Ci sarà...

di Utopy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tragedia ***
Capitolo 2: *** Cinque mesi dopo ***
Capitolo 3: *** Melrose ***
Capitolo 4: *** In assenza di te ***
Capitolo 5: *** Tornare a vivere? ***
Capitolo 6: *** Incontro ***
Capitolo 7: *** Verità ***
Capitolo 8: *** Lei non è lei ***
Capitolo 9: *** Ritorni ***
Capitolo 10: *** Un tuffo nel passato ***
Capitolo 11: *** Consapevolezza ***
Capitolo 12: *** Esasperazione ***
Capitolo 13: *** Confessione ***
Capitolo 14: *** Avvicinarsi ***
Capitolo 15: *** Una svolta decisiva ***
Capitolo 16: *** La lontananza ***



Capitolo 1
*** Tragedia ***


Molto bene. Ho finito da poco “Scommettiamo” e finalmente mi sono decisa a postare questa nuova fanfiction.. E’ stata un’ardua decisone, ve lo confesso.. Tutt’ora non sono sicura al cento per cento di cosa verrà fuori in questa storia. So solo che sono decisa a finirla, qualunque cosa ne uscirà.. Non la cancellerò. Al massimo la sospendo per un po’ xD
Il titolo di questa storia ( “Ci sarà” ) è preso dall’omonimo titolo della canzone che ha ispirato tutto questo. Dalla canzone che è stata il principio di ogni cosa : Ci sarà, di Raige. Vi consiglio di andarvela a sentire, è bellissima. Almeno io me ne sono innamorata *-*
La trama è un po’ particolare e non proprio felice, ma che volete farci.. Sono un’artista tragica XD
A fondo pagina metterò i ringraziamenti alle persone che hanno commentato l’ultimo capitolo della mia prima ff ( “Scommettiamo” ).. Non credo di avere altro da dirvi.. u.u
Uhm.. No XD Possiamo cominciare ^__^

Dimenticavo. Con questa mia creazione non intendo dare rappresentazione veritiera di fatti o persone. Ciò che ho scritto non è a scopo di lucro ed è tutto di mia immaginazione.

Buona lettura, Ale.

******

Alla mia Aria perché, in silenzio, te l’avevo promesso.

PRIMO CAPITOLO: Tragedia

Un altro angelo attaccato all'asfalto
stai tra un modo e l'altro
io un modo o nell'altro dovevo cantartelo,
il tuo animo bianco candido stretto in un battito
tutto qua parte e finisce in un attimo.

Settembre. Una mattina come tante altre, il sole si stagliava alto nel cielo e i suoi raggi vanno ad accarezzare due corpi nudi ancora addormentati nel caldo di un letto soffice e spazioso.
Bill e Margaret.. Una storia d’amore lunga tre anni. Forte.. profonda e, credevano, indistruttibile.
Erano le sette e un quarto di un comune lunedì mattina, Maggie aveva passato la notte nell’appartamento di Bill.. Visto che la sera prima erano stati fuori fino a notte fonda.

“Amore, svegliati..” Sussurrò il moro, dando lievi scosse al corpo ancora addormentato della giovane donna.

“Uhm..” Mugugnò questa, sbattendo le palpebre e aprendo lentamente gli occhi gonfi dal sonno.

“Buongiorno amore mio!” La baciò a fior di labbra, stringendola al petto. “Sono le sette e venti, devi andare all’università!”

“Buongiorno amore.. Uff, non ho voglia di andarci!” Piagnucolò, ricacciandosi sotto alle coperte.

“Oh, la mia bambina fa i capricci!” Ridacchiò, raggiungendola sotto al piumone caldo. La abbracciò, sfiorandole il naso con il suo e baciandole le mani fresche.
Stettero ancora un po’ a letto, a coccolarsi.

Lui, ventidue anni, cantante di una band che aveva conquistato tutto il mondo ormai da parecchi anni.

Lei, ventuno anni, una studentessa universitaria che per mantenersi gli studi lavorava tutti i pomeriggi in un edicola nel centro di Magdeburgo.

La loro vita passava tranquilla, nonostante i molti impegni della giovane rockstar riuscivano sempre a ritagliarsi del tempo per loro. Tutte le sere lui passava a prenderla a casa e la portava lontano.. Non importava dove, a loro bastava stare insieme. Andare anche in capo al mondo sarebbe stato perfetto, ma sempre e comunque insieme.

“Maggie, prometti di pensarci?” Domandò lui ad un certo punto, interrompendo quel bacio che avevano cominciato da poco.

“Bill, io voglio venire a vivere con te” Lo guardò con occhi brillanti. Era lui, si. Era lui l’amore della sua vita. “Voglio solo il meglio per nostro figlio, e per noi.” Continuò poi, portandosi istintivamente una mano sul ventre già lievemente arrotondato. Lì stava crescendo piano piano la loro creaturina, che esisteva da appena due mesi e mezzo.

“Dici sul serio?” Lei annuì, mentre Bill la stringeva forte al petto, soffocandola quasi, accarezzandole la pancia con un amore tanto forte da stordirla. Presto avrebbero condiviso tutto, presto sarebbero diventati una coppia a tutti gli effetti. Anche se lo erano già da tempo. Ma condividere una casa era la base per un futuro solido e assicurato.
Bill con lei aveva dovuto rivedere tutte le sue priorità. La voleva sposare, voleva avere quel bambino e crescerlo dandogli tutto l’amore possibile. Era la donna della sua vita, ormai ne era sicuro al cento per cento.. Niente avrebbe più potuto dividerli adesso.

Un bacio, una carezza e un abbraccio. Poi Maggie si alzò, chiudendosi la porta del bagno alle spalle e aprendo l’acqua della doccia per lasciarla scaldare.
Poco dopo entrò nel box, lasciando che l’acqua le scivolasse leggera sulla pelle, lavando via un’altra notte d’amore con l’uomo che presto avrebbe voluto chiamare “marito”.
La piega che stava prendendo la sua vita era del tutto inaspettata ma così incredibilmente magnifica che non avrebbe mai potuto chiedere di meglio.

“Ti sei incantata?” Persa nei suoi pensieri non si era nemmeno accorta che Bill era entrato in bagno, aveva aperto l’anta della doccia, ed ora la stava guardando appoggiato con una spalla a quest’ultima.

“No, scusa, pensavo” Sorrise lei, cominciando a lavarsi i capelli con il primo shampoo che le capitò in mano.

“E a che pensavi?”

“A quanto sei impiccione!” Ridacchiò, schizzandogli l’acqua sul viso.

“Ah, questa me la paghi!” Velocemente si svestì e la raggiunse sotto il getto caldo dell’acqua, avvolgendole il corpo esile con le braccia magre e forti. Le baciò una spalla, tenendo premute le labbra sulla sua pelle fresca e profumata.

“Sai di buono!” Fece una faccetta buffa, inclinando la testa di lato e guardandola amorevole, prima di baciarla con trasporto, affondando le mani tra i suoi capelli castano scuri che ormai si appiccicavano alle guance, ricadendole sulle spalle nude.
Si scostò, guardandola nel verde intenso dei suoi occhi, che quasi sembravano color smeraldo. Erano penetranti.. La prima cosa che lui aveva notato di lei: due occhioni verdi nel buio di una sera estiva come tante, a quella festa di Berlino, a cui lui non voleva nemmeno partecipare.

E non c'è nulla di speciale nel volerti
basta guardarti, parlarti
a occhi aperti
e trovi un modo per farmi dire wow
e incastrare gli occhi miei nei tuoi di nuovo

“Sono in un ritardo pazzesco!” Strillò lei, staccandosi a malincuore da Bill e avvolgendo il suo corpo con un asciugamano che si era preparata poco prima.

Una volta vestiti, scesero in cucina, preparandosi la colazione.

“Allora, che fai stamattina?” Domandò Maggie, mentre portava due tazze di caffèlatte con due brioches alla marmellata, sul tavolo dove era seduto Bill.

“Devo vedermi con i ragazzi e con David per la revisione del nuovo album!”

“Divertitevi! Ah, salutami Tom e diglielo che diventerà zio.. Non continuare a rimandare!” Ridacchiò, pensando alla faccia del suo futuro cognato quando avrebbe saputo che lei era incinta di quasi tre mesi.

“Ovviamente, solo devo aspettare il momento giusto. E’ una cosa importante.” Le prese la mano, stringendogliela forte. Tre anni erano passati, ma ancora non riusciva a far smettere il suo cuore di battere impazzito, ogni volta che la sfiorava.

“Dopo l’università mi fermo a mangiare al volo con Rebecca, poi vado dritta al lavoro e torno per le sette. Ceniamo insieme?”

“Certo, poi però ti rapisco per un’altra notte” Sorrise furbo, dando un morso al suo cornetto e prendendo un sorso di caffèlatte.

“Mi piace essere rapita da te!” La sua risata argentina riempì il silenzio della stanza, rimbalzando tra una parete e l’altra, facendo stupire Bill di quanto una risata potesse farlo stare così bene e in pace con il mondo.
Maggie guardò il suo orologio da polso, strabuzzando gli occhi: era tremendamente tardi!

“Amore, ci vediamo stasera! Ti chiamo alla pausa pranzo.. Ti amo!” Prese la borsa, si infilò la giacca e uscì di volata.. Sentendo il gelo dell’inverno entrarle nelle ossa, congelandola.

“Ti amo piccola pazza.” Sussurrò scuotendo la testa Bill, ancora dentro casa, mentre lei era già uscita.
Prese le due tazze ormai vuote, e le ripose nel lavandino.
Doveva prepararsi anche lui, Tom sarebbe arrivato a momenti!

Hai 21 anni e quella voglia la stessa mia
prenderci in macchina fino a notte fonda
poi a casa mia, prenderci a letto fino a quando
il sole bussando
non ci avvisa che il mondo si sta svegliando
allora tu scendi di corsa, la doccia
i tuoi capelli sanno di albicocca
un bacio sulla bocca e dritta al lavoro
tra loro che non sanno che sudi
per mantenere mà e pà
e che studi, per darti una possibilità

“Bill, sono io scendi!” Urlò Tom Kaulitz nel citofono di suo fratello. Era appoggiato al cofano della sua macchina, fumando quella sigaretta che ormai si stava consumando fra le sue dita. Diede l’ultimo tirò e poi gettò il mozzicone sul marciapiede, vedendo anche l’ultima scintilla spegnersi con un soffio di vento appena più forte.

“Eccomi!” Bill spuntò fuori dal portone del suo appartamento, salutando il gemello con la mano, che gli rispose con uno dei suoi migliori sorrisi. Amava vedere il fratello così felice, e il merito era tutto di quella gnometta dagli occhi verdi che lui adorava con tutto sé stesso.

“Dai sali, David e gli altri ci aspettano!”

Con ancora il sorriso sulle labbra, Bill montò in macchina, consapevole che quello era il momento più adatto per dare al gemello la notizia.

“Ci pensi? Presto io e Maggie andremo a vivere insieme..” Sospirò felice, guardando il finestrino, mentre l’auto cominciava a muoversi.

“Allora ha accettato!” Esclamò felice

“Si, entrò sette mesi il mio appartamento comincerà a farsi stretto però..” Sogghignò sotto i baffi, ascoltando il silenzio che era appena piombato nell’abitacolo, pensando che molto probabilmente Tom stava filtrando ciò che gli era appena stato detto, per arrivare ad una conclusione sensata.

“Tu vuoi dirmi che..” Strabuzzò gli occhi, lanciando una breve occhiata a Bill, non perdendo di vista la strada davanti a lui.

“Si Tomi! Maggie è incinta!” Strillò emozionato, guardandolo con gli occhi luminosi e pieni di vita.

“Diventerò zio!”

“Diventerò padre!” Si ritrovarono a gridare all’unisono, per poi scoppiare simultaneamente a ridere.

“Bill, è una notizia magnifica! A che mese è?” Era esaltato come un bambino davanti ad un negozio di caramelle gommose.

“E’ quasi al terzo.. Stavo aspettando il momento giusto per dirtelo” Sospirò felice. Non poteva crederci, Entro appena sei mesi e mezzo sarebbe stato il papà di un bambino meraviglioso.. O una bambina, chi poteva dirlo? Una bella bambina, che somigliasse tutta alla mamma. Una bimba dagli occhi verdi.. La sua principessa.
Aveva così tanta voglia di conoscerlo, quel bambino, che se avesse potuto sarebbe entrato nella pancia della sua Margaret a fargli compagnia.

“Sei felice, Bill?” Chiese retoricamente, vedendogli un espressione serena e rilassata.

“Non vedo l’ora di stringerlo tra le braccia..” Mormorò assorto, pensando e ripensando al grande giorno.

“Sono sfinita!” Esclamò una moretta sedendosi al tavolino di un bar-ristorante seguita da una ragazza leggermente più alta di lei.

“A chi lo dici Rebecca, se penso che tra meno di un’ora devo essere al lavoro mi viene da piangere..” Maggie si lasciò cadere pesantemente sulla sedia di fronte all’amica, mettendosi le mani tra i capelli.

“Nelle tue condizioni dovresti restare a casa a riposarti, Maggie.”

“Oh andiamo! Sono incinta, non sono malata!” Sventolò una mano davanti al viso, sbuffando divertita. Nonostante facesse l’indifferente, tutte quelle attenzioni le facevano piacere.
Una suoneria interruppe le due ragazze, che si tastarono le tasche dei pantaloni.

“E’ il mio!” Esclamò Margaret, tirando fuori il cellulare.

Complimenti alla mamma più bella del mondo!

Era un messaggio di Tom. Il suo cognatino preferito. Sorrise, rispondendo brevemente all’sms pigiando i tasti sulla tastiera del cellulare.

Grazie cognato! Domani festeggiamo!

Con un sorriso ripose il telefonino nella sua borsetta, mentre un cameriere arrivava con le ordinazioni.

“Con Bill come va?” Domandò l’amica, dando il primo morso al panino di fronte a lei.

“Tutto splendidamente bene. Andremo a vivere insieme a breve!” Le fece l’occhiolino, addentando il toast al prosciutto e formaggio che aveva ordinato.

“Hai accettato allora!”

“Come potevo non farlo?” Si amavano e aspettavano un figlio. Due motivazioni più che valide per fare quell’ennesimo passo e rafforzare ulteriormente la loro storia, seppur non ce ne fosse bisogno.
L’altra annuì, sorridendo e riprese a gustarsi il suo pranzo.

“Becky e tu? Con Eirik?” Si interessò Maggie, sapendo che tra loro non andava più molto bene.

“Insomma..E’ complicato.” Sospirò l’altra, abbassando lo sguardo. “Diciamo che non è più come all’inizio, è cambiato, lo sento diverso..”

“Oh, mi dispiace.. Quando hai bisogno di parlare io ci sono, lo sai!” La consolò, accarezzandole il braccio.

“Certo Maggie, grazie..” Le sorrise, mettendo in bocca l’ultimo boccone del panino.

“E’ tardissimo! Derek mi ammazza se non arrivo in orario all’edicola!” Esclamò alzandosi dalla sedia, infilandosi il giubbotto pesante.

“Non ha pietà di te nemmeno ora che aspetti un bambino?” Sogghignò l’altra, vedendola trafelata portarsi la cinta della borsa sulla spalla.

“Quell’uomo non ha mai pietà!” Le strillò Maggie appena prima di aprire la porta e di schizzare fuori dal locale.
Si avvicinò alla sua macchina e, montandoci copra, la mise in moto, diretta verso l’edicola.

La sua vita era così, frenetica e scandita secondo per secondo. Spesso non aveva nemmeno il tempo di respirare, c’erano stati alcuni giorni in cui credeva di non riuscire a continuare così, a gestirsi il tempo tra scuola e lavoro. Ma poi ripensava alla creaturina che le stava crescendo nella pancia, a Bill.. E tutto svaniva, PUF, come una bolla di sapone.
Parcheggiò la macchina e si tuffò fuori, precipitandosi dentro alla cartoleria.. Dove l’aspettava un uomo alto, sulla quarantina.. Con l’aria severa e un piede che batteva ritmicamente sul pavimento.
Quella sarebbe stata una lunga e dura giornata..

Doveva fare presto, Maggie avrebbe staccato presto dal lavoro e sarebbe subito andata nel suo appartamento. Dovevano uscire a cena e lui non vedeva l’ora di abbracciare la sua piccolina e di passare la serata insieme a lei. Era dalla mattina che non la vedeva e non la sentiva. Non l’aveva nemmeno chiamato durante la pausa pranzo, probabilmente si era ritrovata con l’acqua alla gola, sempre in ritardo. Tipico di lei.
Sorrise, pensando al suo viso imbronciato appena sveglia, quando gli aveva detto che non voleva andare all’università.. E si rese conto che nessuna ragazza gli avrebbe mai potuto dare tutto quello che gli dava Maggie solo con un semplice sguardo.
Lei era in grado di riempirgli le giornate con un sorriso, di farlo volare a metri da terra con poche parole.. Margaret Becker sarebbe stata sua moglie, la madre dei suoi figli.. Non se la immaginava una vita senza lei al suo fianco. Quella ragazza era stata un dono dal cielo quando tutto intorno a lui stava svanendo, quando anche il rapporto con il suo fratello gemello si stava incrinando. Poi un giorno.. Era arrivata lei, in una sera di inizio luglio.. Con una ventata d’aria fresca era piombata nelle loro vite, facendole ritornare nei binari. Rimettendo tutto al suo posto, portando l’ottimismo e il buonumore.
Maggie era un angelo, ormai ne era più che convinto.

Il campanello suonò, e quasi non rischiò di ammazzarsi per andare ad aprire la porta. Nemmeno si aprì del tutto che lui si era già fiondato tra le braccia della sua fidanzata, travolgendola.

“Amore quanto mi sei mancata!” Le sussurrò tra i capelli, baciandole la guancia, poi il mento e le labbra. Quelle labbra rosa e profumate di ciliegia. La strinse a sé un po’ più forte, accarezzandole la chioma scura.

“Anche tu ci sei mancato.” Sorrise, accarezzandosi il ventre e facendolo ridacchiare sottovoce.
Il moro si chinò,a posare un bacino anche sulla pancia della ragazza, sfiorandola piano.. Come fosse di un vetro particolarmente delicato.

“Allora, andiamo? Ti porto in un bel posticino!” Esclamò pimpante, prendendola per mano e chiudendo la porta del suo appartamento a chiave, ficcandosele poi in tasca, insieme al cellulare e al portafogli.

“Ti sta benissimo quel vestito, lo sai?” Le disse, una volta in macchina, diretti verso il ristorante. “Ti dona il verde.” Continuò poi, facendola arrossire, e sorprendendosi di riuscirci ancora dopo tutti quegli anni insieme.

“Grazie Billie..” Sussurrò, guardando poi fuori dal finestrino le macchine che continuavano a sorpassarli. Bill era molto prudente alla guida, si poteva definire impeccabile, soprattutto quando a bordo c’era anche lei. Rispettava i limiti, le distanze di sicurezza, andava piano e non faceva pazzie..
Soprattutto non guidava mai dopo aver bevuto anche solo una bottiglia di birra. “Non è prudente” Le ripeteva sempre.
Lei apprezzava molto questo suo comportamento, si sentiva protetta.. E non aveva paura di nulla. Non con lui.

La radio era sintonizzata su una stazione che trasmetteva una vecchia canzone tedesca. Maggie cominciò a canticchiarla nella testa, nonostante non ne conoscesse né il titolo né l’autore.

“Sei stupenda amore mio..” Le sussurrò Bill ad un certo punto, posando la mano sul suo ginocchio, in cerca della sua, che trovò e subito strinse.

Ricordo bene quel vestito di H&M verde chiaro
sei la più bella non ce n'è
dai partiamo al volante in corso alla mano il finestrino abbassato
le altre macchine sfrecciavano noi andavamo piano
ascoltavamo chi paga, pioggia, mai

“La smetti di farmi i complimenti? Va a finire che divento un’aragosta!” Ridacchiò lei, portandosi la mano di lui alla bocca e lasciandoci una scia di baci fino alla punta delle dita. “Però ti amo” Continuò, guardandolo luminosa in viso.

“Ti amo, piccola mia” Le disse di rimando, lanciandole un’occhiata fugace, prima di riportare la concentrazione al volante.

“Io ti amo di più.” Incrociò le braccia al petto, guardandolo con tono di sfida.

“Se, ti piacerebbe!” Fece una risatina sfottitrice, spingendole il braccio con una mano.

Seguì un po’ di silenzio. Ognuno perso nei suoi pensieri, ognuno con le sue preoccupazioni, le sue paure, le sue gioie.
Perché seppure quei due ragazzi innamorati stessero vivendo una favola, la paura del futuro c’era eccome. Non del loro futuro come coppia, quello no. Il loro futuro come genitori, semmai. Sarebbero stati un buon padre e una brava mamma? Avrebbero cresciuto il loro bambino sano e forte.. Con dei principi e dei valori?
Tante domande e, apparentemente pochissime risposte.. Se non nulle.
Avevano ancora mesi per imparare a crescere e a maturare, insieme. Ora dovevano solo godersi quella serata in pace, lontani da tutto. Lontani dal mondo.

“Senti un po’.. E la primissima copia del nuovo album quando me la dai? Perché sai, no.. Che voglio la prima in assoluto?” Scherzò lei, cominciando a ridere.. Seguita a ruota da lui.

“Vuole la prima copia, la signorina!” Rise forte.

“BILL! ATTENTO!” Un grido agghiacciante rimbalzò tra le pareti dell’abitacolo, Bill si girò di scatto verso la strada.. Due enormi fari gialli gli annebbiarono la vista, facendogli incontrare solo una forte luce che gli impediva di vedere qualsiasi altra cosa.
Un rumore assordante gli tolse l’udito, facendogli sentire solo un lungo e perenne fischio fastidioso e anche un po’ doloroso. L’unica cosa che gli saltò in mente fu il pensiero di Margaret, di fianco a lui, che non aveva nemmeno fiatato. Non un grido, non un gemito, non una parola.
Stava con gli occhi sbarrati, paralizzata dal terrore, mentre la macchina veniva travolta dal camion e rotolava su se stessa, compiendo giri completi. Fracassandosi.
Gridò ancora, gridò il suo nome a pieni polmoni, sperando che reagisse, ma niente.. Rimaneva ferma, congelata sul posto dalla paura, mentre l’auto si accartocciava su di loro. Era una situazione troppo strana, mai in vita sua avrebbe pensato di ritrovarcisi in mezzo come protagonista.
Non capiva più niente, non vedeva, non sentiva. Continuava ad urlare, a chiamare la sua ragazza.

Poi ad un certo punto la macchina si fermò, smise di rotolare. Gli faceva un male cane la testa, sentiva il sangue caldo colargli lungo la tempia, bagnargli il labbro. In bocca il suo sapore ferroso e salato gli faceva venire voglia di vomitare.
Si guardò intorno, non capiva niente. Terrorizzato, si girò verso destra, verso Margaret.. Stesa sul suo sedile, con le braccia penzoloni. Svenuta.
“MAGGIE!” Urlò, tentando invano di liberarsi dalla cintura di sicurezza, che però era incastrata e non ne voleva sapere di smollarsi.

Poi delle sirene in lontananza. La loro salvezza.
Deglutì, rincuorato, allungando un braccio verso Maggie e accarezzandole il viso, per poi prenderle la mano e stringergliela forte.

“Ancora poco e saremo fuori di qui. Resisti amore mio.” La voce strozzata, le lacrime che gli rigavano il volto. “Ti amo.. Ti amo.. Ti amo..” Continuava a farfugliare, la mente ancora stordita e confusa.

Tu che mi chiedi un disco tuo ma quand'è che me lo fai?
io che rido
poi un grido
forse il tuo non so se sale
il boato mi ha assordato chissà tu cosa hai guardato
e la luce, la non luce
poi la luce a tratti
il verde chiaro, il rosso forte
puzza di bruciato
io che ho gridato,
forse l’ho solo pensato
sai era tutto così strano
ma Dio quanto ti amo!

Andava avanti e indietro lungo il corridoio di quell’ospedale bianco candido che mai aveva odiato come in quel momento. Un’ora fa un’ambulanza li aveva trasportati li: lui aveva solo una distorsione al braccio, qualche graffietto e qualche ematoma sparsi per il corpo. “Incredibile” Avevano detto i dottori.
Lei invece aveva battuto la testa.. Non aveva capito niente di quello che gli avevano detto, non aveva ascoltato una sola parola. L’unica immagine fissa nella sua testa era il viso sorridente di Margaret, con un bambino in braccio..
Il bambino.. Non voleva nemmeno sperare che si fosse salvato, era una cosa impossibile. Sarebbe stato un miracolo.
Ma in quel momento l’unica cosa davvero importante era Maggie..
Si chinò ancora sul water, vomitando l’anima. L’ansia gli metteva uno strano malessere addosso.. Lui voleva solo andarsene da quel posto con la sua piccola donna fra le braccia. Voleva sentirsi dire che andava tutto bene e che potevano tornare a casa tranquilli.

E nulla mi è mai mancato come te adesso
giuro, nulla, tutto è spinto all'eccesso
e in questo ospedale messo a carponi a vomitare con la testa nel cesso
a dirmi che prima o poi passerà

Uscì dal bagno, passandosi la manica della giacca leggermente sporca di sangue, sulla bocca e poi sulla fronte imperlata di sudore.
Si sedette in sala d’aspetto, portandosi le mani sugli occhi. Aveva chiamato Tom quando era ancora sull’ambulanza, ma di lui nemmeno l’ombra. Non era ancora arrivato. Di sicuro era imbottigliato nel traffico, data l’ora avrebbe dovuto essercene parecchio in giro.

Una porta si aprì, risvegliandolo dai suoi pensieri senza capo né coda. Un uomo alto e magro, con i capelli bianchi e un paio di occhialetti da vista poggiati sul naso, si avvicinò a Bill.

“Lei è qui per la signorina Margaret Becker?” Chiese, guardando la cartellina clinica che portava tra le mani.

Bill annuì impercettibilmente, con le lacrime agli occhi e un senso di ansia e oppressione che gli saliva alla gola, strozzandolo.

“Mi dispiace, l’abbiamo persa.” Sussurrò, scuotendo la testa e togliendosi gli occhiali dalla punta del naso “Abbiamo fatto il possibile ma non c’è stato nulla da fare. L’emorragia interna era in fase troppo avanzata. Posso solo assicurarle che non ha sofferto” Mormorò poi, prendendogli una spalla e stringendogliela appena.

Non si saprebbe spiegare adeguatamente quello che successe nei secondi successivi all’interno di Bill. Un vortice lo risucchiò giù, giù.. sempre più giù, in un baratro nero e senza fondo. Le emozioni si accavallavano le une con le altre, confondendolo.. Amore, perdita, smarrimento, terrore, dolore. Dolore forte e lancinante, in tutto il corpo.. Si espandeva come quando rovesci il caffè su una tovaglia e la macchia, dapprima minuscola, si allarga fino a diventare una voragine.

Non era vero, non poteva essere vero. Maggie non era.. Morta. Solo al suono di quella parola avrebbe voluto accasciarsi a terra e piangere fino a che il Signore non avesse avuto pietà di lui e avesse deciso di ammazzarlo, ponendo fine a quella lenta agonia che stava intaccando il suo corpo.. Mordendo, rosicchiando, consumando.

Quella frase gli rimbombava nelle orecchie, un’eco lontano, poi vicino, poi di nuovo lontano. Non sapeva più che cosa sentiva, né se sentiva realmente qualcosa.

L’abbiamo persa..

L’abbiamo persa..

L’abbiamo persa..

Si scostò dalla presa del medico quasi con rabbia, cominciando a marciare verso l’uscita.
Non ce la faceva. Non riusciva a camminare, non riusciva a pensare, non riusciva nemmeno a respirare.
Si appoggio ad un muro, dopo aver fatto pochi passi. Ci sbatté contro la testa un paio di volte, sentendo il dolore abbattersi su di lui così impietosamente da farlo iniziare a piangere, a lanciare imprecazioni a chiunque. A Dio, a sé stesso, a sua madre per averlo messo al mondo. A quel mondo infimo e bastardo. Al proprietario di quel camion.

Pensò a quel figlio di puttana che li aveva travolti con il suo camion del cazzo. A lui non era successo niente, nemmeno un graffietto. Nulla. Era stato portato con loro in ospedale solo per precauzione e per la prassi.
Ora se ne stava li, seduto a poca distanza da lui, che guardava in basso.. Forse a ripensare a tutto quello che era successo non più di un’ora e mezza fa.
Aveva il viso consumato e invecchiato, segnato forse da una vita che non era stata troppo gentile con lui. Ma in quel momento a Bill non gliene fregava un cazzo. Avrebbe solo voluto ucciderlo con le sue stesse mani, strappargli via il cuore dalla cassa toracica.

Dice che non hai sofferto quello col camice bianco
io son rimasto fermo ma avrei voluto ammazzarlo
e il bastardo che ci ha preso in pieno, manco un graffio
era un rumeno ubriaco marcio
guidava contromano lungo il corso
nei tratti grossolani del suo volto
nessun rimorso
se avessi forza gli spaccherei la testa con le mani


Si trascinò nel cortile dell’ospedale, era buio pesto, non c’era più quasi nessuno in giro. Era tardi.
Percorse gli scalini, poi si fermò.. Accasciandosi a terra, vinto dal dolore che gli invadeva il petto.
Gli sembrava di morire dal male.. Voleva morire.
Lanciò un urlo agghiacciante, squarciando il silenzio di quella notte apparentemente tranquilla. Apparentemente come tutte le altre.
Ma no, quella notte non era per niente come tutte le altre. Se fosse stato così ora lui sarebbe a casa sua, a fare l’amore con Maggie, a dirle quanto la amava. Quanto la ama. A fare progetti su un futuro che ormai era svanito, si era distrutto davanti ai suoi occhi impotenti. Era morto insieme alla sua giovane vita. A pensare e a ripensare al giorno del parto, al giorno in cui avrebbero dovuto conoscere il loro bambino. Ed ora lui era rimasto solo. Non c’era più Maggie. Non c’era più loro figlio.
Cacciò un altro grido, che gli bruciò la gola, facendogli male. Ma quel male non era nemmeno paragonabile a quello che dentro gli logorava l’anima.

“Bill! Bill.. Vieni, tirati su..” Una voce familiare si avvicinò a lui. La voce di Tom, suo fratello.
Con tutte le forze che gli rimanevano si aggrappò al corpo del gemello, tirandolo giù con sé, piangendo forte.. Senza preoccuparsi degli sguardi di quei ragazzi che si erano fermati a fissarli mentre passavano davanti all’ospedale.

“E’ morta! E’ morta, non c’è più Tom!” Strillò tra le lacrime, spalancando gli occhi, come se la realtà gli si piazzasse davanti solo dopo aver pronunciato quelle parole orribili a voce alta.

“No..” Sussurrò con la voce strozzata. Lasciandosi cadere di fianco al fratello, inerme.. E appoggiando la testa alla sua lasciandosi vincere dal male che stava tentando di prendersi anche lui, dalle lacrime che gli scendevano rigandogli il volto pallido e sconvolto.
Mille lame gli trapassavano il petto ad ogni singhiozzo straziante di Bill.. Era peggio di morire, perché intrappolato in una realtà che non vuoi, che detesti con tutto il cuore.

Abbracciò Bill, avvolgendo il suo esile corpo, gracile e tremante con le sue braccia forti e muscolose. Lo prese tra le sue braccia e cominciò a cullarlo.. Non sapendo come fare per impedire a quelle lacrime di continuare a ferire il suo viso.

La sua Maggie non c’era più. Questa verità gli stava troppo stretta, non riusciva a ficcarsela nella testa.. Gli sembrava un sogno. Un terribile incubo dal quale avrebbe voluto svegliarsi il prima possibile. Scoprendo che Margaret era sempre rimasta a letto, al suo fianco.. L’avrebbe baciata e le avrebbe sussurrato un “Ti amo” all’orecchio, ricominciando a dormire sereno..

Ma quello non era nemmeno il peggiore degli incubi. Era peggio.. Quella era la realtà, nuda e cruda.

Basta un secondo, per perdersi nel vuoto, cadere giù, sempre più giù, annegare nei pensieri privi di collegamenti e tutto sembra sfuggirti di mano.

Ci sarà, un modo per capirlo fino in fondo, ci sarà
un giorno in cui capirlo fino in fondo ci sarà,
ma oggi no
fa troppo male
voglio solo gridare che ci sarà e ci sarà

Oddio vi prego datemi un parere, sono troppo (troppo) insicura :,(
Spero con tutto il cuore che, almeno ad alcune di voi, sia piaciuta.. Ci spero davvero!
Come vi ho già anticipato devo fare qualche ringraziamento.. Partiamo:

Devil96 : Grazie davvero. Mi fa piacere averti fatta commuovere *-* Sono riuscita nel mio intento (:

NICEGIRL : Grazie, grazie, GRAZIE! Spero davvero di non aver deluso nessuno.. Forse sono io l’unica a non essere contenta XD Eccoti una mia nuova fanfiction, con la speranza che tu la legga e ti piaccia. Un bacio e grazie ancora!

Layla the punkprincess : Ecco la storia che mi ha fatta penare in questi ultimi tempi. Spero che riuscirai ad apprezzarla. Per ora ti ringrazio per la recensione all’ultimo capitolo di scommettiamo.. Sono felice di non averti delusa *-* ( Mia cara, credo che TUTTE pagherebbero per essere al posto di Viktoria xD )

Babakaulitz : Devo ammettere che aspettavo la tua recensione con un filo d’ansia e di impazienza. Sei stata tu, con il tuo commento, a farmi capire che dopotutto.. Scommettiamo si meritava un finale degno di nota. Sono orgogliosa di averti fatta immedesimare in questa fanfiction e di avertela fatta amare, mi hai resa fiera giuro.
Spero che anche l’altra storia ( “Incastrate” ) Ti piaccia.. Continua a seguirmi, mi raccomando *-*
Grazie ancora, un bacio!

_Pulse_ : Tu e la tua mega iper gigante stra lunga recensione XD Sono diventata strabica per leggerla tutta XD Però ti ringrazio, per tutto quello che hai scritto e per credere così tanto in me *-*
Come hai potuto ben notare.. Questa nuova fanfiction è dedicata a te, perché per scriverla ci sto mettendo tutto l’impegno possibile e perché, dopotutto, la amo profondamente. Anche se mi crea non pochi problemi .-. Ti voglio bene Aria, con tutto il cuore. Il tuo folletto verde fedele bla bla bla XD

Devilgirl89 : Addirittura una delle migliori che hai letto? *-* Oddio mi fai arrossire xD Ecco un’altra mia creazione, spero di non deluderti ^__^ Grazie!

Dark Dancer : Tu, che ci sei dall’inizio *-* Grazie, grazie di cuore.. Ormai sei una lettrice affezionate XD Spero continuerai a seguirmi. Un bacio grande!

Infine ringrazio tutte quelle che hanno letto anche senza recensire, so che ci siete anche voi. Grazie comunque.

Ale *-*


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Capitolo 2
*** Cinque mesi dopo ***


Ok, siamo al secondo. La storia si intensificherà nel terzo, già vi avviso, ma nonostante tutto spero che anche questo capitolo vi piaccia.
Non mi dilungo, oggi è una giornata nera -.- Devo leggermi tutto “Se questo è un uomo” di Primo Levi, perché il buon professore di storia a deciso di farci una verifica e di avvisarci con due soli giorni di anticipo. Bello no? XD
Buona lettura *__*

 

SECONDO CAPITOLO (Cinque mesi dopo)

 

Erano passati cinque mesi. Le giornate trascorrevano inesorabili e, a volte, sembravano non passare mai. I minuti rintoccavano pesantemente, rendendosi insopportabili e dolorosi.
Quella vita non era più degna di essere definita tale. La vita di quel ragazzo era qualcosa di inutile, si sentiva obbligato a viverla.
Un ventiduenne in quello stato, non era certo il massimo. I capelli, raccolti spesso in una coda a casaccio, gli occhi spenti ed un accenno di barba sul mento e sulle guancie.
Non si curava più, il suo aspetto lo aveva dimenticato da tempo, non gli importava più di apparire sempre perfetto, non gli importava di far valere la sua immagine. Fondamentalmente, non gli importava più di niente.

Aveva tagliato i ponti con tutti, eccetto che con il fratello, che ogni giorno passava nel suo appartamento. Non parlava con Gustav e Georg da troppo tempo, non rispondeva più al telefono, facendo così preoccupare la madre. Non si presentava più alle riunioni con la band e ormai si poteva dire, che i Tokio Hotel non esistessero più. Troppe le cose non dette, troppi i silenzi incompresi. Semplicemente, Bill Kaulitz aveva perso la voglia di vivere, aveva perso i sogni per cui tanto aveva lavorato. Li aveva lasciati indietro con.. Con lei.

Era steso nel suo letto da un po’, non sapeva quanto. Minuti, forse ore..
Non aveva voglia di alzarsi, non aveva voglia di trascinarsi fino al tavolo della cucina per fare colazione, per fare qualsiasi cosa. Non aveva voglia di cominciare una nuova giornata.
Desiderava solo rimanere a letto, a crogiolarsi nel caldo della trapunta, senza pensare a niente. O per lo meno non permettere che i ricordi lo assalissero si nuovo.
Succedeva sempre, ogni volta la stessa storia. Lui cercava di distrarsi, di spegnere il cervello e tutti i collegamenti.. E quei ricordi, i ricordi dei giorni felici e pieni di allegria, gli assalivano la mente senza pietà, senza dargli tregua.
Lui chiedeva solo un po’ di pace.. Solo trovare una via d’uscita a tutto quel male.
Non era forse stato abbastanza crudele il destino, o Dio, o chi cazzo era stato, a portargli via l’amore della sua vita? L’unica ragazza che lui avesse mai amato così profondamente ed incondizionatamente.
Meritava di soffrire ancora forse?

Irritato si levò la coperta di dosso con rabbia, appoggiando i piedi nudi a terre e incontrando quel gelo del pavimento che gli fece scorrere una scarica di brividi su per la colonna vertebrale.
Rabbrividì un paio di volte, poi si infilò un maglione e scese da basso. Si avvicinò al frigorifero per prendere il latte, e un biglietto attaccato proprio li sopra con una calamita attirò la sua attenzione.

Billie sono passato ma tu dormivi, vorrei parlare un po’ con te. Passo nel pomeriggio, ti voglio bene fratellino. Tom.

Stacco il foglietto di carta e se lo portò davanti al viso, guardandolo da più vicino. Sorrise debolmente, rendendosi conto che inevitabilmente stava facendo soffrire anche le persone a lui più care. Quelle che gli erano rimaste vicine, nonostante lui continuasse ad allontanare chiunque.. Dicendo che voleva essere solo lasciato stare.
Sospirò pensando che forse, prima o poi, avrebbe dovuto fare un passo verso di loro e far capire che, malgrado il dolore che continuava ad attaccarlo, lui li amava comunque. Senza differenze, sebbene di tempo ne fosse passato parecchio.

Aveva persino mollato il lavoro, il suo splendido e desiderato lavoro da rockstar. Non cantava più e, se lo faceva, lo faceva solo per lei.
Pensare anche solo il suo nome gli faceva sanguinare il cuore, e lui non voleva più piangere.. Non voleva più sentire quel fastidioso pizzicore al naso ogni volta che le lacrime minacciavano di sgorgargli dagli occhi. Quegli occhi ormai da troppo tempo velati di malinconia e tristezza.
Odiava sentirsi le guance umide e il naso chiuso.. Odiava tornare indietro nel tempo. Ai giorni in cui lei ancora c’era, fino al giorno in cui lei non c’era più.. Volata via come una bellissima colomba, nel cielo azzurro e infinito.

Senza accorgersene si ritrovò seduto a terra, con la schiena premuta contro il frigorifero e una mano che stringeva la maglia all’altezza del petto, dove una volta c’era il suo cuore..
Gli occhi sbarrati e il respiro affannato, come quello che viene dopo una corsa a perdifiato.
Si aggrappò alla credenza, tirandosi su e rimettendosi in piedi, ciabattando come uno zombie fino al salotto e lasciandosi cadere a peso morto sul divano bianco e morbido.
Chiuse gli occhi portandosi una mano sulla fronte, e lasciando che tutti quei ricordi riaffiorassero alla sua mente, affogandolo. Tanto, cos’aveva ancora da perdere?

15 settembre 2012

“Con immenso dolore da parte dei famigliari, del fidanzato, dei parenti e degli amici tutti, siamo qui insieme riuniti per celebrare l’ultimo saluto a Margaret Becker, ragazza di grande cuore e grandi aspirazioni. […] E dall’alto dei cieli, veglia su di noi. Addio Margaret.”
Fanculo. Fanculo, fanculo, fanculo.
Lui non ci voleva rimanere li, non voleva stare seduto alla prima fila di quella maledettissima Chiesa. Lui nemmeno ci credeva in Dio.
Avrebbe tanto desiderato ritornare a casa, a piangere il dolore della perdita da solo.. Ma no, era stato quasi portato con la forza davanti a quella bara che non osava nemmeno girarsi a guardare.
Di fianco a lui c’erano i signori Becker, mentre dall’altra parte Tom, Gustav e Georg. I genitori di Maggie piangevano.. Frederick doveva tenere in piedi Katia, o sarebbe caduta a terra priva di forze.
Suo fratello, in parte a lui, aveva gli occhi rossi e gonfi. Lui invece era un pezzo di marmo, guardava fisso il pavimento decorato della Chiesa e non fiatava, non emetteva alcun suono.
Quella era un’altra dimensione, per lui. Un mondo parallelo in cui lui era scivolato senza volerlo. Quella l’unica spiegazione plausibile.
Era impensabile una cosa del genere, umanamente impossibile.
“Bill.. Se vuoi puoi fare un discorso all’altare” Sentii Tom sussurrargli piano all’orecchio, con la voce roca e tremante.
Un discorso? Un discorso all’altare?
Come se quelle parole lo risvegliassero, voltò il viso verso il fratello, guardandolo assente.. Gli occhi vuoti. Poi con una lentezza inesorabile si alzò.. Andando di fianco al parroco che gli fece spazio, spostandosi qualche passo più indietro.
“Sono Bill. Sono il fidanzato di Maggie.” Disse al microfono, la voce priva di espressione e lo sguardo puntato negli occhi del fratello, non si muoveva di un millimetro. “Il mio discorso sarà breve e conciso.” Si fermò, prendendo fiato. “Venendo qui, oggi, ho visto facce che non avevo mai visto in tre anni di storia con Maggie. Siete tutti degli ipocriti, siete spariti per anni e tornate solo ora che lei.. lei.. non c’è più.” Sfiatò, sentendo le lacrime premere fortemente contro gli occhi. “Avrei preferito vedere solo quei pochi amici che però le sono stati vicini sempre! Non avete il diritto di stare qui! Andatevene! Andatevene via tutti! TUTTI!” Tom si avvicinò all’altare, vedendo che la situazione stava sfuggendo di mano.. Bill stava delirando.
Gli andò vicino, avvolgendolo in un abbraccio e trascinandolo fuori in giardino percorrendo la navata della Chiesa, mente lui si agitava strepitante tra le sue braccia.
“Ve ne dovete andare! Maggie non vi vuole qui! Uscite!!” Continuava ad urlare,, in preda al panico.

“Bill.. Bill, stai calmo ti prego, ci sono qui io.” Sussurrò Tom al suo orecchio una volta che furono in cortile, cercando di tranquillizzarlo ma inutilmente.
Il moro respirava a fatica, con la bocca spalancata in cerca d’aria da far arrivare ai polmoni e gli occhi sgranati in un modo indicibile.

“Bill ti supplico, calmati..” Gli accarezzo le guancie, facendolo sedere su una panchina e accomodandosi di fianco al lui, senza interrompere l’abbraccio.

“Tom…” Mormorò a fatica, regolarizzando il respiro, che piano stava ritornando normale.

“Sono qui, sono qui.” Gli strinse la mano, accarezzandogli i capelli.

“Io.. Maggie. Tom riportami qui Maggie..” Si girò a guardarlo, gli occhi di chi sa che non ci sono più speranze, ma continua ad illudersi che qualcosa si possa aggiustare.
Ma non c’era più niente da fare ormai, nulla era più aggiustabile.. Il cielo si era preso la sua Margaret e se la teneva gelosamente, impedendogli di riaverla con sé.

“Non posso. Non posso..” Tom si lasciò scappare un singhiozzo, abbracciando il gemello che ormai tremava incontrollatamente tra le sue braccia.

