Compagni di Sventura - Until our death

di Martin Eden
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Partenza ***
Capitolo 2: *** Confessioni ***
Capitolo 3: *** Nessuna pietà ***
Capitolo 4: *** Per Lilian ***
Capitolo 5: *** Buio ***
Capitolo 6: *** Cecità ***
Capitolo 7: *** Addii ***
Capitolo 8: *** Verso Monte Fato ***
Capitolo 9: *** All'ultimo sangue ***
Capitolo 10: *** Rinascere ***
Capitolo 11: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Partenza ***


1 - PARTENZA

 
 
Théoden accolse Gandalf con grande gioia, ed accolse con altrettanta gioia il cavaliere che aveva accompagnato il mago, di nome Eomer.
Quello stesso giorno, il sovrano andò a Isengard, per reclamare la sua vittoria: pensava di trovare grandi bastioni, grandi fucine, forse un ultimo battaglione ad attenderli: invece trovò solo rovine, e la cupa Torre di Orthanc si ergeva sola su un territorio desolato.
Re Théoden, Aragorn e gli altri amici fecero la conoscenza del nuovo "governato -re" di quel luogo, Barbalbero, nonchè responsabile della distruzione di Isengard: era un Ent, ovvero una spacie di albero vivente.
Gandalf scambiò quattro chiacchiere con lui, mentre Gimli si trovò faccia a faccia con due vecchie conoscenze....:
 - Merry, Pipino! - urlò appena vide i due hobbit dispersi comodamente seduti su un paio di pietre - Siete delle piccole canaglie! -
 - Chiamaci come vuoi, fatto sta che ora siamo qui, a goderci il nostro bottino di guerra. - ribattè Merry, aspirando profondamente da una pipa.
Barbalbero spiegò a Gandalf che intendeva ricostruire Isengard esattamente com'era prima che Saruman, lo stregone, uscisse si senno: e naturalmente, a -vrebbe sorvegliato Orthanc giorno e notte, insantacabilmente.
Dopo la piacevole ma alquanto strana conversazione, Théoden si diresse verso Edoras, e ci giunse giusto in tempo per preparare un succulento banchetto: ov -viamente aggiunse due posti alla tavola, dato che anche Merry e Pipino erano venuti a Rohan assieme a lui.
Mentre i due hobbit danzavano e cantavano mediocremente per gli invitati, bat -tendo rumorosamente i piedi sulla lunga tavolata e facendo baccano, Lilian cercò un po' di solitudine fuori, al fresco della sera: il vento s'insinuava piacevolmente fra i cortili di Edoras, regalandole il suo alito tiepido.
La verità era che Lilian non riusciva a togliersi dalla testa l'immagine di Haldir morente, colpito a tradimento su quelle maledette mura del Fosso di Helm: più cercava di dimenticarlo, più quel ricordo riaffiorava, continuamente.
Era questo a non darle pace: anche per essere solo un elfo, Haldir le aveva se -gnato il cuore
(scusa)
Quelle parole, soprattutto, l'avevano colpita: quando mai un elfo aveva chiesto scusa a un mezzano?
Oh no, il mondo cominciava a girare all'incontrario, prima o poi sarebbe arrivata la fine: la fine di tutto.
 - Che ci fa una bella signorina come te qua fuori, quando tutto il divertimento è dentro Edoras? -
La voce di Gimli scosse Lilian, che, comunque, continuò a scrutare imperturba -bile la notte imminente: non rispose.
Il nano le si avvicinò, tanto da toccarla, ma ancora non lo fece: gli sembrava di non doverlo fare, Lilian era un bottino troppo bello e troppo proibito per poterse -ne impadronire così facilmente.
Si abbandonò a dare un occhiata nella stessa direzione di lei:
 - Bello, come panorama... - dichiarò dopo qualche minuto  - ma non sei venuta qua fuori solo per questo, vero? -
Ancora silenzio:
 - Qualcosa ti tormenta, forse? -
 - ...sì.... -
Gimli si voltò a fissarla, nonostante lo superasse di un metro come minimo, in statura:
 - Che cosa? - chiese in tono sommesso.
 - Haldir, il generale di Lòrien che ci ha aiutato, è morto...: lo so che era solo un elfo, ma....mi ha chiesto..mi ha chiesto scusa prima di morire....nessun elfo l'a -vrebbe fatto.. -
 - Suvvia, non starti a crucciare per uno di loro! Sai quanti ne saranno morti? Decine su decine... -
 - Lo so... -
Lilian non riusciva proprio a non pensarci: le aveva chiesto scusa! A lei, un mezzano!
 - Mia piccola Lilian.. - esordì Gimli, avvicinandosi di più  - Ti stai rovinando la vita per niente: sono solo esseri, per la maggior parte anche vili... - tentò di abbrac -ciarla  - Tu non meriti uno di loro.. -
Forse quel gesto in teoria l'avrebbe dovuta tranquillizzare: l'abbraccio di un ami -co, di solito, fa un buon effetto sulla tristezza.
Non quella volta: Lilian si districò dalla solida presa di Gimli e si allontanò, in un attimo furibonda:
 - No, non è vero! - urlò - tu non capisci, NON CAPISCI! Non puoi capire, perciò lasciami stare, capito?? Non sei all'altezza per capirmi, in tutti i sensi! -
Se ne andò di corsa, abbandonando un Gimli inebetito da quella reazione esa -gerata: il nano riuscì a riscattarsi solo dopo che la ragazza fu sparita dietro l'an -golo della terrazza.
Ancora sconcertato, tornò nel salone a grandi passi, sentendo che il baccano gli stava di nuovo otturando le orecchie.
Vide Legolas avanzare verso di lui: aveva l'aria di uno che sa cos'è accaduto.
 - Che le hai fatto? - gli chiese nel tono più calmo possibile.
 - Io? Niente! - rispose Gimli - E' lunatica! - e superò Legolas.
L'elfo non lo seguì, ma si voltò verso la porta che dava alla terrazza: gli si era presentata una grande occasione.
Senza farsi notare, uscì dalla sala, sparendo nell'oscurità della notte ormai so -praggiunta: piccole fiaccole baluginavano fissate ai muri, dando alla terrazza una luce quasi spettrale.
Non c'era nessuno, a parte una sinuosa e solitaria figura, là, in fondo.
Legolas si avvicinò silenziosamente; lei non si voltò a guardarlo, benchè sapesse della sua presenza e non la gradisse: non voleva scocciatori quella sera.
 - Non è un po' freddo per stare fuori, a quest'ora? - le domandò cordialmente l'el -fo.
 - Non per me... -
Legolas capì al volo che Lilian non aveva affatto voglia di parlare, ed evitò di far -le altre domande: preferì perdersi nel paesaggio confuso della notte, e godersi i fruscii sommessi del vento che soffiava, imperterrito.
 - Se sei venuto per sapere come mai sono qui, ti rispondo subito che non sono affari tuoi.. - riprese la ragazza - ti avviso che ho già scacciato Gimli e tutto il suo blaterare, e posso farlo ancora, con te... -
 - Veramente io non ti ho chiesto nulla... -
Accidenti, aveva ragione!
Lilian si sentì d'un tratto una stupida: era vero, dopotutto Legolas non le aveva ancora chiesto niente! Non poteva prendersela con lui, se ancora non si era mac -chiato di una sola colpa...
 - Scusami.. - si sentì obbligata a dire - Non volevo essere scortese. Il fatto è che da quando abbiamo vinto al Fosso di Helm c'è qualcosa che mi tormenta: si vede, lo so, imma -gino che tu vorresti saperlo, ma non posso dirtelo, non voglio, io non.. -
 - Lilian.. - replicò con calma Legolas - anche se non me lo dici, stanotte dormo lo stesso.... -
La ragazza rimase stupita da quell'ironia: si aspettava che insistesse, che, come Gimli prima di lui, morisse dalla voglia di sapere che cosa la stava torturando.
La voce le si fece strozzata, ma questo non le impedì comunque di parlare: non capiva perchè, ma tutto d'un tratto sentiva chiaro il bisogno di confidarsi.
(con un elfo?)
 - La verità è che Haldir è morto. - confessò in un roco sospiro - E che..che prima di morire...mi ha chiesto scusa: forse per come mi ha trattata a Lòrien, non lo so! -
Legolas si voltò a guardarla, incuriosito da quella confessione:
 - Il fatto è che da allora non mi riesco più a lavare di dosso il suo viso. Improvvisamente, la consapevolezza di essere una comune mortale mi è piombata addosso, e..ho paura..ho paura di morire! Anche quell'elfo, la morte, sono sicura che non se l'aspettasse per niente! Co -me poteva immaginare di non poter più tornare a casa? Come poteva saperlo? E come... -
Lilian si fermò, riflettendo:
 -...e come farò a sapere io quando dovrò lasciare questo mondo? Prima o poi dovrò, sia per spada o per il tempo che corre...è questo che mi sconvolge.. -
Guardò gli occhi Legolas, cercando di scovarci un po' di conforto:
 - Sconvolgeva anche me... - le disse in tutta sincerità l'elfo - ma non mi sono mai lasciato sopraffare da questo problema: l'ho presa con calma, prima o poi succe -de, bisogna ammetter -lo.. -
 - Fai presto a parlare tu, sei immortale! - ribattè Lilian.
 - Non alla spada...e poi anche tu sarai presto un'immortale, te l'ho promesso, no? -
 - Come puoi crederci ancora? -
 - Quando io faccio una promessa, la faccio per mantenerla: e ti giuro che appena sarà finita questa guerra mi metterò all'opera, a costo di rovinarmi la reputazio -ne e la vita...ti ho dato la mia parola, a Lòrien... -
Lasciò che il silenzio s'insinuasse fra loro:
 - Per quanto riguarda la morte, credo che non ci si debba pensare più di tanto, o, se ci vuoi pensare, fallo pure, ma accetta un consiglio: vedila come una cosa lontana dal tuo mondo, anche se in questi momenti ti risulterà molto difficile... -
Quello strano discorso colpì Lilian dritta al cuore: non aveva fatto male, dopotut -to, a confidare le sue pene ad un elfo. Era stato l'unico a darle una risposta a tutte le domande che si era posta, senza urtare contro nessuno dei suoi senti -menti.
D'improvviso, senza neache sapere come, forse in un impeto di giusta "follia", abbracciò Legolas piangendo:
 - Grazie! - gli sussurrò ad un orecchio mentre lo stringeva forte.
Lui si limitò a sorridere e a ricambiare la dolcezza di Lilian, inconsapevole che i suoi gesti erano registrati in modo assiduo, da una mente che non lo perdeva mai d'occhio:
 - Guardali! - ruggì Gimli tra sè e sè, accostato a una finestra - Non è giusto: solo perchè lui è più alto! - si morse le labbra nervosamente, fino a farle sanguinare.
Non poteva sopportare tutte quelle moine da innamorati!
(innamorati? INNAMORATI?? Non posso permetterlo!)
Aizzato dalla sua cocente ira, si diresse verso il fondo della terrazza con passo pesante, non preoccupandosi affatto delle persone che stavano osservando la sua andatura instabile: il nano dovette fare addirittura uno sforzo enorme, per resistere alla tentazione di afferrare la sua ascia e abbattersi su Legolas come una furia.
No, non lo fece. Si limitò a dire:
 - Ma bravi! Vedo con piacere che vi siete scelti un bel posticino romantico per la vostra luna di miele! -
Lilian e Legolas si voltarono di scatto, lasciandosi con un potente strattone che rischiò di far perdere l'equilibrio a entrambi:
 - Luna di miele? Di che cosa stai parlando, Gimli? - lo aggredì la ragazza: tenta -va di nascondere la verità, ma non sapeva più se la voleva celare al nano o se semplicemente a se stessa.
 - Oh, niente, niente...una battuta.. -
 - Le tue battute sono alquanto fuori luogo! - abbaiò Legolas, e lo superò, sparen -do fra gli invitati nel salone.
Mentre sentiva il sangue pulsargli dolorosamente nelle tempie, l'elfo ebbe come l'impressione che Gimli non avesse aperto bocca solo per fare dell'ironia: aveva tentato di provocarlo, era fin troppo evidente.
Evidente e meschino.
Si fece strada tra la folla di invitati, cercando di raggiungere un posto possibil -mente tranquillo per superare il suo imbarazzo.
Aragorn, appoggiato a una colonna e intento a bere vino, vide l'amico sparire dietro una porta poco più in là: lo vide mentre, impacciato, camminava spedito e a testa bassa per non mostrare le guance paonazze.
L'uomo rise sommessamente, sorseggiando la sua bevanda: i suoi sospetti erano inevitabilmente fondati.
 
A notte inoltrata, quando tutti ormai dovevano essere già a letto da un pezzo, un terribile presentimento avvolse il cuore di Aragorn come se fosse la velenosa tela di un ragno: stava succedendo qualcosa, o doveva succedere qualcosa, da qual -che parte di Edoras.
Quella brutta sensazione gli tolse il sonno: si alzò, controvoglia, e cercando di non fare rumore uscì dalla sua stanza.
Il silenzio soprannaturale lo circondò: camminò strisciando raso muro per buona parte del corridoio, temendo di poter essere scoperto.
Poi, d'un tratto si bloccò: gli era sembrato di udire dei passi, poco lontano, chis -sà, forse addirittura dietro l'angolo.
Passi? Chi poteva mai essere in piedi a quell'ora?
 - Andiamo, stai farneticando! - si disse, e cercò la forza per andare avanti.
Le sue gambe, eppure rifiutavano di muoversi: anzi, tremavano.
I passi c'erano, eccome! Passi leggeri che percorrevano tranquillamente i corridoi di Edoras quasi la conoscessero a fondo; alla pallida luce della luna, ora sgombra da nubi, si rivelò un'ombra.
Non c'erano altre svolte: una volta passato l'angolo, Aragorn se la sarebbe tro -vata davanti, così grande..e terribile.
Poteva essere di chiunque: un uomo, un ladro, o forse....un assassino?
I passi si avvicinavano, e ora non parevano certo un sogno: il leggero scricchio -lare delle pietre li facevano essere terribilmente veri.
Aragorn s'irrigidì: mancavano pochi secondi, pochi secondi e poi l'avrebbe visto. Avrebbe visto l'immondo essere che vagava chissà da quanto per quei corridoi.
Trattenne il respiro: era così vicino...
L'ombra nera apparve da dietro l'angolo, ma invece di fermarsi nel vedere Ara -gorn, gli andò a sbattere contro, e l'urto fece scivolare da parte il cappuccio che nascondeva la sua identità: finalmente l'uomo potè tirare un respiro di sollievo, vedendo dinnanzi a sè l'amico Legolas.
 - Che ci fai tu qua? - gli chiese l'elfo sottovoce.
 - Dovrei farti la stessa domanda.... -
 - Qualcosa mi ha svegliato, qualcosa che si è mosso..nell'ombra.. -
 - In che senso? -
 - Nel senso che qualcosa non quadra, Aragorn: c'è qualcosa nell'aria....che non va. -
 - Ho avuto la stessa sensazione anch'io: infatti mi sono alzato per andare a con -trollare.. -
 - Non sprecare il tuo tempo, dalla parte del mio alloggio non c'è niente che.... - Legolas lasciò la frase a metà: d'improvviso, sul suo volto era apparso il più sin -cero sgomento.
 - Che c'è? - gli domandò Aragorn.
 - Un rumore...non lontano.. - l'elfo si sporse per poter vedere oltre l'angolo dal quale era venuto, imitato dall'uomo: ma non videro altro che le loro ombre sta -gliarsi nel corridoio.
Il suono che Legolas aveva sentito era stato troppo vicino: ciò voleva dire, che se la losca creatura che l'aveva provocato non era da quella parte, doveva es -sere...
Non fecero in tempo a voltarsi: due mani tapparono loro la bocca prima che po -tessero urlare e chiamare aiuto.
Entrambi, presi alla sprovvista, tentarono di dimenarsi, ma fu inutile:
 - No, non urlate, vi prego, sveglieremo tutti! Sono io, state tranquilli.. -
Quella voce risuonò familiare sia a Legolas che ad Aragorn, e allora capirono: si trattava solo di Lilian.
Si liberarono da quella stretta:
 - Non esiste un modo meno tremendo per attirare la nostra attenzione? - chiese ironicamente Aragorn.
 - Non è il momento delle spiegazioni. Avete anche voi uno strano presentimen -to? -
 - Come fai tu a sapere..? -
 - Io so sempre tutto. Dove stavate andando? -
 - Credevo sapessi sempre tutto... - ribattè Legolas, ma in quella un grido spaccò il silenzio della notte, facendoli sussultare tutti e tre.
 - Veniva da là! Andiamo! - gridò Lilian, e cominciò a correre in direzione della ca -mera di Gandalf: aveva come l'impressione che fosse stato Merry, o Pipino perlo -meno, a urlare.
Da dentro la stanza proveniva una strana luce.
Lilian non perse tempo ad armeggiare con la serratura, probabilmente era chiu -sa, e diede un gran calcio alla porta, che fu scardinata con un fragore del diavo -lo: quello che videro la ragazza, Legolas e Aragorn, in quei pochi attimi che si permisero, li sconvolse.
Pipino si agitava convulsamente per terra, a occhi chiusi, e stringeva fra le brac -cia una sfera abbagliante che sembrava avere una forza propria; era Merry che urlava, mentre Gandalf cercava di capire che fosse successo e regolarsi di con -seguenza.
Ma non c'era tempo per regolarsi! Qualunque cosa stesse accadendo, bisognava fermarla, in un qualche modo!
Aragorn si proiettò in avanti, strappando l'oggetto tondeggiante dalle mani di Pi -pino con una certa violenza: tuttavia gli riuscì impossibile resistere alla forza mi -steriosa che, in un attimo, lo costrinse a stare a terra.
Chissà cosa sarebbe successo, se Lilian non avesse prontamente afferrato l'og -getto e fosse salita in alto, su un mobile, e non avesse resistito, non si sa come, alla forza di quella sfera.
Alla ragazza sembrò che una voce le stesse parlando, che le stesse dicendo di fare qualcosa, qualcosa di terribile: lei l'aveva respinta, aveva pensato ad altro, aveva resistito alle continue scosse senza battere ciglio.
Quella sfera le aveva fatto male. Lei non aveva parlato.
Gandalf, dal basso, le gridò di lanciare via l'oggetto: Lilian avrebbe voluto farlo, ma solo in quel momento scoprì che non ne era capace.
Ora quella "cosa", le si era come avvinghiata al corpo, la teneva stretta, le face -va quasi mancare il respiro.
Lilian sapeva che doveva lasciarla andare: il problema era che quell'oggetto non voleva essere lasciato andare.
Continuava a parlarle, ma lei non lo ascoltava, rimaneva aggrappata al'ultimo pensiero che non fosse quello di ascoltare.
Gandalf le urlava di scaraventarlo a terra; la sfera ribadiva la sua sete di sape -re...sapere...
 - Basta! - gridò Lilian nella sua testa, e sollevò quell'affare maledetto, con l'in -tenzione di lanciarlo lontano da lei.
Ma in quel momento se lo trovò davanti: quella cosa avvolta nelle nubi del mi -stero, che ora l'aveva ipnotizzata, era Sauron.
Sauron, che con il suo orribile Occhio la fissava...e parlava, una lingua strana e incomprensibile: ogni sua parola era come un colpo di frusta.
Ti inchiodava al tuo posto, e non ti permetteva più di muovere il tuo corpo.
Lilian fissò quell'Occhio che cercava di penetrarle dentro, in profondità, e il suo odio per quella fonte di malvagità fu più forte di Sauron: la ragazza scaraventò ai piedi del mobile quella sfera assassina, e vide Gandalf mentre la copriva con un panno.
Udì le parole del mago che si rivolgevano a Pipino, sdraiato per terra, immobile, con un pallore cereo sul viso; udì i passi pesanti di Gimli che si avvicinavano al centro della stanza, proprio vicino a lei.
In quella le forze per reggersi in piedi le mancarono: lottare con Sauron, anche solo con la mente, era molto più difficile di quanto pensasse.
Barcollò pericolosamente sul ciglio del mobile, fino a perdere l'equilibrio: per for -tuna cadde su qualcosa di morbido!
 - Accidenti! - esclamò Gimli, con Lilian stordita sul suo grembo  - Si mangia bene, si dorme magnificamente, c'è tanta compagnia, le donne cadono dal cielo: io mi stabilisco a Edoras! -
 - Non sei affatto divertente! - lo rimbeccò Legolas, mentre aiutava Lilian ad alzar -si: per la prima volta si era reso conto di cosa provava per Gimli, ovvero, solo un enorme, indiscutibile odio.
 
Quel pomeriggio stesso Gandalf partì per Minas Tirith, la capitale del regno di Gondor, la più importante per gli uomini, e portò con sè Pipino: aveva intenzione di andare a parlare con il Sovrintendente della città, per convincerlo a prepararsi alla guerra.
Sapeva che ci mancava molto poco, poichè Minas Tirith era alle porte di Mordor, la Terra Oscura: bastava che il ponte di Osgiliath cadesse, e la capitale si sareb -be trovata senza difesa.
Nel caso fosse riuscito nella sua impresa, si sarebbero accesi dei fuochi, sulle montagne, e re Théoden si teneva pronto per partire in aiuto della città: aveva già incaricato Eomer, il suo cavaliere più fidato, di andare a radunare più uomini che poteva da tutta Rohan, poichè ormai era solo questione di giorni.
Aragorn occupava il suo tempo seduto sugli scalini della reggia, aspettando im -paziente un segnale, qualunque cosa; qualche volta Legolas gli faceva compa -gnia, ma l'elfo non era mai veramente lì con la testa: Aragorn sapeva che qual -cosa lo turbava, ma non si azzardava a chiedergli niente.
Forse in fondo immaginava che fosse. Anzi. Ne era sicuro.
L'uomo si era accorto che i pensieri dell'amico erano per una sola persona.
E purtroppo anche i pensieri di Gimli erano per quell'unica, bellissima persona.
Aragorn sperava che non succedesse niente di irreparabile, che Lilian non sce -gliesse nè l'uno nè l'altro dei suoi compagni, che scomparisse dai loro cuori come ci era entrata: se si fosse innamorata di un altro, per Legolas e Gimli sarebbe stato difficile capire, sopportare quel dolore, ma almeno non ci sarebbero state discordie fra loro.
Aragorn stava pensando appunto a questo, quando, un mattino, davanti ai suoi occhi, fra le gelide nevi delle montagne, apparva qualcosa di vivo, il rosso di un fuoco: il fuoco di Amon Din.
Quello era il segnale: Gondor e Minas Tirith, sua capitale, chiedevano aiuti.
Balzò dagli scalini e corse più veloce che potè dentro la reggia di Edoras, urlan -do:
 - Il FUOCO! Il fuoco è acceso! GONDOR CHIEDE AIUTO! -
Arrivò trafelato alla sala del re Théoden, annunciando la notizia: il sovrano di - chiarò sicuro che Rohan avrebbe risposto. 

