Il Racconto di Elrond e Celebrìan

di Elanor Eliniel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una nuova luce in quella valle ***
Capitolo 2: *** Il peso dei silenzi ***
Capitolo 3: *** L'ombra che divide ***
Capitolo 4: *** Fingi che non sia mai esistito ***
Capitolo 5: *** All'ombra del Bosco d'Oro ***
Capitolo 6: *** Gioia e disperazione ***
Capitolo 7: *** Il muro della verità ***
Capitolo 8: *** Lasciarla andare ***
Capitolo 9: *** Namarië ***
Capitolo 10: *** Incontri improvvisi ***
Capitolo 11: *** Vite da ricostruire ***
Capitolo 12: *** Risvegli ***
Capitolo 13: *** Perdonare e perdonarsi ***
Capitolo 14: *** I Aear cân ven na mar ***



Capitolo 1
*** Una nuova luce in quella valle ***


Correva l’anno 1701 ed Elrond il Mezzelfo passeggiava per la terrazza di Imladris in compagnia di Sire Celeborn dai capelli d’argento. L’Elda stava raccontando le vicende dei suoi antenati e di come la Casa di Elmo si divise.
- Allorché Olwë si decise a partire con la sua gente, Elwë era ancora perso nei boschi di Nan Elmoth con Melian la Maia ed Elmo, mio nonno, era tra coloro che non volevano abbandonarlo. Elmo aveva a quel tempo un figlio, Galadhon, che generò me e Galathil, dotati delle chiome d’argento della Casa di Elwë. Galadhon, mio padre era alto e splendente e molto legato allo zio Olwë, inoltre era ostinato di carattere e desiderava ammirare i Due Alberi. Dunque partì, portandomi con sé, mentre Elmo, mia madre e mio fratello Galathil, ancora troppo giovane, rimasero con Thingol.
Molto tempo dopo, Galadhon, nipote del Re, divenne grande tra i Teleri di Alqualondë, un principe del pari dei figli del sovrano, tra cui vi era Earwen, madre di Galadriel. E fu questa parentela che ci permise di incontrarci, lungo le spiagge di Eldamar. –
Mentre Elrond si figurava questi nobili signori, tra cui suoi antenati, scrutava tutta la valle coi suoi occhi grigi. Ad un certo punto, udì un limpido squillo di trombe, ed Erestor, il capo dei suoi consiglieri, lo raggiunse.
- Mio Signore, sono giunte da Lòrien Dama Galadriel e sua figlia Celebrìan, per ricongiungersi al loro sire -
Gli occhi grigi dell’Elfo si spalancarono per la sorpresa, e pieno di gioia corse a riabbracciare le sue donne, mentre Elrond s’apprestò a dare loro il benvenuto.
Elrond conosceva la grande bellezza della Dama del Bosco d’Oro, ma ciò che non sapeva era quali fossero le fattezze della figlia.
Galadriel fu subito tra le braccia del marito, e i suoi leggendari capelli d’oro e argento s’intrecciavano con quelli di lui. Poco dopo apparve una fanciulla, bella come la madre, ma delle morbide onde d’argento, retaggio di suo padre, le ricadevano sulle spalle, e i suoi occhi erano azzurri come le acque del Nimrodel. Eppure, la sua bellezza era più semplice, più tangibile, meno austera, essendo ella per la maggior parte una Teler. Elrond la mirò incantato e muto per qualche istante: ella indossava un abito verde chiaro e al suo collo pendeva una gemma verde con delle ali d’argento, l’Elessar.
- Benvenute nell’Ultima Casa Accogliente mie dame – fece lui per rompere il silenzio e chinando lievemente il capo.
- Bentrovato Mastro Elrond – rispose Galadriel facendo lo stesso – Siamo giunte qui in cerca del nostro signore. Ella è Celebrìan, mia figlia. -
- Benvenuta nella mia umile dimora, nobile dama del lignaggio di Finarfin –
- Dici il vero, Elrond – lo interruppe Celeborn – eppure mia figlia è molto più simile alla mia stirpe-
- Grazie, sire – disse ella, con un filo di voce, senza aggiungere altro.
 
Poco dopo Celeborn accompagnò la sua sposa nella sua camera, essendo stanca per il viaggio, nel frattempo Elrond ordinò che fosse preparato un alloggio anche per la figlia e le mostrò il palazzo, facendole strada tra le colonne d’alabastro e i gradini di marmo.
- Vi piace la mia dimora, mia dama? – chiese il mezz’elfo per spezzare il silenzio caduto tra loro. Non che gli dispiacesse osservarla, anzi avrebbe potuto farlo per ore, si sorprese a pensare.
- Sì, signore – rispose lei indugiando coi suoi occhi sui suoi capelli scuri come la notte e i suoi occhi grigi – Diversa dal Bosco d’Oro, ma non per questo meno bella –
- Siete molto affezionata a quei boschi? Eppure non siete nata lì –
-No – rispose ella gravemente – sono nata nell’Eregion, che più non esiste in quanto reame. Ma l’Eregion era una terra di Noldor, di artigiani, io preferisco i boschi e le acque. Mio padre aveva ragione sul mio conto-
Dopo le prime parole, sembrava prender coraggio e diveniva facile per il mezzelfo discorrere con lei. Allorché giunse davanti ad una porta di legno chiaro, Elrond la aprì e l’Elfa si stupì di trovarvi già lì le proprie cose.
- Beh, sarete provata dal viaggio, e ormai Ithil si alza nel cielo – disse lui mantenendosi sull’uscio– non vi trattengo oltre, buon riposo mia signora-
Si sorprese a pronunciare quelle parole con rammarico mentre guardava i suoi occhi blu.
- No, sono io che nono voglio tediarvi oltre, sire, e vi ringrazio – rispose lei educatamente.
- Nessun disturbo, sono onorato – rispose Elrond, dopodichè fece un cenno del capo e uscì indietreggiando e chiudendo la porta, rammaricandosi di quanto poco tempo avesse impiegato a condurla lì.
Mentre strani pensieri di questa sorta si affaccendavano nella sua mente, varcò i portali uscendo in giardino avvolto nel mantello argenteo svolazzante nella brezza della sera. Alzò lo sguardo verso l’alto e si accorse che Celebrìan era affacciata alla sua finestra e sembrava star osservando proprio lui. Si sorrisero a vicenda, poi lei sparì alla sua vista, non riuscendo a reggere oltre il suo sguardo, imbarazzata. Le onde d’argento svolazzarono e la finestra si richiuse. Un po’ triste per essere stato privato della sua visione, Elrond si allontanò.
 
La mattina seguente il Mezzelfo si svegliò di buon ora per recarsi nel Salone del Fuoco per discutere con i suoi consiglieri, in primo luogo Glorfindel e Erestor, e con Galadriel e Celeborn degli ultimi avvenimenti nella Terra di Mezzo. Al termine, Celeborn dichiarò che, col permesso di Elrond, avrebbe guidato la sua sposa in una passeggiata nella valle. Il signore di Imladris invece si preoccupò che l’altra sua ospite potesse annoiarsi, ed in effetti per tutta la mattinata doveva essere stata sola, dunque decise di recarsi da lei personalmente.
Ma, giunto davanti alla sua camera, un’Elfa lo informò che la Dama non era lì.
Elrond allora s’incamminò verso i giardini perso nei suoi pensieri, inoltrandosi sempre più tra le betulle, fino a giungere in prossimità di una radura ove scorreva un fiumiciattolo tributario del Bruinen.
Gli alberi stavano iniziando a diradarsi, quando udì un canto provenire da quella direzione.
 
Mezzo uomo e mezzo elfo egli era,
i capelli del color della notte in primavera;
per molto tempo nel bosco aveva vagato
finché da lei non era rimasto incantato.
Nelle foreste d’Ossiriand la vide apparire,
coronata dai capelli d’argento, per poi guardarla svanire.
Inseguì a lungo quel Bianco Fiore
E l’adornò con la Nauglamìr, che ne accrebbe lo splendore.
 
Si fece strada tra i rami, sussultando nel sentire quella voce, finché la radura non gli si aprì davanti e la vide. La fanciulla dai capelli d’argento cantava mentre si bagnava nel fiume, era difatti estate. I capelli bagnati la ricoprivano come un manto, ed il suo abito bianco le aderiva sulla pelle chiara mentre volteggiava tra i flutti.
Il Mezzelfo avanzò nella radura rapito da quella vista, senza essere visto e ripensando a quelle parole “Mezzo uomo e mezzo elfo egli era”e “coronata dai capelli d’argento”. Ad un tratto nel suo incedere calpestò un rametto e quel rumore lo tradì: la fanciulla improvvisamente si volse e nel vederlo trasalì. Svelta uscì dall’acqua e poiché indossava un leggero vestito bianco zuppo d’acqua, afferrò il mantello grigio posato sull’erba e vi si avvolse tremante.
- Mi dispiace avervi spaventata, non era mia intenzione – assicurò Elrond come cercando di scusarsi – Io…ho sentito cantare…- e abbassò gli occhi grigi, fissando l’erba. E dire che in pochi riuscivano a sostenere il suo sguardo!
- Cantavo di mia cugina Nimloth, Bianco Fiore dei Sindar e del suo incontro con Dior il Mezzelfo, erede di Thingol – sussurrò lei.
- Naturalmente – soggiunse lui. Per un folle istante aveva identificato diversamente il Mezzelfo e la fanciulla dai capelli argentei. – Oltre ai gemelli Elured ed Elurìn, tra i loro rampolli vi fu mia madre. – lo disse distrattamente, anche perché era ovvio che Celebrìan lo sapesse.
- Sì…si amarono e furono felici, finché la sventura non piombò su di loro – fece lei addolorata.
Per qualche istante anche lui pensò ai magici e tragici eventi della Prima Era, ma si riscosse presto,  ché quella fanciulla era davanti a lui per davvero.
- Venite – disse avvicinandosi a lei e vedendola tremare impercettibilmente – Avrete freddo ora…qui non siamo nei boschi del Sud – aggiunse sorridendo e passandole un braccio attorno alle spalle. Lei non disse nulla, sussultò leggermente a quel tocco e si lasciò guidare verso il palazzo.
Il Mezzelfo la riaccompagnò alle sue stanze, confidando di non incontrare Galadriel e Celeborn. Probabilmente sapevano meglio di lui come la figlia amasse trascorrere le giornate nei boschi, ma non voleva che traessero conclusioni errate vedendo la fanciulla in quelle condizioni. Aveva troppo rispetto e reverenza per quei Signori degli Eldar e si sforzava di vedere Celebrìan come nient’altro che la loro figlia, nonostante a questo mondo non avesse mai visto nulla di tanto prezioso a suo giudizio.

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Capitolo 2
*** Il peso dei silenzi ***


Il tempo trascorse nella beatitudine di quella valle, ed il suo sovrano pareva a tutti assai più sereno, quasi l’ombra che incombeva su Elfi e Uomini gli fosse scivolata di dosso. La presenza di Celebrìan lo appagava, ma al tempo stesso non osava pronunciarsi non soltanto per tema di urtare Galadriel o Celeborn, ma anche a causa di funesti presagi. E l’Elfo un giorno, gli parlò.
- Mastro Elrond, il mio cuore brama il Mare – s’interruppe nel guardare lo sguardo stupito dell’amico e alleato per cui s’affrettò a rassicurarlo – oh, non intendo traversare Belegaer, tuttavia, mi recherò con la mia famiglia nel Belfalas, nel porto elfico di Edhellond. Pare, infatti, che vi sia un po’ di disordine tra gli Elfi Silvani, e provenendo io dai Falmari potrò trasmettere loro i segreti dell’arte della costruzione di navi. -
Elrond rimase interdetto, realizzando lentamente ciò che le sue orecchie stavano udendo.
- Beh, amico mio Celeborn degli alberi, io non sono solito tenere i miei ospiti come prigionieri, naturalmente, potrete dunque partire quando vorrete e vi assegnerò una scorta. Tuttavia, non posso far a meno di dolermi per questa notizia, che molto a cuore ho te e le tue donne. –
- Non sarà necessario, dimenticate che vi è già la scorta che molto tempo fa accompagnò le dame in questa vallata! –
- Nel caso non fosse sufficiente, sono a vostra completa disposizione. Desidero che non accada nulla né a loro né a voi. –
- E nulla accadrà – ribatté l’Elfo poggiandogli le mani sulle spalle in segno d’affetto.
 
Celebrìan aveva appreso da sua madre che a breve sarebbero partiti alla volta del Sud, ed ella fremeva dal desiderio di vedere il mare, non avendolo mai mirato. Ma al tempo stesso, si doleva di dover abbandonare quell’incantevole luogo e il suo sovrano. Non poteva però chiedere di restare o avrebbe tradito i propositi del suo cuore, pertanto intristita s’apprestò a compiere i preparativi per l’incombente partenza, desiderando essere fermata.
 
Elrond era rimasto solo, dopo che Celeborn s’era congedato ed era ancora scosso dalla notizia, realizzando che non avrebbe più visto sua figlia danzare sui prati di Gran Burrone, né cantare nei boschi di betulle. Desiderò far qualcosa per impedire ciò, ma l’unico modo era svelare i segreti del suo cuore e ciò prevedeva per gli Eldar una promessa, promessa che non voleva stringere. La guerra incombeva, e non avrebbe legato a sé la figlia di nessuno, tanto meno una fanciulla di così nobile stirpe, per poi disattendere le aspettative cadendo in qualche battaglia, o peggio, lasciando dei figli senza padre. Lui aveva sempre sofferto nel cuore la mancanza di Earendil il Beato ed Elwing la Bella. Così trascorse ancora qualche giorno e lasciò giungere l’ora della partenza.
Era in piedi presso i cancelli d’Imladris, attendendo i tre Eldar e la loro scorta, ma per il momento udì soltanto un rumore di zoccoli, e un attimo dopo apparve la fanciulla dai capelli d’argento in sella al suo cavallo. Indossava un mantello azzurro che ne ricopriva l’intera figura, coprendone anche il capo. Sembrava triste, ma al tempo stesso austera come non era mai apparsa.
- Sono la prima a giungere, dunque – esclamò notando che erano soli.
- Sì, mia signora. Avete forse fretta di partire? – domandò il Mezzelfo desolato.
- No, affatto, ma non v’è nulla a trattenermi qui, o mi sto ingannando? – chiese nella vana speranza di essere fermata. Lui desiderò che rimanesse per sempre e al sicuro nel suo regno, ma nulla disse, pur comprendendo il senso di quelle parole. La cosa lo allietò poiché poteva intuire i medesimi sentimenti che erano nel suo cuore, ma al tempo stesso lo rattristò, avendo già deciso di non rivelarsi.
- Siete nel giusto, mia signora. Come ho già detto, non è mio costume trattenere gli ospiti come prigionieri, per quanto graditi essi siano – si costrinse infine a rispondere.
- Comprendo – commentò la dama amareggiata – ed infatti se così non fosse non ne avreste alcun diritto – continuò con una punta d’asprezza.
Elrond rimase spiazzato dalla durezza delle sue parole, tuttavia ella aveva ragione, non poteva vantare alcun diritto su di lei per motivi già espressi. Quindi nulla rispose stavolta, limitandosi a fissarla con occhi tristi. Lei parve per un attimo addolcirsi, come pentita del tono con cui aveva pronunciato quella frase, ma non appena giunsero i genitori con la scorta si riscosse e riprese la sua espressione austera, indossata per l’occasione per palesare il proprio disappunto.
- Ah, sei già qui figlia mia – esclamò Galadriel – temevo non fossi pronta alla partenza –
- No, lo sono – disse con decisione la fanciulla – Prendevo congedo da Mastro Elrond per ringraziarlo dell’ospitalità –
In effetti non era proprio ciò che aveva detto, pensò mentre i genitori si congedavano e ringraziavano il Mezzelfo.
Alla fine venne il momento effettivo della partenza e uno stuolo di elfi a cavallo capeggiato da Celeborn oltrepassò i cancelli d’Imladrìs. Quando fu la volta di Celebrìan, ella si volse gettando un ultimo sguardo alla vallata e infine ad Elrond che si ergeva alto, la testa scura coronata d’argento e profondamente combattuto tra il suo ruolo nella Terra di Mezzo e i desideri del suo cuore.
Ella allora sussurrò un semplice – Namarië - , prima di guardare nuovamente avanti a sé e varcare la soglia, sparendo alla vista del Mezzelfo, che le rispose allo stesso modo, quando invece volentieri l’avrebbe fermata gridando il suo nome.
 
Lungo tutto il viaggio, che durò parecchio e fu intervallato da una breve sosta a Lòrien da Sire Amdir, Celebrìan ripensò a quell’addio convincendosi che forse, dopotutto, il Signore di Imladrìs non ricambiava affatto i suoi sentimenti o non l’avrebbe lasciata andar via senza una parola. Elrond dal suo canto, era divenuto silenzioso come non mai e trascorreva le sue giornate bramando la solitudine nei boschi e nelle radure di Gran Burrone, quando non era costretto da altre incombenze ad incontrare personalità di spicco della Terra di Mezzo.
 
Infine, l’ Elfa poté provare l’emozione di vedere il Grande Mare, cui il cuore di ogni Eldar agognava, essendo ormai giunta nella baia di Belfalas. I tre Eldar si stabilirono nel porto di Edhellond, dove Celeborn istruì numerosi elfi sulla costruzione dei vascelli, essendo uno dei Falmari. Edhellond era il porto fondato dai Nandor, gli Elfi Silvani di Lòrien e Bosco Verde per recarsi all’ovest. Il sire di quel luogo aveva nome Glorgalad, era bello in volto e aveva capelli d’oro, nonché occhi verdi; strinse amicizia con Celeborn e spesso i due passeggiavano insieme lungo la spiaggia.
- Amico mio – parlò un giorno Glorgalad – Molto tempo è trascorso da quando giungeste qui e vi è una cosa di cui desidero parlarvi. So che questi sono tempi bui, ma quale miglior motivo per accelerare le proprie decisioni? E’ da molto tempo ormai che io amo da lontano una fanciulla che desidero prendere in moglie, e si tratta di vostra figlia Celebrìan –
Celeborn restò in silenzio per un attimo, soppesando le sue parole, poi rispose con molta semplicità.
- Glorgalad, non è molto quello che posso risponderti, ché non è a me che devi rivolgerti. Io posso assicurarti che non vi è alcuna ragione per cui io debba ostacolare i tuoi propositi, ma ti suggerisco di parlarne con lei, poiché io non credo che ella abbia intuito qualcosa. –
 
Ma Glorgalad non era un Elda di comune lignaggio, era figlio di Caranthir figlio di Feanor e da questi aveva ereditato un temperamento imperioso e orgoglioso, che mascherava con una nobile favella. Egli allora parlò a Celebrìan del suo desiderio di prenderla in moglie, ma a lui non andava il suo amore, pertanto lei rifiutò gentilmente in modo da non ferire il suo cuore. Tuttavia Glorgalad era fiero d’animo e qualche tempo dopo così parlò a Celeborn:
- Ho seguito il tuo consiglio, signore, ma il rifiuto mi ha gravemente oltraggiato. –
- Me ne dolgo,pure, io non desidero che mia figlia diventi la moglie di qualcuno contro il suo desiderio –
- E’ forse già legata a qualcuno e io ne sono tenuto all’oscuro? – domandò il Noldo adirato-
- Affatto – esclamò Galadriel, la quale aveva sempre nutrito scarsa simpatia per la Casa di Feanor. Ella aveva udito la discussione e s’era avvicinata ai due Eldar – ma ella ha già espresso il proprio pensiero in merito, e ogni altra discussione non porterà a nulla –
 
Dama Galadriel, a causa del lignaggio del Sire di Edhellond e delle sue mire su sua figlia, cominciò a trascorrere dei periodi nel Bosco d’Oro con Celebrìan, per poi ritornare di volta in volta nel Belfalas dal marito e passarono innumerevoli anni. Durante uno di questi periodi, sul finire della Seconda Era, Elrond seppe che Galadriel era ospite di Sire Amdir e stava rendendo ancor più meravigliosi quei boschi col potere di Nenya. Così, su insistenza di Gil-galad Alto Re dei Noldor, si recò da lei per discutere degli ultimi avvenimenti e coinvolgerla in quei disegni.
 
Frattanto, Glorgalad mal sopportava il comportamento di Dama Galadriel, che cercava di privarlo della presenza di Celebrìan, e così prese congedo da Celeborn, affidandogli la reggenza di Edhellond, per partire alla volta del Lòrinand, senza svelare però i suoi propositi e rivelando anzi di essere diretto nel Reame Boscoso di Sire Oropher, a Nord di Bosco Verde il Grande.
La sua intenzione era, presumibilmente, di affrontare Galadriel e riportare indietro Celebrìan, illudendosi forse di poter piegare al proprio volere la figlia di Finarfin e se così riteneva, invero grande era divenuta la sua arroganza e follia.
 
