Tela di ragno

di Deirdre_Alton
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31 ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32 ***
Capitolo 33: *** Capitolo 33 ***
Capitolo 34: *** Capitolo 34 ***
Capitolo 35: *** Capitolo 35 ***
Capitolo 36: *** Capitolo 36 ***
Capitolo 37: *** Capitolo 37 ***
Capitolo 38: *** Capitolo 38 ***
Capitolo 39: *** Capitolo 39 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1

Mi svegliai sentendo il rumore della pioggia che scendeva forte e scrosciante. Stavo bene a letto, tra quelle coperte morbide e calde. Strofinai il volto sul cuscino godendomi quel tepore.
Una mano grande, forte e ruvida per via dei calli mi accarezzò decisa la schiena.
Era la prima volta da quando ci frequentavamo, ovvero quasi sei mesi, che rimanevo per tutta la notte da lui. Avevo sempre pensato che mi sarei dimostrato debole a dormire lì, come se fossimo stati due innamorati. Mi venne da ridere. Non c'era amore tra noi due, di sicuro non da parte sua.
Sagramore era da sempre stato innamorato di mio fratello Gawain.
Sin da quella volta che fummo attaccati dai sassoni. Eravamo in viaggio verso Nord, per visitare nostra madre che viveva a Dunpeldyr, nelle piccole isole sperdute nel freddo mare.
Erano troppi, noi avevamo una piccola scorta. Spensierati, i miei fratelli, oh Dea, anch'io lo ero, non fummo in grado di reagire velocemente.
Sagramore fu una tempesta, quasi ci stordì con il suo impeto. Arrivò urlando in una lingua che sembrava un misto tra il sassone e... una melodia lontana e sconosciuta.
Lui... Dea, era perfetto.
Alto, il volto fiero con tratti decisi, le labbra... generose. Labbra che avrei voluto assaggiare.
I suoi occhi verdi come l'erba in primavera, erano un punto di luce in mezzo al grigio della nebbia che aleggiava tutto in torno.
Mi ero innamorato?
Forse.
I miei sentimenti mi tormentarono per molto tempo.
Lui non mi vedeva. I suoi occhi di smeraldo seguivano ogni passo e le sue orecchie sapevano ascoltate sempre e solo Gawain.
Io ero solo un fratellastro, oscuro e taciturno che non osava nemmeno pensare di attirare la sua attenzione.
Ma Gawain, mia mera consolazione, aveva altro per la testa. Che la Dea ti benedica Gawain, grazie al tuo disinteresse ho avuto un periodo di gloria.
A volte quando Sagramore sta dormendo, dopo esserci dati piacere, lo guardo, con la scarsa luce che entra dalle finestre.
Per quanto tempo mi vorrà ancora?
Per quanto tempo riuscirà ancora a non urlare il suo nome, mentre con gli occhi chiusi fa l'amore con me?

Ero pronto, tutti i giorni, ad essere abbandonato.
Lo sapevo, da come Sagramore guardava Gawain.
Lui non l'aveva mai dimenticato.
***
Da quasi sei mesi, l'avevo fatto mio. Almeno potevo avere il suo corpo, anche se non avevo tutto il resto.
C'era stato uno dei tanti stupidi banchetti organizzati da mio padre per festeggiare qualche insulso cavaliere tornato a Camelot. Gawain come sempre era attorniato da damigelle adoranti, che cercavano esitanti di sfiorarlo, toccare la sua tunica, rubargli un capello.
E Gawain... guardava solo quell'essere inutile di Lancillotto. Lo seguiva ad ogni passo.
Sagramore stava per ruggire di rabbia, si tratteneva a stento, il boccale di peltro nella sua mano stava per essere accartocciato. Io mi avvicinai a lui, fui perfido, volevo vederlo esplodere davanti a me. Volevo che con un colpo di spada eliminasse Lancillotto e che magari preso dalla furia prendesse Gawain con la forza.
Ero... geloso, volevo vederlo reagire.
«Gawain non ha che l'imbarazzo della scelta. Ma lui vuole quello che non può avere», la mia voce era come fiele, versato nelle sue orecchie. Pensai che non mi avesse sentito.
Invece mi rispose, stringeva tremante un pugno lungo il fianco.
«Qual è la soluzione a tutto questo? Cosa devo fare?» in quel momento seppi che avrebbe fatto qualsiasi cosa gli avessi detto.
Uccidi Lancillotto, fai una strage con la tua furia, la vendetta sarà dolce.
Invece dissi, semplice e quasi supplicante «Puoi avere me.»
Sagramore gettò a terra il boccale, mi guardò serio ed uscì spalancando le porte della sala, non so quanti lo notarono. Ma in quel momento non mi importò. Lo seguii.
Era veloce, svoltò almeno tre volte nei corridoi. Arrivai alle sue spalle ansimando.
Mi scaraventò sulle fredde pietre del muro e mi divorò, fui suo e da quel momento non ebbi altri che lui.
***
Lui mi baciò ancora, insistente sul collo, avvicinò le sue belle labbra al mio orecchio, con voce roca bisbigliò «Quale onore Ser Mordred, è la prima volta che resti qui a dormire», mi voltai, i suoi occhi erano così vicino a me. Lo baciai leggero, lui mi ricambiò, per poi scendere sul mio collo. Mi lasciai sfuggire un gemito.
«Ho scoperto un fianco» dissi fissando l'interno del letto a baldacchino, la tappezzeria era di un rosso cupo, trapuntato di stelle di fili d'oro. Lui si staccò da me, «Come hai detto?» chiese lui, scossi il capo e mi divincolai. Scesi dal letto ed iniziai a raccattare i miei vestiti dal pavimento. Lui rimase sul letto a guardarmi, si massaggiava il collo con fare pensoso.
«Ti sei svegliato male? E' perchè la prima cosa che hai visto è il mio brutto viso?»
Infilai la camicia e lo guardai, lì in mezzo alle lenzuola stropicciate, dove la notte prima e tante notti prima ci eravamo amati, come due persone sole e disperate.
«Non è questo. Non amo dare adito a voci in giro per la corte. Non voglio che girino voci su, bè, su di te» e su di me, ma questo non lo dissi. La verità era che non volevo mostrarmi innamorato, perchè se lui avesse saputo che lo amavo, avrebbe riso di me. Come lo sapevo? Non lo sapevo, ma la pensavo così.
Ero bravo a mentire.
Ma con lui mi riusciva in modo pessimo.
Lui rise divertito.
«Voci? Credi forse che non girino delle voci su noi due Mordred?» scese dal letto, nudo com'era si avvicinò alla finestra che dava sul cortile interno. Sembrò interessato a qualsiasi dannata cosa stesse succedendo laggiù.
Tornò a puntare il suo sguardo di smeraldo su di me «Conosco i tuoi modi lunatici Mordred, oggi hai la luna storta e ti perdono. Ti consiglio di andare a fare colazione, dato che di sicuro non vorrai dividere il pasto con me».
Io me ne andai senza dire nulla, percorsi i corridoi per arrivare alle stanze mie e dei miei fratelli nascondendomi dietro agli arazzi quando sentivo dei passi o delle voci avvicinarsi.
Entrai nella sala principale che collegava le nostre stanze, lì trovai Gawain seduto al tavolo da solo.
Ottimo, la persona che volevo vedere di più al mondo.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Grazie a chi ha letto il primo capitolo *_*, il secondo è deliberatamente ispirato (ovvero c'è un riferimento alla sua storia) a "Poison - A portrait of Sir Lucan" di SakiJune, sperando che l'autrice non si offenda *si genuflette davanti a lei*


Capitolo 2

Gawain mi donò uno dei suoi sguardi intensi, alzò un sopracciglio «Buon giorno Mordred, entri o te ne vai?», avevo voglia di andarmene ma non sarei certo morto sedendomi a fare colazione con lui.
Non lo odiavo, lo invidiavo e basta.
E lo credevo uno stupido.
Uno stupido idiota.
Entrai senza dire nulla, mi sedetti al suo fianco e incominciai a sbocconcellare del pane, lui seguiva ogni mia mossa, «svegliato con la luna storta Mordred?», quasi mi strozzai. Lui allungò un braccio e mi diede dei lievi colpi sulla schiena con fare fraterno.
Scossi la testa, bevvi un poco di vino. Quando riuscii a respirare normalmente gli dissi «Sembri triste Gawain, qualche pena d'amore ti affligge?» volevo suonare ironico ma mi uscii una voce penosa.
Lui trattene il respiro, sembrava quasi che volesse parlarmi. Confidarsi con me? Lui? Avrebbe trovato un pessimo confessore, però ero stato io a lanciare il sasso, non potevo ritirare la mano, era troppo tardi.
Sentii una mano sulla mia coscia.
Cercai di non guardare in basso.
Quella dannata mano incominciò a salire verso il mio inguine, mi mossi sulla sedia, accavallai le gambe in modo da poterla bloccare in una stretta. Ci riuscii.
Gawain non commentò le mie contorsioni sulla sedia, appoggiò le mani sul tavolo, fissando il piatto vuoto davanti a se.
«Parlerei volentieri con te Mordred, non lo facciamo da troppo tempo. Ma preferirei che fossimo soli», mi guardò, era così serio.
«Perchè non ora!» la mano tra le mie gambe si mosse insidiosa, doveva essermi salito il sangue al viso, Gawain mi indicò «Non siamo soli, credo che tu ti sia accorto da un pezzo che Agravain è sotto il tavolo.»
Lasciai andare la mano, Agravain uscì da sotto il tavolo ridendo, si inchinò cerimonioso a noi due mentre Gawain si alzava e mi dava appuntamento per il pomeriggio, nel giardino della sala delle udienze.
Uscì senza salutare e a passo svelto.
Guardai Agrvain con interesse, lui ricambiò il mio sguardo sorridendo dolcemente.
Voleva qualcosa da me.
Si accomodò di traverso sulle mie gambe, circondò con un braccio le mie spalle e mi diede un casto bacio sulla guancia. Io cercai di mostrarmi indifferente.
Spostò le sue labbra vicino al mio orecchio, la sua voce era soave «Mi tradisci, caro fratello, hai spezzato il mio cuore», aveva la mia totale attenzione. Non attese una mia risposta, «qualcuno ti ha visto uscire dalle stanze di un cavaliere dagli occhi verdi e dallo spirito impetuoso», lo fissai, voleva forse ricattarmi?
Lui mi lesse il pensiero, le sue sopracciglia schizzarono in alto, sul quel suo volto simile a quello di Gawain, si disegnò un sorriso di derisione.
«Ah! Mordred, Mordred, Mordred, non penserai mica... lo sanno tutti, inutile fare tanto il misterioso e fuggire come un ladro la mattina.»
Arrossii, reagii facendolo cadere in dietro di schiena sul pavimento, gli presi i polsi con forza, lui era divertito.
«Cosa vuoi Agravain?» ringhiai. Lui si fece serio, alzò leggermente il mento, come in segno di sfida «Hai saputo chi è arrivato oggi a corte?» mossi la testa spazientito, «il figlio di Lancillotto, Galahad. E' stato ricevuto con tutti gli onori, neanche fosse un re.»
Ed io suo figlio, il figlio di Artù, ero stato ricevuto di notte, alle porte di Camelot come un viandante qualsiasi, assegnato alle cure del siniscalco Kay, lo spigoloso rosso fratellastro del Re.
Agravain continuò, aveva toccato il mio punto debole «Devi sedurlo, sarà tremendamente facile per te mio oscuro Mordred. E' un ragazzino appena uscito dal monastero, capitolerà tra le tue braccia in...» lo lasciai, alzandomi mi rassettai i vestiti.
«Se è tanto facile perché non te lo fai tu, il monaco? Oppure Gaheris?», quel genere di gioco mi avrebbe valso qualche soddisfazione ma, perché mai fare un piacere ad Agravain?
Lui si alzò agile, mi si avvicinò, troppo.
«Sto già corteggiando una persona, i primi tempi sono sempre i più delicati, non posso avere alle spalle alcun tipo di sospetto. Devo essere puro e candido. Gaheris? Mordred! Hai presente la delicatezza che usa per corteggiare? Uno stalliere sa fare di meglio.» Rise delle sue stesse parole. «Tu hai un qualche genere di relazione, ma nulla di importante, giusto? Poi siete due uomini adulti, con altre relazioni alle spalle. E poi... chi ti dice che Sagramore ti sia stato fedele per tutto questo tempo, ah non dico con la mente, anche con il corpo?»
Stava giocando la carta del sospetto. Sagramore che tocca un altro uomo? Sagramore che bacia un altro? O una donna?
Agravain mi fece sedere, si inginocchiò vicino a me, mi prese le mani, perché stavo credendo alle sue pericolose parole? Aveva ormai piantato il seme del sospetto in me?
«Mordred, lo sai anche tu che non c'è futuro con lui. Non è vero amore se lui non ricambia i tuoi sentimenti» stavo pericolosamente iniziando a credergli.
Io ero consapevole di non aver futuro con Sagramore. Era forse il caso che mettessi io la parola fine a quella storia impossibile? Agravain si alzò leggermente, le sue labbra si avvicinarono alle mie, «Ti divertirai fratello, potrai vedere Galahad al banchetto oggi a pranzo», per il figlio di Lancillotto era stato organizzato anche un banchetto.
Sentimmo la porta aprirsi, era Gareth.
Rimase pietrificato vedendoci così.
Mi alzai, liberandomi di Agravain, trascinai via Gareth da quella serpe.
Gareth era irritato, non sapevo cosa dirgli, sicuramente aveva pensato che me la facessi con quel disgraziato di nostro fratello.
Fu lui a parlare per primo «Lo odio quando fa così, lo fa anche davanti alle damigelle della Regina a volte, con me.» Ah, che potevo dire? Avrei voluto ascoltarlo ma, non potevo certo diventare il confessore di... quanti? Tre dei miei fratelli? Gareth avrebbe dovuto cercare qualche ragazzo della sua età per farsi ascoltare.
«Gareth, non ci pensare. Ascolta, hai visto il figlio di Lancillotto? Come si chiama? Galahad?» dissi con leggerezza, per fare conversazione.
Gareth era molto informato, aveva già conosciuto il ragazzo, gli era sembrato un tipo a posto, assomigliava a Lancillotto, ma con i tratti leggermente più gentili e anche se non lo voleva dire apertamente, meno arroganti.
«Bene Gareth, ci troviamo al banchetto, spero che mi presenterai al tuo nuovo amico», detto questo lo lasciai.
No. Non avevo deciso di fare quello che mi aveva chiesto Agravain. Però dovevo pur valutare il figlio di Lancillotto.
Sagramore... spazzai qualsiasi genere di pensiero dalla testa andando in sala d'armi a scaricare un po' di energia accumulata in poche ore.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

Galahad era un ragazzo molto bello, questo non lo potevo negare. Aveva preso tutto da suo padre tranne l'alterigia e l'altezzosità.
Mi sembrava stranamente a suo agio a corte, mi trovai a fare un confronto tra noi due. Lui era stato accolto con segni d'affetto, Lancillotto lo teneva vicino a se e lo presentava alle dame ed ai cavalieri affascinati.
Io ero stato... un peso, un fastidio, un intrigante, un bastardo.
Questa era la differenza essenziale.
Ma non tutti vedevano in me il male assoluto, c'era qualcuno che forse in principio aveva avuto solo pietà per me, ed io non avevo gradito le sue attenzioni. Era mia zia Morgana.
Al banchetto, mentre me ne stavo vicino ad una finestra e studiavo Galahad sorridente, con i suoi capelli d'oro che risplendevano alla luce del sole di mezzogiorno, sentii e riconobbi i passi di mia zia.
«Mio piccolo corvo, qualcosa ti turba?», mi mise una mano sul braccio, mi voltai a guardarla, i suoi occhi erano ricolmi di comprensione. Ci eravamo capiti da subito io e lei, ero arrivato quasi a considerala la madre che avrei voluto. Mi sorrise invitandomi a parlare.
Sospirai «Nulla zia Morgana, sai che non amo i banchetti», cercai con lo sguardo Gareth, dove si era nascosto? Doveva presentarmi a Galahad, se non lo avesse fatto lui non lo avrebbe fatto nessuno.
«Ma se il banchetto fosse stato fatto per te, gradiresti? Oppure non gradisci essere al centro dell'attenzione?», la voce di zia Morgana sapeva essere così dolce. Io non meritavo la sua dolcezza. Non meritavo nulla. Non le risposi, ero spazientito. Perché ero così agitato?
«Vieni a trovarmi Mordred, qualche volta, ho paura che tu ti sia dimenticato di me», mi accarezzò una guancia e andò a raggiungere la Regina Ginevra.
Vidi Sagramore parlare con Artù, venne presentato a Galahad, bevevano felici e scambiavano battute come vecchi amici.
Sentii un'onda di disgusto salirmi alla bocca.
Gareth mi raggiunse appena in tempo, prima che mi decidessi di fuggire dalla sala, mi prese per mano e mi accompagnò dal figlio di Lancillotto.
Il ragazzo mi guardò sorridendo, i suoi occhi erano del colore del cielo d'estate, davano un senso di pace. La sua piccola bocca aveva ai lati delle fossette, vedevo una manciata di efelidi chiare sul suo naso perfetto.
Gli strinsi le mano, il palmo era liscio ma sentivo che le dita avevano delle piccole callosità. Quindi era un monaco dotato di artigli.
«Sia Gawain che Gareth mi hanno parlato di te Mordred, ero molto curioso, ormai temevo che non sarei riuscito a parlare con te quest'oggi», perché era così gentile con me? Arrossii di piacere, forse i miei fratelli non mi credevano un completo idiota.
Gareth si allontanò con un inchino, doveva esserci qualche gonnella che gli interessava nelle vicinanze. Stava scoprendo le gioie e i dolori del risveglio dei sensi?
Guardai Galahad, lui sembrava attendersi qualcosa da me. Non so perché, tentai di dimostrami amichevole con lui, sembrava incredibilmente interessato alle sciocchezze che gli raccontavo e alle domande che gli ponevo. Arrivai a chiedermi se stesse fingendo, se lo stava facendo, doveva essere un attore di indubbio talento.
«Prima ti ho visto parlare con Sagramore...» perché mi mettevo a parlare di lui? E che cosa avrei potuto dirgli?
Sai che lo chiamano il “morto di fame” perché dopo uno scontro è affamato come un uomo a digiuno da giorni?
Oppure…
Sai che è un esperto nell'arte del piacere?
Non ebbi bisogno di decidere quale lato di Sagramore fosse meglio far conoscere a Galahad, fu lui a venirmi in contro.
«Ah sì! Mio padre ha organizzato un'uscita a cavallo per domani, per farmi conoscere un po' il paesaggio attorno a Camelot. Saremo io, mio padre, Bedivere, Gawain, Gareth e appunto Sagramore.»
Sentii un muscolo sotto l'occhio destro muoversi infastidito. Ero stato escluso ovviamente, mi andava benissimo così... ma ora lui sarebbe stato in obbligo ad invitarmi. Ovviamente lo fece.
«Mordred, ti prego vieni anche tu, ho paura di trovarmi a disagio tra tutti quegli eroi» mi sorrise, implorante.
Lui a disagio.
In mezzo agli eroi.
Cosa dovevo fare, essere la sua spalla per far risaltare al meglio la luce che gli splendeva addosso?
Cercai di accampare scuse inutili, dicendogli che oggi mi era sembrato a suo agio e che io sarei sicuramente stato di troppo tra tutti quei nomi gloriosi. Lui non si diede per vinto ed arrivò quasi a supplicarmi.
Accettai, non potevo fare altro.
Finito il banchetto mi defilai presto, andai nelle stalle per dare un'occhiata alla mia giumenta nera Elvellon, per vedere se anche se ero sempre stato un padrone alquanto negligente, qualcuno si fosse preso cura di lei.
Ovvero, potevo permettermi di affrontare una tediosa scampagnata senza sfigurare?
Trovai Elvellon in ottimo stato, le accarezzai la fronte, era tranquilla, sembrava non odiarmi, almeno lei, almeno in quel momento. Gli animali erano più fedeli degli uomini.
Mi tornarono alla mente le parole di Agravain di quella mattina.
Scrollai la testa scacciando le paranoie che la voce di mio fratello aveva sollevato nel mio cuore.
Avevo un appuntamento con Gawain, «Dea salvami, cosa vorrà confidarmi il cavaliere più desiderato della tavola rotonda?», Elvellon mosse le orecchie infastidita, le diedi un lieve bacio sul muso ed andai ad affrontare il mio tanto ammirato e stupido fratello.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4

Gawain mi stava aspettando, rimasi sotto il colonnato per studiarlo. Aveva le spalle leggermente incurvate. Era strano. Incominciai a pensare che fosse davvero successo qualcosa di grave, forse sapeva delle strane idee di Agravain sulla seduzione di giovani monaci? Dovevano aver fatto colazione assieme. Che il gemello avesse chiesto a Gawain di sedurre Galahad?
Se non puoi avere il padre, prenditi il figlio!
Sì, potevo benissimo immaginarmi Agravain dire una cosa del genere.
Gawain si voltò, mi vide e mi fece cenno di avvicinarmi, lo raggiunsi e ci sedemmo su una panchina di pietra sotto un albero di castagno mezzo secco che non aveva trovato un buon posto per crescere. Quell'albero mi assomigliava, era stato piantato in un clima sfavorevole, aveva tentato di fare il meglio che poteva, poi si era accorto che l'impresa che tutti si aspettavano da lui era impossibile. Ora si stava lasciando morire, come presto avrei fatto io.
Gawain cercò almeno tre volte di iniziare il suo discorso, rimaneva a bocca aperta per qualche secondo e se lo guardavo, si grattava la testa indeciso.
Se stava cercando di spazientirmi, ci sta riuscendo benissimo. «Avanti parla mio bel Gawain, assolverò i tuoi peccati, come fanno i cristiani, dopo la tua confessione», lui mi prese inaspettatamente la mano, me la strinse forte.
«Grazie Mordred», sgranai gli occhi, mi stava prendendo sul serio? Dannata la mia lingua!
«Tre giorni fa, nel pomeriggio, c'erano poche persone in sala d'armi, avevo voglia di esercitarmi un poco con la spada, ma c'erano solo soldati», oh povero fratello mio, nessuno degno della tua spada, le mie palpebre vibrarono per l'irritazione, «allora andai in armeria, lì c'era Bedivere che controllava che le spade fossero tutte al loro posto.»
No! Non volevo... avevo paura di quello che stavo per sentire. Gawain era turbato per qualcosa che riguardava lui e Bedivere? «Ci siamo messi a parlare, di... bè nulla d'importante e ad un certo punto è arrivato Lancillotto...» ah, ecco, mi asciugai il sudore che si era formato sul labbro superiore, «gli dissi che volevo allenarmi con la spada e lui mi propose una sfida. Chi avrebbe vinto, si sarebbe aggiudicato la spada dello sconfitto...» ah Dea, queste cose cavalleresche e di profonda stima non le avevo mai sopportate, sperai che il racconto finisse presto. Sicuramente Lancillotto ora aveva la spada di Gawain e mio fratello non ci dormiva la notte.
«Ci siamo battuti ma, ah... siamo andati avanti per, bè non lo so per quanto tempo, molto tempo», mi girava la testa, dove voleva arrivare? Sapevo già che Gawain era uno spadaccino incredibile, perché doveva lodarsi così ostentando le sue capacità? Lui non era mai stato così, ah l'amore faceva brutti scherzi. Innamorarsi di Lancillotto poi, lo aveva rovinato.
«Abbiamo deciso che eravamo pari, allora Lancillotto mi ha invitato nelle sue stanze...» stavo veramente per cadere a terra agonizzante. Non aveva mica intenzione di raccontarmi che il suo sogno si era avverato? «voleva mostrarmi un pezzo raro...», stavo per morire! «una spada romana che aveva trovato prima della costruzione di Camelot, quindi lo seguii, arrivati nella sua camera aprì l'armadio e tirò fuori una scatola di legno, dentro c'era questa spada, sai senza guardia, una cosa mai vista, ed era così ben conservata! Lui l'aveva ripulita personalmente!»
Gli occhi di Gawain brillavano di ammirazione, io sbattei le palpebre sperando che quel racconto finisse presto.
«Arrivò un paggio, il Re doveva parlare con Lancillotto per una questione breve ma urgente. Lancillotto mi disse che avrebbe fatto presto e che potevo rimanere lì ad aspettarlo. Poco dopo, sentii un rumore, come un qualcosa che scatta, non mi voltai, rimasi fermo con la spada in mano. Non c'era molta luce, il sole stava tramontando. Qualcuno, mi abbracciò da dietro. Era una donna. Mi disse... Mordred, non oso ripetere quelle parole, farebbero arrossire chiunque.»
Mi guardò, aspettando la mia reazione.
Non avevo dubbi su chi fosse la donna in questione.
«Era...» feci roteare la mano, lui annuì. «Ho riconosciuto la voce, non ho avuto dubbi sulla sua identità. Io sono rimasto pietrificato. Passò... qualche secondo e la porta si spalancò, era Lancillotto di ritorno. La R-, la donna si staccò da me trattenendo a stento un urlo, sentii i suoi passi allontanarsi, se ne andò da dove era arrivata. Io non dissi nulla, gettai la spada sul letto ed uscii veloce senza voltarmi.»
Io deglutii. Perché raccontava a me quella cosa?
«Lancillotto... da quel giorno cerca sempre il mio sguardo e di avvicinarsi a me, ma io lo evito.» Vidi il suo pomo d'Adamo salire e scendere nella gola.
«Vorrà chiedere il tuo silenzio. A chi altro hai raccontato questa cosa?», lui scosse la testa.
«Solo a te Mordred, sei l'unica persona a cui l'avrei potuta raccontare sapendo che non l'avresti resa nota. Sei una persona discreta.»
Ero dunque degno di così tanta fiducia? Avrei potuto montarmi la testa con tutti questi complimenti in un solo giorno.
La verità era che se anche io avessi raccontato questa storia in giro, nessuno mi avrebbe creduto, tutti avrebbero pensato che mi fossi inventato una storiella per attirare l'attenzione.
Sospirai.
«E tu come stai?» in fin dei conti aveva subito un trauma. Lui si passò una mano sulla fronte, perché se lui faceva un gesto così semplice riusciva ad essere sensuale e se lo facevo io sembravo solo un coniglio nella pentola? Anche se i conigli nella pentola ormai non avevano chissà che pensieri.
«Io... sono... ho un senso di...» mosso ad incredibile compassione gli venni in contro.
«Disgusto, irritazione, fastidio, nervoso?» gli sorrisi tristemente.
«Sì, un'insieme di tutto quello che hai detto», le sue labbra si incurvarono verso il basso.
«Mi dispiace io... Mordred, io...» lo bloccai con un gesto della mano.
«No, ti prego. Sei la persona che ammiro ed invidio di più al mondo. Non voglio sentire parole di pietà da te.» Cercò di parlare ma io continuai , «stai tranquillo, non parlerò con nessuno di questo. Ci vediamo a cena oppure domani... dato che sono stato invitato da Galahad alla cavalcata di domani.» Mi alzai. Lui sorrise «Sono contento che domani sarai dei nostri.»
Non dissi nulla, non volevo incominciare a pensare che Gawain mi volesse davvero bene. Non volevo nulla da lui. Lui, che molto probabilmente sarebbe diventato il futuro Re della Britannia.
Andai via, con troppi pensieri contrastanti nella testa.
Cenai da solo con Sagaramore.
Parlammo di Galahad. Fu lui a portare la nostra discussione su di lui. Mi sembrò divertente parlare del ragazzo che avrei dovuto sedurre per rovinare Lancillotto, quando avevo un'altra arma inutilizzabile contro Ser Vice Re a disposizione.
Era anche divertente parlare con Sagramore di Galahad, con l'uomo che avevo consolato per sei mesi, discutevo del ragazzino che avrei dovuto sedurre. Mi chiese cosa ne pensassi del piccolo monaco.
«Un tipo a posto» dissi con tono indifferente. Lui mi guardò serio, masticando piano la carne di cinghiale con cui stavamo cenando.
«Sei stano Mordred, più strano del solito. Mi nascondi qualcosa.» Si pulì le dita sulla lunga tovaglia e si mise una mano sotto al mento. Io stesso mi ritenevo una persona strana, ma un conto è pensarlo di sé stessi, un conto è sentirselo dire dagli altri. Da Sagramore poi…
Mi irrigidii, mi sentivo a disagio sotto il suo sguardo, stava cercando di farmi dire qualcosa, qualcosa che neppure io sapevo cos'era.
«Ti ho visto parlare con lui, sembravi sereno, come non ti ho mai visto. Lui ti piace?», io deglutii a vuoto, aveva trovato la scusa per lasciarmi lui per primo? Per liberarsi di me. Non dissi nulla, fissando il piatto vuoto davanti a me. Lui interpretò male la mia reazione.
«Mordred, capisco benissimo che tu...» mi alzai di scatto dalla sedia, facendola cadere in dietro con un rumore irritante.
«Devi essere un gran esperto di amore tu! E pure di tradimenti!» Era stato Agravain a mettermi quelle parole sulla lingua.
Sagramore impallidì.
Era vero.
Era stato con qualcun altro.
Chiuse gli occhi, si alzò e mi diede le spalle.
«Chi...» disse con voce bassa.
«Non sono io a doverti dire chi! Sei tu quello che va a letto con altri! E poi cerca di liberarsi di me! Dimmi con chi sei stato!» Urlavo. Non credevo di essere in grado di dimostrarmi così isterico.
Vidi le sue spalle abbassarsi, sentii la sua voce, quasi un sussurro.
«Lamorak».
Avevo sperato fino all'istante prima che pronunciasse quel nome, che mi avrebbe detto che non era vero, che erano solo maldicenze. Lamorak. Odiai lui e quel dannato nome.
«Non è stato nulla, una sera... tu eri a cena con i tuoi fratelli ed il Re. Sono andato alla taverna vicino alla porta Est con lui. Eravamo entrambi da soli e...» gli mancò la voce, «abbiamo parlato e bevuto molto. Troppo. Ci eravamo promessi di non dire nulla, mai, a nessuno. Evidentemente qualcuno ci ha visti.»
Ero di nuovo solo.
Non potevo stare con lui pensando che mi aveva tradito, potevo sopportare che pensasse ad un altro, ma non che si portasse a letto uno qualunque.
Ecco, non avevo pensato poche ore prima che era meglio per tutti chiudere presto questa inutile storia?
«Hai la tua occasione con Gawain, lui è disperato. Entrerai con facilità nel suo letto» trattenni a stento le lacrime e me ne andai sbattendo la porta.
Corsi via, sentii Sagramore chiamare il mio nome.
Era troppo tardi ormai.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


In questo capitolo cito alcuni animali, vengono usati per definire i caratteri di certi personaggi. Sono stati usati da Ailinon, nel suo racconto Lex - The two kings. Se scrivo è proprio grazie ad Ailinon, quindi vorrei che questo venisse considerato come un tributo a lei. Tra l'altro molto di questo racconto (Tela di ragno) mi è venuto in mente parlando con lei XD e leggendo i suoi racconti. Grazie <3


Capitolo 5

Quella notte dormii poco e male.
La mattina seguente maledissi Galahad e il suo invito. Potevo inventarmi mille scuse per non presentarmi, ma sarei sembrato un codardo. Non volevo che Sagramore lo pensasse, poteva credere che mi ero comportato come un ragazzino isterico e geloso, ma non che avessi paura di affrontarlo.
Sapevo benissimo che un uomo da ubriaco è capace di tutto, pure di andare a letto con la propria sorella, io ne ero la prova vivente. Avrei potuto perdonare, anche se in realtà non c'era nulla da perdonare.
Arrivai per ultimo, Elvellon, la mia giumenta era stata già sellata. La accarezzai, concentrandomi sull'effetto calmante che mi trasmetteva sulla pelle il suo pelo liscio e morbido come velluto.
Galahad si avvicinò a me sorridente, si bloccò sgranando gli occhi, sembrò preoccupato.
«Stai male Mordred? Sei molto pallido! Vuoi un po' di vino caldo? Ti farà bene!», non ebbi tempo di replicare che era già andato a rovistare nelle bisacce.
Dannato ragazzino, perché era così gentile con me?
Sagramore, notò i movimenti veloci di Galahad e poi mi vide, mosse un passo per avvicinarsi, ma io voltai la testa dall'altra parte.
Galahad mi obbligò a bere un sorso del suo vino speziato, non mi fece bene, trattenni il senso di nausea che mi colpì sentendo quel profumo dolce.
Lo rassicurai che stavo bene, era solo che non ero abituato ad alzarmi così presto. Non so se mi credette, era seriamente preoccupato per me.
Mi issai sulla sella e mi sembrò di respirare meglio, lontano dalle gentili e non richieste attenzioni del monaco.
Dannato Lancillotto adultero e la sua prole.
Finalmente partimmo per quella tediosa gita di piacere per il giovane Galahad, almeno durante il viaggio lui fu sempre in testa, vicino al padre che con inutile orgoglio si sbracciava a desta e a manca per indicare i nomi dei colli e dei ruscelli.
Io mi ritrovai in fondo al piccolo gruppo, vicino ai servitori. Il degno posto per l'inutile Mordred. Quando rallentammo il passo mi accorsi di avere Bedivere a fianco, mi lanciò un'occhiataccia che però si trasformò presto in un sorriso sornione.
«Nottataccia Mordred?» disse con la sua bella voce profonda. Non so perché, ma sentirlo parlare mi calmò. Io annuii e lanciai involontariamente un'occhiata a Sagramore che stava parlando con Galahad.
Bedivere annuii a sua volta «L'ho sempre pensato che eravate incompatibili voi due», mi morsi l'interno della guancia.
«Per via di Gawain?» gli chiesi, ormai che mi importava di mettere anche mio fratello di mezzo, tutti sapevano tutto di tutti. Me escluso, ovviamente.
«No, quello è secondario. Parlo proprio di caratteri. Tu e Sagramore siete due orsi. Pronti a litigare per un po' di miele, comprendi quello che ti sto dicendo?» no, non capivo affatto, lo fissai riducendo gli occhi a due fessure per mettere a fuoco la sua figura.
«Vedi, perché una relazione duri nel tempo si deve trovare una persona che abbia delle cose in comune con te, ma allo stesso tempo ti completi con delle cose a te estranee. Però se i sentimenti di una persona vengono meno, non ci si può aggrappare e trattenerla, bisogna lasciarla andare. Sagramore non si è mai imposto a Gawain. Cosa doveva fare, attenderlo in eterno? No. Questo tu l'hai capito.»
Aveva detto troppe cose e tutte in una volta perché io le afferrassi.
«Bedivere, tu che mi dai dell'orso, che genere di animale saresti?» lui sorrise, nei suoi occhi castani passò un'ombra di tristezza.
«Io sono un cane, un cane fedele al suo padrone.»
Sentii come un pugno allo stomaco. Lui amava Artù ma Artù chi amava? Dubitavo che potesse ancora amare la Regina Ginevra, erano troppo cortesi tra di loro per amarsi. Sembravano fratello e sorella. Bè, non che Artù potesse vantarsi dei suoi rapporti di amicizia con le proprie sorelle.
Ci fermammo per pranzare, io finii a mangiare su una coperta con Gareth e Galahad. Quei due sembravano in perfetta sintonia, le chiacchiere di Gareth erano un dolce suono per Galahad. Mi allontanai dalla radura dove ci eravamo accampati, per entrare un poco nel bosco. Mi sedetti su un tronco caduto e rimasi a fissare i raggi di luce che passavano tra le foglie. Riuscivo quasi a sentirmi bene, purtroppo quella serenità durò troppo poco. Vidi Sagramore avvicinarsi, non potevo certo scappare e nemmeno potevo alzare la voce con lui in quell'occasione. Avrei fatto vergognare i miei fratelli di me.
Lui non disse nulla, si sedette sul tronco vicino a me, appoggiò i gomiti sulle gambe e si passò le mani sulla testa.
Rimase un po' in silenzio, sentivo come una cappa di tensione sopra di noi, riuscivo a percepire solo il suono del mio respiro.
«Posso parlarti Mordred?»
«Lo stai già facendo.» Dea! Perché mi comportavo da ragazzino inacidito? Lo sentii ridere piano, la cosa non mi disturbò.
«Vorrei solo capire, se abbiamo litigato e c'è possibilità di riappacificazione oppure non ne vuoi più sapere di me» disse rivolto al terreno.
«Siamo in due, non sono solo io a dover decidere. Sagramore, tu cosa voi?» sapevo perfettamente cosa voleva lui. Avrebbe avuto il coraggio di dirmelo?
«Mordred tu... sai di non dovermi fare questa domanda. Sinceramente pensavo che a te andasse bene così, senza legarci troppo. Non sto cercando di giustificare la mia notte con... con chi sai. Solo vorrei capire, non abbiamo mai parlato troppo noi due.» Sorrise ed io lo imitai. Facevamo altri generi di discorsi, in cui le parole non servivano.
«Io volevo avere qualcosa di Gawain e tu ti sei appoggiato a me. All'inizio pensavo che quello che mi donavi mi bastasse. Sognavo, ah... sognavo di farti innamorare pazzamente di me, lasciarti e vederti implorare di tornare assieme. Ma le cose non sono andate così. I tuoi sentimenti per mio fratello non sono cambiati ed io mi sono legato troppo strettamente a te, anche se non ho avuto mai il coraggio di dimostrartelo perché non volevo sembrare debole.»
Lui mi stava guardando, era sorpreso. Mi alzai, avevo detto troppo.
«Non posso continuare a stare con te anche se... Dea, mi mancherai. Ma ti lascio andare per la tua strada che ora è più facile da percorre. Ti prego non mi chiedere nulla su di lui. Vedi di arrangiarti, hai tutte le carte in regola per farlo cadere ai tuoi piedi.»
Iniziai ad allontanarmi, lui disse «Ti ringrazio Mordred per...», io alzai una mano salutandolo, non volevo sentire altro.
Quando rientrammo al castello nel tardo pomeriggio, mi gettai sul letto, stanco, sporco e sudato. Mi addormentai presto, dormii senza sognare, fino al mattino seguente.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6

