il suono dei suoi passi.

Rimasi così, senza sapere nemmeno cosa stessi attendendo.

 

 

<< Lyanne?>>

Quando avvertii una mano posarsi sulla mia spalla, lanciai un urlo e iniziai a dare colpi alla cieca con le braccia, ma due mani forti bloccarono i miei polsi.

<< Calma, calma! Venite, serve aiuto!>>, la voce mi era famigliare.

Era uno degli infermieri addetti al reparto numero uno. Mi fece alzare in piedi, ma le mie gambe tremavano convulsamente ed evitai di sbattere sul pavimento, solo perchè le sue braccia mi sorressero in tempo.
Il mio sguardo vagava sul pavimento, mentre il sudore aveva ricoperto la pelle pallidissima delle mie mani.

<< E' sotto shock. Portatela di sopra, immediatamente. Non fate scendere nessuno!>>, questa sembrava la voce del dottore.

Un'altra fitta alla testa mi costrinse a chiudere gli occhi.

 

 

Ore 22.30.

La polizia aveva caricato via il cadavere ed era rimasta ore a controllare la scena del delitto, andandosene solo pochi minuti prima.
Dopo avermi accompagnata in infermeria, l'infermiere aveva notato che la mia schiena era sporca di sangue. Inizialmente pensava fossi ferita, ma poi venni a sapere che avevano trovato una scritta sul muro, quello su cui avevo sbattuto.

Qualcuno aveva scritto col sangue la frase " emendavi fu rovi".

Il dottore aveva insistito a visitarmi personalmente, azzardandosi a chiedermi cosa fosse successo e facendo altrettanto con Misa.
Più tardi, lei ed io ci trovavamo nella sua camera, nel più completo silenzio. Il dottore aveva già avvertito gli altri pazienti di lasciarci in pace e sembrava che il messaggio fosse arrivato chiaro e tondo. Adesso, tutti quanti non facevano altro che parlare dell'omicidio della lettera S.

Mi stropicciavo la sciarpa di Misa tra le dita. Le mie mani tremavano ancora.

<< Si è macchiata di sangue. Mi dispiace>>, la informai, mostrandole la stoffa rovinata.

Lei le lanciò un'occhiata, senza cambiare espressione.

<< Era di Burberry>>, mormorò con voce scialba.

Ripiombò il silenzio.

Feci un respiro profondo.

<< Misa...tu l'hai riconosciuto?>>

Lei deglutì. << All'inizio no. Poi, quando ho visto la cicatrice...oh, merda. Sento che tra poco rimetterò di nuovo...>>

<< No>>, insistetti. << Intendevo il...sì, insomma...l'altra persona. Tu cos'hai detto al dottore?>>

Lei mi fissò, corrugando appena la fronte.

<< Gli ho detto che ho visto il cadavere>>, rispose, scandendo la frase lentamente.

<< E l'altra persona?>>, chiesi, impaziente.

<< Ma di chi parli?>>

<< Dell'uomo...di...di quello accovacciato per terra, che...>>

Misa chiuse gli occhi, scuotendo la testa. << Cazzo, Lyanne! Non ho guardato se c'era qualcun altro lì! Come dire, ero un tantino preoccupata per il cadavere appeso con il collo mezzo tranciato... o forse tu non l'hai notato?>>, mi schernì, con un'espressione esasperata nello sguardo. << Senti, per favore vai via. Io non... non ce la faccio a parlare, scusami. Ci vediamo domani, magari>>.

Detto ciò, non mi restò che andarmene.

I corridoi erano controllati dagli infermieri, quella sera più nervosi del solito. Quando giunsi al mio reparto, Light mi venne incontro.

<< Ciao>>, mi salutò, avvicinandosi con premura.

Non gli risposi.
Avanzai a fatica fino alla mia camera, lasciandomi cadere sul letto, che cigolò più del solito.

<< Lyanne...vuoi parlarne?>>, mi chiese il ragazzo, sedendosi sul materasso, accanto a me.

<< No.>>, risposi. << Però...ho paura a restare sola>>, aggiunsi, affievolendo la voce.

Lui si morse il labbro. Sembrava indeciso a dire qualcosa. << Questa sera chiuderemo tutti i pazienti a chiave, nelle loro stanze. Non devi preoccuparti. Ci sarò io a sorvegliare il reparto>>.

Lo fissai, incitandolo a continuare.

<< Molto probabilmente, l'assassino si trova all'interno dell'Ospedale, la nostra è una premura. Utilizzeremo qualsiasi forma di precauzione finchè la Scientifica non avrà trovato una pista>>.

<< E la scritta lasciata sul muro?>>

<< Non hanno saputo trovarci un senso. Il che inclina ulteriormente a pensare che il colpevole sia uno dei pazienti... forse, un altro caso grave.>>, tacque, alzandosi dal letto e uscendo dalla stanza.

<< Cerca di dormire>>, disse, prima di chiudere la porta.

 

 

 

                                                                                      [ continua...]

 

 

 

 

Oh be', posso affermare che mi è venuto meno cruento di quanto pensassi XD

 

Inizio subito a dire una cosa: la scritta sul muro sembra priva di significato, ma in realtà è un anagramma.
So che probabilmente non ve ne importerà, ma lo dico solo per coinvolgervi un po' di più; se c'è qualche audace ( e paziente) lettore in grado di risolverlo, ci provi pure!

Tanto la soluzione verrà svelata nel prossimo capitolo...;)

Allora, che ne pensate?

Alla fine non ho aggiunto l'avvertimento " non per stomaci delicati", perchè secondo me non ce n'è poi tanto bisogno :)

 

E vi chiedo scusa se non ho risposto alle vostre recensioni, ma questa settimana non avevo quasi nemmeno il tempo di concludere il capitolo!!

Avrei preferito pubblicarlo dopo avervi risposto, ma non volevo farvi attendere troppo!

Non succederà più =)

Grazie alle 16 persone che hanno inserito la fic tra le Preferite,

alle 2 che l'hanno inserita tra le Ricordate

e alle 29 che l'hanno aggiunta tra le Seguite

e grazie di cuore ha chi ha recensito lo scorso capitolo!! <3

Grazie anche a chi ha semplicemente letto,

a presto, bacioni

Luce 

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Capitolo 8
*** mi devi un favore ***


 

 

                       
                                                                                                                                                          8.

       
                                                                                   Mi devi un favore.

 

Erano passati tre giorni e finalmente avevo potuto dire hasta luego alla stampella e alla fasciatura. Onestamente, non mi sentivo poi tanto felice, era stato un periodo movimentato. In primis, la polizia aveva voluto interrogare me e Misa, essendo state noi le uniche persone presenti sulla scena in quel momento.

Inizialmente, ero stata in procinto di rivelare agli agenti la presenza dell'uomo che avevo visto chino a terra, ma poi all'ultimo momento feci marcia indietro e confermai la versione di Misa.

<< Però il dottore ci ha detto che gli hai raccontato di aver visto un'altra persona vicina al cadavere, è vero?>>, aveva obiettato uno dei due, un ometto basso e pelato, dallo sguardo accusatore.

Me l'ero cavata, giocando con le frasi: << scherzi delle ombre>> e << panico momentaneo>>, ingarbugliando volontariamente più pensieri differenti, solo per apparire più confusa di quanto fossi in realtà.

Adesso mi trovavo in giardino, la schiena appoggiata su un tronco, e utilizzavo i miei indici come ponticelli per il passaggio di una coccinella che mi stavo divertendo a sfiancare. Infine, stufa del mio giochetto, aprì le ali e volò via.

Ripensai alla figura oscura del corridoio. Quando si era accorta nella nostra presenza, quando si era voltata di scatto, per una frazione di secondo la luce dell'ascensore aveva illuminato una parte del volto. Non capivo il motivo, ma avevo la sensazione di conoscere quei lineamenti.

Scrollai la testa, nel tentativo di allontanare quei pensieri. Se davvero il colpevole era uno dei membri dell'Ospedale, personale o pazienti che fossero, non mi sentivo poi tanto tranquilla. Sicuramente Sean aveva un sacco di nemici, ma chi sarebbe arrivato a commettere una brutalità del genere?

E poi, quel messaggio sulla parete...non significava nulla. Non aveva alcun senso e tutto l'andirivieni di poliziotti e psicologi non aveva fatto altro che agitare i pazienti, con l'ottimo risultato di far indurire gli atteggiamenti degli infermieri nei nostri confronti. I casi gravi erano stati immediatamente isolati e interrogati singolarmente.

Tirai fuori dalla tasca dei pantaloni un foglietto di parole crociate che avevo strappato da un giornale all'ingresso. Lo girai e presi la penna che mi aveva dato Misa.

Era assurda l'idea che mi era balenata in testa da circa mezz'ora.

Assurda, ma non impossibile.

Io non soffrivo di problemi alla vista, ergo ero sicura di aver visto qualcuno. Il problema era che avevo anche una mezza idea di chi fosse quel qualcuno.

Capelli scuri, scompigliati...

Mi rigirai la penna tra le mani, poi tolsi il cappuccio.

...Quando si era alzato in piedi, mi ero accorta di quanto fosse alto.

Appoggiai la biro su una parte bianca del foglio e cominciai a scrivere.

Cos'ha fatto Beyond per avere la cavigliera elettronica?

Da quanto tempo lo tengono qui?

Era da un po' che non riuscivo a togliermelo dalla testa, ma quantunque avessi tentato in ogni modo di pensare a qualcos'altro, gli occhi mi riproducevano sempre la stessa immagine, il suo sorriso malvagio, i suoi occhi color rubino... passai ad un genere di quesiti ancora più seri.

Beyond è un malato terminale di mente?

Beyond è un assassino?

Rilessi quello che avevo scritto. Esistevano, almeno, i malati terminali di mente?

Esitai un momento, tenendo premuta la punta della penna sul foglio.

Beyond ha una ragazza?

Dopo essermi resa conto di cosa avevo scritto, riempii la domanda di inchiostro, in modo che diventasse illeggibile. Mi diedi dei colpetti alla fronte; che caspita stavo facendo?

Io che fantasticavo?!

Io, che non avevo mai baciato nessuno in tutti i miei timidi sedici anni di vita, che ora si prospettava come una lunga, snervante attesa della morte, considerando il luogo in cui ero imprigionata...

Piegai il foglietto e lo infilai nella tasca posteriore dei jeans, sollevandomi da terra. Ogni tanto, in quel quaderno il proprietario aveva fatto anche il nome di Beyond, ma non aveva scritto nulla di spaventoso, né di ostile su di lui, almeno, per le poche righe che c'erano.

Continuavo a trovare così strano il fatto che quel quaderno fosse stato seppellito...da chi? E perchè, poi?

Per non parlare del cadavere di Sean...oddio, ogni volta che chiudevo gli occhi me lo ritrovavo davanti, scalzo, con i piedi a un metro da terra. La notte scorsa avevo persino avuto un incubo. Mi diressi verso il giardino principale, facendomi strada tra le fronde - a mio parere il Wammy's Hospital necessitava con urgenza di un giardiniere -, quando vidi una persona seduta sul ramo di un albero.

Mi vide anche lui.

Per un attimo mi venne voglia di fermarmi, ma volevo andare da Misa; era da quasi tre giorni che evitava un sacco di gente e volevo sapere come stava, perciò continuai, fingendo di non averlo visto. Purtroppo la sua frase mi costrinse a fermarmi.

<< Non bastavano gli ultimi due incontri movimentati che abbiamo avuto questa settimana, hai deciso di concedermi un'extra?>>, sorrise. << Per caso mi stai tallonando?>>

Prima di accorgermene, mi trovai con il naso rivolto all'insù, a squadrare quel volto beffardo.

<< Guarda che quello che mi segue sei tu!>>, ribattei, cercando di non fare uscire la voce strozzata.

Beyond picchiettò il ramo robusto sul quale era seduto con il palmo della mano, dicendomi: << Vieni qui>>.

<< Dove?>>

<< Sull'albero, Cappuccetto Rosso. Sali, vieni vicino a me>>, ripetè.

<< Non ci vengo, vicino a te!>>

<< Non era una richiesta>>, specificò, abbandonando l'umorismo nella voce.

Digrignai la mascella; chi credeva di essere?

Ripresi a camminare, ignorandolo completamente.

<< Scommetto che sei al settimo cielo, adesso...>>, disse lui, voltandosi con il busto, mentre io sorpassavo il tronco. << dato che S è morto. Dì la verità, non aspettavi altro, vero?>>

Sbuffai e mi fermai nuovamente, anche se non avevo intenzione di farlo.

<< Cosa vorresti insinuare?>>

<< Sali e te lo dirò>>.

<< Non attacca, spiacente>>, ribattei, decisa a non cedere.

Beyond alzò gli occhi al cielo. << Quando una persona che odi con tutta te stessa passa all'altro mondo, non puoi fare altro che rimanere soddisfatta. Provi un forte senso di compiacimento, vero?>>

<< Punto primo: non lo odiavo. Non ci stava con la testa, ma non era mica colpa sua. Punto secondo: tu non sai un bel niente di me, quindi evita di sparare certi giudizi!>>

<< Oh, non so niente di te?>>, le foglie coprivano a tratti il suo volto, ma mi parve che stesse sghignazzando. << Da quel che ne so nemmeno tu sai niente di te>>.

<< Non sono affari tuoi>>, sbottai, sperando che la conversazione finisse lì. Mi voltai e ripresi a camminare.

<< So molte cose che ti riguardano, sai?>>, parlava ancora, ma mi ero imposta di non fermarmi più. << Non vorresti sapere cosa c'era scritto nel tuo fascicolo?>>, mi chiese, improvvisamente.

Mi fermai e feci rapidamente dietro-front, maledicendo la mia debolezza e maledicendo lui.

<< Stai mentendo!!>>, esplosi, quando mi ritrovai a fissarlo nuovamente dal basso verso l'alto. Lui mi rivolse un sorrisetto perverso.

<< Con chi credi di parlare?>>

Cercai per un secondo di chiarirmi le idee. Sentivo che, da qualche parte dentro di me, qualcosa si stava surriscaldando.

<< Tu...hai letto il mio fascicolo?>>, scandii le sillabe con la voce di un robot. Non riuscivo a crederci, era assurdo!

<< Se è per questo, ho letto il fascicolo di ogni persona che giudicavo degna di attenzione, in questo posto. Sai, mi annoio facilmente...>>, esordì B, distendendo le lunghe gambe coperte dai jeans sul ramo.

<< Che cosa c'era scritto? Dimmelo!>>, esclamai, incapace di trattenermi.

<< Certo...ma niente è gratis a questo mondo, lo sai, vero?>>

Mi bloccai. Guardai il tronco, poi guardai lui. Non mi restituiva lo sguardo, stava incidendo con un ramoscello spezzato la corteccia del tronco.

Ok, che sarà mai..., mi dissi, mentre mi aggrappavo con le mani sulle sporgenze bernoccolute del tronco.

<< Fammi spazio>>, gli dissi. Era appoggiato con la schiena sul tronco e le gambe allungate sul ramo sporgente; le ritirò, ma non si spostò.

<< Superami>>, mi provocò. Sospirai. Staccai le mani dal tronco e mi sistemai sul ramo come meglio potevo, cercando di toccarlo il meno possibile. Tuttavia, quando lo "scavalcai", non mi sfuggì l'occhiata che rivolse al mio seno, un po' più in vista del solito, a causa della maglietta scollata.

Ebbene sì, avevo seguito il consiglio di Misa, ma tutto ad un tratto mi chiesi perchè diavolo l'avessi fatto.

<< Forza, allora.>>, dissi, sedendomi finalmente e trovando l'equilibrio giusto. Lui mi guardava, senza dire nulla. << Cominciamo?>>, domandai, ironica.

<< Certo. Preferisci sopra o sotto?>>

Mi ci vollero cinque secondi per cogliere l'allusione e la mia faccia ci mise molto meno ad imporporarsi.

<< Parlo seriamente>>.

<< Anch'io>>.

Fantastico.

<< Dicevi davvero, prima, quando hai detto che hai letto il mio fascicolo?>>, chiesi, improvvisamente sospettosa.

<< Dicevo davvero>>, rispose, senza abbandonare il sorriso.

<< Bene. Parla, allora>>, lo incoraggiai, cercando di non dare a vedere quanto fossi curiosa.

<< Non mi sembra di averti detto che ti avrei spiattellato tutto. Sai, quelli sono appunti riservati...>>, sussurrò, avvicinandosi a me. << ...proprietà degli psicologi. Bisogna mantenere il segreto professionale>>.

<< Non sei uno psicologo, mi sembra che tu per primo non abbia rispettato la prassi>>, sibilai, sforzandomi di mantenere il tono gentile, ben sapendo che mi stava solo prendendo in giro.

<< Avrei dovuto diventarlo. Te l'ho già detto di aver preso una laurea in medicina. Ma mi sono dimenticato di accennarti le altre: psicologia, biologia e lettere antiche>>.

<< E allora perchè sei qui?>>, domandai. << Quanti anni hai?>>, gli chiesi subito dopo, rendendomi conto che mi aveva citato ben quattro lauree.

<< Ventitrè>>.

<< Allora sei un bugiardo. Non puoi esserti laureato in tutte queste cose in così poco tempo>>, ribattei, nascondendo il turbamento.

Lui scrollò le spalle. << A quanto pare nel mondo esistono persone più sveglie di te>>.

<< D'accordo. Me ne vado>>, sbottai, alzandomi per raggiungere il tronco. Quasi rischiai di perdere l'equilibrio, quando sentii chiaramente la sua mano darmi una pacca sui glutei.

Mi sbilanciai e mi aggrappai alla corteccia, voltandomi di scatto.

<< Ma che cazzo fai?!>>, berciai, arrabbiatissima.

Lui si raddrizzò. << Un millepiedi...pelosissimo...l'ho preso!>>, esultò, schernendomi con lo sguardo. Aprii la bocca, già pronta ad urlargli in faccia un insulto del tipo bastardo di un pervertito o roba del genere, quando lui mi sventolò davanti un foglietto. << Ti stava smangiucchiando questo>>.

Mi portai convulsamente le mani sulle tasche posteriori dei jeans, frugando all'impazzata, alla ricerca della pagina strappata che tenevo lì fino a poco fa.

Razza di..., l'aveva fatto apposta!

Tornai a fissarlo e mi accorsi che aveva aperto il foglio e stava leggendo le domande.

<< Ridammelo subito!!!>>, ringhiai, lanciandomi verso di lui.

Con i riflessi degni di un felino, scattò in piedi e fece un salto, aggrappandosi con le braccia al ramo sopra la sua testa. Lo vidi continuare a salire e fermarsi su uno dei rami più alti. Non avevo scelta. Iniziai ad arrampicarmi il più in fretta possibile. Se leggeva quello che avevo scritto era finita.

<< Ridammelo, hai sentito?>>, urlai.

<< Beyond è un malato...terminale di mente?!>>, lesse. << Beyond è un assassino?>>

L'avevo quasi raggiunto, ma lui mi afferrò la testa con una mano e mi tenne giù, impedendomi di arrivare alla sua altezza.

Dal tono di voce che usò subito dopo, capii che era riuscito a leggere anche l'altra domanda. << Beyond ha una ragazza?>>

Dio, sii misericordioso e ammazzami!, pensai rassegnata. Come diavolo aveva fatto a leggerla, dopo che ci avevo tracciato almeno quindici righe sopra?!

Improvvisamente, con uno scatto, atterrò sul mio ramo, facendolo oscillare preoccupantemente. Spaventata, mi rattrappii sul tronco.

Lui si mise davanti a me, appoggiando un braccio sulla corteccia e piegandosi verso di me. Udii uno scricchiolio, quasi impercettibile.

<< Il ramo non ci reggerà entrambi!>>, mi lasciai sfuggire, sperando che si allontanasse da me.

Lui ignorò bellamente il mio avvertimento e mi parlò con serietà. << Invece di crogiolarti con tutte queste seghe mentali, faresti prima a chiedermele in faccia, le cose, perchè se c'è una cosa che non tollero è che la gente mi parli alle spalle>>.

Mi indignai.

<< Io non parlo alle spalle di nessuno! E comunque...quelle domande le ha scritte Misa!>>, mentii spudoratamente. Purtroppo, l'espressione sul viso di Beyond non fu quella che mi aspettavo.

<< Pensi davvero di fregarmi? Misa Amane lo sa da quasi un anno che sono un assassino, che bisogno avrebbe avuto di scriverlo su un pezzo di carta?>>, disse, con un barlume di vittoria negli occhi.

<< Be', immagino che ab...che abbia...>>, la voce mi si affievolì. Riavvolsi il nastro e riascoltai ciò che aveva detto... aveva confermato?

Aveva confermato alla domanda in cui chiedevo se era un assassino?

Mi irrigidii improvvisamente.

<< Ma non sono un...com'era?>>, controllò sul foglietto. << Ah, sì...malato terminale di mente. Non che io sappia, almeno>>.

Mi scostai bruscamente da lui e iniziai a scendere dall'albero, imponendo a me stessa di non guardare giù.

Lui mi seguì, muovendosi con lentezza. << E non sono impegnato, se ti interessa>>.

Mi trovavo a poco più di tre metri da terra, quando la mia scarpa perse adesione sul tronco ricoperto di muschio e scivolai giù.

Non ebbi il tempo di gridare, che sentii B afferrarmi il polso e portarmi l'altro braccio dietro la schiena. Adesso ero inclinata all'indietro e l'unica cosa che mi impediva di cadere era lui.

<< Sei proprio un'imbranata!>>, sospirò.

Cercai di raddrizzarmi, ma lui non me lo permise.

<< Per favore...>>, iniziai a dire.

<< E se adesso ti lasciassi?>>, mi sussurrò. << Come minimo ti romperesti l'altra caviglia>>.

Non dissi nulla. Sapevo che se avesse voluto lasciarmi l'avrebbe fatto senza problemi.

Mi attirò più vicina a lui, spingendomi contro il tronco.

<< Tu non sei un caso grave, sei un caso disperato! E non voglio più che ti avvicini a me!>>, mi lasciai sfuggire, in preda al panico.

<< Che paura...>>, mormorò lui. Mi scostò con indicibile lentezza un ricciolo dal viso, sistemandomelo dietro l'orecchio. << per me, invece, è l'esatto contrario, ragazzina. Talvolta sai essere davvero interessante. Ci sono parecchie cose che vorrei chiederti...e tu? Non ti va di sapere qualcosa su di me?>>, mi provocò, quasi già sapendo che avrei ceduto.

<< Già sapere che sei un assassino è una cosa sconvolgente>>, sibilai, cercando di allontanarmi.

<< Ridillo. Sconvolgente. Quando usi quel tono i tuoi occhi diventano sconvolgenti, difficile resistere>>.

A dire il vero niente mi sconvolgeva più dei suoi occhi, ma stavolta riuscii a stare zitta.

<< Lasciami stare!>>

<< Forse hai ragione. Non ti fa bene frequentare uno come me>>.

Frequentare? Decisamente non era il verbo che avrei utilizzato io.

<< Quindi, fatti trovare stasera alle dieci davanti alla stanza numero 5 del reparto numero 1>>.

Aggrottai la fronte. << Perchè?>>

<< E' la mia stanza. Bada bene, è l'unica occasione che hai per scoprire ciò che c'era scritto in quel fascicolo.>>, rispose, lasciandomi di stucco.

Scese dagli ultimi rami e mi porse una mano per aiutarmi.

Riuscii a toccare terra senza graffiarmi troppo e soprattutto senza il suo aiuto, poi lo fronteggiai.

<< Non penserai davvero che verrò da te, stasera?>>

<< Fai come ti pare. Ma ti avverto che entrare nello studio del dottor Yagami non è per niente facile. Inoltre, per scoprire qualcosa su di te ho dovuto forzare il cassetto della sua scrivania, quindi ora avrà adottato nuove precauzioni>>.

Tu guarda che bastardo.

 

 

Tornata nella mia stanza, rimasi sorpresa nel vedere Misa stravaccata sul mio letto, intenta a leggere qualcosa. Mi avvicinai lentamente...

Oh, no. E se aveva trovato il quaderno?!

<< Lilly, meno male che sei arrivata! Mi serve aiuto>>, mi accolse, voltandosi verso di me e sventolando un giornale di enigmistica.

Trassi un respiro di sollievo. Il quaderno era ancora al sicuro, sotto il materasso.

<< Come stai?>>, le chiesi, mentre lei mi faceva spazio per farmi stendere.

<< Diciamo che ora mi sto pentendo di aver seguito il tuo consiglio. Stanno facendo gli esami del sangue a Mello e non so cosa fare. Cosa sono questi?>>, mi porse la rivista.

<< Rebus. Indovinelli a figure.>>, le spiegai, sbirciando le risposte che era riuscita a dare. << Non ne hai azzeccato uno>>.

<< Mi hai appena scoraggiata. Vabbe', lasciamo stare, neanche mi piacevano, tanto. E questi?>>

Nascosi uno sbadiglio. << Anagrammi. Devi essere in grado di creare una nuova frase, usando le lettere di quella già esistente. Una frase che abbia senso, però>>.

<< Sembra divertente. Qui dice che deve venire fuori un nome>>.

Dopo neanche dieci minuti, si arrese.

<< E' impossibile! Questa frase non ha senso!>>. Nel momento in cui lo disse, fui colta da un leggero deja vù. Smisi di giocherellare con i suoi codini biondi e sbuffai.

<< Fammi vedere>>. Presi la rivista e studiai l'anagramma. << Amarsi...>>, mormorai. << Il nome è Marisa. Sei una schiappa>>, mollai il libro sul cuscino.

<< Ehi, è vero!>>, esultò. Scrisse la risposta e passò al successivo. << Ci potevo arrivare anch'io...grazie, ti devo un favore!>>.

<< Prego...>>, dissi, un secondo prima di sentire una molla scattare nella mia testa.

Emendavi fu rovi.

[ E' impossibile! Questa frase non ha senso!]

Emendavi fu rovi.

Scritta così non voleva dire nulla...forse perchè, anche in questo caso, le parole erano mescolate.

Mi rialzai e strappai la penna di mano alla biondina. Ignorando le sue proteste, presi la rivista e ci scrissi la frase dietro, improvvisamente assalita da un dubbio atroce.

<< Che stai facendo?>>, mi chiese, curiosa.

Mi lasciai sfuggire un verso e cancellai la prima risposta.

<< Lyanne, vuoi rispondermi?>>

Non le badai e continuai.

Passò qualche minuto e Misa si spazientì. << Molla la penna! Mi stai consumando tutto l'inchiostro!>>

Rimasi a fissare incredula ciò che mi era uscito dallo scomporre le lettere e ricombinarle. Sentii il mio corpo ricoprirsi di brividi gelati.

Era un anagramma.

Ma la cosa agghiacciante era il messaggio nascosto.

Era la stessa cosa che Beyond mi aveva detto pochi giorni fa...lo stesso giorno in cui Sean era stato ucciso.

E Beyond mi aveva appena confessato di essere un killer...

La frase che mi era uscita era: mi devi un favore.

 

 

                                                                                                                   [ continua...]

 

 

Ebbene, ecco svelata la soluzione!

Bravi a tutti coloro che ci hanno provato e mi congratulo particolarmente con Rebel Girl... anzi, con la sua gemella XD che ha azzeccato la soluzione dell'enigma!

Grazie alle 19 persone che hanno inserito la fic tra le Preferite,

alle 2 che l'hanno inserita tra le Ricordate

e alle 31 che l'hanno aggiunta tra le Seguite

e grazie davvero a chi ha recensito lo scorso capitolo!! <3

Grazie anche a chi ha semplicemente letto,

A presto, Luce 

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Capitolo 9
*** Diversa. ***


 


                                                   9.

                                             Diversa.

 

Qualcuno potrebbe pensare che sia una sciocchezza parlare di dominio mentale.
In tutta la mia vita non ci avevo mai creduto. Alle illusioni, intendo.
Ricordo la prima volta che avevo assistito ad uno spettacolo di prestigio, assieme al mio fratellino, quando ancora vivevamo in Europa.
Era stata quella la prima volta in cui avevo seriamente compreso cosa intendessero dire gli esperti, quando asserivano che la vera forza dominante della nostra mente non è rappresentata dalla razionalità, bensì dall'immaginazione.
Non avevo mai accettato il fatto che nel normale corso della vita di un essere umano, il 70% delle volte in cui questi si trova in situazioni particolari, i suoi sensi e le sue percezioni vengono distorti e deviati dagli inganni che la mente stessa adotta contro di lui.

Gli occhi vedono ciò che la mente sceglie di vedere.

Una regola inscalfibile, un po' come i diritti umani inalienabili di cui parlava Hobbes.
Solo che qui la questione era leggermente diversa.

Sdraiata sul materasso ricoperto di carta dell'infermeria, avviluppata dai miei stessi pensieri, non badavo a Naomi che mi passava un batuffolo di cotone imbevuto di disinfettante sul braccio, per poi afferrare una siringa.

Ma cos'altro dovrei vedere? E' così ovvio, così spaventosamente...chiaro. Anche se qualcuno riuscisse a decifrare quel messaggio, gli sfuggerebbe comunque il significato della scritta...nessuno lo capirebbe, perchè il messaggio non è diretto a nessuno di loro.
Lui sapeva, era presente, aveva visto il modo in cui Sean mi aveva aggredita, quando ho difeso quel bambino, mi ha guardata mentre piangevo e in questo modo ha pensato...di farmi un favore, facendo quello che ha fatto.

Mi scappò un singulto quando l'ago mi bucò la pelle.
Vidi Naomi aggrottare la fronte. << Dai, non ti ho fatto male>>.
Non dissi nulla, perchè in fondo mi sarebbe dispiaciuto farle svanire l'illusione di credersi Miss Delicatezza. Dopo avermi prelevato il sangue, mi tamponò la parte di pelle sanguinante, facendo pressione.

<< Sei un po' emofiliaca?>>, mi domandò improvvisamente.

<< No>>, risposi, alzandomi dal materasso.

<< Sicura?>>, insistette lei. Fece una smorfia e aprì un armadietto, rovistando in mezzo alle scatoline e alle boccette. << Strano che sanguini in questo modo>>, aggiunse, tornando a pressarmi un fiocco di cotone sul braccio, per poi bloccarlo con una striscia di adesivo. Un luccicchio proveniente dalla sua mano destra attirò la mia attenzione. Il suo anulare era impreziosito da un bellissimo anello d'argento, sottile e finemente lavorato.