Celebrìan nel Lòrinand era solita trascorrere le sue giornate nel Bosco d’Oro insieme ad altre fanciulle, tra cui Nimrodel, amata dal figlio di Amdir, e Mithrellas sua compagna. Si bagnavano spesso nelle acque del Nimrodel, che traeva il nome proprio dalla dama che vi viveva nei pressi. E fu durante uno di questi momenti, che giunse in quei luoghi Glorgalad sul suo cavallo grigio e il suo arrivo spaventò molto le fanciulle. Infatti, Nimrodel, Mithrellas e le altre compagne parlavano solo la lingua silvana e diffidavano degli Elfi dell’Ovest; pertanto, spaventate, corsero a nascondersi nei boschi non appena udito il rumore degli zoccoli. Soltanto Celebrìan rimase fiera ad ergersi accanto al letto del fiume, per vedere di chi si trattasse e inoltre pensò che, se il cavaliere doveva essere giunto fino al Nimrodel, le guardie del bosco dovevano averlo già fatto passare per giungere alla città del Re
Allorché egli uscì dalle fronde degli alberi e si palesò, Celebrìan lo riconobbe e fu piuttosto stupita di vederlo in quel luogo.
- Siete voi sire – esclamò – qual vento vi conduce qui? E’ forse accaduto qualcosa a mio padre? – chiese spaventata.
- Affatto, nulla è accaduto a Celeborn. Sono giunto qui per riportarvi ad Edhellond –
Quelle parole non presagirono nulla di buono, e la dama iniziò a indietreggiare, verso il cuore del Lòrinand.
- E perché mai, mio signore? Io sono qui con mia madre –
- Il cui comportamento, unitamente al vostro, mi ha già oltraggiato abbastanza! – esclamò con ferocia – Doveste saperlo, i figli di Feanor sono abituati a prendere ciò che desiderano, e dunque voi verrete con me nella mia terra e sarete la signora di Edhellond –
- Credete che mio padre ve lo permetterà? – urlò lei mentre cominciava a fuggire verso il centro del reame.
Lui prese ad inseguirla a cavallo, e l’avrebbe raggiunta subito se non fosse stato per gli alberi che si facevano fitti.
- Basteranno delle false accuse, e sarà imprigionato dai miei Uomini, o potrebbe smarrirsi in mare, un incidente! – rispose lui nella sua follia – E non andrete lontano, mia signora, sono più veloce di voi! –
L’Elfa, disperata, continuò a correre a perdifiato, terrorizzata, finché non raggiunse il Cerin Amroth, il colle di Lòrien così chiamato poiché vi dimorava spesso il principe per star vicino a Nimrodel. Qui gli alberi si fecero più radi e all’improvviso, quando sembrava fosse rimasto indietro, Glorgalad spuntò tra la vegetazione, e con un balzo saltò giù dal cavallo raggiungendo la dama.
- Siete vile quanto Celegorm vostro congiunto, che voleva rapire e sposare Lùthien! Queste usanze della Casa di Fëanor non sono in uso tra gli altri Eldar – disse lei irata.
Lui la guardò con occhi di fuoco, e la afferrò per i polsi, trascinandola verso il cavallo e facendola gridare.
 
- Per la luce di Eärendil, toglietele le mani di dosso o vi ritroverete questa freccia nel petto! - 



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Spero di non aver commesso delle inesattezze storiche...In tal caso vi prego di farmelo notare per porre rimedio. Qualsiasi tipo di commento, positivo o negativo, è graditissimo!

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Capitolo 3
*** L'ombra che divide ***


Celebrìan e Glorgalad si voltarono entrambi, verso la fonte di quelle parole; lei lo riconobbe ancor prima di vederlo in volto ed il suo cuore esultò.
Elrond stava lì davanti a loro, alto e avvolto in abiti da viaggio, teneva incoccata una freccia in direzione del Noldo e i suoi occhi erano terribili, ardenti come fiamme, o come la luce del Silmaril di suo padre. Un presagio aveva afferrato il suo cuore, spingendolo lungo la via ad affrettarsi, e non s’era ingannato.
Ma Glorgalad, con uno scatto fulmineo, trascinò la fanciulla tra lui ed il Mezzelfo come scudo.
Elrond impallidì, non attendendosi una mossa così vile da parte dell’Elfo, ed i suoi occhi incontrarono quelli spaventati di Celebrìan.
- E tu devi essere Elrond di Gran Burrone! – esclamò il Noldo – della stirpe dei ladri di Silmaril. Ma non porterai via la mia fanciulla –
- Non discorrerò con te dell’illegittimità delle tue dichiarazioni, ché lo hanno già abbondantemente fatto i Valar nel corso della Guerra d’Ira! E ben in basso è caduta la Casa di Fëanor, se si vuol replicare il ratto di Lùthien. Ma Celebrìan tu non la porterai via, perché io te lo impedirò. -
Al ché Glorgalad rise, e la sua risata fu terribile e crudele.
- E come? Non vorrai farmi credere che oserai scoccare? –
- No. – disse Elrond seccamente – non lo farò, ed è inutile negarlo. Ma possiamo restar così fin quando vorrai, più il tempo passa e più è probabile che i Galadhrim ci trovino, e ciò affretta la tua sconfitta. Dunque io dico, affrontami in duello e lasciala. Dovrai passare sul mio cadavere per rapirla. –
Quegli soppesò la proposta del rivale e negri pensieri sulla fanciulla gli passarono per la mente.
- Abbassa l’arco e la lascerò, per il momento, andare –
Elrond obbedì, ma senza abbassare la guardia, aspettandosi mosse impreviste. Ma effettivamente il Noldo lasciò andare la dama che gemendo si allontanò da lui, in direzione del Mezzelfo. Lui ripose l’arco e sguainò la spada, seguito a ruota dal nemico. Presero a duellare con rabbia e Glorgalad combatteva per uccidere, mentre Elrond poco si preoccupava di sé, urlando alla fanciulla di andarsene.
- Fuggite, mia dama, ve ne prego! – gridò parando un violento fendente.
Ma ella era immobile, in pena per il Mezzelfo, e non riusciva a muovere un solo passo.
- Non fuggirà, perché è inutile, non può sottrarsi a me – fece Glorgalad.
Elrond si adirò nell’udire quelle parole cariche di bramosia e combatté con una nuova furia che dopo poco gli consentì di menare un colpo così vigoroso da far perdere presa sull’arma all’avversario e la lama fu scagliata via.
Glorgalad cadde per la violenza dell’urto mentre veniva disarmato e il Mezzelfo gli puntò l’arma alla gola.
- Non mi uccidi? – lo schernì quello, inerme.
Finalmente, richiamate dai rumori dello scontro, stavano giungendo delle guardie di Lòrinand e poco dopo una decina di frecce furono puntate contro il Noldo.
- Ne avrei certamente voglia – ribatté Elrond irato – Ma non mi sporcherò le mani per te -aggiunse abbassando la lama e lasciando che venisse fatto prigioniero e portato dal Re. Ripose la spada nel fodero e sospirò sfinito; gli elfi s’erano ormai allontanati dopo che il loro capo Haldir gli ebbe detto si presentarsi innanzi al Re quella sera con la dama per giudicare Glorgalad.
Un attimo dopo Celebrìan gli si gettò tra le braccia, in lacrime e tremante. Fu sorpreso da quel gesto improvviso e spontaneo, e sussultò nel sentirla così vicina e fragile. Delicatamente la strinse e stette per un po’ in silenzio, ascoltando i battiti del suo cuore.
Lei continuava a singhiozzare per lo spavento ed Elrond lentamente le sollevò il mento con le dita e la baciò.
 
Qualche istante più tardi, si costrinse a staccarsi da lei, pentendosi della propria impulsività.
- Scusate – fece – non avrei dovuto. –
Ella lo guardò, triste per quelle parole, e disse:
- Pure, io non comprendo, ora come molto tempo fa ad Imladris, il vostro atteggiamento. Eppure oggi avevo nuovamente creduto di starvi a cuore. Avete compiuto un nobile gesto e sono certa che avreste fatto altrettanto per qualsiasi altra dama, tuttavia è stato solo questo a guidare le vostre azioni e a far dardeggiare i vostri occhi? –
Il Mezzelfo chiuse gli occhi e sospirò nell’udire quelle parole così dirette.
- No, non è stato solo questo – disse alzando lo sguardo. – Ma non è mia intenzione legarvi a me. Non è stato il caso a condurre i miei passi nel Lòrinand, sono stato inviato da Re Gil-galad di cui sono l’araldo e il braccio destro. La guerra è alle porte e si vocifera che un’Ultima Alleanza di Elfi e Uomini marcerà contro Sauron. E benché questa sia la nostra unica possibilità, non credo faremo ritorno dalla battaglia. Ecco perché non avrei dovuto, ma d’altronde l’impulsività dei Noldor scorre anche nelle mie vene. -
Celebrìan rimase impietrita, gli occhi azzurri lucidi, e si pentì delle proprie parole, tuttavia aveva avuto bisogno di sapere la verità.
- Andrete... andrete anche voi dunque? – chiese retoricamente.
- Sono l’araldo del Re dei Noldor, chi marcerà al suo fianco se non io? – rispose Elrond.
Ella si coprì il volto con le mani.
- Ecco la ragione del mio atteggiamento, e spero non me ne vogliate – continuò lui prendendole le mani – Non desiderò partire sapendo che siete adirata con me. –
- E come potrei esserlo? – disse lei piangendo – E’ grazie a voi che non sono poco più di una schiava. –
 
I due si diressero verso la città degli Elfi e lui le chiese spiegazioni circa l’assalto da parte di Glorgalad, di cui sapeva soltanto essere sire di Edhellond e nipote di Fëanor.
- Durante questi lunghi anni egli mi ha più volte chiesto in sposa, mascherando la propria indole dietro modi gentili, ciononostante io non ho mai accettato la sua proposta – rispose la dama, notando un lieve sorriso di lui nell’udire quelle parole.
- E ha considerato la mia scelta come un affronto, e anzi, a quanto pare non l’ha considerata affatto, arrogandosi diritti su di me, difatti era giunto qui per riportarmi ad Edhellond e prendermi in moglie contro la mia volontà. –
Poco più tardi raggiunsero la città dei mallorn e subito trovarono Galadriel ad attenderli; ella chiamava a gran voce la figlia e appena poté l’abbracciò.
- Grazie, Elrond – disse non appena l’ebbe lasciata – Ti sono debitrice. –
- Nessun debito, ti prego Galadriel – rispose. Non credere che io tenga a lei meno di te, pensò.
 
Quella sera comparvero innanzi a Re Amdir e raccontarono l’intera vicenda, dopodiché fu deciso che Glorgalad sarebbe rimasto sotto la vigilanza dei Galadhrim e gli sarebbe stato concesso di combattere di lì a breve nella guerra che si sarebbe scatenata per riacquistare un po’ d’onore in seguito alle vergognose colpe di cui s’era macchiato. Galadriel non fu molto soddisfatta di ciò, ma non osò ribattere, tuttavia disse alla figlia che sarebbe presto tornata ad Edhellond da suo padre, che non desiderava farla dimorare nello stesso luogo del Noldo.
Poi presero a discutere circa gli ultimi avvenimenti e alleanze e toccò ad Elrond parlarne al Re. Venne concordato che Amdir avrebbe guidato la guarnigione di Elfi del Lòrinand e Oropher avrebbe portato i suoi sudditi del Reame Boscoso, mentre naturalmente riferì che Cìrdan avrebbe guidato i Falathrim, Gil-galad ed Elrond stesso l’esercito del Lindon e di Imladris.
- Gli Elfi che resteranno nel Lindon, saranno sotto la guida di Galdor, il consigliere di Cìrdan, quelli che resteranno ad Imladris saranno capeggiati da Erestor. Re Gil-galad proponeva che Dama Galadriel restasse a reggere il Lòrinand per una duplice ragione. Poiché, inutile negarlo, vi sono poche speranze di vittoria, tutti questi reggenti dovranno condurre , donne e bambini perlopiù, ai Rifugi Oscuri in caso di disfatta, prima che l’ombra di Sauron dilaghi. Sire Cìrdan ha già costruito coi suoi uomini molteplici navi, e di grosse dimensioni, nel caso si verifichi il peggio. Se sarete d’accordo, Dama Galadriel dovrà, in caso di necessità condurre le genti attraverso Moria, ove ella stessa passò molto tempo fa grazie ai suoi buoni rapporti coi Nani. –
Sia il Re che Galadriel accettarono tale possibilità, ed ella così parlò:
- Qualsiasi cosa accada, avrò cura di queste genti, le condurrò nel Mithlond se questa fosse la nostra ultima speranza e mai mi separerò da loro. Pure, se mio marito Celeborn resterà a reggere Edhellond, non chiedo di unirmi a lui, ma invierò lì mia figlia. – 



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Ecco il terzo capitolo! Spero che vi piaccia e sono contentissima di queste recensioni, di cui vi ringrazio!

elepaddy85: Graziee, sono contenta che ti piaccia e spero di aver esaudito la tua richiesta :P anche se purtroppo come avrai visto Re Amdir preferisce non cacciarlo ma tenerlo sotto controllo, ma questo vorrà dire che andrà via Celebrìan, come si è già lasciato intendere.
Afaneia: Eheh anche io adoro i salvataggi come vedi :) anche se più avanti le cose si metteranno male come ben sappiamo :(
Per quanto riguarda l'OC ed Elrond, sì nei fatti hanno almeno 400 anni di differenza (la nascita di Celebrìan non è riportata con precisione), ma credo che a renderli così diversi sia più che altro il modo in cui sono cresciuti: di lei sappiamo solo che si sposta insieme ai suoi genitori, mentre di Elrond sappiamo che è stato separato dai suoi genitori da bambino e l'unica figura simile a un genitore che abbia conosciuto è Maglor, che però è uno dei responsabili del terzo massascro tra Elfi e quindi uno di quelli che hanno quasi ucciso sua madre e sterminato la sua gente. Poi sappiamo che ha perso suo fratello Elros perché questi sceglie una vita mortale (ultimo pezzo di una famiglia distrutta) e inoltre ha visto coi suoi occhi la guerra d'Ira. Anche se il personaggio è presente sia nello Hobbit, che in Isda e nel Silmarillion, queste cose non ci vengono descritte però credo lo abbiano forgiato profondamente. Proprio perché il Prof non ce ne parla (soprattutto nel caso della moglie) trovo un po' difficile adattarlo ma penso che dietro la sua saggezza e il suo essere un punto di riferimento per molti debbano pur nascondersi questi tremendi conflitti :) :( Se per caso non ho ben afferrato ciò che intendevi ti prego di dirmelo =) e grazie per tutto.
Thiliol: Grazie davvero, sei gentilissima =) Ci tengo molto alla precisione per reverenza nei confronti del Prof ;) Anche io adoro Elrond per i motivi espressi poco fa (cui ci sono da aggiungere anche il dramma di moglie e figlia!), penso che dietro la frase "Il volto di Elrond non aveva età, non era né vecchio né giovane, eppure recava vivo il ricordo di molte cose tristi e di molte felici " ci siano molte cose taciute! Per quanto riguarda invece i capelli di Celebrìan, Tolkien non ne parla mai, però pare che una delle traduzioni del suo nome sia "coronata d'argento" che poteva riferirsi ai capelli di retaggio paterno. Grazie ancora davvero e spero che questo capitolo ti sia piaciuto!

Continuate a farvi sentire :) per il prossimo aggiornamento spero venerdì perché è quasi pronto ma giovedì ho un esame...a presto! Baci =)

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Capitolo 4
*** Fingi che non sia mai esistito ***


Più tardi, allorché presero congedo dal Re, Galadriel parlò a Celebrìan del pericolo che incombeva, dicendole che sarebbe dovuta restare con suo padre e, in caso di attacco, avrebbe dovuto immediatamente veleggiare verso Ovest da Edhellond per trarsi in salvo.
- No – si oppose Celebrìan – Io non lascerò queste sponde. –
- Ma, figlia mia, se tutto fosse perduto o comunque in caso di attacco, dovrai farlo! Potresti essere rapita o uccisa altrimenti. Non conosci davvero le guerre se non attraverso i canti! –
Elrond camminava al loro fianco, silenzioso.
- Non voglio andare all’ Ovest – continuò la fanciulla.
- Perché ti rifiuti con tal vigore? – chiese la madre con tono autoritario.
Lei scambiò un rapido sguardo col Mezzelfo e nulla rispose. Ma esso non sfuggì a Galadriel che restò anche lei silenziosa finché non si congedò, erano infatti giunti in prossimità del suo flet.
La fanciulla dai capelli d’argento continuò a camminare nel bosco insieme ad Elrond, diretta verso il suo alloggio e lui le disse di essere d’accordo con Galadriel, che cercava di tenerla al sicuro.
Ma Celebrìan ribatté esasperata, rivolgendosi in maniera diretta e senza più convenevoli:
- Ancora una volta non comprendi, o fingi di non comprendere. Io attenderò il tuo ritorno. –
E lo guardò con sguardo deciso, che non ammetteva repliche. Ma Elrond scosse la testa.
- No! Ascolta bene le mie parole. A cosa credi che porterà il nostro ultimo, estremo tentativo contro la potenza di Sauron? Egli ha l’Anello. Con ogni probabilità, i figli di Iluvatar, Primogeniti, Secondogeniti e Adottivi periranno, ed io tra loro. Non puoi attendere un mio ritorno che non avverrà mai, per poi essere fatta prigioniera o uccisa. Chi ti salverà stavolta da orde di Orchi o Uomini Scuri? Fa quello che ha disposto per te tua madre, te ne prego. Dimentica quel mio attimo di debolezza e fingi che non sia mai esistito. –
Furono quelle ultime parole a farle comprendere che nulla avrebbe potuto ribattere e fuggì via con gli occhi umidi, a rinchiudersi nella camera di legno sul suo flet. Lui la guardò sparire e poi si allontanò con la morte nel cuore.
 
Il dì seguente, Celebrìan restò sul suo mallorn per gran parte della giornata, non avendo intenzione di vedere nessuno. Elrond comprese di essere la fonte del suo turbamento e decise che non l’avrebbe più cercata, pur desiderandone la presenza. Passarono i giorni e più non s’incontrarono, nonostante fossero entrambi in quella bella città dagli alberi d’oro, finché venne per lui il momento di tornare al Nord. Poco prima di lasciare quei boschi, prese congedo dal Re e da Dama Galadriel, ma Celebrìan non era con lei. Egli allora, rimasto solo, si avviò verso il suo flet, salì agilmente la scala che vi pendeva e bussò alla piccola porta di legno.
- Chi siete? – disse la fanciulla
- Sono … Elrond – fece lui.
- Se è questo quello che vuoi sapere, seguirò la volontà di mia madre. Ora, lasciami sola –
- Sono in procinto di partire – disse seccamente il Mezzelfo, intristito dalla freddezza di lei.
Si udirono allora dei leggeri passi svelti e la porta si aprì. Era avvolta in un abito bianco, il suo incarnato era più pallido del solito e sembrava quasi evanescente. Nonostante i suoi occhi fossero spenti, il Mezzelfo pensò che fosse incredibilmente bella.
- Probabilmente questo è il nostro ultimo incontro. – disse Elrond – e poiché sono giorni che non sei più solita passeggiare per questi boschi, ho avuto l’ardire di bussare alla tua porta –
- Vieni – rispose lei lasciandolo entrare e richiudendo la porta.
Egli si sentiva dilaniato in due, terribilmente combattuto. Desiderò per un istante essere l’ultimo degli Eldar, per partire verso Valinor portandola con sé. Eppure, era il figlio di Eärendil, Signore di Elfi ed Uomini ed un alto destino lo attendeva.
- Era mio desiderio donarti questo – disse estraendo un anello da sotto il mantello: una pietra lucente era racchiusa da filamenti d’argento.
- Apparteneva a mia madre Elwing. L’avevo preso tra le sue gemme per giocare, quando ero bambino, poco prima che il popolo di Fëanor piombasse sulla nostra gente e mi separasse da lei –
Prese la sua candida mano e glielo infilò.
- E’ meraviglioso e non meritavo un simile dono – rispose lei stupita.
- Meriteresti molto di più, mia signora, eppure non posso darti altro – ribatté lui. Poi le baciò la mano aggiungendo:
- Tarda è l’ora, e devo intraprendere il cammino. Namàrië –
- Possano i Valar proteggere i tuoi passi. Namàrië – rispose lei guardandolo con occhi lucidi.
Elrond non sopportò oltre quello sguardo d’addio e senza voltarsi oltrepassò la porta e scese dal flet.
Ella uscì e lo guardò allontanarsi finché non sparì alla sua vista, ma lui non lo seppe mai, ché non osò più voltarsi indietro per nascondere il fatto che anche i suoi occhi fossero umidi.
 
