Ci sarà... di Utopy (/viewuser.php?uid=76820)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tragedia ***
Capitolo 2: *** Cinque mesi dopo ***
Capitolo 3: *** Melrose ***
Capitolo 4: *** In assenza di te ***
Capitolo 5: *** Tornare a vivere? ***
Capitolo 6: *** Incontro ***
Capitolo 7: *** Verità ***
Capitolo 8: *** Lei non è lei ***
Capitolo 9: *** Ritorni ***
Capitolo 10: *** Un tuffo nel passato ***
Capitolo 11: *** Consapevolezza ***
Capitolo 12: *** Esasperazione ***
Capitolo 13: *** Confessione ***
Capitolo 14: *** Avvicinarsi ***
Capitolo 15: *** Una svolta decisiva ***
Capitolo 16: *** La lontananza ***
Capitolo 1 *** Tragedia ***
Molto
bene. Ho finito da poco “Scommettiamo” e finalmente
mi sono decisa a postare questa nuova fanfiction..
E’ stata un’ardua decisone, ve
lo confesso.. Tutt’ora non sono sicura al cento per cento di
cosa verrà fuori in questa storia. So solo che sono decisa a
finirla, qualunque cosa ne uscirà.. Non la
cancellerò. Al massimo la sospendo per un po’ xD
Il titolo di questa storia ( “Ci sarà” )
è preso dall’omonimo titolo della canzone che ha
ispirato tutto questo. Dalla canzone che è stata il
principio di ogni cosa : Ci sarà, di Raige. Vi consiglio di
andarvela a sentire, è bellissima. Almeno io me ne sono
innamorata *-*
La trama è un po’ particolare e non proprio
felice, ma che volete farci.. Sono un’artista tragica XD
A fondo pagina metterò i ringraziamenti alle persone che
hanno commentato l’ultimo capitolo della mia prima ff (
“Scommettiamo” )..
Non credo di avere altro da
dirvi.. u.u
Uhm.. No XD Possiamo cominciare ^__^
Dimenticavo.
Con questa mia creazione non intendo dare rappresentazione veritiera di
fatti o persone. Ciò che ho scritto non è a scopo
di lucro ed è tutto di mia immaginazione.
Buona
lettura, Ale.
******
Alla
mia Aria perché, in silenzio, te l’avevo promesso.
PRIMO
CAPITOLO: Tragedia
Un
altro angelo attaccato all'asfalto
stai tra un modo e l'altro
io un modo o nell'altro dovevo cantartelo,
il tuo animo bianco candido stretto in un battito
tutto qua parte e finisce in un attimo.
Settembre.
Una mattina come tante altre, il sole si stagliava alto nel cielo e i
suoi raggi vanno ad accarezzare due corpi nudi ancora addormentati nel
caldo di un letto soffice e spazioso.
Bill e Margaret.. Una storia d’amore lunga tre anni. Forte..
profonda e, credevano, indistruttibile.
Erano le sette e un quarto di un comune lunedì mattina,
Maggie aveva passato la notte nell’appartamento di
Bill.. Visto che la sera
prima erano stati fuori fino a notte fonda.
“Amore,
svegliati..” Sussurrò il moro, dando lievi scosse
al corpo ancora addormentato della giovane donna.
“Uhm..”
Mugugnò questa, sbattendo le palpebre e aprendo lentamente
gli occhi gonfi dal sonno.
“Buongiorno
amore mio!” La baciò a fior di labbra,
stringendola al petto. “Sono le sette e venti, devi andare
all’università!”
“Buongiorno
amore.. Uff, non ho voglia di andarci!”
Piagnucolò, ricacciandosi sotto alle coperte.
“Oh,
la mia bambina fa i capricci!” Ridacchiò,
raggiungendola sotto al piumone caldo. La abbracciò,
sfiorandole il naso con il suo e baciandole le mani fresche.
Stettero ancora un po’ a letto, a coccolarsi.
Lui,
ventidue anni, cantante di una band che aveva conquistato tutto il
mondo ormai da parecchi anni.
Lei,
ventuno anni, una studentessa universitaria che per mantenersi gli
studi lavorava tutti i pomeriggi in un edicola nel centro di Magdeburgo.
La
loro vita passava tranquilla, nonostante i molti impegni della giovane
rockstar riuscivano sempre a ritagliarsi del tempo per loro. Tutte le
sere lui passava a prenderla a casa e la portava lontano.. Non
importava dove, a loro bastava stare insieme. Andare anche in capo al
mondo sarebbe stato perfetto, ma sempre e comunque insieme.
“Maggie,
prometti di pensarci?” Domandò lui ad un certo
punto, interrompendo quel bacio che avevano cominciato da poco.
“Bill,
io voglio venire a vivere con te” Lo guardò con
occhi brillanti. Era lui, si. Era lui l’amore della sua vita.
“Voglio solo il meglio per nostro figlio, e per
noi.” Continuò poi, portandosi istintivamente una
mano sul ventre già lievemente arrotondato. Lì
stava crescendo piano piano la loro creaturina, che esisteva da appena
due mesi e mezzo.
“Dici
sul serio?” Lei annuì, mentre Bill la stringeva
forte al petto, soffocandola quasi, accarezzandole la pancia con un
amore tanto forte da stordirla. Presto avrebbero condiviso tutto,
presto sarebbero diventati una coppia a tutti gli effetti. Anche se lo
erano già da tempo. Ma condividere una casa era la base per
un futuro solido e assicurato.
Bill con lei aveva dovuto rivedere tutte le sue priorità. La
voleva sposare, voleva avere quel bambino e crescerlo dandogli tutto
l’amore possibile. Era la donna della sua vita, ormai ne era
sicuro al cento per cento.. Niente avrebbe più potuto
dividerli adesso.
Un
bacio, una carezza e un abbraccio. Poi Maggie si alzò,
chiudendosi la porta del bagno alle spalle e aprendo l’acqua
della doccia per lasciarla scaldare.
Poco dopo entrò nel box, lasciando che l’acqua le
scivolasse leggera sulla pelle, lavando via un’altra notte
d’amore con l’uomo che presto avrebbe voluto
chiamare “marito”.
La piega che stava prendendo la sua vita era del tutto inaspettata ma
così incredibilmente magnifica che non avrebbe mai potuto
chiedere di meglio.
“Ti sei incantata?” Persa nei suoi pensieri non si
era nemmeno accorta che Bill era entrato in bagno, aveva aperto
l’anta della doccia, ed ora la stava guardando appoggiato con
una spalla a quest’ultima.
“No,
scusa, pensavo” Sorrise lei, cominciando a lavarsi i capelli
con il primo shampoo che le capitò in mano.
“E
a che pensavi?”
“A
quanto sei impiccione!” Ridacchiò, schizzandogli
l’acqua sul viso.
“Ah,
questa me la paghi!” Velocemente si svestì e la
raggiunse sotto il getto caldo dell’acqua, avvolgendole il
corpo esile con le braccia magre e forti. Le baciò una
spalla, tenendo premute le labbra sulla sua pelle fresca e profumata.
“Sai
di buono!” Fece una faccetta buffa, inclinando la testa di
lato e guardandola amorevole, prima di baciarla con trasporto,
affondando le mani tra i suoi capelli castano scuri che ormai si
appiccicavano alle guance, ricadendole sulle spalle nude.
Si scostò, guardandola nel verde intenso dei suoi occhi, che
quasi sembravano color smeraldo. Erano penetranti.. La prima cosa che
lui aveva notato di lei: due occhioni verdi nel buio di una sera estiva
come tante, a quella festa di Berlino, a cui lui non voleva nemmeno
partecipare.
E non
c'è nulla di speciale nel volerti
basta guardarti, parlarti
a occhi aperti
e trovi un modo per farmi dire wow
e incastrare gli occhi miei nei tuoi di nuovo
“Sono
in un ritardo pazzesco!” Strillò lei, staccandosi
a malincuore da Bill e avvolgendo il suo corpo con un asciugamano che
si era preparata poco prima.
Una
volta vestiti, scesero in cucina, preparandosi la colazione.
“Allora,
che fai stamattina?” Domandò Maggie, mentre
portava due tazze di caffèlatte con due brioches alla
marmellata, sul tavolo dove era seduto Bill.
“Devo
vedermi con i ragazzi e con David per la revisione del nuovo
album!”
“Divertitevi!
Ah, salutami Tom e diglielo che diventerà zio.. Non
continuare a rimandare!” Ridacchiò, pensando alla
faccia del suo futuro cognato quando avrebbe saputo che lei era incinta
di quasi tre mesi.
“Ovviamente,
solo devo aspettare il momento giusto. E’ una cosa
importante.” Le prese la mano, stringendogliela forte. Tre
anni erano passati, ma ancora non riusciva a far smettere il suo cuore
di battere impazzito, ogni volta che la sfiorava.
“Dopo
l’università mi fermo a mangiare al volo con
Rebecca, poi vado dritta al lavoro e torno per le sette. Ceniamo
insieme?”
“Certo,
poi però ti rapisco per un’altra notte”
Sorrise furbo, dando un morso al suo cornetto e prendendo un sorso di
caffèlatte.
“Mi
piace essere rapita da te!” La sua risata argentina
riempì il silenzio della stanza, rimbalzando tra una parete
e l’altra, facendo stupire Bill di quanto una risata potesse
farlo stare così bene e in pace con il mondo.
Maggie guardò il suo orologio da polso, strabuzzando gli
occhi: era tremendamente tardi!
“Amore,
ci vediamo stasera! Ti chiamo alla pausa pranzo.. Ti amo!”
Prese la borsa, si infilò la giacca e uscì di
volata.. Sentendo il gelo dell’inverno entrarle nelle ossa,
congelandola.
“Ti
amo piccola pazza.” Sussurrò scuotendo la testa
Bill, ancora dentro casa, mentre lei era già uscita.
Prese le due tazze ormai vuote, e le ripose nel lavandino.
Doveva prepararsi anche lui, Tom sarebbe arrivato a momenti!
Hai
21 anni e quella voglia la stessa mia
prenderci in macchina fino a notte fonda
poi a casa mia, prenderci a letto fino a quando
il sole bussando
non ci avvisa che il mondo si sta svegliando
allora tu scendi di corsa, la doccia
i tuoi capelli sanno di albicocca
un bacio sulla bocca e dritta al lavoro
tra loro che non sanno che sudi
per mantenere mà e pà
e che studi, per darti una possibilità
“Bill,
sono io scendi!” Urlò Tom Kaulitz nel citofono di
suo fratello. Era appoggiato al cofano della sua macchina, fumando
quella sigaretta che ormai si stava consumando fra le sue dita. Diede
l’ultimo tirò e poi
gettò
il mozzicone sul marciapiede, vedendo anche l’ultima
scintilla spegnersi con un soffio di vento appena più forte.
“Eccomi!”
Bill spuntò fuori dal portone del suo appartamento,
salutando il gemello con la mano, che gli rispose con uno dei suoi
migliori sorrisi. Amava vedere il fratello così felice, e il
merito era tutto di quella gnometta dagli occhi verdi che lui adorava
con tutto sé stesso.
“Dai
sali, David e gli altri ci aspettano!”
Con
ancora il sorriso sulle labbra, Bill montò in macchina,
consapevole che quello era il momento più adatto per dare al
gemello la notizia.
“Ci
pensi? Presto io e Maggie andremo a vivere insieme..”
Sospirò felice, guardando il finestrino, mentre
l’auto cominciava a muoversi.
“Allora
ha accettato!” Esclamò felice
“Si,
entrò sette mesi il mio appartamento comincerà a
farsi stretto però..” Sogghignò sotto i
baffi, ascoltando il silenzio che era appena piombato
nell’abitacolo, pensando che molto probabilmente Tom stava
filtrando ciò che gli era appena stato detto, per arrivare
ad una conclusione sensata.
“Tu
vuoi dirmi che..” Strabuzzò gli occhi, lanciando
una breve occhiata a Bill, non perdendo di vista la strada davanti a
lui.
“Si
Tomi! Maggie è incinta!” Strillò
emozionato, guardandolo con gli occhi luminosi e pieni di vita.
“Diventerò
zio!”
“Diventerò
padre!” Si ritrovarono a gridare all’unisono, per
poi scoppiare simultaneamente a ridere.
“Bill,
è una notizia magnifica! A che mese è?”
Era esaltato come un bambino davanti ad un negozio di caramelle gommose.
“E’
quasi al terzo.. Stavo aspettando il momento giusto per
dirtelo” Sospirò felice. Non poteva crederci,
Entro appena sei mesi e mezzo sarebbe stato il papà di un
bambino meraviglioso.. O una bambina, chi poteva dirlo? Una bella
bambina, che somigliasse tutta alla mamma. Una bimba dagli occhi
verdi.. La sua principessa.
Aveva così tanta voglia di conoscerlo, quel bambino, che se
avesse potuto sarebbe entrato nella pancia della sua Margaret a fargli
compagnia.
“Sei
felice, Bill?” Chiese retoricamente, vedendogli un
espressione serena e rilassata.
“Non
vedo l’ora di stringerlo tra le braccia..”
Mormorò assorto, pensando e ripensando al grande giorno.
“Sono
sfinita!” Esclamò una moretta sedendosi al
tavolino di un bar-ristorante seguita da una ragazza leggermente
più alta di lei.
“A
chi lo dici Rebecca, se penso che tra meno di un’ora devo
essere al lavoro mi viene da piangere..” Maggie si
lasciò cadere pesantemente sulla sedia di fronte
all’amica, mettendosi le mani tra i capelli.
“Nelle
tue condizioni dovresti restare a casa a riposarti, Maggie.”
“Oh
andiamo! Sono incinta, non sono malata!” Sventolò
una mano davanti al viso, sbuffando divertita. Nonostante facesse
l’indifferente, tutte quelle attenzioni le facevano piacere.
Una suoneria interruppe le due ragazze, che si tastarono le tasche dei
pantaloni.
“E’
il mio!” Esclamò Margaret, tirando fuori il
cellulare.
Complimenti
alla mamma più bella del mondo!
Era
un messaggio di Tom. Il suo cognatino preferito. Sorrise, rispondendo
brevemente all’sms pigiando i tasti sulla tastiera del
cellulare.
Grazie
cognato! Domani festeggiamo!
Con
un sorriso ripose il telefonino nella sua borsetta, mentre un cameriere
arrivava con le ordinazioni.
“Con
Bill come va?” Domandò l’amica, dando il
primo morso al panino di fronte a lei.
“Tutto
splendidamente bene. Andremo a vivere insieme a breve!” Le
fece l’occhiolino, addentando il toast al prosciutto e
formaggio che aveva ordinato.
“Hai
accettato allora!”
“Come
potevo non farlo?” Si amavano e aspettavano un figlio. Due
motivazioni più che valide per
fare
quell’ennesimo passo e rafforzare ulteriormente la loro
storia, seppur non ce ne fosse bisogno.
L’altra annuì, sorridendo e riprese a gustarsi il
suo pranzo.
“Becky
e tu? Con Eirik?” Si interessò Maggie, sapendo che
tra loro non andava più molto bene.
“Insomma..E’
complicato.” Sospirò l’altra, abbassando
lo sguardo. “Diciamo che non è più come
all’inizio, è cambiato, lo sento
diverso..”
“Oh,
mi dispiace.. Quando hai bisogno di parlare io ci sono, lo
sai!” La consolò, accarezzandole il braccio.
“Certo
Maggie, grazie..” Le sorrise, mettendo in bocca
l’ultimo boccone del panino.
“E’
tardissimo! Derek mi ammazza se non arrivo in orario
all’edicola!” Esclamò alzandosi dalla
sedia, infilandosi il giubbotto pesante.
“Non
ha pietà di te nemmeno ora che aspetti un
bambino?” Sogghignò l’altra, vedendola
trafelata portarsi la cinta della borsa sulla spalla.
“Quell’uomo
non ha mai pietà!” Le strillò Maggie
appena prima di aprire la porta e di schizzare fuori dal locale.
Si avvicinò alla sua macchina e, montandoci copra, la mise
in moto, diretta verso l’edicola.
La sua vita era così, frenetica e scandita secondo per
secondo. Spesso non aveva nemmeno il tempo di respirare,
c’erano stati alcuni giorni in cui credeva di non riuscire a
continuare così, a gestirsi il tempo tra scuola e lavoro. Ma
poi ripensava alla creaturina che le stava crescendo nella pancia, a
Bill.. E tutto svaniva, PUF, come una bolla di sapone.
Parcheggiò la macchina e si tuffò fuori,
precipitandosi dentro alla cartoleria.. Dove l’aspettava un
uomo alto, sulla quarantina.. Con l’aria severa e un piede
che batteva ritmicamente sul pavimento.
Quella sarebbe stata una lunga e dura giornata..
Doveva
fare presto, Maggie avrebbe staccato presto dal lavoro e sarebbe subito
andata nel suo appartamento. Dovevano uscire a cena e lui non vedeva
l’ora di abbracciare la sua piccolina e di passare la serata
insieme a lei. Era dalla mattina che non la vedeva e non la sentiva.
Non l’aveva nemmeno chiamato durante la pausa pranzo,
probabilmente si era ritrovata con l’acqua alla gola, sempre
in ritardo. Tipico di lei.
Sorrise, pensando al suo viso imbronciato appena sveglia, quando gli
aveva detto che non voleva andare all’università..
E si rese conto che nessuna ragazza gli avrebbe mai potuto dare tutto
quello che gli dava Maggie solo con un semplice sguardo.
Lei era in grado di riempirgli le giornate con un sorriso, di farlo
volare a metri da terra con poche parole.. Margaret
Becker sarebbe stata sua
moglie, la madre dei suoi figli.. Non se la immaginava una vita senza
lei al suo fianco. Quella ragazza era stata un dono dal cielo quando
tutto intorno a lui stava svanendo, quando anche il rapporto con il suo
fratello gemello si stava incrinando. Poi un giorno.. Era arrivata lei,
in una sera di inizio luglio.. Con una ventata d’aria fresca
era piombata nelle loro vite, facendole ritornare nei binari.
Rimettendo tutto al suo posto, portando l’ottimismo e il
buonumore.
Maggie era un angelo, ormai ne era più che convinto.
Il
campanello suonò, e quasi non rischiò di
ammazzarsi per andare ad aprire la porta. Nemmeno si aprì
del tutto che lui si era già fiondato tra le braccia della
sua fidanzata, travolgendola.
“Amore
quanto mi sei mancata!” Le sussurrò tra i capelli,
baciandole la guancia, poi il mento e le labbra. Quelle labbra rosa e
profumate di ciliegia. La strinse a sé un po’
più forte, accarezzandole la chioma scura.
“Anche
tu ci sei mancato.” Sorrise, accarezzandosi il ventre e
facendolo ridacchiare sottovoce.
Il moro si chinò,a posare un bacino anche sulla pancia della
ragazza, sfiorandola piano.. Come fosse di un vetro particolarmente
delicato.
“Allora,
andiamo? Ti porto in un bel posticino!” Esclamò
pimpante, prendendola per mano e chiudendo la porta del suo
appartamento a chiave, ficcandosele poi in tasca, insieme al cellulare
e al portafogli.
“Ti
sta benissimo quel vestito, lo sai?” Le disse, una volta in
macchina, diretti verso il ristorante. “Ti dona il
verde.” Continuò poi, facendola arrossire, e
sorprendendosi di riuscirci ancora dopo tutti quegli anni insieme.
“Grazie
Billie..” Sussurrò, guardando poi fuori dal
finestrino le macchine che continuavano a sorpassarli. Bill era molto
prudente alla guida, si poteva definire impeccabile, soprattutto quando
a bordo c’era anche lei. Rispettava i limiti, le distanze di
sicurezza, andava piano e non faceva pazzie..
Soprattutto non guidava mai dopo aver bevuto anche solo una bottiglia
di birra. “Non è prudente” Le ripeteva
sempre.
Lei apprezzava molto questo suo comportamento, si sentiva protetta.. E
non aveva paura di nulla. Non con lui.
La
radio era sintonizzata su una stazione che trasmetteva una vecchia
canzone tedesca. Maggie cominciò a canticchiarla nella
testa, nonostante non ne conoscesse né il titolo
né l’autore.
“Sei
stupenda amore mio..” Le sussurrò Bill ad un certo
punto, posando la mano sul suo ginocchio, in cerca della sua, che
trovò e subito strinse.
Ricordo
bene quel vestito di H&M
verde chiaro
sei la più bella non ce n'è
dai partiamo al volante in corso alla mano il finestrino abbassato
le altre macchine sfrecciavano noi andavamo piano
ascoltavamo chi paga, pioggia, mai
“La
smetti di farmi i complimenti? Va a finire che divento
un’aragosta!” Ridacchiò lei, portandosi
la mano di lui alla bocca e lasciandoci una scia di baci fino alla
punta delle dita. “Però ti amo”
Continuò, guardandolo luminosa in viso.
“Ti
amo, piccola mia” Le disse di rimando, lanciandole
un’occhiata fugace, prima di riportare la concentrazione al
volante.
“Io
ti amo di più.” Incrociò le braccia al
petto, guardandolo con tono di sfida.
“Se,
ti piacerebbe!” Fece una risatina sfottitrice, spingendole il
braccio con una mano.
Seguì
un po’ di silenzio. Ognuno perso nei suoi pensieri, ognuno
con le sue preoccupazioni, le sue paure, le sue gioie.
Perché seppure quei due ragazzi innamorati stessero vivendo
una favola, la paura del futuro c’era eccome. Non del loro
futuro come coppia, quello no. Il loro futuro come genitori, semmai.
Sarebbero stati un buon padre e una brava mamma? Avrebbero cresciuto il
loro bambino sano e forte.. Con dei principi e dei valori?
Tante domande e, apparentemente pochissime risposte.. Se non nulle.
Avevano ancora mesi per imparare a crescere e a maturare,
insieme.
Ora dovevano solo godersi
quella serata in pace, lontani da tutto. Lontani dal mondo.
“Senti
un po’.. E la primissima copia del nuovo album quando me la
dai? Perché sai, no.. Che voglio la prima in
assoluto?” Scherzò lei, cominciando a ridere..
Seguita a ruota da lui.
“Vuole
la prima copia, la signorina!” Rise forte.
“BILL!
ATTENTO!” Un grido agghiacciante rimbalzò tra le
pareti dell’abitacolo, Bill si girò di scatto
verso la strada.. Due enormi fari gialli gli annebbiarono la vista,
facendogli incontrare solo una forte luce che gli impediva di vedere
qualsiasi altra cosa.
Un rumore assordante gli tolse l’udito, facendogli sentire
solo un lungo e perenne fischio fastidioso e anche un po’
doloroso. L’unica cosa che gli saltò in mente fu
il pensiero di Margaret, di fianco a lui, che non aveva nemmeno
fiatato. Non un grido, non un gemito, non una parola.
Stava con gli occhi sbarrati, paralizzata dal terrore, mentre la
macchina veniva travolta dal camion e rotolava su se stessa, compiendo
giri completi. Fracassandosi.
Gridò ancora, gridò il suo nome a pieni polmoni,
sperando che reagisse, ma niente.. Rimaneva ferma, congelata sul posto
dalla paura, mentre l’auto si accartocciava su di loro. Era
una situazione troppo strana, mai in vita sua avrebbe pensato di
ritrovarcisi in mezzo come protagonista.
Non capiva più niente, non vedeva, non sentiva. Continuava
ad urlare, a chiamare la sua ragazza.
Poi ad un certo punto la macchina si fermò, smise di
rotolare. Gli faceva un male cane la testa, sentiva il sangue caldo
colargli lungo la tempia, bagnargli il labbro. In bocca il suo sapore
ferroso e salato gli faceva venire voglia di vomitare.
Si guardò intorno, non capiva niente. Terrorizzato, si
girò verso destra, verso Margaret.. Stesa sul suo sedile,
con le braccia penzoloni. Svenuta.
“MAGGIE!” Urlò, tentando invano di
liberarsi dalla cintura di sicurezza, che però era
incastrata e non ne voleva sapere di smollarsi.
Poi delle sirene in lontananza. La loro salvezza.
Deglutì, rincuorato, allungando un braccio verso Maggie e
accarezzandole il viso, per poi prenderle la mano e stringergliela
forte.
“Ancora
poco e saremo fuori di qui. Resisti amore mio.” La voce
strozzata, le lacrime che gli rigavano il volto. “Ti amo.. Ti
amo.. Ti amo..” Continuava a farfugliare, la mente ancora
stordita e confusa.
Tu
che mi chiedi un disco tuo ma quand'è che me lo fai?
io che rido
poi un grido
forse il tuo non so se sale
il boato mi ha assordato chissà tu cosa hai guardato
e la luce, la non luce
poi la luce a tratti
il verde chiaro, il rosso forte
puzza di bruciato
io che ho gridato,
forse l’ho solo pensato
sai era tutto così strano
ma Dio quanto ti amo!
Andava
avanti e indietro lungo il corridoio di quell’ospedale bianco
candido che mai aveva odiato come in quel momento. Un’ora fa
un’ambulanza li aveva trasportati li: lui aveva solo una
distorsione al braccio, qualche graffietto e qualche ematoma sparsi per
il corpo. “Incredibile” Avevano detto i dottori.
Lei invece aveva battuto la testa.. Non aveva capito niente di quello
che gli avevano detto, non aveva ascoltato una sola parola.
L’unica immagine fissa nella sua testa era il viso sorridente
di Margaret, con un bambino in braccio..
Il bambino.. Non voleva nemmeno sperare che si fosse salvato, era una
cosa impossibile. Sarebbe stato un miracolo.
Ma in quel momento l’unica cosa davvero importante era
Maggie..
Si chinò ancora sul water, vomitando l’anima.
L’ansia gli metteva uno strano malessere addosso.. Lui voleva
solo andarsene da quel posto con la sua piccola donna fra le braccia.
Voleva sentirsi dire che andava tutto bene e che potevano tornare a
casa tranquilli.
E
nulla mi è mai mancato come te adesso
giuro, nulla, tutto è spinto all'eccesso
e in questo ospedale messo a carponi a vomitare con la testa nel cesso
a dirmi che prima o poi passerà
Uscì
dal bagno, passandosi la manica della giacca leggermente sporca di
sangue, sulla bocca e poi sulla fronte imperlata di sudore.
Si sedette in sala d’aspetto, portandosi le mani sugli occhi.
Aveva chiamato Tom quando era ancora sull’ambulanza, ma di
lui nemmeno l’ombra. Non era ancora arrivato. Di sicuro era
imbottigliato nel traffico, data l’ora avrebbe dovuto
essercene parecchio in giro.
Una
porta si aprì, risvegliandolo dai suoi pensieri senza capo
né coda. Un uomo alto e magro, con i capelli bianchi e un
paio di occhialetti da vista poggiati sul naso, si avvicinò
a Bill.
“Lei
è qui per la signorina Margaret Becker?” Chiese,
guardando la cartellina clinica che portava tra le mani.
Bill
annuì impercettibilmente, con le lacrime agli occhi e un
senso di ansia e oppressione che gli saliva alla gola, strozzandolo.
“Mi
dispiace, l’abbiamo persa.” Sussurrò,
scuotendo la testa e togliendosi
gli occhiali
dalla punta del naso “Abbiamo fatto il possibile ma non
c’è stato nulla da fare. L’emorragia
interna era in fase troppo avanzata. Posso solo assicurarle che non ha
sofferto” Mormorò poi, prendendogli una spalla e
stringendogliela appena.
Non
si saprebbe spiegare adeguatamente quello che successe nei secondi
successivi all’interno di Bill. Un vortice lo
risucchiò giù, giù.. sempre
più giù, in un baratro nero e senza fondo. Le
emozioni si accavallavano le une con le altre, confondendolo.. Amore,
perdita, smarrimento, terrore, dolore. Dolore forte e lancinante, in
tutto il corpo.. Si espandeva come quando rovesci il caffè
su una tovaglia e la macchia, dapprima minuscola, si allarga fino a
diventare una voragine.
Non
era vero, non poteva essere vero. Maggie non era.. Morta.
Solo al suono di quella parola avrebbe voluto accasciarsi a terra e
piangere fino a che il Signore non avesse avuto pietà di lui
e avesse deciso di ammazzarlo, ponendo fine a quella lenta agonia che
stava intaccando il suo corpo.. Mordendo, rosicchiando, consumando.
Quella
frase gli rimbombava nelle orecchie, un’eco lontano, poi
vicino, poi di nuovo lontano. Non sapeva più che cosa
sentiva, né se sentiva realmente qualcosa.
L’abbiamo
persa..
L’abbiamo
persa..
L’abbiamo
persa..
Si
scostò dalla presa del medico quasi con rabbia, cominciando
a marciare verso l’uscita.
Non ce la faceva. Non riusciva a camminare, non riusciva a pensare, non
riusciva nemmeno a respirare.
Si appoggio ad un muro, dopo aver fatto pochi passi. Ci
sbatté contro la testa un paio di volte, sentendo il dolore
abbattersi su di lui così impietosamente da farlo iniziare a
piangere, a lanciare imprecazioni a chiunque. A Dio, a sé
stesso, a sua madre per averlo messo al mondo. A quel mondo infimo e
bastardo. Al proprietario di quel camion.
Pensò
a quel figlio di puttana che li aveva travolti con il suo camion del
cazzo. A lui non era successo niente, nemmeno un graffietto. Nulla. Era
stato portato con loro in ospedale solo per precauzione e per la prassi.
Ora se ne stava li, seduto a poca distanza da lui, che guardava in
basso.. Forse a ripensare a tutto quello che era successo non
più di un’ora e mezza fa.
Aveva il viso consumato e invecchiato, segnato forse da una vita che
non era stata troppo gentile con lui. Ma in quel momento a Bill non
gliene fregava un cazzo. Avrebbe solo voluto ucciderlo con le sue
stesse mani, strappargli via il cuore dalla cassa toracica.
Dice
che non hai sofferto quello col camice bianco
io son rimasto fermo ma avrei voluto ammazzarlo
e il bastardo che ci ha preso in pieno, manco un graffio
era un rumeno ubriaco marcio
guidava contromano lungo il corso
nei tratti grossolani del suo volto
nessun rimorso
se avessi forza gli spaccherei la testa con le mani
Si
trascinò nel cortile dell’ospedale, era buio
pesto, non c’era più quasi nessuno in giro. Era
tardi.
Percorse gli scalini, poi si fermò.. Accasciandosi a terra,
vinto dal dolore che gli invadeva il petto.
Gli sembrava di morire dal male.. Voleva
morire.
Lanciò un urlo agghiacciante, squarciando il silenzio di
quella notte apparentemente tranquilla. Apparentemente come tutte le
altre.
Ma no, quella notte non era per niente come tutte le altre. Se fosse
stato così ora lui sarebbe a casa sua, a fare
l’amore con Maggie, a dirle quanto la amava. Quanto la ama. A
fare progetti su un futuro che ormai era svanito, si era distrutto
davanti ai suoi occhi impotenti. Era morto insieme alla sua giovane
vita. A pensare e a ripensare al giorno del parto, al giorno in cui
avrebbero dovuto conoscere il loro bambino. Ed ora lui era rimasto
solo. Non c’era più Maggie. Non c’era
più loro figlio.
Cacciò un altro grido, che gli bruciò la gola,
facendogli male. Ma quel male non era nemmeno paragonabile a quello che
dentro gli logorava l’anima.
“Bill!
Bill.. Vieni, tirati su..” Una voce familiare si
avvicinò a lui. La voce di Tom, suo fratello.
Con tutte le forze che gli rimanevano si aggrappò al corpo
del gemello, tirandolo giù con sé, piangendo
forte.. Senza preoccuparsi degli sguardi di quei ragazzi che si erano
fermati a fissarli mentre passavano davanti all’ospedale.
“E’
morta! E’ morta, non c’è più
Tom!” Strillò tra le lacrime, spalancando gli
occhi, come se la realtà gli si piazzasse davanti solo dopo
aver pronunciato quelle parole orribili a voce alta.
“No..”
Sussurrò con la voce strozzata. Lasciandosi cadere di fianco
al fratello, inerme.. E appoggiando la testa alla sua lasciandosi
vincere dal male che stava tentando di prendersi anche lui, dalle
lacrime che gli scendevano rigandogli il volto pallido e sconvolto.
Mille lame gli trapassavano il petto ad ogni singhiozzo straziante di
Bill.. Era peggio di morire, perché intrappolato in una
realtà che non vuoi, che detesti con tutto il cuore.
Abbracciò
Bill, avvolgendo il suo esile corpo, gracile e tremante con le sue
braccia forti e muscolose. Lo prese tra le sue braccia e
cominciò a cullarlo.. Non sapendo come fare per impedire a
quelle lacrime di continuare a ferire il suo viso.
La
sua Maggie non c’era più. Questa verità
gli stava troppo stretta, non riusciva a ficcarsela nella testa.. Gli
sembrava un sogno. Un terribile incubo dal quale avrebbe voluto
svegliarsi il prima possibile. Scoprendo che Margaret era sempre
rimasta a letto, al suo fianco.. L’avrebbe baciata e le
avrebbe sussurrato un “Ti amo”
all’orecchio, ricominciando a dormire sereno..
Ma
quello non era nemmeno il peggiore degli incubi. Era peggio.. Quella
era la realtà, nuda e cruda.
Basta
un secondo, per perdersi nel vuoto, cadere giù, sempre
più giù, annegare nei pensieri privi di
collegamenti e tutto sembra sfuggirti di mano.
Ci
sarà, un modo per capirlo fino in fondo, ci sarà
un giorno in cui capirlo fino in fondo ci sarà,
ma oggi no
fa troppo male
voglio solo gridare che ci sarà e ci sarà
Oddio
vi prego datemi un parere, sono troppo (troppo) insicura :,(
Spero con tutto il cuore che, almeno ad alcune di voi, sia piaciuta..
Ci spero davvero!
Come vi ho già anticipato devo fare qualche ringraziamento..
Partiamo:
Devil96 : Grazie davvero. Mi fa piacere averti fatta commuovere *-*
Sono riuscita nel mio intento (:
NICEGIRL
: Grazie, grazie, GRAZIE! Spero davvero di non aver deluso nessuno..
Forse sono io l’unica a non essere contenta XD Eccoti una mia
nuova fanfiction, con la speranza che tu la legga e ti piaccia. Un
bacio e grazie ancora!
Layla
the punkprincess : Ecco la storia che mi ha fatta penare in questi
ultimi tempi. Spero che riuscirai ad apprezzarla. Per ora ti ringrazio
per la recensione all’ultimo capitolo di scommettiamo.. Sono
felice di non averti delusa *-* ( Mia cara, credo che TUTTE
pagherebbero per essere al posto di Viktoria xD )
Babakaulitz
: Devo ammettere che aspettavo la tua recensione con un filo
d’ansia e di impazienza. Sei stata tu, con il tuo commento, a
farmi capire che dopotutto.. Scommettiamo si meritava un finale degno
di nota. Sono orgogliosa di averti fatta immedesimare in questa
fanfiction e di avertela fatta amare, mi hai resa fiera giuro.
Spero che anche l’altra storia (
“Incastrate” ) Ti piaccia.. Continua a seguirmi, mi
raccomando *-*
Grazie ancora, un bacio!
_Pulse_
: Tu e la tua mega iper gigante stra lunga recensione XD Sono diventata
strabica per leggerla tutta XD Però ti ringrazio, per tutto
quello che hai scritto e per credere così tanto in me *-*
Come hai potuto ben notare.. Questa nuova fanfiction è
dedicata a te, perché per scriverla ci sto mettendo tutto
l’impegno possibile e perché, dopotutto, la amo
profondamente. Anche
se mi crea non pochi problemi .-. Ti voglio bene Aria, con tutto il
cuore. Il tuo folletto verde fedele bla bla bla XD
Devilgirl89
: Addirittura una delle migliori che hai letto? *-* Oddio mi fai
arrossire xD Ecco un’altra mia creazione, spero di non
deluderti ^__^ Grazie!
Dark
Dancer : Tu, che ci sei dall’inizio *-* Grazie, grazie di
cuore.. Ormai sei una lettrice affezionate XD Spero continuerai a
seguirmi. Un bacio grande!
Infine
ringrazio tutte quelle che hanno letto anche senza recensire, so che ci
siete anche voi. Grazie comunque.
Ale *-*
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Capitolo 2 *** Cinque mesi dopo ***
Ok,
siamo al secondo. La storia si intensificherà nel terzo,
già vi avviso, ma nonostante tutto spero che anche questo
capitolo vi piaccia.
Non mi dilungo, oggi è una giornata nera -.- Devo leggermi
tutto “Se questo è un uomo” di Primo
Levi, perché il buon professore di storia a deciso di farci
una verifica e di avvisarci con due soli giorni di anticipo. Bello no?
XD
Buona lettura *__*
SECONDO
CAPITOLO (Cinque mesi dopo)
Erano
passati cinque mesi. Le giornate trascorrevano inesorabili e, a volte,
sembravano non passare mai. I minuti rintoccavano pesantemente,
rendendosi insopportabili e dolorosi.
Quella vita non era più degna di essere definita tale. La
vita di quel ragazzo era qualcosa di inutile, si sentiva obbligato a
viverla.
Un ventiduenne in quello stato, non era certo il massimo. I capelli,
raccolti spesso in una coda a casaccio, gli occhi spenti ed un accenno
di barba sul mento e sulle guancie.
Non si curava più, il suo aspetto lo aveva dimenticato da
tempo, non gli importava più di apparire sempre perfetto,
non gli importava di far valere la sua immagine. Fondamentalmente, non
gli importava più di niente.
Aveva
tagliato i ponti con tutti, eccetto che con il fratello, che ogni
giorno passava nel suo appartamento. Non parlava con Gustav e Georg da
troppo tempo, non rispondeva più al telefono, facendo
così preoccupare la madre. Non si presentava più
alle riunioni con la band e ormai si poteva dire, che i Tokio Hotel non
esistessero più. Troppe le cose non dette, troppi i silenzi
incompresi. Semplicemente, Bill Kaulitz aveva perso la voglia di
vivere, aveva perso i sogni per cui tanto aveva lavorato. Li aveva
lasciati indietro con.. Con lei.
Era
steso nel suo letto da un po’, non sapeva quanto. Minuti,
forse ore..
Non aveva voglia di alzarsi, non aveva voglia di trascinarsi fino al
tavolo della cucina per fare colazione, per fare qualsiasi cosa. Non
aveva voglia di cominciare una nuova giornata.
Desiderava solo rimanere a letto, a crogiolarsi nel caldo della
trapunta, senza pensare a niente. O per lo meno non permettere che i
ricordi lo assalissero si nuovo.
Succedeva sempre, ogni volta la stessa storia. Lui cercava di
distrarsi, di spegnere il cervello e tutti i collegamenti.. E quei
ricordi, i ricordi dei giorni felici e pieni di allegria, gli
assalivano la mente senza pietà, senza dargli tregua.
Lui chiedeva solo un po’ di pace.. Solo trovare una via
d’uscita a tutto quel male.
Non era forse stato abbastanza crudele il destino, o Dio, o chi cazzo
era stato, a portargli via l’amore della sua vita?
L’unica ragazza che lui avesse mai amato così
profondamente ed incondizionatamente.
Meritava di soffrire ancora forse?
Irritato
si levò la coperta di dosso con rabbia, appoggiando i piedi
nudi a terre e incontrando quel gelo del pavimento che gli fece
scorrere una scarica di brividi su per la colonna vertebrale.
Rabbrividì un paio di volte, poi si infilò un
maglione e scese da basso. Si avvicinò al frigorifero per
prendere il latte, e un biglietto attaccato proprio li sopra con una
calamita attirò la sua attenzione.
Billie sono
passato ma tu dormivi, vorrei parlare un po’ con te. Passo
nel pomeriggio, ti voglio bene fratellino. Tom.
Stacco
il foglietto di carta e se lo portò davanti al viso,
guardandolo da più vicino. Sorrise debolmente, rendendosi
conto che inevitabilmente stava facendo soffrire anche le persone a lui
più care. Quelle che gli erano rimaste vicine, nonostante
lui continuasse ad allontanare chiunque.. Dicendo che voleva essere
solo lasciato stare.
Sospirò pensando che forse, prima o poi, avrebbe dovuto fare
un passo verso di loro e far capire che, malgrado il dolore che
continuava ad attaccarlo, lui li amava comunque. Senza differenze,
sebbene di tempo ne fosse passato parecchio.
Aveva
persino mollato il lavoro, il suo splendido e desiderato lavoro da
rockstar. Non cantava più e, se lo faceva, lo faceva solo
per lei.
Pensare anche solo il suo nome gli faceva sanguinare il cuore, e lui
non voleva più piangere.. Non voleva più sentire
quel fastidioso pizzicore al naso ogni volta che le lacrime
minacciavano di sgorgargli dagli occhi. Quegli occhi ormai da troppo
tempo velati di malinconia e tristezza.
Odiava sentirsi le guance umide e il naso chiuso.. Odiava tornare
indietro nel tempo. Ai giorni in cui lei ancora c’era, fino
al giorno in cui lei non c’era più.. Volata via
come una bellissima colomba, nel cielo azzurro e infinito.
Senza
accorgersene si ritrovò seduto a terra, con la schiena
premuta contro il frigorifero e una mano che stringeva la maglia
all’altezza del petto, dove una volta c’era il suo
cuore..
Gli occhi sbarrati e il respiro affannato, come quello che viene dopo
una corsa a perdifiato.
Si aggrappò alla credenza, tirandosi su e rimettendosi in
piedi, ciabattando come uno zombie fino al salotto e lasciandosi cadere
a peso morto sul divano bianco e morbido.
Chiuse gli occhi portandosi una mano sulla fronte, e lasciando che
tutti quei ricordi riaffiorassero alla sua mente, affogandolo. Tanto,
cos’aveva ancora da perdere?
15
settembre 2012
“Con
immenso dolore da parte dei famigliari, del fidanzato, dei parenti e
degli amici tutti, siamo qui insieme riuniti per celebrare
l’ultimo saluto a Margaret Becker, ragazza di grande cuore e
grandi aspirazioni. […] E dall’alto dei cieli,
veglia su di noi. Addio Margaret.”
Fanculo. Fanculo, fanculo, fanculo.
Lui non ci voleva rimanere li, non voleva stare seduto alla prima fila
di quella maledettissima Chiesa. Lui nemmeno ci credeva in Dio.
Avrebbe tanto desiderato ritornare a casa, a piangere il dolore della
perdita da solo.. Ma no, era stato quasi portato con la forza davanti a
quella bara che non osava nemmeno girarsi a guardare.
Di fianco a lui c’erano i signori Becker, mentre
dall’altra parte Tom, Gustav e Georg. I genitori di Maggie
piangevano.. Frederick doveva tenere in piedi Katia, o sarebbe caduta a
terra priva di forze.
Suo fratello, in parte a lui, aveva gli occhi rossi e gonfi. Lui invece
era un pezzo di marmo, guardava fisso il pavimento decorato della
Chiesa e non fiatava, non emetteva alcun suono.
Quella era un’altra dimensione, per lui. Un mondo parallelo
in cui lui era scivolato senza volerlo. Quella l’unica
spiegazione plausibile.
Era impensabile una cosa del genere, umanamente impossibile.
“Bill.. Se vuoi puoi fare un discorso
all’altare” Sentii Tom sussurrargli piano
all’orecchio, con la voce roca e tremante.
Un discorso? Un discorso all’altare?
Come se quelle parole lo risvegliassero, voltò il viso verso
il fratello, guardandolo assente.. Gli occhi vuoti. Poi con una
lentezza inesorabile si alzò.. Andando di fianco al parroco
che gli fece spazio, spostandosi qualche passo più indietro.
“Sono Bill. Sono il fidanzato di Maggie.” Disse al
microfono, la voce priva di espressione e lo sguardo puntato negli
occhi del fratello, non si muoveva di un millimetro. “Il mio
discorso sarà breve e conciso.” Si
fermò, prendendo fiato. “Venendo qui, oggi, ho
visto facce che non avevo mai visto in tre anni di storia con Maggie.
Siete tutti degli ipocriti, siete spariti per anni e tornate solo ora
che lei.. lei.. non c’è più.”
Sfiatò, sentendo le lacrime premere fortemente contro gli
occhi. “Avrei preferito vedere solo quei pochi amici che
però le sono stati vicini sempre! Non avete il diritto di
stare qui! Andatevene! Andatevene via tutti! TUTTI!” Tom si
avvicinò all’altare, vedendo che la situazione
stava sfuggendo di mano.. Bill stava delirando.
Gli andò vicino, avvolgendolo in un abbraccio e
trascinandolo fuori in giardino percorrendo la navata della Chiesa,
mente lui si agitava strepitante tra le sue braccia.
“Ve ne dovete andare! Maggie non vi vuole qui!
Uscite!!” Continuava ad urlare,, in preda al panico.
“Bill..
Bill, stai calmo ti prego, ci sono qui io.”
Sussurrò Tom al suo orecchio una volta che furono in
cortile, cercando di tranquillizzarlo ma inutilmente.
Il moro respirava a fatica, con la bocca spalancata in cerca
d’aria da far arrivare ai polmoni e gli occhi sgranati in un
modo indicibile.
“Bill
ti supplico, calmati..” Gli accarezzo le guancie, facendolo
sedere su una panchina e accomodandosi di fianco al lui, senza
interrompere l’abbraccio.
“Tom…”
Mormorò a fatica, regolarizzando il respiro, che piano stava
ritornando normale.
“Sono
qui, sono qui.” Gli strinse la mano, accarezzandogli i
capelli.
“Io..
Maggie. Tom riportami qui Maggie..” Si girò a
guardarlo, gli occhi di chi sa che non ci sono più speranze,
ma continua ad illudersi che qualcosa si possa aggiustare.
Ma non c’era più niente da fare ormai, nulla era
più aggiustabile.. Il cielo si era preso la sua Margaret e
se la teneva gelosamente, impedendogli di riaverla con sé.
“Non
posso. Non posso..” Tom si lasciò scappare un
singhiozzo, abbracciando il gemello che ormai tremava
incontrollatamente tra le sue braccia.
Si
tirò a sedere sul divano di scatto, lanciando un grido. Si
era solo addormentato.. Si passò una mano sul viso
leggermente sudato e si alzò, andando a vestirsi.
Passando davanti alla cucina lanciò uno sguardo
all’orologio a muro che era attaccato alla parete: segnava le
due del pomeriggio.
