Perchè torni a muoversi di suzako (/viewuser.php?uid=2382)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** .Wrong ***
Capitolo 2: *** [Prima Parte].Shout ***
Capitolo 3: *** Tuth ***
Capitolo 4: *** Lost ***
Capitolo 5: *** [Fine Prima Parte] Change will come ***
Capitolo 6: *** [Parte Seconda] Midnight ***
Capitolo 7: *** What if..? ***
Capitolo 8: *** Illusion ***
Capitolo 9: *** .Don't Forget ***
Capitolo 10: *** Unpredictable[Fine seconda pt.] ***
Capitolo 11: *** [Rebirth]Epilogo ***
Capitolo 1 *** .Wrong ***
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La porta dello studio era
socchiusa, lasciando intravedere la scrivania e la stanza fiocamente illuminata.
Erano ore che stava chiuso là dentro. Ore che provava e riprovava. Ma niente
era successo.
<< Harry. >>
Niente
<< Harry! Cosa stai facendo? >>, lo richiamò
nuovamente la voce acuta della giovane
Un sussulto.
Lui si tolse velocemente gli occhiali e la guardò sorpreso e vagamente
impaurito.
Era seduto sulla vecchia scrivania di mogano scuro, e davanti a lui, stavano,
ormai da giorni, alcuni libri di magia coperti di polvere, risalenti ai tempi
di Hogwarts.
Tuttavia, essi erano stati spostati a fare spazio all’unico oggetto presente
al centro della scrivania…ovvero…
<< Niente, Cho, non ti preoccupare. >>, rispose
il ragazzo
…La sua bacchetta.
<< E invece sì che mi preoccupo. In tre anni non
ti sei mai comportato così. E poi oggi vengono a cena da noi Chie, Calì,
Ron e la Granger….ah, forse anche Dean… >>
<< co…come? >>
<< non ci posso credere, Harry! – disse con un tono
di rimprovero lei – te l’ho detto ieri, non puoi…! >>
<< no, no certo, me lo ricordavo… – un sorriso
forzato – comunque adesso vengo. >>
<< certo, ti aspetto giù. >>
<< Ah, aspetta, Cho... tra quanto arrivano…? >>
<< meno di un’ora! Ma conoscendo Ron, arriverà
in ritardo! >>
Ron.
Ron ed Hermione. Un tempo.
Ma ora erano passati molti mesi…Più di un anno, comunque.
Non avrebbe funzionato, lei lo sapeva.
E lo sapeva anche Harry, questo sì.
Eppure, quando Ron glielo aveva detto con gli occhi lucenti, gli era mancato
il respiro.
Pochi attimi, quel che bastava per dire:
<< cavolo, Ron… è incredibile… cioè,
è fantastico! Sono… molto felice per voi! >>
Pochi, attimi, e aveva capito cos’aveva perso.
Ma si era arreso.
Per la prima volta, Harry Potter si era sentito solo, aveva rinunciato.
Aveva pensato di dimenticare. Eppure vederli anche solo abbracciarsi, era ormai
troppo doloroso.
Ma non voleva perderli.
Aveva detto di sì a Cho, quando lo aveva invitato in
quella caffetteria, dopo la fine della scuola.
Voleva “parlare un po’”
Non la vedeva da molto.
Era bellissima.
E sembrava così triste, anche lui lo era.
Forse insieme sarebbero potuti essere felici. Ma si rese conto troppo presto,
troppo tardi di non amarla. Le voleva bene, ma non era lei.
Volerle bene non era abbastanza, e prima o poi anche Cho se ne sarebbe accorta.
Forse non voleva vedere, forse anche a lei andava bene così.
Ma ben presto Harry Potter aveva realizzato una cosa.
Di amare così tanto Hermione.
<< Basta… >>, disse, lasciandosi sfuggire
un pensiero ad alta voce.
Tornò a fissare la bacchetta davanti a lui.
In un impeto la prese in mano, pronunciò chiaramente le parole che così
tante volte aveva usato per tirarsi fuori dai guai, quella magia che sapeva
padroneggiare così bene solo grazie a lei…
<< Accio dictionario! >>
Niente.
Da troppi giorni ormai, la bacchetta non rispondeva ai suoi comandi.
Da troppo tempo ormai, mentiva a se stesso.
Troppo tempo…
…
…Troppo tempo era passato da quando aveva udito la sua voce.
E quando sentì chiaramente che era lei, era lei che era appena entrata,
era lei che salutava con la solita fredda cortesia Cho, era lei che era tornata…
…Non avrebbe perso l’occasione un’altra volta.
Dopo quel giorno, mai più avrebbe…
Abbandonò la bacchetta dov’era, e corse di al piano
di sotto.
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Capitolo 2 *** [Prima Parte].Shout ***
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Cho Chang era seduta in soggiorno su un divano scarlatto davanti al televisore
babbano. Era spento, ovvio. Non sentiva il bisogno di un oggetto simile, ma Harry
aveva pensato fosse utile, allora l’avevano preso.
Sedeva rigidamente, in maniera composta, con la schiena perfettamente dritta,
le gambe unite e le mani in grembo. Fissava il vuoto davanti a sé.
Era distratta, ma una posizione simile le era stata inculcata sin dalla nascita,
dalla rigida educazione tradizionale che i suoi genitori le avevano imposto. Pensava
al passato, e al futuro che le appariva come una nebulosa incerta, cosa sarebbe
successo, se…
Il campanello interruppe queste sue riflessioni.
Dopo il secondo di stordimento che ne era derivato, si alzò in fretta
per andare alla porta, che aprì velocemente facendo capolino col viso.
“Perché proprio lei…. - pensò, scorgento
il volto che le appariva dinanzi – e perché… Perché
non è con Ron?”
L’espressione che per pochi attimi comparve sul volto
di Hermione Granger tradì la stessa delusione e lo stesso nervoso sorriso
di cortesia.
<< Buonasera… Sono in anticipo? >>
<< Non ti preoccupare, sei la prima che arriva. >>
<< ah, capisco…beh, come state? >>
<< Tutto bene…Io…vado a chiamare Harry…
>>
<< Non ce n’è bisogno, sono già qua.
>>, disse il ragazzo dai capelli scuri comparendo dalla tromba delle scale.
Fissava con insistenza Cho.
<< Harry, da quanto tempo… >>, disse tranquillamente
Hermione
<< Sì, è da molto. Ma è colpa tua,
non ti fai mai sentire. >>
<< Lo sai che sono molto impegnata e… >>
<< Sì, lo so, appunto. Ma non è un problema.
Togliti il capotto, andiamoci a sedere. >>
<< Dallo a me… >>, Cho esitò alla fine
della frase. Avrebbe dovuto darle del lei? No, no… ma come doveva chiamarla?
Granger? Hermione?
“Granger…esci subito di qui.”, si ritrovò
a pensare.
No, no, non andava. Quella sera doveva andare andato tutto bene.
E’ vero, in quel periodo tra lei ed Harry le cosa non andavano per il
meglio, ma non importava, non gli avrebbe detto nulla.
Non voleva impensierirlo, non doveva.
Non gli avrebbe dato fastidio, lui aveva sicuramente le proprie buone ragioni
per essere così nervoso. Presto si sarebbero sicuramente chiariti…
Già, sicuramente.
Quando tornò in salotto, era talmente concentrata a trattenere tutto
quel che sentiva, che non si accorse che Harry ed Hermione si erano chiusi in
un ostinato silenzio, e non potè neanche intuire cos’era successo,
cos’era stato rivangato, in sua assenza.
Harry stava in piedi dietro al divano, Hermione era seduta su
di esso davanti all’aggeggio babbano.
Cho si sentì ignorata.
Si sentì inutile, fuori luogo.
Ebbe l’istinto di afferrare il giaccone e uscire nella fredda sera di
novembre, perché in quella casa, in quella casa dove ormai convivevano
da tre anni, si sentiva soffocare, si sentiva un’estranea.
Non mosse un muscolo.
Si schiarì la voce, voleva urlare, voleva arrabbiarsi, voleva dirgli,
sono qui! Guardami, io sono qui!
Il campanello suonò nuovamente, tutti tirarono un sospiro
di sollievo; ed Harry si accorse che c’era anche lei, nella stanza.
Cho aprì con rassegnazione la porta.
Non disse nulla per un attimo.
<< oh, benarrivato… >>, riuscì a sillabare
<< sì, ho cercato di venire in orario! Allora,
chi è arrivato…? >>
Ron entrò in casa, l’espressione cordiale del suo
volto si spense appena vide la ragazza che, con un’espressione preoccupata,
sedeva sul divano guardando verso il basso.
<< Hermione…. – disse in un sussurro –
non mi avevate detto che c’era anche lei. Ciao. >>
<< Ciao, Ron. >>, rispose lei sospirando.
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Capitolo 3 *** Tuth ***
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La situazione era diventata surreale.
La stanza sembrava cristallizzata.
Ron si era fermato, sorpreso ma soprattutto infastidito, davanti alla porta
alla sola vista di Hermione.
Lei più che altro sembrava rassegnata, con la testa china e la fronte
aggrottata.
Cho era poco distante da loro, dietro
il divano, che stringeva convulsamente i polsi.
Come a volersi controllare, sempre controllarsi.
Ecco cosa Harry non sopportava di lei: l’esasperato autocontrollo.
Sfogati! Piangi, ridi! Dimmi cosa pensi, perché cerchi sempre di accontentarmi
in tutto?
Ma lei niente, non capiva che questo suo perenne desiderio di non dar fastidio
era totalmente contrastante con la spontaneità che il suo ragazzo avrebbe
voluto da lei, lui voleva bene alla persona che conosceva, non alla graziosa
bambolina accondiscendente, pronta a qualsiasi gioco.
Così le incomprensioni si
erano dilatate come una macchia tra i due, e le cose si erano trascinate nella
noia e l’abitudine.
Anche quando facevano l’amore,
era solo imbarazzante. Cho se ne stava muta e con gli occhi chiusi, come aspettare
che il supplizio passasse.
Forse ha paura, cerca di essere più gentile, più dolce, si diceva
Harry.
Cho era insensibile a qualsiasi carezza, qualsiasi parola, teneva gli occhi
serrati e si lasciava toccare.
Perché faceva così? Quale strano meccanismo mentale la induceva
a essere così snervante?
Ed Harry immaginava di sbatterla sulla parete e violentarla, strapparle almeno
un’espressione di odio, qualsiasi cosa sarebbe stata sicuramente più
eccitante di quello sguardo di rimprovero.
Ma tutto questo lei non l’avrebbe
mai saputo.
Harry tornò a guardare Ron
ed Hermione.
C’era qualcosa di strano.
Qualcosa che non sapeva. Com’era possibile che ancora non si rivolgessero
la parola? Cos’era davvero successo in quei mesi? Com’era possibile
che si detestassero fino a quel punto…
ma soprattutto…
…Com’era possibile che Hermione non gli avesse detto niente?
Finalmente Ron tornò a parlare, interrompendo l’esasperante silenzio
della stanza.
<< Credo che sia il caso che me ne vada. >>, disse soltanto
<< ma come…! >>,
esclamò Cho, trattenendosi a metà frase
<< Ti prego, Ron… >>,
disse Hermione quasi piangente
<< Ron, aspetta. >>
<< Che vuoi Harry? >>
Un respiro profondo
<< Voglio sapere cos’è
successo tra voi due. Voglio sapere perché siete così… così…
>>
<< Non sono cose che riguardano
te. >>
<< Ron! Siamo stati amici!
Non lo siamo più forse?! Gli anni passati insieme, non contano più
nulla? Eh Ron?! Non ho il diritto di sapere i vostri problemi?? >>
<< Non è così,
proprio per questo! Proprio perché… insomma, non volevo che quel
che…era…insomma, tra me ed Hermione complicassero le cose…
Io… >>
<< Tu hai rovinato tutto,
Ron! – urlò Hermione, sul punto di scoppiare a piangere, sfogando
il rancore represso e l’insoddisfazione - Come hai potuto pensare che
dopo quel… quel giorno… tu hai incominciato a comportarti così,
e hai rovinato tutto! >>
<< Ron, io non capisco…
cioè, io credevo che le cose tra voi due non andassero bene e così,
io non ho voluto pensarci… Era tutto così irreale. >>, disse
titubante Harry
<< Già, immagino…
- sibilò sarcastico Ron - deve esserti sembrato strano, non è
vero?! Per una volta, io, la piattola Wesleay, il peggiore, che riuscivo a battere
Potter! Incredibile anche per te, non è così? >>
<< Ron? Ron ma cosa stai dicendo?!
Cosa vuol dire, cosa?? Io per te ero solo un premio, una sfida tra te ed Harry?
SPIEGAMELO! >>
<< Hermione, io non c’entro,
nulla…! >>, si difese debolmente Harry. Lui c’entrava eccome,
e lo sapeva.
<< No, non è così!
Non è così, HERMIONE! >>
Le grida di Ron furono inutili.
Ormai era troppo tardi. Lei si era alzata di scatto, aveva afferrato il suo
giaccone e con uno slancio si era buttata fuori dalla porta, urtando violentemente
Cho Chang.
Nella stanza era calato il silenzio.
<< Ron… - disse Harry
con gli occhi fissi sulla porta - cosa volevano dire le tue parole? >>
<< Non so... Io non lo so
perché ho detto quelle cose… scusami, Harry. >>
<< Stupido! Non è a
me che devi chiedere scusa! Probabilmente… se l’hai detto, è
perché lo pensavi... è così? >>
Silenzio.
<< Non puoi… non…
- riuscii ad articolare incredulo Harry – se hai intenzione di restare
là a fare niente, vorrà dire che la seguirò io! >>
Detto questo, anche lui corse fuori,
senza badare a mettere una giacca, senza pensare a Ron o Cho, voleva solo trovarla,
voleva solo Hermione.
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Capitolo 4 *** Lost ***
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Ok, forse agire così di impulso non era stata una grande idea, pensò
Harry Potter.
Non aveva mai fatto grande vita mondana fra i babbani, e solo in quel momento
si rese conto cosa fosse Covent Garden a quell’ora. Erano quasi le dieci.
Ristoranti, bar, negozi e discoteche, una folla di giovani urlanti. Giovani come
lui, ma che sentiva così distanti
E un freddo della miseria….come avrebbe detto Ron.
Si girò di scatto, aspettandosi di vederselo comparire alle spalle,
con i capelli rossi spettinati e lo sguardo arrabbiato.
“Tu… mi hai rubato Hermione!”, immaginò di sentirlo
dire. Ma Hermione non era una cosa, non era per conquistare il suo eterno amore
che l’aveva seguita di impulso… Voleva vederla, voleva parlarle
come una volta, voleva che sorridesse e voleva vedere che stava bene.
Beh, in realtà per il momento si sarebbe accontentato di trovarla.
Una parola, di certo non poteva usare la magia. Avrebbe dovuto sorvolare la
zona con un manico di scopa…no, impossibile, l’avrebbero visto.
Cosa posso fare? Cosa posso fare? Cosa posso fare?
Si spremette le meningi, mentre istintivamente si voltava avanti e indietro
sperando di scorgerla. Inutile, sapeva bene che a Hermione quando era di cattivo
umore piaceva isolarsi e riflettere in un posto silenzioso.
Ecco! Dove poteva essere andata? Abitava lì da più di tre anni,
dov’era un posto simile…?
Incominciò a correre spintonandosi tra la folla. Ora aveva una meta.
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Definire imbarazzante la situazione era poco.
In quel che era sembrato un secondo, Hermione si era defilata
dalla porta, Harry l’aveva seguita e lui…
Lui era rimasto là come uno stupido, sentendosi più idiota ogni
secondo che passava.
