Stravolgimi la vita di Nejiko (/viewuser.php?uid=62395)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una serata fra amici ***
Capitolo 2: *** Incontro ***
Capitolo 3: *** Amici ***
Capitolo 1 *** Una serata fra amici ***
Dedicata alle ragazze dell'Urd
Café,
perché se
sono tornata a scrivere
è solo merito
vostro.
Non
era una delle sue giornate migliori, non lo era mai stata. Nonostante
il tempo passasse,
non avrebbe mai dimenticato. E non lo voleva nemmeno fare. Sembrava
quasi
desiderasse essere tormentato da quei ricordi, come se quella
sofferenza
potesse lavar via le sue colpe.
Odiava
quel periodo dell’anno, lo odiava con tutto se stesso
perché non era ancora
riuscito a perdonarsi.
E
non l’avrebbe mai fatto.
Stravolgimi la vita
di Nejiko
Camminava
svogliatamente, immerso nel fiume di persone che popolava il centro
della città
in quel movimentato sabato sera. Le insegne dei locali coloravano la
via
principale, piena nonostante l’ora tarda. La zona pedonale
aveva permesso ai
gestori di sistemare alcuni tavolini e le casse degli impianti audio
all’aperto
durante la bella stagione. Così, nascosti da piccole siepi
ornamentali e
ombrelloni aperti, se ne stavano seduti gruppetti d’amici
pronti a far chiasso.
Il
suo passo procedeva lento ma sicuro verso il solito locale,
accompagnato dalla
musica che animava a tratti la strada. Un groviglio di suoni vari e
completamente diversi fra loro, che si mescolavano via via lungo il
tragitto,
ma che gli scivolavano addosso senza che se ne rendesse conto.
La
leggera brezza serale gli solleticava il viso apparentemente annoiato.
Anche se
non era da lui sentirsi legato a certe tradizioni, non gli era
possibile
evitare quella che oramai era diventata una consuetudine. In fondo
quella
rimpatriata annuale era nata proprio per lui ed era certo che, se non
si fosse
fatto vivo, qualcuno di loro si sarebbe precipitato a prenderlo, per
poi
trascinarlo a peso morto sino al tavolino del pub.
Sospirò,
alzando leggermente il capo per osservare l’insegna; era
arrivato.
In
ritardo, come al solito, ma s’era presentato.
D’altra parte quello contava.
Ad
attenderlo, oltre quella soglia, una serata fra soli uomini con poche
regole:
nessuna fidanzata o moglie, nessun muso lungo e fiumi di birra.
Birra…
Il
sol pensare a quel liquido chiaro e dorato risvegliò in lui
il ricordo della
sbronza dell’anno precedente. Un brivido gli percorse la
schiena.
Come
dimenticarsi di una serata come quella…
Era
rincasato in uno stato pietoso, sorretto da Tenzo che l’aveva
abbandonato sul
divano e coperto a casaccio con un piccolo plaid. Si era svegliato poi
nel tardo
pomeriggio seguente con un mal di testa atroce, incapace
d’alzarsi e, come se
non bastasse, gli ci era voluta una giornata intera per rimettersi
vagamente in
piedi e tornare a sembrare un essere umano.
Un
altro sbuffo lasciò le sue labbra; non avrebbe fatto la
stessa fine, questa
volta non si sarebbe lasciato fregare.
Da
fuori quel posto sembrava un buco. Probabilmente se non fosse stato un
cliente
abituale non ci sarebbe mai entrato.
Osservando
l’intonaco vecchio della facciata e la porta logora non era
difficile dedurre
che quel bar non era certo in grado di reggere il paragone con i nuovi
locali
del centro, sicuramente più alla moda ed eleganti. Ma
ciò che conta è il
contenuto, non l’apparenza, e quel pub per lui era un posto
speciale, diciamo
pure che l’aveva visto crescere.
Entrò,
sicuro che gli altri lo stessero aspettando imprecando contro quel suo
dannato
vizio. Osservò le lancette dell’orologio da polso;
poco più di un’ora, non male
come ritardo.
Mosse
poi il suo sguardo tra i pesanti tavoli in legno, cercando fra i volti
noti
quelli degli amici. Non gli ci volle molto per trovarli.
I
ragazzi erano seduti al solito posto, vicino a quel flipper che ormai
faceva
storia. Da come si agitavano era certo che non fossero alla prima
pinta. Non
avevano perso tempo, sorrise.
Si
avvicinò, accolto poi dal più disastrato del
gruppo.
“Kakashi!”
esclamò una furia verde, travolgendolo in un abbraccio che
lo mise a disagio.
“Era
ora… Sei in ritardo di… di…”
Maito Gai si sforzava di capire che ore fossero “un
ora e sei minuti… Ti sembra il modo di fare?”
proseguì dopo aver strizzato gli
occhi diverse volte, in direzione del grande orologio di latta appeso
sopra le
loro teste.
“Mi
spiace, sono stato trattenuto…” rispose sbrigativo
mentre cercava di
divincolarsi dalla stretta dell’altro.
“Immagino…
Trattenuto da una bella donna come tuo solito…”
Tenzo fece capolino da dietro,
buttandogli un braccio al collo, lungo le spalle, per poi affiancarlo.
“Puzzi
già d’alcool, lo sai?”
replicò lui dopo aver notato i quattro boccali vuoti sul
tavolo, proprio davanti alla sedia coperta dalla giacca
dell’amico “Vedo che
non avete perso tempo…” continuò poi
allontanando con una mano il viso del
ragazzo, decisamente troppo vicino al suo.
“Dovevamo
pur far qualcosa mentre aspettavamo che sua altezza ci degnasse della
sua
presenza…” puntualizzò Tenzo
rimettendosi a sedere con non poca difficoltà.
Non
c’erano dubbi, quella birra stava già facendo
effetto.
“Avanti
Kakashi, siediti!” La voce di Asuma cancellò la
sua voglia di ribattere e,
accettando l’invito, si sedette accanto al più
anziano del gruppo.
Aveva sempre pensato
che, nonostante avessero
un solo anno di differenza, quella barba rendesse Sarutobi ancora
più vecchio.
O forse, a renderlo ai suoi occhi più vecchio era la fede
che portava al
dito. Era sempre
stato una persona
seria, con i piedi piantati per terra e portato per un legame duraturo.
Fra
tutti era quello che conduceva una vita più
“normale”. Diciamo pure che, come
volevasi dimostrare dalla sua totale lucidità, poteva essere
considerato il
saggio del gruppo.
“Sei
passato da lui, vero?” chiese prima di porgergli un boccale
pieno.
Kakashi
si limitò ad annuire con un gesto del capo, prima
d’afferrare il bicchiere ed
iniziare a bere.
Non
aveva voglia di parlarne e non credeva nemmeno che l’alcool
fosse la soluzione
migliore al suo problema visti gli esiti precedenti, ma rifiutare
l’invito di
Gai sarebbe stato troppo sfiancante. Quando quell’uomo si
fissava su qualcosa
l’unica alternativa possibile allo sfinimento era accettare
ed aver salva la
vita.
“Dannata
pallina!” tuonò la persona in questione alle prese
con il flipper “si può
sapere perché mi detesti tanto?”
continuò battendo sempre più forte sui tasti
laterali.
