All The King's Horses

di xenascully
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Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dov'è Gibbs? ***
Capitolo 2: *** Nell'Oscurità ***
Capitolo 3: *** Ghiaccio ***
Capitolo 4: *** Esca E Mostarda ***
Capitolo 5: *** Probabilità Statistiche ***
Capitolo 6: *** L'Unica Fonte Di Luce ***
Capitolo 7: *** Passo Indietro ***
Capitolo 8: *** Sventato Di Nuovo ***
Capitolo 9: *** Uno Eliminato ***
Capitolo 10: *** Pazienza Che Si Assottiglia ***
Capitolo 11: *** Perso E Trovato ***
Capitolo 12: *** Blu E Bianco ***
Capitolo 13: *** Visite ***
Capitolo 14: *** Calore ***
Capitolo 15: *** Incubo ***
Capitolo 16: *** Respira ***
Capitolo 17: *** L'Infermiera Carol ***
Capitolo 18: *** Prognosi ***
Capitolo 19: *** Aspettare ***
Capitolo 20: *** Risveglio ***
Capitolo 21: *** Respirare Facilmente ***
Capitolo 22: *** Panico ***
Capitolo 23: *** Problemi Discutibili ***
Capitolo 24: *** Il Caso Del Tenente Scomparso ***
Capitolo 25: *** Sfidare La Sorte ***
Capitolo 26: *** Confessioni ***
Capitolo 27: *** Seguire Una Traccia ***
Capitolo 28: *** Protocollo ***
Capitolo 29: *** Aspettati L'Inaspettato ***
Capitolo 30: *** Tremolio ***
Capitolo 31: *** Due Eliminati ***
Capitolo 32: *** Infrangere La Regola Numero Sei ***
Capitolo 33: *** Chi Guida? ***
Capitolo 34: *** Andare A Casa ***
Capitolo 35: *** Conversazione A Cena ***
Capitolo 36: *** Pensieri Impiantati ***
Capitolo 37: *** Un'Altra Grande Caduta ***
Capitolo 38: *** Sale D'Attesa ***
Capitolo 39: *** Quiescenza ***
Capitolo 40: *** Dirigere Lo Show ***
Capitolo 41: *** Non Rendermi Un Bugiardo ***
Capitolo 42: *** Quella Sensazione Di Cadere ***
Capitolo 43: *** Camminare Fino A Casa ***



Capitolo 1
*** Dov'è Gibbs? ***


Questa storia non mi appartiene, è una traduzione dell'omonima storia di xenascully (potete trovarla su FanFiction.net). I personaggi di questa storia come la serie a cui appartengono non sono miei, né sono usati a scopo di lucro.                                                         

                                                                                                                        All The King’s Horses

                                                                                                                              11 00 11 00 11

L’Agente Molto Speciale Anthony DiNozzo uscì furtivamente dall’ascensore e arrivò al suo tavolo, osservato nel mentre da un leggermente divertito Agente Speciale McGee.

“Buongiorno, Tony.” Salutò l’Agente più giovane con un lieve sogghigno. “Sei in ritardo.” Puntualizzò, anche se era ovvio che l’Agente Anziano ne era già pienamente consapevole.

“Di cinque minuti, Pivello. Non incominciare; ho avuto una mattinata incredibilmente oscena. Dov’è Gibbs?” Chiese mentre riponeva il suo zaino di fianco al tavolo e sprofondava nella sua sedia accendendo il computer. “MTAC*?”

“No, non l’ho visto stamattina.” Replicò McGee. “Oscena? Qual è il problema; hai avuto un’esperienza alla ‘Coyote Ugly’?” Sorrise.

“Coyote Ugly equivarrebbe comunque a più azione di quella che tu mai vedrai, McPeggioriamolasituazione. Comunque no, non ha niente a che fare con quello. E cosa vuoi dire con ‘non l’ho visto’? La sua macchina è giù nel parcheggio.”

Tim corrugò le sopracciglia. “Beh, sono qui da più di un’ora, e lui qui non c’è stato e nemmeno giù in laboratorio da Abby…”

“Hai provato il suo cellulare?”

“Non ho davvero una ragione per disturbarlo per il momento…Perché sei così ansioso di trovarlo? Questa è la tua occasione perfetta per riuscire a scamparla di essere arrivato in ritardo.”

“Come se una stupidaggine come il non avermi visto arrivare significhi per forza che non lo sappia.” Sbuffò. In quel momento, l’ascensore suonò e ne fuoriuscì Ziva, con un aspetto disordinato mentre si affrettava a raggiungere il suo tavolo. “È bello sapere che almeno non sono l’ultimo ad essere arrivato a lavoro oggi.” Sogghignò Tony.

“Scusa.” Disse lei sedendosi al suo tavolo. “Non avevo previsto di essere attaccata da un cane durante la mia corsa mattutina.”

“Oh mio Dio, Ziva, stai bene?” Chiese McGee alzandosi per avvicinarsi al suo tavolo con un’espressione preoccupata in viso.

“Sto bene, McGee.” Disse lei, alzando lo sguardo su di lui da dov’era seduta, guardando poi Tony, che aveva reagito esattamente come il collega avvicinandosi per osservarla meglio. “Il cane, tuttavia, non è altrettanto fortunato.”

“Cos’hai fatto al cane?” Chiese Tony.

“Oh Dio…qualsiasi cosa tu gli abbia fatto, non permettere che lo sappia Abby.” La avvisò McGee.

“Che io sappia cosa?” Abby Sciuto fece la sua entrata in ufficio.

“Uh…niente, Abby.” Sorrise Ziva.  “Cosa possiamo fare per te?” Chiese, cambiando rapidamente argomento mentre gli altri due Agenti si ritiravano ai loro tavoli.

“Sto cercando Gibbs. Doveva venire giù da me…Beh, non è che doveva, ma in genere lo fa. A meno che non siate davvero occupati con un caso e non stiate aspettando dei risultati da me. Il che è piuttosto raro, onestamente…Non- non che non siate mai occupati con un caso! Ma che non abbiate bisogno di me per qualcosa mentre siete anche occupati con un caso-”

“Abby!” Tony pose fine al suo discorso incoerente.

“Scusa…Ma comunque, sì. Gibbs passa sempre da me per quest’ora…è solo un po’ strano, ecco.”

“Sei sicuro che non sia in MTAC o con Vance?” Chiese Tony a Tim.

“Piuttosto sicuro.” Replicò McGee. “Non c’era niente di programmato in MTAC, e anche Vance è passato a cercarlo qui.”

Tony cominciò a sentire le budella che gli si contorcevano. Si avvicinò al tavolo di Gibbs e rapidamente lo analizzò. “Non è stato qui.” Concluse. “Niente caffè vuoto nel cestino. Il tavolo non è stato toccato da ieri sera.”

“Come fai a dirlo?” Chiese Tim.

“Perché sono un bravo osservatore.” Ritorse lui. “Parte del mio lavoro.” Lo fissò ferocemente per un momento. Tim abbassò gli occhi; vergognandosi di non essersene accorto lui stesso. “La sua macchina è nello stesso parcheggio di ieri. Non è andato a casa?”

“Ha detto che sarebbe andato a casa intorno alle 1900.” Disse loro Abby. “È passato in laboratorio per salutarmi. Aveva lo zaino e tutto.”

“Ora basta; lo chiamo.” Tony ritornò al suo tavolo e prese in mano il telefono, digitando il numero di Gibbs. Dopo un momento, incontrò gli occhi dei suoi compagni. “Va dritto in segreteria.”

“Nessuno risponde a casa sua.” Disse loro Ziva mettendo giù il suo telefono.

“Gibbs non spegne mai il suo cellulare.” Disse Abby, preoccupata. “Eccetto durante un anniversario, e oggi non ce n’è nessuno…”

“McGoo, puoi farci vedere le telecamere di sicurezza?” Tony aveva il cuore che batteva all’impazzata ormai. “Le 1900 è l’ultimo momento in cui è stato visto; in laboratorio da Abby. Incomincia con l’ascensore di quel piano.”

Registrazioni in bianco e nero apparvero sullo schermo del computer di Tim e Tony si chinò sul tavolo, una mano appoggiata sul bordo, l’altra sullo schienale della sedia di McGee, per guardarle attentamente. Ziva e Abby erano alle loro spalle anche loro intente ad osservare.

Ed eccolo, Gibbs comparve nel video mentre si dirigeva verso l’ascensore. Aveva in mano un bicchiere di caffè preso nella saletta per la pausa, notò Tony. Premette il bottone dell’ascensore con la mano libera, poi si aggiustò lo zaino in spalla mentre aspettava. Una volta entrato in ascensore, McGee cambiò telecamera, e Gibbs poté essere visto mentre prendeva un lungo sorso dal suo caffè prima che le porte si chiudessero e la telecamera cambiasse.

“Questo è il seminterrato.” Verificò Tim quando le immagini ricominciarono. L’ascensore si aprì e Gibbs ne uscì. Si fermò un momento, guardandosi attorno, poi finì il suo caffè e lo gettò nel bidone delle immondizie accanto alle porte dell’ascensore.

Tony strinse gli occhi quando Gibbs si passò una mano sul viso e sbadigliò, scuotendo la testa come per svegliarsi.

“È stata una lunga giornata.” Commentò Ziva.

“Mmhm.” Replicò Tony, brevemente. Una volta che Gibbs scomparve dalla telecamera, Tim la cambiò ancora, spostandosi su quella nel parcheggio. Videro Gibbs uscire dalla porta e dirigersi verso il parcheggio. Sembrò inciampare sui suoi stessi piedi, riguadagnando l’equilibrio per un momento prima di appoggiarsi al bagagliaio di una macchina lì accanto.

“Cos’ha che non va?” Chiese McGee.

“Quella è più di semplice stanchezza.” Concordò Ziva.

Guardarono con orrore come Gibbs collassò a terra. E improvvisamente, da fuori la visuale della telecamera, comparve un uomo mascherato che con disinvoltura sollevò l’Agente Supervisore, e lo portò via.

“Altre telecamere, McGee.” Disse Tony studiando attentamente lo schermo.

“Le altre telecamere erano spente per manutenzione ieri sera fra le 1800 e le 2100.” Fece rapporto Tim, con riluttanza.

Tony si raddrizzò e si passò nervosamente una mano fra i capelli, afferrandoli da dietro frustrato. I suoi colleghi era spaventati quanto lui. Lasciati senza parole da quello che avevano appena visto…

…Gibbs era stato rapito…

                                                                                                                           11 00 11 00 11

*MTAC sta per Multiple Threat Alert Center, ovvero il Centro Allerta Minacce Multiple la sala al piano di sopra dell’NCIS.

Ed eccoci qua con la nuova storia, come sempre fatemi sapere cosa ne pensate e se avete per caso dei suggerimenti per la traduzione! XD

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Capitolo 2
*** Nell'Oscurità ***


                                                                                                                                         11 00 11 00 11

“Vedi se riesci a rintracciare il suo cellulare.” Ordinò Tony a Tim. “Ziva, guarda se riesci a trovare il bicchiere di caffè che ha buttato via. Abby, la…saletta pausa.” Ordinò. “Ha preso lì il caffè; vedi se riesci a trovare traccia di quale droga è stata usata. So che puliscono sempre tutto ogni sera. Ma potrebbe esserci la possibilità di trovare qualcosa. Io vado a parlare con Vance…”

Come fossero guidati da un qualche dispositivo remoto, tutti si concentrarono sulla loro missione, mettendo da parte le paure personali. Tony fece gli scalini a due a due per arrivare all’ufficio di Vance.

“È un’emergenza.” Borbottò alla segretaria prima di spalancare la porta, in perfetto stile Gibbs.

“Agente DiNozzo.” Vance strinse gli occhi. “So che non ha appena-”

“Gibbs è stato rapito.” Lo interruppe Tony. Vance sgranò gli occhi. “Proprio fuori dal parcheggio, ieri sera, poco dopo le 1900.”

“Preso giusto fuori dall’NCIS? E nessuno ha notato nulla?”

“Se qualcuno lo avesse visto, sono certo che l’avremmo saputo a quest’ora.” Replicò Tony sforzandosi duramente di non lasciar trapelare il sarcasmo di cui quelle parole erano intrise. “Pensiamo sia stato drogato.” Continuò. “Le telecamere di sicurezza mostrano il momento in cui è svenuto, poi si vede un uomo mascherato che lo afferra e lo porta via. Ma non siamo sicuri di come se ne sia andato; le altre telecamere erano fuori servizio per manutenzione.”

“Sembra conveniente.” Disse Vance. “Dica all’Agente McGee di guardare per quale manutenzione e perché. Chiunque l’abbia programmata dovrà rispondere a qualche domanda.”

“Gli sto facendo rintracciare il cellulare di Gibbs. Ma se fosse stato possibile trovarlo in quel modo, mi avrebbe già chiamato. Devo sapere chi lavorava all’uscita ieri sera. Se nessuno ha visto quando Gibbs è stato rapito, allora è probabile che qualcuno riesca a ricordare chi ha lasciato il Cantiere Navale* a quell’ora.”

“Si metta a lavoro allora, DiNozzo.” Replicò Vance annuendo. “Le farò avere quel nome. Nel frattempo, dobbiamo prendere in considerazione la possibilità che non abbiano mai lasciato il Cantiere.”

Tony strinse gli occhi. “Pensa che possano essere ancora qui?”

“È una possibilità. Chiuderò tutto così da poter fare un’ampia ricerca.”

“Ma se lui non è qui, allora noi dobbiamo uscire a cercarlo.” Sostenne Tony.

“Mi trovi qualche prova che la convinca di avere anche solo una pallida idea di dove potrebbe trovarsi, e ne riparleremo. In questo momento, non ha nessun indizio. Le suggerisco di cominciare a cercare. Ma se tutto questo dovesse diventare troppo per la sua squadra, Agente DiNozzo, me lo deve dire. Posso chiamarne un’altra.”

“Non esiste che non investighiamo in questo caso, Direttore.” Disse lui. “Siamo più che capaci.”

“Non lo dubito.” Replicò Vance. “Ma sa, molto bene, che esiste la sinistra possibilità di non riuscire a trovarlo vivo; potrebbe essere già morto.”

“Non lo è.” Disse Tony con convinzione, prima di voltarsi per andarsene.

Vance non lo fermò, anche se non gli era stato dato il permesso di lasciare l’ufficio.

                                                                                                                                            11 00 11 00 11

Luogo sconosciuto…

Buio.

Tutto era buio. E freddo. Così freddo, da fargli dolere gli arti.

Mentre cercava di ricordare dove poteva essere, si forzò ad alzarsi dal…terreno o pavimento o qualsiasi cosa fosse, e cominciò a tastare per riuscire a trovare qualcosa; qualunque cosa. Non passò molto prima che arrivasse a toccare qualcosa che somigliava ad un muro. Il muro era altrettanto freddo, se non più di quanto si sentisse lui. Fece correre le mani lungo la superficie mentre camminava cautamente lungo essa.

L’angolo incontrò un altro muro più corto, prima di arrivare ad un altro angolo. Alla fine, arrivò a quelle che sembravano delle porte. Usò tutto il peso del suo corpo per cercare di aprirle, ma non ne volevano sapere.

“Hey-” Tossì a causa della secchezza della sua gola. Sentiva in bocca un retrogusto di caffè, il che gli fece capire che non era semplicemente andato a casa per sbronzarsi, e chiudersi in…qualche strano e freddo edificio. No. Aveva…bevuto del caffè. Aveva lasciato l’NCIS, o stava per farlo, e improvvisamente aveva avuto le vertigini. Il resto era tutto nero.

Sbatté i pugni contro le porte e cercò di chiamare di nuovo qualcuno. “Hey? C’è nessuno lì fuori?” Smise di colpire la porta, abbastanza a lungo da poter sentire se c’era qualche risposta. Non ce ne fu nessuna. Chiamò di nuovo, questa volta mentre rovistava nelle tasche del cappotto e dei pantaloni. Nella tasca destra, scoprì di avere un cellulare. Lo aprì, ma realizzò immediatamente che non si trattava del suo cellulare. Il display diceva di premere il primo tasto di chiamata rapida.

Il cuore gli accelerò mentre il suo istinto gli diceva la verità…era stato rapito…

                                                                                                                                     11 00 11 00 11

*La sede dell’NCIS si chiama Navy Yard, che può essere tradotto solamente come Cantiere Navale.

Ed eccovi il secondo capitolo, dove finalmente possiamo cominciare a vedere in che situazione si trova Gibbs XD

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Capitolo 3
*** Ghiaccio ***


                                                                                                                                 11 00 11 00 11

“Il bicchiere che Ziva ha trovato nel cestino aveva ancora un po’ di caffè sul fondo.” Disse Abby a Tony mentre lui se ne stava nervosamente in piedi da un lato del tavolo presente in laboratorio. “Era decisamente alterato con Flunitrazepam.”

“Sonnifero…”

“Sì.” Annuì lei tristemente. “Ce n’era abbastanza da sopraffare il nostro possente Gibbs. La concentrazione presente in quel poco che era rimasto, suggerisce che probabilmente ce n’era abbastanza da tenerlo addormentato per diverse ore.”

“Impronte?”

“Ho trovato solo le sue sul bicchiere.” Gli disse. “La caffettiera, ne aveva abbastanza. Ma appartengono tutte allo staff. Chiunque abbia alterato il caffè deve aver usato dei guanti.”

“E doveva sapere che Gibbs sarebbe stato l’unico a bere caffè quella sera. Chiunque sia, era qui dopo che ce ne siamo andati. Il caffè deve essere stato manomesso dopo. Io ne ho bevuto un bicchiere, e sono rimasto qui per oltre un’ora dopo averlo finito.” Le disse.

“Siamo certi che non sia stato un membro dello staff a drogare il caffè?” Chiese Ducky entrando nel laboratorio.

Tony voltò la testa per guardare il Medico Legale. “Sono rimasto qui finché nell’edificio non c’era nessun altro oltre a me e Gibbs.”

“Quello, e ho controllato la lista.” Si intromise Abby. “Tutte le impronte che ho rilevato, appartengono a persone che se ne sono andate ore prima di Gibbs. Questo caffè è rimasto del tempo nella caffettiera. Qualcuno lo ha preparato una volta sicuro che solo Gibbs fosse rimasto per berlo.”

“E che mi dite della guardia all’entrata?” Chiese Ducky.

“Stiamo aspettando che si faccia vivo.” Gli disse Tony.

“Tony.” Chiamò McGee non appena entrato in laboratorio. “La polizia ha trovato un corpo a meno di un miglio da qui, scaricato a lato della strada. Era coperto dalla boscaglia, ma una volta che il traffico si è intensificato, il corpo è stato scoperto.”

“Questo cosa c’entra con Gibbs?” Tony strinse gli occhi.

“L’uomo era l’autista di un furgone appartenente ad una ditta; specificatamente era un furgone con cella frigorifera…e ancora più specificatamente, lo stesso identico furgone ha fatto una consegna qui all’NCIS la sera scorsa.” Andò al computer di Abby e trafficò con la tastiera finché un video apparve sullo schermo. “Questo è lui che entra alle 1847.” Disse loro, poi digitò ancora. “E qui se ne va…alle 1908.” Spostò gli occhi su Tony.

“Chiunque ha preso Gibbs, ha utilizzato il furgone.” Presumette Tony. “Nessuna meraviglia che sia riuscito ad andarsene senza essere visto da nessuno…Hai-”

“Emanato un ordine di ricerca per il furgone? Fatto.” Rispose McGee. “E ho cercato di trovare un angolazione che potesse mostraci il volto del conducente, ma non ce n’è nessuna.”

“Dì al Dipartimento di Polizia di mandare il corpo a Ducky.” Gli disse Tony. “Potrebbe darci qualche indizio su chi ha preso Gibbs.”

“Vado a preparami.” Disse Ducky uscendo dalla stanza insieme a McGee per eseguire i suoi ordini.

“Abs, ho bisogno che mi trovi tutti i dettagli possibili su quel furgone.” Le disse Tony. “Voglio sapere quanta benzina c’era lì dentro quando è arrivato qui; quanto lontano poteva andare senza fermarsi; a quale temperatura internazionale può arrivare l’unità di refrigerazione…” La sua voce si spense mentre la preoccupazione si faceva evidente nei suoi occhi.

Abby notò il suo sguardo e si voltò verso di lui, mettendo da parte per un momento le sue stesse paure. Gli afferrò dolcemente le spalle e lo guardò dritto negli occhi. “Farò tutto quello che mi hai chiesto, e qualsiasi altra cosa necessaria alla quale non vogliamo pensare davvero, Tony.” Gli disse gentilmente. “E lo troveremo. So che lo troveremo.” I suoi occhi pieni di speranza sembrarono riportarlo in controllo delle sue preoccupazioni.

“Ti manderò Ziva a dare una mano.” Le disse abbracciandola brevemente. “Grazie, Abby.” Si scostò quando gli squillò il cellulare. Lo estrasse dalla tasca. “DiNozzo.” Rispose.

Rodney è qui.” Risuonò la voce di Ziva dall’altra parte della linea.

“Arrivò subito.” Le disse, poi terminò la chiamata. “La guardia all’entrata è appena arrivata.” Disse ad Abby prima di voltarsi per uscire in fretta dal laboratorio.

Evitò di proposito l’ascensore optando per le scale. Attendere in quel momento, non era una parola presente nel suo vocabolario. Arrivò in ufficio a tempo di record dove trovò Rodney seduto alla sua scrivania, a trafficare con la piccola televisione dietro esso. Tony lanciò un’occhiata a Ziva. “Ho bisogno che tu dia una mano a Abby. Ti sta aspettando.”

Ziva annuì, senza fare domande, studiandolo solo per un momento prima di voltarsi per andare da Abby. Era preoccupata per Gibbs, proprio come lo erano gli altri. Gibbs era come un padre per lei. Ma era preoccupata anche per Tony. Per lui, Gibbs era molto più di una figura paterna. Venerava il suolo sul quale camminava. Gibbs era il suo eroe, essenzialmente. Non sapere chi lo aveva preso; dov’era; cosa gli stava succedendo, stava uccidendo Tony. Forse molto più di quanto stesse ferendo lei.

Eppure, stava ancora facendo il suo lavoro, e lo stava facendo al meglio delle sue capacità. Il suo istinto gli aveva detto che c’era qualcosa che non andava. Lo aveva seguito. Chi lo sa quanto ci avrebbero messo a capire che Gibbs era stato rapito, se Tony non lo avesse notato in quel preciso momento.

Sì, per tutto quello, Ziva era impressionata. Gibbs sarebbe stato orgoglioso di lui. Ora poteva solo sperare di riuscire a trovarlo in tempo per assicurarsene…

                                                                                                                                  11 00 11 00 11

Ed eccovi un altro capitolo! Adoro come Tony ha preso in mano la situazione e come i suoi compagni di squadra non dubitino di lui : )

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Capitolo 4
*** Esca E Mostarda ***


Gibbs aveva esitato a digitare il numero sul display del cellulare. Il telefono non gli permetteva di chiamare nessun altro numero, per la sua costernazione. Quindi, aveva davanti solo un’altra opzione; premette il tasto di chiamata e portò il cellulare all’orecchio.

“Agente Gibbs.” Provenne una voce alterata dall’altra parte della linea. “Gentile da parte sua cominciare finalmente a seguire il programma. Stavo aspettando la sua chiamata.”

“Sì. Beh, qualsiasi cosa tu mi abbia dato, mi ha steso fino a pochi minuti fa. Dove sono?” Chiese Gibbs, non volendo continuare a chiacchierare con chiunque fosse il suo rapitore.

“Non è curioso di sapere chi sono?” Chiese l’uomo.

“Il pensiero mi ha attraversato la mente.” Gli disse Gibbs. “Ma sono un po’ più interessato a sapere perché sono…qui.”

“Sono certo che abbia qualche idea sul dove si trova. È un investigatore, dopotutto. Per quanto riguarda il perché, non è molto importante, al momento.”

“Col cavolo che non lo è!” Disse Gibbs, irritato.

“Su ora, Gibbs.” Lo sgridò l’uomo, con calma. “Molte persone nella sua posizione mi parlerebbero con un po’ più…rispetto. Anche se solo perché temono per la propria vita.”

“Vuoi uccidermi? Allora vieni qui a provarci.” Lo schernì Gibbs.

“Non ho bisogno di mettere piede lì dentro, per ucciderla.” Replicò lui. “Pensa che sia freddo ora lì dentro? Per ogni ora che la sua patetica squadra impiega per trovarla, la temperatura calerà di un grado. Sono stato piuttosto generoso concedendo loro fino a questa mattina per capire che era stato rapito, prima di mettere in funzione il timer. Direi che hanno fino all’ora di cena prima che la temperatura si faccia quasi insopportabile. Poi, fino a notte fonda prima che arrivi al punto di essere pericolosa per la sua vita…”

“È forse una specie di malato test? Per calcolare l’efficienza della mia squadra?”

Per qualche momento, tutto quello che si poté sentire fu la risata dell’altro uomo, risata per altro resa più inquietante dal dispositivo meccanico che stava usando per nascondere la sua voce. “Ah, Agente Gibbs…la devo ringraziare. Non ridevo da un sacco di tempo.” Gibbs strinse gli occhi per un momento. “La sua assenza garantisce esattamente quello a cui voglio arrivare. La loro ‘efficienza’ non ha importanza. Che riescano a trovarla in tempo o no, quello che sto attirando qui, verrà.”

“Di che stai parlando?”

“E quando arriverà,” continuò come se non avesse sentito Gibbs “non potrà salvarlo…”

                                                                                                                                         11 00 11 00 11

“Avanti, Rodney.” Tony si passò una mano fra i capelli, frustrato. “Non mi stai dando molto su cui lavorare, qui.”

“Mi dispiace, Tony.” Si difese Rodney. “Era buio.”

“Hai idea di quanti maschi Caucasici sui quaranta con corti capelli castani ci siano nell’area di Annapolis?”

“Sì, lo so! E mi dispiace di non avere altro da darti! Davvero! Se avessi saputo di dover guardare bene il tizio, che credevo essere il ragazzo degli alimentari, lo avrei fatto. Ma non sembrava minimamente sospetto.”

Tony prese un profondo respiro attraverso il naso e sprofondò nella sedia a capo del tavolo. Era grato di trovarsi nella sala conferenze dove nessuno poteva osservarlo mentre si passava le mani sul viso, lasciandole ferme un momento mentre cercava di ricomporsi.

Rodney si sentiva male. Sapeva quanto Gibbs significasse per la squadra; specialmente per Tony, anche se nessuno lo diceva mai a voce alta. Alcune cose non gli sfuggivano. Beh…al momento, desiderava che non gli fossero sfuggiti alcuni dettagli, comunque. A giudicare dall’Agente innanzi a lui, Tony aveva contato sulle informazioni che lui poteva dargli. Stava per scusarsi di nuovo, quando Tony si raddrizzò improvvisamente lasciando cadere le mani sul tavolo.

“Non sembrava sospetto?” Chiese Tony.

Rodney strinse gli occhi. “No. Indossava un’uniforme. La stessa con la quale è entrato…beh, la stessa che indossava generalmente quello che passava, ecco.”

“Come fai a sapere che era la stessa?”

“Il tizio si era macchiato con della mostarda sul davanti della maglia. Questa è una cosa che ricordo su quelli che entrano. Il tizio che è entrato era un po’ più robusto. Credevo semplicemente di non averlo guardato bene, dato che la sua maglia aveva la stessa macchia e tutto…”

Tony aprì velocemente la cartella che aveva appoggiato in precedenza sul tavolo e ne sfogliò le poche pagine fino a che non arrivò alle foto della scena del crimine dove era stato trovato l’uomo al quale era stato preso il furgone. Ed eccola, la maglia era macchiata di mostarda.

“Questo non è il tizio che è uscito.” Disse Rodney, guardando la foto. “Ma quella è la maglia…Che significa?”

“Significa che potresti averci appena aiutato a trovare il mio capo, Rodney.” Tony chiuse la cartella e si alzò, posò una mano sulla spalla di Rodney e la strinse in segno di riconoscenza prima di uscire velocemente dalla sala conferenze…

                                                                                                                             11 00 11 00 11

Finalmente Tony ha qualcosa su cui lavorare, Gibbs d'altro canto ha finalmente potuto parlare con quello che lo ha rapito...Ma chi è quello che il rapitore vuole davvero colpire?

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Capitolo 5
*** Probabilità Statistiche ***


“Non capisco.” Disse Gibbs al telefono mentre camminava per lo spazio buio in cui era confinato. “Perché prenderti il disturbo di rapire me, se non sono nemmeno quello che vuoi?”

“Come ho detto,” spiegò il rapitore “con lei fuori gioco, una volta che l’avrò preso, nessuno sarà in grado di salvarlo.”

“Credo che tu non stia dando abbastanza credito alla mia squadra.”

“Quelli che restano, una volta preso lui, sono praticamente inutili, Gibbs. Era lei il mio più grande ostacolo. Dovevo eliminarla. Ma se la avessi direttamente uccisa, non ci sarebbe stata garanzia di riuscire a prenderlo. Ma in questo modo, lui verrà da me.

“Hai in mente di prenderlo prima.” Ipotizzò Gibbs. “Non vuoi semplicemente ucciderlo.”

“Esatto. Ucciderlo non è abbastanza. Prima deve soffrire. Ho bisogno di tempo. E con lei alle calcagna, non ne avrei avuto. Quegli imbecilli non riusciranno a rintracciarmi in tempo; avrò finito prima che possano trovare il suo freddo corpo morto. E per allora, me ne sarò già andato da un pezzo.”

Le budella di Gibbs si contorsero. Questo tizio significava guai; guai davvero grossi. E in quel momento, non poteva fare proprio niente. Non aveva modo di avvertire la sua squadra della trappola che li attendeva, e anche se avesse potuto, avrebbe certamente significato la sua morte. Ma l’avrebbe fatto in un batter d’occhio, per salvarli. “Perché?” Chiese. “Cosa ha fatto? Ti ha arrestato o che altro? Ti ha spedito in prigione? Suppongo che tu stia parlando di DiNozzo.” Disse.

“Suppone correttamente, non che la cosa possa aiutarla in un qualche modo. Ma no, Gibbs; non sono stato arrestato. Qui non si tratta di me.”

“A me sembra qualcosa di personale.” Ritorse Gibbs.

“Sfonda una porta aperta.” Replicò lui. “Può dirlo forte.” Vi fu un lungo momento di silenzio, e Gibbs tentò di trovare un modo per aprire la porta. “Sì…intendo farlo sentire esattamente come mi sono sentito io. Allora…e solo allora…sarà libero.”

“Pensavo avessi detto di volerlo uccidere.” Disse Gibbs.

“Esattamente. Sarà libero dal dover vivere col dolore. Io ci ho vissuto, Agente Gibbs, per molto tempo. Così tanto, che non riesco nemmeno a ricordare un momento nel quale non l’ho provato. Quindi sì, gli risparmierò tutto quel tempo. Ma mi rifarò. Dopo aver sofferto emotivamente, lo farò soffrire fisicamente, al posto di tutto il tempo che non dovrà vivere col dolore. E poi la farò finita…”

                                                                                                                                11 00 11 00 11

“Cos’avete per me?” Chiese Tony entrando nel laboratorio, dove Abby, Tim e Ziva stavano lavorando sodo.

Ziva fu la prima a voltarsi verso di lui. “Ho parlato con la compagnia dalla quale proviene il furgone con la cella frigorifera. È in grado di raggiungere una temperatura interna fra gli 0 e i 40 gradi Fahrenheit.” Gli disse.

McGee fu il secondo a parlare, iniziando esattamente da dove Ziva aveva smesso. “Hanno anche detto di avere un localizzatore GPS su ognuno dei loro veicoli. Ma questo è stato manualmente disabilitato all’incirca quando ha raggiunto il luogo dove è stato trovato il guidatore. Tutto quello che può dirci è che erano diretti a Est. Ma potrebbe aver guidato in quella direzione per depistarci.”

“Il dirigente ci ha informati che l’NCIS era l’ultima fermata del guidatore di quella sera.” Intervenne Ziva. “Quello che ci hanno portato non richiedeva un’estrema refrigerazione. Il furgone, teoricamente, era impostato sui 40 gradi Fahrenheit. È possibile…probabile, anche, che il rapitore non fosse preoccupato della temperatura.”

“È anche probabile che fosse esattamente quello di cui era preoccupato.” La voce di Abby fece spostare la loro attenzione sulla scienziata forense goth che stava lavorando duramente al computer. “Voglio dire, presupponendo che Gibbs sia all’interno di quella roba, tenendone in considerazione le dimensioni, il fatto che si trova da solo, e che sia un contenitore ermetico, fa sì che ci vogliano più o meno quarantotto ore prima che il diossido di carbonio lo uccida.” Prese a camminare nervosamente avanti e indietro davanti al computer. “E-ed è lì dentro da già più di tredici ore…mancano trentacinque ore. Per non parlare poi del freddo, quindi si starà muovendo per mantenere alta la temperatura corporea. Questo diminuirebbe il tempo…di…un sacco. Potrebbe addirittura diminuirlo di metà. Questo assumendo che la temperatura non scenda al di sotto del suo livello di tolleranza…se…se questo è già successo…oh Dio…Potremmo già essere in ritardo.” Si fermò e incontrò gli occhi di Tony con i suoi già umidi. “Potrebbe già essere morto, Tony…”

“Abs, calmati.” Le disse, poi l’avvolse con le braccia. “Gibbs non è morto.”

“C-come puoi saperlo?” Chiese lei in un sussurro.

“Lo so e basta.” Le disse senza esitazione. “Lo saprei. Me lo direbbe l’istinto.” Le disse, con voce calma, poi spostò la testa leggermente per premere gentilmente le labbra contro la sua tempia in un bacio rassicurante. “Mi serve il tuo aiuto in questa situazione, Abby.” Le disse scostandosi gentilmente. “Puoi farcela?”

“Certo che posso.” Si difese lei.

Lui le sorrise orgogliosamente. “Questa è la mia ragazza. Chiamami non appena trovi qualcosa su quell’uniforme.” Si voltò verso i suoi compagni di squadra. “McGee, Ziva, andate a vedere se Ducky ha trovato qualcos’altro sul corpo. Vi raggiungo fra cinque minuti.” Si voltò e uscì senza dire un’altra parola.

Tim e Ziva si scambiarono un’occhiata, poi guardarono Abby, che, dopo averli guardati negli occhi, si voltò nuovamente verso il computer per ritornare al lavoro. Gli Agenti uscirono dal laboratorio per eseguire i loro ordini…

*~.~*

Tony si era diretto velocemente in bagno e aveva aperto il rubinetto dell’acqua fredda, gettandosela in faccia per cercare di smorzare la nausea che minacciava di sopraffarlo. Aveva fatto del suo meglio per tenere a bada le sue stesse paure quando Abby si era lasciata prendere dal nervoso, blaterando delle possibilità statistiche della situazione di Gibbs. Non poteva fare a meno di immaginarsi il suo capo rannicchiato in un angolo del furgone, ansimante; la pelle del volto, pallida e congelata dal freddo.

Tony si piegò in avanti sul lavandino in preda ai conati di vomito, anche se in realtà niente gli veniva su. Si obbligò a riportare il respiro alla normalità. Non avevano tempo per questo.

Gettandosi un’ultima volta l’acqua in faccia, spense il rubinetto e allungò una mano per prendere della carta con la quale asciugarsi. Lanciando un’occhiata allo specchio dopo essersi asciugato il volto gettando poi la carta nel bidone, prese un profondo respiro, tirò indietro le spalle, e si voltò per uscire dal bagno per incontrare i suoi colleghi in obitorio…

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Tony comincia a sentire la tensione, ma come ogni bravo Capo fa del suo meglio per non impensierire i suoi sottoposti gestendo da solo i suoi problemi! Vai Tony siamo tutti con te!

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Capitolo 6
*** L'Unica Fonte Di Luce ***


“Ah, Anthony.” Ducky salutò l’Agente Anziano che entrava in obitorio. “Come stavo dicendo a Timothy e Ziva, quest’uomo è morto perché gli hanno spezzato il collo.”

Tony si avvicinò mettendosi dall’altra parte del tavolo così da avere i suoi colleghi di fronte. “Nessun altro danno?”

“Niente che io abbia scoperto per il momento.” Replicò l’uomo più anziano. “Il suo aggressore molto probabilmente gli si è avvicinato, con calma, alle spalle; probabilmente mentre se ne stava tranquillo davanti alle porte aperte del furgone. Lo ha afferrato.” Ducky gli mostrò come afferrando la testa di McGee da dietro. “E gli ha spezzato il collo così.” Il volto di McGee si fece pallido mentre il dottore gli girava di scatto la testa. “La morte è stata istantanea.”

“Era forte.” Commentò Ziva.

“Decisamente.” Disse Ducky lasciando andare un agitato Agente McGee. “E un po’ più alto della nostra vittima, direi.” Aggiunse. “Una volta spezzatogli il collo, probabilmente lo ha gettato nel retro del furgone insieme a Jethro…” Il Medico Legale abbassò il capo per un momento, perso nei suoi pensieri. Poi si voltò e alzò gli occhi su Tony. “Abigail ha trovato niente di utile sull’uniforme? Niente per identificare il rapitore?”

“Se così fosse, me lo avrebbe detto, Ducky.” Gli rispose Tony.

Qualcosa balenò negli occhi di Ducky allora, anche se nessuno lo notò. Era un lampo di comprensione dell’espressione negli occhi di Tony. Mise da parte le sue preoccupazioni per il momento, leggermente preoccupato per l’uomo innanzi a lui. Tony stava guardando nella sua direzione, ma era molto lontano dal vedere Ducky per davvero.

“Uh…forse,” Ducky si voltò verso gli altri due Agenti “Ziva e Timothy, potreste andare ad aiutare Abigail? Vorrei parlare con Anthony, per un momento.”

Tony strinse gli occhi, concentrandosi ora su Ducky. Voltò la testa per guardare i suoi compagni di squadra, che sembrava in attesa della sua approvazione. Momentaneamente confuso circa quello di cui voleva parlargli Ducky, annuì nella loro direzione. Una volta che furono usciti dall’obitorio, Tony riportò la sua attenzione su Ducky.

“Che ti serve?” Chiese.

“Solo vedere come te la stai cavando.” Disse Ducky, calmo.

Tony inclinò la testa per un momento. “Beh, vediamo, Ducky…Gibbs è nelle mani di un assassino, ancora dentro il furgone o Dio sa dove. Non abbiamo la più pallida idea del perché sia stato preso o di cosa voglia questo tizio. Diavolo, non sappiamo nemmeno se il suo corpo è già stato scaricato da qualche parte! Non ci sono state richieste; nessun messaggio né chiamata…e in questo momento, non siamo più vicini a trovarlo di quando abbiamo iniziato. Quindi direi che me la sto cavando piuttosto male, Doc.”

Ducky lo guardò a lungo. Poi, alla fine, parlò. “Bene.”

“Bene?” Chiese lui, incredulo.

“Fintanto che non prendi in giro te stesso, allora non vedo nessun problema.” Mantenne gli occhi sull’uomo più giovane finché Tony non capì cosa gli stava dicendo.

Tony si calmò. “E tu?”

“Sono preoccupato.” Ammise lui. “Ma fiducioso che sarai in grado di trovarlo.”

Tony cercò negli occhi del Medico Legale per un momento, senza trovare nessun inganno in essi. Prese un respiro dal naso, annuì in segno di apprezzamento, poi si voltò e se ne andò…

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Gibbs camminava per l’angusto spazio mentre provava, senza successo, a capire come far sì che quel maledetto cellulare chiamasse qualcuno che non fosse il suo rapitore. Il freddo gli dava ai nervi, ma per il momento era sopportabile.

Per quanto avesse trafficato con le porte che ora sapeva appartenere ad un furgone, non aveva trovato nessun modo per aprirle dall’interno. E non c’era nulla all’interno del furgone che potesse essere utilizzato per aprirle, o romperle.

Il problema non era che aveva paura di non essere trovato. Era pienamente fiducioso che sarebbero riusciti a capire dove si trovava. Il vero problema era che essere trovati avrebbe voluto dire mettere Tony in pericolo. Diavolo, avrebbe potuto finire ucciso…come avrebbe fatto poi a continuare a vivere con sé stesso se quello fosse stato il caso?

Doveva chiamarli; dir loro di abbandonarlo. O almeno doveva avvisarli di quello che li attendeva, prima che arrivassero e fosse troppo tardi.

Davvero, voleva rompere qualcosa. L’unico ‘qualcosa’ che aveva era il telefono. E per quanto fosse più che disposto a distruggere quel maledetto aggeggio, gli serviva la possibilità…per quanto remota…che Abby o McGee riuscissero a rintracciarlo. Le probabilità che in quel cellulare ci fosse qualcosa che lo rendeva rintracciabile, erano pressoché nulle. Dopotutto, il tizio aveva fatto le cose per bene fino ad ora. Era improbabile che avesse commesso un errore del genere. Eppure, c’era una piccola possibilità. E se aveva commesso un errore, allora loro sarebbero riusciti a trovarlo.

Era tutto quello in cui poteva sperare; quella piccola possibilità che riuscissero a contattarlo in un qualche modo. Quella piccola possibilità era tutto quello che gli impediva di fracassare quello stupido congegno. Quella, e il leggero calore che emetteva mentre lo teneva stretto in pugno. E poi era l’unica fonte di luce, ovviamente. Sì, probabilmente era meglio che non lo scagliasse dall’altra parte della stanza…

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Ed ecco che possiamo vedere come se la sta cavando il nostro Grande Capo...Niente male direi anche se ormai ha i nervi a fior di pelle XD

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Capitolo 7
*** Passo Indietro ***


Tony era appoggiato alla parete dell’ascensore, gli occhi fissi su un punto del pavimento davanti a lui. Il suo cellulare prese a squillare improvvisamente e lui lo tirò immediatamente fuori dalla tasca. “DiNozzo.” Rispose.

“Tony, Abby ha trovato qualcosa.” Risuonò la voce di McGee dall’altra parte della linea.

