IMI, n.17061

di Minner_
(/viewuser.php?uid=110936)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Lui non era portato per la guerra ***
Capitolo 2: *** 2. Lui era nato per la guerra ***
Capitolo 3: *** 3. La dura vita che un IMI deve sopportare ***
Capitolo 4: *** 4. Ciao! ***
Capitolo 5: *** 5. Un regalo per il nemico ***
Capitolo 6: *** 6. Non capisco ***
Capitolo 7: *** 7. Non voglio uccidere mio fratello ***
Capitolo 8: *** 8. Disprezzo e amore ***
Capitolo 9: *** 9. Perchè mi hai ignorato? ***
Capitolo 10: *** 10. Ormai per me, tu sei Feliciano ***
Capitolo 11: *** 11. Un paio di guanti ruvidi ***
Capitolo 12: *** 12. Strane voci poco rassicuranti ***
Capitolo 13: *** 13. Nella latrina ***
Capitolo 14: *** 14. Bacio rubato ***
Capitolo 15: *** 15. Lei sa ***
Capitolo 16: *** 16. Simulazione di un bacio alla francese ***



Capitolo 1
*** 1. Lui non era portato per la guerra ***


Titolo: IMI, n. 17061
Titolo capitolo: Lui non era portato per la guerra
Personaggi: Nord Italia
Genere: drammatico, storico
Avvertimenti: AU


Lui non era portato per la guerra
 

 

Il treno viaggiava rapido attraverso il paesaggio pianeggiante che si riusciva a scorgere tra un asse di legno e l’altra, pareti di un vagone merci su cui erano stipati centinaia di soldati italiani. Tra di loro vi era Feliciano Vargas, un soldato semplice del regio esercito che non aveva mai partecipato attivamente alla guerra, si era semplicemente limitato a sorvegliare una della tante isole greche conquistate nella primavera del 1941. Lui non era portato per la guerra, non sapeva vivere negli accampamenti, non riusciva a ingurgitare la magra razione di cibo che gli veniva assegnata, non riusciva a tenere il passo con gli altri nelle lunghe marce e soprattutto non sapeva tenere in mano un fucile, tanto meno usarlo!
Anche quando era stato un giovane avanguardista in Italia, non aveva brillato nelle attività fisiche, preferiva passare ore a dipingere scorci del paesello o schiacciare un pisolino, piuttosto che recarsi alle parate dei balilla facendosi bello con la divisa militare.
Feliciano non era portato per la guerra e lo sapeva benissimo, per questo, quando arrivò la lettera di arruolamento, aveva pensato bene di scappare ma i fascisti erano stati più veloci di lui e lo avevano imbarcato alla volta della costa greca.
Eppure Feliciano si era considerato fortunato: quando era giunto in Grecia la guerra contro i partigiani era già conclusa e l’unico compito che gli spettava era quello di controllare, di tanto in tanto, le abitazioni della popolazione.  Ecco però, che l’armistizio dell’8 settembre mise fine alla sua tranquilla guerra; nel giro di poche settimane si era ritrovato prigioniero dei tedeschi, riportato sulla terra ferma e spedito in Germania in qualche campo di lavoro assieme ad altri italiani provenienti da diversi fronti europei.
Alcuni di questi soldati avevano già fatto gruppo nella speranza di sopravvivere sostenendosi l’uno con l’altro, altri avevano lo sguardo fisso nel vuoto aspettando l’arrivo in stazione, pochi invece, come Feliciano, si guardavano intorno con aria impaurita di chi non sa bene che fare.
D’un tratto il treno frenò bruscamente emettendo un suono stridulo, mentre il convoglio entrava in un'anonima stazione. All’esterno non vi era nessuno se non un paio di uomini in divisa, questi, quando il teno si fermò completamente, si avvicinarono ai vagoni e con uno forte scatto aprirono i portelloni. 


 
 
Angolo dell'Autrice


Eccomi tornata!^^
Che vuol dire il titolo?
Che succederà al povero Feliciano?
Tutto questo nella prossima puntata!XD

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 2. Lui era nato per la guerra ***


Titolo: IMI, n. 17061
Titolo capitolo: Lui era nato per la guerra
Personaggi: Germania
Genere: drammatico, storico
Avvertimenti: AU
 

Lui era nato per la guerra

 

Ecco arrivati gli italiani.
La fronte aggrottata, gli occhi celesti carichi di ira, le mani che si contraevano con rabbia attorno alla gruccia. Ludwig guardava quegli uomini dall’aria spaurita mentre scendevano dal treno per poi essere caricati sui camion che li avrebbero portati in seguito ai campi di lavoro. Non provava compassione per loro, dopotutto erano solo dei traditori.
Ludwig lo aveva sempre saputo, aveva intuito fin da subito che degli italiani non c’era da fidarsi. Quando era andato a combattere in Russia aveva avuto a che fare con quegli smidollati: non avevano fatto altro che chiacchierare del più e del meno, scrivere lettere, lamentarsi delle condizioni rigide dell’inverno russo, per non parlare poi di quando li aveva visti combattere. Un vero disastro. Una massa indefinita di uomini disarmati e incompetenti che si lanciavano in battaglia per poi ritirarsi quasi immediatamente.
Non vi era onore in loro.
Ludwig li guardava dalla sua sedia in legno posta sul portico della casa di famiglia, da lì infatti aveva un’ottima visuale di chi andava e veniva nella sua città natale, nota per essere assolutamente monotona e noiosa. Non che lui fosse lì per sua spontanea volontà anzi, se fosse stato per Ludwig sarebbe già sui campi di battaglia magari in Francia o in Polonia e invece no, lui doveva rimanere lì. Relegato tra quelle mura domestiche si sentiva come un leone in gabbia, lui non era fatto per rimanere inattivo mentre i suoi compagni combattevano sui vari fronti europei, eppure con una gamba fuori uso e la vista ridotta, non poteva più essere d’aiuto all’esercito.
Ogni sera, quando i rumori della casa si zittivano, Ludwig chiudeva gli occhi ripensando a quegli ultimi giorni passati al fronte. Ricordava di quella mattina quando si era offerto volontario per condurre le truppe attraverso il territorio nemico guidando uno dei loro carri armati migliori, ma questo non era bastato. Le bombe dei nemici li avevano colti di sorpresa e per pura casualità una di queste era caduta proprio sopra di lui. Da allora non riusciva più a camminare bene, ogni tanto il braccio destro si intorpidiva dolorosamente, la vista si annebbiava e la luce artificiale gli era insopportabile. Ma uno delle conseguenze peggiori erano gli incubi che doveva sopportare ogni notte.
Ormai non c’era più posto per lui nell’esercito ne tanto meno nelle vita comune, era costretto a vivere sulle spalle della propria famiglia e questo era ancora più insopportabile del dolore fisico.  

