Stockholm Syndrome

di Kat Logan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 0. Prologue ***
Capitolo 2: *** 1. Le luci di Tokyo ***
Capitolo 3: *** 2. Abduction ***
Capitolo 4: *** 3. Ostaggio ***
Capitolo 5: *** 4. Breathe ***
Capitolo 6: *** 5. Waiting ***
Capitolo 7: *** 6. Unusual Racer ***
Capitolo 8: *** 7. Catch me if you can ***
Capitolo 9: *** 8. Unexpected Feelings ***
Capitolo 10: *** 9. Meetings & memories ***
Capitolo 11: *** 10. Quanto sei disposto a rischiare per chi ami? ***
Capitolo 12: *** 11. Thinkin about us, what we gonna be? ***
Capitolo 13: *** 12. La traditrice ***
Capitolo 14: *** 13. I'm in love what we are, not what we should be ***
Capitolo 15: *** 14. La resa dei conti - Parte I ***
Capitolo 16: *** 15. La resa dei conti - Parte II ***
Capitolo 17: *** 16. Stockholm Syndrome ***



Capitolo 1
*** 0. Prologue ***



 

Alla persona che ama questa canzone.
Che mi rapisce con le sue parole e il suo modo di essere,
provocandomi una vera e propria Sindrome di Stoccolma.

 
 

"And we'll love, and we'll hope, and we'll die all to no avail."

 
 
 
La porta dell'ufficio si aprì violentemente senza alcun avviso, lasciando comparire la figura alta e magra di un giovane dai capelli corti nero pece sulla soglia visibilmente agitato.
"Ispettore Meiō!" la sua voce arrivò violenta all'orecchio della donna che sedeva alla scrivania tenendo all'orecchio destro la cornetta telefonica e che stava spegnendo energicamente una sigaretta nel posacenere davanti a lei seminascosto dalle pile di documenti abbandonate sulla scrivania.
Le sue iridi scure si posarono severe sul ragazzo mentre sibilava un "uhm, ho capito, le saprò dire." come chiusura a quella telefonata.
"Ispettore Meiō..." ripetè la voce una volta che la donna gli prestò attenzione.
"Si, Takumi! E comunque gradirei bussasse la prossima volta!"
"Mi scusi ispettore, ma è urgente!"
Seguì un breve silenzio in cui la donna accavallò le gambe sulla sedia voltandosi con tutto il corpo verso il suo interlocutore.
"L'abbiamo ritrovata!" proseguì il giovane.
Sembrava non tenersi più nella pelle, il suo sguardo vispo si era illuminato a quelle due parole e un sorriso soddisfatto gli si era dipinto in volto.
"Puoi essere più preciso?"
"Abbiamo ritrovato Michiru Kaiō!"
A quel nome la donna scattò in piedi come se una scarica elettrica l'avesse colpita.
Non ci posso credere!
L'ispettore Setsuna Meiō scartò il ragazzo che le aveva comunicato la notizia uscendo dalla stanza senza aggiungere altro.
Camminò per il lungo corridoio osservando distrattamente il tempo fuori da una delle finestre della centrale.
Un violento temporale si stava abbattendo fuori dalla struttura, le gocce pesanti picchiettavano imperterrite sui vetri con uno scroscio continuo che accompagnò i suoi passi veloci.
Distogliendo lo sguardo e salutando distrattamente con un cenno della mano un collega, si domandò come fosse possibile che una persona sparita nel nulla comparisse inspiegabilmente da un momento all'altro.
Si diede un leggero pizzicotto al braccio per assicurarsi non stesse sognando. Nella sua carriera nessun caso si era mai risolto da solo prima d'ora.
Si fermò davanti ad una porta, sistemandosi i lunghi capelli dietro le orecchie e stirando alcune pieghe appena visibili dal suo vestito.
Posò la mano sulla maniglia, contò fino a tre prima di spingerla verso il basso ed entrò nella stanza grigia e spoglia dove di solito si tenevano gli interrogatori.
Lo spazio era essenziale ed impersonale, ad arredarlo c'era solo un semplice tavolo, due sedie e un mobiletto basso in metallo tutt'altro che elegante.
La lampadina appesa al soffitto senza alcuna plafoniera emetteva un flebile ronzio.
"Signorina Kaiō! E' un piacere vederla illesa!" l'ispettore si avvicinò alla giovane donna dicendo quella frase dopo aver girato attorno al tavolo e tendendole una mano.Mano che rimase a mezz'aria senza ricevere alcuna stretta.
Il capo della ragazza era chino, una cascata di lunghi capelli bagnati, dal colore acqua marina ricadeva in avanti coprendole il viso.
La mani erano strette tra loro e si torturavano silenziose senza sosta sulle ginocchia.
Setsuna le appoggiò una mano sulla spalla, ma l'altra si scostò senza degnarla di uno sguardo.
"Le hanno fatto del male?" la domanda uscì dalla bocca della donna che fece qualche passo indietro per non turbarla ulteriormente.
"Si può fidare di me..." fece una breve pausa per poi aggiungere alla frase il suo nome "Michiru..."
La ragazza sobbalzò al suono del suo nome, un ricordo si accese violento nella sua testa "Michiru..." la voce era un soffio, "Michiru scappa! Va via! Ora!"
Due occhi cobalto.
La pioggia fredda.
La macchina distrutta dall'urto con l'altra.
Non è stata una buona idea venire qui!
"Ma quegli imbecilli non le han dato nemmeno una giacca? Qualcosa con cui asciugarsi?!"
La voce di Setsuna la riportò al presente.
"Si prenderà un raffreddore Michiru, ci penso io, torno subito!"
Il rumore della porta che si chiuse le fece alzare lo sguardo che vagò per la stanza come alla ricerca di qualcosa, una via d'uscita alternativa.
Maledizione! Sono una codarda! Non dovevo andarmene! Non dovevo venire qui!
Si sentì mancare il respiro quando un pensiero la colpì. Il più importante.
Starà bene?
Si portò la mano candida al petto, le dita si contrassero sul tessuto bagnato della camicetta tirandone la stoffa.
Il suo cuore perse un battito al pensiero di quel nome.
Haruka...
"Ecco qui, questa la terrà al caldo! Ho chiesto di farle un té caldo!"
L'ispettore era tornato lanciandole uno sguardo apprensivo e appoggiandole delicatamente una coperta scura sulle spalle.
"Grazie"
"Di nulla."
La donna sorrise, sedendosi davanti a lei e incrociando le mani sul tavolo.
"Si sente bene?"
Come risposta alla domanda seguì un pesante silenzio.
"Michiru, sarà sconvolta ma è necessario parlarne..."
Non sono sconvolta.
"Un rapimento non è cosa da poco, devo sapere tutto ciò che ricorda. Sbatterò personalmente quei cani in prigione!"
"Chi le dice sia stata rapita?" lo sguardo blu intenso era quasi accigliato.
"Non è così? Perchè mi risulta che lei..."
"Cosa?" la interruppe brusca sbattendo violentemente un pugno sulla superficie liscia del tavolo "Cosa le risulta?" la voce s'incrinò sull'ultima domanda.
"Suo padre dice che non sarebbe mai scappata senza dare sue notizie e non ne avrebbe avuto motivo...è scomparsa di colpo e si sono perse le sue tracce."
Non confesserò, non confesserò mai!
"Ho bisogno della sua collaborazione..."
Non dirò una parola.
"Le hanno intimato di tacere? Se è così non deve preoccuparsi, la proteggeremo noi!"
Non ho bisogno di protezione.
"Cosa le hanno detto? L'hanno minacciata?"
Non voglio protezione, non devo essere protetta a questo ci pensa già...
"Michiru può fidarsi, è il mio lavoro...non le accadrà nulla!"
Ci pensa già Haruka!
Quell'ultimo pensiero accompagnò un battito violento del suo cuore che sembrò schizzarle in gola.
Non avrebbe fatto alcun nome, non avrebbe raccontato nulla.
E con quelle convinzioni che si radicavano sempre di più nella sua mente tutto le fu immediatamente chiaro.
Si era innamorata del suo rapitore e l'avrebbe protetto fino alla fine.
La voce dell'ispettore si fece ovattata e lontana, le immagini sfumarono fino a quando la sua vista non fu più nitida, si sentì pesante.
Un capogiro.
"Va tutto bene?" quell'ultima domanda giunse al suo udito distorta quasi irriconoscibile e nell'ultimo istante di lucidità, prima di svenire, fu consapevole del fatto che lei era vittima della Sindrome di Stoccolma.


Note dell'autrice:

Ciao a tutti! Eccomi qui! Si, ancora io! Con una nuova fanfiction sula mia coppia preferita di Sailor Moon.
La storia è un pò un esperimento rispetto al mio solito genere "fantasy", spero ne esca qualcosa di buono...
Come qualcuno forse intuirà, questa ff è nata dalla canzone dei Muse - Stockholm Syndrome - da cui prende il nome.
Non so precisamente ogni quanto l'aggiornerò, sono solita pubblicare una volta a settimana, ma questa so che mi procurerà molto impegno perciò vediamo come si mette la faccenda!
Intanto aspetto volentieri le vostre opinioni, chi mi segue già da un pochino sa che tengo sempre conto di tutto ciò che mi dite e mi fa estremamente piacere sapere sempre cosa ne pensate!
Buon weekend e buona notte a tutti! p.s. Setsuna è presente nella storia, non l'ho inserita nei personaggi in quanto è secondaria rispetto alle due protagoniste. In seguito vedrò anche se alzare il rating e modificare gli avvertimenti, non si sa mai!
Kat Logan

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** 1. Le luci di Tokyo ***


 

Un vento fresco soffiava prepotente portando con se l’odore della salsedine.
Il suo sguardo azzurro intenso, fu ammaliato ancora una volta dal blu dell’oceano, increspato da piccole onde che riflettevano i raggi di un sole pallido che si stagliava in un cielo sereno e privo di nuvole.
Lo scrosciare lento dell’acqua era la sua cantilena preferita, una dolce ninna nanna che la cullava nei momenti di tristezza e accompagnava quelli di gioia festeggiando con lei.
Una ciocca dispettosa di capelli acqua marina, mossa dalla brezza, le frustò la guancia liscia e candida, per poi lasciarsi catturare dalle dita sottili e affusolate che la riportarono dietro l’orecchio.
La ragazza inspirò ancora una volta quell’odore salato ed indescrivibile che amava tanto.
E’ inutile, il mare quando ti entra dentro non ti lascia più.
Per lei fu subito così.
Ricordava la prima volta che suo padre la portò in spiaggia come uno dei giorni più belli della sua vita.
Le immagini di quel pomeriggio erano ancora nitide nella sua mente nonostante fossero passati ben quindici anni. Era una giornata torrida di agosto, l’afa in città rendeva l’aria irrespirabile e lei tremendamente irritabile, così, suo padre decise di portarla sulla costa convinto che si sarebbe sentita meglio e divertita.
Un lieve sorriso a quel pensiero le piegò gli angoli della bocca all’insù.
La sabbia, la luce intensa che si frammentava sulla superfice dell’acqua, la voce del mare, le piccole sagome scure di alcune navi in lontananza all’orizzonte che appariva irraggiungibile, l’avevano irrimediabilmente incantata, tanto che aveva deciso di trasferirsi ad Osaka per sentire più vicino a lei la presenza di quell’immensa distesa d’acqua, oltre che a cogliere l’opportunità di lavorare come insegnante all’Università di musica della città.
Distolse i suoi pensieri da quel piacevole ricordo per guardare l’orologio che teneva al polso.
Le sei e un quarto.
Michiru arricciò il piccolo naso leggermente all’insù per poi constatare di doversi dirigere all’interno dell’ Osaka Kansai International Airport e raggiungere il terminal nord da dove il suo volo per Tokyo sarebbe partito.
Mentre camminava a passo deciso, trascinandosi alle spalle il suo trolley verde brillante, nella testa risuonavano le poche parole che Ami, sua sorella minore, rimasta a Tokyo con il padre per seguire gli studi di medicina, aveva pronunciato il giorno precedente nella cornetta del telefono.
“Michiru, papà non lo ammetterà mai, sai com’è fatto, crede sempre di avere tutto sotto controllo e di poter risolvere le cose a modo suo, ma temo sia nei guai…”
Ami, non aveva voluto darle nessun’altra spiegazione, forse per non allarmarla troppo.
Ma Michiru odiava non aver sotto controllo la situazione, tanto che questo non essere al corrente delle cose, le aveva scatenato un senso di ansia e preoccupazione profonda, che oltre a non farle chiudere occhio per l’intera nottata, l’aveva spinta a partire il giorno dopo per verificare di persona la situazione del padre.
Dopo aver passato i controlli aereoportuali ed aver preso posto sul volo della All Nippon Airways accanto al finestrino, si concesse un lungo sospiro sprofondando con la testa nel comodo sedile della compagnia aerea.
Socchiuse gli occhi.
“Cosa starà mai succedendo?”  
Come poteva essere nei guai un uomo come suo padre? Non riusciva a concepire quell’idea.
Era sempre stato un uomo ligio al dovere ed onesto. Cocciuto e alle volte con un caratteraccio ma non aveva mai fatto del male nessuno, né truffato qualcuno per quanto ne sapeva lei.
Amava la sua famiglia, adorava lei e sua sorella Ami, nonostante fosse figlia di un altro uomo.
Per lui l’unica differenza tra le due era un cognome che non era il suo, ma le aveva sempre trattate e rispettate allo stesso modo, incoraggiate, consolate e coccolate come se entrambe fossero sangue del suo stesso sangue.
E fu a pensare ai suoi occhi azzurri, grandi e gentili, che lei stessa aveva ereditato da lui a chiedersi come sua madre avesse potuto tradire un uomo così buono.
Ricordò il giorno in cui Ami tornò a casa piangendo da scuola perché i suoi compagni le dicevano che non era veramente sua sorella, accusandola di aver inventato tutto quanto.
Lei l’aveva abbracciata stretta e le aveva suonato il violino per l’intero pomeriggio in modo da consolarla, sapeva  quanto la sorellina adorasse ascoltarla mentre si esercitava e già conosceva il potere che la musica aveva per placare l’animo di chi veniva ferito.
Quella stessa sera, quando sua madre la mise a letto rimboccandole le coperte e baciandole la fronte, lei le chiese come mai Ami avesse un cognome diverso.
“Ha un altro papà…”Quella risposta non le era certo bastata. Aveva otto anni ma non era stupida, e la curiosità era davvero troppa. Così la incalzò affermando che a lei non importava perché Ami sarebbe comunque stata sua sorella e la domanda che fece sospirare sua madre fu “perché hai tradito papà?”
Come risposta seguì un lungo silenzio rotto solo da quel sospiro.
Nonostante la tenera età, Michiru, conosceva già bene il significato di quella parola e sua madre non se ne sorprese.
Gli occhi della donna, si persero nei suoi per un breve istante per poi dirle che nella vita si commettono degli errori e che lei era stata una stupida, ma che da quello sbaglio era nata una cosa bella, di cui non riusciva a pentirsi.
 
La voce del ragazzo che sarebbe stato il suo compagno di volo per un’ora e un quarto la riportò bruscamente alla realtà.
“Queste valigie sono un vero impiccio!” disse ad alta voce, sistemando a fatica il suo bagaglio nello sportello situato al di sopra del suo sedile.
Michiru  sorrise annuendo con la testa “non lo dica a me, rischio sempre di inciampare nelle rotelline del trolley!”
L’altro la squadrò un momento, il suo sguardo di fermò sui tacchi vertiginosi che indossava ed indicandoli con un gesto della mano, rispose al sorriso con un “sicura che la colpa non sia in realtà di quelli?”
La giovane si guardò le scarpe tacco dodici che aveva ai piedi “No, a questi sono abituata!”
“Io non mi ci abituerei mai invece!” rise lui per poi prendere posto accanto a lei, tendendole la mano per presentarsi “Piacere, Mamoru Chiba!”
Michiru lo osservò meglio, i capelli corvini incorniciavano un viso impreziosito da due occhi chiari e penetranti, le labbra sottili del ragazzo s’incurvarono in altro sorriso sincero e lei si apprestò a ricambiare la stretta di mano inclinando leggermente la testa per poi presentarsi “Michiru Kaiō, piacere mio!”
La voce dell’ hostess che invitava i passeggeri ad allacciarsi le cinture interruppe la breve conversazione dei due, che osservando le spie rosse intermittenti sopra le loro teste, procedettero silenziosi in quell’operazione.
I motori si accesero e l’aereo cominciò a correre sulla pista di cemento costruita sul mare per poi alzarsi in volo alla volta di Tokyo.
 
 
*
 
 
Portiamo a sgranchire la mia nuova bambina!
La mano affusolata passò leggera sulla carrozzeria dell'auto sportiva gialla lucente come per darle una carezza.
Il pilota salì a bordo della Nissan GT-R 2011 truccata, passando le mani sul volante e godendosi l'odore della pelle nuova che rivestiva i sedili del veicolo.
Alcuni capelli corti, dorati, ricaddero scompigliati sul viso dai tratti fini dopo che la testa si abbandonò un momento appoggiata al sedile, animando il viso di un'espressione quasi estatica.
Una scarica d'adrenalina improvvisa percorse le vene della ragazza dall'aspetto androgino, facendole spalancare i grandi occhi cobalto socchiusi fino ad un istante prima.
Sorrise beffarda nello specchietto retrovisore per poi spingere energicamente il piede sul pedale dell'acceleratore facendo una manovra veloce all'interno del grande garage sotterraneo.
Si gustò il rombo del motore che risuonò prepotente nelle sue orecchie scatenando in lei l'euforia che nemmeno la droga più potente le avrebbe provocato.
Oh papino, tu sai come farmi felice!
“Oh, ma guarda qui, qualcuno ha fatto felice un pezzo grosso!” La voce di Akira arrivò all’orecchio della ragazza che teneva i finestrini del tutto abbassati.
“Mi sono fatta il culo, non credere!” gli rispose mentre rallentava accanto alla figura del ragazzo alto dai lunghi capelli mori, che sfoggiava due braccia muscolose interamente tatuate.
“Non ne dubito, l’ Oyabun non fa regali così costosi a caso…” un sorrisetto dipinse il volto del ragazzo che infilò la testa dentro al finestrino incuriosito per osservare meglio i particolari dell’auto.
“Secondo me, sei una buona candidata…” aggiunse in un sospiro.
“Sono una donna, te lo ricordi?” una punta d’ironia macchiò la sua voce dal timbro ironico.
Il suo sguardo cobalto si puntò dritto davanti a lei senza guardare in faccia Akira.
“Oh andiamo…e la moglie di Giichi Matsuda dove la metti?!”
Haruka si lasciò scappare una sonora risata che non riuscì a frenare scuotendo energicamente il capo.
“Non posso crederci, mi fai un esempio del genere?! Quella era sua moglie, lui è stato assassinato! Ecco perché lei è finita a capo del clan!”
Akira sbuffò, non riusciva mai a tenerle testa, forse proprio per quel suo carattere lei era una delle migliori nel suo campo. A volte pensava che lei potesse essere più uomo di lui in determinate situazioni.
“Senti, non ho intenzione di sposarmi con uno che può essere mio padre…”
Haruka fece una breve pausa prima di accendere la radio e alzare il volume a un livello disumano per i timpani, sgasò ancora una volta e gridando per sovrastare la musica invitò con lei il ragazzo che era intento a memorizzare ogni dettaglio della sua nuova auto.
“Allora, vieni a fare un giro o vuoi continuare a sbavare su questo ferro?”
Akira alzò le mani in segno di resa “se proprio insisti…” disse con fare da finto svogliato per poi aprire la portiera del passeggero e accomodarsi nell’abitacolo accanto a lei.
"Ten'ō non farti beccare dagli sbirri!" Aggiunse allacciandosi la cintura di sicurezza.
“Sulla mia macchina non accetto ordini da nessuno!” La lancetta della velocità schizzò come impazzita e le ruote stridettero sull’asfalto uscendo a tutta velocità dal garage.
“Soprattutto dai pappa molla come te!” Haruka sorrise compiaciuta delle sue stesse parole, ma soprattutto dalla smorfia di terrore che si era dipinta sul volto di Akira, che nemmeno dopo un minuto in macchina con lei era già con le mani avvinghiate al sedile pregando di non finire in poltiglia contro il muro di un palazzo o qualsiasi altra cosa che potesse spedirli dritti in ospedale.
 
 
*
 
Le luci colorate di Tokyo si accesero al calare del sole regalando nuova vita ed energia alla città già affollata dai ragazzi pronti a far baldoria per tutta la notte.
 
L’aeroporto, in fermento, provocò una certa agitazione in Michiru che si sentì sperduta in mezzo alla folla brulicante e chiassosa che le si snodava attorno.
Una ragazza dai lunghi capelli biondi e l’aria un po’ da bambina, corse incontro a Mamoru, saltandogli letteralmente in braccio a pochi passi da lei.
“Mamoruuuu!” la sua voce sembrò rimbombare per tutta la sala degli arrivi, mentre non riusciva più a tenersi dalla gioia e gettava le braccia al collo, a quello che indubbiamente era un fidanzato o un marito.
Michiru si sentì una guardona nell’osservare la scena, così cercò tra folla il viso di Ami, che le aveva promesso sarebbe andata a prenderla, quando dei capelli corti sbarazzini blu comparvero nella sua visuale.
Eccola!
“Michi chan!” la sorella agitò una mano in segno di saluto mentre si faceva spazio tra le persone per raggiungerla e andare ad abbracciarla.
“Ciao Ami! Sei diventata ancora più alta dall’ultima volta che ti ho vista!” osservò Michiru per poi abbracciarla stretta a sé.
In quegli anni l’era mancata molto anche se si sentivano regolarmente ogni settimana e chiaccheravano per ore al telefono.
“E tu bella come sempre!” sorrise l’altra per poi proporle di andare a recuperare i suoi bagagli.
Michiru la seguì, salutando con un cenno Mamoru, mentre la sua ragazza domandava a voce alta un “Chi è quella che sembra una top model?! Non dirmi che mi tradisci!”, scatenando una risata in lei, che cercò di mascherare portandosi una mano davanti alla bocca.
“Hai fatto conquiste in aereo!” scherzò Ami notando la scenetta mentre le camminava a fianco.
“Era simpatico, è stato un viaggio piacevole!” affermò Michiru, portandosi poi un indice al mento come per pensare. “Ha detto di fare il medico, un giorno sarete colleghi magari! Come procedono gli studi?”
Domandò sinceramente interessata.
Gli occhi di Ami s’illuminarono all’istante. Era una ragazza intelligente e una studentessa modello, il suo grande amore era di sicuro la conoscenza, visto il modo in cui si rallegrava tutta nel parlare della sua futura professione e dell’università.
“Ho superato l’esame di Chirurgia generale con il massimo dei voti, papà è stato molto felice, tanto che ha voluto festeggiare portandomi fuori a cena per l’occasione!”
“Non avevo dubbi avessi preso il massimo! Sei sempre stata bravissima anche al liceo, ma esci oltre a studiare? Devi divertirti un po’!” le chiese Michiru intenta a prendere dal nastro trasportatore la propria valigia.
“Non preoccuparti! Esco anche con le amiche!” la rassicurò Ami, portandosi una mano alla testa e scompigliandosi un po’ i capelli.
“E il ragazzo ce l’hai?” lo sguardo di Michiru si fece malizioso.
Era una curiosa cronica e non seppe resistere alla tentazione di indagare sulla vita sentimentale di Ami che arrossì violentemente cominciando a balbettare imbarazzata.
“No…cioè…no!”
Michiru alzò un sopracciglio interdetta dalla risposta poco chiara dell’altra “Non sembri molto convinta!”
“Oh insomma, sembri un detective!” la riprese imbarazzata la sorella trascinandola fuori dall’edificio, senza degnarla di una risposta più chiara.
 

*

 
I riflessi delle luci provocarono flebili scintillii sulle carrozzerie delle auto sportive pronte a correre e nello stesso momento, a pochi chilometri di distanza, s’infransero negli occhi azzurri di Michiru incantata dalle luci di Tokyo che non ricordava essere così ipnotiche.
 
Haruka appoggiata alla propria auto tirò un’altra boccata di fumo dalla sua sigaretta per poi gettarla a terra.
Guardò Akira intento a godersi le effusioni della sua ragazza, quella sera lei, invece, si sarebbe dovuta consolare con una bella dose di adrenalina e velocità dopo essersi lasciata scappare la preda, che era praticamente cascata ai suoi piedi nel solo incrociare il suo sguardo, grazie all’amica impicciona che l’aveva prontamente dissuasa con un “Ma sei matta? Quello sai chi è? E’ uno Yakuza! Stacci alla larga!”
 
Impicciona, guastafeste e pure ignorante!
Pensò Haruka tra sé e sé scuotendo la testa mentre osservava le due ragazze allontanarsi.
Un’altra volta era stata scambiata per un ragazzo e un’altra volta il suo essere un membro della Yakuza, aveva scoraggiato una donzella che non era abbastanza temeraria a passare una notte con lei.
Poco male, dopo aver vinto anche questa corsa potrò scegliere qualcuna più avventurosa e meno impressionabile di quella.
Sorrise sicura di sé, succedeva sempre così, per ogni ragazza che diceva di no se ne trovavano altre dieci che avrebbero ucciso per Haruka Ten’ō.
Nessuna resisteva al fascino della regina indiscussa delle corse.
Non aveva bisogno di nessun trucchetto, non aveva bisogno di essere un uomo. Lei era come le luci di Tokyo, risplendeva nel buio affascinante e magnetica.
 
 
 
 
Note dell’autrice:
 
Eccomi di nuovo qui! Non sono sparita dalla faccia della terra, sono stata occupata con l’esame di metodologia della critica dell’arte che mi ha dato molto da fare XD
Inoltre questo capitolo non mi ha facilitato la vita ma…eccolo!
Innanzi tutto grazie mille per le recensioni al prologo. Mi danno sempre la carica e apprezzo sempre sapere il vostro punto di vista e ciò che pensate.
Ho optato per 2.480 parole perché non volevo fare il capitolo troppo lungo, credo che così sia una lunghezza “giusta” che riesce a non stancare anche chi apprezza i capitoli brevi. Sono un po’ maniaca ma cerco di venire un po’ incontro a tutti quanti eheh.
Ovviamente la storia ci mette un pochino a partire, ma spero che questa prima parte non vi abbia annoiato troppo :D
 
 
Bene. Non vi trattengo oltre e metto qualche nota per chi non sapesse alcune parole che ho citato, dato che nel prologo qualcuno si è trovato in difficoltà con la Sindrome di Stoccolma :D
 
 
  1. Yakuza : Organizzazione criminale giapponese, è quella che noi in Italia riteniamo la Mafia Giapponese
  2. Oyabun: La Yakuza ha una struttura molto complessa (mi sono messa a studiare un po’ questo tipo di organizzazione, ma non è semplice la cosa, cercherò di risultare il più chiara possibile) a capo della gerarchia interna c’è l’ Oyabun, considerato anche come un padre, in poche parole è il Boss della situazione!
  3.  Giichi Matsuda: E’ un Oyabun esistito realmente, è stato ucciso e alla sua morte ha preso il suo posto la moglie. E’ un caso un po’ particolare perché solitamente il successore dell’ Oyabun viene “eletto” dall’ Oyabun stesso.
 
Direi che è tutto! Se ci sono altre parole che non ho citato qui e su cui avete dei dubbi, sapete dove trovarmi.
Anche per altri eventuali dubbi, io sono sempre disponibile per chiarimenti, oltre che per quattro chiacchere!
Se poi ci saranno domande frequenti in merito alla storia o al capitolo in sé non esiterò a scrivere un post apposito sul mio blog come ho fatto alla domanda che mi fu posta da più di una persona su come nacque questa storia :D
 
Alla prossima!!

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Capitolo 3
*** 2. Abduction ***


 

“Papà?!” Michiru sembrò quasi sussurrare mentre avanzava a piedi scalzi, con passo leggero, nella penombra dell’appartamento situato al piano superiore della sala di Pachinko che gestiva suo padre da alcuni anni.
Attività che gli aveva fruttato somme non indifferenti di denaro e che per questo non faceva stare la figlia maggiore tranquilla, la quale sosteneva che dove circolavano troppi soldi e il potere di una persona aumentava c’era sempre qualche rischio in più.
La sera precedente non aveva avuto occasione di parlare col padre e di chiarire la situazione, così i dubbi la stavano ancora attanagliando senza aver avuto alcuna risposta.
Che sia un problema finanziario? Si domandò scostando la tenda bianca dal vetro della finestra e facendo scivolare il suo sguardo blu, prima sull’insegna in strada del locale e poi sul cielo plumbeo di Tokyo.
Un rumore di pentole e tazze, seguito da un borbottio captò nuovamente la sua attenzione.
Michiru avanzò verso la cucina dalla quale proveniva un un fascio di luce artificiale, data la scarsa illuminazione di quella naturale dovuta al tempo.
“Ciao papà!” esclamò, appoggiandosi con tutto il corpo allo stipite della porta mostrando uno dei suoi migliori sorrisi.
“Oh per bacco! Michiru!” l’uomo sobbalzò rischiando di far cadere un piatto, che però riuscì a salvare stringendolo al proprio petto.
“Bambina mia! Che ci fai qui?!” Domandò sorpreso e piacevolmente colpito da quella visita inaspettata.
Si diresse verso la porta con gli angoli della bocca tirati all’insù impegnati in un sorriso che gli illuminò il volto e i grandi occhi identici a quelli della ragazza per stringerla a sé.
“Ami è venuta a prendermi ieri sera, non ti aveva avvertito?” domandò Michiru alzandosi sulle punte per intrecciare le braccia al collo del padre, più alto di lei.
“Quella ragazzina ha fatto tutto di nascosto!” le rispose senza lasciarla andare.
Assomigliava così tanto a sua moglie che per un momento pensò di stringere anche lei, ma quell’illusione durò solo pochi istanti e Yoshio Kaiō fu costretto a tornare alla realtà.
“Siediti, ho preparato la colazione!” disse staccandosi dalla figlia e indicando la tavola con un gesto della mano.
Michiru annuì sedendosi composta e versandosi una tazza di the caldo fumante “Ami?!” domandò poi mescolando la bevanda nella tazza davanti a lei.
Yoshio rise tra sé e sé “ha fatto colazione alle sei di mattina ed è andata a correre, lo fa sempre!” concluse sedendosi davanti alla ragazza e porgendole una ciotola di riso bollito.
“Non sapevo di questa sua abitudine! Certo non c’è da sorprendersi che sia una salutista!”
“Lo fa da circa un anno…” puntualizzò bevendo un sorso di latte di soia e concentrandosi sul riso nel piatto davanti a sé.
Michiru notò la fatica del padre a prendere il cibo con le bacchette, la mano era poco ferma e i suoi occhi si sforzavano, stringendosi fino a diventare due fessure sottili, le sembrò invecchiato di anni e anni in un solo momento.
“Papà ci vedi bene?” chiese la ragazza senza staccare lo sguardo da lui.
L’uomo annuì con un cenno del capo continuando a portarsi il cibo alla bocca con una certa lentezza.
“E per il resto?” domandò vaga. Non sapeva bene come affrontare il discorso guaio, accennato da Ami al telefono e sperava di riuscire a far parlare suo padre in modo da arrivarci leggendo tra le righe. Aveva però dimenticato, quanto Yoshio, non fosse una persona loquace.
“Va tutto bene, Michiru. Piuttosto…tu? Come va il lavoro? E per il resto? Sembri un po’ turbata…”
“Adoro fare l’insegnante di musica e Osaka è un ottimo posto in cui vivere.” Sospirò capendo che non avrebbe mai parlato di sua spontanea volontà, così decise di arrivare subito al punto.
“Papà…” la voce le tremò leggermente, fece una breve pausa prima di continuare.
Ok, non troppo diretta, è meglio…
“Ami mi sembrava un po’ preoccupata, c’è qualcosa che devo sapere?” si morse la lingua per aver fatto il nome della sorella, un po’ come se fossero tornate bambine e una faceva il nome dell’altra per poi dire “E’ stata lei, non è colpa mia!” dopo aver combinato qualche disastro.
L’uomo si alzò prendendo i piatti e abbandonandoli nel secchiaio, voltò le spalle alla figlia alla ricerca del detersivo e disse con voce calda e paterna “Voi due vi preoccupate troppo”. Ponendo così fine alla conversazione.
 