Ormai nemmeno più il tempo calcolava più.. Per
lui rimanere a letto dalla mattina fino alla sera del giorno successivo
era uguale a stare a letto solo un paio d’ore..La concezione
del tempo era divenuta qualcosa di totalmente insignificante.. Le sue
giornate le passava lentamente e dolorosamente. Non badava
all’ora, non badava a niente.
Arrivò
nella sua stanza e si fermò sulla soglia, appoggiandosi con
una spalla allo stipite della porta, guardando l’interno
della camera.
C’era un letto matrimoniale, con una graziosa trapunta
celeste, un armadio di legno scuro e una scrivania su cui non si sedeva
da tempo per comporre nuovi testi, nuove canzoni.
Vagò con lo sguardo vacuo finché sul letto non si
immagino il corpo snello di una ragazza dai capelli castani e gli occhi
verdi, che lo invitava a sdraiarsi di fianco a lei.
Scosse la testa sospirando.. Abituato a quei brutti scherzi che gli
giocava la sua mente, sempre più spesso.
Aprì le ante del grande armadio e, senza guardarci troppo
dentro, tirò fuori una vecchia tuta dell’adidas
consumata e se la infilò.
Un
rumore di chiavi che giravano nella serratura lo fece sobbalzare. Si
tranquillizzò quando si ricordò che solo Tom
aveva una copia delle chiavi di casa sua.
Scese le scale e si ritrovò suo fratello in salotto, seduto
sul divano a guardare la tv.
“Tomi..”
Mormorò avvicinandosi.
“Allora sei sveglio! Credevo dormissi ancora..” Gli
sorrise di rimando il gemello. L’altro si limitò a
sorridere e a sedersi accanto a lui, seguendo con minimo interesso lo
stupido programma che stava guardando.
“Come
stai?” Gli chiese Tom, guardandolo fisso negli occhi.
“Bene.”
Rispose l’altro, incurante. No. Non era vero. Non andava per
niente bene. Non andava più bene da cinque interi,
lunghissimi mesi! Perché continuavano a chiedergli come
stesse? Perché si ostinavano a credere che in
così poco tempo le ferite potessero essere ricucite! Stava
male! Stava male da morire e l’unica cosa che potesse farlo
tornare a vivere era riaverla tra le sue braccia!
“Sei sicuro?” Continuò.
“Ma,
Tomi, cosa ti fa credere che possa stare male?”
Domandò con sarcasmo Bill, gli occhi severi e la voce dura.
Lo guardò serio, senza distogliere lo sguardo.
Tom
sospirò.. Si sentiva inutile. Qualsiasi cosa facesse o
dicesse, il
gemello la prendeva male cominciando a fare l’ironico e il
sarcastico. Non sapeva più come fare per far tornare il
sorriso ad illuminare il viso di Bill.. Non sapeva che diavolo fare per
recuperare il loro magico rapporto che si stava incrinando giorno dopo
giorno..
Più volte aveva pensato di portare di peso il fratello dallo
psicologo. Ma trascinarcelo contro la sua volontà non
sarebbe stato proficuo e lui, ne era certo, non avrebbe mai
acconsentito. Lui non aveva bisogno di strizzacervelli, lui rivoleva
solo qualcuno
che non poteva più tornare da lui..
Il suo male era quindi incurabile?
“Scusa.”
Soffiò.. Da quel
giorno non faceva altro. Si scusava, chiedeva perdono.. Anche per cose
che non aveva fatto. Aveva una fottuta paura di perdere Bill, che era
vulnerabile e fragile. Ogni frase la sentiva come un’accusa
nei proprio confronti o come un rimprovero, anche se non era
così. Tom spesso preferiva rimanere in silenzio per il
timore che Bill potesse equivocare le sue frasi.
“No,
scusa tu.. Sto esagerando lo so. Solo che..fa così
male” La voce gli tremò, se la schiarì,
sperando che ritornasse normale.
“Shhh,
non dire niente.” Lo abbracciò ascoltando, per
l’ennesima volta, i singhiozzi che tentava di soffocare sulla
sua spalla.
“Tom..
Perché? Perché?!” Pianse ancora
più forte.. Quella scenetta si era ripetuta troppe volte, ma
sembrava sempre come fosse la prima. Il dolore da entrambe le parti era
lo stesso, se non altro.
“Tomi,
Tomi mi dispiace! Ho sfasciato i Tokio Hotel.. Ho distrutto
l’amicizia con Georg e Gustav.. Sto rovinando anche il
rapporto con te.. Ma io non ce la faccio, non riesco ad andare
avanti!”
“Bill
i Tokio Hotel non sono importanti quanto lo sei tu! I Tokio Hotel
possono aspettare.. Come Georg e Gustav, loro vogliono solo il tuo
bene, la vostra amicizia non è rovinata, loro sono sempre
con te e ci saranno quando avrei bisogno di loro. Quanto a me..
Billie.. Io non vado da nessuna parte senza di te. Il nostro rapporto
non si distruggerà. Sempre insieme, ricordi?” Bill
tirò su col naso, annuendo impercettibilmente. Aveva
ventidue anni compiuti, ma in quel momento non si sentiva altro che un
bambino dopo un incubo.. Che va a rifugiarsi tra le braccia del
fratello maggiore per farsi confortare e consolare.
“Tomi
andiamo.. Andiamo a trovarla?” Tom socchiuse la bocca a
quella richiesta, rimanendo esterrefatto. Dal giorno del funerale Bill
non aveva mai messo piede in quel cimitero e, ogni volta che Tom
provava a fargli cambiare idea e a portarcelo, il suo
“No.” Arrivava forte e chiaro, accompagnato da una
lacrima di esasperazione.
Non capì cosa fosse cambiato nella testa di Bill, tanto da
fargli prendere quella decisione.. Forse semplicemente aveva voglia di
“rivederla”..
“Si..
Andiamoci” Mormorò, accarezzandogli una guancia.
In
macchina il tragitto lo passarono in assoluto silenzio. Non si sentiva
nemmeno una mosca volare, il niente più assoluto.
Parcheggiò in un posto libero che trovò proprio
davanti ai grandi cancelli di ferro battuto. Cancelli che lui aveva
oltrepassato ogni giorno dopo la sua morte.
Ogni giorno andava alla sua tomba con un mazzo di fiori e cominciava a
parlare di tutto, di Bill.. Le raccontava tutto, ogni cosa. In fondo
sapeva che poteva sentirlo.
Bill
si guardò intorno, spaesato, quel cimitero era davvero
troppo grande, eppure si sentiva soffocare tra quelle mura.
Il sentiero che dovette percorrere fianco a fianco con Tom sembrava non
finire mai, una lunghezza smisurata.. Non era stato così
infinito il giorno del funerale.
Intravide
la lapide, su cui aveva pianto quel quindici di settembre, mentre
cercavano di portarlo via con la forza.. Alzandolo da terra.
Smise
di respirare per qualche secondo, portandosi istintivamente una mano
sul cuore che batteva impazzito, e sentendo gli occhi inumidirsi contro
la sua volontà.
Tom gli poso una mano sulla spalla, stringendogliela forte ed
infondendogli coraggio.
“Vai
tu..” Gli disse. “Io ti aspetto qui.” Il
moro annuì, percorrendo i pochi passi che lo dividevano da
lei..
Si sedette davanti alla tomba, incapace di alzare lo sguardo sulla sua
foto.
Sapeva già quale avevano messo.. Era una foto di due estati
prima, quando erano andati in vacanza assieme.. Gliel’aveva
scattata Gustav. Quell’anno gli era presa la fissa della
fotografia e allora ne faceva una valanga a tutti. Sorrise al pensiero
del suo amico che andava in giro a fotografare qualsiasi cosa.
Ma il sorriso sparì dalla sua faccia quando si
ricordò dov’era. Prese un filo d’erba,
cominciando a rigirarselo tra le mani e, lentamente, alzò il
capo. Incontrò quei fantastici occhi verdi e fu come
ricevere una scarica di pugni in pieno stomaco.. Fu peggio che morire
vedere quei fari smeraldini e quei capelli castano scuro che amava
così tanto accarezzare prima di addormentarsi.
Alzò
un braccio, andando a sfiorare il vetro freddo che ricopriva la
fotografia, mentre una lacrima gli scivolava sulla guancia.
“Amore
mio..” Sussurrò al vento che gli accarezzava i
capelli, raccolti in un codino disordinato. “Quanto.. Quanto
mi manchi.” Abbassò lo sguardo, sentendo il naso
pizzicare. “Non te ne dovevi andare.. Non ve ne dovevate
andare.”
Mormorò stringendo i denti e serrando i pugni sulle
ginocchia.
L’immagine di lei e suo figlio se la portava nella testa, e
non gli lasciava tregua. La sua famiglia,
si era distrutta.. Aveva
tanto lottato per riuscire a farsene una, e propri quando era ad un
soffio per realizzare quel desiderio, tutto si era disintegrato.
Un singhiozzo gli sfuggi dalle labbra e, senza che se ne rendesse
conto, cominciò a lacrimare.
“Tutto
quello che desidero è riaverti qui piccola mia..”
Singhiozzò, mangiandosi le parole.. “Non doveva
andare così, non doveva proprio andare
così” Scoppiò in un pianto amaro e
frustrato, quando si sentì tirare su da terra.
Alzò il viso e incontrò gli occhi preoccupati di
Tom.
“Andiamo
via..” Sussurrò il chitarrista, tenendolo stretto
finché non arrivarono alla macchina.
Era
stata una pessima idea andare al cimitero, ora stava diecimila volte
peggio.
Tom era andato via da qualche minuto, se avesse avuto bisogno di lui
bastava che attraversasse la strada. Lui abitava proprio li di fronte.
Non avevano mai voluto separarsi troppo, così comprare due
appartamenti così vicini gli era sembrata la soluzione
migliore.
Guardò
l’orologio, le nove di sera.
Velocemente
prese il cappotto e se lo infilò, afferrò le
chiavi della macchina dalla ciotolina che c’era sul mobiletto
all’ingresso e uscì di casa, richiudendosi la
porta alle spalle.
Aveva bisogno di liberare la mente, di dimenticare tutto, anche se solo
per poco tempo, ma aveva la necessità di avere la testa
sgombra da tutti quei pensieri dolorosi che lo stavano rendendo solo
l’involucro di un essere umano.
Parcheggiò
l’auto davanti al primo bar che trovò lungo la
strada e ci si fiondò dentro. Ancora non sapeva in che
condizione sarebbe uscito di li, ma non importava.. Aveva bisogno di
libertà mentale.
Passo
subito ai ringraziamenti perché Aria deve andare a studiare
geografia xD :
layla
the punkprincess :
Spero tu ti sia preparata i fazzoletti per davvero xD spero comunque ti
piaccia, nonostante la tristezza e il dolore di Billie ._.
_Pulse_ :
Vabbè con te non mi dilungo visto che devi studiare XD Ti
dico solo che ti voglio un bene indicibilmente indicibile e che sono
felicissima che questa storia ti piaccia, spero di non deluderti *-*
Tiky :
Grazie mille! *__________*
|
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Capitolo 3 *** Melrose ***
Ecco
a voi il terzo! In questo capitolo entrerà in gioco un nuovo
personaggio. Personaggio che a me piace da morire *-* Eppoi
è tratto da una persona vera, qui solo Aria
può capire XD
Spero che piaccia anche a voi!
Buona lettura ragazze, ci vediamo a fondo pagina con i ringraziamenti!
*-*
TERZO
CAPITOLO - Melrose
Una
ragazzina di diciannove anni era china su una scrivania a leggere
l’ennesimo libro di Kyle Smith, i capelli biondi che le
ricadevano morbidi sul viso. I suoi accesi occhi verdi scorrevano
velocemente le righe, bramosi di arrivare alla fine, mangiandosi quasi
le parole scritte.
Al piano di sotto poteva sentire l’ennesima litigata dei suoi
genitori, questa volta più accesa del solito. Era parecchio
tempo che ormai non facevano altro: Urlare, insultarsi, incolparsi a
vicenda.. E poi finiva sempre che sua madre scoppiava in lacrime
rifugiandosi in camera da letto.
Suo papà non era una cattiva persona. Non aveva fatto mai
mancare niente a lei a suo fratello e alla loro mamma. Non aveva mai
alzato un dito sui figli o sulla moglie..
Però ultimamente, i suoi turni di lavoro, erano
più lunghi del normale.. Riusciva a ritornare a casa anche
alle dieci e mezzo di sera, convinto che le sue due
“ragazze” non sospettassero nulla.
Ma i sospetti c’erano eccome, soprattutto da parte di Hanna,
la moglie, che era fermamente convinta di venire tradita dal marito.
Tutte le sere c’era una nuova lite in quella casa,
così la ragazza si nascondeva nella sua stanza a leggere,
cercando in tutto i modi di non ascoltare le grida che provenivano
dalla cucina.
“Oskar!
Mi stai prendendo per stupida? Lo so che mi stai nascondendo qualcosa,
è inutile che continui a negare!” Urlava la mamma.
“Hanna
piantala con queste fissazioni! Smettila!” Replicava lui,
alzando la voce sempre di più.
La
ragazza chiuse il libro e lo lasciò ricadere sulla scrivania
con un tonfo sordo, per poi portarsi le mani sulle tempie sospirando.
Odiava sentire i suoi genitori litigare così pesantemente..
Erano sempre stati una famiglia unita e armoniosa, non voleva che si
distruggesse tutto.
Si
lasciò cadere sul letto, era pomeriggio inoltrato. Un anno
fa a quest’ora probabilmente si sarebbe ritrovata a fare i
compiti per casa. Ma, fortunatamente, quello per lei era stato
l’ultimo anno. Ora lavorava in un piccolo bar del centro.
Inspirò profondamente ed aspirò subito dopo,
chiudendo gli occhi e portandosi un braccio a coprirle la fronte.
“Melrose..”
Sentì la voce, roca dal pianto, di sua mamma chiamarla da
dietro la porta.
“Vieni..”
Si alzò a sedere e vide la figura minuta e magrolina della
madre fare capolino nella piccola stanzetta. Le sorrise, facendole
segno di sedersi vicino a lei.
“Tesoro,
mi dispiace se ogni sera sei costretta a sentirci urlare..”
Le disse facendole una carezza sulla guancia. “Vorrei che tu
non dovessi assistere a certe scene..”
“Mamma
ho diciannove anni, sono grande. Non occorre che ti preoccupi per me,
sono abbastanza matura da capire che se lo fate lo fate per un motivo.
E riesco anche a capire che questa volta non sarà facile
risolvere la situazione..” Mormorò
l’ultima frase, guardando a terra triste.
“Mi dispiace.. Io non so per quanto tempo riuscirò
ancora a sopportare questo clima che si è creato in casa.
Voglio solo che tu non soffra..”
“Mamma
te l’ho già detto, non preoccupati per me. So che
prenderete la decisione giusta tu e papà..”
Sorrise debolmente, prendendo la mano della mamma e baciandole il dorso.
“Tuo
padre è uscito, vuoi venire a fare la spesa con
me?”
“No
tranquilla, io mi risposo un po’ e poi esco.. Il signor S ha
bisogno di me al bar questa sera” La informò,
guardando l’ora sulla sua radiosveglia che aveva appoggiata
al comodino, erano già le cinque e mezzo del pomeriggio!
“D’accordo,
allora ci vediamo stasera quando torni”
“Certo.
Ciao mamma!”
“Ciao
tesoro!”
Non
appena Hanna si richiuse la porta della camera alle spalle, Melrose si
lasciò andare ad un sospiro di sollievo. Era brutto a
pensarsi, ma quando era da sola in casa stava bene. Niente litigi e
niente urla isteriche.. Solo il silenzio di una casa troppo grande per
tre persone.
Suo fratello Alan aveva venticinque anni e si era trasferito in America
a studiare medicina in una prestigiosa università.
Le mancava molto il suo fratellone, soprattutto in quei momenti di
solitudine. Alan non era a conoscenza della situazione famigliare,
fissato com’era con la “Famiglia unita”,
Melrose non aveva avuto il coraggio di dirgli che, presumibilmente,
papà stava tradendo la mamma e che, sempre presumibilmente,
il divorzio era alle porte.
Avrebbe di sicuro preso il primo volo per la Germania, abbandonando gli
studi e il suo futuro assicurato da dottore. Non l’avrebbe
mai permesso.. Sapeva quanti sacrifici e quanto impegno ci aveva messo
per essere la dove si trovava, e sapeva anche che non desiderava
nient’altro più intensamente di così.
Ciabattò
fino al bagno e si svestì, per infilarsi poi sotto il getto
caldo della doccia. L’acqua le distese i nervi rilassandoli,
si passò una mano sul collo dove sentiva tutta la tensione
nervosa e lo massaggiò un po’ per ammorbidirlo.
Rimase immobile per qualche istante, con l’acqua che
scivolava sul suo corpo dalla carnagione molto chiara.
Le piaceva stare sotto alla doccia, la rasserenava parecchio,
scacciando per qualche momento i brutti pensieri dalla sua mente
stanca. Era un modo per staccare qualche minuto dal mondo esterno.
Si lavò i capelli e si passò la spugna insaponata
sulla pelle fresca, poi uscì e raggelò
incontrando la temperatura decisamente più fredda rispetto
al caldo che c’era nel box doccia.
Si
era appena asciugata i capelli e ora stava cenando da sola, in cucina.
Si era preparata un panino al volo, o avrebbe fatto tardi..
Le piaceva lavorare dal signor S, lui era così gentile e
comprensivo.. La trattava come una figlia e non si arrabbiava mai con
lei. Probabilmente perché la sua vera figlia abitava a
Berlino con la madre e così non la vedeva molto spesso. Solo
nei week end.
L’orologio segnava le otto e mezza, era perfettamente in
orario!
Cercò le chiavi della macchina nella sua borsa, ma poi ci
ripensò.. Preferiva fare due passi, tanto il bar non era
molto distante da casa sua, giusto un paio di isolati. In una ventina
di minuti sarebbe arrivata tranquillamente.
Era
una ragazza magra, non troppo alta. I capelli biondi lunghi e spesso
disordinati, gli occhi di un verde particolare: più chiaro
nei giorni di sole e più scuro nei giorno di pioggia.
Amava disegnare e scrivere.. Aveva frequentato il liceo artistico ed
era uscita dall’esame di maturità con un
più che dignitoso 80.
Era soddisfatta della propria vita, nonostante i suoi alti e bassi, non
aveva mai avuto di che lamentarsi. Specialmente con i suoi genitori che
avevano cresciuto lei e suo fratello con tutto l’amore
possibile, non facendo mancare mai nulla a nessuno di loro e cercando
di accontentarli in ogni modo quando ne avevano la
possibilità.
Tutto era cominciato quando Alan si era trasferito.. Lui era
l’orgoglio di Oskar, il figlio modello. Mentre Melrose, era
il secondo maschio mancato della famiglia, anche se l’amava
ugualmente e, forse, allo stesso modo.
Senza
che quasi se ne accorgesse scorse l’insegna luminosa del bar
in lontananza. Sospirò, facendo uscire del vapore dalla sua
bocca, che si disperse nell’aria ghiacciata in quella sera di
metà febbraio.
Arrivò all’entrata e aprì la porta,
facendo il suo ingresso nel locale.
“Buonasera
signor S!” Strillò senza vederlo, probabilmente
era nel retro bottega con l’altra barista, Hanna.
“Oh,
ciao Mel..” Spuntò fuori scostando la tenda e
guardandola con un sorriso paterno.
“Come
sta?” Gli chiese mentre lo raggiungeva dietro al bancone.
“Molto
bene e tu?”
“Uhm..
Bene anche io, diciamo.” Sorrise nervosa, allacciandosi il
grembiulino rosso intorno alla vita.
“E’
successo qualcosa?” Quel suo modo conciliante di chiederle
sempre se fosse successo qualcosa lo trovava adorabile, non era un
impiccione.. Ma non era nemmeno un tipo che se ne lavava le mani. Gli
voleva un gran bene per il tatto che sapeva adoperare per le questioni
delicate.
“I
soliti litigi a casa.” Sospirò, appoggiando le
braccia al bancone.
“Sai
come la penso Mel.. Quando si litiga in continuazione, il divorzio non
va preso come un’orribile possibilità. Te ne parla
uno che se ne intende!” Il signor S aveva divorziato con sua
moglie da ormai sei anni. La bambina, adesso diventata una giovane
donna, ora aveva più o meno l’età di
Melrose. Forse un anno in più o uno in meno.
“Lo
so, lo so signor S. Sono solo preoccupata per Alan, sa benissimo quanto
tiene alla famiglia lui..”
“Mel,
non puoi tenere sott’occhio tutto piccola. Ogni tanto devi
lasciare che gli eventi facciano il loro corso, non puoi forzare le
cose..” Le strizzò l’occhio, dandole
amichevoli pacche sulla schiena.
“Mi
sa che ha ragione. Grazie, parlare con lei è sempre
d’aiuto!” Esclamò con un largo sorriso,
poi prese uno straccio umido e cominciò a passarlo sul
ripiano del bancone, coperto da qualche briciola.
La
porta del locale si aprì, facendo suonare la campanella che
c’era in cima, e una ventata di gelo invernale
inondò il bar, facendo rabbrividire Melrose che si strinse
in un abbraccio.
Guardò l’entrata e vide la figura alta e magra di
un ragazzo che doveva avere solo un paio d’anni in
più di lei. Non lo aveva mai visto in giro, era un volto
nuovo. Aveva una chioma di capelli lunghi e neri, raccolti in una coda
poco aggraziata, il viso incavato e bianco latte. Sciupato. Gli occhi
erano coperti da una grande montatura di occhiali scuri. Portava una
sciarpa blu notte che gli copriva la bocca fin sotto al naso.
Si
sedette al bancone del bar, senza guardare in faccia nessuno, proprio a
pochi passi da Melrose che lo guardava intimorita dal suo fascino
misterioso.
Dalla sua espressione la ragazza capì che quella per lui,
sarebbe stata una lunga serata.
“Un'altra!”
Esclamò Bill svuotando l’ennesimo bicchiere di
birra e battendo un pugno sul bancone. Melrose, che lo aveva
silenziosamente servito per tutta la sera, si avvicinò
lentamente, finché non gli arrivò di fronte.
Tanto vicino da poter notare, attraverso le lenti degli occhiali, che
aveva gli occhi scuri.
“Scusami,
ma penso che per stasera possa bastare. Sei ubriaco.”
Constatò prendendo il bicchiere vuoto dal bancone e
riponendolo nel lavandino dietro di lei, dandogli una sciacquata veloce.
“Tu
sei la barista e io sono un cliente che chiede un’altra
birra. Non mi sembra difficile da capire.”
Biascicò a fatica, mangiandosi le parole, il suo tono era
scorbutico e impaziente.
Melrose lo guardò compassionevole pensando che non era il
primo e non sarebbe stato nemmeno l’ultimo poveraccio che si
sarebbe seduto al bancone del bar del signor S, ordinando una birra e
continuando a bere finché il suo organismo non glielo avesse
concesso.
Guardò Bill e un velo di malinconia le coprì gli
occhi, perché era impensabile che un ragazzo così
giovane avesse problemi tanto gravi da ridurlo in quello stato.
Faceva una tristezza immensa vederlo li.. Seduto sullo sgabello a
parlare da solo, pronunciando frasi senza un senso logico. A ridere
istericamente e a versare qualche lacrima subito dopo.
“Allora,
ti dai una mossa?” Melrose si riprese dai suoi pensieri,
sentendo quella voce antipatica, e annuì impercettibilmente
preparando l’ennesimo bicchiere di birra al ragazzo.
“Ecco
a te.” Disse posando l’ordinazione davanti a Bill.
“Ma questa è l’ultima”
Mormorò.
“Lo
decido io, quando sarà l’ultima.”
Sibilò Bill, lapidale.
E
per quella sera, quel bicchiere di birra, non fu di certo
l’ultimo.
Melrose passò quasi tutto il suo turno di lavoro a servire
quello strano ragazzo di cui non conosceva nemmeno il nome.
Finché, ad un certo punto, non lo vide collassare con la
faccia sul ripiano di legno.
“Ehi..”
Lo scosse leggermente, prendendolo per la spalla.
“Maggie..”
Farfugliò agitandosi al suo tocco.
“No,
non sono Maggie. Sono Melrose” Sospirò, cercando
di tirarlo su. “Jessica! Vai a chiamarmi il signor
S!” La sua collega annuì, guardando confusa il
ragazzo che la biondina teneva tra le braccia e andò a
chiamare il barista.
“C’è
qualche problema Mel?” L’uomo arrivò
trafelato.
“Signor
S questo ragazzo è ubriaco fradicio, che faccio!”
Chiese allarmata, tentando di mantenere in piedi Bill.
“Oddio
Mel, qui non può stare. Prova a vedere se ha dei documenti e
riportalo a casa!”
“Riportarlo
a casa?!”
“Preferisci
lasciarlo all’angolo della strada?” Alzò
un sopracciglio eloquente, sottolineando l’ovvietà
della situazione.
Melrose, sospirando, sfilò il portafogli dalla tasca
posteriore del ragazzo, che sembrava non essersene nemmeno accorto.
La ragazza
farfugliò uno “Scusa” e cercò
all’interno del portafogli qualcosa che le potesse essere
d’aiuto. Trovò la carta
d’identità e
ci diede una sbirciatina.
Nome:
Bill
Cognome:
Kaulitz
Data
di nascita: 01/09/89
Luogo
di nascita: Lipsia
Luogo
di residenza: Amburgo
Più
in basso c’era anche la via e il numero civico: proprio
quello che le serviva.
Bill Kaulitz.. Bill Kaulitz? Ma.. era veramente lui.. La rockstar?
Non aveva mai seguito la sua musica, però era impossibile
non conoscere i Tokio Hotel, se ne parlava ovunque. Eccetto negli
ultimi tempi, voci di corridoio mormoravano che si fossero sciolti e
forse vedere il frontman in quello stato, ne era la prova.
“Io
vado allora signor S, a domani! Ciao Jess!” Disse poi,
caricandoselo in spalla.
“Ciao
Mel!” la salutarono i due per poi tornare al lavoro.
Uscita
in strada si maledisse per aver scelto di fare due passi quella sera.
Era terribilmente scomodo camminare con un peso morto sul fianco.. Ci
riusciva a fatica a portarselo dietro.
Non doveva essere particolarmente lontano l’appartamento dove
abitava il signor Kaulitz che, aveva scoperto, essere tre anni
più vecchio di lei.
Passeggiando si ritrovò in un quartiere più buio
e più grazioso degli altri, e scoprì essere
proprio quello che cercava lei: il quartiere di Bill Kaulitz.
Controllò nuovamente il numero civico e si
avvicinò al condominio giusto, cercò le chiavi
nelle tasche di Bill che ormai doveva essersi quasi addormentato. Non
parlava più.
Aprì la porta e lo trascinò su per le scale, fino
a che non si ritrovò di fronte il suo appartamento. Fece
girare la chiave facendo scattare la serratura e ci entrò a
fatica.
Vide un lungo e comodo divano bianco proprio li nel salotto, senza
pensarci due volte ci scaricò sopra Bill, non sapendo
comunque dove poterlo mettere a dormire.
Stava per andarsene quando si sentì afferrare un polso.
“Maggie,
vieni qui” Il ragazzo la attirò a sé,
soffocandola in un abbraccio.
“Sono..
Sono Melrose!” Strepitò lei, tentando di
divincolarsi dalla presa ferrea del cantante. Bill, ritrasse la mano
come fosse spaventato, guardandola con occhi tristi e assenti per via
del tasso alcolico che aveva in corpo.
Non passarono nemmeno dieci secondi, che il moro cadde in un sonno
profondo, russando sonoramente.
Melrose andò alla ricerca di un foglietto di carta e di una
penna.. Insomma, la mattina dopo Bill si sarebbe svegliato sul divano
senza sapere come ci fosse arrivato. Era giusto fargli sapere
com’erano andate le cose!
Ciao,
ieri sera sei collassato sul bancone del bar dove lavoro,
così ti ho riportato a casa dopo aver letto il tuo indirizzo
sulla carta d’identità. Scusa se sono stata troppo
invadente ma non sapevo come fare! Spero tu ti senta meglio, Melrose.
Rimise
il tappo alla penna e appoggiò tutto sul tavolino davanti al
divano, di modo che fosse la prima cosa che avrebbe visto appena
sveglio.
Lo
guardò da vicino, mentre dormiva della grossa. Gli aveva
tolto gli occhiali da sole, riponendoli vicino al bigliettino.. Alcune
ciocche di capelli arruffati gli ricadevano ribelli sul viso, facendolo
sembrare un bambino, mentre gli altri erano raccolti tutti in un codino
scomposto. Aveva il viso molto pallido e due occhiaie violacee gli
segnavano la parte sotto gli occhi.
Era molto, molto magro.. Gli ossi degli zigomi sembravano volessero
bucargli le guance e uscire di fuori.
In un gesto del tutto spontaneo, portò la mano ad
accarezzargli il viso,scostando i ciuffi di capelli che lo coprivano,
ma la ritrasse subito dandosi dell’idiota.
Doveva proprio tornare a casa adesso.
Prese la prima coperta che trovò li vicino e gliela
adagiò sul corpo che tremava infreddolito, poi si diresse
all’uscita.
Sulla soglia si girò a lanciare un’ ultima
occhiata al ragazzo, poi uscì richiudendosi la porta alle
spalle.
Si
infilò sotto le coperte,pensando e ripensando a quel ragazzo
dallo sguardo perso e sofferente. Non le era piaciuto dovergli servire
tutte quelle birre e vederlo ridursi così male..
Quel ragazzo l’aveva subito affascinata, i suoi occhi
così penetranti eppure così vuoi e malinconici..
Chissà se lo avrebbe mai rivisto.
Si addormentò con questo dubbio che gli vorticava in testa
come una trottola.
Quella
era stata proprio una sera strana.
Tiky
: Grazie mille cara! *-*
Layla
the punkprincess
: Sono crudele a far soffrire così Bill, lo so u.u Sono
felice ti sia piaciuta quella parte, mi è stato difficile
scriverla! ^__^
_Pulse_
: Grazie Ariaaa *__________* La tua recensione è sempre la
migliore! Grazie, grazie, grazieeee.
Il pezzo di storia che hai riportato è uno dei miei
preferiti, si! Tomi è dolcissimo *Q*
La continuerò, la continuerò Aria non ti
preoccupare.. Ci vorrà solo un po’ di impegno xD
E non ringraziarmi se te l’ho dedicata, l’ho fatto
con il cuore sul serio! Ti voglio un bene indicibilmente indicibile!
Ciao gemellina! XD
lady_Bill
: Sono felice che ti piaccia, davvero! Grazie mille! *-*
Piera
: Oh beh, devo dire che la tua recensione mi ha lasciata senza parole
*Q* Ma io ti ADOROOOOOO
Sono contenta che ti piacciano le mie storie, è sempre un
piacere sentirselo dire. Mi rendi orgogliosa delle mie creature,
davvero! *__*
Pubblicarle? Oh nooo. Io scrivo per diletto, non sono così
temeraria da provare a farlo XD
Grazie comunque, spero continuerai a seguirmi!
Infine
vorrei ringraziare Giulia,
che non è iscritta a EFP ma mi fa sentire il suo sostegno
tramite msn, e mi manda le sue recensioni-poema XD Grazie!
Un
bacio enorme anche alle mie lettrici
in punta di piedi. Grazie a
tutti insomma!
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Capitolo 4 *** In assenza di te ***
QUARTO
CAPITOLO - In
assenza di te
Si
svegliò la mattina successiva con un atroce mal di testa e
la sensazione di
avere lo stomaco spaccato in due. Postumi della sbornia.
Si guardò intorno spaesato, ritrovandosi sdraiato sul divano
del suo salotto e
non avendo la benché minima idea di come avesse fatto ad
arrivarci. L’ultimo
ricordo che aveva erano gli occhi preoccupati di una ragazza molto
giovane che
gli porgeva un bicchiere di birra. Si ricordò anche di non
averla trattata
molto bene, ma quegli occhi.. Quegli occhi verdi così
identici ai.. Ai suoi,
lo avevano ferito a morte. Avrebbe
solo voluto chiudere le palpebre e non dover più essere
costretto a fissarli.
Si
tirò
a sedere, passandosi una mano sugli occhi e stropicciandoli, sentendo
il solito
magone salire a stringergli la gola perennemente come ogni giorno.
Avrebbe tanto voluto porre fine a quella tortura, avrebbe dato
qualsiasi cosa.
Stava
per alzarsi in piedi quando qualcosa attirò la sua
attenzione: un foglietto di
carta appoggiato sul tavolino.
Aggrottò le sopracciglia, sporgendosi e prendendolo tra le
mani, era piegato in
due parti. Lo aprì titubante, chi poteva avergli scritto un
biglietto? Tom?
Quando ne lesse il contenuto socchiuse leggermente la bocca, rimanendo
sconcertato.
Era della ragazza della
sera prima, Melrose si chiamava.
La ragazza dagli occhi verdi era stata a casa sua, aveva curiosato tra
i suoi
documenti, lo aveva accompagnato perché lui era ubriaco
marcio, lo aveva
coricato sul divano e gli aveva lasciato un messaggio.
La ragazza dagli occhi verdi si chiamava Melrose.
In un secondo mille flash della sera passata gli riaffiorarono alla
mente,
facendogli venire una potente fitta al cervello.
Lui che entra e comincia ad ordinare birre a ripetizione, la ragazza
che ad un
certo punto gli dice basta, lui che le risponde acido, lei che
sottomessa
ubbidisce, il suo sguardo limpido, uguale al suo..
E poi più niente, il buio più totale.
Ma solo al pensiero di quel viso e di quel verde smeraldo accecante,
sentiva
gli occhi pungere e una voglia incontenibile di urlare.
Scuotendo la testa si alzò dal divano, infilandosi le
ciabatte, aveva bisogno
di un caffè triplo.
La
sera
prima era arrivata molto tardi a casa, dopo aver riaccompagnato
quell’affascinante rockstar ubriaca nel suo appartamento
aveva dovuto rifarsi
tutta la strada verso il bar a piedi, e dal bar poi fino a casa sua.
Ma chi gliel’aveva fatto fare di non prendere la macchina!
Era mattina e lei era ancora sdraiata sotto le coperte, non aveva
più sonno ma
il tepore che c’era sotto la trapunta era ineguagliabile.
Non aveva visto sua madre al suo rientro a casa, era già
nella sua camera a
dormire con suo padre.
Chissà
quei due.. Avevano preso una decisione? Cos’avevano
intenzione di fare?
Nel suo cuore lo sapeva già da tempo.. Da troppi mesi in
quella casa si poteva
respirare l’aria del divorzio, da parecchio ne era
consapevole, ma il coraggio
di ammetterlo a sé stessa non ce l’aveva.
Soprattutto non aveva la forza di parlarne con Alan, non immaginava
come
avrebbe potuto prenderla.
Però
aveva una voglia insostenibile di sentirlo, anche solo per sapere come
andava
li in America.. Per sapere come proseguivano gli studi.
Sospirando
si alzò, scostandosi le coperte di dosso. L’aria
gelida di febbraio le entrò
nelle ossa facendola rabbrividire.
Si infilò i pantaloni del pigiama e andò alla
ricerca del suo cellulare, la
sera prima lo aveva lasciato sulla scrivania di fianco ai libri.
Guardò l’ora: le otto del mattino. Questo voleva
dire che a Oxford erano più o
meno le undici di sera.. Si, lo avrebbe sicuramente trovato ancora
sveglio.
Digitò
il numero sulla tastiera, poi si portò
l’apparecchio all’orecchio e attese la
sua risposta.
“Pronto?”
Che bello sentire la sua voce. Era in grado di riscaldarle il cuore e
di
cancellare dalla sua testa ogni brutto pensiero.
“Alan..”
Soffiò, sentendo un sorriso impadronirsi della sua bocca.
“Mel,
piccola!”
“Come
stai?” Ridacchiò, sinceramente felice di sentirlo.
“Io
sto
bene e tu?”
“Molto,
molto bene grazie.. Il lavoro è sempre a posto, a proposito!
Il signor S ti
saluta!”
“Oh
ricambia! Lo passerò a trovare una volta o
l’altra..”
“Mi
manchi tanto fratellone..” Sussurrò, sospirando.
Era un anno che non lo vedeva.
Inizialmente veniva spesso a trovarli.. Ma il prezzo da pagare per il
volo
Oxford-Amburgo era notevole e lui di soldi non ne aveva moltissimi..
Considerando il fatto che doveva mantenersi gli studi, pagarsi da
vivere e
pagare l’appartamento che aveva preso in affitto.
“Anche
tu sorellina.. verrò a trovarti presto te lo
prometto!” Alan aveva sempre avuto
il vizio di promettere, promettere, promettere. Anche quando non era
sicuro di
riuscirle poi a mantenere, quelle promesse.
“Lo
spero tanto..”
“Mamma
e
papà?” Ecco. Lo sapeva che prima o poi lo avrebbe
chiesto, lo faceva sempre.
Chiedeva sempre di loro quando lo sentiva per telefono.. E anche quella
volta,
era inevitabile, lo aveva fatto.
“Tutto..
Tutto a posto anche loro.” Sussurrò, incapace da
sempre di mentire
decentemente. Era sempre stato più forte di lei, ma a dire
le bugie proprio non
era capace. La scoprivano sempre!
“Sai
che
non menti bene.” Infatti. “C’è
qualcosa che non va?”
“No
Alan, davvero.. E’ tutto regolare, siamo solo un
po’ nervosi.” Sorrise,
cercando di essere il più convincente possibile.
“Sei
sicura?”
“Si
fratello, sicurissima”
“Ok,
diciamo
che voglio crederti..” Sentì la sua voce
sorridente e si sentì uno schifo, non
aveva mai mentito a suo fratello. Soprattutto per cose così
importanti..
Avrebbe dovuto dirgli la verità e lasciare che le cose
andassero come dovevano
andare. Se Alan avesse voluto interrompere gli studi le non ne avrebbe
avuto
colpa, era una sua decisione dopotutto. Però Melrose aveva
preferito tenergli
nascosta la verità, tenergli nascosto che il matrimonio dei
loro genitori era
ormai giunto agli sgoccioli.
“Prometti
di farti sentire un po’ più spesso?”
Chiese Melrose con la voce sottile da
bambina.
“Te
lo
prometto piccola.” Ridacchiò l’altro.
Un’altra promessa. Almeno quella sarebbe
riuscito a mantenerla?
“Allora
ti saluto, ci sentiamo prestissimo!”
“Certo,
buonanotte!”
“Beh..
veramente io mi sono appena svegliata!” Ridacchiò
Melrose.. Suo fratello non si
smentiva mai!
“Oh,
che
cretino! Il fuso orario è vero! Beh allora buona
giornata!” Rise. La sua risata
argentina che gli mancava così tanto.
“Buonanotte
a te invece. Ti voglio bene fratello!”
“Ti
voglio bene sorellina!”
Chiuse la chiamata con un grosso sorriso sulle labbra. Dopo quella
telefonata
si, poteva cominciare la giornata con il piede giusto!
Si
sedette mollemente sul divano, quella giornata non era cominciata
decisamente
bene per i suoi gusti.
Suo fratello stava per passare a casa sua, lo aveva invitato a pranzo.
Era la
prima volta in cinque mesi che era lui a chiedergli di vedersi..
Solitamente
era Tom che passava a trovarlo o a telefonargli.
Ma quel giorno aveva davvero bisogno di lui, di parlarci insieme, di
stare un
po’ in sua compagnia..
Quel giorno era diverso dagli altri, perché sentiva la sua presenza
più opprimente del solito, anzi era
l’insostenibile
presenza
della sua assenza a soffocarlo.
Diede la colpa agli occhi verdi di quella
ragazza, che gli avevano risvegliato dentro qualcosa.. Aveva sentito un
guizzo
di vita dentro di sé..
Il dolore però sembrava non accennare a dargli tregua, a
lasciargli un attimo
di respiro. Era sempre in agguato, non lo abbandonava, aspettava il
momento
giusto per attaccarlo di nuovo. Aspettava di trovarlo fragile ed
indifeso, per
sferrargli il colpo mortale.
Scosse la testa dirigendosi alla porta, il campanello suonava
prepotente. Quel
suono era più fastidioso del normale.. O probabilmente era
il suo furioso mal
di testa a farglielo credere.
“Finalmente!”
Sbottò Tom entrando in casa.
“Potevi
usare le chiavi, te le ho date apposta.”
“Le
ho
dimenticate a casa.”
“Vuoi
qualcosa da bere?”
“Si,
un
bicchiere d’acqua, grazie” Tom sorrise e si
accomodò sul divano, mentre Bill
sparì in cucina.
Tom non aveva potuto fare a meno di notare che Bill era più
strano quel giorno,
aveva una luce diversa negli occhi e, stranamente, non riusciva a
percepire
cosa fosse a farlo stare così.
Sbadatamente
calpestò qualcosa con la scarpa da ginnastica, mentre si
sedeva. Abbassò lo
sguardo e notò un pezzo di carta sgualcito. Lo
afferrò tra le mani e ne lesse
il contenuto.
“Sei
collassato sul bancone del
bar dove lavoro”
Quella
frase la lesse e la rilesse un paio di volte. Ne aveva capito
perfettamente il
significato, Bill aveva deciso di ubriacarsi e questo era palese.
Il
moro
tornò nel salotto con un vassoio che conteneva due bicchieri
di coca cola
insieme alla bottiglia. Sapeva che il gemello la preferiva di gran
lunga alla
semplice acqua.
Non appena il suo campo visivo gli permise di vedere Tom e notare cosa
reggeva
tra le mani, il suo cuore fece un triplo salto all’indietro,
facendogli
chiudere gli occhi.
Avrebbe dovuto giustificarsi ancora, avrebbe dovuto farlo con lui..
“Perché
Bill?” Chiese Tom non appena il fratello si fu seduto di
fianco a lui,
appoggiando il vassoio sul tavolino li di fronte.
“Mi
dispiace..” Soffiò.
“Ti ho chiesto perché..” Nel suo tono di
voce non c’era rimprovero, non c’era
durezza, né cattiveria. C’era solo disperazione e
dolore, e fu questa la cosa
che fece più male a Bill: sapere che non solo si stava
autodistruggendo, ma
stava facendo soffrire anche la persona più importante della
sua vita.
“Io..
Io
volevo smettere di pensare, volevo dimenticare.”
Mormorò con la voce tremante.
Non avrebbe sostenuto quel discorso, ne era certo già in
partenza.
“Non
potevi chiamarmi? Venire da me? Cristo Bill, abito dall’altra
parte della
strada!” Non era un rimprovero, non lo stava sgridando.
Voleva solo riuscire a
capirlo un po’ di più, ad entrare a far parte del
male che lo stava via via
strappando da lui.
“Avevo
bisogno di rimanere solo.” Sibilò, riducendo gli
occhi a due fessure. Lo stava
facendo di nuovo! Stava di nuovo trattando male suo fratello, che non
faceva
altro che cercare di aiutarlo! Perché era così
fottutamente sbagliato?!
“Capisco..
Vedo che sei anche collassato”
Constatò, riferendosi al foglietto che reggeva ancora tra le
mani.
“Non
me
lo ricordo.” Ammise con una punta di fastidio nella voce.
“Billie..
perché non cerchi.. Perché..”
Tentò di balbettare, cercando di esprimere al
meglio quello che gli vorticava in testa da un po’
“Perché non provi a uscirne,
a ricominciare.. Maggie vorrebbe questo, lo sai..”
Deglutì, forse aspettandosi
la reazione che si sarebbe scatenata di li a pochi secondi.
Bill
cominciò a respirare a fatica, nessuno aveva più
pronunciato quel nome, era
diventato un tabù con lui, lo sapeva! Nessuno gli aveva mai
detto di provare a
ricominciare, nessuno. Nemmeno sua madre!
“Ma
tu
che ne sai? Che ne sai?! Non hai nemmeno una vaga idea di quello che ho
dentro
da più di cinque mesi! La mia vita si è spezzata,
è finita quella sera! Io non
vivo più! Io non faccio altro che desiderare la morte! E tu
mi vieni a dire di
ricominciare?!” Era furioso, Tom si spaventò
vedendolo in quello stato. Il viso
paonazzo e gli occhi quasi fuori dalle orbite. Non lo aveva mai visto
così e
non avrebbe mai voluto che succedesse. “Sei un ipocrita Tom!
Lo siete tutti! Io
voglio solo essere lasciato stare! LASCIATEMI IN PACE!”
Strillò l’ultima frase,
alzando la voce di un’ottava, per poi salire pesantemente le
scale quasi di
corsa e rifugiarsi in camera sua sbattendo forte la porta dietro di
sé.
Tom
era
ancora seduto sul divano, con lo sguardo perso nel punto in cui pochi
secondi
prima c’era il fratello.
Abbassò lo sguardo verso le sue mani, che stava torturando
tra di loro,
sentendo le lacrime cominciare a pungergli gli occhi. Perché
non riusciva più a
capire suo fratello? Perché quella sintonia perfetta che
c’era tra di loro era
sparita?
Scosse la testa sospirando, dirigendosi verso l’uscita.
Quando era ridotto così
c’era solo da aspettare che ritornasse in sé. Lo
avrebbe chiamato di sicuro non
appena si fosse sentito meglio.
Se c’era una cosa che aveva imparato in quei cinque mesi di
lenta agonia, era
stata di saper aspettare e rispettare i tempi di Bill, senza forzarlo.
Avrebbe atteso anche questa volta, come aveva sempre fatto.
Si
alzò
da tavola con il suo piatto vuoto tra le mani. Avevano appena finito di
mangiare e il silenzio assordante che aveva accompagnato quel pranzo,
non aveva
fatto altro che rimarcare quello che inevitabilmente si stava spezzando
all’interno della sua famiglia.
Ripose nella lavastoviglie tutti i piatti, le posate e i bicchieri
sporchi, per
poi girarsi a guardare i suoi genitori.
Sua madre aveva lo sguardo perso nel vuoto, pensando a
chissà cosa, mentre suo
padre stava leggendo distrattamente il giornale. Ma lei lo conosceva
abbastanza
bene da poter dire che non stava seguendo nemmeno una parola scritta la
dentro,
ma stava solo facendo finta di essere impegnato per non dover guardare
la
distruzione che lui e il suo comportamento stavano provocando.