“Così
lo romperai…” sentenziò rassegnato
l’Hatake, poggiando il boccale quasi vuoto
sul tavolo.
“Taci…
batterò quel record o non mi chiamerò
più Maito Gai!” esclamò perentorio,
fissando i led rossi sul display “non lascerò che
il tuo nome resti al primo
posto ancora a lungo!”.
Kakashi
sospirò, chiedendosi come potesse quell’uomo
prendere seriamente ogni cavolata.
Insomma, era solo il punteggio di uno stupido flipper. Possibile che
tra loro
ogni minima cosa dovesse tramutarsi in una sfida?
Da
chi firmava prima il registro la mattina a chi raggiungeva per primo il
bar
della scuola per prendersi un caffè, da chi riusciva a
correggere con maggior
rapidità i compiti in classe al torneo interno di pallavolo,
ogni scusa era
buona per iniziare un nuovo confronto. E ciò che lo lasciava
sgomento era che
tenesse un punteggio di quelle insensate sfide.
Più
che un uomo che aveva passato la trentina, a suo avviso, sembrava
ancora un
adolescente. La sua energia travolgeva ogni cosa; mai una volta che si
perdesse
d’animo o accettasse un no. Un ciclone di vitalità
capace di distruggere tutto
e, soprattutto, tutti.
A
volte però, poche volte sia chiaro, per quanto quella
competizione continua lo
sfiancasse, aveva desiderato essere contagiato da quella sincera
allegria. Lui,
con quell’aria perennemente annoiata, aveva desiderato poter
possedere anche
solo un pizzico di quella spensieratezza.
“Che
ne dite di un'altra birra?” la voce di Tenzo lo
riportò alla realtà “magari
doppio malto…” puntualizzò poi
l’amico.
A
guardarlo bene, stravaccato su quella sedia, a metà fra la
sobrietà e la
sbronza totale, l’uomo seduto alla sua destra non sembrava di
certo il
professore di disegno di una delle più prestigiose scuole
della città.
Diplomatosi a pieni voti alla facoltà di architettura,
insegnava nel suo stesso
liceo da un paio d’anni. Si erano ritrovati fianco a fianco
dopo aver diviso
per un po’ lo stesso squallido appartamento durante gli studi
universitari. Tenzo
aveva superato brillantemente il bando di concorso, entrando a
sostituire il
vecchio Sarutobi ormai in pensione. Così, oltre a vederlo
praticamente tutte le
sere in quel pub, se l’era trovato persino in sala
professori.
“Molto
volentieri!” lo sguardo di Kakashi fu attirato da Gai e dal
suo smagliante
sorriso, da quella bizzarra figura con il pollice alzato in segno
d’assenso.
Scosse
il capo, lasciandosi andare ad uno sbuffo divertito. Visto
com’era iniziata, forse
quella serata non sarebbe stata poi così male.
Erano
ormai le due e mezza di notte, Kakashi aveva perso il conto di quanti
bicchieri
fossero passati su quel tavolo tra discorsi insensati e battute al
limite
dell’idiozia. L’alcool iniziava a farsi sentire per
tutti.
L’Hatake
se ne stava seduto malamente sulla lunga panca di legno, finemente
intagliata
da coltellini e penne varie, intento a capire perché il suo
collega stesse
esprimendo il suo profondo parere su ogni donna presente nel locale,
quasi
volesse affibbiargliene una. Come se non bastasse, Tenzo sembrava avere
il
pieno appoggio di Asuma, anch’egli caduto vittima del tasso
alcolemico elevato.
Era in netto svantaggio. Due contro uno. Uno che in quel momento poteva
aver
voglia di tutto tranne che d’attaccar bottone con il gentil
sesso.
Fortunatamente
almeno Gai era ancora impegnato con il flipper o, per meglio dire,
ciò che ne
restava, tanto da non badare minimamente ai loro discorsi.
La
furia verde, soprannominata così a causa della sua
proverbiale vitalità e del
suo abbigliamento perennemente di quel colore, se ne stava
lì, ancora intento a
seguire quella dannata pallina metallica che rimbalzava da una parte
all’altra,
nonostante i riflessi non fossero dei migliori, e imprecando davanti al
punteggio sul display dei record ancora invariato. Probabilmente se se
ne
fossero andati in quel preciso momento, nemmeno se ne sarebbe accorto.
Anzi,
sarebbe rimasto lì sino a quando il gestore non
l’avesse sbattuto fuori o il
flipper non fosse deceduto sotto i suoi colpi.
“Kakashi
non fare lo spilorcio… questo giro tocca a te...”
biascicò in qualche modo
Asuma, indicando il bicchiere vuoto.
“Concordo”
lo seguì Tenzo mentre con lo sguardo studiava una morettina
appena entrata.
“Non
credo che Anko sarebbe d’accordo.”
Osservò l’Hatake, notando la causa della sua
momentanea distrazione.
“D’accordo
con che?” rispose l’interpellato senza staccare lo
sguardo dalla ragazza
diretta verso il bancone.
“Lascia
perdere, è meglio…” terminò
lui non avendo la minima voglia d’iniziare una
spiegazione che l’altro non avrebbe sicuramente seguito e
che, per di più, gli
sarebbe costata non poca fatica mettere insieme in quello stato.
Rassegnato,
fece poi un cenno con la mano chiamando la cameriera poco distante,
pronto a
saldare il suo debito con quello che sarebbe stato sicuramente il suo
ultimo
bicchiere della serata. Conosceva i suoi limiti, ed era certo che, per
non fare
la medesima fine dell’anno passato, fosse meglio fermarsi.
“Kakashi-sensei,
mi dica. Che le porto?” la voce squillante della giovane,
alta per poter
superare la musica di sottofondo, infastidì i suoi sensi
intorpiditi.
“Ino…
quante volte devo ripeterlo? Non sono più il tuo sensei da
almeno due anni”
replicò guardando il volto sorridente della ragazza in piedi
accanto a lui “Non
puoi chiamarmi semplicemente Kakashi e darmi del tu?”
“Ok,
Kakashi” esclamò prontamente la cameriera
prendendo dalla tasca del grembiule
il blocco delle ordinazioni “che ti porto?”
“Tre,
anzi no, quattro rum scuri.” la voce di Tenzo
anticipò quella dell’Hatake, che
rimase leggermente spiazzato.
Non
replicò, si limitò a fissare quella figura che,
rapidamente, spariva tra i
clienti.
Ino
Yamanaka, si ricordava bene di lei. Una promettente studentessa del
liceo in
cui insegnava fisica, diplomatasi un paio d’anni prima. Il
corpo magro, la
figura sottile e slanciata, i lunghi capelli dorati e quei grandi occhi
azzurri, l’avevano resa una delle ragazze più
popolari della scuola. Al primo
sguardo poteva sembrare un tipo superficiale ma, nei cinque anni
passati fra i
banchi, aveva dimostrato che l’apparenza inganna. Per quanto,
proprio
l’apparenza, sembrava essere tutto ciò che le
importasse.
“Non
ti sembra troppo giovane?” La domanda fuori luogo del solito
seccatore lo
irritò leggermente.
Troppo
svogliato per strangolarlo, si limitò ad un più
semplice “Tenzo, sei un
idiota…”.
E
detto questo si alzò, rendendosi conto di quanto fosse
difficile mantenere un
perfetto equilibrio in quelle condizioni.