“Arrivo.” Replicò Tony, poi terminò la chiamata, cacciandosi in tasca il cellulare prima di premere il tasto corretto per andare al laboratorio di Abby. Fu in quel momento che realizzò di non aver premuto nessun tasto fino a quel momento…

*~.~*

“È stato un azzardo.” Spiegò Abby quando Tony arrivò nel laboratorio. “Ma ho fatto alcuni test su un capello che ho trovato nella parte interna del colletto della giacca. Avrebbe potuto appartenere al guidatore che abbiamo giù in obitorio, ma è venuto fuori che non è così.” Premette qualche tasto sulla sua tastiera e fece apparire un’immagine sul monitor. “Ti presento William McWithey.” Lesse lei. “Venticinque anni, ottantuno chili, alto un metro e ottanta. Nato e cresciuto a Blackburn, nel Missouri.”

Tony fissò intensamente lo schermo, e McGee cominciò a dirgli tutto quello che aveva trovato su di lui. “Cinque anni fa è stato arrestato per furto con scasso. È stato processato, è uscito pagando la cauzione, ed è scomparso.”

“McWithey…” Pensò Tony. “Perché il nome mi suona familiare?” McGee corrugò le sopracciglia e cominciò a digitare qualcosa nel suo telefono. “Allora, abbiamo un indirizzo certo da quando è scomparso?”

“Nessuno.” Gli disse Abby. “Nessun veicolo registrato a suo nome. Nessuna patente. Questa è quella di cinque anni fa.” Gli angoli della bocca le si incurvarono verso il basso per la frustrazione.

“Uh…Tony?” Tim alzò gli occhi dal suo telefono con uno sguardo leggermente preoccupato. Tony lo guardò. “William McWithey, figlio di Andrew M. McWithey…ti dice niente?”

“Andy…” Un ricordo gli venne in mente alla menzione del nome.

“Ottobre del 2001, gli hai sparato prima che potesse uccidere altri ostaggi durante una rapina in banca. È morto in seguito a causa della ferita.” Elaborò Tim.

“Poco prima che tu arrivassi all’NCIS.” Commentò Abby.

“Sì, mi ricordo.” Replicò Tony, tornando a fissare lo schermo. “Il che significa che a quel tempo il caro Billy, qui, avrebbe dovuto avere circa 15 anni.”

“Credi che stia…cercando di vendicarsi in un qualche modo?” Chiese Tim. “O è solo una coincidenza?”

“Lo sai come la pensa Gibbs sulle coincidenze, McGoo.” Disse Tony con voce bassa.

“Se tutto questo riguarda te,” intervenne Abby “allora sta cercando di farti arrivare a lui; è una trappola. Gibbs forse non è nemmeno in un pericolo immediato…”

“O Gibbs è la vendetta.” Disse Tony in un sussurro. La sua mente stava vagando per migliaia di posti. Come poteva stare accadendo tutto questo? Come faceva questo ragazzo a sapere tutte quelle cose? Del fatto che lui considerava Gibbs come un padre, invece di cercare di arrivare al suo vero padre…

“Ziva è ancora al bagno?” La voce di Tim riscosse Tony dai suoi pensieri.

“Ci è stata parecchio.” Replicò Abby.

“Vado a vedere se sta bene.” Disse McGee prima di dirigersi verso l’uscita del laboratorio.

“Cos’ha Ziva?” Tony guardò Abby.

“Ha detto che aveva mal di testa e che le serviva il bagno. È stato più o meno dieci minuti fa.”

“Ziva ha mal di testa? Non credo di averla mai sentita ammettere di sentirsi male prima d’ora…”

“Ragazzi!” McGee ritornò di corsa, il viso arrossato. “Qualcosa non va! Credo che Ziva abbia bisogno di un dottore…” Si voltò immediatamente, e gli altri due lo seguirono mentre tirava fuori il cellulare per chiamare Ducky.

Tony lo superò per entrare in bagno. “Zi?” Chiamò avvicinandosi al cubicolo chiuso. “Stai bene?” Si sentì un gemito provenire dall’altra parte della porta e lui si inginocchiò a terra per vedere cosa stava succedendo spiando sotto la porta. Ziva era rannicchiata a terra, il viso pallido e sudato; i capelli in disordine appiccicati ai lati del volto.

Tony si alzò immediatamente, e senza nessuno sforzo apparente, aprì la porta del cubicolo con un calcio inginocchiandosi immediatamente accanto alla compagna di squadra. “Ziva, Ducky sta arrivando. Cos’è successo?” Le scostò i capelli dalle tempie, mettendoglieli dietro le orecchie.

Lei scosse la testa e gemette di nuovo, forzandosi ad alzarsi dalla sua posizione supina a terra per mettersi in ginocchio davanti al gabinetto, probabilmente la sua posizione originaria, per cominciare, o meglio continuare, a vomitare. Lui le tenne i capelli indietro e lanciò uno sguardo ai suo colleghi con occhi preoccupati, eppure nauseati.

“Ducky sta arrivando.” Gli disse Tim.

Tony annuì e abbassò lo sguardo, catturando un frammento dei pantaloni strappati alla caviglia di Ziva. Tirò su i pantaloni rivelando una fasciatura. “È qui che il cane ti ha morso?” Chiese. Ziva annuì, in silenzio, mentre il corpo le tremava per lo sforzo. Attentamente, Tony tolse la fasciatura per ispezionare il danno che essa copriva. Una strana polvere scura le ricopriva la ferita e la benda. “Cos’è?” Chiese Tony a nessuno in particolare…

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Capitolo 8
*** Sventato Di Nuovo ***


“Mia cara.” Ducky entrò nel bagno dove Ziva era rannicchiata contro il fianco di Tony. “Cos’è successo?”

“Non è stata in grado di dirmi niente per via della nausea, Ducky.” Spiegò Tony. “Ma sembrava non sapere cosa le stava succedendo quando gliel’ho chiesto. Guarda qua, però; piuttosto strano.” Indicò le bende. “È stata attaccata da un cane questa mattina. Ma questo non assomiglia a niente che io abbia visto prima d’ora.”

Ducky sembrava perplesso dalla sostanza. Rimosse completamente le bende e le portò al naso per annusarle. Strinse immediatamente gli occhi. “Dove le hai prese queste, Ziva?”

“Ha-” provò lei a rispondere con voce piccola “ha insistito.”

“Chi? Il proprietario del cane?” Chiese Ducky. Lei annuì.

“Che c’è?” Chiese Tony.

“Chiunque sia stato, Ziva è stata avvelenata.”

“Cosa?” Tony sgranò gli occhi.

“Aiutami a tirarla fuori da questo cubicolo per portarla nel laboratorio di Abby finché non sarà arrivata un’ambulanza.” Disse l’uomo più vecchio.

“Ce l’ho.” Disse Tony prendendola in braccio come fosse stata una bambina piccola.

“Abigail, se tu potessi preparare il tuo futon così che possa stare comoda…”

“Subito.” Replicò Abby dirigendosi velocemente al laboratorio.

“Chiamerò un’ambulanza.” Si offrì Tim.

Tony seguì Ducky lungo la strada per tornare in laboratorio. Abby aveva steso a terra il futon non molto distante dalla porta.

“Quello è lui.” Esclamò Ziva con voce debole.

“Cosa?” Tony era confuso finché non incontrò i suoi occhi e capì che stava guardando lo schermo del computer di Abby.

“Lui è il padrone del cane.” Chiarì lei. “L’uomo sullo schermo…”

Il cuore di Tony accelerò mentre la posava dolcemente sul futon. Le scostò i capelli dalla fronte. “Sei sicura?”

“Sì.” Annuì lei. “Perché? Chi è?”

“È il tizio che ha Gibbs.” Le disse, stringendo gli occhi. “Il bastardo ha pianificato tutto; il cane che ti ha attaccato…era tutto per distrarci.”

“Deve aver pianificato tutto per mesi.” Disse McGee dopo aver messo giù il telefono. “Sapeva cosa avrebbe fatto Gibbs; che sarebbe stato l’ultimo qui a bere il caffè. Sapeva che Ziva va a correre ogni mattina. Chissà cos’altro…”

“Ciò significa che tutti voi potreste essere in pericolo.” Disse loro Tony, alzandosi in piedi. Si diresse rapidamente al tavolo di Abby e afferrò il suo Caf-Pow, poi lo gettò nell’immondizia.

“Tony!” Protestò lei.

“Niente cibo e niente acqua che non ti sia arrivata sigillata.” Rispose lui.

“Ma ne ho già bevuti tre questa mattina!” Ritorse lei. “E li ho presi io stessa!”

“Lo stesso vale per te, McGee.” Disse lui, ignorandola completamente voltandosi verso l’Agente.

“O-okay.” Fu d’accordo Tim senza far domande.

“Tony.” Chiamò Ziva da terra. Le si inginocchiò di nuovo accanto. Lei gli afferrò il braccio. “Tutto questo non è colpa tua.”

I suoi occhi lampeggiarono per il fatto che lei avesse capito esattamente cosa stava pensando. Scosse la testa. “Sì, lo è, Ziva. Questo tizio ce l’ha con me. Si suppone che io guidi questa squadra; che trovi Gibbs. E ho già fatto eliminare un altro di voi dal gioco.”

“Tecnicamente,” intervenne Tim “hai avuto il comando della squadra questa mattina quando sei arrivato. Ziva è stata attaccata prima.”

“La semantica non cambia le cose.” Borbottò Tony prima di alzarsi di nuovo. “Rimani con lei finché non arriva l’ambulanza.” Disse al giovane Agente. “Abs, emana un ordine di ricerca per questo tizio. Se ha avuto abbastanza coraggio da passeggiare per le strade questa mattina, forse potrebbe essere a spasso in questo momento; in attesa di un’altra possibilità per colpire. Vado su ad aggiornare Vance…”

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“Devi restare.” Disse Ziva a Tim mentre veniva caricata nell’ambulanza.

“Non dovresti stare da sola.” Disse lui.

“Tony ha bisogno di te. Gibbs ha bisogno di te. Io starò bene, McGee. Ti prego…” I suoi occhi lo imploravano. Sapeva che ciò che gli stava dicendo era la verità; dovevano trovare Gibbs, e la squadra era già stata dimezzata. E lei non voleva la morte di Gibbs sulla coscienza perché li aveva rallentati a causa di ciò che le era successo. “Quando lo troverete,” continuò lei al suo silenzio “verrete ad avvisarmi, si?”

Tim annuì e le strinse la mano rassegnato a lasciare l’ambulanza. Poi si voltò verso il medico. “Ci farà sapere di che si tratta non appena saprà qualcosa?”

“Ho il suo numero, Agente McGee.” Gli sorrise lievemente prima di chiudersi dentro l’ambulanza.

La osservò andare via proprio mentre il cellulare cominciava a squillargli in tasca. Lo prese rapidamente. “McGee.”

“Abby ha trovato qualcosa.” Risuonò la voce di Tony.

“Arrivo.”

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12:38. I numeri sul display del cellulare brillavano come un conto alla rovescia verso la sua morte. Ma anche quando non guardava l’ora, il freddo sempre più opprimente serviva da promemoria.

Ogni dieci minuti, si obbligava ad alzarsi e camminare; doveva mantenere il sangue in circolo per mantenere alta la sua temperatura corporea. Era l’unica cosa che poteva fare in quel momento. Non c’erano state chiamate, e lui non aveva proprio voglia di parlare con il suo rapitore.

Tutto quello che poteva fare, era sperare che la sua squadra lo trovasse prima che fosse troppo tardi. Se il bastardo fosse arrivato a Tony, almeno sarebbe stato vivo per rintracciarlo e ucciderlo prima che potesse uccidere il suo Agente Anziano.

Si passò una mano sul viso, frustrato, e sospirò. Dovunque l’avesse nascosto, doveva aver fatto proprio un bel lavoretto. Gibbs sapeva che la sua squadra sarebbe già stata in grado di trovarlo, se il tizio avesse fatto un lavoro sciatto. Chiaramente, sapeva cosa stava facendo.

In quel momento gli ci sarebbe voluto proprio un bel caffè…droghe o no…

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Che cosa avrà trovato Abby? Riusciranno i nostri ad arrivare a Gibbs senza mettere Tony in diretto pericolo? Belle domande, eh? Non sperate io vi dica qualcosa! XD

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Capitolo 9
*** Uno Eliminato ***


Abby aveva avuto una segnalazione dall’ordine di ricerca…e l’aveva avuta da Fornell, fra tutti. Fornell stava investigando in un crimine con la sua squadra; un crimine che non aveva nulla a che fare col loro. Si trovavano in un negozio di cellulari, a parlare con il proprietario a proposito di cellulari usa e getta venduti di recente, quando aveva ricevuto un promemoria sul cellulare riguardante l’ordine di ricerca. Per caso il proprietario aveva visto la foto del ricercato.

Withey era stato in quello stesso negozio…e aveva comprato un paio di cellulari qualche giorno prima.

Il primo istinto di Tobias era stato di chiamare Gibbs. Quando non aveva ricevuto nessuna risposta, aveva chiamato la seconda persona nella sua lista: Abby. Perché era lei la seconda persona da chiamare nella sua lista? Beh, DiNozzo non rispondeva spesso alle telefonate dell’Agente dell’FBI. Quello, e poi trovava che fosse strano che Gibbs non avesse risposto. Abby era la persona più accondiscendente fra i restanti membri della squadra.

Le sue paure vennero confermate quando Abby spiegò perché l’Agente Supervisore non stava rispondendo alle chiamate. E lui si era sentito più che disposto ad aiutare con il caso; aveva dato ad Abby tutte le informazioni che aveva ottenuto dal proprietario del negozio. Con quelle informazioni, Abby era stata in grado di rintracciare uno dei cellulari.

Ora, Fornell e la sua squadra, insieme a Tony e Tim, stavano circondando con discrezione una tavola calda dove il telefono era in uso. Gli Agenti dell’FBI era vestiti in borghese, quindi nessun segnale d’allerta per coloro che stavano guardando. McGee e DiNozzo se ne stavano un po’ defilati, dato che Withey sarebbe riuscito a riconoscerli in un istante. Ma erano pronti per lui, se avesse provato a correre.

“È qui.” Risuonò la voce di un Agente nell’auricolare di Tony.

“Nessun segno di Gibbs?” Chiese Tony, con calma.

“Negativo.” Rispose la voce.

“La decisione è tua, DiNozzo.” Disse Fornell.

Tony lanciò un’occhiata a McGee accanto a lui, il quale stava ovviamente ascoltando la conversazione. Era una decisione difficile. Withey poteva condurli a Gibbs. O…o non aveva nessuna intenzione di andare nel luogo in cui lo tratteneva, e loro avrebbero perso prezioso tempo aspettando che facesse quello che doveva nella tavola calda. Se il suo piano era di catturare Tony una volta che fossero riusciti a salvare Gibbs, allora era probabile che Gibbs si trovasse lì vicino: nel campo visivo di Withey.

Erano già passate le 1300. Dovevano correre il rischio. “Prendetelo.”

Una serie di comandi e di grida risuonarono nell’auricolare, accompagnati dalle grida dei civili spaventati. Quando Tim e Tony arrivarono all’ingresso della tavola calda, Fornell e Sacks avevano ammanettato Withey e lo stavano scortando fuori.

Withey sembrava infuriato. Livido, pure. Fino a che non vide Tony, ecco. Quando lo vide, la bocca gli si incurvò verso l’alto da entrambi i lati. Lo stomaco di Tony si contorse di rabbia e rammarico, ma non permise che si vedesse.

“Dov’è Gibbs?” Chiese stringendo gli occhi. Withey non fece altro che ridere. Tony serrò la mascella per la frustrazione. “Portatelo all’NCIS.” Disse a Fornell.

“Avete preso il suo cellulare?” Chiese McGee agli Agenti dell’FBI.

Fornell strinse le labbra e lasciò che Sacks spingesse Withey all’interno della macchina. “Quando ci ha visto entrare, l’ha gettato a terra rompendolo.” Gli disse, sollevando una busta delle prove con all’interno l’apparecchio in pezzi.

Tony presa la busta, lo stomaco che gli si contorceva per l’assoluta delusione. Si voltò verso Tim. “Puoi aggiustarlo?” Chiese; quasi scongiurò.

McGee lanciò un’occhiata al contenuto della busta, poi incontrò gli occhi di Tony, continuando a spostare i suoi dall’uno all’altro. “Abby e io ci metteremo subito a lavoro.” Gli disse.

Tony annuì, spingendo via qualsiasi apprensione stesse sentendo dentro di sé. “Vai a girare la macchina?” Gli lanciò le chiavi. Tim annuì e si voltò per andare a prenderla, senza esitazione. “Ci vediamo all’NCIS.” Disse a Fornell. “Grazie…per il tuo aiuto.”

L’uomo più vecchio strinse gli occhi al preoccupato, almeno internamente, Agente davanti a lui. “Hai fatto la scelta giusta, DiNozzo.” Gli assicurò.

“Solo se Withey parlerà.” Ritorse lui. “E ho la forte sensazione che non lo farà. Questo era il suo piano; o lo è ora.”

Fornell gli appoggiò una mano sul braccio. “Lo troveremo, ragazzo.”

Tony incontrò i suoi occhi e li sostenne per un momento, poi annuì in segno di apprezzamento, e guardò l’Agente entrare nella sua macchina. Osservò il sedile posteriore per vedere Withey che gli sorrideva prima che la macchina cominciasse a muoversi. Tutta la rabbia, la frustrazione e il panico sembrarono fluirgli dentro in quel momento. Quando la macchina fu scomparsa dalla vista, Tony intrecciò le mani dietro la testa mentre sorvegliava l’area attorno a lui quasi in lacrime.

Non c’era un furgone in vista, dato che avevano controllato in precedenza. Solo edifici dopo edifici dopo edifici. Uffici, negozi, banche…niente ad indicare dove potesse trovarsi Gibbs. Si ritrovò ad osservare la tavola calda; il suo freddo riflesso che lo guardava dritto negli occhi dalla finestra di vetro. Si obbligò a raddrizzarsi, si diede uno scappellotto sul retro della testa e prese un respiro profondo. “Non c’è tempo per questo, DiNozzo. Usa la testa.” Si sgridò.

Sentì la macchina fermarsi accanto a lui, e una volta sicuro di essersi rimesso su una decente faccia da poker, si voltò e vi salì, entrando dalla parte del passeggero e allacciandosi la cintura mentre chiudeva la portiera. Mentre la macchina cominciava a muoversi, Tony chiamò Vance per aggiornarlo.

McGee guidò in silenzio. Sapeva che Tony era infuriato; anche se lo stava nascondendo piuttosto bene. Era stati così vicini, e ora si ritrovavano in un vicolo cieco. E il conto alla rovescia andava avanti…

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Ed ecco che la squadra è riuscita a catturare Withey, anche se non hanno trovato ancora nessuna traccia del loro Capo...Nel prossimo capitolo avrete l'interrogatorio condotto da Tony!

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Capitolo 10
*** Pazienza Che Si Assottiglia ***


“Dicci dov’è, Billy.” Tony camminava avanti e indietro innanzi al tavolo nella sala interrogatori. “Tutto questo non ha senso.”

“Oh, sì che ce l’ha.” Replicò lui, con calma; il suo corpo allampanato si rilassò contro lo schienale della sedia. “Vedi, avevo grandi piani per te. Piani che sono stati sventati, ovviamente. Ma c’è ancora un modo per ferirti come tu hai ferito me, e di certo non me lo lascerò sfuggire. L’Agente Gibbs è in quel furgone da…quante ore ormai? La temperatura continua a scendere; l’aria si fa più rarefatta. Sarà morto prima che tu riesca a trovarlo…”

Tony smise di camminare e si chinò sul tavolo, incontrando il grottesco sguardo dell’uomo di fronte  a lui. “Tuo padre stava uccidendo delle persone innocenti.” Gli disse. “Stava mirando ad una donna che si trovava nei paraggi insieme alla sua bambina di dodici anni, quando gli ho sparato. Vuoi davvero confrontare le due situazioni?”

“Non mi interessa della semantica, Agente DiNozzo.” Sputò lui. “Il fatto è che hai ucciso mio padre! Avevo quindici anni! E tu ti preoccupi del fatto che stava per uccidere la madre di qualche altro bambino?” Scosse la testa, incredulo. “Hai ucciso mio padre! Lui era tutto per me, e tu lo hai…spazzato via. Non importa nient’altro. A parte che tu soffra come ho sofferto io, per il resto della tua vita, proprio come me.”

“Non avevo scelta, ragazzo!” Urlò Tony. “Questa non è vendetta; è follia! Gibbs non c’entra niente con tutto questo. Tuo padre stava uccidendo delle persone. Non avevo scelta.” Withey sorrise e scosse la testa. “Dov’è!” Tony sbatté le mani sul tavolo accompagnando le sue parole. Billy rimase zitto e sostenne lo sguardo di Tony senza problemi.

Tony sapeva che quel ragazzo stava provando a farlo infuriare. Sapeva anche che ci stava riuscendo. Quindi si obbligò a calmarsi, e lentamente si sedette sulla sedia di fronte a lui. Con calma, parlò. “Sai cosa succede adesso, giusto?” Gli chiese. “Andrai in prigione, per un lungo periodo. Non sarà piacevole per te.” Permise al suo viso di rilassarsi con le sue parole. Poi si voltò, brevemente, verso lo specchio e fece segno di spegnere la telecamera. Si voltò di nuovo verso Withey. “E se il mio compagno muore…morirai anche tu.”

Withey rise e scosse la testa. Tony sollevò le sopracciglia per un momento. “Oh tu- tu pensi che io stia scherzando.” Sogghignò Tony. “Non commettere errori, Billy-boy.” Si fece più vicino al ragazzo e sussurrò. “Lo farò io stesso, se necessario. E neanche quello sarà piacevole per te.”

“Non m’interessa quello che dici.” Rispose lui, con la stessa calma. “Non ti aiuterò.”

Tony rimase calmo e si alzò, sorridendogli un’ultima volta. “Non mi serve il tuo aiuto.” Con ciò, si diresse alla porta mentre una guardia da fuori lo faceva uscire.

“Ti dispiace se ci parlo?” Chiese Tobias fuoriuscendo solo con la testa dalla sala osservazioni.

“È tutto tuo.” Replicò Tony continuando a camminare lungo il corridoio fino ad arrivare all’ascensore.

Una volta che le porte si furono aperte, vi entrò e premette un tasto. Mentre l’ascensore cominciava a muoversi, sollevò la leva di emergenza bloccandolo. Nell’oscuro silenzio, era in grado di sentire il suo respiro accelerato. Ogni centimetro di lui bruciava di rabbia, odio e paura.

L’uomo che amava come un padre, l’uomo al quale aveva sempre guardato e a cui affidava la sua vita, era bloccato in una tomba di ghiaccio, avvicinandosi lentamente alla morte…tutto per colpa sua.

Colpa. Frustrazione. Rabbia. Tremava a causa di tutto ciò, e non poteva più tenersi tutto dentro. Le mani di Tony si strinsero a pugno e lui serrò gli occhi, volendo come non mai urlare a pieni polmoni. E anche se voleva tenersi dentro pure quello, gridò lo stesso; il suo pugno si unì alla protesta sbattendo con violenza contro il muro dell’ascensore.

Il dolore fu ritardato, ma non fece altro che spostarlo da una frustrazione all’altra. Fu sufficiente a ricordargli che non aveva tempo per l’autocommiserazione. Non aveva tempo di farsi del male ripetutamente per cercare di distrarsi da un tipo di dolore, concentrandosi su un altro.

Si cullò la mano contro il petto, sperando di non aver rotto niente. Si permise un paio di lacrime, sgorgate da un misto di quel dolore e…un altro. Poi, ancora una volta, si obbligò a riprendere il controllo.

Con gli occhi chiusi, riportò il respiro alla normalità e sentì il cuore rallentare i battiti. Poteva avere un esaurimento nervoso più tardi. In quel momento, aveva una squadra da guidare. E loro dipendevano dalla sua sanità e professionalità, per aiutare a trovare Gibbs prima che fosse troppo tardi…

                                                                                                                                         11 00 11 00 11

1647…

“Dimmi che hai qualcosa, McGee.” Disse Tony dopo essere ritornato dal negozio di cellulari dove aveva parlato col proprietario. “Withey ha pagato profumatamente per assicurarsi che il secondo numero non venisse salvato o registrato nel sistema. L’unico cellulare che può chiamarlo è quello che abbiamo preso a Withey. L’altra linea non può eseguire chiamate, e il GPS è stato disabilitato.”

“Ci sto lavorando.” Replicò Tim. “Se riusciamo a rimetterlo a posto abbastanza da accedere al registro delle chiamate, allora possiamo restringere il numero delle chiamate ricevute o fatte. Il problema è che i circuiti devono essere riassemblati. Ce la sto quasi facendo…”

“Quanto a lungo è ‘ce la sto quasi facendo’?” Chiese Tony.

“Non…non lo so, Tony. Potrebbe essere venti minuti. Potrebbe essere un’ora. Dipende se le connessioni che sto facendo reggono o no.”

“Anche se riesci ad ottenere quel numero, come facciamo a chiamarlo se non possiamo usare il cellulare?” Chiese Tony.

“Ci abbiamo pensato.” Intervenne Abby. “Una volta trovato il numero, McGee può remotamente riabilitare il sistema GPS. Finché il cellulare è acceso, dovremmo essere in grado di capire dov’è.”

Dovremmo?” Tony sollevò le sopracciglia.

“Beh, senza GPS, dovremmo far funzionare il cellulare così da poter fare una chiamata e trovare la generale posizione del cellulare utilizzando i segnali dalle torri operative.” Spiegò lei. “Quello restringerebbe il campo da cercare, ma così ci vorrebbe di più per trovarlo.”

“Quindi ci vorrà come minimo un’altra ora…” Tony attraversò impazientemente la stanza e si voltò. “Qualcuno ha saputo niente da Ziva?”

“Ducky ha chiamato l’ospedale poco fa.” Gli disse Tim. “È stabile, ma devono ancora identificare la sostanza sulle bende. In questo momento, credono sia un qualche fungo; di qualche tipo.”

“Ma lei starà bene?”

“Non appena riusciranno a capire di cosa si tratta, potranno darle l’antidoto.” Gli disse Tim.

“Bene…bene.” Tony attraversò di nuovo la stanza e si voltò. “Sento come se dovessi fare qualcosa.”

“Beh, non c’è niente che tu possa fare per lei in questo momento-”

“No, non quello.” Corresse. “Dovrei essere…lì fuori. Dovrei essere alla tavola calda, ad analizzare l’area.”

“Lo abbiamo già fatto.” Ritorse McGee. “Sia noi che la squadra di Fornell, ricordi?”

“Abbiamo solo tenuto gli occhi aperti per un furgone.” Chiarì Tony. “Non abbiamo cercato altro.”

Altro?” Abby strinse gli occhi.

“Nel senso dentro gli edifici.”

“Dove potrebbe aver nascosto il furgone?” Chiese McGee. “Non c’erano garage nelle vicinanze. Di nessun tipo, per quel che importa. Era un’area prettamente industriale.”

“Ho come la sensazione che…stiamo dimenticando qualcosa.” Tony cominciò a camminare avanti e indietro. “Dovremmo essere lì fuori a cercare più duramente.” Si fermò, davanti al muro con le finestre in alto. Poi si voltò. “Vado lì fuori; cerco ancora.”

“Da solo?” Abby sollevò le sopracciglia.

“Ha ragione, Tony.” Intervenne McGee. “Withey ce l’aveva con te. Chi ci dice che non ha qualcun altro che ti sta cercando?”

“Withey è qui. Di certo non me ne starò seduto qui impaurito mentre Gibbs se ne sta rinchiuso in un freezer. Devo andare lì fuori.” Cominciò a incamminarsi verso la porta.

“Tony, aspetta!” Chiamò Abby. Lui si fermò e si voltò. “Almeno…lasciami tirar fuori una mappa dell’area; per stringere la ricerca.” Suggerì.

“Okay. Chiamami, allora. Mi dirigerò da quella parte. E mi terrò in contatto con uno di voi per tutto il tempo, va bene, McPreoccupato?”

“Non appena avrò sistemato questo coso, ti raggiungerò.” Replicò McGee.

Tony annuì, poi si voltò e uscì dal laboratorio…

                                                                                                                                  11 00 11 00 11

Ed ecco che le cose cominciano a muoversi, riusciranno McGee e Abby a far funzionare il cellulare o farà prima Tony a trovare Gibbs utilizzando il metodo tradizionale: vale a dire cercando?

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Capitolo 11
*** Perso E Trovato ***


Dal momento in cui Tony era uscito dal laboratorio, lo stomaco di McGee aveva cominciato a contorcersi. “Non posso lasciarlo là fuori da solo.” Pensò a voce alta.

“Allora non lo lasci.” Risuonò la voce di Vance mentre entrava nel laboratorio.

“Signore?” McGee alzò gli occhi dal suo lavoro.

“Lo chiami; gli dica di aspettare. Posso andare avanti io qui con la Signorina Sciuto.”

“Ma il telefono…”

“So anche io un paio di cose, Agente McGee.” Ritorse lui. “A meno che lei non creda che giù ai Crimini Informatici ci sia qualcuno migliore?”

“No, Signore.”

Vance si avvicinò al tavolo continuando a parlare. “Una volta che avremo ottenuto il numero, dovremo attivare il GPS del secondo telefono, giusto?”

“Sì…voglio dire sì, Signore.”

“Ci penso io. Abby e io ci assicureremo di chiamarvi entrambi non appena avremo trovato qualcosa. Vada ad aiutare DiNozzo.” Ordinò.

McGee si alzò. “Grazie, Signore.” Annuendo e lanciando un’occhiata a Abby, si sbrigò ad uscire dal laboratorio tirando fuori il telefono per chiamare Tony…

                                                                                                                              11 00 11 00 11

1721…

“Sicuro che Vance abbia il luogo esatto?” Chiese Tony a McGee mentre parcheggiavano per la seconda volta durante la loro ricerca, dietro un angolo.

“Abby mi ha mandato un messaggio un minuto fa e ha detto che è riuscito a far funzionare le connessioni.” Replicò lui. “Stanno scorrendo la lista delle chiamate mentre parliamo. È solo una questione di tempo prima che riesca ad attivare il GPS.”

“E se il segnale non riesce a passare attraverso il furgone?” Chiese mentre Tim afferrava il suo zaino dal sedile posteriore e usciva dalla macchina insieme a lui incamminandosi per la strada.

“Se è riuscito a fare una chiamata, dovrebbe esserci abbastanza segnale.” Gli disse Tim.

“Lì.” Tony si fermò e puntò il dito da qualche parte lungo il vialetto. In lontananza, potevano vedere una larga porta di quello che doveva essere stato il retro di un negozio di alimentari.

“È un po’ distante dalla tavola calda dove si trovava Withey.” McGee corrugò le sopracciglia.

“Sì, ma guarda.” Gli indicò una telecamera. “Se è stato abbastanza intelligente da fare quel che ha fatto con i cellulari, avrebbe potuto inserirsi nella telecamera?”

Tim la osservò pensieroso. “Sembra nuova.” Commentò. “E non è del modello standard come tutte le altre telecamere dell’isolato. È possibile che l’abbia installata lui stesso. E sì, avrebbe potuto inserirsi nella telecamera da dovunque si trovasse.”

“Andiamo; tieni gli occhi aperti.” Istruì Tony mentre si dirigevano verso la porta. Fu in quel momento che gli squillò il telefono. Non rallentò per poterlo tirare fuori. “DiNozzo.”

“Tony.” Risuonò la voce di Abby dall’altra parte della linea. “Il GPS non era stato semplicemente disattivato, ma designato manualmente per non poter essere reinserito. Ma abbiamo trovato qualcosa di interessante sulla linea di Withey.”

“Fammi indovinare.” Disse lui. “Stava ricevendo dei video in diretta.”

“Uh…sì. Come fai a saperlo?”

“Avete avuto fortuna a chiamare Gibbs?” Chiese lui, ignorando la domanda.

“Il Direttore Vance è stato in grado di creare un’opzione per chiamare con il numero di Withey dal computer.” Gli disse lei.

“L’ho chiamato.” Risuonò la voce di Vance, facendo capire a Tony che si trovava in vivavoce. “Ma non c’è stata risposta.”

“Stiamo triangolando il segnale in questo momento.” Intervenne Abby.

“Ci stiamo dirigendo lungo un vialetto poco fuori dalla 24th e Main. Richiamami quando avrete finito.” Disse Tony, poi terminò la chiamata e si ricacciò in tasca il cellulare proprio mentre raggiungevano la porta.

McGee fu pronto con le tenaglie e andò subito a lavorare sul lucchetto. “Immagino che Vance abbia trovato il numero.” Commentò mentre il lucchetto si rompeva.

“Stanno cercando di triangolare il segnale.” Replicò Tony togliendo il lucchetto dalla porta e, con un po’ di lavoro di squadra, tirandola su. Era buio, così tirò fuori la sua torcia in cerca di un interruttore della luce lungo il muro. Quello che trovò fu un grosso pannello con una larga leva. La sollevò e una serie di click poté essere udito mentre le luci sopra di loro si accendevano una ad una.

La stanza era gigantesca, con mura separatorie che si innalzavano come curiosi impianti per le docce. “Sembra sempre più piccolo da fuori.” Commentò Tony mettendo via la torcia.

Cominciarono a muoversi per l’immenso pavimento di cemento. Entrambi si muovevano a passo svelto, lanciando occhiate lungo gli ‘impianti’ man mano che passavano. Nessuno dei due menzionò come quello che stavano facendo ricordava la frenetica ricerca di una bambino scomparso al supermercato; sperando ogni momento di riuscire a vederlo vicino ad uno scaffale potendo finalmente sospirare per il sollievo.

“Questa stanza è delle dimensioni di un campo da football.” Commentò McGee. “Com’è che è inutilizzata?”

“L’elettricità c’è, quindi suppongo che la stiano vendendo.” Replicò Tony.

“Probabilmente costa una fortuna…quanto scommetti che probabilmente sarebbero felici di metterla in affitto nel frattempo?”

Si scambiarono una veloce occhiata, segnandosi mentalmente di controllare il proprietario se avessero trovato qualcosa. Ovviamente, l’ultimo ‘impianto’ fu quello in cui finalmente trovarono qualcosa.

“E-eccolo!” Balbettò McGee. “È il furgone!”

Tony non poté nemmeno parlare per il momento mentre si avvicinava rapidamente al retro del furgone davanti a loro. Appoggiò le mani alle porte, trovando un grosso lucchetto a tenerle chiuse. “Gibbs?” Gridò. Attesero entrambi per un momento una risposta, ma non ce ne fu nessuna. “McGee; tenaglie!” Richiese Tony, e Tim le tirò fuori a tempo record, porgendogliele.

“Tony, aspetta!” Gridò. Tony lo guardò incredulo. “E se c’è una trappola?”

Gli occhi di Tony si contrassero per la frustrazione. Si chinò su mani e ginocchia per guardare sotto il furgone mentre McGee correva sul davanti per controllare la cabina. “Sembra libero qui.” Disse.

“Io non vedo niente.” Rispose Tony.

“E se ci fosse qualcosa dentro il retro?”

“Non c’è tempo, McGee.” Scattò Tony. “C’è solo un modo per scoprirlo senza aprire queste porte, e non abbiamo tempo.” Ruppe il lucchetto e lo gettò a terra insieme alle tenaglie.

Aprì le porte e fu preso di sorpresa quando un corpo ne uscì, cadendogli addosso. Cadde a terra di schiena prima di rotolare di lato per realizzare chi gli era caduto sopra.

“Gibbs…?”

                                                                                                                                       11 00 11 00 11

Finalmente Gibbs è stato trovato, ma i nostri sono forsi arrivati in ritardo? Lo saprete nel prossimo capitolo! : )

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Capitolo 12
*** Blu E Bianco ***


30 minuti prima…

Il freddo era insopportabile. Anche se ora si muoveva costantemente, correndo per lo stretto spazio nel quale era rinchiuso al meglio delle sue possibilità, Gibbs non riusciva a scaldarsi. Faceva male respirare, in effetti.

Lentamente, era diventato sempre più difficile muoversi in quello spazio angusto. Era anche più difficile pensare, e sapeva che quello non era un buon segno.

Inciampando nei suoi movimenti, decise che era meglio non ferirsi nel processo. Era possibile che si fosse già ferito, e semplicemente non potesse percepirlo. Quindi, si diresse verso le porte; l’unico posto che sapeva non emanava freddo, e si sedette.

La fatica lo stava sopraffacendo velocemente, ma lui era determinato a rimanere sveglio, muovendosi il più possibile; dondolandosi avanti e indietro per mantenere la circolazione. Se si fosse addormentato, sarebbe potuta essere la fine per lui, e non aveva modo di sapere quando la sua squadra sarebbe stata in grado di trovarlo.

Ad un certo punto, appoggiò a terra il telefono per tirarsi su la maglia per coprirsi la bocca così da non respirare quell’aria fredda. Ma apparentemente non c’era più nessun calore nemmeno nel suo respiro. Perciò, si avvolse il torso con le braccia. Aveva perso praticamente qualsiasi sensibilità nelle mani.

Fu diversi minuti dopo che le sue palpebre si rifiutarono di rimanere aperte. Sentì il telefono suonare, da qualche parte nella sua mente. Ma non poteva costringersi ad allungare la mano per raccoglierlo. Il suono del cellulare si fece distante. E poi scomparve…

                                                                                                                             11 00 11 00 11

Presente…

“Gibbs!” Tony si mise rapidamente in ginocchio per vedere bene il suo capo privo di coscienza. Gli afferrò il volto con entrambe le mani, sobbalzando alla temperatura gelata della sua pelle. “Gibbs, avanti! Avanti, Capo, non farmi questo!” Cercò freneticamente di sentire il suo battito cardiaco.

McGee se ne stava lì in piedi sotto shock. Avrebbe dovuto aspettarsi una cosa simile, ad essere onesti. Ma vedere il suo capo così pallido e privo di vita…quest’uomo che loro avevano sempre pensato essere una specie di Superman; indistruttibile…E Tony, il suo mentore, che raramente mostrava apertamente un tale livello di panico, ora sembrava non sapere cosa fare…

Ma non appena riprese a pensare, Tony scattò subito in azione. Guardò l’Agente più giovane. “È vivo…chiama un’ambulanza!” Gli ordinò e si voltò di nuovo verso il loro capo. Mentre McGee tirava fuori il suo cellulare, Tony pensò a cosa fare. “La cosa migliore da fare per una vittima in stato ipotermico.” Rifletté.

Quando McGee ebbe finito la sua chiamata, si voltò per trovare Tony che spogliava Gibbs della sua giacca. “Che stai facendo?”

“Non ti capita per caso di avere un sacco a pelo in quel tuo zaino, vero, McBoyscout?”

Quasi istantaneamente, Tim realizzò cosa aveva intenzione di fare. “Uh…no.” Replicò. “Ma ho una coperta termica.” Disse posando a terra lo zaino inginocchiandovisi accanto.

“Dovrà bastare, fino a che non arriveranno.” Disse Tony cominciando a rimuovere il resto dei vestiti di Gibbs. “Fra quanto dovrebbero arrivare?”

“Hanno detto otto minuti.” Replicò Tim tirando fuori un pacchetto quadrato e cominciando a distenderlo.

“Aiutami a togliergli il resto.” Gli disse Tony mentre cominciava a togliersi i suoi stessi vestiti. McGee esitò solo per un momento prima di fare come gli aveva detto. “Possiamo mettere i nostri vestiti sotto di noi, poi mi servirà che tu ci avvolga per bene come-”

“Come foste in un sacco a pelo, sì. Capito.” Finì Tim per lui. Quando ebbe lasciato Gibbs con addosso solo i boxer, Tony aveva già finito di togliersi i vestiti stendendoli come fossero un morbido cuscino accanto a Gibbs utilizzando anche i suoi vestiti.

“Mettiamolo di fianco, così sarà sopra i vestiti.” Gli disse Tony. Lo stesero di fianco, e Tony si posizionò al suo fianco col volto rivolto verso quello di Gibbs. Portò le braccia attorno al tronco gelato dell’uomo più vecchio, e quando la sua pelle entrò a contatto con quella dell’altro, tremò violentemente a causa del drammatico cambiamento di temperatura.

Tony non dovette dire a Tim cosa fare a quel punto. McGee cominciò immediatamente a coprirli entrambi con la coperta, stringendola bene ai loro fianchi, spostandosi poi ai loro piedi per coprire anche quelli. Poteva sentire Tony tremare sotto la coperta.

Tim si mise in piedi e osservò la scena davanti a lui. Quello non era il momento per fare battute, cosa che lo seccò un po’, visto che ne aveva pronte già una dozzina. Magari si sarebbe ricordato di farle più tardi.

“Dio, è così freddo.” Disse Tony, quasi in un sussurro. Rimaneva il più fermo possibile sotto la coperta. Ricordava di aver letto che sfregare le braccia di una vittima di ipotermia poteva essere un errore piuttosto grave.

“Starà bene, giusto?” Chiese Tim con voce piccola.

Tony lo guardò con la coda dell’occhio. “Ovvio che starà bene, Pivello. È Gibbs.” Gli disse. “Deve star bene.” Aggiunse, probabilmente per convincere sé stesso. tirò un po’ indietro la testa per osservare il volto di Gibbs. Le sue labbra erano blu, e scommetteva che se lo avesse osservato con più attenzione avrebbe visto che anche le dita delle mani e dei piedi erano della stessa tinta.

Tony riportò la testa in avanti, facendo sì che Gibbs avesse la testa appoggiata proprio sotto il suo mento. “Avanti, Capo.” Tremò. “Siamo entrambi praticamente nudi in un sacco a pelo fai da te e non ho n-niente di divertente da dire. T-te lo stai perdendo.”

McGee deglutì. “Tony, dovresti stare attento. Lo sai, cercare di scaldare una vittima di ipotermia in quel modo può risultare in te che diventi ipotermico…”

“Sì…beh, io sto bene.” Ritorse lui con calma. “Posso preoccuparmi per me d-dopo.” McGee non poteva fare a meno di sentirsi preoccupato per entrambi. “Dio, questo mi sta…uccidendo!” Disse Tony mentre un violento tremito gli attraversava il corpo.

“Tony-”

“Puoi immaginartelo?” Continuò lui. “Sono qui da pochi minuti…Questa roba deve essere più calda di com’era lì dentro. Gibbs è rimasto lì per quasi 23 ore! Io sto già congelando! Come ha fatto?”