Quella mattina andai a fare visita a mia zia Morgana.
Quando una delle sue damigelle venne ad aprire alla porta, vidi Morgana seduta davanti al camino con un gatto grigio sulle gambe, lo accarezzava lentamente fissando le fiamme del camino.
La damigella mi annunciò e sul viso di Morgana visi accendersi un sorriso, mi tese una mano che presi e mi portai alle labbra delicatamente.
Mi fu portata una sedia per poterle stare accanto, zia Morgana fece uscire le sue ancelle e rimanemmo soli, con il rumore dei ciocchi che bruciavano ed il gatto che faceva le fusa.
«Sono contenta che tu sia riuscito a ritagliare del tempo da dedicarmi, mio piccolo corvo.»
«Sai... improvvisamente mi sono trovato con un sacco di tempo libero» accarezzai anch'io il gatto che sembrò compiaciuto delle mie attenzioni.
«Lo sapevi anche tu Mordred, che con quell'orso non sarebbe potuto durare per troppo tempo.»
Feci quasi un salto sulla sedia.
«Orso?» Perché mia zia Morgana aveva un'espressione così astuta? Lei e Bedivere? No! Mi sarebbe presto venuto il mal di testa.
«Zia! E Bedivere è un cane fedele, giusto? Non mi dirai che tra voi due...» avevo la gola secca.
Lei rise di gusto, il gatto disturbato saltò giù.
«No mio caro, non posso avere degli amici a corte che siano solo amici senza che ci sia l'amore di mezzo?»
Tirai un sospiro di sollievo.
«Bedivere ha un solo amore e non è tipo da consolarsi con altri, si accontenta anche di stagli solo vicino.»
Avrei potuto chiederle tranquillamente chi fosse l'amante di mio padre, avevo scoperto di essere una persona così discreta. Lasciai perdere, non ero lì per parlare del Re.
«E tu zia Morgana, che tipo di animale sei?» le chiesi invece. Lei si mordicchiò le labbra.
«Forse un cane anch'io... ma un cane un po' selvatico o male addestrato. Se il mio padrone mi da da mangiare io mi avvicino cauto, mi faccio accarezzare e gli faccio le feste. Però il padrone a volte si stanca di me e mi bastona, mi allontana, io mi riavvicino e lo mordo. Poi torno ancora ed il ciclo continua senza pace di nessuno.» Dubitai che stesse parlando di suo marito Urien, o solamente di lui. Non credevo nemmeno che lei potesse avere un qualche genere di padrone. Lì a Camelot sembrava serena, aveva tanto desiderato vivere qui, non era sta accettata troppo bene, ma a quanto pareva si accontentava di quello che aveva. Dea, non avrei mai immaginato che sarebbe entrata in confidenza con Bedivere. Bedivere!
Lei mi prese la mano sinistra, me la volse per guardare il palmo e incominciò a passare l'indice sulle linee della mia pelle.
«Posso leggere il tuo futuro mio piccolo corvo?» Solo lei poteva chiamarmi così e solo lei poteva permettersi di fare una cosa tanto inutile come leggermi la mano. Non credevo in certe cose, ma mi fidavo delle sue capacità.
Annuii. «Però dimmi solo le cose belle» lei alzò un sopracciglio, «sempre se ce ne sono...», lei emise un suono scettico e tornò a studiare il mio palmo.
«Sì, Mordred, ci sono cose belle. C'è un grande amore che ti aspetta, per tutti questi anni ti sei preparato all'amore della tua vita. Non amerai mai nessuno come questa persona. Quello che hai sofferto finora, è stato un percorso, quello che ti aspetta, anche se dovesse durare un solo minuto, avrebbe senso, darebbe senso alla tua vita.»
Mi lasciò senza fiato, la sua voce era così convincente, sembrava davvero credere in quelle parole. Scossi la testa.
«Zia Morgana, hai visto delle cose così terribili che hai voluto raccontarmi una favola.» ritrassi la mano e lei posò i suoi occhi sul fuoco.
«No mio caro, io ho detto la verità. Ora tocca a te rendere reale quello che ti ho predetto.» Mi sentii come svuotato, avevo davvero fatto bene a lasciar andare via Sagramore verso le braccia di Gawain? Oppure avevo commesso il più grande errore della mia vita con quel gesto di generosità, gesto che non era nella mia natura.
Morgana mi mise una mano sulla spalla e mi tirò verso di se, appoggiai la testa sulle sue gambe, come quando ero piccolo nella casupola del pescatore, dove vivevo con la donna che avevo a lungo creduto mia madre.
Morgana mi accarezzò dolcemente la testa, come aveva fatto poco prima con il gatto.
«Allora non sono un orso anch'io, ma un gatto» dissi con gli occhi chiusi.
«No, tu non sei un orso, e nemmeno un gatto. Sei un bel corvo dalle ali nere.»
Sbuffai divertito.
Rimasi a pranzare con lei, per qualche oscuro motivo volevo evitare di vedere i miei fratelli, Gawain e Agrawain in particolare. Il primo perché avevo paura di scorgere una luce nei suoi occhi, la luce della consapevolezza dell'essere amato.
L'altro, perché avrebbe sicuramente cercato di chiedermi cosa ne pensavo di Galahad.
Non avevo voglia di rispondere a quella domanda. Non avevo voglia di pensare a quel ragazzino.
Zia Morgana però portò la discussione proprio su di lui, era abbastanza normale, era la novità del momento. Sperai che presto arrivasse qualcos'altro di nuovo a Camelot.
«E' un ragazzo bellissimo, non trovi? Se fossi più giovane certamente cercherai di entrare nelle sue grazie» disse lei con fare allegro.
Lei sì che lo avrebbe steso ai suoi piedi in pochi giorni, io non... Ah, Dea. Non ci volevo pensare.
«Mordred, ti ho visto parlare con lui il giorno del banchetto, che impressione ti ha fatto?»
Mi guardò speranzosa di avere una risposta interessante. Fui sul punto di dire che era un tipo a posto, ma lasciai stare.
«Non posso giudicarlo dalle poche parole che ci siamo scambiati, è stato molto cortese con me...» pensai al vino che mi aveva obbligato a bere quando mi aveva visto mezzo morto vicino al cavallo, sorrisi «ma penso che lo sia con tutti. Dice di trovarsi a disagio con in mezzo ai cavalieri famosi. In realtà è come un pesce nell'acqua, è qui da due giorni e nuota decisamente meglio di me.»
Lei fece una smorfia con le labbra. «Perché non provi a conoscerlo? Così saprai se la sua è solo cortesia d'obbligo. Certe cose si scoprono solo stando a stretto contatto.»
«E perché mai dovrei impegnarmi per scoprire una simile cosa?» sbottai infastidito.
«Perché hai bisogno di conoscere delle persone Mordred, non puoi sempre stare tra i tuoi fratelli, dubito che siano il meglio della compagnia che puoi trovare qui. Galahad ti ha mostrato simpatia. Perché sprecare questa occasione? Non farti pregiudizi per via di suo padre... oh suvvia, ti si legge in faccia quando incontri Lancillotto, proprio non lo sopporti», lei scoppiò a ridere tra gli sguardi divertiti delle ancelle.
Ebbene, provare non mi costava nulla.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7

Nel pomeriggio andai in sala d'armi, non certo per allenarmi, sapevo che Gareth era lì, immaginai che Galahad fosse con lui.
Li notai subito, le loro due teste, una rossa e una bionda, danzavano al ritmo di un duello, sembrava che si stessero divertendo. Non avevo mai amato quel genere di cameratismo tra cavalieri, forse perché nessuno voleva duellare con me.
Trovai Gaheris appoggiato ad un muro rivestito di legno di tiglio, guardava i duellanti muoversi con foga al centro della sala.
«Mordred» mi salutò lui senza distogliere lo sguardo da Gareth e Galahad, stava lì con le braccia incrociate, li stava studiando con interesse.
«Gaheris» ricambiai io fermandomi vicino a lui.
«Sei stato impegnato in questi giorni, ti ho visto poco. Hai già trovato un nuovo amante?»
«No, sono stato da solo a piangermi addosso e a leccarmi le ferite. Tu, invece, con chi ci stai provando questa settimana?»
Si voltò a guardarmi, sorrideva. «Sarai contento di sapere che le cose non vanno molto bene nemmeno a me. C'è una damigella della Regina, si chiama Eitha. Capelli e occhi scuri, due tette da sogno, ma sembra che io non sia alla sua altezza.»
«Sicuramente sta usando una subdola tecnica femminile, vuole vederti strisciare ai suoi piedi. Nessuna donna può sfuggire al tuo fascino ed ai tuoi modi così cortesi».
Chiuse gli occhi, fece una smorfia con la bocca. «Non sono così disperato da aver bisogno delle tue rassicurazioni e dei tuoi consigli, Mordred.»
Incassai la sua risposta senza prendermela troppo. Nostro fratello e Galahad erano instancabili, mentre avevo parlato con Gaheris avevo posato il mio sguardo su Galahad. Sperai che non mi chiedesse mai di duellare con lui, sarei caduto a terra sconfitto dopo pochi minuti. Era davvero abile, agiva d'istinto, l'agilità era la sua forza. Riusciva a far roteare la spada come se non avesse peso, era davvero un ottimo spadaccino.
«Agravain ha invitato Galahad a cena da noi questa sera, era passato qui poco fa, l'hai mancato per poco. Tu ci sarai, vero
Potevo non esserci? Anche se avrei preferito correre nudo per i corridoi del castello per tutta la notte piuttosto che assistere ad Agravain che cercava di parlare bene di me a Galahad.
Non attesi che il duello terminasse, mi defilai con un breve saluto a Gaheris.
Ci misi un sacco di tempo a decidere quale tunica mettere, sebbene la scelta del colore andasse dal nero al... nero. Ne indossai una a caso, prima di uscire dalla camera mi intravidi sul vetro della finestra, fuori pioveva. Mi diedi dell'idiota. Sarebbe andato tutto bene, bastava zittire Agravain. Semplice.
Galahad era già arrivato nella nostra saletta comune, era vicino al fuoco, seduto comodamente su una poltroncina vicino ad Agravain che gli stava porgendo un boccale di birra calda. Gaheris fu il primo a notarmi, il suo gemello seguì il suo sguardo, si voltò ed esclamò «mio caro Mordred, eccoti finalmente, stavamo proprio parlando di te.» Si alzò e mi costrinse a sedermi vicino a Galahad.
«Stavo dicendo che ti ho visto oggi pomeriggio nella sala d'armi» disse il figlio di Lancillotto, lo guardai e lui bevve un sorso della birra abbassando lo sguardo. «Sì, ero passato per vedere chi c'era» risposi sperando di essermi liberato dell'argomento, non potevo certo dire che ero andato espressamente per lui.
Silenzio.
Agravain stava per dire qualche sciocchezza, lo prevenni chiedendo a Galahad chi avesse vinto il duello. Lui si lanciò in una descrizione di alcuni temibili attacchi di Gareth ed il mio fratello più giovane intervenne a suo sostegno. Aveva vinto Galahad, ma non se ne vantava, era stato Gaheris a dirmi il risultato finale.
Vidi con la coda dell'occhio Gawain camminare nervoso dietro di me, mi alzai scusandomi con il nostro ospite e mi spostai.
Gawain mi sorrise mesto. «Scusami, mi sono reso conto di essere sensibile a sentire nominare i duelli, non credevo di essere così debole.»
Mi venne da ridere .«Dovresti distrarti un po'», lui mi guardò con intensità, non ero ancora pronto per sapere come andassero le cose con Sagramore.
«Mordred io credo che...» incominciò lui, lo interruppi «sia ora di mangiare», terminai io.
Gareth tenne occupato Galahad per la maggior parte della serata, involontariamente si stava impegnando per far stare zitto Agravain.
Galahad ci raccontò un po' della sua vita al monastero, c'era stato per sei anni, era stata una vita tranquilla, tra i libri e le esercitazioni private di spada.
Come faceva a dire che non si trovava a suo agio tra persone di un certo calibro? Parlava sciolto, senza interrompersi o incespicare sulle parole da usare. Non era nemmeno intimorito dal trovarsi in mezzo a cinque barbari del Nord, per di più pagani.
Forse avrebbero fatto bene anche a me alcuni anni in monastero. Al pensiero, mi sfuggì una risata nel momento preciso in cui Galahad pronunciò il nome di suo padre.
Tutti mi guardarono. Galahad si rabbuiò, tossii, mormorai un “scusatemi” e mi alzai. Tutti mi imitarono e ci spostammo verso il caminetto. Io rimasi in piedi.
Vidi Galahad indugiare indeciso, non sapeva se sedersi vicino a Gawain oppure avvicinarsi a me. Lo tolsi dall'imbarazzo muovendomi verso di lui, vidi Agravain sorridere da un orecchio all'altro.
Parlai a voce bassa, mentre Gaheris proponeva di giocare a carte. «Non stavo ridendo di tuo padre. Pensavo ad altro.»
«Ah!» Gahalad si rasserenò, ma subito gli passò un'ombra sul volto. «Quindi non mi stavi ascoltando.»
Perchè faceva così? Mi dava l'impressione che gli importasse qualcosa di me.
«Ti ascoltavo, ma stavo pensando che sei così sciolto nel parlare, stare in monastero ti ha fatto bene. Pensavo che...» abbassai ancora la voce, con fare da cospiratore, «farebbe bene anche a me qualche anno di monastero». Lui rise, le mie stupide parole lo avevano divertito.
Con grande disappunto di Agravain, Galahad fu chiamato per giocare a carte.
Fu strano. Bello e strano, stare lì con i miei fratelli a giocare come vecchi amici. Mi imposi di essere rilassato, riuscii quasi a divertirmi.
Forse zia Morgana aveva ragione, potevo anche sforzami di essere me stesso, sembrava che io non fossi poi così male.
La mattina dopo, mi svegliai nel mio letto sentendo un peso sopra di me. Aprendo gli occhi vidi una fiammeggiante chioma rossa posata sul mio petto.
«Agravain, togliti» dissi con la voce ancora impastata dal sonno. Lui alzò la testa, poggiò il suo mento sul mio sterno, scivolando in giù sulle coperte. Mi prese una ciocca di capelli e se la girò tra le dita.
«Avresti preferito trovare Galahad qui, al posto mio?» la sua voce era roca e seducente. Mi mossi per farlo rotolare fuori dal letto, ma lui fu più svelto di me.
Riuscì a trattenermi, bloccandomi con le sue gambe e stringendo il mio volto tra le sue mani.
«Te la stai prendendo comoda con il piccolo monaco, eh Mordred? Ti stai divertendo?»
Non risposi, lo guardavo stizzito.
«Cos'hai deciso mio caro Mordred? Voglio una risposta decisa da te.»
Alzai le sopracciglia, lui mi lasciò andare. Mi misi a sedere. Mi sfregai il volto a disagio, cosa gli dovevo dire? Se gli avessi detto che non avrei fatto quello che mi aveva chiesto, avrebbe trovato un altro modo per mettere in ridicolo Lancillotto e chissà cosa avrebbe fatto al ragazzo. Non che mi importasse di Lancillotto, ma Galahad... non meritava, oh Dea, non meritava di essere uno strumento di vendetta. Anche se mi trattava con finta gentilezza, Galahad aveva riso, ma non di me, ma per quella frase idiota che avevo pensato.
«Lo farò, Agravain.»
Lui mi accarezzò la testa, io mi spostai infastidito. «Bravo ragazzo», mi disse. Se ne andò e mi lasciò solo a chiedermi in quale maledetto intrigo fossi finito.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8

La verità era che... non sapevo bene nemmeno io perché avevo accettato la proposta di Agravain, certo credevo che Lancillotto fosse un traditore, adultero ed altezzoso, ma ne valeva la pena rovinare Galahad per rovinare suo padre?
Oppure stavo per fare tutto questo perché speravo in qualche modo di proteggere il piccolo monaco dalle zampe di mio fratello?
Oppure... chiodo scaccia chiodo, avevo appena chiuso la relazione più importante e lunga della mia vita, forse con questa pericolosa impresa mi sarei distratto, magari chissà... le affinità se non ci sono si possono sempre creare. Scrollai le spalle nervoso, come potevo andare d'accordo con quel ragazzo gentile?
Forse con tutta questa storia avrei perso la faccia.
Per quel poco di dignità che mi rimaneva, ovviamente.
E se fossi stato io a capitolare ai piedi di Galahad? I suoi modi mi avevano già fatto comportare in modo anomalo e premuroso.
Lui aveva riso per quello che gli avevo detto, mi trovava una persona interessante.
Stavo già volando con la fantasia e questo era un male. Presto mi sarei ritrovato ad immaginare un'ipotetica conversazione con Galahad, sì, la solitudine fa male.
Avrei forse dovuto usare la tecnica del cavaliere solo e maltrattato da tutti appena abbandonato dall'unico uomo che avevo mai amato? Bè, non era una gran tecnica, era esattamente quella la mia situazione.
Girovagando per il castello mi fermai nella loggia con colonnato al secondo piano che dava sul giardino interno della Regina Ginevra, lei era lì attorniata dalle ancelle e due cagnolini bianchi che erano obbligati a divertire la compagnia cercando di riportare alla Regina dei bastoncini che venivano lanciati con malagrazia.
Sbuffai, a pensarci bene quei cani facevano una vita migliore della mia, vivevano facendo cose inutili e tutte quelle donne ne erano deliziate. Avrei potuto anch'io provare ad andare a raccattare bastoncini, magari me la sarei cavata meglio che con la spada.
«Cosa potrebbe succedermi di preciso, secondo te, se dovessi promettere ad una fanciulla di sposarla e poi non lo facessi?», era la voce di Gaheris, l'avevo intravisto tra le colonne mentre mi raggiungeva, lo guardai stupito.
«Ma non eri tu quello che non voleva i miei consigli, fratellino?», lui aveva lo sguardo fisso su una damigella, la riconobbi, Eitha.
«Non ti sto chiedendo un consiglio», si mise la mani sui fianchi, doveva essere la prima volta che lo vedevo quasi preoccupato per qualcosa.
«Dipende da quello che fai con quella fanciulla tra la promessa di matrimonio ed il non matrimonio. Credi davvero che la tua Eitha cadrebbe in questo tranello così scontato? Sei peggiorato negli ultimi tempi Gaheris», gli strinsi una spalla.
Lui sogghignò, «E tu invece, cosa mi dici? Non mi pare di aver visto progressi con la tua preda.» Lui sapeva, Agravain condivideva certe oscure trame con il suo gemello, non me ne sarei dovuto stupire.
Io non condividevo proprio nulla con nessuno dei miei fratelli. No, con Gawain avevo spartito un amante, se così si poteva dire, ed un segreto del Regno, se era davvero un segreto.
«L'ho visto poco fa che si dirigeva verso le stalle, non credo che stesse per uscire a cavallo», mi sorrise nello stesso modo di Agravain. Mi chiesi se Gaheris si divertisse a fare quello che gli chiedeva il gemello, se agissero di comune accordo o se invece uno dei due muovesse l'altro come una marionetta.
Mi parve quasi di vedere dei fili attaccati agli arti di Gaheris.
Lo ringraziai per la splendida conversazione e decisi che non avevo di meglio da fare se non andare a trovare le tracce del mio monaco.
Entrai nelle stalle portando con me una mela rinsecchita, tanto per far vedere che ero andato lì per la mia giumenta Elvellon e che ero un padrone premuroso. Vidi subito la testa di Galahad in fondo alla corsia centrale della stalla, stava riempiendo un sacco di biada per il suo cavallo, non si voltò, era molto concentrato.
La stalla era divisa in vari locali, separati tra loro da dei pannelli di legno chiaro, camminando piano, andai da Elvellon che se ne stava sul lato sinistro della sua porzione di stalla, quando mi affacciai, mosse infastidita la coda e scollò la bella testa nera, le rivolsi delle dolci parole insensate per farla avvicinare, allungai la mano invitandola ma se ne rimase lì a fare l'altera. Decisi di entrare, non si mosse, le sussurrai «stupida vanitosa» avvicinandomi e le diedi la mela che mangiò senza degnarsi di guardarmi.
«E' un animale splendido», era la voce di Galahad, forse aveva visto l'intera scenetta, che pensasse pure che ero uno sciocco che se la prendeva con un cavallo.
Gli risposi senza voltarmi «Meriterebbe un padrone migliore di me», mi pentii subito di quelle parole, ero stato troppo melodrammatico. Avrebbe finito per compatirmi.
Lo sentii espirare forte come per la sorpresa, «Perché mai? Gli hai pure portato una mela oggi!». Sciocco, pensai. Non aveva capito, volevo intendere che io non ero degno di questa bella cavalcatura, dato che avevo l'animo sporco.
Sarebbe stato difficile, così candido ed anche un po' tonto, difficilmente avrebbe compreso delle vaghe allusioni…
Diedi una pacca affettuosa sul fianco della giumenta ed uscii, Galahad mi guardava speranzoso, qualsiasi cosa avesse per la testa non ero sicuro di volerlo accontentare. Avrei finito per essere infantilmente affascinato dai suoi modi.
Dannazione! Dovevo essere io a rovinarlo, avrei potuto... avrei potuto baciarlo in quel momento, buttarlo a terra e tutto sarebbe finito. Mi avrebbero bandito da Camelot ed io sarei finito a fare il pescatore da qualche parte. Di sicuro ero più abile con l'ago per le reti che con la spada. Me ne volevo davvero andare? Agravain... forse il suo piano era escogitato per rovinare me e non Lancillotto? Mi sentii quasi vacillare.
«Mordred, hai da fare ora?», Galahad parlò e mi riportò alla realtà.
Mi sentii un nodo alla gola, che cos'ero riuscito a pensare con lui così vicino?
Scossi la testa guardando la porta della stalla, lui mi chiese se volevo seguirlo nella sala d'armi, avremmo potuto allenarci assieme, ci saremmo divertiti.
«Tuo padre non ti ha messo in guardia nei miei confronti? Cose tipo “evita quel bastardo dal fare lunatico” oppure “non ti far vedere troppo in giro con quel tipo strano”?» sbottai.
Perché lo respingevo adesso? Dea, forse stavo impazzendo.
Galahad si irrigidì e lo vidi arrossire.
C'avevo preso in pieno.
Bastardo di un traditore adultero di un Lancillotto!
«In realtà... mi ha detto entrambe le cose. Ma io gli ho chiesto se ti conosceva così bene per parlare in questo modo di te, lui è rimasto in silenzio.» Sorrise, un angolo della bocca gli tremava.
«Sei stato molto gentile con me...» sentendolo dire così scoppiai a ridere, mi appoggiai con la schiena al tavolato per non cadere, «Oh Mordred, non ridere di me. Anche i tuoi fratelli lo sono stati, Gawain mi ha insegnato alcune mosse con la spada, i gemelli... bè Agravain è molto affettuoso e Gaheris, con lui non ho parlato molto ma mi ha dato dei consigli per giocare a carte! Gareth... è molto simpatico e parla, parla molto» agitò le mani, «non intendo dire che sia noioso ma io sono un tipo taciturno, mi piace anche il silenzio. Insomma...», degluttì, «tu mi sei sembrato il più discreto... e…»
«Andiamo in sala d'armi, così vedrai che sono un tipo alquanto noioso, mi farai fuori in pochi minuti.»
Non avevo il coraggio di dirgli che sicuramente Gaheris lo aveva imbrogliato giocando a carte e non avevo nemmeno voglia di dirgli che avevo scoperto che la discrezione fosse una qualità così importante. Importante per lui.
Durante gli allenamenti decidemmo di fare una piccola sfida, io ero fuori allenamento, ma secondo il piccolo monaco ero molto agile e riuscivo a sorprenderlo con delle mosse inaspettate. In pratica giocavo sporco ma lui cercava di vederla come una cosa positiva.
Ingenuo.
Non mi spiegavo però perché si sentisse in obbligo di essere così con me, forse ribellione giovanile nei confronti del padre? Voleva dimostrargli che la sua opinione su di me era sbagliata?
Ne capivo qualcosa di quel sentimento, ma per quanto cercassi le attenzioni di Artù con fare lunatico e risposte sprezzanti, il Re si girava sempre dall'altra parte, facendo finta di non vedermi.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Capitolo 9

Agravain venne una sera a trovarmi mentre mi preparavo per andare a letto, entrò in camera mia senza bussare. Mi trovò semi nudo e mi guardò in modo sensuale, portandosi una mano alle labbra, la mia occhiata lo fece desistere dall'avvicinarsi troppo.
«Come mai sei qui a quest'ora? Non dovresti essere tra le braccia del tuo uomo?», ero indeciso, forse era meglio che mi rivestissi.
Lui si gettò sul letto sospirando, la sua voce però era seria e dura. «Abbiamo litigato. In realtà ho fatto l'offeso per un'inutile questione, lo sai anche tu che è bello fare la pace», si girò su un fianco, si mise a tormentare la coperta con le dita.
Io ero rimasto in piedi a studiarlo, dato che non volevo stargli troppo vicino, mi sedetti su di una poltrona sotto il davanzale della finestra socchiusa, era aprile inoltrato e c'era una leggera brezza in cui mi illudevo di sentire il profumo del mare.
«Quindi le cose tra te e l'uomo misterioso andavano così bene che hai pensato di creare un po' di problemi, ti stavi annoiando?»
«Esattamente, solo tu Mordred riesci a comprendere appieno i miei sentimenti.» Si girò con la pancia in giù, lo vidi strusciare la testa sul letto. Mi innervosì notare che anche lui aveva quell'abitudine, doveva essere un'eredità di nostra madre.
«Hai più avuto notizie da nostra madre?» Lui si tirò su di scatto, i suoi occhi erano vigili, il suo volto pallido.
«Perchè me lo chiedi Mordred?» La sua voce fu un sussurro.
C'era qualcosa di sospetto. Decisi di fare finta di nulla, probabilmente non avrei ricavato nulla di buono cercando di capire cosa stesse tramando mio fratello.
«Nulla di particolare, solo che io non sono mai stato un grande scrittore di epistole, so che tu sei l'unico che abbia mai risposto ad una delle sue lacrimevoli lettere. Tutto qui.»
Lui si rilassò, si morse le unghie di una mano e poi tornò a stendersi sul letto.
«Mi ha implorato di perorare la sua causa presso tuo padre, vorrebbe lasciare il Nord e trasferirsi a Camelot, con i suoi fratelli e figli. Io non ho nemmeno provato a parlare con il Re, tutto tempo perso.» Chiuse gli occhi, pensai che si fosse addormentato, non avevo la minima intenzione di dividere il letto con lui, ne avevo avuto abbastanza dei suoi calci quando vivevamo a Dunpeldyr.
«Sai ho scoperto che ha un amante... un cavaliere» parlò senza aprire gli occhi, forse c'era ancora la possibilità che se ne andasse presto. Non era una gran novità il fatto che Morgause avesse un amante, ne erano passati altri per il suo letto in quegli anni.
«Lei pensa di amarlo e vorrebbe sposarlo, ma lui non è degno di lei. Lui non la ama, la sta solo sfruttando per diventare qualcuno.» La sua voce si era fatta aspra. Agravain e Gaheris erano i più affezionati a loro madre, io... io l'avevo odiata per avermi portato via della spiaggia mentre riparavo le reti del mio padre adottivo. Mi aveva inorridito sapere cosa aveva fatto per mettermi al mondo, ma non ci pensavo più tanto, il mio comportamento da figlio non amato e alla ricerca di attenzione era interamente dedicato ad Artù.
«Agravain non mi racconti nulla di nuovo, cosa sei venuto a chiedermi?» Dissi paziente, cercando di trovare la calma per poter rispondere alle due domande su Galahad.
Si alzò e venne ad inginocchiarsi di fronte a me. Questo era un brutto, bruttissimo segno. Mi prese le mani e me lo baciò, le sue labbra indugiarono sulle mie nocche, io feci per spostarmi ma lui fece saettare la sua lingua sulla mia pelle. Gli diedi un calcio e lo feci cadere all'indietro, lui rimase così disteso a guardare il soffitto.
«Sono fiero di te Mordred, il tuo piccolo monaco ormai ti cerca con lo sguardo ovunque, oggi si è arrischiato a chiedere a Gaheris dove fossi.» Si alzò, passò con perizia sulle pieghe della tunica per sistemarle. «Stai facendo un ottimo lavoro.»
Uscì fischiettando sereno.
Ero caduto. Caduto in una tela di ragno.
La mattina seguente avevo appuntamento con Galahad nelle sue stanze. Il fatto di dover varcare quella soglia mi metteva a disagio, le divideva con il padre, il solo pensare cosa avesse fatto Lancillotto con la Regina oltre quelle porte mi faceva venire i brividi dall'orrore.
Eppure era strano, perché inorridivo per questo? Era solo sesso e non dubitavo che mio padre si fosse divertito con altre o con altri. Ma il Re è il Re, può fare quello che vuole. Ma la Regina è la Regina e può fare pure lei quello che vuole, ma con quel so-tutto-io-faccio-tutto-io-quanto-sono-affascinante-io che si sposa una damigella della Regina per tentare di nascondere un'altra relazione, no! Lancillotto non si sarebbe dovuto sposare, però in quel caso non sarebbe nato Galahad. Ma che me ne importava? Sarebbe stato... Ginevra avrebbe dovuto scegliere meglio il suo amante, c'erano decine di cavalieri migliori di quella piattola a Camelot, per esempio Bedivere! Ma lui era folle e fedele ad Artù. Sagramore! Mi venne da ridere a pensarli assieme. Avrebbe addirittura potuto scegliere me, sarebbe stato uno scandalo perfetto. Mi venne la nausea, le parole di Gawain mi tornarono in mente, Mordred, non oso ripetere quelle parole, farebbero arrossire chiunque.
La volgarità era apprezzabile solo in un marinaio, non in una donna e nemmeno in un cavaliere. Dea, com'ero diventato morigerato. Era tutta colpa del piccolo monaco, sicuramente.
Galahad mi fece entrare tutto sorridente nella sala comune che collegava la sua stanza e quella di Lancillotto. Dividemmo insieme un piccolo spuntino con frutta, pane tostato e miele, lui era stranamente in vena di chiacchiere, arrivai a chiedermi se era davvero un tipo di poche parole, come aveva detto. Mi ritrovai a pensare a Sagramore, tendevo a scacciarlo dalla testa quando mi ricordavo follemente qualcosa che avevamo fatto assieme, anche al di fuori delle lenzuola. Era difficile, sentivo un nodo in gola quando a cena Gawain non c'era o lo sentivo rientrare tardi di notte. Pensare che Sagramore dedicava quel genere di attenzione a mio fratello... di certo sarebbe stato ancora più intenso con Gawain. Il volto di Sagramore dipinto di tensione e passione e poi quando si rilassava, le linee severe del suo viso raggiungevano la pace e solo io potevo vederlo in quel momento. Era qualcosa di privato, come un segreto tra me e lui. Ma ora quel sorriso stanco e gli occhi semichiusi dopo l'estasi non mi appartenevano più.
Mi sfuggì una sorta di gemito soffocato e Galahad interruppe la sua arringa, se mi avesse chiesto di cosa avesse parlando non l'avrei potuto dire. Mi scusai dicendogli che non mi sentivo a mio agio lì dentro, lui sapeva che la poca simpatia che provava suo padre nei miei confronti era reciproca. La cosa divertente era che non mi avesse detto, come aveva fatto con Lancillotto, di provare a conoscerlo davvero per scoprire che era una brava persona.
Gli proposi di fare un giro sulle mura, forse l'aria fresca mi avrebbe portato via Sagramore dalla testa.
Lui accettò senza fare commenti, forse pensava di aver fatto male ad invitarmi lì oppure di avermi annoiato con le sue parole, qualunque cosa mi avesse raccontato.
Fu un errore andare lì, almeno per me.
Ci eravamo fermati vicino alla porta Sud, il sole era ormai alto, vidi due cavalieri che si stavano avvicinando veloci, forse stavano facendo una gara di velocità, li riconobbi facilmente, la capigliatura rossa di Gawain brillava come un rubino. Quando furono a poca distanza dalle mura li sentii ridere divertiti e ansanti per lo sforzo. Sagramore con quella suo tono roco e profondo, risvegliò in me il desiderio che avevo tenuto lontano da me per giorni. Gawain notò me e Galahad, anche Sagramore alzò la testa, fecero per salutare con la mano ma io mi voltai veloce, me ne andai lasciando Galahad da solo.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Capitolo 10

Mi ero comportato da codardo? Sì.
Avevo fatto la figura dell'idiota? Sì.
Avevo offeso Galahad? Forse.
Non sentii il piccolo monaco chiamarmi o corrermi dietro, forse era rimasto stupefatto e addolorato per la mia fuga, non ero nemmeno stato in grado di dirgli una parola. Sarebbe bastato salutare Sagramore e mio fratello ed avremmo potuto continuare la nostra passeggiata.
No, non sarebbe stato possibile, ero troppo sconvolto dopo aver sentito in me risvegliarsi tutto quello che avevo cercato di sopire in quei giorni.
Mi rifugiai da mia zia Morgana.
Lei mi ricevette con la solita calma e comprensione, notò subito che avevo qualcosa che mi tormentava più del solito. Non avevo voglia di parlare e lei si accontentò di stare seduta davanti al camino, con me seduto a terra sul tappeto che accarezzavo il suo gatto grigio. Mi invitò a pranzare con lei e io accettai con gratitudine. Mi stavo nascondendo.
Durante il pranzo non parlammo di nulla, la vedevo studiarmi da sotto le lunghe ciglia, ma non fece alcuno sforzo per farmi dire alcunché.
Mi offrì un liquore che profumava pesantemente di pesche, quello mi sciolse un poco la lingua.
«Sono caduto nella tela di un ragno e ho cercato di fare l'altruista ma ho scoperto che mi riesce malissimo, zia.» Buttai giù l'ultimo goccio del liquore ambrato e lei non aspettò che le chiedessi di riempirlo di nuovo, ci pensò personalmente. Fece un cenno alla sue ancelle che si ritirarono tutte in un'altra stanza.
«Mio piccolo corvo, non capisco come tu possa paragonare Galahad ad un ragno. Io lo vedo meglio come un-», la interruppi bruscamente sentendomi la gola bruciare. «Agravain, non Galahad.»
Sul suo volto passò una nuvola veloce, sorseggiò un po' dal bicchiere ed assentì con un cenno della testa, Agravain era un abile ragno.
Le raccontai della proposta, ovvero dell'obbligo che mi aveva in qualche modo imposto mio fratello. In verità non era stato un obbligo, avevo deciso io, anche se i motivi non mi erano ancora chiari.
Le spiegai anche come mi ero comportato da idiota sulle mura.
«Come si fa a dimenticare una persona, zia?» Feci roteare il bicchiere seguendo una goccia sul fondo, ero come ipnotizzato.
«Non si dimentica mai del tutto Mordred. Ci sarà sempre qualcosa che te lo porterà alla mente, nessuno ti obbliga ad essere amichevole con Sagramore. Ma nemmeno che tu lo debba evitare o insultare. Sei stato tu a decidere che era finita tra voi, no?»
Sì ero stato io, me n'ero forse pentito?
Galahad era solo un gioco?
Non sapevo rispondere a quelle domande, me ne stavo ponendo troppe in quei giorni.
Mi tornarono alla mente le parole di Agravain, riguardo nostra madre ed il suo amante. Forse Morgana si teneva in contatto con la sua sorellastra, magari sapeva qualcosa.
Perché avevo l'impressione che ci fosse qualcosa che non quadrasse in tutto questo?
«Basta parlare di cose tristi, devi dirmi qualcosa su Gahalad! Le voci corrono su voi due, avresti dovuto vedere Lancillotto quando vi ha visti uscire insieme dalle sue stanze questa mattina, è stata la cosa più divertente che io abbia mai visto.» Rise come una ragazzina.
Dunque Lancillotto sapeva, se avesse osato dirmi qualcosa avevo un'arma da usare contro di lui, ma non potevo usarla, Gawain si fidava di me.
Gawain.
Risposi come potevo a mia zia Morgana, però non l'accontentai più di tanto, mi mantenni sul vago, dicendo che mi trovavo bene con lui e che forse la sua amicizia era solo ribellione giovanile. Lei sembrò divertita da questa mia affermazione, tornò alla questione Agravain e guardando le fiamme del camino mi disse di tenermi pronto a cogliere l'occasione in cui Gaheris avesse abbassato la guardia, ci sarebbe stata l'occasione per chiarire tutto con Agravain.
Le chiesi cosa intendesse ma lei si limitò a sorridere e ad indicare con un cenno della testa il fuoco. Aveva visto qualcosa. Mi passò un brivido per la schiena.
«Ora vai mio caro, cerca Galahad, non perdere la tua occasione con lui.»
Annuii, la baciai su una guancia e volai fuori dalle sue stanze.
Andai in sala d'armi, ma nessuno l'aveva visto, cercai nelle stalle e non fui più fortunato, visitai i vari giardini ma non trovai nessuna traccia di lui. Avevo il coraggio per andare a bussare alla porta delle sue stanze? Dato che avevo bevuto quel delizioso liquore alle pesche, sì.
Avvicinandomi alla porta sentii delle voci concitate provenire dalla stanza. Che Lancillotto stesse ammonendo il figlio per avermi invitato lì quella mattina?
Sentii un nodo in gola, forse era meglio aspettare che gli animi si calmassero e che uno dei due uscisse, potevo nascondermi dietro ad una colonna e tutto sarebbe andato bene.
La porta si aprì veloce prima che io mettessi il mio piano codardo in atto.
Ser Kay.
Il siniscalco, il gigante rosso mi fissava infuriato, i suoi capelli erano scompigliati e le sue guance erano paonazze.
Rimasi a bocca aperta.
Sbiancò, mi scostai e se ne andò senza fiatare. All'interno della stanza vidi Lancillotto e mio padre, avevano un'aria scossa. Avevano litigato loro tre insieme? Nella mente si formarono le possibili coppie, dubitai però che Kay se la facesse con Ser Mifacciolamogliedelre, quindi... Mio padre con il fratellastro! Mi si accesero gli occhi di malizia, allora era un vizio. Anche se Kay ed Artù non avevano sangue in comune erano comunque cresciuti come fratelli, ignorando per anni di non essere legati.
«Mordred!» disse mio padre sorpreso, io chinai la testa per nascondere un sorriso.
«Non volevo disturbare, sono davvero dispiaciuto», all'improvviso mi sentivo spavaldo e con in pugno ben tre cavalieri. Quant'ero sciocco, sicuramente a Camelot sapevano tutti delle preferenze del Re, ero solo io a non prestare troppa attenzione a queste cose. O forse non le vedevo proprio, non potevo certo dare del tonto a Galahad. «Cercavo Galahad», guardai Lancillotto la cui bocca scattò di lato, era infastidito, «ma dubito che si trovi qui.» Chinai la testa in modo vagamente teatrale, chiusi la porta e me ne andai sorridendo come un ebete.
Andai sulle mura, magari c'era qualche guardia che non aveva ancora finito il turno che mi poteva dire se aveva visto Galahad o almeno in che direzione era andato.
Lo vidi da lontano, era seduto tra due merli vicino alla porta Sud. Possibile che fosse rimasto lì dalla mattina?
«Galahad» dissi quando ero a pochi passi da lui, parve svegliarsi come da un sogno. Si alzò rigido e mi rivolse un sorriso tremulo. Era vestito di bianco ed il suo volto era più pallido della sua tunica.
«Non... da quanto sei qui? Sarà un'ora che ti cerco!»
«Sono rimasto qui» disse lui guardandosi i piedi.
Cercai una spiegazione al suo comportamento ma non lo trovai. Poi passavo io per quello strano a corte, mi consolava sapere che non ero proprio solo.
«Quindi non hai mangiato? Vieni dai, ho delle cose interessanti da raccontarti su tuo padre.» Gli presi un gomito e lo trascinai verso le cucine, prendemmo del formaggio, del pane nero ed una bottiglia di vino, lo portai nel giardino con l'albero di castagno secco. Mentre lo guardavo mangiare gli raccontai che ero andato a cercarlo in camera sua, che avevo trovato un bellissimo trio di cavalieri e cercai di capire quanto ne sapesse e se era disposto a parlare di certe questioni così spinose. Lo ritrovai a ridere di gusto, ne sapeva più di me. Artù e Kay avevano una relazione da anni, praticamente da quando avevano scoperto di non essere fratelli, il Re aveva preso qualche sbandata con Bedivere prima, che aveva sedotto ed abbandonato, con Lancillotto poi, per un certo periodo. Ora Artù si diceva innamorato di Kay ma secondo il siniscalco, il Re usava sempre della attenzioni verso Ser Mifacciolamogliedelre che andavano oltre la normale amicizia. Quindi c'era una sorta di triangolo che però era un po' allargato visto che Lancillotto... qui si fermò arrossendo. Probabilmente si era accorto di aver detto molto, troppo. Io gli dissi che non era necessario che aggiungesse altro, se non se la sentiva o se stava tradendo qualche confessione.
Fu strano e divertente sparlare dei nostri genitori, anche per lui fu una sorta di liberazione raccontarmi quanto sapeva, forse in me aveva trovato la persona giusta per parlarne. Anche se ero non ero privo di malizia come lui.
Mi ero fatto l'idea che i cristiani fossero molto rigidi riguardo questi peccati, questi tradimenti. Gli chiesi cosa ne pensasse la sua religione di tutto questo.
«Ah... credo che ai re siano perdonati certi peccati con più facilità. Però deve esserci il pentimento, che è importante, ma bisogna avere il tempo per espiare, non ha alcun senso pentirsi in punto di morte.»
Pensai che il suo Dio fosse complicato, la Dea comprendeva l'amore in tutte le sue forme.
La Dea capiva anche la confusione che si agitava dentro di me?