“Ti
offendi per poco, sai?” La replica dell’amico non
si fece attendere seguita da
un “te ne vai già?”.
“Posso
andare in bagno o devo chiederti il permesso?” il tono
infastidito dell’Hatake
fece desistere il giovane da ogni altra pungente battuta.
Non
era stata la domanda ad innervosirlo, bensì la sedia vuota
davanti a lui.
Una
volta giunto a destinazione, Kakashi si lavo il viso con acqua gelata
prima di
fissare la sua immagine allo specchio. Si sentiva intorpidito e
iniziava ad
avvertire pesanti giramenti di testa. Ma non era per quello che il suo
umore
era cambiato così, apparentemente senza motivo. Sebbene
l’acqua fresca gli
avesse donato un poco di sollievo, era consapevole che non sarebbe
durato
ancora per molto. Perché anche quella volta, dopo le risate,
si era ritrovato a
fissare il posto vuoto davanti a sé chiedendosi come sarebbe
stata quella
serata se ci fosse stato anche lui con loro e come
sarebbe stata la sua
vita se quel dannato incidente non fosse successo.
Nel
pensarlo si passò inconsciamente l’indice lungo la
vecchia cicatrice che
segnava in verticale il suo volto. Un tratto marcato, al centro
dell’occhio
sinistro, che partiva poco più in alto del sopraciglio e
scendeva lungo la
palpebra, terminando circa tre centimetri sotto l’occhio.
Avrebbe
potuto cancellarla, l’avrebbero fatto in molti al posto suo,
ricorrendo alla
chirurgia. Lui, invece, voleva che quel segno restasse lì
dov’era, a testimoniare
la sua colpa. Affinché ogni volta che si fosse guardato allo
specchio potesse
pensare a chi non c’era più.
Si
asciugò mani e volto con i foglietti di carta presi dal
distributore e uscì.
L’ultimo bicchiere e poi sarebbe tornato a casa a farsi
sommergere dai ricordi,
sul solito divano blu.
Continua...
Disclaimers:
Naruto
ed i personaggi sopracitati non mi appartengono e non
c’è lucro.
Un ringraziamento particolare ad Aya88 per essersi presa l'impegno di
betare questa fic. Sei stata davvero velocissima, grazie di cuore.
Grazie a tutti quelli che recensiranno osemplicemente spenderanno il
loro tempo leggendo questa storia.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Incontro ***
Capitolo 2
Incontro
Appena uscito dal bagno la penombra e la musica alta del locale lo
inghiottirono di nuovo. In un primo momento ne fu infastidito, tanto da
socchiudere gli occhi nel vano tentativo di riabituarsi al clima buio e
festoso dal quale si era estraniato per un po’.
Guardandosi attorno si rese conto che quel posto non era poi
così vuoto come gli era parso. Gruppi d’amici se
ne stavano ancora seduti ai tavoli, sorseggiando cocktails colorati e
chiacchierando a voce alta, intenti a scontrare i loro bicchieri in
chissà quali festosi brindisi. Alla sua destra alcuni
ragazzi avevano persino avuto la brillante idea di mettersi a giocare a
freccette nonostante la pessima mira e qualche bicchiere di troppo.
Risultato: gli oggetti appuntiti avevano terminato la loro corsa
conficcandosi nelle perline di legno che rivestivano le pareti, senza
nemmeno sfiorare il bersaglio. Fori che si aggiungevano ad altri fori,
un circolo vizioso che si ripeteva sera dopo sera e che, prima o poi,
avrebbero costretto i gestori a sostituire parte del rivestimento.
Gli risultò impossibile non pensare al fatto che alcune di
quelle fessure fossero merito suo e dei suoi compagni di serata, ma la
cosa gli strappò solamente un sorriso striminzito.
Non aveva più voglia di divertirsi. Quella sedia vuota era
sempre nei suoi pensieri, e ci sarebbe rimasta.
Quindici anni erano trascorsi. Quindici lunghi anni, esattamente quel
giorno. Eppure non gli sembrava passato così tanto tempo.
Forse perché il dolore e il senso di colpa, in quei giorni,
si faceva sentire ancor più del solito. Per questo, in quel
preciso istante, tutto ciò che gli interessava era
raggiungere gli altri, bere il suo ultimo bicchiere, saldare il suo
debito e tornarsene a casa.
S’incamminò cauto, ormai conscio di quanto fossero
imprecisi i suoi movimenti. Non voleva di certo regalare al suo caro
collega Tenzo l’occasione per sfotterlo adeguatamente per un
intera settimana a causa d’una rovinosa caduta pubblica.
Nonostante si sforzasse di fare attenzione, però, non gli fu
possibile schivare quella figura alzatasi di scatto, qualche passo
dinnanzi a lui. Rassegnato all’inevitabile, la
sentì chiaramente sbattere contro il suo petto e poi
allontanarsi perdendo l’equilibrio. Sarebbe finita
sicuramente a terra insieme al boccale che reggeva in mano se, senza
sapere come, in un gesto repentino e istintivo da attribuire unicamente
ai rimasugli dei suoi riflessi, non fosse riuscito ad afferrarla.
Purtroppo per entrambi, non aveva avuto il tempo d’occuparsi
anche del bicchiere.
Kakashi avvertì distintamente la sensazione di bagnato
espandersi lungo il suo addome ed imprecò mentalmente,
riuscendo a mantenere intatta la sua apparente calma grazie alla
proverbiale dose d’autocontrollo che lo caratterizzava.
Levare quella macchia scura dalla sua camicia bianca sarebbe stata una
vera impresa.
“Ma che ti è saltato in mente? La mia
maglietta preferita… Non mi hai vista razza
di…” La voce della persona sorretta dal suo
braccio destro lo prese alla sprovvista. Non per
l’affermazione, interrotta prima dell’insulto
finale, ma per la familiarità.
Portò immediatamente il suo sguardo sul volto della ragazza,
immobile fra le sue braccia, incrociandone gli occhi mentre un
sussurrato “Kakashi sensei?” lo raggiunse.
“Haruno?” replicò incapace di nascondere
totalmente il suo stupore, prima di aiutarla a rialzarsi.
“Kakashi sensei, è proprio lei. Che
sorpresa!” esclamò la giovane regalandogli un
caldo sorriso. “E’ passato parecchio tempo
dall’ultima volta, anni per la precisione”.
In effetti Kakashi non l’aveva più vista dopo il
diploma. In pochi, pochissimi, restavano in contatto con la vecchia
scuola una volta superati gli esami, e come biasimarli visti i gravosi
impegni universitari o lavorativi pronti ad attenderli una volta fuori
da lì.
E quello era chiaramente il caso di Sakura Haruno, compagna di classe
della giovane Yamanaka, ottima studentessa dalle grandi
potenzialità e con il grande sogno di diventare medico. Una
ragazza in gamba, sveglia e risoluta, così se la ricordava.