 


 Ecco arrivati gli italiani.
La fronte aggrottata, gli occhi celesti carichi di ira, le mani che si contraggono con rabbia attorno alla gruccia. Ludwig guarda quegli uomini dall’aria spaurita mentre scendono dal treno per poi essere caricati sui camion che li porteranno in seguito ai campi di lavoro. Non prova compassione per loro, dopotutto erano solo dei traditori.
Ludwig lo aveva sempre saputo, aveva intuito fin da subito che degli italiani non c’era da fidarsi. Quando era andato a combattere in Russia aveva avuto a che fare con quegli smidollati, non avevano fatto altro che chiacchierare del più e del meno, scrivere lettere, lamentarsi delle condizioni rigide dell’inverno russo, per non parlare poi di quando li aveva visti combattere. Un vero disastro. Una massa indefinita di uomini disarmati e incompetenti che si lanciavano in battaglia per poi ritirarsi quasi immediatamente.
Non vi era onore in loro.
Ludwig li guardava dalla sua sedia in legno posta sul portico della casa di famiglia, da lì infatti aveva un’ottima visuale di chi andava e veniva nella sua città natale, nota per essere assolutamente monotona e noiosa. Non che lui fosse lì per sua spontanea volontà anzi, se fosse per Ludwig sarebbe già sui campi di battaglia magari in Francia o in Polonia e invece no, lui doveva rimanere lì. Relegato tra quelle mura domestiche si sentiva come un leone in gabbia, lui non era fatto per rimanere inattivo mentre i suoi compagni combattevano sui vari fronti europei, eppure con una gamba fuori uso e la vista ridotta, non poteva più essere d’aiuto all’esercito.
Ogni sera, quando i rumori della casa si zittivano, Ludwig chiudeva gli occhi ripensando a quegli ultimi giorni passati al fronte. Ricordava di quella mattina quando si era offerto volontario per condurre le truppe attraverso il territorio nemico guidando uno dei loro carri armati migliori, ma questo non era bastato. Le bombe dei nemici li avevano colti di sorpresa e per pura casualità una di queste era caduta proprio sopra di lui. Da allora non riusciva più a camminare bene, ogni tanto il braccio destro si intorpidiva dolorosamente, la vista si annebbiava e la luce artificiale gli era insopportabile. Ma uno delle conseguenze peggiori erano gli incubi che doveva sopportare ogni notte.
Ormai non c’era più posto per lui nell’esercito ne tanto meno nelle vita comune, era costretto a vivere sulle spalle della propria famiglia e questo era ancora più insopportabile del dolore fisico.  
Ecco arrivati gli italiani.
La fronte aggrottata, gli occhi celesti carichi di ira, le mani che si contraggono con rabbia attorno alla gruccia. Ludwig guarda quegli uomini dall’aria spaurita mentre scendono dal treno per poi essere caricati sui camion che li porteranno in seguito ai campi di lavoro. Non prova compassione per loro, dopotutto erano solo dei traditori.
Ludwig lo aveva sempre saputo, aveva intuito fin da subito che degli italiani non c’era da fidarsi. Quando era andato a combattere in Russia aveva avuto a che fare con quegli smidollati, non avevano fatto altro che chiacchierare del più e del meno, scrivere lettere, lamentarsi delle condizioni rigide dell’inverno russo, per non parlare poi di quando li aveva visti combattere. Un vero disastro. Una massa indefinita di uomini disarmati e incompetenti che si lanciavano in battaglia per poi ritirarsi quasi immediatamente.
Non vi era onore in loro.
Ludwig li guardava dalla sua sedia in legno posta sul portico della casa di famiglia, da lì infatti aveva un’ottima visuale di chi andava e veniva nella sua città natale, nota per essere assolutamente monotona e noiosa. Non che lui fosse lì per sua spontanea volontà anzi, se fosse per Ludwig sarebbe già sui campi di battaglia magari in Francia o in Polonia e invece no, lui doveva rimanere lì. Relegato tra quelle mura domestiche si sentiva come un leone in gabbia, lui non era fatto per rimanere inattivo mentre i suoi compagni combattevano sui vari fronti europei, eppure con una gamba fuori uso e la vista ridotta, non poteva più essere d’aiuto all’esercito.
Ogni sera, quando i rumori della casa si zittivano, Ludwig chiudeva gli occhi ripensando a quegli ultimi giorni passati al fronte. Ricordava di quella mattina quando si era offerto volontario per condurre le truppe attraverso il territorio nemico guidando uno dei loro carri armati migliori, ma questo non era bastato. Le bombe dei nemici li avevano colti di sorpresa e per pura casualità una di queste era caduta proprio sopra di lui. Da allora non riusciva più a camminare bene, ogni tanto il braccio destro si intorpidiva dolorosamente, la vista si annebbiava e la luce artificiale gli era insopportabile. Ma uno delle conseguenze peggiori erano gli incubi che doveva sopportare ogni notte.
Ormai non c’era più posto per lui nell’esercito ne tanto meno nelle vita comune, era costretto a vivere sulle spalle della propria famiglia e questo era ancora più insopportabile del dolore fisico.  
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 3. La dura vita che un IMI deve sopportare ***


Titolo: IMI, n. 17061
Titolo capitolo: La dura vita che un IMI deve sopportare
Personaggi: Nord Italia
Genere: drammatico, storico
Avvertimenti: AU
 

La dura vita che un IMI deve sopportare

 

Un prigioniero di guerra, ecco cos’era. Anzi no, un Italienische Militär-Internierten, un IMI. Più precisamente il numero 17061, uno dei tanti che lavorava presso l’industria bellica tedesca.
Fin dal loro arrivo i soldati nazisti avevano urlato ordini in tedesco, minacciato con le loro armi e percosso duramente chiunque trasgredisse ogni minima regola, persino il non rispondere prontamente ai vari appelli giornalieri risultava rischioso. Per Feliciano la vita era diventata insopportabilmente difficile, il lavoro nella fabbrica di proiettili era rischiosa e i soldati di guardia non smettevano un minuto di osservarli, i letti erano scomodi, le coperte troppo corte per coprirli dal freddo notturno e il cibo che servivano era immangiabile, soprattutto cime di rape, per questo alcuni suoi compagni si erano dati alla caccia di piccoli insetti e animali come i ratti, giusto per riempirsi un po’ lo stomaco.
Le loro giornate trascorrevano ormai monotone: partivano dalla scarsa colazione composta da una tazza di acqua nera, probabilmente caffè, per poi continuare il tragitto lungo cinque chilometri diretti alla fabbrica dove si lavorava instancabilmente per tredici ore. La minima esitazione non era permessa, chi dava segni di cedimento e veniva scoperto poteva considerarsi finito, arrivavano i soldati tedeschi e lo facevano sparire. Letteralmente
Non c’era voluto molto a Feliciano per capire la realtà della situazione: bastava guardare in volto i soldati nazisti per vedere quanto odio provavano verso di loro per il semplice fatto che fossero italiani. Persino negli abitanti della città, quando vi passavano durante il tragitto verso la fabbrica, aveva intravisto l’odio nei loro occhi. Solitamente, però, appena i prigionieri arrivavano, distoglievano lo sguardo quasi disgustati. Tutti tranne uno. Era sempre al solito posto, lo sguardo freddo e duro, e accanto lui una gruccia che, al loro passaggio, stringeva talmente forte da fargli diventare le nocche bianche.
Eppure Feliciano si considerava una brava persona, non aveva mai fatto del male a nessuno.

Ogni giorno, quando tornavano dalla fabbrica, era concesso loro un’ora di libertà limitata ad un cortile recintato dal filo spinato. Alcuni dei suoi compagni si radunavano tutti in un posto discutendo su come scappare, su come resistere alle violenze subite o di come contattare l’Italia ma tutti i loro progetti finivano miseramente all’ordine di rientrare nei dormitori.
Feliciano non li ascoltava nemmeno, troppo impegnato a guardare il paesaggio che si stagliava oltre quella prigione. Oltre al panorama, però, Feliciano stava osservando anche qualcos’altro quel giorno: la figura di un uomo biondo che si stava avvicinando minacciosamente verso di lui. 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 4. Ciao! ***


Titolo: IMI, n. 17061
Titolo capitolo: Ciao!
Personaggi: Germania
Genere: drammatico, storico
Avvertimenti: AU
Note: per motivi di chiarezza, i dialoghi scritti in corsivo saranno le frasi pronunciate in lingua originale(o almeno ci si prova) per questo motivo se il capitolo è incentrato su Feliciano le frasi in corsivo saranno quelle in tedesco, e viceversa quelle riguardante i POV di Ludwig. Spero di essere stata abbastanza chiara, per qualsiasi dubbio chiedete pure!^^

 

Ciao!
 


