Diventeremo eroi?

di Ely79
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap. I ***
Capitolo 2: *** Cap. II ***
Capitolo 3: *** Cap. III ***



Capitolo 1
*** Cap. I ***


Cap. I Questa storia ha partecipato al "Modà Contest" indetto da xela182, meritando il secondo posto.
I giudizi del giudice saranno riportati al termine del terzo capitolo.


Autore: Ely79
Titolo: Diventeremo eroi?
Avvertimenti: Missing Moment
Genere: Introspettivo, malinconico
Rating: Giallo
Introduzione: Charlie è entrato a far parte dell’Ordine della Fenice e, per la prima volta in vita sua, si trova a riflettere sulla sua vita e su quella di chi gli sta attorno.
Citazioni utilizzate: Volevo dirti: “Ci sono notti in cui non so proprio con chi parlare perché io parlo solo con te” – “Quando tutta la città si addormenterà camminerò guardando il cielo per cercare un tuo riflesso” – “In una di quelle notti dove le stelle siamo solo noi due”
NdA: la storia prende le mosse dal capitolo 13 della mia Draconarius, ma può essere letta a prescindere da essa.


I

18 luglio 1995, ore 22:28
Maramures, Romania
Sede della Riserva di Protezione dei Draghi
Cucina

… era lì, per terra. Harry piangeva e non so, non capivo. Da dove eravamo noi pensavamo chesi era fatto male, che era svenuto. Erano stati via un sacco. Invece no. Miseriaccia. Charlie nessuno ci voleva credere. I Diggory sono saltati in piedi, la mamma ha cercato di tenere la signora, ma sembrava una pazza, si è messa a correre e chiamava Diggory. Harry gridava, io non ci capivo niente. Hermione ha detto qualcosa però non ho capito. Io non ho capito niente. Poi Harry si è messo a gridare che era stato Vo Tu-sai-chi, ma lui lo chiama per nome, lo sai, non gli fa paura. La gente è stata zitta e poi ha cominciato a parlare a bassa voce. I Diggory non li vedevamo più, ma la mamma diceva che erano là, che forse Cedric stava solo male e che Harry era troppo stanco per rendersi conto della situazione. Anche Bill parlava che diceva che sì, sì, era sicuramente così, che l’idea della Passaporta come ultima prova del labirinto era stata troppa eccessiva, che dovevano essere sfiniti. Lo sai che Bill ci capisce di queste cose, ma si sbagliava miseriaccia. Diggory è morto davvero e lui LUI è tornato. Hanno scoperto che il Malocchio che avevamo come insegnate non era quello vero: l’hanno trovato nel fondo del suo baule e quello che ci ha fatto lezione e ha cacciato Harry nei guai anche quest’anno è un Mangiamorte, il figlio di Crouch che tutti pensavano fosse morto ad Azkaban. Non bastava averne avuto uno in tasca per casa per tanti anni? Ho anche studiato con quello lì. Charlie, non diventerò anche io uno di quelli, vero? No, perché lui mi piaceva come spiegava. La mamma non me la fa passare liscia se succede. Però è vero che i guai corrono dietro a Harry come Thor con la ciotola, non so più di chi è colpa. Harry è mio amico, ma certe volte mi viene da chiedere se non era meglio che finisse da un’altra parte se dovranno continuare queste cose e per quanto. Non so se posso continuare io. Ogni anno succede qualcosa, per la miseria! Sta diventando difficile. Comunque ci ha preso in giro tutti, quel vecchio schifoso. Ho chiesto a mamma come facciamo a fidarci di quelli del Ministero se sono tutti dei delinquenti con una doppia vita e pronti a farci fuori senza pensarci due volte e lei mi ha dato uno scappellotto. Ha detto che anche papà ci lavora, cos’è, non mi fido di papà? Va bene, miseriaccia, ho detto una scemenza, non ci avevo pensato. Ma come facciamo?
Ti lascio. Adesso vado a dormire, se ci riesco. Qui siamo tutti in piedi da ieri e la paura non ci fa neanche sedere. E sto morendo di fame e ho finito le Tutti i gusti +1 e le Cioccorane. Meglio che dormo, così non ci penso. Tanto oggi le lezioni sono sospese, oggi. E Harry è in infermeria. Meglio se dormo, sennò Hermione è capace di prendere la scusa di rilassarci un attimo da quel che è successo e mi fa ripassare Storia della Magia. Sì, meglio che vado a dormire.
Stammi bene.
Almeno tu, che qui è un disastro.

