After is before di suni (/viewuser.php?uid=4130)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. Colazione da Muggles ***
Capitolo 2: *** II. Colazione da maghi ***
Capitolo 3: *** III. Colazione da Purebloods ***
Capitolo 4: *** IV. Nessuna colazione ***
Capitolo 1 *** I. Colazione da Muggles ***
Questa
fanfiction non tiene conto di tutte le informazioni contenute in
interviste, articoli e altre pubblicazioni, perché sono
dell'opinione che se io scrivo una fanfic su una saga, tutto quel che
non è scritto nella saga non
è canon. Inoltre, per ragioni
evidenti di trama, non tiene conto neanche dell'epilogo dei Doni
della Morte.
Non
ho mai scritto praticamente nulla su questi personaggi –
particolarmente Malfoy – e non ho alcuna pretesa di dar vita
a un
racconto credibile e strutturato. Tutto questo è
semplicemente un
gentile omaggio alla sempre stimatissima sourcreamandonions,
con affetto. Spero di rivederti presto.
A
tutti gli altri, auguro una buona lettura.
_______________________________________
Harry
fece appena in tempo a vederli, giusto un attimo prima d'imboccare il
portone della Gringott per uscirne. Fu una vera fortuna, considerato
che avrebbe preferito finire in pasto agli Inferius che nelle grinfie
di quella torma.
Giornalisti,
assiepato tutt'intorno alle scale, occhieggianti in ogni direzione,
ansiosi, pronti a scattare. Qualcuno doveva aver spifferato che
l'Eroe del mondo magico si era presentato a Diagon Alley, quella
mattina, ed erano arrivati in branco, come feroci Giganti.
Harry
si appiattì nervosamente capelli sulla fronte, inquieto, e i
suoi
occhi verdi dardeggiarono per un paio di secondi in direzione
dell'uscita, mentre raggiungeva un'unica, inevitabile conclusione.
Doveva
proprio smaterializzarsi.
After
is before
I.
Colazione da Muggles
Non
era mai stato facile essere Harry Potter. Continuava a non esserlo a
dispetto del fatto che Voldemort fosse ormai soltanto un ricordo, e
dunque teoricamente ogni cosa avrebbe dovuto tornare alla
normalità.
Ma non c'era proprio niente di normale nel comparire sulle copertine
dei giornali un giorno sì e l'altro pure da sei mesi, o
nell'essere
perseguitato da truppe di giornalisti affamati di pettegolezzo o da
sedicenti affaristi che lo volevano come testimonial, da streghette
desiderose di un'avventura con la star del momento, da fans
assatanati disposti a qualunque psicosi per un autografo e da un
incontrollabile, fastidiosissimo brusio ad ogni comparsa in un
qualunque luogo pubblico.
Prima,
almeno, doveva preoccuparsi soltanto di Voldemort e
dei Death
Eaters. Adesso invece sembrava che il paese intero si fosse votato a
un'unica missione: tirarlo scemo.
Per
questo, appena sparito dal Ministero, Harry si barricò a
Grimmauld
Place attivando tutte le protezioni magiche della dimora dei Black,
nella ferma e decisa convinzione di non riemergerne per nessuna
ragione fino almeno alla settimana successiva. Fosse dipeso da lui,
non si sarebbe mosso da lì per almeno due anni, ma
probabilmente in
quel modo avrebbe ottenuto soltanto l'effetto di far accorrere tutti
lì a preoccuparsi per lui. Era odioso.
Voleva
soltanto essere lasciato in pace, finalmente.
“Kreacher,
il tè.”
Sprofondò
in poltrona con un sospiro estenuato. Mentre aspettava che l'Elfo
adempisse alla sua richiesta, si sfilò di malo modo il
mantello,
rimuginando cupamente sul fatto che nemmeno nei periodi più
bui e
disperati della lotta si era mai sentito tanto solo.
Ron
sembrava non capire il suo problema. A lui non dispiaceva affatto
quell'improvvisa notorietà, e non capiva perché
mai dovesse essere
considerata solo negativamente. Hermione invece, da quella roccia che
era, se ne disinteressava alla grande. Continuava a fare le cose che
aveva sempre fatto, come prima, e se qualcuno la intralciava tanto
peggio per lui. Ginny era a scuola, beata lei, e la sua massima
difficoltà consisteva nell'ascoltare il brusio degli altri
studenti
al suo passaggio.
Harry
era solo.
Completamente
solo con i suoi pensieri.
E
fu in quel momento, mentre Kreacher gli portava la tazza, che
realizzò drammaticamente di non poter rimanere affatto
chiuso in
casa fino alla settimana successiva: perché quella sera
c'era la
serata per la celebrazione dei sei mesi dalla caduta dell'Oscuro,
appunto, e lui non poteva assolutamente mancare.
Sospirò
stancamente, abbandonò la tazza di tè a se stessa
e Kreacher alle
sue proclamazioni di cieca obbedienza, avviandosi verso la vasca da
bagno con una mezza idea di annegarsi.
“Merlino,
adesso ammazzo qualcuno. Non ne posso più, giuro, non ne
posso
proprio più.”
Era
arrivato da un'ora e mezza, ma gli sembrava ne fossero passate almeno
otto. Un'ora e mezza ad ascoltare convenevoli, complimenti, domande
sconvenienti, a posare per fotografie insulse con questo e quel
personaggio di spicco, a farsi stringere la mano tante volte da
rischiare la slogatura del polso – con tutte le simpatiche
battute
a sfondo sessuale che ne sarebbero seguite – e a ricevere
pacche e
congratulazioni da perfetti estranei. Dozzine e dozzine di occhi
puntati sulla sua cicatrice.
Si
era appena rifugiato nell'angolo più invisibile della sala,
mezzo
nascosto da un'ampia tenda in broccato, pregando ardentemente che
nessuno si ricordasse mai più di lui – ed era
impossibile,
purtroppo. Gli stava venendo da piangere.
Odiava
che tutti fossero lì a festeggiarlo ed osannarlo, spesso con
ipocrisia, mentre c'era tutto quell'orrore dietro ogni suo gesto. Non
dovevano guardarlo come se fosse stato così speciale. E
Sirius?
Remus? Dumbledore? Snape, Fred, Tonks e tutti gli altri? Possibile
che tutta quella gente li avesse già dimenticati? Lui non ci
riusciva per un solo istante della giornata, aveva ancora le loro
facce davanti agli occhi come se fossero stati lì con lui. E
avrebbero dovuto esserci, sarebbe stato giusto così.
Occhieggiò
Ron, che conversava con suo padre e Kinglsely Shaklebolt mentre
Hermione, accanto a lui, sfoggiava un'espressione compita che
però,
agli occhi di Harry, risultava falsata dalla vacuità dello
sguardo
della sua migliore amica. Evidentemente non le importava nulla di
essere lì e lui era quasi sicuro che stesse concentrandosi
mentalmente su qualche volume che stava studiando.
E
faceva solo bene.
“Basta,”
borbottò. “Non ce la faccio
più.”
“Potter.”
Era
una voce alla sua sinistra. Una voce sorpresa, infastidita e
tragicamente nota. Harry non mosse un solo muscolo, continuando a
fissare la sala nella sua più riuscita imitazione di
un'armatura di
Hogwarts.
“E
stranamente ti stai lamentando,”
proseguì la voce, il cui
proprietario evidentemente non si stava prendendo la briga di
considerare la sua mancanza di reazioni apparenti. Non che Harry si
fosse aspettato altro, conoscendolo.
“Malfoy.”
Si
voltò a guardare l'interlocutore con riluttanza.
Draco
era particolarmente pallido, particolarmente magro e particolarmente
elegante. Nonostante la postura signorile e rilassata della sua
figura, i suoi occhi grigi continuavano a spostarsi lentamente e
attentamente lungo la sala, senza trattenersi su di lui.
“Stavi
parlando da solo, Potter,” insistette, con una certa
soddisfazione.
Non
si erano più visti, dopo il processo in cui Harry aveva
testimoniato
a sua favore, contribuendo a farlo rilasciare, non assolto, ma in libertà vigilata. Doveva andare al Ministero a firmare dei documenti una volta alla settimana e la sua abitazione poteva essere sottoposta a perquisizioni liberamente, inoltre non aveva diritto ad usare la bacchetta magica per un certo tempo, diceva la sentenza. Era successo quattro mesi prima e lui non ricordava nemmeno più bene come fosse andata. Non se lo volevo ricordare, non gli riusciva di pensarci; non riusciva a pensare a un sacco di cose del periodo prima della fine della guerra e le settimane immediatamente successive: una erano le aule di tribunale, le voci che rimbombavano contro i muri, i singhiozzi delle mogli e dei figli dei maghi che venivano condannati. Colpevoli, ma pur sempre uomini.
Non si ricordava nemmeno bene il processo dei Malfoy. Era presente e aveva testimoniato, ma non conservava immagini precise di quella giornata. Aveva solo un vago ricordo del giudizio a Lucius, lui era seduto e stringeva i pugni, e quando si era alzato per raggiungere il banco dei testimoni gli tremavano le ginocchia. Non l'aveva nemmeno guardato, mentre parlava, intravedeva la lunga chioma bionda dell'uomo da qualche parte all'estremità del suo campo visivo, ma aveva rifiutato d'osservarlo.
A quanto ne
sapeva lui, comunque, Draco Malfoy se l'era svignata in una tenuta in campagna della
sua famiglia, indisegnabile, e secondo Harry aveva anche fatto bene.
Almeno, lui non doveva sopportare quel troiaio.
“E'
quello che fanno i disadattati, sai,” rispose d'impulso,
sistemando nervosamente il mantello piegato sul suo avambraccio.
“Se
non altro adesso ne sei consapevole,” concesse Draco,
storcendo le
labbra.
“Sì,
già,” borbottò Harry a disagio.
Pensò rapidamente a qualcosa da
dire, e si chiese anche perché mai Malfoy fosse venuto
lì
nell'angolo a dar noia a lui, anziché pavoneggiarsi davanti
alla
gente che contava. Nonostante la condanna di Lucius, gli restavano un
bel po' di grana e di proprietà di cui vantarsi.
“Comunque ti, mh,
trovo bene,” buttò lì, vago.
Draco
si limitò a fissarlo con aperto scetticismo, distendendo la
fronte.
Harry si chiese se la reazione fosse dovuta al suo patetico tentativo
di dialogo amichevole o al fatto che, effettivamente, Draco al
momento fosse davvero troppo pallido e troppo magro per poter avere
una bella cera.
“Sì,
ehn, segui una dieta particolare?” continuò
disperatamente,
cominciando a sperare che comparisse un giornalista, o qualche
impiegato del Ministero che doveva assolutamente accompagnarlo dal
suo superiore per sottoporgli un progetto del loro ufficio al quale
sarebbe stato in-te-res-sa-tis-si-mo.
“Potter,
cosa stai dicendo?” chiese Draco, glaciale.
“Non
lo so, veramente,” ammise lui scrollando le spalle.
“Immagino di
aver tentato di fare conversazione.”
“Non
sta funzionando,” osservò Draco, sistemandosi il
colletto
dell'abito.
“L'ho
notato,” confermò Harry, depresso. “Ma,
ecco, tu sei venuto qui,
e io ho pensato...”
“Non
ti avevo nemmeno visto quando mi sono...spostato qua nell'angolo.
Perciò puoi anche continuare a tacere, o a parlare da solo
come
stavi facendo.”
Draco
siglò quell'affermazione con un cenno minimo e secco della
mano
chiara. Harry lo guardò spiazzato, scompigliandosi
nervosamente i
capelli, poi annuì perplesso.
“Va
bene, allora io...vado avanti,” balbettò confuso.
“Eri
arrivato a non ce la faccio più,
Potter.”
“Ah.”
Rimase
immobile a fissare la sala, o meglio il vuoto, senza più
aprire
bocca. Comunque era questione di minuti prima che qualcuno lo
cercasse. E poi c'era ancora il discorso della autorità,
durante il
quale sicuramente gli sarebbe toccato prendere la parola. Ed Harry
era un disastro a parlare in pubblico. Gli partiva la voce e non era
capace a mettere in fila neanche più le lettere
dell'alfabeto.
“Allora,
Potter?”
Draco
lo stava fissando, quasi spazientito.
“Eh?”
“Non
stavi andando avanti col tuo affascinante
soliloquio?”
Quella
domanda lo punse sul vivo, tanto che raddrizzò la testa
d'impulso,
rabbioso, stringendo leggermente i pugni lungo i fianchi. Non se ne
rese conto, ma Draco indietreggiò impercettibilmente.
“Ma
insomma, Malfoy, a te che te ne frega?” chiese,
legittimamente.
Lo
Slytherin fece spallucce.
“Mi
sto annoiando. Questa serata è una schifezza, hai fatto
arrestare
metà della gente di classe e l'altra metà
è emigrata altrove, o
troppo schifata per venire qui,” spiegò
lentamente, altero.
“E
tu, allora?” ribatté Harry, infastidito.
“Io
dovevo per forza presentarmi, dal momento che tu
hai convinto
la gente che ti ho aiutato contro l'Oscuro. Tra parentesi, è
del
tutto falso,” osservò Draco, freddo.
Harry
sbuffò, ignorandolo.
“Comunque
ho visto la Parkinson, e anche Zabini e Nott,” gli fece
notare.
“Grazie,
li riconosco da solo,” lo zittì Draco.
“Allora?”
Harry
lo scrutò stizzito.
Ma
alla fine, poi, era meglio starsene nascosto in un angolo con il suo
vecchio rivale scolastico piuttosto che lì in mezzo alla
fossa dei
leoni.
“Non
ce la faccio più. Sono stanco di essere guardato come se
avessi due
teste, e di dover leggere sui quotidiani anche quante volte vado al
cesso. Vorrei solo che tornasse tutto normale. No...”
“Normale?”
ripeté Malfoy atono, interrompendolo.
“Normale,
sì. Come quando non sei nessuno e la gente non ti fissa la
fronte.”
“Quando
è stata l'ultima volta che per te tutto è stato normale?”
La
domanda di Draco lo lasciò basito, con la bocca semiaperta e
lo
sguardo vacuo.
“Beh...”
“Non
sforzarti troppo, Potter, potrebbe esserti fatale.”
Harry
fulminò il coetaneo con un'occhiata risentita.
“Non
è questo il punto,” sentenziò.
“Non
è colpa mia se ti esprimi come un troll.”
“Malfoy...
Che cosa vuoi?”
“Una
poltrona, o tornarmene a casa.”
“...Da
me?”
“Che
tu sparisca per sempre, ma se non è stato possibile
finora...”
“E
allora perché mi stai parlando?”
“Credevo
di avertelo detto in maniera sufficientemente elementare. Mi
annoio.”
“Malfoy!”
Draco
lo osservò interrogativo.
Harry
sbuffò rabbiosamente.
“Se
davvero vuoi che sparisca, non faresti meglio a far finta che io non
esista, e tra l'altro sarebbe una piacevole novità,
anziché stare
qua a punzecchiarmi?” sbottò irritato.
“Infatti
non intendevo avvicinarti.”
“Oh,
certo.”
Draco
s'inalberò, rigido.
“Senti,
io mi sono solo nascosto dietro una ten...”
Harry
sgranò gli occhi nel momento stesso in cui Draco, facendo
altrettanto, s'interrompeva e impallidiva ulteriormente. Lo
scrutò
allibito.
“Cosa?
Tu?”
“No...n...
E tu, allora?” lo rimbeccò Draco, dominando
l'imbarazzo.
“Io
te l'ho appena spiegato! Seriamente, Malfoy, perché mai tu
staresti
nascondendoti?”
Lo
Slytherin emise un sospiro rassegnato.
“Davvero,
Potter, non so più come dirtelo. Mi sto annoiando. Questa
gente mi
tedia.”
“E
staresti qui nascosto anziché farlo notare a tutti
quanti?”
“Fammici
pensare... Sì.”
Harry
storse il naso, scettico, prima di sistemarsi meglio gli occhiali.
Stava per protestare di non essere affatto convinto, quando
sentì
risuonare il proprio nome nel salone. Il discorso, per Godric.
“Ti
chiamano, Eroe,” gli fece notare Draco,
maligno.
“Vaffanculo,
Malfoy.”
Si
stropicciò un altro po' i capelli, già
sufficientemente
terremotati, prima di uscire allo scoperto rassegnato, senza
più
voltarsi indietro.
“...In
ogni caso, Harry, dovresti darti una regolata.”
Hermione
lo guardava un po' severamente, benevola, al di sopra della tazza di
tè. Lui si arrotolò la manica impacciato, con uno
sbuffo. Lì alla
Testa di Porco si sentiva abbastanza al sicuro dai curiosi,
perché
non era un posto dove ci fosse un gran passaggio di gente, ma non si
poteva mai sapere. L'ansia non lo mollava.
“Ma
senti...”
“Dico
sul serio. Devi mangiare meglio, e dormire di più. Hai certe
occhiaie... io davvero ultimamente non ti capisco. E Ginny mi ha
detto che non le scrivi.”
“E
cosa vuoi che le dica! Oggi sono sfuggito al
seicentotrentesimo
agguato di un reporter?” protestò lui,
esasperato.
“Non
usare quel tono con me,” ribatté l'amica,
aggrottando la fronte.
“Forse potresti andare in vacanza. Ti rilasseresti, anche se
a mio
avviso faresti meglio a deciderti ed accettare uno dei, fammi
ricordare, ventisette lavori che ti hanno...”
proseguì
implacabile.
“Ne
abbiamo già parlato,” le ricordò Harry
più mite, sporgendosi
leggermente in avanti. “E' solo che vorrei passare un po' di
tempo
in pace.”
“Va
bene, ma allora fai qualcosa di piacevole,”
osservò la maga,
pratica, prima di gettare l'occhio all'orologio. “Devo
andare, Ron
mi sta aspettando. Harry, promettimi che...”
“...Andrò
a dormire più presto la sera.”
“E...”
“...Mangerò
meglio. Va bene.”
Hermione
gli sorrise, affezionata.
“Va
bene. Ci sentiamo al camino.”
“Ciao,”
salutò lui, agitando una mano.
Rimase
a guardarla allontanarsi frettolosamente, con la chioma scompigliata
illuminata dai bagliori del sole. Sospirò tra sé,
pronto a scattare
per pagare il conto e fuggire via se qualcuno l'avesse notato, quando
intravide una sagoma ben nota fare il suo ingresso nel locale insieme
a qualcun altro.
Hermione
era appena andata via, ed Harry ricordava benissimo quanto l'avesse
rimproverato della sua ripetitività nello spiare Malfoy, al
sesto
anno, ma alla fine era venuto fuori che non aveva avuto poi tutti i
torti. Perciò rimase lì seduto, appiattendosi
leggermente sul
tavolo, mentre il Pureblood e il suo accompagnatore prendevano posto.
In fondo, vedere il rampollo più snob della
società magica in quel
locale da due soldi era piuttosto insolito.
L'uomo
che stava lì con Draco Malfoy era un ometto di
mezz'età con
occhialetti dorati e abiti anonimi, da impiegato. Sembrava il
perfetto ritratto di un burocrate.
Mentre
conversavano Harry rimase a guardarli, anche se non poteva
minimamente capire di cosa parlavano. Li osservò ordinando
un altro
tè, poi un terzo, una burrobirra, un'altra e per finire pure
una
mirtograppa. Sembravano avere un sacco di cose di cui discutere,
Malfoy era nervoso, brusco e accigliato. Pallido quanto la settimana
prima, alla serata del Ministero.
Quando
li vide alzarsi si precipitò fuori al loro seguito,
lasciando una
sostanziosa manata di galeoni sul tavolino. Scattò fuori
giusto in
tempo per vederli salutarsi stringendosi la mano e prendere ciascuno
una direzione diversa.
“Malfoy!
Ehi! Draco!”
L'interpellato
si voltò indietro di scatto, allarmato, poi
aggrottò la fronte nel
riconoscerlo.
“Potter,”
esordì, senza alcun entusiasmo. “Cosa ci fai tu
qui?”
Harry
frenò bruscamente, interdetto.
“Ero
nella Testa... Tu, piuttosto. Ti credevo tornato al tuo maniero di
campagna.”
“Devo
sbrigare degli affari.”
“Alla
Testa di Porco?” fece Harry, scettico.
Draco
lo guardò con sospetto.
“Potter,
mi stai ancora spiando?”
“No!”
esclamò lui, con foga. “Ero solo lì
seduto, e ti ho visto
entrare...”
Draco
allargò gli occhi.
“Entrare?
Due ore fa? E saresti rimasto lì da solo per due, uscendo
casualmente in contemporanea a me...?” soffiò,
sdegnoso.
“No,
aspetta, stai travisando la situaz...” si difese Harry.
L'altro
incrociò le braccia al petto.
“Ah
sì?” ribatté gelido. “E quale
sarebbe?”
Harry
socchiuse le labbra, smarrito.
“...Ero
curioso.”
Draco
sgranò gli occhi.
“Come,
prego?”
Harry
fece spallucce.
“Non
so, mi ha stupito vederti lì, e così mi sono
chiesto cosa ci
facessi, e non avevo niente da fare.”
Draco
lo squadrò ostile, arricciando le labbra.
“Questo
si chiama spiare.”
“No,”
insistette Harry, caparbio. Non aveva cercato di spiarlo,
realizzò
in quel momento, aveva solo aspettato che uscisse per chiedere
direttamente a lui cosa ci facesse lì. Era sostanzialmente
del tutto
diverso.
Poi
si accigliò. Era tutto diverso, perché lui era
diverso. Non era più
un bambinetto. Aveva guardato nell'abisso e affrontato l'uomo nero, e
l'aveva anche sconfitto. Aveva imparato cose che avrebbe preferito
non sapere, e altre estremamente utili. Non si sentiva nemmeno un po'
meno inadeguato di prima, ma sapeva di essere un individuo cresciuto.
“Anche
se fosse, sarebbe legittimo, non credi?” osservò
duro.
Draco
storse il viso in una smorfia, sciogliendo le braccia lungo i
fianchi.
“Sai
che, Potter? Questa volta ti ci mando io, a fare in culo.”
Si
voltò elegantemente indietro per allontanarsi lungo la
strada,
ignorandolo.
Harry
ne fu preso in contropiede, fisso per un istante la sua schiena,
considerando di aver rimestato un argomento delicato, sbuffò
sentendosi vagamente e stupidamente in torto, quindi scrollò
le
spalle e lo seguì.
“Non
mi sembra il caso di prendersela. Io non mi sono veramente
arrabbiato, l'altra sera,” osservò, raggiungendolo.
“Bravo.
Perché tu sei l'Eroe.”
“Piantala.”
“Perché
mi stai seguendo, Potter?”
La
domanda poteva avere una sua logica, ma Harry deliberò
d'ignorarla.
In fondo, non aveva fatto niente di male.
“Perché
mi hai frainteso, e...”
“Oh,
per Salazar!” sbottò Draco, voltandosi verso di
lui. “Veramente,
dopo che ci siamo massacrati a vicenda per anni, te ne frega qualcosa
che io ti fraintenda? Dopo il naso rotto e il sectumsempra e tutto il
resto? Potter, ma allora sei veramente un coglione!”