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Capitolo 2
*** Confessioni ***


2 – CONFESSIONI

 
 
Passarono due giorni, due soltanto, e l'esercito del re marciò imponente sulla brulla terra di Rohan, diretto a Minas Tirith.
La capitale di Gondor era molto lontana, quindi Théoden aveva dato appunta -mento in un luogo sicuro ai reggimenti porvenienti dalle altre regioni del suo regno: raggiunsero quell'accampamento sul far della sera, ma a giudicare dalle tende che erano state piantate, gli aiuti tanto attesi non erano giunti del tutto.
Mancavano molti uomini: specie dalla pianura di Acquaneve.
L'esercito di Théoden si fermò e gli uomini cominciarono a costruire nuove tende bianche: il re aveva deciso di aspettare un intero giorno per permettere ai man -canti reggimenti di arrivare. Se per quel termine non fossero venuti, sarebbe an -dato a Minas Tirith.
La tendopoli era all'ombra di una montagna solitaria, conosciuta anche come la Montagna dei Morti: i cavalli s'imbizzarrivano nel passare vicino alle sue pendici.
Una sola, stretta strada s'insinuava tra le rocce, arrancando tortuosa tra le vi -scere del monte: da lì qualche volta provenivano gelide folate che sembravano rochi respiri dell'Oltretomba.
Quel luogo dava i brividi a tutti.
Si diceva che, incastonata da qualche parte nella roccia, ci fosse una porta che conduceva all'oscuro mondo dei non -vivi: nessuno l'aveva passata senza rimane -re per sempre rinchiuso in quel mondo.
Eppure, se qualcuno fosse riuscito a radunare i fantasmi che si nascondevano tra le pendici della Montagna, avrebbe avuto un esercito incredibilmente forte.
Aragorn pensava assiduamente a questo mentre fissava con occhi vacui il sen -tierino che portava all'interno del monte, quello sconcertante, misterioso monte.
Doveva andare. Sì, era il suo compito. Doveva andare. Doveva
Sellò un cavallo il più silenziosamente possibile, ben celato dalle ali cupe della notte: sarebbe partito solo, non voleva che altri fossero coinvolti in quella fac -cenda.
Specialmente Legolas: Aragorn non voleva che lo accompagnasse come lui avrebbe sicuramente desiderato: questa volta in ballo c'era qualcosa di diverso.
Non poteva strapparlo a Lilian, e non poteva nemmeno permettere alla sorte di prendersi la sua vita: un elfo è immortale, certo, ma basta solo un colpo di spa -da per farlo piegare, per farlo lottare contro la morte.
Ma non poteva non salutarlo, forse per un’ultima volta: non importava dirgli che se ne andava, bastava parlargli. In fondo era sempre il suo migliore amico.
Legò le redini del cavallo a un ceppo e si avviò verso la tenda sua e dell’elfo: dentro vi trovò Le -golas, steso su una stuoia, apparentemente addormentato.
Apparentemente. Aragorn si avvicinò e gli si sedette accanto: notò che il suo respiro non era regolare come avrebbe dovuto essere.
 - Lo so che non stai dormendo. - disse.
Legolas aprì svogliatamente un occhio:
 - Mi sto riposando. Davvero. -
 - Oh, certo.. -
 - Che ci fai qui? - chiese l’altro, alzandosi a sedere.
 - Niente...niente di importante. Volevo solo...stare in compagnia...prima di andare in guerra. Non so quando potrò farlo di nuovo.. -
 - Vero.. - riconobbe Legolas.
Il silenzio che si insinuò fra loro sapeva di imbarazzo e di mistero: Aragorn se ne accorse subito:
 - Che c’è? - indagò, con discrezione.
 - Che c’è dove? - ripetè confuso l’elfo.
 - Avanti, si vede a un miglio di distanza che qualcosa ti preoccupa. Che cos’è, se non è un segre -to? -
Legolas abbassò gli occhi a terra, trasse un sospiro e sollevò un lembo della tenda:
 - Eccolo là, il mio problema. - mormorò sconsolato.
Accanto ad alcuni cavalli, sedeva Lilian, intenta ad affilare per bene la sua spada corta: sfregava una pietra contro la lama, da cui sprizzavano scintille, e sembrava sorridere compiaciuta del pro -prio lavoro.
Legolas lasciò ricadere la tenda e guardò Aragorn con occhi terribilmente sofferenti:
 - Credo che questa volta mi toccherà convincerla a restare qui, al sicuro..io..non voglio che le ac -cada qualcosa..non voglio rischiare di vederla morire davvero, o che lei veda morire me. Già una volta non l’ho persa per un soffio, e quasi il mio cuore non ha resistito. Io..non voglio mettere la sua vita a repentaglio..ma non so..decidermi a spiegarglielo.. -
Fece una pausa. Aragorn stette ad ascoltarlo, nel suo piccolo iniziava a capire..:
 -..è la cosa giusta..per lei e anche per noi, credo..ma è..doloroso anche solo pensarlo. -
Si torse nervosamente le mani gelide:
 -..non so perchè, Aragorn...è da tempo che una parte di me la vorrebbe sempre qui al mio fian -co, mentre l’altra vuole che la lasci libera... Io..tengo molto alla sua vita, anche se la conosco appena. E’ strano...per lei provo amicizia, le voglio bene, lo ammetto, ma oltre a questo...per lei..non lo so, in effetti..non so cosa provo per lei. So solo che è qualcosa di...complicato. - Legolas si stese di nuovo sulla sua stuoia, lo sguardo affranto rivolto alle toppe sul lembo della tenda.
Aragorn sorrise indulgente, pensando che purtroppo si sarebbe perso un bel battibecco tra il suo amico e quella furia di ragazza: peccato, sarebbe stato divertente.
Pazienza. Una volta tornato avrebbe chiesto com’era andata.
Poi si ricordò dell’ultima frase di Legolas
(provo per lei..cioè non lo so..ma è qualcosa di...complicato)
La soluzione a quella strana chiacchierata era lì, era lampante:
 - Forse si chiama amore, Legolas. - concluse, battendo una mano sulla spalla dell’amico e alzandosi.
L’elfo lo guardò con sconcertato e spaventato, arrossì come un papavero:
 - Amore? Come si fa ad amare un diavolo come Lilian? Ci..ci sono una sacco di cose che odio di lei, prima fra tutte la sua testardaggine! Anche se è un’amica, non credo che l’amore... Aragorn, ti stai sbagliando: io non la amo! -
(prima fra tutte ami la sua testardaggine, falso che non sei altro..)
L’uomo ridacchiò tra sè e sè e uscì dalla tenda, abbandonando Legolas a rimuginare su un’ultima frase:
 - Infatti ho detto “forse”! Te ne accorgerai, amico mio... -
Gli sarebbero mancate quelle piacevoli conversazioni tra compari, ne era sicuro, gli sarebbe mancata molto quell’espressione quasi ridicola sul volto dell’elfo quando le sue verità nascoste venivano messe in luce così facilmente.
Gli sarebbe mancato molto Legolas, anche Gimli, e naturalmente Lilian.
Ma non poteva fare a meno di lasciarli. Non voleva trascinarli in altri guai.
Aragorn salì in groppa al suo cavallo a si avviò verso la strada solitaria che conduceva dentro alla Montagna:
 - Dove credi di andare? - borbottò una voce fintamente severa.
L'uomo si voltò, e vide il nano che lo guardava dal basso:
 - Non questa volta... - gli sussurrò, e fece per andarsene.
Senonchè un'altra voce lo fece fermare:
 - Tu dici? - disse con tono pacato Legolas, sbucando da dietro una tenda in sella a un destriero        - Non conosci la caparbietà dei nani...e nemmeno la mia. -
 - Tanto vale che ti rassegni, giovanotto... - continuò Gimli - verremo con te, anche con la forza! - e il nano si arrampicò a fatica sul cavallo, dietro ad Aragorn  - Dovrai mozzarmi la testa per lasciar -mi qui! -
L'uomo rise:
 - Come avete fatto a scoprirmi? -
 - Il tuo discorso insolito mi aveva insospettito.. - rispose Legolas - Lo sapevo che non me la rac -contavi giusta. -
 - Volevo solo evitarti un altro dolore...evitarvi un altro dolore. Non potete venire con me, stavol -ta...è troppo pericoloso! -
 - Sapremo cavarcela, come sempre. -
 - No. Questa volta no. Non posso... - e avrebbe voluto dire la verità, a Legolas, dirgli quello che veramente pensava: dirgli che non poteva mettere a repentaglio anche la sua vita, dirgli che vo -leva vederlo insieme a Lilian, felice...
 - Ormai è tardi, amico mio... - lo fermò Legolas  - Ho già deciso. -
Aragorn avrebbe voluto sollevare altre obiezioni, per far desistere i suoi compagni dal seguirlo a tutti i costi, ma non ci riuscì: in fondo, contare sul loro aiuto forse sarebbe stato conveniente, malgrado il rischio. Forse l’elfo ce l’avrebbe fatta a tornare. Era forte e coraggioso...
 - Toglietemi una curiosità: dove avete "abbandonato" Lilian? - cambiò discorso.
 - Sssst! Non farti sentire! - lo interruppe bruscamente Legolas  - Non so dov'è adesso Lilian, nè so che cosa penserebbe della nostra partenza: è meglio lasciarla qui. Aragorn, questa volta è rischioso portarla con noi, lo sai... -
 - Hai ragione. - approvò l’altro, fissando allusivamente l’elfo.
 - Se siamo fortunati, si accorgerà della nostra assenza solo domattina... -
Non fece in tempo a finire la frase: un urlo squarciò il silenzio, facendo rizzare le orecchie ai tre amici:
 - EHI VOI!! - tuonò la voce del mezzano - DOVE CREDETE DI ANDARE SENZA DI ME?? TRADITORI! -
La ragazza corse verso i suoi tre compagni, e in men che non si dica era già seduta dietro a Legolas:
 - ...ma evidentemente la malasorte ci perseguita! - terminò Legolas, lanciando uno sguardo eloquente ad Aragorn, che sorrise.
 
Era da ore che seguivano a cavallo la stradicciola della Montagna dei Morti, ma di spiriti neanche l'ombra: ormai era l'alba.
Davanti a loro, solo un paesaggio spoglio e zeppo di rocce appuntite, di anfratti tenebrosi; nell'aria era come se ci fosse il respiro della morte, quel vento freddo e insistente che non la smetteva di produrre sinistri sibili.
In quella montagna, millenni prima, si erano rifugiati tutti i traditori, coloro che non avevano voluto combattere al fianco dei popoli liberi della Terra -di -Mezzo quando questi si erano ribellati a Mordor.
I loro spiriti erano rimasti tra le pendici della Montagna, impuniti, dannati, co -stretti a non avere mai la pace eterna.
 - Non mi piacerebbe essere uno di loro... - mormorò Lilian, stringendosi di più contro il petto di Legolas. Si era rifugiata tra le braccia dell’elfo appena partiti dall’accampamento:
 -..questo posto dà i brividi persino ai morti! - continuò poi.
 - Ti rammento che sei stata tu a volere venire.. - le ricordò Aragorn.
 - Certo che voglio venire, che domande! -
 - Sicura? -
 - Sicura! -
 - Non lo sai che qualche scheletro potrebbe saltar fuori da un momento all’altro? - la punzecchiò Legolas, poggiando la guancia sulla testa bruna della ragazza.
 - Ahh, non mi parlare di scheletri adesso! Mi fanno schifo, lo sai, no? Ti diverti a farmi venire la pelle d’oca? -
 - No..ti stavo solo facendo arrabbiare un po’, così, per sdrammatizzare... -
 - Oh, ma che carino..se cerchi di sdrammatizzare la situazione in questo modo, ­mi devi proprio volere un gran bene! -
“Tu non immagini quanto, Lilian..” pensò tra sè e sè Aragorn.
Giunsero in una piccola radura incastonata fra tre pareti rocciose: il sentiero finiva lì, e quello che si trovavano ora davanti era solo un'immensa e oscura porta.
 - "La via è chiusa.." - lesse Legolas: c'erano dei segni sull'architrave.
 - Che significa? - chiese stizzito Gimli.
Aragorn scese da cavallo e si avvicinò di più a quella porta, indeciso se con -tinuare o meno: i suoi amici lo imitarono.
Stavano appunto osservando il passaggio quando da dentro l'anfratto arrivò una folata di vento gelido, accompagnato da un lamento che di certo non aveva un che di umano.
I cavalli, imbizzarriti, si liberarono a forza dalle strette dei loro padroni e scom -parvero nella nebbia, nitrendo come ossessi: i quattro compagni si ritrovarono soli, intimiditi e irrigiditi dalla paura.
Quel luogo non era sicuro. C'era qualcosa di più che semplici spiriti.
 - Forza, andiamo! - sussurrò Aragorn, racimolando il coraggio che gli era rimasto: s'incamminò verso l'anfratto, e poco dopo sparì inghiottito dalle tenebre.
 - Là dentro? - domandò tremante Lilian: per la prima volta, il suo coraggio da mezzano veniva messo a dura prova.
 - Non vedo alternative.. - disse Legolas - Andiamo. -
La prese per mano e la trascinò letteralmente nella bocca oscura della porta; Gimli rimase solo, a rimuginare sul fatto di andare o stare: non aveva per niente voglia di farsi scannare da un branco di fantasmi traditori.
Ma si ricordò di una cosa..:
 - Questa è inaudito! - gridò nel silenzio spettrale della Montagna - Due elfi vanno sotto terra mentre un nano, uno di quelli che hanno costruito magifiche regge sotto le montagne, non osa farlo?! Sarei lo zimbello di tutti! -
Raccolse le sue forze a si addentrò nell'anfratto a occhi chiusi, sperando viva -mente di essere capace, prima o poi, di uscirne. 

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Capitolo 3
*** Nessuna pietà ***


3 – NESSUNA PIETA’

 
Gimli avanzò di corsa, non rendendosi conto che i suoi amici erano rimasti presso l'entrata ad aspettarlo: il nano andò a sbattere contro la schiena di Lilian, che urtò quella di Legolas e infine quella di Aragorn, facendoli quasi cadere a terra.
 - Che succede? - tuonò Gimli, aprendo finalmente gli occhi: nella caverna era buio pesto.
 - Sta' zitto! - gli urlò in un orecchio Lilian - E sta più attento! -
In quel luogo non si vedeva proprio un accidente.
Cautamente, Aragorn tastò il suolo umidiccio e terroso, cercando qualcosa per accendere una torcia: fece due o tre passi, ma ancora niente...
D'un tratto sentì sotto le dita un oggetto liscio: poteva essere legno...no, troppo liscio, e con una forma alquanto strana....sembrava più.. -
 - Ossa.. - si lasciò sfuggire, l'uomo - a quanto pare non siamo i soli che hanno tentato di entrare qui.. -
Gli altri deglutirono faticosamente: il luogo, con il suo sinistro gocciolare mono -tono, non dava troppe speranze di giungere sani e salvi a un'uscita.
Aragorn trovò finalmente qualcosa di asciutto e riuscì, in un modo o nell'altro, ad accendere una piccola torcia: al chiaro pallore della fiamma, si presentarono molte cose di cui i quattro amici avrebbero fatto molto volentieri a meno.
C'erano degli scheletri per terra: tanti nudi scheletri qua e là fra le rocce.
Aragorn e gli altri rimasero immobili per interminabili secondi, mentre tentavano in ogn modo di soffocare la strizza.
Squallide e lucide stalattiti di pietra pendevano dal soffitto: Aragorn, fece qualche passo avanti.
Gli bastò poco per capire che non era quella la via giusta: davanti ai suoi piedi, si apriva un baratro di cui non si vedeva nemmeno la fine.
Solo il rumore di un fiume. Forse.
Piegò verso sinistra, facendosi strada con la torcia: tra il burrone e il muro della caverna non c'era molto spazio, occorreva procedere in fila indiana, stando bene attenti a non muoversi nemmeno di un centimetro di lato.
Le ragnatele impedivano il passaggio, ma era il minimo che si potesse trovare in un postaccio del genere: bisognava piuttosto preoccuparsi delle ossa abban -donate lì in giro, rese scivolose dall'umidità.
Dopo qualche metro, Aragorn si accorse con disperazione che lo stretto sentiero finiva di netto: da una parte il muro, dall'altra, il nulla. No, anzi: un ponte, a po -chi passi.
Un ponte roccioso alquanto malandato, screpolato e eroso dal tempo:
 - Non c'è altra via... - constatò l'uomo - Dovremo passare di qua.. -
 - Siamo sicuri che questo coso...tiene? - chiese dubbiosa Lilian, avvicinandosi di più.
Gimli la superò e guardò giù: solo la bocca oscura dello strapiombo.
Aragorn cominciò a camminare sul ponte, insicuro, tenendo la torcia alta per far strada a sè e ai suoi amici: leggeri scricchiolii si levarono dalle pietre consunte a ogni suo passo.
Dopo di lui andò Lilian, muovendosi con la solita agilità che le permetteva di non far rotolare un solo sasso: eppure qualcosa sotto i suoi piedi traballò.
Aragorn arrivò sano e salvo dall'altra parte, pensando che, se lui stesso ce l'ave -va fatta, potevano benissimo riuscirci anche gli altri: tenne alta la torcia, mentre i suoi compagni, ormai tutti e tre sul ponte, tentennavano nella semioscurità.
Ancora uno strano rumore, e non fievole questa volta: qualche roccia si sgretolò sotto il peso di Legolas, ma l'elfo ebbe come la vaga impressione che non si stes -se sgretolando solo qualche insignificante pietra.
Lilian giunse finalmente dall'altra parte, al fianco di Aragorn, al sicuro.
E poi, d'un tratto, Legolas sentì il ponte cedere sotto i suoi piedi, con un sonoro rumore che lo fece sobbalzare: rischiò di perdere l'equilibrio, ma grazie alle brac -cia riuscì a riprenderlo.
Il ponte non crollò come temeva, ma sapeva che qualcosa si era comunque rot -to sotto di lui: e non rotto, ma ROTTO.
Si affrettò a raggiungere Aragorn e Lilian, incitando Gimli a fare altrettanto: si domandava, intanto, per quanto tempo ancora avrebbe resistito il suo coraggio.
 
Mancava solo Gimli, ora, ma lento e sgambettante com'era, non poteva certo fare miracoli: era vicino, ormai, alla meta, riusciva persino a scorgere, illuminato dalla torcia, il viso di Aragorn, che lo aspettava impaziente.
Si affrettò ancora di più, desideroso di terminare quell'avventura al più presto: era vicino, era così vicino...
Sotto uno dei pesanti stivali del nano, qualcosa crepò, inondando la caverna di un rumore ancora più terribile dell'oscurità:
 - Ma che succede? - si chiese Gimli, ma non fece in tempo a darsi una risposta: il ponte cominciò a tremare sotto di lui, più forte..più forte...
 - Sbrigati! - gli urlò Aragorn - Sta crollando tutto! -
Il nano tentò di fare ancora più in fretta, ma la sorte fu più veloce di lui: dopo pochi, cupi brontolii, il ponte scomparve una roccia dopo l'altra, trascinando tutto con lui. Nano compreso.
Gimli fece appena in tempo a fare un salto, a sfoderare la sua ascia, a scalfire la roccia davanti ai piedi di Aragorn, in un vano tentativo di poter fermare la cadu -ta, ma tutto fu inutile: scomparve, inghiottito dalle tenebre di quel burrone sen -za fondo con un ultimo grido.
Lilian e gli altri due compagni cercarono di afferrare il loro amico, ma non furono abbastanza svelti: videro solo, per poco, le deboli scintille che l'arma di Gimli la -sciava graffiando la roccia. Poi...solo un tonfo sordo.
Impietriti, i tre amici rimasti, chiamarono inutilmente il nano: rispose loro solo la propria eco...e un altro strano suono, simile a un gemito.
Poteva essere di chiunque lì dentro...:
 - E se fosse stato Gimli? - si preoccupò Aragorn - Là sotto, è vero, ci potrebbe es -sere qualunque cosa, qualsiasi mostro, ma forse c'è anche una speranza...se il nostro amico fosse finito su qualcosa..tipo una sporgenza? -
 - Come fai a saperlo se qualcuno di noi non va a controllare? - azzardò Lilian - Nessuno di noi è in grado fisicamente e psicologicamente di scendere fin lag -giù! Io ho una corda nella faretra, ma non credo ci potrebbe dare comunque qualche aiuto.. -
 - Quanto è lunga? - le chiese Legolas: quell'innato interesse la fece preoccupare.
 - Perchè? - replicò.
 - Quanto è lunga? - ribattè l'elfo, ancor più deciso.
La ragazza, riluttante, estrasse la corda e la porse a Legolas: lui la studiò atten -tamente, secondo i suoi piani doveva essere abbastanza lunga per...
 - Che hai intenzione di fare? - scattò Aragorn, quasi in tono d'accusa.
 - Vado a cercare Gimli.. - rispose sicuro l'elfo, legandosi un capo della corda alla vita.
 - COSA?! Ma...non puoi! - Lilian tentò di fermarlo, ma non seppe più che dire di fronte alla risposta:
 - Non posso e non voglio, ma devo. -
Legolas assicurò l'altro capo della fune a uno sperone di roccia, raccomandando ad Aragorn e Lilian di tenerla: poteva cedere in qualunque momento.
Poi, lentamente, cominciò a scendere: l'uomo gli lasciò la torcia, ne avrebbe a -vuto bisogno.
Legolas si calò nel burrone, sparendo pian piano alla vista di Lilian: quando lei lo vide perdersi nell'oscurità, con solo quella piccola torcia come segno della sua presenza, si sentì stringere il cuore in una morsa.
Quell'elfo non poteva lasciarla così, non poteva
(no no no NO NO NO)
Un urlo le giunse fino alla gola, ma Lilian riuscì a soffocarlo: ci sa fare, pensò, forse non è tutto perduto.
 
Quando Legolas fu avvolto dalle tenebre dello strapiombo il suo pensiero fu tutto per Lilian: Lilian, che ora lo attendeva lassù, lontano, come una fedele moglie che...
Scacciò quel pensiero: non era il suo caso.
Il suo compito era salvare Gimli:
 - Coraggio - si disse - la rivedrai.. -
Perchè poi gli era venuta in mente l'idea balzana di andare a cercare un probabi -le cadavere? In fondo lui odiava quel nano: lo odiava con tutte le sue forze.
Era da tempo che lui e Gimli si erano dati guerra per le attenzioni di Lilian: e ora che stava facendo? Andava a dare aiuto al suo nemico? Ridicolo.
Non ci poteva credere nemmeno lui.
Balzò da una roccia all'altra, silenzioso, quasi un fantasma perso nel buio: solo la debole ficcola che Aragorn gli aveva dato riusciva a fargli strada.
Non intravedeva nemmeno la fine dello strapiombo.
(spero di non perdermi, quaggiù..)
Si fermò, in bilico, chiamò Gimli, ma nessuno gli rispose; scese ancora di qual -che metro, ma ancora niente.
Scoraggiato, Legolas stava per spegnare anche l'ultima speranza, quando avvertì un fuggevole movimento nell'ombra più fitta, proprio sotto di lui: un movimento strascicato, strano, quasi...non umano.
L'elfo scese ancora un po', cercando di scorgere una sagoma, qualcosa che gli rivelasse la presenza di qualcuno, magari del nano:
 - Gimli? - chiamò. Un gemito si levò nell'aria.
Quella voce roca che rispondeva sembrava quella di Gimli, ma Legolas, come po -teva esserne certo?
Tenne la spada a portata di mano, e si avviò verso luogo da dov'era venuto il rumore; dopo poco toccò un piano di roccia: doveva essere una sporgenza, o qualcosa di simile...
Un'ombra si mosse debolmente vicino a Legolas, troppo vicino: l'elfo si voltò di scatto, facendosi luce con la torcia.
C'era un corpo per terra, girato su un fianco: gli voltava la schiena.
Era quella cosa che si muoveva, si dimenava, gemeva perfino, chiedeva aiuto: incredibile, era ancora...viva.
L'elfo si avvicinò cautamente:
 - Gimli? Sono Legolas...sei tu? - trovò il coraggio di toccare il corpo.
Quello si girò quasi con furia, sotto le sue dita: alla luce della fiaccola comparve il volto del nano, con un enorme graffio su una guancia.
 - Che ci fai tu qui? Che sei venuto a fare? - ruggì.
 - Sono venuto a salvarti, non si vede? - rispose Legolas con altrettanta ferocia - Ho rischiato la vita per venirti a prendere... -
 - E a me che importa? Tanto lo so che l'hai fatto solo per farti grande agli occhi di Lilian... -
 - Come puoi dire questo? - sbottò infuriato Legolas - Secondo te avrei rischiato di morire, di non rivederla, solo per vantarmi? Potrei lasciarti qui e tornare da lei in qualsiasi momento! -
 - E perchè non lo fai allora? Io non ci tengo affatto a essere salvato da te... -
Caspita, le voci sulla testardaggine dei nani erano proprio vere!
Legolas non aveva nè tempo nè voglia di mettersi a discutere con Gimli, qualco -sa di più importante gli stava a cuore; ma sapeva che se avesse continuato così non sarebbe giunto a nulla.
Doveva salvare Gimli. Doveva.
 - E se io ti proponessi un patto? - suggerì dopo qualche minuto.
 - Io non credo alle parole di un elfo, tantomeno alle tue. -
 - Non sono venuto fin qui per farmi insultare da un nano: sono venuto fin qui perchè tu viva! -
 - Per poi vedere te e Lilian che vi sbaciucchiate? Sarò morto quando succederà, stanne certo! -
Punto nel vivo, Legolas cercò con tutte le sue forze di mantenere la calma:
 - Gimli, ma non capisci? Anche Lilian vuole che tu viva, l'ho visto nei suoi occhi, me l'ha detto! -
Il nano si fermò a fissarlo per qualche minuto: quella rivelazione aveva dato il suo effetto. Era solo indeciso se crederci o no: ma dopotutto, che ragione aveva Legolas di mentire? Sapeva che lo odiava.
Gimli non immaginava per niente che quel che aveva detto l'elfo non era affatto vero; nemmeno Legolas sapeva perchè gli aveva raccontato quella bugia, gli era uscita di bocca e basta.
Non sapeva nemmeno per quanto sarebbe riuscito a farla reggere.
Tuttavia, sembrava avesse convinto il nano a tornare:
 - L'ha detto? - chiese esitante Gimli.
 - Sì, l'ha detto... Se non vuoi farlo per me, almeno fallo per lei.. - l'elfo gli tese la mano.
 - Se lei l'ha detto, allora va bene, ma tu ricordati che sono ancora tuo nemico, per quanto riguarda l'amore: voglio solo una cosa da te: guerra! - ruggì il nano alzandosi faticosamente.
 - Guerra sia! - ribattè Legolas, e si accinse a assicurare il corpo di Gimli alla cor -da.
 
Poco dopo erano tutti e due sani e salvi in cima allo strapiombo: di nuovo assie -me ai loro amici, si riposarono un po' prima di riprendere il cammino attraverso la caverna.
Lilian si occupò di Gimli, il quale fu ben lieto di accettare le cure della ragazza, convinto che così facendo avrebbe fatto di sicuro ingelosire Legolas.
L'elfo non colse la provocazione, poichè il suo premio l'aveva già avuto e quello gli bastava: appena era tornato con Gimli, Lilian gli aveva stampato di nascosto un bacio sulla guancia, felice di rivederlo.
Una volta rianimati, proseguirono per un sentierino dall'aria millenaria, che li portò in un grande spiazzo vuoto: davanti a loro solo la nuda roccia.
I quattro amici si ritrovarono soli, indecisi su che fare, che pensare, ma prima che potessero proferire parola, nel buio apparve improvvisamente qualcosa di bianco, dall'aria non troppo amichevole.
 - Un...un fantasma... - balbettò Lilian deglutendo faticosamente.
La strana cosa si avvicinò ai quattro compagni, sibilando loro di andarsene, che la via era chiusa: e il suo sguardo vuoto era così convincente che la ragazza sulle prime fu tentata di fare davvero dietrofront.
Ma nè Aragorn, nè Legolas, nè Gimli sembravano intenzionati ad andarsene.
Lilian si rifugiò dietro la schiena dell'elfo: la cosa bianca che fluttuava sinistra nell'aria non le piaceva affatto, proprio come non le erano mai piaciuti gli schele -tri.
E non le piacque neanche il fatto che la caverna parve rianimarsi: le rocce co -minciarono a colorarsi di un debole verde morto, lasciando trasparire altri fan -tasmi armati di spade.
Il gioco si stava facendo pericoloso: quegli spiriti si stavano avvicinando troppo per i gusti di Aragorn e dei suoi amici.
 - Non voglio combattere. - affermò l'uomo con la voce che quasi tremava - Sono venuto per chiedervi aiuto, e a darvi una mano per trovare la pace eterna che mai avete visto. Io sono Aragorn, figlio di Arathorn, l'erede di Isildur, colui che avete tradito. Sono disposto ad aiutarvi, ma anche voi dovete mantenere la vostra promessa, e combattere al mio fianco  in questa guerra.. -
Sfoderò una lunga spada che fece brillare alla debole luce della fiaccola:
 - Questa è Andùril, la Fiamma dell'Ovest: solo l'erede di Isildur può impugnarla. Vi basti come prova delle mie parole. -
Rimase in silenzio per alcuni secondi: i fantasmi, attoniti, ascoltavano rapiti ciò che aveva da dire.
Non avevano ancora alzato una spada, ma avevano sempre il tempo di farlo, pensò Lilian.
 - Mi aiuterete? - chiese serio Aragorn.
La risposta sarebbe arrivata solo pochi minuti dopo. 

