Vieni via con me

di Vivien L
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** #1 ***
Capitolo 2: *** #2 ***
Capitolo 3: *** #3 ***
Capitolo 4: *** #4 ***
Capitolo 5: *** #5 ***
Capitolo 6: *** #EPILOGO ***



Capitolo 1
*** #1 ***


  

 

    Vieni via con me

#1

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Ma ti sbagli se pensi che le gioie della vita vengano soprattutto dai rapporti tra le persone. Dio ha messo la felicità dappertutto, è ovunque, in tutto ciò in cui possiamo fare esperienza. Abbiamo solo bisogno di cambiare il modo di guardare le cose.

(C. J. McCandless)

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13 Settembre 1894

La pioggia schiaffeggiava i vetri, sospinta da un vento fortissimo. Silenziosamente, in mezzo all'infuriare della bufera, la porta della cucina si aprì e si richiuse. Le fiammelle dei lumi guizzarono, tremolarono e alcune si spensero. La levatrice entrò di corsa poco dopo le otto. La sua divisa inamidata si era afflosciata per l'acqua, ma lei era pimpante come se non fosse dovuta accorrere per un'emergenza.

-Che ore sono?- chiese Renèe, affaticata.

-Quasi le nove-

-Un asciugamano, per favore- implorò la donna, e un gemito sommesso abbandonò le sue labbra quando una fitta più forte delle altre le percorse la schiena.

La levatrice mise gli asciugamani uno sull'altro contro la finestra, fino ad otturare il buco che i rami degli alberi scagliati dal vento contro i vetri avevano procurato.

Poi si voltò -Riaccendi il lume- ordinò. Il tono era roco, come se la sua voce fosse arrugginita. Charlie obbedì, e lei si tolse lo scialle nero bagnato, lo piegò con cura e lo posò su una sedia.

Le sue dita contorte e macchiate toccarono la fronte di Renèe, poi la propria, e infine le sollevarono e riabbassarono le palpebre. Quindi sollevò la testa di Renèe con la mano sinistra, e con la destra le versò in bocca un liquido scuro. Marie Libvenchert non era una semplice levatrice: apparteneva ad una lunga dinastia di fattucchiere; streghe bianche con incredibili poteri guaritivi originarie dalle zone più remote d'Irlanda, là dove la magia era stata scacciata secoli orsono. Cailleach; ecco come l'avevano soprannominata. Tutti gli abitanti del villaggio la evitavano: pensavano che fosse posseduta dal demonio. I bambini la schernivano, prima che le loro madri li allontanassero da lei, facendosi il segno della croce e scongiurando maledizioni ed empietà. Le donne avevano paura di lei, e avevano fatto circolare la voce che Marie rapisse i neonati sacrificandoli all'oscuro dio di cui era schiava. Gli uomini più anziani, invece, nei suoi confronti provavano un timore reverenziale che li faceva chinare il capo ogni volta che la Cailleach passava loro davanti, diretta a una delle sue solite ricognizioni in mezzo al bosco alla ricerca di erbe curative. Soltanto la moglie del fabbro Swan aveva dato segno di nutrire un'ombra di simpatia, per lei. Lo dimostravano i sorrisi accennati che la giovane le rivolgeva quando i loro sguardi s'incontrarono, i saluti discreti con cui le dava il benvenuto nel villaggio e il fatto che non si scostasse quando Marie la affiancava quasi per caso lungo le strade della piccola cittadina. Ed era grazie a quei sorrisi che la Cailleach aveva deciso di aiutare la donna a dare alla luce il suo bambino, in una burrascosa notte di tempesta in cui nessuno avrebbe potuto assisterla durante il parto. Nessuno tranne lei, perchè Marie non aveva avuto paura di attraversare la selvaggia macchia nera del bosco infuriato dalla pioggia e a remare contro il vento temporalesco che spirava dalla costa.

I suoi piccoli, verdi occhi guardarono prima Renèe, e poi suo marito.

-Urlerà, ma non proverà dolore. Voi non muovetevi. La luce è vitale-

Non fecero in tempo a rispondere, perchè Marie prese un sottile coltello, ci strofinò sopra qualcosa preso da uno dei sacchetti e lo vibrò dall'alto in basso sul ventre di Renèe. Il suo urlo sembrò il grido di un'anima persa.

E ancor prima che fosse tornato il silenzio, la cailleach teneva tra le mani un neonato coperto di sangue. La donna sputò per terra qualcosa che aveva in bocca, poi soffiò una, due, tre volte nella bocca del neonato. Il bambino agitò prima le braccia, poi le gambe. Charlie recitò a bassa voce un Ave Maria.

La cailleach lavò la creatura e la avvolse accuratamente in una delicata coperta di lino bianca. La chiocchia risata della strega fece emettere un roco vagito al neonato, e la femminuccia aprì gli occhi. Marie sorrise dolcemente, si chinò verso Renèe e le depose la bimba fra le braccia.

Le iridi castane sembravano pallidi anelli intorno alle nere pupille ancora incapaci di mettere a fuoco le immagini. Aveva lunghe ciglia nere e sottili sopracciglia arcuate. Non era rossa e sformata come la maggior parte dei neonati, perchè non aveva sofferto durante il parto. Il minuscolo naso, le orecchie, la bocca e il tenero cranio pulsante erano perfetti. La sua pelle perlacea spiccava sulla candida coperta.

Renèe sorrise, e una nuova gioia le infiammò il petto. Si sentiva addosso una strana e paurosa debolezza, un calore che le permeava il corpo come una forte, profonda, avvilupante ondata di bruciore. La neonata aprì gli occhi. Guardarono direttamente in quelli di Renèe, e lei provò un palpito d'amore. Senza condizioni, senza controparte, senza confini, senza riserve, senza egoismo alcuno.

Charlie si avvicinò a loro, e il suo viso meravigliato analizzò con premura i sottili lineamenti della bambina.

-Isabella- sussurrò Renèe, e l'uomo si sentì pervaso da una felicità incommensurabile di fronte a quella piccola creatura sangue del suo sangue che già sentiva di amare con tutto sé stesso -La chiameremo Isabella- le baciò la piccola e liscia fronte. Sorrise -Benvenuta al mondo, amore mio-

 


14 Settembre 1912

-Bella!- la voce di Renèe mi richiama all'ordine. Sobbalzo, sorpresa dall'impeto con cui ha pronunciato il mio nome, e i miei occhi scivolano ancora una volta sul piccolo specchio quadrato addossato alla grigia parete rocciosa del muro. L'immagine che mi rimanda non mi soddisfa affatto.

-Potrò mai avere una spazzola nuova, mamma?- urlo, conscia che è altamente improbabile che Renèe riesca a sentirmi dal piano inferiore. Pesto i piedi per terra, irritata: i miei capelli sono una massa informe di boccoli castani, e neanche tutte le forcine di questo mondo riuscirebbero a tenerli in ordine. Decido di lasciarli liberi di sferzarmi le spalle, e tuttavia il mio già instabile umore risente di questo piccolo inconveniente quotidiano che normalmente non mi avrebbe causato alcun fastidio. Il fatto è che oggi non ho nessuna voglia di andare al lavoro. Non perchè trovi sgradevole i miei padroni o il clima che si respira nella grande villa -sono tutti gentili, con me, persino le anziane e dispotiche governanti-, ma perchè sono una ragazza pigra di natura ed anche mio padre -il buon vecchio Charlie- me lo ripete spesso. La mia vita ideale sarebbe passare le giornate sdraiata su un prato fiorito a sorseggiare caffè caldo e a leggere romanzi d'amore e d'avventura.

-Ben svegliata, fannullona- Renèe mi saluta con un bacio sulla guancia, facendomi arrossire. Ridacchia. E' una brava donna, Renèe Swan. Pettegola, vivace e spigliata, luce degli occhi di mio padre -ancora non riesco a capire come, dopo quasi vent'anni di matrimonio, i miei genitori riescano ad amarsi con lo stesso fervore di quand' erano due sciocchi ragazzini pieni di ideali- ed eterna disgrazia di nonna Marie -la mamma di papà- che la odia e avrebbe preferito vederli morti entrambi piuttosto che acconsentire al loro matrimonio. Anche se sospetto che Renèe e Marie si stiano segretamente simpatiche, ma che preferiscano mostrarsi fredde l'una nei confronti dell'altra per una banalissima questione d'orgoglio.

-Mamma, devo correre o arriverò in ritardo!- sibilo irritata quando la vedo posare sul tavolo un piatto pieno di pane e formaggio. Renèe assottiglia lo sguardo.

-Devi mangiare, Bella! Sei troppo magra per i miei gusti-

-E' l'ultima moda, madre- ribatto, sorridendo con quel sorriso che so riuscirà a farla capitolare. E infatti affloscia le spalle, abbattuta.

-Bene- vorrebbe mostrarsi offesa, ma so che la sua è solo finzione. Rido, e in quel momento Charlie fa capolino dalla porta con in mano una grossa zappa sporca di fango.

-Attenta, Isabella- sbotta burbero, ma un lampo di dolcezza gli illumina il viso -Questa notte la pioggia ha ostruito tutte le strade-

Guardo incredula la morbida luce solare che abbraccia l'ampia campagna che circonda il nostro rudere.

La natura è così volubile, penso affascinata, e noi esseri umani siamo esattamente come lei. I nostri cambiamenti avvengono gradualmente -a volte radicalmente- e nelle nostre vite la pioggia si sostituisce sempre a momenti in cui il sole splende alto nel cielo. In quei momenti l'importante è godere di ciò che il destino ha in serbo per noi. Senza rimpianti, senza inutili recriminazioni, se abbiamo assaporato fino all'ultimo istante la felicità dei giorni passati saremo in grado di resistere anche alle tempeste più violente: quelle della nostra anima.

Scaccio questi sciocchi pensieri dalla mente -ecco il lato negativo di leggere troppi romanzi d'amore: dopo un po' si rischia di diventare poetici- e rivolgo un sorriso impaziente a Charlie.

-Non preoccuparti, papà- mi avvicino alla piccola stufa in rame della cucina, su cui Renèe ha steso -affinchè si scaldasse- la mia giacca primaverile. Me la poggio sulle spalle, e mamma mi porge una sgualcita valigia rossa che ho ereditato da lei.

-Ci ho messo anche un po' di latte fresco- sghignazza orgogliosa -Quel ragazzo ha bisogno di mangiare qualcosa di sano e naturale-

-Non preoccuparti, mamma. Penso io a lui- mi infilo un pezzo di pane in bocca, salutando i miei genitori con un bizzarro inchino di arrivederci -che più che un saluto voleva essere un modo per prenderli in giro- e fiondandomi verso la porta, ignorando gli improperi che mi urla mia madre e i borbottii seccati di papà.

Inizio a correre per la campagna aperta, e la mite aria primaverile mi sferza le guance, arrossandole.

Cerco di masticare la mia colazione senza affogarmi, pregando silenziosamente che il corriere delle otto non sia ancora partito -come farò ad arrivare alla villa senza nessuno che mi ci accompagni?- e calpestando senza pietà i fazzoletti di margherite che mi circondano. La luce del sole mi fa quasi lacrimare gli occhi, e la mia vista si appanna. Proprio quando mi trovo a pochi metri dal rudere degli Stanley -da cui ogni mattina parte una carrozza che fa il giro del circondario- sento due braccia circondarmi la vita e, spaventata, inizio a scalciare con forza, lottando con tutta me stessa per sfuggire alla presa dello sconosciuto.

Le conseguenze sono a dir poco catastrofiche. Ci ritroviamo entrambi a capitombolare sulla distesa d'erba, la mia colazione si riversa sull'umido prato e la mia gonna nuova si macchia di terra. Cosa diranno i padroni quando mi vedranno ridotta in questo stato?. Volto il capo, furibonda, pronta ad assalire chiunque abbia avuto il coraggio di combinare un simile disastro, e due occhi azzurri come il cielo mi restituiscono uno sguardo biricchino che mi fa scoppiare in una risatina sorpresa.

-Emmett!-

-Isabella- vorrebbe mostrarsi impassibile, ma la luce innamorata che gli brilla sul viso mi scalda il cuore e mi fa fremere di contentezza.

Scatto a sedere, fingendomi seccata.

-Come osi fare una cosa del genere? Sai che potrei farti uccidere per questo?-

Sghignazza divertito. Si alza, improvvisando un goffo inchino e mormorando con voce pomposa -Mi perdoni, Madame, per il mio imperdonabile comportamento- sorride -Non si ripeterà mai più un fatto di tanta disdicevole indecenza-

-Oh, sei sempre il solito cascamorto-

Mi porge una mano, aiutandomi ad alzarmi. Lancio un'occhiata alla mia gonna sporca di fango, per poi rivolgergli uno sguardo truce.

-Guarda cos'hai fatto, ignobile ragazzaccio!-

Sembra quasi credere alle mie parole ma, quando un fremito traditrice piega le mie labbra, si accorge che lo sto prendendo in giro.

Alza un sopracciglio -Ignobile ragazzaccio? Io?- ripete incredulo. Annuisco convinta, e una luce sadica gli attraversa il viso.

Scrolla il capo, e lo scricchiolio sinistro delle nocche delle sue mani preannuncia l'inizio della nostra solita sceneggiata. Un simpatico spettacolino a cui non sarei mai disposta a rinunciare.

-Preparati a correre, Isabella Swan, perchè giuro che se ti prendo ti faccio pentire di avermi chiamato a quel modo!-

Sono pochi i minuti che Emmett impiega per farmi capitolare. Il fatto che sia molto più alto e agile di me deve averlo sicuramente avantaggiato nella corsa. E tuttavia nulla può sostituire la felicità che provo quando il vento smuove i miei capelli, mentre calpesto le grandi distese d'erba e il sole mi lambisce il viso trasmettendomi una piacevole sensazione di terpore

Non abbastanza piacevole, però, da farmi trattenere un fremito d' eccitazione quando le braccia di Emmett mi circondano ancora una volta la vita. Le nostre risate risuonano nell'aria fredda, placida e profumata, ed un singulto di gioia mi scuote il petto quando Emmett si getta sul prato trascinandomi con sé, rotolandoci sui colorati fazzoletti di fiori dal profumo intenso e genuino.

-Basta! Emmett, smettila di trattarmi come se fossi un cane da compagnia!-

Sghignazza, senza però lasciarsi intimidire dalle mie minacce. Continua a farmi il solletico, e le sue dita si posano sulla mia pancia, facendomi sussultare e riempendomi il cuore di tenerezza.

Io ed Emmett siamo perfetti, insieme. Due bambini troppo cresciuti che non vogliono affrontare il mondo, che preferiscono rifugiarsi dietro sciocchi ideali infantili piuttosto che scontrarsi con la faticosa realtà che ci circonda.

-Se venisse a saperlo mio padre...- lo ammonisco, e un guizzo di decisione gli attraversa lo sguardo.