 Si tirò a sedere sul divano di scatto, lanciando un grido. Si era solo addormentato.. Si passò una mano sul viso leggermente sudato e si alzò, andando a vestirsi.
Passando davanti alla cucina lanciò uno sguardo all’orologio a muro che era attaccato alla parete: segnava le due del pomeriggio.
Ormai nemmeno più il tempo calcolava più.. Per lui rimanere a letto dalla mattina fino alla sera del giorno successivo era uguale a stare a letto solo un paio d’ore..La concezione del tempo era divenuta qualcosa di totalmente insignificante.. Le sue giornate le passava lentamente e dolorosamente. Non badava all’ora, non badava a niente.

Arrivò nella sua stanza e si fermò sulla soglia, appoggiandosi con una spalla allo stipite della porta, guardando l’interno della camera.
C’era un letto matrimoniale, con una graziosa trapunta celeste, un armadio di legno scuro e una scrivania su cui non si sedeva da tempo per comporre nuovi testi, nuove canzoni.
Vagò con lo sguardo vacuo finché sul letto non si immagino il corpo snello di una ragazza dai capelli castani e gli occhi verdi, che lo invitava a sdraiarsi di fianco a lei.
Scosse la testa sospirando.. Abituato a quei brutti scherzi che gli giocava la sua mente, sempre più spesso.
Aprì le ante del grande armadio e, senza guardarci troppo dentro, tirò fuori una vecchia tuta dell’adidas consumata e se la infilò.

Un rumore di chiavi che giravano nella serratura lo fece sobbalzare. Si tranquillizzò quando si ricordò che solo Tom aveva una copia delle chiavi di casa sua.
Scese le scale e si ritrovò suo fratello in salotto, seduto sul divano a guardare la tv.

“Tomi..” Mormorò avvicinandosi.

“Allora sei sveglio! Credevo dormissi ancora..” Gli sorrise di rimando il gemello. L’altro si limitò a sorridere e a sedersi accanto a lui, seguendo con minimo interesso lo stupido programma che stava guardando.

“Come stai?” Gli chiese Tom, guardandolo fisso negli occhi.

“Bene.” Rispose l’altro, incurante. No. Non era vero. Non andava per niente bene. Non andava più bene da cinque interi, lunghissimi mesi! Perché continuavano a chiedergli come stesse? Perché si ostinavano a credere che in così poco tempo le ferite potessero essere ricucite! Stava male! Stava male da morire e l’unica cosa che potesse farlo tornare a vivere era riaverla tra le sue braccia!

“Sei sicuro?” Continuò.

“Ma, Tomi, cosa ti fa credere che possa stare male?” Domandò con sarcasmo Bill, gli occhi severi e la voce dura. Lo guardò serio, senza distogliere lo sguardo.

Tom sospirò.. Si sentiva inutile. Qualsiasi cosa facesse o dicesse,  il gemello la prendeva male cominciando a fare l’ironico e il sarcastico. Non sapeva più come fare per far tornare il sorriso ad illuminare il viso di Bill.. Non sapeva che diavolo fare per recuperare il loro magico rapporto che si stava incrinando giorno dopo giorno..
Più volte aveva pensato di portare di peso il fratello dallo psicologo. Ma trascinarcelo contro la sua volontà non sarebbe stato proficuo e lui, ne era certo, non avrebbe mai acconsentito. Lui non aveva bisogno di strizzacervelli, lui rivoleva solo qualcuno che non poteva più tornare da lui..
Il suo male era quindi incurabile?

“Scusa.” Soffiò.. Da quel giorno non faceva altro. Si scusava, chiedeva perdono.. Anche per cose che non aveva fatto. Aveva una fottuta paura di perdere Bill, che era vulnerabile e fragile. Ogni frase la sentiva come un’accusa nei proprio confronti o come un rimprovero, anche se non era così. Tom spesso preferiva rimanere in silenzio per il timore che Bill potesse equivocare le sue frasi.

“No, scusa tu.. Sto esagerando lo so. Solo che..fa così male” La voce gli tremò, se la schiarì, sperando che ritornasse normale.

“Shhh, non dire niente.” Lo abbracciò ascoltando, per l’ennesima volta, i singhiozzi che tentava di soffocare sulla sua spalla.

“Tom.. Perché? Perché?!” Pianse ancora più forte.. Quella scenetta si era ripetuta troppe volte, ma sembrava sempre come fosse la prima. Il dolore da entrambe le parti era lo stesso, se non altro.

“Tomi, Tomi mi dispiace! Ho sfasciato i Tokio Hotel.. Ho distrutto l’amicizia con Georg e Gustav.. Sto rovinando anche il rapporto con te.. Ma io non ce la faccio, non riesco ad andare avanti!”

“Bill i Tokio Hotel non sono importanti quanto lo sei tu! I Tokio Hotel possono aspettare.. Come Georg e Gustav, loro vogliono solo il tuo bene, la vostra amicizia non è rovinata, loro sono sempre con te e ci saranno quando avrei bisogno di loro. Quanto a me.. Billie.. Io non vado da nessuna parte senza di te. Il nostro rapporto non si distruggerà. Sempre insieme, ricordi?” Bill tirò su col naso, annuendo impercettibilmente. Aveva ventidue anni compiuti, ma in quel momento non si sentiva altro che un bambino dopo un incubo.. Che va a rifugiarsi tra le braccia del fratello maggiore per farsi confortare e consolare.

“Tomi andiamo.. Andiamo a trovarla?” Tom socchiuse la bocca a quella richiesta, rimanendo esterrefatto. Dal giorno del funerale Bill non aveva mai messo piede in quel cimitero e, ogni volta che Tom provava a fargli cambiare idea e a portarcelo, il suo “No.” Arrivava forte e chiaro, accompagnato da una lacrima di esasperazione.
Non capì cosa fosse cambiato nella testa di Bill, tanto da fargli prendere quella decisione.. Forse semplicemente aveva voglia di “rivederla”..

“Si.. Andiamoci” Mormorò, accarezzandogli una guancia.

 

In macchina il tragitto lo passarono in assoluto silenzio. Non si sentiva nemmeno una mosca volare, il niente più assoluto.
Parcheggiò in un posto libero che trovò proprio davanti ai grandi cancelli di ferro battuto. Cancelli che lui aveva oltrepassato ogni giorno dopo la sua morte.
Ogni giorno andava alla sua tomba con un mazzo di fiori e cominciava a parlare di tutto, di Bill.. Le raccontava tutto, ogni cosa. In fondo sapeva che poteva sentirlo.

Bill si guardò intorno, spaesato, quel cimitero era davvero troppo grande, eppure si sentiva soffocare tra quelle mura.
Il sentiero che dovette percorrere fianco a fianco con Tom sembrava non finire mai, una lunghezza smisurata.. Non era stato così infinito il giorno del funerale.

Intravide la lapide, su cui aveva pianto quel quindici di settembre, mentre cercavano di portarlo via con la forza.. Alzandolo da terra.

Smise di respirare per qualche secondo, portandosi istintivamente una mano sul cuore che batteva impazzito, e sentendo gli occhi inumidirsi contro la sua volontà.
Tom gli poso una mano sulla spalla, stringendogliela forte ed infondendogli coraggio.

“Vai tu..” Gli disse. “Io ti aspetto qui.” Il moro annuì, percorrendo i pochi passi che lo dividevano da lei..
Si sedette davanti alla tomba, incapace di alzare lo sguardo sulla sua foto.
Sapeva già quale avevano messo.. Era una foto di due estati prima, quando erano andati in vacanza assieme.. Gliel’aveva scattata Gustav. Quell’anno gli era presa la fissa della fotografia e allora ne faceva una valanga a tutti. Sorrise al pensiero del suo amico che andava in giro a fotografare qualsiasi cosa.
Ma il sorriso sparì dalla sua faccia quando si ricordò dov’era. Prese un filo d’erba, cominciando a rigirarselo tra le mani e, lentamente, alzò il capo. Incontrò quei fantastici occhi verdi e fu come ricevere una scarica di pugni in pieno stomaco.. Fu peggio che morire vedere quei fari smeraldini e quei capelli castano scuro che amava così tanto accarezzare prima di addormentarsi.

Alzò un braccio, andando a sfiorare il vetro freddo che ricopriva la fotografia, mentre una lacrima gli scivolava sulla guancia.

“Amore mio..” Sussurrò al vento che gli accarezzava i capelli, raccolti in un codino disordinato. “Quanto.. Quanto mi manchi.” Abbassò lo sguardo, sentendo il naso pizzicare. “Non te ne dovevi andare.. Non ve ne dovevate andare.” Mormorò stringendo i denti e serrando i pugni sulle ginocchia.
L’immagine di lei e suo figlio se la portava nella testa, e non gli lasciava tregua. La sua famiglia,  si era distrutta.. Aveva tanto lottato per riuscire a farsene una, e propri quando era ad un soffio per realizzare quel desiderio, tutto si era disintegrato.
Un singhiozzo gli sfuggi dalle labbra e, senza che se ne rendesse conto, cominciò a lacrimare.

“Tutto quello che desidero è riaverti qui piccola mia..” Singhiozzò, mangiandosi le parole.. “Non doveva andare così, non doveva proprio andare così” Scoppiò in un pianto amaro e frustrato, quando si sentì tirare su da terra. Alzò il viso e incontrò gli occhi preoccupati di Tom.

“Andiamo via..” Sussurrò il chitarrista, tenendolo stretto finché non arrivarono alla macchina.

 

Era stata una pessima idea andare al cimitero, ora stava diecimila volte peggio.
Tom era andato via da qualche minuto, se avesse avuto bisogno di lui bastava che attraversasse la strada. Lui abitava proprio li di fronte.
Non avevano mai voluto separarsi troppo, così comprare due appartamenti così vicini gli era sembrata la soluzione migliore.

Guardò l’orologio, le nove di sera.

Velocemente prese il cappotto e se lo infilò, afferrò le chiavi della macchina dalla ciotolina che c’era sul mobiletto all’ingresso e uscì di casa, richiudendosi la porta alle spalle.
Aveva bisogno di liberare la mente, di dimenticare tutto, anche se solo per poco tempo, ma aveva la necessità di avere la testa sgombra da tutti quei pensieri dolorosi che lo stavano rendendo solo l’involucro di un essere umano.

Parcheggiò l’auto davanti al primo bar che trovò lungo la strada e ci si fiondò dentro. Ancora non sapeva in che condizione sarebbe uscito di li, ma non importava.. Aveva bisogno di libertà mentale.

 

Passo subito ai ringraziamenti perché Aria deve andare a studiare geografia xD :

layla the punkprincess : Spero tu ti sia preparata i fazzoletti per davvero xD spero comunque ti piaccia, nonostante la tristezza e il dolore di Billie ._.

_Pulse_ : Vabbè con te non mi dilungo visto che devi studiare XD Ti dico solo che ti voglio un bene indicibilmente indicibile e che sono felicissima che questa storia ti piaccia, spero di non deluderti *-*

Tiky : Grazie mille! *__________*

 

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Capitolo 3
*** Melrose ***


 Ecco a voi il terzo! In questo capitolo entrerà in gioco un nuovo personaggio. Personaggio che a me piace da morire *-* Eppoi è tratto da una persona vera, qui solo Aria può capire XD
Spero che piaccia anche a voi!
Buona lettura ragazze, ci vediamo a fondo pagina con i ringraziamenti! *-*

 

TERZO CAPITOLO - Melrose

 

Una ragazzina di diciannove anni era china su una scrivania a leggere l’ennesimo libro di Kyle Smith, i capelli biondi che le ricadevano morbidi sul viso. I suoi accesi occhi verdi scorrevano velocemente le righe, bramosi di arrivare alla fine, mangiandosi quasi le parole scritte.
Al piano di sotto poteva sentire l’ennesima litigata dei suoi genitori, questa volta più accesa del solito. Era parecchio tempo che ormai non facevano altro: Urlare, insultarsi, incolparsi a vicenda.. E poi finiva sempre che sua madre scoppiava in lacrime rifugiandosi in camera da letto.
Suo papà non era una cattiva persona. Non aveva fatto mai mancare niente a lei a suo fratello e alla loro mamma. Non aveva mai alzato un dito sui figli o sulla moglie..
Però ultimamente, i suoi turni di lavoro, erano più lunghi del normale.. Riusciva a ritornare a casa anche alle dieci e mezzo di sera, convinto che le sue due “ragazze” non sospettassero nulla.
Ma i sospetti c’erano eccome, soprattutto da parte di Hanna, la moglie, che era fermamente convinta di venire tradita dal marito.
Tutte le sere c’era una nuova lite in quella casa, così la ragazza si nascondeva nella sua stanza a leggere, cercando in tutto i modi di non ascoltare le grida che provenivano dalla cucina.

“Oskar! Mi stai prendendo per stupida? Lo so che mi stai nascondendo qualcosa, è inutile che continui a negare!” Urlava la mamma.

“Hanna piantala con queste fissazioni! Smettila!” Replicava lui, alzando la voce sempre di più.

La ragazza chiuse il libro e lo lasciò ricadere sulla scrivania con un tonfo sordo, per poi portarsi le mani sulle tempie sospirando.
Odiava sentire i suoi genitori litigare così pesantemente.. Erano sempre stati una famiglia unita e armoniosa, non voleva che si distruggesse tutto.

Si lasciò cadere sul letto, era pomeriggio inoltrato. Un anno fa a quest’ora probabilmente si sarebbe ritrovata a fare i compiti per casa. Ma, fortunatamente, quello per lei era stato l’ultimo anno. Ora lavorava in un piccolo bar del centro.
Inspirò profondamente ed aspirò subito dopo, chiudendo gli occhi e portandosi un braccio a coprirle la fronte.

“Melrose..” Sentì la voce, roca dal pianto, di sua mamma chiamarla da dietro la porta.

“Vieni..” Si alzò a sedere e vide la figura minuta e magrolina della madre fare capolino nella piccola stanzetta. Le sorrise, facendole segno di sedersi vicino a lei.

“Tesoro, mi dispiace se ogni sera sei costretta a sentirci urlare..” Le disse facendole una carezza sulla guancia. “Vorrei che tu non dovessi assistere a certe scene..”

“Mamma ho diciannove anni, sono grande. Non occorre che ti preoccupi per me, sono abbastanza matura da capire che se lo fate lo fate per un motivo. E riesco anche a capire che questa volta non sarà facile risolvere la situazione..” Mormorò l’ultima frase, guardando a terra triste.

“Mi dispiace.. Io non so per quanto tempo riuscirò ancora a sopportare questo clima che si è creato in casa. Voglio solo che tu non soffra..”

“Mamma te l’ho già detto, non preoccupati per me. So che prenderete la decisione giusta tu e papà..” Sorrise debolmente, prendendo la mano della mamma e baciandole il dorso.

“Tuo padre è uscito, vuoi venire a fare la spesa con me?”

“No tranquilla, io mi risposo un po’ e poi esco.. Il signor S ha bisogno di me al bar questa sera” La informò, guardando l’ora sulla sua radiosveglia che aveva appoggiata al comodino, erano già le cinque e mezzo del pomeriggio!

“D’accordo, allora ci vediamo stasera quando torni”

“Certo. Ciao mamma!”

“Ciao tesoro!”

Non appena Hanna si richiuse la porta della camera alle spalle, Melrose si lasciò andare ad un sospiro di sollievo. Era brutto a pensarsi, ma quando era da sola in casa stava bene. Niente litigi e niente urla isteriche.. Solo il silenzio di una casa troppo grande per tre persone.
Suo fratello Alan aveva venticinque anni e si era trasferito in America a studiare medicina in una prestigiosa università.
Le mancava molto il suo fratellone, soprattutto in quei momenti di solitudine. Alan non era a conoscenza della situazione famigliare, fissato com’era con la “Famiglia unita”, Melrose non aveva avuto il coraggio di dirgli che, presumibilmente, papà stava tradendo la mamma e che, sempre presumibilmente, il divorzio era alle porte.
Avrebbe di sicuro preso il primo volo per la Germania, abbandonando gli studi e il suo futuro assicurato da dottore. Non l’avrebbe mai permesso.. Sapeva quanti sacrifici e quanto impegno ci aveva messo per essere la dove si trovava, e sapeva anche che non desiderava nient’altro più intensamente di così.

Ciabattò fino al bagno e si svestì, per infilarsi poi sotto il getto caldo della doccia. L’acqua le distese i nervi rilassandoli, si passò una mano sul collo dove sentiva tutta la tensione nervosa e lo massaggiò un po’ per ammorbidirlo.
Rimase immobile per qualche istante, con l’acqua che scivolava sul suo corpo dalla carnagione molto chiara.
Le piaceva stare sotto alla doccia, la rasserenava parecchio, scacciando per qualche momento i brutti pensieri dalla sua mente stanca. Era un modo per staccare qualche minuto dal mondo esterno.
Si lavò i capelli e si passò la spugna insaponata sulla pelle fresca, poi uscì e raggelò incontrando la temperatura decisamente più fredda rispetto al caldo che c’era nel box doccia.

 

Si era appena asciugata i capelli e ora stava cenando da sola, in cucina. Si era preparata un panino al volo, o avrebbe fatto tardi..
Le piaceva lavorare dal signor S, lui era così gentile e comprensivo.. La trattava come una figlia e non si arrabbiava mai con lei. Probabilmente perché la sua vera figlia abitava a Berlino con la madre e così non la vedeva molto spesso. Solo nei week end.
L’orologio segnava le otto e mezza, era perfettamente in orario!
Cercò le chiavi della macchina nella sua borsa, ma poi ci ripensò.. Preferiva fare due passi, tanto il bar non era molto distante da casa sua, giusto un paio di isolati. In una ventina di minuti sarebbe arrivata tranquillamente.

Era una ragazza magra, non troppo alta. I capelli biondi lunghi e spesso disordinati, gli occhi di un verde particolare: più chiaro nei giorni di sole e più scuro nei giorno di pioggia.
Amava disegnare e scrivere.. Aveva frequentato il liceo artistico ed era uscita dall’esame di maturità con un più che dignitoso 80.
Era soddisfatta della propria vita, nonostante i suoi alti e bassi, non aveva mai avuto di che lamentarsi. Specialmente con i suoi genitori che avevano cresciuto lei e suo fratello con tutto l’amore possibile, non facendo mancare mai nulla a nessuno di loro e cercando di accontentarli in ogni modo quando ne avevano la possibilità.
Tutto era cominciato quando Alan si era trasferito.. Lui era l’orgoglio di Oskar, il figlio modello. Mentre Melrose, era il secondo maschio mancato della famiglia, anche se l’amava ugualmente e, forse, allo stesso modo.

Senza che quasi se ne accorgesse scorse l’insegna luminosa del bar in lontananza. Sospirò, facendo uscire del vapore dalla sua bocca, che si disperse nell’aria ghiacciata in quella sera di metà febbraio.
Arrivò all’entrata e aprì la porta, facendo il suo ingresso nel locale.

“Buonasera signor S!” Strillò senza vederlo, probabilmente era nel retro bottega con l’altra barista, Hanna.

“Oh, ciao Mel..” Spuntò fuori scostando la tenda e guardandola con un sorriso paterno.

“Come sta?” Gli chiese mentre lo raggiungeva dietro al bancone.

“Molto bene e tu?”                                                 

“Uhm.. Bene anche io, diciamo.” Sorrise nervosa, allacciandosi il grembiulino rosso intorno alla vita.

“E’ successo qualcosa?” Quel suo modo conciliante di chiederle sempre se fosse successo qualcosa lo trovava adorabile, non era un impiccione.. Ma non era nemmeno un tipo che se ne lavava le mani. Gli voleva un gran bene per il tatto che sapeva adoperare per le questioni delicate.

“I soliti litigi a casa.” Sospirò, appoggiando le braccia al bancone.

“Sai come la penso Mel.. Quando si litiga in continuazione, il divorzio non va preso come un’orribile possibilità. Te ne parla uno che se ne intende!” Il signor S aveva divorziato con sua moglie da ormai sei anni. La bambina, adesso diventata una giovane donna, ora aveva più o meno l’età di Melrose. Forse un anno in più o uno in meno.

“Lo so, lo so signor S. Sono solo preoccupata per Alan, sa benissimo quanto tiene alla famiglia lui..”

“Mel, non puoi tenere sott’occhio tutto piccola. Ogni tanto devi lasciare che gli eventi facciano il loro corso, non puoi forzare le cose..” Le strizzò l’occhio, dandole amichevoli pacche sulla schiena.

“Mi sa che ha ragione. Grazie, parlare con lei è sempre d’aiuto!” Esclamò con un largo sorriso, poi prese uno straccio umido e cominciò a passarlo sul ripiano del bancone, coperto da qualche briciola.

La porta del locale si aprì, facendo suonare la campanella che c’era in cima, e una ventata di gelo invernale inondò il bar, facendo rabbrividire Melrose che si strinse in un abbraccio.
Guardò l’entrata e vide la figura alta e magra di un ragazzo che doveva avere solo un paio d’anni in più di lei. Non lo aveva mai visto in giro, era un volto nuovo. Aveva una chioma di capelli lunghi e neri, raccolti in una coda poco aggraziata, il viso incavato e bianco latte. Sciupato. Gli occhi erano coperti da una grande montatura di occhiali scuri. Portava una sciarpa blu notte che gli copriva la bocca fin sotto al naso.

Si sedette al bancone del bar, senza guardare in faccia nessuno, proprio a pochi passi da Melrose che lo guardava intimorita dal suo fascino misterioso.
Dalla sua espressione la ragazza capì che quella per lui, sarebbe stata una lunga serata.

 

“Un'altra!” Esclamò Bill svuotando l’ennesimo bicchiere di birra e battendo un pugno sul bancone. Melrose, che lo aveva silenziosamente servito per tutta la sera, si avvicinò lentamente, finché non gli arrivò di fronte. Tanto vicino da poter notare, attraverso le lenti degli occhiali, che aveva gli occhi scuri.

“Scusami, ma penso che per stasera possa bastare. Sei ubriaco.” Constatò prendendo il bicchiere vuoto dal bancone e riponendolo nel lavandino dietro di lei, dandogli una sciacquata veloce.

“Tu sei la barista e io sono un cliente che chiede un’altra birra. Non mi sembra difficile da capire.” Biascicò a fatica, mangiandosi le parole, il suo tono era scorbutico e impaziente.
Melrose lo guardò compassionevole pensando che non era il primo e non sarebbe stato nemmeno l’ultimo poveraccio che si sarebbe seduto al bancone del bar del signor S, ordinando una birra e continuando a bere finché il suo organismo non glielo avesse concesso.
Guardò Bill e un velo di malinconia le coprì gli occhi, perché era impensabile che un ragazzo così giovane avesse problemi tanto gravi da ridurlo in quello stato.
Faceva una tristezza immensa vederlo li.. Seduto sullo sgabello a parlare da solo, pronunciando frasi senza un senso logico. A ridere istericamente e a versare qualche lacrima subito dopo.

“Allora, ti dai una mossa?” Melrose si riprese dai suoi pensieri, sentendo quella voce antipatica, e annuì impercettibilmente preparando l’ennesimo bicchiere di birra al ragazzo.

“Ecco a te.” Disse posando l’ordinazione davanti a Bill. “Ma questa è l’ultima” Mormorò.

“Lo decido io, quando sarà l’ultima.” Sibilò Bill, lapidale.

E per quella sera, quel bicchiere di birra, non fu di certo l’ultimo.
Melrose passò quasi tutto il suo turno di lavoro a servire quello strano ragazzo di cui non conosceva nemmeno il nome.
Finché, ad un certo punto, non lo vide collassare con la faccia sul ripiano di legno.

“Ehi..” Lo scosse leggermente, prendendolo per la spalla.

“Maggie..” Farfugliò agitandosi al suo tocco.

“No, non sono Maggie. Sono Melrose” Sospirò, cercando di tirarlo su. “Jessica! Vai a chiamarmi il signor S!” La sua collega annuì, guardando confusa il ragazzo che la biondina teneva tra le braccia e andò a chiamare il barista.

“C’è qualche problema Mel?” L’uomo arrivò trafelato.

“Signor S questo ragazzo è ubriaco fradicio, che faccio!” Chiese allarmata, tentando di mantenere in piedi Bill.

“Oddio Mel, qui non può stare. Prova a vedere se ha dei documenti e riportalo a casa!”

“Riportarlo a casa?!”

“Preferisci lasciarlo all’angolo della strada?” Alzò un sopracciglio eloquente, sottolineando l’ovvietà della situazione.
Melrose, sospirando, sfilò il portafogli dalla tasca posteriore del ragazzo, che sembrava non essersene nemmeno accorto.  La ragazza farfugliò uno “Scusa” e cercò all’interno del portafogli qualcosa che le potesse essere d’aiuto. Trovò la carta d’identità e  ci diede una sbirciatina.

Nome: Bill

Cognome: Kaulitz

Data di nascita: 01/09/89

Luogo di nascita: Lipsia

Luogo di residenza: Amburgo

Più in basso c’era anche la via e il numero civico: proprio quello che le serviva.
Bill Kaulitz.. Bill Kaulitz? Ma.. era veramente lui.. La rockstar?
Non aveva mai seguito la sua musica, però era impossibile non conoscere i Tokio Hotel, se ne parlava ovunque. Eccetto negli ultimi tempi, voci di corridoio mormoravano che si fossero sciolti e forse vedere il frontman in quello stato, ne era la prova.

“Io vado allora signor S, a domani! Ciao Jess!” Disse poi, caricandoselo in spalla.

“Ciao Mel!” la salutarono i due per poi tornare al lavoro.  

Uscita in strada si maledisse per aver scelto di fare due passi quella sera. Era terribilmente scomodo camminare con un peso morto sul fianco.. Ci riusciva a fatica a portarselo dietro.

Non doveva essere particolarmente lontano l’appartamento dove abitava il signor Kaulitz che, aveva scoperto, essere tre anni più vecchio di lei.
Passeggiando si ritrovò in un quartiere più buio e più grazioso degli altri, e scoprì essere proprio quello che cercava lei: il quartiere di Bill Kaulitz.
Controllò nuovamente il numero civico e si avvicinò al condominio giusto, cercò le chiavi nelle tasche di Bill che ormai doveva essersi quasi addormentato. Non parlava più.
Aprì la porta e lo trascinò su per le scale, fino a che non si ritrovò di fronte il suo appartamento. Fece girare la chiave facendo scattare la serratura e ci entrò a fatica.
Vide un lungo e comodo divano bianco proprio li nel salotto, senza pensarci due volte ci scaricò sopra Bill, non sapendo comunque dove poterlo mettere a dormire.
Stava per andarsene quando si sentì afferrare un polso.

“Maggie, vieni qui” Il ragazzo la attirò a sé, soffocandola in un abbraccio.

“Sono.. Sono Melrose!” Strepitò lei, tentando di divincolarsi dalla presa ferrea del cantante. Bill, ritrasse la mano come fosse spaventato, guardandola con occhi tristi e assenti per via del tasso alcolico che aveva in corpo.
Non passarono nemmeno dieci secondi, che il moro cadde in un sonno profondo, russando sonoramente.
Melrose andò alla ricerca di un foglietto di carta e di una penna.. Insomma, la mattina dopo Bill si sarebbe svegliato sul divano senza sapere come ci fosse arrivato. Era giusto fargli sapere com’erano andate le cose!

Ciao, ieri sera sei collassato sul bancone del bar dove lavoro, così ti ho riportato a casa dopo aver letto il tuo indirizzo sulla carta d’identità. Scusa se sono stata troppo invadente ma non sapevo come fare! Spero tu ti senta meglio, Melrose.

Rimise il tappo alla penna e appoggiò tutto sul tavolino davanti al divano, di modo che fosse la prima cosa che avrebbe visto appena sveglio.

Lo guardò da vicino, mentre dormiva della grossa. Gli aveva tolto gli occhiali da sole, riponendoli vicino al bigliettino.. Alcune ciocche di capelli arruffati gli ricadevano ribelli sul viso, facendolo sembrare un bambino, mentre gli altri erano raccolti tutti in un codino scomposto. Aveva il viso molto pallido e due occhiaie violacee gli segnavano la parte sotto gli occhi.
Era molto, molto magro.. Gli ossi degli zigomi sembravano volessero bucargli le guance e uscire di fuori.
In un gesto del tutto spontaneo, portò la mano ad accarezzargli il viso,scostando i ciuffi di capelli che lo coprivano, ma la ritrasse subito dandosi dell’idiota.
Doveva proprio tornare a casa adesso.
Prese la prima coperta che trovò li vicino e gliela adagiò sul corpo che tremava infreddolito, poi si diresse all’uscita.
Sulla soglia si girò a lanciare un’ ultima occhiata al ragazzo, poi uscì richiudendosi la porta alle spalle.

 

Si infilò sotto le coperte,pensando e ripensando a quel ragazzo dallo sguardo perso e sofferente. Non le era piaciuto dovergli servire tutte quelle birre e vederlo ridursi così male..
Quel ragazzo l’aveva subito affascinata, i suoi occhi così penetranti eppure così vuoi e malinconici.. Chissà se lo avrebbe mai rivisto.
Si addormentò con questo dubbio che gli vorticava in testa come una trottola.

Quella era stata proprio una sera strana.

Tiky : Grazie mille cara! *-*

Layla the punkprincess : Sono crudele a far soffrire così Bill, lo so u.u Sono felice ti sia piaciuta quella parte, mi è stato difficile scriverla! ^__^

_Pulse_ : Grazie Ariaaa *__________* La tua recensione è sempre la migliore! Grazie, grazie, grazieeee.
Il pezzo di storia che hai riportato è uno dei miei preferiti, si! Tomi è dolcissimo *Q*
La continuerò, la continuerò Aria non ti preoccupare.. Ci vorrà solo un po’ di impegno xD
E non ringraziarmi se te l’ho dedicata, l’ho fatto con il cuore sul serio! Ti voglio un bene indicibilmente indicibile! Ciao gemellina! XD

lady_Bill : Sono felice che ti piaccia, davvero! Grazie mille! *-*

Piera : Oh beh, devo dire che la tua recensione mi ha lasciata senza parole *Q* Ma io ti ADOROOOOOO
Sono contenta che ti piacciano le mie storie, è sempre un piacere sentirselo dire. Mi rendi orgogliosa delle mie creature, davvero! *__*
Pubblicarle? Oh nooo. Io scrivo per diletto, non sono così temeraria da provare a farlo XD
Grazie comunque, spero continuerai a seguirmi!

Infine vorrei ringraziare Giulia, che non è iscritta a EFP ma mi fa sentire il suo sostegno tramite msn, e mi manda le sue recensioni-poema XD Grazie!

Un bacio enorme anche alle mie lettrici in punta di piedi. Grazie a tutti insomma!

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Capitolo 4
*** In assenza di te ***


QUARTO CAPITOLO - In assenza di te

Si svegliò la mattina successiva con un atroce mal di testa e la sensazione di avere lo stomaco spaccato in due. Postumi della sbornia.
Si guardò intorno spaesato, ritrovandosi sdraiato sul divano del suo salotto e non avendo la benché minima idea di come avesse fatto ad arrivarci. L’ultimo ricordo che aveva erano gli occhi preoccupati di una ragazza molto giovane che gli porgeva un bicchiere di birra. Si ricordò anche di non averla trattata molto bene, ma quegli occhi.. Quegli occhi verdi così identici ai.. Ai suoi, lo avevano ferito a morte. Avrebbe solo voluto chiudere le palpebre e non dover più essere costretto a fissarli.

Si tirò a sedere, passandosi una mano sugli occhi e stropicciandoli, sentendo il solito magone salire a stringergli la gola perennemente come ogni giorno.
Avrebbe tanto voluto porre fine a quella tortura, avrebbe dato qualsiasi cosa.

Stava per alzarsi in piedi quando qualcosa attirò la sua attenzione: un foglietto di carta appoggiato sul tavolino.
Aggrottò le sopracciglia, sporgendosi e prendendolo tra le mani, era piegato in due parti. Lo aprì titubante, chi poteva avergli scritto un biglietto? Tom?
Quando ne lesse il contenuto socchiuse leggermente la bocca, rimanendo sconcertato. Era della ragazza della sera prima, Melrose si chiamava.
La ragazza dagli occhi verdi era stata a casa sua, aveva curiosato tra i suoi documenti, lo aveva accompagnato perché lui era ubriaco marcio, lo aveva coricato sul divano e gli aveva lasciato un messaggio.
La ragazza dagli occhi verdi si chiamava Melrose.

In un secondo mille flash della sera passata gli riaffiorarono alla mente, facendogli venire una potente fitta al cervello.
Lui che entra e comincia ad ordinare birre a ripetizione, la ragazza che ad un certo punto gli dice basta, lui che le risponde acido, lei che sottomessa ubbidisce, il suo sguardo limpido, uguale al suo.. E poi più niente, il buio più totale.
Ma solo al pensiero di quel viso e di quel verde smeraldo accecante, sentiva gli occhi pungere e una voglia incontenibile di urlare.
Scuotendo la testa si alzò dal divano, infilandosi le ciabatte, aveva bisogno di un caffè triplo.

La sera prima era arrivata molto tardi a casa, dopo aver riaccompagnato quell’affascinante rockstar ubriaca nel suo appartamento aveva dovuto rifarsi tutta la strada verso il bar a piedi, e dal bar poi fino a casa sua.
Ma chi gliel’aveva fatto fare di non prendere la macchina!
Era mattina e lei era ancora sdraiata sotto le coperte, non aveva più sonno ma il tepore che c’era sotto la trapunta era ineguagliabile.
Non aveva visto sua madre al suo rientro a casa, era già nella sua camera a dormire con suo padre.

Chissà quei due.. Avevano preso una decisione? Cos’avevano intenzione di fare?
Nel suo cuore lo sapeva già da tempo.. Da troppi mesi in quella casa si poteva respirare l’aria del divorzio, da parecchio ne era consapevole, ma il coraggio di ammetterlo a sé stessa non ce l’aveva.
Soprattutto non aveva la forza di parlarne con Alan, non immaginava come avrebbe potuto prenderla.

Però aveva una voglia insostenibile di sentirlo, anche solo per sapere come andava li in America.. Per sapere come proseguivano gli studi.

Sospirando si alzò, scostandosi le coperte di dosso. L’aria gelida di febbraio le entrò nelle ossa facendola rabbrividire.
Si infilò i pantaloni del pigiama e andò alla ricerca del suo cellulare, la sera prima lo aveva lasciato sulla scrivania di fianco ai libri.
Guardò l’ora: le otto del mattino. Questo voleva dire che a Oxford erano più o meno le undici di sera.. Si, lo avrebbe sicuramente trovato ancora sveglio.

Digitò il numero sulla tastiera, poi si portò l’apparecchio all’orecchio e attese la sua risposta.

“Pronto?” Che bello sentire la sua voce. Era in grado di riscaldarle il cuore e di cancellare dalla sua testa ogni brutto pensiero.

“Alan..” Soffiò, sentendo un sorriso impadronirsi della sua bocca.

“Mel, piccola!”

“Come stai?” Ridacchiò, sinceramente felice di sentirlo.

“Io sto bene e tu?”

“Molto, molto bene grazie.. Il lavoro è sempre a posto, a proposito! Il signor S ti saluta!”

“Oh ricambia! Lo passerò a trovare una volta o l’altra..”

“Mi manchi tanto fratellone..” Sussurrò, sospirando. Era un anno che non lo vedeva. Inizialmente veniva spesso a trovarli.. Ma il prezzo da pagare per il volo Oxford-Amburgo era notevole e lui di soldi non ne aveva moltissimi.. Considerando il fatto che doveva mantenersi gli studi, pagarsi da vivere e pagare l’appartamento che aveva preso in affitto.

“Anche tu sorellina.. verrò a trovarti presto te lo prometto!” Alan aveva sempre avuto il vizio di promettere, promettere, promettere. Anche quando non era sicuro di riuscirle poi a mantenere, quelle promesse.

“Lo spero tanto..”

“Mamma e papà?” Ecco. Lo sapeva che prima o poi lo avrebbe chiesto, lo faceva sempre. Chiedeva sempre di loro quando lo sentiva per telefono.. E anche quella volta, era inevitabile, lo aveva fatto.

“Tutto.. Tutto a posto anche loro.” Sussurrò, incapace da sempre di mentire decentemente. Era sempre stato più forte di lei, ma a dire le bugie proprio non era capace. La scoprivano sempre!

“Sai che non menti bene.” Infatti. “C’è qualcosa che non va?”

“No Alan, davvero.. E’ tutto regolare, siamo solo un po’ nervosi.” Sorrise, cercando di essere il più convincente possibile.

“Sei sicura?”

“Si fratello, sicurissima”

“Ok, diciamo che voglio crederti..” Sentì la sua voce sorridente e si sentì uno schifo, non aveva mai mentito a suo fratello. Soprattutto per cose così importanti.. Avrebbe dovuto dirgli la verità e lasciare che le cose andassero come dovevano andare. Se Alan avesse voluto interrompere gli studi le non ne avrebbe avuto colpa, era una sua decisione dopotutto. Però Melrose aveva preferito tenergli nascosta la verità, tenergli nascosto che il matrimonio dei loro genitori era ormai giunto agli sgoccioli.

“Prometti di farti sentire un po’ più spesso?” Chiese Melrose con la voce sottile da bambina.

“Te lo prometto piccola.” Ridacchiò l’altro. Un’altra promessa. Almeno quella sarebbe riuscito a mantenerla?

“Allora ti saluto, ci sentiamo prestissimo!”

“Certo, buonanotte!”

“Beh.. veramente io mi sono appena svegliata!” Ridacchiò Melrose.. Suo fratello non si smentiva mai!

“Oh, che cretino! Il fuso orario è vero! Beh allora buona giornata!” Rise. La sua risata argentina che gli mancava così tanto.

“Buonanotte a te invece. Ti voglio bene fratello!”

“Ti voglio bene sorellina!”

Chiuse la chiamata con un grosso sorriso sulle labbra. Dopo quella telefonata si, poteva cominciare la giornata con il piede giusto!

Si sedette mollemente sul divano, quella giornata non era cominciata decisamente bene per i suoi gusti.
Suo fratello stava per passare a casa sua, lo aveva invitato a pranzo. Era la prima volta in cinque mesi che era lui a chiedergli di vedersi.. Solitamente era Tom che passava a trovarlo o a telefonargli.
Ma quel giorno aveva davvero bisogno di lui, di parlarci insieme, di stare un po’ in sua compagnia..
Quel giorno era diverso dagli altri, perché sentiva la sua presenza più opprimente del solito, anzi era l’insostenibile presenza della sua assenza a soffocarlo. Diede la colpa agli occhi verdi di quella ragazza, che gli avevano risvegliato dentro qualcosa.. Aveva sentito un guizzo di vita dentro di sé..
Il dolore però sembrava non accennare a dargli tregua, a lasciargli un attimo di respiro. Era sempre in agguato, non lo abbandonava, aspettava il momento giusto per attaccarlo di nuovo. Aspettava di trovarlo fragile ed indifeso, per sferrargli il colpo mortale.
Scosse la testa dirigendosi alla porta, il campanello suonava prepotente. Quel suono era più fastidioso del normale.. O probabilmente era il suo furioso mal di testa a farglielo credere.

“Finalmente!” Sbottò Tom entrando in casa.

“Potevi usare le chiavi, te le ho date apposta.”

“Le ho dimenticate a casa.”

“Vuoi qualcosa da bere?”

“Si, un bicchiere d’acqua, grazie” Tom sorrise e si accomodò sul divano, mentre Bill sparì in cucina.

Tom non aveva potuto fare a meno di notare che Bill era più strano quel giorno, aveva una luce diversa negli occhi e, stranamente, non riusciva a percepire cosa fosse a farlo stare così.

Sbadatamente calpestò qualcosa con la scarpa da ginnastica, mentre si sedeva. Abbassò lo sguardo e notò un pezzo di carta sgualcito. Lo afferrò tra le mani e ne lesse il contenuto.

“Sei collassato sul bancone del bar dove lavoro”

Quella frase la lesse e la rilesse un paio di volte. Ne aveva capito perfettamente il significato, Bill aveva deciso di ubriacarsi e questo era palese.

Il moro tornò nel salotto con un vassoio che conteneva due bicchieri di coca cola insieme alla bottiglia. Sapeva che il gemello la preferiva di gran lunga alla semplice acqua.
Non appena il suo campo visivo gli permise di vedere Tom e notare cosa reggeva tra le mani, il suo cuore fece un triplo salto all’indietro, facendogli chiudere gli occhi.
Avrebbe dovuto giustificarsi ancora, avrebbe dovuto farlo con lui..

“Perché Bill?” Chiese Tom non appena il fratello si fu seduto di fianco a lui, appoggiando il vassoio sul tavolino li di fronte.

“Mi dispiace..” Soffiò.

“Ti ho chiesto perché..” Nel suo tono di voce non c’era rimprovero, non c’era durezza, né cattiveria. C’era solo disperazione e dolore, e fu questa la cosa che fece più male a Bill: sapere che non solo si stava autodistruggendo, ma stava facendo soffrire anche la persona più importante della sua vita.

“Io.. Io volevo smettere di pensare, volevo dimenticare.” Mormorò con la voce tremante. Non avrebbe sostenuto quel discorso, ne era certo già in partenza.

“Non potevi chiamarmi? Venire da me? Cristo Bill, abito dall’altra parte della strada!” Non era un rimprovero, non lo stava sgridando. Voleva solo riuscire a capirlo un po’ di più, ad entrare a far parte del male che lo stava via via strappando da lui.

“Avevo bisogno di rimanere solo.” Sibilò, riducendo gli occhi a due fessure. Lo stava facendo di nuovo! Stava di nuovo trattando male suo fratello, che non faceva altro che cercare di aiutarlo! Perché era così fottutamente sbagliato?!

“Capisco.. Vedo che sei anche collassato” Constatò, riferendosi al foglietto che reggeva ancora tra le mani.

“Non me lo ricordo.” Ammise con una punta di fastidio nella voce.

“Billie.. perché non cerchi.. Perché..” Tentò di balbettare, cercando di esprimere al meglio quello che gli vorticava in testa da un po’ “Perché non provi a uscirne, a ricominciare.. Maggie vorrebbe questo, lo sai..” Deglutì, forse aspettandosi la reazione che si sarebbe scatenata di li a pochi secondi.

Bill cominciò a respirare a fatica, nessuno aveva più pronunciato quel nome, era diventato un tabù con lui, lo sapeva! Nessuno gli aveva mai detto di provare a ricominciare, nessuno. Nemmeno sua madre!

“Ma tu che ne sai? Che ne sai?! Non hai nemmeno una vaga idea di quello che ho dentro da più di cinque mesi! La mia vita si è spezzata, è finita quella sera! Io non vivo più! Io non faccio altro che desiderare la morte! E tu mi vieni a dire di ricominciare?!” Era furioso, Tom si spaventò vedendolo in quello stato. Il viso paonazzo e gli occhi quasi fuori dalle orbite. Non lo aveva mai visto così e non avrebbe mai voluto che succedesse. “Sei un ipocrita Tom! Lo siete tutti! Io voglio solo essere lasciato stare! LASCIATEMI IN PACE!” Strillò l’ultima frase, alzando la voce di un’ottava, per poi salire pesantemente le scale quasi di corsa e rifugiarsi in camera sua sbattendo forte la porta dietro di sé.

Tom era ancora seduto sul divano, con lo sguardo perso nel punto in cui pochi secondi prima c’era il fratello.
Abbassò lo sguardo verso le sue mani, che stava torturando tra di loro, sentendo le lacrime cominciare a pungergli gli occhi. Perché non riusciva più a capire suo fratello? Perché quella sintonia perfetta che c’era tra di loro era sparita?
Scosse la testa sospirando, dirigendosi verso l’uscita. Quando era ridotto così c’era solo da aspettare che ritornasse in sé. Lo avrebbe chiamato di sicuro non appena si fosse sentito meglio.
Se c’era una cosa che aveva imparato in quei cinque mesi di lenta agonia, era stata di saper aspettare e rispettare i tempi di Bill, senza forzarlo.
Avrebbe atteso anche questa volta, come aveva sempre fatto.

Si alzò da tavola con il suo piatto vuoto tra le mani. Avevano appena finito di mangiare e il silenzio assordante che aveva accompagnato quel pranzo, non aveva fatto altro che rimarcare quello che inevitabilmente si stava spezzando all’interno della sua famiglia.
Ripose nella lavastoviglie tutti i piatti, le posate e i bicchieri sporchi, per poi girarsi a guardare i suoi genitori.