“Adesso
basta.” Sibilò furente, guardando prima una poi
l’altro, torva. I suoi genitori
si girarono verso di lei. La mamma con un’aria maledettamente
consapevole negli
occhi, il papà con una finta sorpresa che non fece altro che
farle saltare
ancora di più i nervi.
“Non
lo
capite anche voi che la situazione così è
insostenibile? Voi due pensate a
risolvere i vostri problemi, mentre io devo solo starli ad ascoltare.
Ogni
maledetta sera.” Ringhiò tirando fuori quel
coraggio, che per troppo tempo le
era venuto meno. “Trovate una soluzione, per l’amor
di Dio! Qualunque cosa pur
di ritrovare la serenità!” Schiaffò lo
straccio con cui aveva pulito il ripiano
della cucina sul tavolo, per poi girarsi spedita a passo do marcia
verso la sua
stanza.
Ce l’aveva fatta! Per la prima volta aveva detto la sua in
quella disastrata
famiglia. Ci era riuscita e non poteva stare meglio di così!
Si
sdraiò sul letto, pensando che un sonnellino prima del
lavoro non poteva farle
altro che bene.
Quel giorno il signor S l’aveva chiamata e lei aveva detto se
gentilmente
poteva andare a dargli una mano dal pomeriggio fino alla sera.
Non c’erano problemi per Melrose, più stava fuori
casa meglio era per i suoi
poveri neuroni. Aveva acconsentito tranquillamente, così
avrebbe evitato una
cena che sarebbe sicuramente stata la replica del pranzo.
Si
svegliò di soprassalto. Si era addormentato senza nemmeno
volerlo, dopo la
discussione con il gemello. Beh, a dire la verità aveva
discusso da solo.. Tom
non aveva nemmeno fatto in tempo a replicare ma, forse, non ci avrebbe
nemmeno
provato.
Si alzò in piedi, infilandosi un paio di calze pesanti e
trascinandosi
svogliatamente fino al piano inferiore.
Si
stravaccò sul divano del salotto e accese la televisione.
Il suo sguardo cadde, inevitabilmente, su quel pezzo di carta
abbandonato sul
tavolino da Tom, lo prese in mano e lo rilesse un paio di volte.
Forse
la
cosa giusta da fare era passare al bar per ringraziarla, d'altronde lo
aveva
riaccompagnato a casa quando non era nelle facoltà
né fisiche né mentali per
farlo. Un “Grazie” gli pareva il minimo.
Però rivedere quegli occhi.. Non gli avrebbe fatto bene, ne
era sicuro, il
dolore lo avrebbe attaccato di nuovo.
Quella Melrose le somigliava troppo.. Gli occhi, lo sguardo innocente,
le
espressioni del viso..
Non sapeva se sarebbe stato in grado di starla a guardare.. Ma Bill
Kaulitz era
sempre stata una persona educata e rispettosa, soprattutto con le
persone che
lo aiutavano.
Perché questa volta doveva essere diverso? Perché
sai benissimo che una volta tornato a casa starai messo peggio di adesso..
Azzittì quella fastidiosa vocina nella sua testa e
afferrò la giaccia
dall’attaccapanni infilandosela.
Aprì
la
porta uscendo fuori al gelo invernale. Il vento gli scompigliava i
capelli
disordinati e perennemente legati in una coda di cavallo, non aveva
più voglia di
curarseli e quello era l’unico modo per tenerli, almeno un
pochino, in ordine.
Salì in macchina e cercò di ricordarsi che strada
avesse fatto la sera prima.
Il bar non era molto distante, quello se lo ricordava, infatti pochi
minuti
dopo vide l’insegna colorata fare capolino tra gli edifici.
Parcheggiò dall’altra parte della strada e,
arrivato davanti alla porta del
locale, rimase qualche secondo di troppo con la mano sulla maniglia.
Era quella la cosa giusta da fare?
Scosse pesantemente la testa, tirando la porta verso di sé e
facendo così
ingresso nel caldo rincuorante di quel bar. Aveva sbiaditi ricordi di
quel
posto, l’unico nitido era quello della barista.
Si
guardò intorno, tra i tavoli, finché il suo
sguardo si posò su una figura
femminile messa di spalle, dietro il bancone del bar. Era lei, ne era
più che
sicuro.
Si
avvicinò deglutendo e con un pizzico di timore.
Arrivò talmente vicino da
riuscire a posare le mani sul ripiani di legno, mentre la vedeva
sciacquare i
piatti nel lavandino e asciugarli con uno strofinaccio.
Si schiarì la gola rumorosamente pronunciando uno
“Scusa” Appena accennato.
La ragazza sussultò, girandosi, dopo aver chiuso il getto
dell’acqua.
Una scarica di elettricità attraversò il corpo di
Bill alla vista di quegli
occhi verdi. Erano identici cazzo, identici!
Abbassò il viso, non essendo in grado di sostenere quello
sguardo, sapendo
benissimo di apparire ridicolo di fronte a lei.
“Oh,
ma
tu sei il ragazzo di ieri sera!” Esclamò lei,
lasciandosi andare ad un sorriso.
“Si,
sono io..” Farfugliò. “Sono venuto per
ringraziarti. Ho letto il tuo biglietto”
Tentò di sorridere di rimando, ma venne fuori solo la
grottesca imitazione del
sorriso che, un tempo, faceva impazzire milioni di ragazze. In
particolare,
faceva impazzire la sua
ragazza.
“Oh
non
ti preoccupare, è stato un piacere!” Ridacchiò
tendendogli la mano. “Io sono Melrose comunque,
piacere!”
Titubante,
il moro afferrò la sua mano. “Bill”
Borbottò. “Ma tanto lo sai
già”
“Ah,
ehm.. Scusa se ho guardato tra i tuoi documenti, ma davvero.. Non
sapevo come
fare” Arrossì violentemente sulle guance,
sentendosi tremendamente in
imbarazzo.
“Non importa, tranquilla.”
“Ti
senti meglio, oggi?” Melrose non voleva far morire la
conversazione. Voleva
sapere di più su quel ragazzo che, solo alla vista, le
faceva venire i brividi.
Era tenebroso e bello, incredibilmente bello.. Anche sotto a quel viso
sciupato, quelle occhiaie violacee e quella barba appena accennata, era
stupendo. Non aveva mai visto un viso tanto perfetto.
“Oh
si,molto meglio..
Grazie” Sorrise
nervoso, per poi cominciare a far vagare lo sguardo di qua e di la,
senza
sapere più che cosa dire o che cosa fare.
“Mi
hai
chiamata Maggie più di una volta ieri. Chi è, la
tua ragazza?” Sorrise. Voleva
sapere se era fidanzato oppure no.. Solo per curiosità,
assolutamente niente di
più. Pura e semplice curiosità.
Fin da piccola era sempre stata tremendamente curiosa, molto spesso
cacciandosi
nei pasticci per questa sua qualità. Per lei non era un
difetto l’essere
curiosi. Era un pregio.
Bill
si
irrigidì, portando lo sguardo fisso su di lei e riducendo
gli occhi e due
fessure. Non seppe spiegarsi il turbine di emozioni che
affollò il suo cuore in
quel momento. Rabbia, dolore, amore. Un miscuglio che gli fece pentire
di
essersi obbligato a tornare in quel bar.
“Non
sono affari che ti riguardano.” Ringhiò con
cattiveria.
Si
infilò gli occhiali e, prendendo la porta, uscì
fuori cercando di trattenere le
lacrime almeno fino al suo appartamento.
Povero
Bill ç___ç
Vi giuro che mi viene da piangere ogni volta che rileggo i capitoli!
Sono
crudele -.-
Però ragazzi, questa storia a me piace tantissimo e
ultimamente mi sta dando
grosse soddisfazioni (Eccetto il capitolo nove .__. ), spero sia lo
stesso
anche per voi *-*
Il titolo di questo capitolo è preso dall’omonimo
titolo di una canzone della
Pausini. Mi sembrava azzeccato u.u
Ringrazio:
_Pulse_ :
Ecco a te il quarto capitolo
della storia che ti ho dedicato *Q* Spero ti piaccia perché
a me,
personalmente, soddisfa.. E non poco *____*
Billie si ubriaca, hai visto? ç___ç piccino
mio!
Cercherò di continuarla, lo sai xD ce la farò, si
u.u Ti
voglio tantissimo bene *-*
Piera : Mi
spiace per scommettiamo, in
effetti. E’ stata la mia prima long fiction, anche se non
è come la volevo io..
Però l’importante è non aver deluso
nessuno ^__^
Sono contenta che ti piaccia anche “Ci
sarà”, davvero. Un bacio, alla prossima!
Layla
the punkprincess
:
Anche a me ha fatto una pensa
incredibile, e il che è tutto dire dato che sono
l’autrice. Mi commuovo da
sola, accidenti! XD
Grazie per il commento! Baci!
|
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Capitolo 5 *** Tornare a vivere? ***
QUINTO
CAPITOLO – Tornare a vivere?
Era
stato uno sbaglio. Solo un enorme, irrimediabile sbaglio
trascinarsi a quel bar per ringraziare quella ragazza! Non aveva
portato altro
se non ancora dolore e sofferenza! Niente di più.
Quando aveva pronunciato il suo nome.. Dio.. L’avrebbe
strangolata con le sue
mani, seppur consapevole che non centrasse affatto. Anzi, Melrose era
stata
molto carina e gentile con lui.. Ma non doveva, non doveva nominarla.
Guidò come un pazzo verso il suo appartamento nonostante le
lacrime gli
annebbiassero la vista, rischiando quasi di ammazzarlo.
Guidò veloce, senza
nemmeno rispettare i limiti,
tanto che
in una manciata di secondi aveva già parcheggiato davanti al
condominio e si
stava precipitando a casa del fratello in lacrime.
Aveva bisogno di lui, solo di lui.
Cominciò
a bussare alla porta come uno scalmanato, sferrando
pugni e calci mentre le lacrime cadevano incessanti.
Un
Tom spaventato e allo stesso tempo preoccupato gli andò
ad aprire, ma non fece in tempo a dire una sola parola che Bill gli si
tuffò
tra le braccia.
“Bill,
che hai? Che ti succede?” Chiese, prendendo ad
accarezzargli la schiena.
Con un piede chiuse la porta e, sempre sorreggendo il fratello, si
diresse
verso il divano, sul quale si sedette subito dopo.
“Tom,
è stato orribile.. Orribile..” Biascicava
incomprensibilmente, passandosi in continuazione la mano sugli occhi e
tossicchiando.
“Cosa
Bill? Cosa è stato orribile?”
“Vederla!”
Strillò, per poi tornare a singhiozzare e
abbracciare il fratello.
Tom
aspettò che il moro si calmasse, continuando a cullarlo
e ad accarezzargli la schiena e i capelli, sussurrandogli che andava
tutto bene
finché restavano uniti. Non appena sentì il suo
respiro tornare calmo e
regolare lo allontanò di pochissimo da sé, il
tanto che bastava per parlargli
guardandolo negli occhi.
“Mi
dici cosa è successo, ora?” Gli
sussurrò amorevole, con
un sorriso dolce e conciliante in viso. Bill annuì
impercettibilmente, tirando
su col naso e cominciando a raccontare quello che era successo
nell’ora appena
passata.
“Hai
presente il biglietto che hai trovato stamattina a casa
mia? Ecco. Poco fa sono andato nel bar per ringraziare quella ragazza,
Melrose.
Per dirle che era stata gentile a riaccompagnarmi a casa.”
“Non
vedo dove sta il problema, sei stato educato” Sorrise
Tom, accarezzandogli il viso sciupato dalle lacrime.
“Tom..
Quella ragazza è uguale a lei.
Ha gli stessi occhi, lo stesso viso, le stesse espressioni..
Io, io non ce la faceva a guardarla. Poi quando ha detto il suo nome,
quando
l’ha nominata.. Io non ci ho più visto e le ho
risposto male.” Concluse con il
labbro inferiore che cominciava a tremolare.
“Abbiamo
sofferto tutti Bill, per te è stato diverso lo so.
Non sai il male che mi fa ogni volta vederti ridotto in questo stato..
E sapere
che non è affatto giusto come sia andato tutto. Ma, sai come
la penso, devi
tornare a vivere fratellino, non puoi continuare ad autodistruggerti
Billie..”
Mormorò guardando in basso.
Quello era un discorso che avevano ripetuto più e
più volte, ma era sempre la
stessa storia.. Bill non lo accettava.
“Lo
so Tomi, lo so.. Ma io, non ce la faccio.” La voce
strozzata. Non voleva ricominciare a piangere, doveva essere forte. Per
lei.
Il
chitarrista si girò, guardandolo con un sorriso. Quello
era il primo passo verso la “guarigione”,
l’ammettere che c’erano dei problemi
era la prima mossa per arrivare a superarli.
“Ci
sono io qui con te..” Sorrise, riaccogliendolo tra le
sue braccia forti e confortanti.
Una
grande consapevolezza si fece lentamente spazio nella
mente di Bill.
Finché suo fratello fosse rimasto al suo fianco, tutto
sarebbe andato
migliorando.. Ne era sicuro.
“In
ogni lacrima
tu sarai,
per non dimenticarti mai”
***
Che
diavolo aveva detto di sbagliato? Aveva fatto qualcosa
che non andava?
Se ne stava con la bocca semi aperta, ferma, a fissare la porta del bar
dove
lavorava, da cui poco prima era uscito quel ragazzo, Bill.
Era
partito tutto più o meno bene, era stato carino a venire
al locale apposta per ringraziarla. Nei suoi occhi, però,
aveva notato una luce
strana: erano stanchi, malinconici, feriti.
Avrebbe tanto voluto potergli leggere dentro e riuscire a capire i suoi
pensieri, perché quel ragazzo un po’ malandato
l’affascinava, e non poco.
Però
qualcosa era andato storto nella loro breve
conversazione. Qualcosa che lei aveva detto o fatto lo aveva punto nel
vivo
facendolo scattare come una molla, e lei non aveva la più
pallida idea di cosa
avesse potuto turbare tanto il giovane cantante.
L’aveva guardata con occhi intrisi di odio e di risentimento,
dicendole elegantemente
di farsi i cazzi suoi. Non proprio con le stesse parole, ma il senso
era
quello.
Scosse
la testa e richiuse la bocca. Guardò la schermata del
suo cellulare per controllare
l’ora.. Il
suo turno era quasi finito, finalmente, le mancava solo una mezzoretta.
“Melrose!”
Si sentì chiamare e, girandosi di scatto, si
ritrovò Jessica a pochi passi da lei.
Jessica era sua collega da qualche mese, era una bella ragazza. Alta,
magra,
con gli occhi castani e i capelli scuri e ricci. Non le stava molto
simpatica a
pelle, eppure sapeva che non era una cattiva ragazza.
“Si?”
Chiese, tornando a sciacquare i piatti nel lavandino.
“Ma,
lo sai chi era quello con cui parlavi poco fa?”
“Un..
Ragazzo?” Ironizzò, storcendo il naso.
“Intendo
dire, sai come si chiama?” Continuò lei, sbuffando
e roteando gli occhi al cielo.
“Si
e allora?” Non capiva dove voleva arrivare con tutte
quelle domande.
“E
allora? Quello è Bill Kaulitz!” Strillò
come un’ochetta,
sottolineando l’ovvietà della sua affermazione.
“Lo
so, Jess.”
“E
non dici niente?”
“Che
dovrei dire, scusa?”
“Vuoi
dirmi che tu non sai perché i Tokio Hotel si sono
sciolti?” La guardò come se fosse una ritardata,
con un’ espressione di
superiorità che la invogliava parecchio a tirarle una sberla.
“Non
mi sono mai particolarmente interessata a loro” Chiuse
il rubinetto cominciando ad asciugare tutti i piatti e le varie posate,
per poi
riporli nei loro rispettivi scaffali.
“Beh,
in giro si mormora che sia proprio colpa del bel
cantante.” Sussurrò, avvicinandosi di
più all’orecchio di Melrose e cominciando
a parlare ancora più piano. “Si dice che abbia
cominciato a drogarsi e che i
componenti della band lo abbiano sbattuto fuori. Solo che lui era
l’immagine
del gruppo.” Fece una smorfia. “Niente leader,
niente vendite. Niente vendite:
Bye bye!”
Ridacchiò
sventolando per aria
la mano e lasciando la povera Melrose a bocca aperta. “Stai
alla larga da certa
gente, tesoro!” Ghignò, per poi scomparire nel
retro bottega.
Quindi,
quel ragazzo così bello ed intrigante era.. un tossico?
Non ci poteva credere.
Non ce l’aveva nemmeno la faccia da drogato! E poi.. Chi
diavolo era Jessica
per sapere faccende così delicate e personali sulla sua vita?
Era proprio vero quando il signor S le diceva che quella ragazza era
sempre in
mezzo a tutto, come il prezzemolo.
Sbuffò
pesantemente, slacciandosi il grembiulino dalla vita:
il suo turno di lavoro era terminato.
Per fortuna, aveva solo una gran voglia di tornarsene a casa a riposare
in quel
momento, sempre che i suoi genitori glielo avessero permesso.. Evitando
di
urlare e sbraitarsi addosso le peggio cose.
***
“Come
diavolo si usa quest’aggeggio!” Sbraitò
tirando un
pugno al forno a microonde.
Era stato un regalo di sua mamma, ma lui non lo aveva mai usato e non
si era
nemmeno preso la briga di imparare.
Ora però si era messo in testa di fare un pasto decente dopo
chissà quanto
tempo, scaldandosi in quell’ “Aggeggio
infernale” un bel piatto di lasagne che
mamma aveva lasciato a Tom.
Gli piacevano le lasagne. Gli piaceva tutto il cibo italiano in
generale, ma le
lasagne in particolare.
Finalmente,
non si sa come, riuscì a farlo funzionare,
vedendo il piatto all’interno girare in tondo, ipnotizzandolo.
Ripensò
a quel pomeriggio,al suo comportamento e agli occhi
di Melrose confusi e colpevoli.
Colpevoli.
Colpevoli per cosa poi? Lei non aveva fatto nulla, poverina, la colpa
era solo
ed unicamente sua che continuava a prendersela con le persone
sbagliate, ad
allontanare chi cercava di essere gentile con lui.
E quella ragazza ci aveva provato a fare la carina, ma aveva toccato il
tasto
sbagliato e Bill era inevitabilmente scattato.
Non gli piaceva apparire così: maleducato e scorbutico. Non
lo era mai stato e
non voleva certo apparire così.. Forse, forse avrebbe dovuto
scusarsi con lei.
Ma il coraggio per tornare in quel bar non ce l’aveva
più..
Con che faccia si sarebbe ripresentato li, davanti a lei, per chiederle
scusa?
No, no.. Non ne aveva la forza. Né fisica, né
psicologica.
Il
“Bip” del forno lo avvisò che la cena
era pronta da
servire in tavola.
Prese la vaschetta contenente le sue adorate lasagne, prese una
forchetta, e si
accomodò seduto al tavolo.
Non aveva apparecchiato, non ne aveva voglia. Si era silenziosamente
seduto su
una sedia e aveva cominciato a mangiare, da solo. Come ormai era da
troppo
tempo.
Quelle
lasagne erano deliziose, mamma aveva sempre cucinato
benissimo, fin da quando lui e suo fratello erano piccoli. Non aveva
mai avuto
di che lamentarsi per le doti culinarie di Simone.
Sentì
un vibro nella sua tasca, tirò fuori il cellulare e
vide che gli era arrivato un nuovo messaggio, di Tom.
Fratellino,
ho notato che in frigo non hai più niente. Vai a fare la
spesa domani mi
raccomando. Andrei io per te ma ho un appuntamento che non posso disdire.
Un
appuntamento? Tom non gli aveva mai parlato di
appuntamenti.
Non ci fece caso e posò la vaschetta vuoto nel lavandino,
poi aprì il
frigorifero constatando che, in effetti, Tom aveva ragione: Non era
rimasto
quasi niente.
Domani
sarebbe uscito per andare al supermercato, ora aveva
solo voglia di farsi una lunga, infinita dormita.
***
Era
nel suo appartamento, aveva appena mandato un messaggio
al fratello e sperava ardentemente che lo ascoltasse. Se non ci fosse
stato
lui, Bill a volte avrebbe pure dimenticato di bere e di mangiare.
Quella situazione lo stava uccidendo, gli stava succhiando via la linfa
vitale.
Non si sentiva più i gradi di stare dietro ai continui cambi
d’umore del
fratello, ai suoi sfoghi su di lui, al suo dolore e alla sua immensa
sofferenza.
Ma Bill era il suo fratellino, e avrebbe fatto di tutto pur di
rivedere, anche
solo una volta e per pochi secondi, il sorriso radioso sul suo volto.
Quel
sorriso che lui amava tanto.
Il
girono dopo sarebbe dovuto uscire con Rebecca, dalla
morte di Margaret lui e Becky si erano avvicinati molto. Lei aveva
lasciato
Eirik, la perdita della sua migliore amica l’aveva devastata,
facendole
prendere questa decisione.
Aveva trovato in Tom qualcuno con cui sfogarsi e con cui condividere il
dolore,
visto che Bill aveva creato una fortezza intorno a sé.
Il chitarrista ci si trovava molto bene, si poteva dire che stessero
insieme,
che fossero una coppia a tutti gli effetti. Lentamente stava
cominciando ad
attaccarsi sempre di più a lei.
Questa cosa lo rendeva felice ma allo stesso tempo lo spaventava,
voleva
andarci con calma.. Per non rovinare le cose.
A
Bill non aveva raccontato nulla, non sapeva come l’avrebbe
presa. Insomma, suo fratello stava insieme alla migliore amica della
sua ex
fidanzata.. Non aveva idea di che reazione aspettarsi.. Ma qualcosa gli
diceva
che non sarebbe stata buona.
Prima o poi, comunque, il coraggio avrebbe dovuto tirarlo fuori e
raccontargli
la verità.. Molto presto, tra l’altro.
***
Parcheggiò
la macchina nel garage di casa sua, stando bene
attenta a non andare a sbattere da qualche parte. Dopo
l’ultima volta aveva gli
occhi persino dietro alla testa.
Qualche mese prima aveva urtato lo scaffale dei mobili, graffiando
così la
fiancata destra della sua preziosissima automobile.
Aveva
una fame da lupi, erano le otto e mezzo di sera e lei
non aveva ancora cenato. Sperò vivamente che sua madre le
avesse lasciato
qualcosa da parte.
Salì le scale che dal garage la portavano alla cucina e il
silenzio che trovò
ad avvolgere la casa la fece rabbrividire. I suoi genitori non erano
seduti al
tavolo, dove lei invece credeva di trovarli.. Non si sentivano litigi,
urla,
pianti. Niente di niente.
Guardò nel forno e nel frigorifero, evidentemente sua madre
non aveva pensato a
lei.
“Melrose.”
La voce forte e autoritaria di suo padre la fece
sobbalzare sul posto. Proveniva dal salotto, così chiuse lo
sportello del frigo
e camminò a passo incerto verso il soggiorno.
Sua
madre era seduta sul divano, le mani raccolte in grembo
e lo sguardo vacuo che indugiava su di lei, come se avesse paura di
qualcosa.
Suo padre, invece, era in piedi davanti alla poltrona su cui si
risedette non
appena vide Melrose andargli incontro.
“Si?”
Chiese titubante la ragazza, sedendosi accanto alla
mamma.
“Io
e tua madre abbiamo qualcosa da dirti.” Disse, con tono
solenne, come se di li a poco avesse dovuto proclamare una condanna a
morte.
“Vi
ascolto..” Sospirò la bionda, probabilmente
sapendo già
quello che l’aspettava.
“Ti
sarai resa conto anche tu che il clima in questa casa si
è deteriorato da un po’.”
Sospirò, prendendo fiato. Hanna non parlava. “Io e
la
mamma non ne possiamo più di continuare a litigare, non si
può più vivere in
questa situazione”
“Puoi
arrivare al dunque, senza tanti giri di parole?”
Sbottò irritata Melrose. Quelle continue divagazioni inutili
la infastidivano e
basta.
“Abbiamo
deciso che la cosa migliore è divorziare,
tesoro.”
Si intromise Hanna. La
biondina
sospirò, chiudendo gli occhi per qualche secondo e
trattenendo il respiro,
desiderando solo di sprofondare.
“Bene.”
Si alzò, riaprendo gli occhi ed espirando, per poi
dirigersi verso la sua camera.
“Melrose,
non hai nient’altro da dire?” Chiese Oskar,
guardandola pungente.
“Cosa
dovrei dire papà? Sono mesi che vi sento litigare ogni
santa sera, questa forse è davvero la soluzione
migliore.” Mormorò, senza
girarsi. “Ma non sperate che lo dica io ad Alan, quello
è compito vostro. Lo
dovrà sapere da voi!” Si voltò,
guardandoli entrambi per un millesimo di
secondo. Poi schizzò spedita su per le scale, entrando nella
sua stanza e
chiudendosi la porta alle spalle appoggiandocisi contro con la schiena.
Tirò
un sospiro di sollievo, felice che quella situazione
fosse finalmente finite. Non sentiva più l’ansia
che le cresceva alla bocca
dello stomaco, se ne era liberata grazie a quella notizia.
I suoi genitori si sarebbero separati, questo voleva dire niente
più grida,
niente più litigate, niente più insulti e niente
più lacrime. Quella era la
liberazione da mesi di inferno puro.
Sorrise, mentre una lacrima le solcava il viso, finalmente avrebbe
raggiunto un
po’ di pace.
Non
aveva nemmeno chiesto chi avrebbe tenuto la casa, con
chi avrebbe dovuto vivere lei.. Non si era interessata a niente,
convinta che
il giorno dopo mamma e papà le avrebbero spiegato tutto nei
minimi dettagli.
Si
coricò a letto, stringendo
il cuscino a sé e lasciandosi andare ad un sospiro di
serenità, chiudendo gli
occhi. Quella notte avrebbe potuto fare sonni tranquilli, dopo tanto
tempo.
Questo
capitolo è un po’ deprimente, lo ammetto. Ma, in
fondo, in questa storia lo sono un po’ tutti purtroppo. Spero
vi sia piaciuto
almeno un pochetto etto xD
La canzone che ho inserito è “In assenza di
te” di Laura Pausini. E’
bellissima.. Quando l’ho sentita mi sono detta
“E’ perfetta” E ho pure fatto i
piantini, se devo essere sincera fino in fondo XD
Ringrazio
chi ha recensito lo scorso capitolo, ovvero:
_Pulse_
: La
mia carissima Pulse, Aria, Ariannina, Sempina *____* Graaaazie che tu
mi fai
sempre i complimenti anche se non me li merito, ti voglio davvero un
mondo
gigante di bene mia cavigliera super preziosa *-* Sono arci felice che
ti sia
piaciuto lo scorso capitolo. Dopotutto.. Questa è la tua
storia. Ti voglio tantissimo bene! Arrrrguta <3
Layla
the punkprincess
: Sono felice che la storia ti piaccia, e che
ti piaccia il modo in cui la sto portando avanti. Ero un po’
titubante
all’inizio, lo sai.. Ma ora sono un po’
più sicura di questa fic. Ti ringrazio
per la tua recensione che non manca mai *-*
Piera
:
Waaa, davvero la rileggi? xD ma io ti adoro ^___^ Grazie, grazie,
graaazie
mille! Alla prossima!
Un
ringraziamento anche a tutti quelli che leggono questa
storia, quelli che l’hanno messa tra le preferite e le
seguite. Grazie, grazie
di cuore a tutti!
Baci,
Ale.
|
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Capitolo 6 *** Incontro ***
Dovete
scusarmi umilmente per l’imperdonabile ritardo. Lo so, sono
assente da quasi un mese ed è tantissimo. Ma ho avuto non
pochi problemi, la scuola.. L’account bloccato (
-.-“ ). Insomma, mi dispiace da morire, davvero. Spero di non
avervi perso per strada, anche se non siete mai state moltissime XD
Ma non importa. Spero che
questo capitolo vi piaccia e spero che, magari, abbiate voglia e tempo
di farmi sapere cosa ne pensate, con una recensione.. Anche piccola
piccola.
Un saluto a tutti, buona lettura.
Ale**
SESTO
CAPITOLO – Incontro “casuale”
Quella
mattina aveva deciso di svegliarsi presto e dare una risistemata al suo
appartamento. Era da troppo tempo che non faceva le pulizie per bene.
Aveva già lavato per terra, pulito i vetri, spolverato i
mobili.. Aveva passato l’aspirapolvere e lo straccio sugli
infissi delle porte.
Aveva passato in rassegna tutte le stanze della casa, dando una
pulitina qua e la.
Per
tutta la mattinata era stato come se il suo cervello si fosse spento,
fosse andato in standby, lasciandogli un momento di tregua senza
pensare e ripensare alle cose passate.
Aveva pranzato già da un po’ e ora era sdraiato a
pancia in su sul divano, la televisione accesa trasmetteva un programma
che lui non stava seguendo minimamente. Guardava il soffitto, un
braccio sulla fronte e il respiro regolare e calmo.
Aveva voglia di una doccia rigenerante, ma stare disteso a non fare
niente gli piaceva. Negli ultimi tempi non aveva quasi mai avuto un
momento di totale tranquillità come quello..
Sorrise sinceramente, il primo sorriso vero
dopo chissà quanto
tempo.. Scosse la testa, meravigliandosi da solo di quella strana
incurvatura sulle sue labbra.
Si
girò, lanciando un’occhiata fugace alla
televisione, stavano trasmettendo un film che lui da bambino aveva
visto miliardi di volte, con suo fratello..
Suo fratello.. Si ricordò del messaggio che gli aveva
mandato il giorno prima. Sarebbe dovuto uscire per andare a fare la
spesa dopo pranzo, meglio farsela quella doccia..
Si
alzò sbuffando, arrivando svogliatamente fino al bagno
comunicante con la sua stanza, aprì il rubinetto e si
infilò sotto il getto gentile dell’acqua tiepida.
Strano come una semplice doccia calda gli potesse far riaffiorare tanti
ricordi..
Ricordi di un corpo nudo e femminile stretto al suo, di notti insonni
perse a guardarla dormire, di mattinate spese ad accarezzare quella
pancia che stava crescendo sempre più in fretta.
Scosse la testa, rendendosi conto che se avesse continuato a pensare a
lei, a pensare a.. loro,
non sarebbe mai più riuscito a risalire il baratro che
lentamente lo stava trascinando in profondità.
Si sarebbe perso in un labirinto senza più trovare
l’uscita.. E lui la voleva trovare, quell’uscita.
Lo doveva a lei, al loro bambino che era morto ancor prima di nascere.
Doveva essere uomo, per una volta.
“Per
rinascere mi servi qui
non c'è una cosa che non ricordi noi
in questa casa perduta ormai”
Strinse gli occhi, cercando di ricacciare indietro le lacrime e
stupendosi di avercela fatta. Deglutì un paio di volte,
mandando giù il nodo che gli chiudeva la gola.. Poi,
più tranquillo, cominciò a passarsi la spugna
lungo il corpo e a massaggiarsi i capelli intrisi di shampoo.
Quella
doccia ci voleva, si sentiva rinfrescato anche psicologicamente.
Si fermò davanti all’armadio di camera sua,
prendendo un paio di jeans e una maglietta nera, se li
infilò e, prese le chiavi della macchina, uscì di
casa.
Le
strade erano semi deserte, non c’era quasi nessuno in giro.
Erano quasi le quattro e mezzo del pomeriggio, il supermercato era
già aperto da più di mezz’ora.
Si ricordò di non aver fatto la lista della spesa,
così fece un piccolo resoconto mentale sulle cose da
comperare una volta dentro al Supermarket.
Beh, gli affettai li doveva prendere, pasta, sugo, un bel po’
di roba in scatola, cibo spazzatura, il gelato.. Da quanto tempo non si
mangiava una buona dose di gelato!
Parcheggiò nello spazio riservato ai clienti ed
entrò nell’edificio facendo un respiro profondo.
***
Era
stata una notte più o meno tranquilla e il risveglio non fu
da meno.
Si era alzata ed era scesa a fare colazione con sua madre, visto che il
signor Weber era uscito presto per lavoro.
Per tutta la mattina era rimasta in camera sua a leggere e a disegnare.
Gli sarebbe piaciuto tanto iscriversi ad
un’università, come suo fratello, ma sapeva di non
avere le possibilità economiche in quel momento. Meglio
rimanere a lavorare dal signor S, e ripensarci in futuro.
Stava
aiutando Hanna a stendere la biancheria, il silenzio era il primo
protagonista.
“Mi
dispiace, per tutto.” Aveva mormorato a un tratto sua madre.
“Non
ti dispiacere, mamma. E’ meglio così, per tutti
quanti.” Bisbigliò, non guardandola negli occhi ma
rimanendo concentrata sul panno che stava cercando di appendere allo
stendino.
“Ho
chiamato Alan, ieri sera tardi. Da lui era pomeriggio.” Il
cuore le si fermò nel petto, sbarrò gli occhi e
il respiro le si mozzò in gola. Alan sapeva, Alan aveva
scoperto la verità..
Alan ora aveva avuto la
conferma che sua sorella per mesi gli aveva mentito, dicendogli che
andava tutto bene.
“Ah,
bene..” Sospirò affranta, sapendo già
che su fratello l’avrebbe chiamata presto, molto presto.
“E’
arrabbiato, ma vedrai tesoro.. Gi passerà”
Sussurrò con un sorriso, mentre con una mano le sfiorava la
guancia sinistra.
“Vabbè,
io vado di sopra. Ti serve altro?” Chiese mogia, stendendo
l’ultima maglietta.
“Più
tardi andresti a farmi la spesa? Devi comprare solo un paio di
cose.”
“D’accordo,
nessun problema.” Sorrise debolmente e poi salì le
scale a due a due, precipitandosi in camera a controllare il cellulare.
Come temeva: due chiamate perse, entrambe di Alan.
Con mano tremante cominciò a digitare il suo numero sulla
tastiera del telefonino, portandosi poi l’apparecchio vicino
all’orecchio e aspettando pazientemente che rispondesse.
“Pronto?”
Dalla sua voce capì che non aveva nemmeno guardato sulla
schermata del cellulare il nome della persona che lo stava chiamando, o
non sarebbe stato così tranquillo.
“Alan..”
Sussurrò, portandosi una mano a stropicciarsi gli occhi.
“Melrose.”
Duro, freddo, distaccato. Raramente l’aveva chiamata con il
suo nome per intero.. Di solito era sempre “Mel”,
“Piccola”, “Sorellina”, ma
quasi mai.. “Melrose”.
Quell’unica parola gli aprì una ferita al cuore,
essendo consapevole che la colpa era da attribuire solo a lei.
“Alan,
non essere arrabbiato..” Pigolò, sentendo
già i primi cedimenti di voce.
“Perché
non dovrei? Mi hai mentito per tutto questo tempo!”
“Lo
so Alan e.. Mi dispiace!” Tentò di giustificarsi,
ma inutilmente, il fratello sembrava essere partito per la tangente.
“E
ci credo che ti dispiace!”
“Avrei
voluto dirtelo, davvero.. Solo avevo paura che..”
“Paura
di che cosa Melrose? Paura di che cosa?! Non hai scuse questa volta,
davvero! Ma che razza di sorella sei? Io di te mi fidavo!”
Che
razza di sorella sei.
Quell’accusa
proprio non se la meritava, lei che aveva fatto di tutto per impedire
che Alan soffrisse!
“Senti
un po’ fratello! Invece di sparare offese gratuite, non ti
puoi chiedere il perché,
del mio comportamento?” Strillò, offesa nel
profondo. “Alan sei mio fratello, io ti amo sopra ogni cosa,
l’ho fatto solo per proteggerti! Per impedire che tu
distruggessi i sogni per cui hai lavorato tanto! Non sono una cattiva
sorella, non lo sono per niente!” Sbraitò quasi
l’ultima frase, ma senza piangere.. Di piangere proprio non
ne aveva voglia.
“Mel..”
Sospirò stancamente. “Ho bisogno di tempo per
riflettere a tutta questa faccenda. Ti chiamo io, ciao”
Non
le lasciò neanche il tempo di replicare in qualsiasi maniera
che aveva già riattaccato, lasciandola sola sul suo letto,
con il cellulare ancora in mano e la bocca semi aperta.
Le aveva chiuso il
telefono in faccia, non era mai successo.
Sentì una profonda tristezza impadronirsi di lei e del suo
cervello.
Che
razza di sorella sei.
Lei
era una sorella minore esemplare! Ecco che razza di sorella era!
Una
che si tiene dentro tutto il dolore per sé, per impedire al
fratello di gettare al vento i suoi sacrifici e il suo futuro.. Non
poteva essere che una brava sorella.
Ma
Alan in quel momento era accecato dalla rabbia e non voleva sentire
ragioni.
Il
primo impulso fu quello di ritelefonargli, ma era ben consapevole che
così facendo non avrebbe cavato un ragno dal buco. Avrebbe
dovuto aspettare paziente che il fratello sbollisse il suo rancore e si
facesse risentire di sua spontanea volontà. Solo
così le cose si sarebbero aggiustate.
“Mel!”
Si sentì chiamare dal piano inferiore. Era la voce di sua
mamma.
Si affacciò con la testa fuori dalla porta della sua stanza
e le rispose un “Si?” mezzo biascicato.
“Potresti
andare adesso a fare la spesa?” Guardò
l’orologio: le quattro.
Sarebbe dovuta andare dal signor S solo entro sera.
“Va
bene!” Si alzò e si vestì velocemente.
Infilandosi il cellulare in tasca e arrivando al piano di sotto.
Arraffò
la sua borsa con dentro il portafogli e le chiavi della macchina e si
infilò la giacca.
“Ciao
mamma!” Salutò, poi aprì la porta di
casa e uscì fuori, senza nemmeno sentire la risposta di sua
madre. Saltò in macchina, cominciando a guidare verso il
supermercato.. Faceva più freddo del solito quel giorno,
prevedeva neve per quella notte. La primavera sarebbe arrivata in
ritardo, se lo sentiva.
Peccato, lei adorava la primavera.. Amava stare sotto un albero a
leggere un buon libro, o semplicemente sdraiarsi sull’erba
sotto il sole ad ascoltare musica rilassante.
Frenò
appena in tempo accorgendosi dell’edificio davanti a lei: il
supermarket.
Entrò
nel grande parcheggio riservato esclusivamente ai clienti e
fermò la macchina vicino ad un Audi metallizzata. Bella
macchinina, pensò.
Entrò
dentro al supermercato, varcando le porte scorrevoli. Una ventata
d’aria calda la investì subito dopo, almeno li
avevano acceso il riscaldamento!
Tirò fuori dalla tasca dei jeans la lista della spesa, che
consisteva in un foglietto di carta tutto stropicciato, e si diresse al
reparto “detersivi per la casa”.
***
“Come
sta tuo fratello?” Rebecca e Tom erano in un piccolo bar del
centro, nella periferia. Lei era stretta a lui, con le sue forti
braccia intorno alla vita e le mani che le accarezzavano dolcemente i
capelli.
Se glielo avessero raccontato appena qualche mese prima non ci
avrebbero creduto. Si erano trovati tardi, questo era assodato..
Però rimaneva il fatto che si
erano trovati.
“Vedo
uno spiraglio di luce, ma è ancora lontano.”
Sospirò, baciandole la testa.
“E’
comunque un passo avanti, no?”
“Sicuramente.”
Sorrise nel vedere la sua testolina mora girarsi a guardarlo con un
broncetto infantile in viso.
“Te
l’ho mai detto che sei splendida?” Le
baciò la tempia, spostandole una ciocca di capelli che le
era finita davanti agli occhi azzurrognoli.
“Circa
una settantina di volte.” Ridacchiò prendendolo
per la nuca e baciandogli le labbra.
“Facciamo
settantuno. Sei bellissima.” Sussurrò al suo
orecchio, per poi catturarla in un nuovo bacio. Le accarezzò
la schiena, sfiorandole una guancia con l’altra mano.
Non poté fare a meno di pensare che con lei.. Con Rebecca,
sarebbe riuscito a costruire qualcosa. Cosa che con le altre ragazze
non era riuscito a fare.
Lei lo sapeva prendere, lo sapeva ascoltare.. Una come lei non
l’aveva mai avuta prima, e non se la sarebbe di certo fatta
scappare.
Era da mesi che andava avanti questa storia tra loro. Erano insieme,
anche se non se l’erano detto palesemente.
“Tom.
Io.. Ti piaccio davvero?” Chiese, curvano il labbro inferiore
all’ingiù.
“Non
sarei qui altrimenti, ti avrei già portata a letto senza
farmi troppe domande. Con te è diverso Becky, tu
sei diversa. Non butterò nel cesso anche questa
opportunità con te. Credimi.”
Con
gli occhi brillanti Rebecca alzò una mano verso di lui,
accarezzandogli dolcemente uno zigomo con il dorso delle dita. A quel
tocco il ragazzo chiuse gli occhi, godendosi appieno la fantastica
sensazione che lei gli dava solamente sfiorandolo.
“Dovremmo
dirlo a Bill, sai?” Sussurrò lei, riaccoccolandosi
nel suo caldo e confortante abbraccio.
Lo sentì irrigidirsi appena e percepì il suo
sguardo farsi triste e dubbioso..
Non sarebbe stato per niente
facile dirlo a suo fratello. Che poi, non si spiegavano tutte le
preoccupazioni che li assalivano quando si parlava di raccontare tutto
a Bill. Lui avrebbe capito, non se la sarebbe presa. Per cosa, poi?
“Forse..
Forse hai ragione.” Mormorò poi, guardandola
dall’alto verso il basso. “Deve saperlo,
si.” Continuò poi, forse per convincere se stesso
e basta.
La
strinse un po’ più forte, consapevole che quella
ragazza doveva essere stata mandata direttamente dal cielo.
***
“Dove
cavolo li trovo io i piselli surgelati?” Mormorò
tra sé e sé, girovagando tra i vari scaffali con
la lista che si era scritto in macchina fra le mani.
Non andava più a fare la spesa da una vita quindi non aveva
la più pallida idea di come muoversi. Era un’ora
che girava a vuoto tra i reparti, senza trovare quello che gli serviva.
Per
ora aveva preso solo gli affettati, ma non era difficile capire dove
fossero, visto che c’era un bancone enorme dedicato solo a
loro.
Spinse
il carrello con più forza, girando l’angolo e
ritrovandosi nel reparto detersivi.
Non fece in tempo a bloccarsi che andò a sbattere sul muso
di un altro carrello, l’impatto lo fece indietreggiare di
qualche passo.
“Ma
che..?” Borbottò una voce femminile, per poi
alzare lo sguardo.
“Tu?!”
Esclamarono entrambi.
Melrose
per pura e semplice sorpresa. Bill per la vergogna.. Il loro ultimo
incontro in fin dei conti non era stato dei migliori, rivederla in un
supermercato era piuttosto imbarazzante.
“Ciao..”
Sorrise dolcemente lei, facendo manovra e raddrizzando il carrello.
“Ciao.”
Mormorò Bill. Come mai era così gentile con lui?
“Scusa,
non ho visto dove andavo.” Ridacchiò lei,
prendendo un detersivo verde da uno scaffale e riponendolo insieme al
resto della spesa.
Bill rimase a guadarla qualche secondo, chiedendosi perché
doveva fargli male solo la sua vista.
“Niente,
figurati..” Farfugliò poi, distogliendo lo sguardo.
“Spese
di fine mese?” Trillò lei, con il suo timbro di
voce allegro e squillante, indicando il carrello che Bill stava tenendo
saldamente per il manico.
“Già..”
Tentò di sorridere, mentre riponeva nel carrello quei
benedetti piselli surgelati che finalmente aveva trovato.
Stettero
per un po’ li fermi, in mezzo al corridoio, a guardarsi
intorno avvolti dal silenzio più assoluto. Senza sapere che
cosa dirsi.
Semplicemente nessuno dei due aveva voglia di troncare così
la conversazione e Bill si chiese il perché di
quell’improvviso desiderio.
Il
ragazzo si schiarì rumorosamente la voce, portandosi un
pugno chiuso davanti alla bocca.
“Beh,
io andrei.. Ecco.” Si passò una mano sul collo,
nervoso.
“Oh
si, si. Anche io ho finito.” Lui le sorrise, cominciando a
spingere il carrello verso la cassa, con la presenza di Melrose al suo
fianco.. Che, silenziosa, lo seguiva guardandolo di nascosto.
Non
poteva impedirsi di pensare che era straordinariamente bello. Seppure
il suo aspetto fosse poco curato o, per lo più,
dimenticato.. Era indubbiamente bello. Bello nel vero senso della
parola.
Scostò lo sguardo abbassandolo e diventando rossa sulle
guance, quando si rese conto che lo stava fissando insistentemente da
un po’.
Sorrise tra sé e sé, scuotendo la testa e
ritrovandosi, improvvisamente, di fronte alla cassa.
***
“Beh,
allora ciao” Sorrise lui facendole un cenno con la mano, non
appena furono fuori dall’edificio, nel freddo invernale
tedesco.
“Si,
ciao.:” Mormorò lei, cominciando a camminare verso
la sua macchina, un po’ dispiaciuta.
Notò
che Bill la stava seguendo, le era appena qualche passo indietro. Si
girò il tanto che bastava per poterlo guardare in faccia e
notare nella sua espressione una nota imbarazzata, come nella propria.
“Non
ti sto pedinando, la mia macchina è quella.” Disse
con un mezzo sorriso, indicando con l’indice proprio
l’Audi grigio metallizzato parcheggiata di fianco alla sua
auto.
“E
quella è la mia!” Ridacchiò lei,
avvicinandosi alle due macchine.
Bill
le sorrise, stava per infilarsi nella sua auto quando..
“Senti,
non vorrei essere invadente, ma.. Ti andrebbe di venire a bere un
caffè con me?” Sussurrò, prendendo
improvvisamente fuoco in volto. Era stato un impulso improvviso, non
voleva che se ne andasse, voleva passare un po’ di tempo con
lui e non si spiegava il perché.
Notò
che Bill si era irrigidito appena, contraendo i muscoli della faccia e
aumentando la stretta delle mani
intorno al volante. Quello
probabilmente era un no, dedusse.
“Scusa,
hai ragione. Io non ho detto niente!” Alzò le mani
davanti al petto, con un sorriso di circostanza stampato in viso.