Ron


Ron aveva scritto la missiva il giorno successivo gli eventi, tuttavia il vecchio allocco della guferia di Hogwarts aveva impiegato più del previsto a raggiungere la meta indicata a causa del maltempo che imperversava tra l’Austria e l’Ungheria. La lettera non era giunta inattesa. Il figlio di Ioan e Poliana era al seguito della comitiva di Durmstrang ed aveva già riportato le notizie sulla tragica conclusione del Torneo Tre Maghi.
Al suo arrivo però, Charlie si trovava a Londra su espresso invito di Silente, che si era presentato sul prato davanti alla Sede, come se stesse facendo una normalissima passeggiata.
La rifondazione dell’Ordine della Fenice aveva suscitato una valanga di proteste da parte di sua madre, che aveva tentato di proibire a lui e a Bill di prendervi parte. Fortunatamente, l’interesse mostrato dai gemelli era stato tale da farla desistere dal proposito iniziale, inducendola a concentrarsi sulle minacce e le ramanzine ai secondi.
Bisognava ammettere che la versione aggiornata dell’Ordine era alquanto sconfortante, soprattutto visto il numero esiguo di membri. Ed era proprio per quel motivo che lui e Bill erano stati convocati: i loro lavori all’estero li mettevano al riparo dallo sguardo dei seguaci ancora a piede libero di Colui-che-non-doveva-essere-nominato, permettendo loro di cercare nuove forze oltre confine.
«Come va la spalla?» domandò Ioan, mentre i piatti passavano diligentemente sotto il getto d’acqua della sua bacchetta.
Erano andati tutti a dormire dopo la discussione avuta al termine della cena. Lui si era trattenuto per finire di lavare i piatti e rassettare la cucina, ligio al proprio turno di faccende domestiche.
«Abbastanza bene. È ancora un po’ indolenzita ma passerà, come tutte le altre volte» rispose, sbirciando sotto la maglia.
I segni dei denti di Siglinde erano poco più che linee arrossate. Quel pomeriggio, memore degli Schiantesimi che le aveva rifilato perché non ammazzasse il maschio che le avevano proposto come compagno, la loro bella Zaffiro di Santorini gli aveva reso la pariglia. Il morso era stato doloroso, dato però con l’intento di intimorire. Charlie era abituato ai draghi che cercavano di farlo a brandelli, sapeva distinguere un attacco vero da uno simulato. E sapeva anche che l’indomani quei pochi segni sarebbero svaniti, grazie alle proprietà medicamentose della saliva di drago.
Poliana invece non aveva perso tempo nel ribadire che tenere quel rettile disgraziato era stata una scelta da idioti. E più idiota ancora era stato permetterle di prendere dimora nel laghetto davanti alla Sede.
«Non voleva farmi male» la difese.
Ioan non rispose, ma Weasley era sicuro che stesse sorridendo. Tutti, eccetto la Tzara, erano affezionati a Siglinde.
«Era solo arrabbiata. Mi ha sempre considerato un amico, si fidava di me. Voleva solo fosse chiaro che non devo permettermi mai più di trattarla così» puntualizzò.
«Molto femminile, da parte sua. Se non avesse le squame, penserei davvero che è il tipo ideale per diventare la tua fidanzata» lo schernì, chiudendo con un solo movimento di bacchetta tutte le ante ancora aperte.
«Me l’ha detto anche Bill» ammise.
Nonostante il tono apparentemente scherzoso, Charlie parlava a bassa voce, ancora demoralizzato dall’esito della riunione. Quella sera, i membri dello staff avevano comunicato le loro decisioni in merito al dare o meno appoggio all’Ordine della Fenice. Aveva sperato in una collaborazione più ampia, ma dei suoi sei colleghi, solo Andrea e Stefan si erano schierati dalla sua parte. Gli altri – Ioan, Poliana, Helia e Burak – avevano deciso di non prendere parte alla crociata di Silente, ciascuno per motivi più o meno condivisibili.
Il morfologista tornò a guardare sconsolato la lettera del fratello. Se l’era portata appresso per tutta la settimana, quasi fosse una sorta di talismano. Purtroppo non aveva funzionato come aveva sperato.
«Sai… quel Diggory. Abitava vicino a casa mia. Lo conoscevo. Abbiamo giocato insieme qualche volta, quando eravamo piccoli» disse, scrutando il proprio riflesso nelle finestrelle della stanza. «Non voglio che succeda ancora».
Di fronte a lui fluttuarono due bicchieri, che una bottiglia riempì diligentemente con della ţuică*. Il collega lo raggiunse poco dopo, le mani ancora avvolte nello strofinaccio. Restarono in silenzio per parecchio tempo, sorseggiando il liquore. Per Ioan era un’enorme trasgressione: la moglie gli aveva vietato di bere prima di andare a letto, perché detestava la nota d’alcol nel suo respiro.
«Dimmi la verità. Cosa ne pensi di questa faccenda? Faccio bene a preoccuparmi tanto?»
Ioan gli posò una mano sulla spalla.
«Cosa ne penso? Penso che ora stiamo vivendo le cose sull’onda di emozioni troppo violente. Non siamo abbastanza lucidi per pensare con chiarezza, rischieremmo di travisare ogni cosa. Vattene a letto e cerca di dormirci su» consigliò affettuosamente alzandosi.
«Tu però…» iniziò il giovane, scrutandolo di sottecchi.
Il Guardiadraghi si fermò sulla porta della cucina.