Per giorni e giorni aveva seguito con lo sguardo i loro spostamenti, contraendo il braccio intorno alla gruccia di ferro ogni volta che li vedeva marciare diretti alle fabbriche. Ludwig non poteva farci niente, non riusciva a ignorare quel rumore di passi provenienti appena fuori dalla finestra della propria casa. Era più forte di lui, doveva uscire e guardare in volto quei miserabili traditori che avevano dato il via alla caduta della Germania. Non sapeva nemmeno lui cosa cercasse esattamente nei loro volti, forse rimorso, vergogna, spavalderia ma non aveva visto niente di tutto ciò, solamente la disperazione appariva sui loro volti stanchi ed emaciati.
Aveva sentito dire che alcuni dei prigionieri erano già morti di fame, di freddo e di malattia ma che non c’era da preoccuparsi, presto sarebbero arrivate altre braccia da oltre le Alpi, probabilmente civili.
A Ludwig non interessava molto delle questioni riguardanti le fabbriche, non gli interessava nemmeno se qualcuno di loro moriva, l’unica cosa che gli importava era che quei Spaghettifresser [1] pagassero per il loro tradimento e per assicurarsi che ciò accadesse anche all'interno del campo di lavoro si era assunto il compito di ispezionarlo personalmente, per questo motivo si era fatto forza e aveva raggiunto la recinzione della loro prigione. Si era avvicinato alla rete claudicando vistosamente cercando di non pensare al dolore che gli procuravano la gamba e il braccio; per lui, in quel momento, c’era solo il volto di quell’italiano affacciato verso l’esterno del campo con la fronte appoggiata alla rete metallica. Ad una prima occhiata sembrava piuttosto giovane, forse della sua stessa età, gli occhi aperti e spaventati, il volto pallido e scavato, la divisa sporca e strappata. Lo guardava dritto negli occhi, probabilmente incuriosito che uno sconosciuto si avvicinasse così tanto al loro campo di prigionia. 
- Verräter! [2]- disse Ludwig, quasi spuntandolo.
Il ragazzo italiano però non rispose all’insulto, rimase dov’era, incapace di ribattere all’offesa, così fece l’unica cosa che Ludwig non si sarebbe mai aspettato, soprattutto da parte di un prigioniero nemico.
- Ciao!- disse il ragazzo, sorridendogli amichevolmente.
Ludwig rimase spiazzato.

L’inaspettata cordialità del giovane e il suo disarmante sorriso lo avevano completamente disorientato. Senza più dire una parola, il tedesco si voltò e con quanta più forza possibile corse verso casa, lontano da quel soldato italiano. 


[1] mangia-spaghetti
[2] traditore


 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** 5. Un regalo per il nemico ***


Titolo: IMI, n. 17061
Titolo capitolo: Un regalo per il nemico
Personaggi: Nord Italia
Genere: drammatico, storico
Avvertimenti: AU
Note: per motivi di chiarezza, i dialoghi scritti in corsivo saranno le frasi pronunciate in lingua originale(o almeno ci si prova) per questo motivo se il capitolo è incentrato su Feliciano le frasi in corsivo saranno quelle in tedesco, e viceversa quelle riguardante i POV di Ludwig. Spero di essere stata abbastanza chiara, per qualsiasi dubbio chiedete pure!^^
 


Un regalo per il nemico
 

Era scappato senza dire più una parola. Feliciano era rimasto lì ad osservarlo mentre lo strano tedesco se ne tornava in città zoppicando con difficoltà.
Da quel giorno lo sconosciuto tornò più volte al campo; Feliciano lo guardava con aria curiosa dalla sua parte di rete e trovava alquanto buffo e ironico come un giovane così robusto, alto, biondo, così tedesco, potesse nascondersi per osservarlo. Quando si erano incontrati la prima volta, l’italiano aveva avuto piuttosto soggezione di quell’enorme omone che lo aveva guardato in cagnesco, poi però si era ricordato dei consigli che gli aveva dato suo nonno quando era piccolo: “essere sempre gentile e regalare un sorriso anche a chi non si conosce”, e così aveva fatto. Purtroppo, però, lì in Germania dovevano avere tradizioni diverse poiché il suo interlocutore era scappato via a gambe levate.
Nonostante lo strano episodio, Feliciano guardava ogni giorno da quella rete e immancabilmente, verso la stessa ora, faceva capolino il volto del tedesco. Qualche volta camminava con aria distratta davanti alla recinzione per poi fermarsi a guardarlo solo un paio di secondi prima di continuare il suo tragitto, altre volte invece sembrava che venisse appositamente lì per osservarlo. Si appoggiava al tronco di un albero vicino e all’ombra delle foglie, rimaneva immobile con lo sguardo fisso nel suo. Da quel semplice “ciao” non si erano più detti nulla, non che l’uno potesse capire cose dicesse l’altro.
A furia di osservarsi a vicenda, Feliciano aveva memorizzato ogni tratto di quel volto così spigoloso e serio tanto da averlo spinto, dopo tanto tempo, a prendere carta e matita, che segretamente era riuscito a nascondere alle ispezioni dei soldati nazisti. Senza nemmeno accorgersene si era ritrovato tra le mani uno schizzo del volto dello sconosciuto, più che un ritratto, una caricatura. Al solo vederla Feliciano sorrideva divertito, più che altro perché era riuscito a raffigurare quel cipiglio severo che lo caratterizzava incorniciandolo in un viso eccessivamente squadrato. Ai soldati tedeschi però, non piaceva che gli internati prendessero in giro uno dei loro, per questo motivo teneva il disegno accuratamente nascosto nella tasca interna della propria divisa in modo da poterlo guardare poco prima di dormire, giusto un sorriso prima di addormentarsi.
Qualche tempo dopo, Feliciano aveva deciso da sé che era giunto il momento di intrecciare un qualsiasi genere di comunicazione con il tedesco, almeno da crearsi un amico dall’altra parte della recinzione.
Armatosi di coraggio, e assicuratosi che le guardie fossero abbastanza lontane da non poterlo sentire, l’italiano cercò con lo sguardo il tedesco, seduto sotto l’albero come suo solito, mentre lo guardava con aria seria.

- Hey, Deutsch! Ho un regalo per te!- bisbigliò Feliciano, più forte che poté. 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** 6. Non capisco ***


Titolo: IMI, n. 17061
Titolo capitolo: Non capisco
Personaggi: Germania
Genere: drammatico, storico
Avvertimenti: AU
Note: per motivi di chiarezza, i dialoghi scritti in corsivo saranno le frasi pronunciate in lingua originale(o almeno ci si prova) per questo motivo se il capitolo è incentrato su Feliciano le frasi in corsivo saranno quelle in tedesco, e viceversa quelle riguardante i POV di Ludwig. Spero di essere stata abbastanza chiara, per qualsiasi dubbio chiedete pure!^^
 


Non capisco
 

Ludwig rimase stupito nel sentire la voce dell’italiano, ormai erano passate alcune settimane da quando si erano incontrati la prima volta e da allora aveva osservato da lontano lui e il suo gruppo. Aveva notato che gli italiani, nonostante le dure ore di lavoro nelle fabbriche, a fine giornata avevano ancora abbastanza energie per discutere e giocare a qualche passatempo durante la loro ora di libertà, e la cosa lo aveva alquanto stupito e irritato.
Perso nei suoi pensieri, Ludwig non si accorse degli strani movimenti che l’italiano stava facendo da dietro la rete, per questo, quando lo chiamò con insistenza, lo colse di sorpresa. Sembrava dicesse qualcosa in italiano ma ovviamente lui non riusciva a capire. Probabilmente conscio del problema linguistico, il ragazzo cominciò a gesticolare freneticamente sventolando qualcosa di simile ad un foglio. Ludwig  si avvicinò incuriosito alla recinzione, venendo accolto dallo sguardo felice dell’italiano.
Quando furono faccia a faccia, il nemico allungò un braccio verso di lui consegnandoli l’oggetto che cercava di mostrargli poco prima. Ludwig lo afferrò piuttosto dubbioso. Aprì con cautela il foglio ripiegato più  volte su se stesso, e con sua grande sorpresa vi trovo disegnato all’interno il suo volto rappresentato in maniera davvero buffa. Ludwig guardò il foglio, poi il ragazzo. Successivamente, consapevole di quanto raffigurato su quel misero pezzo di carta, guardò con ira il soldato italiano.
- Was ist das?! [1]-
Il ragazzo però non rispose, anzi, continuò a sorridergli sereno. Spazientito, Ludwig gli sventolò sotto il naso l’oggetto incriminato ripetendo la domanda. Questa volta l’italiano sembrava aver compreso l’interrogativo del tedesco e con tono tranquillo e quasi divertito, rispose: - Questo è un regalo.-
Un cosa? Ludwig non capiva cose stesse dicendo quel miserabile traditore.
- Ora siamo amici, vero?- continuò l’italiano.