“Sei sempre stato un po’ troppo sensibile al freddo.” Disse McGee. “Gibbs è…Gibbs. E tu…beh, ti lagni ogni volta che andiamo su una scena del crimine dove c’è della neve per terra…” Non sapeva cosa lo aveva posseduto per fargli dire quelle cose.

Ma Tony improvvisamente si mise a ridere. Non sapeva se a causa della sfacciataggine della sua affermazione, o della leggera follia che finalmente prendeva il possesso dell’amico a causa di quello che era successo quel giorno. Ma quando la risata di Tony mutò in qualcosa che rasentava l’iperventilazione da panico, capì che si trattava della seconda ipotesi.

“Avanti, C-capo.” Sussurrò Tony con la bocca a poca distanza dall’orecchio di Gibbs. “Devi s-svegliarti. D-devi stare bene…svegliarti e mo-mostrarci che s-stai b…bene…”

McGee non si era mai sentito più grato, nella sua vita, di sentire in lontananza le sirene dell’ambulanza…

                                                                                                                              11 00 11 00 11

Finalmente arriva l'ambulanza, Tony quello che poteva fare l'ha fatto ora non resta che attendere! Come sempre vi ringrazio di seguirmi e lasciarmi dei commenti, sono il mio pane quotidiano! XD

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Capitolo 13
*** Visite ***


“Ho detto che sto bene!” Insistette Tony con l’infermiera che lo stava controllando in una saletta.

“Su, Anthony.” Ducky cercò di calmarlo. “La tua temperatura corporea si era abbassata un po’ quando i paramedici sono arrivati alla scena del crimine. Permetti loro di darti una controllata. Con la tua storia medica, è il minimo che puoi fare.”

“La mia temperatura è a posto, ora.” Ritorse Tony. “Devo controllare Gibbs.”

“Jethro sta venendo controllato in questo momento, ed è in buone mani.” Replicò Ducky. “Hai fatto tutto quello che potevi per lui, a questo punto. Non è neanche in una stanza per ora.”

“Devo sapere che starà bene, Ducky…”

“È stabile.” Lo rassicurò l’uomo più vecchio. “Stanno lavorando per alzargli la temperatura. E a questo punto, non hanno trovato nessun danno ai tessuti; niente geloni. Non possiamo fare altro che aspettare.”

Tony si rilassò visibilmente, allora. O forse si arrese. Ricordi del giorno trascorso, all’improvviso poterono aggredirlo in pieno, facendo sì che si incurvasse sul tavolo per gli esami sul quale era seduto.

Ducky poté vedere la stanchezza negli occhi di Tony, ancora prima che il giovane uomo le permettesse di mostrarsi apertamente. Alzò gli occhi sull’infermiera. “Potrebbe darci un momento, cara signorina?”

Lei sorrise brevemente. “Certamente. Sarò di ritorno fra poco.” Si voltò e lasciò la stanza.

Quando Ducky riportò la sua attenzione sull’Agente Anziano, sembrò che lui non si fosse minimamente accorto della breve conversazione appena avvenuta, come non si era accorto che l’infermiera era uscita. Ducky gli si avvicinò e gli appoggiò una mano sulla spalla. Tony incontrò i suoi occhi. “Hai fatto un lavoro straordinario, Tony.” Gli disse. “Se non fosse stato per te, temo che non avremmo mai trovato Jethro in tempo.”

“Se non fosse stato per me, non sarebbe stato rapito in primo luogo.” Ritorse Tony con voce piccola.

“Se dovessimo rimuoverci tutti dal mondo a causa delle intenzioni malvagie di quelli associati a noi, tutti sarebbero persone piuttosto sole.” La saggezza di Ducky sembrò non sortire effetto su Tony. L’Agente chinò un po’ la testa e la scosse in disaccordo. “Questa non è stata colpa tua più di quanto non sia stata mia.” Tony alzò su di lui occhi stretti e interrogativi. “Se ricordi, ho avuto bisogno di un passaggio a casa ieri sera. Forse Gibbs non sarebbe stato rapito, se io non ti avessi impedito di stare al tuo tavolo fino a che anche lui non fosse stato pronto ad andarsene.”

“Ducky…”

“Non negarlo, Anthony.” Lo interruppe il dottore. “Lo hai fatto più volte di quante io riesca a contare. Ora, entrambi sappiamo che, in circostanze normali, lui è in grado di prendersi cura di stesso. Ma tu senti lo stesso il bisogno, consapevole o meno, di assicurarti che stia bene; che se ne vada ad un’ora decente, magari…Forse qualcosa di più. Quali che siano le tue intenzioni, sono sempre state per il suo interesse. Il fatto che io sia intervenuto a giocato un ruolo fondamentale nel piano di Withey.”

“Non potevi saperlo.”

“E allo stesso modo, non potevi neanche tu.” Replicò lui. Tony sospirò, poi alzò entrambe le mani passandosele sul viso. “Cosa accidenti hai fatto alla mano?” Chiese Ducky.

Tony stese le mani davanti a sé, notando i lividi sulla destra; quella con la quale aveva colpito il muro in precedenza. Sogghignò e rise brevemente. “Era il muro o Withey. E non volevo dargli la soddisfazione di fargli vedere quanto ero seccato.”

Ducky gli sorrise lievemente di rimando, poi gli diede una pacca sulla spalla ridendo con un po’ di soddisfazione.

Improvvisamente, la porta si aprì, ed entrò Abby. “Tony!” Corse al tavolo dal quale lui saltò giù, e gli gettò le braccia attorno. “Lo hai trovato! Lo hai salvato, Tony! Ce l’hai fatta!”

Le braccia di Tony si avvolsero attorno a lei e la strinsero con forza. Non aveva ancora realizzato quanto aveva bisogno di uno di quegli abbracci. “Lo abbiamo fatto insieme, Abs.” Le disse. “Non ce l’avrei fatta senza di voi…”

                                                                                                                                  11 00 11 00 11

“Lo avete trovato?” Gli occhi di Ziva erano pieni di lacrime di sollievo mentre se ne stava distesa nel suo letto d’ospedale.

“Sì.” Confermò McGee. “Ducky dice che starà bene, una volta che avranno riportato alla normalità la sua temperatura corporea.”

“Avevo…paura.” Ammise Ziva. “Dopo quello che Withey mi ha fatto, sentivo come se la mia assenza avesse reso tutto molto più difficile…”

“Avresti dovuto vedere Tony.” Le disse Tim. “Era come se riuscisse a sentire dov’era Gibbs. Abbiamo trovato il posto prima che Vance e Abby potessero triangolare il segnale. E quando lo abbiamo tirato fuori dal furgone…Quello che Tony ha fatto lo ha salvato, Ziva. Sapeva esattamente cosa fare.” Disse con ammirazione e rispetto. “Ho sempre saputo che era un grande Agente. Ma oggi, non avrei potuto essere più orgoglioso di essere il suo pivello…”

Ziva sollevò un sopracciglio. “Ti sei appena riferito a te stesso come ‘pivello’, McGee?” Sogghignò lei.

“Mi ci sono rassegnato.” Si difese lui. “Allora…come ti senti?” Chiese, cercando disperatamente di cambiare argomento.

“Molto meglio.” Rispose lei. “Mi hanno dato qualcosa per contrastare la uh…Coprina…credo si chiamasse così. Dovrei essere dimessa domani mattina.”

“Bene…mi domando se ricovereranno Tony…”

“Tony è stato ferito?” Ziva si spostò per mettersi seduta meglio con gli occhi sgranati.

“Gli si era abbassata la temperatura corporea, quando è arrivata l’ambulanza.” Chiarì. “Lo stanno controllando in questo momento. Ducky dice che, con i polmoni già compromessi di suo, devono fare più attenzione. Tony non mi sembrava per niente felice.” Inclinò il capo di lato, sapendo che quella non era di certo una sorpresa.

Ziva annuì. “Withey è in detenzione, allora. Sa che il suo piano non ha funzionato?”

“Ho pensato di riservare quel piacere a Tony.” Sogghignò McGee. Ziva sorrise.

                                                                                                                                        11 00 11 00 11

A quanto pare le cose si stanno finalmente mettendo a posto anche se ancora non si sa nulla di Gibbs! Ci vediamo al prossimo capitolo!

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Capitolo 14
*** Calore ***


                                                                                                                                   11 00 11 00 11

Gibbs ritornò lentamente alla coscienza dal suo profondo sonno. All’inizio, pensò che forse era morto; si stava svegliando nell’aldilà dove avrebbe visto sua moglie e sua figlia, proprio come quando era affogato cercando di salvare Maddie.

Era al caldo. O meglio, non era più al freddo. Dovunque si trovasse, era grato di quel particolare. Gibbs permise ai suoi occhi di aprirsi lievemente, con lentezza, dato che la luce gli stava infliggendo un lieve dolore. Sbatté le palpebre per un momento fino a che ciò che lo circondava non si fece più nitido.

“Gibbs?” La voce di Abby risuonò accanto a lui, e lui si voltò verso di lei. Era appollaiata su una sedia vicino alla finestra, ma ora si stava alzando, per dirigersi al suo letto.

“Immagino di non essere morto.” Pensò.

“Gibbs! Sei sveglio! Sono così felice che tu ti sia finalmente svegliato.” Gli prese la mano mentre continuava a parlare. “Eravamo tutti così preoccupati. Beh, Ducky aveva detto che probabilmente saresti stato bene, ma ci conosci; non potevamo lasciarti senza esserne certi.”

Mentre Abby continuava il suo monologo, Gibbs studiò l’ambiente che lo circondava. Un ospedale, chiaramente. Dovevano averlo trovato, non molto dopo che aveva perso i sensi.

Poi, ciò che era successo lo colpì in pieno. “Tony!” Si alzò immediatamente dal letto, e Abby gli impedì di lasciarlo completamene trattenendolo per le spalle. “Abs, Tony è in pericolo.”

“Tony sta bene, Gibbs.” Lo rassicurò lei.

“Non capisci.” Ritorse lui. “Catturare me era un modo per attirare Tony in una-”

“Una trappola.” Concluse per lui Abby. “Lo sappiamo. Lo abbiamo scoperto prima di trovarti.” Gli disse.

“Abbiamo preso lui prima di trovare te, Capo.” La voce di Tony fece sì che Gibbs si voltasse verso la porta. Sollievo lo pervase, e smise di lottare contro Abby per potersi alzare. “Abs, Ziva è stata dimessa e le serve un passaggio fino a casa. Pensi di poterlo fare?”

“Perché Ziva era qui?” Gibbs corrugò le sopracciglia.

“Il bastardo l’ha avvelenata.” Ringhiò Abby.

“Cosa?”

“Immagino volesse mettere KO il più alto numero di noi possibile.” Gli disse. “Peccato che abbia sottovalutato Tony DiNozzo.” Sorrise.

“Abs…” Avvisò Tony dalla porta.

“Giusto…la porterò a casa.” Concordò lei. “Ci vediamo dopo, Grande Capo.” Si chinò per baciargli la guancia, poi lasciò la stanza.

“Ziva sta bene.” Tony rassicurò Gibbs. “Come tutti gli altri, se vuoi saperlo. Saresti fiero di McGee.” Disse avvicinandosi al letto. “Alla fine la sua natura da boyscout è tornata utile. E neanche una battuta su di me avvolto in una coperta termica, praticamente nudo, insieme a te.” Sogghignò.

“Come ci sei arrivato?” Chiese Gibbs, la curiosità evidente sul suo volto.

Tony rilasciò un respiro. “Abs ha trovato un capello sull’uniforme del guidatore; è arrivata fino a Withey. Quello è il tizio che…mi dispiace, Capo.” Chinò il capo. “È stata tutta colpa mia. Ha preso te così da potersi vendicare su di me per aver ucciso suo padre. Voleva che io soffrissi, e per questo, tu sei stato il suo bersaglio principale.”

“Hey.” Gibbs allungò una mano e gli diede una colpetto sotto il mento, obbligandolo a guardarlo negli occhi. “Non è stata colpa tua.”

“È quello che ha provato a dirmi anche Ducky.” Sorrise lievemente anche se quel sorriso non arrivò fino ai suoi occhi. “Ma i fatti sono fatti; Withey non se la sarebbe presa con te se non fosse stato per me.”

Voleva che tu mi trovassi, DiNozzo.” Strinse gli occhi. “Aveva in mente ogni genere di malato piano una volta riuscito a prenderti. Per la prima volta in…un lungo periodo, non sono stato sicuro su cosa fare.” Sollevò le sopracciglia per sottolineare la sua serietà. “Non potevo avvisarti; non potevo proteggerti. Sapevo che mi avresti trovato, ma una parte di me sperava che tu non ci riuscissi; non volevo che scambiassi il tuo posto col mio.”

“Ma lui lo sapeva, Capo. Sapeva che non ti avrei lasciato lì a morire, per salvare la mia vita.”

“Come l’hai trovato?”

“Fornell.” Sogghignò. Gibbs sollevò le sopracciglia. “Stava lavorando ad un suo caso, controllando un negozio di cellulari. Ha ricevuto la nostra segnalazione, e il proprietario del negozio ha identificato Withey come un cliente che aveva comprato un paio di cellulari tre giorni fa. Abbiamo localizzato il cellulare di Withey; si trovava in una tavola calda ad un isolato da dove ti abbiamo trovato. Ha rotto il suo cellulare prima che potessimo usarlo per rintracciare il tuo, ma McGoo e Vance sono riusciti a farlo funzionare di nuovo. Tim ed io ci trovavamo proprio fuori dall’edificio in cui ti trovavi, giusto mentre loro ci confermavano che eri lì. Withey aveva installato una telecamera che trasmetteva direttamente al suo cellulare. Poteva andare ovunque e vederci avvicinare all’edificio.”

“Hai portato Fornell con te a prendere Withey?”

“E la sua squadra…e McGee, ovviamente.” Replicò lui.

“Lieto che tu non ci abbia provato da solo.”

“Non posso permettermi nemmeno di considerare di fare lo stupido, quando tu non sei nei dintorni per tirarmi uno scappellotto, Capo.” Sogghignò in parte.

Gli angoli della bocca di Gibbs si sollevarono leggermente alla battuta. “Sei stato bravo, DiNozzo.” Gli disse. Tony spostò gli occhi in continuazione attorno a Gibbs, incapace di accettare in pieno la lode. Aveva le mani piantate ai fianchi. Gibbs vedeva chiaramente i segni indicatori dell’auto-svalutazione che l’Agente continuamente compiva su sé stesso. “Hey.” Afferrò un braccio di Tony. “Vieni qui.”

Tony si sentì sorprendentemente tirato in un abbraccio; uno al quale rispose con impazienza, rilasciando un tremante respiro di sollievo. “Dannazione, Capo, ho pensato che ti avremmo perso.” Disse in un quasi sussurro mentre le emozioni della giornata riemergevano. “Forse è la stanchezza che sta parlando, ma, mi sono preoccupato davvero per un po’.”

“Anch’io ero preoccupato.” Ammise Gibbs. “Non sapevo se avresti capito chi era…e che ti avrei portato direttamente dove lui ti voleva…Avrebbe potuto andare a finire così. Sono felice che non sia stato quello il caso.”

“Anche io, Capo.” Replicò lui, non ancora disposto a lasciarlo andare, ma consapevole del fatto che probabilmente avrebbe dovuto. “È bello riaverti con noi…”

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Finalmente Gibbs si è svegliato e Tony finalmente ha potuto assicurarsi che stesse bene! Ci vediamo al prossimo capitolo!

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Capitolo 15
*** Incubo ***


Gibbs venne dimesso quella sera stessa, rilasciato sotto la custodia dell’Agente Molto Speciale Anthony DiNozzo. Optarono entrambi di rimanere a casa di Gibbs. Semplicemente aveva più senso.

Ducky era passato a controllarlo prima di andare a letto, e tutto sembrava essere a posto. Entrambi gli Agenti non vedevano l’ora che arrivasse il giorno dopo. Il giorno in cui avrebbero affrontato Withey.

Tony attese fino a che non fu certo che Gibbs stesse dormendo, prima di dirigersi alla stanza degli ospiti per cercare di riposare un po’. Non aveva dormito molto, la notte precedente. Le sedie dell’ospedale erano scomode da morire, anche se di certo era felice di non essere stato confinato a letto. Ovviamente, non aveva detto a Gibbs di aver passato la notte nella stanza. Infatti, non gli aveva detto nemmeno di aver avuto bisogno di essere controllato da un dottore. Non c’era bisogno di aggiungere altro stress o mal posta colpa.

Tony si addormentò pochi minuti dopo aver appoggiato la testa sul cuscino…

*~.~*

Tony spezzò il lucchetto e gettò a terra le tenaglie, poi tolse ciò che rimaneva del lucchetto dalla porta. Spalancò le porte del furgone e cadde all’indietro quando un corpo lo travolse.

Gibbs… “Gibbs!” Gridò realizzando a chi apparteneva il corpo. Si mise in ginocchio. “Gibbs, avanti! Avanti, Capo! Non farmi questo!” Cercò freneticamente di sentire il suo battito cardiaco.

“Tony?” Risuonò la voce di McGee, e realizzò che l’Agente più giovane era inginocchiato all’altro lato di Gibbs.

“Non…non riesco a sentirlo. Non sento nessun battito…”Continuò a cercare. “McGee, chiama un’ambulanza!” Gridò abbassando la guancia fino ad averla poco sopra la bocca del suo capo incosciente, aspettando di sentirne il fiato…di sentirne la vita.

Aprì la giacca di Gibbs e unì le mani sopra il suo petto per cominciare la compressione. “Ti prego, ti prego, ti prego.” Ripeté Tony sotto voce mentre lavorava. McGee camminava avanti e indietro con il cellulare all’orecchio; la mano libera gli copriva l’altro orecchio mentre parlava.

Gli occhi di Tony caddero sul volto del suo capo mentre continuava con le compressioni. “Avanti, Capo.” Disse, scongiurò. Respirò nella bocca di Gibbs, sapendo che quella parte del massaggio cardiaco non era più necessaria, ma magari il calore avrebbe aiutato. Poi tornò alle compressioni.

All’improvviso, venne tirato via dai paramedici. Era come se il tempo fosse passato senza che lui se ne accorgesse.

Insistette di salire con loro sull’ambulanza. Guardò la linea piatta sui monitor, anche mentre i medici lavoravano su Gibbs; forzandogli l’aria nei polmoni con una sacca.

Poi si trovò improvvisamente in una sala d’attesa. C’erano tutti; Abby, Ducky, McGee, Ziva…persino Vance.

Un dottore arrivò con espressione cupa, e si avvicinò al gruppo. “Mi dispiace.” Disse loro. “Non siamo riusciti a salvarlo, anche dopo averlo scaldato.”

“No…” Tony scosse la testa; le lacrime che prima gli facevano luccicare gli occhi ora scorrevano liberamente sul suo volto.

“Mi dispiace molto…”

*~.~*

Tony si svegliò di soprassalto, mettendosi seduto sul letto. La luce del sole entrava dalla finestra, e gli ci volle un momento per ricordarsi dove si trovava. “Solo un sogno”, capì, mentre i ricordi di quello che era successo davvero gli ritornavano alla mente.

Si sforzò di riportare alla normalità il respiro e il battito del suo cuore mentre si passava una mano sul viso. Solo allora si accorse di avere le guancia bagnate a causa delle lacrime che, apparentemente, aveva pianto non solo in sogno.

Tony si alzò dal letto e andò in camera di Gibbs; il bisogno di controllarlo, travolgente. Stava ancora dormendo, ma respirava e stava bene. In qualsiasi altro giorno il fatto che il sole fosse ormai già alto e lui stesse ancora dormendo sarebbe stato preoccupante. Ma Gibbs aveva bisogno di riposare.

Si diresse al piano di sotto per prepararsi del caffè, sapendo che l’aroma avrebbe fatto sì che l’uomo più vecchio si svegliasse pacificamente. Avevano delle cose importanti da fare oggi…

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William McWithey sedeva tranquillamente in sala interrogatori. Ma sapeva di non trovarsi lì per essere interrogato. Infatti, sapeva esattamente perché si trovava lì.

Come si aspettava, la portà si aprì, e Gibbs e DiNozzo entrarono disinvoltamente, chiudendosi la porta alle spalle.

*~.~*

Nella sala osservazioni, McGee e Ziva erano in piedi davanti alla specchio che li separava dall’altra stanza. La reazione che si aspettavano da Withey, quando Gibbs e Tony erano entrati, non era arrivata. Infatti, sembrava che lui già sapesse del salvataggio.

“È terribilmente calmo.” Disse McGee a Ziva.

“Forse ha solo una bella faccia da poker?” Replicò lei. Riportarono la loro attenzione all’interrogatorio.

Gli Agenti dissero ciò che dovevano dire. Tutti nella stanza sembravano calmi; soddisfatti. Anche se gli Agenti dall’altra parte dello specchio sapevano la verità. Tony doveva essere infuriato. La faccia delusa di Withey era quella che aveva sperato di vedere, e sembrava che non sarebbe proprio riuscito a vederla.

Alla fine, cedette. Non c’era più nulla per la quale sprecare tempo. Non ne avevano bisogno; Withey aveva fallito.

Ma dopo che Gibbs e Tony ebbero lasciato la stanza, Ziva vide la bocca di Withey formare un sorriso sinistro…

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Oh oh, quel sorrisetto non prospetta nulla di buono...Fossi nei nostri eroi mi guarderei le spalle! Grazie sempre a tutti quelli che leggono e recensiscono! XD

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Capitolo 16
*** Respira ***


Prima che qualcuno potesse fermarla, Ziva entrò nella sala interrogatori. Si mise subito faccia a faccia con Withey, sbattendo il palmo della mano sul tavolo, afferrando con l’altra lo schienale della sedia sul quale lui era seduto.

“Io non sono così indulgente riguardo a come è andato a finire questo tuo giochetto malato.” Sputò lei.

“Signorina David.” Sogghignò. “Come sta la gamba?”

“Ziva, avanti.” Le disse Gibbs, da dove se ne stava fermo sulla soglia della porta.

“Hai fallito.” Continuò lei, ignorando il commento di Withey. “Io sto bene, come anche Gibbs. Perché stavi sorridendo?” Lo fissò torva. Withey ridacchiò debolmente. Ziva si sentì bollire il sangue, e sbatté di nuovo la mano sul tavolo. “Cosa c’è di così divertente?”

“Il fatto che pensi che io abbia lavorato da solo.” Sorrise lui.

Ziva si rimise lentamente dritta, stringendo gli occhi. Gibbs rientrò nella stanza e si avvicinò al tavolo. “Di che diavolo stai parlando?” Domandò.

“Non avrete creduto davvero che non avessi un piano di riserva, vero?” Scosse la testa; il sorrisetto arrogante ancora stampato sulla faccia da scoiattolo.

“Dicci tutto ora, e faremo un accordo.” Disse Gibbs, con tutta la calma di cui disponeva.

“Oh.” Rise Withey. “Hai l’impressione di poter fare qualcosa per fermarmi.”

“Possiamo, e lo faremo.” Gli disse Gibbs. “Che tu ce lo dica o no. Aiuteresti solo te stesso risparmiandoci il disturbo.”

La bocca di Withey formò un altro sorriso ambiguo. “Ora, perché mai al mondo, dovrei volerti risparmiare qualcosa, Agente Gibbs?”

“Bene.” Replicò lui. “Facciamo come vuoi tu. Andiamo, Ziva.” Le afferrò il braccio e si diresse verso la porta.

“Ormai è troppo tardi, comunque.” Disse loro Withey.

Gibbs si fermò solo per un secondo, poi continuò…

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“Withey ha dichiarato do non lavorare da solo.” Disse Gibbs mentre entrava in ufficio con Ziva.

Tony si alzò dal suo tavolo, lanciando una breve occhiata a Tim. “McGee ed io crediamo sarebbe meglio controllare il proprietario dell’edificio nel quale ti abbiamo trovato, Capo.” Disse.

“È probabile che abbia affittato lo spazio a Withey.” Aggiunse McGee. “L’elettricità c’era ancora, e tranne che per il modo col quale siamo entrati noi, non c’era segno di scasso.”

“Possiamo andare a controllare.” Disse Tony.

“No.” Replicò Gibbs.

Tony corrugò le sopracciglia. “Capo?”

“Se non stava lavorando da solo, allora c’è ancora qualcuno là fuori che ha stampate in testa le nostre facce. Non possiamo continuare noi. Dobbiamo cedere il caso a qualcun altro.”

“A chi?” Chiese Tony.

“Fornell.” Rivelò lui.

“Vuoi cedere il caso all’FBI?” Chiese McGee.

“Fornell e la sua squadra sono già familiari con il caso, se non ricordi.” Ritorse Gibbs. “Ho già fatto la chiamata necessaria. Si stanno dirigendo qui in questo momento.” Con ciò, Gibbs si voltò e si diresse verso l’ascensore sul retro.

“Capo, dove stai andando?” Chiese Tony.

“A vedere Abby.” Replicò lui. “Insiste a prepararmi il caffè di persona fino a che questa faccenda non sarà finita, e io ne ho bisogno.”

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Tony aveva mal di testa. Fissare lo schermo di un computer riempiendo nel frattempo quello che sembrava un rapporto infinito, tendeva ad avere quel risultato di tanto in tanto.

Il telefono di Gibbs suonò, e lui rispose in fretta. Ziva e McGee si scambiarono un’occhiata mentre Gibbs ascoltava ciò che gli veniva detto. “Glielo farò sapere.” Disse prima di abbassare la cornetta. Alzò gli occhi sulla sua squadra. “Il proprietario è stato trovato morto.” Riportò. “Il coroner dice che è morto da almeno 48 ore, ma Fornell sta mandando il corpo a Ducky per verificare.”

“Immagino che allora non sia lui il complice.” Disse McGee, pragmaticamente.

“Forse Withey non aveva un complice.” Disse Ziva. “Può aver detto così solo per continuare a cercare di rendere la vita di Tony un inferno.” Si voltò per guardare l’Agente Anziano ancora al suo tavolo. Con le dita si stava massaggiando le tempie. Lei corrugò le sopracciglia. “Mal di testa, Tony?”

Lui alzò gli occhi e annuì brevemente, poi sbatté rapidamente le palpebre. “’bastanza da v’dere doppio.” Quasi squittì.

“Hai mangiato oggi?” Gli chiese, avvicinandosi al suo tavolo.

“Cosa sei, l’Infermiera Nancy, adesso?” Chiese con voce sarcastica, ma debole. “N’n mangiato, no. Chi sa cosa è sicuro?”

“Ora che ci penso, non ricordo di averti visto mangiare neanche ieri.” Intervenne Tim.

“Sono andato avanti anche più a lungo.” Ritorse lui. “E ho bevuto, pr’ma che tu chieda. Stom’co fa m’le, com-munque.”

Gibbs si alzò. Aveva attribuito il farfugliamento a quello che sembrava un pessimo mal di testa. Ma il balbettio lo fece preoccupare. Si avvicinò al tavolo; gli altri si spostarono per fargli posto. “Da dove hai preso l’acqua?” Chiese, stringendo gli occhi osservandolo.

Tony alzò gli occhi su di lui debolmente, capendo cosa intendeva. “Bottiglie. Tutte perfet’me’te s-sigillate.” Gli disse. “Da qua’do abbiamo lasciato l’osp’dale.”

“Magari non è niente.” Pensò Gibbs. “Hai niente per quel mal di testa?” Chiese.

Tony annuì, brevemente, e aprì il cassetto del tavolo, tirando fuori una bottiglietta di pillole. La mise sul tavolo e chiuse il cassetto. Quando fece per prendere l’acqua, Gibbs sembrò soddisfatto e fece per ritornare al suo tavolo.

Tony aprì la bottiglia d’acqua, prendendo in mano una pillola. Con entrambe le cose in mano, si fermò quando un’ondata di nausea lo colpì a piena potenza. Chiuse gli occhi e cercò di rimettere sulla scrivania entrambe le cose, facendo cadere la tazza piena di penne. Questo fece sì che tutti lo guardassero.

“Stai bene, Tony?” Chiese Tim chiaramente preoccupato.

“N’n posso.” Replicò lui. “La v’miterò subito, se la p’endo.”

A quel punto, Gibbs si alzò di nuovo dal suo tavolo. “Avanti, DiNozzo.” Gli disse avvicinandosi. “Andiamo da Ducky.” Afferrò un bracciò di Tony e lo aiutò ad alzarsi.

“Sto bene, Capo.” Insistette lui. “S’lo un mal di testa.”

“Meglio assicurarsene.” Replicò lui. Condusse l’Agente più giovane fino all’ascensore, facendo attenzione. Una volta che le porte si furono chiuse, si voltò per guardarlo. “Quando è cominciato?” Chiese, calmo. Tony sembrava stremato dal breve viaggio.

“Circa un’ora fa.” Sussurrò di risposta. “Non così male, però.” Fece una smorfia a causa del dolore allo stomaco.

“E quello?” Chiese Gibbs, notando anche che il fiato di Tony non stava tornando, anzi.

“C-capo?” Tony sembrò andare nel panico, in quel momento; aveva gli occhi sgranati che cercavano quelli di Gibbs. “Q-qualc’sa…qualcosa non…va.” Il respiro gli si fece ancora più irregolare, e Gibbs sentì di nuovo l’istinto che gli diceva che stava succedendo qualcosa di orribile. “Non…non…” Annaspava in cerca d’aria.

Gibbs gli circondò le spalle con un braccio quando sembrò che Tony stesse per collassare a terra. “Okay. Va bene, non parlare, per ora, Tony. Ti porteremo in un ospedale.” Le porte dell’ascensore si aprirono mostrando il Medico Legale, avvisato da McGee. “Duck, dobbiamo portarlo a Bethesda.” Gli disse Gibbs.

“Mio Dio…” Il viso di Ducky era solcato dalla preoccupazione. “Non mi aspettavo…Va bene, fallo salire sul furgone. Lo portiamo subito là…”

*~.~*

Il primo istinto di Gibbs era stato di mettersi alla guida, anche solo per poter arrivare un po’ prima. Ma Tony, da quando i crampi si erano fatti più forti, si era aggrappato a lui come fosse stato la sua ancora di salvezza, e lui non ce la faceva proprio a staccarsi da lui. Ducky, comunque, era perfettamente in grado di guidare velocemente.

Tony si agitò nel suo posto fra i due uomini più vecchi, incapace di trovare una posizione comoda, come se spostandosi avesse potuto alleviare il dolore o respirare meglio. Forse non si era nemmeno accorto della stretta presa sul braccio di Gibbs.

Gibbs mise con decisione una braccio attorno alle spalle dell’Agente traendolo a sé così che potesse appoggiarsi al suo petto; con l’altro braccio lo sosteneva per davanti attutendo i sobbalzi del furgone. La presa di Tony cambiò allora, spostandosi sul braccio che lo teneva fermo mentre un’altra ondata di crampi lo investiva in pieno. Rilasciò un gemito di dolore che durò solo pochi istanti, mentre annaspava in cerca d’aria.

Gibbs lanciò un’occhiata al guidatore. “Cosa credi che sia, Duck?” Chiese con un tono di voce gentile, raro per l’Agente.

“I sintomi che mi hai riferito,” cominciò Ducky “difficoltà a parlare, mal di testa, visione doppia, assieme a crampi addominali e difficoltà respiratorie…Alla luce dell’affermazione di William Withey sull’avere un complice, mi fa credere che Anthony sia stato avvelenato in un qualche modo. In questo caso, credo si tratti di botulismo.” Disse, cupamente.

“Botulismo?” Chiese Gibbs, incredulo.

“Mhm, sì.” Replicò lui. “Dato che non ha ferite, deve averlo ingerito. E deve essere successo ieri, visto che i sintomi si sono manifestati oggi. Questa è una cosa che non capisco. È stato così attento a non bere né mangiare cose non sigillate…”

Gibbs aveva tirato fuori il cellulare e già lo aveva portato all’orecchio, lo stomaco che si contorceva. “McGee.” Disse quando dall’altra parte risposero. “Ducky e io stiamo andando a Bethesda con Tony.”

“Capo, è successo qualcosa?” L’ansia nella sua voce era palese.

“In questo momento non ha un bell’aspetto. Crediamo sia stato avvelenato; probabilmente botulismo.”

“Cosa possiamo fare?” Offrì ansiosamente.

“Ho bisogno che tu e Ziva controlliate tutto il personale dell’ospedale che lo ha curato ieri. Vedete se qualcuno di loro è in grado di mettere le mani su questa roba.”

“Subito, Capo. E uh…per favore facci sapere…”

“Sì, McGee, lo farò.” Terminò la chiamata prima che l’ansia gli trapelasse nella voce.

“Credi sia stato qualcuno dell’ospedale, Jethro?” Chiese Ducky.

“È possibile.” Replicò lui. “Accedere a qualcosa del genere…e scommetto che gli hanno portato da mangiare.”

“Oh…oh Dio.” Ducky sembrò realizzare qualcosa all’improvviso.

“Cosa c’è, Ducky?” Gibbs strinse gli occhi.

“Mi dispiace di non essermene ricordato prima…L’Infermiera che l’ha curato; aveva provato a fargli mangiare qualcosa, ma quando lui ha rifiutato, gli ha dato invece un bicchiere d’acqua, che lui ha scelto di bere come compromesso, dato che lei ha insistito prima di permettergli di andarsene.”

“Poteva contenere la tossina?”

“È abbastanza probabile, sì.”

“Il suo nome, Ducky. Lo ricordi?”

“Credo fosse Carol. Jethro, temo che queste possano essere delle brutte notizie per Anthony. Con il sistema respiratorio già compromesso, questi problemi a respirare…” Non finì la frase.

Fu in quel momento che Gibbs si accorse che la stretta di Tony si era sciolta. “DiNozzo, sei ancora con me?” Gli strinse la mano lievemente. Non ci fu risposta. “Tony?”

Il furgone si immise nel viale dell’ospedale e si fermò nel parcheggio delle ambulanze dell’ospedale. Gibbs rivoltò Tony fra le sue braccia e il cuore gli si fermò quando notò che le labbra dell’uomo più giovane erano blu.

Non stava respirando…

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Come avevate immaginato ecco che arrivano i problemi! Riusciranno i membri della squadra a trovare l'Infermiera che apparentemente ha avvelenato Tony? E il povero DiNozzo come starà?

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Capitolo 17
*** L'Infermiera Carol ***


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Ducky era fuori dal furgone gridando perché qualcuno venisse ad aiutarli dal pronto soccorso, mentre Gibbs si spostava per tirare fuori il corpo inanimato di Tony. Lo tenne stretto, cullandolo fra le braccia come fosse stato un bambino mentre andava incontro alla barella nel mezzo del parcheggio delle ambulanze.

Ducky stava spiegando ai dottori cosa stava succedendo, mentre Gibbs posava gentilmente Tony sulla barella. La vista del blu sulla pelle di Tony, gli ricordò che la paura che in quel momento lo stava sopraffacendo era meglio spesa diretta contro coloro che avevano causato tutto questo, sotto forma di furia.

Quando i dottori spinsero rapidamente la barella in direzione dell’ospedale, l’Agente li seguì. Ma quello che voleva fare non era stare alle costole del suo Agente.

“Avete un’Infermiera di nome Carol, che lavora qui oggi?” Chiese alla signora al banco della reception.

“Carol?”

Gibbs si guardò attorno in cerca di Ducky, ma lui se n’era già andato assieme ai dottori di Tony per assistere in ogni modo possibile. Incontrò di nuovo gli occhi della signora. “Nei vostri dati, dovrebbe vedere che ieri l’Agente Anthony DiNozzo Jr. è visitato qui nel pronto soccorso. È stato controllato da un’Infermiera di nome Carol.”

“Oh…beh, mi faccia solo…controllare per lei, Signore.” Disse lei, voltandosi verso il computer. Gibbs cominciò a camminare avanti e indietro mentre attendeva, impazientemente. “Oh, oh, sì! Carol!” L’esclamazione della donna lo fece voltare immediatamente verso di lei. “Lavora qui da solo un mese, ecco perché non riuscivo a inquadrarla. Sta facendo un doppio turno, ma credo stia riposando nella saletta delle infermiere.”

“Dove?” Chiese lui.

“Mi dispiace, Signore, ma non posso permetterle di-”

“Sono l’Agente Speciale Leroy Jethro Gibbs dell’NCIS.” Le mostrò il distintivo. “E lei è indagata. Ora, mi dica dov’è quella saletta.”

“Oh santo cielo!” Disse la donna. “L- le chiamo qualcuno che la porti lì…”

Il cellulare di Gibbs cominciò a suonare e lui lo tirò fuori per rispondere. “Sì, Gibbs.” Rispose con voce impaziente.

“Capo, abbiamo trovato qualcosa.” Risuonò la voce di McGee dall’altra parte della linea.

“Dimmi.”

“Una delle infermiere attualmente impiegate a Bethesda, è stata trasferita lì tre settimane e mezza fa. L’abbiamo controllata, e si è trasferita da una clinica di Baltimora. Il suo nome è Carol Winter. Ma senti questo, Capo…Si è cambiata il cognome otto anni fa. Il suo vero nome è Carol McWithey…”

Gibbs chiuse il telefono senza rispondere, rimettendoselo in tasca. Ora era sicuro, senza nessun dubbio, che Carol era colpevole.

“La porterò alla saletta, Agente Gibbs.” Gli si avvicinò un uomo basso con addosso un camice. Gibbs annuì e seguì l’uomo. “È proprio qui.” Indicò la porta.

“Grazie.” Gli disse Gibbs. Entrò nella saletta. Le luci erano abbassate, e lui trovò l’interruttore per accenderle. Una donna giaceva in una branda dall’altra parte della sala. Erano gli unici due in quella stanza, e le luci la fecero svegliare.

“Che diavolo?” Gemette lei.

“Carol Winter?” Chiese Gibbs.

“Chi lo chiede?” Lei si sedette e mise a terra i piedi, strofinandosi gli occhi con entrambe le mani.

“Penso che lei sappia chi sono.” Le disse. “E io so chi è lei davvero, Signorina McWithey.”

Alzò lo sguardo su di lui, allora; i suoi occhi tradivano il suo tentativo di rimanere calma. “Non so di cosa sta parlando. Il mio nome è Carol Winter.”

“Oh, lo è ora.” Disse Gibbs, avvicinandosi. “Ma ha fatto cambiare il suo cognome otto anni fa.” Gli occhi di Carol vagarono per la stanza. “Lei e suo fratello minore dovete essere stati molto vicini.”

Incontrò il suo sguardo, allora. “Lo eravamo…molto tempo fa.” Gli disse. “Finché DiNozzo non ha spezzato la nostra famiglia.”

“E dovete esserlo di nuovo. Avete pianificato per molto tempo, per essere riusciti a fare ciò che avete fatto.”

“Billy ha pianificato tutto.” Lo guardò negli occhi, anche se aveva la testa china. “Io ero qui solo come piano B.” Improvvisamente, i suoi tratti furono colpiti da un’illuminazione e lei sollevò il capo. “È qui perché ha funzionato.” Disse. Quando Gibbs strinse gli occhi, lei sorrise, proprio come suo fratello. “Allora…va bene che mi abbia trovata. Volevamo fosse così; le conseguenze non avevano importanza.”

“Per vendicare la morte di vostro padre.” Verificò Gibbs. “Perché? Perché gettare via tutto? Ha una carriera; amici…Suo fratello non ha niente, per quanto ne sappiamo. Non c’era nulla fra lui e la follia. Ma perché lei dovrebbe?”

“Pensa che una carriera metta a posto tutto? Ho perso la mia famiglia per colpa del suo Agente. Prima, mio padre, poi Billy. Dopo che nostro padre venne ucciso lui cambiò. Per anni, è stato come un completo estraneo. Poi è semplicemente…scomparso. Ciò che ho fatto con la mia vita è stato un tentativo di andare avanti. Ma non è servito a niente.” Lacrime le brillarono negli occhi, nonostante stesse sorridendo, e scosse la testa. “Non è cambiato niente. Non sono mai stata in grado di andare avanti.”

“Ha mai saputo cosa ha fatto suo padre?” Chiese Gibbs. Lei sospirò seccata e scostò le sguardo. “Ha ucciso tre persone tentando di rapinare una banca. E aveva la pistola puntata contro una donna, che si trovava lì assieme a sua figlia.” Carol alzò lo sguardo su di lui con la coda dell’occhio. “L’avrebbe uccisa, come anche sua figlia, perché stavano piangendo. DiNozzo gli ha sparato, per salvarle. E ora…ora tutto quello a cui può pensare è causargli lo stesso dolore che ha provato lei perdendolo. Davvero, desidera onestamente che qualcuno provi quel dolore? Sapere come ci si sente a perdere qualcuno che si ama…Io non lo augurerei a nessuno. Nemmeno al mio peggior nemico.”

Lei lo guardò, dritto negli occhi; le lacrime che rapidamente le riempivano gli occhi, ora le rigavano le guance. Carol sapeva del passato di Gibbs, grazie all’intensa ricerca di suo fratello. Sapeva che aveva perso sua moglie e sua figlia. Quindi, sapeva che lui comprendeva quel dolore…

La porta alle loro spalle fu forzata aperta, facendo voltare entrambi. McGee e Ziva entrarono, pistole pronte e puntate a Carol. “Tutto bene, Capo?” Chiese McGee.

Annuendo, Gibbs si voltò verso Carol. “Riportatela al Cantiere. Fatele scrivere una confessione.” Ordinò. Carol non mostrò segni di resistenza mentre Ziva la ammanettava.

“Hanno scoperto cosa non andava con Tony?” Chiese Tim al suo capo.

“Botulismo.” Confessò Carol. “C’è un’anti-tossina. C’è tempo per salvarlo.”

“Eccetto che non avete contato, con tutta la ricerca che avete fatto sulle nostre vite, che i suoi polmoni erano già stati compromessi dall’infezione con la peste polmonare.” Disse Gibbs.

Lo sguardo di Carol cadde a terra. “M- mi dispiace…”

Gibbs trovava difficile provare della simpatia o anche perdono per lei in quella situazione. Dopo qualche momento, realizzò che Ziva e Tim lo stava fissando preoccupati, a causa di quello che aveva appena detto. Erano investigatori; non era difficile capire che quello significava che c’era un problema con i suoi polmoni adesso.