Si era subito fatta notare, dimostrando ottime doti intellettive e un
grande impegno; caratterialmente acerba, come tutte le ragazzine della
sua età, ma capace di maturare molto dal punto di vista
umano durante quei cinque lunghi anni, tanto da cancellare
completamente l’immagine della bambina superficiale e
piagnucolosa che gli si era presentata davanti al primo anno. Un lungo
percorso, che aveva affrontato con responsabilità nonostante
la giovane età, fino a diventare, oltre che (ad)
un’eccellente studentessa, una ragazza sensibile ed
altruista, in grado d’aiutare i suoi stessi compagni, facendo
da collante, appianandone le divergenze, soprattutto fra quei
due…
Difficile nasconderlo, la giovane Sakura era sempre stata una delle sue
allieve preferite. A dire il vero, in quella classe un po’
strampalata, in tre avevano suscitato maggiormente la sua attenzione.
Lei e quei due appunto. Tre giovani ragazzi completamente diversi fra
loro quasi da renderne impossibile la convivenza, ma che, grazie al
tempo, a modo loro erano riusciti a creare, a suo parere, un vincolo
difficile da spezzare. La loro era un’amicizia unica, vera.
Proprio per questa sua congettura mentale, Kakashi cercò fra
gli amici di Sakura la testa bionda di Naruto e il viso di Sasuke. Un
tentativo inutile, visto che nessuno dei due era presente.
“Non so perché, ma credevo che voi tre non vi
sareste mai separati…” Un pensiero espresso ad
alta voce.
“Noi tre?” Il sorriso di Sakura si spense
lentamente. “Intende io, Sasuke e Naruto?”
continuò dopo una breve pausa che all’uomo non
sfuggì.
L’Hatake si limitò ad un gesto del capo, evitando
di chiedere altro, consapevole d’aver già messo
Sakura in una situazione scomoda. Era evidente, tra loro era
sicuramente successo qualcosa, qualcosa di grave che li aveva spinti a
separarsi. Ma in quel momento, purtroppo, Kakashi non aveva
né la forza né la voglia di accollarsi i problemi
altrui.
Per questo s’accontentò della breve risposta della
ragazza, un semplice “Sasuke è molto impegnato
ultimamente, mentre Naruto… beh, sa
com’è… come al solito è
impegnato a correr dietro a Sasuke”.
Impossibile per lui non notare quel velo di tristezza nei suoi occhi,
chiaro segnale di quanto la sua supposizione precedente fosse esatta,
ma non andò oltre. Non se la sentì, per quanto
potesse dispiacergli, non le sarebbe stato d’aiuto quella
sera.
“Vedrai che tutto si sistemerà, ne sono
sicuro” tentò di consolarla con un leggero
sorriso, esattamente come faceva un tempo, prima di congedarsi
“Scusami Sakura, devo andare… per quanto riguarda
la maglietta…”
“Non si preoccupi, è solo una macchia”
lo interruppe lei passandosi la mano su quella chiazza scura.
“Insisto, ti pagherò il conto della
tintoria” proseguì lasciandole il suo numero di
telefono. “Chiamami”.
“Grazie.” Un sussurro lo raggiunse prima di
riprendere la proprio strada.
Mentre s’allontanava, lasciandosi Sakura alle spalle, Kakashi
s’insultò mentalmente per quel gesto senza senso.
Con tutto quello che gli passava per la testa in quei giorni, come
aveva potuto lasciare il suo numero di telefono ad una ex alunna? E poi
quella frase, ”insisto, ti pagherò il conto della
tintoria.”, da dove gli era uscita? Stava perdendo
il senno? Va bene l’alcool, ma così sembrava
davvero volerci provare…
Per un attimo pensò che, forse, Asuma avesse ragione e che
fosse giunto il momento di smettere di leggere quei dannati libri se
erano in grado di influenzarlo sino a quel punto dopo qualche bicchiere
di troppo. O forse, in realtà, più che
l’influenza dell’Icha Icha Paradise era stato
l’evidente sconforto della giovane nel parlare dei compagni
che l’aveva fatto reagire così, come se dentro di
sé sentisse ancora il bisogno di aiutarla. Non quella sera,
non in quel preciso istante, ma forse il giorno seguente.
“Non male, davvero non male. Devo ammettere che hai buon
gusto… Ma non credi che anche quella sia troppo
giovane?” L’osservazione di Tenzo non si fece
attendere, giusto il tempo d’avvicinarsi quel tanto da poter
sentire la sua voce.
“Non credi che dovresti imparare a farti i cazzi tuoi ogni
tanto?” Kakashi rispose lasciandosi sfuggire uno sbuffo
divertito, ignorando poi la successiva replica dell’amico.
Mentre Tenzo parlava, l’Hatake cercò Sakura con lo
sguardo.
La trovo in piedi, accanto alla cassa; la sua figura snella e sensuale
era messa in risalto dai jeans stretti a vita bassa e dalla leggera
camicetta bianca a maniche corte, lasciata sbottonata quel tanto da
formare una graziosa scollatura, ma senza risultare volgare. In
un'altra occasione e soprattutto se non fosse stata una sua ex allieva,
anche lui come Tenzo si sarebbe lasciato sfuggire certamente
qualche apprezzamento.
Quando la vide sparire oltre la porta del locale però,
Kakashi realizzò quanto stupidi fossero i suoi pensieri. Si
sentì un idiota per essersi soffermato ad osservare quel
corpo. Perché per quanto Sakura fosse cresciuta, per quanto
fosse diventata una donna molto affascinante, per lui sarebbe sempre
rimasta una sua ex studentessa.
“Tutto bene Kakashi?” Ad Asuma, nonostante tutto,
non era sfuggito la sua momentanea lontananza.
“Sì, inizio solo ad essere
stanco…” rispose l’interessato che,
spostando lo sguardo su quel poco di rum rimastogli nel bicchiere, si
lasciò scappare un “Tenzo… il
tuo non ti bastava?”
“Si può sapere perché dai sempre la
colpa a me?” Nulla sfuggiva all’Hatake, il suo
spirito d’osservazione era sempre stato molto
acuto, e Tenzo lo sapeva bene.
“Lasciami pensare…” Kakashi
sospirò prima di prendersi il mento fra pollice e indice e
continuare. ”Gai è ancora impegnato con il flipper
e Asuma, beh, il suo bicchiere è ancora pieno, a differenza
del tuo.”
Una spiegazione semplice, quasi scolastica, che ottenne come risultato
un irritato “Te l’hanno mai detto che sai essere
noioso a volte?”.
“Credo che me ne tornerò a casa.” A
sorpresa l’Hatake smorzò la discussione.
“Finiscilo pure” continuò poi, porgendo
ciò che restava del suo ultimo bicchiere all’amico.
“Eh? Sei sicuro di…” Ma
l’Hatake era già troppo lontano per
poterlo sentire e Tenzo lasciò cadere nel vuoto quel
“sentirti bene” prima di voltarsi preoccupato verso
Asuma.
“Ma che gli è preso? Ho detto qualcosa di
sbagliato?” chiese aggrottando un sopraciglio.
“Sai com’è fatto, a volte ha bisogno di
star solo…” s’intromise Gai,
abbandonando momentaneamente la sfida e attirando su di sé
gli sguardi sorpresi dei due che oramai lo davano per disperso
“Non è un chiacchierone, lo sapete. Credo sia
meglio lasciarlo in pace ora.”
Fuori dal locale, ad attenderlo, c’era solo il silenzio. Non
c’erano più né tavolini né
musica, tutto era scomparso all’interno dei locali che
stavano ormai chiudendo. Gli unici rumori provenivano da un gruppetto
di ragazzini alle prese con i loro motorini.