<< Che bello>>, dissi, facendo un cenno con la testa verso il gioiello. Lei seguì il mio sguardo e sorrise appena.

<< Ah...già. Grazie>>.

<< Un fidanzato?>>, mi incuriosii, continuando a sbirciare l'anello. Se ci avevo azzeccato era strano che lo portasse alla mano destra. Il sorriso di Naomi sparì, lasciando spazio ad un'espressione austera.

<< Un collega>>.

Mmmh. Forse avevo toccato un tasto fastidioso; decisi di lasciar correre.

Alla fine, quella sera gli esami del sangue erano toccati anche a me. In circostanze normali sarei sbiancata solo a vedere l'ago, ma le rive dei miei pensieri soffocavano furiosamente qualsiasi mio tentativo di distrazione. Non poteva essere solo una coincidenza, non lo era!
Mentre iniziavo a salire le scale fui colta da un lieve capogiro e mi chiesi se fosse il caso di parlarne con qualcuno. Una parte di me voleva farlo, continuava a ripetermi che la cosa giusta sarebbe stata rivelarlo immediatamente al dottore.
Quel ragazzo era un omicida. Era stato lui ad uccidere Sean e più ci pensavo, più i miei dubbi si infittivano.
Oppure...era possibile che avessi saltato dei passaggi e fossi giunta alla conclusione errata, solo perchè quel tipo mi metteva terribilmente in soggezione?
D'un tratto, fu come se fossi ritornata con la mente al primo giorno in cui mi ero svegliata in questo posto: totalmente sperduta, disorientata...incapace di prendere decisioni, di capire cosa stesse succedendo e soprattutto cosa fare.
Una volta raggiunta la mia stanza, chiusi la porta e mi lasciai cadere sul letto. Avevo la testa in fiamme e a forza di pensarci le pulsazioni alle tempie sarebbero peggiorate.
Estrassi dal materasso il quaderno nero e me lo rigirai tra le mani.
Perchè continuavo a conservarlo?
Lo aprii e lo sfogliai svogliatamente, finchè non vidi una pagina sporgere dal bordo; probabilmente si era staccata. Girai le pagine finchè non raggiunsi quella strappata e rimasi perplessa. Credevo di averlo letto tutto. Le pagine compilate infatti si interrompevano a metà quaderno, ma quella doveva essermi sfuggita.

27 maggio.
Inizio a non farcela più, perchè il dottor Yagami non dà la conferma per il mio trasferimento? Detesto questo posto, mi sento come un animale in gabbia. Le urla sembrano amplificarsi all'infinito lungo i corridoi e a volte mi sembra perfino di udire delle voci al quinto piano, ma sicuramente è la mia mente che mi gioca brutti scherzi, dato che a nessuno è permesso andarci.

Seguivano una serie di frasi talmente mal scritte che non mi sforzai neppure di decifrarle e passai alla data successiva.

4 giugno.
No, questa volta non si è trattato della mia immaginazione, c'era davvero qualcuno al quinto piano. Ho visto una persona scendere di fretta le scale, guardandosi più volte intorno...sono quasi certo che fosse una donna.
Di sicuro non faceva parte del personale.
Sarebbe inutile parlarne con il dottore, non mi crederebbe nemmeno e comunque non mi degna quasi più di attenzioni...è fin troppo entusiasta del nuovo arrivato, quel Beyond...è qui da poco più di un mese e già Yagami è pronto a sezionargli il cervello e a dedicargli una buona dose settimanale di elettroshock come segno di benvenuto.
Per non parlare dell'infermiere Light...non l'avevo mai visto aggressivo con nessun paziente, prima di ieri, ma quando B si è rifiutato di prendere le pastiglie è scoppiata una discussione molto accesa. Si sentivano le voci dal piano di sotto e in molti sono accorsi a vedere. A quanto pare Light ha reagito male ad una provocazione di quest'ultimo e gli ha spezzato tre dita della mano con un manganello di legno...

Rilessi quel pezzo due volte, incredula.
Light aveva fatto una cosa del genere?
Light, quell'infermiere gentile che sorvegliava il mio reparto ogni notte?
Scossi la testa, con aria afflitta; iniziavo a convincermi che in questo posto niente era come sembrava.
Feci per rimettere la pagina a posto, quando vidi che sul retro del foglio c'era scritto qualcos'altro.

P.S.: Cattive notizie, caro diario.
Misa Amane ci sta prendendo gusto a giocare col fuoco e la cosa mi sta dando alquanto fastidio. Se ne parlassi con qualcuno potrebbero nascere dei problemi e magari finirebbero col rimandare il mio trasferimento e questo non deve accadere.
Cercherò di sistemare la cosa il prima possibile, da solo.
Penserò io a farla smettere di giocare col fuoco, magari gettandole addosso una secchiata d'acqua. Quella del lago è perennemente gelida, andrà benissimo.

Il post scriptum terminava così.
Onestamente, non ci avevo capito un granchè. Solo una cosa mi era perfettamente chiara, adesso.
Misa era una bugiarda. Da ciò che questo L aveva scritto, chiunque, pure un bambino di cinque anni avrebbe capito che lui e Misa si conoscevano e quel giorno, in Mensa, quando lo avevo nominato, lei aveva fatto la finta tonta.
Accidenti, non c'era proprio nessuno in questo postaccio di cui mi potessi fidare?
Chiusi il quaderno e lo ficcai nuovamente sotto il materasso, uscendo dalla stanza e dirigendomi verso le scale, senza una meta precisa.

Arrivata al reparto numero 1, non saprei dire per quale motivo di preciso, mi fermai.

La camera numero 5...era molto vicina.
No, gridò una voce nella mia testa, nel disperato tentativo di proteggermi; non farlo! E' un assassino!

Ma io ci stavo mettendo tutta me stessa per non ascoltarla.

Quasi sicuramente è stato lui a uccidere S, potrebbe farlo di nuovo in qualsiasi momento, è un mostro!

Chiusi gli occhi, ascoltando i palpiti del mio cuore, mentre la ragione lasciava posto all'istinto.

Forse è il mio genere di mostro..., disse un'altra voce, dentro di me. E poi le mie sono accuse infondate. Potrei benissimo sbagliarmi sul suo conto, non crederò a qualcosa solo perchè è la mia mente a farlo sembrare reale. Lui sa qualcosa di me che io ignoro e voglio scoprire cos'è.

Certo, avrei fatto così.

Sarei stata attenta e mi sarei fatta dire ciò che volevo sapere, dopodichè me la sarei filata. Peccato che tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare...e io non ero esattamente il prototipo di donna guerriera dal cuor di leone...invero, non avevo mai creduto esistessero tipe del genere. Dovevo accontentarmi di essere timida e spaventata.
Per questo mi voltai e arrivai al piano terra, lasciandomi alle spalle la possibilità di scoprire cosa c'era in quel fascicolo e di un possibile stupro... ero timida, ma non stupida. Dato che mi ero fatta un'idea abbastanza precisa di cosa avesse in mente quel caso grave, quando mi aveva invitata nella sua stanza, non avevo la minima intenzione di assecondarlo.

Una volta uscita in giardino adocchiai Near, seduto sulla riva del laghetto, da solo.

<< Ciao>>, dissi, avvicinandomi lentamente. Lui voltò appena la testa, poi tornò a lanciare dei sassolini, osservando i cerchi concentrici che andavano a formarsi sull'acqua.

[ Quella del lago è perennemente gelida...]

<< Grazie per l'altra volta>>, disse lui, arricciandosi con le dita una ciocca candida.

Ripensando all' "altra volta" un tremito mi scosse persino le ossa, tanto che per un istante temetti che il piccolo se ne fosse accorto.

<< Figurati>>, risposi, chiudendo la bocca subito dopo. Non durai a lungo, però. Presi fiato per domandargli cosa volesse Sean da lui quel giorno, ma Near mi precedette, come se fosse riuscito a percepire i miei pensieri un attimo prima che li trasformassi in parole.

<< Hai notato i condotti di ventilazione che ci sono in quasi tutte le stanze?>>, mi chiese. << Era da mesi che Sean progettava di fuggire di qui. Voleva il mio aiuto. Si aspettava che uscissi dall'Ospedale passando da quei condotti, per poi far scappare lui. Mi ha promesso un sacco di cose e mi ha minacciato. Ma io mi sono sempre rifiutato>>.

<< E non ne hai mai parlato con nessuno?>>

Un secondo dopo averglielo domandato mi sentii una perfetta cretina. Sapevo già che Near manteneva una scarsissima, per non dire inesistente attività sociale nei confronti degli altri. Le sue parole ne furono la conferma.

<< Lo sai che quando mi hanno portato qui il dottore credeva fossi affetto dalla Sindrome di Asperger?>>

Sbarrai gli occhi. << Sindrome di Asperger?>>

<< Si sviluppa fin dalla prima infanzia. Difficoltà a fare amicizia, ad interagire con gli altri, mancanza di attenzione verso la gente o verso i loro punti di vista, scarso livello di empatia o sensibilità...>>

<< Lo so che cos'è!>>, ribattei. Subito dopo mi morsi la lingua, rendendomi conto che avevo fatto la figura della bambinetta.

<< ...Una voce particolare, il più delle volte monotona, dal tono insolito; linguaggio buono, ma troppo pedante e formale; atteggiamenti stereotipati, spesso ripetuti...>>, continuò, ignorandomi. Pensai automaticamente a tutte le volte che si attorcigliava i capelli...ma in fondo, quello non contava. Io mi scrocchiavo le nocche delle mani tutte le volte che ero nervosa o emozionata...ma anche quando mi annoiavo.

<< Sguardo visivo assente; interessi perseguiti ossessivamente...>>, pensai a tutti i suoi giocattoli...d'accordo, ma...per la miseria, era un bambino!

<< Postura del corpo strana, goffa o sgraziata...>>, ecco, forse quella sì. << ...e in genere, quelli affetti possiedono un'intelligenza nella norma o addirittura...>>

<< O addirittura superiore alla norma, pertanto possono offrire un grande contributo intellettuale all'umanità...>>, lo interruppi, decisa a cogliere anche le note positive.

<< ...ma al contempo, a causa della mancanza di empatia e di contatti con l'esterno, diventano fonte di disagio per tutti gli altri>>, concluse, guardandomi.

Mi bastò un'occhiata per capire che da quella sfida letterale non ne sarei uscita vincitrice.

<< Eppure con me parli>>, insistetti, sorridendogli dolcemente.

Lui dondolò avanti e indietro, vagando con lo sguardo sulla superficie liscia e riflettente dell'acqua.

<< Perchè tu sei diversa>>.

La sua risposta mi lasciò interdetta.

<< Diversa...?>>, ripetei, confusa.

<< Non lo sei?>>, obiettò, tornando a fissarmi. << Tu non ti esponi mai troppo con gli altri, sembri normale, a volte leggermente introversa...>>

<< Io sono normale!>>, precisai. << E sinceramente non ho idea di cosa ci faccio qui e perchè continuano a farmici stare>>.

<< Non è vero!>>, ribattè, alzando la voce e aggiungendo colore al tono piatto con cui l'avevo sempre sentito parlare. << Tu sei buona, è impossibile negarlo. Ma bontà non è sinonimo di verità. Non sei una persona del tutto sincera, non ho ancora capito se lo fai per proteggerti, ma in fondo la tua in parte è anche una maschera. Non è solo timidezza e ingenuità, c'è qualcos'altro in te, l'ho sentito! So che tu non sei solo questo!>>

Gli occhi grigi di Near mi erano sempre sembrati vuoti, ma solo ora mi ero resa conto che si trattava di un inganno; celato dietro quelle iridi apparentemente fredde e mute c'era molto più di quanto chiunque avrebbe potuto aspettarsi. Perchè un bambino del genere era costretto a restare nel Wammy's Hospital?
La mia perplessità fu rapida quanto un improvviso sospetto che si fece strada nella mia testa, ricordando quello che mi aveva detto una volta Misa, a proposito di Near.

<< Tu sei qui da tanto tempo, vero? Conosci il motivo per cui Beyond si trova qui?>>, gli domandai, incapace di resistere alla curiosità.

Lo vidi aggrottare impercettibilmente la fronte. << Lui non te l'ha detto? Credevo foste in confidenza>>, obiettò, lasciandomi di stucco.

Oddio, se addirittura lui era arrivato a pensare a una cosa del genere...

<< No>>, mi affrettai a negare. << Non è come credi, anzi, non siamo assolutamente in buoni rapporti, io e lui>>.

<< Non è qui da molto...poco più di un anno, credo. E' passato in mano a molti esperti, i quali infine non sono stati in grado di risolvere il suo problema e hanno preferito classificarlo come malato mentale, sbattendolo qui>>.

<< Insomma, cos'ha che non va?>>, tagliai corto.

<< Il dottor Yagami si era interessato molto a lui, i primi mesi... ora B non ne parla più nemmeno con gli psicologi. Lo avevano sottoposto a numerose visite mediche e oculistiche, perchè diceva sempre di vedere cose che in realtà non c'erano. Il dottore aveva scritto un fascicolo spesso due dita sul suo caso. Affermava... di vedere cose che nessun altro vedeva>>.

<< Che tipo di cose...?>>

<< Numeri e lettere>>.

<<...?>>

<< Numeri e lettere, solo questo. Li vedeva costantemente ed erano diversi per qualsiasi persona sulla quale posava lo sguardo>>.

Riflettei per mezzo minuto. << Mi stai dicendo che gli hanno messo quella cavigliera solo per questo?>>

<< No. Quello è stato dopo l'incidente con L.>>, rispose, alzandosi in piedi. Tuttavia quella frase non fece altro che aumentare la mia curiosità. Mi alzai a mia volta. << Che incidente? Cos'è successo?>>

<< Non so risponderti. Solo il personale e i pazienti coinvolti ne sanno qualcosa>>, mormorò, facendo per andarsene. << Verrai a fare una partita a scacchi, più tardi?>>, mi chiese, voltandosi e meravigliandomi per la seconda volta.

Sindrome di Asperger? Difficoltà a socializzare?

In questo momento mi sembrava quasi impossibile crederci.

<< Volentieri!>>, acconsentii, sorridendogli. << Ora vado a cercare Misa, a dopo piccolo!>>

Mentre gli passavo accanto, lo sentii mormorare qualcosa, ma lo fece con un tono talmente basso che pensai di essermi sbagliata. Se fossi stata più attenta mi sarei accorta che aveva sussurrato: << Non fidarti di lei>>.

 


                                                                                                                  ***

 

Ore 20.30.

Mentre salivo, venni quasi sbalzata giù dalle scale a causa dello tsunami vivente di pazienti che correvano a perdifiato verso la Mensa Comune. La notizia che quella sera avrebbero servito coniglio e patate al forno si era sparsa in tutto l'istituto, veloce come un virus.
Non ho mai capito come faccia la gente a mangiare certe cose...molti ne approfitterebbero per sbattermi in faccia ogni sorta di insulto, ribattendo che ormai il concetto di "vegetariano"è fuori moda, ma a me non è mai importato niente.
Ho sempre creduto nel vivi e lascia vivere.
Ero arrivata al corridoio, la camera di Misa era in fondo, ma un urlo improvviso mi fece quasi sobbalzare.

<< Non posso credere di essere stata così fottutamente stupida da fidarmi di te!!>>, era la voce di Misa. Dallo sgomento, rimasi spiazzata; non l'avevo mai sentita tanto furiosa.

<< Modera il linguaggio, signorina>>, la ammonì una voce gentile e ferma...Light. << Pensavi davvero che dicessi sul serio?>>

<< Eravamo d'accordo, brutto bastardo! E' passato troppo tempo dall'ultima volta, non ce la faccio più, mi sta...mi sta scoppiando il cervello!>>, gemette.

Mi sporsi appena per guardare.
Misa era in mezzo al corridoio, le braccia rigide, i pugni stretti, e stava impedendo il passaggio a Light.

<< A me invece stanno per scoppiare i timpani>>, ribattè lui, spostandola di lato per passare. << Spostati, Amane>>.

<< Dove vai, non ho ancora finito...!!>>, gridò la ragazza, afferrandogli bruscamente il braccio e facendogli sfuggire di mano una cartella piena di fogli, che si sparpagliarono sul pavimento. << Guarda che faccio sempre in tempo a dire a tuo padre...>>

<< Lo sa già>>, la interruppe Light, rimanendo immobile, anche se il suo sguardo, che puntava al braccio ancora stretto tra le mani di Misa, iniziava ad affilarsi. << Ci eravamo messi d'accordo per convincerti a prelevarti il sangue. Lasciami>>, ordinò, mantenendo un tono distaccato, ma con una nota di minaccia.

La ragazza lo lasciò e si allontanò, come se guardare il suo volto la disgustasse.

<< Ehi!>>, la chiamò Light, obbligandola a fermarsi. << Adesso raccogli tutto e in fretta>>.

Dalla gola di Misa uscì una specie di sospiro ringhiante. Guardò Light in un modo orribile, borbottando qualcosa tra i denti.

<< Fottiti, maledetto bugiardo!>>

<< E sbrigati>>.

<< Me lo avevi promesso...>>, aveva gridato talmente forte che riuscivo a scorgere un'arteria gonfia, lungo il suo collo. << Voglio solo una dose, ti prego! Rischio di impazzire!!>>

<< Dovevi pensarci prima di diventare una tossico dipendente. Ora non hai il diritto di lamentarti.>>, il tono ghiacciato e sprezzante celato dalla delicatezza della voce di Light riuscì a mettere a disagio perfino me.

Gli occhi di Misa si inumidirono.

<< Vaffanculo, Yagami!>>, sibilò, scagliando lontano la cartella con un calcio e facendo svolazzare decine di fogli. Mi nascosi in fretta, per evitare che mi vedesse, mentre correva verso le scale, il volto arrossato.

Rimasi immobile, incerta su cosa fare, ma soprattutto, su cosa pensare.

Intanto, Light si era chinato a raccogliere i fogli, mettendoli in ordine, nel più assoluto silenzio. Non sembrava minimamente toccato dagli insulti e dalla scenata della ragazza, il suo volto era una maschera di porcellana perfettamente costruita. O forse non si trattava di una maschera, forse non gliene importava e basta.
Fece per raccogliere gli ultimi fogli, ma si fermò, notando che l'avevo preceduto, impilandoli e porgendoglieli.

Mi contemplò per un po', poi sorrise senza allegria. << Non dirmi che hai sentito tutto>>.

Mi strinsi nelle spalle. << Se vuoi non te lo dico, ma mentirei>>. Capì che si trattava di una conferma, mentre prendeva i fogli dalla mia mano con circospezione. << Grazie>>, disse, infilandoli nella cartella.

Si rialzò in piedi e mi fece cenno di accompagnarlo alle scale. << E allora...anche tu pensi che io sia un brutto bastardo?>>

Non mi aspettavo una domanda simile. Deglutii e ci pensai in fretta.

<< Il mio è un giudizio a parte, ma...conoscendo la sua situazione, forse sei stato un po' troppo brusco. Se non sei mai stato un tossico dipendente, non puoi capire quello che prova>>. Non parlavo per difenderla, semplicemente provavo a mettermi nei suoi panni.

Light mi lanciò un'occhiata incredula. << Permetti una domanda? Ti sei accorta di che posto è questo? Hai idea di quante scenate dobbiamo sopportare ogni giorno, io e miei colleghi? Cosa succederebbe se cedessi alle suppliche e alle lacrime di una ragazza come quella?>>

<< A tal proposito...>>, esordii, decisa a non lasciarmi sfuggire l'occasione. << tu sei l'infermiere del mio reparto. Sicuramente sai già che non sono una drogata, né un'alcolizzata...o roba del genere>>.

Dalla sua espressione, intesi che aveva immediatamente capito dove volessi andare a parare.

<< Ieri sera io e mio padre abbiamo parlato di te, sai? Vorremmo provare a organizzarti delle sedute pomeridiane, cinque giorni a settimana, con una psicologa. Riteniamo>>, aggiunse, notando che mi ero allarmata. << che potrebbe aiutarti a riacquistare i ricordi. E' una semplice terapia basata sul dialogo, ma si ottengono quasi sempre ottimi risultati, non ti costerebbe niente provare...sei d'accordo?>>

<< Non potresti lasciarmi uscire di qui e basta?>>, sbottai, arrivando al limite della pazienza. Lui scosse la testa e mi guardò divertito. << Credimi, Lyanne, a parte il tuo passato oscuro non c'è niente che mi spinge a tenerti qui. E se fossi io a gestire l'Ospedale, ti chiamerei un taxi in questo stesso momento>>.

Una volta giunti al piano terra, si diresse verso lo studio del dottore.

<< A mio padre non piacerà sapere che Misa ha avuto un'altra delle sue crisi...>>, borbottò. << Ogni volta che ne ha una poi va a sfogarsi sulle rive del lago, per restare sola. Posso chiederti di passare da lei tra un'ora a vedere se si è calmata?>>

Annuii e lo vidi scomparire in fondo al corridoio.

Diedi un'occhiata all'orologio digitale appeso al soffitto. Le 20.50.

Adesso avevo due scelte.

Dovevo andare da Near e aspettare le 21.50, per poi provare a vedere come stesse Misa?

Oppure dovevo andare da B? Oltre al fascicolo, però, mi era appena venuta in mente l'idea di chiedergli di L...Near mi aveva davvero incuriosita e sentivo che non sarei riuscita a starmene buona ancora a lungo. Inoltre, dovevo a tutti i costi trovare il coraggio di chiedergli di quella frase scritta sul muro. Dovevo togliermi quel dubbio.

Stavo per prendere in considerazione l'idea di tirare in aria una moneta e abbandonarmi nelle mani del destino, quando passai davanti al quadro che raffigurava lo Shinigami.

Seguii con lo sguardo quella mano lunga e irregolare, le tre dita scheletriche simili a pugnali indirizzati verso la gola delle due sorelle agonizzanti, arrivando a guardare la finestra a fianco. Da lì intravidi una specie di torretta, che sicuramente faceva parte del quinto piano, visto che era esposta nel punto più alto dell'edificio.
Sicuramente era colpa del mal di testa e della stanchezza, ma...era un po' come in quei quadri nei quali gli occhi del personaggio in primo piano ti seguono dovunque tu ti muova; in questo, sembrava che lo Shinigami stesse indicando quella torretta.

<< Scusami>>, dissi alla bambina con quel ridicolo vestito giallo canarino che si portava la solita bambolina in braccio. << Che tu sappia ci va qualcuno in quella torretta?>>

Lei scosse la testa, accarezzando i capelli di nylon della bambola. Se la portò all'orecchio e mi lanciò un'occhiatina imbarazzata. << Sally dice che quella è la torre nord del quinto piano e tu non puoi andarci>>.

Tirando a indovinare, immaginai che Sally fosse la bambola.

<< Ma il personale può andarci?>>, insistetti.

Il suo sguardo si fece cupo, mentre scuoteva la testa. << Sally dice che la torre nord è esposta al vento. Chissà perchè, ma...solo a pensarci ci vengono i brividi. Andiamo a giocare, Sally?>>

 

 

                                                                                                                [ continua...]

 

 

Ora che siamo arrivate a metà storia, potete stare tranquille, perchè in ogni capitolo verranno spiegate delle cose poco alla volta ;)

Spero che questo capitolo non vi abbia annoiate...c'è poco horror, vero? =)

Se riesco ne posterò un altro la settimana prossima, altrimenti saprete se Lyanne andrà o no da Beyond solo il 2 settembre ( visto che andrò al mare per un mese, SENZA COMPUTER!!!!!!!!!!! Già sclero, povera me...=( )

Grazie alle 23 persone che hanno inserito la fic fra le Preferite,

alle 4 che l'hanno inserita fra le Ricordate,

alle 33 che l'hanno inserita fra le Seguite,

e un grazie megagalattico a chi ha recensito l'ultimo capitolo!!

A presto, spero!

Buona serata, Luce 

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Capitolo 10
*** Bramosia. ***



                                               10.

                                        Bramosia.

 

<< Andiamo a giocare, Sally?>>

Rimasi a fissare quella ragazzina sgambettare lungo il corridoio, la sua vocina spensierata, mentre cantava una canzoncina alla bambola.
Onestamente, più che un Ospedale psichiatrico, questo posto stava decisamente diventando un castello degli Orrori, il mio inferno personale.

Nuvole nere e profumo di incubi.

Oh, sì, mi ritrovai a pensare improvvisamente nell'angolo più remoto e oscuro della mia coscienza. Il tempo perennemente malato e l'intenso odore di medicinali sono abbastanza da far sembrare tutto questo un incubo ad occhi aperti.

Inutile continuare a tessere fili tanto sottili, comunque; alla fine venivano sempre spezzati e io sarei stata prigioniera di quest'incubo... a meno che non avessi trovato il modo di svegliarmi e di liberarmi, uscendo dalla gabbia.
Facile a dirsi... ma come avrei fatto?
Un'ombra si proiettò sul pavimento dietro di me, attirando la mia attenzione.
Mi voltai, ruotando su me stessa, anche se mi bastò scorgere il profilo dell'ombra sulle piastrelle grigiastre per capire che si trattava di Beyond.

<< Che cosa vuoi?>>

<< Passare>>, rispose, incrociando le braccia al petto. << ma tu blocchi il corridoio>>.

Che iperbolico; il corridoio era largo tre metri, ci passava benissimo anche con me in mezzo, ma prima che potessi ribattere, lui aggiunse: << Stavi venendo da me?>>

<< No.>>

<< Capisco.>>, rimuginò, facendo qualche passo e girandomi intorno. Proprio quando stavo iniziando a pensare che se ne stesse andando, ecco che si voltò.

<< Vuoi venire da me?>>

<< No!>>, risposi con più vigore. << Non voglio venire!>>

<< Peccato...io vorrei>>, mormorò, perdendosi ad osservare con il suo sguardo scarlatto ogni singolo centimetro del mio corpo più volte, riuscendo a mettermi a disagio.
E non solo. Perchè forse era solo la mia immaginazione che mi giocava brutti scherzi a scopo di autodifesa, ma avevo appena colto nella sua frase un doppio senso che le mie cellule si stavano sforzando all'inverosimile di non captare.

Gli diedi le spalle e mi misi a camminare in fretta, per non fargli vedere la mia espressione imbarazzata. Santi numi, ma cosa mi stava succedendo da una settimana a questa parte?
Adesso non avevo più nemmeno il coraggio di sostenere il suo sguardo, e per cosa poi?
Per qualche stupida allusione generata dall'irrefrenabile lingua di un cromosoma y?

<< Nikolaus Stoinich>>, la sua voce intimidatoria e divertita riuscì a farmi fermare dalla sorpresa. << è il nome di tuo padre? Era originario della Russia?>>

Io non avevo rivelato a nessuno il nome di mio padre. Gli unici a saperlo forse erano i medici che avevano fatto alcune ricerche su di me.
Allora questo significava che Beyond aveva davvero letto il mio fascicolo.

<< Come lo sai...?>>, chiesi, mentre mi voltavo, ma lui stava salendo le scale, senza più degnarmi di attenzione.

<< Ehi!>>, lo chiamai, mettendomi quasi a correre, per non perderlo di vista.

Salii i gradini tre alla volta per stargli dietro e una volta giunto al reparto numero 1, B si mise a camminare lungo il corridoio.
Io avevo già il fiatone e intanto iniziai ad avvertire un fastidioso martellio dentro al mio cranio, presagio di un prossimo e violento mal di testa.

<< Ti ho chiesto come lo sai?!>>, ripetei, cercando di non alzare la voce, per non attirare l'attenzione di un'infermiera che se ne stava dietro una scrivania in noce, in fondo al corridoio, intenta a battere un timbro su una pila di fogli.

<< Evita di fare domande stupide>>, mi rispose, entrando in una stanza. Giusto, la domanda che gli avevo rivolto era oltremodo stupida. Così ne formulai immediatamente un'altra.

<< Che altro sai?>>, dissi, seguendolo. << Cosa c'era scritto?>>

<< Sei venuta>>.

<< Cosa?>>

Mi girò intorno, costringendomi a fare un mezzo giro su me stessa.

<< Alla fine...>>, fece qualche passo indietro e chiuse la porta della stanza, lentamente. Spalancai gli occhi, rendendomi conto solo in quel momento di dove mi trovavo. << ...sei venuta>>.

Fece un passo verso di me. Ecco, adesso avevo paura.
Imposi a me stessa di stare calma; dopotutto, l'infermiera era in fondo al corridoio, era lontana da me solo di una quindicina di metri.
Forse era il caso di ricordarlo anche a lui.

<< Ti avevo detto che non volevo più che ti avvicinassi a me.>>, gli intimai, indietreggiando di un passo, quando lo vidi avanzare.

<< E' difficile starti lontano. Hai un profumo delizioso...>>.

Aggrottai la fronte. << E questo cosa c'entra?>>

<< ... Ma è delicato. Fin troppo leggero. Per assaporarne meglio l'effluvio bisogna per forza starti vicino>>, precisò, avvicinandosi ulteriormente, senza fermarsi, stavolta.

Mi sbilanciai, indietreggiando bruscamente, finchè le mie gambe non finirono contro qualcosa, e mi ritrovai seduta sul letto.
Qualcosa di freddo e duro mi punzecchiò, sopra la stoffa dei jeans. Spostai appena la gamba e vidi che ai lati del materasso erano state inchiodate delle sbarre con attaccati dei lacci di cuoio, provvisti di ganci metallici.
Un impeto di rabbia e panico nacque all'improvviso, così inaspettato e repentino, che per un secondo smisi di respirare.

<< Perchè non mi parli un po' di tuo padre, vuoi?>>

<< Voglio tornare di sotto>>

<< Stai seduta>>, ordinò, piazzandosi esattamente davanti a me.

<< Near mi sta aspettando>>, insistetti, cercando di spostarmi, ma lui mi mise una mano sulla spalla.

<< Adesso sei con me. E non ti lascio andare via>>.