Prese un respiro e lo emise rumorosamente. “Portatela fuori di qui. Vi chiamerò non appena saprò qualcosa.”

Con un po’ d’esitazione, se ne andarono per eseguire i loro ordini.

Così, Gibbs se ne andò concentrandosi solo su una cosa…Sperare che Tony ce l’avrebbe fatta…

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Eh, già...quando Gibbs sfodera il nome intero c'è di che preoccuparsi!

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Capitolo 18
*** Prognosi ***


“È sedato è in ventilazione meccanica.” Disse Ducky a Gibbs, una volta che questi fu arrivato in sala attesa. “Il ricambio di gas nei suoi polmoni era inibito dalla tossina del botulismo.”

“Ma gli hanno dato l’anti-tossina, giusto?”

“Certo. Tuttavia, anche una volta eliminata la tossina dal suo organismo, il ricambio di gas è rimasto gravemente inibito. E data la storia clinica di Anthony, puoi immaginare che per lui sia più grave che per altri.”

“Cosa significa per lui, Duck?” Chiese Gibbs, prima di deglutire il nodo che gli si era formato in gola.

“Il ventilatore rimarrà in funzione per diverse settimane. Ciò darà al suo sistema respiratorio il tempo per recuperare e tornare a funzionare normalmente.” Gibbs apparve enormemente disturbato da questa notizia. “L’arresto del respiro e la paralisi sono faccende importanti, Jethro, come ben sai.”

“Sì, lo so. Ma Tony non ha avuto bisogno di un ventilatore nemmeno quando aveva la peste…”

“Perché è stato adamantino nel rifiutarlo.” Gli disse Ducky. “Se ricordo bene, ha detto di non voler passare il tempo che gli rimaneva, sedato. Avrebbe dato sin troppo piacere alla squadra il fatto che non potesse parlare il più possibile.” Disse con un piccolo, triste sorriso.

Gibbs chiuse gli occhi e scosse la testa, serrando la mascella al ricordo del suo Agente sotto quelle luci blu, tutti quegli anni fa. Ma lui conosceva una più probabile ragione al rifiuto del congegno meccanico. “Aveva paura.” Disse aprendo gli occhi. “Avrà voluto che tu…che noi tutti pensassimo che fosse quella la ragione, ma lui aveva paura di quel congegno. Diavolo, riesce a malapena a sopportare un ago…”

“Non se ne accorgerà.” Lo rassicurò Ducky. “Come ho detto, sarà sedato.”

“Per settimane, Ducky?” Verificò incredulo. “Sembra…non lo so. È un lungo periodo.”

“Lo so. Ma ci vuole tempo perché gli assoni nei nervi si rigenerino. E in quel tempo, la paralisi dovrebbe migliorare.”

“Dovrebbe?”

“Migliorerà, ne sono certo. Anthony non ha mai disobbedito ad un ordine diretto, che sono certo tu gli impartirai.” Sogghignò. Gibbs si passò una mano sul viso con fare frustrato. “Ora, dopo il recupero qui in ospedale, potrebbe volerci anche più tempo prima che ritorni a lavoro. Sul campo, per lo meno. Probabilmente avrà problemi come ad esempio mancanza di respiro, fatica…Non posso creare una lista completa, dato che il suo sarà un caso unico. Ma credo che la sua più grande paura sarà di non riuscire a tornare a lavoro.”

“Non succederà.” Affermò Gibbs. “Ma attraverseremo quel ponte quando ci arriveremo. Posso vederlo?”

“Lo stanno sistemando nella sua stanza, ora. Dà loro qualche minuto; manderanno qualcuno quando sarà ora.” L’uomo più anziano si alzò. “Ti porterò del caffè, nel frattempo. Dovevo andare comunque a prendermi una tazza di tè alla caffetteria. Magari puoi informare i restanti membri della tua squadra, che sono certo stiano attendendo con ansia.”

Gibbs annuì. “Grazie, Duck.”

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“Sono passate ore.” Il ginocchio di McGee andava su e giù incessantemente, sotto il suo tavolo. Lui e Ziva avevano deciso di non dire un bel niente a Abby, fino a che non avessero ricevuto notizie. La sua ansia non avrebbe fatto altro che aumentare la loro, che già si trovava ad un livello stratosferico.

Entrambi avevano fatto qualche ricerca sugli effetti del botulismo. Dopo aver rinchiuso Carol, avevano avuto ore per fare ricerche. Sapevano cosa poteva stare passando Tony, e li stava facendo impazzire non sapere…

“Credi,” disse Ziva alzandosi dal suo tavolo per avvicinarsi a McGee “che a causa dei suoi polmoni già pieni di cicatrici, questo per lui potrebbe essere peggio?”

“Peggio?” Squittì inavvertitamente lui.

“Hai visto la lista di sintomi, McGee.” Replicò lei. “E come hai detto, sono passate ore…quasi tre, per essere esatti. Non abbiamo avuto notizie. E se…” Spostò gli occhi avanti e indietro, incapace di finire la frase.

McGee deglutì, rumorosamente. Poi sobbalzò quando gli squillò il telefono. Lo afferrò prima che Ziva ne avesse l’opportunità. “McGee.” Dopo un momento, mosse le labbra per dirle. “È Gibbs.”. Lei corse al suo tavolo alzando la cornetta per ascoltare la conversazione.

“Credono che starà bene.” Disse Gibbs. “Ma Ducky dice che dovrà utilizzare il ventilatore per diverse settimane. E rimarrà sedato. Potete passare a vederlo, se volete. Ma in questo momento, non sarà sveglio.”

“Ma starà bene.” Verificò McGee. “È un bene.”

“Possiamo fare niente?” Chiese Ziva.

“Non sono sicuro che ci sia qualcos’altro che possiamo fare, in questo momento, Ziver.”

“Cominceremo i nostri rapporti, Capo.” Gli disse McGee. “E farò sapere a Vance cosa sta succedendo, se vuoi.”

“Va bene, Tim.” Lo aveva chiamato ‘Tim’. Tony doveva averlo fatto spaventare un sacco. “Già che ci sei potresti far sapere a Abby cosa è successo.”

“Uh…Capo, come fai a sapere che non gliel’abbiamo detto?”

“Perché non è qui, McGee. E non mi sta sommergendo di chiamate.”

“Oh…giusto. Beh, non volevamo farla preoccupare, ecco.”

“Andrò a dirglielo adesso.” Si offrì Ziva.

“Sarà arrabbiata per il fatto che abbiate atteso fino a adesso per informarla.” Avvisò lui.

“Sono pronta a sopportarla.” Ritorse Ziva. “Ci vedremo più tardi, Gibbs. Sarai lì?”

“Non me ne vado da nessuna parte.” Replicò lui. Ziva mise giù la cornetta, lanciò un’occhiata a McGee, poi uscì dall’ufficio.

“Capo, c’è niente di cui tu hai bisogno?” Chiese Tim.

Vi fu una breve pausa dall’altra parte della linea. “Potresti prendere la mia sacca per la notte dal mio bagagliaio. Le chiavi sono al mio tavolo.”

“Certo. Passerò, ad un certo punto.” Fu felice quando Gibbs mise giù senza dire una parola. Non sapeva che altro dire…

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L'ho già detto e lo ribadisco Tony porterà alla morte quel poveretto di Gibbs!

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Capitolo 19
*** Aspettare ***


La vista di Tony, malato e in grado di respirare solo grazie ad una macchina, era una cosa difficile da sopportare.

Gibbs se ne stava di fianco al letto, a valutare la vulnerabile condizione del suo Agente. L’uomo più giovane, in genere raggiante di vitalità, e trasudante fiducia in sé stesso, era stranamente immobile e silenzioso. Aveva ancora la pelle di una tinta bluastra, e gli occhi erano cerchiati da segni scuri. Tutti segni che non facevano altro che ricordare a Gibbs del fatto che Tony aveva smesso di respirare fra le sue braccia, solo poche ore prima.

L’Agente Supervisore appoggiò gentilmente una mano sulla fronte di Tony, spostandogli indietro i capelli prima di sistemarsi. Se avesse potuto guardarsi allo specchio Gibbs avrebbe visto l’aperto sguardo di preoccupazione assoluta che gli pervadeva il viso.

Si chinò, stringendo una delle mani di Tony, e gli parlò all’orecchio. “Ho bisogno che tu stia meglio, DiNozzo.” Gli disse. “Tutti ne abbiamo bisogno. Perciò tu combatti; combatti per migliorare. Tu…non hai il permesso di cedere. E non accetterò come scusa il fatto che non puoi sentirmi…” I suoi occhi cominciarono a scrutare il viso dell’Agente in cerca di un segno di essere stato udito. Non ne trovò nessuno.

Dopo un lungo momento, parlò di nuovo. “Non ho intenzione di arrendermi con te…”

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19 giorni dopo…

La squadra stava cominciando a chiedersi se Tony sarebbe mai stato pronto per respirare senza l’aiuto del ventilatore. Erano passate delle settimane difficili, spese a sopportare il temporaneo rimpiazzo che Vance li aveva obbligati ad accettare in squadra. Antonio Berk. Quanto stupidamente ironico che il nome di quel tizio fosse Tony…

Loro, prevedibilmente, non avevano permesso all’Agente di sedersi al tavolo di DiNozzo. E allo stesso modo, si rifiutavano di chiamarlo per nome. Era un gioco di testardaggine che avevano sempre messo in campo, quando un pivello era nei dintorni. Ma questo tizio di sicuro non sarebbe rimasto con loro per sempre. La sua presenza non faceva altro che ricordare a tutti che uno dei loro non era presente.

Ognuno aveva fatto visita a Tony praticamente ogni giorno. Abby andava a trovarlo ad ogni pausa pranzo libera che aveva. McGee qualche volta si univa a lei, o semplicemente aspettava di aver finito di lavorare per andare a controllarlo. Ziva andava da lui la mattina presto, rassicurandosi del fatto che era ancora vivo. Ducky chiamava regolarmente il Dr. Pitt, che aveva volentieri assunto il caso di Tony. Una volta ogni tanto si recava di persona in ospedale per controllare le cose da sé.

Gibbs andava da lui ogni giorno. La sua routine dopo il lavoro era di andare a casa, obbligarsi a mangiare qualcosa, farsi una doccia, e poi andare a sedersi accanto a Tony per qualche ora. Qualche volta, gli parlava; gli faceva sapere che tutti sentivano la sua mancanza, e gli raccontava degli errori che commetteva il nuovo tizio un giorno sì e uno anche. Altre volte, sedeva in silenzio. Quei giorni erano i peggiori, perché non faceva altro che pensare a cose sulle quali non voleva davvero riflettere; scoraggiamento per la ripresa dell’Agente, e come sarebbe stato se Tony non avesse mai più riaperto gli occhi.

Quei giorni erano in genere seguiti da notti passate a pregare un Dio che non era certo esistesse. Uno che era stato così crudele da portargli via sia la moglie che la figlia, ma così buono da aver mantenuto in vita il suo Agente, contro ogni possibilità, in passato. Per non parlare di tutte le volte che lui aveva rischiato la vita.

Sì, c’erano molte occasioni che sembravano volergli far credere che ci fosse la possibilità dell’esistenza di un qualche potere superiore che li osservava. Dopotutto, lui non credeva nelle coincidenze. Sperava solo che qualsiasi potere fosse, lui stesse pregando quello giusto.

Eppure eccoli lì, un venerdì, diretti verso la terza settimana da quando Tony era stato ricoverato. E non c’era nessun cambiamento. I dottori avevano detto che i suoi polmoni avevano mostrato segni di miglioramento. Ma quello cosa voleva dire poi, pensando allo schema generale? Un miglioramento…quanto a lungo ci voleva ancora? Oppure lo stavano tenendo in vita solo per dare loro qualche falsa speranza?

Gibbs si rifiutava di credere che quello fosse il caso. Anche se, l’idea era stata ormai piantata e aveva quindi avvelenato i suoi pensieri. Lui, comunque, si rifiutava di esprimerla a voce alta.

“Andate a casa.” Disse Gibbs alla squadra.

Loro sollevarono la testa, simultaneamente. Prima lanciando un’occhiata a Gibbs, poi l’uno all’altro.

“Capo? Sono a malapena le cinque…” McGee corrugò le sopracciglia confuso.

Gibbs sollevò le sue di sopracciglia. “Sono felice che le elementari abbiano insegnato a qualcuno, a parte me stesso, come si legge l’ora.” Fu la sua risposta sarcastica.

“È…solo che…qualcosa non va?” Chiese.

“È stata una lunga settimana.” Affermò Gibbs. “Non siamo in rotazione, questo weekend. Andate a casa e godetevelo.” Il suo sguardo cadde su una cartella adagiata sul suo tavolo.

Berk aveva cominciato a preparare il suo zaino all’iniziale ‘andate a casa’, e ora si stava dirigendo a buon passo verso l’ascensore. Ziva era stanca, e quindi decise di non discutere, e così se ne andò rapidamente.

Tim si prese il suo tempo a preparare le sue cose. Quando furono rimasti solo loro due in ufficio, spense il suo monitor e si mise in spalla lo zaino, poi si diresse al tavolo di Gibbs. “E tu?” Chiese. Gibbs alzò lo sguardo dalla cartella, lanciando un’occhiata ai tavoli vuoti attorno a loro, prima di riportare lo sguardo all’Agente davanti a lui. “L’ordine vale anche per te?”

Gibbs sollevò un sopracciglio divertito. “Io non sarò qui.” Gli disse. “Questo te lo posso garantire.”

McGee annuì. Poi, solo leggermente insicuro, replicò. “Ci vediamo in ospedale, Capo.” Poi si voltò e si diresse verso l’ascensore.

Gibbs lo guardò andarsene in silenzio. Sapeva che il giovane uomo stava prendendo male l’assenza di Tony. Nonostante si prendessero in giro in continuazione, Tim e Tony si preoccupavano l’uno dell’altro. Anche se non lo avrebbero mai ammesso a voce alta, era evidente. McGee era il Pivello di Tony. E Tony era il mentore di McGee, in molti più modi di quelli che avrebbe mai ammesso il più giovane. Ma Gibbs lo sapeva.

Sapeva anche che questo non faceva che alimentare il mal diretto odio verso il loro Agente Temporaneo. Ma tutti sapevano che rimanere nella squadra di Gibbs era lontano dall’essere facile. Berk sapeva in cosa si stava cacciando accettando quel lavoro. E Gibbs non avrebbe mai punito o obbligato qualcuno a rimanere con lui oltre il livello professionale.

Mentre McGee scompariva in ascensore, il telefono di Gibbs suonò. “Sì. Gibbs.” Rispose dopo aver tirato su.

“Jethro.” Risuonò la voce di Ducky dall’altra parte della linea. Il cuore di Gibbs mancò un battito. Sapeva che Ducky si doveva vedere con il Dr. Pitt quel pomeriggio; per quello era lì in quel momento. “Il dottore si è sentito sicuro di provare a fare un test senza ventilatore.”

“E?” La sua voce venne fuori più alta di quello che avrebbe voluto.

“Hanno rimosso il tubo. Anthony sta respirando da solo.” Gibbs rilasciò un sospiro di sollievo, permettendosi di chiudere gli occhi per un momento. “Stanno sospendendo i sedativi. Ho pensato di fartelo sapere. Non si è ancora svegliato.”

“Arrivo presto, Duck.” Replicò. “Grazie.” Mise giù la cornetta e si appoggiò pesantemente allo schienale della sedia, permettendo ai suoi occhi di puntarsi al soffitto in un silenzioso grazie a chiunque avesse risposto alle sue preghiere.

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Finalmente Tony migliora quindi quello sciocco Antonio Berk dovrà presto fare le valigie! XD

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Capitolo 20
*** Risveglio ***


Il sollievo, sebbene ben accetto, fece capire a Gibbs quanto era esausto.

Seduto accanto al letto del suo Agente Anziano, osservò il corpo di Tony per la prima volta senza quella mostruosità meccanica che era stata una parte di lui per quasi tre settimane. Ora, sembrava che stesse semplicemente dormendo. Solo quello, fece sì che il cuore dell’uomo più vecchio si riempisse di gioia.

Eppure, ancora desiderava sentire la voce di Tony. Non aveva vissuto così a lungo senza sentirla sin da quando l’amico era stato assegnato come Agente di Bordo della Seahawk, quando Vance era diventato direttore. Gibbs aveva sentito dannatamente la sua mancanza. Ma almeno a quel tempo, sapeva che l’Agente stava bene…Beh, per quanto potesse stare bene lontano della sua casa e dalla sua famiglia.

Gibbs si appoggiò allo schienale della sedia, pensando all’ultima volta nella quale aveva visto Tony senza quel maledetto macchinario; senza quel tubo che gli sporgeva dalla bocca. La paura che aveva provato quando Tony aveva cominciato ad annaspare in cerca d’aria in ascensore, e il sofferto, doloroso viaggio verso l’ospedale…Il momento in cui aveva capito che Tony non stava più respirando, per poi voltarlo e vedere la tinta bluastra della sua pelle…

Abbandonò quel ricordo, e si concentrò sull’uomo steso a letto. Tony non era più blu. In effetti, aveva un aspetto normale, ora; anche se era più magro del solito. Gibbs non poté fare a meno di pensare al ponte di cui aveva parlato con Ducky, ancora quando tutto stava solo cominciando. La strada del recupero di Tony era ancora lunga. Ma Gibbs sarebbe stato al suo fianco, fino alla fine.

Gli ci volle un momento per registrare il momento in cui gli occhi di Tony si aprirono, improvvisamente. Erano aperti forse a metà, diretti verso nessun punto in particolare. Ma fecero sì che Gibbs si alzasse in piedi all’istante, mettendosi a fianco del letto immediatamente. “Tony? Sei con me?” Afferrò gentilmente il bicipite di Tony.

Tony sbatté le palpebre un paio di volte, poi aprì completamente gli occhi, cercando il volto del suo capo. “Gi-” Il nome venne tranciato in due da quella che sembrava come sabbia in gola, gettandolo immediatamente nel mezzo di un attacco di tosse.

“Okay, va bene.” Gibbs cercò di calmarlo mentre premeva il bottone per chiamare l’infermiera. “Lascia che ti prenda un po’ d’acqua. Hai la gola secca a causa del ventilatore che hai dovuto usare per un po’.” Spiegò portando un piccolo bicchiere d’acqua alla bocca di Tony, mentre gli supportava la testa piegandogliela un po’.

Tony accettò il bicchiere con gratitudine. Poi, quando si soffocò un po’, Gibbs glielo tolse. “Gr’zie.” Annaspò Tony.

“Buonasera, Agente DiNozzo!” Un’allegra infermiera entrò nella stanza; una che era stata controllata dalla sicurezza. “Come si sente?”

“Go’a m’le.” Replicò con voce piccola.

“C’era da aspettarselo.” Gli sorrise con comprensione. “Abbiamo dovuto tenerla in ossigeno umidificato. Ma il Dr. Pitt non voleva usarlo troppo a lungo, perché teme che lei possa prendersi una polmonite. Le porterò delle scagliette di ghiaccio, e chiamerò il dottore perché venga a controllarla, okay?”

Tony annuì e aspettò che l’infermiera se ne andasse prima di voltarsi verso Gibbs. “Brad? Quanto male?” Chiese.

“Adesso non più.” Lo rassicurò Gibbs. “Ci hai fatti preoccupare per un po’, qui…”

Tony corrugò le sopracciglia. “Quanto tempo…stato qui?”

“Quasi tre settimane.” Aveva deciso di non menar il can per l’aia. Tony sembrò sconcertato da quella risposta.

“Cosa successo?”

“L’infermiera che ti aveva controllato al Pronto Soccorso, ti ha avvelenato col botulismo.” Spiegò. “I sintomi più gravi sono stati arresto respiratorio e paralisi. Hanno dovuto usare un ventilatore per lasciarti guarire.”

“Immagino di…dover essere…felice di essere stato…sedato.” Sogghignò. “Chi…era?”

“La sorella di McWithey.” Chinò leggermente il capo. “L’abbiamo presa; ha confessato.”

Tony sembrò contemplare ciò che gli era appena stato detto per un lungo periodo. Poi il suo sguardo si spostò su Gibbs. “Quando…potrò…uscire da qui?”

“Certamente non prima che io abbia avuto la possibilità di darti un’occhiata.” Risuonò la voce di Pitt dalla porta. Tony lanciò un’occhiata in quella direzione sorridendogli. “Alcune cose non cambiano mai.” Il dottore sorrise. “Bello vederti sveglio.” Disse con tono più serio. “Senti male da qualche parte? Eccetto la gola, ecco…” In quel momento entrò l’infermiera con delle scagliette di ghiaccio in mano.

Tony scosse la testa, e Brad si mosse per controllargli gli occhi, auscultargli il cuore e i polmoni. Gibbs si fece indietro, osservando il tutto in silenzio. “Beh, Tony, hai un aspetto molto migliore, e i tuoi polmoni sembrano a posto. Vorrei tenerti ancora sotto ossigeno per un paio di giorni.” Disse, mettendogli a posto la canula nasale. “Ma se la tieni su, credo che tu possa tranquillamente andare a casa.” Allo scoraggiato e distante sguardo negli occhi di Tony, Brad continuò. “In realtà sei piuttosto fortunato, Tony.” I suoi occhi incontrarono di nuovo quelli di Brad. “Molte cose sarebbero potute andare molto peggio. Il tuo sistema respiratorio ha subito il colpo più forte, ma avresti potuto perdere l’uso di tutto il resto del corpo. Ci vorrà del tempo, ma ti rimetterai completamente.”

“Quanto…tempo?” Chiese Tony.

Brad sospirò. “Non ho intenzione di girarci attorno. Ci vorrà molto tempo prima che tu riesca a ritornare al cento per cento. Stanchezza e mancanza di fiato ti tormenteranno per un po’.”

“Per quanto?”

“Potrebbe essere per settimane. Anche mesi…varia, ma non scoraggiarti.” Aggiunse quando vide la frustrazione negli occhi dell’Agente. “Hai superato di peggio.” Tony afferrò la ciotola con le scagliette di ghiaccio e ne mangiò alcune. “Alcune persone devono essere tenute in ospedale per mesi dopo aver passato quello che hai sopportato tu. Quindi, stai già battendo ogni pronostico.”

“Quello è il mio secondo nome.” Disse lui, con ancora il ghiaccio in bocca. “Tony ‘batte-i-pronostici’ DiNozzo.”

Gibbs sogghignò, come fece anche Brad. “Vedrò cosa posso fare per quanto riguarda il cibo.” Gli disse il dottore. “Ci vediamo.” Annuì brevemente e poi si voltò per lasciare la stanza.

Gibbs rimase in silenzio per qualche minuto, guardando Tony che masticava le scagliette di ghiaccio mentre contemplava ciò che gli era stato detto. Solo quando mise giù la ciotola, Gibbs decise di parlare. “A cosa stai pensando, DiNozzo?”

Tony si voltò per guardare il suo capo. “Onestamente? A chi Vance ha fatto sedere alla mia scrivania.” Sogghignò.

“Nessuno è seduto alla tua scrivania.” Gli disse lui. Tony strinse gli occhi. “Si siede su quella oltre quella di McGee.” Sogghignò.

“Quindi, sono stato rimpiazzato.” Confermò lui.

“Temporaneamente.” Lo rassicurò Gibbs. “E poi è inutile. Non che se le cose fossero diverse, saremmo in grado di rimpiazzarti comunque.” Tony sobbalzò all’inaspettato complimento. “Stanchezza e mancanza di fiato sono cose che ti impediscono solo di lavorare sul campo. La poche volte che ci siamo portati dietro Berk ci ha rallentato. Quindi lo abbiamo obbligato a fare lavoro d’ufficio. E onestamente, non è in grado di fare nemmeno quello. Se sei preoccupato per il tuo lavoro, Tony, non esserlo. Sai che non ti lascerei fuori dalla mia squadra a meno che tu non lo volessi…O,” chinò il capo di lato con un sorrisetto “a meno che tu non fossi morto. E non lo sei.”

Tony sembrava divertito. “E se fossi rimasto paralizzato? Ti piaccio così tanto che mi avresti tenuto lo stesso, facendo sì che McGoo mi portasse uno di quei computer che si possono controllare con gli occhi?”

Gibbs era sorprendentemente pronto per quella domanda. “Il tuo cervello è ciò che ti rende un grande Agente, Tony.” Tony sollevò le sopracciglia. “Certo, ci sono anche un sacco di altre cose che ti rendono un grande Agente. Ma finché avrai l’abilità di pensare, ci sarà sempre un posto per te nella mia squadra.”

Tony studiò il viso di Gibbs per un lungo momento. Non stava mentendo; Tony lo sapeva. Di certo non era il tipo da elargire complimenti a meno che non fossero meritati. E anche allora, in genere non li elargiva…Qualsiasi cosa gli fosse successa, doveva aver terrorizzato Gibbs, per far sì che gli avesse confessato quelle cose. Doveva averlo spaventato nello stesso modo in cui lui aveva avuto paura quando stava aspettando la prognosi di Gibbs dopo averlo trovato.

Qualsiasi fosse la ragione, Tony si sentì incredibilmente felice nel sapere che il suo capo lo teneva in così alta stima. Sperava solo, a lungo termine, di non deluderlo…

 

Evvai Tony si è finalmente svegliato! Sei un mito Tony!!

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Capitolo 21
*** Respirare Facilmente ***


Lunedì…

“Credi davvero che proverà a venire a lavoro oggi?” Chiese Ziva appollaiata sul bordo della scrivania di Tim.

“Non mi sorprenderebbe.” Replicò lui. “È tornato in anticipo anche quando ha avuto la peste.” McGee spostò lo sguardo sulla scrivania di Tony. La verità era che lui in un certo senso sperava di vederlo entrare in ufficio. Gli mancava. Il Tony sveglio, ecco. Per quanto potesse essere insopportabile la maggior parte del tempo, ogni volta che Tony se ne andava per un po’, Tim ne sentiva la mancanza.

Lo aveva visto sabato in ospedale, ansioso di andarsene nonostante si fosse svegliato solo da ventiquattro ore. Ma quello che McGee voleva vedere era l’Agente Molto Speciale Anthony DiNozzo; vestito con un completo firmato invece che con un camicione da ospedale completo di canula nasale. Voleva sentire le esagerate storie su un appuntamento appena terminato e le citazioni dai film, invece di quella voce debole e di quelle parole spezzate a causa della mancanza di fiato.

“Non sembra pronto.” Ziva lo riscosse dai suoi pensieri. “Quando li ho accompagnati a casa di Gibbs ieri sera, era molto…affaticato, solo per aver camminato dalla macchina al salotto.”

“Sì. Ducky ha detto che sarà così per un po’.” Le disse Tim. “Perciò dovrà fare lavoro d’ufficio finché i suoi polmoni non saranno pronti per il lavoro sul campo.”

Il familiare ding dell’ascensore risuonò, e Ziva ritornò al suo tavolo.

“Eppure, devo dire che sono sorpreso.” Disse Ducky quando lui e Gibbs uscirono dalle porte. “Pensavo che avrebbe insistito.”

“Aveva a malapena la forza di finire la colazione, Duck.” Replicò Gibbs. “Non credo fosse in grado di cominciare a discutere.”

“Indossa la maschera per l’ossigeno quando va a dormire, come gli ha ordinato il dottore?”

“Sì.”

“E sa che questa sera passerò da lui per la sua terapia?”

“Ho detto che era stanco, Ducky. Non che avesse un problema di memoria.”

“Hmm.” Il dottore borbottò leggermente. “Molto bene.” Si guardò attorno in ufficio.

“Terapia?” Chiese McGee, sopracciglia corrugate.

“Sì, Timothy.” Replicò Ducky avvicinandosi alla scrivania dell’Agente. “Mi sono preso la libertà di rispolverare le mie conoscenze sulle terapie respiratorie mentre Anthony stava recuperando dalla peste anni fa. Questa volta la cosa è un po’ diversa, ma sono a conoscenza di ciò che deve essere fatto. È come la fisioterapia, solo che ciò che alleneremo saranno i polmoni, invece di una gamba o un braccio.” Ducky gli si avvicinò ancora e abbassò la voce ad un sussurro. “Quale povera anima sfortunata aveva scommesso su oggi?”

“Solo io.” Fece una smorfia. Ducky ridacchiò e gli diede una pacca sulla spalla.

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“Respiri detergenti, Ducky? Sul serio?” Chiese Tony dopo essersi steso sulla schiena sul suo letto.

“I respiri superficiale che accompagnano il tuo sistema respiratorio indebolito, tendono ad utilizzare solo la parte superiore dei tuoi polmoni. Questo significa che non solo inspiri metà dell’aria necessaria, ma che l’aria stantia non viene espulsa efficacemente. Rimuovere prodotti di scarto metabolici attraverso il respiro è una parte importante del regolare equilibrio del corpo, e che quelle tossine si riproducano nei polmoni è pericoloso. I polmoni possono essere puliti e rafforzati attraverso lenti, profondi respiri che li riempiono e svuotano completamente.”

“Va bene, va bene.” Si lagnò Tony. “Rinforziamo un muscolo alla volta, okay? Niente lezioni di medicina per me, stasera.”

Ducky ridacchiò piano. “Incominciamo allora, va bene? Intreccia le dita alla base della tua cassa toracica. Concentrati su quest’area quando respiri, permettendo alla tua pancia di sollevarsi mentre il tuo diaframma si abbassa. Inspira fermamente e profondamente, ma non sforzarti.” Guardò come Tony seguì le istruzioni. “Ora, rilassa il diaframma; guarda come le tue dita si abbassano insieme alla pancia e alla cassa toracica, e espira, fermamente.”

“Così?” Chiese Tony, una volta finito.

“Sì. Molto bene, Anthony. Questa volta metterò un timer, e voglio che tu continui fino a che non suonerà. Capito?”

“Penso di potercela fare, Ducky.” Sogghignò lui.

“Molto bene, allora. Ti lascio ai tuoi esercizi, e vado a controllare come se la sta cavando Jethro con la cena.” Gli sorrise brevemente e lasciò la stanza.

Lasciato solo, Tony continuò a seguire il regime che Ducky gli aveva impartito. Era facile, pensò. Finalmente, qualcosa che poteva sopportare. Era già abbastanza un male, quella mattina, aver dovuto sopportare gli attenti, preoccupati occhi del suo capo mentre mangiava la colazione. A dire la verità, non aveva nemmeno voluto alzarsi così presto. Ma la parte testarda di lui lo aveva obbligato.

Aveva voluto poter tornare a lavoro. Ma la strada fino al tavolo lo aveva completamente esaurito, e nel mezzo della colazione, tutto quello a cui poteva pensare era tornare a letto. Una volta che Gibbs se ne era finalmente andato, Tony si era impegnato per arrivare fino al divano rimanendoci per la maggior parte del giorno.

Aveva speso l’ora prima che Gibbs tornasse a casa, tornando in camera sua, e mettendosi la maschera dell’ossigeno. Lo sforzo di salire le scale doveva fare bene per il suo recupero. L’ossigeno, pure. Se solo avesse potuto fare qualcos’altro oltre dormire, tipo camminare.

Anche solo a pensarci, Tony si sentì sprofondare nella stanchezza. Accanto a lui, sentì suonare l’allarme, ma non riuscì a sollevare il braccio per poterlo spegnere. E nonostante suonasse in maniera odiosa, si addormentò in fretta…

 

E ora comincia il lente recupero che per una persona sempre attiva come Tony rappresenta la punizione più crudele esistente!

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Capitolo 22
*** Panico ***


“Sei sicuro che starai bene?” Chiese Gibbs probabilmente per la quinta volta da quando aveva aiutato Tony a risistemarsi nel suo appartamento. Aveva passato una settimana a casa di Gibbs, e aveva fatto su abbastanza stamina per riuscire a muoversi per casa, a salire le scale, senza bisogno di fare un pisolino cinque minuti dopo.

“Sì, Capo, starò bene.” Insistette. “Passerai alle 0600, giusto?”

“Sì. Chiamerò un’ora prima.”

“Non devi farlo.”

“Certo che devo. Perché se arrivo qui e tu non sei pronto, mi arrabbierò.” Gli disse, di malavoglia.

Tony sogghignò. “Sarò pronto. Chiama, se la cosa ti fa sentire meglio.” Gli fece l’occhiolino.

“Notte, DiNozzo.” Si voltò per dirigersi verso la porta. Tony lo seguì così da poterla chiudere a chiave una volta che lui fosse uscito. Ma Gibbs si voltò di nuovo verso di lui. “Se hai qualche problema, non esitare-”

“A chiamarti. Sì, lo so, Capo.” Sorrise. “Starò bene. Davvero. Vai a casa, Gibbs.” Praticamente lo spinse fuori dalla porta ridacchiando.

“Se non ti conoscessi direi che stai cercando di liberarti di me.” Gibbs strinse gli occhi. “Hai un appuntamento o qualcosa di simile?” Sollevò le sopracciglia.

Tony rise. “Oh sì. È proprio così. Quale modo migliore per mettere alla prova la mia stamina?” Gibbs notò subito il sarcasmo. “Ma seriamente, voglio solo dormire. Il mio capo è un tipo esigente; mi fa alzare alle cinque del mattino.” Sorrise. Gibbs scosse la testa, roteando gli occhi con un sorriso divertito in volto, e cominciò ad incamminarsi per il corridoio. “Notte, Capo!” Chiamò Tony prima di rientrare chiudendosi la porta alle spalle.

Proprio come aveva detto a Gibbs, Tony si diresse direttamente a letto. Non gli ci volle molto per addormentarsi. Ma ad un certo punto durante la notte, il suo cervello accese la modalità sogno, e lui venne risucchiato in una serie di incubi.

Lo stesso sogno che lo derideva sin dall’inizio; perdere Gibbs agli orribili eventi che si erano svolti prima che lui riuscisse a trovarlo in quel furgone. Ma lui era preparato per quell’incubo. Sapeva, da qualche parte nella sua mente, che non era andata così. Era solo un morbido promemoria di quello che sarebbe potuto succedere.

Solo quando si arrivò all’incubo seguente, le cose diventarono terrorizzanti.

La squadra era seduta al tavolo di Gibbs per cenare, proprio come avevano fatto un paio di sere prima. Stavano ridendo a qualcosa che Tony aveva detto. Ma i loro sorrisi svanirono quando Ziva cominciò a soffocare. O quello che loro pensavano fosse lei che si soffocava…

Tony ci mise qualche momento per capire che in realtà era stata avvelenata. McGee era al telefono, a chiamare un’ambulanza mentre Gibbs si guardava intorno per assicurarsi che nessun altro avesse cominciato a mangiare. Tony stava stringendo Ziva, cercando di confortarla mentre soffriva.

E improvvisamente, apparve…McWithey. Teneva McGee davanti a sé, una pistola puntata alla sua tempia.

“Lascialo andare.” Disse Gibbs con calma.

“Non è così che funzionano le cose, Agente Gibbs.” Replicò lui.

“Cosa vuoi?” Domandò.

“Ho già bloccato la chiamata per richiedere l’ambulanza.” Rivelò McWithey. “Quindi non avete molto tempo. Farete quello che vi dirò di fare.”

“Cosa vuoi che facciamo?” Tony ripeté la domanda.

McWithey voltò la testa verso di lui. “Tutto quello che devi fare, DiNozzo, è stare seduto lì a guardare.” Gli disse.

Tony strinse gli occhi, corrugando le sopracciglia prima di abbassare gli occhi su Ziva. Il suo volto era pallido; le labbra blu. Lo fissava, immobile. “Zi?” Le accarezzò la guancia. “Ziva?” Sentì gli occhi riempirsi di lacrime mentre controllava se c’era un battito cardiaco e non ne trovava nessuno. “Cosa le hai fatto?” Alzò gli occhi su McWithey, che sorrise.

“Te l’ho portata via.” Gli disse. “Pensavi che non avessi modo di farlo?”

“Figlio di puttana!” Gridò Gibbs al folle, poi guardò Tony, che delicatamente stava posando Ziva a terra. “Ti ucciderò con le mie mani.” Disse a Billy.

“No, Capo.” Disse Tony alzandosi. “Ucciderò io questo bastardo.”

“Davvero?” Rispose l’altro disgustato. “Sparerò due volte prima che tu riesca a raggiungermi.” Guardò fra Tony e Gibbs. “Chi credi che sarà l’ultimo a rimanere in piedi?” Tony si sentì sobbalzare. Incontrò gli occhi spaventati di McGee. L’Agente più giovane stava fissando, angosciato, il corpo di Ziva. Ma i suoi occhi presto incontrarono quelli di Tony. “Allora?” Disse Billy. “Avanti, presto. Cosa farai?”

Tony lanciò un’occhiata a Gibbs. Vide qualcosa che raramente aveva visto negli occhi del suo capo nel corso degli anni; esitazione.

“Oh, al diavolo.” Borbottò Billy.

Gli occhi di Tony si spostarono immediatamente su di lui mentre premeva il grilletto. “No!” Gridò mentre il corpo senza vita di McGee rovinava a terra. Billy indietreggiò un po’ mentre Tony cadeva in ginocchio accanto all’Agente deceduto. “No, Tim!” Andò nel panico mentre le sue mani correvano lungo il cadavere. Non c’era bisogno di controllare se c’erano segni di vita…se il buco a lato della sua testa serviva da indicazione insieme al sangue che formava una pozza sotto di lui. “No…” Lacrime gli rigarono le guance per la perdita del suo compagno, del suo amico…suo fratello.

Tony alzò lo sguardo sul bastardo assassino proprio mentre alzava la pistola puntandola a Gibbs. “Cosa farai dopo che ti avrò portato via tutta la tua famiglia, Agente DiNozzo?” Chiese Billy.

Tony era disperato. Non poteva lasciare che accadesse una cosa simile. “Ti prego…ti prego, Billy, non farlo.” Si alzò lentamente.

Lentamente, un sorriso demoniaco si fece strada sul volto di McWithey. “Vedi? Ora quello è ciò che stavo cercando; la tua e pura disperazione.” Con ciò, Billy premette il grilletto…

Il mondo rallentò…Tony poté veder volare il proiettile, e non poté muoversi per fermarlo. Se non fosse stato congelato dove si trovava, avrebbe balzato in avanti per intercettarne la traiettoria. Ma lo era, e non poteva…Guardò come il proiettile attraversò la stanza. Urlò a Gibbs di spostarsi, ma lui sembrò non sentirlo.

E improvvisamente, tutto tornò a velocità normale. Gibbs cadde a terra; un buco in fronte…

Tony si svegliò di soprassalto, mettendosi immediatamente a sedere. La prima cosa che realizzò fu che si era trattato di un incubo; nulla era stato reale. La seconda cosa fu…che non riusciva a respirare…

Certo, tecnicamente, stava inspirando ed espirando. Ma nonostante stesse facendo di tutto per calmarsi, i suoi respiri erano rapidi e affannati, e gli sembrava di non stare respirando abbastanza aria. Ciò lo fece andare un po’ nel panico. Non voleva tornare in ospedale. Ma non voleva soffocare dopo aver detto a Gibbs che stava bene.

Tony si allungò per afferrare il cellulare, con mani tremanti, appoggiato sul comodino. Lanciando un’occhiata all’orologio, imprecò mentalmente notando che mancava poco alle cinque del mattino. Poi trovò Ducky sui tasti di chiamata rapida…

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Ducky fu svegliato dal suono del suo cellulare che squillava accanto al suo letto. Guardò l’orologio, notando che comunque la sveglia avrebbe dovuto suonare fra un po’, e rispose al telefono. Prima che potesse salutare chiunque l’avesse chiamato, sentì dei respiri affannati. Scostò il cellulare dall’orecchio per un momento, per controllare l’ID chiamante, poi lo riportò all’orecchio. “Anthony? Sei tu?”

“Duck…non so cosa sta…succedendo…”

“Va bene, ora. La prima cosa che devi fare è calmarti.” Disse Ducky alzandosi e cercando qualcosa da mettersi addosso.

“Già provato…Ducky…”

“Cos’è successo? Cosa stavi facendo prima di chimarmi?”

“Dormivo…avuto un…incubo…”

Ducky annuì a sé stesso. “Dev’essere stato impressionante. Anthony, ho bisogno che mi ascolti attentamente.” Istruì. “Nel tuo bagno, nel cassetto a destra, ci sono i tuoi due inalatori.”

“Probabilmente…scaduti…”

“Sì, beh, se non li avessi cambiati per evitare il problema, lo sarebbero. Ora, prendi quello nella scatoletta blu. Sei in grado di andare in bagno?”

“Quasi lì…Ducky…”

“Bene, bene. Una volta che l’avrai preso, devi scuoterlo bene. Sai come usarlo. Due compressioni, e trattieni l’aria dentro più che puoi. Puoi mettere giù il telefono, se ne hai bisogno, ma resta in linea con me. Sto per uscire di casa per venire da te…”

                                                                                                                                 11 00 11 00 11

Mi scuso per il giorno di ritardo nel postare questo capitolo ma ieri sono stata via tutto il giorno e non ho potuto aggiornare : )

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Capitolo 23
*** Problemi Discutibili ***


Era più difficile espirare che inspirare, realizzò Tony scivolando a terra con in mano l’inalatore.

Scosse il contenitore e seguì rapidamente le istruzioni di Ducky. Era un po’ difficile trattenere la medicina; trattenere il respiro così a lungo. Ma fece il meglio che poté. Presto, rilasciando il fiato, sentì che le cose stavano migliorando. Le sue vie aeree si stavano riaprendo, e lui venne lasciato con addosso solo i residui delle sensazioni con le quali si era svegliato.

Tony sentì, istintivamente, il bisogno di sciacquarsi la bocca. Si tirò su e si volse verso il rubinetto, riempiendosi la bocca di acqua fredda. Sentì una voce in lontananza, e capì che Ducky era ancora in linea. Si asciugò le mani sui pantaloni e prese in mano il telefono.

“Ducky?”

“Anthony! Grazie al cielo. Stai bene?”

“A quanto pare. L’inalatore ha funzionato. Cosa vuol dire? Adesso ho l’asma o cosa?”