 
*
 
In un palazzo elegante e sontuoso di Tokyo, Haruka camminava a passo spedito guardando davanti a sé con l’aria di chi sa di star per ricevere un incarico importante.
Sulla porta a vetri principale, così come su tutte quelle dei vari uffici spiccava lo stemma della Yakuza, la giovane si lasciò scappare un sorriso scuotendo la testa.
La Yakuza poteva dare sfoggio di sé indisturbata, la polizia non era mai stata in grado di fermare un’organizzazione criminale del genere e mai lo sarebbe stata.
Tutti si possono corrompere.
Pensò tra sé e sé.
Lasciò scivolare le mani nelle tasche dei pantaloni e percorse il lungo corridoio fino a che non scorse due uomini in giacca e cravatta dall’aria minacciosa, davanti ad una porta in legno scuro.
In pochi è concesso conoscere il volto dell’Oyabun ed io sono una delle poche che conosce la sua vera identità.
A quel pensiero si domandò se fosse un bene o un male trovarsi in quella posizione.
Tanto non ha importanza. Una volta che ci sei dentro, non puoi uscirne.
Avanzò facendo un passo in avanti, piegò leggermente le gambe, strinse il pugno e l’appoggiò alla coscia destra stendendo il braccio sinistro in avanti cominciando a recitare la sua presentazione “Wakagashira – hosa, Haruka Ten’ō di Tokyo” , l’uomo l’ascoltò imitando i suoi gesti per poi chiederle il nome del suo Oyabun.
“Amico, c’è bisogno ancora di tutti questi convenevoli?” chiese con un sorriso beffardo passandosi una mano nei capelli dorati “Mi ha chiamata lui!”
“Lui chi?” domandò l’uomo inarcando un sopracciglio e assumendo una smorfia minacciosa. Si piegò in avanti verso Haruka, come per scrutarla meglio in viso in attesa di una risposta ben precisa.
“Quello che sta dietro alla porta a cui tu fai la guardia. Non sai nemmeno che faccia abbia!” L’uomo s’impettì forse perché punto nell’orgoglio e dalla verità che la ragazza davanti a lui gli stava sbattendo in faccia senza pietà.
“D’accordo.” Sentenziò facendole spazio e aprendole la porta per farla entrare nell’ufficio.
Pessima mossa…
Haruka  varcò la soglia con quel pensiero nella testa, si fece da parte mentre una figura vestita di un completo bianco elegante si alzava dalla poltrona in pelle guardandola in faccia.
La bionda scosse il capo in segno negativo abbassando lo sguardo, mentre il suo capo estraeva una pistola che brillò illuminata da un fascio di luce e sparò a sangue freddo contro l’uomo che le aveva permesso l’accesso alla sua stanza.
Un unico sparo che colpì alla tempia la guardia freddandolo all’istante.
Un silenzio irreale dopo il colpo calò nell’ufficio seguito solo dal rantolo dell’uomo e dal rumore che il suo corpo provocò accasciandosi al suolo.
“Non ci si può proprio fidare di nessuno.” Sentenziò Haruka evitando accuratamente di finire con le scarpe nella pozza di sangue che si stava formando sulla moquette scura, andandosi a sedere su una delle poltrone nello studio.
“Maledetto Idiota. Non lo sa quanto ci vorrà per smacchiare tutto questo macello?” L’uomo visibilmente irritato chiuse la porta incurante del cadavere, per poi riporre l’arma nel cassetto della propria scrivania.
Si portò una mano alla fronte, sbuffò e tirò su la cornetta del telefono spingendo un solo tasto “C’è da pulire fuori dal mio ufficio” fu tutto quello che disse prima d’interrompere la comunicazione.
“Il tuo modo di fare, per quanto fastidioso da sempre un contributo per capire di chi ci si può fidare…” disse l’uomo sistemandosi meglio sulla sedia e puntando i gomiti sulla superficie liscia della scrivania.
“Ho un compito per te, Haruka” I suoi occhi neri petrolio catturarono quelli verdi smeraldo della ragazza, che lo osservava silenziosa e attenta.
“Dagli un’ ultima possibilità…se non paga, gli toglieremo qualcosa di più importante dei suoi amati soldi”.
Haruka si drizzò sulla sedia, voleva capire esattamente cosa doveva fare. Doveva uccidere o solo rapire qualcuno? Doveva prenderlo vivo o andava bene anche morto?
Non doveva sbagliare, non poteva. Sapeva bene come si pagavano i propri errori nella Yakuza e non era una cosa che voleva subire.
Ci tengo alle mie dita. Non ho intenzione di amputarmi una falange se non è necessario.
“Il tuo amico Akira, mi ha informato sul fatto che è arrivata ieri l’altra figlia del signor Kaiō, ho deciso…che sarà lei il nostro obbiettivo, in caso si rifiuti ancora una volta di darmi quello che mi spetta!”
“La vuole viva?” chiese Haruka per accertarsene.
“Si. Chiederemo un riscatto.” Disse con voce ferma e piatta l’uomo. Il suo viso non tradiva alcuna emozione, sembrava parlasse di una cosa qualunque, di poco conto.
Bisognava essere spietati per sopravvivere e lui, lo era di certo.
“Fai il tuo dovere e diverrai un vero e proprio Wakagashira, contribuirà sicuramente alla tua scalata al vertice!” concluse.
“La ringrazio per riporre in me così tanta fiducia…” il capo biondo era chino davanti a quell’uomo che tutti nell’organizzazione rispettavano e temevano. L’uomo che aveva in mano le vite di tutti loro.
Haruka si alzò, spostò la sedia senza fare alcun rumore sempre a capo chino, poi girò le spalle facendo per uscire dalla stanza, quando posò la mano sulla maniglia della porta e la spinse verso il basso la voce alla scrivania la colpì ancora una volta.
“Sono sicuro non mi deluderai, come ha fatto tuo padre…”
Un brivido le percorse la schiena, strinse gli occhi e prese un respiro profondo “Non lo farò signore!” e con quelle parole si dileguò.
 
 
*
 
 
Il rumore della sala di Pachinko aveva come ipnotizzato Michiru che sedeva su un alto sgabello, con le gambe accavallate guardando le immagini di una rivista di moda comprata quella mattina.
Lo sbattere incessante delle sfere d’acciaio nelle macchinette colorate che emettevano una musichetta ormai nota al suo orecchio avrebbe rischiato di farla impazzire.
Possibile che già alle undici la gente si metta a giocare?
Michiru sfogliò un’altra pagina, lanciando un’occhiata distratta all’entrata del locale dove apparve Ami, vestita e pulita di tutto punto.
“Ciao! Michi chan!” esclamò avvicinandosi a lei con aria felice e riposata.
“Non eri andata a correre?” le chiese la sorella squadrandola da capo a piedi.
Ami indossava un paio di sandali bianchi coordinati ad una gonna dello stesso colore ed una camicetta grigia.
Abbigliamento non adatto per il jogging!
“Stai facendo l’investigatrice come tuo solito?” Ami lo disse sorridendo e accomodandosi accanto a lei per poi dirle “mi sono fatta la doccia dopo aver corso e mi sono cambiata!”
“Ah ecco! Tutto chiaro ora!” le sorrise di rimando l’altra.
“Ti va di fare un giro con me più tardi? Andiamo a comprare qualcosa…” propose Ami osservando il giornale “Magari facciamo proprio shopping!” aggiunse raggiante.
Michiru rimase interdetta dalla parole appena udite “Sei sicura di quello che dici? Non sei quella che studia minimo 12 ore al giorno? Forse hai la febbre!” Rise portandole la mano affusolata alla fronte scoperta dai capelli corti blu “Eh, si scotti!” aggiunse in tono scherzoso.
“Ooh non ci vediamo mai, Michi! Con lo studio posso sempre recuperare!”
“Beh, è un ottima idea!” disse l’altra per poi farsi più seria e scura in volto.
“Ami, papà dice che non dobbiamo preoccuparci, insomma…non apre bocca. Sei davvero sicura sia nei guai?” il suo sguardo si fece pensieroso e un sospiro le uscì dalle labbra morbide e rosa.
“Guarda tu stessa…” disse Ami facendo un cenno con la testa verso l’entrata, dove due figure alte e magre fecero il loro ingresso.
Michiru osservò perplessa le due persone che la sorella aveva indicato “chi sono?” chiese confusa.
“Due Yakuza.”
A quelle parole Michiru ebbe un brivido. Perché suo padre era coinvolto con persone del genere? Lui era un uomo onesto.
Lo è davvero?Non voleva credere di non conoscere realmente suo padre. Le aveva sempre insegnato ad essere una persona buona e vera, a rispettare il prossimo, come poteva fare il contrario lui?
Troppe domande e nessuna risposta. Così non va bene.
Michiru prese coraggio e lasciò la sua postazione. A passi veloci ed eleganti accompagnati dal rumore dei suoi tacchi si diresse dai due.
“Desiderate?” chiese cortese studiandoli con lo sguardo.
I due ragazzi erano molto alti, quello biondo dai capelli corti la stava guardando intensamente a sua volta e i suoi occhi verdi smeraldo avevano un che di magnetico.
Teneva le mani nelle tasche dei pantaloni stretti, seminascoste dalla giacca nera elegante che portava aperta sopra una camicia bianca.
I tratti del volto erano molto fini anche se il viso era spigoloso.
Il giovane che gli stava accanto invece aveva le braccia scoperte interamente tatuate, i lunghi capelli neri lisci gli ricadevano sulle spalle e gli incorniciavano il volto dalla pelle chiara in contrasto con i suoi due grandi occhi scuri.
Passò un breve istante in cui i tre si studiarono a vicenda rimanendo in silenzio fino a quando Akira non aprì bocca pronunciando il nome di suo padre “Yoshio. Vorremmo parlare con Yoshio Kaiō”.
Michiru deglutii nervosa ma non diede a vedere la sua preoccupazione “potete parlarne con me?”
“Non credo signorina, a meno che lei non abbia due milioni yen!” disse pacato il moro.
Intanto il biondo si era seduto ad una macchinetta del Pachinko e si era messo a giocare come se nulla fosse.
La ragazza lo fissò interdetta un momento, due milioni di yen? Ha un debito con la Yakuza?!
“Posso chiederle, per quale motivo mio padre le deve tutti quei soldi?” domandò sperando nella pazienza del soggetto che si trovava davanti.
“Beh vede…chi ha un’attività sul nostro territorio…deve pagare mensilmente una quota. Suo padre si rifiuta. Fin’ ora siamo stati comprensivi ma…”
“Bene, ho capito.” Lo interruppe Michiru “Un momento solo…” disse allontanandosi e dirigendosi verso Ami che stava boccheggiando.
“Ma che fai? Ti metti contro quelli?!” sibilò la più piccola con aria agitata.
Haruka diede un pugno alla macchinetta gridando un “cazzo quest’affare frega i soldi!” provocando un sussulto in Ami.
“Perché papà non paga? Questo posto mi pare guadagni abbastanza, si mette a fare lo spilorcio?” Il tono di Michiru non voleva essere duro, ma era estremamente fermo e serio perché voleva andare a fondo alla questione.
“Ha investito tutti i soldi per ingrandire il locale ma…”
“Ma…cosa Ami? Santo cielo con la mafia ci siamo messi in mezzo!” Michiru si sforzò di non gridare e gesticolare.
Niente panico Michi! Si ordinò mentalmente.
“Ma non ha guadagnato poi abbastanza. Insomma non ha ammortizzato le spese e si ostina a non pagarli. Continua a dire che lui non darà soldi a dei criminali, che chiamerà la polizia…” disse tutto d’un fiato la sorella minore trattenendo poi il fiato dall’agitazione.
“Papà!” gridò Michiru attraversando la sala da Pachinko a pugni stretti lungo i fianchi, “papà!” ripeté stizzita senz’avere una risposta.
Haruka la squadrò, la trovò elegante e fine nonostante stesse gridando in preda al panico. Certo non voleva darlo a vedere ma lei l’aveva capito solo dal modo in cui si muoveva e si conteneva che era agitata.
“Hey bellezza, grida meno!” la intimò Haruka.
“Come scusa?!” Michiru si bloccò girandosi verso di lei.
“Se urli meno, sei più carina!” disse spavalda e mostrandole un largo sorriso l’altra.
Michiru inspirò profondamente, che faccia da schiaffi, pensò trattenendosi dal parlare e andando nella stanza che usava suo padre per fare i conti che dava sul retro del locale.
Yoshio era concentrato su alcuni fogli, intento a fare dei conti con una vecchia calcolatrice e non udì Michiru spalancare la porta ed entrare.
“PAPA’!” disse più forte per attirarne l’attenzione.
L’uomo alzò la testa e la guardò da dietro le due sottili lenti degli occhiali da vista che aveva indosso.
“Scusa cara, non ti ho sentita…” disse in un sorriso che gli fece comparire alcune rughe profonde sul viso.
“C’è la Yakuza, dobbiamo trovare quei soldi, perché non me l’hai detto?!”
Yoshio cambiò espressione, brontolò qualcosa che Michiru non riuscì a capire e si alzò con aria minacciosa dalla sua sedia.
“Non t’immischiare tesoro, non avranno un centesimo!” così dicendo scartò la figlia e uscì andando incontro a grandi falcate ad Akira e Haruka che lo stavano aspettando.
“Via di qui!” gli intimò senza troppi preamboli enfatizzando la frase con un gesto del braccio che indicava l’uscita.
“Se lei rispettasse i pagamenti, noi non dovremmo starci qui!” puntualizzò Akira.
Era un ragazzo paziente al contrario di Haruka, se lui ogni volta cercava di contrattare, Haruka doveva trattenersi da una serie di colpi di testa che le avrebbero fatto sparare a zero su tutto e tutti.
La bionda sbuffò girando su se stessa sullo sgabello sul quale era stata per giocare e appoggiò le mani sulle gambe.
“Mi ascolti Yoshio…” puntò i suoi occhi verdi in quelli blu profondi dell’uomo senza abbassare lo sguardo “E’ meglio se ci da quei soldi, mi creda. Lo dico per lei. Il nostro capo non è un uomo troppo paziente e le assicuro che lei ha già tirato troppo la corda”.
L’uomo non rispose, si limitò a marcare nuovamente il gesto sibilando un “Fuori di qui” a cui Akira e Haruka ubbidirono.
 
 
*
 
 
Michiru camminava a fianco di Ami per le vie affollate del centro.
Quel pomeriggio erano andate come previsto a fare spese folli per passare un po’ di tempo assieme e per trovare una soluzione a quella situazione.
Gli avvenimenti di quella mattina avevano turbato molto Michiru che non riusciva a godersi a pieno quella sessione di shopping, forse per il fatto che non sapeva dove andare a pescare una somma del genere e presto sarebbe dovuta tornare ad Osaka per lavoro.
“Il vestito che hai preso prima è proprio bello Michi – chan!” disse con un sorriso Ami che sembrava essersi rilassata di nuovo.
“Potresti metterlo a un appuntamento galante, è così elegante!” continuò sospirando la più piccola non ricevendo risposta dalla sorella troppo presa dai suoi pensieri.
“Ce l’hai un ragazza ad Osaka Michi – chan? “ domandò cercando di attirare la sua attenzione ancora una volta.
“No, non ce l’ho al momento ho troppo lavoro e con questa storia sarebbe una preoccupazione in più” Disse abbassando lo sguardo sul marciapiede grigio sul quale stava camminando.
“Troveremo una soluzione, ne sono sicura! Sta sera mi metterò a fare un po’ di conti, da qualche parte li tiriamo fuori quei soldi!” provò a infonderle coraggio Ami appoggiandole una mano sulla spalla.
Sapendo quanto era intelligente sua sorella, Michiru riuscì a crederle e a trovare un porto sicuro in lei.
“Ti aiuterò suonandoti il violino!” le annunciò facendole l’occhiolino. Era da tanto che non suonava per qualcuno che amava e le sarebbe piaciuto sinceramente farlo per lei come un tempo.
“Sarebbe magnifico!” gli occhi di Ami s’illuminarono a quelle parole e fece un leggero saltello prima che la sua attenzione venisse catturata da una vetrina allestita da abiti coloratissimi.
“Guarda che meravigliaaa!” disse ad alta voce avvicinandosi al negozio e appoggiando le mani e il naso alla vetrina come se fosse stata una bambina ammaliata da pile di dolciumi.
Michiru si fermò dietro di lei. Una coltre di nuvole nere invase il cielo, minacciando un temporale con alcuni tuoni.
“Mi sa che ci prenderemo un bel po’ d’acqua!” sentenziò Michiru  aprendo il palmo della mano.
Una goccia fredda le cadde sulle dita magre e candide, la ragazza alzò gli occhi guardando il cielo mentre una serie di gocce sempre più grandi e pesanti cominciava a bagnare la città di Tokyo.
“Dovrei avere un ombrello nella borsa…” disse Ami, frugando nella grande borsa azzurra che portava sulla spalla senza prestare attenzione al passaggio.
Un furgone nero si fermò lento sul ciglio della strada, proprio alle spalle di Michiru.
Da dietro i finestrini oscurati due figure stavano discutendo sul da farsi. Akira al volante protestò ancora una volta.
“Haruka è troppo affollato qui!” guardò lo specchietto retrovisore per guardare l’espressione della ragazza che trafficava con alcuni oggetti nel retro del furgone.
“Un posto vale l’altro, rapidi e veloci ok? La prendo, saliamo e tu parti a razzo. Semplice.”
“Continuo a pensare non sia il momento giusto! Se ci vedono e vanno alla polizia?” disse sfregandosi le mani nervoso.
“La polizia si corrompe e abbiamo degli avvocati molto abili che ci tirano fuori dai guai. Credo sia peggio tagliarti il dito mignolo per darlo al capo, non ti pare?!” Haruka si levò la giacca e prima che Akira potesse controbattere scese in strada.
Si avvicinò a Michiru che teneva delle borse in mano incitando Ami ad aprire l’ombrello che si era inceppato e non ne voleva sapere di aprirsi.
“Oh mi scusi!” disse Haruka prendendole contro di proposito.
“Non fa nul…” Lo sguardo di Michiru venne invaso da una smorfia di terrore nel momento in cui la riconobbe.
“Zitta e non urlare” le sibilò in un orecchio la bionda mentre le puntava una pistola scarica alla schiena trascinandola con sé verso il furgone, fingendo un gesto affettuoso.
Michiru provò a dimenarsi un momento, non voleva dargliela vinta ma allo stesso tempo temeva per la vita di Ami, così ubbidì ringhiando a denti stretti un “non mi toccare” che traboccava di rabbia.
Haruka la spinse a bordo del veicolo, Ami alzò lo sguardo in cerca di Michiru e la vide, aprì la bocca in una smorfia di stupore incapace di agire davanti alla scena.
“Ami!” riuscì ad udire la voce di sua sorella mentre la portiera del furgone si chiudeva violenta e partiva a tutta velocità.
“Mollami bastardo!” gridò Michiru spintonando lontano da lei Haruka che sorrise verso Akira dicendo “la pistola scarica fa sempre effetto! Spingi su quell’acceleratore! Hai una guida moscia!”
L’amico rise di gusto “Intanto la guida moscia ti ha salvato il culo!” e dopo aver gettato uno sguardo allo specchietto tornò a prestare attenzione alla strada.
“Non essere scurrile abbiamo un’ospite!” Lo riprese Haruka accomodandosi sul sedile posteriore mentre Michiru cercava di aprire lo sportello e scendere nonostante il furgone fosse in corsa.
“Ehi, Ehi è bloccato quello! Siediti su!” le disse con tono pacato.
“Sedermi?! Sei pazzo? Devi starmi lontano!” gridò Michiru sgranando gli occhi.
Haruka la prese per un braccio costringendola a sedersi accanto a lei, Akira prese una curva troppo larga e la bionda si avvicinò pericolosamente al viso della ragazza che la stava guardando in cagnesco.
“Fate tutte lo stesso errore, sempre…” disse con voce calda.
Michiru  rimase interdetta dalla frase. L’ultima cosa che vide fu la bionda che si avvicinava al suo viso con un fazzoletto bianco e la pioggia battente sui vetri.
 
 
 
Note dell’autrice:
Eccomi qui!  Ci ho messo dalle due alle sette di sera per questo capitolo e questo è stato il frutto del mio lavoro. Spero che non me lo facciate a pezzi! Ihihihi!! No, scherzi a parte spero vi piaccia davvero :D
Qualche nota per voi per chiarirvi alcuni punti!
 
  1. Wakagashira – hosa = nella struttura a piramide della Yakuza i Wakagashira – hosa, sono i sottoposti dei Wakagashira che sono i “secondi” dell’ Oyabun se non erro. Perciò Haruka sale di grado.
  2. Pachinko = fa parte della lista dei giochi d’azzardo giapponesi. Le sale di questo tipo di gioco, che è un incrocio tra slot machine e il flipper, erano gestite o comunque sotto il controllo della Yakuza che oltre al giro di droga, prostituzione ed altre attività illecite erano appunto coinvolte anche in questo giro di affari.
  3. Più che una nota è una curiosità :3 Akira è tutto tatuato, perché molti membri della Yakuza sono totalmente tatuati e mettono in mostra questi tatuaggi per essere riconosciuti.
  4. Tutta la trafila di mosse che fa Haruka davanti all’uomo che viene ucciso esiste. Due Yakuza che non si sono mai visti al loro primo incontro devono sempre eseguire un rituale del genere informando l’altro della propria provenienza, dello “status” a cui appartengono nella “società” e devono dire il nome del proprio Oyabun.
  5. Il taglio delle dita esiste realmente. La yakuza ha mantenuto molti riti tra cui questo. Quando qualcuno non compie il proprio dovere, per dimostrare il proprio pentimento e la fiducia nell’Oyabun deve amputarsi la falange, la prima volta si comincia dal mignolo. (per gli errori successivi si passa alle altre dita). L’Oyabun che riceve il dito della persona lo vede come un grande gesto e non può negargli il suo perdono.
 
Spero di aver “illuminato” i punti più bui. Per ogni cosa sapete dove trovarmi :D
Grazie mille a tutti quanti e per ogni volta che perdete un po’ di tempo per dirmi la vostra!
Un bacione.
Kat

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Capitolo 4
*** 3. Ostaggio ***


 
 
“Un altro squillo e uccido qualcuno…” Il trillo incessante dei telefoni della centrale di polizia aveva messo a dura prova il sistema nervoso dell’ ispettore Setsuna Meiō, che stava facendo il possibile per non lasciarsi andare ad una crisi di nervi.
La donna dai lunghi capelli scuri si portò le dita sottili alle tempie, cercando di alleviare il mal di testa causato dalla mancanza di sonno dovuto alle numerose ed impegnative ore di lavoro.
Com’è fatto un letto? Fatico a ricordarlo ormai.
Socchiuse le palpebre sospirando leggermente cercando, invano, di eliminare il fastidioso rumore di sottofondo.
“Ancora un’ora, poi potrò andare a casa. Coraggio, Setsuna…” sibilò a se stessa a voce bassa.
Un silenzio irreale sembrò piombare anche al di fuori della sua stanza. Qualcuno evidentemente aveva avuto l’accortezza di rispondere alle telefonate e i colleghi dovevano essere impegnati in qualcosa di poco rumoroso.
La lampada al neon lampeggiò a intermittenza per qualche istante minacciando di spegnersi, riuscendo a catturare l’attenzione della donna nell’ufficio.
Due tocchi decisi ma leggeri alla porta, anticiparono l’entrata di una ragazza alta e i capelli mori lisci che le ricadevano sulle spalle.
“Hino!” esclamò Setsuna girandosi completamente con la sedia verso la ragazza che con una nota titubante nella voce cominciò a parlare “mi scusi ispettore…”
“Non ti scusare, Rei…” la donna fece una breve pausa scrutando la giovane in cerca di un segno di assenso per rivolgersi a lei chiamandola per nome.
Rei annuì col capo senza staccare i suoi grandi occhi dall’altra che concluse con un “A meno che tu non abbia qualche notizia che m’impedirà di tornare a casa e dormire, il mio cervello ha bisogno di spegnersi per qualche ora.”
Il silenzio che seguì fece intendere a Setsuna che le sue speranze di riposare dovevano essere accantonate.
Sgranò gli occhi e indurì i lineamenti del volto “non mi dire che…”
“Temo che la faccenda le richiederà tempo.” La interruppe Rei, senza lasciare la presa dalla maniglia della porta.
“Di cosa si tratta?” domandò sbrigativa la donna alzandosi dalla sedia.
Doveva stare in piedi o si sarebbe addormentata a quella scrivania.
“E’ stata rapita una persona…la sorella è al telefono, sull’altra linea, è molto agitata e non mi fa capire nulla…”
“Passamela, vediamo che si può fare.” Disse sbuffando Setsuna, arrendendosi all’idea che non avrebbe lasciato presto quel posto.
 
 
 
*
 
 
“Allora Ami che hanno detto?” la voce di Yoshio era tremante e i suoi grandi occhi azzurri si fecero improvvisamente spenti e velati, come se avessero perso la scintilla vitale che li aveva sempre resi splendenti e particolari.
Ami deglutì nervosa. Non voleva che la sua voce fosse incrinata perché avrebbe causato in suo padre una maggiore preoccupazione e vederlo in quello stato lo faceva apparire troppo fragile per qualsiasi notizia. Aspettò qualche minuto, respirando a fondo per poi avvicinarsi a lui e appoggiargli delicatamente la mano alla spalla.
“Papà devo andare alla centrale, devo parlare di persona con l’ispettore.” Fece una pausa cercando lo sguardo del padre “Così, al momento, non possono fare nulla.”
Abbassò il capo e prese la borsa con le chiavi di casa, lo sguardo le scivolò sulle buste piene di abiti comprati con Michiru e nel vederle non poté non sentirsi colpevole.
L’avevano portata via sotto il suo naso.
Avevano rapito sua sorella e lei non era stata in grado di fare nulla, non aveva avuto nemmeno il tempo di fermarli.
 
Era come rimasta immobile a guardare la scena sotto i suoi occhi, senza muovere un muscolo.
Sono un incapace. E’ sempre stata Michiru a prendersi cura di me…ed io…non ho mai ricambiato.
Prese in mano l’ombrello e fece per aprire la porta ed uscire, quando i singhiozzi di suo padre catturarono la sua attenzione rendendola incapace di attraversare la soglia.
Ancora una volta rimango ferma. Pensò arrabbiandosi con sé stessa e voltandosi lentamente.
Non aveva mai visto Yoshio piangere in tutta la sua vita.
Per un attimo la sua angoscia e il senso di colpa vennero soffocate dalla sorpresa, quasi come se avesse sempre pensato che quell’uomo non sapesse piangere o non potesse farlo.
A passi veloci si diresse verso il padre per poi andare ad abbracciarlo.
“Scusami Ami…” disse mentre le parole venivano soffocate dalle lacrime.
La ragazza gli accarezzò le spalle “non devi scusarti papà…è umano piangere.”
Forse se avessero preso me, avrebbe sofferto meno…Quell’ultimo pensiero le fu inevitabile vedendolo in quello stato.
Sapeva bene che Yoshio non era il suo vero padre e sapeva che per quanto le avesse voluto bene, il suo gioiello, il suo orgoglio assoluto, sarebbe stata sempre Michiru.
“Ora devo andare…” le sussurrò all’orecchio sciogliendo l’abbraccio.
“Vengo con te.”
“Papà credo sia meglio che tu…”
“No, Ami!” la interruppe brusco lui “Non aspetterò qui, non aspetterò che quei bastardi mi portino via un’altra figlia. Vengo con te alla centrale, voglio assicurarmi che facciano tutto il possibile per ritrovare tua sorella!”
I suoi occhi si spalancarono e il suo viso assunse una smorfia di dolore.
“Papà va tutto bene?”
“Io…” Yoshio cercò di finire la frase, ma non riusciva a mettere insieme le parole.
Ami lo vide impallidire e portarsi una mano al petto barcollante.
“Io…ho…”
“Papà siediti, rimani calmo!” la ragazza lo sorresse, portandolo verso il divano, dove lo vide sudare e contorcersi stringendo compulsivamente la camicia tra le dita.
Respira Ami, il cellulare.
“Rimani calmo. Fallo per me!”
La vista dell’uomo si fece offuscata, la stanza girò per un momento su se stessa, un dolore lancinante al petto lo fece gridare e l’ultima cosa che riuscì ad udire fu la voce di Ami al telefono, che gridava all’ambulanza di fare in fretta perché suo padre stava avendo un infarto.
 