“Shhh...”
sibilò Harry, consapevole che quella piazzata stava
attirando un po'
troppo l'attenzione. Draco dovette rendersene conto a sua volta,
perché tacque di botto e si guardò intorno con
circospezione.
“E'
vero, non importa se mi fraintendi. E poi, almeno ci sarà
qualcuno
che non mi considera lo splendido Harry Potter,” ammise il
Gryffndor, scrollando il busto.
“Sta'
tranquillo, non sono l'unico,” brontolò Draco
sarcastico.
“Vittimista del cazzo.”
“Già.
Beh, ciao, allora,” concluse Harry, facendo per voltarsi.
“...E
adesso dove staresti andando?” fece Draco, perplesso.
Harry
si raddrizzò gli occhiali sul naso.
“A
casa,” rispose semplicemente. “Prima che un
giornalista mi
aggredisca.”
Draco
annuì.
“Fa'
attenzione, mi hanno detto che sono più pericolosi dei
dorsorugosi,”
suggerì canzonatorio.
Harry
gli sorrise, a mo' di congedo.
“Imbecille,”
sentì mormorare con rassegnazione, smaterializzandosi.
Naturalmente,
in quello stato di cose, quando Harry era stufo marcio di starsene
chiuso in casa con una serie di ritratti aggressivi degli antenati
del suo padrino e un Elfo psicolabile, si trovava costretto a
vagabondare per la Londra Muggle, che era assai più sicura
di quella
magica per un Eroe che non volesse essere riconosciuto come tale.
Ad
Harry piaceva andare in giro per Londra senza meta, vagabondare tra i
passanti senza attirare l'attenzione di nessuno e comportarsi come
una persona comunissima. Gli dava una sensazione quasi inebriante di
leggerezza, tanto che persino le facce dei suoi morti sparivano per
un po' e si dimenticava di essere quello che aveva salvato il mondo,
diventando soltanto, finalmente, Harry.
Quel
che preferiva era trascinarsi fino a Notting Hill, vagabondare per
Portobello Road e tutto il quartiere intorno, percorrere le viuzze,
attraversare i parchi. Ogni tanto saltava su un autobus a caso e
scendeva dopo qualche fermata. Era molto più rilassante del
Nottetempo, e poi spesso non pagava nemmeno il biglietto.
Si
fermava sovente in un piccolo bar, proprio accanto al mercato, e
chiacchierava un po' con la cameriera, una ragazza un po'
più
vecchia di lui che si chiamava Carol e sembrava considerarlo un tipo
assolutamente anonimo; poi percorreva tutta la via di Portobello e
scendeva giù verso i Kensigton Gardens. Poteva passare anche
la
giornata intera lì seduto sulla panchina, o lungo le rive
del lago,
senza fare niente di particolare. Sorrideva ai passanti, stava seduto
a godersi l'ozio, a volte giocava a pallone coi ragazzini e finiva
regolarmente per farsi dare della schiappa. Per uno che veniva
applaudito ogni volta che si avvicinava a un campo da Quidditch,
prima ancora di aver iniziato la partita, era favoloso.
Lì
riusciva sempre a trovare un angoletto nascosto in cui
smaterializzarsi, o se non aveva fretta, e voleva ancora andare in
giro, prendeva un altro autobus per tornare verso casa.
Era
abituato così.
I
Kensington Gardens erano sì un luogo particolare, in cui
vivevano
ancora alcune fate, ed i dintorni erano abitati da qualche mago; ma
Harry non ne aveva mai incontrato nessuno, e confidava che avrebbe
continuato ad essere così in eterno.
In
ogni modo, non si aspettava di certo di trovarci quel
mago in
particolare.
Era
statisticamente impossibile, pensò quel martedì
mattina, con la
brioche della colazione in mano e un'aranciata nell'altra, osservando
vacuo Draco Malfoy che, lui, guardava assorto la statua di Peter Pan
come se stesse studiandone precisamente le fattezze. Londra era una
città enorme, in cui era praticamente impossibile incontrare
per
caso gli amici più intimi, figurarsi uno che nemmeno ci
viveva.
Sembrava una barzelletta, ma non faceva ridere.
Fu
estremamente tentato di girarsi discretamente indietro e andare a
consumare la sua colazione altrove – tipo nascosto in un
cespuglio,
all'altro capo del parco-, invece in quella Malfoy spostò lo
sguardo e lo riconobbe, accigliandosi. Ad Harry non restò
altro che
sventolare mogio la sua brioche a mo' di saluto.
Malfoy
sembrava ancora meno contento del solito di vederlo, e al Gryffndor
non fu difficile capire perché: l'aveva appena beccato in
piena
Londra Muggle, vestito come un comune individuo Muggle – un
comune
individuo Muggle e pieno di soldi, con un cappotto che costava
sicuramente più di tutti i vestiti che Harry possedeva messi
insieme, ma comunque – a guardare la statua del personaggio
di un
racconto Muggle.
Comunque
fosse, il Pureblood marciò quasi subito verso di lui, ostile.
“Tu
mi stai pedinando,” affermò in un sibilo.
Harry
sgranò gli occhi, allibito.
“Non
essere paranoico, Malfoy. Io vengo qui tutte le settimane,”
si
difese, onesto.
“Non
venire a parlare a me di paranoici, Potter,”
ribatté seccamente
Draco. “Vuoi farmi credere che sarebbe una
coincidenza?” aggiunse
sarcastico.
“Non
sarebbe, è,” ribadì Harry, cui
sfuggì suo malgrado un sorriso.
Draco
lo studiò penetrante, socchiudendo le palpebre sugli occhi
grigi. La
cristallina onestà del viso di Harry, che d'altra parte era
in
assoluta buona fede, dovette fargli almeno accettare l'idea che si
potesse trattare davvero di un caso. Ancora diffidente,
scrutò le
sue mani occupate.
“Cos'è
quella roba?”
“La
mia colazione. Brioche e aranciata. Vengo spesso a mangiare
qui.”
“Dammene
metà.”
Harry
spalancò gli occhi esterrefatto, prima di storcere il naso.
“Si
chiede per favore, Malfoy.”
“Dammene
metà lo stesso.”
Harry
ridacchiò incredulo.
“Scordatelo,
e comunque è roba Muggle. Potrebbe ucciderti.”
“Le
brioche le facciamo anche noi.”
“Lo
stesso no, se non me lo chiedi per favore.”
“Potter.”
“Malfoy?”
“Potter,
mi dai metà di quella colazione?”
Harry
sospirò, scrollando la testa.
“Almeno
l'hai chiesto. E va bene, dai, sediamoci,”
acconsentì, facendo
buon viso a cattivo gioco.
“Cosa?
Non ho mai detto di voler mangiare la mia metà insieme a
te,”
protestò Draco.
Harry
lo scrutò minaccioso. Questa volta, il suo leggero ritrarsi
fu
visibile.
“Allora
vai a comprarti da mangiare.”
“Non
ho i loro soldi,” obiettò Draco, disgustato.
Harry
sospirò rumorosamente.
“Io
mi siedo,” stabilì, avviandosi verso una panchina.
Quando
ebbe preso posto, di faccia al sole, Draco era immobile dove l'aveva
lasciato. Un paio di secondi dopo, però, eccolo dirigersi
verso di
lui e venire a sedersi nell'angolo più lontano della
panchina.
“La
mia metà, Potter.”
“Oooh,”
bofonchiò lui, stracciando via la carta e spezzando in due
il
cornetto. “Tieni, sanguisuga.”
“Non
prenderti certe confidenze.”
“Sta'
zitto e mangia, Malfoy.”
Draco
sembrò piuttosto risentito, ma non rispose e diede un morso
alla
brioche, esattamente in contemporanea a lui.
“Ehi,”
osservò Harry, con un sorriso. “Chi l'avrebbe mai
detto, io e te
che dividiamo la colazione.”
Draco
lo guardò con spregio.
“Era
il genere di commento idiota che mi aspettavo da un Gryffindor. Sto
solo approfittando del tuo pasto, noi non dividiamo proprio
nulla.”
“Intanto
la mia roba la mangi!” commentò Harry,
ridacchiando. E poi,
rifacendosi serio: “Noi ci siamo salvati la vita a vicenda,
però.”
“Io
non ho mai fatto assolutamente niente del genere, e ci terrei che tu
non mi ricordassi più che mi hai salvato,”
obiettò Draco
glaciale.
Harry
lo guardò gravemente, bevendo un sorso di aranciata.
“Malfoy,”
disse lentamente, “tu mi avevi riconosciuto. Ci avevi
riconosciuti
tutti e tre.”
Draco
aggrottò la fronte, guardando fisso davanti a sé.
Aveva le labbra
serrate strette, la mascella contratta.
“Non
me lo ricordo. Non stavo molto bene.”
“Malfoy.”
“Non
ero sicuro che foste voi.”
“Malfoy.”
“Piantala
di ripeterlo, finirai per sciuparlo.”
Harry
socchiuse le labbra per replicare piccato, ma finì per
reprimere un
sorriso. Sua grazia Lord Malfoy aveva appena inghiottito un quarto di
brioche in un solo, enorme boccone.
“Ma
è la verità,” aggiunse poi, deciso.
“La
verità?” ribatté Draco velenoso.
“La vuoi sapere la verità,
Potter? La verità è che su quella maledetta torre
ho capito di
essere troppo vigliacco per poter diventare responsabile della morte
di qualcuno. La verità è che quando vi ho visti
in casa mia me la
sono fatta sotto all'idea che una mia semplice parola avrebbe
spezzato tre vite,” soffiò con malevolenza.
“Anche se si
trattava solo delle vostre.”
Harry
rimase silenzioso, guardando la sua aranciata. Draco respirò
un paio
di volte rumorosamente, prima di battersi una mano sulla gamba.
“E'
questa la verità, Potter. Io non sono un eroe. Quello sei
tu, non
fare confusione,” aggiunse aggressivo. “Buona
giornata,”
concluse, alzandosi per andarsene.
“Non
è mica una cosa brutta,” mormorò Harry,
amaro. “Non voler
uccidere.”
Draco
si voltò di scatto. Gli si erano rosate vagamente le guance,
certo
per la collera.
“Allora
non capisci veramente un cazzo. Non è per qualche nobile
sentimento
idealista che l'ho fatto. Era solo per me. Perché io avevo
paura. E
poi tu ti sei buttato nelle fiamme per salvarmi e...e vaffanculo di
nuovo, Potter! Per quel che valeva, poi!”
“Per
quel che valeva? Sei ancora vivo, no?” replicò
Harry, punto sul
vivo.
“Oh,
sì, grazie. Se non altro.”
Il
tono indifferente di Draco lo ferì. Lui aveva fatto del suo
meglio
per salvare tutti quelli che poteva, e non è che avesse mai
desiderato ricoprire quel ruolo. Purtroppo tante persone erano morte
comunque, ma gli dispiaceva l'idea che almeno quelle che aveva potuto
aiutare disprezzassero quella fortuna, se non altro in memoria di chi
invece non ce l'aveva fatta.
“D'accordo.
Ho capito. La prossima volta ti lascerò lì.
Chissà, magari in quel
momento avrei potuto essere con Fred Weasley,”
bisbigliò
amareggiato.
Lo
sentì salire dallo stomaco, mentre Draco lo guardava
interdetto.
Seppe esattamente quando la sua mano stava per iniziare a tremare e
posò bruscamente l'aranciata accanto a sé, sulla
panchina. Aveva
voglia di vomitare e sentiva quella cosa chiudergli la gola.
“Ehi,
Potter?”
Scosse
la testa, come per scacciarlo.
“Non
abbiamo altro da dirci,” soffiò fuori con un alito
di voce.
Draco
corrugò la fronte, certo perché lui doveva essere
diventato bianco
e tremante, ma fece un passo indietro.
“Va
bene.”
Harry
aspettò che si fosse allontanato con gli occhi chiusi, prima
di
raccogliere le ginocchia e appoggiarvi il viso, cercando di respirare
profondamente, senza riuscire nemmeno a deglutire. Non aveva mai
voluto essere un eroe. Non aveva mai voluto la
responsabilità di
tutte quelle vite e tutte quelle morti.
Ma,
a differenza di Malfoy, lui non aveva mai potuto scegliere di essere
vigliacco.
A
Harry piaceva quando lui e Ron cenavano da soli a Grimmauld Place. La
fama e tutte le altre cose sparivano, lasciando lì nel
salotto
soltanto due vecchi amici che ne avevano passate tante e che per
buona parte del tempo parlavano di Quidditch, o della buffa e
variegata clientela dei Tiri Vispi.
Ron
portava sempre il dolce, e si sedevano in poltrona a masticare
allegramente finché l'intera torta, o qualunque cosa fosse,
spariva.
Quella sera si trattava di un dolce al cioccolato che fondeva un po',
lasciando dita e labbra piacevolmente marroni e impastate.
“L'ha
fatto Molly?” chiese Harry, ammirato.
“Nah,”
rispose Ron, succhiandosi un polpastrello. “L'ho preso a
Diagon
Alley dopo aver chiuso il negozio.”
“E'
ottimo,” aggiunse lui, servendosi un'altra porzione.
“E
come...sta George?”
Esitò
prima di porre quella domanda. Lo chiedeva spesso, ma a malincuore.
Perché ovviamente George non poteva stare bene. Aveva perso
il
gemello da pochi mesi e tutti erano già stupiti che fosse
sopravvissuto al colpo. Harry non aveva mai pensato che potesse
succedere qualcosa a quei due. Non aveva mai voluto che niente di
male succedesse a due persone tanto luminose, voleva bene ai gemelli
Weasley. Lo stato di George lo deprimeva.
Quella
sera, invece, Ron lo sorprese con un accenno di sorriso.
“Oggi
è stato per più di due ore in negozio!”
annunciò con entusiasmo.
“Mi ha aiutato a sistemare gli ordini per Natale, e
pen...”
Ron
si era interrotto per voltarsi a guardare la finestra, con un cenno
del capo, ed Harry fece altrettanto nell'udire un frullio d'ali.
Non
aveva mai visto prima quel gufo. Era un esemplare maestoso e molto
bello di Reale, dal piumaggio folto e il becco aguzzo. Sbatteva le
ali contro la finestra chiusa con quella che sembrava indignazione, e
quando Harry si avvicinò e si affrettò ad aprire
l'animale tentò
di beccarlo.
“Ehi!”
protestò, ritraendo la mano.
Ron
ridacchiò divertito.
“Ed
ecco il grande Harry Potter confrontarsi con il temibile gufo di...di
chi è?”
“E
che no so i...ahio!” sbottò lui, sfuggendo
un'altra beccata mentre
cercava di recuperare la lettera e poi prendendosi in pieno la terza.
“Non
sembri essergli molto simpatico, amico,” constatò
Ron con una
sghignazzata.
“E
allora potrebbe lasciarmi la lettera e andarsene invece di...ma
insomma, uffa,” brontolò Harry stizzito, mentre il
gufo continuava
a sottrarsi alla sua presa e tentare di beccarlo.
“Sembra
che si diverta così,” aggiunse Ron, che pareva
continuare a
trovare il tutto molto comico.
“Grazie
dell'aiuto,” sibilò Harry, prendendosi un'altra
beccata. Poi,
finalmente, il rapace sembrò decidersi a collaborare e si
depositò
sul trespolo dirimpetto alla finestra con magnificenza.
“Oh,
finalmente,” borbottò Harry, recuperando la busta
che gli veniva
recapitata.
Harry
Potter, 12 Grimmauld Place, Londra, scriveva una mano dalla grafia
sottile ed elegante, che a lui non sembrava di riconoscere.
Aprì la
busta, per trovarci dentro solo un biglietto minimalista.
Potter,
Ci
vediamo domattina al parco.
Draco
La
sua faccia dovette sembrare così allibita, e in certo senso
sconvolta, che Ron raddrizzò la schiena e si sporse
leggermente in
avanti.
“Tutto
bene, Harry?” domandò circospetto.
Harry
fissò la lettera ancora per qualche secondo, incredulo.
Draco Malfoy
gli aveva mandato un gufo, a quanto pareva – e già
questo di per
sé, a raccontarlo, sarebbe sembrato demenziale. Per giunta,
nella
lettera recapitata da detto gufo, gli chiedeva di incontrarlo
l'indomani. Sì, tecnicamente non lo chiedeva
e quello
sembrava più un ordine tassativo, ma per sempre di richiesta
si
trattava.
Scrollò
la testa, tornando a guardare l'amico.
“Certo.
Niente di speciale, sai, altre scocciature dal Ministero,”
tagliò
corto. Non aveva affatto parlato con Ron, e nemmeno con Hermione, dei
suoi casuali incontri con Malfoy, perché non ne valeva la
pena.
Figurarsi se andava a parlargli del successivo, che a quel punto non
sarebbe poi nemmeno stato tanto casuale. Senza contare che
probabilmente non ci sarebbe nemmeno andato, l'indomani, ai
Kensington.
Ron
scrollò la testa, lontano anni luce da quei pensieri.
“Non
capisco perché tu lo prenda così male,”
commentò, riprendendo a
mangiare. “In fondo...”
Venne
interrotto dallo stridio risentito del gufo, che tentò di nuovo di
attaccarlo.
“Ma
che... Ehi! Oh, va bene, va bene!”
“Ma
che gufi stanno usando al Ministero..?” borbottò
Ron, perplesso,
mentre Harry si affrettava a voltare il biglietto e cercare una penna
d'oca, per rispondere prima che quell'indisponente volatile tentasse
di porre fine ai suoi giorni. Non poteva che trattarsi del gufo di
Malfoy, a ben pensarci.
Non
so se posso venire.
Comunque,
simpatico uccello.
Harry.
Contemplò
per un secondo il biglietto, assorto. Dopotutto, non era tenuto a
fare proprio niente di quel che diceva Malfoy. Era molto strano che
lo volesse vedere, e da un lato lo incuriosiva, ma ci avrebbe pensato
l'indomani. Il gufo riprese a protestare per l'attesa e lui fu ben
felice di congedarlo il più in fretta possibile, prima di
tornare
verso la poltrona – e la torta di Ron.
“Dicevi?”
bofonchiò, sedendosi.
“Ah,
sì. Dicevo che in fondo la gente vuole solo dimostrarti
riconoscenza. Non dovresti...”
“Ron,
non è la riconoscenza il problema, “lo interruppe
lui, e non era
vero. “Il problema è tutto questo gran polverone.
Mi...mi...”
“Perché
non ti limiti a godertelo? In fondo te lo meriti.”
Harry
lo guardò vacuo, senza convinzione.
“Non
più di altri che non...sono qui a prendere gli
applausi.”
Ron
si rabbuiò, poggiando i gomiti sulle gambe.
“Guarda
che anche io ci penso,” brontolò, con una smorfia.
“Lo sai.”
Certo
che lo sapeva. Ron aveva perso un fratello, in quella guerra. Non era facile nemmeno per lui, che aveva cercato di far fronte al dolore per la sua famiglia: stava lavorando al negozio al posto di Fred, si occupava di George come poteva e cercava di non farlo pesare a nessuno. Dopotutto, l'incubo era finito e non restava che raccogliere i cocci e ricominciare in modo migliore: era molto nella personalità di Ron, di una bella semplicità concreta. A Harry quella visione faceva bene, riusciva a riequilibrare in parte la sua angoscia.
“Sì.
Mi dispiace. Non volevo dire che...” si affrettò a
correggersi.
“Ma
non è questo il punto, amico. Sai, ne ho parlato anche con
Hermione,
e...”
“Di
me?”
Ron
lo guardò stralunato.
“Che
c'è di strano?” ribatté.
“Pensiamo che forse dovresti prenderti
una bella vacanza. Andare da qualche parte per un bel viaggetto,
e...”
Harry
sospirò. Certo, l'idea era allettante. Sparire dalla
circolazione
per un po', liberarsi del codazzo di ammiratori e di tutto il resto,
come quando andava in giro per Londra. Ma già immaginava le
facce di
Kingsley e degli altri.
“Ci
penserò,” rispose.
Ron
non insistette oltre, annuendo.
Harry
si allungò contro lo schienale della poltrona, satollo.
“Sai
che Malfoy è a Londra?” esordì, vago.
“L'ho intravisto la sera
delle celebrazioni.”
Ron
storse il naso con disgusto.
“Poteva
anche rimanersene a casa,” borbottò aggressivo.
“Non sentivamo
la sua mancanza.”
Harry
ridacchiò, prima di raddrizzare la testa.
“Beh,
quella volta al Manor ci ha aiutati.”
“Aiutati?”
ripeté Ron, arrossendo intorno alle orecchie.
“Quel cagasotto si è
preso paura, ecco cosa!”
Harry
strinse le labbra, pensoso. Era la stessa cosa che aveva detto Malfoy
stesso. Forse non c'era davvero altro da capire.
Il
cielo minacciava pioggia, ma Harry stazionava ugualmente davanti alla
statua di Peter Pan con un bicchiere di caffè da asporto e
un
panino. Erano le undici, più o meno la stessa ora del suo
incontro
con Draco Malfoy di tre giorni prima, ma del Pureblood non c'erano
ancora tracce. Magari non sarebbe nemmeno arrivato.
Alla
fine si era detto che, dopotutto, le possibilità che sarebbe
andato
comunque ai giardini quel giorno erano alte, quindi ci era tornato.
Era uscito di buona mattina, ficcandosi nella tasca interna
dell'eskimo il Cavillo, l'unico giornale che parlasse poco di lui,
per leggerla al parco nel caso in cui Malfoy non si fosse visto, e si
era fermato al solito bar per prendersi la colazione.
Lo
vide da lontano, mentre percorreva la riva del Serpentine nella sua
direzione. Indossava un cappotto nero e aveva una sciarpa verde
intorno al collo, si muoveva quasi a scatti. Quando gli
arrivò più
vicino Harry mosse una mano, non tanto in saluto quanto per farsi
individuare. Malfoy rallentò il passò per qualche
secondo, poi si
diresse verso di lui.
“Potter,”
esordì raggiungendolo, con voce strascicata, “sono
lusingato che
tu sia riuscito a trovare del tempo nella tua fittissima
agenda.”
Harry
gli lanciò un'occhiataccia.
“Ciao,
Malfoy,” rispose laconico. “Ho portato un
panino,” aggiunse,
mostrando il pacchetto.
“Non
ho fame,” replicò l'altro, sostenuto.
“Quello?” aggiunse,
indicando col capo il suo bicchiere.
“Caffè.”
“Mi
va.”
Harry
sospirò rumorosamente, guardandosi intorno. Le panchine
erano tutte
occupate.
“Ci
sediamo nel prato?” propose.
Draco
lo guardò come fosse stato sterco attaccato alla suola della
sua
scarpa.
“Come
non detto...” mormorò Harry, incamminandosi per
cercare un posto
libero un po' più in là.
“Non
c'è bisogno che ci sediamo. Sarò
sintetico,” osservò Malfoy,
sfilandogli di mano il caffè.
“Ehi!”
Lo
Slytherin fece spallucce, bevendo un sorso.
“Mi
serve un garante per un contratto di vendita.”
Harry
lo osservò a bocca aperta, sbalordito.
“Eh?”
Draco
sospirò.