I giorni fuggirono ad Ovest e Celebrìan divenne sempre più taciturna: senza ulteriori repliche lasciò il Lòrinand e tornò a Sud da suo padre, ove dimorò negli anni della guerra. Infatti, benché già da tempo i più saggi pensassero ad un’Ultima Alleanza, essa effettivamente fu messa insieme dopo che Sauron ebbe attaccato Gondor.
Agli albori di quel conflitto,  durante l’attacco sferrato al Regno del Sud, un grande vascello di Corsari di Umbar si diresse verso Edhellond, con l’ordine di devastare quel bianco porto e impedire la fuga verso ovest di molti Nandor. Sire Celeborn lo scorse spuntare all’orizzonte, scuro contro l’alba, ma esso sbarcò più a sud nella Baia di Belfalas, per non attirare troppi occhi su di sé. Svelti, dei messaggeri corsero dall’Elda e lo informarono dei fatti, ché ben presto sarebbero giunti i nemici.
- Avete poco più di un’ora – disse l’uomo.
Celeborn allora in fretta si levò a dar ordini ai pochi Elfi di cui disponeva e molte belle dame coi loro figli s’apprestarono a imbarcarsi, per mai più tornare.
In quell’ora Celeborn non appena ebbe dato le prime disposizioni, corse da sua figlia, ordinandole di fare in fretta.
- E’ giunto il momento che temevo, abbiamo poco meno di un’ora prima che gente di Umbar piombi su questa bella dimora, e la nave è pronta a salpare. Va’, figlia mia e più non indugiare! –
Ma ella gli apparve al tempo stesso triste e bella nella sua disperazione.
- Vi prego padre – sussurrò – Non desidero obbedirvi. E che ne sarà di voi? –
- Non devi temere per me, sono sfuggito a momenti peggiori come il Sacco del Doriath. Ma perché non vuoi recarti a Valinor, ove tutto è gioia? Il tempo incalza –
- La mia speranza permane – si limitò a dire lei, gli occhi che le brillavano.
- Tu attendi qualcuno – disse il padre comprendendo improvvisamente la ragione delle sue parole. Poi il suo sguardo cadde sull’anello che la fanciulla portava e le prese la mano per osservarlo meglio.
- Questo gioiello fu donato da Nimloth a sua figlia – fece ricordando i tempi della sua giovinezza, ed in fretta capì e aggiunse, guardandola negli occhi.
- Tu ami Elrond –
Celebrìan abbassò lo sguardo e fece un debole cenno di assenso col capo.
- Padre, ti prego… -
Celeborn chiamò subito alcuni tra i suoi Elfi più fidati.
- Scarse sono le sue possibilità di ritorno e voglio che tu lo sappia – ribatté lui – Ti recherai nel Lòrinand immediatamente e lì non ti separerai da tua madre e dal suo potere. Questi cavalieri ti accompagneranno ed è bene che vi affrettiate, prima che i corsari giungano qui o che l’esercito di Mordor rompa le difese occidentali di Gondor. –
Ella gli gettò le braccia al collo.
- Grazie padre –
- Non ringraziarmi, ché potrei consegnarti ad una crudele sorte assecondando i tuoi propositi. Ringraziami quando sarai al sicuro, e ora va’, andate! –
Del trambusto sembrava avvicinarsi, al ché Celeborn sguainò la spada.
- Va’! – urlò e si affrettò a raggiungere gli Elfi armati, fuori dalle mura.
 
Protetta dalla grazia dei Valar e di Eärendil, la dama riuscì a fuggire e a cavalcare a lungo verso Nord con la sua scorta, fino al Bosco d’Oro. Quando sua madre la vide, quasi non credette ai propri occhi e si adirò molto per i rischi che aveva corso.
- Sei qui – le disse – Nonostante mi sia giunta voce dell’attacco ad Edhellond.  La ragione ha forse abbandonato Celeborn il Saggio, oltre che sua figlia? Puoi riferirmi il motivo di tale follia, o preferisci che lo scopra da me? –
- Resterò qui, ad attendere. – mormorò la fanciulla.
- I tuoi stessi occhi ti hanno tradito. Tuttavia, come ricorderai, Sire Elrond concordava con me perché tu ti recassi in Aman. Difatti, non ti ha legato a sé con nessun vincolo –
- Lasciatemi sola, madre – ribatté Celebrìan allontanandosi dopo aver udito quelle parole fin troppo vere e dolorose.
Quella sera, la dama si rinchiuse nel suo alloggio sul suo flet e nessuna scala o corda lasciò a pendere da esso. Cominciò a tessere un mantello azzurro e a ricamarlo d’argento con lo stemma di Eärendil e ben di rado si allontanava da quel luogo, salvo per ricevere nuove sulla guerra.
 
Altrove si narra del lungo assedio a Barad-dur, della morte di molti eroi, del disperato gesto di Isildur che allontanò, contro ogni attesa, l’ombra di Sauron per parecchio tempo. Elrond marciò e combatté valorosamente al fianco di Gil-galad, il quale gli affidò Vilya, il più potente dei Tre.
Infine, i superstiti intrapresero la strada del ritorno, la via di casa, e Elrond condusse verso Nord l’esercito del Lindon e di Imladris, insieme a Cìrdan alla testa dei Falathrim, a Thranduil figlio di Oropher e ad Amroth figlio di Amdir a capo delle genti silvane.
Quando giunsero nei pressi del Lòrinand, Re Amroth, succeduto a Amdir dopo che questi era caduto in battaglia, si separò dal resto della schiera per condurre la sua gente nella propria terra.
Allorché furono passate un paio d’ore da quella separazione, Elrond chiamò a sé Glorfindel e dichiarò alla sua gente che questi li avrebbe condotti sino a Gran Burrone. Egli aveva infatti avuto un ripensamento e molto desiderava incontrare Dama Galadriel per narrare di come non fosse riuscito a far distruggere l’anello ad Isildur e di come fosse divenuto il portatore di Vilya.
Si disse che avrebbe raggiunto a breve Re Amroth, ed invertì il suo cammino. Per tutti quegli anni spesso i suoi pensieri erano stati per Celebrìan, ma non nutriva più alcuna speranza di rincontrarla nella Terra di Mezzo, avendo saputo dell’attacco ad Edhellond, poi respinto, e della nave che da lì era salpata per le Terre Imperiture.


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Ecco il nuovo capitolo...hanno da poco riaperto sul nuovo server! Fatemi sapere cosa ne pensate ;) a presto!

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Capitolo 5
*** All'ombra del Bosco d'Oro ***


Cavalcava senza posa nella speranza di ricongiungersi al Re, ma questi, insieme alla sua gente, in fretta aveva raggiunto la sua terra, mosso dalla nostalgia. E benché fossero ormai dispersi e senza direttive, incontrò una banda di una ventina di orchi ed essi lo scorsero; era indubbio che in battaglia avesse affrontato minacce peggiori, pure, sarebbe stato impossibile anche per Tuor o Fingolfin affrontare un tal numero di nemici allo stesso tempo da solo, dunque spronò il candido cavallo alla fuga.
Non appena si convinse di averli lasciati indietro, avvertì un’acuta fitta al braccio, ché una freccia lo aveva colpito e vi era rimasta ben conficcata. Tentando di ignorare il dolore ed il sangue che prese a scorrere copiosamente, fuggì ancora più svelto riuscendo finalmente a seminare quegli esseri immondi e a giungere nel Bosco d’Oro al calar del sole.
 
Celebrìan si trovava ai margini del Lòrinand, poiché, pur essendo felice che gli Elfi fossero tornati col Re, ovunque nella città scorgeva famiglie riunite o amanti ritrovati e le si stringeva il cuore. Fu così che lei ed Elrond s’incontrarono nuovamente all’ombra dei mallorn di quella terra ed egli restò oltremodo piacevolmente sorpreso, essendo ormai convinto che ella avesse abbandonato le terre mortali.
Dapprima pensò che la ferita fosse avvelenata e che la vista della fanciulla fosse uno scherzo della sua mente, ed in effetti la vista cominciava ad annebbiarsi. Ma lei gli corse incontro ed il suo volto era felice, almeno fino a quando non notò che il Mezzelfo sanguinava parecchio. Mentre smontava da cavallo, lo vide cadere in ginocchio, debole e spossato e non appena l’ebbe raggiunto si gettò a terra accanto a lui.
- Sei qui – sussurrò lui debolmente.
- Non potevo abbandonare la speranza, e non a torto. Ma, mio signore, sei ferito e hai perso molto sangue! – rispose lei guardandolo spaventata.
- Non sono mai stato più lieto – fece lui tentando di rassicurarla.
Ma la fanciulla più non lo ascoltava; prese delle foglie che sembravano gelide al contatto con la pelle e gliele premette delicatamente sulla ferita per qualche minuto. Poi, odiandosi per quel gesto necessario, estrasse la freccia dal braccio.
Lui non poté trattenersi dal gridare dal dolore e chiudere gli occhi, ma Celebrìan si sforzò di rimanere impassibile, lavò la ferità in fretta e la coprì con quelle foglie medicamentose, poi strappò un lembo del suo vestito e fece una fasciatura molto stretta, sperando di fermare il flusso.
Elrond era molto pallido, ché a lungo aveva cavalcato con quella ferita e si lasciò cadere sull’erba, mentre lei si avvicinò inorridita al suo cavallo bianco, notando che aveva un fianco rosso del sangue del Mezzelfo.
Celebrìan prese la sacca legata alle briglie dell’animale e vi frugò, estraendone una boccetta di miruvor. Non appena ebbe capito di cosa si trattava, si sedette nell’erba accanto a lui e gliene diede, sperando che potesse servire a recuperare le forze, poi gli carezzò il viso.
- Riposa – disse – io non andrò via –
- Il mio unico desiderio è continuare a mirare il tuo viso, mia signora – ribatté lui debolmente.
Lei sorrise.
- Sei debole e pallido, non appena avrai riacquistato vigore lo potrai mirare per sempre, se vorrai, ma ora chiudi gli occhi –
Elrond obbedì sorridendo e l’Elfa continuò a guardarlo, avrebbe voluto portarlo nella città, ma aveva perso troppo sangue e non osava farlo rialzare finché non avesse riacquistato un po’ le forze; restò dunque tutta la notte a vegliare su di lui in attesa che si riprendesse.
 
La mattina seguente, una lesta aurora s’insinuò tra le fronde degli alberi dorati e i raggi illuminarono la radura. Elrond si destò e disse di sentirsi meglio, difatti il suo volto non era più candido come l’alabastro.
- Rechiamoci nel cuore del regno, dunque – fece lei lavando il sangue dal manto del cavallo e prendendone le briglie.
Lui si alzò, non agilmente ma neanche con difficoltà, e le si avvicinò.
- Un momento, mia dama – sussurrò ed ella si fermò.
Elrond le scostò i capelli d’argento dal viso.
- Hai vegliato su di me per tutta la notte. –
Celebrìan sorrise e abbassò lo sguardo mormorando che non era stato gravoso per lei ma piacevole.
Il Mezzelfo la strinse a sé e la baciò.
- Ti chiedo perdono per non averti legata a me prima d’ora e ti sono grato di essere ancora qui, nelle terre mortali. Ora, benché la vittoria non sia definitiva, le cose cambieranno. –
 
Montarono a cavallo e tornarono verso la città, narrandosi le loro vicende nel periodo di lontananza. Lì Elrond fu accolto con onore dalle genti silvane e poté a lungo conversare sull’Unico Anello e su Vilya con Galadriel e Celeborn, giunto dal Sud.
- Pure, nonostante le cattive nuove che mi porti, ritengo probabile un lungo periodo di pace – concluse la Dama al termine della discussione – Ed ora che Gil-galad non è più, sarebbe forse tuo diritto reclamare il titolo di Re Supremo dei Noldor. -
- Mio diritto? – chiese lui incredulo – No, molti dei Noldor lasceranno queste sponde e non vi è alcuna ragione per avanzare tale pretesa, inoltre il sangue di Finwë scorre nelle mie vene attraverso Idril Celebrindal, ma molto di più scorre in me il sangue dei Teleri, la gente di mia madre. Infine, mia signora, nonostante i Noldor erroneamente non seguano, come fanno invece i Teleri, anche la linea femminile, io non richiederò quel titolo quando la figlia di Finarfin, ben più grande di me, s’aggira per le terre mortali. –
Galadriel parve piuttosto lusingata dalle sue parole.
- Ciononostante, essendone sempre stata privata per i motivi da te già espressi, preferirei, se mai qualcuno ancora dovesse fregiarsi di quella carica, che fossi tu a portarla, ché nessun altro più degno io conosco. –
- Non ci saranno altri Re, mia signora. Glorgalad è caduto in battaglia, ed inoltre nessun Noldo avrebbe mai accettato un ritorno alla Casa di Fëanor, se è ciò che temevi – rispose Elrond. – Ti sono grato per la fiducia che riponi nei miei confronti, ma non desidero nulla di ciò che, a mio avviso, ti appartiene –
Un attimo dopo si corresse, avendo percepito le sue stesse parole come non veritiere.
- O meglio, nessun titolo che ti appartiene –
Celeborn lo guardò gravemente negli occhi grigi prima di parlare.
- Qual è la ragione di tale precisazione? –
Elrond sostenne lo sguardo dell’amico con fermezza ma al tempo stesso con gentilezza.
- Ebbene, c’è qualcosa di vostro che il mio cuore desidera, ben più prezioso di titoli e tesori. –
I due sposi continuarono ad osservarlo restando in silenzio ed in attesa che continuasse, ben avendo intuito ciò che intendeva.
- Si tratta di Celebrìan – disse infine, temendo per ciò che avrebbero potuto ribattere.
Dopo qualche istante in cui tutti tacquero, Galadriel e Celeborn sorrisero e questi fece:
- Non ho alcuna ragione di oppormi, a meno che non lo faccia mia figlia stessa, ma ho avuto modo di comprendere che ciò che il tuo cuore spera è anche suo desiderio, dunque me ne rallegro. –
- Ella è rimasta in queste terre per attendere te, benché nessuna promessa la spingesse a restare, e i propositi del tuo cuore sono ricambiati. Non farla attendere ancora a lungo. – disse la Dama.
- Se avessi potuto seguire unicamente la mia volontà, non l’avrei fatta attendere affatto, ma ritenevo questa guerra disperata e non intendevo lasciarla vedova e straziata dal dolore, né trattenerla tra i perigli. – rispose il Mezzelfo. – Ma ora desidero che le cose cambino. –
Lei sorrise nuovamente e aggiunse che aveva la loro benedizione.
 
Allorché ebbe preso congedo, Elrond si allontanò da Celeborn e Galadriel col cuore allegro, per poi recarsi sul suo flet, difatti aveva ancora indosso abiti insanguinati essendosi recato subito dai Signori. Finalmente poté rinfrescarsi e indossare una tunica argentea; si recò allora da Celebrìan, al suo alloggio, ed ella insistette per cambiare la fasciatura al suo braccio mentre udiva il resoconto sull’incontro tra l’amato ed i suoi genitori.
Non appena ebbe finito, prese il mantello che aveva a lungo tessuto e glielo donò, narrando di come era stata a lavorare ad esso durante la sua lunga attesa.
Era azzurro con lo stemma di Eärendil suo padre ricamato in argento; Elrond vi si avvolse e le apparve come uno dei grandi Re del passato, simile a Fingolfin o Finrod.
- La tua arte è seconda soltanto a quella di Vairë la tessitrice – disse lui ammirando il dono.
Infine, estrasse dalla veste due anelli d’argento e se li scambiarono, com’è consuetudine tra gli Eldar: ciò sanciva il loro fidanzamento.
 
La notizia che Celebrìan figlia di Galadriel e Celeborn fosse promessa sposa di Elrond Signore di Imladris corse svelta tra le genti elfiche. Venne il momento per il Mezzelfo di far ritorno alla sua terra, a lungo rimasta priva del suo signore. Promise alla sua amata che questa sarebbe stata la loro ultima separazione, ché molto aveva di cui occuparsi dopo la dipartita di Gil-galad, pure, non poteva prevedere che non sarebbe stata quella l’ultima volta in cui si dicevano momentaneamente addio, ché un ben più grave e terribile distacco sarebbe avvenuto nei tempi futuri.


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Thiliol: il tuo commento sulla caratterizzazione mi rende contentissima...sei troppo gentile :) Ho trovato un' altra nascostissima traccia della sua sofferenza nella Home dove dice "that at the last Elrond granted her prayer, and she passed to the GreyHavens and went into the West, never to return." sembrerebbe l'unico passaggio in cui Tolkien accenna alla reazione di Elrond sulla decisione della moglie di partire, lasciando intendere che alla fine "accetta" di lasciarla andare, ma non è un fatto immediato, quindi presumibilmente in un primo momento ne resta sconvolto. Celebrìan sì, è un bel tipetto :P niente eroismi alla Eowyn, niente orgoglio e potere della madre, ma semplice e legata ai luoghi e agli affetti (come i Teleri in effetti). Per i capelli, sì, penso resterà un mistero, ma di una cosa possiamo essere sicuri, con quei genitori non era bruna XD eheh
elepaddy85: eh sii così si dice :P In effetti l'ho sempre immaginata come una situazione un tantino imbarazzante Elrond che si innamora della figlia di Celeborn e Galadriel, forse anche il Prof visto che specifica che lui tacque sul fatto di amarla :)
Afaneia: mi fa piacerissimo aver fatto presa :) anzi mi spiace averci messo un po' in più per aggiornare, ma purtroppo c'è sempre l'università di mezzo! Spero di averti rallegrato aggiungendo un nuovo capitolo :)

Grazie mille per le recensioni e per seguire la storia...a presto! Baci =)

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Capitolo 6
*** Gioia e disperazione ***


Finalmente, nell’anno 109 della Terza Era, ad Imladris Elrond e Celebrìan furono uniti in matrimonio. Galadriel donò un cimelio della Casa di Finwë ad Elrond e Cìrdan, che faceva le veci del suo amico Eärendil, donò alla sposa un gioiello della Casa di Elwë.
Celebrìan ricordò, a coloro che l’avevano mirata, la madre di Galadriel, Eärwen, ché splendeva come le stelle nel cielo per via dei suoi capelli d’argento che ne incorniciavano la bianca figura.
Elrond, che indossava il manto azzurro da lei tessuto, nel contemplare la dama disse che, se per le genti elfiche Lùthien era stata il Crepuscolo, e Galadriel la Mattina, certamente lui aveva donato il suo amore alla Notte, difatti Celebrìan brillava d’argento come la luna.
Celeborn pose la mano della figlia in quella del Mezzelfo e pronunciò il nome di Ilùvatar; Cìrdan chiamò Manwë a testimone e Galadriel fece lo stesso per Varda.
Grande fu la loro gioia in quel giorno, che concluse la storia della loro lunga attesa.
 
Dopo alcuni soli, Galadriel e Celeborn fecero ritorno a Edhellond, quanto agli sposi, restarono ad Imladris, che sarebbe stata naturalmente la loro dimora. Gli Elfi del luogo avevano accolto con gioia l’arrivo della Signora di Gran Burrone, ma Celebrìan ebbe bisogno di qualche tempo prima di abituarsi a quel ruolo.  Era, infatti, molto diversa dalle Signore dei Noldor, ma Elrond l’adorava proprio per questa ragione. Sebbene il sangue di Finwë scorresse nelle vene del Mezzelfo molto meno del sangue di Elwë, egli era sempre stato educato come un Noldo essendo stato accudito da Maglor ed essendo maturato al fianco di Gil-galad. Era dunque saggio e severo, mentre Celebrìan possedeva la dolcezza e la spensieratezza dei Teleri, amava i luoghi e le piccole cose, i boschi e le cascate, ed era priva di quell’austerità delle signore dei Noldor, rispolverandola soltanto raramente come retaggio di sua madre.
Nessuno nella valle mancò di notare come la presenza della fanciulla avesse mutato l’espressione grave e preoccupata del loro signore da dopo la morte di Gil-galad.
Negli anni seguenti vissero a lungo felicemente e serenamente; nel 130 nacquero i gemelli Elladan ed Elrohir, mentre nel 240 venne al mondo Arwen Undòmiel, colei che sarebbe diventata la più bella dei figli di Ilùvatar.
I gemelli crebbero in tutto e per tutto simili al loro padre, alti, dai capelli scuri e gli occhi grigi. Dello stesso colore erano anche le chiome e gli occhi della sorella, pure, già quando era appena una bambina, fu evidente la sua somiglianza con l’antenata Lùthien.
Elladan ed Elrohir sotto la guida di Elrond divennero abili e valorosi guerrieri e si guadagnarono onore combattendo al fianco dei Dùnedain del Nord. Celebrìan temeva molto per loro, ma comprendeva che tenerli lontani dalle grandi gesta non si confaceva al loro lignaggio, dunque li attendeva a lungo insieme alla figlia Arwen e madre e figlia si recavano di tanto in tanto a trascorrere dei periodi a Lòrien dove Galadriel e Celeborn assunsero la signoria dopo la morte di Amroth. Elrond non desiderava ostacolare le visite della moglie ai suoi genitori, pure, allorché ella s’allontanava assieme all’adorata figlia, la tristezza scendeva su di lui ed un oscuro presagio lo opprimeva.
 