- Was? Halt die Klappe[2]!- cercò di zittirlo Ludwig, ma al ragazzo non sembrava importare.
- Io sono Feliciano, e tu come ti chiami?- Ludwig non sapeva più che fare: parlare con lui era impossibile, non si capivano, e urlargli contro non serviva a niente. L’unico modo era quindi assecondarlo ma non capiva che volesse da lui, insultarlo forse? Se fosse stato veramente così c’era già riuscito con quello scarabocchio tutt’altro che lusinghiero.
- Io- lo riportò alla conversazione l’italiano, indicandosi con il dito – Feliciano. Tu?- domandò nuovamente, puntando questa volta l’indice verso il tedesco. A quanto pareva il nemico voleva sapere il suo nome, chissà poi perché. Alla fine però, con un gran sospiro, il ragazzo biondo rispose alla domanda.
- Ich bin Ludwig.[3]


[1] Cos'è questo?
[2] Chiudi il becco!
[3] Io sono Ludwig.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** 7. Non voglio uccidere mio fratello ***


Titolo: IMI, n. 17061
Titolo capitolo: Non voglio uccidere mio fratello
Personaggi: Nord Italia
Genere: drammatico, storico
Avvertimenti: AU

Non voglio uccidere mio fratello
 


 

Quel giorno pioveva a dirotto, la strada sterrata era diventata un pantano ostile a quei soldati italiani che faticosamente cercavano di arrancare verso i loro dormitori dopo un'estenuante giornata di lavoro in fabbrica.
Giunti finalmente nelle proprie camerate, i soldati si distesero  scompostamente sui loro letti a castello alla ricerca di qualche attimo di pace dai loro aguzzini ma questa piccola tregua durò ben poco, poiché i soldati nazisti arrivarono con fare autoritario ordinando loro di mettersi in riga. Questi cominciarono a parlare velocemente in tedesco, ovviamente ben pochi capirono, poi, quando finirono il loro discorso, consegnarono un foglio ciascuno e uscirono velocemente. Feliciano guardò il pezzo di carta che aveva tra le mani, un modulo da compilare in cui bisognava indicare con una crocetta una delle due opzioni: entrare nelle SS o nella Repubblica Sociale Italiana. Piuttosto confuso, il ragazzo si guardò attorno osservando i volti dei suoi compagni anche loro sconcertati. I soldati di grado maggiore discutevano tra loro su cosa fare, chi invece era un soldato semplice come Feliciano si lambiccava il cervello alla ricerca di una possibile risposta o via di fuga. D’un tratto, uno di loro si diresse verso la porta, raccolse la penna lasciata cadere da uno dei soldati nazisti e annerì una delle caselle. Il resto della camerata lo guardò ad occhi sgranati senza dire una parola.
- Perché mi guardate così?- domandò il soldato. –Io non resisto più in questo posto. Voglio tornarmene a casa, in Italia!-Detto questo si avvicinò al proprio letto posto vicino a quello di Feliciano, e con quanto più fretta possibile, raccolse i suoi miseri averi.
Feliciano lo guardò con aria interrogativa, probabilmente accortosi dello suo sguardo, il soldato si voltò verso di lui. Sembrò studiarlo attentamente, poi si avvicinò al suo volto e gli disse a bassa voce per non farsi sentire dagli altri camerati: - Firma anche te ragazzo. Se rimarrai qui morirai di sicuro, se invece accetti le loro condizioni potrai tornartene dalla tua famiglia.-
La sua famiglia. Il volto di Feliciano si rabbuiò per qualche istante pensando a ciò che rimaneva della propria famiglia, cioè niente. Solo suo fratello era sopravvissuto alle intemperie della guerra ma lui non era certo a casa ad aspettare l’arrivo del suo fratellino. Feliciano conosceva abbastanza bene Lovino da sapere che non si sarebbe mai alleato con i “testa a patata”, come gli definiva lui. Suo fratello mal sopportava le costrizioni che venivano imposte nell’esercito, per questo motivo aveva disertato appena due settimane dopo essere stato arruolato, circa un anno prima; probabilmente a quest’ora era nascosto sulle montagne insieme ai partigiani, pronti a causare problemi ai tedeschi. Firmare quel foglio di adesione significava entrare nuovamente in guerra e lui era troppo stanco per farla, inoltre avrebbe comportato un inevitabile scontro tra partigiani e repubblicani di Salò, per questo motivo firmare quel foglio significava andare in guerra contro Lovino.
- Mi dispiace- rispose Feliciano. – ma non credo firmerò. Non voglio uccidere mio fratello.- 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** 8. Disprezzo e amore ***


Titolo: IMI, n. 17061
Titolo capitolo: Disprezzo e amore
Personaggi: Germania
Genere: drammatico, storico
Avvertimenti: AU
 

Disprezzo e amore
 

 

Scansafatiche, pigri, lazzaroni, incapaci di lavorare adeguatamente. Erano sempre questi gli aggettivi che la gente usava per descriverli. In città non si faceva altro che parlare degli IMI, raccontando fatti e aneddoti su di loro, qualche volta anche ingigantendoli.
Chi chiacchierava malignamente alle loro spalle erano soprattutto quegli uomini scorbutici che si radunavano al pub ogni sera, si crogiolavano nel dolore che gli italiani erano costretti a sopportare e incitavano i loro carcerieri a punirli ancora più duramente. L’alcool faceva decisamente effetto su questi uomini, lo sapeva soprattutto Ludwig, il cui padre era un noto frequentatore di pub. L’uomo aveva sempre dimostrato una vera e propria avversione verso l’Italia  e gli italiani, nessuno sapeva da cosa fosse nato quest’odio, fatto sta che fosse compiaciuto della svolta che aveva preso la guerra. La sera, quando tornava dal lavoro, si sedeva pesantemente a tavola e impugnando il bicchiere di birra, raccontava cosa aveva sentito alla radio quel giorno, di come il loro esercito stesse invadendo l’Italia facendo prigionieri e vittime in tutta la Penisola. Rideva sguaiatamente delle loro sventure e della loro sofferenza, parlava di un nuovo futuro per quel Paese pieno di gente senza senso etico, priva di spina dorsale e dedita solo al mangiar pasta.