Mi prende il viso fra le mani, comprimendo i pollici sulle mie guance e osservando compiaciuto l'intenso rossore che le cosparge.

-Lo verrà presto a sapere, amor mio-

Prendo un respiro profondo. Ogni volta la stessa storia. Le sue promesse sussurrate che cozzano con il mio scetticismo. Lui che mi promette il mondo, io che alzo le spalle e fingo che aspettare il giorno in cui potremo uscire allo scoperto e dichiarare il nostro amore non sia così orribile come sembra. Emmett è il discendente di un ricco baronetto locale, che tuttavia ha preferito crescere suo figlio nell'aperta campagna londinese piuttosto che richiuderlo in uno di quei pomposi collegi che vanno di moda tra la gente di classe. E' così che ci siamo conosciuti, io e lui: stavo passeggiando al fianco di mia madre in una di quelle meravigliose fiere cittadine che i contadini locali allestiscono ogni fine settimana per vendere le loro merci, e all'improvviso i miei occhi incontrarono quelli azzurri come il cielo di Emmett. Ne rimasi colpita, ma finsi che la vista di quell'uomo così bello e affascinante non mi avesse minimamente scalfita. Peccato che Emmett non fosse dello stesso avviso e, pochi giorni dopo il nostro incontro, riuscì non so come a sapere chi fossi e, cosa ancora più importante, dove abitassi. Mi attese per ore sul pendio di una piccola collina che sono solita percorrere a piedi per recarmi al lavoro e, porgendomi una rosa selvatica e dedicandomi un sorriso dalla bellezza mozzafiato, si offrì di accompagnarmi lungo il tragitto fino al corriere che mi avrebbe condotta alla villa dei padroni. Accettai, lusingata dalle sue inaspettate attenzioni, e da quel giorno passarono due anni. Due anni in cui ebbimo modo di conoscerci e innamorarci, e in cui Emmett mi promise che avrebbe parlato al più presto con suo padre per chiedergli il permesso di sposarmi. Due anni in cui ancora continuo a sperare che le parole di Emmett non si rivelino un'infima bugia e che, senza alcuna assicurazione sul fatto che George Mc.Carty ci darà il suo beneplacito, si stanno decisamente rivelando più lunghi del previsto. D'altronde io sono solo un'insignificante cameriera. Una poveraccia, uno scarto della società. Lui, invece...

Sospiro, sfiorandogli la guancia con una carezza delicata -Quante volte me lo hai promesso, Emmett?-

Esita -Tante- ammette con una scrollata di spalle. I suoi occhi ardono nel viso pallido e scavato -Ma questa volta è la verità- raccoglie le mie mani tra le sue -Ti sposerò, Bella- sorride -Entro la fine dell'anno sarai mia- il bacio che segue le sue parole è qualcosa di assolutamente meraviglioso. Nessuno mi ha mai baciato in questo modo. Beh, per essere corretti sarebbe meglio dire che nessuno, a parte lui, ha mai anche solo osato sfiorare le mie labbra...

-Mio Dio, è tardissimo!- urlo all'improvviso, accorgendomi che io ed Emmett siamo stati abbracciati per più di un quarto d'ora.

Senza far caso alle sue risate e ai guaiti divertiti che mi inseguono, tipici della sua sfrenata esuberanza, inizio a correre verso il pendio della collina.

-Me la pagherai, mascalzone!- non faccio in tempo a sentire la sua risposta che mi trovo di fronte al cancelletto di casa Stanley, una piccola tenuta in pietra dall'aspetto abbandonato.

-Isabella, alla buon ora!- ulula Mrs Stanley con voce baritonale, pestando stizzosamente un piede per terra e indicandomi la vecchia carrozza nera che si sta apprestando a partire.

-Aspettate!- li imploro affannata, e il conducente mi lancia un'occhiataccia.

Grazie al cielo riesco a salire sul corriere, e una decina di ragazze in tenuta da lavoro mi accolgono con la tipica espressione placida e assonnata di chi non vuole proprio accettare che i giorni di vacanza sono finiti. Ognuna di loro presta servizio presso una prestigiosa villa del circondario, e ogni lunedì mattina tornano a svolgere le loro mansioni per poi far visita ai genitori durante i fine settimana, esattamente come me.

Sospiro, guardando assorta la campagna che scorre sotto ai miei occhi annoiati, il sole che illumina le grandi distese di girasoli e il vento che, impetuoso e crudele, scuote le fronde degli alberi, rimandandomi l'intenso profumo della natura che prende improvvisamente vita intorno a me.

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-Benedetta ragazza, finalmente sei arrivata!-

La governante, Mrs Kewkins, mi accoglie in cucina con un burbero abbraccio che mi affretto a ricambiare. I suoi occhi scivolano su di me, attenti e impassibili.

-Come hai passato questi due giorni, Isabella? Hai fatto di nuovo impazzire quella santa donna di tua madre  con le tue civette chiacchiere?-

-Oh no, Miss. Sono stata silenziosa come un fantasma- mento, posando la valigia sul pavimento e annusando l'aria. Mi illumino, rivolgendo alla donna un sorriso implorante.

-Non posso darti altre focacce, quest'oggi!- urla istericamente, agitando le braccia al cielo -La signora mi ha ordinato di...-

-Lascia stare quel che dice la signora, Jeanne. Per quanto ti riguarda, sono ancora io che comando qui- pronuncia una voce suadente, e intorno a noi scende un silenzio spettrale.

Volto il capo di scatto, sorpresa, e il mio cuore ha un sussulto quando incontro gli occhi verdi di un ragazzo dal viso pallido e smagrito -ma comunque affascinante-, l'ampia fronte sferzata da una folta ciocca di capelli castani striati di rosso, le mani tremanti strette intorno al bracciolo di un'imponente sedia a rotelle che imprigiona il suo corpo asciutto e slanciato, costringendolo all'immobilità.

Con le braccia spinge la sedia verso di me, e le ruote stridono a contatto con la fredda pietra del pavimento. Un'espressione felice gli illumina il viso, facendolo sembrare molto più giovane dei suoi diciannove anni inoltrati.

Sorrido -Ciao, Edward-

 

 

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Cinque capitoli, work in progress, Ooc e chiaramente AU. Mi è venuta in mente mentre rileggevo un passo di Rossella, di Alexandra Ripley: la prima parte della storia è fortemente ispirata a quel libro, così come il termine Cailleach (che letteralmente significa figlia del demonio). In questa fiction, ci tengo a dirlo, non si tratteranno temi come la magia, la stregoneria eccetera. Non sarà una storia particolarmente tragica, anzi spero di renderla piuttosto leggera, nonostante tratti un argomento abbastanza delicato. Mi auguro di riuscire a scrivere al più presto il nuovo capitolo. Nel frattempo mi piacerebbe sapere cosa ne pensate. :) Un bacio, Eli.  

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Capitolo 2
*** #2 ***


 

    Vieni via con me
 


#2
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Bisogna essere molto forti per amare la solitudine

(Pier Paolo Pasolini)

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Quando aveva sedici anni, Edward Cullen, primogenito di una delle più prestigiose casate nobiliari del nord Inghilterra, giovane e intrepido uomo dal carattere irruente e spigliato, venne coinvolto in una tragedia che avrebbe per sempre segnato le sorti del suo destino.

Carlisle Cullen, marito devoto e affettuoso padre di famiglia, venne arrestato dalle guardie britanniche con l'accusa di essere un sovvertivo rivoluzionario che, insieme ad altri componenti della piccola nobiltà inglese, avrebbero cercato di scatenare il caos in una già di per sé complessa situazione politica, in cui le prime lotte operaie per i diritti dei lavoratori avevano scombussolato la rigida mentalità classista dei baronetti locali.

Carlisle venne giustiziato tre settimane dopo, lasciando una moglie innamorata e un ragazzino fermamente convinto che il padre fosse l'uomo più meraviglioso della terra. Un maestro, una figura da emulare e idolatrare, come le sacre statue pagane a cui tutt'ora i credenti più fedeli s'inginocchiano segretamente, implorando eterna salvezza.

La famiglia Cullen fu letteralmente travolta dal dolore. Esme, una gentile signora dall'aspetto mite e mansueto, frappose fra lei e il resto del mondo una barriera che l'aveva gradualmente allontanata dalle persone che più amava, compresi amici, parenti e persino il suo unico figlio, che si trovò all'improvviso solo, abbandonato e in balia di sé stesso, alle prese con un'irrequieta adolescenza che, senza la presenza del padre a frenare la sua impulsività, lo aveva indotto ad assumere comportamenti a dir poco spregiudicati.

L'Edward che sorrideva alla vita, ansioso di compiere nuove esperienze non esisteva più: al suo posto c'era un ragazzino troppo cresciuto che voleva a tutti i costi mostrarsi forte e inscalfibile persino di fronte alla sofferenza che la perdita dell'amato genitore gli aveva causato. Il suo carattere irruente mutò in una radicale tempestività che lo induceva ad assumere gli atteggiamenti più spericolati e a non tirarsi mai indietro, neanche di fronte alle follie più impensabili: divenne assiduo frequentatore di bordelli e locali di dubbia fama, iniziò a sfidare a colpi di pistola chiunque intralciasse il suo cammino, partecipò a pericolosi giochi d'azzardo e, ultimo ma non meno letale, iniziò ad appassionarsi all'equitazione.

Fu proprio quest'ultimo vezzo a costargli la perdita delle gambe: in una mite giornata primaverile in cui l'aria è calda e il sole splende alto nel cielo, abbracciando con i suoi caldi raggi l'aspra campagna, Edward inscenò con alcuni suoi amici -ricchi baronetti locali dalla fama di spietati libertini- una gara a cavallo tra i folti boschi inglesi, in mezzo alle selvagge foreste del nord di cui le credenze popolari vociferano essere popolate da terribili streghe dall'animo malvagio.

Ma non furono le streghe a causare la rovina di Edward. Tra le risate spensierate dei suoi giovani amici, mentre il vento soffiava poderoso dall'oceano scuotendo le fronde degli alberi e rimandando l'odore acre e genuino della natura incontaminata, un inaspettato ostacolo si frappose fra l'apparentemente certa vittoria di Edward: un piccolo ruscello sassoso su cui l'acqua scorreva limpida e trasparente, baciata dai benevoli raggi solari e solleticata dal muschio selvatico che s'incastrava fra le pietre ramificandosi sul letto del fiumiciattolo. Le conseguenze furono a dir poco catastrofiche: la spietata natura tesse la trappola perfetta per quel giovane ragazzo dall'animo ferito e sanguinante; il destriero caracollò, pestò le zampe sulle rocce e quasi si ribaltò, atterrando su un fianco e nitrendo di sorpresa.

Edward venne scaraventato a terra; l'impatto fu letale, e mise fine a quel periodo di sfrenato divertimento, che in realtà nascondeva il semplice desiderio di non accettare un lutto troppo doloroso persino per lui.




L'uomo che adesso mi trovo davanti, invece, non mostra nulla della baldanzosa arroganza che lo contraddistingueva un tempo. Il suo sorriso mite e l'espressione adombrata lo rendono ancora più affascinante del solito, e tuttavia la tristezza che si intravede nel suo sguardo -una tristezza profonda e inscalfibile, impossibile da cancellare- lo fa sembrare un animale in gabbia che lotta con tutto sé stesso per liberarsi dalle catene che lo imprigionano.

-Ben tornata, Isabella- sussurra con voce roca, regalandomi un sorriso genuino che mi affretto a ricambiare, scrollandomi di dosso quei tristi pensieri e cercando di tornare con i piedi per terra.

-Padron Edward- lo prendo in giro, improvvisando un buffo inchino di saluto e facendolo ridere. La sua risata contagia anche me, scaldandomi il cuore di un familiare senso di soddisfazione. Quella stessa soddisfazione che provo ogni volta che riesco a far tornare il sorriso su quel volto dai lineamenti perfetti. Gli occhi verdi brillano nell'incarnato pallido come la neve. Ho sempre sostenuto che Edward sia troppo magro per essere un ragazzo di quasi vent'anni, e tuttavia lui non ha mai voluto dare ascolto ai miei moniti sul fatto che si nutre troppo poco e troppo raramente. Ne ho parlato anche con la padrona, e lei ha annuito con aria assente, liquidandomi con un rigido cenno del capo e tornando alle sue letture, senza però più cercare di intavolare l'argomento.

Edward mi riporta alla realtà schiarendosi rumorosamente la gola. Scuoto il capo.

-Stavamo dicendo?- mormora, e un lampo ironico gli guizza negli occhi verdi come il mare.

Cerco di mettere ordine nel groviglio confuso che si agita nella mia mente, e un'idea improvvisa mi fa illuminare.

-Stavamo dicendo che Jeanne non mi vuole fare assaggiare le sue deliziose focaccine-

E' un comportamento ignobile, il mio, ne sono più che consapevole. Sfruttare l'amicizia che mi lega al mio giovane padrone per costringere la governante ad ammorbidirsi un po'.

Edward ride leggermente, inclinando il capo all'indietro e mostrandomi i denti bianchi e curati -Sei sempre la solita, signorina Swan- si volta verso la donna - Jeanne, fai come ti ha detto Isabella-

-Ma signore!- sbotta lei rivolgendomi un'occhiata torva. Alzo le spalle, fingendo noncuranza. Pochi minuti dopo sgranocchio la mia focaccina alle mele, ignorando i borbottii seccati di Jeanne -se lo verrà a sapere la padrona sarò rovinata! Misericordia, come farò a tenere a bada queste due piccole pesti troppo cresciute? Non hanno neanche un po' di pietà per una povera vecchia come me!- e chiacchierando allegramente con Edward.

-Come hai passato le vacanze, Isabella?- muove la sedia verso di me, e le ruote cigolano stridule sul pavimento roccioso della cucina.

-Mmm...nulla di particolarmente interessante- mento, perchè so che Edward, quando io non ci sono, trascorre la maggior parte del tempo segregato nella sua stanza a leggere libri su libri che, personalmente, reputo la soluzione migliore per chi soffre d'insonnia. Non voglio intristirlo raccontandogli di quanto mi sia divertita a scorrazzare libera nei folti campi di girasoli che abbracciano la mia modesta fattoria, mano nella mano con l'amore della mia vita, allegri e spensierati come non mai.

-Ho aiutato Renèe a fare i panni e a spazzare il pavimento, ho mangiato un sacco di latte e formaggio e ho comperato una gonna nuova- faccio un giro su me stessa, facendomi ammirare dai suoi occhi benevoli che all'improvviso diventano cupi come l'inverno.