«“Tu però” cosa? Però sono stato dall’altra parte della barricata? È questo che vuoi dire? Credi che sappia come pensano e agiscano quei maghi?» domandò senza voltarsi.
La sua voce calma e pacata all’improvviso si era inasprita.
Charlie annuì lentamente, perché, pur volendola conoscere, temeva la sua risposta. Ioan gli aveva confidato di aver fatto parte di un gruppo di terribili aguzzini del regime, i Vinatorii. Aveva preso parte ad azioni turpi e vergognose, spinto dalla cieca fiducia nei suoi superiori e negli ideali che questi gli avevano inculcato. Ma quel Ioan, spietato e sanguinario, era stato cancellato, era stato sepolto in un luogo lontano. L’amore per Poliana lo aveva spinto a ripensare alle sue azioni, alla sua vita ed al significato che voleva darle. Era stata una seconda possibilità.
Il romeno fece un profondo respiro e riprese posto al tavolo, sfilandosi gli occhiali. Restò in silenzio, massaggiando la radice del naso. Quando tornò a fissare il collega, il suo volto era irrigidito dal peso di vecchi ricordi.
«Charlie, la verità è che non si può comprendere il male dall’esterno. E se una volta ne hai fatto parte, se sei stato la sua mano…» disse, mostrandogli la propria ben aperta davanti alla faccia. «Beh, ci pensi almeno un milione di volte, prima di guadare l’ombra che sta nel cuore degli altri. Capisci cosa intendo?»
Il ragazzo ci pensò su per qualche secondo.
«Hai paura di rivedere com’eri».
Ioan scosse il capo, deciso.
«No. Hai paura che chi eri ti afferri di nuovo. Anche se l’hai respinta, se hai tentato di scacciarla, l’oscurità è sempre lì, in agguato, dentro di te. E se scopri che qualcun altro la porta addosso, devi distogliere lo sguardo, allontanarti. Dimenticare se puoi. Non devi permetterle di riemergere, perché salirà violenta a riprendersi ciò che le hai tolto. Perderai il controllo e…»
Non concluse quella frase: lo sguardo parlava in sua vece. L’orrore per i dettami del vecchio regime, il tormento per le vittime del Vinator che era stato e che aveva scelto di non essere più, la paura che aveva inghiottito molti anni della sua vita. Erano ferite ancora aperte nell’animo del Guardiadraghi.
«Non cercare mai di metterti nei panni di queste persone. Non accampare la scusa che ti serva per combatterli. Dimentica questa fesseria. Se pensi come loro, diventi come loro, anche se continui a negarlo. Ne farai parte e allora, tutto quello per cui avrai combattuto, non avrà più alcun senso» mormorò, versando un’ultima volta la ţuică nei bicchieri. «Non ti so dire se quel che sta accadendo ora è frutto di un problema autentico o di dicerie, se le preoccupazioni del tuo Preside siano fondate. Quel che so, è che troppe volte le persone si fanno trascinare dalle proprie paure. Paura di ribellarsi, paura di guardare la realtà, paura di vivere. Anch’io ho avuto paura. Quindi, accetta un consiglio da chi ci è già passato: pensa bene a ciò che fai e guarda dove metti i piedi».
Bevvero l’ultimo sorso di liquore divisi da sentimenti contrastanti. Ioan pervaso dall’amarezza del proprio passato, Charlie dall’incertezza nel domani.
«Forza, giovanotto. Si è fatto tardi e Ana non mi perdonerà se la lascio sola ad addormentarsi. Senza contare che le guerre non sono un buon argomento per conciliare il sonno» sorrise, inforcando di nuovo gli occhiali.
Uscirono dalla cucina e salirono lungo la scala di legno che portava alle camere.
L’idea che potesse scatenarsi una nuova guerra gli faceva provare una profonda sensazione di disagio. Era un bambino quando la Prima Guerra magica aveva imperversato per l’Inghilterra. Troppo innocente per capire fino in fondo quanto fosse grave la situazione, quanto pericolo si addensasse nell’aria. Ora, da adulto, quasi rimpiangeva di non aver compreso gli eventi di cui era stato in qualche modo spettatore: lo avrebbero aiutato ad essere più preparato.
«Magari diventeremo degli eroi, di quelli che i bambini devono annoiarsi a studiare sui libri e di cui dimenticano il nome dopo il primo rotolo di pergamena dato a lezione» scherzò amaramente Charlie.
«Sì, certamente. Saremo eroi, in una di quelle notti dove le stelle saremo noi due soli: io a raccontare storie ai miei nipoti e tu ai tuoi figli» rispose Ioan, socchiudendo appena la porta della sua stanza. «Loro ci guarderanno ammirati, sentendoci parlare di draghi sputafuoco, di lunghissime pratiche burocratiche e di Pozione Lassativa data all’esemplare sbagliato. E il nostro piccolo pubblico ci ammirerà lo stesso, perché per loro non conterà se abbiamo sbaragliato torme di maghi assassini o se ce ne siamo stati a grattarci il naso in attesa che un Lungocorno finisse di passeggiare su un gregge di pecore. E sai perché non conterà? Perché saremo nonno e padre, e questo, per loro, sarà già eroico».
Ioan parlava dando le spalle all’interno della stanza e non poté scorgere gli occhi di sua moglie riempirsi di lacrime a quelle parole.
«Quando parli così sei peggio di mia madre» brontolò Charlie, imboccando la stretta scala a chiocciola che portava alla sua camera nel sottotetto.


