Ho sognato la felicità

di eldarion
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Anima nera ***
Capitolo 2: *** la sola speranza ***
Capitolo 3: *** La tela del ragno ***
Capitolo 4: *** Due ragazze molto diverse ***
Capitolo 5: *** Nascondersi ***
Capitolo 6: *** Moby Dick, le Stelle e la Luna ***
Capitolo 7: *** A piedi nudi sulla sabbia ***
Capitolo 8: *** l'ultimo mio giorno ***
Capitolo 9: *** Scegli me ***
Capitolo 10: *** la voce del cuore, la voce nel vento ***
Capitolo 11: *** Prima di dirti addio ***
Capitolo 12: *** Con tutto il cuore ***
Capitolo 13: *** Sei tu ***
Capitolo 14: *** Una nuova felicità ***
Capitolo 15: *** Avere tutto, lasciare tutto ***
Capitolo 16: *** Rincorrendo la felicità ***
Capitolo 17: *** Solo un segno sulla pelle ***
Capitolo 18: *** Senza ombre ***
Capitolo 19: *** Inchiostro e fogli di carta ***
Capitolo 20: *** Il dialogo dei cuori ***
Capitolo 21: *** Sfumature ***
Capitolo 22: *** Ritorno a casa ***
Capitolo 23: *** Arrivederci, addio ***
Capitolo 24: *** Incontrarsi nei sogni ***
Capitolo 25: *** Come aquiloni ***
Capitolo 26: *** Solo il vento lo sa ***



Capitolo 1
*** Anima nera ***


I personaggi non sono miei, appartengono a Yoichi Takahashi.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.
Note personali: non amo scrivere storie con più di un capitolo, perchè ho poca pazienza, ma ho voluto tentare. E’ una specie di sfida e spero di fare un buon lavoro!
Ringrazio coloro che dedicheranno del tempo alla lettura della mia storia e coloro che avranno la pazienza di recensirla.
Buona lettura!
 

Anima nera

 
"Ti senti strana Sanae?...Dormi, dormi... Ho messo del sonnifero nella tua bevanda..."
 

Così le disse, fredda, indifferente, senza intonazione...senza guardarla. Nemmeno quando Sanae, mentre si accasciava ai piedi dell'albero, le chiese in un sussurro
"Perchè?... Io ti volevo bene...eri mia amica..mia amica..."
Sanae non ebbe alcuna risposta. Anzi, la ragazza che era con lei e che l'aveva ingannata drogandola se ne andó in silenzio voltandole le spalle.

Sanae non era più un problema: nessuno l'avrebbe mai ritrovata.
Aveva ingannato la sua amica abbandonandola, dormiente, ai piedi di quel tiglio secolare.
Sanae dormiva, di un sonno pesante cui l'aveva costretta con alcuni dei suoi calmanti. La lasciò lì, rannicchiata tra le radici del vecchio albero che l'accoglievano come un grembo antico.
Sanae sarebbe stata come morta. Morta al mondo che conosceva ma destinata alla rinascita. Stava per rinascere in un altra realtà.
“Addio Sanae”....si congedò...
Scappò...
Mentì...
Mentì sull'accaduto dicendo che improvvisamente, nella nebbia, Sanae era sparita.

Mentì spudoratamente.
Mentí alle squadre di soccorso, mentì alla polizia, mentì agli amici, a Tsubasa, ai genitori...costruì un castello di menzogne...
 
 

..."CLACK!"...

il suono della valigia che aveva appena chiuso la risvegliò dai suoi oscuri pensieri.
Sospiró...
"che vuoi farci? Ció che è fatto è fatto..."

Si consolò ad alta voce tornando alla realtà.
Posó la valigia vicino alla porta d'ingresso e tornò nella sua stanza.
La giovane modella si sedette davanti allo specchio e prese a spazzolarsi i capelli. Era calma mentre si guardava studiandosi minuziosamente: Splendidi e setosi capelli neri, occhi scuri e profondi, un magnifico sorriso, un fisico invidiabile, una conversazione brillante, molto corteggiata. Perfetta! Si sarebbe detto...
Questa era la sua immagine allo specchio ma dentro...
Se qualcuno avesse potuto vederla dentro?
Il suo cuore era oscurato dalle ombre, dalla colpa, dall'ipocrisia.
Allungò una mano verso il suo riflesso nello specchio e chiuse gli occhi...
Tornó indietro nella memoria.
Frugava nei ricordi. Voleva ricordare. Voleva capire quando l'invidia verso Sanae avvelenó il suo cuore tanto da indurla a danneggiare l'amica.
Fermò il suo viaggio a ritroso nel tempo quando si ricordò della festa...La festa per la vittoria del World Youth. Forse fu proprio lì che cominciò tutto....
 

....Iniziò come una piacevole serata...

Ad un certo punto si ritrovó sola, in giardino, con Sanae.
Fu allora che, per la prima volta, riversò contro l' amica parole velenose, ma non voleva. Non aveva previsto di comportarsi cosí!
Erano amiche lei e Sanae, anche se a causa dei rispettivi impegni, ormai si vedevano di rado. Sanae viveva ancora in Giappone mentre lei, dopo aver intrapreso con successo la carriera di modella, viaggiava molto e passava gran parte del suo tempo a Parigi. In ogni caso si sentivano spesso e si volevano bene.
Quella sera però, qualcosa  nella giovane modella si spezzò: vedere Sanae così felice la ferì profondamente. Sapeva che lei e Tsubasa stavano ancora insieme, nonostante la lontananza, ma vederli a quella festa così uniti e innamorati la urtò. Sapere la verità e vederla con i propri occhi fu un colpo.
Aveva sempre finto di voler bene alla ragazza del capitano?
Sentì male.
Era come se dentro di lei ci fosse un'altra se stessa, a lungo intrappolata, che finalmente era uscita tumultuosamente allo scoperto dando voce alle ombre del cuore.

Una sorta di anima nera...
Un po’ gelosa di Sanae lo era sempre stata. In fondo, forse, desiderava  confessare alla giovane quell'invidia sopita che nutriva dentro al cuore.
Tacerla era solo un'ipocrisia.
Non andava orgogliosa di questi sentimenti. Pensò sinceramente che parlarne con calma all’invidiata amica l’avrebbe aiutata a sentirsi meglio. Era anche possibile che, da quella chiarificazione, la loro amicizia ne uscisse rafforzata e più salda.
Sanae avrebbe capito, era intelligente e sensibile.
Ma non ci fu un pacato confronto tra le due ragazze.
Purtroppo l’invidia si era tramutata in rancore, un rancore che esplose improvviso facendole perdere il controllo. Mossa da quell'orribile sentimento che s'ingigantiva sempre più, non confessó semplicemente i suoi contrastanti sentimenti alla ragazza del capitano ma desiderô ferirla.
Non sapeva come ci si trovó, ma dopo aver detto a Sanae, in modo del tutto innocente e senza secondi fini, che era contenta di vederla così felice, il discorso prese una piega inaspettata...
La giovane modella guardò l'amica con sufficienza e poi esclamò  “So che Tsubasa ha ricevuto molte offerte in Europa..."
Sanae annuì, ma notò una strana intonazione nella voce della ragazza.
Non disse comunque nulla perchè la sua interlocutrice continuò quasi malevolmente compiaciuta.

“State ancora insieme ma credi che durerà?...in fondo...non ti ha chiesto di andare con lui...Perchè non l’ha fatto vero?” rimarcò.
Sanae era impietrita, non riuscì a replicare e...no, Tsubasa non gliel’aveva chiesto. Non avevano ancora parlato del futuro. Sanae se ne rese improvvisamente conto: il capitano, in effetti, lontano, e tutto preso dal suo desiderio di diventare professionista non aveva mai parlato del loro futuro insieme. L’amica aveva fatto centro!
Sanae ebbe improvvisamente paura.
“Mia cara Sanae vedo che cominci a intuire: i calciatori non sposano le maestre d’asilo! Tsubasa può avere tutte le ragazze che vuole, modelle, attrici...Lui non appartiene più al tuo mondo. Probabilmente ha già capito che può avere molto di più dalla vita...tu cosa puoi offrirgli?...Solo il tuo amore..."
“Ti sembra poco?” ribattè spontanea Sanae mentre ricacciava le lacrime: perchè le diceva quelle cose? Si sbagliava, lui era sincero, non era cambiato, la amava! Si fece forza e aggiunse “In ogni caso Ti sbagli! Tsubasa non è una persona così vuota e meschina.”
Ma la modella sembrava ben convinta delle sue parole e rincarò la dose “Forse...ma il successo cambia le persone, le cambia, è così e basta! Non puoi farci nulla...Lui ormai fa parte dell’Olimpo...lo sai cosa succede ai mortali che si innamorano degli dei?”
Troncò la discussione.
Voltò le spalle e lasciò il giardino.
Sanae, attonita, non rininciò a controbattere, lei credeva in Tsubasa.
“ti sbagli su di Lui. Lui mi ama, è sincero e leale...io lo conosco! Non so perchè mi dici tutto questo ma, su una cosa hai ragione, è vero che il successo cambia le persone o almeno, ha cambiato te: tu vivi in un mondo effimero, di latta e lustrini...Ma tu non vivi veramente, non sei felice, la tua è solo apparenza!"
La modella trasalì ma, imperterrita, raggiunse la sala del rinfresco. Non appena varcò la soglia del locale si pentì.  Doveva scusarsi. Come aveva potuto rovesciare su Sanae tutte quelle cattiverie. Si voltò di scatto per tornare in giardino ma si fermò.
Il morso della gelosia la trattenne.

Tsubasa aveva raggiunto la sua ragazza e, senza dare troppo nell’occhio, la stava spingendo verso una delle uscite. Perchè mai lui la portava via così, di soppiatto?
Di colpo la modella sperò: forse le parole pronunciate poco prima contro Sanae si sarebbero presto avverate. Tsubasa se ne andava dalla festa per stare solo con la sua ragazza. Magari doveva dirle qualcosa d'importante, subito.  Magari il giovane calciatore avrebbe lasciato la sua Sanae quella sera stessa!

Sorrise malevola al pensiero.
Sbagliò!
Lo scoprì pochi giorni dopo...
I vecchi giocatori della New team e le managers si rividero qualche giorno più tardi per una nostalgica partita al campetto che li aveva visti divertirsi da bambini e...
Al dito di Sanae splendeva un magnifico anello: Tsubasa le aveva chiesto di sposarlo.
Sì!
La sposava, sposava Sanae, la voleva con sè per sempre.
Dopo quella partitella Sanae non si fece più sentire.
Non sapeva spiegarselo ma l’amica le mancava, si era comportata male, a dir poco. Tuttavia non aveva il coraggio di prendere il telefono e, con umiltà, scusarsi. E c’era dell’altro: temeva di perdere nuovamente il controllo.
La sua anima nera stava in agguato, ne era certa, certissima.
Essa traeva linfa dalle ombre del suo cuore.Le ombre di un amore non corrisposto, di un amore che ancora voleva ma che non poteva avere. Non aveva  voltato pagina, non aveva dimenticato. Eppure lei e Sanae erano diventate amiche. Ai tempi della scuola, avevano finito con l’avvicinarsi sinceramente. Ma... l’invidia insidiosa e tacita, crebbe inesorabile. Non ne era felice, non le piaceva ciò che provava e si rimproverava sempre chiedendosi perchè non riusciva a togliersi dalla mente quegli orribili pensieri.
Spesso urlava contro se stessa ....”io le voglio bene, le voglio bene,  BENE, BENE...hai capito?!...”
Presa da questi sentimenti opposti, finiva col piangere. Non erano lacrime liberatorie, erano amare e si facevano sempre più salate mentre si guardava dentro confessando a se stessa...

 " Io vorrei volerle bene ma...adesso si sposano, si sposano e saranno felici...pensare che potevo esserci io al posto di Sanae, ero convinta che tra loro non sarebbe durata. E’ proprio questa mia convinzione che mi ha rovinata! Non era affatto un fuoco di paglia come credevo...Chissà, forse posso ancora conquistarlo, non tutto è perduto: lui non ha ancora detto SI’ sull’altare!"
Ed ecco...
il viaggio nei ricordi giunse al ricordo più amaro: di lì a poco rivide Sanae...
Era decisa a riappacificarsi con lei. La breve vacanza con gli amici della New team le era sembrata una buona occasione. Nelle idee del gruppo si trattava di una specie di addio al celibato e addio al nubilato per Tsubasa e Sanae che, al ritorno dal soggiorno montano, si sarebbero sposati. Sembrava l'occasione perfetta per appianare l’attrito. Inoltre, la giovane modella aveva un lavoro che amava e la divertiva. Ciò le era d'aiuto nel superare tutti gli oscuri ricordi, la gelosia e la frustrazione. Era felice e pensó anche che avrebbe potuto incontrare  qualcuno che che l'avrebbe amata con tutto il cuore come era capitato a Sanae!
Ma...
Esattamente come accadde alla festa per la vittoria, la vacanza prese una piega diversa, tragica...
Ripensando a quei momenti si morse il labbro.
Non era andata affatto bene con Sanae.  L'anima nera, incontrollabile, prese il Sopravvento e durante la vacanza,  appena ebbe l'occasione, abbandonó i buoni propositi e si liberò dell’amica-rivale...
 
 

“DRINNNNNNN”

Stridulo, il suono del citofono interruppe il terribile viaggio nel passato. Era il portiere: il taxi che aveva chiamato l'attendeva di sotto.

Si alzò, prese il suo bagaglio a mano e scese.
Il  tassista aprí la portiera per farla accomodare.
Salì.
Sul sedile un giornale malconcio, abbandonato da chissá quanto tempo, parlava di Tsubasa e Sanae.
"La grande promessa del calcio Tsubasa Ozora sta per sposarsi con il suo primo amore. Una ragazza semplice, conosciuta sui banchi di scuola."
Questo titolo campeggiava sulla prima pagina della vecchia rivista.

Sospirò e poi commentò, infastidita
“No mio caro... Non è andata proprio così!... Ora tocca a me!"
Parlò a voce alta sbattendo il giornale più in là.
"Come dice?!" chiese di rimando il tassista.
"ehh... No niente...mi porti all'aeroporto!" rispose imbarazzata: adesso parlava anche da sola!
Mentre rigirava il cellulare tra le dita rimuginava ...
"coraggio, ora vai fino in fondo. Finisci ciò che hai cominciato... È il tuo momento, è il tuo momento..."
 
Continua...
 
 
 
N.B.
Lo spunto per questa storia mi è stato offerto da una novella tedesca “Germelshausen” scritta da Friedrich Gerstacker. Questa storia, nel 1954, ispirò un musical della MGM “Brigadoon”. Dal musical, Vincent Minnelli, trasse l’omonimofilm. Fu il suo primo film girato in Cinemascope. 

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Capitolo 2
*** la sola speranza ***


I personaggi non sono miei, appartengono a Yoichi Takahashi.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.
Note personali: non amo scrivere storie con più di un capitolo, perchè ho poca pazienza, ma ho voluto tentare. E’ una specie di sfida e spero di fare un buon lavoro!
Ringrazio coloro che dedicheranno del tempo alla lettura della mia storia e coloro che avranno la pazienza di recensirla.
Buona lettura!
 

La sola speranza
 

Rideva felice, sereno.
Correva nel prato. Le preoccupazioni e i brutti pensieri erano svaniti.
"Tsubasa!...Tsubasa!...Eccovi. Vi ho trovati..."
Sanae lo chiamava allegra mentre, correndo, lo raggiungeva. Lui era fermo e teneva per mano un bambino. Lo sollevava per farlo volteggiare nell'aria e rideva. Rideva abbracciando il bambino e Sanae.
Sanae, il bambino, lui e l'acqua del ruscello che scorreva placida. Erano felici, insieme, tutti e tre...
 
 

   ...La luce del sole faceva capolino dalla finestra...

   Si svegliò tranquillo. Si alzó deciso, senza perdere tempo. Fece una doccia e si preparó la colazione.
Era rilassato.
Quel sogno, ormai ricorrente, non lo angosciava. Anzi, tutt’altro: veniva a consolarlo quasi ogni notte.
Strano: lui non sognava mai!
O meglio, se sognava, non ricordava nulla una volta sveglio e cosciente.
Sanae lo prendeva in giro per questo: lei sognava spesso e gli raccontava sempre ogni suo sogno. Alcuni erano veramente inverosimili. Sognava a colori, in bianco e nero, persino a cartoni animati certe volte!...Rise tra sè, ripensando a quel lato della sua compagna. Chissà come avrebbe interpretato quel sogno?
Era particolare, sembrava vero, sembrava proprio di stare là, in quella radura. Sentiva anche il profumo del prato e il profumo di Sanae. Quell'aroma che ti pervade e ti avvolge quando passi la giornata all'aria aperta, al sole. La scena era sempre più o meno la stessa. Ogni volta che arrivava il momento di svegliarsi, si sentiva come risucchiato. Una forza estranea e incontrollabile lo ricacciava, controvoglia, dentro il suo corpo, a Barcellona. Era una sensazione stranissima e mai vissuta prima.
Si svegliava sempre con un grande senso di pace. Anche se, ogni  risveglio, era accompagnato dall’amarezza di ritrovarsi solo nel letto della sua casa.
Nonostante tutto, quelle immagini oniriche lo rendevano fiducioso nel futuro. Non tutto era perduto. Probabilmente era solo una sua illusione ma si convinse che quel sogno fosse un messaggio, un segno: non doveva arrendersi, non doveva perdere la speranza.
Sanae era viva, si trovava in quel luogo, e lui l'avrebbe raggiunta per riunirsi a lei e riportarla a casa. Lei lo aveva sempre aspettato, aveva fatto mille rinunce per lui. Glielo doveva, e poi... Sì... Poi c'era quel bimbo e lui lo voleva. Voleva quel futuro, lo voleva a tutti i costi, lo desiderava disperatamente.
Quel sogno rendeva il suo cuore gonfio di speranza: lei era viva, da qualche parte ed era lei il suo destino...Solo lei!
Nessuno credeva più che sarebbe tornata o che sarebbe stata ritrovata, ma a lui non importava.
Sanae era scomparsa senza lasciare traccia. Mesi di meticolose ricerche non avevano prodotto alcun risultato apprezzabile. La ragazza sembrava essere stata inghiottita dal nulla. Tuttavia Tsubasa, nel suo cuore, sapeva che lei lo amava e se non tornava da lui doveva esserci un valido motivo.
Quel sogno, del quale non poteva certo parlare agli amici, ne era la conferma.
Il detective che dirigeva le ricerche aveva torto. Torto marcio quando, fin dall'inizio, asserì...
 "...Dunque...La sua fidanzata era nel bosco insieme alle amiche. Improvvisamente si è alzata la nebbia e la sua ragazza non è stata più vista... Mmhh...Vi dovevate sposare vero?...Magari non era convinta e non ha avuto il coraggio di... Bhe!...Non le ha detto proprio tutto...Sono cose che capitano sa..."
Tsubasa aveva risposto a tono e visibilmente accalorato "Che cosa vuole insinuare? Non la insulti, non la conosce neanche! Sanae mi ama, vuole sposarmi e non ho ragioni per dubitarne!"...
In quel momento gli sembró che quell'investigatore avesse tratto le sue brave conclusioni senza badare troppo ai fatti. Come avrebbe condotto le indagini uno che pensava già di aver risolto il caso?
Certo, le apparenze non aiutavano Sanae: poteva sembrare veramente una fuga la sua.
Tsubasa rimase a lungo in Giappone per seguire le ricerche. Purtroppo però, esse si dimostrarono particolarmente lunghe e infruttuose.
Il capitano, alla fine, dovette rassegnarsi a partire: non poteva più rimandare. Doveva rispettare i suoi impegni sportivi. La societá, il mister, i compagni lo avevano capito e agevolato in ogni modo ma era il momento di passare oltre, guardare avanti, con coraggio.
Ritornò a Barcellona.
Solo.
Anche per questo, il giovane calciatore affidó le ricerche a un'agenzia privata. Neanche quella via peró aveva dato risultati.
In un certo senso era come se la terra si fosse aperta per inghiottire Sanae e tutte le tracce del suo ultimo giorno in Giappone.
Quella spensierata settimana in montagna, organizzata dagli amici subito prima del Matrimonio, si era tramutata in una tragedia.
Era solo il secondo giorno di soggiorno nella località montana quando a Tsubasa crollò il mondo addosso. Quella mattina non poteva immaginare la piega catastrofica che gli eventi avrebbero preso. Pareva una frizzante mattinata, piena di sole e di cose belle per lui, Sanae e tutti gli altri.
La sua "manager" si comportava come al solito, verso di lui e verso gli altri. Sanae non era capace di nascondere i propri sentimenti, era una specie di libro aperto, se avesse avuto l'intenzione di tradirlo e abbandonarlo se ne sarebbe accorto.
Si salutarono: lui andava a pescare con i ragazzi mentre lei e le altre pensavano alla legna per il fuoco...Pesce alla brace!...Questo era il menù per la serata.
Fu l'ultima volta che la vide.
Di lì a poche ore di lei non seppe più nulla, non rimase che un ricordo. Il suo saluto, il suo bacio, il suo sorriso... Non avrebbe mai dimenticato l'ultima immagine di lei che si allontanava con le altre.
E pensare che avrebbe voluto chiederle di lasciar perdere la legna per stare con lui. Tsubasa non era molto bravo a pescare, Sanae, al contrario, era molto abile nella pesca. Lei avrebbe pescato sicuramente qualcosa e lui avrebbe goduto della sua piacevole presenza. Tuttavia, non le chiese nulla. In fondo, pensò, stavano per sposarsi: avrebbero avuto molto tempo da condividere, avevano davanti tutta la vita!
Si maledisse per aver taciuto.
Tutto ciò che venne fuori dalle deposizioni delle ragazze che erano con Sanae non fu molto d'aiuto per risolvere l'enigma della scomparsa.
Yukari era disperata per non essere stata accanto all'amica con la dovuta attenzione, ma anche lei diede una versione simile a quella delle altre. Tutte asserivano la stessa cosa: furono sorprese da una nebbia improvvisa e finirono col perdersi l'un l'altra...Perchè proprio Sanae era sparita?...Proprio solo Sanae...
Il giovane calciatore, suo malgrado, si ritrovò improvvisamente proiettato in una di quelle situazioni che capitano agli altri, quelle cose che senti in televisione ma, di fatto, non ti riguardano. Provi pena per chi ne è coinvolto, certo, ma sei lontano, protetto e circondato dalle persone che ami.
Non sei tu, non sono loro a fare notizia.
Questa volta però non stava guardando la televisione, questa volta doveva lottare per riabbracciare Sanae.
Tsubasa aveva la speranza.
La sola speranza.
Sarebbe impazzito senza di essa.
Era quella che lo aiutava ad andare avanti. Continuava a fare progetti, a inseguire il suo sogno, il suo sogno di bambino. Lottava, per sè e per Sanae. Non avrebbe rinunciato a cercarla e non avrebbe rinunciato al suo  desiderio di giocare a calcio.
Anego, ovunque fosse, sarebbe stata orgogliosa del suo capitano e, quando si fossero ritrovati, lei non sarebbe rimasta delusa. Che cosa avrebbe detto la sua Sanae se, tornando, lo avesse ritrovato demotivato, seduto su una sedia a commiserarsi? Lo avrebbe rimproverato.
Lei era lontana, chissà dove, ma lui doveva vivere e sperare!
Decise di vivere, sperare e sognare come se Sanae stesse per tornare da un momento all'altro. Del resto, non poteva escludere che fosse proprio così.
Era viva, ne era certo e, comunque, non c'erano prove del contrario.
Naturalmente i primi tempi non fu facile.
La casa di Barcellona l'aveva arredata insieme a Sanae. C'erano già tutte le sue cose: si sarebbero sposati entro poco e quindi avevano deciso di vivere insieme i pochi mesi che li separavano dalla fatidica data. Era la cosa più pratica: sarebbe stato più semplice per la ragazza sistemarsi e abituarsi alla vita nella città spagnola.
Tutto gli parlava di lei.
Era triste tornare a casa e non trovarla. Si buttó con tutte le sue forze nel calcio.
Aveva esordito dietro le punte giocando nella squadra B. Fu un duro colpo ma non si arrese. Poi, finalmente, venne il momento di esordire in prima squadra. La sua vita era interessante, felice: poteva fare ciò che amava di più.
Non era la felicitá piena che aveva sognato con Sanae, la bellezza di poter condividere la vita con la persona che ami...Quella che ami con tutto il cuore. Tuttavia era felice.
Gran parte del merito lo doveva ai suoi piccoli amici. Tsubasa passava molto del suo tempo libero, a volte persino prima delle partite, al parco. Si divertiva giocando a calcio con Pinto e i suoi compagni. Era rilassante stare con loro. Quei bambini gli davano calore e affetto. Tutte cose che il successo professionale non dava.
Aveva trovato un suo equilibrio.
Non sopravviveva.
Viveva. Così come era giusto.
Legò particolarmente con il piccolo Pinto, il suo primo tifoso. Sapeva infondergli fiducia, un po’ come sapeva fare Sanae...Con lei al suo fianco avrebbe potuto affrontare tutto. Lei era fantastica. Non aveva la soluzione per tutto ma, in ogni situazione, sapeva cosa dire per farlo sentire meglio, per aiutarlo a combattere...Ecco...Con Pinto era un po’ così!
Era un bambino maturo e dolcissimo e anche a lui mancava Sanae.
Preso da tale confidenza aveva finito col raccontare quello strano sogno al suo piccolo amico, il quale lo lasciò con un palmo di naso quando diede la sua interpretazione...”forse Sanae ha avuto un bambino!...Mi piacerebbe conoscerlo il tuo bambino...Se è bravo a giocare a calcio come te mi divertirei un sacco! Mi lasceresti giocare con lui? Starei attento a non fargli male sai?!.."
Tsubasa sorrise senza dire nulla, un po’ a disagio, arrossì e distolse lo sguardo.
Non ne parlarono più.
Dopo le giornate con Pinto il capitano si chiedeva spesso se mai avrebbe avuto un bambino da Sanae. Come sarebbe stato avere un bambino suo?
Anche se molto giovani si erano detti che non era il caso di aspettare e così quell'idea divenne subito parte della loro vita. Era concreta nella loro mente. Ció li unì ancora di più...Purtroppo peró, Sanae scomparve e la loro vita insieme tornò ad essere un'idea astratta. Un sogno che gli faceva visita la notte. Una speranza per il futuro, solo una speranza.
Forse Pinto gli aveva dato un’altra illusione ma...Non poteva escludere che Sanae, ovunque fosse, stesse aspettando un bambino...
 

...Sentì il suono di un clacson che si avvicinava...

Tsubasa abbandonò i ricordi.
Era ora di affrontare la giornata.
Finì la sua spremuta.
Guardò l'orologio e poi guardó  fuori dalla finestra: era assediato dalle ammiratrici. Ora che non c'era Sanae poi...
Vide in lontananza l'auto che doveva portarlo agli allenamenti.
Per il resto la sua libertà era condizionata dalla massiccia presenza delle fan...Cercava di essere gentile ma distante e, per quel che poteva, le evitava.
Ed evitava, come era sempre stato, tutte le occasioni mondane. Quella vita non gli interessava, la considerava vuota, effimera, non adatta a chi decide di dedicarsi seriamente allo sport.
L'auto era ormai sotto casa, prese la borsa e uscì.

Lo accolse il vociare delle ragazze. Salì velocemente in macchina...Era ancora innamorato di Sanae.
Si sentiva come tornato bambino, quando pensava solo al calcio!
Solo Sanae gli aveva fatto capire che esisteva anche l'amore.
Solo Sanae gli aveva fatto desiderare altro.
Appena la conobbe sentì che lei era speciale: non era una ragazzina qualsiasi.
Lei ci capiva di calcio!
Inizialmente fu solo questo e poi, pian piano, fece breccia nel suo cuore.
"Anego, Anego..." mormoró.
Era arrivato.
Scese dell'auto, i compagni lo salutarono calorosamente.
Si cambió e uscì sul campo insieme alla squadra.
Una nuova giornata stava per cominciare. Respirò a pieni polmoni.
L'allenamento inizió...
"Coraggio piedi!" ...Si disse allegramente...
 
Non sapeva quanto precario fosse l'equilibrio così faticosamente raggiunto. Una distrazione, una leggerezza e....
 

Continua...
 
 

 
 

N.B.
Lo spunto per questa storia mi è stato offerto da una novella tedesca “Germelshausen” scritta da Friedrich Gerstacker. Questa storia, nel 1954, ispirò un musical della MGM “Brigadoon”. Dal musical, Vincent Minnelli, trasse l’omonimofilm. Fu il suo primo film girato in Cinemascope. 

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Capitolo 3
*** La tela del ragno ***


I personaggi non sono miei, appartengono a Yoichi Takahashi.

Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.
Note personali: non amo scrivere storie con più di un capitolo, perchè ho poca pazienza, ma ho voluto tentare. E’ una specie di sfida e spero di fare un buon lavoro!
Ringrazio coloro che dedicheranno del tempo alla lettura della mia storia e coloro che avranno la pazienza di recensirla.
Buona lettura!
 

La tela del ragno

 

L’aereo era atterrato con un’ora di ritardo.
La modella dall'esile figura corse fuori dall’aeroporto e chiamò un Taxi. Salì e con estrema fretta comunicò al conducente la sua destinazione.
Inutile, non cambiava mai!
Era in ritardo!
Per evitare tutto ciò avrebbe potuto prendere il volo prima, ma si era fatta vincere dalla pigrizia!
Il taxi si fermò.
"Tenga pure il resto!" esclamò.
Scese e si precipitó all'interno degli studi fotografici.
Non poteva peró nascondere a se stessa che, in un certo senso, le piaceva essere attesa.
Le piaceva giungere all'ultimo.
Che tutto ció facesse innervosire gli addetti ai lavori non era poi così importante: di fatto non danneggiava nessuno. Tuttavia, doveva ammettere, era una mancanza di attenzione verso gli altri e se ne rammaricava ma...Finiva tutto lì!
Per molti anni, all’inizio dell’anno, aveva costantemente espresso il proposito di migliorare questo e altri lati del suo carattere...Non vi riuscì mai, era più forte di lei! Forse non ne era convinta. Magari non si impegnava abbastanza: non è facile smussare gli angoli della propria personalità.
E così aveva smesso di fare buoni propositi, in fondo, non ce la faceva ed era stufa dei milioni di buone intenzioni lasciate perdere. L'ultima poi, l'aveva definitivamente portata alla rovina.
L'ultimo suo proposito, infatti, era far pace con Sanae e aveva fallito miseramente.
Come se non bastasse, la macabra recita cui aveva dato inizio la costrinse a guardarsi dentro per scoprire che non era poi cosí bella.
Non era facile dominare i propri istinti, le paure, i desideri, le gelosie. Era umano averne ma lei aveva perduto il controllo e con esso la battaglia con se stessa, col suo cuore. Alla felicità e al bene di Sanae e Tsubasa aveva anteposto il proprio agendo senza scrupoli, appena ne ebbe l’occasione. Certo il dolore e lo sgomento degli amici, di Tsubasa e della famiglia di Sanae non le furono indifferenti. Non andava fiera di ció che aveva fatto per dividere la coppia felice. Se avesse potuto avrebbe rimediato lì per lì, all’istante! Purtroppo non era possibile. La sola cosa da fare era buttarsi alle spalle l’errore commesso e continuare a vivere. Pensò immediatamente che non sarebbe stato facile continuare come se nulla fosse. Tuttavia, col tempo, notò che si era sbagliata: ci riusciva abbastanza bene.
Ciò poteva significare solo una cosa...Era cattiva?
Pensò che la sua anima fosse dannata.
In ogni caso aveva certamente un carattere particolare, difficilmente controllabile e comprensibile. Lei stessa faticava a capirsi. Passava dalla dolcezza totale alla rabbia capricciosa. Era un po' infantile. Era un po’ egocentrica. Tutti lati della sua personalità che la spingevano a una sorta di egoismo che l'aiutava a vivere, nonostante tutto.
“Che importa come ci sono arrivata?!...Adesso sono qui..Tsubasa se ne farà una ragione.." Pensò.
E poi era stata lei a spingere il ragazzo ad ammettere i propri sentimenti verso Sanae. Era stata lei a suggerirgli di confessare tutto il suo amore alla manager, la quale, non aspettava altro da lui!
Era stata lei!
Era stata lei!.. Immaginando che tanto, la lontananza, li avrebbe divisi distruggendo il loro amore. Invece quei due andavano d'accordo più che mai, si amavano più che mai.
Doveva fare qualcosa.
Li aveva uniti, poteva anche dividerli...E così aveva fatto!
Per qualche giorno, presa dal vortice delle riprese, dimenticò gli errori, le colpe, i desideri e tutto ciò che le tormentava l’anima. Il lavoro scacciava i fantasmi. Lo aveva sempre fatto. Le riempiva la mente e la giornata. Era una fuga...Una fuga tra persone che non la conoscevano, tra persone che non sapevano, persone che di lei vedevano solo l’immagine nelle inquadrature...Meglio così, meglio non guardarsi dentro...
Il giovane calciatore tornò prepotentemente nella sua mente quando tutta la frenesia delle riprese svanì...Era il momento di agire.
Lasciò l’Hotel.
Salì sul taxi che l’attendeva e, senza perdere tempo, disse decisa “ Mi porti a quest'indirizzo" mostrando un biglietto.
L’auto partì.
"Siamo arrivati signorina, devo aspettarla?" Chiese il conducente.
Voleva dire di sì ma rispose di no e scese portando con sè la valigia. 
L’aria era tiepida.
Si trovava in un quartiere molto verde e tranquillo. Un ampio parco circondava una palazzina di pochi piani. La si intravvedeva appena dal cancello. Suonó il campanello.
Il cancello si aprì. Entrò. Percorse l’ampio viale d’ingresso a passi veloci.
Il portone era già aperto. Lo varcò e iniziò a salire l’ampio scalone.
Sospirò.
Il cuore batteva all’impazzata.
Avrebbe giocato il tutto per tutto.
La sua rivale, Sanae, era scomparsa da mesi e lei non  aveva più visto i vecchi amici, solo poche mail, anche con Tsubasa.
"Questo lavoro a Barcellona non poteva capitare in un momemnro migliore!" Si disse soddisfatta mentre saliva lentamente le scale. "Non ho dovuto inventare nessuna scusa per presentarmi qui! Il momento è buono: non è passato troppo tempo ma neanche troppo poco e lui ora è tranquillo, fa ció che ama e con successo..."
Il suo piano era semplice.
Molto semplice, quasi banale, ma doveva stare attenta.
Tsubasa era vulnerabile ma non era uno stupido, e amava molto Sanae.
Avrebbe dovuto fare attenzione e muoversi con calma, con circospezione. Doveva agire nell'ombra, in punta di piedi e insinuarsi nella sua vita senza forzarlo troppo.
Doveva tessere la sua tela e attendere...
Lei ci sapeva fare, aveva molti corteggiatori da tenere a bada, ma era lui che voleva.
Doveva attirarlo verso di lei...”Posso farcela" si incitò, ma un 'improvviso flashback la fece dubitare: Tsubasa si era battuto con Kanda. Amava così tanto Sanae da lasciare il club e battersi per lei!
Si accorse di non essere stata poi così determinante: lui amava la manager. Voleva lei! Proprio lei!...Non ci aveva mai pensato... “Se lui la ama tanto, poco male, ci vorrà un po' più di pazienza ma la releghereà in un angolo del suo cuore. Non si puó amare qualcuno che non c'è! È come amare un'ombra, un fantasma! No...Non è possibile, non per sempre!”  
I suoi passi si facevano sempre più lenti e incerti.
Non aveva la più pallida idea di cosa gli avrebbe detto per convincerlo.
Fu presa dall'ansia: non voleva tornare a casa e non voleva tornare in albergo...ripensandoci...non aveva nemmeno fermato la stanza...Che sciocca!
Poi ebbe un lampo...
Yukari e Ryo erano stati a trovare Tsubasa, anche Taro...E il capitano aveva mostrato loro la città e li aveva ospitati. Poteva tentare: Tsubasa era riservato e timido, ma era anche gentile, non avrebbe mandato via un’amica. Non si aspettava salti di gioia da parte del ragazzo ma le importava poco. In qualche modo doveva pur cominciare. Si sarebbe abituato pian piano alla sua presenza. Inoltre  poteva contare sul fattore sorpresa. Lui non avrebbe avuto tempo di fare tanti ragionamenti: lei doveva solo giocare bene le sue carte!
Era arrivata.
Tsubasa l’attendeva alla porta.
"Eccomi qua!" lo salutò la ragazza mora.
Sorrideva. Sembrava una ragazzina spensierata e...Innocente.
Tsubasa non era particolarmente felice di vederla. Non era felice e non era infastidito. Non provava nulla di speciale.
Il giovane abbozzó un sorriso... "Lo vedo che sei qui...Kumiko!"
La sua voce e l’espressione del viso erano tra lo stupito e il deluso.
"Bhe!... Non mi fai entrare?!" lo rimproverò ridendo.
Tsubasa spalancò la porta... " Ah! Sì, ma certo...Scusami! Prego, accomodati " disse invitandola a farsi avanti con un gesto della mano. Poi continuó "Sono sorpreso!...Cosa ti porta qui a Barcellona?"
Kumiko rispose allegra "Sono stata qui per un servizio fotografico, ma se non avessi avuto l'occasione del lavoro avrei comunque fatto un salto a trovarti!...Così, per vedere come stavi..."
"Grazie." Rispose il capitano e non aggiunse altro.
L’accoglienza le era sembrata un po’ freddina ma Tsubasa era una persona schiva e poi gli era piombata alla porta così di sorpresa che, probabilmente, lui non aveva ancora ben realizzato la situazione...Lo osservò. Pareva sereno, se soffriva, non lo dava a vedere. Pensò che forse, tra i due, era Sanae e solo lei ad essere innamorata mentre lui si lasciava amare. “...Vedo che stai bene...” Continuò Kumiko, tanto per rompere il ghiaccio e poi, speranzosa, aggiunse “Sono qui già da una settimana ma non ho visto praticamente nulla di Barcellona...Peccato!”
Tsubasa non era per nulla loquace, si limitò a un “...Già...” sintetico e piuttosto distaccato.
 Lei non si scoraggiò affatto e continuò imperterrita, non aveva nulla da perdere....Anzi...”Yukari mi ha raccontato che sei stato una guida fantastica: potresti mostrarmi tu la città!...Nei tuoi ritagli di tempo s’intende...So anche che li hai ospitati...Non ti disturba essere così gentile anche con me, vero?"
La ragazza non gli dette tregua.
Tsubasa la trovó un po' aggressiva, ma si conoscevano da tanto tempo e non si vedevano da quell’ultima tragica vacanza.
Non osó contraddirla.
La presenza della ragazza avrebbe un po’ limitato la sua libertà ma comunque era per poco tempo, solo per la visita della città. Ricordò con piacere il periodo passato con Ryo e Yukari: erano stati dieci giorni spensierati. Non conosceva così bene Kumiko ma...Voleva e doveva essere gentile e poi...Non gli dispiaceva averla lì: forse era l’ennesima illusione ma Kumiko era stata l’ultima a vedere Sanae. Era possibile che parlando con lei potesse scoprire qualche tassello mancante, qualcosa che era stato trascurato.
Trascinato dalla speranza e dall’educazione, rispose "Certamente, non ci vediamo poi così spesso. Puoi restare. C'è una stanza per gli ospiti, te la mostro."
"D'accordo allora!" Kumiko sorrise, ma non le era sfuggita la lieve titubanza del ragazzo. Il capitano le prese la valigia, la accompagnò in camera e la lasciò sola... “Scusami! Io devo uscire. Ti lascio sola: fa come fossi a casa tua” E se ne andò. Kumiko lo osservò sparire dietro la porta che si richiudeva.
La modella si sistemò.
La casa di Tsubasa era semplice, troppo semplice per un campione, per una persona che stava diventando così famosa. Rispecchiava la sua personalità e riconobbe anche quella di Sanae. Notava un lieve tocco femminile: lei aveva trascorso lì pochi mesi ma aveva lasciato qualcosa. Piccoli particolari. Era stanca, non aveva voglia di pensare e osservare. Si accomodò sul divano nell’ampio salone e accese la TV.
Si addormentò...
Non fu un sonno ristoratore. La giovane si agitava. Sudava. Parlava. Si lamentava.
In sogno, riviveva spesso quel giorno, l’ultimo trascorso con Sanae...
La rivedeva e si rivedeva...Un po' come negli spezzoni di un film...

Era un bel pomeriggio assolato...Ecco Sanae mentre beveva quell’acqua...Poi percorrevano insieme il sentiero... Erano un po’ in ritardo...Sanae chiacchierava vivacemente domandandosi se raccontare o meno a Tsubasa e agli altri quella strana esperienza. Probabilmente le avrebbero prese per matte! ...La ricordava mentre si chiedeva cosa avessero fatto le altre durante la loro assenza...Eccole raggiungere il ruscello, dove la nebbia le aveva sorprese facendole smarrire...Poi...l'immagine di Sanae che si accasciava: il sonnifero aveva fatto effetto... Eccola di nuovo, vicina al ruscello, ai piedi di un tiglio...dormiente: dal sentiero non la si poteva scorgere, nessuno l'avrebbe trovata prima di mezzanotte. Era quasi certo...In lontananza, i rumori della festa: nessuno si sarebbe avventurato laggiù fino alla mattina dopo...Ce l'aveva fatta....Doveva solo aspettare mezzanotte!...Ed eccola, vedeva se stessa nitidamente mentre, leggera, saltava il ruscello lasciandosi Sanae e l’assolata radura alle spalle. Sul lato del ruscello dove era atterrata dopo il salto non c’era anima viva. Il buio era già calato, era già quasi mezzanotte...
Si voltò!
Non c’era più tempo.
Si era alzata di nuovo la nebbia: non si distingueva più nulla nè il ruscello, nè la radura nè il vecchio tiglio.
Le mancava il respiro.
Si guardava fuggire nel buio. Le mani tra i capelli fluenti e un ritornello nella testa "che hai fatto, che hai fatto..." 
Una folle corsa senza meta. Dove era stata? Quel luogo aveva un tempo tutto suo...Quanto era stata via?...Poi...Eccoli: Yukari e i soccorritori. Stavano cercando lei e Sanae, erano scomparse da molte ore. La menzogna..."Ho sentito Sanae gridare, correvo da lei! Da questa parte venite" li guidó portandoli fuori strada. Yukari peró l'accusava "eravate insieme, possibile? ...Era vicina a te quando non vi abbiamo più viste..." Il volto di Tsubasa era una maschera impenetrabile...Gli sguardi degli amici la scrutavano, le parole di Yukari l’accusavano... ..."Che hai fatto! Che hai fatto..." il ritornello la tormentava crudele...

Si sveglió accaldata.
Il cuore batteva.
Da quel giorno lontano non ebbe più pace. Il rimorso pungeva e pesava opprimendola. Molte delle sue notti erano popolate da sogni cupi....
”Forse non sono poi così cattiva...Una persona cattiva ha dei rimorsi?" si domandó, come faceva sempre risvegliandosi dagli incubi.
Ma qui non c’entrava solo la cattiveria. Lei continuava a tacere. Perseverava nella colpa per ottenere ció che aveva tanto desiderato...Tsubasa.
Non riusciva a lasciar perdere, non poteva. Doveva averlo, doveva andare avanti, tanto ormai Sanae non c’era più..."Stringi i denti...Qui a  Barcellona con lui ti sentirai molto meglio" si consolò e poi si giustificó... "In effetti che posso fare ora?...E poi...Sanae non è morta. Non l'ho uccisa. Ho solo fatto in modo di allontanarla da Tsubasa...Per sempre."
Ogni volta era così: si accusava e si giustificava, in un’altalena infinita.
 Tsubasa, che nel frattempo era rientrato, le porgeva gentilmente un bicchiere d'acqua..." Ti senti bene?" Chiese calmo.
"Sì grazie, era solo un brutto sogno, niente d'importante!" ma mentre rispondeva distolse lo sguardo. Gli occhi di Tsubasa erano limpidi e leali.
Niente d'importante aveva detto senza guardarlo, non osava...Non quando si parlava di Sanae.
Lei non era limpida e leale da molto, molto tempo. Da cosí tanto che aveva dimenticato la sensazione che dava, forse aveva solo sognato di esserlo.
Rabbrividì.
Cosa avrebbe visto Tsubasa nell'abisso dei suoi occhi?...
 

Continua...

 
 
 
N.B.
Lo spunto per questa storia mi è stato offerto da una novella tedesca “Germelshausen” scritta da Friedrich Gerstacker. Questa storia, nel 1954, ispirò un musical della MGM “Brigadoon”. Dal musical, Vincent Minnelli, trasse l’omonimofilm. Fu il suo primo film girato in Cinemascope.
  
 

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Capitolo 4
*** Due ragazze molto diverse ***


I personaggi non sono miei, appartengono a Yoichi Takahashi.

Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.
Note personali: non amo scrivere storie con più di un capitolo, perchè ho poca pazienza, ma ho voluto tentare. E’ una specie di sfida e spero di fare un buon lavoro!
Ringrazio coloro che dedicheranno del tempo alla lettura della mia storia e coloro che avranno la pazienza di recensirla.
Buona lettura!
  

Due ragazze molto diverse

 

Strane immagini cominciarono a defluire nel dormiveglia....
 
Tutto era privo di contorni precisi, come avvolto dalla foschia. Nel paesaggio rurale, quasi un paesaggio d'altri tempi, parole e fisionomie erano confuse e si distinguevano a fatica...
Un uomo, in lontananza, fermava il suo calesse e si dirigeva verso una ragazza che dormiva. Dormiva, sola, ai piedi di un albero. L'uomo cercava invano di svegliarla. Rassegnato, la prendeva dolcemente tra le braccia adagiandola poi sul calesse. Tornava sui suoi passi, su per la collina. Il calesse si fermava vicino a una casa semplice, una dimora di campagna immersa nel verde. L’uomo pareva chiamare qualcuno con uno strano nome...Davvero uno strano nome..."Fiona!... Fiona, cara fai presto!..." Una donna lo raggiungeva solerte esclamando sorpresa "Jervis!...Ma questa è quella ragazza straniera! Cosa fa ancora qui, è già mattina...” Lui rispondeva che non ne sapeva nulla, l’aveva solo trovata per caso e poi, preoccupato, aggiungeva "Dorme, ma non è un sonno normale: non riesco a destarla..." Fiona  accarezzava la giovane e, con disappunto, constatava che aveva la febbre. Mentre si avviavano verso una scala di pietra l'uomo spiegava... "l'ho trovata che dormiva sotto un tiglio, avrà passato la notte all'aperto e avrà preso freddo. Coraggio portiamola di sopra..." La donna sembrava molto triste e pensosa..."Oh!...Questa ragazza doveva sposarsi, la sua amica  non c'è? Come mai non sono rimaste insieme? C’era un pozzo buio e profondo dentro  gli occhi dell'altra, nessuna luce, ricordi?...Questa fanciulla  soffrirà molto al risveglio...Lo sai..." L'uomo, con un filo di voce rispondeva sconsolato "Lo so, non possiamo fare nulla, ci prenderemo cura di lei e la aiuteremo ad andare avanti...Il tempo medicherà le ferite...Tu per caso ricordi il suo nome, io non lo ricordo, forse... Forse...S..."...
 