-Menti- alita con voce roca, circondando con mani tremanti i braccioli della carrozzella. Abbassa il viso, malinconico -Scommetto che ti sei divertita un mondo-

La sua espressione rassegnata mi fa fremere di dispiacere. E' così tenero, così dolce che a volte avrei voglia di abbracciarlo sussurrandogli che andrà tutto bene, che io ci sarò sempre, per lui. Ma sappiamo entrambi che non è vero e che presto dovremo definitivamente separarci, anche se Edward - che ormai mi considera più come una sorella che una semplice cameriera- rifiuta anche il solo pensiero, cambiando bruscamente discorso ogni volta che qualcuno ci ricorda che i nostri giorni insieme sono quasi terminati.

Mi avvicino, posandogli una mano sulla guancia e ignorando l'occhiata torva che mi rivolge Jeanne.

-Su, Edward, non fare così- lo rimprovero dolcemente, sorridendo -Non è stato un fine settimana memorabile, davvero. Non ho fatto nulla di così divertente da essere raccontato-

-Non dirmi bugie, Bella- serra i denti, gli occhi brucianti e il viso impenetrabile. Rabbrividisco quando le sue mani si stringono alle mie -Sai che non è vero-

-Come fai ad esserne certo?-

Il suo sguardo sembra quasi volermi penetrare l'anima, scandagliandone gli anfratti più oscuri ove si nascondono le mie menzogne. Menzogne nate per proteggerlo, scaturite dall'affetto che ci lega e che mi induce a cercare di non sottoporlo a inutili sofferenze, come lo sarebbe la consapevolezza che la mia libertà sarà qualcosa che lui non potrà mai sperimentare. Edward è come una splendida aquila rinchiusa in una gabbia di cristallo. Le sue meravigliose ali vorrebbero librarsi in cielo e assaporare l'ebrezza di potersi ricongiungere con la sua vera natura, ma il peso del dolore lo costringe all'immobilità e a un'esistenza misera che lui, nonostante tutto, non merita.

-I tuoi occhi- dice, interrompendo il flusso frenetico dei miei pensieri. Le sue dita esitano sulle mie guance, accarezzandole dolcemente, e i suoi polpastrelli sembrano infiammare la mia pelle e incendiare il mio cuore -I tuoi occhi non mentono. Non lo hanno mai fatto, nemmeno per un secondo- un respiro profondo -Non con me, almeno-

Faccio per rispondere, perchè il desiderio di rassicurarlo, di lenire la sua malinconia è più forte dell'imbarazzo che provo di fronte a questa strana situazione -e neanche tanto strana, considerando che io e Edward siamo amici da più di due anni e che, soprattutto, passiamo la maggior parte del tempo insieme, perchè il mio principale compito è quello di accudirlo e di tenergli compagnia- ma una voce fredda come il ghiaccio interrompe la magia del momento, facendomi sobbalzare.

-Che succede qui?-

E' Esme, la madre di Edward. Mi sollevo di scatto, voltandomi verso di lei e avvampando quando i suoi occhi assenti perlustrano attentamente la mia gonna macchiata di fango, i miei capelli scarruffati e l'invitante focaccina che reggo fra le mani.

-Jeanne, cosa ti avevo detto?- sbotta irritata, facendo sobbalzare la povera donna, che si affretta a scusarsi, allarmata:

-Signora, io sono davvero...-

-E' stato Edward a darle il permesso di farmela assaggiare- il mio tono è umile e supplichevole, perchè so che il comportamento di Esme è l'unico modo in cui un padrone dovrebbe rivolgersi alla sua serva. Non mi sono mai illusa che tutti i nobili possano concedermi la stessa confidenza che io e Edward usiamo l'uno nei confronti dell'altro. L'atteggiamento di Mrs Cullen è più che normale; quasi scontato, oserei dire. E' quello del mio padroncino a non esserlo affatto.

Il silenzio scende su di noi. I gelidi occhi di Esme scivolano ancora una volta nei miei.

-Sei tornata, Isabella-

Improvviso un goffo inchino di saluto, raddrizzandomi subito dopo
-Buon giorno, Signora Cullen-

Sorride freddamente, voltandosi verso suo figlio -E' vero, Edward, quello che dice Jeanne? Hai dato il permesso a Isabella...-

-Non vedo perchè non dovrei farlo, mamma- la interrompe lui.

Esme esita, stringendosi nelle spalle -Forse perchè è soltanto una cameriera e, in quanto tale, non dovrebbe prendersi tutte queste libertà?-

Edward apre la bocca per replicare, e già mi figuro la risposta acida con cui rimbeccherà la sua adorata -ma non troppo- madre, ma poi ci ripensa, inclinando il capo da un lato e indirizzandomi un sorrisetto malizioso.

-Bene- dice impassibile -Sono d'accordo con voi, madre. Isabella è solo una cameriera. E tuttavia è la mia cameriera personale, e siccome voi vi rifiutate di mangiare con me, lei è l'unica che può farmi compagnia durante i pasti. Sapete bene che non amo consumare la cena in solitudine-

Questo è un trucchetto che Edward usa spesso, soprattutto perchè sa che Esme, sotto la maschera di donna fredda e inflessibile, tiene moltissimo alla salute del suo unico figlio e farebbe qualsiasi cosa pur di vederlo sorridere. Ho sempre pensato che la signora Cullen sia una donna parecchio bizzarra. Fino a qualche mese prima mi adorava, e non faceva altro che avantaggiare la simpatia che era nata fra me e Edward. Poi, all'improvviso, il calore che mostrava nei miei confronti è come scomparso sostituendosi ad una baldanzosa ostilità che, all'inizio, mi ha a dir poco spiazzata.

Tuttavia i miei genitori mi avevano avvertita che i nobili, a volte, possono rivelarsi persone molto particolari, e di conseguenza mi sono presto rassegnata a questo drastico cambiamento.

Esme gli rivolge un'occhiata gelida, volta il capo verso di me e il suo sguardo mi fa intuire che lei e suo figlio non la pensano esattamente allo stesso modo per quanto riguarda le confidenze che io e Edward ci concediamo.

Dopodiché batte stizzosamente un piede per terra e se ne va, lasciandoci ancora una volta soli. Io e Edward ci guardiamo, sbalorditi, e una strana luce illumina il suo viso. Una luce che mi attrae ma che, al tempo stesso, mi trasmette uno strano e incomprensibile senso di inquietudine, facendomi quasi morire la voce in gola.

E poi, come ogni volta, il silenzio che è sceso su di noi viene interrotto dalle nostre risate divertite, ignorando l'espressione sconcertata della governante e lasciandoci andare ad uno dei nostri soliti momenti d'ilarità.

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"Chi amoroso osserva la notte della morte, a chi essa confida il suo profondo mistero: la menzogna del giorno, fama e onore, forza e ricchezza, come vana polvere di stelle innanzi a lui svanisce!... Fuor dal mondo, fuor dal giorno..."

-Non possiamo fare qualcos'altro, Edward?- mi lancia un'occhiata di sbieco, facendomi sorridere.

Mi passo una mano fra i capelli, contraendo la bocca in una smorfia e stirando lentamente le gambe. Sbadiglio.

-Sembri un micetto- scherza lui, intenerito. Gli faccio la linguaccia, aggiustandomi la gonna e inclinando il capo da un lato.

-Sono stufa di tutti questi libri- mi sollevo, posando le mani sui fianchi -Sono incredibilmente noiosi. Perchè dobbiamo sprecare tutto il nostro tempo con queste sciocchezze?-

-Non lo sono affatto, Bella. La conoscenza è importante, lo sai anche tu-

E' stato Edward a insegnarmi a leggere, quasi due anni prima. Ancora mi meraviglio ripensando con quanta pazienza riuscì a persuadere una quindicenne irrequieta come me a dedicare un po' del suo tempo ad attività meno concrete dello scorrazzare tra i campi di girasoli rotolandosi nell'erba fradicia di pioggia. Ero una ragazzina grezza e grossolana, allora: né Charlie né Renèe hanno mai dato la minima importanza ai libri, e sono sempre stati convinti che la cultura fosse la cosa più futile di questa terra. E' merito di Edward se oggi so cosa significhi sfogliare le pagine di un libro e nutrirsi delle emozioni che esso ti trasmette -universi paralleli e meravigliose storie d'amore, cavalieri valorosi e fragili donzelle in pericolo-, che con perseveranza e buona volontà mi ha reso una ragazza a modo dal linguaggio un po' più sofisticato delle mie coetanee.

In ogni caso, le attività intellettuali sono qualcosa che, nonostante tutto, ancora non riesco a tollerare. Nulla potrebbe mai compensare la gioia che provo nel poter correre libera tra i fazzoletti di fiori che colorano le aspre colline... neanche poter usufruire delle migliaia di tomi che la biblioteca di Villa Cullen mette a mia disposizione.

Edward lo sa, e spesso accontenta il mio desiderio di stare all'aria aperta accordandomi la sua compagnia in lunghe passeggiate sul morbido pendio della collina che delimita il palazzo, ma nonostante tutto continua a insistere sul fatto che devo ancora migliorare la mia istruzione e che non sarà soddisfatto finchè non avrò davvero assaporato il piacere di passare un intero pomeriggio concentrata sui pesanti volumi che mi costringe a leggergli ogni giorno.

-Bella?- Edward mi richiama alla realtà. Lo guardo, perdendomi nei suoi occhi verdi, e lui sorride mestamente, sfiorandomi la mano con la sua -Sempre nel mondo delle meraviglie, vero?-

-Mi perdoni, signor Cullen- lo prendo in giro con voce pomposa, esibendomi in un goffo inchino -Le prometto che non succederà più-

La sua risata è quanto di più dolce e melodioso possa esistere. Si allunga verso di me, facendo una smorfia quando si accorge che quasi non riesce a raggiungermi e afferrandomi per la vita. Lancio un urletto di sorpresa e lui sghignazza compiaciuto, costringendomi a sedere sulle sue gambe. Le sue labbra sembrano quasi sfiorarmi i capelli, ma probabilmente è tutto frutto della mia immaginazione.

-Vieni qua- dice, posando le mani sulla mia pancia e imprigionandomi nella sua stretta -Ho una cosa per te- il suo fiato si infrange sul mio collo, facendomi fremere d'aspettativa.

-Cosa?- sussurro impaziente, e lo sento sorridere dietro di me. Prima che le nostre dita si intreccino, la mia pelle avverte qualcosa di freddo sferzarmi la gola. Abbasso lo sguardo, e i miei occhi si sgranano a dismisura quando vedo una delicata collanina in argento sfiorarmi lo scollo della camicia, da cui pende un meraviglioso ciondolo a forma di cuore con ai margini una levetta dorata.

-Lì potrai metterci una foto di noi due- esita -Se mai ne faremo una-

-Edward...-

-Credevi che mi fossi dimenticato che ieri era il tuo compleanno?- mi bacia i capelli, facendomi arrossire. Solo quando siamo soli possiamo permetterci gesti così intimi, perchè so che nessuno capirebbe ciò che davvero lega me ed Edward e, soprattutto, che tra di noi non c'è alcuna malizia...credo.

Le sue mani mi comprimono la pancia. Il suo calore è piacevole, naturale, spontaneo, e il mio corpo lo registra come qualcosa di estremamente rilassante. Sospiro, poggiando il capo sull'incavo del suo collo. Mi stringe a sé con più forza -Ti ho pensato tanto, in questi due giorni- sospira, e il suo alito caldo mi sferza le narici -Ho pensato che...-

-Edward!- una voce gelida ci fa sobbalzare. Mi sollevo di scatto, allontanandomi da lui e appoggiandomi alla cornice dell'ampia finestra che si affaccia sul giardino della villa. Ho quasi paura di incontrare i suoi occhi: l'imbarazzo per ciò che è appena accaduto sarebbe troppo da sopportare persino per me. Le mie guance sono sicuramente rosse come un pomodoro maturo, il respiro accelerato, il cuore impazzito e l'espressione istupidita.

-Edward!- ripete Esme, spalancando la porta e irrompendo nella stanza. Sento il suo sguardo penetrarmi la schiena, ma faccio finta di nulla -Tanya è qui- il suo tono si addolcisce -E' più di mezz'ora che ti aspetta. Muoviti a scendere- un respiro profondo -Bella!- abbaia burbera, senza neanche darmi il tempo di voltarmi -Vieni ad aiutare Jeanne a servire il thè. Ora!- dopodichè se ne va, lasciandoci immersi in uno sgradevole silenzio. Mi volto verso di lui, accorgendomi subito che i suoi occhi sono diventati freddi come il ghiaccio. Impassibili, imperturbabili, privi di qualsivoglia emozione.

-Andiamo, Edward- sorrido mestamente -La tua fidanzata ci aspetta-

 

 

 

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L'ho letto una sola volta, e inoltre questo capitolo è l'ennesimo frutto dell'insonnia. Quindi probabilmente farà abbastanza pena, ma è il meglio che sono riuscita a fare. Grazie a chi ha commentato lo scorso aggiornamento: sono contenta che la storia vi piaccia. In ogni caso, facendo una stima approssimativa, mi sono resa conto che probabilmente la fiction avrà meno di cinque capitoli. Non ne sono ancora certa...per ora mi limito a scrivere ciò che il mio povero cervello stressato partorisce :D. Non so quando aggiornerò...l'ispirazione va e viene, in questo periodo. Un bacio, Elisa. 

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Capitolo 3
*** #3 ***


 

    Vieni via con me
 


#3
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E lei volò fra le tue braccia | come una rondine, | e le sue dita come lacrime, | dal tuo ciglio alla gola, | suggerivano al viso | una volta ignorato | la tenerezza d'un sorriso, | un affetto quasi implorato.

(Fabrizio de Andrè)

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-Creature vanagloriose e piene di ideali irraggiungibili- Tanya scuote il capo, e i suoi riccioli biondi ondeggiano dolcemente, sferzandole la profonda scollatura della camicetta color perla. Esme contrae le labbra, e un lampo di disappunto le attraversa lo sguardo, che si affretta prontamente ad abbassare. Poi, sorprendentemente, i suoi occhi scivolano nei miei, illuminati da un qualcosa che non riesco a definire...divertimento? Soddisfazione nel vedermi strisciare servizievole ai piedi di una ragazzina troppo cresciuta che, se soltanto potesse, sarebbe capace di uccidermi con la sola forza del pensiero?

Un sorrisetto divertito mi piega le labbra. Tanya Denali, vent'anni, gelidi occhi azzurri e un pallido visino dall'angolatura squadrata, è la fidanzata di Edward da quasi sei mesi, nonché futura Signora Cullen e padrona di questa casa. La loro unione è stata programmata dalle rispettive famiglie sin dalla nascita dei due promessi, entrambi nati nello stesso anno. Particolare non irrilevante , è il fatto che lei e Edward sono cugini e che a mala pena si sopportano. Tanya è una ragazza dal carattere piuttosto particolare: al mondo esterno può apparire una donnina frivola e dalla dubbia morale, sempre vestita alla moda e con ben pochi interessi, se non quello di acconciarsi i capelli e rimirare allo specchio la sua a dir poco eccezionale bellezza. E tuttavia, in compagnia del suo futuro marito ha mostrato un lato di sé che mai mi sarei aspettata di intravedere: l'imperturbabile freddezza con cui gli si rivolge mi fa intuire che neanche lei, esattamente come Edward, è particolarmente entusiasta di questo matrimonio.

