Tragicità e follia di un empio di Neal C_ (/viewuser.php?uid=101488)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I Atto, I e II Scena ***
Capitolo 2: *** STANDBY ***
Capitolo 1 *** I Atto, I e II Scena ***
Questa mattina, al primo levare dell’alba, la luce di Febo
è stata accompagnata da orribili urla stridule. Erano
agghiaccianti versi di donne che venivano da fuori, eppure i loro echi
attraversavano il palazzo reale di Tebe.
Qualcuno
urla il nome di mia madre, delle mie sorelle; sento passi
pesanti che battono sul pavimento di pietra e lo scalpiccio dei servi
che si agitano.
Cosa
starà succedendo? Cosa sono questi urli? E perché
tanta agitazione?
Mi
agito appena e il letto in ulivo scricchiola. Finalmente un suono
familiare.
Sento
che il vecchio Cadmo ha bisogno di me, e alla curiosità si
aggiunge la preoccupazione. O forse è semplicemente il senso
del dovere di un nipote verso il proprio nonno e vecchio.
Avvoltomi
nei familiari veli del chitone, esco nel cortile su cui affacciano le
camere del palazzo e, sotto al colonnato vedo uno dei nostri servi
più giovani e prestanti ansimare come un malato che si
aggrappa alla vita, prima di perderne per sempre il soffio.
In
tutto il palazzo iniziano il lamento delle schiave, i loro cori, le
preghiere agli dei, e i canti più sacri a cui presto si
aggiungono i latrati dei nostri cani, Reso e Frigio. Proprio
quest’ultimo era un dono, portatoci da stranieri della costa
frigia, per me e mia madre. Glielo inviava sua sorella
Sèmele che poi era scomparsa senza lasciare traccia.
A
lungo avevamo aspettato un suo messaggio, avevamo inviato dei messi che
l’avevano cercata in tutto il paese. Poi un giorno uno di
loro si era presentato alla reggia, tremando come una foglia, pallido
come un cadavere. Un’aquila gli era venuta in sogno, mentre
volteggiava libera per i cieli, e si era sollevata tanto in alto fino a
sfiorare le nubi dorate che sovrastavano campi e distese verdeggianti,
non certo gli aridi terreni della nostra Ellade. Ma l’aquila
aveva osato troppo: un lampo e un tuono erano scaturite dalla nuvola
più grande incenerendo il volatile.
Ancora
più angoscioso per il nostro messo era stato il grande
serpente che era poi apparso, colpito a sua volta dalla collera divina,
e, come il suo ventre, era stato squarciato anche lo scudo di Cadmo.
Ricordo
l’angoscia di mio nonno che subito aveva mandato a chiamare
Tiresia che in quel momento stava riposando e, non osando svegliarlo,
aveva pazientato a lungo, ordinando nel frattempo di tributare i dovuti
onori al padre degli uomini e degli dei perché il suo
responso fosse favorevole.
Quando
finalmente Tiresia arrivò, mio nonno aveva raggiunto un tale
grado di agitazione che, soprassedendo su ognuno dei cerimoniali che
avrebbe dovuto tributare al Dio Febo e al suo vate, incitò
subito il messo a raccontare il sogno.
Questi
dovette rivivere l’angoscia, poiché
finì per raccontarlo ancora più animatamente di
quanto non avesse già fatto con il padre di mia madre. Gli
mancò la voce ad un certo punto e dovetti prendergli
dell’acqua.
In
quel momento mi ritrovai a pensare all’ironia della sorte.
Io, Penteo, discendente del fondatore di Tebe, che offrivo da bere ad
un figlio di nessuno. Anche lui dovette pensarlo, poiché
quando incrociai il suo sguardo e gli porsi una coppa
d’acqua, questi chinò il capo abbassando gli occhi
e mormorò con la voce arrochita dalla sete:
“Grazie, padrone”
Tiresia
intanto era intento ad osservare il cielo e, a fine racconto,
sembrava ancora più assorto nel contemplare le nubi che
filtravano i raggi di Febo nel nostro cortile.