Affilai lo sguardo. << Cos'è, una minaccia?>>, sbottai, furiosa. Tagliente, carica di disprezzo, la mia voce ebbe più o meno l'effetto di un fulmine a ciel sereno. Avevo usato un timbro talmente diverso da quello moderato con cui parlavo di solito a tutti... era più o meno lo stesso che aveva usato lui la prima volta che ci eravamo scontrati, in Mensa. << Tanto non mi fai nessuna paura!>>

Stratosferica bugia.

<< Non ho nemmeno iniziato a farlo>>, ribattè, sedendosi di fianco a me.

<< Non puoi obbligarmi a restare>>, dissi, fredda.

<< Vuoi davvero sfidarmi?>>

<< Mi metto a urlare>>.

Inclinò la testa da un lato. << Voi ragazze siete proprio affascinanti... specie quelle come te. Siete così ingenue...! Questa stanza è insonorizzata>>, mi spiegò, mentre un sorrisino vittorioso gli mistificava il volto, rendendolo più crudele.

Mi bloccai. << Stai scherzando>>.

<< Sono serissimo>>.

<< Vuoi farmi credere che con la porta chiusa, per quanto strilli nessuno mi sentirà?>>, continuavo a pensare che volesse solo impressionarmi.

Lui soffocò una risatina. << Prego, urla pure, se non ti fidi.>>, diminuì la distanza tra i nostri corpi. << Tutte le camere dei casi gravi sono insonorizzate. Il che significa che uno come me potrebbe approfittarsi di una ragazzina come te senza problemi>>.

Istintivamente serrai la mano destra a pugno, pronta ad usare violenza se si fosse azzardato ad avvicinarsi ancora di mezzo centimetro.

<< Ti avverto che ho preso lezioni di Bajiquan!*>>, lo minacciai raddrizzando il petto.

Quando avevo dieci anni.
Cinque o sei lezioni al massimo.
Poi avevo mollato, perchè decisamente non faceva per me. Ma ritenni più saggio non rivelare queste cose.
Lui non disse nulla per una decina di secondi.
Subito dopo scoppiò a ridere, arrivando ad appoggiarsi una mano sulla pancia.

<< Bajiquan?!>>, ripetè, incredulo. << Tu...BAJIQUAN?!>>

<< Ehi, adesso smettila!>>, berciai, punta nell'orgoglio. In effetti, chi praticava il cosiddetto " pugilato degli otto estremi", aveva di conseguenza un certo fisico che testimoniava ore e ore di lavoro letale, e capivo benissimo che il mio non rendeva neppure lontanamente l'idea, ma...

<< Va bene, ci credo.>>, si alzò in piedi e mi afferrò un braccio, costringendomi a fare altrettanto. << Colpiscimi>>.

Pensai di aver capito male.

<< Prego?>>

Mi guardò con una luce di sfida. << Sei mi hai detto la verità sarai in grado di sbattermi a terra in mezzo secondo. Coraggio, dimostrami che non sei l'uccellino spaventato che credono tutti, colpiscimi più forte che puoi>>.

Cercai di prendere tempo mentre mi affannavo a trovare una scusa.

<< Non posso... non penserai mica...potrei farti male sul serio!>>

Lui alzò gli occhi al soffitto. << Sta calando la notte, ragazzina...>>

<< E smettila con questa " ragazzina", accidenti! Da quando abbiamo iniziato a parlarci mi hai sempre chiamata così, non ti ho mai sentito pronunciare il mio nome neanche una volta!>>, mi infervorai, irrigidendomi.

Di punto in bianco, B perse l'espressione amichevole e divenne preoccupantemente serio.

<< D'accordo, ti chiamerò per nome. Potresti solo dirmi come ti chiami?>>

Se fossi stata un personaggio dei cartoni animati la mia mascella avrebbe raggiunto il pavimento.
Davvero non conosceva il mio nome?!

<< Ti diverti a prendermi in giro, vero? Tutti sanno come mi chiamo>>, affermai, gettando un'occhiata di sbieco alla porta. << E comunque, non dovevamo parlare del mio fasc...>>

<< Tutti ti chiamano con quel nome>>, ribattè, continuando a restare serio.

<< Perchè quello è il mio nome! Ora dimmi che cosa hai letto...>>

<< E qual è il tuo nome?>>, mi interruppe.

<< Lyanne, dannazione!>>, gridai, perdendo la pazienza. << Lyanne, il mio nome è Lyanne Stoinich!!!>>

<< Ah, davvero?>>, mormorò.

Per quasi due minuti nessuno di noi due parlò. Il martellio nella mia testa si acuì, facendomi quasi scappare un lamento. Mi portai automaticamente una mano alla tempia, esercitando una leggera pressione con le dita, perchè le fitte stavano diventando allucinanti.
Battei le palpebre un paio di volte, rendendomi conto che la vista si era offuscata, lasciandomi per un attimo disorientata. Vedevo B muovere le labbra, ma non udivo alcun suono provenire da esse, perchè mi ero portata le mani ai lati della testa, fremendo dal dolore che il capogiro mi stava facendo provare, impedendomi di rilassarmi.

<< ...spondimi! Devo chiamare l'infermiera?>>

Riaprii gli occhi e vidi che Beyond mi aveva afferrata, appoggiandomi nuovamente sul letto. Feci un respiro profondo, poi scossi la testa.

<< No. Mi capita...>>, alzai lo sguardo. Ora vedevo perfettamente il suo volto. << ...spesso>>.

Lui mi contemplò per qualche secondo. << Perchè non ti decidi a dirlo al dottore?>>

<< Che cosa?>>

<< Che soffri di emicrania oftalmica*>>.

Dallo stupore, rimasi a bocca aperta. << Tu... come sai che...>>

Scosse la testa con aria di rimprovero. << Te l'ho detto, ho una laurea in medicina. E comunque non sono cieco: ho notato quante volte al giorno ti massaggi le tempie>>.

<< E... quante volte al giorno passi il tuo tempo a...notarmi?>>, chiesi, a metà fra la sospettosa e la lusingata.

Finalmente abbandonò l'espressione seria e mi concesse un sorrisetto. << Tanto, tanto tempo>>.

<< Ma perchè?>>, volli sapere, incuriosita.

<< Perchè sei diversa>>, rispose.

L'ironia scomparve dal mio volto. Era la stessa, identica frase che mi aveva detto Near.

<< Di...diversa>>, ripetei, turbata.

<< Non c'è scritto Lyanne Stoinich sul tuo fascicolo. Hanno lasciato lo spazio in bianco. E ci sono parecchie pagine ancora incomplete su di te. Le informazioni in mano loro sono superficiali, ma per il momento ti reputano un soggetto inoffensivo. Dovresti gioire>>, mi confidò, facendomi l'occhiolino. << tu che non hai questo grazioso ornamento>>, aggiunse, facendo un cenno verso la sua caviglia.

<< Perchè hai detto che sono diversa?>>

Lui non rispose e mi rivolse un'altra domanda. << Hai sempre avuto questa patologia?>>

Scossi la testa lentamente, sforzandomi di ricordare. << Forse da bambina, ma per poco tempo... pensavo fosse passata del tutto. Invece, ultimamente...>>, chiusi gli occhi con forza. << ... è come se avessi il cervello in fiamme>>.

<< Quello è prevedibile, ma... è il resto che davvero non capisco>>.

La sua frase mi lasciò perplessa; gli chiesi spiegazioni con lo sguardo.

Si morse le labbra, come se stesse parlando tra sè e sè. << ... Perchè ogni volta che ti succede, la tua data di ...>>, si bloccò, mentre l'espressione turbata lasciava posto a una neutra. << ... no, niente>>, si corresse, allontanandosi di qualche passo.

<< Cosa stavi per dire?>>

Mi sorrise con falsa superbia. << Stavo per dirti che un rimedio infallibile contro la tua emicrania è il caffè amaro accompagnato da un analgesico. Funziona sempre, credimi. Vieni, andiamo di sotto, se abbiamo fortuna riusciamo a convincere le cuoche della Mensa a preparartene un po'. Per il farmaco, però, dovresti chiedere a un infermiere>>.

Perchè mi stai mentendo?, pensai.

Il mio sesto senso aveva capito immediatamente che non era bravo quanto me a inventare menzogne, né a formularle, tuttavia non mi sembrò educato farglielo sapere.

<< Non voglio medicinali>>, mi alzai in piedi. << Ma un caffè ci starebbe volentieri>>.

 


Avevo chiesto con garbo, pregato, supplicato fino allo stremo una delle cuoche per avere una stupida, inoffensiva tazzina di caffè, ma a quanto mi aveva risposto, era meglio non dare caffeina ai pazienti di sera, per evitare di disturbare loro il sonno.
Stavo per arrendermi quando Beyond si mise davanti a me e con quattro parole dette in un "certo" modo, riuscì stranamente a far ribaltare idea alla donna.
Il ragazzo aveva ragione: mi sentii subito meglio.

<< Grazie del consiglio, ne farò buon uso in futuro!>>, gli dissi, voltandomi per andare alla sala giochi.

Quella mia ultima frase sottointendeva anche un saluto, ma mi fermai quando sentii i suoi passi leggeri seguirmi. Lo fissai e probabilmente lui riuscì a scorgere l'enorme punto interrogativo stampato sul mio volto.

<< Non avevi detto che dovevi andare da Near?>>, mi chiese, infilandosi le mani nelle tasche.

<< Sì, l'ho detto. Ma so dov'è la sala giochi, non ho bisogno dell'accompagnatore>>, puntualizzai. Che Near mi vedesse assieme a lui avrebbe voluto dire rafforzare le sue convinzioni e non se ne parlava. E poi, se B fosse venuto con me, quasi sicuramente il piccolo non avrebbe aperto bocca e io avevo altre domande da fargli.

<< Non ti sto accompagnando. Ci andiamo insieme>>, mi corresse, con un ghigno perfido che primeggiava sulla sua faccia, madando all'aria il mio piano per la serata.

<< Scordatelo! Ci andrò da sola!>>

<< Abbassa la voce.>>

<< Perchè tutto a un tratto ho la raccapricciante sensazione che dovunque vada, tu mi pedini sempre?>>, sibilai.

<< Oh, questa è facile: mi ero stufato di studiare il tuo seno da lontano>>.

<< Mi è appena scaturito un dubbio: ti hanno sbattuto qui dentro per molestie sessuali?>>, sibilai, iniziando a nutrire un profondo disgusto verso quel tracotante ragazzo che mi stava davanti.

<< No, ma non tentarmi; tu saresti una piacevole eccezione.>>, mi provocò. << O eccitazione. Quale delle tue ti garba maggiormente?>>

Non riuscivo a rispondergli.

Perchè in fondo sapevo perfettamente quale delle due mi attirasse di più. Vedevo il suo sguardo accendersi di qualcosa che solo un mese fa non sarei mai stata in grado di riconoscere. Bramosia.

<< Scusa>>, borbottai infine, non sopportando più di guardarlo negli occhi e concentrandomi sulle mie scarpe. << ma più tempo passo a parlare con te, più mi rendo tremendamente conto di non esserci proprio abituata>>.

La sua mano eburnea corse ad imprigionarmi il mento, obbligandomi a sollevare la testa. Il suo sorriso si ampliò.

<< Ai ragazzi?>>

<< No.>>, gli afferrai il polso e lo allontanai bruscamente. << Ai bastardi>>.

 

                 
                                                                                                                 ***

 

<< Se muovi l'alfiere farai il suo gioco. Piuttosto, togli di mezzo il suo pedone, laggiù>>.

La voce di B mi distolse dal filo di pensieri che stavo tessendo con estrema attenzione allo scopo di creare un buon piano di difesa mentale da applicare poi sulla scacchiera, distraendomi.

<< La vuoi smettere? E' il mio turno e faccio come mi pare!>>, sbottai, cercando di non badare a B, semisdraiato sul pavimento, di fianco a me, mentre esaminava con diffidenza la disposizione dei miei pezzi sulla scacchiera.

Dal canto suo, Near faceva vagare liberamente lo sguardo da me a lui, da lui a me, da me alla scacchiera e così via.
Non aveva detto una parola vedendo il terzo incomodo, ma non sembrava per niente impressionato dalla presenza di B. Anzi, pareva più che mai incuriosito dal nostro modo di interagire, dato che avevamo finito col metterci noi due contro di lui. Avevamo stabilito di muovere uno dei nostri pezzi a turno, prima io, poi Near, poi lui, poi di nuovo Near e da capo con me.
Solo ora capivo che il mio vero avversario non era il piccolo fiocco di latte di fronte a me, ma il caso grave che tentava in tutti i modi di mandare all'aria il mio campo di battaglia, spostando volontariamente tutte le pedine che avevo posizionato in modo da utilizzarle in seguito.
Il vero problema evidenziava il semplice quanto devastante fatto che la mia tecnica si basava sulla difesa, la sua, invece, puntava tutta sull'attacco.

<< Qual è il colore che secondo te ti rappresenta meglio?>>, mi chiese di punto in bianco.

<< In questo momento il grigio piombo. E ora piantala, sto cercando di riflettere>>, risposi, mordicchiandomi un'unghia.

<< Risparmia la fatica, ormai hai condannato il re a morte certa>>.

Mi misi la testa tra le mani, sentendo che di lì a poco avrei perso la pazienza.

<< Qual è il tuo pezzo della scacchiera preferito?>>, chiese ancora.

<< La torre>>, dissi, muovendo l'alfiere.

<< Perchè la torre?>>

<< Perchè è irraggiungibile>>.

<< E chi lo dice?>>

La regina di Near mi mangiò l'alfiere, lasciando la mia ultima torre scoperta.
Sbuffai. Era tutta colpa sua.

<< E il tuo invece qual è?>>, gli chiesi, tanto per distrarlo a mia volta.

<< Il cavallo>>, rispose, senza batter ciglio. << E tutti i suoi differenti utilizzi>>, aggiunse, sfiorando la mia gamba con la sua.

Non so cosa mi trattenne dal tiragli uno schiaffo.
Mi limitai a guardarlo disgustata, non riuscendo a credere a come potesse dire certe cose davanti a un bambino, ma il piccolo sembrava non essersene accorto.

Sembrava.

Recentemente avevo scoperto che Near teneva la bocca chiusa, ma le orecchie ben aperte.  B si accorse della mia occhiata omicida e fece una faccina triste, rivolgendosi a Near, come per scusarsi.

<< Spiacente, piccolo. Mamma Lyanne ha litigato con il suo senso dell'umorismo, per questo stasera sembra un'arpia, ma ci pensa papà Beyond a tirarle su il morale, affinchè non faccia più partite tanto vergognose>>.

Mamma Lyanne.

Papà Beyond.

Piccolo Near.

Perchè la cosa mi sconvolse tanto?
E non in senso del tutto negativo...

Fugace, un pensiero mi attraversò la mente, facendomi scattare.

<< Oh, cavolo! Che ore sono?>>

<< Le dieci e venti>>, rispose meccanicamente B, indugiando con le dita sopra un pedone.

<< Cavolo!>>, sbottai, tirandomi su. << Scusa Near, devo allontanarmi per qualche minuto!>>

<< Dove vai?>>, volle sapere B.

<< Da Misa. Voglio controllare come sta. Non è ancora rientrata>>.

<< E' da codardi filarsela per non vedere il proprio esercito cadere>>, obiettò il ragazzo dai capelli neri.

<< E' andato in pezzi a causa tua. Prima di attaccare, bisogna sempre assicurarsi una difesa ineccepibile>>, lo rimbeccai.

<< La miglior difesa è sempre l'attacco, non lo sai?>>

Sorrisi. << In fondo sono generosa; ti regalo l'onore di venire sconfitto da solo>>.

 


                                                                                                        ***

 

La temperatura all'esterno si era abbassata bruscamente, ma non c'era un alito di vento a scompigliare le cime frondose degli alberi.
Per giungere al laghetto fui costretta ad addentrarmi nei cespugli selvatici, che crescevano liberamente, arrampicandosi ai tronchi degli alberi e allungandosi a dismisura sulla terra nera.

<< Misa?>>, la chiamai, quando giunsi alla riva.

Di notte il lago aveva un aspetto... bellissimo sarebbe stato riduttivo e in fondo anche sbagliato, perchè incuteva un certo timore il silenzio che ne permeava le acque immobili...era impressionante. La valle d'acqua era uno specchio che offriva un eccellente riflesso della luna piena e delle stelle più luminose.

<< Sono qui>>, rispose. Aveva una voce stranissima, come se in tutto quel tempo non avesse fatto altro che piangere.

Se ne stava con le ginocchia strette al petto. Si era tolta gli stivali e ora i suoi piedi toccavano la riva, bagnati e splendenti.
Feci qualche passo verso di lei.

<< Non ti avvicinare!>>, sibilò in malo modo, voltando la testa nella mia direzione.

<< Ma volevo solo vedere come...>>, esordii.

<< Non ti avvicinare!!!>>, gridò, alzandosi in piedi di scatto e mostrandomi cosa teneva stretto nella mano sinistra.

Una scheggia di vetro triangolare, appuntita.

<< Gli infermieri sono degli emeriti idioti>>, rise con nervosismo. << che senso ha mettere specchi di latta in tutto l'edificio quando poi permettono di tenere lo specchietto per il trucco?>>

<< Misa...cosa vuoi fare con quello?>>, dissi, senza staccare gli occhi dal pezzo di vetro che rifletteva la luce sul lago.

Il suo sguardò mi perlustrò con calma, poi tornò a fissare il frammento.

<< Ho pensato più volte di usarlo, l'anno scorso>>, mormorò, abbassando il braccio. << Per quello che avevamo fatto>>.

Chi aveva fatto cosa?
Non riuscivo a seguirla, perchè ad un tratto ero indecisa se avvertire qualcuno o tentare di calmarla. C'era qualcosa di diverso, in Misa. Aveva una luce malsana, preoccupante, negli occhi. E dal modo in cui teneva stretta quella scheggia, la mia paura aumentava sempre di più.

<< Non ti seguo>>, riuscii a dire, evitando di far tremare la voce. << Cosa avete fatto, l'anno scorso?>>

Lei ebbe un singulto. Credetti stesse ridendo, ma poi vidi lacrime nere di mascara disegnare righe tremolanti lungo le sue guance.

Piangeva disperatamente.

<< Io non volevo farlo!>>, gemette, portandosi le mani alla testa. << Lui non mi aveva mai fatto niente, era sempre stato gentile con me, ma poi...>>

<< Lui chi? Di chi stai parlando?>>

<< Abbiamo dovuto farlo, piccola Lilly>>.

<< Tu...e chi altri avete fatto cosa? Intendi gli altri pazienti?>>.

Misa scosse la testa e deglutì, rilassando le spalle. Mi avvicinai di un passo.

<< Cos'è successo? Dimmelo...>>, la incoraggiai, senza abbassare la guardia.

<< L Lawliet>>, sussurrò, stringendo il frammento con così tanta forza che vidi alcune gocce di sangue colare dal palmo.

<< Cosa gli è successo?>>, ripetei. << Parlami, Misa! Qualcuno ti ha costretto a fargli qualcosa?>>

 

 

                                                                                                                [ continua]

 

 

 

Ce l'ho fatta ad aggiornare!!!!!

Avete visto come sono brava? :P

* Bajiquan, come ho già scritto, viene di solito chiamato " pugilato degli 8 estremi", è uno stile d'arte marziale asiatica ( non ricordo più se cinese o indiana, pardon!), basata sull'uso dei gomiti. Se si impara bene ad usarla può produrre colpi potentissimi a breve raggio e di forza micidiale.


* Si parla di emicrania oftalmica quando avviene la vasocostrizione dei condotti ematici dell'apparato visivo.

NON è una malattia, ma può portare sintomi fastidiosi, tra i quali appunto un'emicrania micidiale( a volte anche perdita di sensibilità alle mani e al palato) e una percezione sbagliata della distanza degli oggetti... capito adesso perchè Lyanne a volte è tanto imbranata?

 

Ora però vi confermo con certezza che prima di settembre non potrò più aggiornare, perchè sarò occupata a nuotare, andare in canoa, fare immersioni e tante altre splendide cose :D

Attendendo con ansia il fatidico primo di agosto, ne approfitto per ringraziare

le 28 persone che hanno inserito The Wammy's Hospital tra le Preferite,

le 5 che l'hanno inserita fra le Ricordate

e le 37 che l'hanno inserita fra le Seguite

ma il grazie più grande va alle persone che hanno recensito l'ultimo capitolo!!

Mille millanta volte grazie e a presto!!

Un bacio e buone vacanze, Luce 

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Capitolo 11
*** Delitto al chiaro di luna ***


 

 

               
                                                        11.


                                    Delitto al chiaro di luna.

 

<< Temi la morte, Lyanne?>>

Il suo palmo intriso di sangue nero alla luce della luna andò sollevandosi, portandosi all'altezza della spalla, la punta della scaglia rivolta verso di me.

<< Rispondimi, cazzo!>>, sbraitò, agitando convulsamente le braccia.

Delle strane gocce calde raggiunsero il mio braccio destro, fomentandomi ad abbassare appena le palpebre e bastò quel poco di sangue a farmi provare una tremenda sensazione di vomito, mentre le mie narici bruciavano a causa dell'odore pungente e metallico.
Sono sicura di aver provato a parlare; ricordo benissimo di aver aperto le labbra per dire qualcosa, anche senza senso... mi bastava solo risentire il suono familiare e confortevole della mia voce.

Ma non ci riuscii.

Misa singhiozzava violentemente, i suoi occhi cerulei ormai arrossati e gonfi mi guardavano con aria accusatoria e allo stesso tempo implorante, il suo corpo tremava, come se il freddo si fosse fatto strada dentro di lei.
Sbirciai appena alla mia sinistra, verso l'edificio, forse nella folle speranza che qualcuno si fosse accorto di cosa stava succedendo, ma l'oscurità non aveva pietà e ricopriva con un alone infinito di ombre qualsiasi cosa distasse più di cinque metri da noi.

<< Non lo so. Immagino che una persona possa scoprirlo solo quando quest'ultima si presenterà a reclamarne l'anima>>, bisbigliai, come se stessi cercando di non destare qualcuno dal sonno.

<< Già, certo. Tempo fa la pensavo proprio come te>>, deglutì, facendo un passo avanti. << Vogliamo verificare, allora?>>

<< Misa, metti giù quel frammento.>>

La vidi piegare il braccio, indirizzando lo specchio rotto verso il suo polso sinistro, appoggiando la fredda lama cristallina sulla pelle, incidendola. Quasi come ad un richiamo, il sangue apparve quasi subito, scendendo lungo il suo braccio sotto forma di lacrime nere e calde.

<< Mettilo giù, ti prego>>, ripetei, mentre le mie mani iniziavano a tremare.

La ragazza indugiò un momento, per poi riprendere, affondando con più decisione la scheggia nella pelle, arrivando a recidersi metà polso.

<< Sei pazza, perchè fai una cosa del genere, ora smettila!!!>>, gridai con voce strozzata, portandomi le mani ai lati del viso, con l'intenzione di coprirmi gli occhi per non assistere a una scena tanto crudele.

Pregai che qualcuno mi avesse sentita.
Misa si fermò.

<< Perchè, mi chiedi?>>, sussurrò con un'espressione quasi incredula. << Perchè mi sto tagliuzzando o perchè sono così debole? Spiacente, piccola, domandami qualcosa di meno generico!>>

Il mio respiro non ci mise molto ad affannarsi, la mia testa riprese ad urlare.

<< Pe... perchè dici...dici di essere debole?>>, ansimai.

Lei rimase immobile per una decina di secondi, prima di chiedermi con voce grave: << Perchè stai piangendo per me, Lyanne?>>

<< Io non ho mai...>>, esordii, accennando passi malfermi verso di lei. << ...incontrato una ragazza come te. Non mi vergogno di ammettere che...che all'inizio non mi piacevi molto, anzi, non mi piacevi affatto. Ma non perchè non mi stavi simpatica. Perchè tu eri il perfetto prototipo fisico e caratteriale di ciò che non sono mai stata e che non sarò mai. Hai avuto tutto quello che una ragazza può ricevere dalla vita, non sembra spaventarti nulla, hai la straordinaria capacità di dire quello pensi senza preoccuparti delle conseguenze, qualunque siano le circostanze...>>

Misa perse per un momento l'espressione rancorosa, per rivolgermi un mezzo sorriso.

<< Si chiama " blaterare senza pensare", e non è affatto una capacità straordinaria. E' facile. Basta solo un po' di pratica. Guarda Gossip Girl.>>

Tuttavia, prima che ricominciassi a parlare, mi interruppe. << Però ti sei sbagliata su una cosa.>>

Oddio, ecco di nuovo quel tono. Merda, non sapevo come fare per prendere tempo.
Il terrore che Misa da un momento all'altro potesse fare una grossa pazzia mi faceva tremare perfino le ossa.

<< Fino a poco tempo fa ero convinta di avere tutto ciò che potessi desiderare. Solo perchè mi bastava una parola e una carta di credito perchè il mondo mi cascasse ai piedi. Dio solo sa come abbia fatto ad essere così stupida!!!>>, terminò la frase un ringhio colmo di astio...e pentimento. << Sarebbe facile dar la colpa alla droga. Dopotutto è stato a causa di quella merda che la mia manager è riuscita a convincere il tribunale a risparmiarmi la galera e a farmi tentare con la Comunità. Sai, fino all'anno scorso questo Ospedale si occupava anche di tossico-dipendenti. Avrei dovuto andarmene, magari continuare la mia carriera di modella, trasferendomi a Beverly Hills...è stato il mio sogno fin da bambina. Ma dissi di no. E quando la mia manager obiettò la mandai al diavolo, dicendo che volevo restare qui. Per un paio di volte dovetti anche simulare atteggiamenti violenti per convincere quella testa di cazzo del dottore a tenermi qui.>>

<< Perchè l'hai fatto?>>, sussurrai, l'incredulità perfettamente riconoscibile sul mio volto.

Deglutì, osservandomi con attenzione.

<< E' inutile, anche se ci mettessi tutta me stessa per spiegartelo, non capiresti. E non ci riusciresti, perchè ancora non sai cosa sia l'amore.>>, tacque. << Forse è meglio così. E' meglio nascondersi in un mondo di innocenza, come fai tu. Almeno non sei costretta a sentire ogni giorno il frantumarsi del tuo cuore, sapendo che nessuno potrà mai ricomporlo.>>

<< Non capisco di chi stai parlando!>>, ammisi, osservando l'emorragia venosa che allagava lentamente il suo braccio candido.

<< Sono rimasta rinchiusa qui, perchè volevo restare vicina a Light, Lyanne. Ma tu non riesci a capirlo, vero?>>

Light...

Light.

Lei aveva finto disturbi mentali, restando in quel manicomio...solo per lui.
Mi affannai a cercare una buona spiegazione.

<< Ti ha costretta lui?>>

L'occhiata furiosa e delusa che mi rivolse Misa avrebbe potuto ghiacciare l'Inferno.

<< Non mi stai ascoltando, Lyanne, nessuno mi ha costretto a fare niente!>>

Di colpo, un flashback investì le rive dei miei ricordi...

 

 

[ ...L'infermiere che fa il turno di notte nel tuo reparto si chiama Light e non ti azzardare a toccarlo, perchè se lo venissi a sapere, da me aspettati qualsiasi cosa...]


[ ...Non è arrabbiata. E' offesa...probabilmente non è abituata ai rifiuti...]


[ ...Devo andare. Ne riparliamo in Mensa...]

 

 

Che stupida.

Che stupida ero stata a non accorgermene prima. Solo ora che l'avevo scoperto mi sembrava così spaventosamente ovvio.

Ma la cosa che più di tutte mi faceva star male...

<< Sei tu, Misa!>>, sbottai, avvicinandomi, senza badare all'acqua gelata del lago che mi bagnava le ballerine. << Sei tu quella che non capisce! Non...posso credere che tu abbia fatto...e per cosa, poi? Solo per stare accanto ad una persona impegnata a squadrarti dalla mattina alla sera perchè teme improvvisi sbalzi mentali, che per di più nemmeno ti corrisponde?>>

<< Perchè credi che faccia tanto la puttana con Mello?!>>, a quel punto alzò la voce anche lei. << Con Alex, e Simon, e con tutti quelli che mi capitano a tiro?! Eh? Pensi che mi diverta a comportarmi da sgualdrina, sapendo che ai suoi occhi non otterrò mai uno sguardo di gelosia, tutt'al più di disgusto? Perchè ho cercato di lasciarmelo alle spalle, Lyanne!

Ma tutte le volte che mi veniva presentata la lettera allegata ai documenti da firmare per poter uscire di qui, la stracciavo e ricominciavo tutto daccapo!>>

<< Questa non può neppure venir considerata una valida scusa per giustificare...>>, il mio sguardo tornò sul pezzo di vetro. << ...ciò che stavi per fare.>>

La mano di Misa serrò la presa e vidi altre gocce di sangue colare dal palmo.
Si stava affettando la carne, ma sembrava che la cosa neanche la preoccupasse...come se non stesse sentendo il dolore.

<< E dire che...>>, sussurrò. << ...per un secondo mi sono illusa che almeno tu riuscissi a comprendermi. Ma tu non ti sforzi minimamente...eppure, ho visto come guardi Beyond Birthday.>>

Non riuscii a ribattere. Ormai mi sembrava che tutto ciò che dicevo non servisse a nulla.

<< E ho visto come Light guarda te.>>

Ed ecco che le mie tempie ripresero ad urlare inconsciamente, malgrado i miei tentativi di ignorare il dolore.
Il discorso stava prendendo un'orribile piega, Misa si era convinta di un fatto non vero.

Sollevai le mani, intimandole il silenzio. << Guarda che ti stai sbagliando. Vedi cose che non esistono, io e Light a malapena ci parliamo! E poi non lo vedo quasi mai...>>

<< Non prendermi in giro, sta sempre nel tuo reparto!>>, ringhiò lei, avanzando di un passo.

<< Butta via quel pezzo di vetro. Per favore.>>

<< E' così gentile con te, vero? Lo era anche con me, tempo addietro...>>, continuò, ignorandomi.

<< Misa, per favore.>>

<< Vada all'Inferno. Lui e questo posto, lui e tutti gli altri!>>, improvvisamente i suoi occhi liquidi, più luminosi a causa del riverbero della luna sull'acqua, si riempirono di lacrime, che sgorgarono, solcando il suo volto, come sottili linee di cristallo.

Non ce la facevo a vederla così.