Né io né Edward tolleriamo il modo in cui squadra la sedia a rotelle che imprigiona il suo giovane corpo: uno sguardo di puro disprezzo che riesce a dissimulare soltanto rendendo i suoi occhi vitrei e impenetrabili come una lastra di ghiaccio, conscia che chiunque con un minimo di intuito potrebbe accorgersi che il difetto fisico del suo futuro sposo non le è affatto gradito.

-Bella?- la voce di Esme mi richiama all'ordine. Sospiro, annuendo impassibile e chinandomi verso il tavolino. Riempo la teiera con l'acqua fumante, la mescolo a tre cucchiaini di tè e poso la delicata porcellana sul vassoio. Gli occhi di Edward sembrano volermi penetrare la schiena; sono così intensi da cospargermi la pelle di brividi. Inizio a servire il tè, coprendomi le mani con uno straccio e riempendo la tazza di Esme. Un lampo di dolcezza le attraversa il viso. A volte, i suoi cambiamenti di umore sono così repentini da farmi girare la testa. Dopodiché passo a Tanya, che continua a ciarlare su quanto sia insensata la nascita di schieramenti formati dalle terribili "Suffragettes", un movimento di emancipazione femminile (è stato Edward a insegnarmi questa parola, in quanto ha dichiarato di appoggiare a pieno gli ideali per cui quelle coraggiose donne combattono) il cui primo e maggiore obbiettivo è il riuscire ad ottenere il diritto di voto.

-Non ho idea di dove andremo a finire, se continueremo in questo modo-

-Tanya- commenta Esme, esitante: nei confronti della nipote ha sempre mantenuto un comportamento piuttosto mansueto, e ho il sospetto di averne ampiamente intuito il motivo: teme forse che la ragazza si rifiuti di sposare suo figlio? -Gli ideali per cui combattono quelle donne...-

-Donne è una parola con cui non meritano di essere etichettate, zia- la interrompe aspra Tanya scuotendo il capo -Perchè i loro ideali, come voi li chiamate, altro non sono che sogni irrealizzabili a cui nessuno darà mai importanza- esibendosi in una risata sprezzante -Diritto di voto? Emancipazione? Quale assurdità è mai questa? Sappiamo tutti che noi donne siamo destinate a prendere marito (possibilmente in giovane età) e ad accudire la loro casa e i loro bambini- lancia uno sguardo impassibile a Edward, ma nel profondo dei suoi occhi riesco a intravedere un'ombra di risentimento.

Edward si agita sulla sedia, a disagio. Quando gli passo accanto gli lascio una dolce carezza sulle spalle, sperando che nessuno abbia notato il mio gesto, e lo sento immediatamente rilassarsi. Mi sorride con gratitudine, e io non posso fare a meno di avvertire il cuore stringersi in una morsa di tenerezza: è così fragile e insicuro da assomigliare a una creatura indifesa e bisognosa d'affetto. A volte il mio odio per Tanya raggiunge i massimi livelli storici: è colpa sua se Edward ha a mala pena il coraggio di rivolgerle la parola, considerando che a né a me né a lui è passato inosservato il fatto che la ragazza sia evidentemente disgustata dal doversi sposare con un uomo che ha perso l'uso delle gambe. Si vede lontano un miglio che Tanya lo considera un essere inutile e insignificante, e i suoi modi accondiscendenti non nascondono la pietà e il disprezzo che nutre nei confronti di Edward. Spesso mi sono chiesta come possa Esme essere così cieca da costringere il suo unico figlio a frequentare una simile arpia.

-Isabella, tu che ne pensi?- la voce di Tanya mi fa sobbalzare. La caraffa mi traballa incerta fra le mani, facendo traboccare un rivoletto d'acqua bollente, che si riversa sulla mia gonna facendomi avvertire una fastidiosa sensazione di bruciore.

-Ahi!- sbotto, maledicendo la mia sbadataggine e ignorando la risatina soffocata che scuote il petto di Edward.

-E' tutto okay, Isabella?- sussurra Esme premurosa, e io la guardo, sorpresa. Come mai tutta questa gentilezza? Soffre forse di disturbi da personalità multipla? (Anche questa parola me l'ha insegnata Edward).

-Certo- rispondo impassibile, e la risata divertita di Tanya mi fa avvampare di vergogna.

-Sei sempre la solita sbadata...chi ve lo ha fatto fare, Esme cara, di assumere una cameriera così goffa?-

Non rispondo alla sua provocazione. Ad essere sinceri, ormai non faccio neanche più caso agli attacchi gratuiti a cui mi sottopone. Mia madre mi aveva avvertita che i ricchi sono spesso facili ad accanirsi con i loro sottoposti senza alcun apparente motivo, semplicemente per sfogare la rabbia repressa o le insoddisfazioni derivanti dalle loro stranezze. Il trucco consiste nel passare oltre, e nel non fare caso ai loro bizzarri comportamenti : un giorno sembrano amarti alla follia, tessendo all'infinito le tue doti di massaia e riempendoti di complimenti, e quello dopo vorrebbero ucciderti con le loro stesse mani.

In ogni caso, non ha alcuna importanza. Tra pochi mesi Edward e Tanya si sposeranno -sfortunatamente per entrambi, perchè non sono affatto una coppia ben congeniata- e il mio lavoro sarà finalmente terminato. Anche se, ogni volta che ci penso, il mio cuore si stringe in una morsa angosciata : come farà, Edward, a resistere senza di me? Chi si prenderà cura di lui? Chi lo sorreggerà nei momenti di sconforto? Tanya non è una compagnia molto stimolante, e ho il fermo sospetto che non sarà affatto una buona moglie per un uomo fragile e vulnerabile come lo è Edward. Soltanto io lo conosco davvero. Soltanto io so qual'è il suo cibo preferito, soltanto io ricordo quali sono i libri che ama rileggere. So che, prima di addormentarsi, ha bisogno di qualcuno che gli stringa la mano, perchè gli incubi del giorno dell'esecuzione di suo padre lo tormentano tutt'ora, togliendogli il sonno. So che è geloso delle sue cose, e che sono l'unica a cui le presta più che volentieri. So che ama il giallo, ma per questioni di etichetta non può mai indossare vestiti di questo colore. So che quanto guarda il sole sorgere nel cielo, abbracciando le ampie distese verdeggianti che circondano la villa, il respiro gli muore in gola e gli occhi gli si illuminano di gioia. Per poi tornare preda della tristezza più assoluta. Perchè Edward vorrebbe poter correre in cima al pendio della collina, lasciarsi sfiorare i capelli dal vento che spira impietoso dalla costa e rotolare nei fazzoletti di fiori profumati, ridendo spensierato come quando era un immaturo ragazzino di sedici anni.

So che odia quando sua madre lo tratta come un burattino da manovrare a suo piacimento; detesta le imposizioni perchè Edward è, nonostante tutto, uno spirito libero e mai smetterà di tormentarsi per aver perso la possibilità di sottrarsi alle catene che lo imprigionano a quella maledetta sedia a rotelle. So che quando mi osserva, nel suo sguardo si accende una luce nostalgica che lo riporta al passato, quando la sua unica preoccupazione era il fare la corte a compite signorine di buona famiglia. Io lo faccio sentire giovane, felice, e saprò sempre provvedere alle sue necessità. Tanya no. Tanya non potrà mai capirlo davvero. E non glie ne faccio neanche una colpa. Probabilmente, se fossi nei suoi panni e se avessi un animo superficiale come il suo, anche io mi sentirei soffocare di fronte alla prospettiva di contrarre un matrimonio senza amore con un uomo come Edward. Fragile, impotente, diverso. Tuttavia, ciò che più amo di lui è la sua diversità, che lo rende migliore degli altri elevandolo ad un livello che nessuno, ai miei occhi, potrà mai equiparare. Edward è una creatura pura. Sincera, genuina. Ma nessuno lo vede per ciò che è realmente. Le persone si accorgono soltanto dei suoi difetti, delle sue imperfezioni -fisiche e non-. Un paralitico, un emarginato. Il problema è che la gente non va oltre la superficie, e il fatto che Edward sia costretto ad intrappolarsi in un'unione senza amore mi fa decisamente infuriare.

La voce di Tanya mi riporta alla realtà.

-Dopotutto, devo ammettere che la vostra cameriera è piuttosto graziosa-

-Non è una cameriera, cugina- Edward freme di rabbia. Stringe i pugni. -E' la mia assistente personale-

Gli occhi di Tanya diventano gelidi -E ci sarebbe qualche differenza, mio caro Edward?- una pausa, e poi ancora, dedicandomi un sorrisetto divertito -Sai, Isabella, in questi due anni sei sbocciata come un piccolo fiore- esita, stringendosi nelle spalle -E ho saputo che molti uomini ti fanno la corte- un'espressione incredula prende vita sul suo volto -Il figlio del lattaio, quel tale Jacob Black...lo conosci?-

Annuisco rigidamente, e lei continua, imperturbabile -Ma non solo lui- il suo tono s'incrina. Una smorfia frustrata le piega le labbra -Si vocifera persino che il figlio del barone sia interessato alle tue doti...amatorie-

Il silenzio diventa rumoroso come lo sparo di un cannone. Mi sembra quasi di sentire il respiro di Edward ingolfarsi. Lo sguardo di Esme, invece, diventa cupo come l'inverno, non lasciando trasparire alcuna emozione.

E' proprio Tanya ad interromperlo, scoppiando in una risatina sarcastica -Ma ovviamente sono solo voci di corridoio...come potrebbe Emmett Mc.Carty interessarsi ad una poveretta qualsiasi?- congiunge le mani in segno di preghiera -Scusami, Isabella, per aver anche solo potuto insinuare una simile amenità. D'altronde tu sei una ragazza molto rispettosa, e sono certa che nessuno ha mai anche solo osato toccarti, nevvero?. Parola mia, Esme, non ho mai conosciuto una signorina più compita ed elegante di lei- i suoi occhi gelidi scivolano su di me -Nonostante la sua bassa levatura, ché purtroppo il buon Signore ha destinato tutti noi a vivere la vita in un determinato modo, e alcuni sono più sfortunati di altri-

Non mi sono mai sentita così umiliata in vita mia. Le mani mi tremano, le lacrime pungono e lottano per traboccare, le gambe si trasformano in un sostegno troppo incerto e traballante, tanto che sono praticamente costretta ad appoggiarmi al ripiano del tavolino per evitare di ruzzolare al suolo. Tuttavia, Tanya non sembra soddisfatta del turbamento che le sue parole mi hanno causato. Un sorrisetto di scherno le piega la bocca, facendo assomigliare i suoi lineamenti delicati a quelli del volto di un rapace. E' crudele, Tanya. Crudele, altezzosa e insignificante. E proprio perchè è così insignificante che cerca in ogni modo di far sentire i suoi sottoposti nient'altro che viscide nullità. Trae giovamento dalle loro umiliazioni; se ne compiacce , e non contenta li denigra e li svilisce ancora di più.

Proprio come avevo sospettato, la sua voce carezzevole torna ad impegnare lo strano silenzio che è sceso intorno a noi.

-Anche se, per quanto ti riguarda, parlare di opere divine è un po' troppo azzardato, non trovi Isabella?-

Un'altro colpo. L'ennesimo, e questa volta inferto con ancora più violenza.

Mia madre mi diede alla luce in una notte tempestosa di diciassette anni prima. Nessun medico avrebbe mai osato sfidare la tormenta che infuriava nella vallata, in cui la pioggia cadeva impietosa dal cielo e il vento scuoteva le fronde degli alberi accanendosi sulle aspre campagne che abbracciavano la mia modesta fattoria. Nessuno, tranne una fragile donnina dall'aspetto inquietante ma dall'animo più altruista che io abbia mai conosciuto. Marie Libvenchert, una fattucchiera discendente da una lunga stirpe di streghe originarie dell'Irlanda, emarginata e temuta da tutti a causa delle sciocche credenze popolari che la vedono protagonista. Costantemente circondata da una nebulosa patina di mistero, Marie salvò me e mia madre da morte certa, assistendola durante un parto prematuro e difficoltoso. Tuttavia nessuno -a parte Charlie e Renèe- la ringraziò mai per il suo operato: al contrario, a causa del suo buon cuore i cittadini iniziarono a nutrire seri dubbi sulle circostanze in cui venni al mondo. Grazie al suo intervento fui etichettata dai più come la figlia del demonio: si vociferava che non avessi lo stesso sangue dei miei genitori ma che, in realtà, la mia nascita fu il frutto di uno scandaloso incesto fra Marie Libvenchert e suo fratello Arnold, un malato di mente rinchiuso molti anni prima in un mattatoio. Ovviamente queste credenze sono totalmente inventate, ma sono molte le persone che, fino ad oggi, quando gli passo davanti si chiudono in un cupo silenzio facendosi il segno della croce e implorando il Signore di scongiurarli dalla maledizione che mi perseguita. Ecco perchè spesso mi sembra di riuscire a condividere il dolore e la solitudine di Edward: so cosa si prova ad essere giudicati a priori, so cosa significa sentirsi isolati e scherniti da persone che si credono migliori di me. E' la prima volta che Tanya mi sferra un simile colpo basso, e sia Esme che Edward si rendono conto che le sue parole mi hanno visibilmente scossa. Le lacrime premono per uscire, ma le trattengo. Il silenzio si intensifica, e persino i gelidi occhi di Tanya sembrano illuminarsi di una scintilla di atipico pentimento. Edward freme di rabbia, stringe i pugni e contrae le labbra in una smorfia inferocita: sta per esplodere, lo sento.

Dopo un istante che sembra durare un' eternità, Esme decide di intervenire:

-Bella- pronuncia con voce delicata -Il tuo lavoro è finito, qui- sorride flebilmente -Perchè non vai in camera a riposarti? Edward ti ha stancata abbastanza, per oggi-

Guardo Edward, guardo Tanya, osservo le loro espressioni torve e accigliate, per poi tornare a concentrarmi sulla mia padrona.

Il risentimento che nutro nei suoi confronti mi investe in un'ondata di anomala potenza. Scivola sul mio corpo, mi invade la mente, mi gonfia il cuore di un disprezzo a mala pena contenibile. Non mi aspettavo che prendesse le mie difese. Non me lo aspettavo neanche da Edward, se è per questo. E tuttavia, la sensazione di essere stata tradita mi incendia le vene come il peggiore dei veleni: nocivo e letale, spazza via qualsiasi barlume d'affetto che abbia mai provato per entrambi. Stringo i denti, inghiottisco l'umiliazione e raddrizzo il mento, lanciando alla mia padrona un'occhiata orgogliosa per ciò che sono, per ciò che ero e che sempre sarò.