Si
era appena accomodata al volante della sua macchina, quando
sentì qualcuno picchiettare lievemente contro il vetro del
suo finestrino. Si girò di scatto trovandosi il viso di Bill
a pochi centimetri di distanza. Una lastra fredda a dividerli.
Abbassò il finestrino, guardandolo sorridente.
“Ci
vengo volentieri a bere qualcosa con te.” Sorrise, ma nel suo
sorriso potè percepire una nota di falsità. Non
ci sarebbe venuto realmente volentieri a prendere quel caffè
insieme, ma decise di non farsi troppe domande e di guidare fino al
primo bar che trovava sulla strada, seguita dalla Audi del ragazzo che
continuava a chiedersi prepotentemente, perché fosse
così masochista.
***
Eccoci
qui, finito. Spero di non avervi deluso -.-
Non ho molte persone da ringraziare, quindi lo faccio subito XD :
_Pulse_
: Comincio col dirti che si scrive “Maggie” e non
“Maggy”
Ignorantona -.-Ma ti perdono xD Dunque, dunque.. Anche io amo come Tom
si prende cura di Billie, è così tttenero! *__*
Chissà se lui e Becky gli diranno della loro storia, mah..
u.u Si scoprirà nei prossimi capitoli XD
Tu non abbandonerai mai questa ff, lo so XD Sei fedele anche teee!
Anche perché poi te l’ho dedicata, quindi saresti
solamente un ingrata se non la leggessi u.u
Ti voglio bene assai! Ma tanto tanto tantissimo! Ales.
Funny_lady_
: Ooohh, ti ringrazio infinitamente per aver perso cinque minuti della
tua vita e avermi lasciato un commentino *-* Sai che le tue recensioni
mi fanno sempre molto piacere. Spero che “Ci
sarà” continui a piacerti. Un bacio grande ^____^
Grazie
anche a tutte voi timidone che leggete senza recensire xD Amo anche
voi, non preoccupatevi u.u Se vi faceste sentire, una volta ogni tanto,
vi amerei di più comunque. XD
Concludo
dicendo che la canzone che ho usato è ancora “In
assenza di te” di Laura Pausini. Non trovate che sia
azzeccatissima? *-*
Alla
prossima gente, con la speranza che sia un po’ prima di un
mese questa volta XD
Vostra,
Ale^^
|
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Capitolo 7 *** Verità ***
SETTIMO
CAPITOLO – Verità
Seduti
al tavolino di un piccolo bar alla periferia di Amburgo.
Due perfetti sconosciuti che grattano la superficie delle cose per far
si che
la conversazione non muoia, lasciando spazio a quel classico silenzio
imbarazzante che predomina i dialoghi di persone che ancora non hanno
molta
confidenza.
Bill
continuava a girare e a rigirare il cucchiaino nella sua tazza di
caffè forte,
terribilmente nervoso. Melrose invece si guardava in giro imbarazzata,
sentendo
le sue guance prendere fuoco ogni qual volta il suo sguardo cadeva su
quello
spento del cantante.
“Allora..
Tu lavori nel bar del signor Schrider.” Constatò,
sentendosi avvampare per
quell’assurda affermazione così ovvia.
“Ehm..
Si, da quando ho finito il liceo” Sorrise, annuendo.
“Quanti
anni hai?”
“Diciannove,”
Rispose, sentendosi una bambina di fronte alla sua aria da uomo
vissuto. “Tu?”
Chiese poi, incuriosita.
“Io,
ne ho
fatti ventidue a settembre” Sorrise nervoso, riportando il
suo sguardo sulla
tazzina di fronte a lui. Se la portò alla bocca prendendo un
lungo sorso di
caffè. Fece una smorfia, rendendosi conto che aveva
mescolato in continuazione
negli ultimi minuti, ma lo zucchero non ce lo aveva ancora messo.
Melrose
lo guardò attentamente, richiamando alla memoria il discorso
fatto con Jessica il
giorno prima. Non ce l’aveva proprio l’aria da
drogato, proprio per niente. Lo
scrutò a fondo, nei suoi occhi si nascondeva un segreto, un
segreto sofferto e
doloroso. Avrebbe tanto voluto saperne di più, ma non era
mai stata una persona
invadente.. Quindi bloccò la raffica di domande che le
salirono alla gola e strinse
le labbra fra di loro.
“E’..
carino qui.” Ridacchiò nervosamente lui. Si era
già pentito di aver accettato..
La compagnia di quella ragazza gli faceva bene, doveva ammetterlo, si
sentiva
al posto giusto e al momento giusto.. Ma a guardarla fisso negli occhi,
proprio
non ce la faceva, rischiando così di rendersi antipatico e,
forse, anche un po’
snob.
Melrose,
dal canto suo, non riuscì ad impedire alla sua bocca di
pronunciare una tra le
tante domande che avrebbe voluto fargli. Quella che forse, gli avrebbe
potuto
dare più risposte di quelle che credeva.
“Come
mai non canti più?” In un sorso svuotò
la tazza del suo caffè, sorridendo e
pulendosi il labbro superiore con il tovagliolo li vicino.
Bill
strinse gli occhi, sentendo perfettamente il rumore dei punti che aveva
messo
sul suo cuore strapparsi e la ferita che stava cercando di chiudere,
riaprirsi.
Ci volle tutto il suo autocontrollo e la sua forza di
volontà per imporsi di
non sbattere la tazzina sul tavolino e di uscire dal bar spedito,
lasciando Melrose
da sola con il pensiero che lui fosse categoricamente un maleducato.
“Preferirei
non parlarne.” Sibilò, nascondendo gli occhi
dietro a qualche ciuffo di capelli
scappati alla coda.
“Oh
certo, certo. Scusami, a volte tendo a fare troppo la
curiosa.” Si scusò,
facendo un sorriso di circostanza e arrossendo lievemente sulle guance.
Bill
rimase stupito dalla sua naturalezza e spontaneità. Per
l’ennesima volta le
aveva ancora risposto male e, sempre per l’ennesima volta,
lei non se n’era
risentita. Anzi, si scusava pure!
“Non
preoccuparti, solo.. E’ complicato.” Sorrise
nervosamente portandosi una ciocca
di capelli dietro all’orecchio.
Dalle
sue risposte, Melrose capì che c’era qualcosa
sotto e che molto probabilmente Jessica
non aveva avuto tutti i torti. Forse le aveva detto la
verità, forse davvero
quel bel ragazzo aveva problemi con la droga.
Si incupì, per un momento aveva sperato che la sua collega
si fosse sbagliata
o, peggio ancora, avesse detto quelle brutte cose solo per dare aria
alla
bocca. Ma, evidentemente, il comportamento strano e distaccato del
cantante era
una prova che quella vipera avrebbe potuto avere ragione.
***
“Mi
ha
fatto piacere passare il pomeriggio con te!” Sorrise Melrose,
una volta fuori
dal bar, affiancata da Bill che si era avvicinato alla sua Audi.
“Anche
a
me.” Sorrise sinceramente, schiacciando un bottoncino sul
mazzo di chiavi e aprendo
la macchina con un clock. “Allora, ciao.”
Salutò, per poi sprofondare nel
sedile e mettere le mani sul volante.
“Qualche
volta..” Sentì dire. “Qualche volta se
vuoi, puoi venire dal signor S. Io ci
lavoro tutte le sere, mi fai compagnia..” Si fece coraggio,
percependo la sua
pelle diventare rovente e color porpora.
“S..
Si,
magari una volta ci passo.” Rispose imbarazzato, per poi dare
gas al motore e
partire con una sgommata.
Andava
piano, diretto a casa del fratello.. Aveva voglia di parlare un
po’ con lui, di
raccontargli di quel pomeriggio e di chiedergli qualche consiglio.
Si
sentiva in colpa, si sentiva sbagliato.. Perché quel giorno,
nonostante le
pause d’imbarazzo e il nervosismo crescente, si era sentito
bene e gli aveva
fatto sinceramente piacere passare un po’ di tempo con lei,
con Melrose.
Il fatto è che non voleva sentirsi così, non
avrebbe mai voluto stare bene in
compagnia di un’altra che non fosse.. Maggie.
Era sbagliato, fottutamente sbagliato.
Girò
l’angolo e fu davanti al suo palazzo, parcheggiò e
attraversò la strada,
diretto all’appartamento del fratello. Aveva dimenticato la
sua copia di chiavi
a casa, avrebbe dovuto suonare.. Sperò vivamente che non
stesse dormendo o
facendo la doccia.
Mentre
saliva lentamente le scale sentì dei passi verso di lui,
alzò lo sguardo e vide
Rebecca andargli incontro.. Non capì subito cosa potesse
farci lei li, poi il
pensiero di suo fratello gli fece balenare in testa una possibile idea.
“Ciao
Becky..” Sussurrò, guardandola con la bocca
semichiusa, sorpreso. Lei alzò gli
occhi verso di lui, con un espressioni intimorita in volto, che lui non
riuscì
a decifrare.
“Bill..”
Soffiò poi.. “Che ci fai qui?”
“Beh,
ci
abita mio fratello.. Che ci fai tu qui?” Sorrise, confuso.
Era da tantissimo
tempo che non vedeva Becky, da quando Maggie non c’era
più Bill aveva
praticamente chiuso i contatti con il mondo, eccetto che con Tom..
“Ecco,
appunto..” Abbassò lo sguardo, non sapeva cosa
fare. Ormai era consapevole che
qualsiasi scusa sarebbe stata inutile, tanto valeva vuotare il sacco e
liberarsi da quel peso. “Vieni, io e Tom ti dobbiamo
parlare..” Mormorò poi,
prendendolo per mano e conducendolo davanti al portone di Tom Kaulitz.
***
Che
bel
pomeriggio, era stata benissimo in compagnia di Bill.. Solo che i suoi
occhi
così spenti e tristi le avevano fatto uno strano effetto,
avrebbe voluto capire
un po’ di più di lui.
Stava guidando serena verso casa sua, pensando e ripensando a quello
strano
ragazzo dagli occhi nocciola. Che segreto nascondeva?
Forse aveva sbagliato a chiedergli di passare a trovarla dal signor S,
ma la
voglia di passare ancora un po’ di tempo assieme a lui era
stata incontenibile.
Chissà se sarebbe andato per davvero.
Parcheggiò
la macchina davanti alla sua villetta e camminò fino alla
porta di casa, la
aprì con le chiavi ed entrò richiudendosela alle
spalle.
“Tesoro sei tornata! Cominciavo a preoccuparmi..”
La accolse la madre,
andandole incontro.
Accidenti! Si era dimenticata di avvisarla che andava a bere qualcosa.
“Scusa
mamma hai ragione. Sono andata a bere qualcosa con un.. Amico e mi sono
dimenticata di telefonarti!” Si scusò Melrose,
appoggiando le buste della spesa
sul tavolo in cucina.
“Non
importa” Sorrise dolce “Ha chiamato tuo fratello,
voleva parlarti”
“Cosa?”
Sgranò gli occhi euforica. “Perché non
mi ha chiamata sul cellulare?
“Dice
che non ti ha trovata raggiungibile”
Senza
replicare in alcun modo, Melrose corse in camera sua chiudendo la porta
e
sfilandosi il cellulare dalla tasca dei jeans.
Doveva assolutamente
richiamarlo.
“Pronto?
Mel?” Il suo cuore si alleggerì in un istante,
sentendo la sua voce e il tono
dolce con cui aveva pronunciato il suo nomignolo.
“Alan..”
Soffiò.
“Piccola,
mi dispiace se ti ho trattata male, ero solo arrabbiato.”
“Non
ti
preoccupare” Tirò su col naso, sorridendo
rincuorata “Come stai?”
“Bene
grazie, tu? Com’è la situazione a casa?”
“Bene
anche io. A casa papà non c’è mai,
mamma è silenziosa tutto il giorno e.. Non
lo so, non so cosa decideranno di fare.”
“Se
tornassi a casa sarebbe tutto più semplice”
Borbottò irritato, quella
situazione non gli piaceva per niente, soprattutto sapendosi distante
dalla sua
famiglia.
“Non
dirlo nemmeno per scherzo Alan! Tu devi rimanere li a studiare.. Se
avrò
bisogno di te sarò io stessa a chiamarti.
D’accordo?”
“D’accordo..”
Sbuffò scocciato. “Però una cosa.
Niente più segreti tra noi, promesso?”
“Promesso!”
Ridacchiò Melrose. “A proposito, vorrei parlarti
di una cosa” Abbassò il tono
della voce, incupendosi appena.
“Dimmi..”
“Beh,
tu
hai presente il cantante dei Tokio Hotel no?”
“Beh
si,
di fama diciamo..”
“L’altra
sera è venuto al bar del signor S e si è
ubriacato, così l’ho riportato a
casa.. Il giorno dopo è venuto a ringraziarmi. Oggi invece
ci siamo incontrati
al supermercato e siamo andati fuori a bere qualcosa
insieme.” Raccontò a
grandi linee gli ultimi giorni trascorsi.
“E..
Il
problema dove sta?”
“Beh
ecco, ce n’è più di uno di
problema.” Si fermò qualche secondo, meditandoci
su
un attimo. “Per prima cosa Jessica mi ha confidato che la
band si è sciolta per
colpa sua, perché è un drogato.. Poi insomma, non
so mai come parlare con lui
perché spesso dico qualcosa che lo fa scattare e non capisco
perchè.. Infine,
beh.. E’ un po’ sciupato come ragazzo. E’
sempre triste e malinconico.” Finì il
suo monologo, come se avesse parlato tutto il tempo da sola.
“Certo
che sei una calamita per le stramberie” Ridacchiò
il fratello, dall’altro capo
del telefono.
“Dai
scemo, è una cosa seria” Sbuffò.
“Che mi consigli di fare? Io gli ho pure detto
che se gli andava poteva passare dal signor S”
Sospirò.
“Hai fatto bene, secondo me..” Rispose lui, calmo.
“Non saprei che
consigliarti, sorellina. Se ti piace ti dico solo di provarci.. Tu
continua a
parlarci e cerca di scoprire di più su di lui. Se son rose
fioriranno!”
Ridacchiò lui, sdrammatizzando un po’.
“Ci
proverò, ti tengo aggiornato!”
“Brava
sorella!”
“Alan..
Quando torni a trovarmi?”Mormorò poi,
intristendosi. Era da troppo tempo che
non lo vedeva, che non lo abbracciava.
Avrebbe tanto voluto passare un po’ di tempo con lui.. Come
ai vecchi tempi,
come quando Alan abitava ancora in quella casa, quando faceva parte
della sua
quotidianità. Quando gli bastava attraversare il corridoio
fuori dalla sua
camera, per arrivare in quella del fratello.
Le mancava, da morire.
“Presto
piccola, te lo prometto. Prima di quanto immagini”
Sussurrò nel ricevitore.
“Ora
devo andare, ci sentiamo presto fratellone. Ti voglio bene.”
“Ti
voglio bene anche io Mel, a presto!” Chiuse la chiamata,
tuffandosi nel suo
letto e abbracciando forte il cuscino.
Prima di quanto immagini, le
aveva detto. Sperò ardentemente che quelle
parole fossero vere al cento per cento.
Si calcò il cuscino sulla faccia soffocando un urlo. Era
parecchio nervosa, per
la storia di Bill.. Per quella di Alan, per i suoi genitori..
***
Suonarono
il campanello, guardandosi di sfuggita e leggermente imbarazzati.
“Hai
dimenticato qualcosa Becky?” Sentirono chiedere da dietro la
porta, prima che
questa si aprisse rivelando un Tom sorridente. Sorriso che scomparve
non appena
notò che di fianco alla sua ragazza c’era Bill.
Suo fratello.
“Oh..
Bill.” Sussurrò abbassando lo sguardo, per poi
rialzarlo in quello di lei che
lo guardava dispiaciuta.
“Si,
Bill. Volete dirmi che sta succedendo qui?” Chiese il moro,
guardandoli a
turno, non capendo più niente.
“Si,
dai
entrate..” Tom si fece da parte, lasciando entrare i due nel
suo appartamento.
Tutti
e
tre si accomodarono in salotto, seduti sul divano. Il silenzio regnava
sovrano,
mentre i tre si guardavano di sottecchi, indecisi su cosa dire, su cosa
fare.
Era giusto parlare a Bill della loro nuova relazione? Era
così presto..
Ma sapevano che quel momento,
prima o dopo,
sarebbe dovuto arrivare. Tanto valeva cogliere
quell’occasione e levarsi il
pensiero.
“Sentite,
sto cominciando ad innervosirmi. Potreste farmi la cortesia di rendermi
partecipe di quello che sta succedendo?” Sbottò
Bill ad un tratto, stufo di
quel silenzio che li avvolgeva da troppi minuti.
“Vedi
Bill, è.. difficile da spiegare”
Cominciò Becky, cercando lo sguardo
rassicurante di Tom di fianco a lei. “E’ stato
tutto così inaspettato.”
Concluse, abbassando gli occhi sul pavimento.
“State
insieme?” Alzò un sopracciglio il moro,
guardandoli indagatore.
“Beh,
si.” Sospirò Tom, guardandolo di sfuggita, per
vedere se dai suoi occhi
traspariva una qualsiasi emozione che lo avrebbe messo in posizione di
capire i
suoi stati d’animo, dopo quella notizia. Ma nel suo sguardo
non trovò nulla,
l’indifferenza più totale. Apatia.
“Avremmo
voluto parlartene prima, solo credevamo fosse troppo
presto..” Mormorò Tom,
guardando l’espressione corrucciata del gemello, seduto di
fronte a loro.
“Troppo
presto, per cosa?” Sibilò Bill, sentendo la rabbia
montare e maledicendosi per
continuare ad attaccare suo fratello ingiustamente. Sapeva bene quanta
buona
volontà ci metteva, sapeva che aveva fatto di tutto per
trascinarlo fuori dal
buco nero. Ma, molto spesso, non basta la forza di volontà
delle persone per
riuscire nei propri intenti. Spesso solo il tempo e la pazienza possono
davvero
aiutare.
“Per..
Bill.” Soffiò, guardandolo supplichevole. Quel
ragazzo ce la metteva tuta per
rendergli le cose più difficili. Era già di per
sé una situazione complicata,
accidenti.
“Ok,
ok.
Non sono arrabbiato.” Sventolò le mani davanti al
petto, forse troppo
energicamente “Solo avrei preferito che me ne parlaste
prima.” Tentò di tirare
fuori un sorrisino rassicurante, cercando di apparire il più
convincente
possibile.
“Quindi,
per te è ok?”
“Tutto
a
posto Tom.” Annuì vigorosamente con il capo,
guardando suo fratello e la sua
amica davanti a sé scambiarsi uno sguardo affettuoso e un
bacio sulle labbra.
Una fitta, in pieno petto.
***
“Si
può
sapere chi stai aspettando?”
“Io?
Nessuno!” Era dal signor S da circa un’ora, e per
tutto il tempo non aveva
fatto altro che guardare la porta d’entrata nella speranza
che vi entrasse
Bill, ma niente. Non avrebbe dovuto costruirsi troppo castelli in aria,
non
avrebbe dovuto proprio, ma era più forte di lei. La speranza
di vederlo era
tanta, forse troppa, e lei non se ne spiegava il motivo. Dopotutto gli
aveva
chiesto di passare al locale solo qualche ora prima, non doveva
pretendere
troppo, magari sarebbe venuto qualche giorno più avanti.
Almeno sperava.
“Certo,
come no. E’ da quando hai iniziato il turno che continui a
lanciare occhiate
alla porta, ma che ti prende Mel?” Jessica non le dava pace,
era peggio di un
avvoltoio.
“Jessica,
non sto aspettando nessuno!” Sbuffò, spazientita,
per poi cominciare a caricare
la lavastoviglie.
“Se
lo
dici tu.”
Mentre
disponeva ordinatamente i piatti e i bicchieri sentì la
porta del bar aprirsi e
far suonare quel fastidioso campanellino posto alla sommità.
Si girò di scatto,
rischiando di far cadere a terra un piatto di vetro.
Ma quando vide chi era il cliente che era entrato, la delusione fu
grande. Un
ragazzo, un comunissimo e normalissimo ragazzo. Non di certo quello che
lei
stava aspettando.
Sbuffò
infastidita, girandosi nuovamente verso la lavastoviglie e continuando
irritata
il suo lavoro.
“Tu
non
me la racconti giusta” Borbottò Jessica al suo
fianco, scuotendo la testa.
“Fatti
un po’ gli affari tuoi.” Sussurrò, per
poi sparire nel retrobottega.
***
Aveva
solo voglia di rivedere il suo letto e farsi un dormita. Era stata una
giornata
lunga e non aveva nemmeno parlato con suo fratello di quel pomeriggio.
Avrebbe
voluto raccontargli di Melrose e farsi consigliare.. Ma una vocina
dentro di
lui continuava a ripetergli che Tom si era stufato, di lui e della sua
malinconia, si era stufato di dovergli correre sempre dietro come si fa
con i
bambini, di essere sempre presente e di incassare i colpi sferrati da
lui
stesso senza fiatare.
Non avrebbe dovuto ascoltarla, quella vocina stridula e fastidiosa
nella sua
testa, ma gli era impossibile evitare di pensare che Rebecca avrebbe
inevitabilmente rovinato tutto.
Glielo avrebbe portato via e lui non poteva fare niente per
impedirglielo.
Voleva
bene
a quella ragazza, gli era sempre stata simpatica.. E allora
perché doveva farsi
certi problemi adesso? Cos’era cambiato?
Cosa diamine era cambiato tra lui e lei.. Perché la vedeva
sotto una luce
diversa?
La
verità è che da quando te ne
sei andata, Maggie, tutto è sotto una luce sbagliata.
E
quella
era l’unica realtà esistente, l’unica
che lui riusciva a darsi.
Tutto era sbagliato, dopo la morte di Maggie, tutto era diverso e non
si poteva
più correggere. Era tutto brutto, tutto nero..
E lui? Cosa poteva fare per rimettere la sua vita all’interno
dei binari? O
meglio.. Poteva fare qualcosa?
Sarebbe riuscito a convivere con l’assenza di Margaret, si..
Forse quello
sarebbe riuscito a farlo. Ma non sarebbe mai stato in grado di
accettarla.
Sentiva,
dentro di sé, che rivedere i suoi amici gli avrebbe fatto
bene.. Parlare con
loro, passare un pomeriggio insieme.
Ma il coraggio di affrontarli dopo tutto quel tempo gli mancava, eccome
se gli
mancava.
E quella voce saccente e irritante, la voce della sua coscienza.. Non
gli
lasciava tregua.
Speri
che qualcuno ti stringa
forte, ti faccia sentire il calore dell’amore… SEI
SOLO, smettila di piangerti
addosso. Non sperare che i tuoi amici ti consolino, o meglio, cerchino
di
capire cos’hai dentro che ti lacera l’anima. Pensa
un po’ di più a te stesso.
Tu sei unico in tutto e per tutto. Non fare niente che non ti vada di
fare per
paura del giudizio degli altri o per arrivare a una meta precisa. Resta
completamente, in ogni singolo particolare, ciò che sei
sempre stato. Tappati
le orecchie e cammina a testa alta. Sei perfetto nel tuo mondo, solo
nel tuo,
ma è il più bello.
“E
in
assenza di te
io ti vorrei per dirti che
tu mi manchi amore mio
il dolore è forte come un lungo addio
e l'assenza di te
è un vuoto dentro me”
***
Ecco
qua, andato anche il settimo u.u
Spero vivamente che vi sia piaciuto. Mi sono innamorata di questa
storia,
dovete saperlo.. Mi sta dando buoni risultati anche se è
abbastanza difficile
da portare avanti.
Fatevi sentire ragazze, sarebbe bello sapere cosa ne pensate.
Intanto ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo : _Pulse_
(Beh, tu non manchi mai. La mia scrittrice sempina trottolina
amorosa du du da da da xD Ti voglio tantissimo bene, un GIOVE!) E layla
the punkprincess (Anche tu
sempre presente, grazie mille per la recensione,
un bacio! )
La
canzone che ho inserito è.. Indovinate? Ma che brave! xD
Ancora “In assenza di
te” di Laura Pausini. E’ un po’ la
colonna sonora (:
Ringrazio
chi ha solo letto e chi tiene questa storia tra le sue preferite e le
seguite.
Un abbraccio enorme anche a voi!
Vostra,
Ale *__*
|
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Capitolo 8 *** Lei non è lei ***
Buonasera!
Scusatemi immensamente per il ritardo, mi dispiace da morire davvero!
Spero ne sia valsa la pena aspettare un mese e mezzo, giudicherete voi!
Vi lascio subito alla lettura, ci ritroviamo a fondo pagina!
OTTAVO
CAPITOLO – Lei non è lei
Era
passata una settimana. Una settimana intera e Bill ancora non si era
fatto vedere. Non si era mai presentato dal signor S, non era mai
andato a trovarla al bar.
Ormai ci aveva perso le speranze.. Ormai avrebbe dovuto ammettere a
sé stessa che, per quanto quel ragazzo le piacesse e la
intrigasse, non sarebbe mai stato possibile qualsiasi cosa tra loro due.
Erano troppo diversi, i loro mondi erano diversi.
Si
abbassò il libro sul seno, sospirando. Si era svegliata
presto quella mattina, sentendo l’ennesima litigata dei suoi
genitori e poi la porta di casa sbattere forte. Suo padre doveva essere
uscito, di nuovo.
Invece che scendere giù, da sua mamma, aveva preferito
rimanere rintanata in camera sua a leggere un buon libro. Voleva
rimanere rilassata.
Il
suo pensiero si riposò nuovamente su Bill e, stropicciandosi
gli occhi con le mani, si impose di lasciar perdere.. Evidentemente non
era destino. Non lo sarebbe stato tra loro due, erano incompatibili.
La verità.. Era che non sarebbero mai stati complementari,
loro due.
Si
grattò dietro all’orecchio, alzandosi e
zampettando giù in cucina. Un bel caffè le
avrebbe fatto bene.
***
“Cazzo!”
Scaraventò il cuscino dall’altra parte della
stanza. Quella notte non era riuscito a dormire, aveva un forte
emicrania che gli spaccava la testa in due.
Aveva provato a prendere un paio di pastiglie, ma il male non era
passato. Non si era nemmeno affievolito, così lui aveva
passato la notte in bianco.
Si
alzò sbuffando e levandosi rabbiosamente le coperte di
dosso, incontrando contro la sua volontà la fotografia che
teneva sul comodino.
Avrebbe dovuto toglierla, solo la sua vista gli portava un dolore
immenso.. Era come avere un buco nero nel petto. Ma, in cuor suo,
sapeva che non avrebbe avuto la forza di liberarsene.
“Maggie..”
Soffiò, con voce tremante e strozzata.
In
quei mesi non aveva fatto altro che interrogarsi sul perché
proprio a lui, a lei.. A loro, che stavano tentando di costruire una
famiglia insieme.
Ogni giorno, ad ogni ora.. Aveva pregato Dio. Aveva pregato lui
affinché gli riportasse la sua Margaret, oppure che portasse
lui da lei. Tutto pur di riaverla, era disposto anche alla morte.
Ma ben presto si era convinto che quello che tutti chiamavano Dio non
esisteva, come sempre aveva sostenuto tra l’altro. E, se
invece si sbagliava, non era di certo il buon
Dio,
ma solamente un’entità perfida e ingiusta.
“E
mi manchi amore mio
così tanto che ogni giorno muoio anch'io
ho bisogno di te”
Ripose
accuratamente il portafoto da dove lo aveva preso e, svogliatamente, si
trascinò fino al piano inferiore. Doveva proprio chiamare
Tom.
Compose
il numero sulla tastiera del suo cordless e attese che qualcuno,
dall’altro capo, rispondesse.
“Pronto?”
Biascicò Tom con la voce assonnata. Bill sorrise, doveva
immaginare che stesse ancora dormendo.
“Ehi
fratello..”
“Oh,
ciao Bill!” Esclamò, con la voce appena
più pimpante e sveglia.
“Vorrei
parlare un po’ con te, sei libero?”
“Certo,
certo.. Mi vesto e sono subito da te, d’accordo?”
“D’accordo,
ti aspetto.” Chiuse la chiamata con un sorriso e si
sdraiò sul divano, con ancora il telefono mobile in mano.
Era proprio fortunato ad avere un fratello come Tom.. Sempre pronto a
correre ogni qualvolta ce ne fosse stato bisogno, senza domande, senza
richieste.
Sospirò
sereno, portandosi una mano sugli occhi stanchi e massaggiandoli.
Il
mal di testa gli stava quasi passando, forse aveva solo bisogno di
stare calmo e non pensare a niente. La verità era che tutta
la notte l’aveva passata pensando e ripensando a cosa fare
con Melrose. Doveva passare al bar si o no?
Se ci fosse andato, avrebbe dovuto pur significare qualcosa per quella
ragazza, e anche per lui. Se non ci fosse andato, altrettanto. Quindi?
Che diamine doveva fare?
Gli incroci non erano mai stati il suo forte, aveva sempre rischiato di
fare la scelta sbagliata.
E, come anche questa volta, non aveva la minima idea di che strada
prendere.
Il
campanello lo destò da suoi pensieri confusi.. Si
alzò e andò ad aprire la porta, trovando davanti
a sé un Tom in pigiama e con il giornale sotto braccio.
“Scusa la tenuta poco elegante, ma non avevo voglia di
mettermi in ghingheri” Ridacchiò, indicandosi ed
entrando nell’appartamento.
“Tanto
questa è anche casa tua.” Rispose
l’altro, richiudendo la porta alle sue spalle e seguendo il
fratello in cucina. Tom si sedette su una sedia, imitato subito dal
gemello che si accomodò davanti a lui.
“Vuoi
qualcosa?” Domandò Bill, cominciando a trafficare
nella credenza per prepararsi la colazione.
“Una
tazza di cereali, grazie. Non ho fatto in tempo a mangiare”
Sbuffò l’altro, cominciando a leggere
distrattamente il giornale. Niente di interessante, assolutamente
niente. Lo abbandonò sulla sedia di fianco a lui e
incrociò le braccia sul ripiano del tavolo, dove Bill aveva
riposto la sua colazione.
“Allora..”
Farfugliò Tom con la bocca piena, dopo aver preso un enorme
cucchiaiata di cereali. “Che volevi dirmi?”
“Si
tratta di quella ragazza, quella del bar..”
Sospirò stancamente Bill, reggendosi la testa con entrambe
le mani.
“C’è
qualche problema? Dopo che siete usciti la settimana scorsa mi parevi
abbastanza tranquillo.” Gli aveva già parlato di
Melrose, più di una volta. Ma non gli era mai stato
d’aiuto, probabilmente quella sarebbe stata una cosa da
risolvere da soli.
“Il
fatto è che.. Non so se andare al bar come mi ha detto
lei..O non andarci.” Sbuffò, cominciando a bere il
suo caffè.
“Non
capisco Bill. Ci stai bene con lei?” Domandò,
agitando in aria il cucchiaio bagnato di latte, schizzando dappertutto.
“Beh,
si..” Mormorò incerto.
“E
allora? Che problema c’è?”
“C’è
che lei non è Maggie.” Perché Tom si
ostinava a non capire? Perché non riusciva a comprendere che
per Bill era difficile? Che era impossibile alzarsi la mattina e
doversi sempre ricordare che lei non c’era più..
Era qualcosa di assolutamente irrazionale il modo in cui quella
realtà si ripresentava a lui, ogni giorno. Come se il giorno
prima non ci fosse mai stata. Era qualcosa di irrimediabilmente
doloroso.
“Bill,
la devi finire.” Sibilò stancamente, ormai giunto
al limite, rendendosi conto solo qualche secondo più tardi
di aver sbattuto un pugno sul tavolo “Nessuna sarà
mai Maggie, smettila di illuderti! Non capisci che ti fai solo del
male? Devi tornare a vivere! A vivere Bill!”
Sbottò, pentendosi quasi subito di quella piccola sfuriata.
Bill
sgranò gli occhi, puntando lo sguardo verso il pavimento,
risentito da quelle parole che si era appena sentito dire. Non era
ancora pronto a lasciarsi tutto alle spalle, erano passati solo cinque
mesi.
Solo cinque mesi..
Sarebbero potuti sembrare tanti,
ma per lui che era invischiato a questa storia era poco, pochissimo
tempo. Questo Tom non lo comprendeva, non riusciva ad essere parte del
male del fratello.. Non lo capiva, non lo capiva più. Il suo
gemello non lo capiva più.
“Tom..”
Sfiatò, con gli occhi lucidi ma ancora perfettamente
asciutti. Doveva essere forte. Non doveva mostrarsi debole, soprattutto
di fronte a lui.. Non avrebbe mai dovuto lasciarsi credere vulnerabile.
“Non
sono più disposto a vederti soffrire Billie. Non sono
più disposto a sapere che ti stai auto distruggendo, giorno
dopo giorno, lentamente. Non capisci che ti ferisci e basta continuando
così? Continuando ad illuderti.. A sperare qualcosa che non
si potrà mai avverare.. Reagisci!” Bill aveva
bisogno di una scrollata, aveva bisogno di qualcuno che gli mettesse in
chiaro le cose, facendogli capire come stavano realmente. Solo
così avrebbe potuto “guarire” dal suo
male.
“Tu
non puoi capire Tom.” Sibilò. Che ne sapeva lui?
Aveva forse perso l’amore della sua vita? La sua futura
moglie? No, anzi! Lui l’aveva trovato l’amore.. E
allora di cosa si lamentava? Non poteva lasciarlo affogare nel suo
dolore? Aveva bisogno di crogiolarsi nella sofferenza, per sentirsi
ancora vivo.. Per sentirsi parte di quel mondo di cui da mesi non
voleva più fare parte.
“Se
ti vedesse Maggie..” Sospirò Tom, scuotendo la
testa, demoralizzato.
“Maggie
è morta.” Ringhiò lapidale, fissandolo
con occhi infuocati. Quella discussione stava prendendo una bruttissima
piega e Bill se ne stava rendendo conto, seppure la sua parte
irrazionale avesse sottomesso quella razionale, prendendo il
sopravvento sul suo corpo.
“Si,
Bill. Maggie è morta.. Ma
tu no.”
Sostenne il suo sguardo,
guardandolo con rimprovero.. Poi, senza aggiungere un’altra
sola parola, si alzò ed uscì da
quell’appartamento.. Lasciando Bill boccheggiante e con la
bocca semichiusa.
“Grido
il bisogno di te
perché non c'è più vita in me
Vivo in assenza di te.”
***
Primo
pomeriggio. Guardò l’orologio: entro qualche ora
si sarebbe dovuta presentare al bar, mentre ora si trovava seduta sul
divano, con di fronte i suoi genitori.
Le avevano detto che dovevano parlare, ma era più di dieci
minuti che erano seduti a tavolino e nessuno aveva proferito parola.
“Avete
intenzione di tenermi qui in religioso silenzio ancora per
molto?” Borbottò scocciata, sprofondando un
po’ di più nei cuscini del divano.
“Non
credere che sia un gioco per noi.” La ammonì il
padre, guardandola da dietro le lenti dei suoi occhialetti da
professore universitario.
“Bene.”
Sbuffò “Potrei sapere perché ci siamo
riuniti qui, allora?” Continuò, visibilmente
irritata da quella riunione di famiglia a sorpresa
“Abbiamo
preso una decisione, Mel.” Sussurrò la madre,
sorridendo appena.
“Me
la volete dire?” Inarcò un sopracciglio,
guardandoli scettica. Perché la tiravano tanto per le lunghe?
“Mi
trasferisco Mel, a Berlino.. Ovviamente potrai venire a trovarmi ogni
volta che vorrai”Oskar si tolse gli occhiali dalla punta del
naso, e la scrutò ad occhio libero.
“D’accordo.
E’ tutto?” Seppur impossibile, quel discorso non
l’aveva scalfita minimamente. Era abituata a convivere con la
perenne assenza del padre, negli ultimi mesi poi.. Non era quasi mai
stato a casa. Sarebbe stato un po’ come in quei giorni, solo
che in modo permanente. E poi lo aveva detto lui, no? Che sarebbe
potuta andare a trovarlo quando ne aveva voglia..
“E’..E’
tutto.” Borbottò il padre accigliato, guardando la
figlia alzarsi silenziosamente e sparire al piano di sopra.
“Cosa
le prende in quest’ultimo periodo, Hanna?”
Aggrottò la fronte, rivolgendosi alla moglie, seduta di
fianco a lui.
“Forse
avresti dovuto passare un po’ più tempo a casa,
con tua figlia, invece di stare fuori per lavoro giorno e notte. Non
hai il diritto di fare queste domande, non adesso.” Lo
congedò, guardandolo gelida negli occhi.
***
“Come
sta tuo fratello?”
Era nel suo appartamento,
stravaccato sul divano in pelle, con un braccio sopra gli occhi a
proteggerlo dalla luce proveniente dal lampadario.
Aveva telefonato a Becky, appena tornato a casa, lei sarebbe riuscita a
tirargli su il morale.
“Mica
tanto bene, prima abbiamo discusso” Mormorò
stancamente.
“Come
mai?” Il telefono filtrava la voce, rendendola più
gracchiante e metallica.
“Non
accetta la situazione. Comincio a dubitare che ci riuscirà
mai.”
“Non
dire così. E’ stato difficile per tutti. Io stessa
più volte ho pensato di non essere in grado di superare quel
periodo nero.. Poi sei arrivato tu, e tutto è andato in
discesa. Vedrai, anche lui riuscirà ad uscirne. Anche lui
prima o poi la ricorderà con il sorriso.”
Mormorò commossa, rischiando di piangere.
“Spero
sia come dici tu Becky. Solo.. E’ così difficile.
Non credo di essere all’altezza, non se se
riuscirò a stare vicino a mio fratello come lui avrebbe
bisogno.” La voce si incrinò e dovette ricorrere a
tutto il suo autocontrollo per impedire alle lacrime di scendere.
“Tom.
Sei un fratello perfetto.. Non dubitarne nemmeno per un secondo. Bill
ti ama, incondizionatamente. Ti ama così tanto che non fa
altro che cercare di allontanarti da lui, per impedire al dolore di
prendere anche te. Non lo capisci?” No.. Tom Kaulitz non lo
aveva mai capito.. Il comportamento di suo fratello era solo per.. Per
proteggerlo? Come diavolo aveva fatto a non rendersene conto prima.
“Di
la verità.. Ti hanno mandata giù dal
cielo?”
***
“Perché..
Perché.. Perché sono così
coglione!!” Ruggì, scaraventando per terra il
portapenne che stava sul tavolino in soggiorno.
Era
arrabbiato. Era arrabbiato con sé stesso, che continuava a
trattare male Tom, a farlo sentire una merda, un fratello inutile. Da
cinque mesi non aveva fatto altro che farlo sentire una
nullità, un misero niente.
Lo aveva allontanato, lo aveva insultato, era arrivato anche a dargli
la colpa di tutto.. Una notte in cui il dolore si era fatto
insopportabile e chiedeva solamente di essere scaricato su altre
spalle, su altri cuori.
Era
arrabbiato con Tom perché imperterrito gli stava sempre
dietro, assecondando i suoi capricci e le sue crisi. Non avrebbe
dovuto, avrebbe dovuto pensare un po’ di più a
sé stesso e alla sua vita.. Che stava trascurando. Doveva
pensare a Rebecca e cercare di ritrovare la felicità.
Non
si poteva più continuare con questa tiritera, era diventata
una routine insopportabile e sempre più difficile da mandare
avanti. Doveva riprendere in pugno le redini della sua vita, doveva
tornare quello che era prima.
Avrebbe dovuto chiamare Georg e Gustav, avrebbe dovuto farlo al
più presto.
Ma
intanto.. C’era un’altra cosa da fare e, non si
spiegava il motivo, qualcosa dentro di lui non faceva che ripetergli
che se non l’avesse fatta.. Se ne sarebbe pentito.
Prese la giacca dall’appendiabiti in salotto e
uscì di casa senza guardarsi indietro.
***
“Bene.
Direi che posso andare.” Borbottò il signor Weber,
sulla soglia di casa. Aveva raccattato tutta la sua roba quel
pomeriggio, l’aveva caricata nella sua spaziosa macchina ed
ora era pronto per andarsene. Fortunatamente non aveva mai deciso di
dare in affitto il suo appartamento nel centro di Berlino,
così ora aveva un posto dove andare.
Melrose sorrise, anche se di voglia non ne aveva, si
avvicinò al padre passandogli un braccio intorno al collo e
sfiorandogli una guancia con le labbra soffici.
“Ciao
papà, chiama quando arrivi.” Mormorò,
per poi allontanarsi di poco.
“Certamente.”
Sorrise nervosamente, girandosi poi verso la quasi ex moglie.
“Ciao Hanna” Sussurrò, stendendo un
sorriso forzato.
“Ciao
Oskar.” Ricambiò lei allo stesso modo.
Senza
aggiungere nient’altro, Oskar sparì oltre la
soglia, salendo in macchina ed imboccando la strada verso Berlino. Era
fatta, era tutto finito.
Melrose sospirò, suo padre le sarebbe mancato indubbiamente,
ma di quelle urla e di quei litigi proprio non ne poteva più.
Si girò e ciondolando si diresse verso le scale, lasciando
Hanna guardare assente la porta di casa rimasta ancora aperta.
Sarebbe
dovuto essere primo pomeriggio in America, così prese il suo
cellulare e difitò sulla piccola tastiera il numero di suo
fratello Alan.
“Pronto?”
“Alan,
sono Mel.”
“Sorellina,
come stai?” Chiese pimpante.
“Insomma..”
Sospirò, passandosi una mano sugli occhi, stancamente.
“E’
successo qualcosa?” La sua voce cambiò subito di
tono, da vivace si ritrovò ad essere preoccupata,
accompagnata da una nota ansiosa.
“Papà
se n’è andato di casa. Va a stare a Berlino, nel
suo appartamento.” Pigolò.
Il
silenzio che recepì dall’altra parte non
prometteva nulla di buono, sentiva il respiro di Alan farsi sempre
più accelerato attraverso la cornetta.
“Domani
torno a casa.” Scandì bene ogni sillaba,
attribuendo a quella frase un significato solenne ed irremovibile.
Poche volte Melrose gli aveva sentito usare quel tono, e ogni volta non
c’era stato niente da fare. Nulla per fargli cambiare idea.
“No
Alan dai, non vedo la necessità. Io e mamma ce la
caveremo!” Tentò di dissuaderlo, anche se
già sapeva che sarebbe stata una partita persa.
“Non
m’importa. Tu e mamma avete bisogno di me. I miei studi
potranno aspettare qualche mese.” Sentì nella sua
voce una sfumatura sorridente, che la fece sentire meglio.
“Sei
cocciuto.” Scosse la testa divertita. Beh.. Se non altro lo
avrebbe rivisto dopo tanto tempo.
***
“Ciao
Jess!” Salutò Melrose entrando nel bar.
“Ciao
Mel” Rispose lei, non alzando gli occhi dai calici di birra
che stava riempiendo.
Melrose si diresse dietro il bancone, prese il grembiule rosso e se lo
legò in vita. Quella sera era più allegra del
solito, non sapeva il perché. Sarà stato per il
ritorno imminente di Alan, o per la fine delle liti tra i suoi
genitori.
“Il
signor S?” Chiese poi, cominciando a scaricare la
lavastoviglie.
“E’
nel retro, torna subito.” Rispose, alzando gli occhi su di
lei e sorridendole. “Bisognerà andare
all’ingrosso fra non molto, la roba comincia a
finire.” Melrose si girò, dando una rapida
occhiata alle bottiglie poste nei ripiani dietro di lei. In effetti
erano quasi tutte mezze vuote.
“Magari
ci passo io un giorno di questi” Annuì. Le piaceva
tantissimo andare all’ingrosso, era sempre pieno di roba
buona, lei doveva solo scegliere quello che le piaceva di
più. Ovviamente attenendosi alla lista che ogni volta il
signor S le stendeva.
“Mel!”
Si sentì chiamare e si girò di scatto, vedendo il
signor S uscire dalla tenda del retrobottega e dirigersi verso di lei
con un grosso sorriso. Aveva un viso molto dolce quell’uomo,
la tranquillizzava.
“Buonasera
signor S!” Lo salutò, agitando la mano.
“Ciao
cara. Senti, poco fa è arrivato un ragazzo che chiedeva di
te, l’ho fatto accomodare ad uno dei tavoli più in
la.” Disse, indicando i tavolini nascosti dietro
all’angolo del piano bar.
“Uhm..
Chi è?”
“Ah
non chiedermelo! Era tutto incappucciato, con sciarpa, cappello e
occhiali. Non sono riuscito a vedere nulla.”
Ridacchiò. “Come si conciano i ragazzi
d’oggi” Scosse la testa divertito.
Melrose
rimase impietrita. Era più che sicura di aver capito chi era
il ragazzo la stava aspettando seduto in uno di quei tavolini.. Non era
invece certa del perché
quello stesso ragazzo fosse venuto fin li, chiedendo di lei. Anzi, a
dire la verità non ne aveva la più pallida idea.
“Lo
conosci?” Chiese ancora il signor S. Melrose
meditò un secondo sulla risposta da dare, dopotutto che
poteva dire?
“Si
e no” Sospirò poi, uscendo da dietro il bancone e
camminando a passo incerto verso il tavolo che le aveva indicato il suo
capo.
“Fai
presto piccola, questa è una serataccia.”
Sbuffò il signor S, dandole una pacca sulla spalla ed
indicando la clientela che entrava a fiotti dalla porta
d’ingresso.
“Non
si preoccupi, faccio in un attimo.” Sorrise lei.
Non
credeva proprio che lui, se era davvero lui, l’avesse
raggiunta al lavoro per scambiare allegramente quattro chiacchiere. Non
le sembrava proprio il tipo. In tal caso, lo avrebbe fatto accomodare
su uno sgabello davanti al bancone, facendogli attendere la fine del
suo turno.
Girò
l’angolo e non le fu difficile capire di quale tavolo si
trattasse, all’unico occupato c’era un ragazzo
girato di spalle, ricurvo, vestito di nero e con un cappello in testa
del medesimo colore.
Si
fece coraggio e, preso un respiro profondo, marciò verso di
lui tentando di racimolare più sicurezza possibile.
***
Rieccoci
qui, piaciuto? Speriamo u.u
La canzone inserita è ancora “In assenza di
te” di Laura Pausini. Mi piace un sacco *__*
Ringrazio immensamente chi ha recensito lo scorso capitolo, ovvero : _Pulse_
(Sonne ti voglio troppissimo bene ^__^ ), layla
the punkprincess (Grazie
millissime *___* ) e memy881 (Grazie
mille new entry! Continua a seguirmi un bacio!)