Testa bassa e mani che affondavano nelle tasche dei jeans scuri,
Kakashi percorse la via principale del centro storico, la stessa dalla
quale era arrivato, verso il lungolago.
Casa sua non era molto distante, per quello non aveva preso
l’auto, convinto che una passeggiata non gli avrebbe di certo
fatto male. Scelse il tragitto più lungo, preferendo alla
monotonia delle strade interne la calma del percorso sulla riva del
lago.
I lampioni accesi si alternavano agli alberi ad intervalli regolari,
illuminando il bianco tratto pedonale. A separarlo
dall’acqua, una semplice barriera metallica color antracite.
Dal lago soffiava una leggera brezza, capace di solleticargli i capelli
chiari e i rami dei salici cresciuti oltre la balaustra, proprio sulla
riva. La quiete era rotta unicamente dalle rarissime macchine in
transito.
Rivedere Sakura gli aveva fatto piacere, l’aveva persino
distratto dai suoi pensieri. Quella conversazione però gli
aveva lasciato un misto di curiosità e preoccupazione. Non
poteva nascondere d’essere rimasto un po’ turbato
per via di Sasuke e Naruto.
Aveva sempre pensato che quei ragazzi sarebbero rimasti amici per
sempre… Lo aveva pensato anche di se stesso, Obito e
Rin…
S’era affezionato in modo particolare a loro proprio per
questo, perché ognuno di loro sembrava ridar vita ai suoi
ricordi. Vederli discutere, sfidarsi, ridere, punzecchiarsi,
l’aveva riportato indietro nel tempo, quando ancora
non v’era colpa sulle sue spalle.
In Sasuke, per esempio, aveva rivisto se stesso. Perché quel
ragazzo era identico a lui, al Kakashi Hatake adolescente. Silenzioso,
presuntuoso, a volte persino arrogante. Genio indiscusso, ma con grandi
lacune emotive. Come lui, Sasuke, aveva perso presto entrambi i
genitori ed aveva dovuto crescere solo e in fretta, troppo in fretta.
Come biasimarlo per quel carattere freddo e scostante. Certe cose
lasciano un segno profondo, l’avevano lasciato anche a lui.
A sconvolgere la vita del giovane Uchiha ci aveva pensato Naruto. Quel
ciclone di vitalità era riuscito a far breccia dove nessun
altro aveva potuto e in pochissimo tempo. La loro competizione continua
mascherava un profondo rispetto reciproco, un legame profondo,
cresciuto lentamente. Entrambi orfani, entrambi con
un’infanzia difficile, ma con un modo totalmente diverso
d’affrontare la situazione. Se Sasuke aveva finito per
chiudersi in se stesso, Naruto cercava continuamente
l’approvazione degli altri, mascherando il suo dolore fra
scherzi e risate. Probabilmente proprio per quel comune passato erano
stati in grado di capire l’uno la sofferenza
dell’altro.
Era innegabile, quel suo contagioso sorriso era riuscito ad arrivare
lontano, più lontano dell’amore incondizionato di
Sakura. Naruto era esattamente come Obito: la parte più
emotiva, solare, testarda e(d) imprevedibile del gruppo.
Pensando a lui, Kakashi si lasciò sfuggire un sorriso
sincero.
Restava Sakura. Lei che, come la dolce Rin, sognava di diventare medico
per poter aiutare il prossimo. Innamorata da sempre del bello e
dannato, disposta a qualsiasi cosa pur di riuscire a(d) entrare nel suo
mondo, persino ad annullarsi. Inizialmente infastidita dalle
intromissioni di Naruto, aveva lentamente imparato ad apprezzare quella
maldestra presenza. Perché dove c’era Sasuke,
c’era Naruto. E dove c’erano loro, c’era
lei.
Forte, decisa e a volte un po’ manesca, ma anche dolce,
premurosa e fragile, molto fragile. Perché quando quei due
litigavano, era lei a soffrirne di più. Come Rin, Sakura
aveva sviluppato un forte senso di protezione verso entrambi.
Perché sia Naruto che Sasuke avevano conquistato un posto
speciale nel suo cuore.
Per questo era certo che doveva essere successo qualcosa di grave.
Perché se il dolce sorriso di Sakura s’era spento
così all’improvviso, parlando di loro, quei due
dovevano essere finiti in qualche casino. Non era sicuramente uno dei
soliti battibecchi.
Forse avrebbe fatto bene a mettere da parte i suoi problemi e provare
ad ascoltarla, probabilmente non avrebbe dovuto liquidare
l’argomento con un semplice vedrai che tutto si
sistemerà. Ma ormai era troppo tardi per cambiare le cose,
lentamente la chiave girò nella serratura
dell’ingresso.
Entrò, lasciando le scarpe nell’ingresso,
attraversando il soggiorno in penombra senza nemmeno accendere la
luce. Superò il divano, lanciando in malo modo le
chiavi sul tavolino davanti ad esso. Il rumore metallico
spezzò il totale silenzio dell’abitazione.
Lentamente Kakashi raggiunse la sua camera, sdraiandosi poi, ancora
vestito, sul letto. Ad accoglierlo le fresche lenzuola di lino.
Era stanco e avrebbe davvero voluto dormire, ma in quella completa
assenza di rumore, scandita dal ticchettio dell’orologio da
parete della sala, i suoi pensieri non gli davano tregua.
Ricordi passati che si sovrapponevano a immagini recenti. Visi, sorrisi
e sentimenti che si mescolavano fra loro mentre, steso a
occhi chiusi, si sentiva trascinare verso il basso da un vortice
continuo.
Passato e presente.
Obito e Rin.
Naruto.
Sasuke.
E Sakura.
Mentre lentamente perdeva conoscenza, nel preciso istante in cui la
razionalità lasciava il posto
all’irrazionalità, l’ultima cosa che
vide furono due brillanti occhi verdi.
Continua...
Disclaimers:
Naruto
ed i personaggi sopracitati non mi appartengono e non
c’è lucro.
Anche
questo capitolo è stato betato da Aya88. Grazie tesoro, sei
sempre un fulmine^^
Ringrazio
chi ha inserito questa fic fra le seguite/preferite, chi ha recensito e
recensirà, e chi la leggerà solamente.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Amici ***
Capitolo 3
Amici
“Calmati
Obito! Dobbiamo restare lucidi!”
Una
schiena, a pochissimi passi dal crepaccio.
“Se
scendiamo ora, moriremo tutti e tre. Dobbiamo raggiungere il rifugio e
chiedere aiuto!”
Uno
sguardo furioso. Due iridi nere traboccanti di rabbia.
“Come
puoi chiedermi di abbandonarla laggiù? Come?”
Un
silenzio imbarazzante, scandito solo dalla pioggia.
“Non
sappiamo nemmeno se è ancora viva…”
Angoscia,
mista a preoccupazione…
“Dobbiamo
essere razionali. La tua emotività non potrà che
peggiorare le cose, non essere sciocco.”
Una
calma irritante.
“Se
ci calassimo laggiù adesso, potremmo non riuscire a
risalire. Senza contare la possibilità d’essere
travolti da una frana.”
Una
mano, stretta a pugno.
“Raggiungendo
il rifugio avremo maggiori…”
Il
colletto della giacca improvvisamente stretto con forza.
