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di Mina7Z
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***
Capitolo 10: *** 10 ***
Capitolo 11: *** 11 ***
Capitolo 12: *** 12 ***
Capitolo 13: *** 13 ***
Capitolo 14: *** 14 ***
Capitolo 15: *** 15 ***
Capitolo 16: *** 16 ***
Capitolo 17: *** 17 ***
Capitolo 18: *** 18 ***
Capitolo 19: *** 19 ***
Capitolo 20: *** 20 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


 

1

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La prima volta che lo vidi mi trovavo nella camera della Regina Maria Antonietta, al Petit Trianon.
Avanzavo lentamente soffermandomi rapita sulle meravigliose fantasie  floreali che rivestivano il piccolo letto a baldacchino, le tende e le poltrone. L’oro dei ricami luccicava sulla seta bianca, resa ancora più luminosa dalle candide pareti rivestite di un legno pregiato, ornato con splendide decorazioni che avevano l’effetto di  trasmettere una sensazione di rigore e al contempo di raffinatezza. 
Mi  soffermai poi sulla piccola finestra, posta alla destra del letto e il mio sguardo fu rapito dalla meravigliosa vista che si poteva godere. Il Tempio dell’Amore si presentava in tutto il suo splendore.
Chissà quante volte la Regina aveva osservato dalla finestra della sua stanza quella costruzione perfetta che simboleggiava il sentimento per lei più prezioso.
Chissà quante volte, appoggiata a quel davanzale aveva sperato che Fersen arrivasse a farle visita per passeggiare nel prato e amoreggiare appoggiati alle colonne del piccolo tempio. 
L’immagine dei due amanti mi lasciò una sensazione di tristezza ripensando alla forza di quell’amore tanto intenso e travolgente che aveva legato Maria Anronietta e il bel Conte svedese fino alla fine dei loro giorni.
Perché anche dopo l’atroce morte di lei, Fersen aveva continuato ad amarla e rimpiangerla, trascinandosi come  un  fantasma in una vita ormai senza più senso.
Forse, un giorno, avrei vissuto anch’io un amore così speciale.
Fino al quel momento avevo avuto diverse storie piuttosto brevi ma nessuna che mi avesse coinvolta totalmente.
Sapevo di suscitare il desiderio di molti uomini.
Percepivo sguardi ammiccanti al mio passaggio e non mi mancavano certo inviti e ammiratori. Ero molto bella e la mia figura alta e longilinea sapeva affascinare e attrarre l’interesse di chiunque mi circondasse.
Ma più che darmi piacere, tanto interesse mi infastidiva, provocandomi una sensazione di disagio. Non ostentavo mai la mia bellezza e di solito nascondevo il mio corpo  in abiti molto rigorosi.
Tornai a pensare a quanto la storia d’amore della Regina  mi toccasse nel profondo e a quanto i magici luoghi in cui mi trovavo continuassero ad esercitare il loro fascino su di me, nonostante  i miei primi ricordi di bambina fossero legati al castello di Versailles e ai Domaine de la Reine. Accompagnata da mia madre o da mia nonna, percorrevo gli infiniti saloni della Reggia memorizzando ogni piccolo particolare, osservando con ammirazione ogni decorazione, ogni mobile, ogni vaso che rendeva quel palazzo magnifico che diventava via via la mia seconda casa.
Mi soffermavo a osservare rapita i ritratti di Re, Regine e Principi, non con la tristezza che si riserva a chi non c’è più, ma con sentita ammirazione per coloro che avevano rappresentato una parte della storia di Francia.
 Le mie origini nobili, mi portavano a sentirmi io stessa parte di quella storia e di quella grande e meravigliosa casa.
Ogni ricordo era legato a quei luoghi che avevano sempre rappresentato per me un rifugio dove l’atmosfera incantata sembrava avere il potere lenire ogni mio dolore.
Fu a Versailles che volli andare quando mia madre morì e fu la Reggia l’ultima cosa che chiesi a mio padre di vedere prima di partire per uno dei tanti collegi che avrei visto nella mia vita.
L’amore per Versailles mi riportava lì ogni volta che il mio lavoro mi consentiva di dedicare tempo a me stessa e anche quella mattina di luglio, il 13, per l’esattezza, mi ritrovai a raggiungere il Petit Trianon e a percorrere con la solita eccitazione la meravigliosa scala che portava al piano nobile.
Mi fermai davanti allo specchio vicino alla finestra che ornava un piccolo mobile di ebano e osservai la mia immagine riflessa, seguendo con lo sguardo le nervature scure segno del tempo che era trascorso e che si era portato via gli illustri abitanti di quella dimora.
I lunghi capelli biondi, solleticavano la mia schiena lasciata nuda da un vestito di chiffon beige lungo fino ai piedi, incatenati da un paio di sandali alla schiava che salivano fino alle caviglie.
Scossi la testa per spostare un ciuffo che si era spinto sul viso e sentii il tintinnio delle decine di pietre colorate di cui erano fatti i miei  orecchini. Fissai ancora per qualche istante la mia immagine e un po’ mi vergognai di quel vezzo così femminile che in fondo  non mi apparteneva.
Fu allora che lo vidi. Riflesso nello specchio in cui mi stavo osservando incurante degli sguardi dei visitatori  che si avvicendavano nella stanza, vidi un uomo  dai capelli corvini che indisciplinati ornavano un magnifico viso.
Lo fissai rapita senza riuscire a distogliere lo sguardo dal suo bel  volto e senza preoccuparmi che potesse accorgersi della curiosità che aveva suscitato in me. I suoi occhi verdi, di un colore così bello e intenso come mai prima di allora avevo visto, mi stavano osservando. 
Ci fissammo curiosi per alcuni secondi   fino a quando non sentii il bisogno di voltarmi per assicurarmi che l’immagine non fosse il frutto della mia immaginazione ma fosse una presenza reale  nella stanza e  i nostri sguardi si incrociarono nuovamente per alcuni istanti.
Decisi di lasciare la camera, gli passai accanto sfiorandogli il braccio con la mia spalla e mi ritrovai a percorrere il corridoio che portava alla terrazza esterna. 
Non capivo perché il mio cuore stesse battendo tanto forte e quando uscii all’aria aperta dovetti respirare a pieni polmoni per riprendere fiato. 
E per un attimo sperai che l’uomo non svanisse nel nulla.
La suoneria del cellulare  mi riportò alla realtà.
 
“Ciao  papà” esclamai mentre il mio cuore aveva già capito che i programmi di quella sera sarebbero stati, come al solito, annullati.
 
“Capisco, io  però domani parto e non potremo vederci per molto tempo. Mi sarebbe piaciuto vederti questa sera. Vedi, ci contavo molto, volevo vederti ma vedo che come al solito hai altre priorità”.
 
Le parola mi morirono nulle labbra.
Mio padre mi aveva messo da parte, per l’ennesima volta, per presenziare a un maledetto incontro con un altrettanto maledetto diplomatico di non so quale paese, ma  non volevo fare trasparire quanto quella ennesima delusione mi stesse ferendo.
Chiusi la telefonata prima che mio padre potesse accorgersi del mio tono che stava diventando incerto a causa delle lacrime che avevano preso a rigarmi le guance.
E sul mio volto si dipinse un sorriso amaro perché ero stata così stupida da pensare che mio padre sarebbe venuto veramente a trovarmi, tralasciando per una sera  i suoi impegni di Ambasciatore per cenare con la sua unica figlia che il giorno dopo sarebbe partita per una pericolosa missione in Medio Oriente.  
Come potevo avere sperato che  sarebbe venuto? Era una vita che mi lasciava da sola e la mancata cena di quella sera non poteva certo sorprendermi. Però, nonostante continuassi a ripeterlo le  lacrime non volevano smettere di scorrere.
Presi la borsa con stizza e mi misi a cercare all’interno un fazzoletto che non voleva saperne di farsi  trovare.
 
“Nessun uomo merita le tue lacrime” .
 
Mi girai e vidi l’uomo dello specchio che con un lieve sorriso dipinto sulle labbra mi porgeva un clinex.
 
“Grazie”  presi il fazzoletto e mi asciugai gli occhi.
 
“Non era un uomo, era mio padre. E per l’ennesima volta non verrà ad una cena che  avevamo programmato per vederci. Sono mesi che non lo vedo e desideravo incontrarlo”.
 
Smisi di parlare e tornai a osservare l’uomo  che si era appoggiato alla balaustra del terrazzo e che mi guardava con aria comprensiva. I suoi occhi verdi, illuminati dal sole, erano così chiari da sembrare trasparenti e il suo viso era semplicemente perfetto. Le sue labbra erano carnose e ben delineate e il suo naso piccolo e perfettamente proporzionato. 
Era molto alto e  il suo fisico visibilmente muscoloso e ben modellato. Indossava una camicia di lino a righe bianche e blu e pantaloni blu. Era senza ombra di dubbio l’uomo più bello che avessi visto nella mia vita. E di uomini ne avevo visti tanti, nella mia veste di soldato, e sentii da subito una forte attrazione per lui.
 
“Io sono Andrè” mi disse lui sfoderando un dolcissimo sorriso.
 
“Françoise” risposi mentre decidevo di mettere da parte le lacrime.
 
“Sei di Parigi, Françoise?” Chiese lui senza distogliere lo sguardo dal mio viso.
 
“Si, ma ho vissuto in molti posti nel mondo. In Inghilterra, in Svizzera e  Medio Oriente”. Lessi curiosità sul suo volto e continuai il racconto della mia vita.  “Mio padre si trasferiva spesso per lavoro e io lo seguivo. Abbiamo vissuto in molti paesi”.
 
“Che lavoro fa tuo padre?”
 
“Lavora per lo Stato” risposi evasivamente, cercando subito di portare la conversazione su altri argomenti.
 
“Però, per lo meno ho imparato l’arabo e adesso mi torna utile”.
 
Mi morsi le labbra. Stavo parlando troppo e a queste affermazioni sarebbero seguite altre domande slla mia vita  a cui avrei dovuto cercare di rispondere con bugie credibili. Cercai di portare l’attenzione su di lui.
 
“E tu di dove sei, Andrè?”  Mentre pronunciavo il suo nome un brivido mi percorse la schiena.
 
“Sono nato a Parigi e vivo lì ma i miei erano originari della Normandia”.
 
“Cosa fai a Versailles se non sei un turista? Qui ci sono solo turisti, è difficile vedere un pargino alla Reggia. C’è sempre troppa confusone”.
 
“E’ vero ma  quando voglio fare un tuffo nella storia vengo qui, passeggio tra i saloni, nei giardini e mi sembra sempre di trovare ispirazione da questi luoghi.  Faccio così da quando i miei genitori sono morti. Avevo quattordici  anni e sono deceduti in un incidente stradale. Da allora ho vissuto con mia nonna”.
 
“Oh mi spiace molto”.
 
 Abbassai lo sguardo  toccata da  quanto avevo appena sentito. Esattamente come me, veniva qui per ritrovare un po’ di pace e sentirsi meno solo. 
Mi suonò incredibile questa serie d coincidenze e confusa pensai se pochi minuti prima avessi per caso confidato a lui che Versailles era come una seconda casa, ma proprio non mi rammentai di avere fatto cenno alla cosa.
 
“Anche mia madre è morta quando ero piccola. Avevo dieci anni e da quel momento ogni cosa cambiò per me. Mi separarono da tutto ciò che amavo. Credo che mio padre abbia voluto portarmi con sé nel suo tentativo di scappare da Parigi e da tutti i ricordi che lo legavano a mia madre. Solo che poco dopo divenni un impiccio per lui e con la scusa di darmi un’educazione impeccabile, praticamene mi abandonò alla vita dei collegi, sperado che qualcun’altro si prendesse la briga di darmi un po’ di affetto”.
 
Non mi sembrava vero che stessi raccontando a quell’uomo conosciuto solo pochi minuti prima, episodi così dolorosi della mia vita. Non sapevo niente di lui e non volevo certo rendermi così vulnerabile ai suoi occhi.  Avevo rivelato cose che facevo fatica ad ammettere anche a me stessa. Il rapporto con mio padre rappresentava una ferita aperta che non si sarebbe rimarginata facilmente ma  parlarne a lui mi era sembrata la cosa più naturale del mondo. 
Percepivo il feeling che si era subito stabilito tra di noi e mi sembrava di potermi confidare con lui senza timore di essere delusa.
 
“Non sarà la stessa cosa, ma se ti va questa sera ti porto io a cena al posto di tuo padre”.
 
Rise imbarazzato da quella proposta che anche a lui doveva essere sembrata azzardata, sopratutto perché prendeva spunto dalla mia nuova delusione. 
Lo guardai mentre cercavo di trovare motivazioni plausibili per rifiutare l’invito. Ma non ne trovai.  Trascorrere la serata on lui mi sembrò subito un’idea allettante.
 
“Va bene. Però domani mattina ho un aereo alle sei e non voglio fare tardi”.
 
Ecco, l’avevo fatto di nuovo, avevo risposto con tono rigido puntualizzando le mie esigenze.
 
“Ti prometto che non farai tardi, Françoise” e  il suo volto si illuminò ancora mentre mi dedicò un sorriso rassicurante.
 
Quel pomeriggio stava volgendo al temine, ma Versailles era ancora illuminata da un caldo sole estivo, mentre una leggera brezza soffiava, scompigliando dispettosa i nostri capelli.
Lo seguii senza esitare, ancora  ignara del fatto che quel giorno, il 13 luglio 2010, avrebbe segnato per sempre la mia vita. 

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Capitolo 2
*** 2 ***


Grazie a tutte, di cuore, per i vostri commenti che sono sempre molto preziosi e utili perché sapere il vostro punto di vista sulla mia storia mi interessa molto. In questo capitolo emerge tutto il magnetismo che lega i due, nonostante è evidente che qualcuno stia raccontando un po’ di bugie.




2
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L’auto sportiva di Andrè sfrecciava verso il ristorante dove si era proposto di portarmi situato lungo la strada che porta a Parigi. Fui molto incuriosita dal  suo stile di guida deciso e sicuro e anche questo contribuì ad aumentare il fascino che già esercitava su di me.
Il tragitto fu piuttosto breve e ne approfittammo per parlare dei nostro lavoro.
 
“ Di cosa ti occupi, Andrè?”
 
“Sono un medico, lavoro all’ospedale militare di Parigi”.
 
“Al Percy?” chiesi con aria indifferente.
 
“Si. Sono laureato in chirurgia vascolare, con specializzazine in chirurgia di  di guerra, anche se a Parigi non ci sono molte guerre, per fortuna, e quindi sono spesso senza pazienti!”
 
Scoppiò in una fragorosa risata che io però faticai a condividere.
 
“Ma tu hai lavorato in zone di guerra?”
L’argomento iniziava a farsi delicato e non ero sicura che avrei voluto sapere da lui altri particolari.
 
“Si, sono stato per un po’ in Sudan ma poi ho preferito rientrare a Parigi. Vedi, mio padre era uno dei chirurghi più rinomati di Francia e io ho voluto seguire le sue orme. Siamo arrivati, qui cucinano la migliore fonduta dell’Iles de France”.
 
Scesi dalla macchina e osservai la magnifica vista che si poteva godere dal terrazzo adiacente al ristorante. Parigi, ancora illuminata dalla luce del giorno  si presentava in tutta la sua magnificenza.
Giunti a tavola, fu il mio turno nel dovere parlare del mio lavoro.
 
“Parti per lavoro  domani, Françoise?”.
 
”Si, per lavoro”.
 
Ero talmente abituata a mentire che non mi feci problemi a raccontare l’ennesima storia.
 
“Vado negli Emirati Arabi,  ho trovato un lavoro come interprete per uno sceicco, la paga è molto buona e inoltre i confort sono garantiti. Vitto  e alloggio pagati e stipendio da nababbi!”.
 
Volli dare alla mia frase un tono leggero e decisamente  scanzonato.
 
 “Sai, del resto lì vivono sommersi dal denaro e io cerco di guadagnare il più possibile in poco tempo. Avrò anche una macchina, sai, una Ferrari forse o una Maserati, anche se preferirei una Porsche!”.
 
Mi sentii terribilmente stupida nel pronunciare quella frase che mi rendeva frivola e venale.
 
“Finirai che te lo sposi uno sceicco, no? E comunque devi stare attenta, non passerai certo inosservata da quelle parti”.
 
“Guarda che le donne arabe sono molto belle. Hanno lineamenti perfetti e occhi penetranti” replicai cercando di togliermi dall’imbarazzo che iniziavo a sentire.
 
“Si, sono belle, ma credo che una donna bella come te sia difficile da incontrare a Parigi, figurati in Medio Oriente!”.
 
Mi guardò e rise mentre il cameriere serviva il vino rosso che avevamo ordinato.
 
“ Quanto starai via ?”
 
“Non so esattamente, forse tre mesi”.
 
“Oddio ma  un sacco di tempo. Troppo”.
 
Vidi il suo sorriso spegnersi e il suo viso assumere un’espressione pensierosa.
 
“Non faccio neanche in tempo a conoscerti che tu mi scappi dall’altra parte del mondo, ti sembra giusto?!
 
“Ma no, dai, il tempo trascorre veloce, in un batti baleno sarò di nuovo qui a Parigi”.
 
“Già”. 
 
Rimase in silenzio per qualche istante, fissando il mio viso per poi abbassare lo sguardo fino a perdersi nel vuoto. Anch’io smisi di parlare e iniziai a provare una morsa allo stomaco al pensiero che non l’avrei rivisto per tanto tempo.
 
“Non pensiamo a cose tristi e te lo dico proprio io che avrei dovuto essere con mio padre  a cena. Ma sai che ti dico, sono contenta che sia andata così in fondo, lui mi avrebbe fatto la paternale per dirmi di stare attenta  a qualunque cosa, ma tu mi vedi già accasata con un uomo ricco che magari ha altre mogli”.
 
 Iniziai a ridere e lui non potè fare altro che stare allo scherzo.
 
“Si, madame  Françoise e le altre quattro  mogli. Almeno sceglitelo carino il tuo sceicco, gli uomini non sono un gran chè da quelle parti”
 
E’ vero, ma sai, una Ferrari rende tutti più belli, per non parlare del palazzo da mille e una notte. Ma dai, io sono una ragazza seria e poi ho già ventotto  anni, inizio a essere stagionata come moglie per uno sceicco, non trovi?”.
 
“Spero di si” disse fissandomi con un lieve sorriso sul volto.
 
“Andrè, tu pensi che i tuoi genitori sarebbero orgogliosi di te?”.
 
Non riuscivo a capire il perché della mia domanda, ma non avevo potuto trattenermi.
Domanda che ovviamente lo lasciò spiazzato.
 
“Io credo di si, o per lo meno cerco di fare in modo che lo siano. Ma a volte si fanno delle scelte difficili nella vita. Perché mi chiedi questo?!”
 
“Io non ricordo quasi nulla di mia madre e a volte mi chiedo come sarebbe stata la mia vita se lei non se ne fosse andata. Io credo che sarei una persona molto diversa”.
 
“Vedi, Françoise, io credo che lei ti sia stata vicina e continui ad esserlo anche se tu non la vedi. Io sono sicuro che loro non ci abbiano lasciato veramente!”.
 
Il bel viso di Andrè assunse un’espressione malinconica.
Ancora una  volta mi ero spinta a toccare argomenti tanto delicati con una facilità per me inusuale. Per un attimo mi rabbuiai ma poi pensai che non potevo permettermi di gettare un velo di tristezza su di una serata  che aveva avuto un risvolto tanto inaspettato.
 
Continuammo a parlare fino a quando mi trovai a guardare l’orologio. Da mesi non trascorrevo una serata così piacevole e con quell’uomo conosciuto solo poche ore prima mi trovato  perfettamente a mio agio, come poche volte era accaduto nella mia vita.
 
“Sono le otto e mezza, non è tardi. Però se vuoi ti accompagno a casa!!".
 
“Si, credo sia meglio, ti ringrazio, Andrè”.
 
Mentre pronunciavo quelle parole, mi resi conto che avrei voluto che quella sera non avesse mai fine.
 
Di nuovo fuori sulla terrazza, notai che le luci della sera iniziavano ad avvolgere Parigi e mi fermai ad osservare ancora una volta quello spettacolo meraviglioso.
 
“E’ una delle cose più belle che abbia mai visto in via mia”, dissi mentre appoggiata alla balaustra fissavo il panorama.
 
Sentivo la presenza di Andrè dietro di me.
 
“No, tu sei la cosa più bella che abbia mai visto nella mia vita”.
 
Mi voltai lentamente mentre il mio cuore ebbe un sussulto.
Avevo sperato in cuor mio che l’attrazione che da subito avevo sentito per lui fosse ricambiata, ma non avevo fatto nulla perché ciò accadesse.
Lo guardai negli occhi e sentii il suo corpo farsi sempre più vicino al mio.
Ci fissammo per istanti che sembrarono infiniti fino a quando il mio sguardo lasciò i suoi occhi e scese ad osservare le sue labbra che sembravano potere dare sollievo al desiderio che prepotente si era preso il mio ventre.
Sentii il tocco delle sue mani sulla mia schiena e un brivido mi percorse il corpo, tremito che divenne più intenso  quando vidi il suo volto farsi ancora più vicino al mio finchè le sue labbra, morbide e vellutate, si posarono sulle mie in un bacio che divenne subito profondo e intenso.
Sollevai le mie mani fino alla sua nuca e  lo attirai ancora di più verso di me.
 
“Resta con me stanotte, Françoise” mi disse  staccandosi per un istante dalle mie labbra.
 
Annuii lievemente senza rispondere ma ripresi a baciarlo in un modo così provocante da permettere a tutto il desiderio che sentivo per lui di manifestarsi senza remore, inesorabilmente rapita dall’uomo de
llo specchio.

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Capitolo 3
*** 3 ***


3
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La casa di Andrè era in uno splendido  palazzo liberty del centro di Parigi. Una volta entrati, notai che lo stile classico e molto raffinato non si addiceva a un abitante maschile.
 
“Questa casa apparteneva ai miei genitori e non ho voluto fare molte modifiche all’arredamento” mi disse vedendo la mia espressione incuriosita.
 
L’appartamento, in effetti, abbondava di tappezzerie, specchi dorati e ampie tende.
 
“Chissà se il palazzo dello sceicco ti piacerà di più! “ disse prendendomi in giro.
 
“Beh, in quanto a decorazioni d’oro non hai nulla da invidiare allo Scià di Persia!”.
 
Rise e mi prese tra le braccia. E io mi strinsi a lui mossa dal desiderio di sentire nuovamente  il calore del suo corpo a contatto con il mio. Persino il suo odore rappresentava per me una fonte di eccitazione irresistibile e quando la sua bocca fu di nuovo nella mia sentii dentro di me le viscere gridare il suo nome, invocare il suo corpo e iniziai a pregustare il piacere che avrei ricevuto da lui quella notte.
Le nostre lingue si facevano sempre più esigenti e quando si staccò dalle mie labbra per scendere lungo il collo, udii  lievi gemiti di piacere uscire dalla mia bocca.
Non ebbi timore di manifestare il mio desiderio e iniziai a slacciare  i bottoni della sua camicia assetata di piacere e desiderosa di vivere intensamente quella passione che mi aveva catturato inesorabilmente.
Gli sfilai la camicia che lasciai cadere ai nostri piedi e le mie mani iniziarono ad accarezzare  il suo petto, per poi scendere fino a toccare la cintura dei suoi pantaloni, guidate da un’urgenza che mi toglieva il fiato, mentre la fibbia si apriva sotto il tocco delle mie dita.
Percepii chiaramente la sua eccitazione sotto le mie mani mentre le nostre bocche si stavano divorando esigenti e avide di piacere.
Sentii le sue mani cercare il laccio che reggeva  il mio vestito e poi un brivido percorse la mia pelle quando mi resi conto che l’unico indumento che ancora  ci divideva era scivolato lungo le mie cosce, fino ai piedi.
Il mio seno nudo  contro il suo petto ebbe l’effetto di aumentare la nostra eccitazione e poco dopo si staccò dalle mie labbra per liberare il suo corpo dai pantaloni.
Mi guardò come estasiato.
 
“Sei bellissima. Sei bella da fare male al cuore”.
 
Gli sorrisi imbarazzata e per un istante mi soffermai a cercare di capire  il significato di quella strana affermazione che non avevo mai sentito prima di allora.
 
Mi prese per mano e mi condusse verso la sua  camera e io mi lasciai guidare da lui mostrando un’arrendevolezza che non avevo mai conosciuto prima di allora.
Ci sedemmo sul letto e dopo pochi istanti il suo corpo fu sopra il mio.
Sollevai la coscia a cingere i suoi fianchi perché il desiderio di lui stava diventando insopportabile. Lo sentii sollevarsi dal mio corpo per togliersi gli slip e per portarsi via anche il mio perizoma e lo guardai mentre ritornava a stendersi sul mio corpo.
Allargai nuovamente le gambe per accoglierlo,  ma  fu il tocco della sua mano tra le cosce  a farmi trasalire, ricordando ai miei sensi il piacere che nasce dall’attesa del corpo desiderato.
Iniziai a gemere nella sua bocca mentre con le unghie percorrevo il suo corpo, tracciando piccole  linee sulla tua pelle.
E quando il desiderio divenne per entrambi pura eccitazione, entrò in me con forza e passione e inarcai il mio corpo, emettendo tra i suoi capelli un gemito di piacere.
Andrè si spingeva nel mio corpo con movimenti regolari,  provocandomi un godimento che andava al di là di quanto ricordassi di avere mai provato nella mia vita e risposi mettendo il mio corpo a sua completa disposizione, mostrando con carezze e gemiti, quanto tutto ciò mi stesse dando piacere.
Le nostre bocche sempre unite, le lingue impegnate a ricorrersi, le mani complici, prima libere di accarezzare la pelle, poi imprigionate in una morsa sopra la testa.
Il mio piacere ,che sentivo sciogliersi nel ventre, e il suo godimento, accolto infine, prepotente, dalle mie viscere brucianti, segnarono  il culmine di quella  passione cieca e incontrollabile  che aveva rapito anime e corpi e che ci lasciava stremati sul letto.
La mia mente finalmente sgombra da ogni pensiero quando, sdraiata accanto a lui, giacevo tra le sue braccia che mi tenevano stretta mentre le mie dita  disegnavano piccoli cerchi sul tuo petto.
In silenzio, abbiamo ascoltato il rumore dei nostri respiri mentre le nostre mani intrecciate sembravano chiedere  al tempo di arrestare la sua corsa.
Rimanemmo così stretti in un abbraccio che nessuno dei due sembrava volere interrompere, come aggrappati al corpo dell’ altro nella  tacita speranza che quella notte non avesse mai fine e nella dolorosa consapevolezza che il momento del  distacco sarebbe inevitabilmente arrivato.
 
Ma il desiderio prese il sopravvento e ci ritrovammo di nuovo a sfamarci dei nostri corpi accaldati.
Mi ritrovai sopra di lui che si era sollevato con il busto per appoggiarsi alla testata del letto, le mani di Andrè sulle mie natiche guidavano il ritmo dei miei movimenti, per poi spostarsi ad accarezzare i miei seni provocando in me un piacere tanto intenso da spingermi ad inarcare la schiena verso le sue ginocchia.
Continuai a muovermi sopra di lui, fino a quando mi tirò a sé e le nostre bocche ripresero a dissetarsi del sapore dell’altro.
 