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Capitolo 11

La mattina dopo mi svegliai percependo un presenza in camera mia. Agravain, ancora? Non ne volevo sapere di lui, si sarebbe ancora congratulato con me per i progressi del giorno precedente. Feci finta di dormire, se non altro questa volta non era venuto nel letto a sfregarsi contro di me.
«Mordred, lo so che sei sveglio», la voce di Gawain era seria. Io mi azzardai a far uscire la testa dalle coperte, lo vidi seduto sulla poltrona sotto alla finestra che guardava con finto interesse l'arazzo sul muro opposto.
Tornai sotto le coperte mugugnando qualcosa, in quel momento avrei davvero preferito dover parlare con Agravain piuttosto che con Ser Labbrasensuali.
«Mordred, non fare il bambino, dobbiamo parlare», continuò lui senza avere pietà di me.
«Mi sono già comportato da bambino ieri, no? Posso tranquillamente continuare a farlo anche per oggi. E poi io non ho nulla da dirti e se non vuoi che ti sputi in faccia qualcosa di cui poi mi pentirò è meglio se esci da camera mia.»
Lo sentii sospirare. «Ti stai comportando davvero come un ragazzino acido, mi sembra di essere tornato a casa quando ti arrovellavi il cervello per richiamare l'attenzione di nostra madre. Lei ogni tanto faceva finta di cadere nei tuoi trucchetti, ma aveva sempre quello sguardo... da volpe con te. Forse sognava per te...» Gettai via le coperte e mi misi a sedere sul letto, fissando lo sguardo sulla finestra e sulla collina che c'era in lontananza.
«Ne ho abbastanza di sentir parlare di nostra madre. L'ho sentita nominare anche troppo in questi giorni.» Mi alzai e incominciai a lavarmi il viso gettandomi velocemente l'acqua addosso con le mani.
«Perchè? Che notizie hai da nostra madre? Ti ha scritto?» Disse interessato Gawain seguendo tutti i miei movimenti, scelsi una tunica nera tra tutte le tuniche nere. Potevo anche decidermi ad indossare qualche colore diverso ogni tanto.
Ah! Dea! Come mai pensieri così positivi si affacciavano nella mia testa?
«Non credo che tu sia venuto qui per parlare di lei o sbaglio? E poi da quando in qua entri nella mia stanza senza chiedere il permesso? Hai preso i vizi di Agravain?»
Lui non rispose a nessuna delle mie inutili domande. Si alzò e mi venne vicino.
«Mordred, perché ti sei comportato in quel modo ieri? Non vorrei mai che tu mi odiassi e nemmeno Sagramore lo…»
Non ce la facevo, davvero, era troppo per me. Potevo evitarli, potevo difficilmente chiudere gli occhi difronte alla loro crescente intimità, ma non potevo ascoltare le sue parole. Loro due parlavano di me? Avevano pietà di me?
«Cos'è? Hai paura che vada a raccontare ai quattro venti il segreto di Lancillotto? Tanto lo sanno tutti a corte, cosa pensi?! E nessuno, ti assicuro, nessuno crederebbe alle mie parole! Sono solo un idiota che ha osato pensare di essere qualcuno!» Mi stavo di nuovo comportando come un cretino, Gawain avrebbe raccontato a Sagramore della mia stupida sfuriata. Già mi immaginavo Sagramore scuotere la bella testa, gli occhi chiusi che mormorava parole di conforto per mio fratello.
Gawain sospirò. «Galahad crede alle tue parole.» Feci per interromperlo, come osava mettere in mezzo Galahad? Lui fece un gesto imperioso con la mano e non osai aprire bocca. «Non me ne vado da qui fino a che non mi dici che cosa ho fatto di tanto male per farti scappare in quel modo. Se ho detto o fatto qualcosa per offenderti, non l'ho fatto coscientemente.»
Perché chiedermi questo?
Perché avevo sentito il mio cuore sbriciolarsi mentre me lo chiedeva?
Un dubbio mi scivolò lungo la schiena.
«Tu e Sagramore...», tossii a disagio. Possibile che…
Lui allargò le braccia senza capire e per invitarmi a proseguire.
«Voi due, siete... bè hai capito cosa intendo». Lui sgranò gli occhi e si mise a ridere.
«Pensi forse che io mi sia buttato nelle braccia di un altro così in fretta? Anche se io non avevo nessun altro in realtà. Mordred, non è facile dimenticare una persona, lo sai anche tu. Nemmeno per lui è stato facile chiudere con te, così all'improvviso. Ci siamo solo capiti a vicenda. Se questo ti da fastidio io-»
Mi tappai le orecchie come un cretino. «Zitto! Non aggiungere altro. Tu non devi fare nulla per me, vivi la tua vita. Non so cosa mi sia preso ieri, ero nervoso perché ero stato nelle stanze di Lancillotto, sono un tipo davvero sensibile sai?»
Rise di nuovo, divertito.
Possibile che Gawain il bello fosse così ottuso da non aver capito quello che provava per lui Sagramore? Non aveva voluto mai ammettere che ci fosse davvero una relazione tra Ser Mifacciolamogliedelre e la Regina fino al momento in cui la cosa non gli era stata sbattuta in faccia. Anzi gli si era attaccata alla schiena.
Dea! Salvaci!
«Ho saputo Mordred, qualcuno ti ha visto uscire dalle stanze di Lancillotto in ottima compagnia. Anche se tutti hanno pensato la stessa cosa, io non ho avuto dubbi. Sei troppo discreto per metterti ad amoreggiare in bella vista» disse mio fratello.
«Io non amoreggio! Che stai dicendo tonto che non sei altro!» mi avvicinai prendendolo per la tunica.
«Come osi darmi del tonto, proprio tu che non hai ancora capito che Galahad stravedere per te?» disse ridendo.
«Tu, zucca vuota, osi venire a parlarmi in questo modo? Ma come ti permetti?» mi stavo trattenendo dal ridere, mi tremava la bocca. Stavamo per azzuffaci amichevolmente ma purtroppo fummo interrotti da Gareth che con faccia preoccupata ci spiava dalla porta socchiusa.
«Gareth!» Urlai di follia euforica lasciando Gawain e precipitandomi a spalancare la porta, il mio fratellino fuggì per la nostra sala comune ma io, percorrendo la lunghezza del tavolo parallelamente a lui, riuscii a bloccarlo prima che uscisse. Rimanemmo a pochi passi l'uno dall'altro a fissarci, lui sembrava un coniglio in trappola, con gli occhi spalancati.
Gli sferrai il mio attacco, lui si voltò, andò a sbattere contro Gawain che ci aveva raggiunti e così finimmo tutti e tre a rotolare sul tappeto davanti al camino.
Ridemmo fino a farci lacrimare gli occhi.
Sapevo che le mie lacrime non scendevano dai miei occhi solo per quello, ero sollevato, Sagramore avrebbe aspettato, avrebbe atteso prima di donare tutto se stesso al suo vero amore.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Capitolo 12

Chi se ne importava di Agravain? Chi se ne importava di Lancillotto, di mio padre e di Kay!?
La verità era semplice anche se faticavo ad ammetterlo con me stresso.
Stavo dannatamente bene con Galahad. Le mie uscite caustiche non lo intimorivano, anzi lo divertivano. La mia vena lunatica era accolta con pazienza, silenzio e chissà perché lo pensavo, comprensione.
Non sapevo però se mi stavo solo illudendo, forse mi stavo affezionato all'idea che gli potessi piacere? Era vero amore? Era giusto? Era sbagliato?
A volte avrei preso volentieri a testate il muro.
Volevo che mi parlasse di sè.
Volevo che mi chiedesse di me.
Ma lui non chiedeva e io facevo lo stesso, eravamo, almeno, io ero esitante. Avevo paura.
Avevo paura?
Affezionarmi, questo era il problema.
Gawain provava affetto per me, ma io lo avevo sempre saputo fin da ragazzini che c'era un baratro tra di noi. Lui era destinato a diventare re, aveva un padre certo, un regno, uomini pronti a giurare fedeltà sulla fiducia solo vedendolo.
Lo invidiavo, volevo essere lui... ero stato lui per un breve periodo, almeno per Sagramore.
Artù.
Quando Morgause portandomi a Camelot mi aveva detto di chi ero figlio, avevo perso un battito del cuore, non le avevo creduto. Poi lo avevo visto, avevo visto me stesso in lui ed il mio cuore di era riempito di speranza, lì al Nord non era insolito che due fratelli si sposassero. Ma qui, dove c'era la civiltà e i cristiani, tutto era diverso.
Io ero il figlio del peccato, un barbaro, bastardo.
Artù aveva paura di me.
Che avesse paura di affezionarsi a me?
L'affetto, l'avevo mai provato?
Credo che, vedere Galahad impacciato mentre tentava di sellare Elvellon, la mia giumenta, senza farsi aiutare degli stallieri, perché si era dimenticato di avvisare i paggi che stavamo per uscire, assomigliasse molto all'affetto.
Mi voltai dall'altra parte, ero incapace di trattenermi dal sorridere come un ebete. Mi si ghiacciò l'espressione vedendo Agravain salutarmi da una finestra del secondo piano.
Tornai a voltarmi verso il monaco novello stalliere, lo feci spostare e mi occupai da solo della sella.
Uscimmo a fare una galoppata, a quanto pareva si fidava a rimanere completamente da solo con me. Aveva un'espressione cupa, guardava fisso le orecchie del suo cavallo bianco.
Non volevo e non ero in grado di dirgli qualche bella parola gentile per dirgli che non ero arrabbiato con lui per quella sciocca faccenda della sella.
«Chi arriva per ultimo al bosco è un amico di Bors!» Dissi scattando in avanti.
«Che c'è di male ad essere amico di Bors?» Lo sentii dire dietro di me, io scoppiai a ridere mentre avanzavo e sentivo che cercava di raggiungermi. Il vento mi fischiava nelle orecchie, il mantello volava dietro le mie spalle e mi sentivo un ragazzino giovane e speranzoso fuori da quelle mura che mi avevano buttato addosso tanti di quegli aggettivi spiacevoli da avermi reso curvo e acido. Come un vecchio.
Galahad arrivò per primo.
«Mi hai fatto vincere? Che vuol dire essere “amici di Bors”?» Chiese lui ansante.
Non l'avevo fatto vincere, semplicemente Elvellon se l'era presa comoda, forse iniziava a trovarmi antipatico, lei sbuffò. Mi leggeva nel pensiero?
«No, non ti ho fatto vincere, ti sei impegnato per non essere considerato amico di Bors, tutto qui.» Evitai di rispondere alla sua seconda domanda fingendomi interessato a sistemare le briglie.
Lo sentii sospirare, io alzai la testa sorpreso. L'avevo offeso? Oh, povero, povero me.
«Allora devi pagare pegno.» Sorrise in un modo che non gli avevo mai visto, sembrava quasi malizioso, se non lo avessi conosciuto avrei pensato che ci stesse deliberatamente provando con me.
Lui diede di sprone al cavallo e si lanciò a correre sul sentiero del bosco, arrivammo in una radura, ci fermammo lì. Scendemmo e dopo aver impastoiato le cavalcature ci accomodammo sotto un altissimo pino, mi sentivo leggermente in imbarazzo, forse avevo voluto interpretare in modo esagerato le sue parole. Di certo aveva tentato di scherzare, anche se ne era praticamente incapace.
Estrassi il pugnale che portavo legato alla coscia e incominciai ad intagliare un rametto che avevo trovato per terra. Lui stava zitto, io stavo zitto. Sentivo come una tensione tra noi due. Cercai di essere il più rilassato possibile, anche se forse mi stavo rendendo ridicolo rigido com'ero, avrei potuto addirittura intonare qualche melodia fischiettando ma non ero così abile.
Galahad si avvicinò a me, sentii il calore del suo braccio sul mio, trattenni il fiato, allungò una mano e mi prese il pugnale. Mi cadde per terra il pezzo di legno che avevo maltrattato fino a quel momento, lo guardai, era pallido ma accorgendosi che lo fissavo divenne di porpora.
Non voleva certo pugnalarmi?
Ma cosa andavo a pensare!
«Mordred, tu devi pagare pegno.» Disse stringendo le dita sul manico del mio pugnale. Io alzai un sopracciglio un po' dubbioso.
«Hai intenzione di strapparmi il cuore con il mio stesso pugnale e poi tenerlo per ricordo in una scatola rivestita di prezioso broccato?» Gli chiesi tra il divertito ed il preoccupato.
«No! No! Assolutamente! Cosa vai a pensare?» Abbassò il pugnale, puntando la lama verso terra, in realtà verso il suo piede. Sapevo che era in grado di giostrarsi bene con le armi ma in quel momento e con quell'espressione non sapevo cosa aspettarmi da lui.
«Vorrei una ciocca dei tuoi capelli.» Disse lui racimolando un briciolo di coraggio per lanciarmi una beve occhiata.
Io caddi a terra di lato ridendo, sentivo la terra umida bagnarmi le tempie e le guance mentre rotolavo all'idea di dare una ciocca di capelli a Galahad.
«Smettila Mordred! Mi stai prendendo in giro, ti prego smettila, ti stai sporcando!» Mi fermai a pancia in su, alzai il busto, mi appoggiai ai gomiti e lo guardai intensamente.
Mente facevo lo scemo sull'erba, si era alzato in piedi.
Non mi era mai sembrato così serio, mai da quando lo avevo visto qualche mese prima. Lo avevo considerato solo un ragazzino gentile, che cercava di essere accondiscendente con tutti, per trovare la compiacenza della Corte.
Ma aveva sfidato suo padre, che lo aveva ammonito contro di me.
Mi aveva cercato.
Mi aveva voluto.
Si fidava di me.
«Ribellione giovanile.» Mormorai piano.
«Come prego? Non ho sentito Mordred! Perché ti mangi le parole? Parla più chiaro», fece una pausa, «per favore, grazie.»
Gli sorrisi guardandolo da lì sotto mi sembrava così alto e imponente, aveva preso solo il meglio da Lancillotto, i suoi capelli biondi sembravano un'aureola grazie ai raggi di sole che penetravano dalla radura.
«Io non mi mangio le parole! Ah... dimmi che non stai facendo tutto questo solo per fare un dispetto a tuo padre.» Lui si mosse per rispondere, ma chinai la testa per chiedergli silenziosamente di lasciarmi continuare.
«Tu passi il tuo tempo libero con me perché stai bene o solo per fare il ribelle che va contro suo padre per attirare la sua attenzione? Io sono un esperto credimi. Voglio, anzi pretendo che tu sia sincero con me. Hai ancora tempo per fuggire lontano dal figlio bastardo del peccato quale io sono. Ma devi dirlo qui ed ora.»
Lui deglutì, si abbassò per mettere il suo viso allo stesso livello del mio. Anche se non torreggiava più su di me, non mi sembrava più un ragazzino, ma un uomo che parlava con un suo pari.
«Io mi trovo a mio agio con te, il fatto che mio padre mi abbia quasi proibito di parlare con te non ha fatto altro che incuriosirmi. Questo è il punto. La mia curiosità è stata premiata, solo in parte. Ci sono lati di te che sono troppo insondabili e va bene così. E' impossibile conoscere una persona appieno, ma stando vicini si possono pian piano capire i suoi comportamenti, i gusti e-», mi avvicinai a lui.
Era la prima volta che vedevo i suoi occhi a così poca distanza, c'erano delle pagliuzze dorate in quel cielo d'estate.
«Mi hai convinto caro monaco, però non mi fido. Preferirei tagliarmela da sola la ciocca, anche se non vedrò molto bene cosa sto facendo.»
Lui esitò a restituirmi il pugnale, forse temeva che mi sarei ferito la testa come uno sciocco, forse aveva ragione.
Mi tastai i capelli sopra l'orecchio, valutai velocemente la lunghezza della ciocca, chiesi con lo sguardo l'assenso di Galahad, lui annuì e tagliai.
Gli misi sulla mano quel piccolo fascio dei miei capelli. «Adesso tocca a te!» Gli dissi.
Lui sorrise. «No, Mordred, sei tu quello che ha perso, sei tu che hai dovuto pagare pegno e sei tu l'amico di Bors!»

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Grazie infinite a chi sta leggendo questa storia *_*
Piccola premessa sul capitolo: io non so il latino, quindi mi sono affidata ad internet, spero di non aver scritto castronerie^^


Capitolo 13

Mi sentivo stranamente leggero e allo stesso tempo pesante. Non è facile da spiegare, sentivo come se alla mia testa mancasse qualcosa, il peso dei capelli che avevo tagliato all'improvviso era venuto a mancare. Quindi ero più leggero, ma ero allo stesso tempo consapevole del fatto che una parte di me era stata recisa.
E questa parte era in mano a Galahad.
Dubitavo che si trattasse solo di quegli stupidi capelli.
Mi ero scoperto più di una volta a tastarmi la testa, a sentire con le dita che sopra l'orecchio destro mi mancava un piccolo ciuffo, senza rendermi conto, la mia mano tornava lì come a cercare qualcosa e con il pollice e l'indice mi torturavo i capelli recisi.
Prima o poi qualcuno si sarebbe accorto che avevo questo strano modo di fare?
Avrebbero riso e capito cos'era successo?
Mi rilassai, nessuno si era mai preoccupato dei miei capelli, perché doveva succedere proprio ora?
Il giorno dopo di quell'uscita a cavallo era domenica, decisi di rimanere per tutto il giorno a dedicarmi al nulla, Galahad sarebbe prima stato impegnato con i suoi doveri da bravo cristiano e poi avrebbe passato il resto del suo tempo con la Regina Ginevra. Quest'ultima aveva organizzato una divertente caccia al tesoro nei giardini ed invitato solo i più meritevoli della sua stima, ovviamente io ero escluso. Ed ero contento. Davvero, quel genere di cose erano per persone... bè Galahad c'era, ma sperai che avesse accettato l'invito solo per dovere.
Nulla a nessuno, decisi, si sarebbe intromesso nella mia pigrizia, c'era un sole splendido ma un vento infido. Sperai che le gonne delle Regina prendessero il volo e con lei la maledetta caccia al tesoro.
Ero disteso sul tappeto davanti al camino spento delle mie stanze, cercavo una posizione adatta per poter dormire, non mi andava di stare in camera mia, quel giorno il letto era troppo piccolo e morbido perché io potessi trovare la posizione giusta. Avevo gusti davvero difficili.
Riuscii a liberare la mente, iniziavo a sentirmi rilassato, il cuscino che avevo sotto la testa aveva raggiunto il giusto grado di tepore, sentivo la schiena sciolta ed ero pronto a prendermi il meritato riposo. Quale grave impresa avevo svolto quella mattina? Alzarmi dal letto e fare colazione era stato davvero impegnativo, considerato che l'avevo dovuta dividere con i miei adorati fratelli tutti eccitati per l'invito della Regina, sì, avevo tutto il diritto di riposarmi.
Qualcuno entrò.
Rimasi fermo, sperando che qualunque cosa fosse venuto a fare, facesse in fretta e non dovesse riguardare me.
«Mordred, se uno dorme non trattiene il respiro. Gawain mi aveva avvertito, era sicuro che avresti fatto una cosa del genere.» Gareth, piccolo impertinente! Tornai a respirare, non mi ero accorto di aver trattenuto il fiato. Aprii un occhio, lo richiusi e mi girai su un fianco infastidito.
Lo sentii avvicinarsi, mi si sedette vicino.
«Sei triste Mordred?» Dove l'aveva trovata tutta questa ironia il caro fratellino? Non gli risposi. Lui mi pungolò con un dito sulle costole, cosa che mi fece scattare a sedere. Gli lanciai un'occhiata che però dovette interpretare male.
«Non essere triste, ho una cosa per te.» Fece lui allungano una mano chiusa a pugno verso di me, lo guardai sospettoso.
«Non sono triste, e non venire qui a sfottere tuo fratello maggiore. Stavo dormendo o insomma stavo per dormire per una volta in santa pace.» Lui se ne stava lì con il pugno chiuso verso di me, mi stava ascoltando? Aveva uno sguardo così carico di compassione. «Ma che vuoi? Cos'è?» Temevo in un qualche scherzo di Agravain, anche se Gareth non mi sembrava la persona adatta per fare l'ambasciatore di quella serpe.
«E' una cosa che mi ha dato Galahad», sorrise da un orecchio all'altro, «non so cos'è, mi ha solo detto di dartela e di aprire questa cosa quando sei da solo».
Ero ancora sospettoso.
Lui mi prese la mano, sentii una cosa piccola, liscia, rettangolare, aveva la stessa consistenza della pergamena, pensai. Me la lasciò sul palmo.
Si alzò e scappò fuori dalla stanza augurandomi buon riposo.
Di fatto era della pergamena, una striscia rigirata più volte su se stessa. La svolsi e mi mancò il fiato.
Una ciocca bionda legata con un fine filo rosso.
Il cuore mi rimbombava sulle tempie.
Sulla pergamena c'era una scrittura piccola e decisa, era in latino. Per fortuna da quanto ero a Camelot avevo imparato qualcosa di quella lingua degli invasori e della nuova religione.
Communia esse amicorum inter se omnia.
Gli amici hanno tutto in comune.
Sotto c'era il suo nome, Galahad.
Amici, eh?
Mi distesi e stringendo nella mano destra il biglietto e nella sinistra la ciocca di Galahad risi come un ragazzino, muovendo braccia e gambe sul tappeto. Mi fermai come esausto per una lunga corsa. Riavvolsi il dono di Galahad nella pergamena e mi infilai quel rettangolo prezioso nella camicia, mi alzai ed andai a trovare mia zia Morgana.
Però rimasi deluso, venni informato da una delle sue ancelle che Morgana era stata invitata dalla Regina Ginevra al suo gioco nei giardini. Sospirai, ero proprio l'unico ad essere stato escluso.
Mentre l'ancella mi assicurava che avrebbe potuto mandare qualcuno a cercare la sua signora per avvisarla e io la assicuravo che non era una questione importante, mi sentii chiamare nel modo che solo lei poteva fare.
«Mio piccolo corvo, mi cercavi?» Mi voltai sorridendole ma mi si spense presto quell'espressione. Era pallida e doveva aver pianto, mai l'avevo vista così, era splendidamente vestita di rosso rubino, colore che esaltava il nero dei suoi capelli. Si stringeva in uno scialle bianco, aveva freddo. Io morivo di caldo, ma forse era l'eccitazione e il sentimento che si era acceso in me.
Le baciai la mano che mi porgeva, era fredda come il ghiaccio. Mi invitò ad entrare, le chiesi se fosse per caso malata, lei scosse la testa dicendo che non era una malattia, era il cuore che le pesava come se fosse un macigno. Fece uscire le sue donne, rimanemmo soli. Lei si sedette su una poltrona sotto ad una finestra, io mi accomodai ai suoi piedi, non aveva mai abbandonato la mia mano, ora la stringeva come per aggrapparsi a me. Improvvisamente sentivo freddo anch'io e non sapevo né cosa dire né cosa fare per riavere la Morgana che conoscevo.

Nota: La citazione latina è di Terenzio.


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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Capitolo 14

«Sarebbe stato meglio che tu non mi avessi visto così, mi dispiace.» Disse Morgana spostando la mano con cui aveva stretto la mia fino a pochi istanti prima.
Si portò una ciocca di capelli tra le labbra e la mordicchiò nervosa. Io mi alzai e le chiesi cosa le fosse successo.
«Sono stata bastonata dal mio padrone, l'ho morso, il mio padrone mi ha allontanato e questa volta non tornerò. Sono un cane e quindi l'istinto di sopravvivenza ha incominciato a prevalere sulla stupidità umana.»
Ora volevo davvero sapere chi era il suo padrone, anche se non riuscivo ad immaginare chi potesse averla fatta innamorare così disperatamente, doveva essere una persona davvero... bè non sapevo come doveva essere. Speciale per lei, certo, ma da sconvolgerla così? Io la guardavo dubbioso. Riprese a parlare.
«Mordred, io non posso spartire la persona che amo con qualcun altro, tantomeno con Lancillotto.»
La Regina?
Lei parve divertita leggendomi in viso a chi avevo pensato.
«Ginevra.» Sembrava che pronunciando quel nome lo avesse assaporato, come un vino dolce e frizzante.
Rimasi davvero spiazzato, cercai di articolare un qualche genere di frase ma mi trovai incapace di parlare.
«Non posso più rimanere a Camelot, il mio tempo qui è finito. Tornerò presto da mio marito, chissà se mi vorrà ancora sotto il suo tetto.» Rise tristemente. «Forse mi rinchiuderà nelle mie stanze. Ma ho ancora delle cose da fare qui prima di partire.»
Mi guardò, socchiuse gli occhi e disse: «Tesoro, che hai fatto ai capelli?»
Risi appoggiandomi al muro, una risata quasi isterica. Vidi che si era calmata e che il sorriso le stava tornando, gli angoli della bocca tornarono all'insù.
Le raccontai tutto, le raccontai di quanto mi ero sentito... desiderato.
Ah, Dea, non solo in quel senso, in tutti i sensi.
Al mondo esisteva una persona che non mi trovava così... sporco, da temere di rovinarsi con me.
Lei si alzò, cerco in un cassetto qualcosa e poi mi pose un piccolo sacchetto di raso rosso con una lunga cordicella. «Metti qui dentro il tuo tesoro, così potrai sempre portarlo addosso con te e ti sarà utile al momento giusto.»
Non capii cosa intendesse dire con le sue ultime parole ma non volli indagare, presi il sacchetto, rovistai nella mia camicia mentre lei mi guardava seria. Misi lì dentro quel pezzo di pergamena con dentro il mio tesoro, zia Morgana mi si avvicinò e mi mise al collo il sacchetto. Ci poggiò sopra la mano come per imprimere sulla mia pelle il peso di quel dono.
La pregai di non partire, ma lei non rispose, le chiesi quando sarebbe partita, ma scosse la testa, aveva delle cose da sistemare, quindi non prima di un mese.
Un mese era un sacco di tempo, avrei avuto molte possibilità per farle cambiare idea. La salutai con un bacio sulla guancia e andai verso le mie stanze.
Durante il tragitto scorsi due ombre in un angolo del colonnato, Eitha la bella damigella della Regina era appoggiata ad una colonna e Gaheris le era molto vicino, diciamo pure che non c'erano distanze tra loro. Ma lei voltava lo sguardo, lui sembrava pregarla, potevo immaginare quale genere di preghiera contenevano le parole di mio fratello. Cambiai direzione per non interromperli.
Aprendo la porta della nostra sala comune mi si presentò agli occhi una particolare scena.
Due corpi, nudi, avvinghiati, erano distesi sul tappeto davanti al camino dove poco meno di un'ora prima avevo tentato di dedicarmi alla solitudine e al riposo.
Pensai subito che fossero Gawain e Sagramore, ma conoscevo bene il corpo di colui che era stato il mio amante, non era lui, trattenni a stento un sospiro di sollievo. Quella testa rossa sotto il corpo pressante del cavaliere sconosciuto chi poteva essere?
Agravain.
Non si erano accorti di me, chiusi piano la porta, circumnavigai la lunga tavola e andai a sedermi sulla panca sotto ad una finestra. Forse il cavaliere misterioso notò il leggero cambiamento di luce a causa della mia presenza o forse sentì il rumore della mia spada che batteva sul pavimento. Si fermò.
Alzò la testa e ci fissammo, studiandoci in pochi istanti.
Lamorak.
Alzai il mento.
Lui si allontanò da Agravain.
Mio fratello ancora stordito dalla passione alzò la testa e vidi i suoi occhi annebbiati dall'estasi, stava sorridendo, non parve riconoscermi ma poi capi.
Lamorak era indietreggiato senza togliere lo sguardo da me, gli feci un cenno con la testa e dissi: «E' meglio che vi vestiate Ser Lamorak.»
Lui non fiatò, si infilò velocemente brache, camicia e stivali, indietreggiò fino alla porta senza mai voltarmi le spalle ed uscì dalla nostra stanza.
Mi era tutto dannatamente chiaro.
Sagramore e Lamorak.
Agravain e Lamorak.
Morgause e Lamorak.
Agrvain era rimasto sdraiato a pancia in giù, la fronte appoggiata al tappeto.
«Che cosa ci fai qui, Mordred?» Disse sconsolato.
Non gli risposi. «La vostra urgenza non poteva attendere di raggiungere la tua camera, caro fratello?»
Era tutto così ben incastrato, anche il destino aveva aiutato Agravain nel suo folle piano.
Rimase in silenzio. «Doveva scoprirvi Gaheris, giusto? Era tutto perfetto! Ti sei scopato l'amante di nostra madre solo per poterlo avere qui, ora, in questo momento per farlo fuori? Ti rendi conto di quello che stavi per fare, pazzo?» Stavo urlando, stringevo così tanto le mani da sentire le unghie penetrarmi nella carne.
«Tu non dovevi essere qui, quello stupido di Gaheris è inaffidabile... sarà a farsi qualche puttanella della Regina e ha distrutto... tutto.» La sua voce era soffocata dal tappeto, era frustrato, avevo distrutto la tua tela, ora il ragno cadeva lentamente ma inesorabilmente a terra.
Si girò, si mise a sedere dandomi le spalle, il suo bel corpo nudo era scosso da dei tremiti, ma non era per il freddo.
«Vestiti e... sarà meglio che tu vada via da Camelot per un po'.» Attesi che si alzasse per scaraventarlo a terra sulla nuda e fredda pietra del pavimento.
Lo tenevo a terra con il peso del mio corpo, gli sputai in faccia il mio disprezzo, ora sapevo perché aveva insinuato in me il sospetto del tradimento di Sagramore. L'aveva saputo da Lamorak in persona.
«Lurido bastardo, come hai potuto anche solo pensare di fare una cosa del genere!»
«Ricorda che non sono io il bastardo tra noi due. Lamorak ha ucciso mio padre e si è fatto nostra madre. Tu non puoi capire. Dovresti ringraziarmi, ora sei contento fratello mio, hai un giovane puledro da ammaestrare, non è più eccitante?»
Lo lasciai andare, non avevo sortito alcun effetto con la mia sfuriata, anzi mi ero reso ridicolo. Lui era un folle e Gaheris era forse peggio di lui a farsi comandare in quel modo.
Quella sera raccontai tutto a Gawain, lui ascoltò impallidendo sempre di più ad ogni mia parola, si portò una mano alla testa e rimase in silenzio per alcuni minuti.
Lo vidi riprendersi, mi chiese che intenzioni avesse Agravain. Nostro fratello voleva partire la mattina seguente, era già andato a chiedere il permesso al Re, inventandosi che doveva andare a trovare nostra madre urgentemente.
Di Ser Lamorak non sapevamo ancora nulla.
Quella notte non riuscii a dormire e in quei pochi attimi in cui chiusi gli occhi, venivo invaso da incubi, incubi in cui brandivo la spada e tagliavo di netto la testa a Lamorak.

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Capitolo 15

Il giorno seguente, nel primo pomeriggio, Agravain partì da Camelot. Pensò bene di non salutare i suoi fratelli e noi non andammo ad augurargli buon viaggio. Lo venimmo a sapere tramite Gaheris che stando sulle mura aveva visto il gemello andare verso Nord.
Quella sera, poco prima di cena, mi trovavo da solo nella nostra sala comune, non avevo visto Galahad per tutto il giorno, probabilmente aveva avuto degli impegni che lo avevano tenuto lontano da me. Bussarono alla porta, fui lieto di vedere il mio monaco sulla soglia. Era però pallido e il suo sguardo non voleva incontrare il mio. Pensai che Ser Lamorak avesse parlato, avesse compreso il piano di Agravain, che avesse detto che eravamo tutti figli di demoni e che dovevamo essere buttati fuori da Camelot al più presto.
«Galahad, entra ti prego, sembri sconvolto.» Cercai di dire mantenendo la calma.
«Agravain mi ha raccontato tutto. Come hai potuto, io mi fidavo di te!»
Scattò e mi diede un pugno sulla guancia sinistra. Non ero certo pronto ad incassare un simile colpo, tantomeno da lui. Mi sbilanciai e caddi rovinosamente indietro. Lo sentii andare via di corsa, rimasi lì per terra a fissare il soffitto fino anche Gawain e Gareth non arrivarono per la cena. Mi soccorsero e mi chiesero cosa fosse successo, avevano temuto in un primo momento che Lamorak mi avesse ucciso.
Quando spiegai com'erano invece andati i fatti, scoppiarono a ridere senza alcun decoro.
«Insomma, bei fratelli che siete, io sono qui mezzo morto e voi state a ridere. Avrei potuto sbattere la testa e avreste dovuto organizzare un bel funerale, finalmente vi sareste liberati di me.»
Gawain mi aiutò ad alzarmi e mandò Gareth a cercare una bistecca nella ghiacciaia per la mia guancia. Mentre aspettavamo il ritorno del nostro fratello minore, Gawain mi guardò serio e mi chiese: «Agravain si è vendicato con te dicendo qualcosa a Galahad, hai idea di cosa si possa essere inventato?»
«Sì. Agravain mi aveva proposto di sedurre il figlio di Lancillotto.» Dissi sentendomi colpevole e macchiato di tradimento.
«Cosa?!» Gawain avrebbe potuto mollarmi un pugno, sull'altra guancia magari, per bilanciare il mio stordimento.
«Senti Gawain, non mi sono avvicinato a Galahad per quello, bè si forse all'inizio volevo capire se sarebbe stato divertente, ma Dea, devi credermi se ti dico che non mi sono comportato da suo amico e compagno solo perché me lo aveva chiesto quel pazzo. Ho pensato che lo avrei potuto proteggere da altre idee folli di nostro fratello.»
Lui mi studiò a lungo e forse mi credette.
Arrivarono i paggi per preparare la tavola per la cena e con loro Gareth con la bistecca fredda per me. Non fui in grado di mangiare nulla, non per l'indolenzimento alla guancia, ero in ansia per Galahad, come avrebbe mai potuto credere alle mie buone intenzioni? Gaheris mi guardò senza fare commenti sul mio stato, chiese solo se poteva prendere il mio piatto dato che stavo torturando il cinghiale senza mangiarlo. Gli passai la mia cena senza rimpianti.
Dopo cena Gareth si propose di andare a fare da paciere, parlando con Galahad, lo ringraziai ma era praticamente inutile.
Anche se dovesse durare un solo minuto, avrebbe senso, darebbe senso alla tua vita.
Le parole di zia Morgana si erano avverate e ormai era troppo tardi, lui era troppo bello, buono, sincero e puro, io non lo meritavo.
Andai a letto e rimasi a girarmi tra le coperte, guardavo la luna crescente, regina della notte, illuminare il cielo e far impallidire le stelle a lei vicine.
Se Gareth tentò di parlare con Galahad, la cosa non diede alcun effetto, dopo quel giorno se ci incrociavamo per i corridoi non ci guardavamo nemmeno. Io ero ormai rassegnato, lui era ferito. Gareth mi assicurò che Galahad si voltava a guardami, ma io sapevo che erano solo sguardi di disprezzo.
Dopo una settimana da quei due giorni infausti, Ser Lamorak partì da Camelot e tornò nel regno di suo padre, il Listenoise.
Dopo tre settimane arrivò a Camelot la notizia che nostro fratello Agravain si era recato nel Listenoise, aveva sfidato Lamorak per “aver leso la sua onorabilità”, i due si erano battuti in leale duello e incredibilmente Agravain era uscito vincitore, riuscendo a compiere la vendetta che aveva tanto desiderato.
Lamorak era morto.
Dopo due mesi da quella notizia ne arrivò un'altra, che lasciò senza parole noi fratelli. Non riuscivamo quasi a crederci, ma quello che leggemmo nella lettera del nostro siniscalco, Ithil di Dunpledyr, non poteva che essere che la verità.
Agravain era arrivato a castello, si era sistemato tranquillamente lì, Ithil aveva sentito la Regina Morgause discutere con il figlio, quasi ogni giorno. Davanti ai servitori si comportavano in modo impeccabile, ma la sera li si poteva sentire puntualmente alzare la voce e litigare.
Una mattina il siniscalco li aveva trovati nella sala da pranzo, vicino al camino ove c'erano delle braci ancora tiepide. La Regina era seduta su uno scranno, con la testa appoggiata allo schienale, il figlio aveva la testa sulle sue ginocchia. Sembrava che si fossero addormentati lì.
Ma non stavano dormendo, la loro pelle era fredda, non respiravano.
Non c'erano segni di violenza sui loro corpi. Ithil non faceva alcun tipo di supposizione sulla causa della loro morte, ma il suo silenzio era pesante.
Veleno.
Se fosse stato un omicidio-suicidio o se avessero deciso di darsi la morte l'un l'altro, non l'avremmo mai potuto scoprire.
Nessuno di noi pianse, almeno non davanti agli altri.
Camelot parlava, bisbigliava, in modo più acceso se io ero nei paraggi. Sentii addirittura dire che io e Agravain eravamo legati in modo che andava ben oltre l'essere fratelli, che in me il sangue sporcato dall'incesto si era fatto sentire forte, che avevo corrotto mio fratello e che questo l'aveva portato alla follia.
Era tutta colpa mia dunque, se Agravain non accettava che Morgause avesse una sua vita dopo tutti gli anni nel Nord senza i suoi figli? Era colpa mia se Artù aveva mandato proprio Lamorak a pattugliare le isole del Nord? Era colpa mia se Lamorak si era buttato tra le braccia di mia madre?
Avevo incominciato a uscire poco dalle nostre stanze, non avevo nemmeno voglia di vedere mia zia Morgana, non volevo la sua compassione. Non volevo nulla, volevo solo diventare come l'albero di castagno nel giardino delle udienze, lasciarmi andare e scomparire senza avere più coscienza di me.
Una sera Gareth venne in camera mia dicendo che Galahad voleva parlarmi, mi aspettava sul colonnato, fuori dalla porta delle nostre stanze.
Mi alzai svogliatamente, mi passai una mano sul volto sentendo la barba pungermi la mano, dovevo avere un pessimo aspetto. Tanto meglio. Andai fuori senza portare la spada, tanto a cosa mi sarebbe servita? Un inutile peso per un inutile cavaliere.
Lui era lì, seduto tra due colonne, vestito di bianco, sembrava risplendere nella scarsa luce della sera. Mantenni una certa distanza, non avevo proprio voglia di assaggiare un altro suo pugno.
Mi guardò, sembrava un cerbiatto impaurito, si alzò e semplicemente mi disse: «Ho deciso di partire, andrò via domani mattina presto.»

