Lotta all'ultimo inchiostro

di Strega_Mogana
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sipegazione + Storia II turno ***
Capitolo 2: *** A cavallo dei ricordi ***
Capitolo 3: *** Inadatto ***
Capitolo 4: *** Burattino ***
Capitolo 5: *** L'eremita ***
Capitolo 6: *** Alla salute ***
Capitolo 7: *** Perfume of Hope ***
Capitolo 8: *** Occhi color whisky ***
Capitolo 9: *** Portatore di morte ***



Capitolo 1
*** Sipegazione + Storia II turno ***


Questa sarà una raccolta di flash fic scritte per il concorso indetto dal Magie Sinister Forum QUI potrete leggere il bando della lotta.
Se avrò fortuna e fantasia, ogni settimana posterò la mia storia inviata per il concorso con il tema prestabilito dal vincitore del turno precedente.

Questa é stata la mia storia inviata per il II turno della sfida

Tema: Severus ricoverato al San Mungo
Indetto da: Hélèna Velena

Candida consapevolezza (500 parole)

Odiava il bianco.
Odiava tutto ciò che era puro, incontaminato, innocente.
Ma, in quel momento, odiava quel bianco accecante.
Da quando era in quella stanzetta, contornato da pareti immacolate, desiderava solo di poter prendere la bacchetta e marchiare ad ardemonio qualche maledizione oscura su tutto quel puro ed innocente candore.
Avrebbe voluto urlare, distruggere quella stanza, fare a brandelli quel camice orribile che gli avevano messo addosso. Ma restava in silenzio, respirando in modo regolare, stringendo i pugni sulle ginocchia magre. Restava in silenzio, seduto sul lettino del San Mungo, fissando l’odiata parete bianca davanti a lui.
I capelli neri gli circondavano il volto pallido come le mura che lo stavano schiacciando sotto il peso della loro candida lucentezza.
L’infermiera era già venuta a controllargli la temperatura, con quel suo perenne sorriso cordiale che era quasi più odioso del bianco che lo stava facendo uscire di senno.
Allungò la mano e afferrò le posate dal vassoio posto sulle sue gambe e con sguardo schifato infilzò un pezzo di una massa fumante e dal colore indefinibile che qualcuno portandoglielo aveva spacciato per polpettone. Chiudendo gli occhi ad ogni boccone mangiò con scarso appetito. Il suo riflesso apparve distorto, beffardo tra i residui di salsa; i suoi occhi scuri brillavano per la febbre e le bolle scure lo rendevano ancora più inquietante.
Severus serrò la mascella, irritato al ricordo del suo calderone che esplodeva dopo un maldestro errore.
James Potter, durante la lezione di pozioni, come suo solito, invece che applicarsi, preferiva fare il cascamorto con Lily, aiutandola a legare i suoi serici e profumati capelli rossi con un lucido nastro bianco per evitare che la sua chioma si macchiasse, o peggio si rovinasse, durante la preparazione della pozione. Lui aveva osservato ogni movimento di nascosto, dai riflessi ramati della chioma illuminati dalla danza calda del fuoco sotto il calderone alla punta delle dita di lui che le avevano sfiorato il collo. Lei l’aveva ringraziato con un dolce sorriso.
Sorriso che a Severus era costato una dolorosa fitta allo stomaco e il compiere un così stupido e banale errore che neppure una matricola avrebbe saputo fare.
Era certo che Black stesse ancora ridendo alle sue spalle come un’idiota mentre alcuni compagni lo trascinavano lontano dal piccolo incendio che era diventato il suo paiolo e la sua pozione.
Era tutto finito in un puzzolente fumo, un ribollire senza senso di ingredienti.
Risultato: uno schifo totale.
Lui di certo si sentiva tale.
Sollevò gli occhi dalla brodaglia rossa del piatto e si ritrovò di nuovo a fissare il bianco delle pareti. Una tela candida che la sua mente coprì con l’immagine del volto della ragazza che era la causa di tutto quello che gli era successo. Ma sapeva che non era vero, sapeva che stava mentendo a sé stesso. Lui era l’unico motivo di ciò che gli stava capitando.
Lui non l’aveva mai aiutata a legarsi i capelli
Lui non aveva mai ricevuto quel sorriso che ultimamente James riceveva.
Lui non…
Lui l’aveva persa.

- FINE -



- Alla prossima settimana

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Capitolo 2
*** A cavallo dei ricordi ***


III storia inviata per la sfida indetta dal Magie Sinister Forum QUI potrete leggere il bando della lotta.


Tema: Severus vola
Giudice: Ida59

A cavallo dei ricordi (499 Parole)