 
*
 
 
Le iridi azzurre di Michiru fecero capolino da sotto le palpebre leggermente truccate che si aprirono con fare lento. Gli occhi vagarono a vuoto per un primo momento, per poi prestare attenzione a ciò che c’era attorno a lei.
Era sdraiata su un tappetto rosso con ricami dorati, molto lavorato e pregiato, provò a mettersi sui gomiti ma la testa le pulsò fastidiosamente costringendola a tornare alla posizione precedente.
Il leggero mugolio che si fece scappare attirò l’attenzione di qualcuno poco lontano da lei.
“Oh ti sei svegliata…”
Michiru girò la testa in direzione della voce. Nella sua visuale entrò prima una grande finestra sulla quale la pioggia torrenziale batteva ancora, poi le due tende rosse e pesanti che coprivano in parte il vetro ed infine il ragazzo dai capelli mori, seduto su di una poltrona che lucidava quella che doveva essere la sua pistola.
“Che bastardo…” mugugnò la ragazza tirando un lungo respiro.
Con quella parola il moro interruppe la propria attività e posò nuovamente i suoi occhi scuri su di lei, inarcando il sopracciglio e assumendo una smorfia leggermente confusa.
“Mi ha fatto respirare del cloroformio…il bastardo.” Puntualizzò lei suscitando una risata nell’altro e  portandosi una mano alla fronte dolorante.
“Se continui così…la farai arrabbiare…” disse Akira scuotendo la testa di lunghi capelli e col sorriso ancora stampato in faccia.
Michiru pensò di non aver le idee chiare a causa del cloroformio che aveva inalato, ma i suoi dubbi vennero chiariti non appena il ragazzo aprì nuovamente bocca.
“Haruka…non ama essere scambiata troppo per un uomo.” Alzò il viso e portò un dito sotto al mento con fare pensieroso “Si comporta da maschio più di me alle volte…però…”
Haruka dev’essere il biondo. No, la bionda. E’ una donna?!
“Un momento. Non sono certa di capire signor…”
“Niente signor! Ti prego!” lo interruppe Akira decidendosi a guardarla “Avrò la tua età! Mi chiamo Akira!”
Michiru sgranò gli occhi, quel ragazzo si stava comportando come un amico, non come un rapitore, la cosa la lasciò spiazzata, tanto che per un momento si domandò se il rapimento era accaduto realmente.
Si fermò a guardarlo, sembrava una persona gentile e amichevole nonostante la professione, che svolgeva e i numerosi tatuaggi che incutevano un’aria da duro.
Prima che potesse aprire bocca una porta presente nella stanza si spalancò e fece la sua comparsa quello che aveva definito “il bastardo” qualche istante prima.
“Ecco, lei è Haruka!” disse Akira indicandola con una mano e sottolineando il lei.
“Hai finito di fare le presentazioni?” domandò Haruka massaggiandosi la mascella.
“Non ti hanno insegnato l’educazione?!” la riprese lui in tono scherzoso.
La ragazza rispose con un ghigno per poi guardare Michiru sul pavimento.
“Oh guarda chi si è svegliato! La tirapugni!”
“Come?” domandò Michiru, riuscendo finalmente a mettersi seduta sul tappeto.
“Oh non te lo ricordi? Beh io si! Mi hai fatto male!” si lamentò la bionda spintonando Akira per rubargli il posto sulla poltrona.
“Ehy stai attenta con questi modi! E’ carica!” la rimproverò a bassa voce l’amico riferendosi all’arma che teneva in mano. “Le hai mollato un bel pugno mentre cercava di addormentarti! E’ stata esilarante la sua faccia! Dovevi vederla!” aggiunse rivolgendosi all’altra.
“Hai finito di sfottere e fare amicizia?” chiese Haruka infastidita mentre si accendeva una sigaretta.
“Cerco di essere gentile e di spiegare come stanno le cose alla nostra ospite!” si giustificò il moro.
“E’ qui che sbagli.” Lo freddò la bionda interrompendosi un momento dando un tiro alla sigaretta “Non è un ospite, lei è un ostaggio, hai presente?”
“Lo so”.
“Allora smetti di fare il coglione, chi è sopra di noi non scherza, lo sai”. Concluse dura, sputando fuori dalle labbra il fumo che aveva trattenuto.
Michiru in silenzio studiava i due soggetti presenti nella stanza e il luogo dove si trovava.
Sarà il suo capo? Si domandò osservando Haruka che dava istruzioni al ragazzo. Terranno sempre qui la gente che rapiscono? Non ha l’aria di essere una sottospecie di prigione, c’è una via di uscita oltre alla finestra? A che piano siamo? Le domande cominciavano ad affollarle la mente e cessarono solo con lo sbattere della porta che fu provocato dall’uscita di Akira.
Il silenzio calò nella stanza.
A Michiru sembrò di rimanere immobile per un’eternità mentre guardava Haruka e prestava attenzione ad ogni suo particolare.
Ora che la guardava bene, i lineamenti del volto erano molto fini. Il naso sottile e il taglio degli occhi era molto femminile.
“Hai finito di fissarmi come se fossi un alieno?” la domanda arrivò inaspettata dall’altra che stava guardando altrove, provocandole un leggero sussulto e abbassò lo sguardo.
“Senti…” cominciò Haruka alzandosi e spegnendo la sigaretta in un posacenere “io non sarò carina come Akira, quindi abituatici. Per te sarà una seccatura stare chiusa qui dentro, ma per me lo è di più, credimi.”
“Puoi comandarmi a bacchetta anche senza fare troppo la stronza.” Disse di getto Michiru, rimproverandosi poi subito per il tono che aveva usato e la frase che le era uscita di bocca.
Sarà pure una donna quella, ma è una da cui stare alla larga, andiamo. Me le vado proprio a cercare!
“Non ti si addicono le parolacce in bocca a te lo sai?” la bionda aveva messo le mani in tasca e la guardava con aria divertita.
“Di solito non sono una sboccata e certe parole non sono nel mio vocabolario quotidiano, ma la tua vicinanza credo abbia un influsso negativo sulla mia persona…” Michiru deglutì mordendosi un’altra volta la lingua.
Haruka soffocò una risata.
“Mi è piaciuta di più la battuta sul fatto che posso comandarti a bacchetta…”
“Beh non è così? Tu sei avvantaggiata, hai una pistola ed io sono disarmata!” Disse Michiru quasi piccata e alzando leggermente la voce.
“Ehy, ehy che ti ho detto sta mattina, bellezza?” domandò la bionda rispondendo poco dopo lei stessa alla domanda “che sei più carina se non urli. Quindi, abbassa il tono di voce!”
“Non funziona.”
“Come prego?” chiese incuriosita Haruka guardandola ancora con sguardo divertito.
“Non funziona più ora che sei una ragazza questo tuo modo di fare…” le spiegò l’altra “e comunque…mi hai sbattuta per terra, dopo avermi rapita e drogata! Che modi!” Michiru si alzò con quell’ultima frase e incrociò le braccia al petto.
Mancava solo battesse ritmicamente un piede e sarebbe apparsa come una fidanzata offesa che rimprovera il proprio ragazzo per essere poco galante.
“Quel mi hai sbattuta per terra, era un tentativo goffo e vagamente malizioso per abbordarmi?”
Michiru sbuffò negando con il capo e aspettando la scusa con la quale si sarebbe discolpata l’altra per il suo comportamento.
“Non sei un peso piuma e mi hai dato un cazzotto.”
“Era legittima difesa!”
Un peperino, punta anche i piedi, magari l’altra sorella era più facile da gestire! Però non ci sarebbe stato gusto!
“Ho da fare. Devo andare ora…” disse con tono serio Haruka togliendosi dal viso il sorrisetto che aveva accompagnato il battibecco fino a quel momento e assumendo un comportamento a dir poco glaciale.
Lo sguardo verde brillante rabbuiato e il tono di nuovo freddo e distaccato riuscirono ad incutere timore in Michiru.
Chissà che deve fare, magari uccide la gente.
“Te ne starai qui buona, chiusa a chiave. Non provare a buttarti dalla finestra, siamo in un grattacielo e comunque è pieno di persone cattive qui che non esiterebbero a farti fuori. Niente catene o manette, sei libera, ma in questa stanza. Vedi di non fare casino, qui ci dormo. Li, c’è il bagno.” Indicò con la mano la porta dalla quale era uscita concludendo il suo discorso.
Quando si voltò e fece per girare il pomello della porta si bloccò alla domanda di Michiru “Che ne sarà di mio padre? E di mia sorella?”
Si preoccupa non per se stessa ma per i suoi cari…
Haruka sospirò.
“Non lo decido io, mi limito ad eseguire gli ordini.” Estrasse una chiave dai pantaloni che le sarebbe servita per chiudere Michiru nella stanza.
“Ma se ti può consolare…” cominciò “al momento credo non verrà fatto loro del male, quando chiederemo il riscatto, tuo padre se è un uomo intelligente, darà i soldi a chi di dovere e sarà tutto finito. Per te, per tua sorella e lui.” Fece una pausa sospirando e si voltò a guardarla negli occhi.
Michiru puntò i suoi azzurri come il mare in quel verde scintillante che l’avrebbe quasi potuta accecare se avesse cercato di sostenere a lungo quello sguardo.
“Ma se mi verrà ordinato di ucciderli…”
Michiru s’irrigidì a quelle parole aspettando il resto della frase, che non prometteva nulla di buono.
“Io non mi tirerò indietro. Lo farò. Come non puoi scappare tu da qui, non posso farlo io.”
Haruka uscì dalla porta senza dire altro, senza guardarla ulteriormente e la chiuse a chiave dentro alla sua stanza.
Michiru rimase in piedi immobile per un lasso di tempo indefinito. Le mani serrate in due pugni lungo i fianchi, gli occhi fissi sulla porta che la divideva dal resto del mondo.
Nelle sue orecchie faceva eco il rumore della serratura che veniva girata e nella testa le ultime parole della donna che l’aveva rapita rimbombavano come un’esplosione.
Aveva visto il viso di Haruka trasformarsi in una maschera senza emozioni affermando che avrebbe ucciso i suoi cari.
Era stata impassibile, senza un cedimento.
Come fa a convivere con cose del genere?
Un momento prima rideva e l’attimo dopo parlava di omicidi, era come se avesse una doppia personalità, come se fosse due persone differenti.
Ma questo doveva essere l’ultimo dei suoi problemi.
La pioggia sembrò rallentare e battere meno insistentemente sul vetro, Michiru si avvicinò alla finestra e guardò fuori.
Poteva vedere l’intera Tokyo dall’alto e per un attimo si sentì più vicina al cielo cupo che al suolo.
Appoggiò una mano al vetro, avvicinandoci poi la fronte, lasciandosi andare ad un pianto liberatorio e decidendo che per quella giornata era già stata forte abbastanza.
 
 
 
Note dell’autrice:
Eccomi qui con il nuovo capitolo, questo è l’ultimo che posto prima di partire per le vacanze, al mio ritorno m’impegnerò per scriverne uno più lungo, promesso!
Spero che la lunghezza comunque non influisca sulla “qualità” dell’insieme.
Rientrerò il 18 di questo mese, quindi mi scuso in anticipo se non sarò tempestiva nel rispondere ai vostri commenti come al solito, ad ogni modo lo farò con piacere se ce ne saranno :D
Un bacione
Kat

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Capitolo 5
*** 4. Breathe ***


 
Tic, Tac, Tic, Tac.
Lo scandire regolare dei secondi stava alienando la ragazza dai lunghi capelli color acqua marina seduta sul pavimento della stanza con lo sguardo fisso alla porta d’ingresso.
La schiena aderiva al muro spoglio e perfettamente dipinto di bianco, mentre le gambe erano strette al suo petto.
Michiru era in attesa di qualcosa, di qualcuno.
Tic, Tac, Tic, Tac. Il suono della lancetta sembrò rimbombarle in testa. Per un lungo momento  sovrastò ogni altro tipo di rumore.
Una morsa allo stomaco le fece scivolare la mano sul ventre piatto ricoperto da un abito azzurro leggero, quello fu l’unico movimento che spezzò quell’immobilità che si era impossessata di lei.
Il ticchettio incessante le ricordò quello di una bomba ad orologeria, ma un suono più vicino catturò la sua attenzione distogliendola da quell’idea.
Dei passi veloci seguiti da un fruscio.
Il rumore della chiave che girava nella serratura e il sonoro  clock che indicava lo sbloccarsi della porta.
Al suo orecchio arrivava tutto amplificato.
Forse la mia testa ha qualcosa che non va…pensò osservando la maniglia che si abbassò lentamente, per poi tornare alla posizione precedente una volta che la porta fu spalancata.
I suoi occhi blu scivolarono sulla figura snella ed alta che si stagliava sulla soglia davanti a lei.
Haruka. Ecco la persona che stava aspettando.
La ragazza entrò silenziosamente nell’appartamento, ed ora l’unico suono che Michiru poteva udire era un leggero cick ciack, proveniente dalle scarpe bagnate della bionda.
Lo sguardo le cadde sui capelli dorati gocciolanti di Haruka ricordandole il grano sotto la pioggia e inevitabilmente la sua mente corse per un momento al quadro di Van Gogh che aveva più volte provato a riprodurre nel suo piccolo studio di Osaka.
Pensando a quell’immagine, poteva quasi sentire l’aroma della campagna sotto la pioggia che le solleticava le narici col profumo pungente di erba e frumento bagnato, il battere d’ali degli stormi di uccelli che volavano a bassa quota per sfuggire alla tempesta; e a quelle sensazione si mischiò l’odore delle tempere che era solita usare per dipingere ma quell’insieme di colori, odori e suoni venne interrotto bruscamente dalla voce roca di Haruka.
“Cos’hai da fissare?” la voce era bassa e il tono dipinto da una punta di fastidio.
Le perle d’ acqua che incastonavano i suoi capelli corti come la rugiada del mattino sull’erba, scivolarono sulle sue guance rigandole il viso e morendo lente sul suo collo.
Michiru deglutì rimanendo ancora in silenzio, le sembrò quasi che Haruka piangesse.
“Allora?” la intimò a rispondere l’altra con aria sempre più seccata.
“Pensavo a un quadro…” disse con voce flebile Michiru per non farla alterare ulteriormente.
Una smorfia sconsolata apparve sul viso di Haruka che scosse il capo in segno negativo “Devi avere qualche rotella fuori posto…tu stai guardando in faccia un’assassina, una criminale…e pensi a un’opera d’arte!” Un sorriso amaro le fece piegare le labbra leggermente all’insù.
Un’assassina…
“Hai…” le parole le morirono in gola. Voleva realmente una risposta? Michiru fece un respiro profondo e prese coraggio “Hai ucciso qualcuno?” la voce tremò ponendo quella domanda.
“Credi non ne sia capace?”
“E’ un giochetto psicologico? Non rispondermi con un’altra domanda!” Ogni singola sillaba le uscì rabbiosa.
Era costretta a rimanere chiusa in una stanza e voleva sapere con che tipo di persona doveva convivere forzatamente.
Gli occhi verdi di Haruka vennero attraversati da un lampo.
La tirò per un braccio costringendola ad alzarsi e la imprigionò tra il muro e il suo corpo.
“Non…fare la stronza con me…” lo disse in un sospiro all’orecchio di Michiru che ora poteva sentire il suo respiro caldo sulla pelle.  Quel soffio le provocò un brivido e la paura si annidò dentro di lei.
“Ho ucciso due persone…” continuò la ragazza scostando il capo dall’orecchio dell’altra per guardarla meglio negli occhi “ed entrambe…le conoscevi.”
Il cuore di Michiru perse un battito.
Cosa le stava dicendo? La prendeva in giro o era seria?
Non riusciva a decifrare l’espressione feroce che ora aveva in volto l’altra.
Papà…Ami…
I suoi occhi blu si sgranarono liberando qualche lacrima, sentì improvvisamente la testa pesante e il rumore sordo del suo cuore.
“Si, Michiru…” un sorriso sadico si dipinse sul volto della suo rapitore “Ho ucciso tuo padre e tua sorella.”
 
 
Michiru si sentì cadere, spalancò gli occhi soffocando un urlo mentre le dita sottili da musicista si contrassero sui braccioli della poltrona in pelle nera. Prese un lungo respiro per non andare in iperventilazione e guardandosi attorno vide numerosi scaffali in legno scuro pieni di libri che le fecero capire di essere tornata alla realtà dopo un lungo incubo.
“Un altro sogno così e ci rimango secca.” Sussurrò tra sé e sé alzandosi dalla poltrona sulla quale si era addormentata.
Si strofinò gli occhi cercando di capire quanto tempo fosse passato, quando il suo stomaco emise un sonoro brontolio.
La morsa allo stomaco del sogno era…fame!
Passò piano le dita su una mensola colma di libri dalle copertine piuttosto variopinte ignorando i crampi e un sottile strato di polvere si sollevò facendola tossicchiare.
“Mi sa che è da un po’ che non pulisci, eh Haruka?!” Michiru piegò la testa scorrendo i titoli dei volumi, erano così tanti da perdere il conto e non aveva mai immaginato che ad un tipo come Haruka piacesse leggere.
Il suo stomaco reclamò impaziente ancora una volta qualcosa da mettere sotto i denti e la ragazza si decise ad uscire da quella piccola biblioteca che ricordava aver trovato per caso.
La porta infatti era coperta da un pesante mobile che la nascondeva e lei solo curiosando minuziosamente per tutto il tempo che si era trovata da sola nell’appartamento aveva trovato quel nascondiglio. Una volta uscita da lì e aver riposto tutto come si trovava in precedenza trovò sul tavolo un biglietto e un piatto con del cibo.
Si diresse verso quegli oggetti che avevano attirato la sua attenzione, prese in mano il foglio di carta e lesse ciò che c’era scritto.
“Hai dormito per quasi due giorni, credo che al tuo risveglio potresti aver fame. Non sono un ottimo cuoco ma sono riuscito a farti un panino e ti assicuro che non è avvelenato! Mangia. Stare senza cibo rende antipatici e di gente nervosa che blatera incavolata nera mi basta Haruka! Ah…a proposito…Rimetti tutto a posto, se viene a sapere che hai trovato la biblioteca di suo padre ti fa fuori! Akira.”
Michiru scoppiò a ridere senza riuscire a trattenersi, quell’Akira sembrava un tipo buffo. Strappò il biglietto gettandone i pezzi nello scarico per eliminare le prove della scoperta del posto segreto del padre di Haruka e si sedette guardando il panino.
“Se fosse stato per lei avrei potuto morire di fame…” Si appoggiò allo schienale incrociando le braccia e sbuffando.
Che cosa pretendo? In fin dei conti è il mio carceriere! E’ Akira quello che non sembra rispecchiare il suo ruolo.
Guardò ancora una volta il cibo senza però riuscirne a mangiare nemmeno un boccone. Per quanto potesse avere fame non si riusciva a fidare nemmeno della gentilezza del ragazzo dai capelli mori e come se non bastasse il pensiero di Ami e suo padre l’angosciava così tanto da non riuscire ad ingoiare qualcosa nemmeno se avesse voluto.
Tic, tac, tic, tac.Il rumore dell’orologio a muro questa volta era vicino e reale.
La sua mente tornò al sogno fatto poco prima e per un attimo credette di essersi nuovamente addormentata sentendo la chiave girare nella toppa.
Aspettò qualche istante immobile seduta sulla sedia e dopo poco seguita dal cigolio della porta fece la sua comparsa la figura di Haruka.
Respira, respira Michi…La ragazza ripeté nella sua testa quelle poche parole come se fossero un mantra sentendo che se non si fosse concentrata su quel pensiero avrebbe smesso di respirare o si sarebbe messa a gridare dal terrore da un momento all’altro.
“Odio queste cose.” Ringhiò la bionda sbattendo la porta e senza preoccuparsi dell’altra ragazza che la stava fissando come se avesse visto uno spettro.
Si diresse in bagno lavandosi le mani e l’acqua si colorò di rosso macchiando il lavandino.
Haruka si guardò allo specchio, era un completo disastro.
Il suo viso era stanco, gli occhi erano contornati da due occhiaie profonde, i capelli disordinati  e la camicia era schizzata di sangue.
Abbassò il capo distogliendo lo sguardo dal suo riflesso.
Non vuoi nemmeno guardarti, come puoi convivere con te stessa?
“Ha…Haruka” la ragazza guardò verso la soglia del bagno abbandonando i suoi pensieri.
Michiru si trovava in piedi negli abiti che ancora indossava dal giorno del rapimento e la fissava terrorizzata. La ragazza che si era opposta quando l’aveva caricata sul furgone, la stessa che le aveva risposto a tono pochi giorni prima, sembrava essere scomparsa. Davanti a lei, in quel momento, riusciva a vedere solamente una giovane donna estremamente fragile che sembrava tenersi sulle gambe solo grazie alla sua presa ferrea allo stipite della porta.
“Cosa c’è?” domandò cercando di essere il più fredda possibile e scacciando ogni tipo di emozione che le suscitava in lei quella vista.
Ricorda di mantenere le distanze Haruka, non farti intenerire.
Michiru sembrò mimare qualcosa con le labbra, le parole non riuscivano ad uscirle di bocca.
Il suo cervello continuava a rimandarle in testa le immagini dell’incubo che aveva fatto poco prima ed era troppo impegnata a convincersi che non poteva essere un sogno premonitore per riuscire a parlare.
Haruka la scartò uscendo dal bagno e afferrò il panino che trovò sul tavolo “Non hai mangiato” ovviò guardando tutto ancora intatto e pulito. Lo rigirò tra le mani pregustandoselo con lo sguardo “posso farlo io?” le domandò sedendosi impaziente di udire una risposta di assenso da parte dell’altra.
“Il gatto ti ha mangiato la lingua?” aggiunse poi in tono strafottente. Era più facile prendersela con chi si trovava a tiro che con sé stessa per ciò che era e per come viveva.
“Ok, io lo mangio” affermò senza aspettare oltre mangiandone buona parte con un solo boccone.
“Akira fa proprio dei panini con i fiocchi! Oddio, non che ci voglia un genio però…in quello è bravo” Disse con la bocca piena rinunciando a guardare la schiena dell’altra e dando uno sguardo fuori dalla finestra.
Lei che era schiva e amava starsene da sola stava cercando di avere uno straccio di conversazione con una persona nella stessa stanza che le voltava le spalle e quell’assenza di reazioni da parte dell’altra, quell’essere ignorata, invisibile,  la fece innervosire facendole sbattere energicamente un pugno sul tavolo.
Michiru sobbalzò leggermente ma lei se ne accorse.
Le fai paura, idiota! Pensò guardandosi la camicia sporca.
Sbuffò sbottonandosela e se la tolse lanciandola in un angolo della stanza per poi rimanere con una canottiera bianca addosso.
“Gli hai uccisi?”  Chiese Michiru voltandosi a guardarla senza staccarsi dalla parete, ora che non aveva tutto quel sangue addosso era più facile parlarle.
“Ah, ma allora non sei diventata muta!” si passò una mano tra le ciocche disordinate per poi strofinarsi gli occhi e andarsi a stendere sul letto con un leggero sorriso in volto.
Michiru si morse il labbro inferiore, raccolse il suo coraggio specificando meglio la sua domanda “Hai ucciso mio padre e mia sorella?”
“Cosa?!” Haruka alzò un sopracciglio visibilmente sorpresa.
Raggiunse il letto poco distante e si sdraiò su un fianco per guardarla meglio “Ma di che stai parlando? Tuo padre nemmeno c’era alla sua sala di Pachinko!”
A quelle parole Michiru si sentì più leggera, Ami e Yoshio stavano bene e quello le bastava.
Si lasciò scivolare a terra sospirando rumorosamente sentendosi un po’ più leggera di qualche istante prima.
“Ero andata a fare un sopraluogo, non c’era nessuno li!” Le confidò Haruka, sistemandosi meglio e appoggiando la testa pesante al palmo della mano  “Ora dove diavolo lo chiediamo il riscatto?! Avete un’altra casa? Dove possono essere andati?” Il dubbio le dipinse il volto che si corrucciò in un’espressione pensierosa.
“E io dovrei aiutarti?” la buona notizia rese più facile a Michiru rispondere a tono al suo rapitore.
“Io no ho niente da perdere sai…credo ti convenga collaborare…”
“Potevo anche morire di fame se fosse stato per te!” sbottò l’altra sentendo il suo stomaco lamentarsi di nuovo.
“Akira ti ha portato da mangiare! Sei tu che non hai mangiato!” ribatté arrabbiata l’altra buttandosi sul materasso di schiena e prendendo a guardare il soffitto.
“Lui l’ha fatto! Tu no!” disse arrabbiata Michiru portandosi le mani alle guance calde. Doveva sbollire la tensione accumulata e il modo migliore era quello che adottava ogni volta anche Haruka, prendersela con qualcun altro.
“Sono stata via due giorni! Ho rischiato di venire ammazzata! Io ho cose più importanti che sfamarti! Ma che vuoi da me?! Non sei la mia fidanzata!”
“E per fortuna! Chi vorrebbe stare con una persona del genere?”
Le parole di Michiru furono una coltellata, uno sparo in pieno petto.
Già, chi vorrebbe?
“Non sai niente.” Ringhiò Haruka girandole le spalle.
In quel momento, per quanto Michiru la vedesse come una minaccia si sentì in colpa per le parole che aveva sputato con così tanto disprezzo.
Ha ragione non so niente…Rimase con quel pensiero per qualche minuto, indecisa se andare verso Haruka e chiederle scusa, cercando qualcosa da dire di carino per farla sentire meglio.
In fin dei conti è umana.Quel dettaglio tendeva a perderlo di vista per quanto fosse importante.
 
Stette ad ascoltare il silenzio interrotto solo dalle lancette dell’orologio che l’avevano tormentata per tutto il tempo e dal suo respiro, cercando poi di prestare attenzione a quello di Haruka per capire se si era addormentata.
Si alzò lenta e fece qualche passo verso di lei.
“Non avvicinarti” sussurrò la bionda rimanendo immobile nella propria posizione.
Michiru ubbidì tirandosi dietro all’orecchio una ciocca di capelli ribelli, tentò di scorgere l’espressione dell’altra da dove si trovava, ma non ebbe successo.
Prese fiato cominciando a torturarsi un braccio con la mano “L’ho detto perché…”
“non m’interessa.” La interruppe brusca la bionda allungando le gambe tra le coperte e sbuffando sonoramente. “Ora voglio dormire, trovati qualcosa da fare.”
Ostinata. Non ti lascia nemmeno parlare.
Michiru si trattenne dal proferire ancora parola, improvvisamente aveva una gran voglia di sapere qualcosa in più su quella massa di capelli biondi sbarazzini che voleva passare per un robot freddo e spietato quando evidentemente non lo era affatto.
Ma troppe domande senza risposta sapeva che non facevano bene al suo cervello, così ci mise una pietra sopra e si guardò attorno in cerca di un passatempo.
Un flebile scintillio catturò il suo sguardo, si sentì come una gazza ladra attirata e smaniosa di avere il piccolo oggetto che era stato abbandonato sul tavolo.
La chiave dell’appartamento!
I suoi passi leggeri e silenziosi la portarono sino all’oggetto dei suoi desideri che scivolò cautamente nelle sue mani.
Si torna a casa! Un sorriso si stampò sul viso della ragazza nel sentire Haruka russare.
Adesso o mai più! Respira Michiru! Quante volte ancora avrebbe dovuto ricordarsi di respirare quel giorno? Girò lentamente la chiave nella toppa della porta fino ad udire lo scatto della serratura, il ronfare di Haruka cessò per un breve istante.
Michiru rimase immobile per paura di averla svegliata ma quando vide che non ci fu alcuna reazione da parte dell’altra si decise a spingere la maniglia verso il basso con un gesto deciso.
La porta si aprì rivelandole un lungo corridoio il cui pavimento era stato ricoperto da una moquette rossa e le parenti dipinte di un tenue oro erano adornate da alcuni quadri esposti all’interno di alcune cornici lavorate.
Una cascata di capelli color del mare fece capolino fuori dalla porta per controllare meglio la situazione.
Di tipi brutti e cattivi nemmeno l’ombra! Spinta da quel pensiero prese a camminare veloce per il corridoio sconosciuto in cerca di un ascensore o di una rampa di scale che potesse condurla ai piani inferiori.
Sembra un labirinto! Pensò fermandosi un momento a fissare un vaso in mosaico contenente una pianta dalle grandi foglie verdi.
Prestò attenzione ai rumore e il campanello di un ascensore nelle vicinanze la fece svoltare a sinistra mentre un vociare concitato si faceva sempre più vicino.
Nel sentire gli uomini che si avvicinavano una sensazione di panico s’impossessò di lei. Le iridi blu saettarono in cerca di un nascondiglio, ma nella tana del lupo non era possibile passare inosservati se non eri uno del branco.
Michiru arretrò di qualche passo, attenta a non inciampare nella fretta di allontanarsi e tornare indietro per trovare una via di fuga alternativa, quando alle sue spalle una presa salda l’afferrò per il polso costringendola a voltarsi.
“Ma guarda un po’…abbiamo una temeraria qui!” Il ghigno sul volto dell’uomo sconosciuto scoprì alcuni denti dorati che contribuirono a dargli un’aria ancora più minacciosa.
Michiru provò a divincolarsi ma la stretta al suo braccio si fece ancora più ferrea.
Direi che Haruka era molto meglio di questo tipo, eri stata fortunata Michi! E guarda qui ora in chi ti sei imbattuta!
“Allora signorina…vogliamo divertirci?” La mano dello Yakuza le sfiorò la guancia per poi finire sul suo fianco e cingerle la vita.
Michiru si accorse di non avere via di scampo e l’unica cosa che riuscì a pensare prima di perdere ogni speranza fu respira!



Note dell'autrice:

Cari lettori eccomi tornata dalle vacanze :D
Tramite sondaggio sulla mia pagina fb avete prefirito cominciassi ad aggiornare le storie da questa. Detto fatto!
Il capitolo non era programmato, è venuto da sé prima di una vicenda che ci sarà nel prossimo che invece era stata già abbozzata.
Mi pare che la mia capacità di scrivere sia peggiorata da dopo le vacanze, spero di riprendermi perchè non voglio rovinare la storia!
Spero tuttavia che apprezziate il capitolo, ma come al solito sono curiosa di sentire la vostra opinione!
Buon weekend!
Kat

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Capitolo 6
*** 5. Waiting ***



 
Quei pochi giorni chiuso dentro l’ospedale gli erano sembrati anni.
Da quando la sua figlia maggiore era stata rapita il tempo aveva assunto un angosciante e lento scorrere.
Yoshio, steso nel suo letto bianco nella stanza spoglia del Tokyo Metropolitan Hiroo Hospital fissava l’orologio a muro appeso alla parete davanti a lui.
Le lancette parvero non muoversi di un solo millimetro, persino quella addetta allo scandire dei secondi sembrò rallentare la sua corsa.
“Fissare l’orologio in quel modo non ti gioverà di sicuro papà!” il rimprovero bonario da parte di Ami che fece il suo ingresso nella camera, gli fece distogliere lo sguardo da quello che ormai era il suo passatempo preferito.
“Come ti senti oggi?” Gli domandò la giovane prendendogli la mano calda tra le sue e regalandogli un lieve sorriso.
“Mi sento vecchio Ami…” disse con voce debole l’uomo cercando gli occhi del suo brillante futuro medico.
“Non dire sciocchezze papà! Ti stai riprendendo alla grande.” Lo rassicurò lei sistemando accanto al lettino una sedia d’acciaio sulla quale si sedette.
Yoshio la osservò sistemarsi i capelli corti con un gesto delicato della mano e gli tornò alla mente Michiru.
Sono così simili…assomigliano così tanto alla loro madre.
“Hai saputo nulla di tua sorella? Io sono chiuso qui dentro tutto il tempo e…”
“Non agitarti, papà!” lo interruppe lei accarezzandogli il braccio appoggiato alla sponda del lettino “Non vorrai mica farmi prendere uno spavento come quello dell’altro giorno…”
“Mi sembra te la sia cavata piuttosto bene no?!” sorrise debolmente lui mentre sprofondava la testa nel cuscino che l’infermiera aveva sistemato poco prima durante il giro di visita ai pazienti.
“Ho semplicemente chiamato l’ambulanza e ti ho prestato il primo soccorso…per fortuna hai un cuore forte!”
Yoshio sorrise, Ami era brava a rassicurarlo e soprattutto cambiava discorso e sviava le sue domande con una maestria di cui pochi erano dotati.
Un leggero bussare alla porta seguito da alcuni passi decisi catturò l’attenzione dei due.
“Buonasera! Sono il dottor Mamoru Chiba!” disse il giovane medico avvicinandosi e tendendo una mano ad Ami che lo squadrò da capo a piedi ricordandosi di averlo già visto all’arrivo di sua sorella in aeroporto.
“Piacere…Dottor Chiba!” disse in un soffio ricambiando la stretta amichevole dell’uomo.
“Tu devi essere la sorella di Michiru!” disse guardandola meglio e sorridendo anche a Yoshio.
“Uhm si, l’ho intravista al suo arrivo con sua…”
“Mia moglie Usagi, siamo sposati da poco, ma alla fine è riuscita ad incastrarmi! Come sta tua sorella?”
Ami esitò un momento, suo padre s’irrigidì e un’ombra scura gli dipinse il volto.
“E’ una questione delicata…” cominciò la ragazza.
“Purtroppo mia figlia è in mano a qualche maledetto Yakuza, è stata rapita.” Tagliò corto Yoshio cercando di controllare il tono di voce e soprattutto il suo cuore che cominciava ad accelerare a quel pensiero.
Il giovane rimase spiazzato, non riusciva più a dire una parola.
Cosa si dice in questi casi? Maledizione…”mi dispiace” suona stupido?
“Non ne avevo idea…” deglutì “è terribile, mi dispiace…spero si risolva tutto al più presto!” Abbassò lo sguardo sulla cartella che teneva in mano dopo aver pronunciato quelle poche parole, scorse veloce l’intestazione sul primo foglio e osservò il nome dell’uomo che era ricoverato “Signor Kaiō, capisco che sia un momento di forte stress questo, devo chiederle però di fare uno sforzo e cercare, per quanto possibile, di rimanere calmo…il suo cuore tende a fare i capricci e questo non aiuterebbe ne lei ne le sue figlie…”
La risposta dell’uomo fu un brontolio indefinito che morì sul nascere.
“Tra poco le verranno a fare un altro prelievo, dobbiamo fare un po’ di esami e quando saremo certi che è tutto a posto la rimanderemo a casa con le dovute terapie da seguire.”
Ami e Yoshio annuirono col capo per poi ringraziarlo educatamente prima che si congedasse sparendo oltre la soglia della stanza.