*ţuică: grappa di prugne.


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Capitolo 2
*** Cap. II ***


Cap. II
II

18 luglio 1995, ore 01:43
Maramures, Romania
Sede della Riserva di Protezione dei Draghi
Portico

Aveva solamente finto di salire in camera. Non appena il cigolio del letto dei Varga e le parole sommesse dei coniugi si erano zittite, Charlie era ridisceso in punta di piedi ed era uscito, accompagnato da quel che restava nella bottiglia.
Le assi del pavimento e l’intonaco dei muri del portico emanavano un odore vecchio e polveroso, accogliente. Un aroma di casa, che si mescolava piacevolmente a quello dei boschi, profumati di freddo e resina.
Aveva scovato a tentoni la panca accanto all’ingresso - l’unica che non traballasse in maniera preoccupante - e si era seduto poggiando i piedi sulla balaustra, sprofondando nei suoi pensieri e nelle sensazioni che la notte gli suscitava.
Diventare un eroe.
Come gli era passato per la mente quel pensiero? Certo, agli occhi di Ron lo era sempre stato, era il suo fratello maggiore preferito, a maggior ragione da quando lavorava con i draghi. Il suo caro fratellino non aveva mai mancato di fargli notare quanto quel mestiere fosse “forte”, persino più di quello dello Spezzaincatesimi di Bill. La discussione su chi avesse scelto il mestiere più eccitante aveva generato una diatriba ancora irrisolta tra Ron e Ginny, che però non l’aiutava a venire a capo dei pensieri che lo rendevano insonne.
«L’eroe Charlie Weasley» mormorò tra sé, cercando di immaginarlo pronunciato dalla voce di uno speaker radiofonico o riportato nei titoloni sulla Gazzetta del Profeta.
Aveva un suono davvero bizzarro, ma non avrebbe saputo dire se era anche sgradevole. Forse no. Tuttavia doveva rammentare a sé stesso che chi era stato definito eroe, nella stragrande maggioranza dei casi, non aveva vissuto abbastanza per sapere di esserlo diventato. Una prospettiva deprimente.
«Ioan non ha tutti i torti, c’è modo e modo di fare la propria parte» meditò, buttando giù una lunga sorsata.
Il discorso fatto dal collega, tutto d’un tratto, aveva preso l’aspetto di un allettante quadro domestico. Uno di quelli in cui rivedeva le belle serate della sua infanzia, quando non aveva la minima idea di cosa fossero i pericoli, la paura, e i draghi erano animali giocherelloni che potevi far dormire nel tuo letto, con la sola magia di un sogno ad occhi aperti. Era una bella immagine, piena di dolcezza, tranquillità, spensieratezza, conforto. Quanti bambini avevano dormito, dormivano ed avrebbero dormito beati come lui stesso aveva fatto, tenendosi stretti un pupazzo pieno di corna e rattoppi variopinti? Un pupazzo con un nome, un carattere, una voce, reali anche se immaginari? Un pupazzo ricevuto dalle mani di un genitore. O di un nonno amorevole.
Charlie sorrise, rigirandosi la bottiglia quasi vuota tra le mani. Sì, ce lo vedeva proprio Ioan Varga, seduto davanti ad una torma di nipotini adoranti in attesa dei suoi racconti sulla Riserva ed i suoi colossali abitanti. E davanti a lui, chi ci sarebbe stato? Magari i figli dei suoi fratelli o quelli di Andrea e Helia, se la storia fra i suoi due colleghi avesse avuto quel genere di sviluppi. Dopo tutto, Charlie non aveva mai pensato seriamente di farsi una famiglia.
«Ho dato la mia parola a Silente. Troverò aiuto» disse tra sé, sentendo i dubbi ribollire mentre venivano a galla.
Scolò l’ultimo sorso, per schiarirsi le idee. Ma per ogni pensiero che cancellava, altri cento si affacciavano. Era come cercare di togliere una stella dal firmamento.
Passò la mano sul braccio sinistro, seguendo la linea del tatuaggio con la scritta DRACONARIUS. Ripensò a quando se l’era fatto, spinto da un articolo che parlava del ritrovamento di un vessillo romano raffigurante un drago. Era stato il giorno in cui aveva decretato ufficialmente la creazione di una nuova persona, il giorno che aveva sancito la nascita del suo vero io. Dopo anni passati ad essere “un” Weasley, aveva potuto finalmente gettare le basi per diventare “Charlie”,  per diventare la versione moderna del vessillifero romano che si prendeva cura dei draghi e ne portava le insegne in battaglia. Battaglie per la libertà, per proteggere le persone amate, per difendere un posto da chiamare casa.
Girò lo sguardo intorno. Fuori della Sede, il buio era sembrato denso e piatto, ma dopo qualche minuto la flebile luce di una minuscola falce di luna aveva preso a ritagliare i contorni delle cose. La massa puntuta della foresta, il pendio che scendeva al torrente, i monti più lontani. E il laghetto, sul cui fondo stava certamente dormendo Siglinde. Ogni cosa era immobile, quieta, pervasa da una pace che aveva dell’ultraterreno.