“Sei
solo un vigliacco. Uno sporco codardo! Come puoi abbandonare Rin?
Proprio tu, che sei il suo eroe!”
Rabbia
e sdegno, in quegli occhi fissi su di lui.
“E’
quello che dobbiamo fare se vogliamo avere qualche speranza.”
Di
nuovo la calma, che alimenta l’ira.
“Al
diavolo tu e la tua razionalità Kakashi! Io vado a
salvare Rin!”
L’uomo si
svegliò di soprassalto; la fronte bagnata e il fiato corto.
Si guardò attorno per qualche istante, quasi cercasse
conforto, incapace di realizzare subito dove si trovasse.
Ansimò, mettendosi a sedere.
Erano quindici anni che quel sogno lo tormentava. Con
l’avvicinarsi di quella data diveniva sempre più
frequente. Ed ogni volta portava con sé con gli stessi
effetti.
Kakashi si passò la mano sul volto, indugiando con le dita
sulla cicatrice. Cercò di respirare con maggior
profondità, incamerando più aria possibile,
mentre il cuore tornava lentamente a battere in modo regolare.
Allungò la mano verso il bicchiere d’acqua
appoggiato sul comodino, conscio che, anche bevendo, non sarebbe stato
in grado di sciogliere quel groppo in gola.
Una luce calda illuminava parzialmente la semplice stanza, penetrando
dall’infisso socchiuso. Kakashi si massaggiò le
tempie, tentando inutilmente di scacciare il pesante cerchio alla testa
che lo infastidiva, evidente postumo della serata precedente. La sua
attenzione si spostò poi sulla radiosveglia: i led rossi
confermarono che il sole era sorto da un bel po’.
L’uomo si lascio ricadere svogliatamente sul letto,
sospirando pesantemente. Non si sarebbe alzato, non ne aveva la minima
voglia. Restò così, la mano destra sulla fronte e
l’altra lungo il fianco, immobile fissando il candido
soffitto. A tenergli compagnia solo qualche sporadico cinguettio
proveniente da fuori.
Kakashi rimase immobile per un po’, lo sguardo fisso e vuoto
allo stesso tempo.
In quella totale assenza di rumore riusciva ancora ad avvertire il
rumore della pioggia, accompagnato dal fragore dei tuoni. Ricordava
ogni particolare di quell’escursione:
dall’entusiasmo di Rin, alla discussione con Obito poco prima
della partenza; dai sorrisi, ai battibecchi; dalla gioia alle lacrime.
Aveva custodito ogni dettaglio, ogni minimo dettaglio. Nulla era
sbiadito nonostante il tempo trascorso. Poteva sentire distintamente
quelle fredde gocce battergli sulla fronte accaldata, scendere lungo il
viso ed impregnargli i vestiti. Poteva avvertirlo ancora, quel freddo
sotto le unghie. Già, esattamente come l’odore
della terra bagnata, inzuppata d’acqua come i loro abiti.
Come dimenticare le sue mani coperte di fango, abrasioni e tagli,
incapaci di provare dolore, e tese nel disperato tentativo di scavare
il più rapidamente possibile per rimediare al più
grande errore della sua vita.
S’era tormentato per giorni, mesi, anni, obbligandosi a
ripercorrere quegli attimi istante per istante, come se quel dolore che
gli straziava il petto, impedendogli di respirare, fosse
l’unico modo per tentare di espiare la sua colpa.
Perché era stato lui a voler proseguire nonostante il
temporale che li sorprese. Lui, che non s’era accorto di quel
dannato tratto di sentiero scavato dalla siccità e poi eroso
dall’abbondante pioggia. Lui, che aveva lasciato Rin sola al
suo destino, cercando di raggiungere il rifugio in cerca
d’aiuto. Lui, che aveva abbandonato Obito sul ciglio di quel
crepaccio. Lui, che gli aveva voltato le spalle mentre
l’amico preparava corde e imbragatura. Lui, che una
volta tornato indietro, nel tentativo di rimediare al suo stupido
errore, s’era quasi cavato un occhio scivolando mentre si
calava verso di loro. E sempre lui, che, lasciandosi sorprendere
dall’improvvisa frana, aveva obbligato il suo più
caro amico a mettere in gioco la sua stessa vita per salvarlo.
Perché Obito era morto per lui. Lui, che li aveva
abbandonati entrambi.
Non esistevano giustificazioni. Nessuna possibile scusa.
Solo un imperdonabile, enorme sbaglio.
Così grande da essere costato una vita.
L’improvviso trillo del cellulare lo riportò alla
realtà, evitandogli di sprofondare ancor di più
nei ricordi. Kakashi ne fu sollevato ma pensò
comunque di lasciarlo suonare, restando dov’era, sicuro che
fosse la classica telefonata di uno dei suoi compagni di serata
desiderosi di sincerarsi delle sue condizioni fisiche e mentali.
Si girò di fianco, afferrando il cuscino e poggiandoselo
sopra la testa, nel tentativo di attenuare quel rumore molesto. Non
appena lo scocciatore s’arrese, Kakashi si liberò
del guanciale lasciandolo cadere a terra, riportando poi lo sguardo
verso il soffitto. Forse sarebbe riuscito a riprendere il
sonno…
La pace invece, durò poco. Il telefono riprese a suonare
incessantemente solo alcuni istanti più tardi. Arrendendosi
all’insistenza di quegli squilli, si alzò
svogliatamente raggiungendo la scrivania sul lato opposto della stanza,
afferrando l’apparecchio abbandonato lì la sera
precedente.
“Pronto…” Difficile mascherare il tono
leggermente seccato.
“Alla buon ora, Kakashi!” La voce chiara e vivace
di Tenzo lo destò del tutto. “Si può
sapere che ci fai ancora a letto? E’ una splendida
giornata.”
“Non ero a letto” biascicò lasciandosi
sfuggire un mezzo sbadiglio.
“Certo…” Tenzo fece una breve pausa
giusto per sottolineare quanto credesse all’affermazione
dell’amico. “E perché non hai risposto
prima allora?”
“Semplice, ero impegnato. Stavo bagnando le
piante”. O meglio, temevo che fossi tu e non avevo voglia di
rispondere.
“Kakashi…” Un nuovo attimo di silenzio.
“Tu non hai piante…”.
Le sue scuse erano pessime, una più assurda
dell’altra, ma solitamente Tenzo fingeva di crederci. Kakashi
lo sapeva bene, ormai quel ragazzo era un libro aperto per lui. Per
questo conosceva già il motivo che l’aveva spinto
a chiamarlo in quel caldo pomeriggio. S’immaginò
così Anko, in piedi accanto al collega, intenta ad
incenerirlo con lo sguardo perché colpevole
d’abbandono domenicale nei confronti della propria ragazza,
preferendole quattro chiacchiere e una birra in compagnia di un amico.
“Ti aspetto da me tra mezzora, ho un progetto da farti
vedere”. La comunicazione s’interruppe prima che
potesse replicare.
Mentre riappoggiava il cellulare sulla scrivania, Kakashi sorrise
divertito; anche le scuse di Tenzo non erano un granché.
Dovette ammettere però che stava diventando davvero scaltro;
ormai lo conosceva così bene da sapere che, se
l’avesse lasciato parlare, avrebbe in qualche modo declinato
l’invito.
