Lex - The two kings

di ailinon
(/viewuser.php?uid=10008)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CAPITOLO 1 – REGGENTI ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO 2 – IO SONO MORDRED ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO 3 – NOVITA’ ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO 4 – PARANOIE ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO 5 – SALVATORE ***
Capitolo 6: *** CAPITOLO 6 – UDIENZE ***
Capitolo 7: *** CAPITOLO 7 - FAZIONI ***
Capitolo 8: *** CAPITOLO 8 – IRRETIRE ***
Capitolo 9: *** CAPITOLO 9 – ANIMALI ***
Capitolo 10: *** CAPITOLO 10 – LA MORTE DI MORDRED ***
Capitolo 11: *** CAPITOLO 11 – LA GUERRA DELLE DONNE ***
Capitolo 12: *** CAPITOLO 12 – CAPO ***
Capitolo 13: *** CAPITOLO 13 – ALLA TAVOLA ROTONDA ***
Capitolo 14: *** CAPITOLO 14 – IL TRATTATO ***
Capitolo 15: *** CAPITOLO 15 – IL SICARIO ***
Capitolo 16: *** CAPITOLO 16 – VERITA’ E BUGIE ***
Capitolo 17: *** CAPITOLO 17 – MOTIVAZIONI ***
Capitolo 18: *** CAPITOLO 18 – DESIDERI ***
Capitolo 19: *** CAPITOLO 19 – COLUI CHE NON SI PUO’ NON AMARE ***
Capitolo 20: *** CAPITOLO 20 – JEUX ENTRE LES CHEVALIERS ***
Capitolo 21: *** CAPITOLO 21 – AVVICINARSI ***
Capitolo 22: *** CAPITOLO 22 – MORGAUSE ***
Capitolo 23: *** CAPITOLO 23 – LEGAMI ***
Capitolo 24: *** CAPITOLO 24 – I DUE RE ***
Capitolo 25: *** CAPITOLO 25 – GRAALDALIS ***
Capitolo 26: *** CAPITOLO 26 – NOTIZIE O AVALON ***



Capitolo 1
*** CAPITOLO 1 – REGGENTI ***


LEX - THE TWO KINGS

LEX - THE TWO KINGS

 

CAPITOLO 1 – REGGENTI

 

Discosto dietro le tende che lo dividevano dal salone della tavola rotonda, Mordred osservava quell’assembramento di cavalieri perplessi quanto lui.

Dopo giorni dalla scomparsa del grande re, c’erano ancora alcuni cavalieri che lo accusavano di averlo fatto sparire, insieme al suo braccio destro Lancillotto del lago.

Per questo non aveva ancora osato richiedere per sé quel trono che, in fondo, gli spettava di diritto.

Alcuni cavalieri avevano proposto a Gawain, suo fratello, di prenderlo quel trono, ma questi, troppo onesto, aveva sorvolato dicendo che lui avrebbe aspettato il ritorno di Artù e Lancillotto per sempre. Anzi, era stato il primo a organizzare le ricerche.

Altri dicevano che era stato lo scomparso Merlino a portare via Lancillotto e il re, prima che si uccidessero a vicenda per Ginevra.

Ed ora eccola lì, la loro svampita regina ad organizzare quel raduno dei cavalieri della tavola rotonda.

Mordred aveva il vago sentore che fosse stata sua zia Morgana a spingerla a quelle azioni dato che, dalla scomparsa di Artù, le due non si erano separate un attimo.

Sembravano trovare conforto l’una nell’altra.

Stupendo tutti, la regina avanzò fino alla tavola e impose il silenzio con un gesto delle mani.

Morgana le era al fianco, ed entrambe indossavano splendidi abiti di broccato così da dimostrare a tutti il loro alto rango.

«Prego, sedetevi cavalieri» impose la voce della fata, vedendoli tentennare.

Morgana si voltò anche verso di lui, come scoprendolo anche dal suo nascondiglio: «Tutti» sottolineò.

Mordred si sistemò la spada al fianco prima di entrare nella sala, ed avanzò impettito.

Come previsto, si levò un brusio di commenti al suo passaggio. Commenti di qualunque tipo. Ora sembrava che tutti lo notassero, quando prima nessuno lo faceva.

Sedette al suo posto, sopportando l’occhiata corrucciata di Kay e il cenno di saluto di Bedivere. Ne fu stupito.

 Morgana squadrò i cavalieri uno ad uno e, in vece di Ginevra, ne ottenne di nuovo il silenzio. «La regina vuole parlarvi. Ascoltatela» ordinò. La stessa voce autoritaria del fratello.

Ginevra chinò graziosamente il capo per ringraziarla, e quindi si fece coraggio: «Voi sapete che mio marito, il grande re, è scomparso da quasi un mese insieme a Lancillotto»

«Il vostro amante» sibilò qualcuno, facendola bloccare.

 «Le prove non sono mai state verificate!» ribatté il cugino di Lancillotto, Lionel, sporgendosi in avanti.

«Si, perché il re è scomparso» ribatté Agravain cupo.

 «Insieme a mio cugino!»

«Guarda caso però questa scomparsa favorisce voi delle Orcadi!» urlò ser Bors, sdegnato.

 «Come osate?! Gawain non sta forse cercando ora il re?!» gridò Gaheris, sbattendo un pugno sul tavolo.

Mordred vide il bicchiere davanti a lui sobbalzare. Che scenetta divertente; era curioso di vedere come sarebbe andata a finire. Cosa aveva in mente di fare sua zia.

Ginevra s’intromise: «So bene che non vi fidate più di me, come regina, a causa di questa…» deglutì: «Diceria. Quindi, dopo che avremo preso una decisione, ho deciso che io e la mia dama Morgana, ci ritireremo in un luogo santo, in pace»

Un’altra ondata commenti si sollevò a quelle parole. Ma il più dei commenti fu positivo e la bionda regina ne fu sollevata.

Sbirciò Morgana e questa le sorrise dolcemente. Il più era fatto.

«Ma prima di andarmene, dovremo decidere a chi lasciare le redini del regno mentre manca il grande re»

Stavolta i commenti dei cavalieri eruppero come un boato. Tutti protestavano, proponevano e litigavano.

Ginevra non riuscì in alcun modo a riportare la calma fin quando ser Bedivere non si alzò e sbatté il pugno sul tavolo, tanto forte che molti temettero per la tavola rotonda.

 «Silenzio!!» tuonò, e quando lo ebbe ottenuto, cercò lo sguardo smeraldino di Kay. Il siniscalco si strinse nelle spalle, muto. Appariva rassegnato da quando il sovrano se n’era andato.

Bedivere stirò la bocca in un’espressione seccata, poi tornò a parlare: «Parliamoci chiaro. Tutti voi sapete che il grande re aveva in realtà posto alcuni di noi su piani più elevati di altri. Lancillotto, il suo primo cavaliere, era il secondo dopo di lui»

 «Ma Lancillotto è sparito con lui» aggiunse Kay, come irritato.

Bedivere proseguì: «Poi Gawain, suo cugino»

 «Gawain rifiuta il trono» ricordò Gareth, con cortesia.

Bedivere annuì: «Quindi ci sono solo i parenti di sangue del re» e nel dire quelle parole, guardò Mordred.

Stupefatto, il bastardo di Camelot si trovò a fissare il connestabile a bocca aperta. Da quando Bedivere teneva per lui?

Gli epiteti che si levarono dalla sala furono i soliti. Bastardo! Incesto! Abominio…

Gli volevano tutti un gran bene insomma.

Bedivere emise qualcosa simile a un ruggito, ma fu Kay a saltare in piedi come un grillo: «So bene che non vi fidate di Mordred» urlò sugli altri: «Non mi fiderei neppure io, ma l’unica cosa che vuole è il trono, ed ora è libero. Diamoglielo e vediamo come si comporta! E se sbaglia, possiamo sempre scannarlo e sceglierne un altro!»

La tirata di Kay azzittì tutti. Il siniscalco si risedette con un gesto brusco, come infastidito da tutte quelle inutili discussioni. «Artù non c’è più… Allora tanto vale che vada tutto come vuole…» sbottò sconsolato, girando il viso.

Bedivere gli posò una mano su una spalla, aggiungendo: «Mordred è figlio di Artù… In qualche modo. Magari è meglio di quel che sembra» concluse poco convinto.

Mordred sbatté le palpebre.

Figlio di Artù.

Alla fine qualcuno aveva osato dirlo ad alta voce. Anche se la parte dello scannarlo non gli era piaciuta molto, era il meglio che avesse mai ottenuto in quei suoi venticinque anni di vita. Poteva festeggiare.

I cavalieri parlottarono un po’ tra loro, soppesando Mordred con occhiate torve. In fin dei conti nessuno conosceva bene quel principe. L’avevano evitato tutti.

Beh, potevano sempre provare… O scannarlo.

Solo i galli non erano per niente convinti.

Bors scattò in piedi: «Lancillotto era la nostra guida, ed è scomparso con Artù! Noi non ci fideremo di un cavaliere come Mordred» protestò, quasi sputando il suo nome.

Sempre gentile il caro Bors, pensò Mordred fingendo indifferenza.

 «E se aveste una garanzia?»

Fu zia Morgana a intervenire a suo favore, con quelle parole.

Bors guardò la fata come avesse davanti una mostruosa strega.

 «Che garanzia?» interrogò Lionel.

«Uno di voi sarà il secondo reggente della Bretagna unita. I due re sceglieranno ogni cosa insieme, prima di proporla alla tavola rotonda»

Stupefatti i cavalieri si guardarono. «Due re? E chi sarà il secondo con Mordred?»

Morgana alzò un braccio e allungò un affusolato dito verso il seggio vuoto tra loro.

Il seggio periglioso.

 «Galahad» ci fu un brusio di approvazione e accenni di assenso.

Mordred rischiò di strozzarsi con il brindisi che stava facendo.

Galahad!?

***

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** CAPITOLO 2 – IO SONO MORDRED ***


CAPITOLO 2 – IO SONO MORDRED

CAPITOLO 2 – IO SONO MORDRED

 

Mordred decise che doveva dire due paroline a sua zia che, prima lo illudeva di far diventare re e poi gli affibbiava quella piattola di Galahad alle calcagna.

Che cosa aveva avuto in mente quando aveva ordito tutto quel piano? Perché era chiaramente un’idea sua (o forse di sua madre?). Ma la  cosa più sconvolgente era: come aveva convinto anche Bedivere e Kay?

Misteri delle donne decretò tagliando corto, mentre entrava negli appartamenti riservati alla gente delle Orcadi.

I suoi fratelli lo accolsero con grandi abbracci e pacche sulle spalle. Il vino girava a fiumi e tutti stavano festeggiando.

Principe Mordred lo chiamarono. Roba da ridere.

«Finalmente ce l’hai fatta!» esclamò Gaheris felice.

Gareth lo abbracciò fiero: «Re Mordred!»

Davanti agli occhi gentili del fratellino, Mordred provò quasi una lieve emozione.

Sapeva che tra tutti solo Gareth era sempre sincero.

 «Chissà che dirà Gawain di questo…» rispose pensieroso.

 «Che deve dire? Sarà felice!» ribatté Agravain, cingendogli le spalle.

Mordred si sciolse da lui e andò a sedersi su uno scranno. Non era così certo che il fratello maggiore avrebbe accolto bene quella notizia, ponderò cupo.

Agravain e i gemelli lo scrutarono, dubbiosi. Non capivano come mai il giovane non stesse festeggiando e invece, se ne stesse lì cupo.

«Insomma! Non startene lì a quel modo! Dovresti festeggiare!» sbottò Agravain, piantandosi le mani sui fianchi.

All’occhiata annoiata di Mordred, il fratello lo afferrò per un braccio ed affermò: «E’ tempo che tu prenda possesso dei tuoi diritti (mentre i cavalieri te lo permettono). Non puoi stare qui con noi»

 «Cosa intendi

«Sei il re, no? Ebbene hai delle stanze solo per te, ora!»

Mordred impallidì. Parlava delle stanze di Artù? Avrebbe dovuto andare a dormire negli appartamenti del padre?

Non era sicuro che la cosa gli piacesse molto. Era il contatto più ravvicinato che  avesse mai avuto con lui, col sommo re, in tutta la sua esistenza.

Beh salvo non si tenesse buona anche quella volta quando il padre aveva tentato di affogarlo (ma forse quella era meglio non calcolarla).

Agravain si piazzò davanti a lui e studiò le diverse emozioni che scorrevano sul volto del fratello. Per chiunque altro Mordred sarebbe apparso assolutamente apatico, ma lui ormai lo conosceva da anni, e lo sapeva leggere come fosse un libro aperto.

E infatti lo fraintese.

 «Non preoccuparti, nessuno oserà protestare se ti scorteremo tutti noi! E poi quelle stanze ti aspettano di diritto!»

E siccome Agravain non era uno che si perdeva in ciance, afferrò Mordred e se lo trascinò dietro per tutto il castello, con una scorta decisamente poco regale, fino agli appartamenti del monarca.

Trovarono ser Kay e alcuni valletti intenti a riassettare le stanze.

Il siniscalco accolse i principi con una smorfia depressa: «Non avete perso tempo»

Agravain si guardò attorno con aria soddisfatta e superiore: «Neanche voi, bravi. Mio fratello, il re, si trasferirà qui già da stasera»

Mordred si guardò attorno. La stanza era magnifica, con un’ampia finestra da cui si poteva ammirare tutti i tetti di Camelot. Tutto era grande e lussuoso, come lo stesso letto di Artù. Un magnifico baldacchino a due piazze, con coperte di piuma d’oca e lana.

Incrociando lo sguardo ostile del siniscalco, Mordred si ricordò che adesso era lui il re: «Grazie per il tuo lavoro, siniscalco» disse con quanta dignità aveva: «Adesso potete andare»

I valletti s’inchinarono e si affrettarono ad obbedire. Tutti tranne che Kay hir e i fratelli delle Orcadi.

Mordred li squadrò con un’occhiata dura: «Tutti!»

Sorpresi i parenti si guardarono tra loro: «Non intenderai anche noi?» parlò Agravain, che si era già messo a curiosare per la stanza.

Mordred fece una cosa che non faceva da anni. Sorrise.

Il sorriso pericoloso di un serpente: «Non vorrai dormire con me vero Agravain? E’ una cosa che non facciamo da anni. O hai ancora paura del buio?» sibilò.

Il volto del fratello divenne paonazzo. Si gettò il mantello su una spalla, ed indignato si rivolse agli altri: «Andiamocene! C’è chi si è montato la testa e ha dimenticato da dove viene»

Mordred li lasciò andare via, senza voltarsi, poi mormorò: «Affatto… Vengo dal mare e dalla torba»

 «Ed è bene che lo ricordi sempre»

Voltandosi come un felino, Mordred vide che ser Kay era rimasto a fissarlo dalla porta.

I due si squadrarono sospettosi.

Le parole che aggiunse il rosso Kay, furono come una pugnalata al cuore: «Non sarai mai Artù»

Il moro serrò i denti tanto da  farsi male alle gengive. «E non pretendo di esserlo. Io sono Mordred»

Il siniscalco lo guardò ancora, in silenzio, con i suoi occhi verdi profondi come quelli di un gatto: «Ti farò portare le tue cose qui» poi chinò il capo: «Buonanotte»

Mordred lo imitò, e restato solo, si voltò a guardare fuori dalla finestra la notte che scendeva sulla bella città creata dal re.

I fuochi si accendevano sulle merlature di guardia, e nella belle case di pietra e legno. Lungo le strade pulite e nelle locande animate.

La bandiera del grande drago sventolava ancora sulle alte torri nonostante il sommo re non ci fosse più.

E Mordred si chiese da quanto tempo avesse il coraggio di pronunciare fieramente il suo nome.

***

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** CAPITOLO 3 – NOVITA’ ***


CAPITOLO 3 – NOVITA’

CAPITOLO 3 – NOVITA’

 

Grosse gocce di pioggia avevano preso a cadere trasversalmente contro le mura del castello e sulla città addormentata di Camelot. Era in quella notte fredda e tormentata dal vento proveniente dell’oceano del nord, che giunsero alle porte della città un gruppetto sparuto di cavalieri.

 «Chi è là?» interrogò la guardia al cancello, scrutando nel buio.

«Non riconosci più gli amici, ser Lucan

Eruppe il primo degli sconosciuti, mostrando lo scudo con la stella a cinque punte al custode d’accesso delle porte di Camelot.

 «Ser Gawain?» chiese la guardia cercando di distinguere anche gli altri scudi, nel buio appena rischiarato dalla torce.

Il principe ereditario delle Orcadi alzò la celata, sfilandosi poi l’elmo dalla testa.

 I suoi capelli fulvi brillarono alla luce.

«Apri Lucan o vuoi farci arrugginire qui sotto questa pioggia?»

Ser Lucan obbedì subito, ordinando alle guardie sui cancelli di aprire la strada per il castello, poi si sporse verso Gawain.

 «Ci sono novità?»

Sconsolato il principe scosse la testa, e fu Lucan a parlare prendendogli le redini del cavallo: «Qui invece ce ne sono molte»

Gli occhi di Gawain brillarono speranzosi: «Artù?»

 «No, ma comunque grosse novità. Andate, andate subito. Ser Bedivere o i vostri fratelli vi riferiranno tutto»

Perplesso Gawain annuì mentre l’altro si inchinava. Alzò una mano e fece cenno alla sua torma di rimettersi in marcia.

Spronando i cavalli al trotto si avviarono lungo la strada pavimentata che conduceva al castello.

***

 Gawain si tirò via dal viso i capelli bagnati con un gesto della mano libera dai guanti. Porse il mantello fradicio a un valletto e subito chiese di vedere ser Bedivere.

«Lo facciamo subito chiamare» rispose un paggio, correndo via.

Il gruppetto di cavalieri attese in una delle sale del castello, assiepandosi attorno al allegro fuoco che scoppiettava nel grande camino istoriato.

Tutti erano stanchi e infreddoliti, ma più di tutto erano delusi.

Di Artù e Lancillotto non avevano trovato alcuna notizia malgrado le loro ispezioni in tutti i paesi vicini. Nessuno aveva visto nulla del re e del suo miglior cavaliere. E Gawain cominciava a pensare che fossero davvero tornati ad Avalon, dato che anche Excalibur era sparita con loro.

“E nessun usurpatore avrebbe fatto sparire Artù senza ripresentarsi con Excalibur in mano. La spada simbolo del potere del re…” pensò, poggiandosi al camino.

Era talmente immerso nei suoi ragionamenti che non udì il ragazzo che gli si era avvicinato, fin quando non lo sentì starnutire. Sorrise.

«Anche se dormi un po’ non cadrà il mondo, ragazzo mio. Va pure a letto. Verrò io stesso a riferirti le novità, domani mattina»

Il giovane cavaliere davanti a lui tentennò incerto, poi comprese che le parole del cavaliere delle Orcadi erano dettate dal buon senso e annuì.

 «Con il vostro permesso, andrò allora a riposare qualche ora, signore»

Gawain gli batté una mano sulla spalla: «Vai con la mia benedizione e non con il mio consenso, amico mio»

Il ragazzino chinò il capo biondo e se ne andò seguendo un donzello.

Il cavaliere della stella per un attimo desiderò che anche i suoi fratelli fossero così saggi, ubbidienti e ottimi cavalieri come quella figuretta candida che si allontanava. Ma forse anche quel merito aspettava al miglior cavaliere del regno, Lancillotto, e a suo figlio.

***

Il cavaliere dallo scudo bianco rossocrociato raccolse la sua bisaccia e seguì il paggio che compostamente gli indicava la strada con una lanterna.

«Prego, per di qua mio signore» mormorò il donzello, facendogli strada nei labirintici corridoi di Camelot. «Sarete stanco per le lunghe ricerche»

Galahad annuì distrattamente. Si, era tanto che cercava suo padre.

Da quando era nato.

Eppure questi gli sfuggiva sempre, come avesse paura di confrontarsi con lui. Di specchiarsi nel suo viso. Nel suo nome. Lo stesso.

Eppure molti dicevano che si somigliavano. Perché avere paura di stessi?

«Ecco le vostre stanze, mio signore, spero che vi troverete bene»

Galahad si guardò attorno, perplesso. Col suo pensare non aveva badato al paggio (una vera scortesia!), e alla strada che avevano percorso.

Si guardò attorno un attimo, poi chiese: «Perdonatemi, ma queste non erano le mie vecchie stanze prima di partire»

Il paggetto sorrise: «No infatti, signore. Queste sono le vostre nuove, mio signore» e s’inchinò ancora e ancora.

Galahad aveva imparato, al convento, a non pensare mai male di nessuno, ma quel bambinetto doveva essere un po’ bizzarro.

Incerto si guardò attorno ancora una volta poi ripetè: «Siete certo vero?»

Il donzello annuì vigorosamente sorridendo come un ebete, e indicò di nuovo la porta: «Prego»

Il diciassettenne si strinse nelle spalle. Forse la cosa era più semplice di quel che credeva. Forse era arrivato qualche nuovo ospite di rango e il siniscalco aveva dovuto cambiargli di camera tutto lì.

«E’ stato ser Kay ad ordinarlo?» s’informò.

Il paggio assentì vigorosamente: «Ovviamente, mio signore»

Ecco risolto, si disse. E poi era talmente stanco che un letto valeva l’altro.

Ringraziò il donzello ed aprì la porta.

***

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** CAPITOLO 4 – PARANOIE ***


CAPITOLO 4 – PARANOIE

 

Galahad trovò la stanza buia e fredda e provò una fitta al cuore per ser Kay. Da quando era a giunto a corte non gli era mai successo di entrare in una stanza per gli ospiti non scaldata. Il siniscalco di Camelot non dimenticava mai i suoi doveri e ordinava sempre ai paggi di scaldare le stanze. Doveva essere veramente sconvolto dalla sparizione del re per scordare una cosa così importante.

Sapeva che ser Kay era il fratellastro di Artù e che erano molto legati fin dalla infanzia. Gli dispiaceva per lui. E gli dispiaceva per se stesso perché persino due fratellastri erano più legati di lui e suo padre.

Ma non doveva pensare questo, era da irriconoscenti. In fin dei conti suo padre non gli aveva fatto mancare nulla, salvo la sua presenza.

Sospirando posò la bisaccia in un angolo e avanzò a tentoni nella stanza.

Grazie a Dio qualcuno aveva lasciato aperti gli scuri di legno delle finestre, così vedeva una vaga forma degli oggetti, nel buio della stanza.

Il letto a baldacchino era un cubo nero, riconoscibilissimo.

Stando attendo a che non ci fossero oggetti per terra, arrivò fino al letto e vi ci si lasciò sedere sopra.

Il letto si piegò morbidamente sotto al suo peso. Sorrise a quella morbidezza. Forse non aveva poi perso molto nel cambio di stanza, anzi!

Soddisfatto prese a togliersi l’armatura, posando a terra i pezzi, con attenzione.

Che sciocco era stato. Avrebbe potuto chiedere al paggio di aiutarlo a spogliarsi e ad accendere il fuoco. E magari preparargli un bagno caldo. Si sentiva il freddo anche nelle ossa.

Ripensando al donzello bizzarro però, decise che era meglio così. Scostò le coperte e si stese nel letto, sospirando di sollievo.

Chiuse gli occhi e stava per addormentarsi quando si rese conto di una cosa.

Scattò seduto, ricordando che non aveva affatto recitato le preghiere quel giorno.

Uscendo di nuovo dal letto, s’inginocchiò a terra e, cingendo le mani, ringraziò Dio per quella giornata. Chiese la benedizione per tutte le persone che conosceva (in particolare per il donzello con qualche problema) e pregò che suo padre e Artù stessero bene. Quindi si rialzò, tornò a letto, tirò la tenda per ripararsi dal freddo, e piombò nel sonno dei giusti.

***

Il chiarore del sole che si levava fuori dalle finestre della stanza del re, riscosse Mordred dal suo sonno. Lentamente mosse il capo, scoprendo che aveva il collo bloccato per via della posizione scomoda in cui aveva dormito. Aprendo la bocca gli sfuggì un gemito: “Accidenti. Mai dormire su una sedia” pensò: “Per quanto questa appaia comoda”

Sgranchendosi le braccia e la schiena, si diede dell’idiota. Aveva fissato talmente tanto il letto del re, per finire ad addormentarsi su una sedia, davanti ad esso. Era stato ben sciocco ma, il pensiero di dormire nel letto di suo padre lo turbava (anche se non l’avrebbe mai ammesso con nessuno).

E se avesse sentito del suo odore? Come se poi conoscesse bene l’odore di suo padre… Non l’aveva mai neppure abbracciato!

Anche adesso poi, gli sembrava di vedere i suoi capelli biondi spuntare dalle coperte.

No, no, era proprio meglio non pensarci. Avrebbe fatto cambiare il letto appena possibile. Lui era il re, no? Aveva il diritto di farlo.

Alla luce del nuovo giorno, si decise a dare un’occhiata in giro. Alzandosi dalla seria dall’alto schienale, si avvicinò ad un angolo della stanza dove era riposta una cassapanca e una bisaccia.

Per la Dea, non credeva che suo padre, il re insomma, fosse così disordinato.

Ignorando la sacca, aprì la cassapanca e sbirciò all’interno. Abiti di varie fogge gli apparvero nei loro colori sgargianti. Tendenzialmente tutti sul rosso e oro come lo stendardo del drago.

Davvero suo padre era così esibizionista da indossare quegli abiti? Glieli aveva mai visti addosso almeno?

Ah si, questo forse si” ne riconobbe un paio, sforzando la memoria.

Certo è che lui non li avrebbe mai indossati. Ora che era re, si sarebbe fatto fare degli abiti diversi da quelli di Artù. Più sobri ed eleganti e…

Un pensiero lo bloccò.

No aspetta, forse era quello che si aspettavano i cavalieri. Che spendesse e sperperasse e allora… ZACK! Scannato.

No grazie, si disse. Niente abiti nuovi. Preferiva mantenere la sua pellaccia integra. Insomma, era sopravvissuto al mare e non voleva certo morire ora per un velo di seta preziosa.

Richiuse il baule, sedendosi per terra con uno sbuffo. Avrebbe almeno potuto osare fare qualcosa o l’avrebbero scannato in ogni caso? O forse… Forse era proprio un modo per liberarsi di lui. I cavalieri gli davano il trono anche se non l’aveva chiesto e, con quella scusa, se lo toglievano di mezzo.

Bella idea aveva avuto sua zia! Ed ecco spiegato l’aiuto di Kay e Bedivere. E persino quella piattola di Galahad!

Morto lui, avrebbero passato il trono ai celti.

Ah no, se lo credevano così sciocco da caderci si sbagliavano di grosso.

Forse non aveva preso nulla da Artù ma, aveva preso l’astuzia da sua madre. Non si sarebbe lasciato fregare così facilmente, decretò.

Poi però gemette ripensando ai suoi fratelli. Non poteva fidarsi neppure di loro, come poteva pensare di farcela?

Agravain aveva già cercato di comandarlo a bacchetta per sfruttare la sua posizione. Gli unici erano Gareth e Gawain di cui fidarsi. Sempre che fosse riuscito a tirare nella sua fazione anche il fratello maggiore. Con lui al suo fianco, molti cavalieri lo avrebbero aiutato.

Gawain si” decise come prima mossa, rialzandosi in piedi.