L'angoscia procurata dalla visione o la paura di conoscere quel nome svegliarono Tsubasa. Il treno della metropolitana si era fermato ma lui non era ancora giunto a destinazione. Decise comunque di scendere, non mancava molto alla spiaggia della Barceloneta e a lui piaceva, quando si serviva dei mezzi, scendere sempre un po’ prima per fare due passi...Adesso poi doveva meditare...
Quella specie di visione non era chiara: non era riuscito a capire chi fosse la ragazza, men che meno chi fossero coloro che l'aiutavano. Riguardava Sanae? E se sì, in che modo? Purtroppo non aveva sentito il nome della giovane e nemmeno l'aveva vista bene...Il suo cuore peró gli diceva che era lei, ma dov'era? Si era svegliata? Era guarita? Cosa faceva? Era l’ennesima illusione dettata dalla speranza che fosse viva e che qualcuno si stesse prendendo cura di lei?
”Di questo passo perderò la ragione” Pensò.
Ripassó mentalmente il sogno, per fissare bene le immagini nel suo cuore: forse un giorno avrebbero acquisito un senso.
Era giunto alla spiaggia.
Kumiko lo aspettava trepidante. Agitava le braccia per salutarlo mentre gli correva incontro. Lo abbracciò schioccandogli un sonoro bacio sulla guancia.
“Ciao capitano! Grazie per avermi raggiunta qui per il pranzo, anche se è un po’ presto e poi...So bene che non ami la confusione...” Sorrideva.
Tsubasa non si scompose e tacque.
Lei continuò “...Mi piace questa spiaggia. Che bello: d'estate dev'essere piena di gente!...Ho letto che di notte qui è molto animato...Potremmo venirci...Mi ci porti?" Lo punzecchiava mentre continuava a guardarsi intorno incuriosita.
Ci era già stata parecchie altre volte lì alla spiaggia, eppure ogni volta le sembrava diversa e interessante.
Tsubasa alzò le spalle ...”Così dicono...Io non faccio vita notturna, lo sai. Ti ho portata a La Barceloneta perchè immaginavo l’avresti apprezzata e poi non è ancora estate: in maggio è meno affollata e posso apprezzarla anch’io..” Lo disse convinto, non era la spiaggia che preferiva ma era ancora vivibile.
“Comunque grazie!” Continuò lei...” Sei una guida fantastica, Yukari aveva ragione...”
Tsubasa la buttò sul ridere...“Beh!...Se mi andrà male col calcio potró sempre rifarmi con il turismo!"
Rideva ma solo per sdrammatizzare.
Ciò che conosceva di Barcellona e dei dintorni lo aveva esplorato con Sanae. Ed era più che altro frutto delle ricerche e della curiosità della sua fidanzata. Era bello ascoltarla. Sanae sapeva rendere tutto molto interessante, non era per niente noiosa e lui aveva imparato ogni cosa di Barcellona e di buona parte della Spagna grazie a lei.
C’era ancora molto da vedere insieme...Purtroppo però, gli erano rimaste solo le magnifiche parole e gli appunti di Sanae. Ogni tanto prendeva quei libri e gli appunti e, mentre li leggeva, immaginava di vedere tutte quelle cose insieme a lei. Fantasticava su quello che avrebbero fatto, su cosa si sarebbero detti, avvertiva persino le emozioni che avrebbero provato, poteva vedere distintamente le espressioni di Sanae e sentire la sua voce cristallina...
“Che fame!”...L’esclamazione squillante di Kumiko lo precipitò nuovamente nella realtà.
Condusse la ragazza verso una zona piena di locali. Ne scelse uno che sapeva essere nuovo, uno di quei locali alla moda, ultimo grido, come piacevano a Kumiko.
Entrarono.
Il cameriere li guardò e si fece loro incontro. Gli mancò il fiato quando realizzò chi aveva davanti agli occhi... “Buongiorno signor Ozora...per due vedo...Prego da questa parte: qui starete tranquilli e lontani da occhi indiscreti, lei e la sua ragazza...”
Tsubasa aveva sentito bene  e ci tenne a precisare “Grazie, io e la mia Amica staremo benissimo...”
Il cameriere lo guardò con un mezzo sorriso e sottolineò in tono allusivo “La sua amica certo...."
Tsubasa lo fulminò con gli occhi ma lasciò cadere il discorso, era inutile contraddirlo: non gli avrebbe creduto, anzi, negare poteva anche essere peggio, meglio lasciar perdere. Sperò solo che non ci fossero giornalisti, non aveva nessuna voglia di finire su una rivista in compagnia di una ragazza, anche se si trattava di Kumiko.
Odiava quando frugavano nella sua vita privata, lui voleva starsene in pace e giocare a calcio, ecco tutto...Era chiedere troppo?! Sospirò scuotendo il capo.
Kumiko, dal canto suo, rimase delusa per la precisazione di Tsubasa ma fu felice delle implicazioni romantiche che il cameriere aveva notato tra loro. Cominció a pensare che, senza rendersene ancora conto, Tsubasa aveva finito con l’assumere nei suoi confronti un’atteggiamento che poteva far pensare a un ragazzo innamorato.
La sua fantasia voló sulle ali dell’entusiasmo e il pranzo passó piacevolmente parlando del più e del meno.
Kumiko lasciò Tsubasa per raggiungere il suo agente e il ragazzo si diresse verso casa. Aveva qualche giorno di libertà ed era un po' teso.
Non gli era mai capitato di sentirsi così.
Appena varcata la soglia dell'appartamento puntò immediatamente verso la sua stanza.  Aprì la porta e si guardò intorno: tutto era immobile e silenzioso. Entró. Prese una foto incorniciata che era sul mobile e rimase lì a fissarla, in piedi, assorto...
"Accidenti che situazione!"  
Si rimproverò mentre guardava la foto che lo ritraeva insieme a Sanae.
Nemmeno lui sapeva come aveva fatto a farcisi trascinare.
Kumiko stava ancora lì da lui.
Le aveva mostrato la città nei ritagli di tempo, come aveva promesso. Lei ne era rimasta entusiasta. Soprattutto l’aveva estasiata andare su e giù per le Ramblas e dentro e fuori dai negozi. La sua ospite adorava lo shopping, anche Sanae, ma kumiko lo amava in maniera spasmodica, sembrava una droga per lei.
Era stato divertente e diverso, ma un po' frenetico, quella frenesia che lui non amava troppo.
Le aveva mostrato  tutto ció che conosceva di Barcellona e dei dintorni,  tranne un posto, quello no era solo suo e di Sanae.
Quello era un luogo insolito, insolitamente calmo, insolitamente silenzioso. Quando lo avevano scovato, lui e Sanae, si meravigliarono che vicino a Barcellona, così traboccante di gente e così cosmopolita, ci fosse un sito tanto raccolto e selvaggio. In effetti, nelle loro esplorazioni avevano poi capito che luoghi tranquilli e riparati se ne potevano ancora trovare...Quello era diventato il loro rifugio. Ci tornavano spesso, si respiarava la pace, la calma...Se ne stavano lì soli, lontani da tutto, cullati dal vento e dal piacere di godere l’uno dell’altra. Estranei al resto. Il mondo era fuori, quel mondo faticoso, che gli aveva tirato uno schiaffo in faccia, che gli imponeva di lottare  e dimostrare il suo valore era lontano...Lì era solo Tsubasa, un ragazzo che ama una ragazza e vuole essere riamato da lei.. Niente altro.
Il ricordo era nitido nella sua mente. La spiaggia vergine si estendeva pigra e tranquilla a perdita d'occhio... La sabbia dorata, la brezza sul viso, le acque pacifiche, le morbide dune sdraiate al sole, le risaie rigogliose. Il faro all’orizzonte, come un fantasma bianco, tra l’acqua e il cielo. Sembrava sospeso in un sogno...Quasi un miraggio nel deserto ...Un paesaggio di rara bellezza, pulito.*
A Kumiko sarebbe stato gradito ma non le sarebbe rimasto nel cuore, non era come Sanae.
Erano due ragazze molto diverse.  Entrambe interessanti, vivaci e allegre ma non avevano altro in comune...A cominciare dalla loro bellezza. La bellezza di Sanae era spontanea, fresca. Una bellezza che era il riflesso del suo cuore. Lei era trasparente, quando la si guardava negli occhi si poteva leggere nel cuore di lei, senza difficoltà. Sanae non nascondeva le sue emozioni, le lasciava fluire. Con lei era libero, si sentiva un'altra persona...Non aveva mai capito come facesse, ma Sanae sapeva tirare fuori il meglio da coloro che la circondavano. Sanae era quello che era, era pulita, niente di più e niente di meno. Le piaceva Barcellona per l’atmosfera, per i suoi colori e per la sua gente ma...Tutto a piccole dosi.
Lei amava anche la solitudine, amava il mare...Amava lui...
Niente a che vedere con la bellezza di Kumiko. Kumiko era estremamente bella, bisognava essere ciechi per non vederlo! Ma una bellezza un po' costruita, forse algida...Sempre pronta, impeccabile, perfetta...Probabilmente era in parte dovuto al tipo di lavoro che svolgeva.
Ciò che contava però era che l'affascinante modella abitava ancora a casa sua: pochi giorni prima della partenza il suo agente, vista la provvidenziale presenza della ragazza a Barcellona, l'aveva proposta come testimonial per noti stilisti spagnoli. L'ultimo lavoro la vedeva ancora impegnata al grande magazzino El Corte Ingles dove veniva proposta una nuova linea giovanile. Era piaciuta così tanto che la linea era stata ribattezzata con il suo nome.
E così...
Kumiko gli aveva chiesto di poter prolungare la permanenza da lui, dicendo molto onestamente quello che pensava... "Un po' di compagnia non ti farà male!...Sarà bello, sarà come avere una coinquilina..."
Lui, restio, aveva ceduto. Probabilmente era vero: un po' di compagnia non gli avrebbe fatto male, senza contare che la sua amica non si era dimostrata invadente. Inoltre, pensò che se lui avesse aiutato Kumiko magari, qualcun’altro avrebbe aiutato Sanae.
E poi “Che ci si rimette a essere gentili?”  si rassicuró.
Tsubasa, comunque, continuó con la sua vita...Ma, da due mesi oramai,   aveva una coinquilina...E...No, non era affatto male.
Kumiko era amabile e divertente. Ma, al contrario di Sanae, era anche enigmatica e sfuggente. Raramente lo guardava negli occhi, e quando lo faceva era per poco tempo. Qualcosa la tratteneva. Non era timidezza...Chissà cos’era, non lo capiva proprio.
Comunque, nel modo in cui Kumiko si affacciava alla vita, c'era qualcosa di stonato.
Era irrequieta, una specie di anima in pena.
Aveva sempre mille impegni di lavoro e passava da una festa all'altra, da un'occasione mondana all'altra. Ogni spazio della sua vita era occupato da qualcosa. Amava la movida barcellonese, da quel punto di vista Barcellona era la città ideale per lei: era nel suo elemento. 
Aveva anche tentato di coinvolgerlo ma invano...In effetti non passavano poi molto tempo insieme, riflettè. Ciò lo sollevò.  
Anche il riposo della ragazza, ora che ci badava, era costellato di inquietudine.
Le volte che l'aveva trovata sul divano appisolata dormiva di un sonno agitato. Sicuramente fuggiva da qualcosa.
Non era felice, nella sua fitta vita c'erano delle mancanze. Eppure, chissà quanta gente la invidiava. Invidiavano la sua immagine di carta patinata, lei era bella, ammirata, corteggiata, strapagata e...Inquieta!
Anche lui, che finalmente stava avendo successo, probabilmente, suscitava l’invidia altrui. Di lui conoscevano solo un'immagine, un frammento di vita. Ignoravano il dolore sordo che pulsava nel suo intimo: avrebbe dato tutto, soldi, carriera, talento pur di riavere Sanae...
Tuttavia, col tempo, si era abituato alla  solitudine e un po' gli mancava, chissà quando l'avrebbe riavuta...
La presenza di Kumiko non era servita, contrariamente a ciò che aveva sperato, ad ottenere particolari nuovi sulla scomparsa di Sanae; anzi, sembrava che la modella non volesse ricordare.
Ogni volta che lui tentava di andare a fondo della questione lei si chiudeva, diceva che era successo tutto molto in fretta, aveva le idee confuse, non ricordava con chiarezza e così via. Si agitava sempre molto quando ne parlavano. Cominciava a domandarsi cosa potesse nascondersi dietro quella voglia di dimenticare l'accaduto, forse lei voleva solo seppellire il dolore.
Lui invece voleva ricordarlo e guardarlo in faccia, non aveva paura!
Ma se ci fosse stato dell'altro? Yukari non aveva mai creduto alla versione della ragazza!
Tsubasa non era portato a pensar male delle persone e nemmeno voleva perdersi dietro  intrighi tanto complessi quanto improbabili. Concluse, più semplicemente, che lei non voleva menzionare Sanae perchè era un ricordo spiacevole. Non c’era di mezzo solo una tragica fatalità, per Kumiko era diverso: Kumiko era pur sempre stata innamorata di lui e lui le aveva preferito Sanae.
Doveva stare attento, non doveva farla soffrire o ferirla. Ragione in più per riavere la sua solitudine! 
Tuttavia, non poteva ignorare che l'alone misterioso che caratterizzava Kumiko lo intrigava...Si sentiva colpevole: era la prima volta che gli capitava di confrontare Sanae con un'altra ragazza...
 
 
 

Continua...

 
 
 
*In questa descrizione mi riferisco a un luogo reale. Si tratta della Punta del Fangar.
 
N.B.
Lo spunto per questa storia mi è stato offerto da una novella tedesca “Germelshausen” scritta da Friedrich Gerstacker. Questa storia, nel 1954, ispirò un musical della MGM “Brigadoon”. Dal musical, Vincent Minnelli, trasse l’omonimofilm. Fu il suo primo film girato in Cinemascope. 

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Capitolo 5
*** Nascondersi ***


 I personaggi non sono miei, appartengono a Yoichi Takahashi.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.
Note personali: non amo scrivere storie con più di un capitolo, perchè ho poca pazienza, ma ho voluto tentare. E’ una specie di sfida e spero di fare un buon lavoro!
Ringrazio coloro che dedicheranno del tempo alla lettura della mia storia e coloro che avranno la pazienza di recensirla.
Buona lettura!
  

Nascondersi

 
Tsubasa se ne stava ancora lì nella sua stanza, in piedi.
Era tanto concentrato nei suoi tortuosi pensieri che non udì minimamente il rumore della porta che si apriva...
"Ciao Tsubasa! Sono tornata!...Ti va il gelato? Ne ho preso un po'...Così...Per festeggiare: il lavoro é andato splendidamente! Stasera e domani ci sarà un magnifico party nella villa del mio agente...Sai...Per il lancio della mia linea...MIA, MIA, proprio mia!...Porta il mio nome ci pensi?..Oh!...Capitano sono....”
Kumiko, elettrizzata dal successo ottenuto, prese a parlare appena varcata la soglia di casa, senza preoccuparsi di dove fosse Tsubasa. Si bloccò di colpo quando lo sorprese osservare, nostalgico, quella vecchia foto.
Si avvicinó.
Gli poggió una mano sul braccio e poi, delicatamente, sfilò la cornice dalle sue mani e la posó sul mobile  con l'immagine rivolta verso il piano di legno..."Ti manca molto vero?" Sussurrò.
Tsubasa non rispose, si limitó a guardarla e risollevò la foto. Lo sguardo era serio. Opaco. Lontano. Il suo bel corpo pareva circondato da un’aura di malinconia.
A Kumiko sembró quasi di sentire il dolore del ragazzo. Un dolore vivo. Una ferita provocata da lei, volutamente, e che ora lei stessa pretendeva di sanare. Le venne la pelle d'oca.
Ancora una volta non riuscì a sostenere lo sguardo del capitano.
Abbassò gli occhi.
Poi disse piano "So che fa male ma... Lascia che riposi in pace, se è morta devi lasciare che la sua anima voli via e, se non è così, se è viva...Beh...Magari è lei che non vuole farsi trovare. Ci hai mai riflettuto?...Anche tu devi sopire il tuo dolore, trovare la pace. Non si può vivere rincorrendo un fantasma, un ricordo...I ricordi restano con noi, fanno parte di noi ma non riempiono la vita, sono pur sempre solo ricordi Tsubasa..."
Era la prima volta in due mesi che proprio lei, Kumiko, affrontava spontaneamente un discorso su Sanae. Non era ció che Tsubasa sperava di sapere. Non gli stava raccontando nessuna veritá nascosta ma, inutile negarlo, era un discorso logico anche se gli squarciava il petto.
Continuò a guardarla taciturno: non voleva sentire quelle cose, non era pronto. " ...Vado al parco, vuoi venire?...Hai conosciuto Pinto ma non ti ho mai presentato gli altri bambini!" Esclamò, repentino, per troncare il discorso.
Lei lo guardó stralunata, parlando dei bambini che lo attendevano al parco gli occhi di Tsubasa mutarono completamente: brillavano.
"...Bambini?!..." ripetè la ragazza pensando tra sè che, giocare al parco con dei bambini, non fosse del tutto appropriato per un campione del suo calibro.
Che ci trovava?!
Non c’era nulla da fare: Tsubasa era decisamente sopra le righe, ma era proprio questo il suo bello!
"Sì!...Sí, bambini” rimarcò Tsubasa...”Vado spesso al parco a giocare con loro...Anche Sanae veniva quando poteva. Certe volte ci troviamo anche qui ma non vi siete mai incrociati. Se vuoi venire sbrigati: sono un po' in ritardo e non mi piace far aspettare le persone!"
“Sono solo bambini...” Brontolò lei rivolta a se stessa mentre si avviava distrattamente verso la cucina  per riporre il gelato nel freezer.
Al capitano non piaceva far aspettare le persone, era esattamente il contrario per lei...Tsubasa era una persona umile, viveva nella normalità, come uno qualunque.

Aveva talento, denaro e successo ma viveva in una casa semplice, rifuggiva la notorietà, non amava apparire sulle riviste, se non per motivi strettamente sportivi.
Lei gli aveva anche proposto un servizio fotografico da fare insieme ma lui aveva rifiutato risolutamente. Quando lo fermavano per chiedergli un autografo si emozionava ma non dava importanza alla cosa mentre lei, il contrario: lo faceva notare a tutti gli amici, si gongolava, quando ne aveva l’occasione.
Lui non voleva nulla di tutto ciò che poteva avere!
Lui si rilassava con i bambini al parco!
...Pazzesco!...Sembrava un bambino egli stesso!
Kumiko cominciò a scambiare la modestia e l’allegria fanciullesca del giovane calciatore per ingenuità: nessuno con un po’ di sale in zucca si sarebbe comportato così, non secondo il suo metro.
"Io vado!" La voce di Tsubasa che riecheggiava nel salone mise fine alle speculazioni di Kumiko che mentì... "D'accordo, arrivo!...Credo che mi divertiró!"
Ormai era allenata a fingere, sapeva alterare così bene la realtà che anche lei faticava a distinguere ciò che era vero da ciò che non lo era...Avrebbe potuto fare l’attrice!
In realtà i bambini le mettevano ansia.
Prorprio ansia, avevano una specie di sesto senso. Soprattutto Pinto, forse perchè era molto affezionato al capitano. O forse quel bimbo riusciva a far affiorare in lei il senso di colpa...E il senso di colpa reclamava una confessione!
In ogni caso, pur avendolo visto una sola volta di sfuggita, quel Pinto l’aveva guardata dritta negli occhi, senza paura, come a volerle scavare dentro...Si era sentita a disagio, anzi, si era sentita proprio male, malissimo. Aveva avuto paura e, di riflesso, aveva abbassato gli occhi; come le capitava spesso del resto.
"Di cosa hai paura?" le aveva chiesto lui candidamente, come se nulla fosse, come se avesse capito.
Non si conoscevano...Possibile intuisse che nascondeva un segreto nel profondo?  
Cercó di non pensarci, erano sciocchezze, in fondo.
Uscirono.
Non ci misero molto a raggiungere il parco della Ciutadella. Era molto grande e bello, Tsubasa si ritrovava sempre con i suoi amici ai piedi dell'acacia di Costantinopoli.
Il capitano era affezionato a quella pianta: a Sanae piaceva per i suoi fiori lilla, inoltre, aveva letto che quell'albero era il più curioso del parco. Era poco diffuso e, a dispetto del suo nome, in realtà era originario del Giappone...Lui e Sanae lo presero un po’ come un angolo di casa.
Raggiunsero il luogo dell'appuntamento percorrendo  un lungo viale di Tigli.*
Kumiko non potè fare a meno di restare colpita dal viale e dal profumo che emanava dalle piante...Naturalmente quegli effluvi le riportarono alla mente Sanae...”Dev’essere una maledizione!...Perchè, perchè non mi lasci essere felice..." Pensò tra sè digrignando i denti.
Strinse i pugni. Si trattenne a fatica: aveva voglia di gridare.
Al parco si potevano anche affittare delle barche. Kumiko avrebbe di gran lunga preferito una gita sul laghetto ovale, accompagnata da Tsubasa, ma dovette accontentarsi di guardarlo giocare con i suoi piccoli amici. “Sarà per un’altra volta..." Provó a consolarsi.
Non era di buon umore, ma doveva dissimulare. Ci riuscì, naturalmente.
Tsubasa aveva notato una certa ostilitá dei piccoli verso kumiko, qualcosa non andava tra loro, non legavano...Al punto che uno di loro disse" Non é come con Sanae! "
Quelle parole lo fecero morire dentro.
Anche a loro mancava...C'era malinconia e mentì facendosi forza "Coraggio, vedrete che tornerà. Adesso giochiamo!"
Rideva, sembrava il ragazzo più felice e spensierato del mondo.
Continuarono a giocare e rincorrersi fino a quando kumiko  li interruppe.."Tsubasa!...Mi dispiace, sarebbe meglio andare: devo tornare a casa, sai la festa... E’ ora, devo prepararmi. Non voglio tornare sola...Non conosco bene la strada e..."
Guardava Tsubasa quasi supplichevole.
Il ragazzo interruppe il gioco.
Era decisamente paziente e comprensivo... "Certo ti accompagno, non temere!” Ma, subito aggiunse, rivolgendosi a Pinto e a tutta la combriccola con il suo solito entusiasmo "Venite anche voi. C’è del gelato a casa: faremo merenda tutti  insieme!"
Il sorriso di Tsubasa non si spense ma non gli sfuggì l'aria leggermente contrariata di Kumiko " Che c'è?" ..Chiese schiettamente.
Lei rispose, un po’ delusa " No, niente...Pensavo venissi alla festa, almeno questa volta..."
Tsubasa non cedette "Non amo quel genere di feste e le evito se posso, lo sai. Ti divertirai comunque!”
Kumiko avrebbe voluto rispondere che andare a una festa con Tsubasa Ozora, la giovane promessa del Barça,  era tutta un’altra cosa ma, sapeva bene che il capitano non avrebbe sentito ragioni.
Preferiva restare con quei bambini.
Preferiva loro a lei.
Forse lui non aveva capito che poteva avere  attrici e modelle.
Poteva avere tutto il mondo ai suoi piedi.
Poteva avere un mondo dorato.
Poteva avere un mondo da Favola.
Poteva darglielo lei!
Poteva avere lei!
Quanto avrebbe voluto urlargli tutte quelle cose in faccia!
Poco male...
Glielo avrebbe spiegato più tardi, con tutta calma!
Giunti a casa Kumiko sparì nella sua stanza a prepararsi mentre Tsubasa e i suoi golosi ospiti allestirono una bella merenda sul terrazzo, come capitava ogni tanto quando c’era Sanae.
Ridevano e scherzavano, Tsubasa era veramente un tipo al di fuori degli schemi.
La giovane modella si era fermata a osservarli. Poi si fece coraggio e intervenne “Io vado!...Tsubasa tu sei certo che non vuoi...”
Ma non terminò la frase: leggeva chiaramente negli occhi del ragazzo che non l’avrebbe seguita. Li lasció ai loro giochi.
I bambini si rincorrevano rumorosamente per il terrazzo.
Al tavolo erano rimasti solo Pinto e Tsubasa. Pinto guardò serio verso il capitano e poi lo colpì con le sue parole “ Non l'hai più sognata?"
Tsubasa sussultò e lo guardó stranito, prima di decidersi a chiedergli  di cosa stesse parlando.
Pinto si spiegò più chiaramente..."Ma sì...Hai sognato ancora la felicità?"
Si riferiva al suo sogno ricorrente, quello dove giocava con Sanae e il bambino, Pinto era ancora l'unico al quale lo avesse raccontato. Tsubasa ormai era sicuro che avesse una specie di sesto senso verso le persone e in particolare nei suoi confronti. Quindi rispose senza indugio "Certo che l'ho sognata ancora..."
Il bambino però non era convinto e si lasciò scappare un "..Mmmhh.."
In effetti  Tsubasa stesso non aveva convinto se stesso, ma non sapeva per quale ragione, quindi chiese  " Perchè? Cos’hai?"
Pinto rispose titubante "Non prenderla male ma...Scusa...Tsubasa...Ma a Sanae...A Sanae non vuoi più bene?...Sembra che a lei non ci pensi più come prima..."
Tsubasa si sentì ferito e subito affermò "Certo che la penso. La amo, la ameró sempre."
Si rese conto, ancora una volta, di non essere stato persuasivo. Non convinceva se stesso, come poteva persuadere Pinto, o chiunque altro?
Aveva dato una risposta un po' banale e scontata.
Una risposta da manuale.
Una risposta che, a dirla tutta, non gli era piaciuta.
Sembrava una di quelle mielose frasi che si trovano negli incarti dei cioccolatini...Lui, tra l’altro, le detestava.
Si rese conto che stava cambiando o era già cambiato...Era così, senza ombra di dubbio!
Il piccolo non replicò.
Si limitò a guardarlo con la sua solita espressione seria. Un'espressione cosí profonda da arrivare dritta al cuore.
Purtroppo, il suono del campanello spezzó l'atmosfera: la madre di Pinto era venuta a prendere il figlio e gli altri piccoli.
Si salutarono e Pinto lo abbracciò forte come se volesse comunicargli qualcosa, qualcosa che non aveva avuto il tempo di dirgli o non aveva avuto il coraggio di dirgli. Oppure era qualcosa che il bambino sentiva ma non aveva  trovato le parole per dare forma al concetto.
Tuttavia lo salutò dicendo "Non dimenticarti di loro, stai attento!"  
Pinto era sinceramente triste.
Tsubasa  non capiva, ma lo rassicurò "Non temere, non potrei mai"  
Pinto ribadì, staccandosi dal capitano "Sì...Ma stai attento...Attento ti dico..."
Tsubasa chiuse la porta e fu assalito dall'inquietudine.
Era quasi ora di cena ma non aveva fame, il confronto con Pinto gli aveva chiuso lo stomaco.
Si fece una doccia per rinfrescarsi, indossò una tuta comoda e si fermó sul terrazzo a osservare il disco rosso del sole che stava tramontando.

Fu solo per un attimo...

 
La vide...Sanae...era di spalle. I capelli ondeggiavano mossi da un vento leggero. Non vedeva la sua figura interamente, distingueva solo la parte alta della schiena e la testa. Indossava un abito bianco che le lasciava leggermente scoperte le spalle. C'era un'atmosfera di festa tutt'intorno, le campane suonavano a distesa, poteva sentirle distintamente. Lei si voltó, Aveva un'espressione seria ma non c'era rimprovero negli occhi. Solo il tempo di dire "Che cosa vuoi fare Tsubasa?..." 
 

Tutto svanì, in un soffio...

 
Tsubasa si ritrovò nuovamente a fissare l'astro infuocato che si nascondeva, inesorabile, tra le ombre della sera...Come avrebbe voluto potersi nascondere anche lui e smettere di pensare.
Era finalmente diventato un calciatore professionista, realizzando così il sogno che aveva fin da quando era bambino.
Era stato fortunato: non a tutti succede...Ma allora perchè si sentiva così?
"...Mamma..." mormoró.
Chissá per quale motivo la sua mente voló a quando era piccino.
C'era sempre stata Natsuko al suo fianco, poteva perdersi nei suoi occhi rassicuranti, sembrava tutto più facile con il suo aiuto.
Andó a sdraiarsi nella sua stanza, come a volte gli era capitato da bambino, quando qualcosa non andava....Lì, nel suo letto, era al sicuro, nessuno lo avrebbe cercato, nessuno l'avrebbe trovato.
Era un bel gioco...Rise...Adesso non era piú così. Lui stava cambiando, doveva trovare il suo posto, non era un gioco, era la vita, era il suo cuore, era l'amore...

 

Continua...

 
 
* l'acacia di Costantonopoli, il viale di Tigli e anche il laghetto, che menziono qualche riga dopo, sono tutti elementi che si trovano realmente nel Parco della Ciutadella. Non ricordo come sono dislocati nel parco: io li ho adattati allo svolgimento della mia storia, credo di essermi presa qualche "licenza poetica"...chiamiamola così!
 
N.B.
Lo spunto per questa storia mi è stato offerto da una novella tedesca “Germelshausen” scritta da Friedrich Gerstacker. Questa storia, nel 1954, ispirò un musical della MGM “Brigadoon”. Dal musical, Vincent Minnelli, trasse l’omonimofilm. Fu il suo primo film girato in Cinemascope. 

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Capitolo 6
*** Moby Dick, le Stelle e la Luna ***


I personaggi non sono miei, appartengono a Yoichi Takahashi.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.
Note personali: non amo scrivere storie con più di un capitolo, perchè ho poca pazienza, ma ho voluto tentare. E’ una specie di sfida e spero di fare un buon lavoro!
Ringrazio coloro che dedicheranno del tempo alla lettura della mia storia e coloro che avranno la pazienza di recensirla.
Buona lettura!
 
 
 Moby Dick, le Stelle e la Luna
 
Kumiko raggiunse gli amici alla festa, era in ritardo: l'aperitivo era giá stato servito. Come al solito, tutti notarono Il suo arrivo ma, stranamente, questa volta, non aveva provato lo stesso piacere di sempre. Si sentiva un po' annoiata, era andata al  party più che altro per inerzia, per abitudine.
A dirla tutta provava una grande stanchezza, era stufa di partecipare da sola alle feste, Tsubasa non ne voleva sapere.
Indubbiamente aveva fatto dei passi avanti nel suo rapporto col capitano, ma era ancora lontana dal poterlo considerare suo.
Sicuramente peró, lo aveva destabilizzato...E non era poco. 
Il ragazzo nutriva dei dubbi o, quantomeno, se non aveva dei dubbi si poneva delle domande sulla sua vita affettiva, su di lei, su Sanae. Ne era certa, certissima. Solo ci voleva pazienza, ancora pazienza. Sanae ne aveva avuta molta  con lui, ne aveva con tutti, sempre.
Kumiko non conosceva bene se stessa ma una cosa la sapeva: non era un tipo paziente e Tsubasa era coriaceo!
Forse doveva osare e provocarlo...Così per smuovere la situazione, per spingerlo verso una scelta.
Non a torto, la giovane modella, vedeva  il capitano in bilico tra lei e Sanae: doveva fare in modo che prendesse una decisione, in suo favore naturalmente.
C’erano diversi argomenti cui appigliarsi: per quanto ancora era disposto ad aspettare Sanae? Ne valeva la pena? Lei poteva essersi rifatta una vita, in questo caso, sarebbe stato solo lui a rimetterci...Era un discorso sensato, doveva solo farglielo capire, aprirgli la mente...In fondo, Tsubasa era in equilibrio su un filo, bastava poco. Bisognava farlo cadere!
Mentre si perdeva nei meandri del pensiero guardava rapita il giardino copsarso del rosso del tramonto.
Il suo agente, Roby, la osservó per un po' prima di decidersi a raggiungerla. Qualcosa in lei non andava, lo notó immediatamente. Lui la conosceva abbastanza bene da riuscire a interpretare i silenzi e le espressioni, non era semplice ma quasi sempre ci azzeccava.
La salutó calorosamente ..."Ben arrivata! Sarai la stella della serata, come sempre!" ...Le sorrise come nulla fosse ma non gli sfuggì che, anche questa volta, era sola.
Lei anticipò qualsiasi domanda... "Già...continua a non amare le feste, sinceramente anche a me stanno venendo a noia. Comincio a credere che abbia ragione lui!"
Era chiaramente delusa dalla situazione e un fondo di verità c'era nelle parole appena pronunciate. Tutto le appariva diverso. Sembrava più triste ma anche più decisa e consapevole. Roby lo capì dalla voce seria, dal sorriso meno sbarazzino, più adulto. Le posó, incoraggiante, una mano sulla spalla e la lasció lì, a rimuguinare, con un suggerimento... "...Tranquilla...conosci bene ogni angolo della casa..." Kumiko intuì quale fosse il messaggio: Roby aveva  certamente compreso la sua frustrazione. Non era proprio dell'umore per una festa...Le feste che, solitamente servivano a distrarla, quella sera non servivano. In ogni caso non voleva sparire senza salutare gli amici. Si intrattenne con loro, parlando del più e del meno per un po'. 
Appena ne ebbe la possibilità si dileguò. Raggiunse il piano nobile dell'antica villa e  si diresse, con piglio sicuro, verso la biblioteca.
Entró.
Naturalmente non c'era anima viva erano tutti alla festa.
Assaporò il silenzio che la avvolse placido e si guardò intorno, come per sentirsi parte dell'ambiente.
Il Padre di Roby era un critico d’arte, leggeva molto e  di diversi argomenti.
"Chissà se avrà già letto tutti questi libri?" si chiese.
Giró su se stessa ammirando i volumi negli scaffali tutt'intorno poi, si fermò, stizzita ,esclamando a voce alta  "Modelle! Credono tutti che siamo stupide, senza cervello!"
In effetti di...Oche...ne circolavano nel suo ambito, doveva riconoscerlo, ma non erano tutte così. Lei non era affatto una ragazza stupida. A scuola era sempre andata bene, aveva dei bei voti, avrebbe potuto continuare gli studi dopo il Liceo e senza alcun problema.  Di fatto avrebbe voluto ma le era capitata l'occasione di fare la modella. Intraprese quel lavoro per gioco, come qualcosa di momentaneo. Col tempo però, scoprì che le piaceva e divenne una faccenda seria.
Quel mondo la estasiava!
Già! Proprio quel mondo.."di latta e lustrini"...come lo aveva definito Sanae.
Kumiko finì col perdersi nel suo mondo di latta e lustrini: scordó gli studi ma non solo, invaghita del fantasma di Tsubasa aveva venduto la sua anima. Tutto il resto non contava...
Tuttavia cominciava ad avvertire che la sua vita poteva ancora arricchirsi con gli studi, nessuno glielo impediva... "Magari potrei leggiucchiare qualcosa...Magari potrei unire al lavoro anche gli studi. Non mi corre dietro nessuno, ho tempo...e anche il denaro. Così magari anche Tsubasa mi apprezzerà maggiormente...Accidenti....vado sempre a finire lì...Beh...Coraggio! Diamo un'occhiata...chissà che non scopra una passione, chissà che non trovi un suggerimento!" Si esortó.
Non ci mise molto a scegliere.
Sulla scrivania era posato un libro, con una copertina di pelle verde e le scritte in oro.
Era lì, abbandonato, pareva in attesa.
Attendeva che il segreto insegnamento scritto sulle sue pagine prendesse vita tra le mani di qualcuno desideroso di sfogliarlo.
Era lì in attesa del tocco vitale di occhi gentili che accogliessero le sue parole per condurle dritte al cuore... Cosa aveva da dire quel libro? E a chi?
Kumiko pensó che forse stava aspettando lei, proprio lei...Si avvicinó per poter vedere di cosa si trattava. Lesse, un po' timorosa "...Moby Dick,  di Hermann Melville..."
Gliene aveva parlato un suo collega statunitense che, tra uno scatto e l'altro, studiava letteratura. Lei peró non gli aveva dato molto peso. Era uno dei suoi corteggiatori più incalliti, ma lei non era interessata a lui. Lo ascoltò svogliatamente per tenerlo a bada, e, inoltre, non capiva nemmeno come erano arrivati a quel discorso, e perchè poi: non era un argomento adatto a fare colpo su di lei..." Era proprio uno strano ragazzo quello...Chissá se sta ancora studiando..." le capitó di pensare.
Rigirò il libro tra le mani. Quel titolo, di fatto, non la attirava ma nemmeno le andava di tornare alla festa così  decise di dare una possibilità a Melville.
Si accomodó nella poltrona da lettura e inizió a leggere, di solito dopo poche righe capiva perfettamente se il libro faceva al caso suo.
L’incipit la catturò immediatamente "...Chiamatemi Ismaele. Alcuni anni fa - non importa quanti esattamente - avendo pochi o punti denari in tasca e nulla di particolare che m'interessasse a terra, pensai di darmi alla navigazione e vedere la parte acquea del mondo. E' un modo che ho io di cacciare la malinconia e di regolare la circolazione. Ogni volta che m'accorgo di atteggiare le labbra al torvo, ogni volta che nell'anima mi scende come un novembre umido e piovigginoso, ogni volta che mi accorgo di fermarmi involontariamente dinanzi alle agenzie di pompe funebri e di andar dietro a tutti i funerali che incontro, e specialmente ogni volta che il malumore si fa tanto forte in me che mi occorre un robusto principio morale per impedirmi di scendere risoluto in istrada e gettare metodicamente per terra il cappello alla gente, allora decido che è tempo di mettermi in mare al più presto. Questo è il mio surrogato della pistola e della pallottola. Con un bel gesto filosofico Catone si getta sulla spada: io cheto cheto mi metto in mare. Non c'è nulla di sorprendente in questo. Se soltanto lo sapessero, quasi tutti gli uomini nutrono, una volta o l'altra, ciascuno nella sua misura, su per giù gli stessi sentimenti che nutro io verso l'oceano..." *
La sua mente avida si immerse  nelle parole, dimenticò la festa e dimenticò il tempo che trascorreva...Nella stanza quieta c'erano solo lei e il libro.
Non parlava di mare quel libro e non era un romanzo qualsiasi.
C'erano molte riflessioni filosofiche, era interessante, riguardava la natura dell'uomo, il male, la vendetta...Lei non era una ragazza stupida...Era lì per lei...Aspettava proprio lei.
Se solo lo avesse letto prima...Ora era tardi...Per lei era troppo tardi.
Smise di leggere.
Era arrabbiata: cosa diavolo voleva da lei quel libro?!
Non resistette.
Lo riaprì, saltando qua e là, assaporava certe riflessioni e arrivó alla conclusione: Moby Dick moriva e il capitano Achab realizzava la sua vendetta!
Si concludeva così: Achab aveva vinto!
Quel libro non aveva nulla da dire, non a lei... La ragazza non ponderò o non volle capire che  anche Achab moriva insieme al suo incubo.
Era stanca, quel libro l'aveva disorientata, si sentiva smarrita. Lo posò con violenza sul tavolo dove lo aveva trovato..."Che stupido libro!" pensó..." Sarà meglio che torni a casa, forse Tsubasa..."
Non si disse altro, non salutó alcuno, lasció la festa in silenzio, furtiva, come una ombra, come un ladro nella notte.

Quelle parole si erano insinuate in lei come un tarlo: rodevano, rodevano...
Si fece riaccompagnare dall'autista di Roby e per tutto il tragitto rimuginò "Stupido libro, stupido libro, cosa vuoi? Sta zitto, zitto! Taci, hai capito?!"
Era così occupata a scacciare quei pensieri che non si accorse di essere giunta a destinazione, il conducente la chiamó più volte per farglielo notare. Un po’ impacciata, si scusó e scese.
Era tardi.
Aprì la porta piano, era stata a una festa magnifica che non aveva goduto, anzi, invece di divertirsi si era messa a leggere uno sciocco romanzo.
Era insoddisfatta.
Non aveva quello cui agognava.
Voleva qualcos'altro e se lo voleva doveva prenderselo... Con più convinzione...Proprio così: ci voleva più convinzione.
Si guardó intorno domandandosi se Tsubasa stesse già dormendo.
Senza pensarci troppo si avviò verso la stanza del ragazzo.
La porta era chiusa, come di consueto.
Entró, cercando di fare piano per non disturbarlo: probabilmente dormiva giá e se non fosse stato così...Pazienza, avrebbe fatto una figura imbarazzante. O, forse, la sua audacia sarebbe stata premiata.
Lo vide: il capitano dormiva su un fianco e dava le spalle alla porta.
Kumiko osservò che era sdraiato sopra le coperte, ancora vestito. Immaginò che si fosse sdraiato per riposare un attimo e poi si fosse appisolato.
"Che sto facendo?” si chiese titubante, ma subito si giustificò “...In fondo non c'è niente di male..." Si avvicinò al letto.
Abbandonò i suoi timori e si sdraiò alle spalle di Tsubasa, nella porzione di letto che era libera. 
Il posto di Sanae.
Si giró su un fianco anche lei per poterlo stringere a sè.
Lo abbracciò delicatamente.
Lui non dormiva affatto. Si era accorto di lei, naturalmente. Era una ragazza audace, come più volte aveva constatato...Sanae non l'avrebbe mai fatto.
Rimase impassibile, come se stesse dormendo, domandandosi fin dove sarebbe arrivata Kumiko.
Era una ragazza attraente, brillante e divertente. 
Trovava gradevole la sua compagnia ma forse lui se ne stava approfittando: lei riempiva un vuoto, ma non era come con Sanae.
Aveva giurato a se stesso di ritrovare la fidanzata, di non arrendersi ma...Certe volte si sentiva solo, soprattutto negli ultimi tempi.
Molto molto solo e i momenti con Kumiko colmavano quella solitudine infinita.
E se Sanae non fosse mai tornata?
Se lui non l'avesse mai trovata?
Forse aveva ragione Kumiko: lui correva dietro a un fantasma e avrebbe sprecato la sua vita.
Forse avevano ragione gli altri e torto lui: Sanae non sarebbe tornata, lui non l'avrebbe mai ritrovata, forse lei non voleva farsi trovare.
Era terribile e rabbrividì al solo pensiero.
Non si percepiva innamorato di Kumiko, non ancora. Non provava lo stesso trasporto che aveva per Sanae, e  la sua coinquilina non meritava di essere un ripiego. Poteva aspettarsi di provare per qualcun'altra ció che  provava per Sanae? Probabilmente no. Sanae era il suo primo amore, l'unico che avesse avuto, era speciale. Ma...Doveva finire così? Era finito così l'amore, il primo amore che non si scorda mai?
Cosa provava veramente?
Si stava innamorando di Kumiko senza rendersene conto?
Era un'infatuazione? 
Aveva solamente paura di amare di nuovo?
Rivoleva Sanae?
Quanto ancora era disposto ad aspettarla?
Era notevolmente confuso: chissà che non fosse giunto il momento di arrendersi e riposare...Riposare e affidarsi al caldo abbraccio di kumiko.
Qualcosa peró lo tratteneva.
Fermarsi e lasciarsi coinvolgere dall’esuberante affetto di Kumiko significava, inevitabilmente, rinunciare alla speranza di rivedere Sanae.
La vita continua, glielo avevano fattto notare tutti, tutti quanti, tranne sua madre e Pinto...Lui aveva continuato, era andato avanti ma non riusciva a capire quale fosse il suo posto,  la sua via.
Mentre Tsubasa meditava avvolto in una spirale di incertezza, Kumiko gli carezzava le spalle.
Era piacevole.
Aveva voluto e avuto solo il corpo di Sanae, solamente i suoi baci e le sue carezze.
Da quando lei era scomparsa non aveva più cercato nè desiderato contatti di quel genere.
Una strana sensazione allo stomaco lo assalì.
Non era certo insensibile alla bellezza di Kumiko: non era fatto di legno!
Anche lei, come Sanae, era dolce e affettuosa ma in un modo un po' infantile forse.
Non voleva tradire Sanae. Tsubasa si sentiva in torto: era proprio come se stesse tradendo la sua Sanae.
Non era stato rinvenuto alcun corpo.
Lei non era morta, aveva sempre avuto questa certezza e credeva che il suo sogno volesse dirgli che un giorno si sarebbero riabbracciati.  Purtroppo però, si sorprese a pensare che era trascorso molto tempo dall'ultima volta in cui erano stati insieme lui e Sanae... Quasi un anno. Quali erano ora i sentimenti di Sanae per lui? Lo amava ancora? Qualcuno la corteggiava come capitava a lui con Kumiko? Anche lei aveva dei dubbi?
Il sogno al quale aveva affidato tutta la sua speranza poteva essere uno scherzo del suo inconscio.
La mera traduzione del desiderio di lei e di un bambino tutto loro.
Se avesse frainreso tutto? Quel sogno consolatore poteva significare l'esatto opposto in cui sperava. Poteva essere un invito a lasciar perdere: Sanae si era rifatta una vita, in un altro luogo con un altro ragazzo e avevano un bambino. Non sarebbe mai tornata. 
L'idea lo atterriva.
Aveva più sognato la felicità? La domanda di Pinto era corretta: da quando c'era Kumiko, innegabilmente, aveva pensato un po' meno a Sanae e anche quel sogno ricorrente era meno frequente. Forse si era un po' staccato dal pensiero di lei, forse si stava abituando alla sua assenza e vedeva con meno sicurezza la possibilità di ritrovarla. Probabilmente si stava allontanando dalla speranza. Nel contempo si abituava sempre più alla presenza di Kumi. Pinto aveva intuito tutto. I suoi dubbi e le incertezze non erano un mistero ai suoi occhi, gli aveva letto dentro, mettendolo in guardia.
La presenza di kumiko aveva riempito gli spazi vuoti del suo tempo...Ora poteva abbassare la testa e ristorarsi consegnando la sua solitudine, il dolore e l'angoscia a un nuovo affetto?
Affetto, perchè per ora non era amore, non ancora, ne era certo. Chissà se lo sarebbe mai diventato...
Mentre Tsubasa seguiva il filo dei suoi pensieri Kumiko continuava ad accarezzarlo delicatamente e ogni tanto gli baciava la schiena.
Il ragazzo le prese la mano.
La portò vicino al suo petto ma non la bació, non riusciva a  lasciarsi andare...Bisbigliò nel buio... " Dormi adesso” lasciandole la mano.
Kumiko sussultò.
La stretta calda di Tsubasa fu un'emozione incontenibile.
"Non mi ha mandata via!” si ripeteva esultante..." Ci sono quasi, ci sono quasi..." Si addormentò pian piano cullata dal battito del suo cuore.
Si accoccoló più vicino a Tsubasa. Era caldo e accogliente.
Tsubasa, di contro, in preda a una miriade di dilemmi era molto teso, quasi non respirava. Voleva scivolare nel sonno ma i suoi mille interrogativi lo tenevano sveglio..Esitava...Gli mancava Sanae tuttavia era bello stare lì, perso, tranquillo, consolato nell'abbraccio di Kumiko.
Le sue certezze vacillarono.
Forse doveva accettare ció che il destino gentile gli stava offrendo proprio attraverso quella ragazza così bizzarra che, un giorno, si era presentata a casa sua all'improvviso.
Gli tornó alla mente un detto.
Era più o meno così "Perchè devo desiderare la luna, se posso avere tutte le stelle?"
“Dunque vediamo...Mai sentito parlare di stelle cadenti?!... Averle potrebbe voler dire averle in testa! Rimedieresti un bel bernoccolo!!!”
...Così avrebbe risposto Sanae...Almeno in un primo momento e poi...
Poi avrebbe continuato...”Vedi Tsubasa, io credo che, tante volte, avere anche le stelle poi ti fa desiderare tutto l'universo.  Non si può avere l'universo. Potrebbero accadere due cose, volendo troppo finiresti col perderti. Se invece riuscissi ad avere anche l’universo...Beh! Alla fine sarebbe noioso, non avresti più stimoli...Non pensi? Pensaci su...Il bello della vita è che puoi aspettarti  di tutto e puoi desiderare di tutto. E ancora più bello é che puoi anche accontentarti di una notte buia, priva di stelle e di luna, scopriresti che anche quella ha il suo fascino segreto...bisogna saper osservare..."
Sì! Avrebbe detto così! Le labbra di Tsubasa si piegarono accennando un lieve sorriso "...Ecco fatto!...Un po’ di sano realismo..." Pensó.
Sanae era una ragazza ponderata e con i piedi per terra.
...“Ma la luna è una sola, è unica e inconfondibile...”  Le avrebbe risposto Tsubasa, lasciandola senza parole...
 
 
Continua... 
 
* H. Melville“Moby Dick”  la traduzione è di Cesare Pavese...scusate se mi sono dilungata inserendo questo incipit; personalmente lo considero una delle più belle pagine di letteratura che siano mai state scritte e aiuterà i personaggi nella loro evoluzione.
 
N.B.Lo spunto per questa storia mi è stato offerto da una novella tedesca “Germelshausen” scritta da Friedrich Gerstacker. Questa storia, nel 1954, ispirò un musical della MGM “Brigadoon”. Dal musical, Vincent Minnelli, trasse l’omonimo film. Fu il suo primo film girato in Cinemascope.  