Cho si era seduta sul divano, sembrava attonita…
…Anzi più che altro rassegnata. Chissà a cosa stava pensando.
Chissà come si sentiva in quella situazione..
Lui non sapeva niente di lei, non aveva mai pensato…
Ma cos’era successo in quegli anni?
Per la prima volta dopo molto tempo, si pentì di non aver cercato una
soluzione con Harry e Hermione, come facevano ad Hogwarts ogni volta che si
trovavano nei guai.
Incredibile, insieme erano riusciti a sconfiggere un troll, eludere i tranelli
della scuola, arrivare a sfidare l’oscuro signore, entrare a far parte
dell’Ordine della Fenice…Insieme.
Eppure, in quella situazione così banale…quasi “babbana”…
era ridicolo.
Possibile che neanche Harry fosse riuscito a trovare una soluzione, per salvare
la loro amicizia?
Harry era il migliore, lui era… tutto quello che Ron desiderava a quei
tempi.
Desiderava ancora adesso.
Però, però… insieme erano riusciti a trovare la
pietra filosofale.
Insieme avevano aiutato Harry a superare le prove del torneo Tremaghi.
Insieme, sempre insieme anche nell’ordine della fenice.
Non Harry Potter, l’eroe, ma Hermione Harry e Ron. Loro tre.
Insieme.
Non ne aveva mai parlato, strano, non avevano mai parlato… di queste cosa,
insomma.
E anche adesso, se solo… forse, se solo si fosse fidati di lui…
Diceva di essere suo amico…
Ma cosa pensava davvero?
Era solo invidia? Era solo disprezzo? Perché Harry aveva continuato a
considerarlo sempre, nonostante lui fosse… insomma, era un Wesley,
lo sapevano tutti che reputazione aveva, e Malfoy lo aveva gentilmente sottolineato.
Voleva capire. Voleva…
Voleva chiedere scusa a Hermione, voleva chiedere scusa ad Harry, voleva che
tornasse tutto come prima, voleva…
Si guardò intorno, come intorpidito.
Gli sembrò di aver appena vissuto un…sogno.
Aveva capito una cosa. O almeno, ci si era avvicinato.
Guardò di nuovo Cho Chang.
Si avvicinò cautamente alla porta chiusa, quasi non volesse
destare la sua attenzione.
Troppo tardi; il campanello trillava allegramente, e chissà
come, Ron capì subito che non erano Harry e Hermione, dall’altro
lato del muro ad aspettare di entrare.
“sono in trappola.”, pensò, con un peso che
gli formava un groppo alla gola.
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<< Lumus! >>
Una fioca luce diradò le tenebre nel luogo circostante.
La ragazza che teneva in mano lo strano legnetto che produceva quel chiarore,
lo nascose con circospezione vicino al mantello.
Era incredibilmente buio, era ricoperta completamente dal mantello
nero, e si trovava il più acquattata possibile.
Nonostante tutto, era sempre vicino a Covent Garden, ed Hermione Granger non
dimenticò la prudenza, anche in quel momento, che avrebbe voluto dimenticare
tutto e abbandonarsi alla tristezza.
Pensò a Ron.
<< stupido… >>, mormorò impercettibilmente.
Gli venne automaticamente in mente Harry, subito dopo
<< Stupidi, stupidi tutti e due…! >>,
era sull’orlo delle lacrime.
Calmati, Hermione.
Non preoccuparti, si risolverà tutto.
Ce l’abbiamo sempre fatta, anche nelle situazioni più difficili,
siamo sempre rimasti amici…
come al ballo del ceppo… Quella era stata una dura prova per lei.
Fece un vago sorriso ricordando l’espressione stupita e ammirata di Harry
nel vederla, e la palese gelosia di Ron, che tuttavia l’aveva fatta arrabbiare
ancora di più.
<< Ron… perché è finita così..?
eppure io… io ti ho voluto così bene… perché…
Ron, Harry… >>
Non doveva piegarsi alle lacrime.
“Non risolverebbero nulla”, le suggerì debolmente quel po’
di calma che le rimaneva
Probabilmente.
Sicuramente.
Sì, sicuramente era così.
Lei era Hermione Granger.
Era testarda, petulante, razionale e tendeva sempre a vedere il lato cinico
delle cose.
Un tempo era anche facilmente impressionabile e terribilmente emotiva, ma col
tempo certi pregi vanno a finire nel cassetto del non-necessario-per-un-Auror
Hermione Granger.
Sempre la prima.
La migliore.
Era riuscita a tenere alto l’onore e non farsi mettere in ombra persino
da Harry Potter.
In seguito al loro fidanzamento, aveva tenuto testa all’intera famiglia
Wesley, fratelli e parenti di più lontano grado compresi.
Aveva affrontato più pericoli di qualsiasi studente di Hogwarts già
al primo anno.
Ma aveva irrimediabilmente perso.
Aveva perso Harry, e alla fine anche Ron.
Lei…forse… le piaceva Harry...? Forse, ma di certo non poteva parlare
di amore.
Che importanza poteva avere?
Non ci rifletté neanche per un secondo, prima che fosse troppo tardi.
Gli bastò pensare a Ron. A cos’era successo dopo. A quel che era
successo quella sera stessa.
Non avrebbe fatto soffrire i suoi due migliori amici ancora una volta.
Migliori Amici.
Avrebbe risolto con loro la situazione per il meglio.
Anche a costo di mentire a se stessa.
Pianse un po’, prima di rialzarsi dalla panchina del parco, e decidersi
a tornare…
…Già, ma tornare dove?
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Il campanello aveva riportato Ron alla realtà.
Cho si alzò velocemente, e lui si accorse con stupore che aveva gli occhi
perfettamente asciutti.
La vide raccogliere le forze, alzarsi, andare alla porta, chiudere gli occhi
per un secondo traendo un profondo respiro e
Lei aprì sorridendo la porta, salutando calorosamente
un’altra ragazza dai tratti orientali, presumibilmente la sorella, e farla
entrare ignorandolo completamente.
La ragazza lo guardò interrogativa, e sembrò rivolgersi
a Cho, che però le strappò quasi il cappotto di dosso e le ordinò
di seguirla in cucina.
Si allontanarono ridacchiando e parlando in un idioma sconosciuto, e lui rimase
nuovamente solo.
Sapeva cosa doveva fare.
Ci pensò poco più di qualche secondo, che gli sembrò comunque
troppo lungo.
Era la sua occasione, non intendeva sprecarla.
Avrebbe risolto tutto.
Avrebbero risolto tutto, loro tre, come sempre. E anche se non sarebbe stato
così facile, Ron voleva convincersi che ce l’avrebbero fatta.
Cercò la giacca senza successo, afferrò senza un preciso motivo
la sciarpa e scappò fuori.
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Capitolo 5 *** [Fine Prima Parte] Change will come ***
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<< Va tutto bene, Cho? Scusa per il ritardo, sai…Ma… dov’è
Harry? >>
<< Io… - disse lei traendo
un profondo respiro – credo che dovremmo parlare… >>
<< Certo, dimmi pure. Sai
che puoi dirmi tutto. >>, rispose la sorella sorridendo rassicurante,
ma Cho capì subito che era preoccupata. E ne fu felice.
Senza riuscire più a trattenersi, una lacrima silenziosa le scivolò
sul viso.
E si accorse che non riusciva a fermare le altre.
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Ma certo, il parco! Come aveva fatto a non pensarci prima?
Probabilmente era là seduta al buio, aspettando chissà quale illuminazione
che potesse farle risolvere tutto, come quando agitava appena la bacchetta in
preda ad una delle sue Trovate Geniali…
E lo erano per davvero, aveva sempre la risposta esatta, sapeva sempre come
aiutarti, o per lo meno non c’era una volta che si tirasse indietro per
provarci, per lo meno.
“Noi tre possiamo farcela!
Ricordate, noi tre, insieme possiamo fare qualunque cosa…”
Lo diceva sempre, pensò Harry.
E ci credeva, perché mentre pronunciava queste frase per infondergli
coraggio – che fosse semplicemente per portare a termine un tema, o sconfiggere
un drago – le brillavano gli occhi, e li guardava con fiducia.
Ecco cosa mancava a lui e Ron.
La fiducia.
Ron non aveva creduto ad Harry il quarto anno.
Harry non era stato di certo molto comprensivo, non avevano saputo risolvere
la situazione da soli.
Si erano fraintesi anche al sesto anno, quando era successo…quello, insomma,
tra Ron e Hermione. Harry non aveva avuto il coraggio di dirgli ciò che
pensava, e li aveva traditi.
In seguito ogni volta che c’era qualche problema, senza Hermione si sentivano…
persi.
Era indispensabile, per tutti e due allo stesso modo.
Ma avevano finito per perdere anche lei.
Quando Ron, con gli occhi abbassati, rosso in viso e balbettante gli aveva dato
la “notizia” si era sentito male.
Non avrebbe mai immaginato… non poteva essere…
“Si rese conto di amarla”…?
Sì, una frase così farebbe molto effetto.
In effetti… stava pensando a questo…genere di cose da un po’,
ma lui non avrebbe mai potute rompere quell’equilibrio che si era formato
tra loro, non l’avrebbe mai fatto, per il loro bene…
O forse, semplicemente perché era un codardo.
Semplicemente, perché era solo geloso.
…
Ma le cose erano cambiate dagli anni di Hogwarts…già, cambiate
quanto?
In qualche modo, quell’emozione, quel modo particolare di pensare a lei,
di guardarla, era…diverso.
Lei era diversa. Lo era anche Harry, e anche Ron era cambiato.
La loro vita aveva subito delle deviazioni, si erano separati per frasi non
dette, piccole bugie e incomprensioni, ma non potevano più sbagliare,
non avrebbe sprecato quell’occasione; e non solo per Hermione, anche per
Ron, per i suoi amici, per se stesso.
Anche Cho. L’aveva fatta piangere, di nuovo. Non potevano stare insieme.
Ma voleva vederla sorridere di nuovo, voleva avere la certezza che qualcun altro
l’avrebbe resa felice.
Poteva farcela.
Potevano farcela…
<< Ce la farò, noi
tre ce la faremo… vero Hermione...? >>, sussurrò a mezza
bocca mentre correva verso il parco.
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Ron si guardò intorno
spaesato. Dove diavolo era? Non era mai stato molto pratico con le strade e
i “cartelli” appesi in giro e quelle altre faccende babbane lo confondevano
ancora di più… Inoltre lui abitava fuori Londra, non conosceva
bene la città, la strada era strapiena di gabbani e non aveva la più
pallida idea di come mettersi in contatto con Hermione o anche solo acquistare
un po’ di senso dell’orientamento.
Non importava, a qualunque costo li avrebbe ritrovati.
Aveva capito, finalmente. Sempre un po’ tardo, eh Weasley?
Aveva capito cos’è che cercava da tempo, cos’è che
non riusciva a trovare nel presente di tutti i giorni, nei colleghi di lavoro
al ministero, nelle ragazze occasionali…
Quel senso di incompletezza che trovava pace solo nelle pieghe della memoria,
fra i corridoi di Hogwarts e gli intervalli tra una lezione e l’altra.
Sempre più spesso si ritrovava a pensare a quei giorni, a ridacchiare
da solo in mezzo alla strada al ricordo di una delle battute di Harry, o delle
scenate di Malfoy o Piton…
Non i combattimenti epici contro draghi e basilischi, o le avventure fra luoghi
proibite e camere oscure, di certo no era questo che… rimpiangeva.
Sempre e comunque, in quel vagare del passato, Harry ed Hermione lo accompagnava
come due ombre sfuggenti, sempre così vicine, ma allo stesso modo imperscrutabili.
Non potevano cancellare tutto quello che era successo, tutte le colpe e le incomprensioni.
Aveva ferito Harry,e soprattutto Hermione, e questo non se lo sarebbe mai perdonato…
…Tuttavia…
…Quel che desiderava
di più in quel momento, non era che Harry accettasse una presunta relazione
tra lui ed Hermione col sorriso sulle labbra, o che tornasse tutto come prima…
Erano cambiati, avevano imparato dagli errori e ne avevano commessi altri. L’unica
cosa che desiderava più di chiunque – e che aveva chiaramente delineato
nella sua testa vedendo gli sguardi distanti, preoccupati e quasi ostili dei
suoi…amici – era che quel sentimento che li univa, quella complicità
che gli aveva permesso di sopportare le ramanzine di Hermione, o di non considerare
Harry un… “pazzo visionario”, era il legame, l’amicizia
che li univa.
<< …vorrei
tornare… - disse quasi ad alta voce, senza rendersene conto - però,
andrò lo stesso avanti, perché loro… sono anche là,
non solo nel passato. >>
Riemerse dalla fitta coltre
che le riflessioni avevano gettato su di lui, come un manto dell’invisibilità.
Tornò a pensare concretamente che doveva trovarli, che doveva raggiungerli
in qualsiasi modo.
E tutt’a un tratto, si senti calmo. Lì abitava Harry, quelli erano
i posti che ripercorreva tutti i gorni e conosceva. Avrebbe capito dove andare,
come orientarsi, in un modo o nell’altro.
Senza un preciso motivo, incominciò a correre nella direzione dove le
luci si diradavano, e scompariva la folla,e una macchia scura faceva intuire
la presenza di vegetazione….
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Una macchia scura nel groviglio
delle luci e strade di Londra annunciò ad Harry Potter che aveva raggiunto
il parco. Era lì, sicuramente, doveva essere lì…
Si guardò intorno più volte, speranzoso.
Ma il parco era completamente
deserto, e nel brivido della fredda notte dicembrina, gli sembrò.. vide
un tremito fra i cespugli. E la luna… quel lampione che lentamente andava
spegnendosi, i rumori degli autobus che sfrecciavano…
Fissò a lungo la
selva, che improvvisamente si era fatta oscura, e tornò lì. Tornò
a quella notte di dieci anni prima, la notte in cui aveva visto Sirius Black
per la prima volta.
Che idiota, pensò,
come faceva a pensare a cosa del genere, così tanto tempo dopo, e in
una situazione così…
Automaticamente il suo braccio andò alla cicatrice. Non era scomparsa.
Non sarebbe mai successo, lo sapeva. Come anche quel ricordo indelebile non
avrebbe mai smesso di perseguitarlo, quando nel bel mezzo della notte si svegliava,
e trovava solo Cho di fianco a lui, fredda e immobile.
Era solo.
Forse lo sarebbe stato per sempre.
<< Harry! >>
Una voce risuonò
alle sue spalle.
Era…lei…?
No, non era la voce calda di Hermione, e quando voltò lentamente le spalle,
non si stupì di vedere il volto rosso e un po’ imbarazzato di Ron.
Per un raggelante momento,
temette che l’avesse seguito per incolparlo, o dirgli che Hermione
era solo sua, e non doveva azzardarsi a toccarla neanche con un dito
e cose del genere.
Ma Ron lo guardò dritto negli occhi solo per qualche secondo, come se
si aspettasse che Harry rispondesse in qualche modo.
Rimasero così per qualche secondo.
Fu Ron il primo a schiarirsi la voce.
<< …Ah, allora…
lei… cioè, non l’hai trovata…no…? >>
“no! – pensò
Ron sentendosi avvampare – che idiota, perché ho detto una cosa
così stupida? Adesso penserà che li ho seguiti per lei, perché
voglio…”
<< Beh, così
pare, direi. - rispose invece secco Harry – tu non l’hai vista,
immagino. Non hai idea di dove…? >>
“Dannazione... –
Pensò Harry subito dopo – perché ho usato quel tono? Penserà
che sono arrabbiato…”
<< Ma certo che no,
scusa! Insomma, non conosco la zona, come potrei..? >>, rispose con un
po’ di stizza Ron
<< Ok, ok, scusa.