“Il
messaggio degli dei per te, Cadmo, è tanto chiaro quanto
sventurato. Come tu offendesti gli dei e trafiggesti la loro serpe,
adesso il tuo casato verrà trafitto.* [1] Tuo
nipote…” indicò me, ancora giovinetto,
con non più di quindici anni alle spalle, e che
fino a quel momento avevo vissuto la mia sedicesima estate con
spensieratezza.
“…è
lui quello scudo, poiché tu ormai sei vecchio e niente
più rappresenti per gli dei. La corona passerà
presto al tuo discendente e allora sarà lui ad essere
colpito. Così come l’aquila e forse tua figlia,
sono stati preda del lampo del padre degli uomini e degli
dei.”
Il
mio signore rimase molto scosso da quella profezia, tanto che si
inginocchiò ai piedi di Tiresia, afferrandolo per la veste e
lo pregò di porre rimedio, di ingraziarsi gli dei
perché proteggessero suo nipote, me, dal suo vaticinio. Io
non sapevo proprio cosa dire, ma mi sembrò giusto chinare
anche io il capo, in attesa. Ovviamente nessuno poteva pensare di
raggiungere gli dei nell’alto del loro universo lontano.
Non
ho mai vissuto con angoscia eppure non me ne dimenticavo mai ed ero
pronto a tutto.
Non
mi sarei mai arreso senza combattere, non sarei fuggito come un
disertore ma mi sarei ricoperto di gloria come spettava ad un eroe ed a
un figlio di re.
II
Scena
Ebbene,
ritornando a questa mattina, nel cortile, raggiungo quel servo, Pelio,
un bel ragazzo, scuro di carnagione, dai riccioli neri e dagli occhi
intensi. Era asciutto e ben formato ma aveva deboli addominali che
forse non erano mai stati allenati; a lui non servivano di certo, lui
che faceva il servo e tutt’al più il contadino.
“Pelio,
cosa succede in città? Perché tanto
movimento?”
Questi
mi corre incontro, come se cercasse protezione:
“Ah,
padrone, sono le donne. Alcune di loro che urlano come delle
ossesse, piangono e si strappano i capelli. Lanciano delle urla
strazianti. Cosa sia capitato loro non si sa ma barcollano come
ubriache eppure ciascuno dei loro mariti hanno più volte
riferito che non hanno bevuto neppure un goccio.”
Mi
acciglio, decisamente perplesso e non riesco a non pensare
alla profezia di dieci anni prima.
Devo
rimanere assorto per un bel po’ poiché il servo mi
richiama con urgenza:
“Signore,
mio signore! Sappi che le abbiamo prese e il vecchio Cadmo ha chiesto
di vederle. Dovresti raggiungerlo.”
Annuisco
e mi avvio per il cortile, a passo lesto. Cosa mio nonno pensi di fare
con quelle povere sventurate, non ne ho idea.
Attraverso
tutto il cortile e raggiungo l’ingresso monumentale, in
pietra, decorato da alcuni bassorilievi che rappresentano due aquile,
una con le ali chiuse e una in volo illuminate dai raggi della luce
divina. Parecchie volte ho visto i nostri ospiti rimanere ammirati a
osservare l’imponenza di quelle architetture che risalgono
alla fondazione della gloriosa Tebe, partorita dalla profezia
dell’oracolo di Delfi e dalla vacca che condusse mio nonno
alla piana granosa e alla fonte di Dirce.*[2] Ma proprio in
questo momento non ho occhio che per la figura dell’indovino
Tiresia, ancora una volta sulla mia strada, forse venuto a darci
consiglio.
Rimango
assolutamente stupefatto nel vederlo abbigliato come un seguace di quel
Dioniso, un nuovo dio sconosciuto.
Ho
sentito diverse volte, nel corso del mio ultimo viaggio, di
rituali dedicati ad un falso dio, un demonio che spingeva le donne a
danze sfrenate, fiumi di vino e voglie lussuriose.
E
il suo profeta sarebbe un giovinetto dai riccioli biondi, paffuto e
roseo, baciato da Afrodite, per la sua bellezza che attira tutte le
sventurate nel suo covo malefico per asservirle a questo dio.