 

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Capitolo 7
*** A piedi nudi sulla sabbia ***


I personaggi non sono miei, appartengono a Yoichi Takahashi.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.
Note personali: non amo scrivere storie con più di un capitolo, perchè ho poca pazienza, ma ho voluto tentare. E’ una specie di sfida e spero di fare un buon lavoro!
Ringrazio coloro che dedicheranno del tempo alla lettura della mia storia e coloro che avranno la pazienza di recensirla.
Buona lettura!
 
 
A piedi nudi sulla sabbia
 
 
...Tsubasa camminava tranquillamente nel prato. Era rilassante ascoltare il fruscio del vento nell'erba. Il sole era tiepido sulla pelle e l'aria profumava di primavera.
Si guardava intorno, era solo. Si fermò e fece un giro su se stesso scrutando l'orizzonte azzurro. Cercava qualcuno. Nulla. Non c'era un'anima. Riprese a camminare un po' inquieto, cupo. L'atmosfera era strana, non era serena come al solito. Poi si riscosse ed esclamò sollevato "Eccoli! Eccoli!"
Sanae e il bambino giocavano in lontananza, vicino al ruscello.
Li chiamò entusiasta e, con un guizzo di gioia, corse verso di loro senza perdere tempo.
I due lo videro. Il bambino però non si mosse: continuò a giocare incurante della voce di Tsubasa. Sanae invece rispose, un po' distaccata, con un cenno della mano.
Lui era felice..."Ciao!...Mi siete mancati!" li salutò sorridente.
Non risposero, non un passo verso di lui. Sembravano lontani.
Abbracció Sanae: non una mossa, lei era immobile, come fosse scolpita nella pietra. Era difficile da spiegare ma il piccolo e Sanae stavano proprio lì accanto a lui ma al contempo erano lontani, come parte di un altro mondo. C'era una specie di barriera che li separava. Non aveva mai avvertito questa sgradevole impressione in loro compagnia.
Ignorò il comportamento inconsueto dei due e la spiacevole idea che ne derivava. Si chinó, come nulla fosse, verso il bimbo con la chiara intenzione di stringerlo a sè.
Tsubasa aprí le braccia e le tese verso  il piccolo. Ma quest'ultimo rimase fermo, non mostrava di essere lieto di vedere il capitano, contrariamente al solito. I suoi occhi neri e profondi non erano gioiosi. Tradivano invece una specie di delusione, o forse era rimprovero...Probabilmente tutte due le cose.
Tsubasa sentì una fitta al cuore.
Deglutì. Non si scoraggió.
Lo abbracció dolcemente. Il bimbo si lasciò abbracciare ma non rispose al gesto affettuoso del capitano. Tsubasa cominció ad angustiarsi: cosa stava succedendo? L'aria tersa era come permeata da un presentimento negativo, una sensazione di perdita, come prima di un addio...Un addio per sempre. Quel bambino, fin dall'inizio, gli aveva ispirato serenità mentre ora trasmetteva angoscia e solitudine.
Guardó Sanae.
Lei sorrideva, dolce, dolcissima come sempre ma severa, il suo volto statuario non lasciava trasparire null'altro. 
Tsubasa sentì freddo. Un gelo inaspettato gli stava penetrando nelle ossa e nel cuore. Si sentiva come quando le improvvise gelate invernali sorprendono gli alberi costringendoli ad avvizzire preda del freddo. Tremó: aveva sempre afferrato le emozioni di Sanae, lei non si tratteneva. Osservó meglio quegli occhi, quegli occhi tanto profondi, carichi d'amore e ricchi di promesse... Tsubasa non trovò nè amore nè promesse: vi lesse rassegnazione. Non era un atteggiamento tipico della sua Anego: lei era combattiva, non si arrendeva mai...Eppure...cosa stava accadendo? Prese il bimbo tra le braccia e...si accorse che non gli aveva mai chiesto il nome...Era tutto così strano.
Fece appello alla sua forza d'animo e cercó di mantenere la calma.
Sorridendo Tsubasa accarezzó il volto del bambino e gli domandò con tutta la dolcezza della quale era capace "Mi dici qual è il tuo nome? Perchè sei triste? Sei sempre felice quando giochiamo tutti e tre insieme..."
Si interruppe.
Aveva detto qualcosa di sbagliato: il piccolo cominciò a singhiozzare. Ai singulti seguì un fiume di lacrime incontenibile.
Tsubasa, confuso, si volse verso Sanae in cerca di risposte ma la ragazza parve non far caso allo stato d'animo del capitano. Lei continuava a sorridere, alzó le spalle come se volesse dirgli "Che vuoi farci, abbi pazienza" e abbassó lo sguardo...Rassegnata...Non aveva preso un abbaglio...C'era proprio rassegnazione nell'espressione di Sanae.
Il bambino si scostò da lui, bruscamente. Picchió i suoi piccoli pugni sul petto del calciatore.
Poi lo guardò serio e si spiegó, finalmente "Io mi chiamo come vuoi tu!...Ma non capisci?!...Perchè...Perchè non scegli me?!" 
A Tsubasa si spezzó il cuore. Non riuscì a trattenersi: cominció a piangere anche lui.
Voleva dire loro tante cose.
Voleva dire che li amava, che non voleva lasciarli, ma le parole che uscivano dalla sua bocca erano prive di suono. Muoveva le labbra affannato ma, nulla: era completamente afono. Il panico lo colse. Impietosamente veniva risucchiato da una forza che lo spingeva lontano da Sanae e dal bambino! Quella forza lo riportava sempre a casa, a Barcellona, dove si svegliava tranquillo nel suo letto. Ma questa volta voleva restare lì. Voleva sapere, capire cosa stava succedendo. Non voleva perderli, non voleva abbandonarli.
Tendeva le braccia verso Sanae e il piccolo e loro verso di lui ma nemmeno riuscivano a sfiorarsi!...Venne risucchiato, spinto via con violenza da quel luogo sconosciuto. Fu come scaraventato nel suo letto. Si sveglió gridando "No! Voglio restare!...voglio restare con voi!...Il bambino! Il mio bambino! ...Sanae!"...
 
Si svegliò di soprassalto.
Dalle persiane filtrava la luce dell'alba e le ombre della notte scivolavano fuori dagli angoli...
Tsubasa era tornato nel suo corpo, come sempre, ma questa volta era differente dalle altre. Si sentiva spossato. Era sudatissimo e spaventato. Respirava affannosamente. Si prese la testa tra le mani. Si alzó in preda al tormento.
Kumico, che era rimasta abbracciata al capitano dalla notte prima, fu svegliata dalle parole agitate e dai movimenti concitati del ragazzo. Non era certa di aver capito bene ció che lui aveva gridato nel sonno.
Non era più accanto a lei. Lo vide in piedi di fianco al letto, smarrito, viaggiava con la mente chissà dove.
Si alzò anche lei. Si avvicinó al calciatore e lo circondó con le braccia. Voleva tranquillizzarlo. Era bello abbracciarlo. Desiderava sinceramente rasserenarlo. Strofinó la testa contro la sua schiena. Si spostó poi davanti a lui, per poterlo guardare in viso. Cercó di indagare e con calma chiese "Il tuo bambino Tsubasa?" Lo osservò divertita e aggiunse "Che dici?! Sei matto?!...O c'é qualcosa che non so..." insinuó maliziosamente. Non era sua intenzione ma la stava buttando sul ridere. Pensò fosse meglio, per non dare troppa importanza all'episodio. Era necessario allentare la tensione.
Tsubasa si sentì un po' irritato dal tono canzonatorio della domanda ma non rimproveró a Kumiko la sua leggerezza. Si trattenne.
Quei suoi sogni erano troppo intimi, troppo personali. Inoltre era eccessivamente sconvolto per raccontare. E Kumiko, visto come l'aveva presa, non avrebbe capito il suo turbamento. Per lei era un gioco, almeno così sembrava. Non era per cattiveria da parte sua. Forse prendeva la situazione con leggerezza perchè, in fondo, lei non si era ancora mai veramente innamorata di qualcuno; di un amore profondo come era capitato a lui con Sanae. Eppure, questo gli era ormai chiaro e lampante, voleva lui...Non potè fare a meno di chiedersi che genere di amore nutriva Kumiko nei suoi confronti. E, qualora lo avesse accettato, dove lo avrebbe condotto?
Il fragile equilibrio che aveva faticosamente raggiunto era stato spezzato: la ragazza si era insinuata nella sua vita, lenta e inesorabile, intrappolandolo in una fitta rete.
All'inizio fu solo per gentilezza e per carpire notizie su Sanae ma poi, non avrebbe saputo dire quando e in che modo, fu preso dalla novità di averla con sè. Già...Lei era stata una ventata di novità e lui era così entusiasta di mostrarle la città, i suoi piccoli amici, la sua vita che, tanto valeva ammetterlo, la speranza di rivedere Sanae, era passata in secondo piano; inconsapevolmente stava cascando nelle braccia di Kumiko.
Affetto? Solitudine? Stanchezza? ...Non era più sicuro di nulla.
Mentre era in preda a questi pensieri kumiko gli si avvicinó di più e si strinse al suo petto.
Lo guardó.
Ritenne fosse il momento: si alzó sulle punte dei piedi. Lo bació sulla bocca. Non un bacio a fior di labbra. Un bacio profondo. Voleva sentire e far suo il sapore di Tsubasa...Finalmente, finalmente poteva toccarlo. Finalmente poteva baciarlo. Stava baciando il ragazzo che aveva sempre amato, fin dai tempi della scuola. Era emozionante, una sensazione indescrivibile. Quel bacio tanto desiderato la stava travolgendo. Aveva il cuore in gola e lo stomaco sottosopra. Tsubasa poteva essere suo, doveva farlo capitolare: ci mise tutta la passione e la tenerezza che possedeva. 
Prese ad accarezzarlo dappertutto. Tsubasa non opponeva resistenza ma lei intuiva che non era coinvolto. Lui era lì, inerte, la lasciava fare. Chissà dove stava con la testa: molti altri avrebbero dato qualsiasi cosa per averla, ma lui era lì, impalato. Pensó che fosse solo l'indecisione a paralizzarlo. Continuò con più passione, le mani scivolavano lungo il corpo del ragazzo con insistenza, esercitando pressione, pareva che Kumiko volesse imprimervi un'impronta. Era quello che voleva fare: cancellare col le sue mani le impronte di Sanae, doveva essere suo. Kumiko non si arrestava: non gli bastava più il sapore della bocca: voleva sapere com'era la sua pelle...
Tsubasa trasalì, quasi che il tocco della ragazza sulla pelle bruciasse.
Sentì un dolore sordo, profondo come se gli stessero strappando il cuore e con gesto deciso si staccó dal bacio e si divincoló dall'abbraccio. Due lacrime uscirono dai suoi occhi, non se ne accorse.
Gli tornó alla mente ancora quel detto..."Perchè desiderare la Luna se posso avere tutte le stelle"...
Kumiko gli offriva le stelle, erano lì a portata di mano ed erano molto allettanti. Bastava cedere, era sufficiemte che si lasciasse andare.
Tuttavia lui desiderava la luna...
Ma la realtà era che possedeva la notte, senza luna e senza stelle: poteva accontentarsi?
Mosse le labbra come per dire qualcosa ma non riuscì. Lei non avrebbe capito, avrebbe pensato a una sua farneticazione, e forse lo era. Si allontanó dall'attraente modella per appoggiassi alla finestra, guardó fuori il cielo plumbeo. Era inusuale per Barcellona. Infine, disse perentorio "Usciamo".
Senza aspettare risposte da parte della ragazza raccolse lo zaino e le chiavi della macchina.
Si avviò verso la porta, come un automa. Era certo che lei lo evrebbe seguito.
Kumiko era incredula: poteva averla, gli si era praticamente offerta e lui l'aveva allontanata. Voleva uscire. Potevano fare l'amore, ma lui voleva uscire...Cosa significava? Lei aveva notato quelle due lacrime. In cuor suo la ragazza sperò che il capitano volesse solo mettere ordine tra i suoi pensieri: forse lei stava andando troppo veloce e lo aveva spaventato...Oppure...Lui stava per prendere la sua decisione. Lo seguì fino alla porta e lo fermò dicendo "Usciamo?!...Vuoi che venga?..."
Lui la guardó e rispose senza esitare "Sì! Ho bisogno di camminare...A piedi nudi... Sulla sabbia!"...Finalmente, finalmente, tutto era chiaro nella sua mente...
  
Continua...
( Per 2/3 settimane sarò in vacanza e non so se avrò la possibilità di aggiornare la mia storia...Non vorrei pensaste che abbandono Tsubasa e Sanae lasciandoli così...in sospeso!...Mai...
Buone vacanze a tutti! Spero che al mio ritorno continuerete a leggermi!)
 
N.B.
Lo spunto per questa storia mi è stato offerto da una novella tedesca “Germelshausen” scritta da Friedrich Gerstacker. Questa storia, nel 1954, ispirò un musical della MGM “Brigadoon”. Dal musical, Vincent Minnelli, trasse l’omonimo film. Fu il suo primo film girato in Cinemascope.

 

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Capitolo 8
*** l'ultimo mio giorno ***


I personaggi non sono miei, appartengono a Yoichi Takahashi.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.
Note personali: non amo scrivere storie con più di un capitolo, perchè ho poca pazienza, ma ho voluto tentare. E’ una specie di sfida e spero di fare un buon lavoro!
Ringrazio coloro che dedicheranno del tempo alla lettura della mia storia e coloro che avranno la pazienza di recensirla.
Buona lettura!
 
 

L’ultimo mio giorno
 

Camminava a piedi scalzi.
Si era svegliata e non poteva più dormire.
Sanae camminava nel giardino immerso nelle ombre della notte.
Si fermò.
Prese ad accarezzare i rami delle antiche rose sontuose.
Rapita nel groviglio dei suoi pensieri, percorreva con le dita il fitto intrico dei rami spinosi.
Indugiò a giocare con le spine acuminate...Era stranamente piacevole.
Era sola.
Sola con i ricordi.
Col ricordo di quello strano giorno.
Rammentava quella spiacevole sensazione...Se solo le avesse dato ascolto..
 
 

...Non fu un giorno come gli altri quello...

Quello fu il suo Ultimo Giorno

Si sentiva osservata.
Sgradevolemnete osservata.
Da quando avevano lasciato l'accampamento, per avviarsi verso il bosco, Kumiko non l'aveva persa di vista un istante.
Si sforzava di non farci caso ma quegli occhi indiscreti che la seguivano costantemente le creavano disagio. Come mai la osservava con tanta insistenza? Non si erano più parlate, al di lá dei saluti, dalla sera della festa.
Per come la vedeva Sanae non c'era più nulla da dire.
Per fortuna le allegre lamentele di  Yukari la distraevano. La sua cara amica non aveva nessuna voglia di raccogliere legna, avrebbe di gran lunga preferito crogiolarsi al sole al fianco di Ryo che pescava. A dirla tutta non amava il campeggio: era oltremodo scomodo!
Sanae rideva divertita mentre la giovane si sfogava. Per la verità la fidanzata del capitano avvertiva una sorta di malinconia.
Naturalmente era elettrizzata all'idea di sposarsi, ed era felice di vivere con Tsubasa. Lui la faceva sentire amata e desiderata. Nonostante fosse un ragazzo estremamente riservato, era spontaneo e trasparente nei suoi sentimenti e lasciava intuire chiaramente ciò che provava nei suoi confronti, senza remore. Tuttavia Sanae a Barcellona non aveva ancora degli amici, a parte la madre di Pinto. Yukari e le altre le sarebbero sicuramente mancate.
La cosa migliore era non pensare troppo a Kumiko e ai suoi vaneggiamenti: meglio godere appieno di quei momenti con le altre. Non si sarebbero viste più tanto spesso, e già la nostalgia faceva capolino nel cuore della futura sposa.
Yukari osservó l'amica e, intuendo i suoi pensieri, si fermó esclamando a bruciapelo "Prometto che verró a trovarti tutte le volte che potrò!" Poi abbracció Sanae dando voce a ciò che aveva nel cuore "Non è una mancanza di fiducia verso il tuo futuro marito ma...Insomma...So che ci sarà Tsubasa a prendersi cura di te e so che ti renderà felice ma...Non è come avere una migliore amica..."
"Ci mancherai Sanae" furono le semplici parole di Amy che, insieme a Jenny, si unì all'abbraccio fraterno delle altre due.
A Sanae prese un nodo alla gola ma cercó di non esternare troppo la sua commozione e sdrammatizzó con aria alllegra "Coraggio, devo solo sposarmi, mica parto per la guerrra! E poi saró a Barcellona: non è poi così difficile da raggiungere"
Ce la mise tutta ma non riuscì a frenare le lacrime.
Kumiko non aveva perso una parola, non le era sfuggito un gesto.
Osservava la scena immobile, l'espressione era glaciale.
A Sanae parve, per un attimo, di intravvedere una fuggevole ombra di mestizia negli occhi ombrosi della ragazza.
Pensó che Kumiko, in fondo, non aveva ció che possedeva lei, e non si trattava solo di Tsubasa. Kumiko le apparve sotto una luce diversa, amara. Era una ragazza molto sola anche se circondata da tante, tantissime persone. Nella sua cerchia mancavano l'affetto e l'amore dalle quali, invece, Sanae si sentiva beatamente avvolta. La fidanzata del capitano cominciò a riflettere seriamente sull'indole della modella: Kumiko non era poi così cattiva come aveva concluso quella sera alla festa. Era fredda, all'apparenza imperturbabile, ma nel suo cuore anelava al calore di un affetto sincero. Troppo persa dietro al suo amore non corrisposto verso Tsubasa. Troppo persa nel suo mondo dorato, di fatto non riusciva a fermarsi e capire che, anche lei, poteva essere felice. Bastava poco. Se solo avesse smesso di perdere tempo a invidiarla e a meditare solo su ciò che non aveva...
Sanae sperò di poterla aiutare: magari, un giorno, avrebbe colto l'occasione propizia per parlarle sinceramente.
"Avanti smettetela di piangere voi quattro. Soprattutto tu Sanae...Ti sposi col tuo grande amore no?!..A proposito...Sei sicura che ti ha chiesto di sposarlo? Non me lo vedo Tsubasa sposato...Te l'ha chiesto proprio lui o sei stata tu?"
"Che antipatica!" pensò Sanae tra sè, mentre il proposito di poco prima le moriva nel cuore...
Forse il tono voleva essere canzonatorio o forse, Kumiko cercava proprio la rissa. Non riuscì a venirne a capo. Eppure, un attimo prima, non le era sembrata così dura, anzi...Evidentemente si era sbagliata.
Sanae diede un taglio alle elucubrazioni: doveva risolvere la situazione.
Ormai, con le sue  parole lapidarie, Kumiko aveva spezzato la serenità di quel momento.
Jenny, Amy e persino Yukari rimasero zitte e ferme. Immobili e pallide, rinsecchite e fragili.  Parevano una manciata di foglie secche a primavera dimenticate lì dall'autunno appena trascorso.
A Sanae sembrò che anche il sole, mortificato, si fosse nascosto un breve attimo dietro una nube.
Si fece coraggio e, con tono deciso e pimpante, cercò di stemperare la pesantezza dell'atmosfera opprimente
"No!...Me l'ha chiesto lui ed io mi sono molto compiaciuta del suo buongusto..."
Non aveva nessuna intenzione di litigare, nè di farsi rovinare la giornata da Kumiko.
"Già!...Tsubasa ha sempre avuto buongusto, fin da piccolo!"
Rise Amy. Fu lei la prima a riscuotersi dal gelido torpore in cui le aveva precipitate il discorso di Kumiko.
Benefica come una rinfrescante pioggia estiva, la risata di Amy contagiò anche le altre che sembrarono riprendere vita.
"Coraggio!... Qui dovrebbero esserci abbastanza rami e rametti che dite?"
Le parole di Jenny risuonarono squillanti e vi fecero eco quelle di Yukari "Avanti sbrighiamoci...Speriamo peschino qualcosa:ho una fame!..."
"Ma tu pensi sempre a mangiare?!...Ti sei appena finita un panino! Cerca di resistere, è solo mezzogiorno..." la stuzzicó Sanae.
Tutto ritornò vivace e colorato come prima e, di buona lena, le cinque ragazze cominciarono a lavorare.
Sanae, intenta a raccogliere i rametti per il fuoco, si era un po' allontanata dal gruppo.
"Mi dispiace per l'altra sera, e per poco fa: non volevo essere così sgradevole"  Kumiko era alle sue spalle.
L'aveva raggiunta silenziosamente.
Sanae la scrutó: lo sguardo sembrava veramente pentito e la voce sincera. Tuttavia l'aveva ferita molto profondamente...Due volte. Non rispose ma continuó a guardarla negli occhi  senza paura, in silenzio. Poi riprese a camminare e raccogliere legna, chiudendosi in un ostinato silenzio.
La giovane modella, non udendo risposta, la seguì e continuò. Voleva spiegarsi "Peró...Devi ammettere che in parte ho ragione!"
"Ma davvero?!" Commentò secca la manager continuando per la sua strada.
"Per favore Sanae! Ascoltami e guarda in faccia la realtà: appartenete a due mondi diversi tu e Tsubasa. Lui diventerá sempre più acclamato e famoso tu invece resterai quella che sei...Lui si stancherà di te, è inevitabile. Non credo che il vostro matrimonio durerà, prima o poi lui capirà qual è il suo posto e qual è il tuo. Non rimarrà con te! Davvero non capisci? Lui non ha bisogno di te, che puoi dargli? Amore? Magari un bambino? Sei un'illusa...Lui non è fatto per cambiare pannolini e stare sveglio la notte! Tu non sei adatta per lui. Lui merita di avere vicino una ragazza stimolante, al suo livello, che appartenga al suo mondo..."
Sanae si bloccó guardandola con durezza.
"Una come sei tu, insomma!"
La interruppe bruscamente. Era stanca di essere insultata e presa in giro.
Kumiko non ebbe il coraggio di ammetterlo e negò l'evidenza "Ma io non intendevo dire..."
Sanae, sospiró e senza mezzi termini precisó "Lo intendevi eccome! Tu ti riferivi proprio a te stessa...Nel tuo cuore speri ancora di averlo! Codarda! Sii sincera una volta tanto!"
La modella abbassó lo sguardo, non si sentiva affatto colpevole, ma ammise "E se anche fosse? Io sono convinta di ciò che dico: lui ti lascerà non appena capirà che non sei alla sua altezza. Non ce l'ho con te Sanae, penso veramente che con una come me Tsubasa sarebbe piú felice. Io posso offrirgli molto. In più posso capire bene com'è il mondo in cui vivrà perchè è anche il mio...All'inizio sarete felici ma poi...Mi dispiace dirti questo...Gioca pure a fare Cenerentola col Principe azzurro...E vissero felici e contenti...Ti sei mai domandata per quanto è durata? La verità, cara la mia sposa, è che Lui si sveglierà e il bel sogno svanirà...Ti scotterai!"
Sanae replicó, non era disposta a cedere: lei era sicura dei sentimenti e della sincerità di Tsubasa "lui non è così, non cambierà...Te l'ho già detto mi pare! Non insistere...Comunque...Non hai una gran bella opinione di Tsubasa: se è come lo giudichi tu, sei sicura che tu saresti felice con uno così?!"
Kumiko, alta e fiera, era incontenibile "Sì...Io sì! Ma tu no Sanae!... Tu no! Perchè tu sei una ragazza dolce e semplice. Sei la ragazza della porta accanto e poi sei sentimentale e innamorata: soffriresti! E molto anche...Io invece sono abituata a tipi così, sono tutti così nel mio mondo. Io sopporterei perché sono egocentrica ed egoista: so come muovermi...io!"
"...Non hai una gran bella opinione nemmeno di te stessa..." Asserì Sanae ma subito si interruppe sbalordita: una fitta nebbia si alzó improvvisa e le sorprese, avvolgendole completamente.
Non si vedeva nulla.
Erano lontane dal resto del gruppo.
Kumiko aveva paura e lo ammise senza difficoltà "Ho paura!...Sanae!"
La ragazza la cercò e, seguendone la voce, si avvicinó alla modella.
La prese per mano.
"Sono qui...Tutta questa nebbia non è normale..." Non potè fare a meno di sottolineare preoccupata. Purtroppo, assorbite dall'alterco, si erano allontanate seguendo meccanicamente il corso del ruscello e ora non avevano la più pallida idea di dove si trovassero. Avevano perso l'orientamento, sapevano solo di aver seguito il corso d'acqua.
Non si mossero fino a quando la foschia caló.
Non ci volle molto.
La nebbia svanì così come era venuta e il sole balzò nel cielo a riscaldare l'aria intorno.
Avevano freddo.
Attraversarono il ruscello per sedersi un momento a riposare nella bella e assolata radura che si trovava sull'altra sponda.
"Mi dispiace Sanae, se non avessi cominciato quella stupida discussione saremmo state attente a dove andavamo e ora...Sbaglio sempre tutto...Io in realtà volevo solo scusarmi! Solo che poi...Io non so che mi ha preso...Mi son fatta trascinare da non so che...Perdonami ti prego!"
Di nuovo le diede l'idea di essere sincera.
Sanae non accettó del tutto, e non digerì, quelle scuse tardive "Non pensarci, dobbiamo tirarci fuori da questo pasticcio piuttosto...Guarda! Lì c'è un'indicazione, prendi la cartina...Vediamo...Small River " Lesse palesando la sua perplessità..."Io non l'ho mai sentito, e tu Kumiko?"
La giovane alzò gli occhi dalla cartina e rispose di no e nemmeno compariva sulla mappa.
Propose di seguire il sentiero per raggiungere quel misterioso luogo: là avrebbero potuto trovare qualcuno e chiedere lumi.
Sanae convenne che fosse una buona soluzione anche se avvertiva una strana atmosfera, e poi quell'inconsueta nebbia... Reputó il tutto molto strano, ma non c'era altro da fare.
Le due imboccarono il sentiero che serpeggiava morbidamente su per la collina. Si guardavano intorno sospettose.
D'un tratto scorsero un ragazzino ma non fecero in tempo a dir nulla.
Quello scappò via, appena le vide, sembrava impaurito..."Siamo così brutte?!" rise Kumiko rivolgendosi a Sanae.
Sanae sogghignò e poi disse in tono serio che forse, se Small River non compariva sulla cartina, da quelle parti non capitavano spesso dei forestieri.
Camminavano ormai da un'oretta quando, ancor prima di avvistare poche case tranquillamente immerse nei campi dorati, cominciarono a sentire il suono di campane e il vociare di molte persone. Erano tutti indaffarati. Sembrava che si stesse preparando qualche avvenimento.
Il ragazzino che poco prima era fuggito lasciandole con un palmo di naso si fece loro incontro accompagnato da un uomo. Erano abbigliati stranamente, un abbigliamento d'altri tempi.
A Sanae parve che tutto ciò che le circondava avesse il sapore antico di un altro tempo, un tempo passato, un tempo e un'innocenza che il resto del mondo aveva perduto e obliato nel corso degli anni.
L'uomo sorrideva, i suoi lineamenti erano gentili. Non era vecchio, neanche giovane...Non aveva età ma nei suoi occhi scuri e penetranti si poteva scorgere l'esperienza di molti anni. "Ecco...maestro, sono loro!" il fluire delle riflessioni di Sanae sulla singolarità di quel villaggio, dimenticato anche dalla mappa, venne interrotto dalle parole del piccolo che si rivolgeva all'accompagnatore.
Quest'ultimo intervenne subito senza dare alle due ragazze il tempo di raccogliere i pensieri e fare domande "Buongiorno, io sono Jerwis, il maestro di scuola....Il comportamento del mio piccolo allievo vi avrà stupite ma qui non capitano spesso degli stranieri. Venite, riposatevi un poco. Qui sono tutti affaccendati. Si sta preparando una festa: si celebrerà un Matrimonio stasera e tutto il villaggio è in subbuglio!"
Sanae continuava a esaminare curiosa l'intorno e, tanto per chiarire a se stessa che era sveglia e camminava sulla terra, parlò..."Questo paese è decisamente particolare e non è sulla cartina..."
Jerwis, nonostante lei non stesse apertamente chiedendo spigazioni proprio a lui, si sentì in dovere di risponedere "Lo so..."
Sanae si ridestò dal viaggio nella sua mente: aveva parlato a voce alta senza saperlo...Tanto valeva indagare, e prese la palla al balzo..."Lo sapete?!"
"Certamente" Rimarcò il vecchio maestro di scuola.
Sanae insistette "Come sarebbe? Per quale motivo?"
"Ci sono degli ottimi motivi mia cara" Rispose sibillino con un mezzo sorriso...Poi precisò "Tutto a suo tempo, tutto a suo tempo..."
"Mhhh..." Sanae ripiombò nelle sue meditazioni sussurrando al vento "Sembra che il tempo qui vada a rilento, è tutto calmo e pacifico, nostalgico, come immerso in una specie di arcana magia gentile. Sembra che il male qui non ci sia, scorre via...Lo scorrere misterioso del tempo lo porta con sè, non riesce a depositarsi su questo luogo..."
Jerwis la scrutò, colpito dalle parole.
Il volto di Sanae era come trasfigurato dalla profondità delle impressioni che aveva espresso.
Non potè fare a meno di intervenire "Sei una ragazza molto sensibile... Tu senti la magia di questo sito, sono vere le tue intuizioni...Solo...Su una cosa sbagli: il tempo scorre anche qui come nel resto del mondo. Esso non indugia mai, scorre inesorabile ma qui, in questo luogo,  non corrompe le cose nè le persone. Il flusso del tempo porta via con sè il male conducendolo lontano. Noi restiamo qui, protetti dall'arcana magia gentile come l'hai definita tu...Ma...Badate...Non c'è malvagità in questo luogo, tuttavia, se qualcuno che giunge da fuori porta il male nel suo cuore esso varcherà questi confini. Qui il male può essere estirpato e l’anima guarita. Qui le ombre del cuore possono essere dissipate, se chi le porta con sè avrà il coraggio di guardare in se stesso..." Dicendo ciò si volse verso Kumiko.
Non si dissero altro. Continuarono a camminare fino a un antico roseto.
Alcuni petali odorosi volteggiavano nell'aria cullati dal vento...
 

...Una folata gelida la risvegliò dal ricordo...

“Come nell’ultimo mio giorno...Allora come adesso le rose danzavano nell’aria...” disse con un filo di voce rivolta alla notte.
Le parole di Sanae si confondevano con il vento che giocava nel giardino assonnato.
Riprese a passeggiare volgendo nuovamente la mente al passato...nel medesimo luogo, quel suo ultimo giorno.
Era proprio lì, in quel roseto, che tutto nella mente di Kumiko prese forma...
 
 

Continua...
 
 

N.B.
Lo spunto per questa storia mi è stato offerto da una novella tedesca “Germelshausen” scritta da Friedrich Gerstacker. Questa storia, nel 1954, ispirò un musical della MGM “Brigadoon”. Dal musical, Vincent Minnelli, trasse l’omonimo film. Fu il suo primo film girato in Cinemascope.
  

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Capitolo 9
*** Scegli me ***


I personaggi non sono miei, appartengono a Yoichi Takahashi.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.
Note personali: non amo scrivere storie con più di un capitolo, perché ho poca pazienza, ma ho voluto tentare. E’ una specie di sfida e spero di fare un buon lavoro!
Ringrazio coloro che dedicheranno del tempo alla lettura della mia storia e coloro che avranno la pazienza di recensirla.

Buona lettura!


 

Scegli me

 

Tsubasa salì in macchina, seguito da Kumiko.
Non disse dov'era diretto, non aveva voglia di parlare.
Concentrato sulla guida, fissava il nastro d’asfalto grigio della strada scorrere via.
Voleva riordinare la mente.
Pensava, poteva solo pensare e ricordare.

Ricordare e pensare...

Tornò indietro a due mesi prima...A quando Kumiko si presentò alla sua porta...
Ricordò il subitaneo impeto di parlarne con qualcuno.
Ritrovarsi di fronte quella ragazza gli procurò una stranissima sensazione.
Non era gioia, non sapeva cosa avesse provato esattamente, forse nulla... A parte...Delusione.
Sì, certo, delusione e rammarico, perché nel suo cuore sperava di vedersi davanti Sanae e invece...
Nemmeno poté ignorare la stretta allo stomaco che lo assalì non appena realizzò chi c'era all'ingresso di casa sua. Significava senza ombra di dubbio che aveva fiutato dei guai ma...Era un'amica.
Si lascia un'amica sulla porta?!...Beh!...No.
E...Se quell'amica è stata l'ultima persona ad aver visto la tua fidanzata ormai scomparsa da mesi?...Certamente...No!
E...Se quell'amica ti chiede ospitalità?... Fai il possibile!
Questo fece, trascinato dalla gentilezza: Tsubasa aveva fatto ciò che ci si aspetta da un vecchio amico.
Non fu semplice.
Mille dubbi gli invasero la mente e il cuore mentre la lasciava entrare, accettando di ospitarla.
Cercò di dissimulare mentre le mostrava la stanza per gli ospiti.
Fece tutto quanto in suo potere per apparire calmo e affabile, nonostante avesse una fretta pungente.
Aveva proprio una gran fretta di uscire: da quando lei aveva varcato la soglia di casa lui faticava a respirare e aveva la pelle d'oca.
Si congedò da Kumiko quasi subito, lasciandola sola a prendere contatto con l'ambiente.
Uscì...Anzi...Ad essere onesti...Fuggì!
Si precipitò al parco della Ciutadella e si fermò all'ombra dell’acacia...La loro acacia.
Il loro albero, quell'angolo di Giappone a Barcellona, come l'aveva definito Sanae.
Lì poteva stare tranquillo, nessuno lo avrebbe disturbato né ascoltato...Lì poteva fare quella telefonata importante.
Si raccolse concentrandosi nei suoi pensieri.
Cercò il numero nel suo cellulare e chiamò.
Il cuore batteva forte mentre il telefono squillava...Non rispondeva nessuno...
Poi... Tsubasa tirò un sospiro di sollievo e parlò.
“Ciao! ...Come stai?”
Il capitano avvertì un certo stupore all'altro capo del filo...
”Tsubasa?!”
“Sì!..Sono io, ciao Yukari...”
La ragazza fu piacevolmente sorpresa dalla telefonata dell'amico, pur trovandola insolita. Tsubasa non le telefonava quasi mai. Si mandavano delle mail, generalmente lui telefonava a Ryo mentre...Era Sanae che chiamava lei...Sanae...Quanto le mancava Sanae, quanti ricordi.
Lacrime di nostalgia si affacciarono ai suoi occhi.
Non sentendo nulla Tsubasa continuò...
“Yukari stai bene?...Ti ho disturbata?!”
Lei si ridestò dai suoi pensieri...
”No!...Sì...Sto bene, sono solo un po' sorpresa di sentirti, tutto qua...Poi...Qui è già passata mezzanotte...Va tutto bene capitano?”
Tsubasa seguì l’impulso di chiamare Yukari, non per giustificarsi, non per scrollarsi di dosso qualche senso di colpa e nemmeno per trovare in lei approvazione. Parlare con Yukari era un po' come parlare con Sanae, parlare con lei era sentirsi un po' più vicino a Sanae.
Tra l'altro...No, non si sentiva affatto bene, anche se non lo dichiarò apertamente...
”kumiko è a casa mia...E' venuta a trovarmi, vuole che le mostri la città, vuole stare da me...Sa che ho ospitato voi e poi anche Taro! Le ho detto che va bene...Yukari!...Lei è l'ultima persona ad aver visto Sanae viva...”
L’amica colse il tono agitato di Tsubasa: qualcosa non andava. Yukari ebbe un moto di rabbia
“Come ha potuto presentarsi da te?! ...E tu?! La lasci restare? Hai dimenticato che è innamorata di te? E tu sei solo, solissimo...”
“Yukari, ragiona: come potevo mandarla via?...Kumiko è pur sempre nostra amica! Ma non è questo il punto, ascoltami, cerca di capire...Lei è l'ultima persona ad aver visto Sanae viva, se la lascio restare da me potrei avere la possibilità di saperne di più. Tu non eri convinta della sua versione. Ricordi? Potrebbe rivelarmi qualche particolare senza accorgersene. Potrebbe tradirsi...O magari, potrebbe solo ricordare qualcosa di utile che era stato trascurato...Ho bisogno di un appiglio! E' finita Yukari! E' tutto perduto! Le ricerche non danno risultati, la polizia in Giappone sta per archiviare il caso e l'agenzia privata che ho incaricato non trova niente, nessuna traccia! Sanae è stata inghiottita dal nulla, è come se si fosse volatilizzata...Kumiko è la sola possibilità che mi resta...Sempre che ci sia qualcosa da scoprire...o che non sia troppo tardi...”
Il discorso concitato di Tsubasa non faceva una grinza e Yukari poteva ben immaginare la disperazione del capitano. Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di riabbracciare Sanae o conoscere la sorte che le era toccata.
“Mmhh...Già...Tsubasa...Ascoltami bene anche tu! Kumiko non è una sprovveduta, non si è tradita con le autorità come puoi pensare che si lasci convincere da te?! Tu sei il fidanzato di Sanae, sei l’ultima persona con la quale si aprirebbe...Non capisci perché ti ha raggiunto a Barcellona?!...Sanae non c'e e tu sei tutto solo e triste...E' lì per consolarti, se sai cosa intendo per...Consolarti...”
Tsubasa si sentì ferito, sapeva benissimo cosa intendeva, ed era una mancanza di fiducia bella e buona la sua!
Il calciatore non se l'aspettava e ci tenne a ribadire, con una certa irritazione...
”Io amo Sanae! La amo ancora...E Kumi era innamorata di me ai tempi delle medie, è passato un sacco di tempo! Comunque... Nemmeno io sono uno sprovveduto e ti ricordo che bisogna essere in due per...OH!...Andiamo!...Io voglio tentare: sono un amico e non un poliziotto, magari abbasserà la guardia con me e poi...Non abbiamo certezze in merito, dobbiamo darle il beneficio del dubbio: una persona è innocente fino a prova contraria. Io non l'attaccherò, cercherò di indagare con pazienza...E non le darò illusioni di alcun genere, stanne certa...Lei è l'ultima speranza che ho...”
Non sfuggì alla ragazza la voce rotta dal pianto...Pianto che stava per contagiare anche lei...
”Lo so che ami Sanae ma, già il fatto che permetti a Kumiko di restare da te alimenterà in lei proprio quelle speranze che non vuoi darle. Lei è innamorata di te e leggerà la tua disponibilità a modo suo! Tienilo bene a mente Tsubasa!...Stai attento, lei è furba e tu non la conosci abbastanza, non la temi abbastanza! Mi raccomando, non fare nulla di cui potresti pentirti...E ricorda, lei non era poi così amica di Sanae. E' stata molto acida con lei quel maledetto giorno...Per causa tua, direi...Ammetto di avere il dente avvelenato verso quella ragazza e, può essere che lei sia innocente ma tu, fai la massima attenzione: ti vuole per sé, non farti incantare...Promettimelo!”
Tsubasa capiva cosa voleva comunicargli Yukari: lui era in una situazione precaria e, se lei aveva ragione, Kumiko ne avrebbe approfittato. Proprio ora, che aveva faticosamente ripreso a vivere ed era sereno, stava per mettere in discussione quell’equilibrio che aveva recuperato da poco...Tuttavia, Yukari poteva vedere il diavolo più brutto di quello che era in realtà. In ogni caso doveva rischiare, non c'era altro da fare...
”Starò attento, ma devo mettermi in gioco, devo farlo Yukari...Non sono uno stupido!”
“Lo so!...Ti auguro buona fortuna capitano! Ricorda...Potresti perdere tutto quello che stai tentando di riavere...Ciao!”
“Buonanotte!”
Chiuse Tsubasa con un filo di voce...Era vero, poteva perdere tutto.
Yukari era molto preoccupata, e anche lui lo era...Stava per giocare con il fuoco. Kumiko era stupenda e lui si sentiva solo, indubbiamente, ma...Lui amava Sanae e la rivoleva, poi...Possibile che kumiko fosse ancora innamorata di lui?...Era passato un secolo!
Se era vero, stava per cacciarsi in un bel guaio! Comunque...Ormai era fatta: Kumiko era a casa sua!
“Indietro non si torna!”....Così si era detto.
Se lo disse a voce alta per convincersi meglio ma...La sensazione di apnea che lo aggredì, da quando Kumiko era entrata nella sua casa e quindi nella sua vita, non l’abbandonò.
Avrebbe dovuto dare retta a quella sua prima impressione, sarebbe stato tutto meno complicato.
O...Magari no!...Magari era giusta la strada disperata e rischiosa che aveva intrapreso.
Per come erano andate le cose non poteva dirlo. Non lo sapeva...Accidenti!...Non lo sapeva più!
Dopo la telefonata con Yukari, istintivamente, si poggiò all'acacia per trarne conforto, sicurezza, consiglio. Parlò sottovoce all'albero silente tanto caro a Sanae.
Quelle parole erano ancora lì scolpite nella sua mente, parlò rivolgendosi a Sanae, proprio come se lei fosse stata lì...”Sanae...Tu che faresti?”
La pianta era nel pieno della fioritura, i suoi fiori lilla ondeggiavano al vento che giocava spensierato tra i rami flessuosi.
Come avrebbe voluto essere il vento.
Si sentì pervaso di fiducia e coraggio: pensare a Sanae e a tutti i momenti vissuti con lei in quello stesso posto lo sollevò.
Aderì con il corpo al tronco, e poi parlò di nuovo all'albero che, paziente, lo ascoltava ancora e ancora...”...Sanae!...Già, è vero! Che sciocco sono...Tu non ti arrendi mai, mai...”
Nemmeno lui si sarebbe arreso.
Lo giurò a se stesso, lo giurò quel giorno e tornò a casa...Da kumiko.
Era pronto.
Ebbe una sorpresa al suo rientro: Kumiko, appisolata sul divano, parlava nel sonno.
Si lamentava e chiamava Sanae.
Lui restò lì, in silenzio, ad ascoltare.
Per essere onesti era più corretto dire che restò lì a...Spiare!
Se gli avessero detto che un giorno avrebbe fatto una cosa del genere non ci avrebbe creduto: la spiò! La spiò e, tutte le volte che la sorprendeva sul divano appisolata, ascoltava...Ascoltava i suoi sogni e i lamenti amari: Kumiko aveva un segreto che riguardava quel terribile giorno. Non era chiaro se riguardasse la scomparsa di Sanae.
Lei non rivelò mai nulla. Nè consciamente né inconsciamente.
Forse, lui non aveva saputo ascoltare, non aveva insistito abbastanza, non aveva posto le domande giuste, quelle che non ti lasciano scampo.
Lui giocava a fare il detective ma non lo era...Che Stupido!...Era stato uno stupido...Che ci fosse o meno qualcosa da scoprire lui era stato uno stupido. Uno stupido idiota! Persino un bambino aveva sentito il dovere di metterlo in guardia, come aveva fatto lui a non accorgersene?!...Semplice: lui era troppo coinvolto...Lei, muovendosi in punta di piedi, lo aveva quasi imprigionato e ora si preparava a colpire.
Aveva già sferrato il primo attacco: dalla notte precedente aveva gettato la maschera infilandosi nel suo letto e abbracciandolo e poi quella stessa mattina baciandolo e tentando di spingerlo a fare l’amore...Sentiva ancora il sapore di lei.
Si morse il labbro.
Gli bruciavano gli occhi.
Per tutta la notte aveva sempre e solo rimuginato sulle scelte, gli errori, le speranze, i doveri.
I pensieri non gli concessero riposo.
Nel pomeriggio, in terrazzo, il piccolo Pinto aveva intuito che lui si stava perdendo e lo aveva come risvegliato dal sortilegio: lui non era altro che la preda del ragno intrappolata nella tela...Da quel momento fu un crescendo di tensione...Ed essa raggiunse l'apice, non lasciandogli più scampo quando, la notte, nel buio, sentì la porta della sua stanza aprirsi...Era Kumiko.
Si infilava nel suo letto, come fosse la cosa più naturale del mondo.
Ma perché non l'aveva mandata via?!...Gli aveva tolto lucidità, minato la sua sicurezza, in qualche modo riusciva a farsi desiderare. Eppure lui amava Sanae, ne era certo.
Le carezze, l'abbraccio...Lui aveva continuato a darle le spalle e poi l'aveva fermata.
Era in bilico e, quando finalmente il sonno lo colse, ecco quell'incubo dove Sanae non sembrava più essere la sua Sanae! Non era più sua...Possibile che l'avesse perduta? Possibile che fosse tutto finito? E il bambino? Che cosa volevano dire? Aveva mandato tutto all’aria con la sua sciocca titubanza?
Doveva calmarsi e recuperare la razionalità.
Mentre continuava a osservare l'asfalto fuggire, si sentì avvampare. Mosse la bocca senza emettere alcun suono, ma avrebbe voluto gridare con tutta la voce che aveva in corpo.
“Che stupido!...Stupido idiota!...Quanti schiaffi che mi darei!...No!...Non è vero! Non può essere vero...”
Si rimproverò aspramente muovendo la bocca e trattenendo la voce.
Doveva porre la domanda giusta, quella risolutiva...Se non avevano funzionato la discrezione e l'amicizia, forse poteva tentare di parlare al cuore, scegliendo le parole giuste...Non doveva mollare, non adesso, non era ancora finita.
Kumiko fu stupita da quella strana reazione di Tsubasa. Continuò a studiarlo taciturna.
Non si erano detti una parola da quando erano usciti. Lei lo aveva seguito come un’ombra e se ne stava lì, in macchina, seduta a domandarsi dove la stesse portando, perché l’avesse voluta con sé e cosa gli fosse preso poco prima. Tsubasa non l'aveva scacciata ma, ugualmente, l'aveva rifiutata.
Era quasi riuscita nel suo intento ma aveva calcolato male i tempi: il capitano non era pronto...Non ancora...Ma lei non doveva demordere!
Il ragazzo fermò l'auto e, sempre chiuso nel suo mutismo, scese.
Lei lo seguì.
Erano arrivati sulla spiaggia.
Stava già albeggiando.
Tsubasa non aveva più messo piede lì dalla scomparsa di Sanae.
Temeva l'effetto che gli avrebbe fatto quel luogo senza di lei.
Si guardò intorno, quasi a cercarla... C'erano tanti ricordi. L'aria era permeata dei loro ricordi. Essi erano talmente vividi che al capitano sembrò di non essersene mai andato da lì. Era come se lui e Sanae fossero rimasti laggiù a guardare il mare, a sentire il vento, a toccare la sabbia. Quel paesaggio era parte di loro, viveva delle loro memorie, avevano lasciato una traccia, un segno, e quel luogo l'aveva conservata intatta, viva.
Sospirò.
Si chinò per togliersi le scarpe, le ripose nello zaino e cominciò camminare.
Amava camminare sulla spiaggia, gli era sempre piaciuto.
Kumiko era accanto a lui, come una compagna fedele.
Esaminava incuriosita e contrariata il paesaggio. Era molto diverso da quello della spiaggia della Barcelloneta. Pensò che quel posto così vuoto e solitario fosse desolante e ruppe il silenzio facendolo notare a Tsubasa.
Egli rispose, calmo "Non è desolante è solo selvaggio, è la natura..."
La modella si guardò intorno per osservare meglio poi, dubbiosa, proseguì "Sarà!...Sembra un deserto, è desolante...Forse per me è troppo naturale qui!"
Tsubasa sorrise, immaginava che non le sarebbe piaciuto più di tanto.
Era il posto suo e di Sanae...Erano proprio due ragazze diverse, non c'era nulla da fare...
"Il deserto cela molte cose, non è solo sabbia...Devi imparare ad andare oltre..."
Constatò lui mentre, con piglio sicuro, continuava a dirigersi verso il mare.
Tsubasa si fermò in prossimità della riva.
L'andirivieni delle onde lambiva i suoi piedi che poco a poco affondavano nella sabbia bagnata. Chiuse gli occhi.
Si lasciò affondare per meglio percepire la consistenza dei granelli... Come per sentirsi più sicuro, ben in equilibrio.
Alzò la testa verso il cielo e respirò profondamente.
Era bella la sensazione della brezza sulla pelle.
Rilassò il corpo e, con le braccia leggermente aperte, lo offrì all'abbraccio del vento che si faceva più forte.
Si stava rannuvolando, il cielo non prometteva nulla di buono.
Kumiko scrutava il ragazzo rapita e in silenzio.
Temeva che con le parole avrebbe turbato quella visione ammaliante, facendola svanire.
Era Bellissimo....Bellissimo e sconvolto. Attraente e solo. Meravigliosamente malinconico e ferito, disperatamente teso alla ricerca dell’amore. Notò che l'espressione colpevole del risveglio, quando l'aveva allontanata dopo quel profondo ed eloquente bacio, aveva abbandonato il suo viso.
Ora era perfettamente disteso e sereno.
Kumiko si avvicinò e alzandosi sulla punta dei piedi gli bisbigliò all'orecchio...