– finì prontamente Harry – senti, lasciamo stare, e piuttosto
cerchiamola insieme… Va bene? >>
<< Certo! >>,
rispose Ron come se la cosa fosse sottointesa.
<< Beh, potremmo
provare in un bar, oppure vicino casa… >>
<< Credi che possa
essere tornata a casa? Ma abita molto lontano, da qual che mi ha detto..! >>,
disse cautamente Ron, approfittandone del momento di quiete che era succeduto
a quel primo scambio di parole non proprio gentili.
<< Ma no, intendevo…
>>, sbuffò Harry
<< … Che sono
qui. >>, completò la frase lei, sbucando dal nulla di quei cespugli
che avevano tanto fatto rabbrividire Harry
“E così –
pensò lui con sorpresa – ancora una volta la verità si trovava
davanti ai miei occhi, ma non ho saputo riconoscerla…”
Ron dal canto suo la fissò
sbalordito per qualche secondo, non sapendo cosa dire.
<< Credo che dobbiamo
parlare, no? >>, disse Hermione con calma, ma sembrava incerta
<< Sì, senza
dubbio, è l’occasione giusta per chiarirsi… >>, disse
Ron a bassa voce
Harry non potè fare
a meno di sospirare rincuorato.
Ce la poteva fare, sarebbe andato tutto bene. Avrebbero trovato una via d’uscita,
loro tre.
Cercò disperatamente di non pensare a Cho, sola nella penombra della
casa.
Ron sembrò assumere
un atteggiamento speranzoso, quasi impaziente. Si capiva che era da molto che
rimuginava aspettando quell’occasione. Arrossì appena sentendo
lo sguardo di Harry su di sé. Non voleva già sembrare ridicolo.
Hermione dal canto suo,
sembrava preoccupata, come se da un momento all’altro sarebbe scoppiata
un a lite, tutto a causa sua.
Era vero, non avevano più il rapporto di un tempo, ma stava rischiando.
E non se ne pentiva.
<< Finalmente…
- incominciò nuovamente - …ci siamo rincontrati… >>
E tutti e tre non poterono
fare a meno di mostrare un chiaro, impercettibile sorriso.
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Capitolo 6 *** [Parte Seconda] Midnight ***
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Mezzanotte.
L’ora dei ritrovi, l’ora della fine
Le ore della follie, le ore degli inizi
L’ora che arrivata, l’ora che è stata aspettata a lungo.
L’ora della verità.
Mezzanotte
E’ l’ora delle streghe.
…..
<< Finalmente… siamo riusciti a rincontrarci…
>>
<< a quanto pare… anche se non si può parlare
proprio di un incontro voluto… >>, commentò Harry in modo
cupo
<< Parli proprio tu dici così! Non ti sei mai fatto
sentire! Mai un gufo, una visita… Ma davvero finora abbiamo vissuto nella
stessa città?! >>, scattò Ron
<< Ognuno di noi… aveva le sue ragioni, credo. Ma
è stato comunque un errore. Nessuno ha più colpa di un altro.
>>, replicò semplicemente Hermione
<< Ma come diavolo fa ad avere sempre la risposta
giusta…? >>, mormorò sconvolto lui, nascondendo una
risata.
Anche Harry per la seconda volta sorrise.
Erano sorrisi nel buio, sorrisi non visti, che si perdevano
nell’etere della notte fredda.
Ma nessuno ci faceva caso, perché non erano sprecati.
Ogni parola, ogni espressione era volta ad arrivare là
A raggiungere una meta, la verità.
<< E’ stato strano stasera… Non mi ero reso conto del tempo
passato… mi dispiace. >>
<< Non è necessario, è colpa di tutti, come
al solito… >>
<< Sì, ma che vogliamo fare, stare qua tutta la
sera a dirci “scusami tanto” o “no no scusa tu”? Dovevamo
parlare, se non sbaglio… >>, disse Ron.
Sapeva essere molto esplicito alle volte. Forse troppo.
Harry ed Hermione lo guardarono stupiti.
Aveva ragione, adesso.
<< Sì, basta con i giri di parole. – parlò Harry –
se bastassero delle scuse, non direi nient’altro, ma credo che…
credo che dobbiamo vedere la questione più a fondo. Voglio capire. >>
<< Io… - parlò per prima Hermione - non so da dove cominciare,
ecco. Vorrei capire anche io in realtà. Ma in quel periodo… insomma,
dopo che io e Ron ci siamo… messi… insieme, ecco…Le cose sono
cambiate. Troppo. Non sono riuscita a sopportarlo, non potevo stare così
in quel modo, ma allo stesso tempo mi sentivo in colpa… Credo di aver
confuso… l’amicizia… con l’amore. >>, concluse
a bassissima voce.
Ron non riusciva a guardarla, non riusciva a parlare.
Temeva che avrebbe finito per urlare, dire altre cose crudeli, cose che non
pensava, ma…
…Aveva amato Hermione.
Nel vero senso della parola, aveva amato così tanto che era stato pronto
a buttare l’amicizia con una delle persone più importanti per lui,
solo per…
Già, per che cosa?
<< Hermione. – disse guardandola negli occhi. Lei
sussultò. – Io ti volevo bene. Molto. Forse era troppo,e non mi
sono reso conto di quello che facevo. Ho rovinato tutto. Dopo non avevo più
il coraggio di guardarti in faccia, perché pensavo che… all’epoca,
pensavo che anche Harry, insomma… >>
Le orecchie gli erano diventate più rosse che mai.
Ma quella era l’ora delle streghe, l’ora della verità.
Harry non poté fare a meno di guardarlo stupito.
<< eh? >>
<< N-n-non… non era…così…? >>
<< beh…No. >>
<< Ma-ma come no?! Non è possibile, io ero sicuro…
Insomma, quando te l’ho detto avevi fatto una faccia spaventosa…pensai
che era solo una mia impressione, ma poi ci evitavi sempre, non stavi più
con noi, sembravi arrabbiato, e così pensavo…mah, insomma, alla
fine siamo stati capaci di farci solo del male… >>
<< Io.. Io credevo voleste stare da soli, quindi cercavo
di non stare in mezzo, ecco, sì, sono effettivamente rimasto un po’
sconvolto, e non sapevo cosa fare… >>
<< Insomma, in definitiva tutto questo solo perché
eravamo degli adolescenti imbranati? >>
Messi di fronte alla semplice, stupida verità, non poterono
fare a meno di sentirsi degli dioti in silenzio.
<< Beh, Ron è ancora un stupido adolescente imbranato.
>>, disse quasi serio Harry
<< Eh?! Cosa?? IO?! Ma senti chi parla… E di Cho
Chang che mi dici?! >>
Ron si rese conto di cosa aveva detto solo qualche secondo dopo.
Hermione lo guardava esterrefatta.
“Come ha potuto, come ha potuto…?! ecco una
delle cosa che non sopporto, che insensibilità!…”
Harry per canto suo sembrava aver finalmente realizzato.
<< Come ho potuto…? Cosa faccio ora... Come posso
scusarmi…? >>, sembrava davvero disperato.
Seduto sulla panchina si piegò su sé stesso con
la testa fra le mani.
Con addosso solo una vecchia felpa, senza mantello e bacchetta né niente,
con il viso coperto, Harry Potter non sembrava un grande Auror, o colui-che-è-sopravvissuto,
non sembrava neanche sé stesso.
Sembrava solo molto triste.
<< Harry… - disse piano Hermione – qualsiasi
cosa tu voglia fare… Devi avere il coraggio di farla, anche prendendoti
la responsabilità di farle del male. Ma non sei solo. >>
<< Oh, Herm ha ragione! – sdrammatizzò Ron
- In fondo sono quasi tre anni che non ci parliamo, ci stiamo chiarendo adesso
dopo così tanto tempo e… ehm, beh però… siamo amici
noi, vero? >>
<< Insieme… una soluzione la troveremo, ricordi,
Harry? Andiamo, siamo riusciti a fare l’impossibile, noi tre, anche adesso
ce la possiamo fare! >>
<< Allora, vogliamo andare…? Io sto morendo di freddo!
>>, disse Ron
<< Oh, insomma, sempre a lamentarsi… Non sei un
uomo tu? >>, chiese divertita Hermione
<< Ah, non ci credo! Siamo stati fino a quest’ora
fuori a cercarti… >>
<< Avete ragiona. Scusate, è che… >>
“Sono felice”, avrebbe voluto dire.
Sembrava che le cose si fossero avviate lungo la superficie, lentamente quel
peso che per tanto tempo le aveva bloccato ogni respiro, sembrava sempre più
leggero…
Ma i loro problemi non si potevano risolvere così, Cho non sarebbe sparita
come una magia, e nell’impaccio che aveva Harry nel confidarsi con loro
si percepiva il tempo trascorso.
Tuttavia…
<< Allora, Harry… Andiamo ad affrontarli?
>>
Le incomprensioni, le bugie e i frammenti di verità,
le chimere nascoste negli angoli più bui, le speranze e i sogni perduti,
la sofferenza per nostra causa, cosa che non si possono più ricostruire,
cose ormai svanite, cose che fanno paura.
Eppure la consapevolezza di avere ancora un appoggio con il quale potrò
risollevarmi ancora tante e tante volte, mi dà il coraggio.
E forse un girono sarò forte.
Forse un giorno sarò sincero, saprò far felici le persone, sarò
in grado di pensare di nuovo a questi giorni… E sorridere guardandoli
allontanarsi sempre di più.
Forse, mentre adesso…
<< Andiamo. >>
Sorridere nel buio, sorridere non visti non fa bene agli altri,
non li rassicura.
Rende solo più stabile il cuore.
Perché torni a muoversi.
<< Ah, era ora! Che freddo… >>
<< Ron, dacci un taglio, va bene il freddo e tutto, ma
almeno sta’ zitto! >>, replicò Harry
<< Ah, va bene, allora non parlerò più da
qui a casa, ecco. >>
<< Fantastico. >>
<< Finalmente. >>, completò Hermione
<< Che simpatia… >>
<< Dai Ron, non te la prendere… >>
<< Ok, ma quanto manca a casa tua..? >>
<< ehm… credo sia da questa parte. >>
<< Ah, siam messi bene… >>
----------------------------------
<< Allora, Cho, promettimi…
>>
<< … Che ti
chiamerò ogni qual volta avrò il bisogno di sfogarmi, sì…
>>
<< Non fare così,
sai che sono preoccupata. >>
<< Grazie. Ma non
ce n’è bisogno vedrai che – cercò disperatamente di
non pianger di nuovo - …risolveremo… tutto. Ci vediamo. >>,
finì in un soffio
<< …Presto,
mi raccomando. Buonanotte. >>
La sorella le donò
un ultimo sorriso, e sparì inghiottita dalla notte.
<< Anche a te…
>>
Di nuovo sola.
Il salotto di casa non
le era mai sembrato così buio e silenzioso.
Aveva pianto fino a quel momento, senza riuscire a dire una parole per esprimere
come si sentiva.
Pianto e basta, pianto pensando a quel che sarebbe successo quando Harry sarebbe
tornato, pianto sperando che non tornasse più
Pianto desiderando che tornasse per sempre.
Aveva voglia di urlare, di sfogarsi contro di lui.
Per una volta voleva vederlo preoccupato per lei, voleva vederlo implorargli
scusa in ginocchio.
Era stanca di piangere, stanca di essere perfetta e accomodante.
Aveva cercato. Aveva cercato in tutti i modi di amare, di farsi amare.
Ma presto non aveva più saputo trattenere il disgusto, gli incubi che
ancora la perseguitavano, le bugie si era estese come una macchia, rendendo
qualsiasi cosa intorno a loro sporca e corrotta.
Per un attimo restò
in piedi, guardandosi intorno nell’oscurità della casa.
Completamente sola.
Nessuno sa della tua esistenza.
Nessuno se ne preoccupa.
Nessuno può capire, nessuno vuole capire
Non capisci
Si portò stancamente
fino al divano scarlatto, si sedette, curva su se stessa, quasi in posizione
fetale, senza pensare, nell’oscurità immobile.
Dissolversi nel buio, senza
far rumore, senza soffrire, senza più nulla.
Sparire senza ricordo, senza essere mai esistita.
Chissà come doveva
essere.
Come doveva essere morire.
Spegnersi.
O bruciare in una fiammata.
Provaci.
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Capitolo 7 *** What if..? ***
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Le luci spente conferivano
alla casa un aspetto sinistro, a causa dello stridente contrasto con quella
che prima era una rassicurante abitazione, con il fuoco del caminetto accesso,
le luci brillanti che si intravedevano dalle finestre sbarrate.
Quella che Harry Potter chiamava casa, quella che Harry Potter chiamava moglie.
Adesso gli appariva come un errore, degli sbagli che avrebbe voluto cancellare,
anche se rimettere piede in quel posto voleva dire affrontarli una volta per
tutti, nel modo più doloroso.
<< Harry… che
succede…? >>, anche Hermione aveva provato quella strana sensazione
di freddo, al cospetto della casa improvvisamente così… oscura.
Prese il braccio del ragazzo cercando un po’ di conforto.
E lui si accorse che lei tremava.
<< Herm, tutto ok?
>>, disse pianissimo
<< Certo… ho
solo freddo. >>, rispose lei cercando di sorridere.
<< bene, entriamo.
Ron..? >>
<< E’…è
inquietante, miseriaccia. >>, sentenziò lui con una smorfia.
<< Insomma, andiamo.
Non possiamo restare qua fuori in eterno.. >>, disse risoluto Harry senza
lasciare la mano della ragazza.
Abbassò con forza
la maniglia della porta, sicuro di vederla aprire.
Questa però fece resistenza alla spinta, senza muoversi di un millimetro.
Harry non potè trattenere la sorpresa. Com’era possibile?
Eppure, l’incantesimo che avevano applicato all’entrata avrebbe
dovuto permettere a loro due di entrare senza bisogno di usare la magia, o le
chiavi babbane.
Era molto strano, ma questo aumentò il suo disagio. Doveva entrare.
<< E’.. chiusa.
Non si apre. >>, disse.
Hermione tirò fuori
velocemente la bacchetta.
<< Alohmora!
>>
Niente. La porta non si
apriva.
<< Che significa?
– disse indispettita lei – deve averci messo un incantesimo piuttosto
forte… Ma perché?! >>
<< E’ stata
Cho, dite…? >>, parlò Ron con un brivido
<< Non mi viene in
mente nessuna altro.. Eppure non capisco… Perché avrebbe dovuto?
Comunque dobbiamo entrare… e io non ho la bacchetta… >>
Harry Potter pronunciò
quella frase quasi con sollievo.
In fondo non c’era niente di strano a non portarla sempre in giro, no?
A cosa doveva servirgli? Era normale, sicuramente non si sarebbero insospettiti..
Per il momento.
Ma lui sapeva benissimo che in realtà, tutto questo perché era
diventato un incapace.
Il senso di ansia di quei
giorni esplose silenziosamente, prendendolo con una morsa allo stomaco.
E se non fosse più riuscito a fare magie? Se avesse perso completamente
la facoltà di fare incantesimi? Era possibile diventare magonò
all’improvviso?
La maniglia non lo aveva riconosciuto…anche quello era un segno…
Ed era normale che non reagisse ad un incantesimo semplice come quello di Hermione.
E se davvero fosse tutto finito così? Come avrebbe fatto…?
Non ne aveva parlato neanche a Ron ed Hermione, tantomeno a Cho.
<< Harry? Che hai?
>>, disse Ron
Hermione gli risparmiò
la fatica di rispondere.