*
 
Al passaggio di altri due uomini Michiru per un momento pensò di trovare aiuto, ma ogni speranza svanì quando gli individui emisero solo una risata piuttosto divertita dalla scena e passarono oltre senza far nulla per aiutarla.
Grazie mille! Pensò divincolandosi come poteva dalla stretta dell’uomo che l’aveva spinta ancora di più alla parete impedendole ogni via di fuga possibile.
“Oh andiamo non ti va di giocare?” le disse avvicinandosi al suo orecchio per poi scendere con la lingua sul suo collo.
Michiru strinse gli occhi emettendo un sibilo di disgusto.
Cercò di spostare il capo il più lontano possibile da quello squallido individuo anche se con quel movimento non riuscì a migliorare di molto la sua situazione.
“Non mi piacciono le bamboline capricciose…”
“Nemmeno a me i maiali!”
Lo sguardo petrolio dell’uomo le fece gelare il sangue, non aveva più l’aria divertita ed eccitata sembrava piuttosto irritato dall’offesa appena pronunciata da lei e le narici che si dilatarono in un respiro arrabbiato e più profondo, contribuirono a dargli un’aria da toro infuriato che non lasciava  speranza a Michiru di uscire illesa da quella situazione.
“Ti facevo una ragazza per bene…” ansimò l’uomo alzandole il viso con un gesto secco e portandole una mano alla gola.
“Magari se…” la stretta al suo collo aumentò “sono meno delicato con te…comincerai a pregarmi di divertirci un po’ insieme!”
Michiru si lasciò scappare dalle labbra un sibilo, l’aria cominciava a venirle a mancare e la stretta di quelle dita scarne sul suo collo si faceva sempre più dolorosa.
Cercò di divincolarsi conficcando le unghie curate in quelle morsa ferrea che non accennava a diminuire, quando nella sua visuale comparve la scintillante canna argento di una pistola che andò a posarsi sulla tempia dell’uomo dai denti dorati che le stava facendo del male.
“Dove hai imparato le buone maniere? Non si tratta così una signorina…” Gli occhi di Michiru risalirono al braccio interamente tatuato che teneva salda la pistola e riconobbe Akira.
“Lasciala andare Daisuke, ne io ne la mia pistola ti pregheremo…”
La stretta si fece più debole fino a lasciare il collo livido di Michiru.
Akira la tirò a sé per un braccio, allontanandola dall’individuo che ora lo guardava disgustato dall’alto al basso.
“E’ roba tua stupido Wakagashira – hosa?”
“Per la precisione di Haruka Ten’ō!” sottolineò Akira dando un’occhiata alla ragazza piegata su se stessa che tossiva riprendendo a respirare normalmente.
“Manda i suoi sottoposti per i lavoretti come questo eh?!”
“Sono i sottoposti che fanno il loro dovere quando il boss vorrebbe dormire in pace!” La voce di Haruka arrivò roca alle spalle del giovane dai lunghi capelli corvini interrompendo la conversazione tra i due.
Gli occhi cobalto saettarono per un’ istante su Michiru che si fece da parte.
Sta bene.
“Non sai tenerti stretta una ragazzetta capricciosa e vorresti prendere il posto di Oyabun? Ritirati dalla corsa, Ten’ō…sei un cavallo malandato e per di più donna!”
Il sangue le ribollì nelle vene, prima per il fatto che l’aveva paragonata ad un cavallo zoppo, poi per il fatto di non averla ritenuta all’altezza di badare a qualcuno e infine… ragazzetta capricciosa lo posso dire io e basta! Si sorprese del pensiero appena formulato nella sua testa e cercò di concentrarsi su quello per non reagire alla provocazione.
“Abbassa quell’arma Akira…non vale la pena di usare un colpo per lui…”
Akira ubbidì silenzioso. Posò una mano sulla spalla di Michiru che lo ringraziò flebilmente compiacendosi di aver avuto due rapitori “umani” e non come l’individuo che aveva avuto l’onore d’incontrare.
“Andiamo Michiru.” Disse Haruka risoluta prendendola istintivamente per mano accompagnandola verso il suo appartamento.
“Quante premure per un ostaggio!! Mi sa tanto che te la sbatti vero Ten’ō?! Hai trovato una lesbica come te!” gridò sprezzante lo Yakuza sistemandosi la giacca sulle spalle.
Adesso è troppo.
Gli occhi di Haruka si accesero in una scintilla di rabbia.
Michiru sentì la stretta dell’altra aumentare per poi lasciarle la mano.
La bionda, paonazza dalla rabbia, si voltò percorrendo a grandi falcate la distanza che la divideva da quello spregevole individuo che le si era rivolto con così poco tatto da appena sveglia.
“Brutto stronzo!” gridò avventandosi su di lui sollevandolo per il bavero della giacca con violenza.
“Con quella bocca hai il coraggio di baciare tua madre?!”
Non appena l’uomo cercò di rispondere Haruka lo strattonò al muro con tutta la cattiveria che aveva in corpo.
“Non ti ha detto Akira che non si parla così alle signorine? Sei un maleducato!”
“Ecco l’ha fatta incazzare…” disse Akira a Michiru mimando una smorfia di puro terrore.
Michiru guardò Haruka atletica e forte che teneva testa all’uomo alto quanto lei ma di gran lunga più muscoloso.
“Non dovresti aiutarla?” chiese sottovoce ad Akira, fissandosi poi la mano che poco prima era stata stretta da quella che ora stava difendendo il suo onore.
Mi ha preso per mano…In quel momento Haruka era sembrata gentile e l’aveva fatta sentire al sicuro con quel gesto.
Forse non è così male…
Il gemito di dolore dello Yakuza colpito in faccia da un perfetto gancio destro la distrasse dalle sue riflessioni.
“Se provi a dire un’altra cosa del genere o ad avvicinarti a lei, dovrai rifarti l’intero palato di denti d’oro perché te li farò cadere uno ad uno dopo aver pensato ai tuoi attributi!”
“Ahi!” mimò Akira in una smorfia di dolore.
“Mai darle della lesbica!” si affretto a spiegare a Michiru che seguiva i suoi commenti mentre teneva gli occhi fissi sulla scena.
“Andiamo, abbiamo da fare noi!” tagliò corto la bionda dopo aver spintonato Daisuke un ultima volta, ignara del fatto che quell’avvenimento le avrebbe creato parecchi problemi.
 
 
*
 
Da dove iniziare…sparita nel nulla. Caricata su un furgone che sembra essersi dissolto.
Setsuna rigirò tra le mani i fogli riguardanti il caso di Michiru. La testimonianza di Ami era servita a ben poco.
Un furgone…uno Yakuza biondo che rapisce Michiru, dopo essere passato a chiedere dei soldi al padre con un altro giovane moro…forse lo stesso alla guida…
I pensieri cercavano di radunare le informazioni in un indizio più preciso che potesse divenire una pista da seguire.
“Dannazione il paese è pieno di questa gente!” disse a voce alta frustrata.
Abbandonò il fascicolo in malo modo sulla scrivania, per poi alzarsi con uno scatto dalla propria sedia.
Odiava non arrivare alla soluzione di un caso.
Odiava sentirsi impotente.
Aveva scelto quel lavoro per sentirsi vicino alle persone, per proteggerle, per correre in loro soccorso in caso di necessità, ma ora riusciva solo a sentirsi inutile e inconcludente.
Come posso aiutarti Michiru?
Gettò un’occhiata alla fotografia che ritraeva la ragazza chiesta alla sorella nel momento in cui depose la sua testimonianza dopo l’infarto del padre.
Forse quello era un problema. Il fatto di “affezionarsi” in qualche modo alle vittime non aiutava nel suo lavoro.
Doveva essere obbiettiva, distaccata, cosa per lei estremamente difficile.
Rei Hino entrò senza permesso nel suo ufficio chiudendosi la porta alle spalle.
“Si entra così?” domandò in tono da finta offesa Setsuna.
“Ispettore!!” l’entusiasmo della ragazza fece sperare la donna in qualche buona notizia.
“Una soffiata!!” continuò l’altra mettendo sotto al naso di Setsuna un foglietto con un indirizzo scritto velocemente a matita.
“Hino…è illegibile…” commentò strizzando gli occhi e guardando la giovane mora con sguardo interrogativo.
“E’ un raduno!” puntualizzò Rei cominciando la sua spiegazione “un raduno dove si svolgerà una corsa clandestina!”
Auto truccate, pirati della strada…
“Non ho tempo per fermare degli idioti al volante! Devo ritrovare una persona che in questo momento non credo si trovi in una bella situazione e tu lo sai!”
Il tono severo della donna non smorzò l’entusiasmo dell’altra che continuò a sorridere imperterrita.
“Ispettore…con tutto il rispetto…” cominciò scrutando il sopracciglio del suo superiore che si stava inarcando “La Yakuza detiene molte attività illecite, droga, prostituzione, gioco d’azzardo…”
“Arriva al punto.”
“E se si stesse espandendo con le gare clandestine? Se ci fosse un ricavo in denaro? O in ogni caso…credo che qualche giovane della specie potrebbe partecipare! Non so se lo sa…ma le reclute più giovani spesso vengono scelte tra persone che partecipano a queste cose!”
L’espressione di Setsuna mutò in una smorfia di piacevole sorpresa.
“Hai fatto i compiti…” sorrise bonariamente “scusa la mia irritazione, ma il caso mi sta facendo perdere la testa…tuttavia…” Setsuna fece una pausa appoggiandosi con le mani e la schiena alla scrivania “credo non guasterà di certo andare a questa corsa. Anche se non trovassimo chi cerchiamo, potremmo beccare qualche individuo che sa qualcosa su ciò che c’interessa!”
“Esatto Ispettore!”
“Sei stata brava, un’ottima deduzione!”
“Grazie” Rei arrossì leggermente. Provava una profonda ammirazione per il suo superiore e quelle parole le scaldarono il cuore rendendola consapevole di aver fatto un buon lavoro.
“Quando ci sarà?” domandò la donna intromettendosi nel crogiolarsi interiore della ragazza.
“Questa sera!” rispose pronta la mora.
“Fantastico…spero che la gara…non ci deluderà!”
 
 
 
Note dell’autrice:
Dopo l’indecisione se farlo finire così o meno, ho deciso di concludere in questo modo il capitolo.
La corsa verrà poi inserita nel prossimo che credo proprio verterà principalmente su questa vicenda.
Setsuna incontrerà qualcuno d’interessante li? Aaaaah lo scopriremo.
Un grazie di cuore a chi continua a seguire e a recensire la storia!! Siete i migliori u__u
Siccome per questa settimana non aggiornerò più…vi auguro un buon weekend!
Come sempre vi aspetto sulla mia pagina fb, più si chiacchera meglio è! :D

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Capitolo 7
*** 6. Unusual Racer ***




Haruka sbatté violentemente la porta rischiando di schiantarla in faccia ad Akira che entrò svelto dopo di lei, evitandosi per un soffio una faccia livida e gonfia.
“Stai attenta!” ringhiò il ragazzo spalmandosi contro la parete senza essere degnato di uno sguardo dall’altra.
“Che ti è saltato in mente?!” Haruka gridò in preda ad una furia cieca, riferendosi a Michiru che sobbalzò per il tono di voce insolitamente alto.
Si limitò a puntare i suoi occhi blu in quelli cobalto dell’altra, in cui alcuni riflessi di luce saettavano veloci attraversandoli.
Senza capire cosa stava cercando in quelle profondità blu abissali.
“Mi pare ovvio…” cominciò Akira intromettendosi nella discussione.
“L’ho chiesto a te?” sbottò ancora più infuriata la bionda dandogli uno spintone.
“Calmati non è il caso di fare tutto questo casino!”
Le labbra di Haruka si schiusero in una smorfia d’incredulità e gli occhi si sgranarono raggiungendo dimensioni al limite del possibile.
“Hai…” deglutii “la più vaga idea…” cercò di controllare la voce e non gridare più del dovuto “di che casino sarebbe successo se la principessa, qui, fosse scappata?” puntò il dito contro Michiru che aveva abbassato lo sguardo sul pavimento incapace questa volta di rispondere alla sua precedente domanda.
Se un attimo prima le era apparsa gentile e preoccupata per lei, in quel momento era in grado di terrorizzarla.
“Non dirmi che ti sei dimenticato di come funzionano le cose qui, Akira”. Concluse tagliente.
“Dovevi starci più attenta” rispose a tono lui “E’ roba tua no? Sei tu che stai partecipando a questa scalata al potere!”
Haruka dovette cercare di aggrapparsi all’ultimo barlume di lucidità che possedeva per impedirsi di prenderlo a pugni. Si limitò a serrare le dita, mordendosi la lingua.
“Fortunatamente ero nei paraggi, sono la tua spalla; e si mia cara…ti ho parato il culo!” Akira sospirò rilassando i muscoli del volto che per quei pochi minuti avevano fatto sparire la traccia del suo solito sorriso che lo contraddistingueva.
“E’ tutto risolto perciò fatti passare questa incazzatura micidiale, non posso sopportare il tuo cattivo umore anche quando non è quel giorno del mese!” aggiunse sedendosi comodamente sulla poltrona accanto al letto.
L’appartamento sembrò immergersi in un silenzio irreale.
Se Michiru non ci avesse prestato così tanta attenzione non avrebbe nemmeno captato i respiri dei due.
Haruka sembrò aver ripreso il controllo di se, stesa sulla coperta abbandonata in malo modo ai piedi del letto.
Si coprì con un gesto di stizza gli occhi per poi passarsi la mano tra i capelli e arruffarseli un po’.
Decise di mettersi a sedere e guardò fissa Michiru per un momento prima di parlare.
“Ehi” richiamò la sua attenzione cercando di apparire il più disinteressata possibile.
“Stai bene?” chiese poi, una volta che l’altra alzò la testa nella sua direzione.
“S-si.” Deglutì Michiru sentendo uno strano calore salirle fino alle guance “ehm…” ebbe un momento di incertezza “grazie” disse in un soffio.
La vittima di un rapimento che ringrazia il rapitore. Cose da fantascienza. Ne convenne il suo cervello appena pronunciata quella parola.
L’ombra di un sorriso come risposta illuminò il viso dell’altra che sembrò un poco sollevata.
Sparita. L’ombra di odio è sfumata lasciando posto a qualcosa di simile alla gentilezza. E’ possibile?
“Dunque…” Haruka prese la parola per spezzare l’imbarazzo che era calato tra i tre presenti nella stanza “la sottoscritta” cominciò puntandosi poi il dito indice contro “Ha un’attività molto fruttuosa nel campo delle corse automobilistiche!”
Akira rise della smorfia di orgoglio che la ragazza aveva messo su nel dire quella frase.
“Cosa ridi tu?” lo pizzicò subito lei.
“Sembra che le stai raccontando di essere il presidente o chissà chi!”
“Ehi, io sono la regina indiscussa delle corse, non scherziamo!” lo ribeccò con finto tono offeso.
Michiru sorrise “Ti piacciono le macchine?”
“Eccome miss!” rispose prontamente Haruka con ritrovato buon umore.
“Ne è ossessionata, venderebbe anche me per un auto sportiva!” spiegò il moro.
“Ti venderei per molto meno”.
“E’ un onore essere tuo amico, davvero!” disse scuotendo la testa Akira.
“Diciamo che guadagno anche un bel po’ con questo giro…” riprese a spiegare la bionda a Michiru che l’ascoltava con un tremito al sopracciglio, combattendo per mantenere un’espressione seria e un certo contegno.
“Insomma, il grande capo non si può lamentare e sta sera…bisogna riscuotere un po’ di grana”.
“Non mi hai mai parlato così tanto di te come in questo momento!” rispose divertita Michiru inclinando leggermente la testa di lato.
Tendo a non parlare mai di me in effetti. A chi dovrei parlare di me? Haruka scacciò quei pensieri dalla mente tornando a concentrarsi sul suo discorso.
“Ritieniti fortunata!” prese un respiro “ti porterò con me, così non starai chiusa qui dentro e…” una smorfia di disgusto si dipinse sul suo volto facendole arricciare il naso in uno strano tic nervoso “Daisuke non sarà nei paraggi”.
Quel pensiero rassicurò Michiru. Non capiva nulla di auto e non voleva entrare in affari loschi che non la riguardavano ma tutto, sarebbe stato meglio che stare chiusa in quei pochi metri con la paura che la porta potesse venire sfondata dall’individuo di poco prima.
“Non sarà rischioso?” domandò Akira perplesso “E se ci beccano? Penso che la stiano cercando in città…”
“Noi siamo fuori città” precisò Haruka “e poi…non ti preoccupare, ho già pensato a tutto!”
Gli angoli della bocca si piegarono in un sorriso furbo che fece rimanere perplessi gli altri due presenti.
“Ehm…” si schiarì la voce Michiru “potresti essere più chiara?” osò con quella domanda, per assicurarsi di non finire magari rinchiusa all’interno di un bagagliaio come stava immaginando.
 
Haruka scattò in piedi “ci vuole l’abito adatto!”
Un’occhiata d’intesa all’amico che sibilò un “ooh” appena udibile.
“L’abito…adatto?” Michiru sembrò perplessa, si guardò da capo a piedi domandandosi cosa pretendessero da lei quei due, in fine dei conti era un ostaggio, era stata rapita, non era partita per un viaggio di piacere trascinandosi dietro una bella valigia colma di abiti.
“Ci pensiamo noi, tranquilla!” la rassicurò Akira.
Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio. Se poi lascio che mi vesta un uomo… Lo sguardo scivolò sul giovane per poi rimbalzare su Haruka.  Avrà qualcosa di femminile nel suo armadio? Dubito.
La ragazza mise fine alla serie di pensieri inutili e frivoli che si spintonavano l’uno con l’altro tra i suoi neuroni.
“Ci penserà Mimì!”
“Offre lei! Tanto non le servono più!” ne convenne Akira.
“Vai a prendere la sua roba!” disse Haruka soffocando una risata.
“Chi è Mimì? Non me la raccontate giusta! Haruka non mi hai spiegato come farai perché non venga riconosciuta!”
“Dettagli!” tagliò corto l’altra.
“Dettagli?” rincarò la dose Michiru seguendo con la coda dell’occhio Akira che abbandonava la stanza.
“Ooh!! Che spina nel fianco che sei!! Ti fidi o no?”
Fidarsi. Fidarmi di…te, Haruka?!
Michiru non rispose.  
Che diavolo di domande che mi metto a fare!! Haruka tossì, in quelle circostanze era ovvio che chiunque non si fosse fidato di lei, cercò quindi di sviare il discorso rispondendo ai quesiti di Michiru.
“Mimì era…”
“Eccomi qua!” La interruppe Akira irrompendo nella stanza tenendo tra le braccia uno scatolone pieno che sembrava esser più grande di lui.
Lasciò cadere l’oggetto con poca grazia sul pavimento, che provocò un tonfo sordo, invitando subito dopo Michiru ad aprirlo con un gesto della mano accompagnato da un sorriso soddisfatto.
Dalle sue labbra scappò un sospiro, si chinò e tuffò le mani all’interno della scatola e ne tirò fuori alcune parrucche colorate e dai tagli più disparati.
Man mano che indagava tra quella miriade di tessuti e capelli finti la sua espressione si faceva sempre più allucinata.
“Mi prendete in giro?!” sbottò alzandosi con in mano un completino tutto striminzito in latex.
“Io non andrò in giro mezza nuda, chiaro?” il suo tono era fermo e non ammetteva repliche.
“Sono solo dei…travestimenti!”
“Ma cos’era una squillo questa Mimì?! Che fine ha fatto? Oddio l’avete fatta fuori?”
Akira si grattò la testa pensieroso “credo…” la voce della ragazza dai capelli acqua marina lo interruppe senza lasciarlo finire.
“Quanta gente avete ucciso?”
“Non farti prendere dall’isterismo principessa, scegli il vestito su!” le disse con non curanza Haruka trattenendosi dal rotolare per terra e svenire dalle risate che stava cercando disperatamente di soffocare per le smorfie di Michiru.
“Non era proprio una prostituta!” si affrettò a dire il ragazzo “lavorava in un night club per conto di alcuni yakuza!”
“Guarda che è pulita quella roba, niente germi!” sottolineò la bionda.
“E poi non l’abbiamo uccisa, almeno non noi.” Alzò le spalle “non so che fine abbia fatto!”
“Un peccato!” sospirò Haruka “una così simpatica ragazza…”
“Secondo me avevi un debole per lei Haru!”
Michiru cercò di stare dietro alle parole dei due. Voglio tornarmene a casa! Ma guarda che situazione!
 
 
*
 

Rei scostò con la mano la tenda dalla finestra di casa.
Una Dodge Charger nera del sessantanove entrò nel suo vialetto sfrigolando sulla ghiaia.
La luce del giorno stava scemando in un tramonto rosato che si perdeva nella lontananza dei grattacieli di Tokyo, colorando delle sue tinte pastello i finestrini dell’auto che lasciavano intravedere il viso di Setsuna impegnato nel parcheggiare in modo impeccabile il veicolo.
Le guance della mora arrossirono leggermente a quella vista.
Era la prima volta che l’ispettore andava a prenderla a casa, ma soprattutto quella scena aveva un vago che di appuntamento.
E’ lavoro Rei. Solamente lavoro, non fare la sedicenne tutta cuoricini da shoujo manga!
Setsuna scese dall’auto facendo attenzione a non battere la testa nel tettuccio.
Non era abituata a quel tipo di macchina, guidava poco e niente e quando lo faceva usava la volante della polizia.
Il rumore dei tacchi della donna arrivò sino alla porta seguito dal suono del campanello.
Rei si fiondò ad aprire, prima di farlo però respirò a fondo cercando di mantenere un certo contegno.
“Buona sera ispettore!” Disse cinguettante in un sorriso.
“Buona sera Rei!”
“Prego, si accomodi!” si scostò dalla porta invitandola ad entrare.
“Ha fatto fatica a trovarmi?” Chiese per non far cadere il silenzio tra loro due.
“No, sono arrivata bene, non preoccuparti! La periferia di Tokyo la conosco come le mie tasche!” sorrise la donna spostando poi lo sguardo in giro per il salotto arredato in modo minimale.
“Complimenti per la casa!” si affrettò a dire, portandosi le mani dietro la schiena.
“Posso…posso offrirle qualcosa da bere ispettore?”
Setsuna scosse la testa in segno negativo “sono a posto grazie!”
“Si…” Rei osservò la donna da capo a piedi. Era vestita come quella mattina. “Si deve cambiare? Di la c’è…” dovette prendere un respiro profondo per continuare la frase “c’è…”
“Qualcosa non va Hino?”  la interruppe l’altra.
“No, no” la mora scosse la testa vigorosamente in segno negativo facendo oscillare la lunga coda di cavallo “non mi veniva la parola!” mentì sorridendo.
“Di la c’è la doccia!” Riuscì finalmente a dire scacciando ogni pensiero poco professionale che la sua psiche le stava facendo venire a galla.
La donna rimase perplessa, guardò la sua giacca grigia che copriva una camicia bianca semplice che ricadeva morbida sui pantaloni in tinta con il primo capo d’abbigliamento.
“Non vado bene così?” chiese.
No è bellissima! Zitta Rei, ZITTA!!! TAPPATI LA BOCCA! Non osare proferire parola!!
La morettina si morse un labbro, dovette fare uno sforzo sovrumano per non dire ciò che realmente le passava per la testa ma dopo qualche istante di silenzio in cui finiva una dura lotta col proprio cervello riuscì a parlare senza che la voce le tremasse o che il suo viso avvampasse.
“Stavo solo pensando che di solito le persone che partecipano alle corse sono come dire…” pensò al termine più appropriato portandosi l’indice al mento “un po’ più vistose ecco. Lei è molto formale…uhm…”
“Oh…” Setsuna si passò una mano tra i ciuffetti scuri della frangia “non ho avuto nemmeno oggi il tempo di passare a casa in effetti, non ci avevo pensato…sono solo riuscita a prendere la macchina adatta al magazzino della…”
“Ispettore!” Rei la interruppe “Non può fare così!” disse gesticolando e con espressione seria.
“Deve riposarsi e prendersi cura di lei!”
“Ehm, io…”
“Niente scuse!” la mise a tacere con quelle due parole per poi continuare “si prenda il suo tempo! Si faccia una bella doccia rilassante, è presto tanto. Io le porto un asciugamano e troverò qualcosa per lei nell’armadio!” Gli occhi scuri zampillati di riflessi porpora sembrarono illuminarsi a quelle parole.
Setsuna rimase con le labbra dischiuse a boccheggiare. Nessuno si era mai preoccupato così per me. Era una sensazione strana quella che stava provando, mai vissuta prima d’ora. Lo sguardo e le parole della ragazza le regalarono un calore che le invase ogni fibra del suo essere.
“D’accordo…” si limitò a dire un po’ stordita.
“Bene, allora percorra il corridoio, la prima porta a destra è quella del bagno!” si apprestò a spiegarle la giovane.
Setsuna annuì avviandosi nella direzione che le era stata indicata, a metà corridoio si bloccò e si voltò verso l’altra “Rei…” richiamò la sua attenzione.
“si, ispettore!”
“Smettila di darmi del lei, chiamami Setsuna!”
Un sussurro scappò dalle labbra della mora che rimase come pietrificata a quelle parole “va bene…” un sorriso si allargò tra le sue guance “Setsuna”.
 

 
*
 
 
Michiru sedeva accanto ad Haruka all’interno della Nissan GT – R 2011 che sembrava appena uscito da un episodio di Fast and Furious.
Si avvinghiò alla cintura per l’ennesima volta da quando era salita in macchina per cercare di sentirsi più sicura con quella pazza scatenata alla guida.
Con la curva che avevano fatto appena usciti dal garage c’era mancato poco che Akira, dal sedile del passeggiero, non fosse letteralmente schizzato fuori dal finestrino del parabrezza.
“Santo cielo, non puoi rallentare? Non siamo in un circuito!” si lamentò Michiru che nell’arco di dieci minuti aveva già visto passarsi davanti agli occhi la vita più volte.
“Non dirmi che sei una piagnucolona come quello li dietro!” la prese in giro Haruka.
“Ehi, io non piagnucolo!!"
"Si raccontalo a qualcun altro! Ti si vede il terrore dipinto in faccia! Vedo le tue smorfie dallo specchietto!”
“Guarda la strada Haru! Non me!” la pregò il ragazzo emettendo uno sbuffo insofferente.
“La tua folta chioma non si rovinerà, tranquillo!” le sorrise di sbieco la bionda “a Minako piacerai lo stesso!”
“Simpatica…” borbottò il ragazzo.
“Questa Minako ti piace Akira?” chiese improvvisamente spinta da una punta di curiosità Michiru.
“E’ la sua fidanzata da due anni!” le disse Haruka senza lasciare il tempo di rispondere all’altro.
“Scommetto che è bellissima…” commentò Michiru sorridendo mentre provava ad immaginarsela.
“Lo è!” si apprestò ad affermare Akira.
Chissà se anche lei è una…
“Se te lo stai chiedendo…anche un ragazzaccio come me può trovare l’amore” le disse il moro cercando di interpretare l’espressione di Michiru.
“Sono convinta che in fin dei conti non sei poi così ragazzaccio.”
“Cos’è state facendo amicizia voi due?” domandò frenando al rosso del semaforo la bionda.
“Conversiamo. Insomma se devo convivere con voi concedimi almeno di fare un po’ di conversazione!”
Un verso indefinito provenne dalla bocca di Haruka. Non andava bene così. Dovevano mantenere le distanze, non farsi coinvolgere.
Ho lasciato si avvicinasse troppo, ho abbassato la guardia.
“Non è una gitarella tra amici, Michiru.”  La voce era di nuovo fredda, tagliente. Lo sguardo da un mare calmo sembrava essersi tramutato in un abisso gelido.
Come fa a cambiare radicalmente in questo modo?
“Ah e a proposito…” continuò la bionda riprendendo a guidare e imboccando una galleria “sta sera non fare cavolate, sono stata chiara?!”
Akira rimase in silenzio. Haruka all’improvviso aveva tirato su un muro di cemento invalicabile dopo che era stata amichevole per un notevole lasso di tempo.
Quando Michiru riesce a fare troppo breccia, lei si chiude. Dopo quel pensiero la voce di Haruka si fece nuovamente più vicina “questo vuol dire…niente fughe improvvise, ad esempio”.
Lanciò un’occhiata alla vicina per farsi comprendere meglio.
“Non fare amicizia con nessuno, ti concedo di parlare con Minako se proprio non riesci a frenare la tua sete di gossip”.
“Haruka” la riprese Akira preoccupato che fosse troppo dura con Michiru.
“Non farmi la predica e non cercare di ammorbidirmi, l’ho portata perché non corresse rischi con quello là, perciò deve stare alle regole, non voglio rischiare di finire in prigione per essermi preoccupata per lei”.
Eccola la parola magica. Preoccupata.
Sia Akira che Michiru la captarono.
Si è preoccupata per me. Pensò la ragazza guardandosi le mani e sistemandosi in  gli shorts cortissimi neri che aveva indosso.
La preoccupazione è qualcosa non da poco. Sono convinta che la vera Haruka non sia quella che indossa questa maschera gelida.
“Tranquilla.” Michiru sospirò “Non farò niente di stupido”.
Si guardò nello specchietto, con quella parrucca rossa a caschetto sembrava tutta un’altra persona.
Non penso mi riconoscerebbe nessuno tanto.
 