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Capitolo 4
*** Per Lilian ***


4 – PER LILIAN

 
 
 - Legolas, quanto manca per Minas Tirith? - urlò Aragorn, non vedendo altro che foschia sul fiume Anduin.
L'elfo corse alla prua della nave, diede una rapida occhiata:
 - Sì, ne vedo la sagoma! Siamo molto vicini, attracchiamo qui? - esclamò di rimando.
 - Troppo presto! Lo sferragliare della battaglia è avanti ancora circa mezzo miglio, non vi sembra? - lo corresse Lilian.
 - Con questa catapecchia non faremo molta strada, faremmo prima ad andare a piedi! - commentò Gimli.
Aveva ragione, purtroppo: quella nave, rubata agli orchi appostati un miglio più indietro, era lentissima e puzzava di marcio, nonostante galleggiasse, per fortuna. Doveva trasportare a Minas Tirith solo quattro persone con peso consistente: gli spiriti erano come aria.
Continuarono a navigare ancora per un po', finchè il rumore assordante della battaglia non si fece estremamente vicino: Aragorn però non si sentiva affatto impaurito, con sè aveva un esercito praticamente imbattibile.
 - Ci siamo! - gridò Legolas  - Tutti giù! -
Lilian, Gimli e l'uomo si avvicinarono all'elfo e si appostarono per bene sotto il bordo della nave; una voce proveniente da terra si levò, tonante:
 - Era ora che arrivaste! - gridò un orco, credendo che sull'imbarcazione ci fos -sero i suoi compagni - Siete sempre in ritardo! -
A quel punto Legolas e gli altri balzarono fuori dal loro nascondiglio, e con loro anche gli spettri: gli orchi rimasero talmente sorpresi che non presero nemmeno in mano le armi e furono uccisi senza che se ne accorgessero.
Davanti agli occhi di Aragorn si aprì un terribile panorama: la battaglia infuriava, grossi olifanti calpestavano chiunque incappasse sulla loro strada e le mura di Minas Tirith erano state messe a dura prova.
Aragorn divise il suo piccolo esercito in due parti: una avrebbe combattuto davanti alle mura, una avrebbe liberato la città.
Legolas e Lilian decisero di andare con quest'ultima e trovare Gandalf, ma la missione si rivelò alquanto difficoltosa.
Nonostante gli spettri dessero loro un valido aiuto, gli orchi e gli uruk -hai sembravano spuntare dalla terra: Lilian e Legolas si divisero, in modo da trovare più facilmente lo stregone.
La ragazza percorse tutta la città sgozzando creature, ma di Gandalf nessuna traccia: che stesse combattendo ai piedi delle mura?
Invertì bruscamente rotta, ritornando velocemente sui suoi passi e precipitando nel vuoto orde di uruk -hai; immense torri di legno si avvicinavano a Minas Tirith, portando con sè un numero sempre maggiore di nemici.
Recuperando qualche torcia, Lilian dette fuoco a due di esse e continuò per la sua strada: ebbe come la sensazione che, grazie agli spiriti della Montagna, la situazione stesse volgendo lentemente a suo favore.
Non aveva idea di dove si trovasse Legolas, nè di dove fosse finito Gandalf: ora, mentre agitata correva e scivolava sul vischioso sangue dei morti, la ragazza perse del tutto la coscienza di essere sola.
Solo una cosa: aveva la strana sensazione che qualcuno le stesse tendendo una trappola. Ma era troppo occupata per pensarci.
Una voce nel profondo del suo io le disse di cambiare direzione, di sparire fra gli stretti vicoli della città, e di rifugiarsi alla reggia dei Sovrintendenti, poco lontano da lì.
Ma perchè mai doveva farlo? Il suo compito era trovare Gandalf, no? Perchè doveva perdere tempo a nascondersi? Non aveva paura, lei.
(vero?)
La piccola strada secondaria che aveva imboccato portò Lilian al portone principale: incredibile, forse l'esercito di Mordor stava...perdendo.
Era rimasto solo un reggimento, ancora lontano per essere un pericolo.
Ebbra di gioia, Lilian diede del suo meglio e uccise altre dozzine di nemici: la situazione al di fuori delle mura, però, si rivelò tanto facile quanto traditrice.
Lì gli orchi arrivavano a frotte, ed era impossibile batterli tutti da sola: la ragazza si vide presto costretta a rifugiarsi da qualche parte.
Troppo tardi: i nemici la stavano crudelmente chiudendo in un cerchio senza la minima uscita.
Alle spalle, le mura di Minas Tirith e qualche cespuglio, davanti, un selvaggio muro di combattenti di Mordor: nessun uomo poteva darle aiuto, erano troppo impegnati nella città.
Lilian sfoderò l'asta magica, mentre i nemici le si avvicinavano grugnendo di eccitazione: la ragazza chiuse gli occhi, alzò il bastone....
Prima che potesse pronunciare qualche arte magica, ben sapendo che sarebbe servita a poco, qualcuno la urtò, facendola ritornare bruscamente al mondo in cui si trovava: un'ombra snella le stava davanti, la proteggeva strenuamente.
 - Legolas! Che ci fai tu qui? - esclamò la ragazza appena si rese conto di chi era il suo salvatore.
 - Non c'è tempo per le spiegazioni! Fuggi, fa' presto! - ribattè l'elfo continuando a lanciare frecce - Ti coprirò le spalle! -
Puntò l'arco verso destra, e scagliò in quella direzione più dardi che potè: Lilian balzò via come un fulmine, e grazie all'amico riuscì ad aprirsi una breccia nelle fila nemiche e sparì alla vista.
Solo in quel momento Legolas si rese conto che la sua faretra era vuota; e gli orchi stavano già stringendosi intorno a lui.
A meno che non intervenisse qualcuno in suo favore, l'elfo era spacciato: i nemici erano troppi, troppi!
Sfoderò le spade, pensando che se avesse dovuto morire, l'avrebbe fatto combattendo, e con la convinzione che le sue gesta sarebbero state sempre ricordate da Lilian: quel pensiero lo consolò, mentre grosse gocce di sudore gli imperlavano la fronte.
Ormai Minas Tirith aveva vinto, mancava solo un reggimento di Mordor e Minas Tirith avrebbe vinto: non importava se lui stesso moriva o no, avrebbe vinto. Aragorn avrebbe vinto.
L'elfo non aveva proprio più scampo:
 - Per te, Lilian. - sussurrò, e si lanciò furioso sulle immonde creature che lo tenevano in pugno: quante ne uccise, non seppe contarlo, ma alla fine avvertì le fa -tiche di quel suo ultimo disperato gesto e le spade gli vennero sottratte.
Qualcuno lo fece cadere a terra e lo tenne fermo con la stessa forza di due tenaglie: pesanti mazze ferrate gli si strinsero attorno come affamati predatori, e in un secondo calarono come fulmini.
 
Lilian non si voltò indietro finchè non arrivò in un posto sicuro dentro Minas Tiri -th: il panorama che vide la sconvolse in tutti i sensi.
Niente più nemici per le strade della città, niente più combattimenti: l'ultimo reggimento di Mordor si era fermato a una certa distanza dalle mura e là rima -neva. Forse significava una tregua. In qual caso avevano praticamente vinto.
Vinto.
La ragazza scorse Aragorn poco più in là, che parlava con Gandalf: entrambi sor -ridevano. Ma lei no. Lei non poteva ancora ridere guardando i cadaveri dei suoi nemici abbandonati per le vie.
Legolas non l'aveva seguita.
Lilian raggiunse Aragorn e gli spiegò che era successo al loro amico: dovevano aiutarlo, subito!
L'uomo raccolse un esiguo numero di uomini e si diresse ai piedi delle mura, l'ultimo luogo dove Lilian avesse visto Legolas: ma là non c'era più nessuno.
Gli orchi stavano tornando alla torre del loro ultimo reggimento rimasto intatto: per terra, avevano lasciato solo cadaveri. Un mare.
La ragazza pensò subito alla terribile possibilità di trovare Legolas lì, morto, e di dover piangere disperatamente sul suo corpo martoriato e lasciato a marcire al sole come tanti altri: non si meritava una fine così indegna. In fondo...le aveva solo salvato la vita.
Fu parecchio sorpresa quando scoprì, dopo mezz'ora di vane ricerche, che il corpo di Legolas non c'era: questo avrebbe dovuto rallegrarla, in un certo senso, invece le fece solo balzare il cuore in gola.
Che gli era successo? Dov'era finito?
 - Dove può essere? - si chiese ansimando per la preoccupazione.
 - Forse è riuscito a salvarsi, è forte.. - propose Aragorn mentre continuava a cercare.
 - Con almeno un centinaio di orchi che gli stanno attorno? - sbottò Lilian con una nota di isterismo - Con la faretra vuota e due misere spade come difesa? -
L'uomo le si avvicinò e l'abbracciò forte, nonostante lei si dimenasse:
 - Ssssshh.. Capisco cosa provi, ma se non è qui è molto probabile che sia riuscito a scappare: solo che non capisco dove possa essere andato.. -
La ragazza non si sentiva affatto tranquilla da quell'affermazione. Non era assolutamente possibile che Legolas se la fosse svignata: lei l'aveva vista, quella tenaglia di orchi, e sapeva che da lì non si usciva.
Niente però le impediva di sperare, anche se era un po' scettica sull'argomento.
Quella sera, con Gimli che cercava inutilmente di consolarla
(tanto lo so cosa sta pensando)
Lilian aspettò invano, sobbalzando a ogni minimo scricchiolìo del portone: poteva essere lui, in qualsiasi momento. A meno che non avesse già intrapreso un viag -gio senza ritorno.
 
Quella notte Legolas non l'avrebbe mai dimenticata. Mai.
Non era da tutti i giorni essere trattati così duramente: e ora, mentre sentiva correre per la schiena il suo stesso sangue, il dolore delle sue ferite si faceva più acuto. Almeno, credeva, l'avrebbero lasciato in pace per tutta la notte.
Gli orchi non l'avevano ucciso come temeva: le mazze ferrate che avrebbero dovuto finirlo si erano fermate all'ultimo momento proprio sopra la sua testa.
Fra i nemici che lo circondavano era comparso un orco più grosso, probabilmente il loro capo: aveva guardato Legolas con i suoi occhi desiderosi di guerra e di -struzione.
 - Aspettate - aveva detto ai suoi soldati - perchè ucciderlo adesso? Ho visto che è successo.. -
La sua mano deturpata aveva stretto la gola dell'elfo fino a fargli temere di poter soffocare:
 - Al posto tuo c'era una ragazza, vero? E tu sei intervenuto per salvarla: non c'erano strade per raggiungerla, e tu sei saltato fuori da chissà dove. Vuol dire una sola cosa... -
L'aveva stretto più forte, da fargli mancare il fiato:
 - Da qualche parte c'è un passaggio segreto per arrivare dentro Minas Tirith, e tu, miserabile, lo sai, nevvero? Dove? Dov'è?! Parla! -
Legolas non aveva proferito parola: quell'orco lo stava letteralmente strozzando, e anche se così non fosse stato, non avrebbe rivelato nulla.
Certo sapeva del passaggio segreto: l'aveva scoperto per caso mentre cercava Lilian. E sapeva anche che portava fino ai piedi della reggia. Un cunicolo che collegava due botole ben nascoste e impossibili da scoprire per chiunque non possedesse una vista da elfo.
L'orco aveva allentato la presa alla sua gola, sperando di ricevere una risposta alla sua domanda; Legolas aveva colto quell'occasione solo per sputargli in un oc -chio.
Di colpo la creatura aveva indietreggiato, permettendo all'elfo di respirare, e stava ancora tentando di pulirsi il viso quando un pugno ben assestato aveva cen -trato lo stomaco di Legolas, facendogli quasi perdere i sensi.
 - Fermi! - aveva urlato il capo degli orchi - Ho detto di non ucciderlo, idioti! Anche se testardo ci serve per vincere questa guerra. Tanto non durerà a lungo il suo silenzio: ci condurrà dentro Minas Tirith! -
Il reggimento aveva esultato a quell'idea, e il loro capo aveva rivolto a Legolas il suo sorriso più maligno:
 - Mai! Preferirei morire! - aveva cercato di gridare Legolas, ma dalla sua gola era usciti solo un paio di rochi sibili e un fiotto di sangue.
 - Dicono tutti così.. - aveva risposto affabile l'orco - ...ma prima o poi anche i più duri demordono! - poi, rivolto ai suoi soldati - Andiamo all'accampamento! -
L'orda ai suoi ordini si era subito incamminata verso una torre poco distante, l'ulima speranza di Sauron: avevano legato l'elfo, prima, poi l'avevano trascina -to di peso fino alla loro meta.
Legolas aveva opposto una strenua resistenza, ma era stato inutile: Minas Tirith si allontanava sempre più, e con essa anche ogni possibilità di salvezza.
(Lilian Aragorn)
Forse avrebbe dovuto gridare in quel momento, ma le sue poche forze gli con -sentivano solo di assistere impotente agli eventi: non ne sarebbe uscito vivo, era fin troppo evidente.
Ma questo non importava, perchè non avrebbe mai rivelato l'esatta posizione del passaggio, e avrebbe protetto quel segreto a tutti i costi: se Mordor avesse saputo dove si trovava, per Minas Tirith, per Aragorn, per Lilian sarebbe stata la fine.
Gli orchi l'avevano condotto nella gigantesca torre di legno, e ogni cosa era diventata buia: c'erano poche fiaccole laggiù, ed erano molto fioche.
Legolas pensava che l'avrebbero sbattuto in una cella, ma si era sbagliato di grosso: l'avevano letteralmente appeso per i polsi a qualche palmo da terra, e avevano preso subito a tempestarlo di domande.
Ma la risposta ad ognuna di esse era il silenzio, l'unica arma di cui poteva ancora disporre.
Il capo degli orchi non demordeva, ma la testardaggine di Legolas riusciva a esa -sperarlo: certo, per l'elfo la situazione poteva diventare pericolosa da un mo -mento all'altro, dato che era esposto a qualsiasi tipo di attacco.
 - Me ne sono capitati pochi cocciuti come te... - aveva esordito il capo degli orchi dopo una buona ora di interrogatori - mi costringi a usare le maniere forti.. -
Legolas non aveva battuto ciglio di fronte a quella minaccia: tremare dalla paura avrebbe rappresentato una debolezza che poteva facilmente ritorcersi contro lui stesso.
Il grosso orco gli aveva rivolto un sorriso compiaciuto, e aveva fatto cenno a un suo scagnozzo: Legolas aveva sentito tonfi attutiti di armi che cadevano dietro di sè, ma la sua malaugurata posizione non gli aveva permesso di vedere che stava accadendo oltre la sua schiena.
 - Allora? - aveva chiesto il capo nemico - Parli? -
L'elfo aveva scosso la testa con decisione.
L'orco aveva fatto un altro cenno: e allora Legolas aveva sentito per la prima volta il secco schioccare di una frusta che gli lacerava la carne, e che l'avrebbe colpito ancora, ancora e ancora.
L'elfo aveva resistito alle prime percosse, stringendo i denti per non far uscire il grido di dolore che aveva pronto in gola, ma quando le frustate avevano cominciato a essere troppe, il suo coraggio era venuto meno: si era lasciato sfuggire un solo, disperato urlo.
 - Allora non hai perso la lingua.. - lo aveva canzonato il capo degli orchi, conce -dendogli un po' di tregua - che ne diresti adesso di rispondere alla mia doman -da? -
 - No! - era riuscito a gridare ancora l'elfo.
 - No? D'accordo, facciamo come vuoi tu.. -
La frusta aveva di nuovo schioccato sul dorso di Legolas.
Non avrebbe più smesso fino a notte inoltrata, quando gli orchi avrebbero rin -chiuso l'elfo, troppo esausto anche per rivelare segreti, in una qualunque delle loro celle.
Ora, mentre la notte veniva lentamente sostituita dall'alba, Legolas ripensava a quello che gli era accaduto, cercando di aggrapparsi col pensiero ai bei ricordi: pensava a Lilian, pensava a quanta sofferenza le aveva risparmiato, a quanto a -vrebbe voluto rivederla ancora una volta, per dirle l'unica cosa che meritava di sapere e che lui aveva nascosto per tanto tempo e così gelosamente.
Se solo avesse potuto parlarle, bastava un minuto, giusto per dirle la verità, e se ne sarebbe andato all'altro mondo senza un lamento.
Si stava abbandonando a questi dolci pensieri, quando la porta della cella si spa -lancò e comparve sulla soglia il capo degli orchi: aveva sulle labbra gonfie e pie -ne di croste il solito sorriso arcigno che non prometteva nulla di buono.
Ordinò a un paio di soldati di portare il prigioniero nell'altra stanza: i due non fe -cero tanta fatica questa volta, poichè Legolas era troppo debole anche per pun -tare i piedi e impedire l'avanzata.
Lo condussero nello stesso posto dove l'avevano percosso il giorno prima: questa volta, però, fu diverso. Terribilmente diverso.
 - Visto che resisti addirittura alla frusta, ho trovato un altro modo: vediamo se funziona.. - con il solito tono canzonatorio, il capo degli orchi prese un ferro ro -vente e si avvicinò con uno strano bagliore negli occhi.
Legolas capì all'istante che voleva fare e la cosa lo spaventò: ma non avrebbe parlato neanche così, mai...mai!
 - Questo lo sai cos'è, vero? - continuò l'orco capo agitando con impazienza il ferro rovente - Non esiterò a usarlo... -
Guardò l'elfo dritto negli occhi e sorrise:
 - Non mi piace molto l'arroganza che c'è nel tuo sguardo: ma sono di -sposto a passarci sopra. Sempre che tu mi riveli dove si trova quel famoso pas -saggio... -
Legolas si rendeva perfettamente conto che cosa stava rischiando: se non aves -se parlato ora, quel ferro rovente gli avrebbe tolto l'unica virtù che ancora pos -sedeva: la vista.
(se solo non avessi le mani legate!)
L'orco che gli stava dinnanzi stava diventando impaziente:
 - Che aspetti? Vuoi che ti accechi? Sappi che a me non fa nè caldo nè freddo! - ruggì avvicinando di più il ferro al viso di Legolas.
Solo allora l'elfo si accorse che il braccio del suo nemico era alla sua portata: un calcio ben assestato e la pericolosa arma che teneva in mano quell'orco si sa -rebbe allontanata dai suoi preziosi occhi.
E poi?
Non poteva certo tenere testa a un intero reggimento, nelle sue condizioni. Però, sperava, forse una minima possibilità di salvezza..poteva esserci...
 - Allora? - sbraitò di nuovo il capo.
 - NO! - gli urlò in faccia Legolas, e con una ginocchiata colpì la mano deturpata del nemico, facendo roteare per aria il ferro rovente.
Gli altri orchi ebbero un attimo di smarrimento, e l'elfo riuscì a utilizzarlo a suo favore: con uno scatto, si liberò dalle mani possenti che lo tenevano fermo e tentò una magra resistenza a base di calci.
Riuscì a tagliare le corde che lo imprigionavano grazie a una spada sguainata e dimenticata su una rastrelliera, poi la afferrò, ricominciò a lottare con accanimento.
All'inizio parve funzionare, ma presto Legolas si accorse che il suo era stato un deprorevole errore: i nemici erano troppi, esattamente come quando l'avevano catturato.
Ciononostante, combatté con tutte le poche forze rimastegli finchè non si vide scon -fitto: qualcuno riuscì ad afferrarlo e lo colpì alla testa con un oggetto pesante.
Legolas cadde a terra privo di sensi: le ultime cose che vide, prima che il buio completo s'impadronisse di lui, furono il ferro rovente che piroettava nell'aria e che si andava a conficcare nel braccio del capo degli orchi.
L'ultima eco che l'avrebbe accompagnato per il resto della sua vita fu l'urlo del nemico e le sue parole, rivolte a lui:
 - Me la pagherai elfo... -
Poi, il nulla.

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Capitolo 5
*** Buio ***


5 - BUIO

 
 L'ultimo reggimento di orchi non attaccò la mattina dopo la scomparsa di Lego -las, e questo diede molto da pensare a Aragorn: non avevano ancora trovato niente che riguardasse il suo amico, proprio niente.
Mordor non attaccava: perchè?
Se ne stava là, presso le mura, ma non voleva uscire allo scoperto, non voleva combattere: perchè, accidenti, che c'era da aspettare?
 - Sanno di essere deboli... - concluse Gimli, vedendo Aragorn così pensieroso - co -me possono attaccarci se sanno di perdere? -
 - Non se ne starebbero là come degli avvoltoi.. - intervenne Lilian - devono avere un altro piano: che vogliano entrare di nascosto in città? -
 - Potrebbe darsi...esistono alcune vie ben celate.. -
Aragorn pensava: sì, c'erano dei passaggi segreti per arrivare dentro Minas Tiri -th, ma gli orchi non potevano esserne a conoscenza.
L'unica cosa che potevano fare era interrogare qualcuno...
Quel pensiero così nudo e freddo fece scattare la testa di Aragorn verso i suoi due compagni, che ora lo guardavano sorpresi: il posto dove avrebbe dovuto se -dersi il suo amico elfo era vuoto.
(vorrei che fosse qui...)
Di colpo, l'uomo ebbe un terribile presentimento:
 - Forse so dov'è Legolas... - esordì con la voce più calma possibile.
 - Che c'entra Legolas, ora? - chiese scattosa Lilian, ma la sua espressione tradiva il fatto che ne voleva sapere di più.
 - Legolas è sparito, ma non è morto, per quanto ne sappiamo, giusto? - spiegò A -ragorn - E' venuto a salvarti, ma non si sa come ha fatto. Vuol dire solo una cosa... -
La tensione saliva: Lilian e Gimli ormai pendevano dalle labbra del loro compa -gno.
 -...Legolas doveva essere a conoscenza di qualcosa che non doveva sapere! -
 - Vuoi dire che poteva aver scoperto per caso uno dei passaggi segreti della cit -tà? - domandò incredula Lilian. 
 - Quasi sicuramente. In questo caso....forse gli orchi l'hanno semplicemente cat -turato, e non ucciso.. -
 - Che cosa gli staranno mai facendo? - pensò la ragazza: piccoli singhiozzi comin -ciarono a scuotere il suo corpo addolorato.
Era colpa sua. Sì, era tutta colpa sua. Perchè era stata così imprudente? Legolas stava scontando una pena che non si meritava. Per colpa sua.
In quel momento, Merry entrò nel salone correndo e sventolando un foglio:
 - Ci sono novità Aragorn: leggi qui, leggi! -
Posò una lettera sul tavolo, davanti ai tre amici; l'uomo la prese in mano e la studiò per niente convinto.
La calligrafia non era delle migliori: forse quella di un orco.
Ecco cosa diceva, più o meno:
 
Abbiamo in pugno il vostro amico elfo. Se volete rivederlo vivo, oggi pomeriggio davanti alle mura. Altrimenti la sua vita si spezzerà.
 
Aragorn sentì il suo cuore fare un balzo: Legolas...era dunque ancora vivo?
Lilian gli strappò la lettera dalle mani, troppo curiosa per poter aspettare: quelle poche righe però la fecero piombare nella disperazione.
Sapeva che ora Aragorn aveva le mani legate: se avesse accettato la proposta dei nemici, rischiava di tradire Minas Tirith, d'altra parte, se non avesse accetta -to, Legolas sarebbe morto, tradito anch'egli, e dai suoi stessi amici.
 - Io vado. - disse sicura Lilian - Non lo lascerò solo! -
Abbandonò la lettera sul tavolo e uscì per preparasi un cavallo: sentiva le lacri -me bruciarle le guance.
Aveva come l'impressione che la proposta degli orchi fosse l'ultima carta di Mor -dor: probabilmente, prima che si decidessero a scrivere quella lettera, dovevano aver interrogato Legolas, anzi, sicuramente.
Se ora avevano lanciato quella sfida, significava che Legolas non aveva parlato: per un motivo o per un altro.
Lilian non potè far a meno di ammirare il coraggio di quell'elfo: le aveva sempre dimostrato che essere forti è una grande virtù
(quanto alla morte, penso non ci si debba pensare più di tanto)
La sua voce le rimbombava in testa, accompagnata dai ricordi: non l'avrebbe la -sciato.
Sellò un destriero e vi salì in groppa, nonostante non amasse affatto cavalcare: di solito lo faceva....
(Legolas)
Si asciugò le lacrime che continuavano testarde a inondarle gli occhi e spronò il cavallo: percorse Minas Tirith fino ad arrivare al grande cancello all'entrata della città, dove incontrò qualuno che non si aspettava.
 - Credevi che ti avremmo lasciata sola contro tutti quegli orchi? - le chiese sorridendo Aragorn quando lei gli domandò che ci facesse lì - Credevi che avrei abbandonato un grande amico come Legolas in mano loro? -
 - Credevo...che volessi proteggere Minas Tirith.. - tentò di dire Lilian.
 - Infatti; e così l'aiuterò. -
Poco dopo era arrivato Gandalf in sella a un destriero bianco, con appresso tutto l'esercito rimasto:
 - Quando si parte? -
Degli uomini aprirono il portone e Lilian uscì per prima, trovandosi a fissare con occhi iracondi più che mai il campo che la divideva dall'ultima torre di Mordor: con la sua vista acuta, vide che laggiù c'era un certo fermento.
Quanto avrebbe voluto lanciarsi alla carica e distruggere una volta per tutte quella torre!
Ma temeva per l'incolumità di Legolas: era triste dirlo, ma gli orchi avevano peri -colosamente il coltello dalla parte del manico.
Si avviò lentamente verso l'ultimo campo nemico, affiancata da Aragorn e Gan -dalf: le armi dell'esercito ribombavano dietro di loro come il fragore dei tuoni.
Giusto il tempo di arrivare al centro della piana, e si trovarono davanti a un mu -ro di orchi: i loro sguardi beffardi penetravano nel cuore peggio di frecce.
 - Vedo con piacere che avete accolto la mia proposta... - esordì quello che sem -brava il capo.
 - Dov'è Legolas? - ruggì di rimando Aragorn; Lilian era troppo incollerita persino per parlare.
 - Chi? - li derise l'orco - Ah sì, il vostro amico elfo: eccolo qua! -
Allungò una mano e un soldato gli passò un corpo legato ed inerme: il capo lo prese per il bavero e gli puntò una spada alla gola.
 - Lo so che visto così sembra morto, ma vi assicuro che fino a poche ore fa era vivo, fin troppo! -
Lilian sentì i propri respiri diventare forti singulti che le sconquassavano il petto:
 - Lasciatelo! - urlò con voce tremante dalla rabbia.
 - No. Prima dovete pagare un prezzo: dateci Minas Tirith, e l'elfo vivrà.. -
La ragazza si morse le labbra: avrebbe voluto dare il segnale d'attacco, strango -lare quel mostriciattolo con le proprie mani pur di salvare Legolas.
Ma la spada era sempre puntata alla gola del suo amico, e al minimo passo falso, ne era certa, l'orco l'avrebbe ucciso.
 - Prima vogliamo Legolas. - li sfidò Aragorn.
 - E noi vogliamo prima Minas Tirith, dato che tutte le nostre fatiche per conqui -starla sono andate in fumo grazie alla caparbietà del vostro amico. In verità, un po' lo ammiro: ciò non vuol dire, però, che lo ucciderò senza esitare se non fate ciò che dico! -
Minacciò di tagliargli la gola:
 - FERMO! - urlò Lilian, in preda al terrore. 
Quel grido fu così forte che giunse persino nel mondo buio in cui era caduto Le -golas, facendolo pian piano ritornare alla dura realtà: era Lilian che gridava, Li -lian...Lilian?!
Che ci faceva mai lei in quel posto?
L'elfo tentò inutilmente di aprire gli occhi, ma le palpebre gli bruciavano come il fuoco: si rese conto lo stesso, però, che qualcuno lo stava tenendo quasi solle -vato da terra, e sulla sua gola era appoggiata, minacciosa, la lama di una spada.
Dov'era? Che stava accadendo?
Alle orecchie gli arrivò chiara la voce di Aragorn che tentava senza successo di dissuadere qualcuno a lasciarlo andare: Lilian...Aragorn...stavano cercando di salvarlo!
Man mano che riacquistava i sensi, una zaffata di odore acre arrivò fino a lui: un odore strano, quasi da carne ustionata.
Si ricordò di che era accaduto, il ferro rovente che piroettava nell'aria, che si an -dava a conficcare nel braccio di....di chi lo stava tenendo come ostaggio in quel momento.
Stava ricattando Lilian: non poteva permetterlo.
 - A dire la verità, non so se si sveglierà, il vostro amico... - continuava a dire il capo degli orchi
(sono già sveglio, idiota)
 - ..comunque vi ho detto che voglio: consegnateci Minas Tirith! -
Improvvisamente, il freddo della lama sparì: chissà, pensò Legolas, forse ora stava minacciando più i suoi amici che lui: quale occasione migliore per farla franca?
L'elfo raccolse le sue poche forze, e diede un fulmineo e poderoso calcio a chi gli stava di fianco: poichè teneva gli occhi chiusi, non seppe esattamente che colpì, ma chi lo teneva in pugno lo lasciò con una violenza tale da farlo rotolare di qualche passo.
Legolas colse quell'occasione per allontanarsi un poco, sfuggendo alla portata degli orchi rimasti di sasso; in quel momento, Aragorn ordinò agli arcieri di attaccare, e nessun nemico riuscì più ad afferrare l'elfo.
Subito dopo Lilian diede il via all'esercito, che si precipitò sul reggimento di orchi mentre lei e Aragorn si affrettavano per raggiungere il corpo indifeso di Legolas.
Quest'ultimo sentiva le forze mancargli, mentre se ne stava lì steso, supino, sen -za sapere che gli stesse accadendo.
Udì qualcuno che s'inginocchiava accanto a lui e che lo liberava dalle corde che gli serravano i polsi, e che lo sollevava leggermente da terra:
 - Legolas, mi senti? Sono io, Aragorn, ti prego, parla! -
 - Come può parlare ridotto così? - gli fece eco la voce di una ragazza - E' ferito...spero solo non gravemente. -
L'elfo avrebbe riconosciuto quella voce tra mille. Strizzò le palpebre:
 - Lilian.... - mormorò.
 - Sì, sono io, Legolas: è tutto finito, grazie a te.. - gli accarezzò i capelli.
Legolas avrebbe voluto parlarle ancora, ma non potè: mosse le labbra, in un vano tentativo, ma le dita di Aragorn si appoggiarono su di esse, zittendolo dolcemente.
 - Non sforzarti, eroe: hai già fatto tanto per noi... -
Legolas scivolò di nuovo nell'oscurità che l'avrebbe accompagnato ora, e sempre.
 