<< Ma certo! Ho trovato!
– esclamò, puntando la bacchetta alla serratura. – bombarda!
>>
L’intera maniglia
esplose producendo un fumo grigiastro. La porta si aprì cigolando, mentre
si intravedeva da uno spiraglio il salotto in ombra.
<< Hermione! –
sbottò Ron preoccupato – non hai neanche controllato se c’erano
babbani in giro! Miseriaccia, hai fatto un rumore… >>
<< Beh, tanto non
c’è nessuno, giusto? Entriamo adesso. >>
<< Io l’ho
sempre detto… L’ho sempre detto, fa paura quand’è così!
>>, mormorò lui di rimando
Dentro era completamente buio, quasi fosse abbandonato da anni.
Il cappotto di Ron giaceva abbandonato a terra, spettro degli avvenimenti di
poche ore prima.
il fuoco era stato spento improvvisamente, e non rimaneva che cenere. Tutto
era freddo e buio e apparentemente senza vita.
Cho non era in quella stanza. Probabilmente non era da nessuna parte, e la sua
coscienza si stava affievolendo nella polvere, appassendo lentamente...
Harry non potè reprimere un moto di sollievo. Se solo quella donna fosse
sparita! Se lei non fosse mai esistita, forse con la solitudine avrebbe capito
la verità, non avrebbe sprecato tutto quel tempo illudendosi di poter
dimenticare il passato….
No.
Orribile.
Era questo dunque che pensava? Era davvero così…crudele?
Come poteva aver desiderato la morta di colei con cui aveva diviso tanto tempo
della sua vita?
Cho non meritava quei pensieri, in fondo… non aveva fatto nulla, la colpa
era sua, che non era stato in grado di amarla. Solo sua.
Spinto dal rimorso, corse di sopra in preda all’ansia.
Hermione e Ron si stavano ancora guardando intorno disorientati.
<< Harry! Aspetta,
Harry! >>, gridò Hermione quando lo vide salire in fretta le scale
Finse di non sentirla.
In quel momento avrebbe potuto fuggire, come un codardo.
Fuggire, perdere tutto. Non ne valeva la pena.
E cosa avrebbe fatto? Cosa avrebbe detto a Cho?
“E’ finita”? Una lapidaria frase per impedire repliche, forse?
E lei come avrebbe reagito? L’avrebbe supplicato, avrebbe pianto?
Sperava che lo odiasse, così almeno non se ne sarebbe rattristato.
Ormai era arrivato nello studio. Era tutto esattamente come l’aveva lasciato,
nonostante le cose fossero cambiate così tanto, in poche ore. Possibile
che non fosse neanche lì? Possibile che se ne fosse andata… per
sempre?
Ancora pensieri assurdi.
“Non fuggire,
non fuggire, non fuggire, non fuggire….”, si ripeté
mentalmente
Non la vide, ma Cho Chang
si trovava lì per terra, raggomitolata nell’oscurità, perfettamente
immobile…Quasi non esistesse.
Ma teneva la bacchetta di ciliegio e crine di unicorno saldamente in mano, come
ultimo appiglio.
Tutto il lei si era spento, corrotto, aveva cambiato orribilmente forma, e delle
lacrime erano rimaste la tristezza sempre più amara, una scatola di sentimenti
repressi quasi vuota, come gli occhi di una bambola, lasciando sul fondo, crepitante…
Rabbia.
Sempre più forte, sempre più cieca, ultima forza, ultimo appiglio
Odio.
Harry non la vide.
----------------------------------------
<< Harry! Dove vai, Harry!? >>
<< Herm, lascia stare.
Credo sia meglio vada da solo. E’ una cosa tra lui e Cho. >>, sospirò
Ron afflitto.
Pesò a Cho, piegata
nell’oscurità, da sola.
Triste. Così bella e triste.
Pensò che quella era anche colpa sua.
Si sentì miserabile.
Ma erano pensieri assurdi, lui non c’entrava
<< Sì…
Hai ragione. >>, mormorò Hermione continuando a girare per la stanza.
Era improvvisamente preoccupata.
Fino a un attimo prima Harry era lì, e sentiva che sarebbe andato tutto
bene. Perché avrebbe dovuto preoccuparsi, in fondo? Era di nuovo loro
tre, erano insieme, erano… amici.
Si sentiva più leggera, aveva voglia di sorridere… fino a un attimo
prima.
Ma non era il momento di ridere quello. Harry sembrava più cupo e preoccupato
ad ogni passo, sicuramente pensava a Cho Chang, ma immaginava non fosse solo
quello.
C’era qualcosa che lo stava logorando, un’ansia crescente che si
era liberata in quel momento.
E loro non potevano fare niente; perché quella volta non c’erano
prove incredibili da affrontare o tranelli da superare, ma si trattava di mantenere
intatto un cuore, di non rompere un esistenza.
Era come se avesse subito l’influenza di quella casa, come se quegli stessi
pensieri fossero frutto dell’atmosfera pesante che li aveva avvolti come
una cappa.
<< Non io, non
Hermione, ma tu, Harry!>>
Quella frase detta così
tanti anni prima lunga la strada verso la pietra filosofale si addiceva perfettamente
alla situazione.
Ancora una volta, non lei, non Ron dovevano affrontare una prova, ma lui, da
solo.
Harry.
“Ce l’ha
sempre fatta, ce l’ha sempre fatta, andrà tutto bene, non è
niente, andrà tutto bene…”, disse mentalmente a mo’
di scongiuro.
Era vero, si trattava solo
di parlare con Cho, di rimediare a quegli anni di bugie e rimpianti, per quanto
potesse essere complicato, di certo non era rischioso… No?
Eppure, perché si sentiva così in ansia? Perché temeva
di aver tralasciato qualcosa di essenziale? Harry aveva sempre la mania di agire
d’impulso, senza pensare alle conseguenze.
E se qualcosa fosse andato storto…?
“No, no, no è
assurdo!”, pensò cercando quasi disperatamente di aggrapparsi
alla sua fredda capacità di giudizio, che le veniva meno quando una questione
la coinvolgeva direttamente.
Così incominciò
a farsi prendere dal panico. L’ansia, la claustrofobia di quel luogo inquietante,
quel rancore represso che sembrava pervaderla…
Incominciò a fare un nervoso andirivieni per la stanza, guardandosi alle
volte intorno, altre tenendo lo sguardo fisso a terra.
<< Ehm, Hermione…?
Che hai? >>, disse incerto Ron, che se ne stava seduto sul divano, guardandola.
<< Oh insomma, nulla,
cosa dovrei avere? >>, rispose lei mordendosi il labbro.
<< Ma… sei
arrabbiata con me? >>, le chiese improvvisamente lui
Hermione si bloccò
di colpo e lo fissò interrogativa.
<< Ma che stai dicendo?
>>
<< Oh, ecco, io…
beh, credevo che te la fossi presa per tutto questo tempo che non ci siamo sentiti
ecco, e per… le altre cose, insomma… >>, anche nell’ombra
in qui era avvolto, si potevano chiaramente notare le orecchie del ragazzo diventare
scarlatte, mentre il suo parlare si faceva più flebile e incerto.
<< Oh Ron, ma non
essere stupido… La colpa è tanto mia quanto tua, lascia stare,
davvero… Beh, forse ero un po’ arrabbiata, ma mi pare ci siamo già
chiariti, no? Non preoccuparti più. >>, concluse mentre il nervosismo
della voce lasciava posto a un tono più dolce.
<< oh, certo, hai
ragione… >>, borbottò Ron ancora più imbarazzato per
la “gaffe” ma evidentemente sollevato.
Calò il silenzio,
e anche Hermione finì per sedersi di fianco a lui, ad occhi chiusi.
Ron era come un fratello, e anche con quel discorso un po’ assurdo era
riuscita a distrarla per un attimo e farla ragionare.
Si sentiva ancora un po’ spaventata, ma razionalmente sapeva che presto
Harry sarebbe tornato da lei, e insomma… Era ovvio che con Cho Chang sarebbe
finita e…
Già…E se invece?
E se invece alla fine Harry capisse di… Amare Cho? No, non era possibile.
Assolutamente.
Però, insomma, quanto si erano chiariti anche con Ron lui non aveva accennato
a nulla che andasse oltre l’amicizia verso di lei, assolutamente.
“Probabilmente
perché c’era Ron, ecco.”, pensò immediatamente
la parte più razionale di lei.
Eppure… perché
quella sensazione sgradevole non la abbandonava del tutto?
Perché si sentiva così inquieta?
Doveva sapere, e doveva sapere in quel momento.
Ormai aveva capito che non avrebbe saputo limitarsi ad un rapporto di amicizia
con Harry, anche se non voleva assolutamente ferire Ron.
Semplicemente se alla fine lui fosse rimasto con Cho, probabilmente non sarebbe
riuscita neanche a guardarlo in faccia, e sarebbe stato tutto inutile.
Doveva sapere, e doveva sapere tutto.
Si alzò di scatto
senza dire nulla e si diresse decisa verso la scala che conduceva al piano di
sopra.
<< Hey, Herm, aspetta!
Che vuoi fare? >>, esclamò Ron prendendola per un braccio.
<< Non ce la faccio
più, Ron! Ti prego, saliamo a vedere cosa stanno facendo, io… >>
<< Ti prego, mantieni
la calma… Fidati di lui. >>
Hermione lo guardò,
quasi sorpresa.
“Fidati di lui…”,
gli diceva ora il suo istinto.
Incominciò a respirare
più lentamente.
Ron allentò la presa sul suo braccio
<< Senti… -
incominciò a dire – è meglio che… >>
Hermione non seppe mai cos’era meglio.
Un urlo improvviso, soffocato, e poi un tonfo sordo seguito da qualche imprecazione
li interruppero.
Sussultò per la sopresa e rimase lì pietrificata ad osservare
le scale, come se si aspettasse che da un momento all’altro un enorme
serpente dalle spire micidiali vi scendesse sinuoso e inquietante.
Era terrorizzata, ma non sapeva cosa fare, il buio la avvolgeva da tutte le
parti.
<< Hermione, muoviti!
Andiamo! >>, sentì gridare Ron disperato, mentre la afferrava nuovamente
e le faceva salire le scale di corsa.
Perché le era apparsa
quell’immagine nella mente?
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Capitolo 8 *** Illusion ***
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<< Allora…? >>, tossì leggermente come per schiarirsi
la voce, mentre camminava strascicando i piedi sul pavimento ruvido e polveroso
dello studio. Parlò con un sorriso soddisfatto sulle labbra, come chi
è riuscito a completare un lavoro a cui ambiva da tempo, e nonostante
a qualcuno abbia recato danno, ne è pienamente felice.
<< Provi soddisfazione…?
Provi gioia, orgoglio, vero…? Senti la libertà… frusciare
fra le ali corvine? Cos’hai ottenuto? >>, chiese a fatica, guardando
fisso quegli occhi con astio nella voce.
<< Qualcosa di incredibilmente
prezioso, sai…? >> sussurrò avvicinandosi al suo viso, fissando
dritto quegli occhi semichiusi dalla fatica, ma che ancora non si abbassavano
al suo sguardo. Strinse più forte la presa che aveva sul suo volto.
Non emise un gemito.
L’aria si era fatta pesante, il tempo sembrava oscillare indistintamente
in un'altra dimensione.
Non c’era niente per cui valeva la pena combattere, soffrire e gridare.
Strinse ancora di più, con le unghie che graffiavano la carne.
Nessuna reazione.
Mollò la presa improvvisamente facedo sbattere il mento con forza sul
pavimento, producendo un tonfo sordo e rimbombante. Il fili leggerissimi ma
resistenti grazie alla magia che aveva fatto stringevano con forza i polsi sottili,
le caviglie, si insinuavano nei punti di mobilità irretendo oltre al
corpo anche la mente.
Sprofondare
Sprofondare
Sprofondare
Ricordi chi sei?
Non riuscire più
a reagire, non riuscire più a rialzarsi, totalmente sopraffatti dai rimorsi,
la rabbia è forza la tristezza rende deboli.
Aspettare di essere salvati.
Ma c’è sempre un potere latente che attende il risveglio.
---------------------------------------
<< Credo sia il caso di andare a vedere, Hermione… >>, mormorò
Ron, che sembrava aver dimenticato il discorso fatto poco prima.
Adesso fissava la scala
impietrito ed evidentemente indeciso sul da farsi, mentre stringeva il braccio
della ragazza, come a cercare un appiglio o una forza.
Come per evocare la sua capacità di risolvere ogni situazione, la sicurezza
del cullarsi in un potere chiaro e governato da precise regole.
Ronald Weasley aveva sempre
odiato gli imprevisti; come quando l’amicizia delle persone a lui più
care era venuta a mancare, o la quiete famigliare dei Weasley, che non faceva
rimpiangere la poca nobiltà e il cattivo nome della famiglia, si era
dissolta. No, lui non era mai stato solo, ma quando si era trovato senza i suoi
punti di riferimento aveva perso qualcosa.
Se stesso.
E proprio in quel momento, quel momento che sembrava così vicino a una
rinascita, quella delicata operazione che era recuperare le macerie del passato
per farle rivivere nuovamente, come cancellare ciò che era sbagliato,
correggere quell’errore terribile che erano stati gli ultimi cinque anni
della loro vita, stava miseramente franando.
E quell’imprevisto che si poneva davanti a loro adesso, sotto forma di
ragno dalle zampe veloci e le zanne velenose per Ron, e di serpente insidioso
e strisciante per Hermione, come un dubbio che non si può nascondere,
in quel momento andava affrontato, come gli anni precedenti, come era sempre
stato.
Prima di accedere alla camera dei segreti, prima di capire la verità
della memoria, prima di affrontare la realtà tardamente rivelata.
Quella per loro sarebbe stata la prova che non un’oscuro sire, non un
tramante avversario sottoponeva loro, ma il destino, il potere di decidere il
futuro.
Anche quella volta, per guadagnare l’ambito traguardo, avrebbero dovuto
affrontare quell’improvvisa prova.
Già, Ron Weasley odiava gli imprevisti.
Hermione dal canto suo
sembrava shockata, o meglio, terrorizzata. Fissava le scale, quel confine silenzioso,
e ripensava a cosa non era riuscita a capire, cosa le era sfuggito, quale particolare
aveva permesso che questo si verificasse, cosa le aveva occultato la visione
della verità.
<< Andiamo, forza.
>>, disse alla fine, deglutendo.
Incominciarono a salire
i gradini, senza lasciarsi la mano.
Quelle scale… Da quando erano così oscure? Da quando ogni passo
rimbombava come un tuono, e come mai sembravano così infinitamente lunghe?
Hermione non si era accorta di quanto fossero traballanti alcuni assi, e che
andasse a formare una chiocciola così arcuata, così fluida.
Come le spire di un serpente.
Ancore le parve di udire un sibilo dietro di lei, come qualcosa che si protendesse
ad afferrarle la caviglia in uno scatto non umano.
Soffocò un grido.
<< Hermione! –
sibilò Ron – tutto bene? Sei inciampata? >>
“Voglio tornare
indietro, voglio tornare indietro…”
Tornare a casa.
Perché era lì? Chi l’aveva costretta?
Tutto a un tratto la sua parte razionale assopita prese il sopravvento.
In fondo era tutto inutile. Non c’era motivo per cui lei stesse lì.
Già cos’era venuta a fare? Dove stavano andando?
Tutt’a un tratto si sentì molto confusa.
Perchè c’era Ronald? Aveva perso di vista qualcosa di essenziale,
lo sentiva…
Di nuovo la nebbia.
<< Ehi, se hai paura
vado solo io a vedere cosa sta facendo Harry… >>, disse Ron tra
l’ironico e il serio, celando la preoccupazione.