 
*
 

Ecco che dopo una lunga strada buia e deserta, la cui fine sembrava non arrivare mai, un fascio di luci distorse i riflessi sul vetro della macchina di cui Setsuna era alla guida.
Una folla di personaggi più o meno variopinti e agghindati nei modi più disparati si aggirava tra un gruppo di macchine dai colori brillanti parcheggiate in bella mostra per essere ammirate.
Casse che potevano fare invidia a quelle di un rave party, pompavano la musica a livelli improponibili.
La donna al volante inspirò profondamente.
Rei notò una certa tensione in viso così le appoggiò una mano alla gamba sussurrandole un leggero “andrà bene”.
La Dodge Charger avanzò lenta, qualcuno fischiò facendo scivolare lo sguardo dalla carrozzeria lucente alle due ragazze.
“Carne fresca…”
“Hei bello, guardare ma non toccare!” si sentì rispondere il tipo a tono da Rei che scese decisa sbattendo lo sportello in modo spavaldo.
Setsuna la guardò con la coda dell’occhio, pensando che era una fortuna avere una spalla del genere, da sola di sicuro non sarebbe riuscita a mantenere una buona copertura.
“Bel ferro!” commentò un ragazzo dai capelli sparati dalla tonalità verde brillante appoggiato a braccia incrociate alla propria Nissan blu elettrico.
Rei fece spallucce mostrandosi sicura di se e diede una leggera pacca alla carrozzeria.
“Correte?” domandò incuriosito lo stesso individuo.
Un’occhiata veloce a Setsuna.
“Si certo! Siamo qui per questo!” disse beffarda.
Rei non esagerare! La donna deglutì posando gli occhi scuri sulla folla in cerca di qualche membro della yakuza o personaggio sospetto.
Niente di niente al momento…
“E chi è la pilota delle due morettina?” indagò il ragazzo lanciandole un’occhiata languida.
“La mia partner!” lo freddò Rei.
“Partner?” S’irrigidì lievemente.
Puzza di sbirro…
“Si” Rei si avvicinò cingendole le braccia al collo “La mia ragazza!”
Lo stomaco di Setsuna si attorcigliò su se stesso a quelle parole, mentre un calore che le partì dal petto e le salì fino al viso la fece leggermente arrossire.
“Oh come sei carina tesoro!” la spintonò leggermente lei con un gomito notandone la reazione.
Il tipo sembrò convinto della cosa e il pensiero della polizia l’abbandonò completamente “Allora non vedo l’ora di gareggiare!”
 

 
Lo stridere delle gomme sull’asfalto e un mezzo testa a coda nello spiazzo annunciò l’arrivo di Haruka.
Gli occhi di alcune ragazze presero a brillare mentre cinguettavano un “E’ arrivato, è lui!!” da vere e proprie fungirl gettandosi attorno all’auto.
“Un sacco di ammiratrici…” disse a denti stretti Michiru alzando un sopracciglio.
“Solo gallinelle” ne convenne Haruka facendo spallucce.
“Se qualcuno te lo chiede, stasera sei la donna di Haru, chiaro Michi?” disse Akira facendo per aprire lo sportello e fiondarsi fuori dal mezzo infernale.
“COSA?!”
“Non essere nervosa su, è una copertura! E lei è unlui!”
“Ma…ma!!!” Michiru provò a protestare senza riuscire a formulare una frase di senso compiuto.
“Fa come dice!” disse la bionda senza particolare entusiasmo.
“Bel modo di fare che hai!” la ribeccò indispettita uscendo dall’auto mentre gli sguardi curiosi dei soliti abituè del posto cercavano di capire chi fosse.
Tanto bella quanto indisponente!! Pensò la bionda lanciando un’occhiata fugace al fondoschiena di Michiru.
Un sorrisetto malizioso le si dipinse in volto.
Ora te la faccio pagare io! Pensò divertita uscendo dall’auto con fare tranquillo e le mani intrappolate nelle tasche dei Jeans.
“Ah quanto è bello!”
“Bello?! E’ da paura!”
“Sexy!”
“E quella chi è?!”
“Un po’ volgare!”
“E’ tutta invidia la tua!”
“oh no dici che è la sua ragazza?”
“Boh forse!”
“Non l’ho mai vista in giro!”
Spallucce.
Una risata.
Uno sguardo truce a Michiru.
Un’occhiata di adorazione ad Haruka.
Domande e commenti mezzi bisbigliati. Supposizioni fatte a voce medio alta.
La bionda sfilò davanti alle ragazze e al corteo di giovani uomini che incuriositi lanciavano occhiate non troppo discrete alla nuova arrivata.
Tutti conoscevano Haruka e nessuno la bella accompagnatrice dai capelli rosso fuoco che era arrivata con lei.
“Ehy principessa!” richiamò l’attenzione di Michiru avvicinandosi pericolosamente a lei.
La ragazza si appoggiò con la schiena all’auto. Sarebbe voluta essere invisibile. Troppi sguardi su di sé. Troppa pressione per paura di dire o fare qualcosa di sbagliato.
Respirò a fondo facendo nascere un sorriso che apparisse naturale.
Il ghigno divertito di Haruka la fece trasalire.
Le sue dita giocherellarono con una ciocca infuocata per poi passare al suo collo.
Michiru sentì il suo battito pulsarle dal petto al punto appena toccato dall’altra.
“Sei uno schianto stasera!” continuò.
Un lieve rossore le colorò le guance di porcellana.
Gridolini soffocati di sottofondo.
“grazie” disse timidamente Michiru cercando di rimanere al gioco.
Haruka sorridendo le cinse la vita sottile, semi scoperta dagli abiti aderenti e decisamente succinti che lasciavano ben poco all’immaginazione, tirandola a sé.
Michiru deglutì nel sentire il suo respiro caldo vicino e mentre cercava di trattenersi dal darle uno schiaffo per il suo atteggiamento fastidioso e il cambio repentino di umore sentì le labbra umide e calde dell’altra appoggiarsi alle sue.
I pensieri si annullarono.
Il suo cuore perse un battito.
Per un attimo tutto sembrò scomparire, la folla, la musica, i rumori, il vociare e rimasero solo loro due e quel bacio che si faceva sempre più profondo.
 
 
 
 
 
Note dell’autrice:
OLE’!! Ed eccomi qui!!! OMMIODDIOOOO!!!! * si porta una mano alla fronte con fare melodrammatico * mi ci sono voluti due giorni per questo capitolo! E per la prima volta… udite udite…IO sono soddisfatta!! Non so voi, ma io si! E questa cosa me la sentite dire raramente!
Dunque, credo sia seriamente il capitolo più lungo che abbia mai scritto. Perdonatemi se non c’è stata la corsa ma qui come avete visto le cose si sono fatte luuunghe! Non volevo fare venti pagine così ho stroncato anche se con un po’ di amaro in bocca. Ma ehi, la colpa non è mia! Il bacio non doveva mica esserci. Nemmeno quelle due di Rei e Setsuna e tutte le loro farfalle nello stomaco è tutta colpa loro!
Nel prossimo capitolo ci sarà più azione, lo prometto! Spero mi possiate perdonare.
Ringrazio tutti quelli che pazientemente stanno seguendo la storia e che commentano ogni volta, siete una soddisfazione unica davvero! Il fandom più bello che c’è!
Bene…vi lascio ai vostri deliri e spero che abbiate qualcosa da dirmi su questo sproloquio che ho il coraggio di chiamare capitolo!
 
N.B. Haruka è un po’ isterica e con una doppia personalità, siete libere di bastonarmi!

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Capitolo 8
*** 7. Catch me if you can ***



Istruzioni per l’uso: Vi aspettano dieci pagine di delirio, perciò armatevi di buona volontà e di santa pazienza.
Detto questo…buona lettura!

 

 
“Ed ora se vuoi scusarmi…” Haruka sorrise beffarda abbandonando le labbra di Michiru e con quelle la morbida stretta in cui l’aveva imprigionata.
“Avrei un po’ di lavoro da sbrigare!” sentenziò facendole l’occhiolino per poi pronunciare un lieve “torno presto!” prima di allontanarsi definitivamente e voltarle le spalle.
“Ok” fu la risposta in un soffio di Michiru che rimase nella stessa identica posizione come una statua di sale.
Mi ha baciata.Si portò una mano alle labbra sfiorandosele appena con le dita.
Mi prende in giro? Non ce n’era certo bisogno!
Dapprima venne pervasa dall’irritazione di non averle dato uno schiaffo seguita poi da un leggero sfarfallio proveniente dal suo stomaco.
Oh no, Michi, le farfalle no! Che diavolo ti prende?! Sarà la fame più che altro, si deve esserlo per forza. La sua determinazione nel convincere se stessa di qualcosa, non era mai stata così tanta.
Cercò tuttavia di abbandonare in fretta i propri pensieri e lanciò un’occhiata veloce ad Akira che veniva trascinato senza troppi complimenti da Haruka poco più lontano dalla folla di corridori e ragazze vicino a lei.
Osservò la macchina di Haruka, avrebbe potuto scappare con quella se solo avesse avuto le chiavi, si abbassò alla ricerca di quelle, ispezionando i sedili anteriori per poi passare ai posteriori.
Niente.
Per un momento ebbe l’impressione di non cercare abbastanza attentamente apposta. Come se volesse trattenersi dall’istinto di fuggire.
“Ehi tu!” una voce squillante simile ad un suono di campanelli attirò la sua attenzione.
Nel voltarsi vide una giovane ragazza dai lunghi capelli biondi e i grandi occhi celesti che la guardavano divertita con le mani puntate sui fianchi, fasciati da un abitino striminzito rosa.
“Ciao!” continuò tendendole la mano per fare la sua conoscenza.
Che sia un’ammiratrice di Haruka?
“Sono Minako!” si apprestò a sottolineare.
“Oh, la ragazza di…”
“Si! Esatto di Akira!” non le fece finire la frase con gli occhi che s’illuminarono per la sorpresa e una punta di emozione, nel capire che il ragazzo aveva parlato di lei.
Michiru sorrise cordialmente, la trovò molto carina e vitale, il tipo giusto per Akira.
Indugiò un momento sul suo nome; Minako, l’amore di tutti…davvero un bel significato!
“Oh che sbadata…” cercò di recuperare Michiru stringendole la mano che era rimasta a mezz’aria in attesa della sua “è un piacere sono…”
“Non importa lo dici!” la fermò la bionda facendole un occhiolino.
Si guardò attorno avvicinandosi al suo orecchio “so della tua posizione…” le sussurrò piano “non dire il tuo vero nome!”
Michiru s’irrigidì annuendo lentamente col capo.
“Akira non mi nasconde nulla!” sorrise radiosa l’altra ravvivandosi con la mano la folta chioma chiara che emanava un profumo dolce di shampoo all’arancio.
“Anche tu sei…?” una yakuza? La domanda anche se terminò nella sua mente fu chiara alla ragazza di Akira.
“No, no! Assolutamente! Io sono solo una patita di videogames, amo il curry e…ah si inseguo gli idols! Si, potrei essere una cacciatrice di Idols al limite!”
Gli occhi azzurri di Michiru si spalancavano ad ogni sillaba sempre un po’ di più, se avesse dovuto descrivere con una sola parola quella massa di capelli biondi dalla parlantina svelta e squillante avrebbe usato l’aggettivo: folle.
“Comunque non ti preoccupare…” Minako era un fiume in piena di parole “fanno presto di solito, riscuotono i soldi delle scommesse delle varie corse e dalle vendite delle auto truccate e poi tornano a farci compagnia, ah a proposito tu corri? Ti fa usare la sua macchina Haruka? Non la fa toccare a nessuno di solito, quindi se fosse così significa che sei proprio una ragazza speciale!” concluse tutta estasiata in attesa di delucidazioni dalla nuova amica.
“No, assolutamente! La velocità non fa proprio per me! Sono una persona piuttosto mite! Amo dipingere, suonare…nulla di così…rischioso, come dire!”
“Oh” lo sguardo dell’altra parve un attimo rabbuiarsi, ma l’ombra sul suo volto scomparve in un istante “Beh io corro solo con i video games!” la frase interrotta da una fragorosa risata.
“Ah, Akira non me lo permette, si preoccupa molto per me!” si poggiò un pugno in testa socchiudendo gli occhi in una strana smorfia per poi riprendere a fissarla “E’ un bravo ragazzo sai…so che potresti non essere d’accordo per via del giro in cui sta però…”
“Non ne dubito, Minako” Le parole uscirono dalla bocca di Michiru senza che dovesse pensarci su.
“Purtroppo non possono uscirne, se non a costo della vita.” La bionda si fece seria “devono eseguire degli ordini a cui non possono sottrarsi…però non sono cattivi. Penserai che sono di parte, ma non importa. Conosco Akira e non ti farebbe mai del male…”
Un sospiro scappò dalle labbra di Michiru, in effetti non aveva mai pensato ad Akira e ad Haruka come se fossero costretti a fare ciò che facevano. Un moto di tristezza s’impossessò di lei, mozzandole il respiro.
“Anke Haruka è una brava persona in fin dei conti…” Minako prese fiato un momento per poi continuare il suo discorso che sembrava non dover mai giungere ad una fine “magari quando tutta questa storia sarà finita potremmo andare tutti e quattro a cena fuori una sera!”
“C-cosa?”
“Si, un’uscita a quattro! Che idea splendida!” esclamò battendo le mani in un applauso gioioso.
Uscita a quattro, due coppie.
“State insieme tu ed Haruka no?! Ah quel bacio mozzafiato di prima ti ha cacciata in un bel guaio!” ridacchiò portandosi una mano alla bocca.
Guaio?! Ancora guai? Ne uscirò mai viva?! “Ma…” sentì le guance andarle a fuoco al pensiero che Minako ritenesse Haruka e lei una coppia “noi…noi non…” cerca di fare una frase di senso compiuto, Michiru! “Io e Haruka non stiamo insieme!”
Una smorfia confusa dipinse il volto della bionda che prese a masticare nervosamente una caramella “vuoi una?” le domandò offrendole il pacchetto.
Michiru declinò l’offerta con un gesto della mano ringraziandola.
“Non me la racconti giusta…”
“E’ così, devi credermi io sono solo…”
“Si. Non finire la frase, non cacciamoci nei guai”. Lo sguardo di Minako si fece sottile, indagatorio, quasi minaccioso.
“mmm…” sembrò riflettere attentamente “Qui gatta ci cova!”
“Più che altro in che guai sono?”  Domandò Michiru cercando di non farsi prendere dall’ansia.
“Le ragazze qui stravedono per Haruka e lei ti ha baciata in pubblico, dichiarando così che sei sua e devono starti tutti alla larga, ucciderebbero per essere al tuo posto quelle!”
Ma guarda che fortuna, io ucciderei per essere con Ami e mio padre in questo momento invece!!

 
*
 

Nel retro della via illuminata dai lampioni e i fari delle auto, Haruka e Akira entrarono attenti a non essere osservati da occhi indiscreti dalla porta di un vecchio magazzino.
La richiusero alle loro spalle ascoltandone il cigolio arrugginito e proseguirono a tentoni in pochi metri bui, seguendo il fascio di luce che proveniva da un’altra porta semi aperta.
“Ben!” la voce di Haruka non arrivò direttamente alle orecchie dell’uomo americano impegnate da un paio di auricolari,  che stava seduto con le gambe incrociate sopra la scrivania fumandosi una sigaretta in attesa di quella visita.
Sobbalzò appena, nel vederla sulla soglia e si apprestò a spegnere la musica e a ricomporsi.
“Ciao Haruka…” con un cenno del capo si rivolse anche al moro “Akira…”
“Ti stavi rilassando Ben?” domandò il tatuato guardandosi attorno.
La stanza era immersa in un caos irreale, a stento si riusciva a trovare lo spazio sul pavimento su cui camminare in quanto era ricoperto per intero da pile di fogli e quant’altro.
“Mi prendevo cinque minuti prima della gara” disse con un sorriso tirato.
Le mani gli sudarono freddo, nonostante fossero due facce conosciute da tempo, il fatto che fossero membri della yakuza non lo faceva rilassare del tutto, soprattutto conoscendo la fama di Haruka, che non era nota per la sua infinita pazienza.
“Allora…guadagnato bene dalla vendita delle macchine questo mese?” domandò la bionda incrociando le braccia al petto.
“Si, il doppio rispetto ai due precedenti. I soldi sono già tutti nel bagagliaio!”
Haruka lo squadrò da capo a piedi “Akira vai a controllare ci siano tutti!” ordinò con un cenno del capo all’amico che ubbidì scomparendo all’interno del garage.
“Non…” deglutì rumorosamente “non ti fidi eh?”
“Mai, mio caro Ben, mai” vide lo sguardo dell’altro scivolare sulla sua pistola che spuntava appena da sotto la maglia.
“Tranquillo, non sarà necessaria se fai i compiti diligentemente come al solito” lo rassicurò lei.
“Non ti fregherei mai, lo sai!”
“Senti un po’…” cambiò discorso la bionda “sono venuti a fare delle domande? Qualcuno di strano?”
L’uomo scosse il capo deciso in segno negativo “No, niente sbirri o gente curiosa” sospirò un momento grattandosi il collo “Però c’è un nuovo corridore sta sera, una donna con la sua fidanzata, mai viste prima in giro!”
Lo sguardo di Haruka si accese di curiosità “interessante, chissà come se la cavano!”
“Hanno una Dodge del ’69 in ottime condizioni, nera…”
“Modifiche?”
“Estetiche no, quella più giovane però non mi ha fatto dare nemmeno un’occhiata al motore, perciò dovrai cavartela tu!”
Haruka rise “Non mi preoccupano!”
Akira fece nuovamente la sua comparsa “tutto in ordine, il nostro caro Ben è sempre efficiente e la Infiniti G35 blu, è uno sballo!”
“Avrai l’onore di portarmela a casa tu, facciamo come sempre…” disse Haruka sollevata.
Il ragazzo annuì.
Per precauzione i due alla fine di ogni gara che prevedeva una nuova auto per Haruka si dividevano, così da non essere seguiti; e in caso di polizia alle calcagna una delle due auto rimaneva nell’anonimato.
“Perfetto! Andiamo a correre e a guadagnarci una bella auto da rivendere! A dopo! Ciao Ben!”
“Ciao!” la voce più rilassata e un cenno della mano in saluto accompagnò l’uscita dei due yakuza.

 
*
 

Rei si avvicinò a Setsuna “non ho notato nessuno che potesse esserci d’aiuto, cosa pensa ispettore?”
“Che potevamo evitare di gareggiare!” la sua voce era nervosa. Non arrabbiata con Rei, ma carica di tensione.
“Io salgo in macchina, con…” ancora del lei le stava per dare, ma si trattenne concludendo con un “con…te!” disse come a rassicurarla.
Ci riuscì, vide i lineamenti del volto della partner distendersi e le mani smisero di torturarsi a vicenda.
A quelle parole Setsuna si sentì più leggera, un po’ più sciolta. Il nodo alla gola che aveva albergato li da quando erano arrivate in quel posto si fece meno stretto e la lasciò respirare senza fatica.
“Non sono una buona guidatrice!” sorrise amareggiata.
Rei rise di gusto “ti stai calando troppo nel ruolo, non importa! Gareggiamo, non facciamo insospettire nessuno e se non troviamo ciò che cerchiamo ce ne andiamo! E domani cominceremo da un’altra pista!”
“Ben detto, mi piace il tuo modo di fare!” ritrovò il sorriso e a quelle parole ne fece nascere uno anche sul viso dell’altra.
“Prima c’è stato tutto quel trambusto ma io non ho visto nulla…” si lamentò con fare leggermente piagnucolante la mora, notando che il campanello di ragazze che si era creato poco prima all’arrivo dell’auto gialla si era disperso.
“Sarà arrivato il galletto della situazione” si strinse nelle spalle l’altra.
“Dimmi Rei…” lo sguardo dai riflessi violacei si puntò negli occhi dalle saette porpora della più giovane, “come ti è uscita prima…che sono la tua donna?” domandò con una smorfia divertita.
Ne sono lusingata in realtà.
“Ehm…” la mora rise nervosamente grattandosi la nuca “bisogna essere creativi in questi casi no?!”
Una giovane dai tacchi vertiginosi e il caschetto rosso fuoco affiancata da una biondina saltellante passarono di fronte alle due.
Setsuna perse il filo del discorso di Rei.
Il profilo di quella più alta le sembrò familiare. Dove ti ho vista? Che sia la mia immaginazione?
In mezzo alle sopracciglia si formarono alcune rughe per la fronte aggrottata dallo sforzo di ricordare.
Nulla, il vuoto. Eppure la sensazione di conoscere quel viso si faceva sempre più forte in lei.
 
“Allora, sta sera si corre?” la domanda posta a voce alta la scosse dalle sue riflessioni attirando la sua completa attenzione.
Tutti i presenti si radunarono fremendo per scoprire i partecipanti alla gara.
“Chi vuole provare a battermi sta sera?” domandò beffarda Haruka aspettando che qualche temerario si facesse avanti.
“Partecipiamo noi!” rispose prontamente Rei facendosi largo tra la folla aggrappandosi alla mano di Setsuna.
“Bene. Qualcuno si unisce alle signore?”
“Io” la risposta provenne dalle labbra del giovane dai capelli verdi di cui Rei e Setsuna avevano fatto conoscenza appena arrivate.
“Bella macchina, è tuo quel gioiello di Nissan Skyline?” s’interesso subito osservando la carrozzeria lucente dell’auto.
“Ci puoi scommettere…”
“Te la giochi?” così la faccio rivendere e vediamo un po’ di far felice paparino.
La tensione salì alla proposta che Haruka poneva ad alcuni partecipanti ogni volta che decideva di gareggiare.
Un brusio sommesso di eccitazione andava trasformandosi in vere e proprie scommesse tra gli spettatori che non vedevano l’ora di scoprire, se qualcuno fosse riuscito a batterla una buona volta.
Il ragazzo la squadrò pensieroso, si abbassò appena sul naso gli occhiali da sole scuri che portava nonostante fosse buio.
“Se ti batto…” gridolini e risate lo fecero interrompere un momento “cosa ci guadagno?”
“A parte il fatto che non ci riuscirai mai…” disse sorridendo sorniona, “cosa sogneresti di avere come premio?” domandò in tono derisorio all’avversario.
Il proprietario dei capelli ribelli verdi indicò con un cenno della testa Michiru.
“E’ la tua donna?” chiese interessato.
La bionda alzò il sopracciglio e con una presa ferrea alla vita di Michiru la tirò a sé. “Puoi scommetterci!”
 
“Haruka – sama è davvero fidanzato!”
“Cosa succederà?”, “Non vorrà mica…”, “Se perde questa volta…”
 
“Allora voglio lei. Per una notte diventa mia!” concluse l’altro.
Haruka soffocò un ringhio alla proposta. Sentì Michiru aggrapparsi con la mano alla sua maglia per poi guardarla con uno sguardo da serial killer, che non aveva idea potesse certo appartenerle.
Minako sbiascicò un “ohi, ohi…”  mentre il suo ragazzo tossicchiò nervoso.
Non dirmi che vuoi giocarti Michiru! Conosceva troppo bene la sua collega, non aveva mai rinunciato a gareggiare e non si era mai tirata indietro a nessuna richiesta sicura di vincere.
Non ci provare, non provare a…come un mantra i pensieri di Michiru si ripetevano uno dietro all’altro, con le stesse parole ininterrottamente.
“Va bene!” La risposta della bionda rimbombò nella testa della diretta interessata che rischiò di strozzarsi con la sua stessa saliva.
Il cuore di Michiru perse un battito, pentendosi amaramente di non essere scappata da quella serata anche solo sui tacchi e senza macchina, quando ne aveva avuto occasione.
Maledetta!
“Non preoccuparti principessa…io non perdo mai!” Le soffiò in un orecchio Haruka “e se per qualche strano allineamento planetario, qualcosa andasse storto, non ti lascerò di certo a quel moccioso montato lì!” Le accarezzò distrattamente i capelli fissando l’individuo che aveva osato sfidarla. Non aveva mai staccato lo sguardo da lui, come per tenerlo sotto controllo e non farselo sfuggire.
A quelle parole Michiru si sentì appena un po’ più sollevata e si domandò se quel gesto affettuoso fosse solo una messa in scena o meno.
 
“Che bastardo!” masticò a bassa voce Rei fissando truce Haruka.
Come si fa a giocarsi la propria donna?
“Voi per cosa correte invece?” La domanda colse alla sprovvista Setsuna e la sua compagna, immerse nei loro pensieri.
“Uhm…” la mora esitò, per la prima volta in tutta la serata non aveva una risposta pronta.
“Per l’adrenalina!” improvvisò Setsuna con tono deciso prendendo in mano la situazione.
“Per me è ok!” rispose Haruka facendo spallucce per poi lanciare uno sguardo interrogativo all’altro sfidante.
“Va bene così anche per me”
“Nessun altro per sta sera quindi?” Chiese Minako ad alta voce facendosi largo tra la folla.
Nessun temerario si fece avanti.
“Bene, allora…piloti salite e dateci dentro!” disse entusiasta mettendosi davanti alle vetture.
Quando fa la starter l’adoro! Pensò Akira mentre mangiava la fidanzata con lo sguardo.
“Il percorso è semplice…” cominciò, accompagnando alla spiegazioni alcuni gesti precisi e secchi, come fosse un hostess che si cimenta nell’illustrare le misure di sicurezza per salvarsi la vita in caso di emergenza.
“Proseguirete dritto fino alla fine della strada dove vi aspetteranno tre tornanti…” si fermò un attimo scrutando i visi dei partecipanti alla gara per poi riprendere a parlare, “è una strada priva di illuminazione, ma questo alcuni di voi lo sanno già!” un’occhiata fugace ad Haruka che sorrideva pregustandosi già la vittoria.
“Dopo i tre tornanti, al bivio svolterete a sinistra e poi beh…dovrete tornare qui dalla sottoscritta!” il suo discorso terminò con un occhiolino.
Facile come bere un bicchier d’acqua! Haruka pensò di poter gareggiare ad occhi chiusi con un percorso del genere, cinse con il braccio le spalle nude di Michiru facendola salire in macchina accanto a lei.
“Sta sera corri con la sottoscritta...”
“Haruka io…” lo sbattere della portiera la interruppe.
Appena la bionda si mise al volante, l’altra cercò di protestare ma quella non rispose limitandosi ad allacciarle la cintura.
“Ecco, così sarai al sicuro!”
Un sorriso.
Michiru sentì lo stomaco in subbuglio.
Come un flash nella sua mente riprese vita il bacio che la bionda le aveva strappato a inizio serata.
Avanti, smettila! Rimproverò se stessa in silenzio, cercando di togliersi l’immagine che si faceva spazio nella sua mente, rendendosi conto che se avesse continuato in quel modo Haruka l’avrebbe sicuramente fatta impazzire.
 
 
“Ok, Rei…che questa cosa non si venga a sapere al distretto!” disse piano Setsuna allacciandosi la cintura e appoggiando una mano al cambio.
“Oddio non ci credo stiamo per correre!” disse pigolando l’altra affrettandosi a sistemarsi per bene sul sedile.
“Mi hai sentita?”
“Si, Setsuna!”
“Prometti!”
“Si, Setsuna!”
Ok, l’abbiamo persa! Pensò accendendo il motore mentre nella sua visuale, accanto a Minako comparve la figura di Akira.
I vistosi tatuaggi che ritraevano un dragone nero catturarono la sua attenzione.
“Yakuza!” sentenziò.
Rei guardò nella sua stessa direzione inquadrando il ragazzo “sembra che abbiamo trovato chi potrebbe sapere qualcosa!”
“Ok, facciamo questa corsa cercando di uscirne vive, dopo di che…ci fiondiamo qui e facciamo quattro chiacchere con il fidanzato della biondina!”
“Ci sto!”
Il rombo dell’auto di Haruka coprì la voce di Rei.
Setsuna la guardò. L’altra le sorrise disinvolta.
Quel tipo e la sua faccia da schiaffi…irritante, tremendamente irritante!
Lo sguardo le scivolò ancora una volta sulla ragazza nel posto del passeggiero.
Sentì crescere un moto di stizza dentro di sé per il fatto di non capire di chi si trattasse.
Lanciò un pugno al volante nervosa mentre venne affiancata alla sua destra dall’altro pilota.
Due poliziotte coinvolte in una corsa clandestina, ironico!
“Pronti!” La voce di Minako squillò come una sveglia attirando la sua attenzione.
Le macchine ruggirono impazienti sulla linea di partenza.
“Ai posti…” la starter sventolò un fazzoletto rosso in aria.
Akira si mise dietro di lei abbracciandola per i fianchi e posandole un bacio sul collo.
“Via!” Una mezza piroetta tra le braccia del ragazzo e un bacio segnarono l’inizio della gara.
Le tre macchine partirono facendo stridere le gomme sull’asfalto  e lasciandosela alle spalle in una nube di polvere.
 
Michiru spalancò gli occhi conficcando le unghie nel sedile per avere maggiore stabilità guardando oscillare prepotentemente la lancetta della velocità verso l’alto in mezzo secondo.
“Harukaaaaaaaaaa!!!” si lasciò scappare un grido spaventata.
“Hei principessa non ti agitare! E’ appena iniziata!”
“Non mi è di consolazione! Vai piano!”
“Non posso tesoro, è una gara!”
“Non chiamarmi tesoro!” rispose piccata, senza riuscire a guardarla in faccia per lo sguardo incollato alla strada davanti a loro.
 
Rei rimbalzò in avanti per poi ritrovarsi con la schiena letteralmente attaccata allo schienale.
“Wow ispettore! Che partenza! Lei è una tosta!”
“Come mai siamo tornate alla faccenda del lei, Rei?”
“Oh, oh mi scusi! E’ l’agitazione! O meglio…” prese un respiro, per la velocità le sembrò che l’aria non le arrivasse più ai polmoni “Per l’adrenalina!” riuscì a concludere.
“Non esaltarti troppo!”
“Non posso farci niente! L’ho sempre sognato!”
“Hai sempre sognato di ammazzarti in auto?!”
“Beh non proprio!”
La Nissan Skyline tentò un sorpasso ma con una sterzata veloce Setsuna riuscì ad impedirglielo.
La strada andò restringendosi ad una carreggiata e l’ispettore fu costretto a posizionarsi subito dietro Haruka.
 
 La bionda sogghignò soddisfatta vedendo dallo specchietto retrovisore la macchina delle due nuove arrivate dietro di sé.
“Mangeranno la mia polvere quelle due pivelle!”
“Non ci credo…non ci credo!” La voce di Michiru accompagnò il rumore del motore.
“Credici!”
“Non mi riferivo alla gara, testona!” disse guardandola con cipiglio.
“mh?”
“Tu mi hai svenduta!”
“Michiru…” gli occhi cobalto presero a guardarla in volto abbandonando il tracciato “a cosa ti stai riferendo?”
Le rughe d’espressione non accennarono a lasciare il volto candido della ragazza che assumeva un’aria incredula e sempre più arrabbiata. “Prima mi baci…” cercò di mostrare l’espressione più contrariata che possedeva nel suo repertorio “poi mi cedi come premio a mr. Capelli verdi come se nulla fosse!”
L’ho baciata.
L’auto rallentò appena.
Ci sta ancora pensando!
“Ah, sei senza parole eh?!”
Un bacio niente male…
“Haruka, parlo con te! Ti sembra un comportamento? Capisco che io sono solo un stupido ostaggio, però insomma…”
Se l’è presa. Se la sta prendendo come una fidanzata! Possibile che…
“Haruka!”
Possibile che…le piaccia?
“Haruka la strada! Guarda la strada! La curva!” la mano di Michiru si posò veloce sul volante impedendole di uscire di strada.
Una sgommata violenta segnò l’entrata nel primo tornante buio.
“Ma che diavolo stavi facendo?!”
“Scusa, mi ero distratta!”
Michiru si portò una mano al petto, il cuore sembrava volerle schizzare fuori dalla cassa toracica.
“Distraiti quando non rischi di ammazzarci!”
Una risata amara provenne dalla bocca di Haruka “allora non posso mai abbassare la guardia. La mia vita è continuamente sul filo di un rasoio! E tu cara mia…ormai ci sei dentro!”
Le macchine percorsero in fila le tre curve a radicchio per poi proseguire e arrivare al bivio segnalato poco prima da Minako.
“Con questa gentaglia non credo ci servirà il nos…” disse un po’ dispiaciuta Haruka accarezzando il volante.
“Che…che cosa?! Ma…credi sul serio di essere dentro a un film?!”
“Se così fosse io sarei Vin Diesel e tu Paul Walker!” sorrise la pilota tra sé e sé con aria divertita.
“Hai un po’ troppi capelli e ti mancano un bel po’ di muscoli…”
“Merda!”
La strada è chiusa!
Haruka si ritrovò a fare un testa coda per non andare a sbattere contro un muro che sembrò essere apparso all’improvviso dal nulla sul suo percorso.
Setsuna riuscì ad evitare la stessa sorte, mentre il terzo pilota finì violentemente fuori strada.
Nell’evitare l’impatto, mentre l’auto girava su se stessa Michiru scivolò in avanti riuscendosi a fermare grazie alla cintura di sicurezza e alle sue mani pronte a puntarsi al cruscotto.
Una ciocca acqua marina le scivolò al di fuori dei capelli rosso fuoco; fu in quel momento che Setsuna se ne rese conto.
“L’abbiamo trovata!” sibilò incredula “E’ Michiru Kaiō quella!”
Il labiale di Haruka che pronunciava il nome della ragazza chiedendole se stesse bene confermò la tesi della donna.
“Non possiamo farcela scappare!” la incitò Rei.
Le ruote dell’auto corvina girarono veloci su se stesse, l’ispettore riuscì ad affiancarsi alla vettura di Haruka tenendo la sua stessa velocità. Rei si sporse dal finestrino aperto “Hei!” gridò a Michiru che voltò il capo nella sua direzione “Hei, Michiru! Siamo qui non preoccuparti!” la rassicurò.
“Chi cazzo sono?!” sbottò la bionda cercando di tenere lo sguardo sulla strada.
“No…non lo so!”
“Ti hanno riconosciuta, merda! Sono sbirri!”
A quelle parole una maschera di terrore si dipinse inconsapevolmente sul volto di Michiru.
Rei aggrottò la fronte a quella reazione insolita.
Strano.
Il piede spinse pesante sul pedale dell’acceleratore facendole guadagnare asfalto rispetto alle altre due.
“Dobbiamo filarcela!”
 