Si guardò attorno, chiedendosi come il re potesse chiamare i valletti per la vestizione quando la porta si spalancò di colpo.

Dei cavalieri irruppero nella camera.

In una frazione di secondo Mordred pensò che era già finita; che adesso l’avrebbero ucciso, e arretrò portando istintivamente la mano alla spada.

Stupido! L’aveva lasciata sul tavolo, troppo lontano dalla sua mano.

Voltò il capo per cercarla con lo sguardo quando, un ragazzino in mutandoni sbucò in suo aiuto.

Saltò fuori misteriosamente dal letto e, afferrata la spada che aveva lasciato a terra, la tese verso gli aggressori, urlando: «Chi va là? Che volete?»

Mordred lo fissò incredulo.

Il suo difensore in mutandoni, sbucato dal letto del padre, era Galahad!

***

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** CAPITOLO 5 – SALVATORE ***


CAPITOLO 5 – SALVATORE

CAPITOLO 5 – SALVATORE

 

Tutta la scena di per sé sarebbe stata comica se non per il fatto che tutti avevano impugnato grandi spadoni dal taglio affilato.

Galahad minacciava Kay e Gawain, con a seguito i fratelli, poi Bedivere, Percival e i cugini Bors e Lionel.

Li minacciava per difendere un incredulo e disarmato Mordred, presente nella stanza insieme a lui.

Tutti si guardarono spaesati, poi Galahad abbassò lentamente l’arma: «Che fate qui?» ripetè piano.

E scoppiò il finimondo.

 «Che fai tu qui?» chiesero Percival e Bors, poi lo fece anche Mordred, Gawain e Bedivere che li scrutava ad uno ad uno.

Kay non riuscì a trattenere una risata: «Sono stato io!» esclamò, e alla faccia sconvolta degli altri decretò: «Avete voluto che loro due fossero i nostri due re, ebbene queste sono le stanze regali, ed è qui che devono dormire» poi sbuffò: «Non pretenderete che organizzi, in una notte, delle altre camere per un re? Non sono Merlino!»

Tutti dovettero assentire che era un impresa decisamente difficile, e nessuno osò protestare di più con la lingua velenosa di un Kay persino di cattivo umore.

Bors guardò il cugino, in mutande e torso nudo e, rosso in volto, sbottò: «Ma non pretenderete che da ora in poi dorma con… Quello!» e indicò Mordred.

Il moro non poté trattenersi dal fargli un sorriso perverso.

Si ricambiava volentieri il suo odio.

«E dove vuoi farlo dormire? Nelle stanze della regina forse?» ribatté Kay hir infastidito.

Bors divenne ancora più paonazzo: «Perché non torna nelle sue stanze, lui?»

 «Perché non ci torni tu?» sibilò Mordred.

«Lui è il re! E starà qui!» lo difese Agravain, per proteggere anche i suoi nuovi privilegi: «E se tuo cugino è così santo, può anche tornare lui, con umiltà, nelle vostre stanze!»

 «Anche lui è il re!» sbraitò Percival, in difesa di Galahad, mentre il figlio di Lancillotto taceva, senza capirci una parola. «E quindi resterà!»

«Io sarei il re?» li interruppe Galahad, perplesso.

Alla spiegazione di ser Kay di quel che era stato deciso dalla tavola rotonda, posò la spada e si passò una mano sul viso stravolto. «Io… Il re? Ma io non voglio essere re»

 «Perfetto. Lascia pure il posto solo a me» sorrise Mordred divertito.

I due si guardarono e il moro si sentì vagamente in colpa.

In fondo Galahad era corso in suo aiuto prima… Ma no, al diavolo, era corso in aiuto di se stesso e basta.

Continuò a sorridere.

Fu Gawain a interromperli: «No. Se la tavola ha decretato due reggenti, due re, voi due lo sarete nell’attesa del ritorno di Artù. E così è deciso»

La voce decisa del principe mise silenzio nella stanza. Tutti erano d’accordo.

Mordred cercò di leggere la delusione sul volto del fratello ma, sembrava esserci solo sollievo.

Incrociando i suoi occhi, Gawain puntò un dito verso di lui: «Forse questa è la tua occasione per dimostrare quanto vali, Mordred. Datti da fare, sono curioso di vedere cosa saprete fare voi due insieme» e girando i tacchi se ne andò, seguito dai fratelli.

Solo i francesi rimasero nella stanza.

«E per quanto riguarda gli appartamenti regali?» insisté Percival.

Kay hir si strinse nelle spalle: «Sono grandi abbastanza per una truppa. E nel letto ci si sta anche in tre quindi, si possono arrangiare!»

«Ma…»

 «Mettiamola così, se si ammazzano qui almeno ci evitano il problema di vederli» ghignò seguendo Gawain.

«Vi mando i valletti» aggiunse dopo, ricordandosi del suo lavoro.

Bedivere roteò gli occhi al cielo e spinse via i celti. «Uscite tutti ora, i reggenti devono vestirsi»

***

Mordred decretò che Galahad aveva dei piedi invadenti. Invadenti e decisamente troppo delicati per un cavaliere.

Per tutto il tempo che avevano atteso che i servitori preparassero un bagno e gli abiti per il loro primo giorno da re, il ragazzino se n’era stato seduto sul letto agitando i piedi freddi, nel tentativo di scaldarseli.

Li aveva prima mossi, dondolandoli davanti alle coperte, poi aveva agitato le dita per ravvivare la circolazione sanguigna. Mordred tuttavia dubitò che ne avesse. Era talmente pallido che sembrava più un fantasma che un ragazzo. O meglio, pallido non era la definizione esatta. Galahad era candido, decretò Mordred rispondendo con qualche banalità alle sue domande cortesi.

Poi aveva preso a sfregarsi i piedi tra loro e infine contro i polpacci esili.

Indossava ancora solo i mutandoni con cui era giunto cavallerescamente in suo soccorso, e sembrava non provare nessun imbarazzo nel mostrare il torace glabro e incredibilmente armonioso.

Solo una piccola croce di legno gli faceva bella mostra sui muscoli scolpiti da un qualche antico artista.

Anche quel dettaglio risuonò sbagliato a Mordred.

I paggi gli prepararono abiti bianchi e rossi. Lui ne chiese neri e blu.

Ignorando i valletti, lui prediligeva il silenzio mentre Galahad non faceva che interrogarli sui loro nomi e sulle loro famiglie.

No, decisamente non c’era nulla in Galahad con cui potesse trovare un punto d’accordo. Proprio nulla.

 «…Pensate che siano in pericolo?»

«Penso che il re sia semplicemente scappato da tutta questa noia» sbottò Mordred, voltandogli le spalle, scrutando fuori dalla finestra, Camelot che si animava.

Come dargli torto.

 «Ma le responsabilità…?»

«Appunto»

Galahad tacque, chinando il capo, pensieroso. Agitò i piedi come un bambino sull’altalena. «Ed Excalibur?»

Mordred fece uno di quei suoi sorrisi che apparivano più un ghigno storto che altro: «L’avrà portata con sé pur di non rischiare di lasciarla nelle mani del suo bastardo»

Colpito da quelle parole acide, Galahad lo fissò a occhi sgranati; poi chinò di nuovo il capo.

«Quindi faremo da reggenti insieme…» Nessuna reazione.

«E dovremo prendere tutte le decisioni insieme…»

 «Così pare»

Titubante il biondo aggiunse: «Avete già idea di cosa fare come re?»

 «Si, ucciderti» sussurrò sottovoce Mordred.

Bastava un po’ di veleno nel vino. Sempre ammesso che lui ne bevesse, meditò, giocherellando con il bordo del tappeto sotto i suoi piedi.

«Come, scusa? Non ho capito» insisté Galahad, agitando quei suoi maledetti piedi.

 «PER LA DEA! CHE VUOI CHE NE SAPPIA IO?! Nessuno mi ha mai insegnato ad essere altro che un bastardo!» sbraitò Mordred, dando un calcio al tappeto su cui stava camminando, sparendo poi nella sala da bagno, sbattendo la porta dietro di sé.

Galahad sussultò, raddrizzando la schiena. Che aveva fatto, per farlo irritare così,  si chiese; e non trovando spiegazione, si strinse nelle spalle.

Temeva che i cavalieri della tavola rotonda sbagliassero su loro due.

Come potevano essere buoni regnanti insieme, prendere decisioni insieme, se non riusciva neppure a intavolare un discorso con Mordred?

Depresso sfregò di nuovo i piedi nudi, poi li allungò sul pavimento di fredda pietra.

Una calda sensazione di tepore gli scaldò la pelle. Colto alla sprovvista, scoprì che il tappeto che Mordred aveva calciato via prima, era andato a scivolare proprio davanti a lui.

***

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** CAPITOLO 6 – UDIENZE ***


CAPITOLO 6 – UDIENZE

CAPITOLO 6 – UDIENZE

 

Camelot aveva le sue consuetudini anche senza la presenza di re Artù, e le consuetudini andavano sempre rispettate. Se la domenica era il giorno dedicato agli eventi straordinari, il giovedì era il giorno dedicato alla giustizia. Era quindi tradizione che il re prestasse udienza per risolvere le diatribe del suo popolo.

Il siniscalco si era trovato a doversi inventare così, una nuova disposizione della sala delle accoglienze in poche ore.

Non un trono ma due seggioloni di elegante broccato rosso, pronti ad accogliere i due reggenti del regno.

Ser Bedivere controllò che i cavalieri della tavola rotonda sedessero ordinatamente nei cori lignei posti ai lati della stanza, prima di far accedere il popolino nella grande sala delle accoglienze. Soltanto quando i sudditi del regno si stiparono nella sala, restandone in piedi, al centro, furono annunciati i due nuovi reggenti.

Ser Galahad avanzò, con dignità, fino ad andare a sedersi in una delle due sedie poste sulla cattedra sul fondo del salone.

I cavalieri applaudirono compostamente al suo ingresso.

Quando entrò Mordred, Galahad iniziò a capire cosa intendesse l’altro quando diceva che per tutti era soltanto un bastardo.

Nessuno parlò. Nessuno fiatò.

I passi sicuri di Mordred risuonarono sotto il peso dei tacchi dei suoi alti stivali neri, mentre saliva il gradino di legno.

Lo sguardo di tutti i cavalieri non si staccò da Mordred fin quando wuesti non si sedette.

Sembrava che la stessa stanza trattenesse il fiato mentre le sue dita sfioravano la stoffa del trono

“Una bella sfilata” pensò Mordred, trattenendo a stento una risata.

Non gli avevano dato un vero trono ma, era già qualcosa.

E non gli avevano dato una corona ma, era bello veder splendere la collana col sigillo d’oro del drago sulla sua elegante tunica nera.

Scrutando con uno sguardo annoiato la sala, sedette sul trono accanto all’altro.

Il drago era un bel simbolo ma la sua aquila bicipite delle Orcadi sarebbe stata davvero bene.

Galahad, seduto alla sua sinistra, gli fece un timido sorriso mentre ser Kay apriva la seduta di giustizia annunciando le novità riguardo alla reggenza.

Notizie che nessuno doveva conoscere ma, che in realtà erano dilagate a macchia d’olio per tutto il regno. Il popolo lì radunato era venuto anche solo per averne la conferma.

Il siniscalco chiese il silenzio, alzando le mani sopra la sua chioma rosso fuoco, infine lesse l’ordine del giorno: «Dichiaro aperta l’udienza. La prima causa del giorno è quella di Will l’allevatore contro Jacob riguardo alla sparizione di un pollo»

La bocca di Mordred ebbe un lieve tic nervoso. Caso davvero degno dell’attenzione regale quello!

E tutti i casi seguenti furono più o meno sullo stesso livello.

Il principe delle Orcadi sprofondò nello schienale, lasciandosi immergere nei suoi pensieri.

Il prode ragazzino tanto faceva anche la sua parte, addirittura sporgendosi dalla sedia per ascoltare meglio le parole biascicate degli analfabeti del regno.

Mordred si guardò la punta delle dita. Forse l’idea di un secondo re non era poi così male. Specialmente se poteva lasciare quei compiti assolutamente noiosi e inutili alla piattola che aveva alle calcagna. Intanto lui avrebbe trovato come divertirsi.

Doveva ancora chiedere conferma a Gawain ma dopo le parole del mattino, credeva di avere ormai il suo appoggio.

Sfruttando i buoni rapporti del fratello con i barbari, avrebbe ottenuto anche il sostegno  dei vichinghi di re Galeotto.

Storse la bocca. Sempre che quel mezzo gigante non gli creasse qualche problema per via del suo amore svergognato per Lancillotto.

Sbirciò il profilo deciso del ragazzo seduto accanto a lui. I suoi capelli biondi scarmigliati.

Anche in quel frangente Galahad avrebbe potuto aiutarlo (Galeotto avrebbe voluto il figlio al posto del padre?).

I galli sarebbero sempre stati da tenere sotto controllo ma quel compito poteva affidarlo ai fratelli.

Mancavano le genti di Tristano e Ivano, oltre che gli altri cavalieri stranieri.

“Ma quelli probabilmente seguiranno la massa come tanti tonni nella rete” pensò sarcastico.

Tutto stava a muovere con astuzia i pezzi di cui disponeva.

Sbirciò Galahad.

Valutare quali sacrificare e quali muovere alla conquista.

 «…Che ne pensate, ser Mordred?» il biondo interruppe i suoi pensieri.

Mantenendo il più assoluto distacco, il figlio di Morgause imitò uno dei cenni di noncuranza più eleganti e regali che aveva visto fare a sua madre. «Sono d’accordo»

Galahad annuì e diede la sentenza, facendo felice altre persone della fila interminabile che si era formata quel giorno.

Avvertì i cavalieri della tavola rotonda assentire compiaciuti.

Il ragazzino faceva proseliti. Ma a lui non importava. Gli interessava solo che quella interminabile tortura di vacche e galline finisse.

La luce che filtrava dalle finestre istoriate dietro di loro, iniziava già a calare mentre Kay annunciava un’altra causa.

 «Bull il pescivendolo contro John, per il caso di un carro di pesce»

Stavolta Mordred non riuscì ad evitare di emettere un sospiro. Gli toccava un’altra ora di deliri dialettali e strepiti.

Il mercante di pesce parlò per primo mentre il moro poggiava il mento su una mano (Che la Dea lo salvasse!), scrutando la sala.

Il pescivendolo lamentava che il carro che aveva portato in città dalla costa fosse suo, mentre John ripeteva che gli era stato rubato durante il suo viaggio verso la città dalle terre del nord.

Con la pazienza di un santo (questo doveva dargliene atto), Galahad ascoltò e riascoltò la versione di entrambi, ignorando le urla dei familiari e del popolo che parteggiavano per una o per l’altra causa.

Si erano trovati solo un paio di testimoni, ed entrambi dichiaravano il contrario.

Un locandiere diceva di aver accolto John lungo la strada, col carretto; un altro, che abitava più vicino alla città, dichiarava che aveva invece visto Bull.

Le guardie del connestabile aveva indagato ma senza riuscire a trovare una prova evidente per dimostrare chi dei due mentisse.

Dopo aver a lungo ponderato Galahad aveva citato un qualche Salomone, o roba simile, ordinando che il carico di pesce venisse venduto e la cifra divisa in parti uguali per entrambi.

Non era la verità ma era una buona via di mezzo. E il popolo sembrava aver accolto con riconoscenza anche quella decisione.

Il ragazzino si era rivolto però ancora a lui prima di dare il suo parere finale.

 «Siete d’accordo, ser Mordred?»

Aveva ripetuto quella frase ad ogni dannata discussione e all’altro iniziava a fare sui nervi.

Raddrizzandosi sul seggiolone interruppe il suo mutismo: «Avete preso del buon pesce mastro Bull?»

 «Certo! Il miglior merluzzo del mondo!» rise l’uomo lisciandosi la barba curatissima: «Come tutti i miei clienti sanno» ammise, pavoneggiandosi in una bella tunica rossa.

«Allora l’avrete sicuramente pescato vicino alla scogliera» aggiunse Mordred, con un improvvisa curiosità che stupì tutti: «E’ lì che si pesca il miglior merluzzo»

«Ovviamente» gongolò Bull, soddisfatto di poter far conoscere la qualità dei prodotti del suo negozio.

Il sorriso di Mordred divenne viscido: «Ovviamente» scimmiottò, poi si voltò a guardare Galahad: «Da’ il carico a mastro John. Quel pesce è suo»

Un brusio diffuso si levò dalla folla mentre il mercante protestava: «Non è vero! E’ un ingiustizia!»

Mordred gli lanciò un’occhiata velenosa: «E metti in carcere quello, ragazzino. E’ un ladro»

 «No!Non è vero! si ostinò Bull mentre John e la famiglia ringraziavano compostamente.

 «Certo che è vero! Potete avere la conferma da uno qualsiasi dei pescatori della britannia. I merluzzi, mastro Bull, non si pescano certo vicino alla costa. A meno che non siano cozze come vuoi» ironizzò Mordred, facendo ridere mezza sala. Molti popolani applaudirono mentre l’uomo veniva arrestato dalle guardie di ser Bedivere.

Indignato Bull esplose in invettive: «Che tu sia maledetto! Bastardo di una strega! Bastardo!» ringhiò, agitandosi tra le braccia delle guardie.

 «Come osate!?» gridò Galahad scattando in piedi e mettendo mano alla spada.

Nella sala piombò il silenzio.

Mordred lo bloccò con un braccio: «Fermo» disse.

Allo sguardo perplesso dell’altro reggente, il moro esibì uno di quei suoi ghigni storti: «Non c’è bisogno di sporcarsi le mani… Non esiste forse una legge che punisce il vilipendio verso un sovrano o un suo rappresentante?»

Il mercante ammutolì davanti a quel sorriso da aspide.

La pena di cui parlava erano le frustate a sangue o la morte.

Mordred lo blandì: «Che c’è? Non lo ricordate? Non parlate più? Vi è caduta la lingua? Meglio che ammettiate di essere solo un ladro, caro mastro Bull»

Muto, nel respiro trattenuto della sala,  l’uomo annuì: «Sono stato io a rubare il carro» mormorò appena.

Bedivere fece cenno alle guardie di portarlo via, poi lanciò uno sguardo a Mordred e infine a Kay che gli si era avvicinato.

Il siniscalco affermò: « La seduta è chiusa! I reggenti sono lieti di avervi ricevuti.  Chiunque voglia mettersi in lista per la prossima udienza dovrà lasciare il suo nominativo fin da ora ai paggi fuori dalle porte della cittadella»

Mordred non ascoltò oltre.

Non vedeva l’ora di fuggire da quella sala. Non parlò con nessun cavaliere, né si fermò davanti allo sguardo brillante di Galahad.

Davvero voleva solo uscire da lì.

Kay hir tuttavia riuscì ad intercettarlo: «Venuto dal mare e dalla torba è?» gli ripetè, senza fermarlo: «A volte serve anche quello» scherzò.

***

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** CAPITOLO 7 - FAZIONI ***


CAPITOLO 7 - FAZIONI

CAPITOLO 7 - FAZIONI

 

Appena i due reggenti lasciarono la sala, i cavalieri si alzarono, radunandosi in capannelli divisi per etnie.

I francesi in special modo si raccolsero attorno al principe Bors, figlio di re Bors de Gaunnes e di suo fratello Lionel.

L’alto e biondo cavaliere alzò il mento in un’espressione sospettosa. «Non mi piace quel che ho visto oggi. Galahad è troppo buono. Addirittura proteggere quel… Figlio di una strega!»

 «Rischiare così il suo onore per lui!» aggiunse Percival indignato.

Gli altri francesi annuirono: «Si rovinerà!»

 «Sempre che quello non lo uccida prima» insinuò Bors sottovoce, facendo tremare tutti. Un nugolo di reazioni spaventate si levò mentre lui proseguiva: «Certo, perché una volta eliminato Galahad, avrà il trono tutto per lui!»

«Potrebbe avvelenarlo» «O soffocarlo nel sonno» esclamarono i francesi.

“O violentarlo” pensò Bors, trasognato.

«Dobbiamo difenderlo noi perché lui è troppo puro anche solo per accorgersi del pericolo» esclamò ser Lionel dal cuore coraggioso.

«Sono d’accordo. D’ora in poi dovremo controllare tutti gli spostamenti di Galahad. Per poter proteggerlo»

«Per proteggerlo… Ovviamente» i galli annuirono.

***

Galahad non aveva mai avuto due guardie alla porta della propria camera da letto, e gli fece un po’ impressione avere un soldato ad augurargli la buona notte.

Non sapeva ancora se gli piaceva essere re. Quel pomeriggio, durante l’udienza, ne era stato fiero ma, forse aveva peccato di superbia. E come Mordred aveva portato la vera giustizia e non un semplice contentino, come avrebbe fatto lui.

Il Signore aveva voluto affiancargli Mordred per un buon motivo, dopo tutto.

E lui doveva cogliere l’occasione per migliorarsi, si disse.

Stava ancora pensando ai fatti del pomeriggio quando, entrando nella camera da letto, si trovò Mordred al centro della stanza. Galahad ne fu ancora più impressionato.

Il principe se ne stava alla finestra, mentre dei paggi preparavano la camera per la notte.

Doveva aver appena finito di fare il bagno perché i lunghi capelli neri gli gocciolavano ancora sul collo nudo. Sulla pelle lievemente olivastra del torace, lasciato scoperto da una lunga tunica blu e viola cangiante che gli fungeva da mantello. Come fossero le ali di un bellissimo pavone.

Il figlio di Artù si voltò a guardarlo. Il torace per metà lasciato scoperto dalla tunica spiccava tonico e glabro contro il vellutato tessuto scuro.

Galahad scese con lo sguardo lungo l’apertura che si stringeva giù fino al suo ventre, trattenendo il fiato.

 «Ragazzino, hai avuto il coraggio di tornare?» ridacchiò Mordred, versandosi del vino da una brocca posta sul tavolo davanti alla finestra. La tunica era legata solo in vita e Galahad la vide aprirsi mentre si chinava.

Dovette faticare a distaccare lo sguardo dal suo corpo.

Non aveva provato una sensazione simile.

«Siete bello» gli uscì di bocca inconsciamente.

 «Come prego?»

«Avete freddo?»

Mordred piegò il capo di lato, perplesso. Guardò i valletti: «Attizzate il fuoco. Il vostro reggente ha freddo» disse con noncuranza: «Poi potete andare»

Subito i paggi si affrettarono nelle ultime commissioni. Attizzarono il fuoco e preparano il letto e gli abiti per la notte, infine sparirono.

Il francese raccolse la sua camicia da notte, e si cambiò, riflettendo sulle emozioni che provava.

Fingendo disinteresse Mordred sorseggiò il suo vino, sbirciando il corpo dell’altro da sopra il bordo del calice.

Era sodo e niveo come aveva già visto quando era giunto in suo soccorso.

«Solo che è sodo ovunque…» borbottò nel bicchiere.

Galahad si voltò: «Come avete detto? Non ho capito…»

«Nulla» ribatté Mordred lasciandosi cadere pesantemente su una sedia.

Il biondo inarcò un sopracciglio: «Non state bevendo troppo, ser Mordred?» alzando la camicia da notte, andò a sedersi sul letto.

«Non ho bisogno di una balia, ragazzino. Buttati sul letto e taci»

In silenzio Galahad obbedì, infilandosi sotto le coperte.

Dopo un attimo di titubanza però, chiese: «E voi non venite ser Mordred?»

Lo sguardo blu del principe lo fulminò. «Non capisco, il letto è tanto grande, perché non volete dormire qui? Pensate che vi darò fastidio?» chiese Galahad innocentemente: «Se sono io, posso andarmene…»

 «Te ne andresti davvero se te lo chiedessi?» insinuò Mordred, con gli occhi stretti come due fessure.

Davvero era tanto sciocco da perdere il privilegio di dormire nella camera del re, solo per un paio di sue paroline?

«Certo. Dovete solo dirmi la verità» rispose Galahad.

Il principe volse il capo evitando il suo sguardo abbattuto. Aveva lo sguardo triste come quello di un cane lasciato solo dal padrone. Con quei suoi lucenti occhi azzurri…

Mordred si alzò, sbatté il calice sul tavolo e s’arrampicò sul letto.

«Lo farò cambiare questo maledetto letto!» sibilò.

L’altro sorrise vedendolo infilarsi sotto le coperte.

Mordred posò il capo sul cuscino, terrorizzato di sentire l’afrore di suo padre.

Quello che l’accolse fu un aroma delicato come di fiori candidi. Gigli e rose, unito a un che di più secco e gentile. Incenso. L’aroma mistico di un santo. L’aroma di Galahad.

Sospirando beatamente, si lasciò avvolgere da quel contatto.

 «Visto? Non era poi così scomodo» dichiarò il biondo, sorridendo gentilmente. Si volse al bordo del letto e spense le candele, poi chiuse le tende, ributtandosi sotto le coperte.

Il letto divenne un nido avvolto dal buio, dove esistevano solo loro due.

***

 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** CAPITOLO 8 – IRRETIRE ***


CAPITOLO 8 – IRRETIRE

CAPITOLO 8 – IRRETIRE

 

 Bedivere si lasciò cadere stancamente sulla panca delle cucine.

La chioma scarlatta di Kay era china su un bicchiere di vino caldo. Le mani avvolte attorno al calice.

Si era seduto rasente a lui malgrado le cucine del castello a quell’ora fossero ormai vuote. Anche gli sguatteri erano andati a letto.

Loro due erano gli unici occupanti di quel lungo tavolaccio di legno.

«Odio i giovedì» borbottò Bedivere, osservando l’unica candela rimasta accesa nella stanza, posta davanti a loro. La fiamma ondeggiava a causa degli spifferi.

Faceva ancora freddo ma, il contatto con la coscia di Kay era in grado di scaldarlo abbastanza da fargli scordare il clima.

 «Io odio anche gli altri giorni» brontolò Kay: «Tutti pretendono che sia tutto perfetto – Come sempre a Camelot – senza chiedersi quanto lavoro ci sia dietro a quella perfezione» sbatté il calice di peltro sul tavolo: «Il nostro lavoro!»

Bedivere annuì, come un vecchio cane fedele che capisse il padrone ancora prima che parlasse.

«Avrei continuato a fare questa faticaccia per Artù ma, perché dovrei farla per Mordred!?» sbottò Kay, drizzandosi sulla panca.

 «E Galahad» aggiunse il connestabile.

«Ah già! C’è anche per il galletto che puzza di chiesa» Storse la bocca Kay.

Bedivere si sfilò i guanti, posandoli sul tavolo: «Oggi non si sono comportati male»

Osò dire.

Kay si appoggiò al tavolo, guardandolo: «Per quanto credi resisteranno?» ironizzò..

Entrambi rimasero zitti, nel silenzio della stanza buia.

Kay incassò la testa fra le spalle e sussurrò disperatamente: «Credi che tornerà mai?»

Bedivere alzò lentamente una mano e gli fece scorrere un dito su una guancia. Delicatamente, godendosi il contatto con ogni sua minuscola lentiggine. Non parlò.

Il rosso sbatté le lunghe ciglia sui suoi meravigliosi occhi verdi, incredulo. Deluso e ferito. Si proteste verso il compagno.

Il connestabile gli afferrò i capelli e, rovesciandogli indietro la testa, impose la bocca sulla sua.