Scusate
se non vi ringrazio per bene ma ho un paio di cose da sbrigare per
domani a scuola e mi manca il tempo. Vi adoro tutte comunque, lo sapete!
Alla
prossima, sperando che sia presto. Ale! ^___^
|
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Capitolo 9 *** Ritorni ***
NONO
CAPITOLO – Ritorni
Stava
guidando tranquillo, verso il bar del signor
Schrider. Non sapeva perché, aveva voglia di parlare con
Melrose, di
chiacchierare un po’ con lei e di dimenticarsi per un solo
momento di tutti i
suoi problemi e le sue preoccupazioni.
Parcheggiò proprio li davanti, scendendo ed entrando nervoso
nel locale. Si
guardò un po’ intorno, ma di lei non
c’era traccia.
“Buonasera,
scusi.. Per caso è arrivata Melrose? So
che lavora qui.” Chiese gentilmente al signor S, indaffarato
dietro al bancone.
“Buonasera”
Sorrise, alzando il viso verso Bill.
“Mel dovrebbe arrivare a momenti, il suo turno inizia fra
poco”
“Ah,
d’accordo. La posso aspettare qui?”
“Certo,
certo. Si accomodi pure in uno di quei
tavolini laggiù in fondo” Indicò una
decina di tavoli infondo al locale, sempre
con il sorriso sulle labbra. “Quando arriva Melrose gliela
mando io”
“Grazie
mille” Sorrise di rimando.
Si
accomodò, seduto su una sedia, prendendo a
torturarsi le mani.. Era nervoso, nemmeno sapeva il perchè,
era solo in ansia.
Dopotutto, lei era stata così carina a chiedergli di farsi
vedere li al bar
ogni tanto, lui invece non si era più presentato. Quella
sera però era li,
contava pur qualcosa!
L’agitazione
aveva preso il sopravvento sul suo
corpo, aveva paura che se fosse rimasto li, quella sera, se ne sarebbe
pentito.
Aveva il terrore che una volta ritornato a casa sarebbe stato peggio,
sarebbe
stato male il doppio.. E lui non voleva questo, non voleva
più soffrire come
aveva sofferto in quei cinque mesi e mezzo.
Puntò
i gomiti sul ripiano di legno, tenendosi il
mento con le mani e guardando un punto fisso davanti a sé.
Era li da appena
dieci minuti ma gli sembravano passate ore intere.
“Ciao.”
Sentì una flebile voce alle sue spalle.
Senza che nemmeno se ne accorgesse un debole sorriso gli apparve sulle
labbra
sottili. Si girò lentamente, incontrando quei due occhioni
verdi che lo
fissavano timorosi e curiosi al tempo stesso.
“Ciao..”
Sussurrò, alzandosi dalla sedia.
“Ahm..
Perché sei qui?” Chiese incerta Melrose,
avvicinandosi di qualche passo in più.
“Me
lo hai detto tu, ricordi?” Sorrise, inarcando un
sopracciglio.
La
bionda meditò sulle parole che il moro le aveva
appena detto, quindi davvero era venuto li senza uno scopo preciso?
Davvero si
era presentato al bar, perché
glielo
aveva chiesto lei?
“Quindi..
Sei venuto davvero per chiacchierare un
po’ con me?” Il moro annuì sorridendo,
mostrando di sfuggita i suoi denti
perfettamente bianchi.
“Oh
beh..” Ridacchiò nervosa Melrose “Io
devo
lavorare ora, però se vuoi mi puoi fare compagnia lo stesso,
stacco tra un paio
d’ore” Sorrise.
“Certo
non ti preoccupare, lo immaginavo.” Si
affrettò a precisare Bill. “Mi siedo di la e sto
buono finché non finisci, poi
magari andiamo a fare un giro”
“Va
benissimo” Assentì Melrose, felice.
Insieme
si diressero al bancone del bar, sarebbe
stata una serata interessante quella.
***
“Bill
non risponde.” Sbuffò Tom, lanciando il
telefono sul divano, dopo l’ennesimo tentativo che aveva
fatto di chiamare il
fratello. Ma niente, aveva il cellulare staccato da non sapeva quanto
tempo.
“Vedrai
che presto ti richiama” Sussurrò dolcemente
una voce al suo fianco.
Si
girò e trovò Becky a guardarlo, era seduta sul
bracciolo della poltrona, mentre lui era in piedi in mezzo alla sala.
Si lasciò cadere mollemente sulla poltrona e con un braccio
fece stendere la
sua ragazza sulle sue ginocchia, prendendo ad accarezzarle il fianco,
baciandole piano il viso.
“Se
non dovesse farlo?” Mormorò.. “Abbiamo
litigato
prima, se non volesse più parlarmi?”
“Oddio
Tom, da quando sei diventato così paranoico?
Tu e Bill avete litigato tantissime volte, ma credi davvero che
arrivereste a
non parlarvi più?” Chiese retoricamente,
guardandolo negli occhi castani.
“No
non lo credo, ma Bill è molto fragile e vulnerabile
in questo periodo.. Basta un nonnulla per farlo cadere. Io non lo so
Becky, non
lo so..”
“Guardami”
Disse ferma, prendendogli il viso tra le
mani, facendo in modo che i loro occhi si incontrassero.
Lui obbedì, piantando il suo sguardo in quello intenso di
lei.
“Bill
ti vuole bene, Tom. Per quanto debole sia non
potrebbe mai fare a meno di te, soprattutto in questo momento. Non
forzarlo, tu
devi semplicemente assecondarlo.. Qualunque cosa succeda. Deve uscire
dal
dolore da solo, come abbiamo fatto tutti noi, non puoi farlo tu per
lui..
Impiegherà il tempo di cui ha bisogno, ma vedrai che ce la
farà.” Tom ascoltò
il discorso della sua ragazza in silenzio, perdendosi nei suoi occhi
azzurri e
lasciandosi cullare dalla sua voce soffice e vellutata.
“Ti
amo.” Sfiatò infine.. In tutti quei mesi insieme
lo aveva sempre pensato, ma non era mai riuscito a dirglielo a voce
alta.
Troppa la paura, forse.
“C..Come?”
Chiese lei, sgranando gli occhi e
sentendo il respiro bloccarsi.
“Ti
amo..” Ripeté lui, sciogliendosi in un sorriso e
portandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio,
fermandosi ad accarezzarle
piano la guancia con il dorso delle dita.
“Io..Io..”
Balbettò, incapace di connettere il
cervello alla bocca. “Oddio Tom, ti amo anche io!”
Esclamò poi, buttandogli le
braccia al collo e tenendolo stretto a sé.
***
“Finito!”
Esultò Melrose slegandosi il grembiule dalla vita,
gettandolo sotto al bancone
del bar e guardando il ragazzo seduto di fronte a lei, fissarla con un
piccolo
sorriso sulle labbra.
Era
stata molto bene quella sera, avevano parlato
tanto.. Anche se Bill era sempre un po’ restio e rimaneva
sulle sue, non si
apriva molto e Mel non riusciva a capirne il perché.
Avrà avuto a che fare con la droga? Non lo sapeva.
“Usciamo
a fare due passi?” Chiese timidamente,
facendo un leggero cenno con la testa verso l’uscita.
“Certo”
Sorrise. “Signor S ci vediamo domani. Ciao
Jess!” Salutò i due, notando con piacere la faccia
inviperita di Jessica,
vedendola uscire assieme a Bill.
“Ciao
Mel” La salutò l’uomo, mentre la collega
si
limitò a fare un gesto stizzito con la mano, per poi girare
i tacchi e tornare
nel retrobottega.
Fuori
il freddo era secco e pungente, Melrose
rabbrividì, stringendosi di più nella sua giacca
di pelle nera.
Bill la guardò, era bella.. Era davvero molto bella. Scosse
la testa, non gli
faceva bene pensare certe cose.
“Andiamo
al parco?” Chiese lui, guardandosi intorno,
non ricordava dove aveva parcheggiato la macchina.
“Andata”
Sorrise di rimando lei, incamminandosi. Il
parco comunale non era tanto distante da li, in dieci minuti ci
sarebbero
arrivati.
“Mi
ha fatto piacere che tu sia venuto questa sera”
Mormorò lei, mentre camminavano fianco a fianco sul
marciapiede, in silenzio.
“Anche
a me.” Sussurrò, più a se stesso che a
Melrose. La verità era che lo aveva fatto stare bene
staccare la spina da tutto
e da tutti, anche se la consapevolezza che, una volta a casa sarebbe
stato
punto e a capo, lo terrorizzava.
“Stai
male? Sei pallido..” Constatò la ragazza,
notando che il viso di Bill si era sbiancato quasi di colpo, facendo
risaltare
quelle occhiaie violacee sotto ai suoi occhi.
“No..No..
è tutto a posto.” Sorrise nervosamente,
facendo dei gesti con la mano, che dovevano essere di rassicurazione.
“Se
lo dici tu..” Alzò le spalle, continuando a
camminare.
Nessuno
dei due parlò più, com’era successo
spesso
quella sera il silenzio calò da protagonista nei loro
discorsi, nei loro
pensieri. Nemmeno una parola.. Forse non sapevano cosa dire, forse
avevano
paura di dire qualcosa di sbagliato, forse semplicemente non
c’era proprio
nulla da dire.
“Eccoci”
Sorrise Mel, varcando gli altissimi
cancelli del parco e sedendosi sulla prima panchina che le
capitò a tiro,
seguita subito da Bill che le si accomodò affianco.
“Sai..
Domani torna mio fratello dall’America” Non
seppe nemmeno perché glielo disse. Le uscì
naturale, forse. Eppure qualcosa le
diceva che con lui avrebbe potuto parlare, di tutto.
“Ah
si? Come mai era li?” Domandò, non realmente
interessato. Non riusciva a pensare, in quel momento, e i suoi occhi
verdi
puntati su di lui gli bruciavano dentro come mai gli era capitato.
“Motivi
di studio. Ora però i nostri genitori stano
divorziando e lui ha deciso di tornare.”
“Oh,
mi dispiace..” Buffo. –Mi dispiace-. Lui era
l’ultima persona sulla faccia della terra che avrebbe dovuto
dispiacersi di
qualcosa con qualcun altro.. I suoi “Problemi”, se
così si potevano definire,
erano un tantino
più gravi di un
divorzio. Se lo ricordava il dolore che gli aveva provocato la
separazione dei
suoi genitori, ma non era nemmeno paragonabile al suo dolore, in quel
momento.
Non era nemmeno la millesima parte, non era niente di niente.
“No,
è meglio così. Se non altro rivedrò
Alan, è un
sacco di tempo che non ci vediamo..” Abbassò il
capo. Forse doveva finirla di
parlare di lei, forse lo stava annoiando.
“Ti
manca?” Chiese ad un tratto Bill, stupendosi da
solo di quella domanda. Anche a lui mancava una persona, gli mancava da
morire.. Ma, purtroppo, non poteva sperare di rivederla.
“Da
impazzire” Si girò a guardarlo, schiudendo
appena la bocca.
Scosse
impercettibilmente la testa, sorridendo. Bill
era capace di metterla in soggezione anche con un semplice sguardo.
Aveva
quell’espressione seria in volto, le sopracciglia
perennemente aggrottate e la
bocca storpiata in una smorfia che non doveva aver visto un vero
sorriso da troppo tempo.
“Anche
a me.” Mormorò con la voce strozzata, finendo
per mordersi la lingua.
Lui non lo
voleva dire.
“Scusa?”
Chiese Mel, accigliata.
“Niente..
Niente.” Farfugliò, scuotendo la testa e
agitando una mano a mezz’aria.
“E
mi
manchi amore mio,
così tanto che vorrei seguirti anch’io”
***
Rebecca
si accoccolò accanto al petto nudo di Tom,
abbracciandolo e lasciandoci un soffice bacio sopra, mentre lui le
accarezzava
un braccio e inspirava a pieni polmoni il profumo dei suoi capelli.
“E’
stato bellissimo.” Mormorò lei, chiudendo gli
occhi al suo tocco leggero e delicato. Tom le baciò la
testa, lasciando che
sulle sue labbra si allargasse un sorriso.
“Tu
sei bellissima.” Sussurrò, con la voce bassa e
roca.
“Mi
giuri che per te non è stato solo sesso?” Chiese
in un sussurro, con la voce flebile e appena accennata, ma abbastanza
alta da
farsi sentire.
Tom
aggrottò le sopracciglia e la allontanò da
sé,
prendendole le spalle, stringendole, facendo si che i loro sguardi si
incatenassero tra loro.
“Non
lo pensi sul serio.. Vero?” La guardò fisso
negli occhi azzurri, serio in volto come poche volte era stato. Non
voleva..
Non voleva che lei pensasse una cosa del genere, nemmeno per un secondo.
“Io..
No. Vorrei solo sentirtelo dire” Fece un
sorriso dolce, leggermente imbarazzato, mentre le sue gote si
coloravano di un
rosa più acceso del normale.
“Io..
Oh Becky.. Ho fatto l’amore
con te ed è stato fantastico.. Non devi azzardarti nemmeno
a pensarlo il contrario.” La additò
scherzosamente, mentre la riavvicinava al
suo corpo e la stringeva più forte di prima, lasciandole un
bacio sul collo.
“Ti
amo Tom.” Sorrise lei, lasciandosi cullare dal
caldo abbraccio di Tom.
“Resta
con me, stanotte.” Sussurrò, attirandola di nuovo
sotto alle coperte, prendendo a baciarla dappertutto, accarezzandole
dolcemente
i fianchi.
“Resto
per sempre.” Sfiatò lei, tra un sospiro e
l’altro.
***
“E’
stato bello parlare con te, stasera.” Sorrise
Melrose, riaccompagnandolo alla macchina.
“Anche
per me.” Annuì lui, cercando di tirare fuori
il sorriso più convincente del suo repertorio.
“Magari ci vengo.. Qualche altra
volta.” Borbottò poi, non capendo il motivo di
quell’improvvisa proposta.
“Certo,
a me non può fare che piacere” Sorrise, mentre
Bill si infilava in macchina, al posto del conducente.
“Allora
ci vediamo.. Ciao Melrose.” Mise in moto,
guardandola negli occhi, sentendo una fitta colpirlo al petto.
“Ciao
Bill” Sussurrò lei, per poi rimanere a
guardare l’Audi metallizzata sfrecciare via, nel buio di
quella serata gelida,
verso la strada principale di Amburgo.
***
Girò
la chiave nella serratura ed entrò in casa. Si
aspettò di vedere la televisione accesa e suo padre
guardarla seduto sul
divano, magari con una lattina di birra in mano.. Ma poi si
ricordò.. Lui se
n’era andato, forse per sempre. Sospirò, gettando
la giacca sulla poltrona.
“Ehi,
stai più attenta imbranata!” Ridacchiò
una
voce, rimproverandola per scherzo.
Si
bloccò all’inizio della rampa di scale,
congelata, si girò lentamente, quasi avesse paura che il
proprietario di quella
voce scomparisse o fosse solo una stupida allucinazione dettata dalla
sua mente
stanca.
“Alan..”
Soffiò, vedendolo in piedi al centro della
sala con la sua giacca in mano.
“In
carne ed ossa” Il ragazzo allargò le braccia,
facendo un giro su se stesso e sorridendo smagliante, facendo brillare
i suoi
occhi simili a quelli della sorella, solo un po’
più chiari.
“Alan!”
Urlò ancora lei, correndogli incontro e
saltandogli in braccio, allacciandogli le mani intorno al collo e
stritolandolo
in un abbraccio tanto forte da farlo quasi soffocare.
“Anche
io sono contento di vederti, piccola”
Ridacchiò lui, accarezzandole i capelli biondi sulla nuca,
massaggiandole con
l’altra mano la schiena.
“Oddio
non ci posso credere.. Non ci posso credere”
Farfugliò Melrose, scendendo dalle sue braccia e, con le
lacrime agli occhi,
sfiorare il suo viso lungo tutti i suoi lineamenti.
Alan
fece una risatina, attirandola a sé e
baciandole una tempia affettuosamente. Dio solo sapeva quanto gli era
mancata
la sua sorellina.
“Dai
sorella, fammi un the caldo che si gela.” Prese
per mano una Melrose ancora in stato confusionale e la
scortò in cucina, dove
lei con gesti meccanici mise l’acqua a bollire.
“E’
così.. Bello, averti qui.” Mormorò la
bionda,
appoggiandosi al ripiano della credenza e rimanendo incantata a
guardarlo. Era
passato un anno, i segni del tempo sembravano non essersi fatti sentire
su di
lui. Era sempre il solito Alan, il suo fratellone.
“Vieni..”
Abbracciandola di lato la fece sedere
sulle sue ginocchia, come faceva sempre. Sorridendo lei
appoggiò la testa alla
sua spalla, inspirando il suo profumo che tanto le era mancato.
“Sono qui per
restare, adesso.” Sussurrò, accarezzandole un
braccio.
***
Era
pomeriggio inoltrato e non sapeva cosa fare. Era
forse un’ora che girava scalzo per casa, come uno zombie,
fermandosi a fare
zapping alla televisione ogni tanto, oppure a dar da mangiare ai
pesciolini
rossi nel suo enorme acquario.
Si sentiva strano, quel giorno. Pensava e ripensava alla sera
precedente, alle
chiacchiere con Melrose, ai suoi occhi, alla sua risata..
Era forse normale che fosse un chiodo fisso per lui, il suo ricordo?
Non ci
voleva pensare così tanto..
Non avrebbe voluto sperare di rivederla presto.
Semplicemente, non poteva..
Gli
sembrava di tradire lei..
Gli sembrava di farle un torto troppo grande.. E anche se
sapeva di sbagliarsi non riusciva a scacciare da lui quella folle idea.
“Se
chiudo gli occhi sei qui,
che mi abbracci di nuovo così”
Sospirò,
sprofondando sul divano e massaggiandosi le
tempie con la punta degli indici. Forse quella volta avrebbe dovuto
parlare con
qualcun altro, che non fosse Tom. Qualcuno che lo conosceva quasi allo
stesso
modo, che avrebbe saputo ascoltarlo. Che, forse, lo avrebbe ancora
accettato.
Lanciò
un’occhiata incerta al telefono, qualche
metro distante da lui. Non sapeva ancora se quello era giusto o
sbagliato, ma
sicuramente era quello che gli dettava il cuore in quel momento.
Perché non
ascoltarlo, per una volta?
Si
alzò e mosse qualche passo, afferrando
l’apparecchio e stringendolo saldamente in una mano.
Digitò sulla tastiera il
numero che conosceva ormai a memoria e si portò il telefono
all’orecchio,
sperando con tutto se stesso che qualcuno dall’altro capo
rispondesse,
desiderando allo stesso tempo anche il contrario.
“Pronto?”
La sua voce calda e profonda gli entrò nel
timpano, facendolo vibrare. Sorrise impercettibilmente, sentendosi
improvvisamente in imbarazzo, ma sforzandosi di tirare fuori la voce.
“Gustav?”
***
Buonasera
^____^
Vi avverto, questo capitolo è stato una rogna terribile, ci
ho impiegato quasi
un mese a scriverlo e non ne sono soddisfatta, purtroppo -.-“
Spero che almeno
a voi posso piacere un pochino.
Ringrazio un sacco le quattro anime pie che hanno recensito la scorsa
volta: memy881,
_Pulse_, Layla, Tokietta86.
Grazie, grazie, grazie! Voi non lo sapete quanto piacere mi facciano le
vostre
opinioni su questa storia. Rimanete con meee *___*
Alla prossima ragazzuole! Un bacio a tutte, Ale ^__^
|
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Capitolo 10 *** Un tuffo nel passato ***
DECIMO
CAPITOLO – Un tuffo nel passato
“Bill?
Bill.. sei proprio tu?” Biascicò la voce
dall’altra parte, incredula. Stentava a credere che il suo
vecchio amico lo
avesse chiamato veramente, era una cosa che aveva ormai catalogato come
improbabile, nonostante quella chiamata l’avesse aspettata e
desiderata più di
una volta.
“Si
Gus, sono io.” Sfiatò l’altro nel
ricevitore,
non riuscendo a spiegarsi l’improvvisa gioia che si stava
espandendo nel suo
petto, riscaldandolo. “Come.. come stai?” Banale
forse, ma non gli era venuto niente
di meglio in mente. Le circostanze erano troppo surreali.
“Io,
bene.. bene. Tu?” Domandò titubante, avendo
comunque capito dalla sua voce che no, non andava affatto tutto bene.
Era
diversa, più spenta e roca di come se la ricordava.. ai
tempi dei Tokio Hotel
quella voce era stata una delle più belle che conoscesse,
invece ora sembrava
così monocorde.
“Io,
insomma.. vado avanti.” Sospirò, guardando
distrattamente fuori dalla finestra del suo salotto. “Volevo
chiederti scusa,
se non mi sono fatto mai sentire in questi mesi.. nemmeno con Georg. Mi
piacerebbe tanto incontrarvi, passare un pomeriggio insieme.. mi
mancate
ragazzi.” Soffiò, con la voce incrinata e il nodo
pronto a salire per serrargli
la gola in una morsa d’acciaio.
“Non
dirlo nemmeno, Bill. Non hai niente da farti
perdonare.” Esclamò, mantenendo però il
suo tono di voce dolce e conciliante.
“Uno di questi pomeriggi magari passiamo io e Georg da te, ti
va?” Chiese,
intenerito dalle parole del cantante.
“Certo,
certo.. va benissimo, tanto.. sono sempre a
casa, ultimamente.” Biascicò, sentendosi uno
stupido per non aver mai nemmeno
tentato di mantenere i rapporti con i suoi migliori amici. Non se
l’erano
meritato l’allontanamento che lui gli aveva imposto. Si era
completamente
staccato da loro, chiudendosi a riccio e non permettendo a nessuno di
oltrepassare il fossato che si era costruito intorno a lui. Solo Tom
riusciva a
scavalcarlo, ma si sapeva.. lui era sempre stato diverso da tutti.
“Allora,
per te va bene.. che ne so, mercoledì?”
“E’
perfetto.”
“Allora
adesso chiamo Georg e lo avviso. Ci vediamo
mercoledì quindi. Ciao Billie, a presto!”
“Ciao
Gus, grazie.” Sorridendo chiuse la chiamata,
tirando un grosso respiro di sollievo. Quella chiacchierata, seppur
breve, gli
aveva fatto un bene che mai si sarebbe immaginato.
***
“Allora,
con quel ragazzo di cui mi hai parlato?”
Chiese Alan, prendendo un lungo sorso di caffèlatte. Era in
casa da solo con
sua sorella, finalmente, la mamma era andata a trovare la zia e loro
padre.. beh,
loro padre non viveva più li. Un giorno di quelli sarebbe
dovuto andare a
trovarlo a Berlino.
“Chi?
Bill?” Chiese crucciata. Erano passati solo
due giorni senza vederlo, eppure a lei mancava, ci teneva
così tanto a
chiacchierare ancora un po’ con lui che, se solo avesse avuto
il coraggio, si
sarebbe presentata a casa sua.
“Esatto,
la superstar” La prese in giro
scherzosamente, inarcando le sopracciglia.
“Uhm,
è venuto al bar la sera che sei tornato a
casa.. abbiamo parlato un po’ e fatto quattro passi niente di
che.. Nasconde
tanto sotto la facciata da tenebroso, ma non lo so. Non si è
fatto più vedere.”
Sollevò le spalle inclinando la testa. Aveva letto una
storia nascosta dietro a
quelle iridi nocciola, stanche e malinconiche.
“Tu
e le stranezze andate a braccetto.” Scosse la
testa divertito. “Oggi pomeriggio ti va di uscire con il tuo
fratellone
preferito?”
“Uhm,
si.. aspetta che gli telefono” Annuì seria,
per poi scoppiare in una risata, seguita da Alan che la prese per una
mano,
facendola sedere sulle sue ginocchia e stringendola forte.
“Mi
sei mancata da morire Mel.” Bisbigliò,
accarezzandole i capelli biondi sulla nuca. “Ho capito che
gli studi possono
aspettare, anzi.. Si possono anche sacrificare. Ma non potrei mai
sacrificare
te.. il non vederti, il non esserti vicino giorno per giorno.. il non
vederti
crescere. Sei tutto quello che mi è mancato in questi anni,
sorellina.”
“Oh
Alan, mi sei mancato anche tu e, so che suonerà
egoista da parte mia ma.. non voglio che te ne vai di nuovo.”
Mormorò,
abbassando il capo. Proprio lei faceva questo discorso. Lei che gli
aveva
mentito per tutto quel tempo, appunto per tutelare il suo futuro da
dottore,
gli diceva che non voleva che riprendesse gli studi
all’università di Oxford.
“No,
non vado da nessuna parte, te lo prometto.” Si
sciolse in un sorriso dolce, spostandole una ciocca di capelli dal viso
candido
e baciandole
una guancia.
“Comunque
dai!” Si drizzò in piedi, cambiando
argomento. “Dove vogliamo andare oggi pomeriggio?”
***
“Eccoci,
siamo arrivati” Decretò il biondino,
spegnendo il motore della macchina e girandosi verso il suo amico,
guardandolo
con un accenno ansioso negli occhi.
“Già,
era un po’ che non vedevo questo quartiere..”
Si guardò intorno, come se non passasse da quelle parti da
una vita intera, mentre
invece dall’ultima volta che ci era stato erano trascorsi
solo cinque mesi e
mezzo. Cinque
mesi e mezzo…
“Vogliamo
andare?” Insistette il batterista, aprendo
lo sportello e uscendo dalla vettura, seguito dal castano, che appena
fuori
prese un respiro profondo,
inghiottendo l’aria fresca.
“Gustav,
come credi.. come credi che lo troveremo?”
Balbettò. Non lo vedevano da troppo tempo, e
l’ultima volta non era stata per
niente bella, tutt’altro. Avevano il timore di trovarsi
davanti qualcuno che
non era ciò che loro si aspettavano, che si ricordavano.
“Non
lo so.” Sospirò, incamminandosi verso i
citofoni. “Lo scopriremo presto.” Fece un sorriso
tirato, nascondendo il
nervosismo che lo stava distruggendo.
Il
castano respirò rumorosamente, arrivando davanti
al portone e trovandolo aperto. Entrarono e cominciarono a salire le
scale, se
lo ricordavano fin troppo bene quante rampe dovevano percorrere, fino a
che
piano. Fin troppo bene.
“Ci
siamo.” Soffiò il biondino, allungando un
braccio verso il campanello illuminato.
***
“Ciao
Tom!” Esclamò la moretta, entrando in casa e
venendo sopraffatta da uno dei suoi baci mozzafiato.
“Però, che accoglienza.”
“Non
ti vedo da due giorni, se permetti.” Borbottò
l’altro, sorridendo, richiudendo la porta dietro di lei,
tenendole la mano e
scortandola in soggiorno.
“Sono
una ragazza impegnata.” Annuì divertita,
sedendosi vicino a lui sul divano e poggiando le gambe su quelle di
Tom. “Come
stai?”
“Ora
molto meglio, grazie.” Ridacchiò, accarezzandole
la coscia con una mano, sfiorandola molto dolcemente “Tu,
piuttosto?”
“Anche
io sto bene, adesso.” Si avvicinò,
baciandogli la mandibola. Era tutto così nuovo e speciale ai
sui occhi, avere
Tom li con lei. A volte ripensava a Eirik, ai momenti passati con lui,
alla
loro storia durata quasi un anno.. E non sentiva più niente.
Nemmeno l’affetto,
o la malinconia al ricordo di una storia finita. Forse era grazie a
Tom, alla
sua vicinanza e al suo amore, forse era proprio così..
Perché se con Eirik, in
quei mesi, era stata bene.. Con Tom era come ritrovarsi catapultata in
paradiso, con un biglietto per sola andata.
“Sei
più bella del solito oggi.” Tom si
portò un
dito sul mento, facendo finta di pensare, provocando la risata di
Rebecca.
Quell’affermazione era diventata ormai di routine, glielo
diceva sempre, ogni
volta che si vedevano. “Hai tagliato i capelli?”
“Scemo.”
Gli schiaffò debolmente il braccio, per poi
stringersi di più a lui e appoggiare la testa sulla spalla.
“Bill?”
“Oggi
dovrebbero andare Georg e Gustav a casa sua.”
Sospirò “O almeno così mi ha
detto.”
“Dici
davvero?” Gli occhi di Becky si illuminarono,
e socchiuse leggermente la bocca. “E’ una
bellissima notizia.”
“Si,
lo è.” Sorrise di rimando Tom. “Forse
sta
davvero cominciando a rifarsi una vita, soltanto che.. Ho sempre paura
che non
ce la possa fare, non da solo.” Scosse la testa,
accarezzandole un ginocchio e
persistendo
a tenere il capo chino.
“Tom,
quante volte abbiamo affrontato questo
discorso?” Gli prese il viso tra le mani, costringendolo a
guardarla fisso
negli occhi. “Bill può farcela, con le sue gambe!
Non potrai fargli da
stampella in eterno, o non sarà mai pronto.. lo capisci
questo?” Gli sorrise,
intenerita.
“Si
che lo capisco è solo che.. voglio il meglio per
lui. Ha sofferto.. come un cane Rebecca. Come un cane.” Si
prese il viso tra le
mani. No.. non voleva, non voleva che l’agitazione gli
venisse proprio in quel
momento. Non in quel momento! “Maggie.. gli manca da morire
e.. e forse io mi
sto prendendo così tanto cura di lui perché..
Perché manca da morire anche a
me! Io.. tutti i giorni cerco di non pensarci, cerco di stare dietro a
Bill più
che posso per impedire che il dolore uccida anche me. Era.. lei era la
mia
amica.. quella delle chiacchierate alla sera, delle maratone di film
nei
pomeriggi liberi. E mi manca.. Becky. Dio solo sa quanto!” Il
suo respiro si
fece irregolare e cominciò a sentire una stretta allo
stomaco, le lacrime
nascoste nei suoi occhi. Gli capitava, ogni tanto, ma non voleva che
gli
succedesse proprio davanti a Rebecca.
Dall’altra
parte, Becky lo guardava attonita, gli
occhi vacui e la bocca semiaperta. Si sentiva terribilmente a disagio,
non
sapeva come fare per farlo calmare, lo guardava li.. davanti a lei..
con una
mano stretta al petto e gli occhi strizzati.
“Io..
io..”
Tentò di dire. Ma
vedere il suo ragazzo in quelle condizione non fece
che risvegliare in lei la sofferenza dei primi mesi.. i mesi in cui si
svegliava la notte urlando, dopo aver fatto un incubo.. o quando
all’università
guardava il banco vuoto di fianco a lei.. e le lacrime prendevano a
scendere
incontrollate sulla sua pelle
diafana, sentendo la voce del professore come un brusio di sottofondo.
Quei
primi mesi erano stati l’inferno per lei.. Senza la sua
migliore amica si
sentiva persa.
“No,
va tutto bene.” Scosse la testa il moro,
prendendole le mani e stringendole convulsamente. “Solo..
stammi accanto.” Lo
sussurrò, ma suonò quasi come una supplica urlata
a squarciagola, che in
risposta ritrovò un abbraccio fortissimo e un
“Si” Strozzato, ma comunque
convincente.
***
Era
terribilmente in ansia. Era mercoledì pomeriggio,
tra poco sarebbero arrivati e lui non era assolutamente pronto
psicologicamente. Forse aveva bisogno di più tempo, forse
avrebbe voluto
rimandare, ma no. Aveva rimandato quel giorno troppe volte, era
arrivato il
momento di fare l’uomo e di tentare, almeno in parte, di
rimettere la sua vita
dentro i binari. Lo doveva a lei.
Si
cambiò velocemente, infilandosi un maglione blu e
un paio di jeans consumati e scoloriti. Una volta era i suoi preferiti
in
assoluto.
Si
catapultò in cucina, ricordandosi che aveva
lasciato il caffè sul gas, arrivando appena in tempo per
spegnerlo e lasciarlo
li a raffreddare. Suonò il campanello e lui
cominciò a sudare freddo, mentre
lanciava fugaci occhiate alla porta, poco lontana dalla cucina.
“Dai
Bill, non fare il coglione.” Si disse da solo,
obbligandosi a percorrere quei pochi passi che lo distanziavano dal
portone in
legno massiccio. “Sono i tuoi vecchi amici. Sono loro, Georg
e Gustav.” Inspirò
profondamente, espirando subito dopo e afferrando la maniglia
d’ottone,
stringendola in una mano, quasi a volerla sbriciolare sotto il suo
tocco fermo.
Quando
la aprì gli sembrò quasi normale rivedere le
due figure che si stagliavano di fronte a lui. Gli sembrò
quasi normale
ritrovarli sulla soglia di casa sua, come se li avesse lasciati appena
qualche
giorno prima. Anzi, come se non li avesse mai
lasciati.
“Ciao..”
Mormorò Gustav, stupito nel rivedere il
moro. Quello non era.. il vero Bill. Non era quello che loro
conoscevano da una
vita. Quello era.. un resto
di Bill.
“Ciao.” Rispose il moro, rimanendo a fissarli,
incapace di muovere un solo
passo, stringendo ancora nella mano il pomello della porta, quasi fosse
l’unico
appiglio per rimanere in piedi.
Spostò lo sguardo su Georg, che si era limitato ad alzare
una mano di fianco al
viso, in segno di saluto. La faccia contratta in un espressione
interdetta, le
labbra strette e le sopracciglia aggrottate.
“S..scusate,
entrate..” Scosse la testa,
risvegliandosi dai mille flashback che lo avevano assalito in quei
pochi
secondi passati a scrutarli nei minimi particolari.
Si
fece da parte, permettendo ai due di entrare in
casa e guardarsi in giro. Tutto era come se lo ricordavano, come era
sempre
stato. Non era cambiato niente, e questo basto a confortarli, almeno in
parte.
“Come
stai?” Georg si girò verso il cantante, che
aveva appena chiuso la porta ed ora era fermo al centro della stanza.
Bill
sollevò le spalle, biascicando un “Non
c’è
male” Ficcandosi le mani in tasca. Il male c’era
eccome.
“Volete
un caffè? E’ già pronto.”
Sorrise poi,
gentilmente, indicando la cucina alla sua sinistra.
“Ma
si, dai.” Annuì Gustav, scambiandosi uno sguardo
veloce con l’altro.
Era
tutto così surreale, così diverso da come doveva
essere. Quei sorrisi di plastica, quelle gentilezze dovute.. Non era
niente
come prima. Si sarebbe potuto rimediare?
Bassista
e batterista presero posto su due sedie,
appoggiando le mani unite sul tavolo, osservando Bill versare il
caffè nelle
tazzine che aveva messo davanti a loro.
Era..
cambiato, era diverso, più.. adulto. Quel
codino, il Bill che ricordavano loro, non se lo sarebbe fatto nemmeno
sotto
tortura. L’accenno di barba era un insulto all’ex
leader dei Tokio Hotel.. e le
occhiaie.. quelle occhiaie accentuate dal viso pallido, quasi
malaticcio.
Spaventose.
“Ci
sei mancato.” Disse Georg, dopo aver preso un
sorso bollente dalla tazza, il tono fermo ma comunque dolce.
“Tanto.” Aggiunse
poi, ritrovando Gustav ad annuire, con il suo sorriso conciliante.
Bill
boccheggiò, sentendo gli occhi inumidirsi e le
gambe cedergli. Aveva davvero inflitto dei mali così grandi
alle persone che
fino a poco tempo prima erano state tra le più importanti
della sua vita? Che
lo erano sempre state, in un modo o nell’altro.
“Anche
voi.” Sillabò, lasciandosi cadere a peso
morto sulla sedia e prendendosi la testa con le mani. “Anche
voi ragazzi..E..
Mi dispiace, ma io.”
“Fermo
Bill.. noi non vogliamo giustificazioni.
Sappiamo già che.. per te non è stato facile e..
va bene così, davvero.” Gustav
gli accarezzò un braccio, sorridendo triste.
“Ora
che siete tornati..” Mormorò, guardandoli
intensamente negli occhi, sentendo i suoi già colmi di
lacrime. “Non ve ne
andate, vi prego. Mai più”
“No
Bill, siamo qui con te.” Sorrise Georg, annuendo
col capo.
***
“Buonasera
signor S!” Sorrise raggiante Melrose,
entrando nel bar e camminando direttamente verso il bancone,
allacciandosi il
grembiulino dietro la schiena.
“Ciao
Mel” L’ometto si avvicinò a lei.
“Deduco che
con Alan è tutto a posto, non vedo un sorriso
così da un sacco di tempo.” Le
sorrise, mettendole una mano sulla spalla.
“Oh
signor S, sono così felice! Lei non ha idea!”
Ridacchiò, guardando il cielo e sospirando.
“Sono
contento per te, cominciava a deprimermi
quell’aria perennemente malinconica.”
Scherzò il signor S, picchiettandole la
schiena e sparendo nel retrobottega, scuotendo la testa sorridente.
“Ciao
Mel.”
“Ehi
Jess” Sorrise anche alla sua collega, che la
affiancò, strofinando un boccale di birra, reggendolo tra le
mani. “Tutto
bene?”
“Si,
tutto a posto. Tu?” Chiese, totalmente
disinteressata, appoggiando il boccale in uno scaffale.
“Straordinariamente
bene.”Annuì, scaricando la
lavastoviglie.
“E
ora arriva il meglio.” Sbottò, lasciando lo
strofinaccio sul bancone e dileguandosi.
Melrose
non capì subito a cosa si stesse riferendo
Jessica, ma quando alzò gli occhi e incontrò
quelli nocciola di Bill, il suo
cuore perse un battito e dovette appellarsi a tutto il suo
autocontrollo per
impedirsi di saltellare sul bancone del bar.
“Ciao
Melrose.”
***
Buonasera
a tutte! ^___________^
Dai, ho fatto abbastanza presto questa volta, no?
Questo, insieme al prossimo, è uno dei miei capitoli
preferiti. Mi piace un
sacco, davvero! Spero possa piacere anche a voi, ovviamente.
Gustav e Georg sono tornati, come avete letto; ed è
fuoriuscita la parte
sofferente di Tom.. perché com’era prevedibile,
anche lui ha sofferto molto per
la perdita di Maggie.
Ringrazio di cuore chi ha recensito lo scorso capitolo, ovvero: _Pulse_, memy881, Tokietta86
(oddio io
ADORO le tue recensioni. Sono così vere e sincere. *___*
Grazie, grazie
davvero!), Layla.
Grazie
mille davvero ragazze!
Un
ringraziamento anche a quelle timidone che
leggono senza recensire e a chi ha inserito la mia storia tra le
seguite e le
preferite. Un bacio a tutti!
Ale ^___^
|
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Capitolo 11 *** Consapevolezza ***
Buongiorno!
Oggi sono molto fiappa. Ho un mal di testa che non finisce
più, però nonostante ciò sono qui che
posto per voi. Avete visto che brava? u.u XD
Dunque,
passando alle cose serie: questo è il mio capitolo preferito
fino ad ora. Beh, ci sarebbe anche il capitolo 13 ma quello voi lo
dovete ancora leggere ^__^
Spero vi sia piaciuto e spero che abbiate un po’ di tempo per
farmelo sapere (: La canzone che ho inserito è Parla
con me di Eros Ramazzotti.
A
fondo pagina troverete una piccola sorpresa offerta da Sarah92! Hope
you like it! (:
UNDICESIMO
CAPITOLO –
Consapevolezza
Si
stiracchiò, alzando le braccia al cielo e allungandosi nel
suo letto. Si girò verso destra e guardò i raggi
del sole che filtravano dagli infissi della finestra. Detestava le
domeniche. Non sapeva perché ma era sempre stato
così, fin da quando era piccola.
Era
passato un lunghissimo mese e mezzo dal ritorno di Alan, che ancora
viveva lì con lei e loro madre. Hanna sembrava stare meglio
dal ritorno del figlio: era più serena e meno nervosa.
Melrose
e Bill si erano visti parecchie volte, sempre più spesso.
Lui andava a trovarla al bar quasi tutte le sere e, anche se non era
sempre di ottima compagnia, stavano insieme fino ad orario inoltrato.
Quando Mel finiva il turno andavano a fare un giro, che fosse al parco,
o lungo la strada, o fino al campetto di basket, non importava..
camminavano tanto e.. parlavano un po’di meno.
In
quelle lunghe settimane aveva provato a saperne di più su di
lui, ad entrare nei segreti che si portava ancora dentro e stringeva
gelosamente a sé, senza lasciarli trasparire. Aveva provato
a scavalcare il profondo precipizio che aveva scavato intorno a lui,
come difesa personale, ma aveva finito inevitabilmente per caderci
dentro, non riuscendo più a risalire e sentendosi stupida.
Stupida perché non avrebbe dovuto ficcanasare nella sua
vita, erano amici,
se così si potevano definire. Quello doveva bastarle.
Così, si era accontentata di rimanere a ridosso di quel
burrone, a guardare la fine buia dal ciglio, senza fare passi
avventati.
“Ma
dove guardano ormai
quegli occhi spenti che hai?
Cos’è quel buio che li attraversa?
Hai tutta l’aria di chi
da un po’ di tempo oramai
ha dato la sua anima per dispersa”
Si
alzò lentamente dal letto, rivestendosi del suo pigiama
verde e uscendo dalla porta, percorrendo il lungo corridoio che la
divideva dalla stanza di suo fratello e, molto silenziosa, fece
irruzione in camera di quest’ultimo, trovandola buia.
Guardò il letto e notò solo un ammasso di coperte
in cui, sotto, doveva esserci proprio lui.
Prese
la rincorsa e con un balzo ci saltò sopra, proprio come
quando lei aveva dieci anni e lui sedici e Mel, annoiata dalla domenica
mattina, andava a svegliare il suo fratellone per fare la colazione
insieme. Bei tempi, quelli.
“Ahia,
cretina!” Sbottò lui, la voce impastata dal sonno
“Non hai più dieci anni, peste!”
Ridacchiò, prendendola per un braccio e trascinandosela
sotto alle coperte, stringendola.
“Ciao
fratellone.” Sorrise angelica, anche se lui al buio non la
poteva vedere. “Come stai?”
“Be’,
prima che un ippopotamo impazzito mi saltasse addosso, stavo bene:
sognavo pure!” Sbuffò, tenendosela comunque
stretta al petto.
“Avevo
voglia di svegliarti.” Sollevò le spalle,
sorridendo.
“Esci
con Bill, oggi?” Glielo chiedeva spesso, soprattutto in
quegli ultimi giorni. Melrose non lo sapeva il perché, ma
Alan era sempre felice quando usciva con Bill. Non lo aveva ancora
conosciuto di persona ma diceva che gli emanava un’aurea
positiva.
“Non
lo so, ieri sera era più abbattuto del solito”
Constatò, pensierosa. “Dopo magari provo a
chiamarlo al cellulare.” Annuì da sola, come se
stesse parlano con sé stessa e non con il suo fratello
maggiore, che la guardava divertito.
“Ti
piace, non è così?” Gli chiese, ma
suonava più come una constatazione e Mel non seppe come
rispondere. Sì, era vero, gli piaceva e anche tanto, ma
ammetterlo... non sapeva se era pronta a farlo nemmeno con se stessa.
“Be’...
più o meno, non lo so.” Scosse la testa,
scrollando le spalle, e riuscendo ad intravedere le sue iridi verde
chiaro nel buio.
“IO
lo so, e ti piace, fidati di me.” Sbadigliò,
togliendosi la coperta di dosso e alzandosi in piedi, sfoggiando il suo
nuovo paio di boxer con la coda del porcellino sul sedere.
“Wow...
sexy!” Ridacchiò la biondina, prendendolo in giro.
“Sono
all’ultima moda ad Oxford!” Rispose indignato,
sparendo in bagno con i suoi vestiti di ricambio.
***
Appoggiò
il mento sul pugno chiuso, sopra alla sua scrivania, guardando un punto
indefinito fuori dalla portafinestra, da cui si poteva vedere la
finestra del bagno dell’appartamento di suo fratello, proprio
di fronte al suo. Probabilmente a quell’ora stava per uscire
con Rebecca.
Senza
un perché si ritrovò a pensare alla sera prima,
agli occhi curiosi di Melrose che lo fissavano, lo scrutavano nel
profondo e lo mettevano anche un po’ a disagio, se doveva
essere sincero. Si sentiva perennemente studiato da lei,
così si rese conto che forse non era poi così
bravo a fare finta di essere un comunissimo ragazzo di ventidue anni
con una vita normale. Lei lo aveva capito che qualcosa in lui non
funzionava, che c’era qualcosa del suo essere che non andava
assolutamente bene.
Eppure...
quando era in sua compagnia, Bill
stava bene. Stava maledettamente
bene e non avrebbe voluto in nessun modo trovarsi altrove, stava bene
seduto vicino a lei, o semplicemente a camminare al suo fianco. Adorava
sentirla parlare, visto che lui stava quasi sempre zitto ad ascoltare,
adorava il suo modo carino di renderlo partecipe a conversazioni che,
altrimenti, sarebbero sembrate monologhi.
Quindi,
ogni sera, dopo averla riaccompagnata a casa, quando si ritrovava nel
suo letto sotto le coperte, con lo sguardo rivolto
all’insù... s’interrogava.
S’interrogava e chiedeva a se stesso perché
dovesse frenarsi in quel modo con lei, perché dovesse
mettere dei paletti di sicurezza tra loro due... E la risposta
arrivava, sempre più dolorosa.. Bastava voltare appena il
capo e incontrare quegli occhi verdi, cristallizzati nel vetro di
quella fotografia incorniciata da un portafoto in oro bianco.
Non l’aveva ancora tolta e dubitava di riuscirci presto. Era
ancora innamorato di lei e questo non sarebbe potuto cambiare mai.
L’avrebbe sempre amata, in un modo o nell’altro.
Troppe volte si era chiesto “Condizionerai
la mia vita per sempre, Maggie?”,
e troppe volte avrebbe voluto prendersi a pugni perché non
erano pensieri da fare quelli. Margaret era stata la persona
più importante della sua vita, insieme a Tom, e lo era anche
in quel momento, nonostante non potesse essere presente fisicamente...
lo era psicologicamente, sempre.