"Io ti amo Tsubasa...Ti amo, perché non scegli me? Abbandona il tuo fardello. Il passato è passato, non tornerà...E' solo il ricordo di un attimo, non c'è più...Non tornerà, non tornerà..."

 

Continua...

 

 

 

N.B.

Lo spunto per questa storia mi è stato offerto da una novella tedesca “Germelshausen” scritta da Friedrich Gerstacker. Questa storia, nel 1954, ispirò un musical della MGM “Brigadoon”. Dal musical, Vincent Minnelli, trasse l’omonimo film. Fu il suo primo film girato in Cinemascope.

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Capitolo 10
*** la voce del cuore, la voce nel vento ***


I personaggi non sono miei, appartengono a Yoichi Takahashi.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.
Note personali: non amo scrivere storie con più di un capitolo, perchè ho poca pazienza, ma ho voluto tentare. E’ una specie di sfida e spero di fare un buon lavoro!
Ringrazio coloro che dedicheranno del tempo alla lettura della mia storia e coloro che avranno la pazienza di recensirla.

Buona lettura!


 

La voce del cuore, la voce nel vento


 

Sanae e Kumiko si accomodarono nel roseto ad ascoltare il racconto di Jerwis.
..."Non crederete a ciò che vi racconterò!..A dispetto di ciò che penserete è giusto che sappiate dove siete capitate...Vedete, questo territorio vive solitario e sicuro tra le nebbie del tempo. Si affaccia sulla vostra realtà solo una volta ogni secolo. Oggi è il giorno prestabilito! Questo brandello di spazio vive al riparo dallo scorrere del tempo e non rimane abbastanza in contatto con la vostra realtà per esserne corrotto e rovinato...Tutto qui è pace e serenità, non esiste il male, noi viviamo in armonia con la natura e il fluire del tempo e delle stagioni, senza pretese. Qui i viandanti della vita possono trovare ristoro per un giorno soltanto o per sempre, se lo desiderano."
Kumiko ascoltava attentamente. Poi si riscosse e osó approfondire "Che significa per sempre o per un giorno soltanto? E poi...Se questo luogo appare al nostro mondo solo una volta ogni secolo ...Scusate ma...Io..."
"E' semplice, quanto inverosimile mia cara..." E mentre contemplava il volto attonito della giovane modella, Jerwis colse un profondo oscuro abisso in quei suoi occhi attenti e strabiliati. Gli occhi erano come uno specchio: non vi era luce nell'anima, ma c'era stata. Essa riappariva ogni tanto ma subito veniva ingoiata dall'oscurità ormai preponderante. L'uomo ebbe un brivido mentre si accingeva a spiegare "Per un giorno, perché se qualcuno vuole fermarsi solo per poco può farlo, basta che se ne vada prima della mezzanotte. Se così non fosse rimarrebbe qui. Se, in seguito, cercasse di andarsene potrebbe farlo, certamente, ma svanirebbe nelle nebbie del tempo rimanendo obliato dal suo come dal nostro mondo. Se invece qualcuno vuole rimanere per sempre può, se lo desidera..."
Kumiko si mostrò subito molto interessata alla faccenda e, impaziente, non aspettò che Jerwis continuasse il racconto e lo interruppe "Sì ma...Come fanno i viandanti del mondo, come li chiamate, a venire qui se non sanno che esiste questo posto e se questo paese vive solo una volta ogni cento anni?"
"Calma figliola. Stavo per arrivarci...Ecco vedi, questo luogo si rivela a coloro che lo cercano o che ne hanno bisogno. Anche se sono inconsapevoli della sua esistenza o della necessità che ne hanno possono raggiungerlo. Questo mondo è vicino e lontano nello stesso tempo, in un certo senso è come se stesse nel cuore di ogni creatura. È questa la sua magia. Molti intraprendono il viaggio e lo scoprono, altri non lo troveranno mai, dipende dal loro cuore. E' più chiaro ora?"
"Già..." disse la ragazza meditabonda "...Ma se voi voleste lasciare questa vostra realtà?"
"Noi non usiamo varcare i confini del nostro mondo...Non attraversiamo il ruscello!" Rispose risoluto.
Rimasero raccolti in se stessi a lungo, ognuno perso nei propri pensieri.
Sanae non avrebbe saputo dire per quanto esattamente restarono muti ad ascoltare il fruscio delle foglie accarezzate dalla brezza. Fu lei, con la sua domanda, a disturbare il silenzio incantato che regnava nel roseto..."Siete felici qui?"
Jerwis le sorrise, pensò che fosse una domanda molto appropriata e rispose "Certamente, si può essere felici con molto poco!"
Il sole stava scendendo all'orizzonte cedendo il passo alla falce della romantica luna. Sarebbe stata la fioca luce lunare a benedire il Matrimonio che si sarebbe celebrato quel giorno. Quindi Jerwis le congedò "Si è fatto tardi mie care. È stato piacevole intrattenermi con voi ma la sera è ormai giunta. Devo presiedere a una cerimonia e poi mi attende una festa. Per voi è alfine giunto il momento di tornare da dove siete venute. Da coloro che amate.” Fissò negli occhi Sanae...Guardò lei, proprio lei.
Sanae si stupì, sembrava che sapesse tutto. Captava i suoi pensieri. La sua mente, infatti, era rivolta proprio a Tsubasa e al fatto che desiderava rivederlo, pensava che potesse essere preoccupato non vedendola tornare, era trascorso molto tempo. Quindi confermò "Già, i nostri amici e il mio fidanzato saranno preoccupati: è meglio andare Kumiko!"
La modella ribatté acida e senza guardarla "D'accordo...Ma tra poco tu e Tsubasa vi sposerete, perché mai tanta fretta?! Avrete un sacco di tempo da passare insieme...Non saprete che farvene del tempo che avrete!”
Comunque sarà meglio che vi affrettiate, coraggio!" Le esortò imperiosa una donna sopraggiunta alle loro spalle.
Si salutarono.
Sanae, prima di sparire dietro la collina, si voltò un'ultima volta a guardare i due che indugiavano nel roseto osservandole a loro volta allontanarsi.

Le due ragazze si diressero di buon passo verso il ruscello.
Sanae si domandava se raccontare tutto a Tsubasa e agli amici. Concluse che fosse meglio evitare se non volevano essere prese per matte.

Kumiko rise di gusto e poi esclamò "Che profumo!"
Sanae, riconoscendo la fragranza, le indicò un gruppetto di tigli in lontananza... "Saranno quei tigli laggiù!"
Chiese dell'acqua a Kumiko.
Fu poi invasa da una tremenda stanchezza, si avvicinò ai tigli odorosi e lì si accasciò...Ricordava a malapena le dure parole di colei che aveva considerato un'amica...
"...Ti senti strana Sanae?...Dormi, dormi... Ho messo del sonnifero nella tua bevanda..."
Kumiko si voltò abbandonandola al suo destino.
Sanae non ebbe spiegazioni di sorta.
Non ce n’era bisogno.
Era per Tsubasa, era per lui: lo voleva per sé.
Kumiko voleva prendere il suo posto.
Voleva essere lei la sposa.
Sanae sprofondò in un sonno innaturale e si risveglió spossata, come dopo una malattia o dopo un incubo.
Non rammentava cosa le fosse accaduto di preciso.
"Dove mi trovo?" Chiese rivolta alla stanza sconosciuta e immersa nella penombra.
Non era a casa.
Una voce maschile, calda e gentile le rispose...Non era Tsubasa... "Sei nella mia casa, a Small River. Io sono Jerwis, ricordi?"
Riconosceva quella voce.
Si mise a sedere sul letto per poter vedere meglio il suo interlocutore. "Jerwis..." ripeté Sanae incredula..."Allora non era un sogno, non sono a casa, sono rimasta qui...Oltre la mezzanotte: Kumiko mi ha dato del sonnifero per andarsene senza di me...Lo ha fatto per lui. Lei Vuole Tsubasa!"
Sanae parlava più rivolta a se stessa che all'uomo che le stava davanti.
Era scioccata: Kumiko l'aveva tradita, le sue scuse erano false o forse, nel momento in cui le aveva pronunciate, erano anche vere ma...La verità era che quella ragazza non riusciva a lasciar perdere il capitano.
Ciò che Kumiko le aveva fatto, probabilmente, non era del tutto premeditato. Aveva agito d'istinto, sul momento, improvvisando. Non si era lasciata sfuggire l'ultima occasione per avere Tsubasa. Un'occasione d'oro che si era presentata proprio quando non ci sperava più.
Sanae si guardò le mani bianche che stringevano con forza la coperta.
Iniziò a piangere, non aveva controllo sulle lacrime. Esse sgorgavano copiose e spontanee dai suoi occhi senza che lei potesse fermarle.
Jerwis si chinò verso di lei e l'abbracciò.
Sanae percepì un grande affetto, un affetto paterno. Eppure non conosceva bene quella persona, aveva scambiato con lui solo poche parole. Fin da subito però, aveva avuto l'impressione che fosse un uomo buono.
"Calmati ora!...Non sei sola: rimarrai qui nella mia casa, io e mia moglie ci prenderemo cura di te, come una figlia. Sei una ragazza sensibile e sei profondamente ferita, lo so, ti aiuterò a guarire e a crescere. Non tutto è perduto Sanae, non sarà facile ma io ti aiuterò come posso, però ci vorrà pazienza...Molta, molta pazienza." La consolò.
Lei lo guardò, non aveva paura di lui, anzi, il suo cuore percepiva che poteva fidarsi. Lei però era lì, prigioniera di quel luogo, e aveva perduto Taubasa, era stata così stupida da fidarsi di Kumiko, non intendendone le reali intenzioni.
Jerwis la osservò, aveva afferrato le sue paure "Non tutto è perduto, te l'ho già detto e... Non sei stata stupida. La tua amica ti ha tradita in un momento di rabbia, tu non l'hai capita perché non hai ascoltato cosa ti diceva l'istinto, o il cuore, chiama questa sensibilità come vuoi...Sanae non si capita qui a caso, c'è sempre un motivo, anche se non lo conosco. Tu sei molto innamorata e sei ricambiata...Ma...l'altra ragazza che era con te... E' avvelenata dal rancore e dalla gelosia...Questa per lei è una condanna. Vede solo quello che non ha, conosce solo ció che non è...Forse l'essere stata qui la aiuterà..."
Ma Sanae era afflitta, arrabbiata e confusa. Non aveva voglia di analizzare e capire..."Che importa! ..Sono io ad essere imprigionata qui! Mentre lei è libera di prendersi il mio fidanzato e vivere la mia vita!...Lei mi ha rubato la vita!"
Jerwis la accarezzò paziente.
Poi, parlò "...Tsubasa.... è questo il nome del ragazzo che ami vero?... Lui ti ama e tu ami lui. Continua ad amarlo, può essere che lui percepisca la voce del tuo cuore e ti trovi. Rammenti le mie parole? ...Questo posto può essere scoperto da chiunque ne abbia bisogno, sia che lo cerchi sia che non lo cerchi. Dipende tutto dal viaggio che il tuo fidanzato compirà in se stesso. Adesso ascolta...Cosa dice il tuo cuore?"
Sanae, gli occhi rossi e gonfi di lacrime, rispose con un barlume di speranza "Dice che mi troverà"
L'uomo volle sondare meglio quelle parole "E tu ci credi?"
Lei scosse la testa "Non so, io... Se preferisse Kumiko? È più facile arrendersi e fermarsi a vivere una vita ricca e piena di speranze future con lei, piuttosto che affrontare l'incertezza e la solitudine cercandomi, o...Peggio...Aspettando il mio ritorno! Io non posso tornare ma lui non lo sa! Se pensasse che sono fuggita? Chissà Kumiko che gli racconterà!...Io lo so che lui inseguirebbe il sogno di vivere con me...se solo non ci fosse lei.." Sanae, sconfortata, ricominciò a singhiozzare.
Naturalmente Jerwis comprendeva quanto fosse sconvolta la giovane: catapultata in un mondo che non era il suo, aveva perso tutto in un attimo.
La strinse nuovamente in un abbraccio consolatorio "Continua ad amarlo Sanae, credici. È la cosa che più conta. L'amore può aprire molte porte. Potresti avere la fortuna di sperimentare la sua potenza. Ora riposa. Chiamerò mia moglie, ti aiuterà ad alzarti."
Sanae, pur cullata da quelle parole che parevano quasi una nenia, non si dava pace..."Ma come posso stare tranquilla se sono qui, io dovevo sposarmi. E Kumiko vuole Tsubasa, si è messa tra noi... Io..." Tacque.
Jerwis si alzò.
Lo seguì con gli occhi mentre lasciava la stanza. Capì che non avrebbe saputo altro per quel giorno.
"Non tutto il male viene per nuocere...Non tutto è perduto..." Si ripeté la ragazza con voce flebile.
Lei non poteva più andarsene ormai e Tsubasa aveva Kumiko alle calcagna. Come poteva lui trovarla lì, in quello strano luogo perso in un vasto spazio remoto dove il tempo scivolava via in uno scorrere tutto suo? Come poteva Tsubasa ascoltare la voce del suo cuore e continuare a cercarla se Kumiko fosse entrata nella sua vita ostacolando la sua ricerca...

 

...Di nuovo, il lamento del vento notturno riportò Sanae alla realtà...

E la realtà era che Tsubasa non aveva trovato la via!
L'avrebbe mai trovata?...Chissà se la cercava ancora.
Il ricordo di quello che lei considerava l'ultimo suo giorno, il giorno della sua condanna, era vivo e ogni volta che ci ripensava percepiva sensazioni nuove, più profonde. Si rivelavano sguardi e parole non dette.
Era confinata lì da molto tempo, mesi, un anno forse...Non lo sapeva più, aveva perso il conto.
Quella notte il sussurro del vento sembrava davvero un lamento.
Quella notte neanche i sogni la lasciavano sperare. Di tutte le immagini che visitavano la sua mente, quella che l'aveva destata  costringendola a quel viaggio nel passato, era forse uno degli ultimi tasselli.
Ma come sarebbe andata a finire?

La pallida luce delle stelle incastonate nel cielo notturno indugiava timidamente nel giardino addormentato. La quiete era rotta solo dal canto dei grilli che si attardavano intonando le loro serenate.
Udì dei passi.
Trasalì e il cuore cominciò a battere all'impazzata.
Il volto si illuminò..."E se fosse..."
Si diresse con malcelata calma incontro a quei passi.
Lo vide, il sorriso si spense nella malinconia.
Era solo Jerwis. Passeggiava assorto nel roseto, lo faceva spesso e ascoltava le voci nel vento. Anche lui la notò.
Colse il suo turbamento ma non indagò.
Disse solo, con voce serena e melodiosa, sembrava felice "Sanae!...Ascoltavo il vento...Porta voci stanotte, non senti anche tu?"
Lei non intese le parole di quello che considerava come un padre..."Io non sento altro che il fruscio del vento che pare lamentarsi..." Lo guardò delusa e con le lacrime agli occhi. Si sfogò "Sono ancora sola...Ho sognato Tsubasa. Era sulla riva del ruscello e stava per attraversarlo quando...Kumiko lo ha chiamato prendendolo per un braccio. Lui non si è voltato. Allora lei gli si è parata davanti. Lo ha baciato. Lui continuava a guardare me ma non ha attraversato il corso d'acqua!....Il significato e semplice: lei non lo lascia tranquillo."
Sanae era sfiduciata e cominciava ad avere un po' paura.
Kumiko era estremamente affascinante e abile con i ragazzi. Sanae si fidava di Tsubasa: era forte e determinato; non era uno sciocco superficiale. La solitudine però, alla lunga, era una compagna difficile da sopportare...Kumiko ce l'avrebbe messa tutta per scalfire la sua sicurezza. Tsubasa, se Kumiko avesse giocato bene le sue carte, avrebbe anche potuto cambiare idea e smettere di cercarla o aspettarla.
Sanae rabbrividì e si sforzò di essere realista: il suo fidanzato la amava! Se Kumiko si fosse presentata da lui, il capitano l'avrebbe accolta come un'amica. Sarebbe stato gentile e ospitale. Lui era leale e sincero e non avrebbe mai tradito o raggirato un amico. Allo stesso modo si aspettava il medesimo comportamento da un amico verso di lui...Qui stava il nocciolo... Non avrebbe accolto Kumiko con diffidenza e non avrebbe valutato che lei potesse avere dei secondi fini. Certamente ricordava che lei era stata innamorata di lui ma era anche vero che lui reputava l'episodio un capitolo chiuso, una storia appartenente solo ed esclusivamente al passato. Non avrebbe considerato, non subito, di essere ancora l'oggetto dei suoi desideri. kumiko era indubbiamente in vantaggio: Tsubasa non si aspettava un agguato da parte sua.
Sanae ripensò a se stessa: lei, in passato, aveva vissuto una situazione simile...Anche lei aveva avuto paura di affrontare una vita in solitudine!
Quando era innamorata del capitano senza sapere di essere ricambiata, una compagna le aveva consigliato di lasciarlo perdere. Lui non si sarebbe mai accorto di lei e lei sarebbe rimasta sola, delusa e ancorata a un'amore sterile. Aveva dei corteggiatori e la compagna le suggerì di accettare la corte di quello più convincente. Di fatto, nessuno la convinceva, tuttavia, proprio per paura della solitudine si pose il problema. Fu a un passo dal rinunciare a Tsubasa e all'amore. Poi, nonostante lo spettro della solitudine la intimorisse, mise a tacere il suo cuore solitario e affranto. Si disse che non era da lei. Non voleva accontentarsi, lei amava Tsubasa e preferiva continuare a sperare: nel suo cuore sapeva che lui la ricambiava. La compagna le disse che era una sciocca, che non avrebbe avuto nulla da lui, mai. Ecco...Forse il capitano, tutto solo a Barcellona, si sentiva un po' così... Ma...Avrebbe avuto la costanza che aveva avuto lei da ragazzina?
Jerwis invitò Sanae a prendere posto accanto a lui.
Era molto serio..."Non tutto il male viene per nuocere Sanae. Tsubasa ti ama, di questo sei certa no? Può essere che questa ragazza sia la spinta perché Tsubasa compia il grande salto. Può essere determinante per far sì che si rafforzi in lui il desiderio di trovarti. Quella ragazza, pur non volendo, potrebbe aiutarlo a capire cosa vuole veramente. Cos'è che gli manca. Quanto è disposto a sacrificarsi per te, quanto ci tiene al domani che sognava con te..."
Sanae si alzò e poi ricadde a terra, in ginocchio.
Non lo ammise, ma si stava abituando all'idea che non l'avrebbe più rivisto. Era il suo destino, il destino di un esule. Voleva sperare e desiderava avere fiducia, lo voleva con tutto il cuore ma..."Nel sogno lui perdeva l'equilibrio, ho avuto la netta sensazione che cadesse..." La voce era priva d'intonazione.
Jerwis la rialzò dolcemente e la condusse con sè, in casa...come una sonnambula.
Il vecchio maestro, forse per l'esperienza acquisita con gli anni, non riusciva a vedere tutto così nero come lo dipingeva Sanae.
Richiudendosi la porta alle spalle, gli sovvenne nuovamente il sussurro del vento: parlava, portava voci lontane. Un lamento, forse un pianto, sovrastava tutto...il vento era foriero di notizie, ma quali fossero non gli era dato sapere, non ancora...

 

Continua...


 


 

N.B.

Lo spunto per questa storia mi è stato offerto da una novella tedesca “Germelshausen” scritta da Friedrich Gerstacker. Questa storia, nel 1954, ispirò un musical della MGM “Brigadoon”. Dal musical, Vincent Minnelli, trasse l’omonimo film. Fu il suo primo film girato in Cinemascope.

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Capitolo 11
*** Prima di dirti addio ***


I personaggi non sono miei, appartengono a Yoichi Takahashi. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.
Note personali: non amo scrivere storie con più di un capitolo, perchè ho poca pazienza, ma ho voluto tentare. E’ una specie di sfida e spero di fare un buon lavoro!
Ringrazio coloro che dedicheranno del tempo alla lettura della mia storia e coloro che avranno la pazienza di recensirla.
Buona lettura!

 

Prima di dirti addio

 

 

Tsubasa rimase immobile nell'abbraccio del vento salmastro.
Deglutì, aveva un nodo alla gola, e il viso si contrasse in una smorfia di dolore...
"Perché non scegli me..." sussurrò al vento.
Erano le stesse parole del bambino nel suo incubo, la stessa identica domanda.
Kumiko udì quelle sue parole ripetute ma notò che lui non la stava guardando e non aveva fatto una piega.
Intuì che il ragazzo fosse perso in una reminiscenza e si rivolgeva a qualcuno che non c'era.
Lei, comunque, continuò imperterrita, come quel giorno a scuola quando si dichiarò al suo amato capitano. Ora però non era impacciata, anzi sembrava compiaciuta mentre continuava...
"Ho pensato molto a noi, stiamo bene insieme...Quel cameriere mi ha scambiata per la tua fidanzata...Chissà.. Forse senza rendercene conto noi siamo oltre l'amicizia, siamo una coppia. In fondo...Magari diamo l'impressione di due innamorati. Noi...”
Tsubasa sobbalzò e la interruppe uscendo dal suo mutismo.
"kumiko!"
La fissò dritta negli occhi, senza timore.
Non voleva illuderla e non gli sembrava nemmeno di averla incoraggiata: non l'aveva mai abbracciata, né coccolata, né tenuta per mano...Insomma... mancavano tra loro tutti quegli atteggiamenti affettuosi che con Sanae erano spontanei. Il cameriere aveva detto tanto per dire. Lui era pur sempre un calciatore del Barcellona che usciva con una ragazza e ciò destava curiosità...Purtroppo.
Kumiko però aveva letto tutto secondo il suo metro. Doveva farla ragionare ma, nello stesso tempo, confessarle ciò che pensava dell'accaduto l'avrebbe svilita, quindi si limitò a dire...
"Io...Non posso, non sarei sincero se ti dicessi di amarti e se accettasi il tuo amore. Tu sei una cara amica e, io ho sbagliato e ti ho illusa, lasciandoti stare da me e traendo consolazione dalla tua compagnia. Vedi...”
Ma Kumiko non si arrese e intervenne bruscamente...
"Scusa! Non volevo affrettare le cose, stare con me non significa che devi dimenticare Sanae...Ecco, magari hai l'impressione di farle un torto. Senti Tsubasa, facciamo così..."
Il capitano strinse i pugni e, voltandosi a guardarla, scandì nuovamente il suo nome “Kumiko!...Kumiko no...!”
Lei rimase zitta, negli occhi di lui non c'era amore.
Non era lo sguardo di un ragazzo innamorato di lei. Non era nemmeno tristezza la sua. Compassione, ecco cos'era...Compassione per lei perché non l'amava!
Lei, disperata e combattiva, non lo lasciò continuare e attaccò di nuovo, alzando la voce...Era la sua preda, non poteva farsela sfuggire.
"TSUBASA SMETTILA!...Sanae non c'è più! Devi fartene una ragione! Mentre io...IO SONO QUI SONO REALE! Stiamo bene insieme, devi solo abituarti all'idea, devi voltare pagina, continuare a vivere e amare. Con me presto la dimenticherai! Vedrai saremo felici...Ti piace stare con me, ammettilo...in fondo...non mi hai mandata via!”
Lei non voleva proprio capire, Tsubasa ne era ben conscio. Non voleva ferirla ma doveva mettere fine a quella fantasia. Si erano già fatti del male a sufficienza!
Il ragazzo trasse un respiro, come in preda a una grande stanchezza e, parlando lentamente, con calma e decisione affermò il suo pensiero...
"Io sto continuando a vivere!...E devi farlo anche tu!”
Kumiko lo guardò seria e Tsubasa comprese di avere tutta l'attenzione della ragazza. Proseguì...
Continuare a vivere non significa che devo per forza amare un'altra! Voltare pagina per me non vuol dire rimpiazzare Sanae, non è una cosa automatica. Deve venire dal cuore. L'amore è entrato nella mia vita con Sanae e non so se entrerà di nuovo! Non so cosa mi porterà il futuro...”
Si fermò un momento a guardarla: era impassibile nel vento con gli occhi che si facevano lucidi. Sembrava un bocciolo che, sorpreso dall’inverno, lottava per non appassire e cadere.
Tsubasa si sentiva la coscienza pulita, ma puntualizzò...
"Ti chiedo scusa se ti ho fatto credere il contrario, se ti ho incoraggiata in qualche modo ma...Io posso darti solo la mia amicizia...Tu sei stupenda ma io non posso mentirti, non sono io il ragazzo che ti amerà e ti farà felice!"
Purtroppo, Kumiko credeva alla realtà che voleva credere e non poteva accettare un no, non dopo tutto quello che aveva fatto.
Doveva conquistarlo. Era diventata una specie di sfida.
Scosse la testa e agitò le braccia, come una bambina capricciosa
"NO!...NO!... Tsubasa!...Sei tu che non capisci! Io ti amo e non sono meno bella e meno intelligente di Sanae! Io ho successo, posso darti tutto ciò che vuoi, cosa poteva darti lei più di me? Lei non era niente di speciale!”
Il giovane calciatore fu molto colpito da quelle parole così crudeli.
Gli fecero male.
Si volse verso il mare.
Incrociò le braccia, era davvero ostinata, non voleva proprio rinunciare...Eppure...Diceva di amarlo.
A parole lo amava ma non aveva alcun rispetto per i suoi sentimenti.
Era un'amore diverso da quello di Sanae: Kumiko era completamente ripiegata su se stessa, l'amore di Kumi era un'amore egoista, esclusivo. Legato al possesso della persona che diceva di amare.
Tsubasa, con lei, aveva la sensazione di stare in gabbia. Fissò nuovamente la modella e riprese... "Niente di speciale dici...lei è la ragazza che amo. Ti sembra poco?"
Kumiko sgranò gli occhi... La ragazza che amo, aveva detto: non aveva parlato al passato.
Ma lei non poteva, non avrebbe mai accettato il suo No...Incalzò "Non m'importa, a me basta stare con te, non m'importa se non mi ami e vuoi ancora lei... Tsubasa ti prego..."
Lui la guardò austero e la rimproverò "Ma cosa dici? Io amo Sanae! E tu...Non pensi a te stessa? Tu saresti infelice, ti peserebbe...Kumiko, cerca di ragionare, hai detto una cosa sciocca, della quale ti pentiresti un giorno... E poi...A me piace stare appartato e tranquillo, la confusione mi va bene ma per poco, tu invece vivi all’insegna della frenesia...Se ci pensi bene non siamo proprio fatti l'uno per l'altra!...Tu di me ami il riflesso della fama e della gloria, non la persona, non quello che sono...Tu ami quello che vorresti che io fossi!”
Lei abbassò gli occhi. Quelle che il ragazzo asseriva erano tutte cose vere...Davvero Tsubasa non era la persona per lei. Si era sbagliata. Aveva amato un'illusione, una fantasia e non un ragazzo reale.
Lei, al contrario di Sanae, non lo conosceva. Aveva amato il suo successo, e il successo che poteva avere, non lui...Aveva fatto tutto per niente, causato molto dolore e sofferenza per niente, aveva gli incubi la notte e tutto per niente: non l'aveva conquistato e...Forse si era anche resa ridicola!
Si fece coraggio e, quasi ridendo, senza rendersi bene conto delle parole che uscivano dalla sua bocca, rispose...
"Beh! Tutta questa fatica per niente, tanto dolore per niente...Che ho fatto?! Sanae non c'è più...Non tornerà...Io lo so, io lo so...Sanae... non tornerà mai, non mi perdonerà mai e neanche tu...E tutto per niente... Insomma...non siamo proprio ben assortiti!...in tutto il tempo che ho passato qui con te non sono mai riuscita a farti fare vita mondana! Tu sei un ragazzo semplice e non vai alle feste, non ti piace stare sulle copertine, io..."
Kumiko si bloccò: trascinata dalle emozioni aveva parlato come un fiume in piena.
Aveva parlato troppo!
Tsubasa l’avrebbe odiata se avesse saputo!...E il suo odio non poteva sopportarlo...Lui poteva non amarla ma non odiarla!
Sperò che il ragazzo non avesse colto il senso vero del discorso.
Il capitano aveva ascoltato e soppesato ogni singola frase e una di queste lo trafisse! Mise le mani in tasca.
Non disse nulla e, pensoso, tornò a guardare l'orizzonte ventoso mentre rifletteva sulle parole di Kumiko. Erano parole rivelatrici...C'era più di quello che voleva dire, volendo analizzare lei aveva lasciato trasparire quella verità nascosta che lui aveva tanto cercato e, nel suo cuore, temeva di conoscere.
Forse si sbagliava, erano solo sue congetture. Lui non era capace di fare quelle domande che ti mettono alle strette ma...Tentò con la semplicità.
Sorprese Kumiko con una domanda scarna, diretta...Voleva scalfire la superficie, voleva arrivare al cuore. Lo voleva da quando l'aveva sentita lamentarsi...Ma questa volta era diverso, lui era diverso. Tsubasa raccolse il suo coraggio e chiese, senza accusare, non ancora...
"Dimmi che è successo a Sanae. Voglio sapere! Ti lamenti nel sonno quando ti appisoli sul divano e ti comporti come una persona che porta un grande peso. Non so per quale ragione ma... Tu non hai detto tutta la verità ...Mi sbaglio?! ...Bada, non ti accuso di nulla ma...Smetti di tacere non ha più senso: non si può fuggire per sempre, te ne sarai accorta credo. E' meglio affrontare le cose a viso aperto. Soprattutto la verità. Non ci si può nascondere da lei: la verità è vera e non c'è rimedio a questo suo difetto..."
Tsubasa aveva sempre cercato di indagare su Sanae in modo quasi timoroso ma ora aveva abbandonato la paura.
Kumiko non sapeva in che modo ma, quella richiesta arrivò dritta al petto, come una freccia, non c'erano più veli, era indifesa. Lui sapeva dei suoi incubi, dei lamenti segreti, del suo sonno agitato, forse anche delle menzogne...Tuttavia mentì ancora...
Che dici?...vaneggi?!...è solo stata una brutta esperienza, tutto qui.."
Si sforzò di sostenere lo sguardo del capitano.
Lui la osservava, i suoi occhi erano limpidi e duri.
Lei non gli conosceva uno sguardo così severo, si era sbagliata: lui era una persona semplice e modesta ma non era ingenuo e nemmeno stupido. Non poteva manovrarlo a suo piacimento...Lui non era quel tipo di ragazzo.
Quella sua domanda aveva accentuato in lei il rimorso. Non poteva continuare a vivere con quell' immenso peso nel cuore.
Lui l’aveva capita, l’aveva scoperta, l’aveva sorpresa, l’aveva, svelata...Così...
All’improvviso...Come il gelo impietoso che ti coglie d’inverno quando, incauta, apri la porta per uscire e non sei coperta abbastanza.
Non si era mai soffermata a pensare che la verità ha la brutta abitudine di venire sempre a galla! “Tsubasa!...”
Lo interpellò titubante.
Ti ascolto...”
Rispose lui dolcemente.
Mi odierai ma...Non è vero che sono estranea alla scomparsa di Sanae...”
Tsubasa ebbe un sussulto. Strinse gli occhi e li coprì con una mano abbassando la testa.
Si ricompose e continuò a offrire il suo corpo alle sferzate del vento. Tenne chiusi gli occhi in attesa di sapere.
...Io...Io ero con lei, abbiamo avuto una discussione e prese dal litigio ci siamo perse. Ci siamo fermate sotto un albero...Poi è arrivata la nebbia. Sanae si è addormentata ai piedi di un tiglio. La verità è che la invidiavo e ti volevo per me...Me ne sono andata abbandonandola nella nebbia...Veramente... Le ho dato un sonnifero!....Poi sono ritornata sui miei passi ma non l'ho ritrovata, era troppo tardi..."
Non era la verità, era una mezza verità! Tsubasa non avrebbe mai creduto alla storia di quello strano villaggio che si risveglia ogni cento anni, ma doveva in qualche modo fargli sapere che era sua la colpa di tutto e che Sanae era viva.
Il calciatore aprì gli occhi continuando a fissare il mare davanti a sé.
Le onde si facevano più alte e il vento più freddo. Trattenne il respiro poi si spiegò...
"Io non ti odio, non provo nulla per te...Nulla..."
Così dicendo la guardò brevemente.
Lei lo interruppe...
"Dovresti odiarmi invece, io lo merito e merito una punizione."
In cuor suo Kumiko voleva espiare in qualche modo. L'odio di Tsubasa, una sua scenata, anche solo uno schiaffo...Insomma, una reazione da parte sua, le sarebbero state necessarie ma lui era impassibile e indifferente, serrato nel suo dolore.
Nuovamente concentrato verso il mare agitato dal vento Tsubasa riprese con voce fiacca...
"Non farò nulla contro di te, farò come se tu non esistessi. Non voglio aggiungere male al male già fatto! E tu me ne hai fatto molto: hai tradito la sua e la mia fiducia... Per cosa? Non hai ottenuto ciò che volevi! Non mi sono innamorato di te. Mi hai portato via Sanae ma io sono ancora suo. Io non ti amo, ma avevi la mia stima e la mia amicizia che ora hai perduto. L’invidia e l’odio ti hanno avvelenato l’anima spingendoti a fare del male a Sanae. Hai causato sofferenza e dolore. Non te ne sei nemmeno accorta ma hai fatto del male anche a te stessa: il rimorso ti rode, non sei tranquilla, il tuo riposo è popolato di paure e ti lamenti la notte...Tu sai quanto male hai fatto. Ne porti le conseguenze e le vedi sugli altri...Senza poter rimediare. No...Non potevi tenerti tutto dentro...Ciò mi fa supporre che tu non sia completamente senza cuore. Io non potrei vivere così...Questa tua vita mi pare una punizione sufficiente per te: un’infernale sofferenza che ti accompagnerà in ogni momento senza darti tregua...Ma io, pur non odiandoti, non posso assolverti, questo spetta a un giudice più alto! Kumiko...Provo una grande pena per te...Ora lasciami, non voglio vederti più!”
Si interruppe ma senza voltarsi, non la voleva guardare, era troppo doloroso. Desiderava solamente che uscisse dalla sua vita, per sempre.
La ragazza non riusciva nemmeno a piangere, le parole di Tsubasa rispecchiavano una dura realtà: 'odio e l'invidia le avevano consumato l'anima, Tsubasa aveva ragione. Ricordò la conclusione del libro che aveva letto e ignorato la sera della festa. Il destino lo aveva lasciato per lei: il capitano Achab aveva ucciso Moby Dick ma la balena lo aveva trascinato con sé negli abissi marini. Era morto insieme al suo incubo. Ecco il senso di tutto. Lei era come il capitano, stessa sorte! La vendetta e l'odio non l'avevano condotto a nulla, se non alla rovina e questo destino era toccato anche a lei. L'odio e l'invidia verso Sanae l'avevano consumata ma non le avevano portato nulla...Se non dolore, rimorso, incubi...Era caduta affondando nel baratro dell'odio più nero...
"Vorrei tanto che mi facessi del male, che mi odiassi!"
Lo supplicò con un filo di voce.
Lui, sempre voltato verso il mare, non disse nulla.
La ragazza si voltò per andarsene ma si fermò.
Tsubasa provava pena, era già qualcosa, era migliore di lei...Per lei era troppo tardi ma forse, per lui no... Qualcosa poteva ancora fare per il capitano.
"Tsubasa!"
Lo chiamò decisa e senza lasciargli spazio per una replica e continuò...
"...Prima di dirti addio vorrei che sapessi che non...Non tutto perduto. Spesso le cose che si sperano nel cuore sono più reali e vicine di ciò che vediamo e tocchiamo. Sanae è viva, da qualche parte. Pensa a lei, come sospesa tra il cielo e il mare: è là, ti aspetta! Cercala nel tuo cuore e continua ad amarla...Forse vi rincontrerete...Non sto scherzando, parlo seriamente!"
Si lasciarono senza dirsi altro e non si rividero più.
Tsubasa era esausto, ma aveva attentamente ascoltato le ultime parole di Kumiko.
In effetti lo meravigliarono e ne fu felice: no non era del tutto cattiva...Forse, in alcuni momenti era stata veramente sincera con lui e Sanae.
Fece sue le parole della ragazza, erano vere, condivideva quel discorso. Sperò veramente che, ovunque fosse, Sanae lo sentisse. Prese a camminare sulla spiaggia mentre lasciava fluire liberamente il desiderio di lei affidandolo al vento.
Camminava sulla sabbia, le mani in tasca.
C'erano solo lui, il vento e il suo amore per Sanae.
Probabilmente, se avesse gridato si sarebbe sentito meglio.
Gridò.
Un urlo liberatorio.
Riprese a camminare lungo la spiaggia incurante delle onde che lo schizzavano.
Trovava piacevole lo sciabordio dei flutti come pure piacevole era rimirare la luce del faro in lontananza che indicava la via alle barche.
Come vorrei anche io qualcuno che mi indicasse la via...Ma io non l’ho, ho solo il mio amore per te e la speranza di rivederti...”
Si fermò, incurante del cielo che si incupiva sempre più e dell’acqua che lo bagnava.
Era estraneo al mondo ormai ipnotizzato dal roteare continuo della luce del faro lontano.
Immaginò i suoi pensieri che volavano via liberi nell'aria creando sentieri senza traccia, vie senza nome come le rotte dei gabbiani nel cielo...

 

Continua...

 

 

N.B.

Lo spunto per questa storia mi è stato offerto da una novella tedesca “Germelshausen” scritta da Friedrich Gerstacker. Questa storia, nel 1954, ispirò un musical della MGM “Brigadoon”. Dal musical, Vincent Minnelli, trasse l’omonimo film. Fu il suo primo film girato in Cinemascope.

 

 

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Capitolo 12
*** Con tutto il cuore ***


I personaggi non sono miei, appartengono a Yoichi Takahashi.
Questa storia non stata scritta a scopo di lucro.
Note personali: non amo scrivere storie con pidi un capitolo, perchho poca pazienza, ma ho voluto tentare. E' una specie di sfida e spero di fare un buon lavoro!
Ringrazio coloro che dedicheranno del tempo alla lettura della mia storia e coloro che avranno la pazienza di recensirla.
Buona lettura!

 

Con tutto il cuore

 

Era molto tardi. La notte scivolava già verso la mattina e il vento continuava a raccontare mentre Jerwis accompagnava premurosamente Sanae nella sua stanza.
La ragazza si coricò, stremata.
Il vecchio maestro le porse una tazza di tè fumante...
"Bevi mia cara e riposa.”
Sanae sorseggiò la bevanda calda e poi l'abbandonò con noncuranza sul tavolino accanto al letto. Non disse una parola mentre si sdraiava arrendendosi alla stanchezza.
Jerwis le diede un buffetto sulla guancia e sorridente la consolò...
"Calmati ora. Domani rimarrai qui a casa e riposerai: non è necessario che tu venga ad aiutare me e Fiona a scuola.”
Sanae, immediatamente, si riscosse.
Le sembrava un tradimento verso quella che ormai considerava la sua famiglia e, come una bimba imbronciata e delusa che si ritiene messa da parte, non mancò di protestare con decisione...
"Come?!...Ma io voglio aiutarvi e rendermi utile...Jerwis!...Non temere, è stato solo un attimo di sconforto, domani mi sarò ripresa, verrò...I bambini mi aiuteranno...Mi vogliono bene, lo sai...E' tutto a posto! Io posso, posso...”
"Già è vero!”...La interruppe Jerwis...”Ti amano molto, ma domani è meglio che tu stia qui, è un ordine! Penserà a tutto Fiona, tu ti riposerai e ti occuperai di te stessa. Avrai molto altro tempo per dedicarti ai piccoli...Sai?... Io prima o poi te li affiderò e rimarrò là, tranquillo, nel mio roseto ad ascoltare le favole e gli enigmi portati dal vento, sarà bello vedrai...”
L'idea di rimanere sola, senza Jerwis e Fiona, ad occuparsi dei bambini a scuola la rese malinconica. Era come se dentro le si spezzasse qualcosa.
Era un chiaro segno che lei stava crescendo agli occhi di Jerwis e lui stava inesorabilmente invecchiando.
Di nuovo quel dolore: la fitta sorda che si prova crescendo, il patimento della mancanza e della perdita.
Lo aveva già provato molti anni prima, nella sua vecchia vita...Era proprio come quando perdi qualcosa a cui tieni e sai che non lo potrai riavere mai più.
Per un attimo, si percepì bambina. Ancora una volta incarnava la bambina che lascia il mondo della fanciullezza spensierata e poi quello dell'adolescenza meravigliosa e tormentata, per crescere e affacciarsi sul futuro. Speranzosa e impaurita, molto tempo prima, quella ragazza si era tuffata nell'universo sconosciuto degli adulti.
Ed ora...Di nuovo avrebbe compiuto quel passo: ancora doveva ingiustamente perdere qualcosa cui teneva.
Si domandava però cosa esattamente avrebbe perduto: aveva perduto la fanciullezza, l'adolescenza, la sua vita, persino Tsubasa e senza nemmeno potergli dire addio...Cosa esigeva ancora il destino da lei?
Il tempo trascorreva anche lì, in quel luogo preservato dal male, in quel luogo che poteva curare e guarire...E lei? Lei che faceva?
Lei attendeva: attendeva ancora, attendeva sempre il giorno in cui sarebbe guarito anche il suo cuore.
Aspettare, questo era il suo destino...Aspettare.
Nella sua vita non aveva fatto altro che avere pazienza e aspettare: sarebbe mai finita l'attesa?
Certo nessuno l'aveva costretta, aveva scelto lei di mettersi in quella scomoda posizione.
Aveva deciso lei di aspettare Tsubasa, accentando il suo amore. Aveva accolto con coraggio e speranza quell'amore tanto desiderato e, apparentemente, così difficile e fragile. Aveva resistito tenendolo stretto, custodendolo nel cuore, curandolo come un fiore pronto a sbocciare. Ed era sbocciato infine. Era fiorito, con impeto improvviso, carico di colore e di effluvi inebrianti.
Con l'anima traboccante di felicità, pensò che, anche per lei finalmente, fosse giunto il momento di vivere la stagione dell'amore ma...Fu solo un attimo: tutto andò in frantumi, l'attesa non era ancora terminata per lei!
Il solitario e rigido inverno del suo cuore stentava a cedere il passo alla primavera tanto agognata. Ecco il suo destino: non avrebbe fatto altro che consumarsi in un'infinito e inesorabile attendere.
Lei si vedeva.
Si scorgeva nitidamente laggiù...Sola, nel roseto, avrebbe pazientemente indugiato guardando le rose sbocciare e disfarsi nel susseguirsi perpetuo delle stagioni. Avrebbe camminato su quel tappeto di petali variopinti bramando un raggio di sole che fosse tutto e solo per lei.
Nel bosco di tigli si sarebbe trattenuta ricordando la sua vecchia vita. Nel tronco spaccato dell'amorevole albero che l'aveva accolta il giorno in cui fu intrappolata, si sarebbe accoccolata su se stessa immaginando la vita: quella che avrebbe avuto e che Kumiko le aveva rubato con l'inganno.
Si sarebbe attardata, in solitudine raccolta, sulla collina e poi nella radura, ascoltando il vento tra l'erba. Avrebbe interpretato il soave soffio della brezza cercandone il significato nascosto, aspettando una parola affettuosa, un racconto amico, quella storia che le avrebbe portato la felicità perduta...
"Io...da sola...”
Cantilenò dolcemente, parlando a se stessa e fissando un punto indefinito nella stanza.
Jerwis notò quel nuovo turbamento, le prese le mani e la tranquillizzò immediatamente...
"Ma tu non sarai sola!”
Sanae non udì quelle ultime parole: si era già rifugiata nel mondo dei sogni.
Non vide lo sguardo sereno e il sorriso fiducioso che illuminava il volto dell'uomo che lei, oramai, amava come un padre.
Il vecchio maestro le sistemò le coperte, come si fa con i bambini, e si avviò pacifico verso la sua stanza.
Fiona dormiva già. Lui le si coricò accanto e riprese ad ascoltare le melodiose parole del vento.
Una voce su tutte catturò la sua attenzione. L'aveva già sentita altre volte ma quella notte era insistente e si levava sempre più alta, magnetica e languida...Sembrava un canto d'amore.
Quel canto malinconico e nostalgico lo conquistò e, cullandolo dolcemente, lo trasportò lontano, sulle ali del vento.
Jerwis volò, volò via lontano.
Alto nel cielo scrutò altri mondi, sorvolò le montagne aguzze, le pianure solitarie e assolate, gli oceani burrascosi.
Viaggiò nelle immensità buie e imponderabili del pensiero e sognò.
Sognò il mare in tempesta, sognò tracce sulla sabbia, sognò un ragazzo dai capelli neri che fissava un punto lontano, sognò un ragazzo che affidava le sue parole al vento. Le parole si perdevano e lui con loro...Le parole si facevano sottili, si facevano ali, si facevano aria e armonia, canto, disperazione, amore...
Jerwis si destò riposato.
Le prime luci dell'aurora rosata occhieggiavano appena nella stanza. Il profumo del pane appena sfornato dalla sua amata Fiona lo avvolse allietandolo.
Si alzò. Era felice, felice e sereno come non mai.
Scese in cucina. Fiona lo attendeva con il bricco del latte nelle mani e non le sfuggì l'allegrezza segreta del marito...
"Buongiorno mio caro...Sembri contento...”
"Buongiorno Fiona, ho udito molte cose questa notte, molte voci hanno chiamato la mia anima, voci magnifiche. Una era stupenda: non se ne sentono spesso di quelle...Sono felice, sono proprio felice! Sì! E' una bella giornata mia cara....Una giornata che non dimenticheremo! Dopo colazione andrò alle mie arnie, giù al ruscello...E' meglio essere pronti, non si sa mai. Non sono più tanto giovane e non potrei certo scapicollarmi giù per la collina e andare di corsa al ruscello; meglio essere previdenti...Vorrei che Sanae venisse ad aiutarmi. Mandamela, più tardi, dopo che si sarà svegliata e avrà fatto colazione...”
Guardava Fiona negli occhi mentre esprimeva i suoi pensieri; lei capì al volo il significato nascosto del suo discorso. Annuì e gli sorrise complice.
Amava molto suo marito, leggeva nel suo cuore e conosceva bene il vento notturno e i suoi racconti. Fecero colazione e poi Jerwis uscì.
L'aria fresca e rigenerante del primo mattino lo accompagnò amichevole mentre, sicuro ma senza fretta, discendeva la collina camminando nell'erba ancora umida e profumata di rugiada.
Il ruscello era avvolto dalla bruma mattutina, si distinguevano appena gli antichi tigli nodosi e il movimento lieve del terreno che si faceva dolcemente pianeggiante.
Si fermò qualche istante ad ascoltare la melodia dell'acqua e ad osservare la densa foschia al di là del ruscello. Tra le ombre indistinte, si notava appena una luce lontana, calda e luminosa. Essa roteava. Roteava ritmicamente e quel ritmo sembrava chiamare...Chiamava e chiamava...in un turbinio incessante.
Era il momento. Jerwis si avvicinò al ruscello.

...TSUBASA!...”

Il ragazzo si era imbambolato a fissare il faro, come dormiente.
Nonostante il suo stato, mosse qualche passo, stranamente attirato da qualcosa.
Ebbe un sussulto: era entrato nell'acqua! Gli accadde un po' come quando cammini sotto la pioggia e d'improvviso capiti coi piedi in una pozzanghera gelata.
Uscì quasi subito da quella che considerò, per l'appunto, una pozzanghera gelida...Non era in lui, era come in trance. Non si accorse della nebbia che lo aveva avvolto...E...

"Tsubasa!...TSUBASA!”