Ecco
un altro mistificatore che spaccia questo Dioniso per la progenie di
Zeus, nato dalla sua coscia!
Non
oso andargli incontro. Non subito. Tiresia ha mandato a chiamare il
vecchio Cadmo.
Osservo
orripilato mio nonno che avanza, appesantito
dall’età, indossando la nebriade, una tunica di
pelli maculate di cerbiatto, con in mano un bastone di pino e di edera
che avvolge l’intero tronco.*[3]
È
quello il maledetto tirso che vorrei bruciare seduta stante. Ed
è proprio il padre di mia madre a brandirlo, ad appoggiarsi
a lui e a cercare la sua guida in quei pochi passi che avanza.
Rimango
acquattato dietro l’arco dell’entrata che mi
protegge alla vista dei presenti e mi sento girare il capo. Appoggio la
schiena alla solida pietra per non cadere per terra.
Cosa
ci fanno abbigliati in quel modo? Che abbiano perso la testa? In
vecchiaia troppo spesso i più saggi e anziani
smarriscono il senno e da allora tocca ai loro figli occuparsi delle
loro menti confuse. Ciò che più temo è
il momento in cui dovrò rinchiudere il vecchio Cadmo nel
palazzo per salvarlo dalla demenza senile che impera.
Ma
Tiresia no. La sua non è la follia di un vecchio. Lui
è un sacro messaggero di Apollo Sole e perderebbe il senno
solo quando il dio lo reclamasse
Mentre
cerco disperatamente di pensare sento le loro voci, prima fra tutte
quella di mio padre, benevola, di un allegria che mi fa gelare il
sangue.
“Mio
caro amico, non indugiamo oltre, conducimi al monte Citerone, alziamo i
calici in onore del nuovo dio, battiamo per terra il nostro tirso e
facciamo si che i nostri canti attraversino i campi di grano della mia
città. Voglio che il più grande fra i miei
discendenti sia onorato e glorificato. Dioniso, il figlio di Zeus e di
mia sorella Semele, troverà in Cadmo il suo più
fedele servitore!”
Delira.
Devo assolutamente fermarlo. Spero in Tiresia ma rimango ancora
più amareggiato dalle sue parole.
“Andiamo!
Che queste celebrazioni ci restituiranno la giovinezza perduta. Non ti
senti già più arzillo?”
“Mi
sento un neonato. Allora dov’è il carro che ci
condurrà?”
Non
ce ne sono di carri. Ma questo non scoraggerà certo quella
canaglia di Tiresia.
“Assolutamente
no. Andremo a piedi, danzando e seguendo la guida del dio.”
Il
vecchio Cadmo! A piedi! A stento riesco a controllarmi. Potrei
strangolare quel vecchietto, ridurlo ad un mucchietto di ossa, qualche
brandello di carne e distruggere quelle orribili vesti animali che
porta. Anzi, prima possibile gli farò tagliare la lingua
perché non sputi sentenze, mai più.
Mi
pento di questi pensieri anche se non subito. Non toccherei mai un
sacerdote di Apollo.
“Anzi,
andremo a piedi e saremo come fratelli. Ciascuno sarà uguale
per nascita, per diritti, davanti al dio. Chiunque, anche il
più infimo dei servi potrà danzare al suo altare
e sarà il più grande degli uomini.”
La
cosa mi lascia ancora più orripilato. Anarchia! Ecco cosa
blatera Tiresia! Servi che diventano padroni! Non posso sopportare una
parola di più.
Mentre
avanzo con aria truce, sento il mio volto in fiamme, mi mordo
disperatamente il labbro e digrigno i denti. Cerco i tutti i modi di
mascherare quanto sono sconvolto. Ormai sono io il re di Tebe, non
Cadmo, figlio di Agenore, IO. E con un solo gesto potrei imprigionarli
insieme alle baccanti, guardati a vista dalle guardie del carcere.
Ostento
sicurezza e la mia voce esce tagliente, velata di disprezzo:
“Cosa
vedo! Tiresia, lo scruta prodigi, che si maschera come un buffone e
trascina un ingenuo nella più depravata delle orge!