 
*
 

Il cellulare di Akira squillò insistentemente illuminandosi a intermittenza nella tasca dei suoi  pantaloni.
“Scusa Minako…” disse accarezzandole il viso mentre con l’altra mano si occupava del cellulare.
“Qualcosa non va?” domandò la ragazza incuriosita.
“E’ Haruka…” sibilò il moro confuso mentre spingeva il tasto per rispondere alla chiamata.
“Muovi il culo, vai Akira, vai!” gli urlò nelle orecchie la bionda dall’altro capo del telefono.
“Ma cosa…”
“Non fare domande, prendi la macchina e i soldi! L’hanno riconosciuta!” l’interferenza del vento che entrava prepotente nell’abitacolo dal finestrino abbassato coprì la voce della ragazza “le abbiamo dietro!” gridò inviperita prima di far cadere la linea.
 
 
*
 

Un urto appena sotto al cofano dell’auto di Haruka provocato dalla Dodge che non accennava a diminuire la distanza tra loro, fece inferocire la bionda al volante.
“Se mi segna la macchina la faccio fuori!”
“Che…che si fa in questi casi?” chiese quasi balbettando Michiru.
Cosa devo fare? Perché mi sento come se il pericolo fosse la polizia?
“Michiru, sotto al tuo sedile!”
La ragazza si piegò in avanti liberandosi dalla cintura, titubante con le mani andò in cerca di qualcosa sotto alla sua postazione, come le era stato indicato.
Le dita sfiorarono qualcosa di metallico e freddo, lo arpionarono stringendolo tra le mani.
“Haruka è una pistola!”
“Bingo! Ora non puntarmela addosso però, è carica!”
“Oh mio Dio…” Michiru sembrò andare in iperventilazione.
“Ok, ora ti tranquillizzi eh?!” deglutì Haruka cercando di mantenere un tono di voce calmo. “Ascoltami, cosa fai nella vita? Non te l’ho mai chiesto…”
“L’insegnante”. Rispose Michiru girandosi tra le mani l’arma nera con estrema prudenza “L’insegnate di musica…” precisò.
“Oh, dunque suoni!”
“Il violino e il pianoforte…ma Haruka, cosa cavolo centra tutto questo con questo aggeggio che ho in mano?” chiese sull’orlo di una crisi di nervi l’altra.
“Volevo assicurarmi che fossi una sveglia e che impara in fretta!”
Piccole gocce di sudore perlarono la fronte di Michiru visibilmente nervosa.
“Ascolta, è facile…Quella è una glock 17!” disse Haruka indicando velocemente la pistola con un un gesto della mano per poi riposarla sul volante.
“Stai parlando arabo per me!”
“Spara a ripetizione, come una mitraglia…”
Michiru scosse il capo “Oh no, Haruka…” una risatina nervosa la interruppe “io non comincerò a sparare a destra e a manca!”
“Senti…”
La vettura guidata da Setsuna speronò la fiancata di Haruka.
“Non te lo chiederei mai se non fosse una situazione leggermente critica, non so se hai notato…ma io sto guidando!”
“Ehm…facciamo cambio posto?!” Michiru sembrò piagnucolare.
“Oh si, così ci facciamo prendere alla grande! Ottima idea!” disse in tono ironico “Le dobbiamo seminare, chiaro? Basta che…spari alle gomme prima che loro lo facciano a noi! Mica devi ammazzarle!”
“E’ una cosa che faccio tutti i giorni lo sai? Oh si…prima di andare a fare la spesa io mi metto a bucare le gomme della gente con una…” esitò un momento “glo…glo…” ci rinunciò “con una di queste cavolo come si chiamano!”
 
Le due macchine si affiancarono ancora una volta, Haruka lesse l’espressione minacciosa e determinata in volto a Setsuna.
“Fermati. Non è più una gara! Consegnaci la ragazza!” Gridò Rei dal finestrino abbassato.
“Come no!”
“Se collabori sarà meglio anche per te, credimi!” tentò di convincerla la mora.
“Dite tutti così. Lo dite sempre! Prima di fregare me ce ne vuole ragazzina!”
Rei sembrò irritarsi a quelle parole, impugnò una pistola e cercando di mantenersi in equilibrio la puntò verso di loro.
Il tempo di prendere la mira e Haruka fu più veloce di lei. Gridò a Michiru di prendere il volante e in un momento si sfilò dai pantaloni la sua pistola senza esitare a sparare per disarmarla.
L’auto sbandò leggermente quando Setsuna sentì Rei gridare di dolore e la vide scivolare sul sedile tenendosi stretta la spalla sinistra con la mano destra.
 
Colpita e affondata.
“Ora tieniti forte principessa, qui bisogna scappare!” con quella parole il nos venne sparato nel motore aumentandone la potenza.
Setsuna vide la macchina della yakuza sfrecciare prepotentemente in avanti e superarla facendole mangiare la polvere.
“Rei stai bene?”
“Tutto…bene, capo!” le palpebre si strinsero in una smorfia di dolore e la bocca si serrò per non farsi sfuggire un gemito.
Gli occhi della donna videro il rosso cremisi del sangue scivolarle sull’intero braccio.
E’ una brutta ferita…
“Ehi, Sets…” deglutì, perdendo appena un po’ di colore in volto “non dobbiamo farci scappare quel figlio di…”
“Non fare l’eroina, Rei, ti porto in ospedale. Chiamerò rinforzi!”
“No.” La mano dell’altra le strinse il polso “Tra poco lo riprendi, questa strada conduce in città, nel traffico non può usare certi trucchetti…”
“Non devi strafare in questo modo, chiamo…”
“MOLLA QUELLA RICETRASMITTENTE SETSUNA!” ringhiò decisa la mora.
Non sono una debole, posso farcela.
“TI HO DETTO…CHE NON DOBBIAMO FARCELO SCAPPARE!”
 
 
 
 

Note dell’autrice:
 
Siamo arrivati alla fine del capitolo! E voi direte…era ora! Dopo nove pagine di ca**te che hai scritto! Se siete arrivati alla fine ho davvero stima di voi!
Vi ringrazio tantissimo per le precedenti recensioni, erano tutte così piene di entusiasmo che ho deciso di mettermi a scrivere in anticipo questo nuovo capitolo, sperando vi piaccia almeno quanto quello scorso. Ed ecco il frutto di 5 giorni di scrittura...
 
Abbiate pietà, non ho mai scritto nulla del genere e soprattutto è la prima volta che scrivo di una pseudo corsa automobilistica.
 
Ho notato con piacere che sono saliti anche i numerini che indicano i seguiti e i preferiti, perciò grazie, grazie,grazie! Sono davvero contenta che la storia piaccia a qualcuno o che quanto meno v’incuriosisca :D

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Capitolo 9
*** 8. Unexpected Feelings ***





Ormai le luci dell’alba rischiaravano il cielo, che poco a poco si faceva più limpido sfumando in colori nuovi e nascondendo agli occhi umani le stelle che l’avevano popolato fino a qualche istante prima nel buio più profondo.
Haruka non aveva smesso un attimo di guidare, il suo fare spericolato al volante era leggermente diminuito una volta entrata nel traffico cittadino, ma appena intravide nel riflesso dello specchietto la sagoma della macchina con a bordo le sue avversarie, non esitò a spingere furentemente sull’acceleratore.
Ci risiamo! Pensò Michiru sospirando appena.
Aveva sperato  di ritrovare un po’ di calma, ma evidentemente la buona sorte l’aveva abbandonata da un bel pezzo.
“Haruka…” sospirò il nome con voce stanca, abbandonando la testa sullo schienale e perdendosi con lo sguardo tra gli imponenti edifici di Tokyo e il paesaggio che scivolava veloce, quasi come un flash oltre il finestrino.
“Non stiamo tornando al tuo appartamento.” Convenne capendo che la zona della città in cui si trovavano era un’altra rispetto quella da cui erano partite.
“Se torno li ora sapranno dove sto!” rispose l’altra cambiando marcia.
“Ma…avete il vostro nome nei biglietti da visita e il vostro marchio compare su molti dei vetri e delle porte del palazzo in cui risiedi, insomma…non passate certo inosservati!”
“Questo è vero. Ma ci sono diversi gruppi di Yakuza. Loro sanno che faccio parte di uno di questi clan, ma non sanno quale di preciso! Inoltre…devo tenere il più lontano possibile questa grana dall’Oyabun, credimi…non è un tipo ragionevole!”
A quelle parole Michiru sentì ancora una volta un moto di dispiacere per la ragazza che le stava a fianco. In quei momenti era come se la vera vittima di tutta quella situazione fosse Haruka.
Tutto sommato io sto bene.
 
 
 

“Prima o poi dovrà fermarsi, ha intenzione di girare per tutta Tokyo per sempre?!” Setsuna aveva iniziato ad innervosirsi.
La vista di Rei sempre più sofferente le gridava al cervello di essere responsabile, di lasciar perdere quello stupido inseguimento e di portarla in ospedale.
Non ne valeva la pena.
Non valeva la pena di perdere qualcuno come Rei o comprometterne salute e carriera per una criminale.
Fece il gesto di posare la mano sulla ricetrasmittente per chiamare i rinforzi, ma Rei fu più veloce di lei e allontanò l’oggetto così che non potesse arrivarci.
“Non…” deglutii “provarci…”
Era sofferente ma la lucidità non l’aveva abbandonata.
“Sei un osso duro!” sentenziò la donna sorridendole.
L’auto avanzò veloce, svoltò seminando alcune macchine e si ritrovò più vicina a quella di Haruka.
“Rei…”
“Si”
“Ce la fai se mi avvicino ancora un po’ a bucare le gomme?”
La mora sorrise debolmente “un braccio è ancora sano, vedrai che sarà un giochetto, la mia mira è ottima!” disse drizzando la schiena e impugnando l’arma senza dimenticare di tenere tamponata la ferita con la mano.
Abbassò il finestrino, prese la mira chiudendo un occhio e sparò davanti a lei.
“Cazzo!”
“Riprova, ci sei andata vicina!” la incoraggiò Setsuna.
Rei ebbe un capogiro, stava arrivando al limite. Aveva perso troppo sangue e le forze la stavano abbandonando una volta per tutte.
La vista le si annebbiò.
Centrare una ruota in quel momento era una sfida troppo grande.
Alzò il braccio più in alto mirando al finestrino posteriore dell’auto che aveva davanti cominciando a sparare all’impazzata.
 
 


Haruka sbandò abbassando il capo per un momento.
“E’ impazzita! Non sa mirare alle gomme!”
Un altro colpo e il vetro finì in frantumi.
Ok, forse non era quello l’obbiettivo!
“Michiru stai giù!” accompagnò la frase con un movimento del braccio che le portò la mano sul capo dell’altra, abbassandoglielo.
“Finirà per colpirti se non stai attenta…”
Ancora una volta, ancora una volta sta cercando di… Michiru ubbidì silenziosa.
Proteggermi.
Un altro sparo più vicino.
La bionda sterzò velocemente finendo sopra ad un marciapiede.
Continuò la sua folle corsa diretta verso un garage sotterraneo dove sapeva avrebbe trovato un’altra auto messa lì da Akira, quando lo sentì chiaramente.  Il sibilo del proiettile che fendeva l’aria e il bruciore della polvere da sparo che le colpiva la scapola.
Mollò la presa dal volante ed investì nella sua corsa qualcosa di indefinito.
“HARUKA!” Michiru gridò e si affrettò prontamente a prendere il controllo del volante.
“Il garage Michiru, devi entrare li!” cercò di dirle la bionda facendo un cenno con la testa.
“O..ok, non mollare i pedali, d’accordo?”
“non sono una pappamolla…”  ridacchiò cercando d’ignorare la fitta di dolore intensa che le stava facendo perdere sensibilità alla zona colpita “E prima che abbandoni una gara devono riuscire a spedirmi in una tomba!”
L’auto imboccò l’entrata del garage sotterraneo “Haruka c’è una sbarra, frena! FRENA!”
“Quella la buttiamo giù, altro che frenare!” le rispose l’altra con un sorriso sghembo facendo vittima dello scontro la sbarra, che per la violenza dell’urto si staccò rimbalzando sulla parte anteriore della Dodge e ne distrusse completamente il parabrezza, facendola scontrare ad una colonna e fermandola definitivamente.
“Brutte stronze, questo è per come mi avete ridotto l’auto!” ringhiò rabbiosa.
“Oddio Haruka dobbiamo chiamare i soccorsi, potrebbero essere ferite!” disse Michiru una volta parcheggiata la macchina.
“Michiru, l’unica ferita qui sono io!” Lo sguardo cobalto intenso la trapassò da parte a parte.
Haruka si prese un momento per respirare.
Chiuse gli occhi tentando di scacciare il dolore.
Michiru si rese conto di aver la possibilità di andarsene, sarebbe bastato un momento per fuggire e scappare in strada per chiamare qualcuno o tornare a casa.
Aveva il suo rapitore ferito e stanco e le dita poggiate sulla portiera che le avrebbe garantito l’uscita dall’abitacolo e da quella situazione.
Guardò la bionda che cercava di far arrivare un po’ di aria ai polmoni.
Vide la sua mano impregnarsi del suo stesso sangue e macchiarle la maglia chiara poco a poco.
Mi ha difesa da quell’uomo, non mi avrebbe lasciata a quel ragazzo e mi ha protetto da una serie di colpi che avrebbe potuto ferire anche me. Glielo devo.
“Dai…” esordì slacciandosi la cintura “qual è la macchina che dobbiamo prendere? Guido io e poi pensiamo alla tua ferita!”
Haruka sgranò gli occhi, non credeva alle sue orecchie. In quei pochi istanti aveva solo aspettato lo scattare della portiera e la corsa di Michiru lontana da lei.
E’ ancora qui. Ancora dentro a questa brutta storia con me.
“Ehi…allora? Non abbiamo molto tempo, no?”
Dovrei dirle di andarsene? Sono troppo egoista per farlo. Ha deciso di rimanere, io non la caccerò.
 
 
*
 

L’ambulanza arrivò a sirene spiegate al Tokyo Metropolitan Hiroo Hospital.
“Io sto bene, ho solo un graffio sulla fronte santo cielo!” gridò Setsuna mentre cercava di allontanare il ragazzo che aveva disperatamente tentato di disinfettarle la ferita causata da alcune schegge di vetro.
“Senta, stia ferma per cortesia, devo disinfettarle il taglio, poi le devo togliere questa scheggia che…”
“Mi lasci in pace!” la donna ignorò la protesta del giovane guardando Rei distesa accanto a lei a cui non aveva mollato un attimo la mano.
“Sei stata grande l’hai colpito!” le disse.
“Si ma…” una smorfia di dolore “ce lo siamo fatte scappare, tanto lavoro per niente!”
“Abbiamo distrutto la macchina Rei e tu sei conciata davvero troppo male, ho mandato una squadra appena prima di avvertire l’ambulanza! Lo prenderanno!”
L’altra sbuffò “uffa! Si prenderanno il merito!”
La frase fece nascere una risata in Setsuna che scese dal veicolo.
“Posso arrivare dentro all’ospedale con le mie gambe, non occorre la barella!” esclamò Rei tirandosi su a fatica dal lettino.
Con un gesto secco il paramedico la bloccò visibilmente irritato “non ho mai avuto due donne che protestassero quanto voi. Smettetela! Io devo fare il mio lavoro e ho deciso che qui ci entrate come dico io! Non siamo al distretto, chiaro? Non avete autorità…è per la vostra salute che…”
“OH BASTA!” la mora si portò la mano del braccio sano alla fronte “basta con le ramanzine, mi scoppia la testa!”
Quello sospirò, borbottando qualcosa mentre la preparava per scendere.
“Setsuna, starai con me? Devono farmi una trasfusione ed io…”, i suoi occhi si chiusero appena, “ho…” Rei fece uno sforzo immane per rimanere sveglia e lucida “paura degli aghi!”
L’altra non riuscì a rispondere che la giovane perse conoscenza all’improvviso.
“Codice Rosso!” Gridò il paramedico rivolgendosi alla collega che svelta corse all’interno dell’ospedale per avvisare un dottore.
 

 
*
 

Michiru ed Haruka entrarono nell’appartamento della yakuza, la prima cominciò a saettare da una parte all’altra della stanza setacciando ogni centimetro cubo della casa e frugando in ogni angolo.
L’altra si mise a fissarla seduta sul letto, fino a quando non decise di spezzare il silenzio.
“Cosa stai cercando?”
“Ce l’hai vero?” un lampo di preoccupazione attraversò gli occhi azzurri e limpidi di Michiru.
“Potresti essere un po’ più precisa?” domandò l’altra cercando di decifrare la domanda di quella che le stava davanti ed ora si stava togliendo tacchi e parrucca.
“La valigetta del pronto soccorso!”
“Ah quella…” Haruka si grattò la nuca pensierosa spettinandosi la zazzera bionda.
“E’ nel bagno, in alto sopra al mobile dal lavandino!”
La ragazza entrò spedita nella stanza e intercettando l’oggetto desiderato cominciò a dondolarsi sulle punte dei piedi tentando di arrivarci con le dita.
Maledizione come è alto! Non riesco nemmeno a sfiorarla!
Haruka soffocò una risata nel vederla tutta impegnata in quell’impresa, con tanto di lingua fuori dalle labbra e braccia tese verso l’alto.
Non ci arriverà mai! A quel pensiero si alzò e barcollò una volta arrivata alla porta.
“Che fai in piedi? Non sforzarti hai perso troppo…”
“Ci penso io…cosa sei? Alta uno e sessanta? Non ci arriverai mai li!”
A quelle parole Michiru notò per la prima volta che Haruka era davvero molto alta per essere una donna.
“Lascia fare a me…” protestò la ragazza dai lunghi capelli acqua marina.
Haruka apprezzò quella volontà di ferro, ma non la stette ad ascoltare occupandosi lei di recuperare l’oggetto.
Un capogiro la prese alla sprovvista e fu costretta ad appoggiarsi alla spalla dell’altra.
“Tutto bene?” chiese in preda al panico Michiru.
“Si…scusa…io…”
“Ora ti medico, tranquilla, fa piano…ti aiuto a metterti a sedere!”
“Sei troppo bassa anche per usarti come stampella!” la prese in giro bonariamente la bionda mentre un lieve sorriso le piegava le labbra.
La vista le si fece meno nitida e valutò che in quel momento arrivare nuovamente al letto o alla poltrona le sarebbe risultata un’impresa epica, così si lasciò scivolare a terra, trascinando con se Michiru.
“Dai, spogliati!” le ordinò l’infermiera improvvisata mentre apriva il kit del pronto soccorso.
“Così? Lo facciamo senza preliminari? Non ti facevo così audace!”
“Hai ancora la forza di fare battute?” le domandò con uno schiocco di labbra l’altra.
Haruka fece spallucce “Così non penso al male…ehi, ma…fai anche l’infermiera nel tempo libero? No, perché ti vedo lanciata ma io non sono un manichino, vorrei ricordartelo!”
“Cos’è la grande criminale non che pilota spericolata ha paura di farsi medicare?”
Haruka arricciò le labbra in una smorfia incrociando lentamente le braccia.
A quel gesto però la scapola le fece contrarre il viso in una smorfia che dall’offeso si tramutava in dolore.
“Ok, ti aiuto io…” disse premurosa Michiru sfilandole la maglietta “Piano…” sussurrò quando riuscì a liberarle gli arti dal tessuto per poi appallottolare il capo in un angolo.
“Ti disinfetto…poi cerchiamo di togliere la pallottola, suppongo farà male, dovrebbe esserci dell’anestetico qui da qualche parte…” guardò attentamente le boccette che aveva sottomano spiegando passo a passo ciò che aveva intenzione di fare, forse per tranquillizzare più se stessa che l’altra.
“Chiedevo sul serio prima se fai l’infermiera!” la interruppe Haruka mentre strizzava gli occhi per il bruciore della ferita a contatto con il disinfettante.
“No, non lo sono…mia sorella studia medicina, è lei che sarà il medico di famiglia!” soffiò leggermente sulla pelle candida della bionda cercando di darle un po’ di sollievo.
“Credo ci saresti portata però, sai?”
“Preferisco insegnare musica!” disse con un sorriso.
“Ahi!” si lamentò l’altra.
“Abbi pazienza…”
Haruka abbassò la testa, lo sguardo fisso sul pavimento e in mente un’unica domanda che la stava facendo impazzire.
Perché non sei scappata quando potevi? Perché sei ancora qui al mio fianco?
“Ti faccio male? L’ho quasi presa…”
Non riusciresti mai a farmi del male, sei troppo gentile Michiru!
“Haruka? Oddio sei svenuta? Stai bene?” la voce di Michiru la distolse dalle sue riflessioni.
“Tutto bene, stavo solo pensando…”
“A cosa?” domandò curiosa l’altra estraendo finalmente la pallottola.
Haruka gemette per il bruciore “Perchè sei così gentile con me? In fondo ti ho strappata alla tua famiglia”, a quelle parole si vergognò di ciò che faceva per vivere e per le sue azioni.
“Ricambio un favore…” prese l’ago per le suture tra le dita. Sarà come rammendare?
“Quale?” la incitò l’altra a parlare.
“Beh, uhm…mi hai protetta più di una volta in fondo, inoltre…non sei così cattiva come sembri…”
Haruka deglutì, sentì le guance arrossarsi leggermente e si premurò di non farsi vedere in viso mentre le mani torturavano il tessuto dei jeans sulle sue ginocchia.
“Non sei stupida. Eppure non te ne sei andata in quel parcheggio…”
Michiru si bloccò a quelle parole.
“Perché? Avevi la possibilità di andartene una buona volta!”
Ed io non ti avrei fermata.
“Ti…” l’ago riprese a cucire la ferita “Ti avrei cacciata nei guai, l’hai detto tu che l’Oyabun non è un tipo facile no? Poi eri ferita e…”
“E, cosa?” la interruppe, aveva sete di sapere, ma cosa voleva sentirsi dire esattamente? Cosa provava Michiru per lei? Pena? Era solo gentile o c’era dell’altro?
Si voltò verso di lei con solo addosso alcune fasce che le coprivano il seno.
L’altra arrossì leggermente “Non ho ancora finito di ricucirti…”
“Chissene frega dei punti Michiru!” lo sguardo cobalto puntato nei suoi occhi azzurri che faticavano a sostenerlo per la troppa intensità.
“E’ stato per questo?”
La bionda si sporse verso il viso dell’altra e le sue labbra finirono prepotentemente su quelle di Michiru.
I loro cuori accelerarono battendo all’unisono, mentre quello scontro di labbra accompagnava la lenta danza delle loro lingue.
Haruka tuffò le mani nei capelli di Michiru, la voleva più vicino, la voleva per se.
Perché ad un tratto ho così bisogno di lei?
 

“Haru…” La voce di Minako le si bloccò in gola spalancando la porta dell’appartamento senza chiedere permesso. Rimase con la mascella semi aperta e la presa ferrea sulla maniglia alla vista di ciò che stava accadendo tra le due.
Akira vedendola bloccarsi sulla soglia la raggiunse incuriosito. Le mani dalle tasche dei suoi Jeans andarono a coprire gli occhi della biondina che protestò rumorosamente.
“Che fai?! Toglimi le mani dagli occhi! TOGLILEEE!!!”
“Ma che fai la guardona? T’impressione, sei ancora piccola!” scherzò lui affettuosamente posandole un bacio sul capo.
Minako si dimenò come una furia “non sono piccola! Dai! Dai!”
“Ma quanto baccano!” la voce di Haruka interruppe i due guardoni, che tentarono di ricomporsi e con fare indifferente entrarono.
“Eravamo venuti a controllare foste tutte intere…” Spiegò Akira.
Gli occhi curiosi della fidanzata invece passavano da Haruka a Michiru. La prima sembrava del tutto a suo agio, come nulla fosse successo, mentre la seconda era rimasta in silenzio con lo sguardo perso e le dita posate sulle labbra.
C’è puzza di storia d’amore clandestina qui!
La mente della bionda partì all’impazzata in una serie di elucubrazione degne del peggior romanzetto rosa sul mercato.
Si avvicinò a Michiru lanciando un’occhiata alla spalla di Haruka.
I suoi occhi si sbarrarono e il respiro le si mozzò in gola, “Ferita da arma da fuoco!” indicò con il dito la medicazione fatta da Michiru non ancora ultimata.
“Ti hanno sparato!”
“Così pare!” fece spallucce Haruka.
“Cavoli non ho ancora finito di…”
“Se vuoi posso finire io qui!” sorrise Marta “Studio medicina!” disse a Michiru che le cedette il posto ascoltandola.
“Beh in realtà faccio infermieristica, se vogliamo essere fiscali!”
Conoscerà Ami?
“Hai fatto un bel lavoro sai? Saresti portata per questo genere di cose!”
“Lei è insegnante di musica!” la informò Haruka con fare saccente “e tu…hai le mani da camionista Marta, si più delicata!”
“IO…COSA?! SEI PROPRIO ANTIPATICA! Non ti conviene sai? Sono io quella con l’ago in mano!”
“Touchè!” ghignò l’altra arrendendosi a quelle parole.
Si interessa proprio tanto all’ostaggio… Akira la guardò pensieroso.
Aveva assunto un’ espressione diversa dalla corsa, che Michiru l’avesse cambiata? In qualche modo era riuscita a raggiungere l’anima di Haruka?
Oh Haruka, sei proprio in un bel guaio! Non vorrai far la fine di tuo padre…
 
 
*
 

Codice Rosso. Il codice d’emergenza.Si usa per indicare un soggetto con almeno una delle funzioni vitali compromesse e che si trova in immediato pericolo di vita.
Setsuna immobile, appoggiata con la schiena al muro del corridoio bianco e sterile ripeteva nella sua testa il significato del codice con cui il paramedico aveva definito Rei.
Codice rosso.
Si morse un labbro serrando i pugni. Non aveva potuto accompagnarla. I medici l’avevano costretta a rimanere fuori dalla stanza nonostante lei si fosse opposta e avesse minacciato di spedirli tutti in galera.
Sono patetica.
Una vocina, da qualche parte dentro di lei la consolò.
Non sei patetica, ci tieni a lei.
Coscienza.
O forse è qualcosa che va al di la del tenerci.
Questa volta fu il cuore a parlare e a rivelare l’arcano.
E’ una tua subordinata, sarà meglio che la cosa rimanga sul piano professionale.
La mente. La ragione, la sua alleata più stretta.
Decise di prendere un lungo e profondo respiro, come se fosse stata in apnea per tutti il tempo trascorso, alzò il capo in cerca di un’infermiera o qualcuno che le potesse dare notizie della collega quando i suoi occhi incrociarono due figure a lei familiari.
Due paia di occhi azzurro cielo identici a quelli di Michiru.
Si avvicinò alla stanza per poi bussare leggermente alla porta con la nocca della mano.
“Oh ispettore buongiorno!” esclamò Ami piegando lievemente il capo.
“Buongiorno Ami!”
“Papà, ti presento l’ispettore Meiō, sta lavorando sul caso di Michiru, non hai avuto modo di conoscerla!” disse Ami presentando la donna che il padre non aveva riconosciuto.
L’uomo si limitò a un cenno del capo, non voleva essere maleducato, ma pensare alla scomparsa di sua figlia era un peso che non poteva reggere e di cui non voleva parlare, nonostante volesse con tutto il cuore che la situazione si risolvesse.
“Ispettore cosa ci fa qui?” domandò Ami per poi soffermarsi sulla ferita alla fronte di Setsuna “Oddio si è fatta male?”
“Non si preoccupi…”
“Oh mi dia del tu, la prego!” la interruppe la ragazza sentendosi leggermente a disagio.
“Sto bene, incidente di percorso, piuttosto sono preoccupata per un’amica…” una breve pausa “amica e collega” aggiunse.
“Spero nulla di grave…”
“Lo spero anche io!” Un’ombra passò nel suo sguardo.
“Signor Kaiō lei si sente meglio? A quanto pare stava per andare! Anzi mi dispiace avervi interrotti ma…”
“Notizie di mia figlia?” chiese prontamente l’uomo.
“In un certo senso…”
Ami si portò una mano al cuore a quelle parole e Yoshio sembrò tremare, così, si sedette appoggiando il proprio cappotto, pronto a prestare ascolto alla donna.
“Mi porti buone notizie la prego, il mio cuore non potrà reggerne di altro tipo!”
Setsuna si schiarì la voce ed entrò nella stanza lasciandosi alle spalle la soglia.
“Ho visto Michiru sta notte!”
“Cosa significa? Sta bene?” la voce dell’uomo si fece concitata.
“Si era in salute.”
“Ci dica di più la prego!” Il tono di Ami era supplicante e strinse la presa alla mano del padre.
“Grazie alla pista della mia collega abbiamo avuto modo sta notte di trovare il rapitore che mi ha descritto quando sei venuta in centrale”, spiegò alla ragazza.
“Michiru era con lui, ma purtroppo non siamo riuscite a riportarvela a causa di un incidente…”
Ami si coprì la bocca con una mano trattenendo un piccola gemito.
“Ci eravamo vicine”
Yoshio riprese il suo cappotto, si alzò dal lettino completamente vestito e con lo sguardo di nuovo vuoto si rivolse a Setsuna.
“Purtroppo a un padre questo non basta…” sospirò facendo per uscire dalla porta, “un ci eravamo vicine, non posso farmelo proprio bastare ispettore. Io la ringrazio per il lavoro che sta facendo e ringrazio Dio che mia figlia sia ancora in vita, ma la prego…”, si fermò un momento convinto che il suo stesso cuore stesse per cessare di battere ancora una volta.
“Faccia di più. Me la riporti. L’unica cosa che voglio sentirmi dire è che mia figlia è tornata e che quel delinquente marcirà in prigione, del resto non me ne importa nulla!”.
“Farò del mio meglio signor Kaiō, glielo prometto!”
L’uomo tornò un momento sui suoi passi, si avvicinò alla donna e le strinse la mano “No!” puntò gli occhi profondi come l’oceano nei suoi scuri. “Faccia l’impossibile!”; e con quelle parole lasciò la stanza d’ospedale aiutato da Ami.
 