Si anche lui si sentiva tradito e avrebbe voluto gridare dal dolore ma, accantonava il suo dispiacere per l’amore che provava verso le persone aveva accanto.

Le persone che gli erano sempre rimaste accanto.

Sentì le mani di Kay scalargli la schiena e aggrapparsi a lui disperatamente.

Lo sentì singhiozzare nella sua bocca e lo strinse di più. Con tutta la forza che aveva.

L’avrebbe annullato in se stesso, se serviva a togliergli quel dolore.

***

 Sprofondando nelle coperte Mordred era immerso nei suoi pensieri.

Uno sciocco. Aveva accanto uno sciocco.

Non aveva neanche bisogno di rischiare la sua posizione per ucciderlo. Sarebbe bastato irretirlo per averlo dalla sua parte. Concupirlo.

Facile come bere un bicchiere d’acqua, decretò. Specialmente con un ragazzino così ingenuo. E poi lui avrebbe avuto il trono e i suoi vantaggi. E gli avrebbe lasciato le noie (facendolo sicuramente felice), e si sarebbe anche molto divertito.

Perfetto.

 «Ser Mordred… Posso avvicinarmi a voi? Ho freddo» balbettò Galahad a disagio.

Mordred notò che la temperatura nella stanza era calata. Il fuoco nel camino si era spento (di nuovo).

“Dovrò dare una strigliata al siniscalco. Fratello o non fratello di mio padre! (Ah! Allora era anche suo zio?!)” borbottò

E in un tacito assenso si avvicinò al francese.

«Però non osare avvicinarmi quei tuoi piedi gelati!» minacciò.

Galahad gli scivolò accanto, domandandosi come il principe sapesse dei suoi piedi: «Si, ser»

 «Oh per la Dea, ragazzino! Smetti di ripetere ser qui, ser là! Siamo costretti a convivere, quindi chiamami solo Mordred»

 «Mordred» sospirò Galahad, rannicchiandosi accanto al suo corpo caldo.

Non c’era vergogna in un simile gesto perché, spesso capitava ai cavalieri di dormire insieme, alla ghiaccio.

“Benissimo” pensò Mordred: “plagiarlo è facile”

Peccato che quando il ragazzo aveva pronunciato il suo nome avesse provato un fastidioso brivido lungo la schiena.

Probabilmente il freddo.

Rimasero un attimo in silenzio.

 «Mordred, non siete cristiano? Avete detto: per la Dea»

«Non hai sentito il popolano oggi? Sono il figlio di una strega. Potrei farti un maleficio» rise.

«Non credo a quelle parole offensive»

«Sbagli! Mia madre è davvero una strega e ha davvero sedotto il re, suo fratello, perché voleva il potere»

«E come?»

«Attraverso di me, ovviamente. Il figlio del grande re sarà un sovrano e lei la regina madre. Capito ragazzino?»

Galahad annuì senza capire il suo tono derisorio: «Anche mio nonno fece giacere mia madre con mio padre con una magia, dicono… Perché voleva che gli dessero un nipote. Secondo una qualche profezia, l’avrei aiutato»

 «Tuo nonno è un druido?»

«Dicono sia un santo ma, da dopo la fuga di mio padre, alla fine dell’incantesimo, mia madre piange sempre» rifletté: «Io non credo abbia agito bene se mia madre piange. Non può esistere un azione a fin di bene, se la gente ne soffre no?»

 «Non parlarmi di queste cose. A fin di bene mio padre mi avrebbe visto volentieri in fondo al mare» ringhiò il principe: E tutto per ascoltare le profezie del buon Merlino! I santi non esistono Galahad!»

Silenzio.

Galahad agitò i piedi nel letto, mormorando: «Dicono che io sia un santo…»

Conosceva la storia. Il seggio periglioso. L’estrazione della spada. Li aveva visti.

Atti miracolosi.

Nel buio Mordred si voltò sulla schiena.

Per lui nessuna spada da estrarre.

Rimase a fissare il vuoto davanti a sé.

«Allora forse sarai tu a uccidermi per un bene superiore»

Quelle parole lacerarono il cuore di Galahad. No. Non avrebbe mai avuto il coraggio di uccidere qualcuno.

No, nemmeno per un bene superiore.

Nemmeno ser Mordred, il figlio della strega. Il figlio di Artù.

Come poteva anche solo pensarlo? Come poteva pensare questo di lui?

La mano strinse la stoffa della tunica dell’altro: «No io… Voglio davvero far funzionare la nostra collaborazione. Dovreste saperlo! Anche oggi ho chiesto sempre il vostro parere, no?»

Mordred fece scivolare il braccio attorno alle spalle del francese: «Ti credo ragazzino»

 «Davvero?» domandò Galahad speranzoso, stringendosi al suo torace.

«Si ma, solo se da ora in poi mi darai del tuo. E mi dirai sempre la verità»

«Lo farò volentieri, Mordred!» sorrise Galahad, posando la testa sulla sua spalla.

Il moro tirò gli angoli della bocca in un espressione compiaciuta.

Perfetto!

***

 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** CAPITOLO 9 – ANIMALI ***


CAPITOLO 9 – ANIMALI

CAPITOLO 9 – ANIMALI

 

 L’uomo attraversò le sale del castello a passo fiero e deciso.

Camminava a testa alta come fosse lui stesso il re di Camelot. Ignorò i cavalieri che lo salutavano deferenti e seguì il connestabile di Artù fino agli appartamenti a lui dedicati.

In un'altra ala del castello ser Lucan stava accompagnando un altro monarca verso le sue stanze, ser Mark di Cornovaglia con il suo seguito. Tra cui ser Tristan, signore dell’Armonica.

Ser Kay si era incaricato di scortare il nemico più pericoloso per Camelot, in quel momento di dubbio.

 «E poi osano accusarmi di codardia!» sbottò precedendo il corteo di dame.

 «Come dici… Siniscalco?» sibilò la regina delle Orcadi, lanciandogli un’occhiata tagliente con i suoi occhi verdi da strega.

Ser Kay la osservò avanzare per i saloni guardandosi attorno e commentando tutto, valutando tutto come se fosse già tutto suo.

 «Avevo sentito che le foche camminavano a testa alta» ironizzò il rosso.

La regina Morgause alzò il mento, stringendo le mani sotto al seno in un portamento maestoso: «E io avevo sentito che il casalingo di Camelot era un insolente» sorrise amabilmente, ma di un sorriso tanto freddo che Kay avvampò di rabbia.

«A volte la gente racconta un sacco di balle, signora. Pensate che raccontano che le foche delle Orcadi sputino veleno» ribatté Kay con un sorriso sghembo.

Le dame di compagnia della regina e la scorta di scudieri del siniscalco si bloccarono, sconvolti da quello scambio di insulti velati.

La sorellastra di Artù trapassò ser Kay con lo sguardo, come vi vedesse attraverso. Si sistemò la treccia fulva su una spalla, con garbo, infine parlò: «Gradirei avere le stanze riservate alla regina mentre soggiorno qui»

 «Cosa?!» strillò Kay, sconvolto. «Signora, come osate chiedere una cosa simile?»

Lei fece qualche passo in avanti e poi, voltandosi maestosamente disse: «Credevo che per la madre di uno dei due reggenti questo fosse dovuto, no?»

Il rosso s’inalberò e la sua chioma parve prendere fuoco come il suo viso: «Dite bene, signora. Uno dei due reggenti! Questo regno non è vostro!» esclamò, gonfiando il petto.

Morgause non parlò. Non disse nulla. Quasi non cambiò neppure espressione. Continuò a sorridere e basta; ma lo fece in un modo così subdolo che Kay si sentì correre un brivido lungo la spina dorsale.

Ora ricordava perché nessuno voleva riconoscere Mordred come legittimo erede al trono di Artù.  Non per via della sua nascita incerta (anche Artù non aveva certo una nascita legittima!) ma, per ben altro di ben più minaccioso.

Si prospettavano davvero tempi difficili per il regno.

***

 Il paggio fece entrare il cavaliere nelle stanze del suo re e si congedò senza attendere il permesso. Come se fosse una prassi ormai consolidata.

Suo maestà Galehaut, re delle isole lontane se ne stava seduto al tavolo delle sue stanza a Camelot, in silenzio.

Le tende erano state tirate e nella stanza regnava una penombra malata, dove il re vi crogiolava.

Ser Gawain fece un passo avanti, scrutando il volto pallido di Galehaut.

Il figlio della bella gigantessa teneva il mento posato su una mano e fissava il vuoto davanti a lui.

Gawain gli arrivò accanto prima che l’altro aprisse bocca; ma quando l’altro lo fece, il principe delle Orcadi ne provò timore.

 «Ho fatto un sogno…» esordì Galehaut. Aveva la voce roca come chi è stato a lungo in silenzio e non riuscisse più bene a usare la voce.

Gawain gli posò una mano sul braccio, scivolando sullo scranno accanto al re.

«…C’erano un leone e un orso che combattevano, quando ecco sopraggiungere un leopardo. Una bestia splendida, con il manto vellutato e il corpo guizzante di potenza. Quando la fiera giunse i due animali smisero di combattere per ammirarla in tutto il suo splendore. E rimasero così per un po’ lungo periodo…» proseguì il re, voltandosi a cercare gli occhi azzurri di Gawain.

«…Ma quando il leopardo scelse di andare con l’orso, l’altro, il leone, si stese su un fianco e mai più si mosse. E sai perché Gawain?»

Il cavaliere scosse il capo.

«Perché il leone non aveva più motivo di vivere senza la splendida fiera al suo fianco» Straziato Galehaut chinò il capo e rimase a fissarsi le mani, mentre Gawain impallidiva.

Aveva capito. Senza Lancillotto, Galehaut non voleva più vivere.

A tal punto l’amava?

Quel folle, porco, bugiardo, traditore di un bellissimo cavaliere francese? Ringhiò dentro di sé.

Galehaut era stato il suo migliore amico e l’aveva mollato così, dopo aver naturalmente tradito l’altro suo migliore amico, Artù, facendosi sua moglie, la sempre brillante Ginevra.

E ora Galehaut si lasciava morire per uno del genere? Galehaut? Il migliore re che i giganti vichinghi avessero mai avuto!? Il più saggio e scaltro. Lo stesso che aveva combattuto a lungo per unirli e poi allearsi sotto la bandiera del drago.

Ora uno stupido gallo ( altro che bel leopardo flessuoso!), lo convinceva a togliersi la vita? Non l’avrebbe mai perso messo.

Non lui. Non Galehaut.

Scattando in piedi, afferrò il sovrano per la collottola della tunica e lo scosse.

«Al diavolo i sogni, Galehaut! Lancillotto tornerà. E’ sempre tornato da noi»

L’altro sbatté appena le palpebre: «Ma non capisci? Questa volta ha scelto, Gawain. E ha scelto Artù. Ha sempre scelto Artù» scandì depresso.

Gawain sapeva che aveva ragione. Anche lui l’aveva cercato e cercato per giorni e giorni proprio per riaverlo di nuovo al suo fianco ma, non tollerava – non tollerava! – di vedere Galehaut a quel modo.

Non Galeotto, neppure per Lancillotto.

Lo scosse ancora: «Per Anu, Gale, se lui ha scelto, sceglieremo anche noi!» e senza spiegarsi oltre, si chinò sul viso del re e lo baciò con trasporto.

Il re dei giganti non si mosse. Non reagì, così Gawain, ancora più irritato, lo tirò in piedi e tenendogli una mano sulle spalle (era dannatamente alto), gli strappò i lacci della tunica sul torace muscoloso.

Le palpebre di Galehaut sbatterono più volte mentre, confuso guardava il principe.

Gawain irato, lo spinse sul letto a baldacchino dietro di loro.

«Forse un aquila può risvegliare il leone»

esclamò, e prima che l’altro si opponesse, lo baciò di nuovo, appassionatamente.

Entrambi caddero pesantemente sulle coltri del letto, ghermendosi disperatamente.

***

 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** CAPITOLO 10 – LA MORTE DI MORDRED ***


CAPITOLO 10 – LA MORTE DI MORDRED

CAPITOLO 10 – LA MORTE DI MORDRED

 

 La torma di cavalieri avanzò al piccolo trotto lungo le strade che uscivano dal contado del pullulante borgo di Camelot.

Era la prima volta che i due reggenti uscivano per il paese, e la popolazione li aveva accolti con una strana curiosità.

Nessuno di loro era re Artù, era chiaro, quindi niente applausi ed acclamazioni ma, non era andata comunque così male.

Nessuno gli aveva tirato delle sassate, aveva pensato Mordred rassicurato.

Rallentò la corsa quando ser Griflet indicò alcuni edifici.

 «Quello è il mulino. E’ lì che viene macinato la maggior parte del grano per la città. E come vede, ser Galahad, è alimentato dalla corrente del fiume»

 Mordred nascose l’aria infastidita e richiamò i cani che lo seguivano per la battuta di caccia.

Se ser Griflet e la scorta di francesini di Galahad insistevano ad ignorarlo, avrebbe fatto anche lui lo stesso.

Dei suoi, solo il fratello Gareth l’aveva accompagnato e lui era troppo buono per pensare di tirare il collo a qualche gallo.

 «E’ un’opera ingegnosa» commentò Galahad entusiasta, andando a sporgersi sopra l’argine del fiume dove girava pigramente le pale di legno.

La cavalcata gli aveva colorato le guance rendendolo meno eburneo del solito.

I capelli biondi erano scarmigliati mentre tratteneva su un braccio un falcone per la caccia. Era un animale splendido dalle penne lucide come seta. Gliel’aveva regalato ser Bors che, per fortuna, non li aveva seguiti.

 «Davvero Galahad» annuì il cugino Lionel, affiancandolo.

I francesi non persero l’occasione per dilungarsi in chiacchiere, ovviamente nella loro lingua, così Mordred, fingendo di non capire, seguì i suoi cani lungo l’argine del sentiero fino a un vecchio pontile sul fiume.

Scendendo da cavallo si piegò ad accarezzare i suoi i suoi tre bracchi da caccia dal pelo maculato.

Trovava fedeltà solo nei cani. Esseri decisamente migliori dell’uomo.

Si raddrizzò e salì sul vecchio molo, guardandosi attorno.

I francesi ridevano dietro di lui.

Gareth si era offerto silenziosamente di tenergli il cavallo.

Sarebbe stato un buon siniscalco se Kay se ne fosse andato, pensò vagamente. Conosceva anche bene le cucine.

E Gawain sarebbe stato il suo maresciallo, certo sempre se fosse rimasto anche lui.

Doveva rafforzare le difese. Far sposare qualche fratello con qualche principessa, per tenere buoni i nemici. Doveva rinsaldare i confini. Sempre se fosse riuscito a convincerli…

Galahad si voltò a cercare l’opinione di Mordred ma, non vedendolo più accanto a sé, si sporse di sella per vedere oltre le facce amiche della sua gente. Fra tutti quei capelli chiari, notò subito la testa mora ferma sul pontile.

«Mordred!» lo richiamò, facendolo voltare: «Non la trovi un’ottima invenzione?!» sorrise tentando di crearsi uno spazio per raggiungere il co-reggente.

Mordred smise di accarezzare il pelo fulvo di uno dei suoi cani e lo guardò, senza una parola. Fissò Galahad mentre gli trotterellava incontro, sul suo cavallo bianco.

“Un vero principe delle fiabe” mugugnò, storcendo la bocca ironico.

D’improvviso s’udì solo un CRACK e il principe sprofondò nell’acqua.

Galahad vide il pontile di legno marcio sfasciarsi sotto i piedi di Mordred e il principe sprofondare nell’acqua con un tonfo sordo.

«Mordred!!» urlò Gareth spaventato, vedendo il fratello affondare nell’acqua melmosa del fiume.

 «Aiuto! Presto, prendete una corda! Bisogna tirarlo fuori da lì!» esclamò scendendo da cavallo e correndo alla riva: «Mordred!» urlò vedendo solo i suoi cani sguazzare nel limo.

Mordred indossava un’armatura di cuoio borchiato anche per la caccia, e se non lo aiutavano subito sarebbe annegato malamente.

Si voltò in cerca di soccorso ma, vide che nessuno dei francesi aveva intenzione di muovere un muscolo.

Se Mordred fosse morto, molte cose sarebbero cambiate a Camelot. Ad iniziare dalla unica reggenza celta, intuì Gareth.  Ed impallidì. Nessuno di loro l’avrebbe aiutato. Ragionò velocemente tutte queste cose, quindi fece per spogliarsi della sua armatura per tuffarsi in aiuto del fratello.

Qualcun altro però lo anticipò.

Galahad liberò il falcone e si gettò, con un balzo, nell’acquitrino senza passare al rischio. Senza riflettere.

In un attimo era sparito sotto i flutti scuri come Mordred.

«Mio Dio… E’ morto anche lui…» gemette il giovane Gareth, passandosi le mani t ra i capelli.

Due re morti in cinque minuti sotto i suoi occhi per di più! Aveva raggiunto un vero record!

Stavolta però, anche i francesi di mossero. Preoccupati per la salute del loro prezioso santo, si precipitarono alla riva con corde e bastoni. Ma il diciassettenne non riemerse. Non riemerse fin quando non ebbe tra le braccia il corpo esanime di Mordred.

 «Prendi la corda Galahad!» urlarono Lionel e ser Griflet, trascinandolo a riva, sudicio e ammaccato.

Dai capelli biondi grondavano anche fili di alghe quando l’adolescente, tossendo, si piegò sul corpo di Mordred.

Il bastardo di Camelot non si muoveva, ne pareva respirare.

Spaventato Galahad cercò lo sguardo dei suoi poi tolse alcune fradice ciocche nere dal viso di Mordred e protese le orecchie sulla sua bocca. Non percepì respiro. Nulla.

 «aiuto…» gemette: «Prendete qualcosa per asciugarlo, scaldarlo!» poi si chinò di nuovo sulla sua bocca.

«Forse ha dell’acqua nei polmoni» suggerì Gareth, accanto a lui: «Bisogna fargliela uscire»

Galahad annuì e, aprendo la bocca del principe, vi infilò due dita come uomo costretto a vomitare.

Non vi fu reazione.

Galahad cercò ancora l’aiuto di Gareth e questi disse: «Aria! Ha bisogno d’aria»

Senza riflettere il giovane Galahad inspirò profondamente poi poggiò la bocca su quella di Mordred e vi insufflò aria.

La vita.

«Vivi. Vivi. Vivi!» implorò, soffianco ancora e ancora; ma senza avere nessuna reazione.

 «Lascialo morto, Galahad. E’ meglio per tutti» disse qualcuno dei suoi.

Sconvolto Galahad si voltò a guardarli con rabbia. Come potevano pensare una cosa simile?

Le lacrime gli rigavano gli occhi quando urlò: «Non morire Mordred! Non te lo permetto!» e gli batté un pugno sul petto: «non te lo permetto, mi senti!?Non è questo il tuo destino, Mordred!Mi senti?! Non te lo permetto» urlò ancora, tra le lacrime.

Singhiozzando si piegò sul corpo del suo migliore amico, implorando il suo Dio di aiutarlo. Implorando un qualsiasi Dio più misericordioso dei cavalieri con lui.

Silenziosi i cani di Mordred andarono ad accucciarsi accanto al corpo del padrone, mogi, guaendo e leccandogli il volto e le mani.

Galahad non riuscì a trattenere il dolore e poggiò la testa sul suo petto.

Anche Gareth si voltò per nascondere le lacrime.

Dopo i dolori che gli aveva riservato la vita, non avrebbe mai creduto che suo fratello potesse morire così… In un incidente, solo, e senza l’onore di una grande battaglia.

Un silenzio cupo scese sul gruppo mentre i cani guaivano inquieti.

Non uno osò parlare, per non rompere quel cupo dolore, fin quando…

 «Che principe azzurro sei…» bisbigliò una voce roca, aggiungendo: «Hai salvato la damigella in pericolo, come sempre» ridacchiò, poi scoppiò in colpi di tosse accesi e profondi che gli squassarono il petto.

Incredulo Galahad alzò il viso e si trovò a guardare Mordred che tossiva piegato su fianco. Tossiva violentemente, sputando acqua ma, era vivo!

E quando alzò il viso, si trovò a fissare gli occhi blu più belli che avesse mai visto. Occhi come il mare burrascoso della costiera settentrionale. Il mare delle Orcadi.

 «Mordred!» urlò felice, gettandogli le braccia al collo.

Il figlio bastardo di Artù si afflosciò sotto il suo peso, incredibilmente felice di sentire quell’abraccio. Era un abbraccio caldo, come di qualcuno che gli voleva bene. Che provava affetto per lui, e lo faceva sentire vivo. Tremendamente vivo.

Posò il capo contro la dura terra, chiudendo gli occhi. Diede dei colpetti sul braccio di Galahad, mormorando: «Ragazzino, il mio destino lo posso decidere solo io»

Galahad si tirò in disparte e sorrise. Sorrise come fosse la persona più felice del mondo. Gli brillavano gli occhi quando posò una mano sulla guancia dell’altro, esclamando: «Va bene ma, non osare mai più farmi scherzi simili! Non voglio governare questo paese da solo, hai capito?!» minacciò, scherzoso.

Mordred avvertì quella delicata carezza al viso, come una scossa in tutto il corpo.

Assentì, per una volta senza parole.

Un timido sorriso sincero fu la sua risposta.

***

 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** CAPITOLO 11 – LA GUERRA DELLE DONNE ***


CAPITOLO 11 – LA GUERRA DELLE DONNE

CAPITOLO 11 – LA GUERRA DELLE DONNE

 

Il rientro a Camelot fu piuttosto animato.

Mordred non capì mai come la notizia della sua quasi morte e resurrezione miracolosa si fosse già sparsa in tutto la fortezza. Ma dal vociare dei servi, comprese che tutti davano il merito del suo ritorno in vita ai poteri taumaturgici di Galahad.

I poteri di un santo. I poteri di un re.

Silenzioso Mordred si lasciò lavare e trascinare a letto da valletti altrettanto solleciti e muti.

Stranamente non vide Bedivere o Kay ma, forse anche quello era merito di Galahad.

Il ragazzino scacciò tutti dalla loro stanza dicendo, con voce sicura, che Mordred aveva bisogno di riposo.

Poco abituato alle cure disinteressate Mordred si chiese se era per tenerlo lontano dal trono ma, quando il biondo Galahad si piegò sul suo viso sedendoglisi accanto, ogni pensiero paranoico svanì.

Ogni volta che aveva incrociato lo sguardo con lui, il ragazzino gli aveva sorriso beatamente.

«Stai meglio ora?»

La stanza era stata scaldata e anche nel letto era stato posto uno scaldino prima del suo arrivo.

Come diavolo aveva fatto a farsi servire così prontamente dai valletti, Mordred proprio non lo capiva. Ma non voleva che distogliesse i suoi occhi da lui, quindi annuì soltanto con un grugnito.

«I miei cani?»

Le dita di Galahad scivolarono a scostargli alcune ciocche di capelli neri dal viso: «Li ho mandate a far lavare e asciugare, poi te li porteranno qui. Mi hanno detto che sono trovatelli che hai adottato»

 «Sono loro che hanno adottato un bastardo, direi» rispose Mordred, domandandosi anche come Galahad riuscisse a farsi dire tutte quelle cose da degli sconosciuti.

Il diciassettenne sorrise, scuotendo appena il capo: «Comunque li porteranno tra poco. Pensavo che volessi averli con te ora»

 «Non sono moribondo» sibilò l’altro, caustico.

«No, sei solo quasi morto davanti ai miei occhi, quindi: riposa!» impose gentilmente alzandosi dal letto: «Ti ordino di non lasciare il letto fin almeno all’ora di cena»

Chiuse le ante di legno delle bifore della stanza e s diresse verso la porta.

Mordred mugugnò qualcosa, obbedendo, e lui aggiunse: «Sta tranquillo, ti verrò a svegliare. Ora vado a rassicurare tutti sulla tua salute»

 «Come se importasse a qualcuno» bofonchiò il principe, tirandosi le coperte fin sopra le orecchie.

Sapeva che non sarebbe importato a nessuno. Tranne a una persona sola.

***

 La stanza era immersa nella penombra della sera quando lo svegliarono le campane dei vespri. La cena sarebbe stata servita tra non molto, e Mordred si svegliò con la curiosità di sapere se davvero Galahad sarebbe venuto a chiamarlo, o avrebbe osato tenere la scena da solo.

Era un dubbio infantile, perché sapeva che quelle idee a Galahad non passavano neppure per la sua bella testolina bionda. Non era proprio fatto per certe raffinate strategie. Era talmente ingenuo che non c’era neppure gusto nel punzecchiarlo. Cosa che lui aveva imparato a fare fin da piccolo, anche per difendersi dai fratelli. Tutti legittimi.

Galahad non aveva la lingua velenosa di Kay o il cervello perfido di Agravain. Anzi, gli sovveniva che la bocca del ragazzino fosse invece dolce e succosa come una fragola matura. O forse simile a qualche tipo di dolce che si scioglie sul palato. O forse… Vellutato e sensuale come un morbido frutto esotico… Una pesca, magari.

Immerso in quei pensieri, mugugnò stiracchiandosi compiaciuto. Chissà da dove gli erano venuti quei pensieri…

Se bastava che il ragazzino gli facesse la respirazione bocca a bocca per eccitarlo, doveva proprio decidersi a sling…Ehm, baciarlo come si deve.

Una voce interruppe le sue elucubrazioni sessuali, ops mentali.

 «Ah! Allora è così che passa il tempo il re di Britannia… Dormendo e cercando di affogarsi da solo? Ottima vita davvero!»

Sentendo quella risata di donna, Mordred s’irrigidì.

La tenda del baldacchino venne scostata e lui vide l’elegante donna seduta accanto al letto. Era bella malgrado non fosse più giovane. Sensuale e raffinata con i capelli rossi elegantemente intrecciati.

 «Madre» scandì gelidamente: «Che cosa ci fate voi qui?»

 «Una regina può andare dove vuole, figlio; o devo forse ricordartelo?» rispose lei distrattamente, facendo roteare qualcosa tra le mani.

Nella penombra, Mordred non capì di che cosa si trattava.

Ignorando quel movimento lento e ipnotico, la contraddisse: «Una regina nel suo regno si, madre, ma queste non sono le Orcadi»

Freddo e glaciale, cosa che lei finse di non comprendere.

«Come? Non sono forse la madre di un re? Quindi, nel suo regno posso andare dove voglio» sorrise Morgause accondiscendente, come spiegasse qualcosa a un bambino.

Mordred notò i suoi abiti più suntuosi e come sempre, più scollati.

Bella e insidiosa come un serpente velenoso.

Aveva temuto quel momento.

Trattenne a stento l’ira perché sapeva che non l’avrebbe affatto avvantaggiato con lei.

La guerra delle donne era sottile e subdola. Manovratrice. Cosa che aveva imparato a suo spese, molte e molte volte.

Non ci sarebbe cascato di nuovo.

Lui era, solo Mordred.

 «Io non sono re, madre»

Lei lo fissò con i suoi intriganti occhi verdi da gatto, e continuò a far turbinare quella piccola ruota del destino tra le sue mani.

«Non lo sei ANCORA figlio ma, per ora ti sei comportato con molta astuzia, facendoti eleggere dai cavalieri. Nessuno ti potrà accusare se prenderai il trono alla morte di Galahad»

Mordred ebbe un lieve scatto nervoso all’angolo della bocca, poi rimase impassibile.