Ludwig ascoltava svogliato le parole del padre, lo stesso che lo aveva accolto a suon di insulti quando era stato congedato e rimandato a casa per vie delle gravi ferite subite in battaglia. Un figlio inutile della Germania era un figlio inutile anche per lui; poichè gamba e braccio non rispondevano più bene, era inutile come un animale da soma azzoppato. Ludwig si era sentito ferito da quelle parole ma era rimasto impassibile a quegli insulti dimostrando una freddezza quasi glaciale, solo sua madre Ingela aveva intuito e compreso il dolore del figlio, prendendosene cura amorevolmente come solo una madre poteva fare.
Ingela non era sempre stata  una comune casalinga in un’anonima città della Germania, quand’era poco più di una bambina aveva vissuto presso l’ambasciata tedesca di Roma, al temo in cui suo padre vi lavorava come segretario. Sua madre amava raccontare episodi della sua infanzia passata nella Città Eterna, di quando passeggiava per le vie di Trastevere o di quando si affacciava alla finestra di notte, ascoltando il rumore della città e il suono di qualche chitarra accompagnata da canti romaneschi. Amava l’Italia e gli italiani, nemmeno i vari conflitti avevano affievolito il suo amore.
Ma ora, all’alba del tradimento dell’ex alleato, Ingela non poteva più pronunciare una qualsiasi parola che ricordasse l’Italia, suo marito lo aveva messo bene in chiaro.
   



 Angolo dell'Autrice
Giusto per introdurre un nuovo personaggio ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** 9. Perchè mi hai ignorato? ***


Titolo: IMI, n. 17061
Titolo capitolo: Perchè mi hai ignorato?
Personaggi: Nord Italia
Genere: drammatico, storico
Avvertimenti: AU
Note: per motivi di chiarezza, i dialoghi scritti in corsivo saranno le frasi pronunciate in lingua originale(o almeno ci si prova) per questo motivo se il capitolo è incentrato su Feliciano le frasi in corsivo saranno quelle in tedesco, e viceversa quelle riguardante i POV di Ludwig. Spero di essere stata abbastanza chiara, per qualsiasi dubbio chiedete pure!^^
 


Perchè mi hai ignorato?
 


L’ennesimo giorno di lavoro nella fabbrica della morte, l’ennesima marcia verso il campo, l’ennesima volta che passavano tra le vie cittadine sotto lo sguardo accusatorio della gente. Camminavano stretti tra le guardie del campo come in un corridoio che li divideva dal resto del mondo, come affetti da qualche malattia e allo stesso tempo esposti agli occhi di tutti, alla stregua di fenomeni da baraccone. Ormai Feliciano non faceva più caso ai loro occhi sprezzanti, troppo stanco per alzare lo sguardo. No, lui guardava le loro abitazioni accoglienti e i vestiti dall’aria calda e confortevole che indossavano non come la sua divisa militare, quella stessa data in dotazione alle truppe sul fronte greco nell’estate del ‘43, troppo leggera per proteggere dal freddo inverno nordico che si stava avvicinando inesorabilmente verso di loro.
Passo dopo passo, Feliciano procedette lungo la strada fino a quando non  alzò lo sguardo da terra, incrociando così un paio di occhi azzurri che lo stavano scrutando. Quando li riconobbe, il viso sporco di Feliciano si aprì in un sincero e luminoso sorriso diretto al tedesco che lo stava osservando con aria truce, come suo solito.
- Ciao Ludw…- iniziò Feliciano, interrompendosi a metà nome.
Ludwig, infatti, nel sentire la voce squillane del ragazzo, aveva girato il volto in un’altra direzione fingendo di non conoscerlo.
Il sorriso di Feliciano vacillò per un attimo per poi piegarsi inevitabilmente in un’espressione affranta e dispiaciuta; le labbra tremarono,  qualcosa in gola sembrò fermarsi,  gli occhi cominciarono a bruciare e mille domande iniziarono ad affollarsi nella sua mente.
- Mach schnell! [1]- urlò uno dei soldati, colpendo Feliciano con il calcio del fucile per farlo avanzare.
Il colpo subito lo fece barcollare per un istante, accorgendosi però che le guardie si stavano irritando, cercò di riacquistare l’equilibrio il più velocemente possibile. In pochi secondi Feliciano era di nuovo dietro  ai suoi compagni, intenti a procedere verso il campo di lavoro.
Quella notte, mentre i propri compari di sventure erano assopiti profondamente già da alcune ore, Feliciano era ancora sveglio, si rigirava continuamente nel letto pensando e ripensando, continuando a rivivere la scena svoltasi alcune ore prima.
Lui non capiva. Perché Ludwig aveva fatto di finta di non conoscerlo? Eppure Feliciano pensava che ormai avesse superato quella fase di iniziale diffidenza che aveva provato verso di lui, forse si potevano  definire addirittura amici, sebbene la loro potesse considerarsi un’amicizia piuttosto strana nella quale l’italiano parlava la propria lingua, ogni tanto pronunciando qualche parola dal suono tedesco, abbellendolo da una grande ed energica gestualità con lo scopo di enfatizzare il tutto; dal canto suo invece, Ludwig lo osservava con aria sconcertata cercando di capire cosa stesse cercando di comunicargli l’italiano.
Nonostante tutto però, Feliciano non capiva cosa avesse fatto di tanto sbagliato per giustificare una tale reazione da parte di Ludwig. Nell’oscurità silenziosa della propria camerata, il giovane italiano continuava a chiedersi perché il suo nuovo amico lo avesse ignorato. 


[1] Sbrigati!

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** 10. Ormai per me, tu sei Feliciano ***


Titolo: IMI, n. 17061
Titolo capitolo: Ormai per me, tu sei Feliciano
Personaggi: Germania
Genere: drammatico, storico
Avvertimenti: AU
Note: per motivi di chiarezza, i dialoghi scritti in corsivo saranno le frasi pronunciate in lingua originale(o almeno ci si prova) per questo motivo se il capitolo è incentrato su Feliciano le frasi in corsivo saranno quelle in tedesco, e viceversa quelle riguardante i POV di Ludwig. Per rende la vita più facile a voi,  e soprattutto a me, ho pensato di scrivere i dialoghi in italiano nonostante non sia la loro lingua, ciò avverrà solo in determinati capitoli come in questo. Spero di essere stata abbastanza chiara, per qualsiasi dubbio chiedete pure!^^
 


Ormai per me, tu sei Feliciano
 


Stupido idiota.
Ludwig lo aveva osservato dall’uscio della propria dimora intravedendolo in quella marea di teste brune e volti sudici, seguendo con lo sguardo i suoi movimenti, aveva speranto in cuor suo che questi non lo notasse.

- Ciao Ludw…-
Ecco le fatidiche parole, le uniche che non avrebbe mai voluto sentir pronunciate da quelle labbra. Appena aveva udito quelle poche parole, Ludwig si era girato di scatto facendo finta di niente. Stupido idiota italiano, ma non si rendeva conto quale pericolo potesse comportare per lui far sapere in giro che aveva una qualsivoglia relazione con un internato italiano?
Con la coda dell’occhio, Ludwig vide il volto dispiaciuto di Feliciano ed una strana e incomprensibile stretta al cuore lo colpì in pieno petto. Vide poi il colpo infertogli da uno dei soldati, un attimo di confusione e poi via, verso il campo di lavoro. Qualcosa dentro di lui faceva molto male, sentiva che i sensi di colpa lo stavano accerchiando per farlo sprofondare in una grande e fastidiosa inquietudine.
- Ludwig- lo chiamò una voce femminile. – cosa fai qui fuori?-
L’interessato si voltò verso la madre, posta sotto l’arco della porta d’ingresso, lo guardava con aria preoccupata, come faceva sempre negli ultimi tempi. Ludwig scosse la testa in segno di diniego, sia per rispondere alla madre che per scacciare dalla mente il volto triste dell’italiano.
- Sei sicuro di star bene? Hai l’aria pensierosa.-
- Si, sono sicuro.- non aveva voglia di discutere con Ingela, non in quel momento almeno, altri pensieri lo tenevano impegnato.
Feliciano. Che strano nome, era anche piuttosto difficile da pronunciare. Eppure gli risultava semplice pensare a lui chiamandolo “Feliciano” e non più “l’italiano” o “il traditore”. Si stava decisamente ammorbidendo, chiamare una persona col proprio nome significava dare una personalità e una libertà che non avresti mai dato ad semplice italiano. Ma ormai era troppo tardi, aveva concesso a quel ragazzo, a Feliciano, la possibilità di scalfire ed entrare nei propri pensieri.
Riviveva la scena come uno spettatore esterno continuando a ripetersi quanto fosse stato sciocco e villano, che idiota. E invece Feliciano, come l’avrà presa? Pensò Ludwig; da quel poco che conosceva di lui, sapeva che era un ragazzo piuttosto emotivo ma anche allegro, sicuramente non si stava angustiando, non tanto quanto Ludwig almeno. Forse, però, delle scuse erano d'obbligo, ma come dirgliele se non capiva il tedesco? D’un tratto una lampadina sembrò accendersi nella sua testa, sua madre probabilmente conosceva qualche parola in italiano! E un regalo? Quando ci si presenta per delle scuse non si portano forse dei doni, e se sì, che genere di regalo andava bene per Feliciano?
Sì, si stava decisamente rammollendo e questo non andava per niente bene.
  