-E' stato un piacere servirla, Miss- rivolgo a Tanya un sorrisetto ironico, non degnando Edward della minima attenzione e posando la teiera sul tavolinetto. Dopo un inchino carico di disprezzo mi dirigo verso le scale che portano al primo piano, mentre le lacrime iniziano a scendere dalle mie palpebre socchiuse. Il mio respiro s'ingolfa, i pensieri confusi in un groviglio in cui rabbia e delusione sono le sensazioni più forti fra tutte, prima che una mano delicata si posi sulle mie spalle, facendomi sussultare e costringendomi a voltare il capo.

Davanti a me, Tanya. La sua postura non è più rigida o impassibile. Le sue labbra sono piegate in una smorfia tremante, l'espressione vuota, impenetrabile. Anche i suoi, di occhi, sono pieni di lacrime represse.

-Io non posso...- scuote la testa. Sembra disperata. -Non posso sposarlo, Isabella- un respiro profondo -Non posso sposare Edward-

Non capisco il motivo per cui mi sta dicendo queste parole. Pensa forse di doversi giustificare con me, un'insignificante cameriera senza alcun apparente valore?

-Perchè?- sputo tra i denti, e lei sussulta. Non è più la donna forte e sicura di sé che credevo di conoscere. E' una ragazza fragile, vulnerabile, vittima di un destino che detesta con tutta sé stessa.

-Non lo amo- ribatte semplicemente.

-Al giorno d'oggi sono poche le persone che si possono concedere il lusso di un matrimonio d'amore, padrona-

Il suo sguardo si accende di una scintilla risentita -Tu non capisci. Non potrai mai capire quanto la mia vita sia penosa-

Una risata sarcastica mi scuote il petto -Raccontatela a qualcun altro, Miss- non so da dove venga tutta questa sfacciataggine, e sinceramente neanche mi interessa -Siete ricca, bella e piena di corteggiatori. I vostri genitori vi adorano e avete un fidanzato meraviglioso. Che cosa pretendete ancora, eh? Vorreste forse che tutto il mondo si inchinasse al vostro cospetto?-

Le sue mani fremono; sembra quasi che voglia prendermi a schiaffi. In ogni caso, non mi permetterei mai di reagire: incasserei semplicemente il colpo. Me lo merito, ne sono più che consapevole. Nessuno può permettersi di parlare in questo modo ad un suo superiore.

Ma Tanya scuote ancora una volta la testa, e una lacrima le solca le guance -Non capisci, Isabella- ripete risoluta -Io non amo Edward...come potrei sposarlo?-

-Perchè avete accettato, allora?-

-I miei genitori mi hanno costretta- sibila -E io non ho potuto dire di no. Bella, io non sarò mai la donna giusta per Edward, e lui non sarà mai l'uomo giusto per me. Io sogno un matrimonio facoltoso, sì, ma con qualcuno che sappia rispondere alle mie esigenze-

-Capisco- ribatto amaramente, certa di aver centrato il nocciolo della questione. Il mio sguardo dev'essere abbastanza eloquente, perchè Tanya drizza il mento, impettita.

-Non giudicarmi- bercia con voce tormentata -Non farlo, Bella Swan, perchè tu sei certamente una creatura molto più fortunata di me. Non amo Edward, ma sono costretta a sposarlo. Non lo amo, e sarò costretta ad accudire un uomo imprigionato in una sedia a rotelle che non potrà mai, mai rendermi felice! Come potrebbe farlo? Come? Io sogno splendore, gloria, ricchezza. Voglio partecipare a balli d'alta società, fare lunghe passeggiate a cavallo, voglio potermi vantare di avere un marito bello e forte che si prenda cura di me, che mi domini, che mi travolga. Edward non lo potrà mai fare...mai. Mi rovinerà la vita, e arriverò ad odiarlo talmente tanto da rovinare io stessa la sua! E io non lo amo- i suoi occhi consapevoli scivolano nei miei -Almeno, non come lo ami tu-.

Lo shock mi paralizza. Sono incredula, e non mi prendo neanche la briga di dissimulare la confusione in cui mi hanno gettata quelle parole. Confusione che si trasforma ben presto in una rabbia atroce, disumana. Come osa questa sciocca ragazzina insinuare una cosa del genere? Con che diritto lei...Dio, non voglio neanche pensarci. Perchè è vero, io amo Edward. Certo che lo amo. Lo amo come non ho mai amato nessun altro uomo, neanche il mio stesso padre. Neanche Emmett. Ma non lo amo di un amore malizioso o che profuma di passione. Lo amo come una sorella potrebbe amare un fratello maggiore, nulla più.

Me la scrollo di dosso, disgustata.

-Non ho più intenzione di ascoltare queste sciocchezze-

-Bella...-

-Non vi voglio ascoltare!- urlo con voce soffocata, correndo verso la mia stanza e chiudendomi la porta alle spalle. Ho paura di ripensare alle sue parole, e al reale significato che esse implicano. Non foglio farlo, né lo farò.

Prendo un respiro profondo, tentando di controllare il battito impazzito del mio cuore e gettandomi a peso morto sul materasso. Le mani mi tremano, gli occhi bruciano di lacrime e stanchezza, la testa mi pulsa ed ogni fibra del mio corpo mi implora di non torturarmi più con simili elucubrazioni.

Abbasso lo sguardo, sfinita, continuando a rimurginare inconsciamente sulle parole di Tanya, finchè il sonno non prende il sopravvento, trascinandomi lontana da quegli strani pensieri.

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-Ecco qui- sussurro con voce sommessa, posando sul materasso una pila di asciugamani puliti. Mi passo una mano fra i capelli, riassettandomi la gonna e iniziando a riordinare a capo chino le cianfrusaglie che si ammassano sul grande cassettone in mogano che giace ai piedi del letto. Il silenzio scende su di noi, facendomi fiorire un brivido d'apprensione sulla pelle. Scuoto la testa, tentando di frenare il tremore che mi ha invaso le mani e passando uno straccio vecchio che ho legato ai margini del mio vestito sul lucido ripiano di legno.

-Hai bisogno di qualcos altro?- faccio, ignorando i suoi occhi minacciosi fissi su di me. E' arrabbiato, anche se non ne capisco il motivo. Non mi sembra di essermi comportata male questo pomeriggio. O forse gli sono parsa troppo sfacciata nei confronti della sua adorabile fidanzatina?. Sospiro -Una tazza di tè?- continuo premurosa. Sorrido -Ti porto anche un po' di latte e miele...sei pallido-

-Non ho bisogno che mi parli come se fossi un bambino di cinque anni- sbotta con voce vibrante di rabbia. Sussulto, spostando lo sguardo e concentrandolo su un punto indefinito della finestra. La luna rimanda i suoi flebili bagliori dorati sulle mura della stanza, illuminando parte del viso di Edward e rivelando in tutto il suo crudele splendore la smorfia risentita che gli ha piegato le labbra. Rabbrividisco, annuendo rassegnata.

-Scusami, Edward. Non so cosa mi è preso stasera...-

-Vieni qui- mi interrompe lui, inflessibile. Alzo gli occhi, immergendoli nei suoi, verdi come il mare e cupi come la notte, e la sensazione di inquietudine che mi attanaglia lo stomaco diventa più urgente.

Esito, incerta -Edward...-

-Vieni qui, ho detto- consapevole di non potermi ancora a lungo sottrarre al suo ordine mi avvicino, e lui mi fa segno di sedermi al suo fianco. Le mie braccia sprofondano nel morbido materasso di piume, e il profumo di Edward m'investe le narici. Sento il suo viso a pochi centimetri dal mio collo. E' una sensazione strana, paradossale, ma il suo alito caldo che mi sfiora la pelle mi fa fremere di qualcosa di simile ad un incomprensibile desiderio. Le mie labbra si serrano, risolute: devo assolutamente scacciare gli impuri pensieri che l'insinuazione di Tanya hanno fatto nascere nella mia mente. Una missione che diventa ancora più difficile quando le dita di Edward si posano sul mio mento, costringendomi a voltare il viso verso di lui.

-Non sopporto quando sei così distaccata- la sua voce è morbida, suadente. Prende un respiro profondo, e i suoi polpastrelli esitano sulle mie guance arrossate, sfiorandole dolcemente -So che oggi ho sbagliato a non prendere le tue parti, ma...-

-Edward...-

-Non mi interrompere!- è nervoso, irritato. Mi stringe con più forza il viso fra le mani, e i nostri sguardi si intrecciano. Sospira -Non l'ho fatto per un semplice motivo, Bella: ero talmente soffocato dal disgusto che non sono riuscito neanche ad aprir bocca-

-Non dovresti parlare in questo modo- dico risoluta -Non dovresti, Edward. Tanya sarà presto tua moglie, ed è ora che iniziate a venirvi incontro-

-Non sai che cosa stai dicendo- ribatte amaramente, ed io scuoto la testa.

-Sì, invece. So che tu e lei sarete presto sposati e che formerete una famiglia. Tanya si prenderà cura di te e...-

La sua risata mi fa sobbalzare -Tanya si prenderà cura di me?- è incredulo -Tanya? La stessa Tanya che mi guarda con disprezzo e che mi rivolge a mala pena la parola?- la sua risata si trasforma in un gemito frustrato. I suoi occhi sono luminosi; splendono di una luce talmente intensa da farmi tremare fra le sue braccia -Dio, Bella. Perchè non capisci?- il suo tono s'incrina. Abbasso lo sguardo, incapace di reggere il peso di quelle gemme preziose che sembrano volermi penetrare l'anima. Mi hanno sempre fatto questo effetto, gli occhi di Edward. Sono talmente limpidi e sinceri da aprire le porte di un mondo nuovo e sconosciuto fatto di promesse e devozione, calore e solidarietà -Soltanto tu...- esita, timoroso di pronunciare quelle parole, e la sua voce si riempe di una dolcezza insostenibile -Soltanto tu sei in grado di prenderti cura di me-

-Imparerà anche lei- dico determinata -Imparerà ad amarti e a trattarti come meriti, Edward-

-Io non lo voglio il suo amore- è freddo, distante, come se un'invisibile lastra di ghiaccio si fosse all'improvviso frapposta tra noi. Mi libero dalla sua stretta, incapace di aggiungere altro. Faccio per alzarmi, per tornare in camera mia e continuare a torturarmi con questi inutili pensieri -pensieri inconsci che, nel giro di poche ore, si sono rivelati in tutta la loro intensità- ma Edward mi afferra una mano e la strige fra le sue, costringendomi a voltare il capo e ad incontrare la sua espressione fremente di rabbia e delusione.

-Resta con me, stanotte-

-Non posso- ribatto velocemente; troppo velocemente. Edward scuote la testa.

-Sai benissimo che potrei costringerti, se soltanto volessi- una smorfia cattiva gli piega le labbra quando vede le mie contrarsi dalla sorpresa. Non mi ha mai parlato in questo modo. Abbiamo già dormito insieme, in passato. I nostri corpi hanno già avuto occasione di condividere lo stesso letto; ho ormai perso il conto delle notti in cui Edward mi ha avvolta tra le sue braccia, attendendo con ansia che i miei occhi si chiudessero abbandonandosi al sonno. Ovviamente nessuno sa delle mie incursioni notturne nella sua stanza, quando entravo in punta di piedi facendo attenzione a non disturbarlo, sconvolta da incubi che mi perseguitavano anche nel dormiveglia. Soltanto lui è in grado di consolarmi in quei momenti, in cui il sottile confine fra realtà e fantasia si annulla e le mie paure più segrete incombono su di me come un'invisibile spada di Damocle. Ma adesso...adesso è tutto tanto, troppo diverso. Qualcosa è cambiato, fra noi, almeno per quanto mi riguarda. Le parole di Tanya mi hanno scavato dentro un vuoto incontenibile.

Non potrò mai amarlo...non come lo ami tu.

-Vieni qui- Edward, accorgendosi della mia confusione si allunga verso di me, e le sue braccia mi circondano la vita. Mi costringe a sdraiarmi sul materasso, sedendosi al mio fianco e guardandomi con un'intensità disarmante. Mi accoccolo su me stessa, sconfitta, chiudendo gli occhi e sorridendo rilassata quando sento le sue dita posarsi sulle mie guance. Le sfiora, le accarezza, ne saggia la morbidezza, esita sul pulsare frenetico del sangue che mi imporpora il viso. Si china su di me, e le sue labbra mi solleticano la pelle. Respira profondamente, e i nostri profumi si mescolano in un connubio perfetto, finchè non sento una sua mano intrecciarsi alla mia e la sua bocca accostarsi al mio orecchio. Un dolce fruscio di baci che mi fa rabbrividire, per poi intonare con voce traboccante d' emozione:

 

When I saw it coming, beautiful as you are

did not seem possible that among so many people that you notice me.

It was like flying, here in my room as in slumber within you.

I've known you forever and ever to love you.

Pretend you do not ever leave me but will end sooner or later

this long love story

now it is already late but it soon if you leave.

 

Conosco molto bene questa canzone. L'abbiamo cantata spesso, io e Edward, perchè ad entrambi piace il ritmo delicato e la spontaneità con cui il cantante dichiara il suo amore alla sua donna. Adesso, però, quelle parole assumono risvolti diversi, significati inaspettati, rivelazioni inconfessabili. Non so cosa ci stia succedendo, non so che cosa sia cambiato, tra noi. Tutto ciò che so, è il fatto che per niente al mondo scambierei questo momento. Involontariamente, le mie mani ricambiano la sua stretta, e dalle mie labbra escono quelle dolcissime parole che ho ormai praticamente imparato a memoria, tante sono le volte che io e Edward le abbiamo cantate.


Pretend that only two of us to pass the time but it will not

this long love story

Now it's late but it soon if you leave

It's too late but if you leave early.

 

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*** Quando ti ho vista arrivare
bella così come sei
non mi sembrava possibile che
tra tanta gente che tu ti accorgessi di me.
È stato come volare
qui dentro camera mia
come nel sonno più dentro di te
io ti conosco da sempre e ti amo da mai.
Fai finta di non lasciarmi mai anche se dovrà finire prima o poi
questa lunga storia d’amore
ora è già tardi ma è presto se tu te ne vai.

Fai finta che solo per noi due passerà il tempo ma non passerà
questa lunga storia d’amore.
Ora è già tardi ma è presto se tu te ne vai
È troppo tardi ma è presto se tu te ne vai.

Gino Paoli, una lunga storia d'amore.

 

 

 

 

 

Grazie a chi ha letto e a chi ha commentato lo scorso capitolo. Il prossimo probabilmente sarà l'ultimo...vedremo dove mi porterà l'ispirazione. Chiedo venia se troverete alcuni errori di battitura, l'ho corretto solo due volte e quindi è probabile che mi sia scappato qualcosa. Un bacio, Eli.