Fu in quel momento che, smettendo di baciarmi, prese il mio volto tra le mani e fissando i miei occhi  disse “ Resta con me Françoise, non partire”.
 
Non riuscii a dire niente, gli sorrisi e lo baciai ma mi sembrò di sentire il mio cuore esplodere nel petto e andare in pezzi.
Quella frase  così dolce e preziosa aveva avuto l’effetto di riportarmi alla realtà e mi sentii prendere da un vortice che mi toglieva il fiato.
Il suo seme si sciolse di nuovo dentro di me e mi aggrappai a lui con tutta la forza e la disperazione che sentivo di avere.
Nascosi il viso tra i suoi capelli e accarezzai la sua nuca mentre lui spostava alcune ciocche bionde dal mio collo e vi posava le labbra umide.
Ripresi con fatica il controllo di me e mi sollevai dal suo corpo sciogliendo quell’abbraccio che avrei rimpianto inesorabilmente.
Mi sistemai sul letto, con l’intenzione di mettere i piedi sul parquet dando le spalle ad Andrè che mi sorprese nuovamente arrestando la mia fuga con un ulteriore abbraccio.
La mia schiena allacciata al suo petto, le mani di lui cingevano la mia vita, le sue labbra appoggiate all’incavo del mio collo.
 
“Non stavo scherzando, Françoise, resta con me, davvero. Non posso pensare di non vederti per  tre mesi. Rinuncia a quel lavoro, ne troveremo un altro a Parigi. Resta con me,  per sempre ”.
 
Ricordo di avere chiuso gli occhi, combattuta tra il desiderio di liberare le lacrime che sentivo salire ai miei occhi, stringerlo a me e dirgli che non sarei andata via, che sarei rimasta con lui, e il mio maledetto senso del dovere che mi imponeva il rispetto degli impegni presi, nel crudo e razionale adempimento di una vita dedicata alla ragion di Stato.
 
Sollevai un braccio e gli accarezzai i capelli, ma evitai di guardarlo negli occhi con il timore di non riuscire a mascherare  la mia inquietudine.
 
Respirai profondamente.
 
“Non posso restare, Andrè devo partire ma ti prometto che tornerò a Parigi  il prima possibile”.
 
Lo sentii sospirare, arreso dalla mia determinazione.
Mi alzai dal letto cercando il mio perizoma che mi infilai notando che lui, dopo avere fatto lo stesso con la sua biancheria aveva preso in mano il cellulare.
 
“Dammi il tuo numero”.
 
Un’ulteriore richiesta a cui rispondere con una scusa credibile.
 
 “Io non credo di potere ricevere chiamate, Andrè, il lavoro sarà molto impegnativo e il mio datore di lavoro non desidera che si dia spazio alla vita privata, capisci? Però se mi dai il tuo numero cercherò di chiamarti, d’accordo?”
 
L’espressione del suo viso era tutt’altro che convinta.
 
“Cosa mi nascondi, Françoise? Dimmi la verità, tu sei sposata, o non sei libera….come  puoi non essere in grado di farmi una telefonata?”.
 
Si stava inquietando e aveva iniziato a percorrere nervosamente  i pochi metri che separavano il letto dalla porta.
 
“Non sono sposata, né tantomeno fidanzata è solo un lavoro che ho trovato, mi pagano bene e devo sottostare alle loro condizioni, tutto qui.!”
 
Mi avvicinai a lui e gli presi il viso tra le mani.
 
“Io non ti dimenticherò e tu promettimi che farai lo stesso con me. E appena potrò ti chiamerò, ok?”.
 
Avevo cercato di tranquillizzarlo con una promessa che sapevo di non poter mantenere, sentendomi infinitamente colpevole per le mille storie che avevo raccontato.
Chiusi gli occhi e posai le labbra sulle sue nel tentativo di riportare anche in me il controllo che avevo perso, ma l’effetto che ottenni fu che il mio cuore riprendesse  a battere all’impazzata.
Mi allontanai da lui e cercai il mio vestito rimasto sul pavimento della  sala.
Erano le quattro e venti  e mancavano  meno di due ore alla partenza.
Non volli che mi accompagnasse a casa e con una scusa chiamai un taxi.
Lui finì di vestirsi  e mi accompagnò in strada.
Lo baciai un’ultima volta prima di lasciare che la macchina mi portasse via  e nell’istante in cui mi staccai da lui ebbi la netta sensazione di avere perso l’unica persona che avrebbe davvero potuto rendermi felice.
Quella notte folle stava giungendo al termine e mentre il taxi mi portava via, guardai  l‘uomo dello specchio che mi osservava con aria triste e un braccio alzato in un accenno di saluto.
 
Pregai, allora, che non fosse un addio.
 
 

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Capitolo 4
*** 4 ***


 

4
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Ebbi appena il tempo di arrivare a casa, prendere i bagagli e correre in taxi  verso l’aeroporto.
Infilai una maglia per coprire la profonda scollatura del mio vestito che lasciava totalmente scoperta la schiena e che non si addiceva certo al paese in cui mi sarei trovata scesa dall’aereo.
Ricordo di avere sperato, lungo la strada che mi portava verso Roissy,  che accadesse qualcosa, qualunque cosa che mi impedisse  di partire.
Un incidente, un guasto all’auto, un evento inatteso che potesse contrastare la mia ostinata convinzione di rispettare gli impegni presi, e che potesse decidere per me, al posto mio, poiché altrimenti, non avrei mai trovato la forza di agire diversamente da quanto stabilito.
Ma non accadde nulla e mi ritrovai a salire lentamente la scaletta dell’aereo, incurante delle sollecitazioni del personale di bordo che mi stava aspettando, mentre il vento giocava con il mio vestito e si divertita a intralciarmi i movimenti.

Non pensai a nulla fino a che, seduta nel mio posto, non riuscii ad evitare di ricordare la notte precedente.
Avevo fatto l’amore con un uomo di cui on sapevo praticamente nulla e al quale avevo detto così tante bugie da considerare quanto l’abitudine a mentire nella mia vita lavorativa, arrivasse a condizionare anche il mio privato.
Fu allora che mi resi conto che non ci eravamo detti neanche i nostri cognomi.
Andrè e Françoise.
Non sapevamo altro di noi, così impegnati, quella notte a baciare, accarezzare, donare e ricevere piacere, persi in una passione sconosciuta.
Un medico e un’ interprete.
Un uomo  incredibilmente bello, colto e affascinante, che aveva attirato  da subito la mia attenzione, tanto da desiderare, già pochi minuti dopo averlo conosciuto, di fare l’amore con lui. 
Non mi era mai accaduto prima di allora.
Non era certo l’unico uomo con cui ero stata a letto la prima sera, godendo di un corpo sconosciuto, ma quello che l’incontro con l’uomo dello specchio aveva scatenato in me andava ben al di là di quanto avessi mai provato fino a quel momento.
Chiusi gli occhi e iniziai a ricordare ogni istante di quell’incontro, ricostruendo con la mente ogni carezza, ogni bacio e il vortice delle sensazioni che mi avevano presa così  intensamente.
Potevo ancora sentire chiaramente sul mio corpo il suo profumo lasciato dai mille baci con cui aveva percorso la mia pelle e mi sembrava di percepire, sotto le mie mani, la sua pelle morbida e vellutata che avevo accarezzato e poi  graffiato quando l’eccitazione era giunta al culmine.
Nessun uomo mi aveva mai procurato un piacere così intenso e immediato e con nessun altro mi ero sentita tanto a mio agio da concedere il mio corpo con una naturalezza che non poteva che turbarmi.
Non avevo neanche preso le dovute precauzioni e un cerotto anticoncezionale mi era sembrato che bastasse a evitare danni. Non avevo perso il controllo di me, avevo razionalmente, semplicemente  sentito di potermi fidare di lui.
Fare l’amore con quell’uomo era stata l’esperienza più coinvolgente e appagante della mia vita erotica e aveva lasciato in me un senso di appagamento che adesso si trasformava in una sensazione di perdita ineluttabile.
Un’interprete.
Bugiarda fino in fondo, avevo perpetrato una  menzogna nel tentativo di dare di me un’immagine credibile e piacevole che potesse placare la sua curiosità.
Non mi era concesso rivelare la mia vera professione e piuttosto che raccontare qualcosa che si avvicinasse ala realtà ma che non  la rappresentasse veramente avevo preferito raccontare una storia irreale.
Mille bugie, l’ultima delle quali la promessa di chiamarlo, di ritornare da lui, ben sapendo che non mi sarebbe stato possibile sentirlo, e pronunciate con la cruda consapevolezza che la missione che mi apprestavo a compiere avrebbe potuto mettere in pericolo la mia stessa vita.
Non sapevo se avrei mai fatto ritorno a Parigi, ma sentivo che quel senso di ineluttabilità, di rassegnazione e di accettazione di quello che poteva essere il mio destino, era da quella sera bilanciato dal desiderio di rivedere quell’uomo.

Fino a quel momento avevo accettato di buon grado di partecipare a missioni estremamente pericolose, mossa dallo scarso attaccamento alla mia vita, nella convinzione che nessuno avrebbe realmente sofferto se mi fosse accaduto qualcosa.
Mia nonna sarebbe stata l’unica a soffrire, ma non me ne ero mai data particolare pena.
Di certo, non avrebbe sofferto mio padre, perennemente assente nella mia vita, preso dai suoi doveri di Ambasciatore in Giordania, per il quale ero solo la figlia irresponsabile che aveva intrapreso la carriera militare per fare un dispetto a lui.
Aveva osteggiato in tutti modi la mia scelta di fare parte del EOS (1),  attribuendo alla mia decisione solo l’intenzione di disattendere le sue aspettative che mi vedevano ricoprire ruoli di responsabilità che non mettessero a rischio la mia incolumità.
Sin dalla scelta degli studi universitari aveva in realtà cercato di indirizzarmi verso la carriera diplomatica e la mia decisione di laurearmi in ingegneria chimica gli era parsa da subito una inutile disobbedienza.
La scelta di intraprendere la carriera militare sarebbe stata forse concessa  e apprezzata in un figlio maschio ma la mia decisione di misurarmi con un percorso tipicamente maschile e per giunta caratterizzato da una indubbia dose di pericolo, gli era parsa come un affronto personale. Non capiva come potesse sua figlia, una discendente del nobile casato dei Jarjayes scegliere di rovinarsi la vita, di rinunciare alla femminilità, rischiando la propria incolumità, quando avrebbe potuto vivere una vita fatta di agi e  privilegi.

Françoise Orschel Therese  contessa de Jarjayes (2) sceglieva la rigorosa vita militare.

Quello che mio padre non aveva capito, era che la scelta di entrare in un corpo speciale dell’esercito francese non era dipesa da un capriccio, ma era stata dettata dal desiderio di mettere le mie capacità a disposizione della Francia.
Non era certo stato facile entrare nell’EOS, ma la caparbietà e la perseveranza che da sempre mi caratterizzavano mi avevano consentito di raggiungere in pochissimi anni una posizione di prestigio all’interno della sezione.
Ero stata nominata capitano ma neanche quel successo era bastato a rendere mio padre fiero di me.
E ad un certo punto, avevo deciso che il suo parere non mi sarebbe più interessato.
Dovevo mantenere nei confronti del suo giudizio la stessa razionalità con cui mi ponevo nei confronti del mio lavoro e dei loschi personaggi con cui dovevo interagire.
Guardai fuori dal finestrino dell’aereo e ammirai il panorama che si stendeva sotto i miei occhi. Avevamo lasciato molto velocemente la Francia e potevo vedere il blu del mare increspato che si faceva sempre più distante. Conoscevo molto bene quella veduta.
Ero su un volo che mi stava portando in  Afghanistan per compiere una delle missioni più pericolose e delicate che avevo affrontato sino a quel momento.
Cancellai i pensieri su mio padre e ritornai a vedere dinnanzi a me l’immagine di Andrè, il cui ricordo mi accompagnò sino alla conclusione del viaggio.

E fu in quel momento, quando chiudendo gli occhi appoggiai il capo sul poggiatesta,  che mi resi conto di non avere più i miei rumorosi orecchini e realizzai di averli lasciati sul comodino della camera di Andrè.
Sorrisi, in fondo felice di quella dimenticanza che lasciava tra le sue mani qualcosa di mio e che forse gli avrebbe permesso di non dimenticare quella magica notte e mi dispiacque non avere con me  nulla che appartenesse a lui.
Non sapevo spiegare il perchè, in realtà quest’indole sentimentale non mi apparteneva affatto, ma sentivo che anche per lui quella notte aveva rappresentato qualcosa di importante e ritenni in quel momento di potermi fidare del mio istinto. 
Non era stato solo sesso, né per lui, né per me, e di questo ne ero veramente convinta.
La consapevolezza però che non lo avrei né sentito né rivisto per diverso tempo, mi portò a pensare che,
in fondo,  lui non avrebbe potuto fare altro che dimenticarmi e cancellare la passione di quella notte tra le braccia di una qualunque.

Decisi allora che il destino avrebbe disposto per noi.

Non potevo permettermi di avere distrazioni da quel momento in poi perché la mia missine non avrebbe tollerato errori.

Giunta a Kabul, chiusi il ricordo di Andrè in un cassetto e custodii la chiave proprio sopra il mio cuore, sperando che un giorno avrei avuto la possibilità di  tornare tra le braccia dell’uomo dello specchio.

 






 (1)  EOS Escadrille des Operations Spéciales(Corpi speciali dell’esercito francese)
(2)  Orschel è un nome femminile  di origine tedesca che per assonanza mi ricordava Oscar.

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Capitolo 5
*** 5 ***


 
5
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La previsione di rientrare a Parigi nel giro di tre mesi si rivelò illusoria.
La missione che mi vedeva coinvolta in un delicato compito di intelligence si protrasse più a lungo del previsto a causa  di una lunga serie di imprevisti.
In particolare, dopo avere guidato e  portato a termine con successo la liberazione di ostaggi francesi nelle mani di guerriglieri afghani, la squadra con cui lavoravo fu vittima di un attentato.
Stavamo rientrando alla nostra base, in prossimità di Herat, quando la scia di un’esplosione investì la camionetta su cui viaggiavamo che sembrò sollevarsi come una piuma al vento.
Ricordo di avere pensato, nel preciso istante in cui avevo sentito il mezzo vibrarsi in aria, che la mia vita fosse giunta al termine e mi sentii privata della possibilità di dare ancora il mio contributo al mio paese. In fondo, non avevo poi fatto grandi cose fino a quel momento, avevo liberato ostaggi, recuperato informazioni importanti, ma niente che ritenevo degno di particolare menzione.
Mi risvegliai in un letto dell’ospedale militare di Herat, riportando una lieve commozione cerebrale e  alcune ferite superficiali,  e il primo pensiero fu per i miei compagni. Sapere che le  loro condizioni di salute erano buone fu per me un sollievo.
 
A dicembre, dopo quasi cinque mesi di permanenza in Afghanistan, ritornai in Francia.
Mi resi conto, durante il viaggio, che i pensieri che occupavano la mia mente erano molto diversi da quelli che avevano accompagnato il  mio viaggio verso Kabul.
In particolare, il ricordo di Andrè, dal quale avevo inizialmente  faticato a staccarmi,  si era, con il tempo,  inesorabilmente affievolito.
Erano passati troppi mesi e non mi ero mai concessa di chiamarlo, consapevole che  avrebbe rappresentato per me una distrazione che non potevo permettermi.
Troppe vite erano in gioco, troppe persone dipendevano da me e dalle mie decisioni e avevo razionalmente deciso di mantenere la massima concentrazione,  senza cedere a distrazioni.
Arrivata a  Parigi l’atmosfera natalizia che si respirava già lungo le strade adiacenti all’aeroporto, mi colpì come un pugno nello stomaco.
Cinque mesi passati a cercare di sopravvivere facendo il proprio  dovere, in un paese dove i bambini soffrono la fame, non lasciano indifferenti.
Questa sensazione era tipica di ogni ritorno a casa e sapevo che sarebbe svanita nel giro di pochi giorni.
Il ritorno alla vita cosiddetta normale, dopo una lunga assenza, era così per tutti i soldati.
 
La prima cosa che feci fu andare a trovare mia nonna, la madre di mio padre,  che abitava a Versailles in un antico palazzo appartenente da secoli alla famiglia Jarjayes .
Fui felice di trovarla in ottima salute e sorrisi quando iniziò a rimproverarmi di averla trascurata per troppo tempo e di averle dato eccessive preoccupazioni.
 
“Nonna,  potremo vederci più di frequente perché da questa settimana sono in forze al comando di Parigi. Continuerò a viaggiare, ma almeno rientrerò a casa molto più spesso”.
 
“Mi farai morire di crepacuore, Françoise. Non so più a quale santo rivolgermi per farti tornare a casa sana e salva, benedetta ragazza. Ma non ti chiederò di rinunciare al tuo lavoro, se tu hai deciso così per me va bene”.
 
“Grazie nonna, sei un angelo”
 
“Hai sentito tuo padre di recente?”
 
“No. Non dopo che mi ha scaricata dandomi buca alla cena che avevamo programmato a luglio. Non finirà mai di deludermi,  inutile che mi ostini a sperare. Per lui sono solo una pazza”
 
 
“Un giorno vi chiarirete, ne sono certa. Lui ha commesso molti errori con te, ma ti vuole bene, ne sono sicura, tesoro”
 
“Sarà, ma ha uno strano modo per dimostrarlo”.
 
Non volli continuare a contraddirla, ma in realtà chiarire con lui non mi interessava più e non avevo voglia di altre polemiche o prediche da parte sua.
 
 
Avrei preso servizio al comando di Parigi dopo pochi giorni e una mattina, dopo avere trascorso l’ennesima notte insonne, mi decisi a fare l’unica cosa che avevo desiderato  per mesi,  chiamare Andrè.
Cercai il suo numero e iniziai a digitare con le dita tremanti i tasti del telefono.
Sentivo il respiro che diventava sempre più affannoso con il susseguirsi degli squilli.
 
“Pronto”.
 
Una voce femminile aveva risposto alla mia chiamata.
Rimasi in silenzio per alcuni secondi, indecisa se interrompere la linea o parlare ma decisi di dipanare subito tutti i dubbi che mi stavano assalendo.
 
“Cercavo Andrè” dissi cercando di mantenere un tono distaccato.
 
“Andrè sta facendo la doccia in questo momento, poi deve scappare al lavoro, ha dormito da me ed è in ritardo…..chi parla?”.
 
“Non importa, magari lo richiamerò un’altra volta”.
 
Chiusi la telefonata e rimasi a fissare il cellulare come imbambolata.
Andrè aveva chiaramente una donna, anche piuttosto gelosa dal tono allusivo della telefonata, da cui era palese che avessero trascorso una piacevole notte insieme.
Ero arrivata tardi. Tanti sogni, tanti ricordi,  tanto forti e intensi da dovermi costringere a soffocarli e respingerli dalla mia mente, per poi scoprire che, nel frattempo, lui era andato avanti e a quel punto  io ero per lui  solo il ricordo offuscato di una notte di passione.
Mi diedi della stupida.
Come  avevo potuto pensare che mi avrebbe aspettato, quando ero sparita nel nulla, disattendendo la promessa di chiamarlo appena possibile. Sapevo che questo sarebbe accaduto, ne ero già allora consapevole e adesso ne avevo la certezza.
Inoltre pensai che avesse sicuramente creduto che mi fossi presa gioco di lui. 
Mi sdraiai sul letto fissando il soffitto e dopo un po’ mi sembrò che, in fondo, avere scoperto che aveva già una donna, non poteva essere una  cosa  così negativa.
Dimenticarlo, staccarmi dal suo ricordo, cancellare le emozioni che avevo provato con lui mi avrebbe sicuramente impedito di vivere la delusione che sarebbe inevitabilmente seguita da una relazione con lui.
Meglio tornare ad una  vita apatica, fatta di lavoro, dovere e missioni, piuttosto che farsi distrarre dai sentimenti. 
L’amore era solo una inutile delusione e di fronte a quell’uomo io percepivo tutta  la mia fragilità.
Sospirai e mi preparai per uscire. Il giorno dopo avrei dovuto presentarmi per assumere il nuovo incarico.
 

*

 
La mattina seguente mi alzai piuttosto presto per prepararmi all’incontro con la mia squadra. Indossai jeans blu aderenti, una camicia azzurra e una giacca blu navy.
Infilai gli stivali e, guardandomi allo specchio, pensai di raccogliermi i capelli.
Mi soffermai di nuovo sulla mia immagine. Ero dimagrita  ulteriormente negli ultimi mesi e la mia figura sembrava ancora più slanciata, ma tutto sommato conservavo tutto il mio fascino anche se, sarebbe stata l’ultima cosa di me che avrei voluto che i miei uomini apprezzassero.
 
Gerard Dupois mi aspettava nel suo ufficio alle 8.30  ed io arrivai con largo anticipo, sapendo di trovarlo già operativo.
Avevo avuto modo di lavorare con lui in diverse missioni e si era instaurato subito un rapporto di reciproca stima, tanto che, dopo il mio incidente, fu lui a chiedere la mia presenza nella sua sezione.
Mi sarebbe stato affidato il comando di una squadra di due uomini con il compito di effettuare missioni volte al recupero di ostaggi civili o di  persone trattenute in Medio Oriente contro la propria volontà.  Bambini rapiti dai padri e condotti nei paesi arabi, ragazze e donne sparite nel nulla durante la permanenza in quei luoghi.
La mia preparazione militare e la perfetta conoscenza della lingua araba mi rendevano la candidatura ideale per la posizione e in quel momento il compito sembrò sfidante.
 
Dupois mi  accolse con un ampio sorriso e mi invitò ad accomodarmi.
Avrei dovuto, già da quella mattina conoscere gli uomini della mia squadra e tirò fuori da un faldone due fascicoli contenenti le schede personali dei miei due sottoposti.
 
“Gli uomini della tua squadra sono due ottimi soggetti, sono molto coraggiosi, collaborativi, preparati, conoscitori della cultura medio orientale anche se la conoscenza della lingua araba va migliorata ma per questo puoi dare loro qualche lezione, no?”.
Prima che ebbe il tempo di presentarmi nel dettaglio i profili dei due soldati sentimmo bussare alla porta.
 
“Eccoli, avanti, venite, Jarjayes è arrivata”.
 
Mi alzai e feci un passo verso la porta da cui i due uomini erano entrati e ciò che vidi mi lasciò impietrita.
 
 

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Capitolo 6
*** 6 ***


6
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Sentii il sangue  ghiacciarsi nelle vene, deglutii più volte, attenta a mantenere intatta quell’immagine di freddezza  che mi era usuale.
 
“ Ecco Françoise, ti presento Alain Soisson e Andrè Robert Grandier. Soisson è un genio dell’informatica e Grandier un ottimo chirurgo e un eccellente soldato, sarete una squadra validissima. Ragazzi, vi presento Françoise  Orschel  Therese de Jarjayes, brillante  ingegnere  chimico che ha messo le sue capacità a disposizione dello Stato.  Farete grandi cose insieme, ne sono sicuro”.
 
Soisson e Dupois furono gli unici a ridere.
 
“E’ un piacere conoscervi” riuscii a dire mentre dopo avere stretto la mano di Soisson, non potei evitare di stringere la mano di Grandier e quando lo toccai sentii un brivido, lo stesso assurdo brivido che avevo sentito a Versailles, quando, una sera di luglio avevo incontrato una persona speciale. Grandier aveva adesso  i capelli leggermente più corti e un filo di barba oscurava il suo viso, rendendolo, se possibile, ancora più bello.
Quando le mani si slegarono, i miei occhi, colpevolmente ancora sbarrati, fissavano Grandier che osservava il mio volto con aria allibita.
Distolsi allora lo sguardo da lui e mi promisi di evitare di incrociare nuovamente i suoi occhi.
Nella mia mente ancora confusa, riecheggiavano mille domande alle quali potevo trovare un’unica risposta.
Il destino aveva messo di nuovo quell’uomo sul mio cammino, ma questa volta con lo scopo di  beffarsi di me, cancellando  in quel momento, tutto ciò che sarebbe potuto essere e che non sarebbe mai stato.
La passione che mi aveva spinta tra le braccia dell’uomo dello specchio si sarebbe dovuta obbligatoriamente spegnere in quel preciso istante, non vi era altra alternativa. Non avrei mai potuto permettermi di avere una relazione con un collega.
 
“Tra pochi giorni partirete per la prima missione, utilizzate il tempo che vi rimane per organizzarla ma anche per conoscervi ragazzi. Tu sai, Françoise, quanto io confidi nel rapporto di conoscenza tra colleghi. Credo che solo la profonda conoscenza dei propri compagni di missione possa garantire risultati ottimali”.
 
Davanti a una tazza di caffè, Soisson dimostrò da subito tutta la sua loquacità, raccontando parte della sua vita e le missioni alle quali aveva partecipato. Mi accorsi immediatamente che ci teneva a mettere in chiaro quanto fosse in gamba.
Grandier invece era taciturno,  tanto che divenne dopo un po’ l’oggetto di scherno del suo amico.

“Scusalo Françoise, di solito è un ottimo compagno di conversazione, ma credo che il suo stato di “coma” sia colpa della sua fidanzata”.
 
Scoppiò in una risata fragorosa che gelai con uno sguardo  accigliato.
 
“Non dire idiozie, Alain”, lo rimbrottò lui senza guardarmi.
 
Abbozzai un sorriso e abbassai lo sguardo. La donna che mi aveva risposto al telefono era la sua ragazza. Cancellai subito questo pensiero dalla mia mente, in fondo, non doveva più interessarmi la sua vita privata.
 
Qualche ora dopo, mi ritrovai ad uscire dall’ufficio con la sola intenzione di andare a casa e farmi una doccia di un paio d’ore, durante la quale, mi sarei  forse concessa di versare qualche lacrima, per la sola e unica volta.
La caserma, nel centro di Parigi, distava poche centinaia di metri dalla mia abitazione e poiché ero  arrivata a piedi, mi incamminai per tornare a casa, quando vidi una macchina fermarsi bruscamente davanti a me.
Non ci volle molto per riconoscere la macchina e il suo guidatore.
 
“Sali”
 
Rimasi impietrita davanti allo sportello che si era aperto.
“Ho detto sali” ripetè  con un tono scocciato e mi decisi ad accontentarlo.
 
“Ti porto a casa, dove abiti?’”.
 
“Rue de Rivoli” risposi con aria indifferente.
 
Una volta partiti, notai che il mio accompagnatore rimaneva di poche parole e in un certo senso ne fui sollevata.
Dopo alcuni minuti però, iniziò a scuotere la testa e a sorridere.
 