Spesso,
quando era con Mel, sentiva la sua presenza costante, il suo sguardo
addosso, ma, anche se gli pareva una cosa assurda, non poteva fare a
meno di sentirsi intimidito da quegli sguardi indiscreti che, in
realtà, non esistevano. In realtà, erano tutti
nella sua testa, nella sua convinzione di tradire la sua Margaret.
Tradire...
non aveva mai osato nemmeno sfiorare Melrose. La loro era una amicizia
strana, fondata sul dialogo, se così era definibile. Non
c’era assolutamente niente. Ma Bill... Bill aveva paura,
sentiva qualcosa intrecciarsi nel suo stomaco quando la vedeva.
“Non
si uccide un dolore
anestetizzando il cuore”
La
vibrazione del suo cellulare lo colse alla sprovvista, facendolo quasi
cadere dalla sedia girevole su cui era seduto. Lo afferrò
saldamente in una mano, guardando che nome sarebbe apparso sullo
schermo illuminato. Era lei, era Melrose.
Senza rendersene conto, le sue labbra si incurvarono leggermente
all’insù, in un sorriso tenero. Era felice di
poterla risentire.
“Pronto?”
Rispose, come se non avesse idea di chi lo stesse chiamando.
“Ciao
Bill, sono Mel” Squillò l’altra, felice
di risentire la sua voce.
“Ciao
Mel, come stai?”
“Molto
bene, grazie. Tu?”
“Anche
io, anche io.. ti ringrazio.” Sospirò. Voleva
vederla? Certo che
sì. “Senti,
oggi è domenica..”
“Odio
le domeniche” Sbuffò Mel, e quasi lui
potè immaginare il suo labbro inferiore arricciarsi in un
broncio bambinesco che le donava un’aria infantile
assolutamente adorabile.
“Non
è il mio giorno preferito, lo devo ammettere.”
Scherzò, ridacchiando a bassa voce. “Potremmo
unire i nostri malumori e fare un giro in periferia, che ne
dici?” Buttò lì, scarabocchiando su un
foglio con la matita.
“Sì,
sarebbe carino!” Trillò felice, sorprendendosi di
poter essere così
felice. E se si stesse... no. No, non poteva! Sarebbe stato.. troppo
complicato. Però... no, non c’erano
‘però’, ‘ma’ o
‘forse’. Lei non poteva.
“Ti
aspetto fuori da casa tua, dopo cena?”
“È
perfetto.”
“A
dopo.” Sorrise, chiudendo la chiamata e riappoggiando il
telefono sul ripieno in legno della scrivania.
Sospirò
sereno, ancora poco e l’avrebbe rivista.. Sì, era
decisamente felice.
***
“Esci?”
Chiese Alan, seduto ad una sedia, con le gambe sotto il tavolo e il
giornale davanti al viso. Hanna era in piedi davanti ai fornelli,
probabilmente stava preparando la cena.
“Sì,
con Bill.” Rispose a fatica, tentando di infilarsi una scarpa
al piede destro. Entro un’ora sarebbe arrivato sotto casa sua.
“Oh,
bene!” Esclamò sorridente, ricacciandosi il
quotidiano davanti agli occhi.
“Cosa
vorresti dire?”
“Che
mi fa piacere se esci ancora con lui!” Annuì,
guardandola di sfuggita. “Ti piace, ammettilo.” La
scrutò più intensamente, sporgendosi leggermente
verso di lei.
“Ma...
dai, Alan.” Mormorò, imbarazzata, lanciando
un’occhiata anche a sua mamma, che però sembrava
non seguire minimamente la conversazione.
“Sorellina,
dai.. io e te non abbiamo mai avuto segreti. Nemmeno di questo genere.
Perché fai la misteriosa proprio adesso con il tuo
fratellone?” Sogghignò, ripiegando il giornale e
appoggiandolo sul tavolo, unendo le braccia al petto e guardandola con
fare inquisitore.
“E
va bene! E va bene: sì, mi piace...”
Sbottò, lasciandosi cadere mollemente su una sedia di fianco
a lui. “E tanto...” Aggiunse, piagnucolosa.
“Non
capisco, dove sta il problema quindi?”
“È
lui il problema, è lui! È così...
sulle sue, a volte non parla molto.. Spesso sembra ricambiare quello
che provo io, altre volte sembra volersene tornare a casa al
più presto. Non lo capisco Alan, è... strano.
Sembra nasconda qualcosa.”
“Non
essere affrettata, Mel. Non trasformarti in Sherlock Holmes per cercare
di capire cosa nasconde, se davvero nasconde qualcosa. Se quello che
pensi è giusto, sarà lui a parlartene al momento
opportuno.” Alan le sorrise, facendole un buffetto sulla
guancia, per poi girarsi verso la mamma, che li stava guardando.
“Mamma,
io esco dopo cena, non so a che ora torno.”
“Tranquilla
Mel, manda un messaggio a tuo fratello e mi farai sapere.” Le
sorrise con fare rassicurante, come se non avesse ascoltato nemmeno una
parola della conversazione che avevano appena avuto i suoi due figli.
Era questo il bello di Hanna: era sempre presente se uno dei suoi
‘bambini’ aveva qualche problema e cercava aiuto,
ma si eclissava non appena capiva di dover lasciare i propri spazi ad
Alan e Melrose, rimanendo al proprio posto.
Melrose
sospirò, guardando l’orologio sul muro davanti a
lei. Le sette meno un quarto.
Ancora
poco, ancora poco.. continuava a
ripetersi ininterrottamente, prendendosi a pugni nella mente per
quell’impazienza assolutamente immotivata. O meglio, un
motivo c’era eccome.. ma non poteva, non doveva
essere così.
***
“Fa
freddo.” Borbottò Tom, stringendosi nel suo
cappotto primaverile. Nonostante fossero nel mese di aprile, la
Germania sembrava avvolta ancora nell’inverno. La primavera
tardava a farsi sentire.
“Come
sei brontolone, dai. Siamo sempre chiusi in casa, una boccata
d’aria non ti farà male!”
Sbuffò divertita Becky, stringendogli una mano. “E
poi sei camuffato piuttosto bene, devo ammetterlo. Fatico a
riconoscerti persino io” Sogghignò, facendo
scontrare dolcemente le loro spalle.
“Mi
sembrava che, fino a ieri sera, non ti dispiacesse restare in casa con
me.” Ridacchiò, prendendola un po’ in
giro e facendole un buffetto sulla testa.
“Ah,
ah, ah. Spiritoso.” Borbottò, arrossendo sulle
guance. “Non vedi come rido?” Inarcò un
sopracciglio.
“Avanti,
stavo solo scherzando.” Sorrise, accarezzandole i capelli e
sciogliendo la presa dalla sua mano. Fece
scorrere
il braccio attorno alle spalle di lei, continuando a camminare lungo il
viale alberato.
“Bill
esce ancora con quella ragazza, oggi: Melrose... me lo ha detto poco fa
per messaggio.” Esordì poi, chinando il capo sulle
sue scarpe da basket.
“E
non è una cosa positiva?” Aggrottò le
sopracciglia Rebecca.
“Be’...
credo di sì. Solo vorrei conoscerla: è due mesi
che escono e io non l’ho mai vista.”
Sollevò le spalle, abbozzando un sorrisino incerto. Non era
quella la sua vera preoccupazione. Lui aveva paura che Bill rivedesse
troppe cose di Maggie in quella povera ragazza.. aveva paura che prima
o poi si sarebbe reso conto che non era stando con Melrose che avrebbe
risentito Margaret al suo fianco. E quando sarebbe arrivato quel
momento? Cosa sarebbe successo? Avrebbe sofferto di nuovo come un cane,
ecco cosa. Sarebbe stato come perderla una seconda volta.
“Magari
aspetta il momento giusto, che ne sai?” Sorrise, baciandogli
una guancia. “Sono sicura che presto te la porterà
a conoscere!”
“Spero sia come dici tu..” Borbottò,
sospirando.
***
Sentì
il suono del clacson di quella
macchina che ormai conosceva come le sue tasche. Era inconfondibile.
Prese
al volo la giacca dall’attaccapanni, diede un bacio a sua
mamma e poi ad Alan, che le gettò un’occhiatina
maliziosa, augurandole uno splendido pomeriggio.
“Lo
sarà!” Rispose, appena prima di abbassare la
maniglia e uscire in cortile. Attraversò il vialetto,
aprendo il cancello e sgusciando fuori, e trovò la sua
Audi Q5 bianca, parcheggiata sulla strada.
Continuò
a camminare lentamente, arrivando dalla parte del passeggero e aprendo
lo sportello, e s’infilò nell’abitacolo.
“Ciao.”
Sorrise raggiante, guardando il suo profilo scolpito perfettamente.
Aveva i capelli sciolti sulle spalle e non portava i soliti occhiali da
sole che gli coprivano metà viso, era semplicemente
meraviglioso.
“Ciao
Mel.” Girò appena il capo, accennando un sorriso e
rimettendo in moto la macchina. Quindi, sgommò via.
“Come
stai?” Chiese la ragazza dopo un po’ di minuti
silenziosi, mentre guardava fuori dal finestrino la campagna che
cominciava ad estendersi intorno a loro. La stava addirittura portando
fuori città!
“Non
c’è male.” Sorrise tirato, stringendo
appena di più il volante. “E tu?” Si
girò per una frazione di secondo, guardando quegli occhi
verdi che lo mandavano in estasi. Li adorava e, col tempo, si era
accorto che erano completamente diversi dagli occhi verdi che aveva
amato in passato. Uguali apparentemente, sì... ma
completamente diversi.
“Io...
io molto bene!” Sorrise sinceramente, non smettendo un
secondo di fissarlo. Era così bello.
Il
resto del tempo che passarono chiusi in macchina fu avvolto dal
silenzio, da sguardi di nascosto, da parole non dette ma che avrebbero
voluto fuoriuscire dalla bocca dei due ragazzi. Avrebbero voluto
parlare loro. Avrebbero avuto tantissime cose da dirsi, eppure non lo
facevano.
Dopo
quella che a Melrose parve un’eternità, Bill
fermò la macchina in un parcheggio non molto grande,
accennandole un sorriso, e, facendole un gesto con il capo, la
invitò a scendere.
“Dove
siamo?” Chiese Mel, seguendo Bill lungo un sentiero
ciottoloso.
“Adesso,
appena finisce questa strada ghiaiosa, ci dovrebbe essere una collina.
E’ bellissima, ci venivo spesso prima...
un po’ di tempo fa.” Sorrise nervosamente,
torturandosi la manica della giacca leggera che indossava.
“Piacerà
anche a me...” Annuì Mel, evitando di fare
domande. Se c’era una cosa che aveva imparato in tutto quel
tempo passato insieme a lui, era di non fare domande a caso, di dosare
per bene quello che voleva dire, contando fino a dieci prima di dare
voce ai suoi pensieri.
Senza
nemmeno spiegarsi il motivo, Mel fece scontrare la sua mano con quella
di Bill, sfiorandogli la pelle fredda e sentendo una scarica di brividi
gelidi percorrerle il corpo dalla spina dorsale fino ai piedi. Ma se ne
pentì non appena vide il ragazzo stringere le labbra tra
loro e chiudere gli occhi.
Perché era così misterioso?.. Perché
non voleva parlare con lei, confidarsi, sfogarsi...
“Parla
con me, parlami di te
io ti ascolterò
vorrei capire di più
quel malessere dentro che hai tu.”
Sospirò,
abbassando il capo e continuando a camminare al fianco di Bill,
silenziosamente, calciando un sassolino ogni tanto. Le era passata
anche la voglia di parlare.
“Scusa.”
Disse ad un certo punto Bill, fermandosi in mezzo al sentiero e
guardandola imbarazzato. Guardandola forse per la prima volta,
riuscendo a vederla. Vederla davvero.
“Come
hai detto?” Chiese, boccheggiando. Avere addosso a
sé quello
sguardo, così carico di emozioni, la metteva a disagio, come
poche volte. Si sentiva osservata, scrutata nel profondo.. e avrebbe
solo voluto scappare, perché si rese conto che quello che
non doveva succedere, stava invece succedendo. Era
già successo.
“Sono
freddo, sono scostante. Non sono di ottima compagnia e me ne rendo
conto. Sono scontroso, scorbutico, acido e arrogante. Il più
delle volte vorrei prendermi a sberle da solo, non ti biasimo se viene
questo impulso anche a te ogni tanto. Sono consapevole che spesso non
sono gentile e carino nei tuoi confronti, mentre tu lo sei sempre..
così dolce e comprensiva ed io.. mi sento in colpa. Non
meriti di essere trattata come ti tratto io.”
Sfiatò, respirando a fondo, come se avesse appena fatto una
lunga corsa e stesse tentando di recuperare il fiato. Era stato
difficile fare quel tipo di discorso, a lei, ma sentiva che era
arrivato il momento. Le doveva delle scuse.
“Hai
elencato solo difetti, Bill.” Sorrise teneramente,
avvicinandosi. “Ho sentito solo lati negativi, mentre invece
tu non sei solo quello: sei molto di più. Tu sei sensibile,
timido, riservato.. i tuoi occhi parlano per te e sono i più
dolci che io abbia mai visto. Sei silenzioso, sì... ma
spesso non servono le parole per capire con che persona meravigliosa si
ha a che fare. Io penso questo, penso che tu sia fantastico.”
Arrossì sulle guance, abbassando lo sguardo e attorcigliando
le dita delle mani tra loro.
Dopo
pochi secondi rialzò il viso, e fu in quel momento. Vedendo
gli occhi di Bill più luccicanti del solito, vedendo il suo
sorriso luminoso più di qualsiasi altro, vedendo la sua
figura buia, in contrasto con il tramonto che si consumava alle loro
spalle... Fu in quel momento che Melrose capì di essersi
inevitabilmente innamorata di lui.
***
Eccoci!
Come promesso, la piccola sorpresa! Cliccate QUI
Non
è meraviglioso? *Q* Io trovo che sia splendido!
Non
so se lo vedete bene.. Comunque, dai, si capisce che è Bill
che abbraccia il fantasma di Maggie *__* Cucciolino lui.
Fate
sapere se vi piace, e diciamo tutte in coro una grande
“GRAZIE” per Sarah92,
che ha speso tempo e dedizione per farlo! Thank youuu so much! (;
Ora
passiamo ai ringraziamenti individuali di quelle cinque benedette
ragazze:
Layla
:
Certo che gli ha fatto piacere, lui non aspettava altro.. solo lo
doveva ancora capire xD e per quanto riguarda Tom, beh.. prima o poi
anche lui avrebbe dovuto cedere al ricordo doloroso di Maggie. Grazie
per il tuo commento, alla prossima!
_Pulse_
: Dio mio Aria, le tue recensioni sono sempre così
incasinate che non riesco mai a fare un ringraziamento decente XD
Cioè, boh. Ahahaha xDD quindi penso che ti dirò
solamente GRAZIE *_* Grazie per tutto, per esserci, per sopportarmi..
per essere sempre presente e puntuale nelle recensioni. Non come me,
che recensisco tre o quattro giorni dopo XD Ti voglio un bene
indicibilmente indicibile infinitissimooo! Assai! La tua piccola Mond
*.*
Memy881
:
Grazie, grazie, grazie! *__* Grazie davvero per la tua recensione!
Parlando di Bill e Melrose.. lei, come hai letto, prova qualcosa di
molto significativo nei confronti di lui. Il problema qui è
proprio Billie, sarà in grado di affrontare la situazione e
saperla gestire?
Vedremo ^__^. Un bacione e grazie ancora!
Tokietta86
: Melrose è molto importante per lui, anche se ancora non se
ne rende conto fino in fondo, le cose lentamente si stanno appianando..
ora che poi ci sono di nuovo Georg e Gustav nella sua vita, dovrebbe
essere tutta una discesa. Dovrebbe u.u xD
Tom.. quella parte è stata molto difficile da scrivere,
perché “entrare” nella testa di Bill e
descriverne i sentimenti è stato piuttosto semplice,
insomma.. è facile aspettarsi cosa pensa una persona quando
perde figlio e fidanzata. Ma non posso dire altrettanto di Tom,
è stato complicato immaginarne i pensieri u.u Grazie per la
tua recensione, un bacio e alla prossima!
Sarah92
: Sono felice che la storia ti piaccia, veramente ^__^. La tua
recensione mi ha lasciata felice, tutto sommato u.u So di non essere la
perfezione ma si può solo migliorare xDD
Grazie anche per il tuo aiuto. E, soprattutto per il tuo disegno *-*
Personalmente, lo adoro!
Alla prossima! ^__^
Un
grazie anche a tutti gli altri e alla prossima!
Un bacio enorme, Ale ^__^
|
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Capitolo 12 *** Esasperazione ***
DODICESIMO
CAPITOLO - Esasperazione
“Io
ti parlo con il silenzio delle parole mai dette
e che non smette di assordarmi il cuore...
Nessun rumore mi distoglie dal pensarti
ora che il mio innamorarmi
è solamente tuo.”
“Io
ci arriverei,
nel profondo dentro te.
Nei silenzi tuoi..
Emozionando, sempre più”
Andava
avanti e indietro, tracciando un fossato lungo tutta la sua camera da
letto, una mano sulla bocca e gli occhi brillanti. Non riusciva a
reprimere i risolini, gli urletti isterici. Si sentiva euforica e, allo
stesso tempo, avvertiva lo stomaco attorcigliato dentro di lei.
Ma stava così bene... Dio, se stava bene.
Quella
sera era stata perfetta, perfetta... oltre ogni sua aspettativa. Bill
era così tenero a volte.. così vulnerabile e
fragile. Avrebbe voluto abbracciarlo tanto forte da rischiare di
soffocarlo sotto il suo tocco. Eppure non l’aveva fatto, non
lo aveva abbracciato... non lo aveva nemmeno sfiorato. Loro non si
erano mai toccati... se non inavvertitamente.
Guardarlo
negli occhi, quella sera, era stato qualcosa di formidabile. Le sue
iridi castane avevano qualcosa di profondamente dolce e intenso, aveva
degli occhi meravigliosi, e si dispiaceva del fatto che, in superficie,
fossero così spenti e vacui.
Si
stese sul letto, guardando il soffitto bianco candido della sua stanza,
persa in congetture che non avevano né capo né
coda. Però il motivo lo avevano.
Lei
era innamorata di Bill, se n’era resa finalmente conto e
adesso stava imparando ad accettarlo. Non lo avrebbe creduto possibile,
ma adesso era in ballo, non poteva più tirarsi indietro.
Sospirò
pesantemente, ricordandosi che lui molto probabilmente non avrebbe
ricambiato i suoi sentimenti e, se invece si sbagliava, era molto abile
a nasconderli.
Spostò
il suo sguardo sul cellulare che si era illuminato di fianco a lei, sul
comodino. Lo afferrò con una mano e il cuore in gola,
vedendo che aveva appena ricevuto un messaggio.
“Sono
stato bene con te, prima. Domani passo a trovarti al bar. Buonanotte,
Bill.”
Si
portò il telefonino al petto, sospirando sognante, con gli
occhi lucidi e il cuore che le batteva all’impazzata nel
petto, tanto che per poco ebbe paura che le schizzasse fuori dal corpo.
***
Si
appoggiò allo schienale del divano, con le gambe raccolte al
petto e un insolito sorriso a dipingergli le labbra rosate.
Cos’era quella sensazione di benessere che gli occupava la
mente, quella pace interiore che non sentiva più da tempo?
Un
po’ gli faceva paura, un po’ ne aveva timore. Aveva
il terrore di sapere cosa gli stesse succedendo dentro, di conoscere la
causa di quella sensazione che lo faceva sentire leggero e pesante
nello stesso momento.
L’aveva
provata, molto tempo indietro..
Si
guardò le mani appoggiate alle ginocchia, prendendo un
profondo respiro. Era giusto, tutto quello? Era giusto ricominciare una
nuova vita, dimenticando quella vecchia?
Avrebbe
voluto tanto poter parlare con Maggie, in quel momento. Avrebbe voluto
dirle che la pensava sempre, che non l’avrebbe dimenticata
per nessuna ragione al mondo e che, in una maniera o in
un’altra, l’avrebbe sempre amata a modo suo.
Ora però le cose stavano cambiando. Era ad un passo dal
riuscire a metabolizzare la disgrazia successa sette mesi prima e ce la
stava facendo grazie a Melrose.
Grazie ai suoi sorrisi, alle sue chiacchiere solitarie, alle
dimostrazioni d’affetto, alle tacite domande che spesso gli
rivolgeva.
Sobbalzò
non appena sentì il rumore del campanello e poi subito una
chiave girare nella toppa. Tipico di Tom. Suo fratello dava sempre un
trillo e poi, senza attendere, apriva subito la porta con la sua copia
di chiavi.
“Ciao
Bill!” Lo salutò sorridente, appena messo piede in
salotto.
“Ehi
Tomi” Sventolò una mano davanti al viso,
sorridendo debolmente. “Come stai?”
“Molto
bene, tu?”
“Tutto
ok.”
“Scusa
l’ora, ma ti ho visto parcheggiare la macchina, dieci minuti
fa.” Mormorò, raggiungendolo sul divano e
sedendosi di fianco a lui. “Sei... uscito con
Melrose?”
Il
moro annuì, distratto.
“Ti
sei divertito?”
“Si,
abbastanza.”
“E...?”
“E
cosa?” Lo guardò interrogativo, ruotando appena il
capo nella sua direzione, le labbra dischiuse in
un’espressione adorabilmente smarrita.
“Nulla,
nulla.” Scosse la testa, scrollando le spalle.
Calò
il silenzio tra i due, entrambi persi in pensieri diversi, in mondi
differenti. Uno con il fegato che rodeva dalla curiosità,
dalla voglia di sapere cosa aveva questa Melrose di così
speciale. L’altro impegnato a pensare e ripensare alla serata
appena trascorsa, al nodo che gli chiudeva alla gola, ma anche a quella
sensazione di panico alla bocca dello stomaco.
“Così...
insomma..”
“Già...”
“Già
cosa?”
“Non
lo so...”
Sospirarono
in sincronia, per poi guardarsi negli occhi e accennare una risatina.
“Con
Becky come va?” Chiese il moro, guardando una minuscola
macchia sui suoi pantaloni. Avrebbe dovuto buttarli a lavare.
“Becky...
Becky è fantastica.” Sorrise sognante
“Credo sia lei quella giusta, sai?”
“Sono
felice per te. Davvero” Lo guardò intensamente,
con due occhi carichi di sincerità che quasi Tom
tremò sotto l’energia che emanavano.
“E...
con la ragazza del bar?” Chiese Tom, non riuscendo a
nascondere un tono leggermente irritato.
“Si
chiama Melrose.” Precisò Bill, schiarendosi la
voce “Lei... oddio, Tomi, non lo so. È bella,
è simpatica, è dolce e gentile. È
perfetta, oserei dire. Però... no, forse la
verità è che non c’è nessun
‘però’. È così e
basta.” La voce si affievolì e guardò
verso il basso, le sue scarpe da ginnastica consumate sulla punta.
“È
una cosa bella, lo sai questo, vero?” Tom gli
accarezzò una spalla, tenendo la mano ferma lì,
le dita affusolate sulla sua scapola. “Però...
forse la vorrei conoscere”
“Conoscere?”
Boccheggiò Bill all’inizio, ma, poi pensandoci,
non era una cattiva idea. Erano passati due mesi. Tom ne aveva il
diritto: era suo fratello! “Domani sei libero?”
Sorrise, riacquistando un colorito roseo.
L’avrebbe
portato con lui al bar di Melrose.
***
“Ciao
Maggie..” Mormorò. “Lo so, è
passato tanto tempo dall’ultima volta in cui sono venuta a
trovarti, ma lo sai benissimo che per me non è facile.
Affatto. Vorrei riaverti qui, Mag. Vorrei tornare a passare i miei
pomeriggi con te, le mattine all’università...
Rivoglio la mia migliore amica, anche se non è possibile.
Bill sta molto male, lo sai? Certo che lo sai.” Sorrise
amaramente, scuotendo la testa e abbassando gli occhi verso
l’erba fresca appena tagliata. “Gli manchi
terribilmente e Tom è preoccupato. Ha paura che non riesca
più a superare il trauma, ma io confido in lui e nella sua
forza interiore. Sta uscendo con una ragazza, si chiama Melrose e deve
essere una tipa in gamba... Solo che Bill non ce la fa a lasciarsi
andare, non ce la fa a togliersi dalla testa il pensiero di tradirti.
Deve tornare felice, Maggie, ma non ci riesce. Tu... tu vuoi questo per
lui, vero? Vuoi che torni ad essere sereno, no? Certo.. che domanda
stupida. L’unica cosa per cui lottavi quando... quando ancora
eri qui... era la sua felicità. E sono sicura che se la sua
felicità dovesse essere un’altra donna... tu
saresti dalla sua parte, saresti contenta per lui.” Una
lacrima le scivolò sulla guancia, mentre rialzava il viso e
guardava la foto sorridente di Maggie, davanti a lei. “Ora
vado, Tom mi aspetta. Ti voglio bene, amica mia.”
Sospirò, soffiò un bacio in avanti e poi si
voltò verso l’uscita, guardando
quell’immenso cancello in acciaio.
Raggiunse
la sua piccola macchina verde. Salì e mise in moto.
Sfrecciava verso l’appartamento del suo ragazzo e non poteva
impedirsi di pensare e ripensare a Maggie, alla decisione di andarla a
trovare dopo tanto tempo, al magone che le aveva stretto al gola per
l’intera mezz’ora passata a fissare quel muro
bianco e freddo.
Non avrebbe voluto più tornare a casa, ma si rendeva conto
che era un comportamento stupido e di sicuro Margaret le avrebbe dato
della ridicola e le avrebbe detto che doveva essere forte.
Ci stava provando, ci stava provando per se stessa, per la sua migliore
amica, per Tom... Doveva essere forte e ci sarebbe riuscita.
Guardò
per una frazione di secondo fuori dal finestrino e riuscì ad
intravedere una gocciolina percorrere la lastra di vetro. Stava
cominciando a piovere, probabilmente. Azionò i
tergicristalli e sospirò pesantemente.
Aveva
fatto bene ad andare al cimitero, si sentiva più tranquilla
e meno in ansia.
Il
suo telefonino squillò nella borsa, qualcuno la stava
chiamando e già immaginava chi potesse essere quel
‘chi’. Rovistò a casaccio, ficcando la
mano dentro alla borsetta rossa e tirò fuori il cellulare,
guardando la schermata e sorridendo, senza però perdere di
vista la strada di fronte a lei.
Tom.
“Pronto?”
“Becky,
sono io”
“Si,
lo so.” Soffiò una risata, infilandosi
l’auricolare per guidare meglio. Lo sentì
ridacchiare debolmente.
“Senti,
ti dispiace se ci vediamo domani?” Mormorò e
Rebecca non potè impedire ad una fitta di delusione di
sfiorarle lo stomaco. “Stasera Bill mi porta a conoscere
Melrose, riesci a crederci?” Be’, quella notizia
era del tutto inaspettata. Assolutamente imprevedibile e lei ne era
più che felice. Era ora.
“Sono
contenta! Poi mi racconterai.” Sorrise, immaginandoselo
agitato come se stesse per conoscere i genitori della sua fidanzata. Capiterà
anche questo, prima o poi.
“Se vuoi, ci vediamo quando torni”
“Dormi
da me?”
“Se
per te va bene.”
“Altroché!
Aspettami a casa allora, le chiavi le hai.” Le
schioccò un bacio nella cornetta e chiuse la chiamata dopo
averle sussurrato un flebile “Ti amo.”
Rebecca
sorrise.
***
Eccoli,
c’erano quasi. Tom aveva parcheggiato davanti al bar del
signor Schneider, dall’altro lato della strada. Ora non
poteva più tirarsi indietro, doveva presentargliela.
“Che
hai? Sei agitato?” Sorrise il suo gemello, spingendogli piano
una spalla.
“Un
pochino.” Scese dalla macchina e affiancò Tom.
Cominciarono a camminare verso l’entrata, le loro braccia si
sfioravano e ad ogni passo il cuore di Bill faceva un salto
all’indietro.
Esitò
davanti alla porta, poi afferrò saldamente la maniglia con
una mano e la spinse verso l’interno, entrando nel locale ed
incontrando subito gli occhi vispi e felici di Mel. Non potè
non sorridere.
Era dietro al bancone con il suo grembiule verde e i capelli raccolti
in una coda alta. Gli piaceva un sacco quando se li acconciava
così, mettevano in risalto il viso, gli occhi verdi e quel
collo... quel collo bianco candido che lui adorava.
“Bill!”
Ridacchiò, agitando la mano in aria verso di lui.
Probabilmente, ancora non aveva notato Tom.
I
due si avvicinarono, sedendosi su due sgabelli di fronte a Melrose, che
sorrise a Bill e guardò confusa il fratello.
“Oh,
giusto.” Borbottò Bill, imbarazzato.
“Mel, lui è mio fratello Tom. Tom, lei
è Melrose, ti ho parlato di lei.” Con un leggero
sorriso li indicò rispettivamente, guardandoli stringersi la
mano.
“Molto
piacere, è bello conoscerti.” Sorrise la ragazza,
mettendo in mostra i suoi denti bianchi e perfettamente dritti.
“Il
piacere è mio” Annuì Tom, studiandola
attentamente. Era una ragazza a posto. “Finalmente Bill si
è deciso a portarmi a vederti.” Rise, guardando di
sottecchi il gemello che, silenzioso, li osservava. Un sorriso incerto
sulle labbra. “Mi ha molto parlato di te, ero
curioso.”
Melrose
arrossì, imbarazzata. Gli aveva parlato di lei? Davvero?
“Si
be’, insomma..” Bill si schiarì la voce,
portandosi un pugno chiuso davanti alla bocca. “Tu a che ora
finisci?” Chiese, rivolto alla biondina.
“Purtroppo
questa sera non stacco prima di mezzanotte, il signor S ha disperato
bisogno di aiuto. Jessica è in malattia.”
Spiegò, mentre si dava da fare ad asciugare e riporre al
loro posto bicchieri, piatti e posate. “Ma voi rimanete pure,
un po’ di compagnia non mi dispiace.”
“Scusate.”
Tom si alzò in piedi, mettendo le mani sul bancone chiaro.
“Dovrei andare al bagno” Sorrise a Melrose, che,
con un cenno del capo, gli indicò i servizi in fondo al
corridoio sulla sinistra.
“Ti
ho messa a disagio, portandolo qui?” Domandò Bill,
arricciando il labbro inferiore e appoggiando il mento sulle braccia
incrociate sopra al ripiano di legno.
“No,
tutt’altro, mi ha fatto un piacere enorme.” Si
girò verso di lui, con il suo sorriso sereno e rassicurante.
Ogni volta che Bill glielo vedeva dipinto in faccia si sentiva bene.
Bene nel vero senso della parola. Il suo stomaco in subbuglio si
rilassava, i nervi si distendevano e poteva stare sereno. In pace con
il mondo. “E tu... tu ti senti a disagio a stare con lui...
insieme a me?” Deglutì, sfuggendo al suo sguardo.
“Io?
Io... perché dovrei?” Boccheggiò per
pochi secondi, quella domanda non se l’aspettava.
“Non ho niente da nascondergli... no?” Scosse la
testa, confuso.
In
giro si mormora che sia proprio colpa del cantante…
Si dice che abbia cominciato a drogarsi.. e che i componenti della band
lo abbiano sbattuto fuori..
Le
parole di Jess le tornarono alla mente così vivide e potenti
che non le fu possibile cancellarle dalla sua testa. Se n’era
dimenticata. In tutto quel tempo che aveva passato con Bill, imparando
a conoscerlo... non aveva più pensato alla
possibilità che lui avesse problemi con la droga.
Che doveva fare, adesso? Lo aveva lì, davanti a lei,
visibilmente in difficoltà e... insomma, che nascondesse
qualcosa ormai era un fatto certo. Tanto valeva provare, magari avrebbe
potuto fare qualcosa per aiutarlo... in qualche modo.
“Bill
tu... tu hai qualche tipo di... problema, con la droga o che so
io?” Domandò a bassa voce, non guardandolo negli
occhi, mentre serviva un cliente che aveva chiesto una birra media.
“Droga?
Ma che diavolo stai dicendo?” La guardò
sbigottito, gli occhi leggermente più grandi del normale e
la bocca semichiusa.
Melrose
sospirò, fece il giro del bancone e lo prese per un polso.
Una scarica elettrica le attraversò il corpo intero: non si
era mai azzardata a toccarlo. Lo trascinò dietro il bancone,
insieme a lei, e lo fece sedere su uno sgabello lì vicino,
cosicché potessero parlare tranquillamente, lontano da
ascoltatori indiscreti.
“Sto
cercando di dirti che... io credo che tu... tu mi nasconda
qualcosa.” Mormorò, terribilmente in imbarazzo.
Nonostante avessero raggiunto una certa confidenza, si sentiva comunque
indiscreta ad affrontare determinati discorsi insieme a lui.
Bill
serrò la mascella, stringendo i pugni sulle ginocchia.
Doveva mantenere la calma, lei non sapeva niente, non era colpa sua.
Restò in silenzio, non sapendo cosa dire.
“Sei
sempre così schivo e misterioso, Bill.” Scosse la
testa, mortificata. “Io non lo so cosa ti prende,
però vorrei che me ne parlassi. Vorrei che provassi a
confidarti con me. Io... io ti potrei aiutare, che ne so. Ci tengo a
te, e, a sapere che ti butti via così, mi sento male.
Parlami, sono qui, ti posso ascoltare...”
“Melrose,
non è come credi tu.”
“Senti,
Bill, non voglio che tu mi dica bugie, non sono nessuno per farti
questo tipo di discorsi, lo so... però, non lo so, mi
innervosisco ogni volta che usciamo. Sei silenzioso, sei riservato...
ma lo sei troppo, Bill! A volte non parlo per paura di dire la cosa
sbagliata che potrebbe farti scattare, allora preferisco il silenzio.
Non è normale Bill, io sono solare, sono chiacchierona...
È difficile mettermi dei freni, capisci?” Parlava
quasi senza rendersene conto, continuando ad asciugare i bicchieri e a
servire i clienti.
“Melrose,
basta, ti prego.” Bisbigliò, gli occhi
già lucidi. Mel non se ne accorse. Chissà dove si
era cacciato Tom! Probabilmente aveva chiamato Rebecca, ed ora era al
telefono con lei.
“Bill...
Bill, lo sai che se hai qualsiasi problema puoi parlarne con me. Ti
voglio bene, posso aiutarti. Ma se non me ne parli è
difficile. Insieme possiamo cercare di risolverlo, non credi?”
“BASTA!”
Sbraitò, alzandosi in piedi e sovrastandola in tutta la sua
altezza. Mel sgranò gli occhi, guardandolo allibita. Aveva
paura. “Stai zitta, stai zitta! Che cazzo di aiuto vuoi
darmi?! Hai una macchina del tempo? Sai far resuscitare i morti?
Dimmelo Melrose, dimmelo!” Avanzò di qualche
passo, facendola sbattere contro il lavello. I clienti erano girati
verso di lui, tutti quanti. “SAI FAR RESUSCITARE I MORTI?!
RISPONDI!” Le prese un braccio, dandole una scrollata,
rischiando di slogarle una spalla.
“No...”
Bisbigliò con la voce strozzata.
“E
allora non mi sei di nessun aiuto.” Sibilò
lapidario, assottigliando gli occhi.
“Ehi,
va tutto bene?” Chiese Tom, che era arrivato solo in quel
momento ed era riuscito ad afferrare solamente l’ultima frase.
“Scusate.”
Singhiozzò Melrose con le lacrime che le colavano sulle
guancie, trascinandosi dietro anche un po’ di matita nera.
Gettò lo strofinaccio nel lavandino e corse via, nel
retrobottega, lasciando un Bill attonito davanti al bancone.
“Bill,
ma che cazzo hai fatto?” Sbottò Tom. Il fratello
si passò una mano sulla faccia, chiudendo gli occhi e
respirando profondamente. Già, cos’aveva fatto?
“Andiamo
a casa.” Sussurrò pochi secondi dopo, precedendo
il gemello fuori dal locale, sotto gli sguardi increduli di tutti i
presenti, che avevano assistito a quella penosa scenetta.
***
Ciao
a tutte! ^__^
Ecco servito il dodicesimo capitolo di “Ci
sarà”!
Siete contente quanto me? *Q* Uhm, non penso (:
Dunque in questo chap possiamo notare che il nostro Bill sbrocca
abbastanza e Melrose ci rimane molto, molto male. Comprensibile, no?
Prima o poi doveva succedere questa “piccola”
sfuriata, ma le cose si sistemeranno? Uhm, forse sì, forse
no xD State con me per scoprirlo u.u
Il paragrafetto all’inizio di tutto è una poesia
che devo aver letto da qualche parte girando in internet, mentre quella
che segue è la bellissima “Come
saprei” di Giorgia.
Ringrazio di cuore le cinque persone che hanno recensito lo scorso
capitolo :
Tokietta86
: Sicuramente anche Bill è molto preso da Melrose, ma
ammetterlo sarebbe devastante e completamente diverso, purtroppo. Ha
fatto un passo avanti, portando Tom a conoscerla, ma come hai letto le
cose non sono proprio andate secondo i piani. Io comunque tifo per loro
xD Un bacio e grazie, grazie, grazie per esserci sempre!
Memy881
: Oh, ma quanti complimenti ;) Grazie mille, davvero. Sono strafelice
che la storia ti piaccia così tanto! Addirittura un
“puro insegnamento alla vita”? Uhm, no dai.. non
credo di fare così tanto XD Grazie ancora, alla prossima!
_Pulse_
: Divento strabica a leggere le tue recensioni xD Ma lo sai che i boxer
da maialino esistono seriamente? Ahahah dopo te la spiego questa cosa!
XD Comunque sì, sono teneri assai Mel e Alan, io li adoro
*Q* In questo capitolo Tom e Mel non parlano ancora, non molto almeno..
Per quella chiacchierata dovrai aspettare il tredicesimo! ^__^
E COMUNQUE, lo so che Mel e
Bill suonano assai bene insieme u.u Ussì baby, ma non posso
fare i miracoli, ci vuole tempo u.u Intanto Billie ha fatto quel mega
sorrisone largo e splendido! Me lo sono riuscita quasi ad immaginare,
è stato emozionantissimo! Grazie mille Sonne! Ti voglio
tantissimo bene, tua Mondissima! *__*
Sarah92
:
Ma di cosa dovevi angosciarti, quel disegno è una
meraviglia! Io l’ho adorato all’istante (:
Sì beh, so che il primo capitolo è rimasto nel
cuore per la sua carica emotiva, non sei la prima che me lo dice ;)
Forse è stato struggente abbastanza da entrare in testa xD
In effetti, il testo si intrecciava alla perfezione con la canzone di
Raige, proprio perché è stata quella canzone ad
ispirare l’intera storia. Dovete, dunque, ringraziare quel
buon uomo se la mia testolina ha elaborato tutto questo. Senza
“Ci sarà” non avrei avuto
quest’idea sconclusionata.
Riguardo ad Alan, sarà un paradosso, ma la penso come te xD
infatti ho pensato qualcosina per il suo futuro (: Melrose, insomma, se
ne farà una ragione!
Rebecca, come hai detto, è un po’ la coscienza di
tutto, sì. E’ l’unica razionale,
nonostante anche lei soffra silenziosamente per la perdita della sua
migliore amica. Possiamo notarlo anche in questo capitolo, durante la
sua visita alla tomba di Maggie. Se tutta ragionassero come fa lei..
Don’t worry, Giorgio e Gustavo rientreranno nel quindicesimo
e questa volta per rimanere sul serio! Ho solamente dovuto appianare le
cose tra Bill e Mel, ci voleva!
Ti ringrazio per la tua recensione e, soprattutto, per il tempo che
spendi a correggere i miei disastri ^__^ Un abbraccio, Ale!
Dreamer483
:
Oh ma buongiorno, una new entry! :D Ti ringrazio per la tua recensione.
In effetti sì, la malinconia è alla base di
questa storia e, soprattutto, nel personaggio di Bill.
L’abbiamo quasi
sempre trovato solare e allegro, ma in questa fiction le cose sono ben
diverse. Ho voluto sperimentare qualcosa di nuovo, qualcosa di diverso,
ed è stato proprio Guglielmo ad ispirare questa
diversità! Che ci vuoi fare, ha il fascino del bello e
dannato :D
Un bacio e alla prossima!
|
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Capitolo 13 *** Confessione ***
Capitolo
13 - Confessione
“Farti
male, mi fa male
tutto questo dimmi che senso ha”
Arrivò
tremante nel bagno dei dipendenti, si appoggiò al lavandino,
guardandosi allo specchio... Osservando quelle lacrime cristalline che,
di smettere di scivolarle giù dalle guance, proprio non ne
volevano sapere. Le sfuggì un singhiozzo più
forte degli altri, mentre quelle parole rabbiose e cattive le
rimbombavano in testa come se fosse un incubo.
Stai
zitta! Stai zitta! Che cazzo di aiuto vuoi darmi?!
Sai
far resuscitare i morti?
E
allora non mi sei di nessun aiuto
Si
portò le mani davanti al viso, per nascondere gli occhi
gonfi e rossi, sperando... attaccandosi alla remota
possibilità che tutto quello non fosse successo davvero.
Sai
far resuscitare i morti?
Chi
era morto? Di chi stava parlando Bill, quella sera?
Era dunque questo, il suo segreto... Era il dolore della perdita che il
ragazzo di cui si era innamorata si stava trascinando sulle spalle? Non
se lo sarebbe aspettato, non lo avrebbe mai nemmeno lontanamente
immaginato.
Ora
però tutte le cose tornavano perfettamente al loro posto.
Bill si irrigidiva quando si parlava del canto, o della band, o di
qualsiasi fatto della sua vita passata... perché qualcuno di
quella stessa vita non c’era più. Era morto.
Chi?
Chi
non c’era più?
Di
una sola cosa era certa, in quel momento: Bill non aveva alcun tipo di
problema con la droga.
***
“Ma
io vivo nel ricordo che
sgomitando si fa spazio in me
di un amore che purtroppo non sei te...”
Tom
guidava silenzioso, Bill gli aveva appena raccontato a tentoni quello
che era successo tra lui e Melrose, qualche minuto prima. Era
arrabbiato, arrabbiato da morire.
Comprendeva Bill, capiva il suo dolore... perché era anche
il suo. Ma non poteva comportarsi così, non poteva caricare
anche le spalle degli altri. Quella ragazza era stata così
disponibile... invece era stata trattata a pesci in faccia. Non se lo
meritava e Bill doveva capirlo.
“Puoi
continuare a non parlarmi, se vuoi.” Mormorò il
moro, guardando fuori dal finestrino con aria assente. Sapeva che suo
fratello ce l’aveva con lui, sapeva anche
il motivo e gli dava ragione.
Aveva avuto quella stupida sfuriata poco fa... e se n’era
pentito, immediatamente. Se n’era pentito
nell’istante in cui aveva incontrato gli occhi spaventati di
Melrose.
Aveva avuto paura di lui e questo non riusciva a perdonarselo. Non
aveva fatto niente! Anzi, aveva fatto fin troppo per lui, lo aveva
accettato e gli aveva voluto bene per com’era, senza chiedere
nulla in cambio. Era questo il trattamento che si meritava? No, proprio
no. Era uno stronzo. Uno stronzo insensibile.
“Lo so che sei arrabbiato.” Continuò,
sbuffando lievemente.
Tom,
che sembrava rinchiuso in una fase di mutismo, non gli
prestò attenzione, continuando a guidare verso casa,
silenziosamente.
“Okay,
ignorami... Fai bene, me lo merito. Hai ragione.” Bill
sembrava essersi sintonizzato sulla modalità
‘vittima da consolare’, e Tom non potè
impedirsi di rimanerne stupito. Era da un sacco di tempo che Bill non
si comportava così... normalmente. Era da prima della
scomparsa di Margaret che Bill non era più
così... Bill. Sì, non gli venivano in mente altre
parole per descrivere il suo comportamento un po’ infantile.
“A
me basta che tu ti sia reso conto del tuo sbaglio.”
Borbottò, girando a destra e sbucando nel loro quartiere.
Era terribilmente presto, non credeva di dover rientrare appena alle
nove e mezzo di sera! Rebecca sarebbe arrivata solo entro tre quarti
d’ora. “Ora vado a prendere Becky, ci vediamo
domani Bill.” Sospirò, guardandolo scendere dalla
sua auto.
“Tomi?”
Mormorò l’altro, il labbro tremulo.
“Sì?”
“Secondo
te mi vorrà ancora vedere?”
“Non
ci sono dubbi.” Sorrise bonariamente. Era molto probabile che
Bill non avesse notato il modo
in cui quella ragazza lo guardava. Pendeva chiaramente dalle sue
labbra, le brillavano gli occhi e... aveva paura di sapere quale
sentimento nutrisse nei confronti di suo fratello. Il problema, dunque,
era: Bill sarebbe riuscito a gestire una situazione simile?
“Allora
mi scuserò con lei, cercherò di
rimediare.” Abbozzò un sorriso e, accennandogli un
saluto, sparì dentro al portone del suo palazzo.
Tom
sospirò, massaggiandosi le tempie con la punta degli indici.
Si stava demolendo giorno dopo giorno, non ce la faceva più
a continuare così.
Guardò l’orologio, le nove e quaranta.
Lanciò un’occhiata anche al cellulare e... decise.
Decise che avrebbe fatto in tempo a ritornare al bar prima che Rebecca
arrivasse a casa sua.
Doveva farlo. Lo doveva a Bill, soprattutto. Ma lo doveva anche a
Melrose, quella ragazza così... innamorata.
***
“Quanto
amore c’è
pronto a scoppiare in me”
“Mel,
piccola, posso sapere che ti prende? Sei distratta.” Il
signor S la affiancò, scrutandola attentamente. Aveva gli
occhi gonfi e sembrava persa in un altro mondo. Lo avvertiva quando
c’era qualcosa che non andava. Ormai la conosceva come le sue
tasche.
“Scusi,
non mi sento molto bene.” Mormorò, tirando su col
naso e passandosi un braccio sugli occhi. Una piccola bugia che poi,
tanto bugia non era.
“Vuoi
andare a casa?” Le chiese amorevole. “Io e Monica
ce la possiamo cavare, se tu hai bisogno di una serata
libera.” Sorrise, sfilandole di mano lo strofinaccio.