“Beh, non dovremmo saltare alle conclusioni.” Gli disse Ducky. “Le tue vie aeree sembravano un po’ chiuse. Ci sono varie ragioni che possono spiegare perché è successa una cosa simile. Lascia che ti dia un’occhiata prima di fare una diagnosi, va bene?”

Tony sospirò e si passò una mano sul viso. “Va bene. Lascio la porta aperta. Accomodati quando arrivi.”

*~.~*

“Beh, i tuoi segni vitali sembrano normali.” Disse Ducky dopo aver controllato Tony. “E il tuo respiro è uguale all’ultima volta che ti ho controllato. Ciò che è successo può essere stato una combinazione di un attacco di panico e la debolezza dei tuoi polmoni.”

“O asma…”

“Non ne sono certo, Anthony. Ma se quello fosse il caso, ti suggerisco di portare sempre con te l’inalatore.”

Tony annuì, spostando gli occhi dal dottore. “Okay.”

“Non scoraggiarti.” Ducky gli appoggiò una mano sulla spalla. “Anche se dovesse venir fuori che hai l’asma, la cosa non ti impedirà di fare il tuo lavoro.”

“Non puoi essere serio.” Si voltò di nuovo verso Ducky. “Certo che me lo impedirà! Riesci a vedermi mentre inseguo un sospettato e devo improvvisamente fermarmi per usare il mio inalatore?”

“Ci sono medicinali che abbassano la frequenza dell’utilizzo dell’inalatore, se si tratta, davvero, di asma.” Spiegò lui.

Tony rimase in silenzio, ponderando ciò che gli era stato detto. “Vado a farmi una doccia, Ducky.” Disse, alla fine. “Mi dispiace di averti fatto venire fin qui…”

“Sciocchezze, Tony. Mi sarei arrabbiato se non mi avessi chiamato. Sono lieto di esserti stato di aiuto.” Disse alzandosi. “Allora, se ti serve qualcos’altro, chiamerai?”

“Certo.” Replicò, accompagnandolo alla porta. “Ci vediamo dopo, Ducky…”

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Gibbs si stava precipitando in macchina all’appartamento di Tony. Aveva chiamato già tre volte, e non c’era stata risposta. La cosa lo disturbava enormemente. La prima chiamata, pensava l’avrebbe svegliato, se stava dormendo. Alla seconda senza risposta, si era già diretto verso la macchina. La terza gli aveva fatto accelerare il cuore.

Tony aveva sempre risposto quando a casa di Gibbs se qualcuno lo chiamava; anche se stava dormendo. E sapeva di dover sempre rispondere se lo chiamava Gibbs. O almeno avrebbe dovuto richiamarlo non appena preso il cellulare.

Perciò attese, lanciando occhiate al cellulare ad ogni minuto, mentre correva verso l’appartamento; aspettava che lo chiamasse. Ma non arrivò nessuna chiamata. E presto, inchiodò innanzi al condominio dove abitava Tony. Lasciò tutto in macchina, tranne le chiavi, e corse fino all’appartamento, entrando usando la chiave che DiNozzo gli aveva dato molto tempo fa.

“Tony?” Gridò. Si diresse verso la camera da letto proprio mentre Tony usciva dal bagno con un asciugamano intorno alla vita; telefono all’orecchio.

“Capo!” Sembrava sorpreso. “Stava giusto per richiamarti.” Terminò la chiamata e mise già il telefono. “Manca ancora un quarto…cosa ci fai qui? Avevi detto alle sei…”

Gibbs rilasciò un sospiro di sollievo, eppure frustrato. “Ti ho chiamato quindici minuti fa, Tony. Non hai risposto…ho pensato che fosse successo qualcosa.”

“Ho solo…fatto una doccia extra lunga…Non mi sono accorto dell’ora, Capo. Mi dispiace.”

“Certo che ti dispiace!” Quasi gridò. Tony sobbalzò leggermente, e Gibbs realizzò che forse stava esagerando. Scosse la testa. “Mi dispiace. Non è stata colpa tua…”

“Avevi detto che avresti chiamato alle 5:30.” Ammise Tony. “È colpa mia se non ero fuori a rispondere.”

“Colpa della mia paranoia. Immagino che siamo entrambi da incolpare, almeno un po’.” Entrambi rimasero in silenzio per un po’; Tony sembrava non sapere cosa dire. Non voleva che Gibbs sapesse cos’era successo…“Ho lasciato il mio caffè a casa.” Disse Gibbs. “Vado fuori a prenderne un po’. Torno fra quindici minuti. Cerca di essere pronto.” Sollevò un sopracciglio.

“Sarò pronto fra dieci minuti, Capo.” Sorrise Tony.

Annuendo, Gibbs si voltò e lasciò l’appartamento. Tony rilasciò un respiro, permettendo ai suoi occhi di chiudersi per un momento per il sollievo…

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Questo capitolo è un po' corto ma spero vi piaccia lo stesso! XD

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Capitolo 24
*** Il Caso Del Tenente Scomparso ***


“Tonyyyyy!” Abby si avventò sull’Agente Anziano stringendolo in un abbraccio non appena lui e Gibbs furono entrati in ufficio.

“Abs-” Si strinse a lei per paura di crollare a terra. “Ti rendi conto che mi hai visto appena due giorni fa, vero?”

“Sì, ma sei tornato! Sei qui! C’è una grande differenza!” Affermò lei scostandosi. “Non è stata la stessa cosa senza di te.”

“Ha ragione, Tony.” Sorrise Ziva da dietro la sua scrivania. “Tutto è stato molto più tranquillo.”

“Mi assicurerò di rimediare a quel silenzio, al meglio delle mie possibilità.” Ribatté Tony con un sorriso dirigendosi al suo tavolo.

“Bentornato, Tony.” Sorrise McGee dal suo tavolo.

“Grazie, McGee.” Replicò lui, poi i suoi occhi vagarono fino ad un uomo che se ne stava in piedi dall’altra parte del muro che separava McGee dall’altro cubicolo. “Quello è il temporaneo?” Chiese Tony.

“Oh, uh…” McGee si alzò. “Tony, questo è…questo è Antonio Berk.” Introdusse. “Berk, tu sai chi è lui.” Mormorò prima di risedersi.

Tony sogghignò in direzione di McGee alla plateale dimostrazione del fatto che il tipo proprio non gli piaceva. Lui si alzò mentre Berk si faceva strada verso il suo tavolo porgendogli la mano. “Piacere di conoscerti, Agente Berk.” Salutò Tony.

“N-no, Signore, il piacere è tutto mio.” Replicò Berk, afferrando saldamente la sua mano. “Lei è come una leggenda all’NCIS.” Continuò. “Voglio dire-” Chinò il capo e si guardò attorno nervosamente prima di incontrare di nuovo gli occhi di Tony. “Voglio dire, per me, comunque. Ho seguito la sua carriera fin da quando ha lasciato il BPD*. L-lavoravo per loro…prima di venire qui, ecco…”

“Non hai intenzione di incastrarmi per qualcosa, vero?” Tony sollevò un sopracciglio.

“C-c-cosa?” Balbettò Berk, uno sguardo spaventato in viso. “N-non farei m-mai una cosa simile, Agente DiNozzo…Signore…”

“Calmati, Agente Berk.” Sogghignò Tony, divertito, e diede una pacca sulla spalla all’Agente. “Nemmeno io potrei avere tutta quella sfortuna in un sol colpo.” Si voltò per andare a risedersi alla sua scrivania. “Allora, per quanto a lungo resterai ancora con noi?”

“Um…io uh…” Berk lanciò un’occhiata a Gibbs, poi a Tony. “Devo incontrarmi con il Direttore fra un minuto. Immagino che lo saprò allora…”

In quel momento squillò il telefono di Gibbs. Dopo qualche parola borbottata, terminò la chiamata e aprì uno dei cassetti della sua scrivania. “Abbiamo un Tenente della Marina scomparso.” Li informò prendendo pistola e distintivo. “È stato trovato del sangue sulla scena del crimine.”

La squadra si sbrigò a prendere le sue cose, eccetto Tony. Gibbs si voltò verso il suo Agente Temporaneo mentre lottava per chiudere il suo zaino. “Berk, tu rimani. Non vorrai perdere il tuo incontro con Vance.”

Berk esitò per un momento, gli occhi che saettavano in giro. “Sì, Signore…uh Gibbs…” Si sedette alla sua scrivania mentre il resto della squadra entrava in ascensore. Il suo sguardo allora si spostò su Tony, che fece ruotare la sedia per guardare verso di lui. Tony teneva i gomiti sui poggia braccia e continuava a far sbattere una penna contro il palmo della sua mano mentre guardava, divertito, l’Agente più giovane.

“Agente Berk.” La severa voce del Direttore Vance provenne dalla scale. “Nel mio ufficio.”

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McGee aveva inviato tutte le informazioni dalla scena del crimine a Tony prima ancora che si fossero mossi per tornare indietro. E Tony si era messo a lavorare sodo su ogni dettaglio. Aveva recuperato ogni singola possibile informazione sul Tenente scomparso, i suoi colleghi ufficiali, amici e parenti. Era stato in grado di controllare anche gli estratti conto bancari prima che loro tornassero.

“Hai qualcosa per me, DiNozzo?” Chiese Gibbs sollevando un sopracciglio quando tornando vide Tony a lavorare duramente al computer.

“Sì, Capo!” Si alzò, entusiasta, telecomando in mano. “Tenente della Marina Ashley Marie Trelawny; 27 anni, nata  e cresciuta a Clifton Forge, VA. È all’ottavo anno di servizio nella Marina, nella sua nuova città D.C, in licenza. Niente figli. Nessun fidanzato conosciuto. Niente famiglia nell’area.”

“Niente che già non sappiamo?” Chiese Gibbs mettendosi di fianco all’Agente davanti allo schermo sul quale campeggiava il volto del Tenente.

“Immagino che dipenda da quello che già sapete, Capo.” Sogghignò lui, poi tornò allo schermo. “Ho una lista di compagni dell’equipaggio che servivano con lei sulla sua nave; due sono stati visti a D.C. Solo uno di loro non sta rispondendo al cellulare.” Gibbs inclinò il capo, guardando stupito il suo Agente Anziano che in così poco tempo era riuscito a fare tutte quelle cose. “Dai il benvenuto al Tenente Gregory Micheals.” Disse facendo apparire l’immagine di un uomo sullo schermo. “Sono stati assegnati allo stesso incarico per più di un anno. Ha chiesto un periodo di licenza più o meno una settimana dopo Trelawny. Mi sono assicurato che le date coincidano. Potremmo stare guardando il rapitore.”

“Non potrebbero essere semplicemente scappati insieme?” Chiese Ziva dalla sua posizione alle spalle di Gibbs.

“Il sangue sulla scena del crimine farebbe pensare al contrario.” Disse Tony, facendo apparire le foto della scena del crimine. “Ho anche controllato i suoi movimenti bancari.” McGee a quelle parole guardò sorpreso il profilo di Tony, anche se lui non se ne accorse mentre faceva comparire i conti sullo schermo. “Micheals ha trasferito due ingenti somme circa un mese fa, proprio dopo aver fatto richiesta per la licenza. Li ho rintracciati arrivando ad un Ufficiale Brent Smith. Prova ad indovinare chi ha dato il permesso di licenza a Micheals?” Lanciò un’occhiata al suo capo.

“Ottimo lavoro, DiNozzo.” Annuì Gibbs, poi si voltò per tornare al suo tavolo.

“Ti stai rifacendo per il tempo perso, vedo.” Tim sollevò le sopracciglia. “O forse mi ero abituato all’incapacità di Berk di riuscire a capire qualunque cosa…Cosa dovrei fare adesso che hai già rintracciato tutto?”

“Tu e Ziva andate a prenderlo.” Gli disse Gibbs.

“Smith?” Verificò Tim.

“Beh sì, McGee. Non sappiamo dov’è Micheals in questo momento, no?” Guardò Tony.

“No, Capo.”

“Mi servirà un in-” Cominciò McGee, ma Tony gli porse un pezzo di carta con su scritto un indirizzo. “Indirizzo…va bene, allora…”

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*BPD sta per Baltimore Police Department, il precedente posto di lavoro di Tony.

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Capitolo 25
*** Sfidare La Sorte ***


Interrogare Smith non li aveva portati da nessuna parte. Per quanto ne sapeva l’Ufficiale, Micheals aveva preso quel periodo di licenza così da poterlo passare con lei. Non c’era segno di un imbroglio; nessun segno che ci fosse del malanimo o un’ossessione del Tenente nei confronti di Ashley Trelawny. E visto che non si aveva più traccia dei due da sole ventiquattro ore, tecnicamente, non c’era molto da poter fare.

Eppure, l’istinto di Gibbs andava a mille all’ora, e Tony lo sapeva. Diavolo, persino il suo istinto gli diceva che qualcosa non andava. Ed era per quello che stava controllando tutto quello che poteva sui due Tenenti.

“Ora di andarsene, DiNozzo.” La voce di Gibbs lo distolse dallo schermo del computer, e lui alzò lo sguardo, sbattendo le palpebre un paio di volte per mettere a fuoco l’uomo. Gibbs sembrava pronto ad andarsene. Tony si guardò attorno in ufficio, realizzando che erano rimasti solo loro due. “Si sta facendo tardi.”

Lanciando un’occhiata fuori dalla finestra alla città ormai immersa nel buio, poi all’ora sull’orologio, incontrò di nuovo gli occhi del suo capo. Il suo intento era di insistere perché gli fosse permesso di restare e finire ciò che aveva iniziato. Ma realizzò che Gibbs aveva intenzione di portarlo a casa. Con un sospiro rassegnato, replicò. “Giusto, Capo.” E spense lo schermo.

“Ho due bistecche scongelate in frigo.” Gli disse mentre Tony preparava le sue cose. “Hai fame?”

Alzandosi, mettendosi in spalla lo zaino, incontrò di nuovo gli occhi di Gibbs. “Certo. Non mangio da mezzogiorno. Una bistecca mi va più che bene.”

Gibbs annuì, in segno di approvazione, mentre i due si incamminavano verso l’ascensore. “Possiamo fermarci lungo la strada; prendere delle patate o qualcosa da mangiarci assieme?”

“Se vuoi. Ma a me va bene solo una bistecca, stasera. Non voglio mettere su peso, seduto alla scrivania tutto il giorno.” Sogghignò mentre entravano in ascensore e Gibbs premeva il pulsante.

“Non dovevi fare una passeggiata con Abby dopo pranzo?”

“Entrambi abbiamo avuto da fare.” Ritorse lui. “Pensavo di poter andare a correre dopo il lavoro. Forse dopo aver cenato-”

“A correre?” Gibbs sollevò le sopracciglia.

“Beh…una camminata veloce…”

“Si suppone che tu arrivi alla corsa un po’ per volta, Tony.”

“Lo so. Ho fatto le scale per andare e tornare dal laboratorio, prima. Non mi hanno causato problemi, perciò ho pensato di-”

“Sfidare la sorte?”

“Tentare di fare qualcosa di più.” Corresse lui. “So quando mi sto stancando troppo per poter continuare, Capo.” Si difese. “Non è che avessi intenzione di allontanarmi troppo da casa.”

“Beh, se hai intenzione di provare qualcosa, verrò con te.”

“Avanti, Gibbs, posso prendermi cura di me stesso.” Rise brevemente.

“Oh, lo so.” Gibbs chinò il capo.

“Allora perché devi venire con me?”

“Per come la vedo io, ti stai allenando.” Gli disse Gibbs mentre uscivano dall’ascensore dirigendosi verso la sua macchina. “Le persone che si allenano hanno bisogno di un osservatore. Qualche volta possono andare oltre i limiti senza accorgersene. Anche se non pensano di volerlo fare.”

“Sei preoccupato per me?” Sogghignò Tony, sollevando un sopracciglio mentre si avvicinavano alla macchina. Gibbs incontrò i suoi occhi con uno sguardo divertito, ma non gli diede risposta aprendo la portiera dell'auto per entrare…

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Avevano deciso di andare a correre prima di mangiare, visto che più tardi avrebbe fatto anche più freddo. Si trattava solo di mezzo miglio di andata e mezzo di ritorno. Una mera distanza se comparata a quella che correva di solito. Ma era comunque un progresso da quando era stato avvelenato.

Entrando in casa al loro ritorno, Gibbs si tolse le scarpe. “Sono impressionato, DiNozzo.” Gli disse. “Hai fatto molta strada.”

“Grazie, Capo.” Replicò Tony, ancora senza fiato mentre imitava il suo capo togliendosi le scarpe. “Devo farne ancora di strada, ma ci sto arrivando. Ora sì che mi andrebbe una bistecca.” Disse seguendo Gibbs in cucina.

“Il caminetto dovrebbe rasentare un incendio ormai.” Commentò Gibbs afferrando la cena dal frigo. “Le preparo in un attimo. Prendi qualche piatto, ti spiace?”

“Certo.” Tony si diresse verso la credenza e tirò fuori due piatti. Li mise da parte per il momento, con l’intenzione di prendere anche due forchette. Ma i suoi occhi tremarono quando caddero sulla liscia superficie del tavolo. La sua mente si riempì improvvisamente di ricordi dell’incubo che aveva avuto la notte precedente.

Si ricordò del corpo di Ziva fra le sue braccia; la vita che lasciava i suoi occhi mentre il veleno sconfiggeva il suo corpo.

Si ricordò del terrore che aveva provato quando Withey aveva piantato un proiettile in testa a Tim; quando era collassato davanti a lui per terra.

Si ricordò Gibbs…in piedi proprio dov'era in quel momento; la pistola puntata contro…

Tony si sentì stringere il petto, e il respiro che stava recuperando sin da quando erano ritornati dalla corsa, stava rapidamente svanendo. Panico. Era probabilmente la cosa peggiore che gli potesse capitare in quel momento, in casa di Gibbs. L’ultima cosa che voleva era che Gibbs scoprisse il suo nuovo problema. Ma non c’era nulla di più terrorizzante delle sensazioni che sentiva in quel momento.

A peggiorare la situazione, sembrava essere congelato dove si trovava; forse in attesa che il problema svanisse da solo. Dopotutto, era solo uno stupido sogno! Era stato stupido andare nel panico anche allora, ed ancora più ridicolo era andare nel panico ora, quando la sua mente era completamente sveglia! La frustrazione non fece altro che rafforzare la sensazione…

“Hai preso quei piatti, Tony?” Chiese Gibbs quando lo vide tornare in cucina. Dopo aver visto lo stato in cui si trovava il suo Agente, chiaramente incapace di respirare normalmente, e la mano che stringeva lo schienale di una delle sedie del tavolo, Gibbs gli si avvicinò. “Stai bene?” Chiese, la fronte corrugata. Tony incontrò i suoi occhi e Gibbs poté vedere l’angoscia in essi. “Cosa c’è? Tony, che sta succedendo?” Lo fece sedere a tavola, aprendogli gentilmente la mano che serrava la sedia. Chinandosi davanti al suo Agente Anziano, poté sentire il sibilo che accompagnava i respiri frenetici.

“Zaino…” Disse Tony, una volta trovata la voce.

Gibbs strinse momentaneamente gli occhi, fino a che non realizzò cosa gli stava chiedendo Tony. Si alzò immediatamente, e prese lo zaino dal foyer, tornando rapidamente in cucina. Tony lo prese e aprì la cerniera davanti, infilando dentro una mano per prendere un inalatore blu. Lo strinse in mano, gli occhi impauriti che incontravano nuovamente quelli del suo capo.

“Usalo, DiNozzo.” Istruì Gibbs, incerto sul perché il suo Agente avesse bisogno del suo permesso. Osservò Tony che scuoteva il contenitore; gli occhi che lasciavano quelli di Gibbs, anche se ora sembravano colmi di apprensione, e quelle che sembravano lacrime. Gibbs si sedette sulla sedia di fronte a quella dell’uomo più giovane mentre Tony inalava due volte e tratteneva il fiato.

Aveva gli occhi chiusi; le sopracciglia corrugate mentre si sforzava chiaramente di trattenere il fiato…

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Prevedo una lavata di capo quando Gibbs porrà la fatidica domanda: Perché diavolo Tony non è andato da lui quando ha scoperto di poter avere l'asma???? XD

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Capitolo 26
*** Confessioni ***


Tony rilasciò il fiato, e fu sollevato quando sentì che la medicina aveva già iniziato a funzionare. Il suo imbarazzo, tuttavia, lo obbligò a tenere gli occhi serrati. Dopo alcuni lunghi momenti, sentì una mano appoggiarglisi sulla schiena.

“Stai bene adesso?” Chiese Gibbs, lievemente. Tony annuì, ancora tenendo gli occhi chiusi. “Vado a prendere la nostra cena.” Gli disse. “Tu stai fermo.”

Lo sentì prendere i piatti e tornare in salotto, e aprì gli occhi per vederlo andarsene. Li serrò nuovamente, una lacrima traditrice gli sfuggì cercando di scorrergli lungo la guancia. Ma lui l’asciugò rapidamente con mano tremante, poi sollevò anche l’altra e ci seppellì dentro il viso, i gomiti appoggiati sulle cosce. “Sto bene, Capo.” Borbottò quando sentì ritornare Gibbs.

“Lo so.” Replicò lui appoggiando i piatti sul bancone. “Ti sei sforzato troppo.” Tony lo sentì attraversare la strada e sedersi davanti a lui. “Non eri ancora pronto, ecco tutto.” Tony alzò gli occhi su di lui allora, incontrando i suoi per un momento. Se Gibbs credeva fosse stato quello a scatenare l’episodio, Tony era più che disposto a continuare a farglielo credere. Era un po’ meno imbarazzante, e apparentemente accettabile per la sua condizione. “Non scoraggiarti.” Gibbs gli mise una mano sulla spalla. “Ci arriverai, Tony.”

Gibbs osservò come gli occhi di Tony si abbassarono. “Grazie, Capo.” Disse con voce piccola. Era chiaro a Gibbs che il suo Agente era ancora imbarazzato, che dovesse esserlo oppure no.

“Hai ancora fame?” Chiese, cercando di cambiare discorso per il suo bene.

“Sì.” Replicò lui, grato.

*~.~*

A metà cena, Gibbs alzò gli occhi dal suo piatto per fissare l’uomo seduto davanti a lui al tavolo. “Quando è già successo, prima di stasera?” Chiese.

Tony si fermò, mentre masticava, poi incontrò gli occhi del suo capo. “Cosa vuoi dire?”

“Eri preparato; per l’attacco.” Verificò. “Deve voler dire che ti aspettavi che potesse succedere. E visto che una cosa del genere non è mai successa durante il periodo che hai passato qui, e io non ho mai visto quell’inalatore, posso solo presumere che sia accaduta nel lasso di tempo fra io che ti lascio a casa tua, e ti vengo a prendere questa mattina.”

Tony deglutì il pezzo di bistecca che ancora aveva in bocca. “Ducky mi ha detto di portarlo a lavoro con me, in caso ne avessi avuto bisogno.” Gli disse. “A quanto pare sembra che si sia sbagliato sul quando ma ci abbia azzeccato sul fatto che ne avrei avuto bisogno.” Sorrise prima di riportare la sua attenzione sulla bistecca che aveva in piatto. Mentre cominciava a tagliarla, lanciò una rapida occhiata a Gibbs. “Stavo pensando al caso di Trelawney.”

Gibbs sollevò un sopracciglio prendendo un lungo sorso dalla sua bottiglia di birra. Tony stava cambiando discorso, e Gibbs lo aveva notato. Ma glielo lasciò fare per il momento. “Riguardo a cosa?”

“Qualcosa ti è sembrato strano riguardo Smith?” Chiese prima di mettersi in bocca un pezzo di bistecca. Gibbs chinò il capo curioso. “Solo,” disse Tony con la bocca piena, prima di fermarsi per deglutire e poi continuare “mi sembra che stia nascondendo qualcosa, sai? Come se sapesse più di quanto non abbia cercato di farti credere di sapere…”

“Credi che stesse mentendo quando ha detto che i due sono andati in licenza insieme?”

“No, non davvero.” Replicò infilzando con la forchetta l’ultimo pezzo di bistecca rimastogli in piatto. “Ma non credo che ignori sul serio dove siano quei due, come ci ha detto.”

“Perché non l’hai detto dopo l’interrogatorio?”

“Beh, era solo una sensazione, Capo.” Si difese sogghignando. “Volevo avere qualche prova; era quello che stavo cercando di fare prima che ce ne andassimo dall’ufficio.”

“Ma non hai trovato niente.” Ipotizzò lui.

“In mia difesha.” Disse Tony a bocca piena. “Shono shtato obbligato a lashar perdere prima di arrivare da nesshuna parte.”

“Era il tuo primo giorno a lavoro dopo un mese.” Si difese Gibbs. “E sei rimasto due ore più del previsto.”

“Dovevo rifarmi del tempo perduto.”

“Beh, lo hai fatto.” Annuì lui. “Hai fatto un ottimo lavoro oggi, Tony. Credo che persino McGee sia rimasto impressionato.” Sogghignò.

“Ah!” Sorrise Tony. “McGoo era di certo più frustrato che impressionato dal sapere che sono in grado di fare tutto quello che in genere fa lui.”

“O forse quello che gli facciamo fare anche se tu sei sempre stato in grado di farlo.” Gibbs sollevò le sopracciglia.

“Sono sempre stato pieno di sorprese, Capo.” Sorrise lui.

“Non ero sorpreso, DiNozzo.” Gli disse alzandosi e prendendo entrambi i piatti ormai vuoti. “Ho solo detto che sei stato bravo.”

Lo sguardo di Tony cadde sulla superficie del tavolo mentre Gibbs andava a lavare i piatti. Gibbs gli aveva detto la verità in ospedale, quando gli aveva detto che era un bravo Agente, anche se avesse dovuto fare lavoro d’ufficio…anche se avesse dovuto essere una sistemazione permanente. Certo, Tony non voleva che la cosa fosse permanente. Il fatto era che Gibbs era stato sincero con lui. Ed eccolo là, a non essere onesto col suo capo…

Una volta chiusa l’acqua, dopo che Gibbs ebbe risciacquato i piatti, Tony approfittò dell’attimo di silenzio per parlare. “Non è stata la corsa.”

Gibbs si voltò asciugandosi le mani su un canovaccio. “Cosa?”

“Non è stata la corsa a provocare l’attacco…almeno, non credo.”

Gibbs appoggiò il canovaccio sul bancone e tornò al tavolo, sedendosi vicino a Tony. “Cosa vuoi dire?”

Tony prese un profondo respiro dal naso e lo rilasciò lentamente, preparandosi a confessare. “Questa mattina…mi sono svegliato dopo un incubo piuttosto intenso.” Cominciò. “E non riuscivo a respirare; mi sembrava che il petto mi si fosse chiuso o qualcosa. Ho chiamato Ducky. Mi ha detto di usare l’inalatore ed è venuto a controllarmi. Ha detto che non possiamo essere certi di cosa si tratta, e se è solo una cosa temporanea. Forse è asma o qualcosa di simile, causata dai ripetuti danni ai miei polmoni…”

“Non stavi correndo mentre dormivi.” Pensò Gibbs a voce alta.

“No…non stavo correndo. Ero spaventato, però. Ero nel panico.”

“E in cucina, prima?”

“L’incubo ha avuto luogo qui.” Abbassò gli occhi sul tavolo. “È cominciato come una normale cena con la squadra. È finito con McWithey che arriva e vi uccide tutti.” Deglutì, ancora disturbato da quell’immagine. “So che è solo uno stupido sogno.” Sogghignò alzando di nuovo gli occhi su Gibbs. “Non avrebbe dovuto colpirmi così tanto. Ma invece è stato così…e credo, forse, che assieme allo sforzo fisico, ripensare a quelle immagini abbia scatenato l’attacco.”

Gibbs ci pensò per un momento. “Perché non me ne hai parlato?”

Tony spostò gli occhi, preso alla sprovvista dalla domanda. “C- Io…” Incespicò sulle sue parole, incapace o forse riluttante ad ammettere la verità.

“Avevi paura che non ti avrei permesso di tornare.” Replicò Gibbs per lui. Gli occhi di Tony saettarono il più distante possibile dai suoi. “Non hai creduto a quello che ti ho detto in ospedale; pensavi che ti avessi raccontato delle balle?”

“Capo…” Scosse la testa, chiudendo gli occhi per un momento cercando di calmarsi prima di incontrare gli occhi di Gibbs. “Non posso perdere questo lavoro.” Disse a voce bassa. “Non è…solo un lavoro per me; è…tutto. Se questa cosa che ho è veramente asma, sono finito. Non potrò essere un Agente.”

“Non è neanche la verità, Tony.” Strinse gli occhi. “Ci sono medicine per prevenire gli attacchi. E non è neanche quello il punto. Ti ho detto che hai un posto nella mia squadra, in qualunque caso. Non dico cose che non penso.” Quando Tony ancora non incontrò i suoi occhi, Gibbs gli picchiettò il mento con un dito per fargli alzare lo sguardo. “Non ti fidi di me?”

Tony corrugò le sopracciglia. “Certo che mi fido, Capo. Ti affiderei la mia vita.”

“Allora perché non ti fidi di quello che ti sto dicendo in questo momento?”

Gli occhi di Tony saettarono fra quelli di Gibbs mentre ponderava la domanda. Quando capì la risposta, dovette sbattere le palpebre per ricacciare indietro le lacrime. “Immagino…che la paura faccia fare cose stupide…”

Gibbs mantenne il suo sguardo assorbendo la verità di ciò che Tony gli aveva appena detto. Poi annuì d’accordo. “Sì, è così. Ma ce la faremo; non sarai da solo. Capito, DiNozzo?”

Tony cominciò a respirare meglio. Quella, in realtà, era l’unica risposta di cui aveva bisogno…

                                                                                                                                     11 00 11 00 11

Ed ecco che Tony ha trovato il coraggio di dire a Gibbs la verità! Bisogna dire che stavolta Gibbs se l'è cavata bene senza sbraitare né alzare la voce anche se di poco! XD

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Capitolo 27
*** Seguire Una Traccia ***


“Capo, una delle carte di credito del Tenente Michaels sta venendo usata.” Disse McGee dalla sua scrivania.

“Dove?” Chiese Gibbs prendendo pistola e distintivo da uno dei cassetti del suo tavolo.

“In una stazione di benzina a Clarksburg, in Maryland.”

“Andiamo.” Disse loro Gibbs. “DiNozzo, chiama quella stazione; ottieni una descrizione dal cassiere. La carta di credito potrebbe essere stata rubata. Poi controlla se Michaels ha amici o parenti in quell’area.”

“Subito, Capo.” Replicò Tony, sedendosi alla scrivania di Tim una volta che lui l’ebbe abbandonata.

Una volta che l’ufficio si fu svuotato, tranne che per Tony, Berk fece capolino da un angolo. “Non stai andando via di testa?” Gli chiese, con voce tranquilla.

Tony alzò lo sguardo dallo schermo rivolgendolo all’Agente che si stava avvicinando alla sua scrivania. “Agente Berk…non eri stato trasferito?”

“Sì. Beh no, in effetti. Voglio dire che sarò sempre in questo edificio. Ma non devo trovarmi con l’altra squadra prima di domani.” Replicò. “Stai evitando la domanda?”

Tony strinse gli occhi. “Non sto andando via di testa.”

“Voglio dire, stare qui seduto invece che lavorare sul campo…deve essere brutto, no? Voglio dire, per te…è quello che fai!”

“Quello che faccio è essere parte di questa squadra in qualunque modo possibile.” Ritorse lui. “E tu me lo stai rendendo impossibile con i tuoi…inquietanti ragionamenti e il tuo parlare come se mi conoscessi.”

“Ma io ti conosco.” Insistette Berk. “Ti conosco come…come un fan di 007 conosce James Bond.” Sorrise.

Tony piegò la testa di lato, squadrando l’Agente. “Ora stai facendo il lecchino. E la cosa non ha senso per me, visto che non riuscirai nemmeno ad avvicinarti all’MCRT*.”

“È un crimine avere qualcuno come punto di riferimento?” Chiese Berk. “E poi, sono solo preoccupato, ecco tutto…”

“Non c’è nulla di cui preoccuparsi. Non sono…fisicamente pronto per tornare a lavorare sul campo. Perciò sto facendo quello che posso, qui. Non mi sta facendo uscire di testa e non ho intenzione di cedere sotto pressione. Ma comincerò a seccarmi se non sarò lasciato solo abbastanza a lungo da poter fare quello che dovrei stare facendo in questo momento.”

“Posso aiutarti in qualche modo?”

“Sì. Vai a prenderci del caffè. Sarà una notte lunga; me lo sento…”

                                                                                                                                 11 00 11 00 11

“DiNozzo.” Rispose Tony al telefono della sua scrivania.

“Vai giù da Abby.” Risuonò la voce di Gibbs dall’altra parte della linea. “Il gestore della stazione sta mandando i filmati della sicurezza in questo momento. Non hanno modo di guardarli qui, e io non aspetterò in qualche Dipartimento di Polizia locale.”

Tony lanciò un’occhiata al tavolo di McGee e notò il suo computer portatile appoggiato su una mensola lì accanto. Sogghignò. “E McGoo ha lasciato qui il computer. Okay, Capo. Vado giù subito.”

“Voglio essere sicuro che si trattasse di Michaels, prima di setacciare la città alla sua ricerca. E voglio le targhe di qualunque macchina stesse guidando.”

“Capito. Ti richiamo, Capo.” Disse prima di terminare la chiamata dirigendosi verso l’ascensore.

                                                                                                                                 11 00 11 00 11

“È sicuro che non ci fosse una donna con lui?” Chiese Ziva al cassiere.

“Sì, era qui da solo.” Replicò lui. “È venuto dentro per pagare la benzina, e ha preso dell’Aspirina e dell’acqua. Sembrava che non si sentisse troppo bene. Ho lanciato un’occhiata alla sua macchina, ma non ho visto nessuno nel sedile del passeggero.”

“Ha per caso visto in che direzione è andato?” Chiese McGee.

“Si è diretto a Nord.” Replicò lui. “Non c’è niente da quella parte tranne dei campeggi e un po’ più avanti degli chalet.”

A quel punto il telefono di Gibbs squillò e lui si voltò allontanandosi un po’ per rispondere. “Sì. Gibbs.”

“Non era Michaels, Capo.” Gli disse Tony dall’altra parte della linea. “Era Smith. Ha la carta di credito di Michaels. La macchina è a noleggio, l’ha presa qui a D.C. quattro giorni fa, quando è arrivato con la sua licenza.”

“Che sta facendo a Clarksburg?”

“Ci sto lavorando.” Replicò lui. “Sto controllando dei…aspetta.” Ci fu una lunga pausa.

“Cosa c’è DiNozzo?”

“Capo, la sua famiglia possiede uno chalet a circa cinque miglia a Nord di dove vi trovate in questo momento.”

“Probabilmente si trova lì, allora.” Fece segno agli altri di seguirlo verso la macchina. “Ma non spiega perché ha la carta di credito di Michaels.”

“Ci sono delle possibilità che mi vengono in mente…Mando l’indirizzo dello chalet al cellulare di McGee.”

“Hai mangiato?”

“Capo?”

“Domanda semplice, DiNozzo…”

“Non ci ho pensato.”

“Vai a prenderti qualcosa. O dì a Berk di portarti qualcosa. Non ti rimetterai mai se non mangi.”

Tony sospirò. “Sì, Capo…”

Gibbs terminò la chiamata mettendo in moto la macchina.

“Capo?” Chiese McGee dal sedile posteriore allacciandosi la cintura.

“Tony ti sta mandando un indirizzo. Fammi sapere dove andare.”

                                                                                                                                 11 00 11 00 11

“Qualcosa non va.” Disse Tony a sé stesso tamburellando con le dita contro la maniglia della portiera della macchina di Berk.

“È perché non stai guidando.” Sogghignò Berk.

“Cosa?” Tony lo guardò incredulo. “No, ottuso! Intendevo riguardo all’Ufficiale Smith. Sto aspettando di ricevere delle informazioni alle quali sta lavorando Abby…”

“Dovresti prenderti una pausa. Per questo stai venendo con me a prendere da mangiare.”

“Non ci sono attimi di pausa quando si lavora ad un caso, Berk.” Gli disse. “Si cambia solo l’ambiente nel quale si pensa.” In quel momento, gli squillò il telefono. Controllò l’ID chiamante prima di rispondere. “Abs! Stavo giusto pensando a t-”

“Tony, ho un file medico che era stato archiviato dal dottore della famiglia Smith.” Lo interruppe Abby. “Tutto quanto è confuso, ma Ducky lo sta controllando…”

“Anthony.” Intervenne la voce di Ducky. “Da quel poco che sono riuscito a capire, sembra che il medico del Tenente stesse coprendo qualcosa che gli avrebbe proibito di essere accettato nella Marina.”

“Che tipo di ‘qualcosa’, Ducky?”

“Dalle poche descrizioni che ho trovato, tenendo conto del fatto che il medico della Marina avrebbe notato qualche anomalia fisica, posso solo supporre che si trattasse di un problema psicologico. Uh…qui, Abigail vuole il telefono…”

“Tony, ho trovato un verbale della polizia del 2002. Smith è stato arrestato per aggressione e pestaggio, ma le accuse sono cadute. Ci sono un sacco di cose del genere qui, tipo…tralasciate nel suo file personale della Marina. Si trova in una brutta situazione; è minacciato di essere congedato in caso di un altro incidente.”

“Io scommetto che soffre del Disordine da Personalità Borderline.” Intervenne Ducky.

“Gibbs si sta dirigendo allo chalet di questo tizio.” Disse loro Tony.

“Io lo chiamerei, avvisandolo di procedere con cautela.” Disse Ducky.

Tony terminò bruscamente la telefonata e digitò il numero di Gibbs. Dopo qualche momento, imprecò sottovoce.

“Cosa c’è?” Chiese Berk. “Che sta succedendo?”

“Il telefono di Gibbs va direttamente in segreteria telefonica. Probabilmente non c’è campo fra quelle colline.” Disse cercando di chiamare McGee.

Ci fu uno schiocco e Tony strinse gli occhi ascoltando. “McGee?”

Un altro suono, quasi delle statiche, ma non proprio. “Tony?” La voce era un sussurro.

“McGee che sta succedendo?” Tony si raddrizzò.

“Tony, abbiamo bisogno-” La linea schioccò di nuovo.

“Tim? Ci sei?” Scostò il telefono per guardare il display. La chiamata era terminata. Tony guardò Berk.

“Che succede, amico?” Chiese l’Agente.

Tony prese qualche respiro e prese una decisione. “Dobbiamo andare a Clarksburg…ora.”

                                                                                                                               11 00 11 00 11

* Major Case Response Team

Eccovi il nuovo Capitolo, cosa sarà successo alla squadra e Tony ruscirà ad arrivare in tempo?

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Capitolo 28
*** Protocollo ***


Leon Vance guardò svogliatamente il canale delle news sulla televisione nel suo ufficio, mentre leggeva dei documenti. I suoi occhi si sollevarono per osservare l’ora mostrata in angolo sul suo computer. La giornata lavorativa stava giungendo al termine. Beh, per gli altri, comunque. Ma in quel momento, ebbe all’improvviso una sgradevole sensazione.

La sensazione fu presto accompagnata dallo squillo del suo telefono, che sorprendentemente lo fece sobbalzare, solo di poco, sulla sua poltrona. Sospirando, mise il televisore su 'muto' col telecomando, e afferrò il ricevitore. “Vance.” Rispose. La sua assistente lo avvisò che l’Agente Berk era in linea. “Me lo passi.” Attese il click. “Agente Berk, cosa posso fare per lei?” Chiese.

“Signore, è mia ferma convinzione che gli Agenti Gibbs, McGee e David possano essere in pericolo.” Disse nervosamente l’Agente.

“Su quali prove basa questa convinzione?” Vance strinse gli occhi.

“Come sa, si sono diretti a Clarksburg più o meno un’ora fa.” Gli disse. “Per seguire una traccia data dall’utilizzo della carta di credito del Tenente Michaels. Si è scoperto che è stato l’Ufficiale Smith ad usarla. Grazie alle informazioni scoperte dall’Agente DiNozzo, la squadra si è diretta verso lo chalet in possesso della famiglia Smith, a Clarksburg. La signorina Sciuto e il Dr. Mallard hanno trovato una cartella medica redatta dal medico della famiglia Smith, che indicava come l’Ufficiale potesse essere mentalmente instabile, Signore. Ricevuta l’informazione, abbiamo provato a chiamare l’Agente Gibbs. Ma nessuno sta rispondendo.”

“E lei crede che Smith tenga in ostaggio Trelawney e Michaels.” Suppose Vance.

“Sì, Signore.”

“Dove si trova in questo momento, Agente Berk?”

“Nella mia macchina, Signore, a metà strada per Calrksburg. L’ho chiamata nella speranza di ricevere un po’ di copertura.”

“Non sembra un’azione che lei compierebbe con così tanta noncuranza.” Vance sollevò un sopracciglio.

“Con tutto il dovuto rispetto, Direttore, la mia squadra potrebbe essere in pericolo. Non potevo starmene in disparte senza fare niente.”

“Non sarà più la sua squadra dopo oggi.” Ritorse Vance.

“No, Signore. Ma sono ancora la mia squadra in questo momento.”

“L’Agente DiNozzo è con lei?” Vi fu un eccessivo silenzio dall’altra parte della linea. “Lo prenderò come un sì. Lo sa che non è ancora pronto per prestare servizio attivamente sul campo.”

“Non c’era tempo per tornare in ufficio per lasciarlo lì.”

“Suppongo che questa sia stata una sua idea, allora; dirigersi a Clarksburg senza permesso?”

“No, Signore. Ho insistito-” Vi fu del rumore dall’altra parte della linea, poi un attimo di silenzio.

Poi la voce di Tony provenne dal ricevitore. “Non lascerò che Berkette, qui, si prenda la colpa, Direttore. Vuole prendere dei provvedimenti contro di me per questo, faccia pure. Ma non sprecherò quei cinque minuti che potrebbero benissimo salvare loro la vita, seguendo lo stupido protocollo.”

“Pensa che le loro vite siano in pericolo?”

“Penso che non sono disposto a starmene seduto e vedere se non lo sono.” Replicò lui. “Allora, stiamo a parlare della nota di rimprovero che si aggiungerà alle altre? O ci manderà la copertura che abbiamo chiesto?”