“Ho
bisogno di qualcuno che garantisca per me per un contratto di
vendita, per le credenziali e cose del genere. Una semplice bagatella
burocratica che non starò a spiegarti adesso.”
Harry
continuò ad osservarlo con aria ugualmente rarefatta, senza
riuscire
a capacitarsi del fatto.
“E
lo stai chiedendo a me?” rispose, senza riuscire a frenare
del
tutto un risolino di stupore.
Draco
aggrottò la fronte.
“E
allora?” commentò asciutto.
Harry
rise più apertamente.
“Perché
a me?”
Draco
s'incupì, infastidito.
“Tu
proprio non li leggi i giornali,” mormorò.
“No!”
confermò Harry con foga. “Parlano sempre di
me!” aggiunse
candido. “Cos'è che vuoi vendere?”
Draco
incassò leggermente la testa tra le spalle, fissando
distrattamente
la statua.
“Il
Manor.”
La
mandibola di Harry precipitò verso il basso.
“Il...
Malfoy Manor, vuoi dire? Casa tua? Cosa? Perché?”
sbottò,
disorientato.
Malfoy
scosse la testa.
Harry
sgranò leggermente gli occhi. Aveva supposto che Malfoy se
la
cavasse bene, ma forse dopo l'arresto del padre e tutto il resto si
trovava in difficoltà.
“Sei...cioè,
ti servono..?” balbettò.
“Non
ho bisogno di soldi!” soffiò Malfoy adirato,
guardandolo con
sprezzo. “Come ti viene anche solo in mente...?”
“E
che ne so!” lo placò Harry, sollevando le mani.
“Ma allora
perché?”
“Questi
non sono fatti tuoi, Potter,” scandì lo Slytherin
altero. “Tu
dovresti unicamente firmare dei documenti che attestano la
regolarità
dell'atto di vendita.”
“Perché
io?” ribadì Harry, sospettoso. “Potevi
chiederlo alla Parkinson
o a uno qualunque dei tuoi amichet...”
“Perché
la tua garanzia vale oro, no?” replicò Malfoy,
ripassandogli il
bicchiere svuotato a metà.
Harry
ristette, pensoso. Non ci credeva nemmeno un po', a quella storia.
Era vero che la sua parola, al momento, pesava più di
qualunque
altra, ma una semplice firma di Pansy o di Gregory avrebbero fatto
comunque l'affare, e lui non riusciva a indovinare una sola ragione
per cui Malfoy avrebbe dovuto abbassarsi a rivolgersi a lui, quando
sarebbe bastato domandarlo ai suoi sodali.
“Dimmi
prima perché vuoi vendere casa tua,” insistette
serio.
Draco
emise un gemito esasperato.
“Non
ti riguarda,” ribadì. “Non è
niente di losco, va bene? È un
contratto perfettamente regolare, non c'è nulla
di...”
“Perché,
Malfoy?”
Draco
fissò il vuoto con gli occhi vitrei.
“Non
ci vive più nessuno, lì dentro. Narcissa e io
abitiamo nello
Yorkshire, adesso.”
“E
allora? Vuoi farmi credere che avere più di una casa vi
dà
improvvisamente noia?” osservò Harry, soddisfatto
dell'obiezione.
Draco
si passò una mano tra i capelli biondi, irritato.
“Non
ci arrivi proprio? Non la vogliamo più quella casa, senza
mio
padre.”
“Oh.”
Harry
non si sforzò nemmeno di avere un'aria contrita, dal momento
che non
gli dispiaceva minimamente di aver fatto spedire Lucius Malfoy ad
Azkaban: se c'era uno che meritava di finire i propri giorni chiuso
là dentro, quello era lui. Tuttavia si rammaricò
un po' per Draco,
che aveva pur sempre perso il padre.
“Capisco,”
commentò neutro.
L'altro
scrollò le spalle con uno sbuffo, ad indicare che sapeva
benissimo
quanto la cosa non gli interessasse.
“Allora?”
Harry
prese una sorsata di caffè, ormai tiepido.
“Ci
penserò su.”
“Ho
bisogno di una risposta entro venerdì.”
“La
avrai,” assicurò lui, deciso.
Draco
lo osservò penetrante, senza dir nulla per qualche istante.
Evidentemente si era aspettato di ottenere subito una risposta
affermativa.
“Va
bene, Potter. Non ti ruberò altro tempo, quindi buona
giornata.”
“Anche
a te.”
|
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Capitolo 2 *** II. Colazione da maghi ***
Altro
giro, altro
regalo. Ho pensato che tanto il capitolo l'avevo lì e non mi
costava
nulla postarlo. Rallenterò le pubblicazioni quando non
avrò più
materiale pronto, come al solito - anche se sono abbastanza certa che
non succederà.
Buona
lettura.
II:
Colazione da maghi
“ Harry!”
Kingsley Shaklebolt posò sulla scrivania il documento che
stava
leggendo e si alzò per andargli incontro. “Speravo
che passassi.
Vieni, siediti,” aggiunse, stringendogli rapidamente la mano.
A
Harry Shaklebolt piaceva. Era una mago risoluto, onesto e coraggioso,
ed era sicuro che sarebbe stato un Ministro molto migliore di
Caramell. Inoltre, non lo trattava come una specie di
divinità ma,
anzi, il suo atteggiamento verso di lui non era cambiato da quand'era
più piccolo.
“ Ciao.
Hermione mi ha detto che volevi vedermi,” rispose, accettando
il
suo invito a sedersi.
“ Sì,
è esatto,” confermò il Ministro,
riprendendo posto e rivolgendosi
un brevissimo sorriso. “La settimana prossima, forse l'hai
sentito
dire, riceveremo una visita del Ministero spagnolo.” Harry
seppe
già esattamente dove sarebbe andato a parare il discorso.
“Sarebbe
una buona cosa se ci fossi anche tu, ad accogliere i nostri
ospiti,”
proseguì infatti Shaklebolt.
Harry
strinse i pugni sulle ginocchia. Un'altra volta a spacciarsi per
grande eroe. Un'altra offesa ai suoi morti.
“ Naturalmente,”
commentò con un sorriso.
“ Bene,”
fece il Ministro sollevato. “Ah, volevo anche ricordarti che
hai
ancora una settimana di tempo per l'iscrizione posticipata al corso
da Auror,” proseguì, con un'occhiata acuta.
Harry
la sostenne senza cambiare espressione, teso.
“ Sì.
Beh, penso che mi prenderò un anno sabbatico,”
borbottò vago.
“ Come
preferisci, naturalmente, ma...non lasciar correre troppo
tempo.”
Lui
annuì serio, con il cuore in gola. Auror, naturalmente
caposquadra,
capitano, e poi comandante del corpo. Era un destino già
scritto,
che culminava forse con l'occupazione di quella stessa carica di
Ministro. Harry Potter, il salvatore.
Cercò
di rimanere calmo, senza dimenticare l'altra ragione per cui era
lì.
“ Hai
ragione,” bofonchiò, prima di schiarirsi la voce.
“Hermione e
gli altri miei coetanei si stanno già dando da
fare,” aggiunse,
vago.
Kingsley
si strinse nelle spalle.
“ E'
giusto che ti prenda i tuoi tempi,” commentò,
benevolo.
“ Sì...
A proposito,” riprese lui, noncurante, “ho visto
che c'era Malfoy
l'altra volta alla cerimonia...”
“ Oh,
sì,” confermò l'altro con un cenno
vago. “Immagino sia venuto a
fare atto di presenza. È stato piuttosto
coraggioso.”
Harry
aggrottò la fronte.
“ Perché?”
Shaklebolt
lo guardò quasi sorpreso, prima di scuotere la testa.
“ ...Diciamo
che la sua popolarità è in ribasso. La tua
testimonianza gli ha
evitato il carcere, ma non è visto di buon occhio dalla
nostra
fazione. E nemmeno più dagli altri.”
“ In
che senso?”
“ ...Harry,
nessuno vuole essere accomunato a un traditore,” gli fece
notare il
Ministro, diretto.
La
sua mandibola precipitò verso il basso e rimase
lì ciondolante,
mentre nella mente di Harry finalmente diventava tutto chiaro, sin
dagli eventi della sera delle celebrazioni.
Comunque
ho visto la Parkinson, e anche Zabini e Nott, gli aveva fatto
notare.
Grazie,
li riconosco da solo, aveva
risposto Malfoy, ma non aveva parlato con nessuno di loro.
Perché
nessuno di loro ci voleva parlare, con lui. Il più
importante dei
piccoli principi pureblood aveva disceso la china ed era rotolato
verso fondovalle, e nessuno degli altri voleva più averci a
che
fare. Lucius era stato condannato ad Azkaban, Draco stesso si era
ritrovato ad un passo dall'incarcerazione. Se non fosse stato per
lui, per Harry, una decina d'anni di cella di massima sicurezza non
glieli avrebbe levati nessuno. Allo stesso tempo, però,
Harry aveva
affermato davanti a tutta l'Inghilterra magica che Draco Malfoy
l'aveva aiutato, vendendo la sua fazione e il marchio nero sul suo
avambraccio. Nemico dei vincitori, traditore dei perdenti. Non una
bella posizione, da qualunque lato la si guardasse.
Quando
Hermione sbarcò a Grimmauld Place con la spesa per lui,
Harry aveva
davanti una pergamena bianca su cui non sapeva bene cosa scrivere.
Era indeciso se chiedere semplicemente a Malfoy di incontrarsi o se
annunciargli direttamente che sì, ci aveva pensato ed era
d'accordo
per ricoprire il ruolo di garante nell'atto di vendita del Manor. Non
si trattava, palesemente, che di una decisione infima, che chiunque
avrebbe potuto prendere anche ad occhi chiusi. Avrebbe, appunto,
perché non era il caso attuale.
Ormai
gli succedeva abbastanza spesso – quasi continuamente, per la
verità. Di fronte al più piccolo come al
più grande quesito, che
si trattasse di scegliere tra bere tè earl grey o
tè nero a
colazione o di stabilire cosa fare della propria vita, Harry si
trovava incapace di decidere alcunché. Rimaneva come
paralizzato,
colto da un leggero senso di nausea, con la mente svuotata e una
sottile angoscia, impossibilito a risolversi. Non aveva ancora
cambiato nulla dell'arredamento di casa, perché non sapeva
decidere
cosa tenere e cosa no. Non aveva accettato nessuno dei lavori che gli
erano stati offerti perché non sapeva quale scegliere, e per
lo
stesso motivo non ne aveva nemmeno rifiutato nessuno; allo stesso
modo non si era iscritto al corso da Auror perché non era
capace di
decidere se e quando volesse diventarlo. Continuava ad essere
titubante anche nei confronti della richiesta di Malfoy, sebbene il
realizzare la sua situazione l'avesse trovato propenso ad accettare
per una inconscia forma di puro altruismo; ma non era convinto, come
al solito, e forse era quella la ragione per cui temporeggiava. Tutto
diventava difficile, una fonte continua di ansia di fronte alla quale
il suo cervello rimaneva cristallizzato, passivo e smarrito.
La
sua migliore amica lo trovò così, imbambolato
davanti allo
scrittoio con lo sguardo fisso e un'espressione un po' mesta.
“ Provviste,
Harry,” annunciò a mezza voce, lasciandogli
scorrere addosso
un'occhiata un po' perplessa, un po' comprensiva.
Non
ci andava mai, lui, a farsi la spesa. Presentarsi a Diagon Alley o in
qualunque altro posto dove la gente lo conosceva significava
immancabilmente ritrovarsi circondato da capannelli di curiosi, di
ammiratori o ancor peggio di giornalisti, ed Harry lo faceva solo se
inevitabile. Non aveva ancora rilasciato nemmeno un'intervista, dalla
fine della guerra, e i cronisti lo pedinavano come segugi.
“ Grazie,
Hermione,” mormorò assorto.
Lei
annuì, poggiando i pacchetti a terra.
“ Tutto
a posto, Harry?” domandò pacata.
Il
ragazzo si voltò a guardarla, indeciso. Sapeva benissimo che
se
avesse parlato, ad esempio, con Ron della situazione Malfoy, il suo
migliore amico avrebbe dato in escandescenze e avrebbe affermato
accorato che sarebbe stato da pazzi dar retta a Malfoy e che c'era
sicuramente sotto qualcosa di poco raccomandabile. Non era,
naturalmente, una posizione del tutto erronea, ma Ron l'avrebbe
espressa soltanto per un preconcetto radicato, di vecchia data.
Hermione, invece, sarebbe stata sicuramente molto più
obiettiva e
ragionevole, ci avrebbe pensato su e gli avrebbe dato un consiglio
lucido e ponderato. O almeno sperava.
Non
che Malfoy le fosse simpatico, con tutto quel che le aveva combinato
a scuola e i fatti della guerra. Ma Hermione Granger era un persona
capace di distinguere tra le proprie emozioni personali e la
realtà
oggettiva, ed era una delle ragioni per cui Harry si fidava tanto di
lei.
Non
era comunque sicuro che raccontarle tutto fosse una buona idea e
avrebbe probabilmente continuato, ancora una volta, a tentennare se
lei non l'avesse spronato.
“ Harry?”
ripeté, dal momento che lui rimaneva in silenzio.
Lui
prese un ampio respiro.
“ Ho
incontrato Malfoy. Mi ha chiesto un favore,”
annunciò sintetico.
Hermione
aggrottò la fronte, attenta.
“ Che
genere di favore?” s'informò, abbandonando le
vettovaglie a se
stesse e avvicinandolo di di un paio di passi.
Harry
si strinse nelle spalle.
“ Vuole
vendere il Manor e ha bisogno di qualcuno che gli faccia da garante,
vista la sua fedina penale.”
La
fronte di Hermione si corrugò ulteriormente.
“ E
perché l'avrebbe chiesto a te?”
Harry
sbuffò sommessamente.
“ Credo
che nessun altro lo farebbe.”
Sperò
che Hermione capisse i sottintesi, e la piega della sua fronte che si
distendeva glielo confermò. La ragazza si
accoccolò sulla poltrona
accanto, guardandolo penetrante. Certe volte, lo sguardo di Hermione
ricordava in maniera preoccupante quello trasparente e sondatore di
Dumbledore.
“ Pensi
di accettare?” mormorò.
Harry
scrollò la testa.
“ Immagino
non ci sarebbe niente di male. Non penso che Malfoy stia progettando
di uccidermi, sai,” osservò, senza veramente
rispondere alla
domanda.
Hermione
annuì pensosa.
“ Chi
è il compratore?”
Harry
sgranò un po' gli occhi, socchiudendo le labbra senza una
risposta.
“ Non
gliel'ho chiesto,” ammise.
“ Dovresti,”
suggerì lei.
Per
qualche istante rimasero in silenzio, tutti e due muti e meditabondi,
lui fissando il foglio bianco, lei un angolo del pavimento. Poi Harry
spostò l'attenzione sull'amica e storse le labbra in una
smorfia.
“ Pensi
che sarebbe stupido accettare?” mormorò.
Hermione
si strinse nelle spalle, pratica.
“ E'
Malfoy,” constatò senza ombra d'entusiasmo, prima
di allontanare
una ciocca di capelli crespi dal viso. “D'altra parte, se
vogliamo
che le cose cambino dobbiamo essere noi i primi a cercare di
cambiarle. Abbiamo combattuto anche per questo, per abbattere le
barriere. Sarebbe stupido se proprio noi ci rinchiudessimo al loro
interno.”
Per
qualche ragione Harry si sentì sollevato da quelle parole,
alleggerito da un peso. Fu felice di aver finito per parlarle,
consapevole che la visione di lei andava sempre al punto.
“ Però,”
continuava lei, accigliata, “trattandosi proprio di lui
sarebbe
meglio fare qualche verifica. Cerca di scoprire di chi si tratta e io
tenterò di saperne di più,” si propose,
affabile.
Harry
le sorrise con riconoscenza.
“ D'accordo.”
Prese
la penna d'oca, improvvisamente risoluto e senz'ombra di dubbi, e
scarabocchiò sulla pergamena con scioltezza.
Malfoy,
Ci
sono un paio di cose che vorrei sapere,
prima
di decidere. Vediamoci domattina
al
solito posto.
Harry
Gli
fece un certo effetto, nel rileggere, l'idea che lui e Draco Malfoy,
eterni rivali scolastici e non solo, avessero un “solito
posto”
in cui vedersi. Tuttavia si strinse nelle spalle, chiuse la pergamena
e l'affidò a Tolomeo, il gufo bianco che Ginny gli aveva
regalato
per sostituire la sua Edvige.
“ Bene,”
sospirò sollevato, guardando il volatile che spariva fuori
dalla
finestra. “Almeno questa cosa è sistemata. Ti
fermi a pranzo?”
aggiunse, voltandosi verso l'amica.
“ Perché
no,” rispose Hermione. “Ho comprato un bel po' di
roba.”
Harry
le sorrise e lei fece altrettanto.
Certe
volte, bastava poco per sentirsi a casa.
Agli
ordini, eroe, era stata la risposta che Malfoy gli aveva
fatto
pervenire la sera precedente. Quando Harry arrivò a una
ventina di
metri dalla statua di Peter Pan, di nuovo alle undici di mattina
senza che fosse stato specificato, lo vide già seduto su una
panchina, con gli occhi che indugiavano sul Serpentine e le mani
intrecciate in grembo.
Si
avvicinò con una specie di sorriso di circostanza.
“ Ciao,
Malfoy.”
“ Potter.”
Non
seppe cosa dire, e lo Slytherin si limitò a fissarlo
freddamente,
senza avere un'aria troppo ostile né minimamente amichevole.
Harry
si schiarì la voce, a disagio.
“ Come
va?” chiese vago, senza risolversi a sedersi.
“ Potter...”
sbuffò Draco con aria tediata.
“Perfavore,” concluse asciutto.
Harry
annuì bovinamente, riuscì in qualche modo a
piegare le ginocchia e
si accomodò all'altro lato della panchina. Fissò
la statua con
sguardo vacuo.
“ Non
hai portato la colazione,” constatò Draco piatto,
osservando la
sue mani vuote.
“ Mi
sono svegliato tardi,” ribatté Harry, vago.
L'altro
annuì.
“ Fortunatamente,”
affermò con aria superiore, piegandosi a raccogliere da
terra un
sacchetto che lui fino ad allora non aveva notato, “ci ho
pensato
io. Una vera colazione, non quelle schifezze che mangi tu.”
Harry
lo osservò sorpreso, con remota curiosità, mentre
lo Slytherin
svuotava il suo sacchetto depositando in mezzo a loro sulla panchina
un contenitore con dei pancakes caldi rivestiti da una colata di
marmellata, un altro con delle salsicce fritte e due tazze coperte,
probabilmente contenenti del tè.
“ Veramente?”
mormorò.
Draco
gli scoccò un'occhiata altera.
“ Veramente
mi nutro di cibo? Sì, capita,” replicò
sarcastico. “Allora, che
vuoi sapere sulla mia vita privata, specie di seccatore?”
proseguì,
prendendo un pancake prima di dargli un morso.
Harry
lo imitò. Una specie di leggera allegria lo
colmò, in contemporanea
con la marmellata che inondava il suo palato. C'era un leggero sole,
il parco era poco affollato e sommerso dalla chiara luce autunnale e
lui stava facendo colazione su una panchina con un suo ex compagno di
scuola, come qualunque diciottenne del mondo. Per qualche secondo, si
crogiolò nel far finta che fosse tutto lì.
Poi
prese fiato.
“ A
dire la verità, non si tratta di te. Vorrei saperne di
più sul
compratore.”
Draco
lo osservò di sottecchi, cauto.
“ Perché?”
Harry
fece spallucce.
“ Perché
sì.”
Draco
diede un sospiro irritato, mentre lui ingollava il resto del pancake.
“ Non
è inglese. È un ricco pureblood tedesco, padre di
famiglia, di
nobili discendenze, che sta impiantando alcuni affari in Inghilterra
e vuole una residenza secondaria sul posto.”
Una
residenza secondaria, rifletté vagamente Harry. Da quel poco
che ne
aveva visto lui, il Malfoy Manor era una dimora enorme, lussuosa, in
cui avrebbero potuto comodamente installarsi tutti i Weasley con la
loro discendenza, senza nemmeno star stretti. Qualcun altro, invece,
lo considerava un pied-à-terre. C'erano davvero
più mondi che
convivevano in uno solo, non sempre pacificamente.
“ Come
si chiama?” continuò, accantonando quelle
riflessioni. Allungò la
mano e prese una salsiccia tra i due polpastrelli, portandola alle
labbra per sgranocchiarne l'estremità. Era squisita.
“ Sauer.
Niklaus Sauer, è un Conte originario dell'Hessen. Si occupa
di
commercio di materiale da laboratorio, è un titano nel
campo.”
“ Da
laboratorio?”
Draco
strinse le labbra.
“ Provette,
calderoni, roba del genere.”
“ Niklaus
Sauer...” ripeté Harry a mezza voce, mandando a
mente il nome.
L'altro
sospirò tra sé, prima di infilare una mano nel
bavero del cappotto.
Harry non gli badò, arpionando una seconda salsiccia che
masticò di
gusto.
“ Tieni,”
fece Draco, porgendogli un bigliettino su cui una foto magica
piuttosto pomposa, il cui protagonista elargiva brevi cenni di
cortesia con il capo, faceva bella mostra di sé accanto ad
alcuni
dati. “E' il suo biglietto da visita.”
“ Grazie,”
rispose Harry prendendo il bigliettino. Lo osservò di
sfuggita,
prima di sollevare di nuovo lo sguardo in direzione di Malfoy
– e
sgraffignare con la mano libera il suo secondo pancake.
Draco
scosse il capo con sufficienza, senza replicare. La sua mano chiara
andò ad avvolgersi elegantemente intorno alla tazza, che
portò
verso il viso e scoperchiò scoprendone il contenuto fumante.
Harry
si stupì nel riconoscerne l'aroma.
“ E'
caffè,” commentò, rallegrandosi e
prendendo anche la propria. “Ti
facevo più tipo da tè, Malfoy.”
“ Infatti,”
scandì Draco altero. “Ma ho visto...”
iniziò, senza tuttavia
finire la frase.
“ Che
io bevo caffè?” ipotizzò Harry con un
principio di sorriso
sornione. “Molto carino da parte tua, Malfoy,”
ridacchiò.
L'altro
storse le labbra in un sorriso affilato, per niente divertito.
“ Sono
uno Slytherin. So benissimo che per ottenere i favori di qualcuno il
modo più semplice è ingraziarselo,”
commentò asciutto.
Harry
ingollò una bella sorsata di bevanda, storcendo il naso.
“ Dopo
anni di massacri reciproci, come mi ha fatto notare qualcuno poco
tempo fa, non ti basterebbe un decennio per ingraziarti il
sottoscritto,” gli fece notare, eccezionalmente bonario.
Quella
mattina il suo umore era ottimo, constatò distrattamente.
Forse era
per via della colazione, e afferrò l'ennesima salsiccia.
“ L'appetito
però non ti manca,” osservò Draco,
ironico.
Harry
non si sentì nemmeno un po' a disagio, nonostante forse
l'intenzione
fosse quella. Invece gettò un'occhiata all'interlocutore.