 

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Capitolo 4
*** #4 ***


 

Vieni via con me
 


#4
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Poi, d'improvviso, mi sciolse le mani | e le mie braccia divennero ali, | quando mi chiese: «Conosci l'estate?» | io, per un giorno, per un momento, | corsi a vedere il colore del vento.


(Fabrizio de Andrè)

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"Bella..."
Le braccia di Edward si stringono con più forza intorno alla mia vita. Struscia il naso sul mio collo, pronunciando il mio nome con voce bassa e suadente, facendomi fremere. Sorrido intenerita, voltandomi verso di lui e sfiorandogli i capelli castani, che gli ricadono sulla fronte in folte ciocche disordinate. La mia camicia da notte si solleva leggermente, le nostre gambe si sfiorano. Fremo, poggiando il capo sul suo petto e lanciando un'occhiata assonnata all'ampia finestra della stanza, da cui filtrano i primi raggi del sole mattutino, rimandandone l'intensa luminosità sulle pareti immacolate, incrinando le ombre che lambiscono, timide ma risolute, gli anfratti più isolati della stanza,  sfiorando le nostre mani saldamente intrecciate. 
"Russi troppo, lo sai vero?" conscia che non può sentirmi, sussurro queste parole a un centimetro dalle sue labbra, e lui sorride inconsciamente, posando il capo sui miei seni e sospirando compiaciuto. Avvampo, imbarazzata, pensando al modo migliore per scrollarmelo di dosso - lo conosco come le mie tasche, certo, ma non è  bene che si prenda simili confidenze, soprattutto perchè lui è fidanzato con un'altra ed io, beh...se tutto procede secondo i miei piani, entro il prossimo anno non sarò più Isabella Swan, ma tutti mi chiameranno Bella Mc.Carty, consorte del baronetto Emmett Mc Carty. In quel momento, uno strano rumore attira la mia attenzione. Quando volto il capo, incredula, il ticchettio aumenta d'intensità, e nello stesso istante scorgo un sassolino grigio e appuntito abbattersi sul vetro della finestra, decorata da scaglie colorate di infinitesimali dimensioni, le cornici di broccato scuro riccamente abbellite.
"Ma cosa..."
"Isabella!" una voce baritonale mi richiama all'ordine, facendomi sobbalzare. Osservo intimidita il viso di Edward, ancora immerso nel mondo dei sogni, per poi lasciargli un dolce bacio sulla guancia e allontanarmi da lui, sollevandomi dal materasso e posandomi il suo cappotto primaverile -piegato su una sedia là vicino- sulle spalle. Mi affretto a raggiungere la finestra, socchiudendola leggermente e squadrando il volto di  Emmett con occhi sgranati dalla sorpresa.
"Che ci fai tu qui?" bisbiglio, e lui ghigna beffardo.
"Sarei io a doverti fare una simile domanda, tesoro" sibila, infastidito dal fatto che mi abbia vista affacciarmi dalla finestra della camera di Edward. Emmett non si è mai mostrato geloso o intimidito dall'affetto che mi lega al mio giovane padrone, ma anche lui è un uomo e, in quanto tale, ha un orgoglio e dei limiti di sopportazione.  In questo caso, credo di averli ampiamente superati!
Scuoto il capo, dispiaciuta "Scusa, io..."
"Sì, certo, quello che vuoi" m' interrompe irritato, facendomi arrossire. Incrocia le braccia al petto, sorridendo malizioso, per poi protenderle  verso l'alto, implorante.
"Vieni con me?"
"Sei impazzito, Emmett?"
"No!" scrolla le spalle, esplodendo in una risata minacciosa. Gli faccio cenno di abbassare la voce, irata, lanciando un'occhiata preoccupata al viso dormiente di Edward, per poi tornare a voltarmi verso di lui.
"In ogni caso, non posso venire. Se Mrs. Esme dovesse scoprire una cosa del genere..."
"Non lo farà" mi assicura lui, risoluto "Ti tratterrò solo alcuni minuti" sfodera un sorriso compiaciuto "Ho una cosa da dirti"
Un brivido mi serpeggia lungo la spina dorsale a quest'ultima affermazione ma, quando registro la sua espressione imperturbabile -segno che non ha alcuna intenzione di darsi per vinto- decido di accontentarlo, annuendo sommessamente e ricambiando il suo sorriso di vittoria con uno rassegnato. D'altronde, questo è uno dei tanti compiti che dovrebbero spettare a una buona futura moglie, giusto? Soddisfare il suo uomo, sempre e comunque. 
Venti minuti dopo, io e Emmett ci troviamo a camminare sul roccioso pendio di una verdeggiante collinetta che svetta imperiosa fra i folti campi di girasoli che abbracciano la tenuta dei Cullen. Le sue dita giocherellano con le mie, delicate e impazienti. Quando le braccia di lui mi circondano la vita, sollevandomi in aria e facendomi ruotare su me stessa lancio un urlo, terrorizzata.
"Per l'amor del cielo, Emmet, che diavolo stai combinando?! Lasciami subito!"
"No, amore mio. Non posso" scoppia in una risata piena di gioia, arrestandosi all'improvviso e facendomi quasi barcollare all'indietro, se non ci fosse il suo corpo a sorreggermi e ad impedirmi di crollare a terra come un sacco di patate.
Scuoto il capo, sbalordita. "Sei pazzo" dico, per poi rassegnarmi a ricambiare il suo sorriso spensierato. Un gemito strozzato abbandona le mie labbra quando il fiato di Emmett mi sferza le narici, solleticandomi il palato. E' così buono, così familiare. E' Emmett. "E anche ubriaco! Che cosa hai combinato, sciocco ragazzino che non sei altro?"
Un lungo, interminabile istante di silenzio, e poi: "Ci sposiamo, Bella" sghignazza "Ho finalmente avuto il coraggio di parlare con i miei genitori, e loro mi hanno dato il permesso di chiedere la tua mano" una carezza leggera sulle guance, facendomi avvampare "Sei felice, amore mio?"
Un silenzio attonito segue la sua improvvisa -e del tutto inaspettata- rivelazione. Una notizia che dovrebbe rendermi la donna più felice di questa terra. E allora perchè mi sento come se il mondo mi fosse crollato addosso senza alcun preavviso, sovvertendo tutte le mie certezze, catapultandomi in una realtà che mi appare più incerta e traballante che mai?
Un brivido d'inquietudine mi serpeggia lungo la spina dorsale. Le mani mi tremano, il mio sguardo diventa lucido e uno strano dolore si sprigiona nel mio petto. So che dovrei sentirmi soddisfatta di quest'ennesima, agognata, sospirata vittoria. So che dovrei essere euforica, perché finalmente io e Emmett potremo mostrare il nostro amore agli occhi del mondo, senza più alcun bisogno di nasconderci o di fingere, perchè ho raggiunto il mio obbiettivo, perché l'uomo che desidero è a pochi passi da me e mi guarda come se fossi la creatura più meravigliosa dell'universo. E tuttavia non ci riesco, perchè la mia gioia è offuscata da pensieri che, fino a qualche istante prima, mai avrei pensato di riuscire anche solo a concepire...
Edward.
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"Dove diavolo sei stata?" la sua voce mi coglie di sorpresa, facendomi sobbalzare. Volto il capo di scatto, incredula, incontrando gli occhi chiari di Edward, sgranati dalla rabbia e dalla preoccupazione.
"Allora?" tuona inferocito, posando le braccia sulle ruote della sedia a rotelle e portandosi a pochi centimetri da me. Mi sfilo il cappotto con lentezza, distogliendo lo sguardo e posandolo sul comodino della mia camera, sospirando sommessamente.
"Isabella, esigo delle spiegazioni per quest' assenza. Subito" ignorando le sue parole, apro l'anta dell'armadio e inizio a frugare fra la vasta sequenza di abiti che lo riempono, estraendone uno marrone bordato di pizzo nero, il corpetto plissettato di sangallo bianco, la gonna ampia dai formali risvolti in taffetà francese.
"Sai che non mi piace quel vestito. Ti fa sembrare una cameriera"
"E' quello che sono, Edward" il tono amaro, rassegnato, la voce cosparsa da una nota di affettata superiorità, perchè so che la verità è, che se questi strani pensieri hanno improvvisamente riempito la mia mente -Edward e Bella, Bella e Edward, insieme- è anche e soprattutto colpa sua. Lui, che non mi ha mai trattata come merito. Lui che mi ha sempre fatta sentire parte della famiglia, e non una semplice governante che tenta di prendersi cura dei problemi fisici del suo giovane padrone. Ma è questo ciò che sono; una sguattera, una ragazzina di bassi natali che non potrà mai competere con le decine di pretendenti che ambiscono al titolo, alla posizione e al cuore di Edward. 
Riesco quasi ad avvertire l'ondata di rabbia che lo travolge quando pronuncio quelle parole. Dal giorno stesso in cui ci siamo conosciuti, Edward mi aveva avvertita che non avrebbe tollerato il fatto che qualcuno mi definisse una semplice cameriera al suo servizio. Il ricordo dei suoi occhi sognanti, del sorriso luminoso che gli aveva piegato le labbra quando i nostri sguardi si erano incontrati, e soprattutto di quella prima, fantastica notte in cui mi aveva chiesto di leggergli alcuni passi de "I Vicerè", il suo romanzo preferito, finendo poi per addormentarmi nel suo letto, le sue braccia strette intorno alla mia vita, la sua bocca a pochi centimetri dalla mia, respirando il mio profumo, catturandomi il respiro, i nostri cuori che battevano all'unisono, tum tum tum, tum tum tum, e poi ancora, fa affiorare le lacrime che ho così faticosamente trattenuto in presenza del mio fidanzato. Isabella Mc.Carty. Se queste parole, fino a qualche ora prima mi avrebbero fatta fremere di piacere, in questo momento riescono solo ad aprire nel mio petto una voragine che niente e nessuno riuscirà a colmare, neanche fra mille anni, neanche se avessi la facoltà di tornare indietro e compiere una scelta diversa; neanche se Emmett mi avesse detto che i suoi genitori non avrebbero mai acconsentito al nostro matrimonio.
Che cosa sono questi assurdi pensieri, Bella?, continuo a ripetermi come un mantra, inutilmente. Non lo so neanche io, ad essere sincera. Non so perchè, invece di essere felice, una profonda tristezza si è impadronita di me, la mente che si dibatte in un groviglio di pensieri uno più pericoloso dell'altro, scenari di un futuro che mi è stato negato fin dal principio, dal destino, dalle miei origini, dalla mia stessa ottusità. Una malinconia che sa di rimpianto, di dispiacere, di occasioni perdute e opportunità che, dal momento in cui Emmett mi ha resa partecipe dei suoi progetti -dei nostri progetti-, sono sfumate come neve al sole.  Non riesco a capire che cosa ci sia di sbagliato, in me. Fino a poche ore prima la mia vita era perfetta. Avevo un fidanzato che mi amava, dei genitori fantastici, un lavoro meraviglioso e un padrone che consideravo un fratello piuttosto che un semplice superiore. E' proprio quest'ultimo pensiero a farmi salire le lacrime agli occhi, costringendomi ad appoggiarmi all'anta dell'armadio per non cedere al peso che mi galleggia nello stomaco e che mi fa quasi cadere carponi sul pavimento. Perchè la verità è che ho all'improvviso realizzato che qualcosa è cambiato, fra me e Edward. E che ciò che ci unisce non è abbastanza. E forse mai lo sarà. La prospettiva di passare il resto della mia vita fra le braccia di Emmett, avvolta dal calore del suo corpo stretto al mio, circondati dai nostri bambini nella sua splendida dimora di campagna mi fa storcere il naso. Che diavolo mi succede? Sospiro.
"Allora?" tuona Edward, irritato, posando le mani sui miei fianchi e costringendomi a voltarmi verso di lui. Quando si accorge delle lacrime che mi solcano le guance sobbalza, sorpreso. 
"Che cosa..." è un attimo, l'istante in cui mi sento afferrare per la vita e atterrare carponi sulle sue gambe, rannicchiandomi contro di lui, mentre un pianto silenzioso mi scuote il petto.
"Isabella. Bella" pronuncia dolcemente, e il suo viso affonda nei miei capelli, respirando il mio profumo "Cosa succede? Perchè piangi?"
"Edward, io..." i singhiozzi mi impediscono di continuare, e lui mi solleva il mento con la punta delle dita, guardandomi con occhi pieni di tenerezza.
"Sai che con me puoi parlare, vero? Io ci sarò sempre, per te. Smettila di piangere, Bella. Non lo sopporto. Dimmi che cosa ti turba"
"Io..." come potrei confessargli che mi sto per legare indissolubilmente a un altro uomo? Consapevole che l'illusione amorosa in cui per anni mi sono cullata non esiste; patetico meticcio mentale che mi ero costruita per non accettare il fatto che il rapporto che mi unisce a Edward oltrepassa il semplice affetto fraterno. 
"Bella, ti prego..." la sua voce cambia, ed è così diversa, come se uno strano sospetto si fosse insinuato dentro di lui. Alzo lo sguardo, incontrando i suoi occhi socchiusi in un'espressione apparentemente impassibile, ma che non cela l'inquietudine tipica di chi sa che qualcosa di terribile sta per accadere. Ed è allora che mi convinco a parlare, a confessargli ciò che per anni gli ho tenuto nascosto. Credevo che mentirgli gli avrebbe impedito di soffrire; pensavo che questo era l'unico modo per proteggerlo dal pensiero che, a breve, io e lui saremmo stati costretti a separarci. Ma Edward merita di sapere; tutto ciò che posso fare per ripagarlo dell'affetto che fin dal principio mi ha regalato -senza pretese né recriminazioni, senza mai chiedere nulla in cambio, così, semplicemente, un amore genuino, profondo, spensierato ma altrettanto fedele, gli occhi accesi di gioia quando incontravano i miei, a dimostrazione del legame che ci unisce e che neanche il dolore, la lontananza, il rimpianto e la nostalgia riusciranno a recidere- è essere sincera.
Un respiro profondo, e poi: "Io..." le mani mi tremano; le nostre dita si sfilano, allontanandosi, e quel gesto, quell'improvvisa assenza di contatto, mi scava nel petto un vuoto incolmabile. Incancellabile. Per poi continuare, con voce meccanica, impersonale, come se il mio cuore tentasse in ogni modo di proteggersi dalla tempesta di emozioni contrastanti che imperversa dentro di me "Emmett Mc.Carty mi ha chiesto di sposarlo, Edward. E io ho accettato"
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Eccomi qui, in ritardissimo e con un capitolo che non mi piace affatto; probabilmente, devo riprendere dimistichezza con questa storia e con questi personaggi. Mi scuso per il ritardo con cui ho pubblicato, ma L'uomo che ama ha assorbito tutte le mie energie e adesso che è finalmente conclusa potrò dedicarmi alle altre storie senza ulteriori ritardi. Ringrazio le 18 persone che hanno commentato lo scorso capitolo; spero che non vi siate dimenticate di me e di questa storia, ragazze, e che continuerete a commentare e a farmi sapere cosa ne pensate di questi personaggi; è molto importante, per me, vedervi partecipi; senza il vostro appoggio, probabilmente non andrei da nessuna parte :D. Il prossimo capitolo sarà l'ultimo, e questa volta dico sul serio. Spero di riuscire a scriverlo al più presto, ispirazione permettendo. Un bacio, Elisa. 