Tacque il tempo di un’eternità, mentre il grande anello tra le mani della madre ruotava senza posa, illuminandosi di strani bagliori dorati.

 «Non c’è bisogno di uccidere Galahad» gli uscì in un sospiro duro.

Non ricevendo risposta, proseguì: «Egli è un cuore candido. Farà tutto quello che gli chiederò. Persino prendersi le mie colpe o fastidi. Lui è…»

La piccola ruota si bloccò tra le mani di Morgause.

«Galahad deve morire» Una condanna.

«Troveremo il modo di farlo apparire un incidente. E il trono sarà tuo»

Finalmente la luce colpì quello strano oggetto tra le sue mani mentre lei lo allungava verso Mordred.

Il principe rabbrividì riconoscendo la corona di suo padre. La corona di re Artù.

Dove l’aveva presa, solo la Dea sapeva.

Impallidendo, prese a sudare.

 «Sarai re, Mordred. L’erede di tuo padre. Come ti spetta»

Mordred deglutì a vuoto.

Restare impassibile. Non mostrare emozioni. Quello era l’unico modo per combattere la guerra delle donne cui lui era invischiato senza volere.

Ed era proprio la cosa più difficile da fare in quel momento.

«Così tutti ti riconosceranno per quello che sei davvero… Il figlio di Artù»

Il principe rifletté velocemente, ricordando le parole di Galahad. Valutando le parole della madre.

Lui era la persona più difficile da manovrare che Galahad conoscesse… Lui era solo Mordred. Lui era la persona che solo Galahad aveva osato salvare. Aveva avuto l’incoscienza di salvare…

 «E’ un innocente. Un tonto non serve…» osò protestare, ma la voce gli tremava.

 «Deve morire» ripeté la regina, porgendogli la corona.

Mordred la guardò come se fosse un animale pericoloso, così Morgause la posò sul letto davanti a lui.

Lui rimase in silenzio, fissandola e fissandola ancora.

 «E poi… Come tenere i francesi senza di lui?» aggiunse automaticamente la sua bocca.

«E se non lo farai, saranno i galli a fare fuori te. Scommetto che stanno già ideando qualcosa» sorrise Morgause, come parlasse del tempo. Si alzò in piedi e, languidamente disse: «Pensateci» quindi uscì dalla camera, lasciandolo solo.

Nel silenzio Mordred fissò la corona.

Era il simbolo di tutto quello che aveva sempre desiderato essere.

O forse quello che gli avevano imposto di dover essere.

Galahad non gli aveva imposto mai nulla.

Aveva rischiato la vita per la sua, senza aver nulla in cambio…

Sbirciò la corona, che lo guardava brillando ammiccante.

Con uno scatto d’ira l’afferrò e la gettò lontano da sé.

Oro rimbalzò più volte per terra, fino ad andare a  roteare in un angolo buio della stanza.

Mordred fissò il buio davanti a sé, poi si lasciò sprofondare nelle coperte.

Il profumo di gigli di Galahad aleggiava nell’aria.

***

 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** CAPITOLO 12 – CAPO ***


CAPITOLO 12 – CAPO

CAPITOLO 12 – CAPO

 

Le mani dell’uomo scivolarono lungo il profilo spigoloso delle anche del suo amante, in una carezza intima e possessiva.

Come la prima volta che erano stati a letto insieme, lo trovava bellissimo e terribilmente eccitante, persino dopo il sonno sfatto del sesso più sfrenato. Perchè questo legava loro due pensava Galehaut, salendo ad accarezzargli le braccia muscolose e poi il viso. I fulvi capelli mossi.

Gawain bofonchiò e il re delle isole lontane fece un sorriso. «Ricordi la prima notte che ci trovammo insieme così? Eravamo in una stalla…»

Gawain aprì gli occhi e li puntò sul bel viso maschile del re dei giganti.

«…Ma con noi ce n’era uno in più…»

 «Non pensare a lui ora» rispose Gawain brusco, afferrandogli il viso tra le forti mani da cavaliere: «Pensa a me. Siamo insieme ora. Io e te»

 «Due reduci» mormorò Galehaut, distogliendo lo sguardo.

«Vuoi dire che non ti accontenteresti di me?» s’innervosì il nipote di Artù, costringendolo a guardarlo: «Non ti piaccio più?»

La voce non gli tentennò nemmeno mentre pronunciava una frase così femminile.

Una scintilla di desiderio illuminò gli occhi del re. Afferrò saldamente le anche del compagno, esclamando: «Lo sai che mi ecciti da morire, Gawain. Non te l’ho forse dimostrato più di una volta, stanotte. E anche tu, mi pare…» ridacchiò.

L’altro si grattò il dorso del naso, piacevolmente imbarazzato. Assentì mentre faceva scivolare le gambe nude tra quelle di Galehaut.

In verità anche quel rosso esile gigante dal petto muscoloso lo accendeva in maniera sconvolgente. E lo sapeva bene, dannazione.

Galehaut sprofondò il viso tra i suoi capelli castani, fino ad andare a mordicchiargli un orecchio. «Peccato che tu non sia una dama, Gawain. Ti avrei chiesto in moglie e avremmo, avreste risolto i problemi con il mio popolo»

Gawain rovesciò indietro il capo, godendosi la sua lingua che lo leccava e gli lambiva la pelle. Fece scivolare la  gamba sul suo fianco, cingendolo possessivo.

«Già, peccato…»

«Ti chiederei lo stesso, mia sensuale aquila ma, voi britanni avete regole così bislacche. Come se un re non potesse avere un consorte a cui affidare la propria anima… E il proprio corpo» sorrise malizioso, chinandosi a baciargli il collo.

Il principe delle Orcadi lo strinse  tra le braccia: «Ammetto di stare rivalutando il tuo popolo selvaggio»

«Brutale e selvaggio» ridacchiò Galehaut, tirandolo sotto di sé e premendogli l’inguine contro il suo.

Gawain lo afferrò per i capelli e disse: «Le Orcadi sono le terre più vicine alle tue…»

 «molto acuto. Ha studiato geografia il mio piccolo principe stellato» scherzò il re, continuando a percorrergli il torace di baci malgrado l’uomo gli tirasse i capelli.

Cingendolo con le sue gambe, Gawain proseguì: «Abbiamo già molti porti che commerciano con voi. Sarebbe un ottimo accordo mercantile il nostro» valutò.

 «Ma che perfetto principino» commentò il rosso ma, senza essere sarcastico. Gli occhi azzurri gli brillavano mentre soppesava con grande ammirazione il suo amante.  «Alleati… Oppure potremmo conquistarvi con la forza» ipotizzò lui, facendosi sentire contro il sesso del cavaliere.

Gawain dovette guardarlo come se accettasse implicitamente quella sfida perché Galehaut rise: «E’ questa tua sfrontatezza che adoro di più!» e si protese a baciarlo appassionatamente.

La lingua che vagava sulla lingua dell’altro. Bocca contro bocca. Un brivido di desiderio scosse di nuovo entrambi mentre rotolavano nel grande letto del re. E stavano per riprendere la loro “personale lotta”, quando un suono di campane animò l’aria serale di Camelot.

Non abituato al suono dei riti religiosi cristiani, Galehaut alzò il capo e chiese: «Che succede? Un’invasione?»

Gawain tese le orecchie azzittendolo con una mano. «Suonano a festa» commentò dopo un attimo: «Che strano…» mormorò.

Con un gesto brusco spinse via il rosso da sé e scivolò fuori dal letto.

Raccogliendo una stoffa da terra, se la legò attorno alla vita, andando a scostare le ante della finestre.

Subito udì le voci unanimi di molta gente che pregava in strada, innalzando alte preghiere di ringraziamento.

Spaesato si voltò verso il re delle isole lontane.

«Che succede? E’ tornato Artù?» chiese Galehaut scrutando, nel mentre, quel corpo seminudo e muscoloso che si profilava nella luce del crepuscolo.

 «Magari…»

«E allora che cantano?»

Gawain scosse il capo, perplesso: «Sembra che ringraziano Dio di aver loro concesso… Galahad»

Il figlio della bella gigantessa sgranò gli occhi, esterrefatto quanto il cavaliere. «Beh... Forse è meglio che scendiamo per cena per sapere che succede» commentò Galehaut, decidendosi a uscire lui stesso dal letto.

Batté le mani e, senza dare tempo a Gawain di riprendere un po’ di dignità, vestendosi, richiamò i suoi valletti.

Due giovani scudieri vichinghi accorsero subito, riverenti. «Avete chiamato sire?»

Lui annuì, riprendendo il suo aspetto autorevole malgrado fosse nudo. Disinvoltamente ordinò: «Preparate i miei abiti verdi. Quelli bordati di pelo bianco. E fate aerare questa stanza mentre sono alla  tavola rotonda»

Sorpresi ma lieti da quell’improvviso cambiamento d’umore del loro re (prima così depresso), subito due valletti si apprestarono ad obbedire.

Lanciarono occhiate maliziose e grate a Gawain, che si mosse a disagio cercando di sparire in un angolo buio.

Galehaut chiese un bagno e, senza neppure degnarsi di guardarlo, aggiunse: «Voglio che da ora in poi consideriate ser Gawain, principe ereditario delle Orcadi e nipote di re Artù, come il mio capo compagno. Obbeditegli come se fossi io stesso a parlare tramite la sua bocca»

Gawain vide i due valletti darsi di gomito compiaciuti dall’ottima conquista del loro re. E quando Galehaut si girò, lesse anche nel suo sguardo un malizioso divertimento.

«Non ti dispiace vero, caro compagno, se annuncio già il nostro accordo?»

E per la prima volta da che se ne ricordava, Gawain arrossì dalla testa ai piedi.

In che guaio si era messo.

***

 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** CAPITOLO 13 – ALLA TAVOLA ROTONDA ***


CAPITOLO 13 – ALLA TAVOLA ROTONDA

CAPITOLO 13 – ALLA TAVOLA ROTONDA

 

«Allora, senza Artù, non vi verseremo più i tributi!» esclamò uno dei re radunatosi a Camelot, sporgendosi sulla tavola rotonda.

Un coro di voci dai re sottomessi si levò, unanime.

Chissà perché Mordred non ne era affatto stupito. Infastidito serrò la bocca in una linea dura, appoggiandosi allo schienale del suo seggio.

Nessuno lo riteneva all’altezza di suo padre, per questo volevano sfuggire ai loro doveri.

Maledetti! Li avrebbe uccisi uno ad uno, pensò, digrignando i denti.

Alzandosi, sbattè un pugno sul tavolo: «Ma chi credete che siamo?! Pensate di poter venire qui e fare il bello e il cattivo tempo con la corte della tavola rotonda?» urlò: «Anche senza Artù, noi siamo la Britannia

Una mano gli si posò sul braccio, gentile, mentre una vena gli pulsava sul collo.

Era un contatto caldo che gli tolse il respiro. Una voce gentile.

«Calmati, Mordred»

Voltandosi, incrociò gli occhi azzurri, color del cielo di Galahad, e subito si placò.

Aveva un potere calmante su di lui, forse perché il piccolo francese aveva mantenuto la parola. Aveva sempre mantenuto la parola con lui.

Era venuto a svegliarlo(si fa per dire, dopo la visita di sua madre!), e gli aveva portato i suoi cani, accuditi con amore.

E sua madre voleva ucciderlo…

Galahad tenne la mano sul suo braccio mentre prendeva la parola: «Amici… Noi reggiamo il trono di Artù fin quando non tornerà e quindi, non vedo perché dovreste ritoccare i vostri accordi fatti con il re»

 «Niente Artù, niente accordi!» ringhiò il re dell’Irlanda.

 «Come osate ribellarvi?!» protestò ser Tristan, seduto accanto a re Mark di Cornovaglia: «Volete forse la guerra? Vi devo ricordare come ne siete usciti dall’ultima?»

Mordred serrò i denti, guardando gli uomini e le donne seduto attorno alla grandissima tavola rotonda.

Tutti si erano messi i migliori abiti e i più bei gioielli per mostrarsi lì; e malgrado questo, venivano a protestare.

Mark, Tristan, Urien, Bors, Nentres, Sagremore… Tutti voleva mostrarsi i migliori.

Ma fare una guerra… non sapeva se i soldati l’avrebbero seguito; ne quanti soldi avevano disponibili nelle tesorerie.

Imporre nuove tasse per una guerra era il modo peggiore per cominciare un regno.

Doveva comunque parlare con il suo connestabile, per sapere tutte queste cose.

Perché diavolo ser Bedivere non lo aveva consigliato?

Incrociando il suo sguardo, vide che li stava scrutando. Insomma, doveva arrangiarsi, ed essere persino soppesati dai suoi stessi cavalieri.

Intollerabile.

 «Signori, calma per favore» li interruppe una voce femminile.

Era la regina Ginevra, seduta accanto a lady Morgana. Le due non si erano ancora decise ad andarsene, e Mordred cominciava a sospettare che l’idea del ritiro fosse passata dalla mente di zia Morgana appena aveva visto il “divertimento” che stava per arrivare a Camelot.

E lui e Galahad erano i burattini al centro dello spettacolino…

 «Non c’è bisogno di ricorrere alle armi come dei bruti romani» sorrise Ginevra, sistemandosi i capelli biondi, sul suo bel abito bianco.

Mordred storse la bocca, considerandola di nuovo la peggiore moglie che suo padre potesse mai scegliere. La sua testa era vuota come una brocca in mano ad un ubriacone!

Alcuni l’avrebbero definita un’oca. Totalmente diversa da sua madre.

Anche guardandola in quell’istante, la regina Morgause era una serpe.

Forse Artù aveva scelto Ginevra proprio a causa dell’esperienza con Morgause, suppose il figlio, incrociando lo sguardo della madre.

I suoi occhi versi sorrisero e lei alzò il calice nella sua direzione.

Un breve sorriso che mise i brividi a Mordred.

Non seppe perché ma, un’improvvisa intuizione gli fece temere il vino nel suo bicchiere.

“Veleno”si disse. E non era certo per lui ma per… Galahad!

Si voltò a fissare il compagno, tentando si mantenere la calma. Non aveva ancora bevuto nulla, grazia alla Dea.

Doveva solo non farlo bere e tutto sarebbe andato bene. Tutto bene.

La discussione era proseguita mentre lui era immerso nei suoi pensieri, e ora i re avevano preso ad attaccare proprio Ginevra.

 «Che parlate a fare voi, madonna? E poi come osate presentarvi ancora a corte dopo aver tradito il re?»

 «Nulla è stato mai provato» ricordò Parsifal, intromettendosi.

Nessuno gli badò.

 «E con il suo miglior cavaliere! Un francese…» rise il re del Galles.

 «Mio padre non è un traditore!» protestò Galahad, indignato.

 «Ah no? E non è forse scappato come un cane?»

Cercando di non farsi prendere dall’ira, Galahad scandì: «Sicuramente è successo qualcosa che noi non sappiamo…»

 «Gia!» urlò uno dei re: «Forse Lancillotto ha ucciso Artù, ed è scappato con Excalibur, e non vede l’ora di tornare a riprendersi la regina!»

Scoppiò il putiferio.

 «E’ vero! La spada magica del re! Era quella che univa i popoli. Dov’è la vostra, Mordred?» chiesero i sovrani francesi, rammentando : Non ci sono profezie su di voi, Mordred, o sbaglio?» ironizzarono ancora.

Il principe strinse i pugni, facendosi sbiancare le nocche.

Maledetto Merlino e le sue diavolerie!

Ecco in che guaio l’aveva cacciato (oltre che quasi farlo accoppare!)

La rabbia gli fece arrossire persino le orecchie ma, lui cercò di rimanere totalmente freddo. Non voleva dar loro la soddisfazione di avere un pretesto per scalzarlo dal trono. Era suo di diritto, dannazione!

Anche se, persino sua madre sembrava divertirsi delle sue difficoltà.

 «Non ascoltarli Mordred. Cercano solo un pretesto per attaccar briga» gli sussurrò Galahad, avvicinando il viso alle sue orecchie.

La voce gentile e preoccupata.

L’unico.

 «Miei signori!» li richiamò Lady Morgana, alzando le mani in un gesto di calma: «Non è il momento di litigare. Non ora che il re dei sassoni potrebbe cogliere l’occasione per invaderci tutti!»

Mordred conosceva vagamente re Childric di Sassonia. Per ogni evenienza (tipo avere il trono), si era tenuto in contatto anche con lui, epistolarmente. E non era certo più brutale di tanti cavalieri seduti alla tavola, in quel momento. Gli aveva anche mandato dei regali. Certo per ingraziarselo ma, comunque graziosi doni che, per una volta, lo avevano fatto sentire un vero principe.

 Re Galehaut, che sino a quel momento si era tenuto fuori da tutto quel vociare, ascoltando soltanto, decise di intromettersi: «Insomma! Quante ciance che avete! La verità è che siete solo degli spilorci» disse ridendo tranquillo anche davanti alle facce oltraggiate degli altri nobili: «Io non ho questo tipo di dubbi. Pagherò i tributi e rimarrò alleato dei due  compagni re»

Tutti lo fissarono esterrefatti.

Malgrado quel suo piccolo errore di comprensione del termine “reggente”, Galehaut, re delle isole lontane, era  reputato il sovrano più potente degli alleati di Artù.

Forse non il più ricco ma, il più temibile.

Perché sottostare a Mordred, si chiedevano i signori di Britannia.

Galehaut si voltò verso ser Gawain, curiosamente seduto al suo fianco e, sorrise serafico.

Gawain accennò un breve sorriso tirato, muovendosi a disagio quando la mano del rosso scivolò, celatamente, sulla sua coscia.

Quel pazzo non aveva capito nulla del suo modo per consolarlo dell’assenza di Lancillotto!

Ma aveva la consolazione di aver almeno aiutato il fratello Mordred, si disse.

Certo solo se quel tonto si toglieva dalla faccia quella espressione sbalordita.

E anche Galahad.

I re non devono mostrare di essere sorpresi dell’aiuto che ricevono! Era la prima regola per dominare che sua madre gli aveva insegnato.

Quando il brusio di sorpresa si placò, altri re mugugnarono assensi riguardo ai tributi.

Tanti furono quelli che seguirono il gesto di Galehaut, il potente re dei vichinghi. Tanti che Mordred cominciò a sperare di avere un regno su cui governare.

Vide zia Morgana che gli sorrideva beneaugurante ma, la voce di sua madre gli gelò il sorriso sulle labbra.

 «Bene. Visto questo accordo, propongo un brindisi!» esclamò Morgause, alzandosi in un gesto lento e sensuale. Levò il calice e tutti la imitarono mentre Mordred vedeva, come a rallentatore, anche il bicchiere di Galahad levarsi con lui.

 «Ai reggenti!» brindarono tutti.

Meccanicamente anche lui li imitò.

Il cuore che gli rimbombava nelle orecchie.

Il veleno…

Stava per perdere il trono e anche l’unica persona che aveva mai creduto in lui.

I re portarono i calici verso la bocca ma, quando l’oro lucente toccò le loro labbra, una voce lacerò l’aria. «Aspettate!» urlò. Era la sua voce.

Non so come, era risuonata tanto autoritaria da bloccare tutti. Come la voce del padre.

Galahad sbatté le sue lunghe ciglia dorate da ragazzo e chiese: «che succede, Mordred?»

Lo chiamava sempre per nome, ora. Da quando gli aveva detto di dirgli sempre la verità, lo chiamava così. E gli piaceva.

Il suo nome, nella bocca di Galahad, perdeva quel sapore aspro di maledizione e di tradimento. Il suo nome nella bocca di Galahad sapeva quasi di mare. Del vento salmastro che gli scuoteva i capelli quando era ancora solo un bimbo delle Orcadi.

Aprì la bocca e lentamente trovò una bugia da dire. Era bravo a mentire, no?

«Visto che… Io e ser Galahad, da ora in poi, comanderemo insieme(ed egli oggi mi ha salvato la vita)…» la bugia prese forma mentre gli porgeva il suo calice con lo stemma delle Orcadi.

L’aquile bicipite. Due teste, per due re, comprese. «Vorrei che condividessimo tutto. A partire da questo calice di vino. Come segno di un buon inizio»

Non avrebbe fatto spalancare più bocche e occhi neppure se avesse detto che tutta la storia di re Artù, e dei cavalieri della tavola rotonda, fosse stata solo una panzana inventata da uno scrittore folle, rinchiuso in un qualche carcere del futuro.

Gawain lo fissava come fosse ammattito, e lo stesso i suoi fratelli.

Ginevra applaudiva compiaciuta, mentre la zia morgana sorrideva estasiata, come avesse avuto una qualche visione.

I francesi e tutti gli altri temevano qualcosa, e lo guardavano con ostilità e diffidenza; ma Galahad…

Galahad…

Galahad aveva gli occhi pieni di speranza. Le gote dolcemente arrossate dal bel gesto garbato. Annuì, porgendogli il suo calice con lo stemma con la croce.

«Lo farò volentieri, Mordred» e sorrise. Di quei sorrisi tanto gentili che avrebbero intenerito anche una statua di marmo.

Mordred si voltò, evitando lo sguardo della madre, e gli poggiò il suo calice contro le labbra.

Lo stesso fece Galahad, senza lasciarlo.

Si sfiorarono le mani, piegando i bicchieri verso di sé.

«Al nostro futuro» augurò Galahad, e bevve.

 «Si… Al futuro» ripetè Mordred, chiudendo gli occhi e alzando il calice.

Si. In fondo non era male morire così. In quel momento.

Era quasi un re.

Era stato accettato da tutti (o quasi) e  aveva al suo fianco l’essere più caro, per lui, al mondo. Così avrebbe salvato il santo e il peccatore sarebbe morto, come doveva essere.

Come avrebbe già dovuto essere. Dalla sua nascita.

Ed era sicuro di lasciare Camelot –quella gente che non lo amava – in buone mani. Le più buone al mondo.

Sarebbero stati felici.

Bevve il vino. E attese il contatto del veleno…

***

 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** CAPITOLO 14 – IL TRATTATO ***


CAPITOLO 14 – IL TRATTATO

CAPITOLO 14 – IL TRATTATO

 

Una voce ruppe il suo oblio.

Era la voce disperata di un uomo che gridava. «No! Non bevete! E’ un filtro magico!» urlò Tristan: «Ora sarete innamorati per sempre!»

Sulla tavola rotonda scese un pesante silenzio imbarazzato.

Tutti si guardarono. Alcuni ridacchiarono.

Tristan fissò attorno a sé con gli occhi spiritati, infine si coprì il viso con le mani, scoppiando a piangere.

Prontamente il suo vecchio amico Melot gli cinse le spalle e, mormorandogli qualche parola lo trascinò via.

Lentamente re Mark si alzò e cercò di giustificare il suo pupillo: «Scusatelo… Una volta è stato avvelenato e, da allora ha dei seri problemi con… Ehm… Il vino»

Tutti ridacchiarono dandosi di gomito.

Anche Morgause. E Mordred capì che non esisteva alcun veleno. Era stato tutto un parto della sua immaginazione.

“Maledetta paranoia” si disse, voltando la testa.

Ora tutti avrebbero pensato che era innamorato di Galahad…

A parte questo comunque, era tremendamente felice di essere ancora vivo. Che cosa gli era passato per la testa non sapeva proprio ma, sicuro non l’avrebbe mai più rifatto! Mai più, sicuro.

Percepiva tutto il corpo come un formicolio di caldo sangue palpitante in tutte le membra.

Lui era lui e la vita era sua. Non se la sarebbe più giocata per nessuno.

 «Mordred» sussurrò la vocina gentile di Galahd, riscuotendolo. Il ragazzino allungò le mani e gli toccò appena i capelli neri: «Sei impallidito prima e ora mi sembri accaldato. Stai bene?»

No. No che non stava bene. Metà tavola rotonda pensava che loro due stessero insieme, mentre l’altra metà voleva ucciderlo. Non era esattamente la sua serata migliore.

Se poi continuava a sfiorare i suoi capelli come fossero le morbide ciocche di un infante, o le belle treccie di un’innamorata, le cose non sarebbero molto migliorate.

Aprì la bocca e d’improvviso tuonò: «Bedivere! Il patto per le firme!»

La sua voce fu simile al ruggito del leone di ser Ywain. Tutti trasalirono mentre il connestabile si affrettava a porgergli il trattato che aveva stilato.

Ignorando la mano di Galahad, il principe appose la sua firma, passando il rotolo al francese.

Seppure sorpreso dal cambio di umore dell’altro, il giovane firmò e lo passò a destra, e a destra ancora, per fare tutto il giro del tavolo. Tutto il giro di Britannia.

Quando il foglio arrivò davanti agli ambasciatori dei sovrani nemici, degli Scoti e degli Juti, questi si guardarono tra loro.

Davanti allo sguardo truce di Mordred, decisero velocemente che era per loro conveniente firmare. Cosa valeva per loro una firma tra nemici che non avevano neppure un vero re?

Sogghignando, videro l’accordo ritornare nelle mani di Mordred.

Il principe fissò la carta con distaccata alterigia.

Squadrò gli uomini alla tavola rotonda e poi, rammentando la figura che aveva appena fatto, alzò il patto sopra  di sé e ringhiò: «Che tutti voi nobili signori, siate di testimoni di questo scritto. Connestabile, voglio che spediate una copia di questo trattato a re Childric dei Sassoni…» Si levò un bisbiglio sorpreso. «…Come un segno di pace tra i nostri popoli da parte del principe Mordred, reggente di Camelot»

Nessuno ebbe il coraggio di proferir parola.

Neanche Galahad.

E per una volta Mordred si sentì soddisfatto. Che pensassero quello che volevano di lui e del ragazzino non gli importava. Ora era lui il capo e poteva farsi chiamare finalmente principe di Camelot, senza nessun timore.

Porgendo il foglio a ser Bedivere, esclamò: «E ora possiamo anche cenare. Miei signori… Buon appetito!» e sedette.

***

Il resto della cena passò amabilmente tra ricche bevute e mangiate di selvaggina prelibata. Bardi e menestrelli giunsero ad animare la serata e non ci furono altri discorsi politici – O almeno ad alta voce -  mentre le dame si abbandonavano tra le braccia dei loro cavalieri serventi, e altri cantavano e si ingozzavano di vino raccontandosi le loro prodi avventure.

Come se fossero ancora i tempi splendidi dove Artù teneva il trono.

Molti si alzarono per danzare la grande sala risuonò di musica, mentre negli angoli si creavano capannelli di cavalieri. Tutti parlavano e nessuno faceva caso al gruppetto di cavalieri che si era unito ai francesi.

Gli ambasciatori bisbigliarono nelle orecchie di ser Bors, mentre la musica risuonava forte nella immensa sala.

Parlarono al nobile Bors e  ai suoi cavalieri celti. Lionel e altri parvero titubare alle loro profferte ma, poi si lasciarono convincere ed annuirono.

«…Non preoccupatevi, ci penseremo noi» dissero gli ambasciatori; quindi si strinsero le mani e si separarono disperdendosi nella sala affollata.

L’accordo era fatto.