“ Tu
invece non hai quasi mangiato,” realizzò. Il
pancake di Draco, il
primo, era smangiucchiato a metà. Non aveva toccato altro,
se non il
caffè.
“ Non
che siano fatti tuoi, Potter, ma non mangio molto a
colazione.”
Harry
non disse nulla. Si limitò invece a osservare la sue guance
un po'
scavate e l'avambraccio esile.
“ Sono
buonissime, sai?” si limitò ad esclamare,
sventolando il suo
mozzicone di salsiccia.
“ Certo
che lo so,” lo zittì Draco. “I nostri
Elfi le preparano da
quand'ero bambino.”
Non
avevano altro da dirsi. Non erano amici e non avevano argomenti in
comune. Forse avrebbero potuto imbastire una specie di conversazione
sul Quidditch, meditò Harry senza interesse, ma sarebbe
stata una
mezza farsa abbastanza inutile. Perciò rimasero
semplicemente lì in
silenzio sorseggiando il caffè e, nel caso del Gryffindor,
continuando a sbocconcellare con entusiasmo.
Quando
la tazza di Draco fu vuota, lo Slytherin la ricacciò nel
sacchetto,
appena prima che Harry gli sporgesse anche la sua.
“ Io
ho da fare, Potter, perciò rinuncerò a prolungare
il piacere della
tua compagnia,” annunciò Draco, scacciando
briciole probabilmente
immaginarie dal cappotto.
“ Il
mangiare,” gli ricordò Harry, indicando i due
contenitori sulla
panchina nel vedere che l'altro si alzava lasciandoli lì.
“ Tientelo.
So che voi plebei odiate sprecare il cibo,” gli concesse
Malfoy con
sussiego.
“ Vaffanculo,”
ribatté Harry, ma questa volta sorrideva.
Draco
fece una specie di smorfia paziente, con gli angoli delle labbra un
po' alzati, prima di elargirgli un cenno e allontanarsi senza
aggiungere altro.
Era
già giovedì, il che significava che Hermione
aveva al massimo un
giorno per le sue indagini su Niklaus Sauer e sulla situazione di
Malfoy. Nonostante lo studio e l'addestramento per il corso da Auror
l'amica assicurò ad Harry che se ne sarebbe occupata
comunque senza
problemi e lo lasciò a Grimmauld Place con la promessa di
dargli
notizie prima possibile. Lui, perciò, non aveva nulla da
fare per il
pomeriggio e si decise finalmente a scrivere a Ginny. Quando
però si
fu sistemato davanti all'ennesimo foglio bianco, realizzò di
non
avere nulla da dire.
L'unica
cosa che avrebbe potuto raccontare era la faccenda della richiesta di
Malfoy, e dubitava che la sua ragazza ne sarebbe stata entusiasta.
Come Ron, avrebbe dedotto che si stava facendo gabbare per troppo
buon cuore, o al limite si sarebbe accontentata di inveire contro il
pureblood. In effetti non aveva senso parlarne, perché per
giunta
Ginny era ad Hogwarts e non aveva ben chiara la situazione
all'esterno. Si sarebbe soltanto preoccupata.
Tralasciando
quel fatto ad Harry non rimaneva assolutamente nulla da dire. Oltre
ad incontrare Draco, pranzare con Hermione e cenare con Ron, tolte le
sporadiche occasioni ufficiali di impegni barbosi con Ministero, le
sue escursioni al parco e quelle nel resto della Londra Muggle,
escursioni in cui non interagiva con nessuno tranne Carol la
cameriera, non faceva assolutamente niente.
Osservò
la pergamena intonsa con aria truce, mordicchiando la
sommità della
penna d'oca. Di fianco a lui, sullo scrittoio, c'erano le ultime
salsicce mantenute calde con un piccolo incantesimo. Ne prese
l'ennesima, scrutandola assorto.
Quella
mattina, al parco, non si sentiva così apatico. Non aveva
nemmeno
bisogno di sembrare in gamba e non gli era capitato di pensare a
nessuno di quelli che non c'erano più, o a cosa fare di se
stesso.
Era stato lì seduto a mangiare e rimbeccare Malfoy senza
preoccuparsi di qualche cosa e si era ritrovato più a
proprio agio
di quanto gli succedesse la maggior parte del tempo.
Non
gli era necessario sembrare qualcuno, in presenza di Draco Malfoy.
Lui non pensava che Harry Potter fosse straordinario, non si
attendeva che dicesse o facesse qualche cosa di eclatante o che
sprizzasse sicurezza ed eroismo da ogni poro, perché non
aveva una
grande opinione di lui. Non gli interessava molto che avesse
combattuto la guerra perché, probabilmente, proprio come
Harry
avrebbe preferito dimenticarsela.
Certo,
Malfoy almeno si stava dando da fare per rimettersi a posto la vita.
Si stava occupando di vendere il Manor e ridare una collocazione
normale alla propria esistenza, mentre lui non era stato capace
nemmeno di levare gli ultimi ritratti dei Black e il resto del
ciarpame in esubero da casa propria.
Si
guardò intorno, ispirato: poteva farlo adesso, in
realtà. Poteva
iniziare a liberare spazio, e magari nelle vacanze di Natale avrebbe
chiesto a Ginny di accompagnarlo a scegliere mobili nuovi al posto di
quelli che non gli andavano a genio. Lei ne sarebbe stata felice, si
sarebbe sentita più vicina, e avrebbe fatto bene a entrambi.
Ma
quella risoluzione non passò mai alle vie di fatto. Harry
rimase
seduto per un po' meditando su cosa volesse buttar via e cosa
chiudere in soffitta, sempre più vago e smontato, e alla
fine smise
semplicemente di pensarci. Non scrisse alla ragazza la lettera che
aveva deciso di mandarle, ma abbandonò anche quella sullo
scrittoio.
Non andò ai Tiri Vispi a trovare Ron, come finì
per vagheggiare in
un secondo momento, perché probabilmente avrebbe incontrato
gente
che voleva parlargli o fotografarlo, e alla fine rimase a ciondolare
per casa, aprendo libri che non leggeva e preparando un tè
che non
bevve, finché all'ora di cena Hermione non si
presentò al camino.
“ Ciao!”
la salutò con entusiasmo, sollevato dell'essere strappato al
suo
ozio supino. “Che novità?”
“ Niente
di che,” affermò Hermione solerte.
“Nulla di particolare su
Malfoy, come supponevo la sua situazione economica sembra essere
tuttora più che solida. Non mi sono ancora concentrata molto
su quel
Sauer, ma sembra pulito. Ha un'impresa molto fiorente nella cui
gestione è coinvolto anche il figlio, e non ha mai avuto
nessun tipo
di problema giudiziario.”
Harry
annuì, alleggerito da un ulteriore peso.
“ Però,”
continuò Hermione, “ha fatto parecchi affari con
svariati
esponenti della nostra classe alta. Non solo con Malfoy padre, ma
anche con qualche altro personaggio.”
Harry
corrugò la fronte, cauto.
“ Per
esempio?”
Hermione
emise un espiro profondo.
“ Qui
vedo Nott, Macnair... E nei tardi anni ottanta, all'inizio della sua
carriera, ha avuto parecchi scambi economici con la famiglia
Lestrange.”
“ Lestrange?”
ripeté Harry sul chi vive. Dentro al suo stomaco si
annodò
qualcosa, e si sentì di nuovo piuttosto svuotato.
“ Malfoy
non te ne ha parlato?” lo interrogò Hermione,
moderata.
Harry
scosse la testa.
“ No.
Te l'ho detto, mi ha raccontato solo che è un ricco conte e
che
vende provette.”
Hermione
piegò appena la testa di lato, col cipiglio grave che le
prendeva
sempre quando rifletteva intensamente.
“ Può
darsi che non ne sia nemmeno al corrente,”
ipotizzò, incerta.
“Dopotutto si tratta di una cerchia abbastanza ristretta di
famiglie che si scambiano capitali da qualche secolo, anche
attraverso le frontiere. Sai come funziona la società
magica, no?”
concluse, appena un po' contrariata. Sulle ultime sillabe la sua voce
suonò pericolosamente simile a quella della McGonagall.
Harry
annuì, senza più ombra d'entusiasmo.
“ Sì,”
disse, la voce sorda.
Hermione
aggrottò la fronte, scorgendo la sua espressione delusa.
“ Comunque
commercia anche con un sacco di gente normalissima. Da quanto mi
risulta, non ha mai dato mostra di posizioni particolarmente
reazionarie, sebbene non debba essere esattamente un fan accanito dei
mezzosangue,” aggiunse, decisa. “Ma
cercherò di saperne di più
entro domattina, d'accordo?”
Harry
incassò la testa nelle spalle.
“ Non
stare a perderci il sonno, Hermione.”
Lei
si accigliò di nuovo.
“ Credevo
fosse importante,” asserì brusca.
“Voglio dire, è la prima
volta da settimane che ti vedo riflettere davvero su qualcosa di
concreto. In realtà, se vuoi la mia opinione, “
aggiunse di getto,
come se avesse avuto qualcosa in bocca che voleva sputar fuori
perché
bruciava, “penso che dovresti comunque accettare.”
Harry
sgranò gli occhi, stupito.
“ Perché?”
chiese spaesato.
“ Perché
ne hai voglia, Harry,” rispose lei seriamente. “E'
la prima cosa
che hai voglia di fare dallo scorso maggio.”
Harry
rimase in silenzio senza poter rispondere, mentre realizzava che le
parole della sua amica, come sempre, erano esatte. Lui voleva fare da
garante a Malfoy, in realtà. Non ne aveva ben chiaro il
motivo, era
solo una cosa che stava lì, che punzecchiava e rimaneva
sempre al
limite della sua coscienza.
“ E
non ti sembra strano che tra tutte le cose che potrei voler fare, sia
proprio aiutare Draco Malfoy?” mormorò assorto.
Hermione
non sembrò particolarmente toccata dalla domanda.
“ E'
un tuo modo per pareggiare i conti, immagino. Se non fosse per lui,
prima, e per sua madre poi, probabilmente non saresti nemmeno vivo.
E... ”
“ E
la sua bacchetta,” le ricordò Harry. Anche senza
quella sarebbe
morto di sicuro e la guerra sarebbe finita molto diversamente, non se
n'era certo dimenticato. Aveva riparato la propria, ma conservava
quella di Malfoy a Grimmauld Place, nel cassetto del comodino.
“ Sì,
beh, non è come se te l'avesse offerta
spontaneamente,” gli fece
notare l'amica, schietta.
Harry
diniegò.
“ No.
Ma lo stesso...”
“ Senti,
Harry. Io ora cercherò di informarmi meglio, ma non
c'è altro che
possa fare per te. Non posso decidere al posto tuo,” lo
interruppe
Hermione.
Riusciva
spesso a togliergli la capacità di ribattere. Lo lasciava
senza
parole, con un palmo di naso. Emise un mezzo sospiro e
aggrottò la
fronte.
“ Sai,
non mi ricordo nemmeno... Non mi ricordo nemmeno bene il suo
processo. E quelli di Lucius e Narcissa.”
“ Tu
hai parlato a quei processi, Harry,” esclamò
Hermione perplessa.
“ Sì.
Ma non stavo... Non ero veramente lì. Con la
testa,” borbottò
lui, schiacciandosi istintivamente i capelli sulla fronte, un gesto
che ormai gli era diventato automatico quand'era nervoso o
imbarazzato.
Lei
corrugò le labbra di lato, prima di scuotere la testa.
“ I
loro atti processuali sono accessibili a qualunque cittadino, qui al
Ministero,” gli fece notare, spiccia. Esitò per un
istante, prima
di scrollare i ricci arruffati. “Te ne mando una copia via
gufo, va
bene?”
Harry
sorrise grato.
“ Sei
un mito, Hermione.”
“ Ma
per carità...” borbottò lei, arrossendo
visibilmente.
Era
mezzogiorno e mezzo. La pergamena bianca per Ginny stava sul suo
scrittoio dal giorno prima e, visto che non ci aveva scritto nemmeno
una parola, Harry la riciclò per Malfoy. Nelle sue
intenzioni doveva
trattarsi di un biglietto semplice e conciso, in cui gli spiegava che
le informazioni di cui era venuto a conoscenza lo avevano un po'
impensierito ma che complessivamente rimaneva favorevole
all'accettare la sua richiesta. Si rimise a scrivere con foga,
nervosamente, e quel che Draco Malfoy ricevette, alla fine,
somigliava a questo.
Malfoy,
Ho
finito le salsicce all'ora di cena, insisto
sul
fatto che erano davvero ottime. Invece
ho
scoperto che il tuo amico Sauer ha fatto
affari
con un bel po' di gente da cui sarebbe
stato
meglio tenersi lontani, tipo i Lestrange.
Avrei
preferito che lo dicessi tu dal momento
che
mi stai chiedendo aiuto e ci sono rimasto
un
po' così. A quanto pare è in buoni rapporti
economici
con tutta la combriccola, e ora mi
chiedo
perché mai voglia proprio casa tua.
Immagino
che tu ora mi dirai che non sapevi
niente
di tutto questo, ovviamente. Per me
andrebbe
anche bene farti questo favore e
firmare
i tuoi documenti, ma tu dimmi un po'
come
faccio a fidarmi esapere che non finisco
in
un casino. I giornali non aspettano altro,
e
non è che l'idea di farmi incriminare per
qualche losco
imbroglio mi sorrida più di
tanto.
Pensavo che le cose fossero cambiate.
Vedo
che, invece, sono sempre uguali.
Narcissa
Malfoy stava salendo in camera con lo scialle stretto sulle spalle
fini, un po' stordita dall'emicrania feroce che l'aveva afflitta sin
da quando s'era alzata dal letto. Si fermò d'improvviso, a
metà del
corridoio, nell'udire un tonfo sordo provenire dalla camera da letto
del figlio.
Draco
aveva passato quasi tutte le giornate a Londra, nelle ultime due
settimane. Dopo mesi di isolamento quasi assoluto, quella
novità era
stata piacevole per l'affezionatissima madre. Sapeva che si stava
occupando della vendita del Manor e che si era recato alle
celebrazioni per i sei mesi dalla vittoria, ed era pur sempre meglio
che rimanere chiuso in camera a rimuginare, vegetando tra letto e
divano. Le era parso meno tetro, meno nervoso, e le sembrava che
anche la sua insonnia stesse migliorando.
Rimase
ferma per qualche istante, circospetta, ma quando sentì un
secondo
colpo sordo non poté fare a meno di dirigersi verso la sua
camera e
bussare piano.
“ Draco?”
lo chiamò, impensierita.
Suo
figlio non le rispose, ma lo sentì muoversi nella stanza con
passo
insolitamente pesante.
“ Sto
entrando,” lo avvertì, per permettergli di
fermarla nel caso in
cui non volesse vederla. Ma lui non disse nulla e Narcissa si
affacciò dalla porta, indagante.
Draco
stava raccogliendo quel che rimaneva di una tazza rotta, per terra, e
di fianco a lui c'era il calderone che, dal suo solito piano
d'appoggio, sembrava essere stato sbattuto sul pavimento. Sul suo
scrittoio c'era una lettera spiegazzata e un gufetto bianco dall'aria
vivace zampettava sul trespolo, sotto lo sguardo disgustato di
Alteus, il gufo reale di Draco.
“ E'
tutto a posto, Draco?” s'informò materna.
“ Sì,”
rispose il figlio, atono. Aveva le labbra serrate con rabbia, pallide
tra i denti, e i suoi movimenti erano bruschi e rabbiosi. Narcissa lo
guardò mentre raccoglieva da terra frammenti di ceramica con
gesti
tanto nervosi che, prima che lei avesse tempo di avvisarlo, si
tagliò
un dito con un coccio.
Draco
emise un ringhio, affettandosi a lasciar tutto e sollevare la mano,
che strinse con l'altra per fermare il sangue. Si raddrizzò
mormorando sottovoce qualcosa di ben poco piacevole, suppose lei
mentre avanzava nella camera ed estraeva la bacchetta, per far
sparire la tazza rotta da terra e far volteggiare il calderone fino a
tornare alla sua originaria collocazione.
“ E'
profondo?” s'informò attraverso la porta del bagno
di Draco,
cercando di sovrastare lo scroscio dell'acqua corrente.
“ No,
non è niente,” rispose lui, con tono decisamente
alterato
nonostante il suo sforzo di dominarsi. Cercava sempre di usare una
voce calma e controllata con lei, per rassicurarla, ma Narcissa
sapeva capire dalla prima sillaba quando c'era qualcosa che non
andava. Non glielo avrebbe mai detto però, perché
quella premura
nei suoi confronti la allietava come poche cose.
Attese
con calma che il ragazzo uscisse dal bagno, rimanendo graziosamente
ferma in mezzo alla sua stanza. Il suo sguardo si posò sulla
lettera
che doveva aver appena ricevuto, ma naturalmente non si sarebbe
permessa di leggerla se non in situazioni estremamente gravi.
Osservò
invece il gufo bianco, sicura di non averlo mai visto prima.
“ Era
solo un graffio,” annunciò Draco ritornando sui
suoi passi, col
dito sommariamente medicato.
“ Cattive
notizie, caro?” si azzardò a domandare Narcissa,
sapendo benissimo
che lui non le avrebbe risposto.
“ No,
ordinaria amministrazione,” replicò infatti Draco,
tagliando
corto.
Il
legame tra lei e suo figlio era incomprensibile e misterioso, ma
solido. Draco non le raccontava mai le sue angustie, né lei
si
sarebbe sognata di esternare a lui le proprie, ma l'empatia tra le
loro persone era viscerale. Il conflitto, se tale lo si poteva
definire, era sempre stato più marcato tra padre e figlio.
Perciò,
Narcissa non insistette.
“ Meglio
così. Se hai bisogno di me sarò in camera
mia,” si congedò, con
voce morbida.
“ Certo,”
confermò Draco, tutto preso dai propri pensieri.
Non
la guardò quasi uscire, immerso nelle proprie meditazioni.
Soltanto
quando lei si fu chiusa la pota alle spalle, salutata da un sorriso
tirato, lasciò cadere la sua aria relativamente calma e si
accigliò
nuovamente, tornando allo scrittoio e riprendendo in mano la lettera.
Potter
era un imbecille, come dimostrava del resto il fatto che non fosse in
grado nemmeno di firmare una missiva. Nel suo sproloquio delirante,
dalle altisonanti e melodrammatiche conclusioni, stava un bel
rifiuto, oltre che un sospetto di attività criminali. Il suo
primo,
sciocco riflesso fu pensare se mio padre fosse qui...
E
poi abbassò lo sguardo, amareggiato.
Sì,
se Lucius fosse stato lì avrebbe messi in riga tutti quanti,
dal
primo all'ultimo. Avrebbe sistemato quel branco di diffamatori che
fino a pochi mesi prima erano servili leccapiedi, e li avrebbe
rimessi al posto. Avrebbe sistemato le mezze cartucce del Ministero,
facendogli capire chiaramente cosa pensava di perquisizioni e
vigilanza serrata. Avrebbe trovato il modo di farla pagare anche a
Potter, già che c'era, e se mai si fosse trovato a dover
vendere il
Manor di sicuro l'avrebbe spuntata ad un prezzo migliore, e senza
nessun bisogno di alcun tipo di garanzia che non fosse già
insita
nel suo cognome.
Ma
lui non era Lucius. Era Draco, e per la maggior parte della sua vita
quel che aveva fatto, appunto, era stato aspettare che suo padre
intervenisse e sistemasse le cose. Quando ci aveva provato da solo
era finita malissimo. Dumbledore, e poi il resto.
Adesso
Lucius non poteva più sistemare proprio niente. Toccava
farlo a lui,
meglio che poteva. Perciò prese un respiro profondo, strinse
con
caparbietà gli occhi, che bruciacchiavano, e si rimise allo
scrittoio.
Potter,
Posso
immaginare che Sauer abbia fatto affari
con
un sacco di gente. Come ti ho detto, è un
titano
nel suo campo.
Per
quanto mi riguarda gli sto solo vendendo
una
proprietà. Non sapevo di dover raccogliere
informazioni
sulla sua vita privata.
Quanto
al resto, pensala come vuoi.
D.
Si
soffermò a rileggere quelle poche righe, sperando che il
loro tono
sbrigativo e superiore avesse ragione della leggendaria
ottusità di
Harry Potter, quindi le affidò al piccolo sgorbio bianco
perché le
consegnasse al suo sgorbio di padrone.
C'era
scritto che il primo era stato Draco, perché era un
ragazzino. C'era
scritto che prima avevano testimoniato alcune sue vittime, o presunte
tali, e che quasi tutte avevano testimoniato contro di lui. Soltanto
qualche ragazzetto aveva ammesso che in qualche occasione, quando era
sicuro di non poter essere visto, Draco Malfoy aveva evitato un paio
di punizioni e anatemi a qualcuno, ma era difficile capire chi
parlasse per pura onestà e chi per risentimento, per odio
nei
confronti di ciò che Draco e il suo cognome rappresentavano,
o chi
invece lo facesse per rispetto di quelle stesse cose. C'era scritto
che Harry Potter si era presentato come testimone straordinario e
aveva affermato di essere stato aiutato da Draco Malfoy in due
occasioni: quando aveva finto di non riconoscerlo, al Manor durante
le vacanze di Pasqua, e successivamente lasciandogli la sua bacchetta
magica poiché Harry ne era sprovvisto.
Per
qualche istante, rimase sbigottito nel leggere quelle parole. Gli
atti le riportavano proprio così: “lasciandogli la
sua bacchetta”.
Ma Harry l'aveva presa per conto proprio, la bacchetta di Malfoy, e
non ricordava assolutamente di aver mentito al processo.
C'era
scritto che poi era stato il turno di Narcissa, ed Harry Potter, tra
i tanti detrattori, aveva di nuovo testimoniato a suo favore,
sostenendo che gli aveva salvato la vita nel dire a Voldemort che lui
era morto, quando invece sapeva che non era vero perché si
erano
parlati. Narcissa Malfoy gli aveva chiesto se Draco fosse vivo e lui
aveva risposto affermativamente.
C'era
scritto che invece proprio nessuno aveva testimoniato in favore di
Lucius.
Il
suo sguardo tornò al paragrafo su Malfoy, rileggendolo, e
poi saltò
in avanti di pagine e pagine, alla ricerca delle righe che riferivano
dell'emissione delle sentenze.
Per
Draco Malfoy, scoprì, era stato stabilito che
l'entità delle sue
colpe, unita alla sua giovane età e al fatto che si fosse
ravveduto,
appoggiando Harry Potter, non giustificavano un'eventuale reclusione
nel carcere di Azkaban. Tuttavia sarebbe stato necessario, per il
bene della comunità, privare il suddetto Draco Malfoy
dell'uso di
bacchetta magica e surrogati, oltre che di una sorveglianza della sua
persona costante. Una volta alla settimana doveva recarsi al
Ministero di Londra per un rapporto e una firma di presenza, e la sua
abitazione privata era passibile di reiterate e improvvise
perquisizioni. Inoltre non aveva diritto di partecipare a concorsi
pubblici, di effettuare atti notarili e scambi economici importanti
senza una garanzia esterna, di lasciare il territorio britannico, di
assumere cariche pubbliche e una quantità di altre cose
elencate a
seguito. I provvedimenti avrebbero avuto un valore di anni tre.