Quando l'elfo svenne, Aragorn si affrettò a sollevarlo da terra mentre Lilian chiamò Gandalf:
 - Portalo via di qua! - gli raccomandò lei - Torna a Minas Tirith, ora è un luogo abbastanza sicuro!-
 - Gli darò tutte le cure possibili! - affermò lo stregone mentre Aragorn lo aiutava a sistemare Legolas sul cavallo - Tornate vincitori! - e partì.
In pochi attimi sparì inghiottito dalle bianche mura di Minas Tirith.
Lilian e Aragorn si diedero da fare per abbattere una volta per tutte l'ultimo reg -gimento: gli orchi stavano tentando di asserragliarsi nella torre di legno, ma qualcuno aveva già avuto la brillante idea di darle fuoco.
La ragazza aveva ancora un conto in sospeso: doveva trovare quell'orco. Quel -l'orco. Quello che aveva fatto soffrire così tanto Legolas e anche lei.
Si fece spazio tra le fila e si diresse verso la torre in fiamme
(dove sei maledetto? non mi scappi stavolta...)
ed infatto eccolo là, quel maledetto orco, eccolo che tentava inutilmente di resi -stere.
Lilian si avvicinò con un'aria talmente minacciosa che avrebbe intimorito chiun -que: le sue guance arrossate dalla rabbia le donavano un aspetto quasi demo -niaco.
Erano rare le volte in cui la parte malvagia del suo io veniva a galla, ma quelle rare volte era praticamente impossibile fermarla:
 - Ehi, tu, bastardo! - urlò al nemico - Che ne diresti di fare due chiacchiere con la mia spada? - sfoderò l'arma.
 - Ma guarda chi si vede.. - le rispose il capo degli orchi con un sorriso malizioso.
 - Spavaldo sino alla fine, vero, lurido verme? - lo rimbeccò Lilian puntandogli la spada contro - Sappi che fra poco non avrai più tanta voglia di ridere. Hai fatto del male a Legolas, e la pagherai! Goditi i tuoi ultimi attimi di vita, perchè fra poco brucerai come la tua maledetta torre! -
Un pezzo di legno infuocato cadde lì vicino; Lilian ne afferrò lesta una parte, e partì all'attacco.
L'orco non si aspettava una furia del genere: tentò di difendersi, ma anche se riuscì a parare i colpi di spada di Lilian, non si potè sottrarre al pezzo di legno infuocato, e lo ricevette più volte in testa.
Com'era possibile che una ragazza avesse così tanto talento nel combattere?
Non ci poteva credere, ma era così: stava perdendo contro una donna. Una don -na!
Lilian gli tolse presto la spada, e puntò la sua arma verso la gola dell'orco: pote -va ammazzarlo subito, ma il nemico s'inginocchiò e con le lacrime agli occhi le chiese pietà:
 - Perchè mai vuoi dunque uccidermi, ragazza? Ammetto che i miei gesti sono stati terribili, anche contro i tuoi amici, ma ti rammento che ho avuto pietà di quell'elfo, l'ho lasciato vivere, gli ho concesso l'onore di vivere! Un altro orco al mio posto l'avrebbe ucciso all'istante! -
 - Gli hai concesso l'onore della tua crudeltà, non della tua pietà! Non m'incanti, sai? Sono abbastanza cresciuta per distinguere i bugiardi! -
 - Ti prego, dopotutto è ancora vivo! Fammi quello che vuoi, ma non uccidermi, no! -
 - Legolas è ancora vivo, sì, lo è, ma chi mi assicura che dopo poche ore non muoia, per colpa tua? Chi mi assicura che dopo tutto quello che gli è successo a causa tua non sia morto dentro? Io non ti credo, miserabile servo di Sauron, e ora MUORI! -
Con occhi iniettati di sangue, Lilian affondò la spada nel collo dell'orco, ucciden -dolo all'istante: in quel momento aveva solo bisogno di vendetta. Vendetta.
Ora giustizia era fatta.
Estrasse la sua arma dal corpo del nemico, consapevole di essersi tolta dalle spalle un grave peso.
La battaglia era vinta: finita.....
Aragorn sopraggiunse da dietro le spalle della ragazza, in groppa a un cavallo:
 - Andiamo a Minas Tirith, qui non c'è più niente da fare: credo che qualcuno vo - glia vederti... -
Le tese una mano, e Lilian balzò sul destriero, mentre sentiva la rabbia sbollirsi lentamente.
 - Tu pensi che Legolas sarà ancora come prima? - chiese esitante la ragazza.
 - Certo che sarà come prima: la sua lunga vita non è stata certo tutta rose e viole anche se è principe, penso che i brutti momenti come questi potrà superar -li... -
Man mano che Minas Tirith si avvicinava, il cuore di Lilian di riempiva di preoc -cupazione: sarebbe stato così semplice come aveva detto Aragorn?
Non si diede il tempo per rispondere: appena furono arrivati, si precipitò su per le scale della reggia, senza sapere nemmeno dove dirigersi.
Si scontrò contro un uomo:
 - Sei tu Lilian? - le chiese senza neanche accennare all'urto che aveva ricevuto.
La ragazza rimase sorpesa dalla domanda: lo squadrò attentamente prima di ri -spondere:
 - Sì...perchè? Ho fretta! -
 - Lo so, ma lo stregone Gandalf mi ha detto di venirti a cercare perchè ha bi -sogno di te per....l'elfo che abbiamo liberato. -
 - Legolas..è vivo? -
 - Seguimi. -
L'uomo la condusse per il salone e poi su, su una scala a chiocciola: anche Ara -gorn si aggregò allo strano duo.
Passarono pochi minuti di silenzio, e giunsero a destinazione: l'uomo fece strada fino a una grande stanza dentro la quale sedeva Gandalf, comodo comodo su u -na poltrona a rigirarsi il bastone fra le mani.
Appena vide entrare Lilian le sorrise:
 - Benarrivata. - la salutò tranquillamente.
Lei non lo degnò di uno sguardo, preoccupata com'era:
 - Come sta Legolas? - chiese Aragorn, piuttosto teso anche lui.
 - Non si è ancora svegliato, ma credo che lo farà presto. Per il resto, non va ma -le, a parte il fatto che ha la schiena rovinata da due dozzine di frustate... -
 - Due dozzine?! -
 - Credo proprio di sì: tenace, il nostro amico... -
Gandalf rivolse lo sguardo verso il letto poco più in là, dove giaceva Legolas, im -mobile come una statua: respirava, ma a parte quello non dava segni di vita.
Lilian gli si era inginocchiata accanto e gli stava stringendo una mano, mentre con l'altra gli accarezzava i capelli:
 - Può sentirmi? - domandò esitante.
 - Chiedilo a lui... -
Lilian sussurrò qualcosa all'orecchio dell'elfo, ma ancora niente: anche se un po' scoraggiata, la ragazza ritentò, quasi la sua voce potesse ridargli vita.
Gimli sedeva in un angolo, paonazzo: nessuno sapeva bene che gli fosse acca -duto, ma a quanto pareva non era molto contento della situazione.
Nella stanza regnava un silenzio incontrastato: nessuno fiatava, quasi a temere di romperlo. Tutti gli occhi erano fissi su Legolas.
Ad Aragorn l'attesa pesava peggio di un masso sulle spalle: cominciò a battere silenziosamente un piede per terra.
Non sapeva che fare per aiutare il suo amico, anche se voleva assolutamente farlo: cercò di distogliere lo sguardo dall'elfo, ma una minima parte di lui rimase sempre all'erta per cogliere ogni segno.
Non fu tradita:
 - Lilian... - mormorò Legolas dopo alcuni interminabili minuti.
Tutti, nella stanza si avvicinarono al letto, accanto a alla ragazza, la più sorpre -sa; l'elfo strizzò le palpebre e aprì gli occhi, rizzandosi a sedere.
Si massaggiò la schiena, ma non fece in tempo a proferir parola, perchè Lilian gli buttò le braccia al collo, piangendo:
 - Non ci posso credere, sei vivo! Sei vivo! -
 - E vegeto... - aggiunse Legolas, ricambiando.
Fu questo a impensierire Aragorn: per esperienza diretta, sapeva che il suo ami -co non avrebbe mai osato abbracciare in quel modo una ragazza se si fosse tro -vato in mezzo ad altra gente.
E sapeva altrettanto bene che quello era un vizio che Legolas non aveva mai perso: com'era possibile che ora avesse preso il coraggio a due mani e avesse superato tutte le sue paure?
Non li aveva visti, gli altri...?
Improvvisamente nella mente dell'uomo si formò un atroce dubbio, rafforzato ul -teriormente dal fatto che delle iridi azzurre di Legolas non era rimasta che una misera traccia.
 - Legolas... - tentò di dire, ma temeva la sua stessa voce: proprio come imma -ginava, l'elfo si sottrasse frettolosamente all'abbraccio di Lilian.
Si voltò nella direzione di Aragorn, ma il suo era uno sguardo vuoto: l'uomo gli passò una mano davanti agli occhi, ma non ci furono reazioni da parte dell'elfo.
 - Legolas, ma... - deglutì faticosamente -.....ma che cosa vedi? -
Legolas all'inizio non rispose, quasi se ne vergognasse: passò il suo sguardo vi -treo sulla stanza, forse cercando le parole giuste per spiegare.
Poi abbassò gli occhi e trasse un sospiro triste:
 - Nulla. - 

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Capitolo 6
*** Cecità ***


6 – CECITA’

 
Fin da bambino, il dramma della cecità per Legolas era stato come la morte: una cosa troppo lontana dal suo mondo.
Non era mai riuscito a immaginarselo un elfo cieco. Aveva sempre creduto che non ce ne fossero.
Ma aveva dovuto ricredersi: gli elfi ciechi esistevano, eccome. Ora anche lui fa -ceva parte del loro mondo.
In quel suo nuovo universo fatto solo di ombre, non esisteva il minimo spiraglio di luce, speranza: l'ultimo si era spento quando Lilian aveva ammesso che i po -teri curativi di cui era dotata non bastavano per ridargli la vista.
Era riuscita solo a guarire le ferite sulla schiena di lui...il resto era solo un lungo tunnel scuro senza un'uscita.
L'elfo non gliene voleva per questo: era una ragazza che si faceva in quattro per aiutarlo, benchè non potesse fare molto per lui...lui, che aveva visto il mondo e i suoi sogni perdersi nell'oscurità.
"Addio Lilian" aveva pensato più volte: ormai non sperava più di averla per sè... ridotto com'era, come avrebbe potuto piacerle ancora?
E anche se così fosse stato, che vita grama avrebbero vissuto insieme?
Pensava a questo, seduto sul letto della camera in cui si era svegliato, quella notte: il vento fresco entrava dalla finestra, portandogli solo una minima parte di quello che si può definire sollievo.
L'unica cosa che era rimasta a Legolas era immaginare, mentre si rigirava pen -sieroso i pollici senza sapere che fare, che potere fare; nella sua mente apparve il volto di Gimli.
(hai vinto amico mio)
Già, quel nano aveva vinto la sua guerra, non ci poteva ancora credere: ora ave -va Lilian tutta per lui. Poteva lavorasela per mesi, per anni, ma alla fine aveva buone possibilità di farla franca. Tutto dipendeva da quella ragazza.
E lui, Legolas, sarebbe scomparso: un ricordo, forse, o forse anche qualcosa di più. Un sogno.
La porta della camera cigolò sinistramente, ma anche se non poteva vedere chi fosse antrato, l'elfo sapeva bene di chi si trattava: solo uno, entrava in modo co -sì sommesso.
 - Sei tu, Lilian? - chiese con voce inespressiva.
Come risposta ebbe un sospiro, uno di quei sospiri che la ragazza traeva in con -tinuazione da quando era accaduto....insomma, quel che era accaduto.
Legolas allungò un braccio in direzione della porta, fino a trovare sotto le dita la pella delicata di Lilian:
 - Siediti. - la invitò indicandogli il letto.
Avvertì un movimento del materasso, e il contatto del suo braccio con quello del -la ragazza:
 - Che fai? - gli chiese lei con voce rotta.
 - Niente... - rispose lui - che vuoi che faccia? -
Silenzio. L'elfo abbassò lo sguardo:
 - C'è...qualche problema? - sussurrò.
 - Sì, il mio problema. - continuò Lilian, sempre con la sua voce rotta: Legolas ebbe come la sensazione che stesse piangendo - Odio stare qui senza potere far niente per te, mi sento un verme: se penso che avrei potuto evitarti tutto que -sto, se penso...che se fossi stata solo un po' più prudente ti avrei risparmiato questo supplizio, se penso che è solo tutta colpa mia.... -
Si fermò, colta da tristi singhiozzi: era solo colpa sua, colpa sua, colpa sua!
 - Non è stata colpa tua Lilian...io.. - tentò di calmarla Legolas.
 - Certo che è stata colpa mia! - sbottò lei - Mi meriterei la morte per questo, per tutto quello che ti ho fatto,e senza neanche un motivo! -
Singhiozzò di nuovo, e sembrava non riuscire più a riprendersi dal dispiacere.
Legolas non voleva che si riducesse in quello stato, ma come poteva fare?
Con una mano cercò il viso della ragazza: le asciugò le lacrime che continuavano a cadere come pioggia, con una delicatezza che non si aspettava di avere.
Le accarezzò il viso, i capelli, tentando di calmarla:
 - Non piangere Lilian, non è da te. Non devi soffrire per me...in fondo, me la so -no un po' cercata, non credi? -
Lei scosse la testa:
 - Non è vero, non dire bugie! -
 - Ti prego...non ti dar pena per me: ne ho già abbastanza io per me stesso.. -
I singhiozzi cessarono: quella frase aveva colto Lilian di sorpresa.
 - Non devi dire questo... - disse la ragazza, ora finalmente un po' più calma.
 - Perchè? Chi ha più bisogno di me ridotto così? - le tolse la mano dal viso.
 - Io ho bisogno di te. -
Questa volta fu Legolas ad avere una grande sorpresa: lei...aveva bisogno...di lui? In quello stato? Non poteva essere vero:
 - Non dire sciocchezze. Tu non hai bisogno di un elfo cieco.. - affermò sospirando.
 - Ma ho bisogno di un guerriero innamorato.... -
Legolas non ebbe il tempo di ribattere: le mani di Lilian lo costrinsero a guardar -la, e prima che potesse parlare, le labbra della ragazza erano già sulle sue.
All'inizio, l'elfo non poteva crederci: quel momento era sempre e solo esistito nel suo cuore, come uno dei più ardenti desideri.
Si era realizzato quando meno se l'aspettava: gli sembrava di stare sognando.
Però, se era un sogno, non aveva nessuna intenzione di svegliarsi.
 - Ti amo.. - sussurrò Lilian, fra i suoi baci - Tu non lo sai, ma ti ho sempre amato... -
 - L’ho sempre saputo, Lilian..ma non potevo credere che una cosa così bella fosse capitata pro -prio a me...avevo paura di crederci.. - e la baciò.
La strinse dolcemente a sè, e i suoi cupi pensieri finalmente si spensero.
 
Il vento fresco della sera gli scompigliava i capelli mentre se ne stava seduto a sognare il tramonto: benchè non lo potesse vedere, Legolas non poteva sottrarsi al desiderio di immaginarselo.
Una guardia gli aveva detto che il sole stava scomparendo da quella parte, e ora l'elfo se ne stava lì, seduto sul bordo del muretto, a Minas Tirith, a mangiarsi le unghie mentre il rosso del tramonto gli disegnava a sua insaputa ombre rosse sul viso.
Dove quel disco dorato se ne andava, all'Ovest, lontano chissà quante miglia, il Mare cullava dolcemente delle imbarcazioni: Legolas, in verità, quell'immenso e sconfinato Mare non l'aveva mai visto. E non l'avrebbe mai visto.
Si ricordò improvvisamente di quante volte suo padre gliene aveva narrato le storie, da bambino, di quante volte lui stesso aveva voluto saperne di più, di quante volte aveva sentito dire che un giorno gli Elfi se ne sarebbero andati oltre ad esso.
Oltre il Mare c'era una nuova vita, non sapeva esattamente perchè fosse così.
Una nuova vita per tutti. Una vita che non sarebbe stata la sua.
Per quanto felice potesse essere vivere al di là dell'oceano, nessuno avrebbe mai potuto liberare Legolas dalla sua maledizione: e se lui solo pensava...quanto a -vrebbe voluto vederlo. Con i suoi occhi. Quegli occhi che erano dello stesso co -lore di quel Mare. Quegli occhi che in un attimo aveva perso.
Legolas sospirò, assaporando l’aria fresca del tramonto:
 - E' inutile che tenti di nasconderti, Lilian. - disse ad un tratto - Lo so che sei lì. -
 - Come facevi a saperlo? - ribattè dolcemente la ragazza, sedendogli accanto.
 - Sono cieco, non sordo.. -
Lilian sorrise, e si perse nelle nubi purpuree che abbracciavano le montagne di Mordor:
 - Com'è il tramonto? - le sussurrò Legolas.
 - Bello...ma penso che tu ne abbia visti di migliori... -
Legolas non replicò, pensieroso.
 - A che stai pensando? - gli chiese Lilian dopo un po'.
 - Al mio ritorno a casa... - rispose lui -...a Bosco Atro... - si fermò, per un attimo non sicuro di quel che diceva.
Lilian non capiva quel comportamento: era certa che lui le stesse nascondendo qualcosa.
Legolas avvertì lo sguardo pungente della ragazza su di sè, quegli occhi indaga -tori che aveva imparato a conoscere:
 - Be', a dirla tutta, non so se tornerò a Bosco Atro... -
 - Perchè? - Lilian gli posò una mano calda d'amore sul braccio.
 - Perchè sono l'erede al trono...e un principe non si può permettere di essere... come...me... -
Fece una pausa. Lilian non era certa di avere capito: perchè Legolas temeva di non poter esser capace del ruolo che gli spettava? Anche se cieco era coraggio -so, combattivo, e soprattutto...sapeva amare.
 - E mio padre... - riprese l'elfo - che ne penserà di tutto questo? Che se ne farà di un figlio cieco? -
Si prese la testa fra le mani, versando calde lacrime: era il suo turno, per pian -gere. E fu il turno di Lilian per confortare.
La ragazza gli scivolò alle spalle, e lo circondò con le sue braccia delicate, ba -ciandogli i capelli e il viso: gli accarezzò la testa, ma non bastò il calore delle sue mani a calmare il dolore.
Tuttavia, presto Legolas si lasciò andare: si appoggiò alla spalla di Lilian, comodo appiglio dietro di lui.
Si abbandonò alla dolcezza delle parole della ragazza mormorate al suo orecchio, ai baci che gli donavano un po' di tranquillità in mezzo a quella furiosa tempesta di pensieri: poteva restare lì per sempre.
Qualche lacrima salata di Lilian gli cadde sugli occhi mentre di nuovo le loro lab -bra si incontravano: Lilian...l’unica e vera cosa importante.
 - Chiedimi quello che vuoi, Legolas... - gli sussurrò la ragazza - farò di tutto pur di pagare il mio debito nei tuoi confronti...anche se non sarà mai abbastanza. -
 - No, non posso... -
 - Sì che puoi. Devi! E' il minimo che io possa fare per te...ti prego, qualunque co -sa, dimmi... -
Legolas rimase silenzioso per qualche attimo: non poteva chiederle qualcosa, non sarebbe servito a nulla, come poteva spiegarle che era meglio lasciar per -dere?
Lilian era comunque troppo cocciuta per capirlo: forse era meglio che fosse lui a lasciare perdere.
Di nuovo lo assalì un dubbio, quello stesso dubbio che covava nella sua mente da quando aveva compreso che Lilian lo amava: non poteva vivere insieme a lei, non poteva rovinarle la vita così! No! No, che non poteva!
Era da tempo che pensava a una soluzione per questo problema, ma per quanto l'avesse cercata, niente; e l'ora della risposta era giunta.
Doveva scegliere. Adesso. Tra le braccia di Lilian. Lì. Contro la sua volontà. E purtroppo, in quel momento, si rese conto che la verità era una sola:
 - Se proprio insisti... - si lasciò sfuggire Legolas - un piccolo desiderio l'avrei. -
 - Quale? -
L'elfo sentiva la speranza in quella voce, la voce di lei, l'unica che rappresentas -se la sua àncora di salvezza: la risposta che stava per dare l'avrebbe sorpresa, forse, avrebbe sorpreso entrambi.
Ma era l'unica cosa giusta da fare.
 - Non soffrire più per me... - sussurrò l'elfo, ma si fermò, interrotto da Lilian, che non capiva affatto che stesse dicendo:
 - Ma...come..? -
 - Dimenticami. -
Quell'unica parola, pronunciata così facilmente, lacerò il cuore della ragazza più che una spada: come poteva risponderle così? Dopo tutto quello che era succes -so fra loro? Dopo...?  
Le mancavano le parole:
 - Cosa? - riuscì a dire soffocando le lacrime - Ma...non puoi... -
 - Non è la mia volontà che decide in questo momento, ma la mia coscienza...che sa di dover essere giusta con te. -
Legolas si mise a sedere, voltandole la schiena:
 - E' meglio per tutti e due, credimi.... -
Lilian non rispose, e questo non era un buon segno. Legolas si girò, le prese il viso fra le mani e la baciò:
 - Questo è il mio addio. - le disse - Non preoccuparti, di persone migliori di me ce ne sono state, ce ne sono e ce ne saranno: una di loro avrà la fortuna di incon -trarti, un giorno. E allora io scomparirò per sempre... -
 - Non puoi farmi questo. Non è giusto...io non voglio un ragazzo migliore...io..ti amo.. -
 - Lo so, e anch'io ti amo, tu non sai quanto: ed è proprio perchè ti amo così tanto che ho deciso di lasciarti vivere.. -
Legolas si alzò senza ascoltare una eventuale risposta: non avevano più nulla da dirsi.
D'ora in poi, ognuno per la sua strada. Per la sua nuova strada.
Non avrebbe voluto lasciare Lilian così. Ma che doveva fare?
Si allontanò silenzioso come le ombre, ma appena fatto qualche metro, si rese conto che non poteva abbandonare quella ragazza tanto amata senza guardarla l'ultima volta. In un certo senso.
Si fermò, anche se forse, si chiese, sarebbe stato meglio sparire: si voltò, posan -do i suoi occhi sul paesaggio ormai quasi addormentato del crepuscolo.
Lilian, dopo essersi per un attimo goduta l'ultimo rosso bagliore del cielo, si era avviata lungo il muretto: fu strano vederla mentre dondolava scossa dai sin -ghiozzi per andare a confondersi fra le ombre di Minas Tirith.
Fu strano, per Legolas, vederla oscillare, quasi cadere: in effetti, l'elfo non si seppe trattenere dal desiderio di toccarla, l'ultima volta, prima di scomparire del tutto dalla sua vita.
Si precipitò verso di lei, e la sostenne prima che rovinasse a terra: e rimasero così, abbracciati, guardandosi l'un l'altro, sorpresi, senza capire che fosse esattamen -te successo.
La mente di Lilian fu la prima a rimettersi in moto, con una domanda: come ave -va fatto Legolas a soccorrerla, se non poteva vedere?
La ragazza, seppur con incredulità, passò una mano davanti agli occhi di Lego -las: questa volta, nel buio incipiente, colse un movimento delle iridi dell'elfo, ora più azzurre che mai.
 - Ma... - balbettò Lilian - come...che..che colore è quella montagna? -
Indicò con un dito un monte di Mordor:
 - Mi sembra dorata... - rispose Legolas, seguendo il braccio della ragazza.
Non era possibile: non l'aveva indovinato, stavolta, ma l'aveva visto! VISTO!
Che era successo?
Lilian non se la pose per niente questa domanda: quello che le interessava era la risposta.
Euforica, strinse Legolas a sè, coprendolo di baci, piangendo dalla gioia di rive -derlo di nuovo come prima, di rivederlo come l'elfo che le aveva rubato il cuore e l'aveva conquistata con quello sguardo cristallino.
 - Mi viene da pensare che tu l'abbia fatto apposta, che tu sia maledetto! - lo rimproverò, ridendo.
 - No, ti giuro, prima ero davvero.... -
 - Non m'interessa, non m'interessa! L'importante è che tu sia di nuovo come pri -ma... -
 - Non è stato merito mio...forse..ma certo, il merito è tutto tuo, e delle tue la -crime d'amore...prima, quando mi stavi consolando.. -
Un bacio di lei lo fece zittire e sorridere allo stesso tempo:
 - Allora resterai? Con me, intendo... - gli sussurrò lei all'orecchio.
 - Credo proprio di sì... -
Qualcuno li sorprese alle spalle:
 - Dì un po', Legolas, che cosa dovrei pensare io di te? - la voce ironica di Aragorn li sorprese entrambi: zitto zitto, l'uomo si era gustato la scena da dietro qualche muro, e ora era felice di avere di nuovo il vecchio Legolas al suo fianco.
 - Che sono un elfo....fortunato? - scherzò il principe di Bosco Atro.
Tutti e tre scoppiarono a ridere, e per la prima volta la loro risata fu spensierata, serena, senza preoccupazioni: si sparse nell'aria, dando calore alla notte e un  beffardo tocco di felicità ai desolati campi di Minas Tirith. 