***

 

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** CAPITOLO 15 – IL SICARIO ***


CAPITOLO 15 – IL SICARIO

CAPITOLO 15 – IL SICARIO

 

Appena la torma di cavalieri fu troppo impegnata ad amoreggiare o a vomitare sotto la tavola rotonda, Mordred colse l’occasione per svignarsela. Ne aveva avuto abbastanza di re ed ambasciatori per quel giorno. E quando vide suo fratello Gareth sbaciucchiare la sua bisbetica Lyonesse, e Gawain rifilare un pugno a re Galehaut che aveva tentato di baciarlo davanti a tutti, decise che era davvero troppo.

Cercando di restare il più celato possibile, uscì dalla sala e scivolò lungo i corridoi semibui.

Non c’era anima viva mentre si dirigeva verso gli appartamenti reali.

Con il frastuono e le poche torce sparse molto distanti tra loro, quello sarebbe stato il luogo migliore per un sicario. Mordred ne aveva abbastanza anche di paranoie per quella sera.

Proseguì, dirigendosi verso le sue stanze a grande falcate, fin quando qualcosa non lo bloccò. Come un’oscura sensazione di pericolo. Qualcuno lo seguiva!

Stavolta non era paranoia.

Aveva udito il fruscio di un mantello dietro di lui.

Fu un attimo. Con il cuore in gola, si schiacciò contro il muro buio, attendendo il suo assassino. Ecco, ora sentiva bene i suoi passi leggeri. Ancora pochi passi e sarebbe stato lì…

Fu un movimento convulso. Uscì dall’angolo buio e afferrò il suo assalitore, strattonandolo contro di sé, per bloccarlo.

 «Maledetto…»

«Mordred!» urlò il suo sicario, con una voce che conosceva bene.

 «Galahad?» si stupì, guardandosi attorno. Oltre a lui non c’era nessuno: «Che ci fai qui?»

«Ti… Ti ho seguito» balbettò il biondo a disagio, stretto contro il torace del principe.

Mordred lo trattenne, osservando da vicino il suo bel viso candido. Il suo fiato gentile: «Eri tu che mi seguivi… Avrei dovuto sentire il tuo buon profumo»

 «Come?»

«Nulla» tagliò corto Mordred, distogliendo lo sguardo dalle sue rosse labbra invitanti.

Il francese sorrise senza ribellarsi al suo abbraccio: «Volevo parlarti di prima. Dell’accordo…»

 «Si?»

«Ecco io, ti ho trovato molto regale sai? Il trattato di pace con gli Scoti e gli Juti sarà ricordato negli annali, principe Mordred» sorrise orgoglioso.

Mordred si mosse a disagio. Nessuno gli aveva mai fatto simili complimenti. E sinceri soprattutto, se venivano da Galahad.

Aprì la bocca ma gli uscì solo un borbottio: «Sarà storico solo se rispettano il patto…»

 «Credi che non lo faranno?» l’altro sbatté gli occhi celesti. L’innocenza fatta persona.

 «Dovrò insegnarti un po’ di politica, se vuoi essere un vero reggente» commentò il moro.

«Ma hanno promesso. Hanno apposto le loro firme!» giustificò il celta.

Mordred lo squadrò: «Sono nemici. Non gli interesserà» tagliò corto il moro.

Entrambi rimasero in silenzio, perdendosi in cupi pensieri.

Erano lì, insieme, nella penombra del corridoio, ancora stretti nelle braccia dell’altro. Non provavano alcun timore anzi, si stavano godendo quel momento di privata solitudine.

Galahad alzò il viso per parlare e, fu in quel momento che vide una figura balzare fuori da dietro un angolo.

«Muori bastardo!!» urlò il sicario, che probabilmente non aveva visto Galahad, unito all’unica ombra di Mordred.

Un lampo di luce rossa del fuoco di una torcia lontana, rifletté sul freddo metallo della lama di un pugnale che calava verso il petto di Mordred.

 «Nooo!» gridò Galahad, dando un tremendo spintone al moro. Il principe volò all’indietro, perdendo l’equilibrio, mentre il pugnale passava a pochi millimetri dal suo viso.

Avvertì il pugnale tagliare l’aria mentre il figlio di Lancillotto allungava il braccio sinistro verso l’assassino, tentando di colpirlo al ventre con un pugno.

Il sicario dal volto celato da un elmo e dal buio, incespicò, riuscendo però a scansarsi.

Tentò di distinguere ancora Mordred nel vano del castello ma, questi intuì cosa stava pensando e si gettò verso la torcia più vicina. La staccò dal supporto e la gettò contro la faccia di ferro del suo assalitore.

L’uomo urlò un imprecazione poi si voltò e se la diede a gambe levate, lasciando cadere quello che aveva in mano.

Il pugnale rimbombò sul pavimento di pietra come un rintocco di campana, mentre la torcia si spegneva sfrigolando.

Tutto fu buio e silenzio.

Appoggiato al solido muro del castello, Mordred ansimava in silenzio. Nel buio udiva anche il respiro di Galahad.

Non aveva mai udito un suono più bello.

Tossicchiò, prendendo fiato per parlare ma il celta lo anticipò: «Stai bene?» la voce curiosamente incrinata.

Mordred se la legò al cuore ma, rispose come sempre brusco: «Lo spero»

Silenzio. Poi osò: «E tu?»

«…Credo che mi abbia tagliato di striscio»

«Cosa?!» strillò il moro, andando a tentoni verso di lui. Lo trovò nel buio, balbettando parole. «E’ grave?»

«No. No»

«Ma può esserci del veleno! Dobbiamo pulirla»

Sorpreso Galahad si sentì afferrare la mano e trascinare verso una luce. Giunti sotto a una torcia, il francese vice Mordred chinarsi sul suo braccio. Sulla stoffa strappata e poi posare la bocca sulla sua ferita.

E Galahad s’irrigidì a quel contatto; poi si sentì avvampare al tocco della lingua di Mordred sulla sua pelle. Fu come se il principe risucchiasse anche la sua anima insieme al suo sangue.

Che Iddio lo proteggesse…

Ondeggiò, andando ad appoggiarsi al muro.

Subito Mordred lo sostenne: «Stai male?»

«Solo spavento» mentì. Come se non avesse avuto il coraggio di affrontare mostri, draghi e cavalieri nemici, nella sua vita.

Mentì. Cosa che non aveva mai fatto.

Allungando la mano toccò i serici capelli neri di Mordred. Non aveva mai visto capelli così neri; così belli come quelli di Mordred.

Non avrebbe mai smesso di accarezzarli, se fosse stato possibile.

«Ti porto in camera. Appoggiati a me» ordinò il moro, stringendogli la ferita per farla smettere di sanguinare.

Stretti l’uno all’altro, i due si avviarono di nuovo nel buio.

***

 

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** CAPITOLO 16 – VERITA’ E BUGIE ***


CAPITOLO 16 – VERITA’ E BUGIE

CAPITOLO 16 – VERITA’ E BUGIE

 

 Seduto sul grande letto dei re Artù, Galahad osservò le mani di Mordred che lo curavano con attenta solerzia. In silenzio.

Gli aveva lavato e scrutato, a lungo, il leggero taglio su braccio, tenendo delicatamente le sue dita attorno alla sua pelle.

Senza una parola l’aveva poi bendato con cura.

«Dovrebbe svanire la cicatrice ma, domani lo mostreremo a mia zia Morgana. Lei saprà fare meglio di me. Ti metterà qualche unguento» spiegò.

Galahad gli sbirciò il viso chino sul braccio. Era così serio e concentrato da fargli tremare il cuore. La sua pelle, sul  naso, mostrava lievi tracce di efelidi, visibili solo da molto vicino.

Le sue dita ruvide si muovevano sulla sua pelle col tocco di delicati brividi.

 «Pensi che tornerà?»

«Non stanotte» rispose Mordred con distacco, intuendo a cosa si riferiva.

 «Ma… Voleva ucciderti!»

«Me o te»

Galahad si raddrizzò: «Uccidere me? Perché?»

«Siamo i reggenti di Camelot. Niente Noi, niente tavola rotonda»

L’altro non parve convinto: «Ma… Io non ho nessun nemico»

 «Io molti. Per questo ora te ne posso regalare uno dei miei» commentò Mordred sarcastico.

«Non capisco»

«Mia madre… Vuole ucciderti» la frase gli scivolò fuori di bocca come un sasso smosso che apre una falla in una diga.

La verità.

Curioso, non era così difficile dirla.

Il celta scosse il capo perplesso: «Perché?»

 «Ma non capisci? Senza di te potrei avere il trono solo per me. O meglio, lei vorrebbe così perché, vuole manipolarmi come una marionetta per il suo tornaconto. L’ha sempre fatto! Mi ha tenuto in vita solo per quel motivo» Mordred strinse le labbra, fissando il fuoco acceso nel caminetto (Stavolta Kay se n’era ricordato!).

Lingue di fuoco danzavano di riflesso sul suo viso rosso.

Galahad lo vide bruciare nelle sue pupille.

Allungò una mano e la posò sul suo braccio: «Cosa possiamo fare? Quello di prima voleva uccidere te quindi, non era inviato da tua madre»

Mordred annuì, cupo: «Doveva essere uno straniero»

«Dall’accento che ha usato vero?... Si, temo anch’io. Uno juto, forse» ponderò Galahad, racimolando i ricordi dell’aggressione.

«Forse ma, senza prove certe non possiamo accusarli di nulla. Maledette regole!» borbottò il principe. Ora capiva come doveva essersi sentito suo padre di fronte al tradimento della sua regina con il suo fedele Lancillotto.

Come avere le mani legate.

Sbirciò Galahad. Chissà come avrebbe reagito se avesse trovato il ragazzino a letto con qualcun altro. Non lui, qualcun altro, con cui stava facendo sesso sfrenato (a parte che era impossibile!)…

Probabilmente li avrebbe sbudellati entrambi nel impeto della loro passione, si disse soavemente, mostrando un sorriso simile al ringhio di un lupo.

(Ma questa non era, certamente gelosia)

Galahad lo riscosse, scoppiando in una risata gentile: «Non credevo che proprio tu mi dicessi di rispettare la legge!»

 «Ehi? Ma che idea ti sei fatto di me?!» sbottò il moro, falsamente indignato.

(Il sorriso di Galahad avrebbe rasserenato anche un indemoniato, figuriamoci una sua risata allegra)

 «Oh scusa… E’ che parlando di un sicario non so se averne pietà. Dio perdona solo i nobili di cuore…»

 «Allora io sarei bello che fritto» bofonchiò l’altro.

«Come?»

«Nulla. Solo che se attacchiamo senza prove avremo una guerra, e addio trattato e regno… Non ce lo possiamo permettere, Galahad. Via! Usa quel tuo cervello dentro la tua bella testolina» spiegò il principe accondiscendente, picchiettandogli un dito sulla fronte: «Non dovrò mica spiegarti tutto io?»

Il francese annuì: «Hai ragione… Quindi…»

 «E’ meglio puntare a come risolvere il problema Morgause, per ora»

Seduti l’uno accanto all’altro sul grande letto, i due rifletterono in silenzio.

La stanza era illuminata dal fuoco nel camino e da un paio di candele per la notte.

 «Che fece tuo padre per placare la regina?» chiese Galahad a un certo punto.

«La diede in sposa a re Lot, un suo alleato ma, finì per trovarsi due serpi (più me) in seno. Lot era ambizioso quanto lei»

 «Quindi, dovresti darla in sposa a qualcuno senza troppe ambizioni…»

Mordred rise: «Vuoi sposare mia madre?»

Galahad era l’unica persona che non avesse simili peccati. L’idea però lo agghiacciava.

 «Preferirei evitare!» esclamò il biondo; poi però si affrettò ad aggiungere: «Naturalmente senza offesa»

Mordred piegò le labbra in un sorrisino distratto: «Tranquillo. Al massimo la farei sposare a Bors!» e come avesse detto qualcosa di estremamente divertente, Mordred scoppiò a ridere piegandosi in due per quell’idea perversa.

Galahad corrucciò le labbra: «Mordred… Non è cosa da ridere»

 “Sulla tua vita davvero no” pensò Mordred, tornando serio, asciugandosi gli occhi.

Galahad era l’unica persona che aveva rischiato la vita per lui, senza voler nulla in cambio. Era l’unica persona a cui poteva confidare i suoi pensieri, senza avere il timore di venir pugnalato alle spalle, durante la notte.

 «Mordred» lo richiamò l’altro: «Se vuoi il trono io… Te lo posso lasciare serenamente. Non m’interessano queste cose, lo sai» mormorò guardandosi le mani.

 «No!» dichiarò il principe, stupendo anche se stesso: «Non m’interessa avere uno pseudo diritto al trono. E inoltre mia madre non mi lascerebbe in pace lo stesso…»

Avrebbe lasciato in pace Galahad forse, se l’avesse lasciato andare ma, quell’opportunità non voleva neppure calcolarla. Massaggiandosi il collo, bisbigliò: «Forse dovrei farla uccidere…»

 «Mordred!» urlò Galahad stridulo, guardandolo scioccato, e lui rise come un pazzo.

«Sta tranquillo. Io non sono come lei. Troveremo un modo per evitarlo (Forse)» e mostrò un ghigno poco rassicurante, stendendosi accanto a lui.

Galahad lo sentì posare la testa vicino a lui.

I suoi morbidi capelli neri sparsi sul cuscino.

Erano così belli..

Lentamente Galahad allungò la mano e affondò le dita tra i suoi capelli, accarezzandogli piano la testa.

I suoi occhi scuri lo scrutarono ma, non chiese che smettesse. Anzi, lievemente sorrise e  chiuse gli occhi, lasciandosi cullare nel sonno dal tocco dell’unica persona di cui si fidava.

E per cui avrebbe dato volentieri la sua vita

***

 

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** CAPITOLO 17 – MOTIVAZIONI ***


CAPITOLO 17 – MOTIVAZIONI

CAPITOLO 17 – MOTIVAZIONI

 

 «Ferire Galahad? Ma come avete osato?! Voi dovevate solo uccidere Mordred!» strillò l’uomo incappucciato, muovendosi in uno dei cortili bui del castello di Camelot.

 «E’ stato un errore. Nel buio non l’avevo visto, aggrappato com’era al principe» si giustificò l’altro.

 «Galahad non era aggrappato a nessuno!» urlò ancora il primo, agitando le braccia come un disperato, nel suo domino nero.

D’improvviso si voltò, mostrando i pugni: «Basta così! L’accordo è rotto!»

Il sicario lo contraddisse: «Non credo proprio ser, a meno che non vogliate che tutti conoscano il nostro piccolo patto…»

L’altro uomo impallidì, scrutandolo nel buio.

I suoi compagni lo circondarono come a proteggerlo: «Non avete alcuna prova» sibilò duro.

 «Lo credete davvero?» rispose l’assassino untuoso.

 «Solo la vostra parola contro quella di un cavaliere della tavola rotonda» rispose l’altro, battendosi un pugno sul petto.

Lo juto si gettò il mantello sulla schiena con un gesto plateale: «Pensate come volete ma l’accordo con il mio re vale ancora. A meno che non vogliate che muoiano due reggenti al posto di uno?» ironizzò. Quindi s’inchinò con un gesto plateale: «Cavaliere» e se ne andò lasciando gli altri nel buio.

Il francese chinò il capo e serrò le mani in una preghiera: «Che ho fatto… Dio mio proteggilo!»

***

 Mordred si svegliò tra le braccia di Galahad. Il giovane francese aveva finito per porsi ancora a sua protezione. Probabilmente lo faceva inconsciamente, e l’avrebbe fatto per chiunque ma, in lui accendeva la speranza. Sorvolando sulle reazioni che creava nel suo corpo.

Per non pensarci, decise che doveva proprio darsi da fare quella mattina.

Scivolò fuori dalle sue braccia a malincuore e si vestì velocemente, senza svegliarlo.

Quando uscì dalle sue stanze, sapeva esattamente cosa doveva fare.

Impose alle guardie alla porta di vegliare con estrema cura su Galahad. Ordinando loro, pena la morte, di non fare entrare nessuno nella loro camera.

Ottenuto il loro amabile assenso (sapeva come spaventare la gente), il principe andò in cerca di Bedivere. Aveva bisogno di conoscere le intenzioni del maresciallo e del siniscalco del regno.

Trovò i due seduti a far colazioni nella sala rotonda.

I due lo videro ma non si alzarono.

Ancora non gli tributavano il rispetto che avevano dato a suo padre.

 «Signori. Vi devo parlare» esordì Mordred con voce decisa, fermandosi davanti a loro.

«Parla, Mordred» rispose Bedivere, indicandogli di sedersi. Come fosse una concessione.

Il maresciallo fece cenno alle guardie della sala di bloccare l’ingresso agli altri cavalieri mentre parlavano.

Il principe ignorò le offese e si piegò verso di loro: «Stanotte hanno attentato alla mia vita»

 «Cosa?! Quando?» domandò Bedivere, allarmato.

«Non c’è poi da stupirsi» commentò invece Kay: «Non sei mai stato amato. Comunque, il problema non sussiste. Sei sopravvissuto»

 «Il problema invece c’è, eccome. Ed è che è successo proprio nel luogo più sacro del regno, Kay hir» gli fece notare Bedivere, picchiando un dito sul tavolo: «Sotto le mie guardie!»

Mordred storse la bocca. Parlavano come non fosse stata a rischio la sua vita. «Sono vivo solo per merito del braccio saldo di Galahad»

Kay e Bedivere si guardarono: «Dovreste ringraziarlo allora»

 «In ogni istante della mia giornata»

I due fedeli cavalieri si scrutarono ancora mentre lui proseguiva: «Ora vorrei sapere da voi due se io e Galahad avremo un regno su cui governare oppure se si tireranno indietro tutti»

Bedivere ascoltò le sue parole poi rispose onestamente: «Dipende da voi due»

Il principe inarcò un sopracciglio e decise che era meglio sedersi.

Il fedele Bedivere proseguì: «Il trattato è stato un buon inizio, e anche l’avere il sostegno di Galehaut. Abbiamo saputo che tuo fratello Gawain ti sta aiutando, mettendo delle buone parole con tutti i cavalieri. Specialmente con Galehaut»

Mordred si osservò le mani: «Lo so che se non fosse stato per Gawain non avremmo neanche quello straccio di patto. Nessuno dei cavalieri l’avrebbe mai stretto con il detestato figlio della strega»

Kay si agitò sulla sedia. Non era abituato all’autoironia di Mordred. «Certo non sei Artù…» iniziò: «Ma tu e il galletto non vi state poi comportando così male» ammise a malincuore. Bedivere fu d’accordo con lui.

Mordred si raddrizzò fieramente e li scrutò: «Verità per verità, voglio sapere perché mi avete sostenuto, voi due e mia zia Morgana. Perché mi avete concesso il trono, seppure con Galahad ma, perché?»

Il maresciallo parlò per entrambi: «Ragazzino… Tu sei l’unico discendente di Artù» iniziò: « E malgrado le voci sui trucchi di tua madre, tu non c’entri nulla con lei, e meriti una possibilità»

«Sempre se riesci a tenerla  lontana dal trono, quella serpe» sottolineò Kay, con un gesto della mano.

Nessuno dei due disse esattamente la motivazione profonda che li aveva spinti ad appoggiare la scelta di Morgana la fey.

Bedivere non nominò i favorucci che aveva chiesto a Morgana. Come certi unguenti magici che usava solo in occasioni speciali.

E Kay non parlò della sua depressione causata dalla fuga di Artù con Lancillotto.

Comunque i tre si guardarono e Mordred disse una cosa che non si sarebbe mai sognato di fare prima di conoscere Galahad… «Mia madre è un grosso problema. Sono qui anche per questo. Per chiedervi aiuto. Lei… Vuole uccidere Galahad»

Kay saltò in piedi e fece per mettere mano alla spada: «Il figlio di Lancillotto? Come osa?!»

Bedivere lo fermò con un cenno: «E’ un’accusa grave quella che muovi  ragazzino. Ne sei sicuro?»

 «Come il mio respiro. Me l’ha proposto lei di uccidere Galahad così che io prenda il trono»

I due cavalieri restarono senza parole.

Kay si alterò e si sporse verso il moro, minacciandolo col dito: «Se è per te, perché vieni a dircelo? Cosa ci guadagni? Cosa c’è sotto?»

 «Non riuscirei a mantenere il trono in questo modo. Non con il sospetto dei cavalieri. Inoltre…» e lo disse come lo schiocco di un colpo di frusta: «Non voglio perdere Galahad. E’… Un amico fedele. Come non credevo di averne mai. Non voglio muoia»

Due paia di occhi sgranati lo fissarono increduli.

Bedivere si appoggiò allo schienale del suo seggio, sospirando.

Un amico fedele, conosceva qualcuno che rispondeva a quello stesso termine.

Kay invece scoppiò a ridere: «Sta a vedere che ti sei innamorato davvero di lui come hai quasi dichiarato ieri sera!»

Mordred lo fulminò con lo sguardo ma non fuggì dai loro occhi.

I due rimasero di sasso.

Lentamente Kay sprofondò nel seggio. Cercò lo sguardo di Bedivere e il compagno gli posò una mano sul braccio.

Meglio parlasse lui.

 «Perché ci hai detto queste cose, Mordred?»

Il principe si sporse sul tavolo: «Tu e Kay mi avete dato il vostro appoggio come reggente. E ve ne ringrazio ma, senza il vostro aiuto non potrò andare avanti. Il regno non potrà andare avanti senza il vostro lavoro determinato. Dovete aiutarmi. Se non per me, almeno per proteggere Galahad»

Il connestabile di Camelot tacque a lungo come valutando la sua proposta.

Poteva aiutarlo o destituirlo e aiutare qualcun altro ma, avrebbero dovuto lavorare insieme per far funzionare l’impero di Artù.

Infine si rammentò una cosa: «Sai cosa fece tuo padre appena estratta la spada nella roccia, Mordred?»

Il principe scosse il capo, muto.

«Ebbene lui si ritirò con noi due, me e Kay, in una stanza e chiese il nostro sostegno. Non è vero Kay

Kay hir annuì, sorridendo divertito: «Decisamente. E diavolo, se la faceva sotto dalla paura!»

Bedivere sorvolò su quel commento: «Temeva che senza la coalizione di tutti i suoi cavalieri fedeli, si sarebbe scatenata una guerra fratricida. Ma non successe proprio perché lui cercò la parola di tutti»

Il maresciallo diede una pacca sulla spalla a Mordred: «Proprio come stati facendo tu ora»

 «Temevamo non avresti avuto il coraggio di farlo sai» rise Kay, dando una sorsata al vino, come in un brindisi.

 «Avrai tutto il nostro aiuto. Chiedi e ti sarà dato» commentò Bedivere muovendo una mano come fosse un missionario, mentre il rosso rideva.

«Metterò uomini fidati a guardia di Galahad»

«Ottimo! Ma niente francesi. Non si fidano di me e io di loro»

Kay rise ancora: «E come dargli torto?»

Mordred storse la bocca: «E sarebbe meglio avere degli uomini di ferro, o mia madre se li mangerà in un boccone»

 «Uhm… Allora sarà meglio che ne occupiamo noi allora eh, mio vecchio fedele mastino?» commentò Kay, dando una gomitata a Bedivere.

L’altro grugnì: «Per il figlio di Artù si può anche fare. Come hai vecchi tempi eh, mio vecchio gattaccio rognoso?»

Davanti al sorriso dei due più vecchi compagni di re Artù, suo padre, anche Mordred si trovò ad accennare un lieve sorriso. Un sorriso grato.

***

 

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** CAPITOLO 18 – DESIDERI ***


CAPITOLO 18 – DESIDERI

CAPITOLO 18 – DESIDERI

 

«Sono felice che hai sistemato i tuoi rapporti con ser Bedivere e ser Kay ma, non c’è bisogno della loro protezione. So difendermi da solo, Mordred» commentò Galahad, seguendo il principe lungo i corridoi di Camelot.

 «Non da mia madre» ribatté lui chiaro: «Lei non ti attaccherebbe mai direttamente. Vuole che appaia come un incidente o magari una malattia»

Il celta si scostò una ciocca di capelli biondi dal viso, perplesso: «E’ per questo che stiamo andando da tua zia Morgana la fey ora?»

 «Questo e per la tua ferita» rispose Mordred, proseguendo a camminare seguito dal figlio di Lancillotto. Erano ormai giunti agli appartamenti di morgana, quando il celta aggiunse: «Ma non serve sai. Non sanguina più» e agitò il braccio sinistro che celava la benda.

«Meglio essere sicuri» tagliò corto l’altro.

Un sorriso felice si dipinse sul volto del più giovane. Non voleva sperare troppo ma, era lieto che il figlio di Artù fosse così premuroso con lui. Ne era stupidamente lieto. Così, invece di tentare di rassicurarlo ancora, si godette quella sensazione.

Ultimamente faceva pensieri strani e si addormentava (con Mordred), senza aver detto le sue preghiere.

L’avrebbero battuto al convento, e messo in penitenza. E persino suo nonno si sarebbe molto adirato se avesse saputo che stava per entrare nelle stanza riservate di una famosa strega. Sarebbe come minimo svenuto alla notizia.

Chissà come sarebbe stato il suo antro magico? Avrebbe avuto teschi di cavalieri e calici gocciolanti sangue, in bella mostra?

Si chiese, preoccupato, mentre Mordred si faceva annunciare dalle ancelle della fata.

 «Ci riceverà anche senza dei doni?» chiese Galahad un poco allarmato.

Le streghe non andavano blandite con regali?

Mordred lo fissò: «Certo» rispose stupito: «E’ mia zia, malgrado tutto»

Galahad parve titubare e cominciò a pensare se la donna avrebbe chiesto loro del sangue come tributo (si sapeva che il sangue era molto importante nei riti pagani…), quando le ancelle li fecero accomodare.

Malgrado quello che si era immaginato, non era minimamente preparato di fronte a quello che vide. E restò senza fiato.

Tendine.

Tendine rosa ornate di pizzo e volant, decoravano ogni finestra e angolo degli appartamenti di Morgana. Per non parlare poi dei fiori freschi e arazzi con rappresentata la vita della regina Ginevra nei suoi momenti più gloriosi. Come quando conobbe Morgana; quando ballò con Artù la prima volta – E Morgana li guardava; quando la regina incontrava la fata, mentre quest’ultima teneva prigioniero Lancillotto in una torre (e Artù e Gawain lo cercavano disperatamente).

Tanti bei momenti insomma.

La fata li accolse nei suoi appartamenti con un ironica riverenza: «Principe Mordred, ser Galahad, cosa vi conduce alla mia porta?» e sorrise ambigua.

 «Benvenuti miei cari, venite miei buoni reggenti» salutò anche la regina Ginevra, seduta davanti a una finestra, intenta a ricamare come una qualsiasi dama.

 «Milady» salutò Galahad con un cortese inchino. Mordred tagliò corto: «Non fare finta di niente zia, tu sai benissimo cosa mi conduce qui»

Lei agitò in aria le mani con noncuranza: «Davvero? Cosa c’è? Forse ti lamenti del trono?»

Ginevra s’intromise, dicendo: «Perdonate questo disordine ma io e Morgana stavamo rinnovando il look di queste nostre stanza. Come le trovate ser Galahad?»

Lui tossicchiò per non rispondere ma, fu Mordred a toglierlo dall’imbarazzo: «Zia! Vorrei sapere perché ci avete dato la reggenza. Perché è stata una vostra idea, vero?»