<< Ho fatto una cosa deplorevole l'anno scorso...non sono mai riuscita a lasciarmela alle spalle>>, sibilò, incapace di mantenere la voce ferma a causa dei singhiozzi.

Fui tentata dall'idea di bloccarla; una parte di me non voleva sapere di cosa si trattasse, una parte di me voleva correre via, il più lontano possibile da lei e dalla sua pazzia, lasciando che qualcun altro fosse in grado di occuparsene.

Ma non c'era nessun altro. Solo io.

<< E sento che è meglio farla finita, perchè... forse, se dimostro di essermi pentita...>>, sollevò nuovamente il braccio ferito, riavvicinando la scheggia. << Se a questo mondo esiste un dio... lui mi perdonerà, se lo faccio.>>

<< No, Misa. Dio non perdona chi sceglie di rinunciare alla vita che egli stesso gli ha donato. Il settimo Cerchio dell'Inferno è riservato ai suicidi.>>, sibilai. << Di qualsiasi cosa si tratti, si può sempre fare ammenda.>>

Scosse la testa. Non avevo mai visto in una persona un'espressione così devastata.
E le urla della mia emicrania si sovrapponevano alle folate improvvise che piegavano le cime degli alberi verso di noi, increspando lo specchio d'acqua.

<< Non mi importa più. Nella situazione in cui mi trovo, mi andrebbe bene anche questo...perchè ho la sensazione che per quello che ho fatto non potrei accedere né al Paradiso, né all'Inferno.>>, neanche il tempo di riflettere sul significato di quelle parole, che Misa affondò nuovamente il frammento nella pelle.

Senza pensarci, mi fiondai su di lei, afferrandole con entrambe le mani il polso, e torcendoglielo, nel tentativo di farle perdere la presa.

<< Lasciami! Tu non capisci, Lawliet è morto per colpa mia!>>

Finalmente, il pezzo di vetro cadde in acqua, senza fare il minimo rumore. Ma io crollai in ginocchio, le dita che mi artigliavano i capelli, le mani rigide e agonizzanti, mentre qualcosa nella mia testa prendeva a pulsare violentemente, come se qualcuno la stesse colpendo dall'interno.
Puntai le braccia a terra, stringendo i pugni nel fango del lago e gridando dal dolore.

<< ...Lyanne? Che succede?>>

La voce di Misa risuonò ovattata, distante; non la avvertii quando si inginocchiò a sua volta, sbarrando gli occhi. << Stai sanguinando!>>

Era vero. Vedevo molteplici gocce di sangue scendere dal mio naso, andando a mischiarsi nell'acqua. << ... Vado a chiamare qualcuno!>>, disse, facendo per alzarsi in piedi. Pur essendo piegata in due dal dolore, qualcosa attirò la mia attenzione, alle sue spalle.

<< Misa...!!>>

Il mio avvertimento giunse troppo tardi, nel preciso istante in cui qualcuno la aggredì. Riuscii a distinguere solo un'informe massa nera sovrastare la ragazza, prima che entrambi cadessero nel lago, squarciando il velo dell'acqua nera.

Alzati, pensai con tutta l'intensità possibile. Alzati in piedi!

Mi morsi con forza il labbro inferiore, mentre le mie ginocchia tremanti si sollevavano. Voltai lo sguardo verso la superficie increspata. Misa riemerse, i capelli incollati al volto e un'espressione terrorizzata.

<< Lyanne...!>>, mi chiamò. Tossì con foga, cercando di rimettersi in piedi. L'acqua le arrivava appena oltre i fianchi. Il suo sguardo confuso e spaventato incrociò il mio. Non mi ero ancora mossa dalla riva. << Ma cosa...>>

Accadde in un attimo.

Vidi chiaramente qualcuno afferrarla per le spalle, facendole perdere l'equilibrio e tirandola con violenza giù.
E il mio cuore perse un battito, quando finalmente riuscii a vedere quella persona.
Era la stessa di quella sera, la stessa che se ne stava accovacciata a guardare il corpo morto e penzolante di Sean...e con tutta probabilità, che l'aveva ucciso. Pur agonizzante, tuttavia, la mia mente era lucida abbastanza da capire che lui stava cercando di affogarla.
Sentii una paura e un furore soffocarmi ogni centimetro di pelle, dove i tremori si accatastavano, indebolendomi.
Avevo visto un cadavere.
Non ero disposta a vederne un altro. Prima ancora che riuscissi a rendermene conto, mi ero tuffata in acqua, raggiungendolo. Le mie dita artigliarono le sue braccia, poi le sue spalle, nel tentativo di fargli perdere la presa.

<< Basta, la stai uccidendo!!>>, urlai fuori di me. Usai tutto il fiato che mi era rimasto in gola, pregando che qualcuno mi udisse.

Eravamo lontane, ma a questo punto qualcuno avrebbe dovuto sentirmi per forza...
Lo colpivo alla cieca, il terrore che ormai mi pervadeva completamente, accumulando in me la spaventosa consapevolezza che non sarei riuscita a salvarla.

D'un tratto, lui mi guardò.
Vidi riflessa nei suoi occhi una collera che scorreva come una corrente infuocata, un odio malcelato che si accaniva su di me, spogliandomi di ogni forma di coraggio, finchè non rimase solo impotenza.

Poi vidi una delle sue mani uscire dall'acqua, abbattersi sul mio volto.

Il colpo fu così forte da sbilanciarmi all'indietro, facendomi finire sott'acqua. Avevo sentito il dolore bruciante al viso, e le sue unghie graffiarmi con crudeltà la guancia e il collo.

Aiuto.

Restai prigioniera per pochi istanti nell'abbraccio ghiacciato del lago, incapace di liberarmene. Come una culla dalla quale non percepivo più alcun suono, come una stanza isolata da tutto il resto...

Dovevo chiamare aiuto.

Riuscii a raggiungere la riva, trascinandomi verso il margine fangoso, finchè non vidi una figuretta immobile e bianca, a pochi metri da me.
Near guardava un punto del lago dietro di me, senza muovere un muscolo. I suoi occhi, di solito imperscrutabili e vuoti, erano sbarrati e il suo petto si alzava e si abbassava ritmicamente.

<< Corri!!>>, gridai. << Allontanati di qui!!>>

Fece un paio di passi indietro, tremando visibilmente.
Mi rialzai e cominciai a correre, prendendolo per una mano e incitandolo a muoversi. Gli alberi, neri come ombre notturne, sembravano sfrecciarci come macchie indistinte, mentre la luna, unica testimone di ciò che stava accadendo nel lago, illuminava la strada vuota davanti a noi.
Notai Light e altri due infermieri scendere frettolosamente il portico e venirci incontro. Mi misi a urlare, incitandoli più volte ad andare al lago.

Ma stranamente loro non lo fecero.

Si limitarono a squadrarmi allarmati, in particolare Light.

<< Lyanne...!! Cosa...>>, esclamò, osservando il mio volto.

<< Aiutatela, per favore! C'è Misa laggiù, lui...>>, ansimai, il cuore che mi rimbalzava furiosamente nel petto, minacciando di spaccarmi la cassa toracica da un momento all'altro.

<< Lyanne, lascialo andare.>>, disse ancora Light.

Sapevo che stavo ancora tenendo Near, sapevo che lo stavo stringendo con forza a me. Ma loro non capivano.

<< Lascialo, subito!>>

Delle mani forti e robuste staccarono rigidamente, ma senza violenza il piccolo da me. Light mi sfiorò il collo. << Chi ti ha fatto questo? Cosa è successo?>>

<< Misa!!>>, a quel punto crollai, mettendomi ad urlare con tanta forza, che la mia voce riecheggiò tra gli alberi. << La sta uccidendo!>>

La mano di Light si bloccò. << Cosa...? Chi?>>

<< Nel l-lago...>>, sussurrai.

Non caddi a terra, perchè uno degli infermieri mi sorresse. Non avevo più neanche la forza di tenere gli occhi aperti, perciò riuscii solamente ad udire la voce di Light ordinare all'infermiere di accompagnarmi in infermeria; successivamente udii gli altri seguirlo e capii che stavano correndo verso il lago.

Pur non avendo ormai neppure la forza di pensare, pregai Dio che arrivassero in tempo.

 

   
                                                                                                            ***

 

<< No!!! Ti prego, sto dicendo la verità!!>>, gridai, contorcendomi come una belva che cercava di sfuggire al suo predatore.

Purtroppo i miei sforzi di ribellarmi si rivelarono per la seconda volta inutili a confronto con Light. Le sue braccia imprigionarono le mie dietro la schiena, mentre mi sbatteva contro il muro.

<< Naomi!>>, il suo tono autoritario sottointendeva un ordine, al quale l'infermiera si apprestò ad obbedire, andando ad aprire un armadietto, in cerca di una siringa.

<< Se non ti calmi ti faccio smettere io! Ora dimmi perchè l'hai fatto!!>>

<< Io non ho fatto niente!!! Non sono stata io!!!>>, gridai, sentendo le mie lacrime bollenti scorrere lungo le guance.

Avevano portato il cadavere di Misa fuori dall'acqua, lontano dalla riva del lago. Dalla finestra dell'infermeria ero riuscita a scorgere la sagoma confusa di Light cercare di rianimarla, mentre da qualche parte, oltre la recinzione, si prolungava la sirena dell'ambulanza.
Pochi minuti dopo Light era entrato in infermeria, accusandomi di averla uccisa.

Era convinto che i graffi sul volto me li avesse fatti lei.

No, non è andata così!

Avevano frainteso tutto.

Io volevo aiutarla!

Infine lui era riuscito ad uccidere lei e ad incastrare me.

<< Naomi! Dammi quella maledetta morfina!!>>, gridò con impazienza, sforzandosi di controllare i miei tentativi di liberarmi.

Lo vidi afferrare la siringa. Gridavo ancora quando sentii l'ago sulla mia pelle.

<< Non è stata lei!!!>>

Una via d'uscita in una trappola di inganni...così apparve la voce di Near alla mia mente.
Light e Naomi si voltarono entrambi verso di lui, i loro sguardi increduli.

Non dissero una parola, mentre il bambino dalla pelle color della neve si stringeva le braccia, guardandomi come se stesse per scoppiare in lacrime. << Un'altra persona...l'ha uccisa.>>, sussurrò.

Naomi e Light si scambiarono un'occhiata reciprocamente vuota. Avvertii chiaramente le mani di Light allentare la presa sui miei polsi.

Naomi gli si avvicinò. << Near! Tu...?>>, dovette fermarsi, perchè la voce le si incrinò. << Hai visto chi è stato?>>

Gli occhi di Near tornarono su di me. Vidi le sue labbra tremare appena, mentre faceva un impercettibile cenno con la testa.
Light mi lasciò andare, allontanandosi di un passo.

<< Chi è stato, allora?>>, gli chiese.

Lasciai vagare il mio sguardo assente sul pavimento. Il bianco acceso che le luci al neon proiettavano sul pavimento plastificato dell'infermeria fomentava le mie palpebre ad abbassarsi.
Un po' come quando si guarda un cielo troppo azzurro.
Solo che l'azzurro era scomparso; ora era rimasto solo il nero.

Alla risposta mancante di Near, Light fece un cenno a Naomi, la quale si inginocchiò di fronte a lui. << Per favore, piccolo>>, esordì. << E' importantissimo. Era uno dei pazienti? Chi è stato?>>

Near non aveva mai parlato con nessuno, eccetto me, in tutto l'Istituto, e forse, anche fuori di esso.
Il pensiero che avesse trovato la forza di fare un'eccezione, per una volta, solo per me, mi fece scorrere un'ultima lacrima. Questa però non era amara come le altre.

Grazie, Near.

<< Su, diccelo! Preferisci scriverlo? Avanti...per favore!>>

C'era una fotocopiatrice funzionante, sulla scrivania di fianco a me. Mentre Naomi e Light prestavano la loro attenzione solo su Near, la macchina ricevette un fax. Sollevai di poco lo sguardo, giusto quel tanto che bastava per vedere il foglio.
Era un semplice indirizzo.

Mail Jeevas, 303 Place Vendôme, Parigi.

Jeevas, mi era familiare quel nome.

<< L'ho visto anch'io>>, dissi con voce scialba, senza staccare gli occhi dalla fotocopiatrice, interrompendo in questo modo le pressioni dei due infermieri su Near.

Aprii la bocca per confidare il nome, quando dalla porta emerse un'altra figura.
Beyond Birthday ci scrutò uno per uno con quegli occhi iniettati di sangue, che si soffermarono su di me.

<< Ehi, ragazzina... ti è esplosa una sacca di sangue in faccia, per caso?>>, domandò divertito, ma anche un po' turbato.

<< Allora, Lyanne? Chi è stato?>>, riprese Light, ignorando il commento di B.

I volti dei due infermieri divennero improvvisamente allarmati, quello di B tradiva un'assoluta perplessità, quando puntai un dito tremante verso di lui.

<< Faccia al muro>>, sibilò immediatamente Light, rivolgendosi a Beyond.

<< Che succede?>>, domandò l'infermiere del reparto numero 2, esitando sulla porta.

<< Ehi, calma Yagami, io non...>>, iniziò a dire Beyond, ma Light afferrò il manganello di legno che teneva allacciato alla cintura, puntandoglielo contro. << E' la seconda volta che ripeto " faccia al muro". Non azzarderei la terza>>

Gli occhi di Beyond assunsero la forma di profondi laghi nei quali scorreva una rabbia purpurea, mentre lui non accennava a muoversi.

<< Di qualunque cosa si tratti, non sono stato io. Sono rimasto nella Mensa Comune fino a cinque minuti fa, l'infermiere può confermarlo.>>, concluse, con un cenno verso l'uomo che se ne stava sulla porta.

<< E' vero...>>, mormorò l'infermiere, facendo vagare lo sguardo da lui a Light, il quale si voltò verso di me.

<< Lyanne?>>, anche se non lo guardavo, sapevo che il suo volto mi chiedeva spiegazioni che non potevo offrirgli. Ero certa di aver visto lui.

Era stato lui.

<< Ma... ma io l'ho visto!>>, balbettai. Beyond tornò a fissarmi, socchiudendo le palpebre. << ...Lui! Ho visto... credevo...>>

Naomi si lasciò sfuggire un sospiro esasperato, mentre Light si passava le mani sul viso, poi tra i capelli, nel tentativo di decidere cosa fare.

<< Ve lo giuro, io...>>, insistetti. << se non era lui, ci assomigliava davvero tanto!!>>

Light mi guardò di sottecchi e per una decina di secondi nessuno disse una parola.

<< D'accordo.>>, sussurrò infine. << Portiamo tutti i pazienti nelle loro camere, che nessuno esca stanotte. Dobbiamo raddoppiare la sorveglianza; finchè la scientifica non ci dirà qualcosa di più riguardo alla morte di Amane, teniamoci bene a mente che c'è un assassino tra di noi, di conseguenza sarà opportuna la massima cautela.>>

<< Lyanne, prendi queste.>>, Naomi mi porse delle salviette. << Ti ho disinfettato tutti i graffi, ora cerca di pulirti dal sangue. E' comprensibile che ora tu sia confusa, proveremo a riparlarne domani. Con calma>>, aggiunse, ignorando l'occhiata di Light. << Accompagnali tutti alle loro stanze>>, disse, rivolgendosi all'infermiere.

Non appena uscimmo, la porta venne chiusa con un tonfo dietro di noi. Probabilmente Light era furioso, poichè non sapeva cosa pensare. Il primo a venire chiuso nella stanza fu Near. Mi guardò dalla sottile finestrella della porta, prima che l'infermiere ci conducesse verso le scale.
Tutt'intorno a noi, il personale si stava dando un gran daffare per portare i pazienti nelle loro stanze il più celermente possibile.
Notai che alcuni di loro mi lanciavano occhiate scioccate e incuriosite e istintivamente mi ricordai del sangue.
Iniziai a strofinarmi la faccia e scoprii con orrore che ce l'avevo dappertutto: tra i capelli, sulle guance, sul collo, sotto il naso, sulle labbra...ne avvertivo il sapore, sulla lingua.

<< E così il fantomatico killer mi somigliava, eh?>>, sussurrò al mio orecchio B, inclinandosi di poco verso di me, mentre salivamo le scale che portavano al reparto numero 5.

Tenni lo sguardo verso il basso. Per tutto il tempo avevo cercato di evitare di guardarlo.
Chissà cosa pensava di me, in quel momento.
Forse mi odiava.
Forse provava il desiderio di uccidermi, per averlo incolpato.

<< So quello che ho visto>>, risposi semplicemente, mentre percorrevamo il corridoio.

<< E io credo di sapere chi hai visto.>>, rispose lui, lasciandomi senza parole. << Sempre che non fosse un'allucinazione, e c'è un buon 94% di probabilità che lo fosse.>>

Ci fermammo a pochi passi dalla sua camera, mentre l'infermiere ci passava davanti, tirando fuori un mazzo di chiavi. Approfittando del fatto che stava cercando la chiave giusta, mi voltai a mio malgrado verso di lui.

<< Che vuoi dire?>>

<< Sai, fino all'anno scorso in quest'Ospedale c'era una sola persona che mi somigliava. Personalmente, non ho mai trovato tutta questa affinità in lui, ma agli occhi degli altri venivamo scambiati quasi per fratelli. Stessa altezza, stesso taglio del viso, stessi capelli...>>, dichiarò, scrutando con attenzione il mio volto. Non avevo la forza di parlare.

<< Non posso crederci>>, sussurrò. << Hai visto davvero L?>>

La mia mente si rifiutava di ragionare. Tutto quello che volevo era chiudere gli occhi e addormentarmi, entrando in un sogno fantastico, per fuggire da questo incubo dolorosamente reale.

<< Poco prima di venire aggredita, Misa ha accennato a L Lawliet. Chi era?>>

La mascella di Beyond si irrigidì.

<< Era colui che tu non puoi aver visto, dato che è morto.>>

<< Lo so che è morto! Ma Misa ha detto che era stata colpa sua! Era un paziente dell'Ospedale! Occupava il reparto numero 7 prima di me, vero? Che gli è successo?>>

Una strana ruga di perplessità mistificò il volto di Beyond. Mi squadrò per un secondo, poi si lasciò sfuggire una risatina. << ...Cosa? Chi ti ha detto che L era un paziente?>>

<< Dentro, B>>, ci interruppe l'infermiere, aprendo la porta. Lui voltò distrattamente il volto verso l'uomo. Fece un passo verso la camera, poi si girò un'ultima volta verso di me. << L non era affatto un paziente. Era l'infermiere che esercitava il turno di notte con Light.>>

 

 

                                                                                                                [ continua]

 

 

Eccomi qui, finalmente!

Aggiornamento: 2 settembre, come promesso ^^

( Oh, noooo T.T direte voi...)


 

Sarete felici di sapere che questo era l'ultimo capitolo vago e pieno di interrogativi. I prossimi capitoli saranno anche gli ultimi, quelli nei quali verrà svelato tutto!

Solo un piccolo N.B. : per motivi di organizzazione, dato che lo svolgimento dei fatti non può essere reso dal punto di vista di Lyanne ( ci ho già provato, e veniva fuori un ingarbuglio terribilmente confusionario), la visione dei fatti passerà a Naomi Misora.

Perciò, tenetevi forte e preparatevi al peggio! ( Non scherzo)


Ah, un'ultima cosa: siccome non ho mai una buona dose di tempo unito per rispondere alle vostre recensioni ho deciso che vi risponderò con un messaggio privato, con calma e tranquillità, per farvi capire quanto ci tenga ai vostri pareri e quanto mi faccia felice sapere che mi seguiate con perseveranza!

Grazie a tutti voi <3 

 

Un bacio, Luce 


Un bacio 


Srete  


 

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Capitolo 12
*** inside, I'm still a monster ***



 
                                                                                 12.

                                                         " Inside, I'm still a Monster..."



                                                     

 



 

I due bicchieroni colmi di caffè diventato ormai freddo e fangoso giacevano dimenticati sulla scrivania bianca. Solo quelli si erano salvati dall'incommensurabile furia di Light, il quale in preda ad un attacco di nervi, aveva finito per gettare a terra qualsiasi oggetto gli capitasse a tiro. Vagò con lo sguardo per tutta l'infermeria, borbottando qualcosa fra i denti, poi diede un pugno secco alla parete.
Cercavo di restare impassibile, ma stava iniziando ad irritarmi parecchio.

<< Sicuro che la morfina non serva di più a te?>>, ironizzai con falsa allegria, guadagnadomi una delle occhiate più disprezzanti di tutta la mia carriera infermieristica.

<< Come fai a scherzarci su? Ti rendi conto di che razza di situazione sia questa?!>>, il suo tono salì sproporzionatamente e dopo quel monito mantenni un discreto silenzio.

Certo che me ne rendevo conto.
Me ne rendevo conto anche meglio di lui, se era per questo.
Due omicidi in due settimane, record invidiabile per un Ospedale.

<< Merda. Che razza di situazione...>>, gemeva ancora Light. Si lasciò cadere sulla sedia affianco alla mia, fissando un punto indefinito davanti a sè. << Non possiamo lasciare che una cosa del genere continui>>, aggiunse. << Non so per quanto mio padre riuscirà a tenere bendati gli occhi dei media riguardo agli omicidi.>>

<< Una ragazza questa sera è morta e tu ti preoccupi dei giornalisti?>>, mormorai atona, stringendo le dita affusolate attorno al mio bicchiere di carta.

<< Devo preoccuparmi anche di loro e porli in primo piano, considerando che al momento ho le mani legate!>>, ruggì lui, stringendo le mani a pugno.

Sorseggiai lentamente il mio caffè, non badando alla sua reazione. Ero abituata alle paturnie professionali di quel ragazzo e ormai nulla di lui aveva più il potere di intimidirmi. Comprendevo però il suo malumore.
Invero, anch'io ero tendenzialmente turbata all'idea che al momento non potessimo concentrarci sul soggetto che aveva aggredito Amane Misa, poichè non sapevamo a cosa agganciarci.
O meglio, io non sapevo cosa pensare.
Light invece si era improvvisamente fatto silenzioso.
Si stava reggendo la testa con una mano, due dita posizionate sulle tempie; le altre erano scivolate fino a coprire la sua bocca, in una posizione che soleva prendere ogni qualvolta che rifletteva.

<< Tu ti fidi di quello che ha detto Lyanne?>>, mi domandò di punto in bianco, spezzando il silenzio mortifero, reso ancora più letale dal saporaccio di bruciato presente nel mio caffè. Era il terzo in una settimana... era tempo che le cuoche si meritassero la loro strigliata.

<< Perchè, tu no?>>

Fece un respiro profondo e puntò i suoi occhi caramellati nei miei. << Lei e Misa si trovavano all'esterno dell'edificio, sulle rive del laghetto. Erano sole. Non appena è rientrata Lyanne, ho ordinato agli addetti rimasti all'interno di chiudere le porte.>>

<< L'assassino potrebbe non essere rientrato.>>, azzardai.

<< L'ho pensato anch'io. Ma quando ho fatto riportare i pazienti nelle loro rispettive camere, ho controllato personalmente se dalla lista mancasse un nome. C'erano tutti.>>

Rimasi in silenzio.
Tipico di Light, affannarsi a trovare una spiegazione, anche se improbabile, ma pur sempre una spiegazione. Tuttavia non me la sentivo affatto di dargli corda in quest'assurda supposizione, ben che meno sospettando di Lyanne.

<< Senti, vai a casa, Naomi. Sei qui da diciotto ore e il mio turno sarebbe iniziato da un bel pezzo.>>

Non ci voleva un indovino per constatare che era ancora abbastanza alterato da non volere nessuno tra i piedi per il momento, perciò buttai bruscamente il mio bicchiere contenente quella vomitevole vernice color caffè nel bidone, per poi alzarmi e afferrare la giacca nera che avevo lasciato appesa allo schienale della sedia.

 

 

                                                                                                                                                   ***

 

Vivevo a cinque chilometri dall'Ospedale, in uno dei quartieri più affollati dell'Antica Winchester. Detestavo gli edifici posizionati negli affollati centri delle città, per questo non avevo esitato a tenermi la vecchia villa dei miei nonni, un edificio molto semplice, di due piani, accoccolato su un tappeto d'erba perennemente profumata, che faceva da manto colorato al resto del mio quartiere, se così si poteva chiamare.

L'Antica Winchester sorgeva su quelle che erano le rovine del più antico cimitero della città, seppellito dalla secca e spinosa vegetazione morta dei boschi, a Nord.
Detto così potrebbe suonare estremamente lugubre, ma a me era sempre piaciuto. Chissà, forse perchè avevo sempre avuto un debole per il lato oscuro.
Quell'ultimo pensiero mi fece venire in mente Misa.
Una volta entrata in casa, mi tolsi la giacca, senza badare a dove la lasciassi cadere, poi toccò la stessa sorte agli stivali.
Non ce la facevo neanche a guardarmi allo specchio, sapevo di essere devastata.
La faccenda di quella notte mi aveva riversato addosso una scia di inquietudine che per esperienza sapevo benissimo che non sarebbe scomparsa da sola. Per questo mi diressi verso la cucina, tirando fuori da uno degli scomparti più alti la mia riserva segreta di assenzio alla menta.
La mia cura personale in momenti simili ed enorme bomba di concentrazione. Presi un bicchiere pulito dalla lavastoviglie e mi sedetti su uno sgabello, iniziando a riempirlo, molto lentamente.
Non avevo visto il corpo di Misa, ma Light era riuscito comunque a traumatizzarmi, una volta descritto quello scempio.
Parole sue... uno scempio.
Il suo corpo era già rigido e freddo, dopo essere stato tirato fuori da quelle acque, ma nonostante gli sforzi, Light non era stato in grado di praticarle la respirazione artificiale.


[ ... E non ho potuto perchè il suo aggressore non si è limitato ad affogarla. E' presto per dirlo, ma a me sono sembrati segni di morsi quelli che le hanno strappato la carne dalla guancia.]

Inclinai dolcemente il bicchiere di cristallo con sottili movimenti rotatori, osservando compiaciuta il liquido cangiante dondolare pigramente.

Segni di morsi..., pensai, quasi inconsciamente.

Carne strappata...

Un animale...

Misa e Lyanne...

Segni di morsi...

E anche Near...

Segni di morsi.

Bevvi a goccia tutto il contenuto, ingoiando il più in fretta possibile.
Fuoco profumato mi accarezzò la gola, riscaldandomi le membra e accendendo i miei sensi.
D'un tratto, mi venne in mente un'altra cosa.
Lyanne passava praticamente tutto il suo tempo in compagnia di Misa... questo significava che se nell'Ospedale ci fosse stato qualcuno che ce l'aveva particolarmente con quella ragazza, lei avrebbe dovuto saperlo, ma...

No, mi stropicciai gli occhi. Non ci siamo.

Spettegolare era la ragione di vita di Misa.
Di conseguenza, come avrebbe potuto non metterla al corrente del piccolo bambino prodigio incapace di instaurare qualsiasi contatto verbale con chiunque?
Cosa mi aveva lasciata perplessa, dunque?
Ripensai al momento in cui Near aveva gridato: << Non è stata lei!>>
Quel bambino l'aveva difesa.
Ecco cosa mi aveva sorpresa... il fatto che dopo il suo intervento, il volto di Lyanne era rimasto scevro di alcun tipo di stupore.
Il che probabilmente simboleggiava la probabile quanto interessante possibilità che loro due si fossero già parlati, in precedenza.
Mentre mi interrogavo, versai un secondo bicchiere.
Forse tutto questo non c'entrava nulla, forse stavo perdendo tempo, fantasticando su cose apparentemente inutili e sorvolando ciò che contava davvero, ovvero l'omicidio di Amane.
Per la prima volta, dopo anni, rimpiansi di aver lasciato l'FBI.
Con una pistola, un paio di manette e un distintivo mi era più facile analizzare nel vivo casi del genere, perchè spinta dai giusti stimoli.
Mossi appena il bicchiere e il luccicchio dell'anello che portavo all'anulare destro attirò la mia attenzione.
Da quando L era morto non ero più riuscita a tenerlo al suo posto, ovvero, alla mano sinistra.
Nessuno capiva, era... era una pena insopportabile!
Feci un respiro profondissimo, nel tentativo di riprendere il controllo.
Non potevo pensare a lui.
Non adesso.
Non di nuovo.
Eppure, quantunque le mura si alzassero protettive, per difendere la mia mente dal tormento dei ricordi, mi parve di risentire la sua voce.
L'assenzio brillò come pura luce.


[ E' un trasferimento definitivo. Hai sempre detto che ti piacerebbe visitare la Norvegia!]


Senza che me ne accorgessi, punture di spilli invisibili ferirono i miei occhi neri, miscelando nel dolore bruciante, anche la nascita di lacrime ardenti.


[ Tu non sei una nullità, Naomi...]


Il bicchiere tremò appena, provocante quanto distruttivo.


[ ...Oppure Naitoenjeru.]*


Un movimento improvviso del mio braccio e il bicchiere che stringevo andò a frantumarsi contro la tappezzeria, ricoprendo il tessuto di colanti rivoli scuri.

 

 

                                                                                                                     ***




Wammy's Hospital, ore 8.30.

Non parcheggiai l'auto nella zona riservata al personale, non mi sarei trattenuta a lungo.
In altre circostanze, il volto stupito e allo stesso tempo ammonitore di Light mi avrebbe fatto sfuggire un sorriso, ma oggi mi fece solo venir voglia di guardare da un'altra parte.

<< Che ci fai qui?>>, mi interrogò non appena varcai la soglia della hall.

<< E buongiorno anche a te.>>, risposi, incamminandomi verso l'infermeria.

<< No, non è per niente un buongiorno. Mi spieghi perchè sei venuta?>>, insistette, seguendomi a ruota. In mano stringeva una cartella gialla che non avevo mai visto. Non appena ci buttai uno sguardo, se la mise sottobraccio.

<< Volevo dare un'occhiata a Lyanne e Near.>>, buttai giù, sperando che quest'inizio bastasse per mandare a nanna la sua curiosità.

Ovviamente non desistette.

<< Naomi...>>, iniziò, ma lo interruppi bruscamente.