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Capitolo 7
*** Addii ***


7 - ADDII

 
La fortuna, Aragorn e i suoi amici se la goderono per poco tempo.
Un grave problema incombeva ancora sulla loro felicità e su quella della Terra -di -Mezzo: avevano distrutto, sì, l'esercito di Mordor, ma c'era qualcosa di ben più che fatale delle armi in circolazione.
E quel qualcosa era l'Anello. Quell'Anello maledetto che Frodo stava portando. Quello c'era ancora.
Un uomo aveva riferito ad Aragorn di aver visto l'hobbit poco lontano dalle montagne di Mordor, poco tempo prima, e questo faceva pensare che, oramai, fosse anche giunto all'interno del regno dell'Oscuro Signore.
In questo caso, l'unica cosa da fare era distrarre quel che restava della potenza nemica da Frodo, ovvero, attirare i pochi reggimenti di orchi rimasti dentro la terra di Sauron.
Era un compito rischioso: pochi uomini valorosi contro chissà quante migliaia di creature assetate di sangue. Come avrebbero potuto farcela?
 - E' l'unica cosa che possiamo fare per Frodo.... - si disse Aragorn mentre, pallido come un cencio, se ne stava di fronte al Nero Cancello di Mordor, assieme a quel nugolo che era rimasto dell'esercito.
 - Almeno moriremo con la certezza di avere fatto qualcosa... - borbottò teso il Gimli.
 - Non temete, possiamo ancora farcela: se l'Anello sparisce, anche Sauron spa -risce... - intervenne Gandalf.
L'attesa logorava i nervi di tutti quanti: nessuno si decideva a provocare l'ira di Mordor, neanche Aragorn, ora sovrano di Minas Tirith, in quanto erede dell'antica stirpe dei Re.
Nubi nere come il destino si raggrupparono a est: qualcosa si muoveva nelle viscere della terra nemica, qualcosa, finalmente.
 - Se il Signore Oscuro ha ancora un briciolo di coraggio, venga fuori ad affrontarci! - urlò Aragorn, convinto che non si dovesse più aspettare.
A quel grido le teste dei soldati scattarono verso il Cancello Nero, specialmente quelle di Legolas e Lilian, ancora muti per la tensione: entrambi pensavano a come uscirne vivi, ancora una volta.
Non avevano intenzione di separarsi di nuovo. E non l'avrebbero fatto.
Il Cancello Nero si aprì con stridore di ferro arruginito: davanti ad Aragorn e ai suoi amici apparve un esercito enorme.
Almeno qualche miglio coperto da orde di creature di ogni genere: l'ultima carta del nemico, infine.
Una tromba beffarda risuonò come un tuono nell'aria; l'esercito di Aragorn sfoderò le armi, pronto a combattere.
L'inizio non si fece attendere: gli orchi cominciarono a marciare decisi, e poi le loro file si ruppero in un intenso fragore di metallo.
Anche l'esercito di Aragorn partì all'attacco, benchè sapesse di non avere molte speranze: ciò non importava, in fondo.
Frodo sarebbe arrivato a Monte Fato. Avrebbe distrutto per sempre l'Anello. Tutto sarebbe finito, una volta per tutte.
Aragorn si slanciò per primo contro due orchi dagli scintillanti occhi verdognoli, sgozzandoli in un solo colpo; poi altri due, e altri ancora scomparirono sotto le sferzate della sua spada.
L'uomo d'un tratto si rese conto che non era così difficile come pansava: invaso da una nuova ondata di rabbia si gettò sempre più al centro della mischia, sgoz -zando, uccidendo, mutilando.
No, non era affatto difficile per uno come lui.
Finchè non si trovò di fronte a qualcuno decisamente più grande di un semplice orchetto: una volta giratosi, dopo una difficile manovra, si ritrovò al cospetto di un gigantesco troll, l'elmo lucido sopra la testa, che brandiva una pesante e massiccia mazza ferrata.
Non sembrava contento: appena si ritrovò Aragorn in mezzo ai piedi, iniziò ad agitare furiosamente la clava, a sbatterla con violenza per terra, nel tentativo di togliere di mezzo l'intruso.
Il "nemico" in questione, però, decisamente più piccolo, schivò i colpi, andandosi a rifugiare tra le nuvole di polvere alzatesi sotto la furia incontrollata del troll.
La creatura non si diede per vinta: pestò i piedi, ancora più arrabbiata, ancora più minacciosa, ancora più letale.
Infine lo prese, il suo intruso, lo prese: lo bloccò sotto uno dei suoi sproporzionati piedi, e felice agitò la clava nell'aria. Poteva schiacciarlo, quel nanerottolo, quando voleva, ma preferiva divertirsi e provare la gioia di essere sadico.
Aragorn si ritrovò imprigionato sotto il troll, in preda al panico: non poteva finire così, no! Non ora! Non ora!
Con un ultimo disperato tentativo, colpì il gigantesco piede che lo schiacciava con la spada, provocando un urlo di dolore del mostro; ma ciononostante il troll non mollò la presa, anzi, s'infuriò ancora di più.
Alzò la mazza rapido come un fulmine, gli occhi iniettati di sangue, tizzoni ar -denti che ribollivano rabbiosi tra le pieghe della sua carne verdognola e lercia.
Aragorn era perduto. Si sentiva perduto. E lo sarebbe anche stato, se qualcuno non fosse saltato sulla faccia del troll e lo avesse graffiato.
Il gigantesco piede della creatura si spostò, e Aragorn fu di nuovo libero: poteva scappare, se solo l'avesse voluto, invece si fermò a fissare perplesso la scena.
Il qualcuno che aveva distratto così abilmente il nemico ora si era inerpicato sulla testa del mostro, continuando a ferirlo con l'esile spada che teneva ben stretta in una mano: la creatura, ancora più infervorata, agitava la clava per aria, cercando di colpire l'intruso.
Era una lotta impari. Troppo dura perchè quel qualcuno potesse uscirne vincitore.
Il troll non la smetteva di dimenarsi, e per l’altro, aggrappato alla sua testa, le cose si stavano complicando ulteriormente: non poteva resistere a lungo.
La figura attaccata saldamente al mostro alla fine cedette: tra uno svolazzare di capelli lunghi, saltò giù dalla testa del troll, mentre questi sembrava troppo oc -cupato a cercare di afferrarla con le mani.
Ma, si sa, l'imprevisto è sempre in agguato: mentre il coraggioso qualcuno che aveva salvato Aragorn scendeva a velocità vorticosa dal corpo del nemico, questi si girò di scatto, e la pesante mazza ferrata sibilò, sferzando l'aria.
E non solo quella.
Aragorn vide la figura che stava scendendo a terra fermarsi di colpo, sparire tutt'uno con la clava per interminabili secondi, per infine volare lontano.
In quel momento sperò che quel qualcuno non fosse un amico che conosceva da anni; ma gli rimase poco per pensare: lo sguardo scintillante del troll era di nuo -vo fisso su di lui, vecchia preda ancora da catturare.
In quel momento, qualcosa scoppiò in lontananza, e il bagliore di un fuoco che divampava alto e insormontabile si stagliò contro il cielo scuro di Mordor.
All'improvviso, fiammate dappertutto lacerarono la terra oscura, un vento spazzò via la polvere per abbattersi minaccioso sulla battaglia davanti al Cancello Nero; la Torre di Sauron, in lontananza, si spezzò e crollò in uno stridio di sconfitta.
In un attimo il troll e gli orchi, presi dal panico si diedero alla fuga per i ripidi pendii delle montagne, lasciando l'esercito di Minas Tirith solo, di fronte all'im -possibile.
Monte Fato vomitava fiamme su fiamme, ceneri su ceneri, rabbia su rabbia, e in quel furore era racchiusa tutta l'amarezza di Mordor, nella consapevolezza di avere perso.
Frodo, evidentemente, era riuscito a distruggere l'Anello: tutto era finito, per sempre. E sempre, e sempre, e sempre.
Aragorn ripose la spada, ammirando affascinato le pendici della montagna rico -perte di lava rovente, mentre il tutto si calmava in un'unica e nera nube di fumo.
Tutti guardavano quello spettacolo, felici di poter tornare a casa con le persone che amavano. Tranne uno. Uno solo. L'unico la cui amata l'aveva seguito per -sino in quella battaglia.
Legolas passava veloce e silenzioso tra i corpi lasciati sul terreno, uomini e orchi, orchi e uomini, niente mezzani: dov'era Lilian?
Non l'aveva ancora vista da quando il dovere li aveva costretti a separarsi; e nemmeno l'aveva vista in piedi, a osservare contenta la fine di tutto.
Qualcosa non quadrava.
Rapido si diresse zigzagando tra i corpi verso il Cancello Nero, senza trascurare un minimo pezzetto di terra, il minimo centimetro che poteva....
Ad un tratto la vide: vide l'esile figura di Lilian accarezzata dal sole stagliarsi im -mota a terra, con quell'immobilità che solo i cadaveri sanno avere.
Senza poter pensare ad altro se non a lei, l'elfo corse fino a raggiungerla: le s'inginocchiò accanto, prendendola tra le braccia, sussurrandole parole dolci all'orecchio, sperando, volendo che fosse ancora viva.
La scosse, chiamandola, scostandole le lunghe ciocche scure e incrostate d'avventura dal viso: Lilian non si mosse se non dopo qualche secondo, quando chis -sà dove trovò la forza di aprire gli occhi.
 - Ciao, Legolas... - mormorò fiocamente.
 - Ti diverti a farmi prendere degli accidenti? Credevo che fossi morta... -
 - Lo sono..quasi.. -
 - Ma che stai dicendo? Da quando in qua i morti parlano? Tu sei viva... -
 - No, Legolas...mi resta poco...lo sento.. - trasse un sospiro affannoso e tossì: un rigagnolo di sangue le uscì veritiero dalle labbra.
Legolas in quel momento seppe che la ragazza non scherzava: ma come poteva essere tutto vero? Come poteva essere? No, non era giusto!
A stento l'elfo represse un grido di dolore che arrivava dal cuore:
 - Lo sai che ho chiesto agli dei? - gli sussurrò Lilian vedendolo così abbattuto.
Legolas scosse la testa, desiderando che tutto fosse solo un incubo:
 - Ho promesso loro..che me ne sarei andata..senza un singulto...se mi avessero permesso...di vedere ancora una volta...il tuo viso... - la mano fredda della ra -gazza accarezzò con le ultime forze i lineamenti dell'elfo, asciugandogli le lacrime sopraggiunte senza che lui se ne accorgesse - non piangere...non è da te... -
Quella frase suonò a Legolas molto familiare: era la stessa che lui le aveva detto per calmarla quella notte, quando si erano baciati per la prima volta.
Gli sembrava così strano che gli eventi si fossero capovolti a tal punto:
 - Non lasciarmi.. - disse con voce soffocata dal pianto, mentre la mano di Lilian scivolava di nuovo sul petto della ragazza.
 - Devo mantenere la promessa che ho fatto...e a quella mi attengo...anche se non vorrei.. Volevo solo vederti un’ultima volta...e dirti che sei la persona migliore che abbia mai incontrato...e che ti amo.. -
Il mezzano guardò l'elfo con occhi pieni di tristezza, con le lacrime represse a fa -tica dietro le palpebre stanche:
 - Namarie Legolas... - disse, e tolse per sempre alla vista del mondo l'immenso mare dei suoi occhi celesti: e spirò.
Legolas rimase come inebetito per alcuni attimi, il corpo di Lilian stretto fra le braccia impotenti di fronte alla morte.
Non avrebbe saputo parlare in quel momento, nemmeno con un amico.
Accarezzò quasi sovrappensiero le gote di Lilian, fredde e livide, morte, così diverse da quelle che aveva conosciuto; poi si alzò, sollevando da terra il corpo inerte della ragazza e portandoselo via da quello sterminato campo di battaglia.
Monte Fato gorgogliava ancora furioso, cinto dalle nubi nere di Mordor, ma questo non impensierì Legolas, affatto: era troppo occupato a tenere a freno le sue emozioni per prestare orecchio al sospirato rumore del trionfo.
Per lui quella non era una vittoria: era una sconfitta. Una delle più amare.
Serrò quasi con violenza il corpo inerme della ragazza al suo petto, come se potesse infondergli vita.
Aragorn vide l'amico avvicinarsi con un'espressione che tradiva un immenso dolore: l'elfo gli si fermò accanto, guardandolo, le guance rigate di terra e di pianto rilucenti al pallido sole. Poi lo superò, senza proferir parola, diretto a Minas Tiri -th.
In quell'attimo Aragorn comprese un sacco di cose: capì chi era veramente il qualcuno che l'aveva salvato dalle grinfie del troll, chi aveva dato la propria vita per la sua....e si rese conto che quel giorno di amici non ne aveva perso uno, ma due.
 
Il funerale in onore di Lilian fu uno dei più grandiosi che si ricordassero: per tut -ta Minas Tirith deboli fiaccole luminescenti furono accese per commemorare la grave perdita fino a sera, quando si decise di accantonare i morti per festeggiare i vivi.
I tavoli furono ricoperti di deliziose pietanze, e il popolo di Minas Tirith fu per una volta libero di mangiare in santa pace.
Non tutti si divertivano così tanto: Aragorn, che si tenne ai margini della scena per la maggior parte della serata, era divorato dalla tristezza, rafforzata dal continuo silenzio di Legolas.
In effetti, nessun altro si sentiva colpevole quanto il nuovo re della città: Lilian era morta per salvarlo. Salvarlo! Avrebbe potuto lasciarlo in balìa del troll e go -dersi ora l'inaspettato lieto fine: perchè aveva rinunciato a tutto?
E poi c'era Legolas: un altro problema. Certo, aveva tutte le ragioni per starsene in disparte e rinchiudersi in un giusto e doloroso silenzio: ma non poteva continuare così! Era tutto il giorno che non parlava, non mangiava, non aveva nemmeno pianto una volta...riusciva a tenersi dentro tutti i suoi sentimenti, quella furiosa guerra che non sarebbe cessata così presto, forse mai.
Era rimasto sconvolto dalla morte di Lilian e si era chiuso in se stesso, come un riccio, in attesa di un’altra ragione valida per continuare a vivere: aveva perso una delle cose più preziose e non riusciva a capacitarsene, forse si sentiva in colpa, colpevole quanto quel soffio di vento che ave -va spento la vita di chi amava di più.
Le ultime parole che aveva rivolto a Lilian, prima che fosse riposta nella sua eterna dimora, erano impresse nella mente di Aragorn, e continuavano a perseguitarlo, fantasmi che non gli la -sciavano nemmeno un secondo di pace
(...una volta ti avevo promesso che avrei fatto qualunque cosa per te..ora tu l’hai fatto al mio posto, per me e per tutta questa gente..sei stata coraggiosa, anche se..poco importa ormai. L’unica cosa che posso dirti, ora, benchè tu non possa sentire, è che ti ho sempre amato e ti amerò sem -pre...per sempre. Riposa in pace, amore mio..)
Si ricordava chiaramente di quelle frasi sussurrate tra le lacrime incombenti e tuttavia mai libere di scendere dagli occhi di Legolas; si ricordava fin troppo bene, con un sapore amaro in bocca, dell’ultimo, dolce bacio, dato dal suo amico alla donna che amava.
Aragorn voleva aiutarlo, il suo amico, anche se il suo aiuto sarebbe ben valso poco in una situazione simile: ciononostante, si diresse sicuro verso l'elfo, seduto in un angolo buio, lontano da tutto e da tutti, a osservare la festa e Gimli che già aveva preso a corteggiare le ragazze.
Legolas si voltò all'arrivo di Aragorn, ma distolse subito lo sguardo, senza neanche l'ombra di un’emozione sulle labbra:
 - Mi dispiace.... - sussurrò l'uomo, ma non bastò per catturare l'attenzione dell'altro - Devo dirti una cosa.. -
Legolas continuò a rigirasi fra le mani il pendente che Lilian teneva sempre al collo, quello con il medaglione a forma di stella, quello che l'aveva tenuta impri -gionata nella sua mortalità: se solo pensava alla promessa che le aveva fatto...!
 - Quale cosa? - chiese l’elfo, dopo qualche minuto, senza girarsi - Un’altra cosa? Non bastano le novità, per oggi? -
L’amarezza di quelle parole lasciò Aragorn senza fiato: com’era freddo, il suo amico, com’era distante...il suo migliore amico...a un passo dalla disperazione. E cercava di resistere, di combattere! E lui, Aragorn, che stava facendo? Nulla?
Tentò di dire qualcosa per interrompere il silenzio caduto fra loro:
 - Sei preoccupato per me? - indovinò prima Legolas - E’ questo? E’ per questo che sei qui? Stai cercando di dirmi qualcosa per tirarmi su? Non ci riuscirai. Grazie, comunque. Non preoccuparti per me...sto bene anche così. -
 - Che cosa dici? - mormorò attonito l’uomo: stava bene così? Dopo tutto quello che aveva passato, con tutto quello che aveva nel cuore? Non ci avrebbe mai creduto.
 - Sto bene così...davvero. Sto bene, Aragorn. - rincarò l’altro, avvertendo l’incertezza dell’amico.
 - NO! No, che non stai bene! - esplose l’uomo - Non mentire a te stesso, solo per sfuggire al passato! Mi fa male vederti così! Stai facendo del male non solo a te stesso, ma anche a me! E io soffro...perchè.. -
E qui si fermò, per un momento indeciso nella sua confessione: ma fu un attimo solo. Non poteva permettersi di nascondere la verità adesso, perchè, se l’avesse fatto, quella muta bugia sa -rebbe rimasta per sempre, una barriera tra lui e Legolas. 
 - E'...colpa mia. - ammise quindi Aragorn, poggiando una mano sulla spalla dell’amico - Ti chiedo umilmente perdono...anche se non me lo meriterei... -
L'elfo si voltò, sorpreso e confuso:
 - Perdonarti? Di cosa? -
 - Per Lilian....lei ha...dato la vita per salvare la mia...le sue ferite...mi ha salvato da un troll, sa -crificandosi...l’ho vista, avrei potuto fermarla..o aiutarla...e non l'ho fatto..ero confuso, troppo felice per la mia salvezza, accecato dall’egoismo, non lo so! Ma è come se l’avessi uccisa io stes -so.. - nella voce di Aragorn apparve una nota di rabbia mentre serrava con forza la spalla di Legolas e si accasciava su una sedia accanto a lui - Sono un pessimo amico..pessimo! -
L’elfo rimase di stucco a fissarlo: per un attimo non seppe più cosa pensare. Non si aspettava una simile rivelazione da Aragorn. Da un amico. Da qualcuno a cui voleva bene.
Non c’era motivo, tuttavia, per prendersela con lui: in fondo non c’entrava.
La morte di Lilian era stato solo l’ennesimo capriccio del destino, niente di più. Solo che questa volta il colpo era stato talmente duro da schiacciare quasi del tutto la vita di qualcuno.
 - Non ti considero colpevole... - replicò l'elfo, guardando Aragorn con aria comprensiva - non darti troppa pena...non ne hai né il tempo, né il diritto: questa città ha bisogno di te, ora... -
Tornò a fissare la festa, che si svolgeva con tutta la gioia possibile oltre il suo angolino buio: A -ragorn si accorse dei suoi occhi lucidi, della fatica per tenere a freno il dispiacere tremendo che lo divorava, ma non vide una lacrima scappare da quegli occhi azzurri. Era un vero tormento vederli così.
E quelle mani...quelle mani che tante volte avevano aiutato Aragorn a risollevarsi, che gli ave -vano offerto una via d’uscita quando temeva di non farcela, quelle mani amiche, che aveva sen -tito sulle sue spalle ogni volta che aveva avuto bisogno di conforto: ora erano abbandonate sul grembo di Legolas, incatenate da quella collana argentea con il medaglione a forma di stella, tre -manti, le dita esili che accarezzavano piano un sogno infranto, rimasto tale proprio quando stava per avverarsi.
Chiunque avesse incontrato Legolas in quel momento, senza sapere nulla di lui a parte il suo a -more per Lilian, avrebbe detto che l’aveva presa, tutto sommato, abbastanza bene: ma non Aragorn. Lui non la pensava affatto così, ed era quasi del tutto sicuro che non fosse così.
Legolas aveva bisogno di aiuto. Adesso. L’uomo si decise a fare qualcosa, prima che quel fragile corpo scoppiasse:
 - Non puoi tenerti tutto dentro, Legolas.. - cercò di smuoverlo - Ti prego..fai qualcosa! Reagisci! Sfogati! Se continui in questo modo, ti distruggerai! Sono qui..voglio esserti d’aiuto, in questi momenti...a che servono gli amici, sennò? -
La risposta di Legolas non si fece attendere tanto:
 - Lasciami perdere. - con voce controllata, con lo sguardo rivolto altrove, l’elfo si liberò scatto -samente dalla stretta di Aragorn.
Il quale rimase colpito, turbato, non si immaginava tanta ostilità, anche se ne comprendeva il motivo:
 - Lo so che mi odii, Legolas... - ritornò alla carica l’uomo - ma forse anche un nemico come me potrebbe aiutarti, adesso. Non vuoi tornare a essere quello che eri con Lilian, quel ragazzo valo -roso e gentile che camminava al suo fianco? -
 - Io non ti odio, Aragorn, se è questo che vuoi sapere... - lo interruppe bruscamente l’altro - Non ti odierò per questo, perchè so che non è stata colpa tua: non ci saranno rappresaglie da parte mia, credimi. Ma lasciami stare! -
E mentre lo diceva si coprì le mani col viso, si piegò in avanti, ma trattenne ancora e coraggio -samente quello che aveva dentro: stava perdendo quel suo controllo mantenuto a stento.
Era questo che, forse, lo rendeva irritabile nel rispondere: ma era proprio questo, quello che Ara -gorn voleva. Voleva che perdesse quel maledetto controllo. E che piangesse, almeno una volta, per liberarsi un poco del suo fardello di tristezza e speranze deluse che si portava appresso.
Allora, mentre il suo amico cercava ancora di ricomporsi, l’uomo gli diede il colpo di grazia, ab -bracciandolo stretto, facendogli sentire quanto voleva aiutarlo:
 - Non so se questo può calmarti un po’... - gli sussurrò all’orecchio -..non m’interessa. L’importan -te è che ti sfoghi. Piangi, Legolas! Piangi, ti prego! Togliti di dosso un po’ di quello che ti trascini dietro da troppo tempo...fallo adesso, nessuno ci vedrà, se è questo che ti preoccupa. Ti sei scel -to un bel posticino per pensare e fare in santa pace quello che vuoi... -
 - Finchè ci sei tu, farò fatica a fare quello che voglio.. - sorrise Legolas, un sorriso stanco, ma sempre qualcosa - Ma...non è da me, piangere...non voglio..! - cercò di districarsi, perchè sapeva che non avrebbe resistito in quella morsa affettuosa, in quel piccolo gesto di tenerezza che gli ricordava tante cose del passato, di Lilian.
Ma Aragorn lo tenne ancora più stretto, non lo lasciò fuggire; insistette:
 - Tu vuoi credere di non volerlo...ma in fondo, lo sai che ti farebbe bene qualche lacrima.. Perciò approfittane ora! Fallo per me. Per chi ti vuole bene e per Lilian. Piangi per lei... -
Legolas non riuscì a resistere: con il viso affondato nei vestiti del suo amico, sentì una lacrima scappare dagli occhi, e quella fu rincorsa da un’altra, un’altra, e un’altra ancora.
Si accorse che era bello avere un amico, in quel momento. E nessuno era meglio di Aragorn.
Persino piangere, singhiozzare, disperarsi era bello, con lui al suo fianco.
Aveva ragione, Aragorn: a che servono gli amici, se non per aiutarti?
Legolas si lasciò finalmente andare, i singulti venivano da soli, e un po’ di dispiacere scivolava via, rotolando sulle guance e confondendosi poi con l’abito consunto e familiare di chi gli stava accanto.
Non ci avrebbe mai creduto, ma provò sollievo, il sollievo di chi viene liberato da una lunga pri -gionia. Arargorn lo scostò un poco dalla sua spalla e si compiacque della sua opera:
 - Sei convinto che ti ha fatto bene piangere, adesso? Ti senti meglio? -
 - Meglio è una parola grossa... - precisò Legolas, asciugandosi le lacrime.
 - Hai ragione. Per ora è troppo grossa. Ci vorrà il tempo, soprattutto, a guarirti.. -
 - Forse nemmeno quello.. -
Ed era vero.
La confusione che regnava nella sala avvolse di nuovo i due amici, che in quei minuti avevano creduto di udire soltanto i propri respiri, il proprio dolore, protetti dal loro angolo buio.
Legolas, però, come vide tornare la gioia intorno a lui, quella gioia che a lui era stata crudelmente negata, si vide assalire di nuovo dai ricordi, dall’affanno, dalla malinconia.
Non ci poteva stare in quel posto. Non riusciva più a starci. 
Si alzò, con il pendente di Lilian stretto fra le dita tremanti:
 - Io...vado.. - sussurrò, e si fece largo per la folla fino a raggiungere un portone dall'altra parte della sala; Aragorn rimase lì, seduto, a fissare l'amico scomparire inghiottito da mille teste: era chiaro che voleva starsene solo, e lui stesso non era deciso a seguirlo.
Mentre l'uomo ritornava dagli ospiti, Legolas si rifugiò nell'assoluta tranquillità del lungo corridoio fuori dalla sala: si richiuse il portone alle spalle.
Una serie di finestre disegnavano sul pavimento lustro una serie di inquietanti figure notturne, lasciando a malapena entrare un raggio di luna: niente fiaccole accese.
Nell'immobilità e nel silenzio che regnavano sovrani in quel luogo, Legolas si abbandonò con un sospiro triste su una panca: il freddo del muro contro la sua guancia lo fece rabbrividire.
Sperò che non passasse nessuno, non voleva che lo vedessero in quello stato, non voleva che qualcun’altro, oltre ad Aragorn, lo vedesse piangere.
Chiuse gli occhi, in quell'immutabile regno della notte, stringendosi il medaglione di Lilian al petto: dio, quante avrebbe voluto che fosse ancora viva.
L'avrebbe voluta lì, al suo fianco, dove era sempre stata, e dove avrebbe sempre dovuto essere.
Chissà, forse era soltanto un sogno, ma da esso non riusciva a svegliarsi, e tutto così gli tornava davanti agli occhi come qualcosa di terribilmente reale.
Non si era mai sentito così solo e impotente. Nemmeno quando aveva assaporato l'amarezza della cecità: ora sapeva che c'era di peggio.
Se solo avesse potuto tornare indietro nel tempo, se avesse previsto tutto quello che gli stava succedendo, se...se....
In verità non c'era posto per i se: la realtà andava vissuta così com'essa si pre -sentava, bella o brutta che fosse, giusta o crudele che fosse.
Difficile. Troppo difficile.
Legolas sentiva l'ira montargli dentro, le lacrime scendere sul suo viso, finchè un leggero venticello sbucato da chissà dove gli fece per un attimo dimenticare i suoi tristi pensieri.
Chi aveva aperto la porta?
Legolas girò stancamente la testa, ma non c'erano portoni aperti, neanche il mi -nimo spiraglio: strano, avrebbe giurato di aver sentito uno sbuffo di aria fredda sul collo....
Eccolo, di nuovo: quella brezza...era così innaturale..
D'un tratto una luce accecò gli occhi azzurri di Legolas, costringendolo a riparar -si: quando li riaprì, davanti a lui stava accadendo qualcosa che era a dir poco incredibile.
La luce era sparita, ma un piccolo lampo bianco persisteva ancora: scendeva da una delle finestre, lento, inesorabile, come un fiume di luce.
Man mano che si avvicinava, Legolas potè distinguere in quel bianco evanescen -te la figura esile di una donna, che, a braccia spalancate, scendeva seguita da una scia luminosa.
La strana immagine toccò lievemente terra, senza il minimo rumore: la luce si dissolse, lasciando che la veste della ragazza risplendesse di quel suo pallido e cereo bianco che risaltava le sue linee.
La figura aprì lentamente gli occhi, azzurri come il mare, e abbassò le braccia, accarezzandosi il vestito.
Legolas aveva la strana sensazione di avere già visto quella donna, ma non poteva essere chi pensava: no, lei...lei era morta quel giorno...
La ragazza gli sorrise con espressione furba, inconfondibile:
 - Lilian..? Come può essere..non puoi.... - balbettò esterrefatto l'elfo, ritraendosi.
 - Non temere Legolas... - la voce della donna era calda, invitante - Sono io...non mi riconosci? - lo rassicurò dolcemente mentre gli si sedeva accanto.
 - Ma..sei..morta...? -
 -...non proprio.... -
 - Sei...sei..un angelo?
 - Non esattamente: sono un'anima... -
Legolas la fissò ancora più confuso:
 - Credevo che qualunque anima, una volta lasciato il corpo, andasse nelle aule di Mandos, con gli dei... -
 - In effetti, è quello che avrei dovuto fare... - rispose Lilian, avvicinandosi di più   - ma come potevo lasciarti così? Mi ami...troppo, forse: per questo sono rima -sta... -
 - Per me? - ripetè incredulo Legolas.
 - Per non permetterti di raggiungermi, ucciso dalla tua tristezza. Sei l'unico che può vedermi ancora come una volta... -
 - Vorrei non esserlo... -
Lilian sorrise indulgente mentre Legolas cercava di sfuggirle, incapace di sorreg -gere lo sguardo di quegli occhi lucenti; ma la donna lo costrinse a fissarla, acca -rezzandogli il viso con una mano.
Istintivamente Legolas prese quest'ultima fra le dita, indeciso se ancora credere nell'illusione:
 - Come sei fredda... - sussurrò rabbrividendo.
 - Succede...quando non hai più la pelle. -
Legolas avrebbe voluto sprofondare, in quel momento: una terribile sensazione di colpevolezza l'aveva assalito, bloccandogli la voce.
Lilian sapeva come fargliela tornare: avvicinò di più il suo viso a quello dell'elfo, e lo baciò teneramente, come la prima volta.
Avvertiva, anche se era più o meno un fantasma, la sorpresa di Legolas, ma non gliene importò: sarebbe rimasto ancora più stupefatto, di fronte alla buona noti -zia che doveva dargli.
 - Forse c'è un modo per farmi tornare in vita... - mormorò quando si allontanò un poco da lui.
Lo sguardo dell'elfo s'illuminò di gioia:
 - Come? Dimmi come devo fare e lo farò! - sbottò sicuro.
 - E' rischioso... -
 - Non me ne importa: al massimo ti raggiungerò. Ma come posso...come puoi..tornare? -
Lilian sorrise: ammirava Legolas per la sua forza di volontà, e sapeva che per nulla al mondo l'avrebbe abbandonata.
 - Una volta, una coppia era nella nostra stessa situazione.. - cominciò a raccontare - lei era morta di un male incurabile, e lui l'amava così tanto, proprio come te, che lei non potè non stargli accanto anche dopo la morte. Gli disse che poteva tornare in vita con i petali di un fiore purpureo che si trovava sulle pendici di Monte Fato. Lui partì quasi immediatamente, accompagnato soltanto dall'ombra della sua amata che lo guidava sempre più nelle tenebre. Trovò quel fiore, lo portò a casa, ma solo dopo grandi sofferenze: infatti, fece appena in tempo a piangere sui petali rossi, che bruciarono, e poi morì. L'amata tornò in vita, ma del fantasma di lui nemmeno la traccia; però il sortilegio aveva dato i suoi buoni frutti... -
Legolas ascoltava la storia, attento, consapevole che avrebbe divuto seguire le stesse orme di quell'uomo che aveva tentato l'impossibile:
 - Naturalmente è solo una leggenda...ma è anche l'unica cosa che puoi fare, per me...: io non ti obbligherò, non interferirò con la tua volontà. -
Passò qualche secondo di silenzio, ma tanto bastò perchè Lilian cominciasse a sospettare che la sua proposta non sarebbe stata accolta.
Si sentì rispondere:
 - Rischierò...per te. -
La ragazza si sentì addirittura commossa, e per qualche minuto rimase a bocca aperta, senza emettere un suono:
 - Troverò quel fiore, Lilian... - la rassicurò Legolas -...e rimarrò vivo, per vederti tornare da me.. -
 - Sei sicuro? -
 - Certo, parto al più presto: domani... -
 - Se vai, non permettere a nessuno di seguirti, non voglio che qualcun'altro debba riaschiare per la mia vita: mi dispiace già per te, che vuoi affrontare tutto questo.. -
Legolas le strinse affettuosamente le mani:
 - Sarai con me? - le chiese in un sussurro.
 - Ci sarò... -
Qualcuno fece rimbombare due o tre colpi nella stanza attigua, a segnare la fine della festa in onore della vittoria su Mordor: Lilian si alzò, decisa ad andarsene per non mettere Legolas in condizioni da essere considerato un pazzo.
Lui la trattenne per un braccio, desideroso di parlarle ancora:
 - Aspetta.. - la supplicò - dove...vai? -
 - In un posto dove potrò amarti e proteggerti finchè non saremo di nuovo insieme... - dolcemente, Lilian si liberò dalla stretta e si diresse verso la finestra: di nuovo quel lampo che l'aveva accompagnata in precedenza la riprese e se la portò via, lasciando Legolas in compagnia del suo oscuro futuro. 