La fata imbronciò la bocca rossa in una espressione falsamente scandalizzata: «Io?! Con tanti pronti e astuti cavalieri, io dovrei aver organizzato tutto?» e rise apertamente: «Che dici nipote mio?» e si voltò verso la regina. Questa smise di ricamare e le sorrise.

 «Credo che Morgana stia semplicemente cercando di esaudire i desideri di tutti noi, non è vero cara

La figlia di Avalon si sporse verso di lei e le sistemò una ciocca bionda dietro una orecchia, senza rispondere.

Ginevra proseguì, davanti allo sguardo scettico di Mordred: «Artù si sentiva prigioniero della sua corona, e Lancillotto del suo ruolo di cavalieri perfetto. Così Morgana ha smosso le acque e il tradimento le ha risistemate»

Il principe sghignazzò: «Se si può dire che un tradimento sistemi le cose…»

Morgana si voltò con un turbine di seta rossa e gli puntò contro un dito, irata: «Proprio tu parli, deridi il tradimento, Mordred? Proprio tu che sai che a volte si è costretti a tradire…»

Punto sul vivo il moro si ritrasse, incassando la testa fra le spalle, come sotto a un incantesimo.

Ginevra continuò a parlare, come se la sua bocca fosse quella della profetessa: «Il tradimento di Lancillotto ha concesso la libertà a tutti. A te il trono, a me… La gioia» e arrossì tornando a ricamare.

 “Come se Lancillotto avesse tradito da solo” pensò Mordred e rimase a fissare Morgana con il volto corrucciato di un bambino insoddisfatto.

Galahad guardò l’uno e l’altra e decise che, o anche Mordred era una strega o non lo era nessuno dei due. Così si mosse: «Signora fata allora, se avete fatto cose buone, vi ringraziamo. In special modo se dite che ora mio padre e Artù sono felici»

Morgana lo studiò con gli stessi occhi scuri di Mordred ma, di un colore più dorato. Infine sorrise: «Lo sono, caro e dolce fanciullo. Forse anche la tua vita sarà più felice se avrai un'altra strada. Se avrai il trono con Mordred»

 «Ma io sono felice, signora» mormorò lui, perplesso, mentre la fata tornava a guardare il nipote. «Stolto! Io ti dono la gioia e tu osi venire a protestare come se non vedessi i tuoi desideri»

Mordred, sentendo su di sé lo sguardo pensieroso di Galahad, si raddrizzò nella sua fierezza e ribatté: «Che dici, zia? Io non ti capisco»

Morgana lo fissò. E lo fissò ancora, come un ragno che fissa una mosca nella sua tela. Pronto a mangiarla. Allungò le mani poi d’improvviso sbuffò: «Sciocco ragazzo! Non li vedi davvero!? Girati, guarda là, nello specchio dietro di te»

Temendo qualche incantesimo, Mordred si voltò lentamente mentre lei gli si avvicinava.

«Che vedi?»

Il venticinquenne vide soltanto se stesso nella lastra d’argento. Nella stessa stanza e con la catena di reggente al collo.

«Vedo solo me stesso» mormorò.

 «Guarda ancora» insistè la fata: «Perché anche in te c’è il sangue di Avalon e dovresti poter vedere»

Timoroso Mordred si concentrò di più e l’immagine nello specchio gli parve tremolare.

Nello stesso istante Morgana scivolò accanto a Galahad e, con un movimento disinvolto tolse uno spillone dagli aghi di Ginevra, e lo punse sul fondoschiena.

Galahad sobbalzò, scartando di lato come un cavallo punto da un tafano, e volò addosso a Mordred con un grido.

D’istinto Mordred lo afferrò, stringendolo a sé, prima che rovinassero entrambi a terra.

«Zia!» urlò: «Che diavolo stai facendo?»

Serafica e soddisfatta la bella donna dai lunghi capelli neri sorrise, e disse soltanto: «Che vedi ora nello specchio?»

Mordred non si sarebbe mai più scordato il cerchio dorato che vide sulle loro testa riflesse nello specchio. Ma quello che più contava era il ragazzo che teneva stretto tra le sue braccia.

Galahad sorrideva imbarazzato: «Grazie… Mi… Mi ha punto qualcosa» mormorò arrossendo sotto lo sguardo del moro, acceso da un qualche profondo sentimento.

«Stai bene ora?» ansimò.

«Si… Se non fosse per te sarei caduto» mormorò, stringendolo di più per non voler lasciare la sua presa. Di giorno era caldo come di notte.

Mordred alzò la testa vero Morgana e vide che la zia lo guardava, consapevole. Come se avesse sempre saputo tutto.

«Ti serve qualcos’altro, nipote?»

 «Una… Una crema per Galahad» bisbigliò lui con un filo di voce. Turbato.

Morgana batté le mani e rise come una bambina: «Che tipo di crema? Come quella per Bedivere?»

***

 

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** CAPITOLO 19 – COLUI CHE NON SI PUO’ NON AMARE ***


CAPITOLO 19 – COLUI CHE NON SI PUO’ NON AMARE

CAPITOLO 19 – COLUI CHE NON SI PUO’ NON AMARE

 

I due reggenti erano talmente presi a commentare il loro incontro con la fata Morgana che, per accorciare la strada verso i loro appartamenti, si diressero verso la sala delle armi.

Era proprio in quel luogo dove più si radunavano i cavalieri di tutte le fazioni per allenarsi e farsi ammirare dalle dame della corte.

Appena misero piede nella sala, un silenzio misto di stupore li accolse. Nessuno se li aspettava ma, poi ci fu un grido da fondo sala: «Viva i reggenti!» gridò una voce di donna.

Alcuni cavalieri si unirono al coro, mentre i francesi si buttarono verso Galahad. Il primo fra tutti, ser Bors si inginocchiò davanti al diciassettenne, stringendogli le mani tra le sue. «Galahad… Caro santo» pregò, baciandogli i dorsi.

Il figlio di Lancillotto arrossì: «Ser Bors per favore alzatevi» e lanciò un’occhiata a Mordred. «Non c’è bisogno»

Il principe aveva ripreso il solito atteggiamento altero e infastidito, di fronte agli altri.

 «Si che c’è bisogno. Mi hanno detto che siete stato ferito» spiegò Bors, venerante.

Un mormorio sconvolto scosse la sala. Mordred inchiodò lo sguardo sul viso di Bors: «Come lo sapete?» ringhiò a denti stretti.

Bors parve riscuotersi dalla sua idolatria e balbettò qualche parola appena sussurrata.

Fu una voce di donna che si levò dal gruppo celta. «Sono stata io» sorrise la bella regina dalla chioma fulva come quella di Gawain.

Mordred la fissò sconvolto. «Madre…» mormorò sbalordito.  Che ci faceva sua madre in mezzo ai cavalieri galli?

Morgause gli sorrise e si mosse a braccetto di un giovane cavaliere francese, come una fanciulla illibata.

Il fratello di ser Percival se non sbagliava.

«Madre… Come fate a…»

«Saperlo?» rise Morgause: «Non sapete, principe che in una corte anche i muri hanno orecchie e… Occhi?» e ammiccò voltandosi verso i giovani cavalieri, come se fossero la sua scorta d’onore.

Questi la seguirono come cani fedeli, mentre si spostava lungo la grande sala delle armi.

Rimasto solo, Bors si affrettò a evitare lo sguardo truce di Mordred e, dando un ultimo caro bacio alle dita di Galahad, se la svignò dietro ai suoi.

Il figlio di Lancillotto e di Elaine di Corbenic, cercò lo sguardo dell’altro reggente e vide che Mordred era spaesato quanto lui.

Fu la volta di Gawain e i due gemelli ad avvicinarsi al fratello (stranamente seguito anche da Galehaut)

«Che sta combinando nostra madre?» sibilò Gaheris duro, scrutando la madre seduta tra i celti.

«Niente di buono, se la conosciamo almeno un po’» ribatté Mordred perplesso.

Come faceva sua madre a sapere dell’aggressione a lui, e della ferita di Galahad? Che non le servisse più? Che avesse deciso di farlo fuori e manipolare lei stessa Galahad?

No, impossibile. Il suo francesino era ingenuo si ma, non così tanto da  farsi abbindolare da una strega. E poi non avrebbe mai commesso delle cattiverie. Neppure per una donna, pensò Mordred sicuro.

 «Non mi piace» borbottò Gaheris, dando voce al pensiero di tutti i suoi fratelli.

Mordred annuì e stava per aggiungere qualcosa quando vide un altro gruppo di cavalieri venire a dividere il suo biondo reggente da lui. Stavolta erano i gallesi.

Tutti sembravano ammirarlo e volerlo conoscere.

Tirando la bocca, lo seguì con lo sguardo.

 «Oh ma per favore!» commentò la voce acida di Agravain, da dietro di lui.

Mordred inarcò un sopracciglio, voltandosi.

Agravain non attese altro per parlare: «Non dirmi che vorresti anche seguirlo ora, vero? Non ti sei già reso abbastanza ridicolo ieri sera con quel brindisi?»

Il volto di Mordred s’incupì e divenne ancora più scuro alle parole successive. «Non penserai mica che un santarellino come quello possa davvero amare Mordred? Non farai gli stessi errori di tuo padre con Lancillotto vero? Si è fidato di un celta che piaceva a tutti ed ecco che è scomparso, perdendo tutto»

Mordred alzò il mento, fissando il vuoto davanti a sé. Non avrebbe mai detto al fratello che poteva aver ragion.

Agravain allora gli sibilò nell’orecchio: «Egli è gentile con tutti»

Quelle parole lo punsero sul vivo.

Come trapassato da uno spillone al cuore, così che stillasse silenzioso sangue.

Fulminò Agravain poi si voltò e, senza dire una parola, lasciò la sala delle armi.

Che si godessero il loro santo.

***

 I corridoi che aveva appena percorso, in un attimo con Galahad al fianco, ora gli apparivano interminabili mentre avanzava soprappensiero.

Nessuno lo fermò o gli chiese dove andasse. Era il reggente di Britannia principe di Camelot, solo perché c’era Galahad al suo fianco.

Come dire che il popolo avrebbe scelto Artù come re, solo se avesse avuto Lancillotto al fianco. Assurdo. Impensabile.

Ma doveva accettare la verità, era una frana come reggente. La gente non l’aveva mai amato. Senza di lui, Galahad avrebbe governato senza problemi. E senza agguati.

Sua madre sarebbe tornata alle Orcadi e tutti sarebbero stati felici e contenti.

Forse Artù non aveva poi così sbagliato a non dichiararlo principe ereditario. Molti meno problemi.

Bastava solo ritirarsi e lasciare tutto a Galahad. Non ci sarebbero state fazioni. Il santo l’avrebbero seguito tutti.

Come sempre quando era di umor nero, scivolò fuori dalle cucine del castello e per giungere nei canili.

Senza Artù, sembrava che quella zona fosse diventata poco frequentata, ed egli trovò i suoi tre bracchi accucciati nel solito bel recinto.

Appena lo video i cani guairono di gioia e abbaiarono, e lui sorrise. Tra tutti solo i cani gli dimostravano sempre le loro vere emozioni. La gioia nel vederlo.

Si accucciò tra loro e si godette le feste gioiose che gli animali gli tributavano. Mentre gli leccavano il viso e le mani, Mordred si accorse della presenza di un altro cane che lo fissava da un angolo.

Era un vecchio segugio dal pelo ambrato e le orecchie lunghe. L’animale lo studiava con diffidenza, con i suoi occhi bruni, acuti e vivi.

Sapeva di chi era quel cane. L’aveva visto almeno un migliaio di volte accucciato sopra i piedi di re Artù. Era Caball, il cane di suo padre.

Non sapeva come ma, i guardiani dovevano averlo infilato con i suoi per disattenzione. O poco rispetto. (Li avrebbe fatti fustigare!)

Comunque, quel cane  era lì, e lo scrutava.

Lentamente allungò una mano e, senza una parola, gli fece cenno di avvicinarsi.

Il cane non era convinto ma, quando lui mosse le dita, simulando di avere un biscotto, lentamente Caball si alzò e gli trotterellò incontro.

Era un vecchio cane, vecchio quanto suo padre pensò, ma aveva ancora lo stesso aspetto autoritario. Si fece largo tra i suoi bracchi e si fermò a meno di un passo da lui, come soppesandolo con i suoi occhi intelligenti.

Mordred intuì che aveva capito che mentiva perciò allargò la mano e gli mostrò il palmo aperto. Sottomesso. Caball allungò il muso e lo annusò. Odorò le sue dita e poi la mano intera; infine, soddisfatto, si lasciò tranquillamente cadere accanto ai piedi di Mordred, ignorando le altre bestie.

Il giovane trattenne il fiato sotto lo sguardo del cane.

Forse, era uno stupido. Forse aveva paura solo di se stesso. Di quello che gli altri dicevano di lui.

 «Ha riconosciuto il tuo odore» Lo fece sussultare una voce dietro di lui.

Impegnandosi a non crollare – poco principescamente – sul sedere, Mordred si voltò a guardare dietro il cancello di legno.

«Che ci fai qui?» chiese, ricomponendo la sua espressione cupa.

Galahad sorrise e, con l’espressione più ingenua e deliziosa possibile, affermò: «Quando ti ho visto andare via, sono fuggito» prese fiato: «Non volevo restare là con tutta quella gente che pretende che li benedica come un vescovo»

 «Bors ti bacia anche le mani» ricordò Mordred, non riuscendo a trattenersi. Guardò il francese mentre entrava nel canile con lui.

I suoi bracchi traditori gli fecero subito festa. Anche loro già lo amavano.

Si perché Galahad non lo si poteva non amare, intuì Mordred accarezzando la testa di Caball. Il cane grugnì compiaciuto.

L’unico problema era se lui fosse capace di amare altri oltre il suo Dio.

Tutti. Tutti lo amavano.

«E’ proprio un bel cane» sussurrò il biondo, inginocchiandosi accanto a lui e Caball.

Mordred socchiuse gli occhi sul suo sguardo mentre il celta affondava le dita nel pelo morbido del cane.

 «E’ il cane di tuo padre vero? Guarda il collare… Ha gli stemmi di Artù. Le tre corone impresse sul cuoio»

Mordred continuò a fissarlo.

 «Ti vuole già bene, hai visto? Ha riconosciuto in te lo stesso odore di tuo padre» sorrise: «Quello che c’era nel letto»

«Il mio?»

Galahad annuì: «Certo. Quasi del tutto simile al tuo» e sorrise di un sorriso tanto radioso da brillare.

Il moro ne fu tanto abbagliato da mormorare: «Vuoi la mia corona, Galahad?»

Attesero un attimo nel silenzio, studiandosi; poi il diciassettenne scosse il capo: «Non senza di te. Non senza di te al mio fianco, Mordred. Non ce la farei»

 Saresti bravissimo, come sempre»

«No, non hai capito, Mordred. Io non lo voglio… Uscendo dalle stanze di tua zia Morgana mi hai chiesto se avessi mai voluto qualcosa solo per me, un desiderio, e io ti ho detto di no. Ora so bene cosa non vorrei, Mordred…»

Ripeteva il suo nome come se lo sciogliesse sulla lingua, e lui lo adorava.

«Cosa?» riuscì a sollecitare.

Il biondo abbassò lo sguardo sulle sue mani, sul braccio ferito, nascosto dalla manica: «Non desidero stare su quel trono senza di te, al mio fianco»

***

 

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** CAPITOLO 20 – JEUX ENTRE LES CHEVALIERS ***


CAPITOLO 20 – JEUX ENTRE LES CHEVALIERS

CAPITOLO 20 – JEUX ENTRE LES CHEVALIERS

 

Mordred si raddrizzò bilanciandosi sui talloni e lo fissò a lungo. Lo fissò trattenendo il fiato, mentre Galahad lo scrutava con i suoi occhi limpidi. Lo scrutava mentre avvicinava il viso al suo.

Il naso scivolò sul naso. La pelle sulla pelle mentre Galahad respirava sulla sua bocca.

«Io e te…» annuì Galahad, accarezzandogli i capelli neri. Adorava i suoi capelli.

Caball sbuffò quando la mano di Galahad scorse lungo il profilo dell’altro, tremante, poi scivolò dietro al collo di Mordred.

Il principe lo studiava da sotto le ciglia nere, senza un movimento. In attesa, come per scoprire fin dove osava spingersi.

Delicatamente Galahad gli sfiorò le labbra con le sue. Unendo le loro bocche in un casto bacio, leggero e tremante come un alito di vento primaverile.

Mordred rimase immobile per qualche istante poi esplose.

Racchiudendo il volto del francese fra le sue mani lo obbligò a un bacio più intimo ed appassionato.

Ansimò nella sua bocca quando si separarono, restando però abbracciati.

Lui fece scorrere le mani sulle sue guance candide, per poi affondarle nei suoi capelli, così dorati e soffici da sembrare onde di grano maturo.

«Galahad…» ansimò Mordred: «Galahad… Come sei finito qui, con me?» domandò con la voce spezzata.

Galahad parve sorpreso: «Come?Ecco ho detto agli altri che avevo bisogno del bagno…» mormorò in imbarazzo, lasciandosi accarezzare ancora.

Mordred alzò gli occhi nei suoi: «Hai anche mentito? Vuoi dire che santo Galahad ha mentito per fuggire qui da me?» e scoppiò a ridere, crollando sul suo petto.

 «Non sono santo…» borbottò il giovinetto.

«No, forse no. Forse hai scoperto che sei più uomo di quel che vogliono farti essere» e rise ancora come un pazzo, abbracciandogli il torace mentre l’altro arrossiva.

«Si… Temo che mi dovrò confessare» mormorò contrito.

«O per l’amor del tuo Dio, fai un conto unico alla fine e per ora resta qui con me!»

Esclamò il moro, cercando ancora i suoi baci.

Galahad gli cinse le spalle e fece per rispondere alle sue richieste quando una goccia di pioggia gli colpì il naso. Poi ne cadde un'altra e un’altra ancora, trasformandosi in un temporale in piena regola.

Mordred balzò in piedi e prese per mano Galahad, tirandolo con sé.

«Diavolo come è suscettibile il tuo Dio! Non ti si può toccare un po’» scherzò, correndo al castello dopo aver chiuso i cani al riparo.

 «Ma veramente è solo pioggia» commentò Galahad correndo dietro a lui. «Qui da voi il tempo è così instabile…»

Mordred rise, rovesciando indietro la testa: «Gia!» ghignò, bagnato come un pulcino sotto il forte scroscio di pioggia.

Galahad pensò che forse teneva la mano a un pazzo ma, non era mai stato così felice che qualcuno gli stringesse le mani.

***

I due entrarono di corsa nella loro stanza calda. Poi, ridendo, si lanciarono verso la panca dove erano stipati i teli di lino per asciugarsi dopo il bagno.

Li trassero fuori, spogliandosi e asciugandosi velocemente. Si sfregarono a vicenda i capelli bagnati, ridendo come due bambini dopo una marachella.

Galahad si rilassò tra le sue braccia mentre Mordred gli lasciava i capelli biondi.

Di colpo il celta lo baciò e lo guardò cercando la sua complicità.

Mordred ricambiò il suo bacio. Poi un altro ancora e un altro, fin che non lo sollevò e lo buttò di peso sul letto. Lui e il telo insieme.

Galahad rotolò sul letto ridendo come un bambino, mentre Mordred lo afferrava per la calza braca e gliela sfilava nella loro, breve, gioiosa lotta.

Rimasto nudo, il ragazzino si rannicchiò dentro al suo telo, fissandolo: «Che vuoi fare ora?»

 «Credo che non mi scapperai oggi. E allora si che dovrai confessarti, mio caro ragazzino» ghignò il moro, a carponi sul letto.

Arrivò vicino a Galahad e gli baciò le spalle nude, abbassandogli il telo che lo copriva.

 «Cosa vuoi dire?» insisté il francese: «Che peccato potremmo commettere?»

Mordred divorò la sua pelle con i suoi occhi brillanti, stendendolo sotto di sé: «Nessun peccato. Eppure ti diranno che c’è stato perché io ti ho sedotto…»

Galahad disegnò il profilo delle spalle del compagno mentre parlava. La linea del suo collo esile. «Il Signore dice che non c’è peccato se c’è l’amore»

 «E lo stesso dice la Dea ma, i tuoi preti chiederanno chi ti ha sedotto e reso impuro»

Perplesso l’altro lo guardò, sgranando i grandi occhi azzurri.

Mordred si morse un labbro e si maledì per l’idea che gli era venuta in mente.

«Al diavolo! Tu hai rischiato il tuo corpo per il mio quindi, posso anche donartelo (Ti avrei dato anche la mia corona!) per salvare la tua preziosa anima»

 «Io non capisco di che parli, Mordred» dichiarò il diciassettenne accarezzandogli i capelli e il viso.

Mordred sbuffò e si piegò sul suo torace: «Lo vedrai tra poco… Ora vediamo di farti scoprire qualche altro desiderio…» e il suo sorriso perfido non rassicurò molto Galahad.

Un attimo dopo lui sentì la bocca dell’altro posarsi sul suo cuore, sulla pelle nuda del suo torace, come a divorarlo. Le dita scivolargli lungo il profilo dei suoi fianchi. La lingua eseguire curve armoniose sul suo ventre e le labbra chiudersi sul suo collo e sui capezzoli.

Il suo corpo, seppure inesperto, reagì da solo, inarcandosi e protendendosi verso quello del compagno.

Il principe ne sorrise soddisfatto.

 «Cosa…» balbettò Galahad, nascondendo il viso acceso dal piacere dietro le mani fredde.

 «Un jeu mon cher ami» gli sussurrò lui, mordicchiandogli le orecchie e togliendogli le mani dal viso.

Lo voleva  vedere mentre si accendeva, per la prima volta, per il piacere che gli donava.

“Casto Galahad” pensò cercando un suo bacio: “Così puro…” poi gli posò la mano all’altezza del suo petto, mentre si sfilava in qualche modo il resto del suo vestiario.

Galahad riaprì gli occhi e lo guardò solo quando comprese cos’era il forte tamburellare sotto le sue dita. Il cuore di Mordred che gli batteva forte nel petto. Come il suo.

I due si guardarono poi, lui imitò il suo gesto. Prendendo la mano di Mordred se la posò sul torace. Sorrise timidamente. Gli occhi brillanti, il respiro accelerato fra le labbra tumide per i baci. Le guance rosse come pesche vellutate.

Mordred ebbe voglia di mangiarle di baci.

Spinse la mano di Galahad, che tratteneva, giù, lungo il suo torace muscoloso. Gli fece disegnare la linea del suo ventre mentre il francese tratteneva il fiato.

 «Un jeu…Qu’ils fassent tous les chevaliers» bisbigliò, quando le dita di Galahad s’insinuarono tra i peli del suo inguine.

Il fiato del compagno si bloccò quando comprese cosa stava toccando. Un’eccitazione simile alla sua.

Chiuse gli occhi e voltò il capo sentendosi bruciare il viso, ma Mordred non gli permise di isolarsi da lui.

Cercò ancora la sua bocca e gli impose la sua presenza. La lingua varcò la soglia delle sue labbra, per scoprire il vellutato miele di quella del compagno.

Il francese si riscosse e rispose al suo bacio, tornando a guardarlo.

Si aggrappò a lui, alle sue solide spalle, quando fur la mano dell’altro a insinuarsi tra le sue cosce.

Un ghigno da lupo brillò tra i denti del principe quando comprese di non  avere davanti che un ragazzo che lo desiderava. Solo un ragazzino francese che lo desiderava. Il suo dannato ragazzino.

Con le dita lo sfiorò e lo accarezzò, strappandogli gemiti di sconosciuto piacere.

 «Ma non è finita qui, mon beau ami…» gli ansimò nell’alito caldo del desiderio: «Questo è solo l’inizio…»

Spingendolo  contro i morbidi materassi, salì a cavalcioni del suo ventre e lo fissò, penetrante.

«Solo perché sei tu, ragazzino, ricordalo» dichiarò mentre Galahad lo scrutava perplesso tra le ciglia d’oro. Poi lo sentì.

Il suo corpo scivolò in quello del compagno, unendosi in un gemito spezzato.

Mordred rimase piegato su di lui per qualche istante, il tempo di un secondo. Il tempo che posasse le mani sulle sue braccia.

 «Mord…?»

«Oh sta zitto!» ringhiò il figlio di Artù, e si mosse.

Galahad pensò di impazzire. Avvertì il sangue caldo scorrergli lungo le vane e scendere lungo tutte le sue membra, fino al suo ventre. Unito al corpo di Mordred.

Lui e il suo amico. Una sola cosa.

Ecco cosa siginificava… Una sola cosa che desiderava follemente.

Mordred agitò il bacino, muovendosi ancora e ancora, con spinte ondulatorie. Il volto, stravolto da quella unione, era rosso e congestionato, mentre i capelli gli cadevano come una cascata nera sugli occhi.

Glahad pensò che era bellissimo. Ancora più bello del solito. E si mosse. O meglio il suo corpo denttò da solo i suoi ordini perentori.

Facendo forza sui muscoli delle natiche e delle cosce, si spinse in alto, seguendo il corpo del compagno, praticamente seduto su di lui.

Mordred aprì la bocca, senza emettere un suono, tranne che un fiato spezzato. Poi… Sorrise.

Di nuovo quel suo ghigno, come un lampo possessivo nei suoi occhi blu. «Ti sei deciso…» disse, serrando i denti e poi ondeggiando ancora: «Fammi vedere cosa sai fare… Cavallerizzo»

Non seppe perché ma Galahad raccolse la sua sfida. Scorrendogli le mani sul torace liscio, scese alla vita e gli afferrò saldamente i fianchi aiutandolo nel movimento. Obbligandolo al movimento che lui voleva. Quello che dava più piacere a Mordred. Al suo Mordred.

Beh non era così difficile. Sembrava davvero cavalcare. Serrare i muscoli delle cosce e seguire il movimento dell’animale…

Era lui l’animale o Mordred?

Gli venne da ridere e l’avrebbe fatto se avesse ancora avuto fiato.

Non era certo che il suo Mordred avrebbe apprezzato di essere chiamato animale…

Nemmeno se paragonato a un essere nobile e libero come un cavallo. Uno stallone nero e solitario nella brughiera, pensò, sentendolo sbuffare e ansimare, senza però mai smettere di seguire il suo passo.

Quello era più un loro duello personale che altro. Lui non voleva far  altro che perdersi tra le sue braccia dopo avergli donato tutto il piacere possibile.

Piacere. Quello che aveva promesso Mordred e lui… non l’aveva mai deluso, pensò, rovesciando indietro il capo mentre il respiro si spezzava in un ultimo gemito sommesso.

Ricadde sui cuscini con i capelli bagnati di sudore e il corpo del compagno che crollava sul suo. Madido ed esausto quanto lui.

Con l’ultima scintilla di forza, alzò il braccio e racchiuse lui e Mordred sotto una calda coltre di lenzuola.

Lui e l’uomo con cui aveva condiviso il suo amore.

***

 

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** CAPITOLO 21 – AVVICINARSI ***


CAPITOLO 21 – AVVICINARSI

CAPITOLO 21 – AVVICINARSI

 

Galahad riaprì gli occhi strofinando il viso sul cuscino. In tutta la sua vita non si era mai sentito così bene, così pienamente soddisfatto, felice, come in quel momento.