Per quanto Charlie non avesse mai prestato troppa attenzione ai credo professati dai compagni di scuola Nati Babbani o Mezzosangue, riusciva a percepire un che di immanente in quello spettacolo cupo e silenzioso. Ioan lo chiamava alla latina, genius loci, lo spirito del luogo. Diceva che essere in grado di percepirlo significava appartenergli, appartenere alla terra di cui lo spirito era custode.
Non Ottery St. Catchpole con la Tana, non Londra, non l’Inghilterra. La Romania era diventata la sua casa. Quello era il suo posto, la sua terra, il suo mondo. Il luogo dove desiderava essere in quei momenti, mentre la tempesta sembrava addensarsi nelle parole di Silente. Sapeva che nessun luogo sarebbe stato sicuro se la minaccia si fosse palesata, ma tra quelle montagne e quei boschi poteva vivere l’illusione di sentirsi al sicuro.
Invece mettere piede a Londra lo aveva lasciato smarrito, perso in un dedalo di vie dove i nemici si nascondevano dietro a volti anonimi. E quando tutta la città si era addormentata, aveva camminato guardando il cielo per cercare un riflesso della sua amata Romania. Dopo tutto, la volta celeste era la medesima, solo vista da molte centinaia di miglia di distanza. Ma oltre i tetti di Londra lo spazio era ingombro delle luci e del brusio del traffico Babbano. Le stelle, la luna, persino il colore del cielo erano quelli di un mondo distante, a cui sentiva di non appartenere più. A poco erano servite le risate di Tonks, che l’aveva incontrato all’angolo della strada, col naso per aria.
Pur restando profondamente legati, Charlie aveva continuato a sentirsi fuori posto anche con lei vicina. I suoi capelli rosa brillavano nelle ombre dei marciapiedi, attirando gli sguardi dei pochi passanti. Un paio di ragazzi Babbani, dai capelli altrettanto variopinti, il avevano fermati per chiederle dove le avessero fatto quel colore da urlo. Tonks aveva sghignazzato furba, mettendosi fra i due e posandogli le braccia sulle spalle con fare cospiratorio.
«Volete saperlo, eh? Beh, è un segreto segretoso, ma per voi farò un’eccezione» aveva cominciato, facendo cenno di avvicinarsi perché potessero udire la fenomenale rivelazione: «É… magia!»
Quei due erano rimasti impalati mentre loro si allontanavano, piegati in due dal ridere.
A ripensarci in quel momento, seduto sulla panca, sentiva gli angoli della bocca curvarsi verso l’alto.
«La verità è che non ho idea di dove cominciare. Il mio romeno fa schifo; oltre a un paio di tizi del Ministero, conosco poche persone fuori della Riserva. Non so con chi parlare! E a guardarmi, tutto bruciacchiato, masticato e triturato, faccio spavento. Non sono proprio un buon biglietto da visita per l’Ordine» sbuffò ironico.
Aveva detto a Silente che gli strepiti e i divieti di sua madre non gli avrebbero impedito di pensare con la sua testa, per questo aveva accettato di aiutare l’Ordine. Ora però che si trovava faccia a faccia con il compito assegnato, ecco che le magagne saltavano fuori e la spavalda sicurezza che aveva mostrato faceva un bell’inchino mentre tentava la fuga. Con buona pace di quel gufo iettatore di Piton, che pareva averlo previsto.
«Devo constatare, Weasley, che come supponevo l’età non ha portato alcun beneficio alla vostra incapacità di soppesare i pro e i contro delle situazioni. D’altra parte pare sia una peculiarità strettamente Grifondoro» aveva sibilato, astioso come sempre, alla notizia dell’affiliazione sua e di Bill.
Detestava dover ammettere che quell’irritante pipistrello nasone aveva visto giusto: aveva accettato spinto dagli eventi, da valori che sentiva suoi, senza badare a quello che poteva fare concretamente. Per non parlare di Burak: quella sera, accanto alle motivazioni del suo diniego, aveva avanzato l’ipotesi che si fosse sentito spinto ad accettare l’incarico perché affascinato dal carisma di Silente che, presentandosi di persona alla Sede, lo aveva in qualche modo soggiogato.
Scosse il capo, per scacciare quell’idea assurda. Lui non era tipo da farsi manovrare a piacere. Aveva creduto alle parole di Silente perché sentiva che erano vere, perché credeva ai racconti spaventosi di Ron ed al timore nello sguardo di sua madre.
Rimase piegato in avanti, la testa tra le mani. Non era mai stato bravo nelle valutazioni di lungo corso, preferiva riflessioni spicce, pratiche, immediate.