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Capitolo 16

Sbattei le palpebre. «E dove diamine vorresti andare?» Gli risposi dubitando delle sue parole, se stava cercando di farsi pregare di rimanere aveva sbagliato tattica. Non ero in grado di mettermi in ginocchio e chiedergli di rimanere per me, dato che ero il mostro di Camelot.
«Devo... intraprendere una ricerca.» Lui mi guardò e la pietà che lessi nei suoi occhi mi infastidì.
«Una di quelle cose stupide della tua religione?» Chiesi guardando il suo collo, liscio e candido come quello di un cigno. Un animale regale che presto avrebbe spiegato le sue ali e non avrei mai più rivisto.
Lui rise leggero. «Sì una di quelle cose che non puoi capire e che a stento comprendo io. Il Santo Graal.»
Io rimasi in silenzio, se gli avessi detto che era un dannato idiota per rischiare la vita in quella ricerca inutile, avremmo litigato e non volevo, davvero era l'ultima cosa che desideravo al mondo.
Lui mi porse la sua mano destra, sul palmo c'era la mia ciocca di capelli. «Te la restituisco.» Io non mi mossi. Lui allora la mise sul parapetto di pietra che andava da una colonna all'altra e fece per andarsene.
Mi voltai di scatto trattenendolo per un braccio. «Hai fatto benissimo a darmi quel pugno, non so cosa ti abbia detto esattamente Agravain, io all'inizio ti ho avvicinato per scherzo, per gioco, per vedere se potevo fare... ma... io poi ho capito che tutto andava ben oltre-» Mi bloccai.
Lui stava fissando il mio petto, dalla camicia era uscito il sacchetto che mi aveva donato Morgana, vidi i suoi occhi farsi lucidi, si voltò.
«Ho creduto alle parole di Gareth quanto è venuto a dirmi com'erano andate le cose e so che tu non volevi che lui si mettesse in mezzo. Ma io volevo che fossi tu a dirmi la verità. Poi sono successe molto cose, tua madre, tuo fratello... ora è troppo tardi. Io devo andare.»
Quando si allontanò da me sentii il calore del mio corpo andarsene via, come se fosse un fluido, come se Galahad avesse portato via tutto il mio calore via con lui.
Mi misi a sedere per terra e rimasi lì impietrito.
Sfinito mi addormentai.
Mi svegliai sentendo una mano tremante tastarmi la testa, ero scivolato di lato, potevo sembrare svenuto o peggio. Socchiudendo gli occhi riconobbi i colori degli abiti che indossava la persona che mi stava ispezionando, era un povero paggio impaurito. Corse via.
Rimasi lì, che me ne importava?
Poco dopo sentii dei passi concitati, forse quelli del paggio di prima, e quelli più sicuri di un uomo, un cavaliere.
Questo mi diede un leggero schiaffo, aprii le palpebre e fui inondato dagli occhi grigio-verdi di Kay.
«Ah non sei morto.» Disse lui indifferente.
«Lieto di averti deluso.» Risposi sentendomi la bocca impastata.
Rise, mi prese in braccio come se fossi una fanciulla indifesa e dopo aver fatto due passi, spalancò con un calcio la porta delle mie stanze.
C'era Gareth, che dopo un primo attimo di smarrimento, riuscì a capire chi stava sulla soglia.
Kay mi adagiò con cura sul mio letto, mi mise una mano sulla fronte e disse borbottando a mio fratello che avevo bisogno di farmi un bagno caldo, mangiare qualcosa di nutriente e fare una bella dormita.
Dovevo essere estremamente fuori di me per credere che Kay fosse così gentile e premuroso.
Feci tutte le cose che mi aveva detto, tranne una. Avevo un piano.
Mi lavai con cura, mi rasai, sembravo un vecchio eremita con quella barba. Mangiai di gusto e dopo, contro le insistenze dei Gareth, uscii.
Andai in cerca di Gawain, lo trovai nella sala rotonda, c'era una cena aperta a chiunque volesse andarci. Ignorai le occhiate che mi lanciarono gli altri cavalieri.
Gawain era seduto vicino a Sagramore, i due erano intenti in una conversazione intensa, mi videro e cercarono un po' imbarazzati di invitarmi a rimanere a bere con loro. Li ringraziai e chiesi di poter parlare da solo per pochi minuti con Gawain. Lui mi seguì, mi chiese se era successo qualcosa di grave ed io lo rassicurai. Non sapevo come incominciare, così andai dritto al punto.
«Gawain, Sagramore ti ama da anni ormai, quando ti accorgerai dei suoi sentimenti? Gli stai straziando il cuore.»
Mio fratello boccheggiò come un pesce, riuscì solo a dire «Mordred... io, io...» Gli diedi una pacca sulla spalla ed andai verso il resto della mia missione, che felicemente riuscii a sistemare con un'unica mossa.
Andai da zia Morgana, non se n'era ancora andata, era legata a Camelot e alla Regina, più di quanto dicesse. Quella sera c'era una sorta di banchetto nelle sue stanze, anche se era troppo tardi per festeggiare Beltaine, forse aveva deciso di prolungare le celebrazioni. Morgana mi disse che la festa era per me, che mi stava aspettando. Io non mi sorpresi, lei sapeva sempre tante cose, la abbracciai e la ringraziai. Mi invitò a rimanere per tutta la notte a cantare, suonare e mangiare con le sue ancelle che stranamente non mi guardavano come se fossi il mostro che troppi mi credevano. L'indolenzimento che avevo alle spalle si sciolse, la festa era molto sobria, Morgana raccontava antiche leggende e tutte le donne erano rapite dalla sua voce sognante.
Dissi a mia zia per quale motivo ero andato lì. «Esistono davvero i filtri d'amore? Se sì me ne servirebbe uno.» Lei mi guardò attenta. «Non serve a te, vero?» Scossi la testa. «Per Gaheris, so che forse non merita un aiuto da parte mia, ma è stato un bene che si sia innamorato di quella Eitha.» Morgana annuì pensierosa varie volte.
«Non esistono filtri d'amore Mordred, ovvero esistono delle pozioni che possono far sciogliere un cuore indurito o titubante, ma se non c'è un fondo d'amore non ci sarà alcun effetto.»
Tanto valeva provare, Gaheris era davvero sull'orlo della disperazione. Chiesi a mia zia se poteva darlo lei stessa a mio fratello, io non ne avrei avuto il tempo. Mi assicurò che l'avrebbe consegnato al più presto.
Guardai le fanciulle sue ancelle sedute per terra ad intrecciare fiori per fare delle ghirlande, ridere e scherzare tra loro, ne individuai una, con i capelli del color del miele ambrato, ramato e delicato. Sembrava timida e incerta tra le altre ragazze. Poteva andar bene.
«Come si chiama quella fanciulla con i capelli ramati, quella nell'angolo?» Chiesi a mia zia, lei mi guardò sospettosa, il busto dritto e gli occhi che indagavano il mio volto. Mi nacque un ghigno sulle labbra, lei rispose senza distogliere il suo sguardo da me. «Il suo nome è Lyonesse, è una nipote di Urien.» Era perfetta, la ragazza che stavo cercando. «E' cristiana, ma affascinata dalla religione della Dea, suo zio non ama queste cose», fece spaziare la mano indicando la sua stanza ed il delicato banchetto, «la tengo qui con me, per farmela amica, i giovani adorano le cose segrete e misteriose, vero?» Sorseggiò da una coppa di vino. Voleva sapere il perché del mio interesse e la accontentai presto.
«Cara zia, potresti consegnare un messaggio da parte di un cavaliere a damigella Lyonesse? Questo cavaliere è giovane e timido, quindi si è affidato a me sperando nella mia discrezione. Il ragazzo non può sperare di avere un regno, ha troppi fratelli davanti a lui. Ha intenzioni molto serie, disponibile al matrimonio, resterebbe volentieri a Camelot ma non gli dispiacerebbe seguirla in qualunque luogo lei volesse. Depone il suo cuore ai suoi piedi. Il suo nome è Gareth.»
Morgana si era protesa verso di me mentre le parlavo delle intenzioni del cavaliere, ora nei suoi occhi vedevo sprizzare scintille di gioia, le donne adoravano quel genere di intrighi.
Mi strinse le mani, mi baciò veloce le guance e mi assicurò che il messaggio sarebbe stato consegnato presto.
Ora non mi restava che avvisare Gareth, era fidanzato.
Tornai in camera e lo trovai affacciato ad una finestra che fissava la luna, tirò un sospiro di sollievo vedendomi. Lo misi a tacere, pregandolo di ascoltarmi.
«Gareth, c'è una fanciulla, nipote acquisita di nostra zia Morgause, si chiama Lyonesse, hai presente?» Lui chiuse gli occhi. «Si, si, ho presente, ma cosa c'entra con il fatto che devi assolutamente dormire? Ser Kay si è tanto raccomandato!» Sbuffai, che Kay andasse... a fare raccomandazioni a mio padre. «Che ne pensi, è una bella ragazza no?» Lui arrossì, spostò il peso da un piede all'altro ed infine assentì.
«Bene, prima sono passato da zia Morgana e Lyonesse mi ha fatto arrivare un messaggio per te, tramite nostra zia.» Lui rimase a bocca aperta. Gli spiegai che lei era molto timida, che l'aveva notato in sala d'armi, che poi il giorno della caccia al tesoro (sperando che lei ci fosse andata) era rimasta affascinata da come i suoi capelli brillassero al sole. Era cristiana ma non troppo, le sue intenzioni erano il matrimonio con previo un bel corteggiamento, fiori-poesie-gesti d'amore, le sarebbe piaciuto rimanere a Camelot ma non le sarebbe dispiaciuto trovare un bel castello tutto per loro.
Rimase lì imbambolato, gli augurai buona fortuna, andai in camera, preparai una sorta di fagotto con qualche vestito di ricambio ed uscii. Sperai di aver fatto bene a disturbarmi tanto per i miei fratelli.

Nota: Lyonesse non è nipote di Urien (almeno... non mi risulta), me lo sono inventato. Volevo mettere una "figlia di Urien" nata prima del matrimonio con Morgana, ma poi mi sono accorta che Gareth aveva una sua "promessa sposa" XD


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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Capitolo 17

Andai in cucina, c'era fin troppa gente lì dentro, sperai di passare inosservato in mezzo a quell'andirivieni. Riuscii a prendere del pane da un cestino e mentre cercavo di far entrare un formaggio nel mio misero fagotto, saltai spaventato sentendo la voce di Kay. «Strano modo di dormire il tuo, Ser Mordred.» Ero certo che fosse la prima volta che dalla sua boccaccia era uscito quel Ser e mi suonò strano e fuori posto.
Mi voltai, ancora litigando con il nodo del fagotto, mi stavo muovendo in modo ridicolo, lo sentivo chiaramente. «Ho dormito a sufficienza, ma non è forse mattina? Volevo fare colazione sulle mura, sai il fresco vento dell'alba.»
Lui mi guardava serio, evitò di commentare le stupidaggini che avevo detto. «Sai stanno già girando delle voci su di te.»
Sbattei le palpebre. «Girano sempre delle voci su di me, non mi racconti nulla di nuovo, caro siniscalco geloso.» Lui serrò la mascella sentendosi apostrofare in quel modo, anche questa volta lasciò correre. «Dicono che Galahad ti ha ucciso e che sei stato trovato morto lungo il porticato.»
Erano stati i paggi o era stato lui a mettere in giro questa storia? Lui mi lesse in viso il sospetto che mi era passato per la testa.
«I paggi.» Disse semplicemente. Mi squadrò dalla testa hai piedi. «Hai intenzione di fuggire?»
Non avevo voglia di dare spiegazioni, tantomeno a lui.
«Cerco di fare qualcosa di buono, rendendo felici molte persone. Potresti... dire a mio... Artù, che non faccio così perchè sono un codardo, ma perchè tutti si opporrebbero a quello che voglio fare? So che la Corte starà meglio senza di me. Parto con Galahad, anche se lui ancora non lo sa.» Feci per scansarlo ed andarmene. «Glielo dirò, ma tu cerca di tornare, che tu e lui lo vogliate o meno, Artù è tuo padre e tu sei suo figlio. Quello che si deve prendere la responsabilità delle proprie azioni è lui.»
Non mi voltai, avevo incominciato a capire perchè Artù amasse Kay, il siniscalco non era solo uno sputa sentenze.
Andai alle stalle, trovai Elvellon tranquilla, non si agitò vedendomi entrare nella sua stalla con la sella. Sistemai le mie poche cose vicino ad un pannello, ammucchiai abbastanza paglia per crearmi un giaciglio decedente e mi stesi.
Ora non mi restava che sperare di rimanere sveglio e che nessuno si mettesse a curiosare per la stalla e mi trovasse. Il sonno tanto temuto non venne, rimasi per tutta la notte a pensare se non fossi un folle, un folle ben peggiore di Galahad, a fare tutto questo. Mi sentivo stranamente nel giusto, non avevo timore di sbagliare, solo di essere respinto, come quanto lui aveva cercato di restituirmi la ciocca di capelli. Chissà dov'era ora quel ciuffo? Forse era volato giù in giardino, oppure qualche sciocco paggio lo stava mostrando a tutti come prova inconfutabile della mia morte violenta. Risi amaramente, in troppi avrebbero tirato un sospiro di sollievo sentendo parlare della mia scomparsa.
Mi accorsi che non era più così buio, c'era una luce grigia che filtrava attraverso le finestrelle poste in alto sul pannello di legno che era la parete esterna della stalla, sentii un gallo cantare.
Passi.
Leggeri e inconfondibili per me, mi sentii il cuore in gola. Rotolai verso Elvellon, per nascondermi, volevo evitare che lui mi vedesse passando davanti alla porta. La mia giumenta, interessata ai miei strani movimenti, abbassò la testa e mi mordicchiò una manica.
Galahad passò insieme ad uno stalliere nel corridoio, sentii il rumore dei finimenti, il respiro di Elvellon sul mio volto e poi lui uscì. Quanto la porta fu chiusa, mi alzai, sellai la mia giumenta direttamente dentro la stalla, assicurai i miei averi alla sella e tirando Elvellon per la cavezza mi avvicinai alla porta principale. Vidi Galahad dirigersi verso la porta Sud, aspettai ancora pochi istanti e poi uscii, salii su Elvellon e a passo lento, mantenendo una bella distanza dal mio piccolo monaco, lo seguii.
Le porte erano già aperte, i contadini uscivano per andare a lavorare i campi ed i commercianti entravano per vendere le loro mercanzie al mercato.
Galahad era ormai lontano sulla strada, lo vidi aumentare il passo al trotto, mi fermai appena fuori dalle mura per capire in che direzione si stesse dirigendo.
Non c'erano più carri sulla strada, il traffico era notevolmente diminuito, vedevo ormai Galahad farsi piccolo, era ormai al galoppo sul suo baio, spronai la mia giumenta, mi affidai a lei. Elvellon sembrò capire cosa pretendevo, o forse aveva solo voglia di correre come il vento e vidi la schiena di Galahad farsi più grande. Potevo farlo, anche se ero un pazzo, anche se non era il mio viaggio, l'avrei fatto, anche se non mi avesse voluto, lo avrei seguito e gli avrei imposto la mia presenza.
Lui sentì che qualcuno lo stava raggiungendo, lo vidi irrigidire le spalle, voltò il viso nello stesso momento in cui lo superai. Urlò il mio nome. Lo urlò ancora e ancora.
Io andavo avanti, volevo che mi seguisse.
Volevo che fosse preoccupato, volevo che mi pregasse per poter sapere cosa facevo lì.
Mi superò e bloccò la strada, era rosso in viso, ansante, preoccupato.
v«Hai vinto tu anche questa volta, devo pagare pegno.» Dissi respirando a fatica, recuperai il pugnale e mi tagliai alla cieca dei capelli, decisamente troppi, me ne accorsi quando li vidi in mano.
Glieli porsi, lui ora era pallido, guardava a scatti me e la mia mano che faticavo a tenere ferma.
«Per la Dea, ti decidi a prenderli o te li devi ficcare in mano?» Sbottai affiancando la mia giumenta al suo cavallo. Li prese, disse: «Mordred ti sei quasi rapato, lo sai? Hai bisogno di una sistemata». Sorrise, lo guardai trafficare con le sue borse, dove infilò il mio dono.
«Te l'ho già detto ieri, devo andare, non posso tornare indietro, è una cosa che devo fare-» Lo interruppi. «C'è qualcuno o qualcosa che ti obbliga a fare questa pazzia da solo?»
Lui aprì la bocca e ci mise un po' per articolare la risposta.
«Mi sono seduto sul seggio periglioso, solo un cavaliere può stare su quel-»
«Oh che si fotta quel dannato seggio! Io verrò con te e non me ne importa nulla se al tuo Dio la cosa non va bene e se ha qualcosa da dirmi, che lo faccia, sarò ben felice di fargli sapere la mia opinione!» Stavo urlando, ero davvero un folle, stavo sfidando un dio.
Pregai la Dea che mi proteggesse.
Vidi Galahad smettere di respirare, non sapevo se per il fatto che lo volevo seguire o se perché avevo sfidato il Dio dei cristiani.
«Mordred, tu, io... non devi fare questo per farmi capire che ti... che ci tieni davvero a me, sei folle a fare tutto quest-»
«Non ti permettere di dirmi che sono un folle, chi è che sta partendo per quest'impresa senza ritorno? Lo sai perfettamente, altri sono andati e non sono più tornati.»
«Stai parlando in questo modo solo per farmi tornare indietro e non posso, Mordred! Ho dato la mia parola!»
«E io ti sto dicendo che verrò con te, che tu lo voglia o no.»
Avremmo potuto continuare così per ore, ma giurai, per la prima volta nella mia vita giurai, giurai dicendo: «Communia esse amicorum inter se omnia.»
Lui mi credette e vidi il suo viso aprirsi, rasserenarsi come il cielo dopo un temporale e il nostro viaggio iniziò.
Pensandoci ora, so che eravamo pazzi, tutti e due, mai e poi mai se dovessi tornare indietro cambierei qualcosa, rifarei tutto.


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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Capitolo 18

C'era bel tempo e decidemmo di dormire all'aperto, però pensai che fosse più un desiderio da parte di Galahad di usare il meno possibile gli agi umani, una sua sciocca scelta di umiltà. Io non dissi nulla, mi stava bene, avevo scelto di affrontare quel viaggio nelle mie piene facoltà di agire... forse.
No, non mi ero pentito.
Ero euforico
Avrei potuto gridare dalla contentezza, ma temevo di spaventare Galahad, era lui il mio pastore in quel viaggio, lo avrei seguito ovunque.
Quella sera ci fermammo ai margini della foresta che andava verso Sud, dopo aver legato i cavalli, accendemmo un fuoco, si occupò di tutto Galahad, mi sentivo servito e riverito e lui era stranamente sereno, almeno mi sembrava strano che lo fosse. Ormai eravamo lontani da Camelot, da soli, ovvero lui da solo con me.
«Come ha reagito tuo padre quando gli hai detto che saresti partito con me?» Disse lui mentre tagliava una pagnotta di pane a fette.
Cercai di articolare più volte una risposta, ma dovevo avere qualche problema alla mandibola. Per la precisione c'erano vari problemi.
Uno: senza considerare quel pazzo di Kay, era la prima volta che qualcuno in mia presenza parlava del Re come di mio padre e lui lo aveva fatto con una naturalezza disarmante, senza la minima incertezza.
Due: io non avevo detto proprio nulla a mio padre, la mia intenzione era stata andarmene e basta. Kay era stato un puro caso.
Tre: dovevo dire la verità a Galahad? Se gli avessi detto che venivo considerato morto o un codardo fuggitivo in base alle inclinazioni di chi faceva pettegolezzi a Camelot, se gli avessi detto la verità mi avrebbe sicuramente obbligato a tornare indietro? Si sarebbe arrabbiato, sarebbe fuggito via da me senza lasciare traccia.
«Artù... è rimasto, ecco lui», mossi la mano come per liquidare la cosa come se fosse di poco conto, «non è sembrato troppo dispiaciuto. Sì, ecco non ha detto nulla, forse ha pensato che questo viaggio mi farà maturare.»
Mi aspettavo di sentire un fulmine cadermi addosso, la mano del Dio di Galahad, per non aver detto al suo prescelto la verità. Ma non avevo detto una bugia. Mio padre non mi aveva detto nulla. Il fatto che sarei maturato con questo viaggio, bè quello era una tipica frase da padre.
Una frase che avrei voluto sentire prima o poi nella vita.
«Oh... secondo me gli è dispiaciuto. Penso che ne sia rimasto sorpreso, no?» Rispose lui guardandomi.
Io fissavo le fiamme.
«Sorpreso? No, direi sollevato. Un problema di meno tra i piedi.» Di questo ero certo, io ero solo stato un peso per lui, fin dal momento in cui aveva capito con chi era andato a letto quella notte in cui ero stato maledettamente concepito.
«Sei troppo duro con lui, Mordred. Penso che tra voi due ci sia solo un enorme malinteso. Lui pensa che tu non lo possa vedere, tu contraccambi. Non vi siete capiti, eppure siete così simili.»
A sentirlo parlare così, mi veniva voglia di credergli.
«Galahad, se torneremo mai a Camelot, vorrei che tu mi dimostrassi che queste tue parole sono la verità e non solo delle tue fantasie.» Presi la fetta di pane che mi porgeva e la morsi senza tanta convinzione.
«Non sono tipo da fantasie, è la verità. Sai io credo di avere una buona predisposizione per comprendere l'anim-» lo interruppi ridendo.
«Tu non sei tipo da fantasie? E come me lo spieghi che stai viaggiando alla ricerca di una cosa che non esiste?» Lo fissai negli occhi facendolo arrossire, abbassò gli occhi sulle sue mani. Le fiamme danzavano sul suo volto, volevo baciarlo, stavo per avvicinarmi ma lui aveva preso le mie parole seriamente. Stava pensando ad una risposta, mentre avvicinavo una mano per mettergliela sulla guancia lui fece scattare la testa.
«Non è una fantasia Mordred, sto cercando... che c'è? Ho qualcosa in volto?» Guardò la mia mano sospesa tra noi.
«Un insetto, una lucciola. Mangia e lascia stare cosa stai cercando.» Dissi così e mi stesi sulla schiena, mantenendo le gambe piegate vicino al fuoco. Lui rimase in silenzio per poco.
«Mi stai dicendo che non sei curioso di sapere cosa stiamo cercando insieme?»
Io sbuffai, prima di partire ero sicuro di aver già trovato quello che stavamo cercando entrambi, a quanto pare lui cercava qualcosa di meglio che me. Di più importante, c'era sempre qualcuno di più interessante ed importante di me in questo mondo.
«Io l'ho già trovato quello che cercavo. Pensavo che tu fossi un tipo umile e che si accontenta Galahad», gli risposi alzandomi.
«Mordred, non ho capito, perché ti mangi le parole quando qualcuno ti chiede una cosa importante? Lo fai apposta?» Lui era ancora seduto per terra, mi guardava dal basso.
Dea. Avrei potuto facilmente scaraventarlo a terra e…
«Io non mi mangio le parole! Sei l'unica persona che mi dice questa stupidaggine, non me l'ha fatto notare nessuno e poi non mi hai chiesto proprio nulla d'importante. E' meglio preparare i giacigli per la notte, dai finisci di mangiare, sei lento da far paura!»
«Non te l'ha fatto notare nessuno perché hanno tutti paura che te la prenda, esattamente come hai fatto in questo momento. Io non sono lento a mangiare, solo che mastico e non faccio come te che mandi giù senza assaporare il cibo.» Disse lui ridendo.
«Ah! Senti senti il monaco, quanta sapienza! Datti una mossa!» Risposi un po' infastidito battendo la punta dello stivale su una zolla di terra.
«Gawain aveva ragione, sei anche permaloso.» Era divertito. Io lo divertivo per queste cose assurde e non riuscivo a darmi una spiegazione, queste cose erano dei difetti, io avrei preso a pugni un tipo come me.
Non risposi, mi aveva nuovamente battuto, steso al suolo con la sua sincerità.
Il giorno successivo incominciai a pressarlo con domande per sapere se sapeva dove stavamo andando, lui diceva semplicemente che sapeva la direzione nel momento preciso in cui decideva dove andare. Questo ovviamente era assurdo per me, lui era davvero un santo per poter sopportare le mie domande continue, assomigliavo più ad un bambino viziato che al presunto erede al trono di Britannia. Ma certo io non lo sarei diventato, c'erano più possibilità che trovassi io stesso il Sacro Graal piuttosto che diventassi Re. Scoppiai a ridere come un pazzo mentre lo pensavo e Galahad mi scongiurò di raccontagli cosa avevo pensato.
Glielo dissi.
A lui la cosa non sembrò impossibile.
C'era un motivo se ero lì con lui.
Gli diedi del pazzo sognatore.
Lui sorrise. «Vogliamo scommettere? Se lo trovi tu, poi pago pegno.»
Come quella volta, quella volta in cui mi chiese la ciocca di capelli, pensai che ci stesse provando con me, i suoi occhi brillavano di sicurezza e mi invitavano a credergli.
Scrollai la testa. «Fai come ti pare, ma sei tu quello che ha rischiato la vita sul seggio periglioso, mica io. Vedi di non farti fregare la ciotola santa e rovinare la faccia da un bastardo come me. E' un consiglio da amico.»


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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Capitolo 19

Se non fosse stato per quella leggera ombra che leggevo a volte negli occhi a Galahad, il nostro sarebbe potuto sembrare un viaggio di piacere, visitare il paese, fare i cavalieri erranti, perdere tempo a chiacchierare di cose inutili.
Ma era sempre lì, l'ansia, quando dovevamo scegliere da che parte andare, lo vedevo così serio e preso che avevo smesso di prenderlo in giro. Era una cosa importante per lui e non avevo il diritto di prendermi gioco di lui, avevo forse creduto di poterlo distoglierlo da quella sua cerca? Di fuggire insieme da qualche parte e dimenticare tutto?
Lui avrebbe mai acconsento ad una pazzia simile?
No.
Io avevo i miei maledetti doveri di figlio non riconosciuto e quindi... Camelot mi aspettava sempre.
Ma se avessi trovato il Graal, ah... Dea, non mi sarebbe servita nessuna corona.
Sognavo, sognavo cose impossibili, era più probabile che finissimo tutti e due sotto i colpi di qualche banda di pazzi alla ricerca di due polli da derubare, altro che corone e ciotole sante.
Un giorno vidi Galahad un po' affaticato, forse per il caldo, era l'ora di pranzo ed anch'io tra la fame che mi mordeva lo stomaco e l'intontimento che sentivo alla testa, sarei potuto tranquillamente finire a terra calpestato dalla mia indifferente giumenta.
Stavamo percorrendo una strada che costeggiava un bosco, individuai un sentiero che portava ad un rialzo del terreno, come una collina forse un po' troppo ripida per essere una semplice collina. Il percorso non sembrava messo male, percepivo come una dolce frescura, più intensa di quella che potevano darci gli alberi. Forse c'era dell'acqua da quella parte. Il viaggio avrebbe potuto attendere con quel caldo.
Convinsi Galahad a deviare e ci inerpicammo per quel sentiero, ci sentimmo subito meglio, non so dire per quanto ci inoltrammo ma incominciammo a sentire il rumore ristoratore dell'acqua che fluiva.
Arrivammo davanti ad una grotta.
Era chiusa, come se fosse un tumulo, forse era opera dell'uomo, oppure si era chiusa a causa di una frana.
Abbeverammo i cavalli al ruscello che si trovata a meno di dici passi dall'entrata occlusa della grotta, poi ci ristorammo spogliandoci e mettendoci a mollo nell'acqua.
Sarei rimasto lì per giorni e giorni.
Mi trovai a fissare Galahad immerso fino alla cinta, i capelli gli gocciolavano lungo la schiena, non riuscii a trattenere una sorta di gemito. Lui fece scattare la testa e delle gocce mi frustarono il volto.
«Stai male Mordred?» Chiese lui preoccupato.
Tossii coprendomi il volto per dissimulare il sentimento che era nato in me guardandolo. «No, nulla nulla. Ho fame.» Risposi uscendo dall'acqua.
Lui mi seguì, stendemmo una coperta a terra e iniziammo ad attaccare quello che rimaneva del mio formaggio di Camelot.
«Dovremmo cercare da mangiare, sai? C'è rimasto ben poco. Potremmo chiedere a qualche contadino, ma dovremmo uscire dal bosco. Magari se in cambio li aiutiamo un po' nei campi…»
«Galahad»
«Sì?»
«Hai mai lavorato in un campo?» Gli chiesi guardandolo scettico.
Lui arrossì mormorando che avrebbe sempre potuto imparare e che non aveva paura di fare un lavoro umile per guadagnarsi il cibo.
Gli dissi che avremmo sempre potuto compralo il cibo, dato che non ero stato del tutto uno sprovveduto prima di partire, lui ribatté dicendo che ai contadini faceva più comodo avere qualcosa di tangibile che del mero denaro ma la nostra discussione venne interrotta da un suono.
Dolce e triste, forse un lamento, che ci fece rabbrividire.
Un'arpa.
Proveniva dalla grotta.
Galahad si fece il segno dei cristiani mormorando qualche cantilena in latino. «Non dirmi che credi ai fantasmi, mio caro cristiano.» Gli dissi guardandolo storto.
«Non esistono i fantasmi Mordred.» Rispose candido lui.
«Ah, voi cristiani siete assurdi, lasciatelo dire. Perchè hai reagito così allora?» Chiesi spazientito.
«Perchè credo che questa sia la tomba di Merlino.» Rispose con semplicità disarmante.
Sbuffai alzandomi, indossai la camicia e mi avvicinai alla grotta, che fosse ancora vivo lì dentro? Erano girate fin troppe voci sulla sua scomparsa, Nimue lo aveva ucciso, Nimue lo aveva sepolto vivo in una grotta. Quale poteva essere la verità?
Conoscendo Nimue, potevano essere vere entrambe le cose.
Anche se avessimo tentato di aprire una breccia che avremmo potuto fare?
Sinceramente preferivo lasciarlo lì, non ci tenevo minimamente a ricevere qualche suo anatema.
«Perchè pensi che sia la sua tomba, Galahad? Esisteranno centinaia di grotte simili a queste in tutta la Britannia, no?» Chiesi al mio piccolo monaco che non si era mosso.
«Quante di queste grotte potranno contenere un'arpa, Mordred?»
La passione di Merlino per le arpe e per Nimue era ben conosciuta. Se era stata Nimue a ficcarlo lì dentro era stata gentile, gli aveva lasciato un tenero passatempo.
Poggiai una mano su una delle pietre e sentimmo quel dolce suono nuovamente, forse usciva da delle piccole fessure. Magari era solo il vento e Merino in realtà stava riposando nel sonno senza fine.
Quell'uomo mi aveva odiato sebbene non gli avessi fatto nulla, sebbene non lo avessi conosciuto. Non mi aveva voluto a Camelot, mi aveva voluto morto in realtà.
Sorrisi mestamente augurando un buon riposo a Merlino e tornai a sedermi vicino a Galahad.
«Vuoi che andiamo via da qui? Possiamo provare a spostarci più a valle rispetto al torrente.» Lui era preoccupato per me? Ma io stavo bene, non avevo paura dei morti.
«No, si sta bene qui. Per quanto Merlino mi abbia odiato, non posso fare a meno di dire che aveva ottimo gusto. Non credi? E' un bell'angolo di Britannia, potrei rimanere qui a vivere, sempre se la grotta fosse libera intendo.»
Lui mi guardò serio, gli consigliai di riposare prima che dicesse qualsiasi cosa, non volevo essere consolato e non avevo voglia di piagnucolare per via di un mago morto che aveva voluto la mia testa.
Il giorno dopo ci rimettemmo in viaggio, mi sentivo meglio, ci allontanammo dal bosco che ci aveva dato sì riposo ma aveva portato troppo pensieri a me.
Chiesi a Galahad se era possibile avvicinarci alla costa, avevo voglia di vedere il mare. Qui al Sud la riva doveva essere ben diversa da quella che mi ero abituato a vedere nel Nord, a casa mia. Lui acconsentì di buon grado.
La spiaggia era un lungo e largo nastro di sabbia, il profumo del salmastro mi riempì le narici. Liberammo i cavalli dai nostri scarsi viveri e dalle selle e li lasciammo liberi di scorrazzare sulla sabbia, non me ne importava molto in quel momento se avrei dovuto impazzire per riprendere Elvellon.
Mentre camminavamo lungo la battigia individuammo la foce di un fiume e delle barche, sperai di poter mangiare del pesce quella sera.
Alcuni pescatori ci videro e ci fecero dei cenni con le mani, non avevano paura di due giovani cavalieri come noi. Quando fummo a portata di voce, il più anziano, che in quel momento stava rammendando una rete, ci rivolse la parola.
«Cercate il Graal grandi signori? Siete nel posto giusto.»
Galahad si aggrappò con una mano al mio gomito guardandomi con gli occhi sgranati, voltando la testa a scatti da me al vecchio pescatore.
«Sì, certo. Però prima non ci dispiacerebbe mangiare del buon pesce.» Galahad si bloccò, indeciso se piangere o ridere, dalla gioia o dalla disperazione.


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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


Capitolo 20

Galahad non disse nulla, doveva aver dimenticato come si facesse a parlare e probabilmente anche come si mangiava. Lo dovetti quasi implorare. «Galahad, mangia, il tuo Graal non se ne andrà certo via sulle sue gambe proprio ora, ti pare? Quando sarai sazio vedrai tutto sotto una luce migliore.»
Mi sentivo stranamente calmo, come se tutte le cose fossero al loro posto. Però mi sentivo così perchè era impossibile che quei pescatori sapessero dove fosse il Graal. Figuriamoci, probabilmente era una loro specie di attrazione per cavalieri erranti, chissà quanti posti magici simili a questi c'erano sparsi per la Britannia.
Ma il pesce era buono e mi divertivo a vedere come quegli uomini stessero tranquilli e sereni a rammendare le loro reti, mentre le loro piccole barche erano ormeggiate su una banchina del fiume, dove l'acqua salata risaliva e si mischiava all'acqua dolce.
Nel pomeriggio Galahad riprese le sue capacità di intendere e di volere e disse chiaramente al vecchio marinaio che noi desideravamo vedere il Santo Graal, che lo stavamo cercando da tempo e che eravamo pronti ad affrontare qualsiasi prova.
Su quest'ultima cosa non ero molto d'accordo, ma che potevo dire? Vivi e lascia vivere.
I marinai ci diedero delle indicazioni, dovevamo risalire per alcune miglia il corso del fiume, avremmo visto chiaramente un castello, di cui già da lì riuscivamo ad intravedere le mura. Avremmo trovato le porte aperte ed una prova che avrebbe dimostrato se eravamo degni oppure no di vedere l'oggetto sacro.
La questione si era già fatta più seria e poteva esserci di tutto in quel castello, qualche banda di malviventi assassini che avevano la predilezione per tagliare la gola ai cavalieri in missioni religiose oppure qualche strega sola e bisognosa di attenzioni, se queste attenzioni venivano da giovani e santi biondi era ancora meglio.
Sospirai vedendo Galahad così determinato, pallido e fiero, come pronto per una battaglia.
Ovviamente la mia giumenta non aveva alcuna voglia di caricare il mio peso per quelle miglia, fu Galahad a recuperala per me, non si lamentò per quella perdita di tempo. Era l'immagine della pazienza dei cosiddetti santi.
Arrivammo verso la metà del pomeriggio, il castello si trovava sul lato opposto rispetto alla strada che avevamo percorso, c'era un fossato che lo circondava, vi si poteva accedere tramite un ponte di pietra. Non c'erano ponte levatoio, non c'erano nemmeno le porte veramente.
Non c'era molto a dire la verità, se non un'enorme quantità di erbe infestanti.
Era disabitato?
Era un posto perfetto per dei banditi.
O almeno era così che nella mia fantasia doveva apparire un loro covo.
Prima di passare il ponte estraemmo le nostre spade, il rumore degli zoccoli sulla pietra regalava un rumore distante e sinistro. Passando sotto l'arco guardai in su, vidi solo erba e buio.
All'interno trovammo un cortile rettangolare con quella che doveva essere stata una bassa vasca per la raccolta dell'acqua piovana, forse un'eredità romana.
Chi era mai vissuto in quel posto?
Scendemmo da cavallo, assicurammo le briglie ad un contorto anello di ferro infisso su di una colonna del porticato e lo sentimmo.
Rumore di passi, lenti e decisi. Provenivano da sotto il colonnato difronte a noi. Vidi un'ombra muoversi e fermasi vedendoci.
Feci cenno a Galahad di stare attento, per quanto potevo vedere non c'erano altri movimenti attorno a noi, solo erba, foglie secche e silenzio, ma dovevamo essere prudenti.
«Cavalieri, siete giunti qui per il Sacro Graal?» La voce era stranamente cavernosa, come se fosse contraffatta, forse era solo l'effetto dell'eco nello strano silenzio che ci circondava.
Galahad si spostò, trovandosi davanti alla persona che aveva parlato che però rimava in ombra.
«Sì, abbiamo sentito la chiamata e abbiamo seguito la strada che ci veniva indicata. Diteci cosa dobbiamo fare, se siamo degni, vorremo vedere il Sacro Graal.»
«Dovrete affrontare una prova, seguitemi, dimostrerete la vostra volontà a Dio!»
Galahad non perse tempo, senza nemmeno guardasi attorno seguì la figura che si era ritirata nel buio, non feci in tempo nemmeno di parlare che era già avanzato.
«Stupido ragazzino.» Mormorai e guardandomi a destra e sinistra lo seguii. Vidi la sua figura passare sotto un arco sormontato da una croce, il simbolo dei cristiani. Che fosse una chiesa? Avevo il permesso di entrare lì? Dea, dovevo seguire Galahad, che il suo Dio mi potesse perdonare, dovevo farlo, sperai che mi accettasse nel suo tempio.
Non scese nessun fulmine quando oltrepassai la soglia, vidi un ragazzino di non più di quattordici anni, abbigliato di tutto punto, come un guerriero, solo che gli abiti gli stavano un tantino larghi. Capelli castani tagliati alla bell'e meglio, più o meno come i miei constatai, mento spigoloso, guance leggermente incavate, pallido, bocca piccola e corrucciata. Non doveva essersela passata tanto bene in quel posto desolato.
Era lui, la voce che ci aveva accolto, lo dedussi dal fatto che non c'era davvero nessun altro lì dentro.
«Cavalieri, la prova che dovrete affrontare sarà quella di sconfiggermi in combattimento.» Sentii le mie sopracciglia schizzare verso l'alto, Galahad invece stava studiando attentamente quell'assurdo ragazzino del Graal. «Dopo che mi avrete battuto, avrete la Santa Reliquia e godrete dei suoi doni dell'anima e del corpo.»
Per tutto il tempo aveva usato quel tono da adulto che però mal si sposava con la figura magra e denutrita che avevamo davanti. Possibile che si fosse un trucco dietro a tutta quella scena?
Galahad di fece avanti, alzò la spada difronte a se in segno di saluto e i due iniziarono lo scontro.
Oh, Dea, ci sapeva fare il ragazzino.
Ma Galahad non era certo uno sprovveduto, era tranquillo, agiva d'istinto, non lasciava tempo al pensiero, agiva, colpiva dritto e deciso. Erano davvero uno spettacolo, che avrei potuto godermi appieno se non fossi troppo impegnato a guardami intorno, dove stava il trucco? Dove stavano i banditi? Sarebbero forse entrati dalle alte finestre senza vetri? Oppure c'erano dei passaggi segreti dalle pareti laterali? Mi venne in mente Gawain e Ginevra che lo assaltava e trattenni a stento un sorriso. Che diamine ci stavamo facendo lì, io e Galahad, con lui che si batteva per un vaso con un ragazzino forse pazzo per la fame e l'isolamento?
La mia attenzione tornò al duello quanto sentii il clangore di una spada a terra, il ragazzino misterioso aveva perso.
Mi avvicinai, Galahad era ansante, gli occhi persi a fissare qualche punto indistinto difronte a lui, gli misi una mano sulla guancia e parve tornare in se. Mi sorrise brevemente.
«Avete vinto messere, potrete vedere il Graal.» Il ragazzino era sfinito, tossì stremato a terra, fece per alzarsi, si rivolse a me. «Voi messere, anche voi dovrete battermi per...» gli misi una mano sulla spalla e lo spinsi giù, mi tolsi il mantello e glielo misi sotto la testa. «Non credo che tu sia in grado di batterti con me e poi è Galahad che ha intrapreso questo viaggio, io non sono degno.»
Cosa mi era successo, all'improvviso credevo che quel ragazzo fosse il vero custode del Graal?
«Io non vado da nessuna parte senza Mordred, se vedrò il Graal lo vedrà anche lui. Aspetteremo che vi riposiate e poi ci mostrerete il Graal. Come vi chiamate, cavaliere?» Disse Galahad in modo comprensivo.
«Dindrane, miei signori, figlio di Pellinore.»