“Allora? L’hai trovato il tuo sceicco? Un’interprete! Che stronza, io non ci posso credere…..Dio che stronza! Mi hai lasciato come un idiota ad aspettarti e tu sapevi  perfettamente che non saresti tornata. Ho aspettato per settimane una tua telefonata. Che idiota…che imbecille e tu sapevi che non mi avresti mai chiamato! Avresti fatto meglio a dirmi che volevi solo farti una scopata quella sera. Di certo non avrei rifiutato. Perché diavolo mi hai fatto credere che saresti tornata?”.
 
“ A quanto so ti sei consolato, no?!”
 
Un inutile sarcasmo il mio.
 
“ Sono un soldato non sono un prete, avrei dovuto aspettare una stronza ancora per quanto? Ti ho aspettata fin troppo. Dio che imbecille! ”.
 
Non sapevo cosa dire e a quel punto preferii continuare nel mio mutismo. Non avrei certo potuto confessargli che quel giorno gli avevo detto molte bugie ma nessuna che riguardasse la  mia attrazione per lui.
Poi ad un tratto la sua ira si placò e ritornò il silenzio.
Il tragitto era piuttosto breve e solo il traffico allungò il nostro viaggio.
Arrivati a casa mia Andrè accostò la macchina e poi si voltò a guardarmi.
L’espressione era più rilassata rispetto a prima e il suo tono era adesso estremamente dolce.
 
“Ti ho aspettata per settimane, per mesi e ho aspettato una tua telefonata. Quella sera non è stato solo  sesso per me  Françoise  e  ho creduto, anzi sentito,  che anche  per te fosse la stessa cosa, che ci fosse qualcosa di speciale tra di noi, qualcosa che non avevo mai provato prima  di allora, con nessun’altra donna. E guarda che a me le donne non sono mai mancate. Avevo capito che non mi stavi dicendo tutta la verità ma ero convinto di rivederti veramente, che ci fosse qualcosa tra di noi”.
 
Sospirai nell’udire quelle parole  e riprese a parlare.
 
“Io non credo che avere scoperto chi siamo cambi qualcosa, non per me almeno. Noi potremmo continuare a vederci e non avremmo più bisogno di mentire, pensaci, forse è una fortuna dopotutto lavorare insieme”.
 
Sospirai di nuovo e questa volta mi decisi a parlare.
 
“Non è permesso avere relazioni di alcun tipo tra colleghi e io sono il tuo superiore e questo aggrava la situazione”.
 
Pronunciai quella frase con un tono così freddo e distaccato che sorprese anche me.
 
“Non mi importa che non si possa, mi importa solo di quello che sento, di quello che voglio e io voglio la ragazza di Versailles!”.
 
Questa frase, che in fondo mi rivelava i suoi sentimenti, ebbe l’effetto di scatenare la mia ira.

“Tu non capisci Grandier, non capisci! Quella ragazza non esiste! Non esiste nella realtà, non è mai esistita è vissuta un pomeriggio, una notte e poi è svanita! Lei non c’è più! Lei non sono io! Lei è quello che ho voluto farti credere, forse perché stavo per partire per l’Alghanistan e non sapevo se sarei tornata viva, non lo so. Forse volevo solo passare la notte con te e nient’altro.  Io non sono così, non lo sarò mai. Io sono solo un militare”.
 
Avevo alzato il tono della voce mentre quelle parole uscivano dalla mia bocca come un fiume in piena.
Lui mi guardava  attonito e decisi di rincarare la dose.
“Sapevo che non sarei tornata da te e ti ho mentito lasciandoti credere che avrei voluto rivederti. E’ stata una bella serata ma tutto doveva finire lì. Non potevo sapere che mi avresti aspettata veramente, che ci saremmo rincontrati e che anche tu mi stessi dicendo un sacco di frottole, caro il mio chirurgo.”
 
“io sono un chirurgo! replicò stizzito.
 
“E io so fare l’interprete” risposi a tono.
 
“Ma questo non cambia i fatti. Dobbiamo semplicemente dimenticare quella notte e iniziare tutto da capo, come colleghi. Se non puoi farlo, se non riesci a dimenticare o se non vuoi  prendere ordini da me sarò costretta a chiedere che ti venga cambiata la squadra e questo gioca a tuo demerito, influendo sulla tua valutazione e sulla tua carriera”.
 
Avevo pronunciato quelle frasi guardandolo dritto negli occhi, nella consapevolezza che fosse l’unico modo per convincerlo della sincerità delle mie parole e soprattutto delle mie intenzioni bellicose.
Appoggiò lentamente il capo contro il poggiatesta della macchina e chiuse gli occhi.
Per una frazione di secondo mi assalì la paura di perderlo e  sperai che non accettasse le mie condizioni, che continuasse a credere nella ragazza di Versailles e iniziai a sentire un dolore alla bocca dello stomaco da troppo tempo nervosamente contratto.
Sperai che mi prendesse il viso tra le mani e che mi baciasse. Sperai di potere sentire nuovamente accendersi quel fuoco che aveva arso in me quella notte di luglio. Forse la mia assurda determinazione sarebbe vacillata e avrei ceduto di fronte al suo tocco.
Ma nulla di ciò stava accadendo e se da un lato mi sentii sollevata, dall’altro percepii dentro di me l’ennesima sensazione di perdita che solo il  distacco da lui sembrava potere provocare in modo così netto e intenso.
Dopo un tempo che sembrò interminabile, sollevò il capo e mi guardò.
 
“Tu hai cancellato quella notte, quindi?”.
 
“Si”.
 
“E per te non ha significato niente?”.
 
“No”.
 
“Solo una scopata.
 
“Si”
 
“Non resta altro?”
 
“No”.


“Va bene. Se questo è ciò che vuoi, per me va bene. Noi ci siamo conosciuti questo pomeriggio comandante. Va bene così?”.
 
“Si”.
 
“Bene. Noto  che  questa cosa si chiude a monosillabi ” .
 
Un tono ironico che mi lasciò indifferente.
Aprii la portiera dell’auto.
 
“Una cosa ”.
 
“Dimmi”.
 
“Soisson sa qualcosa di questa storia?”.
 
“Sa che ho conosciuto una ragazza a Versailles, ma non sa certo che sei tu”.
 
Il suo tono era stizzito. La domanda doveva essergli sembrata un’ennesima dimostrazione della mia freddezza.
 
“Bene, quindi non farne parola, con nessuno”.
 
Scesi dall’auto prima che potesse rispondermi
.

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Capitolo 7
*** 7 ***


7
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Arrivai a casa salendo di corsa le scale e una volta entrata scaraventai  per  terra in malo modo cappotto e borsa e mi buttai sul letto.
Non potevo credere che fosse accaduto veramente,  che nell’arco di una sola giornata, avessi ritrovato Andrè e avessi dovuto decidere di rinunciare a lui.
Non avevo potuto fare altrimenti e quella decisione presa istintivamente continuava a sembrare la scelta più logica e sensata che potessi prendere.
E adesso ai suoi occhi dovevo apparire come una donna fredda, arrivista e senza sentimenti.
Una stronza, e di certo non si era limitato nel rivolgermi questo appellativo. Continuavo a ripetermi che non c’era altra soluzione perchè, comunque, non valeva la pena rischiare la carriera per un’attrazione fisica nei confronti di un uomo.
Non potevo permettermi di giocare con il fuoco.
Dovevo semplicemente soffocare quello che sentivo per lui e dopo un po’ le cose  si sarebbero sistemate naturalmente e avrebbero trovato un giusto equilibrio.
O per lo meno, valeva la pena provarci.
 
La mattina seguente mi alzai e la sensazione che ebbi, pensando alla giornata che mi aspettava, fu di andare in guerra.
Presi posto alla mia scrivania e dopo un po’ vidi Andrè arrivare alle mie spalle e lasciare sul mio tavolo un piccolo involucro di seta grigia.
Lo guardai sorpresa ma subito dopo immaginai quale fosse il contenuto.
 
“Questi ti appartengono” mi disse affrettandosi a darmi le spalle per andarsene mentre io prendevo tra le mani  gli orecchini che avevo dimenticato da lui.
 
“Grazie” dissi con un tono indifferente che voleva invece mascherare la mia inquietudine. 
 
“Questa sera ci ritroviamo in un locale a bere qualcosa, lo facciamo spesso per stare un po’ insieme dopo il lavoro. Se ti va di venire magari Alain ti passa a prendere.
 
“Ci penserò, grazie”.
 
Ero in ufficio da cinque minuti e avevo già ringraziato Andrè due volte. Non era un  gran chè come inizio ma mi sembrava di intravvedere segnali di distensione. 
La giornata  trascorse velocemente occupata dai preparativi della missione che sarebbe partita pochi giorni dopo e arrivata l’ora di uscire Alain mi ricordò l’appuntamento serale con i soldati, offrendosi di accompagnarmi.
L’ultima cosa che avrei voluto fare quella sera era rinchiudermi in un locale pieno di gente ma l’idea di conoscere meglio gli appartenenti alla sede parigina dell’EOS  mi incuriosì molto.
Tornai a casa, mangiai qualcosa e iniziai a prepararmi per la serata.
Di fronte all’armadio che mia nonna instancabilmente mi faceva trovare colmo di meravigliosi vestiti dei migliori stilisti, mi soffermai praticamente smarrita. Cosa dovevo indossare? Ero ormai talmente abituata ad indossare uniformi o abiti civili adatti a zone di guerra che non riuscivo a pensarmi vestita con abiti femminili.  Optai per un abbigliamento che sembrava la versione serale del mio vestiario quotidiano.
Pantaloni neri, giacca nera. Unica concessione, un paio di tronchetti con tacco  alto a stiletto che aumentavano ancora di più la mia già elevata altezza. Decisi, come facevo orami costantemente, di raccogliere i capelli, diventati ormai lunghissimi,  nel solito chignon.
Alain si presentò puntuale e arrivammo al Le Reservoir,  locale molto carino in Rue de la Forge Royal, già affollato di gente.
Mi guardai intorno in cerca di volti familiari e ordinai da bere, pensando a quanti mesi fossero passati da quando avevo messo piede in un locale del genere.  E quando iniziai a chiedermi cosa diavolo mi fosse venuto in mente, vidi tra la gente Andrè  al cui fianco c’era una ragazza che sembrava avere molta confidenza con lui.
 
“Ci sono Andrè e la sua ragazza” mi disse Alain togliendomi ogni dubbio.
 
Mi soffermai a guardare quella donna, facendo attenzione a non essere notata ma le parole  di Alain non facevano che aumentare la mia curiosità.
 
“Carina vero? Si chiama Nicole ed è una studentessa universitaria. Stanno insieme da poco ma mi sembrano una bella coppia, non trovi?”.
 
Capelli biondi, occhi chiari, quella ragazza era davvero molto carina ma non era particolarmente alta e di fianco ad Andrè sembrava ancora più minuta.
La vidi ridere e prenderlo per un braccio mentre mi accorsi che si erano incamminati per venire dalla nostra parte.
 
“Eccovi, Nicole ti presento Françoise,  Françoise lei è Nicole”.
 
La sentii pronunciare alcune parole di cortesia alle quali decisi di abbozzare un sorriso senza alcuna voglia di intavolare la benché minima conversazione con lei e il suono della sua voce mi confermò che era stata proprio lei a rispondere, giorni prima, al cellulare di Andrè.
E lei prese a parlare senza sosta e a raccontare  inutili aneddoti su di lei e Andrè, su quel locale, su quanto ci avesse messo a decidere il vestito per la serata, su quanto ci tenesse a conoscere i colleghi di Andrè e su quanto le dispiacesse che ogni tanto il suo  Andrè dovesse assentarsi da Parigi per lavoro.  Andrè, del resto,  era un membro della Gendarmerie e doveva occuparsi della sicurezza della città.
Una bugia a cui lei credeva ciecamente.
Gli occhi di Andrè mi stavano osservando, pensierosi e indagatori e io cercai di evitare il suo sguardo.
Mi ritrovai ad annuire distrattamente, interrogandomi, a mia volta, su quanto sarebbe durata quella serata, finchè finalmente si allontanarono da noi.
Sapevo che Andrè era stato costretto a essere poco trasparente anche con lei. Del resto, non era consentito rivelare a quale corpo militare appartenessimo e parenti e amici vivevano all’oscuro dalla verità.
 
“Carina ma se dovessi affrontare una conversazione con lei non saprei proprio da che parte incominciare e poi parla solo lei!” disse Alain rivolgendosi a me.
 
“Però è la donna giusta per farti dimenticare problemi o preoccupazioni. Ti ritrovi tra le braccia di una così vanesia e ti scordi che esiste il mondo, guerre, terroristi e ostaggi compresi!”.
 
“E tu comandante, ce l’hai un fidanzato?”.
 
“Nessun uomo potrebbe sopportare una come me!”dissi sforzandomi di sorridere.
 
“E tu Soisson, quanti cuori hai infranto di recente?”.
 
“Direi che l’ultima cosa che mi interessa di una donna è il cuore!”.
 
Gli sorrisi ma mi soffermai a pensare a quello che Alain mi aveva inconsapevolmente  fatto capire. In quei momenti, il paragone con me venne naturale e capii che un soldato come Andrè o come Alain  era in cerca di leggerezza e di allegria.
Una come me, seria, autoritaria, noiosa e sempre pensierosa, non sarebbe stata attraente per nessuno.
E fui sollevata, in quel momento, dal fatto che Andrè avesse trovato la sua dose di leggerezza e di frivolezza.
 

*

 
Le settimane seguenti non furono delle più facili.
Andrè, sempre molto aperto e scherzoso con Alain,  era ancora piuttosto taciturno nei miei confronti e mi consolai del fatto che invece fossi riuscita a instaurare un bel rapporto con Alain che, con il suo parlare troppo e spesso fuori luogo, riusciva a creare sempre un’atmosfera distesa e a sdrammatizzare i momenti di tensione.
Eravamo finalmente partiti in missione per l’Algeria  con il compito di recuperare una bambina di otto anni portata via dalla Francia dal padre algerino, senza il permesso della madre  francese che da tempo non aveva più notizie. Il caso aveva avuto molto clamore a livello mediatico e no era ammesso fallire..
Questa, come tutte le altre missioni che avremmo dovuto compiere, era svolta in incognito, con il compito di riportare a tutti i costi e con tutti i mezzi la piccola a casa, seguendo prettamente vie non ufficiali.
Salita sull’aereo verso Algeri, mi coprii il capo con il velo e notai gli sguardi incuriositi dei miei due accompagnatori.
Giunti ad Algeri, affittammo una macchina e ci dirigemmo verso Oran città sula costa del mediterraneo nord occidentale, luogo di origine del padre di Myra, la bimba rapita  e una volta arrivati, prima di scendere, indossai un paio di occhiali che mi coprivano parte del viso.
Guardai Andrè e notai sul suo viso un’espressione divertita e lo provocai.
 
“Beh, ti faccio ridere?”.
 
“No, è che adesso mi spiego perché tu non lo abbia trovato il tuo sceicco!” disse assicurandosi che Alain non potesse sentire.
 
Scoppiò a ridere ma poi si avvicinò ancora di più  al mio viso e lo sentii sussurrare “Sono contento che ti mascheri così, anche se a ben vedere sei ancora esageratamente bella”.
 
Quelle parole ebbero l’effetto di fare ripartite i battiti del mio cuore, da qualche giorno assopiti, e non andò meglio quando, per accordi presi tra di noi a Parigi, Andrè mi dovette presentare alla reception di uno sgangherato albergo di Oran come sua  legittima  moglie e sorella di Alain.
Trasalii nell’udire quelle parole che riecheggiarono alle mie orecchie per tutta la serata. 
 
“Madame  è mia moglie” aveva detto e nascosta dietro alla mia solita impassibilità mi sentii girare la testa.
Il giorno dopo, Andrè tornò a rivolgersi a me in cerca di maggiore confidenza  inventandosi una nuova scusa.
 
“J” mi disse, sorridendo.
 
“Prego?”
 
“J. Ti chiamerò J d’ora in poi che ne dici? Del resto è solo l’iniziale del tuo cognome che è eccessivamente lungo per essere pronunciato in caso di pericolo. Se ti stessero per sparare addosso, non potrei certo urlare Jarjayes, o Françoise, troppo lunghi e non credo che Françoise  Orschel  Therese de Jarjayes si addica meglio allo scopo, soprattutto se ci aggiungiamo il titolo di contessa. J fa al caso nostro, no?”.
 
Mi guardò ridendo di gusto, alzando la mano sopra il capo, gesto che avevo imparto a riconoscere come una manifestazione di imbarazzo.
 
“Vada per J, allora, se serve per salvarmi la vita, anche se qualcuno ti stesse sparando, non credo che ti chiamerei Andrè Robert Grandier”.
 
Ridemmo insieme e fui sollevata nel percepire che le cose tra di noi stavano andando un po’ meglio. In fondo, non avrei permesso a nessun altro, se non a lui, di chiamarmi con quello strano nomignolo.
 
I giorni seguenti trascorsero a osservare con discrezione abitazioni di parenti e conoscenti  del padre di Myra   che eravamo riusciti a rintracciare e, utilizzando la mia conoscenza delle lingua araba, ci accorgemmo che si parlava spesso di una bambina, chiamata con un altro nome, che non veniva mai lasciata sola e che presumibilmente sarebbe  andata in sposa a uno dei parenti del padre.
E quando il piano di azione fu pronto, ci assicurammo che si trovasse in un luogo isolato  lungo la strada verso casa in compagnia di una donna e decidemmo di procedere con il recupero della piccola e con la messa fuori gioco della sua accompagnatrice.  Una volta in macchina, la certezza che si trattasse di Myra, ci portò a correre verso l’aeroporto di Algeri.
 
“Ti riporto in Francia, dalla tua mamma, sei contenta?” le dissi, parlandole prima in arabo e poi in francese e fui sollevata quando la vidi annuire e gettarmi le braccia al collo.
 
I documenti  falsi preparati anche per lei e i vestiti occidentali prontamente indossati, ci consentirono di arrivare all’aeroporto senza problemi e di partire per Parigi con  un volo di linea.
 
“Il dottore è taciturno da un po’ di tempo, sai? Quasi non lo riconosco” mi disse Alain prendendo posto accanto a me.
 
“Starà pensando alla sua fidanzata” risposi io con tono sarcastico.
 
“Non credo, l’ha mollata il giorno dopo di quando te l’ha presentata. La poverina mi ha chiamato per giorni per sapere se conoscessi le motivazioni della rottura. Lui l’ha mollata di punto in bianco e basta, senza  troppe spiegazioni, senza ragioni. Le ha solo detto che non l’amava e arrivederci!”.
 
Mi accorsi che negli ultimi secondi mi ero dimenticata di respirare. L’aveva lasciata!
 
“In realtà il fatto che non la ami mi sembra una ragione più che valida” continuò Alain, “ per lo meno per Andrè. Vedi, lui in fondo è un sentimentale, ha decine di donne pronte a buttarsi ai suoi piedi o meglio nel suo letto, ma lui cerca l’amore! Boh. Io non sono così, io preferisco cogliere tutte le occasioni, ogni lasciata è persa, mia cara e poi questo lavoro ti porta anche a periodi di astinenza, tanto vale approfittarsene quando si può”.
 
“Già”.
 
Risposi distrattamente con la prima parola che mi venne in mente, mentre nella mia testa riecheggiavano le ultime frasi di Alain. Andrè cercava l’amore e sentii nel mio cuore una sensazione di calore che arrivò ad emozionarmi nel profondo.
Anch’io in fondo avevo cercato l’amore, ma quando avevo creduto di averlo trovato,  ero stata costretta a decidere di rinunciarvi.
Non vista, guardai Andrè che seduto nella fila di sedili alla mia destra osservava assorto  il panorama fuori dall’oblò e pensai che la donna che un giorno avesse avuto il suo cuore, sarebbe stata la donna  più fortunata del mondo.
 
“Pensa che l’estate scorsa ha incontrato una donna a Versailles con cui ha passato una sola notte e poi lei è sparita nel nulla, ma lui si è preso una tale sbandata che l’ha aspettata per settimane, per mesi, fino a quando ha capito che non sarebbe più tornata. Mi ha parlato di lei fino allo sfinimento e non ha degnato di un’occhiata altre donne, finchè ha gettato la spugna  e ha deciso di consolarsi.
Lei gli nascondeva sicuramente qualcosa, e lui lo aveva capito, ma non ha potuto fare a meno di innamorarsi di lei. Eh si, il bel Grandier con il cuore spezzato da una gran figa sparita nel nulla!”.
 
A quelle parole mi sentii la testa girare vorticosamente e il cuore accelerare impazzito i battiti nel mio petto mente nella mia mente apparve, più nitida che mai, l’immagine dei nostri corpi nudi e sudati, avvinghiati sopra il letto.
Socchiusi gli occhi e mi sembrò di sentire ancora il calore delle sue labbra sulla mia bocca,  il sapore della sua saliva e mi costrinsi a non portarmi le dita alla bocca assurdamente convinta di ritrovarvi tracce del suo passaggio.
Ma non lo guardai mai, non rivolsi più lo sguardo nella sua direzione temendo di non riuscire  a mascherare la mia emozione.
Era perfettamente inutile che continuassi a cercare scuse, che cercassi di evitare di pensare, di sentire, non potevo più evitare di riconoscere, almeno con me stessa, i sentimenti che nutrivo per quell’uomo che aveva inspiegabilmente saputo catturarmi l’anima tanto profondamente da rendermi fragile e indifesa.
Ma non avrei fatto nulla per cambiare la situazione, ostinatamente intenzionata a perseverare nella decisone di rinunciare al suo amore perché se lo avessi vissuto, avrei dovuto sacrificare la mia carriera .
Non avrei potuto amarlo e allo stesso tempo lavorare con lui perché avrei perduto la lucidità necessaria per guidare  la  squadra della quale lui faceva parte. .
Non avrei potuto decidere di mettere in pericolo la sua vita e le mie scelte  non sarebbero state obiettive. Rinunciando a lui avevo l’assurda convinzione di essere in grado di evitare un coinvolgimento eccessivo.
Vivere quell’amore avrebbe significato minare la mia carriera e di conseguenza, dare modo a mio padre di sottolineare un mio fallimento.
Ma fu proprio l’amore il sentimento che, per la prima volta nella mia vita,  realizzai in quel preciso istante  di  provare, un amore  tanto forte  e intenso da togliermi il respiro, nella consapevolezza che solo sulle sue labbra avrei potuto trovare sollievo, dissetare  la mia sete e placare la mia inquietudine .

 
 


Piccole note dell'autrice 

Allora, è il caso che io mi faccia sentire, innanzitutto per ringraziare voi care Lettrici che non avete rinunciato a leggere questo racconto e in secondo luogo per farvi conoscere le ragioni di alcune scelte.
Non ho potuto fare a meno di mantenere  in Francoise e Andrè gli stessi tratti della personalità degli originali, ma sono riuscita, se possibile, ad esasperarne difetti e ossessioni. Lei sempre testarda, autoritaria, autolesionista, nega a se stessa il diritto di essere felice, nel settecento come nel 2011, e questa volta forse senza una reale necessità di rinunciare a tanto.
Lui sempre appassionato, altruista, sensibile, si ritrova a soffocare, nuovamente, i propri sentimenti aspettando che lei rinsavisca di fronte alla sua beltà.
Non sarà facile trovare un punto di incontro ma non si sa mai.
Per Peggysan: credo anch’io che Grandier non si chiami così per caso   Jma questo solo Oscar e Francoise lo sanno, beate loro!!!
Parlerò con Francoise, le spiegherò le tue ragioni, spero possa rinsavire in tempo per non farvi andare fuori di testa e per non rischiare il linciaggio!!
Baci a tutte ragazze e GRAZIE!!

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Capitolo 8
*** 8 ***


 
8
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Il successo della missione ci fece guadagnare molti apprezzamenti per il nostro operato che non poteva comunque essere riconosciuto a livello ufficiale.
 
Una mattina, a pranzo con mia nonna, mi ritrovai a raccontare alcuni dettagli del mio nuovo lavoro.
 
“Ti trovi bene con i tuoi uomini, cara? Che tipi sono?”.
 
“Sono molto preparati e anche collaborativi e non hanno problemi a prendere ordini da una donna, anche se più che di ordini, parlerei di decisioni. Abbiamo una buona sintonia. Alain Soisson, chiacchierone trentenne, un pirata informatico di grande bravura. E’ sagace e ironico e a volte parla troppo. Un bel ragazzo moro dagli occhi scuri, un donnaiolo insomma”.
 
“E l’altro?”.
 
“Andrè Robert Grandier, un  chirurgo taciturno”.
 
“Come hai detto che si chiama, Françoise?”
 
Il tono della nonna si fece più interessato.
 
“Grandier, Andrè  Robert Grandier. Che importanza ha il suo nome nonna?” chiesi mascherando un po’ di imbarazzo.
 
“Nessuna tesoro, nessuna, è solo un nome come un altro” disse alzandosi in piedi, camminando vacillante verso il fondo della stanza per poi fermarsi in prossimità di un quadro di un antenato dei Jarjayes, di cui non avevo mai capito il nome, raffigurato in una strana rappresentazione mitologica.
 
“Ed è bello questo Grandier?”.
 
“Si” dissi  con un filo di voce mentre abbassai lo sguardo.
 
Mi alzai per avvicinarmi a lei e mi soffermai a guardare quel ritratto.
 
“Chi è rappresentato nel quadro, nonna, lo sai?” chiesi incuriosita.
“No, cara, non lo ricordo. Un antenato senza particolare importanza nella storia dei Jarjayes, altrimenti  non avrei scordato il suo nome”.
 
“Già”.
 
Continuai a fissare quel ritratto e mi ricordai che da bambina quell’immagine aveva attirato la mia attenzione ma anche allora, le mie domande non avevano avuto risposta. Di certo non era un quadro di gran valore, ma mi soffermai a osservare l’immagine del giovane uomo rappresento i cui occhi azzurri e i capelli color del grano sembravano uscire dalla tela.
 
“Non trovi che un po’ mi assomigli, nonna?”.
 
“O no, cara, direi di no. Quello è un uomo. Forse avete gli stessi colori di occhi e capelli, ma questi personaggi alla fine si assomigliano tutti, non riesci neanche a distinguerli. Se solo avessero inventato la fotografia secoli prima, ci saremmo risparmiate tante rappresentazioni di nobili incipriati e impolverati! Marianne, servi il tè per favore, sono le quattro, ti sei dimenticata?”  disse chiamando a gran voce  la cameriera.
 
Mi guardai intorno e realizzai che palazzo Jarjayes era colmo di quadri raffiguranti antichi esponenti della famiglia o semplicemente ritratti di sconosciuti e non mi curai più dello strano uomo a cui avevo creduto di assomigliare.
 
In fondo, avevo pensieri ben più seri  a cui dedicarmi. Un’altra missione sarebbe partita di lì a breve e i pochi giorni che mancavano alla partenza erano, di prassi, anche dedicati alle frequentazioni serali dei militari.
 
In particolare, un sabato fummo invitati  ad una festa di fidanzamento a casa Dupois, perché la figlia maggiore di Gerard avrebbe sposato un promettente avvocato americano. Anche la moglie di Dupois era americana e la festa fu organizzata in tipico stile statunitense, con intrattenimento musicale e canzoni sdolcinate.
 