Ad un tratto, ebbe l’impressione di non essere più solo. Nei paraggi gironzolavano mannari ed altre creature magiche, che raramente si avvicinavano. Tese l’orecchio. Una serie di tonfi lievi si allargava nel silenzio della valle. Dapprima appena percettibili, poi sempre più distinti. Andavano verso di lui.
Strizzò gli occhi e dalla notte del Maramures si staccò un lembo sinuoso che scendeva dalla sommità del prato. Osservandolo con attenzione poteva indovinare una vaga sfumatura bluastra ed il luccichio appena accennato delle stelle sulla livrea.
«Siglinde» chiamò sottovoce.
Il drago si avvicinò e protese il muso a cuneo fin sotto il portico. Fiutò l’aria in cerca del punto dove Charlie era seduto. Nessun incantesimo di protezione scattò: l’animale non aveva cattive intenzioni. Al contrario: la femmina era solo in cerca della quotidiana dose di coccole che il morfologista – come gli altri colleghi – le elargiva.
«Che ci fai in giro? Le signorine per bene dormono a quest’ora» scherzò, pizzicandole le creste che le ornavano gli zigomi.
Siglinde gorgogliò sommessamente. Le squame erano tiepide e bagnate, odoravano di erbe acquatiche.
«Fatto buona caccia?» le chiese.
Lei schioccò le mascelle, soddisfatta.
«Meno male che ci sei tu, dragoncella» rise.
Avevano fatto pace solo quel pomeriggio, eppure sembrava che la loro amicizia non fosse stata minimamente scalfita. Averla Schiantata perché non ammazzasse il compagno che le avevano proposto non era stata una bella mossa, ma a quanto pareva, i draghi avevano un’idea del perdono tutta loro. Dopo giorni di sibili e soffi furibondi, la Zaffiro gli aveva rifilato un bel morso sulla spalla ed al tempo stesso lo aveva guarito, macerandolo di saliva. Avrebbe potuto ucciderlo, ma non l’aveva fatto: l’aveva punito. Gli voleva troppo bene per affondare le zanne fino al cuore.
Quella dimostrazione d’affetto l’aveva colpito profondamente.
«Sono contento che tu sia qui. Ci sono notti in cui non so proprio con chi parlare, perché parlo solo con te. Dei miei dubbi, delle mie paure. Di queste cose qui» le confidò, poggiando la fronte sulla punta del naso squamoso. «D’altra parte con chi potrei farlo? Con Stefan? Ioan? Hanno già vissuto una guerra, non hanno voglia di rivangare il passato. Ioan me l’ha detto anche prima. Burak? Liquiderebbe tutto con un “non farti problemi, non pensarci”. Helia? Poliana? No, è fuori questione. Non potrei parlarne nemmeno con Andy. Insomma… non ce la farei a restare serio e poi Andrea comincerebbe a dirmi quanto è perso per Helia, direbbe che senza di lei non potrebbe vivere e robe simili e per questo vuole aiutarmi, e mi toccherebbe stare zitto. E poi, parlare… non è proprio il termine giusto con te. Sei un drago, non parli, ma capisci lo stesso quello che voglio dire. Anzi, forse tu mi capisci meglio di loro. Tu percepisci quelle cose che non so a tirar fuori, quelle… sensazioni, quei sentimenti che non riesco a tradurre. Vero?»
La Zaffiro si limitò a fissare il morfologista, il muso a cuneo a breve distanza dal volto lentigginoso. Il suo respiro gli scompigliava le ciocche sulla fronte, pareva accarezzarlo.
«Meno male che ci sei tu, dragoncella» ripeté, scendendo con un balzo nel prato.
Lo sguardo cadde sulla macchia pallida della cicatrice sul fianco della creatura. Erano passati alcuni anni dal giorno in cui Siglinde aveva perduto la madre e l’ala destra. Le aveva aggredite una Spinata, la stessa che avevano portato ad Hogwarts l’inverno precedente e si era meritata il soprannome di Isterica, dopo la performance con Harry Potter.
Ripensare al passato della Zaffiro gli riportò alla mente le vicende del Tre Maghi, che era appena riuscito ad accantonare.
«Come si fa, Siglinde? Come si supera la perdita di una persona cara?»
Charlie non sapeva darsi pace. Il volto di quel ragazzo continuava a passargli davanti agli occhi. Conosceva la famiglia Diggory: suo padre e Amos erano grandi amici e lui aveva visto Cedric ruzzolare giù dalle colline quando era piccolo, riempiendosi di graffi mentre giocava con tutta la torma Weasley. Ora era come guardare una vecchia foto, dove una delle persone ritratte era rimasta fuori campo per errore. Se ne intuiva la presenza, ma materialmente non c’era. E quell’assenza, quel vuoto, gli dava i brividi.
«Cosa farei se dovesse succedere a me? Se qualcuno della mia famiglia venisse a mancare per mano di quel mago?»
La creatura non rispose. Se ne stava di fronte a lui, fissandolo in silenzio, bella e ieratica come le statue degli dei d’Egitto che avevano affascinato il Guardiadraghi due anni prima.