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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


Capitolo 21

Dindrane, il ragazzino, quando si fu ripreso, ci raccontò di essere lì da solo da poco più di un mese, ovvero dalla morte del padre, avevano vissuto in ristrettezze ed umiltà per molti anni in quel luogo. Non avevano avuto servitori, mangiavano quello che i pescatori donavano loro e attendavano l'arrivo di cavalieri valorosi che tentassero la grande impresa. Noi non eravamo i primi ad essere giunti lì, ma Galahad era il primo ad aver sconfitto il cavaliere custode del Graal.
Avevo alcuni, molti dubbi sul fatto che quel ragazzino fosse così tanto forte, Dindrane con un'occhiata acida spiegò che aveva preso il posto del padre dopo la sua morte e che se non eravamo i primi a giungere al castello, eravamo i primi a scontrarsi con lui.
Questo spiegava molte cose.
Pellinore, suo padre era morto nel sonno, senza aver avuto alcun sintomo di malattia.
«Il Signore Dio nostro l'ha chiamato al suo cospetto ed io ho preso il suo posto.» Disse orgogliosamente Dindrane.
Galahad aveva ascoltato con attenzione ogni parola, era apparentemente calmo ma negli occhi gli leggevo la curiosità che ormai aveva preso anche me. Potevamo vedere questo benedetto vaso?
Anche se…
Questo implicava la fine del viaggio.
Sapevo perfettamente di non voler tornare a Camelot, avrei preferito rimanere lì a tenere compagnia al ragazzino piuttosto.
«Dindrane, dov'è il Graal? Non voglio metterti fretta ma vedo perfettamente che Galahad non sta più nella pelle.»
«Mordred! Non è affatto vero...» disse Galahad arrossendo ed abbassando lo sguardo.
Dindrane si alzò a fatica, doveva aver mangiato proprio poco per essere ridotto così, più lo guardavo e più giovane mi sembrava. Non doveva essere stato facile per lui stare lì da solo, eppure... con un avversario come lui, chiunque avrebbe potuto avere il Graal tra le mani.
Possibile che fosse così facile?
La strana sensazione che qualcosa non tornasse mi si riaffacciò nella mente.
«Dobbiamo andare alla foce del fiume, lì risponderò a tutte le vostre domande miei signori.» Parlò in modo così risoluto che non potei altro che fargli cenno con la mano che l'avremmo seguito.
Il ragazzino salì a cavallo dietro a Galahad e percorremmo la stessa strada che avevamo fatto dell'andata, nessuno parlò. Io mi limitai a stare alle loro spalle e lanciare delle occhiate a Dindrane aggrappato alla schiena di Galahad.
In vista del piccolo porto ci mancò poco che mi scappasse una serie di imprecazioni, c'era una nave attraccata lì. Non era una semplice barchetta da pescatore, avrebbe potuto prendere il largo, raggiungere il continente e chissà cos'altro. Ne avevo viste di simili quando vivevo a Dunpeldyr, ma mai di così ricche.
La balaustra terminava con una striscia in legno dorato, la poppa e la prua erano stranamente identiche, strette e a punta con un lungo prolungamento che solcava l'acqua, assomigliavano a due spade.
Aveva un solo albero dal quale pendeva una enorme vela ammainata, rossa, rossa come il sangue.
Rimasi a bocca aperta e Galahad dovette chiamarmi varie volte prima che scendessi da cavallo.
Da dove era uscita quella nave così particolare e splendida? Chi l'aveva costruita? Era forse un sogno?
«Dovete salire sulla nave miei signori.» Disse Dindrane guardandoci serio, stringeva forte i denti, nervoso.
«Dopo di te.»Dissi io bloccando Galahad che si stava già approntando a raggiungere la passerella.
Dindrane alzò il mento come per sfidarmi e senza fiatare salì sulla nave, presi per mano Galahad e lo trascinai dietro di me, camminando cauto sulla passerella e studiando a destra e a sinistra prima di mettere piede sul ponte.
Eravamo saliti.
Sentii la nave ondeggiare.
La passerella cadde in acqua.
Eravamo partiti.
«Che diamine-», Galahad mi bloccò, si mise tra me e Dindrane ed estrasse la spada per difesa.
«Vuoi spiegarci cosa sta succedendo?» Disse con voce vibrante.
«Pace, miei signori, questo è il destino di chi trova il Sacro Graal, mi dispiace per aver dovuto agire così, ma questo è quello che mi ripetuto per anni mio padre, Re Pellinore. La mia famiglia si è tramandata questo compito di generazione in generazione.»
In quel momento notai che non eravamo soli, la nave non si muoveva certo grazie ad uno spirito divino. Il vecchio marinaio che solo quella mattina ci aveva dato il benvenuto ed offerto il pranzo ora ci sorrideva da poppa, dove stava manovrando in tutta sicurezza quello che doveva essere il timone.
Dunque era così, eravamo ostaggi di un ragazzino e di una banda di pescatori.
Ottimo.
Almeno non saremmo dovuti tornare subito a Camelot.
Dindrane ci chiese di seguirlo sottocoperta dove finalmente avremmo visto quel benedettissimo vaso.
Scendemmo, seguimmo un lungo corridoio che ci portò a metà della nave, sulle pareti di legno c'erano delle porte, chiuse soltanto da delle pesanti tende rosso cupo. Da una di questa entrammo in una stanza, su di un tavolo c'era un cubo di legno chiaro, forse di faggio.
Una scatola.
Dindrane ce la indicò e poi ci lasciò soli.
Galahad mi guardò ed esitò. «Tutto tuo, prego.» Gli dissi facendo un cenno verso la scatola, incrociai le braccia sul petto ed attesi. Lui si avvicinò, aprì tremante il coperchio, lo sentii sospirare, mise le mani dentro e ne estrasse... non lo so dire. Vidi solo, no, non lo so, luce? Buio? Tenebra? Vita? Morte? Sentii il rumore della mia testa che batteva a terra sul pavimento di legno, sapevo che Galahad aveva visto e compreso qualcosa di cui io non ero degno. Qualcosa di superiore a me, a tutti, ma che lui poteva avere perché era puro, sincero, unico, vero.
Mi risvegliai più tardi, qualcuno... qualcuno che ora giaceva al mio fianco, mi doveva aver portato in una cuccetta, estremamente piccola, ma il tepore che sentivo provenire da Galahad compensava la scomodità del posto. Eravamo in una stanzetta, c'era una finestrella da cui entrava la poca luce della sera. Accarezzai la testa di Galahad, lui si voltò e mi sorrise.
C'era qualcosa di diverso in lui.
C'era... consapevolezza.
Non avrei saputo spiegarlo con una parola migliore di quella.
Gli accarezzai ancora i capelli e il suo sorriso si fece se possibile ancora più caldo.
«Stai bene?» Chiese piano e dolcemente.
«A parte il mal di testa ed il fatto che questa cuccetta è il posto più stretto del mondo in cui io abbia mai dormito? Sì, direi che sto bene, non mi posso lamentare.»
Lui rise.
«Io credo che tu abbia dormito in posti peggiori di questo, chissà nelle tue isole lontane, in quella casa tra gli scogli, quanto freddo ti sarà entrato nelle ossa nelle notti in cui il vento urlava parole in una lingua sconosciuta.»
Consapevolezza.
Lui sapeva.
Capiva.
«Cosa...?» Mormorai.
«Dormi Mordred, domani parleremo, dormi.»
Dormii, cullato da lui e dal mare.


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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


Capitolo 22

Quando mi svegliai, era mattina inoltrata e fui felice di sentire ancora Galahad vicino a me. Ben presto scoprii che non era lì per farmi compagnia.
Il perfetto e puro Galahad soffriva il mal di mare.
Questo gl'impediva di stare a scorrazzare sul ponte della nave, preferiva stare male vicino a me piuttosto che sulla cuccetta di Dindrane, che era stato così gentile con lui da avergli offerto la sua stanzetta per stare più comodo.
Dannato moccioso rapitore.
Mentre mi trattenevo a stento dal ridere vedendo il mio monaco così pallido mi chiesi dove fosse finito il Galahad della sera prima. Così consapevole della vita, di me, del mio passato e con le idee apparentemente chiare sul dove stavamo andando. Ovvero dove ci stavano portando.
Lo lasciai tranquillo a riposare e salii sul ponte in cerca del cavaliere misterioso e in modo particolare di cibo, avevo bisogno di energia.
Prima trovai il vecchio e furbo marinaio, seduto sotto l'albero mentre faceva una pausa dal suo turno, mi sedetti vicino a lui senza dire nulla. Mi godetti il sole, la brezza ed il profumo del mare, lui mi porse una pagnotta di pane bianco che accettai chinando la testa.
Rimasi lì un poco, guardando con interesse gli altri marinai-pescatori che pulivano il ponte, sistemavano le vele e le reti.
Ci raggiunse Dindrane, aveva preso un po' di colorito, forse gli era più congeniale la vita di mare che quella sulla terra ferma, era vestito completamente di verde, assomigliava ad un folletto del bosco. Mi sembrò ancora più giovane.
Si sedette anche lui sotto l'albero, il vecchio marinaio se ne andò come se avesse ricevuto un muto comando da parte del ragazzino.
«Quindi, posso sapere dove ci stai portando Dindrane?» Gli chiesi senza preamboli.
Lui si guardò i piedi che mosse a disagio. Attesi.
«Chi trova il Graal ha delle responsabilità, verso il Graal stesso e verso chi l'ha custodito a lungo. C'è una cerimonia a cui... dovrete partecipare. Stiamo andando a Sarras, è un isola del Mare Nostrum.»
Era lontano.
Chi ci viveva laggiù?
Perchè diamine ci stavo andando anch'io?
«Ser Galahad aveva detto che non avrebbe visto il Graal senza di voi, quindi sono stato costretto a portare anche voi. Questo non era previsto. Mi dispiace molto che dobbiate dividere una cuccetta in due, signore.» Le ultime parole le disse a denti stretti.
Dindrane non provava troppa simpatia per me, forse avrei dovuto battermi con lui, lì, in quel momento per dimostrargli che avevo tutto il diritto di andare dove stava portando Galahad. Lo guardai di sottecchi. Sarebbe stato capace di battermi, dato che aveva messo in difficoltà Galahad in quelle condizioni pietose.
Mi avrebbero forse buttato in mare se avessi perso?
Dea, chi se ne importava di dover dimostrare qualcosa a quel ragazzino inacidito?
Tornai sottocoperta e trovai Galahad che dormiva, presi una sedia e rimasi lì a guardarlo, aveva la bocca leggermente aperta e intravedevo i suoi denti bianchi.
Dea.
L'idea di viaggiare per la Britannia, noi due da soli mi aveva solo fatto girare la testa.
Il pensiero di rimanere in quello spazio così ristretto per chissà quante settimane, andava ben oltre le mie capacità di resistenza.
Avrei fatto meglio a dormire per terra.
Si svegliò poco dopo, io ero rimasto sulla sedia a fissare le onde del mare dalla finestrella della nostra stanzetta.
«Mordred?» Disse con la voce impastata.
«Mmm?» Mi voltai a guardarlo, sembrava stare meglio, allungò la mano e mi toccò la testa.
«Devi fare qualcosa per i tuoi capelli, ti stanno veramente male.» Disse ridendo.
«Non faresti meglio a mangiare qualcosa invece che pensare a queste sciocchezze?»
«Non mi parlare di cibo... mi sento male solo a pensarci.» Dicendo così si voltò dall'altra parte e tornò a dormire.
Venne Dindrane a portarci il pranzo, ci rimase male notando che Galahad stava ancora riposando, vidi chiaramente il disappunto accendersi sul suo volto dato che avrebbe dovuto servire il pranzo solo a me.
Fece presto, lasciando cibo in abbondanza, con mio immenso piacere se ne andò e ci lasciò soli.
Mangiai di gusto, era tutto pesce fresco, chiunque l'avesse cucinato, ci sapeva fare.
Vedendo Galahad muoversi nella cuccetta gli dissi che c'era qualcosa per lui sul tavolo, lui mormorò un grazie. Lo lasciai solo.
Mi sistemai vicino al timone dove c'era Orithil, il vecchio marinaio, chiacchierai con lui. Anzi fu lui ad attaccare bottone, mi chiese se ero più preoccupato per il mio compagno o per il mio cavallo che avevo dovuto abbandonare al porto. Rimasi stupito, non avevo più pensato ad Elvellon, mi dispiaceva averla lasciata in balia di chissà chi.
Era l'unico regalo che mi avesse mai fatto mio padre.
Orithil rise e mi rassicurò dicendo che gli uomini che non erano partiti con noi avrebbero curato la mia giumenta con amore.
«Puoi assicurarmi che non la venderanno al primo cavaliere errante che andrà lì a cercare il Graal?»
Lui si diede una manata in fronte. «Questo non posso garantirlo. Pensi di dover tornare tanto presto in Britannia, Principe?»
Rimasi a bocca aperta, lui scosse la testa. «Avrai capito che non sono solo un marinaio, almeno mi pareva di aver capito che tu fossi un tipo sveglio, Principe Mordred.»
Orithil mi raccontò. Era nato nel Lothian, quando ancora quelle terre non si chiamavano così. Era stato un soldato di Lot.
Lot, il marito di mia madre.
Orithil, dopo che suo figlio appena nato fu ucciso, ovvero rapito e messo su di una barca lasciata alla deriva, aveva deciso di andarsene assieme a sua moglie da quelle terre. Aveva cercato una nuova vita e l'aveva trovata sotto Re Pellinore.
«Una vita tranquilla, fatta di attesa per il gran giorno. La barca doveva sempre essere pronta per intraprendere il viaggio. Io di barche ci capivo qualcosa, essendo nato lassù dove sei nato anche tu, Principe.»
Avevo un nodo in gola, era colpa mia se quell'uomo aveva perso il figlio, aveva dovuto cambiare la vita. «Mi odi?» Gli chiesi guardando il mare.
«Tu? No, Principe Mordred. Io ho odiato Merlino per la pazzia che lo prese quando decise per quella strage. Tu, nel cuore di tutte le madri che hanno perso i loro figli in quella notte infausta, sei la speranza. Sei la rivincita nei confronti della follia. Da un lato mi fa piacere che ti allontani da quel covo di cavalieri insofferenti, troppa pace, troppa calma, sfocia sempre nel massacro. Credimi.»
Il tono della sua voce mi ricordò moltissimo quello di zia Morgana quando vedeva delle cose nel fuoco.
Ero la speranza di cosa? Ero solo un buono a nulla che forse aveva trovato il suo posto nel mondo, ovvero accompagnare un ragazzo con il mal di mare verso il suo destino.


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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


Capitolo 23

Dopo il terzo giorno di viaggio Galahad incominciò a stare meglio, mi guardava in modo particolare, forse aveva paura che lo credessi uno sciocco per essere stato così male per colpa del moto delle onde.
Non lo credevo uno sciocco, solo non c'era abituato. C'erano altre questioni che me lo facevano studiare con attenzione. Gliene parlai un pomeriggio in cui si era arrischiato a stare con me a prua mentre guardavo il mare.
«Ti fidi sempre delle persone in modo così semplice?»
«Mordred, io ho visto il Sacro Graal e l'hai visto anche tu! Come puoi dubitare di Dindrane?» Disse lui con le guance arrossate e cercando di limitare le slancio emotivo che leggevo nei suoi occhi.
«Il Graal. Non mi hai raccontato nulla di quello che è successo. Immagino di non essere degno di conoscere i misteri del tuo Dio. Ma questo non centra. Ti rendi conto che non sappiamo chi siano queste persone e che ci tengono praticamente in ostaggio da tre giorni? Quel moccioso ti ha spiegato esattamente che cosa dovrai fare nell'isola di Sarras?»
Gli vidi stringere le mani a pugno, ebbi paura che mi volesse colpire, feci un passo indietro.
«Non... non è che non sei degno. Sto cercando da giorni un modo per spiegarti. Ma non sono ancora riuscito a trovare le parole, se esistono, per spiegarti e... Vorrei davvero che tu comprendessi.»
Distolsi lo sguardo da lui un po' irritato. Aveva usato un giro di parole per dirmi che anche se mi avesse spiegato, io non avrei capito. Perchè mi dava così fastidio?
«Dindrane è stato molto gentile con me, considerato anche quello che ha dovuto passare da solo in quel castello... mi ha spiegato che noi dovremo presentarci al cospetto del Re di Sarras e ricevere gli onori della città. Poi potremo fare ciò che più ci aggrada, anche ripartire subito.»
Dindrane era stato molto gentile con lui.
L'avevo notato chiaramente, avevo anche visto il moccioso allungare una mano per sfiorare la tunica di Galahad.
Dindrane mi piaceva sempre di meno, questa era l'unica certezza che avevo in quel momento.
«E perchè?» Dissi io piantandogli gli occhi sul volto.
«Cosa, Mordred?» Rispose lui alzando i suoi occhi color del cielo su di me.
«Perchè diamine dobbiamo andare da questo Re a ricevere gli onori? Non sarebbe stato il caso che fosse stato il tuo, il nostro Re a ricompensarci come dovuto?»
«Ti sei già stancato Mordred, vuoi tornare a casa?» Chiese lui con tristezza.
«No, che dici! Non hai risposto alla mia domanda. Sai perchè dobbiamo andare su quell'isola?» Chiesi stizzito.
«Perchè dobbiamo farlo!»
«Dovere! Dovere cosa? Galahad non sto dicendo che non ci voglio andare, vorrei solo una spiegazione. Ci deve essere un motivo, ti pare?»
Lui scosse la testa, incapace di dire altro.
O lui si fidava ciecamente di Dindrane, oppure aveva visto qualcosa tramite il Graal, oppure c'era qualcosa che non mi voleva dire.
E pensavo che fosse proprio questo il punto.
Non è che avessimo proprio litigato, ma Galahad decise di non prestarmi più molto attenzione per il resto della giornata e pure dei giorni successivi. Ovviamente passò tutto il tempo con Dindrane, che a guardarlo bene, non era poi tanto male fisicamente. Un po' spigoloso forse. Stavano dannatamente bene assieme, forse per la vicinanza d'età avevano fin troppe cose di cui discutere.
Io ero un vecchio.
Mi ritrovai a ridere da solo.
A vent'anni mio padre era re della Britannia, sposato, con almeno due figli nati fuori dal matrimonio. Si era dato da fare, nulla da dire. Gli mancava solo un erede legittimo, questa era la sua sola macchia nella vita.
Io? Cosa avevo fatto io? Ero solo capace di prendere le cose degli altri, non c'era nulla di mio o a me destinato a questo mondo.
Mi distesi nella cuccetta, ero troppo stanco di vedere e sentire Galahad ridere con Dindrane, avrei finito per gettarmi in mare. C'era terra in vista, non avevo idea di quale terra fosse di preciso, chissà quale popolo ci abitava, quali usanze avevano. Anche lì gli innamorati si scambiavano pegni d'amore. Ciocche di capelli?
Mi ritrovai a giocherellare con il sacchetto che avevo al collo, si era sgualcito. Desiderai ardentemente fare un bagno, il rumore delle onde era così invitante, possibile che non potessimo fare una fermata per una nuotata?
Galahad sapeva nuotare? Avrei potuto insegnarglielo in caso... in caso che avesse ancora ancora rivolgere la parola, ovviamente.
Mi voltai su un fianco, chiusi gli occhi e rimasi lì a stringere il pegno di Galahad, rimuginando su troppe cose.
Entrò qualcuno, rimase vicino alla cuccetta, forse a studiarmi. Lo sentii trattenere il fiato.
«Mordred!» Galahad mi saltò addosso e mi scosse.
«Dannato ragazzino, che ti prende? Hai preso troppo sole?» Gli chiesi quando si calmò.
«Ah... ma Mordred! Non respiravi, mi ero preoccupato. Ho pensato che...» Disse lui con voce innocente.
«Scemo! Ho trattenuto il respiro involontariamente quanto sei entrato.»
«E perchè? Volevi spaventarmi?» Disse lui finalmente rilassato.
«No. Non lo so, se ti ho detto che l'ho fatto involontariamente! Scemo.» Mi voltai dall'altro lato.
«Posso mettermi vicino a te?» Chiese lui in un sospiro.
«Certo, è anche il tuo letto, no?» Perchè ero così maledettamente lunatico?
Lui si stese di fianco a me, la sua schiena contro la mia. Sentivo il suo corpo stranamente freddo, forse era per via dell'aria del mare, mi mossi a disagio quando un brivido mi scese lungo la schiena.
«Mordred?» Disse piano lui.
«Mmm?»
«Ho scoperto, anzi aperto gli occhi su molte cose da giorno in cui ho toccato il Graal. Però ora ho paura che queste cose siano troppo grandi per me.»
«Non mi sembra che quando parli e ti diverti con Dindrane la cosa ti pesi così tanto.»
Lo sentii girarsi, la sua bocca vicino alla mia schiena.
«Sei geloso? Non devi esserlo, non parliamo di nulla d'importante io e lui.»
Non risposi. Geloso, io?
Certo che lo ero, ma non lo avrei mai ammesso, nemmeno sotto tortura.
«Non ti dice nemmeno quando scenderemo da questo guscio di noce?»
«Ah, credevo che ti piacesse questa nave, sei rimasto a bocca aperta quando l'hai vista.»
Mi voltai, eravamo così vicini. Chiusi gli occhi per cercare di calmarmi e di cancellare certi pensieri dalla testa.
«Non hai risposto, Galahad.»
«Pochi giorni, due al massimo e poi saremo all'isola di Sarras.» Sentivo il suo respiro sul volto. Riaprii gli occhi.
«Quindi questo potrebbe essere anche l'ultimo dei nostri giorni da vivi.» Lui mi diede un leggero pugno sulla guancia ridendo e dicendomi che non c'era ragione che ci uccidessero, avrebbero potuto evitarsi il disturbo e farci fuori sulla barca. Io lo rimbeccai dicendogli che magari servivamo per un qualche tipo di rito sacrificale, lo feci arrabbiare.
Gli misi una mano sulla guancia obbligandolo a guardami, lui esitò. Gli vidi una vena sul collo pulsargli, mi avvicinai tanto, tanto che il mio naso toccava il suo.
«Posso darti un bacio, prima che scendiamo da questa barca e vediamo cosa ci succede?» Chiesi in un soffio.
Lui deglutì e annuì lento. Chiuse gli occhi, io poggiai le mia labbra sulle sue, aveva le labbra contratte, io schiusi le mie obbligandolo a socchiudere la bocca. Le assaggiai come se fossero una crema dolce, avrei potuto continuare per chissà quanto tempo, ma lui era così rigido che mi fermai.
«Puoi respirare Galahad, non mi dispiace sapere che sei vivo sai?» Lui strofinò la testa sulla mia spalla e disse «Sono proprio un imbranato.»
Lo abbracciai e lo strinsi forte a me. «C'è tempo per imparare Galahad e poi non è andata così male, no?»
Alzò la testa ed io lo baciai ancora, ancora, ancora e ancora fino a che non ci addormentammo.


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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


Capitolo 24

Come mi aveva detto Galahad, dopo altri due giorni di viaggio arrivammo a destinazione. In quei due giorni ero riuscito a stare calmo quando vedevo Galahad parlare con Dindrane, sapevo che lui era mio e che trattava il ragazzino solo con cortesia innata.
Il fatto che io e Dindrane non ci sopportassimo a pelle era un'altra questione. Limitavo al minimo la mia capacità di dialogo quando lui era con noi, Galahad non commentò mai il mio comportamento ma cercava di smuovermi con le sue occhiate.
Dal canto suo Dindrane mi si rivolgeva sempre e solo con un tono tagliente e a denti stretti, ero certo che mi avrebbe volentieri buttato fuori dalla nave, se ne fosse stato in grado.
Ma arrivammo prima che lo potesse fare.
L'isola era una montagna in mezzo al mare, lunga non più di cinque miglia e larga tre. La punta dell'isola che vedemmo arrivando aveva una torre rotonda, sormontata da una merlatura, c'erano delle guardie in fermento lì sopra.
Uno dei nostri marinai pescatori si affrettò ad issare una bandiera bianca con una croce rossa, a quel segnale udimmo distintamente il suono di una tromba.
Il porto era piccolo ma molto affollato, sia di barche che di uomini e donne di tutte le età. Arrivavano di corsa, scendo le ripide strade che scendevano al porto.
Vidi Dindrane inspirare forte e gonfiare il petto.
La folla era festante, le fanciulle gettavano fiori in acqua in segno di saluto.
Dannazione, dov'ero finito?
Una volta che riuscimmo a fermarci sul molo ed approntare la passerella fummo letteralmente subissati da grida di gioia. Almeno, credetti che lo fossero.
Le parole che sentivo non le comprendevo, era una lingua a me sconosciuta, forse con qualcosa in comune con il latino. Molto alla lontana con il latino.
Guardai Galahad appena misi piede a terra, era tra lo spaventato e l'eccitato, mentre si guardava attorno gli presi la mano, tanto per rendere chiaro a tutti che non lo avrei lasciato in mano a quei pazzi.
Perchè un po' pazzi lo dovevano essere per urlare in quel modo.
Giunse una sorta di ambasciata, era un gruppo di cinque uomini vestiti con una lunga tunica rosso cupo, stesso colore della nostra vela notai.
Si assomigliavano molto tra di loro, dovevano essere imparentati, stessa pelle olivastra, capelli grigi, mento squadrato, mascella dura. I loro denti bianchi risaltarono quando ci sorrisero. Chinarono il capo in segno di saluto, li imitammo.
Quello più anziano, che stava in testa al gruppo, alzò le mani verso la folla festante, calò il silenzio solo interrotto dalle grida dei gabbiani e dallo sbattere delle vele sulle barche ormeggiate.
Parlò.
Ah, Dea, io e Galahad ci guardammo. Alzai leggermente le spalle. Non capivamo una parola.
Dindrane sì.
Questo non mi piaceva, questo implicava il fatto che avremmo dovuto dipendere sempre e comunque da quel ragazzino stizzito.
«Il consigliere Abdel Haqq ed i suoi compagni vi danno il benvenuto sull'isola di Sarras, oh valorosi», mi lanciò un'occhiata carica di veleno,«guerrieri che siete giunti qui in nome del Graal e che dal Graal siete stati benedetti.»
Galahad ringraziò in qualche modo cortese che certamente io non sarei stato in grado di fare, Dindrane tradusse quasi gongolando, muovendo leggermente il busto mentre parlava.
Avrei potuto vomitare guardandolo pavoneggiarsi in quel modo.
Vedendo il consigliere capo Abdel Haqq oscurarsi leggermente in volto ed accantonando le frasi di rito di benvenuto, mi feci attento.
Le sopracciglia di Dindrane schizzarono in alto sulla sua fronte, impallidì, si guardò i piedi incerto.
«Dindrane, parla. Cos'è? Ci vogliono mangiare per pranzo?» Sbottai io indiscreto.
«Mordred!» Disse sconvolto Galahad guardando a destra e a sinistra nervoso.
«Oh, ti prego, mi sembra che di misteri ce ne siano stati anche troppi in questi giorni. Non dovevamo venire a sapere appena giunti qui, qual era il nostro famoso destino?»
Dindrane guardò prima Galahad, poi me. Annuì.
«Ser Mordred ha ragione. Ma quello che mi è stato detto va al di là di quello che avrei mai potuto immaginare. Voi sareste dovuti giungere qui e vivere al castello con il Re Escarante, padrone dell'isola, come suoi ospiti, per l'onore che Dio vi ha concesso. Per discutete di teologia e dei misteri del Signore, scambiare-»
«Cosa? Galahad, questi, te lo assicuro, mi bruceranno sul rogo. Maledetto Dindrane, tu-»
«Mordred, taci.» Galahad era tremendamente serio. Non fiatai e rimasi in silenzio, Galahad fece cenno a Dindrane di proseguire il suo discorso.
«Però il Re Escarante... si è addormentato per sempre, Dio l'ha chiamato al suo cospetto. Il Re non aveva eredi, le sue ultime parole sono stare che gli avrebbe succeduto l'uomo che avrebbe trovato il Graal.»
Sentii un brivido percorrermi la schiena. Galahad mi strinse la mano, ma io mi sciolsi dalla sua stretta, non lo guardai.
Mi inginocchiai davanti a lui, portandomi la mano destra sul cuore.
Ben presto Dindrane mi imitò, seguito dai consiglieri e da tutto il popolo testimone.
«Mordred... ti prego alzati. Non ho trovato io il Graal, tu hai-»
Alzai la testa e si interruppe.
«Io non ho fatto nulla se non seguirti, perchè volevo stare con te e farti capire che anche se forse all'inizio ho voluto scherzare, mi sento legato a te. Se vorrai me ne andrò anche subito o domani stesso. Forse non c'è spazio nel tuo regno per uno sciocco come me.»
I suoi occhi erano lucidi.
«Oh andiamo, non vorrai mica mostrarti così sentimentale davanti a tutta questa gente, sciocco.» Dissi a voce bassa, sperando che Dindrane non mi sentisse.
Galahad si passò veloce una mano sugli occhi e mi fece alzare.
«Non voglio che tu vada via, te ne andrai solo se non sopporterai più di vedermi piagnucolare.» Sorrise stringendomi il gomito.
Disse a Dindrane di alzarsi e di far alzare tutti i presenti, fece tradurre al ragazzino una qualche frase di accettazione di quel compito inaspettato. Aveva ripreso la calma e mi ricordò tantissimo quel ragazzo tranquillo e a suo agio in mezzo agli eroi che era stato la prima volta che l'avevo visto a Camelot.
Mi ritrovai a sorridere guardandolo.
«Ho detto qualcosa di sbagliato, Mordred?» Mi chiese preoccupato.
«No nulla, sei stato perfetto. Pensavo solo che assomigli a tuo padre e che hai preso solo il meglio da lui.»
Lui arrossì e balbettò. «Mi prendi in giro, tu mio padre non lo sopporti.» Scrollai la testa.
La folla esplose sentendo la traduzione delle parole di Galahad, lui salutò imbarazzato alzando le mani.
«Galahad, come hai intenzione di spiegare la mia presenza qui alla tua corte?» Dissi grattandomi il mento.
Lui disse semplicemente: «Tu sarai il mio vice, sempre che tu lo voglia.»
Il vice, era troppo per me. Lo guardai negli occhi senza dire nulla.
«Non hai detto pochi istanti fa di non mostrarmi così sentimentale?» Disse ridendo.
Senza che io potessi fare nulla per controllarmi, i miei occhi si erano fatti umidi.
Dannazione, presto sarei diventato una ragazzina emotiva se avessi continuato così.
Il consigliere Abdel Haqq si avvicinò e ci fece capire a gesti di seguirlo verso il palazzo reale, un bellissimo forte a picco sul mare, che si ergeva sul promontorio che dominava il porto e la città.
Il castello era attorniato da altissime mura che fuoriuscivano dalla rocca, ai quattro angoli c'erano dei barbacane molto larghi, immensi. Non avevo mai visto nulla di simile, i castelli britanni mi sembrarono dei giocattoli in confronto. Quell'edificio incuteva timore reverenziale, ma anche sicurezza. Vidi Galahad ridere e nascondere il viso quando mi risvegliai dai miei sogni architettonici e difensivi.
Passando sotto l'unica porta d'ingresso, posta a Ovest verso l'interno dell'isola, mi sentii così piccolo, era forse un castello per giganti quello?
Dindrane continuò per tutto il tempo il suo compito di interprete, ruolo che gli si addiceva e che apprezzavo, fino a che si fosse limitato a dover dire la frasi di altri non si sarebbe impegnato a lanciare le sue frecciatine verso di me.
Abdel Haqq ci spiegò che erano da un mese senza il proprio Re, erano pronti alla nuova incoronazione da settimane, quindi la cerimonia ci sarebbe stata già il giorno seguente. Ci furono assegnate delle stanze, Galahad si assicurò che le nostre fossero vicine. Non potei che ringraziarlo per averci pensato mentre lo vedevo arrossire.


Nota: Non so descrivere bene i castelli, nel senso che non conosco bene tutti i termini, mi sono un po' aiutata con Wikipedia. Spero di non aver scritto corbellerie.
L'isola di Sarras, che mi risulti, non esiste. Allora ne ho descritta una che ho visitato tanti tanti tanti anni fa, ne serbo un bel ricordo. Su quell'isola, c'è un bellissimo forte a picco sul mare. E' l'isola di Capraia (arcipelago toscano).
Dato che Sarras, dovrebbe trovasi vicino all'Egitto, ho usato nomi arabi per i "nativi" dell'isola. Abdel Haqq significa "servo del veritiero".


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Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


Capitolo 25

Riuscii a capire, grazie al mio innato intuito, che al castello di Sarras, non c'era nessuna Regina. Scoprii poi che era deceduta da alcuni anni, lasciando nella più profonda tristezza e senza eredi il marito Escarante che non aveva voluto più risposarsi.
Ma fu entrando nella stanza che mi fu assegnata che compresi che per avere la camera vicino a Galahad, dovevo occupare quella della donna del re.
Mi massaggiai pensieroso le guance guardando gli arazzi che tappezzavano le pareti, il colore variava dal rosso al rosa, con decori di fiori e rappresentazioni di fanciulle danzanti che intrecciavano di tutto e di più tra i capelli. Il letto a baldacchino era a dir poco sontuoso, il legno era dorato e pensai che probabilmente la stanza della Regina Ginevra doveva essere così e Lancillotto ci passava molto tempo, chissà se apprezzava un tale scenario per il suo amore.
Scacciai quei pensieri, erano cose ormai lontane e che forse avrei dovuto dimenticare.
Quando entrò un paggio, impegnandomi a gesticolare, riuscii ad ottenere una vasca di legno e dell'acqua calda per fare un bagno.
Mi lavai via i segni del viaggio, strofinai con cura i capelli impiastricciati pensando che forse sarebbe stato il caso di dargli una sistemata, il giorno seguente Galahad sarebbe stato incoronato.
E poi? Cosa avremmo fatto? Avremmo vissuto lì per sempre? Era questo il nostro destino? Il mio destino?
Mi tornarono in mente le parole di zia Morgana.
C'è un grande amore che ti aspetta, per tutti questi anni ti sei preparato all'amore della tua vita. Non amerai mai nessuno come questa persona. Quello che hai sofferto fin'ora, è stato un percorso, quello che ti aspetta, anche se dovesse durare un solo minuto, avrebbe senso, darebbe senso alla tua vita.
L'amore l'avevo trovato, non avevo dubbi al riguardo.
Dare senso alla mia vita? Che fosse davvero questa la mia vita? Non era nel mio destino essere l'erede di mio padre, lo detestavo e lo capivo allo tempo stesso.
Non ero un figlio che potesse essere un erede, forse era stato meglio così, che non mi avesse dimostrato alcun tipo d'amore. Se lo avesse fatto, come avrei reagito quando avesse scelto qualcun altro da mettere sul trono?
Gawain sarebbe stato un re perfetto, Gaheris forse con quella Eithaavrebbe messo la testa a posto e sarebbe stato bene al Nord e Gareth avrebbe vissuto ancora a Camelot.
Ed io... qui con Galahad? Era forse possibile che quella gente cristiana mi accettasse come vice... ma non solo quello, come compagno del loro Re?
Ne dubitavo fortemente. Ci saremo dovuti forse nascondere come due amanti clandestini in quel covo di cristiani? Galahad, lui che aveva visto il Graal, cosa avrebbe fatto con me? Avremmo mantenuto una sorta di amicizia intima che non avrebbe superato certi confini?
Eppure mi aveva baciato.
Ma era stato così titubante.
Ma forse era il suo primo bacio.
Forse mi aveva solo accontentato per fare pace.
Scivolai con la testa sott'acqua per raffreddare la testa che stava per scoppiare. Io volevo stare con Galahad, ma avevo certi desideri, non avevo troppa fiducia in me. Difficilmente mi sarei trattenuto con lui.
Ah Dea.
Sentii una mano toccarmi la testa, tornai a respirare, trovando l'oggetto dei miei pensieri a fissarmi, mi sorrise incerto. Per entrare doveva aver utilizzato al porta che faceva comunicare direttamente le nostre stanze. Prese uno sgabello e si sedette accanto a me.
«Non hai ancora fatto un bel bagno Galahad? Ti sentirai meglio dopo. Hai già avuto troppo da fare come Re di Sarras che non hai nemmeno avuto tempo per lavarti? » Dissi cercando di mostrarmi tranquillo anche se in quel momento sarei stato in grado di trascinarlo in acqua con me.
Lui scosse la testa e poggiò un gomito sul bordo della vasca, allungò la mano fino a sfiorarmi la spalla sinistra. Mi toccò con un dito. Dea.
Presi una spugna e mi strofinai la spalla dove mi aveva toccato, sentivo la pelle bruciare.
«Sto aspettando che mi scaldino l'acqua.» Disse a voce bassa, aveva ritirato la mano ed ora fissava il pavimento di pietra.
«Cos'hai?» Chiesi portandomi le ginocchia vicino al petto.
«Ho paura.»
«Mhp... stai tranquillo, quando scopriranno che sono un pagano bruceranno solo me.» Volevo suonare ironico ma non mi riuscì.
«Mordred, non scherzare su queste cose. Io devo portare un messaggio a questo popolo e non so come lo prenderanno. Dai cristiani sono stare dette molte cose, molte delle quali sono state distorte nel tempo, io tramite il Graal devo riportare la vera ed originale religione. Quella religione non metterebbe mai nessuno sul rogo, te lo assicuro.»
Tornò ad allungare il braccio e mi toccò il gomito, mi strinse la mano sul braccio ed io iniziai a sentire freddo.
«Galahad... non mi tentare, poi non potrai più tornare indietro.» Dissi a fatica. Non tolse la mano.
«Non ti sto tentando, è quello che voglio.»
«Non sai cosa stai dicendo, il tuo Dio ti vuole puro ed io sono tutto il contrario.»
«Ma è Dio che ha parlato con me, non venire a farmi lezioni di religione. Lui mi ha detto che tutti gli dei sono un unico Dio e tutte le dee sono un'unica Dea. Non esiste una amore giusto o uno sbagliato. Esiste quello vero, quello che due esseri ricambiano l'un l'altro. E tu... ricambi, vero Mordred?»
Alzò gli occhi su di me, le sue guance avevano lo stesso colore degli arazzi alla parete dietro di lui.
«Sì, Galahad. Speravo di avertelo dimostrato partendo per questo viaggio impossibile.» Gli vidi il labbro inferiore tremare.
«Senza di te, non avrei mai trovato il Graal, sei tu che quel giorno ha voluto andare verso il mare e-»
«Ah, non dire sciocchezze. Tu sapevi dove andare, no?»
Strinse nuovamente la presa sul mio gomito. «No, mi lasciavo trasportare dall'istinto che non ci stava portando da nessuna parte. Poi tu hai voluto vedere il mare. Ricordi cosa avevamo scommesso? Se tu avessi trovato il Graal io avrei pagato-»
«Non ho trovato nulla, Galahad!» Staccai la sua mano dal mio braccio, mi alzai arrossendo sotto il suo sguardo. Uscii dalla vasca e presi un telo per asciugarmi.
«Cosa ho fatto di male Mordred, ora non mi vuoi più? Ora mi ha conquistato non ti interesso, è finito il gioco?»
Mi voltai di scatto e con due passi gli fui quasi addosso. Lui indietreggiò trovandosi con le spalle al muro, feci un altro passo e fummo vicinissimi, sentivo il suo costato salire e scendere per il respiro veloce.
«Non parlare più di giochi, se lo fai o lo pensi ancora dopo tutto questo tempo significa che non ti fidi ancora di me. E che non mi ami come ti amo io. Non voglio che tu faccia qualcosa che non vuoi veramente, per una stupida scommessa, in particolare se non l'hai vinta!» Lui stava per dire qualcosa, sicuramente che ero stato io a trovare il Graal. Non ce la facevo a sentire ancora quella storia, non ce la facevo a stargli così vicino a senza baciarlo. Così lo zittii.
Questa volta non fui gentile, fui pressante, smanioso, con le braccia lo strinsi a me accarezzandogli la schiena, salendo fino alla nuca e passandogli le dita nei capelli che sapevano ancora di salsedine. Lui timidamente mi mise le mani sui fianchi.
Mi allontanai senza avere il coraggio di guardarlo negli occhi. «Vai, il tuo bagno sarà pronto. Domani sarà una giornata impegnativa, ripostati.» Dissi con voce rauca.
Lui non disse nulla, tornò in camera sua.
Io rimasi a fissare la porta che ci separava mentre mi mordicchiavo le labbra, avevano ancora il suo sapore.