Socchiuse gli occhi, facendo scivolare le dita lungo le costole del compagno.

Mordred si spostò nel letto, rannicchiandosi contro di lui per ripararsi dal freddo.

Con le tende del baldacchino tirare, non si capiva quanto tempo era passato. Era giorno o il tempo del loro piacere era scivolato fra le braccia vellutate della notte?

Non ne aveva idea ma, non voleva lasciare il caldo contatto del corpo di Mordred. Da quando si era appisolato, lo teneva fra le braccia, come una cosa preziosa da proteggere.

Prese a giocherellare con le sue ciocche nere, e quando lo sentì mugugnare, chiese: «Mordred, sei sveglio?»

«No» ribatté l’altro: «E neanche tu. Perciò, dormi»

Galahad sorrise. Adorava persino la sua acidità. Voltandosi su un fianco lo abbracciò: «Chissà che ore sono…»

«E chi se ne frega» borbottò la voce profonda ed assonnata del principe, infilando la testa nell’incavo della sua spalla.

Galahad lo lasciò fare poi disse, agitandosi nel letto: «Ma non sarebbe scortese se ci stessero aspettando…»

Stavolta Mordred alzò il capo scarmigliato dal sonno, e dalle loro lotte, e gli piantò contro i suoi occhi indagatori: «Ragazzino, non dirmi che non ti sei neppure sfiancato dopo quella bella sgroppata»

Galahad arrossì dalla testa ai piedi al modo volgare con cui definiva il loro… Duello. Come l’aveva chiamato Mordred?

Ah si, jeu. Gioco.

 «Dovrò farti galoppare parecchio allora per domarti» ridacchiò Mordred scorrendogli una mano aperta sul torace, dal centro fino ai capezzoli e all’incavo dell’ascella.

Il biondo trattenne il fiato quando sentì un sentimento caldo agitarsi nel suo basso ventre. I desideri di Mordred. Quelli che il principe gli aveva fatto conoscere.

Si sarebbero mai saziati?

 «Che ne dici di cominciare con il concedermi queste tue belle chiappe francesi?» e gli sfiorò il fondoschiena con le dita. «Non ho mai… Assaggiato due natiche più sode delle tue. Sembrano di ferro» commentò sovrappensiero.

 «Mordred!» protestò Galahad, chiaramente a disagio agitandosi sotto le sue mani. Finì per concedere all’altro di insinuargli una gamba tra le sue.

«Un vero cavallerizzo celta» ironizzò il moro, baciandolo sul collo e scalando il suo corpo: «Non vedo l’ora!»

«Mordred! Non mi pare il caso… Abbiamo appena finito…»

«Sei già stanco?» esclamò il principe mettendosi a carponi su di lui, col suo corpo nudo. «No è che…»

 «Ecco dove siete ragazzini… AAAH!!!» strillò una voce spalancando il baldacchino del letto e trovandosi davanti l’immagine, oscena, di Mordred nudo, a cavalcioni di ser Galahad, altrettanto nudo.

Dopo quell’urlo disumano, la tenda venne tirata di nuovo e i due reggenti rimasero nel buio mentre ser Kay, nobile siniscalco di Camelot crollava su una sedia.

Un silenzio imbarazzato proveniva da dentro al letto.

 «Chi era?» osò dire Galahad.

«Dai capelli rossi, direi la nostra casalinga Kay»

«E tu un emerito idiota!» sibilò il siniscalco, saltando in piedi e spalancando la tenda (di nuovo).

I due avevano fatto appena in tempo a ricomporsi e coprirsi le pudende.

«Hai idea che se i francesi sapessero che gli hai… Corrotto il loro santino, ti sventrerebbero come un maiale?»

 «Che immagine serafica» commentò Mordred, giocherellando con le coperte.

«Nessuno mi ha corrotto» protestò Galahad.

Kay levò gli occhi al cielo: «Ma non importa! Non avete imparato nulla da Ginevra? E’ solo una scusa per dividersi! Per avere la guerra! Proprio tu, Mordred, non lo capisci? Sei tale e quale a tuo padre» sbottò Kay incrociando le braccia al petto.

Mordred non seppe se gli piaceva o meno essere paragonato a suo padre, per una volta dall’uomo che più aveva vissuto con Artù.

«Artù è un incosciente. Altrimenti non sarebbe scappato con Lancillotto!» commentò il principe, voltando il capo.

 «E’ quello che stavo dicendo» disse Kay, allargando le braccia.

Il suo fratellastro proprio non doveva fargliela di lasciarlo così… E per quella sciacquetta di cavaliere del lago!

 «Poteva almeno lasciarmi Excalibur se voleva fare una fuga d’amore» borbottò Mordred, ma con una punta di ilarità nel vedere il volto turbato del suo siniscalco.

L’altro non lo notò subito ma quando comprese quel ghigno, gli puntò contro un dito: «Ragazzino impudente (e veniale)! Smettila subito di deridermi prima che ti faccia rimangiare il nostro accordo a suon di sculaccioni sul sedere!»

Fu soddisfatto alla faccia oltraggiata del principe: «Sono o non sono tuo zio dopotutto?»

Galahad applaudì scoppiando a ridere.

Mordred lo fulminò: «Smettila subito o la prossima volta ti infilzo come un galletto allo spiedo!»

Seraficamente Galahad lo guardò: «Mi sembra che l’unico impalmato qui, sei tu» e sorrise.

Mordred ebbe l’insana voglia di strangolarlo mentre Kay strillava come una gallina: «Per tutti gli Dei non voglio saperlo come vi piace impalmarvi a vicenda! Piuttosto sbrigatevi a sistemarvi! La cena è quasi pronta e alcuni ambasciatori se ne andranno stasera e voi perdete tempo a tubare come piccioncini»

Mordred scivolò fuori dal letto, ignorando che era semplicemente nudo e si diresse verso il bagno: «In verità stavamo solo fornicando, come piace fare anche a te e a Bedivere, o sbaglio?... E senza unguenti»

Il siniscalco avvampò di collera e imbarazzo. Come diavolo aveva saputo quelle cose quel maledetto ragazzino?

Forse… Era davvero uno stregone come la madre…

***

 «I reggenti di Camelot!» annunciò un araldo alla porta della sala della tavola rotonda.

I cavalieri presenti, in attesa per le gozzoviglie della cena, applaudirono timidamente imitando le dame (capitanate da Ginevra e Morgana).

Mordred e Galahad avanzarono tra una folla di uomini di varie nazionalità che si scostavano al loro passaggio. Malgrado la mancanza di Artù (o forse proprio per quel motivo), tutti indossavano i loro abiti migliori e facevano sfoggio di ori e gioielli. Tra broccati e sete, quello che indossava gli abiti più preziosi e che risultava più elegante, con la sua altezza e con la sua pelliccia di pelo bianco, era senza dubbio re Galehaut.

Tra le dame della corte invece si muoveva ser Gawain, in un bell’abito verde scuro. Tutti sapevano che era il favorito di tutte le dame della corte, per via della sua gentilezza e cortesia. Naturalmente dopo Lancillotto ma, ora il cavaliere del lago non c’era quindi… Faticò a districarsi da loro per andare incontro al fratello.

Scivolò tra le signore e si avvicinò al fianco di Mordred.

Disinvoltamente, come stesse parlando del tempo, gli disse: «Ti devo parlare Mordred. In privato…»

Senza apparire turbato, il fratello annuì e lanciò un’occhiata a Galahad.

Il ragazzino francese capì anche senza parole. «Resto io qui» rispose; e Gawain vide qualcosa che lo lasciò assai perplesso.

Mordred allungò una mano e gli sfiorò un braccio, delicatamente. Un’intesa. A dopo sembrava voler dire, e Galahad gli sorrise.

Gawain lanciò uno sguardo al re dei giganti poi, ignorandolo, decise di seguire il fratello.

***

Galahad rimase a parlare tra i cavalieri e i diplomatici, per lungo, tempo da solo. Il gruppo francese lo circondò amorevolmente fin quando ser Lamorak non gli bisbigliò: «Nobile Galahad lasciate che vi accompagni da qualcuno che vuole parlare con voi»

Il figlio di Lancillotto alzò gli occhi in quelli del francese ed annuì senza timore. Voltandosi verso ser Bedivere, al suo fianco, gli chiese di scusarsi con gli ospiti e che sarebbe tornato subito.

Bedivere annuì e lo osservò uscire dalla sala tonda. Con un gesto della mano chiamò a sé due valletti e gli bisbigliò qualcosa in un orecchio; questi obbedirono correndo via mentre il connestabile assumeva un’espressione accigliata.

***

 

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** CAPITOLO 22 – MORGAUSE ***


CAPITOLO 22 – MORGAUSE

CAPITOLO 22 – MORGAUSE

 

Il giovane Galahad accolse l’invito di ser Lamorak con incosciente innocenza, ed entrò nella stanza che il francese gli indicava. Dovevano essere le stanze private di qualche dama perché vi erano degli arazzi garbati ed eleganti con scene cortesi.

Rimase senza parole quando la sua ospite lo salutò, andandogli incontro: «Buonasera, ser Galahad. Sono così lieta che siate voluto venire qui»

 «Regina Morgause. L’onore è mio» commentò Galahad, a disagio, senza però scordare la cortesia: «Ma… Se volevate parlarmi, credo che le vostre stanze private non siano il luogo più adatto…»

Lei finse di cadere dalle nuvole: «Cosa volete dire? Che non è decoroso per una vecchia madre accogliere l’amico di suo figlio?»

Galahad tentennò, specialmente davanti alla parola vecchia per definire Morgause. Non aveva idea di quanti anni avesse ma, sembrava tutto eccetto che una vecchia madre premurosa. Non sembrava neppure una madre mentre mesceva due calici dorati chinandosi con un corpo ancora flessuoso come un giunco.

«Il caro ser Lamorak dice che siete diventati buoni compagni, con quel disgraziato di mio figlio Mordred… Vino?»

Ricordando I timori del compagno riguardo sua madre, declinò; «Grazie mia signora ma non amo bere»

 «Oh che peccato. Ma prego, sedete vicino a me e parliamo un attimo di… Mordred, volete?» chiese lei, invitandolo a sedersi.

Per non essere sgarbato, Galahad accettò, e si accomodò davanti alla regina, stando bene attento a non pestare il velluto bordeaux della gonna della signora.

Morgause si sedette compostamente quasi accanto a lui, mettendo bene in mostra la sua scollatura generosa e sbattendo le lunghe ciglia, fulve come quelle di Gawain.

Allungando una mano, sfiorò il braccio di Galahad con la punta delle dita, proprio dove era celata la benda.

Il figlio di Lancillotto sussultò e la donna sorrise seducente, lasciandosi cadere i capelli rossi dalle spalle scoperte: «Siete stato ferito vero?»

 «Come sapete?...»

Lei sorrise come se la cosa per lei fosse ovvia e poi gli prese il braccio: «Sono una figlia di Avalon… Via, lasciate che vi ponga dell’unguento per guarire più velocemente»

 «Io… Non c’è bisogno; sono già stato curato madame»

Lei lo ignorò scuotendo il capo e scoprendogli il braccio: «Lasciatemi fare, caro Galahad. Così sulla vostra bella pelle candida non resteranno cicatrici…Una così bella pelle» bisbigliò, accarezzandogli gli avambracci del color dell’alabastro, con il tocco delicato dei polpastrelli.

Lui arrossì quando lei poi tolse dalla scollatura, una fialetta legata a una catena d’oro.

Spaventato dallo sguardo languido che lei gli lanciò mentre toglieva quella crema bianca dalla fiala, passandosela tra le dita, lui protestò ancora: «No signora vi prego. Grazie ma, davvero non serve»

 «Non abbiate paura» sussurrò lei suadente, spalmandogli l’unguento sul braccio: «Vedrete che vi piacerà il suo effetto…»

Lui decise che ne aveva abbastanza. Tentò di alzarsi per scoprire però che gli mancava la forza per togliere il braccio dalle mani di Morgause.

Sentiva tutti i muscoli intorpiditi e le gambe divennero improvvisamente molli.

Spaventato lui guardò Morgause a occhi sgranati. Lei lo ignorò, proseguendo a spalmargli l’unguento su tutta la pelle, e sulla ferita, sorridendo subdolamente. «Vi hanno mai detto quanto siete bello… Galahad? Non trovate che saremmo una splendida coppia io e voi?» e gli accarezzò i capelli, scostandogli una ciocca bionda dalla fronte: «Insieme uniremmo la corona inglese e francese…»

 «Che… Dite, signora?» tentò di parlare lui, scoprendo che era più un biascicare.

Lei gli disegnò una guancia, con le dita unte dell’unguento della fiala.

Galahad tentò di allontanarla ma riuscì solo a girare appena il capo. Si sentiva debole e al contempo avvertì un improvviso bruciare al petto e in tutte le membra. Un avvampare come quando Mordred lo baciava. «Che mi avete dato?... Dio mio…» mormorò: «Dio mio…»

Distrattamente soddisfatta, Morgause prese a giocare con i suoi capelli, accarezzandogli i capelli: «Non sai quale onore sarà per te, unirti a me» sorrise: «Ho sempre avuto amanti giovani, come il caro Lamorak ma, certo non più giovani dei miei figli. Sarà divertente testarti» si chinò, tentando di baciarlo, ma lui rantolò, scansandola e piegandosi in avanti. Il fiato gli mancava e  si sentiva bruciare dentro al corpo, come fosse caduto all’inferno.

«Lasciati andare bambino, sarà tutto più facile…» proseguì suadente ma lui si oppose ancora. Infastidita da quelle resistenze, lei ringhiò, spingendolo indietro.

Galahad non ebbe la forza per sostenersi e rovinò a terra con la sedia stessa su cui stava; la regina delle Orcadi si alzò, indignata: «Se credete che qualcuno vi possa salvare, sbagliate! Lamorak è astuto. Non ha detto a nessuno da chi vi conduceva, e inoltre… E’ il mio amante. Obbedisce a tutto quello che gli ordino» ammise compiaciuta, mentre Galahad si contorceva sul pavimento davanti a lei, tenendosi il petto.

Morgause si piegò in avanti e, lentamente, prese a slacciarsi l’abito, lasciandolo scivolare ai suoi piedi. Restò solo con una candida sottoveste di seta preziosa. Ancheggiò chinandosi sul francese, e gli rivelò la sua idea: «Vedete?... Siete già eccitato» mormorò, insinuandogli una mano sul tessuto della calzamaglia.

Il ragazzo scalciò, tentando si allontanarla ma, era ormai inerme.

«Quando saremo uniti, il vostro caro onore non vi permetterà di scacciarmi e allora mi prenderete come moglie perchè…. Tu mi hai desiderata e posseduta, Galahad figlio di Lancillotto»

Allibito lui serrò gli occhi mentre lei armeggiava nei suoi indumenti per spogliarlo, salendogli a carponi addosso.

Ormai Galahad sentiva che il suo corpo non rispondeva più a lui ma solo ai comandi di quella… Strega.

Mordred aveva ragione. Era una strega!

E che Iddio avesse pietà di lui, era cascato nella sua trappola come un tonto.

Lentamente unì le mani al petto mentre le lacrime gli rigavano le guance.

Il peccato. Ecco cos’era.

Lei gli sfilò la tunica e prese a baciarlo mentre lui mormorava: «Padre nostro… Che sei nei cieli… Sia santificato il tuo nome…»

Stupefatta morgause alzò il capo, sentendo quelle parole, e reagì come una leonessa ferita.

Rovesciò indietro la chioma fulva, snudò i denti e ringhiò: «Non osare pregare mentre vieni a letto con me, ragazzino! Specialmente non il tuo inetto Dio morto!» e con un colpo gli afferrò il piccolo crocefisso che portava al collo, cercando di strappare la sua cordicella di cuoio.

Incredibilmente la stringa non cedette alla sua rabbia, malgrado lei tirasse e ringhiasse. Iraconda, infine desistette ma solo per urlare: «Tu sei mio! E sarai il mio re, perché io te lo ordino! E avremo nuovi figli meno tonti di quelli che ho ora, che governeranno sulla Britannia dopo che mi sarò liberata dai primi idioti»

«…E non ci indurre in tentazione… Ma liberaci dal male…» proseguì imperterrito Galahad, sentendosi lacerato nell’animo.

Quella strega voleva lui e voleva anche uccidere il suo Mordred…

Morgause si strusciò contro di lui, decidendo di fermare tutte le sue parole, insinuandogli una mano sotto la stoffa dei mutandoni intimi.

Galahad si inarcò per effetto del filtro che la donna gli aveva dato e piegò il capo, mordendosi le labbra per non gemere.

Che Dio lo aiutasse, pensò, perché avrebbe preferito morire che soggiacere alla libidine di quella donna.

 «Sei stato tu a volerlo… Ricordalo» gli sibilò lei, tentatrice, posandogli le labbra sul viso, in cerca della sua bocca.

Fu a quel punto che la porta della stanza cedette con uno schianto, e Kay insieme a Mordred, Gawain e Galehaut, irruppero nelle sue stanze.

«Madre! Allontanati subito da lui!» ringhiò Mordred comprendendo subito la situazione e snudando la spada verso la regina.

Gli occhi blu che dardeggiavano come un mare in tempesta.

Morgause li guardò disinvoltamente, valutando quanto potevano essere pericolosi.

 «Allontanati madre o ti sbudello come una cagna rognosa» ripetè Mordred, avanzando nella stanza. La lama tesa all’altezza del collo della madre. La voce fredda come ghiaccio.

Gawain e Kay lo seguirono, mentre Galehaut restava a controllare la porta.

Lentamente la regina delle Orcadi arretrò e si alzò, lasciando esposto il corpo semivestito di Galahad.

Il ragazzino ancora si torceva piano ma, quando vide Mordred, tentò di porgergli le braccia in una richiesta di aiuto.

Forse il Signore l’aveva davvero mandato in suo soccorso.

Senza pensare Mordred si lanciò verso di lui: «Galahad!» ansimò, mentre Morgause sibilava: «Eccolo! Il prode salvatore! L’inutile reggente di Camelot!» rise selvaggiamente: «Sei una delusione. Tutti i miei figli sono una delusione!» e indicò anche Gawain: «Avreste potuto essere re, ed invece, eccovi a mendicare quanto vi spetta di diritto!» e li indicò altera come una pazza, vestita solo dalla sua sottoveste bianca.

Galehaut, dietro di loro, ne fu molto impressionato. «Sono tutte così le donne inglesi?» domandò ad alta voce.

Mordred intanto si era chinato su Galahad e l’aveva stretto fra le braccia.

Il ragazzino si era piegato inerte al suo tocco malgrado gli occhi disperati e il corpo che sussultava come scosso da febbre.

 «Che gli hai fatto, madre?!» ringhiò Mordred, coprendo Galahad con il suo mantello mentre la regina disarmata era tenuta lontana dalle spade di Gawain e Kay.

Lei rise allegra: «Nulla di più di quel che voleva»

 «E’ un filtro vero?... L’estratto dalle mele dell’isola di vetro»

Alla faccia sorpresa di Morgause, lui le fece un ghigno terribile: «Non solo tu, madre, hai i poteri di Avalon» e prendendo Galahad fra le braccia, lo alzò da terra.

«Sta tranquillo. Ora è finita.» lo rassicurò, poi aggiunse ad alta voce: «Anche nei maschi a volte, si ritrova il potere. E tu sai bene che allora essi sono più forti delle donne» E dichiarato ciò fece per andarsene.

«Kay rinchiudila qui e bada che non lasci le sue stanze» ordinò.

Sgomenta e rabbiosa, Morgause lo osservò voltarle la schiena, portandosi via la sua preda. Sputò: «Maledetto  tu sia, Mordred figlio di Artù, perché tu sprechi il sangue potente di Avalon nel mendicare un trono che è tuo per diritto. E molti altri troni che ti spettano! E tra di essi il più potente!...»

Mordred non l’ascoltò, e non si voltò, osservando solo gli occhi di Galahad, chiudersi mentre lo stringeva al petto.

Morgause vide la sua schiena allontanarsi e, furibonda e ignorata, trasse uno spillone dai capelli e si lanciò verso il figlio.

 «Muori maledetto cane!» urlò.

Fu il gesto di un attimo. Gawain sguainò la spada per difendere il fratello, eseguendo un taglio netto nell’aria, mentre un pugnale vichingo attraversava la stanza, volando dritto nel cuore della donna.

La testa di Morgause rotolò via, sul pavimento, mentre dal corpo schizzava sangue scuro sull’arazzo, prima che il corpo cadesse a terra sobbalzando.

Atterriti gli uomini osservarono la testa rossa rotolare fino a un angolo della stanza.

Mordred si voltò, guardò il viso sconvolto di Gawain e Kay, poi Galehaut che l’aveva difeso.

Muto, ringraziò con un cenno del capo.

Infine disse: «Chiudete la porta. Penseremo poi alle conseguenze di questo» e si voltò andandosene.

Galehaut guardò il suo compagno, sconvolto, e si piantò le mani sui fianchi: «Sai che… Non sono più sicuro di voler fare parte della vostra così bella famigliola?»

***

 

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** CAPITOLO 23 – LEGAMI ***


CAPITOLO 23 – LEGAMI

CAPITOLO 23 – LEGAMI

 

Scortati da Kay e Gawain, i due reggenti si diressero velocemente negli appartamenti regali. Ser Bedivere aveva provveduto a una scorta di guardie che allontanassero qualsiasi curioso da quelle stanze e da quelle della regina Morgause.

Galehaut parlò per Gawain, stranamente silenzioso, quando furono nella camera da letto di Artù: «Vi serve qualcosa per ser Galahad?» interrogò.

Voltandosi verso di lui, Mordred esclamò: «Acqua fredda. Fate preparare subito un bagno con acqua fredda»

Kay s’intromise: «A questo ci penso io» e corse a chiamare dei valletti.

L’alto figlio della bella gigantessa osservò tutta la scena, poi tornò da Mordred.

Il principe aveva posato Galahad sul letto, solo per spogliarlo e avvolgerlo in un telo di lino bianco.

«Vi sono grato del vostro aiuto, re Galehaut» disse senza dar troppo peso alle parole: «Per tutto quello che avete fatto per noi»

Galehaut abbozzò un sorriso rilassato: «Figuratevi! Per dei miei alleati è normale»

Mordred lanciò un’occhiata a Gawain, ancora muto sull’uscio, poi tornò a rivolgersi al vichingo: «Re Galehaut… Vi prego di badare a mio fratello stanotte. Credo sia sconvolto»

Lui assentì, improvvisamente serio: «Volevo chiedervi io stesso di farlo, anche perché egli è il mio compagno. Ed è mio dovere salvare la sua anima quando egli ha salvato la mia»

Mordred non capì una sola parola di tutto quello strano monologo ma acconsentì: «Tenetelo con voi, ser Galehaut»

Il pugno del giovane vichingo batté sul petto: «Con tutto il mio cuore» e senza aggiungere altro si rivolse a Gawain. «Vieni mio caro compagno. E’ tempo che li lasciamo soli»

Riscuotendosi Gawain osservò la spada snudata che teneva ancora tra le mani e, annuendo, la lasciò cadere a terra.

Allarmato da quel tonfo, Bedivere si affacciò alla porta mentre Galehaut cingeva le spalle a Gawain e lo trascinava via con sé.

Il maresciallo e Mordred osservarono la spada di Gawain, muti. Era ancora macchiata del sangue di Morgause.

 «Portala via e falla pulire» ordinò Mordred, duro: «Poi fa chiamare mia zia Morgana, per favore»

Bedivere tentennò qualche secondo, rimuginando su quelle parole e sui fatti accaduti quella sera. Scrutò Mordred da capo a piedi, con Galahad stretto al fianco, poi disse: «Si, mio principe» e se ne andò

Rimasti soli, Mordred si concentrò su Galahad che ancora tremava come una foglia scossa dal vento autunnale.

La preoccupazione ruppe la maschera di freddezza che aveva indossato: «Ti ha messo una crema, vero?»

Galahad assentì col capo e cercò di alzare il braccio ferito. Mordred comprese comunque. «Bisogna lavare via tutto, al più presto, e senza attendere, afferrò il francese e lo portò nella loro stanza adibita per il bagno.

Come in una delle terme romane, la vasca era comodamente incassata nel pavimento che scendeva con dei grandini nell’acqua.

Tutti i lussi per il grande re, aveva pensato Mordred.

Eseguendo gli ordini, i valletti nelle cucine del castello, dovevano aver aperto le tubature per far correre l’acqua perché la buca di marmo era quasi piena.

Senza tentennare, Mordred si calò nell’acqua con Galahad.

Il gelo gli tolse il fiato ma, era quello che serviva a togliere l’incantesimo del filtro magico.

 «Fa-Fa freddo» balbettò Galahad, aggrappandosi a lui mentre il lino aderiva al suo corpo come un sudario.

 «E’ quello che serve» ribatté Mordred sfregandogli con forza le braccia. Si rese conto che l’acqua adempiva al suo aspetto purificante. Galahad aveva alzato le braccia e la sua presa attorno alle sue spalle si era fatta più salda. Il sangue lottava per tornare a essere il padrone del proprio corpo.

 «Mi sento come se mi stessero battezzando di nuovo» ironizzò Galahad, tra i denti che battevano.

«Ti senti ancora  bruciare?» chiese il moro.

Galahad scosse il capo: «Meno. Solo…» e anche con il viso sconvolto come quello di un pulcino fradicio, lo vide imbarazzarsi.

Mordred gli tolse i capelli dal viso: «Passerà anche quello. Presto» sussurrò, baciandogli la fronte: «Te lo farò passare io se serve» ammiccò malizioso.

Galahad lo interruppe: «Tua madre voleva…»

 «Lascia perdere. Lo immagino»

«E ora è…»

 «Morta» concluse Mordred per lui.

«L’avete uccisa per me?» boccheggiò il celta, spaventato per la risposta.

Mordred non gli diede peso: «E’ morta perché era una strega che voleva dominare gli altri. La morte sarebbe giunta comunque, prima o poi. E’ la giustizia della Dea» dichiarò, poi raccolse Galahad e si decise a uscire dall’acqua gelata.

 «La tua Dea è molto giusta. Come il mio Dio» mormorò Galahad, rasserenandosi per la prima volta dopo quell’esperienza terribile. Guardò Mordred e questi annuì, portandolo a letto. Prese un altro telo e lo asciugò velocemente, buttandolo poi sotto le coperte.

 «Era meglio quando ti asciugavo per la pioggia» rammentò: «E poi abbiamo fatto sesso»

Galahad si rannicchiò sotto le coperte: «Decisamente» balbettò, afferrando la croce di legno che portava al collo, e che non l’aveva abbandonato durante quella brutta esperienza. Recitò una preghiera di ringraziamento.

Mordred lo lasciò fare, andando a prendere un’altro telo da una cassapanca e buttandoselo addosso per asciugarsi. Infine si sedette sul letto, esausto quanto il compagno.

Sua madre era morta.

Non avrebbe più tramato per dominare tutti loro… Ma cosa sarebbe successo ora? Pensò, ascoltando lo scoppiettio della legna nel camino, e il respiro lieve di Galahad che prendeva sonno.

Suo padre sarebbe forse tornato? O Galahad avrebbe rinunciato? I francesi l’avrebbero accusato di matricidio e ci sarebbe stata un’altra guerra?