Sua madre aveva lo sguardo perso nel vuoto, pensando a chissà cosa, mentre suo padre stava leggendo distrattamente il giornale. Ma lei lo conosceva abbastanza bene da poter dire che non stava seguendo nemmeno una parola scritta la dentro, ma stava solo facendo finta di essere impegnato per non dover guardare la distruzione che lui e il suo comportamento stavano provocando.

“Adesso basta.” Sibilò furente, guardando prima una poi l’altro, torva. I suoi genitori si girarono verso di lei. La mamma con un’aria maledettamente consapevole negli occhi, il papà con una finta sorpresa che non fece altro che farle saltare ancora di più i nervi.

“Non lo capite anche voi che la situazione così è insostenibile? Voi due pensate a risolvere i vostri problemi, mentre io devo solo starli ad ascoltare. Ogni maledetta sera.” Ringhiò tirando fuori quel coraggio, che per troppo tempo le era venuto meno. “Trovate una soluzione, per l’amor di Dio! Qualunque cosa pur di ritrovare la serenità!” Schiaffò lo straccio con cui aveva pulito il ripiano della cucina sul tavolo, per poi girarsi spedita a passo do marcia verso la sua stanza.

Ce l’aveva fatta! Per la prima volta aveva detto la sua in quella disastrata famiglia. Ci era riuscita e non poteva stare meglio di così!

Si sdraiò sul letto, pensando che un sonnellino prima del lavoro non poteva farle altro che bene.
Quel giorno il signor S l’aveva chiamata e lei aveva detto se gentilmente poteva andare a dargli una mano dal pomeriggio fino alla sera.
Non c’erano problemi per Melrose, più stava fuori casa meglio era per i suoi poveri neuroni. Aveva acconsentito tranquillamente, così avrebbe evitato una cena che sarebbe sicuramente stata la replica del pranzo.

Si svegliò di soprassalto. Si era addormentato senza nemmeno volerlo, dopo la discussione con il gemello. Beh, a dire la verità aveva discusso da solo.. Tom non aveva nemmeno fatto in tempo a replicare ma, forse, non ci avrebbe nemmeno provato.
Si alzò in piedi, infilandosi un paio di calze pesanti e trascinandosi svogliatamente fino al piano inferiore.

Si stravaccò sul divano del salotto e accese la televisione.
Il suo sguardo cadde, inevitabilmente, su quel pezzo di carta abbandonato sul tavolino da Tom, lo prese in mano e lo rilesse un paio di volte.

Forse la cosa giusta da fare era passare al bar per ringraziarla, d'altronde lo aveva riaccompagnato a casa quando non era nelle facoltà né fisiche né mentali per farlo. Un “Grazie” gli pareva il minimo.
Però rivedere quegli occhi.. Non gli avrebbe fatto bene, ne era sicuro, il dolore lo avrebbe attaccato di nuovo.
Quella Melrose le somigliava troppo.. Gli occhi, lo sguardo innocente, le espressioni del viso..
Non sapeva se sarebbe stato in grado di starla a guardare.. Ma Bill Kaulitz era sempre stata una persona educata e rispettosa, soprattutto con le persone che lo aiutavano.
Perché questa volta doveva essere diverso? Perché sai benissimo che una volta tornato a casa starai messo peggio di adesso.. Azzittì quella fastidiosa vocina nella sua testa e afferrò la giaccia dall’attaccapanni infilandosela.

Aprì la porta uscendo fuori al gelo invernale. Il vento gli scompigliava i capelli disordinati e perennemente legati in una coda di cavallo, non aveva più voglia di curarseli e quello era l’unico modo per tenerli, almeno un pochino, in ordine.
Salì in macchina e cercò di ricordarsi che strada avesse fatto la sera prima. Il bar non era molto distante, quello se lo ricordava, infatti pochi minuti dopo vide l’insegna colorata fare capolino tra gli edifici.
Parcheggiò dall’altra parte della strada e, arrivato davanti alla porta del locale, rimase qualche secondo di troppo con la mano sulla maniglia.
Era quella la cosa giusta da fare?
Scosse pesantemente la testa, tirando la porta verso di sé e facendo così ingresso nel caldo rincuorante di quel bar. Aveva sbiaditi ricordi di quel posto, l’unico nitido era quello della barista.

Si guardò intorno, tra i tavoli, finché il suo sguardo si posò su una figura femminile messa di spalle, dietro il bancone del bar. Era lei, ne era più che sicuro.

Si avvicinò deglutendo e con un pizzico di timore. Arrivò talmente vicino da riuscire a posare le mani sul ripiani di legno, mentre la vedeva sciacquare i piatti nel lavandino e asciugarli con uno strofinaccio.
Si schiarì la gola rumorosamente pronunciando uno “Scusa” Appena accennato.
La ragazza sussultò, girandosi, dopo aver chiuso il getto dell’acqua.
Una scarica di elettricità attraversò il corpo di Bill alla vista di quegli occhi verdi. Erano identici cazzo, identici!
Abbassò il viso, non essendo in grado di sostenere quello sguardo, sapendo benissimo di apparire ridicolo di fronte a lei.

“Oh, ma tu sei il ragazzo di ieri sera!” Esclamò lei, lasciandosi andare ad un sorriso.

“Si, sono io..” Farfugliò. “Sono venuto per ringraziarti. Ho letto il tuo biglietto” Tentò di sorridere di rimando, ma venne fuori solo la grottesca imitazione del sorriso che, un tempo, faceva impazzire milioni di ragazze. In particolare, faceva impazzire la sua ragazza.

“Oh non ti preoccupare, è stato un piacere!” Ridacchiò tendendogli la mano. “Io sono Melrose comunque, piacere!”

Titubante, il moro afferrò la sua mano. “Bill” Borbottò. “Ma tanto lo sai già”

“Ah, ehm.. Scusa se ho guardato tra i tuoi documenti, ma davvero.. Non sapevo come fare” Arrossì violentemente sulle guance, sentendosi tremendamente in imbarazzo.

“Non importa, tranquilla.”

“Ti senti meglio, oggi?” Melrose non voleva far morire la conversazione. Voleva sapere di più su quel ragazzo che, solo alla vista, le faceva venire i brividi. Era tenebroso e bello, incredibilmente bello.. Anche sotto a quel viso sciupato, quelle occhiaie violacee e quella barba appena accennata, era stupendo. Non aveva mai visto un viso tanto perfetto.

“Oh si,molto meglio.. Grazie” Sorrise nervoso, per poi cominciare a far vagare lo sguardo di qua e di la, senza sapere più che cosa dire o che cosa fare.

“Mi hai chiamata Maggie più di una volta ieri. Chi è, la tua ragazza?” Sorrise. Voleva sapere se era fidanzato oppure no.. Solo per curiosità, assolutamente niente di più. Pura e semplice curiosità.
Fin da piccola era sempre stata tremendamente curiosa, molto spesso cacciandosi nei pasticci per questa sua qualità. Per lei non era un difetto l’essere curiosi. Era un pregio.

Bill si irrigidì, portando lo sguardo fisso su di lei e riducendo gli occhi e due fessure. Non seppe spiegarsi il turbine di emozioni che affollò il suo cuore in quel momento. Rabbia, dolore, amore. Un miscuglio che gli fece pentire di essersi obbligato a tornare in quel bar.

“Non sono affari che ti riguardano.” Ringhiò con cattiveria.

Si infilò gli occhiali e, prendendo la porta, uscì fuori cercando di trattenere le lacrime almeno fino al suo appartamento.

Povero Bill ç___ç
Vi giuro che mi viene da piangere ogni volta che rileggo i capitoli! Sono crudele -.-
Però ragazzi, questa storia a me piace tantissimo e ultimamente mi sta dando grosse soddisfazioni (Eccetto il capitolo nove .__. ), spero sia lo stesso anche per voi *-*
Il titolo di questo capitolo è preso dall’omonimo titolo di una canzone della Pausini. Mi sembrava azzeccato u.u

Ringrazio:

_Pulse_ : Ecco a te il quarto capitolo della storia che ti ho dedicato *Q* Spero ti piaccia perché a me, personalmente, soddisfa.. E non poco *____*
Billie si ubriaca, hai visto? ç___ç piccino mio!
Cercherò di continuarla, lo sai xD ce la farò, si u.u Ti voglio tantissimo bene *-*

Piera : Mi spiace per scommettiamo, in effetti. E’ stata la mia prima long fiction, anche se non è come la volevo io.. Però l’importante è non aver deluso nessuno ^__^
Sono contenta che ti piaccia anche “Ci sarà”, davvero. Un bacio, alla prossima!

Layla the punkprincess : Anche a me ha fatto una pensa incredibile, e il che è tutto dire dato che sono l’autrice. Mi commuovo da sola, accidenti! XD
Grazie per il commento! Baci!

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Capitolo 5
*** Tornare a vivere? ***


QUINTO CAPITOLO – Tornare a vivere?

 

Era stato uno sbaglio. Solo un enorme, irrimediabile sbaglio trascinarsi a quel bar per ringraziare quella ragazza! Non aveva portato altro se non ancora dolore e sofferenza! Niente di più.
Quando aveva pronunciato il suo nome.. Dio.. L’avrebbe strangolata con le sue mani, seppur consapevole che non centrasse affatto. Anzi, Melrose era stata molto carina e gentile con lui.. Ma non doveva, non doveva nominarla.
Guidò come un pazzo verso il suo appartamento nonostante le lacrime gli annebbiassero la vista, rischiando quasi di ammazzarlo. Guidò veloce, senza nemmeno rispettare i limiti,  tanto che in una manciata di secondi aveva già parcheggiato davanti al condominio e si stava precipitando a casa del fratello in lacrime.
Aveva bisogno di lui, solo di lui.

Cominciò a bussare alla porta come uno scalmanato, sferrando pugni e calci mentre le lacrime cadevano incessanti.

Un Tom spaventato e allo stesso tempo preoccupato gli andò ad aprire, ma non fece in tempo a dire una sola parola che Bill gli si tuffò tra le braccia.

“Bill, che hai? Che ti succede?” Chiese, prendendo ad accarezzargli la schiena.
Con un piede chiuse la porta e, sempre sorreggendo il fratello, si diresse verso il divano, sul quale si sedette subito dopo.

“Tom, è stato orribile.. Orribile..” Biascicava incomprensibilmente, passandosi in continuazione la mano sugli occhi e tossicchiando.

“Cosa Bill? Cosa è stato orribile?”

“Vederla!” Strillò, per poi tornare a singhiozzare e abbracciare il fratello.

Tom aspettò che il moro si calmasse, continuando a cullarlo e ad accarezzargli la schiena e i capelli, sussurrandogli che andava tutto bene finché restavano uniti. Non appena sentì il suo respiro tornare calmo e regolare lo allontanò di pochissimo da sé, il tanto che bastava per parlargli guardandolo negli occhi.

“Mi dici cosa è successo, ora?” Gli sussurrò amorevole, con un sorriso dolce e conciliante in viso. Bill annuì impercettibilmente, tirando su col naso e cominciando a raccontare quello che era successo nell’ora appena passata.

“Hai presente il biglietto che hai trovato stamattina a casa mia? Ecco. Poco fa sono andato nel bar per ringraziare quella ragazza, Melrose. Per dirle che era stata gentile a riaccompagnarmi a casa.”

“Non vedo dove sta il problema, sei stato educato” Sorrise Tom, accarezzandogli il viso sciupato dalle lacrime.

“Tom.. Quella ragazza è uguale a lei. Ha gli stessi occhi, lo stesso viso, le stesse espressioni.. Io, io non ce la faceva a guardarla. Poi quando ha detto il suo nome, quando l’ha nominata.. Io non ci ho più visto e le ho risposto male.” Concluse con il labbro inferiore che cominciava a tremolare.

“Abbiamo sofferto tutti Bill, per te è stato diverso lo so. Non sai il male che mi fa ogni volta vederti ridotto in questo stato.. E sapere che non è affatto giusto come sia andato tutto. Ma, sai come la penso, devi tornare a vivere fratellino, non puoi continuare ad autodistruggerti Billie..” Mormorò guardando in basso.
Quello era un discorso che avevano ripetuto più e più volte, ma era sempre la stessa storia.. Bill non lo accettava.

“Lo so Tomi, lo so.. Ma io, non ce la faccio.” La voce strozzata. Non voleva ricominciare a piangere, doveva essere forte. Per lei.

Il chitarrista si girò, guardandolo con un sorriso. Quello era il primo passo verso la “guarigione”, l’ammettere che c’erano dei problemi era la prima mossa per arrivare a superarli.

“Ci sono io qui con te..” Sorrise, riaccogliendolo tra le sue braccia forti e confortanti.

Una grande consapevolezza si fece lentamente spazio nella mente di Bill.
Finché suo fratello fosse rimasto al suo fianco, tutto sarebbe andato migliorando.. Ne era sicuro.

“In ogni lacrima tu sarai,
per non dimenticarti mai”

***

Che diavolo aveva detto di sbagliato? Aveva fatto qualcosa che non andava?
Se ne stava con la bocca semi aperta, ferma, a fissare la porta del bar dove lavorava, da cui poco prima era uscito quel ragazzo, Bill.

Era partito tutto più o meno bene, era stato carino a venire al locale apposta per ringraziarla. Nei suoi occhi, però, aveva notato una luce strana: erano stanchi, malinconici, feriti.
Avrebbe tanto voluto potergli leggere dentro e riuscire a capire i suoi pensieri, perché quel ragazzo un po’ malandato l’affascinava, e non poco.

Però qualcosa era andato storto nella loro breve conversazione. Qualcosa che lei aveva detto o fatto lo aveva punto nel vivo facendolo scattare come una molla, e lei non aveva la più pallida idea di cosa avesse potuto turbare tanto il giovane cantante.
L’aveva guardata con occhi intrisi di odio e di risentimento, dicendole elegantemente di farsi i cazzi suoi. Non proprio con le stesse parole, ma il senso era quello.

Scosse la testa e richiuse la bocca. Guardò la schermata del suo cellulare per controllare  l’ora.. Il suo turno era quasi finito, finalmente, le mancava solo una mezzoretta.

“Melrose!” Si sentì chiamare e, girandosi di scatto, si ritrovò Jessica a pochi passi da lei.
Jessica era sua collega da qualche mese, era una bella ragazza. Alta, magra, con gli occhi castani e i capelli scuri e ricci. Non le stava molto simpatica a pelle, eppure sapeva che non era una cattiva ragazza.

“Si?” Chiese, tornando a sciacquare i piatti nel lavandino.

“Ma, lo sai chi era quello con cui parlavi poco fa?”

“Un.. Ragazzo?” Ironizzò, storcendo il naso.

“Intendo dire, sai come si chiama?” Continuò lei, sbuffando e roteando gli occhi al cielo.

“Si e allora?” Non capiva dove voleva arrivare con tutte quelle domande.

“E allora? Quello è Bill Kaulitz!” Strillò come un’ochetta, sottolineando l’ovvietà della sua affermazione.

“Lo so, Jess.”

“E non dici niente?”

“Che dovrei dire, scusa?”

“Vuoi dirmi che tu non sai perché i Tokio Hotel si sono sciolti?” La guardò come se fosse una ritardata, con un’ espressione di superiorità che la invogliava parecchio a tirarle una sberla.

“Non mi sono mai particolarmente interessata a loro” Chiuse il rubinetto cominciando ad asciugare tutti i piatti e le varie posate, per poi riporli nei loro rispettivi scaffali.

“Beh, in giro si mormora che sia proprio colpa del bel cantante.” Sussurrò, avvicinandosi di più all’orecchio di Melrose e cominciando a parlare ancora più piano. “Si dice che abbia cominciato a drogarsi e che i componenti della band lo abbiano sbattuto fuori. Solo che lui era l’immagine del gruppo.” Fece una smorfia. “Niente leader, niente vendite. Niente vendite: Bye bye!”  Ridacchiò sventolando per aria la mano e lasciando la povera Melrose a bocca aperta. “Stai alla larga da certa gente, tesoro!” Ghignò, per poi scomparire nel retro bottega.

Quindi, quel ragazzo così bello ed intrigante era.. un tossico? Non ci poteva credere.
Non ce l’aveva nemmeno la faccia da drogato! E poi.. Chi diavolo era Jessica per sapere faccende così delicate e personali sulla sua vita?
Era proprio vero quando il signor S le diceva che quella ragazza era sempre in mezzo a tutto, come il prezzemolo.

Sbuffò pesantemente, slacciandosi il grembiulino dalla vita: il suo turno di lavoro era terminato.
Per fortuna, aveva solo una gran voglia di tornarsene a casa a riposare in quel momento, sempre che i suoi genitori glielo avessero permesso.. Evitando di urlare e sbraitarsi addosso le peggio cose.

***

“Come diavolo si usa quest’aggeggio!” Sbraitò tirando un pugno al forno a microonde.
Era stato un regalo di sua mamma, ma lui non lo aveva mai usato e non si era nemmeno preso la briga di imparare.
Ora però si era messo in testa di fare un pasto decente dopo chissà quanto tempo, scaldandosi in quell’ “Aggeggio infernale” un bel piatto di lasagne che mamma aveva lasciato a Tom.
Gli piacevano le lasagne. Gli piaceva tutto il cibo italiano in generale, ma le lasagne in particolare.

Finalmente, non si sa come, riuscì a farlo funzionare, vedendo il piatto all’interno girare in tondo, ipnotizzandolo.

Ripensò a quel pomeriggio,al suo comportamento e agli occhi di Melrose confusi e colpevoli.
Colpevoli.
Colpevoli per cosa poi? Lei non aveva fatto nulla, poverina, la colpa era solo ed unicamente sua che continuava a prendersela con le persone sbagliate, ad allontanare chi cercava di essere gentile con lui.
E quella ragazza ci aveva provato a fare la carina, ma aveva toccato il tasto sbagliato e Bill era inevitabilmente scattato.
Non gli piaceva apparire così: maleducato e scorbutico. Non lo era mai stato e non voleva certo apparire così.. Forse, forse avrebbe dovuto scusarsi con lei. Ma il coraggio per tornare in quel bar non ce l’aveva più..
Con che faccia si sarebbe ripresentato li, davanti a lei, per chiederle scusa? No, no.. Non ne aveva la forza. Né fisica, né psicologica.

Il “Bip” del forno lo avvisò che la cena era pronta da servire in tavola.
Prese la vaschetta contenente le sue adorate lasagne, prese una forchetta, e si accomodò seduto al tavolo.
Non aveva apparecchiato, non ne aveva voglia. Si era silenziosamente seduto su una sedia e aveva cominciato a mangiare, da solo. Come ormai era da troppo tempo.

Quelle lasagne erano deliziose, mamma aveva sempre cucinato benissimo, fin da quando lui e suo fratello erano piccoli. Non aveva mai avuto di che lamentarsi per le doti culinarie di Simone.

Sentì un vibro nella sua tasca, tirò fuori il cellulare e vide che gli era arrivato un nuovo messaggio, di Tom.

Fratellino, ho notato che in frigo non hai più niente. Vai a fare la spesa domani mi raccomando. Andrei io per te ma ho un appuntamento che non posso disdire.

Un appuntamento? Tom non gli aveva mai parlato di appuntamenti.
Non ci fece caso e posò la vaschetta vuoto nel lavandino, poi aprì il frigorifero constatando che, in effetti, Tom aveva ragione: Non era rimasto quasi niente.

Domani sarebbe uscito per andare al supermercato, ora aveva solo voglia di farsi una lunga, infinita dormita.

***

Era nel suo appartamento, aveva appena mandato un messaggio al fratello e sperava ardentemente che lo ascoltasse. Se non ci fosse stato lui, Bill a volte avrebbe pure dimenticato di bere e di mangiare.
Quella situazione lo stava uccidendo, gli stava succhiando via la linfa vitale. Non si sentiva più i gradi di stare dietro ai continui cambi d’umore del fratello, ai suoi sfoghi su di lui, al suo dolore e alla sua immensa sofferenza.
Ma Bill era il suo fratellino, e avrebbe fatto di tutto pur di rivedere, anche solo una volta e per pochi secondi, il sorriso radioso sul suo volto. Quel sorriso che lui amava tanto.

Il girono dopo sarebbe dovuto uscire con Rebecca, dalla morte di Margaret lui e Becky si erano avvicinati molto. Lei aveva lasciato Eirik, la perdita della sua migliore amica l’aveva devastata, facendole prendere questa decisione.
Aveva trovato in Tom qualcuno con cui sfogarsi e con cui condividere il dolore, visto che Bill aveva creato una fortezza intorno a sé.
Il chitarrista ci si trovava molto bene, si poteva dire che stessero insieme, che fossero una coppia a tutti gli effetti. Lentamente stava cominciando ad attaccarsi sempre di più a lei.
Questa cosa lo rendeva felice ma allo stesso tempo lo spaventava, voleva andarci con calma.. Per non rovinare le cose.

A Bill non aveva raccontato nulla, non sapeva come l’avrebbe presa. Insomma, suo fratello stava insieme alla migliore amica della sua ex fidanzata.. Non aveva idea di che reazione aspettarsi.. Ma qualcosa gli diceva che non sarebbe stata buona.
Prima o poi, comunque, il coraggio avrebbe dovuto tirarlo fuori e raccontargli la verità.. Molto presto, tra l’altro.

***

Parcheggiò la macchina nel garage di casa sua, stando bene attenta a non andare a sbattere da qualche parte. Dopo l’ultima volta aveva gli occhi persino dietro alla testa.
Qualche mese prima aveva urtato lo scaffale dei mobili, graffiando così la fiancata destra della sua preziosissima automobile.

Aveva una fame da lupi, erano le otto e mezzo di sera e lei non aveva ancora cenato. Sperò vivamente che sua madre le avesse lasciato qualcosa da parte.
Salì le scale che dal garage la portavano alla cucina e il silenzio che trovò ad avvolgere la casa la fece rabbrividire. I suoi genitori non erano seduti al tavolo, dove lei invece credeva di trovarli.. Non si sentivano litigi, urla, pianti. Niente di niente.
Guardò nel forno e nel frigorifero, evidentemente sua madre non aveva pensato a lei.

“Melrose.” La voce forte e autoritaria di suo padre la fece sobbalzare sul posto. Proveniva dal salotto, così chiuse lo sportello del frigo e camminò a passo incerto verso il soggiorno.

Sua madre era seduta sul divano, le mani raccolte in grembo e lo sguardo vacuo che indugiava su di lei, come se avesse paura di qualcosa.
Suo padre, invece, era in piedi davanti alla poltrona su cui si risedette non appena vide Melrose andargli incontro.

“Si?” Chiese titubante la ragazza, sedendosi accanto alla mamma.

“Io e tua madre abbiamo qualcosa da dirti.” Disse, con tono solenne, come se di li a poco avesse dovuto proclamare una condanna a morte.

“Vi ascolto..” Sospirò la bionda, probabilmente sapendo già quello che l’aspettava.

“Ti sarai resa conto anche tu che il clima in questa casa si è deteriorato da un po’.” Sospirò, prendendo fiato. Hanna non parlava. “Io e la mamma non ne possiamo più di continuare a litigare, non si può più vivere in questa situazione”

“Puoi arrivare al dunque, senza tanti giri di parole?” Sbottò irritata Melrose. Quelle continue divagazioni inutili la infastidivano e basta.

“Abbiamo deciso che la cosa migliore è divorziare, tesoro.”  Si intromise Hanna. La biondina sospirò, chiudendo gli occhi per qualche secondo e trattenendo il respiro, desiderando solo di sprofondare.

“Bene.” Si alzò, riaprendo gli occhi ed espirando, per poi dirigersi verso la sua camera.

“Melrose, non hai nient’altro da dire?” Chiese Oskar, guardandola pungente.

“Cosa dovrei dire papà? Sono mesi che vi sento litigare ogni santa sera, questa forse è davvero la soluzione migliore.” Mormorò, senza girarsi. “Ma non sperate che lo dica io ad Alan, quello è compito vostro. Lo dovrà sapere da voi!” Si voltò, guardandoli entrambi per un millesimo di secondo. Poi schizzò spedita su per le scale, entrando nella sua stanza e chiudendosi la porta alle spalle appoggiandocisi contro con la schiena.

Tirò un sospiro di sollievo, felice che quella situazione fosse finalmente finite. Non sentiva più l’ansia che le cresceva alla bocca dello stomaco, se ne era liberata grazie a quella notizia.
I suoi genitori si sarebbero separati, questo voleva dire niente più grida, niente più litigate, niente più insulti e niente più lacrime. Quella era la liberazione da mesi di inferno puro.
Sorrise, mentre una lacrima le solcava il viso, finalmente avrebbe raggiunto un po’ di pace.

Non aveva nemmeno chiesto chi avrebbe tenuto la casa, con chi avrebbe dovuto vivere lei.. Non si era interessata a niente, convinta che il giorno dopo mamma e papà le avrebbero spiegato tutto nei minimi dettagli.

Si coricò a letto, stringendo il cuscino a sé e lasciandosi andare ad un sospiro di serenità, chiudendo gli occhi. Quella notte avrebbe potuto fare sonni tranquilli, dopo tanto tempo.

 

 

Questo capitolo è un po’ deprimente, lo ammetto. Ma, in fondo, in questa storia lo sono un po’ tutti purtroppo. Spero vi sia piaciuto almeno un pochetto etto xD
La canzone che ho inserito è “In assenza di te” di Laura Pausini. E’ bellissima.. Quando l’ho sentita mi sono detta “E’ perfetta” E ho pure fatto i piantini, se devo essere sincera fino in fondo XD

Ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo, ovvero:

_Pulse_ : La mia carissima Pulse, Aria, Ariannina, Sempina *____* Graaaazie che tu mi fai sempre i complimenti anche se non me li merito, ti voglio davvero un mondo gigante di bene mia cavigliera super preziosa *-* Sono arci felice che ti sia piaciuto lo scorso capitolo. Dopotutto.. Questa è la tua storia. Ti voglio tantissimo bene! Arrrrguta <3

Layla the punkprincess : Sono felice che la storia ti piaccia, e che ti piaccia il modo in cui la sto portando avanti. Ero un po’ titubante all’inizio, lo sai.. Ma ora sono un po’ più sicura di questa fic. Ti ringrazio per la tua recensione che non manca mai *-*

Piera : Waaa, davvero la rileggi? xD ma io ti adoro ^___^ Grazie, grazie, graaazie mille! Alla prossima!

Un ringraziamento anche a tutti quelli che leggono questa storia, quelli che l’hanno messa tra le preferite e le seguite. Grazie, grazie di cuore a tutti!

Baci, Ale.

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Capitolo 6
*** Incontro ***


Dovete scusarmi umilmente per l’imperdonabile ritardo. Lo so, sono assente da quasi un mese ed è tantissimo. Ma ho avuto non pochi problemi, la scuola.. L’account bloccato ( -.-“ ). Insomma, mi dispiace da morire, davvero. Spero di non avervi perso per strada, anche se non siete mai state moltissime XD  Ma non importa. Spero che questo capitolo vi piaccia e spero che, magari, abbiate voglia e tempo di farmi sapere cosa ne pensate, con una recensione.. Anche piccola piccola.
Un saluto a tutti, buona lettura.
Ale**

 

SESTO CAPITOLO – Incontro “casuale”

 

Quella mattina aveva deciso di svegliarsi presto e dare una risistemata al suo appartamento. Era da troppo tempo che non faceva le pulizie per bene.
Aveva già lavato per terra, pulito i vetri, spolverato i mobili.. Aveva passato l’aspirapolvere e lo straccio sugli infissi delle porte.
Aveva passato in rassegna tutte le stanze della casa, dando una pulitina qua e la.

Per tutta la mattinata era stato come se il suo cervello si fosse spento, fosse andato in standby, lasciandogli un momento di tregua senza pensare e ripensare alle cose passate.
Aveva pranzato già da un po’ e ora era sdraiato a pancia in su sul divano, la televisione accesa trasmetteva un programma che lui non stava seguendo minimamente. Guardava il soffitto, un braccio sulla fronte e il respiro regolare e calmo.

Aveva voglia di una doccia rigenerante, ma stare disteso a non fare niente gli piaceva. Negli ultimi tempi non aveva quasi mai avuto un momento di totale tranquillità come quello..
Sorrise sinceramente, il primo sorriso vero dopo chissà quanto tempo.. Scosse la testa, meravigliandosi da solo di quella strana incurvatura sulle sue labbra.

Si girò, lanciando un’occhiata fugace alla televisione, stavano trasmettendo un film che lui da bambino aveva visto miliardi di volte, con suo fratello..
Suo fratello.. Si ricordò del messaggio che gli aveva mandato il giorno prima. Sarebbe dovuto uscire per andare a fare la spesa dopo pranzo, meglio farsela quella doccia..

Si alzò sbuffando, arrivando svogliatamente fino al bagno comunicante con la sua stanza, aprì il rubinetto e si infilò sotto il getto gentile dell’acqua tiepida.
Strano come una semplice doccia calda gli potesse far riaffiorare tanti ricordi..
Ricordi di un corpo nudo e femminile stretto al suo, di notti insonni perse a guardarla dormire, di mattinate spese ad accarezzare quella pancia che stava crescendo sempre più in fretta.
Scosse la testa, rendendosi conto che se avesse continuato a pensare a lei, a pensare a.. loro, non sarebbe mai più riuscito a risalire il baratro che lentamente lo stava trascinando in profondità.
Si sarebbe perso in un labirinto senza più trovare l’uscita.. E lui la voleva trovare, quell’uscita. Lo doveva a lei, al loro bambino che era morto ancor prima di nascere. Doveva essere uomo, per una volta.

“Per rinascere mi servi qui
non c'è una cosa che non ricordi noi
in questa casa perduta ormai”


Strinse gli occhi, cercando di ricacciare indietro le lacrime e stupendosi di avercela fatta. Deglutì un paio di volte, mandando giù il nodo che gli chiudeva la gola.. Poi, più tranquillo, cominciò a passarsi la spugna lungo il corpo e a massaggiarsi i capelli intrisi di shampoo.

Quella doccia ci voleva, si sentiva rinfrescato anche psicologicamente.
Si fermò davanti all’armadio di camera sua, prendendo un paio di jeans e una maglietta nera, se li infilò e, prese le chiavi della macchina, uscì di casa.

Le strade erano semi deserte, non c’era quasi nessuno in giro. Erano quasi le quattro e mezzo del pomeriggio, il supermercato era già aperto da più di mezz’ora.
Si ricordò di non aver fatto la lista della spesa, così fece un piccolo resoconto mentale sulle cose da comperare una volta dentro al Supermarket.
Beh, gli affettai li doveva prendere, pasta, sugo, un bel po’ di roba in scatola, cibo spazzatura, il gelato.. Da quanto tempo non si mangiava una buona dose di gelato!
Parcheggiò nello spazio riservato ai clienti ed entrò nell’edificio facendo un respiro profondo.

 

***

 

Era stata una notte più o meno tranquilla e il risveglio non fu da meno.
Si era alzata ed era scesa a fare colazione con sua madre, visto che il signor Weber era uscito presto per lavoro.
Per tutta la mattina era rimasta in camera sua a leggere e a disegnare. Gli sarebbe piaciuto tanto iscriversi ad un’università, come suo fratello, ma sapeva di non avere le possibilità economiche in quel momento. Meglio rimanere a lavorare dal signor S, e ripensarci in futuro.

Stava aiutando Hanna a stendere la biancheria, il silenzio era il primo protagonista.

“Mi dispiace, per tutto.” Aveva mormorato a un tratto sua madre.

“Non ti dispiacere, mamma. E’ meglio così, per tutti quanti.” Bisbigliò, non guardandola negli occhi ma rimanendo concentrata sul panno che stava cercando di appendere allo stendino.

“Ho chiamato Alan, ieri sera tardi. Da lui era pomeriggio.” Il cuore le si fermò nel petto, sbarrò gli occhi e il respiro le si mozzò in gola. Alan sapeva, Alan aveva scoperto la verità..  Alan ora aveva avuto la conferma che sua sorella per mesi gli aveva mentito, dicendogli che andava tutto bene.

“Ah, bene..” Sospirò affranta, sapendo già che su fratello l’avrebbe chiamata presto, molto presto.

“E’ arrabbiato, ma vedrai tesoro.. Gi passerà” Sussurrò con un sorriso, mentre con una mano le sfiorava la guancia sinistra.

“Vabbè, io vado di sopra. Ti serve altro?” Chiese mogia, stendendo l’ultima maglietta.

“Più tardi andresti a farmi la spesa? Devi comprare solo un paio di cose.”

“D’accordo, nessun problema.” Sorrise debolmente e poi salì le scale a due a due, precipitandosi in camera a controllare il cellulare. Come temeva: due chiamate perse, entrambe di Alan.
Con mano tremante cominciò a digitare il suo numero sulla tastiera del telefonino, portandosi poi l’apparecchio vicino all’orecchio e aspettando pazientemente che rispondesse.

“Pronto?” Dalla sua voce capì che non aveva nemmeno guardato sulla schermata del cellulare il nome della persona che lo stava chiamando, o non sarebbe stato così tranquillo.

“Alan..” Sussurrò, portandosi una mano a stropicciarsi gli occhi.

“Melrose.” Duro, freddo, distaccato. Raramente l’aveva chiamata con il suo nome per intero.. Di solito era sempre “Mel”, “Piccola”, “Sorellina”, ma quasi mai.. “Melrose”.
Quell’unica parola gli aprì una ferita al cuore, essendo consapevole che la colpa era da attribuire solo a lei.

“Alan, non essere arrabbiato..” Pigolò, sentendo già i primi cedimenti di voce.

“Perché non dovrei? Mi hai mentito per tutto questo tempo!”

“Lo so Alan e.. Mi dispiace!” Tentò di giustificarsi, ma inutilmente, il fratello sembrava essere partito per la tangente.

“E ci credo che ti dispiace!”

“Avrei voluto dirtelo, davvero.. Solo avevo paura che..”

“Paura di che cosa Melrose? Paura di che cosa?! Non hai scuse questa volta, davvero! Ma che razza di sorella sei? Io di te mi fidavo!”

Che razza di sorella sei.

Quell’accusa proprio non se la meritava, lei che aveva fatto di tutto per impedire che Alan soffrisse!

“Senti un po’ fratello! Invece di sparare offese gratuite, non ti puoi chiedere il perché, del mio comportamento?” Strillò, offesa nel profondo. “Alan sei mio fratello, io ti amo sopra ogni cosa, l’ho fatto solo per proteggerti! Per impedire che tu distruggessi i sogni per cui hai lavorato tanto! Non sono una cattiva sorella, non lo sono per niente!” Sbraitò quasi l’ultima frase, ma senza piangere.. Di piangere proprio non ne aveva voglia.

“Mel..” Sospirò stancamente. “Ho bisogno di tempo per riflettere a tutta questa faccenda. Ti chiamo io, ciao”

Non le lasciò neanche il tempo di replicare in qualsiasi maniera che aveva già riattaccato, lasciandola sola sul suo letto, con il cellulare ancora in mano e la bocca semi aperta.
Le aveva chiuso  il telefono in faccia, non era mai successo.
Sentì una profonda tristezza impadronirsi di lei e del suo cervello.

Che razza di sorella sei.

Lei era una sorella minore esemplare! Ecco che razza di sorella era!

Una che si tiene dentro tutto il dolore per sé, per impedire al fratello di gettare al vento i suoi sacrifici e il suo futuro.. Non poteva essere che una brava sorella.

Ma Alan in quel momento era accecato dalla rabbia e non voleva sentire ragioni.

Il primo impulso fu quello di ritelefonargli, ma era ben consapevole che così facendo non avrebbe cavato un ragno dal buco. Avrebbe dovuto aspettare paziente che il fratello sbollisse il suo rancore e si facesse risentire di sua spontanea volontà. Solo così le cose si sarebbero aggiustate.

“Mel!” Si sentì chiamare dal piano inferiore. Era la voce di sua mamma.

Si affacciò con la testa fuori dalla porta della sua stanza e le rispose un “Si?” mezzo biascicato.

“Potresti andare adesso a fare la spesa?” Guardò l’orologio: le quattro.
Sarebbe dovuta andare dal signor S solo entro sera.

“Va bene!” Si alzò e si vestì velocemente. Infilandosi il cellulare in tasca e arrivando al piano di sotto.

Arraffò la sua borsa con dentro il portafogli e le chiavi della macchina e si infilò la giacca.

“Ciao mamma!” Salutò, poi aprì la porta di casa e uscì fuori, senza nemmeno sentire la risposta di sua madre. Saltò in macchina, cominciando a guidare verso il supermercato.. Faceva più freddo del solito quel giorno, prevedeva neve per quella notte. La primavera sarebbe arrivata in ritardo, se lo sentiva.
Peccato, lei adorava la primavera.. Amava stare sotto un albero a leggere un buon libro, o semplicemente sdraiarsi sull’erba sotto il sole ad ascoltare musica rilassante.

Frenò appena in tempo accorgendosi dell’edificio davanti a lei: il supermarket.

Entrò nel grande parcheggio riservato esclusivamente ai clienti e fermò la macchina vicino ad un Audi metallizzata. Bella macchinina, pensò.

Entrò dentro al supermercato, varcando le porte scorrevoli. Una ventata d’aria calda la investì subito dopo, almeno li avevano acceso il riscaldamento!
Tirò fuori dalla tasca dei jeans la lista della spesa, che consisteva in un foglietto di carta tutto stropicciato, e si diresse al reparto “detersivi per la casa”.

 

***

 

“Come sta tuo fratello?” Rebecca e Tom erano in un piccolo bar del centro, nella periferia. Lei era stretta a lui, con le sue forti braccia intorno alla vita e le mani che le accarezzavano dolcemente i capelli.
Se glielo avessero raccontato appena qualche mese prima non ci avrebbero creduto. Si erano trovati tardi, questo era assodato.. Però rimaneva il fatto che si erano trovati.

“Vedo uno spiraglio di luce, ma è ancora lontano.” Sospirò, baciandole la testa.

“E’ comunque un passo avanti, no?”

“Sicuramente.” Sorrise nel vedere la sua testolina mora girarsi a guardarlo con un broncetto infantile in viso.

“Te l’ho mai detto che sei splendida?” Le baciò la tempia, spostandole una ciocca di capelli che le era finita davanti agli occhi azzurrognoli.

“Circa una settantina di volte.” Ridacchiò prendendolo per la nuca e baciandogli le labbra.

“Facciamo settantuno. Sei bellissima.” Sussurrò al suo orecchio, per poi catturarla in un nuovo bacio. Le accarezzò la schiena, sfiorandole una guancia con l’altra mano.
Non poté fare a meno di pensare che con lei.. Con Rebecca, sarebbe riuscito a costruire qualcosa. Cosa che con le altre ragazze non era riuscito a fare.
Lei lo sapeva prendere, lo sapeva ascoltare.. Una come lei non l’aveva mai avuta prima, e non se la sarebbe di certo fatta scappare.
Era da mesi che andava avanti questa storia tra loro. Erano insieme, anche se non se l’erano detto palesemente.

“Tom. Io.. Ti piaccio davvero?” Chiese, curvano il labbro inferiore all’ingiù.

“Non sarei qui altrimenti, ti avrei già portata a letto senza farmi troppe domande. Con te è diverso Becky, tu sei diversa. Non butterò nel cesso anche questa opportunità con te. Credimi.”

Con gli occhi brillanti Rebecca alzò una mano verso di lui, accarezzandogli dolcemente uno zigomo con il dorso delle dita. A quel tocco il ragazzo chiuse gli occhi, godendosi appieno la fantastica sensazione che lei gli dava solamente sfiorandolo.

“Dovremmo dirlo a Bill, sai?” Sussurrò lei, riaccoccolandosi nel suo caldo e confortante abbraccio.
Lo sentì irrigidirsi appena e percepì il suo sguardo farsi triste e dubbioso..  Non sarebbe stato per niente facile dirlo a suo fratello. Che poi, non si spiegavano tutte le preoccupazioni che li assalivano quando si parlava di raccontare tutto a Bill. Lui avrebbe capito, non se la sarebbe presa. Per cosa, poi?

“Forse.. Forse hai ragione.” Mormorò poi, guardandola dall’alto verso il basso. “Deve saperlo, si.” Continuò poi, forse per convincere se stesso e basta.

La strinse un po’ più forte, consapevole che quella ragazza doveva essere stata mandata direttamente dal cielo.

 

***

 

“Dove cavolo li trovo io i piselli surgelati?” Mormorò tra sé e sé, girovagando tra i vari scaffali con la lista che si era scritto in macchina fra le mani.
Non andava più a fare la spesa da una vita quindi non aveva la più pallida idea di come muoversi. Era un’ora che girava a vuoto tra i reparti, senza trovare quello che gli serviva.

Per ora aveva preso solo gli affettati, ma non era difficile capire dove fossero, visto che c’era un bancone enorme dedicato solo a loro.

Spinse il carrello con più forza, girando l’angolo e ritrovandosi nel reparto detersivi.
Non fece in tempo a bloccarsi che andò a sbattere sul muso di un altro carrello, l’impatto lo fece indietreggiare di qualche passo.

“Ma che..?” Borbottò una voce femminile, per poi alzare lo sguardo.

“Tu?!” Esclamarono entrambi.

Melrose per pura e semplice sorpresa. Bill per la vergogna.. Il loro ultimo incontro in fin dei conti non era stato dei migliori, rivederla in un supermercato era piuttosto imbarazzante.

“Ciao..” Sorrise dolcemente lei, facendo manovra e raddrizzando il carrello.

“Ciao.” Mormorò Bill. Come mai era così gentile con lui?

“Scusa, non ho visto dove andavo.” Ridacchiò lei, prendendo un detersivo verde da uno scaffale e riponendolo insieme al resto della spesa.
Bill rimase a guadarla qualche secondo, chiedendosi perché doveva fargli male solo la sua vista.

“Niente, figurati..” Farfugliò poi, distogliendo lo sguardo.

“Spese di fine mese?” Trillò lei, con il suo timbro di voce allegro e squillante, indicando il carrello che Bill stava tenendo saldamente per il manico.

“Già..” Tentò di sorridere, mentre riponeva nel carrello quei benedetti piselli surgelati che finalmente aveva trovato.

Stettero per un po’ li fermi, in mezzo al corridoio, a guardarsi intorno avvolti dal silenzio più assoluto. Senza sapere che cosa dirsi.
Semplicemente nessuno dei due aveva voglia di troncare così la conversazione e Bill si chiese il perché di quell’improvviso desiderio.

Il ragazzo si schiarì rumorosamente la voce, portandosi un pugno chiuso davanti alla bocca.

“Beh, io andrei.. Ecco.” Si passò una mano sul collo, nervoso.

“Oh si, si. Anche io ho finito.” Lui le sorrise, cominciando a spingere il carrello verso la cassa, con la presenza di Melrose al suo fianco.. Che, silenziosa, lo seguiva guardandolo di nascosto.

Non poteva impedirsi di pensare che era straordinariamente bello. Seppure il suo aspetto fosse poco curato o, per lo più, dimenticato.. Era indubbiamente bello. Bello nel vero senso della parola.
Scostò lo sguardo abbassandolo e diventando rossa sulle guance, quando si rese conto che lo stava fissando insistentemente da un po’.
Sorrise tra sé e sé, scuotendo la testa e ritrovandosi, improvvisamente, di fronte alla cassa.

 

***

 

“Beh, allora ciao” Sorrise lui facendole un cenno con la mano, non appena furono fuori dall’edificio, nel freddo invernale tedesco.

“Si, ciao.:” Mormorò lei, cominciando a camminare verso la sua macchina, un po’ dispiaciuta.

Notò che Bill la stava seguendo, le era appena qualche passo indietro. Si girò il tanto che bastava per poterlo guardare in faccia e notare nella sua espressione una nota imbarazzata, come nella propria.

“Non ti sto pedinando, la mia macchina è quella.” Disse con un mezzo sorriso, indicando con l’indice proprio l’Audi grigio metallizzato parcheggiata di fianco alla sua auto.

“E quella è la mia!” Ridacchiò lei, avvicinandosi alle due macchine.

Bill le sorrise, stava per infilarsi nella sua auto quando..

“Senti, non vorrei essere invadente, ma.. Ti andrebbe di venire a bere un caffè con me?” Sussurrò, prendendo improvvisamente fuoco in volto. Era stato un impulso improvviso, non voleva che se ne andasse, voleva passare un po’ di tempo con lui e non si spiegava il perché.

Notò che Bill si era irrigidito appena, contraendo i muscoli della faccia e aumentando la stretta delle mani  intorno al volante. Quello probabilmente era un no, dedusse.