Guardò l’orologio da polso. Mezzora…
Sarebbe certamente arrivato in ritardo e necessitava di una scusa
credibile, quella dell’anziana vicina bisognosa
d’aiuto non avrebbe retto nuovamente.
Il centro, in quel caldo primo pomeriggio, era stranamente affollato.
Una lieve brezza soffiava dal lago, incapace però di
sciogliere la calura. Ad attirare la gente nonostante
l’elevata temperatura, un’apertura straordinaria
con orario continuato dei negozi più in. Cosa che Ino non si
sarebbe mai lasciata sfuggire.
Camminava da una vetrina all’altra da ore, trascinando con
sé una Sakura ormai spazientita.
Scarpe, borse, accessori vari e vestiti…
un’infinità di vestiti. La giovane Yamanaka aveva
già fatto impazzire la maggior parte delle commesse del
paese.
“Hai almeno una vaga idea di quello che vuoi
comprare?” chiese la giovane Haruno davanti
all’ennesima parata di manichini, mentre il suo sguardo
vagava alla disperata ricerca di una comoda, libera panchina dove
sedersi e lasciare i pacchi che l’amica le aveva affibbiato.
Non le era mai piaciuto fare il facchino e allo shopping avrebbe di
gran lunga preferito un tuffo in piscina e un po’ di sole ma,
nonostante sapesse che sarebbe finita così, non le andava di
rinunciare ad un po’ di compagnia.
“Certo che no!“ replicò
l’interessata intenta ad osservare un leggero abitino color
pesca “Ci sono un sacco di cose carine, come posso
scegliere?”
“Scegli e basta, non è così
difficile!” si limitò rispondere Sakura alzando lo
sguardo al cielo terso, nella vana speranza che la ragazza cogliesse il
suo suggerimento.
“Non fare la guastafeste! E poi anche tu dovresti comprarti
qualcosa di nuovo, non credi?” Lo sguardo divertito che Ino
le rivolse le permisero di intuire esattamente dove l’amica
stesse andando a parare. Riportò così
l’attenzione sulla sua aguzzina, inarcando un sopraciglio.
“Sapevo di non doverne parlare con te! E poi non mi serve un
abito da sera per sistemare il conto della lavanderia.”
“Ne sei sicura?” Un sorriso ancora
più ampio si disegnò sul volto della giovane.
L’interesse di Ino per i pettegolezzi era risaputo; nulla le
sfuggiva, soprattutto quando si trattava di appuntamenti vari e nuove
coppie all’orizzonte. Più che
un’aspirante futura dottoressa, sembrava un rotocalco di
cronaca rosa vivente. Sakura, dal canto suo, credeva d’averci
fatto il callo, ma non poté nascondere una leggera
irritazione di fronte a tanta curiosità.
“Non fare quella faccia…” riprese la
bionda notando la sua espressione infastidita
“…è solo che credo ti farà
bene uscire con qualcuno invece di startene in casa a deprimerti per
quei due.”
“Non esco con nessuno! Come te lo devo dire? Ha solo
insistito per pagare…”
“Certo, certo” Ino la interruppe, avvicinandosi
più del dovuto prima di proseguire “ma
magari… chi lo può dire, no? E poi Kakashi
è davvero un bel uomo… anche se, in effetti,
è un po’ troppo vecchio per
te…”
Sakura osservava in silenzio l’amica intenta a farneticare
qualcosa su una sua improbabile relazione con il loro ex sensei.
Parlava e parlava, senza sosta. Avrebbe voluto strangolarla. O meglio,
la vocina dentro la sua testa glielo stava caldamente consigliando.
Perché Ino non era mai stata in grado di capire
quand’era il momento di smettere e, a volte, le maniere forti
erano l’unico modo per farla tacere.
“Sei insopportabile!” sbottò ormai al
limite della sopportazione, lasciando a terra le borse colorate e
scrollandosi da dosso il braccio che la ragazza le aveva poggiato
attorno alle spalle. “Possibile che tu debba vedere relazioni
ovunque e fra chiunque?” continuò voltandosi verso
l’unica panchina libera adocchiata poco prima, incamminandosi
decisa prima che Ino potesse replicare in qualche modo.
“Ehi, dai… aspettami! Che ho detto di
male?”.
Sakura la ignorò completamente, continuando dritta per la
sua strada.
“Lo dicevo per te, perché hai bisogno di distrarti
un po’!”
E come darle torto. In cuor suo Sakura sapeva quanto Ino avesse
ragione; non poteva certamente restare perennemente chiusa in casa
rimuginando sui problemi di quei due.
Già, quei due…
Sasuke e Naruto.
Naruto e Sasuke.
Loro, sempre loro nei suoi pensieri. E quella volta non si trattava di
una futile sciocchezza come quelle che possono capitare fra i banchi di
scuola. Sasuke s’era messo davvero nei casini e,
sinceramente, non credeva che la sola testardaggine di Naruto avrebbe
potuto aiutarlo ad uscirne.
Raggiunta la panchina, Sakura si lasciò quasi cadere su di
essa. Era stanca, non poteva negarlo. Quella situazione la stava
sfiancando, ed essere lasciata all’oscuro dei particolari la
logorava più di ogni altra cosa. Si sentiva inutile. Inutile
ed esclusa.
Credeva d’essere cresciuta abbastanza da non dover
più essere protetta da Naruto. Si sentiva abbastanza matura
e forte da poter aiutare Sasuke, qualunque fosse stato il suo problema,
senza doversi appoggiare ad altri. Pensava anche di averlo dimostrato
in qualche modo.
Eppure… eppure nulla era cambiato. Anche quella volta
l’avevano lasciata in disparte.
Ormai erano trascorsi giorni dall’ultima telefonata di
Naruto, e lei passava le sue giornate osservando in continuazione il
cellulare, attendendo una chiamata o, quanto meno, uno stupido
messaggio. Anche in quel preciso istante, senza rendersene conto,
l’aveva tolto dalla borsetta.
Nessun messaggio, nessuna chiamata.
Forse avrebbe dovuto dar retta a Ino. Forse chiamare Kakashi non le
avrebbe fatto male. Uscire per un caffè non era di certo un
reato, e non significava nemmeno non preoccuparsi per gli amici. Non
aveva motivo per sentirsi in colpa.
In colpa per cosa poi, non lo sapeva nemmeno lei. D’altronde
restare ad osservare il display del telefono come un’idiota
non avrebbe comunque risolto i problemi di Sasuke.
Invece un caffè e una chiacchierata le sarebbero certamente
servite a distrarsi. Kakashi poi, non era uno sconosciuto. Magari
parlarne con lui l’avrebbe aiutata. In fondo le era stato
vicino altre volte in passato, con lui aveva sempre potuto parlare
liberamente. L’aveva sommerso più volte con i suoi
problemi adolescenziali e Kakashi l’aveva sempre ascoltata,
risollevandola a modo suo. Perché, nonostante fosse un uomo
di poche parole, quel suo tono pacato e quell’imperturbabile
tranquillità con cui riusciva sempre ad affrontare i
problemi, avevano sempre avuto lo strano potere di riuscire a farla
star meglio.
Sakura alzò lo sguardo dal display ormai oscurato,
spostandolo verso il lago.