 

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Capitolo 5
*** #5 ***


 

Vieni via con me
 


#5

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La vanità, fredda, gioiva: | un uomo s'era ucciso per il suo amore.
(Fabrizio de Andrè)
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"Emmett Mc.Carty mi ha chiesto di sposarlo. E io ho accettato"
Il silenzio che segue la mia esclamazione s'intensifica. Insinuandosi nelle pareti, strisciando attraverso il pavimento, raggiungendo i miei arti atrofizzati, immobilizzati da un'ansia gelida, impenetrabile; la sento schermarmi il corpo, circondarmi le caviglie, avvolgere ogni fibra del mio essere, ancora e ancora, mentre i suoi occhi, che fino a qualche istante prima brillavano di luce propria, diventano cupi come la notte; all'improvviso, è come se una fredda lastra di ghiaccio si fosse frapposta fra noi. La sento innalzarsi silenziosamente; le sue mura diventano sempre più solide, e l'eco della mia voce, bassa e impersonale, galleggia nell'aria in un'eco indistinto. E poi accade. Rabbia, stupore, incredulità si susseguono sul suo viso in un caleidoscopio di emozioni una più travolgente dell'altra, e sembrano scavarlo dentro,  sconvolgendolo nel profondo, mentre una serie di parole incoerenti abbandona le sue labbra, le guance paonazze che impallidiscono all'improvviso, per poi ridiventare color porpora, gli occhi infossati, sgranati in una muta esclamazione di sorpresa, le mani tremanti ancorate ai braccioli della sedia a rotelle, mentre lacrime di sconfitta iniziano a lambirmi il volto,  il petto oppresso dall'angoscia, dalla consapevolezza di essere stata così cieca, sorda ai richiami del cuore e della mente, perchè soltanto adesso, mentre vedo il dolore farsi strada nei suoi lineamenti, spazzando via la rabbia, la sorpresa, il rancore, la paura, tutto, mi rendo conto che è Edward l'unico uomo con cui avrei voluto costruirmi una famiglia. Emmett non esiste più, il mondo non esiste più, ci siamo solo io e lui. Io, Edward e l'improvvisa distanza che si è insinuata fra di noi.
"Cosa... che cosa hai detto?" la sua voce è fredda, imperturbabile. Rabbrividisco. 
"Io..."
"Hai davvero detto una cosa del genere?" esplode in una risata di scherno "Mi prendi in giro, vero? Emmett Mc.Carty? Emmett Mc.Carty ha chiesto la tua mano,  nonostante tu e lui non vi siate mai neanche rivolti la parola? Non lo conosci nemmeno, Bella!" un respiro profondo, e poi ancora: "Come avrebbe potuto Emmett..." la mia espressione lo riduce al silenzio. S'immobilizza, e il fiato gli muore in gola mentre il suo volto, d'apprima contratto in una smorfia di autentica incredulità, si tende in uno spasimo di consapevolezza. Ed è così, nel silenzio più assoluto, il cuore che mi rimbomba nel petto, tum tum tum, tum tum tum e poi ancora, veloce, sempre più veloce, le lacrime che mi lambiscono le guance, infuocandole, che sento le corde del nostro legame spezzarsi definitivamente. Rimbalzano fra le pareti di ricordi che ci vedono protagonisti, sfilacciandosi; un'amicizia sincera, profonda, che col passare del tempo si è trasformata in qualcosa di molto più significativo, e siamo stati entrambi così sciocchi a non accorgercene prima ma, dopotutto, cosa sarebbe cambiato se io e Edward avessimo preso coscienza dell'amore che proviamo l'una verso l'altro? Siamo troppo diversi, e lui è destinato a legarsi a un'altra donna; una donna che, nonostante la sua reticenza a voler contrarre matrimonio, con il passare del tempo si renderà conto di quanto sia stata fortunata a trovarsi al fianco di un uomo meraviglioso come Edward, e il doversi prendere cura di lui, a quel punto, sarà una parte insignificante della gioia che le procurerà la sua vicinanza. Ed io verrò dimenticata; accantonata in un angolino dei suoi pensieri, e la mia immagine diventerà nient altro che un ricordo, sfumato e indistinto, l'impenetrabile eco di un affetto fraterno che l'ingenuità, la solitudine, il desiderio di dare e ricevere amore ci ha portati a scambiare per qualcosa di più intenso e viscerale. 
E' la sua voce a riportarmi alla realtà.
"Vattene" il tono duro e inflessibile. Alzo il viso, e i miei occhi incontrano i suoi, lucidi di lacrime represse. Le sue labbra si contraggono in una smorfia di pura agonia.
"Vattene, non voglio più vederti"
"Edw..."
"Ho detto vattene!" il suo urlo squarcia il gelido silenzio che era sceso su di noi, penetrandomi la mente. E fa male, vedere come l'odio abbia sostituito l'assoluta devozione con cui un tempo mi guardava. Fa male osservare come quelle stesse lacrime che lambiscono il mio viso lottino per abbandonare anche il suo sguardo, ma Edward è troppo orgoglioso per rendermi partecipe del suo dolore e la rabbia è l'unico mezzo con cui può difendersi dal pensiero della nostra prossima -e inevitabile- separazione. 
Singhiozzo "Volevo dirtelo, Edward. Giuro che..." le sue mani scivolano intorno alle mie braccia, stringendole con forza. Mi strattona una, due, tre volte, lo sguardo infuocato, l'espressione impassibile.
"Non pensavo che saresti stata così subdola da nascondermi una cosa del genere, Isabella. Non dopo tutte le volte che ti ho fatto intendere che..." scuote il capo, e un altro singhiozzo mi scuote il petto.
"Presto ti sposerai" ribatto amaramente "Lo sappiamo entrambi. E' inutile negarlo"
"E' inutile negare che per tutti questi anni mi hai preso in giro!" grida infervorato, fuori di sé dalla rabbia "Nonostante ti abbia più volte rassicurata sul fatto che non sposerò mai Tanya. Nonostante le volte in cui ti ho sussurrato nel sonno che ti amavo. E tu, invece, per tutto questo tempo cos'hai fatto? Te la sei spassata con un altro, questa è la verità! Sei un'ipocrita, Bella. Una maledetta sgualdrina"
"Edward!" lo riprendo indignata, ma lui continua, imperterrito, tentando di nascondere quanto sia atroce il suo tormento:
"Esci dalla mia vita, Bella Swan. Non voglio vederti mai più, mi hai capito bene? Mai più!"
"Io..."
"Fuori!!" l'espressione sfigurata dalla rabbia; la ferocia dei suoi gesti mi costringe ad arretrare, ma neanche il lampo di paura che mi attraversa il viso sembra riuscire a calmarlo. Si prende il capo fra le mani, geme. Alza la testa, squadrandomi con odio, e un urlo animalesco si sprigiona nell'aria. Inizia a dibattersi freneticamente sulla sedia che imprigiona il suo giovane corpo, una trappola che non lascia scampo, ma la sua furia è incontenibile e gli da la forza di avvicinarsi alla scrivania e rovesciarne a terra tutto il contenuto.
Richiamata da quell'insolito trambusto, una Esme sbalordita fa capolino dalla porta socchiusa della stanza, osservando stupefatta il caos che regna incontrastato sul pavimento, per poi concentrarsi sullo scatto di rabbia di Edward. I suoi occhi scivolano nei miei, riempendosi di consapevolezza, e poi di disgusto. Si avvicina, chiamando a gran voce il nome della governante, ordinandole di occuparsi della salute del figlio, afferrandomi per un braccio e trascinandomi malamente fuori dalla camera, ignorando il mio frenetico dibattermi, le lacrime che mi bagnano le guance, i singhiozzi che mi scuotono il petto, persino il tentativo di liberarmi dalla sua stretta, perchè so di essere la sola in grado di frenare la rabbia di Edward, l'unica capace di tranquillizzarlo, di farlo tornare in sé, di fargli riprendere il controllo.  
Ma Esme me lo impedisce; le sue mani fremono quando mi circondano i fianchi, sospingendomi verso l'uscio socchiuso del suo ufficio, chiudendosi la porta alle spalle. Un lungo, interminabile istante di silenzio. Il suo sguardo mi trafigge da parte a parte mentre sussurra con voce rotta:
"Ho sempre saputo che gli avresti rovinato la vita. Sempre" faccio per parlare, per dirle che mi dispiace, che non avrei mai voluto causare tutto questo, ma lei non me lo permette. Scuote il capo "Quando ti ho vista la prima volta, ho pensato che saresti stata perfetta per diventare l'assistente di Edward. Eri così giovane e fresca, e la tua vitalità avrebbe potuto scuoterlo dall'isolamento in cui si è rinchiuso da quando suo padre ci ha lasciati. Non mi sbagliavo. Quando vi ho visti la prima volta, tu e Edward, insieme, ho subito capito che eravate fatti l'uno per l'altra. Che Edward si era innamorato di te, che pendeva dalle tue labbra, che avrebbe fatto di tutto per guadagnarsi la tua stima e la tua approvazione" freme mentre pronuncia quelle parole. Singhiozzo "Non mi sbagliavo neanche in quel caso. In quel momento, quando ho capito che tu e Edward eravate destinati, mi sono sentita la donna più felice del mondo. Ero una madre realizzata, perchè dopo la morte di Carlisle non sono più stata in grado di prendermi cura di mio figlio, e mi sentivo così sola, un'incapace, ma poi sei arrivata tu e tutto è cambiato. Ero persino  pronta ad ignorare i tuoi bassi natali, Isabella" prende fiato "Siamo all'alba di una nuova era, dopotutto: cosa importa se un nobile si unisce in matrimonio con una sguattera? Il mondo in cui viviamo è troppo frenetico per preoccuparsi di simili dettagli. Avrei fatto di tutto pur di vedere Edward felice, e ormai era evidente che solo al tuo fianco lo sarebbe stato" una pausa "Poi, un giorno, vi ho visti" sputa con disprezzo "Tu e Emmett, insieme. In quel momento ho iniziato a odiarti, perchè la tua leggerezza avrebbe distrutto tutte le speranze di Edward, e quella scoperta mi ha spezzato il cuore" percorre nervosamente il perimetro della piccola stanza, stando attenta a non incrociare il mio sguardo "Come sono certa che abbia spezzato il suo. Sapevo che questo momento sarebbe arrivato, e adesso puoi dichiararti soddisfatta" ride istericamente "Non sarai più costretta a prenderti cura di un malato, un paralitico, uno scarto della società. Diventerai Contessa. Sarai ricca, ammirata, tutti vorranno essere al tuo posto" i suoi occhi scivolano nei miei, gelidi e impassibili. Le lacrime continuano a bagnarmi le guance mentre quelle gemme adamantine percorrono con disprezzo ogni centimetro del mio corpo, piegando le labbra in una smorfia disgustata "E adesso esci fuori dalle nostre vite, Isabella Swan. Non abbiamo bisogno di te. Edward non ha bisogno di te. Tanya si prenderà cura di lui, e tu non rimarrai altro che uno spiacevole ricordo da cancellare il prima possibile"
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Tre mesi dopo
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Le mani di Renèe si immergono nei miei capelli, ravviandoli. Una leggera pressione sulla nuca, attorcigliandosene una ciocca fra le dita, la consistenza serica che si modella al brillante color giada che mi ha appuntato sulla base del collo da cui ricadono, sinuosi e intriganti, una cascata di boccoli castani tempestati da gocce di diamante di infinitesimali dimensioni. 
"Sei bellissima" le sue braccia mi circondano la vita, attirandomi a sé, e nello stesso istante sento le sue labbra, velate da un leggero strato di rossetto color porpora, posarsi sul mio capo; lacrime di commozione le scintillano negli occhi azzurri come l'oceano, le guance arrossate, lo sguardo che percorre lentamente l'elegante abito bianco che indosso, regalatomi dai genitori di Emmett per l'occasione. Renèe trattiene il respiro. Il raso bianco brilla sotto la luce artificiale del lampadario, che fa palpitare il ricamo d'argento come se fosse dotato di vita propria. E' un vestito fantastico, e tuttavia sento che non mi appartiene, che non è questo il mio posto, che non è questa la situazione in cui avrei voluto indossarlo. 
"Non avrei mai pensato che sarebbe arrivato questo giorno, tesoro. Non così presto, almeno. Tuo padre è quasi impazzito di gioia quando ha saputo che ti saresti sposata"
"Ti voglio bene, mamma" ribatto semplicemente, e lei sorride, lo sguardo limpido, l'espressione sognante, senza rendersi conto che la mia euforia è soltanto una maschera che indosso per proteggermi dal dolore che questa scelta mi ha procurato. Una scelta definitiva, da cui non potrò tornare indietro. Né ora né mai. 
Renèe mi lascia un dolce bacio sulla fronte, e le sue labbra fremono.
"Anche noi te ne vogliamo, bambina. E' solo per questo motivo che abbiamo acconsentito a tutto ciò: sappiamo che Emmett ti ama e che si prenderà cura di te" esplode in una risata civettuola "Non hai idea di quanto sia stato eccitante vantarmi con le mie amiche" sghignazza, per poi continuare: "Mia figlia ha conquistato il cuore dello scapolo più ambito della contea" si schernisce "D'altronde, sapevo che prima o poi sarebbe accaduta una cosa del genere" mi prende il viso fra le mani, sorridendo nostalgica "Sei troppo preziosa per fare la mia stessa vita, Bella. Tu meriti molto di più, e Emmett ti renderà felice"
Vorrei dirle che è stata la madre più meravigliosa del mondo, che ho sempre saputo di poter contare su di lei, e che Charlie è stato un padre ammirabile, in tutti i sensi. Vorrei dirle che mi mancherà, che senza di lei ogni cosa si svuoterà di significato, che io non sarò più la stessa quando anche loro saranno costretti a lasciarmi andare. Vorrei dirle che mi sento una sciocca, perchè sto per imprigionarmi in un matrimonio che non desidero, perchè non è Emmett l'uomo con cui sogno di costruirmi una famiglia, perchè ho la sensazione di avere abbandonato l'unica persona con cui mi sentivo libera di essere me stessa, lasciandolo annegare in un oceano di dolore e solitudine. Vorrei, ma non posso. 
Renèe appunta gli ultimi delicati ritocchi alla mia acconciatura, aiutandomi ad infilare i guanti di mussola bianca, per poi voltarsi verso di me, esibendosi in un'espressione incoraggiante "Sei pronta?"
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La grande stanza splende d'oro. Colonne dorate sorreggono il soffitto, piatti pilastri di colonne dorate riempono lo spazio delle pareti fra le alte finestre drappeggiate di velluto color cremisi bordato d'oro. Poltrone dorate tappezzate di velluto bianco circondano i tavoli per la cena allineati lungo le pareti, ognuno con al centro un candelabro d'oro. Un folto capannello di uomini e donne dagli abiti riccamente agghindati si ammassano al centro della sala, e si resta abbagliati soltanto a guardarli, con quei vestiti fatti di stoffe preziose -raso, velluto, broccato, seta- spesso ricamati di seta lucente o fili d'oro o d'argento; bottoni d'oro, spalline d'oro, alamari d'oro, galloni d'oro che brillano sulle divise di gala degli ufficiali di reggimento e sulle divise di corte degli ospiti più facoltosi. Sembra tutto così splendido, irreale, ed è come essere avvolti in una bolla di sapone, trasparente ed eterea, pronta a dissolversi al più flebile soffio di vento. Sospiro, e un fremito d'eccitazione piega le labbra di Renèe. Mi dedica un sorriso entusiasta, ed è allora che mi accorgo che l'attenzione degli invitati si è improvvisamente catapultata su di noi, mentre sento le mie guance colorarsi di rosa e lo sguardo farsi lucido dall'imbarazzo.
Finché non accade, e gli occhi di Emmett scivolano nei miei, limpidi e sinceri, velati di tenerezza, l'espressione impassibile ma profondamente emozionata, la postura rigida, le mani che si allungano verso le mie, ansiose di stringermi a sé. Ingoio l'angoscia che minaccia di sopraffarmi; non posso crollare, è tardi per i ripensamenti ed è giusto che resti fedele alla mia decisione. Ho scelto di sposare Emmett, di diventare la sua donna, di condividere il resto della mia vita con lui, e ogni incertezza deve dissolversi lasciando spazio alla consapevolezza che questa è la strada migliore che possa intraprendere.
Pochi metri ci dividono, e nel suo sguardo guizza un lampo d'impazienza. Costringo le mie guance a tendersi in un sorriso di circostanza ma, prima che le sue braccia si possano ancorare alla mia vita, attirandomi a sé, una Tanya dall'aspetto più scarmagliato che mai fa irruzione nella sala, frapponendosi fra me e il mio futuro marito.
"Bella!" infischiandosene degli sguardi stupefatti che la maggior parte dei presenti le rivolgono mi corre incontro, il fiato corto e l'espressione allarmata.
"Che cosa vuoi?" la rimbecco acidamente, e lei sussulta. Scuote il capo.
"Ti prego..."
"Lasciami in pace, Tanya"
"Non posso, Bella. Non posso permetterti di distruggere la mia felicità. Né quella di Edward" detto questo, le sue mani raccolgono le mie, depositandone sul dorso una lettera sgualcita e  macchiata d'inchiostro.
Il tempo si arresta; il silenzio mi avvolge in un'invisibile bolla di sapone, e tutto il resto sembra dissolversi mentre le mie dita, come mosse di vita propria, aprono la lettera, percorrendo con delicatezza i solchi che la mano di Edward ha lasciato sulla carta. 
 