 


Note dell’autrice:
 
Carissimi lettori, buon lunedì! Questa volta ho evitato un poema omerico, fermandomi a sei pagine di scrittura. Ho poi deciso di non aggiungere la parte a cui facevo riferimento ieri pomeriggio sulla pagina facebook. In ogni caso sarà presente nel prossimo capitolo, nulla va buttato!
Dopo l’azione ci voleva un attimo per concentrarsi sul resto della vicenda, non si può mica vivere solo di sparatorie e corse automobilistiche! U__U Tuttavia, spero di non avervi reso la lettura noiosa. Ho saltando un po’ dalla situazione Haruka/Michiru a quella Setsuna/Rei intermezzata da Yoshio ed Ami per rendere il tutto un po’ più dinamico, se così si può dire.
Come ormai di rito, ringrazio tutti quelli che prestano attenzione a questa storia, (che mi sta piacendo davvero molto scrivere); e a tutte le persone che trovano un po’ di tempo per recensirmi! Siete il massimo! :D
Colgo l’occasione, questa volta, anche per dire un bel “GRAZIE” in particolare ad Amaerize che ha preso spunto dalla fic per due dei sui bei disegni e a Caso, che mi fa compagnia ed è sempre pronta ad appoggiarmi sulla pagina fb!
Detto questo…Mi auguro che il capitolo sia di vostro gradimento!
Alla prossima!!
 
N.B. Il titolo si riferisce sia a ciò che prova Haruka e di conseguenza Michiru che alla situazione di Setsuna (anche se pure sta donna reprime 'sti benedetti sentimenti!XD)
Kat

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 10
*** 9. Meetings & memories ***


Avvertimento: A fine capitolo troverete la spiegazione per l'ultima parte di ciò che ho scritto! Non abbiate timore dell'ignoto! :P 



Due occhiaie profonde segnavano il viso stanco e provato di Setsuna che aveva passato l’intera giornata in ospedale seduta sulla scomoda sedia, divenuta un tutt’uno col suo corpo.
I capelli erano stati raccolti alla buona sulla nuca e l’abito che l’era stato prestato da Rei era ormai stropicciato.
Valutò di non essere mai stata in condizioni peggiori ma decise ugualmente che non si sarebbe mossa da quel posto.
Mai aveva atteso qualcosa così tanto, mai aveva atteso qualcuno in quel modo.
In fin dei conti in centrale possono cavarsela benissimo senza di me per una volta.
Si piegò in avanti portandosi le mani sulla testa per poi stropicciarsi gli occhi.
Avrebbe voluto dormire, ma il desiderio di vedere Rei salva era maggiore.
“E’ ancora qui?” una voce sconosciuta le pose la domanda.
Lo sguardo di Setsuna scivolò sulle ballerine blu che si fermarono davanti a lei, per poi risalire alla figura di una giovane che la fissava incuriosita stringendo una borsa tra le mani.
“L’ho vista anche ieri, ne sono sicura, ero venuta per salutare mio marito che aveva un turno di notte e così l’ho riconosciuta…” spiegò tutta d’un fiato.
“E’ davvero passata un’intera giornata? Non ho messo piede fuori da qui!” commentò Setsuna.
L’altra accennò col capo un “Si” e si sedette accanto a lei.
“Erano le sette di mattina quando sono arrivata. Non vedevo Mamo – chan dal giorno prima e gli ho portato la colazione. Ho visto che era piuttosto arrabbiata perché nessuno le faceva sapere nulla ed oggi…beh oggi è un altro giorno e sono precisamente le sette, ancora una volta!”
Venti quattro ore qui. Ho perso la cognizione del tempo!
“E’ un ospedale davvero grande e spesso e volentieri o sfinisci la gente per sapere qualcosa o basta chiedere alle persone giuste…” spiegò la bionda, fermandosi un momento per prendere un respiro profondo.
“Se chi aspetta era grave o è in terapia intensiva è davvero ardua carpire qualche informazione ma…io sono la moglie del primario!” sorrise orgogliosa “possiamo domandare a lui, che dice?”
A quelle parole Setsuna si sentì rinascere. Quella testa dalle due lunghe codine platino le diede un po’ di speranza.
“Le sarei davvero grata per l’aiuto!”
“Allora andiamo!” esclamò l’altra alzandosi e porgendole la mano per presentarsi “comunque sono Usagi! E mi scusi se mi sono permessa di…”
“Niente scuse! Isp…uhm no, Setsuna!” si corresse l’altra.
 
 
*
 
 
La luce del mattino filtrò dalle lunghe tende bianche che si mossero appena a causa di uno spiffero d’aria fredda, che s’insinuò nella stanza per gli scuri semi aperti.
Minako rabbrividì sentendo sulla pelle scoperta dalle lenzuola l’alito di vento.
“Ho freddo!” mugugnò con voce ancora impastata dal sonno mentre con la mano, a tentoni cercava Akira al suo fianco.
“Ahia! Mi hai dato una manata in faccia!” si lamentò il ragazzo sprofondando col viso nel cuscino.
“Brontolone…”
“Piaga!”
“Oh…ma buongiorno!” ridacchiò l’altra con tono derisorio.
“Sei pigra! Nemmeno apri gli occhi!”
“Piagnucolone!”
“Quanti complimenti, sei proprio amorevole di prima mattina, sai?”
“Senti chi parla!” lo ribeccò lei, “Diventi la fotocopia di Haru al maschile!”
 “CHE COSA?!” Akira sbarrò gli occhi a quelle parole balzandole addosso. “Ritira quello che hai detto!”
“Altrimenti?” Le iridi azzurre di Minako finalmente si aprirono riservandogli un’espressione di sfida.
“Altrimenti…” un sorriso incurvò le labbra del ragazzo “ti becchi questo!” ; e a quelle parole decise di giocare sporco con un attacco di solletico.
La ragazza si dimenò sotto di lui ridendo fino allo sfinimento. “Va bene, mi arrendo!” disse col fiatone.
“Ecco, più docile…sei più carina!” sentenziò lui scoccandole un bacio sulle labbra.
“Comunque…” Akira sbirciò sotto le coperte “te lo credo che hai freddo, dormi nuda!” disse lasciandosi andare ad una fragorosa risata.
Il viso di Minako si dipinse delle più varie gamme di rosso per l’imbarazzo fino a che non riuscì a protestare.
“Non è che dormo nuda! Qualcuno mi toglie i vestiti…sai com’è…” e con lo sguardo fece intendere al suo ragazzo come stavano le cose.
“Sempre tutti pronti a scaricare la colpe sul povero Akira!” sbuffò gettandosi nuovamente dalla sua parte di letto.
La bionda si stiracchiò, sbadigliò sonoramente e guardò la sveglia appoggiata sul comodino “Oh mamma è tardi!”
“Hai lezione?” indagò lui, seguendola con lo sguardo mentre usciva di corsa dal letto e cercava di recuperare tutti suoi vestiti sparsi per la stanza.
“Si! Cavolo mi sta aspettando! Dormo sempre troppo quando rimango qui!”
“Chi è?”
“Chi è chi?” domandò Minako mentre si sistemava la maglietta e infilava le braccia in un cardigan grigio.
“Quello che ti aspetta…”
“E’ una lei, tranquillo!”
La mente e il cuore di Akira si placarono a quelle parole. Era estremamente geloso e convinto che la sua bella ragazza non facesse fatica a far strage di cuori.
Ce ne sono milioni la fuori meglio di me e più raccomandabili…
Quel pensiero ogni tanto tornava a torturarlo.
“Non fare pensieri stupidi! Io vado!” disse sorridendo Minako.
“Aspetta ti accompagno di sotto…”
“So badare a me stessa!”
“Ma ci sono un sacco di…”
Minako lo zittì con bacio “Arriverò sana e salva fuori da questo posto, nessuno mi tocca…sanno che sono tua!” e con quelle parole scappò fuori dalla porta correndo.
 
 
*
 
Grazie, grazie, grazie! Grazie al cielo ho incontrato questa Usagi e suo marito!
Setsuna si sentì rinvigorita entrando nella stanza d’ospedale di Rei. Se non fosse stato per i due sconosciuti,  non avrebbe scampato una crisi di nervi e probabilmente sarebbe stata spedita al reparto di psichiatria.
“Ehi…” sibilò Rei vedendola entrare.
Setsuna la salutò con un cenno della mano per poi avvicinarsi al lettino.
Si sentì stupida e imbarazzata ad essere ancora li, in fin dei conti chi era lei per quella ragazza?
“Io non avrò un bell’aspetto, ma tu non hai scusanti!” le sorrise Rei.
“Direi che stai bene a giudicare dalle battute!”
“Grazie. So che sei stata qui tutto il tempo per me!”
La donna si sedette “figurati…”
Seguì un momento di silenzio in cui la mano dell’ispettore si posò istintivamente sul capo della mora che sussultò leggermente a quel tocco.
“Stai meglio?” le domandò accarezzandole i ciuffi corvini della frangia.
Veramente sto rischiando un infarto in questo preciso istante!
“Alla grande!” Rei si abbandonò a quel tocco leggero e delicato che desiderava segretamente.
Meglio approfittarne! Pensò, ringraziando che i suoi pensieri rimanessero solo nella sua testa, anche se avrebbe voluto volentieri gridare per la gioia per quel gesto che Setsuna le stava riservando.
“Mi hanno fatto la trasfusione…” cominciò a spiegarle “fortuna ero svenuta, così non mi sono accorta di nulla!” rise imbarazzata per la propria paura degli aghi per poi continuare “mi hanno dato i punti e il mio braccio è come nuovo! Beh circa…Deve stare a riposo, non posso sforzarlo!”
Setsuna annuì con il capo e poi guardò la gamba destra fasciata che giaceva sul letto “e di quella che mi dici?”
“Niente di grave…”
“E’ rotta?” domandò guardandola fissa negli occhi per capire se era in arrivo qualche piccola bugia da parte di Rei.
“No…” disse con tono poco deciso “Ci sono finiti solo un po’ di vetri…una botta insomma…”
“Rei!”
“E’ la verità!”
“Mi prendi in giro? Guarda che è il mio lavoro capire se la gente mente o meno! Sei proprio una criminale!”
La ragazza sbuffò “Ok va bene, è qualcosa di un po’ di più…diciamo che dovrò usare le stampelle per un po’!”
“Così va meglio!” disse soddisfatta Setsuna interrompendo poi il contatto fisico con l’altra.
Più le stava vicino più le veniva voglia di non allontanarsi da lei e quella sensazione era un problema, un enorme problema.
“Ci sarà del lavoro da ufficio…” la rassicurò.
“CHE COSA?! Ecco vedi?! Lo sapevo mi sbattevi dietro ad una scrivania!” disse piccata l’altra incrociando le braccia al petto e mettendo su il muso.
“Oh andiamo! Pensavi di poter fare inseguimenti e altre cose del genere tutta malandata?”
Non mi vuoi vicina a te! Non mi vuoi con te! Ma io farei di tutto per stare al tuo fianco, mi beccherei una pallottola…beh su questo ci sono andata già vicina direi…
Il fiume di pensieri di Rei venne bloccato dalla voce dell’altra, che con la potenza di quelle parole che stava pronunciando; e che Rei faticava a credere fossero realtà, riuscì a mozzarle il respiro e a farle accelerare prepotentemente il battito.
Setsuna Meiō, tu hai il potere di uccidermi!
“Sei troppo preziosa per me, Hino. Se ti succedesse qualcosa…”
Zitta Setsuna, stai esagerando, tappa la bocca!
La donna lasciò cadere il discorso nel silenzio senza finire la frase per paura di dove si fosse potuta spingere. Per paura dei propri sentimenti, di come sarebbe stata coinvolta, di come tutto questo avrebbe inciso sulla carriera.
Lei e l’ignoto non andavano d’accordo.
 
Rei da parte sua, cercò di tornare sulla terra ferma.
“L’hanno preso?” chiese riferendosi ad Haruka.
“No. Ci è scappato!”
“Ho una teoria…” disse decisa la ragazza.
“Sentiamo!” esclamò Setsuna appoggiando il mento sulle braccia incrociate sopra al lettino.
Era tremendamente stanca ma voleva ascoltare Rei, in fin dei conti aveva avuto l’intuizione giusta con la corsa e ne era sicura, la ragazza aveva del potenziale.
“Credo non si tratti di rapimento!”
“Cosa te lo fa pensare?”
“L’ho vista, ho visto come ci ha guardate quando ha capito che eravamo della polizia, non era uno sguardo di sollievo il suo. Era come quello di una persona colta sul fattaccio, come dire…siamo sicuri non sia tutta una messa in scena?!”
Gli occhi dalle sfumature porpora si assottigliarono divenendo due piccole fessure.
“Credi che sia andata via di casa e che solo i parenti pensino si tratti di rapimento?”
Rei fece spallucce appoggiando meglio la schiena al cuscino.
“Magari all’insaputa della sorella e del padre fa parte di un giro losco e il rapimento è stata tutta una farsa per uscire di scena e dedicarsi ad attività illecite…”
“mmh” le palpebre della donna si fecero pesanti.
Michiru Kaiō non sembra aver nulla della criminale.
“Facciamo così…” disse sbadigliando e continuando a tenere il capo appoggiato al lettino “vado a fare altre due chiacchere con la sorella, così da escludere o meno anche questa tua ipotesi, per quanto credo sia improbabile!”
Il respiro le si fece pesante e senza che se ne potesse rendere conto cadde in un sonno profondo senza sogni.
Rei se ne accorse e sorrise, sfiorandole una guancia con le dita.
“Davvero sono importante per te?”
 
 
*
 
 
Dopo quel bacio Haruka e Michiru non si erano più rivolte la parole.
Haruka era stata fuori tutto il tempo per poi tornare a notte fonda e addormentarsi con tutti i vestiti ancora addosso e uscire nuovamente, mentre lei era stata per un po’ sotto la sorveglianza amichevole di Marta e Akira prima che anche i due si ritirassero.
Michiru sospirò appoggiata al piano del cucinotto mentre si versava una tazza di tè fumante.
Questa faccenda ha dell’assurdo.
Soffiò sul liquido scuro e prese a guardare il vuoto.
Dov’è andata? Cosa voleva dirmi con quel bacio?
Sbuffò scocciata per poi bere un sorso della bevanda, attenta a non scottarsi, quando la porta si aprì facendo entrare Haruka piena di sacchetti tra le mani.
Michiru inarcò confusa un sopracciglio.
Non ha l’aria di una che fa shopping in modo sfrenato.
“Ciao!” la salutò avvicinandosi con la tazza in mano.
L’altra soffocò un’imprecazione chiudendo la porta con un calcio.
“Ciao!” rispose piegandosi sugli acquisti.
“Ooh si!” esclamò una volta che si fu liberata di uno dei sacchetti in plastica colorati estraendone una scatola.
“Vuoi del tè?” domandò Michiru cercando di frenare la curiosità morbosa che la stava assalendo.
“Naaa!” Gli occhi della bionda s’illuminarono.
“Cos’è tutta quella roba?”
“Una play station e…una ventina di giochi!”
“Perché hai preso una playstation? E…sono necessari tanti giochi?”
Haruka si bloccò guardandola come se avesse appena detto un’eresia.
“IO…ti faccio un regalo…” gli occhi cobalto si fecero sottili e minacciosi “e tu…ti lamenti?”
“Calma, tu mi fai cosa?” Michiru indicò con una mano la montagna di roba davanti all’altra “sarebbe per me?!”
Era interdetta “Io non so nemmeno come si usa!”
“Vedi?” Haruka si portò le mani ai fianchi “lo stai facendo ancora una volta, ti lamenti!”
“Non era mia intenzione…solo che, non capisco!”
“E’ per non farti annoiare mentre sono via…” spiegò scompigliandosi i capelli “ho cercato un violino in realtà, ma poi ho pensato…ehi ci si passa di più il tempo se fai qualcosa che non sai fare!”
“Quindi ho l’aria di una che non sa usare quell’aggeggio demoniaco, giusto?”
“Esatto!”
Michiru sorrise “mh, ha senso!”
“Ora la monto! Poi…ti lascerò in balia dei giochi, quando torno…voglio che tu mi sappia battere almeno ad uno di questi!” disse seria.
Mi verrà una crisi epilettica a stare davanti allo schermo tutto il tempo che starà fuori!
“Hai avuto un pensiero carino…” La ragazza si liberò della tazza e si sedette a guardare i cd contenenti i giochi più disparati “per quanto strambo…”
Si lasciò sfuggire una risatina leggera “Ok, questo con le macchine no, ne ho avuto abbastanza di corse!”
“Mi scarti in quel modo need for speed? Sei folle! Sei proprio una novellina!” disse scuotendo rassegnata il capo Haruka.
“Come va la scapola?” Cambiò discorso l’altra.
“I punti tirano un po’, ma tutto bene!”
Non interessarti così, per favore.
“Non dovresti tenerla a riposo? Starai via tanto?”
Devo uscire per starti lontana o impazzisco Michiru.
“Non so ancora quanto…” sbiascicò Haruka trafficando con alcuni cavi.
“Ma…” Michiru esitò un momento “non potrei venire con te anzi che stare qui? So che è rischioso ma ormai penso sappiano qual è la faccia di entrambe!”
“Non se ne parla”.
Ecco il muro di ghiaccio che ritorna ad ergersi imponente!
“Perché?” continuò ugualmente nella speranza di non rimanere sola in quell’appartamento.
“Hai paura di Daisuke?” domandò Haruka interrompendo ciò che stava facendo per poi guardarla finalmente negli occhi per la prima volta da quando era rientrata.
Michiru boccheggiò. Cosa doveva rispondere?
“Chiederò a Minako di passare…ti sta simpatica no?”
L’altra annuì col capo silenziosa.
“Magari se non ho bisogno di Akira mando pure lui, così siete più sicure, ma Daisuke lo tengo d’occhio io, tranquilla”.
La sua attenzione tornò a spostarsi sulla televisione.
“Ho sempre voluto una playstation” sorrise leggermente mentre lo schermo si sintonizzava alla console.
“Ah ecco perché te la sei comprata! Di la verità!” la prese in giro Michiru.
“Diciamo che ho colto l’occasione al volo!”
 
 
*
 

Ami lanciò un’occhiata a l’orologio da polso che segnava le undici e un quarto.
“Non facciamo il tragitto assieme per andare a casa?” domandò Minako guardandola controllare l’ora per poi attendere qualcuno sulle scalinate della facoltà.
“Prima mi ha chiamata l’ispettore di polizia, deve farmi qualche domanda, ci metterò poco, però se devi andare…”
Minako la interruppe “come mai centri con la polizia?” domandò allarmata ed incuriosita allo stesso tempo.
La ragazza dai capelli corti si guardò attorno come per controllare di non essere vista o sentita da qualcuno “Sai che ho una sorella più grande che vive ad Osaka no?!”
L’altra accennò con il capo un si.
“E’ venuta qualche giorno da noi, qui a Tokyo…”
Minako la osservò un momento, credeva di non aver mai visto un blu così intenso di occhi fino a quando non aveva incontrato Michiru.
ODDIO SUA SORELLA E’ MICHIRU?
Ami stava continuando a parlare spiegando la situazione gesticolando leggermente e talvolta assumendo in volto un’aria preoccupata, ma la biondina aveva smesso di ascoltare perché era arrivata alla soluzione da sola, notando alcune somiglianze tra le due, fino a che nella sua visuale non entrò la figura di Setsuna che le chiarì ogni eventuale dubbio.
La donna della corsa! Merda!! Dovrei filarmela? Mi riconoscerà?
Valutò che se fosse corse via all’improvviso sarebbe risultata ancora più sospetta perciò decise di rimanere sperando di non cacciarsi nei guai.
 
 
“Ami, buongiorno! Scusa se ti ho avvisata all’ultimo, mi sono addormentata all’ospedale e…” Setsuna s’interruppe fissando Minako per un momento “mi sono data una sistemata!”, sibilò senza cavarle gli occhi di dosso.
La ragazza s’irrigidì.
Oh cavolo…lo sa!
“Ispettore Setsuna Meiō, piacere!” disse tendendole la mano.
Fai buon viso a cattivo gioco, sa chi sei Minako, lo sa bene!
“Minako…” deglutii cercando di risultare il più naturale possibile “Minako Aino!” disse ricambiando la stretta.
“E’ una tua amica Ami?”
“Si, frequentiamo alcuni corsi assieme!” confermò sorridente la ragazza, ignara che le due erano rispettivamente sulla difensiva e sull’attacco.
“Sta meglio la persona che è andata a trovare?” chiese poi sinceramente preoccupata.
“Se l’è cavata con qualcosa di rotto, poteva andare peggio!”
“Ne sono contenta, cosa doveva chiedermi? Sa…vorrei andare a casa da mio padre, son sempre un po’ in ansia a lasciarlo solo ora, dopo l’infarto e il resto!” spiegò Ami, sperando che la questione le portasse via poco tempo.
“Ma certo!” Setsuna le sorrise “faremo velocissimo e poi volevo rubarti un attimo la tua amica se ha tempo da dedicarmi…”
Ami guardò interdetta Minako che annuì col capo “non ci sono problemi!” confermò, “andremo a casa insieme un altro giorno se l’ispettore ha bisogno di me!” concluse poi lanciando uno sguardo d’intesa all’amica.
Che diavolo vuole?
“Avrei bisogno di un bel caffè nero forte, possiamo andare a sederci al bar all’angolo? Vi offro qualcosa…” propose Setsuna.
Ti metterò sotto pressione Aino, ti spremerò fino a che non canterai se centri con questa storia!
 
 
 
*
 
 
“Ehi!” Haruka entrò come se fosse a casa sua nell’appartamento di Akira.
“Non si usa più bussare?”
“Tieni sempre aperto!” fece spallucce l’altra appoggiandosi alla parete con le mani in tasca.
“Allora andiamo?”
“E dove?” domandò Akira piegandosi a raccogliere da terra dei contenitori take away.
“Non vedi? Sto facendo le pulizie! Sono un tantino impegnato…quando passa di qui Minako è come se un terremoto distruggesse la casa…”
“Ma perché mangiate per terra?” chiese Haruka notando i piatti sul pavimento in marmo lucido, “hai un bellissimo tavolo in cucina, se non lo vuoi me lo prendo io!”
“Non se ne parla! Accattona!” Akira la fulminò con lo sguardo, quella ragazza aveva la tendenza a portarsi via tutto quello che le passava per l’anticamera del cervello se le piaceva o riteneva fosse meno utile a qualcun altro.
“Ci piace stare sul tappeto, soprattutto quando d’inverno accendiamo il caminetto…” spiegò il ragazzo, rispondendo alla precedente domanda.
“Dovresti trasferirti…”
Il moro si bloccò a quelle parole mollando il grande sacco di spazzatura che aveva in mano.
“Come?”
“Dovresti andare via di qui, è una cosa seria con Minako ormai, no?!” sospirò un momento, “non hai timore le possa accadere qualcosa rimanendo in questo palazzo? I soldi non ci mancano con questo lavoro, potresti benissimo permetterti una casa tua…tanto non sarebbe come scappare, la yakuza saprebbe comunque dove sei, ma almeno…”
“E lasciarti qui sola?!” La interruppe di colpo.
Haruka rimase con le labbra schiuse per la sorpresa.
“So badare a me stessa!” lo disse sorridendo, con una punta di felicità nel capire che quel ragazzo ci teneva realmente a lei.
“Non ho dubbi su questo, te la sei sempre cavata. A volte penso di essere io quello che ha più bisogno di te dei due…Non ti lascio qui da sola, va bene così! Minako lo sa, lo capisce e non si lamenta! Se ho lei e posso tenere sotto controllo te, non mi manca nulla!”
Akira…
La ragazza dovette trattenere una smorfia di stupore per quelle parole.
Akira è davvero un amico prezioso anche se è un rompi scatole a volte!
“Stai diventando piuttosto sentimentale!” lo sbeffeggiò lei.
“Ogni tanto puoi toglierla quella maschera lo sai?!” disse lui riprendendo a riordinare la stanza, “non serve fare sempre la dura, ti conosco ormai!”
Sacrosanta verità.
Haruka sembrò passarci sopra con indifferenza a quelle parole, anche se nel profondo sapeva che Akira aveva pienamente ragione.
Lui c’era sempre stato. Anche quando lei era una ragazzina taciturna e arrabbiata col mondo, che se gli rivolgeva la parola era solo per offenderlo, perché non voleva altro che essere lasciata in pace col suo dolore, lui non aveva mai smesso di starle vicino.
 
“Non piangere Haru!”
“Non sto piangendo, vattene!” gli gridò contro con gli occhi cobalto colmi di lacrime.
“Si che lo stai facendo, guarda che non ti prenderò in giro io voglio solo aiutarti!” le disse il ragazzino moro mentre cercava di avvicinarsi a lei per darle un po’ di conforto.
“Sei uno stupido!” Haruka mollò ad Akira uno schiaffo sulla mano che stava cercando di raggiungere la sua spalla. “Io non faccio amicizia con la gente che non capisce niente! Non sai nulla! Non ho bisogno di te! LASCIAMI IN PACE!”
Il suo urlare non serviva a niente, quel bambino continuò per sempre a darle il tormento.
 
La bionda scrollò quel ricordo dalla sua mente.
Non lo volevo proprio in mezzo alle scatole!
“Senti ma…” cominciò Akira curioso, “cosa c’è di preciso tra te e Michiru?” chiese lavandosi le mani e asciugandole nella maglietta stropicciata.
Haruka ignorò quella domanda “sei pronto? Usciamo? Dai che devo fare la spesa!”
Il ragazzo le aprì la porta uscendo seguito dalla bionda, “Tu non cucini Haruka…” girò la chiave nella serratura.
“Però bevo e…Michiru prima o poi dovrà mangiare, era buono il tuo panino l’altro giorno!”
“NON LE HAI DATO DA MANGIARE A QUELLA POVERA RAGAZZA?” la voce del moro rimbombò per tutto il corridoio.
“Non gridare! Non sono sorda!”
“Haruka, stai scherzando vero?”
“Non ne ho avuto il tempo e poi lo hai detto tu, io non cucino!”
“Tu la stai evitando! Lo fai apposta!” Akira ebbe la rivelazione.
“Non farti strani film mentali, non prendere questo vizio dalla tua donna per cortesia!” disse la ragazza fissando il volto dell’amico e collega, che stava assumendo svariate espressioni.
“Anche la spesa è una scusa! Ma guarda te! Non le vuoi stare vicina! La baci e poi…Oh si, sei stramba! Una persona contorta come te non la si trova sulla faccia della terra!”
“Hai finito di analizzarmi?” chiese scocciata Haruka premendo il tasto per la chiamata dell’ascensore, “cosa sei uno strizza cervelli?”
“Ammettilo!”
“Non ho niente da dire!”
“Ammettilo che ti piace!” Akira le puntò un dito contro mentre le porte dell’ascensore si aprirono rivelando la figura di Disuke davanti a loro.
“Si ammettilo che sei come quello stolto di tuo padre!”
Le iridi di Haruka si sgranarono a quelle parole.
“Non pronunciare una parola su mio padre con quella maledetta bocca!” scandì minacciosa ogni parola per chiarire il concetto.
“Cos’è…ti vergogni per caso di lui? In effetti…” Daisuke sorrise malevolo “era un debole, non c’è che dire!”
“Non l’hai sentita? Taci, Daisuke!” gli disse Akira trascinando Haruka con sé nell’ascensore per evitare una rissa.
“Ah…il caro Ten-ō” l’uomo sospirò alzando gli occhi al cielo, “così dai buoni sentimenti…”
Ad Haruka gli ribollì il sangue.
“Così premuroso…”
Akira spinse il pulsante del piano terra e le porte metalliche cominciarono a muoversi.
“Così stupido!”
La mano della ragazza premette violentemente il tasto del blocco dell’ascensore.
“Tanto imbecille da farsi ammazzare, perché non ha ubbidito su una semplice, piccola, cosa che gli era stata chiesta!”
“VERME!” La bionda scattò in avanti verso di lui balzandogli addosso come una pantera che attacca la propria preda.
“Non devi nominarlo!” Si avvinghiò alla vita di Daisuke buttandolo a terra e colpendolo con un pugno in viso.
“TACI BASTARDO!” Un altro pugno in pieno volto.
“NON SAI NIENTE!” la sua voce era talmente alta da coprire le grida dell’uomo quando ricevette il colpo in pieno setto nasale.
“SCHIFOSO!”
Daisuke sputò sangue dopo essere stato colpito dalla furia cieca dalla ragazza che non accennava a mollare la presa.
“Ok, Haru…fermati!” intervenne Akira tirandola per le spalle.
“NO! DEVE MORIRE!”
Daisuke vide come un lampò attraversarle gli occhi blu oltreoceano che lo fissavano spietati, iniettati del più puro odio.
“Ti vuole provocare, non devi starlo a sentire, succederà un casino se non ti fermi, dammi retta!”
“lasciami Akira, lasciami adesso o giuro ti metto le mani addosso!”
L’amico non accennò a lasciarla andare, la trascinò di peso allontanandola di poco dall’uomo, anche se Haruka opponeva resistenza e scalciava come un toro impazzito nel vedere il colore rosso davanti a sé.
“Lascia che mi faccia del male!” disse tenendosi tamponato il naso massacrato.
“Lascia che crei discordia e rompa l’equilibrio della pace interna, così…” s’interruppe imprecando per una fitta di dolore per poi continuare, “anche l’oyabun si renderà conto, che una sporca lesbica come lei, non è degna di essere un membro della ikka, come non lo era quel debole di suo padre!”
A quelle parole Akira lasciò andare l’amica che aveva smesso di dimenarsi.
“Io…” deglutì ricacciando indietro le lacrime di rancore e dolore che spingevano per uscire dai suoi occhi. “Nemmeno volevo essere parte di questa ikka…”
Serrò i pugni. Non avrebbe pianto davanti a lui, non avrebbe pianto davanti a nessuno.
Stringendo gli occhi le immagini della sakazukishiki le tornarono prepotentemente in testa.
 
 
“Farò di te il mio kobun!” sentenziò l’uomo considerato come un Dio dall’associazione criminale.
“Grazie alla tua immensa generosità diventerò il tuo kobun!” disse con voce piatta e priva d’entusiasmo la ragazza rimanendo seduta sulle ginocchia davanti al piccolo banchetto che la divideva da lui, da chi aveva fatto uccidere suo padre a sangue freddo.
L’ uomo prese la tazza contenente il sakè e la portò alle labbra bevendone un sorso per poi porgerla ad Haruka che compì lo stesso gesto.
“Avendo bevuto dalla coppa dell’ oyabun e lui dalla tua, da ora in avanti devi lealtà alla ikka e devozione assoluta al tuo oyabun. Anche se tua moglie o i tuoi bambini muoiono di fame, anche a costo della tua stessa vita adesso, il tuo unico dovere è seguire la ikka e il tuo oyabun. L’ oyabun è il tuo solo genitore e parente, seguilo attraverso il fuoco e le inondazioni. Da ora in avanti non avrai altra preoccupazione fino alla morte.”
Dopo aver udito quelle parole e prendendo coscienza di ciò che da quel momento in poi le sarebbe aspettato, indossò il tipico happi.
“E’ come avere un figlio naturale!” Affermò il carnefice.
 