Finché, un giorno, Celebrìan partì con la sua scorta per recarsi a Lòrien, ma Arwen non era con lei ed i gemelli cavalcavano con i Dùnedain per le Terre Selvagge. Elrond era invero restìo a lasciarla andare, ma ella promise che sarebbe tornata dopo breve tempo, pertanto lui non osò trattenerla, ben conoscendo l’indole dei Teleri.
Ma allorché ella giunse al Passo Cornorosso, furono attaccati dagli Orchi, che in poco tempo piombarono su di loro dalle montagne: la scorta venne dispersa o uccisa e la dama cercò di sottrarsi al luogo dello scontro, terrorizzata. Ovunque attorno a lei Elfi e Orchi combattevano, o Elfi venivano allontanati; spronò il cavallo alla fuga e provò un briciolo di sollievo nel vedere gli Orchi rimasti indietro, tuttavia un istante dopo percepì una fitta tremenda alla spalla e quel dolore così intenso la fece cadere.
Una grossa freccia nera avvelenata era conficcata nella sua carne ed ella desiderò aver prestato orecchio allo sposo ed essere ancora ad Imladris con lui. Ma ecco che ben presto le furono attorno e l’ultima cosa che vide fu quello che le parve il capo di quegli esseri immondi parlare agli altri nella loro oscura lingua indicandola, poi i suoi occhi più non videro e svenne, a causa del veleno e del terrore.
 
Alcune ore più tardi, la fanciulla si ridestò, restando per un attimo spiazzata dalla mancanza di Elrond al suo fianco, ma ben presto la realtà e la memoria le piombarono addosso. Provava un forte bruciore alla spalla, pure, si accorse che la freccia era stata estratta.
Giaceva a terra sulla nuda roccia e suppose di essere in una caverna: tutto attorno a lei era scuro, fatta eccezione per una luce vermiglia che immaginò essere un fuoco. Tentò di sollevarsi facendo leva sul braccio sano, ma si accorse di avere un polso legato con una corda ad un anello di ferro nella pietra; inoltre udiva delle voci terribili che parevano litigare: tre orchi stavano contendendosi i suoi abiti, difatti le restava indosso soltanto una sottoveste.
In un attimo la disperazione le fu addosso e comprese che non avrebbe più rivisto coloro che amava e che sarebbe andata incontro a innumerevoli sofferenze.
Frattanto, come spesso accade, il litigio tra gli Orchi era degenerato ed infine colui che in un primo momento le era parso essere il capo ebbe la meglio; in fretta estrasse la sua lama e spacciò gli altri due. Celebrìan restò orripilata da quel gesto e non riuscì a trattenere uno spaventato singhiozzo.
 
L’orco nell’udire ciò si voltò e vedendo che la dama aveva ripreso i sensi rise, e la sua risata fu terribile. Lentamente si avvicinò a lei e Celebrìan sentì il sangue gelare nelle vene, ciononostante tentò di difendersi avendo le gambe non legate. Ma l’essere la ferì alla gamba destra con un tizzone ardente ed ella urlò dal dolore, suscitando la sua ilarità ed il suo piacere.
Qualche istante dopo fu su di lei e a nulla valsero i suoi tentativi di sottrarsi, essendo tra l’altro ferita e indebolita dall’effetto del veleno; fu costretta a sopportare quella sofferenza sino alla fine, piangendo silenziosamente ed invocando invano il nome dell’amato. Pure, ciò fu un’impresa rara, poiché la fëa è solita rigettare il proprio corpo per eventi di tal fatta. Ma ella infine perse i sensi ed il suo spirito indugiò tra quelle montagne ed il mare, prossimo alla dipartita verso le Aule di Mandos, ma al tempo stesso riluttante a rifiutare la vita. A lungo giacque sulla fredda roccia in quella buia caverna, straziata nel corpo e nell’anima e priva di conoscenza.
 
Fu così che, alcuni giorni dopo, fu trovata da Elladan ed Elrohir. I due cavalieri s’apprestavano a rientrare ad Imladris dal loro padre, quando, sulla strada del ritorno, s’imbatterono in un Elfo scampato al massacro che aveva fatto parte della scorta di Celebrìan. Desolato, narrò la triste vicenda e lesta fu la reazione dei figli di Elrond: lo inviarono dal padre a riferire l’accaduto e partirono, rapidi come il vento, alla ricerca della madre seguendo le tracce degli Orchi. In tal modo, non senza attraversare perigli, giunsero al luogo in cui ella era tenuta nascosta e pieni di furore e rabbia uccisero gli orchi che incontrarono, finché non duellarono aspramente col carceriere di Celebrìan ed Elrohir gli mozzò la testa con un sol colpo.
Si avvicinarono alla dama che giaceva in un angolo; gli occhi grigi di Elladan indugiarono sulla sua veste lacerata e compresero ciò che doveva esserle accaduto. Alzò gli occhi, incontrò lo sguardo del fratello e capì che lo stesso terribile pensiero attraversava la sua mente, ma nessuno dei due ebbe il coraggio di formularlo. Elladan s’alzo, fuori di sé, e fece la testa mozza dell’orco in mille brandelli, mentre il fratello saggiava le condizioni della madre. Sentenziò che era viva, ma non lo sarebbe rimasta a lungo; allora lasciarono in fretta quei terribili luoghi per cavalcare verso la loro dimora, ove Elrond restava l’unica speranza di salvezza.
 
Frattanto il signore di Imladris era venuto a conoscenza dell’accaduto e si trascinava nel dubbio e nella disperazione; fece sellare il suo cavallo e si preparò ad affrontare le Terre Selvagge, molto meno terribili dei pensieri che lo angustiavano. Pure, in quell’ora fu fermato dall’elfico sire Glorfindel, che lo persuase a restare, ragionando che ciò di cui Elladan ed Elrohir necessitavano era la segretezza, ed inoltre se fossero riusciti a salvarla, avrebbero dovuto trovar Elrond subito per affidarla alle sue cure.
Il Mezzelfo pensò che le sue parole fossero veritiere, dunque restò in quella vallata, ma non lanciarsi alla ricerca dell’Elfa fu atroce quasi quanto venire a conoscenza del suo rapimento.
Infine, i due fratelli giunsero a Gran Burrone e gli consegnarono la sposa morente, pregando di strapparla al suo destino. Alla vista della dama il suo cuore si spezzò, ma si sforzò di congelarlo, qualsiasi cosa provasse, ed a lungo si affaccendò al suo capezzale.
Non appena ebbe terminato di agire contro gli effetti del veleno, con intrugli che pochi conoscevano e parole ormai obliate nella lingua di Aman, lavò e medicò le ferite nella candida pelle, desiderando che fossero state invece inferte a lui mille volte, insieme ai lividi che la ricoprivano.
Allorché ebbe fatto quanto in suo potere, restò a vegliarla per giorni, in attesa di un minimo gesto, e finalmente pianse, lontano da tutti, carezzandole i capelli argentei e chiamandola per nome.
- Se tu dovessi lasciare questa vita, il mio spirito ne morirebbe e ti seguirebbe sino alle Aule di Mandos – sussurrò.
Strinse la sua piccola mano fredda e la baciò.


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Che dire...in questo capitolo c'è una svolta importante, mi dispiace aver trattato così male Celebrìan ma era necessario :'(
Su quali torture abbia subito si è sempre restati nel vago e forse ciò è voluto.
Inoltre ho fatto riferimente a quanto ha scritto Tolkien sul fatto che solitamente non si sente mai di elfe violate da orchi non per bontà di questi ultimi ma perché l'atto sessuale per gli elfi coincide col matrimonio (molto di più della cerimonia) e quindi se forzati ad averlo con un altro lo spirito rigetta il corpo passando alle aule di Mandos e la vittima muore. 
Celebrìan non muore, questo è vero, ma diventa molto "strana" al punto da abbandonare tutti, figli, marito, genitori; Elrond che salva Frodo dal divenire uno spettro non riesce a fare molto per lei; quindi quella che avete letto e leggerete mi è sembrata la versione più verosimile.

Ad ogni modo grazie come sempre per le recensioni e grazie anche a FlowerOfScotland per seguire il racconto!
elepaddy85: Grazie di tutto, con l'uni tutto a posto =) Da questo momento in poi ci sarà spazio anche per i gemelli ;)
Afaneia: eheh in effetti devo dire che hai ragione, piccola svista! Devo supporre che se li sia procurati da qualche fabbro in Lòrien in un momento imprecisato dopo essersi separato da Celebrìan e prima di giungere dai suoi genitori!
Thiliol: Mi fa tanto piacere che tu abbia adorato il fidanzamento =) e spero ti sia piaciuto anche il matrimonio! Anche io adoro questi dettagli perché credo che contribuiscano molto alla perfezione e alla "sospensione dell'incredulità" del mondo di Tolkien!

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Capitolo 7
*** Il muro della verità ***


Per tutto quel tempo nessuno in quel luogo vide il Signore di Gran Burrone, ché mai uscì dalle sue aule; soltanto ai figli permetteva, di tanto in tanto, di vegliare con lui.
I gemelli erano in tutto e per tutto simili al padre, difatti nessuno riuscì a scorgerli nella disperazione, pure, erano gli unici ad aver compreso cosa fosse accaduto ed i soli a portarne il peso, ma non ebbero il cuore di farne parola, né con Elrond, né tantomeno con la loro disperata sorella.
 
Quella sera, Elrond era seduto accanto alla finestra, col volto tra le mani, pregando Eru ed i Valar, quando scorse Vingilot alzarsi luminosa nel cielo, la stella della speranza, e desiderò che Eärendil lo benedisse. Il suo volto era stanco e segnato dalla sofferenza, ma ad un tratto si sollevò e s’illuminò.
Celebrìan si era mossa ed i suoi occhi azzurri s’erano finalmente aperti; impiegò qualche istante a rendersi conto di dove si trovava e nel frattempo il Mezzelfo fu subito accanto a lei.
Le sorrideva con occhi lucidi.
- Come ti senti mia amata? – fece.
Lei gli appoggiò debolmente una mano sul viso e gli sorrise di rimando; non rispose a quella domanda, ma chiese cos’era accaduto mentre era rimasta priva di sensi, al ché egli narrò ciò che Elladan ed Elrohir gli avevano riferito. Mentre ella lo ascoltava guardandolo negli occhi grigi, le tornarono alla mente le ultime immagini prima dell’oblio e non riuscendo più a reggere il suo sguardo, voltò la testa dall’altro lato.
Ad Elrond tale gesto non sfuggì e fu per lui come una fitta; per la prima volta nel corso della sua lunga esistenza, non seppe cosa dire. Una parte di lui desiderava soltanto che ella si riposasse, ma al tempo stesso voleva sapere cosa le era accaduto e temeva per ciò che avrebbe potuto udire; inoltre avrebbe voluto esternare quel senso di colpa che gli bruciava l’animo, quell’impressione di non aver fatto abbastanza, ma non era il momento di turbarla.
- Credevo che non ti avrei più rivisto – fece lei ad un tratto, senza però voltarsi.
- E’ ciò che temevo anch’io, ma ora sei al sicuro qui, non temere, è tutto finito – rispose lui, e pensò che aveva pronunciato quelle parole per convincere se stesso, dato che alle orecchie di lei dovevano essere suonate tremendamente sciocche.
- Il sole è calato molte volte da quando sei qui ed ero angosciato all’idea di perderti – continuò.
Poi le chiese se desiderava vedere i suoi figli e li andò a chiamare egli stesso per condurli dalla madre, e per qualche breve istante furono tutti, se non felici, sollevati.
 
I giorni trascorrevano veloci e la Signora di Imladris riprendeva le forze e le sue ferite si sanavano. Elrond a lungo non si curò affatto dei suoi doveri, trascurando sedute del consiglio e messaggeri che giungevano da ogni dove della Terra di Mezzo. Affidò ogni cosa a Glorfindel e trascorreva il suo tempo accanto alla sposa: ella infatti, nonostante stesse rapidamente avviandosi alla guarigione, appariva sovente assente e spenta, quasi il suo corpo fosse un guscio vuoto. Non appena restava sola, il suo sguardo si perdeva nel vuoto ed Elrond era certo che ricordasse momenti terribili, pertanto si allontanava da lei il meno possibile. Pure, Celebrìan sembrava a tratti non poter fare a meno della sua presenza ed a tratti rifuggirla; ciò rendeva il Mezzelfo sempre più pensieroso ed angustiato.
Finché, un giorno Elrond si destò nel cuore della notte e non la trovò accanto a sé; la dama sedeva alla finestra, lo sguardo rivolto verso ovest.
- E’ ancora buio e sei già desta…- sussurrò lui avvicinandosi e passandole una mano tra i capelli.
- Elrond…- fece lei lentamente – ho preso una decisione –
Prima ancora che parlasse, il suo tono di voce lo aveva turbato.
- Ebbene, di cosa si tratta? –
- Me ne andrò all’Ovest – disse lei in maniera diretta, ragionando che giri di parole avrebbero soltanto reso quel momento ancora peggiore.
Il suo volto era triste e lasciava trasparire l’enormità di quella scelta, ma lo sposo incassò quelle parole restando in silenzio per alcuni lunghi istanti, guardandola negli occhi con espressione indecifrabile.
- Le mie cure sono state forse insufficienti? – fu tutto ciò che riuscì a dire.
- Non si tratta di questo – rispose lei – il mio corpo è guarito perfettamente, ma è il mio spirito ad essere irrimediabilmente compromesso… –
Egli le prese le mani, fissandola con occhi lucidi ed espressione desolata.
- Troverò il modo… - disse.
- Ti prego, sai che non è così – ribatté ella – Soltanto Estë sulle rive del lago Lòrellin potrebbe sanare la mia fëa. Se sono sopravvissuta è stato solo per rivedere te ed i nostri figli, ma non resisterò a lungo, divisa in due – ed a quel punto non resse più il suo sguardo.
Pure, per quanto fosse saggio e lungimirante, il Mezzelfo non riusciva a comprendere fino in fondo il conflitto che attraversava la mente dell’amata.
- Troppo a lungo i tuoi occhi hanno fuggito il mio sguardo – disse lui – Non sono forse il padre dei tuoi figli? –
A quel punto Celebrìan con enorme sforzo, si costrinse a guardarlo nuovamente negli occhi grigi; Elrond fece lo stesso, ed in quel momento il potere di Melian la Maia si risvegliò in lui e guardando quegli occhi azzurri riuscì a leggere nella mente dell’amata.
La vide cadere trafitta dalla freccia, la vide risvegliarsi in quell’antro oscuro, scorse l’orco ferirla ad una gamba; quando ella, con immensa fatica, distolse lo sguardo.
Ma Elrond, che pareva fuori di sé, era avido di ogni istante rubato ai suoi ricordi, benché questi gli lacerassero il cuore. L’afferrò con forza per i polsi, costringendola nuovamente a guardarlo per poter vedere dentro di lei. E vide l’essere avventarsi su di lei, la sentì chiamare il suo nome tra le lacrime; ma ora nel rivivere quel ricordo la dama piangeva per davvero e la sua voce, passata e presente, si mescolò nella sua testa. Ma lui sembrava non accorgersene, non distinguere più la memoria dalla realtà, ansioso di sapere cos’era realmente accaduto, proseguì nella sua mente fin quando la visione non divenne oscura e confusa e seppe che a quel punto ella doveva aver perso i sensi.
 
La dama giaceva ora accasciata a terra sulle ginocchia, sul freddo pavimento di marmo, scossa dal pianto e col volto nascosto. Soltanto a quel punto Elrond parve rendersene conto; fissò le sue stesse mani per alcuni lunghi attimi, realizzando lentamente ciò che aveva visto e ciò che le aveva fatto, né riusciva a credere di averla strattonata con forza.
Il sangue gli ribolliva nelle vene per ciò che aveva appreso. Una rabbia feroce, disumana, crebbe dentro di lui, senza poter essere controllata.
S’appoggiò con entrambe le mani alla sua scrivania e chiuse gli occhi.
Il volto dell’orco fu nuovamente dinanzi a lui.
Con un solo colpo del braccio, spazzò via violentemente tutto ciò che vi era sul piano: gli oggetti ricaddero sul suolo di pietra e l’inchiostro si riversò sulle sue pergamene.
Altri singhiozzi.
Si precipitò accanto a Celebrìan, a terra, sulla dura pietra, e le sfiorò il viso.
- Perdonami, per averti causato altra sofferenza… –
Ella infine sollevò la testa per restituirgli lo sguardo.
- Non ne avevi il diritto – sibilò gelida – Va’ via, la tua presenza mi turba. –
 
Il Mezzelfo pensò, dopotutto, di aver meritato quelle dure parole e riluttante si allontanò da lei.
Giunto sull’uscio della camera indugiò, difatti non riusciva a lasciarla sola così, ma poco dopo si costrinse ad obbedire, richiudendo la porta alle sue spalle.
Prese ad avanzare velocemente per il corridoio in ombra, tormentato dai suoi pensieri e sensi di colpa, finché non udì sua figlia chiamarlo.
- Padre, cosa è accaduto? – chiese con occhi sgranati.
Era chiaro che doveva aver udito qualcosa, pensò lui.
- Va’ da tua madre, Arwen – rispose prima di darle le spalle e continuare a dirigersi verso il giardino.
- Padre! – fece lei nuovamente, ma egli non si voltò, né aggiunse altro, limitandosi a svoltare l’angolo dietro un muro di pietra e a sparire alla sua vista.
 
Mentre si inoltrava nel giardino, e poi tra le fronde dei boschi di betulle, sentì amaro il sapore del fallimento e della colpa. Una vita dedicata a difendere la Terra di Mezzo ed alte questioni, ma l’incapacità di proteggere colei che amava sopra ogni altra cosa. L’inettitudine a guarirla fino in fondo, l’aver violato la sua mente, quella sensazione di non aver fatto abbastanza, la rabbia, il dolore, la colpa affollavano i suoi pensieri, soffocandolo.
Finalmente comprendeva la ragione di quel muro che s’era innalzato tra loro, ma non sapeva se avrebbe preferito continuare ad ignorarla. Lentamente la folla di emozioni che s’aggiravano per la sua testa lasciò il posto alla consapevolezza del distacco che sarebbe avvenuto di lì a breve.
Ispirò profondamente la fredda brezza notturna, giungendo infine ad un alto flet, l’unico di Gran Burrone. Con nostalgia ricordò quando l’aveva costruito egli stesso per la sposa che era abituata a vivere così a Lòrien.
Presto sarebbe sorto il sole e in molti lo avrebbero cercato: i suoi figli, i consiglieri, eventuali viaggiatori, pure, non aveva desiderio di ascoltare nessuno di loro; salì allora sul flet bramando la solitudine.


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Ecco il nuovo capitolo...è un po' particolare, ma forse per questo ci sono affezionata particolarmente =)
elepaddy85: Eh sì sono molto triste per questo risvolto, ma prima o poi ci sarà il lieto fine per fortuna :) Meno male che ci sono i gemelli ;) Grazie come sempre!
Thiliol: Sì, su Gwindor hai perfettamente ragione e depone a favore di questa ipotesi :( Sono felice che ti sia piaciuto anche il matrimonio e per Cìrdan, sì in effetti più ci penso e più mi sembra l'unica figura adatta. Per quanto riguarda la il resto, è vero, è un po' veloce nel rileggerlo quasi a volerlo rendere "meno doloroso". Credo (e spero) che questo invece lo sia stato meno. I gemelli quelle poche volte che vengono citati, si fa spesso riferimento all'odio per gli orchi correlato alla madre e dunque li ho sempre immaginati veramente furibondi. Anche questa volta grazie mille per le tue recensioni ;)
Afaneia: Grazie ancora, mi fa piacere che tu lo abbia apprezzato, questo ed un altro paio di capitoli sono e saranno più tormentati dei precedenti. Un bacio anche a te!.