“Forse..
forse è meglio che vada a casa, sì”
Annuì tristemente, slacciandosi il grembiulino e
appoggiandolo nel mobiletto sotto la cassa. “Grazie signor S,
domani le prometto che sarò come nuova.”
Sforzò un sorriso e, cinque minuti più tardi, era
già in strada, diretta verso casa. Sfortunatamente, quella
sera, era a piedi e faceva un freddo cane.
Calciò
un sassolino per terra, prendendo un lungo e profondo respiro.
Quel giorno era così contenta di poter rivedere Bill, di
poter stare ancora un po’ con lui.. non aveva messo in conto
di doversi ritrovare in una posizione così spiacevole. Per
non parlare della curiosità che le rodeva lo stomaco. Voleva
sapere.. voleva sapere se poteva fare qualcosa, qualsiasi cosa per lui.
La morte non si poteva combattere, ma si poteva ricordare con un
sorriso, seppur malinconico. Voleva essere lei a fargli tornare il
sorriso. Avrebbe voluto anche essere il
motivo della sua
felicità, ma non si azzardava a chiedere troppo.
Ficcò
le mani in tasca, continuando a camminare a testa bassa, senza guardare
la strada che stava percorrendo. Sarebbe potuta anche arrivare in capo
al mondo, non le importava.
L’unica cosa che voleva, in quel momento, era Bill. Solo ed
unicamente Bill.
“Ehi!”
Sentì gridare qualcuno, poco lontano da lì, ma
non si pose nemmeno il problema che potessero chiamare lei.
“Melrose!” Si bloccò un istante,
irrigidita, poi si girò ed incontrò un viso
familiare. Tom Kaulitz era a pochi metri da lei e aveva accennato
un’imbarazzante corsetta per raggiungerla.
“Ciao.”
Sfiatò non appena le fu davanti, con il respiro irregolare
di uno che ha appena corso il cento metri.
“Ciao.”
Mormorò Mel “Che ci fai qui?”
“Io...
ho parlato con il proprietario del bar... mi ha detto che ti ha
rimandata a casa, ma che non dovevi essere lontana visto che sei a
piedi...” Sbuffò, riprendendo a respirare
normalmente. “Così... io ti dovrei
parlare.”
“Ah,
e di cosa?”
“Bill.”
“Oh...”
Mormorò, guardando in basso.
“Vieni,
qui si gela andiamo in macchina.” La ragazza annuì
e lo seguì all’interno della sua Audi, in silenzio
e mortalmente imbarazzata.
“Bene.”
Tom si sfregò le mani, il volto adombrato, stava per
affrontare una conversazione piuttosto difficile. “So che tu
ora ti starai chiedendo perché sono venuto fino a qui,
nemmeno ci conosciamo... però, insomma, Bill mi ha
raccontato vagamente quello che è successo tra voi poco fa
ed io penso che tu ora avrai mille e più domande che ti
girano in testa.” Mel non parlò, si
limitò a fare un distratto cenno del capo, esortandolo a
continuare “Mio fratello non sta bene, da un po’ di
mesi a questa parte... ha perso due persone importanti e...”
Si fermò, facendo un respiro profondo, parlarne non
rientrava nelle cose semplici da fare per lui. Guardò di
sottecchi Mel, che lo ascoltava con gli occhi leggermente sgranati,
incollati alle proprie mani che teneva raccolte in grembo.
“Voglio essere diretto, Melrose, oppure non ne vengo
più fuori. L’autunno scorso Bill ha perso la sua
fidanzata, che in grembo portava loro figlio.” La sua voce si
incrinò appena, e il suo corpo fu scosso da un leggero
tremito. “Erano insieme, quando è successo, in
macchina. Hanno fatto un incidente e lei ha sbattuto la testa... i
medici hanno provato a fermare l’emorragia, ma non
c’è stato niente da fare.” Scosse il
capo, sentendo gli occhi pungere.
Melrose
trattenne il respiro e si portò una mano alla bocca. In quel
momento avrebbe voluto scomparire, venire risucchiata da una voragine
buia ed infinita.
“Io...
io...” Balbettò
“Mi
dispiace.”
“Volevo
solo che tu sapessi... che tu, in questo modo, potessi comprendere
l’umore instabile di Bill, i suoi alti e bassi. Vorrei,
vorrei che tu riuscissi a stargli vicino, nonostante il suo
comportamento scostante.” Cercò di sorridere.
“So cosa provi per lui.” Azzardò infine.
“...Cosa?”
Chiese con un filo di voce lei, allarmata. Come faceva a saperlo? Chi
glielo aveva detto?
“Il
tuo sguardo è quello di una ragazza innamorata, non provare
a negarlo. Ti ho vista, li ho visti i tuoi occhi che accarezzano la sua
immagine come se fosse la cosa più bella del mondo. Lo so,
Melrose, so che sei innamorata di lui perché..
perché anche lei
lo guardava così.” L’ultima frase gli
uscì strozzata, come se non volesse realmente dirla, anche
se era pura e semplice verità.
“Io...
io non so che cosa dire. Sì... hai ragione ma...”
Si bloccò, deglutendo e cercando di far ritornare il suo
respiro regolare. “Ne vale la pena?”
“So
com’è fatto Bill, non ti nego che ci
vorrà pazienza e costanza... Ti costerà molti
sacrifici. Però, so anche che lui nutre un immenso affetto
nei tuoi confronti, mi parla spesso di te e ogni volta che lo fa si
perde in un mondo tutto suo. Ci tiene, davvero.”
Socchiuse
la bocca nell’udire quelle parole che mai... mai avrebbe
immaginato di sentirsi dire. Bill ci teneva a lei, le voleva...bene,
quindi?
Sì,
ce la poteva fare... Poteva stargli vicino anche in momenti bui come
quello.
“Tom,
posso... posso farti una domanda, un po’
indiscreta?” Tentennò, ma ormai voleva andare fino
in fondo.
Il
chitarrista annuì, facendole un sorriso e un lieve gesto con
la mano che indicava un ‘via libera’.
“Come...
come ha reagito Bill, subito dopo?” Le uscì
spontaneo quel quesito, lei voleva sapere cosa aveva passato il
ragazzo, prima che loro due si conoscessero. Voleva sapere quanto
aveva sofferto, fino a che punto.
“Il
primo periodo mi sono trasferito a casa sua, volevo stargli vicino,
impedire che si autodistruggesse o facesse qualche cavolata. Ma lui
era... spento, non era più vivo.
Si rinchiudeva in camera sua e spesso passavano anche un paio di giorni
prima che io lo vedessi uscire. Stava nella penombra di quella stanza
per ore. Senza parlare, senza mangiare, senza muoversi. A volte mi
chiedevo... se respirasse ancora.” Guardò fuori
dal finestrino, soffermandosi su un lampione la cui luce tremolava, si
stava per spegnere. Era rotto.
Bill non farà la
fine di quel lampione, Bill non si spegnerà..
“Sono
innamorata di tuo fratello, Tom. Ma... non voglio sostituire nessuno
io.” Bisbigliò, scuotendo la testa. A
quell’affermazione, il ragazzo non seppe come ribattere.
Margaret
non sarebbe mai stata sostituita da nessuno, di questo ne era convinto.
Però, forse, Mel sarebbe potuta diventare il capitolo
successivo, e non quello di sostituzione.
“Come
saprei, amarti io
nessuno saprebbe mai.
Come saprei, riuscirci io
ancora non lo sai”
***
Si
mise raggomitolato sul divano, con una tazza di the tra le mani e una
coperta di pail ad avvolgere il suo corpo magro e rinsecchito.
Aveva freddo e il senso di colpa lo stava uccidendo. Non voleva farle
del male, non voleva proprio... ma puntualmente ogni volta rovinava
tutto con uno dei suoi deliri interiori.
Doveva
cercare di riparare ai suoi danni, e rendersi conto che Melrose era
viva, era reale... ed era lì per lui. Voleva stargli vicino
e lui la allontanava sempre di più, quando invece
l’unico suo desiderio era di averla sempre accanto.
Sospirò
sconfitto. Aveva distrutto tutto con il suo comportamento che, seppur
in un qualche modo giustificato, era esagerato... almeno nei confronti
di quella povera ragazza innocente.
Il
suono del campanello lo fece sussultare. Alzò lo sguardo
verso la porta, guardandola incerto, chi poteva essere? Tom era fuori
discussione, in quel momento probabilmente era a casa con Becky. Si
alzò dal suo comodo divano, ciabattando fino
all’uscio, aprendo incerto la porta.
Non
si sarebbe mai aspettato di vedere lei.
“Ciao.”
Mormorò Melrose, le gote leggermente arrossate.
“Mi ha accompagnato qui tuo fratello.”
Mormorò, rispondendo alla sua tacita domanda.
“Io...”
Non fece in tempo a ribattere che si ritrovò la biondina tra
le braccia, le sue mani sulla schiena e la testa piena di folti capelli
dorati appoggiata al petto.
Boccheggiò
non sapendo cosa fare, inerme a guardare quella testolina appoggiata a
lui... Poi, ritrovando in sé la forza e il coraggio, ma
soprattutto l’affetto che nutriva per Mel... le
circondò le spalle in un abbraccio un po’ goffo,
stringendosela forte contro il petto, respirando il profumo dolce dei
suoi capelli, e cercando di imprimerselo nella memoria.
Si
chinò, incerto, e le posò un bacio sulla nuca,
appoggiandoci subito dopo il mento sopra e rimanendo in quella
posizione per minuti eterni che sembrarono ore.
“Vieni...”
Mormorò poi, ricomponendosi e guardandola addolcito.
Scrutandola in quegli occhi lucidi e ancora tristi. “Dobbiamo
parlare.”
La
guidò verso una poltrona e la fece sedere, per poi
accomodarsi di fronte a lei.
“Volevo
dirti che mi dispiace se prima...”
“No”
Lo interruppe lei, portando una mano avanti con un sorriso incerto
sulle labbra. “Non sono qui per questo. Lo so che ti dispiace
e che non volevi, lo so. Ti ho già perdonato Bill, sai che
non potrei essere arrabbiata con te.” Sospirò,
guardando verso il basso, si stava contorcendo le dita. Era
terribilmente in ansia, non sapeva se stava per fare la cosa giusta.
“Voglio
essere sincera fino in fondo con te, Bill. E per farlo ho bisogno che
tu sappia quali sono i miei sentimenti nei tuoi confronti...”
Mormorò, azzardando un’occhiata in sua direzione e
notando che aveva sgranato di poco gli occhi.
“Non
dirlo, ti prego...” Sussurrò lui. Non era pronto,
non era pronto ad una cosa del genere.
“Non
mettermi freni ti supplico, è già abbastanza
difficile così.” Melrose scosse la testa
mortificata. Sapeva che non era facile nemmeno per lui, ma lei non
poteva portarsi avanti questo peso... Doveva dirglielo, lui doveva
sapere! E poi.. poi avrebbe preso una decisione.
“Io...
ti amo, Bill...”
Il
silenzio che ne seguì fu, in tutta la vita di Mel, una delle
cose che la ferirono di più.
“Scusa...”
Continuò poi, sentendo le prime lacrime fare capolino dai
suoi occhi stanchi. Si alzò dalla poltrona e si diresse
verso l’uscita, non poteva sostenere il suo sguardo addosso
per un secondo di più.
Bill
sentì i suoi passi svelti allontanarsi, udì la
porta sbattere con un tonfo ovattato da quel silenzio irreale... poi
più niente. Il nulla.
Rimase fermo immobile come una statua per un lasso di tempo che parve
eterno, il respiro leggermente irregolare e gli occhi vitrei.
Il dolore che sentiva pungolargli il petto era peggio di qualsiasi
tortura fisica, faceva male. Tanto male che, se solo ci fosse riuscito,
si sarebbe accasciato a terra e avrebbe pianto... avrebbe pianto.
Mel era scappata via... Era scappata via da lui e dal suo egoismo.
In quei due mesi aveva sempre dato per scontata la sua presenza e la
sua vicinanza, senza preoccuparsi dei suoi sentimenti, delle sue
emozioni.
Lo amava. Lo amava e glielo aveva appena detto. Solo... non credeva che
potesse farlo angosciare tanto.
Era felice? Non lo sapeva, non riusciva a decifrare i pensieri che,
confusi, alloggiavano nella sua testa. Non riusciva ad isolarli e a
renderli parte di sé.
Sapeva solamente che la gioia che provava in quel momento era strana,
difettosa... era una gioia consapevole di non poter essere vissuta
pienamente.
Strinse
i pugni sopra alle ginocchia e un singhiozzo gli sfuggì
dalle labbra.
Era
bello, era contento, era... era affranto. Lui non voleva farle del
male, non voleva ferirla. Ma sapeva di non poter vivere fino in fondo
quel sentimento. Ce n’era un altro che non gli lasciava
tregua, un altro sentimento non più profondo, non
più importante, solo... diverso.
Maggie era un marchio a fuoco nella sua vita. Un marchio che nessun
altro amore, nessun’altra vita avrebbero mai potuto
cancellare. Lei c’era, la sentiva nell’aria che
respirava ogni giorno... solamente, non avrebbe mai più
potuto vivere di lei. Erano passati sette mesi e mezzo e solo ora se ne
rendeva conto.
Melrose
invece era viva, era tangibile. Era l’allegria nelle sue
giornate adombrate da ricordi dolorosi e lontani. Era il presente, che
gli ricordava che per lui poteva esserci ancora un futuro... e non solo
l’angoscioso passato che gelosamente si teneva stretto al
petto, con il terrore che qualcuno potesse portargli via la sua
memoria, i suoi pensieri, il suo amore verso qualcuno che non
c’era più.
Poteva
essere lei quella donna che gli avrebbe restituito parte della
felicità che ormai credeva di aver perduto per sempre?
Bill
sorrise. Un sorriso sincero. Sorrise e in
quell’apparentemente insignificante curvatura di labbra
c’era Melrose, c’erano Margaret e il loro bimbo mai
nato, c’era Tom, c’era Rebecca, c’erano
Georg e Gustav.
C’era
una nuova vita.
“...Io ci
metterò, tutta l’anima che ho”
***
Buongiorno!
^___^
Dunque, questo capitolo a me piace moltissimo. Non so bene il
perché ma mi piace *-*
Soprattutto i pensieri di
Bill alla fine!
Le canzoni che ho inserito sono “Io
non credo nei miracoli”
di Laura Bono
e sempre “Come
saprei” di Giorgia.
Sono bellissime, ve le consiglio.
Spero che anche a voi sia piaciuto questo capitolo che, ormai,
è il tredicesimo ragazze!
Vi confesso che non ho ancora idea di quanti saranno in totale, per ora
ne ho pronto solo un altro, visto che ho “sospeso”
la mia attività fino alla fine della scuola. Ancora una
settimana e poi ricomincerò a scrivere, magari
più tranquilla visto che sarò mooolto meno
stressata (:
Ringrazio velocemente: memy881, _Pulse_, Dreamer483, Layla, Tokietta86
e Sarah92.
Non ho moltissimo tempo, scusate! Ma tanto lo sapete che vi amo *____*
Grazie
anche a tutti gli altri, voglio bene anche a voi (;
Un
bacio enorme, Ale.
|
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Capitolo 14 *** Avvicinarsi ***
Capitolo
14 - Avvicinarsi
“Ma
perché non riesco a viverti
come io vorrei..”
Erano
passati due lunghissimi giorni, Bill non aveva più sentito
Melrose.
Lei non l’aveva più cercato, forse stava
aspettando una sua mossa,
il suo primo passo. Non lo sapeva, sapeva soltanto che gli mancava da
morire. Avrebbe voluto averla vicina, in quel momento, ma sapeva di
non poter chiedere così tanto. Mel gli aveva fatto una
confessione
importante e tutto quello che le aveva saputo donare in cambio era...
il silenzio. Puro e rumoroso silenzio.
Il
giorno prima aveva visto Georg e Gustav, avevano pranzato insieme e
si erano ripromessi di vedersi qualche giorno più tardi.
Bill gli
voleva bene, era felice di avere la possibilità di
recuperare
l’amicizia con loro. Un passo alla volta ci stava riuscendo,
si
stava rimettendo in piedi.
Tirò
un calcio ad un paio di calzini che si trovavano in mezzo alla sua
camera e si alzò dal letto, non ne poteva più di
restare a poltrire
sotto le coperte.
Come ogni mattina il suo sguardo si posò sulla
cornice che teneva incollata al comodino. Guardò quel viso
pulito e
candido... e sorrise. Un sorriso ampio, vero.
“Buongiorno
Maggie.” Arrossì, non aveva mai parlato con una
foto, tanto meno
con quella foto. Si sentiva un tantino stupido, ma
dopotutto
era solo a casa. Che male c’era? “Stanotte ho preso
una decisione
importante, Sai? Vorrei parlare a Mel di te...
dell’incidente, del
bambino.” La sua voce si spezzò, nel ricordare
l’accaduto. Prese
un respiro profondo e continuò. “Lei è
stata onesta con me,
voglio esserlo anche io... sebbene non possa farlo fino in fondo. I
miei sentimenti nei suoi confronti, rimarranno con me... almeno un
altro po’” Mormorò, guardando in basso.
“Mi manchi...”
Soffiò, prendendo tra le mani la fotografia e accarezzandone
la
superficie con la punta delle dita. “Mi basterebbe sapere che
secondo te è giusto che io mi crei un’altra
vita... e sarei capace
di vivere fino in fondo ogni cosa. A partire da quello che provo
verso Melrose.” Sospirò, rimettendo la foto al suo
posto e
alzandosi in piedi. Lui già sapeva che Margaret avrebbe
voluto solo
la sua felicità.
E allora perché per lui era così difficile
ammetterlo?
***
“Io
non credo nei miracoli
tu sei stato per me l’eccezione,
anche
solo per un attimo
ma sai che ci ho creduto in noi”
Mise
le mani sotto il getto dell’acqua fredda, lavando via tutto
il
sapone che c’era sopra, poi si avvicinò ad un
asciugamano e se le
asciugò.
Si
fermò un istante, guardando riflesso nello specchio il suo
viso
pallido e le occhiaie più marcate del solito. Nelle ultime
due notti
non aveva dormito molto bene, anzi.. non aveva dormito per niente.
Si
era imposta di non chiamare Bill, di non lasciarsi andare alla
tentazione di prendere il cellulare e comporre il suo numero. Aveva
parlato e adesso... adesso spettava a lui farsi risentire, farla
capire che non ce l’aveva con lei e che voleva continuare a
vederla, nonostante quella piccola verità che adesso fosse
venuta a
galla.
Sarebbe
stato imbarazzante rivederlo, già lo sapeva... Sarebbe morta
di
vergogna e avrebbe desiderato sotterrarsi, ma per lo meno adesso
stava in pace con se stessa.
“Chi
è adesso?” Sbuffò, recuperando il suo
telefonino che aveva appena
suonato dalla camera adiacente. Lo raggiunse con una corsetta e
aprì
il messaggio che le era appena arrivato.
Vengo
a prenderti tra poco, fatti trovare pronta. Dobbiamo parlare. Bill.
Rimase
con il cellulare in mano, la bocca semi spalancata e gli occhi
sgranati. L’aveva cercata! Le aveva mandato un messaggio e
tra poco
si sarebbero rivisti!
Il cuore fece un salto all’indietro nel
suo petto, non sarebbe potuta essere più felice di
così. Schizzò
nella sua camera, lanciando un gridolino emozionato. Fortunatamente,
era sola a casa. Arrivò davanti all’armadio e lo
aprì, tirando
fuori un paio di jeans e una felpa, poi ritornò in bagno per
prepararsi.
Inspirò
ed espirò velocemente, poi tirò la maniglia verso
il basso ed aprì
la porta, uscendo fuori all’aria aperta.
Attraversò il cortile,
seguendo il sentiero di cemento. Sapeva che lui era già
arrivato,
aveva sentito il rombo della sua macchina e, tirando la tendina,
l’aveva visto parcheggiare davanti al cancello di casa sua.
Uscì
in strada facendo un respiro profondo e camminando a passo di marcia
verso l’Audi di Bill. Ci arrivò davanti e, aprendo
lo sportello,
entrò dentro senza dire una parola. L’imbarazzo
era alle stelle,
si poteva percepire a chilometri di distanza.
“Ciao
Mel.” Esclamò lui, stupendola con un sorriso che
mai, mai, mai gli
aveva visto addosso. Non era una semplice curvatura, era un sorriso
ampio, pieno, felice. Era un sorriso che non credeva di poter vedere
sulle sue labbra perennemente imbronciate.
“Ciao..”
Mormorò stordita, dimenticandosi per un attimo di tutto
l’imbarazzo
che provava a stare con lui e quella distanza ravvicinata, dopo la
loro ultima conversazione. Deglutì, notando che lui non
accennava a
smettere di sorridere. “Come stai?” Chiese, dunque.
“Molto
bene!” Annuì e, per la prima volta, non ebbe la
sgradevole
sensazione che lo stesse dicendo solo perché si sentiva
obbligato.
Stava bene per davvero. “E tu?”
“Io?
Oh.. io.. sì, io tutto perfetto.” Tirò
su un pollice, annuendo
velocemente, facendo oscillare la testa come uno di quei ridicoli
pupazzetti con la molla.
“Benissimo,
allora si parte.” Ridacchiò, riaccendendo il
motore della macchina
e schizzando via con una sgommata. Chissà dove la stava
portando.
Dal
canto suo, a Bill dispiaceva fare finta di niente, fingere che la
dichiarazione che si era sentito fare non fosse mai esistita. Ma era
difficile gestire quella situazione insolita e, per lui, sconosciuta.
“Mentre
mi difendo
sento che vorrei proteggerti da me.”
Melrose
guardava fuori dal finestrino, serena. Era tranquilla e per la prima
volta da quando aveva cominciato a frequentare Bill, poté
ascoltare
la musica uscire dalla radio che era installata in macchina. Non era
mai successo.
Sospirò
rasserenata, girandosi appena verso di lui, senza farsi vedere.
Guidava con un perenne sorrisino dipinto in faccia. Gli faceva quasi
paura, era tutto così nuovo e diverso da come era abituata.
Non
se ne rese neanche conto quasi, ma la macchina si fermò. Si
guardò
intorno spaesata, riconoscendo la stradina di campagna in cui Bill
l’aveva portata appena qualche giorno prima. Erano stati
benissimo
all’aria aperta, quel pomeriggio.
“Dai,
vieni. Facciamo una passeggiata.” Sorrise lui, uscendo
dall’abitacolo ed invitandola a fare lo stesso.
Presero
a camminare lungo il sentiero ghiaioso, incrociando un passo davanti
all’altro, le braccia penzoloni che ciondolavano di qua e di
là.
Bill
guardava oltre le basse colline, che erano situate aldilà
della
staccionata di legno scuro. Il sole si stava alzando nel cielo
limpido e azzurro ceruleo.
Melrose guardava Bill. Lo guardava e
non riusciva a farne a meno, era cosi bello illuminato dalla luce di
quel mattino di frizzante primavera.. splendido.
“Tu
sei stata sincera con me, l’altra sera.”
Iniziò Bill, guardando
in basso e arrossendo appena. Stava per cominciare un discorso
assolutamente tabù per lui. Almeno fino a quel momento.
“Voglio
esserlo anche io, nei tuoi confronti... Voglio raccontarti la mia...
storia, se così la possiamo definire.”
Il
cuore di Melrose saltò un battito: le stava per raccontare
la
tragedia successa lo scorso autunno, quella che già Tom le
aveva
anticipato. Lo stava facendo, si stava confidando con lei!
Non
sapeva se essere felice perché finalmente le stava donando
la sua
fiducia, oppure essere triste e terribilmente amareggiata per la fine
di quel racconto... che lei sapeva già.
Decise
di far finta di nulla, di ascoltare le parole fluire veloci dalle
labbra del moro, che guardava un punto imprecisato davanti a lui,
l’espressione persa e vacua.
“Quasi
quattro anni fa ho conosciuto una ragazza, si chiamava Margaret e
aveva più o meno diciotto anni. Ero con i ragazzi in un
locale di
Amburgo, le cose tra noi non andavano benissimo ultimamente:
litigavamo spesso per via delle decisioni da prendere nella band e
persino David non riusciva a farci ragionare, nemmeno il nostro
manager. Così avevamo deciso di passare una serata tra noi,
come non
succedeva da troppo tempo. Siamo andati in questo pub, dove
c’era
musica dal vivo, tante cose da bere e tante ragazze. Avevo diciannove
anni. Ero giovane, ingenuo e anche un po’ superficiale...
volevo
solo divertirmi.” Fece una breve pausa, facendo segno a
Melrose di
sedersi sul muretto alto che c’era alla fine del sentiero.
Lui
rimase in piedi, appoggiato al cemento, di fianco alle sue gambe
lunghe e magre. “Sono andato nella zona vip, vicino al
bancone del
barman per chiedere un cocktail ed ero ancora sobrio ma non volevo
ubriacarmi, solo bere qualcosa... per animare la serata. Mi ricordo
quel momento come fosse ieri. Ho fatto un passo verso il barista e mi
sono ritrovato rovesciato addosso un liquido rosato e appiccicoso.
Quando ho alzato gli occhi infuriato, pronto a far pagare le pene
dell’inferno a chiunque avesse osato farmi un tale
affronto... ho
incontrato i suoi occhi grandi e mortificati, e, in un attimo, mi
sono dimenticato di tutto. Mi sono dimenticato dov’ero, mi
sono
dimenticato cosa stavo facendo... mi sono dimenticato
perché, un
secondo prima, ero così incazzato.”
Abbassò lo sguardo,
accennando un sorriso amaro e rassegnato. “Nel giro di due
minuti
quella ragazza misteriosa si era scusata, mi aveva pagato da bere e
mi aveva trascinato ai servizi per cercare di rimediare al danno. Era
mortificata, così... dispiaciuta. Mentre mi puliva la
camicia scura
mi raccontò che era la sua festa post maturità:
era uscita con
cento e voleva festeggiare insieme alle sue compagne di classe. Mi
raccontò che abitava in un paesino vicino a Magdeburgo, che
aveva
diciotto anni, che si chiamava Margaret, che aveva due cani e un
gatto, che le piaceva un sacco andare in montagna, stare
all’aria
aperta, bere la cioccolata con la panna montata sopra...”
Sorrise,
nostalgico. “Era logorroica, la sua parlantina era quasi
equiparabile alla mia. Sarà per questo che quella sera
nessuno
riuscì a scollarmi da quel divano. Stavo così
bene insieme a lei
che non me ne sarei andato nemmeno se mi avessero avvisato che
l’apocalisse era alle porte.” Sospirò,
guardando di sottecchi
Melrose. Stava seguendo ogni sua parola, in silenzio e con
un’espressione contrita in faccia. Continuò.
“Non so quale forza
ci spinse tanto oltre, fatto sta che non più di due ore dopo
ci
stavamo baciando su quegli stessi divanetti bianchi. La baciavo e
nemmeno la mia natura riservata e un po’ vergognosa mi
impediva di
farlo davanti a tanta gente. Non mi importava che qualcuno ci
vedesse: stavo bene così e bastava quello.”
Melrose fremette,
aveva paura di arrivare all’inevitabile fine di quella triste
storia. Sentirla raccontare dal diretto interessato doveva essere
decisamente peggio. “Dopo quella sera se ne sono susseguite
moltissime altre ancora. Siamo stati insieme tre anni. Lo scorso
settembre le ho chiesto di venire a vivere con me, era incinta ed io
volevo solo il meglio per noi e per il nostro bambino... il nostro
bambino...” Si fermò, cercando di far tornare
regolare il respiro
che si era fatto affannato. Rispolverare quei vecchi ricordi, che
ormai credeva archiviati nella sua mente, era peggio di una fucilata
in pieno stomaco. Ma doveva... voleva continuare, voleva arrivare
fino in fondo. Sentiva che, se non lo avesse fatto, non si sarebbe
mai liberato definitivamente. “Era il tredici settembre, lei
doveva
andare all’università, io dovevo incontrarmi con i
ragazzi per
parlare del tour invernale. Aveva accettato, quella mattina, mi aveva
detto che sì... sarebbe venuta a vivere con me. Ero felice,
ero
davvero felice. La sera ho aspettato che tornasse
dal lavoro:
volevo portarla fuori a cena e festeggiare il trasferimento
imminente, volevo passare una serata tranquilla con lei... era
così
raro, visto tutti i miei impegni con il gruppo e le sue lezioni
all’università. Siamo... siamo partiti
e...” Il respiro gli si
bloccò a metà strada, senza arrivare alla gola.
Aveva bisogno di
aria, si sentiva male. Si portò una mano al petto,
stringendo nel
suo pugno ferreo la stoffa della felpa nera che indossava e serrando
gli occhi sotto lo sguardo attento e allarmato di Melrose che, anche
se l’avrebbe desiderato con tutto il cuore, non
riuscì ad
avvicinarsi per toccarlo, accarezzarlo. “Guidavo piano...
Guidavo
piano, te lo giuro.” Bisbigliò, la sua voce resa
gracchiante dal
senso di oppressione al petto. Sembrava che qualcuno gli si fosse
seduto a peso morto sul torace, era insostenibile.
“Bill...”
Mormorò Mel con la voce tremula e impotente.
“Bill, non è
necessario...” Continuò, sentendosi morire a
vederlo ridotto in
quello stato.
“No...
no...” Scosse la testa energicamente, come per scacciare via
quell’atroce malessere. “Sto bene, vado
avanti.” Annuì
vigorosamente, convincendosi. “Non ricordo molto bene
com’è
successo. Ricordo solo che le avevo fatto un complimento, che stavamo
ridendo... poi tutto si è confuso. I rumori, i colori, tutto
è
diventato strano e non ho capito più niente, se non che la
macchina
stava girando su sé stessa, che si stava accartocciando, si
stava
fracassando su di noi. Ho urlato, Dio solo sa quanto urlato, ma
Maggie.. Maggie era immobile e zitta, sembrava pietrificata sul
sedile. Quando l’auto si è fermata, era capovolta,
mi sono girato,
ma Margaret aveva chiuso gli occhi e sulla testa le si era formata
una grossa macchia di sangue... lì per lì... non
avrei mai
immaginato che... che quegli occhi... quegli occhi non li avrebbe
aperti mai più...” Si fermò nuovamente,
una lacrima gli spuntò
dall’occhio, tracciando il suo viso diafano per tutta la
lunghezza
della guancia, fino ad arrivare al mento. “La corsa in
ambulanza è
stata dolorosa, io stavo bene ma... ma non sapevo dove fosse la mia
Maggie né cosa avesse, non mi dicevano niente. Al pronto
soccorso mi
hanno fatto aspettare un sacco di tempo, ero in ansia... Ero
terrorizzato, avevo paura per lei, ne avevo da morire. Mi sentivo a
terra perché sapevo che il nostro bambino, comunque
sarebbero andate
le cose, non sarebbe sopravvissuto. Avevamo lottato tanto e adesso
tutto si stava distruggendo. Ma, suonerà egoistico lo so,
non mi
importava. L’unica cosa che desideravo con tutta la mia anima
era
che mi avvisassero che quella di Maggie era solo una botta e che
poteva tornare a casa. Invece... invece poi è venuto fuori
il medico
e... e mi ha detto che l’emorragia era in una fase troppo
avanzata.
Che... che... non c’era stato niente da fare... che la mia
Margaret
era... morta.” Soffiò strozzato
dall’agonia che stava risalendo
a galla, ritornando indietro di sette mesi, a quella sera che aveva
segnato la fine della sua vita perfetta, del suo mondo perfetto,
della sua famiglia perfetta.
Si coprì il viso con le mani,
cercando di ricacciare indietro le lacrime che, però, non
riusciva a
trattenere.
Era
partito così positivo quella mattina, così felice
e sorridente...
consapevole che, però, la giornata non poteva che
concludersi in
maniera diversa.
Melrose
non si trattenne, scese dal muretto con un saltello e gli fu davanti.
Gli prese i polsi, allontanandoli dal suo volto umido e sofferente, e
se li portò dietro la schiena, avvolgendogli il corpo con le
braccia, stringendolo forte e facendogli capire che lei
c’era, che
lei... ci sarebbe sempre stata.
Bill
si aggrappò a lei disperatamente, stringendola
così tanto da
rischiare di soffocarla, ed artigliò una mano tra i suoi
capelli,
mentre l’altra vagava sulla sua schiena in cerca di un
appiglio, in
cerca d’aiuto. L’abbracciò come se non
avesse abbracciato mai
nessuno in vita sua, come se fosse la sua unica fonte di salvezza.
“Bill...”
Mormorò lei, non riuscendo a trattenere
quell’unica lacrima che le
segnò il viso. “Bill...”
Ripeté nuovamente il suo nome. Non per
un motivo preciso, solo... non sapeva cosa dire e si sa, quando non
si sa che cosa dire il silenzio è una delle scelte
più sagge al
mondo.
***
Aprì
la porta di casa con una mandata di chiavi, entrando nel suo
appartamento con un sorriso stanco ma sereno sulle labbra.
Era
stato un bel pomeriggio, dopotutto.
“Mel
no, non credo sia il caso... dai...” Aveva sussurrato davanti
al
cortile di casa sua. “Mi sento in imbarazzo.”
Confessò, gli
occhi ancora rossi e leggermente gonfi dopo lo sfogo avuto appena
un’ora prima.
“Su,
non fare il timido... dopotutto anche io ho conosciuto tuo fratello.
E tu non mi avevi nemmeno avvisato che lo portavi con te al
bar!”
Ridacchiò, cercando di spazzare via tutta la
negatività che li
aveva avvolti fino a quel momento. Aveva deciso di portarlo a casa,
approfittando del fatto che mamma era fuori città a fare
visita ad
una vecchia e barbosa zia, per farlo conoscere al suo fratellone.
“E
poi Alan già ti adora!”
“Come...
mi adora?” Chiese scettico, mentre attraversavano il giardino
ed
arrivavano davanti al portone.
“Beh...”
Arrossì violentemente, maledicendosi per non tenere mai
chiusa
quella boccaccia. “Diciamo che gli ho un tantino
parlato di
te.”
“Ah,
ora capisco...” Si morse un sorriso, guardandola suonare il
campanello e attendere, senza mai incrociare il suo sguardo. Era
imbarazzata e si vedeva.
“Finalmente
Mel, stavo per chiamare la polizia e darti per disper-“ La
voce
canzonatoria di Alan si bloccò non appena, aperta
definitivamente la
porta, notò che la sua sorellina non era da sola,
bensì in dolce
compagnia. “Oh.” Mormorò, visibilmente
stupito. Non avrebbe mai
creduto di ritrovarsi proprio lui sulla soglia di casa.
“Ahm,
ciao.” Bill alzò una mano vicino al viso,
facendola oscillare
leggermente a destra e a sinistra, sorridendo appena.
“Ciao!
Che piacere conoscerti, entra!” Lo accolse caloroso Alan,
facendo
entrare il ragazzo e la sorella, per poi richiudere la porta alle
loro spalle. “Ti offro qualcosa? Da bere, da
mangiare?”
“No,
no... non ce n’è bisogno, grazie lo
stesso.” Sorrise Bill,
mortalmente imbarazzato.
Istintivamente,
cercò la mano di Melrose, vicino alla sua. La prese e la
afferrò
saldamente nella sua, senza guardarla o sarebbe definitivamente
scoppiato di vergogna.
Mel
guardò le loro mani intrecciate, poi occhieggiò
Bill, poi di nuovo
la propria mano stretta nella sua. Sorrise.
Alan,
che aveva visto tutto, fece finta di niente, indirizzando un
occhiolino alla sorella, senza farsi scoprire dal moro.
“Allora
dimmi, com’è che sopporti ancora questa
pazza?” Ridacchiò,
indicando con l’indice Melrose, che si era seduta sul divano,
trascinandosi dietro anche Bill.
“Oh,
non è poi così difficile...” Sorrise il
ragazzo, scuotendo la
testa e accennando una risatina. “Piuttosto, mi stupisce che lei
sopporti ancora me.” Le gettò
un’occhiata profonda e
intensa, e le fece capire che in quella breve frase se ne
nascondevano molte altre. Lei aveva capito.
Aveva capito cosa
intendeva dire e gli avrebbe dato dello stupido... perché
mai, mai,
mai si sarebbe sognata di lasciarlo perdere e non cercarlo
più,
nonostante il suo umore incontrollato.
“Aaahhh
Mel è testarda e possessiva! Ha sopportato me per diciannove
anni,
non è cosa da poco!” Scherzò,
guardandola sorridente.
Bill
le strinse ancora di più la mano, intrecciando le dita con
le sue e
accarezzandone il dorso con il pollice, mentre continuava a parlare
sorridendo insieme ad Alan.
Il
cuore di Melrose fece una piroetta non appena avvertì il suo
tocco
freddo, che però bruciava come un tizzone ardente sulla sua
pelle
fresca.
Guardò
il viso di Bill, che in quel momento stava parlando, e nella sua
stretta riuscì a decifrare una richiesta d’aiuto,
un piccolo modo
per dirle che non se ne doveva andare, per dirle che la voleva
accanto a sé.
Non
me ne andrò Bill, è una promessa.
“E
non andare mai via
perché fino a che rimani
sarai tu il
migliore dei miei mali”
***
Dunque,
buonasera! So di essere abbastanza in ritardo, ma direi che in questo
periodo ho avuto non pochi problemi. Prima la scuola, poi il mio
computer andato, tranquillamente, a farsi friggere, poi _Pulse_
qui da me. Beh, lei non è proprio un
problema, ma vabbè
xD Insomma, il succo è che non ho avuto la
possibilità di postare,
però so che voi mi adorate talmente tanto che me la farete
passare
liscia XD Anche perché questo è l'ultimo capitolo
pronto che ho,
quindi dovrò mettermi sotto a scrivere! Ma abbiate fede, ho
tutto
dentro la mia testolina malefica u.u
Le canzoni che ho inserito
sono : “Io non credo nei miracoli”
di Laura Bono e
“Un fatto ovvio” di Laura
Pausini.
Ringrazio
dal profondo del mio cuoricino :
_Pulse_
: L'ho già detto che le tue recensioni mi destabilizzano,
vero? Sono
troppo piene e troppo intricate xD Ne esco sempre pazza, ma ti voglio
un mondo di bene anche per questo u.u Sono assai felice che il
capitolo ti sia piaciuto, il tuo parere e sempre quello più
importante. The best ovviusly! Con la prossima recensione ti guadagni
altri punti, sei felice? XDDD Ti voglio tantissimissimissimo bene
Sonne! Tuissima, Mond.
Memy881
: Ciao! Beh, insomma.. la ferita è ancora abbastanza aperta
nonostante siano passati quasi otto mesi, Melrose e Bill si conoscono
da tre.. lei quel sentimento lo prova, perché reprimerlo? E
Bill..
povero piccolo Bill, cosa gli combino ogni volta. E' normale che si
sia sentito spiazzato, però insomma, in quest'altro capitolo
ha
aggiustato un po' le cose, no? Grazie mille per la recensione! Alla
prossima!
Dreamer483
: Sono molto contenta che il capitolo ti piaccia! Melrose,
sì, è
ammirevole, lo devo proprio dire. Io, personalmente, non ce l'avrei
fatta xD.. Meglio poche parole ma buone (: Alla prossima!
Layla
: Grazie davvero! Anche a me piace moltissimo la coppia Bill/Mel.
Tifo per loro dall'inizio xD
Tokietta86
: Tom diciamo che in questo capitolo funge da paciere, è
stato un
po' la causa di tutto. Bravo Tomi! :) La parte delle riflessioni di
Bill è quella che preferisco dell'intero capitolo.
Ome hai letto
Bill è andato da Melrose. Certo, dopo due giorni,
però meglio tardi
che mai!
Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto, grazie
mille per la recensione a quello precedente. Un abbraccio e alla
prossima! :)
Un
bacio anche a tutto quelli che leggono sempre ma non recensiscono e a
quelli che hanno inserito questa fanfiction tra le seguite e/o le
preferite. Grazie, grazie, grazie! *__*
Ale
|
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Capitolo 15 *** Una svolta decisiva ***
PICCOLO
APPELLO : Sì, sono proprio io, e vi
chiedo scusa! So che
è passato tantissimo tempo, ma non ho avuto word per
più di un mese
(da suicidio ._.) e quindi per scrivere ho dovuto aspettare un sacco
di tempo!
Ora sono qui con il quindicesimo capitolo, decisamente
più lungo degli altri, giusto per farmi perdonare xD
Ci
risentiamo a fondo pagina per i ringraziamenti!
Capitolo 15
– Una svolta decisiva
[Un
mese dopo]
“E' strano
tornare qui.. dopo tutto
questo tempo” Mormorò il biondo, in piedi di
fianco all'amico,
mentre insieme guardavano davanti a loro la lapide bianca e le
lettere dorate che formavano il nome di Maggie.
“Sembra quasi
passata una vita.”
Ribatté l'altro, tirando un lungo sospiro mentre chinava il
capo,
guardandosi le scarpe leggermente consumate sulla punta.
“Secondo te
accetteranno?” Gustav
si girò verso il bassista, che si strinse nelle spalle.
“Non lo so.
Sarà Bill l'osso duro da
convincere..” Georg scosse la testa, lasciando ondeggiare i
suoi
capelli lunghi. “L'unico motivo per cui Tom potrebbe
tentennare è
Rebecca; ma si tratta di un paio di settimane, non dovrebbe essere un
problema.”
“E' stato bello
venire qua.” Il
batterista cambiò discorso, riportando i suoi occhi sulla
foto che
lui stesso aveva scattato appena un paio d'anni prima.
“Già..”
Sospirò nuovamente,
stringendosi una mano dentro l'altra. “Ora è
meglio se andiamo,
faremo tardi..” Accennò un sorriso al muro davanti
a lui “Ciao
Maggie” Soffiò, appena prima di rigirarsi e
dirigersi verso la
macchina che aveva parcheggiato proprio davanti agli alti cancelli
del cimitero.
Gustav si
soffermò a guardare la tomba
qualche secondo di più, gli occhi che pungevano e il naso
che
pizzicava. “Ciao piccola” Sussurrò, poi
seguì l'amico.
***
“Tranquilla
mamma, non ti
preoccupare” Sorrise rincuorante “Starò
via solo un paio d'ore,
per cena sono a casa. Ciao Alan!” Salutò anche il
fratello che
stava guardando la televisione.
“Ciao
Mel!”
Melrose uscì di
casa, avviandosi verso
la sua macchina. Sarebbe andata a pranzo da suo padre e avrebbe
passato qualche ora dl pomeriggio insieme a lui.
Era tanto che non lo vedeva
e l'ultima
volta che era stata a casa sua, a Berlino, non avevano parlato molto.
Mentre guidava verso la
stazione dei
treni, Melrose temeva che il suo rapporto con lui si stesse col tempo
deteriorando.
Non voleva, nonostante sin da piccola aveva sofferto
per le eccessive attenzioni che lui nutriva nei confronti di Alan
piuttosto che nei suoi, gli voleva bene, era il suo papà.
Sospirò
nostalgica, accelerando appena
e svoltando l'angolo. La stazione le si presentò davanti
imponente
e, per la prima volta, difficile da raggiungere.
Parcheggiò
velocemente, facendo finta
di non pensare a quel fastidio che sentiva all'altezza del petto, e
camminò a passo deciso verso l'entrata.
Mise una mano in borsa e
ne tirò fuori il biglietto che aveva acquistato il giorno
prima, lo
fece timbrare e, qualche minuto più tardi, era
già sul treno
diretto a Berlino.
Stava quasi per assopirsi
quando il suo
cellulare cominciò a vibrare nella tasca dei suoi pantaloni.
Appena
ne guardo la schermata scoprì che era Bill.
“Pronto,
Bill?”
“Ciao
Mel” La sua voce sembrava
serena, le piaceva quando era così. Sorrise tra
sé e sé,
rilassandosi sul suo sedile. “Come stai?”
Continuò lui.
“Abbastanza bene,
sto andando da
papà. Tu?”
“Io sono a casa,
avrei voluto passare
il pomeriggio con te, ma non fa niente.” Una punta di
delusione
rovinò il suo tono dolce e melodioso.
“Sarà per domani... Vero?”
“Sicuramente”
Mormorò.
Si rimproverò
del pensiero che le
balenò in testa, ma proprio non riusciva a smettere di
pensare che,
forse, avrebbe preferito passare il suo tempo con Bill piuttosto che
con suo padre.
L'amore che nutriva per l'uno era diverso da quello
che provava per l'altro. Bill era...Bill. Lo amava come se fosse una
tredicenne alle sue prime armi. Con il cuore che esplode nel petto
appena lo vede, le guance che si infuocano, le gambe che
tremano..
Mentre l'amore per suo padre era stato intaccato da
troppe bugie, da troppe urla e troppi litigi. Era rimasto l'amore che
una figlia può provare verso suo padre, ma non c'era niente
di più.
Nulla di magico, nulla di profondo.
“Ehi, ci sei
ancora?”
“Sì,
scusa, pensavo.” Scosse la
testa, riprendendosi. “Ti chiamo appena torno questa sera, va
bene?
Poi devo andare dal signor S, magari vieni con me.”
“Va benissimo,
ma.. c'è qualcosa che
non va?”
“Sono solo
preoccupata per oggi,
tutto qui. E' un po' che non vedo mio padre.”
Balbettò con gli
occhi lucidi “Non voglio litigare anche questa
volta”
“Mel, stai
tranquilla.. Andrà tutto
bene, vedrai.” La confortò Bill, sospirando
pesantemente. Avrebbe
voluto essere con lei in quel momento. Non le piaceva sentirla
triste.
Sapeva che in quel momento stava male e lui non poteva
stare con lei per farla stare meglio. “Io sono con
te.” Gli
sfuggì.. ma non se ne pentì più di
tanto.
“Sì”
Sorrise “Lo so.”
“Stai
male?”
“Un
po'.”
“Non devi,
è solo tuo padre..”
“Solo mio
padre..” Ripeté,
ridacchiando amaramente. “Ci sono troppe cose non dette tra
noi,
troppi rancori irrisolti. Ogni volta è come non essere
nemmeno con
lui, siamo troppo distanti..”
“Mi dispiace,
posso fare qualcosa per
te?”
“Basta che ci
vediamo più tardi”
Ridacchiò stancamente.
“Certo, allora a
più tardi?”
“Sì,
ciao..” Soffiò, poi chiuse
la chiamata e cominciò a guardare fuori dal finestrino il
paesaggio
che scorreva veloce intorno a lei.