Alain e Andrè si erano offerti di venirmi a prendere, per una strana consuetudine ormai instaurata tra di noi e, al mio arrivo in macchina, mi guardarono compiaciuti.
 
Dopo settimane di pantaloni, bluse e foulard, mi ero concessa un abito grigio molto femminile, che lasciava scoperte gambe e parte della schiena. Avevo deciso, per quella volta, di non raccogliere i capelli che lasciai cadere lungo la schiena.
 
Indossai tacchi alti e misi un paio di orecchini preziosi e voluminosi bracciali d’oro.
 
 
“Allora c’è veramente una donna dietro giacca pantaloni!” mi schernì Alain.
 
 “E che donna. Accidenti comandante, se non fossi il mio capo mi getterei ai tuoi piedi”.
 
“Non fare l’idiota, Alain, è solo un vestito” replicai ostentando freddezza.
 
“Fhh, allora mi butto ai piedi del tuo vestito”, urlò fischiettando  e riprese a guidare mentre mi mostravo infastidita per un doppio senso che credevo di avere intuito.
Andrè mi guardò ma non disse niente.
 
Arrivati alla festa, Gerard ebbe la brillante idea di consigliare ai miei uomini di  fare ballare il capitano e mi ritrovai tra le bracci di Andrè, senza avere il tempo o la possibilità di rifiutare con una scusa.
 
Non parlammo, intenti a muovere i piedi al ritmo della musica, fino a quando, incrociai i suoi occhi e non riuscii più a distogliere lo sguardo.
 
“Sei bellissima J, ogni donna in questa stanza scompare di fronte  a te”.
 
E il mio cuore fu nuovamente in subbuglio, mentre i nostri passi perdevano il ritmo.
 
“Oh Françoise, se solo tu volessi, noi…noi..”
 
“Schh” lo interruppi “Non parlare, Non dire niente ti prego, non dire niente”.
 
Mi accorsi che mentre pronunciavo quelle parole, il mio viso si era fatto sempre più vicino al suo, fino a toccare con la mia guancia il suo volto, forse nel tentativo di sfuggire al suo sguardo, forse sopraffatta dal desiderio di sentire il suo corpo ancora una volta vicino al mio, di sentire il suo profumo e di sorreggermi a lui in preda a  quella vertigine che ritornava a sconvolgermi i sensi.
 
Alain arrivò ignaro a salvarmi da una situazione decisamente troppo pericolosa e evitai di ballare con altri uomini.
 
Per quella sera le emozioni erano state più che sufficienti.
 

 
 
 
 

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Capitolo 9
*** 9 ***


 
 
 

 
9
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Arrivammo a Tunisi  ai primi di  febbraio in una  situazione di apparente calma, dopo la fuga di Ben Alì, con il compito di recuperare alcuni cittadini francesi che, isolati dalle insurrezioni, non erano in grado di rientrare in patria.
 
Le sommosse popolari che stavano iniziando a divampare in molti paesi del Medio Oriente preoccupavano le autorità francesi che da sempre avevano molti interessi in quei luoghi.
 
La missione fu complicata da un improvviso divampare di nuove rivolte che ci costrinsero a rimanere isolati  in una delle città protagoniste della rivolta.
 
Per ragioni di sicurezza, fui costretta a dividere la camera con Alain e Andrè e la cosa mi mise in imbarazzo, anche se feci di tutto per dimostrare il contrario.
 
Ero abitata a situazioni promiscue con altri uomini, a dividere camerate e bagni, ma la presenza di Andrè rendeva la situazione piuttosto imbarazzante.
 
Ma in quell’occasione, mi fu anche possibile trascorrere alcune ore sola con lui, approfondire la sua conoscenza toccando argomenti che, fino a quel momento, forse per paura della sua vicinanza, avevo preferito tralasciare.
 
Ricordo, in particolare, una notte, nella quale entrambi, sofferenti per il caldo e la mancanza di aria nella stanza, faticavamo a prendere sonno e ci ritrovammo a prendere aria sul minuscolo balcone della stanza.
 
Gli feci una domanda che aveva sempre suscitato la mia curiosità, gli chiesi perchè avesse scelto di entrare nell’EOS e di non lavorare più come chirurgo.
 
“Vedi J, ho passato tre anni a operare in zone di guerra e ho vissuto a contatto con sofferenze e tragedie di ogni tipo, e tu sai bene a cosa mi riferisco. Bambini e adulti dilaniati dalle mine, civili feriti durante azioni militari e ad un certo punto non ho più sopportato tutto quel sangue, tutta quella sofferenza.
Sono stato contattato da un esponente dell’EOS che mi ha proposto di entrare nel corpo militare e essere operativo comunque in zone di guerra o in contesti particolarmente delicati. Ho pensato che potessi fare in modo di evitare dolore, piuttosto che curarlo. Non so se sia stata la scelta più giusta, ma per il momento non me ne pento. E un giorno potrei comunque tornare a lavorare come medico, non si può mai sapere. Spesso quando sono a casa collaboro con il Percy”.
 
Lo guardai senza dire  niente, provando ammirazione per le scelte da lui fatte.  Osservai il suo viso illuminato dalla luna, i suoi occhi dolci che avevo visto in molte occasioni assumere un’espressione severa e il suo corpo muscoloso, coperto da una t-shirt e da un paio di boxer.  
 
Fu allora  che notai  il  tatuaggio raffigurante una rosa nera che avevo visto sul suo avambraccio la sera in cui lo conobbi e non riuscii a staccare gli occhi da quell’immagine.
 
“Cosa significa la rosa nera?”.
 
“Simboleggia il colore della vecchiaia, della sposa e della morte, la promessa che presto conoscerai qualcosa che non hai mai saputo prima. Qualcuno la vede come un cattivo presagio, a significare la morte di idee o pensieri ossessivi. Il fiore del male dal quale sorge la bellezza”.
Notò la mia espressione incupita e continuò.
 
“Non fare quella faccia J, l’ho fatto quando avevo 19 anni, l’ho scelto perché mi piaceva l’idea che un giorno avrei conosciuto qualcosa che  non avevo mai saputo prima”.
 
“Cosa ti aspetti di scoprire? Qualche misterioso segreto che ti riguarda?”
 
“Ma no, non prendere tutto sul serio J” rise facendomi sentire un po’ stupida.
 
“E tu invece? Come fa una contessa ad arruolasi in un corpo militare segreto?”.
 
“Dopo la morte di mia madre, la mia vita non è stata certo facile, né felice. In collegio ho potuto fare qualunque tipo di sport e spesso ho privilegiato quelli tipicamente maschili.
In Giordania ho imparato a sparare e mi sono appassionata alle armi.
Diciamo poi che, crescendo, ho scelto appositamente la strada che più avrebbe fatto imbufalire mio padre!.
No scherzo. Non so esattamente perché, ma sono sempre stata attratta dalla vita militare e, una volta scelto questo percorso, ho cercato un corpo di elite. E non me ne pento affatto”. 
 
“E’ ammirevole da parte tua” mi disse regalandomi un sorriso.
 
Poi, nel buio della notte, vidi la sua mano avvicinarsi al mio volto per catturare  una ciocca di capelli che, mossa dal vento, svolazzava sul mio viso coprendomi gli occhi, per poi sistemarla dietro il mio orecchio.
 
Dalla sera di Versailles, non ci era più capitato di essere così vicini e in sintonia. Sentivo che lui poteva percepire in quel momento  ogni mia emozione, ogni pensiero e mi sentii maledettamente fragile.
 
Dovevo resistere alla tentazione che il suo corpo rappresentava per me.
 
Mi costrinsi,  allora, a interrompere quella magia.
 
“Senti Alain come russa, è un trombone. E’ impossibile dormire con lui, tocca passare la notte in bianco, Sarebbe stato meglio farmi dare una camera da sola”.
 
“Lo sai che qui è troppo pericoloso dormire da sola J”.
 
“Io so difendermi benissimo” dissi ostentando sicurezza.
“No ho dubbi, ma ti ho presentato come mia moglie, non ti posso mandare a dormire da sola in un’altra stanza. Certe cose qui non si fanno, non sono concesse alle mogli”.
 
“Va bene marito e padrone, obbedisco allora, rimango in questo rumoroso tugurio affollato”.
 
Risi e mi avviai verso la camera andando a sdraiarmi sul misero letto matrimoniale che Alain aveva tanto insistito per cederci.
 
Faceva un caldo insopportabile e rimasi girata verso Andrè che nel frattempo si era sistemato nel letto e  mi stava osservando.
 
Lo guardai e mi sembrò che una forza magnetica mi attirasse nella sua direzione.
 
Sarebbe bastato così poco per ritrovarsi di nuovo tra le sue braccia e sentivo in lui la stessa tensione.
 
Potevo percepire affanno nel mio respiro e temevo che Andrè se ne accorgesse.  
 
E ringraziai  il cielo per la presenza rumorosa di  Alain a pochi centimetri da noi che contribuiva a non farmi perdere la ragione.
 
Non sarebbe stato facile continuare a lavorare in queste condizioni.
 
Mi girai dall’altra parte augurandogli con un filo di voce la buona notte.
 
Trascorsi quella notte a osservare la luce della luna piena  entrare dalla grande finestra posta di fronte  al letto e illuminare la stanza  e ad ascoltare il ritmo regolare del suo respiro.
 
 

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Capitolo 10
*** 10 ***


10
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Erano trascorsi quasi tre mesi da quando avevo iniziato a lavorare con Andrè ed eravamo riusciti a raggiungere una sorta di equilibrio basato sul tacito accordo di dimenticare quanto avvenuto tra di noi. 
Andrè non ne fece più cenno e io ne fui sollevata perché avremmo evitato inutili discussioni.
Ma ciò che emergeva dal mio comportamento, non rispecchiava affatto il mare di emozioni che sentivo quando era vicino a me e il mio cuore sopito sembrava iniziare a battere solo in quell’istante.
Non vista, osservavo i suoi movimenti, ascoltavo i suoi discorsi, la sua voce, come se non potessi fare a meno di considerarlo parte di me.  E presto, mi resi conto che anche lui era occupato n questo strano gioco di sguardi nascosti e fuggitivi rivolti nei miei confronti, quando credeva di non essere visto.
 
“Hei dottore, gli disse un giorno Alain”, mentre ci trovavamo a Parigi “nessuna notizia dalla bionda di Versailles?  E’ un bel po’che non ne parli. Ti sei rassegnato o l’hai dimenticata tra le braccia di una mora?”.
 
Rise fragorosamente con la chiara intenzione di schernirlo e provocarlo  e vidi il bel volto di Andrè farsi cupo mentre il mio cuore perdeva un battito.
 
“Non è necessario dimenticare chi non si è mai avuto, Alain. Credo che quella donna non sia mai esistita, forse l‘ho solo immaginata, forse è stato un sogno.  E i sogni non possono diventare realtà”.
 
Pronunciò quella frase girandosi verso di me e guardandomi dritto negli occhi. C’era freddezza sul suo viso  e io sostenni il suo sguardo sforzandomi di non manifestare la minima emozione.
Forse Andrè aveva ragione, forse si era trattato solo di un sogno e i sogni, soprattutto quelli più  belli, non si realizzano mai.
Mi aveva dimenticato? Era riuscito a cancellare il ricordo di me? In fondo era esattamente ciò che avevo preteso che entrambi facessimo, ma non riuscii ad evitare di provare tristezza, malinconia e di sentirmi più sola di quanto non mi fossi mai sentita.
Ora potevo godere del mio ennesimo successo. L’uomo che avevo desiderato fin  dal primo istante, l’uomo che avevo capito di amare mi aveva dimenticata.

 
*

Giorni dopo ci fu chiesto di raccogliere informazioni su un uomo siriano  sospettato di terrorismo e, presentandoci come insegnanti della figlia, ci recammo a casa sua.
Intrattenemmo una lunga conversazione con la moglie con lo scopo di nascondere microspie e trovare prove.
Alcuni giorni dopo, ritornammo in quella casa ma solo io e Andrè entrammo  nello stabile
Alain tornò a prendere qualcosa che aveva lasciato in macchina.
Salimmo sull’ascensore del vecchio e fatiscente palazzo della periferia di Parigi ma dopo essere arrivati al piano accadde qualcosa.
Udimmo un rumore sordo provenire dagli ingranaggi e nello stesso istante sentimmo la terra mancare sotto i nostri piedi, mentre l’ascensore iniziava a cadere di alcuni metri.
Sentii chiaramente la sensazione di essere risucchiata dal vuoto ma, dopo alcuni secondi, uno strattone, seguito da un altro boato fermò la nostra corsa. 
Fu allora che lo scossone portò il corpo di Andrè a cadere rovinosamente contro il mio mente sbattevo violentemente la testa contro i bottoni della pulsantiera.
Nel buio totale che aveva avvolto la cabina, sentivo un liquido caldo e vischioso  scorrere lungo il collo e ancora sconvolta da quanto era accaduto, mi aggrappai al corpo di Andrè che era ancora appoggiato a me.
 
“Cosa diavolo...come stai, Françoise? Ti sei fatta male?”
 
“No, non è niente, devo avere battuto da qualche parte e mi esce sangue dalla testa, ma non è niente” risposi cercando di mantenere la calma.
 
“Fammi vedere” disse cercando di fare luce con il cellulare.
 
“E’ una ferita circoscritta ma piuttosto profonda, dovrai mettere dei punti per fermare il sangue”.
 
“Tu come stai, Andrè, sei ferito?”.
 
“No, non ti preoccupare per me sto benissimo ”.
 
Nel buio che ancora ci avvolgeva, percepii che stesse cercando qualcosa per tamponarmi la ferita.
Vidi il bagliore del suo cellulare illuminare il suo volto.
 
“Dobbiamo chiamare aiuto, chiamo i pompieri e Alain. Sta tranquilla, penso a tutto io”.
 
“OK” risposti, sollevata che riuscisse a mantenere il sangue freddo in quella situazione.
 
Pochi secondi dopo, un altro rumore e ci ritrovammo a precipitare, di nuovo, nel vuoto, per poi essere frenati con un tonfo dall’intervento del sistema di emergenza. Sentivamo l’ascensore oscillare pericolosamente.
 
“Siamo fermi, siamo fermi………Tutto ok, Françoise ?”
 
“Oddio, si”
 
Il cuore mi esplodeva nel petto mentre sentivo il corpo di Andrè che tornava ad avvicinarsi al mio per assicurarsi che non mi fosse accaduto nulla.
Mi strinse a sé mentre con una mano cercava di fermare il sangue che continuava a scorrere dal mio capo.
Ricambiai quella stretta e gli accarezzai la nuca mentre la mia guancia era appoggiata al suo viso. Il mio volto perso tra i suoi capelli.
 
“Non ci accadrà niente, Françoise, non ti preoccupare, tra pochi minuti saremo fuori di qui, stanno arrivando i pompieri”.
 
“Si, non ci accadrà niente” dissi sfregando leggermente il mio viso contro il suo, continuando a stringermi al suo corpo.
 
“Non possiamo certo morire in un fottuto  ascensore” dissi.
 
“Non deve andare così” continuai.
 
“No, deve andare tutto diversamente, J, tutto”
 
Rimanemmo così, allacciati l’uno all’altra, stretti in un abbraccio che nessuno dei due voleva sciogliere.
Sentivo i battiti dei nostri cuori, i nostri respiri affannosi e  percepivo la sua agitazione.
Non ci furono parole tra di noi ma solo la forza di un abbraccio che significava per me più di mille parole.
Avrei voluto dirgli che, in fondo, se fossimo arrivati alla fine,  le sue braccia erano il posto più dolce, caldo e accogliente per andarsene. 
Avrei voluto dirgli che lo amavo, che lo avevo sempre amato, fin da quando, in un caldo giorno d’estate era entrato nella mia vita.
Avrei voluto chiedergli di ricominciare da capo e di cancellare la mia follia, il mio  stupido orgoglio.
Avrei voluto dirgli che forse, per noi, ci sarebbe stata un’altra possibilità, se avesse voluto ancora il mio amore.
Avrei voluto, ma non dissi niente.
E lui non disse niente a me.
Mi tenne semplicemente stretta a sé fino a quando sentimmo, dopo l’arrivo dei pompieri, l’ascensore risalire all’altezza di un piano per poi aprirsi e mettere fine alla nostra assurda vicenda.

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Capitolo 11
*** 11 ***


11
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Pochi giorni dopo l’incidente dovemmo ripartire per lo Yemen perché quattro cittadini francesi, due coppie di giovani sposi, erano stati rapiti durante un viaggio, presumibilmente da una tribù di  ribelli sciiti.
Avevamo il compito di trovare il luogo dove fossero tenuti gli ostaggi  e dopodiché, per la loro liberazione,  avremmo dovuto chiedere il supporto delle milizie yemenite che erano apparse comunque brancolare nel buio per quanto riguardava la loro individuazione.
Arrivammo a Sana'a e fummo subito rapiti dalla bellezza del paesaggio che, nonostante la pericolosità dei luoghi, attirava da centinaia di anni migliaia di turisti.
Era un paese famoso sin dall’antichità, quando era la sede del regno della Regina di Saba, fiorito mille anni prima di Cristo. Un paese che, nemmeno negli anni d’oro del turismo, si era fatto trasformare dalle mode straniere.  Per molte persone, scrittori e intellettuali, era il paese più bello del mondo.
Iniziammo subito a spostarci verso Noshur, l’ultima città dove avevano dato notizie di loro, prima di sparire nel nulla e una volta giunti lì, iniziammo a comportarci come comuni turisti, cercando di interagire con la gente del posto e regalando caramelle ai bambini. Il piano di azione prevedeva che ci mettessimo in mostra, con il preciso intento di essere, a nostra volta rapiti.
Eravamo assolutamente consapevoli della pericolosità della missione che, molto più di altre missioni, metteva in pericolo le nostre stesse vite, ma nessuno di noi parve dare una particolare importanza al rischio che stavamo correndo.
La liberazione degli ostaggi era per noi la priorità.
Continuammo a gironzolare per le vie della cittadina, inoltrandoci lungo la strada che conduceva verso Saada, distante dodici chilometri.
Dopo cinque giorni, mentre stavamo percorrendo una strada polverosa, dalla quale si poteva ammirare il meraviglioso paesaggio di Saada in lontananza, una jeep ci superò e ci sbarrò la strada.
 
“Ci siamo” dissi cercando di mantenere il sangue freddo “attivate il segnale sui satellitari, ce li toglieranno subito ma non si accorgeranno che stanno trasmettendo la nostra posizione”.
 
Dalla jeep scesero quattro uomini col volto coperto e i mitra in mano che ci intimarono di scendere dal nostro fuoristrada.
Uno di loro afferrò Andrè che era al volante e lo trascinò bruscamente fuori dalla macchina In quel momento mi mancò il respiro e, per la prima volta da quando avevo iniziato a lavorare a Parigi, sentii che avremmo potuto non fare ritorno da quella missione.
Ci caricammo sulla jeep dopo averci bendati e sequestrato documenti e cellulari.  Sistemai in qualche modo sul sedile posteriore della camionetta, sentivo i corpi di Alain e Andrè a contatto con il mio che, diversamente da me, avevano le mani legate. Nessuno di noi parlava, ma senti il bisogno di posare una mano sulla gamba di Andrè nel tentativo di tranquillizzarmi attraverso il suo contatto e  al contempo di rassicurare lui.
Viaggiammo per un paio di ore, dopo avere percorso una strada in salita e poi la jeep si fermò e fummo fatti scendere.
Una volta percorsi alcuni passi, quando ebbi la sicurezza di sentire intorno a noi delle voci di sottofondo che non provenivano dai rapitori,  mi feci cadere per terra e all’uomo che mi sollevò tirandomi su malamente, chiesi dell’acqua rivolgendomi a lui in arabo.
 
“Io sono incinta, gli dissi, ti prego, dammi dell’acqua da bere  e gettala anche sul viso, mi sento male, per favore”.
 
Evidentemente sorpreso dal fatto che mi rivolgessi a lui nella sua lingua, mi tirò via dal viso la benda e mi trascinò verso un pozzo.  Mi accasciai ai piedi della piccola struttura  circolare e aspettai  immobile che tirasse su dell’acqua che poi mi versò sulla testa. E fu in quel momento attuai la prima fase del mio piano.  Gettai nel pozzo una capsula che avevo nella tasca contenente un batterio che aveva il compito di infettare l’acqua.
L’uomo mi sollevò nuovamente da terra e mi trascinò verso la  piccola porta di una casa di argilla e pietra dove avevo visto portare Andrè e Alain.
Entrata nella casa,  trovai ad aspettarmi un uomo con una barba bianca molto lunga  che non avevo ancora visto e Andrè e Alain che senza le bende mi guardavano sollevati.
 
“Lei è mia moglie” disse Andrè e lui suo fratello, rispondendo in arabo alla domanda che gli aveva posto l’uomo”.
 
“Come sai l’arabo?” gli chiese l’uomo.
 
“Sono un dottore e ho lavorato in Algeria per alcuni mesi e ho imparto un po’ di arabo”.
 
Non mi chiesero invece come potessi conoscere la loro lingua, evidentemente non giudicando  la mia persona degna di ulteriori approfondimenti.
L’uomo con la barba bianca, che ebbi l’impressione essere il capo della banda, ordinò all’altro di portarci in un locale adiacente a quello in cui eravamo.
Ci condusse in una stanza più grande ma molto buia a causa della mancanza di finestre, e sentimmo subito delle voci provenire dal fondo della stanza.
L’uomo liberò i polsi di Andrè e Alain e chiuse la porta.
Dopo alcuni istanti, la nostra vista si abituò al buio e riuscimmo a percepire la presenza di altre persone.
 
“Chi siete?” dissi andando verso la loro direzione.
 
“Siamo stati rapiti  più di due settimane fa e voi? Siete francesi vero? Siete stati rapiti anche voi?” disse uno di due uomini che ancora era seduto per terra.
 
“Siete Jerome, Therese, Guillame e Amelie?” chiese Alain.
 
“Si, ma come lo sapete, ne stanno parlando in Francia?”.
 
“Si, stanno lavorando per liberarvi. Siamo qui apposta, state tranquilli. Siamo nei corpi speciali, vi tireremo fuor idi qui”.
 
“ Oh Signore grazie” disse una delle donne.
 
“Ascoltatemi attentamente” dissi “da questo momento nessuno deve più bere o mangiare niente. L’acqua è stata infettata con un batterio che nel giro di alcune ore si diffonderà in questa casa è all’interno di un villaggio e la malattia ridurrà la loro resistenza”.
 
Rimasero tutti attoniti ma fu Andrè a rompere il silenzio.
 
“Cosa hai detto? Chi ha contaminato  l‘acqua?”
 
“Io, mi sono fatta condurre ad un pozzo e ci ho buttato una capsula”.
 
“Che batterio è?” disse concitato
 
“XRR2” risposi
 
“Che importanza ha?”
 
Non capivo il senso delle sue domande.
 
“Siamo in un villaggio abitato da berberi qui, non hai sentito le voci dei bambini? Quando il batterio si diffonderà la gente si ammalerà con sintomi gastrointestinali che qui saranno letali soprattutto per i più piccoli. Perché non me l’hai detto?”
 
Andrè era agitato e iniziavo a mia volta ad innervosirmi.
Lo presi per un braccio e lo trascinai in un angolo della stanza.
 
“Non ero tenuta ad avvisarti e non sapevo  se avrei visto un pozzo oppure no. Ma non capisci? Se  chi ci ha rapito sta male, l’esercito yemenita non troverà molta resistenza quando arriverà? Avresti preferito una sparatoria tra la gente?”.
 
Cercavo di parlare sottovoce ma il mio tono evidenziava molta agitazione.
 
“Tu non sai cosa hai fatto, qui moriranno di disidratazione!”.
 
Continuava a stringere il mio braccio e iniziava a farmi male.
 
“Devo portare via di qui gli ostaggi e questo era l’unico modo per evitare perdite. E se ti ricordi bene, ci siamo anche noi tra gli ostaggi, Andrè. Il resto non mi riguarda”.
 
“Tu non ragioni, non puoi parlare seriamente. Ma non ce l’hai una coscienza, dei principi? Persegui il tuo obiettivo e non ti curi di chi ti sta intorno! Per salvare quattro sprovveduti rischiamo di provocare la morte di decine di persone. Ma certo, ci sono vite che contano più di altre, non è così?”.
 
“Qui comando io Grandier, non lo dimenticare”.
 
Sentimmo la porta aprirsi ed entrarono due uomini che ci gettarono i pochi bagagli che avevamo con noi.
Si soffermarono a guardarci e poi se ne andarono.
Alain si avvicinò a noi.
 
“Smettetela subito e vedete di recitare la parte degli sposini terrorizzati per essere stati rapiti, voi due, altrimenti questa missione va a puttane! Datevi una regolata!”.
 
Alain aveva ragione, guardai Andrè e smisi di ribattere. Non potevamo correre il rischio di mettere in pericolo la liberazione degli ostaggi e le nostre stesse vite. Avremmo rimandato la discussione una volta liberi.
 
 
 
Passarono alcune ore e giunta la notte, ci sdraiammo per terra nel tentativo di rilassare i nervi. Da una minuscola  finestra posta in un angolo della stanza, si intravvedeva l’oscurità della notte che aveva avvolto  quel piccolo pezzo di mondo dal  quale eravamo stati inghiottiti.
Accovacciata  in un angolo della stanza, guardavo nel vuoto, pensando al litigio con Andrè. Non mi ero neanche posta il problema di mettere in pericolo la vita degli abitanti del villaggio e adesso mi sentivo in colpa. Ero però convinta che non avrei potuto agire diversamente. Andrè era un idealista, a differenza mia e il suo timore per la vita dei bambini rispecchiava perfettamente la sua indole generosa e altruista.
Ad un tratto sentii un rumore e lo vidi sdraiarsi vicino a me.
 
“Gli sposini dormono vicini” mi disse.
 
“Non sei obbligato a rimanere qui”.
 
Mi pentii subito della mia frase.
 
“Temo di si, altrimenti Alain prenderà il comando della missione. Tuo fratello ha un brutto carattere, cara.
 
Sorrisi a quella frase, sperando di non essere vista.
 
“Si, ma anche mio marito non scherza” dissi girandomi verso di lui.
 
“Guarda cara, in quanto a brutto carattere temo che mia moglie non tema rivali”.
 
Sorrisi di nuovo.
 
“Ce l’hai con me, vero??”
 
“Un po’si. Sono preoccupato”.
 
“Siamo in gabbia, te ne sei accorto ?”.
 
“Vieni qui”
 
Tirò delicatamente il mio corpo verso il suo e passando un braccio sotto il mio busto mi strinse  a sé”.
 