“Scusa, hai ragione. Io non ho detto niente!” Alzò le mani davanti al petto, con un sorriso di circostanza stampato in viso.

Si era appena accomodata al volante della sua macchina, quando sentì qualcuno picchiettare lievemente contro il vetro del suo finestrino. Si girò di scatto trovandosi il viso di Bill a pochi centimetri di distanza. Una lastra fredda a dividerli.
Abbassò il finestrino, guardandolo sorridente.

“Ci vengo volentieri a bere qualcosa con te.” Sorrise, ma nel suo sorriso potè percepire una nota di falsità. Non ci sarebbe venuto realmente volentieri a prendere quel caffè insieme, ma decise di non farsi troppe domande e di guidare fino al primo bar che trovava sulla strada, seguita dalla Audi del ragazzo che continuava a chiedersi prepotentemente, perché fosse così masochista.

 

***

 

Eccoci qui, finito. Spero di non avervi deluso -.-
Non ho molte persone da ringraziare, quindi lo faccio subito XD :

_Pulse_ : Comincio col dirti che si scrive “Maggie” e non  “Maggy” Ignorantona -.-Ma ti perdono xD Dunque, dunque.. Anche io amo come Tom si prende cura di Billie, è così tttenero! *__* Chissà se lui e Becky gli diranno della loro storia, mah.. u.u Si scoprirà nei prossimi capitoli XD
Tu non abbandonerai mai questa ff, lo so XD Sei fedele anche teee! Anche perché poi te l’ho dedicata, quindi saresti solamente un ingrata se non la leggessi u.u
Ti voglio bene assai! Ma tanto tanto tantissimo! Ales.

Funny_lady_ : Ooohh, ti ringrazio infinitamente per aver perso cinque minuti della tua vita e avermi lasciato un commentino *-* Sai che le tue recensioni mi fanno sempre molto piacere. Spero che “Ci sarà” continui a piacerti. Un bacio grande ^____^

 

Grazie anche a tutte voi timidone che leggete senza recensire xD Amo anche voi, non preoccupatevi u.u Se vi faceste sentire, una volta ogni tanto, vi amerei di più comunque. XD

Concludo dicendo che la canzone che ho usato è ancora “In assenza di te” di Laura Pausini. Non trovate che sia azzeccatissima? *-*

Alla prossima gente, con la speranza che sia un po’ prima di un mese questa volta XD

Vostra, Ale^^

 

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Capitolo 7
*** Verità ***


SETTIMO CAPITOLO – Verità

 

Seduti al tavolino di un piccolo bar alla periferia di Amburgo.
Due perfetti sconosciuti che grattano la superficie delle cose per far si che la conversazione non muoia, lasciando spazio a quel classico silenzio imbarazzante che predomina i dialoghi di persone che ancora non hanno molta confidenza.

Bill continuava a girare e a rigirare il cucchiaino nella sua tazza di caffè forte, terribilmente nervoso. Melrose invece si guardava in giro imbarazzata, sentendo le sue guance prendere fuoco ogni qual volta il suo sguardo cadeva su quello spento del cantante.

“Allora.. Tu lavori nel bar del signor Schrider.” Constatò, sentendosi avvampare per quell’assurda affermazione così ovvia.

“Ehm.. Si, da quando ho finito il liceo” Sorrise, annuendo.

“Quanti anni hai?”

“Diciannove,” Rispose, sentendosi una bambina di fronte alla sua aria da uomo vissuto. “Tu?” Chiese poi, incuriosita.

“Io, ne ho fatti ventidue a settembre” Sorrise nervoso, riportando il suo sguardo sulla tazzina di fronte a lui. Se la portò alla bocca prendendo un lungo sorso di caffè. Fece una smorfia, rendendosi conto che aveva mescolato in continuazione negli ultimi minuti, ma lo zucchero non ce lo aveva ancora messo.

Melrose lo guardò attentamente, richiamando alla memoria il discorso fatto con Jessica il giorno prima. Non ce l’aveva proprio l’aria da drogato, proprio per niente. Lo scrutò a fondo, nei suoi occhi si nascondeva un segreto, un segreto sofferto e doloroso. Avrebbe tanto voluto saperne di più, ma non era mai stata una persona invadente.. Quindi bloccò la raffica di domande che le salirono alla gola e strinse le labbra fra di loro.

“E’.. carino qui.” Ridacchiò nervosamente lui. Si era già pentito di aver accettato..
La compagnia di quella ragazza gli faceva bene, doveva ammetterlo, si sentiva al posto giusto e al momento giusto.. Ma a guardarla fisso negli occhi, proprio non ce la faceva, rischiando così di rendersi antipatico e, forse, anche un po’ snob.

Melrose, dal canto suo, non riuscì ad impedire alla sua bocca di pronunciare una tra le tante domande che avrebbe voluto fargli. Quella che forse, gli avrebbe potuto dare più risposte di quelle che credeva.

“Come mai non canti più?” In un sorso svuotò la tazza del suo caffè, sorridendo e pulendosi il labbro superiore con il tovagliolo li vicino.

Bill strinse gli occhi, sentendo perfettamente il rumore dei punti che aveva messo sul suo cuore strapparsi e la ferita che stava cercando di chiudere, riaprirsi.
Ci volle tutto il suo autocontrollo e la sua forza di volontà per imporsi di non sbattere la tazzina sul tavolino e di uscire dal bar spedito, lasciando Melrose da sola con il pensiero che lui fosse categoricamente un maleducato.

“Preferirei non parlarne.” Sibilò, nascondendo gli occhi dietro a qualche ciuffo di capelli scappati alla coda.

“Oh certo, certo. Scusami, a volte tendo a fare troppo la curiosa.” Si scusò, facendo un sorriso di circostanza e arrossendo lievemente sulle guance.

Bill rimase stupito dalla sua naturalezza e spontaneità. Per l’ennesima volta le aveva ancora risposto male e, sempre per l’ennesima volta, lei non se n’era risentita. Anzi, si scusava pure!

“Non preoccuparti, solo.. E’ complicato.” Sorrise nervosamente portandosi una ciocca di capelli dietro all’orecchio.

Dalle sue risposte, Melrose capì che c’era qualcosa sotto e che molto probabilmente Jessica non aveva avuto tutti i torti. Forse le aveva detto la verità, forse davvero quel bel ragazzo aveva problemi con la droga.
Si incupì, per un momento aveva sperato che la sua collega si fosse sbagliata o, peggio ancora, avesse detto quelle brutte cose solo per dare aria alla bocca. Ma, evidentemente, il comportamento strano e distaccato del cantante era una prova che quella vipera avrebbe potuto avere ragione.

 

***

 

“Mi ha fatto piacere passare il pomeriggio con te!” Sorrise Melrose, una volta fuori dal bar, affiancata da Bill che si era avvicinato alla sua Audi.

“Anche a me.” Sorrise sinceramente, schiacciando un bottoncino sul mazzo di chiavi e aprendo la macchina con un clock. “Allora, ciao.” Salutò, per poi sprofondare nel sedile e mettere le mani sul volante.

“Qualche volta..” Sentì dire. “Qualche volta se vuoi, puoi venire dal signor S. Io ci lavoro tutte le sere, mi fai compagnia..” Si fece coraggio, percependo la sua pelle diventare rovente e color porpora.

“S.. Si, magari una volta ci passo.” Rispose imbarazzato, per poi dare gas al motore e partire con una sgommata.

Andava piano, diretto a casa del fratello.. Aveva voglia di parlare un po’ con lui, di raccontargli di quel pomeriggio e di chiedergli qualche consiglio.

Si sentiva in colpa, si sentiva sbagliato.. Perché quel giorno, nonostante le pause d’imbarazzo e il nervosismo crescente, si era sentito bene e gli aveva fatto sinceramente piacere passare un po’ di tempo con lei, con Melrose.
Il fatto è che non voleva sentirsi così, non avrebbe mai voluto stare bene in compagnia di un’altra che non fosse.. Maggie. Era sbagliato, fottutamente sbagliato.

Girò l’angolo e fu davanti al suo palazzo, parcheggiò e attraversò la strada, diretto all’appartamento del fratello. Aveva dimenticato la sua copia di chiavi a casa, avrebbe dovuto suonare.. Sperò vivamente che non stesse dormendo o facendo la doccia.

Mentre saliva lentamente le scale sentì dei passi verso di lui, alzò lo sguardo e vide Rebecca andargli incontro.. Non capì subito cosa potesse farci lei li, poi il pensiero di suo fratello gli fece balenare in testa una possibile idea.

“Ciao Becky..” Sussurrò, guardandola con la bocca semichiusa, sorpreso. Lei alzò gli occhi verso di lui, con un espressioni intimorita in volto, che lui non riuscì a decifrare.

“Bill..” Soffiò poi.. “Che ci fai qui?”

“Beh, ci abita mio fratello.. Che ci fai tu qui?” Sorrise, confuso. Era da tantissimo tempo che non vedeva Becky, da quando Maggie non c’era più Bill aveva praticamente chiuso i contatti con il mondo, eccetto che con Tom..

“Ecco, appunto..” Abbassò lo sguardo, non sapeva cosa fare. Ormai era consapevole che qualsiasi scusa sarebbe stata inutile, tanto valeva vuotare il sacco e liberarsi da quel peso. “Vieni, io e Tom ti dobbiamo parlare..” Mormorò poi, prendendolo per mano e conducendolo davanti al portone di Tom Kaulitz.

 

***

 

Che bel pomeriggio, era stata benissimo in compagnia di Bill.. Solo che i suoi occhi così spenti e tristi le avevano fatto uno strano effetto, avrebbe voluto capire un po’ di più di lui.
Stava guidando serena verso casa sua, pensando e ripensando a quello strano ragazzo dagli occhi nocciola. Che segreto nascondeva?
Forse aveva sbagliato a chiedergli di passare a trovarla dal signor S, ma la voglia di passare ancora un po’ di tempo assieme a lui era stata incontenibile. Chissà se sarebbe andato per davvero.

Parcheggiò la macchina davanti alla sua villetta e camminò fino alla porta di casa, la aprì con le chiavi ed entrò richiudendosela alle spalle.
“Tesoro sei tornata! Cominciavo a preoccuparmi..” La accolse la madre, andandole incontro.
Accidenti! Si era dimenticata di avvisarla che andava a bere qualcosa.

“Scusa mamma hai ragione. Sono andata a bere qualcosa con un.. Amico e mi sono dimenticata di telefonarti!” Si scusò Melrose, appoggiando le buste della spesa sul tavolo in cucina.

“Non importa” Sorrise dolce “Ha chiamato tuo fratello, voleva parlarti”

“Cosa?” Sgranò gli occhi euforica. “Perché non mi ha chiamata sul cellulare?

“Dice che non ti ha trovata raggiungibile”

Senza replicare in alcun modo, Melrose corse in camera sua chiudendo la porta e sfilandosi il cellulare dalla tasca dei jeans.            Doveva assolutamente richiamarlo.

“Pronto? Mel?” Il suo cuore si alleggerì in un istante, sentendo la sua voce e il tono dolce con cui aveva pronunciato il suo nomignolo.

“Alan..” Soffiò.

“Piccola, mi dispiace se ti ho trattata male, ero solo arrabbiato.”

“Non ti preoccupare” Tirò su col naso, sorridendo rincuorata “Come stai?”

“Bene grazie, tu? Com’è la situazione a casa?”

“Bene anche io. A casa papà non c’è mai, mamma è silenziosa tutto il giorno e.. Non lo so, non so cosa decideranno di fare.”

“Se tornassi a casa sarebbe tutto più semplice” Borbottò irritato, quella situazione non gli piaceva per niente, soprattutto sapendosi distante dalla sua famiglia.

“Non dirlo nemmeno per scherzo Alan! Tu devi rimanere li a studiare.. Se avrò bisogno di te sarò io stessa a chiamarti. D’accordo?”

“D’accordo..” Sbuffò scocciato. “Però una cosa. Niente più segreti tra noi, promesso?”

“Promesso!” Ridacchiò Melrose. “A proposito, vorrei parlarti di una cosa” Abbassò il tono della voce, incupendosi appena.

“Dimmi..”

“Beh, tu hai presente il cantante dei Tokio Hotel no?”

“Beh si, di fama diciamo..”

“L’altra sera è venuto al bar del signor S e si è ubriacato, così l’ho riportato a casa.. Il giorno dopo è venuto a ringraziarmi. Oggi invece ci siamo incontrati al supermercato e siamo andati fuori a bere qualcosa insieme.” Raccontò a grandi linee gli ultimi giorni trascorsi.

“E.. Il problema dove sta?”

“Beh ecco, ce n’è più di uno di problema.” Si fermò qualche secondo, meditandoci su un attimo. “Per prima cosa Jessica mi ha confidato che la band si è sciolta per colpa sua, perché è un drogato.. Poi insomma, non so mai come parlare con lui perché spesso dico qualcosa che lo fa scattare e non capisco perchè.. Infine, beh.. E’ un po’ sciupato come ragazzo. E’ sempre triste e malinconico.” Finì il suo monologo, come se avesse parlato tutto il tempo da sola.

“Certo che sei una calamita per le stramberie” Ridacchiò il fratello, dall’altro capo del telefono.

“Dai scemo, è una cosa seria” Sbuffò. “Che mi consigli di fare? Io gli ho pure detto che se gli andava poteva passare dal signor S” Sospirò.

“Hai fatto bene, secondo me..” Rispose lui, calmo. “Non saprei che consigliarti, sorellina. Se ti piace ti dico solo di provarci.. Tu continua a parlarci e cerca di scoprire di più su di lui. Se son rose fioriranno!” Ridacchiò lui, sdrammatizzando un po’.

“Ci proverò, ti tengo aggiornato!”

“Brava sorella!”

“Alan.. Quando torni a trovarmi?”Mormorò poi, intristendosi. Era da troppo tempo che non lo vedeva, che non lo abbracciava.
Avrebbe tanto voluto passare un po’ di tempo con lui.. Come ai vecchi tempi, come quando Alan abitava ancora in quella casa, quando faceva parte della sua quotidianità. Quando gli bastava attraversare il corridoio fuori dalla sua camera, per arrivare in quella del fratello.
Le mancava, da morire.

“Presto piccola, te lo prometto. Prima di quanto immagini” Sussurrò nel ricevitore.

“Ora devo andare, ci sentiamo presto fratellone. Ti voglio bene.”

“Ti voglio bene anche io Mel, a presto!” Chiuse la chiamata, tuffandosi nel suo letto e abbracciando forte il cuscino. Prima di quanto immagini, le aveva detto. Sperò ardentemente che quelle parole fossero vere al cento per cento.
Si calcò il cuscino sulla faccia soffocando un urlo. Era parecchio nervosa, per la storia di Bill.. Per quella di Alan, per i suoi genitori..

 

***

 

Suonarono il campanello, guardandosi di sfuggita e leggermente imbarazzati.

“Hai dimenticato qualcosa Becky?” Sentirono chiedere da dietro la porta, prima che questa si aprisse rivelando un Tom sorridente. Sorriso che scomparve non appena notò che di fianco alla sua ragazza c’era Bill. Suo fratello.

“Oh.. Bill.” Sussurrò abbassando lo sguardo, per poi rialzarlo in quello di lei che lo guardava dispiaciuta.

“Si, Bill. Volete dirmi che sta succedendo qui?” Chiese il moro, guardandoli a turno, non capendo più niente.

“Si, dai entrate..” Tom si fece da parte, lasciando entrare i due nel suo appartamento.

Tutti e tre si accomodarono in salotto, seduti sul divano. Il silenzio regnava sovrano, mentre i tre si guardavano di sottecchi, indecisi su cosa dire, su cosa fare.
Era giusto parlare a Bill della loro nuova relazione? Era così presto..  Ma sapevano che quel momento, prima o dopo, sarebbe dovuto arrivare. Tanto valeva cogliere quell’occasione e levarsi il pensiero.

“Sentite, sto cominciando ad innervosirmi. Potreste farmi la cortesia di rendermi partecipe di quello che sta succedendo?” Sbottò Bill ad un tratto, stufo di quel silenzio che li avvolgeva da troppi minuti.

“Vedi Bill, è.. difficile da spiegare” Cominciò Becky, cercando lo sguardo rassicurante di Tom di fianco a lei. “E’ stato tutto così inaspettato.” Concluse, abbassando gli occhi sul pavimento.

“State insieme?” Alzò un sopracciglio il moro, guardandoli indagatore.

“Beh, si.” Sospirò Tom, guardandolo di sfuggita, per vedere se dai suoi occhi traspariva una qualsiasi emozione che lo avrebbe messo in posizione di capire i suoi stati d’animo, dopo quella notizia. Ma nel suo sguardo non trovò nulla, l’indifferenza più totale. Apatia.

“Avremmo voluto parlartene prima, solo credevamo fosse troppo presto..” Mormorò Tom, guardando l’espressione corrucciata del gemello, seduto di fronte a loro.

“Troppo presto, per cosa?” Sibilò Bill, sentendo la rabbia montare e maledicendosi per continuare ad attaccare suo fratello ingiustamente. Sapeva bene quanta buona volontà ci metteva, sapeva che aveva fatto di tutto per trascinarlo fuori dal buco nero. Ma, molto spesso, non basta la forza di volontà delle persone per riuscire nei propri intenti. Spesso solo il tempo e la pazienza possono davvero aiutare.

“Per.. Bill.” Soffiò, guardandolo supplichevole. Quel ragazzo ce la metteva tuta per rendergli le cose più difficili. Era già di per sé una situazione complicata, accidenti.

“Ok, ok. Non sono arrabbiato.” Sventolò le mani davanti al petto, forse troppo energicamente “Solo avrei preferito che me ne parlaste prima.” Tentò di tirare fuori un sorrisino rassicurante, cercando di apparire il più convincente possibile.

“Quindi, per te è ok?”

“Tutto a posto Tom.” Annuì vigorosamente con il capo, guardando suo fratello e la sua amica davanti a sé scambiarsi uno sguardo affettuoso e un bacio sulle labbra. Una fitta, in pieno petto.

 

***

 

“Si può sapere chi stai aspettando?”

“Io? Nessuno!” Era dal signor S da circa un’ora, e per tutto il tempo non aveva fatto altro che guardare la porta d’entrata nella speranza che vi entrasse Bill, ma niente. Non avrebbe dovuto costruirsi troppo castelli in aria, non avrebbe dovuto proprio, ma era più forte di lei. La speranza di vederlo era tanta, forse troppa, e lei non se ne spiegava il motivo. Dopotutto gli aveva chiesto di passare al locale solo qualche ora prima, non doveva pretendere troppo, magari sarebbe venuto qualche giorno più avanti. Almeno sperava.

“Certo, come no. E’ da quando hai iniziato il turno che continui a lanciare occhiate alla porta, ma che ti prende Mel?” Jessica non le dava pace, era peggio di un avvoltoio.

“Jessica, non sto aspettando nessuno!” Sbuffò, spazientita, per poi cominciare a caricare la lavastoviglie.

“Se lo dici tu.”

Mentre disponeva ordinatamente i piatti e i bicchieri sentì la porta del bar aprirsi e far suonare quel fastidioso campanellino posto alla sommità. Si girò di scatto, rischiando di far cadere a terra un piatto di vetro.
Ma quando vide chi era il cliente che era entrato, la delusione fu grande. Un ragazzo, un comunissimo e normalissimo ragazzo. Non di certo quello che lei stava aspettando.

Sbuffò infastidita, girandosi nuovamente verso la lavastoviglie e continuando irritata il suo lavoro.

“Tu non me la racconti giusta” Borbottò Jessica al suo fianco, scuotendo la testa.

“Fatti un po’ gli affari tuoi.” Sussurrò, per poi sparire nel retrobottega.

 

***

 

Aveva solo voglia di rivedere il suo letto e farsi un dormita. Era stata una giornata lunga e non aveva nemmeno parlato con suo fratello di quel pomeriggio. Avrebbe voluto raccontargli di Melrose e farsi consigliare.. Ma una vocina dentro di lui continuava a ripetergli che Tom si era stufato, di lui e della sua malinconia, si era stufato di dovergli correre sempre dietro come si fa con i bambini, di essere sempre presente e di incassare i colpi sferrati da lui stesso senza fiatare.
Non avrebbe dovuto ascoltarla, quella vocina stridula e fastidiosa nella sua testa, ma gli era impossibile evitare di pensare che Rebecca avrebbe inevitabilmente rovinato tutto.
Glielo avrebbe portato via e lui non poteva fare niente per impedirglielo.

Voleva bene a quella ragazza, gli era sempre stata simpatica.. E allora perché doveva farsi certi problemi adesso? Cos’era cambiato?
Cosa diamine era cambiato tra lui e lei.. Perché la vedeva sotto una luce diversa?

La verità è che da quando te ne sei andata, Maggie, tutto è sotto una luce sbagliata.

E quella era l’unica realtà esistente, l’unica che lui riusciva a darsi.
Tutto era sbagliato, dopo la morte di Maggie, tutto era diverso e non si poteva più correggere. Era tutto brutto, tutto nero..
E lui? Cosa poteva fare per rimettere la sua vita all’interno dei binari? O meglio.. Poteva fare qualcosa?
Sarebbe riuscito a convivere con l’assenza di Margaret, si.. Forse quello sarebbe riuscito a farlo. Ma non sarebbe mai stato in grado di accettarla.

Sentiva, dentro di sé, che rivedere i suoi amici gli avrebbe fatto bene.. Parlare con loro, passare un pomeriggio insieme.
Ma il coraggio di affrontarli dopo tutto quel tempo gli mancava, eccome se gli mancava.
E quella voce saccente e irritante, la voce della sua coscienza.. Non gli lasciava tregua.

Speri che qualcuno ti stringa forte, ti faccia sentire il calore dell’amore… SEI SOLO, smettila di piangerti addosso. Non sperare che i tuoi amici ti consolino, o meglio, cerchino di capire cos’hai dentro che ti lacera l’anima. Pensa un po’ di più a te stesso. Tu sei unico in tutto e per tutto. Non fare niente che non ti vada di fare per paura del giudizio degli altri o per arrivare a una meta precisa. Resta completamente, in ogni singolo particolare, ciò che sei sempre stato. Tappati le orecchie e cammina a testa alta. Sei perfetto nel tuo mondo, solo nel tuo, ma è il più bello.

“E in assenza di te
io ti vorrei per dirti che
tu mi manchi amore mio
il dolore è forte come un lungo addio
e l'assenza di te
è un vuoto dentro me”

 

***

 

Ecco qua, andato anche il settimo u.u
Spero vivamente che vi sia piaciuto. Mi sono innamorata di questa storia, dovete saperlo.. Mi sta dando buoni risultati anche se è abbastanza difficile da portare avanti.
Fatevi sentire ragazze, sarebbe bello sapere cosa ne pensate.

Intanto ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo : _Pulse_ (Beh, tu non manchi mai. La mia scrittrice sempina trottolina amorosa du du da da da xD Ti voglio tantissimo bene, un GIOVE!) E  layla the punkprincess (Anche tu sempre presente, grazie mille per la recensione, un bacio! )

La canzone che ho inserito è.. Indovinate? Ma che brave! xD Ancora “In assenza di te” di Laura Pausini. E’ un po’ la colonna sonora (:

Ringrazio chi ha solo letto e chi tiene questa storia tra le sue preferite e le seguite. Un abbraccio enorme anche a voi!

Vostra, Ale *__*

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Capitolo 8
*** Lei non è lei ***


Buonasera! Scusatemi immensamente per il ritardo, mi dispiace da morire davvero! Spero ne sia valsa la pena aspettare un mese e mezzo, giudicherete voi!
Vi lascio subito alla lettura, ci ritroviamo a fondo pagina!

 

OTTAVO CAPITOLO – Lei non è lei

Era passata una settimana. Una settimana intera e Bill ancora non si era fatto vedere. Non si era mai presentato dal signor S, non era mai andato a trovarla al bar.
Ormai ci aveva perso le speranze.. Ormai avrebbe dovuto ammettere a sé stessa che, per quanto quel ragazzo le piacesse e la intrigasse, non sarebbe mai stato possibile qualsiasi cosa tra loro due.
Erano troppo diversi, i loro mondi erano diversi.

Si abbassò il libro sul seno, sospirando. Si era svegliata presto quella mattina, sentendo l’ennesima litigata dei suoi genitori e poi la porta di casa sbattere forte. Suo padre doveva essere uscito, di nuovo.
Invece che scendere giù, da sua mamma, aveva preferito rimanere rintanata in camera sua a leggere un buon libro. Voleva rimanere rilassata.

Il suo pensiero si riposò nuovamente su Bill e, stropicciandosi gli occhi con le mani, si impose di lasciar perdere.. Evidentemente non era destino. Non lo sarebbe stato tra loro due, erano incompatibili.
La verità.. Era che non sarebbero mai stati complementari, loro due.

Si grattò dietro all’orecchio, alzandosi e zampettando giù in cucina. Un bel caffè le avrebbe fatto bene.

 

***

 

“Cazzo!” Scaraventò il cuscino dall’altra parte della stanza. Quella notte non era riuscito a dormire, aveva un forte emicrania che gli spaccava la testa in due.
Aveva provato a prendere un paio di pastiglie, ma il male non era passato. Non si era nemmeno affievolito, così lui aveva passato la notte in bianco.

Si alzò sbuffando e levandosi rabbiosamente le coperte di dosso, incontrando contro la sua volontà la fotografia che teneva sul comodino.
Avrebbe dovuto toglierla, solo la sua vista gli portava un dolore immenso.. Era come avere un buco nero nel petto. Ma, in cuor suo, sapeva che non avrebbe avuto la forza di liberarsene.

“Maggie..” Soffiò, con voce tremante e strozzata.

In quei mesi non aveva fatto altro che interrogarsi sul perché proprio a lui, a lei.. A loro, che stavano tentando di costruire una famiglia insieme.
Ogni giorno, ad ogni ora.. Aveva pregato Dio. Aveva pregato lui affinché gli riportasse la sua Margaret, oppure che portasse lui da lei. Tutto pur di riaverla, era disposto anche alla morte.
Ma ben presto si era convinto che quello che tutti chiamavano Dio non esisteva, come sempre aveva sostenuto tra l’altro. E, se invece si sbagliava, non era di certo il buon Dio, ma solamente un’entità perfida e ingiusta.

“E mi manchi amore mio
così tanto che ogni giorno muoio anch'io
ho bisogno di te”

Ripose accuratamente il portafoto da dove lo aveva preso e, svogliatamente, si trascinò fino al piano inferiore. Doveva proprio chiamare Tom.

Compose il numero sulla tastiera del suo cordless e attese che qualcuno, dall’altro capo, rispondesse.

“Pronto?” Biascicò Tom con la voce assonnata. Bill sorrise, doveva immaginare che stesse ancora dormendo.

“Ehi fratello..”

“Oh, ciao Bill!” Esclamò, con la voce appena più pimpante e sveglia.

“Vorrei parlare un po’ con te, sei libero?”

“Certo, certo.. Mi vesto e sono subito da te, d’accordo?”

“D’accordo, ti aspetto.” Chiuse la chiamata con un sorriso e si sdraiò sul divano, con ancora il telefono mobile in mano.
Era proprio fortunato ad avere un fratello come Tom.. Sempre pronto a correre ogni qualvolta ce ne fosse stato bisogno, senza domande, senza richieste.

Sospirò sereno, portandosi una mano sugli occhi stanchi e massaggiandoli.

Il mal di testa gli stava quasi passando, forse aveva solo bisogno di stare calmo e non pensare a niente. La verità era che tutta la notte l’aveva passata pensando e ripensando a cosa fare con Melrose. Doveva passare al bar si o no?
Se ci fosse andato, avrebbe dovuto pur significare qualcosa per quella ragazza, e anche per lui. Se non ci fosse andato, altrettanto. Quindi? Che diamine doveva fare?
Gli incroci non erano mai stati il suo forte, aveva sempre rischiato di fare la scelta sbagliata.
E, come anche questa volta, non aveva la minima idea di che strada prendere.

Il campanello lo destò da suoi pensieri confusi.. Si alzò e andò ad aprire la porta, trovando davanti a sé un Tom in pigiama e con il giornale sotto braccio.

“Scusa la tenuta poco elegante, ma non avevo voglia di mettermi in ghingheri” Ridacchiò, indicandosi ed entrando nell’appartamento.

“Tanto questa è anche casa tua.” Rispose l’altro, richiudendo la porta alle sue spalle e seguendo il fratello in cucina. Tom si sedette su una sedia, imitato subito dal gemello che si accomodò davanti a lui.

“Vuoi qualcosa?” Domandò Bill, cominciando a trafficare nella credenza per prepararsi la colazione.

“Una tazza di cereali, grazie. Non ho fatto in tempo a mangiare” Sbuffò l’altro, cominciando a leggere distrattamente il giornale. Niente di interessante, assolutamente niente. Lo abbandonò sulla sedia di fianco a lui e incrociò le braccia sul ripiano del tavolo, dove Bill aveva riposto la sua colazione.

“Allora..” Farfugliò Tom con la bocca piena, dopo aver preso un enorme cucchiaiata di cereali. “Che volevi dirmi?”

“Si tratta di quella ragazza, quella del bar..” Sospirò stancamente Bill, reggendosi la testa con entrambe le mani.

“C’è qualche problema? Dopo che siete usciti la settimana scorsa mi parevi abbastanza tranquillo.” Gli aveva già parlato di Melrose, più di una volta. Ma non gli era mai stato d’aiuto, probabilmente quella sarebbe stata una cosa da risolvere da soli.

“Il fatto è che.. Non so se andare al bar come mi ha detto lei..O non andarci.” Sbuffò, cominciando a bere il suo caffè.

“Non capisco Bill. Ci stai bene con lei?” Domandò, agitando in aria il cucchiaio bagnato di latte, schizzando dappertutto.

“Beh, si..” Mormorò incerto.

“E allora? Che problema c’è?”

“C’è che lei non è Maggie.” Perché Tom si ostinava a non capire? Perché non riusciva a comprendere che per Bill era difficile? Che era impossibile alzarsi la mattina e doversi sempre ricordare che lei non c’era più.. Era qualcosa di assolutamente irrazionale il modo in cui quella realtà si ripresentava a lui, ogni giorno. Come se il giorno prima non ci fosse mai stata. Era qualcosa di irrimediabilmente doloroso.

“Bill, la devi finire.” Sibilò stancamente, ormai giunto al limite, rendendosi conto solo qualche secondo più tardi di aver sbattuto un pugno sul tavolo “Nessuna sarà mai Maggie, smettila di illuderti! Non capisci che ti fai solo del male? Devi tornare a vivere! A vivere Bill!” Sbottò, pentendosi quasi subito di quella piccola sfuriata.

Bill sgranò gli occhi, puntando lo sguardo verso il pavimento, risentito da quelle parole che si era appena sentito dire. Non era ancora pronto a lasciarsi tutto alle spalle, erano passati solo cinque mesi.
Solo cinque mesi..
Sarebbero potuti sembrare tanti, ma per lui che era invischiato a questa storia era poco, pochissimo tempo. Questo Tom non lo comprendeva, non riusciva ad essere parte del male del fratello.. Non lo capiva, non lo capiva più. Il suo gemello non lo capiva più.

“Tom..” Sfiatò, con gli occhi lucidi ma ancora perfettamente asciutti. Doveva essere forte. Non doveva mostrarsi debole, soprattutto di fronte a lui.. Non avrebbe mai dovuto lasciarsi credere vulnerabile.

“Non sono più disposto a vederti soffrire Billie. Non sono più disposto a sapere che ti stai auto distruggendo, giorno dopo giorno, lentamente. Non capisci che ti ferisci e basta continuando così? Continuando ad illuderti.. A sperare qualcosa che non si potrà mai avverare.. Reagisci!” Bill aveva bisogno di una scrollata, aveva bisogno di qualcuno che gli mettesse in chiaro le cose, facendogli capire come stavano realmente. Solo così avrebbe potuto “guarire” dal suo male.

“Tu non puoi capire Tom.” Sibilò. Che ne sapeva lui? Aveva forse perso l’amore della sua vita? La sua futura moglie? No, anzi! Lui l’aveva trovato l’amore.. E allora di cosa si lamentava? Non poteva lasciarlo affogare nel suo dolore? Aveva bisogno di crogiolarsi nella sofferenza, per sentirsi ancora vivo.. Per sentirsi parte di quel mondo di cui da mesi non voleva più fare parte.

“Se ti vedesse Maggie..” Sospirò Tom, scuotendo la testa, demoralizzato.

“Maggie è morta.” Ringhiò lapidale, fissandolo con occhi infuocati. Quella discussione stava prendendo una bruttissima piega e Bill se ne stava rendendo conto, seppure la sua parte irrazionale avesse sottomesso quella razionale, prendendo il sopravvento sul suo corpo.

“Si, Bill. Maggie è morta.. Ma tu no.”  Sostenne il suo sguardo, guardandolo con rimprovero.. Poi, senza aggiungere un’altra sola parola, si alzò ed uscì da quell’appartamento.. Lasciando Bill boccheggiante e con la bocca semichiusa.

“Grido il bisogno di te
perché non c'è più vita in me
Vivo in assenza di te.”

 

***

 

Primo pomeriggio. Guardò l’orologio: entro qualche ora si sarebbe dovuta presentare al bar, mentre ora si trovava seduta sul divano, con di fronte i suoi genitori.
Le avevano detto che dovevano parlare, ma era più di dieci minuti che erano seduti a tavolino e nessuno aveva proferito parola.

“Avete intenzione di tenermi qui in religioso silenzio ancora per molto?” Borbottò scocciata, sprofondando un po’ di più nei cuscini del divano.

“Non credere che sia un gioco per noi.” La ammonì il padre, guardandola da dietro le lenti dei suoi occhialetti da professore universitario.

“Bene.” Sbuffò “Potrei sapere perché ci siamo riuniti qui, allora?” Continuò, visibilmente irritata da quella riunione di famiglia a sorpresa

“Abbiamo preso una decisione, Mel.” Sussurrò la madre, sorridendo appena.

“Me la volete dire?” Inarcò un sopracciglio, guardandoli scettica. Perché la tiravano tanto per le lunghe?

“Mi trasferisco Mel, a Berlino.. Ovviamente potrai venire a trovarmi ogni volta che vorrai”Oskar si tolse gli occhiali dalla punta del naso, e la scrutò ad occhio libero.

“D’accordo. E’ tutto?” Seppur impossibile, quel discorso non l’aveva scalfita minimamente. Era abituata a convivere con la perenne assenza del padre, negli ultimi mesi poi.. Non era quasi mai stato a casa. Sarebbe stato un po’ come in quei giorni, solo che in modo permanente. E poi lo aveva detto lui, no? Che sarebbe potuta andare a trovarlo quando ne aveva voglia..

“E’..E’ tutto.” Borbottò il padre accigliato, guardando la figlia alzarsi silenziosamente e sparire al piano di sopra.

“Cosa le prende in quest’ultimo periodo, Hanna?” Aggrottò la fronte, rivolgendosi alla moglie, seduta di fianco a lui.

“Forse avresti dovuto passare un po’ più tempo a casa, con tua figlia, invece di stare fuori per lavoro giorno e notte. Non hai il diritto di fare queste domande, non adesso.” Lo congedò, guardandolo gelida negli occhi.

 

***

 

“Come sta tuo fratello?”  Era nel suo appartamento, stravaccato sul divano in pelle, con un braccio sopra gli occhi a proteggerlo dalla luce proveniente dal lampadario.
Aveva telefonato a Becky, appena tornato a casa, lei sarebbe riuscita a tirargli su il morale.

“Mica tanto bene, prima abbiamo discusso” Mormorò stancamente.

“Come mai?” Il telefono filtrava la voce, rendendola più gracchiante e metallica.

“Non accetta la situazione. Comincio a dubitare che ci riuscirà mai.”

“Non dire così. E’ stato difficile per tutti. Io stessa più volte ho pensato di non essere in grado di superare quel periodo nero.. Poi sei arrivato tu, e tutto è andato in discesa. Vedrai, anche lui riuscirà ad uscirne. Anche lui prima o poi la ricorderà con il sorriso.” Mormorò commossa, rischiando di piangere.

“Spero sia come dici tu Becky. Solo.. E’ così difficile. Non credo di essere all’altezza, non se se riuscirò a stare vicino a mio fratello come lui avrebbe bisogno.” La voce si incrinò e dovette ricorrere a tutto il suo autocontrollo per impedire alle lacrime di scendere.

“Tom. Sei un fratello perfetto.. Non dubitarne nemmeno per un secondo. Bill ti ama, incondizionatamente. Ti ama così tanto che non fa altro che cercare di allontanarti da lui, per impedire al dolore di prendere anche te. Non lo capisci?” No.. Tom Kaulitz non lo aveva mai capito.. Il comportamento di suo fratello era solo per.. Per proteggerlo? Come diavolo aveva fatto a non rendersene conto prima.

“Di la verità.. Ti hanno mandata giù dal cielo?”

 

***

 

“Perché.. Perché.. Perché sono così coglione!!” Ruggì, scaraventando per terra il portapenne che stava sul tavolino in soggiorno.

Era arrabbiato. Era arrabbiato con sé stesso, che continuava a trattare male Tom, a farlo sentire una merda, un fratello inutile. Da cinque mesi non aveva fatto altro che farlo sentire una nullità, un misero niente.
Lo aveva allontanato, lo aveva insultato, era arrivato anche a dargli la colpa di tutto.. Una notte in cui il dolore si era fatto insopportabile e chiedeva solamente di essere scaricato su altre spalle, su altri cuori.

Era arrabbiato con Tom perché imperterrito gli stava sempre dietro, assecondando i suoi capricci e le sue crisi. Non avrebbe dovuto, avrebbe dovuto pensare un po’ di più a sé stesso e alla sua vita.. Che stava trascurando. Doveva pensare a Rebecca e cercare di ritrovare la felicità.

Non si poteva più continuare con questa tiritera, era diventata una routine insopportabile e sempre più difficile da mandare avanti. Doveva riprendere in pugno le redini della sua vita, doveva tornare quello che era prima.
Avrebbe dovuto chiamare Georg e Gustav, avrebbe dovuto farlo al più presto.

Ma intanto.. C’era un’altra cosa da fare e, non si spiegava il motivo, qualcosa dentro di lui non faceva che ripetergli che se non l’avesse fatta.. Se ne sarebbe pentito.
Prese la giacca dall’appendiabiti in salotto e uscì di casa senza guardarsi indietro.

 

***

 

“Bene. Direi che posso andare.” Borbottò il signor Weber, sulla soglia di casa. Aveva raccattato tutta la sua roba quel pomeriggio, l’aveva caricata nella sua spaziosa macchina ed ora era pronto per andarsene. Fortunatamente non aveva mai deciso di dare in affitto il suo appartamento nel centro di Berlino, così ora aveva un posto dove andare.
Melrose sorrise, anche se di voglia non ne aveva, si avvicinò al padre passandogli un braccio intorno al collo e sfiorandogli una guancia con le labbra soffici.

“Ciao papà, chiama quando arrivi.” Mormorò, per poi allontanarsi di poco.

“Certamente.” Sorrise nervosamente, girandosi poi verso la quasi ex moglie. “Ciao Hanna” Sussurrò, stendendo un sorriso forzato.

“Ciao Oskar.” Ricambiò lei allo stesso modo.

Senza aggiungere nient’altro, Oskar sparì oltre la soglia, salendo in macchina ed imboccando la strada verso Berlino. Era fatta, era tutto finito.
Melrose sospirò, suo padre le sarebbe mancato indubbiamente, ma di quelle urla e di quei litigi proprio non ne poteva più.
Si girò e ciondolando si diresse verso le scale, lasciando Hanna guardare assente la porta di casa rimasta ancora aperta.

Sarebbe dovuto essere primo pomeriggio in America, così prese il suo cellulare e difitò sulla piccola tastiera il numero di suo fratello Alan.

“Pronto?”

“Alan, sono Mel.”

“Sorellina, come stai?” Chiese pimpante.

“Insomma..” Sospirò, passandosi una mano sugli occhi, stancamente.

“E’ successo qualcosa?” La sua voce cambiò subito di tono, da vivace si ritrovò ad essere preoccupata, accompagnata da una nota ansiosa.

“Papà se n’è andato di casa. Va a stare a Berlino, nel suo appartamento.” Pigolò.

Il silenzio che recepì dall’altra parte non prometteva nulla di buono, sentiva il respiro di Alan farsi sempre più accelerato attraverso la cornetta.

“Domani torno a casa.” Scandì bene ogni sillaba, attribuendo a quella frase un significato solenne ed irremovibile. Poche volte Melrose gli aveva sentito usare quel tono, e ogni volta non c’era stato niente da fare. Nulla per fargli cambiare idea.

“No Alan dai, non vedo la necessità. Io e mamma ce la caveremo!” Tentò di dissuaderlo, anche se già sapeva che sarebbe stata una partita persa.

“Non m’importa. Tu e mamma avete bisogno di me. I miei studi potranno aspettare qualche mese.” Sentì nella sua voce una sfumatura sorridente, che la fece sentire meglio.

“Sei cocciuto.” Scosse la testa divertita. Beh.. Se non altro lo avrebbe rivisto dopo tanto tempo.

 

***

 

“Ciao Jess!” Salutò Melrose entrando nel bar.

“Ciao Mel” Rispose lei, non alzando gli occhi dai calici di birra che stava riempiendo.

Melrose si diresse dietro il bancone, prese il grembiule rosso e se lo legò in vita. Quella sera era più allegra del solito, non sapeva il perché. Sarà stato per il ritorno imminente di Alan, o per la fine delle liti tra i suoi genitori.

“Il signor S?” Chiese poi, cominciando a scaricare la lavastoviglie.

“E’ nel retro, torna subito.” Rispose, alzando gli occhi su di lei e sorridendole. “Bisognerà andare all’ingrosso fra non molto, la roba comincia a finire.” Melrose si girò, dando una rapida occhiata alle bottiglie poste nei ripiani dietro di lei. In effetti erano quasi tutte mezze vuote.

“Magari ci passo io un giorno di questi” Annuì. Le piaceva tantissimo andare all’ingrosso, era sempre pieno di roba buona, lei doveva solo scegliere quello che le piaceva di più. Ovviamente attenendosi alla lista che ogni volta il signor S le stendeva.

“Mel!” Si sentì chiamare e si girò di scatto, vedendo il signor S uscire dalla tenda del retrobottega e dirigersi verso di lei con un grosso sorriso. Aveva un viso molto dolce quell’uomo, la tranquillizzava.

“Buonasera signor S!” Lo salutò, agitando la mano.

“Ciao cara. Senti, poco fa è arrivato un ragazzo che chiedeva di te, l’ho fatto accomodare ad uno dei tavoli più in la.” Disse, indicando i tavolini nascosti dietro all’angolo del piano bar.

“Uhm.. Chi è?”

“Ah non chiedermelo! Era tutto incappucciato, con sciarpa, cappello e occhiali. Non sono riuscito a vedere nulla.” Ridacchiò. “Come si conciano i ragazzi d’oggi” Scosse la testa divertito.

Melrose rimase impietrita. Era più che sicura di aver capito chi era il ragazzo la stava aspettando seduto in uno di quei tavolini.. Non era invece certa del perché quello stesso ragazzo fosse venuto fin li, chiedendo di lei. Anzi, a dire la verità non ne aveva la più pallida idea.

“Lo conosci?” Chiese ancora il signor S. Melrose meditò un secondo sulla risposta da dare, dopotutto che poteva dire?

“Si e no” Sospirò poi, uscendo da dietro il bancone e camminando a passo incerto verso il tavolo che le aveva indicato il suo capo.

“Fai presto piccola, questa è una serataccia.” Sbuffò il signor S, dandole una pacca sulla spalla ed indicando la clientela che entrava a fiotti dalla porta d’ingresso.

“Non si preoccupi, faccio in un attimo.” Sorrise lei.

Non credeva proprio che lui, se era davvero lui, l’avesse raggiunta al lavoro per scambiare allegramente quattro chiacchiere. Non le sembrava proprio il tipo. In tal caso, lo avrebbe fatto accomodare su uno sgabello davanti al bancone, facendogli attendere la fine del suo turno.

Girò l’angolo e non le fu difficile capire di quale tavolo si trattasse, all’unico occupato c’era un ragazzo girato di spalle, ricurvo, vestito di nero e con un cappello in testa del medesimo colore.

Si fece coraggio e, preso un respiro profondo, marciò verso di lui tentando di racimolare più sicurezza possibile.