La città di Londra scorreva veloce sotto di lui, in un turbinio di luci e rumori ovattati.
La notte era limpida ma, nonostante fosse la fine di Luglio, il vento che gli frustava il volto era freddo e umido. Il Tamigi tagliava la città sinuoso come il serpente che gli marchiava infuocato l’avambraccio sinistro. Accanto a lui ombre nere saettavano veloci, pregustando l’eccitazione della lotta imminente.
... la tua strada è tracciata…
Strinse con più forza il manico della scopa concentrandosi, fissando con la mente il suo obbiettivo principale.
Superarono a grande velocità il Big Ben che segnava le undici meno un quarto, avvolto da una leggera nebbia creata dai Dissennatori.
- Abbiamo poco tempo! – la voce di Selwyn si fece strada tra il rumore nel vento nelle orecchie.
Il mago chinò ancora di più la schiena sfrecciando nel cielo scuro londinese, riconoscendo sotto di sé le stradine che da bambino aveva percorso infinite volte per raggiungere la sua amica più cara.
Quando vide in lontananza il parco giochi lo stomaco si contorse in una morsa dolorosa.
Ma anche quel posto passò via veloce sotto la sua scopa, come un brutto ricordo che si desidera dimenticare.
Ma lui non voleva dimenticare.
Poteva ancora vederla dondolarsi sull’altalena, piccola e spensierata con i capelli ramati che le incorniciavano quel sorriso che l’aveva fatto innamorare.
- Maledizione! - la voce di Selwyn che imprecava contro le villette tutte uguali di Privet Drive lo destò dai suoi pensieri – Da dove partirà?
… vedi di recitare la tua parte in modo convincente…
- Cerca di darti una calmata. – sibilò con cattiveria osservando le stradine del quartiere – Presto li vedremo spuntare da una di queste squallide case Babbane.
Devi riferire a Voldemort la data esatta della partenza di Harry da casa degli zii…
- Forse ti hanno ingannato, Piton. – suggerì maligno l’altro – Yaxley aveva ragione.
Il cappuccio nero nascose il ghigno soddisfatto che si formò sulle sue labbra quando vide più di una dozzina di persone uscire dalla protezione magica della villetta.
Devi suggerire all’Ordine… di usare dei sosia. Dei Potter identici.
- Hanno usato della polisucco! Ci sono sette Potter!
Ho bisogno che tu resti nelle grazie di Lord Voldemort il più a lungo possibile…
- Circondiamoli.
Gli incantesimi gli sfiorarono il corpo.
Scartò e volò più velocemente che riusciva, lanciando incantesimi di protezione verso quelli che dovevano essere i suoi nemici e incantesimi di attacco verso quelli che chiamava compagni.
E poi si ritrovò davanti a quegl’occhi verdi che aveva giurato di amare in eterno. Quello sguardo che era stato capace di fargli provare amore e odio nello stesso momento.
Quello sguardo così intenso da lasciarlo senza fiato.
E dietro quello che restava della donna che aveva amato vide un suo compagno puntare la bacchetta.
Quanti uomini e donne hai visto morire?
Ultimamente, solo quelli che non sono riuscito a salvare.
Aumentò la presa attorno alla sua bacchetta e formulò l’incantesimo.
… che cosa mi darai in cambio, Severus?
- Sectusempra!
Qualunque cosa.


- FINE -

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Capitolo 3
*** Inadatto ***


V storia inviata per la sfida indetta dal Magie Sinister Forum QUI potrete leggere il bando della lotta.


Tema: cravatta
Giudice: Eli d'E

Inadatto

Inadatto.
Era questa la parola che aveva in mente ogni volta che vedeva il suo riflesso.
Inadatto.
Era una sensazione che lo accompagnava ogni giorno da quando era nato.
Ma da quando era vicino a lei, la sensazione si era amplificata, raggiungendo livelli a volte insopportabili.
Tutte l’amavano, tutti le volevano bene e lui, un ragazzino vestito di nero e con l’aria imbronciata, era inadatto per starle vicino.
Sospirò rassegnato, appoggiato alla parete di pietra nei sotterranei; i suoi compagni gli passavano accanto felici, indossando gli abiti eleganti per il Ballo di Capodanno.
Nessuno si accorgeva della sua presenza e di questo se ne rallegrava.
Restava appoggiato a quella parete con addosso un vestito di secondo mano che sua madre aveva comprato, di nascosto dal marito, a Diagon Alley, credendo di fargli un favore.
Invece quell’abito nero, con i gomiti scoloriti e gli orli consumati, lo faceva sentire ancora più a disagio.
Anzi… inadatto.
Mentre indossava l’abito si era domandato più e più volte cosa l’avesse spinto a partecipare a quella festa.
Gli anni precedenti aveva passato quella serata nel suo letto a scarabocchiare incantesimi sul libro di pozioni; cercando di immaginare l’odiato nemico mentre veniva umiliato e deriso.
Poi ricordava il suo sguardo e si malediva per la sua debolezza.
Strinse i pugni e per poco non cedette alla tentazione di tornare in Sala Comune e fingersi malato. Possibilmente in fin di vita.
- Severus !
Sussultò staccandosi dal muro e nascondendo una mano dietro la schiena.
Lily avanzava verso di lui.
Indossava un vestito rosa pastello, le fiamme delle torce appese alle pareti facevano brillare i riflessi ramati dei capelli, al polso portava il braccialetto di perle che le avevano regalato i suoi genitori.
Deglutì abbeverandosi della sua innocente bellezza.
- Sei in ritardo! – lo rimproverò lei, fingendosi arrabbiata – E mi hai promesso un ballo!
Inadatto.
Abbassò il capo, i lunghi capelli neri a coprirgli il volto pallido.
- Rideranno di te... - sussurrò – ti prenderanno in giro. Non … non voglio che si prendano gioco di te per causa mia. Sono… inadatto.
La sentì sospirare.
Il suo orgoglio ringhiò furioso in petto; non voleva esser trattato come un bambino. Lui voleva solo proteggerla. E lei non lo capiva.
Scansò con un gesto più brusco del voluto il suo delicato tocco sulla spalla.
- Ne abbiamo già parlato. – disse lei pazientemente.
- Tu non vuoi ascoltare…
- E tu non vuoi capire che non mi interessa il giudizio degli altri!
Sollevò il capo incontrando i suoi occhi verdi, smeraldi luminosi in quel corridoio oscuro. Fari di speranza nel suo animo in burrasca.
- Va bene. – mormorò sconfitto per l’ennesima volta da quegli occhi – Verrò.
Lily sorrise. Severus si vide sorridere, riflesso in quei pozzi verdi.
- Però manca qualcosa, Sev. – fece la strega indicandogli il collo – Dov’é il tuo papillon?
- Oh… - mormorò il giovane mostrandole la mano che nascondeva dietro la schiena – Io… - nel pugno chiuso teneva il lembo di stoffa stropicciata – non so allacciarlo.
Lily gli prese la mano, il mago sentì la sua pelle formicolare.
- Lascia fare a me, Sev. – gli disse dolcemente, prendendo il cravattino sfatto.
Con delicatezza, senza che i suoi occhi si soffermassero sui punti lisi del vestito, gli sollevò il collo della camicia e con abili movimenti iniziò ad allacciargli il cravattino al collo.
- Mia madre lo fa sempre quando deve uscire con papà. – spiegò mentre faceva il nodo.
Aveva smesso di respirare. A volte la punta delle dita gli sfiorava la pelle e tutto iniziava a vorticare, mentre il cuore batteva furioso nel petto.
Chiuse gli occhi quando le emozioni furono troppo forti da poterle gestire tutte insieme.
- Ecco fatto! – disse infine Lily abbassandogli il collo della camicia – Ora sei perfetto, Sev! Andiamo, siamo in ritardo!