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Capitolo 8
*** Verso Monte Fato ***


8 – VERSO MONTE FATO

 
 
Il giorno dopo l'elfo si sentiva ancora più sicuro della sera prima, riguardo la sua decisione: senza dare spiegazioni, si preparò un paio di bisacce da viaggio e le riempì di viveri e acqua.
Si caricò le armi in spalla, e a metà mattina era già pronto per partire.
Ma il suo frenetico lavoro aveva fatto crescere dei dubbi perfino in Aragorn, che aveva tentato in mille maniere di lasciar perdere il suo amico e i suoi interessi: non gli ci volle molto per capire che voleva andare a Mordor, e la prospettiva lo spaventò parecchio.
Teneva alla vita di Legolas, senza contare che a causa di Sauron di amici ne aveva già persi abbastanza: non poteva lasciare l'elfo da solo, sembrava un tradimento.
 - Che stai facendo? - gli chiese Legolas quando adocchiò sospettoso il daffare di Aragorn.
 - Mi sto preparando...vuoi partire, no? -
L'elfo cercò di controbattere, ma l'uomo lo zittì:
 - No, non se ne discute: non posso permetterti di andare a Mordor da solo. Che amico sarei? Capisco che così su due piedi potrò sembrare un incredibile ficcana -so, ma a causa di quella terra maledetta ho già perso troppi amici...troppi! -
Sisitemò una borsa sul tavolo vicino e ci frugò dentro, spostando, mettendo, togliendo una marea di roba.
Legolas sorrise al pensiero di tanta buona volontà, ma non poteva permettere comunque ad Aragorn di venire: deciso, appoggiò una mano sulla spalla del suo amico, in modo fraterno.
Quella stretta per l'uomo significò qualcosa che non gli piacque: evidentemente, Legolas non era così facile da convincere.
Si voltò, desideroso di rinforzare la sua decisione, ma lo sguardo dell'elfo gli fece morire le parole in gola: triste, forse, e pieno di ammirazione, ma anche estre -mamente risoluto....non aveva mai visto Legolas con quegli occhi dall’espressione così determinata.
 - Non puoi venire, Aragorn.. - gli disse l'elfo - mi hai già aiutato moltissimo; questa missione, stavolta...posso compierla soltanto io. -
L'uomo rimase perplesso:
 - Me la caverò.. - terminò un po' malinconico Legolas, lasciandogli la spalla e incrociando il suo sguardo.
In quel momento Aragorn seppe che era finita: niente compromessi con l'azzurra e amara sicurezza negli occhi dell'elfo. Niente aiuti. Solo una ferita nel cuore, nel sapere di non poter fare nulla.
Sospirando, tentando di non piangere
(chissà se lo rivedrò mai..)
Aragorn afferrò solidamente le spalle dell'amico, dandogli una scherzosa scrollata
(l'ultima forse..)
 - Torna vincitore... - sussurrò a Legolas, e lo lasciò andare.
L'elfo fece un cenno d'assenso e, caricatosi le bisacce, fece dietrofront e si avviò fuori dalla reggia: si tuffò nel bagno dorato del mattino e, in un attimo, sparì alla vista del suo migliore amico.
Avanzò sempre più deciso man mano che si avvicinava al portone che dava sui campi desolati di Minas Tirith, sentiva la paura calare, in un certo senso: gli sembrava addirittura di avvertire, qualche fuggevole volta, la presenza di Lilian aleggiare intorno a lui, quasi danzando al ritmo del vento.
Ma non la vide chiaramente. Forse era ancora presto.
Più volte gli parve di scorgere la sua amata far capolino da qualche vecchio muro screpolato, quasi a beffarsi di lui e della sua esistenza terrena.
Ormai era arrivato: davanti a lui, il forte portone che tanto aveva protetto Minas Tirith, ora giustamente lasciato socchiuso.
Spinse, e il duro legno scricchiolò sinistramente prima di permettergli la vista ai campi che lo separavano da Mordor: qualche miglio, non di meno.
Legolas strisciò con la solita destrezza nello spiraglio tra i due battenti, trovan -dosi faccia a faccia con le sterminate pianure che tanto avevano visto e passato; ma prima di poterlo richiudere, alle sue spalle, riecheggiò una voce che da tem -po, ormai, non sentiva più se non di rado:
 - Fermati, elfo! -
Legolas si voltò: Gimli, il nano che da sempre gli era stato da ostacolo nella sto -ria con Lilian, ora tentava di raggiungerlo, anche se si ritrovava incastrato fra i due battenti del portone, spiraglio troppo ridotto per le sue "robuste" dimensioni.
 - Che vuoi? - chiese l'elfo, quasi ruggendo: ora più che mai avrebbe voluto vedere quel nano lontano da lui.
 - Darti una cosa.. - gli rispose Gimli nello stesso tono stizzoso, disincastrandosi, finalmente, e parandoglisi davanti, con espressione truce.
Legolas lo fissò indeciso tra la sorpresa e la rabbia, non osando muovere un mu -scolo, ma impaziente di andarsene; contro ogni sua aspettativa, i lineamenti di solito severi di Gimli si addolcirono.
 - Ho saputo, che te ne vai.. - iniziò - e immagino anche perchè lo fai : que -sto fa di te quasi un eroe, e a te va tutta la mia ammirazione, ora... -
 - Il messere si è finalmente degnato di donarmi un po' della sua approvazione? - lo interruppe aspramente Legolas.
Gimli, però, non si fece spaventare:
 - Ammetto che non ho mai dimostrato grandi sentimenti per te, ma da quando Lilian è passata a miglior vita, credo di aver capito un paio di cose che prima non sospettavo. Non so se questo, e in questo frangente, possa interessarti, ma pro -prio questo motivo ho deciso di darti queste... -
Il nano trasse qualcosa da dietro la schiena e lo cacciò in mano a Legolas, quasi volesse liberarsene: asce da lancio.
 - Queste? - chiese sbalordito l'elfo - A me? -
 - Penso saranno più utili alla tua missione che a qualche angolo polverso della reggia... -
Legolas lo fissò ancora più esterrefatto: asce? A lui? Uno degli affetti più cari di Gimli che finiva nelle sue mani? Non ci poteva credere: non poteva essere vero.. non poteva accettarle....non voleva...non...
 - Tienile. - lo incoraggiò il nano, indovinando le intenzioni del suo ex rivale - Magari, mentre cammini sulle pendici di Monte Fato, potranno farti ricordare il tuo vec -chio, ma molto vecchio, amico... -
Quasi sorridendo, Gimli diede all'elfo due manate affettuose:
 - Mi sarebbe piaciuto rischiare la vita per Lilian... - disse quasi a se stesso, ma subito si riscosse    - Fatti onore, gigante! - diede ancora una pacca scherzosa al braccio di Legolas e sparì inghiottito dal'enorme portone.
L'elfo rimase solo di fronte al suo destino. Aveva ancora le asce in mano, incre -dulo: ora erano sue. Sue.
Distolse la mente da quegli oggetti, sistemandoli ala meglio nelle bisacce stra -piene mentre s'incamminava verso Mordor.
 
Il vecchio si appoggia al bastone, consapevole tutto d'un tratto delle sue stanche membra quasi millenarie, che gridano al bisogno di qualche ora di riposo.
La lunga marcia lo ha prosciugato nel corpo e nell'anima. E' già notte.
Pochi rifugi lungo la via: e tutti troppo piccoli per la sua modesta statura.
Nuvole nere sfrecciano per il cielo, portando il loro carico di pioggia e disgrazie.
Il vecchio pensa al passato, accucciato un momento a riposare. Come è giunto fin lì? Un passo dopo l'altro, camminando e camminando, da solo, in compagnia del suo unico bene e male.
Ma la solitudine non lo uccide: l'ha già sperimentata altre volte.
In fondo, non è mai solo. Un occhio ferito lo guarda da lontano e lo supplica di raggiungerlo e di riportarlo al potere. Potere. POTERE.
Quante volte il vecchio ha pensato a questo: al potere.
L'unica cosa che ora è in grado di fare è trascinarsi dietro quella sua veste strappata e quei suoi tormentosi ricordi: un passato funereo, addirittura indegno di essere chiamato passato.
Solo di una cosa il vecchio è certo e ne è felice: che è passato. Luride immagini che ora restano sepolte dove meritano di essere. Solo quello.
Sorride, speranzoso come lo è sempre stato verso il futuro: chiude gli occhi, ben sapendo che quando li riaprirà, si troverà ancora davanti lo stesso paesaggio, la stessa morte nell'anima.
Una speranza arde non molto lontano.
Il vecchio si rimette in cammino, appoggiandosi ai tronchi privi di ogni linfa vitale e alle pietre a -guzze che tagliano e feriscono gli ignari: pensare che basta solo prenderle per il verso giusto!
E lui, il vecchio, lo sa, il verso giusto: lì, o in un luogo simile, c'è già stato altre volte. Forse in un sogno. Forse in una strana visione che ora striscia non considerata fra le parti recondite della sua mente.
Poco più in là, una torre gli porge il benvenuto: è arrivato.
Rombi di tuoni squarciano l'aria a sottolineare il trionfo del vecchio; lui però si rifugia, non spa ventato, ma previdente.
La torre è vuota. Deserta. Gocce di pioggia scandiscono i secondi, secondi interminabili in una notte come quella.
Il vecchio sale con cautela le scale: scricchiolano sotto i suoi piedi gravati dalla stanchezza, ma inesorabili lo portano in alto, in alto, sempre più in alto, quasi ai confini del mondo.
La cima della torre è vuota anch'essa: neanche un corpo abbandonato al suo destino in quell'an tro malefico.
Drappi di una vita precedente sono cullati dal vento che trasporta tempesta.
Ora il vecchio si guarda in giro: c'è sangue sulle pareti. Sangue che corre sul pavimento. Sangue sui veli oscillanti.
Il vecchio si abbandona su una sedia sgualcita quanto la sua veste e pensa: che deve fare, ora che è libero?
Non se ne rende perfettamente conto, ma in un qualche modo sa di aver ottenuto una piccola vendetta sui suoi invincibili nemici: qualcosa, però, lo minaccia.
Lo sente nell'aria.
Subito una voce arriva: il suo io profondo, quello che lo guida sempre quando non sa che fare.
Ora gli dice di alzarsi e cercare in una cassa sfasciata poco distante da quell'angolo buio, il suo angolo: prontamente il vecchio si alza, cerca nella cassa.
Polvere: bell'aiuto. Polvere, e....qualcosa. Duro. Liscio.
Il vecchio affonda le mani rugose fra le assicelle e prende il libro celato sotto di esse: è un libro antico, forse anche più di lui.
Sfoglia avidamente le pagine mentre si avvicina a una finestra che dà sulle terre desolate e flagellate dal fuoco: poi, il libro lo prende.
Le dita del vecchio inseguono eccitate le antiche iscrizioni sulla pergamena incartapecorita; gli occhi del vecchio scintillano.
Ha trovato il potere. Potere. POTERE.
Gli basta allungare una mano per avere il potere.
Subito prende a cercare qualcos'altro, rovesciando scaffali, a spaccare casse, con l'aiuto del suo fidato bastone; scende le scale, insegue un sogno, lo trova.
E' davanti a lui, in una stanza dimenticata dagli orrori della torre: si erge su un pilastro nero, e sembra lo guardi.
Vieni a prendermi.
Il vecchio entra succube alla propria volontà: allunga le dita esili, afferra la Cosa.
Quella Cosa. Come dice il libro: "...una volta trovata niente potrà resisterle".
Il vecchio ora è soddisfatto: torna di nuovo all'ultimo piano della torre, ben stretta al petto la Cosa.
A causa dei rigagnoli d'acqua, che cade incessante, incespica più volte: ma sorride.
Arriva nella stanza: si siede, e guarda fuori dalla finestra.
Un lumicino speranzoso combatte contro la furia del temporale.
 
Legolas si riparò in una grotta appena in tempo per sfuggire a uno scroscio d'ac -qua, buttandosi quasi a capofitto sulla fine terra nera di Mordor.
Rabbrividì, stringendosi il mantello addosso: faceva freddo, là dentro, ma sem -pre meglio che dormire fuori e inzupparsi fino all'osso.
Era incredibile: aveva oltrepassato di un miglio il Cancello Nero e già la natura si rivoltava contro di lui.
Poco male: era praticamente notte, e si sarebbe fermato comunque, tempesta o non tempesta.  
Legolas trasse da una delle bisacce dei rametti secchi che aveva raccolto giusto prima di trovare la grotta. Si congratulò con se stesso: almeno, adesso, poteva stare all'asciutto e anzi, avere un po' di quel calore che tanto gli mancava.
Si preoccupò di fare scoccare qualche scintilla da due sassi: il fuoco si accese quasi subito. Quasi. Tre o quattro tentativi più tardi.
Legolas osservò l'amica fiamma danzare e crepitare davanti a lui, mentre fuori si rovesciava l'ira degli dèi; si tolse le bisacce e le armi dalle spalle indolenzite, e si massaggiò un po' il collo.
 - Male? - chiese una voce resa profonda dall'eco della grotta.
Legolas sussultò, ma quando vide seduta accanto a sè l'evanescente figura di Lilian, sospirò di sollievo:
 - Mi hai spaventato. - ammise.
 - Perdonami, non era questa la mia intenzione.. -
 - Oh, lo so... - la rassicurò l'elfo voltandosi e scrutando le tenebre più profonde dell'anfratto.
 - No, non c'è nessuno... - affermò dolce Lilian - per stanotte potrai dormire tranquillo... -
 - E' troppo chiederti di svegliarmi se qualcosa non va? -
 - Potrei urlare, se vuoi..e mi sentiresti soltanto tu..ammesso che ritorni dal mondo dei sogni! Non posso più scuoterti come avrei fatto un tempo.... -
Quelle parole fecero tornare triste Legolas: erano solo un peso in più sul suo cuore spezzato e morente dalla voglia di rivedere viva l'amata.
L'elfo si sforzò di non tradire alcun pensiero:
 - Immagino che non potrò offrirti qualcosa per cena, vero? - cambiò discorso e frugò pensieroso in una delle bisacce.
 - No. -
Legolas trasse qualcosa di sostanzioso e iniziò a rifocillarsi, con Lilian che lo fissava e di tanto in tanto distoglieva lo sguardo per andarlo a posare sulle lande nere di Mordor.
 - Hai fatto molta strada per un giorno solo.. - affermò ad una tratto la ragazza  - se continui così arriverai a Monte Fato in pochi giorni.. -
 - E' quello che intendo fare: prima giungo là, prima torni in vita... -
Lilian sorrise:
 - Non è che prima arrivi, prima te ne vai? -
 - Hai voglia di litigare con me? Ho detto "prima arrivo, prima torni in vita". -     
 - Non mi offendo se anche mi dici la verità. -
 - Ma ti ho detto la verità! -
Lilian lo squadrò da cima a fondo, quasi volesse carpire i segreti nella sua mente: Legolas evitò di guardarla:
 - Smettila, mi rovini la cena, Lilian! - esclamò dopo qualche minuto.
La ragazza rise compiaciuta: si aspettava una risposta del genere.
 - Allora me ne vado.. - replicò.
 - No! Non volevo dire questo.. - cercò di fermarla Legolas - Ti prego, non potresti...? -
 - No. - lo zittì Lilian - Non posso restare qui per sempre.. -
L'elfo ritentò:
 - E' per qualcosa che ho detto? -
 - No, non crucciarti per niente... - l'evanescente figura della ragazza superò il fuoco, per fermarsi all'entrata della grotta - ricordati solo, se davvero lo vuoi, di trovare quel fiore, e di bruciarlo con le tue lacrime d'amore ai piedi dell'albero bianco di Minas Tirith. - e sparì così come era arrivata.
Legolas rimase immobile per un attimo a pensare a lei, poi si decise ad avvolger -si nel suo lungo mantello e a sdraiarsi: chissà, sarebbe riuscito a dormire un po'?
Mentre il caldo abbraccio del fuoco lo circondava, gli parve di vedere un'ombra poco più in là, all'entrata della grotta, ma svanì quasi subito: Lilian non urlò, quindi non si trattava di un pericolo.
No, lui era solo.
Strano..c'era qualcosa di sbagliato in tutto ciò, ma Legolas non capiva che fosse.
 
Il vecchio guarda fuori dalla finestra: è di nuovo giorno, e lui è al sicuro.
La pioggia è scomparsa da qualche ora. L'acqua evapora.
Al vecchio non interessa. Il vecchio vuole solo leggere il suo libro. Riprende da dove si era ferma -to, scorrendo le righe con le sue dita nodose, ancora avido di sapere.
Ha trovato la Cosa: è lì, vicino a lui, antica come la torre stessa, se non di più.
E' piccola, eppure così piacevolmente terrificante.
Il libro sa come usarla; e lui, il vecchio, vuole usarla, vuole il suo potere. Potere. POTERE. Non vede l'ora di avere quel potere.
Il vecchio divora le pagine, una ad una, inesorabilmente: sta imparando, lo sente, impara a vista d'occhio.
Ripete una frase a voce alta: rieccheggia nel silenzio.
Ancora niente: non è convinto. Fissa la Cosa: un calore gli invade il corpo stanco e avvizzito, da vecchio.
Ripete la frase a occhi chiusi; poi li riapre: la Cosa ondeggia, emette un suono, luccica di quella luce verde, magica, maledettamente magica....e si ferma. Immobile, come se niente fosse accaduto.
Dentro qualcosa si muove, su e giù, impaziente: vuole uscire, risvegliato da antiche formule dimenticate.
Il vecchio afferra con cupidigia la Cosa: la fissa: la mangia con gli occhi.
E' sua. Può finalmente usarla.
Può finalmente avere il suo potere. Potere. POTERE.
Quel potere.
Il vecchio accarezza dolcemente la Cosa con le mani raggrinzite: ora può.
Basta un semplice gesto, e può fare tutto.
Contro chi provarla per primo?
Osserva di nuovo il paesaggio assolato fuori dalla finestra: si avvicina, respira l'aria fresca del mattino, e sente che qualcosa è cambiato.
Non sa esattamente cosa: si fida del suo istinto che ora gli è di nuovo compagno e fedele amico.
Vaga con lo sguardo sull'altopiano desolato e rosolato dal sole, fino a giungere sulle pendici di un monte più grande degli altri: pennacchi di fumo escono dalla sua sommità.
Il vecchio lo sa bene. Lo sa meglio di tutti cos'è successo. Non è stata una cosa piacevole per lui. No, non lo è stata affatto.
Ora lui, Lui e la Cosa rivendicheranno quella sconfitta; ma nessuno lo deve sapere, nessuno: sa -rebbe un'altra rovina, delle peggiori.
Il vecchio si ferma a fissare rocce lontane, più o meno a metà delle pendici del grande monte: laggiù, anche se nascosto e così piccolo alla vista, c'è qualcuno.
Ma lui lo vede. Lo vede.
Cerca di sfuggirgli ma lui lo vede. Quale migliore bersaglio?
Il vecchio alza la Cosa che ha in mano: ora può.
Può esercitarsi un pochetto prima di compiere la sua missione: punta la Cosa verso il qualcuno, concentrandosi, e subito accade qualcosa.
Decide di non usare tutta la potenza di cui dispone: farebbe troppo chiasso, e il chiasso attira.
Lui non vuole essere scoperto. No. Se deve farsi vedere, vuole che sia lui a farsi vedere. E non sa ancora, se lo farà. 