Qualcosa illuminò
quella coltre come un breve lampo.
Harry, era lì per Harry.
E si aggrappò al pensiero del suo volto.
<< No, Ron. Andiamo.
>> disse infine.
Arrancarono per qualche
metro, finché si ritrovarono nell’oscurità del piano superiore
della casa.
Lo studio, così come lo chiamava Harry, altro non era che una stanzetta
dal soffitto basso, stipata di libri e oggetti raccattati qua e là.
C’era un edizione di Sonetti Stregati, chiusa con il lucchetto, un libro
su Hogwarts e la storia dei presidi, nonché un annuario degli anni ’70.
alcuni volumi sulle Arti Oscure e quelli immancabili sulla Storia del Quidditch,
più un vecchissimo volume sulla Cura delle Creature Magiche, e se dovesse
capitarvi fra le mani, ricordate di accarezzargli il dorso, o fare la fine di...
Beh, questa è un’altra storia.
In un armadio chiuso c’erano una serie di oggetti magici, tra cui la scopa
di Harry, un bezoar, una bottiglietta di veritaserum, che chissà perché
era lì, e se sarebbe mai stata usata, un giratempo rotto, sottratto in
un altro luogo, in un altro tempo, e infine, due degli oggetti che per lui erano
più preziosi: il suo mantello dell’invisibilità e la mappa
del malandrino.
Cho non aveva idea della quantità di cosa che erano stipate là
dentro, negli angoli più bui, nei cassetti più nascosti.
Non sospettava neanche che Harry possedesse il rarissimo mantello che rende
invisibili, che stava con la mappa nel doppiofondo dell’armadio. Sì,
un semplice doppiofondo babbano, che aveva il vantaggio di non poter essere
rivelato dalla magia.
Poi, se guardate in mezzi ai libri più grossi e polverosi, quelli più
nascosti e che non notereste sicuramente subito, ce n’è uno con
la copertina rosso spento, senza titolo o scritte… Sì, proprio
quello, con la carta pesante, quello vicino a quel piccolo diario strappato.
Anche lui, ha una storia.
Adesso, se doveste provare ad aprirlo, un improvviso e assordante urlo vi riempirebbe
le orecchie e il cervello, arriverebbe a miglia e miglia di distanza, e non
fareste in tempo a girare pagina, che sareste già impazziti dal dolore.
Un incantesimo di magia oscura, forse troppo…
..Per un semplice album di fotografie?
Ma né Ron né
Hermione avevano idea di tutto questo. Loro volevano solo trovare Harry, e capire
quel che stava succedendo il più in fretta possibile.
<< Ha… Harry?
Dove sei?? HARRY! - gridò Hermione con voce acuta – Ron! Come facciamo,
qua non si vede niente e… >>
<< Hermione, alle
volte mi chiedo come fai… >>, disse spazientito Ronald, estraendo
la bacchetta.
<< Lumos!
>>
Hermione non potè
fare a meno di arrossire, e biasimarsi per essersi fatta prendere così
dal panico.
Una debole luce ora rischiarava
di qualche metro la stanza, ma non era molto. Anche Hermione fece lo stesso
incantesimo, così poterono vedere
Poterono vedere quel che avrebbero preferito non vedere mai.
Un debole singhiozzo giunse alle loro orecchie.
Ron si voltò spaventato.
<< Cho! Cos’è
successo? Dov’è Harry…? >>, chiese premuroso alla ragazza
seduta per terra, che piangeva disperatamente.
<< I-Io… oh
no… No, no… >>, continuò a mormorare tenendo gli occhi
fissi a terra, i capelli lucenti che le cadevo leggeri sul viso pallido, la
bocca socchiusa, il respiro pensante.
Ron non poté fare a meno di notare quanto riuscisse ad essere affascinante,
anche in una situazione del genere, anche nella sua fragilità…
Si vergognò di aver formulato un pensiero del genere un secondo dopo.
Occupato com’era a cercare di capire qualcosa da Cho Chang, la prima a
vedere fu Hermione.
Come ipnotizzata, avanzò
di qualche passo, con la bacchetta dritta davanti a lei, che rischiarava appena.
Cho pianse più forte.
La prima cosa che notò, fu un armadio enorme, di legno pesante e scurissimo,
a metri da lei.
Sembrava essere stato rotto violentemente, dall’interno. Un cardine era
stato spaccato, l’anta penzolava cigolando sinistramente. Ecco cosa doveva
aver sentito Ron, pensò.
Si avvicinò con la mano protesa. Era sicura ci fosse qualcosa, là
dentro. Qualcosa di oscuro.
Continuò a camminare avanzando con gli occhi fissi.
Un passo dopo l’altro, i piagnucolii di Cho e le consolazioni di Ron che
svanivano lentamente, offuscati da una sensazione di gelida paura.
Affrettò il passo.
Ecco, ora era vicinissima. Poteva vedere la maniglia intagliata, color ottone.
Una forma protesa in avanti, quasi a voler sferrare un attacco.
Una maniglia a forma di serpente.
Alla vista del semplice oggetto, ritirò la mano di scatto, impaurita,
il suo piede tocco un lembo di tessuto, per lo stupore ci inciampò in
pieno, cadendo goffamente.
Era inciampata in qualcosa di molto rigido, una specie di… di qualcosa
coperto da un telo.
La bacchetta era caduta proprio sotto l’armadio, continuando ad emmettere
luce.
Hermione rabbrividì al solo pensiero di dover mettere una mano là
sotto, e cercò di alzarsi per andare a chiamare Ron.
Si alzò malamente in piedi, e questa volta andò a pestare qualcosa
che fece un sonoro crack sotto il tacco della sua scarpa.
Sospirò irritata, e si abbassò a prendere l’oggetto.
Curioso…
Erano…
Possibile?
Un paio di occhiali…?
Sì, un paio di occhiali dalle lenti sfondate, ricoperti da uno spesso
strato di polvere, come se fossero lì da tempo, in attesa di essere ritrovati.
Ma di chi erano?
Oh, certo, erano in casa sua quindi probabilmente erano
Erano gli occhiali di Harry.
Un pensiero orribile le attraversò la mente.
Abbassò lentamente gli occhi.
<< Ha... Harry…
NO! >>
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Capitolo 9 *** .Don't Forget ***
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Hermione continuò a urlare, come accecata.
Non vedeva più nulla, non sentiva più nulla, non aveva più
nulla.
Aveva cercato, aveva sofferto e amato, e adesso aveva perso tutto.
Aveva perso tutto.
Con Harry, aveva perso sé stessa.
Si accasciò al suolo, tremando violentemente, senza più un barlume
di ragione, senza volerlo avere, crogiolandosi nella follia, perché sapeva
che la sua razionalità l’avrebbe ferita ulteriormente.
Aveva calcolato tutto, aveva prestato attenzione ad ogni segnale, aveva cercato….
Aveva tanto cercato, pensò continuando a singhiozzare, eppure, eppure non
era servito a niente.
Lei stessa era stata la causa di tutto ciò.
Un lampo di ulteriore follia.
Aveva bisogno della bacchetta. La sua bacchetta.
Arrancò nel buio,
avanzando a tentoni, con gli occhi fuori dalle orbite, le lacrime che uscivano
quasi a volergli sfondare le palpebre, con ogni fibra del suo essere che sembrava
essere sotto la maledizione cruciatus.
Non voleva vedere oltre.
Non voleva affrontare altre prove.
Non volevo combattere, non voleva gridare.
Non voleva vivere.
Con gli occhi ancora puntati sul corpo di Harry che giaceva a pochi passi da
lei, continuò a strascicare le mani, graffiandosi ogni tanto il volto,
mormorando frasi sconnesse.
Lui aveva occhi chiusi, le braccia lungo i fianchi, la bocca socchiusa con un
rivolo di sangue…
Hermione si lasciò andare completamente al proprio dolore.
Erano lontane le risate, gli anni ad Hogwarts e le mattine di sole e l’odore
della neve fresca gli occhi gialli di Edvige l’odore di pergameno il salotto
di casa l’odore del tè che pervade la cucina e i sorrisi e…
e…
Come se non li avesse mai vissuti.
Non ricordava le parole
<< Noi tre possiamo farcela… >>
Non erano più loro tre. Non erano più nulla.
<< Si può trovare la luce anche negli attimi più bui >>
Non voglio vedere la luce. Non voglio vedere più niente.
<< Ricordate… ricordate un ragazzo che è sempre stato gentile
e buono, nei momenti più infelici, quando dovrete decidere tra ciò
che è facile e ciò che è giusto… ciò che è
giusto.. giusto… >>
Non lo sapeva. Cos’era facile, cos’era sbagliato. Gli echi di giornate
lontani si offuscarono, le voci si placarono.
La bacchetta.
Gli serviva una bacchetta.
Solo pochi secondi, e tutto sarebbe finito.
Aveva forza magica necessaria.
Pochi secondi.
Una bacchetta.
Nient’altro, poi sarebbero stati di nuovo insieme forse.
O più semplicemente, avrebbe dimenticato tutti, si sarebbe cullata nell’oblìo.
O nel terrore più oscuro.
Tutto sembrava migliore, piuttosto che la realtà.
Inaspettatamente, la sua mano toccò qualcosa. Qualcosa di liscio e levigato
sotto la pelle, qualcosa che era una bacchetta. Una bacchetta di legno scuro,
quasi nero. A tenerla fra le mani sembrava quasi scottasse.
Quella non era la sua bacchetta, non era quella di Harry, avrebbe dovuto capirlo,
avrebbe dovuto…
Hermione la razionale, la lucida, Hermione la ragazza-risposta-pronta, l’avrebbe
notato.
Ma lei no.
Aveva una bacchette, era tutto ciò che le serviva. Guardò a lungo
il ragazzo disteso di fianco a lei, non poté resistere alla tentazione
di sfiorargli con le dite la fronte, le palpebre chiuse, i capelli scomposti.
Il suo corpo ghiacciato.
Ma aveva già deciso.
------------------------------------
Le grida iniziali di Hermione avevano raggiunto le orecchie di Ron, facendolo
sobbalzare e risvegliandolo da quella trance che lo aveva preso alla vista di
Cho.
Si staccò subito da lei, guardandosi intorno allarmato. Si era completamente
dimenticato di Hermione. Era rimasti lì, come un idiota, senza preoccuparsi
di lei, era così sconvolta, l’aveva vista, come tremava…
Stava urlando, sicuramente era lei. Sentiva il suo dolore. Sentiva che c’era
qualcosa di sbagliato, lì.
Un’improvvisa sensazione di angoscia si impossessò di lui.
La stanza era buia, completamente buia. Vedeva solo il proprio corpo, come illuminato
da un debole chiarore dall’interno. Poi c’era Cho Chang, ancora
inginocchiata per terra, ma che lo fissava, senza più lacrime, completamente
inespressiva, con gli occhi grigi spalancati e la pelle surrealmente bianca.
La trovò inquietante, e arretrò di qualche passo, rischiando di
cadere.
Improvvisamente, un lampo gli attraversò la mente. Le strappò
la bacchetta di mano, bruscamente.
<< Prior Incantato!
>>, gridò. Un sottile fumo argentato rivelò i suoi
sospetti veri.
Uno schiantesimo. Lo sapeva.
Lei intanto non mostrò
paura, non mostrò sorpresa. Stava lì, inerme, fissandolo con insistenza.
Anche Ron ricambiò lo sguardo, solo pochi attimi, solo un’eternità.
E infine lei parlò.
<< Vai da lei, ora.
Non è troppo tardi, forse. Io non resisterò a lungo… Tu…
vai… E digli… -
La sua voce inizialmente ferma, tradì un singhiozzo - … digli di
perdonarmi, se può. >>.
Cho sorrise un’ultima
volta, un sorriso pallido e sfocato, che svanì completamente insieme
a lei, mentre veniva inglobata dall’oscurità. Ron era sicura di
aver visto una lacrima scivolarle lungo il viso. Una lacrima sincera, questa
volta.
<< NO! Cho! Cosa
succede?? CHO! >>, gridò con tutto il fiato che aveva in corpo.
Si guardò intorno,
disperato. Era scomparsa. Non c’era più nessuno di fianco a lui,
e la cosa più spaventosa, pensò Ron, era che era come se non ci
fosse mai stata. Lui stesso incominciò a temere che fosse stata tutta
un’illusione.
Era… era la fidanzata di Harry. No, sua moglie. L’aveva ferito,
li aveva ingannati, e negli anni a Hogwarts Cho non le era mai piaciuta, niente
affatto, in fondo che gli importava se era sparita? Che gli importava se piangeva?
Harry non l’avrebbe perdonata, lui non l’avrebbe perdonata.
Ma perché sentiva qual peso sul cuore, allora…?
Recuperando la calma, estrasse
la bacchetta e fece un po’ di chiarore. Ma era come se la stanza fosse
completamente nera, come se non ci fosse nulla, oltre quel buio. Come se la
vita non fosse mai esistita, come se la luce fosse solo un sogno.
Era tutta un illusione.
Intorno a lui c’era solo buio, non c’era speranza, non c’era
niente per la quale lottare.
Si sedette a terra, gli occhi vacui, la bacchetta gli stava scivolando di mano…
In fondo, cosa gli costava…
Lascia andare…
Lascia andare,
diceva una voce.
Lascia andare, lascia
che sia…
Sentì la sua testa
svuotata da ogni pensiero, ogni ricordo doloroso. La voce che gli sussurrava
quelle parole era così gentile, gli ricordava quella di Cho… si,
avrebbe lasciato andare…
Stava per socchiudere le
palpebre, quando si accorse che il buio si era fatto più intenso. Uno
scricchiolio sinistro gli fece spalancare gli occhi.
La luce era ulteriormente diminuita, il suo corpo stava perdendo quel lieve
bagliore…
Sentiva freddo.
Lascia, non preoccuparti…
Lascia andare, lasciati… fallo, ora…
Continuava la voce suadente,
ma con una nota di impazienza sull’ultima sillaba.
Ma perché avrebbe dovuto farlo?
Non voleva.
Non voleva.
Aveva lottato per arrivare fin lì… Per lui, Harry ed Hermione…
Loro tre potevano farcela.
Hermione aveva bisogno di aiuto.
Doveva trovarla.
Si rese contò di fare fatica a muoversi. Strinse convulsamente la bacchetta,
come a voler cercare un appoggio, un conforto.
Lascia, andare, ora. Lascia
stare, non pensare a nulla, a nulla.
<< No, no…
>>, riuscì a mormorare Ron
<< Non… no…
NON LO FARO’! >>, la bacchetta ormai era diventata incandescente.
Scattò in piedi.
<< Protego!
>>, urlò a pieni polmoni, senza sapere a chi.
Aveva capito, finalmente.
<< Vieni fuori! Vieni
fuori, subito! >>
Si guardò furiosamente
intorno per qualche altro momento, sobbalzando ad ogni minimo cigolìo,
la bacchetta ancora alzata, i nervi pronti a scattare al primo segnale.
Il respiro si calmò, lentamente.
Restò in piedi, fermo, qualche secondo, prima di abbassare la bacchetta.
Senza pensarci due volte, e rammaricandosi per il tempo perduto, corse via a
cercare Hermione.
Ma sapeva che comunque lì c’era qualcuno.
Quell’oscurità non era normale. Tutto quel che stava succedendo,
non era normale.
Qualcuno aveva fatto un incantesimo alla stanza, aveva usato l’imperius
per comandare a Cho di schiantare Harry, l’aveva usata anche su di lui
per convincerlo a non agire…
Qualcuno che era sempre là, anche in quel momento, qualcuno che forse
c’era sempre stato, qualcuno che avevano dimenticato.