***


- Andiamo, siamo in ritardo!
Lucius Malfoy è alla porta. Indossa un vestito elegante fatto su misura, Narcissa è al suo fianco.
- Arrivo. – risponde laconico il professore mentre si sistema il cravattino riflettendosi nello specchio.
I tempi sono cambiati.
Non indossa più il vestito liso di un tempo e non sta andando al ballo di Capodanno.
Severus adulto, il professore, la spia, il Magiamorte, l’amico e l’assassino, si guarda allo specchio.
- Non sono poi così diverso da allora. – pensa mentre le dita stringono il nodo del papillon rivivendo i gesti della sua amica d’infanzia.
Si guarda un’ultima volta allo specchio, prima che la porta si chiuda alle sue spalle la mente ha un solo unico pensiero: inadatto.

- FINE -


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Capitolo 4
*** Burattino ***


Tema: il Marchio Nero
Giudice: Monica

Burattino

Karkaroff girò sui tacchi ed uscì a grandi passi dalla cantina.
Sembrava preoccupato e furioso insieme. Per nulla desideroso di restare da solo con Piton straordinariamente arrabbiato, Harry gettò i libri e gli ingredienti nella borsa, e uscì con la massima rapidità per andare a raccontare a Ron e Hermione la scena a cui aveva appena assistito.
*Harry Potter e il calice di fuoco
Cap. 27 - pag. 443*


La pelle formicolava.
Bruciava in quel punto che aveva imparato ad ignorare con gli anni.
Quella macchia scura sul braccio dalla pelle candida.
Voleva ignorarla.
Fingere che non esistesse.
Invece era lì.
Beffardo il suo segno del passato. Spregevole, a ricordargli quello che aveva fatto; quello che aveva sacrificato in nome del desiderio di potere.
Era rimasta nascosta per quattordici anni.
Una macchia pallida sul corpo spigoloso.
E ora stava tornando. Pulsava come un cuore infetto d’odio e di dolore. Lo sentiva strisciare sulla pelle. Il serpente che lo aveva marchiato.
La sua colpa.
La sua dannazione.
Chiuse gli occhi. Respirò piano, cercando di placare il desiderio di urlare o di sparire da quel mondo.
Stava ricominciando.
Lo sapeva; non era solo il Marchio a ricordarglielo.
Avrebbe rivisto il dolore. Altro sangue avrebbe sporcato le sue mani.
Avrebbe indossato quella pesante maschera d’argento.
Non voleva farlo.
Ma doveva.
Aveva un debito da pagare. Un debito di sangue che non avrebbe mai potuto ignorare.
Aiutami a proteggere il figlio di Lily…
Harry.
Quel ragazzo che non capiva quanto fosse grande il dolore che provava ogni qual volta che incrociava i suoi occhi.
Il ragazzo che lui maltrattava in continuazione solo per vedere dardeggiare pieno di odio quello sguardo che aveva amato, anelato sempre con più desiderio e disperazione. L’odio provocato riusciva ad offuscare la vitalità di quegli occhi che erano di Lily e con quella i ricordi dolorosi del suo amore mai confessato.
L’avrebbe protetto, l’aveva promesso, l’aveva giurato sulla sua stessa vita di difendere il figlio che aveva desiderato con tutto se stesso che fosse suo.
Il professore si slacciò i bottoncini sulla manica sinistra, arrotolò la nivea camicia liberando la carne che bruciava nel punto in cui quello che un tempo aveva chiamato Padrone l’aveva marchiato; come un bambino che scrive il proprio nome sui suoi giocattoli preferiti.
Burattini spauriti che si lasciavano manovrare sperando di trovare la giusta via per il potere.
Osservò i contorni nitidi del Marchio che spiccava sulla carne pallida.
Aveva desiderato quel Marchio, così come aveva desiderato vedere l’amore in quegl’occhi color smeraldo.
Aveva odiato quel segno, così come aveva odiato quella parola sfuggita dalle sue labbra, sibilata con odio e orgoglio ferito.
Aveva osservato il teschio durante le sue lunghe notti insonni con dolore e rammarico, così come aveva osservato di nascosto Lily e James che si innamoravano giorno dopo giorno.
Si era quasi strappato quel pezzo di carne dal braccio, così come aveva provato ad estirpare quel sentimento che bruciava il suo cuore.
Con un dito delineò il contorno delle spire del serpente, il teschio a ghignare maligno sulla sua pelle.
Gli bastava solo una parola per eliminarlo per sempre dal suo corpo. Un solo incantesimo che aveva creato da ragazzo quando credeva che i suoi nemici fossero altri. Prima di vedere il suo più grande nemico ogni giorno riflesso nello specchio.
Ci sarebbe stato del dolore. Ma nessun dolore era paragonabile alla sofferenza che pativa senza Lily.
Ci sarebbe stato sangue, ma oramai si era abituato alle macchie scarlatte che macchiavano le sue mani.
Afferrò al bacchetta e la puntò all’avambraccio.
- Severus?
Alzò la testa di scatto.
Silente era alla porta, la tunica dai bordi verdi era l’ennesima pugnalata al suo cuore già mortalmente ferito.
Il vecchio mago non disse nulla, si limitò ad entrare nell’aula chiudendosi la porta alle spalle.
Piton abbassò lo sguardo sul Marchio Nero, sollevò la bacchetta e tornò ad osservare Silente che sembrava più interessato al cuore di drago che galleggiava in un barattolo sulla mensola della dispensa.
Lo detestava quando mostrava quel fastidioso affetto paterno.
Velocemente abbassò la manica della camicia, riallacciò i bottoni della casacca e si alzò dalla sedia.
- Sei pronto? – gli domandò inclinando il capo per vederlo meglio al di sopra delle lenti a mezza luna.
Si perse in quello sguardo celeste, la vecchia mano dell’amico si posò sul suo avambraccio sinistro. Sapeva che Silente avvertiva il calore del Marchio anche attraverso i vestiti.
Era ancora un burattino, anche se ora si trovava tra le mani di un altro padrone.


