Capitolo 1
Capitolo 1
Il Sogno Da Cui Tutto Iniziò
§ flashback §
«Diddino mio, sei tornato!» dopo aver spalancato la porta,
ad averla trovata completamente occupata dalla figura di suo figlio, l’ossuta
Petunia Dursley non riuscì più a trattenersi.
Il bambino aveva otto anni. La sua altezza era nella media
rispetto ai suoi coetanei, ma il suo peso era già ben superiore a quello comune
ad un bimbo della sua età.
«Oh, Diddy! Non vedevo l’ora che tornassi a casa! Com’è
andata la scuola?» la donna parlò ancora, mentre stritolava il suo grasso
figliolo.
«La maestra ha detto che Harry dovrebbe essere più simile a
me!» rispose fieramente Dudley Dursley.
Quasi commossa per la magnificenza e lo splendore del
bambino, sua madre lo baciò.
«Oh, il mio piccolo eroe! Tutti dovrebbero prenderti come
esempio, soprattutto quell’irrecuperabile criminale! Vieni dentro, tuo
padre sarà molto fiero di te!» così dicendo, Petunia permise a Dudley di
liberare la porta ed entrare.
Dopo il suo passaggio, un altro bambino apparve dal nulla.
Era così piccolo e magrolino che Dudley era riuscito a nasconderlo
completamente. Nei vestiti smessi dell’altro che aveva addosso, il bimbo
sembrava ancora più malnutrito e maltrattato di quanto fosse in realtà. Sia
chiaro, non che di solito mangiasse a sufficienza o non venisse picchiato! Anzi,
secondo i Dursley ogni scusa era buona per rinchiuderlo nel ripostiglio del
sottoscala senza mangiare, così come lo era secondo Dudley e la sua “banda” per
picchiarlo.
Harry Potter sorrise tra sé, ripensando alle parole di
Dudley. Suo cugino aveva raccontato alla madre una frase che, una volta estratta
dal discorso che la conteneva originariamente, cambiava completamente. La
maestra aveva usato veramente quelle parole, ma il contesto in cui erano
inserite era un ipotetico uragano che investiva il paese e le precauzioni che
Harry, così leggero, doveva usare per non essere spazzato via.
«Ehi, tu! Se resti ancora lì fermo sulla porta, qualcuno
potrebbe pensare che hai qualcosa che non va, e giuro che se mi fai fare una
brutta figura con i vicini non mangerai per una settimana! Entra e chiudi la
porta… Svelto!» ordinò Petunia, ed Harry obbedì. Era abituato alle minacce, non
gli facevano paura, ma nell’ultimo anno si era reso conto che la sua altezza
restava costantemente invariata, mentre il suo peso calava vertiginosamente ogni
qualvolta non riuscisse a rubare del cibo in più dalla cucina, quindi temeva che
una settimana intera senza mangiare sarebbe stata più che sufficiente per
dissolversi nel nulla.
Al solo pensiero rabbrividì; entrò e chiuse la porta.
Si diresse verso il ripostiglio del sottoscala, dove
depositò lo zaino con i libri di scuola, poi si diresse in cucina. Suo zio
Vernon stava lodando l’adorato figliolo, mentre zia Marge gli aveva appena
consegnato 20 sterline.
Un momento… zia Marge? Cosa ci faceva lì?
Nessuno si era preso la briga di avvertirlo! Harry voleva tornare indietro,
andare a nascondersi nel suo ripostiglio e non uscire fino alla fine della
visita di quella megera. E stava per farlo, quando la donna lo vide e lo chiamò
a sé.
Vernon stava seduto al tavolo della cucina, al suo fianco
la sorella Marge. Petunia era di spalle, cucinava. Dudley si stava già
ingozzando. Notando che sua zia aveva chiesto ad Harry di avvicinarsi, il
bambino dagli occhi porcini si era parzialmente distratto dalla sua zuppiera
piena di fegatini. Se gli piaceva vedere i genitori strapazzare suo cugino,
adorava quando era zia Marge a farlo. Lei, non avendo alcun legame di sangue
con il giovane Potter, né rispetto per la sua defunta famiglia, riusciva a
tormentarlo meglio di chiunque altro.
Pregustando la scena che lo aspettava, Dudley si infilò in
bocca un cucchiaio di fegatini troppo grosso, che gli andò di traverso. Harry,
che passava accanto a lui proprio in quel momento, non riuscì a trattenere un
risolino.
Ma Marge lo vide, e per questo venne severamente punito. La
donna lo colpì sulla schiena con il suo bastone da passeggio. Stavolta toccò a
Dudley ridere, coccolato dalla sua premurosa mammina.
«Harry, sii educato. Saluta tua zia.» ordinò Vernon
Dursley, calcando particolarmente le ultime due parole.
Il bambino storse il naso. Marge non era sua zia, eppure
lui era costretto a chiamarla così. Se odiava i suoi veri zii, la sorella di suo
zio la detestava a morte, e non voleva sentirsi dire in alcun modo che aveva un
legame di parentela con lei. Ogni volta che faceva visita a Privet Drive, quella
donna si inventava qualcosa di nuovo per fargli del male, fisico… e non…
«Ciao, zia Marge» salutò Harry, per poi mordersi la lingua.
«Saluta Squarta, maleducato ragazzo!» gli ringhiò contro la
“zia”. «Squartuccio! Vieni qui!» gridò poi con tono dolce, in contrasto con
quello usato precedentemente contro Harry.
Un cane dall’aria feroce si avvicinò di corsa, ringhiando
verso il bambino. Harry fece un passo indietro.
«Accarezzalo!» ordinò nuovamente Marge.