Mi ritrovai tra le sue braccia, lui supino e io appoggiata al suo petto, esattamente nella posizione che ci aveva visto giacere tra le lenzuola dopo esserci amati  quella notte di luglio e il mio cuore ebbe un sussulto. Anche in quella drammatica situazione,  la mia attrazione per lui aveva il sopravvento.
Mi tenne stretta qualche minuto, senza parlare, disegnando dolcemente cerchi sulla mia pelle, fino a quando, improvvisamente lo sentii sciogliere il suo abbraccio e sollevare il corpo dal mio.
Vidi il suo viso farsi sempre più vicino e senti il calore delle sue labbra sulle mie e  poi  la lingua posarsi lentamente e farsi un varco nella mia bocca. Spalancai gli occhi, stupita da quel bacio che si stava facendo sempre più profondo.
Aprii sempre di più le labbra fino ad accogliere pienamente la sua lingua che mi stava sconvolgendo i sensi e procurando sensazioni tanto forti da fare cadere ogni mia difesa. E il sapore della sua saliva ebbe l’effetto di riportarmi con la mente a quella magica notte di luglio.
Il mio corpo immobile sotto il suo tocco, incapace di reagire, ma silenziosamente impaziente di sentire su di me il suo peso, la sua presenza.
Poi, improvvisamente, quando stavo per attirarlo ancora di più contro di me,  si ritrasse dalla mia bocca lasciandomi ansimante e disorientata.
 
 “Perché l’hai fatto?” chiesi.
 
“Un giorno te lo dirò” mi disse.
 
“E meglio che tu riposi un po’ Françoise, penso io a sorvegliare la situazione.
 
“Andrè, gli ho detto che ero incinta”.
 
“Va bene. Dormi” sussurrò.
 
Lo vidi girarsi dandomi le spalle e dopo un po’ mi girai anch’io e sentii le nostre schiene aderire. Mi aveva baciato e in quel’istante, ogni pensiero, ogni preoccupazione era svanita nel nulla. Rimasi immobile, con gli occhi persi a fissare il buio, attirata solo dal rumore del suo respiro,  finché percepii di nuovo i suoi movimenti e mi sentii abbracciare. Ora la mia schiena aderiva al suo torace e le sue braccia avvolgevano il mio corpo. Il suo viso perso tra i miei capelli, il suo alito bollente sul mio collo, la sua gamba intrecciata con le mie. 
Trascorsi tutta la notte stretta a lui  e mi sentii così al sicuro che riuscii a riposare per un paio ore.
 
 
La luce flebile  che entrava dalla minuscola finestra segnò il nostro risveglio. Il rumore sordo della porta aperta e subito chiusa da uno di rapitori che imbracciava un mitra ci fece trasalire.
 
“Sei un dottore tu, vero?” disse rivolgendosi ad Andrè e al suo cenno affermativo, lo afferrò per la camicia e lo spinse verso l’uscita.
 
Mi avvicinai ad Alain e insieme cercammo di valutare come agire. Il batterio stava evidentemente iniziando a diffondersi tra gli abitanti e c’era la necessità di cure.
Andrè non avrebbe potuto fare molto per loro, vista la mancanza di farmaci e in considerazione  che la malattia era solo alla fase iniziale della diffusione.
 
“Tra poche ore potrebbero essere qui, ormai ci avranno individuato, non possiamo rischiare che Andrè non sia qui al momento dell’arrivo dell’esercito” dissi.
 
Restai accanto a lui in silenzio, sperando di rivedere Andrè il prima possibile. Dopo un tempo che mi sembrò interminabile lo ricondussero nella nostra piccola prigione.
 
“Non ho medicine, non posso fare niente per loro. Alcuni bambini stanno già male”.
 
“Non è del tutto vero. Vieni”.
 
Lo portai verso la borsa  che ci avevano gettato dopo averla perquisita nella erano rimasti alcuni dei miei indumenti e gli mostrai che, nascosti dietro una cucitura, c’erano delle pillole bianche”.
 
“Queste erano per noi, nel caso ci fossimo infettati . Puoi dare la mia parte a un bambino. Per le altre, non voglio decidere io”.
 
Mi guardò stupefatto e rimase in silenzio.
 
“Alain, tu cosa dici di fare? gli chiese.
 
“Dà pure al mia parte ai bambini, non ti preoccupare di me. Tanto qui stiamo crepando di sete, tanto vale aiutare qualcuno”.
 
Andrè urlò per attirare l’attenzione degli uomini di guardia che, aperta la porta  lo ricondussero via di nuovo.
 
“L’amore a volte fa fare cose impensabili, vero?” disse Alain rivolgendosi a me.
 
“Cosa?”.
 
“L’amore, per un uomo, per dei bambini sconosciuti, l’amore in genere, insomma”.
 
Non risposi ma abbassai lo sguardo e non potei evitare di pensare che avesse ragione.
 
Era quasi giunta nuovamente la sera quando la situazione precipitò. Senza bere e mangiare, iniziavamo a sentirci  piuttosto deboli e il timore di non essere pronti per la liberazione si insinuò nelle nostre menti.
Chiusi senza possibilità di liberarci all’interno della nostra buia prigione, avvertimmo  un susseguirsi di spari, urla e poi di nuovo spari. Poi non sentimmo più nulla e iniziammo allora a urlare  per segnalare la nostra presenza.
Tutto andò come previsto e il piano ideato per la liberazione fu un successo anche se in fondo, qualcosa dentro di me, mi turbava nel profondo. Forse Andrè aveva ragione, mi ero comportata come una persona senza principi.
Non seppi più nulla delle sorti di quella gente.
Tornammo a Parigi con un aereo militare ma durante il viaggio notai che Andrè si teneva a distanza da me.
Pensai che ci sarebbe voluto un po’ di tempo per dimenticare quello che era accaduto. Probabilmente, in questo momento io ero ai suoi occhi una persona orribile. La mia mente tornò improvvisamente a quel bacio inaspettato  che  aveva voluto darmi nel fondo della nostra prigione.
 

*

 
Alcune sere dopo essere rientrati a Parigi  ci ritrovammo in uno dei soliti affollati  locati per festeggiare l’esito positivo della missione.  Tutti i telegiornali del mondo parlavano della liberazione degli ostaggi francesi.
Ero arrivata nel posto in compagnia di Alain e quando vidi Andrè fui nuovamente colta da un vortice di emozioni che premevano come una morsa sullo stomaco e che mi sconvolgevano i sensi.
Essere stata di nuovo tanto vicina a lui, averlo baciato,  aveva inevitabilmente alimentato il mio desiderio a tal punto che pensai che non valesse più la pena di rinunciare a lui, che in fondo, l’unica cosa che davvero contava nella vita era amare e essere amati.
Erano questi i pensieri che occupavano la mia mente quando mi si avvicinò sorridendo porgendomi un drink.
Ci ritrovammo a parlare in una parte del locale al riparo da occhi indiscreti. Tra di noi una sintonia quasi palpabile.
 
 “Ce la siamo vista brutta questa volta, accidenti!”.
 
“Si, siamo stati i turisti più sprovveduti della terra” disse ridendo.
 
“Verissimo, non vedevamo l’ora di essere rapiti!” continuai io per sdrammatizzare la situazione “potremmo scrivere un manuale per i perfetti rapiti”.
 
“Si, e invece di un albergo, consigliamo l’hotel “prigione buio pesto” continuò Andrè strappandomi un’altra risata.
 
“Andrè mi spiace per l’acqua, io ho eseguito gli ordini….”
 
“Non ti preoccupare, J, tu non hai colpa"
 
Smisi di parlare e presi a fissarlo negli occhi. Era talmente bello da non sembrare reale e mi sentivo così agitata che faticavo a mantenere un ritmo regolare nel respiro.
Mi avvicinai ancora di più a lui e posai la mia mano sulla sua, stringendola piano.
Mi sorrise e dopo avere a sua volta stretto la mia mano, sentii le sue dita insinuarsi con dolcezza tra le mie per poi chiudersi in una morsa dalla quale non avrei mai più voluto liberarmi.
Il suo corpo sempre più vicino al mio, i nostri visi visibilmente in fiamme sembravano toccarsi. Il calore del suo alito aveva annullato qualunque mia  resistenza e non nascosi il fremito che la sua vicinanza suscitava al mio corpo.

“Andrè” sussurrai soffermandomi vicino alla sua  bocca.
 
“Françoise, tu mi farai impazzire”.
 
“Sto impazzendo anch’io, Andrè, sto impazzendo”.
 
Nella mia frase una preghiera suadente.
 
“Andiamo via, J”.
 
Non risposi e iniziai a seguirlo lungo i corridoi di quel locale affollato, mano nella mano, incurante che qualcuno potesse accorgersi della nostra intimità.
Ma fu proprio lungo i pochi metri che ci separavano all’uscita che accadde qualcosa di così assurdo a cui sembra impossibile  trovare una ragione.



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Capitolo 12
*** 12 ***




12
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Avevo deciso di seguire Andrè  che mi stava conducendo verso l’uscita di quel locale, sicura che dal momento esatto in cui avessi oltrepassato la soglia con la mia mano ancora nella sua, tutto sarebbe ritornato ad essere esattamente come quella notte di luglio quando era entrato in punta di piedi nella mia vita.
Abbandonate le armi, stavo lasciando che il mio cuore prendesse il sopravvento sulla mia assurda razionalità per consentire a me stesa di essere, finalmente, totalmente e completamente felice.
Lo sentivo parte di me, del mio cuore, della mia essenza e ciò che provavo in quel momento era talmente intenso da non lasciare spazio alla ragione.
Mentre percorrevano la strada che ci avrebbe portato fuori accadde qualcosa che mise miseramente fine a tutte le speranze  e illusioni. 
Le nostre mani, travolte dalla gente che proveniva nella nostra direzione, si staccarono improvvisamente e  in quell’istante mi sentii afferrare il braccio da una persona che pronunciava il mio nome.

“Françoise, ma sei proprio tu? Che fai qui? Ma che bella sorpresa!”.

Guardai l’uomo che aveva interrotto la mia fuga con Andrè e riconobbi un amico che non vedevo da diverso tempo. Armand  Auguste de la Fressange era il  nobile nipote di un’amica di mia nonna. Avevo passato alcune  estati con lui, in vacanza con la sua famiglia e non lo vedevo da tanto tempo. Dai racconti di mia nonna, sapevo che si era affermato come Avvocato.
Armand era un bellissimo uomo, dotato di fascino e in possesso di quello charme tipico degli aristocratici ricchi e colti che sembrano spesso provenire da un mondo lontano e  misterioso. Ero sempre stata attratta da quel suo viso dai lineamenti perfetti e dai suoi occhi chiari che da bambina  mi guardavano con amicizia.
Ricordai che, in realtà, quell’uomo elegante era stato il mio primo amore infantile, perchè avevo riversato su di lui quei dolci sogni  di bambina che mi vedevano, una volta cresciuti, percorrere in abito bianco la navata di una chiesa al cui altare, lui mi avrebbe attesa per prendermi in sposa.

Risi di quel ricordo.

“Armand, ciao, quanto tempo” risposi  mentre lui mi baciava tre volte le guance.

“Sei sparita nel nulla, non abbiamo più avuto notizie, io e gli altri ragazzi, ma che fine hai fatto? Dobbiamo assolutamente rivederci. Ogni tanto incontro tua nonna ad una delle feste organizzate dalla mia famiglia al castello di Cheron. E’ ancora molto in gamba, no?”

“Si, si certo”.

“Françoise, sei bellissima, sei diventata ancora più bella di prima, sei una visione. Con chi sei qui?”.

“Con alcuni colleghi, stiamo festeggiando una cosa che si è risolta bene”.

“Ma sei ancora nell’esercito?”chiese incuriosito.

“Si” consueta risposta evasiva da parte mia.

Iniziai a rispondere distrattamente alle domande che continuava a rivolgermi  Armand e nel buio della discoteca  cercai di vedere dove fosse finito Andrè.
Non lo vedevo più vicino a me. Io mi ero fermata ma mi ero accorta che dopo una breve attesa,  lui aveva continuato a camminare.
Dopo alcuni minuti, seguita da Armand, mi diressi verso il bar e ad un tratto lo vidi. Appoggiato ad uno sgabello, parlava con una ragazza molto appariscente che gli stava di fronte, in piedi,  e ridevano vistosamente. 
Chi diavolo era quella donna?
Lo vidi buttare giù un paio di alcolici. Sembravano piuttosto intimi e anche lui aveva un’espressione  molto divertita.
Rimasi gelata da tanta confidenza e per alcuni istanti mi fermai ad osservare la scena, fino a quando vidi lei avvicinarsi al suo viso, stringere con le mani le sue guance  e posare sulle sue labbra un bacio.
E lui rise di nuovo e la attirò a sé trattenendola per la schiena per poi ricambiare quel bacio,e dopo essersi alzato,  passarle un braccio sopra le spalle e condurla verso l’uscita.
Smisi di respirare. Cosa diavolo era accaduto?
Fino a pochi minuti prima sembrava tutto così chiaro, semplice, risolto e adesso lui stava portando con sé un’altra donna.
Misi a tacere la mia razionalità e il mio orgoglio che mi suggerivano di lasciare perdere, di scappare, di evitare ogni chiarimento e mi ritrovai a seguirli, camminando velocemente,  fino a quanto fui vicina a lui.
Lo afferrai per un braccio pronunciando il suo nome e arrestando il suo cammino verso l’uscita.
Si girò a guardarmi, sul viso un’espressione ancora divertita e tra le braccia quella donna che sembrava non badare a me.

“Dove stai andando? Chi diavolo è questa? Io….io….credevo che tu avessi capito. Che noi…noi……Andrè…… perchè ?”.

Dissi questa frase balbettando e cercando di sostenere il suo sguardo che mai come in  questo momento mi era sembrato freddo e distante”.

Alain si era avvicinato a noi attirato dal nostro strano comportamento.

“Non c’è niente da capire Françoise, ho voglia di scopare e mi sembra che tu, questa volta, non sia disponibile”

Ricordo solo il rumore del mio  schiaffo sulla sua guancia e l’espressione di rabbia dipinta sul suo volto.

“Non ti azzardare mai più, non ti permettere più, mai più”.

“Ma che diavolo!” sentii esclamare da Alain che era rimasto basito dalla scena.

“Chi è questa, cosa vuole?” sentii dire a lei.

“Ma come ti permetti! Sei un animale” aggiunse Armand riuscendo ad accrescere l’ira di Andrè che stava per perdere il controllo.

“Ecco brava, vai da questo damerino imbalsamato, ti si addice benissimo”

E prima che chiunque potesse aggiungere una sola parola, mi ritrovai a percorrere il corridoio verso l’uscita,
desiderando in quel momento di sparire per sempre.  
Chi si era trovato vicino a noi, quella donna e soprattutto Alain aveva  potuto sentire con chiarezza la frase di Andrè che non asciava certo dubbi all’immaginazione e che, se possibile,  dipingeva una situazione ancora più promiscua e squallida di quanto non fosse nella realtà.
Mi sentivo umiliata, offesa, tradita dalla persona che più di ogni altra aveva rappresentato qualcosa di prezioso per me.  Percorsi quasi correndo la strada che mi separava dal posteggio dei taxi quando udii dietro di me una voce che mi chiamava, una voce che avevo riconosciuto subito e che non era affatto quella che  per un istante avevo sperato di sentire dietro di me.
Mi voltai e vidi Armand venire nella mia direzione.

“ Fermati Françoise, non scappare così. Ti porto a casa io””.

Decisi di seguirlo incapace di obiettare. Salii sulla sua auto e rimasi in silenzio per alcuni minuti, ancora sconvolta.

“Stai bene? Ma chi cavolo era quello? Farneticava, diceva  frasi assurde”.

“Non farmi domande” gli dissi tremando.

“Non voglio parlarne”.

Facevo fatica a trattenere le lacrime ma cercai di soffocare il pianto.

“Va bene, non ti chiederò niente di quello che è successo”.

“Abiti ancora in Rue de Rivoli? “.

Non risposi alla sua domanda. Mi voltai verso di lui e mi soffermai alcuni secondi ad osservarlo.

“Portami da te” gli dissi con un filo di voce.

 
 
 

Mi odierete lo so, ma prima di insorgere e volere la mia testa, vorrei spezzare una lancia per Andrè e Francosie. Credo che tropo amore, troppa tensione e troppa insicurezza possano portare a vedere cose che non esistono, a raccontarsi verità dolorose, con l’intenzione di ferirsi da soli, per evitare le ferite, ben peggiori, causate dagli altri.  E’ una discesa nell’autodistruzione che sembra caratterizzare i personaggi a questo punto del loro percorso, proprio quando tutto sembrava chiarito e risolto.
Ma io tifo per loro, spero che riusciranno a ritrovarsi.
Vorrei ringraziare chiunque abbia deciso di lasciare una recensione alla mia storia e ovviamente anche chi ha ancora la pazienza di leggermi. Grazie ragazze 





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Capitolo 13
*** 13 ***


13
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Ritornai nel mio appartamento nel cuore della notte.
Disseminai vestiti e biancheria lungo il corridoio  che portava al bagno e, dopo avere aperto l’acqua, mi accovacciai dentro la doccia.  Sentivo un disperato bisogno di lavarmi, di togliere dal mio corpo ogni traccia di Armand.
Alzai il viso per guardare le piccole gocce brillanti che invadevano il mio corpo. 
Ero stata a letto con lui.
Gli avevo concesso il mio corpo per dimenticare quello di Andrè.
Gli avevo permesso di avermi, di godere di me, mossa da un’insana ricerca di vendetta e di espiazione.
Volevo farmi del male, farlo ad Andrè che non si era fatto scrupoli a ridere di me e dei miei sentimenti.
Volevo dimenticarlo, cancellarlo dalla memoria e dai sensi, volevo costringere il mio corpo e il mio cuore a accogliere un essere nuovo, estraneo, che potesse stordirmi  e mettere fine al mio dolore.
Non avevo più fatto l’amore con nessuno, dopo Andrè, e in quel momento avevo creduto di potere trovare sollievo tra le braccia di un altro.
Ma ciò che ottenni fu solo la  triste e cruda consapevolezza  che la notte con Armand non aveva minimamente intaccato quel mare di sentimenti e emozioni che mi legavano ad Andrè e che mi portavano, nonostante tutto,  a desiderarlo, amarlo e odiarlo allo stesso momento.  
Perché adesso, a quel fiume di emozioni che mi avevano profondamente sconvolta, adesso si aggiungeva rancore, una rabbia che mi annebbiava la mente e che mi faceva tremare.
Cosa gli avevo fatto  di tanto grave per provocare la sua reazione?  Era riuscito nel suo piano di vendicarsi per il mio rifiuto o era la sua misera vendetta per avere infettato l’acqua. Mi odiava così tanto?
Aveva visto un cedimento da parte mia e aveva finito per infrangere la mia corazza?
Non riuscivo a spiegarmi tanta cattiveria da parte sua ma dopo un po’ arrivai a pensare che, in fondo, non avesse alcuna importanza la motivazione che aveva provocato il suo comportamento.
Quella serata aveva  dimostrato, senza possibilità di replica, quanto fosse pericoloso, imprudente e azzardato, continuare a lavorare con Andrè.
Avevo sperato di mantenere sopiti i miei sentimenti, ma alla prima occasione avevo vacillato e mi ero aperta a lui. Non mi sarei mai più potuta permettere una cosa del genere.
Sarei stata una pazza e avrei inesorabilmente messo in pericolo la mia carriera.
Mi sdraiai  sul letto ancora nuda.
Il mio rapporto con Andrè era orami irrecuperabile e anche la relazione con Alain era irrimediabilmente compromessa. Non avrei più potuto essere un comandante credibile e affidabile per quella squadra.  
Presi l’unica decisione che mi sembrava sensata, e che stava diventando abituale negli ultimi tempi.
Scappare.
Avrei accettato qualunque missione mi avesse portata lontano da Parigi. Aspettai ancora qualche ora e chiamai  Dupois chiedendo di affidarmi un nuovo incarico.
Non mi fece domande e mi affidò una missione nel sud della Francia.
Avrei avuto tempo per riflettere e per chiarirmi  le idee.
Feci velocemente le valige e prima di partire guidai in direzione di Versailles. Volevo  salutare mia nonna che non andavo a trovare da un po’.

“Françoise, che sorpresa, tesoro”.

“Sono venuta per salutarti nonna, parto per alcune settimane ma non andrò molto lontano questa volta e non sarò in zone di guerra. Quindi sta tranquilla”.

“Vai con la tua squadra, tesoro?”.

“No da sola. Vado da sola”.

Dissi quelle parole lentamente, pensando a quanta fatica avessi fatto per raggiungere un equilibrio con Alain ma soprattutto con Andrè. Tanta fatica sprecata perché adesso sarei scappata come una codarda.

“C’è qualche problema, cara?” chiese con tono preoccupato.

“No, è solo che devo allontanarmi per un po’, non è successo niente, ma probabilmente non tornerò più a lavorare con loro. Non è stata un’idea felice tornare a Parigi. Alcune cose sono andate per il verso sbagliato”.

Chiusi gli occhi e seduta con i gomiti sulle ginocchia presi la testa tra le mani. Mi scoppiava.

“E’ accaduto qualcosa con Andrè, vero?”.

Le parole di mia nonna mi fecero sobbalzare ed ebbero l’effetto di scuotermi nel profondo.

“io non posso più stragli vicina, è troppo difficile,” bisbigliai coprendomi il viso con le mani.

“Cosa è successo cara?”.

“Ho conosciuto Andrè  una sera di luglio a Versailles e sono stata subito molto presa da lui, c’è stato qualcosa  di speciale tra di noi ma io non gli ho detto la verità sul mio lavoro e su chi fossi. Tornata a Parigi, l’ho trovato nella mia squadra e non ho più saputo gestire la situazione. Ho preferito chiarire subito che tra di noi non avrebbe potuto esserci niente e lui l’ha accettato, fino a quando io stavo per rivedere la mia posizione,  ma a quel punto mi ha deluso profondamente. Credo che ce l’abbia con me per una cosa che è accaduta durante l’ultima missione, non so, ma non posso più lavorare con lui”.

“Oh cara, ma questa è una coincidenza incredibile.  Ti innamori di un uomo e mesi dopo te lo ritrovi come collega”.

Aveva ascoltato il mio racconto in silenzio osservandomi con attenzione.

Poi, ad un tratto, si fece più vicina e sussurrò “Non ti preoccupare, tutto si sistemerà, vedrai. Ogni tassello andrà al posto giusto”.

“Cosa? Che vuoi dire?”  esclamai confusa più di prima.

“Abbi fede, bambina, ma ricordati che scappare non serve a nulla, tesoro. Non è scappando che lo dimenticherai, non servirebbe a nulla”.

“Io devo andare via, devo, non ho scelta a questo punto!”.

“Vedrai che vi chiarirete, non si può scappare deal proprio destino, Françoise”.

Non capivo a cosa  si stesse riferendo e preferii lasciare perdere. Del resto, ogni tanto mia nonna si perdeva in strani discorsi sentimentali e io non ero solita affrontare liberamente argomenti così personali.
La salutai e mi rimisi in macchina, mi aspettava un viaggio piuttosto lungo ma decisi di fermarmi nell’unico posto dove avrei trovato  un po’ di conforto.
Percorsi Boulevard Saint Antoine fino a che in Avenue de Trianon mi fermai. Iniziai a camminare  lentamente  lungo il piccolo sentiero che, immerso nel verde, conduceva al palazzo,  finchè mi ritrovai in prossimità della parte esterna.
Rallentai ancora di più i miei passi, alzai lo sguardo e mi soffermai ad ammirare la piccola costruzione di fronte a me.
Sospirai.
Non ero  più stata lì dal giorno in cui avevo incontrato l’uomo che mi aveva rubato l’anima.
Sospirai di nuovo.
Non riuscii a muovere un altro passo verso il Trianon, non avrei potuto rivedere quel luogo, non avrei sopportato di trovarmi, di nuovo, dinnanzi a quello specchio e in cuor mio, sapevo che mi sarei diretta proprio lì.
Dissi addio a quel luogo e me ne andai.

 






Eccomi di ritorno: alcune di voi, leggendo l’ultimo capitolo hanno manifestato molta perplessità, chiedendo all’autrice di spiegare le ragioni di un risvolto considerato poco coerente con il personaggio di Andrè, sempre gentile, educato e perennemente innamorato.
Non c’è molto da spiegare, in realtà, è una questione di sensibilità personale. L’attendente di Madamigella Oscar, in uno dei momenti più tragici della sua vita, si ritrova a strapparle la camicia e a rubarle un bacio.
Questo Andrè, disorientato, geloso, e poi ubriaco cerca vendetta nel modo che ritiene semplicemente il più crudele in quel momento.
Non giudicate lei adesso, perché lo so, è di nuovo in una spirale autolesionista dalla quale sembra faticare ad uscire, ma la sua reazione è seppur da immatura, la più ovvia.
Apprezzo tutti i vostri commenti, positivi e negativi, quindi continuate ragazze e grazie 1000 per il tempo che dedicate alla mia storia
.
 
 
 

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Capitolo 14
*** 14 ***


14
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Ero arrivata a Marsiglia da quasi tre settimane e la missione che mi era stata affidata procedeva piuttosto bene, secondo il programma.
Avevo trovato impiego come Ingegnere presso una industria chimica della zona con il preciso scopo di raccogliere informazioni sull’impianto che, secondo una fonte a nostra disposizione, produceva sostanze che avrebbero potuto essere usate come armi chimiche.
Grazie al mio percorso accademico, mi fu facile ottenere dapprima il lavoro e, in seguito, la fiducia del responsabile della produzione che mi consentiva di essere  a stretto contatto con  gli impianti. Avevo già raccolto diversi elementi di prova e sapevo che il mio compito sarebbe giunto al termine entro pochi giorni.
Mi ero dedicata completamente al lavoro, presentandomi come un ingegnere dedito alla professione che lasciava poco spazio alla vita privata, rappresentazione che in realtà mi corrispondeva pienamente.  
Del resto, in quel luogo, ma anche a Parigi, io non avevo più una vita privata.
Avevo fatto di tutto per occupare la mia mente, per costringermi a non pensare a quanto era accaduto l’ultima sera a Parigi.
Avevo evitato accuratamente di mantenere contatti con Parigi e l’unica persona che sapeva dove fossi finita era Dupois.
Non avevo neanche portato il mio cellulare privato e avevo una linea sicura per le comunicazioni con lui.

“Devo assegnare un nuovo capo squadra al tuo gruppo, Françoise?. Soisson e Grandier fanno molte domande su di te. Ho detto loro che ci eri necessaria per una missione molto particolare ma non hanno smesso di chiedere. Cosa è successo fra di voi?”.

Rimasi un attimo in silenzio.

“Io sto pensando di ritornare in Afghanistan, o in altre zone di guerra. Tornare a Parigi non è stata una buona idea. Non ce la faccio a restare”.

“Ti metto disponibile per la partenza allora? Tra pochi giorni rientri a Parigi”.

“Si, voglio partire il prima possibile”.

“Mi spiace perderti Françoise, sei un ottimo comandante”.