 
When I saw it coming, beautiful as you are
 
did not seem possible that among so many people that you notice me.
 
It was like flying, here in my room as in slumber within you.
 
I've known you forever and ever to love you.
 
Pretend you do not ever leave me but will end sooner or later
 
this long love story
 
now it is already late but it soon if you leave.
 

Sussulto, sbalordita. Quella canzone...
 

Pretend that only two of us to pass the time but it will not
 
this long love story
 
Now it's late but it soon if you leave
 
It's too late but if you leave early.
 
 
Una lacrima mi solca le guance, seguita da un'altra, un'altra e un'altra ancora, fino a che un singhiozzo silenzioso  mi scuote il petto, attirando l'attenzione di Emmett. I suoi occhi scivolano nei miei, velati d'incredulità.
"Bella, ma cosa..."
Scuoto il capo "Mi dispiace, Emmett" sussurro quasi a me stessa "Mi dispiace così tanto"
Un sorriso pieno di gioia m'increspa le labbra mentre i miei occhi percorrono quasi freneticamente quelle ultime, indimenticabili parole che da tre mesi a questa parte riempono i miei giorni e le mie notti, perseguitandomi nel sonno, facendomi sospirare di nostalgia ogni volta che la mente mi riconduce a Edward, ed è come se ogni singolo, insignificante pensiero si svuotasse di significato, solidificandosi in un'unica certezza, e l'algoritmo è sempre lo stesso;  lo sento insinuarsi dentro di me, smuovere ogni centimetro della mia anima, ripetere all'infinito il nome dell'unico uomo che mi abbia mai fatto battere il cuore. Edward, Edward, Edward...
 
 
Non vorrei parlare, ma tu sei la frase d'amore cominciata e mai finita.
 
Tu sei il mio ieri, il mio oggi, il mio sempre. 
 
Tu sei come il vento, che porta violini e rose.
 
Ecco il mio destino. Adorarti, adorarti come la prima volta. 
 
Tu sei il mio sogno proibito, la mia unica speranza.
 
Vieni via con me.
 

In quel momento, capisco di aver fatto una scelta. E questa volta non tornerò indietro.



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Questo era l'ultimo capitolo, pace all'anima sua. Naturalmente sto scherzando :):) L'ho riletto una decina di volte, e continua a non piacermi. Ma non potevo -e soprattutto non volevo- farvi attendere oltre, per cui o la va o la spacca. Il finale è volutamente lasciato in sospeso: spetta a voi, adesso, immaginarvi come la storia andrà a finire. Bella tornerà da Edward? O deciderà, nonostante tutto, di sposare Emmett? Infine, ci sarà un epilogo? Non lo so; forse. Tutto dipende da quanto Madama Ispirazione sarà generosa con la sottoscritta. Detto questo, ringrazio le 10 meravigliose persone che hanno commentato lo scorso capitolo. Grazie, grazie, grazie, per il sostegno e l'affetto che mi avete dimostrato in questi mesi. Un bacio, Elisa.


 
 
 
 
 


Disclaimer: 
 
*La seconda parte del capitolo è fortemente ispirata al libro "Rossella" di Alexandra Ripley.
 
**Il testo in inglese è tratto dal brano "Una lunga storia d'amore", di Gino Paoli.
 
***L'ultima parte del capitolo (la dichiarazione di Edward)  l'ho presa in prestito dalla canzone "Parole parole" di Mina e A.Lupo. 

**** Quando ti ho vista arrivare
bella così come sei
non mi sembrava possibile che
tra tanta gente che tu ti accorgessi di me.
È stato come volare
qui dentro camera mia
come nel sonno più dentro di te
io ti conosco da sempre e ti amo da mai.
Fai finta di non lasciarmi mai anche se dovrà finire prima o poi
questa lunga storia d’amore
ora è già tardi ma è presto se tu te ne vai.
Fai finta che solo per noi due passerà il tempo ma non passerà
questa lunga storia d’amore.
Ora è già tardi ma è presto se tu te ne vai
È troppo tardi ma è presto se tu te ne vai.
 
 
 
 
 

Gino Paoli, una lunga storia d'amore.



 
 
 

 

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Capitolo 6
*** #EPILOGO ***


 

Vieni via con me
 


#Epilogo

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Quei giorni perduti a rincorrere il vento, | a chiederci un bacio e volerne altri cento.
(Fabrizio de Andrè)
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Tre anni dopo
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Un flebile raggio di sole filtra dalle alte finestre che incorniciano la grande stanza dorata, tappezzata da maestosi arazzi color cremisi su cui si affacciano, imponenti ed altere, una serie di colonne in marmo bianco che conducono, accompagnate da un sontuoso tappeto di velluto bordeaux, ad un piccolo trono sapientemente intagliato rivestito di seta grigia ai cui lati siedono un uomo e una donna dalle espressioni impassibili. 
"Vuoi tu, Tanya, prendere come sposo il qui presente Edward Cullen; giurare di amarlo, onorarlo e  rispettarlo in salute e in malattia, in ricchezza e in povertà, finché morte non vi separi?"
I riccioli biondi le incorniciano un viso pallido come la neve, i lineamenti fini, delicati, le labbra rosse come il peccato piegate in una smorfia imperscrutabile, la fronte aggrottata, lo sguardo vitreo che guizza insistentemente fra le mani del suo futuro marito, rigidamente strette intorno alle sue.
Un respiro profondo, e poi: "Sì, lo voglio"
Il pastore sorride, e il silenzio scende su di noi; lo sento avvolgermi il corpo, circondarmi le caviglie, avviluppandomi l'anima, e il dolore diventa sempre più forte, il cuore sanguina, geme e si contorce in preda ad un tormento che non conosce fine; le lacrime mi lambiscono il viso, ancora e ancora, e tutto ciò che vorrei fare è urlare che no, Edward non può sposarla; non si amano, non si desiderano, non hanno niente in comune; Tanya non è la donna giusta per lui, lo abbandonerà, lasciandolo in balia di se stesso, e a quel punto Edward si ritroverà solo, nessuno potrà correre in suo aiuto, lui ha bisogno di me... soltanto di me. Solo io posso amarlo come merita. E fa male, vedere come l'infelicità si sia addensata in quegli occhi verdi come l'oceano, così limpidi e sinceri; quegli occhi che mi hanno fatto battere il cuore, che mi hanno fatta ridere, arrossire, che hanno accompagnato tante sussurrate parole d'amore, illuminando il mio mondo, imprigionandomi in una realtà in cui nient altro aveva importanza: una realtà in cui c'eravamo soltanto io, Edward e il nostro amore, oggi e domani, ora e per sempre, sino alla fine dei nostri giorni.  
Le dita di Emmett, mio marito, si stringono intorno al mio braccio, attirandomi a sé. 
"Sei felice, amore mio?" dice, l'espressione calma, impassibile, ma nel suo tono si nasconde un'ombra di sospetto "Edward è sempre stato un buon amico, per te. Era ora che trovasse la sua strada"
Lo guardo, asciugandomi le lacrime che mi bagnano il viso con un frettoloso gesto della mano. Annuisco silenziosamente e il pastore continua, volgendo lo sguardo verso Edward.
"Vuoi tu, Edward, prendere la qui presente Tanya Denali come tua sposa; giurare di amarla, onorarla e rispettarla in salute e in malattia, in ricchezza e in povertà, finché morte non vi separi?"
I suoi occhi scivolano nei miei. E' un attimo, l'istante in cui li sento soffermarsi sulle braccia di Emmett, teneramente ancorate alla mia vita, e un lampo di rassegnazione illumina quelle gemme adamantine, screziate da sottili pagliuzze dorate, le folte ciglia castane che gli ombreggiano le guance bianche come il marmo; quando mi osserva posare il capo sul petto di mio marito si spengono, divenendo cupi come la notte. 
Un respiro profondo, il tono flebile, strozzato: "Sì, lo voglio"
La mia unica certezza è il fatto che, da questo momento in poi, niente sarà più come prima. 
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"Bella? Bella!!"
Un gemito di terrore abbandona le mie labbra. Spalanco gli occhi, scioccata, e l'oscurità m'inghiottisce. Il sudore m'imperla la fronte; lo sento scivolarmi lungo le guance, mescolandosi alle lacrime che mi lambiscono il viso, mentre i singhiozzi mi scuotono il petto facendomi contorcere in preda ad un violento attacco di nausea. 
"Bella, amore..." le braccia di Edward mi circondano la vita, attirandomi a sé. Lo guardo, perdendomi in quegli occhi chiari come l'oceano, luminosi come una calda giornata di sole, il volto contratto dall'ansia. Il suo profumo m'invade le narici, ed è così dolce, così familiare, una fragranza in grado di farmi impazzire di desiderio; in quel momento, i contorni del mio incubo diventano sempre più sfocati, mentre sento le sue dita attorcigliarsi intorno ai miei capelli, massaggiandomi teneramente il capo, le labbra a pochi centimetri dalle mie;  il suo respiro è calmo, controllato, e la sua vicinanza è capace, ancora una volta, di lenire l'angoscia, le incertezze, la paura, tutto
Sospiro, scrollo il capo e cerco di tornare alla realtà, concentrandomi sull'espressione ansiosa di Edward.
"Non preoccuparti" abbozzo un sorriso rassicurante, accarezzandogli una guancia con il dorso della mano "Era solo un incubo"
Aggrotta la fronte "Un altro?"
Prendo un respiro profondo, e le dita di Edward si posano sul mio ventre leggermente arrotondato, mentre un sorriso sarcastico gli piega le labbra "Non sarà questa piccola strega ad agitarti tanto, Bella?"
Sghignazzo "Era soltanto un incubo, Edward. E poi, ancora non sappiamo se è un maschio o una femmina"
"Sono certo che sarà una tua minuscola fotocopia"
Scuoto il capo, esasperata "Prega che non sia così, altrimenti ti farà impazzire ogni volta che tenterai di farla stare seduta, o che proverai ad impedirle di giocare nel fango"
Non risponde, continuando a lasciare circolari carezze sul mio ventre, sorridendo compiaciuto.
Sbadiglio, e la mia vista diventa sfocata. Edward sghignazza, facendomi poggiare il capo sul suo petto, posandomi un dolce bacio sulla fronte.
"Come posso aiutarti?"
Sorrido "Sai cosa fare"
Qualche istante dopo, sento la sua voce intonare le note della canzone che ha segnato l'inizio della nostra storia e che, fino a questo momento, ha accompagnato ogni giorno della nostra vita.
 

Non vorrei parlare, ma tu sei la frase d'amore cominciata e mai finita.

Tu sei il mio ieri, il mio oggi, il mio sempre. 
 
Tu sei come il vento, che porta violini e rose.


Sospiro, rilassandomi contro il suo corpo, lasciando che ogni incertezza scivoli via, permettendo al torpore di impossessarsi di me. Sorrido. Riesce ancora a scaldarmi il cuore, nonostante tutto. 


Ecco il mio destino. Adorarti, adorarti come la prima volta. 
 
Tu sei il mio sogno proibito, la mia unica speranza.
 
Vieni via con me.
 

Edward e Bella, Bella e Edward, oggi e domani, ora e per sempre, per l'eternità. 
Soltanto questo conta. 
 

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Spero che questo epilogo non vi abbia deluse; ci ho messo l'anima, e scriverlo è stato emozionante, soprattutto perchè mi ero affezionata a questi personaggi. Ringrazio le 12 meravigliose lettrici che hanno commentato lo scorso capitolo, chi ha seguito, preferito e ricordato la mia storia, e anche chi mi ha aggiunta fra gli autori preferiti. Un grazie speciale a Marta B., Lily M. e Solamente io per avermi incoraggiata a pubblicare l'epilogo di "Vieni via con me". Vi adoro, ragazze :):) Un bacio, Elisa. 

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