 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** 11. Un paio di guanti ruvidi ***


Titolo: IMI, n. 17061
Titolo capitolo: Un paio di guanti ruvidi
Personaggi: Nord Italia
Genere: drammatico, storico
Avvertimenti: AU
Note: per motivi di chiarezza, i dialoghi scritti in corsivo saranno le frasi pronunciate in lingua originale(o almeno ci si prova) per questo motivo se il capitolo è incentrato su Feliciano le frasi in corsivo saranno quelle in tedesco, e viceversa quelle riguardante i POV di Ludwig. Spero di essere stata abbastanza chiara, per qualsiasi dubbio chiedete pure!^^


Un paio di guanti ruvidi

 

Tra poco si sarebbe messo a nevicare poichè, già da alcuni giorni, nuvole scure coprivano quel freddo cielo invernale. Le guardie si erano premunite con pesanti cappotti e avevano acceso qua e là alcuni focolai per riscaldarsi, ovviamente riservati esclusivamente a loro.
Feliciano passeggiava all’interno del cortile esterno senza uno scopo preciso, il volto infossato nel colletto della divisa mentre le mani scorrevano frenetiche sulle braccia scoperte nel vano tentativo di riscaldarsi. Altri come lui, soldati provenienti dai fronti greco e africano, condividevano lo stesso male, dormivano rannicchiati l’uno contro l’altro sperando di allontanare da sé la minaccia sempre più concreta dell’ipotermia. Alcuni dei suoi compagni erano già morti nel silenzio della notte, senza creare troppe complicazioni ai loro carcerieri, uomini dalla mano veloce e dalla pazienza ridotta. Lo sapevano soprattutto quei poveracci che per sfortuna erano incappati in malattie o mutilazioni sul lavoro: invocavano il soccorso della Croce Rossa, di un’ infermiera, di un aiuto qualsiasi per poi pregare, infine, la morte. Loro sì che erano un problema per quelle guardie carcerarie che la notte passavano a far la ronda, sentivano le urla, le imprecazioni in italiano e i rumori dei letti cigolanti dei compagni vicini accorsi per aiutare l’amico. Tutto questo era solo causa di disordine.
Feliciano continuò a camminare lungo il perimetro del cortile, senza meta e senza logica, camminava e basta giusto per non sentire le conversazioni dei compagni e i leggeri fiocchi di neve che proprio in quel momento stavano cadendo leggeri su di loro. D’un tratto però, un sassolino colpì la gamba di Feliciano; piuttosto disorientato l’italiano si guardò attorno cercando di capire da dove provenisse.
- Feliciano!-
Il ragazzo si voltò in direzione della voce che lo aveva chiamato con tono sommesso, riconoscendo in quelle consonanti dure l'accento tedesco di Ludwig, nascosto dietro uno dei pilastri di cemento.
Il suo volto era seminascosto nell’ombra ma i suoi occhi, azzurri e limpidi, ne illuminavano il volto anche se questi cercavano di sfuggire dallo sguardo curioso del ragazzo. Feliciano si era ormai avvicinato, un po’ timoroso e un po’ eccitato all’idea che fosse ritornato da lui; aspettava una qualche reazione da parte di Ludwig che intanto si stava rigirando tra le mani un foglietto stropicciato come se fosse indeciso su cosa fare. Poi, con un gran rossore sulle guance, corrugò la fronte come se quello che stesse per dire fosse terribilmente difficile da pronunciare.
- Mi…disp… dispache… nien… dispiacie per… ieri…*- bofonchiò il biondo, mentre tentava di leggere quel pezzetto di carta.
Feliciano non disse niente, troppo sorpreso nel sentire il tedesco parlare italiano. Non vedendo alcuna reazione da parte del ragazzo, Ludwig frugò prontamente nelle tasche della propria giacca estraendo un pacchetto avvolto in una carta marrone e legato da uno spago.
- Das ist ein Geshenk... für dich…[1]- continuò poi, porgendogli l’oggetto.
Feliciano lo afferrò con entusiasmo come un bambino il giorno di natale, lo scartò velocemente trovando all'interno un paio di ganti marroni dall’aria ruvida ma calda.
- Grazie- disse semplicemente Feliciano, donandogli uno dei suoi sorrisi più luminosi e sinceri. – Danke, Ludwig-


*  Qui Ludwig cerca di parlare italiano e la cosa non è per niente semplice, ecco perchè fa così tante pause e sbaglia alcune parole, non sono io che sono diventata dislessica, forse...^^
[1] Questo è un regalo... per te...


Angolo dell'Autrice

Chiedo umilmente perdono per il terribile ritardo ma questo capitolo non voleva proprio essere scritto, e anche adesso mi sembra un po' così, come se gli mancasse qualcosa... Non vi preoccupate per i prossimi capitoli, sono tutti qui nella mia testa!:D
Fatemi sapere cosa ne pensate,al prossimo capitolo (che si spera arrivi presto)!^^

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** 12. Strane voci poco rassicuranti ***


Titolo: IMI, n. 17061
Titolo capitolo: Strane voci poco rassicuranti
Personaggi: Germania
Genere: drammatico, storico
Avvertimenti: AU
Note: per motivi di chiarezza, i dialoghi scritti in corsivo saranno le frasi pronunciate in lingua originale(o almeno ci si prova) per questo motivo se il capitolo è incentrato su Feliciano le frasi in corsivo saranno quelle in tedesco, e viceversa quelle riguardante i POV di Ludwig.

 

Strane voci poco rassicuranti
 


Qualcosa non andava. Lo poteva leggere chiaramente sul volto di Feliciano. Era da un paio di giorni, ormai, che aveva quell’espressione: non triste, né arrabbiata, né malinconica, semplicemente delusa. Parlava a raffica come al solito raccontando un aneddoto particolarmente esilarante che gli era capitato quando si trovava ancora in Italia, o almeno era questo che aveva capito Ludwig, dato che questi si ostinava a parlare italiano mentre lui, ovviamente, capiva poco o niente. Gli occhi di Feliciano però, quegli occhi sempre così allegri, sembravano bui quel giorno come se qualcuno avesse spento quella particolare luce che lo animava di continuo, rendendolo a volte eccessivamente esuberante.
Intanto, dietro di lui, i suoi compagni d’armi sembravano stranamente rilassati intenti com’erano a fumarsi alcune sigarette nel silenzio del crepuscolo. Altri, invece, si erano appoggiati alla parete dell’edificio, concentrati a leggere le numerose e prolisse lettere provenienti dalle famiglie.
Feliciano, però, non stava facendo niente di tutto questo: non aveva fumato alcuna sigaretta, non aveva letto nessuna lettera, non masticava di nascosto alcuna leccornia come facevano altri IMI pensando di non essere visti da nessuno; no, stava semplicemente giocherellando distratto con i guanti che gli aveva regalato qualche giorno prima.
Strano.
Ludwig non conosceva cosa succedesse esattamente all’interno del campo, anche in città si sapeva poco di ciò che accadeva tra quelle capanne di legno; anche chi vi lavorava non amava parlarne poiché tutto ciò che succedeva in quei luoghi doveva rimanere tale e trasgredire tale regola significava ficcare il naso nei delicati piani del partito, esattamente la stessa storia che veniva raccontata riguardo a quei lager.  Sebbene fossero solo voci, il vago e terribile sospetto che tutto fosse vero s‘insinuava come un serpente tra quei rispettabili cittadini i cui vicini, amici e parenti ebrei, erano scomparsi così misteriosamente nel giro di una notte, portati in stazione e fatti caricare su treni simili a quelli su cui aveva viaggiato lo stesso Feliciano. Alcuni dei suoi compagni al fronte avevano raccontato che all’interno di questi campi esistevano enormi forni e tante docce da ospitare una trentina di persone alla volta, oltre ad un odore nauseabondo che viziava l’aria circostante; ovviamente nessuno di loro aveva creduto a quello ma il dubbio era pur sempre rimasto. Possibile che anche il campo di lavoro della sua città fosse uguale, o almeno simile?