- Fine -

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Capitolo 5
*** L'eremita ***


L'eremita


Faceva freddo quella notte della vigilia di Natale.
Severus camminava a testa china per le stradine ghiacciate di Spinner’s End, diretto alla sua vecchia casa.
Il Natale con la sua fastidiosa atmosfera zuccherosa si respirava anche tra le povere baracche di legno; le luci colorate brillavano dietro le finestre rattoppate con assi e cartoni e le risate dei bambini poveri non erano diverse dalle risate dei bambini più fortunati.
Il mago cercava di camminare il più in fretta possibile. Aveva sempre trovato il Natale una festa inutile, dove l’ipocrisia umana trovava il suo apice in pacchi dalla carta orribile e con all’interno obbrobri che qualcuno osava definire regalo.
Voleva allontanarsi dalle calde atmosfere famigliari: dove padri aiutavano i figli a montare i giocattoli nuovi mentre le madri cucinavano pranzi deliziosi.
Per lui il Natale significava un pranzo riscaldato male e, se era fortunato, un regalo di terza mano, consegnato da sua madre di nascosto dal padre.
E la tradizione della famiglia Piton era continuata anche dopo che Tobias era uscito per comprare del vino da quattro soldi senza fare più ritorno.
Ma da quell’anno non ci sarebbe stata più neppure quella; sua madre era morta la sera prima. Sola come era sempre stata nella sua vita.
Si avvicinò alla porta della casa a ridosso della ciminiera. Non vi tornava da quando Lily era stata uccisa. Da quando i suoi incubi erano peggiorati rendendo ogni notte un inferno di dolore e angoscia.
Ed ora era tornato per affrontare quello spauracchio che era la sua infanzia.
La porta si aprì con un debole cigolio, l’aria era stantia ma, nonostante lo squallore dei mobili, la stanza era pulita ed in ordine.
Sua madre non aveva mai tollerato il disordine e la sporcizia.
La ricordava china sul pavimento di linoleum nel tentativo di pulire le macchie di vino rosso senza la magia.
Entrò nel piccolo salotto riconoscendo la vecchia coperta che Eileen aveva lavorato a maglia per più di un anno con la lana ruvida di seconda scelta. La rivide seduta sul divano mentre suo padre beveva birra guardando la televisione.
Severus si sedette sul divano avvolto nella penombra della casa, la sua attenzione fu proiettata verso un piccolo pacchetto sul tavolino basso davanti al sofà.
Il cuore del mago perse un doloroso battito rendendosi conto che quello era l’ultimo regalo che avrebbe ricevuto da sua madre.
Eileen non amava scrivere bigliettini, così si limitava a tracciare il suo nome sulla carta, senza auguri o frasi di buona fortuna. Lo stesso nome, la stessa scrittura che stava rivedendo in quell’istante.
Severus aprì il pacchetto con mano ferma nonostante dentro tremasse come un bambino sperduto, trovandosi in mano il vecchio mazzo di tarocchi della madre. Eileen era stata una strega mediocre e la vita con il marito Babbano aveva affievolito le sue qualità magiche, ma era sempre stata attirata dalla divinazione e, in special modo, dalle carte.
Il mago osservò il vecchio mazzo, l’inchiostro del dorso quasi del tutto scolorito e molti angoli ormai incartapecoriti dal tempo, eppure le immagini si riconoscevano ancora tutte nel loro splendore e mistica poesia.
Non riusciva a comprendere il gesto; ciononostante rimase comunque a fissare ogni carta riconoscendo in ogni segno un gesto di Eileen, una sua carezza, un suo bacio, un suo malinconico sorriso.