L'imputato era prosciolto fino a prova contraria.
Gli
venne in mente in quel momento, come se fosse appena esploso qualcosa
nella sua testa.
“ L'imputato
è prosciolto fino a prova contraria.”
Aveva
visto la sua faccia diventare ancor più bianca del normale e
le sue
ginocchia cedere. Era stato un Auror a tenerlo in piedi,
perché
Draco era sembrato proprio incapace di restare dritto. Gli si erano
riempiti gli occhi di lacrime di sollievo, l'aveva visto anche da
lì,
e lo Slytherin si era guardato intorno confuso, tremante. Aveva da
poco compiuto diciotto anni, in una cella.
Si
ricordava anche della sentenza di assoluzione di Narcissa, di come si
fosse quasi avventata sul figlio, con urgenza, e di come in quel caso
fosse stato lui a sorreggerla, distaccato, trasognato. Harry si
ricordava, adesso, di quanto spasmodicamente l'avesse osservato,
cercando chissà cosa. Ma Draco continuava a fissare il banco
degli
imputati.
Ricordava
benissimo la sentenza di Lucius, anche. Il giudice che annunciava la
reclusione a vita ad Azkaban. Narcissa aveva emesso uno strillo acuto
che contrastava con tutta l'eleganza e la signorilità
mostrate fino
ad allora, ma era stato Draco, era stato lui a scagliarsi avanti,
bloccato dalla presa di un altro Auror. Aveva teso il braccio verso
il genitore ed Harry aveva visto, più che ascoltare, il
movimento
delle sue labbra che articolavano ripetutamente una sola parola:
papà. Papà. Papà.
Non
gliel'avevano lasciato avvicinare. L'avevano tenuto fermo e lui
allungava il braccio, ed era scoppiato in singhiozzi violenti.
Harry
se lo ricordava molto bene, adesso, perché gli
tornò in mente che a
quel punto aveva avuto bisogno di alzarsi e uscire, per prendere una
boccata d'aria perché troppo turbato: non tanto per la
visione del
suo vecchio avversario così evidentemente schiacciato dal
dolore, ma
per qualcos'altro. Per quello che respirava da questo lato del banco
degli imputati, e non da quell'altro.
Soddisfazione.
La platea, compiaciuta, osservava i colpevoli espiare le loro colpe,
anche se in quel momento specifico “i colpevoli”
era un ragazzino
di diciotto anni che stava perdendo per sempre il proprio padre.
Se
lo ricordava perfettamente, e adesso ricordava perfettamente anche il
momento in cui aveva testimoniato. Era stato per la stessa ragione
per cui era uscito più tardi dopo la sentenza che,
volutamente,
aveva pronunciato quella frase falsa. Draco Malfoy non si era mai
sognato di lasciargli la sua bacchetta magica, ma lui l'aveva
sostenuto lo stesso, sotto giuramento, perché si sentiva
soffocare
dall'atmosfera che sentiva intorno, dall'aria gelida che proveniva da
tutte le parti, dagli osservatori, dalla giuria, ovunque. Era un'aria
di linciaggio, e lui aveva pensato che, semplicemente, per quanto
fosse uno stronzo e un mezzo psicopatico, Draco Malfoy il linciaggio
non lo meritava. Nessun tribunale in tempo di pace avrebbe condannato
uno studente ad Azkaban, e il
Wizengamot di Dumbledore
non avrebbe mai emesso una sentenza simile. Era il suo cognome a
condannarlo, ma Harry non aveva fatto tutta quella fatica, guardando
morire tutta quella gente, perché poi alla fine non
cambiasse niente
e si continuasse a basare il mondo sui nomi e sul sangue.
Perciò,
dopo aver giurato, aveva mentito. Aveva guardato con i polmoni
serrati le facce intorno, affamate di giustizia sommaria, e aveva
mentito tranquillamente.
Semplicemente
perché non era per quello che James
Potter, Lily Evans,
Sirius Black, Remus Lupin, Fred Weasley, Nimphadora Tonks e tutti gli
altri erano morti.
Inspirò
profondamente, con un tremito, ritornando a sfogliare indietro le
pagine. C'era scritto che Draco non poteva usare la bacchetta per tre
anni. Erano tanti, tre anni, per un mago fresco di diploma. Bastavano
a dimenticare quasi tutto quel che si era imparato.
Perché
sì, ne era quasi certo, il nome di Draco era con gli altri
nella
lista di quelli cui veniva fornita la possibilità di
ottenere i MAGO
senza ripetere l'anno. Non poteva giurarlo, dal momento che in quel
periodo era a malapena cosciente di essere Harry Potter,
assolutamente non del resto del mondo intorno, ma così gli
pareva.
Le
sue elucubrazioni vennero interrotte dalla comparsa di Tolomeo, che
sbatacchiava contro la finestra le ali candide. Harry gli sorrise
automaticamente, si alzò dalla sedia ed andò ad
aprirgli, leggendo
con urgenza il biglietto di Malfoy.
Quando
l'ebbe fatto, con una distratta carezza al piumaggio del gufo, si
tornò a sedere e rispose.
Va
bene.
Allora
facciamo che mi fai avere la
documentazione
al più presto, così
posso
leggere tutto con calma prima
di
firmare. Ma ho una condizione. Voglio che
la faccenda rimanga tra noi due e che
la mia partecipazione non diventi di
dominio pubblico.
Harry
Non
voleva far partire di nuovo Tolomeo, che aveva già fatto un
bel giro
quella notte, perciò chiuse la busta e si ripromise di
spedirla
l'indomani mattina. Il gufo, però, non sembrava minimamente
intenzionato a riposare – e d'altra parte era notte fonda
– e
quando Harry lo vide svolazzare verso il davanzale, realizzando che
desiderava uscire, non poté che complimentarsi mentalmente
con Ginny
per l'ottima scelta e rifilargli la nuova lettera. Vedendo che il
rapace non reagiva male ma anzi sembrava ben felice di poter fare un
altro volo, lo lasciò partire.
Ormai
tranquillizzato, presa infine la decisione, si tuffò di
nuovo nella
rilettura degli atti processuali dei Malfoy; nel giro di tre minuti
la sua testa era precipitata in avanti, ed Harry Potter si
addormentò
scompostamente, mezzo stravaccato sullo scrittoio. Erano le quattro e
mezza del mattino.
Quando
un bussare persistente alla porta d'ingresso lo riscosse, Harry
sussultò e rischiò di cadere dalla sedia
tirandosi dietro fogli e
boccetta d'inchiostro. L'orologio a pendolo segnava le sette e venti
del mattino e lui si stropicciò gli occhi con un sospiro,
domandandosi perché mai Hermione dovesse presentarsi a casa
sua il
sabato a un orario così indecente. Perché doveva
trattarsi per
forza di lei, dal momento che tutte le altre - pochissime –
persone
a cui era consentito raggiungere casa sua, cioè quelle che
lui aveva
istruito in merito, di sicuro stavano dormendo. Non ce lo vedeva,
Ron, ad alzarsi alle sette il sabato per fare colazione con lui.
Sbuffando
sonoramente, si tirò sulle gambe a stento a
barcollò giù per le
scale, abbandonandosi a peso morto oltre ogni gradino. Ci fu un nuovo
bussare, poi uno scampanellio.
“ Arrivo,
'Mioneeee!” biascicò spazientito, prima di
appendersi alla porta
con un afflato d'insofferenza e spalancarla stancamente. “Hai
idea
di che ore so...?”
La
sua sentita protesta s'interruppe lì, mentre i suoi occhi si
sgranavano.
“ Tu
sei schizofrenico, Potter,” affermò Draco Malfoy,
sventolandogli
in faccia la lettera di quella notte.
Harry
aprì la bocca, la richiuse, starnutì e si
grattò la zazzera
scompigliata, sotto lo sguardo un po' schifato dello Slytherin che,
impettito e sdegnoso, rimaneva impalato davanti a lui.
“ Cosa...
ci fai qui, Malfoy? Nessuno può arrivare a questa casa se
non lo
decido io,” domandò con voce roca, scrutandolo
sospettoso.
“ Non
ci sono più le protezioni dell'Order su
quest'edificio,” sentenziò
Draco, indifferente.
“ E
quindi?” borbottò Harry. “Ce ne sono
altre.”
“ E
quindi credo che una manciata di decenni prima che tu portassi il tuo
sedere Gryffindor in questa casa, qualcun altro abbia deciso che
qualunque membro della famiglia Black può arrivare qui anche
senza
il tuo signor permesso.”
Harry
rimase ancora per qualche secondo con la bocca semiaperta, come
indeciso, quindi la richiuse e la storse leggermente. Giusto, Draco
era il figlio di Narcissa Black Malfoy. Geneticamente era un Black.
“ Mh,”
biascicò. “Beh, non mi piace.”
“ Me
ne farò una ragione, Potter.”
Harry
sbuffò di nuovo, sbadigliò ampiamente e si
appoggiò allo stipite
della porta.
“ Cosa
ci fai qui, comunque? Sono le sette e mezza del mattino. Non
è
questa l'ora di presentarsi a casa della gente.”
“ Non
venire a insegnare l'educazione a me, signor Harry
Sono-cresciuto-nel-sottoscala Potter,” ribatté
Draco, che non
sembrava per niente di buonumore. “A parte il fatto che hai
un
disturbo della personalità, visto che un attimo mandi
lettere
deliranti di recriminazioni e il momento dopo ti va tutto bene, ti
avevo detto di necessitare una risposta entro venerdì,
cioè entro
ieri. E ieri non è stamattina. Se tu non fossi
così Gryffindor e
pressapochista...”
“ Malfoy,
non ti sto ascoltando,” confessò candidamente
Harry, interrompendo
il suo monologo concitato. “Mi sono appena svegliato.
Vuoi...”
Esitò per un paio di secondi, gettando lo sguardo alle
proprie
spalle. “Vuoi entrare a fare colazione?” si decise
a proporre
infine.
Draco
lo guardò con estrema condiscendenza.
“ Ti
ho portato una copia del contratto con tutte le clausole, insieme a
tutti i documenti che ti concernono. Hai tre ore per leggerli, se no
mi va a monte la vendita.”
Harry
spalancò gli occhi, esterrefatto da tanta faccia tosta. Gli
stava
facendo un favore, e quello pretendeva di schiavizzarlo.
“ Ma
io sto ancora praticamente dormendo,” osservò,
prima di
accigliarsi lievemente. “Malfoy, per chi ti sei
preso?”
“ Guarda
che hai fatto tutto tu, Potter,” lo liquidò
l'altro. “Sicuro di
aver tempo per fare chiacchiere e colazione?” aggiunse,
mellifluo.
Harry
gli lanciò un'occhiata non scevra di un certo livore, alla
quale
Draco reagì irrigidendosi impercettibilmente. Poi il
Gryffindor gli
tese il braccio, seccato.
“ Vedere,”
brontolò.
Al
solo soppesare il plico, Harry realizzò che l'impresa era
impossibile.
“ Negativo,
Malfoy,” affermò. “Non ce la
farò mai a leggere e capire tutto
in tre ore.”
“ Immagino
che capire sia il problema maggiore,” commentò
Draco, tagliente.
“ Guarda
che c'è una soluzione,” gli fece notare Harry,
dando una scorsa
alla prima pagina.
“ C'era,
vuoi dire. Purtroppo l'Oscuro è morto senza riuscire a
risolvere il
problema,” aggiunse Draco, asciutto.
Harry
gli scoccò un'occhiataccia.
“ D'accordo,
senti, se questo è il tuo modo di collaborare mentre io ti
sto
facendo un favore credo che...” sbottò,
spazientito.
“ Quale
soluzione, Potter?” domandò Draco, con l'aria di
fargli una gran
concessione.
Harry
assaporò quel piccolo personale trionfo, prima di stringersi
brevemente nelle spalle.
“ Mentre
io sfoglio i documenti tu mi fai un riassunto sommario e spieghi i
punti salienti,” propose, pratico.
Malfoy
serrò appena la mascella con gli occhi che si sgranavano,
diede uno
sguardo al cielo e concluse con un sospiro rassegnato.
“ Sei
riuscito a togliermi la capacità di replica,
Potter,” gemette
sconfitto.
Harry
sorrise, trionfale.
“ Te
l'avevo detto che serviva, la colazione,” ribatté,
spalancando la
porta per permettergli di entrare in casa.
Draco
scosse un'ultima volta la testa e, con il suo più riuscito
sguardo
di spregio, oltrepassò il suo ospite per entrare al dodici
di
Grimmauld Place.
___________________________________________
*(Mi
sono dimenticata di allegarla alla scorso capito)
NOTA
Il
Serpentine è il lago artificiale che
collega i Kensington
Gardens e Hyde Park. Ha una forma allungata e abbastanza sottile,
curva, come il corpo di un rettile. Verso l'estremità nord
del lago,
di fronte alla riva, è collocata la statua di Peter Pan in
questione.
|
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Capitolo 3 *** III. Colazione da Purebloods ***
III:
Colazione da purebloods
“Ricapitoliamo.”
A
quell'affermazione di Harry, Draco emise un sordo brontolio.
“Cosa?
Cosa
vuoi ricapitolare, ancora?”
Harry
si grattò la guancia.
“Non
sono sicuro di aver capito esattamente questa parte qui sulla
rateizzazione,” affermò incerto.
“Potter,
siamo al paragrafo tre. Ne restano altri sedici,”
ringhiò Draco.
“Sì,
beh, e io non ho capito. Se non capisco non firmo,”
insistette il
Gryffindor, caparbio. “E poi sei vago. Secondo me nemmeno tu
sei
poi così esperto in queste cose,” aggiunse bizzoso.
“Perché,
ti sembro un dannato agente immobiliare?” lo
rimbrottò Draco,
stizzito. Emise un sospiro stremato, ingollando l'ennesima sorsata di
caffè.
Harry
si chiese distrattamente se, dato che non sembrava abituato a berne,
non si sarebbe trovato da un momento all'altro con un Malfoy in pieno
attacco di nervi nel suo salotto, con la prozia Walburga al piano di
sotto che urlava per simpatia.
“Come
ti pare,” bofonchiò.
Draco
sbatté la tazza sul tavolo.
“Come
pare a me è che firmi questa roba e tante grazie.”
“Se
tu avessi passato buona parte della tua vita a cercare di non farti
ammazzare da mezzo pianeta, faresti più attenzione a quello
che
firmi,” ribatté Harry sostenuto.
“Potter,
ma se non guardi nemmeno dove metti i piedi!”
“Non
è affatto...” protestò Harry stizzito e
nella foga urtò col
gomito la teiera, che si ribaltò sul tavolo rovesciando il
proprio
contenuto sul pavimento.
Seguì
qualche istante di ragionevole silenzio.
“Dicevi,
Potter?”
“...Spero
che la Piovra ti divori, Malfoy,”borbottò Harry,
estraendo la
bacchetta per rimediare a quel pasticcio.
“Se
io devo garantire che questa casa è effettivamente tua, cosa
ne so?
Magari l'hai già venduta a altre sei persone,”
osservò Harry,
imbronciato.
Draco
lo guardò storto.
“Ma
ti pare, Potter?” sospirò. “Comunque
è per questo che ti ho
portato tutti questi altri documenti,” aggiunse, sfogliando
rapidamente il plico. “Ecco, questo è l'atto di
proprietà, emesso
tre settimane fa. Vedi?”
Harry
sporse la testa, scorrendo attentamente il documento.
“Sì.”
“E'
ancora a nome di mio padre, ma abbiamo aggiunto una corrige, qui, la
postilla, che afferma che io assumo funzione vicariale nei suoi
confronti,” continuò lo Slytherin, indicandogli
rapidamente le
righe in questione.
“Vicariale,”
ripeté Harry, atono.
“Vuol
dire che faccio le veci,” illustrò Draco, irritato.
“Avevo
capito, eh. Passami una fetta di pane.”
“Prenditela
da solo, Potter.”
Harry
smozzicò una protesta, allungò il braccio al di
là di Draco,
ficcandogli il gomito praticamente in gola, e si servì di
pane
imburrato.
“E
se questo documento fosse falso?”
“Non
lo è, questo sigillo è magico, ti basta fare un
incantesimo di
svelamento per verificarlo,” replicò Draco senza
scomporsi.
“Va
beh,” soprassedette Harry, passando oltre. “Andiamo
avanti.”
“Hai
capito così in fretta?” lo schernì
Draco con un mezzo sogghigno.
“Imparo
rapidamente, Malfoy. Per questo faccio il mazzo ai
supercattivi.”
“Ti
è andata solo di culo, ti è andata.”
“Fai
dell'altro caffè, Kreacher.”
Draco
lo osservò di sottecchi.
“La
Granger non ti scoccia per come tratti l'Elfo?”
domandò ironico.
“Kreacher
non è nelle grazie di nessuno. Nemmeno di
Hermione,” rispose
Harry, laconico.
“Per
la storia di Black?” s'informò Draco a bruciapelo,
con noncuranza.
Harry
si schiarì la voce.
“Stavi
dicendo, di quell'atto di proprietà?”
affermò pratico, riportando
lo sguardo al foglio.
Draco
rilesse un paio di righe, la fronte aggrottata.
“Perché
rimani in questa casa?”
“Perché
me lo stai chiedendo? Vuoi vendere anche questa?” rispose
bruscamente Harry, alzando lievemente la voce.
Draco
gli lanciò un'occhiata ostile.
“Stavo
dicendo che la proprietà è ancora a nome di mio
padre, ma io sono
stato aggiunto in funzione vicariale,” continuò
freddamente, con
una mezza smorfia sprezzante.
“Perché
è l'unica che ho,” esclamò Harry a
mezza voce. “Ed è l'unica
cosa che ho di tutti loro, questa casa.”
Draco
non aggiunse altro. Rimase in silenzio per qualche secondo e poi
riprese a parlare del contratto.
Di
quella mattinata al dodici di Grimmauld Place, negli anni, avrebbero
conservato entrambi un ricordo molto simile, immagini analoghe
riflesse a specchio, e qualcosa cominciò a cementarsi
proprio in
quell'occasione.
Harry
si sarebbe ricordato una manciata di secondi: Draco che, per qualche
ragione che poi avrebbe dimenticato, una frase, un battibecco dei
soliti – precisamente, relativo al colore della sua maglietta
–
piegava leggermente indietro la testa e scoppiava a ridere. Una
risata genuina, chioccia e discreta, scappata fuori dai suoi polmoni
con naturalezza e senza alcuna cattiveria. Tutto il suo viso pallido
s'illuminava e nel grigio dei suoi occhi si accendeva una luce
vivace, le sue labbra si schiudevano in un sorriso spontaneo che
ingentiliva i suoi tratti, la sua mano si sollevava e lo
colpiva in uno spinta quasi bonaria. Non l'aveva mai visto ridere
così di gusto, senza scherno o malevolenza, e
trovò quasi
stupefacente la trasformazione che quell'atto così comune
conferiva
alla sua persona, trasfigurandola.
Draco
avrebbe rammentato la faccia di Harry che, al suo commento
sull'infelicità dell'idea del CREPA, si strafogava col
caffè,
spruzzandolo nella tazza con un sussulto che diventava un feroce
accesso di tosse da asfissia e poi si trasformava gradatamente in una
trascinante risata. Il suo torace sobbalzava per il riso e gli occhi
verdi dietro gli occhiali si riempivano della vitalità che
aveva
sempre sospettato nascondessero – perché non era
possibile
sopravvivere a tutto quello cui era sopravvissuto Harry Potter, se
non essendo visceralmente attaccati alla vita –
trasformandolo in
un diciottenne bruno e scarmigliato straripante energia, che
strizzava le palpebre in un esubero d'ilarità e poi
scoppiava in un
nuovo scroscio di risa che riempiva tutta la stanza, contagiando
anche lui di allegria.
Due
frammenti in mezzo ad ore che, col tempo, sarebbero sparite dalla
loro memoria. Le ore, sì, ma non la sensazione, una cosa
sottopelle,
inconsapevole, che nessuno dei due avrebbe veramente percepito salvo
poi scoprirla in seguito col pensiero, tornando indietro a quel momento.
Lì
per lì, invece, continuarono a discutere, spiegare e darsi
noia
finché le tre ore divennero tre e mezza. Soltanto a quel
punto,
mentre la conversazione diventava uno scambio di battute sempre
più
lento e svogliato, quando il pendolo scoccò il mezzogiorno
Draco si
riscosse e diede un profondo sospiro.
“Abbi
pietà, Potter: ti ho spiegato tutto lo spiegabile.
Deciditi.”
Harry
lo imitò, stiracchiandosi.
“Va
bene. Firmiamo,” acconsentì di buon grado.
Draco
emise un sospiro di sollievo, raccattando metodicamente i fogli prima
di alzarsi in piedi.
“Ottimo.
Allora muoviamoci: abbiamo appuntamento con Sauer a mezzogiorno e
mezzo al Manor.”
“Abbiamo?”
ripeté Harry, perplesso.
“Sì.
Ci rimane giusto il tempo che tu ti renda presentabile. Non devi
indossare niente a righe verdi e arancioni,”
precisò, con
un'ultima occhiata disgustata alla sua vecchia maglietta da casa.
“Non
sapevo di dover venire anche io,” osservò Harry,
riluttante.
“Questo ti sei dimenticando di puntualizzarlo, mi
sa,” aggiunse
ironico.
Draco
sbuffò con noncuranza.
“Meglio,
no? Così potrai vederlo in faccia. Muoviti,
Potter.”
Harry
agitò una mano come a significare che gli stava bene, senza
aggiungere nulla, e zampettò in piedi con un mezzo
sbadiglio. Mentre
caracollava verso la porta, però, si bloccò di
scatto e sgranò gli
occhi. Sabato. Era sabato.
“Gli
spagnoli!” esclamò allarmato, prima di portarsi
una mano al viso
con urgenza.
“Che
stai farneticando, Potter?” domandò Draco,
scettico.
“Gli
spagnoli!” ripeté Harry con foga. “Oggi
arrivano quelli del
Ministero spagnolo! Kingsley mi aveva chiesto di essere presente,
aveva... Merlino!”
Draco
socchiuse gli occhi, prendendo un profondo respiro.
“Naturalmente.
L'eroe deve dare il benvenuto agli ospiti. E tu te n'eri
completamente dimenticato,” affermò perentorio,
senza che fosse
necessario dare alla frase un'intonazione interrogativa. “A
che
ora?”
“Alle
due. Che razza di...!” Harry si abbandonò contro
la parete,
avvilito. “Non ci voglio andare.”
Draco
si cacciò una mano in tasca, tamburellando il piede in terra
con
aria esasperata.
“Va
bene, Potter. Facciamo così: tu ora ti vesti da persona
civilizzata,
vieni a firmare e poi te ne vai direttamente a farti mettere in
mostra al Ministero. Ti lamenterai in un altro momento.”
Harry
cercò di guardarlo con tutto l'astio possibile. Draco non
sembrò
impressionato, forse perché la sua faccia era un po' troppo
divertita per sembrare convincente. Alla fine bofonchiò
un'ultima,
vaga lamentela e si diresse in camera, per cercare dei vestiti e poi
buttarsi in doccia.