 

*

La primavera si stava già affacciando sui meravigliosi paesaggi della Provenza.
Dopo avere trascorso una noiosa mattina nel mio appartamento, decisi di recarmi a Cassis per rilassarmi di fronte al mare. Avevo bisogno di respirare aria fresca e, nonostante non facesse ancora caldo, la temperatura era piacevole.
Mi fermai in un piccolo bar di fronte al porticciolo turistico, presi un caffè e dopo un po’ decisi di incamminarmi costeggiando le spiagge, finchè mi fermai rapita dal panorama.  Potevo percepire pienamente tutto il senso di pace e al contempo di inquietudine che solo il mare sapeva trasmettere.
Respirai a pieni polmoni  inalando il profumo di salsedine.
E in quel omento, il ricordo di lui tornò ad assalirmi, forte e impetuoso come le onde del mare che si infrangevano sugli scogli dinnanzi a me.
Scossi la testa. Era perfettamente inutile che cercassi di dimenticarlo, avevo  passato giorni a sforzarmi di non pensarlo, a convincermi che avrei dovuto cancellarlo dalla mia mente e dal mio cuore ma era bastata la visione di uno spettacolo così bello per tornare  a riempirmi la mente di lui.
Lo amavo immensamente, profondamente, con tutta me stessa, lo sentivo talmente parte di me che mi ritrovai a pensare che la vita senza di lui non avrebbe avuto senso.
Lo amavo e mi ritrovai a pensarlo, e poi a sussurrare il suo nome, una volta, cento volte,, guardando quel mare che mi sembrava lo specchio del mio tormento.
Mi aveva umiliata, offesa come nessun altro aveva osato fare e lo aveva fatto con la sola intenzione di punirmi e di prendersi  una rivincita.
E non riuscivo ancora a  spiegarmi la ragione di tanto rancore  nei mie confronti proprio quando gli avevo fatto chiaramente capire che lo avrei seguito in capo al mondo.
Ricordai la mia mano, stretta dalla sua, che aveva per incanto placato ogni mio timore e aveva vinto le mie difese.
Non sarebbe stato facile liberarsi del suo ricordo e l’unico modo di farlo era partire in missione per una qualunque destinazione del Medio Oriente.
Lì avrei dimenticato ogni cosa, in fondo, lo avevo già fatto diversi mesi prima, quando ancora non sapevo la vera identità di Andrè.
Mi tornarono però alla mente le strane parole di mia nonna quando mi aveva detto che non avrei potuto scappare dal mio destino. Cosa aveva voluto dire? Per un attimo, ero davvero arrivata a pensare che lui fosse l’uomo con cui avrei passato la vita e mi ero arresa a quel sentimento al quale avevo capito di non potere resistere, ma un istante dopo  mi ero ritrovata respinta, umiliata e offesa.
Qual era a questo punto il mio destino?
Quali strani scherzi mi avrebbe ancora riservato?

“Meraviglioso vero? Viene voglia di farsi un tuffo”.

Mi girai nella direzione in cui avevo sentito provenire la voce e rimasi senza fiato.
Restai a fissarlo in silenzio, con gli occhi sbarrati, e dopo qualche secondo tornai a guardare nella direzione del mare.

“Ciao J”.

“Io non mi chiamo J, Andrè”.

Sentii salire tutto il rancore a cui avevo cercato di reprimere durante le settimane di permanenza a Marsiglia, rancore che adesso stava prendendo il sopravvento, annebbiandomi la mente.
I battiti del mio cuore, irrefrenabili e incontrollati, mi toglievano il respiro.
Percepii la sua presenza al mio fianco.
Il suo guardo rivolto verso l’orizzonte.
Fui io a rompere il silenzio.

“Come hai fatto a trovarmi?” chiesi senza guardarlo

Domanda inutile la mia.

“Beh, non è stato facile, la tua destinazione era coperta dal massimo riserbo, ma sai, conosco un pirata informatico che non teme segreti”.

“Cosa ci fai qui?”.

“Volevo parlarti”.

Si interruppe subito.

“Volevo dirti che parto, lascio Parigi e torno a lavorare come chirurgo. Non so ancora dove, ma credo che possa partire per l’Afghanistan o per l’Irak in tempi brevi”.

Sentii il mio cuore andare in pezzi.

“volevo dirtelo perché tu potessi tornare a Parigi. Me ne vado io. Non c’è affatto bisogno che tu riparta per colpa mia”.

“Io non parto per colpa tua”.

“Si invece. Ti hanno resa disponibile per partire per una zona di guerra. E’ inutile mentire. Stai scappando per colma mia ed è giusto che sia io a rimediare”.

Sospirò.

“Ma prima che sia tropo tardi io devo parlarti, devo capire, devo spiegarti.  Quella sera ho pensato che tu ti fossi fermata con quell’uomo perché avevi cambiato idea su di noi. Io avevo creduto che tu volessi venire via con me, che avessi deciso di dare ascolto al tuo cuore e poi, improvvisamente hai lasciato la mia mano e ti vedo a perdere tempo con quel bell’imbusto e ho creduto che l’avessi fatto apposta, che fossi ritornata sui tuoi passi. E poi ero geloso, ti ho vista ridere con lui ho perso la testa Françoise, avevo bevuto molto e ti ho detto delle cose orribili”.

Mi voltai a guardarlo, incredula. Come era possibile che la gelosia e il timore che avessi cambiato idea su di noi potesse avere scatenato una reazione tanto crudele?

“Il giorno dopo, a mente lucida ci ho riflettuto  e ho iniziato a pensare che forse il timore di un ennesimo rifiuto mi aveva fatto vedere cose che non corrispondevano alla realtà. Sono qui per porgerti le mie scuse, non avrei mai dovuto dire una cosa del genere, neanche se tu avessi voluto lasciare perdere con me,  il mio comportamento  è imperdonabile, ma voglio anche  capire cosa sia successo veramente, se tu hai davvero cambiato idea in quel momento”.

Avevo ascoltato il suo discorso senza fiatare, osservandolo attenta a non perdere neanche  una parola di quelle spiegazioni che  se, da una parte sembravano plausibili e chiarivano quel suo folle atteggiamento, dall’altro mi lasciavano incredula e offesa.
Era questa l’idea che avevo dato di me, quella di una donna talmente  incapace di vivere e accettare i propri sentimenti da non risultare credibile neanche nel momento in cui mi ero aperta a lui e gli avevo fatto capire quanto lo desiderassi?

“Credo che sia perfettamente inutile capire le ragioni di quello che è successo perché non cambierebbe nulla del nostro rapporto. Non ha più alcuna importanza”.

Parole fredde pronunciate con un filo di voce.
Mi voltai dandogli le spalle, non volevo che  mi vedesse piangere e non ero più in grado di trattenere le lacrime che avevano iniziato  a rigare le guance.
Mosse un passo nella mia direzione e si fermò dietro di me Potevo sentire il suo corpo farsi sempre più vicino  alla mia schiena ma restai immobile e in silenzio.
Trattenni il fiato e, dopo alcuni secondi di attesa, vidi le sue mani cingere la mia vita, mentre le braccia si incrociavano sotto il mio sguardo attonito, consentendo al suo corpo di aderire  sempre di più al mio.
Rimasi senza fiato ma subito dopo sentii le sue labbra umide e bollenti posarsi sul mio collo per lasciarvi un piccolo bacio a cui ne seguì un altro sulla spalla.

“Io ti amo Françoise, ti amo dal primo giorno in cui ti ho conosciuta e questo amore è così forte  che mi sta bruciando l’anima. Ti amo più di qualunque altra cosa al mondo e più di quanto immaginavo fosse possibile amare.
E se  anche tu provi un sentimento per me, se ciò  che senti è amore, ti chiedo  di non rinunciarvi perché non c’è ragione al mondo per cui valga la pena rinunciare a vivere l’amore, non c’è ragione per negare a se stessi di essere felici J”.
 
Lentamente, mossa da un impulso che non potevo controllare, sollevai una mano e la appoggiai su quelle di Andrè che non accennavano a interrompere la presa, mentre il suo viso sfiorava ancora il mio collo.
Sentivo la mia corazza andare in pezzi, il muro che avevo eretto infranto da quelle parole.

“Andrè, …….io.”

“Non scappare  più Françoise, ti prego, insieme risolveremo tutto, te lo prometto”.

Senti le sue braccia allentare la presa, si staccò dal mio corpo e mi ritrovai di fronte a lui.
Lo guardai negli occhi ma subito avvicinò il viso al mio e le sue labbra si fermarono sulla mia bocca mentre con le mani asciugava le mie lacrime.
Ma non mi baciò, in attesa di una risposta che ancora non stava arrivando.
Ma prima delle parole giunsero i sensi a confermare la vera natura dei miei sentimenti  e il mio desiderio mi spinse a sfiorare le sue labbra con le mie, in un tocco che non era ancora un bacio.

“Avevi cambiato idea J? ”.

Il suo alito bollente sulla mia bocca.

“No”

“Mi perdonerai mai?”

“Non lo so”

“Vuoi stare con me Françoise? Ti prometto che troveremo il modo, penserò a tutto io ”.

Chiusi gli occhi, immobile e muta in cerca di una risposta. Avevamo sbagliato entrambi ma Andrè aveva ragione, era perfettamente inutile scappare perché l’amore per lui, troppo profondo e troppo intenso  non sarebbe mai svanito.
E forse, davvero, non vi erano ragioni per obbligarsi a non vivere un sentimento tanto raro.

“Françoise”.

Il mio nome suonò come un richiamo dal mio tormento.

“Françoise, mi ami??”

Giunse l’ora della mia resa. Dischiusi gli occhi e trovai i suoi ad attendermi.

“Si”.

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Capitolo 15
*** 15 ***



 

15
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Fare l’amore con Andrè  fu molto diverso dalla prima volta.
Non eravamo più mossi da quell’oscura attrazione che ci aveva spinti,  una calda notte di luglio, inconsapevoli e stupefatti, l’uno tra le braccia dell’altro, adesso potevamo amarci liberamente, potevamo parlare, rivelare i segreti più intimi nascosti nei nostri cuori.
La notte e il giorno trascorsero mentre noi, ancora nel letto, nudi e stremati, non accennavamo ad abbandonare il nostro giaciglio ormai completamene disfato. Avevamo fatto l’amore infinite volte, quattro, cinque, ma sembrava che non riuscissimo a placare quella voglia che ci portava a sfamarci dei nostri corpi, come se dovessimo dimostrare di essere reali e come se avessimo il timore che, anche questa volta, il destino ci avrebbe divisi.
Avevo deciso di appartenergli, di  essere sua, solo sua, e tra le braccia del mio uomo  potevo sentire dissolvere tutta la tensione che aveva segnato i mesi precedenti.
Il suo corpo si muoveva con sapienza  dentro di me regalandomi di nuovo quel medesimo piacere che mi aveva donato mesi prima, tanto intenso e profondo da sentire, in alcuni momenti, di potere perdere la ragione. Desideravo il suo corpo, volevo possederlo e amarlo di nuovo e poi ancora, sempre di più, fino a quando, soddisfatta,  mi abbandonavo mollemente sulle lenzuola.
E dopo avere fatto l’amore trascorrevamo interminabili ore a parlare del nostro passato e del futuro che vedevamo insieme e felici per poi restare in silenzio, abbracciati, a tracciare sulla pelle con le dita segni indecifrabili come indecifrabile sembrava essere in realtà  l’essenza del nostro amore.

“Andrè” mormorai, i nostri corpi nudi distesi a pancia in giù sul letto, i miei occhi dischiusi per incontrare i suoi.

“Dimmi J” sussurrò senza smettere di accarezzarmi la schiena, scendendo lentamente  fino alla rotondità delle natiche, provocando nuovamente in me il desiderio del suo corpo.

“Ti amo, Andrè”.

Sulle sue labbra vidi un sorriso.

“Ti amo dal primo giorno, dal primo istante, forse fin da quando ti ho visto riflesso nello specchio del Trianon”. 

Non ero ancora riuscita a dirglielo ma avevo preso il coraggio a quattro mai e mi ero decisa a pronunciare quelle due parole preziose che, per pudore, non gli avevo ancora detto, neanche dopo avere fatto l’amore.

“Ti amo J e il mio cuore sarà tuo per tutta la vita” sussurrò posando le sue labbra sulle mie per lasciarvi un bacio innocente.

Mi sembrò che nulla al mondo avrebbe potuto rendermi più felice e completa e mi  addormentai tra le sue braccia.
 

*

 
“”Françoise, devo sapere una cosa”.

 Si interruppe titubante.

 “Sei andata a letto con quell’uomo del locale?”

Trattenni il fiato sorpresa e imbarazzata.

“Si”

Sospirò e poi fece una smorfia facendosi ricadere sul letto.

“E’ un amico di famiglia, lo conosco sin da bambina, ma sarei andata a letto con il primo che avessi incontrato solo per sfogare tutta la rabbia che provavo in quel momento”.

“Sono un idiota, ti ho gettato io tra le braccia di quel damerino, accidenti  mi prenderei a sberle da solo”.

“E faresti bene, avrei voluto prenderti a sberle io, in realtà”.

“Se non ricordo male l’hai fatto, no’”.

“Non quanto avrei voluto  e comunque non quanto ti saresti meritato per quella scenata” borbottai stiracchiandomi e mettendomi a sedere sul letto, per tornare poi a guardarlo in viso.  

“E tu? Sei andato a letto con la ragazza di quella sera, vero?”.

Non ero però sicura di volere sentire la risposta.

“Si. Purtroppo si. Ma devo essere stato una tale delusione sotto tutti i punti di vista, intendo, e poi credo  persino  di avere sbagliato il suo nome diverse volte”

“E come la chiamavi?”.

“Indovina. Puoi scegliere tra Françoise, J, ti ricorda qualcuno? Ero talmente ubriaco e confuso che non vedeva l’ora che me ne andassi. Mi ha praticamente messo in mano i vestiti e accompagnato alla porta ”.

“Beh le sta bene così impara a prendersi l’uomo di un’altra!  E io direi che invece qui non c’è proprio motivo per lamentarsi, anzi” dissi sottovoce mentre la mia mano scendeva sotto il suo ventre.

 
*

 
“Andrè, tu non partirai vero? Non lascerai l’esercito”.

Mi ero improvvisamente resa conto che non avevamo ancora affrontato l’argomento.

“Prima di venire a Marsiglia ho parlato con Dupois manifestandogli l'intenzione di lasciare l’esercito, ma credo di fare ancora in tempo a ritirare le dimissioni. Mi aveva dato alcuni giorni di tempo per decidere, sempre che tu non voglia lavorare con me, Comandante”.

“In realtà uno dei motivi che mi ha portato a non considerare possibile una relazione con te era proprio il fatto di ritenere difficile conciliare la nostra storia con il lavoro. Temevo di non  essere più oggettiva nelle mie decisioni, non sarei stata corretta nei confronti di Alain. Andrè, io non metterei mai in pericolo la tua vita, non potrei più farlo, non dopo ieri notte”.

“Cosa vuoi fare quindi?”.

“Non lo so, tu cosa pensi?”.

“Io direi di non prendere decisioni adesso, potremo continuare così come abbiamo fatto fin’ora e vedere cosa  succede. Però credo che non potremmo continuare ad andare in missione per molto tempo”.

“Cosa vuoi dire?”.

“Io voglio avere dei figli con te e non credo che lo Yemen sia lo scenario migliore per concepire un bambino”.
Sorrisi imbarazzata e nascosi il mio viso tra i suoi capelli.

“Beh l’hotel  “prigione buio pesto”  ci era sembrato un luogo perfetto, se non ricordo male, almeno per qualche minuto”

“Già”.

Rise.

“Andrè, quella notte, quando ti ho chiesto perché mi avevi baciato, mi dicesti che un giorno me l’avresti detto. Perché mi hai baciato proprio quella notte? Tu eri molto in collera con me”.

“Si, ero arrabbiato, ma poi ho pensato a quello che sarebbe potuto accadere a me o a te. Per la prima volta da quando lavoravamo insieme, le nostre vite erano seriamente in pericolo e non avrei voluto morire senza avere un ricordo di te. Volevo che le tue labbra fossero le ultime che avessi baciato nella mia vita. Se fosse arrivata la fine, avrei portato con me il tuo sapore sulla mia bocca. Non ho potuto resistere J”.

“Non scorderò mai quella notte Andrè, ti ho sentito così vicino al mio cuore che in alcuni momenti ho persino dimenticato di essere in un posto abbandonato da Dio”.  

“Françoise,  non hai detto niente poco fa, sul fatto di avere dei figli, intendo. Non sarebbe subito, ma voglio sapere cosa ne pensi”.

Un brivido percorse tutto il mio corpo e mi sollevai dal suo torace per guardarlo negli occhi.

“Andrè, ma dici seriamente? Sei sicuro di volere un figlio da una come me? Io non ho mai pensato di potere essere una buona madre, forse perché mi è mancato l’amore di mia madre, io  non  lo so”.

“Saresti una madre meravigliosa J, ne sono certo, tu sai essere materna e amorevole più di quanto ti possa rendere conto adesso. Sei giusta e coraggiosa e sarai una madre perfetta per i nostri figli”.

“Santo cielo, nostri figli!, ma quanti ne vuoi esattamente?”.

“Un paio, per cominciare, poi  altri due o tre” disse ridendo.

“Oddio, ma scherzi?  Sarà più faticoso di comandare una squadra di militari”.

“Quindi la tua risposta è si?”

“Si, ma direi di fermarci a uno, per il momento” bisbigliai tra le sue labbra.

 
 
 
 

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Capitolo 16
*** 16 ***


16

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Rientrammo a Parigi alcuni giorni dopo, la mia missione era terminata e avevamo fretta di comunicare a Dupois che entrambi avevamo cambiato idea e che avremmo voluto ancora lavorare con la stessa squadra operativa.
Avevamo anche deciso di parlare sinceramente con Alain per fare chiarezza su quanto era accaduto tra di noi perché non ritenevamo giusto nascondergli la nostra relazione.

“Eccovi finalmente, vedo che siete rinsaviti! Pensavo che foste ammattiti!  Uno voleva tornare a fare il chirurgo chissà dove, e l’altra la soldatessa di guerra. Non è che avevate in mente di ritrovarvi dall’altra parte del mondo senza di me?” rise fragorosamente lasciando sui nostri visi un evidente imbarazzo.

“In realtà vorremmo parlarti Alain, dobbiamo dirti alcune cose".
Fu Andrè il primo a parlare, capendo che io non avrei saputo da che parte iniziare.

“Eh già” disse ridendo “non è che per caso mi volete dire che vi amate alla follia e che non potete più rinunciare all’amore?”.

Ci guardammo basiti.

“Beh, non fate quelle facce, non sono cieco come credete voi anzi, non sono cieco come voi due. In realtà mi ero accorto subito che c’era qualcosa di strano. Innanzitutto sei comparsa tu e tutte le donzelle che assediavano Andrè sono praticamente sparite nel nulla e lui è diventato più casto di un santo. Ha sistematicamente respinto, sfoderando incredibili scuse, tutti i miei inviti a uscire in coppia con un paio di sventole e non lo aveva mai fatto prima.
Che sia diventato gay, mi sono detto, ma poi ho visto gli occhi con qui il dottore  ti guardava quando pensava di non essere visto, occhi da pesce lesso innamorato, si intende, che ritornavano a essere composti quando eri tu a guardarlo con aria sognante. Mi sono detto: questi due si attraggono come le calamite ma non ero convinto che ci fosse veramente qualcosa di concreto tra di voi perché non volevate nascondere gli sguardi a me, ma a voi. E non capivo.
Quindi, ho  iniziato  a ricostruire i fatti e ho ripensato alla sua faccia quando ti ha vista la prima volta, sembrava che si trovasse di fronte a un  fantasma. Non ci avevo dato peso lì per lì, ma poi mi sono ricordato del suo mutismo di quel giorno e del suo strano comportamento. E da quel giorno il dottore è diventato taciturno pensieroso e un po’ scontroso, proprio come un innamorato respinto.
La prova che non mi stessi sbagliando, che ci fosse qualcosa di scottante tra di voi, l’ho avuta durante la notte della prigionia nello Yemen, quando, nonostante il buio, vi ho visti abbracciati come solo due persone innamorate possono essere. Ma poi, di giorno, siete tornati a non guardarvi neanche, e i conti non mi tornavano più.
Non ho capito subito, ci ho messo un po’, e solo la sera della scenata in discoteca ho avuto un’illuminazione.
Voi non eravate una coppia che “consumava”, non lo sembravate affatto, troppo distaccati, troppo distanti e troppo tesi,  ma la frase di Andrè mi ha fatto capire che invece, in un preciso momento, vi eravate amati.
Quando sei scappata dal locale, ho cercato di seguirti ma poi ho visto quel tipo che ti chiamava e ha pronunciato il tuo nome diverse volte e oddio……..ho avuto un flash.
Françoise, urlava e mi sono improvvisamente trovato a pensare che il dottore, mesi prima, mi aveva sfinito parlandomi della meravigliosa donna che aveva conosciuto a Versailles, di quanto fosse incredibilmente bella, dei suoi meravigliosi cocchi azzurri, dei suoi morbidi capelli biondi che le arrivavano alle natiche, perfette ovviamente, e di quanto fosse stato magico fare l’amore con lei e il nome di quella donna misteriosa, sparita nel nulla il giorno dopo, che parlava l’arabo e partiva per il Medio Oriente qual era? Quale poteva essere se non Françoise?
E non poteva certo essere che il nostro Andrè si innamorasse di qualunque donna bionda chiamata Françoise, sarebbe roba da strizzacervelli.
Ecco, appunto Françoise. E la Françoise di Versailles corrispondeva perfettamente al biondo comandante Jarjayes o J, come si voglia chiamare.
Due più due fa sempre quattro no?".

Rise guardando le nostre facce imbarazzate.

“Per non parlare della disperazione del dottore per averti detto quelle cose farneticanti in discoteca. Si è chiuso a riccio, anche con me, e non ha voluto spiegare niente di quello che era successo e che ci aveva lasciati stupefatti, nonostante continuasse a chiedere notizie di te, tanto da obbligarmi a violare il sistema informatico dell’EOS per vedere dove accidenti fossi finita.
Insomma, avete la mia benedizione, ragazzi, e non vi preoccupate per me, potete pure fare i piccioncini in missione, non mi scandalizzerò troppo, anche se a questo punto vorrei chiedere di aggiungere un quarto elemento nella squadra, femminile, si intende, con il quale possa condividere anch’io qualche momento di svago, tra un ostaggio e l’altro”.

“Che scemo che sei” sorrise Andrè ridendo mentre ricambiava la stretta di mano di Alain.

“E tu trattamelo bene” disse sorridendomi” E’ un bravo ragazzo, ha il cuore d’oro e ricordati che ci sono file di donne pronte a prendere il tu posto”.

“Alain” lo rimproverò Andrè, scoppiando poi a ridere sempre più imbarazzato.

 
 

*

 
“Sono curioso di conoscere tua nonna J, ma se non ci decidiamo ad alzarci da questo letto arriveremo in ritardo e non è un bell’inizio per farle una buona impressione, non credi?”
.

Non smisi di fare scorrere lentamente le dita sul suo petto in un movimento che aveva assunto un ritmo regolare e che mi aveva portato a notare il contrato tra il colore candido della mia pelle e il suo incarnato più olivastro.  

“Tu le farai un’ottima impressione, non temere, lei è sempre stata molto sensibile al fascino maschile e tu la conquisterai”.

“Andrè, il telefono, accidenti è la centrale”. Corsi a rispondere sperando non ci fossero brutte sorprese.

“Capisco, non ti preoccupare, pensiamo a tutto noi, lo dico io ad Andrè, credo che ci vedremo questa sera. Partiremo il prima possibile, stai tranquillo  Gerard”.

Chiusi il telefono e mi lasciai cadere sul letto sbuffante, voltandomi verso Andrè che era ancora sdraiato.

“Cos’è che mi devi dire J, partiamo per dove?”.

“Per la Libia. Magdalene, la figlia più piccola di Gerard, ha seguito un ragazzo libico che ha conosciuto al college. Lui ha voluto tornare in patria per partecipare alle rivolte contro Gheddafi e lei l’ha seguito, ma da alcuni giorni sembra sparita nel nulla”.

“E scommetto che il paparino ti ha chiesto di riportarla a casa, vero? Ma cos’ha quella ragazza nella testa, la Libia è in guerra, è un miracolo sopravvivere. Come cavolo si fa ad andare lì per seguire un fidanzato?”.

“Eh si, Gerard ci ha chiesto di riportarla a casa, non possiamo dirgli di no. Un giorno Alain mi disse che l’amore per un uomo fa fare cose impensabili, non sei d’accordo?”.

“Direi di si, perfettamente d’accordo, io ti seguirei in capo al mondo, infatti sto per imbarcarmi in un’altra missione suicida solo per seguire la donna che amo. L’amore fa commettere solo pazzie, accidenti”.

“Andrè!” sobbalzati fingendo un’aria contrariata “E poi alzati, arriveremo in ritardo”.

“Giusto, è la nostra ultima cena prima di soffrire la fame in Libia, confido nella cucina di tua nonna”.

“Della cuoca di mia nonna, vorrai dire, credo che mia nonna non abbia cucinato neanche un uovo in vita sua”.

“Ecco da chi hai preso, allora” disse ridendo.

“Stupido, diciamo che non ti ho conquistato con le mie doti culinarie”.

Si era alzato dal letto e mi aveva preso tra le braccia.

“Direi di no ma ti amo lo stesso” disse sfiorandomi lentamente una guancia con il dorso della mano.

“Ti amo Andrè, davvero, non dimenticarlo mai”.

 

*
 

La cena fu piacevole e Andrè, come previsto, conquistò completamente mia nonna. Notai che, sin dal suo ingresso a palazzo Jarjayes, la nonna lo aveva accolto in modo molto cordiale e durante la cena continuava guardarlo con aria incuriosita e, incurante del mio imbarazzo, non smetteva di porgli domande sul suo paese di origine, sulla sua  famiglia e infine sul giorno del nostro primo incontro, finchè riuscì ad imbarazzare  anche lui.

“Quindi vi siete incontrati a Versailles ragazzi, vero?”.

“Si, Contessa”.

“Ma ti prego chiamami Elodie, niente Contessa. E l’hai notata subito, vero? Françoise, intendo, del resto mia nipote è una bellezza, non passa certo inosservata”.

“Nonna! Per favore ” la rimproverai “Non si può cambiare discorso?”.

Si guardarono e risero del mio imbarazzo e fui felice di vedere quanto l’atmosfera fosse rilassata.

“Vado a dire di portare il dolce” dissi alzandomi per andare a chiamare la cameriera che, vista la durata dell’assenza, sembrava essersi persa in cucina.

Tornai dopo qualche minuto e varcata la soglia della sala da pranzo, mi sorprese trovare Andrè in piedi, immobile, di fronte al quadro dello sconosciuto antenato che tanto aveva attirato la mia attenzione. 
Mia nonna stava ripetendo anche a lui la solita storia del misterioso antenato sconosciuto che non doveva avere contribuito alla gloriosa storia della famiglia Jarjayes, visto che nessuno sembrava ricordarsi chi fosse.

“Mi dite che quel ritratto è di un uomo Elodie, ma non so, se guardo questo volto io vedo un viso femminile di rara bellezza”.