 Frustrato, ma sapendo di doverlo fare, Vance sospirò brevemente. “Le manderò una squadra, DiNozzo. E chiamerò il Dipartimento di Polizia locale per far sì che vi incontrino lì.”

“Già chiamati.” Gli disse Tony. “Ho detto loro di avvicinarsi con cautela; per vedere se Gibbs è già arrivato. Se arrivano lì di gran carriera, chi sa cosa potrebbe succedere? Sto aspettando che mi richiamino, ma non ho più sentito nulla né da loro né dalla squadra.”

“Sembra che abbia tutto sotto controllo.” Gli disse Vance. “Perché mi ha chiamato?”

“Non è stata una mia idea.” Poté sentire il sogghigno dall’altra parte della linea.

“Ovviamente.” Ritorse Vance. “Dubito che lei abbia pensato veramente che Berk potesse coprirla. Quindi, se è così preoccupato di infrangere il protocollo, perché lo sta infrangendo?”

Ci fu un attimo di silenzio. “Perché non sto andando là fuori in qualità di Agente, Direttore. Sto andando là in qualità di amico.”

                                                                                                                              11 00 11 00 11

“Scusa, Capo.” Disse McGee per la quinta volta in venti minuti. “Non c’è segnale quassù, quindi il GPS non riesce a dirci dove andare…”

“Così hai detto.” Sbuffò Ziva.

“Dovrebbe essere proprio qui davanti.” Disse loro McGee. “Almeno abbia trovato il sentiero giusto.”

“Solo perché è l’unico che ancora non abbiamo seguito.” Ritorse Gibbs.

In effetti, lo chalet in questione apparve innanzi a loro. Gibbs posteggiò la macchina, e tutti scesero. Dopo aver visto la macchina di Michaels, Gibbs fece loro segno di dividersi dirigendosi verso le diverse entrate, silenziosamente; furtivamente, così da non allertare i possibile occupanti.

Gibbs guardò come Ziva e McGee si separarono dirigendosi in direzioni diverse. Poi lui si spostò sul lato, dove trovò l’accesso al livello sotterraneo. Riponendo l’arma, si chinò per aprilo. All’interno, era buio, come da aspettarsi. Tirò fuori la sua torcia e la puntò all’interno del seminterrato. Ma prima di capire cosa stava guardando, sentì un calcio contro la schiena; la sensazione che chiunque glielo avesse tirato, fosse riuscito anche a portagli via la pistola. E all’improvviso crollò nell’oscurità, fino a che non sentì l’acuto dolore derivato dalla fine della caduta. Poi venne sopraffatto da un tipo di oscurità completamente differente…

                                                                                                                              11 00 11 00 11

A quanto pare la squadra è davvero nei guai...per lo meno lo è Gibbs! Alla prossima XD

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Capitolo 29
*** Aspettati L'Inaspettato ***


Ziva sentì sbattere le porte del seminterrato e si diresse rapidamente da quella parte. L’ultima cosa che si aspettava era di vedere McGee con una pistola puntata alla testa; sangue che gli colava lungo la tempia, dove Smith l’aveva sicuramente colpito, all’inizio.

“Getti via la pistola, Agente David.” Esigette Smith. “O lui muore.”

Gli occhi di lei incontrarono quelli di McGee per un momento prima di ritornare a quelli di Smith. “E se getto via la pistola, come faccio a sapere che non ucciderai entrambi?”

“Se fosse questo il mio intento, allora avrei sparato all’Agente Gibbs quando ne ho avuto la possibilità.” Replicò lui.

“Dov’è?” Chiese lei, pistola ancora in mano.

“Nello stesso posto dove finirete anche voi, fra un minuto. Ora getti la maledetta pistola!” Alzò la voce.

Lo sguardo di Tim le diceva che non voleva che lei gettasse via l’arma, ma non aveva modo di sparare senza colpire anche lui, e Smith gli stava premendo una pistola alla tempia. Separò lentamente le mani in un gesto d’arresa. “Perché stai facendo tutto questo?”

“Mi avete trovato.” Le disse. “Vuol dire che ho sbagliato da qualche parte, e non ho ancora avuto abbastanza tempo. Non andrò in prigione…non è stata colpa mia; è stato un incidente…”

“Cosa lo è stato?” Pressò Ziva appoggiando la pistola a terra e rialzandosi.

Smith chinò leggermente il capo. “Entri e basta…”

*~.~*

Le porte del seminterrato si chiusero sopra di loro, immergendoli nell’oscurità. McGee si mise le mani in tasca in cerca della torcia, ma Ziva trovò la sua prima che lui potesse. “Stai bene, McGee?” Chiese, puntando la torcia nella sua direzione.

“Sì, sto bene.” Replicò lui, proteggendosi gli occhi dalla luce, accendendo poi la sua torcia. Fatalità, la sua torcia colpì direttamente il corpo immobile di Gibbs. “Capo!” Corse fino a lui, proprio come fece Ziva. Gibbs gemette cominciando a ritornare in sé. “Capo, stai bene?” Lo aiutò a mettersi seduto.

Gibbs si massaggiò la fronte, portandosi poi le dita davanti agli occhi per vedere se stava sanguinando. “Cos’è successo?” Chiese con voce roca.

“Smith.” Sospirò Ziva. “Sembra ci sia lui dietro a questa faccenda.”

“Deve averti spinto qui giù.” Continuò McGee. “Poi mi ha colpito da dietro, facendomi cadere la pistola, e mi ha puntato la sua alla tempia per far sì che Ziva gettasse via la sua.”

“Poi ci ha obbligato a scendere qui.” Finì lei.

Gibbs si mosse per mettersi in piedi, con un aiuto probabilmente inutile di McGee, e prese per un momento la torcia dell’Agente più giovane, puntandola a terra finché non trovò la sua. Tim la raccolse da terra, scuotendola un po’ finché non si riaccese. “Allora questo tizio.” Disse Gibbs analizzando il livello sotterraneo dove si trovavano. “O è molto intelligente, o molto folle.”

“Forse entrambi.” Disse Ziva. “Ho ancora le mie armi di scorta.”

Gibbs le lanciò un’occhiata, usando la torcia per vederle il viso. Poi si chinò a terra per sentirsi la caviglia. “Ha lasciato anche le mie.”

“Folle o no.” Intervenne Tim. “Almeno non ci ha uccisi.”

“Non ancora.” Disse Gibbs cominciando a camminare in giro. McGee e Ziva si scambiarono un’occhiata…

                                                                                                                                  11 00 11 00 11

“Dove sono i 5-0?” Chiese Tony mentre Berk si immetteva nel sentiero che portava allo chalet.

“Beh, abbiamo detto loro di non farsi notare.” Replicò Berk. “Forse sono davvero bravi nel loro lavoro?” Sollevò un sopracciglio.

“Avrebbero dovuto aver chiamato ormai…”

“Non c’è segnale quassù.” Disse Berk. “Se hanno provato a chiamarci negli ultimi dieci minuti, non avremmo potuto rispondere.”

“Già.” L’istinto diceva a Tony che qualcosa non andava.

“Se non sono già arrivati, magari hanno controllato e tutto era a posto.” Suggerì Berk.

“Non so…forse.” Replicò lui. Lo chalet fece la sua comparsa dietro gli alberi. “Guarda.” Disse Tony. “La macchina dell’agenzia…e lì c’è quella di Smith.”

“Credi che dovremmo parcheggiare qui?” Berk fermò l’auto. “Se sono nei guai, potrebbe essere meglio non farsi notare…giusto?”

“Giusto. Senti, Berk, non ho nient’altro oltre al coltello…”

Berk aprì il cassetto del cruscotto e ne tirò fuori una pistola, controllandone il caricatore reinserendolo prima di porla a Tony. “Mi fai un favore?”

“Quale?”

“Se qualcuno te lo chiede, non sono stato io a dartela…”

Tony sogghignò, poi si voltò per uscire dalla macchina. Una volta fuori, infilò la pistola nel retro dei pantaloni, e fece segno a Berk di andare dall’altra parte dello chalet…

                                                                                                                           11 00 11 00 11

“Qui.” Disse McGee spostando una pesante scatola dalla cima di una mensola. Dietro di essa c’era una finestra.

“Troppo piccola, McGee.” Disse Gibbs avvicinandosi.

“Forse no, per me.” disse Ziva mettendo via la torcia. “Sento Smith che cammina da qualche parte di sopra. Se riesco ad uscire, posso sorprenderlo. Non dovrebbe essere un problema. Poi posso tirarvi fuori di qui.”

Come li avrebbe tirati fuori era ancora un mistero. A meno che Smith non avesse una scala da qualche parte, non c’era semplicemente nessun modo di uscire da qual seminterrato. Nessuna porta conduceva all’interno della casa. C’erano solo le porte che portavano fuori. Ma non c’erano scale per raggiungerle. Il loro precedente tentativo di far salire Ziva sulle spalle di Gibbs per aprirle aveva fallito. Smith le aveva chiuse da fuori, e cercare di aprirle a forza avrebbe rovinato l’effetto sorpresa.

Quindi, anche se a Gibbs non piaceva l’idea di lasciar andare Ziva da sola, doveva permetterle di provarci. Avrebbe potuto liberarli. Annuì nella sua direzione, poi le si mise dietro mentre lei cominciava ad arrampicarsi per le mensole verso la finestra.

Era stretta, ma lei riuscì a passarci attraverso. Puntò gli occhi sui suoi compagni ed annuì, poi si alzò, facendosi strada lungo il lato della casa, in silenzio. Si spaventò quando all’improvviso andò a sbattere contro qualcuno, improvvisamente in allerta.

“Ziva?”

Alzò gli occhi e si portò una mano al petto sospirando, ridendo brevemente. “Agente Berk…cosa ci fa qui?” Sussurrò.

Lui le rivolse un piccolo, triste sorriso. “Affari di famiglia.” Le disse. Poi, senza preavviso, alzò la pistola e le sparò al petto…

                                                                                                                           11 00 11 00 11

Che ne pensate? Non è un colpo di scena da infarto? Alla prossima!

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Capitolo 30
*** Tremolio ***


Tony svoltò l’angolo della casa proprio mentre Berk sollevava la pistola. Troppo intontito, confuso forse, per tirare fuori la pistola, il suo corpo sobbalzò quando sentì il rumore dello sparo. “No!” Si sentì gridare, ancora congelato dove si trovava a forse una quindicina di metri dalla scena. Sollevò la pistola e la puntò contro Berk mentre il corpo di Ziva, quasi al rallentatore, crollava a terra. Berk incontrò i suoi occhi, puntando la pistola contro di lui. “Cosa…cos’hai fatto?” Squittì la voce di Tony, incredulo.

“Mi dispiace, Tony.” Inclinò il capo di lato. “Non volevo…ma so che avrebbe rovinato tutto, se non avessi colto quell’unica possibilità di toglierla di mezzo. Se solo fosse rimasta nel seminterrato…”

“Cosa…” Tony scosse la testa, incapace di comprendere cos’era appena successo; cosa gli stava dicendo Berk. I suoi occhi caddero sul corpo di Ziva, e improvvisamente si sentì riempito di rabbia. Strinse la mano contro il calcio della pistola e guardò di nuovo Berk negli occhi. “Perché?” Chiese fra i denti serrati.

“È stato uno sbaglio.” Berk scosse la testa parlando, credendo che ciò che aveva fatto fosse stato necessario. “Non posso permettere loro di togliergli tutto a causa di uno stupido incidente.”

Gli occhi di Tony continuavano a spostarsi sul corpo di Ziva; il petto gli si stringeva al vederla così immobile. “Getta la pistola, Berk.” Gli si incrinò la voce.

Berk strinse gli occhi per un momento. “Non posso.” Replicò.

“Ho detto gettala! Ora!” Gridò Tony.

“Non posso.” Ripeté con calma. “Non lo farò.”

“Non costringermi a spararti, Berk! Per quanto in questo momento lo voglia, non costringermi!”

“Credi davvero che ti avrei dato una pistola carica?” Chiese lui. Tony sgranò gli occhi, arrabbiato; con sé stesso, per la maggior parte, per non essersene accorto; per non aver messo insieme tutti i pezzi più velocemente. Premette lo stesso il grilletto. Sparò, ma era chiaro che non c’erano proiettili, poiché niente colpì Berk. Continuò a sparare inutilmente. Quando finì, stava ansimando.

All’improvviso fu afferrato da dietro. Gettò a terra l’inutile arma e lottò contro quello che lo stava attaccando, senza nessun esito.

“Calmati, DiNozzo.” Risuonò la voce di Smith nel suo orecchio. “O finirai come la tua amica.”

“Dannazione!” Gridò continuando a provare a divincolarsi. “Vi ammazzerò! Entrambi!”

Berk scosse la testa aprendo le porte del seminterrato. “Calmati, amico.” Gli disse Berk. “Finirà tutto, presto. Dovrai solo startene seduto mentre noi prepariamo tutto. Sono certo che prima o poi qualcuno vi troverà.”

“Già.” Aggiunse Smith. “Magari prima che la casa faccia BOOM!” Rise, e con l’aiuto di Berk obbligò Tony ad entrare in seminterrato.

“Mi dispiace davvero, Tony.” Disse Berk prima di spingerlo violentemente in seminterrato chiudendo le porte…

*~.~*

McGee e Gibbs erano rimasti immobili, congelati, al suono degli spari. Non potevano fare nula…non potevano sapere cosa stava succedendo lì fuori. Ma sapevano che a sparare erano state almeno due pistole.

Poi lo sentirono, vicino alle porte dalla quali erano stati spinti lì dentro. Urla. E ci volle loro solo un attimo per capire che era la voce di Tony quella che gridava. Si scambiarono un’occhiata e si spostarono verso le porte. Magari gli spari provenivano da una squadra di Agenti che Tony aveva portato a salvarli. Aveva probabilmente capito tutto ad un certo punto dopo che Gibbs aveva fatto montare in macchina la squadra.

Il seminterrato venne improvvisamente illuminato dalla luce del giorno proveniente da fuori. Guardarono entrambi come il corpo di Tony venne gettato nella loro prigione, e le porte si richiusero.

“Tony!” Gibbs accorse al suo fianco mentre McGee puntava la torcia per fargli vedere dove andava.

Tony tossì. “Capo?” La sua voce si spezzò mentre lo aiutava a sedersi.

“Tony, che è successo?” Chiese. “Dov’è Ziva?”

Il viso di Tony si contorse in agonia, e Gibbs realizzò che stava ansimando a causa della sua lotta contro l’iperventilazione. “Berk…” Gli disse. “Berk le…ha sparato!” Il suo respiro si fece ancora più frenetico. “Lui…è in mezzo…ci…ci ammazzerà…tutti…”

“Calmati, Tony.” Gibbs gli prese il volto fra le mani, il cuore in gola quando sentì le lacrime che rigavano le guance dell’Agente più giovane. “Devi calmarti e respirare, okay?”

Tony scosse la testa. “Non posso…” Ansimò.

“Sì che puoi. E ci riuscirai.” Gli disse. “Non ti sei portato l’inalatore, vero?” Presumette.

Scosse di nuovo la testa, rilasciando quello che sembrava un singhiozzo. “Era nella…macchina con…Berk. Stavo andando…a mangiare…non sapevo…”

“Va bene. Va tutto bene, DiNozzo. Puoi farcela.” Gli disse.

“Non posso…” Ripeté.

“Ti aiuterò io.” Gli disse Gibbs.

McGee era immobile, nel panico, a guardare cosa stava succedendo. Gibbs si spostò con Tony contro il muro, sedendovicisi contro, facendo sì che la schiena di Tony aderisse contro il suo petto. “Capo? Cos’ha?” Chiese Tim.

Gibbs incontrò a malapena i suoi occhi, condividendo il fatto che anche lui era nel panico per il loro compagno. “Tony, presta attenzione a come sto respirando. Mi senti?”

Tony rilasciò un altro singhiozzo e annuì. Ma la stretta al petto sembrò solo stringersi. Il panico raddoppiò e lui temette di stare soffocando.

“Cerca solo di seguirmi, okay? Ascolta, e cerca di copiarmi…Puoi farlo, DiNozzo.” Lo istruì. Avvolgendo le braccia attorno a Tony, premette le mani contro il suo petto, come ad obbligarlo a calmarsi, ma soprattutto perché così poteva premerlo contro il suo petto, e in questo modo Tony poteva sentire ogni suo singolo respiro.

McGee si sentiva inutile, a parte il suo unico compito di fornitore di luce. Scivolò a terra, appoggiandosi contro il muro di fronte a loro. Non sapeva se era una questione di empatia, ma all’improvviso ebbe difficoltà a respirare pure lui, guardando la lotta continua del suo mentore.

Le mani di Tony si aprivano e serravano, distrattamente, contro i pantaloni di Gibbs ai suoi lati. Le sue stesse gambe si muovevano a scatti davanti a lui; come fosse stato sott’acqua, appesantito, cercando di nuotare verso la superficie così da poter respirare la tanto necessaria aria. McGee suppose che in quel momento probabilmente era proprio quella la sensazione che stava provando.

Era difficile tenere a bada le lacrime, osservando come le guance di Tony ne venivano rigate, senza vergogna. Gibbs gli stava parlando con tono dolce; cercando di far passare quella tortura; cercando di trascinarlo fuori da quella situazione.

Fu in quel momento che la luce di quella che in precedenza era stata la torcia di Gibbs cominciò a tremolare. Se l’era tenuta lui, senza nemmeno pensarci due volte. E ora si stava spegnendo. La scosse; la colpì di lato, cercando di tenerla accesa. Ma poi si spense…

Era buio…e furono lasciati in compagnia dei respiri affannosi di Tony, e il leggero mormorio di Gibbs.

McGee chiuse gli occhi…e pregò…

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Ziva inspirò, il petto che le bruciava dal dolore. Le ci vollero pochi attimi dopo aver aperto gli occhi, per capire che era distesa faccia a terra su dell’erba. Soffocò un gemito di dolore rotolando sulla schiena guardando in che condizioni era.

Il davanti della sua maglia era coperto di sangue. Fu in quel momento che si ricordò di cosa aveva fatto Berk. E non riusciva a capire com’era possibile che fosse ancora viva, o se lo era davvero.

Lentamente, si alzò da terra, determinando che era in grado di rimanere in piedi. Tirò fuori la pisola e si fece strada in silenzio verso l’entrata sul retro…

 

La nostra Ziva è ancora viva, yeah!!!!! Ci vuole ben altro per stendere la nostra ninja del Mossad!

                                                    

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Capitolo 31
*** Due Eliminati ***


L’oscurità si era fatta stranamente calma, e per qualche motivo, la cosa non aveva affatto calmato l’ansia di McGee. “Capo?” Sussurrò. Sentì dei movimenti in direzione di Gibbs, poi un click, seguito da un fascio di luce che si spostò verso di lui.

Tim si alzò da terra e si avvicinò con cautela a loro. Tony era immobile, accasciato contro il petto di Gibbs; la testa inclinata di lato. Tim si inginocchiò accanto a loro, incontrando gli occhi di Gibbs per un momento prima di guardare Tony. Poteva ancora sentire il respiro affannato, anche se molto meno di prima. “Non sapevo che avesse l’asma.” Sussurrò.

“Non gli è stata fatta nessuna diagnosi.” Replicò Gibbs con la stessa calma. “Ha cominciato ad avere questi attacchi dopo essere stato dimesso dall’ospedale. Ha un inalatore, ma sono piuttosto sicuro che lo abbia lasciato a lavoro. Ho controllato le sue tasche, e non c’è niente.”

“Se le cose stanno davvero così, ha bisogno di essere curato…Potrebbe morire. Anche se sembra che stia meglio adesso, non è così. Credo sia semplicemente svenuto.”

“Ma davvero?” Gibbs sbuffò seccato, anche se non arrabbiato. Era solo preoccupato per il suo Agente. “Aiutami a farlo stendere. Dobbiamo farlo uscire da qui, e apparentemente siamo tornati al punto di partenza.”

Mentre Tim lo aiutava a stendere gentilmente Tony, pensò a ciò che gli era stato detto, e gli ritornò in mente ciò che aveva detto Tony appena arrivato…avevano sparato a Ziva. Era stato Berk. Se le avevano sparato e non l’avevano rigettata lì dentro, allora la possibilità era una sola. Ed era piuttosto sicuro che se ne rendesse conto anche Gibbs.

C’era anche la grossa probabilità che se Tony aveva convinto Berk a permettergli di portarlo con lui, allora Vance non ne sapeva niente. Quindi probabilmente non stava arrivando nessun aiuto. E infine, ma non meno importante, Tony aveva detto che avevano intenzione di ucciderli tutti.

Quindi, sì…le cose non stavano andando esattamente bene.

Gibbs si era tolto la giacca, l’aveva appallottolata mettendola sotto la testa di Tony, mentre l’Agente Anziano se ne stava steso per terra. Poi Gibbs e McGee si alzarono e cominciarono a camminare per la stanza. Fu allora che lo sentirono…

Uno sparo, e quello che sembrava un corpo che cadeva a terra. Poi un altro sparo. Un altro corpo. Poi silenzio.

I due Agenti si scambiarono un’occhiata, entrambi riuscivano a pensare a una sola cosa: Smith aveva ucciso Michaels e Trelawney…

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Ziva era in piedi, tremante, con la pistola ancora puntata davanti a sé. Berk e Smith erano a terra morti. Il Tenente Michaels era legato ad una sedia in cucina, incosciente ma vivo.

Sul tavolo, Ziva aveva scoperto dell’esplosivo con un timer, che lei era riuscita a disarmare prima di essere scoperta. La sua prossima mossa sarebbe stata slegare Michaels e poi uscire per andare ad aiutare i suoi amici. Ma stava cominciando a girarle la testa e si sentiva stanca.

Sapeva che la cosa derivava probabilmente dalla perdita di sangue. Forse era per questo che trovava sempre più difficile respirare. Appoggiò la pistola sul tavolo e per poco non collassò su una sedia, rilasciando un respiro tremante prima di guardarsi. Aveva la giacchetta insanguinata. Sollevò mani tremanti per togliersela. La blusa che indossava sotto era fradicia di sangue, incollata contro la sua pelle.

Afferrò il bordo della blusa e lo sollevò cautamente. Il dolore l’attraversò come un fulmine, non sapeva se a causa del movimento, o del fatto che la rimozione del tessuto aveva causato una nuova perdita di sangue. Ma sibilò quando vide la ferita, e la costola chiaramente rotta sotto la pelle contusa. Il buco sul suo petto perdeva sangue liberamente ormai e lei cercò immediatamente uno strofinaccio che premette contro la ferita rilasciando un urlo che non avrebbe voluto esternare.

Improvvisamente, sentì la porta di fronte venire aperta con un calcio e spostò immediatamente gli occhi in quella direzione, anche se il movimento le fece venire le vertigini. Strinse gli occhi cercando di distinguere le sagome che stavano entrando, una delle quali si stava dirigendo dritta verso di lei.

“Agente David!” La voce maschile era familiare. Quando le arrivò abbastanza vicino, poté vedere che si trattava del Direttore Vance. “Ziva, cos’è successo?”

“Berk…era un traditore…” Fu sorpresa dalla debolezza della sua stessa voce. “Lavorava con…”

“Sì l’ho capito dopo aver fatto qualche ricerca.” Le disse. Voltò la testa. “Dite ai paramedici di sbrigarsi!” Urlò ai suoi Agenti, poi tornò a rivolgersi a lei rimettendo a posto lo strofinaccio contro la ferita, dato che a lei era sfuggito di mano, probabilmente senza che lei se ne accorgesse. “Smith era suo cugino.” Le disse. “Non sono certo di cosa sia accaduto, ma se non aveva detto niente a voi, allora di certo non potevano essere buone notizie. Siamo arrivati il prima possibile.”

“Gibbs…McGee…seminterrato…”

“E DiNozzo?”

Il volto di Ziva si contorse per la confusione. “Tony?” Sussurrò.

“Era in macchina con Berk. Non lo hai visto?”

Ziva distolse lo sguardo. Una marea di pensieri le stava attraversando la mente. Non aveva visto Tony. Significava che Berk si era liberato di lui prima di arrivare? Gli aveva sparato mentre erano in macchina? Tony non era in servizio attivo al momento; non avrebbe potuto avere una pistola. Ed era enormemente indebolito in quel momento. Sarebbe stato in grado di difendere sé stesso?

Berk era riuscito a sparare a lei; l’aveva colta di sorpresa. Non si era aspettata che lui le si rivoltasse contro. Anche Tony era stato ingannato?

“Ziva?” Sentì la voce di Vance che la chiamava, ma le parole cominciarono a farsi indistinte. “Agente David, mi può sentire?” Non poteva continuare a tenere sollevata la testa, perciò la abbassò contro il tavolo quando tutto cominciò a farsi buio. “Dove diavolo sono i paramedici?” Gridò Vance. Poi lei non sentì più niente…

 

I rinforzi sono arrivati! Vance in questo momento ti adoro!!!!

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Capitolo 32
*** Infrangere La Regola Numero Sei ***


Gibbs sedeva accanto al letto di Tony al Pronto Soccorso dello Shady Grove Adventist Hospital. Lui era già stato visitato ed aveva ora una benda a coprirgli il taglio sulla fronte. Tony era incosciente e stava ricevendo cure mediche per la sua respirazione. I dottori dicevano che si sarebbe rimesso completamente; che aveva avuto un attacco di panico e che la sua perdita di coscienza era stato il modo di proteggersi della sua mente prima che le cose peggiorassero.

Quello che preoccupava Gibbs era che Tony non si era ancora svegliato. Anche se erano passati solo quindici minuti da quando erano arrivati all’ospedale, vedere Tony con l’ennesimo macchinario per aiutarlo a respirare, lo faceva tornare con la mente a quelle settimane a Bethesda…

Si era sentito meglio quando Vance gli aveva detto che Ducky stava arrivando. In realtà, c’era qualcosa di molto più preoccupante del suo secondo in comando. Ma non poteva essere al fianco di Ziva in quel momento.

“Capo?” Sentì la spenta voce di Tony da dietro la maschera dell’ossigeno.

Gibbs alzò lo sguardo, chinandosi in avanti da dove se ne stava seduto sulla sua sedia, e mise una mano sul braccio dell’Agente. “Bentornato, DiNozzo.” Sorrise lievemente.

Gli occhi di Tony corsero per la stanza. “Ospedale?”

“Già.”

“Non a Bethesda…”

“Questo era più vicino. Non potevi resistere fino a Washington.”

Tony deglutì, udibilmente, mettendosi in una posizione semiseduta, togliendosi la maschera dal viso. “Così male?” Chiese.

Gibbs strinse gli occhi. “Cosa ricordi?” Chiese alzandosi e rimettendo la maschera al suo posto sul viso di Tony.

Gli occhi di Tony saettarono in giro, poi uno sguardo di triste realizzazione lo colpì, e lui si tolse di nuovo la maschera incontrando gli occhi di Gibbs. “Ziva…”

“Non sta così male come credi.” Finì per lui, ancora una volta rimettendo a posto la maschera. Tony lo guardò confuso. “Non è rimasta uccisa da quel colpo di pistola.” Gli disse.

“Ma l’ho vista cadere…”

“Il proiettile ha colpito la costola.” Risuonò la voce di Vance. Entrambi alzarono lo sguardo puntandolo verso di lui, le sopracciglia leggermente alzate come a chiedere il permesso di entrare per dar loro le informazioni che apparentemente gli erano state comunicate dal dottore. Gibbs annuì, e lui si avvicinò al letto. “La costola si è spezzata, le ha trapassato il polmone sinistro. L’hanno stabilizzata abbastanza per poterla operare e cercare di capire dov’è andato a finire il proiettile. Ma dovunque sia, la costola ne ha cambiato la traiettoria. Se non fosse stato così le sarebbe finito nello stomaco probabilmente. O peggio; nel cuore.”

“È viva…” Confermò Tony, accasciandosi contro il letto per il sollievo. Poi rialzò la testa, togliendosi la maschera dell’ossigeno. “Berk! È stato lui!”

“Calma, DiNozzo.” Vance sollevò una mano. “Quando sono arrivato allo chalet, Ziva si era già occupata di lui e Smith. Per non parlare del fatto che aveva già disinnescato la bomba che avevano preparato per uccidere il Tenente.”

“Trelawney è viva?” Chiese Tony.

“Michaels, veramente.” Gli disse Vance. “Trelawney è morta. L’abbiamo trovato nel bagagliaio della macchina di Smith. Non appena Michaels sarà dichiarato a posto, prenderemo la sua deposizione; vedremo come è andata. Ma da quello che abbiamo capito per il momento, sembra che la sua morte sia stata accidentale. Cosa abbia fatto scattare Smith, non lo so.”

“Berk ha detto…che non poteva permettere che lo arrestassero per un incidente…” Disse Tony ricordandosi le sue parole.

“Smith era sua cugino.” Gli disse Vance. “Dopo che Berk mi ha chiamato, ho avuto la sensazione che qualcosa non andasse. Ho controllato le sue chiamate; ne ho trovate diverse fatte a Smith. Ho scavato un po’ e ho scoperto che erano imparentati. Mi aspettavo di trovare il Dipartimento di Polizia una volta arrivato…”

“Apparentemente, Berk ha finto di chiamarli.” Sospirò Tony scuotendo la testa in disgusto. “Non riesco a credere di non essermene accorto. Se non avessi insitito…” Spostò gli occhi a lato. “Non l’avessi portato lì, Ziva sarebbe riuscita a salvarvi senza farsi sparare.”

“Non è stata colpa tua, DiNozzo.” Gibbs strinse gli occhi.

“Per una volta devo dargli ragione.” Disse Vance, sollevando le sopracciglia. Gibbs lo guardò male, lasciando correre il ‘per una volta’ solo per la natura di quello che stava dicendo. “Era intenzione di Berk recarsi a quello chalet, con o senza di te. Ma credo che volesse portarti con sé.”

“Ha insistito perché andassi a prendere da mangiare.” Pensò Tony a voce alta.

“Molto probabilmente, voleva poterti tenere d’occhio. O in questo caso, d’orecchio. Fossi rimasto in ufficio, avresti potuto scoprire tutto prima di me. Lo sapeva.”

Tony alzò lo sguardo su Vance con morbosa sorpresa. “Non sto morendo, vero?” Vance sollevò un sopracciglio e guardò Gibbs, che stava sorridendo leggermente. “Solo che…ho pensato di averla sentita farmi dei complimenti…”

Vance fece del suo meglio per nascondere quanto lo divertiva la cosa. “Ovviamente, non sei ancora pronto per tornare sul campo. Ma no, non credo che stia per morire, Agente DiNozzo.” Si voltò verso Gibbs, allora. “Tornerò al Cantiere con i corpi. Tienimi informato sulle condizioni di Ziva.”

Gibbs annuì e guardò il Direttore uscire dalla stanza. Poi si voltò verso Tony, che ancora sembrava confuso dall’improvvisa gentilezza di Vance. Si avvicinò e afferrò la maschera dell’ossigeno dalla mano di Tony rimettendogliela sul viso. “Lascia questa dannatissima maschera dov’è, ti ‘spiace?” Sollevò le sopracciglia.

Tony incontrò i suoi occhi. “Ti voglio bene anch’io, Capo.” Sogghignò.

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“I suoi livelli di O2 sono buoni, Agente DiNozzo.” Gli disse il dottore. Gibbs se n’era andato in cerca di caffè, pochi momenti prima che l’uomo arrivasse. “C’è qualcuno che sta aspettando di vederla, nome Tim McGee. Volevo ricevere il suo permesso prima di lasciarlo entrare.”

“Sì, è un mio collega.” Gli disse Tony. “Hey, posso smettere di usare questa roba, adesso?” Chiese, tenendo in mano la maschera dell’ossigeno.

“Credo di sì. In effetti, penso che comincerò a firmare i suoi documenti di dimissione. Ma voglio che si faccia visitare dal suo medico una volta tornato a D.C.”

“Nessun problema, Doc. grazie.” Si mise seduto un più comodamente. Il dottore se ne andò e, dopk qualche attimo, comparve McGee. “Hey, McCommozionecerebrale!” Sorrise. “Come sta la tua testa?”

L’iniziale nervosismo all’entrata, venne dissipato dalle parole di Tony, e lui si avvicinò di più al letto. “Va bene. Mi gira ancora un po’ la testa, ma non è che debba mettermi al volante.” Sogghignò. “E come stai tu?” Il suo viso si coprì di nuovo di una leggera preoccupazione, ricordandosi l’orribile esperienza nel seminterrato.

“Sul punto di essere dimesso.” Replicò lui.

“Perché non me lo hai detto?” Con la mano afferrò il bordo del letto. “Ne avrei tenuto uno extra con me, giusto in caso.”

“Cosa?” Tony corrugò le sopracciglia confuso.

“Il tuo inalatore.” Chiarì Tim. “Mi sarei assicurato…” Non finì la frase perché lo sguardo confuso di Tony stava mutando in qualcosa di simile alla commozione per la gentilezza dimostratagli; qualcosa alla quale Tony non era abituato.

Con la stessa rapidità, tuttavia, si sbrigò a mostrare un sorrisetto arrogante. “McBoyscout; sempre preparato.” Ma il sorriso svanì di nuovo e lui deglutì. “Non durerà per sempre, Tim.” Gli disse. “Non può.” Scosse la testa. “È solo…parte del recupero, ne sono certo. E poi non avrei nemmeno dovuto essere sul campo. Quindi, se per caso ti senti in colpa per quello che è successo, smettila. Se qualcuno dovrebbe sentirsi stupido o colpevole, quello dovrei essere io, per non essermi accorto di Berk.”

“Qui non si tratta di colpa, Tony.” Ritorse con vigore. “Avresti potuto morire laggiù. Ne ho abbastanza di vedere i miei amici che arrivano vicini a morire ancora e ancora.” Si obbligò a fermarsi quando la voce gli si incrinò alla fine, e spostò lo sguardo ai piedi del letto.

Tony studiò l’Agente innanzi a lui per un momento. “Non dirlo a Gibbs.” Disse, e McGee lo guardò confuso. “Sono sul punto di infrangere la regola numero sei.” Fece un breve sorrisetto, poi continuò. “Mi dispiace, Tim. Non volevo che qualcuno pensasse che non sarei più stato in grado di fare il mio lavoro.” McGee scosse la testa. “Ma hai ragione; avrei dovuto dirtelo. Se i ruoli fossero invertiti, anch’io sarei incavolato con te.”

“Non sono incavolato con te.” Disse McGee, con voce piccola.

“Sì, lo sei. Solo che non lo hai ancora capito.” Ritorse Tony con un leggero sorrisetto. Poi abbassò gli occhi sulle sue mani, forse un po’ imbarazzato. “Mi dispiace che tu abbia dovuto vedermi in quello stato.”

“Non può essere stato più spaventoso di quello che stavi passando tu.” Replicò Tim. Tony lo guardò di nuovo negli occhi, poi rise brevemente. “Probabilmente dovresti smetterla di infrangere le regole di Gibbs prima che torni.” Sogghignò.

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Ed eccovi il nuovo capitolo! Alla prossima e scusate per il ritardo! XD

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Capitolo 33
*** Chi Guida? ***


Tony venne fuori da dietro le tendine che lo separavano dal resto del Pronto Soccorso insieme a McGee e si diresse verso la sala d’attesa per trovare Gibbs che stava parlando con Ducky. I due uomini più vecchi li avevano visti arrivare, con la coda dell’occhio, e si voltarono verso di loro mentre si avvicinavano.

“Si sa niente di Ziva?” Chiese Tony.

“Sì.” Replicò Ducky. “Ho appena finito di parlare con il chirurgo. Sono stati in grado di trovare il proiettile. In un qualche modo, si era incastrato fra la parete esterna del tessuto dello stomaco e lo sterno. Non ha causato danni, per miracolo. La maggior parte dei danni sono stati causati dalla costola che le ha perforato un polmone. Ma sono stati in grado di rimettere tutto a posto. La preoccupazione più grande è stata comunque la quantità di sangue che ha perso. Mentre parliamo, Ziva sta subendo una trasfusione. Stavo giusto dicendo a Jethro che si stanno preparando per trasferirla a Bethesda, ora che è stabile. Sarà pronta per partire nel giro di un’ora.”

“Quindi starà bene?” Verificò Tony.

“Si riprenderà completamente.” Lo rassicurò Ducky. “E sono grato che tu sia riuscito a non causarti ulteriori danni, Anthony. Ero preoccupato quando sono stato informato che avevi avuto un altro attacco, e che non avevi con te l’inalatore.”

“Preoccupato per me?” Tony strinse gli occhi. “Dopo aver sentito di Ziva? Diavolo, ho pensato che fosse morta prima ancora di cadere a terra.” Sbatté rapidamente le palpebre. “L’ultima persona della quale avresti dovuto preoccuparti ero io. Quando hai sentito cos’era successo, io ero già qui.”

“Ero preoccupato ugualmente per entrambi.” Ducky strinse gli occhi, poi fece un passo verso l’uomo più giovane così che fossero abbastanza vicini da non dover parlare a voce alta. “Dimmi, Anthony; hai onestamente un’opinione così bassa di te stesso, da credere che nessuno si sarebbe preoccupato per la tua salute?”

Per un momento, non fu in grado di rispondere. Ma poi rise leggermente. “Cosa?” Inclinò il capo. “Stavo…stavo solo cercando di dire che le condizioni di Ziva sono un pochino più serie delle mie…” Ducky sembrò studiarlo ancora per qualche momento, e Tony si sentì come sotto un microscopio, improvvisamente, e si voltò verso i suoi colleghi apparentemente intenti a fare la stessa cosa. “Sul serio, ragazzi…Possiamo ritornare a Ziva, per favore?” Alzò le sopracciglia e cercò di distogliere la loro attenzione con un sorriso falso.

“Io starò con Ziva in ambulanza.” Disse Ducky, voltandosi verso Gibbs. “Voi dovreste ritornare a D.C. Sono certo che una volta che lei sarà stata sistemata a Bethesda, ci sarà tempo per farle una visita.” Poi ebbe un’improvvisa illuminazione. “Ripensandoci, forse dovrei accompagnare voi…forse uno di voi può stare con Ziva?”

“Perché dovresti venire con noi?” Chiese Gibbs inclinando il capo di lato.

“Beh, se te ne sei dimenticato, Jethro, tu e Timothy avete una leggera commozione cerebrale. E Anthony non può ancora guidare, come ben sapete. Quindi prima che sollevi qualche obiezione,” sollevò una mano quando vide che Gibbs si stava preparando a discutere, “risparmiatela. Guiderò io, e tu potrai restare con Ziva…”

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Ok, capitolo extra corto ma non preoccupatevi il rpossimo sarà più lungo! Diciamo che questo è un breve intermezzo XD

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Capitolo 34
*** Andare A Casa ***


Erano quasi a metà strada per D.C. Tony era seduto accanto a Ducky davanti. Tim era seduto dietro, appoggiato pesantemente contro la portiera. Anche Tony era in silenzio. Ma solo perché stava parlando Ducky…parlava davvero tanto.

Dall’angolazione dello specchietto dalla parte del Dr. Mallard Tony poteva vedere Tim accasciato contro la portiera della macchina. Qualcosa gli diceva di continuare a controllarlo. Il ragazzo non aveva detto più di due parole da quando erano entrati in autostrada. Il suo sguardo era fisso da qualche parte sul finestrino.

Circa all’ottava occhiata, lo vide impallidire, considerevolmente. Il suo viso si fece dolorante. Tony si voltò. “Stai bene, McGee?” Chiese. Tim lo guardò momentaneamente negli occhi, poi li serrò e rilasciò un gemito quasi impercettibile. “Accosta, Ducky.” Disse Tony.

“Cosa?” Chiese il dottore.

“Accosta e basta!” Ripeté Tony, seriamente.

Ducky fece come gli era stato detto, lanciando una breve occhiata a McGee dove sembrava che fossero fissi gli occhi di Tony. All’improvviso capì cosa stava succedendo.

Tim si affrettò ad uscire dalla macchina prima che Tony avesse avuto l’occasione di aiutarlo. Si allontanò di qualche metro prima di afferrare il guardrail, chinandosi in avanti, svuotando completamente lo stomaco sull’erba.

Tony fece una smorfia e si avvicinò all’amico appoggiandogli una mano sulla spalla. “Meglio?”

Tim prese qualche profondo respiro, poi annuì. “Grazie.”

“Nessun problema. Non era la prima volta che noto i segni premonitori con te, no?” Gli sorrise lievemente squadrandolo. “Stai bene? Dobbiamo portarti indietro?”

“Sto bene. Sono certo che è tutta colpa della commozione cerebrale.”

“Giusto.”

“Qui, Timothy.” Ducky si avvicinò con una bottiglietta d’acqua.

“Grazie.” McGee la accettò e si sciacquò la bocca prima di sputare l’acqua oltre il guardrail.

“Aspetterò in macchina.” Gli disse Ducky. “Non ci vorrà ancora molto per arrivare a destinazione.”

Tony lo guardò tornare in macchina, poi si voltò verso McGee. “Pronto? O ti serve ancora un po’ di tempo?” Chiese.

“Credo di star bene, adesso.” Replicò lui, poi lo guardò in viso. “Grazie di non avermi reso la cosa più difficile.”

Tony si sentì improvvisamente colpevole. “Scusa se ti ho reso le cose difficili prima.”

“Va bene…”

“No, invece.” Ritorse lui. “Ho la tendenza a reagire in alcune situazioni come mio…” Si fermò, deglutì e distolse lo sguardo per un momento. Era una cosa personale, ma aveva bisogno che Tim capisse perché ogni tanto era quello che era. “Come alcune persone reagivano a me in quelle situazioni.” Decise di dire. “Immagino che alcune cose divengano parte di te, a dispetto di come ti facevano sentire, perché non conosci nessun altro modo di reagire…”

McGee fissò il suo amico per un momento. “Beh, hai fatto un bel lavoro, stavolta.” Sorrise. “La cosa è un po’ preoccupante, in effetti…tu gentile.”

“Cavolo, grazie, Pivello.” Fece una smorfia.