Riluttante, allungò una mano verso il cane. Non appena
provò a sfiorarlo, quello lo morse e cominciò ad abbaiare forte saltellando sul
posto. Spaventato, Harry fece un passo indietro, proprio mentre Squarta si stava
spostando. Accidentalmente, atterrò con un piede sulla coda del cane. In quel
momento seppe che rischiava di rimetterci la vita.
Il giovane Potter cominciò a correre, Squarta subito
dietro. In cane rincorse Harry per tutta la casa, fino al giardino sul retro. I
due girarono in tondo, finché il bambino non trovò rifugio su un albero. Squarta
si posizionò ai piedi dell’arbusto, sorvegliandolo, riprendendo ad abbaiare e
ringhiare ogni volta che Harry provava a scendere.
Il povero bambino credeva di essere rimasto lì “una vita”.
Non aveva pranzato, e il suo stomaco brontolò particolarmente quando vide,
attraverso una finestra della casa, i quattro Dursley sedersi a tavola per la
cena. Era stanco, spaventato, non aveva idea di cosa sarebbe successo l’indomani
quando si sarebbe presentato a scuola senza aver fatto i compiti.
Solo dopo la mezzanotte, Marge decise di richiamare
Squarta.
Quando raggiunse il suo ripostiglio nel sottoscala, Harry
era esausto, eppure si mise ugualmente a studiare. I suoi libri di scuola erano
vecchi e rovinati. Zia Petunia li aveva presi usati, molto usati. Le
pagine erano per la maggior parte rovinate, alcune mancavano, e il testo era
spesso scarabocchiato. Era molto difficile studiare su libri del genere. Ogni
volta che ci provava, Harry veniva colpito da un gran mal di testa. E così
accadde anche quella notte.
Era tardi, e la candela che aveva acceso per vedere
qualcosa stava colando cera sui suoi vestiti. Il bambino la spense, provando a
farsi luce con un accendino che aveva trovato giorni prima per strada. Le cose
non andavano affatto meglio. Era stanco, molto stanco. Poi, da un momento
all’altro, crollò addormentato.
Il suo sonno era tormentato. C’era Dudley, circondato da
tutti i suoi amici, che gli infilava la testa nella tazza del bagno, zia Petunia
che gli offriva dei bocconcini per gatti, zio Vernon che lo rimproverava perché
non si era mostrato riconoscente nei confronti della famiglia Dursley per averlo
accolto, zia Marge che lo picchiava con il bastone da passeggio e Squarta che lo
costringeva a rifugiarsi su un albero. Ma poi, improvvisamente, un fuoco si
accese dentro Harry. Il suo orgoglio si stava ribellando a quella situazione.
Sempre all’interno del sogno, il bambino corse via da quella casa, il numero 4
di Privet Drive, verso una meta sconosciuta. Corse, corse e corse. Solo quando
fu sufficientemente lontano da tutte quelle persone, decise che poteva fermarsi.
Si chiese se la sua vita sarebbe stata sempre così, se c’erano possibilità che
qualcosa cambiasse. A quel punto fu il sogno a cambiare. Harry era un ragazzo,
circa sui diciassette anni. Si trovava in un parco, dall’atmosfera quasi magica.
Era sdraiato su una panchina, la testa sulle gambe di qualcuno, che carezzava
dolcemente i suoi capelli. Quel qualcuno era un uomo. Alto, biondo, occhi di
ghiaccio, abiti di classe. Portava, come Harry, una tunica nera, ma quella
dell’uomo era decisamente più elegante. Quella scena tranquillizzò l’animo del
giovane Potter.
Ad Harry era già capitato di sognare uomini con addosso
delle tuniche colorate. Ognuno di loro rappresentava esattamente ciò che i
Dursley consideravano “anormale”. Ma la cosa più strana era che, dopo averle
sognate, il bambino incontrava veramente queste persone! Dopo quanto non lo
sapeva, l’arco di tempo era variabile, però prima o poi ognuno dei personaggi
dei suoi sogni incrociava la sua strada, mentre era in giro con gli zii o mentre
tornava da scuola, esattamente nella stessa situazione in cui lui lo aveva
sognato.
L’uomo che aveva sognato quella notte era uno di quei
personaggi. Era la prima volta che compariva nei sogni di Harry, non lo aveva
neanche mai visto in giro, ma era sicuro che la scena vista quella notte prima o
poi si sarebbe concretizzata. E solo allora avrebbe trovato la pace tanto
cercata.
Dal momento in cui, il mattino successivo, Harry aprì gli
occhi, ebbe inizio la sua ricerca di quell’uomo. Quell’apparizione era un segno:
i suoi tormenti sarebbero cessati tra quelle rassicuranti braccia.
§ fine flashback §
Salve miei cari lettori! Questa è la mia ultima creazione.
L’ispirazione l’ho avuto “all’improvviso”. Diciamo che la notte scorsa, verso
mezzanotte, mi stavo mettendo a letto, e proprio in quel momento mi sono
immaginata la scena del sogno. Così ho preso carta e penna e ho scritto un bel
po’. Per ora c’è un altro capitolo pronto (da brava ragazza intelligente ho
scritto prima il secondo capitolo e poi il primo, ma non chiedetemi perché…), e
lo posterò tra qualche giorno, ovvero quando anche il terzo sarà pronto. Nel
frattempo, fatemi sapere cosa ne pensate dell’idea che ho avuto. In effetti da
questo capitolo non si capisce molto, diciamo che è più un’introduzione alla
storia vera e propria, ma spero che lo abbiate trovato comunque interessante.
Prima di andare via, lasciate un piccolo commento. Potete
essere anche cattivi, se volete, io non mi offendo.
Kisses
Lady Voldemort
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