* * * *

Faceva freddo quella notte della vigilia di Natale.
Il Preside Piton sedeva alla scrivania nello studio circolare con aria assorta. Continuava ad odiare il Natale, ogni anno sempre con più enfasi e cinismo.
I suoi incubi erano peggiorati e le occhiaie aumentavano giorno dopo giorno.
Davanti a lui i tarocchi che aveva ricevuto dalla madre. Teneva quel mazzo nell’ultimo cassetto della scrivania. Non osava mai guardarlo se non la notte della Vigilia di Natale quando la solitudine prendeva il sopravvento. Quando ogni ombra sembrava assumere le fattezze di un incubo.
Allungò la mano e girò la prima carta del mazzo.
L’appeso.
Sacrifico, sofferenza e difficoltà.
L’appoggiò sul tavolo e voltò la seconda.
L’eremita.
Solitudine, silenzio, isolamento.
Era fastidioso vedere se stesso e la sua vita racchiusi in due semplici, scolorite carte. In un moto di stizza che non gli era proprio spazzò la scrivania con la mano, facendo cadere le due carte, che si posarono a terra una vicino all’altra, mentre tutte le altre del mazzo si sparsero per la stanza.
Tranne una, che si sovrappose all’appeso e all’eremita.
L’imperatrice.
Intelligenza, praticità, madre.
Da lontano giunsero dei canti di Natale intonati dagli studenti.
- Buon Natale anche a te, mamma


- FINE -

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Capitolo 6
*** Alla salute ***


Tema: Severus distilla una pozione
Giudice: Ida59

Alla salute


La Sentimax enfatizza i sentimenti.
Un comune filtro d’amore crea un fittizio sentimento, la Sentimax aumenta ai massimi livelli le emozioni già presenti.
Un’infatuazione diviene amore profondo. Un risentimento si tramuta in odio.
La pozione è classificata come pericolosa ed è vietata la commercializzazione.
[Helbert Luxoric, Pozioni avanzate
Pag. 340 capitolo 7]


Il silenzio era quasi religioso nella classe di Pozioni avanzate del settimo anno.
A seguire quel corso erano una decina e lei poteva vantarsi di essere l’unica Grifondoro.
Tipico. Era l’unica in molte cose.
L’inizio della lezione era la parte peggiore. Severus Piton entrava con l’umore così nero da far desiderare il bacio dei Dissennatori.
Quel pomeriggio non fece eccezione; Piton, come nuvola tempestosa, entrò nell’aula, posizionandosi alla cattedra e guardandoli con lo sguardo schifato riservato alle lumache carnivore.
“Oggi prepareremo una pozione richiedente un’esemplare concentrazione.”
Dopo quella frase il silenzio calò, rotto solo dal rumore dei coltelli sui taglieri o dei pestelli nei mortai.
Piton, al solito, preparava la stessa pozione nel suo calderone.
Nulla era cambiato.
Lei studentessa, lui professore bastardo a preparare pozioni solo per sminuire il lavoro degli studenti.
Eppure tutto era cambiato.
Cercava di non pensarci. Ogni tanto si illudeva, poi si guardava allo specchio: vedeva il suo volto adulto e la dura realtà.
Sollevò lo sguardo dal mortaio dove aveva polverizzato le foglie di dittamo; gli studenti erano concentrati nei rispettivi lavori, desiderosi di finire la lezione indenni. Guardò la lavagna, leggendo il passo successivo. Inconsciamente registrò Piton intento a macinare col pestello. Era concentrato, totalmente assorto nel compito, ma lei sapeva che nulla della classe gli sfuggiva.
La polvere di dittamo attendeva il momento esatto per finire nel calderone.
Tornò ad osservarlo.
Mani esperte si muovevano veloci sul tavolo. Vedeva una scintilla speciale nei suoi occhi neri dallo sguardo attento. L’aveva intravista per la prima volta quell’anno e, da allora, bramava quella luce.
C’era della poesia nei suoi gesti, qualcosa che in pochi notavano. Probabilmente solo lei.
I lineamenti erano più distesi, quasi rilassati… ammettendo che Piton sapesse rilassarsi.
Sorrise.
“Signorina Granger…“ mormorò lui senza alzare gli occhi “La procedura la fa sorridere?”
“Mi scusi...” arrossì aggiungendo il dittamo nel liquido fumante che divenne rosa.
Tagliò in cubetti identici le radici di margherita; le aggiunse, mescolando in senso antiorario.
Ora iniziava l’attesa.
Si sedette al banco e aprì un libro. Periodicamente alzava gli occhi per osservare Piton.
Severus stava ancora lavorando. Teoricamente aveva concluso, eppure sminuzzava, tagliava, tritava ingredienti, seguendo una sua ricetta, non quella ufficiale. Hermione si perse nel contemplarlo. Amava quella ruga appena più profonda sulla fronte che si formava quando era concentrato… una tremenda tentazione. Amava il suo profumo misto a quello delle pozioni. Amava il suo modo di isolarsi dal mondo mentre lavorava.
Il vicino fuoco si rifletteva nel suo sguardo, il lungo mantello sfiorava il terreno con leggiadria.
Incuranti dei caldi vapori nell’aria, i bottoncini della casacca chiusa erano allineati in fila come bravi soldatini.
“Ora i capelli, l’ultimo ingrediente.” proclamò.
Ognuno si mise accanto al proprio paiolo e prese le forbici, tagliandosi una ciocca di capelli.
Ad Hermione sembrò un sacrilegio assistere alla mutilazione della bellissima chioma corvina dell’uomo.
“Uscirà un fumo bianco con riflessi dorati.”
Aggiunsero all’unisono i capelli.
Severus osservò i fumi innalzarsi nell’aria; il suo occhio attento valutò ogni minima variazione cromatica.
Passò per i calderoni osservandone il contenuto e assegnando punizioni.
“Come potete vedere la pozione è sufficiente per un’ampolla e non ha effetto sul preparatore. La berrete alla cattedra: non voglio correre rischi.”
Hermione fu l’ultima.
Furono una di fronte all’altro.
“Professore!” urlò una studentessa.
Severus scattò, lasciandola sola. Lei colse l’occasione al volo: scambiò le ampolle e bevve.
“Portatelo in infermeria. Gli altri via, la lezione è finita!”
Hermione andò al banco per ordinare i libri.
“Granger.“ disse Piton, facendo sparire il calderone “Rimanga.”
Sola con lui, Hermione sentì il cuore accelerare. La pozione appena bevuta non poteva che aumentare i sentimenti che già provava.
“Questa non è mia.” disse senza particolare sfumatura nella voce ”Ha una sfumatura più scura che solo un occhio distratto non noterebbe.”
Hermione rimase immobile davanti all’uomo; la pozione ingerita le suggeriva di annullare la distanza che li separava.
“Astuto scambiare le ampolle.”
“Perfido aggiungere l’eucofrasio nel calderone di Jones per farlo stare male.”
“Voleva uscire con te.”
Hermione arrossì. Le capitava quando Severus si mostrava inaspettatamente dolce. La sua gelosia era per lei ambrosia.
Piton annusò il contenuto dell’ampolla.
“E ora?”
“Io l’ho bevuta.”
Il mago sorrise e la trangugiò.
“Alla salute, Hermione.”