“Aspettami
qua, ci metto un attimo,” suggerì prima di
dileguarsi.
Si
chiuse nella sua stanza, frugando nell'armadio e buttando tutto fuori
alla rinfusa. Stabilì che in una doppia occasione formale
come
quelle sarebbe stato bene un abbigliamento sobrio, semplice, magari
sui toni del nero o del grigio. Qualcosa di tradizionale da mago, ma
non troppo. Cincischiò per un po' col suo povero guardaroba
prima di
decidersi quasi a casaccio, poi si fiondò in bagno e si
gettò sotto
l'acqua.
Non
aveva idea che, mentre lui si preparava, Draco stesse passando il
tempo prima a gironzolare per il salotto, studiando per qualche
minuto l'arazzo della famiglia Black, che segnalava anche il suo
nome, per poi dedicare una blanda attenzione ad alcuni libri e
riviste che Harry aveva abbandonato in giro – per lo
più edizioni
degli ultimi mesi del Cavillo – e infine imbattersi nella
copia
degli atti del processo che Hermione gli aveva mandato soltanto la
sera prima. La sfogliò accigliato, senza davvero leggere se
non
soffermandosi, come aveva fatto Harry stesso, sul paragrafo che
riportava la testimonianza dell'eroe. I suoi occhi esitarono per
qualche istante su quelle particolari righe in cui Harry Potter
affermava che lui gli aveva lasciato la propria bacchetta magica.
Potter
era molte cose, per lo più spiacevoli, ma non un contaballe.
Magari
ne aveva raccontata qualcuna, certo, ma niente di grosso: non era una
cosa da lui, e i membri della sua Casa di solito di rivelavano
pessimi mentitori, quando si trattava di cose importanti; erano bravi
più che altro a inventarsi balle su delle sciocchezze. Ma
quella volta, in un'occasione in cui proprio
mentire era una cosa da non
farsi, Harry Potter se n'era uscito con una fregnaccia colossale,
immotivata. Draco stesso, nonostante in quel momento avesse ben altro
per la testa e il terrore in ogni atomo del corpo, si era reso conto
con incredulità che Harry stava mentendo per difenderlo. Non
aveva
capito perché, allora, e continuava a non capirlo adesso.
Era
un'incognita che non sarebbe forse riuscito a risolvere mai, ma che
sovente tornava a solleticargli l'intelletto, insieme a tante altre
che si riallacciavano alla sua complicatissima relazione con la
figura di Harry.
Quella
bacchetta, per la cronaca, non gli era mai stata restituita.
Dopo
aver osservato ancora per un po' la pagina incriminata, Draco rimise
il documento dove l'aveva trovato e continuò la sua
silenziosa
esplorazione, proprio mentre il getto della doccia veniva aperto: dal
salotto si avventurò in corridoio, affacciandosi dapprima in
un paio
di stanze spoglie e abbastanza impersonali per poi imboccare, in
terza battuta, la porta della stanza in cui dormiva il Gryffindor,
riconoscendola al primo sguardo.
Draco
era convinto che i capelli di
Potter dicessero un bel po' di cose della sua personalità, e
il
tutto si rifletteva anche sulla sua camera: sembrava che qualcuno
fosse entrato li dentro e si fosse divertito a lanciare tutto per
aria e far esplodere l'armadio a colpi di bacchetta. C'erano vestiti
e ciarpame ovunque, anche abbandonati sul pavimento, in un ammasso di
abiti, vettovaglie, libri, giornali, lettere, ninnoli infantili,
artefatti magici, boccini defunti, scarpe spaiate, tazze, posate, un
paio di dischi e un riconoscibilissimo raccoglitore di fotografie in
precario equilibrio sul bordo del comodino.
Draco
tese l'orecchio, sentendo che la doccia continuava a scrosciare, e
allungò la mano ad afferrare quell'ultimo oggetto.
Aprendolo, scoprì
che si trattava di una manciata di povere foto del matrimonio di
James Potter e Lily Evans, come dedusse dal fatto che l'uomo ritratto
somigliava in maniera devastante ad Harry. Riconobbe il testimone
dello sposo a naso, dal momento che il ragazzo bruno e avvenente che
compariva accanto agli sposi non assomigliava nemmeno vagamente a
quello sulle foto segnaletiche dell'evaso di Azkaban, e stava
già
per posare il raccoglitore quando, facendolo scorrere per
richiuderlo, intuì di sfuggita delle fotografie di altra
fattura
nelle pagine seguenti. Lo riaprì, incuriosito.
C'erano
delle altre foto, in effetti, e non c'entravano niente con il
matrimonio dei
Potter. Un paio, dall'aria piuttosto datata, ritraevano un gruppetto
di quattro ragazzi nel quadro della scuola di Hogwarts. Draco
riconobbe di nuovo un James Potter ragazzino, pressoché
identico
all'Harry dei suoi ricordi scolastici. Individuò con una
smorfia un
grassoccio Peter Pettygrew e indovinò di nuovo
l'identità del suo
procugino per pura evidenza cronologica. Il quarto gli prese qualche
secondo di riflessione, ma lo identificò nel vedere le
cicatrici al
lato della sua faccia: un professor Lupin adolescente. Un'altra foto
immortalava l'inaugurazione dei Tiri Vispi Weasley, e i gemelli
sghignazzavano in primo piano stringendosi violentemente la mano,
entusiasti. C'era una foto di Colin Canon che fotografava se stesso
nello specchio; trasalì nel trovarne una in cui, nell'angolo
del
quadro di un'immagine abbastanza insignificante delle cucine di
Hogwarts, faceva capolino il faccino di Dobby; poi un ritratto in
bianco e nero di Remus Lupin e sua cugina Nimphadora che teneva in
braccio un bimbetto piccolissimo – sua madre gli aveva detto,
se
non sbagliava, che si chiamava Ted. C'era una foto, anche quella
sicuramente opera di Canon, dei due campioni di Hogwarts al Torneo
Tremaghi, con Diggory che sorrideva franco verso l'obiettivo,
sventolando educatamente la mano; una con il vecchio Moody e qualche
altro membro dell'Order, una di Severus Snape che cazziava uno
studente Hufflepuff di cui in quel momento gli sfuggiva il nome e
c'era persino una fotografia, che strappò a Draco un respiro
sconnesso, di Gregory e Vincent nelle loro divise di Slytherin.
Dovette girare di scatto la pagina per non tremare, ma l'immagine
successiva lo raggelò.
Era
una panoramica della Sala Grande col cielo limpido e pulito,
inquadrava le estremità dei tavoli affollati di studenti e
nel
centro c'era quello dei professori, ma l'unica cosa che Draco vide
veramente fu il Preside Dumbledore in piedi davanti a tutti.
Quell'immagine a tradimento gli tolse il fiato. Il vecchio mago con
uno dei suoi soliti abiti di foggia arcaica, la lunga barba bianca,
gli occhi azzurrissimi, limpidi e bonari. Aveva un braccio alzato con
cui reggeva il calice in un brindisi festoso che, sebbene rivolto
alla sala, a Draco sembrò indirizzato proprio a lui. Dalle
sue
labbra socchiuse scappò fuori un gemito angoscioso.
“Malfoy?”
lo riscosse la voce stupita e contrariata di Harry, che lui non aveva
sentito uscire dal bagno.
Mentre
sollevava la testa di scatto non gli riusciva nemmeno di respirare.
Restò lì immobile, colto in flagrante, senza
arrivare per una
manciata di secondi a controllare la trazione innaturale dei muscoli
tesi del suo viso.
Harry,
la fronte aggrottata e lo sguardo decisamente furente, gli
strappò
di mano l'album con un gesto rabbioso, per posare l'occhio sulla foto
e poi rialzarlo su di lui con amarezza.
“Chi
ti ha dato il permesso di entrare qui?” esclamò
veemente, con una
smorfia che mostrava perfettamente la sua collera. Chiuse il
raccoglitore di scatto, portandosi via Dumbledore, Vincent e quegli
altri di cui non importava nulla.
Draco
si umettò le labbra e ricompose il proprio volto in
un'espressione
che sperava essere calma e padrona di sé.
“Mi
annoiavo e ho dato un'occhiata in giro,” affermò
con sussiego. “Mi
piacciono gli album di foto,” mentì deciso. Aveva
ancora una
brutta sensazione nello stomaco e gli era venuta improvvisamente
molta voglia di uscire e prendere una boccata d'aria.
Harry
non ribatté ma non cambiò nemmeno espressione,
segno che non se
l'era bevuta. Si limitò a ficcare i piedi nella scarpe con
espressione livida e tirata e a spingerlo non troppo garbatamente
fuori dalla porta della stanza.
“Andiamo,”
gracidò seccamente.
Sauer
sembrava corrispondere esattamente alla sommaria descrizione di Draco
e alle deduzioni di Hermione. Era un mago alto e magro sui
cinquant'anni, dall'aria elegante e signorile, che si muoveva con
gesti manierati e con una sicurezza che aveva qualcosa di arrogante,
come succede a chi è abituato ad essere – o a
considerarsi - un
filo al di sopra degli altri. Era inguainato in abiti di foggia
perfetta, dinnanzi ai quali Harry si domandò vagamente se il
suo
aspetto non lo rendesse simile a un senzatetto. Malfoy però
non
aveva criticato il suo abbigliamento – non che fosse stato in
posizione di criticare alcunché, dopo che l'aveva beccato a
ficcanasare in camera sua.
“Il
famoso Harry Potter,” stava esclamando Sauer con tono
pomposo,
marcato da un forte accento teutonico e da vocali secche e
raschianti, sorridendo nella sua direzione con un misto di rispetto e
condiscendenza. Probabilmente, pensò Harry, quella sfumatura
di
indulgenza superiore non lasciava del tutto la sua voce nemmeno
mentre parlava con Ministri e autorità mondiali.
Sorrise
meccanicamente, sperando di avere un'espressione abbastanza
rilassata, qualcosa tra la modestia affettata e la fierezza, ma
probabilmente stava sembrando soltanto quel che era, cioè a
disagio.
“In
persona,” confermò a mezza voce, tendendo la mano.
“E'
un vero piacere conoscerla, signor Potter. Ho sentito un gran parlare
di lei anche sul vecchio continente,” continuò
Sauer con fare
formale, stringendo la sua mano e guardandolo con l'aria –
Harry
non avrebbe potuto definirla altrimenti – di essere stato lui
a far
sì che diventasse un eroe. Quell'uomo emanava una tale boria
che si
dovette trattenere per non ritrarre il braccio anzitempo.
“Ma
davvero?” chiese schiarendosi la voce.
Gli
occhi grigi di Draco saettarono verso i suoi, ironici, e una specie
di impercettibile smorfia di scherno, e d'intesa, gli
ombreggiò le
labbra. Harry sollevò leggermente un sopracciglio in
risposta, come
per rimproverargli insinuazioni immaginarie sulla sua fame di
notorietà, e Draco alzò lo sguardo verso l'aria
con fare innocente.
“Ma
certamente. Il suo è un nome sulla bocca di tutti, signor
Potter.
Non mi aspettavo certo che il famigerato garante del signor Malfoy
fosse lei,” stava proseguendo Sauer, con quello che
più che
stupore sembrava scetticismo.
Harry
si strinse nelle spalle, appiattendosi i capelli sulla fronte.
“Io
e Draco ci conosciamo da parecchi anni,” affermò
vago.
Tecnicamente
era vero: ormai erano più di sette anni che si conoscevano;
che poi
si fossero costantemente odiati per tutto quel tempo era un problema
loro e certo non di Niklaus Sauer.
“Naturalmente,”
commentò Sauer, lasciando perfettamente intendere che quelle
parole
non l'avevano convinto.
“Il
signor Potter,” intervenne formalmente Draco, cavandolo
d'impiccio,
“ha già visionato tutti i documenti, insieme a me.
Se non ci sono
cambiamenti dell'ultimo minuto possiamo sbrigare l'affare, Conte,
così poi spero mi vorrà fare il piacere di
invitarla a pranzare in
un locale che sarà sicuramente di suo gusto.”
Harry
si limitò ad annuire, preferendo non intervenire oltre in
quella
serie di convenevoli.
“Mi
sembra un'ottima idea,” confermò Sauer.
“Signor Potter, sarà
delle partita?”
Harry
ci mise un attimo a capire che gli stava chiedendo se avrebbe
pranzato con loro. Quando la cosa gli fu chiara, sbatté gli
occhi e
scosse debolmente la testa.
“No,
mi spiace, io... Il Ministro spagnolo o qualcuno del suo ufficio, non
ho proprio capito, è in visita a Londra per qualche giorno e
il
signor Shaklebolt mi aspetta per accogliere gli ospiti,”
farfugliò
con leggero imbarazzo, scrollando le spalle a mo' di chiosa.
Sauer
sgranò leggermente gli occhi, vagamente compiaciuto.
“Capisco,”
commentò soltanto.
Harry
tirò un respiro profondo, prima di seguire gli interlocutori
a
sedere. Li lasciò discutere per conto loro sfoggiando la sua
miglior
espressione attenta, quella che aveva messo a punto in sei anni di
lezioni di Pozioni, per pensare intanto serenamente ai fatti propri.
Il
fatto che Malfoy avesse messo le mani sul suo piccolo santuario
personale lo aveva messo in imbarazzo. Le foto che aveva raccolto, di
cui solo una parte figuravano nell'album, erano il suo patrimonio
segreto. Nemmeno Hermione, Ron e Ginny sapevano che le aveva
collezionate – ricevute dalla famiglia Canon, per lo
più.
Non che ci fosse qualcosa di male, aveva semplicemente preferito non
parlarne. Non gli andava che i suoi amici avessero le prove di come
il tempo che passava a ripensare alle cose successe fosse di gran
lunga maggiore di quello che investiva riflettendo su quelle che
poteva fare in futuro.
La
verità era che Harry non riusciva a immaginarsi
granché, per
l'avvenire. Per tutti quegli anni alla sua esistenza era stato
attribuito un unico scopo: quello di diventare colui che avrebbe
annientato Voldemort. Adesso che la meta era stata raggiunta, e ad un
prezzo altissimo in termine di vite umane, lui non sapeva
più che
farsene di se stesso. Si sentiva fuori posto, sbattuto in un
“dopo”
che durante tutta l'adolescenza non aveva potuto permettersi
d'immaginare. Certo, aveva sempre saputo, più che altro
perché
sembravano pensarlo tutti, che se fosse sopravvissuto sarebbe
certamente diventato Auror, forse Ministro, ma era una cosa troppo
distante che non lo riguardava veramente in prima persona. A diciotto
anni, l'età in cui normalmente si comincia a dare forma
concreta
alle proprie ambizioni, lui si ritrovava a non averne nessuna,
perché
l'unica ambizione di Harry Potter era stata fermare il Signore
Oscuro. Era quello il suo ruolo e il suo posto. Ormai era tutto
finito e ogni cosa era tornata uguale a prima e insieme infinitamente
diversa, e quasi non riusciva a capire perché
tutta quella gente fosse morta. Forse era quello a costringerlo a
ripensare insistentemente a tutti loro. Perché loro, e
perché non
lui.
Loro non c'entravano niente, i loro nomi non comparivano nella
Profezia, ci compariva il suo. Anche se non l'aveva mai desiderato e
se aveva sognato un sacco di volte di essere chiunque altro.
“...Potter?”
“Sì,
va bene,” affermò meccanicamente, annuendo con
vigore nella
speranza che gli altri due non si accorgessero che non li stava
ascoltando.
Draco
sbuffò.
“Lo
sappiamo che va bene. Quindi firma, che ne dici?”
strascicò
ironicamente.
Harry
prese la penna d'oca con aria estremamente compresa e appose una
serie infinita di firme su tutti i fogli che gli altri due gli misero
davanti, riconoscendoli a naso per averli letti poco prima. Quando
quell'ultima incombenza fu sbrigata aspettò in silenzio che
Malfoy e
Sauer sbrigassero le ultime formalità, facendo rimbalzare
distrattamente lo sguardo dall'uno all'altro, e infine con sollievo
li imitò quando si alzarono stringendosi la mano. Si
alzarono in
piedi e ad Harry sembrò di riemergere da un torpore sottile.
Uscendo, con Sauer e Malfoy che borbottavano qualche ultimo commento
sulla magione, si prese il tempo di guardarsi intorno più
tranquillamente di quanto avesse fatto all'arrivo, di corsa e ancora
turbato per l'album di foto.
Non
ricordava affatto la sua precedente visita al Manor, che aveva
assunto i contorni di un incubo nebuloso, sicché
osservò con
leggera curiosità l'alto soffitto della dimora e l'eleganza
del
luogo, in un principio di decadenza – c'era un po'
più polvere di
quanto sembrasse bene, constatò.
“Molto
bene, signor Malfoy. Vogliamo andare a pranzo?” stava
domandando
Sauer, cerimonioso.
“Senz'altro,
è già tardi,” rispose Draco, la voce un
po' più tesa del
normale.
Harry
colse il suo sguardo correre freneticamente lungo le pareti, su per
il soffitto e sulle superfici dei mobili dell'atrio, rimbalzando
avanti e indietro come nel timore di aver saltato qualcosa.
“Ehm...
Signor Sauer, cosa pensa di fare con il giardino?” intervenne
a
sproposito, indicando all'uomo il parco antistante la casa.
“Non
lo so, ancora. Pensavo di aggiungere delle aiole,”
esplicò l'uomo,
con remota indifferenza.
“Davvero?”
continuò Harry con aria interessata.
“Dove?” insistette. Così
riuscì a pilotarlo fuori lungo il sentiero, per lasciare
ancora per
qualche secondo Draco Malfoy solo con la casa in cui era nato e
cresciuto. Si sorbì per qualche minuto le sue dissertazioni
sulla
sua concezione del futuro giardino, ingollò qualche altra
ampollosa
pillola di noblesse
e finalmente vide ricomparire lo Slytherin, se possibile più
pallido
che mai ma perfettamente composto. Draco gli mandò uno
sguardo che
poteva anche sembrare all'incirca non riconoscente, magari, ma
abbastanza benevolo.
“Potter,
non vogliamo trattenerti oltre. Ti aspettano per esporti,”
affermò,
amabile come sempre.
“Porti
i miei ossequi al nuovo Ministro, signor Potter,” aggiunse
Bauer.
“Buona
giornata a voi. Signore... Malfoy,” si congedò,
spiccio.
“Potter,”
rispose l'altro, allungando la mano di slancio verso di lui.
Harry
tese meccanicamente la sua e Draco la strinse con vigore.
Lo
fecero d'impulso, senza pensarci, ma per un istante tutt'e due rimasero
grottescamente rigidi, guardandosi con una specie di sottile
soggezione. Era la prima volta che Draco Malfoy e Harry Potter si
stringevano la mano: al tentativo precedente, quando il primo aveva
teso la propria l'altro l'aveva rifiutata.
Poi
tirarono indietro le braccia con cautela.
“Beh,
ciao,” bofonchiò Draco, ed Harry si
schiarì la gola.
“Ciao.”
Sfinito.
A pezzi. Liquefatto.
Dopo
sei ore in compagnia dei delegati del Ministero spagnolo e di mezze
le autorità di quello inglese, a Harry sembrava che un'altra
battaglia di Hogwarts sarebbe quasi stata meno traumatica. Il brutto
tempo e i nuvoloni spessi e pesanti che sovrastavano Londra,
preannunciando pioggia, non lo aiutavano a rimanere attivo. Aveva
l'impressione di essere stato travolto dall'Espresso e l'udito un po'
ovattato. Passò dal panettiere dietro l'angolo, invece di
materializzarsi direttamente a casa, ma era così rintronato
che si
dimenticò di comprare il pane e acquistò invece
una ciambella. Per
inerzia, la ingollò lungo il brevissimo tragitto verso casa
e quando
arrivò a Grimmauld Place, al crepuscolo, lo trovò
lì.
Era
seduto su una delle due panchine arrugginite che si trovavano in
mezzo alla piazza, sovrastate dai rami radi di due betulle
rinsecchite. Era lì col mento affondato nel bavero del
mantello, la
testa bassa, il busto reclinato leggermente in avanti e le mani
intrecciate sulle ginocchia.
Harry
si avvicinò a passi lenti, silenzioso.
“Ehi,”
mormorò.
Draco
non si mosse, non alzò nemmeno la testa – anzi
sembrò irrigidirla
in quella posizione – ma emise una sorta di mugugno che
poteva
anche essere immaginato come un saluto.
Harry
diede uno sbuffo sommesso, prima di lasciarsi andare seduto un po'
più il là sulla panca. Per un paio di minuti
rimase lì fermo e
nemmeno Draco si mosse.
Quando
la prima goccia gli atterrò sulla lente sinistra degli
occhiali
aggrottò lievemente la fronte, ma non fece altro. Alla
seconda si
asciugò la guancia, alla terza si coprì la testa
con la mano e alla
quarta prese un respiro.
“Pioviggina,”
annunciò.
Draco
annuì per qualche secondo.
“Già.”
Harry
strinse le labbra, osservandolo di sbieco.
“Tutto...sistemato?”
chiese piano.
Draco
annuì di nuovo.
“Sì.
Gli ho dato le chiavi di casa e tutto il resto.”
Il
Gryffindor espirò rumorosamente, osservando vago il lastrico
della
piazza.
“Perciò
è fatta,” concluse.
Un
altro silenzio prolungato seguì quelle parole. Harry si
alzò il
cappuccio sulla testa e tirò leggermente su di naso,
accoccolandosi
meglio sulla panchina. Draco continuava con la sua interpretazione
della vittima di Petrificus, ma dopo qualche altro minuto
raddrizzò
lievemente il dorso e aggrottò la fronte, assorto.
“Non
sapevo dove altro andare,” disse, non col tono di volersi
giustificare ma come una constatazione piuttosto decisa. “Non
avevo
voglia di tornare da mia madre e confermarle che no, Malfoy Manor non
è più nostro,” continuò.
Non
sembrava la voce di uno che voleva essere compatito o che cercava di
coprire una debolezza, ma una spiegazione lucida e molto seria, tinta
appena di rabbia. La sua fronte rimaneva aggrottata con
gravità.
Harry
fece spallucce.
“Quello
lo puoi sempre fare dopo.”
Draco
sbuffò ilare.
“Potter,
il campione del rimandare,” borbottò, ed Harry
spalancò gli occhi
con enfasi.
“E'
un talento,” si difese.
Draco
scrollò appena la testa, accennando un rapido sorriso.
“Pensavo
che sarei invecchiato in quella casa,” commentò
con tono
distaccato. “Quand'ero bambino e un po' meno intelligente
volevo un
campetto per il Quidditch nel giardino, ma mio padre diceva che avrei
disturbato i pavoni di Narcissa. Ho sempre pensato che il giorno in
cui glielo avesse chiesto mio figlio non sarebbe stato capace di
rifiutare.”
Harry
si corrucciò, amareggiato.
“Mi...”
iniziò, prima di rendersi conto che affermare il proprio
dispiacere
sarebbe stato grottesco. Gli dispiaceva che Lucius Malfoy fosse ad
Azkaban? No, nemmeno per idea, neanche lontanamente. Scosse la testa.
“Un
po' meno intelligente...