<< Piuttosto, tu che ci fai qui? Le stelle non si vedono più da sei ore, lo sai?>>

<< E' scoppiato un putiferio, dopo che te ne sei andata. Ieri notte ha chiamato il signor Wammy.>>, l'occhiata esitante con cui mi rivelò quell'ultima informazione mi fece intendere che avrebbe preferito non mettermene al corrente.

In effetti, fui presa contropiede.

<< Come? Quillsh Wammy?>>, pronunciare il suo nome dopo tanti anni mi fece uno strano effetto.

Light annuì. << Ha insistito per parlare con mio padre. La conversazione è durata meno di tre minuti, ma sono sicuro che fosse furioso. E mio padre, devastato.>>

Ripresi a camminare, cercando di schiarirmi le idee.

<< E' arrivato il rapporto sulla morte di Amane?>>, domandai, come se mi fosse venuto in mente per caso.

<< Naomi, è il tuo giorno libero, non mi va che ti prenda la briga di fare gli straordinari... tanto mio padre non te li pagherà!>>, aggiunse, derubandomi di un mezzo sorriso.

<< Fidati, non resterò a lungo. Ho bisogno di vedere se è arrivato un fax. Ieri sera mi sono dimenticata di controllare.>>, asserii, entrando nell'infermeria vuota.

<< Che fax?>>, volle sapere Light, appoggiando la cartellina sul tavolo.

<< Un indirizzo. Ho faticato due settimane e mezzo per convincere la segretaria con quell'orrida voce da gesso scricchiolante a inviarmelo.>>

<< Ah, l'ho messo sulla tua scrivania. Chi è Mail Jeevas?>>, mi domandò, andando a prendere il foglio.

Lessi velocemente e mi preparai ad inviare un altro fax, questa volta destinato a quell'indirizzo.

<< Per ora è l'unico appiglio che ho trovato per scoprire qualcosa su quella ragazzina... anche se potrei benissimo aver preso un granchio. Gli sto inviando un paio di foto di Lyanne che abbiamo scattato il primo giorno. Gli ho scritto anche il mio numero di cellulare, così, in caso la riconoscesse, mi contatterà. Potrebbe volerci del tempo.>>, mormorai, premendo INVIO.

Il fax partì.

<< E una è sistemata.>>, sorrisi appena, voltandomi verso di lui. << Ora, dimmi cosa sai sulla morte di Amane.>>

Lui non fiatò.
Lo sguardo mi ricadde sulla cartellina ed ebbi un improvviso sospetto. Mi fiondai verso la scrivania per afferrarla, ma Light fu più rapido.
Tirò il braccio verso l'alto, in modo che non potessi raggiungerla.

<< Ti ho detto che non mi va che ti preoccupi di queste cose anche oggi!>>, esclamò, imprigionandomi in uno sguardo carico di rimprovero.

<< Ok.>>, sbuffai. << Rimandiamo a domani.>>

Light sorrise, sollevato.

<< Ma almeno dimmi qualcosa!>>, aggiunsi, incapace di mettere un freno a mano al mio vecchio istinto poliziesco.

Il ragazzo sospirò a bocca chiusa, cercando di nascondere l'irritazione.

<< Ci avevo visto giusto, l'altra notte. Hanno confermato che si trattava di morsi. Le hanno asportato una parte della guancia e il labbro inferiore, e la lingua è stata strappata via.>>

Non dissi una parola e lui continuò. << Dicono che a quanto pare, ha tentato di difendersi. Aveva dei lividi sulle spalle e sotto le unghie hanno trovato tracce di pelle, ma non hanno ancora finito di analizzarla. Non ti dirò altro per oggi, quindi fammi un favore: vai a casa. Oppure fai un giro a Ovington, devi distrarti. Lascia fare a me.>>, concluse, togliendomi un ciuffo di capelli corvini dalla fronte e sistemandomelo dietro l'orecchio, regalandomi un sorriso rassicurante, al quale non potei fare altro che cedere.

 

Non avendo lasciato la macchina nel parcheggio principale, fui costretta a percorrere due fiancate dell'edificio, fino a trovarmi nel giardino sul retro. Da lì intravedevo la guglia della cappella, la punta così aguzza e impolverata dai secoli che non riuscii a fare a meno di provare una fitta dolorosa allo stomaco.
Avvicinarmi a quel luogo consacrato significava riaprire ferite vecchie, ma non ancora rimarginate del tutto, col rischio di squarciarle irreparabilmente.
Tuttavia, l'altra metà del mio cuore provò un inaspettato senso di vergogna al pensiero di aver rimosso completamente quella cappella e tutto ciò che conservava dalla mia mente.
Maledicendo la mia personalità sensibile, mi diressi a passi rapidi, ma incerti, verso la cappella che il signor Wammy aveva fatto restaurare circa un anno fa, impedendo al tempo e alle tempeste di distruggere un'intera schiera di secoli che testimoniavano la sua antica esistenza.
I miei stivali neri esitavano sul terreno sabbioso e spaccato, man mano che mi avvicinavo al portico.
Fu lì che udii il canto.
Il mio corpo si fermò.
Troppo tenue per riconoscere le parole, ma troppo pulito, splendido e malinconico per appartenere ad una persona che canticchiava solo per svago.
Cambiai direzione e mi avvicinai alla vegetazione che cresceva selvaggia e priva di limiti. Dopo un attimo di esitazione, superai la soglia oscurata dall'ombra degli olmi e mi addentrai lentamente, attraverso gli arbusti.
Perchè lo stavo facendo?
Sapevo cosa c'era, oltre quelle piante.
Sapevo cosa avrei trovato.
Mi stavo dirigendo verso il retro della cappella, avvicinandomi ad una scalinata di pietra scheggiata, che una volta doveva essere stata perlacea, ma che ora era inghiottita dal grigio polveroso che aveva trasformato quel marmo intoccabile in comune pietra calcarea.
Preferii scendere sul terreno, reggendomi ai rami secchi degli alberi più bassi e facendo costantemente attenzione a dove mettevo i piedi, finchè non intravidi le lapidi.
Lapidi scure, i cui solchi erano stati quasi tutti cancellati.
Di un colore grigiastro, che sporgeva da intense macchie nere, come se qualuno ci avesse passato sopra una mano ricoperta di cenere... o come se fossero state inghiottite dalle fiamme di un incendio, alcune dritte, altre inclinate, altre perfettamente curve, altre ancora frastagliate, simili a minacciosi denti.
Denti... i denti che hanno lacerato la giovane carne di quella ragazza.
Il mio sguardo si spostò d'istinto laddove avrei trovato la lapide più recente.
Era quella più grande.
La forma di croce che gli avevano conferito avrebbe potuto venir confusa con facilità, a causa dei serpenti d'edera che si erano intrecciati sopra di essa, intrappolandola nelle spire dei loro rametti, profumandola con il fresco effluvio delle loro foglie, che sebbene in mezzo ad una natura quasi morta del tutto, conservavano ancora potenti respiri di vita.
E lì, appoggiata con timore alla pietra, c'era Lyanne.
I suoi ricci rossi, unica macchia distinta e penetrante di colore in mezzo a quel nulla scevro di vita, erano legati in una coda alta, che ormai a causa della brezza, si era ridotta in un groviglio di ciocche svolazzanti.

 

                                                            One time in my life

                                                                  I lost myself

                                                    And you were there by my side



Nessuno di noi l'aveva mai sentita cantare, ma in quel momento, senza ancora comprenderne appieno la ragione, fui felice di ascoltarla.
Non sapevo cosa mi spingesse ad appropriarmi di tutte le parole melodiche che le sue labbra scaturivano, ma sapevo che più mi avvicinavo, più volevo sentire la sua voce cantare, più forte e più forte ancora.

 

                                                             I needed you there

                                                           But I didn't know

                                                              What I become !

                                                                     Inside...



Smise improvvisamente di cantare, voltandosi verso di me.

<< Ciao, Lyanne.>>, la salutai sorridendo, pur delusa del fatto che si fosse interrotta.

Non mi rispose subito. Si limitò a fissarmi attentamente, mentre mi avvicinavo, liberandomi dall'abbraccio dei rovi.

<< Naomi.>>, disse. << Non ti avevo riconosciuta. E' solo che, a volte...>>, lasciò sul vago la frase, picchiettandosi delicatamente con un dito una tempia.

Aggrottai la fronte. << Ti fa male?>>

<< No.>>, si affrettò a rassicurarmi. << Mi sento abbandonata.>>, aggiunse, quasi impercettibilmente.

<< Ascolta, non dovresti restare così lontana dall'ingresso principale, da sola. Il personale deve essere in grado di aiutarti, nel caso ti succeda qualcosa, hai dimenticato che c'è un...>>, mi interruppi, notando che teneva le labbra ben serrate.

Si sforzava di non piangere.

<< Lyanne... mi dispiace.>>, mormorai, sfiorandole una spalla.

Non si mosse.
Una volta il dottor Yagami, dopo aver finito di esaminare con scrupolosa riflessione i risultati di un test che avevamo provato a farle compilare, aveva scosso la testa, borbottando: << Questa ragazza non ha nulla che non va... ma non ha neppure dove andare.>>
Lyanne restava un punto interrogativo da diversi punti di vista.

<< Qualunque cosa stessi cantando poco fa...era meravigliosa.>>, asserii, notando con piacere che sollevò la testa.

Non stava piangendo.

<< Oggi Near non ha voluto uscire dalla sua stanza, malgrado i tentativi degli infermieri di persuaderlo. Si stringeva le ginocchia e rifiutava la colazione. Light mi ha chiesto di fare qualcosa per lui.>>

Light... certo.
Se lo aveva chiesto proprio a lei, significava che anche lui si era accorto della reazione di Lyanne l'altra sera.

<< Sta bene adesso?>>, le chiesi.

Annuì, sorridendo. << Oltre a questa, non conosco altre canzoni. E decisamente questa non sembrerebbe adatta ad un bambino, ma lui si è calmato.>>, lo disse con una serenità quasi eccelsa.

Sorrisi, segretamente stupita.
Si vedeva però che Lyanne era ancora scossa, ma non sembrava aver voglia di parlarne, così la incitai un'altra volta a spostarsi nel cortile principale e feci per allontanarmi.
Allora lei mi chiamò.
Mi girai, il sorriso pronto per essere usato come tecnica di rassicurazione, ma la sua espressione mi colpì così tanto che il sorriso non arrivò mai.

<< Tu credi agli Dei della Morte?>>

<< Cavolo, no! Si tratta solo di leggende legate ai culti delle popolazioni mondiali.>>, risposi, sollevata del fatto che si trattasse di una domanda così sciocca.

<< E allora in cosa credi?>>, mi domandò ancora.

Feci una pausa. << Credo solo in ciò che posso vedere, sentire e toccare, in quanto reale.>>

<< Quindi non credi in Dio?>>

Questa volta non le risposi. Non avrei saputo che cosa dire. Quando ancora c'era L avrei avuto una risposta pronta e completamente priva di dubbi.
Adesso non avevo più niente.
Uscii silenziosamente dall'intrico di arbusti e pietra dimenticata, lasciando quella ragazza sola, con le mani che sfioravano la lapide con su inciso il nome di L.

 

 
                                                                                                        
                                         ***




Autostrada di Ovington, ore 22.00

Era il peggior temporale che avessi mai visto da quasi sei mesi, la pioggia batteva sul parabrezza così furiosamente che rischiava di sfondarlo.
Alla fine avevo deciso di seguire il consiglio di Light. Ci avevo messo due ore a raggiungere Ovington, guidando sulla statale e una volta arrivata avevo dato il via a tutti i mesi di shopping e gelati che avevo dovuto reprimere a causa del lavoro.
Avevo provato a chiamare al Wammy's Hospital, ma come succedeva praticamente tutte le volte in cui si scatenava un temporale, la linea di quella catapecchia di manicomio saltava, come anche il contatore.
Per questo motivo avvenivano spesso i black out.
Il cielo aveva fatto molto in fretta ad oscurarsi, brillavano come diamanti le prime stelle, mentre percorrevo un'autostrada fortunatamente poco affollata.


Bip.
Biribip.
Biribiribip.

<< Oh, no. Che palle, non adesso!>>, sbottai, decisa a non rispondere. Le mie vecchie abitudini da agente mi costringevano a rispettare il codice della sicurezza stradale, in quanto al guidatore non è concesso parlare al cellulare. E poi mi era rimasta mezza tacca di batteria, il cellulare sarebbe morto da un minuto all'altro.
Peccato che chiunque fosse, non aveva la minima intenzione di lasciar perdere.


Bip.
Biribip.
Biribiribip.

Forse era importante.
Aprii la borsa e afferrai il cellulare con una manata.

<< Chi parla?>>, sbottai.

<< E' lei Naomi Misora?>>, rispose una voce molto giovane, dall'altro capo. Probabilmente lo sconosciuto ( dalla sua voce, sembrava un ragazzino) doveva essersi accorto della mia ostilità, ma il suo tono educato resse perfettamente il gioco. << Pronto?>>

<< Sì, scusi. Sono io, ma chi parla?>>

<< Sono Mail Jeevas.>>

<< Oh.>>, lo stupore non mi permise di dire nulla di più verbale o intelligente. Non credevo mi avrebbe richiamato così presto.

In fin dei conti, buon per me, anche se per il momento il mistero sull'identità di Lyanne era la cosa che mi preoccupava meno di tutte, ma tentai comunque di prestare interesse. << Non mi aspettavo che richiamasse così in fretta...non per sembrarle scortese, ma in questo momento...>>

<< Aspetti, deve ascoltarmi. Ho appena preso un aereo per Winchester, sarò lì entro quattro ore.>>

Quella rivelazione riuscì a lasciarmi senza parole, considerando che erano quasi le dieci di sera.

<< Ehm... mi... sorprende che...sono lusingata, ma...>>, lusingata? Ma cosa stavo dicendo? << Perchè questa decisione improvvisa? Riguarda il fax che le ho inviato?>>

<< Sì>>, rispose. Non mi piacque il modo in cui lo disse. D'un tratto, una jeep color giallo senape, ricoperta di graffiti infuocati ai lati delle portiere mi superò bruscamente, urtandomi lo specchietto e clacsonandomi a tutto spiano.

Se fossi stata un'agente, come minimo avrei sparato alle loro gomme, senza pensarci troppo su.

<< Sono corso all'aereoporto non appena ho visto le foto della ragazza che mi ha spedito.>>, aggiunse.

<< Ah...>>, mormorai, svoltando con fatica alla mia destra. Avevo sempre trovato faticosissimo effettuare i tornanti con una mano sola. << E quindi? L'ha riconosciuta?>>

Le parole pronunciate in seguito dal ragazzo si presentarono al mio orecchio come sfarfallanti fili vibratori e non capii una sola parola.

<< La linea è disturbata, può ripetere?>>

<< Le ho chiesto se adesso quella ragazza si trova da sola, con lei. Sta ascoltando la conversazione?>>, mi chiese. La sua voce si era fatta più sottile, come se temesse la mia risposta.

<< No>>, negai. << Io sono in macchina e lei ora è nel Wammy's Hospital. Per il momento è ancora una nostra paziente, quindi non le è permesso uscire all'esterno dell'Ospedale, ma il dottor Yagami ha accordato le trattative per farla uscire. E' da un mese che cerchiamo in lungo e in largo informazioni sulla sua famiglia o su qualche suo conoscente, ma fino ad ora ho solo trovato lei, signor Jeevas.>>, sul "signore", in verità, non ci speravo molto, dato che dalla sua voce, forse era anche più giovane di Lyanne.

<< Sul foglio che mi ha mandato c'era scritto che si era presentata a voi come Lyanne Stoinich, giusto?>>

<< Esatto. E ci ha rivelato anche il nome di suo padre. Dagli archivi statali, però, risulta che Nikolaus Stoinich sia morto il 18 dicembre di cinque anni fa. L'unico nome accomunato al suo che ho trovato è il tuo, Mail. Posso darti del tu?>>

<< Ma adesso lei è con il personale?>>, mi chiese ancora, ignorando la mia domanda.

<< Certo>>, risposi, confusa e un po' seccata. << Voglio dire, il personale controlla tutti i pazienti in generale, con discrezione. Con i pazienti innocui o con quelli che stanno per venire rilasciati si limitano alle telecamere.>>

<< Allora chiami l'Ospedale!! Avverta tutto il personale e telefoni immediatamente alla polizia!>>, proruppe il ragazzo, lasciandomi per la seconda volta disorientata.

<< Per quale motivo dovrei farlo? Non ne ho l'autorità, se non per una ragione valida!>>

<< D'accordo, allora avverta i medici che la ragazza di nome Lyanne Stoinich, in realtà, non si chiama Lyanne Stoinich... il suo vero nome è Melissa Jeevas.>>

Melissa Jeevas?
Questo significava che...

<< Quindi sei suo fratello!>>, asserii, lieta finalmente di aver trovato una pista illuminata nell'oscura memoria perduta di quella ragazza.

<< Sì, lei è mia sorella, ma non è...>>

<< E' una splendida notizia! Non sai quanto ha patito quella ragazza i primi giorni, non riusciva a darsi pace a causa del vuoto che...>>

<< Non è questo che sto cercando di dirle! Quella ragazza vi ha ingannati tutti! Non lasciatela libera, non permettetele di uscire! Mi creda, è seriamente pericolosa!>>, mi interruppe. Qualcosa nella sua voce mi mise in allarme, anche se le sue parole concitate non fecero altro che lasciarmi oltremodo perplessa.

Lyanne pericolosa?
Per fortuna mi trattenni dal ridere, Mail avrebbe sicuramente sentito.
Tuttavia, il ragazzo rimase in silenzio, attendendo la mia reazione. Fu quel silenzio teso e agro a farmi passare qualsiasi forma di divertimento dalle labbra ed ebbi l'improvviso sospetto che parlasse sul serio.

<< Ma...ma di che stai parlando...? Le foto che ti ho inviato sono quelle di una ragazzina di sedici anni, timida, introversa, incapace a momenti perfino di insultare qualcuno!>>, ribattei, trovando la faccenda semplicemente assurda. Ero sempre stata a brava a cogliere le menzogne. Certo, sarebbe stato più facile osservando il volto del mio interlocutore, ma se questo Mail si divertiva a farmi perdere tempo non ci avrei messo due secondi a sbattergli il telefono in faccia.

<< Esatto, Lyanne era perfettamente come lei l'ha descritta. Il punto è che se ho ragione, quella ragazza non è Lyanne!>>

<< E allora chi sarebbe? Non capisco...perchè dici che è pericolosa?>> la mia voce risuonò più agitata, anche se mi sforzavo di controllarla.

<< Prima mi dica una cosa, per piacere. E' avvenuto qualcosa di strano, o anche semplicemente movimentato, all'interno dell'Ospedale, in questi giorni? Pazienti o dottori che si sono feriti in singolari circostanze... litigi violenti, oppure...>>, si bloccò momentaneamente, ma quando riprese la sua voce era ferma e sicura. << oppure omicidi?>>

Oh, no.
Come faceva lui, a saperlo?
Il dottor Yagami si era occupato personalmente di assicurarsi che le morti di Sean e Misa non fossero pubblicate in prima pagina, finchè la polizia non fosse venuta a capo delle indagini.
A dispetto di tutte le mie certezze su Lyanne, o Melissa, chiunque fosse, non potevo comunque credere a ciò che quel Mail stava rivelando, perchè era assurdo.
Si stava sbagliando.
Quelle morti non c'entravano niente -niente!- con Lyanne.
In effetti, a pensarci bene, lei era presente in entrambe le situazioni, ma questo non provava nulla.
Una semplice accusa infondata da parte di un ragazzino che se ne stava in un altro continente non poteva reprimere un intenso fiuto da detective che era andato sviluppandosi per anni, per questo non ci credevo.
Conoscevo quella ragazza, era tutto fuorchè pericolosa.
Non avrei tuttavia scoperto come fosse venuto a conoscenza degli omicidi mentendogli, perciò optai per la verità.

<< Sì, sono morti due pazienti. La polizia ha confermato che si tratta di omicidio, ma conosco quella ragazza. Una delle vittime era sua amica, è assolutamente impensabile che le abbia torto un capello.>>

<< Le credo. Lyanne non avrebbe mai torto un capello a nessuno neppure per gioco, diversamente da sua sorella Melissa.>>, rispose, una nota di profonda angoscia celata dalla voce composta. << Mi ascolti attentamente. Io e Melissa siamo figli di madri diverse. Nacqui un anno e mezzo dopo di lei. A quel tempo, lei e la sua gemella Lyanne vivevano con la madre, ma quando quest'ultima scoprì il tradimento di mio padre, decise di lasciarlo, portando con sè anche loro. In seguito alla sua morte, toccò a mio padre prendere la custodia delle figlie e ci trasferimmo in Estonia, rimanendoci per quasi dodici anni.>>

<< Che cosa stai cercando di dirmi?>>

<< Che mia sorella Melissa soffre di un gravissimo disturbo mentale. Si chiama Borderline*, immagino lo conosca. Causa instabilità riguardanti l'identità dell'individuo e la sua è una forma rarissima, perchè è in qualche modo collegata con il Disturbo Dissociativo, per questo, il più delle volte appare confusa e disorientata. Forse è per questo che non si ricorda quasi nulla del suo passato, come mi ha accennato nei fax. Fatto sta che iniziò a comportarsi in modo strano all'età di otto anni. A quel tempo era solo una bambina e mio padre non prese le dovute precauzioni. Ma quando compì dieci anni, i sintomi cominciarono a manifestarsi con frequenza, ed erano sempre più violenti.>>

<< No, un momento...è impossibile che questo genere di malattia si sia manifestato in età così precoce! In genere avviene molto più tardi...>>, mi intromisi, mentre le informazioni acquisite si concatenavano nella mia mente a velocità assurda, rendendo il tutto estremamente privo di qualsiasi logica.

<< Lo so benissimo. In Europa sono stati registrati meno di quindici casi così regrediti dal 1945 a oggi.>>, convenne Mail.

Solo in quel momento mi accorsi che stavo ansimando. Feci un respiro profondo, prima di riprendere da dove ci eravamo interrotti.

<< Be'...e di quali sintomi stiamo parlando, esattamente?>>, sbottai. << Le avete fatto fare dei controlli, immagino.>>

<< Quelli non sono bastati. Melissa aveva una specie di... autocontrollo, decisamente inferiore agli standard normali. E' estremamente empatica e ciò la porta a provare ogni sorta di legame con qualsiasi persona, animale, cosa che la impressioni notevolmente. Mio padre dovette rinchiuderla al Grayor's Istitute, in Estonia, all'età di undici anni, perchè aveva ucciso delle persone e aveva mostrato spaventosi sintomi di antropofagia! Ogni volta che lo faceva la sua personalità si frammentava e ne acquisiva una nuova, quella della persona che aveva ucciso.>>

<< Cosa vuol dire? Le persone affette da questi disturbi conservano due o più personalità, ma in genere non arrivano oltre a cinque!>>

<< Una volta, una psicologa tentò di interrogarla. E' stata quella l'unica volta in cui mia sorella ha mostrato tutte le parti di se stessa. La psicologa ne è rimasta traumatizzata. Ne ospitava più di diciotto.>>


[ Tu credi agli Dei della Morte?]


Non può essere vero.
Non è possibile.

In quel momento udii un fischio prolungato, segno che la batteria era andata. Solo in quell'attimo realizzai che non potevo chiamare l'Ospedale, né nessun altro, e che mi trovavo a due ore dal Wammy's Hospital.

 

 

                                                                                                                                       [ continua]

 




* Naitoenjeru significa " angelo della notte".

* Siccome mi sembra di aver fatto un capitolo abbastanza articolato e lungo da far venire i crampi allo stomaco, scriverò i sintomi precisi di questa malattia nel prossimo capitolo =)

Be'... onestamente non ho più nulla da dire. Ho scritto anche troppo e sono sicura che oltre ( forse) ad avervi chiarito qualcosa, sia anche riuscita a confondere su qualcos' altro, ma è normale. Il prossimo capitolo completerà al meglio le spiegazioni.

 

Ho scritto l'utima parte di questo capitolo ascoltando proprio " Monster". E' una delle canzoni più tristi che abbia mai sentito e personalmente la trovo perfetta per la vera natura di Lyanne, provare per credere! http://youtu.be/V-ZIiqI2JZk 

 

Detto ciò... a voi il giudizio.

Grazie a tutti quelli che continuano a seguire assiduamente The Wammy's Hospital e che me lo commentano, facendomi sentire soddisfatta del mio lavoro.

Dico davvero, scrivere per voi è un onore.

A presto, Luce 

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Capitolo 13
*** "But I won't go this way..." ***





                                                        13.

 

                       " But I won't go this way..."


                       


 

 Schiacciai con furia la mia mano sul volante, facendo urlare il clacson, nel tentativo di farmi sentire, attraverso quella pioggia torrenziale.

 << Maledizione, togliti di mezzo!!>>, gridai al furgoncino nero davanti a me, il quale mi rispose con una clacsonata ancora più lunga. Riuscii quasi a percepire quel suono come una frase... diceva più o meno: va' a farti fottere, siamo sulla statale!
Allora affondai di scatto lo stivale nella frizione, ingranando la quinta, e infilandomi nella corsia opposta.
Superai di un pelo il furgoncino davanti a me, poco prima che l'Audi argentata che stava percorrendo tranquillamente la propria corsia mi finisse addosso.
Per arrivare all'Ospedale dovevo per forza passare dall'Antica Winchester; era in strada, solo pochi chilometri.
Guidavo da quasi un'ora e mezza e avevo stabilito un record olimpico, zigzagando ai centocinquanta senza alcun incidente. Ancora.

Mail non aveva finito, pensai in preda all'ansia, devo saperne di più!

Antropofagia...

La lingua di Misa.

[ Non ho mai visto uno scempio simile...]

All'improvviso, dal nulla, venni assalita da un conato. Fu tanto forte e repentino da obbligarmi quasi a fermare l'auto.

No, non adesso!, pregai, serrando le labbra, nel tentativo di controllare i gemiti d'orrore del mio stomaco.

Ma come aveva fatto ad uccidere la lettera S?
In confronto a Lyanne, quella persona era un energumeno, un robot fatto di cemento... e la sua morte era stata causata dall'emorragia provocata dai tagli del filo metallico allacciato più volte attorno al collo, in seguito al soffocamento.
Cercai di concentrarmi.
Dove aveva potuto prendere quel filo?
All'Ospedale vigevano regole incontestabili riguardanti in primis la sicurezza dei dipendenti. Ogni oggetto classificato come pericoloso veniva conservato in appositi armadi dei quali solo il dottor Yagami e suo figlio possedevano le chiavi.
Dovevo tornare a casa, chiamare Light e ricontattarmi in qualche modo con Mail. Persi momentaneamente la presa sul volante a causa di una cunetta. Gli pneumatici stridettero, mentre le ruote sfregavano con forza sulla ghiaia, sollevando polvere e granelli di roccia.

 

                                                                                                            ***

 


Lasciai il motore acceso e mi fiondai in casa, spalancando la porta d'ingresso e dirigendomi in soggiorno. La mia mano scattò ad afferrare il cordless, vagando a tentoni sul mobiletto in legno di ciliegio, dato che non mi ero neanche preoccupata di accendere le luci. Pregai che ci fosse la linea.
Le mie dita composero meccanicamente il numero di cellulare di Light, mentre salivo le scale che portavano in camera mia. Schiusi la cabina armadio, nel lato destro della stanza, e aprii l'ultimo cassetto del mobile, dove conservavo la biancheria intima.

<< L'utente da lei chiamato potrebbe avere il cellulare spento, o non raggiungibile; la preghiamo di riprova...>>

<< Nah, fanculo Light!>>, sbraitai, mollando a terra il cordless e iniziando a scavare fra i reggiseni, finchè le mie dita si chiusero attorno ad una scatolina rossa. Tolsi il coperchio, senza nemmeno tirarla fuori dal cassetto, estraendo una semiautomatica.

Controllai che fosse carica, prima di afferrare nuovamente il telefono e correre giù per le scale, due gradini alla volta.
Collegai il cellulare al caricabatterie. Avrebbe dovuto apparirmi il numero del telefono dal quale mi aveva chiamata quel ragazzo.

No. Pensai. Non ho tempo.

Accesi le luci in salotto, aprendo il mio portatile, con l'intenzione di spedire una mail sul sito dell'Ospedale. Quando non c'ero io, i dipendenti controllavano frequentemente la posta, quindi c'erano buone possibilità di...
Neanche il tempo di appoggiare le mani sulla tastiera, che lo schermo bianco del computer divenne nero, così come tutto il salotto, quando le luci del lampadario e delle bajour si spensero di colpo, accompagnate dal rombo di un tuono violento.
Niente elettricità = niente computer = niente e-mail.
Mi lasciai sfuggire un sospiro, prendendomi la testa tra le mani e rassegnandomi a dover aspettare che il cellulare si caricasse, quando un altro pensiero mi colpì, fugace e improvviso come una pugnalata.
Niente elettricità = niente caricabatterie funzionante.

<< Oh, no!! Maledizione, maledizione! No!!>>, gemetti, correndo verso la mensola e urtando lo spigolo con la gamba. Staccai la spina e provai ad accenderlo.

Era rimasto attaccato sì e no venticinque secondi.

D'accordo, tentai di calmarmi. Accenditi, ti prego. Fammi fare solo una chiamata.

Mi precipitai in giardino, i lampi che si rincorrevano l'un l'altro, illuminando con la loro luce accecante la strada per uscire da lì senza che incespicassi.
Una volta in macchina, sbattei con forza la portiera e feci una brusca retromarcia, per poi rimettermi in carreggiata.
Premevo freneticamente i tasti 9-1-1, pregando di riuscire a farcela.

<< ...Andiamo, dai! Fammene fare solo una!>>, continuavo a supplicare, tenendo gli occhi fissi sulla strada, anche se il temporale non mi permetteva di vedere quasi nulla, pur con gli anabbaglianti e i fendinebbia accesi. Feci ruotare al massimo i tergicristalli.

Mi sfuggì un sospiro soddisfatto quando vidi la chiamata inoltrata.

<< Qual'è l'emergenza?>>, chiese una voce maschile e fredda.

<< Ci serve aiuto, abbiamo una...>>, iniziai.

Se avessi detto: << Abbiamo una ragazza pericolosa e preda di disturbi dissociativi nell'Ospedale>>, non si sarebbero nemmeno allarmati.