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Capitolo 26
*** Capitolo 26 ***


Capitolo 26

Scoprii che gesticolando ed aiutandomi con il latino, i paggi del castello erano in grado di capire quello che desideravo. Volevo sistemare i capelli, non volevo che Galahad si vergognasse di me durante l'incoronazione.
Mi sedetti su di una sedia vicino alle finestre della mia camera e attesi impassibile che il barbiere operasse sulla mia capigliatura. Galahad aveva tenuto la mia nuova ciocca? Dove la teneva? Che fine aveva fatto la prima che gli avevo dato... forse era volata via su Camelot disperdendosi. Oppure era stata usata in qualche modo oscuro come prova della mia morte.
Cosa pensava mio padre di me? Ero fuggito. Sperai che Kay avesse saputo usare un minimo di tatto nel dargli la notizia. Stranamente avevo incominciato a pensare in modo positivo nei confronti di Kay. Forse avevo preso troppo sole, la testa non mi funzionava bene.
Quella sera cenammo assieme ad Abdel Haqq, agli altri quattro consiglieri ed ai pari del regno nella sala dei banchetti. Il soffitto a volta era altissimo, le pareti erano ricoperte di arazzi con lo sfondo rosso con scene di caccia, il tutto dava un senso di calore e protezione.
Fecero sedere Galahad al centro di una lunga tavola posta parallelamente al lato corto della sala, era visibilmente imbarazzato. Io ero troppo distante da lui, non feci che sorseggiare il buon vino rosso che mi veniva offerto appena svuotavo il calice e questo era sopportabile, sebbene dovessi sentire nelle orecchie la perpetua voce di Dindrane che metteva tutto il suo impegno per fare da traduttore.
Immaginai che quel marmocchio sarebbe rimasto con noi sull'isola a meno che non dovesse tornarsene a Nord con quella misteriosa nave. Studiai un po' le persone presenti alla cena, non erano omogenee, erano di varie razze. Si potevano trovare pelli scure come pelli chiare, capelli neri come la notte e capelli color del miele. Mi chiesi se loro avrebbero mai accettato un re che come compagno aveva un uomo, 0vvero un essere come me. Una persona che non aveva sopportato di essere un bastardo non voluto alla corte di suo padre ed era di quel re il suo unico erede. Ma ero una macchia sulla suo coscienza, come Artù non mi accettava, nemmeno io non mi accettavo. Io non volevo essere re, io volevo vivere come un pescatore, non avevo abbastanza spirito di sacrificio per dedicarmi al bene degli altri, figuriamoci di un regno. Io ero un codardo, insensibile, avido. Meritavo i sentimenti di Galahad?
Proprio mentre macinavo quei pensieri lui si alzò e venne da me, era buio fuori dalle alte finestre, la luce delle candele mi appariva offuscata. Mi mise una mano sulla spalla e mi sussurrò all'orecchio. «Vuoi uscire un po'? Vorrei prendere congedo. Sono un po' stanco di parlare.» Io annuii e alzandomi cercai di non barcollare.
Mentre uscivamo percorrendo in lunghezza la sala, i futuri sudditi di Galahad si alzavano dalle loro sedie e si inchinavano, lui alzò la mano in segno di saluto con un sorriso sereno e rassicurante.
Camminammo sulle mura e giunti nella zona a strapiombo sul mare dovetti fermarmi aggrappandomi al parapetto. Poggiai la testa sulla pietra fredda e rimasi ad ascoltare il rumore delle onde che sotto di noi si infrangevano sulla roccia.
Galahad rimase in silenzio, sentivo il suo sguardo su di me, come ad accusarmi di aver bevuto troppo. Attesi la sua ramanzina per vari minuti ma non arrivò.
«Non mi fai la predica?» Dissi con voce impastata.
Lui rimase in silenzio. Pensai che non mi avesse sentito o che avessi biascicato troppo le parole. Ripetei. «Non mi fai la predica?»
«Ti sei ubriacato apposta, cosa dovrei dirti?» La sua voce era piena di amarezza, alzai stupito la testa, misi a fuoco e lo guardai aggrottando la fronte.
«Cosa?! Ho bevuto perchè non avevo nessuno con cui parlare, ammesso che qualcuno avesse voluto parlare con una persona indegna come me, che è arrivata qui senza meritarlo! Tu te ne stavi lì con il caro Dindrane... sono sicuro che si farebbe volentieri una bella cavalcata con te.»
«Ti sei ubriacato perchè sapevi che questa notte sarei venuto da te, così hai la scusa per non volermi! Stupido!» Era arrabbiato. Era molto in collera con me. Ma cosa andava a pensare, cosa dovevo fare per dimostrargli che lo desideravo ed amavo ma non volevo forzarlo in alcun modo?
Non riuscii a dire nulla perchè staccandomi dal parapetto fui preso dalle vertigini e caddi a terra. Galahad si abbassò e mi tastò la testa preoccupato. L'ultima cosa che volevo al mondo in quel momento era vomitargli addosso. «Galahad, ti conviene starmi lontano, non vorrei insozzare il futuro re.» Feci una smorfia. «Vorrei però che tu capissi che ho bevuto solo per amarezza-» Deglutii e lui si decise di accompagnarmi in camera.
Non fece commenti, mi lasciò da solo dopo essersi assicurato che l'avrei chiamato in caso di bisogno. Riuscii a tornare in me dopo aver vomitato anche l'anima, ammesso che io ne avessi mai avuta una, incominciai a sentirmi un po' meglio. Non volevo che Galahad andasse a dormire con quegli strani pensieri in testa, dovevo tentare di fargli capire... cosa? Perchè aveva bisogno di altre certezze?
Bussai piano alla sua porta, lui aprì immediatamente, come se fosse stato tutto quel tempo lì dietro in attesa di un mio segnale.
Mi guardò ansioso. «Sì, lo so, ho una pessima cera. Posso entrare?» Lui si fece da parte, il letto non era stato toccato, le tende della camera non erano state tirate ma dalle finestre aperte spirava una fresca brezza di mare.
Mi accomodai senza fare tanti complimenti su uno scranno vicino al caminetto spento. Lui si sedette di fronte e me. Mi morsicai le labbra indeciso sul cosa dire.
«Mordred.» Disse lui poggiando i gomiti sulle ginocchia. «Tu vuoi andartene da qui?»
Aprii la bocca stupito. «Che-che diamine stai dicendo? Chi ti ha messo questa storia in testa?»
«Tu hai... tuo padre che ti aspetta a casa-»
«Io non ho nessun padre, sei tu quello che ha i propri genitori in ansia che lo attendono.»
«Mio padre e mia madre erano pronti a questo, sapevano che era il volere di Dio, quindi non attendono il mio ritorno. Ma tu? Mi chiedo ancora come abbia fatto il Sommo Re a lasciarti andare. Sei l'erede della Britannia.»
Il punto era che io non avevo proprio detto nulla a mio padre.
«Ho rinunciato a Camelot, al Regno, alla Britannia, a quella dannata isola per venire con te Galahad.»
Era esattamente così, l'avevo fatto in modo poco appariscente, senza dare fastidio a nessuno, ma fuggendo avevo risolto molti problemi, a tanti.
Gawain era l'erede perfetto.
Io no.
«Mordred... tu…»
«Non voglio più parlarne, Galahad. Per me quel mondo che mi sono lasciato alle spalle ha rappresentato solo sofferenza. Sono un bastardo nato da un incesto. Cosa pensi che dicessero gli altri di me? Quale cavaliere avrebbe mai lasciato suo figlio giocare, giostrare o parlare con me? Solo tu, ti sei spinto oltre le convenzioni di Camelot, di questo ti sono grato. Ma non è per gratitudine che sono partito. Sono con te perchè tu sei casa mia, dove sei tu, io sono a casa e in pace con me stesso.»
Rimase di sasso. Lo rimasi anch'io. Da dove se ne venivano fuori tutto questo ardore e poesia?
Lui si alzò rigido come un pezzo di legno, fece un passo e si abbassò per baciarmi, non lasciai che andasse troppo oltre. Mi scostai e lui ci rimase male. Gli presi i polsi. «Galahad, ho un gusto terrificante in bocca, non ti consiglio di tentare oltre per questa sera.»
Lui si rasserenò un poco. Mi alzai e feci per andare nella mia camera ma lui mi fermò.
«Mordred non puoi rimanere qui con me?» La luce delle candele era bassa ma fui sicuro che fosse arrossito. Gli era costato una buona dose di coraggio pormi quella domanda.
«Domani hai una giornata pesante, meglio che ti lasci dormire in pace.»
«Sì, intendevo... dormire.» Tossì a disagio. «Mi sento lo stomaco come quando eravamo in mare, per favore resta qui.»
Sperai che i fumi del vino fossero ancora in grado di limitare la mia capacità di agire, ovvero che mi impedissero di fare con Galahad quello che davvero desideravo. Non dissi nulla, mi tolsi la tunica e gli stivali e mi stesi sotto le coperte girandomi su un fianco. Lo sentii tirare le tende, chiudere le finestre, soffiare per spegnere le candele e poi scivolare vicino a me, dietro la mia schiena. Allungai una mano all'indietro fino a toccarlo, lui si avvicinò e ben presto sentii il suo respiro farsi calmo.

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Capitolo 27
*** Capitolo 27 ***


Grazie a chi sta leggendo questa storia *_*
Vorrei dedicare, come tributo, questo capitolo ad Ailinon, (è colpa sua se scrivo). Mi sono molto ispirata ad un capitolo della sua fanfiction "Lex - The two kings" per una scena di questo mio capitolo.


Capitolo 27

All'alba mi svegliai, intravvedevo della luce grigia dietro alle tende rosse. La fronte di Galahad era appoggiata alla mia schiena, sperando di non svegliarlo, sgattaiolai via dalla sua stanza. Era meglio che non venisse trovato in compagnie discutibili il giorno della sua incoronazione.
Guardai il mio letto, difficilmente mi sarei riaddormentato. Lo disfeci. Preferivo che non iniziassero subito a circolare certe voci... anche se prima o poi sarebbe successo. Ma, saremmo stati cauti, sicuramente.
Sospirai.
Andai alla porta e scrollai il paggio che sedeva addormentato in attesa del mio risveglio.
«Aqua. Aqua calida.»
Il ragazzino tornò poco dopo dopo e mi riempì la vasca, mi crogiolai in quel tepore e cercai di auto convincermi che sarebbe andato tutto bene, che Galahad sarebbe stato un ottimo re e che presto avremmo imparato la lingua di Sarras e quel dannato Dindrane se ne sarebbe tornato a fare la muffa nel suo castello disabitato.
Mi tornò in mente il vecchio marinaio Orithil. Lui era partito dalle terre del suo signore, aveva lasciato la moglie lì in Britannia. Era forse costretto a rimanere sull'isola con il suo padrone? Sperai che così non fosse, era suo diritto poter tornare a casa.
Dopo essermi asciugato, il paggio mi portò un numero sconfinato di tuniche che probabilmente rappresentavano tutti i colori possibili, tranne il nero. Non mi ero ripromesso un giorno di cambiare un po' lo stile? Cercai di non azzardare una scelta troppo eccessiva, optando per un viola scuro con brache nere. Era riccamente decorata in filo d'argento sul collo, polsi e bordo inferiore. Sistemandomi la cintura in vita, vidi il mio riflesso sul vetro di una finestra, avevo uno sguardo da ebete. Sembravo quasi contento.
Feci una parca colazione, stranamente il cibo faticava a scendermi in gola.
Quando mi sentii pronto, bussai alla porta di Galahad ed entrai. Lo trovai attorniato da tre paggi ed altri personaggi non ben identificati che lo vestivano e studiavano con attenzione. Vedendomi mi sorrise ma l'espressione gli si spense in fretta.
«Oh no!» Urlò disperato. Mi voltai, ma non vidi nulla di strano, mi tastai il petto e abbassai lo sguardo per vedere se mi ero in qualche modo macchiato. Lo guardai sbattendo le palpebre.
«Ho scelto una tunica rossa, perchè pensavo che ti saresti vestito di nero. Ma ti sei vestito di viola e il rosso con il viola fa a pugni! Devo cambiarmi!» Cercò di divincolarsi dai servitori ed io scoppiai a ridere. Tutti puntarono gli occhi su di me.
«E questo secondo te è un problema? Mica ci dobbiamo sposare.» Lui impallidì. La cosa era importante per lui. «Mi cambio io Galahad, in effetti avevi ragione, vesto sempre di-»
«Non se ne parla! Bianco, bianco, albus!» Disse spogliandosi e mandando in confusione i paggi.
Mi sedetti sul bordo del letto e rimasi a guardare l'evoluzione della sua vestizione. Il bianco era il suo colore, sebbene fosse pallido, in qualche modo lo faceva risaltare ed era in sintonia con i suoi capelli biondi.
Il bianco era stato anche il colore di mio padre da giovane, prima che scoprisse che era della stirpe di Uther Pendragon. Il bianco era stato sostituito dal drago d'oro sullo sfondo rosso.
Il rosso.
Non avevo mai amato quel colore, era il colore del sangue, il sangue era sofferenza, era discendenza, era famiglia. Dopotutto, fui contento che Galahad non lo dovesse indossare per l'incoronazione.
La cerimonia si sarebbe svolta in una chiesa nella città, l'unica di tutta l'isola. La capitale si estendeva dal porto fino alle pendici del castello-fortezza. All'interno delle mura c'era solo una piccola cappella e non sarebbe stata sufficiente nemmeno a contenere metà dei pari del regno. Scendemmo a cavallo, appena fuori dalle mura fummo accolti da una nutrita folla che gettò fiori su Galahad e anche su di me, che gli stavo dietro. Forse non sarei stato male lì, forse io e Galahad… scacciai via qualsiasi pensiero che non fosse quello di tenere calmo il cavallo.
Seguendo la strada in discesa giungemmo ad una piazza gremita di persone festanti, la chiesa non era molto grande e me ne stupii, credevo che in quel piccolo regno la religione venisse al primo posto.
Entrammo in chiesa e fummo assaliti dal profumo dei fiori e dalla luce. Rimasi a bocca aperta. Da fuori avevo notato che l'edificio era circondato da alti alberi dalla fronde rigogliose, ma non mi ero accorto che era senza tetto. C'era solo la facciata di pietra, il resto era senza muri, le pareti esterne erano formate solamente da delle colonne poste a distanza regolare, attraverso le quali si vedevano gli alti alberi che avevo notato da fuori. C'era il cielo limpido e non travi di legno sopra le nostre teste. Le persone che ti attendevano erano sedute per terra su dei cuscini ed il resto del popolo era sotto gli alberi che ci osservava emozionato. La chiesa era ad un unica navata, con un lastricato in pietra chiara al centro, dove noi ora stavamo camminando.
La cerimonia fu breve, forse perchè era inutile stare tanto a parlare dato che il loro nuovo re non comprendeva una parola. Galahad si inginocchiò, non rivolto al sacerdote, ma verso il suo popolo. Incrociò le mani davanti al petto e chiudendo gli occhi attese che venisse unto sulla testa, sulla bocca e sul cuore. Il sacerdote gli posò la corona in testa, un cerchio d'oro rosso con un rubino tagliato a rombo sul davanti, quando Galahad si alzò la folla intonò un canto che mi stregò, sentii un brivido corrermi lungo la schiena.
Vidi Dindrane, che fino a quel momento non avevo degnato di uno sguardo, che indossava un'appariscente tunica gialla, asciugarsi furtivamente una lacrima. Assomigliava più ad una ragazza che ad un ragazzo in quel momento. Il nuovo Re attese che il canto terminasse e poi alzò la mano. Fece un cenno a Dindrane che si avvicinò, gli disse qualcosa a bassa voce e poi parlò lentamente ai suoi sudditi.
«Popolo di Sarras, sono giunto qui per il volere di Dio a farvi da guida e giudice. Perchè è questo quello che io desidero, solo essere una guida, un consigliere. Che forse dovrete consigliare voi stessi dato la mia giovane età, io non pretendo di essere più sapiente di voi.» Fece una pausa mentre Dindrane terminava di tradurre. Venne applaudito ed alcuni gridarono il suo nome. «Voi sapete che sono giunto qui sulla nave del Graal, la Santa Reliquia mi è stata rivelata ed essa mi ha parlato con la voce stessa di Dio. Io vedo nei vostri cuori che già state adempiendo al suo volere, al volere di Nostro Padre, poiché vivete in libertà di espressione, senza pregiudizi e sapete discutere con il prossimo, ed amate parlare perchè quella è l'unica via. Perchè mai il Signore Dio Padre ci avrebbe donato di questo grande dono? Perchè ci ha resi diversi dagli animali? Ci ha donato la saggezza. Ora, io e voi riporteremo la vera religione che dice: ama te stesso ed amerai gli altri. Perchè è da noi che parte tutto!
Esistono sì tanti dei, ma tutti con nomi diversi sono sempre uno. Che lo chiamate Dio o lo chiamate Natura, è sempre quello. Se chiamate un fiore in un modo o in un altro, in una lingua o in un'altra, non sarà sempre quel fiore?»
Le persone erano rapite dalle sue parole, i loro occhi erano carichi di ammirazione. Mi sarei inginocchiato nuovamente ai suoi piedi, lui lesse nei miei pensieri e mi fermò con un gesto perentorio della mano. Chi era in quel momento Galahad? Era forse uno di quegli angeli dei cattolici sceso sulla terra?
Gabriele. Così si chiamava uno di quegli esseri.
«Non sono un santo, non sono un re, sono solo una persona come tutti voi, che ama, soffre e non comprende appieno il prossimo. Ma tento. Cerco, mi espongo. Io... potrete interpretare le mie parole come desiderate, se vorrete, vi aspetterò a palazzo e sarò contento di discute con voi dei misteri della vita.» Infine la voce gli si spezzò per l'emozione e fu un tripudio di voci ed urla.
Mi avvicinai a lui e gli sussurrai. «Sarebbe questo che ti ha detto il tuo vaso magico?» Mi guardò serio e poi capì che scherzavo.
«Più o meno. Mordred, c'è una cosa che devo fare.» Io alzai le sopracciglia, ebbi paura che mi dicesse che doveva partire da quell'isola, per portare la vera religione nel mondo o qualche altra sciocchezza del genere. Si tolse la corona e la folla ammutolì.
Mi mise il cerchio sulla testa e disse: «Mordred, figlio di Artù, io ti nomino mio primo consigliere, erede e vice Re di Sarras.» Mi sentii a disagio così al centro dell'attenzione.
Dindrane dovette attendere alcuni secondi per riprendersi prima di tradurre quelle parole. Le persone all'interno del santuario si alzarono ed applaudirono fragorosamente. Non dovevano ancora essere circolate brutte storie sul mio conto. Mentre mi toglievo la corona e la riponevo al giusto posto, sulla testa di Galahad, vidi Orithil il marinaio sotto un albero vicino ad una colonna della chiesa, mi sorrise e mi fece l'occhiolino.
Forse questa era la rivincita nei confronti della follia.

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Capitolo 28
*** Capitolo 28 ***


Capitolo 28

Galahad chiese ad Abdel Haqq, parlando in latino,di poter visitare la tomba del suo predecessore, Re Escarante, per potergli rendere omaggio e pregare per lui.
Non c'era una tomba.
Su questa montagna in mezzo al mare venivano seguite le antiche usanze, le spoglie dei defunti venivano bruciati e le loro ceneri disperse in mare. Probabilmente era anche una questione di spazio, date le ridotte dimensioni dell'isola non ci si poteva permettere certe tradizioni cristiane nemmeno per un re.
Galahad annuì pensieroso sentendo la risposta, abbassò lo sguardo sui suoi piedi, chiuse gli occhi e poi parlò sottovoce a Dindrane. Il ragazzino impallidì e cercò di protestare ma lo sguardo deciso del nuovo Re lo mise a tacere. Non capii nulla di quello che Galahad disse, mi limitai ad attendere un suo gesto guardando la folla allegra e festante.
Ci dirigemmo verso il porto a piedi, la discesa non fu un problema, tranne il fatto che avevo la continua sensazione di essere sul punto di rotolare giù, però mi sentivo teso. Doveva esserci un banchetto dopo l'incoronazione, c'erano sempre banchetti dopo le cerimonie, perchè ci stavamo dirigendo in quella direzione? Tornai a chiedermi se Galahad non volesse davvero partire verso il continente a portare la religione che gli aveva rivelato il Graal.
Una cosa era certa, ovunque lui fosse andato, io l'avrei seguito.
Non me ne importava nulla se ero il suo vice Re, potevano tutti andare in malora, tutti i cittadini di Sarras.
Vedendo i fiori che venivano gettati ai piedi di Galahad mi sentii in colpa, forse per la prima volta nella mia vita. Era gente per bene, che meritava di vivere serenamente e governati da una persona degna.
Quella persona non ero io.
Quella persona era Galahad.
Al porto era ancora attraccata la misteriosa nave dalla vela rossa che ci aveva portato qui, vidi tutti i marinai schierati, come in attesa sul molo. C'era anche Orithil, aveva fatto presto ad arrivare.
«Mordred, devo fare una cosa... ma non so come spiegartela. Forse in realtà non so bene cosa devo fare fino a che non sarà il momento.»
Un brivido freddo mi attraversò la schiena e stavo per aprire la bocca e dare fiato ad una serie di impropri degni di un villano figlio di buona donna quale ero, ma Galahad parlò ancora, in fretta, come a tapparmi la bocca.
«Vorrei prendere il largo e poi tornare, non sarà una cosa lunga, vuoi venire con me?»
Sentii le mie spalle abbassarsi, assentii senza parlare, semplicemente guardandolo negli occhi.
Dindrane spiegò a Abdel Haqq le intenzioni del nuovo Re, lui annuì varie volte come se comprendesse benissimo quello che Galahad aveva intenzione di fare.
Salpammo lasciando, con mia grande soddisfazione, Dindrane a terra. Fu bello guardarlo rimpicciolirsi man mano che ci allontanavamo, i suoi occhi fiammeggianti di indignazione mi fissavano e io sorridevo raggiante.
«Mordred?» La voce di Galahad mi riscosse dai miei subdoli pensieri, mi voltai. Aveva lo sguardo serio e grave.
«Galahad, puoi farmi una promessa?»
Lui si mosse leggermente studiando il mio volto. «Se posso Mordred, lo farò.»
«Bene. Promettimi che dopo questa uscita in barca non-si-sa-dove a fare non-si-sa-cosa la finirai di fare sciocchezze, tipo cercare vasi sacri e ti dedicherai a fare il re senza troppo girovagare?»
Lui sospirò e un sorriso stiracchiato gli si dipinse in volto. «Te lo prometto Mordred, dopo questo, basta con... queste sciocchezze, come tu le chiami.»
Me ne fregai, se i marinai ci potevano vedere, se dal molo Dindrane ci guardava ancora, mi avvicinai a Galahad e lo baciai. Non un casto e dolce bacio, ma una promessa, la mia promessa. Quel giorno lui mi aveva dato quello che mi era stato negato ed era mio per diritto ed io gli avrei donato l'unica cosa che potevo. L'amore che mi aveva chiesto e che mi ero rifiutato per... Ah, Dea! Non lo sapevo per quale motivo l'avevo rifiutato nascondendomi dietro alla gentilezza che non era del mio carattere.
Lo guardai negli occhi, lui era pallido e con la mascella contratta, si faceva forza per non distogliere lo sguardo per primo. Lo lasciai vincere e dissi: «Ottimo, ora vediamo di sistemare questa faccenda, di tornare a palazzo, mangiare, perchè sto morendo di fame e poi di continuare questo discorso in privato.»
Sentii Orithil fischiettare allegramente mentre spostava con cautela il timone e non riuscii a trattenere una risata. Galahad mi chiese perchè stessi ridendo e gli risposi semplicemente che ero felice, lui scosse la testa. «Mi prendi in giro Mordred. Sono il tuo re ora, vedi comportarti con de-decoro...» Così dicendo venne contagiato dalla mia risata. Ci sedemmo sul ponte appoggiando la schiena contro il parapetto, spalla contro spalla, braccio contro braccio, sentivo il suo calore attraverso la tunica. Fissai lo sguardo sull'infinito azzurro del cielo, il colore degli occhi del mio Re, del mio piccolo monaco, del mio uomo.
Non saprei dire dopo quanto, avevo perso il conto del passare del tempo immerso nel nulla, ci fermammo. Galahad si alzò e disse che il posto era perfetto. Mi alzai e girando su me stesso mi accorsi che non c'era terra in vista, l'isola di Sarras era scomparsa dall'orizzonte, eravamo in mezzo al nulla.
Galahad scese sotto coperta chiedendomi di non seguirlo, tornò dopo poco con la scatola. La scatola che conteneva, non lo so, quella cosa assurda e misteriosa e forse troppo potente perchè un uomo inutile e vile come me potesse guardala.
Galahad mi si avvicinò. «Nessuno dovrà mai più cercarlo. Il Graal dovrà solo essere una cosa che si ricerca all'interno di sé stessi, lo capisci Mordred?»
Lo capivo. Ma allo stesso tempo non lo capivo.
Era giusto che una cosa tanto strana e divina non fosse di questo mondo, poteva portare alla follia, un uomo che lo avesse cercato solo per il gusto di averlo per sé, non di comprenderlo, che cosa ne avrebbe fatto?
Ma cos'era?
Un oggetto? Una cosa tangibile? Un'idea? Uno spirito?
«Chiudete gli occhi per favore.» I marinai lo fecero, alcuni misero le mani sul volto impauriti.
«Mordred?»
Avrei voluto chiedergli se non ero forse degno di vedere, se lui si fidava tanto di me come diceva, se ero il suo vice Re, non ero forse pronto per assistere ai misteri della sua religione?
Chiusi gli occhi.
Avevo quello che volevo, perchè dovevo fare il bambino capriccioso proprio ora?
Sentii il rumore di qualcosa che cadeva in acqua.
«Galahad!?» Sussurrai senza aprire le palpebre. Sentii i suoi passi sul ponte e un fresco vento di ponente accarezzarmi il volto, Galahad mi toccò una mano, mi sfiorò i capelli.
«Apri gli occhi, torniamo a casa.»

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Capitolo 29
*** Capitolo 29 ***


Capitolo 29

Ci fu il banchetto che tanto desideravo, sedevo tra Galahad e Dindrane e stavo dannatamente bene. Mi divertivo ad interpellare Abdel Haqq parlandogli in latino, lui annuiva, cercava conferma e consulenza dai suoi colleghi, di cui non avevo ancora imparato un solo nome, e mi rispondeva a gesti e mezze parole.
Galahad era sereno, Dindrane un po' meno. Ignorai il malumore di quest'ultimo, sentimento il suo, che mal si sposava con il suo abbigliamento sgargiante.
Questa volta bevvi ma non troppo, mangiai con piacere e mi venne in mente zia Morgana.
Ma se il banchetto fosse stato fatto per te, gradiresti? Oppure non gradisci essere al centro dell'attenzione?
Mi mancava, mi mancava il suo modo di fare e di parlare. Pensai che l'isola di Sarras sarebbe stata un ottimo, se non perfetto, posto per lei per vivere. Nessuno l'avrebbe tenuta lontana e forse sarebbe stata ammirata per le sue arti.
Forse.
Chissà se lei aveva sentito la mia mancanza? Chissà se aveva fatto pace con la Regina Ginevra? Sperai che Bedivere l'avesse dissuasa dal tornare nel Rheged.
Tornai a guardare Galahad.
Fuori dalle finestre vedevo il buio della notte, le portate della cena erano state più che sufficienti ed era inutile costringere i sudditi del nuovo Re a fare le ore piccole.
Mi sporsi verso di lui e gli sussurrai all'orecchio: «Galahad, forse è ora che tu prenda congedo, si è fatto tardi.» Non si voltò verso di me, rimase fermo come una statua ed avvampò in volto. Mi sentii all'improvviso le guance calde vedendo la sua reazione.
Tossii e posai sul tavolo il boccale vuoto che avevo in mano. Lui si alzò, guardò Dindrane che annuì. Galahad disse qualcosa a voce alta che non compresi completamente, ma doveva essere un saluto alla corte con l'augurio della buona notte. Gli invitati ed i fortunati presenti si alzarono e inchinarono la testa in segno di rispetto, mi alzai anch'io e ci dirigemmo verso le nostre camere.
Non parlammo.
Che potevamo mai dire?
Vidi che stringeva la mano destra e la riapriva nervoso, come se fosse incerto se fosse il caso di prendermi la mano oppure no. Io incrociai la braccia dietro la schiena, mi sentivo stupido ed impettito ma così facendo gli risparmiai la fatica di decidere o meno se era il caso di farci vedere in giro in quel modo.
Esitavo ancora? Non lo sapevo. Ma non volevo metterlo in imbarazzo.
Come se non lo avessi già fatto o non lo stessi per fare quella notte.
Arrivati davanti alla porta della sua camera mi guardò, io chinai la testa e feci per andare verso la mia porta.
«Mordred... tu…»
«Ti raggiungo dalla porta interna.»
Si guardò i piedi, raddrizzò le spalle e poi piantò i tuoi occhi sui miei.
«Non ha alcun senso Mordred, entra da qui.»
Aprì la porta, gli presi la mano che mi porgeva ed entrai con lui.
La luce era poca, c'era solo un candelabro a cinque bracci sul tavolo, le tende erano tirate. Andai alla finestra ed aprii le finestre, il tempo era bello e tiepido, mi piaceva sentire e vedere l'effetto del vento sulle tende.
«Ti dispiace se la lascio aperta?» Gli chiesi. Lui scosse la testa, era rimasto in mezzo alla stanza, giusto davanti al camino.
«Dai vieni, la vista da qui è bellissima, te ne sei accorto?» Ora ostentavo una sicurezza che non sentivo, ma se mi fossi dimostrato insicuro lo avrei spaventato e si sarebbe sicuramente messo a pensare che non lo desideravo veramente.
Mi raggiunse e si appoggiò con le mani sul davanzale, si vedeva il porto e le luci del paese. Alcune barche erano illuminate ed anche se da quella distanza era difficile individuarla con sicurezza, riconobbi la nostra barca dalla vela rossa e il parapetto d'oro.
Gli accarezzai con leggerezza la schiena, chiuse gli occhi e lo vidi espirare. Non sapevo dire chi fosse più teso dei due. Lo attirai a me e lo abbracciai, gli baciai il collo con gentilezza mentre mi stringeva sempre più forte. Mi baciò toccandomi i capelli e facendo scorrere le dita sul retro del mio collo.
Gli slacciai la cintura che cadde con un tonfo a terra sul tappeto, iniziammo a spogliarci l'un l'altro con il fiato corto come per una lunga corsa. Un lungo viaggio che mi sembrava iniziato una vita fa, un viaggio che ci aveva portato lontano da casa, ma insieme. Dopo quel maledetto giorno in cui mi aveva dato un pugno... avevo pensato che tutto fosse ormai andato perduto, invece avevo avuto la mia seconda opportunità.
Ci stendemmo sul letto nudi e con le mani e le labbra lo toccai trovando i suoi punti sensibili, il suo respiro affannato e le sue mani tremanti erano gioia per me.
«Mordred…»
«Sì?»
«Posso... fare... anch'io a te?»
Sbattei le palpebre chiedendomi se stessi sognando. Mi stesi sulla schiena e cedetti alle sue tenerezze ed incertezze. Non resistetti più, sentivo il sangue pulsarmi sulle tempie ed il rumore lontano delle onde del mare che colpivano gli scogli. Capì che lo volevo e si lasciò andare, cedendo al mio desiderio.
Ah Dea, se l'amore non era questo allora non esisteva! Mai nella mia vita avevo tanto desiderato qualcuno, mi sembrava di non essere mai stato con nessuno prima che con Galahad, il suo corpo rispondeva al mio con la naturalezza che non avevo mai conosciuto.
Dopo... sfinito rimasi a guardare la sua schiena e tracciai la linea della sua colonna vertebrale con un dito. Lui si voltò verso di me, le guance arrossate, i capelli scompigliati.
«Mmm.»
Allarmato mi fermai. «Ti ho fatto male?»
Lui nascose la testa nel cuscino e lo sentii pronunciare un “no”.
«Mordred... io vorrei…»
«Galahad, tu sei il re ed io il tuo primo suddito. Qualsiasi cosa…»
«Non prendermi in giro.» Disse continuando a soffocare la voce con il cuscino.
«Che re sei? Non hai il coraggio di affrontare il nemico a viso aperto?»
Si voltò verso di me, lo baciai.
«Vorrei... ti voglio.» Mi mise una mano sul fianco.
Trattenni a stento una risata di pura gioia. Lui mi voleva. Gli spostai la mano sui miei lombi per poi farla scendere. Io ero suo e lui era mio, possibile che fosse vero? Possibile che fossi fuggito da Camelot, regno in cui ero un abominio, regno in cui un ragazzo così eccezionale, prescelto da un Dio, si era innamorato di me?
Sentendo la sua pelle contro la mia ed il suo desiderio farsi urgente, pressante, incominciai a crederlo. Tutto questo era vero, ero innamorato.

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Capitolo 30
*** Capitolo 30 ***


Capitolo 30

La mattina dopo Galahad arrossiva in continuazione ed io non facevo altro che ridere e godermi la sua presenza.
Iniziò la sua vita da Re, obblighi ed doveri compresi. Prima cosa tra tutte, le udienze.
Con nostra sorpresa, i primi a chiedere udienza furono i marinai della nostra nave. Fu Orithil a fare da portavoce, dopo essersi inginocchiati davanti a Galahad seduto sul suo scranno, lui e i suoi compagni ci sorrisero lieti.
Io stavo in piedi di fianco a Galahad e l'onnipresente Dindrane era un po' in disparte, tenuto a distanza, probabilmente dalla mia mano, posata con decisione sullo schienale della sedia del Re.
«Mio signore» esordì il vecchio marinaio chinando leggermente la testa, «scusate, forse il nostro è un segno di insolenza, presentarci così, passando davanti alla vostra gente. Ma ci preme farvi una domanda.» Fece una pausa attendendo che Galahad lo invitasse a proseguire. «Desiderate forse che rimaniamo qui sull'isola con voi? Se è il vostro volere, ci atterremo alle vostre parole ma in caso contrario-», Galahad si alzò di scatto e si avvicinò ai marinai. «Perdonatemi miei signori, non ho pensato a voi... in questi giorni io... avrei dovuto liberarvi dal vostro impegno, voi avrete sicuramente una famiglia a cui tornare.»
Orithil e i suoi compagni annuirono più volte, Galahad li rassicurò, erano liberi di tornare nella loro patria e potevano tranquillamente usare la nave dalla vela rossa.
Un pensiero mi attraversò la mente, mi voltai verso Dindrane.
Il moccioso poteva partire.
Doveva partire.
La sua parte l'aveva fatta e per quanto riguardava la lingua, facevamo progressi.
«Dindrane.» Dissi con soddisfazione. Lui fece un piccolo balzo e mi regalò uno sguardo carico di altezzosità. «Non ti manca la tua casa? Non ti senti forse sperduto qui in mezzo al mare?»
Lo vidi impallidire.
Galahad venne a perorare la mia causa, ma senza la mia malizia. Prima fosse partito il ragazzino, prima mi sarei sentito meglio. Semplicemente per la soddisfazione di vederlo allontanarsi, tutto qui.
«Mio Re Galahad, io non ho famiglia a cui tornare e a ben pensarci nemmeno una casa.» Si inginocchiò cerimoniosamente davanti a Galahad e gli chiese di non mandarlo via.
Ovviamente Galahad si prodigò in frasi cortesi, non l'avrebbe mai cacciato, se stava bene qui, poteva rimanere. Ci sarebbe stato utilissimo con la lingua.
Esatto.
Utilissimo.
La lingua.
Immaginai come…
Spazzai via certi pensieri, possibile che dovessi preoccuparmi così tanto di Dindrane? Eppure sospettavo che ci nascondesse qualcosa.
Galahad tornò a sedersi e Orithil chiese un'ultima cosa. «Desiderate portare qualche messaggio in patria, miei signori? » Il vecchio marinaio mi lanciò un'occhiata.
Stavo già per dire di no. Ma mi bloccai.
Una persona forse avrebbe voluto avere mie notizie. Per lei avrei potuto fare questo sforzo, non ero mai stato un grande scrittore di epistole, ma le dovevo molto. Decisi di scrivere a mia zia Morgana.
«Orithil, ti ringrazio. Ti porteremo le nostre missive giù al porto. Ci farai sapere quando partirete?» Dissi senza consultare il mio Re, che annuì sorridendo.
«Ser Mordred, saremo in grado di partire domani mattina, due ore dopo l'alba, la marea dovrebbe esserci favorevole.» Chinò leggermente la testa nella mia direzione. «Saremo più che onorati se tu e il Re fossero presenti alla nostra partenza.»
Si accomiatarono e giunsero altri, altri, altri ed altri che porgevano i loro saluti.
Non fu troppo tedioso, trovai divertente studiare il nostro popolo, cercando di indovinare da dove provenissero, immaginando come fossero arrivati lì.
Dopo cena mi misi all'opera, in camera mia, le finestre aperte, le tende più leggere tirate. Diligente presi una penna, gli feci la punta, intinsi nel calamaio e studiai il foglio di pergamena sul tavolo.
Non era solo che non ero mai stato un grande scrittore di epistole. Io non avevo mai scritto una lettera in vita mia. Ricordavo di aver fatto degli esercizi di scrittura quando studiavo latino a Camelot, lettere ipotetiche che indirizzavo a mia madre. Non la mia vera madre, ma quella che mi aveva allevato. Lettere che anche se avessi spedito, lei non avrebbe compreso, non sapeva leggere e tanto meno sapeva leggere il latino.
Scrissi di getto, senza preoccuparmi troppo della forma, era il contenuto che importava. Decisi di non dilungarmi in inutili descrizioni del viaggio.
In realtà, scrissi in modo molto succinto.
Cara Zia Morgana, sto bene, sono appagato e perdonami, ma non avevo minimamente creduto alle tue parole. Le parole che avevi visto nel fuoco e sulla mia mano. Perdonami.
Perdonami anche per essere partito così.
Non credo che il Sommo Re sia in collera con me, per essermene andato, ma se lo fosse... digli che mi sento un codardo ed allo stesso tempo so di aver fatto bene ad andarmene. Non volevo il trono, volevo solo avere un padre e sono consapevole che lui, questo, non me l'avrebbe mai potuto dare.
Spero che i miei fratelli stiano bene, non mi mancano per niente.

Rileggendo mi accorsi che non avevo raccontato assolutamente nulla.
Non aveva importanza. Le cose che contavano erano nella prima riga, tutto il resto era auto commiserazione, ma non mi sembrava che fosse una così pessima lettera, non degna di essere letta. La sigillai.
Con mia sorpresa Galahad non scrisse nulla, mi disse semplicemente «Hai scritto una lettera tu, no? Quella andrà benissimo.»
Sorrisi sentendo le sue parole. «Nutri troppa fiducia nelle mie capacità di scrittore, è una pessima lettera e poi la indirizzerò a mia zia Morgana, non hai miei fratelli, quindi…»
«Quindi tutti a Camelot verranno informati del suo contenuto.»
Mi mordicchiai l'interno della guancia.
No, forse era meglio far scrivere a Galahad un'altra lettera e bruciare la mia.
«Mordred, tua zia Morgana ti adora. Racconterà solo il meglio.»
Mi inginocchiai vicino a lui, gli baciai una mano e poi gli sussurrai all'orecchio. «Spero proprio che tu abbia ragione, ho fatto delle confessioni imbarazzanti.»
Lui mi diede un bacio, poi si fece serio. «Quanto imbarazzanti?»
Risi di gusto. «Ho detto imbarazzanti, non confessioni private.»
Andammo a letto e non pensai più a quella stupida lettera.
Poco dopo l'alba, la mattina dopo, raggiungemmo il porto a cavallo, accompagnati da Dindrane e un collega di Abdel Haqq, ovvero Abdel-qualcosa-che-non-ricordavo e trovammo i nostri marinai in fermento, pronti a salpare.
Consegnai ad Orithil la lettera. «Credi di poter trovare qualcuno... Orithil, sei mai stato a Camelot?»
«No, Ser Mordred. Pensi che un pover'uomo come me potrebbe essere accolto con dignità in quel posto così raffinato?»
«Prendi la mia giumenta, sempre se non è stata venduta.» Ridemmo entrambi. «Chiedi di poter consegnare la missiva direttamente a Lady Morgana e a lei sola. Elvellon, la mia giumenta dovrebbe essere un ottimo lasciapassare, dovrebbero ricordarsi di lei. Se qualcuno dovesse fare dei problemi dì che è un messaggio da parte del “piccolo corvo”. Lei capirà. Non attendo risposta, nessuno si deve avventurare fin qui per due righe su un pezzo di pergamena.»
Lui annuì sorridendo.
«Orithil?»
«Sì, mio signore?»
«Non sono molto abile nello scrivere, credo di... non essere stato in grado di spiegare molto bene come sono andate le cose. Credi che potrai sopportare le pressanti domande di Lady Morgana?»
Lui alzò le sopracciglia. «Gli uomini di mare adorano raccontare le storie, non lo sai principe corvo?»
Gli misi una mano sulla spalla e dissi semplicemente «Grazie, Orithil.»
«E' un onore per me servirti.»
Rimanemmo a guardare la nave fino a che non scomparve oltre l'orizzonte, sentii Dindrane bisbigliare «Buon ritorno a casa.»

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Capitolo 31
*** Capitolo 31 ***


Capitolo 31

Scoprii che essere il consigliere del Re, non era una cosa che mi dispiacesse. Forse non ero troppo portato per sedare gli animi, ma pian piano incominciai ad appassionarmi a quel lavoro. Forse tutto dipendeva da Galahad, la sua infinita pazienza e la sua capacità di prendere tempo. Quando la questione era spinosa, non che ci fossero diatribe che potessero sfociare nel sangue, ma solo problemi su confini e capre, lui prendeva tempo. Diceva semplicemente «Tornate domani, avrete la mia risposta.» Mi piaceva la sera starlo ad ascoltare mentre camminava avanti e indietro davanti al camino mentre ragionava a voce alta, mi poneva delle domande e io cercavo, per quel che potevo, di aiutarlo.
Trovava sempre una soluzione, era nato per essere re, quel compito gli calzava a pennello.
I primi tempi i nostri cinque consiglieri, di cui avevo faticosamente imparato i nomi, Abdel Haqq che era una sorta di siniscalco, Abdel Karim il tesoriere, Abdel Latif il capitano della guardia, Abdel Rahim il teologo e Abdel Nasser il segretario, guardavano alla relazione tra me e Galahad con una certo senso di divertito sbigottimento fatto di sorrisi ed occhi alzati al cielo. Ma non ci additarono mai in alcun modo, temetti che fosse solo per la profonda devozione che suscitava Galahad. Ma mi sbagliavo. Qualcuno aveva parlato troppo bene di me.
Un giorno mentre passeggiavo sulle mura, vidi il cambio di guardia. Non ci aspettavamo attacchi, sembrava quasi che nessuno sapesse della nostra esistenza, non avevamo grandi scambi con il resto del mondo. Vidi Abdel Latif mentre passava in rassegna i soldati, mi appoggiai alle merlature, studiando i suoi ordini, capivo ancora poco della loro lingua, ma compresi che si stava lamentando sul modo di camminare dei suoi uomini.
Latif mi notò, gli feci un cenno di saluto e lui mi raggiunse.
«Amir Anuar Mordred» disse chinando leggermente la testa. Lo guardai bene per la prima volta, la sua pelle era scura ed era anche molto abbronzato, doveva passare molte ore all'aperto ad addestrare i soldati. Avrei dovuto riprendere gli allenamenti, già non ero un grande spadaccino, forse con il suo aiuto... Latif, doveva avere più o meno l'età di mio padre. Scacciai via quel pensiero.
«Latif, cosa significa “Amir Anuar”? Mi avete già chiamato così altre volte e non ho avuto l'occasione di chiederlo.»
Avevo parlato nella mia lingua, ma lui comprese cosa volevo sapere.
«Principe Luminoso» rispose lui in latino.
Sbattei le palpebre perplesso. Poteva passare il principe, ma il luminoso?
Latif sorrise, vidi i suoi denti bianchi. «Marinaio, Orithil.»
Risi di puro gusto. Riuscii a capire che il vecchio marinaio aveva raccontato che ero stato io ad indicare la via per il Graal, questo faceva di me una persona luminosa.
Quella sera dissi a Galahad cosa avevo scoperto, il significato dei titoli con i quali venivo chiamato. Lui non se ne stupì minimamente. «E' semplicemente la verità, Mordred. Perchè fai tanto il modesto?»
«Modesto? Io? Ma quando mai.»
Lui rise divertito. «Dai andiamo a dormire. Spero che non vorrai illuminare troppo la stanza, Amir Anuar, altrimenti dormi da solo.»
«Galahad, non starai mica cercando di fare la civetta con me? Che modi sono questi di parlare?» Zittii la sua risposta piccata con un bacio.