Mi soffermai a guardare il ritratto e poi tornai a osservare Andrè che sembrava rapito da quell’immagine.

“Ha un’espressione fiera e altera, ma i suoi occhi sono così penetranti, limpidi sembrano capaci di scrutarti nel profondo. E poi Françoise, mi sembra che ti somigli, non trovi? Ha il tuo stesso colore di  tuoi occhi e anche la forma è simile  e persino il biondo dei capelli ”.

“Ma quello è un uomo, come devo dirvelo?” obiettò la nonna.

“Comunque ragazzi, io mi ritiro nelle mie stanze, si è fatto tardi, restate pure quanto volete e tornate a trovarmi presto”.

“Vi ringrazio Elodie, tornerò con piacere”.

“Ma che fai” esclamai mentre Andrè fece una fotografia al quadro.

“Ho un amico antiquario, magari lui potrebbe aiutarci per avere qualche informazione su questo tuo antenato, ti va?”.

“Ok, ma probabilmente mia nonna ha ragione, non ci sarà nulla di così misterioso da scoprire”.

“Si, sarà, forse il tuo avo era talmente vanesio da avere voluto un ritratto dove comparisse più bello di una donna, oppure  in realtà voleva essere una donna, certo che siete strani voi nobili, allora più di adesso, chissà”.

“Andrè” esclamai  con tono di rimprovero mentre mi sentivo prendere tra le braccia.

“Portami in camera tua J, voglio vederla”.

Lo presi per mano e lo condussi al piano superiore.

“Io dormivo qui quando tornavo a Parigi per le vacanze”.

Lo vidi osservare incuriosito i mobili e gli arredi che decoravano la mia stanza. Un ampio letto a baldacchino occupava buona parte del locale.
Si avvicinò senza parlare  alla grande finestra dalla quale si potevano vedere le luci del centro della città.
Poi si volse a guardarmi, percorse i pochi passi che ci dividevano e mi prese tra le braccia infilando le dita tra i miei capelli e liberandoli da un piccolo fermaglio che li teneva parzialmente raccolti.

“Sei così bella J”.

Dalla mia bocca un gemito di piacere quando le sue labbra si posarono sul mio collo dal quale aveva sollevato maliziosamente  i capelli.
Feci ruotare il capo, fino a quando il desiderio di lui iniziò a farsi prepotente e mi ritrovai nella sua bocca, pronunciando come un soffio il suo nome.

 “Ti voglio, Andrè” lo implorai ansimante.

Dopo avere slacciato i bottoni della camicia  e cercato di liberarlo dai pantaloni, senza staccarmi dalla sua bocca lo attirai lentamente verso il letto, avanzando tra le sue braccia a piccoli passi.
Tolti anche i miei pantaloni, mi  sdraiai e lo attirai sopra di me, carezzando il suo petto e i suoi fianchi parzialmente coperti dalla camicia aperta sul suo dorso.
Si sollevò da me per fare lo stesso con la mia camicia che aprì, per poi  spostare il reggiseno e liberare il mio petto ansimante e desideroso del suo tocco.
Guidai le sue natiche fino a che fu dentro di me  e le accompagnai nei movimenti regolari che compivano sopra il mio corpo impazzito di desiderio.

“Ti amo, ti amerò per sempre” promisi tra le sue labbra mentre mi accorsi che dai miei occhi scorrevano lacrime che non potevo controllare

“Sei mia, sarai mia per sempre”.

Lo strinsi a me, aggrappandomi al suo corpo come mossa da un fremito che non cessava di scuotermi e che ancora mi pervadeva quando sentii il suo piacere  liquefarsi dentro di me.
Dai miei occhi ancora lacrime incontrollabili che non volevano cessare di scorrere, neanche quando, immobile sopra il mio corpo, posò la fronte sulla mia e racchiuse la mia guancia nella sua mano.

“Schh, sono qui amore, ci sono io adesso, ci sono io Françoise” bisbigliò sulle mie labbra.

Mi tenne stretta a sé fino a quando il mio corpo, scosso da lievi tremori, non ritrovò la pace tra le sue braccia.
Lui aveva capito. Aveva percepito tutto il dolore la frustrazione, la rabbia che quella bambina, sola in una grande stanza colma di oggetti preziosi, aveva provato. Aveva sentito tutta la sofferenza che la perdita della madre  e l’abbandono del padre avevano provocato in lei e, nel silenzio che in quella notte di marzo avvolgeva l’antico palazzo, aveva teneramente asciugato le lacrime della bambina, diventata donna, consolandola per il suo dolore e promettendo di amarla per semp
re.
 

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Capitolo 17
*** 17 ***



17
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Tripoli era una città sotto assedio, oggetto di sanguinosi scontri tra le milizie del regime e i ribelli che volevano deporre il dittatore.
Sapevamo che Magdalene non era a Tripoli, ma più a sud , a Misurata, che purtroppo era diventata il simbolo della resistenza degli insorti e che stava resistendo pervicacemente ai bombardamenti delle forze del Rais.
Razzi Grad erano stati lanciati a raffica sulla città e, secondo alcuni testimoni, al fianco dei governativi, erano comparsi anche combattenti tribali e civili. La situazione era davvero pericolosa anche perché zone residenziali abitate da civili non venivano risparmiate, mentre si susseguivano frenetiche conferme e smentite su chi, tra governativi e ribelli, avesse il controllo del territorio.
Con mezzi di fortuna riuscimmo ad arrivare in città e trovammo rifugio n uno dei pochi alberghi ancora disposti a ospitare  stranieri e giornalisti.
Passammo la prima  notte sdraiati sul piccolo letto, vestiti e con i nostri pochi oggetti personali vicino a noi, mentre  in sottofondo si sentiva chiaramente il rumore di spari, seguiti da esplosioni che sembravano  risuonare più lontane.

“Sono preoccupato Françoise, ho un brutto presentimento” mormorò Andrè girandosi verso di me”.

“In che senso? Un brutto presentimento?” chiesi incuriosita ma anche preoccupata.

“Non so, non sono tranquillo, è come  se sentissi che debba accadere qualcosa di brutto, ho un sensazione negativa, non so……..ma non ci badare…..sarà il rumore degli spari”.

“Tra poco cesseranno, vedrai, non continueranno per tutta la notte”.

Gli strinsi la mano ma anch’io sentivo un’agitazione che non era spiegabile solo dalla situazione,  seppur assolutamente critica, nella quale ci trovavamo.

“Pensa al lato positivo della situazione, se ci fosse stato Alain con noi avremmo dovuto subire le sue battutine” gli dissi sfiorando le sue labbra con un dito, nel tentativo di sdrammatizzare.

“Già, magari mi avrebbe costretto a dividere il letto con lui, invece che con te, pur di prendersi gioco di noi…..ma l’hai sentito? Troppo nervosi, troppo tesi, il dottore è diventato gay. un prete…… ma ti pare?”.

Sorrisi ripensando alla sua ricostruzione della nostra storia e a come dovevamo essergli sembrati dei matti per comportarci tanto stranamente.

“Vorrei che Alain fosse qui, con noi, sarei più tranquillo con lui, non capisco perché non l’abbiano fatto partecipare alla missione”.

“C’era un altro lavoro a cui pensare, hanno preferito mandare solo noi qui. Andrà tutto bene, non ti preoccupare troppo”.

“Va bene J, buona notte” disse dandomi un bacio sulla fronte.
 
 


Il mattino successivo, vagammo per la città in cerca di Magdalene, cercando di rintracciare familiari del ragazzo o chiunque potesse aiutarci nella ricerca e, alcuni giorni  dopo, grazie ad un contatto rintracciato da Dupois, riuscimmo a sapere dove si fosse nascosta.
Il giorno seguente, dopo avere rimediato delle armi al mercato nero, ci presentammo in una casa fatiscente, nella periferia della città, chiedendo di parlare con Magdalene. Quella che sembrava una missione impossibile, trovare una ragazza nascosta in una  città sotto i bombardamenti, si era rivelata più semplice del previsto. Saremmo tornati a Parigi, al più tardi  entro un paio di giorni grazie  a un elicottero della Croce Rossa che si era reso disponibile a condurci all’ aeroporto più vicino ancora  aperto ai voli internazionali.
Trovammo una ragazzina terrorizzata che piangendo ci supplicava di riportarla a casa e cercammo di rassicurarla sul fatto che, nel giro di poche ore, tutto si sarebbe risolto. Il ragazzo era sparito da alcuni giorni, lasciandola in compagnia delle donne della famiglia, e non aveva più dato notizie di sé.
La portammo nel nostro albergo, in attesa di ricevere la conferma sulla data e ora del recupero, conferma che arrivò il giorno dopo, chiedendoci di presentarci in una zona periferica della città, dove il rischio di essere centrati dalla contraerea dei ribelli o dalle forze del rais sarebbe stato minore.

“Françoise, ho paura” continuava a ripetermi mentre sembrava non riuscire a mettere un passo in fila all’altro, spaventata dai fischi dei proiettili che echeggiavano a pochi isolati da noi.

“Siamo quasi arrivati, non ti preoccupare, lo vedi quel palazzo grigio là in fondo? L’elicottero atterrerà  sul tetto e in poche ore saremo via da quest’inferno, te lo prometto” .

“Ferme, attente” esclamò Andrè, notando che un gruppo di uomini armati stava percorrendo la strada attigua alla nostra, rischiando di sbarrarci la via per raggiungere il punto di incontro.

“ Vado avanti a controllare se possiamo proseguire voi state qui, entrate in uno di questi androni. Ci sentiamo col satellitare.”

“Sta attento Andrè ti prego”.

Prima che andasse via, gli presi la mano che sentii però sfuggire alla mia,  e lo osservai allontanarsi per poi  girarsi  a guardarmi.

“Andrè, stai attento ti prego, Andrè” sussurrai talmente piano che solo Magdalene riuscì a sentirmi.

“Tornerà vedrai, deve tornare” mi disse stringendomi un braccio.

“Voi state insieme, vero?”.

Abbassai gli occhi e  annuii, ma poi decisi che un cenno fatto con la testa non avrebbe reso giustizia al mio sentimento per lui.

“Si, stiamo insieme” confermai con voce ferma.

Mi morsi le labbra e iniziai a ripetere ossessivamente il suo nome nella mia testa, come una cantilena, come per rassicurarmi che non gli sarebbe accaduto niente.
E mi rivolsi a Dio, implorandolo di proteggerlo, aiutarlo e riportarlo da me, sano e salvo, ma nel mio cuore cresceva una sensazione amara, come se stesse per accadere qualcosa di irreparabile, come se stessi per perdere ciò che ella mia vita contava di più.  Mi costrinsi a respingere questi pensieri ma non potei evitare di perpetrare  la mia supplica.
Il rotore del motore un elicottero mi riportò alla realtà. Mi affacciai sulla strada e vidi il velivolo della Croce Rossa che procedeva in direzione del palazzo sul cui tetto sarebbe dovuto atterrare.
Con il cuore in subbuglio, aspettai alcuni secondi e quando fui convinta che non vi fossero pericoli per noi, mi spinsi sulla strada trascinando con me Magdalene, percorrendo alcuni metri lungo la via che conduceva al punto di incontro.

Poi, improvvisamente uno sparo, a cui seguì un urlo di donna, riempì  la mia mente, mentre  tutto intorno a me si faceva buio e conf
uso.

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Capitolo 18
*** 18 ***


 
 
18
****************************************************

Silenzio.

Solo silenzio. Irreale, illogico, improbabile, incomprensibile.
L’aria bollente del deserto, inalata a fatica,  sembrava bruciare il respiro diventato  improvvisamente corto e difficoltoso.

Intorno a me bande di uomini armati correvano freneticamente per le strade ormai deserte, dalle cui bocche dovevano provenire grida che io, inspiegabilmente, non riuscivo a sentire.
Come sospeso nel nulla, tutto intorno a me  mi pareva procedere  con estrema lentezza e solo a tratti mi sembrava di udire urla  in lontananza.
Poi, inaspettatamente, come se qualcuno avesse voluto restituire volume al silenzio, un fischio stridulo nelle orecchie da lieve, divenne sempre più intenso e prepotente.  Sorpresa, mi voltai a cercare Magdalene e mi accorsi che, a pochi centimetri da me, urlava il mio nome terrorizzata.

Lentamente volsi il mio sguardo verso il basso e la mia attenzione fu catturata da alcuni rivoli di sangue che  scorrevano con andamento irregolare lungo i miei pantaloni, formando sottili linee parallele, arrivando in pochi istanti all’altezza del ginocchio
Un dolore lancinante, acuto, come non avevo mai provato fino a quell’istante mi invase il ventre tanto da spezzarmi il respiro e sul punto da cui sembrava provenire quella sofferenza, posai una  mano e sentii la camicia bagnata e vischiosa.  La sollevai piano per portarla di fronte ai miei occhi e la vidi coperta di sangue.  E fu proprio in quel momento che ritrovai il  pieno controllo di me stessa.

“Françoise, Françoise, sei ferita, Dio mio sei ferita”.


“Non ti preoccupare per me, me la caverò, vieni qui, dobbiamo ripararci”.

Ci infilammo nel primo portone che trovammo sulla via e, una volta dentro la casa, mi obbligai a mantenere lucidità. Sollevai la camicia  per appurare l’entità della ferita e mi accorsi che un proiettile era entrato nel mio addome provocando una forte fuoriuscita di sangue.   
Composi il numero di Andrè sul satellitare, ma il segnale era insufficiente per potere effettuare la chiamata.


“Ascoltami Magdalene, ascoltami attentamente, devi fare esattamente quello che ti dico. Devi raggiungere Andrè che ti porterà all’elicottero e devi dirgli che io lo aspetto qui. Ascolta, osserva questa casa, ha una porta rossa, di legno, molto vecchia, tre gradini all’ingresso, memorizza qualunque elemento che possa servire ad Andrè per trovarla. Esci da qui e corri più forte che puoi in direzione del palazzo che ti abbiamo indicato, lui sarà tornando qui e potresti incontrarlo nel percorso”.

 “Prendi il telefono e riprova a chiamare Andrè”.

“Ho paura, non so se riuscirò ad arrivare là”.

“E’ la nostra unica speranza Magdalene, la tua di partire e la mia di sopravvivere, devi farlo, ho bisogno di Andrè”.

La sua mano si staccò dalla mia e la vidi uscire dall’ingresso della casa.
Adagiai il mio corpo alla parete, cercando di rimanere salda sulle gambe, ma, lentamente, mi lasciai scivolare a terra, sempre più debole e priva di forze.

“Andrè” mormorai “Andrè aiutami”.

Chiusi le palpebre, fattesi sempre più pesanti,  vinta da una spossatezza che mi annebbiava la mente, cercando di tamponare con una mano la ferita da cui il sangue usciva copioso. Il battito del mio cuore, fino a pochi minuti prima vorticoso e turbolento, si era fatto adesso più flebile e una sensazione di resa mi pervadeva il corpo.
Sapevo che non avrei resistito ancora lungo in quelle condizioni. Nella mia mente  solo l’immagine del suo meraviglioso volto sorridente che ricambiava il mio sguardo con infinita dolcezza. Per la prima volta avevo un reale motivo per rimanere attaccata alla vita e mi sembrò un crudele scherzo del destino rinunciare a lui, al suo amore, al nostro futuro insieme, proprio adesso che avevo assaporato il gusto pieno ed appagante  della felicità.
Una voce che pronunciava il mio nome ebbe l’effetto di risvegliarmi dal mio torpore.

“Françoise, sono qui stai tranquilla, ci sono io” sussurrò Andrè accarezzandomi una guancia.

“Mi spiace Andrè, mi spiace così tanto” mormora.

Sentii le lacrime riempirmi gi occhi.

“Françoise, l’elicottero è dovuto decollare, non potevano aspettarci erano già a pieno carico. Hanno preso Magdalene e sono ripartiti per l’aeroporto.

“Va bene”. Mi morsi le labbra capendo che non avrei avuto molte possibilità di sopravvivere abbandonata in quel luogo.

“Devo portarti via da qui, cercare un ospedale”

Gli sorrisi e sollevai una mano per accarezzargli il volto.

“Che fate qui?”

Una voce di uomo pronunciava con tono amichevole questa domanda.

“Abbiamo bisogno di un ospedale, è stata ferita”.

“Non c’è nulla qui, nessun ospedale e anche se ci fosse non ci arrivereste con lei in quelle condizioni. Ma potete venire da me, a casa mia”.

Mi sforzai per mettere a fuoco l’uomo che sembrava essere piuttosto anziano e che parlava francese con un  accento perfetto.
Andrè mi sollevò da terra e prendendomi in braccio  e seguì l’uomo che pareva  abitare proprio nella casa in cui ci trovavamo. Aprì la porta e mi ritrovai in pochi secondi sdraiata sul tavolo della cucina, velocemente liberato da alcune vettovaglie per consentire ad Andrè di soccorrermi lì.

“Io ero un dottore, ho lavorato per molti anni in Francia, ho alcuni strumenti qui e dei medicinali” esclamò l’uomo.

“Anch’io sono un medico, venite” disse Andrè mentre faceva un cenno di saluto  alla moglie dell’anziano dottore.

“Bisogna bollire questi” indicandole alcuni bisturi che il marito aveva consegnato.

“Françoise, dobbiamo estrarre il proiettile, non c’è altra soluzione, devi essere forte”. Mi accarezzò il capo,  dolcemente, ma nei suoi occhi leggevo la paura.

Annuii lievemente tirando su con il naso e mordendomi le labbra. Era visibilmente agitato e sapevo che avrebbe tentato di tutto per salvarmi.

“Andrè” lo chiamai “ Se non ce la dovessi fare, non fartene una colpa, non puoi  fare un miracolo in queste condizioni” mormorai mentre gli occhi mi si riempivano  nuovamente di lacrime.

“Andrè….. sei stato la cosa più bella della mia vita l’unica ragione per cui sia valsa la pena vivere, io ……non ti dimenticherò mai”.

“No J, no, non dire così, non devi, non morirai, devi lottare, Françoise, non puoi mollare adesso, ti prego. Ti addormenteremo con un po’ di anestetico, andrà tutto bene” mi disse accarezzandomi il volto e posando per qualche istante  la fronte bollente proprio sopra la mia.

“Ti amerò per sempre” sussurrai con un filo di voce, ma non ero sicura di avere reso comprensibile le mie parole che erano uscite dalle labbra come un soffio troppo leggero.
Chiusi gli occhi sfinita e sopraffatta dal dolore  e continuai a percepire il suono concitato delle loro voci che divenivano via via sempre più ovattate e distanti.

“Per sempre”pensai, e queste parole eterne sembrarono risuonare nella mia mente come un antico ricordo impresso in una memoria ormai lontana.




Dischiudo gli occhi e respiro profondamente la brezza di questa notte d’estate.
Sopra di noi un cielo scuro costellato di stelle brillanti.
L’erba su cui siamo  adagiati solletica la mia pelle nuda.
Intorno a noi, solo il canto dei grilli sembra infrangere il silenzio della notte.
Ti guardo dormire sereno, disteso accanto a me, ti sei assopito da pochi minuti e mi faccio cullare dal ritmo regolare del tuo respiro.
Uno di fronte all’altro, giaciamo stremati e appagati dopo esserci donati l’amore.
Le nostre labbra si sfiorano ancora, sazie di piacere.
Le gambe intrecciate tra le tue.
Ti amo Andrè, ti amo più di quanto qualunque parola potrebbe mai dirti, ti amo più di me stessa e ti amerò  finché avrò vita.
E’ il destino che ci ha voluto insieme questa notte, finalmente uniti nell’amore eterno.
Il  sole sta per sorgere ed è giunta l’ora per noi di destarci da questo torpore.
Sollevo una mano e sfioro con un dito i lineamenti perfetti del tuo volto, soffermandomi a disegnare il contorno delle labbra che ancora anelo.
Accarezzo il tuo viso con l’intento di svegliarti.
Apri gli occhi, mi guardi  e mi sorridi dolcemente.
Ci alziamo e lentamente, senza smettere di guardarci, copriamo i nostri corpi con le uniformi.

“Ho detto addio a mio padre, Andrè, ti seguirò ovunque vorrai”.

Sei di nuovo di fronte a me, mi prendi il viso tra le mani.

“Ti amo Oscar, ti amerò finché avrò vita e anche oltre”

“Ti amo Andrè, ti amerò finché avrò vita e anche oltre” 

 

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Capitolo 19
*** 19 ***


19
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“Si è svegliata vieni Andrè”.

A fatica sollevai le palpebre e provai a mettere a fuoco i contorni del luogo sconosciuto in cui mi trovato. Una stanza ordinata, arredata con pochi oggetti e una tenda sottile a mascherare la luce del giorno che filtrava prepotente dalla finestra si presentarono ai miei occhi appesantiti dalla stanchezza.

“Françoise, sono qui mi senti?”

“Dove sono?” sussurrai con un filo di voce.

“Siamo nella casa di un anziano dottore di nome Hamed,, a Misurata, sei stata ferita, ricordi?”

“Non so, poco……, ricordo poco, da quanti giorni sono qui?”

“Da cinque giorni, Françoise, ti ho estratto il proiettile e sto tentando di evitare un’infezione”.

“Perché non ci hanno ancora recuperato, hai chiamato aiuto?”.

“Siamo isolati J, il governo ha interrotto tutti i collegamenti telefonici, terrestri e satellitari, non sono riuscito  a chiamare Parigi e non c’è nessuno delle forze internazionali”.

“Capisco”.

“Come ti senti?”. Il suo volto sereno  accanto al mio.

“Molto debole, ho sonno…… e  freddo ”.

“Hai un po’ di febbre. Ti fa male se tocco qui?” chiese premendo lievemente sul mio ventre ferito.

“Un po’ si” mormorai.

“Tu devi riposare, al resto penso io” disse con voce tranquilla, posando poi le labbra sulla mia fronte bollente.

Mi lasciai scivolare nel sonno, stanca e priva di forze ed ero sicura che Andrè avrebbe trovato il modo di curarmi. Del reso, ero viva e in fondo questo bastava a rasserenarmi.  Nulla era ancora veramente perduto, pensai.
 






“Devo trovare altre dosi di antibiotici, altrimenti non sopravviverà. l’infezione sta avanzando e andrà in setticemia in poco tempo. Devo trovare il modo di portarla via di qui, devo riuscire a chiedere aiuto”.

“Andrè, ci abbiamo provato, tu stesso hai tentato di contattare dei medici, di trovare medicine, non c’è modo di raggiungere un ospedale, qui sparano a qualunque cosa si muova, però dicono che tra qualche giorno le forze della NATO arriveranno per proteggere i civili e riusciremo a portarla in salvo, vedrai ragazzo, ce la farà”.

“Françoise non ha qualche giorno, morirà se non fermo l’infezione e io non posso stare qui a vederla morire senza tentare di salvarla. Non ce  la farà, lo sai benissimo, se non la porto in ospedale le rimane molto poco da vivere e io non posso sopportarlo”.

“Tu stai già facendo molto per lei, ragazzo, più di quanto chiunque altro sarebbe in grado di fare. Le stai dando parte di te”.

Destandomi dal sonno profondo  nel quale sembravo essere caduta da diverse ore, avevo udito  la voce di Andrè che parlava con i nostri ospiti e le parole che avevo sentito ebbero l’effetto di colpirmi profondamente. 
Fui sconvolta soprattutto dal tono della sua voce, solitamente così deciso e sicuro, che ora, disperato e sconvolto, rivelava  una profonda preoccupazione per la mia sorte.
Ero dunque così grave da fargli temere per la mia vita?
La testa mi faceva male, ma cercai di sollevare la schiena facendo leva sulle braccia, nel tentativo di mettere i piedi giù dal letto. Rimasi immobile alcuni secondi e aspettai che la stanza cessasse di girare per provare ad alzarmi in piedi. Il cuore sembrava volere implodere nel petto e dovetti inalare a più riprese l’aria con la bocca per cercare di arrestare la tachicardia. Riuscii ad alzarmi e feci un paio di passi verso la porta della camera, appoggiandomi a un vecchio armadio accostato alla parete, ma non riuscii a varcare l’uscio, tradita da quelle forze che sembravano mancarmi, e nell’istante in cui cercavo un appiglio per arrestare la caduta, mi ritrovai tra le braccia di Andrè.

“Cosa fai in piedi, sei troppo debole” mi disse prendendomi in braccio per riportarmi a letto.

“Saresti caduta per terra, ma dove volevi andare?”.

“Sapevo che un principe azzurro mi avrebbe salvata”  mormorai sorridendogli.

Ricambiò il sorriso passandomi una mano sulla fronte e poi tra i capelli bagnati di sudore.

“Volevi fare un giro sul mio cavallo bianco?”.

Lo osservai senza dire niente, in silenzio. Stava davvero finendo tutto? Tanti mesi di incomprensioni segnati da un’ostinata ed inutile intenzione di soffocare i miei sentimenti per lui, a cui erano seguire poche settimane nelle quali avevamo vissuto un amore tanto intenso e travolgente come mai avrei pensato nella vita di poter provare  e tutto sarebbe finito miseramente su  quel povero giaciglio?
Quell’amore desiderato, respinto, negato che era ritornato ad occupare mente  e cuore facendo vibrare il mio corpo come non mai, era dunque destinato ad essere segnato dalla parola fine?

Fine. Una parola crudele che si contrapponeva a quel per sempre, l’unico pensiero che sembrava albergare impetuoso nella mia mente e che aveva accompagnato la profondità del mio sonno.

“Andrà tutto bene J,  resisti ancora un po’ e ti prometto che ti porterò a casa”.

“La mia casa è dove ci sei tu, Andrè, sei tu la mia famiglia, nessun altro” mormorai accarezzandogli una guancia con la mano e prima che la ritraessi,  fu lui a trattenerla tra le sue dopo avervi posato piano le labbra umide.

“Tra pochi giorni arriveranno qui i soldati della NATO e a breve i collegamenti telefonici verranno ripristinati. Da un momento all’altro potremo chiedere aiuto. E appena ti sarai rimessa, ci sposeremo”.

“Quanta fretta Grandier, prima volevi una nidiata di bambini e adesso mi vuoi prendere in moglie? Non credi di correre un po’ troppo, rischi di cacciarti seriamente nei guai con me”.

Sorrise.

“E poi tu sai che devi avere il consenso del Conte Jarjayes, notoriamente persona autoritaria e intransigente, non sarà così facile avere la mia mano” sussurrai nel tentativo di sdrammatizzare una situazione che stava diventando per me troppo dolorosa. Probabilmente non avrei mai avuto la possibilità di realizzare quel sogno, sari morta prima, lasciandolo nella disperazione più profonda e con il rimorso di non essere riuscito a salvarmi.

“Mi piacciono i guai, dovresti averlo capito. Credo però che sia ora che tu risponda alle mie domande j, senza tergiversare”.

“Non c’è nulla al mondo che vorrei di più, Andrè, nulla”.

Vidi i suoi occhi diventare lucidi e riempirsi di lacrime e sorridendogli   maledissi, silenziosamente, questo assurdo destino, che per una ragione crudele e sconosciuta, aveva voluto farci  assaporare l’amore assoluto e totale, per poi tessere un’atroce trama per separarci per sempre, facendosi beffa dei nostri sentimenti.