 

***

 

Rieccoci qui, piaciuto? Speriamo u.u
La canzone inserita è ancora “In assenza di te” di Laura Pausini. Mi piace un sacco *__*
Ringrazio immensamente chi ha recensito lo scorso capitolo, ovvero : _Pulse_ (Sonne ti voglio troppissimo bene ^__^ ), layla the punkprincess (Grazie millissime *___* ) e memy881 (Grazie mille new entry! Continua a seguirmi un bacio!)

Scusate se non vi ringrazio per bene ma ho un paio di cose da sbrigare per domani a scuola e mi manca il tempo. Vi adoro tutte comunque, lo sapete!

Alla prossima, sperando che sia presto. Ale! ^___^

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Capitolo 9
*** Ritorni ***


 

NONO CAPITOLO – Ritorni

 

Stava guidando tranquillo, verso il bar del signor Schrider. Non sapeva perché, aveva voglia di parlare con Melrose, di chiacchierare un po’ con lei e di dimenticarsi per un solo momento di tutti i suoi problemi e le sue preoccupazioni.
Parcheggiò proprio li davanti, scendendo ed entrando nervoso nel locale. Si guardò un po’ intorno, ma di lei non c’era traccia.

“Buonasera, scusi.. Per caso è arrivata Melrose? So che lavora qui.” Chiese gentilmente al signor S, indaffarato dietro al bancone.

“Buonasera” Sorrise, alzando il viso verso Bill. “Mel dovrebbe arrivare a momenti, il suo turno inizia fra poco”

“Ah, d’accordo. La posso aspettare qui?”

“Certo, certo. Si accomodi pure in uno di quei tavolini laggiù in fondo” Indicò una decina di tavoli infondo al locale, sempre con il sorriso sulle labbra. “Quando arriva Melrose gliela mando io”

“Grazie mille” Sorrise di rimando.

Si accomodò, seduto su una sedia, prendendo a torturarsi le mani.. Era nervoso, nemmeno sapeva il perchè, era solo in ansia.
Dopotutto, lei era stata così carina a chiedergli di farsi vedere li al bar ogni tanto, lui invece non si era più presentato. Quella sera però era li, contava pur qualcosa!

L’agitazione aveva preso il sopravvento sul suo corpo, aveva paura che se fosse rimasto li, quella sera, se ne sarebbe pentito. Aveva il terrore che una volta ritornato a casa sarebbe stato peggio, sarebbe stato male il doppio.. E lui non voleva questo, non voleva più soffrire come aveva sofferto in quei cinque mesi e mezzo.

Puntò i gomiti sul ripiano di legno, tenendosi il mento con le mani e guardando un punto fisso davanti a sé. Era li da appena dieci minuti ma gli sembravano passate ore intere.

“Ciao.” Sentì una flebile voce alle sue spalle. Senza che nemmeno se ne accorgesse un debole sorriso gli apparve sulle labbra sottili. Si girò lentamente, incontrando quei due occhioni verdi che lo fissavano timorosi e curiosi al tempo stesso.

“Ciao..” Sussurrò, alzandosi dalla sedia.

“Ahm.. Perché sei qui?” Chiese incerta Melrose, avvicinandosi di qualche passo in più.

“Me lo hai detto tu, ricordi?” Sorrise, inarcando un sopracciglio.

La bionda meditò sulle parole che il moro le aveva appena detto, quindi davvero era venuto li senza uno scopo preciso? Davvero si era presentato al bar, perché glielo aveva chiesto lei?

“Quindi.. Sei venuto davvero per chiacchierare un po’ con me?” Il moro annuì sorridendo, mostrando di sfuggita i suoi denti perfettamente bianchi.

“Oh beh..” Ridacchiò nervosa Melrose “Io devo lavorare ora, però se vuoi mi puoi fare compagnia lo stesso, stacco tra un paio d’ore” Sorrise.

“Certo non ti preoccupare, lo immaginavo.” Si affrettò a precisare Bill. “Mi siedo di la e sto buono finché non finisci, poi magari andiamo a fare un giro”

“Va benissimo” Assentì Melrose, felice.

Insieme si diressero al bancone del bar, sarebbe stata una serata interessante quella.

 

***

 

“Bill non risponde.” Sbuffò Tom, lanciando il telefono sul divano, dopo l’ennesimo tentativo che aveva fatto di chiamare il fratello. Ma niente, aveva il cellulare staccato da non sapeva quanto tempo.

“Vedrai che presto ti richiama” Sussurrò dolcemente una voce al suo fianco.

Si girò e trovò Becky a guardarlo, era seduta sul bracciolo della poltrona, mentre lui era in piedi in mezzo alla sala.
Si lasciò cadere mollemente sulla poltrona e con un braccio fece stendere la sua ragazza sulle sue ginocchia, prendendo ad accarezzarle il fianco, baciandole piano il viso.

“Se non dovesse farlo?” Mormorò.. “Abbiamo litigato prima, se non volesse più parlarmi?”

“Oddio Tom, da quando sei diventato così paranoico? Tu e Bill avete litigato tantissime volte, ma credi davvero che arrivereste a non parlarvi più?” Chiese retoricamente, guardandolo negli occhi castani.

“No non lo credo, ma Bill è molto fragile e vulnerabile in questo periodo.. Basta un nonnulla per farlo cadere. Io non lo so Becky, non lo so..”

“Guardami” Disse ferma, prendendogli il viso tra le mani, facendo in modo che i loro occhi si incontrassero.
Lui obbedì, piantando il suo sguardo in quello intenso di lei.

“Bill ti vuole bene, Tom. Per quanto debole sia non potrebbe mai fare a meno di te, soprattutto in questo momento. Non forzarlo, tu devi semplicemente assecondarlo.. Qualunque cosa succeda. Deve uscire dal dolore da solo, come abbiamo fatto tutti noi, non puoi farlo tu per lui.. Impiegherà il tempo di cui ha bisogno, ma vedrai che ce la farà.” Tom ascoltò il discorso della sua ragazza in silenzio, perdendosi nei suoi occhi azzurri e lasciandosi cullare dalla sua voce soffice e vellutata.

“Ti amo.” Sfiatò infine.. In tutti quei mesi insieme lo aveva sempre pensato, ma non era mai riuscito a dirglielo a voce alta. Troppa la paura, forse.

“C..Come?” Chiese lei, sgranando gli occhi e sentendo il respiro bloccarsi.

“Ti amo..” Ripeté lui, sciogliendosi in un sorriso e portandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio, fermandosi ad accarezzarle piano la guancia con il dorso delle dita.

“Io..Io..” Balbettò, incapace di connettere il cervello alla bocca. “Oddio Tom, ti amo anche io!” Esclamò poi, buttandogli le braccia al collo e tenendolo stretto a sé.

 

***

 

“Finito!” Esultò Melrose slegandosi il grembiule dalla vita, gettandolo sotto al bancone del bar e guardando il ragazzo seduto di fronte a lei, fissarla con un piccolo sorriso sulle labbra.

Era stata molto bene quella sera, avevano parlato tanto.. Anche se Bill era sempre un po’ restio e rimaneva sulle sue, non si apriva molto e Mel non riusciva a capirne il perché.
Avrà avuto a che fare con la droga? Non lo sapeva.

“Usciamo a fare due passi?” Chiese timidamente, facendo un leggero cenno con la testa verso l’uscita.

“Certo” Sorrise. “Signor S ci vediamo domani. Ciao Jess!” Salutò i due, notando con piacere la faccia inviperita di Jessica, vedendola uscire assieme a Bill.

“Ciao Mel” La salutò l’uomo, mentre la collega si limitò a fare un gesto stizzito con la mano, per poi girare i tacchi e tornare nel retrobottega.

Fuori il freddo era secco e pungente, Melrose rabbrividì, stringendosi di più nella sua giacca di pelle nera.
Bill la guardò, era bella.. Era davvero molto bella. Scosse la testa, non gli faceva bene pensare certe cose.

“Andiamo al parco?” Chiese lui, guardandosi intorno, non ricordava dove aveva parcheggiato la macchina.

“Andata” Sorrise di rimando lei, incamminandosi. Il parco comunale non era tanto distante da li, in dieci minuti ci sarebbero arrivati.

“Mi ha fatto piacere che tu sia venuto questa sera” Mormorò lei, mentre camminavano fianco a fianco sul marciapiede, in silenzio.

“Anche a me.” Sussurrò, più a se stesso che a Melrose. La verità era che lo aveva fatto stare bene staccare la spina da tutto e da tutti, anche se la consapevolezza che, una volta a casa sarebbe stato punto e a capo, lo terrorizzava.

“Stai male? Sei pallido..” Constatò la ragazza, notando che il viso di Bill si era sbiancato quasi di colpo, facendo risaltare quelle occhiaie violacee sotto ai suoi occhi.

“No..No.. è tutto a posto.” Sorrise nervosamente, facendo dei gesti con la mano, che dovevano essere di rassicurazione.

“Se lo dici tu..” Alzò le spalle, continuando a camminare.

Nessuno dei due parlò più, com’era successo spesso quella sera il silenzio calò da protagonista nei loro discorsi, nei loro pensieri. Nemmeno una parola.. Forse non sapevano cosa dire, forse avevano paura di dire qualcosa di sbagliato, forse semplicemente non c’era proprio nulla da dire.

“Eccoci” Sorrise Mel, varcando gli altissimi cancelli del parco e sedendosi sulla prima panchina che le capitò a tiro, seguita subito da Bill che le si accomodò affianco.

“Sai.. Domani torna mio fratello dall’America” Non seppe nemmeno perché glielo disse. Le uscì naturale, forse. Eppure qualcosa le diceva che con lui avrebbe potuto parlare, di tutto.

“Ah si? Come mai era li?” Domandò, non realmente interessato. Non riusciva a pensare, in quel momento, e i suoi occhi verdi puntati su di lui gli bruciavano dentro come mai gli era capitato.

“Motivi di studio. Ora però i nostri genitori stano divorziando e lui ha deciso di tornare.”

“Oh, mi dispiace..” Buffo. –Mi dispiace-. Lui era l’ultima persona sulla faccia della terra che avrebbe dovuto dispiacersi di qualcosa con qualcun altro.. I suoi “Problemi”, se così si potevano definire, erano un tantino più gravi di un divorzio. Se lo ricordava il dolore che gli aveva provocato la separazione dei suoi genitori, ma non era nemmeno paragonabile al suo dolore, in quel momento. Non era nemmeno la millesima parte, non era niente di niente.

“No, è meglio così. Se non altro rivedrò Alan, è un sacco di tempo che non ci vediamo..” Abbassò il capo. Forse doveva finirla di parlare di lei, forse lo stava annoiando.

“Ti manca?” Chiese ad un tratto Bill, stupendosi da solo di quella domanda. Anche a lui mancava una persona, gli mancava da morire.. Ma, purtroppo, non poteva sperare di rivederla.

“Da impazzire” Si girò a guardarlo, schiudendo appena la bocca.

Scosse impercettibilmente la testa, sorridendo. Bill era capace di metterla in soggezione anche con un semplice sguardo. Aveva quell’espressione seria in volto, le sopracciglia perennemente aggrottate e la bocca storpiata in una smorfia che non doveva aver visto un vero sorriso da troppo tempo.

“Anche a me.” Mormorò con la voce strozzata, finendo per mordersi la lingua.  Lui non lo voleva dire.

“Scusa?” Chiese Mel, accigliata.

“Niente.. Niente.” Farfugliò, scuotendo la testa e agitando una mano a mezz’aria.

“E mi manchi amore mio,
così tanto che vorrei seguirti anch’io”

***

Rebecca si accoccolò accanto al petto nudo di Tom, abbracciandolo e lasciandoci un soffice bacio sopra, mentre lui le accarezzava un braccio e inspirava a pieni polmoni il profumo dei suoi capelli.

“E’ stato bellissimo.” Mormorò lei, chiudendo gli occhi al suo tocco leggero e delicato. Tom le baciò la testa, lasciando che sulle sue labbra si allargasse un sorriso.

“Tu sei bellissima.” Sussurrò, con la voce bassa e roca.

“Mi giuri che per te non è stato solo sesso?” Chiese in un sussurro, con la voce flebile e appena accennata, ma abbastanza alta da farsi sentire.

Tom aggrottò le sopracciglia e la allontanò da sé, prendendole le spalle, stringendole, facendo si che i loro sguardi si incatenassero tra loro.

“Non lo pensi sul serio.. Vero?” La guardò fisso negli occhi azzurri, serio in volto come poche volte era stato. Non voleva.. Non voleva che lei pensasse una cosa del genere, nemmeno per un secondo.

“Io.. No. Vorrei solo sentirtelo dire” Fece un sorriso dolce, leggermente imbarazzato, mentre le sue gote si coloravano di un rosa più acceso del normale.

“Io.. Oh Becky.. Ho fatto l’amore con te ed è stato fantastico.. Non devi azzardarti nemmeno a pensarlo il contrario.” La additò scherzosamente, mentre la riavvicinava al suo corpo e la stringeva più forte di prima, lasciandole un bacio sul collo.

“Ti amo Tom.” Sorrise lei, lasciandosi cullare dal caldo abbraccio di Tom.

“Resta con me, stanotte.” Sussurrò, attirandola di nuovo sotto alle coperte, prendendo a baciarla dappertutto, accarezzandole dolcemente i fianchi.

“Resto per sempre.” Sfiatò lei, tra un sospiro e l’altro.

 

***

 

“E’ stato bello parlare con te, stasera.” Sorrise Melrose, riaccompagnandolo alla macchina.

“Anche per me.” Annuì lui, cercando di tirare fuori il sorriso più convincente del suo repertorio. “Magari ci vengo.. Qualche altra volta.” Borbottò poi, non capendo il motivo di quell’improvvisa proposta.

“Certo, a me non può fare che piacere” Sorrise, mentre Bill si infilava in macchina, al posto del conducente.

“Allora ci vediamo.. Ciao Melrose.” Mise in moto, guardandola negli occhi, sentendo una fitta colpirlo al petto.

“Ciao Bill” Sussurrò lei, per poi rimanere a guardare l’Audi metallizzata sfrecciare via, nel buio di quella serata gelida, verso la strada principale di Amburgo.

 

***

 

Girò la chiave nella serratura ed entrò in casa. Si aspettò di vedere la televisione accesa e suo padre guardarla seduto sul divano, magari con una lattina di birra in mano.. Ma poi si ricordò.. Lui se n’era andato, forse per sempre. Sospirò, gettando la giacca sulla poltrona.

“Ehi, stai più attenta imbranata!” Ridacchiò una voce, rimproverandola per scherzo.

Si bloccò all’inizio della rampa di scale, congelata, si girò lentamente, quasi avesse paura che il proprietario di quella voce scomparisse o fosse solo una stupida allucinazione dettata dalla sua mente stanca.

“Alan..” Soffiò, vedendolo in piedi al centro della sala con la sua giacca in mano.

“In carne ed ossa” Il ragazzo allargò le braccia, facendo un giro su se stesso e sorridendo smagliante, facendo brillare i suoi occhi simili a quelli della sorella, solo un po’ più chiari.

“Alan!” Urlò ancora lei, correndogli incontro e saltandogli in braccio, allacciandogli le mani intorno al collo e stritolandolo in un abbraccio tanto forte da farlo quasi soffocare.

“Anche io sono contento di vederti, piccola” Ridacchiò lui, accarezzandole i capelli biondi sulla nuca, massaggiandole con l’altra mano la schiena.

“Oddio non ci posso credere.. Non ci posso credere” Farfugliò Melrose, scendendo dalle sue braccia e, con le lacrime agli occhi, sfiorare il suo viso lungo tutti i suoi lineamenti.

Alan fece una risatina, attirandola a sé e baciandole una tempia affettuosamente. Dio solo sapeva quanto gli era mancata la sua sorellina.

“Dai sorella, fammi un the caldo che si gela.” Prese per mano una Melrose ancora in stato confusionale e la scortò in cucina, dove lei con gesti meccanici mise l’acqua a bollire.

“E’ così.. Bello, averti qui.” Mormorò la bionda, appoggiandosi al ripiano della credenza e rimanendo incantata a guardarlo. Era passato un anno, i segni del tempo sembravano non essersi fatti sentire su di lui. Era sempre il solito Alan, il suo fratellone.

“Vieni..” Abbracciandola di lato la fece sedere sulle sue ginocchia, come faceva sempre. Sorridendo lei appoggiò la testa alla sua spalla, inspirando il suo profumo che tanto le era mancato. “Sono qui per restare, adesso.” Sussurrò, accarezzandole un braccio.

***

Era pomeriggio inoltrato e non sapeva cosa fare. Era forse un’ora che girava scalzo per casa, come uno zombie, fermandosi a fare zapping alla televisione ogni tanto, oppure a dar da mangiare ai pesciolini rossi nel suo enorme acquario.

Si sentiva strano, quel giorno. Pensava e ripensava alla sera precedente, alle chiacchiere con Melrose, ai suoi occhi, alla sua risata..
Era forse normale che fosse un chiodo fisso per lui, il suo ricordo? Non ci voleva pensare così tanto..
Non avrebbe voluto sperare di rivederla presto.
Semplicemente, non poteva..

Gli sembrava di tradire lei.. Gli sembrava di farle un torto troppo grande.. E anche se sapeva di sbagliarsi non riusciva a scacciare da lui quella folle idea.

“Se chiudo gli occhi sei qui,
che mi abbracci di nuovo così”

Sospirò, sprofondando sul divano e massaggiandosi le tempie con la punta degli indici. Forse quella volta avrebbe dovuto parlare con qualcun altro, che non fosse Tom. Qualcuno che lo conosceva quasi allo stesso modo, che avrebbe saputo ascoltarlo. Che, forse, lo avrebbe ancora accettato.

Lanciò un’occhiata incerta al telefono, qualche metro distante da lui. Non sapeva ancora se quello era giusto o sbagliato, ma sicuramente era quello che gli dettava il cuore in quel momento. Perché non ascoltarlo, per una volta?

Si alzò e mosse qualche passo, afferrando l’apparecchio e stringendolo saldamente in una mano. Digitò sulla tastiera il numero che conosceva ormai a memoria e si portò il telefono all’orecchio, sperando con tutto se stesso che qualcuno dall’altro capo rispondesse, desiderando allo stesso tempo anche il contrario.

“Pronto?” La sua voce calda e profonda gli entrò nel timpano, facendolo vibrare. Sorrise impercettibilmente, sentendosi improvvisamente in imbarazzo, ma sforzandosi di tirare fuori la voce.

“Gustav?”

 

***

 

Buonasera ^____^
Vi avverto, questo capitolo è stato una rogna terribile, ci ho impiegato quasi un mese a scriverlo e non ne sono soddisfatta, purtroppo -.-“ Spero che almeno a voi posso piacere un pochino.
Ringrazio un sacco le quattro anime pie che hanno recensito la scorsa volta: memy881, _Pulse_, Layla, Tokietta86. Grazie, grazie, grazie! Voi non lo sapete quanto piacere mi facciano le vostre opinioni su questa storia. Rimanete con meee *___*
Alla prossima ragazzuole! Un bacio a tutte, Ale ^__^

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Capitolo 10
*** Un tuffo nel passato ***


DECIMO CAPITOLO – Un tuffo nel passato

 

“Bill? Bill.. sei proprio tu?” Biascicò la voce dall’altra parte, incredula. Stentava a credere che il suo vecchio amico lo avesse chiamato veramente, era una cosa che aveva ormai catalogato come improbabile, nonostante quella chiamata l’avesse aspettata e desiderata più di una volta.

“Si Gus, sono io.” Sfiatò l’altro nel ricevitore, non riuscendo a spiegarsi l’improvvisa gioia che si stava espandendo nel suo petto, riscaldandolo. “Come.. come stai?” Banale forse, ma non gli era venuto niente di meglio in mente. Le circostanze erano troppo surreali.

“Io, bene.. bene. Tu?” Domandò titubante, avendo comunque capito dalla sua voce che no, non andava affatto tutto bene. Era diversa, più spenta e roca di come se la ricordava.. ai tempi dei Tokio Hotel quella voce era stata una delle più belle che conoscesse, invece ora sembrava così monocorde.

“Io, insomma.. vado avanti.” Sospirò, guardando distrattamente fuori dalla finestra del suo salotto. “Volevo chiederti scusa, se non mi sono fatto mai sentire in questi mesi.. nemmeno con Georg. Mi piacerebbe tanto incontrarvi, passare un pomeriggio insieme.. mi mancate ragazzi.” Soffiò, con la voce incrinata e il nodo pronto a salire per serrargli la gola in una morsa d’acciaio.

“Non dirlo nemmeno, Bill. Non hai niente da farti perdonare.” Esclamò, mantenendo però il suo tono di voce dolce e conciliante. “Uno di questi pomeriggi magari passiamo io e Georg da te, ti va?” Chiese, intenerito dalle parole del cantante.

“Certo, certo.. va benissimo, tanto.. sono sempre a casa, ultimamente.” Biascicò, sentendosi uno stupido per non aver mai nemmeno tentato di mantenere i rapporti con i suoi migliori amici. Non se l’erano meritato l’allontanamento che lui gli aveva imposto. Si era completamente staccato da loro, chiudendosi a riccio e non permettendo a nessuno di oltrepassare il fossato che si era costruito intorno a lui. Solo Tom riusciva a scavalcarlo, ma si sapeva.. lui era sempre stato diverso da tutti.

“Allora, per te va bene.. che ne so, mercoledì?”

“E’ perfetto.”

“Allora adesso chiamo Georg e lo avviso. Ci vediamo mercoledì quindi. Ciao Billie, a presto!”

“Ciao Gus, grazie.” Sorridendo chiuse la chiamata, tirando un grosso respiro di sollievo. Quella chiacchierata, seppur breve, gli aveva fatto un bene che mai si sarebbe immaginato.

 

***

 

“Allora, con quel ragazzo di cui mi hai parlato?” Chiese Alan, prendendo un lungo sorso di caffèlatte. Era in casa da solo con sua sorella, finalmente, la mamma era andata a trovare la zia e loro padre.. beh, loro padre non viveva più li. Un giorno di quelli sarebbe dovuto andare a trovarlo a Berlino.

“Chi? Bill?” Chiese crucciata. Erano passati solo due giorni senza vederlo, eppure a lei mancava, ci teneva così tanto a chiacchierare ancora un po’ con lui che, se solo avesse avuto il coraggio, si sarebbe presentata a casa sua.

“Esatto, la superstar” La prese in giro scherzosamente, inarcando le sopracciglia.

“Uhm, è venuto al bar la sera che sei tornato a casa.. abbiamo parlato un po’ e fatto quattro passi niente di che.. Nasconde tanto sotto la facciata da tenebroso, ma non lo so. Non si è fatto più vedere.” Sollevò le spalle inclinando la testa. Aveva letto una storia nascosta dietro a quelle iridi nocciola, stanche e malinconiche.

“Tu e le stranezze andate a braccetto.” Scosse la testa divertito. “Oggi pomeriggio ti va di uscire con il tuo fratellone preferito?”

“Uhm, si.. aspetta che gli telefono” Annuì seria, per poi scoppiare in una risata, seguita da Alan che la prese per una mano, facendola sedere sulle sue ginocchia e stringendola forte.

“Mi sei mancata da morire Mel.” Bisbigliò, accarezzandole i capelli biondi sulla nuca. “Ho capito che gli studi possono aspettare, anzi.. Si possono anche sacrificare. Ma non potrei mai sacrificare te.. il non vederti, il non esserti vicino giorno per giorno.. il non vederti crescere. Sei tutto quello che mi è mancato in questi anni, sorellina.”

“Oh Alan, mi sei mancato anche tu e, so che suonerà egoista da parte mia ma.. non voglio che te ne vai di nuovo.” Mormorò, abbassando il capo. Proprio lei faceva questo discorso. Lei che gli aveva mentito per tutto quel tempo, appunto per tutelare il suo futuro da dottore, gli diceva che non voleva che riprendesse gli studi all’università di Oxford.

“No, non vado da nessuna parte, te lo prometto.” Si sciolse in un sorriso dolce, spostandole una ciocca di capelli dal viso candido e baciandole  una guancia.

“Comunque dai!” Si drizzò in piedi, cambiando argomento. “Dove vogliamo andare oggi pomeriggio?”

 

***

 

“Eccoci, siamo arrivati” Decretò il biondino, spegnendo il motore della macchina e girandosi verso il suo amico, guardandolo con un accenno ansioso negli occhi.

“Già, era un po’ che non vedevo questo quartiere..” Si guardò intorno, come se non passasse da quelle parti da una vita intera, mentre invece dall’ultima volta che ci era stato erano trascorsi solo cinque mesi e mezzo. Cinque mesi e mezzo…

“Vogliamo andare?” Insistette il batterista, aprendo lo sportello e uscendo dalla vettura, seguito dal castano, che appena fuori  prese un respiro profondo, inghiottendo l’aria fresca.

“Gustav, come credi.. come credi che lo troveremo?” Balbettò. Non lo vedevano da troppo tempo, e l’ultima volta non era stata per niente bella, tutt’altro. Avevano il timore di trovarsi davanti qualcuno che non era ciò che loro si aspettavano, che si ricordavano.

“Non lo so.” Sospirò, incamminandosi verso i citofoni. “Lo scopriremo presto.” Fece un sorriso tirato, nascondendo il nervosismo che lo stava distruggendo.

Il castano respirò rumorosamente, arrivando davanti al portone e trovandolo aperto. Entrarono e cominciarono a salire le scale, se lo ricordavano fin troppo bene quante rampe dovevano percorrere, fino a che piano. Fin troppo bene.

“Ci siamo.” Soffiò il biondino, allungando un braccio verso il campanello illuminato.

 

***

 

“Ciao Tom!” Esclamò la moretta, entrando in casa e venendo sopraffatta da uno dei suoi baci mozzafiato. “Però, che accoglienza.”

“Non ti vedo da due giorni, se permetti.” Borbottò l’altro, sorridendo, richiudendo la porta dietro di lei, tenendole la mano e scortandola in soggiorno.

“Sono una ragazza impegnata.” Annuì divertita, sedendosi vicino a lui sul divano e poggiando le gambe su quelle di Tom. “Come stai?”

“Ora molto meglio, grazie.” Ridacchiò, accarezzandole la coscia con una mano, sfiorandola molto dolcemente “Tu, piuttosto?”

“Anche io sto bene, adesso.” Si avvicinò, baciandogli la mandibola. Era tutto così nuovo e speciale ai sui occhi, avere Tom li con lei. A volte ripensava a Eirik, ai momenti passati con lui, alla loro storia durata quasi un anno.. E non sentiva più niente. Nemmeno l’affetto, o la malinconia al ricordo di una storia finita. Forse era grazie a Tom, alla sua vicinanza e al suo amore, forse era proprio così.. Perché se con Eirik, in quei mesi, era stata bene.. Con Tom era come ritrovarsi catapultata in paradiso, con un biglietto per sola andata.

“Sei più bella del solito oggi.” Tom si portò un dito sul mento, facendo finta di pensare, provocando la risata di Rebecca. Quell’affermazione era diventata ormai di routine, glielo diceva sempre, ogni volta che si vedevano. “Hai tagliato i capelli?”

“Scemo.” Gli schiaffò debolmente il braccio, per poi stringersi di più a lui e appoggiare la testa sulla spalla. “Bill?”

“Oggi dovrebbero andare Georg e Gustav a casa sua.” Sospirò “O almeno così mi ha detto.”

“Dici davvero?” Gli occhi di Becky si illuminarono, e socchiuse leggermente la bocca. “E’ una bellissima notizia.”

“Si, lo è.” Sorrise di rimando Tom. “Forse sta davvero cominciando a rifarsi una vita, soltanto che.. Ho sempre paura che non ce la possa fare, non da solo.” Scosse la testa, accarezzandole un ginocchio e persistendo  a tenere il capo chino.

“Tom, quante volte abbiamo affrontato questo discorso?” Gli prese il viso tra le mani, costringendolo a guardarla fisso negli occhi. “Bill può farcela, con le sue gambe! Non potrai fargli da stampella in eterno, o non sarà mai pronto.. lo capisci questo?” Gli sorrise, intenerita.

“Si che lo capisco è solo che.. voglio il meglio per lui. Ha sofferto.. come un cane Rebecca. Come un cane.” Si prese il viso tra le mani. No.. non voleva, non voleva che l’agitazione gli venisse proprio in quel momento. Non in quel momento! “Maggie.. gli manca da morire e.. e forse io mi sto prendendo così tanto cura di lui perché.. Perché manca da morire anche a me! Io.. tutti i giorni cerco di non pensarci, cerco di stare dietro a Bill più che posso per impedire che il dolore uccida anche me. Era.. lei era la mia amica.. quella delle chiacchierate alla sera, delle maratone di film nei pomeriggi liberi. E mi manca.. Becky. Dio solo sa quanto!” Il suo respiro si fece irregolare e cominciò a sentire una stretta allo stomaco, le lacrime nascoste nei suoi occhi. Gli capitava, ogni tanto, ma non voleva che gli succedesse proprio davanti a Rebecca.

Dall’altra parte, Becky lo guardava attonita, gli occhi vacui e la bocca semiaperta. Si sentiva terribilmente a disagio, non sapeva come fare per farlo calmare, lo guardava li.. davanti a lei.. con una mano stretta al petto e gli occhi strizzati.

“Io.. io..”  Tentò di dire. Ma vedere il suo ragazzo in quelle condizione non fece che risvegliare in lei la sofferenza dei primi mesi.. i mesi in cui si svegliava la notte urlando, dopo aver fatto un incubo.. o quando all’università guardava il banco vuoto di fianco a lei.. e le lacrime prendevano a scendere  incontrollate sulla sua pelle diafana, sentendo la voce del professore come un brusio di sottofondo. Quei primi mesi erano stati l’inferno per lei.. Senza la sua migliore amica si sentiva persa.

“No, va tutto bene.” Scosse la testa il moro, prendendole le mani e stringendole convulsamente. “Solo.. stammi accanto.” Lo sussurrò, ma suonò quasi come una supplica urlata a squarciagola, che in risposta ritrovò un abbraccio fortissimo e un “Si” Strozzato, ma comunque convincente.

 

***

 

Era terribilmente in ansia. Era mercoledì pomeriggio, tra poco sarebbero arrivati e lui non era assolutamente pronto psicologicamente. Forse aveva bisogno di più tempo, forse avrebbe voluto rimandare, ma no. Aveva rimandato quel giorno troppe volte, era arrivato il momento di fare l’uomo e di tentare, almeno in parte, di rimettere la sua vita dentro i binari. Lo doveva a lei.

Si cambiò velocemente, infilandosi un maglione blu e un paio di jeans consumati e scoloriti. Una volta era i suoi preferiti in assoluto.

Si catapultò in cucina, ricordandosi che aveva lasciato il caffè sul gas, arrivando appena in tempo per spegnerlo e lasciarlo li a raffreddare. Suonò il campanello e lui cominciò a sudare freddo, mentre lanciava fugaci occhiate alla porta, poco lontana dalla cucina.

“Dai Bill, non fare il coglione.” Si disse da solo, obbligandosi a percorrere quei pochi passi che lo distanziavano dal portone in legno massiccio. “Sono i tuoi vecchi amici. Sono loro, Georg e Gustav.” Inspirò profondamente, espirando subito dopo e afferrando la maniglia d’ottone, stringendola in una mano, quasi a volerla sbriciolare sotto il suo tocco fermo.

Quando la aprì gli sembrò quasi normale rivedere le due figure che si stagliavano di fronte a lui. Gli sembrò quasi normale ritrovarli sulla soglia di casa sua, come se li avesse lasciati appena qualche giorno prima. Anzi, come se non li avesse mai lasciati.

“Ciao..” Mormorò Gustav, stupito nel rivedere il moro. Quello non era.. il vero Bill. Non era quello che loro conoscevano da una vita. Quello era.. un resto di Bill.

“Ciao.” Rispose il moro, rimanendo a fissarli, incapace di muovere un solo passo, stringendo ancora nella mano il pomello della porta, quasi fosse l’unico appiglio per rimanere in piedi.

Spostò lo sguardo su Georg, che si era limitato ad alzare una mano di fianco al viso, in segno di saluto. La faccia contratta in un espressione interdetta, le labbra strette e le sopracciglia aggrottate.

“S..scusate, entrate..” Scosse la testa, risvegliandosi dai mille flashback che lo avevano assalito in quei pochi secondi passati a scrutarli nei minimi particolari.

Si fece da parte, permettendo ai due di entrare in casa e guardarsi in giro. Tutto era come se lo ricordavano, come era sempre stato. Non era cambiato niente, e questo basto a confortarli, almeno in parte.

“Come stai?” Georg si girò verso il cantante, che aveva appena chiuso la porta ed ora era fermo al centro della stanza.

Bill sollevò le spalle, biascicando un “Non c’è male” Ficcandosi le mani in tasca. Il male c’era eccome.

“Volete un caffè? E’ già pronto.” Sorrise poi, gentilmente, indicando la cucina alla sua sinistra.

“Ma si, dai.” Annuì Gustav, scambiandosi uno sguardo veloce con l’altro.

Era tutto così surreale, così diverso da come doveva essere. Quei sorrisi di plastica, quelle gentilezze dovute.. Non era niente come prima. Si sarebbe potuto rimediare?

Bassista e batterista presero posto su due sedie, appoggiando le mani unite sul tavolo, osservando Bill versare il caffè nelle tazzine che aveva messo davanti a loro.

Era.. cambiato, era diverso, più.. adulto. Quel codino, il Bill che ricordavano loro, non se lo sarebbe fatto nemmeno sotto tortura. L’accenno di barba era un insulto all’ex leader dei Tokio Hotel.. e le occhiaie.. quelle occhiaie accentuate dal viso pallido, quasi malaticcio. Spaventose.

“Ci sei mancato.” Disse Georg, dopo aver preso un sorso bollente dalla tazza, il tono fermo ma comunque dolce. “Tanto.” Aggiunse poi, ritrovando Gustav ad annuire, con il suo sorriso conciliante.

Bill boccheggiò, sentendo gli occhi inumidirsi e le gambe cedergli. Aveva davvero inflitto dei mali così grandi alle persone che fino a poco tempo prima erano state tra le più importanti della sua vita? Che lo erano sempre state, in un modo o nell’altro.

“Anche voi.” Sillabò, lasciandosi cadere a peso morto sulla sedia e prendendosi la testa con le mani. “Anche voi ragazzi..E.. Mi dispiace, ma io.”

“Fermo Bill.. noi non vogliamo giustificazioni. Sappiamo già che.. per te non è stato facile e.. va bene così, davvero.” Gustav gli accarezzò un braccio, sorridendo triste.

“Ora che siete tornati..” Mormorò, guardandoli intensamente negli occhi, sentendo i suoi già colmi di lacrime. “Non ve ne andate, vi prego. Mai più”

“No Bill, siamo qui con te.” Sorrise Georg, annuendo col capo.

 

***

 

“Buonasera signor S!” Sorrise raggiante Melrose, entrando nel bar e camminando direttamente verso il bancone, allacciandosi il grembiulino dietro la schiena.

“Ciao Mel” L’ometto si avvicinò a lei. “Deduco che con Alan è tutto a posto, non vedo un sorriso così da un sacco di tempo.” Le sorrise, mettendole una mano sulla spalla.

“Oh signor S, sono così felice! Lei non ha idea!” Ridacchiò, guardando il cielo e sospirando.

“Sono contento per te, cominciava a deprimermi quell’aria perennemente malinconica.” Scherzò il signor S, picchiettandole la schiena e sparendo nel retrobottega, scuotendo la testa sorridente.

“Ciao Mel.”

“Ehi Jess” Sorrise anche alla sua collega, che la affiancò, strofinando un boccale di birra, reggendolo tra le mani. “Tutto bene?”

“Si, tutto a posto. Tu?” Chiese, totalmente disinteressata, appoggiando il boccale in uno scaffale.

“Straordinariamente bene.”Annuì, scaricando la lavastoviglie.

“E ora arriva il meglio.” Sbottò, lasciando lo strofinaccio sul bancone e dileguandosi.

Melrose non capì subito a cosa si stesse riferendo Jessica, ma quando alzò gli occhi e incontrò quelli nocciola di Bill, il suo cuore perse un battito e dovette appellarsi a tutto il suo autocontrollo per impedirsi di saltellare sul bancone del bar.

“Ciao Melrose.”

 

***

 

Buonasera a tutte! ^___________^
Dai, ho fatto abbastanza presto questa volta, no?
Questo, insieme al prossimo, è uno dei miei capitoli preferiti. Mi piace un sacco, davvero! Spero possa piacere anche a voi, ovviamente.
Gustav e Georg sono tornati, come avete letto; ed è fuoriuscita la parte sofferente di Tom.. perché com’era prevedibile, anche lui ha sofferto molto per la perdita di Maggie.
Ringrazio di cuore chi ha recensito lo scorso capitolo, ovvero: _Pulse_, memy881, Tokietta86 (oddio io ADORO le tue recensioni. Sono così vere e sincere. *___* Grazie, grazie davvero!), Layla.

Grazie mille davvero ragazze!

Un ringraziamento anche a quelle timidone che leggono senza recensire e a chi ha inserito la mia storia tra le seguite e le preferite. Un bacio a tutti!

Ale ^___^

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Capitolo 11
*** Consapevolezza ***


Buongiorno! Oggi sono molto fiappa. Ho un mal di testa che non finisce più, però nonostante ciò sono qui che posto per voi. Avete visto che brava? u.u XD

Dunque, passando alle cose serie: questo è il mio capitolo preferito fino ad ora. Beh, ci sarebbe anche il capitolo 13 ma quello voi lo dovete ancora leggere ^__^
Spero vi sia piaciuto e spero che abbiate un po’ di tempo per farmelo sapere (: La canzone che ho inserito è Parla con me di Eros Ramazzotti.

A fondo pagina troverete una piccola sorpresa offerta da Sarah92! Hope you like it! (: 

 

UNDICESIMO CAPITOLO    Consapevolezza

 

 

Si stiracchiò, alzando le braccia al cielo e allungandosi nel suo letto. Si girò verso destra e guardò i raggi del sole che filtravano dagli infissi della finestra. Detestava le domeniche. Non sapeva perché ma era sempre stato così, fin da quando era piccola.

 

Era passato un lunghissimo mese e mezzo dal ritorno di Alan, che ancora viveva lì con lei e loro madre. Hanna sembrava stare meglio dal ritorno del figlio: era più serena e meno nervosa.

 

Melrose e Bill si erano visti parecchie volte, sempre più spesso. Lui andava a trovarla al bar quasi tutte le sere e, anche se non era sempre di ottima compagnia, stavano insieme fino ad orario inoltrato. Quando Mel finiva il turno andavano a fare un giro, che fosse al parco, o lungo la strada, o fino al campetto di basket, non importava.. camminavano tanto e.. parlavano un po’di meno.

 

In quelle lunghe settimane aveva provato a saperne di più su di lui, ad entrare nei segreti che si portava ancora dentro e stringeva gelosamente a sé, senza lasciarli trasparire. Aveva provato a scavalcare il profondo precipizio che aveva scavato intorno a lui, come difesa personale, ma aveva finito inevitabilmente per caderci dentro, non riuscendo più a risalire e sentendosi stupida. Stupida perché non avrebbe dovuto ficcanasare nella sua vita, erano amici, se così si potevano definire. Quello doveva bastarle. Così, si era accontentata di rimanere a ridosso di quel burrone, a guardare la fine buia dal ciglio, senza fare passi avventati.

 

Ma dove guardano ormai
quegli occhi spenti che hai?
Cos’è quel buio che li attraversa?
Hai tutta l’aria di chi
da un po’ di tempo oramai
ha dato la sua anima per dispersa”

 

Si alzò lentamente dal letto, rivestendosi del suo pigiama verde e uscendo dalla porta, percorrendo il lungo corridoio che la divideva dalla stanza di suo fratello e, molto silenziosa, fece irruzione in camera di quest’ultimo, trovandola buia. Guardò il letto e notò solo un ammasso di coperte in cui, sotto, doveva esserci proprio lui.

 

Prese la rincorsa e con un balzo ci saltò sopra, proprio come quando lei aveva dieci anni e lui sedici e Mel, annoiata dalla domenica mattina, andava a svegliare il suo fratellone per fare la colazione insieme. Bei tempi, quelli.

 

“Ahia, cretina!” Sbottò lui, la voce impastata dal sonno “Non hai più dieci anni, peste!” Ridacchiò, prendendola per un braccio e trascinandosela sotto alle coperte, stringendola.

 

“Ciao fratellone.” Sorrise angelica, anche se lui al buio non la poteva vedere. “Come stai?”

 

“Be’, prima che un ippopotamo impazzito mi saltasse addosso, stavo bene: sognavo pure!” Sbuffò, tenendosela comunque stretta al petto.

 

“Avevo voglia di svegliarti.” Sollevò le spalle, sorridendo.

 

“Esci con Bill, oggi?” Glielo chiedeva spesso, soprattutto in quegli ultimi giorni. Melrose non lo sapeva il perché, ma Alan era sempre felice quando usciva con Bill. Non lo aveva ancora conosciuto di persona ma diceva che gli emanava un’aurea positiva.

 

“Non lo so, ieri sera era più abbattuto del solito” Constatò, pensierosa. “Dopo magari provo a chiamarlo al cellulare.” Annuì da sola, come se stesse parlano con sé stessa e non con il suo fratello maggiore, che la guardava divertito.

 

“Ti piace, non è così?” Gli chiese, ma suonava più come una constatazione e Mel non seppe come rispondere. Sì, era vero, gli piaceva e anche tanto, ma ammetterlo... non sapeva se era pronta a farlo nemmeno con se stessa.

 

“Be’... più o meno, non lo so.” Scosse la testa, scrollando le spalle, e riuscendo ad intravedere le sue iridi verde chiaro nel buio.

 

“IO lo so, e ti piace, fidati di me.” Sbadigliò, togliendosi la coperta di dosso e alzandosi in piedi, sfoggiando il suo nuovo paio di boxer con la coda del porcellino sul sedere.

 

“Wow... sexy!” Ridacchiò la biondina, prendendolo in giro.

 

“Sono all’ultima moda ad Oxford!” Rispose indignato, sparendo in bagno con i suoi vestiti di ricambio.

 

 

***

 

 

Appoggiò il mento sul pugno chiuso, sopra alla sua scrivania, guardando un punto indefinito fuori dalla portafinestra, da cui si poteva vedere la finestra del bagno dell’appartamento di suo fratello, proprio di fronte al suo. Probabilmente a quell’ora stava per uscire con Rebecca.

 

Senza un perché si ritrovò a pensare alla sera prima, agli occhi curiosi di Melrose che lo fissavano, lo scrutavano nel profondo e lo mettevano anche un po’ a disagio, se doveva essere sincero. Si sentiva perennemente studiato da lei, così si rese conto che forse non era poi così bravo a fare finta di essere un comunissimo ragazzo di ventidue anni con una vita normale. Lei lo aveva capito che qualcosa in lui non funzionava, che c’era qualcosa del suo essere che non andava assolutamente bene.

 

Eppure... quando era in sua compagnia, Bill stava bene. Stava maledettamente bene e non avrebbe voluto in nessun modo trovarsi altrove, stava bene seduto vicino a lei, o semplicemente a camminare al suo fianco. Adorava sentirla parlare, visto che lui stava quasi sempre zitto ad ascoltare, adorava il suo modo carino di renderlo partecipe a conversazioni che, altrimenti, sarebbero sembrate monologhi.

 

Quindi, ogni sera, dopo averla riaccompagnata a casa, quando si ritrovava nel suo letto sotto le coperte, con lo sguardo rivolto all’insù... s’interrogava. S’interrogava e chiedeva a se stesso perché dovesse frenarsi in quel modo con lei, perché dovesse mettere dei paletti di sicurezza tra loro due... E la risposta arrivava, sempre più dolorosa.. Bastava voltare appena il capo e incontrare quegli occhi verdi, cristallizzati nel vetro di quella fotografia incorniciata da un portafoto in oro bianco.
Non l’aveva ancora tolta e dubitava di riuscirci presto. Era ancora innamorato di lei e questo non sarebbe potuto cambiare mai. L’avrebbe sempre amata, in un modo o nell’altro.
Troppe volte si era chiesto “Condizionerai la mia vita per sempre, Maggie?”, e troppe volte avrebbe voluto prendersi a pugni perché non erano pensieri da fare quelli. Margaret era stata la persona più importante della sua vita, insieme a Tom, e lo era anche in quel momento, nonostante non potesse essere presente fisicamente... lo era psicologicamente, sempre.