Qualcuno che voleva vendetta…
Ma in quel momento doveva
trovare Hermione, ed Harry. Chiunque fosse là fuori, avrebbe potuto aspettare.
--------------------------------------
<< Allora, come vedi ci sono cascati… assolutamente penosi, non
trovi..? Già, peccato tu non possa rispondere… chissà quante
cose interessanti avresti da dire. Ma non importa, non importa. >>, parlò
frettolosamente, mangiandosi le parole. Non aveva tempo.
Aveva aspettato abbastanza.
Il ragazzo fece una pausa,
strascicando in tono mellifluo l’ultima frase.
Volse gli occhi di ghiaccio, accesi da una luce folle, verso il ragazzo che
si contorceva a terra.
<< Hai paura, vero?
Vero? Oh sì, assolutamente… Ma forse non per te, giusto? Tu temi
per loro… ma non preoccuparti, qualunque fine faranno li seguirai subito
dopo. Sono ancora indeciso se trasfigurarti e farti schiacciare da qualcun altro,
o torturarti con le mie mani… Ovviamente, nessun dubbio potrà più
corrodermi di quanto abbia fatto Azkaban, lo sai? >>, e spalancò
gli occhi, avvicinandosi al suo viso.
<< Non puoi immaginare
cosa vuol dire, e mi spiace non poterlo fare io… I dissennatori sarebbero
molto felici di vederti, ora… >>, sibilò vicino al suo orecchio.
Gli sputò in faccia.
Si alzò in fretta, rabbrividendo.
<< Feccia. >>, sibilò. << Morirete tutti. Anche quella
stupida donna. >>
Sembrava concentrato a fissare un punto lontano, il suo sguardo era assente.
Dopo quel che parve un eternità si volse verso di lui, disgustato, poi
quasi impaurito.
Distolse gli occhi.
<< Azkaban…
ti cambia. >>, mormorò con lo sguardo spento, vitreo, perso nel
vuoto, tra i fantasmi del passato.
All’improvviso un espressione terrorizzata gli attraversò il volto,
segno di un ricordo particolarmente sgradevole.
Un attimo dopo era già sparita, lasciando il posto a quella che avrebbe
dovuto essere un’espressione di trionfo, ma che risultava più di
un profondo disgusto.
Un ghigno gli attraversò
il volto sfigurato, scoprendo una serie di denti ingialliti.
Tutti in lui esprimeva la decadenza, fisica e morale.
Il fisico, un tempo sano, era diventato fragile ed emaciato, i muscoli atrofizzati,
la pelle avvizzita, piena di piaghe e profonde cicatrice, alcune delle quali
andavano a coprire un marchio, un marchio che giorno dopo andava sbiadendosi,
pur restando ancorata nell’animo.
Il volto era segnato. Ma segnato non solo dalle nottate insonni, non dagli incubi,
non dalle ferite, non dalle maledizioni e dalla pazzia, ma da quello che c’era
dietro.
Vendetta.
Questo lo aveva mantenuto in vita tutti quegli anni.
I suoi occhi dardeggiarono.
Sapeva cosa fare.
<< Ci divertiremo…Vendetta!
>>
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Capitolo 10 *** Unpredictable[Fine seconda pt.] ***
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Hermione era a terra, seduta, o meglio abbandonata al suolo. La lucidità
l'aveva persa, ma non la rimpiangeva. I capelli erano gonfi e in disordine,
ma mai come in quel momento la cosa avrebbe potuto importargli di meno. il volto
pallido, con delle chiazze rosse suelle guance e gli occhi arrossati e lucidi,
l'espressione sconvolta, ma la bacchetta ancora saldamente fra le mani.
"non pensare, non pensare... Non pensare!"
Era lì, semplicemente, forse aspettava o temeva l'arrivo
di qualcuno.
Qualcuno che era già vicino.
<< Hermione! >>, una voce.
Ti stanno chiamando…
<< Hermione, dove sei? >>
Dove sei? Dove stai andando? Lui ti chiama, lui non è
qui.
Riesci a sentire, eppure non vedi, nulla ti raggiunge veramente.
Ricordi...? Ricordi il sole di maggio che bruciava nelle tue membra, che dava
fuoco agli sguardi?
Ricordi il sangue che che è caduto, per difendere per offendere?
Adesso, sotto la terra…
Campi d’erica, colori smunti e la vita è un quadro triste e bellissimo,
lo guardi da lontano, fuori dalla sontuosa recinzione di cordone rosso, la guardi
e per quanto ti sporgi non la puoi toccare, non potrai mai capirla, perché
il pittore è morto da tempo insieme alla verità.
Ma adesso?
Adesso te ne stai rannicchiata, l’ombra che assorbe i tuoi pensieri, realtà
e finzione.
Quando non è più da te stessa che vuoi essere salvata. Quando
cerchi solo la fine.
E' in quel momento, che accade.
Ma non c’è più niente da fare? No? Vuoi
farla finita, sì…
Allora sai cosa devi fare.
Sai cosa fare, eppure…
“fallo ora… Allevia tutte le tue sofferenze…
Rivedrai il suo volto… Muori.”
Se chi te lo ordina pronuncio le parole con tanta dolcezza,
non può che esser verità.
Ah, Hermione! Quante volte la disgrazia ha gli occhi brillanti e il sorriso
sul volto? Quante volte l’assalitore sorride amichevolmente alla vittima,
quando lo lascia entrare dalla porta più segreta?
Non ricordi più…
<< Hermione… >>, Ron Weasley si avvicinò
all'amica, confuso ma rassicurato: stava bene. Doveva solo trovare Harry...
Eppure, sotto la maschera…
<< Hermione..? Cosa stai… >>, ma allora perchè
era là, per terra? perchè sembrava così sconvolta? Cosa...?
“fallo…”
La ragazza prese la bacchetta in mano con un gesto rigido e
deciso. Una luce incominciò a diffondersi, se la puntò alla tempia...
<< NO! Expelliarmus! >>, la voce di Ron
le rimbombò come attraverso l'ovatta, ad anni luce da lei.
Ma basta così poco per ritrovarsi, anche nei momenti
più bui, e non è sempre necessario vedere.
La bacchetta di Hermione scivolò via dalle sue mani,
lasciandola atona e tremante fra le braccia dell’amico, che la prese per
le spalle e incominciò a scuoterla per risvegliarla, e a consolarla per
renderle quel risveglio meno traumatico.
<< Hermione? Hermione, ti prego, sono qui… Cos’è
successo? Dov’è Harry..? >>, disse cercando di mantenere
la calma.
E’ la per terra, Ron: ora l'hai visto, non è così?
Il suo corpo è là.
Eppure, lui, dov’è?
Ron fissò qualche secondo la figura stesa a terra.
Era supino, il volto innaturalmente girato, gli occhi sbarrati, privi di vita,
e un rivolo di sangue che gli scendeva dalla bocca. La cicatrice risaltava,
rossa sul volto bianco e rigido.
<< No. No, non è vero. >>, riuscì
a mormorare dopo qualche secondo.
Hermione scosse la testa e riprese a singhiozzare.
<< Non è vero, capito?! E’ UNA BUGIA! NO!
Non può… non… >>
E’ una bugia.
E allora, aprite gli occhi Guardate la verità in fondo al tunnel, guardate
la luce e tornate a sperare.
E’ una bugia, è un’inganno.
Ron sembrò pensieroso per un attimo, le sopracciglia
aggrottate..
Un attimo solo.
Quella voce. La maledizione Imperius, e poi Cho... Era difficile ragionare a
mente fredda con il cadavere del tuo migliore amico di fianco, e la tua ex-fidanzata
così sconvolta da aver perso la ragione. Eppure sapeva che era tutto
collegato, che c'era una trama sottile e fitta come la tela di un ragno, impercettibile
come il sibilo del serpente.
Prese la bacchetta, tremante, e guardò ancora una volta Hermione.
Lei, la strega più brillante di tutta Hogwarts.
E lui, chi era?
Degluttì a fatica, e gli sfuggì un ghigno.
Ebbene, avrebbe perso la faccia e l’orgoglio, oppure avrebbe ritrovato
tutto.
Puntò la bacchetta contro quel corpo.
Corpo, solo un corpo.
Pensa. E' tutto... tutto così ridicolo. Non è possibile. Pensa,
non è possibile.
<< Riddikulus >>, disse senza troppa convinzione.
Un fumo verdastro uscì dalla bacchetta, e non successe
nulla.
Ron Weasley, colui-che-aveva-scambiato-il-cadavere-di-Harry-Potter-per-un-molliccio.
Suonava bene, quasi meglio del ragazzo sopravvissuto.
Il ragazzo sopravvissuto non ce l’aveva fatta.
Non ce l’aveva fatta.
Harry Potter aveva sconfitto Voldemort, ma non ce l'aveva fatta.
Ron Weasley non era riuscito a salvarlo.
Perchè era successo? Chi aveva pianificato uno scherzo così crudele?
<< Uno scherzo... Solo... E' ridicolo... >>
<< Ron... Oh, Ron... >>, Hermione lo chiamava,
tendendo le mani verso di lui. Ma non si mosse.
<< E' UNO SCHERZO, HAI CAPITO?! HARRY, SVEGLIATI CAZZO! >>, incominciò
a gridare.
Un silenzio innaturale calò su di loro, interrotto solo
dal singhiozzare di Hermione, che però presto andò ad estinguersi.
Adesso anche Ron era seduto a terra, lo sguardo fisso: non piangeva, ma neanche
aveva la forza necessaria per consolarla. Non riusciva a pensare, a fare nulla.
Fu un attimo. Lei si alzò in piedi, di scatto, in un gesto meccanico
e innaturale.
Puntò la bacchetta verso il ragazzo, troppo sconvolto per fiatare.
<< Stupeficium >>, disse con voce atona.
Lo schiantesimo centrò Ron e la mandò a terra,
tramortito. Cercò di alzarsi, di capire cosa diamine stava succedendo.
"Imperius...", pensò subito dopo.
Puntò la bacchetta al petto di Hermione, inspirando profondamente.
Il polso gli tremava, gli occhi di lei erano vacui e rassegnati, e anche la
sua vista era appannata. Poi, con un impercettibile movimento del polso, deviò
la bacchetta.
<< Expelliarmus!>>, gridò.
E qualcuno cadde, Con un tonfo sordo, un'imprecazione. Il corpo
di Hermione sembrò non riuscire più a sostenere il peso delle
ginocchia, e caracollò anche lei.
Ron restò lì, un po' ansimante, confuso, shockato, e quel che
vide, quella sera, fu ciò che lo sorprese di più.
Draco Malfoy si alzò barcollando, e lo fissò,
gli occhi innietati di sangue e il volto irriconoscibilmente sfigurato: ma quei
lineamenti affilati, i capelli quasi bianchi ridotti a una massa arruffata,
e i pallidi occhi grigi che luccicavano sinistramente non mentivano, non poteva
essere nessun altro. La bacchetta gli era sfuggita di mano, e non aveva nessuna
difesa.
<< Tu! No.. E' assurdo, come hai potuto farlo...? >>
<< Fuggire da Azkaban, Weasley?! - gracchiò ghignando
- ...Sai, ho usato un trucco che sicuramente avrai già sentito da qualche
parte... Devo ringraziare mia madre, ovviamente, anche se sarebbe morta lo stesso,
dopo lo scambio... Non ha retto, dopo la morte di mio padre... La caduta del
Signore Oscuro... >>, concluse con disprezzo, continuando a guardarlo,
gli occhi ridotti a due fessure.
Ron ci impiegò qualche secondo a capire, prima che i
suoi ricordi lo riportassero al quarto anno ad Hogwarts: Crouch, il finto Moody
e le cose che gli aveva raccontato Harry, come il figlio era riuscito ad evadere
da Azkaban...
Quasi riusciva a vedere il volto pallido e sofferente di Narcissa Malfoy fare
l'estremo sacrificio per il figlio, dopo aver perso anche il marito tra le mura
della prigione. E sapeva perché lui era lì: vendetta.
Finalmente, la foschia e il mistero che gli avevano attanagliato la mente fino
a quel momento si diradarono... Colpa sua... Era tutta colpa sua...
L'imperius su Cho, l'incantesimo sulla soffitta, lo strano comportamento di
Hermione e poi... E poi...
<< Tu, pezzo di merda... Cos'hai fatto ad Harry?! L'hai ucciso! E..e..
Cho! Dov'è lei?! >>, gridò rosso in viso, con gli occhi
che fiammeggiavano.
<< Ah, quella stupida donna... Ha cercato di fermarmi
con uno schiantesimo, ma l'ho disarmata... Prima di torvare lui l'ho
tenuta nascosta e poi... Chissà, forse l'ho uccisa! La cosa ti infastidisce?
>>, continuò rotenado gli occhi, un espressione di folle malignità
sul viso.
Ron lo guardò per qualche secondo, sconvolto. Arrabbiato.
Triste. Furente.
<< Ti uccido... Io... TI UCCIDO! >>, mormorò
follemente, arrivando a gridare, stringendogli le mani intorno al collo: voleva
vederlo boccheggiare, la pelle perdere quel poco colore, le labbra diventare
bluastre, gli occhi roteare e perdere la vita: voleva vederlo chiedere perdono
e urlare dal dolore.
Malfoy trasalì dalla sorpresa, e senti il respiro che
andava a mancare. Poi le labbra gli si incurvarono appena in un sorriso d'odio,
di soddisfazione: i suoi occhi lampeggiarono.
<< Oh sì, Weasley: fallo, ora... >>, mormorò
a fatica.
bastarono quelle semplici parole a ridestarlo: cosa stava facendo?
Lasciò immediatamente la presa, guardandosi le mani. Stava per fare il
più grande errore della sua vita, ma si era fermato in tempo.
Malfoy non sembrava dello stesso parere: aveva recuperato la bacchetta, e massaggiatosi
con le dita sporche il collo, non aspettò un secondo:
<< Crucio! >>, gridò, e Ron prese
il colpo in pieno, impreparato: dolore. Dolore allo stato puro. La mente era
completamente svuotata, non lasciava spazio ad altro. Solo sofferenza, aghi
e fiamme fino alle ossa.
Hermione fissava la scena, atterrita: quella che Malfoy reggeva
in mano non era la sua bacchetta. Era una bacchetta lunga e sottile, in ciliegio
e crine di unicorno.
Cercò quella che aveva in mano pochi attimi prima, ma non riusciva a
trovarla. A cosa poteva servirle, poi...? Non ne valeva la pena, non sarebbe
servito a nulla... Lui non sarebbe tornato... Mai più. Mai più
"No. Io devo salvare Ron. Almeno lui. Almeno lui."
E la rabbia, l'angoscia, la tristezza e i rimpianti presero
vita, e divennero fuoco. E divvennero sangue: l'ultimo incantesimo che avrebbe
pronunciato, sarebbe stato per lui, per la sua vendetta.
<< Avada Kedavra! >>, urlò, con
tutto l'odio, con tutto il fiato che aveva in corpo. Il suo ultimo incantesimo.
Avrebbe potuto essere quello.
O forse no.
Malfoy finì a terra, il raggio si scontrò contro
una sedia, incendiandola. Qualcuno lo aveva schiantato con violenza, qualcuno
che si era liberato solo pochi attimi prima, che fino a quel momento era imprigionato,
a vedere la disfatta di ciò a cui teneva di più. E anche quel
gesto, di certo non era per Malfoy.
<< Hermione... Non ti avrei mai permesso di finire ad
Azkaban. >>, mormorò a fatica, avanzando dall'ombra in cui era
sprofondato: il volto mortalmente pallido, il passo incerto e graffi sul viso.