“E
fa male quando dici che stai male
e non sto con te...
E
fa male col dolore che t'assale
e
non sto con te...”
***
“Becky, ti
richiamo. Suonano alla
porta, ciao piccola!” Schioccò un bacio nel
ricevitore del suo
cellulare e si diresse verso l'entrata.
Aprì e si
ritrovò davanti i suoi
vecchi amici sorridenti.
“Ciao
Tom” Lo salutarono, entrando
in casa.
“Ciao ragazzi,
come mai qui?”
Richiuse l'uscio dietro di loro e gli fece cenno di sedersi sul
divano. “Come state?”
“Piuttosto
bene” Prese parola Georg
“Volevamo proporti una cosa.”
“Abbiamo
preferito venire prima da
te...” Lasciò in sospeso la frase, lasciando
intendere che poi
avrebbero dovuto affrontare lo stesso discorso anche con Bill.
“E'.. successo
qualcosa?”
“Non ti
preoccupare, non è successo
niente.” Sorrise Georg, rincuorante. “Io e Gustav
abbiamo pensato
molto in questo periodo” I due si lanciarono uno sguardo
d'intesa
“Abbiamo pensato alla musica, alla band.. e..”
“Insomma,
Tom” Lo interruppe il
batterista, vedendolo in difficoltà. “Abbiamo
quattro biglietti
per la Grecia, due settimane. Sarebbe come.. un ritiro, un modo per
concederci del tempo solo per noi, come ai vecchi tempi.” Si
aggiusto gli occhiali sul naso “Un modo anche per pensare a
cosa
vogliamo fare, se vorremo ricominciare d'accapo..”
Tom scosse la testa e si
schiarì la
voce, frastornato. Si portò una mano su una tempia.
“Due settimane in
Grecia.”
Riassunse il tutto. “Per pensare.” Aggiunse.
“Non è
una costrizione..” Azzardò
il bassista.
“Io la trovo una
cosa fantastica”
Sorrise apertamente, allargando le braccia.
“..
Davvero?” Gustav si sporse con
il busto in avanti, forse per trovare una traccia di falsità
nel
viso di Tom. Non ce n'era nessuna traccia,, fortunatamente.
“Sì,
davvero! Mi mancate ragazzi, mi
manca la nostra musica.. e sono sicuro che anche a Bill manca da
morire, solo.. non vuole rendersene conto. Spero che non faccia
troppi problemi e che si accorga che può ricominciare,
insieme a
noi.” Sospirò, deglutendo.
“Sarà restio all'idea probabilmente
solo per Melrose. Mi sono accorto che non può stare tanto
lontano da
lei..” Abbozzò un sorriso. “Ma lo
convincerò” Esclamò poi,
cambiando argomento e annuendo vigorosamente con la testa.
“Sarebbe
importante per tutti e
quattro, lo sai.” Sorrise Gustav.
Sì, sarebbe
stato decisamente
importante. Ma erano importanti anche i sentimenti di Bill, e per
quella ragazza ne provava di decisamente grandi. Anche se non lo
ammetteva.
***
“Ciao
papà” Sorrise, entrando nel
piccolo appartamento dell'uomo.
“Ciao
Mel” Oskar la fece entrare e
accomodare al tavolo della cucina, dove aveva già
apparecchiato
tutto con cura. “Da mangiare c'è il bacon con
l'uovo, ti piace
no?”
“Sì..
la mamma li faceva sempre”
Mormorò, appoggiando la borsa nella sedia affianco alla sua.
Quella
frase doveva essere una piccola frecciatina, che però l'uomo
parve
non cogliere.
“Allora, come va
a scuola?” Esclamò
Oskar con enfasi, sedendosi a tavola dopo aver servito se stesso e la
figlia.
“Papà,
non vado più a scuola..”
Scosse la testa la ragazza, portandosi alla bocca il primo boccone.
L'uovo era buono, il bacon un po' bruciacchiato.
“Ah,
già..” Stiracchiò un
sorriso, cominciando a mangiare in silenzio. Tutto il pranzo venne
consumato in silenzio, fatta eccezione per qualche piccola frase di
circostanza: “Ti piace?” “Mi
passi il sale?”
Appena mezz'ora dopo
Melrose era
davanti alla televisione, seduta sul divano arancione, abbracciando
un piccolo cuscino di pelle.
Il padre, dopo aver
sparecchiato e
pulito il piano di cottura, la raggiunse e si sedette di fianco a
lei.
“Papà..”
Mormorò lei, senza
staccare gli occhi dallo schermo “Perché hai fatto
finire tutto
così”
“Tesoro.. ne
abbiamo già parlato,
tra me e tua madre c'erano delle incomprensioni e non-”
“Oh per
favore!” Sbottò, spegnendo
velocemente il televisore “Puoi infinocchiare la mamma con la
storia delle incomprensioni, ma non me!” Si girò a
guardarlo,
assottigliando gli occhi.
“Ma.. che stai
dicendo..”
“Avevi un'altra
donna ancora prima di
separarti dalla mamma..” Non era una domanda, Melrose lo
sapeva.
Era una delle classiche cose che ti senti in fondo al cuore.
“Dimmela
ora la verità. Ora che non hai più niente da
perdere.
L'uomo abbassò
la testa, sospirando e
scuotendola debolmente.
“Non ho mai avuto
l'intenzione di far
soffrire tua madre.” Cominciò. “Ma
quando ho conosciuto Karla
non pensavo poi di arrivare fino a questo punto. Ho cercato di tenere
nascosta la mia relazione con lei, per evitare sofferenze a voi. Ma,
evidentemente, non ci sono riuscito.” Si portò le
mani sul viso e
continuò a scuotere la testa.
“Perché?”
Melrose trattenne a
stento le lacrime, sentiva gli occhi pungerle fastidiosamente, ma non
voleva piangere per nessuna ragione al mondo. Doveva essere forte,
una volta per tutte.
“Spesso non
c'è un perché a cose
come questa.. è successa, Mel. Mi sono innamorato.”
Mi sono
innamorato..
Aveva ragione. Aveva
maledettamente
ragione! Non c'era un perché a cose come quella. Non si
poteva
scegliere di non innamorarsi o di chi innamorarsi.
Nemmeno
lei aveva scelto, era successo. Amava un ragazzo che faticava ad
amare persino se stesso, che non si ricordava più cosa
voleva dire
vivere.. Che però la cercava, che voleva stare con lei.. che
le
sorrideva, che l'ascoltava..
“Hai
ragione.” Sussurrò. “Hai
ragione..” Rialzò il viso, guardandolo con gli
occhi lucidi “Io..
volevo solo dirti che mi manca averti a casa, nonostante
tutto.”
“Vieni
qui..” Balbettò lui,
accogliendola tra le sue braccia.
...E per Mel, quello, fu
come un déjà
vu.
“Melrose
stai attenta, non
correre!” Urlò Oskar in direzione della bambina.
“Stai vicino a
tuo fratello!”
Mel, cinque anni e
tanta voglia di
giocare, continuava a pedalare al fianco del fratello maggiore Alan.
Aveva tolto le rotelline dalla sua bicicletta appena un paio di
giorni prima, era ancora un po' inesperta ma se la cavava bene.
“Alan,
sono più veloce io”
Strillò verso il fratello. “Guardami!”
“No, Mel
vai più piano, papà si
arrabbia”
La bimba si
voltò all'indietro,
cercando con lo sguardo il padre, che correndo tentava di
raggiungerli. Sorrise nel vederlo così affannato.
Successe tutto in
fretta. Non si era
accorta di aver messo il piede male sul piccolo pedale e si era
ritrovata per terra, addossata ad un albero, con le gambe incastrate
nella bicicletta.
Cominciò a piangere, più per lo spavento che
per il dolore. Non sentiva poi tanto male.
“Mel!”
urlò suo padre, correndo
verso di lei e inginocchiandosi. Tirò sul la bicicletta con
una mano
e la spostò via.
Melrose
incontrò gli occhi
spaventati di Alan, che la guardava immobile, poi vide quelli
preoccupati di suo padre e ricominciò a piangere
più forte.
“Vieni
qui..” Mormorò Oskar,
abbracciandola forte e consolandola con parole confortanti
all'orecchio.
“Ti voglio bene
papà” Sorrise tra
le lacrime.
“Anche io
piccola, anche io..”
***
“Un viaggio in
Grecia?”.. Ripeté
per l'ennesima volta, guardando suo fratello e mordicchiandosi il
pollice. “Partenza, dopodomani?”
Cosa doveva fare? Se ci
pensava si
trovava diviso in due parti.
Gli sarebbe tanto piaciuto
partire con
i suoi amici, cambiare aria per un po', stare con loro come non
succedeva da troppo. Ma non avrebbe mai voluto separarsi da Melrose,
non in quel momento in cui tutto stava lentamente prendendo una
forma.
Stava veramente iniziando a capire i suoi sentimenti.
Sapeva per certo quello che provava quando la guardava e quando lo
faceva lei. Quando starci insieme era diventata quasi una
priorità
su tutto..
Non sapeva cosa decidere.
“Sarebbero solo
due settimane Billie.
Pensaci.”
Due settimane..
Solamente a pensarci gli
sembravano un
lasso di tempo insormontabile. Ma forse quella breve separazione gli
sarebbe servita a capire tante cose, forse doveva provarci..
Si stiracchiò
sul divano di casa sua.
Ormai era deciso.
“Sì,
possiamo provarci..” Sorrise
e Tom gli sorrise di rimando, battendogli un leggero pugno sulla
spalla. “Dovrò dirlo a Mel, stasera..”
Si incupì appena,
stringendosi nelle spalle.
“Lei
capirà, Bill.. Non ti devi
preoccupare.” Il sorriso rincuorante sul viso di suo fratello
ebbe
il potere di convincerlo. “Ora devo andare, Becky arriva tra
poco”
Si salutarono
frettolosamente e poi
Bill rimase solo. Solo con i suoi pensieri.
Si avviò verso
il bagno, lasciando la
luce spenta. Era giugno, le giornate erano più lunghe e
quindi i
raggi di sole filtravano dalle persiane aperte per metà.
Si guardò allo
specchio, studiando i
suoi lineamenti.. le sue occhiaie. Gli occhi erano più
ridenti di
come li aveva lasciati qualche mese fa, più sereni..
nonostante
dietro di loro si celasse ancora un profondo dolore.
Forse era questo il motivo
per cui con
Mel non si lasciava andare.. Aveva paura che la gente intorno a lui,
vedendolo felice, vedendolo vivere di nuovo.. non capisse quanto
ancora il suo dolore fosse grande.
Sospirò.
Però non poteva nemmeno
continuare così, a nascondersi dietro un dito.
“Io
non lo so chi sono
e mi spaventa scoprirlo,
guardo il mio volto
allo specchio
ma non saprei disegnarlo”
La sera le avrebbe parlato
dell'imminente viaggio.
***
“Cazzo, cazzo,
cazzo” Bofonchiò,
rigirando la zuppa di verdure che stava preparando.
Si asciugò le
mani sul grembiulino che indossava e, poggiando un dito sopra la
pagine, seguì le righe del libro di cucina. “Un
pizzico di sale.
Uhm, facile questo.” Aggiunse il suddetto pizzico di sale e
poi
rimescolò la brodaglia con il mestolo che stringeva in una
mano.
“Ancora cinque minuti e sarai pronta, maledetta
zuppa!” Rise da
solo, sentendo la serratura scattare. Becky era arrivata.
“Tom!”
Come volevasi dimostrare.
“Sono in cucina,
vieni” La ragazza
arrivo pochi secondi dopo, travolta dall'abbraccio di Tom , che le
strinse la vita. “Il tuo fantastico ragazzo ti ha preparato
la
cena.”
“Oddio, non ci
credo!” Rise,
portandosi le mani davanti alla bocca. “Porti un grembiule da
cucina! Ed hai in mano un mestolo!” Lo prese in giro,
continuando a
guardarlo e a ridere. Lui si imbronciò, facendo il finto
offeso.
“E io che mi sono
impegnato.”
“Dai amore, cosa
mi hai cucinato di
buono?” Sorrise, abbracciandolo di lato.
“Una
suntuosissima zuppa di verdure
vegetariana!” Sorrise a trentadue denti, alzando il mestolo a
mezz'aria come fosse uno scettro.
“Oh.
Buona.” Esclamò poco
convincente Rebecca.
“La
verità è che.. non so cucinare
nient'altro.” Mormorò lui. “Di solito
mangiò cose
preconfezionate”
Becky si
avvicinò a lui e gli portò
via il mestolo dalle mani, appoggiandolo sul piano della cucina.
Cominciò a lasciargli una lunga scia di baci dal collo verso
l'alto.
Sulla mandibola, sul mento, all'angolo della bocca, per finire poi
sulle labbra, cominciando a mordicchiarle piano.
Le mani di Tom si
posarono sui suoi fianchi, spingendola contro il muro e baciandola
più insistentemente, mentre con una mano le accarezzava i
capelli
scuri sulla nuca.
Inutile dire che la zuppa
non venne
nemmeno assaggiata.
***
“Ci vediamo
domani sera signor S!
Buonanotte!” Agitò la mano in aria, salutando
l'uomo che era
rimasto dietro al bancone.
“Buonanotte
Mel!”
Quella sera, dopo la visita
a suo padre
era tornata a casa, aveva cenato in fretta e furia e si era
precipitata al bar.
Una volta lì aveva avvisato Bill di non
venire, perché c'era troppa gente e non sarebbe riuscita a
dedicargli attenzioni. Lui si era offerto di passarla a prendere una
volta finito il turno, e allora eccola lì che camminava in
direzione
dell'Audi ormai conosciuta.
“Ciao
Bill” Lo salutò sorridente,
una volta entrata nell'abitacolo.
“Hey
Mel” Sorrise nervosamente lui,
mettendo in moto e sgommando via. “Ti spiace se andiamo da
me? Devo
parlarti.”
Mel rimase interdetta.
Annuì incerta e
non parlò più per il tempo restante.
Arrivati davanti
all'appartamento di Bill scesero dall'auto e camminarono fianco a
fianco fino al portone e poi su per le scale, fino ad arrivare
all'ingresso.
“Mi stai facendo
preoccupare”
Mormorò Melrose, entrando in casa. Appoggiò la
borsa
all'attaccapanni e si sedette sul divano, aspettando Bill che si
accomodò di fronte a lei.
“Dopodomani
parto.” Lanciò la
bomba, dopo un lungo silenzio speso a guardarsi negli occhi.
“Cosa..?”
Mormorò strozzata,
sentendo le lacrime salirgli agli occhi e l'aria mancargli. Quella
rivelazione fu peggio di una scarica di pugni.
“Saranno solo due
settimane!” Si
affrettò a dire, vedendola scossa “In Grecia, con
i ragazzi.
Dicono che ci farà bene un viaggio tra di noi. Per parlare,
pensare.. Non so cosa porterà questa 'vacanza'”
Scrollò le
spalle, abbassando lo sguardo.
“Io non voglio
che tu te ne vada..”
Bisbigliò
“E' poco tempo,
Mel..” Scosse la
testa. “Tornerò e non ti sembrerà
nemmeno che sono partito”
Sorrise, cercando di essere il più rincuorante possibile.
“Con te.. mi
sento libera di essere
me stessa, senza paure.. Non voglio che quando torni tu sia diverso.
Non voglio che questo viaggio ti cambi.” Continuò,
minacciando di
scoppiare da un momento all'altro.
“Non
cambierò, te lo prometto. Sarò
il solito Bill, depresso e mal curato.” Tentò di
scherzare,
nonostante si sentisse uno stracciò.
“Oh,
Bill..” Bisbigliò, alzando
una mano ad accarezzargli la guancia “Credi di essere
così?..
Bill.. darei la vita pur che tu vedessi come ti vedo io. Basterebbero
trenta secondi con i miei occhi, e allora capiresti che tu... tu sei
un mondo Bill, sei il tutto concentrato in una persona, sei-”
Non
riuscì a completare quella frase, perché due
labbra fredde ma
morbide premetterò con insistente dolcezza contro le sue. Ci
impiegò
a capire che quel bacio era di Bill, che quelle labbra che
continuavano a muoversi sulle sue appartenevano al ragazzo che
desiderava da mesi.
Ancora incerta e presa da un'euforia interiore
ricambiò quel bacio che, piano piano, diventava
più sofferto e
voluto disperatamente da entrambe le parti.
Il ragazzo la
abbracciò e la strinse a
sé, lasciandole scivolare sulle spalle le spalline della
canottiera
che indossava. Le passò le mani sul collo, avvicinandola
ancora di
più e accarezzandola dappertutto.
Melrose era sconvolta, non
si
immaginava che potesse succedere tutto così velocemente.
Alzò
esitante una mano e gli accarezzo il petto. Si sentì cadere
all'indietro e allora capì che l'aveva spinta lui, che ora
si
trovava sopra di lei con le mani tra i suoi capelli biondo
dorato.
Lentamente cominciò a sbottonargli la camicia scura.
Bill cadde in un momento di
trans, non
capì più nulla mentre lei gli baciava il collo
con dolcezza e gli
accarezzava la pancia. Il suo cervello andò in tilt e non
capì più
quello che succedeva..
“Oh,
Maggie..” Sospirò con gli
occhi socchiusi, lasciandosi andare.
Solamente quando
sentì il corpo di Mel
irrigidirsi sotto al suo e la vide trattenere il respiro..
capì di
aver appena commesso un errore imperdonabile.
Melrose gli prese le spalle
e lo spinse
a sedere. In prede all'ansia si aggiustò la canottiera e i
pantaloni, le lacrime avevano appena cominciato a segnare il suo viso
diafano.
Non ci credeva, non voleva crederci. Sentiva il petto
allargarsi in una voragine buia ed infinita.
Lui non sarebbe mai
riuscito ad amarla veramente, c'era qualcuno che
glielo
impediva e lei non voleva mettersi in mezzo rischiando di fargli
più
male.
“Mel.. scusa.. io
non” Il cuore gli
affondò nello stomaco, lo sentì precipitare e
schiantarsi con un
colpo secco.
“Scusami tu, non
sarei dovuta venire.
Dovevi riaccompagnarmi a casa..” La gola le bruciava
maledettamente
e nonostante facesse di tutto per reprimere e lacrime non ci
riusciva.
Afferrò la sua
borsa e uscì
sbattendo la porta. Cominciò a correre verso casa, senza
fermarsi,
voleva arrivare il più presto possibile e parlare con Alan.
“CAZZO!”
Urlò, scaraventando a
terra il vaso sul tavolino in salotto. “COGLIONE,
COGLIONE!”
Gridò ancora, guardando ansante i cocci del vaso che si era
appena
frantumato. “Perché...” Chiese a
chissà chi, mentre un nodo gli
stringeva la gola.
“E
fa male quando non sono all'altezza
di
star con te...”
***
“Calmati, non
è successo niente..”
Bisbigliò, tenendola abbracciata nel suo letto, mentre le
accarezzava la nuca.
“Io non voglio
farlo soffrire, ma
sento che sto sbagliando tutto..” Scosse la testa
ostentatamente,
stringendo i pugni sulla maglia di Alan.
“Ehi
piccola!” Le alzò il mento,
costringendola a guardarlo negli occhi. “Devi metterti in
teste che
lui quella ragazza non se la dimenticherà mai. Ma questo non
significa che non potrà amare qualcun altro allo stesso
modo.”
Sorrise. “So che vorresti tanto essere la sua
felicità, il motivo
dei suoi sorrisi.. Ed è normale, perché
è bello potersi sentire
importanti per qualcuno.”
“Ho sbagliato ad
andarmene via così”
Si prese la testa tra le mani “Ha già sofferto
tantissimo e io mi
sono messa a fare le scenate.”
“E' naturale che
ti sia sentita
ferita. L'importante è che tu capisca che lui non aveva
l'intenzione
di farti del male.”
“Grazie
fratellone! Se non ci fossi
tu sarei persa!” Sorrise asciugandosi gli occhi e alzandosi
in
piedi, alla ricerca del suo cellulare.
***
Appena sentì il
suo cellulare
squillare ci si fiondò sopra e scoprì, con un po'
di delusione, che
era solo un messaggio. Nessuna chiamata.
Se non altro era di Mel..
“Ho
avuto una reazione eccessiva,
lo so, perdonami. Ti prometto che imparerò a convivere anche
con
lei, perché sono consapevole che in un modo o nell'altro
sarà
sempre con te.
Io ti amo, Bill. E sono pronta a sopportare
qualsiasi cosa per te. Ricordatelo.”
“Mi
fa male quando nonostante tutto
tu scegli me...”
***
Eccoci qua!
Allora, vi è piaciuto
un pochino ino? *___*
Passo direttamente ai ringraziamenti, senza
perdermi in ciance inutili u.u :
_Pulse_
: Eccoti servito il tuo Tom in grembiule e mestolo xD Sei
felice?
Io sì *Q*
Come sempre le tue recensioni sono lunghe e
contorte, quindi amor ti ringrazio e basta XD Grazie mille Sonne, tu
ci sei sempreeee *__* I love you so so so so so so muuucchhh!
Layla
: Sono felice che lo
scorso capitolo ti sia piaciuto e spero che quest'altro non sia stato
da meno *__* Grazie mille, alla prossima!
Dreamer483
: Ovviamente Bill
non potrà mai dimenticare Maggie, lo abbiamo visto anche in
quest'utimo capitolo, però può imparare a
superare il dolore e a
ricordarla con un sorriso.
Melrose.. adoro questo personaggio! E
adoro allo stesso modo anche Alan! E' il fratello maggiore che non ho
e che vorrei tanto.. Mi accontento di quello più piccolo xD
Un
bacio e grazie!
Memy881
: Bill e Mel si
stanno avvicinando sempre di più, sì. Hanno
ancora molta strada da
fare. Ce la faranno? ^__^ Grazie mille!
Ika92
: Ti ringrazio, mi fa
un piacere enorme, davvero! Spero continuerai a seguirmi *__*
Tokietta86
: Bill ha fatto
molti passi in avanti da quando conosce Mel. Certo, ci sono molti
altri nodi da sciogliere, ma siamo a buon punto e lui ce la sta
mettendo tutta (:
Una bella coppia.. Uhm, lo spero tanto! XD
Alan
lo adoro *__* Lo vorrei io come fratello, è l'ideale!
Spero di
non avervi fatto aspettare troppo e spero ti sia piaciuto! Grazie
mille per le tue immancabili recensioni, un abbraccio!
Grazie a tutti gli
altri! Chi legge
senza recensire, chi ha inserito questa storia tra le preferite e le
seguite e blablabla v.v Amo tutti indistintamente (Un po' di
più chi
recensisce xD )
Alla prossima
gente! Vostra,
Ale
|
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Capitolo 16 *** La lontananza ***
ATTENZIONE:
E'
un'emozione grandissima postare questo capitolo. Sono passati
tantissimi mesi e per questo vi chiedo mille volte scusa. Ho passato
un brutto periodo e non ho più scritto quasi nulla
dall'estate
scorsa a questa parte.. “Ci sarà” era
rimasta lì in un angolo
del mio computer e non avevo più la voglia e l'ispirazione
per
scriverla. C'ho impiegati tantissimo tempo per scrivere questo
capitolo e ora che la crisi mistica è un po' passata lo
voglio
postare.. Spero di ritrovare le mie vecchie lettrici e spero che non
siate troppo arrabbiate con me. Anche se ne avreste tutti i diritti
;)
Ringrazio enormemente chi ha recensito lo scorso capitolo, vi
voglio un sacco di bene!! ENJOY, Ale
P.s. La canzone
è “La paura non
esiste” di Tiziano Ferro.
Capitolo 15
– La lontananza
La Grecia era
meravigliosa. Era bello
tutto: il sole, il mare, la spiaggia sempre gremita di persone.
Persino gli alberi avevano qualcosa di più magico.
Si portò
lentamente la sigaretta alla bocca, prendendo un' altra breve boccata
di fumo. Chiuse gli occhi ed espirò piano, sentendo la
leggera
brezza della sera scompigliargli i capelli.
La vista da quel
terrazzo era mozzafiato, avendo allo stesso tempo un che di
malinconico che però non guastava. Puntò lo
sguardo all'orizzonte,
verso il tramonto purpureo di fronte a lui.
La casa che avevano
affittato per quelle due settimane era in pieno centro e se si
sforzava riusciva a sentire i canti popolari che gruppi di ragazzi
incoravano quasi ogni sera in spiaggia, attorno ad un falò.
Scaldava
il cuore percepire così tanta felicità nell'aria.
La poteva
respirare a pieni polmoni, sentirla dentro, sentirsi.
Per la
prima volta riusciva a sentirsi ed era davvero
bello.
Fece
un respiro profondo, lanciando il mozzicone oltre il parapetto e
aggrappandosi saldamente alla ringhiera con entrambe le mani. Erano
passati solo tre giorni dal giorno in cui erano partiti. Solo tre
giorni e Mel gli mancava da morire.
"Tornerò fra
appena due settimane, Mel" Abbozzò un sorriso, tirandole su
il
mento con due dita "Non piangere dai.." Sospirò,
asciugandole le lacrime che continuavano a rotolarle sulle
guance.
"Mi mancherai.." Sorrise mestamente. Gli prese i
polsi e li allontanò piano dal suo viso "Però
sono felice che
tu possa passare del tempo con loro.." Fece un gesto verso la
macchina parcheggiata poco più avanti. Tom, Georg e Gustav
erano già
dentro all'abitacolo ad aspettare il cantante.
Bill sospirò
ancora. Mille pensieri gli affollavano la mente. Non avrebbe mai
rinunciato a quel viaggio, perchè era una seconda
possibilità che
gli veniva donata su un piatto d'argento, era un'occasione che non
poteva e non voleva lasciarsi sfuggire.. Però Melrose era
diventata
davvero importante per lui e vederla così gli spezzava il
cuore. Gli
spezzava, almeno, quei pochi brandelli che gli erano rimasti.
"Anche
tu mi mancherai" Deglutì, lasciando cadere mollemente le
braccia lungo i suoi fianchi spigolosi. "E lo dico davvero, Mel.
Se non ci fossi stata tu nell'ultimo periodo forse.. forse ora sarei
ancora chiuso in casa senza vedere nessuno oltre Tom."
Abbassò
il capo, guardando verso il basso "E invece tu mi hai curato.. e
hai placato la mia rabbia verso tutti. Perchè ero incazzato,
ero
incazzato davvero con tutto il mondo. Ero incazzato perchè,
in
fondo, mi sentivo più morto.. di lei." Inspirò ed
espirò un
paio di volte.
"Bill, devi guardarti dentro, non capisci? Lei
vive in te.. E' dentro di te e lo sarà sempre, non ti
lascerà
mai.." Scosse la testa malinconica. Tra loro cadde un opprimente
silenzio.
"Come ci riesci?" Sussurrò, deglutendo il
nodo che gli aveva chiuso la gola.
"A fare che cosa?"
"Come
riesci a dirmi queste cose, ad essere così buona,
così
comprensiva.. A non.. odiarla."
"Ti amo.."
Singhiozzò. "Ti basta come risposta?" Spazzò via
le
lacrime con gli indici e si guardò i pieidi.
"Bill è tardi,
perderemo l'aereo" Bill voltò di poco il capo e vide Gustav
affacciato al finestrino della macchina, un sorriso tenero dipinto
sulle labbra. Rientrò nell'auto e il moro si
rigirò verso
Mel.
"Devi farmi una promessa"
"Quale?"
Aggrottò le sopracciglia, arricciando le labbra.
"Devo
trovarti ancora qui, come sei, al mio ritorno. Non mi devi lasciare,
devi aspettarmi e devi starmi accanto, perché.. tu nemmeno
immagini
quanto bene mi fai.."
"Io non vorrei mai lasciarti,
Bill. Ma tu continui a lasciare me." E quelle leggere lacrime
che aveva fino a quel momento tentato di limitare, esplosero e
cominciarono a scendere a fiotti dai suoi occhi verdi.
Io non
vorrei mai lasciarti, Bill. Ma tu continui a lasciare me. Era
veramente una frase orribile. Era orribile ed era anche la
verità...
la verità era orribile perché lo era stato lui
per primo. Con lei,
con Tom, con tutti.
Quelle poche parole gli riecheggiavano nelle
orecchie in ogni momento, come un incessabile, martellante eco. Si
inchiodavano nel cervello e lì restavano. A tartassarlo. A
logorarlo. Come si meritava.
"Come
quando
ovunque andrai e ovunque non c’è luce
Come sempre
chiunque parli sempre una voce"
"Bill" si girò
verso l'interno della stanza e vide Tom che avanzava verso di lui,
uscendo in balcone e guardando il cielo. "E' una bella serata"
constatò, per poi girarsi e guardarlo negli occhi,
serenamente.
"Già" annuì "La Grecia è proprio
bella, sai? E' stata una magnifica idea questa vacanza"
"Merito
di Georg e Gustav"
"A proposito, loro dove sono?"
Corrugò leggermente la fronte, stringendosi le braccia
intorno alla
vita.
"Sono andati ad affittare un film e a un cinese take
away. Cena orientale stasera" Ridacchiò "Su entriamo,
comincia a fare freschino qua fuori".
Più che una camera,
quella di Bill, sembrava un mini appartamento. Era molto più
che
spaziosa, con un letto rigorosamente matrimoniale immenso, un
divanetto e una poltrona posti davanti ad un televisiore al plasma
di, come minimo, 42 pollici. Vicino al letto, al posto di un
comodino, c'era il frigo bar. Il frigo era il massimo per Bill,
quando ancora facevano i tour e alloggiavano negli hotel.
"Hai
fame?" Chiese Tom, stravaccandosi sopra la poltrona bianca e
accendendo la televisione, mantenendo basso il volume.
"Così
e così" Rispose distratto, raggiungendo il suo cellulare e
controllando se aveva ricevuto qualche messaggio. Niente.
Sbuffò
sonoramente e si lasciò cadere sul letto, pensieroso. Perchè
cavolo non si fa sentire?
"Ehi Bill" Richiamò
l'attenzione il suo gemello. "Guarda che sono passati appena tre
giorni. E' normale che voglia lasciarti il tuo spazio" Sorrise
impercettibilmente. Suo fratello riusciva proprio sempre a capire
cosa gli passava per la testa.
"Lo so, lo so. Ma mi manca,
non posso farci nulla." Si passò una mano sopra le palpebre
e
fece un respiro profondo. "E... ho paura."
Tom rimase in
silenzio, guardandolo serio. Con lo sguardo lo esortò a
continuare..
perchè doveva sfogarsi, doveva tirare fuori tutto quello che
gli
appesantiva la testa e, soprattutto, gli rendeva il cuore un macigno
insostenibile.
"Ho paura di tutto, Tom. Ho paura di lei e ho
paura di me, di farle del male, di farne ancora a me."
Incrociò
le gambe e lo fissò intensamente negli occhi. "Io sono
ancora
innamorato di Maggie, lo sai." Serrò la mascella e
ricacciò
indietro le lacrime, lasciando solo che una leggera patina gli
inumidisse le iridi scure "E non smetterò mai di amarla..
anche
se è una cosa insensata. Perchè lei non
c'è più. Lei è morta. E'
morta. Morta." Scosse la testa chiudendo gli occhi. "La
morte mi è passata troppo vicino perchè io non la
conosca almeno un
po'.. Ma io sono qui! Sono vivo, cazzo! Non posso passare il resto
della mia vita a sentirmi una merda perchè sono vivo! Devo
vivere,
lo devo fare.. anche per lei, per quello che ci ha legato e ci
legherà ancora, fino alla fine." Azzardò una
fugace occhiata
verso Tom. Era immobile, una statua di sale, e lo guardava.. con una
scintilla di paura e di orgoglio in quelle iridi identiche alle sue.
"Devo vivere e devo farlo accanto a Melrose" Continuò,
sentendosi quasi più leggero. "Perchè.. la amo."
"E
ovunque andrò
ovunque andrò
Quella paura tornerà domani, domani
E
ovunque andrai ovunque andrà
Tu stai sicuro e stringi i
tuoi perché"
***
"Ecco a te, Alfred"
Sorrise, poggiando sul ripiano di legno chiaro un bicchiere di birra
"E questa te la offro io" Ridacchiò, asciugandosi le mani
sul suo grembiulino.
"Ah, Melrose, sei un tesoro"
Esclamò prendendo un sorso della sua bevanda alcolica "Beato
chi ti sposa" Esibì un sorriso sdentato e si passo una mano
sul
mento, accarezzando la sua barba incolta e brizzolata.
Alfred era
una gran bella persona. Era sposato e aveva una figlia poco
più
grande di Melrose. Ultimamente passava spesso al locale del signor S,
la sera con gli amici, e un po' ci si era affezionata.
Arrossì
impercettibilmente e borbottò un "Per così poco",
tornando poi al suo lavoro.
Mentre l'acqua del lavabo scorreva sui
bicchieri che stava lavando pensò a Bill e a quei tre giorni
di
silenzio che le erano sembrati tre anni. Aveva dovuto fare uno sforzo
sovrumano per non prendere il cellulare e chiamarlo almeno una
settantina di volte. Ma si era trattenuta, aveva dovuto farlo. Lui si
meritava davvero un po' di serenità e lei non voleva
assillarlo in
continuazione. E poi.. se avesse davvero voluto sentirla avrebbe
potuto chiamarla lui e invece non l'aveva fatto. Già,
perchè non
l'aveva fatto?
Asciugò lentamente un calice di birra, inspirando
a fondo e venendo accolta da quella familiare paura che da qualche
tempo le faceva mancare il fiato. Il futuro.
Pensare al futuro
la terrorizzava, ne aveva un fottuto terrore e faceva di tutto per
non pensarci. Per non pensare a Bill e al fatto che erano tre
interminabili giorni che non si sentivano. Non un messaggio, non una
chiamata. Non voleva fare il primo passo, perchè magari lui
sentiva
la necessità di staccare realmente la spina da tutto quello
che
aveva lasciato indietro partendo per la Grecia. Forse aveva bisogno
di staccare anche da lei e non la voleva sentire.. Ecco, ricominciava
a farsi le seghe mentali. Doveva essere positiva, concedergli i suoi
spazi e non essere cos catastrofica.
"Signor S, ho finito!"
Stiracchiò un sorriso e si asciugò velocemente le
mani "Ci
vediamo domani".
"Vieni nel pomeriggio, verso le 14.30,
ciao Mel!"
Fece un ultimo cenno col capo, per poi ritirarsi
nel retrobottega e raccattare le sue cose.
"E' un po' che il
tuo amico non viene a prenderti" Sentì una voce simile ad un
sibilio alle sue spalle, si voltò e vide Jessica sulla
soglia, che
stava per raggiungerla.
"Ha avuto da fare.." Soffiò. Le
dava fastidio quando Jess cominciava a punzecchiarla su
quell'argomento. Aveva capito che era un tasto semi dolente per lei e
ci marciava alla grande.
"Oh per favore" Sbuffò
sonoramente "Lo sanno tutti che sono partiti! Qualcuno li ha
visti in macchina lasciare la città" La sua voce era
terribilmente irritante e il suo modo di ridere quasi spaventoso.
"Dai dimmi, dove sono andati?"
"In Grecia.. Ma si
può sapere cosa importa a te?"
"Oh in Grecia!"
Esclamò "E scommetto che ti rode un sacco non sapere cosa
sta
facedo in questo momento"
"Avanti Jess, lasciami stare"
Afferrò stancamente la sua borsa a tracolla, ma venne
prontamente
bloccata dalla ragazza, che le si parò davanti.
"Oppure il
tuo problema è non sapere con chi
è?"
"Con i
suoi amici, con chi vuoi che sia.." Doveva ammetterlo. Stava
cominciando ad irritarsi.
"Mel.. Non ti nego che mi fai quasi
tenerezza. Hai quest'aria spaesata e ingenua che intenerirebbe
chiunque.. Come fai a non capire. Lui, nonostante tutto, è
ancora
una star" Si avvicinò al suo orecchiò con un
sorriso felino
"Tu sei una barista" Sussurrò.
"Lasciami, devo
andare" Melrose la allontanò bruscamente, fiondandosi verso
l'uscita e ritrovandosi in strada, con il suore che pareva pesarle
una tonnellata nel petto. Si appoggiò ad una macchina
parcheggiata
davanti al locale e prese qualche respiro profondo, cercando di
calmarsi e complimentandosi con se stessa per non aver versato
nemmeno una lacrima,
"So cosa devo fare" Mormorò tra sè
e sè. Con una corsa raggiunse la macchina e salì.
Mise in moto e,
alla velocità della luce, partì con una sgommata
verso il luogo in
cui avrebbe dovuto andare molto tempo prima. Era l'ora del
chiarimento.
"La
paura non
esiste,
perchè chi odia sai può fingere
solo
per vederti piagere.
Ma io ti amerò"
***
Le dita scorrevano veloci
sulle corde della sua vecchia e fedele Gibson Custom , producendo
un'armonia che ricordava bene. Quelle note.. erano così
tragicamente
familiari che poteva sentire il suo cuore spezzarsi ad ogni nuovo
accordo.
Ne era passato di tempo dall'ultima volta in cui aveva
suonato quella canzone. A dire il vero era passato un sacco di tempo
dall'ultima volta in cui aveva suonato e basta. Era brutto da dire ma
non ne aveva più avuto la voglia, non ne trovava
più il senso.
Aveva sempre e solo suonato per accompagnare una voce, e se quella
voce non c'era più allora non doveva esserci più
nemmeno la sua
musica..
Quella sera però era diverso, quella sera si sentiva
terribilmente malinconico; le sue mani fremevano, quasi in un
tremolio, e non c'era stao verso di resistere a quell'impulso che gli
era nato dentro non appena aveva posato gli occhi sulla sua vecchia
compagna di viaggi. Era stato un solletico, quasi, che gli era
partito dallo stomaco, per poi sfociargli nel petto a riscaldargli il
cuore.
E ora se ne stava lì, seduto a bordo piscina, la chitarra
stretta in grembo e le gambe a penzoloni immerse nell'acqua; stava
così in pace con se stesso.. sembrava che nell'ultimo anno
non fosse
successo assolutamente niente di brutto, si sentiva protetto,
racchiuso in una bolla.
"Du bist alles was ich bin, und
alles was durch meine Adern fließt".
Nel sentire
quella voce, Tom credette di morire. Lì. A bordo vasca. Non
poteva
essere davvero lui.. eppure quando si girò, davanti a lui
c'era
Bill. Suo fratello. Con un sorriso molto più che accennato
disegnato
sulle labbra rosee. Aveva cantato, ce l'aveva fatta, aveva cantato la
frase finale della loro canzone!
"E' un po' che ti osservo"
Disse poi, sedendosi di fianco a lui e immergendo le sue gambette
rachitiche nell'acqua fresca. "E non ho resistito" Arrossì,
come se ammetterlo a voce alta fosse motivo di vergogna.
Tom si
lasciò sfuggire una risatina rauca, guardando la chitarra
che
reggeva sulle ginocchia, un dito che tamburellava sulla cassa
armonica. Inclinò di poco il viso per guardare di sottecchi
il
gemello, che nel frattempo stava agitando i piedi nella piscina. Era
proprio lui; era tornato Bill. Il Bill di sempre, con le labbra
piegate in un piccolo sorriso, il Bill di un anno prima.. solo con
qualche cicatrice in più.
Gettò il capo all'indietro e quello
che dapprima era solo un risolino discreto divenne una risata.
Fragorosa, liberatoria, giusta. Rideva, mentre le lacrime gli
rigavano il viso.
"Mi sei mancato!" Disse in mezzo al
pianto. Cadde sulla schiena, la chitarra sdraiata sulla sua pancia,
sotto lo sguardo un po' attonito e un po' divertito di Bill.
***
Quel posto era enorme e cominciava
a perdere le speranze. Era arrivata da più di venti minuti e
non era
ancora riuscita a trovare quellla giusta; aveva vagato un po' a
destra, un po' a sinistra, ma il destino sembrava non essere dalla
sua parte. Per di più era deserto, non c'era nessuno..
almeno fin
quando una signora molto anziana non fece il suo ingresso, varcando
gli enormi cancelli grigi e dorati.
Melrose si precipitò
all'entrata, rincuorata e un pochino più speranzosa.
"Signora!
Signora salve.. avrei bisogno di un piacere" Abbozzò un
sorriso.
"Certo, se posso esserti utile"
"Lei
per caso sa dove posso trovare la lapide di Margaret Becker?" La
signora si portò un dito sul mento e i suoi occhi
cominciarono a
fissare un punto indefinito di fronte a lei. Stava pensando,
probabilmente. Di solito le signore di una certa età si
muovono nei
cimiteri con disinvoltura e sanno sempre dove sono le tombe di tutti.
“Stai parlando di
quella ragazzina
bionda di Amburgo?” Domandò poco dopo la signora,
mentre stringeva
al petto un grande mazzo di fiori rossi.
“Sì,
sì.. credo.” Mormorò Mel,
grattandosi la nuca.
“E'
laggiù in fondo. La vedi? Dove
ci sono quei fiori colorati. E' la lapida appena sulla
sinistra.”
Sorrise, indicando con l'indice “Povera ragazza, aveva solo
ventun
anni. Vengono spesso a trovarla i suoi amici..” La signora la
stava
accompagnando, con un sorriso mesto sulle labbra la seguiva in quei
sentieri grigi, di cemento. “Tu sei una sua amica?”
“Una
specie” Sussurrò, scuotendo
debolmente il capo.
“Ci siamo, io ora
devo girare qui a
destra. Vado a trovare mio marito” Sospirò
affaticata “E' stato
un piacere”
“Anche per
me” Melrose sorrise e
non appena la donna sparì dalla sua visuale fece quei due
passi che
la dividevano da Margaret.
Guardare quella foto appesa
al muro fu
come un colpo allo stomaco.. e si sentì piccola. Piccola
così.
Maggie era bellissima. Aveva dei lunghi capelli biondi e
due occhi verdi che abbagliavano.. non aveva nemmeno un fili di
trucco, eppure era meravigliosa lo stesso. I lineamenti del viso
erano dolci e le labbra rosate, a forma di cuore.
Osservarla
faceva male. Il suo fantasma aveva finalmente un viso, ce l'aveva
davanti, ma non avrebbe mai pensato di sentirsi così..
annichilita,
di fronte a lei. Per qualche minuto non fiatò e tutto
intorno a lei
sembrò essersi smaterializzato.
“Mi
dispiace” Fiatò poi, mentre i
suoi occhi si inumidivano. Mi dispiace davvero..”
Sì passò una
mano sugli occhi, asciugandoli dalle lacrime. Poi si sedette, di
fronte a Margaret. E la guardò.
“Sono
già troppo innamorata per
tornare indietro, tutto qui.. è solo questo. E vorrei tanto
che non
fosse così, perché starei meglio..”
Faticava a parlare. La voce
continuò a tremarle, ogni parola, ogni lettera.. la sua voce
non la
smetteva di traballare. “Io non volevo innamorarmi di lui..
però
poi è successo...”
***
Tom le
mancava davvero
molto, eppure erano passati solo pochi giorni. Si erano sentiti per
telefono mattina, pomeriggio e sera.. però le mancava lo
stesso.
Sorrise tra sé e sé mentre camminava in mezzo a
tutto quel cemento
grigio e cupo.. non era per niente un posto da Maggie; a lei erano
sempre piaciuti i colori, si da piccola. Il verde, il rosso,
l'azzurro, l'arancio.. i colori caldi e amichevoli, un po' come lei.
Dio se
le mancava anche
lei.. la sua piccola, dolce Mag. Quello era stato l'anno più
lungo
della sua vita, sembrava non voler passare mai. Era stato infinito.
Un po' come quando vai a scuola, nel mese di maggio; l'ultimo mese
che ti divide dall'estate, dalla libertà.. è il
mese più lento e
inesorabile di tutti e giugno sembra così lontano..
“Io
non volevo innamorarmi
di lui.. però poi è successo”
Sentì queste parole, pronunciate a
mezza bocca da una voce femminile, un po' incerta. Girò
l'angolo,
rimanendo nascosta dalla siepe verde e rigogliosa, alzò gli
occhi e
vide che, seduta di fronte alla lapide della sua amiche, c'era una
ragazza. Era piccola e bionda, magrolina.. le spalle ricurve le
davano un'aria un po' malinconica.
“Stare
qui seduta non è
facile per me” la sentì dire “Ma
è una cosa che sentivo di
dover fare. Avevo come l'impressione che non sarei riuscita ad essere
serena fino in fondo prima di averti vista...” Chi era quella
ragazza? Cosa ci faceva lì? “Io lo so che Bill
è ancora
innamorato di te, e so anche che lo sarà sempre..”
Parlava di
Bill.. Se parlava di lui poteva essere una persona soltanto..
“Non
so come mai, ma mi sento legata a te.. è strano,
è una sensazione
strana, ma mi sento legata a te da qualcosa di forte. Ed è
Bill che
ne sta subendo le conseguenze. E' così confuso, nervoso, e
io non so
più come comportarmi con lui. Però lo amo, lo amo
così
tanto..”Singhiozzò appena “E tu lo sai
così cosa si prova, no?
Il vero amore.. quello che ti fa venire voglia di morire per
qualcuno” Melrose.. Era lei, doveva essere per forza lei, ne
era
certa.
Mel si
alzò in piedi, si
passò le mani sulle ginocchia spazzando via la polvere e si
asciugò
le guance. Becky si fece più piccola dietro alla siepe, e
continuò
a guardare quell'ammirevole ragazza che aveva ricominciato a parlare
con Margaret.
“Mandamelo
un segno, ti
prego.. Mandami qualcosa, fammi capire che hai capito e che anche tu
puoi riuscire ad essere felice per lui, anche se questo vuol dire
vederlo con una donna che non sei tu..” Non riuscì
a finire la
frase che un “bip-bip” ruppe il silenzio che era
calato ormai da
qualche minuto.
Melrose
estrasse il
cellulare e aprì il nuovo messaggio che le era appena
arrivato.
Bill:
Mi manchi.
Strinse
il cellulare con
entrambe le mani e se lo portò al petto
“Grazie” Bisbigliò a
quella foto bellissima e sorridente, mentre l'ultima lacrima della
giornata le scendeva fino al mento.
“E
ti amerò più in
là di ogni domani
Più di ogni altro, di ciò che pensavi
Non
m’importa ora di fingere
Il mio sguardo lo sai leggere “
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