Non c'è che dire, Malfoy, sei sempre un campione di
modestia,”
ridacchiò quindi, soprassedendo.
Draco
stiracchiò un sorriso un po' più convincente.
“E'
una dote naturale.”
“Una
delle innumerevoli.”
“Allora
ogni tanto qualcosa lo capisci, Potter.”
“Vaffanculo
per l'ennesima volta, Malfoy.”
“Hai
veramente un vocabolario limitato.”
“Meno
del tuo cervello, Malfoy.”
“Potter,
questa era già vecchia quando siamo nati.”
“Questo
non cambia i fatti.”
Draco
finì per emettere un sorta di risolino come colpi di tosse.
Poi
sollevò definitivamente il capo e riguadagnò una
posizione eretta e
più composta.
“Sta
proprio piovigginando,” constatò. “Sai
che ti dico, ma ne vado a
casa.”
Harry
assentì.
“Ok,”
commentò con mitezza.
Draco
si alzò in piedi per primo, picchiettando i piedi in terra
un po'
intirizzito.
“Potter...”
iniziò a voce bassa, vago.
“Malfoy,”
ribatté Harry con un leggero sorriso.
“Beh,
è stato un bel gesto eroico, come al solito,”
commentò Draco con
una mezza smorfia.
Harry
si grattò il naso.
“E'
il mio lavoro.”
“Già.
Ci si vede, Potter.”
“Sai
dove abito,” confermò Harry alzandosi a sua volta.
“Buon
rientro.”
“E
buona serata a te,” concluse Draco con una specie di cenno
della
mano, prima di voltarsi e iniziare ad allontanarsi. Harry lo
osservò
per un paio di secondi prima di girarsi verso casa per fare
altrettanto.
“Potter.”
Si
voltò indietro perplesso, incrociando nuovamente la figura
di Draco
e il suo sguardo stranamente limpido.
“Grazie,”
fece Draco, facendogli spalancare un po' gli occhi. “Per non
aver
detto che ti dispiace.”
Harry
socchiuse le labbra d'impulso, esitando tuttavia a parlare. Poi le
richiuse in un sorriso sbilenco.
“Sono
Harry Potter. L'eroe senza macchia.”
Draco
sogghignò con un cenno d'assenso.
“Giusto,
come dimenticarlo.”
Si
voltò di nuovo indietro con un gesto più evidente
del braccio e si
allontanò davvero, sparendo dalla piazza nello stesso
momento in cui
lui si chiudeva la porta alle spalle.
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Capitolo 4 *** IV. Nessuna colazione ***
IV: Nessuna
colazione
“Ciao!”
esclamò allegramente Harry, spalancando la porta.
“Ehilà,
amico,” sorrise Ron affabile.
“Ciao,
Harry,” aggiunge affettuosamente Hermione, prima di entrare
in
casa.
Harry
li lasciò passare entrambi, aspettando che si fossero levati
i
mantelli per prenderli e sistemarli all'attaccapanni.
“Kreacher
sta preparando il pranzo,” annunciò, facendo
strada verso il piano
di sopra. “Goulash, come avevamo detto,”
precisò soddisfatto.
“Spero
che non ci avveleni,” borbottò Ron, che conservava
una certa
diffidenza nei confronti dell'Elfo, balzellando su per le scale.
“Non
essere ridicolo, Ronald,” lo riprese meccanicamente Hermione.
“La
cosa peggiore che può fare è sbagliare il
dosaggio degli
ingredienti,” ridacchiò Harry, accomodandosi in
poltrona per
lasciare ai due amici il divano.
Ron
si stravaccò comodamente, dando uno sbuffo rilassato, mentre
Hermione prendeva posto sistemandosi i capelli.
“Hai
letto la Gazzetta, ieri?” chiese vaga.
Harry
aggrottò la fronte.
“No.
Perché, parlava di quante volte vado in bagno?”
scherzò.
“C'era
un trafiletto sulla vendita di Malfoy Manor,”
affermò Ron,
leggermente cupo.
“Ma
davvero?” s'informò lui, con innocenza.
Hermione
abbassò gli occhi, arrossendo leggermente.
“Gliel'ho
raccontato, Harry,” confessò colpevole.
“...Oh,”
esalò lui, prima di spostare uno sguardo reticente
sull'amico.
Ron
non aveva per niente un'aria contenta. Lo osservava con rimprovero,
irritato e piuttosto serio.
“Voi
due dovreste smetterla di fare le cose alle mie spalle,”
affermò
risentito. “Con Malfoy, poi! Non so cosa vi sia passato per
la
testa. Da te, Harry, me lo potevo anche aspettare...senza offesa,
amico. Ma tu, Hermione!” aggiunse, con fare oltraggiato.
“Te
l'ho già detto, Ron, Harry non l'ha mica aiutato a
massacrare
passanti!” protestò lei, stizzita.
“Potrebbe
esserci sotto qualcosa di losco!” sbottò Ron,
apparentemente
esterrefatto dalla loro dabbenaggine.
“Mi
sono informata, Ronald, e...” si difese lei, esasperata.
“E'
solo una casa,” intervenne Harry, interrompendo quello che
prometteva di diventare l'ennesimo battibecco tra i suoi due amici,
il cui modo di interazione primario sembrava proprio essere quello di
pizzicarsi. Harry ne conosceva, di coppie litigiose, ma Ron e
Hermione erano i campioni indiscussi. Sospettava fosse il loro
contorto modo di dimostrare l'importanza reciproca.
“E'
Malfoy, il piccolo furetto nervoso!” esclamò Ron
contrariato.
Harry
scosse la testa, noncurante.
“Sono
sicuro che è tutto perfettamente regolare,”
commentò definitivo.
Ron
si corrucciò, rassegnato.
“Se
succede qualcosa, non dite che non vi avevo avvisati,”
brontolò.
Hermione
levò lo sguardo al soffitto.
“Per
Merlino, Ronald, non essere catastrofista,” lo riprese
esasperata.
Harry
ridacchiò, osservandoli per qualche secondo. Ronald Weasley
ed
Hermione Granger, le due persone più fantastiche che avesse
avuto la
fortuna d'incontrare. Se l'avesse saputo quel giorno, sull'Espresso,
quando aveva undici anni, li avrebbe abbracciati.
“Vado
a controllare Kreacher,” annunciò alzandosi.
“Aspetta,
ti accompagno,” fece subito Hermione, scattando in piedi.
“Ron,
vuoi qualcosa da bere?” aggiunse, prima di seguire il padrone
di
casa.
“Un
succo di zucca, magari,” gli rispose il ragazzo, affondando
la
testa nei cuscini.
Harry
trotterellò giù per le scale, tampinato
dall'amica, ed in silenzio
entrarono in cucina.
“Tutto
a posto, Kreacher?” chiese Harry, allungando il collo per
guardare
nella pentola.
“Sissignore,
padron Potter,” confermò L'Elfo, freddo e
indaffarato. “Sarà
pronto tra dieci minuti, signore.”
“Bene,”
annuì Harry, seguendo con la coda dell'occhio i movimenti
nervosi di
Hermione lungo la stanza.
“Scusalo,
Harry,” esordì infine lei, riempiendo un bicchiere
di succo. “Ron
è il solito testone, ma in realtà non
è solo per via di Malfoy che
è preoccupato,” continuò, richiudendo
la bottiglia.
“E
allora perché?” s'informò lui.
Hermione
sollevò lo sguardo e lo fissò negli occhi,
leggermente inquieta e
un po' accigliata.
“Ginny,”
ammise. “Ieri si sono sentiti, e lei è molto
giù di morale. Dice
che sono quasi tre settimane che non le dai tue notizie. Credo stesse
piangendo.”
Harry
ebbe un riflusso di senso di colpa che lo fece leggermente arrossire
e si schiacciò i capelli sulla cicatrice, imbarazzato. Si
sentì
molto stupido e meschino: non c'era niente che non andasse, tra lui e
Ginny, e non vedeva l'ora che lei tornasse a casa per le vacanze di
Natale, ma per un motivo o per l'altro non riusciva mai a trovare il
giusto stato d'animo per scriverle, forse perché non era
molto bravo
con le parole.
“Mi
dispiace,” commentò, schietto. “Sono un
idiota,” aggiunse
tetro.
Hermione
diede un sospiro.
“Confesso
che questa volta nemmeno io ti capisco,” affermò
pacata. “Credevo
che tra voi le cose andassero bene.”
“Ma
è così, infatti!” esclamò
Harry con foga. Durante l'estate, i
momenti che aveva passato con Ginny erano stati i migliori di tutti,
e la sua presenza rassicurante e affezionata lo aveva avvolto
confortevole, dolce, morbida. Ma poi Ginny era tornata a scuola lui
si era trovato invischiato in quella strana apatia da cui faticava a
sbrogliarsi. Tutto era distante e ovattato, come su uno strano rumore
di fondo alterasse le cose e gliele allontanasse.
Hermione
lo osservò partecipe.
“Allora
penso che dovresti farglielo sapere, Harry.”
Lui
annuì, grave, ed Hermione gli sorrise con intesa.
“Dai,
andiamo,” lo spronò.
Quando
ritornarono in salotto, trovarono Ron che sfogliava pigramente il
Cavillo.
“Sai
che dovremmo fare, Harry?” lo apostrofò di
slancio. “Dovremmo
proprio comprarci i biglietti e andare allo stadio a vedere la
partita giovedì sera, tu e io,” propose con
entusiasmo.
Harry
sorrise, piacevolmente colpito dall'idea, prima di realizzare che la
sua presenza allo stadio di Quidditch certo non sarebbe passata
inosservata.
“Non
saprei,” commentò vago, sedendosi.
“Andiamo,
Harry!” insistette Ron. “Compreremo due biglietti
in tribuna,
nessuno farà caso a noi,” insistette, voltando lo
sguardo su
Hermione in cerca di appoggio. Lei non sembrò troppo
convinta ma
annuì, ferma.
“Ron
ha ragione, Harry. E poi non puoi passare il resto della tua vita
barricato in casa perché qualcuno potrebbe
avvicinarti,” osservò,
ragionevole.
Harry
sbuffò, incerto. Sicuramente vedersi una bella partita di
Quidditch
sarebbe stato divertente, senza contare che erano secoli che lui e
Ron non andavano insieme da qualche parte.
“D'accordo,
d'accordo,” cedette, levando le mani a mo' di resa.
“Cosa avete
fatto a Diagon Alley?” domandò, mentre Ron
svuotava il bicchiere.
“Cercavamo
un regalo per Bill,” rispose Hermione.
“Sabato
è il suo compleanno, ricordi? Sei invitato a
cena,” aggiunse Ron,
cogliendo il suo sguardo farsi confuso.
“Oh,
giusto,” assentì Harry, picchiandosi la mano sulla
fronte. “Me
ne stavo dimenticando. Dovrò trovare qualcosa anche
io.”
Kreacher
comparve in salotto in quel momento, annunciando che il pranzo era
servito, e il terzetto si diresse in cucina per mettersi a tavola.
Da
dieci minuti Harry osservava vacuo la pergamena su cui aveva scritto
unicamente Ciao,
Ginny.
Si rigirava in mano la penna d'oca, distratto, e sbuffava tra
sé.
Se
pensava alla sua ragazza, gli venivano in mente un'infinità
di cose.
La morbidezza dei suoi capelli, il sorriso luminoso che riservava
unicamente a lui, la consistenza soffice delle sue labbra e quella
tenera della sua pelle sulla schiena altezza dei fianchi, il modo in
cui pronunciava il suo nome, Harry, come se fosse stata la parola
più
importante del mondo. La limpidezza fiduciosa del suo sguardo, il
suono scrosciante e allegro della sua risata, la sensazione delle
dita della sua mano intrecciate a quelle di lui e il mormorio della
sua voce la sera, accanto alle sue orecchie sul cuscino.
Aveva
un sacco di immagini di Ginny, ma nessuna parola da scrivere. Se
l'avesse avuta davanti, presente, sarebbe stato sicuramente
più
semplice.
A
quel pensiero sorrise, illuminandosi, prima di intingere la penna
nell'inchiostro.
Ciao,
Ginny,
Spero
che ad Hogwarts vada tutto bene.
Ti
chiedo scusa di essere stato così
distante,
ultimamente, ma non pensare
che
sia per qualcosa che ti riguarda.
Ho
molta voglia di vederti e di parlare con
te.
Sarebbe fantastico se domani sera
riuscissi
a trovarti al camino della sala
comune
verso le undici e
mezza,
così potremo vederci e parlare
con
calma.
Mi
manchi,
Harry
Rimirò
il risultato delle sue fatiche storcendo il naso. Il suo biglietto
non traboccava certo di romanticismo, ma si disse che quello
l'avrebbe riservato alla conversazione a voce della sera successiva.
“Bene,
Tolomeo,” mormorò, avvicinandosi al gufo per
accarezzargli la
schiena piumata. “Vai a portare questa a Gin,”
mormorò,
attaccando la lettera alle sue zampe.
Il
gufo prese il volo nel tardo pomeriggio autunnale, ed Harry
tornò ad
accoccolarsi nel divano con uno sbadiglio rilassato. Ron gli aveva
mandato il suo biglietto per la partita e il mercoledì sera
doveva
uscire per raggiungere Neville e cenare con lui. Era contento di
vederlo, perché non si erano dati molte notizie nelle ultime
tre
settimane, dopo la serata dei sei mesi dalla Battaglia di Hogwarts.
C'erano
pochissima persone con cui Harry Potter si sentiva veramente a suo
agio: Hermione, Ron, Ginny e Neville, principalmente. Teddy non
contava ancora, dal momento che non aveva neanche un anno di vita.
E
Malfoy.
In
effetti era piuttosto stupefacente e non se lo sarebbe mai aspettato,
ma in compagnia dello Slytherin non si era sentito sulle spine, a
disagio, come gli succedeva con la maggior parte della cena. Non
stava a contare i minuti che lo separavano dal prossimo spazio di
solitudine o a chiedersi come suonasse quello che stava dicendo,
né
a rimuginare su eventi passati facendo il confronto con quello
presente o a sentirsi fuori posto, osservato e sotto pressione. Le
parole gli uscivano di bocca molto naturalmente, il suo corpo non lo
ingombrava ma stava semplicemente lì, le ore passavano alla
giusta
velocità e non troppo lentamente e tutto succedeva in modo
spontaneo. Con Malfoy gli era sembrato di essere Harry Potter, tutto
lì, come avrebbe potuto essere John Smith o Charles White:
una
persona e basta.
Si
domandò come se la stesse passando Malfoy, nello Yorkshire.
Chissà
in che modo trascorreva le giornate lui: non riusciva a immaginarlo
come sfaccendato gentiluomo di campagna, isolato nel suo giardino
invernale in compagnia di volpi e cavalli. A Hogwarts Malfoy era
abituato a spadroneggiare in giro con la sua corte di leccapiedi e a
considerarsi un personaggio di spicco, un nome conosciuto. Prefetto,
Cercatore, membro del Lumaclub, pupillo di Snape e tutto il resto,
era sempre stato ben in vista, circondato di gente.
Adesso
era solo con sua madre. Non doveva essere semplice.
La
brughiera era una cosa deprimente.
Non
c'era assolutamente nulla a parte ginestra, erbacce e conigli,
pioveva spesso e c'era un sacco di nebbia. Uno spettacolo desolante.
Draco
rimase immobile davanti alla portafinestra, contemplando il giardino
con espressione funerea. Né lui né Narcissa si
erano ancora
preoccupati a dare al luogo lo stesso aspetto fiorente e raffinato di
quello del Manor e si domandò, come già altre
volte nei mesi
trascorsi, se non avrebbe forse potuto comprarle dei pavoni anche
lì.
Non era sicuro che sua madre l'avrebbe davvero apprezzato: quella era
stata un'idea di Lucius nei primi tempi del matrimonio, ancora
antecedente alla sua nascita.
Magari
poteva avanzare l'idea e vedere come lei l'avrebbe presa. Narcissa si
fingeva forte per non angosciarlo, ma Draco l'aveva sentita piangere,
durante la notte, sola nella sua camera. Era successo diverse volte
perché a lui capitava spesso di rimanere sveglio, soffriva
d'insonnia e gli succedeva sovente di alzarsi, stufo di rotolarsi
nel letto senza poter prendere sonno, e aggirarsi senza scopo per la
dimora silenziosa. Udire i singhiozzi soffocati della madre,
peraltro, non aiutava a conciliargli il riposo.
Negli
ultimi giorni era riuscito a dormire un po' meglio. La conclusione
della vendita di casa Malfoy doveva averlo sollevato di un peso
scomodo, chiudendo in maniera definitiva un capitolo di transizione
spiacevole, e lasciarsi alle spalle quel pensiero pressante era stato
liberatorio. Per questo, probabilmente, le sue ore notturne si erano
alleggerite.
E
poi, anche se gli seccava ammetterlo, vedere Potter che faceva il
grand'uomo sfaccendato nella casa della sua
famiglia l'aveva spronato. Se Potter,
che era la causa di tutto quanto, poteva dormire sonni tranquilli
sugli allori, andandosene in giro a dare una mano a vecchi nemici con
nonchalance e prendendo il sole al parco, non c'era nessunissimo
motivo per cui anche lui non dovesse fare altrettanto. Se Harry
Potter aveva quell'aria allegra e la battuta pronta e zero
preoccupazioni che esulassero dalla colazione e gli impegni
onorifici, allora lui non poteva certo sembrare pateticamente
depresso, stravolto e immobilizzato al mese di giugno.
Sì,
per la prima volta nella sua vita Harry Potter si era reso veramente
utile, naturalmente senza volerlo, spingendolo a rimettersi in
questione.
Ma
questo non era vero, constatò Draco con una punta di stizza.
Potter
era sempre stato un motore che lo metteva in movimento. Sin dal primo
anno di scuola era stato la causa di una parte preponderante dei suoi
sforzi – distruttivi, per lo più – e una
figura di paragone
automatica alla quale opporre la volontà che di solito non
impiegava
con tanto impegno. Quell'opposizione negativa con gli anni aveva
finito per sfumare, sommersa da problemi ben più gravi e
opprimenti,
ed era sorprendente ritrovarselo adesso in mezzo ai piedi come
ingranaggio positivo.
Ma
stava sempre in mezzo ai piedi, quello. Da quando l'aveva conosciuto,
a undici anni, non era riuscito a levarselo di torno. Gli era
impossibile ignorare Potter; poteva deprecarlo, schernirlo, mettergli
i bastoni tra le ruote, ma non era mai riuscito a tributargli
l'indifferenza che sapeva riversare su qualunque altro essere umano.
Potter era sempre lì, in un angolo del suo universo
cosciente, e
Draco non se ne riusciva a liberare. Adesso l'aveva addirittura
invischiato nella vendita del Manor e in qualche contorto modo si era
persino divertito.
Era
inquietante, in un certo senso. A guardarla da un certo punto di
vista, poteva quasi sembrare che lui avesse una fissazione per
Potter. Ma Draco preferiva non pensarci troppo, perché
l'idea di
Potter aveva un retrogusto spiacevole, ingombrante.
“Draco?”
lo riscosse la voce di Narcissa, alle sue spalle.
“Sì?”
replicò, voltandosi indietro con un sorriso automatico.
“Mi
piacerebbe uscire a fare una passeggiata nei dintorni. Vorresti
accompagnarmi?” lo interrogò lei, serafica.
“Certamente,”
rispose il ragazzo di buon grado. “Mi metto le
scarpe,” aggiunse,
mettendosi in movimento.
Fece
una capatina in camera, per vestirsi in maniera adeguata, e attese la
madre al piano di sotto mentre lei si preparava per la passeggiata.
“C'è
un lago, qui vicino,” lo informò lei,
oltrepassando la porta che
il figlio le teneva aperta. “Ti ci abbiamo portato qualche
volta,
quand'eri piccolo,” aggiunse con un mezzo sorriso.
“Non
me ne ricordo,” ammise Draco, prendendola a braccetto per
iniziare
a camminare, a passo lento. Senti il corpo esile della madre
rilassarsi nella sua stretta leggera, mentre si avventuravano lungo
il sentiero tra i cespugli, in mezzo agli alberi.
“Eri
convinto che ci fosse dentro un kelpie. Volevi assolutamente
vederlo,” raccontò lei, con una sfumatura di
divertimento.
Draco
ridacchiò, allungando il piede per scacciare dalla
traiettoria della
madre un ramo spezzato. Non aggiunse niente mentre proseguivano il
cammino, scrutando distrattamente il panorama brullo e il cielo
costellato di nuvole.
“Sono
contenta di come hai sistemato la vendita del Manor, Draco,”
affermò Narcissa distrattamente. “Come hai risolto
il problema del
garante?” aggiunse con tono carezzevole.
Draco
si schiarì la voce, puntando lo sguardo verso una nube.
“L'ho
chiesto a Pansy,” rispose indifferente. “Non era
molto contenta
ma ha finito per accettare comunque,” precisò con
una mezza
smorfia.
Narcissa
annuì delicatamente, senza porre altre domande. Draco
soffocò un
espiro prolungato, rilassandosi dalla tensione senza rendersi conto
che, come ogni volta, sua madre aveva capito perfettamente che stava
mentendo.
“Di
là,” affermò lei, indicando la stradina
sulla sinistra del bivio
che avevano appena raggiunto. Il lago è proprio
lì dietro la curva,
se non sbaglio.”
Draco
assentì, imboccando la direzione indicata.
“Ora
che la questione è sistemata,” stava proseguendo
Narcissa con tono
controllato, “dovremmo occuparci di sistemare un po' meglio
questa
casa. Siamo incredibilmente sciatti, Draco,”
osservò costernata.
Lui
scoppiò brevemente a ridere, scuotendo la testa.
“Non
esagerare. È comunque più confortevole di tutte
le altre case che
conosco,” le fece notare, pacato.
Narcissa
storse le labbra, scettica, proprio mentre oltrepassavano il leggero
declivio al di là del quale, scintillando leggermente ai
raggi
deboli del sole offuscato di nubi, si estendeva un laghetto
circondato da qualche salice. Il panorama era gradevole ma Draco
percorse i metri successivi, che scendevano dolcemente verso la riva,
senza riuscire a goderselo, incerto se parlare o meno. Quando
Narcissa si fu fermata, per allontanarsi appena da lui e rimirare
l'acqua con occhi quasi trasognati, si fece forza e prese fiato.
“Ti...piacerebbe
se ti prendessi dei pavoni?” propose a voce bassa.
Narcissa
si voltò indietro, gli occhi azzurri che si posavano su di
lui con
premura, leggermente sgranati, poi si morse delicatamente le labbra e
tornò ad accostarlo poggiandogli la mano sul braccio.
“Draco,”
lo chiamò, accorata, “non devi sostituire nessuno.
Tu sei tu, ed è
perfetto,” mormorò decisa.
Il
ragazzo chinò lo sguardo a terra, stranamente impacciato, ed
annuì
brevemente in modo meccanico.
“Certo,”
bofonchiò svelto.
Narcissa
sorrise con dolcezza.
“Ma
mi piacerebbe, sì,” concluse, ferma.
Suo
figlio tornò ad alzare gli occhi incontrando quelli di lei e
per
qualche secondo rimasero a guardarsi senza parlare, riuscendo
comunque a capirsi perfettamente.