E...No!...Non aveva le allucinazioni: qualcuno lo chiamava.
Il capitano Trasalì.
Non conosceva quella voce e, ipnotizzato dalla luce del faro, aveva perduto la cognizione di ciò che gli stava intorno.
Si ritrovava circondato da una fitta e umida nebbia. Non aveva punti di riferimento, non vedeva nulla che lo aiutasse ad orientarsi. Percepiva solo il suo corpo e quella voce ignota che chiamava il suo nome.
Si concentrò su se stesso, per sentirsi più sicuro: aveva freddo, il manto nebbioso che lo avvolgeva lo aveva ghiacciato. Stringeva ancora nelle mani lo zaino che aveva portato con sé da casa. Anche i piedi erano bagnati: non poteva dirlo con certezza ma avrebbe giurato di aver attraversato un corso d'acqua, anche se era del tutto impossibile dal momento che si trovava in riva al mare!
"...Tsubasa!...”
Di nuovo quella voce dal profondo della nebbia, ma questa volta continuò a parlargli amichevole.
"...Sì tu devi essere Tsubasa...”
Era tutto così strano.
Il capitano si domandò di chi potesse essere quella voce che si avvicinava. E poi...Tutta quella nebbia era davvero singolare. La situazione era a dir poco surreale, a cominciare dalla confessione di Kumiko che lo aveva precipitato nello sconforto. Anche lei, ripensandoci, aveva parlato di nebbia.
"...Ehi!...Tsubasa!"
La voce divenne un ombra. L'ombra una sagoma. La sagoma si avvicinava piano.
"Chi mi chiama?"
Si decise a rispondere il calciatore.
"Finalmente!...Ti aspettavo:devi amarla davvero... Ti ho sentito, il tuo lamento e poi il tuo canto d'amore mi hanno raggiunto, portati dal vento!"
La voce, calma e rassicurante, apparteneva a una persona abbigliata con abiti antichi. La nebbia si diradò mentre l'uomo gli tendeva la mano.
"Benvenuto Tsubasa...L'hai trovata! Sanae è qui: sta bene e sarà felice di vederti."
Jerwis gli strinse la mano, una stretta calda e sincera. Uno sguardo aperto e nobile, carico di saggezza.
Tsubasa avvertì subito che colui che gli stava di fronte non era malvagio.
Jerwis afferrò lo sgomento del giovane...
"Comprendo bene il tuo smarrimento, sii paziente: ti spiegherò ogni cosa. Io sono Jerwis, sono la guida del villaggio. Qui sei a Small River, quello è il corso d'acqua che dà il nome a questo luogo, la cesura, il confine del nostro paese...Tu lo hai attraversato."
Disse indicando a Tsubasa il ruscello alle sue spalle.
Ora che la nebbia era svanita Tsubasa poteva vedere senza veli ciò che gli stava intorno. La nebbia era scomparsa ma...Essa aveva portato con sé il mare e la spiaggia: tutto quanto intorno a lui era mutato.
Si trovava ora in una radura ai margini di una boscaglia e alle sue spalle c'era un ruscello.
Ma da dove era spuntato tutto ciò che vedeva intorno a sé?
Mentre il capitano cercava di realizzare cosa gli fosse accaduto e dove si trovasse, l'uomo spiegò
"Non sei più nel tuo mondo...Il nostro mondo e il tuo sono separati, entrano in contatto una volta ogni secolo, oppure attraverso un varco che si apre solo se si desidera venire qui, o tornarci... Se lo si desidera con tutto il Cuore, ma non capita poi così spesso ragazzo mio..."
Tsubasa, che faticava a raccapezzarsi in quella situazione così particolare, con un filo di voce, ma prontamente, riuscì a controbattere, un po' irritato...
"Ma io non desideravo venire qui, e nemmeno tornare! Ad essere sincero...Come potevo?! Non ero a conoscenza dell'esistenza di questo luogo...e...Sanae è qui dici ma come?!...Lei è scomparsa mentre ci trovavamo in Giappone. Io non..."
"No, certo. Vedi Tsubasa, il nostro universo è vicino e nello stesso tempo lontano. E' qui e in ogni altro luogo. Circonda ogni creatura e, contemporaneamente, è dentro l'anima di ogni creatura. Voglio dire che tu, pur non sapendo di noi, desideravi ritrovare Sanae, che è qui. Il tuo cuore lo desiderava così tanto che hai aperto un passaggio. Non ha importanza dove ti trovi. Hai compiuto il cammino dentro di te, nella tua anima. E' il tuo amore che ha reso possibile tutto ciò. Vieni con me, ti accompagno da lei. Non temere."
Lo esortò l'uomo.
Tsubasa doveva fidarsi...E che altro poteva fare? Dove altro poteva andare?
Si misero in cammino...

 

Continua...

 

 

N.B.

Lo spunto per questa storia mi è stato offerto da una novella tedesca “Germelshausen” scritta da Friedrich Gerstacker. Questa storia, nel 1954, ispirò un musical della MGM “Brigadoon”. Dal musical, Vincent Minnelli, trasse l’omonimo film. Fu il suo primo film girato in Cinemascope.

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Capitolo 13
*** Sei tu ***


I personaggi non sono miei, appartengono a Yoichi Takahashi.
Questa storia non stata scritta a scopo di lucro.
Note personali: non amo scrivere storie con pidi un capitolo, perchho poca pazienza, ma ho voluto tentare. E' una specie di sfida e spero di fare un buon lavoro!
Ringrazio coloro che dedicheranno del tempo alla lettura della mia storia e coloro che avranno la pazienza di recensirla.
Buona lettura!

 

Sei tu...

 

Jerwis non parlava. Sembrava in attesa. In effetti stava aspettando che Tsubasa entrasse nella disposizione d'animo migliore per ascoltarlo.
Il ragazzo, a sua volta, era titubante. Sommerso da mille domande non riusciva a porgerne nessuna...Aveva ritrovato Sanae, sempre se l'uomo diceva il vero, ma era tutto così sconvolgente.
Si guardò nuovamente intorno, non pareva un luogo del tutto sconosciuto.
Più osservava il paesaggio più si convinceva che l'intorno gli era familiare. Tuttavia non riusciva a capire esattamente la natura di quel remoto ricordo nei meandri della sua mente. Qualcosa gli sfuggiva, poi, come un colpo di luce fa sparire l'ombra più nera, l'arcano si svelò!
Tsubasa comprese quella sensazione di già vissuto che lo aveva colto nel contatto con quell'ambiente.
Gli sembrava di camminare in uno dei suoi sogni. Cominciò a concentrarsi su quel luogo: l'atmosfera e il profumo dell'aria erano gli stessi, li riconosceva chiaramente, c'era anche il ruscello, la radura, il bosco, la collina...Non aveva alcun dubbio: lui ci era già stato lì!
Ci era stato nei suoi sogni...E...Doveva saperne di più.
I sogni erano immagini confuse e lontane e non gli bastavano, ora non più.
Tuttavia, rapito come era nell'incantesimo di quell'ovattato e persistente silenzio, non sapeva che dire.
Trovò il tutto preoccupante e opprimente. A dire il vero era un po' infastidito dalla situazione che si trovava ad affrontare. Perché quella strana persona si era raccolta in se stessa, eppure aveva promesso di spiegare. Per quale ragione non diceva nulla? Cosa aspettava?
Il capitano, esasperato, prese a riflettere sulle parole di Kumiko e iniziò a realizzare che la ragazza non gli aveva detto proprio tutta la verità. A voler ben guardare, non è che avesse detto poi molto. Era un altro suo scherzo per non consentirgli di riabbracciare Sanae? Gli era parsa sincera, prima dell'addio, non poteva essersi sbagliato. Kumiko non gli aveva esattamente raccontato cos'era accaduto; del resto...Come biasimarla? Sarebbe stata una storia inverosimile: se lui stesso non si fosse trovato in quel luogo, chissà come, non avrebbe certo creduto che potesse esistere un posto del genere. No, non le avrebbe creduto e lei aveva fatto bene a tacere.
Con le sue ultime parole però, lo aveva comunque indirizzato...Quantomeno aveva tentato.
Rammentava il discorso, lo ricordava molto bene...

...Spesso le cose che speri nel tuo cuore sono più reali e vicine di ciò che vediamo e tocchiamo...”

Per dargli fiducia lo aveva velatamente guidato nel cammino alla ricerca di Sanae ma, cos'era accaduto veramente quel giorno? Era disorientato e tormentato dal dubbio. Involontariamente, diede voce ai suoi pensieri...
"Cos'è accaduto dunque?...Le ragazze si sono addentrate nel bosco. Sanae e Kumi si sono allontanate tutte prese dal loro litigio. Kumiko dice di averla drogata e abbandonata dormiente ai piedi di un albero. Poi...La nebbia, e Sanae è scomparsa. Kumiko è ritornata sui suoi passi ma, anche se pentita, non l'ha più ritrovata...Ma perchè Sanae non si è fatta viva in tutto questo tempo?...E se Sanae è qui ci sarà stata anche kumiko, perché lei è tornata e Sanae no...”
Gli balzò in mente il sogno in cui vide una ragazza soccorsa da una coppia e la ragazza aveva la febbre...
"E' stata malata? Che è successo? E poi il bambi..."
La voce di Tsubasa si incrinò lasciando trapelare smarrimento e preoccupazione.
Jerwis intuì che le domande del ragazzo sulla salute di Sanae miravano a conoscere una qualche notizia che lui sperava o aveva recepito solo parzialmente. Comprese inoltre che kumiko aveva raccontato una mezza verità, lasciando molte lacune. L'uomo cominciò il suo racconto dall'inizio. Raccontò di come Kumi e Sanae si fossero trovate nel bosco proprio il giorno in cui i due mondi entravano in contatto. Chiarì che sempre, quando ci si avvicina al portale, si alza una fitta nebbia. Così fu, anche quel giorno: inconsapevolmente Sanae e Kumiko avevano raggiunto il varco aperto...
"Il confine tra i nostri due mondi è segnato dal ruscello ma nulla poteva far sospettare alle ragazze che stessero per avventurarsi in un altra realtà. Quando il passaggio è aperto, difatti, le due realtà si aprono una sull'altra senza distinzione. Come puoi notare tu stesso, sono paesaggi del tutto simili. Sanae e la sua amica, smarrite, oltrepassarono il ruscello per fermarsi nella radura vicino ai tigli e da lì presero verso il villaggio per essere indirizzate. Io le ho accolte spiegando loro dove esattamente si trovassero...”
"Vorrei saperlo anch'io veramente”...
Disse spontaneamente Tsubasa.
Jerwis sorrise e, di buon grado, continuò. Come fece nel roseto con Sanae e kumiko, narrò del suo mondo, di come fosse magico e curasse le ferite, di come guarisse i cuori, di come si trovasse nell'anima di ogni uomo che volesse veramente raggiungerlo, della vita semplice che vi si conduceva, senza pretese e in contatto con la natura. La vita scorreva in armonia con il tempo e il susseguirsi delle stagioni. Raccontò di come Sanae avesse dimostrato forza d'animo reinventando la sua vita. Riferì di come egregiamente lo aiutasse con i bambini e arrivò, infine, alla tragica rivelazione: Sanae, addormentata da kumiko, si era trattenuta oltre la mezzanotte e non poteva più andarsene.
L'acre notizia si abbatté impietosa su Tsubasa. Egli non disse nulla. Ecco tutte le risposte: perché Kumiko era tornata e Sanae no, ed ecco il perché dell'inspiegabile silenzio della ragazza che amava.
Il cuore gli si ghiacciò nel petto: non ci aveva mai pensato! Si era sempre domandato dove Sanae fosse finita e perché non si facesse viva. L'aveva caparbiamente cercata credendo di poterla riportare a casa per vivere insieme, come avevano sempre sognato, ma...Ora...Ora capiva quel silenzio ostinato: lei non poteva tornare e nemmeno aveva potuto contattarlo!
L'idea che lei fosse per sempre imprigionata da qualche parte non lo aveva sfiorato mai, neanche lontanamente.
Ciò che si stava verificando dava un altro senso alle cose. Un senso più profondo e amaro, ma anche più meravigliosamente vero e unico.
La vita esigeva una scelta, il sogno esigeva un salto nel buio...Ma...Cosa avrebbe potuto fare lui lì in quel mondo?
Non era il suo mondo, doveva mollare tutto, tutto ciò che aveva faticosamente conquistato, per una vita piena di incognite in un universo che non era il suo.
Come se la sarebbe cavata nella nuova realtà?...Sanae era molto capace e intelligente, ci sapeva fare con i bambini...Gli sembrò di vederla, per un attimo, nei panni della maestra...Sorrise...Ammirava molto Sanae, era una ragazza in gamba...Lui, lui sapeva solo giocare a calcio, era sempre stato quello, e solo quello, che avrebbe voluto fare nella vita. Non aveva mai seriamente pensato di essere in grado di fare altro, non sapeva esattamente se avesse degli altri talenti da coltivare. Aveva sempre inseguito il suo sogno di fare il calciatore desiderando condividerlo con Sanae e lei, continuamente, lo aveva spronato.
Non era più solo il suo sogno era il loro sogno.
Il suo sogno di bambino e il suo sogno d'amore con Sanae erano diventati una cosa unica, inscindibile. Non sapeva esattamente quando i due sogni si fossero fusi ma era così, probabilmente era sempre stato così fin dall'inizio, solo che lo aveva capito col tempo.
Ora però le due realtà si erano scollate, diventando due possibilità ben distinte.
Doveva scegliere e non poteva rimandare.
Doveva decidere e non aveva molto tempo, fino a mezzanotte, non un minuto di più.
Tsubasa si sentì improvvisamente piccolo e inutile, perso e inadeguato: cosa poteva fare lui? Cosa poteva fare in quel mondo che aveva appena conosciuto e non ancora compreso?
Lui non era come Sanae...Lei ci sapeva fare con tutti, ci sapeva fare in ogni cosa, sempre, mentre lui...
Si bloccò. I pensieri grevi volarono via abbandonandolo in balia di un'immensa gioia, le ombre della paura subito si dissiparono: non aveva desiderato altro e nient'altro desiderava...Sempre e solo lei.
Lei...
Lei era là e veniva loro incontro scendendo dalla collina.
Non si era ancora accorta di loro...Di lui.
Tsubasa iniziò a tremare mentre la osservava camminare verso di lui, era bella come la ricordava. Vestiva un abito semplice, un abito di fattura antica, con il grembiule...Gli parve ben strano: non aveva mai portato il grembiule.
Il corpetto, aderente, contrastava con le ampie maniche della blusa e con l'ampia gonna che le arrivava sopra la caviglia. Quell'abito la avvolgeva creando intorno a lei un aura dal fascino particolare, quasi misterioso.
Ma non era il vestito, per quanto quello la rendesse affascinante.
Tsubasa intuì che Sanae era diversa, aveva qualcosa in più. Emanava una specie di vibrazione, una vibrazione positiva, segno che era cambiata. Era cresciuta, non solo nel corpo, sempre esile e bello. Il suo mondo interiore si era allargato, la sua intelligenza affinata e l'anima si era dischiusa irradiando amore intorno a lei. Per un momento ebbe l'impressone che lei  irradiasse luce.
Si era fermata!
Lo aveva notato anche lei e stava portando le mani al petto.
Sanae ricominciò a camminare sempre più speditamente fino a che i passi si tramutarono in corsa.
Si fermò di nuovo, trafelata, a contemplare la visione: voleva essere certa che non fosse uno scherzo della sua fantasia.
Ogni tanto muoveva qualche passo.
Lentamente, molto lentamente, procedeva titubante verso il capitano. Era così stranita che inciampò nei suoi pedi e per poco non cadde. Adesso era vicina, finalmente, e lui era ancora lì davanti a lei.
Alzò il braccio piano e poi, timorosa, allungò una mano verso Tsubasa, che restò immobile....
"Sei tu...”
Seppe solamente dire lei con voce flebile, quasi impercettibile.
Tsubasa più che con le orecchie udì Sanae con il cuore. Le parole della ragazza risuonarono chiare nell'anima del capitano, si amplificarono pervadendone la mente e il corpo.
Egli, attonito, non rispose: un nodo gli attanagliava la gola e il suo volto avvampò.
Notò come anche Sanae fosse rossa in viso. Era evidente la sua emozione. Probabilmente anche lei stava osservando la medesima cosa in lui.
Il tanto atteso incontro aveva scatenato una tale tempesta emotiva che i due innamorati erano ammutoliti e pietrificati. Smarriti nella contemplazione l'uno dell'altra.
Tsubasa, più volte, aveva cercato di immaginare il momento in cui avrebbe ritrovato Sanae e sempre si era preparato a dirle quanto la amasse e quanto le fosse mancata ma, ora che l'aveva davanti agli occhi, era stato solamente in grado di annuire in risposta alla constatazione della ragazza. Era paralizzato e non riusciva a muovere un passo.
Sanae, dal canto suo, si rimproverava per le parole dette. Si vergognava delle sue sciocche e insulse parole...Sei tu...Non si vedevano da un tempo infinito e lei cosa era stata capace di dire al ragazzo che amava?!...Sei tu...Nulla, non aveva detto praticamente nulla!...Solo due stupidi vocaboli in croce e nemmeno in tono affettuoso!
Le veniva da piangere e cedette alle lacrime cominciando a singhiozzare. Non capiva esattamente perché stesse piangendo. Forse era l'emozione o la felicità di rivedere Tsubasa oppure piangeva perché si sentiva una stupida. Proprio una stupida! Solo una sciocca avrebbe accolto il fidanzato, che amava, con un'espressione così banale e senza senso. Ciononostante, quello era uscito dalla sua bocca e senza che lei potesse fermare le labbra. Era una frase talmente idiota che Tsubasa avrebbe potuto pensare che lei non fosse contenta di essere stata ritrovata, poteva concludere che per lei era cambiato qualcosa...Avrebbe potuto scambiare quella sua frase come un moto di delusione. Per non parlare del tono di voce piatto che, per la verità aveva sorpreso persino lei. Aveva parlato sottovoce, bisbigliando e senza intonazione...Quel tono avrebbe raffreddato anche il più ardito dei corteggiatori! Quando aveva aperto la bocca per parlare si era improvvisamente accorta che la sua voce era sparita, svanita, come inghiottita dal battito galoppante del suo cuore.
Invece di gettargli le braccia al collo, come sempre aveva fantasticato, se ne stava lì, inerte, a fissarlo. Pensò di apparire un ebete agli occhi di lui e lo osservò meglio: anche lui era impassibile.
Si concentrò su Tsubasa: sembrava più adulto, ma con gli occhi sempre limpidi e leali. Quegli occhi scuri che tanto le mancarono erano rossi di pianto. I suoi capelli scompigliati dal vento glielo ricordarono da bambino, quando lo aveva conosciuto al campo. Gli davano un'aria innocente e sincera...Si soffermò nuovamente sullo sguardo e...Altre lacrime velavano i suoi occhi, troppo timide per uscire allo scoperto...Ma non era una visione...Lui era lì. Questo solo contava...Lui era lì davanti, l'aveva trovata e probabilmente pensava che lei fosse una sciocca e un'irriconoscente, per giunta.
Si rese conto di essere rimasta con la mano a mezz'aria, ferma nell'attimo esatto in cui aveva parlato e toccato il braccio di Tsubasa...Con le dita, lo stava ancora impercettibilmente sfiorando.
Lui era impietrito quanto lei e ciò la fece sorridere e sentire un po' meno stupida. In fondo, il capitano nella sua lunga solitudine non era cambiato, le emozioni lo bloccavano ma, seppure chiuso nella sua proverbiale discrezione, gli occhi raccontavano sempre il suo amore.
Per i gesti c'era ancora tempo, anche lui, come Sanae era sospeso nella magia dell'incontro a lungo anelato.
Rimasero lì a scrutarsi ancora un poco, poi...Fu Tsubasa ad avere un sussulto e ridestarsi.
Si mosse calmo verso di lei abbracciandola in silenzio.
Nell'abbraccio caldo si sciolsero tutte le sue paure e i dubbi. Il fardello del tempo passato in solitudine svanì.
Si abbracciavano: erano insieme...Si abbracciavano e piangevano. Piangevano e ridevano...Ridevano e si baciavano in un continuo infinito circolo.
Non comunicavano con le parole, anche se desideravano dirsi molte cose.
Non era il momento, adesso era il momento del pianto liberatorio e delle carezze perdute...

Jerwis li lasciò.
Il canto delle allodole lo guidò tra i campi, fino a casa. Là si sedette nel vecchio roseto.
Fiona lo raggiunse sorridente...
"Eccoti! Immagino la felicità di Sanae!..." tuttavia a Fiona non sfuggì la lieve preoccupazione nel tono del marito..."Cos'è che ti preoccupa, non mi sembri tranquillo."
Jerwis sospirò....
"Sì, era felice, lo erano entrambi, si vedeva chiaramente...Hanno una seconda occasione, speriamo non la sprechino..."
Lei gli si sedette accanto e prendendogli le mani cercò di capire meglio...
"Non ti seguo...Si amano no? E lui è arrivato fin qui, questo dice molto sulla natura dei suoi sentimenti verso Sanae..."
"Lui è qui e questo pone dubbi che devono essere chiariti e domande che vogliono una risposta...C'è una domanda per la quale non hanno molto tempo. Ma non è lui che mi preoccupa: lui ha già deciso, ha scelto nel momento in cui l'ha rivista. E' Sanae... Sanae è innamorata ma è anche impulsiva e ama fare a modo suo. Spesso un amore molto profondo riesce a complicare le cose...Porta a perseguire molti alti ideali, come il bene dell'altro, o quello che si pensa sia tale. Questo atteggiamento non sempre permette di vedere con oggettività e parlare con sincerità, e tutto può ingarbugliarsi..."
Fiona lo abbracciò....
"Capisco...Ma è una caratteristica degli innamorati, no?"
"Quale?...Quella di essere avventati e commettere sciocchezze?"
Jerwis sorrise stringendosi alla moglie.
Restarono lì a contemplare il cielo terso sopra di loro. Il vento ascoltava le loro memorie e i loro sogni mentre, nell'abbraccio della volta, i due pensavano al tempo trascorso, all'amore condiviso, all'amore ritrovato...Pensarono che due giovani innamorati si erano ritrovati. Il fato aveva concesso loro una seconda possibilità, chissà se l'avrebbero saputa cogliere, chissà quale nuova storia avrebbe portato il vento, chissà...

 

Continua...

 

 

N.B.

Lo spunto per questa storia mi è stato offerto da una novella tedesca “Germelshausen” scritta da Friedrich Gerstacker. Questa storia, nel 1954, ispirò un musical della MGM “Brigadoon”. Dal musical, Vincent Minnelli, trasse l’omonimo film. Fu il suo primo film girato in Cinemascope.

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Capitolo 14
*** Una nuova felicità ***


I personaggi non sono miei, appartengono a Yoichi Takahashi.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.
Note personali:non amo scrivere storie con più di un capitolo, perchè ho poca pazienza, ma ho voluto tentare. E’ una specie di sfida e spero di fare un buon lavoro!
Ringrazio coloro che dedicheranno del tempo alla lettura della mia storia e coloro che avranno la pazienza di recensirla.
Buona lettura!
  

Una felicità nuova
 
 

 

Ebbri di gioia Tsubasa e Sanae rimasero a lungo immobili e silenziosi.
Tranquillamente abbracciati nella radura erbosa, parevano due giovani alberi assorti che ondeggiavano flessuosi nel vento.
Ad un certo punto si sciolsero e presero a passeggiare.
Nessuno dei due parlava, si tenevano solo per mano, con le dita intrecciate.
Tsubasa, ammirando quel luogo, ricordava i suoi sogni. Ora era libero di rammentarli con gioia.
Erano veri, non erano più immagini confuse e vaneggiamenti di un innamorato. Finalmente gli apparivano chiari e meravigliosamente belli e significativi.
Quei sogni avevano acquisito il loro senso, erano messaggi che lo visitavano nel buio. La materializzazione della voce di Sanae: la voce della ragazza che amava si faceva immagini e con esse lei lo aveva chiamato, costantemente, e  lui, inconsapevole ma senza esitare, aveva risposto.
Il suo cuore, nelle lunghe notti fosche e tristi, aveva parlato e viaggiato conducendo la sua anima là, in quel luogo molto più che lontano, appartato e misterioso.
Per tutto per quel tempo Tsubasa aveva avuto l'opportunità di stare vicino a Sanae e farle sapere che non aveva cessato di volerle bene, seppure solo in sogno e solo quando riusciva a penetrare in quello squarcio di spazio perduto nelle nebbie del tempo.
Non conservava nulla di tangibile al mattino, una volta desto e vigile. Nulla che le sue mani potessero toccare, i suoi occhi vedere o la mente comprendere appieno. Delle notti vissute con lei, rimanevano solo i ricordi annebbiati e confusi di  attimi di felicità che l'amaro risveglio ricacciava nell'oblio così come l'impietosa luce dell'alba scacciava le ombre della sera.
Al ragazzo capitò di pensare che, in fondo, loro due erano stati un po' come due ladri: avevano rubato amore, incontrandosi chissà dove nella notte, ben protetti dal manto di un'oscurità benevola e complice. Un'oscurità amica e ispiratrice di infiniti viaggi dell'anima.
Ripensando a quel periodo si accorse che aveva amato molto di più le sue notti oscure e meste piuttosto che le giornate assolate e piene di vita. Mai avrebbe pensato di definire le tenebre amiche e benevole mentre la luce...Crudele...Quello fu la luce del sole per lui: una crudele compagna.
Tutto ciò che più desiderava spariva in un soffio con l'arrivo del caldo e luminoso astro mattutino.
Il giorno con la sua luce accecante apparteneva alla ragione, alla razionalità, alle cose tangibili e reali. Il mattino, impietosamente, delineava i contorni delle cose tutt’intorno, non lasciava spazio ai ricordi e ai sogni.
Essi non potevano far altro che assopirsi e rifugiarsi, pigri e placidi, nella mente troppo distratta dalla vita e disperata per la perdita.
Tsubasa aveva ormai compreso di non esser mai consapevolmente giunto dove invece il cuore era subito arrivato.
I suoi occhi, le orecchie, la mente erano rimasti ciechi e murati nel dolore.
La sua testa aveva impiegato tanto, troppo, tempo a capire e svelare ciò che l'anima raccontava ogni notte.
Chissà se anche Sanae si era sentita così.
Chissà se lo aveva sognato, se anche il cuore di lei aveva percepito la sua nostalgia e il suo richiamo.
Voleva dirle molte cose ma non sapeva da dove cominciare. Una moltitudine di pensieri affollava ora la sua mente e non riusciva a dipanarli.
Era molto confuso.
Doveva dirle che l'aveva sognata, quasi ogni notte.
Doveva dirle che sempre l'aveva cercata.
Doveva, purtroppo, anche dirle che aveva avuto paura e che, nell'infinita attesa, quasi aveva perso la speranza. Non solo...La cosa più dura era...La colpa di essersi quasi arreso, era kumiko la sua colpa. Disorientato da lei stava per cedere, aveva quasi rinunciato a riabbracciarla e l'aveva quasi perduta. Pinto glielo aveva detto, e lei stessa, proprio lei, Sanae, glielo aveva fatto capire la notte dell'incubo.
Non avrebbe mai potuto scordare quell'ultimo sogno.
Non avrebbe mai dimenticato quell'ultima notte.
La notte più lunga, la notte più buia, una notte infinita...Il bambino che lo visitava nei sogni lo costrinse, rabbioso, ad aprire gli occhi.
Tsubasa però, in sincerità, ancora non aveva ben compreso quel rimprovero. Il piccolo lo aveva aspramente ripreso, accusandolo di non volerlo...E...Adesso che ci pensava...Quel bambino era ancora un mistero: Jerwis non vi aveva fatto cenno e neppure Sanae.
Non era certo una cosa facile da chiedere e poteva essere accaduto di tutto in quel periodo in cui lui e Sanae erano stati separati.
Respirò a pieni polmoni, aspettando di trovare le parole...Prima o poi, ne era certo, sarebbero affiorate sulle sue labbra spontaneamente, con Sanae gli succedeva sempre così.
Il profumo dei tigli avvolgeva i pensieri di Tsubasa il quale, inebriato, si lasciava guidare dalla ragazza.
La fragranza dolce attirava i due verso i vecchi alberi silenti.
Alti e solitari sembravano proprio in attesa del loro arrivo.
Sanae si fermò.
Si mise di fronte al capitano e gli prese le mani.
“E' qui che sono rinata!"
Disse sicura indicando una vecchia pianta e poi proseguì. La sua voce però mutò, si affievolì poco a poco fino a farsi un sussurro. 
A Tsubasa sembrò di ascoltare il sibilo del vento....
”Jerwis mi ha raccontato una bella storia. Secondo lui, tutto ha una spiegazione e nulla accade per caso...Lo sai?...Questo albero...Questo albero, è l'albero dell'amore e della felicità...Proprio così...Ascolta...Una volta era una donna. Due vecchi sposi ancora innamorati furono i soli gentili con alcuni Dei che si presentarono loro sotto sembianze umane. Gli Dei decisero di risparmiarli dalla punizione che avrebbero inflitto agli altri uomini che li avevano scacciati. Non solo, concessero ai due sposi la missione di maestri spirituali e, una volta vecchi, di spegnersi insieme. Così, quando giunse il loro momento, marito e moglie cominciarono a tramutarsi lui in quercia e lei in tiglio.* Rimasero l'uno accanto all'altra, per sempre uniti, complementari e perfetti. Questo tiglio mi ha accolta nel suo grembo come una vecchia madre bisognosa d'amore e consolazione...Guarda...Qui non ci sono querce...Questa pianta era sola, proprio come me...Per questo mi ha voluta e amata.”
La malinconia e il trasporto con cui Sanae raccontò quella leggenda paralizzò Tsubasa.
Egli riusciva chiaramente a intuire tutta la solitudine della ragazza. Si era sentita sola e ferita, certo, era naturale...Tuttavia...Si sentiva ancora molto sola, eppure lui era lì.
Il capitano non potè fare a meno di provare disagio, lui era lì ma la sua sola presenza non pareva sufficiente a colmare quell’immenso vuoto nell’animo di Sanae. Ciò lo inquietò non poco facendolo sentire colpevole e cominciò a domandarsi come avrebbe potuto placare tutto il dolore che percepiva in lei.
Il suo amore sarebbe bastato?
Sanae era rinata nell'abbraccio gentile di un vecchio tiglio solitario che l'aveva accolta e protetta come una madre.
Lui lo sapeva bene, l'aveva sognata mentre dormiva. Forse quell'albero era davvero magico e aveva protetto la sua Sanae.
Il ragazzo chiuse gli occhi e poggiò una mano sul tronco dell'antica pianta, probabilmente la più antica tra tutte quelle che davano vita al bosco.
Nella sua mente rivedeva Sanae com'era una volta e com'era ora.
Aprì gli occhi e la guardò, la scrutò da testa a piedi: la sua espressione era serena, ma velata di malinconia. Il suo corpo era perfetto, leggero e longilineo.
Gli balenò di nuovo nella mente il bambino, non poteva farne a meno, non riusciva a levarselo dalla testa. Quelle sue parole così brusche gli riecheggiavano continuamente nella mente. Lo rodevano dentro, come un tarlo. Era una specie di chiodo fisso ormai...Doveva sapere!
Se ci fosse realmente stato un bambino avrebbe avuto pochi mesi...Due, forse tre, non di più. Tuttavia il corpo di Sanae non tradiva una gravidanza recente.
Non poteva dirlo con certezza, non era poi così esperto ma...Ricordava chiaramente sua madre pochi mesi dopo la nascita di Daichi: era molto diversa.
Mentre Sanae lo fissava quasi persa, come in attesa di qualcosa, lui disse sottovoce...
“Sei rinata qui...Sì!...Lo so...Ti ho veduta, ti ho incontrata sempre, ogni notte nei miei sogni...Ma...C'era anche un bambino con noi...”
Sanae lo abbracciò con slancio. Le sembrava pensoso e quasi deluso...
“Anch'io, anch'io ti sognavo, aspettavo sempre con trepidazione che venisse la notte...Poi però ti sei allontanato e le notti che attendevo con ansia portavano solo dolore, angoscia e nuova solitudine..."
Poi si staccò da lui e continuò, guardandolo nuovamente negli occhi.
“...Un bambino dici...Non c'è, non c'è nessun bambino Tsubasa, mi dispiace. E' per questo che sei deluso? Speravi che ci fosse un figlio nostro?...Mi dispiace, non è così..."
Sanae si interruppe e Tsubasa trasalì.
Ormai era chiaro che, pur essendo stati lontani fisicamente, divisi da chissà quale invisibile barriera, in realtà i loro cuori erano sempre stati vicini e si erano realmente incontrati, in qualche modo. Ma il bambino non c'era, non era lì con Sanae. Non era come aveva sognato, non era come avrebbe voluto e sperato.
Chi era dunque quel bambino che gli aveva rivolto parole così dure e accusatorie? Perchè questo era stata quella sua frase: un'accusa. Il piccolo lo aveva apertamente accusato di aver rinunciato a lui, di averlo lasciato solo e abbandonato al suo destino. Forse l’immagine del bambino era stata solo una sua suggestione, un suo senso di colpa che si sfogava nel più strano dei modi. Ma, non riusciva a crederci, nonostante tutto, non era persuaso di aver frainteso. Voleva dire qualcosa, non poteva essersi sbagliato. Lui...lui ci credeva: quella era una speranza futura, un nuovo sogno da realizzare. 
Se quel bambino lo aveva cercato nei suoi sogni doveva esserci una ragione, non era a caso. Prima o poi lo avrebbe scoperto. Prima o poi lo avrebbe incontrato.
Guardò Sanae, aveva gli occhi bassi, lo sguardo era adombrato e anche lei sembrava delusa.
Prese il suo viso tra le mani...
“Mi dispiace...E' stata colpa mia...Volevo saperne di più sulla tua scomparsa e ho accolto kumiko in casa nostra; Yukari mi aveva messo in guardia ma io mi sono quasi fatto intrappolare...E' stato Pinto ad aprirmi nuovamente gli occhi...Non posso credere che sia stato lui, un bambino, a farmi svegliare...Cerca di perdonarmi Sanae...E poi...No! No Sanae non sono deluso, o meglio...Forse un po' lo sono...Un po' ci speravo in quel bambino. Ma credo sia meglio così...Voglio dire...Mi sarei perso un sacco di cose, così invece...”
Lei lo interruppe ponendogli un dito sulla bocca. Poi si avvicinò e disse piano sulle sue labbra
“Lo so, so tutto...Anch'io ti vedevo nei miei sogni, te l'ho detto...Basta adesso, ora sei qui...Taci..."
Lo baciò. Sicura.
Continuò a baciarlo, sempre più intensamente.
Tsubasa ebbe quasi l'impressione che lei, con quel bacio, avesse voluto tappargli la bocca non volendo affrontare la questione. Poco male...ci avrebbe pensato più tardi.
Si baciarono a lungo.
Poi, con carezze leggere, i corpi iniziarono la loro armoniosa danza d'amore, prima lenta e poi impetuosa.
Tutt'intorno era silenzio, la tranquillità era rotta solo dai sospiri increspati dall'allegrezza e dalle risa dei due innamorati.
Le fronde del tiglio secolare ebbero un fremito e cominciarono a diffondere nel vento, insieme ai due amanti, parole d'amore e respiri profondi.
Le sagome annodate danzavano avvolte dalla fragranza dell'albero. Quest'ultimo sembrò abbassare i propri rami incurvandoli, quasi a proteggere la giovane coppia.
La magia della brezza portava gioia e si esprimeva con parole nuove, mai pronunciate prima in quel luogo solitario. Evocava una nuova felicità, iniziava un nuovo racconto...
Silenziosa e segreta, si insinuava tra i corpi congiunti una vita nuova.
Ora Era lì, tacita e misteriosa.
Si celava silente, protetta nel mistero del grembo amorevole ancora inconsapevole del miracolo.
Poi...Tutto tacque...Giacquero.
Il sole infuocato si spegneva nel tramonto. Le prime pallide stelle sorpresero, timide, i due amanti abbracciati nell'ombra frondosa....
 

Continua...
(Vorrei avvisarvi che per il prossimo aggiornamento potrebbe volerci un po' più del solito, mi spiace. Cercherò di postare appena possibile)
 
 

*Si fa riferimento alla storia di Filemone e Bauci, narrata da Ovidio nel libro VIII Delle famose “Metamorfosi”.
 
N.B.
Lo spunto per questa storia mi è stato offerto da una novella tedesca “Germelshausen” scritta da Friedrich Gerstacker. Questa storia, nel 1954, ispirò un musical della MGM “Brigadoon”. Dal musical, Vincent Minnelli, trasse l’omonimofilm. Fu il suo primo film girato in Cinemascope. 

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Capitolo 15
*** Avere tutto, lasciare tutto ***



I personaggi non sono miei, appartengono a Yoichi Takahashi. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.
Note personali: non amo scrivere storie con più di un capitolo, perchè ho poca pazienza, ma ho voluto tentare. E’ una specie di sfida e spero di fare un buon lavoro!
Ringrazio coloro che dedicheranno del tempo alla lettura della mia storia e coloro che avranno la pazienza di recensirla.
Buona lettura!
 
Avere tutto, lasciare tutto
 

 
Tsubasa era seduto con gli occhi chiusi sotto il tiglio.
Il bosco era nel pieno della fioritura e il ragazzo respirava tranquillo l’aria addolcita dall’aroma degli alberi. Il sole, carezzevole, faceva capolino tra le fronde illuminandogli il volto, stava bene, era disteso, da tanto non si sentiva così...Poi...Una risata...Una risata cristallina e vivace attirò la sua attenzione. Aprì immediatamente gli occhi per poter vedere chi fosse ma non riuscì a scorgere anima viva. Era certamente un bambino...Il suo cuore cominciò a galoppare, era lui...Doveva essere lui! Aveva tanta voglia di rivederlo!
Si alzò lasciando il vecchio tiglio e, impaziente, cominciò a seguire l’eco della risata lontana.
Camminò molto, anche se non avrebbe saputo dire quanto. La luce del sole già scoloriva e si fece fioca quando... Eccolo! Finalmente lo aveva trovato.
Il bambino gli dava le spalle e giocava allegro accucciato vicino all'acqua. Il capitano si avvicinò discretamente. Le risa si facevano pian piano più chiare, riconobbe la voce. L'allegrezza del piccolo era accompagnata dal rumore degli schizzi.
Tsubasa lo raggiunse velocemente.
Si fermò ad osservare tutt'intorno.
La luce del sole era ormai svanita quasi completamente e tutto era privo di contorni precisi, come sbiadito, c’era un velo tra lui e ciò che lo circondava. Non sapeva nemmeno più che direzione aveva preso, non sentiva più l’odore dei tigli e nemmeno il profumo dell’erba, ciò che lo circondava gli era totalmente sconosciuto. Nella semioscurità riusciva solo a distinguere la figura del bambino che giocava con l'acqua, ma non era al solito ruscello. 
Si avvicinò titubante, temendo la reazione del piccolo: non aveva dimenticato le dure parole che gli aveva rivolto. Tuttavia non potè frenarsi, doveva parlargli e poi...E poi sì: questa volta era diverso, lo sentiva.
Il piccolo, tutto preso dal gioco, non  si era ancora accorto di essere osservato.
Il capitano si fece coraggio e disse semplicemente...
“Ciao!”
Il bambino si voltò interrompendo il suo passatempo e gli sorrise. Nell'espressione non vi era più traccia della delusione e del dolore che vi aveva letto tempo addietro. Ma la sua non era una felicità piena, c’era qualcosa, il suo sguardo non era limpido e sereno. A Tsubasa parve fosse velato da una punta di preoccupazione. Si avvicinò ancora inginocchiandoglisi accanto e riprese...
"Ciao!... Mi sembri pensieroso..."
Quel misterioso bambino gli sorrise di nuovo.
"Sì...Ma non ho tempo di spiegarti. Adesso devo andare, la mia mamma mi sta aspettando!"
La voce era allegra e la risposta convinta ma...Ancora al capitano sembrò di avvertire nell’intonazione  una lieve incrinatura, una strana inquietudine. Rievocò nella mente le parole appena udite e scoprì di esserne stato ferito. Era la prima volta che quel bambino parlava di se stesso facendo riferimento a una famiglia. C’era una famiglia dunque. Ma...Allora chi era? Che ci faceva lì e perchè tornava sempre da lui? Non era affatto solo, aveva qualcuno, aveva una mamma. Il capitano non sapeva spiegarselo ma la scoperta lo rattristò. Si sentiva male, malissimo, come quando ti portano via qualcosa. Come quando qualcuno che ami se ne va lontano, anzi, come quando qualcuno che ami ti lascia bruscamente e sai che non lo rivedrai. Sentì il suo sogno e le sue speranze sfuggirgli via dalle mani...come sabbia tra le dita. Il suo sogno stava per svanire...Cercò di superare quel moto di delusione e rammarico cercando di saperne di più ...
"Ah si? E dove? Comunque...Non farla aspettare troppo o si preoccuperà."
Il bimbo si rabbuiò, ma non cessò di guardare Tsubasa negli occhi, quindi gli rispose...
"Ma io...Io veramente non so dove devo andare, non tanto bene, e la mamma non è preoccupata, non lo sa che sto andando da lei." 
Era una risposta alquanto sibillina, che stupì il capitano. Non riusciva ad afferrarne il senso, o forse, aveva solo una gran paura di capirne il significato.
"..Mhh....Ma...Com'è possibile?!..."
Cercò di approfondireTsubasa quando una voce li interruppe. 
Un'altro bimbo chiamava il piccolo che era con lui. Chiamava con fermezza e sembrava avere molta fretta.
"Ti muovi?!...Dobbiamo andare adesso!"
Tsubasa non riusciva a scorgere l'altro bambino, ne udiva solamente la voce. Aveva una bella voce squillante, mentre il bambino che era lì accanto lui aveva una voce certamente gioiosa ma nello stesso tempo era una voce che si sarebbe potuta definire senza dubbio, pacata.  Notò subito che il suo piccolo amico stava per andarsene ubbidendo a colui che lo aveva richiamato poco prima. Spontaneamente ma senza forza, il capitano cercò di trattenerlo. In fondo, non voleva separarsene senza almeno abbracciarlo. Fece per prendergli una manina ma non vi riuscì. Quel corpo era sfuggente. Non si poteva afferrare, era lì, esattamente accanto a lui, eppure non riusciva a toccarlo. Il bambino si era già allontanato e, a passi veloci, si dirigeva verso la voce che lo aveva interpellato. 
"Fermati!...Aspetta! Almmeno questa volta dimmi il tuo nome!" 
Fece in tempo a gridare Tsubasa, colto di sorpresa dalla stranezza della situazione.
Il bambino si voltò, non era arrabbiato come l'ultima volta, sorrideva. Sorrideva ancora, sorrideva a lui e aveva nello sguardo una luce di soddisfazione. Sembrava proprio contento ma sospirò, leggermente indispettito, e alzò le spalle...
"Ma non ti ricordi?!...Te l'ho detto!...Io non ce l'ho un nome, ma se proprio vuoi chiamarmi per nome, dammene uno tu, uno che ti piace!" 
Glielo disse come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Di contro, a Tsubasa quella richiesta parve decisamente balzana! Come poteva non avere un nome? Non era solo, c'era una famiglia, una mamma...Com'era possibile che non gli avessero dato un nome? E...Come poteva lui dargli un nome? Lui, in fondo, non era niente per quel bambino...Però lo aveva chiesto a lui...Proprio a lui...
"Ma...Io? Io non posso darti un nome, devono farlo i tuoi genitori...Io...Non posso, e poi, così su due piedi...Non saprei che nome scegliere...Il nome è una cosa importante, va scelto con cura, dura per tutta la vita..No...Così proprio non posso, mi dispiace..." 
Il bambino scosse la testa lievemente insoddisfatto e di nuovo sospirò. 
"Ma perchè...Sei proprio tu che..."
 
Il suono della sveglia destò il capitano. Era chiaramente quella del suo cellulare. 
Svegliato così di soprassalto si sentì un po’ disorientato. Aveva la testa pesante. Cercò di raccogliere le idee...Non era a casa, a Barcellona, e non aveva impostato alcuna sveglia, e perché mai?! Non doveva fare nulla di particolare. Cercò il cellulare per zittirlo, non ne poteva più:  mai quel rumore fu più fastidioso e inopportuno. Lo aveva interrotto proprio sul più bello, chissà come andava a finire quel sogno. Unito agli altri poteva avere un senso anzi...Decisamente lo aveva....Era chiaro...Possibile che fosse..? Sarebbe stato stupendo eppure aveva quasi timore a pensarci.
Cullato da quei pensieri, cercava di immaginare come sarebbe stato; sorrise e, lentamente, ritornò alla realtà.
Sobbalzò e si mise a sedere di scatto: Sanae non c'era!
Non era più lì accanto a lui. La cercò con lo sguardo ma di lei non vi era alcuna traccia nelle vicinanze.
Guardò il cellulare, erano le 21.00.
Evidentemente Sanae, prima di andarsene, aveva impostato la sveglia per destarlo prima della Mezzanotte. Si alzò per rivestirsi: i suoi abiti erano ben ripiegati lì vicino, era stata certamente lei a preoccuparsene. Allungò svogliatamente un braccio per prenderli quando notò che sopra la pila degli abiti c'era un biglietto. 
Tsubasa cominciava decisamente ad irritarsi: lei se ne era andata piantandolo lì, solo. Non gli andava, non gli andava per nulla l'idea di essere stato piantato lì così, senza motivo. Ancor più lo irritava se pensava a ciò che c'era appena stato tra loro, se lui lo avesse fatto a Sanae lei gli avrebbe tolto il saluto e, se mai avesse deciso di parlargli di nuovo,  gli avrebbe rinfacciato quell'episodio per il resto della vita.
Sbuffò...Decisamente la situazione stava prendendo una piega molto sgradevole.
Non capiva perchè fosse fuggita, ma pensandoci...Beh!...Doveva aspettarselo, era nel perfetto stile di Sanae.
Strinse il biglietto convulsamente, con forza. Conteneva qualcosa, lo aprì. Ebbe un tuffo al cuore quando, dalla carta, scivolò fuori l'anello...Era l'anello di fidanzamento, proprio quello, quello che le regalò quando le chiese di sposarlo. L'anello abbandonato lì poteva avere un unico significato.
Solo in quel momento Tsubasa realizzò quanto fosse testarda  e determinata Sanae.
Non era più una ragazzina, era una donna, ma pur sempre una donna testarda, decisa e indipendente. Domarla non era certo mai stato il suo fine, senza contare che a lui piaceva così, ma trovò quel suo atteggiamento indisponente oltre che irritante.
Serrò i pugni stropicciando la carta. Poggiò biglietto e anello sull'erba. Si rivestì nervosamente.
Non poteva leggere, non subito, doveva recuperare la calma. Solo così avrebbe potuto affrontare la lettura di quanto lasciato scritto da Sanae, anche se non faticava a immaginare cosa lei avesse da dire. Una volta di più si domandò a che gioco stesse giocando e no...Non riusciva a recuperare il sangue freddo. Più pensava a ciò che era accaduto più la rabbia cresceva invadendolo fino a farsi traboccante.
Perchè non gli aveva parlato?
Perchè non gli aveva apertamente chiesto cosa intendeva fare?
E poi...C'era davvero bisogno di chiederlo?!
Lei non voleva ascoltarlo e non voleva fare domande. Di fatto gli aveva tappato la bocca baciandolo, un modo piacevole di essere zittiti, ma che non cambiava le cose. Dopo essere giunto fin lì, lei non voleva ascoltarlo, lei non voleva dirgli nulla, lei se ne andava, fuggiva, da lui, dalle sue domande, dai suoi perchè e dalle sue risposte...Perchè lui le aveva delle risposte...Risposte che Sanae, evidentemente, non ci teneva a sentire di persona, dalle sue labbra!
Il cuore di Tsubasa batteva veloce e lui avrebbe voluto imprecare e prendersela con qualcuno che gli stesse davanti, in carne e ossa.
Era arrabbiato, deluso e...di nuovo solo, non si era mai sentito così solo in tutta la vita.
Si chinò per recuperare l'anello. Lo mise in tasca.
Stizzito, prese il foglietto, si sedette appoggiandosi al tiglio, e distese la carta in malomodo. Cominciò a leggere. 
Erano poche parole, poche semplici e laconiche parole...
 