Tim rise. “Solo perché non capita spesso, Tony.” Chiarì. “Ma di certo è apprezzato. Quindi, grazie…”

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La prima cosa che Ziva notò quando riprese conoscenza, fu il fatto che poteva di nuovo respirare. La seconda, fu il dolore. Non era orribile, ma abbastanza da farle sapere che, in effetti, era ancora viva. Il fatto che il dolore non fosse orribile, le fece avere una terza illuminazione, che dovevano averle dato degli antidolorifici. Il che la fece finalmente arrivare alla conclusione finale, prima di aprire gli occhi per verificare, che si trovava in ospedale.

“Ziva?” La voce gentile di Gibbs risuonò al suo fianco, e lei aprì gli occhi. “Sei con me?” Lei annuì. “Sai dove sei?”

“Ospedale.” Replicò, vergognandosi di quanto la sua voce era debole.

“Ti ricordi cos’è successo?” Chiese lui.

Lei annuì di nuovo. Si ricordava ogni momento, fino a quando Vance era arrivato e le aveva parlato. Il che le fece ricordare la domanda che si era posta prima di svenire. Il monitor accanto a lei cominciò a suonare più rapidamente, mostrando il battito cardiaco che accelerava per l’ansia.

“Cosa c’è?” Chiese Gibbs, appoggiando una mano sopra la sua. “Cosa c’è che non va? Stai soffrendo?”

“Tony.” Disse lei, incontrando i suoi occhi. “Era insieme a Berk…non l’ho visto…”

Gibbs vide l’apprensione nei suoi occhi e capì cosa doveva aver creduto. “Tony sta bene.” Le disse. “Come tutti noi. Anche se, a te è andata peggio, e per questo, mi scuso.”

Lei si rilassò un po’; il battito cardiaco tornò normale. “Stai infrangendo la tua stessa regola, Gibbs.” Fece un sorrisetto. “Non mi dispiace. Se non fossi uscita, saremmo morti tutti. Il Direttore Vance non sarebbe arrivato in tempo per disinnescare la bomba.”

Gibbs le sorrise, appoggiandole una mano sulla fronte scostando qualche ciuffo di capelli. “Sei stata brava.” Le disse. “Sono davvero orgoglioso di te, Ziver.”

“Sono stata addestrata per cose come questa, Gibbs.” Sollevò le sopracciglia.

“Non cambia nulla.” Ritorse lui. “Ti hanno sparato a distanza ravvicinata, ti sei rialzata, e hai fatto ciò che hai fatto…Non si può essere addestrati a fare una cosa simile.”

“Ho fatto ciò che dovevo per salvare la mia squadra.” Replicò lei. “La mia famiglia.”

La bocca di lui si incurvò all’insù da un lato e lui si chinò per baciarle la fronte. Ziva chiuse gli occhi in quel momento, beandosi del fatto che quest’uomo, che lei considerava un padre migliore di quanto suo padre biologico avrebbe mai potuto essere, ci teneva davvero a lei. Riaprì gli occhi quando le sue labbra lasciarono la sua pelle, e incontrò i suoi occhi.

“Allora,” sospirò “che danni ha causato il proiettile?”

“Ti ha rotto una costola.” Le disse. “Poi quella costola ti ha perforato un polmone. Ti hanno rimesso a posto, però. Avevi perso molto sangue, ma ti hanno fatto una trasfusione. Dovresti poter uscire di qui già domani o dopodomani, a quanto dice Ducky.”

“Tutti gli altri stanno bene?” Verificò lei.

“Ora che tu stai meglio.” La voce di Tony risuonò dal corridoio, e Ziva spostò gli occhi in quella direzione. Anche se Gibbs le aveva assicurato che stava bene, vederlo la rallegrò immensamente. Lui sorrise e si avvicinò al letto. “Ducky sta lasciando McGee al suo appartamento. Voleva venire a trovarti, ma non si sente molto bene. Niente di cui preoccuparsi però. Solo un paio di cose collegate alla commozione cerebrale…Ducky dovrebbe passare più tardi.” Le prese la mano libera con la sua. “Come ti senti?”

“Sto bene.” Gli sorrise. “Sono felice che anche tu stia bene. Ero…preoccupata…quando Vance mi ha detto che eri venuto insieme a Berk.”

“Beh, niente di cui preoccuparsi.” Sorrise, anche se poi tornò serio. “Mi dispiace di non essermene accorto…Mi dispiace di averlo portato lì, Zi. Te la saresti cavata bene, non mi fossi presentato.”

“Non potevi saperlo.” Gli strinse la mano. “Nessuno di noi poteva. È parte del motivo per cui ho abbassato la guardia. Ma non è più importante ormai. Lui è morto, noi siamo vivi.”

“Sì. Grazie, a proposito.” Sorrise, poi si chinò a baciarle la guancia.

“Avresti fatto lo stesso per me.” Replicò lei, dolcemente. “In effetti, l’hai fatto. Tutti voi l’avete fatto.” Disse, poi si volto a guardare Gibbs…

 

Ah, scene come questa mi scaldano il cuore! Al prossimo capitolo! XD

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Capitolo 35
*** Conversazione A Cena ***


“Sei sicura che stia bene?” Chiese Tony a Abby al telefono. Lui e Gibbs avevano accettato un passaggio a casa di quest’ultimo offerto da Abby non più di un’ora fa, dopodiché lei si era diretta a casa di McGee.

“Sì, sta bene.” Lo rassicurò lei. “Stiamo cenando. Niente più nausea. Ha un po’ di mal di testa, ma a parte quello, sta bene.”

“Okay…immagino di aver esagerato.” Ammise Tony. “È che ho questa strana sensazione. Voglio solo essere certo che non sia niente.”

“Aw, Tony, è così carino da parte tua continuare a controllare Timmy.” Chiosò lei. “Mi ha raccontato di quanto sei stato gentile con lui quando lo stavate accompagnando a casa. Ho dovuto ricontrollare per assicurarmi che anche tu non avessi sbattuto la testa.”

“Cavolo, grazie, Abs.” Fece un sorrisetto.

“Sto scherzando, Tony.” Poteva sentire il sorriso di lei anche attraverso il telefono. “Resterò qui, stanotte. Se succede qualcosa, non sarà solo.”

L’Agente si sentì immensamente sollevato. “È una buona idea. Fammi sapere in caso, okay?”

“Assolutamente. Ora, muoviti e assicurati che Gibbs si stia prendendo cura di sé stesso, Signorino!”

“Sto preparando qualcosa da mangiare, mentre parliamo.” Le disse. “Ci sentiamo domani. ‘Notte, Abby.”

“‘Notte.” Disse lei prima di terminare la telefonata.

“Controllavi McGee?” Chiese Gibbs entrando in cucina.

Tony alzò lo sguardo. “Sì. Volevo solo assicurarmi che stesse bene.” Gli disse.

Gibbs annuì e gli si avvicinò. “Che stai preparando?”

“Pollo alla Milanese.” Disse rigirando le cotolette in padella. “Quando ero bambino, lo mangiavamo spesso. Solo che a quel tempo mi piaceva solamente la parte col pollo.” Sorrise. “Ma da adulto, ho scoperto che i miei gusti sono alquanto cambiati…Dopotutto, è solo un po’ di pollo senza tutto il resto.”

“E cos’è il resto?” Chiese Gibbs mentre Tony si spostava verso una terrina appoggiata accanto ai fornelli per mescolare un altro po’ gli ingredienti.

“Uhhh…insalata, fagioli, pomodori…un po’ di cipolla…sale, pepe…olio d’oliva…È piuttosto buona con anche il pollo.”

Gibbs si guardò attorno, notando le altre terrine. I gusci delle uova erano impilate in un contenitore vuoto, e in una terrina si potevano ancora notare briciole di pan grattato. Tony aveva letteralmente preparato tutto da zero. “Dove hai preso tutta questa roba?” Chiese.

“Ho chiesto a Abby di prenderla dal mio appartamento.” Replicò lui. “Avevo intenzione di prepararla stasera, in qualunque caso. Meno male che ne avevo abbastanza per due.” Sorrise.

“Oh, quindi mi è permesso averne un po’?” Gibbs sollevò le sopracciglia.

“Ovvio!” Tony lo guardò incredulo. “Stai scherzando, vero?”

Gibbs sorrise. “Un po’, direi. Non presumere mai niente.” Tony sorrise e ritornò a guardare i fornelli. “Ti serve una mano?”

“In effetti, se potessi prendere due piatti…” Chiese, e Gibbs andò alla credenza per prenderli. Tony si sentì un po’ onorato quando lo vide prendere due piatti veri invece dei soliti in plastica. “Appoggiali pure qui sul bancone.” Gli fece segno vicino alla terrina con gli ingredienti all’interno. “Grazie.” Gibbs prese le forchette, e poi aprì il frigorifero per cercare qualcosa da bere. “Tradizionalmente, suggerirei del vino o della birra.” Disse Tony, sapendo cosa stava guardando. “Ma visto che hai avuto una commozione cerebrale dovremo accontentarci dell’acqua.”

Gibbs inclinò il capo di lato e afferrò due bottiglie d’acqua dal frigo. “Vuoi mangiare a tavola?”

“Possiamo mangiare anche in divano. Se vuoi.” Disse Tony. “È una cena come un’altra.” Sogghignò.

Gibbs lo osservò disporre il pollo nei due piatti in parti uguali, coprendolo poi con la salsa all’interno della terrina. Si diresse in salotto mentre Tony prendeva i due piatti e lo seguiva. “Grazie.” Disse Gibbs quando gli porse uno dei due piatti.

“Sono contento di poter essere d’aiuto.” Replicò Tony, appoggiando giù il piatto e cominciando a tagliare il pollo.

Gibbs copiò le sue azioni e assaggiò un pezzo del cibo. “Non male, DiNozzo.” Fece sapere.

Tony rise brevemente con la bocca piena. “Devo essere bravo a fare qualcosa, no?”

Gibbs ingoiò il bisogno immediato di rispondere al commento umiliante di Tony rivolto a sé stesso. Invece continuò a tagliare il suo pollo. “Sai, ci ho pensato a lungo,” iniziò “Berk sarebbe andato lo stesso allo chalet, che tu fossi stato con lui o no. C’è una buona probabilità che se tu non lo avessi accompagnato, sarebbe riuscito a svignarsela.”

Tony lo guardò. “Come fai a dirlo?” Strinse gli occhi, tornando a guardare il suo piatto.

“Per cominciare, non avremmo mai saputo che era un traditore, se non ce lo avessi detto tu.”

“Sì che lo avreste saputo.” Ritorse lui. “Ziva ve l’avrebbe detto. Comunque sia, è morto.”

“Se non si fossero distratti per buttarti giù in seminterrato, magari avrebbero controllato che Ziva fosse morta davvero.” Replicò. Tony smise di tagliare il pollo. “E se avessero controllato, saremmo morti tutti. Smith e Berk sarebbero uomini liberi. Berk non avrebbe nemmeno avuto bisogno di cominciare a correre.”

“Sì, invece.” Disse Tony con voce bassa. “Lo avrei scoperto…Poi lo avrei ucciso.”

Il resto della cena venne mangiato in silenzio…

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Capitolo 36
*** Pensieri Impiantati ***


Berk se ne andò per prendere la cena, dopo aver fallito di convincere Tony ad andare con lui. Erano passati circa quindici minuti, e Tony si sentiva incredibilmente stanco.

Si alzò risolutamente dalla sua scrivania e si diresse al laboratorio di Abby.

“Hey, Tony.” Salutò allegramente Abby quando entrò. “Sono felice che tu sia qui! Ho trovato qualcosa su Smith.”

“Cosa?” Chiese Tony avvicinandosi.

“Il file medico di Smith.” Replicò Ducky.

“Era seppellito in fondo a un sacco di scartoffie.” Aggiunse Abby. “È vecchio…tipo, di prima che entrasse nella Marina. E lo aveva fatto nascondere.”

“Perché?”

“Credo, perché se avessero visto questo file, non lo avrebbero accettato.” Gli disse Ducky. “Quest’uomo è psicologicamente instabile.”

“Ed ha dei precedenti nella Marina, di già, per provarlo.” Disse Abby, facendo comparire il file sullo schermo. “Ci sono stati diversi incidenti, tutti in seguito archiviati, di assalto, problemi di rabbia, ecc…Sinceramente, non so come se la sia cavata fino adesso.”

“Hai avvisato Gibbs?” Chiese Tony.

“Beh, stavo per chiamare te.” Gli disse Abby.

“Gibbs sta andando allo chalet di questo tizio, proprio ora.” Le disse Tony, tirando fuori il cellulare. “Non che non possa occuparsi di Smith…ma dovrebbe essere avvisato.” Dopo aver digitato il numero, il telefono andò direttamente in segreteria, senza neanche suonare.

“Uh, Tony?” Disse Abby. “Se è già arrivato, c’è la possibilità che non abbia campo.” Disse, aprendo la mappa sullo schermo. “È fuori dal raggio di qualunque ripetitore.”

Lo stomaco di Tony cominciò a contorcersi. “Non dovrei preoccuparmi…non dovrei essere preoccupato, giusto?” Guardò i suoi colleghi. “Sono un po’ preoccupato, qui…”

“Forse, puoi avvisare il Dipartimento di Polizia di Clarksburg e dir loro di raggiungerli, solo per dare il messaggio, e assicurarsi che tutto sia, in effetti, a posto?” Suggerì Ducky.

“Se non è così, la loro presenza peggiorerebbe la situazione.” Replicò Tony. “E se tutto è a posto, Gibbs si infurierà.”

“Meglio assicurarsene…”

Il telefono di Tony cominciò a suonare, facendolo sobbalzare. Voltò le spalle ai suoi colleghi e rispose. “DiNozzo.”

“Devo parlarti.” Risuonò la voce di Vance dall’altra parte della linea.

“Che coincidenza, Direttore.” Replicò Tony, facendo un cenno col capo a Abby e Ducky prima di uscire dal laboratorio dirigendosi verso le scale. “Sto cercando di contattare Gibbs-”

“Proprio di questo volevo parlarti.” Lo interruppe il direttore. “Ho appena ricevuto una chiamata dall’Agente Berk. Si sta dirigendo a Clarksburg in questo momento. Sembra che creda che la sua squadra sia in pericolo.” 

“Perché lo pensa?” Chiese Tony.

“Qualcosa riguardo una probabile instabilità mentale di Smith.”

“Oh…Abby deve averlo informato…”

“Sta chiamando il Dipartimento di Polizia di Clarksburg per dir loro di raggiungerlo, in caso ne avesse bisogno. Ha detto loro di essere cauti, così da non provocarlo se per caso ha ragione.”

“Sta facendo tutto da solo? Crede sia saggio, Signore?”

“Non voleva cedere, Agente DiNozzo. E non posso dire di biasimarlo. È preoccupato per la squadra, così come lo sarebbe lei al suo posto.”

“Mi dia del pazzo, ma ho una strana sensazione riguardo a questa faccenda…La richiamerò.” Disse, poi terminò la chiamata. Uscì dalle scale e si diresse rapidamente in ufficio e poi alla sua scrivania. Lanciò un’occhiata a quella di Tim e decise di spostarsi lì. Aveva un presentimento…e doveva seguirlo.

Trovò il registro delle chiamate di Berk, tirò fuori il suo cellulare e chiamò Abby. Lei rispose immediatamente. “Abs, perché hai chiamato Berk prima di me?”

“Di che stai parlando?” Chiese lei. “Non mi piace neanche quel tizio…”

“Mi stai dicendo che non lo hai informato sulla cartella medica di Smith?”

“No…aspetta, lo sa?” Chiese, e Tony poté sentirla premere i tasti del suo computer. “Oh mio Dio, Tony! C’è un tracciante nel file di Smith! Pensi che lui già sapesse tutto e abbia deciso di non dirci niente?”

“Credo che la cosa sia ancora più importante…” Replicò guardando le chiamate ricevute di Berk…tutte da Smith.

*~.~*

“Qui è il Direttore Leon Vance dell’NCIS.” Disse Vance al telefono mentre dirigeva la macchina con dentro lui e Tony e altri due agenti, verso l’autostrada. “Devo sapere se avete ricevuto una telefonata da uno dei miei Agenti nell’ultima mezz’ora.”

Tony deglutì, cercando di capire la risposta dall’espressione del Direttore.

“Dannazione…Abbiamo un problema…” Continuò Vance, dando l’indirizzo all’uomo con cui stava parlando dicendogli di procedere con cautela; che sarebbero arrivati lì al più presto.

Il tempo sembrò fare un salto in avanti, e presto si ritrovarono a fermare la macchina lungo una stretta strada. Il cuore di Tony mancò un battito quando notò del fumo innalzarsi da qualche parte nel bosco…troppo fumo per poter provenire da un camino…

“No no no no no…” Tony andò nel panico quando parcheggirarono, vedendo lo chalet ridotto a poco più che macerie. I camion dei pompieri stavano ancora valutando la struttura; macchine della polizia erano sparse in giro mentre i poliziotti analizzavano la scena. Uno di loro si avvicinò al gruppo quando scesero dall’auto. Ma Tony lo ignorò correndo verso le macerie.

Sentì qualcuno che gridava il suo nome, ma non si voltò. La macchina di Gibbs era a pochi passi…gli si strinse il cuore. Freneticamente, si guardò attorno, trovando un’ambulanza accanto all’edificio. Corse fino a uno dei paramedici.

“Avete trovato qualcuno? Qualche sopravvissuto?” Chiese.

“Signore…abbiamo trovato un corpo, per il momento.” Gli disse. “Era fuori dalla struttura, qui.” Indicò un punto sull’erba. “Sembra che le abbiano sparato…due volte.”

“L’avete identificata?” Gli tremò la voce.

“Uh, sì…Ho lasciato il distintivo sul corpo.” Camminò fino all’ambulanza dove il corpo era chiuso in una sacca nera steso su una barella. “Credo dicesse NCIS.”

“No…” Scosse la testa, andando oltre l’uomo tirando giù la cerniera. Una volta scostata la sacca, gli si bloccò il respiro. Ziva…un proiettile in fronte…e uno nel petto.”

“Signore, conosceva questa donna?”

“Ne abbiamo trovato un altro!” Provenne un grido da qualche parte nella casa. “Uno è qui!”

Tony era immobile, guardava gli ufficiali che correvano ad aiutare i pompieri a tirare fuori i corpi. Uno di loro chiese a Vance di avvicinarsi. Fu allora che Tony si mosse; si fece strada fra la folla che lo separava dalla barelle sulle quali erano stati appoggiati i corpi.

Sentì ciò che stavano dicendo i paramedici. “…troppe schegge hanno colpito troppi punti vitali. Probabilmente sono morti a causa del fumo, prima che le ferite potessero ucciderli…”

“No…nonono…”Era in lacrime ormai mentre cadeva fra i due corpi stesi a terra. Gibbs e McGee…i volti coperti di sangue e sporcizia, ancora riconoscibili per lui. Non riusciva a respirare…

Eppure, nel dolore, la rabbia cominciò ad accendersi in lui. “Dov’è Berk?”Disse a voce alta. Quando nessuno rispose, si voltò verso Vance, dietro di lui. “Dov’è Berk!” Gridò alzandosi in piedi.

“Non qui.” Gli disse Vance. “Pensiamo che il corpo lì dentro sia di Michaels. Sembra che Berk e Smith se ne siano andati; la macchina non è più qui.”

“Lo ucciderò…lo UCCIDERÒ!” Gridò, il petto che gli si stringeva.

“Calmati, DiNozzo!” Vance gli afferrò le labbra. Tony lottò violentemente contro la sua presa.

“Tony!” Un’altra voce risuonò alle sue spalle; una che riconobbe. Si voltò. Gli occhi di Gibbs erano aperti, lo fissavano.

Tony cadde in ginocchio. “Capo?”

“Tony, ti devi svegliare.” Gli disse. Tony corrugò le sopracciglia, scuotendo la testa confuso. “Svegliati, Tony…” Ripeté. “Stai sognando! Non lo vedi?” La sua voce si fece più forte, eppure stranamente disconnessa dalla realtà…

“Avanti, Tony, svegliati.” Tony sentì delle forti braccia attorno alle sue spalla, che lo scuotevano senza troppa gentilezza. “Ecco, così, avanti.” Lo incoraggiò Gibbs.

Tony aprì gli occhi, sentendo ancora l’intenso bruciore, sia fisico che emotivo, causato da quello che ora capiva essere stato un incubo. “Capo?”

“Lascia che ti aiuti a sederti.” Gli disse Gibbs, e Tony realizzò la sua posizione scomoda, attorcigliato in mezzo alle coperte. Gibbs lo aiutò a mettersi seduto contro la testiera, poi gli porse l’inalatore.

Fu tentato di reggerlo per lui, sentendo i violenti tremiti che scuotevano le mani del suo Agente Anziano. Tony portò ansiosamente l’inalatore alla bocca, con entrambe le mani, respirando a fondo.

“Whoa.” Gibbs lo afferrò con una mano quando Tony cominciò a scivolare di lato, e si mosse per sedersi accanto a lui contro la testiera, permettendogli di accasciarsi contro di lui.

L’inalatore cadde sul materasso mentre Tony rilasciava un profondo respiro; il corpo che venne scosso da un tremito all’azione. Gibbs gli mise un braccio sulle spalle, e Tony si rannicchiò contro il suo fianco respirando lentamente.

Chiuse gli occhi e cercò di calmarsi; di respirare normalmente. Non osava muoversi. Non finché non sentì la mano di Gibbs contro il suo viso; il pollice che gli asciugava le lacrime. Fu allora che si scostò, imbarazzato, e finì da solo di asciugarsi le lacrime. “Mi dispiace, Capo…”

“Finiscila, Tony.” Replicò, severamente, ma dolcemente.

Tony scosse la testa. “Non posso farlo…”

“Diventerà tutto più facil-”

“Gli incubi.” Chiarì Tony, senza guardarlo negli occhi. “Sono troppo reali. Non ha importanza quanto è ovvio che le cose non sono andate così…Sono lo stesso reali, nella mia mente, quando succedono. Sento tutto. Tutto succede come in un normalissimo giorno; la logistica e tutto, va tutto come in una sorta di realtà alternativa. Posso leggere, sentire il vento contro il viso…l’odore del fumo e della morte…” Gli si spezzò la voce. “Non posso farcela…è troppo. Non posso continuare a perdervi tutti…”

“Ascoltami.” Gibbs si voltò un po’ per guardarlo. “Troveremo un modo di risolvere tutto. Anche se vorrà dire che dovrai andare da uno strizza cervelli, capito?” Tony chinò il capo. Ma Gibbs gli afferrò il mento. “Hey,” e Tony si voltò verso di lui “sarò con te, ad ogni passo, se lo vuoi.” Tony lo guardò negli occhi per un momento, poi sbatté le palpebre qualche volta per ricacciare indietro le lacrime. “Okay?” Chiese Gibbs. Tony annuì, alla fine. “Vieni qui.” Gibbs gli passò un braccio sulle spalle attirandolo contro di lui.

Tony non resistette…

Mi scuso se non ho risposto ai commenti ma sono davvero di corsa con questo capitolo! XD

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Capitolo 37
*** Un'Altra Grande Caduta ***


Gibbs aveva passato la maggior parte del resto della notte nella stanza degli ospiti. Tony non aveva più detto niente, ma si era calmato, considerevolmente, grazie alla presenza di Gibbs. Aveva avuto intenzione di rimanere solo fino a che l’uomo più giovane non si fosse addormentato. Ma alla fine si era addormentato anche lui, seduto con la schiena contro la testiera.

Fu solo quando il suo orologio interno lo svegliò alla 0500 in punto, che capì cos’era successo. In silenzio era uscito dalla stanza, non volendo far pensare a Tony che fosse rimasto. L’ultima cosa di cui aveva bisogno era pensare che Gibbs credesse che fosse necessario che qualcuno rimanesse con lui.

Perciò scese al piano di sotto, mise su del caffè, e mentre quello si scaldava, decise di farsi una doccia per poi vestirsi. Si sentiva fiacco quel giorno. Non che la cosa derivasse da mancanza di sonno, o dalla posizione scomoda in cui si era addormentato. Aveva dormito in posti peggiori. La cosa derivava dall’essere stato gettato in quel maledetto seminterrato.

Dopo le 0630 Tony si fece finalmente vedere al piano di sotto. Gibbs era in divano, piegato sopra un vecchio caso adagiato sul tavolino da caffè lì davanti, e con in mano già il terzo bicchiere di caffè. “Buongiorno, Capo.” Disse, grattandosi il retro della testa andando in cucina passando per il salotto. “C’è del caffè?”

“Sempre.” Gli disse Gibbs. “Sei riuscito a dormire?”

“In realtà, sì.” Replicò lui dirigendosi verso la dispensa per prendere un bicchiere. “Per fortuna senza più sognare.” Gibbs annuì, osservando l’Agente più giovane che si versava del caffè e ci metteva dentro un’eccessiva quantità di zucchero e latte. “Mi ‘spiace di averti svegliato, a proposito.”

“Nessun problema.” Gli disse Gibbs. “Mi sono rimesso a dormire dopo.”

“Lo stesso.” replicò entrando in salotto andando a sedersi in poltrona. “Non avresti dovuto svegliarti a quel modo.”

“Penso di essermela cavata meglio di te.” Ritorse lui, sollevando un sopracciglio. “Vuoi parlare del sogno?”

Tony lo guardò sorpreso. “Vuoi ascoltarlo?”

“Qualcuno dovrebbe.” Replicò lui, prendendo il bicchiere di caffè. “Sta succedendo qualcosa in quella tua testa, e forse dovresti parlarne invece di tenertela da parte per quando vai a dormire.”

“Gli incubi, posso sopportarli…in genere.” Disse lui. “Ho sempre avuto gli incubi. È il panico a cui non sono abituato. E sono piuttosto sicuro che sia quello a peggiorare tutto, perché comincia nel sogno; mi rende difficile riuscire ad occuparmene.”

“Per questo dovresti parlarne.” Gli disse Gibbs. “Ti serve un modo migliore di occupartene, e se riesci a trovarlo prima di andare a dormire, allora magari il tutto non sarà così intenso.”

“Cos’è, stai prendendo lezioni da Ducky, adesso?” Sogghignò.

Gibbs sorrise di rimando. “Ogni tanto lo ascolto. Non cambiare argomento.”

Tony roteò gli occhi, anche se il sorrisetto che aveva sulle labbra non scomparve. Bevve un sorso dal suo caffè, sperando che Gibbs lasciasse perdere quello che stava cercando di fare. Ma lo sguardo del suo Capo non si arrestò. Sospirò, appoggiando il bicchiere sul tavolo.

“Quello che mi hai detto, la scorsa sera, su quello che sarebbe successo se non avessi accompagnato Berk,” cominciò “il mio cervello ha pensato di vedere come sarebbero andate le cose, come fosse un normalissimo caso. E per mia fortuna, mi ritrovo ad avere un primo posto per lo spettacolo, con tanto di HD e sistema surround. Era questo il mio sogno.”

Gibbs rimase in silenzio per alcuni momenti. Poi parlò, inclinando di lato la testa. “Imparato niente da quel sogno?”

Tony sollevò le sopracciglia. “Intendi, a parte il fatto che probabilmente andrei via di testa se vi perdessi?” Gibbs continuò a fissarlo moderatamente, facendo capire a Tony che, in effetti, intendeva qualcos’altro. “O il fatto che…avevi ragione? Hai sempre ragione…perciò dovrei fidarmi delle tue parole. E l’ho fatto, davvero.” Gli disse. “Perché se non fosse stato così, non credo che quel sogno sarebbe stato così reale.”

“Lo sai che col nostro lavoro è un rischio; venire uccisi.”

“Sì, lo so, Capo. Certo che lo so. Non significa che sarò mai pronto, e non significa che io non possa fare il mio lavoro o che in un qualche modo io sia controllato da quella possibilità. Ma quando non sto lavorando, quando sono da solo e rifletto su quei pensieri, mi faccio soggiogare. Non posso farci niente; non ho mai potuto farci niente.”

“Allora forse è il caso di vedere qualcuno in proposito.”

“Capo…”

“Solo perché la cosa non sta influenzando il tuo lavoro, non significa che tu la stia controllando.”

Stavo già vedendo qualcuno.” Gli disse. Gibbs strinse gli occhi. Sapeva che Tony si era lasciato sfuggire per caso il fatto che era andato da un terapista. Ma non glielo aveva mai detto apertamente in faccia. “Non è per quella cosa specifica, ma non è che non sappia che ho qualche problema.”

“E quello non ci rientra?”

“Beh, ora sì, immagino…”

“Anche se questa…asma è temporanea.” Gibbs gesticolò con la mano. “Non significa che devi permetterti di non dormire la notte, solo perché nessuno vede mai quella parte di te.”

“Mi prescriverebbero solo dei medicinali, Capo.”

“Come fai a sapere cosa faranno, se non dici loro nemmeno cosa sta succedendo?” Chiese. Gli occhi di Tony saettarono brevemente per la stanza. “Dev’esserci qualcosa, Tony. Puoi sempre rifiutare di prendere delle medicine, ma non puoi ignorare il problema e pensare che le cose miglioreranno da sole. Non funziona così.”

“Che eufemismo.” Tony soffocò una risata.

Gibbs non poté trattenere un leggero sorriso. “Puoi farcela, DiNozzo.” Gli disse. “Come riesci a fare qualunque cosa ti metti in testa.”

“Grazie, Capo.” Abbassò lo sguardo, un po’ imbarazzato.

Gibbs diede un’occhiata nel suo bicchiere quasi vuoto, e decise di andare a prendere dell’altro caffè. Ma dopo essersi alzato, un dolore acuto gli esplose in testa. Tony alzò lo sguardo quando sentì il gemito di dolore, e vide Gibbs con la mano premuta contro la ferita alla fronte; gli occhi serrati.

“Capo?” Tony si alzò. “Stai bene?”

“Sì…mal di testa.” Disse. Poi gli cadde di mano il bicchiere di caffè, che rotolò a terra. Tony guardò, con orrore, come Gibbs improvvisamente collassò a terra; il suo corpo che prima si irrigidì e poi venne travolto dalle convulsioni.

“Gibbs!” Tony accorse al suo fianco, voltandolo e stringendolo saldamente dove si era inginocchiato a terra…

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Capitolo 38
*** Sale D'Attesa ***


Freneticamente, Tony si guardò attorno da dove se ne stava in ginocchio, tenendo stretto il corpo di Gibbs in preda alle convulsioni al meglio delle sue possibilità. Fu in quel momento che vide il cellulare di Gibbs appoggiato sopra un cuscino del divano. Si allungò per afferrarlo, avvicinandoselo con la punta delle dita.

Digitò rapidamente il 911 e tenne il cellulare all’orecchio aiutandosi con la spalla così da poter continuare a tenere fermo il suo capo. “Qui è l’Agente Speciale Anthony DiNozzo dell’NCIS.” Disse quando ottenne una risposta. “Mi serve un’ambulanza, ora! Ho un Agente a terra!” Gli si incrinò la voce mentre parlava, dando loro l’indirizzo.

“Signore, le sto mandando qualcuno, in questo momento. Può dirmi cos’è successo?”

“È collassato.” Le disse. “Ha subito un colpo alla testa; una commozione cerebrale. Ma è semplicemente collassato e ha cominciato ad avere le convulsioni…”

“Sa come gestire una vittima di convulsioni, Agente DiNozzo?”

“Sì.” Scattò lui.

“Bene. Può dirmi da quanto vanno avanti?”

“Um…sarà già passato un minuto, ormai. Forse di più…senta, è tutto quello che so. Devo andare; devo chiamare il suo medico.” Terminò la chiamata, anche se gli era sembrato di sentire delle proteste. Poi digitò il numero di Ducky…

                                                                                                                             11 00 11 00 11

“Anthony, qual è il problema?” Chiese Ducky una volta sentita l’urgenza nella voce dell’uomo più giovane.

“È Gibbs, Ducky.” Gli disse. “Ho chiamato un’ambulanza…”

“Cos’è successo?” Chiese Ducky alzandosi dal suo tavolo, dirigendosi verso l’attaccapanni.

“Non so che gli sta succedendo.” Tony era chiaramente agitato, ma era ancora in controllo di sé stesso. “Stavamo parlando. Poi si è alzato e si è preso la testa fra le mani come se avesse sentito del dolore. E poi, è caduto a terra, in preda alle convulsioni…Sono già passati due minuti, Ducky…Aspetta…” Ci fu una pausa e dei rumori di sottofondo mentre Ducky afferrava il suo cappotto e le chiavi.

Si voltò verso il suo assistente e sussurrò. “Devo andare, Jimmy; è un’emergenza. Ti chiamerò.”

“Va bene, Dr. Mallard.” Jimmy sembrava preoccupato, anche se non sapeva cosa stava succedendo.

“Si è fermato.” Risuonò la voce di Tony, finalmente, dall’altra parte della linea. “Ducky, sembra che le convulsioni siano finite.”

“Va bene, ragazzo mio. Sto partendo adesso. Ci vediamo all’ospedale. Andrai con lui, vero?”

“Sì. Grazie, Ducky.” La chiamata terminò lì.

Ducky non poteva fare a meno di sentirsi preoccupato per il suo amico. Probabilmente, Gibbs non aveva permesso all’ospedale di esaminarlo come si deve il giorno prima. Senza dubbio a quel tempo era stato ansioso di assicurarsi che i suoi Agenti fossero fuori pericolo, ma ora sembrava proprio che avesse commesso un errore madornale nel non lasciarsi controllare…

                                                                                                                               11 00 11 00 11

Gibbs gemette esausto, cercando di aprire gli occhi e capire perché, esattamente, era mezzo per terra.

“Capo?” La voce preoccupata di Tony risuonò da qualche parte sopra di lui, e Gibbs riuscì ad aprire gli occhi, momentaneamente.

“Che successo?” Chiese, in un mezzo sussurro.

“Hai avuto le convulsioni.” Gli disse Tony; la voce incrinata.

Fu in quel momento che Gibbs realizzò di essere mezzo in grembo a Tony, stretto fra le sue braccia tremanti. Gibbs sollevò un braccio e cercò quello di Tony, dandogli una leggera pacca. “Sto bene.”

“No, non lo credo affatto.” Rispose Tony. “Non gli hai permesso di darti un’occhiata, ieri, vero?” Era più un’affermazione che una domanda. Gibbs sospirò, desiderando di avere la forza per alzarsi, proprio in quel momento. “Beh, glielo permetterai oggi. L’ambulanza sta arrivando, e io vengo con te.”

“Tony…”

“Non provarci, Gibbs. Non provarci neanche…Potresti avere qualcosa di grave.” Sentì le sirene dell’ambulanza che si avvicinavano. Prese gentilmente il viso di Gibbs fra le mani quando lui cercò di scostarsi, testardamente. “Hey…rimarrò con te, fino alla fine.” Gli sorrise lievemente dicendogli esattamente la stessa cosa che lui gli aveva detto, la notte prima.

Gibbs ci pensò a lungo. Poi, rassegnato, rilasciò un lungo respiro.

Sentirono i medici alla porta…

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Tony camminava avanti e indietro per la sala d’attesa del Pronto Soccorso. Lo faceva piuttosto lentamente, non voleva rischiare un altro attacco di panico. Ma non poteva starsene seduto.

Lungo il viaggio in ambulanza, Gibbs si era fatto sempre più stanco. Fra tutto quello che era successo qual mattino, per qualche motivo, fu quello a spaventare di più Tony. Stavano parlando, fra le domande dei medici, e lui all’improvviso si era…fermato. I suoi occhi si erano fatti distanti.

Ducky era lì in attesa, quando l’ambulanza era arrivata a Bethesda con i due Agenti. Ora era con loro, dopo aver insistito perché al suo amico venissero fatti gli esami appropriati. Ora Tony stava aspettando…Aspettare era assolutamente la cosa peggiore. Decisamente non era uno dei suoi punti forti.

Venne distratto dai suoi pensieri quando il cellulare che aveva in tasca cominciò a suonare. Tirandolo fuori, si accorse che era quello di Gibbs, e che quindi avrebbe dovuto fare a meno di rispondere. Ma quando vide il nome di Abby sullo schermo, capì di dover rispondere.

“Hey, Abs.” Disse, con tutta la calma che riuscì a trovare.

“Tony? Credevo di aver digitato il numero di Gibbs…”

“Sì, ho il suo cellulare.”

“Beh, puoi passarmelo? Volevo solo sapere se potevo passare a trovarlo.”

“Non…posso passartelo, Abby.” Le disse; la voce che tremava leggermente.

“Perché no? Cosa c’è? Dalla tua voce sembra che sia successo qualcosa…Dimmi che Gibbs sta bene, Tony…”

“Non posso…”

“Oh mio Dio…Tony dimmi qualcosa!” La paura nella sua voce era uguale a quella che sentiva Tony.

“H-ha avuto un attacco di convulsioni.” Le disse. “Siamo a Bethesda. Gli stanno facendo degli esami o qualcosa…”

“Sto arrivando, Tony.” Gli disse, notando lo shock nella voce dell’amico. “Con me c’è McGee. Arriveremo fra dieci minuti, va bene?”

“Sì. Va bene. Devo andare, Abs.” Le disse prima di terminare la chiamata, vedendo Ducky che usciva dalle porte del Pronto Soccorso. “Come sta?” Chiese, ansiosamente.

“Hanno trovato un’emorragia cerebrale.” Cominciò Ducky. “Lo stanno portando in sala operatoria in questo momento.”

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Capitolo 39
*** Quiescenza ***


Tony sedeva tranquillamente al tavolo in un angolo della caffetteria con, Ducky, Tim e Abby. Uno di loro gli aveva portato un bicchiere di caffè, ma lui non l’aveva nemmeno sollevato, preferendo tamburellarci contro con la punta delle dita.

Fissò il bicchiere e il suo contenuto, contemplando ciò che era successo quel mattino. Gibbs stava tenendo un bicchiere di quello stesso caffè in mano; gli era caduto prima di collassare a terra. Era stato terrorizzante, guardarlo in preda alle convulsioni, e non c’era stato nulla che lui avesse potuto fare.

Poi, ovviamente, c’era stato il viaggio in ambulanza…

“Stava andando verso la cucina per prendersi dell’altro caffè.” Spiegò Tony al paramedico.

“Quanti bicchieri ha bevuto, Agente Gibbs?” Gli chiese il medico.

“Due.” Replicò Gibbs.

“Il che significa che ne vorrà ancora una volta arrivati a Bethesda.” Disse Tony, cercando di alleggerire la tensione.

“Temo che non sia una buona idea, a questo punto.” Replicò il medico.

“Beh, la cosa non va affatto bene col capo.” Disse Tony, incontrando gli occhi di Gibbs.

Aveva un sorrisetto divertito sulle labbra. “Dovrò parlare con l’infermiera.”

“Che, sono certo, Ducky avvertirà immediatamente.” Replicò Tony.

“Tu…” Cominciò Gibbs, ma poi all’improvviso il suo volto si fece impassibile.

Tony pensò che magari era seccato dal fatto che lo avesse chiamato. “Capo, è il tuo dottore. Lo sai che si sarebbe arrabbiato se non lo avessi chiamato.” Attese la risposta di Gibbs. Ma il suo volto rimase impassibile. “Capo?”

“Agente Gibbs?” Il medico cercò di ricevere una risposta dall’Agente più anziano. Tirò fuori una pennetta puntando la luce negli occhi di Gibbs. “Dobbiamo portarlo in ospedale, ora!” Gridò al guidatore.

“Che sta succedendo?” Chiese Tony. “Cos’ha che non va…?”

Paura. Ecco cos’aveva provato. Quella, e panico. Quindi, perché non aveva avuto un attacco, come gli era sempre successo dopo l’avvelenamento? Anche quando Ducky gli aveva detto dell’emorragia nel cervello di Gibbs, non gli era successo niente. Cosa voleva dire?

Tony non era sicuro. Avrebbe dovuto esserne felice, almeno. Significava, magari, che stava migliorando, o che riusciva a tenere sotto controllo le sue emozioni…o magari che le medicine erano ancora presenti nel suo organismo. Chi lo sapeva? Quindi, perché si sentiva dannatamente in colpa?

Ebbe l’improvviso bisogno di vomitare. Alzandosi, bruscamente, dal tavolo, si diresse verso il bagno, ignorando gli sguardi confusi dei suoi amici.

I tre rimasti al tavolo si scambiarono sguardi preoccupati. Ducky fece per alzarsi, ma McGee gli mise una mano sulla spalla, facendo sì che l’altro si voltasse verso di lui. “Ci penso io, Ducky.” Gli disse, poi si alzò dal tavolo e seguì Tony.

Quando arrivò alla porta dietro la quale era scomparso l’Agente Anziano, attese. Sentì i conati di vomito, anche attraverso la barriera che li separava. Tim decise di appoggiarsi al muro dietro di lui accanto alla porta per dargli un po’ di privacy; almeno fino a che i conati non si fossero fermati e lo sciacquone fosse stato tirato.

Quando sentì l’acqua del lavandino, McGee fece la sua mossa, entrando in silenzio. Tony si stava sciacquando il viso, chinato sul lavandino, per evitare di bagnarsi i vestiti. Tim prese un paio di asciugamani di carta e li porse a Tony quando questi alzò la testa.

“Stai bene?” Chiese Tim.

“Da quant’è che sei qui?”

“Vuoi dire qui dentro?” Chiese. Tony lo fissò ferocemente dal riflesso dello specchio. “Ero fuori dalla porta.” Rispose, rassegnato. “Che sta succedendo?”

“Niente.” Tony si asciugò il viso e appallottolò la carta prima di gettarla via.

“Allora stai male?”

Tony sospirò, chinandosi sul lavandino. “Cosa vuoi, McGee?” Chiese a voce bassa.

“Che mi parli.” Tony lo guardò scettico dal riflesso. “Qualcosa ti sta ovviamente turbando.”

“Gibbs è in sala operatoria, McGee. Lo stanno operando al cervello che apparentemente stava sanguinando. Cosa pensi che mi stia turbando?” Il suo sguardo tornò al lavandino. Tim rimase in silenzio, sapendo che doveva esserci qualcos’altro, ma non volendo rovinare tutto. “Solo…Perché non…”

“Perché cosa?” Chiese McGee, sperando che l’altro si sarebbe aperto.

“Quando sono stato gettato in quel seminterrato con te.” Continuò lui. “Dopo aver visto Ziva a terra, e saputo i loro piani, sono andato nel panico. Ho avuto un attacco…che non ho avuto quando Gibbs è caduto. Perché?”