Per sempre


Avevo perso di nuovo conoscenza e una volta destata notai Andrè che armeggiava con una strana cannula seguito dall’anziano dottore.
Lo vidi sdraiarsi sul letto, proprio accanto a me e stringere il pungo per gonfiare le vene.

“Cosa diavolo stai facendo dottore?” domandai preoccupata per l’immagine che avevo di fronte agli occhi.

“Facciamo una  trasfusione diretta, ne hai bisogno ti do il mo sangue, io  ho il gruppo *O* e posso donarlo a chiunque. E’ un po’ doloroso J, sentirai un forte bruciore, ma non ti devi preoccupare”.

Non feci in tempo ad obiettare che mi ritrovai con un grosso ago infilato nel braccio dal vecchio dottore, che  mi stava in effetti provocando un gran male.
Mi voltai a guardarlo e mi morsi un labbro per non lamentarmi, ma notai che  anche  a  lui la procedura doveva risultare piuttosto fastidiosa.
Dischiuse il pugno e mi prese la mano tra la sua.
Respirai più volte per riempire d’aria i polmoni e calmare la mia ansia.

“Ti avevo chiamato, sai”.

“Cosa?”.

“Quando sono tornata a Parigi, a dicembre, io ti ho chiamato e la tua fidanzata mi disse che eri sotto la doccia”. Parole pronunciate con un filo di voce. Volevo dirglielo che l’avevo pensato ogni istante dal nostro addio, che era sempre stato dentro di me.

“Oh J…….”” sussurrò sorpreso.

“Non è importante, ma….. mi ero scordata di dirtelo”.

“Per me è importante invece, davvero”.

 “Hai mai visto un cielo stellato più bello di questo,……… Andrè?”.

“Cosa.?”.

“La lettera……… tua nonna l’avrà consegnata a mio padre ormai” sussurrai mentre sentivo le forze venire meno.

“Quale lettera? ……..Françoise…”.

“Per….. sempre..Andrè ”.

Mi sentii mancare, esausta e dolorante, con la testa appoggiata alla sua spalla, percependo il tocco della sua mano tra le mie dita e il suono melodioso della voce che pronunciava il mio nome.
 






“Stanno arrivando, tra poco saranno qui, devi resistere, Françoise, hanno ripristinato i collegamenti, ho chiamato  Parigi, Alain si trovava già in zona, sta organizzando i soccorsi, amore mi senti?”

Percepivo la sua voce che chiamava il mio nome e sentivo le sue mani scuotere il mio corpo, ma nonostante mi costringessi a raccogliere le forze per rispondergli, non fui in grado di aprire gli occhi né di parlare.
Il torpore, profondo e intenso nel quale ero caduta, mi infondeva ormai una sensazione di pace e di serenità e non mi sembrava fosse davvero possibile  lottare per destarmi.
 


Sembra esplodere di gioia il mio cuore questa notte
Nulla mi spaventa accanto a te
Sfiderò la sorte e il mio destino
Per amarti eternamente
 
 



“Françoise, ti portiamo via, devi resistere, ti portiamo a Roma con un aereo militare, è la città europea più vicina, tra poco più di due ore sarai in ospedale e riceverai le migliori cure possibili ”.

La voce di Alain mi spinse ad  aprire gli occhi per pochi secondi.

“Abbiamo cercato di rintracciarvi ma qui c’è il finimondo e non sapevamo dove foste finiti ” disse mentre mi prendeva in braccio per portarmi via.

“Andrè……” mormorai non capendo perché mi trovassi tra le braccia di Alain.

“E‘ qui, non ti preoccupare, il tuo dottore ti ha salvato la vita ma deve recuperare le forze anche lui, è piuttosto provato”.

 

*

 

Distesa sul lettino del pronto soccorso di un ospedale militare numerosi medici si preoccupavano di prestarmi le prime cure.


 
Solo il luccichio delle lucciole  spezza il buio di questa notte senza luna
Una gioia sconosciuta mi riscalda il cuore impedendomi di scivolare nel sonno
Come ho potuto vivere senza il tuo amore?
Io ti appartengo e tu appartieni a me, da sempre e per sempre
 

Non ripresi conoscenza per diversi giorni, immersa in un sonno tanto profondo dal quale non riuscivo a destarmi. Non sentivo nulla intorno a me, nessuna voce, nessun ricordo e in quello stato non provavo dolore, anzi, una strana sensazione di pace pervadeva corpo e mente.
Mi risvegliai in una calda notte di luna piena e aprendo gi occhi vidi una piccola camera dipinta di azzurro che odorava di ospedale.

 “Vai a chiamare Andrè, si è svegliata” sentii dire da un’infermiera.

“Dove sono?” mormorai.

“Sei a Roma, in un ospedale militare. Te la sei vista brutta tesoro, ma il peggio dovrebbe essere passato. Devi ringraziare il tuo Andrè, ti ha salvato la vita. Se non ti avesse fatto le trasfusioni non saresti qui adesso”.

“………Trasfusioni?” mi sembrava di ricordare qualcosa.

“Si, ha rischiato la vita per te, ma è andata bene ad entrambi, per fortuna”.

“Françoise…. …….come  ti senti?”.

Lo vidi  entrare e gli sorrisi, senza parlare, gioendo del suo bacio posto sulla mia fronte.
Notai quanto fosse dimagrito e come occhiaie scure segnavano il suo bel viso e alzai una mano per accarezzargli il volto reso ruvido dalla barba incolta.

“Non sei in forma Grandier, ma quanto sangue mi hai dato? Volevi darmelo tutto scommetto, il solito generoso…..”.  Sorrisi.

“Eh si, sono un uomo dalle mille risorse J, dovresti saperlo”.

“Sei stato un incosciente, lo sai?”.

“Non sarei tornato a casa senza di te”.

“Non dirlo Andrè……. Non….non……pensarlo nemmeno”  lo rimproverai commossa da quelle parole che mi laceravano nel profondo.

“Non potrei vivere senza di te, non potrei proprio amore mio”. 

“Andrè……..io”

“C’è stato un momento in cui ho creduto che ti avrei persa…. per sempre…..e  sentivo che sarei impazzito dal dolore.

“Per sempre……”.  ripetei piano staccando gli occhi dai suoi e fissando il vuoto.

“Ma adesso guarirai e dovremo ripensare al nostro futuro, non ti pare? E’ un miracolo che non ti abbia persa e non voglio che accada di nuovo”.

“Potrei contare su un ottimo chirurgo, però”.

“I miracoli non riescono due  volte J non sfidiamo la sorte, ok?”.

“Ok”. E’ notte, devi riposare anche tu dottore”.

“Rimango qui accanto a te, tu dormi amore”.

“Andrè, si può morire per troppo amore secondo te?”

Sospirò e dopo avere inalato l’aria trattenne il respiro.

“Si, credo di si, Françoise” convenne spostando gli occhi sui miei.

Morire per amore, si, l’avrei fatto mille volte per lui.

 
 

 
Siamo quasi arrivati al capolinea, ancora un capitolo e molti misteri verranno svelati. Conto di pubblicare la fine entro questa settimana.
Di questo capitolo che dire?? Mi scuso per avervi fatto inorridire – soprattutto tu cara Jose a cui chiedo venia per le improbabili soluzioni chirurgiche adottate – con la storia delle trasfusioni, ma non c’era altro rimedio in quella situazione….. o almeno credo!
Ci tengo a ringraziare che legge e chi lascia recensioni, mi diverto sempre molto a leggerle – soprattutto le tue Peggysan sono esilaranti, mi mancheranno!

Pubblciherò l'ultimo capitolo questa sera,  14 luglio, mi sembra la data ideale per celebrare un amore così grande e eterno......ciao

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Capitolo 20
*** 20 ***


 

20

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Anche a Parigi era arrivata l’estate.

Il sole si era fatto caldo e luminoso e la città riluceva in tutto il suo splendore.

Dopo un periodo di ricovero al Persy mi ristabilii completamente e con Andrè decidemmo di fare visita a mia nonna che aveva tremato per la mia sorte.
Palazzo Jarjayes ci accolse con i  suoi antichi fasti  e notai che Andrè sembrava a disagio, diversamente dalla volta precedente, quando, incuriosito, osservava ogni particolare della dimora che conservava i tratti dell’ originaria austerità.

“Andrè, cos’hai, sei pensieroso” osservai aspettando mia nonna.

“Niente, non ti preoccupare, stavo pensando che non abbiamo più cercato informazioni su quel quadro, mi porti nel salone, vorrei rivederlo”.

“Si, ti ci porto dopo, e poi se vuoi passiamo da camera mia” scherzai maliziosa avvicinando le labbra al suo collo.
Il rumore della porta ci fece sobbalzare e mia nonna corse ad abbracciarmi commossa.

“Tesoro, che spavento, ci hai fatto stare in pena, abbiamo temuto per la tua vita”.

Percepii dietro di me la presenza di un’altra figura e staccandomi da mia nonna mi voltai, ritrovando su di me gli occhi azzurri di mio padre e restai paralizzata.

“Ciao Françoise, sono felice di vedere che ti sei rimessa completamente”.

Nella sua voce una sincera preoccupazione.
Si avvicinò a me per stringermi in un abbraccio incerto.

“Ti presento la persona che mi ha salvato la vita, se non ci fosse stato lui non sarei qui adesso, gli devo la vita” dissi emozionata, fissando Andrè negli occhi.

“Andrè  Robert Grandier, piacere di fare la vostra conoscenza Conte Jarjayes”.

 La mano di Andrè, pronta per stringere quella di mio padre, era inspiegabilmente rimasta sospesa.

“Come…. hai detto di chiamarti?”. Insolita incertezza nella voce del Conte.

“Andrè Grandier”.

Seguì un lungo silenzio da parte di entrambi durante il quale il respiro di mio padre si era fatto ansimante.

“Noi..stiamo insieme….” confessai con il cuore in gola.

 “Era quello che tenevo. Vai via di qui, questo non è il tuo posto, devi allontanarti da lei finchè non è troppo tardi”.

Frasi pronunciate con tono aspro che sconvolsero i presenti.

“Cosa state dicendo? Troppo tardi per cosa? Ma voi non mi conoscete neanche, cosa state farneticando?”.  Il bel volto di Andrè era visibilmente alterato.

“Stai lontano da mia figlia Grandier, non ti avvicinare mai più a lei”.

“Cosa diavolo stai dicendo? Perché  sei venuto qui? Vuoi rovinarmi la vita più di quanto tu abbia fatto fino ad ora? Andrè è il mio uomo e io non rinuncerò a lui, mai”.

“Tu  proprio non capisci,  non puoi capire adesso ma sappi che questa unione porterà solo disgrazie, sei quasi morta in Libia”.

“Disgrazie perchè” urlai tra le lacrime “perché amo un uomo e lui ama me? Non ti va bene che io sia felice, non lo puoi proprio accettare? Hai fatto di tutto per farmi vivere una vita d’inferno e adesso vuoi separarmi da lui? Non ti voglio mai più vedere in tutta la vita, vattene via” gridai  con le ultime forze che avevo raccolto.
Poi, improvvisamente, si scagliò contro di me posando violentemente la mano tra mento e collo, costringendomi a guardarlo negli occhi. Aveva completamente perso il controllo di sé e nei suoi occhi, solitamente freddi e impenetrabili, vedevo guizzi di rabbia.

“Pagherai con la tua vita questa scelta, non capisci?”.

E io non riuscii a replicare. Ne' a muovermi. Rimasi a fissarlo inerme.
Solo l’intervento di Andrè riuscii a liberarmi dalla sua furia.

 “Siete forse impazzito? Non vi azzardate a toccarla con un dito, mai più”.

“Dio mio Auguste, cosa stai facendo?”. La voce di mia nonna sembrò fargli riacquistare un po’ di lucidità.

“Tu lo sapevi, vero? E non hai fatto niente per impedirlo?”

“Auguste…io…” rispose tremante.

Tornò a guardarmi,  ma le sue parole arrivarono  di nuovo inaspettate.

“Se stai con lui non sarai più mia figlia”.

“Non lo sono mai stata, sono solo un problema per te, nient’altro, colpevole di non so quale crimine Non mi hai mai voluta, mi hai abbandonato in un collegio  come se non meritassi il tuo affetto, non ci sei mai stato per me” urlai piangendo rabbiosamente.

“Ti odio...ti odio”.

Si allontanò barcollando dal salone lasciandoci attoniti e stralunati per la gravità di quanto era accaduto.

“Bambina…stai bene?”.

Non risposi e uscii di corsa dalla stanza per affrontare nuovamente quell’uomo.
Con il cuore in gola, percorsi rapidamente i corridoi del palazzo sui quali si susseguivano stanze e saloni settecenteschi e arrivata nella sala da pranzo lo vidi fermo, immobile davanti al quadro del nostro misterioso antenato.
Dietro di me i passi di Andrè e di mia nonna.

“Parla” gli dissi tremando “cos’è che non conosco? Cosa non posso capire? Perché non dovrei stare con lui?”.  Una freddezza nella mia voce che mi fece fremere.

“Oscar.”

 “Cosa….chi è Oscar?”.

“Oscar François de Jarjayes, capitano delle Guardie Reali di sua Maestà Luigi XVI” disse piano fissando il quadro.

“E’ il nome di quest’uomo?”.

“Oscar non era un uomo, era una donna a cui fu impartita un’educazione tipicamente maschile ed ebbe il privilegio di servire la famiglia reale conquistandosi stima e fiducia”.

“Una donna? E’ il ritratto di una donna?”.

“Si. Una donna che comandò le Guardie Reali ma allo scoppio della Rivoluzione decise di rinnegare titolo e casato  in nome dei suoi ideali e dell’amore di un uomo”.

“E allora? Cosa c'entra con me?”

“Andrè Grandier”.   Mi voltai verso mia nonna che aveva appena pronunciato quel nome.

“Cosa?”

“Il nome dell’uomo era…..Andrè Grandier”.

“Oddio……”   Cercai lo sguardo di Andrè.

“Si chiamava come me…”  considerò incredulo.

“Morirono  allo scoppio della rivoluzione combattendo con il popolo” chiarì mio padre.

“Coincidenza sorprendente “ considerai “inquietante, forse, ma continuo a non capire”.

“La storia si ripeterà, non capisci? Vi siete incontrati ma siete destinati a trovare la morte”.

Un brivido lungo la mia schiena, il respiro trattenuto. E le gambe tremanti.

“C….cosa?”

"Dopo la morte della figlia, il Generale Jarjayes cercò inutilmente di fare evadere  la Regina Maria Antonietta dalla Conciergerie e poi si trasferì in Inghilterra per alcuni anni. Tornò in Francia pochi giorni prima di morire e rivelò che, negli anni, aveva sognato spesso la figlia Oscar che gli chiedeva di benedire l’unione con Andrè  e che un giorno lontano lei e Andrè si sarebbero ritrovati nuovamente e amati più di ogni altra cosa anche se avrebbero dovuto soffrire di nuovo, perché  entrambi avrebbero donato la vita per il bene del’altro. E lui, con il cuore indurito dal dolore, aveva imposto che a  nessuno dei discendenti della famiglia Jarjayes fosse mai dato il nome  Oscar o Françoise, perché altrimenti avrebbe pagato con la vita morendo prematuramente”.

“E’ assurdo, e ridicolo, non crederai ad una storia del genere”. Ero sbigottita.

“Tua madre ha voluto ostinatamente chiamarti  Françoise, nonostante avessi cercato di dissuaderla. Quando era incinta di te, passava ore a fissare questo ritratto e quando sei nata ha voluto darti quel nome. Ero talmente felice che non mi imposi per farle cambiare idea e pensai che si trattasse di una leggenda ormai sbiadita dal tempo”.

Nella stanza un silenzio irreale.

 “Poi ti abbiamo vista crescere  e la somiglianza con Oscar diventare sempre più evidente, giorno dopo giorno, e anche tua madre ha iniziato a preoccuparsi temendo che ci fosse qualcosa di fondato in tutta questa storia. Ma Marie Louise è mora prima che potesse rendersi conto veramente della totale somiglianza con Oscar che hai adesso. Da bambina ti  trovavamo spesso a osservare il ritratto, rapita e sognante, anche nel profondo della notte tu venivi qui, e quello che era solo una leggenda di famiglia si svelava ai miei occhi ogni giorno di più facendoci temere per la tua sorte.. Con la morte di tua madre, decisi di portarti via da questa casa e da quel ritratto e ordinai che nessuno facesse mai parola con te di questa storia”.

Si lasciò cadere su una poltrona con la testa tra le mani, chiuso in un ritrovato mutismo.
Il cuore impazzito mi implodeva nel petto e cercai lo sguardo di Andrè che era rimasto in silenzio.
Tornai a osservare il quadro. Era vero, la somiglianza chiaramente evidente, nonostante da sempre tutti avessero cercato di negare quello che io, fin da bambina, avevo colto. Uno strano legame con quel quadro mi aveva sempre portato a guardare quel misterioso personaggio dagli occhi magnetici con curiosità e ammirazione, come se i suoi magnifici occhi azzurri avessero potuto rivelarmi il mistero racchiuso nel ritratto.

“Oscar e Andrè…Françoise e Andrè” mormorai  non potendo evitare di liberare le lacrime e sentendo il bisogno di stringermi ad Andrè.

“Si sono amati…solo questo conta…e di un amore totale e immenso,  eterno, direi” Le parole di mia nonna mi fecero trasalire.

“Ma si sono amati per poche ore perché solo negli ultimi giorni della loro  vita Oscar gli  ha rivelato il suo amore per lui.

“Come……..come sono morti si sa?” chiese Andrè.

“E’ morto prima Andrè, il 13 luglio del 1789, ferito da una pallottola in pieno petto e il giorno dopo è morta Oscar, uccisa dai soldati che difendevano la Bastiglia”.

“Lei è morta dopo…” mormorai guardando il quadro “Chissà quanta sofferenza deve avere provato in quei momenti, senza di lui”.

“Si, credo di si, bambina, è morta con la pena nel cuore e il desiderio di raggiungerlo”.

“Vieni qui”. Le braccia di Andrè mi strinsero a sé e non trattenni più le lacrime.

“C’è un’ultima cosa che vorrei farvi vedere” sussurrò mia nonna aprendo un antico armadio in ebano dal quale tolse un pacco che aveva la forma di un quadro.

La osservai attonita e incuriosita mentre  lentamente scartava il quadro avvolto in diversi strati di carta di colore scuro.

“Andrè era cresciuto in questa casa e qui abitava sua nonna, la governane della famiglia Jarjayes. Quando seppe della sua morte, volle commissionare un ritratto del nipote che per alcuni anni fu appeso a fianco del ritratto di Oscar e fu poi tolto per volere degli eredi del palazzo. Questo è il ritratto di Andrè Grandier”.

Le gambe mi tremavano e non fu facile percorrere i pochi metri che ci dividevano da quel quadro. Andrè mi prese la mano e mi condusse vicino al tavolo dove la nonna aveva appoggiato il ritratto.

I miei passi incerti. “Non ce la faccio...non voglio  vederlo…”.

“Bambina, devi vederlo..”.

Il respiro trattenuto, il cuore in gola e una strana sensazione di perdere l’ultimo barlume  di lucidità rimasta. Raggiunsi il quadro e l’immagine che vidi mi lasciò senza fiato. Andrè, quell’Andrè….era semplicemente, incredibilmente, il ritratto del mio Andrè, dell’uomo di cui mi ero immediatamente e perdutamente innamorata in un magnifico giorno d’estate.

“O mio Dio” sussurrò lui.

“Ti …ti somiglia così tanto” mormorai senza riuscire a dire altro.

Bello. Incredibilmente bello. Riccioli scuri incorniciavano un viso perfetto nel quale gli occhi verdi sembravano illuminare il volto trasmettendo una sensazione di forza e dolcezza.
In silenzio, restammo immobili ad osservare il ritratto finchè furono le parole di mia nonna a  irrompere, infrangendo quella strana atmosfera surreale.

“Non ho mai creduto in un risvolto funesto di questa storia, ragazzi. Io ho sempre pensato che ad Oscar e Andrè sarebbe stata concessa un’altra possibilità  perché potessero amarsi per tutta la vita, liberamente e totalmente.  Non si può cambiare il destino e voi siete destinati ad amarvi, indipendentemente dal fatto che crediate o no a questa storia”.

“Il 13 luglio è li giorno in cui ci siamo incontrati” ricordò Andrè.

“Ciò che un giorno è stato diviso il destino ha riunito”.

“Oscar………Oscar” lo senti sussurrare fissando il ritratto, come se stesse tentando di far riaffiorare alla mente antiche memorie, sensazioni, sentimenti.

“Ricordi quando ho visto questo ritratto? Sono stato subito attirato dall’immagine rappresentata e non ero affatto convinto si trattasse di un uomo, non poteva essere un uomo, sentivo che non era così e sentivo che quel volto era inspiegabilmente familiare, come se lo avessi già visto. Ma poi ho pensato che fosse la somiglianza con te ad attirarmi. Io non ricordo nulla di una vita precedente, anche se, fin da bambino, ho sempre avuto la strana sensazione che avrei dovuto scoprire qualcosa di misterioso che mi riguardava”.

“La rosa nera, vero?”. Gli sfiorai un braccio nel punto dove era stato tatuato quel simbolo che rappresentava  una verità ancora da scoprire.

“Io non credo che sia importante ricordare il passato, Andrè, la cosa più importante è vivere il nostro amore, qualunque sia la nostra opinione su questa storia. Vorrei però che il ritratto di Andrè tornasse al suo posto, al fianco di quello di Oscar. Cosa ne dici nonna?”.

“Direi che è tempo che Oscar e Andrè trovino la pace, anche in questa casa”

 

 
****

 
Abbiamo chiamato il nostro primo figlio Jacques Henri, è un bimbo bellissimo che ha gli occhi del padre ma assomiglia a me. Andrè desidera avere presto altri figli, magari una bambina, dice che le bimbe si innamorano dei padri, forse perché è un po’ geloso del piccolo che mi sta appiccicato tutto il giorno  e, a volte, mi distoglie da lui. Ma io so  come rassicurarlo e quando scende la notte, cuore, corpo e tempo sono dedicati solo al mio uomo e al mio immenso  amore per lui.
Sento, in effetti, che prestissimo arriverà un altro piccolo Grandier a movimentare le nostre vite e a darci una nuova immensa gioia. Adesso Andrè lavora come chirurgo al Percy e io, collaboro saltuariamente con l’EOS per la traduzione di testi in arabo coperti dal segreto militare. 
Abbiamo una vita felice, completamente e totalmente felice, direi, e credo che  niente e nessuno possa infrangere questa nostra felicità. Ci sentiamo invincibili io e  Andrè forse perché sentiamo che  il nostro amore arriva da lontano, forse perché, in fondo, anche il nostro amore sarà eterno, indipendentemente da passato e futuro.
Andrè non ha ricordi di quella che potrebbe essere stata la sua vita precedente, forse perché Andrè Grandier è morto felice e in pace con sé stesso, dopo avere realizzato il suo sogno d’amore,. Forse lui aveva rimpianti, non avrebbe voluto lasciarla sola, ma non rimorsi e ha abbandonato  la vita con la gioia nel cuore.
Dopo le rivelazioni di mia nonna, ho ricordato chiaramente l’immagine di noi due nudi, stesi su di un prato in una calda notte d’estate, illuminati dalle stelle, e ho ricordato che il nome con cui Andrè si rivolgeva a me non era Françoise ma Oscar. Mi era sembrato tutto così normale, allora, e una volta risvegliata non avevo più fatto caso a certi particolari. Ricordavo però perfettamente la sensazione di pace, di amore  eterno che quel ricordo aveva saputo infondermi.
E soprattutto ricordavo quelle due parole…..”Per sempre”.
Si dice che quando si sta per morire, l’anima riviva i momenti più belli vissuti nella vita ma io credo di avere ricordato attimi vissuti in una vita precedente, quelli più preziosi.
Il momento più intenso di una vita trascorsa tra doveri e costrizioni, ma sempre a fianco di Andrè. Credo che Oscar avesse molti rimorsi per non avere accettato e rivelato prima il profondo sentimento che nutriva per Andrè e che poi, la morte di lui l’abbia gettata nella disperazione più assoluta, tanto da desiderare di morire. Credo che lui sia morto sereno e lei solo dopo sofferenze indicibili, dopo momenti di dolore tanto acuto da invocare la follia,  e proprio per questo l’anima di lei è attaccata a ricordi lontani.
Per il resto, non ho altri ricordi. Un cielo stellato sopra di noi, due corpi spogliati, allacciati in un abbraccio d’amore, nella promessa di un amore eterno.
Non abbiamo permesso che il passato condizioni il nostro presente e a volte affrontiamo l’argomento con la  leggerezza e l’incoscienza di chi non ha paura della vita. E della morte.

Guardo il mio Andrè e gli sorrido, il bisogno di baciarlo mi spinge tra le sue braccia che teneramente stringono il piccolo Jacques.

“Guarda come è bella la tua mamma piccolino, hai mai visto una cosa così bella? Io no, davvero”. Mi sorride e bacia la sua testolina bionda.

“E credo proprio che tra poco arriverà una bella sorellina a farti compagnia, piccolino”

Posa piano le sue labbra sulle mie e poi mi cattura la lingua in un bacio tenero ma colmo di desiderio.
Nei suoi occhi vedo l’amore e una passione che non troverà fine, mai.
Torno a guardarlo negli occhi, ha lo sguardo innamorato, e lascio scivolare la mia mano sulla sua guancia in una carezza delicata.

“Per sempre Andrè. Ti amo e ti amerò finché avrò vita e anche oltre” .
“Ti amo Françoise e  ti amerò finché avrò vita e anche oltre” .
 
 

Promettemmo di essere felici
Felici chiunque fossimo stati
Felici  come avrebbe dovuto essere e come non era stato
Felici per Oscar
Felici per Andrè
Felici, anche  in ricordo del loro amore
 
 
 
 
 
 
 
FINE  

 
Eccoci giunti alla fine del percorso.
Non è stato facile scrivere questa storia piuttosto complessa.
Ho preferito affrontare il tema della reincarnazione in modo soft, senza proporre certezze, ma solo spunti, perché se davvero avessero ricordato, quel poco di credibilità della storia sarebbe crollato miseramente. Forse sono realmente Oscar e Andrè, forse si tratta solo di una coincidenza………a voi lascio la scelta……..
Vero è che l’amore in alcuni casi è davvero eterno, in grado di superare la vita e la morte  e mi piace l’idea dell’eternità di un sentimento.
E soprattutto mi piace pensare che da qualche parte, in un antico palazzo parigino, ci siano davvero due antichi amanti che credono in una vita passata, in un  amore che duri per sempre.
E’ per pura coincidenza che abbia concluso la mia storia  proprio oggi,  14 luglio, ma è una  coincidenza che mi rallegra, che mi scalda il cuore.
Il mio pensiero va a loro, Oscar e Andrè, che occupano i miei pensieri e il mio cuore.
Un abbraccio a tutte voi, carissime.

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