Fine

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Capitolo 7
*** Perfume of Hope ***


Scritta per il XI° turno di


Tema: Severus, un odore o un sapore e un ricordo


Perfume of Hope


Quello che avvertiva era un profumo nuovo.
Dolce, sconosciuto in grado di donargli quiete.
Era profumo di innocenza. Un delicato aroma che gli scaldava il cuore e che lo terrorizzava nello stesso istante.
Era il profumo di un nuovo inizio, di qualcosa di immacolato e puro.
Era una fragranza che risvegliava in lui istinti che non aveva mai creduto di possedere e, nello stesso tempo, lo faceva tremare dentro, spaventato dall’idea di quello che era stato un tempo, inadatto per affondare anche quel nuovo, inatteso, temuto percorso.
Era il profumo dei sogni, delle illusioni, quelle sensazione effimere che, quando credi di afferrarle, ti scivolano via come sabbia tra le dita. E lui le aveva rincorse per anni, inutilmente.
Era il profumo di una nuova responsabilità, di un’anima che non era ancora stata intaccata dalla realtà.
Era la fragranza delicata di un fiore non ancora sbocciato, di un libro nuovo dalla copertina rigida con i fogli ancora incollati.
Un profumo che conteneva amore, serenità e pace. Sentimenti che gli erano sempre stati negati.
Severus non credeva che avrebbe mai sentito un profumo del genere.
Il profumo della fragilità delle illusioni, delle scoperte infantili e dello stupore di fronte alle novità.
La fragranza del terrore di perdere tutta quella piccola, seppur enorme, gioia; di appestarla con la sua presenza e il suo olezzo di morte e magia nera.
La paura di intaccare quella purezza con le sue mani che odoravano di sangue e che non sapevano donare gesti affettuosi.
Severus respirò piano cercando di marchiarsi a fuoco quel profumo nella mente, di farselo diventare suo; perché sapeva che sarebbe durato poco. Sapeva che presto quell’aroma avrebbe lasciato posto ad un’altra fragranza, sempre dolce e delicata, ma diversa da quella perfetta e pura che scacciava il puzzo della sua anima.
Severus non credeva possibile che potesse esserci un momento di assoluta perfezione come quello che stava vivendo. C’erano stati momenti, notti insonni persi nella contemplazione di un corpo che mutava sotto il suo attento, innamorato sguardo, in cui si era chiesto come sarebbe stato il suo futuro.
Ed ora il suo futuro era lì. Stretto dalle sue grandi braccia segnate da un marchio che impallidiva con gli anni sulla pelle bianca.
Impallidiva senza sparire. E un giorno avrebbe dovuto spiegare cosa significava del segno, cosa portava, che ricordi richiamava in lui e in tutte le persone che gli stavano attorno.
L’odore del sangue. L’odore della morte. L’odore della solitudine.
E lui avrebbe spiegato. Timoroso, incerto, magari cercando lo sguardo della sua donna; gli avrebbe stretto la mano donandogli un muto conforto come solo lei sapeva fare.
Un giorno.
Quando del profumo che gli riempiva i polmoni ci sarebbe stato solo un vago ricordo.
Ma ora non era il momento di ricordare gli olezzi della sua anima.
Ora contava solo quel profumo e il calore che avvertiva nel cuore insieme alla speranza di diradare le tenebre che a volte, a distanza di anni, avvolgevano ancora il suo profondo sguardo.
Il mago distese le labbra sottili in un tenue sorriso. La fragile creatura che teneva in braccio aveva gli occhi serrati sul mondo che ancora non poteva vedere, i piccoli pugni dalla pelle grinzosa stretti vicino al viso paffuto.
Diede un delicato bacio sulla fronte coperta da una sottile, morbida peluria.
Non credeva che un uomo segnato dalle ombre e tenebre come lui potesse donare la vita ad una creatura di luce come quella che stava stringendo.
Non avrebbe pianto. Nella sua vita le lacrime aveva segnato momenti dolorosi; ogni squarcio dell’anima.
La sua anima era stata ricucita dalle delicate mani della donna che aveva imparato ad amare, con pazienza e devozione aveva unito tutti i brandelli del suo essere donandogli la speranza. Non c’era più dolore e oscurità ma solo gioia e la forte luce dell’amore a diradare le tenebre del suo sguardo e del suo cuore.
Non avrebbe pianto.
“Severus?” la voce di Hermione riuscì a destarlo dal torpore che quel profumo donava portando via la sua vecchia vita, con i suoi odori malsani, risanando vecchie cicatrici “Dobbiamo scegliere un nome.”
Sollevò lo sguardo incontrando quello di sua moglie distesa sul letto, affaticata dal parto ma con un sorriso radioso.
“Hope.” disse a voce bassa, come se temesse di sporcarla con la sola voce.
Hermione annuì con un leggero cenno del capo prima di chiudere gli occhi vinta dalla stanchezza.
Severus sorrise poi tornò a guardare la bambina.
“Benvenuta Hope. Sono papà.”