Hermione lo guardava incredula, gli occhi brillanti per le lacrime, ma il volto
era cambiato: era lei, semplicemente. Avanzò verso di lui, a passi incerti,
mentre un'ultima silenziosa lacrima le scivolava sul viso. Sorrise impercettibilmente,
e anche lui rispose.
E poi, dopo tanto cercarsi, dopo tanto affanno e dolore, dopo
gli equivoci e gli inganni, dopo gli anni passati e le tempeste fuggite...
... finalmente, le loro mani si sfiorarono.
...
Il molliccio, che qualche secondo prima aveva la forma di Harry,
incappò in Draco, che biascicava follemente parole e maledizioni senza
senso: e subito esso ruotò, si deformò e modificò fino
ad assumere la sembianze della Paura.
Adesso, appariva come un giovane serpeverde dai capelli quasi
bianchi, i lineamenti fini e gli occhi grigi: era lui, ai tempi di Hogwarts.
Loro osservavano la scena, ammutoliti. Malfoy si alzò, a fatica, tendendo
le mani verso quel riflesso dell'antico splendore. Ma poi accadde: sul volto
liscio incominciarono ad apparire delle screpolature, dei segni impercettibili.
Il volto si allargò in un ghigno malvagio, scoprendo i denti storti e
ingialliti. La pelle diventava grigia e segnata dal tempo, graffi e squarci
si aprivano sul viso sul corpo, macchiando la divisa immacolata e il suo orgoglio.
Poi, continuò il lento e progressivo decadimento che quegli anni avevano
realmente causato: i capelli scomposti e ingrigiti, gli occhi si infossavano
nella pelle che raggrinziva, mentre il corpo non obbediva più, contorcendosi
e piegandosi dal dolore, fino a cadere al suolo, dove si ridusse a cenere, solo
cenere.
Ecco cos'era diventato, solo polvere, un riflesso di sé stesso. E davanti
alla verità, davanti alla paura, gli occhi si spensero.
Ron era rimasto dov'era, paralizzato. La sedia, in fondo alla
stanza, continuava a bruciare illuminando finalmente e definitivamente l'ambiente.
Vide una libreria, un baule e altri oggetti. Spense il fuoco, e poi rivolse
un'occhiata disgustata a Malfoy. E a loro due.
<< Pietrificus Totalus. >>, disse puntandogli
la bacchetta: il suo corpo si irrigidì e gli occhi si sbarrarono.
Poi, ancora ansimante e confuso, con gli effetti della Cruciatus
che ancora si facevano sentire, si avvicinò ai due amici. Hermione era
seduta a terra, con la testa chinata mentree teneva saldamente una mano ad Harry,
inspirando ed espirando profondamente, conscia della lucidità ritrovata.
Alzò la testa vedendolo e si alzò per andargli incontro: non ci
fu bisogno di parlare: lo abbracciò, e lui ricambiò l'abbraccio
nascondendo la testa fra i suoi capelli, cespugliosi più che mai, sperando
che né lei né Harry notassero quella lacrima, quell'unica lacrima
che scivolò silenziosamente sulla sua guancia destra, senza singhiozzi
né grida, un modo per esternare tutto quel dolore e lasciare il posto
a una speranza appena nata, quella sera.
E quella notte lasciava ormai posto all'aurora, il cielo color
indaco si rischiarava impercettibilmente, e una luce sorgeva, lenta ma costante,
come sempre, come oggi: l'alba arrivava, dopo aver toccato il fondo delle tenebre;
dopo quella notte che aveva suggellato un inizio, una rinascita improvvisa scaturita
da un giorno lontano, sull'espresso per Hogwarts, anni e anni fa...
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Capitolo 11 *** [Rebirth]Epilogo ***
Untitled Document
L’ospedale San Mungo
era forse quasi più affollato di quanto Harry ricordasse, ma dato che molto
tempo era passato dall’ultima volta che vi aveva messo piede, non poté
fare a meno di guardarsi continuamente intorno, ignorando le solite occhiate che
riceveva. Si avvicinò allo sportello informazioni con Ron, dietro a una
giovane e disperata strega, la cui pelle sembrava non volerne sapere di mantenere
la stessa colorazione per più di dieci secondi: mentre parlava era di un
bel verde accesso, non che questa la consolasse molto, mentre chiedeva con voce
flebile dove poteva essere curata.
<< Primo piano, porta in fondo. >> - fu la secca
risposta dell’addetta, mentre la ragazza se ne andava brontolando sugli
effetti di una pozione cambiacolore.
Ron si fece avanti schiarendosi la voce.
<< Stiamo cercando… Hermione Granger, sa per caso
dove…? >>
<< Mi faccia controllare… Gangee, Gierufthky, Graingyr…
Granger, sì… Quarto piano, prima porta a sinistra. Del reparto
si occupa Mayer Illander, il prossimo. >>, rispose prontamente la strega,
tutto d’un fiato, senza guardarli negli occhi.
Salendo, videro di sfuggita il ritratto di Dylis Derwent, ammiccante
e coi lunghi boccoli d’argento che gli ricadevano compostamente sulle
spalle.
Il corridoio era di un bianco accecante, con poche immagini appese alle pareti,
rappresentanti paesaggi dai colori sbiaditi, con le fronde degli alberi mosse
dal vento.
I Guaritori camminavano a passo svelto per i corridoi, con le uniformi verde
acido che parevano più macchie sfocate che essere umani, mentre sfrecciavano
fra le varie stanze. Un leggero odore di disinfettante aleggiava nell’ambiente.
Stavano andando a trovarla, dopo quella volta. E Harry non poté
fare a meno di chiedersi quale reazione avrebbe avuto...
“Starà dormendo?”
<< Oh, Harry, credo sia questo… >>, incominciò
Ron
“E’ già due giorni che è qui al
San Mungo, e noi non eravamo ancora venuti. Forse è arrabbiata.”
<< No, aspetta… >>
“Cosa dirà quando ci vedrà arrivare?”
<< Ecco, ci siamo! Forza, entriamo? >>
“Però… Dopo tutto quello che è
successo… Adesso…”
<< Harry? Harry, tutto bene? >>
“Ma cosa devo fare? Cioè, dovrò dirle
qualcosa di particolare? Erano mesi che non la vedevo…”
<< Terra-chiama-Harry, ci sei!? >>
<< Che? Cosa? >>
<< … >>
<< Ah, è qui… Perché non me lo hai
detto, Ron?! >>, disse brusco Harry, tirando in avanti la maniglia, per
entrare nella stanza. Ron, dietro di lui, borbottò qualcosa di incomprensibile
come ‘ci è o ci fa’, ma non indaghiamo oltre.
----------------------------------------
Hermione era rimasta in
stato di shock per un giorno, dopo il cosiddetto ‘incidente’ a Casa
Potter, fissando il soffitto bianchissimo della stanza fino a farsi male agli
occhi. Erano successe troppe cose in una volta, e il solo pensarci le dava un
senso di nausea e confusione che non poteva controllare. Come quella sera. Le
cose le erano sfuggite di mano, aveva perso la lucidità e la capacità
di giudizio: si era ritrovata sola, indifesa, inutile, contro uno stupido molliccio
e un ex-galeotto completamente pazzo. Avrebbe chiesto le dimissioni come Auror,
era l’unica soluzione plausibile che le permetteva allo stesso tempo di
salvare qualcosa del suo orgoglio. Inammissibile. Si era comportata in maniera
inammissibile, non se lo sarebbe perdonata.
Perché la verità era che aveva messo a repentaglio la vita di
Ron, oltre che quella di Harry e Cho Chang. Non avrebbe dovuto.
E poi… era sbagliato. Come poteva essere possibile perdere il controllo
per una sola persona? In maniera così totale, senza possibilità
di appello. Le era bastato… vedere…
Ma perché bastava il ricordo a farle così male? Possibile che…
No, assolutamente. Aveva tutto sotto controllo.
Eppure, l’unica spiegazione possibile…
Sì, l’unica.
Era sdraiata sul letto.
Se chiudeva gli occhi, quell’immagine bruciava ancora nitida.
Morto. Un rivolo di sangue che gli scendeva dalla bocca, gli occhi sbarrati
e vacui, gli occhiali rotti e piegati sul volto. La posizione delle braccia,
così innaturale e rigida. Tutto esprimeva dolore e ansia. Non era possibile.
Non era possibile. Non era…
E’ solo un ricordo. Non è vero. Apri gli occhi.
E’ solo un ricordo. Apri gli occhi.
Hermione, apri gli occhi…
<< Ehi, Herm, stai
dormendo? >>, la voce di Ron le giunse come un eco lontano, ma fu sufficiente
a farla alzare di scatto.
<< Oh! Ron, Harry!
Ciao… >>, tentò di sorridere, ma a giudicare dalla loro espressione,
doveva aver fatto una smorfia più simile a un mal di denti.
<< ma… Stai
piangendo? >>, chiese Ron stupito, guardandola preoccupato
Hermione impallidì,
e si tocco una guancia con la mano: aveva il volto bagnato, e ancora segnato
dai solchi che le lacrime, versate inavvertitamente, le avevano lasciato.
<< Io… Io sono
solo un po’ stanca. >>, balbettò, cercando di ricomporsi.
Harry, che fino a quel
momento aveva fissato con grande interesse il pavimento dell’ospedale,
volse gli occhi verso la ragazza, con una nota di panico nello sguardo. Non
sapeva cosa dire, quella situazione era decisamente imbarazzante e...
Perché lei piangeva? Perché dopo quella notte, non faceva altro
che pensare a lei?
Si sentiva in colpa, e la sua espressione sofferente non contribuiva a farlo
sentire meglio.
Hermione deglutì
a fatica e strinse i pugni intorno alle lenzuola, asciugandosi con un gesto
rapido le guance umide, e evitando accuratamente di incontrare lo sguardo di
Ron, tantomeno di Harry.
Cosa avrebbero pensato di lei? Che era una debole? Che era una stupida sentimentale
con qualche problema mentale…?
La verità non la sapeva neanche lei. Era appena tornato tutto come un
tempo, e non voleva rovinare nuovamente la situazione a causa dei… dei
suoi stupidi sentimenti.
Già, stupidi. Non era la verità, e appunto perché sentiva
che non c’era nulla di sciocco o superficiale, che era così spaventata…
Non poteva rinunciare a Harry, non voleva ferire Ron…
Possibile fosse così doloroso? Possibile non ci fosse una via d’uscita…?
Anche Ron si accorse che
c’era qualcosa che non andava. “Sì, questa è la
mia solita sensibilità da cucchiaino da tè”, pensò
amareggiato. Eppure, non aveva saputo trattenere il suo stupore… era tutto
così strano… Certo, ai tempi di Hogwarts avventure di quel tipo
era praticamente l’ordinario per loro, e vedere che questa volta qualcosa
sembrava aver lasciato il segno più del solito… Lo turbava.
Poi, sapeva benissimo quel che sarebbe successo, tra i suoi due migliori amici:
non voleva, e non poteva, far nulla per evitarlo. Si erano appena ritrovati
e…
E in quel momento, la vide.
Fu un lampo, un’istantanea di lucidi capelli neri e veli azzurri, udì
quella voce dolce e un po’ acuta che aveva imparato a riconoscere dalle
altre… E ne fu certo: per un attimo, i loro occhi si incontrarono. Solo
un istante, e Cho Chang sparì dalla sua visuale, oltrepassando la porta
aperta del reparto.
Improvvisamente, la stanza
divenne calda, troppo calda. Doveva uscire… Doveva… Parlarle, anche
solo per un minuto, solo per guardarla negli occhi.
<< Io, beh, io vado…
Ci vediamo dopo, ciao! >>, balbettata qualche scusa a stento, Ron corse
fuori, verso il corridoio, apparentemente senza motivo.
Harry e Hermione lo guardarono
sparire alquanto allibiti.
<< Ma… cosa…?
>>, parlò per prima Harry, decisamente contrariato.
<< Non chiederlo
a me. Magari si è sentito male… >>, borbottò Hermione
<< Beh almeno è
nel posto adatto, no? >>, rispose il ragazzo, riuscendo a strapparle un
mezzo sorriso. Poi calò di nuovo il silenzio, solo molto più imbarazzato
di prima.
Dopo cinque minuti buoni
che Hermione fissava la stessa pagina della gazzetta seduta sul letto, e Harry
osservava un punto imprecisato fuori dalla finestra, aggrottando le sopracciglia,
capirono entrambi che non aveva senso agire in quel modo.
<< ehm… >>,
esordirono contemporaneamente.
<< oh, scusa! Beh,
che c’è? >>, disse Hermione con una risatina nervosa.
Harry inspirò profondamente,
e parlò. << Io… Insomma, dopo quella sera… Tu…
Noi… Come dire… >>, incominciò decisamente in panico.
La ragazza lo fissò
imperscrutabile qualche secondo, per poi dire con voce piatta: << Mi stai
chiedendo se stiamo insieme? >>
<< … Se lo
dici così mi sembra di capire che l’idea non ti và molto.
Forse sono io che ti ho fraintesto. Sarà stato lo shock del momento,
oppure… >>, mormorò gelido, cambiando improvvisamente espressione.
Hermione si sentì
avvampare, e si vergognò immensamente per quel che aveva detto. Le parole
le erano uscite spontanee, non si era resa conto del tono duro e quasi accusatorio
che aveva usato. Ma perché dovevano sempre, inevitabilmente, farsi del
male? Sospirò tristemente, e abbassò lo sguardo, confusa.
<< Mi dispiace…
Non lo so, davvero. >>
<< Cosa vuol dire
che non lo sai? >>, chiese Harry
Hermione sapeva cosa dire.
Il cuore incominciò a batterle a mille, arrossì ancora di più
se possibile ed evitò accuratamente di incrociare lo sguardo del ragazzo.
Poi prese un profondo respiro, e…
<< Voglio dire, che
quello che ancora non so… - pausa – Tu mi ami, Harry? >>
Lui la guardò allibito
per poco più di un secondo, decisamente preso alla sprovvista, impallidendo
e arretrando di qualche passo. Lei lo guardava fisso, con gli occhi lucidi,
i capelli disordinatamente raccolti e si mordeva nervosamente le labbra, senza
distogliere lo sguardo.
“Decisamente,
quel che si dice una situazione non facile…”
------------------------------------------
Ron si catapultò in corridoio, e la vide allontanarsi verso la balconata,
seguita da un’altra ragazza che aveva i capelli del suo stesso colore,
solo più corti.
Lui rimase paralizzato un momento, indeciso sul da farsi: poi l’impulsività
ebbe la meglio, e strillò a pieni polmoni:
<< Cho! A-Aspetta!
>>, la chiamò senza pensare.
Lei si voltò di
scatto, decisamente sorpresa. Anche la sorella lo squadrava sospettosa, con
le sopracciglia aggrottate. Ora che la vedeva in viso Ron poté notare
quanto fosse pallida, e che due ombre scure le si erano formate sotto gli occhi.
Tuttavia non disse nulla, e il ragazzo si sentì decisamente imbarazzato,
quasi si pentì della sua avventatezza; molti nel quieto corridoio adesso
lo guardava interessati, sicuramente decisi a godersi la scena.
<< Ah… Ehm,
io vorrei parlarti. >>, disse con voce incerta, avvicinandosi lentamente
a lei, quasi avesse paura potesse scappare.
Chie guardò di soppiato
la sorella, che ricambiò lo sguardo, decisamente perplessa. Poi si rivolse
a Ron, con una voce stranamente flebile.
<< Oh, sì,
non c’è problema… >>, mormorò senza guardarlo
negli occhi.
<< Allora io vado.