Feliciano, intanto, si era interrotto bruscamente nel sentire avvicinarsi il rombo assordante di alcuni camion. Anche Ludwig si girò in direzione del rumore e vedendoli avvicinarsi sempre più velocemente, decise di andare a nascondersi a qualche metro di distanza per non farsi scoprire. Da dietro il suo nascondiglio, il tedesco osservò come quei vecchi fugoni si fossero fermati a breve distanza dall’ingresso del campo; da dietro scesero, uno dopo l’altro, vari uomini di diversa età alcuni vestiti  da contadini, altri con una divisa militare. Non avevano, però, l’aspetto d’italiani come Feliciano, avevano tutta l’aria di essere francesi.   

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** 13. Nella latrina ***


Titolo: IMI, n. 17061
Titolo capitolo: Nella latrina
Personaggi: Nord Italia
Genere: drammatico, storico
Avvertimenti: AU
 

Nella latrina




Un dolore insopportabile, talmente forte da far male al petto ma le lacrime non sembravano voler scendere sul suo volto. Ma in fondo Feliciano se lo aspettava, doveva aspettarselo almeno, Lovino era troppo occupato a non farsi catturare, sempre se era ancora vivo, e non aveva certo tempo di spedire lettere a quel fratello codardo prigioniero dei tedeschi, figurarsi un pacco contenente cibo, vestiti e quant'altro come ai suoi commilitoni i quali stavano allegramente banchettando con i viveri spediti dalle famiglie. Feliciano sapeva che suo fratello aveva altre cose per la testa ma vedere tutti i suoi compagni così felici e sereni nel vedersi arrivare notizie e regali da casa, lo faceva star male. Fortunatamente c’era Ludwig a tenergli compagnia almeno con lui, per qualche minuto, riusciva a dimenticare tutti i problemi che lo circondavano rendendo più serena e tranquilla la fine della giornata e permettendogli di dormire sogni sereni consapevole che là fuori, oltre quel recinto di filo spinato, lo aspettava qualcuno.
Accidenti. La razione di cibo di quel giorno, una brodaglia che spacciavano per zuppa, doveva avergli fatto indigestione. Un altro crampo allo stomaco, questa volta più forte, tanto da farlo fuggire in quella che si potrebbe definire una “latrina”, in realtà era una piccola casa di legno in cui non esisteva il pavimento, solo qualche asse buttata qua e là dove poter camminare senza sprofondare in quelle deiezioni umane. A Feliciano non piaceva quel posto maleodorante che solo una volta al mese veniva pulito da parte di due sventurati internati, un lavoro ingrato e sporco con il quale si tornava con un orribile puzzo addosso, oltre al pericolo di infettarsi.
Feliciano si posizionò su una trave dall’aria stabile, armeggiò con la cintura e si abbassò i pantaloni.
- Mon Dieu!- Esclamò una voce, facendo sobbalzare Feliciano. - Ce n'est pas une salle de bain. Cela est une porcherie! [1] -
Feliciano si rivestì il più in fretta possibile cercando di passare inosservato agli occhi dello sconosciuto, purtroppo non lo fu abbastanza.
- Oh! Ma guarda un po’ chi abbiamo qui, un italiano!- notò la voce.
Feliciano si immobilizzò sbigottito, stupito che il francese, sebbene con un forte accento, avesse parlato in un italiano molto chiaro. Per questo, con un po’ di imbrazzo per essere stato visto in una situazione così privata, si girò verso lo sconosciuto.
Di fronte a lui un uomo sulla trentina, capelli biondi un po’ lunghi e barbetta incolta. Lo guardava in modo strano, gli occhi azzurri luccicavano di curiosità, sorpresa e qualcos’altro che Feliciano non era riuscito a identificare poichè questo aveva subito cambiato espressione mostrandogli un enorme e amichevole sorriso .
- Non temere petit, non ti farò niente di male- disse il francese, avvicinandosi al ragazzo più giovane. – ah che stupido! Non mi sono ancora presentato, io sono Francis!-   



 [1] Mio Dio! Questo non è un bagno, è un porcile! (by Google traduttore)

 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** 14. Bacio rubato ***


    Titolo: IMI, n. 17061
Titolo capitolo: Bacio rubato
Personaggi: Francia
Genere: drammatico, storico
Avvertimenti: AU

Bacio rubato
 


 

Era quasi sera, ormai.
Ma dove sarà finito quell’italiano? Pensò Francis, battendo il piede destro con impazienza. Aveva dato appuntamento a Feliciano per le otto alle latrine, e ormai erano passati venti minuti buoni.
Francis si passò una mano tra i capelli biondi con fare svogliato ripensando a quel ragazzino incontrato solo il giorno prima. Niente da dire, era sicuramente un bel ragazzino, certamente molto più avvenente di quel branco di beoti con cui si era fatto catturare; forse, anzi no, probabilmente, a quell’ora poteva essere già imbarcato sulla prima nave diretta in Inghilterra e invece grazie a quei pesi morti e all’onorevole patriottismo dei soldati di Vichy si trovava lì, rinchiuso in un lager tedesco, in mezzo  ai famigerati soldati nazisti e cosa ancora peggiore di tutte: obbligato a mangiare cibo tedesco, sempre se così si poteva definire.
- Scusa il ritardo Francis, ma non la finivano più di fare l’appello.-La voce Feliciano ridestò il francese dai propri pensieri facendolo leggermente sobbalzare. Eccolo lì, i capelli castani un po’ spettinati, i grandi occhi castani illuminati da un sorriso misto tra la gioia e la scusa.
Di certo Francis aveva visto uomini e donne oggettivamente più belli di lui, ma c’era una dolcezza quasi infantile in quel giovane italiano tanto da aver fatto breccia nel suo cuore. Francis poteva definire quel sentimento quasi fraterno, di certo non si poteva provare altrimenti verso quella specie di cucciolo abbandonato, ecco perché, quando lo aveva incontrato la prima volta, si era subito offerto di aiutarlo; sapeva infatti che la Croce Rossa non spediva viveri agli internati italiani, come invece succedeva a lui ed altri prigionieri  di diversi Paesi collocati in baracche separate e unicamente collegate tra loro da quello schifo di bagno.
- L’altra volta ho notato che eri un po’ debilitato- fece notare il francese, ridacchiando leggermente rammentando quelle gambe magroline e il fondo schiena bene in vista. Feliciano invece diventò paonazzo, cercando di farsi sempre più piccolo nella sua divisa e distogliendo lo sguardo.Francis gli si avvicinò, appoggiò una mano sulla spalla con fare amichevole per poi porgergli un pezzo di pane secco.
- Questo è per te, prendi.- lo incoraggiò.
- G… grazie Francis!-
-
Ovviamente- continuò il francese, sfoderando un ambiguo sorrisino che inizialmente Feliciano non capì. – questo ha un prezzo. Che ne diresti di un bacio?-Feliciano lo guardò  ad occhi sgranati, aprì la bocca per rispondere ma non riuscì a proferir suono poiché  venne prontamente tappata da quella del francese.