 

Spesso, quando era con Mel, sentiva la sua presenza costante, il suo sguardo addosso, ma, anche se gli pareva una cosa assurda, non poteva fare a meno di sentirsi intimidito da quegli sguardi indiscreti che, in realtà, non esistevano. In realtà, erano tutti nella sua testa, nella sua convinzione di tradire la sua Margaret.

 

Tradire... non aveva mai osato nemmeno sfiorare Melrose. La loro era una amicizia strana, fondata sul dialogo, se così era definibile. Non c’era assolutamente niente. Ma Bill... Bill aveva paura, sentiva qualcosa intrecciarsi nel suo stomaco quando la vedeva.

 

“Non si uccide un dolore
anestetizzando il cuore”

 

La vibrazione del suo cellulare lo colse alla sprovvista, facendolo quasi cadere dalla sedia girevole su cui era seduto. Lo afferrò saldamente in una mano, guardando che nome sarebbe apparso sullo schermo illuminato. Era lei, era Melrose.
Senza rendersene conto, le sue labbra si incurvarono leggermente all’insù, in un sorriso tenero. Era felice di poterla risentire.

 

“Pronto?” Rispose, come se non avesse idea di chi lo stesse chiamando.

 

“Ciao Bill, sono Mel” Squillò l’altra, felice di risentire la sua voce.

 

“Ciao Mel, come stai?”

 

“Molto bene, grazie. Tu?”

 

“Anche io, anche io.. ti ringrazio.” Sospirò. Voleva vederla? Certo che sì. “Senti, oggi è domenica..”

 

“Odio le domeniche” Sbuffò Mel, e quasi lui potè immaginare il suo labbro inferiore arricciarsi in un broncio bambinesco che le donava un’aria infantile assolutamente adorabile.

 

“Non è il mio giorno preferito, lo devo ammettere.” Scherzò, ridacchiando a bassa voce. “Potremmo unire i nostri malumori e fare un giro in periferia, che ne dici?” Buttò lì, scarabocchiando su un foglio con la matita.

 

“Sì, sarebbe carino!” Trillò felice, sorprendendosi di poter essere così felice. E se si stesse... no. No, non poteva! Sarebbe stato.. troppo complicato. Però... no, non c’erano ‘però’, ‘ma’ o ‘forse’. Lei non poteva.

 

“Ti aspetto fuori da casa tua, dopo cena?”

 

“È perfetto.”

 

“A dopo.” Sorrise, chiudendo la chiamata e riappoggiando il telefono sul ripieno in legno della scrivania.

 

Sospirò sereno, ancora poco e l’avrebbe rivista.. Sì, era decisamente felice.

 

 

***

 

 

“Esci?” Chiese Alan, seduto ad una sedia, con le gambe sotto il tavolo e il giornale davanti al viso. Hanna era in piedi davanti ai fornelli, probabilmente stava preparando la cena.

 

“Sì, con Bill.” Rispose a fatica, tentando di infilarsi una scarpa al piede destro. Entro un’ora sarebbe arrivato sotto casa sua.

 

“Oh, bene!” Esclamò sorridente, ricacciandosi il quotidiano davanti agli occhi.

 

“Cosa vorresti dire?”

 

“Che mi fa piacere se esci ancora con lui!” Annuì, guardandola di sfuggita. “Ti piace, ammettilo.” La scrutò più intensamente, sporgendosi leggermente verso di lei.

 

“Ma... dai, Alan.” Mormorò, imbarazzata, lanciando un’occhiata anche a sua mamma, che però sembrava non seguire minimamente la conversazione.

 

“Sorellina, dai.. io e te non abbiamo mai avuto segreti. Nemmeno di questo genere. Perché fai la misteriosa proprio adesso con il tuo fratellone?” Sogghignò, ripiegando il giornale e appoggiandolo sul tavolo, unendo le braccia al petto e guardandola con fare inquisitore.

 

“E va bene! E va bene: sì, mi piace...” Sbottò, lasciandosi cadere mollemente su una sedia di fianco a lui. “E tanto...” Aggiunse, piagnucolosa.

 

“Non capisco, dove sta il problema quindi?”

 

“È lui il problema, è lui! È così... sulle sue, a volte non parla molto.. Spesso sembra ricambiare quello che provo io, altre volte sembra volersene tornare a casa al più presto. Non lo capisco Alan, è... strano. Sembra nasconda qualcosa.”

 

“Non essere affrettata, Mel. Non trasformarti in Sherlock Holmes per cercare di capire cosa nasconde, se davvero nasconde qualcosa. Se quello che pensi è giusto, sarà lui a parlartene al momento opportuno.” Alan le sorrise, facendole un buffetto sulla guancia, per poi girarsi verso la mamma, che li stava guardando.

 

“Mamma, io esco dopo cena, non so a che ora torno.”

 

“Tranquilla Mel, manda un messaggio a tuo fratello e mi farai sapere.” Le sorrise con fare rassicurante, come se non avesse ascoltato nemmeno una parola della conversazione che avevano appena avuto i suoi due figli. Era questo il bello di Hanna: era sempre presente se uno dei suoi ‘bambini’ aveva qualche problema e cercava aiuto, ma si eclissava non appena capiva di dover lasciare i propri spazi ad Alan e Melrose, rimanendo al proprio posto.

 

Melrose sospirò, guardando l’orologio sul muro davanti a lei. Le sette meno un quarto.  Ancora poco, ancora poco.. continuava a ripetersi ininterrottamente, prendendosi a pugni nella mente per quell’impazienza assolutamente immotivata. O meglio, un motivo c’era eccome.. ma non poteva, non doveva essere così.

 

 

***

 

 

“Fa freddo.” Borbottò Tom, stringendosi nel suo cappotto primaverile. Nonostante fossero nel mese di aprile, la Germania sembrava avvolta ancora nell’inverno. La primavera tardava a farsi sentire.

 

“Come sei brontolone, dai. Siamo sempre chiusi in casa, una boccata d’aria non ti farà male!” Sbuffò divertita Becky, stringendogli una mano. “E poi sei camuffato piuttosto bene, devo ammetterlo. Fatico a riconoscerti persino io” Sogghignò, facendo scontrare dolcemente le loro spalle.

 

“Mi sembrava che, fino a ieri sera, non ti dispiacesse restare in casa con me.” Ridacchiò, prendendola un po’ in giro e facendole un buffetto sulla testa.

 

“Ah, ah, ah. Spiritoso.” Borbottò, arrossendo sulle guance. “Non vedi come rido?” Inarcò un sopracciglio.

 

“Avanti, stavo solo scherzando.” Sorrise, accarezzandole i capelli e sciogliendo la presa dalla sua mano. Fece

scorrere il braccio attorno alle spalle di lei, continuando a camminare lungo il viale alberato.

 

“Bill esce ancora con quella ragazza, oggi: Melrose... me lo ha detto poco fa per messaggio.” Esordì poi, chinando il capo sulle sue scarpe da basket.

 

“E non è una cosa positiva?” Aggrottò le sopracciglia Rebecca.

 

“Be’... credo di sì. Solo vorrei conoscerla: è due mesi che escono e io non l’ho mai vista.” Sollevò le spalle, abbozzando un sorrisino incerto. Non era quella la sua vera preoccupazione. Lui aveva paura che Bill rivedesse troppe cose di Maggie in quella povera ragazza.. aveva paura che prima o poi si sarebbe reso conto che non era stando con Melrose che avrebbe risentito Margaret al suo fianco. E quando sarebbe arrivato quel momento? Cosa sarebbe successo? Avrebbe sofferto di nuovo come un cane, ecco cosa. Sarebbe stato come perderla una seconda volta.

 

“Magari aspetta il momento giusto, che ne sai?” Sorrise, baciandogli una guancia. “Sono sicura che presto te la porterà a conoscere!”


“Spero sia come dici tu..” Borbottò, sospirando.

 

 

***

 

 

Sentì il suono del clacson di quella macchina che ormai conosceva come le sue tasche. Era inconfondibile.

 

Prese al volo la giacca dall’attaccapanni, diede un bacio a sua mamma e poi ad Alan, che le gettò un’occhiatina maliziosa, augurandole uno splendido pomeriggio.

 

“Lo sarà!” Rispose, appena prima di abbassare la maniglia e uscire in cortile. Attraversò il vialetto, aprendo il cancello e sgusciando fuori, e trovò la sua Audi Q5 bianca, parcheggiata sulla strada.

 

Continuò a camminare lentamente, arrivando dalla parte del passeggero e aprendo lo sportello, e s’infilò nell’abitacolo.

 

“Ciao.” Sorrise raggiante, guardando il suo profilo scolpito perfettamente. Aveva i capelli sciolti sulle spalle e non portava i soliti occhiali da sole che gli coprivano metà viso, era semplicemente meraviglioso.

 

“Ciao Mel.” Girò appena il capo, accennando un sorriso e rimettendo in moto la macchina. Quindi, sgommò via.

 

“Come stai?” Chiese la ragazza dopo un po’ di minuti silenziosi, mentre guardava fuori dal finestrino la campagna che cominciava ad estendersi intorno a loro. La stava addirittura portando fuori città!

 

“Non c’è male.” Sorrise tirato, stringendo appena di più il volante. “E tu?” Si girò per una frazione di secondo, guardando quegli occhi verdi che lo mandavano in estasi. Li adorava e, col tempo, si era accorto che erano completamente diversi dagli occhi verdi che aveva amato in passato. Uguali apparentemente, sì... ma completamente diversi.

 

“Io... io molto bene!” Sorrise sinceramente, non smettendo un secondo di fissarlo. Era così bello.

 

Il resto del tempo che passarono chiusi in macchina fu avvolto dal silenzio, da sguardi di nascosto, da parole non dette ma che avrebbero voluto fuoriuscire dalla bocca dei due ragazzi. Avrebbero voluto parlare loro. Avrebbero avuto tantissime cose da dirsi, eppure non lo facevano.

 

Dopo quella che a Melrose parve un’eternità, Bill fermò la macchina in un parcheggio non molto grande, accennandole un sorriso, e, facendole un gesto con il capo, la invitò a scendere.

 

“Dove siamo?” Chiese Mel, seguendo Bill lungo un sentiero ciottoloso.

 

“Adesso, appena finisce questa strada ghiaiosa, ci dovrebbe essere una collina. E’ bellissima, ci venivo spesso prima... un po’ di tempo fa.” Sorrise nervosamente, torturandosi la manica della giacca leggera che indossava.

 

“Piacerà anche a me...” Annuì Mel, evitando di fare domande. Se c’era una cosa che aveva imparato in tutto quel tempo passato insieme a lui, era di non fare domande a caso, di dosare per bene quello che voleva dire, contando fino a dieci prima di dare voce ai suoi pensieri.

 

Senza nemmeno spiegarsi il motivo, Mel fece scontrare la sua mano con quella di Bill, sfiorandogli la pelle fredda e sentendo una scarica di brividi gelidi percorrerle il corpo dalla spina dorsale fino ai piedi. Ma se ne pentì non appena vide il ragazzo stringere le labbra tra loro e chiudere gli occhi.
Perché era così misterioso?.. Perché non voleva parlare con lei, confidarsi, sfogarsi...

 

“Parla con me, parlami di te
io ti ascolterò
vorrei capire di più
quel malessere dentro che hai tu.”

 

Sospirò, abbassando il capo e continuando a camminare al fianco di Bill, silenziosamente, calciando un sassolino ogni tanto. Le era passata anche la voglia di parlare.

 

“Scusa.” Disse ad un certo punto Bill, fermandosi in mezzo al sentiero e guardandola imbarazzato. Guardandola forse per la prima volta, riuscendo a vederla. Vederla davvero.

 

“Come hai detto?” Chiese, boccheggiando. Avere addosso a sé quello sguardo, così carico di emozioni, la metteva a disagio, come poche volte. Si sentiva osservata, scrutata nel profondo.. e avrebbe solo voluto scappare, perché si rese conto che quello che non doveva succedere, stava invece succedendo. Era già successo.

 

“Sono freddo, sono scostante. Non sono di ottima compagnia e me ne rendo conto. Sono scontroso, scorbutico, acido e arrogante. Il più delle volte vorrei prendermi a sberle da solo, non ti biasimo se viene questo impulso anche a te ogni tanto. Sono consapevole che spesso non sono gentile e carino nei tuoi confronti, mentre tu lo sei sempre.. così dolce e comprensiva ed io.. mi sento in colpa. Non meriti di essere trattata come ti tratto io.” Sfiatò, respirando a fondo, come se avesse appena fatto una lunga corsa e stesse tentando di recuperare il fiato. Era stato difficile fare quel tipo di discorso, a lei, ma sentiva che era arrivato il momento. Le doveva delle scuse.

 

“Hai elencato solo difetti, Bill.” Sorrise teneramente, avvicinandosi. “Ho sentito solo lati negativi, mentre invece tu non sei solo quello: sei molto di più. Tu sei sensibile, timido, riservato.. i tuoi occhi parlano per te e sono i più dolci che io abbia mai visto. Sei silenzioso, sì... ma spesso non servono le parole per capire con che persona meravigliosa si ha a che fare. Io penso questo, penso che tu sia fantastico.” Arrossì sulle guance, abbassando lo sguardo e attorcigliando le dita delle mani tra loro.

 

Dopo pochi secondi rialzò il viso, e fu in quel momento. Vedendo gli occhi di Bill più luccicanti del solito, vedendo il suo sorriso luminoso più di qualsiasi altro, vedendo la sua figura buia, in contrasto con il tramonto che si consumava alle loro spalle... Fu in quel momento che Melrose capì di essersi inevitabilmente innamorata di lui.

 

 

***

Eccoci! Come promesso, la piccola sorpresa! Cliccate QUI 
Non è meraviglioso? *Q* Io trovo che sia splendido!

Non so se lo vedete bene.. Comunque, dai, si capisce che è Bill che abbraccia il fantasma di Maggie *__* Cucciolino lui.

Fate sapere se vi piace, e diciamo tutte in coro una grande “GRAZIE” per  Sarah92, che ha speso tempo e dedizione per farlo! Thank youuu so much! (;

Ora passiamo ai ringraziamenti individuali di quelle cinque benedette ragazze:

Layla : Certo che gli ha fatto piacere, lui non aspettava altro.. solo lo doveva ancora capire xD e per quanto riguarda Tom, beh.. prima o poi anche lui avrebbe dovuto cedere al ricordo doloroso di Maggie. Grazie per il tuo commento, alla prossima!

_Pulse_ : Dio mio Aria, le tue recensioni sono sempre così incasinate che non riesco mai a fare un ringraziamento decente XD Cioè, boh. Ahahaha xDD quindi penso che ti dirò solamente GRAZIE *_* Grazie per tutto, per esserci, per sopportarmi.. per essere sempre presente e puntuale nelle recensioni. Non come me, che recensisco tre o quattro giorni dopo XD Ti voglio un bene indicibilmente indicibile infinitissimooo! Assai! La tua piccola Mond *.*

Memy881 : Grazie, grazie, grazie! *__* Grazie davvero per la tua recensione! Parlando di Bill e Melrose.. lei, come hai letto, prova qualcosa di molto significativo nei confronti di lui. Il problema qui è proprio Billie, sarà in grado di affrontare la situazione e saperla gestire?
Vedremo ^__^. Un bacione e grazie ancora!

Tokietta86 : Melrose è molto importante per lui, anche se ancora non se ne rende conto fino in fondo, le cose lentamente si stanno appianando.. ora che poi ci sono di nuovo Georg e Gustav nella sua vita, dovrebbe essere tutta una discesa. Dovrebbe u.u xD
Tom.. quella parte è stata molto difficile da scrivere, perché “entrare” nella testa di Bill e descriverne i sentimenti è stato piuttosto semplice, insomma.. è facile aspettarsi cosa pensa una persona quando perde figlio e fidanzata. Ma non posso dire altrettanto di Tom, è stato complicato immaginarne i pensieri u.u Grazie per la tua recensione, un bacio e alla prossima!

Sarah92 : Sono felice che la storia ti piaccia, veramente ^__^. La tua recensione mi ha lasciata felice, tutto sommato u.u So di non essere la perfezione ma si può solo migliorare xDD
Grazie anche per il tuo aiuto. E, soprattutto per il tuo disegno *-* Personalmente, lo adoro!
Alla prossima! ^__^

 

Un grazie anche a tutti gli altri e alla prossima!
Un bacio enorme, Ale ^__^

 

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Capitolo 12
*** Esasperazione ***


DODICESIMO CAPITOLO -  Esasperazione

 

“Io ti parlo con il silenzio delle parole mai dette
e che non smette di assordarmi il cuore...
Nessun rumore mi distoglie dal pensarti
ora che il mio innamorarmi
è solamente tuo.”

 

“Io ci arriverei,
nel profondo dentro te.
Nei silenzi tuoi..
Emozionando, sempre più”

 

Andava avanti e indietro, tracciando un fossato lungo tutta la sua camera da letto, una mano sulla bocca e gli occhi brillanti. Non riusciva a reprimere i risolini, gli urletti isterici. Si sentiva euforica e, allo stesso tempo, avvertiva lo stomaco attorcigliato dentro di lei.
Ma stava così bene... Dio, se stava bene.

Quella sera era stata perfetta, perfetta... oltre ogni sua aspettativa. Bill era così tenero a volte.. così vulnerabile e fragile. Avrebbe voluto abbracciarlo tanto forte da rischiare di soffocarlo sotto il suo tocco. Eppure non l’aveva fatto, non lo aveva abbracciato... non lo aveva nemmeno sfiorato. Loro non si erano mai toccati... se non inavvertitamente.

Guardarlo negli occhi, quella sera, era stato qualcosa di formidabile. Le sue iridi castane avevano qualcosa di profondamente dolce e intenso, aveva degli occhi meravigliosi, e si dispiaceva del fatto che, in superficie, fossero così spenti e vacui.

Si stese sul letto, guardando il soffitto bianco candido della sua stanza, persa in congetture che non avevano né capo né coda. Però il motivo lo avevano.

Lei era innamorata di Bill, se n’era resa finalmente conto e adesso stava imparando ad accettarlo. Non lo avrebbe creduto possibile, ma adesso era in ballo, non poteva più tirarsi indietro.

Sospirò pesantemente, ricordandosi che lui molto probabilmente non avrebbe ricambiato i suoi sentimenti e, se invece si sbagliava, era molto abile a nasconderli.

Spostò il suo sguardo sul cellulare che si era illuminato di fianco a lei, sul comodino. Lo afferrò con una mano e il cuore in gola, vedendo che aveva appena ricevuto un messaggio.

“Sono stato bene con te, prima. Domani passo a trovarti al bar. Buonanotte, Bill.”

Si portò il telefonino al petto, sospirando sognante, con gli occhi lucidi e il cuore che le batteva all’impazzata nel petto, tanto che per poco ebbe paura che le schizzasse fuori dal corpo.

 

***

 

Si appoggiò allo schienale del divano, con le gambe raccolte al petto e un insolito sorriso a dipingergli le labbra rosate. Cos’era quella sensazione di benessere che gli occupava la mente, quella pace interiore che non sentiva più da tempo?

Un po’ gli faceva paura, un po’ ne aveva timore. Aveva il terrore di sapere cosa gli stesse succedendo dentro, di conoscere la causa di quella sensazione che lo faceva sentire leggero e pesante nello stesso momento.

 L’aveva provata, molto tempo indietro..

Si guardò le mani appoggiate alle ginocchia, prendendo un profondo respiro. Era giusto, tutto quello? Era giusto ricominciare una nuova vita, dimenticando quella vecchia?

Avrebbe voluto tanto poter parlare con Maggie, in quel momento. Avrebbe voluto dirle che la pensava sempre, che non l’avrebbe dimenticata per nessuna ragione al mondo e che, in una maniera o in un’altra, l’avrebbe sempre amata a modo suo.
Ora però le cose stavano cambiando. Era ad un passo dal riuscire a metabolizzare la disgrazia successa sette mesi prima e ce la stava facendo grazie a Melrose.
Grazie ai suoi sorrisi, alle sue chiacchiere solitarie, alle dimostrazioni d’affetto, alle tacite domande che spesso gli rivolgeva.

Sobbalzò non appena sentì il rumore del campanello e poi subito una chiave girare nella toppa. Tipico di Tom. Suo fratello dava sempre un trillo e poi, senza attendere, apriva subito la porta con la sua copia di chiavi.

“Ciao Bill!” Lo salutò sorridente, appena messo piede in salotto.

“Ehi Tomi” Sventolò una mano davanti al viso, sorridendo debolmente. “Come stai?”

“Molto bene, tu?”

“Tutto ok.”

“Scusa l’ora, ma ti ho visto parcheggiare la macchina, dieci minuti fa.” Mormorò, raggiungendolo sul divano e sedendosi di fianco a lui. “Sei... uscito con Melrose?”

Il moro annuì, distratto.

“Ti sei divertito?”

“Si, abbastanza.”

“E...?”

E cosa?” Lo guardò interrogativo, ruotando appena il capo nella sua direzione, le labbra dischiuse in un’espressione adorabilmente smarrita.

“Nulla, nulla.” Scosse la testa, scrollando le spalle.

Calò il silenzio tra i due, entrambi persi in pensieri diversi, in mondi differenti. Uno con il fegato che rodeva dalla curiosità, dalla voglia di sapere cosa aveva questa Melrose di così speciale. L’altro impegnato a pensare e ripensare alla serata appena trascorsa, al nodo che gli chiudeva alla gola, ma anche a quella sensazione di panico alla bocca dello stomaco.

“Così... insomma..”

“Già...”

“Già cosa?”

“Non lo so...”

Sospirarono in sincronia, per poi guardarsi negli occhi e accennare una risatina.

“Con Becky come va?” Chiese il moro, guardando una minuscola macchia sui suoi pantaloni. Avrebbe dovuto buttarli a lavare.

“Becky... Becky è fantastica.” Sorrise sognante “Credo sia lei quella giusta, sai?”

“Sono felice per te. Davvero” Lo guardò intensamente, con due occhi carichi di sincerità che quasi Tom tremò sotto l’energia che emanavano.

“E... con la ragazza del bar?” Chiese Tom, non riuscendo a nascondere un tono leggermente irritato.

“Si chiama Melrose.” Precisò Bill, schiarendosi la voce “Lei... oddio, Tomi, non lo so. È bella, è simpatica, è dolce e gentile. È perfetta, oserei dire. Però... no, forse la verità è che non c’è nessun ‘però’. È così e basta.” La voce si affievolì e guardò verso il basso, le sue scarpe da ginnastica consumate sulla punta.

“È una cosa bella, lo sai questo, vero?” Tom gli accarezzò una spalla, tenendo la mano ferma lì, le dita affusolate sulla sua scapola. “Però... forse la vorrei conoscere”

“Conoscere?” Boccheggiò Bill all’inizio, ma, poi pensandoci, non era una cattiva idea. Erano passati due mesi. Tom ne aveva il diritto: era suo fratello! “Domani sei libero?” Sorrise, riacquistando un colorito roseo.

L’avrebbe portato con lui al bar di Melrose.

 

***

 

“Ciao Maggie..” Mormorò. “Lo so, è passato tanto tempo dall’ultima volta in cui sono venuta a trovarti, ma lo sai benissimo che per me non è facile. Affatto. Vorrei riaverti qui, Mag. Vorrei tornare a passare i miei pomeriggi con te, le mattine all’università... Rivoglio la mia migliore amica, anche se non è possibile.
Bill sta molto male, lo sai? Certo che lo sai.” Sorrise amaramente, scuotendo la testa e abbassando gli occhi verso l’erba fresca appena tagliata. “Gli manchi terribilmente e Tom è preoccupato. Ha paura che non riesca più a superare il trauma, ma io confido in lui e nella sua forza interiore. Sta uscendo con una ragazza, si chiama Melrose e deve essere una tipa in gamba... Solo che Bill non ce la fa a lasciarsi andare, non ce la fa a togliersi dalla testa il pensiero di tradirti. Deve tornare felice, Maggie, ma non ci riesce. Tu... tu vuoi questo per lui, vero? Vuoi che torni ad essere sereno, no? Certo.. che domanda stupida. L’unica cosa per cui lottavi quando... quando ancora eri qui... era la sua felicità. E sono sicura che se la sua felicità dovesse essere un’altra donna... tu saresti dalla sua parte, saresti contenta per lui.” Una lacrima le scivolò sulla guancia, mentre rialzava il viso e guardava la foto sorridente di Maggie, davanti a lei. “Ora vado, Tom mi aspetta. Ti voglio bene, amica mia.” Sospirò, soffiò un bacio in avanti e poi si voltò verso l’uscita, guardando quell’immenso cancello in acciaio.

Raggiunse la sua piccola macchina verde. Salì e mise in moto.

Sfrecciava verso l’appartamento del suo ragazzo e non poteva impedirsi di pensare e ripensare a Maggie, alla decisione di andarla a trovare dopo tanto tempo, al magone che le aveva stretto al gola per l’intera mezz’ora passata a fissare quel muro bianco e freddo.
Non avrebbe voluto più tornare a casa, ma si rendeva conto che era un comportamento stupido e di sicuro Margaret le avrebbe dato della ridicola e le avrebbe detto che doveva essere forte.
Ci stava provando, ci stava provando per se stessa, per la sua migliore amica, per Tom... Doveva essere forte e ci sarebbe riuscita.

Guardò per una frazione di secondo fuori dal finestrino e riuscì ad intravedere una gocciolina percorrere la lastra di vetro. Stava cominciando a piovere, probabilmente. Azionò i tergicristalli e sospirò pesantemente.

Aveva fatto bene ad andare al cimitero, si sentiva più tranquilla e meno in ansia.

Il suo telefonino squillò nella borsa, qualcuno la stava chiamando e già immaginava chi potesse essere quel ‘chi’. Rovistò a casaccio, ficcando la mano dentro alla borsetta rossa e tirò fuori il cellulare, guardando la schermata e sorridendo, senza però perdere di vista la strada di fronte a lei.

Tom.

“Pronto?”

“Becky, sono io”

“Si, lo so.” Soffiò una risata, infilandosi l’auricolare per guidare meglio. Lo sentì ridacchiare debolmente.

“Senti, ti dispiace se ci vediamo domani?” Mormorò e Rebecca non potè impedire ad una fitta di delusione di sfiorarle lo stomaco. “Stasera Bill mi porta a conoscere Melrose, riesci a crederci?” Be’, quella notizia era del tutto inaspettata. Assolutamente imprevedibile e lei ne era più che felice. Era ora.

“Sono contenta! Poi mi racconterai.” Sorrise, immaginandoselo agitato come se stesse per conoscere i genitori della sua fidanzata. Capiterà anche questo, prima o poi. “Se vuoi, ci vediamo quando torni”

“Dormi da me?”

“Se per te va bene.”

“Altroché! Aspettami a casa allora, le chiavi le hai.” Le schioccò un bacio nella cornetta e chiuse la chiamata dopo averle sussurrato un flebile “Ti amo.”

Rebecca sorrise.

 

***

 

Eccoli, c’erano quasi. Tom aveva parcheggiato davanti al bar del signor Schneider, dall’altro lato della strada. Ora non poteva più tirarsi indietro, doveva presentargliela.

“Che hai? Sei agitato?” Sorrise il suo gemello, spingendogli piano una spalla.

“Un pochino.” Scese dalla macchina e affiancò Tom. Cominciarono a camminare verso l’entrata, le loro braccia si sfioravano e ad ogni passo il cuore di Bill faceva un salto all’indietro.

Esitò davanti alla porta, poi afferrò saldamente la maniglia con una mano e la spinse verso l’interno, entrando nel locale ed incontrando subito gli occhi vispi e felici di Mel. Non potè non sorridere.
Era dietro al bancone con il suo grembiule verde e i capelli raccolti in una coda alta. Gli piaceva un sacco quando se li acconciava così, mettevano in risalto il viso, gli occhi verdi e quel collo... quel collo bianco candido che lui adorava.

“Bill!” Ridacchiò, agitando la mano in aria verso di lui. Probabilmente, ancora non aveva notato Tom.

I due si avvicinarono, sedendosi su due sgabelli di fronte a Melrose, che sorrise a Bill e guardò confusa il fratello.

“Oh, giusto.” Borbottò Bill, imbarazzato. “Mel, lui è mio fratello Tom. Tom, lei è Melrose, ti ho parlato di lei.” Con un leggero sorriso li indicò rispettivamente, guardandoli stringersi la mano.

“Molto piacere, è bello conoscerti.” Sorrise la ragazza, mettendo in mostra i suoi denti bianchi e perfettamente dritti.

“Il piacere è mio” Annuì Tom, studiandola attentamente. Era una ragazza a posto. “Finalmente Bill si è deciso a portarmi a vederti.” Rise, guardando di sottecchi il gemello che, silenzioso, li osservava. Un sorriso incerto sulle labbra. “Mi ha molto parlato di te, ero curioso.”

Melrose arrossì, imbarazzata. Gli aveva parlato di lei? Davvero?

“Si be’, insomma..” Bill si schiarì la voce, portandosi un pugno chiuso davanti alla bocca. “Tu a che ora finisci?” Chiese, rivolto alla biondina.

“Purtroppo questa sera non stacco prima di mezzanotte, il signor S ha disperato bisogno di aiuto. Jessica è in malattia.” Spiegò, mentre si dava da fare ad asciugare e riporre al loro posto bicchieri, piatti e posate. “Ma voi rimanete pure, un po’ di compagnia non mi dispiace.”

“Scusate.” Tom si alzò in piedi, mettendo le mani sul bancone chiaro. “Dovrei andare al bagno” Sorrise a Melrose, che, con un cenno del capo, gli indicò i servizi in fondo al corridoio sulla sinistra.

“Ti ho messa a disagio, portandolo qui?” Domandò Bill, arricciando il labbro inferiore e appoggiando il mento sulle braccia incrociate sopra al ripiano di legno.

“No, tutt’altro, mi ha fatto un piacere enorme.” Si girò verso di lui, con il suo sorriso sereno e rassicurante. Ogni volta che Bill glielo vedeva dipinto in faccia si sentiva bene. Bene nel vero senso della parola. Il suo stomaco in subbuglio si rilassava, i nervi si distendevano e poteva stare sereno. In pace con il mondo. “E tu... tu ti senti a disagio a stare con lui... insieme a me?” Deglutì, sfuggendo al suo sguardo.

“Io? Io... perché dovrei?” Boccheggiò per pochi secondi, quella domanda non se l’aspettava. “Non ho niente da nascondergli... no?” Scosse la testa, confuso.

In giro si mormora che sia proprio colpa del cantante…
Si dice che abbia cominciato a drogarsi.. e che i componenti della band lo abbiano sbattuto fuori
..

Le parole di Jess le tornarono alla mente così vivide e potenti che non le fu possibile cancellarle dalla sua testa. Se n’era dimenticata. In tutto quel tempo che aveva passato con Bill, imparando a conoscerlo... non aveva più pensato alla possibilità che lui avesse problemi con la droga.
Che doveva fare, adesso? Lo aveva lì, davanti a lei, visibilmente in difficoltà e... insomma, che nascondesse qualcosa ormai era un fatto certo. Tanto valeva provare, magari avrebbe potuto fare qualcosa per aiutarlo... in qualche modo.

“Bill tu... tu hai qualche tipo di... problema, con la droga o che so io?” Domandò a bassa voce, non guardandolo negli occhi, mentre serviva un cliente che aveva chiesto una birra media.

“Droga? Ma che diavolo stai dicendo?” La guardò sbigottito, gli occhi leggermente più grandi del normale e la bocca semichiusa.

Melrose sospirò, fece il giro del bancone e lo prese per un polso. Una scarica elettrica le attraversò il corpo intero: non si era mai azzardata a toccarlo. Lo trascinò dietro il bancone, insieme a lei, e lo fece sedere su uno sgabello lì vicino, cosicché potessero parlare tranquillamente, lontano da ascoltatori indiscreti.

“Sto cercando di dirti che... io credo che tu... tu mi nasconda qualcosa.” Mormorò, terribilmente in imbarazzo. Nonostante avessero raggiunto una certa confidenza, si sentiva comunque indiscreta ad affrontare determinati discorsi insieme a lui.

Bill serrò la mascella, stringendo i pugni sulle ginocchia. Doveva mantenere la calma, lei non sapeva niente, non era colpa sua.

Restò in silenzio, non sapendo cosa dire.

“Sei sempre così schivo e misterioso, Bill.” Scosse la testa, mortificata. “Io non lo so cosa ti prende, però vorrei che me ne parlassi. Vorrei che provassi a confidarti con me. Io... io ti potrei aiutare, che ne so. Ci tengo a te, e, a sapere che ti butti via così, mi sento male. Parlami, sono qui, ti posso ascoltare...”

“Melrose, non è come credi tu.”

“Senti, Bill, non voglio che tu mi dica bugie, non sono nessuno per farti questo tipo di discorsi, lo so... però, non lo so, mi innervosisco ogni volta che usciamo. Sei silenzioso, sei riservato... ma lo sei troppo, Bill! A volte non parlo per paura di dire la cosa sbagliata che potrebbe farti scattare, allora preferisco il silenzio. Non è normale Bill, io sono solare, sono chiacchierona... È difficile mettermi dei freni, capisci?” Parlava quasi senza rendersene conto, continuando ad asciugare i bicchieri e a servire i clienti.

“Melrose, basta, ti prego.” Bisbigliò, gli occhi già lucidi. Mel non se ne accorse. Chissà dove si era cacciato Tom! Probabilmente aveva chiamato Rebecca, ed ora era al telefono con lei.

“Bill... Bill, lo sai che se hai qualsiasi problema puoi parlarne con me. Ti voglio bene, posso aiutarti. Ma se non me ne parli è difficile. Insieme possiamo cercare di risolverlo, non credi?”

“BASTA!” Sbraitò, alzandosi in piedi e sovrastandola in tutta la sua altezza. Mel sgranò gli occhi, guardandolo allibita. Aveva paura. “Stai zitta, stai zitta! Che cazzo di aiuto vuoi darmi?! Hai una macchina del tempo? Sai far resuscitare i morti? Dimmelo Melrose, dimmelo!” Avanzò di qualche passo, facendola sbattere contro il lavello. I clienti erano girati verso di lui, tutti quanti. “SAI FAR RESUSCITARE I MORTI?! RISPONDI!” Le prese un braccio, dandole una scrollata, rischiando di slogarle una spalla.

“No...” Bisbigliò con la voce strozzata.

“E allora non mi sei di nessun aiuto.” Sibilò lapidario, assottigliando gli occhi.

“Ehi, va tutto bene?” Chiese Tom, che era arrivato solo in quel momento ed era riuscito ad afferrare solamente l’ultima frase.

“Scusate.” Singhiozzò Melrose con le lacrime che le colavano sulle guancie, trascinandosi dietro anche un po’ di matita nera. Gettò lo strofinaccio nel lavandino e corse via, nel retrobottega, lasciando un Bill attonito davanti al bancone.

“Bill, ma che cazzo hai fatto?” Sbottò Tom. Il fratello si passò una mano sulla faccia, chiudendo gli occhi e respirando profondamente. Già, cos’aveva fatto?

“Andiamo a casa.” Sussurrò pochi secondi dopo, precedendo il gemello fuori dal locale, sotto gli sguardi increduli di tutti i presenti, che avevano assistito a quella penosa scenetta.
 

***

Ciao a tutte! ^__^
Ecco servito il dodicesimo capitolo di “Ci sarà”! Siete contente quanto me? *Q* Uhm, non penso (:
Dunque in questo chap possiamo notare che il nostro Bill sbrocca abbastanza e Melrose ci rimane molto, molto male. Comprensibile, no? Prima o poi doveva succedere questa “piccola” sfuriata, ma le cose si sistemeranno? Uhm, forse sì, forse no xD State con me per scoprirlo u.u
Il paragrafetto all’inizio di tutto è una poesia che devo aver letto da qualche parte girando in internet, mentre quella che segue è la bellissima “Come saprei” di Giorgia.
Ringrazio di cuore le cinque persone che hanno recensito lo scorso capitolo :

Tokietta86 : Sicuramente anche Bill è molto preso da Melrose, ma ammetterlo sarebbe devastante e completamente diverso, purtroppo. Ha fatto un passo avanti, portando Tom a conoscerla, ma come hai letto le cose non sono proprio andate secondo i piani. Io comunque tifo per loro xD Un bacio e grazie, grazie, grazie per esserci sempre!  

Memy881 : Oh, ma quanti complimenti ;) Grazie mille, davvero. Sono strafelice che la storia ti piaccia così tanto! Addirittura un “puro insegnamento alla vita”? Uhm, no dai.. non credo di fare così tanto XD Grazie ancora, alla prossima!

_Pulse_ : Divento strabica a leggere le tue recensioni xD Ma lo sai che i boxer da maialino esistono seriamente? Ahahah dopo te la spiego questa cosa! XD Comunque sì, sono teneri assai Mel e Alan, io li adoro *Q* In questo capitolo Tom e Mel non parlano ancora, non molto almeno.. Per quella chiacchierata dovrai aspettare il tredicesimo! ^__^   E COMUNQUE, lo so che Mel e Bill suonano assai bene insieme u.u Ussì baby, ma non posso fare i miracoli, ci vuole tempo u.u Intanto Billie ha fatto quel mega sorrisone largo e splendido! Me lo sono riuscita quasi ad immaginare, è stato emozionantissimo! Grazie mille Sonne! Ti voglio tantissimo bene, tua Mondissima! *__* 

Sarah92 : Ma di cosa dovevi angosciarti, quel disegno è una meraviglia! Io l’ho adorato all’istante (:
Sì beh, so che il primo capitolo è rimasto nel cuore per la sua carica emotiva, non sei la prima che me lo dice ;) Forse è stato struggente abbastanza da entrare in testa xD In effetti, il testo si intrecciava alla perfezione con la canzone di Raige, proprio perché è stata quella canzone ad ispirare l’intera storia. Dovete, dunque, ringraziare quel buon uomo se la mia testolina ha elaborato tutto questo. Senza “Ci sarà” non avrei avuto quest’idea sconclusionata.
Riguardo ad Alan, sarà un paradosso, ma la penso come te xD infatti ho pensato qualcosina per il suo futuro (: Melrose, insomma, se ne farà una ragione!
Rebecca, come hai detto, è un po’ la coscienza di tutto, sì. E’ l’unica razionale, nonostante anche lei soffra silenziosamente per la perdita della sua migliore amica. Possiamo notarlo anche in questo capitolo, durante la sua visita alla tomba di Maggie. Se tutta ragionassero come fa lei..
Don’t worry, Giorgio e Gustavo rientreranno nel quindicesimo e questa volta per rimanere sul serio! Ho solamente dovuto appianare le cose tra Bill e Mel, ci voleva!
Ti ringrazio per la tua recensione e, soprattutto, per il tempo che spendi a correggere i miei disastri ^__^ Un abbraccio, Ale!

Dreamer483 : Oh ma buongiorno, una new entry! :D Ti ringrazio per la tua recensione. In effetti sì, la malinconia è alla base di questa storia e, soprattutto, nel personaggio di Bill.  L’abbiamo quasi sempre trovato solare e allegro, ma in questa fiction le cose sono ben diverse. Ho voluto sperimentare qualcosa di nuovo, qualcosa di diverso, ed è stato proprio Guglielmo ad ispirare questa diversità! Che ci vuoi fare, ha il fascino del bello e dannato :D
Un bacio e alla prossima!

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Capitolo 13
*** Confessione ***


Capitolo 13 - Confessione

 

“Farti male, mi fa male
tutto questo dimmi che senso ha”

 

Arrivò tremante nel bagno dei dipendenti, si appoggiò al lavandino, guardandosi allo specchio... Osservando quelle lacrime cristalline che, di smettere di scivolarle giù dalle guance, proprio non ne volevano sapere. Le sfuggì un singhiozzo più forte degli altri, mentre quelle parole rabbiose e cattive le rimbombavano in testa come se fosse un incubo.

Stai zitta! Stai zitta! Che cazzo di aiuto vuoi darmi?!

Sai far resuscitare i morti?

E allora non mi sei di nessun aiuto

Si portò le mani davanti al viso, per nascondere gli occhi gonfi e rossi, sperando... attaccandosi alla remota possibilità che tutto quello non fosse successo davvero.

Sai far resuscitare i morti?

Chi era morto? Di chi stava parlando Bill, quella sera?
Era dunque questo, il suo segreto... Era il dolore della perdita che il ragazzo di cui si era innamorata si stava trascinando sulle spalle? Non se lo sarebbe aspettato, non lo avrebbe mai nemmeno lontanamente immaginato.

Ora però tutte le cose tornavano perfettamente al loro posto. Bill si irrigidiva quando si parlava del canto, o della band, o di qualsiasi fatto della sua vita passata... perché qualcuno di quella stessa vita non c’era più. Era morto.

Chi?

Chi non c’era più?

Di una sola cosa era certa, in quel momento: Bill non aveva alcun tipo di problema con la droga.

 

 

***

 

“Ma io vivo nel ricordo che
sgomitando si fa spazio in me
di un amore che purtroppo non sei te...”

 

Tom guidava silenzioso, Bill gli aveva appena raccontato a tentoni quello che era successo tra lui e Melrose, qualche minuto prima. Era arrabbiato, arrabbiato da morire.
Comprendeva Bill, capiva il suo dolore... perché era anche il suo. Ma non poteva comportarsi così, non poteva caricare anche le spalle degli altri. Quella ragazza era stata così disponibile... invece era stata trattata a pesci in faccia. Non se lo meritava e Bill doveva capirlo.

“Puoi continuare a non parlarmi, se vuoi.” Mormorò il moro, guardando fuori dal finestrino con aria assente. Sapeva che suo fratello ce l’aveva con lui, sapeva anche  il motivo e gli dava ragione.
Aveva avuto quella stupida sfuriata poco fa... e se n’era pentito, immediatamente. Se n’era pentito nell’istante in cui aveva incontrato gli occhi spaventati di Melrose.
Aveva avuto paura di lui e questo non riusciva a perdonarselo. Non aveva fatto niente! Anzi, aveva fatto fin troppo per lui, lo aveva accettato e gli aveva voluto bene per com’era, senza chiedere nulla in cambio. Era questo il trattamento che si meritava? No, proprio no. Era uno stronzo. Uno stronzo insensibile.
“Lo so che sei arrabbiato.” Continuò, sbuffando lievemente.

Tom, che sembrava rinchiuso in una fase di mutismo, non gli prestò attenzione, continuando a guidare verso casa, silenziosamente.

“Okay, ignorami... Fai bene, me lo merito. Hai ragione.” Bill sembrava essersi sintonizzato sulla modalità ‘vittima da consolare’, e Tom non potè impedirsi di rimanerne stupito. Era da un sacco di tempo che Bill non si comportava così... normalmente. Era da prima della scomparsa di Margaret che Bill non era più così... Bill. Sì, non gli venivano in mente altre parole per descrivere il suo comportamento un po’ infantile.

“A me basta che tu ti sia reso conto del tuo sbaglio.” Borbottò, girando a destra e sbucando nel loro quartiere. Era terribilmente presto, non credeva di dover rientrare appena alle nove e mezzo di sera! Rebecca sarebbe arrivata solo entro tre quarti d’ora. “Ora vado a prendere Becky, ci vediamo domani Bill.” Sospirò, guardandolo scendere dalla sua auto.

“Tomi?” Mormorò l’altro, il labbro tremulo.

“Sì?”

“Secondo te mi vorrà ancora vedere?”

“Non ci sono dubbi.” Sorrise bonariamente. Era molto probabile che Bill non avesse notato il modo in cui quella ragazza lo guardava. Pendeva chiaramente dalle sue labbra, le brillavano gli occhi e... aveva paura di sapere quale sentimento nutrisse nei confronti di suo fratello. Il problema, dunque, era: Bill sarebbe riuscito a gestire una situazione simile?

“Allora mi scuserò con lei, cercherò di rimediare.” Abbozzò un sorriso e, accennandogli un saluto, sparì dentro al portone del suo palazzo.

Tom sospirò, massaggiandosi le tempie con la punta degli indici. Si stava demolendo giorno dopo giorno, non ce la faceva più a continuare così.
Guardò l’orologio, le nove e quaranta. Lanciò un’occhiata anche al cellulare e... decise. Decise che avrebbe fatto in tempo a ritornare al bar prima che Rebecca arrivasse a casa sua.
Doveva farlo. Lo doveva a Bill, soprattutto. Ma lo doveva anche a Melrose, quella ragazza così... innamorata.