No. Doveva far tacere tutto, per ora. Doveva…

 «Mordred?»

La voce lo riscosse dal lieve torpore che l’aveva colto. Brividi lo scuotevano quando sua zia morgana si piegò sul suo viso, porgendogli una tazza fumante.

«Zia…» balbettò.

 «Bevi. Ti calmerà la febbre. L’ho già dato anche a Galahad e mandata a Gawain. Mia sorella era potente. E potrebbe trascinarvi con sé anche da morta, se non vi curate»

«Come sai?...» s’informò Mordred, con la fronte madida di sudore freddo, accettando il liquido caldo della zia.

«L’ho sentita lasciare questa vita nel momento stesso in cui l’avete uccisa. Il sangue di Avalon è un potente legame»

Mordred annuì quasi con gli occhi chiusi. Capiva cosa intendeva. Un legame si era spezzato.

 «Solo uno della nostra famiglia poteva ucciderla»

«Anche mio padre avrà sentito?» s’informò il principe, mentre la fata lo scrutava come lo vedesse per la prima volta. Attentamente.

Non rispose ma fu come se lo avesse fatto.

Mordred lo sapeva: «Galahad?...» insisté, tra il sonno e la veglia.

La fata piegò il capo di lato: «Starà bene. Il suo Dio è potente ormai»

Mordred si inumidì le labbra secche. Sapeva anche questo. Galahad era più forte di quanto sembrasse. Mancava solo una persona. «E Galehaut?... Lui non è della famiglia» (strano come, per lui, Kay invece ne facesse parte. Era suo zio, no?)

Morgana rise con una risata argentina come campanellini. Unì le mani sulla gonna: «Oh non preoccuparti per lui! E’ forte come un orso quello! Poi ha già mischiato la sua anima con quella di Gawain. E’ della famiglia anche lui ormai. Decisamente non potrà scappare»

Mordred non aveva né la forza né la voglia di ascoltare i deliri sull’anima di Galehaut e Gawain (di nuovo!). Assentì senza capire, chiudendo gli occhi e abbandonandosi al sonno.

Morgana gli posò una mano sulla fronte, alzandosi e mormorandogli,: «Buonanotte, principe delle fate»

Poi il sonno lo prese.

***

Galehaut si aggirò per le sue stanze, misurando le nervosamente con il proprio lungo passo, come un animale in gabbia.

Si bloccò solo un attimo per scrutare Gawain, seduto al tavolo davanti al fuoco.

Il principe delle Orcadi si era rinchiuso in un cupo mutismo da quando era uscito dalle stanze della madre.

Il monarca vichingo aveva sopportato quel suo umore fino a quel momento, continuando a parlare da solo, fin quando non era esploso con queste parole: «Insomma Gawain! Dimmi quel che pensi. Di qualcosa, per tutti gli Dei!»

L’unica frase che uscì dalla bocca di Gawain fu: «Ho ucciso mia madre…»

Sconvolto dalla portata di quanto aveva detto, ripeté: «Io ho ucciso mia madre, Galehaut…»

Il rosso si appoggiò al camino: «In verità credo che l’abbia uccisa un po’ anch’io»

Gawain sgranò gli occhi: «Le ho tagliato la testa, Galehaut»

 «E io l’ho pugnalata nel cuore, caro compagno. E non mi pare che fosse ancora morta quando l’ho lanciato» fece una pausa: «Ma l’ho fatto per salvare tuo fratello. Quindi non me ne pento»

Gawain scosse la testa e sbatté un pugno sul tavolo urlando: «Era disarmata diavolo! Disarmata!»

«E quasi nuda» commentò Galehaut con noncuranza.

«Era disarmata. E’ un disonore. La mia spada ne sarà macchiata per sempre…»

Il figlio della bella gigantessa gli si avvicinò e torreggiò su di lui: «Ricordo solo io, o lei aveva in mano uno spuntone largo un dito e lungo circa una spanna? Con quello avrebbe trapassato i polmoni di tuo fratello come un pugnale? E sta sicuro che sarebbe morto. Avresti preferito che vivesse tua madre o tuo fratello?»

Gawain tentennò: «Mordred» decretò piano, ottenendo l’approvazione da Galehaut.

 «Bene, allora è tutto apposto perché tua madre, permettimi di dirtelo, era una strega»

Gawain puntò gli occhi in quelli di Galehaut e questi ripeté: «Una vera strega, ti dico io! Con tanto di naso prominente»

L’altro inarcò un sopracciglio.  «Si! E dicono che l’hanno vista di notte rapire i bambini e mangiarli con i suoi denti storti»

Gawain non riuscì a trattenere un sorrisetto: «Mia madre non aveva i denti storti» corresse.

Galehaut agitò le braccia con fare teatrale: «E uccidere le sue dame di compagnia per bagnarsi col loro sangue, per rimanere sempre bella!»

Il principe fece una smorfia: «Beh questo è già più probabile» poi rise piano, quindi più forte. Rise di cuore, come liberandosi da un peso, che lentamente gli rotolò via dal petto. Rise fino a scoppiare a piangere. In un pianto liberatorio e silenzioso. Singhiozzò muto, posando il capo sul tavolo.

La mano del compagno gli si posò sulla spalla, calda e comprensiva.

«Dovevi farlo, Gawain. E quello era il destino che tua madre si era cercata»

Non voleva dire che era una donna cattiva ma lo pensò. «E tuo fratello è l’unico figlio del grande re»

Il principe alzò il capo, asciugandosi velocemente gli occhi: «Veramente… Ne ha alcuni altri»

Galehaut spalancò la bocca: «Ah!... Ma allora Mordred è l’unico che ha riconosciuto?»

Rimase ancora più attonito quando Gawain scosse il capo: «Sono tutti bastardi come lui»

Perplesso l’altro si lasciò cadere su una sedia accanto al compagno.

Vedendolo così, il principe delle Orcadi aggiunse: «Però Mordred è il primogenito»

«Ah… Questo sistema tutto»

«Inoltre, non per fare pettegolezzo ma, gli altri sono quasi tutti scappati dalla corte, seguendo dame o cavalieri francesi…»

Ora che lo diceva, quei fatti gli apparivano curiosi. «Non è una strana coincidenza?»

Galehaut levò gli occhi al cielo. Non era proprio più sicuro di voler far parte di quella famiglia.

«Tu non sei figlio di Artù, vero?» domandò a bruciapelo.

Gawain negò: «No, di Lot, perché?»

L’altro non rispose alla domanda ma commentò: «Meno male che tua zia, la dama Morgana ha dato un secondo reggente francese a Camelot»

Gawain non capì perché il compagno fosse sollevato a quella notizia ma, l’altro parlò solo di strane statistiche e di tare ereditarie nelle famiglie reali, di cui assolutamente non comprese nulla.

***

 

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** CAPITOLO 24 – I DUE RE ***


CAPITOLO 24 – I DUE RE

CAPITOLO 24 – I DUE RE

 

I cavalieri si erano radunati nella piccola sala delle udienze, quella riservata agli incontri privati con i re e gli ambasciatori. Proprio per questo era la sala più elegante; sfoggiava tende di broccato accanto agli scranni regali, e arazzi intessuti d’oro e colori scintillanti a coprire i muri di pietra.

Kay il siniscalco aveva approntato i due seggi per Mordred e Galahad da quando erano stati votati reggenti. Malgrado la sua linguaccia, si considerava un uomo previdente. E visto che li aveva appoggiati, tanto valeva che lo facesse fino in fondo, si era detto, scostando le tende rosso porpora all’ingresso dei reggenti.

Solo Galahad però, l’aveva ringraziato; a Mordred non era passato neppure per l’anticamera del cervello di farlo.

“Tale e quale a suo padre” aveva decreto Kay con una smorfia.

Bedivere attendeva nella sala con Gawain, re Galehaut e lady Morgana.

Mordred camminò fino a uno dei due troni, poi vi si fermò davanti, serio ed altero. Lo sguardo cupo e deciso in un cipiglio di comando che piacque persino a Galehaut.

Il principe squadrò tutti poi esclamò: «Sapete perché siamo qui. Dobbiamo risolvere il problema Morgause» decretò.

«L’hai già risolto. E’ morta» gli sfuggì di bocca a ser Kay: «Gli avete dato un taglio netto» ridacchiò.

Mordred lo incenerì con lo sguardo e lo zio si azzittì, tossicchiando.

Il reggente proseguì: «Io e Galahad ci abbiamo pensato su e, con l’aiuto di tutti voi, abbiamo deciso di tenere segreto la morte violenta della regina»

Morgana si accomodò su uno scranno annuendo e sistemandosi la gonna, compostamente.

«E cosa direte?» s’informò il re delle isole lontane.

Mordred rifletté velocemente: «Beh… Potremmo dire che si è ritirata da qualche parte e poi, dopo un po’ di tempo, che è morta»

«E dove? In convento?» ironizzò Gawain intrecciando le braccia al petto: «La vedevi nostra madre in convento? I nostri fratelli poi, la vorranno andare a trovare» scosse la testa.

Mordred dovette ammettere che era poco credibile. Fu allora che la fata Morgana intervenne: «Avalon! Potreste dire che se né andata ad Avalon»

 «Un'altra! Faranno un tour organizzato presto» scherzò Kay, ricevendo un’occhiataccia anche da Bedivere, in piedi accanto a lui.

«Lei era una strega per tutti. Non sarebbe così strano»

Tutti annuirono. Soddisfatto Mordred sedette e guardò il fratello: «Diremo che nostra madre ha lasciato a te la corona delle Orcadi, Gawain. Tu sarai il re»

Gawain ammutolì, mentre Galehaut lo guardava sprizzante di felicità.

Che gran colpo aveva realizzato! Scegliendo Gawain come suo compagno aveva ottenuto un nuovo regno e la protezione del grande re (o meglio dei due reggenti). Oltre che un amante favoloso, e un capo battagliero. «Non sei felice? Sarai re anche tu!» gioì.

Gawain scrutò Mordred con disappunto: «Sai che non voglio lasciare la corte, fratello» sibilò: «Che ci starei a fare lassù in quelle isole?»

Mordred tagliò corto: «Lo so; lo so che non vivi senza tornei e qualche sbudellamento quotidiano. Non ti sto affatto chiedendo di andartene» “Tra l’altro tu mi servi qui” pensò: “Il tuo appoggio mi è molto conveniente” «Devi solo accettare la corona e poi starai qui»

 «E un po’ con me!» gli rammentò re Galehaut allegro: «Ricordati il nostro accordo…»

«Quale accordo?» chiese Galahad per tutti.

Gawain lanciò uno sguardo truce al compagno per non farlo parlare(non era il momento!), ma questi parve non capire.

«Gawain è il mio compagno re. Lui avrò l’appoggio e la protezione dei vichinghi; e noi il monopolio su tutti i commerci con le Orcadi»

 «Erano solo ossa e pellicce» ribatté piccato il fulvo principe, senza però negare.

Mordred e Kay spalancarono la bocca come pesci nel mare. «Tu e quel… Coso gigante?» commentò il siniscalco, incredulo.

Galahad e Morgana invece, applaudirono felici: «Congratulazioni! Un’ottima scelta» disse lei.

«Quando vi sposate?» sorrise l’ingenuo figlio di Lancillotto.

Mordred levò gli occhi al cielo: «Sta zitto ragazzino» Doveva proprio insegnargli tutto.

 «Perché?» interrogò candidamente lui, facendo imbarazzare tutti i presenti nella sala: «Si amano, non c’è forse da festeggiare?»

Galehaut si lanciò verso di lui e gli prese le mani, stringendole con forza. «Grazie. Grazie caro lord Galahad» I due si sorrisero.

 «Il ragazzino deve aver capito male qualche pezzo della bibbia» rise Kay: «Forse si è addormentato mentre spiegavano quel pezzo»

Mordred agitò una mano in aria, tagliando corto: «Senza il mio permesso non si fa nessun accordo!»

Morgana s’indignò: «Mordred non fare il guastafeste!»

Stupito Galehaut lo guardò: «Ma come? Ieri notte non mi avete detto di tenermelo vicino? Di badare a vostro fratello?» ricordò: «Non vorrete rimangiarvi quelle parole? C’era anche lord Galahad come testimone»

 «E’ vero» sorrise il biondo, raggiante.

Mordred valutò improvvisamene se era più la voglia di tenerselo vicino o di strangolarlo. Le due cose si equiparavano pericolosamente.

Lo guardò in faccia e poi sulla bocca. Le sue belle, sorridenti, labbra di ciliegia che lo invitavano a baciarlo. A farsi baciare.

Voltò il capo maledicendosi per le “ottime” argomentazioni che aveva il ragazzino. «Va bene. Fate come volete!» sbottò.

Galehaut festeggiò con un sorriso mentre Gawain rimase impalato per l’imbarazzo.

E pensare che voleva solo salvare Galehaut… Ora chi avrebbe salvato lui da tutte quelle loro notti di sesso sfrenato?

Senza volere abbozzò un mezzo sorriso, poi tornò subito serio.

 «Ma per l’amor del cielo, pretendo almeno un patto di reciproco aiuto se voi, Galehaut, vi scopate mio fratello!»

 «Mordred!!» un coro di voci indignate e imbarazzate si levò dalla sala ma, Galehaut invece tese la mano e sorrise: «Affare fatto, mio caro parente»

 «Solo Mordred» corresse lui: «Di parenti che mi odiano ne ho già troppi» sibilò.

Il rosso vichingo annuì poi tese la mano di nuovo a Galahad: «Salute anche a voi, lord Galahad, compagno di re Mordred»

«Galehaut!» strillarono di nuovo tutti.

Bisognava che qualcuno si decidesse a spiegare a quel bifolco come funzionavano le cose tra gli inglese, pensò Kay.

Il francesino nel frattempo, ricambiò la stretta del nordico, rispondendo: «Salute a voi, parente compagno di Gawain. Ora siete… Due re?»

***

 

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** CAPITOLO 25 – GRAALDALIS ***


CAPITOLO 25 – GRAALDALIS

CAPITOLO 25 – GRAALDALIS

 

Mordred mosse appena gambe, trattenendo il respiro come se avesse il timore di rompere un incantesimo. Forse un sogno.

Guardò l’uomo steso nel letto accanto a lui. Si, decisamente un sogno.

Neppure i piedi gelati di Galahad erano più un fastidio quella notte. Anzi, erano una sua adorabile caratteristica che svaniva dopo il sesso.

Dopo il sesso anche il corpo di Galahad si scaldava, sciogliendosi tra le sue braccia in un aroma di gigli splendenti. Sciogliendosi…

Il fiatò gli si spezzò nel petto al ricordo della loro nottata. Respirò sulla sua fronte addormentata, tra i suoi capelli  dorati.

Provava un senso di beatitudine insolita. Come un legame nuovo che si era creato con quel ragazzino che si abbandonato nelle sue grinfie con il candore delicato di una vergine.

E poi… Il paradiso. (Così lo chiamavano i cristiani vero?) L’elisio, il paradiso. Un mondo di eterna pienezza. Soddisfazione. Ed era per merito suo. Tutto suo. Suo.

Avrebbe uccido per qualcosa di molto meno prezioso di quella notte col suo ragazzino.

Il suo ragazzino.

Non conosceva quella strana possessività. Quella sensazione al petto che provava ora nel guardarlo; ma era felice di averlo accanto. Davvero. E non avrebbe permesso a nessuno di portarglielo via. Che solo ci provassero!

 Come percependo le sue emozioni, Galahad si mosse e aprì gli occhi, puntandoli nei suoi.

«Buongiorno» bisbigliò in un sorriso dolcissimo.

Mordred gli scostò i capelli biondi dalla fronte con la punta delle dita: «Bonjour mon cher ami»

Le guance di Galahad s’imporporarono malgrado tentasse di non farlo notare.

«Stai bene?» domandò Mordred, con una curiosa nota d’ansia.

L’altro riuscì a fare un cenno col capo: «Ho fatto un sogno sai…»

 Il figlio di Artù inarcò un sopracciglio con aria sospettosa, e Galahad sorrise: «Ho sognato di entrare in una chiesa, mano nella mano con te. E che Dio mi parlava…»

Mordred non riuscì a trattenere il sarcasmo: «Oh Dea, io in una chiesa? Allora mi devo preoccupare…»

Galahad rise rannicchiandosi contro di lui: «No, no! Nessuna preoccupazione»

 «Non credevo che il fare sesso con me, ispirasse viaggi mistici» ridacchiò ilare il moro.

Il francese spiegò: «Ho spiegato a Dio quanto tengo a te e lui allora mi ha dato un dono»

Mordred rammentò qualcosa riguardo ai doni dei greci ma preferì ascoltare il seguito delle parole dell’altro reggente.

«Dio mi ha detto che allora lavorerà attraverso di noi. Che il mio corpo sarebbe diventato il calice che raccoglie la volontà divina e che… Con il tuo…Attraverso di noi, la sua beatitudine e la sua grazia si propagherà ai cavalieri della tavola rotonda e poi a tutta la corte. E poi, come una cascata di grazia, a tutto il popolo e al regno. E oltre ancora. Fino ai cieli»

 «Attraverso di noi?» borbottò Mordred incredulo. Galahad annuì.

 «Attraverso i nostri corpi? Quando facciamo sesso?»

Galahad arrossì: «Non proprio in quel senso. Egli opererà la pace e l’amore attraverso di me, e poi di noi. Non è magnifico?»

«Come fossimo un vaso dove si versa da bere?» ribatté il principe delle Orcadi, sempre più scettico.

«Un calice se vuoi» corresse Galahad: «Il mio Dio mi disse anche un nome preciso ma, non lo ricordo più ora… Era una visione così ampia e mistica che…»

 «L’hai scordata»

«Non l’ho pienamente compresa» corresse il francese, e guardò l’altro timidamente per cercare di comprendere il suo parere.

Mordred lo sbirciò poi lo strinse con forza tra le braccia, tirandoselo addosso: «Per me il tuo Dio può far quello che vuole, basta che non abbia da ridire se facciamo sesso insieme»

Imbarazzato Galahad si lasciò accarezzare dal suo corpo nudo. Scosse il capo.

 Niente ira divina. Ottimo, pensò soltanto Mordred. Lo sfiorò ancora poi, con un colpo di reni, lo fece ruzzolare sul letto.

Galahad lo lasciò fare, ridendo.

A Mordred quel suono argentino strinse il cuore.

Dio quanto l’amava il suo ragazzino.

Si riscosse, alzandosi sulle braccia. Che fosse possibile quello che aveva pensato?

Amava quel suo ragazzino?

 «Cosa succede Mordred?» domandò l’altro giovane, prendendogli il viso: «Sei così impallidito»

L’altro scosse il capo e gli posò una mano dietro al collo, tirandolo vicino: «Nulla, mio piccolo graaldalis sporcaccione e visionario. Basta che ti fai assaggiare ancora. Adoro bere dai piccoli calici pieni di grazia, specialmente se hanno capelli d’oro e labbra succose e invitanti, al sapore di ciliegia»

Galahad sorvolò sui suoi commenti un po’ empi. Era certo che prima o poi anche Mordred avrebbe compreso la potenza del dono del suo Dio. Perciò, fiducioso lo abbracciò: «Si, Merdraut…» sussurrò in modo così innocente e sensuale da far tremare l’anima dell’altro.

«Baciami pure, mon cher roi Merdraut»

E il figlio di Artù non fu mai così felice di obbedire ad un ordine divino.

***

 

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** CAPITOLO 26 – NOTIZIE O AVALON ***


CAPITOLO 26 – NOTIZIE O AVALON

CAPITOLO 26 – NOTIZIE O AVALON

 

La sua treccia bionda, con qualche striatura di bianco, danzò nel vento della brughiera mentre l’uomo osservava la verde collina coperta di erica. C’era solo un'altra presenza nella distesa sconfinata di rilievi verdi e grigi di sassi. Lui e un cavaliere che correva su per il dolce declivio in groppa al suo cavallo. Galoppava così sciolto e libero da sembrare più un centauro che un cavaliere.

Anche da quella distanza, l’uomo sapeva riconoscere la sua bella presenza. La sua affascinante bellezza.

Alzò un braccio e agitò una mano in segno di saluto.

Come attratto da un incantesimo, il cavaliere declinò il suo percorso e corse verso la sua figura. A quella piccola casupola di sassi, ricoperta di edera ed erica, circondata dallo steccato con i cavalli che loro avevano sistemato.

 «Artois!» gridò il cavaliere in abito celta, tirando le redini del cavallo, a qualche centimetro da lui, e scendendo con un agile balzo. Quasi gli volò tra le braccia.

L’uomo gli strinse la vita, frenando il suo slancio col proprio corpo.

 «Artois» ripetè il più giovane trentottenne stringendolo. Era vestito con una tunica semplice e brache larghe in stile gallico.

Il quarantenne ancora non si era abituato al suono strano del suo nome pronunciato alla francese; ma qualsiasi cosa era dolce sulle sue labbra.

 «Come va il cavallo?»

«Una vera bellezza. Ancora qualche esercizio e sarà il miglior cavallo da torneo mai visto» ammise il bel cavaliere, tenendo l’animale per le briglie.

I due si avviarono verso il recinto stando allacciati con le braccia attorno alla vita.

Artois attese qualche secondo prima di fare la domanda che gli rodeva dentro: «Ci sono novità dalla corte? Hai sentito qualcosa in paese?»

Il francese gli lanciò un’occhiata sorniona. Sapeva che non avrebbe resistito dal chiedere; tuttavia si fece serio quando parlò: «Dicono che Morgause sia andata ad Avalon»

Artois, meglio noto a corte come Artù, si bloccò davanti al recinto per i cavalli.

Alcuni puledrini trotterellarono insicuri verso le sue mani per farsi dare da mangiare, mordicchiandogli la tunica verde per farsi notare.

«Ad Avalon? Morgause? Non ci sarebbe andata manco morta. Non avrebbe mai lasciato il trono. Il potere…» un pensiero lo colpì: «A meno che non sia morta davvero»

Il suo compagno dai lunghi capelli castano chiaro, lo scrutò: «Qualche notte fa ti sei svegliato urlando nel sonno il suo nome»

Artois scosse una mano nell’aria. Una mano grande e forte, con qualche callo in più per via del lavoro manuale (oltre a quella per l’esercizio con le armi) ma, aveva ancora l’eleganza e la grazia regale.

«Ho sentito come qualcosa nell’aria»

Con uno sguardo solo il compagno comprese che era pensieroso.

 «Se è morta è un bene. Se è stato mio figlio però… Si sa qualcosa dei reggenti, Galan?»

Galan sorrise appena prima di parlare. Galan, quello era il suo nome ora. Un intreccio tra il suo vero nome (che condivideva con il figlio) e quello con cui era diventato famoso, Lancillotto del lago.

 «Lan?» insisté il biondo allevatore di cavalli.

L’altro si decise a parlare: «Dicono che Gawain sia stato fatto re da Mordred e mio figlio»

Artù sgranò gli occhi azzurri: «Re? Gawain?»

 «Delle Orcadi»

«Allora sua madre è morta davvero» concluse l’atletico Artois fissando le nubi basse che si rincorrevano nel cielo, come pecore nella brughiera. Presto avrebbe piovuto.

«Gawain è troppo impetuoso per essere un bravo re. E i suoi vicini (i giganti vichinghi), sono esseri troppo infiammabili per non essere ottimi diplomatici»

Galan tolse dalla braca celtica dei pezzi di carotine e le porse ai puledrini che ancora masticavano la stoffa dell’abito del compagno per farsi notare. Quindi si arrampicò sull’alto recinto, sedendovisi sopra: «Non è finita! Dicono che è anche partito per giungere al luogo dove si incontrano i capi dei giganti delle isole perdute di Galehaut»

«I thing? Re Galehaut? Con Gawain?» si sorprese sempre più Artù, appoggiando allo steccato proprio accanto alla coscia dell’amico.

 «Su questo ne so qualcosa…» sorrise Lancillotto malizioso.

Il re storse la bocca: «Non dirmi nulla. Non voglio sapere nulla di quello che mio nipote fa in privato…»

Galan rise, allungando una mano a insinuando le dita  tra i capelli dorati del compagno. L’altro lo lasciò fare, sempre incupito: «E non voglio neanche sapere di te e di Galehaut»

«Etait un ami cher…»

«Se amico» borbottò Artù, distogliendo il viso.

Galan rise ancora, dondolandosi sul recinto: «Sei geloso! E vuoi sapere la cosa più incredibile? Mi ricordi Mordred con quell’espressione di altero fastidio»

L’altero fastidio del re peggiorò quando afferrò Galan per l’azzurra tunica grezza, piegandolo verso di lui: «Ti insegno io a offendere un re!» e detto ciò lo costrinse a baciarlo.

Le loro bocche si unirono in un bacio appassionato.

Così Galan finì per scivolare tra le braccia del compagno.

Artois ansimò sul suo viso, lasciandolo la sua bocca: «Inoltre Mordred è mio figlio. Per forza mi somiglia»

 «Lo ammetti solo quando siamo soli» ribatté il principe celta, sfiorandogli la mascella ruvida con la sua guancia.

Rimasero così, allacciati, continuando a parlare: «E tuo figlio Galahad riesce a sopravvivere con mio figlio, a corte?»

Galan stavolta scoppiò a ridere, sfiorandogli tutta la schiena: «La cosa più assurda è cioè che si sente dire al villaggio! Non ci crederesti mai ma… Sembra che vadano d’amore e d’accordo»

Artois sgranò gli occhi, sbalordito: «Galahad, con Mordred? Stiamo parlando degli stessi mio e tuo figlio? Te lo ricordi Mordred? Quel ragazzino intelligente ma acido e tenebroso?»

Lancillotto annuì ridendo: «E tu ricordi Galahad, così gentile e religioso? Beh sembra che la corte li adori. Non so come Kay, Bedivere e Morgana hanno convinto i vecchi cavalieri della tavola rotonda ad appoggiarli, e il popolo li adora perché stanno facendo molte migliorie nel regno»

Artù si grattò il mento, dove stava crescendo una leggera barba bionda. «Davvero non l’avrei mai creduto…»

 «Ma non è tutto! Sai che tuo figlio è riuscito a strappare un trattato di pace con i sassoni?»

«E come diavolo ha fatto a convincere Childric a cedere?!» esclamò il re, temendo già qualche incantesimo.

Galan gli serrò la vita con le sue forti braccia: «Nessuno lo sa ma, dicono che abbia mandato Bors alla corte dei sassoni»

I due si guardarono dritti negli occhi, e poi si guardarono ancora; infine scoppiarono a ridere.

«Bors con Childric??! Non l’avrei mai creduto possibile!» rise forte Artù.

Galan annuì, osservandolo rovesciare indietro il capo e ridere serenamente.

Dio quanto era felice.

Artois notò il suo sguardo e si piegò ad accarezzargli una guancia ruvida: «Se avessi saputo che tutto sarebbe andato così bene, mon chevalier, avremmo potuto andarcene molto prima senza perdere così tanto tempo, non trovi?»

Il bel Lancillotto del lago assentì, posando la guancia contro la mano dell’amante. «Va bene anche così, Artù. Abbiamo ancora tanto tempo davanti per goderci, la nostra Avalon»

Artù sorrise dolcemente e si chinò a baciare le sue labbra. «Si. La nostra Avalon»

***

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=705100