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Capitolo 8
*** Lasciarla andare ***


Per tutto il giorno seguente il Mezzelfo non fu visto da alcuno, benché molti s’interrogassero su dove si trovasse. I suoi tre figli appresero della decisione di Celebrìan dall’Elfa stessa; il suo spirito dilaniato confermò ad Elladan ed Elrohir ciò che avevano dal primo momento intuito.
Quella sera, Glorfindel inoltrandosi nei boschi riuscì ad incontrare il Mezzelfo scorgendone l’alta figura immobile in riva al Bruinen con lo sguardo perso tra i flutti.
- In molti ti hanno cercato quest’oggi – disse cogliendolo di sorpresa – Credevo mi avresti chiesto di prendere il tuo posto se desideravi la solitudine, amico. –
Elrond si voltò, non sapendo cosa rispondere; il suo volto era pallido.
- Ti prego di scusarmi allora, ché sei tu ad essere nel giusto –
Ma Glorfindel scosse la testa d’oro.
- Non sono qui per avere le tue scuse; è evidente che sei in pena. –
Il Signore di Imladris mosse qualche passo verso di lui per poi restare nuovamente immobile.
- L’ho perduta – fece semplicemente.
- L’hai salvata – ribatté l’Elfo.
- No. I miei figli l’hanno salvata. Io forse non avrei dovuto farlo… è l’ombra di se stessa. –
- Capisco cosa intendi. –
- E come potresti? – obiettò Elrond.
- Perché i tuoi figli l’avevano capito. –
Gli occhi grigi del Mezzelfo si spalancarono increduli al pensiero che Elladan ed Elrohir non gli avessero rivelato una cosa del genere.
- Non adirarti con loro – aggiunse Glorfindel – Hanno confidato i loro sospetti a me perché non ne sopportavano più il peso, né avevano il cuore di dirtelo. –
- Non ha importanza ormai – convenne Elrond – non dopo quello che ho fatto. –
Glorfindel aggrottò le sopracciglia, senza comprendere ciò che volesse dire.
- Ho forzato la sua mente – spiegò, vergognandosi di se stesso – dopo che ha espresso la sua volontà di partire per Valinor. Io … non so come sia potuto accadere, non credevo di disporre di un potere simile … volevo soltanto comprendere, ma a che prezzo! Dev’essere stato terribile per lei e per questo mi maledico. –
L’amico restò in silenzio, questo no, non avrebbe potuto prevederlo.
- Al fato, questo è certo, non manca il senso dell’umorismo. Anni, secoli, in cui non ho fatto altro che curarmi di queste terre, delle libere genti, della salvaguardia della stirpe dei Dùnedain…e poi fallire clamorosamente su ciò che ho di più caro. –
Glorfindel gli strinse una mano sulla spalla; aveva vissuto eventi terribili nel corso della sua lunga vita e aveva compreso che ognuno doveva vincere le proprie battaglie da solo: pertanto non palesò il proprio parere, almeno non immediatamente.
- Cosa farai? – disse.
Elrond ricambiò quel gesto.
- La lascerò andare. – rispose – Il suo spirito è ormai straziato e necessita cure ben superiori a quelle che io posso darle; è così fragile che, se la pregassi di restare, lo farebbe. Ma ho visto i suoi occhi spenti; se la trattenessi qui, ne morirebbe a poco a poco per il dolore che porta dentro sé, il suo spirito se ne andrebbe verso le Aule di Mandos e per me non ci sarebbe allora alcun conforto. Devo rinunciare a lei affinché possa tornare la dama di un tempo e non un’ombra infelice qual è ora. –
I suoi occhi erano lucidi, ma la sua  espressione ed il suo tono erano risoluti e l’amico gli sorrise.
- Da te non mi sarei aspettato una risposta diversa. E’ la cosa più saggia e giusta da fare. –
Elrond abbassò lo sguardo per un attimo, poi improvvisamente gettò via la propria impenetrabilità.
- Ma cosa sarò io senza di lei? Tutti coloro che mi sono cari, mi sono stati strappati via: mio padre, mia madre, mio fratello, il mio mentore. Pure, Eärendil ed Elwing un giorno potrò rivederli nel Reame Beato; così non sarà per Elros, ma egli ha fatto una scelta diversa dalla mia degna di ogni rispetto; ma stavolta, quanta sofferenza! E per qual ragione? La mia esistenza non è mai stata semplice, pure, nessun dolore è stato per me cocente quanto quello che provo in quest’ora. –
- Elrond – fece l’Elfo stringendogli la spalla con più forza – Quella che hai scelto è l’unica strada che tu possa percorrere in maniera saggia e non avrei saputo consigliarti altrimenti. Basta tormentarti. Aurë Entulùva! –
- Ma ora per me vi è la notte e l’alba non riesco a scorgerla. –
 
Il Mezzelfo, su esortazione di Glorfindel, fece ritorno a palazzo e la luna era ormai alta nel cielo.
Silenziosamente attraversò corridoi e scale sino a tornare ai propri alloggi; aprì la porta ed entrò in fretta, temendo di incrociare qualcuno che gli avrebbe fatto domande cui non desiderava dare risposta.
Celebrìan dormiva, la sua chioma emanava un tenue bagliore tra le lenzuola, riflettendo i raggi della luna. Il suo sonno era agitato e ripeteva incessantemente il nome dello sposo.
Lui si sentì stringere il cuore di fronte a quella scena e fu subito accanto a lei, intuendo senza difficoltà quale fosse il suo incubo. Decise di porvi fine e la strinse a sé.
- Sono qui – sussurrò – è soltanto un sogno. –
Ella si svegliò tremante, ma poco dopo si rese conto di dove era e ricordò di essere stata adirata con Elrond, ma le pareva tanto tempo fa.
- Se lo desideri andrò via – aggiunse lui, carezzandole i capelli – ma ti prego di perdonarmi. Non so spiegare quello che è accaduto…e volevo soltanto sapere perché sei così distante. –
Celebrìan non si scostò affatto al suo tocco, ma non ebbe il coraggio di guardarlo.
- Ora lo sai. Non sono più degna d’essere la Signora di Imladris –
Lo disse nascondendo il viso contro la sua spalla.
- Questo non ha alcun senso. Non hai colpe e sei la creatura più pura ed incorrotta che abbia mai incontrato nella mia lunga vita. L’unico ad avere colpe sono io, che non sono stato in grado di proteggerti. –
La sua voce tremò nel pronunciare quelle parole e la frustrazione lo invase.
- Vorrei tanto averti accompagnata, quel giorno – fece con rammarico.
- Non puoi sapere cosa sarebbe successo. Magari saremmo andati incontro ad un destino peggiore. Sai bene di non dover più combattere da quando sei il Portatore di Vilya. –
- Vilya? – chiese lui incredulo – Credi davvero che mi prema maggiormente dell’anello che della mia amata sposa? Ti chiedo perdono se mai dovessi averti dato modo di intendere ciò con le mie azioni. –
- Ma l’anello rappresenta Gran Burrone e la nostra gente – ribatté lei.
- So bene cosa Vilya rappresenti. Ma non mi sarebbe importato… - mormorò il Mezzelfo -Io non ho fatto abbastanza, e ciò mi distrugge – confessò.
- Hai fatto ciò che era in tuo potere, Elrond – rispose Celebrìan – E hai meditato su ciò che ti ho detto? –
- Non ho avuto modo di pensare ad altro. –
- E…dunque? –
- Non ti chiederò di restare -
La dama sollevò il capo e lo guardò negli occhi.
- Sai che non vi è alcuna scelta per me, vero? O credi che voglia abbandonare te ed i nostri figli? – chiese angosciata.
- Non potrei mai crederlo e so perfettamente che questa è l’unica via, benché mi porti molta sofferenza. -
Celebrìan si strinse a lui, malinconica, e restò a lungo in silenzio.
 
- Cosa farò senza di te, Elrond? – disse infine.
Quelle parole arrivarono alle orecchio del Mezzelfo come l’acqua gelida sul viso: era l’ultima frase che avrebbe voluto udire dalla bocca dell’amata e si sentì crollare. Poi capì che doveva avere forza per entrambi e cercò di risponderle, mettendo insieme a stento le parole.
- Penserai a guarire il tuo spirito sulle rive del lago Lòrellin, lì Estë si prenderà cura di te. E i tuoi parenti della Casa di Olwë e quella di Finarfin saranno felici di accoglierti, così come mia madre Elwing. –
- Ma … -
- Quando il destino di queste terre mortali si compierà, io ti raggiungerò e saremo felici come un tempo. –
Qualche istante di silenzio calò tra loro, interrotto soltanto dal sospiro di Elrond, il quale sperò ardentemente che la sposa non continuasse su tale argomento. La lungimiranza di certo non gli mancava, pure, non riusciva ad immaginare in alcun modo i lunghi anni senza di lei che sarebbero arrivati, né come avrebbe potuto sopportarli o come avrebbe potuto farlo lei.
- L’ombra è su di me, Elrond. Queste terre che un tempo amavo, ora paiono minacciarmi, ogni notte sogno di essere nuovamente portata via, non c’è pace qui per me. -  mormorò.
- Manderò messaggeri a Cìrdan domattina stesso, sistemerò ogni cosa, ed agli albori della prossima estate potrai salpare. –
La decisione con cui lo disse sorprese se stesso: era un disperato tentativo di rendere meno penoso l’inevitabile; delicatamente si stacco da lei e si allontanò a prepararle una tisana.
Poco più tardi gliela porse ed ella ne bevve.
- Riposo senza sogni né visioni è ciò che ti occorre – commentò – I tuoi pensieri tormentano già la tua veglia. –
Mentre Elrond le parlava ella lo guardava teneramente.
- Non meriti d’essere lasciato solo – sussurrò.
- Non sono dello stesso avviso, ma ti ringrazio – rispose lui, ancora adirato con se stesso. – Tuttavia, non è quello che io merito o meno che conta, ma ciò che è meglio per te. Ora riposa, ti prego. –
Celebrìan gli diede ascolto e poco dopo s’addormentò; a quel punto il Mezzelfo restò sino all’alba a meditare, incapace di addormentarsi.



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Rieccomi! Stiamo, purtroppo, per giungere al punto di non ritorno e quindi anche all'assenza di Celebrìan per qualche capitolo :(

elepaddy85: Grazie mille, spero che il di più ti sia piaciuto!
Thiliol: Mi fa piacerissimo! Quest'idea della visione l'ho avuta in testa da parecchio e credo che per molto tempo Elrond non riuscirà a perdonarselo! Grazie ancora e a presto ;)
Afaneia: Grazie grazie grazie ;) un abbraccio anche a te!

Grazie infinite anche a Ladyvale per la recensione e per i complimenti! Spero che continuerai a seguirla anche se non si tratta dei tuoi pg più cari. Per il resto, faccio tutto il possibile per non stonare con le opere canoniche ed offendere il Prof :)

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Capitolo 9
*** Namarië ***


Nei mesi successivi Elrond preparò la partenza minuziosamente; frattanto non appena la via fu meno pericolosa, la dama ricevette la visita dei Signori di Lòrien, tali infatti erano divenuti Galadriel e Celeborn.
Il Signore di Imladris riprese la sua vita consueta, ma la maggior parte del suo tempo lo spendeva con la sposa; e quando non vi era lui con lei vi erano i figli, specialmente Arwen.
Più s’avvicinava il giorno della partenza, più gli istanti trascorsi insieme divenivano preziosi e sfuggenti; solitamente gli Eldar non danno troppo peso allo scorrere del tempo, ma ora tutto era divenuto diverso per loro.
Celebrìan era ormai guarita perfettamente nel corpo, pure, nessun miglioramento era avvenuto per lo spirito, e ciò convinse Elrond che la scelta fatta fosse quella giusta.
I giorni fuggivano ad ovest e più il tempo passava, più ella gli sfuggiva dalle dita, al punto che temette di perderla prima ancora della partenza, ma la dama possedeva ancora abbastanza forza per evitare ciò.
 
La notte prima della partenza da Imladris, Celebrìan era invero agitata, poiché era inevitabile abbandonare quel luogo sicuro e attraversare l’Eriador per raggiungere i Rifugi Oscuri.
Per l’ultima volta avrebbe visto quel luogo dove era stata a lungo felice, ad un tratto le sovvennero svariati momenti del suo passato che la fecero, dopo tanto tempo, sorridere.
Con un lembo del lenzuolo asciugò qualche lacrima di nostalgia, prima che arrivasse il Mezzelfo.
Difatti poco dopo la porta si aprì ed egli apparve sulla soglia.
- Ogni cosa è pronta – disse senza guardarla.
- E’ la mia ultima notte da Signora di Imladris, dunque – rispose lei.
In un attimo lui le fu accanto.
- No, affatto. Lo sarai per sempre. Ma come vorrei vedere il sorriso sul tuo volto, prima di esserne privato –
Celebrìan gli sorrise teneramente.
- Vorrei tanto lenire la pena provi per me, ché, mentre io sarò in un luogo beato dove i dolori si affievoliscono, tu resterai in queste terre mortali dove alberga la disperazione. –
- A lungo non ho osato avvicinarmi a te, per timore di turbarti dopo quanto è accaduto - fece prendendole la mano – ma vorrei che, nonostante tutto, tu appartenessi a me un’ultima volta… -
- Lo desidero anche io –
 
Quella notte,  un misto d’amore e di disperazione, fu l’ultima che trascorsero da soli, difatti all’alba del giorno dopo intrapresero il cammino; anche Arwen, Elladan ed Elrohir cavalcavano verso il Mithlond per dare l’ultimo saluto alla madre e con loro vi era la scorta.
Ad Imladris presero congedo da Galadriel e Celeborn e nessuno, neanche Elrond, seppe le parole che si scambiarono in quell’ultimo incontro; certo è che i Signori di Lòrien, promisero di raggiungerla un giorno al di là del mare e, nonostante non avrebbero rivisto a lungo la figlia, furono sollevati al pensiero di saperla finalmente lì al riparo da dolore e pericoli.
Il viaggio fu privo di insidie e fu con sentimenti contrastanti che entrarono nel piccolo reame di Cìrdan. Uno dei suoi uomini fidati s’apprestava ad abbandonare le terre mortali, e Cìrdan lo aveva pregato di prendere la moglie di Elrond con sé.
Ed infine, sulle rive del grande mare, giunse il momento degli addii e tristezza e malinconia colsero il cuore dei presenti.
Per primi, la dama salutò i propri figli gemelli, i quali amavano profondamente la madre ma tentavano di mostrarsi forti d’animo.
- Sin da quando eravate fanciulli, ho sempre scorto in voi il sangue di Eärendil ed ho sempre saputo quanto grandi sareste diventati. Devo a voi la mia vita, a voi che vi siete dimostrati più forti e tenaci del male che affligge queste terre, e so che continuerete ad esserlo. I vostri occhi sono quelli di vostro padre, tradiscono quello che il viso nasconde. Augurandovi la grazia dei Valar, io vi dico Namarië e vi attendo oltre il mare. –
Uno alla volta li abbracciò in silenzio e per qualche minuto, rivolgendo loro un sorriso malinconico; poi, fu la volta di Arwen.
- Figlia mia, in te il nostro popolo rivede Lùthien, la più bella dei figli di Ilùvatar, ma possa il tuo destino essere più felice del suo. Non caleranno più inverni a Gran Burrone in cui tesseremo insieme e non ci saranno più primavere in cui canteremo sulle rive del Bruinen, pure, io sarò sempre accanto a te con la mente. –
Tolse dal suo stesso collo l’Elessar, la gemma verde elfica opera di Celebrimbor e la pose sul petto della figlia.
- Come mia madre Galadriel donò a me tale gioiello, io ora lo affido a te e che ti conduca ad un fato radioso. Namarië figlia mia adorata, spero che la tua scelta sia quella di tuo padre. –
Madre e figlia si abbracciarono a lungo, poi quando quell’abbraccio si sciolse, fu il momento di dire addio ad Elrond.
Ma egli le tese la mano senza dire nulla ed ella vi pose la sua. La guidò poco più avanti, camminando sulla sabbia in riva al mare. Nel frattempo i tre fratelli restarono in disparte, abbracciati tra loro.
 
- E così, l’ora è giunta – fece Elrond tenendo le sue mani – e mi rendo conto quanto mi costi lasciarti andare con la mia benedizione. –
- Ed io comprendo quanto sia difficile non chiederti di seguirmi. – rispose lei – E se indugio troppo qui con te, sento che non avrò la forza di proseguire. –
- Desideri dunque allontanarti da me il più in fretta possibile? – chiese il Mezzelfo stringendola a sé.
- Non desidero allontanarmi affatto, in verità … ma ciò è ormai ineluttabile. – sussurrò lei in risposta.
Lacrime calde scorsero sulle sue guance e caddero sulla sabbia dorata mentre si stringeva a lui.
- Ricorda ciò che siamo, anche quando sembrerò appartenere ad una vita passata. –
- Non potrò dimenticarlo, né avrò pace finché non avrò varcato il mare a mia volta. –
Si scambiarono un ultimo bacio, carico di parole non dette, di rimpianti, di sentimenti di dolore soffocati che lottavano per venire alla luce.
- Io…devo andare. – balbettò la dama con le lacrime agli occhi. – Possano i Valar e la stella di tuo padre proteggerti sinché non ci rincontreremo. –
- E possa la loro grazia proteggere te, mia amata. – rispose Elrond – Melin le. Namarië. –
- Melin le. Namarië –
Ricambiò quelle parole staccandosi dallo sposo molto lentamente, finché ogni ciocca dei suoi capelli d’argento non fu scivolata via dalle sue dita. Con immenso sforzo e sofferenza, si costrinse a distogliere lo sguardo dagli occhi velati del Mezzelfo e a voltarsi, per salire sul vascello ove attendevano soltanto lei.
Una volta a bordo, si voltò nuovamente indietro a guardare la sua famiglia, avvicinatasi alla riva in silenzio. Col cuore straziato, restò ad osservare le loro alte figure divenire sempre più piccole, sino ad essere indistinguibili.
Elrond osservò il vascello finché non sparì oltre l’orizzonte, nel tramonto; e la sera divenne buia e triste per lui, che trascorse la notte in solitudine seduto in riva al mare.
 
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Se non ho commesso una grossa gaf, melin le dovrebbe essere ti amo in Sindarin ;)

elepaddy85: Dici davvero? Sei tu che commuovi me con queste parole :) Grazie infinite!
Thiliol: Grazie mille! Questo e il precedente sono i capitoli cui sono più affezionata. Glorfindel mi sembrava il candidato ideale per lo "sfogo" ;)
bimba3: Grazie, spero di averti accontentato in fretta!
Ancora grazie a chi segue, preferisce, recensisce o semplicemente legge la storia...al prossimo aggiornamento! Baci

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Capitolo 10
*** Incontri improvvisi ***