” Scoppio a ridere; ne esce solo un suono aspro e
tutt’altro che divertito.
Adesso
tutto mi è chiaro. Tiresia alimentava il culto di quel
demonio solo per il suo guadagno personale. Lui sarebbe stato
lì, come indovino, avrebbe letto il volo degli uccelli, le
viscere degli animali per quell’efebico giovanotto che si
credeva il portatore di chissà quale verbo divino. E sarebbe
stato pagato in moneta sonante.
“Tu,
vecchio insolente, che ti accompagni al padre di mia madre solo per i
tuoi scopi, che porti la corruzione nella mia città,
preparati, perché quanto prima sarai rinchiuso nelle mie
prigioni e così saranno disperse tutte le donnicciole che,
come bestie scatenate, danzano in quei festini blasfemi.”
L’indovino
mi squadrò. Mi ricordò quel giorno della mia
fanciullezza in cui aveva svelato la profezia che pendeva sul mio capo
come l’ascia del boia durante l’esecuzione.
Ma
io sono certo di aver detto quanto è in mio diritto dire.
Lui, anche se protetto da Febo, è solo un vecchio, un mio
suddito, e non lascerò intimorire dalla sua veneranda
età e dai suoi occhi di ghiaccio.
“Giovane,
sei uno stupido. E sei un cattivo cittadino perché non hai
cervello. Dioniso, che tu non riconosci, sarà il
più grande fra gli dei, secondo solo a Demetra, la Madre
Terra. Egli invade il tuo essere, ti dona il potere della
profezia e la sua potenza può indurre il guerriero
più valoroso a gettare le armi e a fuggire come un coniglio.
Non impuntarti così stupidamente. Indici feste in suo onore,
riconoscilo davanti al popolo tebano e onoralo, partecipando anche tu
alle danze. ”
La
mia rabbia aumenta ogni secondo che passa. Sono io a passare per
stupido, inetto, incapace di governare, inutilmente crudele e
addirittura empio contro un dio che non è altro che un
impostore.
“Ragazzo
mio, ascolta la saggezza di Tiresia. Stai sragionando. E se proprio non
puoi convincerti dell’esistenza di questo Dioniso, fingi che
esista e diffondi la notizia. Racconterai di come la sorella di tua
madre ha messo alla luce il più potente e glorioso fra i
figli di Zeus e nobiliterai la nostra casata. ”
Questo
è il colmo. Così mi sarei dimostrato sacrilego,
avrei bestemmiato e mi sarei ricoperto di un onore che non mi spettava.
Fisso negli occhi il vecchio Cadmo mentre questi si avvicina, benevolo,
sembra un padre che si prodiga per il figlioletto capriccioso,
giudicato troppo giovane per capire. Ci sono già passato e
non lo posso sopportare. Ritiro il braccio, sgarbato, e il vecchio fa
un passo indietro sostenendosi sul tirso.
“Allontanati,
vecchio, potresti infettarmi con la tua stoltezza. Piuttosto
manderò i miei uomini a distruggere gli altari che profanano
i miei boschi, a disperdere i suoi fedeli e a catturare il loro
diabolico messaggero. Verrà condotto alla mia reggia e
sarà condannato alla lapidazione per la sua
empietà e le sue lussurie a danno delle nostre
donne.”
Vedo
Tiresia protendersi in avanti e tirare via mia nonno per la tunica. Il
suo sguardo è terribilmente serio e scorgo anche un lampo di
paura che illumina lo sguardo solitamente grigio. Sembra
improvvisamente più attempato, si stringe ancora di
più al suo bastone come se si aggrappasse
all’ultima delle sue certezze.
“Vieni
via, amico mio. È pazzo, ormai è in delirio.
Sciagurato! Che tu non ti debba mai pentire di quello che hai appena
detto!”
Leggere
la paura nei suoi occhi mi aveva inquietato non poco e ci ho messo
diverso tempo a convincermi che non era altro che una sceneggiata. Li
ho lasciati andare che barcollavano, si appoggiavano l’uno
all’altro, ogni tanto tiravano su le pelli che scivolavano
dalle spalle curve e penzolavano come animali lasciati a seccare al
sole.