“Harry!”
La
voce di Ginny squillò con enfasi e la ragazza si
precipitò verso il
camino con gli occhi che si facevano lucidi.
“Harry!” ripeté,
tendendo la mano per accarezzargli la guancia. “Come...come
stai?”
“Ciao,
Gin,” rispose lui con un ampio sorriso, guardandola
raddolcito. Non
era in pigiama, come ci si poteva aspettare ad un'ora del genere, ma
indossava ancora la divisa scolastica e aveva i capelli ben
pettinati, un'aria graziosa e un viso fresco.
“Mi
sei mancato tanto,” mormorò lei con voce umida,
sporgendosi per
posare le labbra sulle sue. Harry ricambiò il bacio con
entusiasmo,
sorridendo poi contro la sua pelle.
“Anche
tu, Ginny,” rispose, allegro. “Sei... Sei
proprio... Beh, vederti
è fantastico,” continuò con enfasi.
Lei
ridacchiò con remoto imbarazzo prima di accucciarsi davanti
al
camino.
“Come
stai? Che stai facendo in questo periodo? Aspettavo una tua lettera
da un secolo, credevo che...” lo investì Ginny,
parlando
velocemente e mangiandosi le pause.
“Lo
so. Lo so, Gin, scusami,” la interruppe lui. “Sono
stato
abbastanza stupido, e ti chiedo scusa. Soltanto che è ancora
tutto
un po'...strano, e...” spiegò, impappinandosi.
“Lo
capisco,” commentò lei annuendo. “Non
sono arrabbiata, Harry.
Forse dovrei, ma ti capisco, è normale,”
proseguì, franca e
sicura.
Harry
le sorrise rassicurato. Eccola lì, la sua Gin, lo scricciolo
che non
si fermava davanti a niente e nascondeva una forza di carattere
incredibile – questione di pura e semplice sopravvivenza, con
la
mandria di fratelli maggiori in mezzo alla quale era cresciuta.
“Grazie,”
affermò. “Come va la scuola? Hogwarts?”
Ginny
si strinse nelle spalle.
“Tutto
bene, direi. Ci sono dei nuovi studenti e praticamente tutti quelli
vecchi sono tornati a scuola. Abbiamo un'insegnante di Difesa
piuttosto brillante. Voi tre mi mancate un sacco, ma per fortuna
c'è
Luna.”
Harry
ridacchiò scuotendo le spalle, ripensando con affetto alla
stravagante ragazza.
“Come
sta?” s'informò
“Bene,”
rispose Ginny, soffocando un risolino. “Mi ha detto di
salutarti
tanto e di ricordarti che le vecchie case come la tua sono spesso
piene di Succhiagrozzi, qualunque cosa siano, quindi dovresti fare
attenzione.”
Harry
rise nuovamente.
“Non
mancherò,” assicurò, ironico.
Ginny
si fece di nuovo un po' più seria.
“Tu
come stai? Cosa fai in questo periodo?” gli chiese.
Harry
diede uno sbuffo per tergiversare, trovandosi davanti proprio la
domanda cui non aveva voglia di rispondere. Storse appena il naso.
“Bene,
sto bene. Il Ministro mi fa correre spesso qua e là per
qualche
impegno ufficiale, e vedo quasi tutti i giorni tuo fratello e
Hermione. Lei sta impazzendo per il concorso di ammissione da
apprendista Auror e lui se la cava molto bene col negozio.”
Esitò,
domandandosi se fosse il caso o meno di parlarle di Malfoy. Alla fine
decise che sarebbe stato soltanto un cruccio e che l'avrebbe fatta
allarmare – o arrabbiare – per niente.
“Hai
deciso cosa fare nei prossimi mesi?” continuò
Ginny.
“Ehm,
no,” rispose lui imbarazzato. “Credo che mi
prenderò tutto
l'anno per stare tranquillo e aspettare che cali il polverone. Mi
piacerebbe sistemare Grimmauld Place e cambiare un po' di
mobili.”
ginny
storse le labbra, ironica.
“Non
hai ancora iniziato, eh?”
“No,”
ridacchiò Harry. “Sto, mh, bighellonando,
immagino.”
Lei
scoppiò di nuovo a ridere, facendogli nascere un sorriso
spontaneo
sulle labbra.
“E
allora cosa fai?”
“Vado
in giro,” rispose lui. “Passeggio per la Londra
Muggle, dove non
mi conosce nessuno. Vado ai giardini e mi siedo lì senza
fare
niente, assaporando il fatto che non devo stare a pensare a come
uccidere un pazzo.”
Ginny
annuì, aggrottando leggermente la fronte.
“Non
ti annoi?”
Harry
sgranò un po' gli occhi, soffiando un po' d'aria fuori dalle
labbra.
“Non
lo so. Non ci ho pensato,” ammise.
Lei
lo guardo ancora per un attimo, poi scrollò le spalle.
“Gli
allenamenti vanno bene,” riprese, cambiando argomento,
“e penso
seriamente di poter tentare dei provini per iniziare a giocare
professionalmente, l'anno prossimo,” affermò
raggiante.
“E'
fantastico, Gin!” commentò il ragazzo con foga,
non senza una
punta di rimpianto. Anche lui adorava giocare a Quidditch. Negli anni
di Hogwarts i suoi momenti più rilassanti li aveva trascorsi
col
sedere sulla scopa, e i più gloriosi soffiando il Boccino
sotto il
naso a Malfoy. Naturalmente ormai era tardi per cercare di entrare
nel circuito professionistico, - e poi sarebbe stato assurdo,
considerando che lui era Harry Potter, che si mettesse semplicemente
a fare il giocatore di Quidditch - ma era contento che almeno Ginny
ne potesse avere l'occasione.
“Speriamo,”
sbuffò lei senza calcare la mano.
Harry
continuò ad ascoltare il suo chiacchiericcio vivace e a
prendere
informazioni sugli studenti che conosceva, cercando di rimanere
lontano dai lidi confusi e pericolosi della sua vita all'esterno.
Aggiunse qualche vaga informazione su Neville e sulle sue impressioni
sulla stato d'animo della famiglia Weasley, senza soffermarsi su
George e la sua depressione per non rattristarla, ed era mezzanotte
passata quando decisero di salutarsi.
“Mi
scriverai, Harry?” lo apostrofò lei, battagliera.
“Promesso,”
commentò lui, annuendo. “E, beh, volevo farti una
sorpresa ma sono
sicuro che finirei per tradirmi, perciò... Ti vengo a
prendere io
alla stazione per la vacanze di Natale, ok?”
annunciò con un
sorriso.
“Sì!
Sì, lo sapevo!” esclamò Ginny con una
risata di gioia. “Oh,
Harry, non vedo l'ora!”
lui
ridacchiò a sua volta.
“Anche
io. Finalmente ti potrò abbracciare,” rispose con
un sospiro.
“Allora ti mando un gufo appena riesco, ok?”
“D'accordo.
Buonanotte, Harry,” concluse lei, sporgendosi per salutarlo
con un
ultimo bacio che si protrasse per un paio di minuti.
“Notte,
Ginny,” si congedò lui, prima di riemergere dal
camino e
ritrovarsi nel salotto di Grimmauld Place.
Diede
un sospiro assonnato, con sollievo: il problema era risolto, Ginny si
sarebbe tranquillizzata per qualche tempo e non avrebbe più
temuto
che lui potesse non amarla, cosa del tutto falsa. Harry sapeva
benissimo di amare Ginny Weasley. Era soltanto che, con lo stato
d'animo che aveva addosso in quel periodo, la lontananza di lei
più
che provocargli nostalgia lo estraniava.
Sarebbe
andato tutto meglio, quando fosse stata lì con lui.
Avrebbero riso,
si sarebbero baciati e avrebbero fatto l'amore fino a stufarsi, se
una cosa del genere era possibile. Ora, invece, aveva visto la sua
ragazza, gli era venuta voglia e si sarebbe dovuto accontentare della
solita vecchia mano destra.
Non
conosceva altri eroi così sfigati.
“Ciao,
Harry.”
Neville
sorrideva bonario, alzandosi dal tavolino per tendergli la mano con
calore.
“Ehilà,
Nev,” salutò lui con allegria. “Ti trovo
bene. Come va?”
replicò, accomodandosi a sedere di fronte all'amico.
Testa
di Porco, il classico potteriano degli ultimi mesi: se proprio doveva
stare in un luogo pubblico, meglio che fosse poco frequentato e un
po' malfamato. Se poi qualcuno avesse pensato di potergli dare noia,
probabilmente Aberforth Dumbledore gli avrebbe infilato un boccale su
per il retto con qualche incantesimo poco raccomandabile.
“Benone.
Sto studiando come un pazzo,” rispose l'amico, dando un
sospiro
sfinito.
“Oh,
sì. Ehm, ricordami per...” commentò
Harry.
“Un
concorso per un posto al Ministero. Ufficio per la conservazione del
patrimonio floristico.”
“Oh,
giusto,” confermò Harry, annuendo ripetutamente.
“Me ne avevi
parlato. Beh, Neville, è perfetto per te,”
commentò con un
sorriso.
Si
osservarono per qualche istante senza aggiungere nulla, i sorrisi
aleggianti sulle labbra. Hartry Potter e Neville Longbottom, i due
possibili Prescelti.
Anche
lui ora aveva le idee chiare, e sembrava ben determinato a tradurle
in realtà. Harry constatò, di nuovo, come ancora
una volta
sembrasse lui l'unico che non stava smuovendo nulla. In fondo,
però,
gli stava bene così.
Non
gli fece domande su quel che stava facendo lui, invece, e questa era
una cosa di Neville che ad Harry piaceva molto. Era discreto e leale,
probabilmente aveva capito che in quel periodo era un po' sballato e
preferiva cortesemente non indagare.
“Buongiorno,
giovanotti,” li interpellò la voce burbera e
gracchiante del
gestore, come suo solito piuttosto arruffato. “Che piacevole
visita, già. Come ve la cavate?”
“Salve,”
ribatté Harry, con un gran sorriso. “Non
c'è male, Aberforth. Qui
tutto bene, no?”
“Come
al solito,” rispose lui, tagliando corto. “Che cosa
vi porto?”
“Oh,
ehm, due piatti del giorno andranno benissimo,”
ipotizzò Neville
incerto. “No?” aggiunse, in direzione di Harry.
“Certo.
E due aperitivi,” precisò lui.
“Arrivano,”
confermò Aberforth con un cenno affermativo, prima di
voltare i
tacchi e tornare verso la cucina.
Neville
poggiò i gomiti sul tavolo.
“Hai
sentito che Malfoy ha venduto la casa di famiglia?” chiese a
bruciapelo, giocherellando con un lembo della tovaglia non proprio
immacolata.
Harry
aggrottò la fronte, in allerta.
“Sì.
Era sulla Gazzetta. Perché?”
Neville
scrollò le spalle.
“Ieri
ero al Ministero. Ho visto il nuovo proprietario, è un
nobile
tedesco gonfio di galeoni, credo. “E, ehm, sembra che voglia
usare
una parte della tenuta dei Malfoy per allevare Ippogrifi in
cattività. Era lì per dei permessi.”
Harry
si accigliò, perplesso.
“Ippogrifi?
Credevo si occupasse di pentole.”
Neville
fece spallucce, indicando la propria ignoranza.
“Buffo,
no? Ippogrifi a casa di Malfoy. Non è che corresse proprio
buon
sangue,” osservò senza cattiveria, genuinamente
divertito.
Harry
ridacchiò, ricordando l'episodio Fierobecco.
“Non
proprio, no,” concordò.
“Se
ce l'avessi io, un terreno del genere, ci terrei tante di quelle
piante da diventare pazzo,” sospirò poi l'amico,
sognante.
“Dovresti
farlo. Pensa alle serre di Hogwarts...”
“Uao,”
mormorò Neville, annuendo. “Stavo esattamente
ricordandole. Quanto
mi piacerebbe averne di uguali.”
“Comprensive
di adolescenti esagitati che sfasciano tutto?”
osservò Harry,
ironico.
“Beh,
non mi dispiacerebbero neanche quelli, in realtà,”
replicò
Neville pacato. “Dev'essere bello educare la gente a
rispettare le
piante.”
Harry
tentennò, con un sorriso affezionato.
“Potresti.
Voglio dire, la Sprite un giorno a l'altro andrà in
pensione,
qualcuno dovrà sostituirla,” ponderò.
“Sì,”
rispose Neville, senza l'aria scoraggiata che avrebbe avuto un paio
d'anni prima.
Tacquero
per qualche istante, non potendo immaginare che stavano
profetizzando.
“I
vostri aperitivi, giovani,” li avvisò Aberforth,
piazzando loro
davanti i bicchieri pieni. “Dì, un po', ragazzo,
quella tua casa,
quella a Londra...” iniziò, rivolto ad Harry.
“Quella
a Grimmauld Place?”
“Esatto,”
commentò il vecchio, soddisfatto. “C'è
un bel po' di paccottiglia
lì dentro, non è vero?”
Harry
reclinò il capo, esitando.
“Buona
parte è già stata liquidata, ma restano parecchi
vecchi cimeli,
sì,” confermò.
“Già,
già. Beh, se dovessi decidere di liberartene fammi
sapere,”
richiese Aberforth.
“Ok,”
sorrise Harry.
Quando
si fu allontanato, lui e Neville ridacchiarono sottovoce.
“Ti
troverai la casa piena di ricettatori, Harry,”
mormorò Neville
ilare.
“Probabilmente
finirò per farmi arrestare,” confermò
lui, tra le risa.
“Ci
pensi? L'eroe del mondo magico in prigione per commercio non regolare
di manufatti magici,” rincarò Neville,
asciugandosi una lacrima di
divertimento.
Si
lasciarono ridere ancora per qualche istante, poi Harry strinse una
mano intorno al bicchieri e lo sollevò verso l'amico.
“Un
brindisi ai nati
sull'estinguersi del settimo mese da chi tre volte lo ha sfidato,
Neville,” recitò serio.
“A
noi,” confermò l'amico dopo una breve esitazione,
facendo
tintinnare il calice contro il suo.
“Yoo-hoo!
Harry!”
La
voce di Ron suonava insolitamente allegra e festosa, come quella di
quando avevano tredici o quattordici anni ed entrambi i suoi fratelli
nati gemelli si divertivano ad angariarlo. Harry, che si stava giusto
finendo di vestire in camera, lanciò a sua volta un saluto
squillante.
“Ti
aspetto qua sottoo!” lo informò Ron dal basso
delle scale.
“Va
benee!” si sgolò Harry ficcandosi la bacchetta
nella cintura.
Gettò
un'occhiata distratta allo specchio, si appiattì i capelli
sulla
fronte e prese un respiro profondo. Sarebbe andato tutto al meglio,
si disse: soltanto perché il suo amico era un titano coi
capelli
rossi e lui aveva una cicatrice a forma di saetta in faccia non
voleva dire per forza che qualcuno li avrebbe riconosciuti come Harry
Potter e Ronald Weasley. Potevano benissimo essere i loro sosia.
Gemette
scoraggiato.
Era
possibile che gli altri spettatori non avrebbero badato a loro: erano
lì per vedere una partita e l'attenzione di tutti sarebbe
stata
calamitata sul campo di gioco. Sarebbe bastato arrivare proprio
all'ultimo minuto. Occhieggiò comunque il baule in cui
riposava il
suo Mantello dell'Invisibilità, accarezzando l'idea di
portarlo con
sé, ma la bocciò dicendosi che Ron l'avrebbe
trattato come un
fobico all'ultimo stadio.
“Eccomi,”
annunciò con un sospirò, caracollando
giù per le scale. “Non
siamo in ritardo, no?” aggiunse, comparendo a piano terra e
scoppiando poi a ridere allo scorgere Ron con cappello, sciarpa,
guanti e striscione dei Cannoni di Chudley.
“Ti
sei dimenticato la spilletta,” gli fece notare, ilare.
“Ce
l'ho sul maglione,” lo rassicurò Ron,
strappandogli un'altra
risata.
Quando
arrivarono allo stadio c'era ancora un po' di fila all'ingresso ed
Harry si posizionò in fondo ad essa sistemandosi
nervosamente il
cappuccio del mantello in testa.
“Amico,
così sembri davvero qualcuno che ha qualcosa da
nascondere,” gli
fece notare Ron, guardandosi intorno con fare eccitato.
“Credi sia
possibile che qualche altro giocatore professionista venga a vedere
la partita e che noi lo incontriamo?” aggiunse poi,
speranzoso.
“Io
ho
qualcosa da nascondere, Ron. La mia faccia,”
gli fece notare Harry, con un accento nevrastenico.
“Non
ci guarda nessuno,” obiettò l'altro, stringendosi
nelle spalle.
“Perché
ancora non hanno notato occhiali, occhi verdi e capelli
scompigliati,” osservò Harry torvo.
Ron
sbuffò e gli batté la mano sulla spalla, fraterno.
“Senti,
siamo qui per divertirci. Fra cinque minuti saremo seduti e nessuno
farà caso a noi,” lo incoraggiò
spiccio. “Ehi, voglio prendere
delle Cioccorane.”
Harry
si abbandonò a un sorriso rassegnato, scuotendo appena la
testa.
Tirò il fiato, ma proprio in quel momento qualcuno gli
picchiettò
la mano sulla spalla. Si girò indietro, ansioso.
“Sei
tu, vero?” esclamò un perfetto estraneo dall'aria
esaltata. “Sì,
sei proprio tu! Sei Harry Potter!” affermò di
slancio, a voce
alta. “E' fantastico! Io... E' un onore conoscerti! E' Harry
Potter! È lui!” affermò entusiasta
all'indirizzo della ragazza
che aveva accanto.
“Shhh!”
intimò Harry atterrito, mentre quello lo scuoteva come uno
shaker.
Qualcun
altro si avvicinò e gli batté la spalla con
approvazione, un'altra
mano strinse quella che gli rimaneva libera e non servì a
niente che
Ron tentasse di intervenire per calmare le acque, perché di
lì a
pochi secondi una piccola folla si accalcava intorno al salvatore del
mondo per manifestargli la propria stima. Ron si ritrovò a
sua volta
a stringere qualche mano, schiacciato in mezzo alla ressa, e in breve
ai cancelli non c'era più quasi nessuno perché
erano tutti lì.
“Permesso!
Permesso, per la miseria! La partita...” sbraitava con foga.
“Sì...
Grazie, io...” gemeva Harry, tentando invano di farsi largo,
di
ritrarsi e di diventare invisibile in contemporanea. “Grazie,
non... Scusate, veramente...” farfugliava, angosciato. Voleva
levarsi di lì, voleva che smettessero tutti di stargli
addosso,
fissarlo e fare quella cagnara. Stava proprio per smaterializzarsi,
vinto, quanto alcuni massicci maghi della sicurezza iniziarono a
farsi largo in mezzo alla gente a spallate, intimando di liberare il
passaggio.
“Signor
Potter!” esclamò un gigantesco guardiano, mentre
lui si liberava
di un'ultima mano tenace. “Non è prudente entrare
di qui. Da
questa parte, ci segua.”
Harry
si lasciò pilotare come una marionetta, inebetito, con Ron
che lo
tallonava depresso con la collottola un po' rossa, segno che il
fallimento del suo piano lo imbarazzava. In capo a due minuti si
ritrovarono in tribuna d'onore, con qualche decina di sguardi puntati
addosso.
“Noi
non avevamo dei biglietti per stare qui. Noi...”
osservò torvo.
“Beh,
tanto meglio,” fece Ron scrollando la testa.
“Almeno è servito a
qualcosa di buono.”
Harry
non rispose e si limitò a sedersi in silenzio, cercando di
ignorare
tutti quegli sguardi fissi su di lui. Ron si comprò le
Cioccorane e
salutò qualche persona qua e là prima che
iniziasse la partita, ma
nemmeno quando le due squadre si levarono in volo Harry
riuscì del
tutto a distendersi. Soltanto alla terza Pluffa andata a segno su un
bellissimo lancio di McPherson gli sgorgò di gola
un'esclamazione
ammirata e le sue mani batterono con enfasi, e di lì a pochi
minuti
si sgolava anche lui come l'amico, rapito dal gioco.
La
partita fu molto accesa e durò più di tre ore. A
metà del gioco,
quando il Battitore dei Falconi di Falmouth quasi fece precipitare
giù dalla scopa il Cercatore dei Cannoni con un colpo
violento, fu
tra quelli che saltarono in piedi tra vigorose urla di protesta e
grida ingiuriose, ma dovette interrompersi per trattenere Ron che,
furibondo, sembrava sul punto di scagliarsi in campo o eventualmente
cadere giù dalla tribuna. Alla fine dell'episodio
scoppiarono a
ridere di gusto, sganasciandosi.
“Quello
stronzo!” esclamò Ron con foga, al di sopra del
baccano del gioco.
“Si meriterebbe di farsi infilare la bacchetta...”
“Là
dove il sole non batte,” completò Harry per lui,
ilare. “Una
Cioccorana?” chiese, vedendosi immediatamente passare il
sacchetto.
“Spero
che cada...” brontolò Ron.
Harry
ridacchiò.
“Questo
non è molto carino, Ronald,” lo
rimproverò, con la sua migliore
imitazione della voce di Hermione. Diede un morso al dolce e il suo
umore migliorò ulteriormente, mentre ridevano ancora.
“Ti
è venuta proprio... EHI! BASTARDO!”
sbraitò Ron diventando
violaceo, ad un nuovo tentativo di disarcionare il suo beniamino.
“Nemmeno
questo è molto carino...” borbottò
Harry prima di imitare il suo
fischio di protesta.
Lo
scarto con cui i Cannoni persero l'ennesima partita non era nemmeno
troppo esagerato, considerata la pessima nomea e il gioco sporco
degli avversari. Per la verità secondo Harry avevano giocato
molto
bene, ma Ron era comunque imbronciato e incavolato nero quando
uscirono dallo stadio – per ultimi, di modo da evitare di
ritrovarsi di nuovo in mezzo alla calca.
Ron
lo seguì a Grimmauld Place per bere un bicchiere di fine
serata e si
ritrovarono sul divano con due burrobirre gelate.
“Quei
vigliacchi stronzi e infami,” mugugnava Ron indispettito.
“Sono
più sporchi della cacca di Grattastinchi.”
“E
più puzzolenti,” sorrise Harry.
Ron
storse il naso.
“Su
questo non ci giurerei,” osservò incerto,
facendolo ridacchiare.
Sorseggiò
la bibita gelata pigramente, e in breve tempo anche Ron si
calmò.
“Comunque,
è stato figo vedere la partita in tribuna
d'onore,” commentò
assorto, con un mezzo sorriso.
Harry
sbuffò.
“Io
avrei preferito passare inosservato,” biascicò
rassegnato.
“Lo
so,” commentò Ron in assenso. “Ma guarda
il lato positivo...”
Harry
sospirò tra sé, per niente convinto. Il suo
amico, più pratico di
lui, non aveva tutti i torti: la situazione era quella e quella
sarebbe rimasta. Non gli restava che accettarla e cercare di
approfittare dei lati migliori che gli offriva.
Peccato
solo che gli riuscisse così difficoltoso.
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