***

Passò un anno, un meraviglioso anno, un periodo in cui scoprii cosa fosse la felicità. Avevo un mio posto nel mondo ed ero quasi riuscito a trovare Dindrane una persona sopportabile. Doveva aver passato un brutto periodo in quel castello disabitato, forse si era innamorato di Galahad perchè l'aveva visto come un salvatore, un eroe. Ma quell'eroe aveva già impegnato il suo cuore. Forse Dindrane se n'era fatto una ragione. Io avevo smesso di stuzzicarlo non trovando più le sue risposte stizzite e lui mi aveva lasciato in pace, eravamo solo in una tregua continuando a studiarci l'un altro.
Ci aveva dato lezioni di sarrassiano, era stato molto professionale, severo al punto giusto, grazie a lui riuscimmo a fare ottimi progressi. Ovviamente Galahad era più ricettivo, direi più portato di me nell'imprimersi nella testa tutte quelle nuove parole, ma mi impegnavo.
Una sera mi sentivo inquieto, avevo disertato presto un banchetto organizzato per festeggiare l'arrivo dell'estate. Mi ero scusato con tutti, dicendo che mi doleva il capo.
Galahad mi aveva guardato preoccupato, ma l'avevo rassicurato che non era nulla di grave. Non era esattamente un mal di testa, avevo un nodo in gola e sentivo il battito accelerato, sentivo caldo e freddo insieme. Una brutta sensazione, come una cappa nera sopra di me.
Non so quanto tempo rimasi fermo e immobile nella camera di Galahad, la mia la usavo solo per fare il bagno e cambiarmi d'abito, la ritenevo una sorta di grande armadio.
Galahad mi raggiunse, ma non mi accorsi della sua presenza fino a che non mi accarezzò con apprensione la testa.
«Mordred, stai male?» I suoi occhi azzurri erano oscurati dall'ansia.
Non risposi, fissandolo senza vederlo.
«Mordred!»
«Galahad.» Guardai fuori, era ancora chiaro. «Hai abbandonato presto la festa, la gente si sarà offesa, non credi?» Mi alzai, mi scostai da lui ed andai alla finestra, non c'era un alito di vento, il mare era calmo. Poggiai la testa sul davanzale.
Calò il silenzio.
«Cosa c'è? Qualcosa ti preoccupa? Perchè non mi parli?» Galahad rimase distante da me, forse gli avevo fatto paura.
Mi voltai e fissando un punto qualsiasi del tappeto cercai di spiegargli come mi sentivo.
«Sento una cosa qui.» Mi indicai il cuore. «Un peso sul petto. Ma non mi sento debole o stanco. E' una sensazione, puoi capire cosa intendo?»
Lui annuì senza dire nulla.
Mi si avvicinò e mi fece stendere sul letto, rimanemmo così, abbracciati, ascoltavo il rumore del suo respiro mentre mi accarezzava i capelli, piano, piano, piano.
Mi addormentai.
Sognai.
Zia Morgana mi chiamava da lontano, da un'immensa distanza, la vidi, un'immagine sfuocata, disperata. Stava a piedi nudi su un prato, vestita di nero.
Il prato era rosso di sangue.
C'era morte e solo morte su quel campo.
Mi svegliai di colpo ansimando.
Galahad si svegliò spaventato. Parlai prima che potesse chiedermi alcunché, le parole uscirono da sole.
«Devo partire.»


Nota. L'ho già detto, ma lo ripeto XD adoro sapere il significato dei nomi. Metto questa nota, spero che vi piaccia ^_~
Abdel Haqq: Servo del veritiero
Abdel Karim: Servo del generoso
Abdel Latif: Servo del gentile
Abdel Rahim: Servo del misericordioso
Abdel Nasser: Servo del vittorioso


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Capitolo 32
*** Capitolo 32 ***


Capitolo 32

«Vengo con te.» Disse Galahad.
Sì, molto egoisticamente non volevo separarmi da lui, non volevo lasciarlo qui. Anche se la sua vita ed i suoi doveri erano di Sarras e non più di Camelot.
«Non ti ho nemmeno detto dove devo andare, Galahad, come puoi-»
«Non mi importa! Non ti lascio andare via da solo.»
Annuii senza aggiungere altro, ma sapevo che non era giusto portarlo via dalla sua isola, dal suo popolo. Ci avrebbero pensato i consiglieri e Dindrane a convincerlo a restare.
«Sta per succedere qualcosa a Camelot, oppure sta succedendo. Ho sognato, anzi no, io l'ho vista. Morgana mi chiamava. Aveva bisogno di me, ho sentito una sensazione orribile Galahad.»
Lui mi baciò una guancia asciugando una lacrima che mi stava scendendo.
«Non so se puoi comprendere questa cosa che ho visto ma, ti prego di credermi. Se non andrò non potrò mai perdonarmelo.»
Mi guardò e vidi le pagliuzze d'oro nei suoi occhi. «Io ti credo Mordred come tu hai creduto in me e nel Graal.» Mi regalò un sorriso tremulo.
«Non è che avessi troppa fiducia nel tuo vaso santo, lo sai?» La voce mi uscì così distante e triste che quasi non la riconobbi.
Era l'alba, attendemmo che ci fosse più luce per scendere, rimanemmo in silenzio distesi sul letto. Io fissavo l'interno del baldacchino chiedendomi cosa mai avrei potuto fare a Camelot, io, un uomo inutile e considerato un reietto, fuggito con la coda tra le gambe.
Come da me previsto, i nostri consiglieri compresero il mio volere ma Galahad non poteva partire. Perchè lasciare l'isola? Il Vice Re partiva, poteva forse il Re abbandonare il suo popolo così a cuor leggero? Comprendevano i sentimenti di Galahad, ma avevano paura di rimanere nuovamente senza una guida e un sostegno.
Io non dissi nulla, mi limitai a rimanere dietro allo scranno della sala delle udienze private. Volevo Galahad per me, ma solo perchè non volevo separarmi da lui. Ma il regno di Sarras non poteva perdere Galahad solo per una mia egoistica richiesta.
«Nominerò un reggente, così non vi verrà a mancare nulla.» Disse Galahad. Aveva le guance rosse, stringeva i pugni sui poggioli della sedia e cercava di trattenere i suoi sentimenti contrastanti.
Abdel Haqq parlò per la prima volta con la sua voce tranquilla e comprensiva. «Vostra Maestà, chi vorreste nominare? Chi sarebbe mai degno di farvi da supplente se Amir Anuar partirà con voi?»
«Dindrane.»
L'unico rumore che percepii fu il respiro strozzato del ragazzino.
«Lui è figlio di re, è stato il custode del Graal fin da bambino, so che è amato e stimato sia da voi che dal popolo.»
Si levò un lieve brusio, studiai i volti dei consiglieri, non avevano nulla contro Dindrane, ma continuavano a ritenere che Galahad dovesse rimanere.
«No! Io non posso fare il reggente Maestà! Ti supplico, non partire!» Dindrane, forse stanco di quel brusio aveva parlato a voce alta, zittendo tutti.
Non mi era mai parso così fragile come in quel momento, nemmeno quel giorno nel suo castello, dopo essere quasi svenuto dopo lo scontro con Galahad.
«Dindrane, perchè? Non dire che non sei degno, non essere modesto, ormai ti conosco bene e so che hai moltissime qualità-» Le parole di Galahad vennero interrotte da una sorta di risata smorzata di Dindrane.
«Galahad tu non mi conosci poi così bene come dici e credi.»
Guardai il suo collo elegante, il viso un ovale perfetto. Si era decisamente messo in salute dopo più di un anno a Sarras. Come se lo vedessi per la prima volta capii e Dindrane lesse nella mia espressione che avevo scoperto il suo segreto.
«Sono una donna.»
Tutti rimasero a bocca aperta. Galahad si alzò e si portò una mano alla testa.
Silenzio. «Lady Dindrane, il fatto che voi siate una donna non toglie il fatto che possiate essere un ottimo reggente.» Dissi guadagnandomi un sorriso timido dalla fanciulla, la vidi arrossire ed abbassare lo sguardo.
«Con questo però non voglio dire che Lady Dindrane debba essere il reggente di Sarras. Non trovo giusto che il Re parta, questa è la sua patria, questa è la sua gente. Deve rimanere qui.»
«Mordred! No! Questa mattina avevamo deciso che saremo partiti assieme!»
«No Galahad, tu hai detto che volevi partire con me, io non ho detto nulla.» Vidi nei suoi occhi passare un'ombra.
«Hai dei doveri qui. Per cosa abbiamo affrontato quello stupido viaggio? Non siamo stati dunque ripagati? Ti meriti questa isola e sei fatto per governarla. Lasciami chiudere i conti con il mio passato, poi tornerò.»
Lo vidi deglutire, alzò leggermente il mento. «Tu tornerai. L'hai detto, non obbligarmi a venire a rinfacciarti le tue parole.»
Così dicendo se ne andò. Tutti si chinarono in ritardo presi alla sprovvista dalla sua repentina uscita.
Era in collera con me, dato che ricordavo ancora molto bene come reagiva con certi pensieri negativi nella testa decisi di lasciarlo da solo per un po'.
Guardai Lady Dindrane che se stava in un angolo a fissare la porta da cui era uscito Galahad, mi avvicinai a lei e le chiesi se desiderava fare una passeggiata sulle mura. Lei annuì senza avere il coraggio di guardarmi in volto. Le porsi il braccio e lei con incertezza mi porse la mano.
Ora che sapevo che era una donna, avrei dovuto temerla ancora di più?
In realtà mi sembrava più familiare. Non avrei saputo spiegarlo. Se da ragazzo era sembrato uno sgraziato e smagrito moccioso con le cose fuori posto, ora vedevo una giovane fanciulla in balia degli eventi.
«Lady Dindrane-»
«Mordred, posso chiederti un favore?»
Ci fermammo sulle mura, su uno dei lati rivolti verso il mare. Chinai la testa in segno di assenso.
«Fino a quando mi credevi un ragazzo ci davamo del tu, ora... io sono sempre la stessa persona anche se... se vi ho ingannato e di questo mi dispiace immensamente, c'è una lunga storia dietro a questo.» Sospirò, lasciò il mio braccio. «Possiamo parlarci come prima senza tanti, ah. Insomma... hai capito.»
La guardai e lei arrossì, di nuovo.
«Mi stai dicendo che mi preferisci scorbutico piuttosto che come un cavaliere gentile e premuroso?»
Dindrane rise, mi accorsi che era la prima volta che lo faceva, almeno in mia presenza.
«Mi metti a disagio. Tutto qui.»
«Ma se ti ho detto solo poche parole e offerto il braccio! Sciocchezze!»
Lei si voltò verso l'interno dell'isola. «Sciocchezze a cui non sono abituata.»
Riprendemmo a passeggiare in silenzio. Dopo aver compiuto un intero giro delle mura mi chiese se sapevo quando sarei partito. Avevo intenzione di scendere al porto ed informarmi sulla marea e chiedere chi fosse disposto a condurmi almeno sul continente.
«Sarebbe meglio fare un viaggio diretto, no? Come all'andata. Più comodo e a Dio volendo, con meno complicazioni. Posso chiedere io stessa al Capitano Fahmi, lo conosco è un brav'uomo ed è l'unico ad avere una barca che possa affrontare questo genere di viaggio.»
«Grazie.» Non aggiunsi altro.
Dindrane fissò lo sguardo sul sacchettino con la ciocca dei capelli di Galahad che mi era uscito dalla camicia.
«Credi che potrei sapere perchè sei vestita da uomo e te ne stavi in quel castello diroccato da sola, prima che me ne vada da quest'isola e ti lasci a consolare Galahad?»
Ridemmo insieme.
«Sì credo, che qualcosa te la potrei raccontare.»


Nota: Il nome Fahmi significa "comprensivo".


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Capitolo 33
*** Capitolo 33 ***


Capitolo 33

Si appoggiò al parapetto di pietra con le braccia dietro la schiena. Il sole le colpiva il volto e gli occhi, ma non sembrava che le desse fastidio. Parlò fissando lontano lo sguardo, in un punto indefinito.
«Mio padre era Re Pellinor, detto il Re Pescatore. Custode del Graal, discendente di Giuseppe d'Arimatea.» Si fermò per lanciarmi una rapida occhiata. «Giuseppe fu colui che diede la sua tomba perchè il Figlio di Dio potesse essere deposto dopo la crocifissione.»
La ringraziai mentalmente per la nota storica, sapevo qualcosa della nuova religione ma non potevo arrivare a certi dettagli.
«Mia madre morì dandomi alla luce. Credo che... sia stato un bene per lei. Il nostro regno non è mai stato florido, vivevamo solo di pesca. Un posto desolato e triste. Terre gaste così dicono i galli che si arrischiano a passare per quei campi. Corbenoic, il nostro castello... non è sempre stato così. Ho dei ricordi piacevoli, di quando ero bambina.
Mio padre mi allevò come un ragazzo, indossavo i vestiti smessi di mio fratello. Avevamo solo un anno di differenza.» Abbassò la testa e chiuse gli occhi.
«Avevate?» Chiesi io.
«Avevo un fratello. Perceval. Ci battevamo con spade di legno e mi riempiva le braccia di botte.» Sorrise mestamente. «Un giorno, lui aveva quattordici anni, eravamo sul molo, di sera. Era la fine di maggio, eravamo usciti dalle mura senza che nessuno lo sapesse. Vedemmo la barca e nostro padre che ne scendeva. Perceval senza esitare corse da lui e lo tempestò di domande. L'unica risposta che ricevette fu una carezza sulla testa ed un ordine. Non salire su quella nave fino a che non sarai pronto.»
«Dopo quanto tempo siete saliti? Il giorno dopo?» Io avrei tentato l'impresa la notte stessa.
«Una settimana dopo. Era sempre la domenica il giorno in cui appariva quell'imbarcazione. Salimmo e trovammo subito la scatola, Perceval la aprì. Io svenni, non vidi nulla. Mi svegliai sentendo le urla dei marinai. Mio fratello era steso a terra, gli occhi chiusi, pensavo che stesse dormendo. Aveva un volto così sereno... ma non respirava. Per quanto dicesse mio padre, ovvero che la volontà di Dio era indiscutibile e giusta, lo vidi pian piano spegnersi, incapace di accettare la perdita del figlio. Gli rimaneva solo un'inutile femmina come erede. Dopo qualche mese incominciò a chiamarmi con il nome di mio fratello, si era dimenticato chi fossi realmente. Mi addestrò come se fossi Perceval, attendendo il cavaliere del Graal.»
Rimanemmo per un po' in silenzio.
«Quando hai portato Galahad e me sulla nave, hai pensato che ci sarebbe successa la stessa cosa? Che saremmo morti come tuo fratello?» Le chiesi quasi in un sussurro.
«Mordred io... questo era il mio compito e... sapevo che chi avrebbe visto il Graal sarebbe diventato il Re di Sarras. Ho studiato per anni la tratta da percorrere con la nave. Ero sicura che vi avrei portati qui. Mio fratello era troppo giovane per conoscere la Sacra Reliquia, non deve aver retto all'emozione se così si può dire. Questa è l'idea che mi sono fatta nel tempo. Certo sono solo supposizioni…»
«E' un ragionamento logico il tuo. Anch'io quando Galahad ha aperto la scatola sono svenuto ma ho sentito su di me come un peso insopportabile che non avevo il diritto di reggere. Non so se mi sono spiegato molto bene.»
Dindrane non disse nulla, mi guardò e basta. Credo che avesse capito, almeno una parte delle mie parole.
«E poi ti sei innamorata di Galahad a prima vista? Bè ti comprendo…»
«No! Lui... assomiglia tantissimo a mio fratello Perceval. Non dico solo fisicamente, è una sensazione, una cosa a pelle direi.»
Sbuffai. «Ma davvero? E allora tutte quelle dolci frecciatine nei miei confronti come te le spieghi?»
Per l'ennesima volta la vidi arrossire, ma questa volta il rossore si espanse fino alle orecchie. «Avevo una balia... Danae. Lei, conservava per me i vestiti di mia madre, li lavava, li aggiustava e mi diceva sempre che... ecco, che quando il cavaliere del Graal sarebbe arrivato io... che mio padre mi avrebbe promessa in sposa a quel cavaliere.»
Sbattei le palpebre perplesso.
Se Galahad lo vedeva come il caro fratello perso nell'adolescenza e le sue frecciatine velenose erano rivolte a me... Non mi tornavano i conti.
«Appena vi ho visti arrivare, ho pensato quasi che Perceval fosse tornato dal cielo e mi avesse portato il cavaliere del Graal e... nel momento in cui ti ho guardato... sperai con tutto il cuore che quel cavaliere fossi davvero tu Mordred.»
Il silenzio che si creò dopo questa sua affermazione fu interrotto solo dal verso di un gabbiano, alzai la testa al cielo e vidi quel simpatico uccello farsi sostenere dalle correnti d'aria.
«Io? Tu? Io!?» Riuscii a balbettare incerto.
Lei si voltò dandomi le spalle. «Nella bella favola della balia era stato omesso il fatto che tu fossi innamorato di un altro e non veniva detto che sareste arrivati in due a Corbenoic.»
Mi morsi l'interno della guancia per evitare di ridere, non volevo che pensasse che la disprezzavo. Era stata coraggiosa, per tutta la vita. Anche nel fare questa confessione.
«Mi dispiace Dindrane, sinceramente. Non riesco a capire esattamente cosa ti abbia colpito di me, dato che sono un insopportabile essere vivente...», la sentii ridere, «ma sono onorato e mi sento indegno dei sentimenti di una Lady come te.»
«Ah smettila con tutte queste belle parole! E' così che si respinge una fanciulla a Camelot?»
«In realtà, non sono molto esperto in queste cose... puoi perdonarmi per non essere il cavaliere della tua favola?»
Lei batté nevosa un piede a terra. «Dato che stai per partire e non sarò costretta a vedere la tua faccia per un po', penso che potrei anche farlo.»
Le porsi la mano, lei timorosa mi diede la sua, le diedi un casto bacio sul dorso.
Ci separammo, Dindrane sarebbe andata subito al porto a parlare con il Capitano Fahmi, per accordarsi per il mio viaggio.
Si era fatto decisamente tardi e pensai che forse potevo arrischiarmi a vedere se Galahad era ancora sul piede di guerra.
Lo trovai in camera nostra, stava fermo immobile davanti alla finestra. Non feci in tempo ad aprire bocca che parlò.
«Vi ho visti passare due volte, vi siete divertiti?» La sua voce era dura.
Mi afflosciai quasi su me stesso. «Dovevo attendere che ti passasse la rabbia, non ci tenevo per nulla ad assaggiare un altro dei tuoi pugni micidiali.»
Alzò le spalle come e dire che non gliene importava nulla.
«Di cosa avete parlato così allegramente per tutto questo tempo? Ti sei divertito a fare cascamorto con Dindrane?»
Scoppiai a ridere.
Era geloso.
Questo mi piaceva.
Finalmente si voltò verso di me.
«Non ho fatto il cascamorto come dici tu! Casomai il galantuomo
«Cosa ci trovi di tanto divertente, vorrei proprio saperlo.»
Mi avvicinai a lui, alzai una mano per toccargli il volto ma si scostò. Tentai di nuovo e mi andò meglio. Con l'indice gli accarezzai la linea della mascella per poi scendere sul collo. Mi abbracciò e mi misi a giocare con i suoi capelli.
«Prova a chiedere direttamente a Dindrane di cosa abbiamo parlato. Mi ha raccontato un po' della sua vita, credo che le farebbe piacere parlarne con te.»
«Lo farò.»
«C'è una parte particolarmente interessante che riguarda me, costringila a farti dire tutto.»
«Va bene.»
Rimanemmo per un po' così, stretti l'uno all'altro.
«Hai ragione su tutto Mordred. Solo che... preferirei che tu non dovessi partire.» Disse lui alzando la testa.
«Se non fosse importante non partirei. Lo sai... Senti Galahad…»
«Sì?»
«Hai mai pensato seriamente alla questione dell'erede di Sarras?»
Lui si scostò da me, lo sguardo irritato. «Mordred, sei tu il mio erede, non iniziare a dire cose tipo-»
«No, non farò nessuna ipotesi. Pensavo a dopo di noi, quando non ci saremo né tu né io. Chi sarà il re?»
Sentii le sue spalle rilassarsi. «Elezione per acclamazione popolare.»
«Una cosa saggia. Come ti è venuta l'idea?»
«Il Papa. Il Vescovo di tutta la cristianità viene eletto così. Credi che possa essere considerato blasfemo?»
Scossi la testa.
Si mordicchiò le labbra. «Parlavo seriamente prima, se non tornerai dopo un periodo ragionevole verrò a cercarti e ti…»
«Mi farai pagare pegno?» lo interruppi.
Finalmente mi sorrise.
«Sì, qualcosa del genere.»


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Capitolo 34
*** Capitolo 34 ***


Capitolo 34

Dindrane concluse un accordo con il capitano della nave Aidah, Fahmi. Mi avrebbe portato in Britannia ed aspettato per tre settimane, se non mi fossi fatto rivedere o non avesse ricevuto mie notizie durante quell'arco di tempo, sarebbe ripartito per Sarras. Dindrane non conosceva altra rotta se non quella che portava a Corbenoic e a me andava benissimo di sbarcare lì. Forse avrei potuto ritrovare la mia giumenta e magari avere qualche notizia dal vecchio Orithil.
Partii tre giorni dopo, avrei preferito salpare senza tanti onori, saluti e fiori lanciati verso di me, ma Galahad che solitamente era sempre stato molto sobrio in queste cose, non ne volle sapere della mia discrezione.
Dindrane prima di partire mi disse di portare i suoi saluti ai nostri marinai, augurandosi che non avessero abbandonato quella terra inospitale, ora che avevano portato a termine la loro missione.
Galahad incurante della folla che ci guardava, mi diede un bacio d'addio. Nessuno ne rimase scandalizzato, l'unico ad arrossire fui io. Non mi disse nulla, si limitò a guardami serio. Ci eravamo detti tutto la notte precedente e sapeva che avrei fatto di tutto per poter tornare da lui.
Il viaggio mi sembrò durare un'eternità, semplicemente per il fatto che ero nervoso. Non avevo detto a Galahad cosa pensavo di trovare al mio arrivo a Camelot, ma l'unica parola che si riaffacciava nella mia testa era ”guerra”.
Non sapevo di chi contro chi.
Riapparendo in questo momento forse avrei scatenato io quello scontro.
Rabbrividii inorridito.
Se mia zia Morgana mi aveva chiamato, non poteva averlo fatto per mettermi in pericolo.
Fino a che navigammo all'interno del Mare Nostrum, il tempo fu bello, ma una volta affacciati sul grande mare che raggiungeva e lambiva le coste della Britannia, il cielo si fece più scuro.
I marinai di Fahmi non avevano mai affrontato quelle onde, avevano sempre navigato all'interno del loro mare chiuso. Ma questo non li spaventò, erano sempre pronti e all'erta ad ogni segno del mare e dell'aria.
Trovammo pioggia fine, pioggia forte, mare in burrasca.
Questo non ci fermò.
Arrivammo a Corbenoic sani e salvi, la nave aveva bisogno di qualche riparazione, ma non era stata compromessa.
Fui piacevolmente sorpreso di trovare Orithil al mio arrivo.
«Principe corvo, sei venuto a prendere la tua Elvellon?» Mi chiese salutandomi.
«Non proprio.» Risposi osservandolo con attenzione.
«Hai sentito profumo di guerra, Principe?» Mi chiese studiando il mio volto.
Annuii. «Credo proprio di non essermi sbagliato, vero?»
Lui chiuse gli occhi e sospirò. Gli portai il saluto di Dindrane e stavo per chiedergli se avesse consegnato di persona la lettera a mia zia Morgana quando vidi uscire da una capanna lungo il molo, forse, l'ultima persona al mondo che mi sarei potuto aspettare di vedere.
«Mordred.»
«Nimue.» Guardai Orithil, lui si strinse nelle spalle.
«E' da tre giorni che è qui e dice che aspetta il tuo arrivo. Ha voluto una casa tutta per sé. Noi gliela abbiamo data, chi si metterebbe contro una donna del genere?»
Nimue era forse... anzi era stata la mia unica amica. Quando eravamo piccoli viveva da sola con la madre in una casupola vicina alla mia.
Giocavamo sulla piccola spiaggia tra gli scogli sotto a casa, facevamo finta di essere un principe ed una principessa, ci arrampicavamo sugli scogli per rubare le uova di gabbiano.
Sì, eravamo felici.
Poi però Morgause mi portò via e non rividi più Nimue per moltissimi anni.
Io ero diventato il principe reietto di Camelot e lei una sacerdotessa di Avalon.
Nimue era figlia del Re delle Isole del Fiume, Dyonas. Sua madre una donna semplice che era caduta tra le braccia del re, poi era fuggita nel Nord per dare alla luce quella bambina.
Una bambina che aveva sentito risvegliare in se un amore profondo per la Dea e che in qualche modo, pensai presuntuosamente a quel tempo, mi aveva voluto seguire per vedere, anche se da lontano, Camelot.
Non l'avevo vista spesso, se ne stava tra le brume di Avalon, sapevo che aveva pericolosamente corteggiato il consigliere del Sommo Re, ovvero Merlino. Lui le aveva promesso mari e monti, ovvero la sua conoscenza in cambio... bè di quello che tanti uomini desiderano da una donna. Nimue indignata gli aveva dato il ben servito e da quel momento aveva iniziato a venerare mia zia Morgana.
«Sei in un dannatissimo ritardo, Mordred. Avevi intenzione di lasciarmi qui in eterno a fare la muffa?» Chiese lei coprendo a falcate la distanza che ci separava.
«Perchè diamine sei qui? Io non ti ho certo…»
«Quante storie! Lady Morgana mi ha pregato, quasi in ginocchio, di venire a prenderti. Ebbene io sono qui per scortarti, se non ti dai una mossa... arriveremo tardi! Avanti, forza, non ho tempo da perdere in salamelecchi vari!» Così dicendo rientrò nella casupola, ne uscì subito con un sacco e andò verso quelle che dovevano essere le stalle.
«Sono tutte così le sacerdotesse di Avalon?» Mi chiese Orithil fissando la ragazza che continuava ad inveire da sola.
«Credo che Nimue rappresenti una vera rarità, una perla.» Lo salutai e raggiunsi le stalle, trovai la mia giumenta in salute, lei sembrò riconoscermi. Sentendo ancora Nimue borbottare non persi tempo, iniziai a sellare Elvellon il più velocemente possibile.
Partimmo e vedendo la mia compagna di viaggio con lo sguardo truce, che evitava in ogni modo di guardami, rimasi in silenzio per un bel pezzo anche se le domande che si affacciavano nella mia mente erano decisamente troppe.
Per mia immensa fortuna fu Nimue a spezzare il silenzio, la voce leggermente meno irritata, le spalle più rilassate.
«La mia signora Morgana mi ha chiesto umilmente e gentilmente di venire qui, in questa terra inospitale per poi raggiungere Camlann il più velocemente possibile. Non vedendoti arrivare io mi ero preoccupata che tu avessi ignorato il suo grido d'aiuto, inoltre io ero in ansia perchè Lei sicuramente sarà preoccupata perchè non ci ha visti arrivare. Hai una minima idea di come mi sia sentita in questi interminabili giorni?» Disse gesticolando con le mani ed ingarbugliando le briglie.
«Ti assicuro che ne ho un'idea molto chiara Nimue. Ora potresti dirmi cosa diamine sta succedendo e perchè stiamo andando proprio a Camlann?»
Me lo spiegò.
Re Artù aveva lasciato il regno per dar man forte a Re Hoel in Gallia, era partito con Lancillotto, Bedivere, Gaheris, Gahalantine, Sagramore e molti altri. Gawain fu nominato reggente. Non passò nemmeno una settimana dalla partenza del Re che Costantino si fece sentire, non accettava una simile reggenza, la riteneva indegna. Non si arrivò mai ad uno scontro fisico, solo balletti tra messaggeri ed ambasciatori. Gawain mandò Gareth con la sua giovane sposa nel Nord, con la scusa di chiamare rinforzi. In realtà solo per tenerlo lontano dalla guerra che ormai era nell'aria. Lady Morgana si ritirò ad Avalon e convinse la Regina Ginevra a seguirla, fu lì che mia zia parlò con Nimue, lei aveva visto che sarebbe stato versato tanto, troppo sangue e sapeva che la mia presenza era necessaria.
Artù non era tornato, nessuno aveva avuto più notizie dalla Gallia a causa del maltempo, alcuni temevano che non sarebbe più tornato nessuno.
«Come fai a sapere che scoppierà la guerra proprio a Camlann? Mi hai detto che non ci sono stati ancora scontri.» Le chiesi guardandola dritta negli occhi.
«Ho visto. Anche la mia signora Morgana... sarà tra pochi giorni e noi dobbiamo essere lì in tempo.»
Viaggiamo il più velocemente possibile, fermandoci solo per soste rapide e per dormire, mangiavamo in sella.
Una sera, dopo cinque giorni di viaggio le chiesi cosa si dicesse di me, scomparso all'improvviso. Lei rise piano. «Vuoi veramente saperlo?» Annuii.
«Girano varie versioni. La più amata è quella in cui Galahad ti ha ucciso per purificare il peccato di Artù e tutta Camelot, una sorta di assoluzione plenaria dei peccati come amano dire i cristiani. Poi lui è partito alla ricerca del Graal, lo avrebbe trovato ed ora vive come un'eremita.» Fece una pausa, sistemandosi le pieghe della gonna.
«Un'altra versione, sostenuta da Kay, dice che tu saresti partito assieme a Galahad a cercare il Graal, lo avreste trovato, tu avresti cercato di rubare la Reliquia e saresti morto toccando la stoviglia. Poi esistono altre dicerie poco fantasiose... saresti partito per il Nord per suicidarti gettandoti dagli scogli, oppure avresti tentato di gettarti in mare ma la tua codardia te l'avrebbe impedito ed ora vivi come un tranquillo pescatore.»
«Mhf... un po' scontate, non credi?» le dissi guardando il fuoco.
«Ah! Ho dimenticato la mia versione preferita, ma siamo solo io e Lady Morgana a sostenerla.»
La guardai, lei increspò le labbra. «Molto romantica. Tu e Galahad avete fatto una sorta di fuga d'amore, forse inconsapevolmente, avete trovato il Graal ed ora vivete felici su si una bellissima isola, lontani dagli occhi curiosi degli abitanti di Camelot.»
Sbuffai ridendo un poco.
«Un po' più originale rispetto alle altre ma... si avvicina di molto alla realtà.»
«Io, Mordred, non ne avevo dubbi.»


Nota: non sono stata in grado di capire chi fossero i genitori di Nimue, quindi se ho sbagliato perdonatemi. Mi sono affidata alla Stewart, lei nomina un certo Re delle Isole del Fiume (non ho idea di quali isole^^) e poi ho farcito inventandomi della madre.
Il nome Aidah significa "colei che parte ma ritorna".


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Capitolo 35
*** Capitolo 35 ***


Capitolo 35

Arrivati nelle vicinanze di Camlann, Nimue mi disse che dovevamo prima raggiungere Avalon, per farlo dovevamo prendere una piccola barca e navigare sul Lago di Vetro.
«Ad io posso entrare ad Avalon come se nulla fosse? Quando me n'ero andato, voi sacerdotesse eravate delle persone piuttosto gelose oserei dire, gli uomini non erano molto graditi in casa vostra.»
Lei si fermò un istante mentre stava legando la sua cavalcatura ad un albero.
«Le regole sono cambiate Mordred, ora sono io la Dama del Lago e ad Avalon ci faccio entrare chi voglio, se ne è degno. E tu lo sei. Con questo la discussione è chiusa.»
Rimasi a bocca aperta.
«Ma-ma-ma! Ti pare normale essere la Dama del Lago, Signora di Avalon, Somma sacerdotessa ed andartene in giro a scorrazzare per la Britannia per andare a prendere-»
Con un gesto della mano mi zittì.
«La mia signora Morgana ha chiesto un favore. Io sono stata più che onorata di farle questo piacere. No! So già cosa sta macinando la tua testa maliziosa, non è lei a comandare Avalon muovendomi come un burattino. Semplicemente, la stimo profondamente. Ora basta. Andiamo.»
Oh, Dea. Nimue non era cambiata di una virgola, era sempre stata la sua specialità zittirmi.
Camminammo per un po' raggiungendo la zona paludosa, opposta alla pianura lambita dal lago di Vetro, Camlann. Lì seguendo una corda legata ad un palo, trovammo una piccola imbarcazione perfettamente mimetizzata da una coperta di telo verde.
«Sarebbero queste le magie di Avalon?» Le chiesi aiutandola a spingere verso l'acqua la barchetta.
«Mai sottovalutare le soluzioni semplici, Principe corvo.»
«Principe corvo, eh? Ho come l'impressione che le voci non circolino veloci solo a Camelot.»
Con i due remi che trovammo all'interno dell'imbarcazione, ci spostammo, inoltrandoci sempre di più verso la nebbia che copriva perennemente i confini di Avalon.
«Ed ora? Come farai a capire in che direzione stiamo andando?»
«Qui serve un po' di quella che tu chiami magia, ma che io chiamo abitudine e punti di riferimento.» Mi rispose lei sottovoce.
Dove li trovasse quei punti di riferimento per me era un vero e proprio mistero, non riconoscevo nulla di fisico in quello che mi circondava.
Non saprei dire dopo quanto tempo, mi parve che fosse un attimo, lei disse: «Ci siamo, non remare più.» Mi fermai ed intravidi un molo ed alcune figure vestite di scuro, che forse ci attendevano.
Riconobbi subito mia zia Morgana e vicino a lei, Ginevra. Quest'ultima si portò una mano alla bocca riconoscendomi.
Scesi a terra e mia zia corse ad abbracciarmi con dolcezza. Indossava lo stesso abito che avevo visto nel mio sogno. «Puoi immaginare quanto io sia contenta di vederti mio piccolo corvo?» Anche se non l'avrei mai ammesso, con la Regina Ginevra che mi guardava, così pallida e spaventata, ero seriamente emozionato di essere tra le braccia di mia zia e di essere stato ammesso ad Avalon.
«Mordred, purtroppo non abbiamo tempo per questo. Siamo passati di qui per prendere Lady Morgana con noi, la battaglia è già iniziata. Dobbiamo andare.» Disse Nimue stando sulla barca. Aiutai mia zia a salire a bordo, sentii Ginevra avvicinarsi. Mi voltai a guardarla, se era possibile, ma non lo era, mi sembrò ringiovanita. Forse l'aria di Avalon le era più congeniale di quella di Camelot.
Mi voleva parlare, ma forse non sapeva che dire di preciso. Parlai senza sapere cosa fosse il vero significato delle mie parole. «Porterò tuo marito da te, mia Regina.» Lei mi disse in un sussurro: «Grazie, Mordred.»
Ripartimmo, mi voltai una sola volta per guardare Ginevra che alzò la mano in segno di saluto. «Zia, è troppo se ti chiedo... come stanno le cose tra voi due?»
Morgana, che era seduta davanti a me e dietro di Nimue, emise un suono indecifrabile. «Posso solo dire che le cose stanno meglio dell'ultima volta che te ne ho parlato, tutto qui.»
«Mi fa piacere.» Le dissi chinandomi in avanti.
Anche questo viaggio fu sorprendentemente veloce, uscimmo dalla nebbia in pochissimo tempo e per prima cosa mi accorsi che il sole era ormai rosso, aveva iniziato a nascondersi dietro ad alcune nuvole all'orizzonte. Poi mi raggiunse il clamore delle spade, cavalieri e cavalieri che urlavano colpendosi l'un l'altro, cavalieri che urlavano per il dolore, straziati da altri cavalieri. La prima persona che riconobbi da lontano fu Lancillotto con la sua armatura bianca, scintillava grazie alla luce del sole in modo diverso dagli altri. Cercai con frenesia i miei fratelli, se lui era lì poteva solo significare che gli uomini di quella spedizione erano ritornati in patria.
Ci avvicinammo ancora, vidi Bedivere, senza elmo, rosso di sangue dalla testa ai piedi che con lo scudo cercava di farsi largo, doveva aver perso la spada nella lotta.
Non trovavo Gawain, non vedevo Gaheris da nessuna parte.
Sagramore?
Sentii finalmente la sua voce, la sua furia non si era placata. Lo trovai finalmente nella mischia e mi rilassai leggermente, se lui era lì, sicuramente Gawain era vivo, non avrebbe mai permesso che gli succedesse qualcosa di male.
«Mordred.» Nimue si voltò indietro. «Dobbiamo scendere e prendere Artù, è ferito e non possiamo fare molto qui se non salvare lui. Non posso permettermi di portare via tutti, ma lui sì, lo farai?»
Ebbi un attimo di esitazione. Bedivere? Bors? Gawain? Gaheris? Sagramore? Tutti gli altri potevano essere feriti anche in modo grave... li avremmo dovuti lasciare lì?
«Mordred, non puoi salvare tutti. Questa potrebbe essere l'ultima occasione che hai di parlare con tuo padre. Per favore...» Mia zia Morgana parlò così senza guardami, le mani intrecciate posate sulle gambe, lo sguardo fisso sulla strage che stava avvenendo sulla riva del lago.
Non dissi nulla, avevo già compiuto la mia scelta partendo da Sarras per tornare qui, se c'era la possibilità di fare qualcosa per mio padre, l'avrei fatta.
L'acqua era ormai bassa, mi alzai in piedi per poter poi scendere, vidi qualcosa con la coda dell'occhio che attirò la mia attenzione. Vidi mio padre, Artù, che si teneva il fianco destro, era sfinito. Il sangue gli scendeva rapido giù per la gamba. Riconobbi Costantino, lo sguardo inferocito, che con la spada in alto stava per dare il colpo di grazia al Sommo Re. Urlai con quanto fiato avevo in gola.
«PADRE!»
Artù si voltò, mi vide e successero molte cose contemporaneamente.
Lancillotto sentendo il mio urlo si accorse di Costantino e con un fluido colpo di spada, tranciò di netto il collo del Duca di Cornovaglia.
Vidi le labbra di mio padre muoversi formando il mio nome.
Vidi una freccia scagliata da lontano arrivare, lenta, lenta, lenta ma precisa verso di me.
Si piantò sul mio petto, a sinistra.
Sentii Nimue e Morgana urlare.
Prima pensai, strano, non dovrebbe fare male? Un male terribile? Poi il dolore arrivò tutto in un colpo, persi l'equilibrio sbilanciando la barca e caddi in acqua.
L'acqua era fredda e sentii un freddo come non l'avevo mai sentito. Mi arrivarono le voci, oh Dea, così tanti voci... ma attutite dall'acqua, c'era della gente che si preoccupava per me. Ero dunque così importante io? Pensavo che solo Galahad fosse abbastanza pazzo per poterlo pensare, ma lui era toccato da un Dio, era speciale.
Ma tutte queste persone che mi toccavano, che mi tiravano fuori dall'acqua, perchè lo facevano?
Mi misero sulla barca ed aprendo gli occhi vidi il cielo, ormai era troppo scuro, purtroppo non aveva lo stesso colore degli occhi di Galahad. La prima persona che vidi fu Lancillotto.
«Strano. Ho fatto tanta stra-da per salvare-salvare mio padre... se sapevo che ci avresti-ti pensato tu mi…»
«Non parlare. Ti stai sforzando per nulla.» Era la prima volta che mi parlava in modo così gentile. Oh Dea, sentii delle lacrime scendere dai miei occhi. Mi ricordava così tanto suo figlio.
«Lui sta-sta bene. E' re. Tutti-ti lo-lo aman…», il dolore era troppo forte ma era giusto che Lancillotto sapesse che suo figlio era un eroe, un santo, un re, un pazzo forse.
All'improvviso fu tutto buio ed io mi lasciai andare.