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Capitolo 3
*** Cap. III ***


Cap. III
III

18 luglio 1995, ore 02:23
Maramures, Romania
Sede della Riserva di Protezione dei Draghi
Laghetto davanti alla Sede


Il Guardiadraghi si fermò, levando il viso alle nubi che passavano lente sopra la sua testa. La luce argentea di quell’artiglio nel cielo ne segnava a malapena i contorni, ma Charlie riusciva a distinguerne i veli sottili sparsi sopra la vallata. Un refolo d’aria fredda saliva dal pendio, portandogli la nota pungente del sottobosco e facendo rabbrividire la superficie dell’acqua.
Aveva deciso di accompagnare Siglinde fino al laghetto dove riposava, nella speranza che quattro passi riuscissero finalmente a scacciare la ridda di pensieri che gli rimbombava in testa. Aver bevuto quasi mezza bottiglia di ţuică non l’aveva aiutato e per restare dritto doveva sorreggersi al fianco del drago.
La Zaffiro si era fermata a sua volta, sedendo sui posteriori, la coda elegantemente avvolta attorno alle zampe. Non sembrava aver molta voglia di andarsene a dormire. Charlie barcollò per qualche passo, dandole le spalle. Chiuse gli occhi, ignorando il mondo che girava sotto i suoi piedi e lasciò cadere indietro la testa, inspirando con calma. Allargò le braccia, per sentire la brezza scorrergli intorno. Un attimo dopo, anche l’ala di Siglinde era distesa e fremeva nel catturare la debole corrente.
Weasley si girò un poco per osservarla. Anche lei teneva il capo sollevato e gli occhi socchiusi: intravedeva il luccichio dell’iride fra le palpebre violette. Lo stava imitando.
Sorrise e tornò a volgersi al fondovalle.
«Bill dice che i draghi non hanno un’anima. Non come la nostra. Io invece credo di sì. Anche tu devi aver sofferto: hai combattuto per salvare tua madre da Isterica, Andrea e Helia me lo hanno raccontato un miliardo di volte» disse, ripensando la grossa cicatrice su cui aveva tenuto la mano fino a pochi attimi prima. «Non succedono queste cose a chi scappa, a chi lascia indietro gli altri. Mia madre dice sempre che “se vuoi regalare del miele, devi essere disposto a farti pungere dalle api per prenderlo”. È così che va di solito, no? Bisogna prendersi dei rischi» le disse, parlando però più a sé stesso.
Valeva la pena sacrificarsi, in un modo qualunque, per un futuro senza paure? L’ipotesi di Varga era così invitante eppure così stonata. Lui che aveva combattuto prima con e poi contro il regime rumeno, ora se ne stava lontano, in quei luoghi sperduti, e non per non dover fare i conti con un passato scomodo. Era lì per avere una speranza. La speranza di essere un uomo qualunque, libero. Ne aveva abbastanza di mani altrui allungate sul suo destino. Ciò nonostante, Charlie era convinto che Ioan sarebbe tornato a combattere, se il ritorno di Colui-che-non-doveva-essere-nominato avesse toccato la sua famiglia. Pregava di non doverlo fare, sperava di non dover mai più combattere, ma nei suoi occhi aveva letto il dubbio d’essere in errore.
Charlie stava ancora riflettendo, quando il muso del drago scivolò lungo il suo fianco. Era una strana, lunghissima carezza. Aveva l’impressione che una grande coperta di cobalto lo proteggesse dai cattivi pensieri fatti fino a poco prima. La Zaffiro si mosse dietro di lui, stendendosi nel prato che cominciava ad inumidirsi di rugiada. Le zampe palmate si allungarono nell’erba, producendo un fruscio sottile.
«Grazie, piccola» mormorò prendendola per un corno e scuotendola leggermente.
Con un guizzo rapido, Siglinde circondò Charlie con il collo e diede uno strattone, trascinandolo contro di sé. Il Guardiadraghi fece un risolino strozzato, lasciandosi cadere a terra. Sotto le squame morbide del petto sentiva i battiti possenti del cuore del rettile. Un ritmo dolce, tranquillo e  rilassante, che gli ricordava l’andirivieni delle onde del mare. Era una specie di ninnananna ed il giovane percepì chiaramente una gran pace riversarsi nel suo animo.
«Ma come siamo affettuose, stasera. Ti sembro così depresso da meritare d’essere trattato come un piccolo appena uscito dall’uovo?» le domandò, fingendosi offeso mentre si sistemava meglio fra le sue zampe.
Il drago rispose leccandogli il viso, quasi avesse compreso le sue parole. La lunga lingua tiepida risaliva dal mento fino alla tempia sinistra per poi ridiscendere. Le punte gli solleticavano l’orecchio ogni volta che lo sfioravano.
Doveva ammettere d’essere molto fortunato. Siglinde era la sola a manifestare certi atteggiamenti con gli esseri umani. Nessun altro drago della Riserva – e presumibilmente del mondo intero – avrebbe mai riversato simili attenzioni su una creatura di un’altra specie. Burak si era raccomandato spesso di evitare di renderla “domestica”, ma per quanto avessero tentato, alla fine era stata lei a decidere come gestire i loro rapporti. Si sentì come i protagonisti di alcune vecchie leggende di cui parlava talvolta Stefan, il suo capo. Dal bacino del Mar Nero e fin sulle coste del Baltico, si udivano storie dove bambini abbandonati nelle foreste venivano adottati dalle femmine di drago. Una volta cresciuti, i bambini divenivano cavalieri, principi o grandi stregoni, a seconda delle versioni. E tutti portavano un drago come insegna o, in alternativa, ricevevano dalle madri adottive parte della livrea, delle corna e degli artigli, per farne la propria armatura. O parte del proprio cuore per il nucleo della bacchetta, nel caso dei maghi. Secondo Stefan, era stata la figura del Draconarius ad aver permesso alla fantasia popolare di sbizzarrirsi, dando origine a quelle storie. Per Charlie era il contrario: credeva che l’esistenza di quei miliziani e dei draghi che accudivano fosse stata la naturale evoluzione di eventi realmente accaduti.
Guardò la Zaffiro, che se ne stava col muso poggiato sulle sue gambe.
«Sei davvero fantastica, lo sai?» sospirò, pizzicandole le creste degli zigomi.
Dietro di loro si udirono i tonfi sordi della coda che sbatteva sul prato.
«Un certo Rolf Scamandro farebbe carte false per essere al mio posto, potrei scommetterci mille galeoni a occhi chiusi» osservò divertito mentre si stiracchiava.
Era indeciso se attribuire la strana sensazione di ilare beatitudine che provava in quel momento all’alcol, al sonno o alla stanchezza in generale. O alla presenza di Siglinde. Cominciava a sentirsi stranamente bene, lì, accoccolato contro la sua amica. Il respiro lento del drago lo cullava, la vallata silenziosa gli parlava di casa e amici vicini, la notte lo invogliava a sogni tranquilli.
«Non so se Ioan ha ragione. Forse sì. Forse il mio aiuto si fermerà su queste montagne e un domani sarò comunque un eroe anche senza aver mai combattuto davvero. Ci sarà qualcuno che troverà straordinario quello che faccio, almeno quanto è straordinario per me. Sarò il Draconarius, l’amico dei draghi, quello che se ne sta a chiacchierare a notte fonda con una bellissima Zaffiro di Santorini che mi lecca e mi accudisce come se fossi il suo cucciolo preferito» disse d’un tratto. «Non so se ci tengo ad incrociare la bacchetta con i Mangiamorte. Fino ad oggi credevo di sì. I miei zii l’hanno fatto e l’hanno pagato con la vita. Diggory pure e ha fatto la stessa fine».
Non parlò più per quello che parve un tempo infinito, durante il quale la finissima falce di luna giunse a sfiorare le cime degli alberi.
Levò lo sguardo sul muso del drago, che ora si stagliava bordato d’argento contro la boscaglia.
«Che dici, Siglinde? Diventerò anch’io un eroe? Un eroe qualunque, di quelli che incontri per strada e nemmeno sai che sono degli eroi?» le chiese.
Gli risposero un soffio ed una serie di bassi schiocchi. Se aveva interpretato bene, si trattava del richiamo per riunire il branco per il letargo. Insomma, gli stava chiedendo di andarsene a letto, come aveva già suggerito Ioan.
A malincuore, il giovane si alzò e seguì la Zaffiro di Santorini fino alla pozza.
«Starai ancora con me quando avrò bisogno di parlare a vanvera? Perché, ti avviso, se non torni a farmi compagnia allora vengo io da te. Anche in fondo al laghetto» l’avvertì.
Siglinde disegnò un ampio cerchio nell’acqua e scomparve per un attimo, riemergendo poco più in là. Si avvicinò nuovamente a Charlie, per un ultimo saluto.
Lui tese la mano, pronto pizzicarle di nuovo le creste o a darle quel bacio alla biforcazione della lingua com’era loro abitudine.
Un poderoso schizzo d’acqua proruppe dalla gola del drago, lavandolo da capo a piedi.
Siglinde grugnì divertita, tornando ad inabissarsi.
Un Charlie grondante rimase a fissare inebetito la scia di bollicine che scompariva.
«Lo prendo per un sì».