Fine

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Capitolo 8
*** Occhi color whisky ***


Scritta per il XII° turno di


Tema: Severus e una scena della sua infanzia

Occhi color whisky

Il mondo traballa, quando lo si guarda attraverso un bicchiere di whisky.
E’ avvolto da un velo ambrato; è freddo come il ghiaccio che si sta dolcemente sciogliendo, infuocato come il liquido che ti brucia la gola, annebbiandoti la mente.
Tutto è più bello, quando lo si guarda attraverso un bicchiere di whisky.
La tua casa, quella baracca che Eileen non riesce a tenere pulita come dovrebbe, sembra una reggia.
E perfino lei, la tua Eileen, è bella attraverso il liquore.
Sembra di nuovo la giovane donna che ti aveva fatto innamorare ed infuocare di desiderio, quella graziosa fanciulla che non parlava di magie.
Quando non sapevi cosa lei fosse.
Ed il piccolo - tuo figlio - ti mette quasi allegria mentre lo osservi seduto sulla poltrona sfondata, nel salotto illuminato dalla luce del sole settembrino.
Rigiri il bicchiere all’altezza degli occhi; il piccolo Severus è seduto sul tappeto liso, gioca con delle vecchie palle appartenute ad Eileen.
Gobbiglie le ha chiamate lei, mentre le prendeva da una custodia di legno inciso, apparsa da chissà dove.
Magia sussurra la voce del whisky nelle tue orecchie e la presa attorno al bicchiere si fa per un attimo più forte.
Il bambino distorto dal ghiaccio osserva le palle con interesse e quell’espressione seria che stona incredibilmente con la sua tenera età.
Ti chiedi, con l’unica briciola di amore paterno, se quell’espressione l’accompagnerà per tutta la vita. Se il nome che Eileen ha scelto – un nome troppo impegnativo per chiunque – potrebbe essere la sua condanna.
Butti giù un sorso di liquore.
Lo stomaco brucia, la testa ti sembra più leggera e quell’ultimo brandello di amore si disperde tra i fumi dell’alcool.
Il piccolo ride mentre Eileen fa rotolare le biglie sul tappeto; i colori delle palle si mescolano in una spirale che sembra viva; intravedi un serpente tra i disegni che le ornano. Severus ride ancora, una risata genuina come poche se ne sentono tra le stradine malconce di Spinner’s End.
Ti ritrovi a sorridere. E’ strano.
Ma il mondo è diverso, quando lo si guarda attraverso un bicchiere di whisky.
Porti il bicchiere alle labbra, le umetti di liquore e osservi tuo figlio. Assomiglia molto ad Eileen.
Ti chiedi quanto.
Quanto ci vorrà prima che gli oggetti iniziano a tremare, come succede quando lei è spaventata. Quando sei tu a spaventarla.
Quanto ci vorrà, prima che lui inizi ad odiarti, a non considerarti più suo padre.
Bevi ancora e i problemi spariscono dentro a quel bicchiere, vengono affogati nel liquido ambrato, bruciati dai suoi vapori, congelati dal ghiaccio morente che lo raffredda.
Il mondo è crudele quando lo si guarda attraverso un bicchiere di whisky.
Eileen sorride, non sorrideva da molto tempo. Il bambino ride e batte le mani in direzione delle palle colorate.
Il loro mondo ti esclude, ti logora, ti fa sentire impotente.
Bevi l’ultimo sorso rimasto.
Eileen alza lo sguardo e osserva le lancette dell’orologio appeso alla parete.
“E’ tardi, devo preparare la cena.”
Si alza e prende in braccio il bambino.
Severus si dimena, allunga le braccia verso i nuovi giochi borbottando qualcosa che solo lui può comprendere.
Appoggi il bicchiere sul tavolino accanto alla poltrona. Sei rimasto in silenzio per tutto il tempo. Hai osservato il loro gioco, nascosto dal velo ambrato del whisky.
Il mondo fa male quando lo si guarda attraverso un bicchiere di whisky.
Incroci lo sguardo di tua moglie.
“Lascialo qui.”
Eileen tentenna per qualche attimo, poi rimette il bambino a terra.
Severus gattona fino alle Gobbiglie, si siede sul pannolone cercando di prendere una biglia più grossa della sua mano.
Lo osservi in silenzio.
Solo tu e lui.
E’ piccolo, ignaro del mondo in cui vive. Ti allunghi verso il mobile dei liquori e prendi la bottiglia versandoti altro whisky.
Niente ghiaccio. Cazzo.
Bevi un sorso e torni a guardare tuo figlio.
Severus ha imparato in fretta i gesti di Eileen ed ora sta cercando di far rotolare una palla.
Scivola dalle sue mani paffute e rotola fino al tuo piede.
Non ti chini.
“Il mondo non è giusto, Severus.” dici sollevando il bicchiere “Devi imparare a cavartela da solo. Non si è mai troppo piccoli per imparare.”
Porti il vetro alle labbra, ma ti blocchi.
La biglia inizia a rotolare da sola, come mossa da una mano invisibile. Lentamente va a finire tra le mani del bambino.
E’ come lei.
Bevi in un solo sorso l’intero bicchiere.
Il mondo fa schifo, quando lo si guarda attraverso un bicchiere di whisky.