"Non possiamo avere quello che volevamo, non come lo volevamo almeno.  Lo avrai capito. Non potrò più essere tua moglie, non posso più essere la tua fidanzata. Io devo restare qui. Non posso lasciare questo luogo, e chiunque voglia starmi accanto deve necessariamente rinunciare a tutto ciò che ha per restare. Ma tu non sei obbligato a mantenere la promessa, sei libero."
 
Tutto lì, non una parola affettuosa, neanche uno striminzito "Ti amo".  
A pensarci bene...Nemmeno l’aveva firmato quel biglietto.
Sanae era stata tagliente. Sicuramente una freddezza voluta e ben studiata da lei che, come sempre, non lasciava mai nulla al caso. Era intelligente, acuta e...Credeva di sapere tutto, lo aveva volutamente ferito e lui era stanco. Il dolore e la solitudine lo avevano prostrato e, proprio quando credeva di poter essere felice, ecco che di nuovo dolore e solitudine lo costringevano a inginocchiassi per mangiare la polvere.  
Strinse il biglietto tra le mani, tremava, tremava di rabbia.
Lui era stanco di solitudine, tristezza e rinunce ed era stufo anche di essere causa di tristezza e rinunce per Sanae. Perché questo era stato per lei, questo solo aveva potuto darle...Avevano avuto poco, molto poco insieme. Forse loro non erano destinati ad essere felici insieme a lungo. Ma il punto era un altro...
Perché non gli aveva apertamente chiesto di rimanere? Questa volta era diverso, possibile che non se ne rendesse conto? Questa volta non sarebbe partito per il Brasile o per Barcellona, questa volta era per sempre, non sarebbe ritornato, non si sarebbero rivisti mai più..E lei?...Lei che faceva? Lo lasciava! Lo aveva lasciato, tanto valeva chiamare le cose con il proprio nome, aveva rotto il fidanzamernto! Anche questa volta lo lasciava libero di agire come meglio credeva: poteva restare, poteva andare, poteva avere tutto, poteva lasciare tutto. E poi...Cos’era Tutto?...Era certamente un concetto molto relativo.
In un moto di stizza, forse un po’ infantile, gettò per terra il foglietto appallottolandolo.
Come aveva potuto lasciarlo?!
Lo aveva fatto per lui, apparentemente, ma al capitano non andava giù, gli sembrava come se Sanae se ne fosse lavata le mani. Lei non gli aveva mai chiesto nulla per sè, mai, era la prima volta che ne aveva la possibilità e lui avrebbe tanto voluto che gli esternasse apertamente, senza paura, ciò che realmente desiderava. Lui sarebbe rimasto, sarebbe rimasto in ogni caso..Ma lei...Lei doveva fare sempre a modo suo e non le importava di niente e di nessuno. Raccolse di nuovo il biglietto per rileggerlo, ma quelle parole erano fin troppo chiare, non c’erano significati reconditi e non suscitavano nemmeno un piccolissimo misero dubbio.
Quel biglietto era quello che era: un addio!
Si sdraiò sull’erba, aveva la gola secca. Si frugò nelle tasche alla ricerca dell’anello. Lo prese, lo alzò sopra i suoi occhi e cominciò ad osservarlo, aveva una magnifica luce, e i raggi che lo colpivano amplificavano quella luminosità. Una luce pura e magnifica, inalterabile e limpida così come doveva essere l'amore. Invece amore per lui era stato solo un breve attimo di gioia e pienezza ed ora era lacrime. Per la verità, era stato più lacrime che altro.
Sanae si era comportata ingiustamente, ma forse aveva solo una gran paura, paura di domandare, paura che lui non volesse restare.
Un tale pensiero non migliorò certo il suo umore, anzi, se possibile, contribuì a peggiorarlo.
La sua fidanzata  non dimostrava una gran fiducia in lui, non aveva avuto il coraggio di restare e sapere cosa sarebbe accaduto, non aveva avuto il coraggio di sentire la risposta guardandolo in faccia...Non era da lei. Era da lei essere altruista e lasciarlo libero, ma perché?...Perchè lei doveva sempre fare la cosa giusta?
La cosa giusta per il motivo sbagliato!
Tsubasa si persuase che quell'altruismo, in fondo, fosse sconfinato nell'egoismo. Strano, strano come un nobile sentimento potesse tramutarsi nel suo opposto. Proprio in quel sentimento che si rifugge e che si vuole combattere.
Forse era la rabbia, ma il ragazzo stava pensando che Sanae fosse stata una grandissima egoista a non ascoltarlo. Era giunto fin lì, e non era stato facile, l’aveva ritrovata, non le aveva detto altro se non che l’amava...E lei...Lei come poteva sapere quale fosse la cosa migliore per lui?! Come poteva deciderlo lei?! Lui poteva decidere di se stesso e avrebbe deciso anche con lei lì, anche se lei non lo avesse lasciato. Era perfettamente in grado di badare a se stesso e fare delle scelte, anche dolorose. Ne aveva già fatte e lei lo sapeva. Se ne era andato in Brasile a rincorrere il suo sogno no?! Non aveva rinunciato, eppure l’amava e lei lo sapeva e lo aveva aspettato, glielo aveva chiesto lui, guardandola in faccia senza timore...Forse era proprio questo: non c’era possibilità di avere tutto, non questa volta e lei ne era ben conscia. Ecco cosa la spaventava. Tuttavia la reazione di Sanae lo aveva profondamente deluso e amareggiato, credeva così in lui? In loro? Perchè non chiedeva, perchè non poteva ammettere di avere paura; non c’era nulla di male...
Picchiò i pugni per terra.
Inebetito guardò l'anello e meccanicamente lo rimise in tasca.
Finalmente l'aveva ritrovata. Ma non poteva riportarla a casa.
Ed ora era libero. Libero di volare via.
Sanae lo aveva sempre fatto, fin da bambini. A lei forse piaceva pensarlo libero, guardarlo volare, in alto, al di sopra delle nuvole. Lei lo lasciava andare ma questa volta lui avrebbe tanto voluto sentirsi trattenere, voleva essere disperatamente chiuso in gabbia.
Tsubasa non nutriva alcun dubbio sulla profondità dei sentimenti di Sanae verso di lui, ma..Era proprio così che si doveva amare? Decisamente un modo singolare per dimostrare amore, molto poco chiaro, almeno a prima vista! Era un modo che andava certamente indagato e compreso, non era apparenza, non era superficiale e lui avrebbe dovuto esserne felice e invece era arrabbiato! Molto, molto arrabbiato e la rabbia offuscava i suoi pensieri.
Dipendeva da lui, era lui a dover scegliere, come sempre...Era lui in ogni caso...Ma...Non avrebbe potuto lei risparmiargli quel nuovo dolore restando?
Tsubasa era consapevole del fatto che Sanae, in fondo, lo volesse accanto a sè. Lo voleva, ma senza forzarlo. Lo voleva ma lo respingeva...Assurdo...Anego, forse, non aveva considerato minimamente che lasciandolo così bruscamente lo induceva verso una scelta ben precisa...Andarsene...Anche se lei voleva che restasse...Se fosse rimasto...
Avrebbe dovuto rinunciare a tutto, tutto ciò che aveva sognato, tutto ciò che faticosamente aveva conquistato...Tutto...Tutto...Per sempre, e proprio quando era giunto il momento di raccogliere ciò che aveva seminato.
Si voltò verso il ruscello che scorreva pacifico.
L'acqua che saltellava tra i sassi continuava il suo corso ignara del suo grande potere. Essa era la linea di demarcazione tra due mondi, tra due vite, la sua e quella di Sanae.
Osservò al di là del ruscello, il suo mondo. Là era sempre vissuto, là c'era il suo sogno finalmente realizzato, là c'era la sua vita.
Si guardò intorno, quel luogo, i suoi profumi, il rumore dell'acqua...Era così bello e maledettamente amaro...Sospirò...
"Anego, Anego ... Sei cocciuta, devi sempre fare di testa tua...Pensi una cosa, ne fai un’altra, ne vuoi un’altra ancora...Accidenti...No!...No Sanae, no...Questa volta proprio no...”
Alzò le spalle, respirò profondamente e iniziò camminare verso il corso d’acqua...
 
Continua...
(Mi spiace di averci messo tanto a postare questo nuovo capitolo; purtroppo anche per il prossimo ci vorrà un po')
 
 
 
    N.B.
Lo spunto per questa storia mi è stato offerto da una novella tedesca “Germelshausen” scritta da Friedrich Gerstacker. Questa storia, nel 1954, ispirò un musical della MGM “Brigadoon”. Dal musical, Vincent Minnelli, trasse l’omonimo film. Fu il suo primo film girato in Cinemascope.
    

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Capitolo 16
*** Rincorrendo la felicità ***


I personaggi non sono miei, appartengono a Yoichi Takahashi.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.
Note personali: non amo scrivere storie con più di un capitolo, perchè ho poca pazienza, ma ho voluto tentare. E' una specie di sfida e spero di fare un buon lavoro!
Ringrazio coloro che dedicheranno del tempo alla lettura della mia storia e coloro che avranno la pazienza di recensirla.
Buona lettura!

 

Rincorrendo la felicità

 

Sanae era tornata a casa, si era precipitata all'interno, senza guardarsi intorno, senza salutare, come a non voler esser vista.
Jerwis e Fiona, dal giardino, osservarono pensosi quell'ombra fugace. Il vecchio maestro non perse tempo e raggiunse Sanae scuotendo la testa.
La trovò nella veranda, era la stanza che la ragazza amava di più.
Il locale, quieto, era inondato dall'ultima luce del tramonto. Il rosso che permeava l'ambiente scoloriva lentamente sulle pareti. Le tonalità calde e infuocate cedevano il passo alle grigie ombre della sera che avanzava sicura. Sanae teneva gli occhi socchiusi.
Jerwis si fermò sulla porta e contemplò la figura che aveva davanti. 
Ella era immobile, respirava appena. Seduta sul divanetto, le gambe distese, stringeva convulsamente un libro aperto nelle mani e vi aveva affondato lo sguardo fingendo di leggere. Nonostante fosse concentrata nel chiaro tentativo di dissimulare i propri sentimenti, il corpo teso e l'espressione seria, quasi corrucciata, non lasciavano dubbi sulla tempesta che si era scatenata nel profondo dell'animo. Sanae si era accorta della discreta presenza dell'uomo ma non si mosse e non salutò.
“Ciao Sanae”
Intervenne Jerwis dolcemente.
La ragazza, pallida e inerte, pareva pietrificata, aveva le sembianze di un'antica e immota scultura imprigionata nel candore del marmo secolare. Non diede risposta, si irrigidì ancor più e continuò a fissare ostinatamente il libro che aveva tra le mani.
Era sconvolta.
Jerwis si avvicinò gentilmente e le si sedette accanto.
La guardò come un padre osserva una figlia. Ed esattamente come un padre, percepì il dolore sordo e pulsante che il cuore della ragazza emanava.
Sanae continuava imperterrita a opporre all'uomo il suo silenzio greve.
L'atmosfera, snervante, era densa d'attesa e l'aria, stagnante, era pregna di parole taciute che volevano essere urlate.
C'era ancora un poco di sole, un sole caldo e benigno ma a Jerwis sembrava inverno. Aveva la netta impressione di essere in inverno, quando il cielo plumbeo lascia intuire la neve imminente e rende immobile e raggelata ogni cosa bloccandola nell'attesa dei bianchi fiocchi.
Sanae rifuggiva lo sguardo dell'uomo che le stava al fianco e, nella sua fissità statuaria, si comportava come  un'estranea. Raggomitolata e protetta nel mutismo non lo degnava della minima considerazione e continuava ad osservare il libro rigirandolo tra le mani e sfogliandolo distrattamente, senza leggerlo.
Il vecchio maestro sospirò, paziente, chiedendo...”Dov’è lui?”
Sanae non si girò. Mantenendo la posizione che aveva assunto, continuò a ignorare sia lui sia la domanda. 
Poi, lentamente, la giovane sospirò a sua volta alzando le spalle, ma sempre vagava nei suoi pensieri. Era completamente assente e incurante delle parole che le venivano rivolte. La mente rincorreva i pensieri altrove, in un altro mondo. Continuò a tacere, serrò le labbra con decisione aggrottando le sopracciglia. Infine, abbracciò il libro che teneva tra le mani.
Jerwis non aveva alcuna intenzione di lasciar cadere il discorso e insistette...
Sanae...Sembravi felice di rivederlo...Lo hai desiderato tanto...”
La ragazza scosse il capo e si risvegliò dal torpore. Era esausta, non le andava di combattere. Giocherellò ancora  con il libro. Lo riaprì. Lo richiuse. Rimirò la copertina verde incisa con eleganti caratteri dorati. Alzò il volume sopra la testa. Lo allontanò dal viso e poi lo avvicinò di nuovo aprendolo. Sembrava volesse indossarlo, proprio come si indossa una maschera. Infine, immerse il volto tra le pagine.
Respirò profondamente il profumo dei fogli antichi. Poi chiuse la copertina, di colpo, con un rumore secco che sembrò agitare l'aria tutt'intorno. Si impuntò nel fissare quell'oggetto poi disse con un filo di voce...
"E’ meglio così...Meglio per tutti!”
Jerwis le tolse gentilmente il libro dalle mani. La guardò, per nulla convinto...
"Cosa è meglio Sanae?"
"Tsubasa!....E' meglio che torni a casa, non può rimanere qui, non sarebbe felice, perderebbe tutto, tutto quanto...Proprio adesso che ce l'ha fatta...L'ho liberato dalla promessa, se vuole restare può farlo, io sono qui, può raggiungermi, sa dove trovarmi!"
Disse tutto in un soffio, senza intonazione, indifferente.
Le parole di Sanae lo colpirono come stilettate, quell'inerzia così ostentata era disarmante.
Trovò quella Sanae non solo indifferente ma addirittura glaciale, come il gelido vento invernale che, inesorabile, spazza le strade, paralizza ogni cosa e non lascia scampo nemmeno ai raggi del pallido sole. Non era la ragazza che conosceva, non lo era più. Era un'altra. Aveva colpito per non essere colpita a sua volta. Tuttavia, era chiaro, che non si rendeva ancora conto delle conseguenze reali del suo gesto. Ne parlava come se la cosa non la riguardasse, come fosse irreale, lontana, come se non si aspettasse di perdere veramente la persona amata.
Sanae non aveva compreso la gravità delle sue parole e della sua azione, non aveva capito quanto il suo impietoso e improvviso abbandono potesse essere lacerante. Non lo capiva, non lo capiva più, e come poteva dopo tutto il tempo passato da sola ad aspettare e a struggersi?
Ormai si era assuefatta a quella condizione di dolore permanente e forse, il suo sentire ne era così pervaso da annullare ogni altra sensazione, non capiva nemmeno di aver sicuramente e profondamente ferito il ragazzo del quale era innamorata.
Nonostante tutto però, Jerwis ebbe l'impressione che lei, in realtà, stesse aspettando qualcosa.
Lei, in fondo, lo aspettava: aspettava Tsubasa, voleva quella risposta ma la voleva a modo suo. Ancora una volta aspettava e non era tranquilla e non era felice.
Tanto abituata all'attesa non aveva saputo prendere in mano la situazione, non aveva saputo affrontare Tsubasa, lo lasciava fare, non aveva avuto fiducia...
Jerwis incalzò, angustiato e per nulla contento.
"Lo hai respinto Sanae, e malamente...Rifletti: se lui se ne andasse?...Lo hai fatto per lui? Ne sei certa?...Non c'è altro?..."
Sanae trasalì, lei lo aveva fatto per lui...Ma non solo, non del tutto. La verità, la pura verità, era che si era comportata così soprattutto per se stessa. Aveva preferito fuggire, senza chiedere, senza sapere. Jerwis lo aveva intuito, conosceva l'animo delle persone e non poteva mentirgli...
"No...Non volevo conoscere la sua scelta sentendola così...Dalle sue labbra, non avrei sopportato di guardarlo andare via...E..."
"...E..." ribattè Jerwis, non era disposto a lasciar correre.
"...E...Se restasse...Ho avuto paura di domandare...Se glielo avessi chiesto io di restare...Vedi...Tsubasa un giorno potrebbe pentirsi di essere rimasto e me lo rinfaccerebbe..."
Jerwis sgranò gli occhi e la interruppe con veemenza: non gli piaceva quella ragazza che aveva davanti e che si faceva travolgere dagli eventi, subendoli. Doveva scacciare quella Sanae così impaurita e timorosa, quella Sanae che non voleva vivere pienamente...Quella Sanae incurante dei sentimenti altrui...
"Così hai messo fine a ogni cosa, facendogli del male...Lo hai spinto ad andarsene, questo lo sai? Hai molto sofferto Sanae, perché non hai lasciato che le cose seguissero liberamente il loro corso senza combatterle. E' arrivato fin qui, vorrà pur dire qualcosa...A questo non hai pensato?"
Fu severo, duro e tagliente.
Sanae finalmente alzò lo sguardo.
Jerwis non l'aveva mai rimproverata e mai aveva usato con lei un tale tono. Le parole dell'uomo echeggiavano insistenti e crudeli nella mente e...No...Non ci aveva pensato. Non aveva colto tutte quelle implicazioni. In ogni modo, ciò non aveva più alcuna rilevanza, ormai era fatta e non poteva arrendersi alle parole di Jerwis anche se, doveva riconoscerlo, lui aveva ragione.
Non si perse d'animo. Decise di affrontarlo. Doveva difendersi, doveva giustificarsi. Trovò subito una scusa da opporre all'uomo che la guardava con rimprovero: era tardi per pentirsi, meglio continuare per la propria strada, meglio mentire...Poteva comunque cercare di convincere se stessa di aver agito per il meglio. In fondo, qualunque fosse stata la scelta di Tsubasa, lei aveva fatto la cosa giusta. Aveva deciso per il bene di tutti.
Sanae finalmente ribatté ostentando tutta la sicurezza della quale era capace...
"...Ma lui mi conosce perfettamente, sa bene perché mi sono comportata così. Non c'era bisogno di dire niente...Tra noi è così che funziona...Ci capiamo e basta...Anche senza dir nulla!"
Sanae pareva una quercia nel mezzo di un uragano, forte, orgogliosa e solitaria, si opponeva cocciutamente al vento impetuoso per non essere sradicata.
Un simile atteggiamento non avrebbe portato nulla di buono e Jerwis, suo malgrado, ne era conscio.
La durezza abbandonò il volto dell'uomo lasciando spazio all'indulgenza. 
"Figliola..." sospirò carezzandole la testa, affettuosamente.
Le parole della ragazza gli strinsero il cuore, sapeva bene che non era così facile, quella di Sanae era un'illusione. L'amore, anche quando corrisposto, non cessava di essere fragile. Una parola sbagliata poteva incrinarlo, un gesto avventato poteva perfino distruggerlo...Aveva davanti agli occhi una donna, ma quella donna si era comportata da bambina, una bambina che gioca a nascondino e vuole essere rincorsa e trovata.
Non era il momento di giocare, era troppo importante, possibile che non capisse?
Le fece un'altra carezza gentile poi, dolcemente, le confessò ciò che pensava.
"Sanae...Tsubasa ti conosce e ti ama, è vero hai ragione...Ma tu hai esagerato: sapere e capire sono due cose ben distinte, puoi sapere qualcosa ciononostante puoi capirla tempo dopo e...Sanae, lui non ha molto tempo per riflettere. I sentimenti portati all'eccesso possono offuscare la mente, persino la più salda e razionale...Il tuo fidanzato sarà arrabbiato e deluso: tu lo hai abbandonato. Mia cara, ascoltami e rifletti, rifletti bene...Mettiti nei suoi panni, cosa proveresti tu?"
A quelle parole, Sanae si sentì mancare...Jerwis la abbracciò...
"Proprio così...Hai capito che intendo vero? E' una cosa importante Sanae, la felicità non è facile da trovare e quando la trovi devi tenerla stretta...Avanti!...Non serve a nulla parlarne all'infinito tra noi, la sola cosa da fare è che ritorni da lui, senza paura, non preoccuparti delle parole, troverai qualcosa da dire...Anzi...Ciò che dirai non è poi così importante. Ora corri da lui. Corri!...Svelta, non c'è tempo!"
Così dicendo la esortò ad alzarsi e la spinse fuori dalla stanza.
Sanae uscì dirigendosi verso il luogo dove aveva lasciato Tsubasa.
Correva, una folle e disperata corsa verso l'amato bosco di tigli.
Finalmente, trafelata, raggiunse il suo tiglio ma...Lui...Lui non c'era, non c'era più!
Di nuovo si sentì mancare.
Non se l'aspettava, lei si aspettava di trovarlo lì. Se lo era immaginato agitato, furente, irritato, che passeggiava avanti e indietro all'ombra del tiglio come una tigre in gabbia...Lei voleva che restasse e voleva essere cercata...Ma era Jerwis ad aver ragione: lei era stata capace di rovinare tutto, tutto quanto.
Si lasciò andare appoggiandosi al tronco.
Il cuore le batteva all'impazzata, sembrava stesse per scoppiarle nel petto. Si guardò intorno con più attenzione cercando di penetrare le ombre, ma di Tsubasa nessuna traccia.
Osservò la radura verso il ruscello, nulla.
Possibile che lo avesse tanto deluso da indurlo ad andarsene?
Tsubasa era riflessivo, non perdeva facilmente la calma anzi...Mai, mai lo aveva veduto perdere la calma.
Non poteva crederci, era bastato un solo piccolo errore...Era passato molto tempo, il capitano era stato solo a lungo e poi aveva diviso la sua vita con Kumiko, anche se per poco tempo. Magari aveva scoperto di preferire proprio Kumi. Ripensò ai discorsi della modella: forse le sue parole non erano sbagliate e, come aveva predetto, lui era cambiato. Sanae pensò, per un attimo, che forse non lo conosceva poi così bene o forse...Era lei ad essere cambiata, probabilmente tutti e due erano cambiati e...
No!...Stupidaggini!... Lei non era affatto cambiata. Proprio per nulla, anzi: era impulsiva e orgogliosa come sempre! Solo... Questa volta era veramente troppo, ciò che si comprende e si perdona a una ragazzina non si può comprendere e perdonare in una donna...Aveva iniziato un gioco stupido, stupido e rischioso e Tsubasa, a conti fatti, era stanco, non aveva voglia di giocare...Come aveva fatto a non capirlo lei?
Cercò di ricacciare le lacrime e si diresse verso il ruscello, lentamente.
Un misto di speranza e paura le invase l'anima, costringendo il corpo in un penoso e titubante cammino.
Raggiunse il corso d'acqua, era ormai buio, la fioca luce della sottile falce lunare non permetteva agli occhi di spaziare e studiare il paesaggio avvolto nell'oscurità.
Sanae si fermò sulla riva, cercò di scrutate al di là, nel suo vecchio mondo ma, anche laggiù, di Tsubasa, non vi era la minima presenza.
Probabilmente se n'era andato ed era già lontano.
Non riusciva proprio a figurarselo andare via in preda alla rabbia.
Si inginocchiò. Immerse le mani nell'acqua fresca e si sciacquò il viso. Si rialzò e guardò in lontananza il suo tiglio: stava là la sua vecchia madre. Stava là, silente testimone dell'accaduto.
Non c'era vento, le fronde erano immobili nella quiete della giovane notte.
Nell'aria non si udivano parole, non c'erano storie che il vento potesse portare, anche lui, addolorato e deluso, taceva.
A Sanae parve che il tiglio, come Jerwis poco prima, si ergesse alto e severo.
Stava là e scavava il suo cuore spezzato, stava là come giudice impietoso, stava là a ricordarle il fatale errore.
Era giusto, le rinfacciava, non si merita altro una ragazza che è stata così altezzosa...O...Forse no, era solamente immaginazione la sua. Il tiglio non le rimproverava nulla, era il suo cuore che accusava se stesso.
Sanae ritornò sui suoi passi, ormai era tutto perduto.
Non le andava di rincasare. Raggiunse il suo albero e si accucciò stancamente sotto i suoi rami, come fece tempo addietro, quando Kumiko la tradì.
Questa volta però non sentiva amore, non sentiva di essere accolta, udiva solamente parole di ammonimento...Poi le dure parole si trasformarono in rammarico e, infine, in una nenia consolatrice.
Quella vecchia madre affettuosa la accolse nuovamente nel suo abbraccio perdonandole la sua sciocca legerezza...Sanae si abbandonò e chiuse gli occhi, scivolò inesorabilmente nel sonno mormorando...

"Questa è la punizione per essere stata così superba"....

 

Continua...
(Mi spiace di averci messo tanto a postare questo nuovo capitolo; purtroppo anche per il prossimo ci vorrà un po')
 
 
 
    N.B.
Lo spunto per questa storia mi è stato offerto da una novella tedesca “Germelshausen” scritta da Friedrich Gerstacker. Questa storia, nel 1954, ispirò un musical della MGM “Brigadoon”. Dal musical, Vincent Minnelli, trasse l’omonimo film. Fu il suo primo film girato in Cinemascope.
    



 

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Capitolo 17
*** Solo un segno sulla pelle ***


I personaggi non sono miei, appartengono a Yoichi Takahashi.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.
Note personali: non amo scrivere storie con più di un capitolo, perchho poca pazienza, ma ho voluto tentare. E' una specie di sfida e spero di fare un buon lavoro!
Ringrazio coloro che dedicheranno del tempo alla lettura della mia storia e coloro che avranno la pazienza di recensirla.
Buona lettura!
 

 

Solo un segno sulla pelle

 

Sanae si destò. 
Si guardò intorno stranita.
Era nel suo letto, nella sua stanza, a casa di Jerwis e Fiona. 
Non aveva idea di come ci fosse arrivata: della notte precedente rammentava solo di essersi sdraiata sotto il tiglio, nell'erba...Nient'altro. Nulla.
A parte il ricordo delle lucciole che vagavano alla ricerca di un compagno e l'eco di un amore ormai lontano che lei aveva scacciato.
"Jerwis..."
Mugolò....Probabilmente, pensò, era stato lui a ritrovarla addormentata e, amorevolmente, proprio come accadde la prima volta, l'aveva raccolta nel suo caldo abbraccio per riportarla a casa

"A casa...Casa..."
Mormorò ancora con un misto di nostalgia e speranza.

Era una magnifica espressione, non certo una garanzia di felicità eterna ma sicuramente qualcosa che significava stare al sicuro, essere amati, protetti, capiti...Qualcosa, forse, che poteva aiutare ad affrontare il buio più nero e profondo. Ripensò alla vita come era stata un tempo. Era per lei un passato che pareva molto molto lontano ma, anche lei, anche lei...Aveva avuto una casa e una vita molto felice anche. Chi e cosa avrebbero potuto essere casa per lei? Non più i suoi genitori che aveva lasciato soli, senza nemmeno dire loro addio. Erano rimasti laggiù, nel vecchio mondo, a vivere una vita che le sarebbe stata sconosciuta per sempre. Chissà cosa pensavano di lei e della sua scomparsa...Chissà se pensavano che la sua fosse una fuga voluta e messa in atto così d'improvviso.
Nemmeno Tsubasa avrebbe potuto essere la sua casa...Non più...Eppure, nemmeno molto tempo prima, lo era stato forse più dei suoi genitori.
"Jerwis....Jerwis"
Disse nuovamente con un filo di voce.

Jerwis e Fiona erano la sua casa ora. 
Il vecchio maestro, chissà come, captava sempre le sue sensazioni, i pensieri, le paure. Le recepiva con estrema naturalezza. Lui arrivava nel profondo dell'animo, alle sensazioni e ai sentimenti inespressi ancora prima di coloro che vivevano in prima persona quelle emozioni. E sempre, senza farsi attendere troppo, egli accorreva in aiuto. 
Anche questa volta era andata così, l'aveva rimproverata e spronata a rincorrere ciò che voleva. Purtroppo lo aveva ascoltato troppo tardi.
Sanae si portò le mani al petto, il suo cuore batteva pigro e lontano. Pareva in atttesa, in attesa di poter galoppare nuovamente, chissà poi dove...Ora però si ristorava nel battito placido sperando fiducioso nell'amorevole sostegno del padre.  
Smarrita nei meandri del suo pensare, si rigirava inquieta nel letto.
Non aveva molta voglia di alzarsi.
Fosse stato per lei avrebbe passato tutto il resto della giornata lì, nascosta sotto le lenzuola. Non aveva motivo di nascondersi però, non aveva motivi per temere di mostrarsi a Jerwis e Fiona. Loro la amavano e l'avrebbero accolta semplicemente con un sorriso o un abbraccio, senza domande e senza parole di biasimo.

Si mise a sedere sul letto e guardò verso la finestra.
Il sole filtrava dalle persiane, la notte era passata in un soffio, era ormai mattina, e...Non aveva ritrovato Tsubasa.
Lei lo aveva allontanato e lui le aveva prestato ascolto, tornando alla sua vita.
Una vita piena e chiassosa, nulla a che vedere con la semplicità e la calma che si respirava in quello strano mondo a parte.
Si toccò l'anulare con il pollice, come faceva sempre, per rigirare l'anello che Tsubasa le aveva donato. 
Non sapeva per quale ragione aveva preso quell'abitudine. Quel gesto le dava sicurezza. Forse aveva cominciato a toccare l'anello per assicurarsi che fosse accaduto davvero: Tsubasa le aveva chiesto di sposarlo, era la sua fidanzata...Ma ora...Ora l'anello non c'era più, lui era svanito. Inghiottito dalla vita che aveva scelto di vivere era ormai per lei solo un Fantasma d'amore.
Era stata lei a rinunciare, era stata lei a sfilarsi l'anello e restituirlo al capitano e lui era volato via, per sempre. 
Sanae trattenne un singhiozzo. 
Non doveva piangere, non ne aveva alcun diritto: se l'era voluta e le lacrime non avrebbero risolto il problema. 
Si alzò, lenta e flessuosa. 
Prima o poi avrebbe pur dovuto affrontare la giornata, la solitudine e la vita che l'attendevano fuori dalle quattro mura della sua stanza.
Aprì le persiane con gesto deciso, quasi a voler buttare via la mestizia ombrosa della notte e il pianto.
Una frizzante folata di vento la investì risvegliandola per bene. 
Si diede un'occhiata nello specchio: gli occhi erano rossi. 
Si sciacquò il viso e, dopo essersi asciugata, si soffermò a osservare la sua mano affusolata. 
L'anello che, solo fino al giorno prima, ornava l'anulare aveva lasciato una pallida linea dai contorni precisi. Essa risaltava chiaramente sulla pelle dorata dal sole.
"Resta solo un segno sulla pelle null'altro e tra poco anche questo segno non sarà più. Verrà cancellato e obliato dal tempo che passa, sfumerà. Ma l'amore, quello no...L'amore è una cosa che resta a far male...Ti sta bene Sanae!"
Mormorò piano osservando la mano spoglia.
Portò l'anulare alle labbra e viaggiò nei ricordi. 
Rammentava nitidamente il giorno in cui Tsubasa le donò l'anello. Dopo la vittoria del World Youth, proprio dopo le insinuazioni malevole di kumiko. Il gesto di Tsubasa, in risposta al terribile discorso di Kumiko, la colpì ancora di più. Si contrapponeva in maniera chiara e inequivocabile all'oscura sciagura evocata dalla sua..."amica".
Tsubasa la sosprese portandola via dalla festa per restare soli. La portò allo stadio.
Lei non capì subito, anzi, ebbe paura ripensando alle impietose parole di kumiko. Aveva una gran paura: Tsubasa non l'aveva degnata di molte attenzioni durante la festa e, doveva ammettere, si comportava in modo un po' strano. Egli era stranamente serio, distratto, pensieroso e inquieto. Le era parso che pensasse ad altro: non a lei, non alla festa, non alla vittoria... 
Si ritrovarono in mezzo al campo da calcio: Tsubasa voleva mostrarle com'era stare al centro della scena. In effetti, pur senza il pubblico acclamante, Sanae, chiudendo gli occhi, riuscì a immaginare quanto doveva essere emozionante ritrovarcisi durante una partita. 
Sorrise pensando che il capitano fosse uno strano ragazzo davvero. Aveva una sensibilità e un modo di amare le persone tutto particolare, tutto suo.
Trasalì quando il giovane cominciò a parlarle, lo ascoltava, o meglio, desiderava ascoltarlo con tutto il cuore ma le parole del capitano erano sovrastate da quelle amare e malevole di Kumiko. I due discorsi si intrecciavano e si sovrapponevano fino a confondersi. Sanae avrebbe voluto tapparsi le orecchie e dimenticare l'eco delle frasi pungenti dette dalla modella. 
Aveva le vertigini e pensò che la testa stesse per scoppiarle quando...Poche semplici parole catturarono la sua attenzione spazzando via il folle discorso di kumiko. 
Tsubasa le stava dicendo che l'amava, l'amava ancora.
Nonostante tutto, lui aveva continuato ad amarla e... Se lei poteva continuare ad essere felice sostenendolo ... Il capitano parlava con semplicità e, senza fretta, come se stesse dicendo la cosa più naturale del mondo.
Le mostrò l'anello. Non aveva fatto molti giri di parole.
"Spero vorrai accettarlo" 
Disse.
Questo solo, niente altro.

Lei scoppiò in un pianto a dirotto, un pianto liberatorio: Kumiko si era sbagliata...
Sussultò tornando alla realtà: era un bel ricordo ma sarebbe rimasto soltanto un ricordo.
Loro due non c'erano più.
Non c'era più traccia di un noi.
Erano soli, separati.
Liberi.

Come granelli di sabbia in balia del vento, si erano lasciati sopraffare dalla paura ed essa non aveva esitato a spazzarli via. Erano stati vinti dalla lontananza, dal timore, dal destino che aveva deciso altrimenti ridisegnando il loro finale. 
Il destino.
Il destino, si sorprese a rimuginare Sanae, era solo un alibi perchè, in effetti, il fato non c'entrava. Era stata lei.
Lei e solo lei aveva posto fine a quel sogno mandando via Tsubasa, ma cosa poteva fare?
Non poteva proprio sopportare l'idea che un giorno, il capitano, scontento e deluso da quella vita così semplice e forse per lui insulsa, da quel mondo magari troppo piccolo e appartato, avrebbe potuto accusarla di averlo rinchiuso e confinato in una vita troppo stretta portandogli via il suo sogno insieme alla sua vera vita...La vita che voleva lui.
"Basta!"
Esclamò a voce alta in tono deciso guardandosi allo specchio.
"Ormai non ha più senso pensarci...non saprò mai se ho fatto bene o male...L'ho fatto e basta!"
Si sistemò i capelli spazzolandoli a lungo. 
Si vestì. Indossò il suo abito preferito, quello con l'ampia gonna blu, e scese per fare colazione. 
Percorse lentamente le fredde scale in beola, era a piedi scalzi e percepiva la ruvidezza delle pietre grigie.
Le piaceva camminare a piedi nudi.
Non poteva fare a meno di esitare domandandosi cosa le avrebbero detto Jerwis e Fiona vedendola.
Nulla, nè l'uno nè l'altra, le avrebbero detto nulla. 
Era stata una sua scelta, discutibile certamente, ma sua. 
Aveva fatto ciò che credeva meglio, poco importava se poi se ne era pentita, poco importava se aveva rincorso il suo sogno, poco importava se quel sogno era svanito andando via lontano. 
Jerwis e Fiona l'amavano, l'amavano ancora e lei si sarebbe fatta cullare da quell'affetto e avrebbe continuato a vivere.
Era a casa e...Non aveva più nulla da aspettare, sarebbe stato tutto più semplice: era libera! Non c'era più nessuno e nulla da attendere. Non doveva più stare lì a guardare, ferma, non c'erano più mosse che Tsubasa potesse fare, non doveva più aspettarsi niente da lui...proprio niente...
Spinse la porta della cucina, come se fosse un giorno come tanti altri.
La Curcuma con l'acqua per il tè era sul fuoco e fischiava ma il tavolo era sparecchiato. Non vide, come invece si aspettava, Jerwis e Fiona seduti a conversare in attesa che lei li raggiungesse.
 

Continua...
(Di nuovo mi scuso per la lentezza e...anche per il prossimo capitolo, purtroppo, ci vorrà un po')
 

N.B.
lo spunto per questa storia mi è stato offerto da una novella tedesca "Germelshausen" scritta da Friedrich Gerstacker. Questa storia, nel 1954, ispirò un musical della MGM "Brigadoon". Dal musical, Vincent Minnelli, trasse l'omonimo film. Fu il suo primo film girato in cinemascope.

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Capitolo 18
*** Senza ombre ***


I personaggi non sono miei, appartengono a Yoichi Takahashi. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.
Note personali: non amo scrivere storie con più di un capitolo, perchè ho poca pazienza, ma ho voluto tentare. E’ una specie di sfida e spero di fare un buon lavoro!
Ringrazio coloro che dedicheranno del tempo alla lettura della mia storia e coloro che avranno la pazienza di recensirla.
Buona lettura!
 

Senza ombre
 
 
Il sole era alto ormai.
Dopo il discorso di Tsubasa, colui che aveva creduto di amare, Kumiko cominciò a camminare. Erano le parole più dure che le fossero mai state rivolte.
Aveva perduto tutto, tutto quanto. Non le restava che tornare.
Tornava da dove era venuta, tornava dopo un addio per sempre. Lei stessa si era distrutta pronunciando quell’addio così amaro.
Non credeva sarebbe finita così, forse lo sapeva nel suo cuore, lo aveva sempre intuito ma in fondo, sperava che gli eventi le dessero torto un giorno.
Il giorno era arrivato portando con sè un fulgido sole mattutino che non aveva però tardato a rifugiarsi dietro le nubi. Anche lei avrebbe tanto voluto potersi nascondere, invece aveva dovuto affrontare quella secca separazione.
Chiuse gli occhi volgendosi per un attimo verso il sole, per assaporare il calore dei raggi che avevano infine dissipato le nubi.
Fece ancora qualche passo poi si fermò, era arrivata.
Finalmente aveva raggiunto l'auto al parcheggio.
Tsubasa quella mattina era talmente sconvolto che aveva lasciato l'auto là, aperta, con le chiavi abbandonate sul sedile.
"Meno male...Almeno posso tornare a casa lasciando questo posto dimenticato da Dio...."
Disse tra sè guardandosi intorno disgustata.
Sospirò.
Aprì la portiera, fece per sedersi al posto di guida ma qualcosa la trattenne.
Rimase lì ferma appoggiata alla macchina per osservare meglio ciò che la circondava.
Tutta presa da Tsubasa e da ciò che desiderava le dicesse non aveva osservato con attenzione l'intorno.
Era la prima volta che le capitava di voler portare via qualcosa con sè, un'immagine, un luogo, un ricordo.
Pensò che forse stava cambiando qualcosa in lei.
“Non è possibile” esclamò.
Rise e si perse nell'orizonte azzurro tra le dune dorate.
La Punta del Fangar era un posto famoso, anche se lei non si spiegava la passione di molti per quel luogo così selvaggio, inospitale, impervio, a prima vista inadatto alla vita, desolato e desolante.
Non era accattivante e ribadì a se stessa che non le piaceva.
Con una smorfia si voltò per buttarsi tutto alle spalle ma un pensiero le attraversò la mente come un lampo.
Fu un attimo soltanto ma la costrinse a restare lì inerte a guardare quel paesaggio...Il paesaggio dell'addio.
Contemplò mentalmente quel pensiero fuggevole di poco prima.
Cercò di immaginarlo e immaginarsi. Doveva capirlo e dargli una forma...Meglio...Doveva tentare di dare una forma a se stessa perché lei...Kumiko una forma non l'aveva.
Lei era mutevole e sfuggente come le nuvole, le nuvole nere, quelle cariche di pioggia che ti sorprendono portando  i temporali improvvisi.
Lei era così e lo aveva dimostrato nei fatti, lo aveva impietosamente rivelato a Tsubasa e a Sanae.
Lei era selvatica! Selvatica come quel luogo crudele che si sorprese ad ammirare, quel luogo che non le piaceva, che non amava proprio perchè era uguale a lei.
Non era certo bello guardarsi come in uno specchio e vederci riflessi i propri difetti: selvatica, inospitale, impervia, inadatta alla vita, desolata e desolante...Crudele!
Questo era stata, era ancora e forse sarebbe stata per sempre.
Adorava la vita chiassosa, quella finta, quella di latta e lustrini come le aveva rinfacciato Sanae.
Era circondata di persone ma lei non amava la gente: tutti coloro che le ruotavano intorno erano solo frastuono, una specie di gioco per non fermarsi a guardare ciò che stava sotto la sua vita.
Non si faceva conoscere e non voleva conoscersi.
Sapeva di non essere perfetta ma era troppo umiliante ammetterlo. Ancor più umiliante fu scoprire, per puro caso, quel lato terribile di se stessa, nero, oscuro, malvagio.
Lo scoprì d’improvviso e proprio quando meno se l’aspettava; proprio quando la luce più netta la colpì tradendola!
Ora capiva, capiva cosa aveva illuminato la sua parte ombrosa.
Aveva sempre e solo desiderato Tsubasa. Per averlo si era persino fatta amica Sanae. E tutto per scoprire che Sanae era piacevole, tutti e due erano belli. Proprio così, Sanae e Tsubasa erano delle belle persone, volevano realmente esserle amici. Con loro si era subito sentita diversa, accolta.
Questo fu l'errore del capitano e della manager! Ecco... E il loro errore fu la sua condanna: la radiosa bellezza dei due amici accese in lei quella rabbia sorda che esplose improvvisa  e diretta contro Sanae una notte stellata di molto tempo prima. Non si placò mai più. Proprio a loro, che le volevano bene, aveva mostrato tutto di lei, le luci e le ombre, e le ombre purtroppo erano sconfinate al punto da oscurare la sua anima e travolgere gli amici ignari.
Fu terribile con loro e terribile per loro ma lo fu anche per lei...Sanae, Sanae...Non sapeva Sanae, non sapeva quanto avesse avuto ragione quella notte alla festa e quel giorno nel bosco...
Sussultò.
Era così abituata alla menzogna.
Aveva mentito a tutti su tutto e per così tanto tempo che ricordare la verità di quell'attimo sepolto nel tempo la spaventò facendola rabbrividire.
Era come se avesse perduto, fino a quel momento almeno, il contatto con la realtà.
Quell'episodio relegato a lungo nel profondo della mente e del cuore era accaduto, non si trattava di un vecchio incubo che l'aveva visitata una notte, per caso.
Fu per caso, certamente, ma accadde, accadde un pomeriggio assolato d’estate.
Strinse i denti.
Aveva detto addio a Tsubasa ma non gli aveva chiesto di perdonarla così come non era riuscita a chiedere  perdono a Sanae. Anzi, meglio, con Sanae aveva provato ma con esiti decisamente infausti. 
L'amarezza dell'addio e della rinuncia a Tsubasa che aveva sempre voluto, senza pensare a cosa significasse realmente, si mescolava ora col fiele della colpa perpetrata e mai lavata.
Desiderò poter tornare indietro, poter fare diversamente, poter scegliere di nuovo ma non si poteva, ciò che era fatto era fatto.
Chissà, magari c'era ancora una via, una via per cambiare, per ricominciare da zero, per essere se stessa fino in fondo in maniera diversa. Senza ombre, pulita.
Ora aveva capito, poteva ricominciare ma non poteva cancellare l'errore.
Non poteva lasciar perdere.
Tornò sui suoi passi lasciando l'auto là abbandonata, proprio come fece Tsubasa.
Si domandava, mentre ritornava al luogo dell'addio, se l'amico fosse riuscito a raggiungere Sanae o se fosse ancora là bloccato dai dubbi e dalle incertezze.
Nel momento in cui disse addio al capitano, Kumiko sperò, solo per un attimo e subito se ne pentì, che lui non riuscisse nell'impresa. Era un pensiero orribile, un pensiero che non le piaceva più, non la faceva sentire meglio e neanche felice, anzi.
Kumiko sentiva freddo.
Tutto il gelo della solitudine che aveva sempre convissuto con lei ora poteva toccare in sorte a Tsubasa, lo aveva condannato lei.
Non se ne accorse ma cominciò a piangere, aveva esagerato e non poteva fare più nulla. Tsubasa aveva ragione: era un inferno capire tutto il male procurato e stare a guardarne i risultati, impotente.
Giunse nel luogo dove lasciò il ragazzo. Lui non c'era più, ciò la sollevò. L'idea di averlo spronato in qualche modo a non arrendersi nella ricerca del suo amore la fece sentire meglio.
Con quella sua frase sibillina era riuscita in qualche modo a smuoverlo e  farlo volare via.
Sorrise, l’idea era appagante, sembrava amplificare i sensi. Quella frase detta al capitano le sembrò un dono, un regalo per gli amici e un dono per se stessa, in un certo modo li aveva riuniti...Ed era appagante...Di più...Molto, molto più della vendetta. 
Come Tsubasa qualche ora prima, Kumiko offrì il corpo e la mente all’abbraccio del vento.
L'aria si fece impetuosa, l'avvolse e la pervase.
"Non è poi tanto male Punta del Fangar...Forse...Forse anche io non lo sono...Forse non è tardi..."
Si sorprese a pensare con un mezzo malinconico sorriso.
Non aveva saputo essere amica.
Non aveva potuto chiedere perdono.
Non poteva ricominciare, non era pulita ma...Poteva essere felice per lui, per lui e Sanae. 
Ricordò quelle poche ore passate con Jerwis, nel roseto tra i petali che volavano placidi, com'erano belle quelle parole. 
Come avrebbe voluto poterlo ascoltare nuovamente.
Come avrebbe voluto saper ascoltare e saper parlare col vento. 
Scrutò il cielo, cercando uno spazio oltre le nubi bianche. 
Solo un proposito nella mente: sapere che Tsubasa era felice e sapere di avere il suo perdono o il suo odio, andava bene anche quello. 
Non l'indifferenza, quella no, faceva troppo male. 
L’indifferenza aveva una stanca sfumatura di grigio e non era un bel modo per riaffacciarsi alla vita.
Lei voleva qualcosa, un colore deciso per rinascere. 
Il bianco del perdono o il nero dell'odio ma non il grigio dell'indifferenza!
“...Aiutami..."
Mormorò, mentre le riaffiorava chiaro nella mente il ricordo di Jerwis e del suo profondo sguardo indagatore.
Egli vide, vide l'oscurità che dimorava in lei, soppesò il male che portava con sè ma riconobbe anche la luce. La luce che c'era stata, la luce che voleva tornare.
La luce che lei rivoleva con tutte le sue forze ora...Jerwis, nel roseto, cercò di ridestare quella luce, il giorno della condanna, se solo avesse avuto il coraggio di guardarsi dentro...
 
"...Non c'è malvagità in questo luogo, tuttavia, se qualcuno che giunge da fuori porta il male nel suo cuore esso varcherà questi confini. Qui il male può essere estirpato e l’anima guarita. Qui le ombre del cuore possono essere dissipate, se chi le porta con sè avrà il coraggio di guardare in se stesso..."
 
Kumiko non se ne rese conto ma si perse nella melodia del vento.
Le sovvenne una voce che sovrastava le altre....
"Nessuno serba rancore qui, del male rimane solo la memoria, il dolore ma non il rancore...Tuttavia tu...Tu ...Puoi perdonare te stessa?...Si può essere felici con molto poco...Avanti...Puoi guarire, puoi anche restare se lo desideri, nessuno ti farà del male. Sei accontentata!...Puoi ancora fare qualcosa, c’è un ultimo piccolo compito per te...."
Rispose, con la mente, spontaneamente, quasi senza volerlo.
"Un compito...Sì... Ma...Non voglio, non posso restare, non posso...Non ho saputo amare, non ho saputo essere amica, non ho saputo vivere, ho avuto molto e non l'ho voluto, non ho saputo vedere, potevo essere felice con le mie forze e non ho saputo esserlo...Non posso restare, devo affrontare il mio mondo, ricominciare, rinascere..."
Il corpo si fece leggero, si fece aria....
Kumiko ascoltò altre parole da altri mondi, da altri cuori e da altre menti. 
Ella era ormai parte di un tutto, la sensazione le riempì il cuore. Pensò che dovesse essere così, proprio così, il cuore di una persona bella, il cuore di Sanae...Ma a quel pensiero...Sentì una stretta nel petto. Percepì un grande infinito dolore. Un tormento pulsante, ancora vivo. Quel rammarico lo conosceva, le era proprio, l'aveva provocato lei...Pianse.
Perché quell'angoscia?
Per la prima volta sentì il sapore delle lacrime: erano salate, molto, molto salate...