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Capitolo 9
*** All'ultimo sangue ***


9 – ALL’ULTIMO SANGUE

 
Abbarbicato alla meglio sulle rocce, Legolas rischiò più volte di capitombolare giù, da dove era venuto: colpa di quelle maledette pietre! Erano disgustosamente friabili.
Accidentaccio a Mordor e a tutte le sue insidie!
Accidentaccio a Monte Fato e alle sue maledette pendici!
Legolas sperava ardentemente di arrivare in un posto sicuro il prima possibile, continuare per una strada che non franasse a ogni passo, trovare il fiore e an -darsene in fretta.
Da quando aveva iniziato la scalata non c'erano stati altro che guai: prima l'aria quasi irrespirabile, densa di zolfo e di ceneri, poi le rocce traditrici.
"Bella scampagnata!" pensò con una punta di sarcasmo.
Si spostò leggermente verso destra, verso uno sperone che non sembrava così fragile come gli altri: gli pareva di essere quasi un ragno, mentre lentamente spostava il corpo da una parte all'altra.
Erano passati due giorni da quando era giunto a Mordor, e del fiore che cercava neanche l'ombra; le poche, fuggevoli volte che aveva avuto Lilian al suo fianco non aveva scoperto nulla che potesse aiutarlo.
Si era domandato più volte se quel fiore esistesse davvero o se fosse tutto solo uno stratagemma per metterlo alla prova: ma si era anche subito rimproverato di aver pensato una cosa del genere.
Lilian non aveva motivo per mettergli la vita a repentaglio.
Si issò sulla piccola sporgenza, sperando che non cedesse proprio in quel mo -mento; la roccia resistette bene al suo peso, e Legolas fu libero di salire ancora e ancora.
Monte Fato non finiva mai: i suoi cupi brontolii riempivano l'aria quasi a renderlo un enorme gigante in attesa di colpire. Pronto a iniziare la sua caccia.
Era strano, però: era la prima volta, da quando Legolas percorreva Mordor, che la montagna si faceva sentire.
Sbuffi e sibili incolleriti accompagnavano da un po' il lento ma inesorabile tramutarsi del monte: l'elfo non sapeva se bene o in male.
Il fuoco, che ogni tanto faceva capolino dalle profonde gole, sembrava volesse dargli da pensare al peggio.
Legolas si aggrappò saldamente a due rocce poco promettenti, scoprendo che invece erano abbastanza solide: pensava a Lilian, a quanto avrebbe sopportato pur di riaverla.
Era da tempo che non si faceva più viva. In un certo senso.
Uno strano colpo di vento più forte del solito distolse l'elfo dai suoi pensieri, schiacciandolo contro la parete rocciosa: Legolas si voltò di scatto, preoccupato, e quando vide quello che vide, i suoi dubbi si trasformarono in paura.
Dietro di lui, all'orizzonte, una strana luce bianca si diffondeva a vista d'occhio:  non era molto abbagliante, assomigliava più che altro a una nuvola, cionono -stante Legolas non si sentiva sicuro.
Non poteva essere solo una nuvola: troppo minacciosa, per i suoi gusti.
Si affrettò a salire ancora di qualche metro, sperando di trovare un rifugio, qual -cosa che gli permettesse di sfuggire al pericolo.
Gli pareva di essere osservato da lontano. O stava solo delirando?
Chi mai poteva vivere in un posto orrido come Mordor?
La montagna brontolò sotto i suoi piedi, con fare sinistro; Legolas cercò di affret -tare ancora di più il passo.
Ebbe come la sensazione che la strana nuvola bianca si stesse muovendo dietro di lui...troppo velocemente. E soprattutto...era convinto che si stesse muovendo proprio verso di lui.
Monte Fato tremò ancora e rigurgitò fuoco dalla sua bocca: una nube di cenere avvolse il cielo sopra il cratere.
Legolas sentì ad un tratto il bisogno di voltarsi, ma che avrebbe visto, se l'aves -se fatto?
Non osava pensarlo: girò la testa meccanicamente, appena in tempo per vedere un fulmine abbattersi su di lui con la forza di un drago.
 
Poi, per molti minuti, fu il buio totale.
Legolas non capiva che stesse accadendo: un vortice lo sbatteva senza tregua sulle rocce di Monte Fato, per portarlo chissà dove.
Si ricordò della nuvola: non aveva dubbi, quello che aveva visto con i propri oc -chi non era una semplice nube.
Era qualcosa di più, anche se non riusciva a immaginare che cosa.
Il lampo. Sì, forse era quello. Ma ora, incatenato com'era nel corpo e nella mente da quella confusione, non era in grado di connettere bene le idee: solo pensieri fuggevoli quanto l'anima di Lilian.
Una forza scatenata al massimo lo faceva letteralmente volare per aria, in alto, in alto, sempre più in alto, lo faceva quasi strisciare sulla dura parete rocciosa senza dargli neanche il tempo per aggrapparsi a un appiglio.
Il fracasso delle pietre che rotolavano e vorticavano intorno a lui rischiava di farlo impazzire: per un attimo, Legolas credette che fosse giunta la fine.
Poi, proprio quando era convinto di essere morto, il tutto cessò: il lampo bianco sparì, e l'elfo smise di volteggiare per aria.
Cadde pesantemente a terra, rimanendo comunque cosciente della situazione: anche se con la vista un po' annebbiata, distinse contorni vaghi di massi che precipitavano giù.
Uno di essi era sul punto di schiacciarlo: Legolas fece uno scatto verso destra, e udì lo schianto dell'enorme sasso che gli si abbatteva proprio accanto.
Tirò un sospiro di sollievo, e si raggomitolò velocemente contro di esso, in una piccola nicchia: era diventato l'unico rifugio contro quella pioggia assassina.
Lì, ben riparato da tutto, Legolas riprese un po' i sensi: gli dolevano tutte le ossa, la testa, perfino gli occhi, che stentava a tenere aperti.
Era debole, terribilmente debole di fronte alla realtà ai limiti dell'impossibile; si appoggiò al masso, ignorando le fitte di dolore alla schiena, e aspettò che la pioggia di pietre cessasse del tutto.
Le rocce continuarono a cadere ancora per qualche minuto, spaccandosi a terra in mille pezzi o rotolando giù per i pendii della montagna: il fracasso che prima aveva regnato sovrano si trasformò pian piano in un minaccioso silenzio.
Legolas attese ancora, finchè non fu sicuro della situazione; poi strisciò fuori dal suo rifugio, troppo sfiancato anche per reggersi in piedi.
Qualcosa lo tirò per il collo, costringendolo a fermarsi: il mantello era rimasto incastrato sotto il masso che l'aveva protetto, e che ora si presentava più ostile che mai.
L'elfo strattonò bruscamente, con le poche forze che gli rimanevano, e il mantello si liberò dalla presa di ferro, stracciandosi e mandando Legolas a terra.
L'aria era ritornata pesante, densa di cenere e morte: si faticava anche solo a respirare.
L'elfo alzò gli occhi annebbiati sulla piana che si perdeva davanti a lui, immersa in una densa nuvola grigia: si chiese dove fosse finito, e se fosse finito.
Un debole luccichìo poco lontano gli rispose, confuso nella nebbia: Legolas aguzzò la vista, cercando di metterlo a fuoco.
Tra le volute perlacee balenò ancora qualcosa, ma solo per qualche secondo.
L'elfo avanzò carponi, sempre più stanco e sempre più incuriosito: aveva la fronte madida di sudore, ma non si arrese.
Scorse ancora quello scintillìo in mezzo alla nebbia: una losca forma emerse pian piano davanti ai suoi occhi.
Legolas si avvicinò ancora e scoprì che si trattava di una cosa assolutamente innocua: era solo un piccolo fiore rosso, baluginante tra i vapori densi del Monte Fato, un po' piegato da parte, ma vivo. Un piccolo miracolo della natura.
L'elfo si trascinò vicino alla pianticella, allungò una mano esausta e graffiata, lo accarezzò e infine lo colse: non aveva spine. Era rosso come l'amore quasi folle che lui provava per Lilian. Allora...forse...
Svenne prima di poter completare il pensiero.
 
E fu la luce, una luce bianca e accecante.
Legolas si ritrovò stranamente in piedi, in mezzo a un prato: non era più a Mordor. Non capiva.
Si guardò un po' attorno, disorientato, senza sapere che fare: il fiore rosso che ricordava di avere strappato alla dura terra di Monte Fato non c'era più, nè nella sua mano, nè da nessun'altra parte.
Non era più stanco. Non era più graffiato. Non aveva nemmeno più addosso i suoi abiti laceri dalle tante avventure: era vestito di bianco, e aveva l'impressio -ne di essere quasi evanescente.
Ancora non capiva dove fosse.
Intravide qualcosa in mezzo ai cespugli davanti a sè, e immediatamente si slan -ciò da quella parte: sembrava che in quella calma apparente tutto si muovesse come nei sogni.
Ma non sembrava un sogno.
L'elfo si fece strada tra i cespugli, seguendo un tortuoso sentiero che pareva scomparire a ogni curva: quando sbucò finalmente fuori dai rami grinzosi delle piante, si ritrovò davanti, a pochi metri, un burrone.
Una figura bianca osservava qualcosa oltre lo strapiombo: poteva vedere i lunghi capelli scuri accarezzati dal vento.
Si avvicinò furtivamente, mosso da uno strano desiderio; quando le fu abbastanza vicino, la figura si voltò e lo guardò.
 - Benvenuto, Legolas... - la voce calda di Lilian lo sorprese ancor prima che potesse vedere il viso della ragazza.
 - Dove siamo? Non capisco...ero a Mordor un attimo fa... -
 - E ci sei ancora.. - disse lei indicandogli il burrone.
L'elfo guardò, e quello che vide lo confuse di più: oltre lo strapiombo la terra ritornava a essere quella di Monte Fato, con la nebbia grigiastra e tutto il resto.
C'era lui steso fra le rocce frantumate, il fiore abbandonato nella sua mano: pareva dormire.
(sono morto..)
Legolas si voltò verso Lilian, sconcertato:
 - Qui siamo dove vivo io, come anima.. - spiegò lei.
Istintivamente, l'elfo si portò le mani al viso: ora capiva, purtroppo.
 - Ho fallito.. - sussurrò disperato - ho fallito miseramente, proprio a un passo dal mio obiettivo. Non valgo nulla. Ho tradito te, Aragorn, Gimli, persino me stesso. Mi odio.. -
Lei lo osservò senza ribattere, ma le labbra le s'incurvarono in un sorriso furbo:
 - Non ci credo.. - continuò Legolas - Sono morto poco prima di compiere la mia missione; e con me è morta ogni speranza per la tua anima! -
 - Ti sbagli. - Lilian gli tolse le mani dal viso, e lo girò verso di sè.
 - ....perchè? - chiese lui, ancora più confuso.
 - Perchè tu non sei morto... - e lo baciò sulle labbra prima che potesse rispondere.
 
Si svegliò lentamente, e la prima cosa che lo colpì fu l'odore pungente di cenere e di morte: indescrivibile.
Era di nuovo a Mordor, sulle pendici di Monte Fato: il sole stava tramontando, a ovest. Aveva dormito tutto il giorno.
Legolas si tirò su, avvertendo lo schiocco delle sue povere ossa, costrette a trovare riposo su un nudo letto di terra: si accorse che stringeva ancora il fiore rosso nella mano.
Anche se non più tanto stanco, era di nuovo graffiato: fu contento d'esserlo, per la prima volta. Finchè sentiva quel flebile dolore, significava che era vivo.
Si alzò in piedi, si sistemò le armi sulla schiena e, un po' barcollante, riprese la via del ritorno; mise il fiore purpureo in una tasca sotto la sua veste, al sicuro.
Per un attimo aveva creduto che fosse finita, ma ora si rendeva conto che era rimasta ancora una minima speranza.
Bastava tornare a Minas Tirith ed era fatta. Aveva vinto.
Scese lentamente dalle pendici di Monte Fato, che continuava a sputacchiare fuoco, giungendo presto alle desolate pianure che lo separavano dai confini di Mordor: si concesse solo poche soste, mentre le ripercorreva, non aveva tempo da perdere, lui.
Si accorse presto di avere perso qualcos'altro: la direzione giusta.
Al buio non capiva bene dove si trovasse, nè se ci fosse una via migliore delle al -tre per attraversare quelle terre devastate.
Legolas si guardò attorno, disorientato: le forme confuse della notte gli parevano tutte uguali, tutte maledettamente ostili.
Continuò ancora per un tratto, cercando di pensare a un valido piano per uscire da quel labirinto di morte: aveva freddo e fame, ma non poteva concedersi di fermarsi, non ancora.
Un lampo squarciò la notte poco lontano, illuminando il paesaggio nero di Mor -dor: grazie a quello, l'elfo vide per la prima volta qualcosa che non fosse monta -gna o masso.
Vide una torre che si stagliava austera contro il cielo, senza lumi, abbandonata da tutto: aveva un aspetto quasi raccapricciante.
Legolas non si sarebbe avvicinato per nulla al mondo, ma doveva ammettere a se stesso una terribile verità: si era perso, e quella torre, per quanto poco in -vitante fosse, rappresentava una valida via di salvezza.
Se non al suo problema, alla notte e al cielo sempre più minaccioso.
Forse da là avrebbe avuto la possibilità di vedere Minas Tirith, e di conseguenza capire quanto gli mancasse per arrivarci; senza contare che la torre era anche un buon rifugio.
A malincuore, Legolas si decise ad avanzare nella direzione del pinnacolo, men -tre sentiva scoppiare i tuoni e le nuvole rovesciarsi su di lui sotto forma di piog -gia. Con passi spediti, arrivò alla torre giusto prima dell'alba e vi entrò, strizzan -dosi i capelli e i vestiti ormai zuppi.
Allungò una mano nella tasca interna della sua veste e avvertì la morbidezza dei petali del suo fiore rosso sotto le dita: gli infuse un po' di coraggio mentre il suo sguardo vagava nell'enorme stanza vuota.
Sedie rotte e tende strappate testimoniarono che lì dentro era successo di tutto; macchie rossastre, in ogni dove.
Legolas si assicurò di avere le sue due spade a portata di mano: non voleva ri -schiare di trovarsi faccia a faccia con il nemico senza essere pronto.
Aveva perduto quasi tutte le frecce quando il lampo bianco l'aveva colpito, a Monte Fato, ma poteva ancora difendersi bene, con le lame e....
Già, anche con le asce di Gimli: con tutto quello che aveva passato se ne era completamente scordato, ma il loro peso ritornò a essere reale, in quel momen -to.
L'elfo avanzò cautamente nella stanza e si guardò attorno: niente corpi in giro, nè di orchi, nè di umani.
La stanza era vuota, e anche quella accanto: Legolas sbirciò dentro quest'ultima, ma anche lì niente, solo un antico piedistallo di pietra.
D'un tratto, da sopra giunsero dei rumori chiari, distinti, che gli fecero balzare il cuore in gola: sguainò le spade, girandosi di scatto, pensando di trovare qual -cuno dietro di lui, pronto ad ucciderlo.
Nella stanza di prima non c'era nessuno; i rumori ormai si perdevano in una lu -gubre eco nel silenzio soprannaturale della torre.
Legolas notò una scala, mezza nascosta dai drappi: si avvicinò, e lanciò uno sguardo inquieto verso l'alto: i vecchi gradini di legno andavano in alto, sempre più in alto, a chiocciola.
Non del tutto sicuro, l'elfo salì i primi due: scricchiolarono sinistramente sotto i suoi piedi stanchi.
Gli parve di udire ancora un rumore, più in alto, ma quasi impercettibile, stavolta: se davvero era rimasto qualcuno, doveva essere lassù.
Strinse forte al suo cuore il medaglione a forma di stella che era appartenuto a Lilian, poi prese a salire la scala, tentando di fare meno chiasso possibile, le armi strette in pugno, guardando in alto, di tanto in tanto: non avrebbe trovato un amico, lo sapeva bene.
 
Il vecchio si abbandona su una sedia e pensa: ce l'ha fatta.
Può controllare la Cosa: ce l'ha lì, in mano, fedele compagna, e la accarezza mentre si dondola un poco.
Lascia vagare la mente: nessuno potrà resistergli, nemmeno un esercito, ora.
Nessuno lo saprà mai: quando deciderà di attaccare, in un secondo tutto sarà spazzato via, città, viveri e vite. In un secondo.
Lui, il vecchio, sarà il padrone: potrà riprendersi il potere. Potere. POTERE.
Il suo vecchio e amatissimo potere.
Ricostruirà il mondo con l'aiuto della Cosa: tutto tornerà come prima, solo non ci saranno più ne -mici da sconfiggere.
Potrà riposarsi in pace, mentre qualcun'altro gli porterà da mangiare, terrà la casa accogliente e lo aiuterà nel lavoro: un vero paradiso.
Il vecchio non vede l'ora che accada: deve pazientare ancora un po', poi tutto sarà suo. Suo sol -tanto. E della Cosa. Naturalmente.
Il vecchio sogghigna, avverte un piccolo formicolìo di piacere nel pensare questo.
Presto tutto sarà nelle sue mani.
Ride, non preoccupandosi di nulla: si dondola ancora di più sulla sedia, in preda al suo riso quasi isterico.
Poi, avverte qualcosa: un rumore, giù, in basso, nel buio.
Il vecchio balza dalla sedia, il cuore che batte sordo nella sua testa: stringe la Cosa e il bastone, ha paura.
Chi è mai? Chi c'è laggiù? Chi è venuto a trovarlo? Chi è venuto a fermarlo?
Si affaccia alla tromba delle scale e guarda: un'ombra si muove.
Com'è possibile? Non c'è nessuno nella torre. Cos'è questa storia?
La Cosa prende a brillare di una violenta luce verde.
Viene.Sussurra piano.
Ci vuole fermare.
Il vecchio si ritrae immediatamente dai gradini e fissa la Cosa.
Noi fermiamo lui.
Già, fermiamolo, pensa il vecchio: nessuno può mettergli i bastoni fra le ruote, non ora, non ora: che venga pure, il pazzo.
Tanto lui, il vecchio, ha il potere. Potere. POTERE. Nessuno, nessuno può resistere al suo potere.
Se non ci crede, ora lo vedrà. Lo proverà sulla sua pelle, il pazzo che osa sfidarlo.
Ecco, il vecchio sente il nuovo arrivato che sale le scale: si allontana ancora un po' dagli ultimi gradini e aspetta come un ragno che attende pazientemente la sua preda.
Tiene ben alta la Cosa: ora basta, ha deciso di usarla fino in fondo. Sarà la prova che è lui il più forte. Se gli altri si accorgeranno del suo chiasso, bene.
Che vengano pure: lui è pronto.
Manca poco: il visitatore è ormai arrivato agli ultimi scalini: il vecchio li sente gemere come fra poco gemerà quell'intruso.
Ha fatto male a osare così tanto; avrà una lezione, quel pazzo.
Perchè lui, il vecchio, ora ha solo una missione: uccidere.
 
Legolas non immaginava per niente quel che avrebbe trovato in cima alla torre: nemmeno la sua più sfrenata fantasia avrebbe potuto avvertirlo del pericolo.
Nemmeno Lilian.
Salì gli ultimi gradini con il cuore che gli martellava nel petto: la stanza dov'era sbucato era vuota anch'essa.
I primi raggi obliqui dell'alba trapassavano le sottili tende, donando al luogo un aspetto ancora più spettrale: ma non c'erano spettri. Proprio nessuno.
Legolas non l'avrebbe mai creduto: era convinto di aver sentito dei rumori pro -venire da quella stanza.
Si scostò dalle scale con la stessa circospezione di un gatto: non sapeva perchè, ma gli parve di allontanarsi da qualcosa di molto importante.
Le assi scricchiolarono debolmente sotto i suoi piedi; Legolas sentiva il proprio respiro morire in gola, mentre osservava attento i dintorni.
Aveva la strana sensazione di essere spiato: avvertiva una presenza, da qualche parte, in un qualche angolo, in una qualche tenebra.
L'aria era pesante in quella stanza, troppo.
Non poteva essere solo una sensazione...
Improvvisamente, Legolas si voltò di scatto, e si ritrovò davanti a un'ombra: e -norme, luccicante, ma non sembrava benevola quanto l'anima di Lilian. Non po -teva essere lei.
Era uno spettro, uno spettro bianco, scavato, vecchio. Tanto vecchio. Millenario, forse.
La losca figura si fece avanti; Legolas indietreggiò, guardingo: non sarebbe scap -pato, mai.
Un debole raggio di luce colpì in pieno lo sconosciuto, rivelando qualcosa che l'el -fo non si aspettava: la veste bianca. Quella veste bianca. Il bastone. Gli occhi, quegli occhi!
 - Saruman.. - si lasciò sfuggire Legolas, lottando contro il panico.
 - Già, maledetto elfo, io... - gli occhi assetati di sangue dello stregone si posarono maligni e penetranti sul loro avversario.
Si avvicinò ancora, ma questa volta Legolas rimase dov'era, paralizzato, le spe -ranze che fino ad allora l'avevano tenuto in vita spente come fuochi in una bur -rasca.
 - Non m'importa del perchè sei qui, m'importa solo del fatto che sei qui: di fron -te a te, il grande Saruman. Che credevi? - ringhiò roco lo stregone - Credevi forse che sareste riusciti a tenermi rinchiuso a Isengard? Povero illuso! Sono qui, e so -no molto più potente di prima... -
Alzò la Cosa, fino ad allora accuratamente nascosta nelle pieghe del suo mantel -lo: riluceva, verdognola, morta, tra le sue mani, ma pian piano il vero pericolo chiuso al suo interno si mosse.
A Legolas non piaceva per niente.
 - Questa, la vedi? Questa sarà la tua rovina... - Saruman prese ad avanzare, de -ciso, e l'elfo si allontanò - Già una volta hai ostacolato i miei piani, maledetto, ma ora non più! Non mi farò imbrogliare una seconda volta dal tuo aspetto! Se non fosse stato per te, e per quell'altro tuo eguale, al monte Caradhras, Gandalf e il portatore dell'Anello Supremo sarebbero morti! E invece... -
Alzò la Cosa, che splendette terribile tra le sue dita nodose:
 - Non potrai fermarmi una seconda volta, elfo! Questa volta sarò io a fermare te... - la sua voce risuonò come un sibilo.
Legolas si allontanò ancora, gli occhi fissi sulla Cosa, quella maledetta Cosa che sembrava minacciarlo peggio dell'esercito di Mordor: non sembrava pericolosa a vista d'occhio, era solamente un semplice reliquiario, in fondo.
Ma dentro...dentro di essa...che c'era?
 - Vieni a me, o potente! - invocò Saruman - Vieni al mio cospetto! -
Dalla Cosa scaturì una luce verde, accecante, e Legolas fu costretto a ripararsi gli occhi, mentre un vento gelido gli sferzava le gote; si accorse che anche il medaglione di Lilian brillava, appeso al suo collo.
Saruman rideva malefico, ma questa volta, a fargli eco era un altro suono, un boato, un ringhio, era difficile dirlo: pian piano, mentre l'improvvisa luce verde andava sfumandosi, quel rumore strano fu sempre più chiaro.
Legolas aprì gli occhi, ma sulle prime non credette a quello che vide: alle spalle di Saruman, troneggiava un enorme drago, scuro, quasi un altro spettro. Solo guardando meglio l'elfo potè notare che non era materiale, ma fatto di cenere: ringhiava, eccome se ringhiava, e teneva i suoi occhi rossi di fiamme e di sangue fissi su di lui.
 - Vai, ora! - incalzò Saruman - Distruggi quell'elfo! - e fece un gesto con la mano per ordinare l'attacco.
Il drago si mosse all'istante, passò attraverso lo stregone senza fargli alcun male e si gettò su Legolas con un altro boato: l'elfo si spostò da una parte, evitando il nemico.
Sentì chiaramente lo stridore delle rocce quando la creatura fatta di cenere si avventò sul muro della torre, vide che sembrava prendere una forma più concre -ta: lesto, lanciò una delle due spade nella direzione del drago, sperando almeno di ferirlo.
Esso se ne accorse in tempo, e riprese la sua forma di spettro: la lama gli passò attraverso e andò a impigliarsi in un drappo all'altro capo della stanza.
 - Stolto, pensavi che fosse così facile? - gracchiò Saruman - Non puoi batterci! -
e con il suo bastone indirizzò di nuovo il drago su Legolas, ma questa volta l'elfo non fu abbastanza veloce.
Venne colpito e atterrato dalle potenti zampe della creatura: ora era imprigiona -to in una morsa letale, l'ultima spada che gli era rimasta strisciò sul pavimento e si allontanò. Ora erano solo lui e il nemico.
Stretto in un angolo, Legolas pensava: non poteva andare avanti così, sarebbe morto in pochi secondi. Il drago non poteva essere colpito facilmente, perchè poteva essere vero e essere spettro a suo piacimento.
Era controllato da Saruman, al sicuro, all'altro capo della stanza. Controllato....   A lungo questa parola risuonò nella mente di Legolas, e gli fece venire in mente un'idea un po' folle: se arrivava allo stregone, se avesse colpito lo stregone, se l'avesse ucciso...forse...il drago sarebbe scomparso, privato del suo padrone.
Il punto era avvicinarsi: alquanto impossibile, vero, ma doveva provare... o sa -rebbe di certo spazzato via in quattro e quattr'otto.
Il drago sbuffò, impaziente:
 - E ora vai, o potente! - gridò Saruman dal suo angolo - DISTRUGGILO! - e mos -se in avanti il bastone.
La creatura fatta di cenere ridiventò reale per un attimo, giusto il tempo per slanciarsi come una furia: Legolas riuscì a evitarlo solo in parte, e fu sballottato violentemente contro la parete, che si ruppe.
Il drago tornò cenere e si librò in aria; l'elfo si aggrappò per pura fortuna a uno sperone della torre e lì rimase: almeno duecento metri lo separavano dalle terre di Mordor.
Avvertiva un dolore tremendo al braccio sinistro: l'unica cosa reale in tutto quello che sembrava pura fantasia.
Il drago tornò alla carica, sferzando l'aria con le sue grandi ali: ringhiò in direzio -ne dell'elfo, appeso alla sporgenza e senza alcuna via di scampo.
Sbuffò, mosse le ali e andò alla carica, mentre Saruman, da dentro la torre già gridava vittoria.
Legolas, tuttavia, aveva la sua ultima carta da giocare: se solo la fortuna l'aves -se aiutato, ancora una volta...
Aspettò che il drago fosse abbastanza vicino, e quando fu ora, si abbandonò alla sorte: e scivolò giù, giù sempre più giù, lontano dallo sperone che l'aveva salvato, lontano dalla furia del drago, lontano dal potere di Saruman, lontano dalla pioggia di sassi causata dall'attacco della sua creatura.
Appena potè, afferrò un drappo che penzolava scosso dal vento e con quello riuscì a frenare un po' la sua caduta: il telo si strappò, ma gli permise comunque  di atterrare sano e salvo su un cornicione poco più in basso.
Legolas trasse un sospiro di sollievo: era fatta.
Il drago, sopra di lui, ruggiva, confuso e iracondo, cercando la propria preda che non avrebbe trovato.
L'elfo si mosse lentamente e con circospezione lungo il cornicione, sperando che non si sgretolasse, che non lo tradisse: alla prima finestra, saltò dentro alla torre, e lì rimase, al buio rischiarato solamente dai primi raggi dell'alba, a riprendere fiato.
 