Pensavate che sarebe stato Ludwig ha darglielo, eh? E invece vi ho fregato! >:D

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** 15. Lei sa ***


Titolo: IMI, n. 17061
Titolo capitolo: Lei sa
Personaggi: Germania
Genere: drammatico, storico
Avvertimenti: AU
 

Lei sa
 

- Hai sentito tesoro? Il medico ha detto che tra qualche tempo potrai tornare a camminare come prima!- ripeteva eccitata sua madre appena uscita dallo studio medico.
Una splendida notizia, certo, se non si rischiava di tornare in mezzo alla guerra a farsi sparare nel fondo schiena.
Grazie ai consigli del suo dottore aveva presto ripreso a camminare con le proprie gambe in pochi mesi, egli riteneva infatti che tra qualche tempo, forse per l’inizio della primavera, sarebbe tornato in forze. Il  braccio invece faticava a guarire, già i medici del campo gli avevano detto che era stato fortunato, con una ferita come la sua si faceva in fretta ad amputare.
Ludwig non sapeva come prendere la notizia della sua quasi guarigione. Da una parte un miglioramento come quello significava tornare in guerra sotto i proiettili dei nemici rischiando per l’ennesima volta la vita, magari, viste le sue condizioni, l’avrebbero spedito in qualche ufficio, l’importante era tornare fare qualcosa; ma la vita a casa, quella tranquilla e serena che aveva sempre amato da piccolo, era così difficile da lasciare. Non c’era paragone tra il letto della propria casa e le brande dell’accampamento, e lo stesso valeva per i viveri, le lunghe marce, le fughe preventive appena si udiva il rumore degli aerei nemici in avvicinamento. Come poteva rinunciarvi? Lui faceva parte degli eletti, la guerra faceva parte di loro fin dai tempi più antichi e di certo lui non poteva negare il richiamo alle armi per difendere la propria Patria.
- Allora,Ludwig- lo interrogò Ingela, vedendo che il figlio non reagiva. – Non sei felice? Potrai tornare a fare lo cose che ti piacevano; magari quest’estate, quando tutto sarà finito, potresti andare a fare una gita in bicicletta e portarti dietro il tuo nuovo amico.-
- Co..cosa?!-
Era stupefatto, scioccato, senza parole. Il cervello sembra essersi spento nell’udire quella parola: amico.
- Ma sì, Ludwig. Il tuo amico. Quello da cui vai quasi tutti i giorni.- si spiegò lei. Poi, con un sorriso dolce e comprensivo, continuò. -  L’avevo capito già da qualche settimana. Pensavo fosse un ragazzo di qua ma poi ti ho visto frugare tra le mie cose alla ricerca dei miei vecchi libri d’italiano. Non mi ci è voluto molto per capire, ma sono contenta per te tesoro mio. Solo perché qualcuno dice che è tuo nemico non significa che lo sia davvero.-
Ludwig continuò a guardarla ad occhi sgranati, era stato veramente così idiota da farsi scoprire da sua madre? La sola idea che qualcuno sapesse di Feliciano gli faceva gelare il sangue nelle vene.
- Di me ti puoi fidare.- ripresa la donna. – Se hai bisogno di me non esitare a chiedere. La cosa importante è che tuo padre non venga a saperlo.-
- Ma tu… come hai fatto a capirlo?-
-
Una madre sa sempre tutto sul proprio figlio, anche quando questo non lo sospetta.- 

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** 16. Simulazione di un bacio alla francese ***


Titolo: IMI, n. 17061
Titolo capitolo: Simulazione di un bacio alla francese
Personaggi: Nord Italia
Genere: drammatico, storico
Avvertimenti: AU
 

Simulazione di un bacio alla francese
 

 

Quando era piccolo, Feliciano aspettava sempre con trepidazione quel periodo dell’anno quando i paesi venivano agghindati con tutte quelle lucine colorate e i negozi venivano addobbati a festa. Amava l’aria che si respirava, sembrava che tutti fossero più felici e allegri, persino il freddo veniva sopportato e accolto con gioia purché preannunciasse ciò che ogni bambino aspettava da mesi: la neve.
Quell’anno, però, essa non portava con sé ne la gioia  di un caminetto acceso ne il grido di battaglia che precedeva una palla di neve, solo una solitudine e una grande nostalgia di casa.
Qualche prigioniero, giusto per non annoiarsi, ammucchiava un po’ di quella poltiglia marrone per darle le sembianze di un tipico pupazzo di neve, cercando in qualche modo di rallegrare un po’ l’atmosfera funerea dei compagni.
Ma Feliciano non importava molto di tutto quello, lui non aveva bisogno di quella neve sporca di terra o di cantare a bassa voce le canzoni di natale, lui aveva Ludwig a tenergli compagnia!
L’altro, infatti, non mancava mai a un loro appuntamento. Anche quel giorno era dall’altra parte della recinzione e bofonchiava qualcosa in tedesco, l’unica cosa che Feliciano riuscì a capire fu “Doktor”; persino lui aveva capito che centrava qualcosa con la sua salute ma preferiva non fare domande, dato che non si riuscivano capire ancora bene, per questo preferiva annuire distrattamente ogni tanto, giusto per fargli sapere che lo stava ancora ascoltando.
- E tu?- chiese inaspettatamente Ludwig.
- Mh?-
- Tu come stai?- ripeté il tedesco, più per educazione che per altro. In fondo, non conosceva ancora abbastanza quella lingua per intraprendere una conversazione seria, ma a Feliciano sembrò non importare e cominciò così a raccontargli per filo e per segno le sue ultime giornate, compreso il bizzarro incontro avvenuto con quel simpatico francese.
-
… poi Francis si è avvicinato così.- e Feliciano si avvicinò alle rete, stando a pochi centimetri dal volto di Ludwig, per poi abbassare la voce con fare cospiratorio. – mi ha detto che dovevo dargli qualcosa in cambio. Io, ovviamente, non sapevo che volesse dire, così gliel’ho chiesto e lui mi ha sorriso. Poi si è messo vicino ancora di più, eravamo quasi appiccicati l’un all’altro.- avvicinandosi a sua volta, mettendo in pratica quello che stava raccontando. – e mi ha baciato.-
- Biaciato? Che cosa è?- chiese confuso.
- Ecco… non so come spiegartelo. Beh, più o meno è così…-
Il volto di Ludwig era così vicino al suo, tanto da poter notare le esatte sfumature dei suoi occhi. La sua pelle era pallida e immacolata se non per quelle chiazze rossastre che aveva sulle guance a causa del freddo.
Non era mai stata tanto carino come in quel momento, pensò leggero Feliciano.
Ecco perché  l’italiano non esitò nell’ appoggiare la propria bocca all’angolo di quella di Ludwig, in un bacio tanto leggero e veloce da essere quasi inesistente. Ovviamente non era paragonabile a quello del francese ma qualcosa, forse l’innocenza mista a sbalordimento che  si leggeva a chiare lettere sul volto di Ludwig dopo essersi allontanato da lui, avevano reso il tutto molto più bello.
Sì, decisamente a Feliciano non era dispiaciuto e lo avrebbe anche approfondito se non fosse che il tedesco aveva indietreggiato di scatto guardandolo come se avesse visto un fantasma; lo guardava e basta boccheggiando  qualcosa nella sua incomprensibile lingua.
- Beh, in effetti Francis non ha fatto proprio così, però…-

Ma Feliciano non finì mai la frase, poiché il suo interlocutore era scappato a gambe levate

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=733549