Il dì seguente, i Mezzelfi e la scorta ripartirono silenziosi alla volta di Gran Burrone, dopo aver preso congedo da Cìrdan, il quale fu l’unico ad aver modo di dar conforto ad Elrond, difatti nessun altro riuscì a rivolgergli la parola.
Non appena ripresero il cammino, il Mezzelfo si pose alla testa del gruppo, onde cavalcare in solitudine, senza nessuno al suo fianco; i gemelli invece cavalcavano uno alla destra e uno alla sinistra di Arwen, per proteggerla e confortarsi a vicenda.
In questo modo percorsero molta strada, finché delle grida di dolore non lacerarono l’aria; non si trattava di un dolore fisico, bensì di disperazione.
Con Elrond alla testa, avanzarono cautamente verso l’origine di quelle urla, finché compresero cosa doveva essere accaduto.
Un’Elfa, dal volto né giovane, né vecchio, giaceva nell’erba, il ventre insanguinato, chiaramente priva di vita. La sua mano fredda era protesa, nel tentativo di raggiungere quella di un altro elfo morto, che era disteso con una spada al suo fianco, una profonda ferita al petto ed un’espressione di sorpresa sul volto giovane.
Pure, nessuno di loro era stato ad urlare; un secondo dopo Elrond intravide poco più innanzi cinque orchi che avevano accerchiato una fanciulla: ella aveva le spalle poggiate contro un albero e reggeva una spada, in un disperato tentativo di difesa, ma era chiaro che non avesse idea di come adoperare l’arma. Nei pressi del gruppo un altro elfo, giaceva a terra agonizzante e pregava di risparmiare la figlia.
La vista di quelle crudeli creature, la stessa schiatta degli aguzzini di Celebrìan, suscitò l’ira del Mezzelfo. Cavalcò dritto verso di loro accompagnato dal suo seguito ed a quella vista gli orchi si dispersero, pure, dopo aver custodito intatta quella lama dai tempi dell’Ultima Alleanza, Elrond estrasse la sua spada e fece volare via con un sol colpo la testa dell’orco che teneva sotto tiro l’Elfa.
In pochi minuti anche i suoi quattro compagni furono uccisi dagli Elfi della scorta; soltanto i gemelli s’erano tenuti lontani per proteggere Arwen.
Frattanto, la fanciulla s’era precipitata accanto al padre morente; Elrond vi si avvicinò per comprendere se c’era qualcosa che potesse fare, ma l’Elfo era stato ferito troppo gravemente e il sangue inzuppava i suoi abiti.
Ella singhiozzava in ginocchio; copiose lacrime scendevano dai suoi occhi verdi e i lunghi capelli castani le ricadevano scomposti e disordinati sulle spalle.
L’Elfo moribondo rivolse il suo sguardo ad Elrond.
-  Insegnatele a difendersi… - rantolò – fatela addestrare come i vostri uomini…così che badi a se stessa d’ora in avanti in mia vece -
- Non parlare in questo modo, padre…non seguire mia madre e mio fratello… - pianse lei.
Elrond prese la mano del moribondo e la strinse tra le sue.
- Avete la mia parola, che è quella di uno del sangue di Eärendil – lo rassicurò. L’Elfo volse il capo verso la figlia e le sorrise; e così spirò.
La dama si alzò, guardandosi attorno desolata e disperata; il suo sguardo andava avanti e indietro tra i corpi della madre e del fratello e quello di suo padre.
- Io e mio fratello accompagnavamo nostro padre e nostra madre ai Rifugi Oscuri – disse rivolgendosi forse più a se stessa che ai presenti – Io sarei rimasta con lui nella Terra di Mezzo. Ma non vedranno mai i Porti, la mia famiglia è distrutta e forse sarebbe stato meglio se fossi morta con loro.–
Elrond passò la sua mano sugli occhi dell’elfo per chiuderli, prima di parlare.
- Non è mai facile proseguire senza coloro che amiamo. –
Poi sussurrò ad Elladan di far sì che si adoperassero per una degna sepoltura.
L’Elfa parve rimuginare sulle sue stesse parole per qualche istante.
- Perdonatemi, sire. Voi mi avete salvato la vita e non dovrei parlare in tal modo. Sono al vostro servizio. –
- Non desidero mancare alla parola data – fece lui gravemente. – Ci seguirete a Gran Burrone, dove vi affiderò ai miei figli, quando essi non saranno in missione nelle Terre Selvagge. Sarà meglio così. Io non combatto da molti anni ormai ed il colpo vibrato in quest’ora fu un’eccezione. –
Per pochi istanti ebbe una visione di se stesso che ritornava dalla guerra e veniva curato a Lòrien da Celebrìan; ma ben presto tornò alla realtà e al volto dell’Elfa: sembrava davvero giovane, non doveva aver visto neppure un secolo.
- Siete dunque il figlio di Eärendil? – chiese meravigliata e turbata. Poi guardò nuovamente i corpi senza vita dei suoi familiari e la spada di suo padre, che ancora reggeva nella mano.
- Consentitemi di affiancare i vostri figli, un giorno. Voglio che combattere queste creature diventi la mia ragione di vita, ché non ne ho altre, così da vendicare i miei cari. –
Mentre diceva questo, si assicurò il fodero della lama di suo padre lungo un fianco e ve la ripose; poi si avvicinò al corpo senza vita del fratello e raccolse il suo arco; infine, sfilò dalla mano della madre un anello e lo indossò.
- Non ci sono molte guerriere nella storia degli Eldar – commentò Elrond – Vi sono state Elfe che, nei momenti bui della nostra storia hanno impugnato la lama con grande onore, ma non dame che cercassero spontaneamente battaglia. -
- Ve ne sono svariate tra la mia gente invece, gli Elfi Silvani, ancorché molto poche rispetto agli uomini.– ribatté lei accigliata
- In quest’ora le vostre conclusioni e decisioni sono affrettate – fece il Mezzelfo. – Piuttosto, qual è il vostro nome? –
- Morwen – rispose lei in tono piatto.
- Un nome che reca con sé molta sventura e un’indole caparbia. – commentò lui.
Morwen sapeva a cosa alludesse: portava il nome di una donna grande tra gli Edain della Prima Era, moglie di Hùrin, madre di Tùrin e Nienor.
- E’ così, sire – disse lei decisa.
Quella sera seppellirono i familiari dell’Elfa e fu per lei una triste ora; gli Eldar intonarono per loro dei canti malinconici. Morwen segnò il luogo ove giacquero, all’ombra di un albero, incidendo i loro nomi sulla corteccia con un’espressione di dolore sul viso indecifrabile; Arwen tentò di starle accanto, mentre Elrond s’avvicinò ai gemelli, in disparte.
- Orchi nell’Eriador – sussurrò – E’ raro che si spingano in queste terre. I Dùnedain devono esserne informati.  –
- Facevo con mio fratello la stessa osservazione – rispose Elladan. – Una volta giunti a Gran Burrone e lasciato al sicuro nostra sorella, partiremo immediatamente –
Elrohir non intervenne, ma osservava il volto di Morwen illuminato dal fuoco mentre ella parlava con sua sorella Arwen.
- Dovremmo addestrarla davvero, padre? – disse poi – Insegnarle a destreggiarsi con la lama, a colpire nemici con l’arco in totale silenzio, ad inoltrarsi nelle Terre Selvagge celandosi ad occhi indiscreti! Guardala: è così giovane e disorientata, benché abbia carattere. –
- Ti sbagli, Elrohir – ribattè il padre – Imparerà a difendersi, perché è ciò che ho promesso, non a combattere in prima persona. –
- Ella mi sembra essere di tutt’altro avviso. – precisò Elrohir, ed i suoi occhi scintillarono indugiando su di lei.
 
 
Nei mesi seguenti, Morwen fu accolta a Gran Burrone con ogni riguardo; non appena Elladan ed Elrohir fecero ritorno dopo essersi recati presso il Capitano dei Dùnedain, cominciarono ad insegnarle a usare la spada e l’arco; e quando non erano con lei ella era con Arwen, che l’istruiva sulla storia degli Elfi dell’Ovest e sulle loro leggi nella biblioteca del padre.
Il Signore d’Imladris riprese a svolgere le proprie attività, pure, non vi era giorno in cui il suo pensiero non andasse a Celebrìan; si chiedeva come trascorresse le giornate nel Reame Beato, se Estë l’avesse finalmente guarita nell’animo e se anche lei provasse quella strana sensazione di nostalgia opprimente. La sua assenza pesava come un macigno sul suo cuore, a partire dal mattino in cui egli si destava in solitudine, fino a quando non chiudeva gli occhi, se non le appariva anche in sogno.
Forse non avrebbe mai imparato del tutto come vivere senza di lei, pensò camminando nei boschi di betulle, una notte in cui riposare gli pareva impossibile. Era quel genere di ferita che il tempo non può accomodare, proprio come la sofferenza che era stata inferta a lei. Stava ripensando con rammarico al giorno in cui l’aveva lasciata partire per Lòrien senza seguirla, quando ad un tratto udì dei passi leggeri sull’erba alle sue spalle e per un folle istante si illuse fosse proprio la sua sposa.
- Morwen – disse dopo essersi voltato ed averla riconosciuta.
- Mio signore – fece lei, a disagio.
- Cosa ti porta qui nel mezzo della notte? – chiese scrutandola coi suoi occhi grigi.
Ella abbassò lo sguardo e si strinse nel mantello grigio per l’improvvisa sensazione di freddo dovuta alla brezza notturna.
- Cercavo di parlarvi, sire. Sapevo che siete stato molto indaffarato in questi giorni con le notizie che vi sono giunte. –
Elrond smise di indagare il suo volto e le sue labbra si incrinarono in un sorriso divertito.
- Se ho compreso bene, deduco che mi stessi seguendo. –
Morwen scoppiò a ridere.
- Affatto, non potevo certo immaginare che passeggiaste nel cuore della notte; vi ho scorto per caso dalla finestra. –
- A quanto pare non sono l’unico a non avere riposo. – constatò il Mezzelfo – Dunque, di cosa desideravi parlarmi? –
- Mi chiedevo se avevate un po’ del vostro tempo da condividere con me, come avete fatto l’altro giorno. Non fraintendetemi, i vostri figli sono meravigliosi e disponibili con me, pure, ecco, non avevo mai udito nessuno discorrere così su Mandos, sul destino degli Elfi, sulla vita e la morte, sul dolore. –
Elrond sorrise di nuovo, ma questa volta il suo sorriso non era affatto divertito, bensì triste.
- Vieni a cercarmi domani nel pomeriggio, se può farti sentire meglio – rispose comprensivo. Era naturale che reagisse in tal modo all’aver perso l’intera famiglia da pochi mesi, pensò lui.
- Vi ringrazio, mio signore – rispose Morwen ricambiando il sorriso. Poi fece per andar via, ma non poté fare a meno di aggiungere qualcos’altro.
- Sembravate turbato, prima che vi disturbassi. – mormorò.
Il Mezzelfo restò sorpreso da quella osservazione fatta ad alta voce, ma rispose in fretta in maniera evasiva.
- Non c’è niente che tu possa fare per me. –
Ella annuì debolmente a mo’ di scusa e si allontanò.



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Ecco un nuovo capitolo, abbastanza diverso dai precedenti perché entra in scena un nuovo personaggio. Per un po' non vedremo la mia cara Celebrìan ma spiegherò poi cosa le è accaduto.
elepaddy85: Grazie ;) anche io me lo sono sempre chiesta e alla fine ho scelto un compromesso con delle allusioni a Lùthien e in effetti Celebrìan si mostra più dubbiosa su Arwen che non sui gemelli.
Afaneia: Graziee e non preoccuparti! Il primo periodo sarà piuttosto difficile per Elrond...
Thiliol: Grazie mille...sì la "dissolvenza" mi sembrava più che dovuta considerando i circa 500 anni di separazione...Poveri :(

I miei ringraziamenti anche a chi preferisce, legge e segue!

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Capitolo 11
*** Vite da ricostruire ***



Il pomeriggio seguente era fresco e dorato come un’elanor di Lothlorien mente l’Elfa si recava da Elrond e allorché vi fu giunta conversarono a lungo circa il destino dei Primogeniti. Il Mezzelfo stava spiegando come gli spiriti venissero liberati da Mandos dopo molti anni e reincarnati nel Reame Beato, dal quale non vi era ritorno alle sponde mortali; quando ella, d’un tratto, lo interruppe.
- Chiedo scusa, sire – fece – Ma mi chiedevo cosa pensassero i vostri figli del lavoro svolto con me.-
- Che impari in fretta e che sei abile con le armi e la segretezza, benché in un primo momento non ti si addicessero. – rispose lui - Ma perché mi chiedi questo? –
Morwen si morse il labbro, nervosa, e si guardò attorno.
- Permettetemi di partire con loro. Ho un debito di vita e sono al vostro servizio; inoltre la mia esistenza non avrà alcun significato finché non potrò lottare contro i servi del male –
Elrond la guardò con espressione indecifrabile, tuttavia le sue parole non lo furono.
- Ascolta, Morwen. Non hai contratto alcun debito, tantomeno nei miei confronti. Non desidero che getti via la tua vita in modo così avventato. Sebbene tu abbia sofferto molto, non sai fino in fondo di cosa sono capaci quelle creature. –
L’Elfa, che era di indole impulsiva ed avventata, si sentì esasperata da quel rifiuto.
- E voi lo sapete, invece? – ribatté con forza, indispettita.
Il Mezzelfo inspirò profondamente per calmarsi, per ricacciare indietro quelle immagini che tale frase aveva richiamato.
- Sì – rispose reprimendo la rabbia, ma i suoi occhi dardeggiavano –  Lo so, ancorché preferirei fosse altrimenti. –
Il viso di Morwen s’incrinò nel sostenere il suo sguardo, pure, ella non era disposta ad accantonare i suoi propositi.
- Sapete qual è il punto cruciale della questione, Sire Elrond? Che il mio nome è Morwen, non Arwen, e non è in vostro potere dire ciò che posso fare o meno. Se verrò assegnata ad Elladan ed Elrohir, partirò da sola. –
Quelle parole lo lasciarono perplesso, ché non riusciva a coglierle fino in fondo.
- Perché parli della Stella del Vespro ora? – chiese, dimentico di tutto il resto.
- Arwen desidera trascorrere del tempo presso Dama Galadriel e, benché in passato fosse solita spendere dei periodi a Lòrien, voi glielo negate! Inoltre, da quando sono qui, non ho mai udito parlare della Signora di Imladris, benché mi sembri chiaro che esista. Non crediate che, poiché donna, io sia sotto la vostra custodia o obbedisca a ciò che decidete per me. –
Tirò fuori quelle parole con veemenza ed alzandosi in piedi; il suo volto era contratto per l’eccessiva foga.
Il Mezzelfo chiuse gli occhi dopo aver udito quelle parole, per lui prive di alcun senso.
- Mi spiace se sei giunta a tali, sciocche conclusioni. Ora siediti –
Ma Morwen non si mosse.
- Siediti, per favore – disse stancamente.
Questa volta ella fece come le aveva detto.
- Mai ho pensato di poter compiere scelte in vece di Arwen. Pure, se come hai avuto modo di capire tuo malgrado, l’Eriador può occasionalmente essere un luogo pericoloso, il valico tra le Montagne Nebbiose certamente lo è, anche in presenza di scorta. E il motivo per cui non hai mai visto, né sentito parlare della Signora di Imladris, è che ella si trova al di là del mare, dopo essere stata rapita, torturata, violata da quelle bestie che chiami orchi, mentre si recava a Lòrien. Credo che questo giustifichi le mie perplessità come padre. –
Ora era il suo tono ad essere duro e tagliente per nascondere la sofferenza che provava.
Morwen aprì la bocca, sconvolta, ma non seppe cosa dire.
- Per quanto riguarda te, sei libera di andare, se i miei figli ti accettano al loro fianco. Non rispondo in alcun modo della loro decisione. –
La sua voce era ancora più fredda e Morwen poté coglierne la delusione; si sentì ancora più ingrata ed avventata.
- Io…vi ringrazio. E vi chiedo di perdonare le mie parole, benché io non abbia scuse. –
Ma il Mezzelfo aveva il volto coperto da una mano.
- Ora va’ – rispose.
- Vi prego… - supplicò alzandosi. – Sono stata una sciocca a rivolgermi in tal modo – aggiunse sull’uscio della stanza.
- Sei perdonata, ma desidero la solitudine. – concluse lui.
- Grazie, mio signore – sussurrò l’elfa e obbedì richiudendo la porta dietro di sé, agitata.
Il Mezzelfo restò lì, a rimuginare a lungo su eventi ormai passati; terribili immagini sottratte alla mente dell’amata gli sovvennero e si scoprì incapace di allontanarle. Gli pareva che fossero trascorsi soltanto pochi giorni da tutta quella sofferenza, tanto vivida si mostrava nella memoria.
Poi ripensò alle parole di Morwen su sua figlia; era evidente che Arwen sentisse il bisogno di parlare di sua madre con Galadriel, d’altronde egli stesso non era molto incline ad affrontare l’argomento e probabilmente ciò l’aveva spinta a desiderare di recarsi a Lorien.
Sarebbe stata la cosa migliore lasciarle trascorrere del tempo nella terra di sua madre. Decise che l’avrebbe lasciata partire, ma soltanto se Elladan ed Elrohir avessero acconsentito ad accompagnarla durante il viaggio, ché si fidava unicamente della protezione dei propri figli, coloro che avevano sfidato mille pericoli per riportargli Celebrìan.
Morwen si sarebbe unita ai fratelli nello scortare Arwen; un’impresa che con un po’ di fortuna non l’avrebbe esposta a gravi pericoli, ma le avrebbe consentito di realizzare i propri propositi.
 
Fu così che qualche tempo dopo Elrond si separò da sua figlia e per il momento congedò Morwen, in partenza con la scorta. L’Elfa aveva accolto con gioia la notizia, pure, quella fu per lei una triste ora; comprese che per tutto il tempo in cui sarebbe stata lontana il suo cuore sarebbe rimasto in quella valle.
A turbarla non fu il viaggio, che si rivelo piuttosto tranquillo, bensì l’ arrivo nel Bosco d’Oro, poiché furono naturalmente accolti da Galadriel e Celeborn. E la Dama di Lothlorien, com’è noto, trapassa gli interlocutori col suo sguardo e ne legge i desideri del cuore; non ebbe alcun modo di sottrarsi a quell’esame e impossibile era nasconderle i propri pensieri.
Non appena le fu possibile, Morwen s’allontanò dai compagni di viaggio bramando la solitudine e agilmente salì su un grosso ramo; lì si sedette appoggiando le spalle al tronco e coprendosi il volto con le mani, conscia dell’impossibilità di realizzare i suoi desideri.
 
- Cosa ti succede? Stai forse male? –
La voce di Elrohir riecheggiò nel silenzio, forte ma al tempo stesso premurosa.
- Tua nonna fa sempre quest’effetto? – chiese lei, più aspra di quanto non volesse suonare.
Il Mezzelfo la guardò per un istante incuriosito, poi scoppiò a ridere.
- Direi di sì, Morwen, se ti riferisci all’aver udito la sua voce nella tua testa. Ma si oppone al Male sin dai Tempi Remoti, te lo posso assicurare, benché appaia talvolta arcana e misteriosa. –
- E’ meravigliosa e terribile – commentò Morwen fissandosi le mani – E se tua madre le assomigliava, ben comprendo perché Elrond la ami così profondamente. –
Pronunciò queste ultime parole con un misto di tristezza e rassegnazione che al Mezzelfo non sfuggì.
- Mio padre ti ha parlato di lei? – domandò aggrottando le sopracciglia – Non è solito farlo, da quando ella ha lasciato queste sponde. –
- Me ne ha parlato, ma non per sua scelta – s’affrettò ad aggiungere Morwen, scendendo con un balzo dall’albero. Atterrò con grazia ed agilità e si rimise in piedi poco dopo scostandosi i lunghi capelli scuri dal viso.
Poi si allontanò, le vesti blu ondeggianti, sparendo nel buio della notte. Elrohir la osservò soppesando le sue enigmatiche parole e chiedendosi cosa avesse voluto dire.
Era forse quel suo essere sfuggente ad affascinarlo a quel modo; pure, il suo cuore doveva essere un abisso di segreti a giudicare dalle parole con cui si esprimeva, dalle mezze risposte che dava ai suoi interlocutori. Insieme al fratello non era stato altro che il suo maestro d’armi; pensò dunque che gli unici a conoscerla davvero potessero essere Elrond ed Arwen. Tuttavia si sbagliava: sua sorella poteva aver trascorso molto tempo insieme all’Elfa, ma dei suoi remoti pensieri condivideva ben poco; soltanto suo padre avrebbe potuto dire di conoscerla, ancorché non fino in fondo.


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Ecco un altro capitolo che, come il precedente, è un po' di transizione. Sì, il personaggio è totalmente inventato e anche per quello che ne so io le uniche due Morwen canoniche sono quelle citate da Black_Moody! PS: nell prossimo capitolo riavremo Celebrìan :D
Di nuovo grazie a chi recensisce, legge, segue o preferisce!

elepaddy85: diciamo che qui la risposta che posso dare è né sì né no! ;)
Thiliol: Ti ringrazio della fiducia ;) Ti confesso che in un primo momento non sapevo neanche io se inserire o meno questa sorta di "parentesi" da qui all'epilogo. Alla fine mi sono buttata. Per il pericolo Sue, oddio spero vivamente di non caderci, anche se a me più che perfettina mi pare impulsiva e in alcuni momenti meschina, anche se di buon cuore. Ma forse questa cosa sarà più evidente nel prossimo capitolo...in ogni caso spero di riuscirlo a "trasmettere".
Afaneia: Sì, lo immagino anche io come straziante :(  anche se per fortuna non lo so! Un bacione anche a te!
Black_Moody: Grazieee per i complimenti, sono felice che ti sia unita a noi :) Naturalmente anche io ho adocchiato la storia di Thiliol e la leggerò (e recensirò ovviamente) non appena avrò terminato questa, proprio per non essere, in un certo senso, influenzata nella stesura per via del tema comune ;)

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Capitolo 12
*** Risvegli ***


Il mare s’infrangeva tranquillo sulla riva, creando una melodia incessante, costante, che si ripeteva nel tempo sempre uguale eppur diversa. Gli ultimi raggi del sole si riflettevano sull’acqua, creando riflessi rossastri, ma Gil-Estel stava per sorgere e diffondere la sua luce su quella spiaggia. Dei gabbiani volavano, stagliati contro il cielo vermiglio, planando nella brezza della sera ed il loro stridio si mescolava al rumore delle onde, suonando come un’irresistibile richiamo.
Poi quella voce riecheggiò nella sua testa, ripetendo il suo nome, un’invocazione triste, disperata, terrorizzata, priva di scampo.
 
Elrond aprì gli occhi di scatto e sentì il sogno svanire lentamente, lasciando su di sé un’angosciante sensazione. Ogni volta che riascoltava quella voce nel sonno, una parte di sé si illudeva che fosse ancora possibile salvare Celebrìan in tempo. Pure, non aveva sognato soltanto questo, si disse mentre s’avvicinava alla finestra e poggiava entrambe le mani sul davanzale.
No, il Mare lo chiamava, gli parlava all’orecchio come aveva già fatto con i suoi padri Tuor ed Eärendil, lo attirava e lo invitava a ricongiungersi alla sua amata. Era forse questo ciò che provavano i Teleri dopo aver udito il canto degli uccelli del mare?
Ma quanto tempo doveva ancora trascorrere affinché lo varcasse per davvero, restava un dubbio senza risposta, tuttavia il suo cuore sentiva, suo malgrado, che molti anni lo separavano dal veleggiare sull’enorme distesa d’acqua.
 