 

 

***

 

 

“Quanto amore c’è
pronto a scoppiare in me”

 

“Mel, piccola, posso sapere che ti prende? Sei distratta.” Il signor S la affiancò, scrutandola attentamente. Aveva gli occhi gonfi e sembrava persa in un altro mondo. Lo avvertiva quando c’era qualcosa che non andava. Ormai la conosceva come le sue tasche.

“Scusi, non mi sento molto bene.” Mormorò, tirando su col naso e passandosi un braccio sugli occhi. Una piccola bugia che poi, tanto bugia non era.

“Vuoi andare a casa?” Le chiese amorevole. “Io e Monica ce la possiamo cavare, se tu hai bisogno di una serata libera.” Sorrise, sfilandole di mano lo strofinaccio.

“Forse.. forse è meglio che vada a casa, sì” Annuì tristemente, slacciandosi il grembiulino e appoggiandolo nel mobiletto sotto la cassa. “Grazie signor S, domani le prometto che sarò come nuova.” Sforzò un sorriso e, cinque minuti più tardi, era già in strada, diretta verso casa. Sfortunatamente, quella sera, era a piedi e faceva un freddo cane.

Calciò un sassolino per terra, prendendo un lungo e profondo respiro.
Quel giorno era così contenta di poter rivedere Bill, di poter stare ancora un po’ con lui.. non aveva messo in conto di doversi ritrovare in una posizione così spiacevole. Per non parlare della curiosità che le rodeva lo stomaco. Voleva sapere.. voleva sapere se poteva fare qualcosa, qualsiasi cosa per lui. La morte non si poteva combattere, ma si poteva ricordare con un sorriso, seppur malinconico. Voleva essere lei a fargli tornare il sorriso. Avrebbe voluto anche essere il motivo della sua felicità, ma non si azzardava a chiedere troppo.

Ficcò le mani in tasca, continuando a camminare a testa bassa, senza guardare la strada che stava percorrendo. Sarebbe potuta anche arrivare in capo al mondo, non le importava.
L’unica cosa che voleva, in quel momento, era Bill. Solo ed unicamente Bill.

“Ehi!” Sentì gridare qualcuno, poco lontano da lì, ma non si pose nemmeno il problema che potessero chiamare lei. “Melrose!” Si bloccò un istante, irrigidita, poi si girò ed incontrò un viso familiare. Tom Kaulitz era a pochi metri da lei e aveva accennato un’imbarazzante corsetta per raggiungerla.

“Ciao.” Sfiatò non appena le fu davanti, con il respiro irregolare di uno che ha appena corso il cento metri.

“Ciao.” Mormorò Mel “Che ci fai qui?”

“Io... ho parlato con il proprietario del bar... mi ha detto che ti ha rimandata a casa, ma che non dovevi essere lontana visto che sei a piedi...” Sbuffò, riprendendo a respirare normalmente. “Così... io ti dovrei parlare.”

“Ah, e di cosa?”

“Bill.”

“Oh...” Mormorò, guardando in basso.

“Vieni, qui si gela andiamo in macchina.” La ragazza annuì e lo seguì all’interno della sua Audi, in silenzio e mortalmente imbarazzata.

“Bene.” Tom si sfregò le mani, il volto adombrato, stava per affrontare una conversazione piuttosto difficile. “So che tu ora ti starai chiedendo perché sono venuto fino a qui, nemmeno ci conosciamo... però, insomma, Bill mi ha raccontato vagamente quello che è successo tra voi poco fa ed io penso che tu ora avrai mille e più domande che ti girano in testa.” Mel non parlò, si limitò a fare un distratto cenno del capo, esortandolo a continuare “Mio fratello non sta bene, da un po’ di mesi a questa parte... ha perso due persone importanti e...” Si fermò, facendo un respiro profondo, parlarne non rientrava nelle cose semplici da fare per lui. Guardò di sottecchi Mel, che lo ascoltava con gli occhi leggermente sgranati, incollati alle proprie mani che teneva raccolte in grembo. “Voglio essere diretto, Melrose, oppure non ne vengo più fuori. L’autunno scorso Bill ha perso la sua fidanzata, che in grembo portava loro figlio.” La sua voce si incrinò appena, e il suo corpo fu scosso da un leggero tremito. “Erano insieme, quando è successo, in macchina. Hanno fatto un incidente e lei ha sbattuto la testa... i medici hanno provato a fermare l’emorragia, ma non c’è stato niente da fare.” Scosse il capo, sentendo gli occhi pungere.

Melrose trattenne il respiro e si portò una mano alla bocca. In quel momento avrebbe voluto scomparire, venire risucchiata da una voragine buia ed infinita.

“Io... io...” Balbettò  “Mi dispiace.”

“Volevo solo che tu sapessi... che tu, in questo modo, potessi comprendere l’umore instabile di Bill, i suoi alti e bassi. Vorrei, vorrei che tu riuscissi a stargli vicino, nonostante il suo comportamento scostante.” Cercò di sorridere. “So cosa provi per lui.” Azzardò infine.

“...Cosa?” Chiese con un filo di voce lei, allarmata. Come faceva a saperlo? Chi glielo aveva detto?

“Il tuo sguardo è quello di una ragazza innamorata, non provare a negarlo. Ti ho vista, li ho visti i tuoi occhi che accarezzano la sua immagine come se fosse la cosa più bella del mondo. Lo so, Melrose, so che sei innamorata di lui perché.. perché anche lei lo guardava così.” L’ultima frase gli uscì strozzata, come se non volesse realmente dirla, anche se era pura e semplice verità.

“Io... io non so che cosa dire. Sì... hai ragione ma...” Si bloccò, deglutendo e cercando di far ritornare il suo respiro regolare. “Ne vale la pena?”

“So com’è fatto Bill, non ti nego che ci vorrà pazienza e costanza... Ti costerà molti sacrifici. Però, so anche che lui nutre un immenso affetto nei tuoi confronti, mi parla spesso di te e ogni volta che lo fa si perde in un mondo tutto suo. Ci tiene, davvero.”

Socchiuse la bocca nell’udire quelle parole che mai... mai avrebbe immaginato di sentirsi dire. Bill ci teneva a lei, le voleva...bene, quindi?

Sì, ce la poteva fare... Poteva stargli vicino anche in momenti bui come quello.

“Tom, posso... posso farti una domanda, un po’ indiscreta?” Tentennò, ma ormai voleva andare fino in fondo.

Il chitarrista annuì, facendole un sorriso e un lieve gesto con la mano che indicava un ‘via libera’.

“Come... come ha reagito Bill, subito dopo?” Le uscì spontaneo quel quesito, lei voleva sapere cosa aveva passato il ragazzo, prima che loro due si conoscessero. Voleva sapere quanto aveva sofferto, fino a che punto.

“Il primo periodo mi sono trasferito a casa sua, volevo stargli vicino, impedire che si autodistruggesse o facesse qualche cavolata. Ma lui era... spento, non era più vivo. Si rinchiudeva in camera sua e spesso passavano anche un paio di giorni prima che io lo vedessi uscire. Stava nella penombra di quella stanza per ore. Senza parlare, senza mangiare, senza muoversi. A volte mi chiedevo... se respirasse ancora.” Guardò fuori dal finestrino, soffermandosi su un lampione la cui luce tremolava, si stava per spegnere. Era rotto.
Bill non farà la fine di quel lampione, Bill non si spegnerà..

“Sono innamorata di tuo fratello, Tom. Ma... non voglio sostituire nessuno io.” Bisbigliò, scuotendo la testa. A quell’affermazione, il ragazzo non seppe come ribattere.

Margaret non sarebbe mai stata sostituita da nessuno, di questo ne era convinto. Però, forse, Mel sarebbe potuta diventare il capitolo successivo, e non quello di sostituzione.

 

“Come saprei, amarti io
nessuno saprebbe mai.
Come saprei, riuscirci io
ancora non lo sai”

 

 

***

 

 

Si mise raggomitolato sul divano, con una tazza di the tra le mani e una coperta di pail ad avvolgere il suo corpo magro e rinsecchito.
Aveva freddo e il senso di colpa lo stava uccidendo. Non voleva farle del male, non voleva proprio... ma puntualmente ogni volta rovinava tutto con uno dei suoi deliri interiori.

Doveva cercare di riparare ai suoi danni, e rendersi conto che Melrose era viva, era reale... ed era lì per lui. Voleva stargli vicino e lui la allontanava sempre di più, quando invece l’unico suo desiderio era di averla sempre accanto.

Sospirò sconfitto. Aveva distrutto tutto con il suo comportamento che, seppur in un qualche modo giustificato, era esagerato... almeno nei confronti di quella povera ragazza innocente.

Il suono del campanello lo fece sussultare. Alzò lo sguardo verso la porta, guardandola incerto, chi poteva essere? Tom era fuori discussione, in quel momento probabilmente era a casa con Becky. Si alzò dal suo comodo divano, ciabattando fino all’uscio, aprendo incerto la porta.

Non si sarebbe mai aspettato di vedere lei.

“Ciao.” Mormorò Melrose, le gote leggermente arrossate. “Mi ha accompagnato qui tuo fratello.” Mormorò, rispondendo alla sua tacita domanda.

“Io...” Non fece in tempo a ribattere che si ritrovò la biondina tra le braccia, le sue mani sulla schiena e la testa piena di folti capelli dorati appoggiata al petto.

Boccheggiò non sapendo cosa fare, inerme a guardare quella testolina appoggiata a lui... Poi, ritrovando in sé la forza e il coraggio, ma soprattutto l’affetto che nutriva per Mel... le circondò le spalle in un abbraccio un po’ goffo, stringendosela forte contro il petto, respirando il profumo dolce dei suoi capelli, e cercando di imprimerselo nella memoria.

Si chinò, incerto, e le posò un bacio sulla nuca, appoggiandoci subito dopo il mento sopra e rimanendo in quella posizione per minuti eterni che sembrarono ore.

“Vieni...” Mormorò poi, ricomponendosi e guardandola addolcito. Scrutandola in quegli occhi lucidi e ancora tristi. “Dobbiamo parlare.”

La guidò verso una poltrona e la fece sedere, per poi accomodarsi di fronte a lei.

“Volevo dirti che mi dispiace se prima...”

“No” Lo interruppe lei, portando una mano avanti con un sorriso incerto sulle labbra. “Non sono qui per questo. Lo so che ti dispiace e che non volevi, lo so. Ti ho già perdonato Bill, sai che non potrei essere arrabbiata con te.” Sospirò, guardando verso il basso, si stava contorcendo le dita. Era terribilmente in ansia, non sapeva se stava per fare la cosa giusta.

“Voglio essere sincera fino in fondo con te, Bill. E per farlo ho bisogno che tu sappia quali sono i miei sentimenti nei tuoi confronti...” Mormorò, azzardando un’occhiata in sua direzione e notando che aveva sgranato di poco gli occhi.

“Non dirlo, ti prego...” Sussurrò lui. Non era pronto, non era pronto ad una cosa del genere.

“Non mettermi freni ti supplico, è già abbastanza difficile così.” Melrose scosse la testa mortificata. Sapeva che non era facile nemmeno per lui, ma lei non poteva portarsi avanti questo peso... Doveva dirglielo, lui doveva sapere! E poi.. poi avrebbe preso una decisione.

“Io... ti amo, Bill...”

Il silenzio che ne seguì fu, in tutta la vita di Mel, una delle cose che la ferirono di più.

“Scusa...” Continuò poi, sentendo le prime lacrime fare capolino dai suoi occhi stanchi. Si alzò dalla poltrona e si diresse verso l’uscita, non poteva sostenere il suo sguardo addosso per un secondo di più.

Bill sentì i suoi passi svelti allontanarsi, udì la porta sbattere con un tonfo ovattato da quel silenzio irreale... poi più niente. Il nulla.

Rimase fermo immobile come una statua per un lasso di tempo che parve eterno, il respiro leggermente irregolare e gli occhi vitrei.
Il dolore che sentiva pungolargli il petto era peggio di qualsiasi tortura fisica, faceva male. Tanto male che, se solo ci fosse riuscito, si sarebbe accasciato a terra e avrebbe pianto... avrebbe pianto.

Mel era scappata via... Era scappata via da lui e dal suo egoismo.
In quei due mesi aveva sempre dato per scontata la sua presenza e la sua vicinanza, senza preoccuparsi dei suoi sentimenti, delle sue emozioni.
Lo amava. Lo amava e glielo aveva appena detto. Solo... non credeva che potesse farlo angosciare tanto.
Era felice? Non lo sapeva, non riusciva a decifrare i pensieri che, confusi, alloggiavano nella sua testa. Non riusciva ad isolarli e a renderli parte di sé.
Sapeva solamente che la gioia che provava in quel momento era strana, difettosa... era una gioia consapevole di non poter essere vissuta pienamente.

Strinse i pugni sopra alle ginocchia e un singhiozzo gli sfuggì dalle labbra.

Era bello, era contento, era... era affranto. Lui non voleva farle del male, non voleva ferirla. Ma sapeva di non poter vivere fino in fondo quel sentimento. Ce n’era un altro che non gli lasciava tregua, un altro sentimento non più profondo, non più importante, solo... diverso.

Maggie era un marchio a fuoco nella sua vita. Un marchio che nessun altro amore, nessun’altra vita avrebbero mai potuto cancellare. Lei c’era, la sentiva nell’aria che respirava ogni giorno... solamente, non avrebbe mai più potuto vivere di lei. Erano passati sette mesi e mezzo e solo ora se ne rendeva conto.

Melrose invece era viva, era tangibile. Era l’allegria nelle sue giornate adombrate da ricordi dolorosi e lontani. Era il presente, che gli ricordava che per lui poteva esserci ancora un futuro... e non solo l’angoscioso passato che gelosamente si teneva stretto al petto, con il terrore che qualcuno potesse portargli via la sua memoria, i suoi pensieri, il suo amore verso qualcuno che non c’era più.

Poteva essere lei quella donna che gli avrebbe restituito parte della felicità che ormai credeva di aver perduto per sempre?

Bill sorrise. Un sorriso sincero. Sorrise e in quell’apparentemente insignificante curvatura di labbra c’era Melrose, c’erano Margaret e il loro bimbo mai nato, c’era Tom, c’era Rebecca, c’erano Georg e Gustav.

C’era una nuova vita.


“...Io ci metterò, tutta l’anima che ho”

 

***

Buongiorno! ^___^
Dunque, questo capitolo a me piace moltissimo. Non so bene il perché ma mi piace *-*  Soprattutto i pensieri di Bill alla fine!
Le canzoni che ho inserito sono “Io non credo nei miracoli” di Laura Bono e sempre “Come saprei” di Giorgia. Sono bellissime, ve le consiglio.
Spero che anche a voi sia piaciuto questo capitolo che, ormai, è il tredicesimo ragazze!
Vi confesso che non ho ancora idea di quanti saranno in totale, per ora ne ho pronto solo un altro, visto che ho “sospeso” la mia attività fino alla fine della scuola. Ancora una settimana e poi ricomincerò a scrivere, magari più tranquilla visto che sarò mooolto meno stressata (:
Ringrazio velocemente: memy881, _Pulse_, Dreamer483, Layla, Tokietta86 e Sarah92.
Non ho moltissimo tempo, scusate! Ma tanto lo sapete che vi amo *____*

Grazie anche a tutti gli altri, voglio bene anche a voi (;

Un bacio enorme, Ale.

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Capitolo 14
*** Avvicinarsi ***


Capitolo 14 - Avvicinarsi


Ma perché non riesco a viverti
come io vorrei..”


Erano passati due lunghissimi giorni, Bill non aveva più sentito Melrose. Lei non l’aveva più cercato, forse stava aspettando una sua mossa, il suo primo passo. Non lo sapeva, sapeva soltanto che gli mancava da morire. Avrebbe voluto averla vicina, in quel momento, ma sapeva di non poter chiedere così tanto. Mel gli aveva fatto una confessione importante e tutto quello che le aveva saputo donare in cambio era... il silenzio. Puro e rumoroso silenzio.

Il giorno prima aveva visto Georg e Gustav, avevano pranzato insieme e si erano ripromessi di vedersi qualche giorno più tardi. Bill gli voleva bene, era felice di avere la possibilità di recuperare l’amicizia con loro. Un passo alla volta ci stava riuscendo, si stava rimettendo in piedi.

Tirò un calcio ad un paio di calzini che si trovavano in mezzo alla sua camera e si alzò dal letto, non ne poteva più di restare a poltrire sotto le coperte.
Come ogni mattina il suo sguardo si posò sulla cornice che teneva incollata al comodino. Guardò quel viso pulito e candido... e sorrise. Un sorriso ampio, vero.

Buongiorno Maggie.” Arrossì, non aveva mai parlato con una foto, tanto meno con quella foto. Si sentiva un tantino stupido, ma dopotutto era solo a casa. Che male c’era? “Stanotte ho preso una decisione importante, Sai? Vorrei parlare a Mel di te... dell’incidente, del bambino.” La sua voce si spezzò, nel ricordare l’accaduto. Prese un respiro profondo e continuò. “Lei è stata onesta con me, voglio esserlo anche io... sebbene non possa farlo fino in fondo. I miei sentimenti nei suoi confronti, rimarranno con me... almeno un altro po’” Mormorò, guardando in basso. “Mi manchi...” Soffiò, prendendo tra le mani la fotografia e accarezzandone la superficie con la punta delle dita. “Mi basterebbe sapere che secondo te è giusto che io mi crei un’altra vita... e sarei capace di vivere fino in fondo ogni cosa. A partire da quello che provo verso Melrose.” Sospirò, rimettendo la foto al suo posto e alzandosi in piedi. Lui già sapeva che Margaret avrebbe voluto solo la sua felicità.

E allora perché per lui era così difficile ammetterlo?


***


Io non credo nei miracoli
tu sei stato per me l’eccezione,
anche solo per un attimo
ma sai che ci ho creduto in noi”


Mise le mani sotto il getto dell’acqua fredda, lavando via tutto il sapone che c’era sopra, poi si avvicinò ad un asciugamano e se le asciugò.

Si fermò un istante, guardando riflesso nello specchio il suo viso pallido e le occhiaie più marcate del solito. Nelle ultime due notti non aveva dormito molto bene, anzi.. non aveva dormito per niente.

Si era imposta di non chiamare Bill, di non lasciarsi andare alla tentazione di prendere il cellulare e comporre il suo numero. Aveva parlato e adesso... adesso spettava a lui farsi risentire, farla capire che non ce l’aveva con lei e che voleva continuare a vederla, nonostante quella piccola verità che adesso fosse venuta a galla.

Sarebbe stato imbarazzante rivederlo, già lo sapeva... Sarebbe morta di vergogna e avrebbe desiderato sotterrarsi, ma per lo meno adesso stava in pace con se stessa.

Chi è adesso?” Sbuffò, recuperando il suo telefonino che aveva appena suonato dalla camera adiacente. Lo raggiunse con una corsetta e aprì il messaggio che le era appena arrivato.

Vengo a prenderti tra poco, fatti trovare pronta. Dobbiamo parlare. Bill.

Rimase con il cellulare in mano, la bocca semi spalancata e gli occhi sgranati. L’aveva cercata! Le aveva mandato un messaggio e tra poco si sarebbero rivisti!
Il cuore fece un salto all’indietro nel suo petto, non sarebbe potuta essere più felice di così. Schizzò nella sua camera, lanciando un gridolino emozionato. Fortunatamente, era sola a casa. Arrivò davanti all’armadio e lo aprì, tirando fuori un paio di jeans e una felpa, poi ritornò in bagno per prepararsi.


Inspirò ed espirò velocemente, poi tirò la maniglia verso il basso ed aprì la porta, uscendo fuori all’aria aperta. Attraversò il cortile, seguendo il sentiero di cemento. Sapeva che lui era già arrivato, aveva sentito il rombo della sua macchina e, tirando la tendina, l’aveva visto parcheggiare davanti al cancello di casa sua.

Uscì in strada facendo un respiro profondo e camminando a passo di marcia verso l’Audi di Bill. Ci arrivò davanti e, aprendo lo sportello, entrò dentro senza dire una parola. L’imbarazzo era alle stelle, si poteva percepire a chilometri di distanza.

Ciao Mel.” Esclamò lui, stupendola con un sorriso che mai, mai, mai gli aveva visto addosso. Non era una semplice curvatura, era un sorriso ampio, pieno, felice. Era un sorriso che non credeva di poter vedere sulle sue labbra perennemente imbronciate.

Ciao..” Mormorò stordita, dimenticandosi per un attimo di tutto l’imbarazzo che provava a stare con lui e quella distanza ravvicinata, dopo la loro ultima conversazione. Deglutì, notando che lui non accennava a smettere di sorridere. “Come stai?” Chiese, dunque.

Molto bene!” Annuì e, per la prima volta, non ebbe la sgradevole sensazione che lo stesse dicendo solo perché si sentiva obbligato. Stava bene per davvero. “E tu?”

Io? Oh.. io.. sì, io tutto perfetto.” Tirò su un pollice, annuendo velocemente, facendo oscillare la testa come uno di quei ridicoli pupazzetti con la molla.

Benissimo, allora si parte.” Ridacchiò, riaccendendo il motore della macchina e schizzando via con una sgommata. Chissà dove la stava portando.

Dal canto suo, a Bill dispiaceva fare finta di niente, fingere che la dichiarazione che si era sentito fare non fosse mai esistita. Ma era difficile gestire quella situazione insolita e, per lui, sconosciuta.


Mentre mi difendo
sento che vorrei proteggerti da me.”


Melrose guardava fuori dal finestrino, serena. Era tranquilla e per la prima volta da quando aveva cominciato a frequentare Bill, poté ascoltare la musica uscire dalla radio che era installata in macchina. Non era mai successo.

Sospirò rasserenata, girandosi appena verso di lui, senza farsi vedere. Guidava con un perenne sorrisino dipinto in faccia. Gli faceva quasi paura, era tutto così nuovo e diverso da come era abituata.

Non se ne rese neanche conto quasi, ma la macchina si fermò. Si guardò intorno spaesata, riconoscendo la stradina di campagna in cui Bill l’aveva portata appena qualche giorno prima. Erano stati benissimo all’aria aperta, quel pomeriggio.

Dai, vieni. Facciamo una passeggiata.” Sorrise lui, uscendo dall’abitacolo ed invitandola a fare lo stesso.

Presero a camminare lungo il sentiero ghiaioso, incrociando un passo davanti all’altro, le braccia penzoloni che ciondolavano di qua e di là.

Bill guardava oltre le basse colline, che erano situate aldilà della staccionata di legno scuro. Il sole si stava alzando nel cielo limpido e azzurro ceruleo.
Melrose guardava Bill. Lo guardava e non riusciva a farne a meno, era cosi bello illuminato dalla luce di quel mattino di frizzante primavera.. splendido.

Tu sei stata sincera con me, l’altra sera.” Iniziò Bill, guardando in basso e arrossendo appena. Stava per cominciare un discorso assolutamente tabù per lui. Almeno fino a quel momento. “Voglio esserlo anche io, nei tuoi confronti... Voglio raccontarti la mia... storia, se così la possiamo definire.”

Il cuore di Melrose saltò un battito: le stava per raccontare la tragedia successa lo scorso autunno, quella che già Tom le aveva anticipato. Lo stava facendo, si stava confidando con lei!

Non sapeva se essere felice perché finalmente le stava donando la sua fiducia, oppure essere triste e terribilmente amareggiata per la fine di quel racconto... che lei sapeva già.

Decise di far finta di nulla, di ascoltare le parole fluire veloci dalle labbra del moro, che guardava un punto imprecisato davanti a lui, l’espressione persa e vacua.

Quasi quattro anni fa ho conosciuto una ragazza, si chiamava Margaret e aveva più o meno diciotto anni. Ero con i ragazzi in un locale di Amburgo, le cose tra noi non andavano benissimo ultimamente: litigavamo spesso per via delle decisioni da prendere nella band e persino David non riusciva a farci ragionare, nemmeno il nostro manager. Così avevamo deciso di passare una serata tra noi, come non succedeva da troppo tempo. Siamo andati in questo pub, dove c’era musica dal vivo, tante cose da bere e tante ragazze. Avevo diciannove anni. Ero giovane, ingenuo e anche un po’ superficiale... volevo solo divertirmi.” Fece una breve pausa, facendo segno a Melrose di sedersi sul muretto alto che c’era alla fine del sentiero. Lui rimase in piedi, appoggiato al cemento, di fianco alle sue gambe lunghe e magre. “Sono andato nella zona vip, vicino al bancone del barman per chiedere un cocktail ed ero ancora sobrio ma non volevo ubriacarmi, solo bere qualcosa... per animare la serata. Mi ricordo quel momento come fosse ieri. Ho fatto un passo verso il barista e mi sono ritrovato rovesciato addosso un liquido rosato e appiccicoso. Quando ho alzato gli occhi infuriato, pronto a far pagare le pene dell’inferno a chiunque avesse osato farmi un tale affronto... ho incontrato i suoi occhi grandi e mortificati, e, in un attimo, mi sono dimenticato di tutto. Mi sono dimenticato dov’ero, mi sono dimenticato cosa stavo facendo... mi sono dimenticato perché, un secondo prima, ero così incazzato.” Abbassò lo sguardo, accennando un sorriso amaro e rassegnato. “Nel giro di due minuti quella ragazza misteriosa si era scusata, mi aveva pagato da bere e mi aveva trascinato ai servizi per cercare di rimediare al danno. Era mortificata, così... dispiaciuta. Mentre mi puliva la camicia scura mi raccontò che era la sua festa post maturità: era uscita con cento e voleva festeggiare insieme alle sue compagne di classe. Mi raccontò che abitava in un paesino vicino a Magdeburgo, che aveva diciotto anni, che si chiamava Margaret, che aveva due cani e un gatto, che le piaceva un sacco andare in montagna, stare all’aria aperta, bere la cioccolata con la panna montata sopra...” Sorrise, nostalgico. “Era logorroica, la sua parlantina era quasi equiparabile alla mia. Sarà per questo che quella sera nessuno riuscì a scollarmi da quel divano. Stavo così bene insieme a lei che non me ne sarei andato nemmeno se mi avessero avvisato che l’apocalisse era alle porte.” Sospirò, guardando di sottecchi Melrose. Stava seguendo ogni sua parola, in silenzio e con un’espressione contrita in faccia. Continuò. “Non so quale forza ci spinse tanto oltre, fatto sta che non più di due ore dopo ci stavamo baciando su quegli stessi divanetti bianchi. La baciavo e nemmeno la mia natura riservata e un po’ vergognosa mi impediva di farlo davanti a tanta gente. Non mi importava che qualcuno ci vedesse: stavo bene così e bastava quello.” Melrose fremette, aveva paura di arrivare all’inevitabile fine di quella triste storia. Sentirla raccontare dal diretto interessato doveva essere decisamente peggio. “Dopo quella sera se ne sono susseguite moltissime altre ancora. Siamo stati insieme tre anni. Lo scorso settembre le ho chiesto di venire a vivere con me, era incinta ed io volevo solo il meglio per noi e per il nostro bambino... il nostro bambino...” Si fermò, cercando di far tornare regolare il respiro che si era fatto affannato. Rispolverare quei vecchi ricordi, che ormai credeva archiviati nella sua mente, era peggio di una fucilata in pieno stomaco. Ma doveva... voleva continuare, voleva arrivare fino in fondo. Sentiva che, se non lo avesse fatto, non si sarebbe mai liberato definitivamente. “Era il tredici settembre, lei doveva andare all’università, io dovevo incontrarmi con i ragazzi per parlare del tour invernale. Aveva accettato, quella mattina, mi aveva detto che sì... sarebbe venuta a vivere con me. Ero felice, ero davvero felice. La sera ho aspettato che tornasse dal lavoro: volevo portarla fuori a cena e festeggiare il trasferimento imminente, volevo passare una serata tranquilla con lei... era così raro, visto tutti i miei impegni con il gruppo e le sue lezioni all’università. Siamo... siamo partiti e...” Il respiro gli si bloccò a metà strada, senza arrivare alla gola. Aveva bisogno di aria, si sentiva male. Si portò una mano al petto, stringendo nel suo pugno ferreo la stoffa della felpa nera che indossava e serrando gli occhi sotto lo sguardo attento e allarmato di Melrose che, anche se l’avrebbe desiderato con tutto il cuore, non riuscì ad avvicinarsi per toccarlo, accarezzarlo. “Guidavo piano... Guidavo piano, te lo giuro.” Bisbigliò, la sua voce resa gracchiante dal senso di oppressione al petto. Sembrava che qualcuno gli si fosse seduto a peso morto sul torace, era insostenibile.

Bill...” Mormorò Mel con la voce tremula e impotente. “Bill, non è necessario...” Continuò, sentendosi morire a vederlo ridotto in quello stato.

No... no...” Scosse la testa energicamente, come per scacciare via quell’atroce malessere. “Sto bene, vado avanti.” Annuì vigorosamente, convincendosi. “Non ricordo molto bene com’è successo. Ricordo solo che le avevo fatto un complimento, che stavamo ridendo... poi tutto si è confuso. I rumori, i colori, tutto è diventato strano e non ho capito più niente, se non che la macchina stava girando su sé stessa, che si stava accartocciando, si stava fracassando su di noi. Ho urlato, Dio solo sa quanto urlato, ma Maggie.. Maggie era immobile e zitta, sembrava pietrificata sul sedile. Quando l’auto si è fermata, era capovolta, mi sono girato, ma Margaret aveva chiuso gli occhi e sulla testa le si era formata una grossa macchia di sangue... lì per lì... non avrei mai immaginato che... che quegli occhi... quegli occhi non li avrebbe aperti mai più...” Si fermò nuovamente, una lacrima gli spuntò dall’occhio, tracciando il suo viso diafano per tutta la lunghezza della guancia, fino ad arrivare al mento. “La corsa in ambulanza è stata dolorosa, io stavo bene ma... ma non sapevo dove fosse la mia Maggie né cosa avesse, non mi dicevano niente. Al pronto soccorso mi hanno fatto aspettare un sacco di tempo, ero in ansia... Ero terrorizzato, avevo paura per lei, ne avevo da morire. Mi sentivo a terra perché sapevo che il nostro bambino, comunque sarebbero andate le cose, non sarebbe sopravvissuto. Avevamo lottato tanto e adesso tutto si stava distruggendo. Ma, suonerà egoistico lo so, non mi importava. L’unica cosa che desideravo con tutta la mia anima era che mi avvisassero che quella di Maggie era solo una botta e che poteva tornare a casa. Invece... invece poi è venuto fuori il medico e... e mi ha detto che l’emorragia era in una fase troppo avanzata. Che... che... non c’era stato niente da fare... che la mia Margaret era... morta.” Soffiò strozzato dall’agonia che stava risalendo a galla, ritornando indietro di sette mesi, a quella sera che aveva segnato la fine della sua vita perfetta, del suo mondo perfetto, della sua famiglia perfetta.

Si coprì il viso con le mani, cercando di ricacciare indietro le lacrime che, però, non riusciva a trattenere.

Era partito così positivo quella mattina, così felice e sorridente... consapevole che, però, la giornata non poteva che concludersi in maniera diversa.

Melrose non si trattenne, scese dal muretto con un saltello e gli fu davanti. Gli prese i polsi, allontanandoli dal suo volto umido e sofferente, e se li portò dietro la schiena, avvolgendogli il corpo con le braccia, stringendolo forte e facendogli capire che lei c’era, che lei... ci sarebbe sempre stata.

Bill si aggrappò a lei disperatamente, stringendola così tanto da rischiare di soffocarla, ed artigliò una mano tra i suoi capelli, mentre l’altra vagava sulla sua schiena in cerca di un appiglio, in cerca d’aiuto. L’abbracciò come se non avesse abbracciato mai nessuno in vita sua, come se fosse la sua unica fonte di salvezza.

Bill...” Mormorò lei, non riuscendo a trattenere quell’unica lacrima che le segnò il viso. “Bill...” Ripeté nuovamente il suo nome. Non per un motivo preciso, solo... non sapeva cosa dire e si sa, quando non si sa che cosa dire il silenzio è una delle scelte più sagge al mondo.


***


Aprì la porta di casa con una mandata di chiavi, entrando nel suo appartamento con un sorriso stanco ma sereno sulle labbra.

Era stato un bel pomeriggio, dopotutto.


Mel no, non credo sia il caso... dai...” Aveva sussurrato davanti al cortile di casa sua. “Mi sento in imbarazzo.” Confessò, gli occhi ancora rossi e leggermente gonfi dopo lo sfogo avuto appena un’ora prima.

Su, non fare il timido... dopotutto anche io ho conosciuto tuo fratello. E tu non mi avevi nemmeno avvisato che lo portavi con te al bar!” Ridacchiò, cercando di spazzare via tutta la negatività che li aveva avvolti fino a quel momento. Aveva deciso di portarlo a casa, approfittando del fatto che mamma era fuori città a fare visita ad una vecchia e barbosa zia, per farlo conoscere al suo fratellone. “E poi Alan già ti adora!”

Come... mi adora?” Chiese scettico, mentre attraversavano il giardino ed arrivavano davanti al portone.

Beh...” Arrossì violentemente, maledicendosi per non tenere mai chiusa quella boccaccia. “Diciamo che gli ho un tantino parlato di te.”

Ah, ora capisco...” Si morse un sorriso, guardandola suonare il campanello e attendere, senza mai incrociare il suo sguardo. Era imbarazzata e si vedeva.

Finalmente Mel, stavo per chiamare la polizia e darti per disper-“ La voce canzonatoria di Alan si bloccò non appena, aperta definitivamente la porta, notò che la sua sorellina non era da sola, bensì in dolce compagnia. “Oh.” Mormorò, visibilmente stupito. Non avrebbe mai creduto di ritrovarsi proprio lui sulla soglia di casa.

Ahm, ciao.” Bill alzò una mano vicino al viso, facendola oscillare leggermente a destra e a sinistra, sorridendo appena.

Ciao! Che piacere conoscerti, entra!” Lo accolse caloroso Alan, facendo entrare il ragazzo e la sorella, per poi richiudere la porta alle loro spalle. “Ti offro qualcosa? Da bere, da mangiare?”

No, no... non ce n’è bisogno, grazie lo stesso.” Sorrise Bill, mortalmente imbarazzato.

Istintivamente, cercò la mano di Melrose, vicino alla sua. La prese e la afferrò saldamente nella sua, senza guardarla o sarebbe definitivamente scoppiato di vergogna.

Mel guardò le loro mani intrecciate, poi occhieggiò Bill, poi di nuovo la propria mano stretta nella sua. Sorrise.

Alan, che aveva visto tutto, fece finta di niente, indirizzando un occhiolino alla sorella, senza farsi scoprire dal moro.

“Allora dimmi, com’è che sopporti ancora questa pazza?” Ridacchiò, indicando con l’indice Melrose, che si era seduta sul divano, trascinandosi dietro anche Bill.

Oh, non è poi così difficile...” Sorrise il ragazzo, scuotendo la testa e accennando una risatina. “Piuttosto, mi stupisce che lei sopporti ancora me.” Le gettò un’occhiata profonda e intensa, e le fece capire che in quella breve frase se ne nascondevano molte altre. Lei aveva capito.
Aveva capito cosa intendeva dire e gli avrebbe dato dello stupido... perché mai, mai, mai si sarebbe sognata di lasciarlo perdere e non cercarlo più, nonostante il suo umore incontrollato.

Aaahhh Mel è testarda e possessiva! Ha sopportato me per diciannove anni, non è cosa da poco!” Scherzò, guardandola sorridente.

Bill le strinse ancora di più la mano, intrecciando le dita con le sue e accarezzandone il dorso con il pollice, mentre continuava a parlare sorridendo insieme ad Alan.

Il cuore di Melrose fece una piroetta non appena avvertì il suo tocco freddo, che però bruciava come un tizzone ardente sulla sua pelle fresca.

Guardò il viso di Bill, che in quel momento stava parlando, e nella sua stretta riuscì a decifrare una richiesta d’aiuto, un piccolo modo per dirle che non se ne doveva andare, per dirle che la voleva accanto a sé.

Non me ne andrò Bill, è una promessa.


E non andare mai via
perché fino a che rimani
sarai tu il migliore dei miei mali”

***


Dunque, buonasera! So di essere abbastanza in ritardo, ma direi che in questo periodo ho avuto non pochi problemi. Prima la scuola, poi il mio computer andato, tranquillamente, a farsi friggere, poi _Pulse_ qui da me. Beh, lei non è proprio un problema, ma vabbè xD Insomma, il succo è che non ho avuto la possibilità di postare, però so che voi mi adorate talmente tanto che me la farete passare liscia XD Anche perché questo è l'ultimo capitolo pronto che ho, quindi dovrò mettermi sotto a scrivere! Ma abbiate fede, ho tutto dentro la mia testolina malefica u.u
Le canzoni che ho inserito sono : “Io non credo nei miracoli” di Laura Bono e “Un fatto ovvio” di Laura Pausini.

Ringrazio dal profondo del mio cuoricino :


_Pulse_ : L'ho già detto che le tue recensioni mi destabilizzano, vero? Sono troppo piene e troppo intricate xD Ne esco sempre pazza, ma ti voglio un mondo di bene anche per questo u.u Sono assai felice che il capitolo ti sia piaciuto, il tuo parere e sempre quello più importante. The best ovviusly! Con la prossima recensione ti guadagni altri punti, sei felice? XDDD Ti voglio tantissimissimissimo bene Sonne! Tuissima, Mond.

Memy881 : Ciao! Beh, insomma.. la ferita è ancora abbastanza aperta nonostante siano passati quasi otto mesi, Melrose e Bill si conoscono da tre.. lei quel sentimento lo prova, perché reprimerlo? E Bill.. povero piccolo Bill, cosa gli combino ogni volta. E' normale che si sia sentito spiazzato, però insomma, in quest'altro capitolo ha aggiustato un po' le cose, no? Grazie mille per la recensione! Alla prossima!

Dreamer483 : Sono molto contenta che il capitolo ti piaccia! Melrose, sì, è ammirevole, lo devo proprio dire. Io, personalmente, non ce l'avrei fatta xD.. Meglio poche parole ma buone (: Alla prossima!

Layla : Grazie davvero! Anche a me piace moltissimo la coppia Bill/Mel. Tifo per loro dall'inizio xD

Tokietta86 : Tom diciamo che in questo capitolo funge da paciere, è stato un po' la causa di tutto. Bravo Tomi! :) La parte delle riflessioni di Bill è quella che preferisco dell'intero capitolo.
Ome hai letto Bill è andato da Melrose. Certo, dopo due giorni, però meglio tardi che mai!
Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto, grazie mille per la recensione a quello precedente. Un abbraccio e alla prossima! :)


Un bacio anche a tutto quelli che leggono sempre ma non recensiscono e a quelli che hanno inserito questa fanfiction tra le seguite e/o le preferite. Grazie, grazie, grazie! *__*

Ale


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Capitolo 15
*** Una svolta decisiva ***


PICCOLO APPELLO : Sì, sono proprio io, e vi chiedo scusa! So che è passato tantissimo tempo, ma non ho avuto word per più di un mese (da suicidio ._.) e quindi per scrivere ho dovuto aspettare un sacco di tempo!
Ora sono qui con il quindicesimo capitolo, decisamente più lungo degli altri, giusto per farmi perdonare xD
Ci risentiamo a fondo pagina per i ringraziamenti!



Capitolo 15 – Una svolta decisiva



[Un mese dopo]

“E' strano tornare qui.. dopo tutto questo tempo” Mormorò il biondo, in piedi di fianco all'amico, mentre insieme guardavano davanti a loro la lapide bianca e le lettere dorate che formavano il nome di Maggie.

“Sembra quasi passata una vita.” Ribatté l'altro, tirando un lungo sospiro mentre chinava il capo, guardandosi le scarpe leggermente consumate sulla punta.

“Secondo te accetteranno?” Gustav si girò verso il bassista, che si strinse nelle spalle.

“Non lo so. Sarà Bill l'osso duro da convincere..” Georg scosse la testa, lasciando ondeggiare i suoi capelli lunghi. “L'unico motivo per cui Tom potrebbe tentennare è Rebecca; ma si tratta di un paio di settimane, non dovrebbe essere un problema.”

“E' stato bello venire qua.” Il batterista cambiò discorso, riportando i suoi occhi sulla foto che lui stesso aveva scattato appena un paio d'anni prima.

“Già..” Sospirò nuovamente, stringendosi una mano dentro l'altra. “Ora è meglio se andiamo, faremo tardi..” Accennò un sorriso al muro davanti a lui “Ciao Maggie” Soffiò, appena prima di rigirarsi e dirigersi verso la macchina che aveva parcheggiato proprio davanti agli alti cancelli del cimitero.

Gustav si soffermò a guardare la tomba qualche secondo di più, gli occhi che pungevano e il naso che pizzicava. “Ciao piccola” Sussurrò, poi seguì l'amico.


***


“Tranquilla mamma, non ti preoccupare” Sorrise rincuorante “Starò via solo un paio d'ore, per cena sono a casa. Ciao Alan!” Salutò anche il fratello che stava guardando la televisione.

“Ciao Mel!”

Melrose uscì di casa, avviandosi verso la sua macchina. Sarebbe andata a pranzo da suo padre e avrebbe passato qualche ora dl pomeriggio insieme a lui.

Era tanto che non lo vedeva e l'ultima volta che era stata a casa sua, a Berlino, non avevano parlato molto.

Mentre guidava verso la stazione dei treni, Melrose temeva che il suo rapporto con lui si stesse col tempo deteriorando.
Non voleva, nonostante sin da piccola aveva sofferto per le eccessive attenzioni che lui nutriva nei confronti di Alan piuttosto che nei suoi, gli voleva bene, era il suo papà.

Sospirò nostalgica, accelerando appena e svoltando l'angolo. La stazione le si presentò davanti imponente e, per la prima volta, difficile da raggiungere.

Parcheggiò velocemente, facendo finta di non pensare a quel fastidio che sentiva all'altezza del petto, e camminò a passo deciso verso l'entrata.
Mise una mano in borsa e ne tirò fuori il biglietto che aveva acquistato il giorno prima, lo fece timbrare e, qualche minuto più tardi, era già sul treno diretto a Berlino.

Stava quasi per assopirsi quando il suo cellulare cominciò a vibrare nella tasca dei suoi pantaloni. Appena ne guardo la schermata scoprì che era Bill.

“Pronto, Bill?”

“Ciao Mel” La sua voce sembrava serena, le piaceva quando era così. Sorrise tra sé e sé, rilassandosi sul suo sedile. “Come stai?” Continuò lui.

“Abbastanza bene, sto andando da papà. Tu?”

“Io sono a casa, avrei voluto passare il pomeriggio con te, ma non fa niente.” Una punta di delusione rovinò il suo tono dolce e melodioso. “Sarà per domani... Vero?”

“Sicuramente” Mormorò.

Si rimproverò del pensiero che le balenò in testa, ma proprio non riusciva a smettere di pensare che, forse, avrebbe preferito passare il suo tempo con Bill piuttosto che con suo padre.
L'amore che nutriva per l'uno era diverso da quello che provava per l'altro. Bill era...Bill. Lo amava come se fosse una tredicenne alle sue prime armi. Con il cuore che esplode nel petto appena lo vede, le guance che si infuocano, le gambe che tremano..
Mentre l'amore per suo padre era stato intaccato da troppe bugie, da troppe urla e troppi litigi. Era rimasto l'amore che una figlia può provare verso suo padre, ma non c'era niente di più. Nulla di magico, nulla di profondo.

“Ehi, ci sei ancora?”

“Sì, scusa, pensavo.” Scosse la testa, riprendendosi. “Ti chiamo appena torno questa sera, va bene? Poi devo andare dal signor S, magari vieni con me.”

“Va benissimo, ma.. c'è qualcosa che non va?”

“Sono solo preoccupata per oggi, tutto qui. E' un po' che non vedo mio padre.” Balbettò con gli occhi lucidi “Non voglio litigare anche questa volta”

“Mel, stai tranquilla.. Andrà tutto bene, vedrai.” La confortò Bill, sospirando pesantemente. Avrebbe voluto essere con lei in quel momento. Non le piaceva sentirla triste.
Sapeva che in quel momento stava male e lui non poteva stare con lei per farla stare meglio. “Io sono con te.” Gli sfuggì.. ma non se ne pentì più di tanto.

“Sì” Sorrise “Lo so.”

“Stai male?”

“Un po'.”

“Non devi, è solo tuo padre..”