Non ti preoccupare, Cho, ti aspetto nella Sala da Tè… Arrivederci…
>>, e la ragazza, salutando Ron con freddezza se ne andò a passo
svelto, lasciandoli soli.
Cho continuava a non guardarlo,
stringendosi nel sottile golfino bianco che la copriva insieme a una veste da
camera azzurro chiaro, molto leggera. Lei sembrava sofferente, fragile e triste.
Stava per chiederle se avesse freddo, quando lei a sorpresa disse, sempre a
voce molto debole:
<< Mh… Che
ne dici di andare sulla balconata? Così possiamo parlare. >>, e
a passi incerti avanzò nel corridoio.
Ron era confuso e un po’
agitato, non sapeva nemmeno perché si era messo a urlare in quel modo
in corridoio, e effettivamente non aveva nulla da dirle…
“Eccetto che
è bellissima… Che mi piace… Oh, No, no. Non posso mica fare
la figura del maniaco, e poi che stronzate sono?”
Incominciò a lambiccarsi
il cervello cercando una scusa plausibile per le sue azioni impulsive…
In fondo, voleva solo sapere come stava… Cioè, forse non era un
grande argomento di conversazione… Ma quando l’aveva vista, là
fuori, che gli sfuggiva dalla vista, che scivolava via silenziosamente, aveva
sentito una strana stretta nello stomaco. Era un’occasione. Probabilmente
non ne avrebbe avute altre per parlare, per… Anche solo per vederla sorridere
appena, muoversi in maniera così eterea, così aggraziata…
E nel bel mezzo delle sue intelligentissime riflessioni, Ron fu distratto proprio
dalla figura di Cho, che camminava silenziosamente al suo fianco, guardando
dritto davanti a sé. La luce le arrivava sul volto facendole brillare
gli occhi in maniera innaturale, sembravano quasi lucidi di pianto. La pelle
bianca, anche troppo, addirittura sulle guance e sulle labbra sottili non c’era
traccia di colore. Sembrava stare davvero male, e lui sentì una strana
ansia mista ad agitazione: voleva proteggerla, voleva farla sentire bene…
Non sapeva spiegarsi bene come poteva essere potuto succedere… Lei era
sempre stata così bella, e lui non se ne era accorto… Di Hermione
lo aveva sempre affascinato l’intelligenza, la gentilezza, e ai suoi occhi
aveva ancora quella bellezza che la rendeva diversa da qualsiasi canone, anche
se non molti sembravano accorgersene.
Cho era diversa, e questo era lampante: la sua grazie era evidente, gli occhi
grigi, a mandorla, la pelle serica che contrastava coi capelli scuri, lisci
e lucenti. Il corpo minuto ma attraente, quel modo particolare di muoversi…
Che fosse solo attrazione fisica?
Quell’improvviso pensiero congelò la mente di Ron.
“Solo attrazione
fisica… Ma non può essere… Eppure…”
Improvvisamente, voleva
scappare. Lontano. Andare via, non dovere affrontare imbarazzi e vergogna..
Aveva dato abbastanza. Non voleva…
Ma era troppo tardi, aveva raggiunto il balcone e Cho con un gesto stanco cercò
di aprire la porta che dava sull’esterno, senza successo però.
Ron senza pensare mise la mano sulla maniglia per aprirla con la forza, senza
accorgersi di averla messa proprio su quella di Cho, che la ritrasse senza mostrare
segni di fastidio o imbarazzo. Dato che neanche con la sua ‘forza-bruta’
riuscì ad aprirla, la cose più logica da fare era usare la bacchetta,
e con un semplice incantesimo alohmora la porta si aprì di scatto. Probabilmente
era solo una precauzione per i pazienti…
Nel vedergli estrarre la
bacchetta, Cho fece una strano sorriso, quasi fosse rammaricata.
Uscirono alla luce del
crepuscolo. Faceva fresco, e non c’era nessuno sulla piccola terrazza,
con vista sullo squallido quartiere di Londra dove stava l’ospedale.
Cho era ancora davanti
a lui, il vento gli scompigliava un po’ i capelli e le faceva alzare leggermente
i bordi della veste. Poi disse in un soffio:
<< Sai, mi hanno
tolto la bacchetta. Potrebbero anche spezzarmela. >>
Ron si bloccò guardandola
allibito. Lei ricambiava il suo sguardo tranquillamente, le labbra piegate in
un sorriso appena accennato, un sorriso che lasciava freddi gli occhi.
<< Ma…perché?
>>, chiese con un filo di voce
Cho scrollò appena
la testa, e si girò dall’altra parte. Ora gli dava le spalle.
<< Immagino che starete
bene, adesso. Senza… altri problemi. >>
<< Io… non
lo so, se starò bene. >>, disse Ron, confuso.
<< E perché
non dovresti? >>, domandò voltandosi all’improvviso: il suo
volto era una maschera impassibile.
<< Beh, non è…
>>, incominciò il ragazzo, indeciso
<< Ti faccio pena,
non è così? >>
<< Eh? >>
<< Smettila, mi dai
sui NERVI! >>, gridò con voce acuta, camminando a passo deciso
verso la porta.
Ma Ron fu più veloce,
e la prese per un braccio, facendola sussultare. Lo guardò freddamente,
e, recuperata la calma, disse:
<< Lasciami andare.
Vattene, non voglio… >>
<< Solo perché
non state più insieme non vuol dire che puoi darmi ordini e fare l’isterica.
Non credo ti faccia sentire meglio. >>
<< E se invece così
fosse? >>
Lui la guardò un
attimo, lasciò la presa e si mise una mano sotto il mento, roteando gli
occhi in una perfetta e finta indecisione.
<< Beh, in quel caso
fallo quanto vuoi. E’ sempre un piacere farsi spaccare i timpani da una
bella ragazza. Ginny ne ha sempre ampiamente approfittato. Beh, meno male che
adesso ha Zabini per sfogarsi, in qualcosa si è reso utile, alla fine…
>>
Cho lo guardò inarcando
un sopracciglio, come indecisa se ridere o urlargli in faccia.
<< Perché…
ti affanni tanto, con me? Perché sei qui? >>, chiese infine
Lui si rifece serio, e
abbassò appena lo sguardo.
<< Chissà…
Forse sono qui per scoprirlo. >>
<< Mh… Molto
enigmatico. >>
Passarono così i
minuti, in silenzio. Il sole incominciava a tramontare sulla sporca periferia
londinese, e il sole era un piccolo disco arancione, che oscurava gli occhi
e faceva sanguinare il cuore. Un tramonto è sempre un segno, di un inizio
e una fine, di un racconto che termina ma non muore. Il sole è del colore
delle piume dell’immortale fenice, perché se ogni volta sprofonda
lasciando il posto all’oscurità più fitta, perché
anche se ogni volta muore, come lei risorge. E tutte le volte che il sole tramonta,
sorgerà di nuovo. E noi saremo lì, e sarà la nostra rinascita.
Per sempre.
Il vento si stava alzando,
la luce più debole mandava bagliori rossastri, che si confondevano nella
sua pelle ambrata, che facevano sembrare ancora più vivi quei capelli
rossi, ulteriormente spettinati dalla brezza.
Alla fine, inspirando profondamente,
lui parlò.
<< Allora…
Adesso cosa farai? >>, domando nervosamente.
Lei si voltò con
lentezza, con un’espressione quasi serena dipinta in volto.
<< Andrò via.
Lontano. >>, disse con le mani attaccate alla ringhiera. Guardando oltre
il cielo.
<< Per quanto tempo?
>>
<< Non lo so…
- sorrise a testa bassa - Forse un mese, forse di più… Forse voglio
dimenticare, o ricordare per sempre…Chissà. >>
<< Ti aspetterò.
>>, replicò lui fermo.
<< Ora dici così,
ma io sono capricciosa… Potrei farti aspettare per sempre. >>
<< Aspetterò
per sempre. >>, disse con un impercettibile sorriso.
Cho si voltò, a
guardarlo, quasi colpita da quelle semplici parole. E senza altro da dire, stanca
di piangere, stanca di gridare, fece un lieve, accennato sorriso. E contemporaneamente,
una lacrime solitario le andò a morire sulla guancia, in un gesto identico
a quella sera. Ron non poté non notarlo. Ed era un ricordo, ed era un
addio.
Una goccia di sangue, un ultima lacrima.
E così, con parole
gridate e sussurrate, con espressioni indecifrabili e rari sorrisi… Così,
e basta.
Si avvicinò a lui,
e appoggiò le labbra sulla sua guancia, per un secondo fugace e interminabile,
senza significato eppure importante. Poi rientrò nell’ambiente
rumoroso e ordinario dell’ospedale, lasciandolo là fuori, solo
a guardare quel tramonto, quel morire e vivere infinito, a piangere e ridere
e chiedersi perché.
----------------------------------------------
Il sole era ancora alto nonostante l’ora tarda, ma il tramonto si annunciava
imminente. Harry non ebbe molto tempo per chiedersi cosa diavolo avesse spinto
Ron a precipitarsi fuori dalla stanza in quel modo; ma la sua uscita –
che inizialmente gli era sembrata provvidenziale – ora lo aveva messo
in una situazione spiacevole. Senza via di fuga.
“Sempre la solita
storia: dov’è l’uscita di emergenza quando serve?”,
si chiese disperato.
Hermione ormai era furiosa,
e quando parlò di nuovo la sua voce era spezzata e fragile, in un modo
che fece rabbrividire Harry.
<< Devo ripeterlo
un’altra volta? >>
Lui non rispose.
<< Ho capito…
Ho capito. Vattene. >>, disse lentamente, ma decisa.
<< C-cosa? >>
<< HO DETTO VATTENE!
>>
<< NO! >>,
gli ridò lui di rimando, a sorpresa.
L’improvvisa decisione
del ragazzo lasciò Hermione di stucco, e, per la seconda o terza volta
nella sua vita, senza parole.
<< Sì, va
bene, vuoi che te lo dica? Vuoi che-
<< No voglio che
tu ‘me lo dica’ per farmi sentire soddisfatta, voglio sapere se
è così, idiota! >>, urlò, sull’orlo delle lacrime.
<< E questo cosa
dovrebbe cambiare?! Cosa vuol dire? Come… Come puoi chiedermi una cosa
del genere, così…! >>
<< E allora a cosa
sono valse, tutte quelle parole, quella sera…? Che significato avevano?
Volevi divertirti, non è così?! >>
<< Divertirmi…?
Pensi che io mi sia divertito?! >>
<< Quanto mi dispiace,
non è andata come credevi! Una scopata e via, ecco cosa pensavi tanto
è Hermione e-
Si interruppe, rossa in
volto e con gli occhi lucidi, alla vista dell’espressione sconvolta del
ragazzo di fronte a lei. La fissava con insistenza, quasi incredulo, tra il
disgustato e il ferito.
<< S-scusa…
>>
<< Come puoi pensare
che io volessi una cosa del genere? Come puoi farlo…? E’ davvero
questo che sono, per te? Vuoi sapere se ti amo, così, per sfizio? Vuoi
esserne sicura perché se-no-non-va-bene-che-non-siamo-più-ragazzini?
>>, disse con freddezza, ignorando le sue scuse.
<< Harry, io…
>>
<< No, ora basta.
Volevi una risposta e l’avrai. Non sarà quella che immaginavi,
ma non è su un libro di testo che l’ho imparata. Hermione, tu mi
piaci. Mi piace il modo in cui sorridi, mi piace il tuo coraggio e il fatto
che non ti arrendi mai. Quasi non ti sopporto quando fai la saccente, ma sei
incredibile e basta. Vorrei poter stare sempre insieme a te, vorrei non averti
fatto soffrire in tutto questo tempo, e vorrei poter non fartene più,
mai più, ma non credo più nei miracoli. Sono stupido, forse. Forse
sono solo un ragazzino immaturo, come mi chiamavi tu, e forse… Non lo
so, sono molte cose e tu sei tante altre, per me. Forse ti amo. Io… >>
Non poté terminare
la frase, perché una massa di capelli crespi gli oscurò completamente
la vista, e le sue braccia gli si erano strette al collo con forza, facendogli
quasi male. Harry non poteva vederla, ma se la immaginava con gli occhi serrati
e i denti che si mordevano le labbra nel tentativo di non parlare. Le passò
un braccio intorno alle spalle. Stringendola forte, rispondendo a quell’improvviso
abbraccio come poteva.
Quando si staccarono, lei
lo guardò negli occhi.
<< Sei uno stupido.
>>, sentenziò.
<< Tu non lo sei
mai… >>, rispose sorridendogli.
<< Sono saccente
e… un’insopportabile so-tutto-io. >>
<< E’ vero.
Che sai tutto, intendo. >>
<< Comunque, scusa…
>>, mormorò abbassando improvvisamente gli occhi
<< No, non basta…
>>
<< C-cosa?! >>
<< Non so se posso
perdonarti… >>, disse Harry, serissimo.
<< Ma… >>
<< Beh, se proprio
vuoi, potrei concederti la grazia… Ma a una condizione. >>
<< A patto che non
sia niente di troppo strano… Mh, cioè? >>
<< Baciami. >>
Hermione lo guardò
con un cipiglio imbronciato per qualche secondo, le mani sui fianchi e quegli
occhi nocciola intenso puntati su di lui.
<< Beh, se bastava
così poco… >>, disse infine.
E il bacio fu.
Non puro e casto, non selvaggio e travolgente: gesti lenti, sicuri, di chi aspetta
quel momento da tanto e teme che senza trattenere l’impeto, la felicità
scivolo via con leggerezza.
Quando si staccarono, dopo interminabili minuti, Harry la guardò trattenendo
a stento un largo sorriso.
<< Sai una cosa,
Herm? >>
<< No, cosa? >>
<< Anche senza parlare
sai essere molto eloquente. >>
<< …. >>
… E adesso, come
una canzone lenta, come degli accordi di pianoforte che sfumano nella tempesta,
lasciamo che il tempo passi, che le voci e gli echi si spengano…
Riuscite a sentire?
Il tintinnare dei sorrisi sinceri, gli squarci delle bugie, i momenti felici
e le lacrime che cadono incessantemente. Lo scorrere della vita e il fluire
del tempo.
Il pianto di un bambino. Vociare indistinto. Mormorii eccitati. Nervosismo.
Giorni dal cielo terso. Inverni lunghi e solitari.
Riuscite a vedere?
Potete visualizzare, come istantanee sfocate dal vecchio stampo, frammenti di
esistenza?
Un cielo rosso sangue, la neve dalle finestre della Tana, una città distrutta,
un sorriso stanco. Momenti trascorsi insieme, periodi di separazione. Volti
contratti dalla rabbia, distesi dalla felicità, sconvolti dal dolore
e rossi di vergogna.
Ed è solo un periodo, un profumo che in aria si spande, per poi sparire
veloce com’era arrivato.
E’ il futuro che attende oltre quella porta, appostato dietro uno scaffale
del ghirigoro, fra le tubature marce e le soffitte cadenti.
Sono gli attimi fuggenti che decidono del destino, le occasioni che ci si presentano:
arrivano, e spariscono con uno sbuffo argenteo.
Ma non è una fine,
è solo una storia che termina.
E allora ritiriamoci, questo spettacolo, ormai è finito. Lasciamo che
le nostre marionette giochino in libertà, facciamoli innalzare nei cieli
più profondi, senza limiti di tempo e spazio, senza le nostre pesanti
catene.
E ho finito di raccontare,
questo momento andrà avanti, resterò qui.
La strada è ancora lunga, e alla fine, la vita è una scomessa.
E per chi ha vinto, per
chi non vuol più giocare, e chi non l’ha mai fatto, chi c’ha
provato troppe volte e ha perso…
Scacco Matto.
FINE
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