Avrei voluto postare questo capitolo domani sera, ma visto lo spostamento del server, ho preferito anticipare.
Eccovi il giudizio del giudice del contest, xela182:

Secondo posto, medaglia d'argento, 39,8 punti
Ely79, "Diventeremo eroi?"

Grammatica e stile: 5/5
Dire che non ho trovato errori rilevanti è riduttivo; non ci sono! E se ci sono si sono nascosti bene!
Scherzi a parte, lo stile è perfetto, fluido e sereno, mi vedevo accanto a Charlie, anche se non sono mai stata in Romania e hai adattato perfettamente il modo di scrivere al soggetto.

IC: 5/5
Charlie non è uno dei protagonisti, certo, ma ho riletto più volte le parti del quarto libro, quando appare e credo che tu abbia centrato il personaggio.
forse meno fine del fratello maggiore, ma alla mano, affabile e soprattutto appassionato a quello che fa, che si tratti di draghi o di ideali. I dubbi che ha sono legittimi data l'età e il rischio della missione ma traspare soprattutto la voglia di restituire la libertà che lui probabilmente ha trovato nella sua dimensione.

Canzone: 13/13
Tutte e tre le citazioni si amalgamano perfettamente nel tuo meccanismo, tanto che ho faticato per trovarle; mi è piaciuta in particolare la seconda che fa capire quanto stia bene Charlie in quel mondo, seppur lontanissimo dalla famiglia e seppur non ne abbia una sua.

Originalità: 5/5
Il personaggio è indubbiamente uno dei meno noti e forse meno usati, almeno così magistralmente, e l'hai colto in un momento di profonda riflessione che dai libri non traspare.
Viene detto che lui ha accettato senza esitazioni, ma sappiamo che non può non avere dei dubbi uno assennato come Charlie.

Giudizio personale: 1,8/2
La descrizione della sua vita quotidiana mi ha messo una pace interiore che non immagini, una persona che ha trovato tutto ciò a cui aspirava e le sue perplessità le ho trovate molto attuali; il solito conflitto tra ciò che è giusto e ciò che è comodo che hai descritto alla perfezione.

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