McGee non era certo che la domanda fosse stata posta a lui. Ma ci rifletté, comunque. “Magari manca un elemento importante.” Decise.

Tony lentamente si voltò verso di lui. “Di che stai parlando?”

“Beh,” all’improvviso si sentì nervoso “nel seminterrato, sembravi piuttosto convinto che Ziva fosse morta. E che loro ci avrebbero uccisi tutti e che non potessimo fare niente per fermarli. C’era un elemento di impotenza. Ma con Gibbs, c’era un modo per aiutarlo; o per procurargli aiuto. C’era qualcosa che potevi fare, e il tuo istinto è stato di lottare…invece di andare nel panico. Hai preso il telefono e hai chiamato aiuto, ed eri lì per lui. Ora, lo stanno aiutando. Non è una situazione senza speranza. Forse…forse è questa la differenza.”

Gli occhi di Tony saettarono fra loro mentre pensava. Durante gli altri attacchi, c’erano stati sogni di completa disperazione…senza speranza. Magari McGee non aveva tutti i torti.

“O magari stai migliorando.” Suggerì McGee.

Tony sorrise un po’. “Sempre McSperanzoso.” Gli diede una pacca sulla spalla. “Credo fosse giusta la tua prima ipotesi.” Il sorriso svanì e i suoi occhi si spostarono a terra.

“Starà bene, Tony.” Gli assicurò Tim.

“Come puoi esserne così sicuro?” Chiese senza alzare lo sguardo.

“Perché è Gibbs.” Replicò, semplicemente, come se quella fosse stata la domando più stupida possibile.

Tony rilasciò una breve risata, poi lo guardò. Voleva dire qualcosa come ‘Oh, saggio Padawan’, ma aveva paura di non riuscirci, a causa del nodo che gli si era formato in gola…

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Grande Pivello!!!! Tony finalmente si decide a sbottonarsi almeno con lui!

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Capitolo 40
*** Dirigere Lo Show ***


Tony sedeva accanto al letto di Gibbs in ospedale, Abby era rannicchiata contro il suo fianco addormentata. Era tardi; l’orario visite era quasi finito. Ma Tony rifiutava di andarsene. Inoltre non sarebbe mai riuscito ad addormentarsi, a quel punto.

Ducky aveva detto loro, in precedenza, in modo comprensibile, cosa c’era che non andava in Gibbs. Per farla breve, avevano sistemato l’emorragia, ma lui era in uno stato comatoso. A causa della sua età, i dottori non erano certi di un suo eventuale recupero; se mai si fosse svegliato.

“Ma loro non conoscono Leroy Jethro Gibbs, come lo conosciamo noi, vero?” Aveva detto Ducky. No, non lo conoscevano. Gibbs non avrebbe permesso a niente di batterlo.

Allora perché Tony aveva ancora paura? Forse perché nonostante tutti loro lo paragonassero a Superman, in realtà era solo un uomo. Forse questa era la volta di troppo.

E se i dottori avessero avuto ragione? E se la speranza della squadra, la fede nella capacità di Gibbs di recuperare, non fosse stata abbastanza? E se non si fosse svegliato…?

Tony sentì la familiare sensazione al petto. “Ah…mi domandavo quando ti saresti ripresentata.” Pensò tirando fuori l’inalatore. Grazie a Dio McGee glielo aveva portato in precedenza, quando era tornato per riportare Ziva a casa sua. Si scostò gentilmente da Abby, senza svegliarla, e andò in bagno prima di utilizzare l’inalatore. Mentre tratteneva la medicina, si appoggiò al lavandino, chiudendo gli occhi e contando.

“Stai bene, Anthony?” Il sussurro di Ducky risuonò alle sua spalle.

Spalancò gli occhi e rilasciò il fiato, annuendo. Aprendo l’acqua fredda, ne raccolse un po’ fra le mani e la bevve per risciacquarsi la bocca. “Pensavo fossi andato a casa.” Disse allungando la mano per afferrare gli asciugamani di carta con i quali asciugarsi.

“Sono passato per dare un passaggio a Abby.” Lo informò. “Timothy ha preso la sua macchina, quando ha accompagnato a casa Ziva.”

“Oh sì. Mi ero dimenticato che erano venuti insieme.” Si voltò per guardare il Medico Legale. “Va bene che stia alla guida?” Chiese improvvisamente preoccupato. “Voglio dire, ha avuto una commozione cerebrale…”

“A differenza di Jethro, Tim si è fatto controllare, come avrebbe dovuto. Quello, ed ormai è passato un bel po’ di tempo. Non avrà problemi a guidare, credimi. Ma capisco perché sei preoccupato.” Gli appoggiò una mano sul braccio. “Stai davvero bene?”

Tony quasi sobbalzò visibilmente alla domanda. Guardò il dottore per un momento prima di spostare lo sguardo. “Prima che avesse l’attacco,” cominciò “stavamo parlando del fatto che dovevo parlare al mio terapista del fatto che ho questi attacchi di panico.”

Ducky sollevò leggermente il mento. “Ne stavi avendo uno, adesso? Cos’è accaduto quella mattina?”

“Io uh…avevo avuto un altro incubo.” Ammise. “E lui mi ha svegliato; mi ha passato l’inalatore. Abbiamo ripreso a parlarne di mattina.”

“E sei d’accordo con quanto ha detto?”

“Immagino che abbia senso.” Replicò. “Non può farmi del male provarci, no?” Sorrise lievemente senza che tale sorriso arrivasse fino ai suoi occhi. Poi scostò lo sguardo.

“Cosa c’è, ragazzo?” L’altro sentiva che qualcosa non andava.

“Niente.” Tony scosse la testa.

Ducky voleva dissentire, ma decise di non pressarlo. “Allora, prenderai appuntamento?”

Tony lo guardò di nuovo negli occhi. “Devo rimanere qui.”

“Devi?”

“Gli ho detto che sarei rimasto con lui.” Disse a voce bassa.

“Quanto a lungo intendi rimanere seduto accanto al suo letto, Anthony? Potrebbe dover rimanere qui per molto tempo, come ben sai.”

“Lui è rimasto con me quando sono rimasto chiuso qui…”

“Anche Jethro sapeva di dover continuare la sua vita al di fuori di questo posto, quando dormivi.” Gli ricordò Ducky. “Sì, era qui ogni giorno. Ma lavorava; si prendeva cura di sé. E lo faceva anche per te.”

Tony rimase in silenzio a lungo assorbendo le parole. Ducky vide come gli occhi dell’uomo più giovane si fecero leggermente rossi e lucidi, e si preoccupò. Poi Tony parlò. “Ma sapeva che sarei stato bene.”

Ducky fece quel passo che azzerò la distanza fra di loro, guardandolo dritto negli occhi. “Jethro ce la farà, Tony. Non ho nessun dubbio, né dovresti averlo tu.” Come uomo di medicina, Ducky sapeva di non dover mai dare tali garanzie circa i pazienti, anche quando sembrava che tutto sarebbe andato bene. Ma in questo caso, era più che certo che la sua opinione personale, che fosse il suo stesso diniego o no, doveva essere ripetuta all’uomo davanti a lui. Tony aveva bisogno di speranza, e Gibbs non era l’unico in grado di seguire il suo istinto quando contava.

Tony sapeva bene queste cose. Ma il semplice fatto che Ducky fosse così fiducioso nelle sue convinzioni, lo fece sentire meglio…

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Una Settimana Dopo…

Tony fissava le quattro carte che gli aveva dato il suo terapista il giorno prima. Dovevano aiutarlo a fermare un attacco di panico prima che andasse fuori controllo. Ovviamente, non aveva avuto bisogno di usarle per il momento, e dubitava fortemente che gli sarebbero servite.

Si ricordava di aver parlato di come la maggior parte degli attacchi cominciavano mentre dormiva; che quando si svegliava aveva già difficoltà a respirare. Fermarsi in quel caso, sarebbe stato impossibile. Il terapista gli aveva detto che una volta memorizzate le carte e dopo averle usate con successo durante gli attacchi da sveglio, sarebbe stato in grado di farcela anche mentre dormiva.

Stanotte, tuttavia, il panico non era derivato da un sogno; ma dall’anticipazione degli incubi che di sicuro avrebbe avuto una volta a letto. Quanto era ridicola la cosa? Molto, decise.

Abbastanza ridicola, che si era ricordato di tirare fuori le carte. Se dovevano essergli d’aiuto, allora sarebbe andato tutto bene.

Quindi, eccolo lì, seduto a terra con la schiena contro il letto, quattro piccole carte in mano. Primo passo: Rilassati. Sì, certo. Nessun problema. Grazie tante…Rilassati prendendo lenti, profondi respiri. Calmati ricordando che stai solo avendo un attacco di panico e che non ti sta succedendo niente di serio. Okay. Beh, questo è vero, al momento, immagino. Lenti, profondi e completi respiri aiutano a rilassare il corpo, il che è il primo passo per invertire il rilascio di adrenalina.

Tony si ricordò di quando il terapista gli aveva descritto la meccanica di un attacco di panico, e di come il sovraccarico di adrenalina era la causa principale degli attacchi d’asma. Fece del suo meglio per fare ciò che c’era scritto, respirando lentamente e profondamente…

Secondo passo: smetti di pensare negativamente. Urla la parola “BASTA!”. Sì, ai vicini sarebbe proprio piaciuto. Con forza, nella tua mente. Oh, giusto…nella mia mente. Posso farlo…Aspetta, perché lo sto facendo? Gridando la parola ‘basta’, interrompi il messaggio d’emergenza che il tuo cervello sta inviando alle ghiandole surrenali. Spesso, persone soggette ad attacchi di panico non riescono a smettere di ricordare eventi catastrofici nella loro mente. Interrompere questo circolo ti da l’opportunità di rimpiazzare il messaggio di paura con uno di calma.

Okay. Posso farlo…”Basta!” Gridò nella sua testa. “Non sta succedendo niente di male. Non sta succedendo niente di male…” Beh, no…non posso dirlo proprio per certo, giusto? Potrei avere degli incubi…aspetta aspetta aspetta…”Basta!” Gridò di nuovo mentalmente. “Stai bene! Smettila di andare via di testa per cose che non sono ancora successe!” Fece il tutto continuando a respirare profondamente.

Terzo passo: utilizza una frase positiva. Oh ma andiamo…Una frase positiva di intensità pari all’evento catastrofico che ti aveva spaventato all’inizio. Rimpiazza quell’evento negativo con uno positivo. Scegli una frase che possa farlo. Come diavolo dovrei fare a pensare ad una cosa simile, se succede davvero un’emergenza? Oh guarda! Esempi…Per esempio, “Sto avendo un attacco di cuore! Morirò!” rimpiazzalo con “Sto solo avendo un attacco di panico e se mi rilasso finirà in meno di tre minuti” o “La paura sta facendo battere più in fretta il mio cuore. Il mio cuore sta bene.”

Beh, so di non stare avendo un attacco di cuore. Non è di quello che ho paura. Magari…”Sono solo sogni. Non sono la realtà e non possono ferire me né i miei amici…” Huh…immagino non sia così difficile come pensavo. Fai una lista di pensieri che ti fanno andare nel panico, poi contrapponi una lista di pensieri che ti aiutano a rilassarti per quando ne avrai bisogno, piuttosto di metterti a pensare nel mezzo di un attacco. Oh, beh, immagino che la cosa abbia senso, allora…

Quarto passo: Accetta ciò che senti. Cosa? Accettare che vado nel panico per cose che non stanno nemmeno accadendo? Avvalora quella sensazione e la ragione scatenante. Sono dannatamente terrorizzato…perché i miei amici…queste persone che io considero più di una famiglia, potrebbero venire ferite o uccise. È possibile, ogni singolo giorno. Lo sappiamo, come Agenti. Lo accettiamo. Io l’ho accettato e ho visto Agenti morire. So di mettere a rischio la mia stessa vita, e certo, tutto questo mi ha sempre spaventato, fino ad un certo punto. È successo. Ero lì quando Kate è morta. Ho sentito il suo sangue sul mio volto.

So come mi sono sentito quando Ducky è stato rapito; quando avremmo potuto perderlo, fossimo arrivati più tardi. So quanto è stato spaventoso quando Abby è stata presa in ostaggio dal fan impazzito di McGee, e quando è stata presa da quel falso impiegato del governo…o quando ‘Chip’ si è dimostrato essere un folle che mi voleva incastrare per omicidio, e stava per uccidere Abby per aver capito tutto rovinandogli i piani.

So quanto è stato orribile vedere l’esplosione sulla nave dove si trovava Gibbs; sapere che si trovava in quella stanza e che probabilmente non ce l’aveva fatta. So quanto è stato inquietante vederlo in coma senza sapere se si sarebbe svegliato…Heh…immagino che dovrei avere imparato qualcosa dalle mie paure passate.

Il punto è che, sì, i miei sentimenti sono avvalorati. Ho il diritto di essere spaventato. Dovrei esserlo.

La paura è una sensazione positiva che ti ricorda di prenderti cura di te stesso. Ascolta ciò che senti, prenditi cura di te stesso, e mantieni le tue emozioni in proporzione alla situazione mantenendo una giusta prospettiva.

Sì, okay. Beh è questo il punto, no? Voglio dire, chiaramente, è quello che vorrei che accadesse. È quello che sto cercando di fare; non agitarmi per cose come andare a dormire e sognare. Santo cielo; eccomi qua, a respirare come se…aspetta.

Sto respirando perfettamente. Quand’è successo? Il cuore batte normalmente e non mi sento il petto costretto. Mi sono appena tirato fuori da un attacco? O magari questa cosa…funziona?

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Capitolo 41
*** Non Rendermi Un Bugiardo ***


Dopo un’altra settimana, Tony si trovò ancora appostato sulla sedia accanto al letto di Gibbs. Ormai era diventata una routine; ogni giorno in cui non doveva presentarsi all’NCIS lo passava in quell’ospedale. Quel giorno era una sera tardi, dopo essere rimasto a lavorare più del necessario. Si era fermato a casa per farsi una doccia, almeno. Non sarebbe mai andato in giro sporco…

“Hey, Capo.” Disse Tony, a voce bassa, avvicinando di un po’ la sedia al letto. “Tutti stanno meglio adesso. Eccetto te, ovviamente. Ziva è ritornata alla normalità.” Gli disse, come se stessero avendo una normale conversazione. Succedeva ad ogni visita. Tony gli raccontava cos’era successo quel giorno, poi sedeva in silenzio, sperando in una risposta.

“McGee ha cominciato ad accompagnarmi nelle mie corse mattutine.” Continuò. “Riesco a fare un miglio, ormai. Uno andando e uno tornando, quindi tecnicamente sono due. Il doppio di quello che facevo qualche settimana fa.” Sorrise, orgoglioso. “Quella tecnica di cui ti ho parlato la settimana scorsa…l’ho usata altre due volte. Sembra che funzioni davvero. Quello, o sto migliorando. Non ne sono sicuro. Ma non ho intenzione di sfidare la sorte.” Sorrise ancora ridacchiando. Ma smise in fretta.

“Vorrei che ti svegliassi, Capo.” Gli disse con voce calma. “Ci manchi…mi manchi. Non è la stessa cosa senza di te, a lavoro. Non che le cose fossero proprio normali prima che capitasse tutto questo…E non è che non siamo rimasti senza di te in precedenza. Ma questo…beh, è diverso, sai? Visto che ancora non sono pronto per lavorare sul campo, McGee e Ziva sono sempre insieme ad altre squadre. Ho passato così tanto tempo in obitorio, che probabilmente potrei dare una mano con le autopsie.” Ridacchiò leggermente. “Non che stia pensando di cambiare carriera o altro. Diavolo, ho passato così tanto tempo con Abs che quando Vance è passato in laboratorio e mi ha visto che le davo una mano con le ricerche, ha pensato bene di appuntarmi come suo assistente finché McGee e Ziva continuano a lavorare con la squadra di Daniels. Ora…voglio bene a Abby, non fraintendermi. Ma quando ha bevuto troppi Caf-Pow nel corso della giornata, e devi assistere per più di cinque minuti, cominci a chiederti il senso della vita, e perché esistiamo.”

Si appoggiò allo schienale della sedia. “Non che mi faccia venire voglia di terminare la mia vita. Ma sono arrivato al punto di chiedermi se per caso non lo faccia apposta; come se fosse un suo istinto naturale quello di fare impazzire tutti i suoi assistenti. Lo sa che rimarrò lì solo per qualche giorno, ma credo che non possa farne a meno. Sto pensando di disintossicarla gradualmente da quella roba. Non può farle bene bere così tanto. Certo, tu e Abby e la caffeina…sarei morto e sepolto da un pezzo prima di provare una cosa simile.”

Si massaggiò le tempie con la punta delle dita. Gli stava venendo mal di testa, ne era certo, solo a sentire la sua stessa voce. “Mi hai appena dato uno scappellotto mentale, Capo?” Sogghignò. “Me ne starò zitto per un po’.” Lanciò un’occhiata alla poltrona contro il muro, proprio sotto la finestra.

Mentre si muoveva per affondarci dentro, sbadigliò. “Immagino sia stata una lunga giornata.” Disse, mettendosi di fianco per appoggiare la testa contro il bracciolo. “Non ti dispiace se chiudo gli occhi per un po’, vero, Capo? Darà una mano con il mio piano di ‘restare zitto’…” Osservò la figura immobile stesa a letto, aspettando una risposta, come sempre. Poi chiuse gli occhi, e si addormentò rapidamente…

Ducky era rimasto ad osservare la scena fuori dalla porta per un po’. Voleva che Tony avesse il suo tempo per stare con Gibbs, e trovava davvero molto più semplice ascoltare cosa stava frullando nella testa di Tony quando stava…beh, origliando.

Tony non aveva parlato per davvero, nell’ultima settimana. Ducky sospettava che la cosa avesse a che fare con il dover rimanere forte per il resto della squadra; guidandoli al meglio delle sue possibilità dal suo posto dietro una scrivania. Li aveva aiutati nel loro periodo di recupero, e li aveva tenuti insieme, come sempre, durante quei tempi incerti.

Prima che Tim e Ziva venissero assegnati ad un’altra squadra, Tony li aveva guidati con successo per tre casi, con pochissimo aiuto da parte di Abby e Ducky. In realtà, i casi archiviati erano il solo modo che Tony aveva per distrarsi. Avevano avuto fortuna per una settimana, senza che accadesse nessun crimine di maggiore importanza. Ma ora stavano lavorando ad un caso di omicidio con un’altra squadra, e Tony non stava conducendo lo show.

Lavorare con Abigail aveva tenuto occupato l’Agente, anche se forse facendogli accumulare più stress dei casi archiviati. Avevano fatto grossi progressi, ma Ducky sapeva che il ragazzo stava cominciando a non farcela più. Gli mancava lavorare sul campo. Gli mancava il suo capo più di qualsiasi altra cosa. Il fatto che si fosse addormentato così facilmente non faceva altro che provare la stanchezza mentale che lo perseguitava.

Ducky entrò nella stanza di Gibbs quando sentì il leggero russare del secondo in comando del suo amico. Tony sembrava un po’ scomodo sul suo posto in poltrona, ma era, certamente, addormentato. Ducky sorrise dolcemente fra sé e sé. Alla fine il ragazzo finalmente si stava riposando; qualcosa che lui aveva continuato a dubitare per le ultime settimane.

Si voltò verso Gibbs e si avvicinò al letto, appoggiando gentilmente una mano sull’avambraccio dell’uomo. “Caro Jethro,” sussurrò “vorrei tanto che ti svegliassi e non mi rendessi un bugiardo.” Gli diede una pacca sul braccio e si sedette sulla sedia precedentemente abbandonata da Tony.

“Perché un bugiardo, Duck?” Provenne una voce roca dal letto.

“Beh, ho detto che saresti riuscito a farcela, ovv-” Ducky capì all’improvviso che Gibbs stava parlando. I suoi occhi saettarono fino al viso dell’amico mentre questi apriva gli occhi. “Jethro…” Si alzò immediatamente in piedi, senza parole.

“Ti comporti come se fosse passato un sacco di tempo dall’ultima volta in cui ci siamo visti.” Gibbs strinse gli occhi.

Ducky appoggiò una mano contro la guancia dell’uomo e gli sorrise felice con gli occhi un po’ inumiditi. “Beh,” disse finalmente “è passato abbastanza tempo, amico mio.”

La mano di Gibbs si sollevò e gli afferrò debolmente il polso. “Cos’è successo? Perché sono qui?”

Ducky spostò la mano sulla sua spalla e usò l’altra mano per premere un bottone per alzare un po’ la parte superiore del letto. “La tua riluttanza nel farti controllare meglio la commozione cerebrale, ha fatto sì che non venisse notata una leggera emorragia.” Spiegò. “Sei rimasto incosciente per due settimane.”

Gibbs fissò, vagamente, il petto dell’amico, pensieroso. “Ero a casa, stavo parlando con DiNozzo…”

“E hai avuto un attacco di convulsioni.” Gli disse Ducky. “Sei fortunato che lui fosse presente per chiamare l’ambulanza. Non possiamo dire cosa sarebbe successo, fossi stato da solo. Temo, il peggio, in realtà.”

“Sta bene?” Chiese Gibbs.

“Come ci si può aspettare.” Ducky si spostò un po’ così che Gibbs potesse vedere Tony. “Ha passato qui ogni giorno, Jethro. E se l’è cavata piuttosto bene a lavoro, tenendo tutti insieme.”

Gibbs annuì, orgoglioso del suo Agente. Poi Ducky spostò la mano dalla sua spalla, staccando per sbaglio uno dei cavi, facendo scattare l’allarme del macchinario accanto a lui. “Oh, cielo.” Esclamò Ducky. “Forse dovrei avvisare le infermiere che ti sei svegliato.” Aggirò il letto cercando il cavo…

*~.~*

Tony balzò in piedi dalla sua posizione ripiegata sulla poltrona, al suono dell’allarme. Si riscosse rapidamente quando comprese che proveniva dal letto di Gibbs, e vide che il colorito dell’uomo da pallido si stava facendo blu. Accorse al letto e cominciò a chiamare qualcuno.

Le dita di Tony cercarono il punto in cui sentire il battito cardiaco su collo e polso…non riuscì a sentire nulla…

“Ti prego, Capo, non farlo…Ti prego, non andartene!” E improvvisamente venne tirato indietro e dottori senza volto circondarono il letto, nascondendo Gibbs alla sua vista.

La familiare sensazione cominciò a stringergli il petto…

*~.~*

L’infermiera connesse di nuovo il cavo a Gibbs e se ne andò per cercare un dottore. Ducky l’aveva seguita, ed era per questo che Gibbs aveva notato il disagio di Tony ancora disteso in poltrona. L’aveva visto abbastanza volte da sapere che stava avendo un incubo.

Attentamente, spostò le gambe per appoggiarle a terra, testando la sua forza prima di provare ad alzarsi. Afferrando l’asta con la flebo, si fece strada verso la poltrona sedendosi sul bordo. “Tony.” Appoggiò una mano sulla sua spalla, stringendola un attimo prima si scuoterlo, leggermente. Poteva sentire i respiri erratici, e cominciò a diventare ansioso di svegliarlo. Lo scosse più forte. “Tony, svegliati!”

Tony scattò immediatamente in posizione seduta, occhi sgranati. La sua mente sembrò comprendere chi stava vedendo, ma lui si spostò e mise i piedi a terra, alzando un dito, facendo capire a Gibbs di dargli un momento.

Gibbs lo guardò cominciare a respirare più lentamente di sua volontà. Con una mano appoggiata contro la schiena di Tony, Gibbs rimase paziente sentendo gli stessi battiti del suo cuore ritornare alla normalità. Dopo un minuto circa, Tony si raddrizzò e si voltò per guardare Gibbs. Sbatté le palpebre un paio di volte, quasi a mettere in dubbio quello che stava guardando.

“Sei davvero sveglio?” Chiese, allungandosi per toccargli una spalla, quasi per verificare.

“Beh, non bevo caffè da trecentotrentasei ore. Sono sveglio quanto posso esserlo, senza averne avuto…” Sogghignò.

Tony deglutì, poi si chinò in avanti, avvolgendo le braccia attorno a Gibbs e seppellendo il viso contro la sua spalla. “Non avrei mai dovuto dubitare che tu sei Superman, Capo.” Mormorò.

Gibbs rise leggermente rispondendo all’abbraccio. “Hai lo stesso odore del mio seminterrato.” Commentò.

“Ci ho passato del tempo.” Replicò. “Sente la tua mancanza. Anche il tuo bourbon. Ma ho tenuto compagnia ad entrambi.” Si staccò da lui e fissò negli occhi il suo Capo, grato di vederci del divertimento invece di rimprovero. “Sei fortunato che non ci fosse nessuna barca da rovinare.” Sogghignò.

Gibbs sorrise ampiamente e arruffò i capelli di Tony. “Sono felice che tu abbia tenuto tutto a posto mentre non c’ero.”

“È stato un lavoraccio, Capo.” Ammise. “Sono felice che tu sia tornato…non credo che sarei stato in grado di continuare a lungo. I mal di testa da bourbon…”

Gibbs scosse la testa, roteando gli occhi, leggermente…

 

Ed ecco che Gibbs si è finalmente svegliato!!!!!!!

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Capitolo 42
*** Quella Sensazione Di Cadere ***


Gibbs stava intagliando il pezzo di legno col suo scalpello, attentamente, creando un liscio disegno circolare che aveva visionato nella sua mente. Aveva cominciato quel progetto qualche giorno fa, dopo essere tornato a casa dall’ospedale. Era qualcosa che aveva pensato di fare da qualche tempo, e visto che non aveva nient’altro segnato sulla sua lista di cose da fare, aveva cominciato quello.

Il primo giorno nel quale era sceso in seminterrato, era rimasto sorpreso dal vedere che Tony lo aveva ripulito un po’. Non che lui lo avesse lasciato in condizioni disastrose, ma non aveva passato la scopa da un bel po’, e qualche strumento era rimasto fuori posto. Anche il bourbon non sembrava diminuito dall’ultima volta, anche se sapeva che ne era stato versato qualche bicchiere.

Quello che davvero lo sorprese, tuttavia, era stata la nuova asse di legno che aveva trovato ad aspettarlo sopra il tavolo da lavoro. Era esattamente quello che aveva immaginato per il suo nuovo lavoro. Apparentemente, aveva detto qualcosa in proposito durante una delle molte cene col suo Agente Anziano. L’uomo più giovane doveva essersi assicurato che Gibbs avesse quello di cui aveva bisogno, perciò se ne era occupato mentre il suo capo era incosciente. Lo rese felice il pensiero che DiNozzo avesse avuto così tanta fiducia in un suo recupero. O, forse, speranza. Comunque sia, non aveva intenzione di lamentarsi.

Gibbs sentì il rumore di diversi passi al piano di sopra, ma non si lasciò distrarre. Solo quando sentì qualcuno che scendeva le scale, alzò gli occhi.

“Hey, Capo.” Sorrise Tony. “Sono tutti qui, se sei pronto.” Disse, appoggiandosi al muro una volta scese le scale.

“Lasciamo solo finire questa parte.” Insistette Gibbs. “Mi ci vorrà meno di un minuto.”

 Tony si scostò dal muro e si avvicinò per poter vedere cosa stava intagliando. “È incredibile quanto tu sia già riuscito a fare.” Commentò.

“Ho avuto un sacco di tempo, niente lavoro questa settimana.” Disse Gibbs, sollevando le sopracciglia senza staccare gli occhi da quello che stava facendo.

Tony passò le dita sopra il legno intagliato. “Sarà stupendo da vedere sulla cappa.”

Gibbs alzò gli occhi, allora. “Mi blocchi la luce, DiNozzo.”

“Scusa, Capo.” Indietreggiò di un passo.

“Grazie.”

Tony non sapeva se lo stava ringraziando per essersi spostato o per il complimento. “Quindi uh…non hai mai detto perché ne volevi fare un altro.” Disse. “Quello che hai di sopra, adesso, sembra a posto.”

“Ha dei buchi.” Disse Gibbs, finendo la piccola curva alla quale stava lavorando. Mise giù lo scalpello e si tolse gli occhiali.

“Non l’avevo notato.” Replicò Tony.

“Allora, che c’è per cena?” Gibbs cambiò discorso.

Cambio di discorso che avvenne con successo perché gli occhi di Tony si illuminarono mentre si spostava verso le scale. “Non ne sono sicuro! Ziva ha preparato qualcosa. Ha un buon odore, qualunque cosa sia.” Gli disse stando alle spalle di Gibbs mentre salivano le scale. Gibbs non aveva problemi a camminare. Ma dal suo recupero, aveva avuto qualche problema a coordinarsi quando saliva o scendeva le scale. A quanto pareva, i suoi piedi non volevano saperne di seguire le sue intenzioni. L’avevano scoperto a loro spese, la prima sera a casa…

Gibbs era al piano di sopra in bagno, a vestirsi dopo una doccia che non vedeva l’ora di farsi da quando era stato dimesso dall’ospedale. Sentì qualcuno bussare alla porta al piano di sotto e Tony che andava a vedere chi era, probabilmente si trattava del ragazzo delle consegne.

Si sbrigò a vestirsi. Il pensiero di poter mangiare della pizza lo rese affamato, improvvisamente. Dopo aver speso tutto quel tempo a mangiare solo cibo da ospedale, non vedeva l’ora di poter ingerire qualcosa di normale. Doveva essere così che si sentiva Tony, decise, ogni volta che mangiava della pizza. Ogni volta.

Gibbs finì di vestirsi e uscì dal bagno dirigendosi verso le scale. Adesso poteva sentire il profumo della pizza.

“La cena è pronta, Capo!”Gridò Tony dalla cucina. Gibbs poté sentire il rumore dei piatti che venivano tirati fuori dalla credenza mentre cominciava a scendere gli scalini.

Ma qualcosa improvvisamente gli fece abbassare lo sguardo sui suoi piedi. Saliva e scendeva le scale da quando aveva cominciato a camminare; gli sembrava di aver fatto abbastanza esperienza e di non  avere bisogno di fermarsi a pensare a cosa fare. Eppure eccolo là, a guardarsi i piedi come se non fossero stati parte del suo corpo, e non fossero stati collegati al suo cervello.

Per quanto avesse provato a correggere il movimento del suo piede, guardò come in realtà stava inciampando. La familiare sensazione di stare cadendo, improvvisamente lo pervase facendogli afferrare il corrimano. Tutto quello che ottenne con quel gesto tuttavia, fu semplicemente modificare l’angolatura con la quale stava cadendo. Il che, a pensarci bene, fu un bene…

Con un grugnito, il corpo di Gibbs si contorse e piombò a terra da metà scala, accasciandosi a terra.

“Oh mio Dio…Capo!” Tony corse talmente tanto veloce che Gibbs temette potesse farsi del male.

“Sto bene, DiNozzo.” Grugnì Gibbs.

“Sei appena caduto dalle scale!” Tony era inginocchiato accanto a lui; le mani che gli tastavano il corpo, in cerca di ferite. “Hai battuto la testa?”

“No. Ho preso un colpo alla spalla contro il corrimano; ho battuto il sedere un paio di volte…” Lo rassicurò. Ma Tony continuò la sua ispezione, e Gibbs sentì il leggero tremore che percorreva le mani dell’Agente. Afferrò il polso di Tony. “Sto bene, Tony.” Tony lo guardò negli occhi. “Non ho battuto la testa. Adesso, aiutami ad alzarmi. Ho fame e quella pizza ha un profumo maledettamente buono…”

 

Eccovi un altro capitolo! Fatemi sapere se ho commesso qualche errore perchè non ho potuto rileggere!

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Capitolo 43
*** Camminare Fino A Casa ***


“La cena è stata magnifica, Ziver.” Disse Gibbs aiutando a sparecchiare. “Grazie.”

“È stato un piacere, Gibbs.” Lei gli sorrise prendendogli di mano il piatto vuoto.

“Ah, sì, concordo.” Intervenne Ducky aiutandola. “Forse l’unico vantaggio garantito quando uno di voi due si ritrova in un qualche modo a dover andare in ospedale…è che ci ritroviamo tutti a mangiare insieme.” Ridacchiò.

“Per me non c’è stata nessuna cena quando sono stato attaccato da Jethro.” Obiettò McGee dal suo posto davanti al lavandino, dove asciugava i piatti che gli venivano passati da Tony e Abby, che li lavavano.

“Aw, Timmy.” Chiosò Abby. “Non preoccuparti! Organizzeremo una cena anche per te.”

“Sì, Timmy,” disse Tony con voce scherzosa “Ti porterò anche un regalino.”

“Ah, ah, Tony.” McGee roteò gli occhi appoggiando un piatto asciugato sul bancone.

“Basta scherzare.” Scattò Ziva, anche se a cuor leggero. “La cena era per tutti noi. Tutti siamo stati feriti nel corso dell’ultimo caso, se c’è bisogno che ve lo ricordi. Beh, a parte Abby e Ducky, ovviamente…ma sono rimasti per supporto, non è vero?” Guardò i due menzionati.

“Precisamente.” Replicò Ducky. “E tutti stanno recuperando egregiamente. Anthony è quasi ritornato a lavorare sul campo. Jethro, presumo, sta quasi abbastanza bene da poter tornare a fare lavoro d’ufficio…” Guardò il suo amico per avere conferme.

Gibbs scosse le spalle.

“Stavo pensando di portarlo con me a correre, più tardi.” Disse Tony, voltandosi asciugandosi le mani. “Te la senti, Capo?” Gibbs chinò il capo pensando. “So che credi ancora di potermi battere, Capo…magari ora siamo alla pari.” Lo sfidò.

“Può darsi.” Sogghignò Gibbs.

“Non sapevo che Leroy Jethro Gibbs gettasse la spugna così in fretta…” Tony sollevò le sopracciglia. Ormai, l’attenzione di tutti era rivolta alla conversazione, anche se tutti facevano finta di non stare ascoltando con grande maestria.

“Chi è che sta gettando la spugna?”

“Nessuno, Capo!” Difese Tony, alzando le mani.

“Sono piuttosto sicura che sia stato tu a dirlo, Tony.” Intervenne Ziva.

“Ho detto che non mi sembrava il tipo da farlo!”

“Cosa ottengo, se vinco?” Chiese Gibbs.

Tony riportò lo sguardo sul suo capo. “Non è una gara!”

“A me pareva che tu avessi detto qualcosa a proposito di una sfida, Tony.” Disse McGee.

“Voi siete delle infide spie.” Sibilò Tony.

“Aw, avanti, Tony!” Abby saltellò voltandosi a guardarlo. “Quali sono i premi? Se non ce ne sono, mi offro per crearne!”

“Se io vincerò,” disse Tony velocemente, prima che Abby potesse pensare a qualcosa di incredibilmente imbarazzante per tutti “allora otterrò un biglietto ‘evita-scappellotto’.”

“Oo! Posso farlo io il biglietto!” Saltellò Abby eccitata.

“Sembra quasi che tu creda che sarà DiNozzo a vincere.” Gibbs la guardò con le sopracciglia alzate.

Lei si immobilizzò, gli occhi sgranati. “Non…non è quello che volevo dire, per niente, Gibbs! Giuro! Volevo solo di-”

“Se vincerò io” la interruppe Gibbs guardando Tony “tu continuerai a fare lavoro d’ufficio per un’altra settimana, qualsiasi sia il verdetto del medico.”

Tony lo guardò incredulo. “Non è giusto, Capo!”

“Sembra che pensi che perderai, DiNozzo.” Gibbs lo guardò divertito.

“Io…tu…” Tony balbettò imbarazzato e incredulo dinnanzi all’accusa appena mossagli contro. “Bene! Sfida accettata.” Concesse. “Ma non mi tratterrò…”

“Stavi pensando di lasciarmi vincere, prima?” Gibbs non riuscì a trattenere un sorrisetto.

Tony sorrise, allora. “Fai tanto il grande, Capo. Spero tu abbia delle scarpe da corsa.”

                                                                                                                             11 00 11 00 11

“Contavi di farmi stancare mandandomi di sopra a prenderti le scarpe?” Tony inarcò un sopracciglio mentre i due continuavano a correre lungo il viale.

“Non starai già pensando di arrenderti, vero?” Sogghignò Gibbs.

“Non è quello che ho detto.” Rise brevemente. “Ti ho chiesto se era un tuo piano…perché altrimenti era un piano davvero pessimo, ecco.”

Gibbs rise alla sua maniera. “Non era un mio piano.” Mi serviva che tu andassi di sopra in caso io non ce l’avessi fatta…

“Va bene. Beh, siamo già a un miglio. Vuoi girarti, o andiamo avanti?”

“Se vuoi girarti, sentiti libero di farlo.”

“Non è quello che ho chiesto! Smetti di rigirare le mie parole!” Si arrabbiò per finta. Gibbs sorrise mentre continuavano a correre. Qualche minuto dopo, parlò di nuovo. “Ti rendi conto vero che prima o poi dovremo tornare a casa?”

“Mi hai detto che la scorsa settimana tu e McGee avete corso per due miglia. Ci siamo arrivati, ora. Devi voltarti, Tony, dillo e basta. Non ti renderò la vita un inferno.”

“Non ho intenzione di fare lavoro d’ufficio per un’altra settimana.” Ritorse Tony. “Non mi interessa se finirà con io che vomito sopra le mie scarpe; non ti lascerò vincere.”

“Nessuno sta lasciando vincere qualcuno.”

“Lo sai cosa intendevo.”

“Sì. Lo so.” Sorrise…

*~.~*

Quando arrivarono a due miglia e mezza decisero, di comune accordo, di voltarsi mantenendo lo stesso ritmo. Da qualche parte attorno al miglio e mezzo di ritorno, entrambi si ritrovarono madidi di sudore e senza fiato al punta da aver rallentato, trovandosi ad andare a sbattere l’uno contro l’altro mentre barcollavano tendendo di correre in linea retta.

“Smetti di…tagliarmi la strada, DiNozzo.”

“Non ti sto…tagliando la strada…Sei tu che…tagli la mia…”

“Non è vero…sei tu che…barcolli…

“Penso che forse…stiamo entrambi…barcollando un po’…”

“Ti serve una pausa?”

“…No. A te?”

“No…”

Dopo un altro minuto si scontrarono di nuovo, e Tony quasi cadde a terra.

“Credo che…ti serva una pausa.” Gli disse Gibbs.

“No…mi hai quasi…mandato a terra. Chiaramente…sei tu quello…che ha bisogno di una pausa…Capo…”

“Stai ansimando…” Gli disse Gibbs. “Ti serve una pausa.”

“Non sto…ansimando…” Tossì. “Sono solo…senza fiato…come te.”

“Vuoi chiamarla…tregua?”

“Dai forfeit?”  La voce di Tony si alzò di un’ottava.

“No. Sto solo offrendo…una tregua. Penso che…entrambi potremmo aver bisogno di…un inalatore.”

“Stai cercando di…imbrogliarmi per farmi…perdere?”

“Non lo farei.”

“Non ne sono sicuro…”

“Non sto…cercando di…imbrogliarti, DiNozzo.”

“La tregua che significa…per la scommessa? Dobbiamo entrambi…fare quello che avevamo scommesso?”

“Non facciamo niente entrambi…La scommessa non vale se c’è la tregua.”

“Prometti?”

“Non mi serve promettere…l’ho detto. Non dico cose…in cui non credo.”

“Bene…Ti vincolo alle tue parole…Allora…quando ci fermiamo?”

“Quando sei pronto…”

“Okay…pronto? Tre…due…uno…ora.” Entrambi rallentarono fino a fermarsi, chinandosi appoggiando le mani alle ginocchia per riprendere fiato. Passarono un paio di minuti prima che Tony ricominciasse a parlare. “Mi siederei, se pensassi di essere in grado di rialzarmi.”

“C’è una panchina là avanti.” Suggerì Gibbs.

Tony si raddrizzò e guardò avanti, localizzando la panchina appena menzionata. “Mi porti lì?”

Gibbs rise brevemente. “Avanti, Tony.” Disse cominciando a camminare. “Possiamo camminare fin lì.”

“Sì, sì…” Seguì Gibbs verso la panchina. “Quali credi che siano le possibilità di ritrovarsi in un inseguimento a piedi, in un prossimo futuro?”

Gibbs scosse le spalle facendo per sedersi. “Probabilmente le stesse di dover salire le scale.” Lanciò un’occhiata all’Agente più giovane.

“Non sei più caduto da quella volta.”

“La prima volta sono caduto solo perché non ero preparato.”

“Il che significa che probabilmente non avrai altri problemi.”

“Vuole dire solo che non cadrò. Sono ancora inquieto al riguardo.” Ammise Gibbs.

Tony rimase sorpreso dalla confessione, e lo guardò con simpatia. “Dato che è l’unica cosa che potrebbe disturbarti, direi che te la stai cavando dannatamente bene, Gibbs.” Gli disse. “E poi riesci sempre a riprenderti. So che non hai bisogno di un discorso d’incoraggiamento, ma seriamente…”

Gibbs si voltò verso di lui con le sopracciglia alzate. “E tu hai appena corso il doppio della distanza massima alla quale eri arrivato, sin da quando hai avuto l’avvelenamento da botulismo. Direi che entrambi siamo sulla buona strada per riprenderci.”

Le labbra di Tony si sollevarono leggermente ai lati. “Parlando di ritornare…dobbiamo fare un altro miglio prima di tornare a casa tua. Io, personalmente, voto per rimanere qui a dormire, su questa panchina, stanotte.”

“Sì, beh,” grugnì Gibbs alzandosi “goditi la tua panchina, DiNozzo. Io cammino fino a casa.”

“Stavo scherzando!”

 

E questo miei cari lettori era l'ultimo capitolo. Eh sì, siamo arrivati alla fine anche di questa storia! Ma non sarà di certo l'ultima! No, perchè, dopo un periodo di spero ben meritato riposo, ho intenzione di tradurre un'altra storia di questa autrice dal titolo 'Fear?.

Come ultima cosa voglio ringraziare profondamente tutti coloro che hanno seguito questa storia mettendola fra le preferite, le ricordate o le seguite, siete davvero incredibili! Un ringraziamento speciale va a tutti coloro che hanno deciso di lasciare un commento per questa povera traduttrice XD Non so che farei senza di voi...davvero.

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