 Continua...
(A Sigfrido di Xanten, inconsapevole ispiratore di questo capitolo, va un ringraziamento speciale!...A tutti invece: grazie per essere arrivati a leggere fin qua! :)
Come   di consueto, mi scuso per la lungaggine nei miei ultimi aggiornamenti. Inutile dire che anche per il prossimo capitolo ci vorrà un po'!)


 

N.B.
Lo spunto per questa storia mi è stato offerto da una novella tedesca “Germelshausen” scritta da Friedrich Gerstacker. Questa storia, nel 1954, ispirò un musical della MGM “Brigadoon”. Dal musical, Vincent Minnelli, trasse l’omonimo film. Fu il suo primo film girato in Cinemascope.

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Capitolo 19
*** Inchiostro e fogli di carta ***


I personaggi non sono miei, appartengono a Yoichi Takahashi. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.
Note personali: non amo scrivere storie con più di un capitolo, perchè ho poca pazienza, ma ho voluto tentare. E’ una specie di sfida e spero di fare un buon lavoro!
Ringrazio coloro che dedicheranno del tempo alla lettura della mia storia e coloro che avranno la pazienza di recensirla.
Buona lettura!
 

Inchiostro e fogli di carta

 
 
 Non era stato un brutto sogno: era solo. Sanae lo aveva lasciato continuava a cantilenare dentro di sè Tsubasa mentre camminava stranito verso il ruscello.
Dopo aver raccolto le sue cose, il capitano aveva continuato a seguire il corso d'acqua come un automa, privo di pensieri, mecanicamente.
Il profumo dolce dei tigli aveva via via lasciato il posto alla fragranza resinosa dei pini scuri e austeri.
"E' reale, è reale..." 
Si disse a voce alta mentre finalmente si fermava esausto tra gli alberi silenti.
Com'era amaro il sapore dell'abbandono. Sanae non si era limitata a lasciarlo rompendo il fidanzamento, no. Il suo era stato un vero e proprio abbandono e così faceva più male.
Stentava a crederci, ancora non capiva, conosceva le ragioni di Sanae eppure la sua mente non voleva abbracciarle e comprenderle, era chiusa.
Si sentiva vuoto, come se non gli rimanesse più nulla, come se non avesse più un posto dove andare.
Guardò di nuovo il ruscello, era lì, bastava un passo e...
Si riscosse. Tsubasa una cosa la sapeva, la sapeva ancora: aveva sempre un sogno in fondo al cuore, quello non era svanito. Poco importava il comportamento di Sanae, il sogno era ancora lì. Lui avrebbe seguito il suo cuore.
Non riusciva ad immaginare cosa gli avrebbe portato quel sogno, forse era solo caparbietà la sua, forse non gli avrebbe portato nulla se non altra sofferenza ma lui doveva almeno tentare, non poteva rinunciare.
Respirò il buio tutt'intorno. Si inebriò delll'oscurità ghiacciata e delle ombre opprimenti che la popolavano. Le tenebre della notte che l'avvolgevano allungavano maligne le dita sottili fino a penetrare, pungenti, nell'anima. Il capitano, affannato dai ricordi, si portó una mano al petto. Chissà se la luce sarebbe tornata un giorno.
Tsubasa non lo sapeva, non lo sapeva più. Si asciugò il viso, ebbe l'impressione di aver pianto tutte le lacrime che aveva. Era così sicuro, la sua stessa sicurezza lo aveva tradito. Si sentiva solo, svuotato e deluso.
Si sfilò lo zaino che teneva sulle spalle; si sedette e frugò disperatamente tra le cose abbandonate nella sacca.
Dovevano esserci dei fogli di carta, Sanae infilava sempre, in ogni borsa, penne e fogli di carta. Si giustificava dicendo che potevano essere utili! 
Il capitano, piacevolmente perso in quel ricordo, si fece scappare un mesto sorriso.
"Dove sono?... Ci saranno, devono esserci, non può deludermi ancora una volta io..."
Implorò rivolgendosi all'aria.
Si interruppe.
Aveva trovato dei fogli spiegazzati. Proprio nel suo zaino e chissà perché Sanae ce li aveva infilati. 
Lui non scriveva, scriveva mail qualche volta, ma non usava la carta. 
Troppo impegnativa la carta. 
Difficilmente prendeva appunti, lui ricordava tutto con la mente e poi... Poi c'era Sanae...Era lei la sua memoria, il suo ricordo, la sua conoscenza.
Ora lei l'aveva lasciato tuttavia, eccola, era lì invisibile ma pronta ad aiutarlo a trasportare i suoi pensieri sulla carta.
Era lì, premurosa, con quei foglietti stropicciati che gli aveva infilato nello zaino magari pensando che, un giorno, lui le avrebbe scritto qualcosa. Forse lei lo desiderava e lui mai, mai lo aveva compreso, solo ora.
Chissà, forse invece non significava proprio nulla e si trattava di un banalissimo caso.
Sospirò, non amava lasciare le cose a metà, non amava prendere decisioni senza spiegarsi e senza spiegare.
C'erano ancora cose da dire, non per recriminare, offendere, ferire. No, solo per essere chiari, una volta tanto non si potevano lasciare ombre, la luce doveva colpire e illuminare tutto, tutti.
Non avrebbe taciuto i motivi della sua decisione.
Prese quei fogli e sfilò dalla tasca il biglietto lasciato da Sanae insieme all'anello.
Se li rigirò un poco tra le mani poi li distese osservandoli alla luce della torcia che aveva trovato nello zaino. Anche quella una premura di Sanae...Una torcia...Chissà a cosa pensava sarebbe servita ben nascosta in quello zaino. Probabilmente l'aveva dimenticata lì dentro da chissà quanto. Quello era lo zaino che portavano sempre nel loro girovagare alla ricerca di posti impensati e solitari.
Inutile, non riusciva, non riusciva proprio a scacciarla dalla sua mente, tanto meno dal cuore. Lei era incastonata nella sua anima e ci sarebbe rimasta probabilmente per sempre.
Si perse nelle memorie impervie, nei tortuosi meandri della sua vita e lasciò scorrere, lieve, la penna sulla carta.
Non avrebbe saputo dire come, ma i pensieri fluirono spontanei dal cuore e dalla mente guidando la mano incerta alla scoperta di sentimenti e parole che nemmeno il capitano sapeva di provare e aver provato. Scrisse, non molto forse ma scrisse.
Chi può dire quanto lunga deve essere una lettera?
Chi può dire come si scrive un addio?
Stringeva tra le mani i fogli, era una lettera d'addio e ci aveva messo l'anima, chissà se tutto ciò traspariva dalle frasi concitate. In fondo, pensò, quella era solo carta, era solo inchiostro di uno strano colore blu su fogli bianchi.
Rilesse.
Lo strano colore riempì i suoi occhi...Ciano...Blu ciano lo aveva chiamato Sanae.
No, non era solo carta quella. Lì c'erano amore e sofferenza, il dolore che provava lui e quello che, inevitabilmente, avrebbe causato in chi avesse letto.
Si guardò intorno, cercava, forse, il coraggio. Il coraggio di andare fino in fondo: non era poi così semplice. Ciò che aveva scritto faceva male anche se, in qualche modo, curava molte ferite passate e future.
Guardò di nuovo la lettera che aveva tra le mani.
Non era scritta su una bella carta, di quelle ruvide color crema che Sanae adorava. Quei fogli erano poveri fogli sgualciti.
Nemmeno aveva usato una bella calligrafia. No, stranamente ma non senza motivo, dopotutto era stato abbandonato, la sua calligrafia pareva incerta e imprecisa. Nulla a che vedere con quella elegante e sicura di Sanae.
Sospirò soppesando quel foglio piegato e poi sigillato un po' fortunosamente, non aveva nemmeno una busta. Era già tanto aver trovato dei fogli.
Era Sanae che amava scrivere, amava la lettura e adorava l'odore della carta. Il profumo dei libri accumulato sulle pagine dal tempo che fuggiva inesorabile.
L'odore dei fogli, la loro consistenza, la superficie.
Tutte cose che gli aveva insegnato lei, tutte cose che mai aveva notato prima di vivere con lei.
Esteticamente quella lettera non avrebbe fatto gran figura ma certo era scritta col cuore. Questo contava in fondo, era il cuore che contava. Nascosto tra le parole gridava tutto il suo sgomento, tutto l'amore e la tristezza. Non aveva mai scritto una lettera d'addio, anzi, per essere precisi era una lettera di commiato e di consolazione.
Era dubbioso: forse aveva fatto male: aveva scritto...Lui, proprio lui che non sapeva scrivere.
Pensieroso, osservò quell'involucro. Non avrebbe mai voluto dar vita a una lettera come quella.
Se solo avesse potuto fare diversamente!
Se solo le cose fossero andate diversamente!
Questa volta non si poteva, non si poteva avere tutto.
Bisognava scegliere e rinunciare a qualcosa, qualcosa che mai, mai più sarebbe ritornato. 
Il pensiero fu terribile.
Chissà, magari avrebbe rivisto quella vita perduta solo nei sogni. Forse i ricordi gli avrebbero fatto visita come fantasmi. Tuttavia, egli era convinto della sua scelta, era la cosa migliore, l'unica da farsi, ma non poteva mollare tutto così, senza dir nulla, senza far sapere nulla di ciò che provava, delle ferite che aveva  su di sè e che aveva anche provocato suo malgrado.
Si guardò di nuovo intorno...Dove si lascia una lettera d'addio?
Sospirò sdraiandosi nell'erba per riposare un'ultima volta prima di dar seguito alla sua irrevocabile decisione.
Non pensò più, non ne aveva voglia.
Era il momento di staccarsi, niente rimpianti, niente domande, niente speranze, aveva tutto affidato alla lettera, la sua anima poteva volar via leggera...Basta dubbi!
Spense la mente perdendosi nel blu profondo della notte stellata.
Gli astri illuminavano timidi il cielo ventoso.
Tsubasa, senza volere, si mise in ascolto. La melodia del vento era inebriante.
Chiuse gli occhi e respirò il profumo dell'erba.
Si appisolò nella notte color zaffiro cullato dal rumore del ruscello che scorreva saltellando tra i sassi...
Ci fu un rumore d'acqua, improvviso, secco e veloce.
Un'ombra calpestò l'erba profumata avvicinandosi piano.
Eccolo! 
Lo vide, Tsubasa era là, solo. 
L'ombra, come sospinta dalle parole del vento, si avvicinò lenta.
Scrutò il ragazzo, muta.
I capelli neri scompigliati dalla brezza che gli carezzava il volto. Bellissimo anche se, un velo di malinconia intristiva l'espressione rilassata.
La luce lunare che si rifletteva su quel volto che aveva amato lasciava indovinare le guance rigate dalle lacrime.
Esitante, l'ombra si mosse per carezzare il viso del capitano.
Quel viso era umido: le lacrime lo ferivano ancora.
 

Continua..
(Come capita spesso ultimamente, mi scuso per la lungaggine nei miei ultimi aggiornamenti causa salute e impegni familiari. Anche per il prossimo capitolo ci vorrà un po'...spero non troppo! Comunque grazie a tutti per la pazienza e per avermi seguita fin qua!)

N.B.

Lo spunto per questa storia mi è stato offerto da una novella tedesca “Germelshausen” scritta da Friedrich Gerstacker. Questa storia, nel 1954, ispirò un musical della MGM “Brigadoon”. Dal musical, Vincent Minnelli, trasse l’omonimo film. Fu il suo primo film girato in Cinemascope.
 

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Capitolo 20
*** Il dialogo dei cuori ***


I personaggi non sono miei, appartengono a Yoichi Takahashi.
Questa storia non stata scritta a scopo di lucro.
Note personali: non amo scrivere storie con più di un capitolo, perchè ho poca pazienza, ma ho voluto tentare. E' una specie di sfida e spero di fare un buon lavoro!
Ringrazio coloro che dedicheranno del tempo alla lettura della mia storia e coloro che avranno la pazienza di recensirla.

Buona lettura!

 

Il dialogo dei cuori

 
 

Il capitano era lì solo e inaspettatamente ferito. No...In fondo non c'era da stupirsi.
Un lieve mesto sorriso incrinò le labbra della ragazza.
Percepiva chiaramente i pensieri e i sentimenti che la circondavano: quello era davvero uno strano mondo se, persino lei così crudele ed egoista, era riuscita a cambiare.
"Uno strano mondo!" si ripetè.
Un mondo che ti mette faccia a faccia con te stesso e con gli altri, quasi come in uno specchio.
Non fu più la stessa dopo l'incontro con Jerwis. Quelle sue parole, il sorriso dolce, la voce calma e rassicurante avevano, nel tempo, eroso il male che l’avvolgeva.
Era cambiata senza accorgesene. Ora poteva ammetterlo. Non era debole, era solo diversa. Aveva, a torto, sempre scambiato la bontà per debolezza.
Era davvero un mondo fatato, pensò nuovamente. Creava davvero scompiglio nell’anima se Tsubasa, così innamorato, era combattuto sul da farsi, come le aveva raccontato il vento.
Kumiko sospirò.
Era colpa sua. Un rimorso che l’avrebbe rincorsa ovunque, per sempre ma poteva sopportarlo. Non le importava di se stessa, ma Tsubasa no, se ne sarebbe pentito presto, lei ne era certa. Lo ricordava a Barcellona. Aveva ancora nitida in mente l’immmagine di quel suo sorriso sincero che strideva con la malinconia degli occhi.
La ragazza sospirò nuovamente e cominciò a riflettere. Non era un ragazzino, ogni parola poteva sembrare invadente, inutile e stupida. Che diritto aveva lei di dare consigli? Era lei, in fondo, la causa di tutto. Perchè mai il capitano avrebbe dovuto prestarle ascolto, perchè, proprio a lei.
Guardò ancora quel volto: poteva esserle amico? Poteva perdonarla?
Secondo Jerwis sì, non esisteva rancore lì dove si trovavano.
Lei non ci credeva tuttavia, nell'abbraccio del vento, pensò che, se avesse potuto, avrebbe detto a Tsubasa di non andarsene. Lo avrebbe rimproverato dicendogli che si sbagliava, come poteva anche solo aver pensato di stracciare la lettera e lasciare quel mondo e Sanae?
Pensò che il ragazzo che stava guardando fosse un po' come un bambino, questo in fondo era un innamorato respinto: un bambino capriccioso che, offeso, si prende, come può, la sua rivincita.
Il sussurro della brezza le aveva raccontato di Sanae, dell'abbandono, del dolore, dei dubbi e della lettera. Una lettera d’addio. Che farne? Il capitano non sapeva che fare...Doveva gettarla o consegnarla? Doveva restare o fuggire via? Tsubasa non era tipo da addii. Lui diceva sempre arrivederci, non chiudeva mai la porta. C'era sempre un modo, una possibilita per rivedersi...Anche adessso...
"Eri così sicuro. Te lo sei dimenticato com'era senza lei? Non ti piaceva stare con me. Ti ho tenuto compagnia ma non ti piaceva stare con me. Non eri felice. Amavi giocare con quei bambini al parco, io odiavo quelle cose. Ti piaceva stare appartato mentre io volevo divertirmi, ti piaceva il calcio, ti piaceva punta del Fangar ma nulla aveva più lo stesso sapore senza lei...Ricordi? Non rovinare tutto, la rabbia e l'orgoglio sono cattivi consiglieri. Rifletti, apri la mente e anche il cuore. E' stato solo un momento, sono certa che lei è pentita...La conosci no? Ma Tu? Tu Tsubasa cosa vuoi veramente, solo tu puoi rispondere; non io, nessuno lo può, io posso solo dirti che mi dispiace averti costretto a questa scelta. Posso solo dirti di non esssere avventato come fui io nella mia passione oscura verso te. Dammi la lettera, ci penso io! Resta. ...Ma mi ascolti?!"
Kumiko aveva preso a parlare come se lui la stesse realmente ascoltando.
Il ragazzo cominciò ad agitarsi nel sonno e rispose.
"Ti sento, ti sento...E tu?! Che cosa vuoi tu?"
Kumiko trasalì.

L’aveva udita, la ascoltava, il vento, la mente, la magia o cos’altro non avrebbe saputo dirlo, avevano fatto sì che Tsubasa afferrasse i suoi pensieri.
Non solo aveva percepito il flusso dei pensieri, il capitano aveva anche risposto. Già...Che cosa voleva lei? Semplice...Solo una cosa lei voleva: essere perdonata, rimediare, null’altro.
"Voglio che mi perdoni o che mi odi!"
Le scappò detto.
Lui continuò calmo.
"Io non serbo rancore. Non ci riesco, è una perdita di tempo e poi...Fa male alla salute e poi. Sei diversa...Non saresti qui se no, non mi avresti parlato così....Ti darò la lettera. Farai questa cosa per me?"

Kumiko annui.
Un'improvvisa folata di vento la riportò alla realtà, non c'era più tempo.
Guardò Tsubasa e la smorfia di malinconia che, ancora, trasfigurava quel volto. No...Una volta di più, pensò, non era felice dell’ infelicità del capitano.
Lentamente si chinò su di lui. Gli sfiorò delicatamente le mani prendendo la lettera che teneva tra le dita.
La lesse, sorpresa si asciugò una lacrima. Non credeva. Il dolore che lei stessa aveva scatenato andava oltre, ben oltre quel che immaginava. Andava al di là di Sanae e Tsubasa...
Ecco... Lei sapeva e capiva, poteva capire bene cosa volesse Tsubasa. Mai lo aveva capito, ma ora sì, tutto era chiaro, poteva vedere con occhi diversi. Ora anche lei vedeva con gli occhi del cuore.
Il capitano si svegliò.
Sorrise, un po' stralunato, e le strinse le mani.
Non riprese i fogli cui aveva affidato se stesso. In fondo, erano giunti dove dovevano, avrebbero svolto il loro compito.
Ora poteva vedere Kumiko.
Si vedevano.
Si guardavano e si comprendevano. Non ci furono parole tra loro. Forse, complice quel mondo incantato, erano giunti a una tale consapevolezza che le parole non erano più, le menti erano unite in una totale comprensione.
Tsubasa si alzò. La seguì, quasi fosse un sonnambulo, la lettera aveva scelto il suo destino, non doveva lasciarla da nessuna parte. Ora l'aveva lei.
Camminavano l'uno a fianco all'altra, senza sfiorarsi.
Il contatto fisico era superfluo.
Vagavano ognuno perso nel suo mondo a parte, tra fantasmi e ricordi. L'oscuro passato non era più. Non si sarebbero più visti, dovevano separarsi, proprio ora che potevano essere amici.
Erano lontani dal tocco della vita reale.
Si fermarono.
Lei gli passò avanti e lo scrutò seria.
Lo guardava negli occhi, finalmente riusciva a guardarlo negli occhi...Erano bellissimi, scuri, profondi e sinceri. Non avrebbe avuto più paura. Avrebbe voluto entrargli nell'anima e chiedere perdono ancora una volta, voleva scavare nel cuore e sapere di più ma... Non si dissero nulla.
Si erano fermati nell'acqua, immobili e scuri come tronchi antichi.
Il vento li avvolse, i loro pensieri volarono, le ombre che popolavano l'anima si dissolsero. Mai avrebbero dimenticato quel momento, il momento del perdono.
L'acqua lambiva i piedi stanchi.
Parve che il tempo trascorso, le colpe inconfessate che si erano appesantite curvando le spalle, il dolore che aveva minato la volontà e le ferite ancora aperte nell’animo, stessero guarendo pian piano.
L'oscurità si ritirava lavata dai flutti leggeri e spazzata dal vento gentile che li carezzava fuggendo lontano con nuove storie da raccontare.
Racconti di luce, questa volta.
"Non temere!"
Lo consolò lei, non poteva far altro che infondergli fiducia.
Era tempo di andare, per sempre.
L'aveva perdonata. Era solo il primo passo. Strinse la lettera al petto incredula e addolorata. Forse, un giorno, avrebbe potuto anche lei perdonarsi.
Si voltò a guardarlo un'ultima volta, lo salutò con un cenno della mano poi...Non potè evitare di pensare a Sanae. Avrebbe voluto rivederla, questa volta senza secondi fini.
"Chiedile perdono per me..." Implorò.
"Non mancherò ma è di Sanae quella frase sul rancore, e poi qui è tutto diverso, del male rimane solo il ricordo lontano, il resto scivola via, tutto scivola via trasportato dal vento e lavato dall'acqua..." Tsubasa non sapeva come gli venissero quelle parole ma erano spontanee. Forse anche lui era già cambiato e immerso nel mondo fatato di Small River.
Kumiko sorrise. "Senti già la magia di questo luogo...Peccato....Quel giorno io non riuscii. No, per me non è ancora il momento..."
Fu in un soffio, si girò e poi balzò sulla riva correndo via.
Ora erano separati.
Erano rinati.
Erano pronti, pronti per continuare, pronti per una nuova vita.
Era l’alba...

Continua..
(Come capita spesso ultimamente, mi scuso per la lungaggine nei miei ultimi aggiornamenti. Ne approfitto per augurarvi Buone feste! Anche per il prossimo capitolo ci vorrà un po'...credo che le feste non aiuteranno!)

N.B.

Lo spunto per questa storia mi è stato offerto da una novella tedesca “Germelshausen” scritta da Friedrich Gerstacker. Questa storia, nel 1954, ispirò un musical della MGM “Brigadoon”. Dal musical, Vincent Minnelli, trasse l’omonimo film. Fu il suo primo film girato in Cinemascope.

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Capitolo 21
*** Sfumature ***


I personaggi non sono miei, appartengono a Yoichi Takahashi.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.
Note personali: non amo scrivere storie con più di un capitolo, perchè ho poca pazienza, ma ho voluto tentare. E' una specie di sfida e spero di fare un buon lavoro!
Ringrazio coloro che dedicheranno del tempo alla lettura della mia storia e coloro che avranno la pazienza di recensirla.
Buona lettura!


 

Sfumature

 

Tsubasa osservò la figura di kumiko mentre si allontanava fino a svanire inghiottita dalle nebbie del tempo.
Provò un grande senso di nostalgia nel guardarla ritornare alla sua vecchia vita, in un mondo per lui ormai precluso. Una lieve solitudine e un certo senso di perdita si impadronirono di lui.
Trasse un profondo respiro e volse lo sguardo verso il cielo: le ultime stelle si spegnevano impallidite dai primi bagliori dell'alba che sopraggiungeva col suo fulgore. Si avviò calmo verso la collina ammirando le sfumature violacee dell'oscurità che si mescolava alla luce del sole nascente.
Il cielo pareva in attesa.
Il capitano sorrise, non era il cielo, era lui, lui stesso in attesa di qualcosa. Aveva scelto nuovi sogni e nuove speranze ed ora eccolo in quel mondo sperduto e affascinante mentre, emozionato come un bambino quando scarta un regalo, si accingeva ad affrontare un nuovo futuro, emozioni diverse. Non sapeva cosa c'era ad attenderlo, aveva solo seguito il cuore. Ignorava il suo futuro ma avrebbe vissuto senza rimpianti ogni momento, in fondo, c'era Sanae con lui e poteva essere ancora felice. Realizzò di possedere una nuova coscienza di sè. Mai si era soffermato a riflettere su cosa poteva essere capace di fare, a parte giocare a calcio, ma forse non aveva poi così tanta importanza. Egli aveva cuore, amore e buona volontà...Una volontà di ferro: qualcosa di buono avrebbe combinato.
Tsubasa rise, forse per la prima volta si affacciava alla vita come un bimbo inconsapevole, cosa avrebbe fatto da grande? Lui che aveva sempre saputo cosa avrebbe fatto da grande ora non lo sapeva più, ora doveva inventarsi la vita. Pensò che sarebbe stata una bella avventura: ecco cosa c'era dietro l'angolo, un'avventura!
Il capitano si sentiva così e si rispose che avrebbe imparato, avrebbe vissuto, avrebbe amato e, con un po' di fortuna, sarebbe riuscito a scoprire il sogno che, Colui che gli aveva riservato quello strano destino, gli aveva di certo nascosto nel cuore.
Si sorprese a pensare che anche kumiko avrebbe scoperto i suoi sogni nascosti e provò un certo dispiacere nella consapevolezza che non sarebbe stato accanto alla sua nuova amica per vedere come se la sarebbe cavata. Non era più fragile, anch'ella era consapevole e determinata, se la sarebbe cavata alla grande, ne era sicuro. Il nero della sua anima acerba era scivolato via, quella tempesta di sentimenti che le avevano oscurato il cuore si era placata. Il nero, in fondo, era un guazzabuglio di colori indefiniti. Colori chiari, scuri, caldi, freddi...Ognuno con un suo particolare riflesso, era la luce a colpire l'anima dandole una sfumatura. La luce era giunta a rischiarare anche il guassabuglio di Kumiko ed ora lei aveva la sua sfumatura; certamente una bella sfumatura ma di un qualche colore strano perchè Kumiko era strana, era sfuggente e non avrebbe mai potuto avere una sfumatura di un colore qualsiasi.
Tsubasa non potè trattenersi dal ridere ad alta voce perchè quei pensieri erano davvero particolari e non si era mai soffermato a percepire certe cose delle persone, quello lo faceva Sanae, lei sì, lei era una ragazza profonda e attenta: certamente aveva già intuito nel nero di Kumiko un colore di bontà.
Provò a riflettere sulla tonalità che poteva essere di Kumiko. Osservando il viola del cielo scuro che schiariva, associò quelle sfumature alla sua amica. Ci vedeva il viola in quella ragazza così sopra le righe...Viola...Non era il solito colore, un colore non molto amato ma deciso, un colore scuro perchè quella ragazza era stata nera e avrebbe per sempre portato in sè quei ricordi...Così, così era Kumiko ma....Sanae? Che sfumatura aveva Sanae?
Tsubasa realizzò d'improvviso che ancora, pur amandola molto, non aveva saputo veramente cogliere la sfumatura che le apparteneva, quel colore solo suo che la contraddistingueva rendendola unica. Certo era stupenda; certo era l'opposto di Kumiko... Kumiko era stata nera mentre Sanae...Era bianca, ancora bianca. La sua fidanzata era  assenza di colore, o totalità di colori ma la luce non aveva raggiunto e colpito neanche lei o forse lui non ci aveva mai fatto caso.
Pensò di essere impazzito ma più risaliva la collina più quei pensieri fluivano nella mente acquisendo un senso.
Tsubasa si sentì un po' strano, diverso dal solito. Oltre alla sua vecchia vita aveva abbandonato anche il vecchio se stesso: il vecchio Tsubasa era scivolato via trascinato dalle acque fresche del ruscello insieme alle ombre di Kumiko.
Era rinato, indubbiamente. Nemmeno lui, al pari delle due ragazze, aveva un colore. Erano ancora tutti bianchi o neri loro tre, ancora tutti come bambini in attesa di qualcosa; probabilmente tutti anelavano alla stessa cosa perchè tutti loro, in fondo, volevano solo essere felici e ognuno a suo modo avrebbe trovato la propria felicità. Una pienezza per ognuno varia e diversa a seconda della sfumatura che avrebbero assunto vivendo perchè la gioia a ben guardare, anche se mista al dolore, li circondava ed essi potevano trovarla in ogni cosa, anche nella più semplice.
Il capitano si bloccò di colpo, perso nei meandri dei suoi pensieri si accorse d'un tratto si essere ormai in prossimità della casa di Jerwis.
Non l'aveva mai vista in realtà ma...Eccola!
Era proprio la vecchia casa che aveva sognato, quella antica di sassi e beole bianche, circondata da un giardino rigoglioso dove un uomo e una donna sconosciuti avevano accolto una ragazza che, nel sogno, lui non ebbe il coraggio di riconoscere.
Scrutò l'orizzonte rosato, si intravvedeva il grande giardino con il roseto che ornava la dimora del vecchio maestro. Mosse ancora qualche passo in direzione del roseto poi restò là, immobile, ad ammirare il vento che scompigliava l'erba e faceva fremere i fiori lontani. I raggi del giovane sole mattutino accendevano di mille sfumature i petali colorati racchiudendo la vecchia casa in una dolce aura incantata.
"Sanae"...Sussurrò il capitano.
Non aveva minimamente pensato a cosa le avrebbe detto, non era il caso di prepararsi discorsi tanto lui...Lui non avrebbe mai saputo ripeterli. Avrebbe improvvisato ma chissà cosa stava pensando la sua Sanae invece. Forse era arrabbiata, certo lui le aveva giocato un brutto tiro lasciandola sola. Egli stesso, in effetti, si era stupito della reazione che aveva opposto all'abbandono della ragazza e si rese conto che aveva voluto punirla per la sua fuga nella notte.
Tsubasa si morse il labbro.
Già, Sanae poteva essere arrabbiata, triste, delusa ma anche...Perchè, perchè non poteva solo essere felice di rivederlo?
Scosse la testa.
Sanae, o meglio, Anego, era la classica ragazza che dopo un affronto del genere avrebbe potuto rinfacciargli tutti i rospi che lui le aveva fatto ingoiare da quando erano bambini. Si domandò chi l'avrebbe accolto: Sanae o Anego? Entrambe molto affascinanti, certo, ma lui preferiva Sanae: non aveva nessuna voglia di intraprendere una schermaglia con Anego anche se...Quel visetto imbronciato che gli avrebbe opposto lo divertiva. Rise di gusto e riprese il cammino riflettendo a voce alta...
"Non farò nulla, proprio nulla...Anzi, farò una cosa molto semplice..."
Sospinto dal vento il capitano si avvicinava alla casa. Jerwis e Fiona, dal roseto, gli si fecero incontro festosi. Jerwis lo abbracciò dolcemente.
"Eccoti!...Ti ho ascoltato tutta la notte, come anche Kumiko, finalmente!...E' stato bello udire le voci dei vostri cuori. E' stato bello udire la pace e la serenità."
Tsubasa annuì.
Il vecchio Jerwis lo sospinse gentilmente verso l'ingresso del giardino che si risvegliava stuzzicato dalle farfalle tra gli steli.
I due padroni di casa non gli dissero altro ma Fiona indicò un'ampia finestra aperta che dava all'interno della grande cucina. 
Il capitano raggiunse la finestra lasciata aperta ed entrò. Un po' spaesato cercò di prendere contatto con l'interno: la luce dalla quale proveniva gli impedì di vedere subito il locale che lo circondava, stranito si guardò intorno lentamente strabuzzando gli occhi. Poi...Sussultò!
"Tsubasa! Cosa ci fai qui?! Sono le otto del mattino!"
Lei era là vicino al fuoco dove bolliva una curcuma e, sconvolta, lo guardava con un'espressione mista di stupore e rimprovero.
Il calciatore sorrise, c'erano tutte e due: riconobbe Sanae ma anche Anego in quell'espressione e in quelle frasi.
Tsubasa non si mosse e pronunciò poche parole senza fretta e senza remore, pareva molto sicuro di sè.
"Sì...lo so, lo so Sanae che sono le otto...Sono qui infatti..."
Sanae gli corse incontro ma non lo abbracciò, lo osservò seria, quasi imbronciata e poi scattò!
"Hai rovinato tutto, hai buttato via il tuo sogno ma perchè...Stupido..."
Sanae si zittì bruscamente: il ragazzo la stava abbracciando incurante delle parole e non c'era nulla che lei potesse dire o fare, lui non si sarebbe smosso. L'abbracciava, l'abbracciava e basta affondando il viso tra i suoi capelli. Un gesto molto semplice e pulito. Un abbraccio, solo quello, niente discorsi lunghi, niente baci appassionati, niente pianti, solamente un'interminabile abbraccio carico d'amore.
"Tsubasa...Sono felice...Sono felice che tu sia qui..."
Ammise lei con un filo di voce abbandonandosi al ragazzo che aveva sempre amato.
Una folata di vento li investì avvolgendoli.
Rimaserò lì ondeggianti  nella brezza, leggeri e liberi come petali volteggianti...

Continua..
(Oramai sarete abituati alla mia proverbiale lentezza, abbiate pazienza! Comunque vi ringrazio per non aver abbandonato la storia! E..è tardi ma...Buon anno a tutti!!!)

N.B.
Lo spunto per questa storia mi è stato offerto da una novella tedesca “Germelshausen” scritta da Friedrich Gerstacker. Questa storia, nel 1954, ispirò un musical della MGM “Brigadoon”. Dal musical, Vincent Minnelli, trasse l’omonimo film. Fu il suo primo film girato in Cinemascope. 

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Capitolo 22
*** Ritorno a casa ***


I personaggi non sono miei, appartengono a Yoichi Takahashi.

Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.

Note personali: non amo scrivere storie con più di un capitolo, perchè ho poca pazienza, ma ho voluto tentare. E' una specie di sfida e spero di fare un buon lavoro!

Ringrazio coloro che dedicheranno del tempo alla lettura della mia storia e coloro che avranno la pazienza di recensirla.

Buona lettura!

 

 

 

Ritorno a casa

 

Il sole ormai alto la avvolse, accogliente, nella sua calda luce, la luce vera, quella limpida del giorno ormai nato. Era un’esperienza nuova, una sensazione mai provata da Kumiko. Mai, perchè mai, mai si era soffermata ad assaporare ciò che la circondava. 

Lei passava da un esperienza all'altra in un continuo divenire di persone e situazioni diverse, non aveva tempo nè voglia di soffermarsi sugli altri e sul mondo.

Lei non voleva pensare, vedere, sentire; aveva sempre preferito fermarsi alla superficie delle cose, senza scavare. Il farlo poteva essere doloroso, lasciarsi andare alle sensazioni poteva ferire e lei non voleva soffrire e poi...Poi con le lacrime bruciano gli occhi!

La sola volta che si era lasciata andare ai sentimenti, all'amore, all'amicizia, aveva combinato un gran pasticcio, era stata travolta dai sentimenti e per ricacciarli e affermare se stessa aveva finito col ferire irrimediabilmente Sanae e Tsubasa. 

Già...Tsubasa...Il suo unico capriccio mai soddisfatto, perché lei aveva sempre avuto tutto; l'aveva sempre avuta vinta fin da piccola, forse proprio allora era nata quella Kumiko che voleva tutto e tutti per sé. Lei voleva, voleva disperatamente, probabilmente quella era stata la sua prima frase "io voglio" non “vorrei”, “voglio”, voleva cose, persone, affetti e li aveva avuti senza dar mai nulla in cambio come fosse tutto dovuto...Perchè, quando si era generata quella Kumiko? Ci fu un tempo in cui era stata felice ma non lo ricordava. Era stata felice e serena, forse...E...Poi? 

Cosa accadde poi?...Poi...Accadde così, accadde e basta: il sogno si spezzò, lei si spezzò, il suo cuore andò in frantumi. Si risvegliò non più bambina e quando cresci devi metterti in gioco, nessuno ti protegge, non ci sono più mamma e papà che ti consolano dopo la caduta, devi imparare a camminare ed è meglio non sentire le ferite degli innumerevoli inciampi.

Meglio non sentire, meglio fuggire, meglio l'apparenza, l’assenza, il sonno dei sentimenti ricoperti di superficialità, luci, colori, sorrisi, feste e battute insulse.

Non aveva più amato, sentito, vissuto ma comunque la sofferenza era venuta a prenderla, ed era lì, al suo fianco. 

La paura, ingannatrice amica di sempre, le aveva portato quella nuova e fedele compagna di giochi. Non era servito a nulla farsi scudo con l'egoismo e l'apparenza perché alla fine non puoi nasconderti.

Ripensò con rammarico a tutto ciò che aveva perduto: quante cose si era persa, la luce del sole, il tepore dell'aria, il ruvido dei granelli di sabbia sulla pelle, la dolcezza dell'amicizia, la forza del perdono, il dolore pungente, la voglia di vivere.

Aveva vissuto una vita anestetizzata, forse era più corretto dire che ei aveva cercato di sopravvivere e mai di vivere, ora doveva imparare tutto, tutto quanto.

Strinse la lettera tra le dita, era un compito molto difficile da affrontare per lei, per una ragazza che, in fondo, si era sempre data un gran da fare per proteggersi dai sentimenti, nulla ne sapeva, si domandò se ce l’avrebbe fatta e in che modo. D'un tratto pensò che forse Tsubasa le aveva affidato un compito troppo difficile. Difficile ma non ingrato. Dopotutto lei, con quelle righe, portava amore, dolore certamente ma anche speranza e consolazione. 

Si toccò il petto. Il suo cuore, ancora inesperto e acerbo, batteva, non lo aveva mai ascoltato: batteva. 

Sorrise. 

Era molto bello scoprire di poter soffrire, amare, piangere ma era anche così strano affrontare tutto ciò, persino le cose belle potevano essere difficili, potevano essere tanto belle da farti scoppiare il cuore. 

Si fermò: era giunta al parcheggio. 

La macchina di Tsubasa era ancora là, la vernice verde brillava al sole, fece per avvicinarsi e salire poi si bloccò: non si sentiva in diritto di farlo. Il capitano l'aveva lasciata là quell'auto e là doveva restare. Era parte della vecchia vita, della vecchia vita che lui aveva lasciato andare e della vecchia vita che anche lei aveva lasciato indietro. Non si sarebbe voltata. Non avrebbe preso la macchina, non sarebbe tornata nell'appartamento del ragazzo, non avrebbe rifatto le valigie. Quello era il passato, lontano e zeppo di capricci e insoddisfazione. 

Strinse i pugni.

Era tutto finito, la vecchia lei non esisteva più e le sue valige erano vuote! 

Avrebbe riscritto la sua vita e la sua anima: niente più pretese e capricci, tutto avrebbe avuto un sapore nuovo, un nuovo colore, un nuovo entusiasmo, persino il suo lavoro avrebbe avuto una luce diversa e anche i suoi vestiti sarebbero stati altri. I panni della ragazza che è solo apparenza li aveva ormai riposti nell'armadio, il nero che aveva dentro stava sbiadendo lasciando spazio ad altri colori ancora indefiniti. Lei era una ragazza semplice, carina, con un cuore: non le serviva altro. 

Prese il cellulare e compose il numero che ben conosceva..

"Kumiko, tutto bene?..."

La voce ansiosa all'altro capo del filo la sorprese. 

Non lo aveva mai ascoltato veramente, non aveva mai fatto caso al tono della voce, esso cambiava: cambiava quando lui era allegro, quando era triste quando era preoccupato; esprimeva qualcosa...Non se ne era mai accorta...Mai...Quanta disattenzione si rimproverò la modella mentalmente...

"Kumiko ci sei?..."

"Ah...sì Roby scusa...Ero soprappensiero...Volevo dirti...Voglio tornare a casa, ho qualcosa da fare...Puoi fare a meno di me per un po' qui a Barcellona?...In fondo il lavoro è concluso e...Beh...Tu sai perché insistevo nel rimanere e, il motivo non esiste più..."

Lo disse con tranquillità, senza rabbia, né delusione o disappunto.

Subito Roby afferrò che era diversa: la voce squillante che le conosceva aveva acquisito una nota amara, più adulta, forse più consapevole. Era stupito: in quelle poche e frettolose parole per la prima volta Kumiko nominava casa sua; la menzionava con trasporto, con una nota nostalgica e dolce, l’indifferenza che le conosceva si era sciolta come neve al sole. Era cambiata...

"Ma certo, ti prenoto un volo per stasera e ti mando l'auto ma dove ti trovi?"

"Platia del Fangar... Roby!...Voglio salutarti prima di partire..." 

Un’altra cosa che lo stupì..,

"Certo ti aspetto, cara! A più tardi allora...ciao!"

Nemmeno Kumiko stessa sapeva spiegarsi come le fosse venuto in mente...Lei che desiderava salutare. 

Com'era stato bello e facile dire quelle poche parole, com'era bello avere qualcuno da salutare. 

Lei nn salutava mai nessuno, nemmeno la sua famiglia. Preferiva stare lontana da casa, entrare quando tutti dormivano e andarsene quanto tutti erano già fuori. Così era meno complicato. 

Lei nessuno voleva, nessuno accanto, nessuno da salutare, nessuno d'importante. Nessuno c'era per lei, nessuno da amare, nemmeno Tsubasa perché anche lui era un capriccio era parte della sua commedia amara. Forse si era impuntata su Tsubasa proprio perchè sapeva che mai lo avrebbe avuto veramente.

Lei non voleva nessuno e nessuno voleva lei perché...Era incostante, capricciosa, volitiva; arrivava sempre in ritardo per farsi notare, teneva le distanze, osservava con freddezza, voleva essere servita, ammirata, viziata.

Rabbrividì pensando che la vecchia Kumiko era stata terribile. Doveva essere stato orribile averla avuta accanto, quale ricordo conservavano di lei le persone? 

Tutti l'avevano sempre sopportata e accontentata nei suoi mille capricci. Scosse la testa.

Era finita, era un'altra: aveva cuore, finalmente ma...Ora? Ora che aveva cuore come l'avrebbero accolta? Qualcuno se ne sarebbe accorto? 

Ebbe improvvisamente paura. Certo non sarebbe stato facile cancellare tutto il nero, tutto il male e i continui errori.

L'auto arrivò. Salì, come una sonnambula persa nel sogno, osservò un ultima volta il vuoto paesaggio, lo osservò allontanarsi e improvvisamente capì che non voleva lasciarlo, era dentro di lei ormai, dentro, come dentro aveva sentimento ed emozioni che la legavano alle persone. Ora luoghi e persone erano dentro di lei, le lasciavano qualcosa, un'emozione, un ricordo, un'aspettativa ma, contrariamente a quanto aveva creduto, non si sentiva prigioniera. Quelle cose le appartenevano, era una dolce sensazione, ma...Poteva lei appartenere loro? Una volta di più sentì acutamente nel suo petto il dolore che aveva provocato a Tsubasa, Sanae e a coloro che li amavano. Ora li amava anche lei. Si accocolò sul sedile e si addormentò. Sognò una bambina persa in un'abbraccio di infinito amore. Ma la donna che l'abbracciava non aveva volto, eppure l'amava e amava anche tutti coloro che, senza volto sempre, la circondavano felici. 

Kumiko si svegliò di soprassalto, era già in aeroporto e, accanto a lei, Roby era lì per salutarla.

"Roby..."

Disse solamente a mezza voce.

Lui l'abbracciò "Torna presto cara!"

La voce dell'altoparlante pose fine al saluto tanto temuto da Kumiko: era l'ultima chiamata, e doveva affrettarsi. Si girò di scatto e corse velocemente verso la zona d'imbarco, si voltò solo un momento per un ultimo cenno di mano, sorrise e sparì al di là della barriera.

Meglio così, aveva molta paura di salutare, i saluti troppo lunghi doveva ancora imparare a gestirli ma niente male come inizio, si disse. Salì sull'aereo con un certo disagio, era l'ultima, era stata chiamata per nome, era in ritardo come sempre, come al solito, ma questa volta avrebbe voluto scomparire e non essere guardata.

Si accomodò velocemente al suo posto decisa a non dir nulla per tutto il viaggio e poi...Con chi avrebbe potuto parlare? 

Si appisolò nuovamente e nuovamente la bambina sconosciuta o dimenticata venne a visitare il suoi sogni. Eccola! Ma non era felice, non più. Nulla aveva intorno la piccola, solo buio e immobilità, le ombre nascondevano persone, cose, volti, ricordi, pensieri. Era sola la bambina, rannicchiata su una poltrona troppo grande per lei, si sentiva persa priva dell'abbraccio che desiderava...Piangeva...Era lei, Era lei! 

Kumiko si destò in preda all'angoscia, un'hostess le porse un bicchiere colmo d'acqua, lei lo prese sorridendo ma senza dire una parola. Era lei, lei come era stata, lei un tempo, un tempo lontano e dimenticato, una bambina amata e poi obliata. 

Era tornato, il suo primo lacerante dolore di bambina era tornato, fu là, là in quel lontano momento che presa dal timore del dolore, quello che ti spezza il cuore, aveva rinunciato a vivere e sentire consegnando il suo piccolo cuore alle ombre insensibili e fredde. Fu lì che si allontanò dalla vita...

"Nonna" mormorò piano.

Quanto le mancava, quanto le era mancata, Kumiko, la piccola Kumiko si era spenta quel giorno lontano con quella donna e aveva scordato il calore di quell'affetto e l'amore che aveva ricevuto, lo scordò e non lo volle mai più, faceva male. 

Sospirò. Quanto si era sbagliata! Non aveva compreso quanto invece potesse essere consolante la vicinanza di coloro che ami ed ora, cosa le restava? C'erano ancora? Aveva ancora una famiglia, la famiglia cha aveva evitato, denigrato, dimenticato? Ebbe paura, potevano anche non amarla più, in fondo, cosa aveva dato loro? 

Le interminabili ore di viaggio che la separavano da casa trascorsero con questo dubbio pungente nella mente: cosa avrebbe trovato a casa? Era ancora la sua casa?

Il viaggio terminò, Kumiko non ricordava esattamente come fosse stato, e nemmeno il sapore del cibo che aveva mangiato, aveva fatto tutto come un’automa e come tale si accingeva a raggiungere casa. Aveva le mani fredde e si sentiva tutta rigida con il cuore in gola, questa era la paura, quella vera, quella che hai quando puoi perdere tutto, tutto quanto, quella che certamente avevano provato Tsubasa e Sanae e che, sicuramente, provavano i loro genitori nell'esperienza della perdita.

Deglutì, forse lei non meritava di riavere una casa; ciononostante una volta scesa dal taxi si diresse proprio là. Si sentiva una perfetta estranea, si fermò dubbiosa dinanzi al campanello. 

“Forse non c'è nessuno"..

Pensò, e il pensiero la sollevò non poco per poi ripiombarla nello sconforto... 

"Ci risiamo Kumiko, coraggio!" si esortò. 

Pigiò il bottone nero del campanello di casa.

Sussultò. Una voce gioiosa dal videocitofono pronunciava il suo nome e subito dopo la porta si spalancava. 

Kumiko si sentiva un po’ confusa e mosse solo pochi passi lungo il vialetto che la separava dall’ingresso di casa mentre le due figure che finalmente aveva scoperto di poter amare le si facevano incontro sorridenti.

“Bentornata cara!” 

Non capì chi dei due lo disse, non lo capì, forse entrambi, forse in coro; non lo sapeva ma di certo si sorprese rispondendo poche semplici parole un po’ sciocche e magari scontate.

“Mamma, papà, sono felice di vedervi” 

“Hai le mani gelate, Kumiko, forza entriamo.”

E si perse nel calore delle mani che la guidavano a casa. La porta si richiuse, le luci si accesero festose: finalmente era a casa!

 

Continua..

(Sono stata più lenta del solito...Sorry...Comunque vi ringrazio per non aver abbandonato la storia.

Un grazie particolare a Sigfrido di Xanten: una sua osservazione mi ha convinta ad aggiungere questo capitolo per raccontare meglio la nostra Kumiko che, tra l’altro, è un personaggio che mi è molto caro!)

 

N.B.

Lo spunto per questa storia mi è stato offerto da una novella tedesca “Germelshausen” scritta da Friedrich Gerstacker. Questa storia, nel 1954, ispirò un musical della MGM “Brigadoon”. Dal musical, Vincent Minnelli, trasse l’omonimo film. Fu il suo primo film girato in Cinemascope.

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Capitolo 23
*** Arrivederci, addio ***


I personaggi non sono miei, appartengono a Yoichi Takahashi.

Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.

Note personali: non amo scrivere storie con più di un capitolo, perché ho poca pazienza, ma ho voluto tentare. E’ una specie di sfida e spero di fare un buon lavoro!

Ringrazio coloro che dedicheranno del tempo alla lettura della mia storia e coloro che avranno la pazienza di recensirla.

Buona lettura!

 

Arrivederci, Addio

 

 

"Pronto?..."

Il silenzio all'altro capo del filo impensierì Natsuko, sperò che fosse Tsubasa: egli non era solito chiamare ogni giorno ma era da un po' che non lo sentiva e quel silenzio pareva gridare. Natsuko sorrise sentendosi un po’ sciocca: le grida di quel silenzio erano solo la sua nostalgia di quel figlio lontano. Tuttavia, chiese al misterioso e muto interlocutore...

"Ma chi parla?..Tsubasa?..."