Sì, se ne era finalmente convinta, l’avrebbe
chiamato.
La casa di Tenzo restava fuori dal centro, in periferia. Nonostante
lavorasse da poco, era riuscito a sistemarsi veramente bene, almeno
secondo Kakashi. Aveva trovato un appartamento appena ristrutturato, in
una graziosa casetta indipendente su due piani e con un piccolo
giardino ben curato. Niente a che vedere con il suo bilocale in quel
grigio condominio del centro.
Davanti al cancello in ferro battuto, Kakashi suonò il
campanello ripetutamente, ad intervalli regolari, quasi a voler
pareggiare i conti per l’insistenza dell’amico al
telefono.
Per sua sfortuna però, invece di Tenzo, sul balcone
uscì Anko.
“Ne hai per molto, Kakashi?” Impossibile non notare
il suo tono irritato.
Quella donna era sempre stata intrattabile, a suo avviso. Non sapeva
spiegarsi come Tenzo riuscisse a sopportarla da più di un
anno.
“Non credevo ci fossi anche tu in casa…
“ si giustificò, incurvando le labbra in un lieve
sorriso.
“Non preoccuparti, sto uscendo.” Replicò
la donna prima di sparire all’interno
dell’abitazione.
Kakashi entrò nel giardino, percorrendo il viottolo
d’ingresso e incrociando Anko sul portone principale. Un
saluto veloce, un semplice gesto della mano, per poi salire le scale
fino al secondo piano dove, dalla porta semiaperta, la voce di Tenzo lo
invitò ad entrare. Dedusse che, probabilmente, era di sopra,
nella piccola mansarda adibita a studio. Da bravo stacanovista qual era
si portava il lavoro anche a casa.
L’ingresso era semplice, piccolo e ordinato. Kakashi lo
oltrepassò trovandosi nell’ampio soggiorno. I
mobili, rigorosamente in legno massello, erano in stile classico,
disposti ad arte come solo un buon progettista d’interni come
Tenzo sapeva fare. Alla sua sinistra, l’ampia portafinestra
in vetro rendeva l’ambiente molto luminoso. Come in ogni
stanza di quella casa poi, il pavimento era in parquet chiaro
d’ottima qualità. Anche quel particolare era
dovuto alla fissazione che il giovane architetto aveva per il legno.
Chissà poi da dove gli veniva. Kakashi sorrise ricordandosi
quando la prima volta che Tenzo lo invitò, mentre
l’amico mostrava orgoglioso il suo lavoro, gli aveva chiesto
scherzosamente se pure il frigorifero e il materasso fossero in legno
massello attirando su di sé lo sguardo perplesso e
contrariato del collega.
“Sono di sopra.” La voce di Tenzo dalla mansarda lo
invitò a salire. Kakashi raggiunse la scala a chiocciola
sulla destra del soggiorno e salì. Ad attenderlo al piano
superiore, l’amico impegnato al tecnigrafo.
“Te l’hanno mai detto che non si dovrebbe mai
uscire con le ex degli amici?” punzecchiò
scherzosamente l’architetto intento a terminare la sua
tavola.
“Beh… forse non dovresti lasciarti dietro una
schiera di ex.” Rispose lui mentre tracciava
l’ennesima linea. “Oppure, più
semplicemente, non dovresti presentarle ai tuoi amici”.
L’Hatake sorrise divertito, prendendo una sedia e
accomodandosi accanto all’uomo. La battuta sempre pronta era
una delle caratteristiche che apprezzava di più in Tenzo.
“Dammi un secondo e sono da te…”.
Kakashi lo osservava destreggiarsi fra rette e curve, mentre cercava di
terminare la pianta di quella che ipotizzò essere
un’abitazione. Tenzo era davvero un tipo molto scrupoloso nel
suo lavoro, attento ad ogni minimo particolare. Da come stava curando
quella tavola, sicuramente doveva trattarsi di un progetto importante.
“Sai… visto così non sembri proprio il
tizio che quasi tutte le sere se ne sta stravaccato sulla sedia di un
pub, ubriaco o semi ubriaco, a litigare con le scritte sul
tavolo” puntualizzò, attirando
l’attenzione dell’amico. “Un giorno mi
spiegherai come fai a riprenderti così in fretta.”
Le labbra di Tenzo disegnarono un sorriso sornione.
“A differenza di te, sono ancora giovane. E
poi… il caffè di Anko fa miracoli.”
Disse alzandosi e spostandosi verso la scala prima di proseguire
“Che ne dici di una birra in terrazza? Così
facciamo due chiacchiere. O forse, per te è meglio una
camomilla?”.
Kakashi lo osservò sparire di sotto prima di replicare “Una birra andrà benissimo…” E
pensare che una volta l’aveva pure baciato quel dannato
seccatore. Non aveva mai saputo se anche il diretto interessato si
ricordasse o meno di quel minuscolo particolare. Magari, la mattina
dopo, il caffè di Anko era stato in grado di cancellare
anche quello, insieme alla sbronza. Uno stupidissimo errore
di gioventù dovuto alla classica sbronza post-esame, lo
definì, rimasto solo ad osservare il punto in cui la
figura di Tenzo era scomparsa.
La brezza fresca che soffiò dal lago le solletico il
voltò. Sakura alzò di nuovo gli occhi al cielo terso
prima di sobbalzare sorpresa.
“Allora? Sei ancora arrabbiata?” Il viso sorridente
di Ino e un cono fiordilatte e fragola apparvero improvvisamente a
pochi centimetri dal suo volto facendola trasalire.
Sciolse così l’espressione corrucciata in un
leggero sorriso, afferrando il gelato che la ragazza le stava porgendo.
Doveva riconoscere che l’amica sapeva come farsi perdonare.
“Per stavolta passi, ma…” Fece una breve
pausa, incurvando nuovamente un sopraciglio.
Ino, leggermente preoccupata, la invitò a proseguire
“Ma?”.
“Ma Kakashi non è vecchio”.
Sakura sorrise di nuovo. Un sorriso sincero, divertito, che Ino non
vedeva sul suo volto da diverse settimane. Per questo si
sentì sollevata; perché nonostante la loro
rivalità in amore, e non solo, fosse palese, Ino considerava
Sakura come una sorella. Non riusciva più a sopportare
passivamente quella situazione. Vederla restare in casa per giorni ad
aspettare la telefonata di Naruto le faceva ribollire il sangue.
Sicuramente un caffè con Kakashi non avrebbe cambiato le
cose, ma era pur sempre qualcosa. Un inizio, un punto di svolta per
uscire da quello stato di rassegnazione che non s’addiceva
minimamente al carattere forte di Sakura. O almeno
così lo vedeva lei.
“Lo sapevo! Allora ti sei decisa. Lo chiamerai,
vero?”
Sakura sospirò arrendendosi.
“Sì, lo chiamerò.”
Continua...
Disclaimers:
Naruto ed i personaggi sopracitati non mi appartengono e non
c’è lucro.
Mi rendo conto che la cosa sta andando un po' per le lunghe e spero mi
perdonerete.
Ci mancava giusto questa strana idea del bacio fra Kakashi e Tenzo ,
tutta colpa di Urd, delle ragazze dell'Urd
café e di skype XD
Grazie, come sempre, ad Aya88 per il betaggio^^
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=695882
|