Mi ripresi quasi subito.

<< Abbiamo un'intrusa nell'Ospedale, temo sia molto pericolosa e non riesco a contattarmi con i miei colleghi!>>

Nella contea di Winchester dimoravano tre ospedali, situati per lo più verso il centro della città. Il Wammy's Hospital, invece, proprio per il fatto che venne progettato tempo addietro come manicomio, fu costruito in periferia, verso l'aperta campagna; era un edificio bicentenario. A quei tempi i metodi di revisione e le tecniche di cura erano piuttosto rudi e grotteschi, sicchè decisero di tenere aperto l'Ospedale lontano dalla città, affinchè le urla dei pazienti non giungessero alle orecchie dei borghesi e del popolo.

La stazione di polizia più vicina era esattamente dalla parte opposta.
Ci avrebbero messo come minimo trenta minuti per attraversare tutta la contea.


    
                                                                                                         ***

 

Il contatore dell'Ospedale, seppur un rottame, era ancora dotato di una spia d'emergenza funzionante, che gli infermieri correvano ad attivare nei sotterranei ogni qual volta che avveniva un black out.
Fu questa la prima cosa che scatenò nella mia testa un assordante campanello d'allarme: il Wammy's Hospital era completamente avvolto dall'oscurità. Non vidi volti emergere dai vetri delle lunghe finestre nere dei piani superiori, né la spia rossa segnalare che la recinzione elettrica era attiva.
Spensi i fari e il motore.
Poi, silenziosamente, mi infilai la pistola, in modo che il manico sporgesse dal retro dei pantaloni, poi lo nascosi sotto la maglia.
Fu allora che mi parve di sentire un tonfo. Smorzato, appena udibile, proveniva dall'interno della costruzione.
In circostanze diverse sarei entrata dal retro, ma dato che il giardino era completamente buio e non c'era luce nemmeno sul portico, sarei passata inosservata.

Già, infatti, mi ritrovai a pensare... ma inosservata agli occhi di chi?

Il portone principale era socchiuso.
Lo aprii lentamente, con prudenza, ma senza riuscire ad evitare del tutto che i cardini cigolassero dolorosamente.
Tranquilla, scapata, la mia stessa ombra mi precedette, allungandosi timidamente lungo il pavimento e mischiandosi in fretta all'oscurità che stritolava la hall nella sua morsa nera.
Mentre procedevo a piccoli passi, tastando la parete alla mia destra con la mano, un turbine affollato di sospetti ruotò nella mia mente a velocità assurda, soggiogando il mio intuito a chinarsi di fronte alla repentina consapevolezza che doveva essere successo qualcosa di inaspettato, di strano.
I pazienti avrebbero dovuto trovarsi nelle loro stanze da un'ora... ma il personale che fine aveva fatto?
Esitai, una volta sfiorate le porte metalliche e fredde dell'ascensore.
Non potevano essere scesi tutti quanti nel sotterraneo, per attivare il contatore bastavano due persone: una che avvitasse i cavi e una che tenesse in mano una torcia.
E questa sera avrebbero dovuto essere in cinque, come tutte le notti.
Mi sfuggì un colpo di tosse.
Stavo per indirizzare la mia mano al pulsante di chiamata per verificare se il sistema di sicurezza fosse attivo, quando lo risentii.
Lo stesso tonfo.
Ma non era un tonfo; piuttosto una serie di colpi, secchi, provenienti dall'interno della Mensa Comune. Mi incamminai in fretta verso la fonte del rumore, ma quando giunsi alle ante, notai che un grosso lucchetto teneva sigillate le maniglie.
Mi sollevai in punta di piedi per dare un'occhiata attraverso il vetro della finestrella, in mezzo alle ante, frenando in tempo un altro attacco di tosse; c'era uno strano odore nell'aria, acre e pungente, sembrava quasi...

<< Ma cosa...!>>, balbettai, riconoscendo l'odore del metano provenire dall'interno della Mensa.

Non ne ero certa, ma l'odore si faceva sempre più forte man mano che restavo lì, davanti all'ingresso.
I tonfi che avevo sentito provenivano dalle ante di una finestra all'interno della Mensa, che non smettevano di sbattere, forse a causa del temporale.
Senza badare alle mie mani che continuavano automaticamente a cercare di togliere quel maledetto lucchetto, lo sguardo mi cadde sul pavimento della Mensa e il momento dopo mi mancò il fiato, quando riconobbi i tre corpi distesi a terra.
Sdraiati di pancia e di schiena, Bruce, Javier e Dean, i tre infermieri addetti ai reparti 1, 2 e 3 erano immobili, con gli occhi chiusi e un'espressione del viso neutra, come se stessero tranquillamente dormendo.
Picchiai freneticamente con la mano contro il vetro.

<< Ehi!! Bruce! Che sta succedendo... Dean?!>>

Non mossero un muscolo.
Il che mi fece improvvisamente sospettare che qualcuno li avesse portati apposta nella Mensa, e che, dopo averli storditi e chiusi dentro, avesse aperto al massimo il gas delle cucine.
Indietreggiai, mettendomi una mano dietro la schiena per usare la pistola, quando udii dei passi affrettati venire verso di me.

Mi voltai di scatto e sparai due o tre colpi di pistola, senza nemmeno prendere la mira, mossa dall'adrenalina e dal terrore puro che era riuscito ad invadere qualsiasi mio controllo mentale in una frazione di secondo.
Una delle pallottole colpì la grata di ferro collegata al condotto dell'aria sul soffitto e ribalzò, schizzando a velocità impossibile per l'occhio umano verso un punto indefinito della stanza, mentre la persona alla quale avevo inconsciamente mirato indietreggiava bruscamente, proteggendosi il volto con le braccia.

<< Ferma, ferma, ferma!!!!>>, gridò, riuscendo chissà come a sovrastare con la sua voce il rimbombo degli spari, mentre questo disperdeva il suo eco lungo tutto il corridoio; così mi bloccai, guadagnandomi il tempo necessario per riconoscere in lui la lettera B del reparto numero 5, il paziente Beyond Birthday.

<< ...Oh! Beyond...! Sei tu... accidenti, credevo fossi...>>, ansimai, avvertendo che la mia fronte si era imperlata di sudore ghiacciato. Lui non disse nulla, si limitò a fissare con una sorta di muto stupore la semiautomatica che stringevo saldamente nella mano. Non appena mi accorsi del suo sguardo, la abbassai in fretta.

<< Non volevo, è che... grazie a Dio non ti ho ucciso!>>, sospirai, provando quasi voglia di ridere per il rischio mancato.

<< Sì, lo ringrazio anch'io!>>, sbottò, lanciandomi un'occhiataccia. << Da quando alla gente è consentito possedere un'arma tanto graziosa e innocua?>>

Feci per rispondere che, in effetti, non era consentito, quando poco dopo realizzai che il paziente davanti a me non si trovava dove avrebbe dovuto essere.
Un caso grave, per di più... perchè era libero?

<< Fermo dove sei>>, dissi, puntandogli nuovamente la pistola contro, quando lo vidi avvicinarsi. << Fermo o sparo, ti avverto.>>

<< Ti assicuro che non ce n'è bisogno>>, esordì, sollevando appena le mani.

<< Allora spiegami che sta succedendo!!>>, gridai, consapevole di aver perso qualsiasi forma di fredda lucidità. << Che ci fai libero? Cosa hai fatto a quegli infermieri?!>>

<< Non sono stato io, lasciami sp...>>

<< Dov'è Light?>>, lo interruppi, aumentando la stretta sull'arma.

<< Yagami... è uscito dall'Ospedale con un altro infermiere. Avrebbe dovuto prelevarmi del sangue in infermeria, ma poi è scattata l'allarme. Dopo qualche minuto, le luci si sono spente e a quanto pare un paziente ha approfittato delle telecamere fuori uso per fuggire.>>

<< E dov'è Lyanne, adesso?>>, gli domandai, mentre il mio cuore prendeva a pulsare violentemente, minacciando di sfondarmi la cassa toracica.

L'espressione di B cambiò.
I suoi occhi indugiarono sul mio volto, accarezzandolo impercettibilmente con il rosso porpora delle sue iridi.

<< Non... mi pare di aver detto niente riguardo a lei, Naomi.>>, mormorò infine, con una piccola ruga di perplessità in mezzo alla fronte.

Feci un respiro profondo. Pessima idea.
Tossii per la terza volta, percependo chiaramente anche un lieve capogiro.

<< Allora chi è stato a rinchiuderli?>>, esclamai. << Non mi hai convinta per niente, Beyond!>>

Non aspettai la sua risposta.
Più tempo passava, più diventava pericoloso utilizzare la pistola, perciò mi voltai, puntai verso il lucchetto che serrava le maniglie e feci fuoco.
Scintille di fuoco arancione esplosero sui manici metallici, mentre il lucchetto si spezzava. Aprii le ante con un calcio e corsi verso i miei tre colleghi.
Ancora pochi minuti e l'aria lì dentro si sarebbe fatta irrespirabile.
Dopo aver verificato che respirassero ancora, mi voltai verso Beyond.

<< Chiudi le bombole del gas, mentre io li porto fuori.>>, gli ordinai, iniziando ad afferrarne uno per le braccia, trascinandolo verso la hall. << C'è qualche altro paziente che non è stato rinchiuso? Dov'è Lyanne?>>, ripetei, la voce affannosa per lo sforzo.

<< Perchè continui a chiedermi di lei?>>, chiese, tornando verso di me, senza incontrare il mio sguardo. A quel punto, mi fermai.

<< Perchè conosco la verità su quella ragazza, quindi non provare a fregarmi.>>
Lo dissi senza un motivo apparente, spinta dalla semplice consapevolezza che Beyond sapesse qualcosa da chissà quanto tempo.

Era stato provato che in costruzioni sorvegliate, soprattutto negli ospedali e nei carceri, nascessero rapporti particolari, attraverso i quali pazienti e detenuti venivano a conoscenza di segreti oscuri perfino ai dottori e agli avvocati personali.

<< E quale sarebbe questa verità?>>, mi chiese, insolitamente calmo.

Non risposi.

B si avvicinò. << Potrei aiutarti a portarli fuori, se tu mi togliessi questa.>>, mi suggerì, facendo un cenno alla sua cavigliera.

<< Puoi farlo benissimo anche con quella>>, ribattei, senza guardarlo, pregando che la polizia fosse vicina.

B sospirò. << Hai idea di quanto mi dia fastidio il fatto che non ti fidi più di me?>>

Di nuovo, non risposi.
Lui si voltò e pensò agli altri due infermieri privi di conoscenza.

Feci segno a B di uscire non appena sentii la sirena, ordinandogli di restare davanti a me. Due poliziotti vennero verso di noi, mentre gli altri due si diressero verso il boschetto.
Nascosi in fretta la pistola sotto la maglia, come avevo fatto prima: non ero più un agente dell'FBI e lunghe e concitate spiegazioni sulla mia sicurezza personale sarebbero servite a ben poco.

<< E' lei che ci ha chiamati?>>, fece uno di loro.

Informai loro dei tre infermieri e del paziente fuggito. Siccome ero arrivata pochi minuti dopo il black out, ipotizzarono che con molta probabilità non era ancora uscito dal giardino.
Quando però mi domandarono di B, rispose lui per me: << Sono un suo collega.>>
Non mi sfuggì lo sguardo appena perplesso che gli rivolse l'uomo in borghese, un attimo prima di fare un cenno a suo compagno, indirizzandolo ad entrare all'interno dell'edificio, ma io già aprii la bocca per ribattere.

Tuttavia l'occhiata che mi rivolse disse: << Tu parla e io dico loro della pistola.>>

Lo sguardo mi ricadde sulla sua cavigliera.
Dopotutto, finchè c'era quella non avevo molto da temere, anche se il mio istinto continuava ad avvertirmi di non abbassare la guardia.
Per il momento lasciai correre.
Il poliziotto ci ordinò di restare all'esterno dell'edificio, ma dopo una ventina di secondi silenziosi, parlai.

<< Quindi tu ne sapevi qualcosa?>>

B mi guardò di sottecchi. << Se rispondo di sì, mi spiegherai quella verità?>>

<< Se rispondi di sì, ti rinchiuderò io stessa in una cella d'isolamento e getterò via la chiave.>>

<< Allora no, non ne sapevo niente.>>

Serrai le labbra dal disappunto, frenando l'impulso di prenderlo a pugni.

<< Se avessi detto che avevo notato in quella ragazza qualcosa di diverso...>>, aggiunse, poco dopo. << nessuno mi avrebbe ascoltato. Dopotutto, ognuno degli infermieri crede che io sia un assassino schizofrenico. Anche tu lo credi. Pensano tutti che io lo abbia ucciso.>>

<< Taci.>>

<< Che io abbia ucciso L.>>

<< Non ho intenzione di affrontare l'argomento stanotte, B.>>, esordii, i miei occhi puntati sui suoi erano segnali d'avvertimento.

<< Lo vedi? Nemmeno adesso vuoi ascoltarmi.>>

<< Perchè sei un bugiardo. Sei stato tu ad ucciderlo.>>

<< Non sono stato...>>

<< SMETTILA DI RACCONTARMI MENZOGNE!!>>, gridai, schiaffeggiandolo così forte da fargli piegare la testa di lato.

Si raddrizzò subito, come se non avesse neanche sentito il colpo.
La mia mano pulsava e le lacrime minacciavano di scendere, ma non avrei mai pianto.
Non davanti a lui.

<< Togliti i paraocchi, Naomi. Non hai motivo di avere paura di me. Sono altre le persone dalle quali ti dovresti guardare>>, mi rivelò, sollevando appena una mano.

Anche se non gli avrei mai permesso di toccarmi, la sua mano si arrestò da sola; i suoi occhi si persero a fissare qualcosa alle mie spalle.
Feci appena in tempo a voltarmi per vedere una figura indistinta, una zazzera rossa correre tra gli alberi del boschetto, dirigendosi verso il retro dell'Ospedale.
Nello stesso momento, uscirono i poliziotti dall'edificio.

<< L'interno è sicuro, abbiamo trovato solo questo bambino. Era da solo, nella Sala Giochi, gli altri dovrebbero essere ancora rinchiusi.>>, disse uno di loro, indicando Near.

L'auricolare che l'uomo portava all'orecchio prese a vibrare.

<< Abbiamo trovato una ragazza. Siamo sul retro.>>

<< Vi raggiungiamo subito.>>, rispose il poliziotto, mettendosi a correre con il compagno attorno all'edificio.

<< Dove vai, Naomi?>>, mi chiamò B, quando feci per inseguirli. << Intendi lasciare libero un caso grave, ora che le recinzioni elettriche sono inutili?>>

Non c'era traccia di ironia nella sua voce.

<< Cos'è, stai cercando di impedirmi di andare?>>

B non rispose, limitandosi scuotere la testa. Near non guardava nessuno dei due, teneva lo sguardo ben piantato sui suoi piedi.
Per l'ennesima volta mi domandai se non fosse il caso di tenere d'occhio B, per evitare che fuggisse o che prendesse decisioni avventate... in fondo, in quegli ultimi giorni aveva passato un sacco di tempo in compagnia di Lyanne.
Per quanto ne sapevo era anche probabile che in quel momento la stesse aiutando, tenendomi lontana.
Però Light... non si sarebbe mai arrischiato di lasciare incustodito un paziente come lui, se non per una ragione seria e assolutamente imprevista, quindi dovetti rassegnarmi a considerare ciò che mi aveva detto prima come verità.
Il problema era che la polizia non sapeva nulla di Lyanne e non mi avevano neppure dato il tempo di avvertirli.
E Light... chissà dov'era, se stava bene.
Dire loro di non muoversi di lì ovviamente non sarebbe servito a nulla, specialmente con B. Perciò, maledicendo con tutta me stessa quell'orribile nottata,voltai loro le spalle e mi misi a correre verso la cappella del Wammy's Hospital.

 

                                                                                                                 ***

 

Non c'era traccia dei poliziotti, mentre i miei stivali affondavano, facendo scricchiolare i rametti rinsecchiti e gli sfilacciati fili d'erba ormai privi di vita da anni...la cappella era a pochi metri da me.
Avevo dato retta al mio istinto, e adesso ero indecisa se prendere la pistola o no.
Perchè ai piedi della cappella, seduta sul più basso dei gradini di quell'antica scalinata di pietra, con la testa celata dalle ginocchia sporche di terra, Lyanne singhiozzava silenziosamente, le dita che scomparivano fra i suoi riccioli d'argento alla luce della luna che accarezzava la sua pelle, ricoprendola di un impalpabile velo di porcellana, e dandomi per un momento l'impressione di guardare una statua.
Udii un fruscio alle mie spalle e vidi i due poliziotti di poco fa avvicinarsi prudentemente.
Il rumore fece sollevare la testa di Lyanne, che ci scrutò brevemente uno ad uno, per poi rattrappirsi su se stessa, quando uno dei due fece un passo avanti, tenendo sollevata la pistola.

<< No!>>, sussurrai, facendogli abbassare l'arma. << Aspetti, forse non ce n'è bisogno.>>, aggiunsi.

Lui la osservò con attenzione e probabilmente qualcosa nella sua espressione disorientata e piangente lo convinse ad abbassare l'arma.
Lyanne smise di tremare, ma riprese ad agitarsi quando gli uomini si avvicinarono.

<< Lasciate che vada io.>>, mi offrii. << Voi state all'erta. Se riesco a calmarla, potremo portarla via.>>

<< Cos'ha che non va?>>, borbottò quello alla mia sinistra, lanciando un'occhiata perplessa a Lyanne.

Mi avvicinai lentamente, sotto lo sguardo triste e allo stesso tempo indagatore di Lyanne, che non perdeva ogni mia mossa. Si ostinava a restare in silenzio e a trattenere le lacrime.

Perchè piangeva?

Sperai non si trattasse di qualcosa che aveva fatto. Sperai non si trattasse di Light.
Strinse le labbra e deglutì, quando le fui di fronte.

<< Lyanne...>>, sussurrai, anche se non sapevo cosa dirle.

Sempre che quella fosse ancora Lyanne.

<< Lu-lui è ancora qui>>, gemette d'un tratto, puntando i suoi occhi di quarzo ametrino sul mio volto.

Prima che potessi pensare a cosa risponderle, si tirò in piedi e mi fu addosso, circondandomi il collo con le braccia e nascondendo la faccia nell'incavo del mio collo. Per un momento mi irrigidii, ma poi le sue parole mi confusero ancora di più.

<< Non permettergli di avvicinarsi di nuovo a me! Io non voglio morire!>>, sussurrò con voce spezzata.

<< Lui chi?>>, le domandai.

Scosse la testa, aumentando la stretta.

<< Lo Shinigami.>>

Fu solo in quel momento che mi accorsi che i suoi movimenti e anche il suo modo di parlare non erano gli stessi di sempre. La voce, per esempio, seppur incrinata dal pianto, era diversa dal solito, più graffiante. Non avevo mai visto Lyanne piangere in quel modo.

<< La testa... mi fa tanto male...>>

<< Non c'è nessuno Shinigami, Lyanne.>>

<< Ti sbagli.>>, sussurrò al mio orecchio. La sua voce si trasformò in un brivido che mi raggiunse il lobo, facendomi quasi fremere, quando le sue labbra lo sfiorarono.

Un impeto di irritazione attraversò i miei occhi, mentre cercavo invano di ricatturare lo sguardo di lei, che si era nuovamente piegata.

<< Non mi sbaglio, Lyanne. Ci siamo solo noi. Devi fidarti di me, ti porteremo in un posto sicuro.>>, dissi, facendo per raddrizzarmi, ma le sue parole mi lasciarono perplessa.

<< Non intendevo quello, signora.>>

Mi teneva ancora ben stretta, in quello che fino a quel momento mi era sembrato un abbraccio carico di disperazione, e bisognoso di conforto.

Cosa fu a distrarmi?

La nota sconosciuta che avevo avvertito nella sua voce?

Il profumo della sua pelle, mentre mi teneva pressata sul suo corpo caldo?

Una delle sue mani indugiava fra i miei capelli, ma fu qualcosa di assolutamente nuovo e sconcertante - la strana sfumatura nel colore dei suoi occhi, ancora più impressionanti ora che erano lucidi come diamanti, a causa delle lacrime; lo sprigionarsi di una quanto mai strana e perversa tensione nel suo corpo, che prendeva sempre più forma ad ogni, singolo secondo - a non farmi accorgere di dove stava indirizzando l'altra mano.

Cara Naomi, forse questo è il suo modo di ingannare.

Senza preavviso, la sua stretta dietro il mio collo divenne spaventosamente ferrea, e mi impedì di allontanarmi da lei, mentre sollevava l'altro braccio, puntando la mia semiautomatica contro gli agenti colti alla sprovvista.
Poi premette ripetutamente il grilletto; sentii gli scatti del suo braccio, il suo sforzo repentino di mantenere la posa, sfidando il contraccolpo dell'arma, il rimbombo dei proiettili a pochi centimetri dietro la mia testa e le urla strazianti degli agenti.
Lo sgomento e la sorpresa riuscirono ad avere la meglio su di me all'inizio, ma mi ripresi immediatamente, afferrandole di colpo il braccio che reggeva l'arma e cercando di torcerglielo per farle perdere la presa.
Purtroppo la sua mano era ancora dietro la mia schiena, perciò le fu facile afferrarmi per i capelli e costringermi ad inclinare il collo in una posizione innaturale, per poi spingermi brutalmente a terra.

Quella forza non le apparteneva, non poteva essere sua.

Ma in realtà non era tanto la forza, quanto la violenza e il desiderio di distruggere che ne accompagnava i gesti.

Era la violenza di un animale, non di una persona.

La mia mente reagì di conseguenza, lasciandosi guidare dall'istinto, quando la vidi puntare l'arma verso la mia fronte, e sollevai una gamba, con l'intenzione di colpirla sulla caviglia che le era guarita da poco.
La colpii con tutta la forza che mi era rimasta e, contro le mie aspettive, perse l'equilibrio e la presa sulla pistola, che finì tra l'erba alta e secca del giardino.
Mi voltai appena, scrutando i corpi dei due agenti a terra. Uno dei due sollevò di poco il busto, per poi lasciare ricadere il capo al suolo, con un lamento soffocato. L'altro non si muoveva.

<< Capoeira...>>, la sua voce mi fomentò a concentrarmi nuovamente su di lei. Si rialzò con estrema cautela, saggiando il peso sulla caviglia colpita e osservandomi con un'espressione indecifrabile. Feci altrettanto e mi misi in posizione di difesa, pronta a rispondere a qualsiasi attacco successivo.

<< Complimenti, sono sorpresa.>>, prese a fare piccoli passi, girandomi lentamente attorno. Dapprima pensai che lo stesse facendo per trovare un punto indifeso da attaccare, ma quando indietreggiò compresi che stava per riprendere la pistola. << Sarei curiosa di scoprire quale avrebbe la meglio tra Capoeira e Bajiquan.>>

Con uno scatto mi gettai verso l'erba per riappropriarmi dell'arma, ma lei, essendo più vicina fu più svelta di me.
Riuscì soltanto a puntarmela contro, poichè intorno a noi risuonò un altro sparo, accompagnato dal suo lacerante urlo di dolore. Mi voltai, vedendo che uno degli altri due poliziotti aveva preso la mira ed era riuscito a farle saltare via la pistola di mano.

A giudicare dalle sue urla, doveva averle fatto anche molto male.

Infatti, Lyanne si inginocchiò, tenendosi il polso sanguinante contro il petto, mentre il secondo poliziotto correva verso di lei, le manette che brillavano in mano. Un lamento strozzato sfuggì dalle labbra serrate della ragazza.
Feci un respiro di sollievo notando che, a fianco del poliziotto, c'era Light. Zoppicava, ma stava bene.
Mentre il poliziotto si chinava e afferrava con scarsa gentilezza le mani di Lyanne, lo raggiunsi.
Anche se Light mi sembrava esausto e poco propenso a parlare, volli sapere cos'era successo.

<< La verità? ... Non lo so. Quando c'è stato il black out, le telecamere... Javier l'aveva vista aprire il portone principale...assurdo. Doveva avere un'altra di quelle graffette da qualche parte...>>

Mentre io mi interrogavo, chiedendomi di quali graffette stesse parlando, il poliziotto che le aveva sparato parlò attraverso l'auricolare. << Emergenza, serve un'ambulanza. Ci sono due agenti feriti.>>

Feci per chiedere a Light del suo collega, ma lui mi precedette: << Sam sta bene.>>

L'uomo in borghese fece alzare in piedi Lyanne, ma le gambe della ragazza faticavano a reggerla e la testa le ciondolava sul petto. Ogni tanto, però, lanciava dolorosi singulti.

<< Su cosa mi ero sbagliata?>>, dissi all'improvviso, avvicinandomi.

<< Cautela, signora.>>, mi avvertì il poliziotto, invitandomi a tenere le distanze.

Lei non reagì.

<< Lyanne>>, insistetti. << A cosa ti riferivi?>>

Lo scatto violento con cui sollevò la testa mi fece ritrarre. << Sul mio nome ti sei sbagliata, stronza!>>, ringhiò, sputandomi le parole in faccia con una dose di disprezzo e follia così intensa, da costringermi a indietreggiare dallo sgomento. Anche il poliziotto ne rimase scioccato.

<< Qual'è il tuo nome?>>, volle sapere Light, la confusione ben visibile sul suo volto. Già, lui non sapeva ancora nulla...

<< Ti chiami Melissa.>>, non era una domanda la mia. Mi aspettavo che avrebbe avuto una qualsiasi reazione, sentendo nominare quel nome. Invece, mi squadrò con occhi carichi di rabbia e ironia, quando un sorriso prese forma sulle sue labbra.

<< No. Emma>>, rispose, scoprendo i denti. << Emma Lankgrover. E ricordatelo bene, perchè questo è il nome della persona che ti caverà gli occhi.>>

 

                                                                                                                   ***

 


Winchester Rehabilitation Center, ore 1.04.

<< Non posso crederci.>>, sussurrò per la terza volta Light, una mano premuta a nascondere le labbra, come era solito fare sempre, ma accompagnata da una tensione che gli faceva tremare appena le dita. << Com'è possibile che... dai test sembrava tutto perfettamente in regola...>>

Sospirai.
Mi alzai dalla sedia e presi a camminare su e giù, per la sala d'attesa.
Le sedie di quest'ospedale nuovo di zecca erano scomode e le potentissime luci al neon mi facevano solo irritare gli occhi.
Da quando gli avevo raccontato tutto, Light non aveva espresso ancora alcun giudizio, alcuna considerazione... be', se non contavamo quella frase.

<< Era impossibile accorgersene da quei test, Light. Nessuno deve prendersi alcun tipo di responsabilità>>, lo rassicurai, riuscendo a nascondere il dubbio che forse, dopotutto, aveva ragione lui, affermando che avremmo almeno dovuto sospettare qualcosa.

Ci avevano informati subito riguardo allo stato di salute dei poliziotti feriti. Uno era stato dimesso subito dall'Ospedale, trattandosi solo di una ferita superficiale. L'altro invece aveva subito un'emorragia interna provocata da un proiettile che aveva raggiunto il fegato, perciò era stato necessario operarlo d'urgenza. I dottori non avevano saputo dire con sicurezza se ce l'avrebbe fatta.
I nostri colleghi stavano bene.
Avevano lasciato Near al Wammy's Hospital. Nonostante la situazione, il padre di Light aveva deciso di non allarmare gli altri pazienti e per questa notte sarebbe rimasto lui a controllare la situazione.

Invece, non c'erano notizie di Beyond Birthday.
Dopo la cattura di Lyanne, era semplicemente scomparso.

Non avevo intenzione di provare rimorso o senso di colpa, considerando che ero stata io, involontariamente, a permettergli di fuggire.
Solo ora che ero tornata a ragionare a mente fredda considerai che avrei potuto trovare una soluzione differente, ma ormai era andata così. E comuque la polizia era già sulle sue tracce. La cavigliera elettronica possedeva una spia di segnalazione, quindi sarebbero stati in grado di trovarlo senza troppe difficoltà.

<< Sono stato io a dire loro di andare ad occuparsi della Mensa, mentre io pensavo a B.>>, sbottò Light. << Lei li ha chiusi dentro e ha tentato di mandare a fuoco l'intero Ospedale...!>>

<< Light>>, esordii, mettendomi di fronte a lui. << Deve essere successo qualcosa, qualsiasi cosa...ci deve essere stata una ragione che l'ha fatta reagire. Pensaci un attimo, per favore. Vi eravate parlati, stasera? Prima del black out?>>

Lui non mi rispose.
Tenne lo sguardo piantato a terra e la cosa mi parve strana.

<< Non ti viene in mente proprio nulla?>>, insistetti, sperando in una risposta positiva.

Light sospirò, strofinandosi gli occhi con una mano.

<< Non lo so, no... non credo. No.>>, disse infine, evitando il mio sguardo.

Annuii, ma dentro di me qualcosa sussurrava: << Sta mentendo.>>

Ligth cambiò discorso. << Ma come ha fatto ad uccidere Sean?>>

<< Ci ho pensato bene.>>, risposi, tornando a sedermi. << Un paio di giorni fa avevo sentito Lyanne lamentarsi con Misa, non so bene su cosa, ma ha accennato al suo letto...>>

<< E allora?>>

I letti del nostro Ospedale non avevano i supporti di legno, perchè i materassi erano leggeri, perciò a sostenerli c'erano quattro fili di ferro, molto semplici, di quelli che si trovano comunemente nei letti a una piazza, a basso prezzo.
Forse Lyanne ne aveva sfilato uno.

<< Aveva detto che il letto cigolava fastidiosamente. Domani andrò personalmente a controllare.>>, conclusi, dopo aver spiegato il mio sospetto a Light, il quale sospirò.

Appoggiai la testa alla parete, dietro di me.
In questo Centro Medico le casse al soffitto vomitavano disgustose musichette commerciali che non avevano fatto altro se non saltare i nervi sia a me che a lui.