Che
andassero pure! Io ho comunicato il mio ordine, le guardie cittadine ne
saranno venute presto a conoscenza e mi porteranno lo
straniero biondo. La sua morte servirà da esempio a tutti
coloro che oseranno rivoltarsi contro gli dei e contro di me, Penteo,
figlio di Agàve, di mio padre Echìone e signore
di Tebe.
Note
a piè di pagina
*[1] Si riferisce al
mito di Cadmo, a cui attinge Euripide nello scrivere la sua tragedia,
in cui Cadmo, per obbedire all’oracolo di Apollo e
fondare Tebe, deve uccidere il serpente di Ares che custodisce quei
luoghi. Io ho interpretato questa uccisione del serpente da parte di
Cadmo come un peccato di hyubris, cioè l’aver
voluto scavalcare il dio Ares anche se guidato dall’oracolo
di Apollo e quindi mi sono liberamente inventata il retroscena. Per
saperne di più:
http://volta.valdelsa.net/thiasos/baccanti/leggenda-cadmo.htm
*[2] Si riferisce
ancora al mito di Cadmo e della fondazione di Tebe, secondo cui Cadmo
fu guidato da una vacca in quella piana granosa
“dove l’acqua del bel fiume si sparge per le terre
di Dirce” [traduzione di un passo del coro delle Fenicie di
Euripide]
*[3] Il bastone
è il Tirso, accessorio caratteristico dei seguaci di Dioniso
che era un po’ la “bacchetta magica”
dell’epoca, simbolo della magica forza della natura, e
accompagnatore nelle frenetiche danze nelle quali si usava
“scuotere il tirso.” Per saperne di
più:
http://volta.valdelsa.net/thiasos/baccanti/framesaggi.htm
Angolo
dell’autrice
Iniziamo con un avvertimento!
Questa
ff non era per niente programmata.
Non
cosa mi ha preso ma da quando ho sentito la meravigliosa spiegazione
del mio prof di greco non ho fatto altro che pensare allo straordinario
personaggio di Penteo e alla fine DOVEVO buttarla giù.
Quello
che forse avrei dovuto evitare di fare è decidere di
pubblicarla <.<
Questa
volta lo faccio per testare il campo e vi avverto che non
aggiornerò con la mia solita frequenza, cioè un
capitolo a settimana, anche perché maggio è un
mese crudele, elezioni o non elezioni (anzi direi che con le elezioni
è addirittura peggio).
Ma
a Giugno mi darò da fare ù.ù
Per
gli amanti di Euripide e della Tragedia, purtroppo non
c’è chissà quale grande
cultura dietro quindi perdonatemi gli errori. Anzi, se me li
faceste notare vi bacerei in fronte!
Quello
che vi posso assicurare è che leggo e rileggo le Baccanti
quando imposto i miei dialoghi e che sono il più fedeli
possibili a quelli della traduzione di Filippo Maria Pontani
dall’originale. Per il resto è piuttosto romanzato
e attinge anche ad alcuni miti che precedono l’opera di
Euripide, miti che lui stesso probabilmente conosceva e ha utilizzato
nelle sue opere (e nelle note vi segnalo le mie fonti già
che ci siamo...non vorrei sbagliarmi <.<).
Ci
si vede gente, leggete e recensite numerosi! ;)
Misa
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Capitolo 2 *** STANDBY ***
AVVISO
Sapevo
fin dall'inizio che la sezione non era molto frequentata ma
più ci penso e più non me la sento di continuare
questa storia.
Non
è un'impresa facile, ci vuole voglia e impegno a go-go ed io
mi sono beatamente impigrita con l'arrivo delle vacanze
<.<
Quindi
se mai qualcuno l'ha letta, sappia che la storia finisce qui e la si
può considerare una specie di One-shot (anche se lo
è) e perciò la considero un' INCOMPIUTA.
Non
penso che mi verrà voglia di riprenderla, ma mai dire mai...
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