“Solo mio padre..” Ripeté, ridacchiando amaramente. “Ci sono troppe cose non dette tra noi, troppi rancori irrisolti. Ogni volta è come non essere nemmeno con lui, siamo troppo distanti..”

“Mi dispiace, posso fare qualcosa per te?”

“Basta che ci vediamo più tardi” Ridacchiò stancamente.

“Certo, allora a più tardi?”

“Sì, ciao..” Soffiò, poi chiuse la chiamata e cominciò a guardare fuori dal finestrino il paesaggio che scorreva veloce intorno a lei.


E fa male quando dici che stai male
e non sto con te...

E fa male col dolore che t'assale

e non sto con te...”


***


“Becky, ti richiamo. Suonano alla porta, ciao piccola!” Schioccò un bacio nel ricevitore del suo cellulare e si diresse verso l'entrata.

Aprì e si ritrovò davanti i suoi vecchi amici sorridenti.

“Ciao Tom” Lo salutarono, entrando in casa.

“Ciao ragazzi, come mai qui?” Richiuse l'uscio dietro di loro e gli fece cenno di sedersi sul divano. “Come state?”

“Piuttosto bene” Prese parola Georg “Volevamo proporti una cosa.”

“Abbiamo preferito venire prima da te...” Lasciò in sospeso la frase, lasciando intendere che poi avrebbero dovuto affrontare lo stesso discorso anche con Bill.

“E'.. successo qualcosa?”

“Non ti preoccupare, non è successo niente.” Sorrise Georg, rincuorante. “Io e Gustav abbiamo pensato molto in questo periodo” I due si lanciarono uno sguardo d'intesa “Abbiamo pensato alla musica, alla band.. e..”

“Insomma, Tom” Lo interruppe il batterista, vedendolo in difficoltà. “Abbiamo quattro biglietti per la Grecia, due settimane. Sarebbe come.. un ritiro, un modo per concederci del tempo solo per noi, come ai vecchi tempi.” Si aggiusto gli occhiali sul naso “Un modo anche per pensare a cosa vogliamo fare, se vorremo ricominciare d'accapo..”

Tom scosse la testa e si schiarì la voce, frastornato. Si portò una mano su una tempia.

“Due settimane in Grecia.” Riassunse il tutto. “Per pensare.” Aggiunse.

“Non è una costrizione..” Azzardò il bassista.

“Io la trovo una cosa fantastica” Sorrise apertamente, allargando le braccia.

“.. Davvero?” Gustav si sporse con il busto in avanti, forse per trovare una traccia di falsità nel viso di Tom. Non ce n'era nessuna traccia,, fortunatamente.

“Sì, davvero! Mi mancate ragazzi, mi manca la nostra musica.. e sono sicuro che anche a Bill manca da morire, solo.. non vuole rendersene conto. Spero che non faccia troppi problemi e che si accorga che può ricominciare, insieme a noi.” Sospirò, deglutendo. “Sarà restio all'idea probabilmente solo per Melrose. Mi sono accorto che non può stare tanto lontano da lei..” Abbozzò un sorriso. “Ma lo convincerò” Esclamò poi, cambiando argomento e annuendo vigorosamente con la testa.

“Sarebbe importante per tutti e quattro, lo sai.” Sorrise Gustav.

Sì, sarebbe stato decisamente importante. Ma erano importanti anche i sentimenti di Bill, e per quella ragazza ne provava di decisamente grandi. Anche se non lo ammetteva.


***


“Ciao papà” Sorrise, entrando nel piccolo appartamento dell'uomo.

“Ciao Mel” Oskar la fece entrare e accomodare al tavolo della cucina, dove aveva già apparecchiato tutto con cura. “Da mangiare c'è il bacon con l'uovo, ti piace no?”

“Sì.. la mamma li faceva sempre” Mormorò, appoggiando la borsa nella sedia affianco alla sua. Quella frase doveva essere una piccola frecciatina, che però l'uomo parve non cogliere.

“Allora, come va a scuola?” Esclamò Oskar con enfasi, sedendosi a tavola dopo aver servito se stesso e la figlia.

“Papà, non vado più a scuola..” Scosse la testa la ragazza, portandosi alla bocca il primo boccone. L'uovo era buono, il bacon un po' bruciacchiato.

“Ah, già..” Stiracchiò un sorriso, cominciando a mangiare in silenzio. Tutto il pranzo venne consumato in silenzio, fatta eccezione per qualche piccola frase di circostanza: “Ti piace?” “Mi passi il sale?”

Appena mezz'ora dopo Melrose era davanti alla televisione, seduta sul divano arancione, abbracciando un piccolo cuscino di pelle.

Il padre, dopo aver sparecchiato e pulito il piano di cottura, la raggiunse e si sedette di fianco a lei.

“Papà..” Mormorò lei, senza staccare gli occhi dallo schermo “Perché hai fatto finire tutto così”

“Tesoro.. ne abbiamo già parlato, tra me e tua madre c'erano delle incomprensioni e non-”

“Oh per favore!” Sbottò, spegnendo velocemente il televisore “Puoi infinocchiare la mamma con la storia delle incomprensioni, ma non me!” Si girò a guardarlo, assottigliando gli occhi.

“Ma.. che stai dicendo..”

“Avevi un'altra donna ancora prima di separarti dalla mamma..” Non era una domanda, Melrose lo sapeva. Era una delle classiche cose che ti senti in fondo al cuore. “Dimmela ora la verità. Ora che non hai più niente da perdere.

L'uomo abbassò la testa, sospirando e scuotendola debolmente.

“Non ho mai avuto l'intenzione di far soffrire tua madre.” Cominciò. “Ma quando ho conosciuto Karla non pensavo poi di arrivare fino a questo punto. Ho cercato di tenere nascosta la mia relazione con lei, per evitare sofferenze a voi. Ma, evidentemente, non ci sono riuscito.” Si portò le mani sul viso e continuò a scuotere la testa.

“Perché?” Melrose trattenne a stento le lacrime, sentiva gli occhi pungerle fastidiosamente, ma non voleva piangere per nessuna ragione al mondo. Doveva essere forte, una volta per tutte.

“Spesso non c'è un perché a cose come questa.. è successa, Mel. Mi sono innamorato.”

Mi sono innamorato..

Aveva ragione. Aveva maledettamente ragione! Non c'era un perché a cose come quella. Non si poteva scegliere di non innamorarsi o di chi innamorarsi.
Nemmeno lei aveva scelto, era successo. Amava un ragazzo che faticava ad amare persino se stesso, che non si ricordava più cosa voleva dire vivere.. Che però la cercava, che voleva stare con lei.. che le sorrideva, che l'ascoltava..

“Hai ragione.” Sussurrò. “Hai ragione..” Rialzò il viso, guardandolo con gli occhi lucidi “Io.. volevo solo dirti che mi manca averti a casa, nonostante tutto.”

“Vieni qui..” Balbettò lui, accogliendola tra le sue braccia.

...E per Mel, quello, fu come un déjà vu.


Melrose stai attenta, non correre!” Urlò Oskar in direzione della bambina. “Stai vicino a tuo fratello!”

Mel, cinque anni e tanta voglia di giocare, continuava a pedalare al fianco del fratello maggiore Alan. Aveva tolto le rotelline dalla sua bicicletta appena un paio di giorni prima, era ancora un po' inesperta ma se la cavava bene.

Alan, sono più veloce io” Strillò verso il fratello. “Guardami!”

No, Mel vai più piano, papà si arrabbia”

La bimba si voltò all'indietro, cercando con lo sguardo il padre, che correndo tentava di raggiungerli. Sorrise nel vederlo così affannato.

Successe tutto in fretta. Non si era accorta di aver messo il piede male sul piccolo pedale e si era ritrovata per terra, addossata ad un albero, con le gambe incastrate nella bicicletta.
Cominciò a piangere, più per lo spavento che per il dolore. Non sentiva poi tanto male.

Mel!” urlò suo padre, correndo verso di lei e inginocchiandosi. Tirò sul la bicicletta con una mano e la spostò via.

Melrose incontrò gli occhi spaventati di Alan, che la guardava immobile, poi vide quelli preoccupati di suo padre e ricominciò a piangere più forte.

Vieni qui..” Mormorò Oskar, abbracciandola forte e consolandola con parole confortanti all'orecchio.


“Ti voglio bene papà” Sorrise tra le lacrime.

“Anche io piccola, anche io..”


***


“Un viaggio in Grecia?”.. Ripeté per l'ennesima volta, guardando suo fratello e mordicchiandosi il pollice. “Partenza, dopodomani?”

Cosa doveva fare? Se ci pensava si trovava diviso in due parti.

Gli sarebbe tanto piaciuto partire con i suoi amici, cambiare aria per un po', stare con loro come non succedeva da troppo. Ma non avrebbe mai voluto separarsi da Melrose, non in quel momento in cui tutto stava lentamente prendendo una forma.
Stava veramente iniziando a capire i suoi sentimenti. Sapeva per certo quello che provava quando la guardava e quando lo faceva lei. Quando starci insieme era diventata quasi una priorità su tutto..

Non sapeva cosa decidere.

“Sarebbero solo due settimane Billie. Pensaci.”

Due settimane..

Solamente a pensarci gli sembravano un lasso di tempo insormontabile. Ma forse quella breve separazione gli sarebbe servita a capire tante cose, forse doveva provarci..

Si stiracchiò sul divano di casa sua. Ormai era deciso.

“Sì, possiamo provarci..” Sorrise e Tom gli sorrise di rimando, battendogli un leggero pugno sulla spalla. “Dovrò dirlo a Mel, stasera..” Si incupì appena, stringendosi nelle spalle.

“Lei capirà, Bill.. Non ti devi preoccupare.” Il sorriso rincuorante sul viso di suo fratello ebbe il potere di convincerlo. “Ora devo andare, Becky arriva tra poco”

Si salutarono frettolosamente e poi Bill rimase solo. Solo con i suoi pensieri.

Si avviò verso il bagno, lasciando la luce spenta. Era giugno, le giornate erano più lunghe e quindi i raggi di sole filtravano dalle persiane aperte per metà.

Si guardò allo specchio, studiando i suoi lineamenti.. le sue occhiaie. Gli occhi erano più ridenti di come li aveva lasciati qualche mese fa, più sereni.. nonostante dietro di loro si celasse ancora un profondo dolore.

Forse era questo il motivo per cui con Mel non si lasciava andare.. Aveva paura che la gente intorno a lui, vedendolo felice, vedendolo vivere di nuovo.. non capisse quanto ancora il suo dolore fosse grande.

Sospirò. Però non poteva nemmeno continuare così, a nascondersi dietro un dito.


Io non lo so chi sono
e mi spaventa scoprirlo,
guardo il mio volto allo specchio
ma non saprei disegnarlo”


La sera le avrebbe parlato dell'imminente viaggio.


***


“Cazzo, cazzo, cazzo” Bofonchiò, rigirando la zuppa di verdure che stava preparando.
Si asciugò le mani sul grembiulino che indossava e, poggiando un dito sopra la pagine, seguì le righe del libro di cucina. “Un pizzico di sale. Uhm, facile questo.” Aggiunse il suddetto pizzico di sale e poi rimescolò la brodaglia con il mestolo che stringeva in una mano. “Ancora cinque minuti e sarai pronta, maledetta zuppa!” Rise da solo, sentendo la serratura scattare. Becky era arrivata.

“Tom!” Come volevasi dimostrare.

“Sono in cucina, vieni” La ragazza arrivo pochi secondi dopo, travolta dall'abbraccio di Tom , che le strinse la vita. “Il tuo fantastico ragazzo ti ha preparato la cena.”

“Oddio, non ci credo!” Rise, portandosi le mani davanti alla bocca. “Porti un grembiule da cucina! Ed hai in mano un mestolo!” Lo prese in giro, continuando a guardarlo e a ridere. Lui si imbronciò, facendo il finto offeso.

“E io che mi sono impegnato.”

“Dai amore, cosa mi hai cucinato di buono?” Sorrise, abbracciandolo di lato.

“Una suntuosissima zuppa di verdure vegetariana!” Sorrise a trentadue denti, alzando il mestolo a mezz'aria come fosse uno scettro.

“Oh. Buona.” Esclamò poco convincente Rebecca.

“La verità è che.. non so cucinare nient'altro.” Mormorò lui. “Di solito mangiò cose preconfezionate”

Becky si avvicinò a lui e gli portò via il mestolo dalle mani, appoggiandolo sul piano della cucina. Cominciò a lasciargli una lunga scia di baci dal collo verso l'alto. Sulla mandibola, sul mento, all'angolo della bocca, per finire poi sulle labbra, cominciando a mordicchiarle piano.
Le mani di Tom si posarono sui suoi fianchi, spingendola contro il muro e baciandola più insistentemente, mentre con una mano le accarezzava i capelli scuri sulla nuca.

Inutile dire che la zuppa non venne nemmeno assaggiata.



***


“Ci vediamo domani sera signor S! Buonanotte!” Agitò la mano in aria, salutando l'uomo che era rimasto dietro al bancone.

“Buonanotte Mel!”

Quella sera, dopo la visita a suo padre era tornata a casa, aveva cenato in fretta e furia e si era precipitata al bar.
Una volta lì aveva avvisato Bill di non venire, perché c'era troppa gente e non sarebbe riuscita a dedicargli attenzioni. Lui si era offerto di passarla a prendere una volta finito il turno, e allora eccola lì che camminava in direzione dell'Audi ormai conosciuta.

“Ciao Bill” Lo salutò sorridente, una volta entrata nell'abitacolo.

“Hey Mel” Sorrise nervosamente lui, mettendo in moto e sgommando via. “Ti spiace se andiamo da me? Devo parlarti.”

Mel rimase interdetta. Annuì incerta e non parlò più per il tempo restante.
Arrivati davanti all'appartamento di Bill scesero dall'auto e camminarono fianco a fianco fino al portone e poi su per le scale, fino ad arrivare all'ingresso.

“Mi stai facendo preoccupare” Mormorò Melrose, entrando in casa. Appoggiò la borsa all'attaccapanni e si sedette sul divano, aspettando Bill che si accomodò di fronte a lei.

“Dopodomani parto.” Lanciò la bomba, dopo un lungo silenzio speso a guardarsi negli occhi.

“Cosa..?” Mormorò strozzata, sentendo le lacrime salirgli agli occhi e l'aria mancargli. Quella rivelazione fu peggio di una scarica di pugni.

“Saranno solo due settimane!” Si affrettò a dire, vedendola scossa “In Grecia, con i ragazzi. Dicono che ci farà bene un viaggio tra di noi. Per parlare, pensare.. Non so cosa porterà questa 'vacanza'” Scrollò le spalle, abbassando lo sguardo.

“Io non voglio che tu te ne vada..” Bisbigliò

“E' poco tempo, Mel..” Scosse la testa. “Tornerò e non ti sembrerà nemmeno che sono partito” Sorrise, cercando di essere il più rincuorante possibile.

“Con te.. mi sento libera di essere me stessa, senza paure.. Non voglio che quando torni tu sia diverso. Non voglio che questo viaggio ti cambi.” Continuò, minacciando di scoppiare da un momento all'altro.

“Non cambierò, te lo prometto. Sarò il solito Bill, depresso e mal curato.” Tentò di scherzare, nonostante si sentisse uno stracciò.

“Oh, Bill..” Bisbigliò, alzando una mano ad accarezzargli la guancia “Credi di essere così?.. Bill.. darei la vita pur che tu vedessi come ti vedo io. Basterebbero trenta secondi con i miei occhi, e allora capiresti che tu... tu sei un mondo Bill, sei il tutto concentrato in una persona, sei-” Non riuscì a completare quella frase, perché due labbra fredde ma morbide premetterò con insistente dolcezza contro le sue. Ci impiegò a capire che quel bacio era di Bill, che quelle labbra che continuavano a muoversi sulle sue appartenevano al ragazzo che desiderava da mesi.
Ancora incerta e presa da un'euforia interiore ricambiò quel bacio che, piano piano, diventava più sofferto e voluto disperatamente da entrambe le parti.

Il ragazzo la abbracciò e la strinse a sé, lasciandole scivolare sulle spalle le spalline della canottiera che indossava. Le passò le mani sul collo, avvicinandola ancora di più e accarezzandola dappertutto.

Melrose era sconvolta, non si immaginava che potesse succedere tutto così velocemente. Alzò esitante una mano e gli accarezzo il petto. Si sentì cadere all'indietro e allora capì che l'aveva spinta lui, che ora si trovava sopra di lei con le mani tra i suoi capelli biondo dorato.
Lentamente cominciò a sbottonargli la camicia scura.

Bill cadde in un momento di trans, non capì più nulla mentre lei gli baciava il collo con dolcezza e gli accarezzava la pancia. Il suo cervello andò in tilt e non capì più quello che succedeva..

“Oh, Maggie..” Sospirò con gli occhi socchiusi, lasciandosi andare.

Solamente quando sentì il corpo di Mel irrigidirsi sotto al suo e la vide trattenere il respiro.. capì di aver appena commesso un errore imperdonabile.

Melrose gli prese le spalle e lo spinse a sedere. In prede all'ansia si aggiustò la canottiera e i pantaloni, le lacrime avevano appena cominciato a segnare il suo viso diafano.
Non ci credeva, non voleva crederci. Sentiva il petto allargarsi in una voragine buia ed infinita.
Lui non sarebbe mai riuscito ad amarla veramente, c'era qualcuno che glielo impediva e lei non voleva mettersi in mezzo rischiando di fargli più male.

“Mel.. scusa.. io non” Il cuore gli affondò nello stomaco, lo sentì precipitare e schiantarsi con un colpo secco.

“Scusami tu, non sarei dovuta venire. Dovevi riaccompagnarmi a casa..” La gola le bruciava maledettamente e nonostante facesse di tutto per reprimere e lacrime non ci riusciva.

Afferrò la sua borsa e uscì sbattendo la porta. Cominciò a correre verso casa, senza fermarsi, voleva arrivare il più presto possibile e parlare con Alan.

“CAZZO!” Urlò, scaraventando a terra il vaso sul tavolino in salotto. “COGLIONE, COGLIONE!” Gridò ancora, guardando ansante i cocci del vaso che si era appena frantumato. “Perché...” Chiese a chissà chi, mentre un nodo gli stringeva la gola.


E fa male quando non sono all'altezza

di star con te...”


***


“Calmati, non è successo niente..” Bisbigliò, tenendola abbracciata nel suo letto, mentre le accarezzava la nuca.

“Io non voglio farlo soffrire, ma sento che sto sbagliando tutto..” Scosse la testa ostentatamente, stringendo i pugni sulla maglia di Alan.

“Ehi piccola!” Le alzò il mento, costringendola a guardarlo negli occhi. “Devi metterti in teste che lui quella ragazza non se la dimenticherà mai. Ma questo non significa che non potrà amare qualcun altro allo stesso modo.” Sorrise. “So che vorresti tanto essere la sua felicità, il motivo dei suoi sorrisi.. Ed è normale, perché è bello potersi sentire importanti per qualcuno.”

“Ho sbagliato ad andarmene via così” Si prese la testa tra le mani “Ha già sofferto tantissimo e io mi sono messa a fare le scenate.”

“E' naturale che ti sia sentita ferita. L'importante è che tu capisca che lui non aveva l'intenzione di farti del male.”

“Grazie fratellone! Se non ci fossi tu sarei persa!” Sorrise asciugandosi gli occhi e alzandosi in piedi, alla ricerca del suo cellulare.


***


Appena sentì il suo cellulare squillare ci si fiondò sopra e scoprì, con un po' di delusione, che era solo un messaggio. Nessuna chiamata.

Se non altro era di Mel..

Ho avuto una reazione eccessiva, lo so, perdonami. Ti prometto che imparerò a convivere anche con lei, perché sono consapevole che in un modo o nell'altro sarà sempre con te.
Io ti amo, Bill. E sono pronta a sopportare qualsiasi cosa per te. Ricordatelo.”


Mi fa male quando nonostante tutto
tu scegli me...”

***

Eccoci qua! Allora, vi è piaciuto un pochino ino? *___*
Passo direttamente ai ringraziamenti, senza perdermi in ciance inutili u.u :

_Pulse_ : Eccoti servito il tuo Tom in grembiule e mestolo xD Sei felice? Io sì *Q*
Come sempre le tue recensioni sono lunghe e contorte, quindi amor ti ringrazio e basta XD Grazie mille Sonne, tu ci sei sempreeee *__* I love you so so so so so so muuucchhh!

Layla : Sono felice che lo scorso capitolo ti sia piaciuto e spero che quest'altro non sia stato da meno *__* Grazie mille, alla prossima!

Dreamer483 : Ovviamente Bill non potrà mai dimenticare Maggie, lo abbiamo visto anche in quest'utimo capitolo, però può imparare a superare il dolore e a ricordarla con un sorriso.
Melrose.. adoro questo personaggio! E adoro allo stesso modo anche Alan! E' il fratello maggiore che non ho e che vorrei tanto.. Mi accontento di quello più piccolo xD
Un bacio e grazie!

Memy881 : Bill e Mel si stanno avvicinando sempre di più, sì. Hanno ancora molta strada da fare. Ce la faranno? ^__^ Grazie mille!

Ika92 : Ti ringrazio, mi fa un piacere enorme, davvero! Spero continuerai a seguirmi *__*

Tokietta86 : Bill ha fatto molti passi in avanti da quando conosce Mel. Certo, ci sono molti altri nodi da sciogliere, ma siamo a buon punto e lui ce la sta mettendo tutta (:
Una bella coppia.. Uhm, lo spero tanto! XD
Alan lo adoro *__* Lo vorrei io come fratello, è l'ideale!
Spero di non avervi fatto aspettare troppo e spero ti sia piaciuto! Grazie mille per le tue immancabili recensioni, un abbraccio!

Grazie a tutti gli altri! Chi legge senza recensire, chi ha inserito questa storia tra le preferite e le seguite e blablabla v.v Amo tutti indistintamente (Un po' di più chi recensisce xD )

Alla prossima gente! Vostra,
Ale





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Capitolo 16
*** La lontananza ***


ATTENZIONE: E' un'emozione grandissima postare questo capitolo. Sono passati tantissimi mesi e per questo vi chiedo mille volte scusa. Ho passato un brutto periodo e non ho più scritto quasi nulla dall'estate scorsa a questa parte.. “Ci sarà” era rimasta lì in un angolo del mio computer e non avevo più la voglia e l'ispirazione per scriverla. C'ho impiegati tantissimo tempo per scrivere questo capitolo e ora che la crisi mistica è un po' passata lo voglio postare.. Spero di ritrovare le mie vecchie lettrici e spero che non siate troppo arrabbiate con me. Anche se ne avreste tutti i diritti ;)
Ringrazio enormemente chi ha recensito lo scorso capitolo, vi voglio un sacco di bene!! ENJOY,
Ale

P.s. La canzone è “La paura non esiste” di Tiziano Ferro.



Capitolo 15 – La lontananza

La Grecia era meravigliosa. Era bello tutto: il sole, il mare, la spiaggia sempre gremita di persone. Persino gli alberi avevano qualcosa di più magico.
Si portò lentamente la sigaretta alla bocca, prendendo un' altra breve boccata di fumo. Chiuse gli occhi ed espirò piano, sentendo la leggera brezza della sera scompigliargli i capelli.
La vista da quel terrazzo era mozzafiato, avendo allo stesso tempo un che di malinconico che però non guastava. Puntò lo sguardo all'orizzonte, verso il tramonto purpureo di fronte a lui.
La casa che avevano affittato per quelle due settimane era in pieno centro e se si sforzava riusciva a sentire i canti popolari che gruppi di ragazzi incoravano quasi ogni sera in spiaggia, attorno ad un falò. Scaldava il cuore percepire così tanta felicità nell'aria. La poteva respirare a pieni polmoni, sentirla dentro, sentirsi. Per la prima volta riusciva a sentirsi ed era davvero bello.
Fece un respiro profondo, lanciando il mozzicone oltre il parapetto e aggrappandosi saldamente alla ringhiera con entrambe le mani. Erano passati solo tre giorni dal giorno in cui erano partiti. Solo tre giorni e Mel gli mancava da morire.

"Tornerò fra appena due settimane, Mel" Abbozzò un sorriso, tirandole su il mento con due dita "Non piangere dai.." Sospirò, asciugandole le lacrime che continuavano a rotolarle sulle guance.
"Mi mancherai.." Sorrise mestamente. Gli prese i polsi e li allontanò piano dal suo viso "Però sono felice che tu possa passare del tempo con loro.." Fece un gesto verso la macchina parcheggiata poco più avanti. Tom, Georg e Gustav erano già dentro all'abitacolo ad aspettare il cantante.
Bill sospirò ancora. Mille pensieri gli affollavano la mente. Non avrebbe mai rinunciato a quel viaggio, perchè era una seconda possibilità che gli veniva donata su un piatto d'argento, era un'occasione che non poteva e non voleva lasciarsi sfuggire.. Però Melrose era diventata davvero importante per lui e vederla così gli spezzava il cuore. Gli spezzava, almeno, quei pochi brandelli che gli erano rimasti.
"Anche tu mi mancherai" Deglutì, lasciando cadere mollemente le braccia lungo i suoi fianchi spigolosi. "E lo dico davvero, Mel. Se non ci fossi stata tu nell'ultimo periodo forse.. forse ora sarei ancora chiuso in casa senza vedere nessuno oltre Tom." Abbassò il capo, guardando verso il basso "E invece tu mi hai curato.. e hai placato la mia rabbia verso tutti. Perchè ero incazzato, ero incazzato davvero con tutto il mondo. Ero incazzato perchè, in fondo, mi sentivo più morto.. di lei." Inspirò ed espirò un paio di volte.
"Bill, devi guardarti dentro, non capisci? Lei vive in te.. E' dentro di te e lo sarà sempre, non ti lascerà mai.." Scosse la testa malinconica. Tra loro cadde un opprimente silenzio.
"Come ci riesci?" Sussurrò, deglutendo il nodo che gli aveva chiuso la gola.
"A fare che cosa?"
"Come riesci a dirmi queste cose, ad essere così buona, così comprensiva.. A non..
odiarla."
"Ti amo.." Singhiozzò. "Ti basta come risposta?" Spazzò via le lacrime con gli indici e si guardò i pieidi.
"Bill è tardi, perderemo l'aereo" Bill voltò di poco il capo e vide Gustav affacciato al finestrino della macchina, un sorriso tenero dipinto sulle labbra. Rientrò nell'auto e il moro si rigirò verso Mel.
"Devi farmi una promessa"
"Quale?" Aggrottò le sopracciglia, arricciando le labbra.
"Devo trovarti ancora qui, come sei, al mio ritorno. Non mi devi lasciare, devi aspettarmi e devi starmi accanto, perché.. tu nemmeno immagini quanto bene mi fai.."
"Io non vorrei mai lasciarti, Bill. Ma tu continui a lasciare me." E quelle leggere lacrime che aveva fino a quel momento tentato di limitare, esplosero e cominciarono a scendere a fiotti dai suoi occhi verdi.

Io non vorrei mai lasciarti, Bill. Ma tu continui a lasciare me.
Era veramente una frase orribile. Era orribile ed era anche la verità... la verità era orribile perché lo era stato lui per primo. Con lei, con Tom, con tutti.
Quelle poche parole gli riecheggiavano nelle orecchie in ogni momento, come un incessabile, martellante eco. Si inchiodavano nel cervello e lì restavano. A tartassarlo. A logorarlo. Come si meritava.

"Come quando ovunque andrai e ovunque non c’è luce
Come sempre chiunque parli sempre una voce"


"Bill" si girò verso l'interno della stanza e vide Tom che avanzava verso di lui, uscendo in balcone e guardando il cielo. "E' una bella serata" constatò, per poi girarsi e guardarlo negli occhi, serenamente.
"Già" annuì "La Grecia è proprio bella, sai? E' stata una magnifica idea questa vacanza"
"Merito di Georg e Gustav"
"A proposito, loro dove sono?" Corrugò leggermente la fronte, stringendosi le braccia intorno alla vita.
"Sono andati ad affittare un film e a un cinese take away. Cena orientale stasera" Ridacchiò "Su entriamo, comincia a fare freschino qua fuori".
Più che una camera, quella di Bill, sembrava un mini appartamento. Era molto più che spaziosa, con un letto rigorosamente matrimoniale immenso, un divanetto e una poltrona posti davanti ad un televisiore al plasma di, come minimo, 42 pollici. Vicino al letto, al posto di un comodino, c'era il frigo bar. Il frigo era il massimo per Bill, quando ancora facevano i tour e alloggiavano negli hotel.
"Hai fame?" Chiese Tom, stravaccandosi sopra la poltrona bianca e accendendo la televisione, mantenendo basso il volume.
"Così e così" Rispose distratto, raggiungendo il suo cellulare e controllando se aveva ricevuto qualche messaggio. Niente. Sbuffò sonoramente e si lasciò cadere sul letto, pensieroso. Perchè cavolo non si fa sentire?
"Ehi Bill" Richiamò l'attenzione il suo gemello. "Guarda che sono passati appena tre giorni. E' normale che voglia lasciarti il tuo spazio" Sorrise impercettibilmente. Suo fratello riusciva proprio sempre a capire cosa gli passava per la testa.
"Lo so, lo so. Ma mi manca, non posso farci nulla." Si passò una mano sopra le palpebre e fece un respiro profondo. "E... ho paura."
Tom rimase in silenzio, guardandolo serio. Con lo sguardo lo esortò a continuare.. perchè doveva sfogarsi, doveva tirare fuori tutto quello che gli appesantiva la testa e, soprattutto, gli rendeva il cuore un macigno insostenibile.
"Ho paura di tutto, Tom. Ho paura di lei e ho paura di me, di farle del male, di farne ancora a me." Incrociò le gambe e lo fissò intensamente negli occhi. "Io sono ancora innamorato di Maggie, lo sai." Serrò la mascella e ricacciò indietro le lacrime, lasciando solo che una leggera patina gli inumidisse le iridi scure "E non smetterò mai di amarla.. anche se è una cosa insensata. Perchè lei non c'è più. Lei è morta. E' morta. Morta." Scosse la testa chiudendo gli occhi. "La morte mi è passata troppo vicino perchè io non la conosca almeno un po'.. Ma io sono qui! Sono vivo, cazzo! Non posso passare il resto della mia vita a sentirmi una merda perchè sono vivo! Devo vivere, lo devo fare.. anche per lei, per quello che ci ha legato e ci legherà ancora, fino alla fine." Azzardò una fugace occhiata verso Tom. Era immobile, una statua di sale, e lo guardava.. con una scintilla di paura e di orgoglio in quelle iridi identiche alle sue. "Devo vivere e devo farlo accanto a Melrose" Continuò, sentendosi quasi più leggero. "Perchè.. la amo."

"E ovunque andrò ovunque andrò
Quella paura tornerà domani, domani
E ovunque andrai ovunque andrà
Tu stai sicuro e stringi i tuoi perché"


***


"Ecco a te, Alfred" Sorrise, poggiando sul ripiano di legno chiaro un bicchiere di birra "E questa te la offro io" Ridacchiò, asciugandosi le mani sul suo grembiulino.
"Ah, Melrose, sei un tesoro" Esclamò prendendo un sorso della sua bevanda alcolica "Beato chi ti sposa" Esibì un sorriso sdentato e si passo una mano sul mento, accarezzando la sua barba incolta e brizzolata.
Alfred era una gran bella persona. Era sposato e aveva una figlia poco più grande di Melrose. Ultimamente passava spesso al locale del signor S, la sera con gli amici, e un po' ci si era affezionata.
Arrossì impercettibilmente e borbottò un "Per così poco", tornando poi al suo lavoro.
Mentre l'acqua del lavabo scorreva sui bicchieri che stava lavando pensò a Bill e a quei tre giorni di silenzio che le erano sembrati tre anni. Aveva dovuto fare uno sforzo sovrumano per non prendere il cellulare e chiamarlo almeno una settantina di volte. Ma si era trattenuta, aveva dovuto farlo. Lui si meritava davvero un po' di serenità e lei non voleva assillarlo in continuazione. E poi.. se avesse davvero voluto sentirla avrebbe potuto chiamarla lui e invece non l'aveva fatto. Già, perchè non l'aveva fatto?
Asciugò lentamente un calice di birra, inspirando a fondo e venendo accolta da quella familiare paura che da qualche tempo le faceva mancare il fiato. Il futuro. Pensare al futuro la terrorizzava, ne aveva un fottuto terrore e faceva di tutto per non pensarci. Per non pensare a Bill e al fatto che erano tre interminabili giorni che non si sentivano. Non un messaggio, non una chiamata. Non voleva fare il primo passo, perchè magari lui sentiva la necessità di staccare realmente la spina da tutto quello che aveva lasciato indietro partendo per la Grecia. Forse aveva bisogno di staccare anche da lei e non la voleva sentire.. Ecco, ricominciava a farsi le seghe mentali. Doveva essere positiva, concedergli i suoi spazi e non essere cos catastrofica.
"Signor S, ho finito!" Stiracchiò un sorriso e si asciugò velocemente le mani "Ci vediamo domani".
"Vieni nel pomeriggio, verso le 14.30, ciao Mel!"
Fece un ultimo cenno col capo, per poi ritirarsi nel retrobottega e raccattare le sue cose.
"E' un po' che il tuo amico non viene a prenderti" Sentì una voce simile ad un sibilio alle sue spalle, si voltò e vide Jessica sulla soglia, che stava per raggiungerla.
"Ha avuto da fare.." Soffiò. Le dava fastidio quando Jess cominciava a punzecchiarla su quell'argomento. Aveva capito che era un tasto semi dolente per lei e ci marciava alla grande.
"Oh per favore" Sbuffò sonoramente "Lo sanno tutti che sono partiti! Qualcuno li ha visti in macchina lasciare la città" La sua voce era terribilmente irritante e il suo modo di ridere quasi spaventoso. "Dai dimmi, dove sono andati?"
"In Grecia.. Ma si può sapere cosa importa a te?"
"Oh in Grecia!" Esclamò "E scommetto che ti rode un sacco non sapere cosa sta facedo in questo momento"
"Avanti Jess, lasciami stare" Afferrò stancamente la sua borsa a tracolla, ma venne prontamente bloccata dalla ragazza, che le si parò davanti.
"Oppure il tuo problema è non sapere con chi è?"
"Con i suoi amici, con chi vuoi che sia.." Doveva ammetterlo. Stava cominciando ad irritarsi.
"Mel.. Non ti nego che mi fai quasi tenerezza. Hai quest'aria spaesata e ingenua che intenerirebbe chiunque.. Come fai a non capire. Lui, nonostante tutto, è ancora una star" Si avvicinò al suo orecchiò con un sorriso felino "Tu sei una barista" Sussurrò.
"Lasciami, devo andare" Melrose la allontanò bruscamente, fiondandosi verso l'uscita e ritrovandosi in strada, con il suore che pareva pesarle una tonnellata nel petto. Si appoggiò ad una macchina parcheggiata davanti al locale e prese qualche respiro profondo, cercando di calmarsi e complimentandosi con se stessa per non aver versato nemmeno una lacrima,
"So cosa devo fare" Mormorò tra sè e sè. Con una corsa raggiunse la macchina e salì. Mise in moto e, alla velocità della luce, partì con una sgommata verso il luogo in cui avrebbe dovuto andare molto tempo prima. Era l'ora del chiarimento.

"La paura non esiste,
perchè chi odia sai può fingere
solo per vederti piagere.
Ma io ti amerò"

***



Le dita scorrevano veloci sulle corde della sua vecchia e fedele Gibson Custom , producendo un'armonia che ricordava bene. Quelle note.. erano così tragicamente familiari che poteva sentire il suo cuore spezzarsi ad ogni nuovo accordo.
Ne era passato di tempo dall'ultima volta in cui aveva suonato quella canzone. A dire il vero era passato un sacco di tempo dall'ultima volta in cui aveva suonato e basta. Era brutto da dire ma non ne aveva più avuto la voglia, non ne trovava più il senso. Aveva sempre e solo suonato per accompagnare una voce, e se quella voce non c'era più allora non doveva esserci più nemmeno la sua musica..
Quella sera però era diverso, quella sera si sentiva terribilmente malinconico; le sue mani fremevano, quasi in un tremolio, e non c'era stao verso di resistere a quell'impulso che gli era nato dentro non appena aveva posato gli occhi sulla sua vecchia compagna di viaggi. Era stato un solletico, quasi, che gli era partito dallo stomaco, per poi sfociargli nel petto a riscaldargli il cuore.
E ora se ne stava lì, seduto a bordo piscina, la chitarra stretta in grembo e le gambe a penzoloni immerse nell'acqua; stava così in pace con se stesso.. sembrava che nell'ultimo anno non fosse successo assolutamente niente di brutto, si sentiva protetto, racchiuso in una bolla.
"Du bist alles was ich bin, und alles was durch meine Adern fließt". Nel sentire quella voce, Tom credette di morire. Lì. A bordo vasca. Non poteva essere davvero lui.. eppure quando si girò, davanti a lui c'era Bill. Suo fratello. Con un sorriso molto più che accennato disegnato sulle labbra rosee. Aveva cantato, ce l'aveva fatta, aveva cantato la frase finale della loro canzone!
"E' un po' che ti osservo" Disse poi, sedendosi di fianco a lui e immergendo le sue gambette rachitiche nell'acqua fresca. "E non ho resistito" Arrossì, come se ammetterlo a voce alta fosse motivo di vergogna.
Tom si lasciò sfuggire una risatina rauca, guardando la chitarra che reggeva sulle ginocchia, un dito che tamburellava sulla cassa armonica. Inclinò di poco il viso per guardare di sottecchi il gemello, che nel frattempo stava agitando i piedi nella piscina. Era proprio lui; era tornato Bill. Il Bill di sempre, con le labbra piegate in un piccolo sorriso, il Bill di un anno prima.. solo con qualche cicatrice in più.
Gettò il capo all'indietro e quello che dapprima era solo un risolino discreto divenne una risata. Fragorosa, liberatoria, giusta. Rideva, mentre le lacrime gli rigavano il viso.
"Mi sei mancato!" Disse in mezzo al pianto. Cadde sulla schiena, la chitarra sdraiata sulla sua pancia, sotto lo sguardo un po' attonito e un po' divertito di Bill.


***


Quel posto era enorme e cominciava a perdere le speranze. Era arrivata da più di venti minuti e non era ancora riuscita a trovare quellla giusta; aveva vagato un po' a destra, un po' a sinistra, ma il destino sembrava non essere dalla sua parte. Per di più era deserto, non c'era nessuno.. almeno fin quando una signora molto anziana non fece il suo ingresso, varcando gli enormi cancelli grigi e dorati.
Melrose si precipitò all'entrata, rincuorata e un pochino più speranzosa.
"Signora! Signora salve.. avrei bisogno di un piacere" Abbozzò un sorriso.
"Certo, se posso esserti utile"
"Lei per caso sa dove posso trovare la lapide di Margaret Becker?" La signora si portò un dito sul mento e i suoi occhi cominciarono a fissare un punto indefinito di fronte a lei. Stava pensando, probabilmente. Di solito le signore di una certa età si muovono nei cimiteri con disinvoltura e sanno sempre dove sono le tombe di tutti.

“Stai parlando di quella ragazzina bionda di Amburgo?” Domandò poco dopo la signora, mentre stringeva al petto un grande mazzo di fiori rossi.

“Sì, sì.. credo.” Mormorò Mel, grattandosi la nuca.

“E' laggiù in fondo. La vedi? Dove ci sono quei fiori colorati. E' la lapida appena sulla sinistra.” Sorrise, indicando con l'indice “Povera ragazza, aveva solo ventun anni. Vengono spesso a trovarla i suoi amici..” La signora la stava accompagnando, con un sorriso mesto sulle labbra la seguiva in quei sentieri grigi, di cemento. “Tu sei una sua amica?”

“Una specie” Sussurrò, scuotendo debolmente il capo.

“Ci siamo, io ora devo girare qui a destra. Vado a trovare mio marito” Sospirò affaticata “E' stato un piacere”

“Anche per me” Melrose sorrise e non appena la donna sparì dalla sua visuale fece quei due passi che la dividevano da Margaret.

Guardare quella foto appesa al muro fu come un colpo allo stomaco.. e si sentì piccola. Piccola così.
Maggie era bellissima. Aveva dei lunghi capelli biondi e due occhi verdi che abbagliavano.. non aveva nemmeno un fili di trucco, eppure era meravigliosa lo stesso. I lineamenti del viso erano dolci e le labbra rosate, a forma di cuore.
Osservarla faceva male. Il suo fantasma aveva finalmente un viso, ce l'aveva davanti, ma non avrebbe mai pensato di sentirsi così.. annichilita, di fronte a lei. Per qualche minuto non fiatò e tutto intorno a lei sembrò essersi smaterializzato.

“Mi dispiace” Fiatò poi, mentre i suoi occhi si inumidivano. Mi dispiace davvero..” Sì passò una mano sugli occhi, asciugandoli dalle lacrime. Poi si sedette, di fronte a Margaret. E la guardò.

“Sono già troppo innamorata per tornare indietro, tutto qui.. è solo questo. E vorrei tanto che non fosse così, perché starei meglio..” Faticava a parlare. La voce continuò a tremarle, ogni parola, ogni lettera.. la sua voce non la smetteva di traballare. “Io non volevo innamorarmi di lui.. però poi è successo...”


***


Tom le mancava davvero molto, eppure erano passati solo pochi giorni. Si erano sentiti per telefono mattina, pomeriggio e sera.. però le mancava lo stesso. Sorrise tra sé e sé mentre camminava in mezzo a tutto quel cemento grigio e cupo.. non era per niente un posto da Maggie; a lei erano sempre piaciuti i colori, si da piccola. Il verde, il rosso, l'azzurro, l'arancio.. i colori caldi e amichevoli, un po' come lei.

Dio se le mancava anche lei.. la sua piccola, dolce Mag. Quello era stato l'anno più lungo della sua vita, sembrava non voler passare mai. Era stato infinito. Un po' come quando vai a scuola, nel mese di maggio; l'ultimo mese che ti divide dall'estate, dalla libertà.. è il mese più lento e inesorabile di tutti e giugno sembra così lontano..

“Io non volevo innamorarmi di lui.. però poi è successo” Sentì queste parole, pronunciate a mezza bocca da una voce femminile, un po' incerta. Girò l'angolo, rimanendo nascosta dalla siepe verde e rigogliosa, alzò gli occhi e vide che, seduta di fronte alla lapide della sua amiche, c'era una ragazza. Era piccola e bionda, magrolina.. le spalle ricurve le davano un'aria un po' malinconica.

“Stare qui seduta non è facile per me” la sentì dire “Ma è una cosa che sentivo di dover fare. Avevo come l'impressione che non sarei riuscita ad essere serena fino in fondo prima di averti vista...” Chi era quella ragazza? Cosa ci faceva lì? “Io lo so che Bill è ancora innamorato di te, e so anche che lo sarà sempre..” Parlava di Bill.. Se parlava di lui poteva essere una persona soltanto.. “Non so come mai, ma mi sento legata a te.. è strano, è una sensazione strana, ma mi sento legata a te da qualcosa di forte. Ed è Bill che ne sta subendo le conseguenze. E' così confuso, nervoso, e io non so più come comportarmi con lui. Però lo amo, lo amo così tanto..”Singhiozzò appena “E tu lo sai così cosa si prova, no? Il vero amore.. quello che ti fa venire voglia di morire per qualcuno” Melrose.. Era lei, doveva essere per forza lei, ne era certa.

Mel si alzò in piedi, si passò le mani sulle ginocchia spazzando via la polvere e si asciugò le guance. Becky si fece più piccola dietro alla siepe, e continuò a guardare quell'ammirevole ragazza che aveva ricominciato a parlare con Margaret.

“Mandamelo un segno, ti prego.. Mandami qualcosa, fammi capire che hai capito e che anche tu puoi riuscire ad essere felice per lui, anche se questo vuol dire vederlo con una donna che non sei tu..” Non riuscì a finire la frase che un “bip-bip” ruppe il silenzio che era calato ormai da qualche minuto.

Melrose estrasse il cellulare e aprì il nuovo messaggio che le era appena arrivato.

Bill: Mi manchi.

Strinse il cellulare con entrambe le mani e se lo portò al petto “Grazie” Bisbigliò a quella foto bellissima e sorridente, mentre l'ultima lacrima della giornata le scendeva fino al mento.


E ti amerò più in là di ogni domani
Più di ogni altro, di ciò che pensavi
Non m’importa ora di fingere
Il mio sguardo lo sai leggere “

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