Celebrìan aprì gli occhi azzurri lentamente e fu come emergere dal profondo degli abissi sino alla luce del sole. La luce rosata dell’alba filtrava attraverso le fronde, illuminando i mellyrn dal tronco argenteo e dalla chioma dorata; l’acqua del lago Lòrellin era tranquilla sebbene lievemente increspata dalla brezza mattutina. La dama si mise a sedere, avvolta in un groviglio di vesti candide e sorrise a colei che l’aveva destata.
La bianca figura di Estë torreggiava su di lei, benevola. I lunghi capelli biondi come oro ricoprivano l’intera figura vestita di grigio; fiori erano intrecciati nella sua fluente chioma e il sorriso aleggiava sul suo volto, che emanava un tenue bagliore. La sua visione e ancor più la sua voce, infondevano un senso di pace che nessuno che s’aggirasse per le terre mortali avrebbe potuto comprendere.
- Mia signora – fece l’Elfa chinando il capo in segno di deferenza – Cos’è accaduto? –
Pronunciò queste parole alzandosi dal suo giaciglio e lasciando scorrere lo sguardo sulla volta dorata che la ricopriva e sulle acque limpide del lago mentre assaporava quella nuova sensazione di leggerezza, di candore, di benessere. L’ombra dei ricordi le parve triste ma lontana mentre cresceva la consapevolezza di essere una ed integra, hroa e fëa sembravano riconciliate nel loro profondo legame, così come Ilùvatar le aveva create.
Quell’arcano sorriso continuava a distendere il volto della Valië.
- Sono trascorse alcune lune dal giorno in cui giungesti in questi giardini, Celebrìan. Da quel momento hai dormito a lungo del sonno di Estë, l’unico riposo a questo mondo in grado di risanare le ferite tra fea e hroa, tra spirito e corpo. –
- L’Ombra ed il dolore mi hanno abbandonata – esclamò l’Elfa lasciandosi andare, dopo moltissimo tempo, ad una risata cristallina che rallegrò la piccola isola nel centro del lago.
- Ne sono lieta – rispose l’Ainu con la sua voce melodiosa – Pure, poco tempo è trascorso e questa sensazione di benessere potrebbe facilmente svanire se tu ti abbandonassi a tristi pensieri. Ogni notte verrai a me, su quest’isola, ed io ti addormenterò, per poi destarti all’alba. Difatti, io giaccio nel sonno quando sorge l’astro diurno e mi risveglio al calar dello stesso. –
- Comprendo e vi ringrazio molto, mia santissima signora – fece Celebrìan.
- Sei libera di allontanarti dall’isola naturalmente – aggiunse Estë – Ma non farlo tanto da tardare troppo, dovrai trovarti qui quando si farà sera. –
La Valië si distese nella sua dimora per riposare, mentre la dama si sedette sulla riva del lago, osservando il proprio riflesso argenteo nell’acqua. Il suo pensiero andò ad i suoi figli e ad Elrond poiché se l’ombra era sparita dal suo cuore, non lo erano di certo nostalgia e malinconia.
 
Morwen aprì gli occhi ed il suo primo pensiero fu la voce di Galadriel che echeggiava nella sua mente; cercò tuttavia di ignorarla mentre portava a termine i preparativi per la partenza. Finalmente, incontrò Elladan ed Elrohir ed insieme ad essi prese congedo dai Signori di Lòrien: quel luogo era stato per lei fonte di immenso turbamento, quasi il ricordo di Dama Celebrìan aleggiasse tra gli alberi dorati.
Munita di lama, arco e faretra, accompagnò a lungo i figli di Elrond nel loro peregrinare, conobbe molti Dùnedain valenti e molti orchi assaggiarono le sue armi. Passarono gli anni e i due Mezzelfi impararono ad apprezzare le sue doti di guerriera che si rivelarono utili in molte occasioni.
Voleva risplendere, voleva la gloria, voleva essere mirata con occhi diversi il giorno che avrebbe rimesso piede nella felice vallata di Imladris e ne avesse rincontrato il sovrano.
Era questo il pensiero che la sosteneva, unito al desiderio di vendicare la sua famiglia; pertanto non batté ciglio né nell’attraversare i pericoli di Bosco Atro, né nell’affrontare le nevi del Caradhras, né nel cavalcare distese senza fine per poi giungere nei covi degli orchi.
Dunque, fu un’Elfa ben diversa da colei che era scampata al massacro della sua famiglia quella che rimise piede a Gran Burrone, gli abiti logori e la spada di suo padre ricoperta di nero sangue.
 
- La missiva da parte dei Dùnedain dovrà essere consegnata con urgenza – fece Elladan mentre s’apprestava a varcare i cancelli di Gran Burrone assieme ad Elrohir e Morwen.
- Non temere, la porterò io a Sire Elrond – ribatté l’Elfa smontando finalmente da cavallo, seguita dai due fratelli.
Elrohir la trapassò con lo sguardo, con quegli occhi grigi così simili a suo padre.
- Andrò io da lui, non sono forse suo figlio? – dichiarò con tono che non ammetteva repliche.
L’Elfa si limitò a restituirgli un’occhiata di fuoco e si allontanò.
- Credevo d’aver meritato la tua fiducia in questi anni – disse freddamente.
Varcò la soglia del palazzo e svoltò l’angolo verso quello che era stato, molto tempo prima, il suo alloggio.
- Perché la tratti in tal modo? – chiese Elladan al fratello con tono di rimprovero; questi, tuttavia, nulla rispose ed entrambi s’avviarono verso le aule del padre, senza più discutere.
 
Qualche ora più tardi, il sole s’apprestava a tramontare tingendo la valle di rosso mentre Morwen, smessi ormai gli abiti da viaggio e le armi, s’avviava per i corridoi di pietra, avendo intenzione di rivedere Elrond e porgergli i suoi saluti, nonostante, ne era certa, la sua presenza l’avrebbe turbata profondamente, difatti molto aveva sentito la sua mancanza.
Giunse frettolosamente dinanzi alla sua porta, in un volteggiare di vesti grigie e lunghi capelli castani, cresciuti a dismisura durante la sua permanenza nelle Terre Selvagge.
Bussò delicatamente con la candida mano e la voce del Mezzelfo la invitò ad entrare.
Elrond sorrise nel riconoscerla e rivederla dopo tanto tempo.
- Mi chiedevo quando saresti venuta a bussare alla mia porta – fece lui.
- Suppongo fossi convinto di rivedermi parecchio tempo fa insieme a tua figlia, mio signore – rispose lei ridendo.
Egli fu presto contagiato dalle sue risa e l’abbracciò, come se si trattasse di una figlia minore appena ritornata alla sua dimora.
- Tuo padre sarebbe stato fiero della guerriera che sei diventata – disse poi guardandola in viso.
Morwen smise all’improvviso di sorridere ricordandone gli ultimi istanti di vita.
- Lo spero – mormorò laconica mentre il Mezzelfo tornava a sedersi invitandola a fare altrettanto con un gesto della mano.
- E voi lo siete? – chiese ad un tratto, senza muoversi.
Elrond si voltò nuovamente verso di lei, colto di sorpresa da quelle parole.
- Naturalmente – rispose – Ma come mai mi poni questa domanda? –
L’Elfa avanzò e si sedette di fronte a lui, dall’altro lato del suo scrittoio.
- Non sembrate felice, sire, oggi come un tempo, nonostante appariate momentaneamente lieto del nostro ritorno. –
Lui si passò una mano sulla fronte e le sue labbra s’incurvarono in un sorriso cupo.
- Forse perché non lo sono – ammise – Non vi è felicità per me ad est del Mare. –
Morwen avrebbe voluto tacere, ma non vi riuscii.
- Non riesco a comprendere come lei abbia potuto lasciarvi così – disse invece – Non meritate questa solitudine. –
Elrond la guardò gravemente, al tempo stesso severo e stupito dall’audacia delle sue parole.
- Non hai il diritto di giudicare mia moglie e la sua sofferenza, non vi era altra scelta per lei. –
- Vi è sempre un’altra scelta – mormorò l’Elfa tormentandosi una ciocca di capelli scuri.
- Siete sicuro di non soffrire inutilmente? –
- Non colgo il senso delle tue parole – ribatté il Mezzelfo in tono piatto.
La fanciulla si alzò e cominciò a camminare per la stanza, sino a raggiungere la finestra e volgere lo sguardo ad ovest, ove gli ultimi bagliori vermigli baluginavano nel crepuscolo.
- Se ciò che ho appreso sulle tradizioni degli Eldar narra il vero – fece – è l’unione degli sposi che sancisce il matrimonio, piuttosto che la cerimonia. Pure, cosa accadrebbe nella vostra condizione agli occhi delle Potenze? Immaginate di giungere all’ovest dopo anni di sofferenza e solitudine, per poi scoprire che, a cagione di quanto accaduto nelle profondità delle Montagne Nebbiose, questo vincolo abbia perso il suo valore agli occhi dei Valar come fu per Mìriel e Finwë. –
Infine si voltò nuovamente verso di lui dando le spalle al tramonto, attendendo in silenzio l’effetto di quelle parole.
Elrond restò immobile, fatta eccezione per i suoi capelli scuri che di tanto in tanto fluttuavano a causa della brezza. Ebbe per un attimo una visione di ciò che aveva udito e ne fu molto scosso; tuttavia ragionò in fretta che sarebbe stata una situazione assurda e soprattutto, avrebbe potuto verificarsi unicamente se lui, come Finwë, avesse espresso desiderio di prendere una seconda sposa.
- Le tue parole non hanno alcun peso – commentò seccamente passandosi le mani sul viso stanco
– Per quale ragione vuoi tormentare la mia mente con tali pensieri? –


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Eccomi di nuovo qui, perdonatemi se vi ho fatto attendere un po'. Ed ecco un scorcio di Celebrìan...mi mancava e non potevo resistere!
elepaddy85: Grazie per la fiducia...e spero che ti sia piaciuta questa piccola apparizione della protagonista!
Black_Moony: Grazie, mi fa molto piacere! Purtroppo lo farò soffrire ancora un altro po', prima del lieto fine. Diciamo proprio fino alle ultime righe :) :( Su Elrohir hai certamente ragione...per quanto riguarda Aragorn ci sarà solo un breve accenno, anche perché ad un certo punto ci sarà un grosso salto temporale, dato che restano separati per circa 500 anni.

Grazie di nuovo come al solito a chi legge, segue, preferisce e soprattutto recensisce! A presto!
 

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Capitolo 13
*** Perdonare e perdonarsi ***


Le parole di Elrond risuonarono nella stanza, dirette e concise, in attesa di risposta; Morwen fece qualche passo verso di lui e sussurrò:
- Con la vostra lungimiranza e saggezza, avete davvero bisogno che vi risponda? –
- Sì – ribatté lui annuendo e temendo ciò che avrebbe potuto udire – Ne ho bisogno. –
Morwen sospirò e abbassò lo sguardo, soppesando le parole da pronunciare.
- Al suo posto non sarei mai potuta partire per l’Ovest. -
- Si sarebbe consumata lentamente sino alla morte se non l’avesse fatto… -
- E allora sarei morta per voi! – ribatté l’Elfa con forza, sentendo la vista appannarsi.
 
Il Mezzelfo la fissò per lunghi istanti con occhi sbarrati e colmi di compassione. Improvvisamente ogni cosa divenne chiara e manifesta, pure, non riusciva a credere che in tutti quegli anni ella potesse aver provato qualcosa di molto diverso dalla semplice riconoscenza nei suoi confronti; ma forse inconsciamente aveva già avuto modo di intuirlo.
- Al suo posto non vi potrà mai essere altri che lei – sussurrò col volto contratto dalla sofferenza.
Morwen si passò nervosamente una mano sul viso per asciugare qualche lacrima ed indietreggiò.
- Dimenticate le mie parole – borbottò disorientata, appoggiando una mano sulla porta dietro di sé.
Non sapeva quel che aveva detto, soprattutto non sapeva perché avesse pronunciato quelle parole pur essendo consapevole che la risposta che aveva appena ricevuto fosse la più ovvia e la più scontata. Accecata dal dolore e maledicendosi per quanto fosse stata sciocca, desiderò soltanto uscire e restare sola.
Ma Elrond la fermò e con molta fatica mise insieme delle parole che non avrebbe mai voluto pronunciare, che non avrebbe voluto rivolgere mai a nessuno e men che meno a lei.
- Ascoltami, per favore. Chiunque non serva il Nemico è ben accetto nell’Ultima Casa Accogliente e mai oserei mandar via qualcuno da qui, tuttavia, in tal caso io ritengo che faresti la scelta più giusta allontanandoti da questa valle. –
La voce gli si incrinò poiché molto cara gli era la fanciulla e gli pareva quasi di venir meno alla promessa fatta, benché essa fosse stata ormai onorata da tempo.
- Mi duole molto parlarti a questo modo, pure, i tuoi desideri inappagabili finirebbero per distruggerti. –
L’Elfa stette a guardarlo incredula per alcuni lunghi minuti, infine si scosse e annuì.
- Andrò immediatamente a radunar le mie cose, sellare il destriero e partirò nella notte. –
Poche lacrime le rigavano le guance pallide e fredde.
- Non è necessario che te ne vada così, come una ladra nell’oscurità e senza riposo. – s’affrettò ad aggiungere il Signore di Imladris.
- No, mio signore. Questa è la mia scelta e la mia vecchia dimora nel Bosco Atro, piena di ricordi, mi attende. Troppo a lungo ho evitato le ombre del passato che albergano in quella casa. Vi prego soltanto di porgere i miei saluti ad Elladan ed Elrohir, che sono stati come fratelli per me in questi anni e non ho il cuore di dire loro addio. –
Elrond annuì e restò a guardarla, pallida ma dura nei modi, e seppe che non sarebbe tornata sui suoi passi. La vide deglutire prima di parlare nuovamente.
- Questo è un congedo; non mi rivedrete ma non dimenticherò ciò che voi e la vostra famiglia avete fatto per me. –
Chinò in capo in un segno di rispetto e ringraziamento, mentre un modo le si stringeva alla gola in maniera insopportabile. La sua esistenza stava per cambiare drasticamente una seconda volta. Ebbe paura per questo, ma non poteva fare a meno di condividere il consiglio del Signore di Imladris.
Elrond prese la sua testa tra le mani e le diede un bacio sulla fronte, sentendola tremare a quel tocco.
- Namarië, figliola. Và con la benedizione dei Valar. –
Ella si allontanò ed uscì richiudendo la porta dietro di sé. Fece come aveva detto, raccolse in fretta ciò che possedeva ed oltrepassò il ponte di Gran Burrone galoppando veloce come il vento; Elrond la guardò allontanarsi dalla sua finestra con rammarico e mai più la rivide nelle Terre Mortali.
 
La mattina seguente, il sole faceva capolino tra le montagne ed il regno elfico riprendeva vita, ma più di qualche abitante non aveva trascorso una notte serena.
Elrond era addolorato per il gesto compiuto, tuttavia era consapevole di aver agito nel migliore dei modi ed era nel pieno di tali pensieri allorché, senza preavviso, la porta della sua stanza si spalancò con violenza.
Inarcò un sopracciglio fissando suo figlio Elrohir, che era in piedi sotto l’arco di pietra e reggeva nella mano sinistra una pergamena, una lettera di congedo indirizzata a lui e al fratello.
- L’hai mandata via, padre – sibilò con gelida furia.
- Sai bene che non è mio costume allontanare coloro che dimorano nell’Ultima Casa Accogliente. – ribatté senza battere ciglio.
- “Io e vostro padre siamo concordi nel ritener che è ora che i miei passi si separino dai vostri” – lesse il figlio, mentre la mano gli tremava – Nessun altro indizio sulla ragione della sua scelta. –
Elrond non seppe aggiungere nulla per placare la collera del figlio; questi poco dopo, abbandonando la rabbia, si accasciò su di una sedia.
- L’amavo, di un amore ben diverso da quello che mi lega ad Arwen – confessò infine.
Suo padre gli sorrise cupamente.
- E’ anche per questo che le ho consigliato di partire; ella non nutre per te gli stessi sentimenti, ma forse un giorno la rincontrerai sotto gli alberi di Eldamar e tutto potrà essere differente. Ora i tempi non sono maturi, figlio mio. –
- No, infatti, non è me che ama, dico bene padre? – fece Elrohir con sarcasmo.
Il tono con cui il Mezzelfo parlò ferì Elrond, ché quelle parole gli erano state gettate addosso con molta asprezza.
- Credi che io avessi piacere di ciò? – tuonò rivolto al figlio.
Restarono qualche momento a fronteggiarsi con lo sguardo, tuttavia, un attimo dopo la sua voce si addolcì.
- Sai bene che non desidero altro che veleggiare verso Valinor. –
Allora Elrohir abbassò il capo vedendo la profonda tristezza che era in lui e si pentì delle sue parole.
- Perdona la mia arroganza, padre. –
Elrond scosse lievemente il capo e gli sorrise senza gioia.
- Non occorre che ti scusi, comprendo il tuo dolore. –
Elrohir alzandosi chinò lievemente il capo in segno di saluto e lasciò la stanza richiudendo la porta dietro di sé ed Elrond rimase solo, solo come si sentiva da tempo.
 
Si levò ed abbandonò le sue aule, attraversando in fretta il palazzo e volgendo i propri passi verso i giardini e le betulle; il profumo degli alberi e dei fiori sollevò per qualche istante il fardello posto sul suo cuore. Quasi senza accorgersene, si ritrovò dinanzi al flet che era appartenuto a Celebrìan e nell’osservare la scala che ne pendeva le sue labbra s’incurvarono in un leggero sorriso. La risalì in fretta ed esitò prima di spingere la porta ed entrare in quella piccola dimora; non vi metteva piede dalla notte in cui, si sentì bruciare al pensiero, si era impadronito dei ricordi della sposa.
Non avrebbe saputo dirne con certezza il perché, ma pareva mancargli il coraggio di varcare quella piccola soglia di legno; il suo passato, la sua vita felice era simbolicamente racchiusa lì dentro e ne rimpiangeva ogni attimo. Ma quei giorni erano ormai perduti per sempre, pensò convincendosi infine ad entrare.
La camera era avvolta nella penombra, nonostante fuori di lì il sole incendiasse la vallata; ogni cosa gli parve immutata, identica a come la ricordava e quasi si aspettò di scorgere Celebrìan distesa sul suo giaciglio, i capelli d’argento sparsi tra le lenzuola di lino.
Si sedette lentamente, mentre il senso di colpa per aver allontanato Morwen da Imladris gli saliva alla mente a intervalli regolari, pur essendo consapevole di aver agito nel migliore dei modi. D’un tratto, gli vennero in mente delle parole che ella gli aveva confessato, molti anni prima.
 
-Non posso evitare di ritenere una colpa il semplice fatto d’essere in vita, di essere sopravvissuta a mia madre, mio padre, mio fratello e potermi aggirare ancora per questi luoghi; essi sembrano lontani miglia e miglia da me e il loro ricordo è insopportabile, come il pensiero del dolce idromele tra le aride distese di Gorgoroth.
Un pensiero assurdo, ragionò, mentre si chiedeva se avesse fatto abbastanza per lei in questi anni, pure, tale pensiero sparì come era arrivato mentre un sorriso amaro gli affiorava sulle labbra.
Non provava forse la medesima sensazione? Il ricordo di Celebrìan era vitale, sempre presente, necessario eppur terribile e fonte di disperazione. Cosa gli impediva di ritrovarla a dispetto della distesa d’acqua che si stendeva ormai tra loro?
La colpa.
Immotivata, irrazionale, irretiva la mente rendendola sorda ad ogni barlume di serenità, bruciando ogni fibra del proprio essere.
Forse era davvero così, aveva fallito nel proteggere colei che amava, ma si chiese per la prima volta a mente fredda se ciò costituisse davvero una colpa.
Non tocca a noi dominare tutte le maree del mondo, gli aveva detto un giorno il Grigio Pellegrino.
E lui, che aveva vissuto per circa due ere ad est del Mare, questo lo sapeva bene.
Ma in tale circostanza, aveva avuto la presunzione di ritenere suo dovere impedire che quell’inattesa tragedia avvenisse e nel fare ciò si era attribuito una responsabilità smisurata, quasi smisurato fosse anche il suo potere.
Come avrebbe potuto prevedere o evitare ciò che era accaduto, se non rinchiudendo la dama in quella vallata, quasi fosse uno dei suoi tesori? Che il suo senso di colpa non avesse ragione d’esistere era la più ovvia delle verità che lui, nella sua cecità, non era stato in grado di afferrare da sé prima d’ora.
Pure, egli aveva violato la sua mente contro la volontà di Celebrìan, si disse, ancora restio ad assolversi. Ed era vero, ma non aveva forse pagato abbastanza per ciò? Tale visione tornava a tormentarlo ogni notte, distruggendolo.
Ma se la Dama aveva impiegato ben poco tempo a perdonarlo, probabilmente era giunto il momento che perdonasse se stesso, perché con se stesso sarebbe rimasto innumerevoli anni prima di rivederla.
 
- Hai fatto ciò che era in tuo potere, Elrond –
Ricordò la voce carezzevole di Celebrìan che gli sussurrava quelle parole.
Il suo sguardo cadde su di un lieve scintillio tra le lenzuola di lino candido. Allungò una mano e si ritrovò a stringere alcuni sottili capelli d’argento e nel guardarli il sorriso gli illuminò il volto e la sua mente fu libera.
E ricordò il suo riso, cristallino come le cascate del Nimrodel; il primo bacio all’ombra dei mellyrn e l’ultimo sulle rive del mare; la prima e l’ultima notte trascorse insieme; le sue mani leggere che lo soccorrevano nella terra di Lòrien; l’anello di Elwing ed il mantello con l’emblema di Eärendil; il giorno in cui era divenuta la sua sposa e i giorni in cui erano venuti al mondo i loro figli.
E la certezza che lei era lì, al di là del mare ad attenderlo, lo invase come il primo tepore di una primavera ancora giovane.