Un sospiro greve fu la risposta alla gentile domanda della giovane madre; poi finalmente...

"No...Sono....Sono Kumiko signora Ozora, io..."

La ragazza però si interruppe.

"Kumiko, certo mi ricordo di te...Coma va?" Natsuco non disse altro, non capiva la ragione di quella telefonata, in effetti, non ricordava che avesse mai chiamato ma non domandò altro, aspettò paziente che la modella continuasse da sé...

"Io sto bene...Ho un messaggio di Tsubasa e di Sanae...Ve lo porto!

Riattaccò velocemente lasciando Natsuko a casa Ozora sommersa da mille domande e impietrita. Era là, impalata, con il telefono in mano a ripetere a se stessa il nome di Sanae.

Kumiko si mise velocemente le scarpe e uscì, era stato un bel ritorno a casa il suo, nella sua famiglia. “Sua famiglia” proprio una bella espressione...Era come se non se ne fosse mai andata, certo c'era molto da dire e da chiarire, c'erano sofferenza ed anche imbarazzo ma era tutto come se lei e i suoi genitori si fossero lasciati soltanto il giorno prima. Forse era questo, questo che faceva una famiglia...Accogliere, accogliere sempre, non importa l'errore che puoi aver fatto. 

Kumiko sospirò: lei aveva fatto molti gravi errori, uno pesava particolarmente, un errore inconfessabile, almeno per ora, un errore al quale non poteva porre rimedio ma poteva mitigarne le conseguenze.

Iniziò a correre mentre le frasi della lettera del capitano le martellavano la testa e le parole laceravano l'aria scagliandosi come pietre contro il suo corpo.

Probabilmente era quello l'inferno, ecco cos'era, forse osservare con consapevolezza i propri errori e le conseguenze senza poter far nulla si avvicinava alla sensazione di quello che poteva realmente essere un'inferno. 

Tsubasa l'aveva perdonata, ma sarebbe riuscita lei a continuare a vivere? E come?

Solo Tsubasa, Sanae e Jerwis conoscevano la realtà delle cose, lei non era tenuta a confessare nulla ma era costretta ad osservare impotente la devastazione che il suo gesto aveva provocato: piangeva a dirotto, non voleva ascoltarle quelle parole, non voleva ricordare quelle righe, non voleva rammentare il suo errore, non voleva vedere la sofferenza che aveva causato eppure... Doveva! Questo e soltanto questo le aveva chiesto Tsubasa: l’aveva pregata di portare una speranza e un addio alla famiglia e agli amici. Lei non doveva far altro che questo piccolo passo verso il prossimo, verso il dolore e verso la verità.

Quella lettera pesava come un macigno...

 

"Cara mamma e caro papà volevo dirvi che vi voglio bene e che sono felice di avervi avuto come genitori. Non ho mai espresso il mio amore giorno per giorno perciò spero che lo comprendiate da queste poche righe, come sapete, non ci so fare con le parole, le penne e i fogli...E' Sanae quella brava a scrivere, in effetti Sanae avrebbe saputo scrivere una lettera meravigliosa, ma...beh...Forse no, questa lettera l'ho sempre avuta nel cuore ma non sapevo leggerla... Poi, un giorno al mio risveglio l'ho trovata: era lì per voi e anche voi la terrete nel cuore, lo so. Questa lettera è apparsa nel silenzio della notte, sotto il cielo stellato. Me l'hanno dettata forse i fili d'erba del prato dove ho ritrovato Sanae e il ruscello che ho attraversato per raggiungere il bosco da dove vi scrivo.

 Ho trovato quello che cercavo e so cosa devo imparare: ho trovato Sanae e devo imparare a vivere e ad amare, di nuovo come se fossi ancora piccolo ma voi non sarete con me e mi mancherete, perciò spero che questa lettera che ho scritto solo ora, queste parole che comprendo solo adesso rendano più leggero il fardello che vi opprime...Affiderò a queste righe anche tutto l'amore che Sanae ha per la sua famiglia, non è mai fuggita era felice di vivere con le persone che amava, non è colpa loro e non è colpa di Sanae, è stato un scherzo del destino, ora lei non può tornare a casa e io non la lascerò. Dite alla sua famiglia che Sanae sta bene e che siamo felici insieme. Non è una fuga la mia, non me ne sono andato per scelta ma non tornerò, non lo posso fare, esattamente come è accaduto a Sanae. Perdonatemi: nemmeno posso dirvi dove ci troviamo, comunque non mi credereste, né posso dirvi che torneremo, né che ci rivedremo, nessuno può dirlo, non si sa..forse un giorno...Io lo spero...

Ora devo salutarvi...

Cara mamma, caro papà non mi piacciono gli addii, non li ho mai sopportati, lo sapete e non mi piacciono le lacrime e le conclusioni tragiche perciò... Ora basta, sono felice qui con Sanae...State tranquilli.

Volevo dirvi anche, mi mancherà il vostro calore come a Sanae manca quello dei suoi...Ma anche, cara mamma non preoccuparti: l'ho preso il maglione di lana, non avrò quel genere di freddo che ti preoccupa tanto e dì ai genitori di Sanae che mi occuperò io di lei, certo non sarà come avere una mamma e un papà me ne rendo conto ma...Come diceva la sua mamma? Beh, non importa, controllerò che mangi abbastanza, lo sapete che potete fidarvi e...Cosa ne dici mamma? Possiamo sempre incontrarci nei sogni...

Quindi, cara mamma, caro papà... non so come salutare, forse il nostro è un....Arrivederci Addio."

 

Aveva smesso di correre, era quasi giunta a casa Ozora oramai ed i passi si facevano lenti e pesanti. Il nodo che le attanagliava la gola sembrava farla soffocare. Arrancò. Pensò che sarebbe morta....

"No, non morirò" 

Si disse, in fondo nemmeno Tsubasa e Sanae, né le loro famiglie, né gli amici erano morti. Il dolore li aveva consumati, smussati, modellati e fatti crescere; aveva scavato solchi sui loro visi e nelle anime ma non erano morti, affatto. Le loro vite, tutte, erano continuate nella speranza di rivedersi o in quella di trovare un giorno quelle risposte alle tante domande irrisolte. 

Una risposta, un'impietosa - pietosa risposta, stava per giungere finalmente. Era strano, strano come quelle parole così dolci di Tsubasa potessero essere allo stesso tempo amare e crudeli, così cariche di dolore ma anche di speranza e amore. Quella lettera era un ritrovarsi e un subitaneo lasciarsi...Cosa avrebbero detto, cosa avrebbero fatto, e lei...Cosa doveva dire lei?

Era arrivata.

Spinse dolcemente il cancello. Entrando nel giardino non poté fare a meno di ricordare l'armonia e la pace nel roseto di Jerwis, anche nel giardino di casa Ozora regnava la pace, una pace che era propria solo dei giardini, solo della natura. Una pace che aveva provato un tempo, da piccola, quando si poggiava al tronco degli alberi e ascoltava le favole della nonna. 

Era una sensazione, forse, che solo un certo tipo di serenità interiore o di amore verso gli altri poteva farti sentire. La paura svanì sciogliendosi nel ricordo dell'infanzia.

Si asciugò le lacrime, magari Jerwis aveva ragione: lei era guarita, era sulla buona strada e doveva portare una speranza a qualcun altro ora.

Suonò il campanello con decisione, era il momento: non portava odio, non portava morte o rancore. Solo amore, Amore che giungeva da molto lontano. Un legame per sempre, un legame che solcava tempo e spazio per perdersi nell’eternità.

La porta si aprì e ad accoglierla il dolcissimo viso di Natsuko. 

Kumiko non salutò, le porse la lettera che stringeva tra le dita dicendo con un filo di voce...

"Prima di salutarmi Tsubasa mi ha chiesto di portavi questo messaggio."

La donna le fece segno d'entrare e la condusse con sé in salotto: c'erano tutti, anche i genitori di Sanae. 

Natsuko aprì la busta, senza indecisioni...

 

Continua..

(Solita lentezza: scusate! Comunque grazie a tutti quelli che continuano a leggere.

Un grazie particolare a Sanae 78: lei non lo sa ma è stata una sua osservazione nella prima recensione a questa storia ad avermi ispirato l’idea della lettera!)

 

N.B.

Lo spunto per questa storia mi è stato offerto da una novella tedesca “Germelshausen” scritta da Friedrich Gerstacker. Questa storia, nel 1954, ispirò un musical della MGM “Brigadoon”. Dal musical, Vincent Minnelli, trasse l’omonimo film. Fu il suo primo film girato in Cinemascope.

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Capitolo 24
*** Incontrarsi nei sogni ***


I personaggi non sono miei, appartengono a Yoichi Takahashi.

Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.

Note personali: non amo scrivere storie con più di un capitolo, perché ho poca pazienza, ma ho voluto tentare. E’ una specie di sfida e spero di fare un buon lavoro!

Ringrazio coloro che dedicheranno del tempo alla lettura della mia storia e coloro che avranno la pazienza di recensirla.

Buona lettura!

 

Incontrarsi nei sogni

 

"Andiamo Fiona smettila di stringere così: mi farai soffocare!"

"Sei ingrassata Sanae!" 

Ribatté la donna sorda alle imploranti parole della giovane. 

Sanae era felice; felice come una bambina, di una felicità pura, traboccante e Fiona avrebbe anche potuto stringere l'abito fino a farla soffocare: lei non se ne sarebbe accorta. Non le sarebbe mancato il fiato e il cuore non avrebbe certo smesso di battere perché il suo respiro e il suo cuore, in fondo, non le appartenevano più, erano volati fino a raggiungere l'anima di Tsubasa. Il respiro del suo cuore era ormai parte di lui.

Smarrita in quei pensieri, forse troppo smielati, il suo sguardo vagò, curioso, fuori dalla finestra. 

Nella quiete del prato le api continuavano il loro paziente lavoro e i fiori assonnati nel tepore del pomeriggio inoltrato le lasciavano fare cullati dal ronzio incessante. Tsubasa passeggiava nel giardino guardandosi intorno. Sembrava perfettamente a suo agio, osservava sicuro mentre camminava annusando l'aria e offrendo il suo viso al sole. Muoveva lentamente le braccia, come in una danza arcana, e con le mani sfiorava le foglie immobili. 

A Sanae parve che il giovane volesse, nella solitaria passeggiata in giardino, far suo ciò che vedeva, come per entrare in contatto ancor meglio con ciò che lo circondava, come per esserne parte inscindibile. Era strano, non lo aveva mai visto così, quel mondo, quella realtà così nuova era già sua, forse gli era sempre appartenuta perché il loro destino era approdare proprio là. Tsubasa  era lì con lei solo da poco più di un giorno e il mondo incantato di Jerwis già aveva fatto breccia nel suo cuore e invaso la sua anima. 

A sentirlo parlare era come se il ragazzo capisse quella realtà anche meglio di lei. Probabilmente era così, in fondo, lui si era giunto sin lì e si era fermato perché lo desiderava; il suo cuore era pronto mentre lei ci si era trovata suo malgrado e forse aveva ancora molto da imparare. 

Lui si voltò, la vide e la salutò con un sorriso e un timido cenno della mano.

Sanae si riscosse e sorrise a sua volta. 

Tirò la tenda della finestra lasciando aperti i vetri e si voltò verso Fiona. 

Era stata così rapita dai suoi pensieri da non accorgersi che la donna aveva concluso il suo lavoro e riposto ogni cosa. Seduta sulla sedia a dondolo di vimini la guardava sorridente con occhi luminosi pieni di allegrezza. Poi le parlò

"Sei pronta Sanae...Ora vediamo di sistemare Tsubasa..."

Fiona si alzò senza attendere repliche e lasciò la stanza velocemente, come la brezza che scompiglia le foglie dei boschi.

Sanae, rimasta sola, scrutò la sua immagine nello specchio e vide lontano nei suoi occhi una dolce malinconia. Quella sorta di malinconia che ti assale la sera, quando il giorno finisce e il sole se ne va lasciando spazio alle ombre riposanti della notte e ti sembra che manchi qualcosa, anche se sai che non accadrà nulla e che il susseguirsi dei giorni si alterna tra luce ed ombra in una perfetta armonia di natura. Toccò, nello  specchio, il suo volto increspato dal un lieve sorriso consapevole che c'era qualcosa che aveva inesorabilmente perduto per sempre. 

Si sistemò l'abito e scese in giardino, nel roseto, alla ricerca di un pensiero, di un ricordo, forse, che colmasse la grande mancanza in lei, una nostalgia sorda e pulsante diversa dal desiderio di riavere il suo Amore. Pensò che sentimenti e i cuori fossero davvero strani: mancava sempre qualcosa. Era pur vero che soffermandosi a osservare la vita era possibile essere felici, bastava saper vedere quel qualcosa nascosto ma...c'era pur sempre anche un ma! Già... Perché la felicità piena e totale forse non esisteva..

“Non esiste, certo, se esistesse smetteremmo di vivere ed di voler essere felici. smetteremmo di cercare, forse una mancanza ci vuole...”

Mormorò Sanae tra sé.

La vita era una sorta di cerchio: tutto era armonioso certo ma di un'armonia in fragile equilibrio, una deviazione e tutto poteva essere perduto. Lei ci era andata così vicina eppure il suo amore era stato premiato in qualche modo, anzi nel modo sperato ma quell’amore realizzato aveva comunque avuto il suo prezzo. 

Sospirò socchiudendo gli occhi mentre osservava le nuvole fuggire nel cielo azzurro di primavera, come sempre l'atmosfera del giardino la rassicurava con i suoi magici effluvi.

Non si accorse di lui che la guardava silenzioso. La ricordava, era come nella visione, quella visione che si tuffò nel cielo infuocato del tramonto mentre lui stava sul suo terrazzo a Barcellona.  Lui stava là e Sanae gli chiedeva cosa volesse fare, ora lui lo sapeva, sapeva cosa voleva fare, non sapeva tutto, quello era impossibile, ma sapeva cosa desiderava... Lei era lì bellissima come nel sogno.

D’un tratto si volse a guardarlo...

"Tsubasa!"

"Eccoti, è quasi ora. Sei scomparsa, immaginavo che ti saresti rifugiata qui nel roseto, non sei felice Sanae?"

Disse Tsubasa mentre si avvicinava alla sua sposa. L'espressione velata di malinconia la rendeva ancora più dolce del solito e lo sguardo era perduto verso un altro mondo, fatto di sogni e ricordi.

Le prese la mano e la strinse al petto.

La ragazza non poté trattenersi...

"Mi mancano sai? Vorrei che fossero qui...Credi che Kumiko abbia già consegnato la tua lettera?"

Tsubasa l'abbracciò, non aveva una prova certa ma il cuore era consapevole che kumiko non li avrebbe delusi.

"Io credo di sì Sanae..."

"Sì...Anch'io lo credo...Spero che potrà essere felice come noi ora..." 

A quelle parole tuffò gli occhi in quelli scuri e caldi di Tsubasa: entrambi sapevano che era una felicità un po’amara per tutti. Per loro che avevano dovuto abbandonare i loro cari e per Kumiko che aveva vissuto a lungo nell'ombra e agito per il male, ma forse, proprio quelle incrinature che tutti e tre avevano vissuto nelle loro vite avrebbero reso più preziosa e duratura la felicità a lungo sognata.  

Poi Sanae continuò, sempre osservando Tsubasa negli occhi 

"Peccato però, non lo sapremo mai, non sapremo mai se sarà felice...Però è strano, è strano come la luce abbia toccato il suo cuore così d'improvviso..."

Tsubasa sorrise 

"No, non è strano Sanae, io non credo, anzi è molto semplice in fondo: dove l'ombra è più cupa la luce arriva improvvisa e più forte."

Sanae annuì dando però voce alla sua inquietudine

"Già...Speriamo non le facciano troppe domande..."

"Non temere, sono certo che Kumiko se la caverà, è meglio che il passato rimanga dove sta, come un lontano cupo sogno di gioventù..."

Il tiepido vento serale avvolgeva i due sposi e scivolava dolcemente tra i fiori portando melodie e canti d'amore. Chiusero gli occhi e si rifugiarono nel loro abbraccio dimentichi di tutto.

Non sentirono il suono delle campane, né lo scricchiolio della ghiaia prodotto dai passi discreti del vecchio Jerwis.

Fu il suono lento della voce del maestro a destarli dall'abbraccio 

"E' ora, non sentite le campane?...Andiamo...Che Matrimonio sarebbe senza gli sposi?"

I due risero avviandosi lentamente verso il centro del piccolo villaggio. 

I toni caldi del tramonto rosso invadevano i campi dorati incendiandoli di colore. 

A Tsubasa parve che la luce fulgida dell'astro infuocato li avvolgesse nel suo abbraccio protettivo e sincero. 

La loro unione fu benedetta dal dolce sole che prelude la sera, prima che i prati e le vite delle persone fossero addormentate dalla fredda luce lunare...

 

Lo ricordava, ricordava ogni pensiero, ogni parola e ogni sensazione proprio come fosse stata là...Natsuko ricordava e scivolava, con la mente, tra le parole della lettera e quel sogno che aveva visitato la sua notte di madre afflitta. Ora capiva, era vero, si erano incontrati nei sogni, proprio come Tsubasa le aveva scritto. 

Tutti quanti avevano fatto quel sogno ma nessuno, nessuno aveva compreso, nessuno aveva creduto che fosse una realtà. Pensava questo la madre di Tsubasa mentre si affannava a ricordare quanti più particolari poteva: l'espressione di Tsubasa e Sanae, i colori di quel giorno, il profumo dell'aria...

Stringeva convulsamente la lettera mentre il vociare dei genitori della ragazza e di suo marito la riportavano lentamente alla realtà.

Domande, domande...Si domandava a Kumiko una spiegazione, un perché; perché proprio lei, perché solo ora, perché, perché...

A Natsuko non sfuggì l'espressione smarrita  e velata di terrore che aveva adombrato il viso della ragazza. Era lì impietrita e silente come un'antica statua pronta a sgretolarsi.

Natsuko parlò, con calma e decisone, era profondamente convinta delle sue parole.

"Ora basta vi prego...Tsubasa non può dirci dove si trova né per quale ragione non può fare ritorno, dobbiamo essere grati a kumiko per averci portato questo messaggio, se Tsubasa lo ha affidato a lei è perché aveva la sua piena fiducia. Il passato deve rimanere passato, è meglio lasciarlo dove sta è già molto sapere che stanno bene e sono felici...Ci incontreremo nei sogni, come già è avvenuto, sono certa che avverrà ancora..."

Le parole di Natsuko furono una sorta di balsamo purificatore, nessuno dei presenti aveva scordato quel sogno che ora, finalmente, aveva una spiegazione e sapeva di vita e felicità.

 

Continua..

(Solita lentezza, ormai è patologica! Comunque grazie a tutti quelli che continuano a leggere.)

 

N.B.

Lo spunto per questa storia mi è stato offerto da una novella tedesca “Germelshausen” scritta da Friedrich Gerstacker. Questa storia, nel 1954, ispirò un musical della MGM “Brigadoon”. Dal musical, Vincent Minnelli, trasse l’omonimo film. Fu il suo primo film girato in Cinemascope.

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Capitolo 25
*** Come aquiloni ***


I personaggi non sono miei, appartengono a Yoichi Takahashi.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.
Note personali: non amo scrivere storie con più di un capitolo, perché ho poca pazienza, ma ho voluto tentare. E’ una specie di sfida e spero di fare un buon lavoro!
Ringrazio coloro che dedicheranno del tempo alla lettura della mia storia e coloro che avranno la pazienza di recensirla.
Buona lettura!
 
 
Come aquiloni
 
 
Nell'aria tiepida e pulita dell'estate risuonava l'allegria. 
Natsuko la sentiva fluire con chiarezza quell'atmosfera carica di gioia e aspettative. 
Il verde dei prati punteggiato dai fiori colorati si distendeva a perdita d'occhio davanti a lei, udiva molte voci e parole, non sapeva di chi fossero ma erano dolci e affettuose. Non riusciva a comprendere bene cosa dicessero ma erano per lei. 
Continuò a camminare lentamente per una strada bianca e poi in un giardino quieto riscaldato dal sole. 
D'un tratto l'udì! 
Lo riconobbe subito...Era lui, era proprio lui, non poteva sbagliarsi! 
Strano però, quella voce che tanto amava era lontana. Sembrava giungere dall'infinito azzurro del cielo, da un altro mondo oltre le nubi bianche che fuggivano via. Da un'altra vita forse, e le parole, a dire il vero, erano un po' curiose.
La madre del capitano si rese conto che, probabilmente, stava ascoltando solo il brandello di un discorso avvenuto chissà dove e chissà quando.
Spesso udiva brandelli di discorsi e, come quando si fa un puzzle, radunava paziente le tessere. Le voci parlavano e si rincorrevano gioiose, d'un tratto aleggiarono nitide come mai. 
Ecco...Suonavano pressapoco così...
"...Ah...Molto bene, ci sarà una grande festa per l'arrivo dell'inverno..."
"Già...Con  danze, candele e costumi...Si festeggia il solstizio..."
"Perché sei così pensierosa Sanae?"
"Mi sa che non sarò di grande aiuto io...Non questa volta..."
"Non preoccuparti, farai quel che puoi e poi ci sarò io..."
"Ah!...ad una cosa però non c’è rimedio Tsubasa!”
“Mmhh...davvero? A che cosa?”
Natsuko, in lontananza, li scorse e osservò spuntare un magnifico sorriso sul viso di lei...”Cosa potrò indossare?...Certo sarò enorme ora di dicembre, che ne dici Tsubasa: quella tenda blu potrà andare?"
Lui scosse la testa divertito e le risate cristalline dei due innamorati risuonarono tutt'intorno intrecciandosi tra loro. Il giardino si riempì di tenerezza e felicità.
La donna continuò a osservarli: erano bellissimi, laggiù tra le foglie verdi, abbracciati che ridevano. 
Stavano bene, la pelle leggermente dorata dal sole, le mani intrecciate nell'abbraccio e i visi distesi nel sorriso. 
Si diresse verso i due con il cuore in gola. 
Anche Sanae e Tsubasa l'avevano vista ma non si mossero, titubanti e stupiti, agitarono timidamente la mano in segno di saluto. Poi, piano, anche loro le si fecero incontro.
Natsuko camminava in un sogno, era diverso. Lei li aveva sempre uditi o visti come su un palcoscenico recitare la loro vita in quel luogo assolato e pacifico, sperduto tra le immagini oniriche nelle pieghe della notte. 
Era la prima volta che si vedevano, che potevano venirsi incontro; forse era come aveva detto Tsubasa nella lettera.
Erano vicini ormai, stavano per toccarsi quando...
 
... Altre voci, altri mondi, altri odori e suoni si intromisero strappandola via dalle parole e dal tocco dei due giovani...
Come risucchiata da un vortice la madre del capitano si risvegliò gelidamente accolta dall'echeggiare dell'annuncio che l'aereo stava per atterrare. 
Di nuovo quel sogno con i "suoi due ragazzi" e questa volta si erano visti e quasi toccati, voleva dir loro così tante cose. 
Un nodo le attanagliò la gola fin quasi a soffocarla ma non sarebbe soffocata. Come accadeva ogni volta, ricacciava le lacrime e andava avanti. Doveva bastarle, in fondo, forse, lei era una privilegiata per averli potuti vedere ed ora quasi incontrare, anche se per pochi istanti. 
Chissà se loro provavano la stessa gioia, chissà se veramente erano lì con lei o se era solo una sua dolce malinconica illusione di madre. 
Rapita nei meandri dei suoi pensieri venne richiamata alla realtà dalla hostess che la invitava ad allacciare le cinture di sicurezza. 
Così fece e coccolata dal ricordo del figlio e di Sanae attese il momento di lasciare il velivolo per correre incontro ai doveri della giornata. 
Erano trascorsi molti mesi dal giorno in cui aveva ricevuto la lettera da kumiko, non si erano più viste da allora, la modella era poi rientrata a Barcellona ed ora la aspettava in aeroporto. 
Natsuko percorse il finger con trepidazione e dopo aver svolto le solite procedure doganali uscì. 
La vide. 
Kumiko la aspettava in piedi. Esile, aveva un viso serio e segnato dalla tristezza ma, come sempre, era bellissima!
La donna non sapeva esattamente perché avesse voluto lei al suo fianco. Lei sola, nessun altro, nessuno della famiglia, solo quella ragazza che, a pensarci bene, non conosceva neanche tanto bene. Probabilmente la motivazione stava nel fatto che Kumiko era stata l'ultima a vedere Tsubasa; quella ragazza così strana e misteriosa era una sorta di ultimo legame con quel figlio lontano che ormai era solo memoria; restare con lei era un po' come avere lui. 
La modella le era sembrata molto provata quel giorno alla consegna della lettera, forse per quello la difese, forse per il sogno che finalmente aveva una spiegazione o, ancora, per rispetto al volere di Tsubasa. Non lo sapeva esattamente, certo alcune volte si era poi sorpresa a pensare alla giovane prima con pena e poi con severità. Non le era sfuggito quel qualcosa di taciuto che permeava tutta la faccenda. 
Natsuko era consapevole che Tsubasa non aveva raccontato tutto: magari Kumiko aveva avuto un ruolo nella scomparsa del giovane, probabilmente anche in quella di Sanae, forse, magari...Magari, forse...Ma in effetti non aveva nemmeno più così tanta importanza: Tsubasa e Sanae non c'erano più. Erano lontani ma l'avevano perdonata quella ragazza così particolare, affidandole la speranza e la verità di quelle poche parole scritte in una notte stellata vicino a un ruscello; se Tsubasa e Sanae erano riusciti a perdonare, allora poteva farlo anche lei.
Kumiko era lì di fronte a pochi passi ora. Natsuko le si avvicinò abbracciandola...
"Ciao kumiko come stai? Grazie di essere qui..."
"Sto bene; là c'è la mia auto, sarà meglio avviarci subito senza perdere troppo tempo, sarà dura...Ci penserà l'autista a portare i bagagli a casa mia..."
Natsuko annuì con un sorriso tirato e notò il tono avvolgente della voce e lo sguardo aperto della modella. 
L'aveva sempre considerata, in passato, una ragazza certamente molto bella e avvenente ma di un fascino freddo e duro come il marmo. Dal giorno della lettera quella nota di durezza era scomparsa; si sorprese a pensare che magari erano state proprio la lettera e l'ultimo incontro con Tsubasa a cambiarla ma era solo una sensazione, bella e piacevole, ma solo una sensazione e mai avrebbe saputo la verità. La verità sarebbe rimasta tra i sogni e la vita, solo percepita e mai dichiarata. Come un dolce canto di speranza avrebbe guidato le loro esistenze lungo il sentiero prestabilito; solo questo, nulla più e forse era già molto.
L'auto si fermò.
Natsuko rimase immobile, inerte come la pietra. Il battito del suo cuore rimbombava nella testa. Strinse i pugni tremante. Non sapeva come avrebbe fatto, d'improvviso il coraggio le mancò, avrebbe dato qualsiasi cosa per demandare tutto quanto solo e unicamente a Kumiko per poi fuggire lontano dai fantasmi.
La modella scese salutando l'autista e tese la mano verso la donna imbambolata...
"Coraggio..."
Esclamò la ragazza afferrandole, sicura, la mano. 
Con fare cortese sospinse Natsuko verso il portone. Non la lasciò mai. 
Per l'intero tragitto le tenne la mano guidandola paziente lungo gli scalini fino alla porta. 
La serratura scattò e la porta si aprì. L'aria stagnante le investì: nessuno era più entrato in quella casa da molto tempo. 
Natsuko rimase sulla soglia ad ascoltare il silenzio, rabbrividì. 
Kumiko entrò e aprì le persiane. 
La luce inondò la stanza portando con sé la vita. Le polverose ombre di ricordi e passato volarono via, scacciate dal vivace sole mattutino. 
La casa era ordinata, così come l'aveva lasciata Tsubasa quando uscirono per raggiungere Platia del Fangar. Kumiko lo ricordava; quanto tempo era passato, quasi un anno e...Come era tutto cambiato in lei, com'era diversa ora la vita. 
Natsuko mosse qualche passo: era il momento, troppo a lungo aveva rimandato quel dolore. Doveva infine affrontare quella casa e le sue memorie. Tsubasa non viveva più là, non c'era più nemmeno il suo profumo, erano rimaste solo le sue cose e quelle di Sanae, solo le cose e null'altro.
Solamente cose da impacchettare e rinchiudere nelle scatole. 
Cose da portare via per svuotare quella casa da una vecchia vita svanita e lasciare spazio alle nuove vite che avrebbero invaso le stanze solitarie.
"Avanti Kumiko, mettiamoci al lavoro..."
Disse Natsuko ma la voce era solo un sussurro.
Abiti, libri, foto, lettere...Non c'erano molte cose.
Quando il sole colorò di rosso i muri dell’appartamento le due donne avevano già svuotato tutti i mobili. Strano: avevano imballato in poco tempo tutta una vita, tutta una storia, una storia bruscamente e inspiegabilmente interrotta. 
I mobili vuoti, ora, stavano là come in attesa di riprendere una storia tutta loro con altre persone a riempirli.
Natsuko, a quel pensiero, non poté frenare le lacrime e uscì sul grande terrazzo.
Il rosso del tramonto era già quasi oscurato dalle prime nubi viola della sera. Una pallida stella già presagiva l'arrivo delle altre luminose compagne. 
Faceva freddo nel rosso tramonto di febbraio o forse il freddo le veniva da dentro...
"Ti voglio bene Tsubasa..."
Mormorò con un filo di voce che usciva dal cuore.
Probabilmente Tsubasa non avrebbe sentito, non questa volta. Certamente però il ragazzo ricordava che lei glielo aveva ripetuto infinite volte, sempre, fin da bambino. 
Come un aquilone lo aveva lasciato sollevare nel vento e guidato tra una corrente e l'altra; sempre più in alto tra le nuvole bianche e poi al di sopra di esse. Non lo trattenne, rimase rapita a guardarlo mentre si innalzava sicuro e affrontava il vento, solo, per poi riunirsi ad altri aquiloni colorati che popolavano il suo angolo di cielo. Ora non poteva più vederlo, non lo avrebbe visto mai più se non nei suoi sogni, di sicuro però Tsubasa non aveva interrotto il suo maestoso volo.
La brezza che spirava dal mare aveva asciugato le lacrime di Natsuko. 
La donna si perse a contemplare le nuvole che giocavano nel cielo sospinte dall’aria salmastra.
Sentiva un tintinnio, come il vento tra gli alberi delle barche, un tintinnio strano che si faceva più intenso. 
Ascoltò meglio; le parve allora che il vento le portasse una dolce nenia, come un canto materno e molte risa e parole sussurrate. Non era l’aria che bisbigliava tra le foglie  o che giocava tra gli alberi delle barche...
"Chissà se anche Tsubasa ascoltava il vento da quassù o se lo sta ascoltando ora..." 
Si sorprese a mormorare.
Piombò nei ricordi e tornò a quando Tsubasa era piccolo, aveva sempre amato il vento che spirava dal mare. Risentì per un attimo le risa del figlio ormai perduto.
Lui era volato via e nella sua felicità con Sanae aveva forse scordato tutto il resto. 
Lo sguardo di Natsuko spaziò all’orizzonte e si confuse tra le nubi che annunciavano la notte imminente. Il sole già scoloriva mentre le parve di vederlo, Tsubasa...lo vedeva,lo ricordava mentre rideva e quasi lo sentiva ridere. Vedeva i suoi occhi e lo sguardo le parlava, si fissarono per un po'. Poi il ragazzo si passó una mano tra i capelli e distolse lo sguardo dalla madre per chinarsi, sorridente, su Sanae. Sembrava che stringesse qualcosa. 
Il vento portò il pianto di un neonato insieme alle risa. 
Lo sentì distintamente.
Natsuko non si sbagliava, era il pianto di un bambino.
Sorrise: forse Tsubasa, il suo impavido aquilone, era atterrato e a sua volta ora aveva qualcuno da accompagnare nel vento...
 
 
Continua..
(Siamo agli sgoccioli...Grazie a tutti quelli che continuano a leggere.)
 
N.B.
Lo spunto per questa storia mi è stato offerto da una novella tedesca “Germelshausen” scritta da Friedrich Gerstacker. Questa storia, nel 1954, ispirò un musical della MGM “Brigadoon”. Dal musical, Vincent Minnelli, trasse l’omonimo film. Fu il suo primo film girato in Cinemascope.

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Capitolo 26
*** Solo il vento lo sa ***


I personaggi non sono miei, appartengono a Yoichi Takahashi.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.
Note personali: non amo scrivere storie con più di un capitolo, perché ho poca pazienza, ma ho voluto tentare. E’ una specie di sfida e spero di fare un buon lavoro!
Ringrazio coloro che dedicheranno del tempo alla lettura della mia storia e coloro che avranno la pazienza di recensirla.
Buona lettura!
 
 
 
 
Solo il vento lo sa
 
"Pinto!...Mamma!"
Tsubasa si risvegliò cullato dalle carezze del piccolo Hayate che gli si era seduto accanto. L'ombra del vecchio tiglio li avvolgeva, come sempre materna. Il piccolo colse un filo d'erba e cominciò a rigirarlo tra le dita, poi ruppe il magico silenzio del bosco.
"Stavi ancora sognando della nonna e dei tuoi amici?...Dimmi di Pinto papà!"
Il giovane calciatore si mise a sedere mentre il suo sguardo vegava lontano, oltre il cielo che li sovrastava e l'orizzonte che li chiudeva. 
Un frammento della sua anima era rimasto indietro prigioniero nelle pieghe del vecchio mondo. Lui e Sanae, in fondo, erano come schegge incastonate tra i pensieri degli amici e dei cari, schegge conficcate pigramente in un angolo del cuore. Essi pungevano, pungevano e restavano là ad accompagnare le giornate e le notti, le stagioni e le parole sussurate perché parlare a voce alta, dopotutto, faceva troppo male. Lui e Sanae c'erano ancora. 
Tsubasa non poteva fare a meno di credere che i luoghi conservassero certi ricordi, certe tracce. Sicuramente un ricordo di lui di Sanae e di ciò che erano stati, era stampato nel tempo e gelosamente conservato anche dai luoghi dove avevano passato la loro vita. 
Erano ancora là, nel ricordo dei cuori che battevano forte dopo le lungue corse incontro al pallone, erano in soffitta tra le cose ammonticchiate in vecchie scatole di cartone. Essi avevano lasciato un segno del loro vissuto, erano al vecchio campetto dove giocavano da bambini, tra le risa e le cadute di Ryo che imparava a giocare a calcio, negli occhi di Genzo sempre coperti dalla visiera, al Camp Nou tra l'erba che frusciava al passaggio del pallone e sugli spalti tra le grida dei tifosi, erano ancora sotto l'acacia a giocare con Pinto e mangiare gelato, erano ancora nell'anima delle persone che li avevano conosciuti. 
Essi erano schegge d'amore che pungevano...Essi avevano vissuto.
Tsubasa mormorò al vento che cominciava a increspare la calma delle foglie autunnali e un brivido gli percorse la schiena...
"I luoghi, come i cuori, non dimenticano, noi viviamo, viviamo ancora..." 
Hayate si volse verso il padre e comprese che era smarrito in qualche vecchio ricordo ma non disse nulla: era abituato alle parole che, delle volte, il giovane calciatore affidava al vento. La brezza gentile le accoglieva e le portava con sé negli infiniti spazi che esplorava nel suo incessante soffiare. 
Tsubasa gli aveva raccontato tutto del mondo dove era nato e cresciuto, di quando era piccolo, dei genitori, della vita che aveva, degli amici di un tempo e di quelli nuovi che aveva incontrato lì dove si trovavano ora. Il piccolo conosceva così bene i particolari e le storie di quel mondo sconosciuto che, delle volte, anche lui lo aveva sognato e anche lui aveva conosciuto la nonna e molti altri dei quali parlava a lungo con Tsubasa. 
Hayate tacque per un po' mentre continuava a osservare il giovane padre poi, di nuovo, ruppe l'incantato silenzio.
"Papà! ...Raccontami di Pinto dai..."
Tsubasa si riscosse e gli sorrise dolcemente. Lo accarezzò e il bimbo gli si raggomitolò accanto avido di notizie.
"Pinto è stato il mio primo tifoso, era più grande di te quando lo conobbi. Nei momenti liberi giocavo a calcio con lui e altri bambini, nel pomeriggio al parco e poi, delle volte facevamo merenda sul terrazzo a casa mia, a Barcellona...Pinto adorava il gelato e...E' stato un grande amico per me..."
Lo sguardo di Tsubasa vagò lontano perdendosi di nuovo alla ricerca di qualcosa. 
Hayate non aggiunse nulla, spesso aveva notato la smorfia di nostalgia che trasfigurava i volti sereni dei genitori. In silenzio lo abbracciò e chiuse gli occhi dicendo piano...
"Mi sarebbe piaciuto conoscerlo. Non l'ho ancora visto nei sogni, magari lo vedrò...Ma cosa vogliono dire tutti questi sogni papà? I nonni e tutti gli altri dei quali mi hai parlato ci sono davvero? Ci incontriamo e mi conoscono anche se non ci siamo mai visti nella vita vera? Siamo svegli nei loro sogni?..Io non ho capito..."
Tsubasa sospirò, in realtà non aveva una risposta certa, non c'era una legge che dicesse come doveva essere ma il cuore aveva compreso molte cose che non avevano tuttavia una spiegazione oggettiva. Non era facile spiegare tutte le possibilità che i sentimenti d'amore e d'amicizia, e solo quelli, schiudevano all'anima. Lui era ormai parte di quel mondo sperduto in chissà quale realtà ma era anche parte di coloro che aveva amato, erano ancora insieme lui e tutti gli altri e, non aveva alcun dubbio, sarebbe sempre stato così. 
Non era facile trovare le parole ma la questione poteva essere spiegata più o meno così, col tempo poi, Hayate sarebbe cresciuto e avrebbe capito da solo.
"Beh ecco...Non è facile da dire ma...Le persone che si vogliono bene sono sempre insieme perché il cuore è dove ama...Non so come dire...Ci si incontra nell'animo e ci si può ancora parlare e amare in un tempo e uno spazio indefiniti. Ciò che siamo, e alcune cose che abbiamo fatto o faremo le viviamo insieme in un certo senso. E' come se vivessero ancora con noi, vicini, anche se questi sogni vengono e vanno un po' come vogliono, senza un tempo, senza un susseguirsi preciso di ciò che ci succede, senza logica e controllo da parte nostra...Siamo insieme nello spirito Hayate..."
Il bimbo annuì, anche se non era molto sicuro di aver capito, e si strinse più forte al ragazzo che lo accarezzò. 
Rimasero così per un po', senza dirsi nulla, come addormentati nei loro pensieri e ripiegati sul proprio cuore. Il vento, dolcissimo, li carezzava col suo tepore e il profumo dell'aria annunciava l'imminente vendemmia. Una voce lontana li chiamava...
"Tsubasa! Tsubasa!"
L'avvicinarsi della voce li riportò alla realtà e piano si alzarono volgendosi verso il sentiero che portava alla collina.
Fu Hayate a rompere il silenzio.
"Papà... mi prendi?"
E il piccolo cominciò a correre felice su per la collina, verso la voce che li chiamava a sé.
Tsubasa annuì e prese a rincorrerlo. Il capitano rideva felice, sereno. 
Correva nel prato. Le preoccupazioni e i brutti pensieri erano svaniti. Era a casa, in un modo diverso da come aveva sempre pensato ma era a casa, nel suo mondo e non avrebbe mai potuto immaginare nulla di diverso per sé.
Hayate si fermò.
"Guarda papà!..."
Sanae li chiamava allegramente mentre, correndo, li raggiungeva. 
"Tsubasa!...Tsubasa!...Eccovi. Vi ho trovati..."
Il capitano era fermo e teneva per mano Hayate.
"Sì...Stavamo riposando ai piedi del tiglio"
Disse il ragazzo mentre Sanae lo abbracciava.
"Papà! Papà mi prendi in braccio?" 
La voce di Daibu che lasciò la mano di Sanae precipitosamente alla vista del capitano si intrufolò, allegra, tra i genitori.
Tsubasa rise di nuovo mentre sollevava Daibu per farlo volteggiare nell'aria. 
"Papà anch'io..." 
Lo richiamò Hayate.
Tsubasa rideva. Rideva abbracciando i bambini e Sanae.
Sanae, i bambini, lui e l'acqua del ruscello che scorreva placida. Erano felici, insieme, tutti e quattro...
 
 
...Il vento fresco della prima mattina muoveva dolcemente le tende mentre il sole si insinuava tra le ombre della notte che fuggivano...
 
Pinto si svegliò piano con un solo pensiero nella mente, un bellissimo e rincuorante pensiero che mormorò piano alla sua stanza
"Questo era il sogno che Tsubasa mi raccontava sempre, ora l'ho sognata anch'io la sua felicità!...Tsubasa mi pensa sempre e sono ancora suo amico..."
Ne era trascorso di tempo ma a Pinto sembrava solo il giorno prima quando aveva conosciuto Tsubasa, e invece erano passati anni. Anni dal giorno in cui si incontrarono, anni dal momento in cui conobbe Sanae, anni da quel giorno in cui, sul terrazzo, parlava con il giovane calciatore che sognava la felicità e anni dall'attimo in cui dovette dire addio all'amico che sceglieva un'altra vita. 
Pinto sospirò, gli mancava molto il capitano e questo non sarebbe mai cambiato, era un tassello della sua piccola vita perduto per sempre.
Si vestì senza fare rumore e uscì lasciando un bigliettino alla mamma.
Era una giornata speciale.
Una giornata da passare insieme agli amici, al parco. 
Era maggio, era lo stesso giorno. Lo stesso giorno di molti anni prima, l'ultimo giorno in cui avevano giocato con Tsubasa. Non c'era un vero e proprio appuntamento ma fin da subito ogni anno quel giorno si ritrovavano, una tacita voglia di stare insieme e ricordare senza parlare, ascoltare senza dire parole riuniva tutti, tutti quanti gli amici in silenzio perchè parlare, parlare del dolore, era troppo.
I fiori delicati dell'acacia di Costantinopoli ondeggiavano al vento e osservavano come sempre la vita dei passanti e i giochi dei bambini. 
Anche Kumiko era là sotto l'acacia. Era sempre fermo nella sua mente il ricordo di quel giorno quando era stata al parco con Tsubasa e i suoi piccoli amici. Quando era oscura, quando non poteva vedere oltre il buio del suo cuore e non poteva sentire le risa dei bambini e la dolcezza del'amicizia di Tsubasa e Sanae che lei aveva disprezzato e respinto. Rammentava ancora la rabbia e la delusione che quel lontano giorno la presero dentro ma ora, ora guardava rapita il parco e Pinto alle prese col suo pallone. Ora vedeva la vita.
"Ciao Kumiko!...Eccoti..."
Il saluto improvviso di Pinto la fece sobbalzare.
"Ciao Pinto, i tuoi amici sono già tutti là che giocano! Sono bravi..."
Il ragazzino annuì ma c'era qualcos'altro che voleva dirle e doveva dirlo proprio a lei.
"...Ho sognato Tsubasa e Sanae...Sono felici!"
Lei lo scrutò, e sorrise.
"Lo so, lo so..Se solo io..."
"Basta adesso, lasciali volare via, è giusto così. Vado a giocare! Ciao!"
Kumiko lo osservò stupita: aveva sempre le parole giuste nonostante fosse ancora piccolo ed era sempre stato così, lo ricordava bene.
Pinto corse verso i suoi amici e cominciarono a giocare.
La ragazza continuò a osservare il parco e ciò che le accadeva intorno. Era affascinante, come aveva fatto a non vederlo: le voci delle persone, i giochi, i fiori, il profumo dell'aria...Ora li percepiva anche lei. Le piaceva tornare là a guardare i ragazzini intenti a giocare a calcio, li osservava e ciò la faceva sentire meglio, più sollevata, probabilmente un po' come capitava a Tsubasa. Kumiko non aveva più paura di Pinto, non doveva più nascondersi. Impugnò la sua macchina fotografica e iniziò a scattare. Piccoli angoli di mondo si fermavano nei suoi scatti, piccole realtà fuggevoli che nascondevano altre realtà; chissà se un giorno avrebbe potuto togliere i veli che la separavano dagli altri infiniti mondi, chissà se attraverso quell'obiettivo avrebbe visto meglio in se stessa, negli altri, nel mondo reale e in quello che stava oltre, quello che non si vedeva, quello di Tsubasa e Sanae, chissà...
Aveva un lavoro molto bello da svolgere con impegno, aveva una casa dove tornare ogni tanto per sentirsi al sicuro. Tsubasa e Sanae le avevano fatto un grande regalo: era se stessa. Loro le avevano permesso di guardarsi dentro, conoscerli l'aveva portata a sondare la sua anima, non si erano incontrati per caso, loro erano stati il suo viaggio in se stessa, quel tramite per capirsi e capire. Era di nuovo al lavoro, di nuovo e sempre sulle copertine, in passerella ma lo era in maniera diversa: niente più colpi di testa e capricci. Lei stava da parte, dietro le quinte a catturare attimi, svelare persone ed emozioni...Lei, proprio lei che aveva amato un mondo di latta e lustrini. Lei che era sempre scappata dalle emozioni.
Il vento la avvolse come in una carezza mentre tra i suoi scatti comparvero Natsuko e i genitori di Sanae, si dirigevano verso l'acacia dove Pinto e gli altri giocavano. C'erano anche loro, anche loro all'appuntamento che non era un appuntamento, tutti lì, convocati dal vento di passaggio.
Altri scatti ma... Improvvisamente fu come se tutto si fermasse: i ragazzini avevano lasciato cadere il pallone che ora stava là, inanimato, mentre Natsuko li osservava taciturna. Kumiko si avvicinò e il vento ricominciò a sussurrare tra i rami che riprendevano vita.
"Senza Tsubasa non è la stessa cosa; chissà se li rivedremo, io non credo..." disse un ragazzino.
Pinto alzò lo sguardo su tutti i presenti, uno sguardo carico d'amore.
"Non si sa mai, non si sa mai ...E poi...Volete bene a Tsubasa? E vi piace giocare a calcio?"
"SIIII!"
Risposero tutti con improvvisa vitalità.
"Allora giochiamo! ...E pensiamo a Tusbasa!" 
Gridò Pinto calciando nuovamente il pallone.
Kumiko parlò alla brezza e le sue parole volarono.
"Mi mancano...Mia nonna diceva sempre che ció che perdiamo torna sempre da noi, anche se magari non come noi lo vorremmo..."
"Ma certo..." 
Rispose prontamente Natsuko osservando il pallone volare in alto tra i raggi del sole e le risa dei bimbi. Tutto si mescolò: i giochi dei bambini, gli sguardi degli adulti, le parole di kumiko e Natsuko, le parole di altri mondi, le voci di altri cuori. Tutto fu catturato dal vento che sapeva scomporre e superare i veli tra i mondi infiniti.
L'aria s'intrise d'amore e cominciò il suo racconto. Tutto volò via, le voci, l'amore, il dolore, il ricordo, la malinconia, l'amicizia, i sogni e la felicità. 
Tsubasa e Sanae c'erano e non c'erano allo stesso tempo. 
Erano nei sogni, rimpianto e consolazione, speranza e nostalgia, erano nel vento, nei giochi, nel cuore; come una promessa, proprio come amici discreti e silenziosi. Forse si sarebbero rivisti nella realtà o forse tutti lo avrebbero sempre e solo sognato.
Solo il vento lo sapeva.
Solo il vento che giungeva da luoghi sconosciuti e si insinuava negli angoli più remoti dei cuori per raccontare le sue storie, solo lui sapeva se un giorno i sogni sarebbero diventati realtà o la realtà sogno.
 
Fine
Ed eccoci... Nessun colpo di scena o ritorni improvvisi ma solo sogni e speranza... Spero che la conclusione non vi deluda troppo. 
Comunque grazie a tutti coloro che hanno letto la mia storia: a quelli che hanno commentato, a quelli che hanno letto senza dir nulla e a quelli che mi hanno messa tra gli autori preferiti o le storie preferite o quelle da ricordare...
Mi mancherà molto il contatto con le persone che hanno seguito e commentato questa fanfiction, spero tanto di ritrovarvi in qualche altro mio racconto!
A presto!

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