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Capitolo 36
*** Capitolo 36 ***


Capitolo 36

Compresi di essere in vita quando mi risvegliai sentendo il dolore al petto, leggermente attenuato, ma ben riconoscibile.
La freccia era stata estratta.
Qualcuno mi aveva medicato, lavato, fasciato e cambiato.
Il luogo in cui mi trovato non mi era per nulla familiare, ma vedendo la Regina Ginevra seduta su di una semplice sedia vicino al mio giaciglio, compresi di essere ad Avalon.
Ginevra non si accorse che mi ero svegliato, io ero troppo intontito per dire qualcosa, già il solo pensare mi costava non poca fatica.
Lei stava canticchiando a bocca chiusa mentre piegava delle bende pulite.
Mio padre doveva essere vivo.
Lei non poteva essere così tranquilla e serena se lui fosse morto.
Oh Dea, almeno sperai che fosse così e che non fosse così felice per essersi liberata del marito. Questo pensiero mi costo una sorta di smorfia e Ginevra si bloccò. Mi guardò a lungo, aprì la bocca ma riuscii a parlare io prima che lei si decidesse a formulare un qualche genere di frase.
«Lui è vivo?»
«Sì, Mordred. Sta bene, sta meglio di te.» Mi sorrise timidamente abbassando lo sguardo.
«Quindi ho fatto più che riportarlo da te, mi stai dicendo forse che l'ho anche salvato?» Avevo detto troppo e sebbene fossi disteso la testa prese a girarmi e sentii un dolore colpirmi la spalla.
«Era... era quello che ti volevo dire appena ho visto che ti eri svegliato. Tu... sei stato in grave pericolo Mordred. La freccia... perdonami io non sono esperta come le sacerdotesse in queste cose. Hai perso tanto sangue e non riuscivamo a tamponare il tuo male. Eri semi cosciente e deliravi, non so in che lingua. Tu non capivi quello che ti dicevamo, non stavi fermo. Lady Morgana... io non l'ho mai vista così pallida in vita mia.» Si fermò, mi lanciò una rapida occhiata e si mise a riavvolgere le bende che aveva in mano, nervosa.
Io in vita mia non avevo mai sentito la Regina parlare così a lungo.
Io in vita mia non le avevo mai sentito rivolgermi un discorso così lungo e direi quasi gentile.
«Quando... quando mi hai visto arrivare ad Avalon con Nimue... non sembravi particolarmente... direi felice di vedermi.»
Le salì il sangue al viso.
«La tua teoria preferita sulla mia scomparsa era quella in cui Galahad mi avrebbe ucciso, ho indovinato? Oppure quella in cui mi ero su-»
«No!»
Rimasi in silenzio fissando il moto imbarazzato delle sue mani che non riuscivano a stare ferme.
«Io... mi era piaciuto il fatto che tu e Galahad vi foste avvicinati, tua zia... Morgana mi ha parlato tanto di te, che ho quasi iniziato a pensare di conoscerti. Oh, ti prego non ti offendere per quello che ho detto! Ho pensato... che Galahad fosse la persona giusta per starti accanto, anche se altri non erano di questo avviso.»
Oh, sapevo perfettamente chi erano questi altri. Ce n'erano tanti ma Ginevra ne conosceva uno in particolare.
«Questo non ti ha impedito di non invitarmi alla tua caccia al tesoro, Regina.» Sputai fuori dai denti. Mi stavo mostrando come uno stupido ragazzino invidioso.
Di nuovo.
L'aria di Avalon forse assomigliava troppo a quella di Camelot, stavo regredendo.
«Farò finta di crederti, Regina. Comunque... grazie al tuo non-invito sono successe molte cose e non so fino a che punto positive o negative.»
Lei mi guardò incuriosita.
Non so perchè, ma parlare con lei mi fece stare via via meglio, cercai di alzarmi un po' dal cuscino, volendo provare a stare semi seduto invece che disteso.
Mi fece male muovermi, ma lei mi aiutò con cautela sistemando il mio giaciglio. La ringraziai e decisi di raccontarle di Lamorak e del piano di mio fratello Agravain.
Lei si portò le mani alla bocca mentre le snocciolavo quei segreti.
Dopo rimanemmo in silenzio per un poco.
Le chiesi come mai fosse qui con me.
«Morgana sta riposando, è stata qui con te tantissimo tempo, era esausta. Artù... tuo padre, anche lui dorme e quindi ho pensato di farti compagnia, sperando di non darti fastidio.»
«O sperando che non mi svegliassi?»
La vidi deglutire a vuoto. «Ammetto di aver avuto un po' di paura a stare qui. Ma non è stato così terribile parlare con te, Mordred.»
«Lui, è qui?» Dalla luce che si accese nei suoi occhi per un istante, compresi che sapeva di chi parlavo.
«No. Sono passati un po' di giorni dalla battaglia, Nimue ieri è tornata fuori da Avalon ed ha raccolto un po' di notizie. Lancillotto ha deciso di ritirarsi a vita monacale, non vuole più fare il cavaliere, questa vita non... non fa più per lui. Così ha detto.»
«Hai altre notizie per me? Vorrei sapere dei miei fratelli. E dei cavalieri? Da quello che ho visto, sulla pianura di Camlann devono essersi salvati in pochi.»
Lei annuì. Iniziò.
«Gawain è salvo grazie a Sagramore.» Sorrise. «Gawain si è insediato a Camelot e Sagramore è con lui, molti dicono che sarà il nuovo re, se... se nessuno si metterà contro di lui.»
«Ho sempre pensato che Artù lo avrebbe dovuto nominare il suo erede legittimo, sono contento per lui.»
Che Ginevra pensasse pure che volevo fare il finto disinteressato, la verità era proprio quella che avevo detto, mio fratello era degno di essere il re della Britannia.
«Gaheris... non è tornato dalla Gallia. L'hanno perso di vista durante uno scontro. Gareth, che era andato al Nord, è tornato con i suoi uomini che ormai la battaglia era conclusa, tornerà presto a Dunpeldyr e Bedivedere lo seguirà. Bors...» scosse la testa.
La lista dei caduti fu interminabile, Kay, re Urien, Gahalantine, Lucan... tutte persone che non avevo mai conosciuto veramente, che avevo solo incrociato nella vita.
Persone che prima o poi mi avevano indicato come un bastardo indegno di vivere, che mi avevano augurato di morire presto.
Persone che avevano ammirato Galahad.
Ecco, solo questo mi aveva accomunato a loro.
Io non li avevo salvati. Avrei potuto farlo?
Se non fossi partito rincorrendo Galahad, cosa avrei potuto fare?
Forse tutto questo non sarebbe successo.
Forse, forse, forse.
Avevo un peso addosso e non me lo sapevo spiegare.
Mi sentivo in colpa ma non capivo di preciso per cosa.
Ginevra aveva gli occhi rossi dopo aver terminato la lista dei caduti.
«Regina-»
«Regina di cosa?» Rise tristemente. «Ti prego Mordred, solo Ginevra.»
«Bene, Ginevra. Tu che farai ora?»
«Resterò qui, come è giusto che faccia una moglie con suo marito. Tu me l'hai riportato e io non posso fare altro che stargli accanto.»
«Mmm.» Emisi un suono scettico. Lei arrossì.
Le fanciulle arrossivano spesso.
Pensai al bacio che mi aveva dato Galahad prima che partissi.
No, non solo le ragazze avevano questa tendenza.
«Solo per Artù allora? Nessun altro?»
«Io... io credo che tu, Mordred, ti stia prendendo delle libertà e cercando di estorcermi delle confidenze che non credo di essere pronta a condividere con te!» Disse alzando pian piano la voce.
«Ah! Grazie davvero! Io ti ho rivelato un segreto della mia famiglia e tu rispondi così, bella moglie è andato a scegliersi Artù! Sempre pensato che non ci capiva nulla di donne, quello! E nemmeno di uomini se devo essere sincero fino in fondo!»
Questa sorta di sfuriata mi costò caro, incominciai a vedere scuro. Non feci in tempo a sentire l'indignata risposta di Ginevra perchè fummo interrotti dalla voce preoccupata di Morgana.
«Ah, mia Dea, lo sapevo, lo sapevo che non era una idea saggia lasciarvi da soli.»


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Capitolo 37
*** Capitolo 37 ***


Capitolo 37

Zia Morgana mi obbligò a rimanere a letto per una serie infinita di giorni, almeno, così mi sembrò.
Iniziai ad agitarmi, cercando di farle capire che dovevo avvisare il capitano della nave che mi aveva riportato in Britannia, altrimenti avrei fatto preoccupare Galahad per nulla.
«Devi pensare alla tua salute in questo momento, piccolo corvo. Non disperare, ho pensato ad avvisare il tuo capitano per tempo.» Parlò con voce lenta e decisa, come se fossi un bambino piccolo che non capiva una cosa semplice.
«Ma-»
«Niente ma. Quando Nimue è partita per venire a prenderti a Corbenoic, le ho dato una lettera da consegnare al tuo amico Orithil.»
Strinsi gli occhi senza capire.
«Orithil doveva consegnare la lettera al capitano della nave che ti avrebbe portato e poi ripartire e tornare da dove era venuto.»
Rimasi in silenzio cercando di elaborare le sue parole.
Ci studiammo in silenzio per un lungo tempo.
Mi alzai di scatto dal letto, movimento che mi fece quasi svenire. Cosa significava questo? Che volevano forzarmi a rimanere ad Avalon? Che non potevo ripartire?
«Mordred, stai tranquillo. Se ho agito così l'ho fatto per il tuo bene.»
Quasi rantolai. «Quale bene? Devo considerami un ostaggio?»
Lei rise di gusto alzando la testa. «No piccolo corvo. Sei libero di andare quando sarai sano.» Fece una pausa per sistemarmi le coperte che erano cadute dal mio letto.
«Cosa conosci di Avalon?»
Alzai un sopracciglio dubbioso, non dissi nulla. Zia Morgana si mise le mani sulle ginocchia. «Qui il tempo non ha senso, anzi dovrei dire che non esiste affatto.»
«Stai cercando di dirmi…»
«Che oltre queste brume, dal giorno che sei stato portato qui ad oggi, anzi questo momento in cui stiamo parlando, potrebbero essere passati tre giorni come ne potrebbero essere passati trenta.»
Mi sforzai di respirare piano. «Quindi... tu…»
«Io avevo visto, mentre navigavi per mare, che saresti rimasto ferito e che avresti salvato tuo padre. Quindi ho scritto una lettera diretta a Galahad, in cui gli spiegavo che la tua nave sarebbe tornata senza di te, ma che tu saresti partito appena possibile. Credi che abbia agito male? Sapevo che il tuo capitano ti avrebbe aspettato solo per tre settimane.» Sospirò. «Non potevi chiedergli di rimanere di più?»
«Non volevo... incomodarlo troppo, ecco.» Dissi arrossendo sotto il suo sguardo.
«Mmm, non avevi pensato che le cose sarebbero potute andare per le lunghe, piccolo corvo?»
La guardai attentamente, guardando i suoi occhi scuri come i miei e come quelli di Artù. Lesse nella mia espressione quello che stavo per dire e vidi i suoi occhi farsi lucidi.
«Non avevo molte speranze di tornare a casa in realtà. Il peso che ho avvertito sopra di me, la sera prima che mi arrivasse il tuo grido d'aiuto, era nefasto. Con Galahad ho cercato di recitare il meglio possibile.»
Zia Morgana si avvicinò e mi accarezzò leggera una guancia. «Appena riuscirai a stare in piedi, vorresti parlare un poco con tuo padre?»
Deglutii a vuoto.
«Sì.» Dissi semplicemente.
Passarono altri due giorni o quello che erano, Ginevra non osò nemmeno più affacciarsi alla porta della mia camera e ne fui contento. Anche zia Morgana aveva un pessimo gusto in fatto di donne. Doveva aver preso dal fratello, pensai ridacchiando.
Riuscivo a stare in piedi.
La realtà era che non stavo benissimo, ma volevo tornare da Galahad. Poteva essere passato... chissà quanto tempo e la sua pazienza poteva venire meno.
Temevo che ormai avesse pensato che non fossi più a questo mondo.
Mi feci forza ed accompagnato da Nimue, feci visita ad Artù. Riposava sotto una pergola in legno da cui pendevano tralicci di varie piante. Da lì si godeva una bellissima vista, il lago oltre la nebbia risplendeva al sole, la pianura di Camlann era tornata al verde rigoglioso che ricordavo ed in lontananza si vedeva Camelot.
Avalon non vista, vedeva il resto del mondo.
Sebbene durante la battaglia lo avessi chiamato “padre”, ora, in questa situazione, non sapevo come appellarmi a lui. Nimue vide la mia incertezza e mi tolse dall'imbarazzo.
«Artù.» Lui non ci aveva sentiti arrivare, voltò la testa e vidi le sue pupille dilatarsi. Era disteso su di una lunga poltrona con lo schienale inclinato, Nimue ci lasciò soli senza aggiungere altro.
Non sembrava che stesse poi così tanto meglio di me, almeno io riuscivo a camminare e a stare seduto. La ferita al fianco doveva essere davvero profonda.
Artù tossì a disagio mentre lo guardavo dall'alto al basso cercando di capire quanto malato fosse. «Mi sarei alzato al tuo arrivo, se ne fossi in grado. Perdona la mia scortesia.»
Formalità. Salamelecchi, avrebbe detto Nimue.
«Non... non ti sei mai alzato in mia presenza, per rendermi onore. Non mi aspettavo che lo facessi nemmeno adesso.» Ottimo. Avevo iniziato proprio con il piede giusto.
Avrei forse iniziato a snocciolare tutte le volte in cui avrei voluto essere trattato meglio?
Feci un gesto con la mano, come per cancellare le mie parole.
Lui stranamente sorrise.
Forse, forse aveva capito che preferivo lasciar correre.
Mi sedetti su una poltrona poco distante da lui. Per la precisione mi sedetti sul bordo della poltrona, come se quella scottasse. Rimasi per un po' con la gambe aperte, i gomiti sulle ginocchia e le mani intrecciate.
Dovevo essere proprio un bel vedere.
Ero dannatamente nervoso.
«Mordred.»
«Sì.» Risposi senza guardarlo.
«Morgana... un giorno... mi ha portato una lettera. Mi ha detto che avrei dovuto leggerla. La prima cosa che notai fu la scrittura, la conoscevo anche se non la vedevo da lungo tempo.»
Alzai la testa di scatto e rimasi a bocca aperta guardandolo.
Per un attimo mi chiesi se invecchiando gli avrei assomigliato ancora di più.
L'attimo dopo mi chiedi perchè diamine Zia Morgana gli aveva mostrato quella dannata lettera melensa!
Maledissi me, l'inchiostro, la pergamena e la mia mano che l'aveva scritta!
«Pa-pa-padre! Io non ti ho mai scritto una lettera in vita mia, come hai fatto a riconoscere la mia scrittura? E poi, poi, poi insomma! Io quella lettera l'avevo scritta a zia Morgana, non l'ho nemmeno firmata... insomma tutto-tutto questo è-è-è! Ah, Dea!»
Stava ridendo, ovvero si tratteneva dal ridere.
«Mordred ti prego smettila. Mi fa male al fianco e a tante altre cose sparse per il corpo.»
Abbassai nuovamente la testa.
«No, non mi hai mai scritto una lettera. Le indirizzavi tutte a tua madre.» Lo guardai. Riprese. «Scusami intendo dire... non la tua vera madre, la donna che ti ha allevato. Hai capito di cosa parlo? Magari non te lo ricordi nemmeno, avevi quattordici anni quando hai iniziato a studiare il latino…»
«Ricordo bene.»
«Io chiedevo al tuo maestro di poter vedere i tuoi progressi, così leggevo le tue lettere. Speravo che prima o poi mi indirizzassi qualcosa, ma evidentemente... o ti terrorizzavo oppure…»
«Non sapevo che leggessi quelle... quelle stupidaggini! Avrei scritto... bè sinceramente non so se ti avrei scritto mai qualcosa, non pensavo che ti interessasse qualcosa di me.»
Quanto mi vergognai in quel momento. Le mie infantili lettere erano piene di rimpianti e di sensazioni stupide.
Lui le aveva lette.
«Ma la mia scrittura non è cambiata nemmeno un po' in tutto questo tempo?» Gli chiesi fissando il pavimento.
«Sì, è maturata ma... lo stile è rimasto lo stesso.»
«Stile, mph.»
Sembrò che ambedue avessimo perso la capacità di formare una frase. Passò un'eternità e poi mi feci coraggio.
«Come hai reagito, sapendo che ero partito da Camelot?»
«E' stato... Kay a dirmelo.»
Kay non c'era più e lui lo aveva amato, amato davvero. Lo seppi senza dubbio alcuno sentendo la sua voce incrinarsi.
«Lui diceva che tu eri diventato pazzo di Galahad. Lo diceva da tempo, lui... sai lui facendo il siniscalco vedeva tante cose e poi sapeva leggere benissimo l'animo delle persone.»
Lo scrutai veloce e lo vidi passarsi una mano sugli occhi.
«Non mi sono arrabbiato, ho solo pensato di aver fallito definitivamente con te. Come padre, come uomo, come tutto. Non sono stato in grado di prendere una posizione sincera nei tuoi confronti. A cosa serviva tenermi informato di nascosto su cosa facevi, sui tuoi gusti? Avrei dovuto farlo di persona, no?»
Mi alzai, gli diedi le spalle.
No.
Non stavo piangendo. Era... non era nulla.
«Che farai ora? Gawain…»
«Gawain, spero che lui voglia... Mordred tu... cosa desideri fare?»
Mi voltai. «Tornare a casa da Galahad il prima possibile prima che parta da Sarras e venga qui. Vorrei risparmiargli il viaggio via mare, regge male il moto ondoso.»
Rise tenendosi il fianco. «In questo assomiglia a Lancillotto.»
Mi disse poi che il suo destino era rimanere lì, aspettando che tornasse il suo tempo, fra chissà quanti mesi, anni, secoli forse, per riportare la tavola rotonda.
Annuii ascoltandolo, gli porsi la mano, lui allungò la sua verso di me e mi strinse l'avambraccio.
Non amavo queste cose cavalleresche.
Ma preferivo questo ad un suo abbraccio.
Non ero più un bambino, era troppo tardi ricevere il suo affetto.
«Grazie Mordred.» Disse stringendo la presa.
Non riuscii a dire nulla che non fosse pietoso.
Lo salutai ed andai a prepararmi per il mio viaggio di ritorno.


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Capitolo 38
*** Capitolo 38 ***


Capitolo 38

Zia Morgana mi chiese se volevo andare a trovare Gawain a Camelot prima di andare via.
No, non ci volevo andare. Sapevo che mio fratello stava bene e che Sagramore era con lui. Sperai solo che Gawain non fosse troppo orgoglioso per capire che aveva bisogno di un erede, anche più di uno e che trovasse una donna che senza isterismi comprendesse che un matrimonio per un re era principalmente politica.
La gelosia complicava sempre tutto.
Non dissi una parola di questo a mia zia, scossi la testa e le chiesi solo una cosa. La mia unica preoccupazione al momento. «Dato che hai fatto partire il Capitano Fahmi, con la sua Aidah, ora sono senza nave per tornare a casa. Avevi pensato a questo piccolo particolare?»
Lei arricciò le labbra. «Certo. C'è la tua nave.»
«Io non ho nessuna nave.»
«Uh-mhm. La tua nave dalla vela rossa. Direi che se tu invitassi i tuoi marinai di riportarti nel tuo regno, portando con loro le rispettive famiglie, per vivere tutti insieme in un posto migliore di Corbenoic... accetterebbero con piacere. Ne saranno onorati.»
Assentii, il piano era perfetto. Non sapevo esattamente perchè ma credevo che Orithil sarebbe stato il primo ad accettare.
Il giorno successivo salutai le sacerdotesse che si erano preso cura di me, Ginevra che mi rivolse una breve occhiata e mi augurò buon viaggio, Artù con cui non mi servirono parole ed infine zia Morgana.
Mi abbracciò stretto accarezzandomi la testa. Sapevo che in fondo al suo cuore avrebbe voluto venire a Sarras con me, c'era un barlume di curiosità in lei. Ma i suoi sentimenti la trattenevano qui, non sapevo se avrebbe resistito a lungo tra Artù e Ginevra, che forse dopo i tanti tradimenti avrebbero potuto tentare un riavvicinamento.
Sperai che fosse felice.
Sperai che fosse più forte di mio padre e che tenesse Ginevra solo per se, nelle parole della non-più-regina avevo intravisto qualche speranza per mia zia.
Partii assieme a Nimue, non ci fu verso di lasciarmi andare da solo.
Ritrovammo la mia giumenta ed il suo castrato oltre la palude, le nostre cavalcature erano tenute ferme da due sacerdotesse. Le due giovani, una volta dateci le briglie presero la piccola imbarcazione con cui eravamo arrivati e tornarono ad Avalon.
«Quanto tempo normale sarà passato Nimue? A me sembra che sia ancora estate, non trovi?» Chiesi alla mia compagna di viaggio dopo che fummo partiti.
«Non saprei, queste cose variano in modo incalcolabile.» Mi rispose con fare indifferente.
Non ci diedi peso. Non aveva importanza. Volevo solo andare a casa, da Galahad.
Trovammo sempre bel tempo, il clima fu mite e clemente con noi.
Arrivando a Corbenoic, vidi subito la nave. Era già sul molo, sembrava che mi stesse aspettando. Quando i marinai ci videro ci salutarono agitando le mani. Erano incredibilmente felici di vederci.
Scesi da cavallo e Orithil si fece subito avanti con il suo furbo sorriso.
«Principe corvo. Bentornato.»
«Orithil, felice di vederti. Come mai la nave sembra già pronta a partire?» Gli chiesi indicando i marinai all'opera.
«La Lady corvo ci aveva avvisato, ci aveva detto il giorno preciso in cui saresti arrivato e partito. Noi ti stavamo aspettando.»
Lo guardai fisso negli occhi.
Guardai Nimue che mi sorrise e che mi disse: «Mordred, non hai una cosa da chiedere ai tuoi marinai?»
«Sì io... Miei signori marinai, posso... posso avere un attimo della vostra attenzione?»
Tutti si fermarono e vidi per la prima volta spuntare dalle porte delle loro casupole di legno, alcune donne, che timidamente stavano lì, incerte se uscire oppure no.
«Mie signore, anche voi, vi prego uscite. Vorrei che mi ascoltaste.»
Le donne, le ragazze e le fanciulle si guardarono tra di loro incerte e poi uscirono titubanti. Mi sembrarono tante Dindrane, bisognose di aria sana, cibo di buona qualità ed un clima migliore.
«Vorrei chiedervi un immenso piacere, devo tornare dal mio Re, Re Galahad, signore di Sarras ed ho bisogno che questi esperti marinai mi accompagnino. Ma non voglio che siate nuovamente obbligati a separarvi, volete partire tutti per Sarras e diventare suoi cittadini? Vi assicuro la mia protezione. Lì ritroverete anche Lady Dindrane, lei sente la vostra mancanza.»
Silenzio e occhi incerti. Solo questo ottenni.
Ah, Dea. Non ero bravo come Galahad nei discorsi in pubblico.
Orithil fu il primo a muoversi, mi batté amichevolmente una mano sulla spalla e disse: «Grazie, accetto con piacere la tua proposta mio signore.» Detto questo riprese a lavorare. Tutti gli altri parvero risvegliarsi ed uno ad uno vennero a stringermi la mano mormorando un grazie con voce emozionata, le donne mi vollero baciare la mano.
Mi sentii per la prima volta in vita mia piacevolmente emozionato davanti ad una folla, per quanto piccola fosse in realtà.
Alla fine di quella sorta di cerimonia, Nimue mi tirò per un braccio, mi stampò un bacio sulla guancia e corse via ridendo. Una volta arrivata ai cavalli mi urlò: «Portati dietro Elvellon questa volta, quella nave può contenere tante di quelle cose! Se non lo farai lei si arrabbierà a morte con te! Fai il bravo Mordred!» Detto questo partì al galoppo.
Gli addii non erano il suo forte. Che genere di Signora di Avalon sarebbe mai stata?
Un marinaio mi si avvicinò e mi disse che saremo stati pronti a partire dopo pranzo, il vento sarebbe stato favorevole, quindi avevamo ancora poco più di un'ora e poi... saremmo stati in mare. Gli chiesi se era possibile caricare la mia giumenta, lui mi assicurò che c'era tantissimo spazio ancora, che non sarebbe stato un problema.
Prima però dovevo intraprendere una piccola missione.
Andai verso il castello, scesi e dissi ad Elvellon di non muoversi, dovevo cercare una cosa. Sperai che non fosse una ricerca troppo lunga, il palazzo non era grande. Non era cambiato nulla, tutto era rimasto intatto, entrai nella piccola chiesa o cappella dove Galahad si era scontrato e aveva sconfitto Dindrane. In fondo, dietro all'altare c'era un sarcofago, passai con la mano sopra alle lettere incise impolverate e lessi il nome di Pellinore.
Mi spostai, cercando una stanza che potesse assomigliare in qualche modo ad una camera da letto e dopo un po' di giri a vuoto trovai quello che cercavo.
Un baule.
Per mia fortuna non era chiuso.
Lo aprii e cigolò in modo sinistro, dall'interno sentii provenire il profumo fresco della lavanda. I vestiti della madre di Dindrane erano stati accuratamente piegati in sacchi di tela e né il tempo né gli insetti li avevano intaccati, li presi su, caricandomeli sulle braccia.
Uscii, misi un po' alla rinfusa gli abiti sulla sella e nelle mie sacche e tornai al porto.
Una volta caricata la mia giumenta, partimmo. Il vento arrivò puntuale e ci allontanammo dalle coste, dissi addio alla Britannia senza staccare gli occhi dalla costa.
Le fanciulle ed i giovani ragazzi erano sereni, i più piccoli correvano sul ponte eccitati dall'idea del viaggio.
Pregai la Dea, che ci assistesse durante la traversata.
All'improvviso mi sentii stanco ed anche un po' triste.
Potevo essere considerato una sorta di eroe per aver salvato Artù?
Oppure nessuno si era nemmeno accorto di quello che avevo fatto?
Non avevo chiesto a nessuno di portare i miei saluti ai miei fratelli... si sarebbero offesi?
Gaheris, che fine aveva fatto veramente?
Sperai per lui che si fosse innamorato di qualche ragazza della Gallia e che ora fosse magari in una piccola casa di campagna a farsi coccolare.
Anche se era più probabile che lui se ne fosse già stancato e che stesse tentando di tornare a casa.
Gawain aveva Sagramore.
Gareth aveva la sua sposa ed il suo castello.
Morgana aveva quasi Ginevra.
E a me mancava terribilmente Galahad.
Il dolore al petto si fece sentire, scesi sotto coperta ed andai a riposarmi un po', presto mi addormentai e sognai il mio Re.
Galahad.


Nota: il prossimo capitolo sarà... l'ultimo ^_^


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Capitolo 39
*** Capitolo 39 ***


Capitolo 39

Entrammo nel Mare Nostrum, navigammo, navigammo e navigammo ed infine tutti noi urlammo felici. «Terra! Sarras!»
Sulla torre sulla punta dell'isola a Nord vidi dei movimenti, ora probabilmente un soldato sarebbe saltato su un cavallo e l'avrebbe sfiancato per portare la notizia.
La nave dalla vela rossa era tornata.
Appoggiai le mani sulla balaustra e rimasi immobile per tutto il tempo che impiegammo per avvicinarci.
Sentii il suono della campana della chiesa suonare a cascata, festante. Il popolo di Sarras era stato avvisato, qualcosa di importante stava succedendo, li vidi affacciarsi alla finestre delle loro case, uscire e raggiungere il porto.
Qualcuno mi riconobbe. «Amir Anuar! Amir Anuar!» Iniziarono a chiamarmi.
Dalla strada pericolosamente ripida che portava al castello, vidi il castrato bianco del Re. I capelli biondi di Galahad erano come oro fuso, risplendevano al sole ed io da quel momento riuscii a vedere solo quello, non sentii più nulla. Per me l'unica cosa al mondo era lui, che pericolosamente scendeva a rotta di collo per la strada.
Attraccammo e lui scese senza fiato dal cavallo, mi vide e non staccò gli occhi dai miei. Mi sembrò più alto e Dea... più bello.
Le guance rosse, i capelli appiccicati alla fronte.
Vi voltai verso i marinai ed i passeggeri della nave, stavano aspettando che scendessi io per primo.
Salii sulla passerella, Galahad si mosse e fece per abbracciarmi ma io mi inchinai davanti a lui. Incapace di aprire la bocca aspettai in silenzio che fosse lui a parlare per primo.
«Amir Anuar! Amir Anuar!» La gente che era arrivata riprese a scandire il mio titolo.
«Mordred! Alzati... io…»
Alzai la testa e finalmente dopo tante settimane potei guardare i suoi occhi azzurri che avevo temuto di non poter vedere mai più.
«La verità è che non riesco ad alzarmi.»
«Cosa?!»
«E' proprio così, sono... diciamo che non sono proprio in forze. Ho un... fastidio al petto. Volevo fare un po' di scena davanti al popolo ma non avevo fatto i conti con-»
Lui si abbassò e mettendomi le mani sotto ai gomiti mi aiutò ad alzarmi.
Mi mancò il fiato.
Forse avrei veramente dovuto aspettare ancora prima di partire, durante il viaggio a cavallo avevo stretto i denti pensando che presto sarei stato meglio. In nave, nella piccola cuccetta avevo stretto i denti pensando che prima o poi saremmo arrivati.
Ora ero davvero stanco.
«Pensi... che poteri abbracciarti, o ti farei troppo male?»
Fui io ad abbracciarlo, ad annusare il suo profumo, i suoi capelli. Gli diedi un lieve bacio sulle labbra. La folla festante applaudì.
Spiegai a Galahad che avevo invitato i nostri marinai a rimanere a Sarras, dato che non c'era più nulla per loro in quella terra inospitale, il Graal ormai non aveva bisogno di essere più cercato.
Lui invitò tutti a scendere, strinse le mani a tutti dando il benvenuto.
«Mordred, come ti sei ferito?»
«Una freccia.»
Lui sgranò gli occhi ed infilò una mano dentro la mia camicia. «Galahad, che fai? Ci guardano!»
«Lascia che guardino. Dio mio! Ma... ti è successo poco prima di partire? Ci sono ancora scontri in Britannia?»
Lo guardai senza capire esattamente di cosa stesse parlando.
«Galahad, cosa ti ha scritto zia Morgana nella lettera?»
«Mi ha scritto che c'era stata una battaglia tra Costantino e le altre alleanze del Sommo Re, che tu hai salvato tuo padre e che eri rimasto leggermente ferito. Dovevi sistemare delle questioni con i cavalieri... Ma questo ormai è successo da tempo, che c'entra con questa ferita così grave?»
Continuai a guardarlo senza capire.
«Galahad, dicendo “questo ormai è successo da tempo”, cosa intendi dire di preciso?»
«Mordred, ti pare il momento di scherzare? Ti ha fatto male l'aria di Camelot.»
«Decisamente, anche se per la precisione a Camelot non ho messo piede. Ti prego, dimmi, quanto tempo sono stato via secondo te?»
Lui serrò la mascella, io lo pregai di rispondermi solo guardandolo.
«Sono quasi due anni Mordred.»
«Potrebbero essere passati tre giorni come ne potrebbero essere passati trenta.»
«Mordred non capisco.»
«Te lo spiegherò, con calma te lo spiegherò. Ti chiedo perdono.»
Lo baciai, fregandomene del dolore alla spalla, fregandomene delle risatine dei marinai e delle donne, del popolo che ci guardava. Fu un bacio serio, di quel genere che ci scambiavamo solo in camera. Galahad si strinse a me forte rispondendo al mio slancio.
Mi sentii le guance umide e non sapevo esattamente per cosa, per troppe cose insieme.
«Mi dispiace Galahad, non sai quanto. Io sono stato ad Avalon e lì... per me sono passate solo alcune settimane da quando sono partito.»
Gli si mozzò il fiato, scrollò la testa. «Avevo incominciato a credere che tu... fossi stato nominato erede di tuo padre o che avessi scelto di rimanere lì ed io dovevo accettare la tua scelta…»
«Ti sei sposato?»
«Cosa? Ma cosa vai a pensare!»
«Hai detto che dovevi accettare la mia scelta... ho pensato che…»
«Non sono mica una persona di così facili sentimenti!»
Non gli risposi a tono. «Stiamo forse litigando?»
Mi sorrise. «No, Mordred. No. Ti prego andiamo a palazzo, hai bisogno di riposare, di mangiare, di stare tranquillo.»
Lo baciai ancora, ancora e ancora.
«Galahad, tu vai pure avanti. Io ti raggiungo tra un po', devo fare una cosa.»
«Mordred, ma tu sei debole, non vorrai mica aiutare a scaricare la nave!»
«No, non quello. Vedi...» Sospirai. «Mi sento in colpa, terribile colpa. Sono morte tante, tante, tante persone Galahad. Ed io che cosa ho fatto? Sono andato fin lì e... sebbene tutti dicano che ho salvato mio padre, che cosa ho fatto? Ho forse combattuto? Ho solo richiamato la sua attenzione e quella di tuo padre. Così è stato Lancillotto a salvarlo da morte certa, non io. Se fossi stato tra loro, non avrei potuto fare di più? Se mi fossi allenato con costanza, sarei diventato un bravo spadaccino? Se avessi scritto una lettera a mio padre, lui mi avrebbe accettato? Se...» Avevo di nuovo le lacrime agli occhi.
«Mordred tu hai fatto tutto quello che hai potuto.» Mi accarezzò le guance con la manica della tunica e mi asciugò gentilmente il viso. «E hai dato il massimo, io lo so.»
Rimasi in silenzio. Non sapevo se aveva realmente capito quel peso che sentivo addosso.
«Cos'è che devi fare?» Mi chiese dolcemente.
«Espiazione. Forse non è la parola giusta. Vorrei andare a piedi fino al castello.»
La strada era ripida e lunga, nessuno la percorreva mai se non a cavallo o su un carro trainato.
«Mordred... tu non sai bene. Potresti fare altro per…»
«Tipo pregare?» Gli chiesi ridendo.
«Ho capito. Dopo questa pazzia farai tutto quello che ti dico? Come fare un bagno, mangiare e dormire?»
«Sì. Ma vorrei aggiungere un'altra cosa.»
Lui arrossì.
«Ah, Galahad! Non intendevo quello, però se vuoi...» Gli dissi racimolando un po' di malizia.
Lui abbassò la testa. «Cosa volevi aggiungere?»
«Non lasciarti mai più. Rimanere su quest'isola con te.»
Alzò la testa e mi strinse la mano. «Sì. Posso spiegare il perchè farai questa pazzia?»
«Sì, sei molto più bravo di me nei discorsi.»
Non so di preciso cosa disse Galahad, ma la gente mi guardò con sguardi carichi di sensibilità ed alcuni si fecero il segno dei cristiani guardandomi, forse era compassione la loro.
Il mio Re salì a cavallo, mi salutò con un cenno del capo e partì verso casa.
Dovevo veramente essere matto per aver scelto una cosa del genere. Me ne pentii quasi subito, ma la gente mi sostenne con le loro parole gentili. Sudai come non avevo mai fatto in vita mia e per la prima volta compresi cosa fosse veramente la fatica.
Pensai a Kay che mi aveva portato in braccio sul letto. Kay che era innamorato di mio padre.
Pensai ad Artù che era stato innamorato di Kay, di Bedivere, di Lancillotto e poi era tornato da Kay. Pensai a Bedivere e mi chiesi come mai avesse deciso di andare a vivere al Nord, forse l'idea di fare il monaco assieme a Lancillotto non gli era piaciuta. Meglio il mare freddo che una vita fatta di sacrifici della carne.
Pensai a Lancillotto, ora che poteva vivere con Ginevra, aveva scoperto di avere dei sensi di colpa ed aveva deciso di intraprendere una vita di privazioni.
Dopo, molto, molto tempo non pensai più a nulla, riuscivo solo a a concentrarmi sullo sforzo di mettere un piede dietro l'altro.
Quando arrivai alle porte del castello era buio, quasi non mi sentivo i piedi. Vidi Galahad venirmi in contro, riuscii a sorridergli e poi svenni tra le sue braccia.
Dormii senza sognare, mi lavai, mangiai, dormii, mangiai, mi curarono la ferita, dormii ancora.
Iniziai a sentirmi a posto, come se fossi tornato nella mia pelle.
Io e Galahad rimanemmo a letto per ore. Fu come riscoprirlo, riconoscerlo e capire che per me esisteva solo lui e per lui esistevo solo io.
Gli raccontai tutto quello che avevo fatto e visto, senza risparmiare nulla.
Dopo un tempo che ritenemmo ragionevole, rincominciammo a fare il Re ed il Vice Re. Donai, ovvero restituii i vestiti che erano stati di sua madre, a Dindrane che rimase con le lacrime agli occhi senza riuscire a trovare le parole da dirmi.
«Indossali Dindrane, credo che questo sia il modo più semplice per ringraziare Mordred.»
Lei annuì più volte e volò fuori dalla sala delle udienze private dicendo che sarebbe tornata subito.
«Ti ha raccontato la sua storia?» Chiesi a Galahad.
«Sì. La gente la ama e... spero che possa essere lei o la sua discendenza a poter reggere questo trono dopo di noi.»
Rimasi in silenzio fissandomi le punte degli stivali.
«No? Non lo pensi anche tu Mordred? Pensavo che lei ti piacesse.»
«Sì, Dindrane mi piace come se fosse la sorella che non ho mai avuto.»
«Stai scherzando?»
«No. Sono tremendamente serio.»
«Però, stai pensando a qualcosa che la riguarda, sbaglio?»
Ero un libro aperto per Galahad. «Pensavo alla sua discendenza.» Lo vidi impallidire. «Non vorrai mica occupartene tu, vero?»
«Mordred! Cosa vai a pensare-» Si bloccò vedendo che stavo ridendo come un pazzo.
«Mordred, lo sapevo che mi stavi prendendo in giro.»
Si alzò e mi raggiunse vicino alla finestra, allungò le mani e mi tirò le orecchie. «Hey che stai facendo, non sono mica il tuo gatto! Lasciami andare, che ho detto di male, era solo una cosa, tanto per ridere!»
«Mordred, io non posso nemmeno immaginare una... una cosa del genere, condividere... quello che condivido con te con qualcun altro, non voglio che ci scherzi su.»
«Va bene, non dirò più una cosa del genere.»
Lo baciai accarezzandogli la nuca, allora si rilassò e mi mise le mani sulla schiena stringendomi a sé e rimanemmo così fino a che Dindrane raggiante, non tornò per mostrarci l'abito che aveva indossato.
Una sorella, questo era per noi, le augurai col pensiero di poter trovare presto un uomo che fosse degno di lei e che le facesse dimenticare presto le privazioni che aveva subito. Rimase un po' a girare su se stessa ridendo e poi corse via.
«Galahad?»
«Si?»
«Non credi che io sia diventato irrimediabilmente gentile?»
«Ti riferisci ai vestiti di Dindrane?»
«Si.»
«Direi che sei un po' gentile, ma non sei irrecuperabile.» Dicendo così andò verso la porta e mi fece cenno di seguirlo, camminammo per i corridoi tenendoci per mano e poi uscimmo sulle mura ad ascoltare il rumore delle onde del mare e a fissare le stelle.

FINE


Lieto fine *_*
Mordred che compie la propria espiazione è una citazione di Kushiel's Mercy di Jacqueline Carey (per la precisione una cosa che fa Imriel al suo ritorno a Terre D'Ange).
Vorrei ringraziare tutte le persone che hanno letto questa storia, spero di non avervi deluso. In particolare mando un abbraccio ad Ailinon, Saki e Ilakey_chan *_* grazie ragazze per le vostre recensioni preziose come l'oro. Grazie anche a OrochiMary, che ha messo questa fanfic tra le seguite.


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