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Beh, che dire, questa volta sono stata molto rapida perché avevo concepito tutto come un continuo con il capitolo precedente!
Il prossimo capitolo sarà l'ultimo e sarà un po' più lungo del solito...quindi grande salto temporale!
Ma veniamo a noi.
Thiliol: Figurati, non ce n'è bisogno ;) Grazie mille per i complimenti e devo ammettere che la prima parte anche io la preferisco proprio per essere fuori dal tempo. E ti ringrazio anche per l'analisi sulla seconda parte e l'interesse per Elrond è qui confermato, ma ovviamente non c'è storia ;)
Per il discorso Sue- non Sue, magari quando puoi e se vuoi potresti definirmi meglio (in privato) in linea di massima quali sono gli atteggiamenti "da evitare". Non tanto per Morwen perché ormai è uscita di scena, ma per il futuro. Te ne sarei enormemente grata :)
PS: fiùùùù meno male! Credevo che Alatariel mi avrebbe trafitta dopo avermi sentita tessere le lodi di Aeglos :D Un bacio a te e a loro!
Black_Moody: Grazie per tutto :) mi è piaciuto molto scrivere quella parte, sia perché ormai mi sono affezionata a Celebrìan, sia perché Valinor ha sempre un suo fascino particolare! Sì su Morwen sono d'accordo e il motivo delle "cattiverie" dette è ormai manifesto. Se non fosse andata via per sempre, di certo sarebbe finita male! Di contro Elrond è stato costretto ad affrontare la paura di non sapere cosa troverà a Valinor e a cogliere un parallelismo sui suoi sensi di colpa, dal momento che è più facile osservare la vita degli altri che la propria (purtroppo per tutti). Alla prossima e buona serata!

Grazie ancora una volta a chi legge, segue, preferisce e recensisce!

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Capitolo 14
*** I Aear cân ven na mar ***


Altrove si narra della conclusione della Terza Era, della sconfitta di Sauron e di come Elrond fu tra i saggi che s’adoperarono per stabilire il Dominio degli Uomini nella Quarta Era. La gloria degli eredi di Elros fu ristabilita nella nobile figura di Re Elessar, Aragorn figlio di Arathorn, da Elrond chiamato Estel allorché gli fece da padre.
Ma l’ultimo, cocente dolore che quelle terre mortali riservarono al Mezzelfo fu la perdita dell’adorata figlia Arwen, che scelse di condividere la sorte degli Uomini per amore del Re.
Così, il destino di quelle terre e degli eredi di Elros fu pienamente compiuto e dopo l’amara separazione dalla Stella del Vespro, destinata a durare sino agli sconvolgimenti di Arda, il potere di Vilya ebbe termine ed Elrond comprese che era giunta l’ora di veleggiare verso Ovest e seguire i desideri del suo cuore.
Arwen aveva fatto la sua scelta e così lui stesso: l’avrebbe ricordata per sempre come la radiosa Regina di Gondor e non avrebbe mai conosciuto i segni del tempo sul suo viso mortale, né l’ora della sua dipartita; aveva lasciato i suoi figli gemelli come Signori d’Imladris finché l’ultimo dei suoi abitanti non l’avesse abbandonata ed essi lo avrebbero seguito infine al di là del Mare.
Fu pensando a ciò che lasciava dietro di sé e a ciò che lo attendeva che conduceva la bianca nave sulle acque tranquille di Belegaer, lungo la Via Dritta. Gandalf discorreva amabilmente con gli Hobbit, ma Galadriel era in piedi dietro di lui, avvolta in candide vesti.
Le mani del Mezzelfo tremavano lievemente sul timone, frementi, ed i suoi occhi scrutavano l’orizzonte, ansiosi di scorgere le beate sponde di Aman. La figlia di Finarfin comprendeva la tempesta che gli agitava l’animo e poggiò le mani sulle sue, placandole.
- Manca molto anche a me – disse.
Impazienza e timore aleggiavano nella mente del Mezzelfo in un riaffiorare di desideri sopiti, di nostalgia repressa. Agognava a quelle sponde con ogni fibra del suo essere; la distesa blu gli parve interminabile mentre osservava gli ultimi bagliori rossastri del tramonto sparire e la penombra del crepuscolo allungarsi.
Iniziò a piovere.
Gocce d’acqua cominciarono a susseguirsi, cadendo su di lui una dopo l’altra mentre i suoi compagni di viaggio si mettevano al riparo; ma egli non si mosse, ché quella leggera e delicata pioggia di fine estate gli riportava alla mente il tocco ed il riso di Celebrìan.
- Non siamo lontani dalla nostra meta! – gridò ai suoi compagni.
Restò lì a guida della nave, alto e impassibile per tutta la notte; infine l’aria divenne più leggera e frizzante e canti nella sacra lingua di Valinor risuonarono sulle ali del vento. La cortina di pioggia si dissolse ed apparvero loro le bianche sponde di Aman illuminate dal chiarore dell’alba.
Elrond percepì lo stupore dei due Hobbit e la commozione di chi fa finalmente ritorno alla propria casa sui volti di Galadriel e Gandalf. Ma quella non era mai stata la sua casa, eppure, rivolgendo il pensiero ad Eärendil ed Elwing e alla sua amata sposa, pensò che avrebbe potuto esserlo per sempre.
Veleggiarono accanto alla splendida isola Tol Eressëa mentre il sole intraprendeva il proprio cammino nel cielo e scorsero la città di Avallònë ricca di luce e di musica; pure, proseguirono verso il porto elfico di Alqualondë, la città dei Teleri di Re Olwë.
Elrond sentì il cuore in gola battere all’impazzata man mano che s’avvicinavano al bianco molo e ad un tratto scorse due alte figure sulla riva, di cui una dai capelli d’argento.
La osservò per alcuni lunghi minuti, aguzzando la vista, ma non appena la lontananza si ridusse, si rese conto che non si trattava di Celebrìan; l’Elfo al suo fianco aveva il volto saggio e i capelli d’oro, nonché una corona sottile sul suo capo. Vide gli occhi di Galadriel dilatarsi per la sorpresa e comprese che doveva trattarsi del Re dei Noldor Finarfin e di sua moglie Eärwen.
Non appena il vascello raggiunse quelle beate sponde, Galadriel scese con grazia e rapidità, per ricongiungersi dopo innumerevoli anni ai suoi genitori; Gandalf la seguì aiutando i piccoli Mezzuomini e seguito con un balzo da Ombromanto.
Elrond restò momentaneamente indietro, dopo aver gettato l’ancora nelle acque di Eldamar ad assicurarsi che il vascello fosse correttamente ormeggiato; frattanto si chiedeva quasi con angoscia dove fosse la sua amata. Ebbe la delicatezza di non imporre la propria presenza nel momento in cui la fiera Galadriel tornava ad essere null’altro che una fanciulla.
Allorché ebbe terminato di sciogliere e ripetere i più difficili nodi marinareschi che gli sovvenivano, mise anche lui piede sulla riva senza morte, sforzandosi di ignorare i propri timori e dubbi.
- Salute a voi, Alto Re e Regina dei Noldor – fece chinando il capo, quando finalmente raggiunse il resto della compagnia.
- Salute a te, figlio di Eärendil! – esclamò il Re - Trascorrevamo qualche tempo ad Alqualondë presso i parenti di mia moglie, quando abbiamo scorto la vostra nave entrare nella Baia di Eldamar. –
Ma in quel preciso istante, risuonò un rumore di zoccoli e tutti si voltarono per veder sopraggiungere due figure al galoppo. Il cuore di Elrond mancò un colpo nell’ammirare il viso di colei che avanzava rapidamente verso di loro; credette per un attimo di essere a Gondor presso sua figlia Arwen, tale era la somiglianza. I lunghi capelli scuri di Elwing volavano nel vento e i suoi occhi grigi come le stelle non erano mai stati così luminosi. Accanto a lei splendeva la figura di Eärendil il Beato in sella al suo destriero; i suoi capelli erano dell’oro di Laurelin come quelli di sua madre Idril e i suoi occhi azzurri come il mare lo scrutavano con orgoglio.
Elrond avanzò lentamente verso i suoi genitori, dopo millenni di separazione, quasi credesse si trattasse di un sogno; ma sua madre smontò in fretta da cavallo correndogli incontro, scossa dai singhiozzi e gridando il suo nome. Eärendil la seguiva senza correre, ma del pari commosso.
Elwing strinse a sé suo figlio, in lacrime, ed egli cercò di rammentare cosa significasse l’abbraccio di una madre; allorché ella si decise a staccarsi da lui, anche Eärendil abbracciò Elrond ed entrambi avevano gli occhi velati di lacrime.
Fu come riavere indietro un piccolissimo pezzo di un’infanzia perduta per sempre; d’un tratto rammentò il calore di Elwing che lo stringeva e suo padre che rientrava in casa profumando di salsedine e lo sollevava in aria. Poteva credere persino che fossero trascorsi pochi giorni se dimenticava per qualche istante di non essere più così giovane da due ere.
- Siamo fieri di te, figliolo – esclamò il Marinaio con la sua voce rassicurante e possente.
- Ho solo tentato di adoperarmi per non disonorare il sangue che scorre nelle mie vene, padre. – rispose lui continuando a sentirsi come un bambino, il bambino che non aveva mai potuto essere.
 - Hai portato speranza attraverso questi secoli e meritato la gioia di Valinor – sussurrò Elwing.
Elrond la osservò per qualche attimo in quegli occhi grigi così identici ai suoi, prima di parlare.
- Dov’è lei, madre? –
Non precisò a chi si riferisse, ma lei, Elwing, era sua madre ed era certo che lo avrebbe capito.
- Nei giardini di Lòrien, dove ogni notte dorme del sonno di Estë. – rispose la Mezzelfa..
- E’ un viaggio di molti giorni sino alla dimora di Irmo – fece il Marinaio.
Allora Elrond si tranquillizzò e si disse pronto a partire immediatamente, pronto a viaggiare giorno e notte.
- Ciò non è possibile per i nostri piccoli amici, che pure dovranno recarsi in quei giardini. Ma quest’oggi riposeremo presso i parenti di mia madre – disse Galadriel – E poi intraprenderò con gli Hobbit questo lento cammino. Quanto a te, Elrond, è giusto che tu giunga in quei boschi dorati prima di me, sei dunque libero di proseguire senza di noi. –
- Ti ringrazio Galadriel, così sarà fatto. – rispose lui.
Gandalf avanzò tra i presenti sino a porsi accanto ad Elrond.
- Cavalcherò con te e ti guiderò attraverso le terre senza morte, Mastro Elrond. –
- Non so come renderti grazie, Mithrandir. –
Il suo volto s’illuminò mentre gli rispondeva e prendeva le briglie del destriero di Elwing che ella stessa gli porgeva.
- Va’, figlio mio – fece sorridendo – Io ti aspetterò nella mia torre, dove occasionalmente e con un po’ di fortuna troverai anche tuo padre, di ritorno dal suo errare nei cieli. –
- Non mancherò di far ritorno – promise lui rivolto a entrambi i genitori – Ma ora i giardini mi richiamano. –
 
Gandalf ed Elrond presero congedo dai presenti e, montati a cavallo, galopparono via, veloci come il vento. Percorsero la Baia di Eldamar, sino a giungere alla fenditura nei Pelòri e alla città dei Noldor, Tirion, ove sostarono per una giornata. Ripartirono lesti per addentrarsi nei boschi senza fine di Oromë e lì Gandalf condusse il compagno per segreti sentieri impressi nella sua mente, impiegando molti soli. Infine, giunsero ai confini dei giardini dei Valar e lì Gandalf si fermò.
- Ecco, questa è la dimora di Irmo ed Estë e il mio compito è terminato; da qui potrai proseguire da solo alla ricerca di ciò che desideri. -
- Senza il tuo aiuto avrei vagato a lungo in tristezza e solitudine in cerca della via – rispose il Mezzelfo – e nulla di ciò che potrei aggiungere manifesterebbe appieno la mia gratitudine per questo, amico. –
Era ormai il tramonto allorché Elrond si congedò dallo stregone e gli ultimi raggi vermigli brillavano tra le foglie dorate degli imponenti mellyrn. S’inoltrò in quei giardini e scorse, senza troppa attenzione, meravigliosi fiori d’ogni sorta: fiori gialli sbocciavano sul soffitto creato dai rami intrecciati, nell’erba facevano capolino il dorato elanor e il candido niphredil; cespugli di rose ornavano il sentiero che stava seguendo. Sarebbe stato di certo travolto da tanta bellezza se vi avesse prestato attenzione, ma egli proseguiva dritto senza curarsi di ciò che lo circondava, come un marinaio che avvista terra dopo aver trascorso mesi e mesi in un oceano sconfinato.
La luna era già alta nel cielo allorché ne intravide il pallido riflesso innanzi a sé e seppe di essere giunto sulla riva del lago Lòrellin. Smontò rapidamente dal cavallo di sua madre Elwing e lo lasciò libero di riposarsi nell’erba verde; poi si avvicinò alla riva, ove giacevano, tirate in secca, un paio di piccole imbarcazioni di legno candido. Senza indugiare ne trascinò una in acqua, inzuppandosi la parte inferiore del mantello che innumerevoli anni prima Celebrìan aveva tessuto per lui; lesto vi salì e incominciò a remare diretto verso l’isola al centro del lago; le acque scure e immobili del Lòrellin erano increspate unicamente dal suo incedere.
Tutto intorno a lui taceva nel silenzio di quella notte. Toccò terra abbastanza in fretta, ché piccola era la distesa d’acqua da oltrepassare, e balzò a terra, sentendo avvicinarsi la fine del suo viaggio. Ormai privo di cavalcatura, si spinse nuovamente tra gli alberi e la vegetazione, avanzando lentamente verso quello che gli pareva il centro dell’isola: non vi erano infatti sentieri e soltanto chi era avvezzo a calpestare quelle terre poteva giungere alla sua meta con facilità.
 
Ithil era ormai nascosta alla sua vista, quando una bianca figura gli apparve, emergendo dalle ombre degli alberi. In quell’oscurità pareva risplendere di luce propria; grigia come il crepuscolo stellato era la sua veste e dorati come il sole i suoi capelli.
Elrond non era certo di aver compreso chi fosse, pure, s’inchinò profondamente per la soggezione e la reverenza che ella gli procurava.
Estë sorrise allegramente mirando colui che aveva dinanzi.
- E’ molto che ti attendo, figlio di Eärendil – fece – A lungo ho custodito ciò che il tuo cuore desidera, ma con la tua venuta il mio compito è terminato. –
Il cuore del Mezzelfo prese a battere all’impazzata, impedendogli di rispondere con lucidità. Dopo circa mezzo millennio l’avrebbe rivista e non sapere che effetto avrebbe potuto avere quell’incontro lo gettò nel panico; si chiese se colei che stava per incontrare fosse ancora la stessa Elfa che aveva preso in moglie nella Terra di Mezzo o se i lunghi anni di separazione l’avessero allontanata da lui irreparabilmente. Non aveva mai avuto modo di riflettere su tutto ciò, ché l’unico pensiero che l’aveva animato da quando aveva lasciato i Rifugi Oscuri era stato ritrovarla; pure, ora che il momento si avvicinava, tali dubbi cominciarono a venire a galla.
Fu con immenso sforzo che abbandonò tali elucubrazioni per costringersi infine a rispondere.
- E per questo vi porgo la mia più profonda gratitudine, nobile signora. Guidate ed io vi seguirò. –
- Che il tuo cuore e la tua mente non vengano turbati inutilmente, Messere Elrond. – rispose lei – Questa è un’ora felice! Coraggio, seguimi! L’alba sta sorgendo e desterò per l’ultima volta la tua sposa. –
Elrond obbedì esitante e la seguì lentamente, come in sogno, percorrendo arcani sentieri invisibili a chiunque altro. I giardini erano ancora avvolti nell’oscurità, quando le prime luci dell’aurora cominciarono a tingere il cielo di rosa, ma il sole non era ancora sorto mentre camminava alle spalle della Valië, silenzioso e fremente.
Infine, la vide.
Il suo cuore mancò un colpo nel riconoscere Celebrìan, la bianca figura distesa sul suo giaciglio, avvolta in candide vesti. Forse era la beatitudine di Aman, forse il peso della lontananza, ma gli parve ancor più bella di come la ricordasse; la sua pelle era chiara e i suoi luminosi capelli argentei erano sparsi attorno alle sue spalle. Restò ad ammirarla per alcuni lunghi istanti, splendente bagliore nella notte morente, e rimase immobile, quasi temendo di vederla svanire se l’avesse sfiorata. Alcune lacrime gli rigarono il volto e non le nascose quando infine, con grande fatica, spostò lo sguardo su Estë.
L’Ainu gli sorrise, inondandolo di pace, per poi posare la sua santa mano sulla fronte dell’Elfa e mormorare qualcosa che Elrond non riuscì a comprendere.
- Ora, il giorno sta sorgendo ed io dormirò – aggiunse poi sollevando la sua testa dorata.
Il Mezzelfo chinò il capo in segno di rispetto e congedo, senza riuscire a profferir parola; frattanto Estë s’allontanò e sparì nella sua dimora.
Rimasto solo, egli mosse qualche passo verso la sua sposa e restò in attesa per alcuni istanti, respirando a fatica per l’agitazione.
 
Celebrìan aprì gli occhi azzurri mentre i primi raggi del sole filtravano nella radura e in un primo momento, non appena scorse Elrond in piedi, accanto a lei, sobbalzò spaventata e si mise rapidamente a sedere, di scatto. Respirò profondamente per calmarsi, incredula, non fidandosi di ciò che vedeva: percepiva tutto come vago ed indistinto, fatta eccezione per il viso di lui.
Ma allorché guardò nelle profondità dei suoi occhi grigi, comprese che erano reali e non più un felice ricordo; il suo cuore esplose e nello stesso istante, un riso di gioia le salì alle labbra.
Elrond sorrise raggiante, ché quel suono, più di ogni altra cosa gli fece capire non soltanto che ciò che accadeva era reale, ma anche come l’ombra fosse ormai sparita dal cuore dell’amata.
- Non desideravo spaventarti – sussurrò felice.
Anche il viso della dama era ormai umido, mentre allungava un mano verso lo sposo, sino a poggiarla sulla sua guancia.
Quel contatto spazzò via ogni dubbio dalle loro menti sulla concretezza di ciò che stavano vivendo e in un attimo il Mezzelfo la strinse tra le sue braccia e la baciò, per quella che parve un’eternità senza tempo.
- Ti aspettavo – mormorò lei, stretta in quell’abbraccio.
- Ti ho trovata – sussurrò lui in risposta, assaporando nuovamente il suo profumo.


FINE
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Ecco il momento per la parola fine :) :( Anche a me dispiace un po' lasciare Elrond e Celebrìan e chiedo umilmente perdono per aver fatto patire il Mezzelfo fin proprio alla fine!

Thiliol: Eheh è vero, è stata un po' cattiva...ma non aveva nemmeno uno straccio di possibilità ;) Figurati, anzi grazie e soprattutto in bocca al lupo per lo studio!
Afaneia: Bene spero sia stato un bel week end! Riguardo alla prima osservazione, io credo che a volte, su determinate situazioni, possano essere più utili quei momenti di consapevolezza improvvisa, tipo epifania di Joyce, che lunghe elucubrazioni in cui non si sa più da dove si parte e dove si vuole arrivare. Sulla seconda, sono d'accordo con te. Forse l'errore è stato "servirsi" di Morwen piuttosto che descriverla a fondo. Per il resto, spero che il finale ti sia piaciuto...un bacio anche a te!
Black_Moody: Mi fa piacere davvero come hai descritto la parte con Elrohir e la certezza finale, perché è proprio quello che speravo emergesse :) Circa Morwen sono assolutamente d'accordo sul fatto che Elrond si sarebbe "assolto" ugualmente, ho solo voluto sfruttare l'occasione per una presa di consapevolezza spontanea ed involontaria. Ecco la conclusione e grazie infinite per l'accuratezza delle tue recensioni, altro che sconclusionato poema :D
elepaddy85: Grazie di nuovo...dispiace anche a me :(

Grazie quindi a tutti voi che siete rimasti fino alla fine, in particolare Black_Moody, Thiliol, Afaneia ed elepaddy85 poiché le vostre recensioni sono state davvero utili, costruttive e gradite :D
Grazie anche a Lady Amber, Moira Riordan, viktor malfoy, bimba3, FlowerOfScotland e Ladyvale.
E grazie pure a chi legge semplicemente...alla prossima! Baci a tutti.

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