- Fine -



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Capitolo 9
*** Portatore di morte ***


Tema: Severus e il molliccio


Portatore di morte



Si avvicinava a lui lentamente.
Un ossuto dito annerito lo puntava minaccioso.
Severus sapeva che era solo frutto delle sue paure. Sapeva che quello che vedeva non era reale, eppure dentro di lui qualcosa si era spezzato nel momento in cui si era aperto quel vecchio baule dove da qualche giorno si era annidato un molliccio.
Uno stupido molliccio.
Eppure quel ridicolo essere era stato in grado di paralizzare la sua mente analitica, di congelare ogni suo pensiero e la sua bacchetta restava inerme lungo il fianco, stretta da una mano fredda come quella di un cadavere.
Ma tu sei un morto che cammina…
Le iridi celesti del molliccio brillarono maligne dietro le lenti a mezzaluna.
Un incubo.
Solo un incubo. Un parto della sua mente ormai sull’orlo dell’oblio.
Mi hai ucciso…
Le labbra restavano immobili, sigillate sul volto allungato della sua ultima vittima.
Sono una tua vittima…
Eppure sentiva la sua voce nella mente, rimbombava nel suo animo lacerato, in quell’ultimo brandello di umanità che voleva – doveva – celare a tutti.
Fece un passo indietro mentre la creatura si avvicinava. Il dito nero lo indicava di nuovo. Accusatorio e maligno che lo putava come una vecchia bacchetta ringrinzita.
Assassino…
Una condanna nella sua mente stanca.
Un epiteto che rimbombava nelle vie di Londra, per i corridoi della scuola che l’aveva accolto quando il mondo lo aveva abbandonato; un’accusa sulle labbra dei maghi che proteggeva facendosi odiare.
Assassino…
Lo era davvero. Uno sporco assassino. Un orrendo essere che non aveva battuto ciglio sulla quella Torre.
Un mago che non si era fatto scrupoli ad uccidere l’unico che poteva salvarlo dalla sua stessa anima nera.
Solo una pedina che aveva risposto ad un ordine.
Debole…
Fece un altro passo indietro mentre quella mano annerita e raggrinzita come quella di un Dissennatore si avvicinava sempre di più fin quasi a sfiorargli la veste nera; drappo della notte che aveva rubato nella vana speranza di sparire, annullando la sua esistenza.
Portatore di morte…
Avrebbe voluto tapparsi le orecchie e urlare per far tacere quella voce, ma sapeva che nessun rumore poteva attutire lo stridio dei brandelli della sua anima.
La gente attorno a te muore…
Aumentò la presa attorno alla bacchetta fino a far diventare bianche le nocche della mano.
Muoiono tutti per causa tua…
Le iridi scintillarono e il celeste lasciò il posto allo smeraldo.
Indietreggiò ancora trattenendo a stento un gemito di dolore.
Per causa tua…
Chiuse gli occhi, cercò nella sua mente qualcosa a cui aggrapparsi con tutte le sue forze. Un’immagine, un ricordo, un momento felice per cercare di scacciare quella paura: la consapevolezza che chiunque lo amasse prima o poi moriva, la maggior parte delle volte per causa sua.
La sua vita non era costellata da momenti felici, i suoi ricordi più piacevoli erano ancora legati all’infanzia quando gli unici segni sul suo corpo erano i lividi che gli lasciava suo padre. Ma ogni livido corrispondeva ad una carezza di Lily, ogni delusione ad una sua parola di conforto; non era poi così doloroso rimembrare il passato.
La mano che stringeva la bacchetta si alzò mente il molliccio si avvicinava e i capelli argentei di Silente mutavano in lunghi fili ramati.
“Riddi…”
Severus… ti prego…
I vestiti di Albus mutarono in una nube di fumo per prendere poi le fattezze degli abiti che indossava Charity Burbage. Due lacrime rigarono il volto della creatura.
Non più Albus. Non più Lily. Non più Charity.
Ma solo morte.
Morti che lui non era stato in grado di evitare.
La tua mente brillante non è stata in grado di fermare la maledizione che mi stava consumando…
Sibilò la voce di Albus.
Il tuo amore mi ha ucciso…
Sussurrò la voce di Lily.
Sei rimasto a guardare…
Esalò Charity.
Velocemente le fattezze del molliccio iniziarono a mutare diventando i volti degli studenti che aveva giurato di proteggere; i colleghi da cui si era fatto odiare.
I membri dell’Ordine che si sentivano traditi.
Potter con il suo sguardo carico d’odio.
Tu ci hai ucciso…
Tutti sarebbero morti a causa sua. Tutte morti che non sarebbe stato in grado di fermare.
La mano che stringeva la bacchetta tremò appena.
“Expulso!”
Il molliccio esplose come una nuvola di polvere.
Severus osservò il punto dove pochi istanti prima c’era il molliccio. Uscì dall’aula prima che la creatura potesse ricomporsi e rintanarsi di nuovo nel baule.

Infelice il Paese che non ha eroi.
No, beato il Paese che non ha bisogno di eroi.*

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* citazione di Bertold Brecht – Vita di Galileo

Fine

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