Emma Lankgrover... probilmente...anzi, sicuramente era una delle sue tante personalità.
Una decisamente violenta, per giunta.
Avevo già chiesto al distretto di poter fare dei controlli su quel nome.
Qualcosa sarebbe venuto fuori, sicuramente.
Per il momento, nessuno degli agenti mi aveva detto nulla, riguardo alla pistola, il che mi fece sperare che non se ne fossero accorti, o che fossero troppo presi da altro per ricordarselo; al momento, di problemi ne avevo in quantità industriale.

<< Lya... cioè, Emma...sì, insomma, lei ha accennato ad un'arte marziale...Bajiquan. Tu ne sapevi qualcosa?>>

Scosse la testa. << Non ne ha mai parlato. Non con me, almeno.>>

Chiusi gli occhi, iniziando a sentire i primi segni della stanchezza e dello stress.

<< Quindi quello è suo fratello?>>, sentenziò infine, costringendomi a riaprirli.

Mail era arrivato poco fa.
Avevano dovuto sedare la ragazza per medicarle il polso, e nonostante i tentativi e le suppliche del fratello, non gli avevano ancora permesso di vederla.
Mail si era fermato solo per stringermi la mano, senza nemmeno calcolare Light; a lui interessava solo la sorella, e in fondo, potevo anche capirlo.

Quando mi si era presentato, inizialmente ero rimasta senza parole.
Anche se spiccavano particolari differenti, la somiglianza con Lyanne era incontestabile. Era poco più alto di lei, ma aveva lo stesso taglio del viso, lo stesso naso, la stessa forma degli occhi, che però, invece di essere violacei, erano di un profondo verde scuro. I suoi capelli erano ribelli come quelli della sorella, ma di una tonalità più scuri, e il suo volto era privo di efelidi.

Infine, Light si alzò.

<< E' inutile stare qui. Forse a lui che è suo fratello lo permetteranno, ma per noi l'orario delle visite non inizierà fino a domattina e onestamente sono già abbastanza confuso per ricevere altre novità. A domani.>>

Lo guardai incamminarsi e sparire, voltando l'angolo in fondo al corridoio.
Presi in considerazione l'idea di aspettare ancora un po', magari sarei riuscita a parlare con Mail.

Ma in realtà ero esausta.

Mi alzai in piedi e uscii dal Winchester Rehabilitation Center, estraniando dalla mente qualsiasi ricordo, sospetto o avvenimento collegato a quest'ultima notte, riuscendo infine ad allontanare la tensione che ancora non mi aveva permesso di smettere di tremare.

 

 

                                                                                                                     [ continua]

 

 

 

 Buona sera, cari lettori.
Vi prego di leggere questa piccola tiritera, prima di chiudere, please :)

Chiedo subito scusa, so che avevo detto che avrei svelato cos'è successo a L in questo capitolo, ma ho finito proprio adesso di riscriverlo tutto da capo ( visto che mi sono accorta che la roba che avevo buttato giù tempo fa non era nemmeno degna di un po' di pietà) e ora ho prosciugato le forze =)

  Il prossimo sarà l'ultimo capitolo e occhio, perchè il punto di vista... sarebbe errato dire " tornerà", ma lo dico comunque, tornerà alla ex protagonista, ma NON sarà Lyanne... be', spero abbiate capito ;)

 


Avrete sicuramente intuito che la personalità aggressiva non era Melissa, ma questa Emma Lankgrover, ovvero una persona che Melissa aveva conosciuto bene nel periodo trascorso nell'Ospedale in Estonia.
Ho deciso apposta di non presentare Melissa.
Preferisco lasciarla nell'ambiguo, anzi, preferisco proprio non farla apparire neanche nel prossimo e ultimo capitolo.


Ora, siccome dalle recensioni mi è parso di capire che tutti voi siete andati a sbirciare su Wikipedia o non so dove riguardo alla Sindrome Borderline ( furbacchioni!!! :P), mi sembra inutile postare un intero paragrafo di spiegazione, quindi ne faccio a meno =)
Devo ringraziarvi in fondo, mi avete alleggerito un bel po' il lavoro!!!! XD


Eppoi.

Siccome qualcuno in precedenza mi aveva chiesto per messaggio di spiegare qualcosa che riguardasse solo ed esclusivamente Melissa, ho deciso di pubblicare, dopo il capitolo finale della storia un capitolo extra, diciamo, ovvero un capitolo senza punti di vista, che presenterò come la cartella clinica di Melissa riguardante il periodo trascorso nell'Ospedale in Estonia, MA: questa è solo una piccola aggiunta mia, dalla quale voglio trarre un po' di soddisfazione personale, quindi non siete costretti a leggerla, tanto meno a recensirla, ma se siete curiosi e pazienti ( come vi siete mostrati fino ad ora e io vi adoro per questo), ben venga.


Ultima cosa, poi ho finito, giuro XD

Dato che ho ricevuto parecchi messaggi in cui i lettori mi chiedevano di pubblicare un possibile seguito...ecco, personalmente ( dato che ho il sospetto che il prossimo capitolo potrebbe non soddisfare completamente, in quanto qualcosina rimarrà comunque in sospeso) non mi dispiacerebbe lasciare la storia così, con qualcosa che si perde nel vago, lasciando al lettore il diritto di immaginare il resto... però, se insistete, scriverò il seguito, dato che ho già ideato tutta la storia.

Per questo lascio la scelta a voi.

Vale a dire che nelle prossime recensioni che mi lascerete vi chiedo di esprimere la vostra opinione ( vi consiglio di farlo dopo il prossimo capitolo, con la fine della storia, ma se siete già convinti dite pure la vostra subito).

Ora ho finito veramente,

Buona notte,
Luce Lawliet   


     

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Capitolo 14
*** Li detesto, gli strizzacervelli. ***


                  
                                14.
        
                    Li detesto, gli strizzacervelli.




                         






Winchester Rehabilitation Center. 10 giorni dopo.

 

Nome: Emma Lankgrover.

Età: 31 ( ma me ne danno sempre di meno).

Luogo di nascita: Disneyland.

Professione: maestra di Storia alle elementari; mi hanno cacciata e sbattuta in un Ospedale in Estonia, accusandomi di crudeltà verso i bambini.

Famiglia: ho vissuto per un po' con Pippo e Topolino, poi mi sono trasferita in Estonia per laurearmi.

Hobby: adoro giocare con i bambini, il nostro gioco preferito è Nascondino.

Malattie o disturbi: brinderemo nel sidro.

 

 

L'uomo che sedeva di fronte a me lasciò cadere il foglio che avevo finito di compilare un minuto fa, senza nemmeno leggerlo fino in fondo. Si passò una mano su quell'orrida fronte macchiata, unta e rugosa, per poi inforcare nuovamente gli occhiali.

<< Mancava solo questa...>>, sospirò infine, inchiodandomi con lo sguardo. << Mirabilandia, Acquapark, Nuages de Jeaux, Spaceland, Gardaland, Safari journey, il Paese delle Meraviglie, Puppet Planet e Neverland. Mi chiedevo quando avresti nominato Disneyland.>>

Non mi presi la briga di rispondergli, quel bruco con la barba era troppo intento a decidere cosa farne di me. Il mio sguardo si posò sull'enorme vetrata alla mia destra, così ampia da occupare tutta la parete. Anche se il vetro era oscurato e non riuscivo a vedere nemmeno il mio riflesso, sapevo che c'era qualcuno che ci fissava, dall'altra parte.

Chissà se c'era la donna con i capelli neri di quella sera.

<< Ti ho fatto ripetere questa scheda di presentazione per dieci volte e per dieci volte hai sconvolto tutto quello che avevi scritto in precedenza. A quanto vedo hai mantenuto identico solo il nome; questa volta però, hai indovinato sull'età e il lavoro.>>, continuò, costringendomi a spostare l'attenzione su di lui. << ...Vediamo di soffermarci sulle cose che hai scritto, va bene?>>

Riprese il foglio tra le mani e lesse con calma.

<< 31 anni, quindi sei nata nel 1980.>>

Il mio sorrisino sottointendeva la frase: bravo, ci sei arrivato, vuoi un applauso?

<< Ricordi dove sei nata?>>

<< L'ho scritto, leggi.>>

<< Te ne renderai conto da sola di aver scritto un'assurdità.>>, insistette, continuando a scorrere con gli occhi lungo le mie frasi scritte di malavoglia. << E poi, malattie o disturbi: che cosa vuol dire " brinderemo nel sidro? " >>

Io li detesto, gli strizzacervelli.

Fanno tanto i sapientoni, se ne stanno silenziosi e con le spalle incurvate, come se fossero afflitti da chissà quanti segreti professionali, pretendendo di riuscire ad estirpare qualsiasi mistero dalla mente delle persone, quando poi si dimostrano nient'altro che dei falliti incapaci, pagati profumatamente per inventare balle, indovinando a caso ciò che passa nella testa del paziente, neppure fossero degli indovini.

<< Parliamo un po' della tua professione, ti va?>>, propose infine, mettendomi a fuoco dietro quelle lenti spesse un dito.

<< No.>>

<< Maestra di Storia alle elementari. Perchè questa scelta?>>, continuò, ignorandomi.

<< Per stare vicina ai bambini. Oh, io adoro i bambini.>>, e detesto gli strizzacervelli, aggiunsi mentalmente, allargando appena il mio sorriso e rievocando alla memoria parecchi momenti agonizzanti passati in loro compagnia.

<< ...Già. Forse un po' troppo, vero?>>, rispose lui, con una nota di disprezzo nella voce che mi fece alzare di scatto le braccia verso di lui. Le manette che mi bloccavano i polsi sul tavolo e il laccio spesso che teneva la mia vita ancorata alla sedia fecero il loro dovere, impedendomi di fare qualcosa che avrei gradito parecchio. Quando la fasciatura alla mia mano destra sfregò contro l'acciaio repressi con iprobo sforzo un lamento. Il dottore di fronte a me non diede segno di inquietudine; avevo notato subito che quella prugna secca era difficilmente impressionabile.
I suoi microscopici occhietti da topo non concedevano al mio volto un attimo di rilassamento, intenti com'erano a scrutare attraverso ogni mia singola distorsione facciale un qualsiasi indizio utile a comprendere qualsiasi cosa mi riguardasse.

Comprensione.

Una parola all'apparenza semplice, ma intrisa di metodi noiosamente conosciuti col nome di " processi cognitivi ", creati allo scopo di raccogliere quante più possibili informazioni riguardanti gli oggetti interessati, di immagazzinarle, plasmarle e valutarle, per poi sfruttarle nella realtà circostante.
Quanti erano i processi cognitivi?
Mi torturai il labbro inferiore con gli incisivi, mentre accendevo il motore della memoria.

<< Credo sia il caso di analizzare l'argomento, ora che sembri mansueta.>>, si azzardò il vecchio arrogante, schiarendosi la voce.
Mansueta, certo. Dopo essere andato avanti assumendo dosi massicce di sedativi per endovena, chi non sarebbe mansueto?
Simulai uno sbadiglio e stiracchiai come meglio potei le gambe.

<< Non hai fatto altro che fissarmi come un'opera d'arte impolverata per quasi due ore. Mi merito una pausa.>>

<< Deciderò io quando ti meriterai una pausa. Per adesso ti ho detto cosa voglio da te.>>, sentenziò, intrecciando le mani sul tavolo.
Improvvisamente, ricordai.

Percezione.
Era il primo dei processi cognitivi e costituiva le funzioni psicologiche che permettevano all'organismo di ottenere informazioni circa i mutamenti del suo ambiente grazie ai cinque sensi: vista, udito, olfatto, tatto, gusto.

Tornai con lo sguardo sul suo viso.

Detesto gli strizzacervelli.

E l'uomo in questione faceva davvero pena nel suo lavoro, dato che si ostinava ad utilizzare solo uno dei sensi, ovvero la vista, scrutandomi con morbosa ossessione e vagando con gli occhi anche in luoghi ai quali un rispettabile studioso di psicologia non dovrebbe interessarsi più di tanto, per esempio, lungo la zona che si trovava poco più in giù del collo.

<< Non so come io abbia fatto a finire qui...>>, esordii, mettendo in luce il primo dei miei dubbi. << ma ricordo perfettamente che in Estonia mi riservavano un trattamento decisamente migliore. Voglio tornare al Grayor's Istitute, immediatamente.>>

Il dottore si raddrizzò, di colpo interessato.

<< Quindi ti ricordi del periodo trascorso in quell'Ospedale?>>

Memoria.
Capacità di un organismo vivente di conservare tracce della propria esperienza passata e di sfruttarla per costruire relazioni con il mondo e gli eventi futuri.

Malata mentale potevo anche concederglielo, ma che mi credesse anche una rincoglionita...

<< Non essere così giulivo, dottore. Sovente la mia memoria fa cilecca, soprattutto se si tratta di avvenimenti o cose che mi fanno ribrezzo; per esempio, solo a guardarti mi sento così male che questa notte la mia mente sicuramente cancellerà il ricordo della tua faccia. Niente di personale, credo sia un meccanismo di difesa.>>
Non battè ciglio.
La sua pertinacia a non regalarmi alcun tipo di soddisfazione era davvero inflessibile.

<< Interessante, di certo. Dunque, ricordi anche il motivo per cui sei stata rinchiusa in quel posto per anni...>>

<< Sono stata accusata ingiustamente.>>, risposi con semplicità.

<< Quindi stai dicendo che quattro coppie di genitori si sarebbero coalizzate contro di te, accusandoti ingiustamente? Altri hanno sostenuto la loro parola. Decisamente poco probabile.>>

<< Erano un gregge di pecore ignoranti ed è risaputo che dove si dirige una, tutte le altre la seguono a ruota.>>, insistetti, senza fare una piega.

<< Questo non è vero. Hai scritto...>>, sollevò il foglio. << crudeltà verso i bambini. Ti spiace spiegarti meglio?>>

Stronzo, lo sai benissimo, ma ti piace buttare benzina sul fuoco, vero?

Intelligenza.
Permette all'uomo in quanto dotato di struttura cerebrale notevolmente evoluta di risolvere problemi che implicano una ristrutturazione del rapporto di adattamento con l'ambiente.

Be', quest'uomo non era provvisto neanche di metà dell'intelligenza che normalmente veniva richiesta in certi standard, lo dimostrava il fatto che mi stesse aizzando quasi senza rendersene conto.

<< Non mi sono mai permessa di essere crudele con i bambini, mai, nemmeno quando mi disubbidivano o non prestavano attenzione alle mie richieste, o quando copiavano mentre non guardavo... come ti ho già detto, io adoro i bambini.>>, ammisi, gettando un'occhiataccia alle manette.
Quasi non credetti ai miei occhi quando il dottore celò maldestramente una risatina.

<< Oh, certo. Adori i bambini, mmmh... ma hai una preponderante preferenza per le bambine, non è così?>>

Attenzione.
Capacità di scegliere gli stimoli e di mettere in relazione i meccanismi che provvedono ad immagazzinare le informazioni nei depositi della memoria a breve/lungo termine con influenza diretta sull'efficienza delle prestazioni nei compiti di vigilanza.

<< Se non presterai maggior attenzione al peso delle tue supposizioni, dottore...>>, sibilai, con graffiante dolcezza. << temo proprio che la conversazione terminerà qui. Indipendentemente da cosa ne pensi tu.>>, aggiunsi, prima che mi interrompesse, rammentandomi la cazzata del: << Deciderò io questo e quello...>>

Finalmente, un'ombra di irritazione rivelò il cambiamento di stato d'animo della vecchia prugna, soffiandomi addosso un leggero senso di compiacimento.

<< Sai cos'è la pedofilia, Emma?>>, mi domandò, dandomi l'impressione di averlo indignato con quell'avvertimento.

Mi passai la lingua sulle labbra. << Vorrei un bicchiere d'acqua.>>, replicai, voltando lo sguardo verso la vetrata. << Per favore.>>, aggiunsi, inzuccherando fin troppo il tono di voce.
Lo psicologo di fronte a me - buffo, solo ora mi ero resa conto di non ricordare il suo nome - fece un lungo sospiro, per poi fare un cenno con la testa. Si alzò dalla sedia, mentre la porta di fianco alla vetrata veniva aperta. Mi reclinai appena all'indietro, per sbirciare chi stesse assistendo al nostro amorevole colloquio dall'esterno, ma non trovai il volto che cercavo. Scorsi però una massa di capelli rossi e due occhi verdi colmi di curiosità e timore.
Non mi era nuovo quel volto.
Il vecchio tornò da me, stringendo un bicchiere di carta bianco. Quando me lo porse, sollevai appena le mani, dicendo: << Dovrai farlo tu.>>

<< Puoi farcela anche da sola.>>, fu l'impassibile risposta.

Un infermiere se ne stava con un braccio appoggiato allo stipite della porta ancora aperta, intento ad osservarmi con lieve tensione.

<< Dov'è la donna con i capelli neri?>>, chiesi di botto, mentre prendevo tra le mani il bicchiere.

<< Di chi parli?>>

<< Non conosco il suo nome...>>, bevvi lentamente. << Perchè lui è qui?>>, chiesi ancora, facendo un vago cenno in direzione della porta.

<< Per sicurezza...>>, rispose il dottore, incrociando le braccia al petto.

<< Non lui. Il marmocchio.>>, sbottai. << Non lo voglio vedere.>>

Avevo parlato apposta a voce alta, approfittando della porta aperta.

<< Oppure è qui per far visita a Melissa? Anche lei è qui?>>, domandai, improvvisamente interessata.

<< Conosci bene Melissa, Emma?>>, volle sapere il dottore, aggiustandosi gli occhiali che nel frattempo erano scesi sulla punta del naso.

Non riuscii a non reprimere un sorriso.

<< Be', da quando è arrivata al Grayor's Istitute l'hanno messa nel reparto di fianco al mio. Eravamo intime.>>, spiegai, riportando alla mente il ricordo di una ragazzina con lunghissimi capelli rossi. Mi piaceva molto accarezzarglieli.

<< Eravate amiche? Dalle nostre informazioni... ci risulta che dopo poche settimane lei ha iniziato a evitarti. Più di una volta sono esplose violente liti e....>>

<< Non mi sono spiegata.>>, lo interruppi, senza cancellare il sorriso. << Non ho detto " amiche ". Buon Dio, un'undicenne e una donna non hanno abbastanza interessi in comune per definirsi amiche... io ho detto " intime ".>>

Avrei tanto voluto cogliere con perversa soddisfazione la faccia di quel vecchio una volta collegate le parole ai doppi sensi nascosti, ma non ne ebbi il tempo, dal momento che l'infermiere obiettò con voce contraria: << Fermo, ti ho detto che non puoi senza permesso...!>>

<< Non mi interessa, continuando così non vi dirà niente! Voglio provarci io.>>, rispose il ragazzo dai capelli rossi, entrando con decisione all'interno della stanza e ignorando i tentativi dell'infermiere di bloccarlo.

<< Ragazzino, devi restare fuori, è una cattiva idea...>>, cominciò il dottore, ma una voce maschile lo interruppe.

<< Lo lasci fare, per favore. Solo per qualche minuto.>>, a parlare era stato il ragazzo di quella notte, l'amico della donna bruna; riconoscevo la voce. Aveva parlato attraverso il microfono dall'altra parte, collegato al piccolo altoparlante sul soffitto della stanza.

<< Ho detto che non lo voglio vedere.>>, sibilai, in modo che ascoltasse solo lo psicologo, il quale mi prese con circospezione il bicchiere dalle mani.

<< Ne sei sicuro, Yagami?>>, mormorò.

<< Lasciatemi fare solo un tentativo. Se non riesco a farla... insomma... tornare come prima, almeno potremo dire di averci provato.>>, rispose il ragazzino, dirigendosi verso la sedia di fronte alla mia.
Infine il vecchio si arrese, uscendo dalla stanza con l'infermiere e chiudendosi la porta alle spalle.

Cazzo se li detesto, gli strizzacervelli.

Fissai di malavoglia il ragazzo, che nel frattempo si era accomodato sulla sedia.
Non dissi una parola, ma lui non ci mise molto a cominciare.

<< Ciao.>>

<< Ciao.>>

<< Come va la mano?>>

<< E' sedata.>>

<< Senti dolore?>>

<< Sono sedata.>>

<< Ti piace stare qui?>>

<< Per niente. E a te?>>

<< Per niente.>>

<< Splendido. Che cosa vuoi?>>

<< Indovina un po'. Voglio sapere cos'hai fatto quella notte.>>

Alzai gli occhi al cielo.

<< Sono certa che te l'hanno raccontato più volte.>>

<< Ma non ho ancora sentito la tua versione.>>

<< Elementare, Jeevas. Mi sono trovata con una donna che non avevo mai visto prima tra le braccia, allora ho allungato una mano per palparla e ho trovato una bella pistola. E l'ho usata. Non dirlo a Melissa>>, sussurrai, piegandomi verso di lui. << non vorrei che la tua sorellina diventasse gelosa.>>

La sua mascella si contrasse appena. Fece vagare i suoi occhioni verdi lungo i bordi del tavolo, indeciso se continuare o meno.

Aggrottai la fronte. << Sei davvero cresciuto.>>

Lui alzò lo sguardo, sorpreso. << Cosa?>>

<< Quanto tempo è passato dall'ultima volta che ti ho visto?>>, insistetti, sinceramente confusa. << Tre mesi?>>
Lui strinse le mani, come per prepararsi a darmi una notizia bomba.

<< Tecnicamente, più di tre anni... Emma.>>

Rimasi in silenzio, contemplandolo per una decina di secondi.

<< Perchè non mi trovo in Estonia? Quando sono stata trasferita?>>, borbottai.

<< Non sei stata trasferita.>>

<< Perchè non mi dici quello che vuoi dirmi e non la facciamo finita?>>, mi lasciai andare allo schienale della sedia, il laccio mi stringeva la carne con forza. << Che cosa vuoi, moccioso? Dovresti essere con Melissa, non con me.>>

<< In un certo senso, sono con entrambe.>>, sospirò, senza staccare gli occhi dai miei. << In questo momento non sei in te, ma penso che sarà difficile spiegarti.>>

<< E' vero, non sono in me. Tra poco i farmaci faranno effetto.>>, convenni, resistendo alla tentazione di chiudere le palpebre, già tremolanti.

<< In genere ti davano dosi massicce di sedativo quando cercavano di farti... cambiare, senza che potessi farti del male, o far del male agli altri.>>

<< Idiota, ti stai confondendo con tua sorella. Era lei ad avere quella malattia aliena, come si chiamava...? Lei la chiamava in modo buffo, usando uno di quegli stupidi giochi di parole...>>, dissi.

Mail sorrise.

<< I medici in Estonia allora non si erano sbagliati. Pur sotto il momentaneo controllo di altre personalità, quella dominante rimane sempre Melissa, anche se inconsciamente. Infatti, Emma, spiegami perchè nel foglio che il dottor Ross ti ha fatto compilare hai scritto " Sindrome Borderline". >>

<< Non ho scritto niente del genere.>>, ribattei, iniziando ad arrabbiarmi.

<< Sì, l'hai fatto.>>

<< Non l'ho fatto.>>

<< Sì, invece!>>

<< Non l'ho fatto, Mail!>>, ringhiai.

<< Sì, invece; solo che hai fatto lo stesso giochino di mia sorella, scrivendolo come: " brinderemo nel sidro." >>

<< Che cazzo stai cercando di fare moccioso, eh?! Non capisco quello che dici!>>

<< Non sei sempre cosciente delle cose che dici, dei ricordi che hai, di quello che scrivi; la tua mente cambia repentinamente e senza alcun preavviso, sopraffacendo il tuo ego, qualunque esso sia. E così facendo, sconvolge tutto il resto... quella donna di cui parlavi prima... l'hai incontrata parecchie volte, quando non eri Emma.>>

<< Ah, davvero? E chi ero?>>, domandai, ironica.

<< Eri mia sorella Lyanne. E adesso ho bisogno che torni ad essere lei, perchè in questo modo nessuno è in grado di aiutarti.>>

<< Tuu... seeeeei...>>, canticchiai, raddrizzandomi come meglio potevo e chinandomi verso di lui. << ancora più saltato di tua sorella. Sparisci dalla mia vista, non voglio vedere più nessuno.>>

<< Ehi, Emma>>, riprese, al limite della pazienza. << Tu non avevi i capelli biondi?>>

<< Uau, che intuito, ragazzo, e questi cosa sono secon...>>, mi interruppi, quando il mio sguardo si fermò sulla ciocca di capelli che avevo appena preso tra le mani.

Dall'altoparlante proruppe la voce del dottor Ross.

<< Cosa significa... quello che ha scritto...>>

<< E' un anagramma.>>, spiegò Mail. << E' una cosa che faceva spesso. Se riordinate le lettere viene fuori: " Sindrome Borderline".>>

Ma io non stavo più ascoltando.
Le orecchie non percepivano più i suoni, sopraffatte dal martellio furioso che rimbombava nella mia testa, come impazzito, mentre con gli occhi ridotti a due fessure, guardavo e riguardavo la ciocca di capelli rossi che stringevo con forza tra le dita, per assicurarmi che fosse reale.
Mail si rivolse nuovamente a me, dicendo qualcosa che non riuscii a capire.
Le mie mani si chiusero automaticamente a pugno, mentre qualcosa dentro di me prendeva ad agitarsi, e a urlare, minacciando di sfondarmi il cranio.

<< Vattene.>>, sibilai tutto a un tratto, incapace di guardarlo in faccia.

Il ragazzo sembrava preparato ad una reazione del genere e non si scompose. << Non resistere, lascia che prenda il controllo su di te. Tu non sei Emma, e lo sai benissimo!>>

<< Ho detto vattene!!!!!>>

E' solo un bugiardo, io sono Emma.
Emma.
Emma.
Emma Lankgrover, Emma Lankgrover, Emma Lankgrover.

A quel punto Mail si alzò dalla sedia e mi strinse una mano con decisione. << Lyanne, se riesci a sentirmi e a riconoscermi, ti prego, reagisci! Sei riuscita a imporre il tuo controllo sul corpo di Melissa per quasi tutto il tempo trascorso nel Wammy's Hospital, sei più forte di Emma, devi solo convincerten...>>

<< VATTENE!!!>>, urlai, afferrandogli di scatto il polso e affondandogli con forza le unghie sotto la pelle. Il volto di Mail si riempì di dolore, mentre tentava di liberare il polso che cercavo di spezzargli con tutte le mie forze. << Vattene, vattene, vattene!!!>>
La porta si spalancò e due infermieri corsero verso di noi, tentando di separarci.

Vattene.

Uno dei due mi afferrò il braccio, costringendomi a mollare la presa, mentre l'altro sollevava una siringa.

Vattene.

Udii a malapena il lamento di dolore dell'infermiere, mentre lasciava cadere la siringa a terra, reggendosi la mano che gli avevo morso. I miei occhi soverchiati dall'ira non si staccavano da quelli del ragazzino, ora in piedi, vicino alla porta, ma ancora troppo vicino a me.

<< Vattenevattenevattenevattenevattenevattenevattenevattene!!!>>, continuavo a gridare, mettendomi a muovere la schiena con foga, nel tentativo di liberarmi dei lacci. Uno degli infermieri cercò di tenermi immobile, mentre l'altro recuperava la siringa. << Vat...>>, tirai con entrambe le gambe un calcio al tavolo, facendolo ribaltare violentemente e provocando uno stridente rimbombo metallico. <<...tene! Vattene! Va...>>

Qualunque cosa ci fosse in quella siringa fece effetto quasi subito. La mia voce si affievolì, così come tutti i miei altri sensi...
 
 
 


                                                                                                     
                                                                                                         Epilogo.
 
 
 

<< Ma come hai potuto permetterti così tanta libertà con un soggetto del genere?!>>, la voce del dottor Ross risuonò come un monsone distruttivo attraverso la piccola stanza dalla quale lui, gli infermieri e Light Yagami si erano appostati a guardare. << Come hai potuto essere così imprudente? Una persona così disturbata deve essere trattata con i guanti bianchi, occorre tantissimo tempo per ottenere dei risultati! Cosa cercavi di ottenere?>>

<< Delle risposte!>>, ribattè Mail, dopo aver osservato con risentimento gli infermieri che trasportavano via il corpo inerme della sorella. << Avevano provato varie volte con lei questo metodo di reazione in Estonia e...>>

<< E avevano sempre ottenuto questi risultati?>>, chiese Light, le braccia strette al petto.

Mail lo guardò, incerto. << Be'... mai così violenti. Però>>, aggiunse, notando la faccia dello psicologo. << avevo pensato che, essendo suo fratello e avendo di conseguenza un legame differente, forse sarei riuscito a...>>, prese un lungo sospiro. << a far tornare Lyanne.>>

<< Perchè volevi parlare proprio con lei?>>, insistette Light.

Il viso di Mail parve distendersi. << C'è una cosa che probabilmente ancora non sapete, dato che il Grayor's Istitute si rifiuta di togliere dagli archivi dati personali riguardanti i loro pazienti, per una rigida questione di privacy, ma... il Disturbo Dissociativo di Melissa ha una particolarità che non è stata mai riscontrata in nessun altro paziente, per questo è così difficile da studiare. Non è corretto dire che assume la personalità delle sue vittime; ad eccezione di Lyanne, tutte le altre persone che rappresenta, in realtà sono nemesi.>>

Light ci mise qualche secondo ad incassare l'informazione.

Cioè, a parte Lyanne, che sembrava contenere l'unica dose di indulgenza in mezzo a tutti i suoi altri io, Melissa aveva racchiuso dentro se stessa non l'intera personalità di quelle persone, ma soltanto la loro parte peggiore... ovvero, la loro nemesi.

<< Stai dicendo sul serio?>>, mormorò lo psicologo, senza alcuna espressione sul volto rugoso e segnato dagli anni.

<< Sì, signore.>>

<< Perchè solo lei?>>, chiese Light. << Perchè ha mantenuto la parte buona di Lyanne?>>

Questa volta Mail non rispose subito.
Light era in difficoltà. La situazione stava prendendo una brutta piega, considerando che un preoccupante sospetto si stava aggirando nella sua mente da parecchi giorni.