Per un attimo fu indeciso se scappare o meno: poteva facilmente farlo, passare inosservato, fuggire dalla torre, superare il valico di Cirith Ungol e sparire.
Ma qualcosa continuava a ripetergli di non andare via, di restare e combattere, finirla una volta per tutte.
Il ciondolo di Lilian prese a brillare debolmente, poi sempre più forte; Legolas se lo strinse al cuore e si sentì infondere una nuova forza: poteva andarsene, ma ad un tratto si accorse che non voleva.
Saruman. L'unica cosa che ora gli importava: Saruman. Quel maledetto.....l'a -vrebbe punito per tutto il male che aveva fatto.
Quasi correndo, l'elfo prese a salire di nuovo le scale che conducevano ai piani superiori, ansioso di finirla per sempre: si fermò d'impulso solo in cima, protetto dalle tenebre.
Vide Saruman che si muoveva sgomento da una finestra all'altra, in preda al panico: cercava lui, Legolas.
Lo stragone gli voltò le spalle.
(ora)
Avanzò furtivo verso un angolo della stanza, dove una delle sue due spade, dimenticata al proprio destino, brillava alle prime luci del giorno; niente draghi in giro. Strano. Troppo strano.
L'elfo fece per prendere la spada: ormai le sue dita erano così vicine, Saruman così a portata di braccio...
 - Ancora tu, maledetto elfo! - Legolas si voltò di scatto, inchiodandosi al suo posto nel sentire quella voce d'un tratto possente.
Lo stregone lo fissava con i suoi terribili occhi scuri:
 - Tu... - sibilò, rabbioso - hai osato sfidarmi! Tu, un elfo...non te lo perdonerò mai...mai! -
Legolas cercò di afferrare la spada, a pochi centimetri da lui, ma qualcuno fu più lesto: dal nulla comparve di nuovo il drago di cenere, che lo colpì in pieno, ruggendo con tutta la voce che aveva in corpo.
Lo trascinò fino all'altro capo della stanza, dove Saruman lo fermò a un palmo dalla parete, memore di pochi minuti prima: lo stregone si avvicinò un poco, giu -sto per vedere e gustarsi la sofferenza di Legolas, imprigionato sotto al drago, che troneggiava sbuffante sopra il suo corpo inerme.
L'elfo si riprese un poco: qualcosa gli pungeva la schiena, arrecandogli ancora dolore. Mentre Saruman farfugliava parole di gloria, Legolas portò istintivamente una mano dietro il collo e tolse l'oggetto fastidioso: si accorse, in quel momento, che era un ascia, e non una semplice ascia, ma un'ascia da lancio.
(Gimli!)
Si era completamente dimenticato di lui e del suo dono: stupido, pensò, prima mi sarebbe stato utile.
Si rimproverò aspramente per non essersene ricordato, ma presto avrebbe avuto una punizione esemplare.
Ora Saruman ride per un motivo. Il drago ringhia ansioso di porre fine a quella battaglia. E lui, Legolas, aspetta la fine.
Sente lo stregone dare un ultimo comando alla sua creatura e rimettersi a ride -re; il mostro di cenere incombe, spalanca la bocca e si avventa sulla sua preda.
Legolas fa appena in tempo a lanciare quell'ultima ascia contro il nemico, ben sapendo che non varrà a nulla: infatti, l'arma passa come niente attraverso il corpo del drago.
L'elfo si copre il viso con il braccio ferito: per lui è la fine.
 
Aragorn si svegliò di soprassalto a tutto quel baccano: scese dal letto, si vestì, e si fiondò fuori dalla stanza, travolgendo chiunque ebbe la sfortuna di essere sul suo cammino.
Uscì fuori, sorpassò l'albero bianco in mezzo al cortile e si affacciò oltre le mura: direzione, Mordor. Un baccano d'inferno.
Colpi tonanti e ripetuti provenienti dal valico di Cirith Ungol, la terra nera che tremava a ogni sussulto: ad Aragorn questo non piacque per niente.
Monte Fato rigurgitava fiamme, inondando le nuvole del colore del fuoco; strane luci bianche e accecanti brillavano poco più in là, verso il valico.
Aragorn non capiva che stesse accadendo: l'Anello era stato distrutto, no? E allora, ora che altro c'era?
 - Non mi piace.. - sussurrò la voce di Gandalf, alle spalle dell'uomo.
Quest'ultimo si girò, ma presto tornò a guardare verso Mordor:
 - Neanche a me... - rispose - e non capisco perchè ci sia tutto questo fracasso, perchè Monte Fato non si spegne per sempre: questo mi preoccupa... -
 - L'Anello è andato distrutto, vero? -
 - Frodo e Sam ce l'hanno confermato. E' proprio per questo che non capisco. -
Gandalf si avvicinò di più al bordo delle mura e guardò verso Cirith Ungol:
 - Quelle lame bianche...mi sembrano familiari.. - mormorò quasi a se stesso.
 - Il bianco mi fa pensare solo a Saruman...ma è rinchiuso a Isengard... - poi, un dubbio colse Aragorn quando meno se l'aspettava - E' a Isengard... - ripetè un po' più insicuro -....vero, Gandalf? -
 - Spero di sì....ma anche se non lo fosse, dubito che avrebbe tutto questo potere..è troppo debole.. -
Si voltò verso Aragorn, e lesse sul suo viso il più totale sconforto:
 - Non credo sia pericoloso per Minas Tirith, tranquillizzati.. - lo rassicurò posan -dogli una mano sul braccio -..o forse sì: ma ti consiglio di non inviare esploratori o cercatori, finchè tutto non sarà ces -sato.. -
Cercare? Quella parola ricordò ad Aragorn qualcosa di molto importante:
 - LEGOLAS! - gridò mettendosi le mani nei capelli, disperato - LEGOLAS è LAGGIU'! - e si slanciò verso il portone, aprendolo con una spinta potente e spa -rendo all'interno della reggia, inutilmente rincorso da Gandalf, che continuava a ripetergli di non andare.
Aragorn non ascoltò l’avvertimento: sarebbe andato a Cirith Ungol, da solo se neces -sario, a prendere Legolas.
Il suo cuore gli diceva che l'avrebbe trovato lì, ma non osò pensare al come.
 

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Capitolo 10
*** Rinascere ***


10 - RINASCERE

 
Un boato tremendo sconvolse la torre quando l'ascia lanciata da Legolas fece il suo dovere: l'edificio tremò fin nelle fondamenta, qualcosa si staccò, rovinando per centinaia di metri e distruggendosi a terra.
Un sibilo accompagnò la fine, e il vento carico di cenere e dolore portò via o strappò quel poco che rimase: furono minuti di strana confusione, finchè il tutto si dileguò in un unica ed ultima scia bianca.
Qualcosa ruggì, un disperato grido di rabbia repressa e vendetta mai avuta che si spense in un momento.
All'ultima stanza della torre, Legolas tossì rumorosamente in quel misterioso silenzio: era completamente coperto di cenere e polvere.
Fu sorpreso di riuscire a vedere ancora qualcosa mentre invece avrebbe dovuto avere davanti a sè solo il paradiso: una giovane luce entrava dalle finestre, di -segnando strane forme sul pavimento rovinato.
L'elfo si sollevò su un gomito massaggiandosi le tempie: la testa gli girava a mille, e il sangue che perdeva dal braccio scendeva ancora con il suo sonoro e mo -notono gocciolìo.
 - Mi dispiace Legolas.. - una voce, così lontana, raggiunse l'elfo. Battè le palpebre, cercando una minima traccia di lei.
Ed eccola: se ne stava in piedi, triste ed evanescente davanti a lui.
 - Non sapevo di tutto questo... -
 - Lascia perdere, Lilian... - la rassicurò Legolas tirandosi su, a fatica - Sono ancora vivo, in fondo.. -
Lei si avvicinò e gli si inginocchiò accanto:
 - Sei un elfo fortunato... - gli disse.
 - Su questo non ci sono dubbi...ma che è accaduto? -
Lilian si rialzò e indicò vagamente un punto davanti a Legolas, figlia di quello strano silenzio che aleggiava nella torre; anche l'elfo si alzò in piedi, barcollando.
Il mondo gli appariva come un unica macchia scura e confusa.
Scosse con forza la testa: le immagini si fecero più nitide, e Lilian sparì tra la nebbia trafitta dal mattino.
Per terra, poco lontano, un corpo. Bianco. Livido. Un bastone ancora stretto in una mano, in un ultimo, disperato spasimo.
Legolas si avvicinò furtivamente, facendo scricchiolare le pietre del pavimento.
Era Saruman, quello disteso lì, le dita avvinghiate sul reliquiario, fonte di tanti guai: il vetro era incrinato da un violento colpo, la luce verde scomparsa per sempre.
Poi, lo stregone, uno spettacolo davvero raccapricciante: un'ascia gli spuntava dal petto, la veste bianca era quasi rossa di sangue fresco.
Gli occhi, spalancati e muti verso il soffitto. La bocca contorta in una smorfia di dolore, rabbia e sorpresa.
Legolas lo fissò a lungo, quasi ipnotizzato: in quel momento Saruman gli parve più vecchio, più debole, più solo che mai.
L'aveva vinto solo grazie alla sua fortuna propizia. Che triste e indecorosa sorte, per uno stregone così potente, essere battuto da un misero elfo e da un'ascia!
"Era un valido avversario" pensò Legolas, e lo coprì con il primo drappo che trovò, il meno sfilacciato dalla loro lotta; solo una piccola preghiera prima di andarsene, con nient'altro che la propria anima stanca e il vecchio mantello bianco dello stregone sulle spalle.
Fuori dalla torre si era di nuovo alzato un vento gelido proveniente da ovest: Legolas si strinse forte nei suoi abiti macchiati di sangue mentre avanzava, tentennando nella nebbia.
Il mantello che aveva tolto a Saruman era caldo, l'unica cosa confortante in tutta la faccenda: per il resto, l'elfo si sentiva un po' ladro, ma che avrebbe potuto fare? In fondo allo stregone non sarebbe servito mai più.
 
Aragorn si lanciò al galoppo verso il passo di Cirith Ungol, infischiandosene di avvertimenti, consigli e ordini di tornare in città: non avrebbe mai, mai e poi mai lasciato Legolas al suo destino.
Erano sempre stati fedeli compagni in molte avventure: questa non faceva eccezione.
Aragorn non aveva paura, nemmeno della morte, e avrebbe fatto di tutto pur di riavere l'amico al suo fianco: spronò il cavallo, incitandolo ad andare più in fret -ta, più in fretta, sempre più in fretta.
Le lame bianche, intanto, scomparvero lentamente nel cielo ora pieno di luce: il paesaggio ritornò quello di sempre, il solito, desolato, imprevedibile regno di Mordor.
Aragorn non capiva se quel silenzio doveva essere un bene o un male, ma sapeva che comunque non avrebbe desistito: che gli si parassero davanti cento, mille, diecimila orchi, uruk -hai, lupi selvaggi, li avrebbe sconfitti tutti pur di arrivare.
Sussurrò qualcosa all'orecchio del destriero, esortandolo ad andare ancora più veloce: ormai la torre, costruita a difesa del valico, era visibile.
Si alzò la nebbia, ma l'uomo non rallentò affatto: continuò, affrontando la foschia, e qualunque cosa poteva celarsi dietro ad essa.
Poi, ad un tratto, tirò le redini del cavallo così forte che il povero animale s'impennò nitrendo selvaggiamente, prima di fermarsi: qualcosa era apparso da die -tro una roccia, barcollando, respirando a fatica.
Aragorn non si mosse affatto, non impugnò armi, attratto da quella strana figura che continuava imperterrita ad avanzare verso di lui: bianca, quasi un fantasma.
Per un attimo credette di stare sognando, che nell'aria ci fosse qualcosa di strano, che gli facesse venire le allucinazioni.
Intorno a lui, il silenzio. E il roco respirare di uno sconosciuto barcollante che si avvicinava senza paura di essere ucciso.
La nebbia si diradò un poco, e Aragorn potè vedere meglio chi aveva di fronte, anche se non di tanto: poteva distinguere solo quel mantello bianco, macchiato qua e là di un rosso sanguigno e sospetto, dei capelli chiari mossi dall'aria.
Nel frattempo, Monte Fato tacque per sempre.
 - Saruman! - gridò ad un tratto Aragorn - Fermo lì! - scese precipitosamente dal cavallo e sguainò la spada - Dimmi dov'è Legolas, subito! -
La figura quasi evanescente alzò la testa, levando il suo sguardo stanco e assorto sul volto dell'uomo: non si fermò all'ordine, ma continuò per la sua strada, la testa di nuovo china.
Aragorn cominciò a temere: ormai Saruman era a qualche metro da lui.
 - Fermati, ho detto! - ripetè, e la sua voce rieccheggiò per tutto il valico.
Questa volta la figura bianca si arrestò, a pochi passi.
Sembrò mormorare stancamente il suo nome.
Poi barcollò, cadde sulle ginocchia, esausta, sostenendosi con la forza delle braccia e del pensiero; solo in quel momento il nuovo re di Minas Tirith potè chiaramente vedere in quella strana apparizione un volto caro: Legolas.
 - Legolas! - lasciò andare la spada e si inginocchiò accanto all'altro, sostenendolo, quasi abbracciandolo per la contentezza.
L'elfo fece altrettanto, felice di ritrovare una faccia amica dopo tante sventure, mormorando flebilmente:
 - L'ho trovato,..Aragorn.., l'ho trovato... -
 - Cosa hai trovato? - lo sollecitò l'uomo.
 - Questo.. - Legolas mostrò il fiore rosso, così gelosamente conservato intatto in una tasca interna del suo vestito.
Più tardi, una volta accampati per bene, Legolas raccontò quello che gli era accaduto e il motivo di quell’insolita avventura, mentre Aragorn pensava a rifocillarlo e a curargli le ferite: non sarebbero partiti prima dell'indomani.
 - Ah, adesso capisco! - esclamò l’uomo, una volta svelati tutti i misteri.
Era rimasto sbigottito nel sentire come l'amico aveva battuto Saruman e il suo drago, e di come aveva fatto a sopravvivere: gli sembrava tutto impossibile, ma il mantello bianco che aveva tenuto Legolas così ben al caldo tutto quel tempo...non era finzione.
 - Se ti vedesse Gimli, sarebbe geloso di te.. - scherzò - Te la immagini la sua faccia paffuta contrarsi di rabbia perchè sei uscito vivo da Mordor, perchè potrai riportare in vita Lilian e tenertela tutta per te? -
Risero insieme, come ai vecchi tempi, finchè Legolas non fu troppo stanco per -sino per distrarsi un po': una volta coricato, l'elfo si addormentò quasi subito, mentre Aragorn faceva buona guardia.
Vide qualcosa di luccicante nella mano di Legolas: aprì delicatamente le dita graffiate dell'elfo, e scoprì il pendente a forma di stella.
Richiuse piano la mano dell'amico su quel prezioso gioiello, mormorando un:
 - Grazie, Lilian. -
 
La mattina dopo, Legolas e Aragorn partirono alla volta di Minas Tirith, entrambi abbastanza riposati e sorridenti: fra poche ore sarebbe tornato tutto come pri -ma, come avevano sempre desiderato.
Aragorn avrebbe finalmente avuto la corona del regno di Gondor, che gli spetta -va di diritto, e Legolas la sua cara e dolce Lilian di nuovo al suo fianco.
Appena arrivati in città, furono accolti da Gandalf, quasi esultante, e dai piccoli hobbit, tutti felici di rivedere di nuovo l'elfo fra loro; persino Gimli si sforzò di fa -re i complimenti a Legolas, nonostante sentisse "la sua faccia paffuta contrarsi di rabbia perchè l'elfo era uscito vivo da Mordor".
Senza perdere tempo, il principe di Bosco Atro si diresse verso la reggia, ansioso di riavere con sè e per sè la donna tanto amata; presto arrivò al cortile, e all'al -bero bianco di Minas Tirith.
(ricordati solo, se davvero lo vuoi, di trovare quel fiore, e di bruciarlo con le tue lacrime d'amore ai piedi dell'albero bianco di Minas Tirith)
Così gli aveva detto Lilian, e lui l'avrebbe fatto.
Si avvicinò alla pianta centenaria, in mezzo al cortile: grigia, un po' avvizzita, non sembrava in grado di compiere grandi miracoli. Ma spesso l'apparenza in -ganna, e Legolas l'aveva imparato bene e a sue spese.
Fissò per un attimo l'albero, privo di foglie, protendersi verso di lui; poi infilò una mano in tasca e afferrò il suo fiore rosso.
Alla bella luce del sole, i petali purpurei sembrarono brillare ancora di più fra le sue mani, cercati e ottenuti con così tanta fatica: davanti agli occhi di Legolas sfilarono di nuovo le immagini un po' confuse dell'avventura a Mordor, le imma -gini di Lilian, di Saruman, del fuoco e della distruzione.
Distolse lo sguardo dal fiore e si guardò in giro: nessuno.
Poteva benissimo compiere appieno la sua missione: era il momento giusto.
Appoggiò il fiore rosso ai piedi dell'albero bianco e s'inginocchiò accanto ad esso: e poi si accorse che non riusciva a piangere.
Nemmeno una lacrima dai suoi occhi azzurri.
Confuso, lasciò vagare un altro po' lo sguardo in giro: niente da fare.
(non posso cedere ora!)
Ritornò a fissare intensamente il fiore: i petali baluginanti parvero farsi beffe di lui, ancora così belli mentre dovevano essere bruciati da minuti, ormai.
Legolas si sforzò di pensare a Lilian, a tutto quello che le era successo, alla sua morte, a quello che aveva fatto per lei, alle sofferenze che lei aveva dovuto pati -re a causa sua.
Nemmeno quello bastò: per quanto si concentrasse...solo una debole lacrima u -scì quasi a forza dai suoi occhi, e andò ad appoggiarsi sul fiore, luccicante quanto la rugiada.
Legolas si sentì sollevato e di nuovo pieno di speranze: ce l'aveva fatta finalmen -te, era tutto finito.
Le sue aspettative furono presto deluse: perchè non successe nulla. 

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Capitolo 11
*** Epilogo ***


10 - EPILOGO

 
Qualche giorno dopo, Minas Tirith, stesso cortile.
Pochi metri più avanti, oltre un portone, sta iniziando la cerimonia di incoronazione per Aragorn; ma Legolas ancora non è presente.
Benchè siano passate ore ed ore da quando è tornato da Mordor e ha ricevuto la delusione di non esser riuscito a compiere la sua missione, Legolas non si è ancora rassegnato all'evidenza: vuole Lilian, e non intende lasciarla così.
Preferirebbe morire e raggiungerla.
 - Ma lei non vorrebbe affatto questo.. - pensò accarezzando distrattamente i rami dell'albero bianco.
Il fiore rosso, fra le sue radici, risplendette un po' di più alla luce del sole, beffardo come sempre; anche se avrebbe voluto farlo sparire, Legolas non si mosse.
Non sarebbe valso a nulla.
E poi, distruggerlo avrebbe significato anche distruggere Lilian, prigioniera nell'Aldilà: e questo Legolas non l'avrebbe permesso, mai.
Benchè non avesse più la ragazza al suo fianco, non poteva arrendersi a pensarla così irragiungibile, così evanescente, così eterna.
Come una dea.
L'elfo mormorò un perdono sincero, ma non ebbe risposta: chissà, forse non l'avrebbe vista mai più, Lilian, la sua Lilian.
Si asciugò gli occhi quasi rabbiosamente, anche se questo non impedì alle lacrime di scendere di nuovo; si rimproverò per tutti gli errori commessi, tutte quelle piccole, stupide cose che l'avevano tradito proprio quando credeva di avercela fatta.
Tutta colpa sua.
Strano. Erano le stesse parole che Lilian aveva continuato a ripetere quella notte
(certo che è colpa mia mi meriterei la morte per tutto quello che ti ho fatto!)
gli ribombavano in testa, gli attenagliavano il cuore come avevano attenagliato il cuore della sua amata, tempo prima.
Ora i posti erano stati scambiati; e anche adesso sarebbe valsa la stessa regola: ognuno per la sua strada, la sua nuova strada.
Legolas decise che era inutile piangere ancora sul latte versato: si voltò di scatto, e si diresse a grandi passi verso il portone, l'aprì quel tanto che bastava per passare e se lo chiuse alle spalle, come il passato.
Ma non prima di aver dato un'ultima occhiata all'albero bianco, che se ne stava là, immobile quanto le pietre, e al fiore rosso, avvolto da una sottile rugiada.
Legolas avvertì il brusco movimento nel portone dietro di sè, ma continuò diritto per la sua strada; poco più avanti incontrò Elrond, re elfico di Gran Burrone, e sua figlia Arwen, futura sposa di Aragorn, giunti a sorpresa in città.
Legolas non potè fare a meno di provare un po' d'invidia, nè sorrise a quel pensiero: si limitò ad accompagnare i nuovi arrivati tra la folla, con fare solenne, de -gno del suo rango principesco.
Aragorn gli venne incontro, finalmente ornato della corona di Minas Tirith, tanto a lungo desiderata: si scrutarono per un attimo, prima di scambiarsi il loro con -sueto saluto.
Poi Legolas fece un cenno, alludendo a chi stava dietro la sua schiena; l'espressione del suo amico si fece sorpresa e interrogativa allo stesso tempo, ma l'elfo lo prevenne dal fare domande:
 - Sii almeno tu felice, con la donna che ami. - gli sussurrò, ma i suoi occhi tradirono il dolore immenso che provava nel dirlo.
Aragorn gli strinse forte la spalla, ben sapendo che non v'era conforto per un cuore infranto; poi lo superò, andando a raggiungere Arwen.
Legolas li osservò compiaciuto mentre si scambiavano il loro bacio d'amore, accompagnato da applausi e grida di gioia, e sobbalzò nel sentire una voce dolce al suo fianco:
 - Tutto è bene quel che finisce bene, vero? -
L'elfo spostò lo sguardo senza meravigliarsi più di tanto nel trovarsi accanto Lilian:
 - A parte te.. - sospirò amaramente; la ragazza sorrise:
 - Io non la penso così... -
 - Perchè non dovresti? Ho fatto tanta fatica per poter farti rivivere e alla fine le mie stesse lacrime mi hanno tradito. Non ci vedo niente di buono, in questo.. -
 - Quali lacrime? -
 - Quelle poche che sono sgorgate e tutte quelle che avrei dovuto piangere per te.. -
Legolas sfilò da una tasca la collanina con il ciondolo a forma di stella, unico ricordo concreto di lei: luccicava debolmente tra le sue dita.
 - Questo lo prendo io.. - affermò Lilian, agguantando il pendente e sistemandoselo al collo - grazie per averlo conservato.. -
L'elfo avvertì il calore delle mani della ragazza sulla sua pelle e fu scosso improvvisamente da un brivido.
Poi si accorse del silenzio calato come una coperta sulle intere fila di invitati; sorpreso, si guardò intorno, in tempo per vedere la faccia di Gimli contrarsi in u -na smorfia di sconcerto.
Non capiva. Riportò lo sguardo su Lilian, sperando di trovare una risposta: lei era lì, al suo fianco, come l'aveva sempre desiderata, bianca e bellissima, con i suoi occhi celesti ed immensi.
 - Che ho fatto ora? - si domandò, mormorando tra sè e sè.
 - Tu? Niente... - gli disse in risposta la ragazza.
(ma mi stanno tutti GUARDANDO)
 - Come niente? Io...forse dovremo andarcene in un posto tranquillo. -
 - Perchè? -
Legolas non fece in tempo a rispondere: le labbra di Lilian erano già sulle sue, impedendogli di parlare o di pensare qualsiasi cosa.
La folla urlò, ma lui nemmeno la sentì: era la prima volta, dopo tanto tempo, che poteva sentire Lilian fra le sue braccia, ma questa volta non come una semplice visione, ma come qualcosa di vero.
 - Ce l'hai fatta, Legolas.. - gli sussurrò lei, e lo baciò di nuovo, tra la gente festeggiante.
Poco più in là, re Elrond, nel vedere risplendere la stella simbolo dei suoi peggiori nemici al collo della ragazza e la situazione alquanto indecorosa che si era venuta a formare
(il principe Legolas, unico figlio del re di Bosco Atro che si bacia con un mezzano? non ci voglio credere!)
non potè fare a meno di mettersi le mani nei capelli lunghi e neri, gemendo:
 - E adesso chi glielo dice a re Thranduil?! - e l'unica sua consolazione fu l’assoluta certezza che il sovrano non era venuto a Minas Tirith.
Intanto, con noncuranza, Legolas e Lilian si fecero spazio tra la folla e sparirono oltre il portone d'ingresso a quel cortile, lasciando tutti di stucco.
Passarono lunghi minuti di un silenzio assoluto e imbarazzato, prima di poter udire un nitrito provenire dalla strada ai piedi della reggia: Aragorn balzò subito a uno dei muretti e guardò giù con crescente curiosità.
Un destriero bianco come la neve uscì dalle stalle e al galoppo scese per i vicoli della cittadella, ora vuota, con in groppa i due innamorati: si fermò solo una volta, impennandosi, e permettendo a Legolas e Lilian di salutare i propri amici.
Aragorn ricambiò il loro arrivederci con un gesto della mano mentre li osservava sorridente, consapevole che entrambi avevano ritrovato la felicità: e in fondo anche lui stesso.
 
 
 
                                                                                                      FINE (e chi l'ha detto?) 

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