<< Ai medici è occorso molto tempo per dare una risposta alla tua domanda. Hanno affermato... che essendo la gemella di Lyanne, in un certo senso Melissa stessa rappresentava già la nemesi di sua sorella. Erano l'una l'opposto dell'altra. Per questo, quando l'ha uccisa...>>, la sua voce tremò appena.
<< ha mantenuto quella parte di lei. Ed è quella parte che dobbiamo cercare di risvegliare, perchè è quella che ci ascolterà e soprattutto, perchè quella è l'unica parte di mia sorella che non rappresenta un pericolo!>>

<< Tutto in quella ragazza è un pericolo. Non ho mai visto una cosa del genere in sei anni che lavoro qui...>>, borbottò l'infermiere, premendo con forza un panno pulito sul dorso della mano sinistra.

<< Quanto è grave?>>, gli chiese l'anziano signore, facendo per avvicinarsi a controllare.

<< Fa un male fottuto... ma non credo mi servano punti.>>, tagliò corto l'uomo, andando alla ricerca di un disinfettante.

Il dottor Ross si rivolse nuovamente al ragazzino dai capelli rossi. << In mancanza dei genitori, spetta al famigliare più vicino la decisione, ma considerando che sei ancora minorenne, abbiamo chiesto al tuo tutore il permesso di tenerla nel nostro Centro di Riabilitazione.>>

Mail annuì. << E Roger ha acconsentito, immagino.>>

<< Senza esitare.>>

Light irrigidì la mascella. Avrebbe preferito averla di persona sotto controllo nel Wammy's Hospital, ora che sapevano di lei.
La cosa che però lo spaventava davvero, era temere che lei sapesse qualcosa di lui.



                                                                                                                * * *



Wammy's Hospital, il giorno dopo.


Light non riusciva a tranquillizzarsi.
Dopo che Naomi aveva controllato personalmente la camera della ragazza, rivelando in effetti la mancanza di un filo di ferro sotto al letto, aveva trovato un foglietto.
Per la verità, un pezzo di foglietto.
La frase scritta sopra si interrompeva a metà, ma era bastata per far nascere in Light un brivido freddo come un'unghia ghiacciata percorrergli la schiena, quando aveva riconosciuto la scrittura.
La pagina, stampata a righe nere, apparteneva ad un quaderno sul quale aveva visto L scrivere innumerevoli volte.
Sapeva cosa c'era scritto, in quel quaderno, così come sapeva cosa gli sarebbe accaduto se qualcun altro lo avesse letto.
In piedi, a pochi metri dalla riva del laghetto, i suoi pensieri si spostarono automaticamente su Misa Amane.
Le aveva detto chiaramente di bruciarlo. Bruciarlo.
Era più che ovvio che quella stupida gli avesse disubbidito.
Aveva messo sottosopra l'intero Ospedale, compreso il giardino e la cappella, per ritrovare quel maledetto quaderno, rimanendo preda dell'ansia per tutto il tempo.

E se Lyanne l'avesse nascosto prima di cambiare personalità?
E se un altro paziente per caso l'avesse trovato e l'avesse letto?
O peggio ancora, e se un membro del personale l'avesse trovato?
Peggio del peggio, se Naomi stessa, frugando nella stanza di Lyanne...?

Calmo. Devo stare calmo.

Era impossibile che Naomi l'avesse trovato. Semmai avesse letto quel quaderno, a quest'ora Light sarebbe morto... o perlomeno, in prigione a vita.
Già.
Perchè nessuno aveva mai scoperto cosa fosse successo veramente all'infermiere L Lawliet, l'inseparabile amico di Light.

Amico, sputò mentalmente su quella parola, ricordando lo sdegno e l'umiliazione subita, appena un anno prima.
Un amico non dovrebbe mai tradire un altro amico, no?
Gli amici dovrebbero proteggersi sempre.
L in fin dei conti non si era dimostrato un vero amico, non dopo averlo minacciato di rendere di pubblico dominio l'ascendente di Light su alcune pazienti dell'Ospedale. In particolar modo su Amane.
In fondo, non sarebbe servito a molto spiegarlo.
Il lavoro di Light era duro... anzi, no " duro" era solo un eufemismo.
Il lavoro di Light pretendeva enormi responsabilità; poche persone accetterebbero di passare metà della loro vita in quattro mura grigie, con la sola compagnia di persone pericolose, assenti... ma comunque, non normali.
E dopo un po' di tempo, Light aveva capito di aver bisogno di...distrazioni, o comunque, potenziali incentivi per continuare al meglio il suo mestiere.
Disgraziatamente, L era venuto a conoscenza della sua amicizia... speciale con Misa Amane. Solevano recarsi almeno una volta ogni due settimane al quinto piano dell'Ospedale, il più sicuro, dato che nessuno ci metteva mai piede, ma erano stati scoperti.
Nonostante i gli interminabili e bisbiglianti litigi notturni, nonostante Light gli avesse promesso di troncare immediatamente la cosa, come poi aveva fatto, L non aveva voluto sentire ragioni.
Venire a scoprire ciò che aveva fatto con Misa e con altre pazienti semplicemente lo aveva disgustato.
Light aveva fatto il possibile per fargli cambiare idea, per farsi dare la possibilità di rimediare, per trovare un'unica scappatoia utile, per non fare ciò che in seguito fu costretto a fare.
Attirare L in un inganno non fu affatto semplice, per questo era stato costretto a chiedere la collaborazione di Misa. Era bastato prometterle che le cose si sarebbero risolte al meglio per loro due e lei ci aveva creduto.
Misa era stata l'esca, ma a togliere di mezzo L ci aveva pensato lui.
Quella notte la dea bendata gli aveva sorriso come non aveva mai fatto in vita sua, facendo in modo che l'ultimo arrivato, il paziente chiamato B, si trovasse disgraziatamente nel posto sbagliato, al momento sbagliato.
Per Light era stato un gioco da ragazzi far cadere la colpa su quel paziente, un novellino di cui nessuno sapeva nulla.
In seguito, Misa gli confidò di aver trovato nel quaderno di L delle prove schiaccianti contro di loro.

Perchè le ho detto di occuparsene? Perchè non l'ho fatto io di persona?!


Forse, perchè alla fine Misa si era pentita.
L'ultima pagina che L aveva scritto prima di morire, era la pagina in cui aveva scritto che avrebbe denunciato Light, rivelando ogni cosa.
Misa sarebbe stata allontanata.
Light sarebbe finito in prigione per il resto della sua vita.

<< Che ci fai qui?>>, domandò una voce alle sue spalle.

Light chiuse gli occhi, riconoscendo la voce soave, ma adulta, di Naomi.

Se solo lei sapesse...

<< Niente. Volevo sapere se ti serviva aiuto per coordinare i prossimi trasferimenti.>>, rispose, mostrandosi come il ritratto della serenità.

Naomi era una persona estremamente perspicace, e lui era sempre attento quando era nei paraggi. Quando però il suo sguardo si posò casualmente sull'anello che la donna portava al dito, il sorriso scomparve.

Il paziente B è fuggito. Ma riusciranno sicuramente a catturarlo.

Naomi si strinse nelle spalle.

<< Ehi, che succede, ora si sono invertite le parti? Adesso sei tu che vuoi fare gli straordinari gratuiti?>>, lo accusò, sorridendo appena.

Light aveva dimenticato quanto fosse bella Naomi.
Forse perchè, conoscendola da anni, aveva notato immediatamente un'impressionante differenza tra il suo colore di pelle e la luminosità nei suoi occhi, perfino nell'ampiezza del suo sorriso in quei giorni, paragonati all'anno precedente, quando c'era anche L.
Era una bellezza sfiorita, come se fosse stata strappata via assieme a lui.
Lyanne aveva nascosto sicuramente il quaderno da qualche parte.
Quel quaderno custodiva verità sconvolgenti e avendolo letto, quella ragazza doveva esserne rimasta traumatizzata.
Light ricordò ciò che aveva detto Mail riguardo alle personalità di Melissa.

E se avesse assunto anche la personalità di L?

Lui aveva sempre avuto un'incontestabile, quanto rigidissima percezione del giusto e sbagliato... ma se dentro di lei avesse creato la nemesi di L...
Sean era uno dei pazienti più violenti dell'Ospedale e aveva avuto innumerevoli screzi con lui. Dopo aver aggredito Lyanne, era morto.
Misa aveva spinto L a credere a una menzogna, che gli era poi costata la vita.
Ed era morta anche lei.
E quella notte... dopo il black out, mentre la cercavano nei boschi, Light l'aveva vista. E lei gli aveva detto una cosa che all'inizio non era stato in grado di comprendere, ma ora che i pezzi stavano lentamente andando al loro posto...

<< Manchi ancora tu. Dopodichè, giustizia sarà fatta.>>

Giustizia.

Che valore aveva dato L a questa parola?
Di certo non lo stesso che le dava Light, il quale voltò le spalle al lago, cingendo dolcemente le spalle di Naomi con un braccio e sorridendole.

<< In realtà, la mia idea di straordinario coincide con una tazza di caffè e qualche ciambella... e magari anche qualche mela.>>

Mentre camminavano, Light riuscì finalmente a rilassarsi.
Lyanne aveva nascosto il quaderno.
Tuttavia, ora che tutti conoscevano la verità su di lei, anche se avesse detto qualcosa, qualsiasi cosa, nessuno le avrebbe creduto.
Forse gli conveniva tenere d'occhio il fratello, quel ragazzo non gli aveva dato l'impressione di essere un ingenuo.
Un sorriso vittorioso gli increspò gli angoli della bocca.

Non c'era nulla di cui preoccuparsi.
 
 


                                                                                                                       [ fine]
 
 


Fine.
Fine.
Oh, capperi, ho scritto davvero questa parola?
Non mi sembra vero ^ ^
Forse perchè in effetti so che non è affatto finita, anche se il sipario si chiude qui, ormai.
Ricordo che c'era stato qualcuno che aveva sospettato, più o meno a metà storia, che il tutto non sarebbe finito con un lieto fine e non oso immaginare lo sdegno di chi, fra i lettori, pensava che Light fosse un pochino meno, come dire... crudele dell'originale...
Non so a quanti questo finale soddisferà o a quanti non piacerà, ma comunque sia lasciate che vi dica grazie di cuore per avermi seguita fin qui, per non avermi lasciata, per avermi fatta ridere con le vostre supposizioni, in certi casi veramente assurde e divertenti( stranamente, tutte queste ultime riguardavano Lyanne e Beyond, ma come mai???) e per gli incoraggiamenti.

In questa storia ci ho messo davvero tutta me stessa e mi sento felicemente soddisfatta.

P.S. il capitolo extra non so quando lo posterò, ma in quello scriverò l'esito delle vostre decisioni, riguardanti il possibile seguito.

Grazie alle 42 persone che hanno inserito la fic tra le Preferite,
alle 7 che l'hanno inserita tra le Ricordate,
alle 49 che l'hanno inserita tra le Seguite,
anche se sapete ormai che il grazie più grazioso ( ?!, non fateci caso, ho sonno!!!) va a coloro che hanno recensito i capitoli!

Un bacio e buona notte,

Luce Lawliet. 

 

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Capitolo 15
*** extra ***



 

Grayor's Istitute.


Cartella statale n° 1712.

 

Paziente: Melissa Moah Stoinich.

 
Data di nascita: 1 novembre, 1995.


Paziente dell'Ospedale dal: 18 giugno, 2006.


Dottori responsabili:  Demetri Krovski, psicologo

                                        Marishka Gredova, infermiera

                                        Igor Golubev, medico

 

 

     
      
                          
                                                                                                                  I
                                                                               
                                                                                   Disturbo Dissociativo dell'Identità (DDI)

 

 

I criteri diagnostici per il DDI sono: presenza di 2 o più identità o stati di personalità distinte, ciascuna con i suoi modi relativamente costanti di percepire, relazionarsi, pensare nei confronti di se stesso e dell'ambiente; almeno 2 o più di queste identità o stati di personalità assumono in modo ricorrente il controllo del comportamento della persona; incapacità di ricordare importanti nozioni personali non spiegabili con una banale tendenza alla dimenticanza; l'alterazione non è dovuta né agli effetti fisiologici diretti di una sostanza né a una condizione medica generale.

Il DDI sembra rappresentare il precipitato di un fallimento nei processi di integrazione tra i vari aspetti della memoria, della coscienza e dell’identità associata a gravi traumi. L’alternarsi dei diversi stati di personalità può essere causa di una confusione diagnostica per l’emergere di formazioni sintomatiche di discontinuità della coscienza comuni ad altre psicopatologie, oltre ad una vasta gamma di "sintomi secondari" (sintomi ansiosi, ossessivo-compulsivi, depressivi, fobici, di abuso di sostanze psicotrope, di disturbi del comportamento alimentare - antropofagia nel caso della paziente in questione, ma è un dato poco sicuro -, di comportamenti antisociali, etc.) su cui spesso i clinici si concentrano erroneamente, giungendo inevitabilmente a diagnosi errate e improntando trattamenti che risultano inefficaci.

È un improvviso, inaspettato allontanamento dal proprio ambiente, con incapacità a ricordare il proprio passato, confusione riguardo alla propria identità e parziale o completa assunzione di nuove personalità, più o meno dominanti.

È un disturbo estremamente raro, collegato sovente ad esperienze traumatiche (disastri naturali, guerre, violenze sessuali e abusi ripetuti durante l’infanzia, etc.) che producono uno stato di coscienza alterato "dominato dalla volontà di sottrarsi al trauma e dimenticare".

Ha una durata molto limitata nel tempo, risolvendosi usualmente nel giro di ore o pochi giorni. Sono stati descritti casi anche di molti mesi ( ed è il caso di Melissa).

app. [ Nel caso della paziente il dottor Krovski nutre il potenziale sospetto che ad assumere il controllo del suo corpo siano più di 2 personalità, sebbene sia ancora troppo presto per stabilire il numero esatto.]

Può portare ad attacchi di amnesia ( caso riportato a pagina II).

 

 

 


                                                                                                          II

                                                                                          Amnesia dissociativa


Si intende la perdita improvvisa di ricordi anche importanti, appartenenti alla propria storia personale. Ne esistono 5 tipi differenti:


- amnesia sistematizzata: in cui il paziente non ha ricordi rispetto ad una persona in particolare, specifica;

- amnesia generalizzata: il paziente sembra incapace di ricordare tutto quanto riguarda la sua intera vita;

- amnesia continuativa: il paziente non è in grado di ricordare gli eventi successivi ad uno specifico momento, sino al presente incluso;

- amnesia selettiva: il paziente non ricorda una serie di eventi relativi ad un determinato periodo di tempo, anche se riesce a ricordarne altri compresi nello stesso periodo;

- amnesia circoscritta: il soggetto è incapace di ricordare tutti gli avvenimenti relativi ad un periodo circoscritto della propria vita, generalmente relativi alle ore successive all'evento traumatico, dal punto di vista psicologico.

Dopo sei mesi di riabilitazione, il funzionamento mentale di Melissa sembra essere alterato dal quarto tipo. Il periodo riguarda l'incidente con il compagno di scuola Liev Sokolov.

App. [Il dottor Krovski ha iniziato un delicato trattamento di ipnosi da quasi un mese, con scarsissimi risultati. Il che ha dato la conferma che la mente della paziente, seppur giovane, è estremamente potente e in qualche modo consapevole dei tentativi del dottore di scioglierne le barriere.]

 

 

 


                                                                                                             III

                                                                                             Borderline.

 

 

Borderline significa " linea di confine", rappresenta l'espansione della classifica psicoanalitica classica dei disturbi mentali.

Può essere associata alla schizofrenia, sebbene quest'ultima non tocchi gli estremi delle psicosi, pur giungendo al loro limite; il disturbo Borderline è il più particolare.

Ormai è certo che la paziente ne sia affetta e le cure, associate alle sedute di interventi ipnotici e ai metodi classici, continuano a non offrire risultati accettabili.

Addirittura in quest'ultimo periodo gli effetti delle cure sembrano essere l'esatto opposto di ciò che il dottor Krovski si aspettava, perciò egli ha ritenuto opportuno interrompere l'approccio.

App. [ La patologia si sta sviluppando più in fretta del previsto. Bisogna iniziare a prendere in considerazione una possibile e inaspettata disregolazione emozionale legata all'instabilità della paziente.]

 


 

 


Estratti dal diario del dottor Krovski_

 


13 agosto.


Questo pomeriggio pioveva e Melissa è rimasta quasi mezz'ora davanti al portone chiuso. La pioggia le dà fastidio, perchè le impedisce di uscire fuori e ovviamente nemmeno il personale glielo permette. Non è una bambina delicata, anche se a prima vista può dare l'impressione contraria.

In quasi due mesi trascorsi qui dentro, non abbiamo dovuto sforzarci per convincerla ad interagire con i pazienti della sua età.

Anzi, quando si tratta solamente di interagire, è molto brava.

Normale, curiosa come qualsiasi bambina della sua età.

Non ha mai sollevato questioni sul cibo offerto in Mensa, non ha ancora alzato la voce con me, neanche una volta.

E in questo periodo, sono comparse tre personalità differenti, in lei.

Due sono ignote e una si è presentata come Liev Sokolov, il bambino coinvolto nell'incidente scolastico. Preferisco non credere che sia stata Melissa a fargli del male, oltretutto non ci sono prove certe... anche se in fondo, è stato proprio per questo che il padre ha insistito per portarla qui.

Liev Sokolov si è trapassato le guance da parte a parte con delle forbici, infilzandosi anche la lingua e morendo dissanguato, ma Melissa e la gemella Lyanne si trovavano con lui, in quel momento. Melissa aveva tracce di sangue sulle mani e Lyanne inizialmente non era stata in grado di rispondere a nessuna domanda.

Dopo cinque sedute, ho provato a domandare a Melissa di Liev, chiedendole se si sentisse triste per lui e lei ha scosso la testa.

Le ho chiesto il motivo e lei ha risposto: << Secondo la Bibbia, ora dovrebbe essere in Paradiso, perciò perchè dovrei essere triste?>>, nella più totale serenità.

<< Perchè non lo potrai vedere mai più... non ti dispiace per quello che gli è capitato?>>

<< Se l'è andato a cercare. Gli piaceva essere imprudente.>>

In seguito, non ha mai più parlato di lui.

 

 


20 agosto.


Ieri, dopo pranzo mi hanno informato che Melissa non ha smesso di piangere per tutta la mattinata. Vani sono stati i tentativi degli infermieri di consolarla e di farle mangiare qualcosa, non voleva uscire dalla stanza.

Ha continuato a piangere fino all'una di notte, senza addormentarsi neanche una volta, senza smettere.

E nessuno ha ancora compreso il motivo.

Si è rifiutata di parlare anche con l'infermiera Gredova.

Ha pianto e basta.

Stamattina sono venuti a trovarla i fratelli, restando con lei per tutta la giornata. Le ha fatto molto bene, dato che non ha smesso di sgambettare per i corridoi dell'Ospedale come un grillo, dopo la loro visita. E' stata anche disposta ad accettare una piccola seduta prima di andare a dormire. A dispetto delle mie aspettative, ha risposto con naturalezza quando le ho chiesto il motivo del suo pianto.

<< Mi sentivo abbandonata.>>

E' un dato di fatto, nei pazienti affetti da Borderline. Il senso di abbandono è una caratteristica comune in tali soggetti.

Tuttavia, non ne avevo mai riscontrato uno, per di più così giovane.

E' ancora presto per dirlo, ma a giudicare dai risultati, non so se sarò in grado di aiutarla.

 

 


7 settembre.


C'è qualcosa che non va nel comportamento di Melissa.

Me ne sono accorto adesso, ma temo che la cosa stia andando avanti da giorni, ormai, per fortuna l'infermiera Gredova me l'ha fatto notare.

Nulla è cambiato nel suo atteggiamento, con noi si dimostra sempre il più educata possibile, cercando di non dare mai problemi... recentemente ha iniziato a chiedere innumerevoli volte quando la faremo tornare a casa, ma per il resto è uguale... non fosse che stranamente, in certi attimi si irrigidisce bruscamente, passando da mobile a immobile, da seduta ad alzata, da ferma si affretta a cambiare velocemente stanza... forse non è niente...

Forse è soltanto inquieta.

Eppure, ho la sensazione che ci sia qualcosa che non mi dice, qualcosa che non va. Negli ultimi tempi ho preferito analizzare il suo caso indipendentemente, per darle un po' di tranquillità, ma penso sia il caso di riprendere le sedute pomeridiane.

 

 


15 settembre.


Melissa è stata rinchiusa due giorni fa in una stanza di isolamento e bloccata con una camicia di forza, per impedirle di aggredire nuovamente il personale.

Ecco qual'era il motivo della sua costante agitazione.

L'abbiamo scoperto l'infermiera Gredova e io, quando una telecamera ha ripreso il momento in cui la paziente Emma Lankgrover ha cercato di importunarla, poco prima di condurla fuori dal nostro campo visivo.

Quando siamo arrivati, non era rimasto che un lago di sangue, oltre al corpo di Emma Lankgrover inerme per terra.

Melissa gridava così forte che ha terrorizzato tutti i pazienti più giovani. Marishka ha provato ad avvicinarsi per sedarla e all'improvviso lei l'ha aggredita, strappandole con i denti il pollice della mano destra. Ha afferrato una sedia e l'ha scaraventata più volte contro la finestra, tentando disperatamente di fuggire, finchè non è giunto il resto del personale.

Il corpo di Emma Lankgrover aveva parecchie dita staccate dalle mani, numerosi segni di morsi sulla carotide e gli occhi sembravano cavati, come se Melissa glieli avesse accecati ripetutamente con le unghie. Una tale violenza... è troppo anormale, in una bambina di undici anni.

Lo strato di pelle che avrebbe dovuto ricoprire la zona carotidea sul collo della donna non è stata trovata.

<< Mangiata, sicuramente.>>, così si è espresso il dottor Golubev.

Mangiata da lei.

Melissa è antropofaga.

Un'altra anomalia.

Anche questa, terribilmente complicata e pericolosa.

Ne abbiamo finalmente la prova.

Ora dovremo tenerla rinchiusa.

Ma dovremo di conseguenza cambiare drasticamente metodi con lei.

...E' difficilissimo.

Non eravamo preparati a questo genere di... mutazione.

Come procedere, adesso?

Da due giorni non fa altro che agitarsi, tentando di liberarsi della camicia di forza, urlare a squarciagola; e se qualcuno prova ad avvicinarsi mostra i denti, ringhiando come una belva selvatica, lanciando avvertimenti con lo sguardo, senza mai parlare.

Rifiuta il cibo e il contatto fisico.

Tenta continuamente di liberarsi della camicia di forza.

Sembra quasi non sentire il dolore che i lacci le provocano, stringendola.

Forse lo fa di proposito.

Sarebbe dopotutto un'altra caratteristica frequente nei Borderline: tendenza all'autolesionismo.

No.

Questo no, non possiamo permetterle di continuare così.

E' cambiata troppo repentinamente.

Dev'essere stato qualcosa di grave che ha fatto Emma Lankgrover a farla reagire in questo modo... oppure no. Devo scoprirlo al più presto, prima che i sintomi della sua malattia si rafforzino.

Al momento non sembrano avere pieno controllo su di lei, ma le stanno annebbiando la mente, rendendola incapace di riconoscerci.

Se continuerà su questo ritmo, le conseguenze saranno terrificanti.

Il suo umore diventerà totalmente incontrollabile.

Passerà da momenti di profonda tristezza e rammarico a momenti di spensieratezza, da attimi di serenità in secondi, minuti, ore di furore puro che la renderanno pericolosa come non mai.

Non voglio ricorrere all'elettroshock per tenere a bada i suoi istinti e renderla inoffensiva.

E mi assicurerò che nessuno ricorra mai a ciò con lei, non oso immaginare cosa potrebbe succederle, sarebbe devastante per un'undicenne...

A questo punto, essendo costretto a prendere una decisione veloce, l'unica cosa che al momento possiamo fare è provare a sottoporla a varie sedute di intervista diagnostica SCID-II.

Devo farlo, devo sapere contro quanti nemici sto combattendo, devo sapere quante personalità vivono come parassiti nel corpo di quella bambina.

 

 


1 novembre.


Le visite dei suoi famigliari diminuiscono.

Ormai Melissa parla a malapena con loro.

Questa è la prima volta che non festeggiano il suo compleanno come una vera famiglia.

Ho avuto modo di parlare con la sorellina Lyanne, un amore di bambina.

Durante la sua ultima visita le ha lasciato una fotografia che ritrae loro due insieme. In quell'immagine è impossibile distinguere l'una dall'altra...

Sono passati quindici giorni e le sedute continuano.

Stiamo facendo del nostro meglio, ma Melissa continua a bloccare qualsiasi nostro tentativo di contatto.

Eppure avrebbero dovuto già esserci considerevoli risultati.

Al momento, possiamo affermare con certezza di aver colto almeno cinque personalità differenti in lei, tra le quali - ancora inspiegabile - Emma Lankgrover.

Inspiegabile.

Sapevamo già che Melissa è estremamente empatica.

Siamo infatti giunti alla conclusione che una delle sue personalità sia nata proprio a causa di un elevato fattore conoscitivo di tale persona.

In parole povere, l'empatia è ciò che permette a Melissa di assumere una nuova personalità.

O almeno, così eravamo convinti.

Certo, per qualche mese ha frequentato Emma Lankgrover, ma quando quest'ultima personalità è sbocciata per la prima volta sulle prime non abbiamo saputo reagire.

Era così simile...!

Era identica.

Ora posso confermarlo.

Ci troviamo con le spalle al muro.

La cosa forse si sta facendo troppo impegnativa per noi.

Per di più, a giudicare dalle scarse informazioni in nostro possesso... non credo ci resti molto da tentare, ancora.

 

 


28 novembre.


" La mente funziona solo quando è aperta."

Lo disse Frank Zappa.

Non era un medico, o uno scenziato, o uno psicologo.

Era un compositore e musicista statunitense.

Ma tempo fa lo apprezzavo molto, poichè mi trovavo d'accordo con le sue idee.

Per esempio, aveva ragione quando disse: << Alcuni scienziati affermano che l'idrogeno, poiché sembra essere ovunque, è la sostanza basilare dell'universo; non sono d'accordo. Io dico che c'è molta più stupidità che idrogeno, e che quella è la vera sostanza costitutiva dell'universo.>>

Aveva ragione anche quando affermò: << La religione è uno dei maggiori ostacoli che dobbiamo affrontare nel mondo d'oggi.>>

E purtroppo, ha ragione anche adesso.

" La mente funziona solo quando è aperta."

Guarda caso, la mente di Melissa è chiusa a doppia mandata.

MALEDIZIONE!!!

Sono talmente frustrato che non riesco più a concentrarmi sul mio lavoro... dannazione, non vedo scappatoie...

 

 


13 dicembre.


Ci sono stati altri due omicidi all'interno dell'Ospedale.

E' successo questa mattina.

Melissa ha lamentato forti dolori al ventre e due addetti al personale l'hanno portata in infermeria, togliendole la camicia di forza.

Non siamo stati in grado di salvare quelle persone.

Melissa si è accanita contro di loro con una rabbia quasi bestiale.

Sta peggiorando.

Ancora.

 

 


1 gennaio.


Ci siamo riusciti...

Ci siamo riusciti...!

Stavo per gettare le ultime speranze al macero, ormai.

Tuttavia, l'intervista SHID-II ha avuto la meglio.

Anche se... non l'avrei mai detto, ma ora che ne sono venuto a conoscenza preferirei dimenticarmi la verità...

18 personalità.

Questa è la verità.

Melissa possiede 18 personalità differenti dentro di lei.

Siamo completamente scioccati.

Non possiamo aiutarla in nessun modo.

E anche se ci provassimo con tutte le nostre forze, vista la sua tenace resistenza, ci impiegheremmo anni e anni per estirpare anche solo una parte di quelle personalità!

Ho bisogno di fermarmi.

Di chiarirmi le idee.

Ho chiesto alla mia sostituta di riprendere il mio lavoro, intendo assentarmi a lungo.

A Melissa non dispiacerà, ormai quasi non si accorge della mia presenza.

 

 


8 gennaio.


Sarà il mio ultimo appunto, per quanto riguarda questo periodo.

Ho chiesto un permesso al direttore, il quale per fortuna ha accettato senza questioni.

Tuttavia, ci ho pensato e ho preso una decisione: non intendo abbandonare Melissa.

Durante le nostre sedute ho percepito uno scorcio, una tenue, esitante spirale di luce sepolta sotto una montagna di smarrimento e dopo questa pausa, tornerò e cercherò con tutte le mie forze di tirarla fuori.

Infine, c'è un'ultima cosa che non ho appuntato, perchè l'ho sempre considerata scontata in soggetti come lei: Melissa ha un amico immaginario.

Nulla di sorprendente, oserei dire l'unica cosa " normale" che un medico si aspetta senza colpi di scena da questo tipo di paziente.

L'infermiera Gredova le ha chiesto di quest'amico e lei ha risposto che ce ne sono tanti come lui.

<< Chi sono?>>, le ha chiesto, mentre le porgeva un bicchiere di latte e cacao.

Melissa ha osservato il bicchiere e ha risposto: << Lo addenserei molto*.>>

Di per sè non sembra avere importanza, ma la cosa strana è che parla da sola solo quando è sola. In mezzo alle altre persone non lo fa e questa è una cosa curiosa.

Ci sono altri pazienti nell'Ospedale convinti di avere amici immaginari, ma parlano liberamente con loro, da soli o in compagnia.

Ora non mi resta che andare a salutare Melissa, sperando di non coglierla in un momento di rabbia.

Purtroppo la sorveglianza è costretta ad essere rigida con lei; non sappiamo come evitare che faccia qualcosa di pericoloso, se non con questi metodi.

 

 


 


 



* Chissà se vi era già balenata in testa la mezza idea che quella frase in realtà, altro non fosse se non un anagramma! ^ ^

Vi informo che se riuscirete a indovinare cosa ha realmente detto, scoprirete il fulcro centrale del seguito di The Wammy's Hospital!!
( Se non ci riuscirete, dovrete aspettare...)


Avrete capito quindi che il seguito ci sarà ( e ci sarà anche BB, tranquille!)


Non so quanto ci vorrà prima che lo cominci perchè sono presa con la scuola e ho altre fic da terminare -.-


Il seguito si intitolerà: Red Eye- La vendetta dello Shinigami.



Bene, se siete riusciti a leggere tutto il capitolo senza morire dalla noia, allora siete mitici!!!
Grazie 1000 a tutti voi, a presto.

Un mare di baci,

Luce Lawliet. 

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