 
 
 
L’angolo delle spiegazioni:
Per non lasciarvi in balia dei dubbi vi racconto qui qualche cosa per farvi comprendere soprattutto l’ultima parte del capitolo, in cui ho usato espressioni giapponesi e attinenti al mondo della yakuza.
 
Ikka= è la famiglia. Ogni yakuza appartiene ad una Ikka a cui giura fedeltà.
Kobun= figlio. Ogni nuovo componente diventa un figlio per l’Oyabun che rappresenta il padre della ikka.
 
Sakazukishiki = è una cerimonia del tè che si fa ogni volta che una persona diventa membro della yakuza. Si ha un banchetto che comprende due piccole coppe di sake, sakazuki, un piatto con due pesci cucinati e disposti fianco a fianco una piccola ciotola di sale, una di riso. L’oyabun unisce tutta questa roba e poi beve il sake offrendolo al Kobun che deve bere dalla stessa coppa. Dopo questo rituale il nuovo membro viene informato dei suoi obblighi (le frasi sono state riprese tali e quali da quelle che vengono pronunciate nella cerimonia).
Dietro a tutto questo c’è un significato simbolico e religioso Simbolicamente i due pesci sono considerati segno di concepimento e di nascita; la mistura simboleggia il legame tra le parti mentre, il dono (happi) del nuovo abito rappresenta quello del giorno di nascita.
 
Happi= giacca in cotone con sopra ricamato il simbolo o il nome della famiglia (se non erro)
 
Dal momento in cui la persona diventa membro effettivo della yakuza è tenuto a:
 
1. Non toccare la moglie di un altro componente;
 
2. non fare altro che la “normale” attività anche se sotto la pressione della povertà;
 
3. se catturato,non rivelare alla polizia i segreti dell’organizzazione;
 
4. dedicati al tuo oyabun con lealtà assoluta;
 
5. non usare il linguaggio “ordinario”; usa il linguaggio speciale della kumi o quello gergale.
 
-       Daisuke fa riferimento allo spezzare una certa “pace”. L’oyabun è tenuto a far si che tutti i membri mantengano la pace interna della famiglia, quando questo non accade si prendono provvedimenti. (Di conseguenza baruffe ecc dovrebbero essere pagate a caro prezzo suppongo)
 
 
Note dell’autrice:
 
Figuriamoci se dopo le spiegazioni non mi perdevo a fare due chiacchere! :P
Dunque dunque…per augurarvi un buon weekend ecco un altro capitolo, sono poi brava no? Non faccio passare tanto tempo tra uno e l’altro come all’inizio.
Forse preferivate che lasciassi più spazio ad Haruka e Michiru, però ho ritenuto opportuno scrivere un po’ di più anche degli altri personaggi. Insomma lo spazio “tolto” a loro non mi sembra sia stato sprecato inutilmente, poi voi potete avere un’opinione diversa chiaramente :D
La situazione di Minako che incontra Setsuna, non l’ho voluta terminare qui perché volevo affrontarla un pochino meglio nel prossimo capitolo. Penso sia un po’ cruciale, non trovate?
La scena tra Akira e Haruka non doveva esistere e il litigio con Daisuke nemmeno. La cosa doveva limitarsi a una minaccia di costui nei confronti della nostra eroina. Ma ho colto l’occasione per farla sfogare un po’ e soprattutto per accennare ancora una volta al suo passato che dovevo chiarire del tutto qui, ma non ci sono riuscita. Per lo meno sappiamo qualcosina in più!
Bene, smetto di blaterare!
Un bacione Kat

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Capitolo 11
*** 10. Quanto sei disposto a rischiare per chi ami? ***




Setsuna mescolò ancora una volta la sua dose di caffè nero forte per poi fissare con uno sguardo velatamente minaccioso Minako, seduta di fronte a sé, intenta a guardare la sua ciambella ricoperta di glassa colorata che giaceva intatta sul piattino in porcellana bianca.
Ami non capendo quella strana tensione che alleggiava tra le due, bevve un sorso del suo tè verde caldo spezzando poi il silenzio rivolgendosi all’ispettore.
“Cosa voleva chiedermi?”
La donna sembrò pensare un momento a come porre la domanda, posò con un gesto lento il cucchiaino al tavolino valutando se fosse il caso di parlare apertamente davanti alla ragazza sospetta.
“Io e la mia collega ci chiedevamo se Michiru non fosse in un giro sospetto già prima di essere rapita…”
La ragazza poggiò la tazzina scuotendo vigorosamente il capo.
“Mia sorella è una persona per bene, ispettore!” Le mani cercarono la stoffa della gonna blu per poi intrappolarla tra le dita smilze.
“Sta forse insinuando…” il dubbio s’impossessò dei tratti del suo viso, “che la sparizione di Michiru sia tutta una messa in scena?”.
Setsuna soffiò sul liquido nero per poi dare appoggio alla sua tesi.
“La mia collega ha notato che l’altra sera, sua sorella era come spaventata da noi. Anzi che essere sollevata dalla nostra presenza è sembrata più una persona colta sul fattaccio. Come se l’avessimo scoperta a far qualcosa di sbagliato!”
“Impossibile!” il tono di Ami era fermo e risoluto.
“Ne sei sicura?”
“Le ribadisco che non è il tipo di persona da fare cose spericolate o frequentare strani ambienti  o pochi di buono, inoltre…Michiru vive ad Osaka. Non ha contatti con persone di Tokyo escludendo me e nostro padre!”
L’ispettore sospirò, “La Yakuza è un’organizzazione vasta e potente, è in tutto il Giappone e non solo. E’ talmente estesa da esistere anche in America”.
Ami la guardò sorseggiare il caffè per poi guardare l’amica che non si era ancora decisa a mangiare il dolce che aveva ordinato. Cosa insolita considerando la sua golosità e voracità nel far sparire qualsiasi alimento che fosse ultra colorato e contenesse zucchero.
“Non è la pista giusta…” si alzò dalla sedia, recuperando la propria borsa e i libri universitari.
“Minako – chan, hai bisogno che rimanga ancora? Se vuoi chiamo mio padre e…”
“No, tranquilla!” la bionda le rispose con un debole sorriso “vai da Yoshio e salutamelo tanto!”.
Strinse la mano dell’amica affettuosamente per poi guardare Setsuna negli occhi e aggiungere “sono convinta che l’ispettore, mi tratterà con gentilezza…non c’è motivo di preoccuparsi!”
“Si, l’ispettore è una persona gentile!” la rassicurò l’amica.
“Arrivederci Ami!” La salutò Setsuna facendole un cenno con la mano.
“Mi raccomando, faccia il possibile per trovare Michiru e non abbia dubbi su ciò che le ho detto. Inoltre…Minako è una cara amica e una persona splendida, non me la spaventi!”
Come sei ingenua Ami. “Sarà fatto!”
Minako lasciò andare l’amica e la guardò allontanarsi da loro in pochi passi.
Incrociò le gambe sotto al tavolo psicologicamente pronta ad affrontare ogni domanda della donna che si trovava davanti.
Caffè nero, non zuccherato. Le piace la roba amara, sembra un osso duro.
Il vizio di valutare la gente dalle proprie abitudini non l’abbandonava nemmeno nei momenti di maggiore tensione.
“Che ci facevi l’altra sera a quella gara clandestina?” Setsuna fu rapida e concisa.
Il tono era secco e severo e lo sguardo non lasciava trapelare alcuna pietà. Voleva una risposta a bruciapelo, non ammetteva cedimenti.
“Mi piacciono le belle automobili, è un problema?”
“Se consideri che illegale partecipare ad eventi del genere, lo è. Potrei sbatterti dentro per un po’, questo lo sai?”
Minako fece spallucce e si decise ad addentare la ciambella.
Zuccheri per il cervello per una buona difesa!
“Ne vuole un po’?” chiese poi avvicinando il piattino al viso dell’altra.
“No, grazie.”
“Il caffè nero è un po’ triste da solo!”
“Sono tristi molte cose a questo mondo”.
“Sembra una che sorride poco lei, lo sa?”
Dove vuole andare a parare questa ragazzina?
“Io sono sempre molto allegra! Aiuta ad affrontare meglio la giornata!” continuò Minako addentando ancora una volta il suo dolce.
“Nel mio lavoro c’è poco da stare allegri”, tagliò corto l’altra.
“Come puoi essere amica di Ami e sapere della situazione di sua sorella?”
“Come prego?!”
“Non mentire Aino, centri in questa storia, ci sei dentro fino al collo!”
Minako rise, “dice queste cose basandosi su una corsa?”
“Che rapporto hai con Michiru?”
“Non so chi sia!” disse decisa, la voce non mostrò alcuna incertezza.
Negare, negare, negare. Nega anche l’evidente Minako!
“Mi sembrava…” Setsuna s’interruppe un momento lasciando che la cameriera ripulisse il tavolo per poi abbandonarle nuovamente. “Che conoscessi bene quello yakuza moro”.
Akira! Al pensiero del fidanzato il cuore perse un battito.
Non lo caccerò nei guai, farò tutto quello che posso per proteggerlo!
“Ha visto quanto era bello?”
“Sicuramente affascinante…”
“Beh ho un debole per i ragazzi così, insomma capisce cosa intendo?”
“Ti piacciono quelli pericolosi?” indagò la donna cercando di rimanere concentrata sul discorso e le espressioni dell’altra.
“Il bad boy ha un’indiscutibile fascino ma non è quello…voglio dire…” La bionda si portò una mano vicino alla bocca e abbassò il tono di voce “un bel sedere come quello non si trova tutti i giorni in giro!”
Si sistemò nuovamente sulla sedia continuando la sua farsa e aggiunse; “inoltre oltre a quello era proprio bello, sembrava uscito dalla televisione, avrebbe la stoffa per fare l’idol e non me lo sono fatta scappare! Ma…è stata una cosa di una sera, non gli ho nemmeno chiesto il nome!”
“Sei una ragazza piuttosto audace!” ne convenne Setsuna.
“Mi piacciono le toccate e fuga. Niente storie serie. Massimo divertimento, minimo sbattimento!”
“Non vuoi impegnarti insomma…”
“Esatto!”
Non ho prove su questo, non posso certo incastrarla in questo modo.
“Senti Minako…” la donna tamburellò le dita sul tavolo, “hai mai tenuto tantissimo ad una persona?”
La ragazza accennò un si col capo mentre il pensiero tornava ad Akira.
“Sai…una persona a me cara è stata ferita e ha rischiato grosso per questa storia”.
“Capisco…” disse flebilmente “mi dispiace”.
“A me dispiace molto di più! per ora mi hai convinto della tua innocenza ragazzina…” Si alzò dalla sedia puntando i palmi sul tavolo e guardandola fisso negli occhi grandi azzurri, “ma se vengo a scoprire che hai mentito, non te la farò passare liscia, è una promessa!” E così dicendo le voltò le spalle dirigendosi alla centrale.
 
 
 
*
 
 
“FERMATI HARUKA! COSI’ LO FAI FUORI SUL SERIO!” Akira stava urlando cercando di liberare dalle grinfie della ragazza l’uomo che giaceva a terra sotto il suo corpo, il cui viso stava prendendo le gradazioni del viola.
Era stata questione di un attimo.
Un momento prima Haruka piangeva arrabbiata dalla parte opposta di Daisuke e pochi istanti dopo gli si era fiondata urlante addosso, puntando al collo del l’uomo, cercando di soffocarlo, presa da una rabbia disumana.
“E’ quello che voglio lo faccio fuori!! Crepa bastardo!”
“Haru credimi vorrei tanto lasciartelo fare, ma dopo ci saranno conseguenze peggiori delle frecciatine di questo, ci ritroviamo alla gogna!”
“Voglio ammazzarlo con le mie mani! Lo faccio Akira, LO FACCIO!”
Le dita premettero più forte sulle vene visibili del collo.
Lo Yakuza scalciò riuscendo a raggiungere con le sue mani il volto della ragazza ancora rigato dalle lacrime salate.
Akira venne attirato dai numeri dell’ascensore sul monitor che scorrevano veloci.
“Merda arriva qualcuno! Molla la presa Haru!”
La ragazza non gli prestò attenzione, non aveva nessuna intenzione di lasciare che quell’uomo emettesse un respiro in più.
Feccia, consumi solo ossigeno prezioso su questo pianeta!
Le mani di Daisuke riuscirono a graffiarle il viso facendole istintivamente lasciare il suo collo per coprirsi il volto appena colpito.
“Lurida put!” Un colpo di tosse lo sorprese e Akira lo colpì con un calcio sul viso ormai livido e tumefatto.
“Le buone maniere non sai proprio cosa siano, non si colpisce una donna in viso! E ora…” prese Haruka per un braccio deciso a non mollare la presa e a trascinarla con sé via dalla vista di chi stava per arrivare al piano “Andiamo!”
“MA…”
“Basta con le proteste!”
I due lo abbandonarono sulla moquette in quello stato, scendendo rapidamente una rampa di scale.
“Che fai…stiamo tornando nel mio…”
“Si, appartamento Haruka, stiamo andando proprio a casa tua!”
“E mollami!” ruggì la bionda.
“No!”
“Akira…”
“Minaccia quanto vuoi, continua! Fa i capricci, te ne torni da Michiru ORA!”
Haruka avrebbe voluto gridargli in faccia un “non sei mio padre”, ma la voce le morì in gola senza riuscire ad uscire dalle sue labbra, nonostante il fastidio di essere trattata come un adolescente che va ripresa per qualche bravata.
“Datti una calmata!”
“Io non voglio ent-” non riuscì a finire la parola che venne spinta al di là della porta prima che potesse opporre qualsiasi tipo di resistenza.
Michiru, tutta presa dal gioco sullo schermo sobbalzò alla vista di Haruka che veniva letteralmente fiondata dentro casa.
“Non farla uscire! Fino a che non le torna un po’ di sale in zucca!” Captò appena in tempo le parole di Akira prima che se la svignasse in fretta e furia.
“Ma che…Oddio Haruka!”
La ragazza mollò il controller sul pavimento alzandosi di scatto, nel vedere il suo viso graffiato. “Cosa ti è successo?!”
“Non sono affari tuoi!”
Michiru tentò di avvicinarsi, ma l’altra la scartò facendo per dirigersi in bagno, quando notò qualcosa di diverso nella stanza.
Qualcosa fuori posto.
I suoi occhi si puntarono sulla parete alle spalle di Michiru, era come ipnotizzata.
“Tu…Ma come cavolo?!”
“Prendo il disinfettante!”
“Michiru non cambiare discorso! Hai trovato la biblioteca di mio padre!”
La voce della bionda tuonò.
Cavolo, mi sono dimenticata, che stupida! Che stupida!
“Io…” Michiru cercò una scusa plausibile, ma valutò che in ogni caso sarebbe risultata colpevole.
Maledetta curiosità. E’ un vizio che mi devo togliere non porta mai a nulla di buono!
“E’ bellissima” tagliò corto, recuperando la valigetta del pronto soccorso ormai a portata di mano.
Haruka rimase spiazzata da quella risposta.
Si sarebbe aspettata di tutto ma non quello.
Rimase a boccheggiare fino al momento in cui Michiru le si avvicinò e mettendosi sulle punte le tamponò il graffio sotto l’occhio.
“Allora…chi ti ha ridotto così?” la sua voce era un soffio caldo che la fece rabbrividire.
Si schiarì la voce un po’ imbarazzata “Daisuke”.
Sentì l’altra irrigidirsi appena a quel nome. “Mi dispiace, ti ha fatto molto male?”
“Fisicamente gliene ho fatto più io”.
Fisicamente. Quel particolare non sfuggì a Michiru.
“Haruka…” il suo nome pronunciato così dolcemente fece cadere ogni difesa che aveva cercato inutilmente di alzare ancora una volta. “Dimmi, perché hai pianto?”
“Io…” le guance avvamparono violentemente.
“Io non ho pianto!”
“Hai gli occhi tutti rossi. Si vede. Non c’è nulla da vergognarsi sai…” continuò Michiru, decisa a scoprire tutto.
La bionda la prese per il polso bloccandole ogni movimento con la mano.
“Non devi prenderti cura di me”. Deglutì “Non devi impietosirti”.
I loro sguardi s’incrociarono e in quel momento il suo corpo venne attraversato da un calore sconosciuto.
Il blu degli occhi di Michiru sostenne l’intenso cobalto che la stava affrontando.
Navigò in quelle iridi e tutto quello che riuscì a leggerci fu una tremenda e profonda solitudine.
Quando la presa si fece meno stretta posò la mano sulla guancia di Haruka che sgranò appena gli occhi al suo tocco leggero.
“Che…che fai?” domandò imbarazzata.
Michiru la trovò buffa, all’improvviso sembrava essere diventata impacciata come una bambina.
“Ti faccio compagnia…” disse sottovoce per poi sorriderle.
“Uhm…”
Passò qualche secondo di silenzio in cui le dita della più bassa andarono ad accarezzarle i capelli facendosi più vicina a lei.
“Ti…piace davvero?”
Lo sguardo dell’altra si fece confuso.
“La biblioteca intendo!”
“Oh! Si certo, è molto bella!”
“Nessuno sa che c’è”.
Michiru si allontanò di qualche passo rimanendo ad ascoltarla.
“Solo Akira la conosceva, fino ad ora…” Haruka vi entrò seguita dall’altra. Guardò gli scaffali colmi di libri e portandosi le mani dietro la schiena, compì mezza piroetta per avere una visione più completa di quel posto.
“E’ una vita che non ci entro qui. L’ultima volta avevo dieci anni…mi ci trovò Akira. Non volevo uscire da questa stanza, rimasi a piangerci per una notte intera ma lui…” la bionda scosse il capo abbozzando un sorriso, “lui riuscì a farmi uscire, era già testardo all’epoca!”
Mosse qualche passo posando la mano su una copertina scura e lievemente logorata dal tempo.
“Non volevo entrasse nessuno qui perché l’ultimo che lo fece fu mio padre. Volevo rimanesse tutto uguale. Immutato. Come se il tempo non fosse trascorso e come se lui non fosse morto”.
“Eri piccola quando successe…” a Michiru le si strinse il cuore, pensò al suo dolore a quello che poteva aver provato.
Sarebbe difficile per me se succedesse ora a Yoshio, figurarsi a dieci anni…quando sei ancora una bambina.
“Venne ucciso”.
La frase gelò il sangue a Michiru che rimase con le labbra socchiuse a quella rivelazione.
“Sai…era un uomo buono. Il più buono che io abbia mai conosciuto!”
Io da lui probabilmente invece non ho preso proprio niente.
Lo sguardo di Haruka parve rabbuiarsi.
“Mia madre era molto malata e noi non eravamo gente ricca. Tiravamo avanti a malapena con solo lo stipendio da meccanico di mio padre. I soldi non bastavano per le cure necessarie e in più dovevamo pagare una quota alla Yakuza.”
Si sedette incrociando le mani sulle proprie gambe. Consapevole che non avrebbe retto a quei ricordi.
“Vendette l’officina sperando che il ricavato bastasse per le cure di mia madre ma non fu così. Cercò un altro lavoro ma doveva anche occuparsi di me, così chiese alla yakuza un prestito. Avrebbe fatto qualunque cosa per la donna che amava…”
Michiru venne scossa da un tremito, la raggiunse chinandosi davanti a lei e poggiando le mani sulle sue, come a darle un po’ di forza, anche se era consapevole di non poter lenire in alcun modo quel dolore che si portava dentro da una vita.
Perché le sto raccontando queste cose? Non badò a quel pensiero continuando il racconto come se non potesse trattenere oltre quelle parole.
“Quando ricevi un favore dalla Yakuza, devi dare tutto ciò che hai per ripagarla. Per assicurarsi la tua lealtà l’Oyabun si prende la tua famiglia…”
Ecco come è entrata a far parte di quest’ organizzazione!
Michiru si mordicchiò il labbro inferiore, quel racconto le stava provocando un’ondata di tristezza che non avrebbe mai potuto immaginare di provare per qualcuno che conosceva a malapena.
“Io, mia madre e mio padre diventammo proprietà dell’Oyabun, che investì una cospicua somma di denaro nelle medicine e nei macchinari più avanzati per la sua salute, costringendo mio padre a lavorare per lui. Un giorno…” Haruka dovette fermarsi. Fare una breve pausa o avrebbe cessato di respirare all’istante. Il cuore sembrava volerle scoppiare nel petto.
“Mi fa male il cuore” sibilò abbassando la testa.
I suoi occhi divennero velati, di nuovo lucidi e Michiru a quella vista non poté fare a meno di abbracciarla e tenerla stretta a sé, mentre la bionda veniva scossa dai singhiozzi.
“Lui non ha voluto ucciderli, Michiru, così l’hanno ammazzato! Fino a che si trattava di riscuotere dei soldi con qualche velata minaccia lo fece! ma quando gli venne ordinato di uccidere a sangue freddo degli uomini, disubbidì!”
“E’ terribile Haruka, mi dispiace io…” cosa posso dirle?
Nulla l’avrebbe consolata.
“Mia madre morì, lui morì e io no. IO NO MICHIRU, SONO ANCORA VIVA!”
Haurka si aggrappò alla maglietta che le ricopriva la schiena alla ragazza.
“La persona peggiore di quella famiglia è l’unica che è sopravvissuta!”
“La vita è un dono Haruka…” le accarezzò la testa senza lasciarla allontanare dal suo corpo.
“Tuo padre l’ha sfruttato al massimo, ha fatto tutto ciò che era in suo potere perché tua madre e te viveste il più a lungo possibile perciò non dire così…devi essere grata per essere ancora qui!”.
“Come farò…” venne interrotta da un singhiozzo, “come farò quando lui mi ordinerà di ucciderti?”
A Michiru si gelò il sangue nelle vene.
E’ per questo che vuoi starmi lontana?
“Forse non si arriverà a questo…”
“Ma se…”
“Se, se, se…Se, tu saprai che fare! Fai solo in modo che non capiti nulla ad Ami e a mio padre. Solo questo!”
“Dovevi andartene l’altro giorno in quel garage”. Haruka allentò la presa strofinandosi gli occhi e asciugandosi le lacrime con il dorso della mano.
“Così tu saresti stata libera, lontana da qui e ci sarei andata solo io di mezzo”.
“Smettila di dire queste cose!” l’ammonì Michiru. “Ora ci siamo in due in mezzo”.
Haruka fece scivolare la mano dalla spalla di Michiru fino a sotto il suo mento “saresti piaciuta a mio padre, lo sai?” Sorrise e per un momento la tristezza sembrò svanire dai suoi occhi blu.
Sfiorò le labbra dell’altra con le sue prima di regalarle un vero e proprio bacio.
Un bacio profondo che l’era riconoscente della sua gentilezza e del suo calore, che la ringraziava di esserci in quel momento nonostante tutto e che la ringraziava per averla liberata da quel dolore che covava in lei da anni.
 
 
 *
 
 
Due tocchi decisi alla porta di Akira lo fecero allontanare dal fornello.
Guardò distrattamente l’orario con il mestolo ancora in mano.
E’ troppo presto perché sia Minako e Haruka non bussa mai, lei entra e basta.
Si avvicinò alla porta con una brutta sensazione alla bocca dello stomaco.
“Akira Aoki?”
Alla voce profonda seguì nuovamente un bussare impaziente.
Il moro si decise ad aprire e la figura imponente, di un uomo dagli occhiali scuri e il completo nero si materializzò davanti a lui.
Non dovette presentarsi perché uomini di quel tipo erano facilmente riconoscibili, rappresentavano solo grane.
“Se vuole seguirmi, l’Oyabun desidererebbe parlarle”.
Akira mantenne la calma, spense il fornello e posò il mestolo conscio che quello non era un gentile invito ma un ordina al quale sottostare immediatamente.
La mia zuppa di Miso dovrà aspettare!
 
 
 


Note dell’autrice:
Nonostante mi stia preparando all’esame di cinema italiano riesco ancora ad aggiornare, probabilmente la prossima settimana avrò più problemi ma per ora il capitolo c’è! :D
Cavoli l’ho appena concluso e ho già voglia di continuare!!
Come avete visto sta volta è stato più incentrato su Haruka e Michiru ma ora basta con le mie chiacchere, a voi la parola!

p.s. Il titolo è un pò mongolo come al solito, però credo che rispecchi la situazione dei vari personaggi, tra cui il padre di Haruka
Kat
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 12
*** 11. Thinkin about us, what we gonna be? ***




Minako, dalla faccia ormai conosciuta, era passata senza problemi dalla portineria e aveva salito di corsa le numerose scale del palazzo.
Preferiva salire le rampe a piedi, piuttosto che ritrovarsi intrappolata in ascensore con persone poco raccomandabili.
Quando arrivò alla porta dell’appartamento che frequentava da lungo tempo, la trovò socchiusa.
Chiamò il nome del fidanzato ma non ebbe alcun tipo di risposta.
Entrò facendo piano, non voleva sorprenderlo e spaventarlo se stava dormendo o era sovrappensiero.
Non arrivarmi mai alle spalle, non vorrei farti del male Mina! La sua voce che si raccomandava con lei le rimbombò in testa.
Chiuse la porta alle sue spalle e lo sguardo vagò per l’intera stanza. L’unica luce accesa proveniva dal cucinotto disabitato.
Regnava una strana calma per quelle stanze e un silenzio inquietante era sovrano.
Minako appoggiò la borsa al divano dirigendosi verso la luce.
Ad ogni passo lento ed incerto che compiva, il suo cuore pulsava più violentemente all’interno della sua cassa toracica.
Solitamente canta come un pazzo o fischietta mentre cucina…
La paura di trovarlo ferito o peggio, morto, l’attanagliò formandole un nodo in gola.
Deglutì a fatica e si decise a varcare la soglia della cucina.
Non c’è.
Il pavimento era pulito. Il fornello spento e il mestolo abbandonato sul piano in marmo.
Ispezionò tutto quanto intorno a sé, non c’erano segni di lotta, il ché la rese appena più tranquilla.
“Non è da lui uscire senza lasciarmi un biglietto e soprattutto lasciando una zuppa di miso in quello stato”. Ragionò ad alta voce, sapendo alla perfezione le abitudini del ragazzo e la sua ossessione maniacale per la cucina.
Spinse l’interruttore della luce, illuminando il resto dell’abitazione.
Guardò sul tavolo in vetro nero della sala. Nessun biglietto.
Che mi abbia mandato un messaggio e non me ne sia accorta?
Controllò il cellulare ma non vi trovò alcun sms da leggere.
“Strano, molto, molto strano”.
Si sedette sul divano, pensierosa. Non accese ne la televisione, ne la radio. Voleva rimanere vigile e all’erta. Attenta ad ogni rumore proveniente dall’esterno, anche se in cuor suo sperava solo di sentire al più presto i passi familiari di Akira, che veloci si dirigevano verso di lei.
 
 
*
 
 
“L’orario di visita è terminato dalle otto!” Disse l’infermiera informando Setsuna che non poteva procedere oltre.
“Le dico che io posso entrare!” rispose la donna cercando di mantenere in equilibrio una serie di pesanti fascicoli che teneva stretti, in una pila pericolante, tra le braccia.
Non voleva risultare sgarbata, ma quello non era il momento migliore per fermarsi a discutere.
“Sono l’ispettore Setsuna Meiō, una mia collega è ricoverata nella stanza 12B di questo piano, la prego non mi faccia tirare fuori il distintivo o rischio di spargere ovunque documenti molto importanti!”
La donna rimase un momento in silenzio a riflettere.
Senza distogliere lo sguardo da Setsuna prese in mano la cornetta bianca del telefono e fece per chiamare qualcuno mentre il Dott. Chiba fece la sua comparsa nel corridoio fino a raggiungerla.
“Buonasera Ispettore!” le sorrise gentilmente infilando una penna nel taschino del camice.
“Buonasera Dottor…” Setsuna barcollò appena sui tacchi.
“L’aiuto io, aspetti!” disse lui prendendole la parte di fascicoli pericolanti.
“Cavoli pesano! Deve stare attenta alla schiena!”
“La ringrazio dottore, se fosse stato per l’infermiera starei morendo schiacciata da questa roba!”
L’uomo si rivolse alla donna che li stava guardando male sentendosi presa in causa. “Quando vede l’ispettore lo faccia passare senza preoccuparsi, ha del lavoro importante da svolgere. Non le faccia perdere troppo tempo, garantisco io per lei!”
L’infermiera sbuffò e annuì con un cenno del capo, innervosita dal fatto di esser stata ripresa dal primario.
“Certo che è tardi…” disse Mamoru sbirciando l’orologio da polso, “Sono le due di notte!”
Setsuna si fermò nel bel mezzo del corridoio “Io sono abituata a lavorare ad orari assurdi ma…cavolo! Non ci avevo pensato! Rei è sveglia? Non vorrei disturbarla…”
“Non si preoccupi!” intervenne il giovane, “la stava aspettando! Non vedeva l’ora che venisse a trovarla!”
Le guance di Setsuna presero colore all’improvviso per quella rivelazione.
“Dovete essere molto amiche…”
Amiche...
La donna rispose con un verso soffocato che non assomigliava ne a un “si” umano ne a un “no”.
“Non riceve molte visite. E’ importante però per un paziente la presenza di qualcuno che gli stia accanto!” continuò il dottore fermandosi davanti alla porta chiusa della stanza.
“Comunque se tutto va bene, domani la dimetteremo!”
“Di già?”
“Si è tutto a posto. Abbiamo fatto tutti i dovuti controlli e si riprende bene. Uscita dovrà fare attenzione ai punti della ferita d’arma da fuoco e usare le stampelle, ma non c’è motivo di tenerla in ospedale”.
“Capisco…”
Il Dottor Chiba aprì la porta e la fece entrare “vi auguro un buon lavoro signore!”
“Anche a lei!” risposero in coro Setsuna e Rei.
Non appena rimasero sole la mora la salutò entusiasta.
Alla visita del suo superiore gli occhi sembrarono brillarle.
“Ciao Setsuna! Che bello sei qui! E a quanto pare…hai portato un po’ di lavoro da fare!”
“Già ehm…” la donna poggiò le scartoffie imbarazzata, “Perdonami, non ho tenuto conto dell’orario!”
“Non sono stanca! Non c’è problema! Mi annoio qui!” disse raggiante Rei mettendosi composta sul letto.
“Ha interrogato la sorella di Michiru?” domandò poi, pronta a sapere tutte le novità del caso.
“Si, questa mattina…e ti dirò di più, con lei ho trovato la starter della corsa!”
Rei dovette soffocare un gridolino di sorpresa “Sul serio?!”
L’ispettore annuì con un vigoroso gesto del capo.
“Ami pensa che sia fuori discussione il fatto che Michiru appartenga a un giro losco o sia nella Yakuza, concordo con lei, non mi sembra il tipo. Fedina penale pulita, nessun precedente… Non ha niente della criminale! Quindi direi di abbandonare questa ipotesi…”
Com’è sexy quando fa il suo mestiere…
Rei si diede un pizzicotto sotto la coperta candida per non perdere la concentrazione e non lasciarsi andare a quei tipi di pensieri.
“E dell’altra ragazza che mi dice? Come mai era li con lei?”
Non pensare a cose che non riguardino il caso Rei, accidenti!
“Minako Aino, è così che si chiama. Frequenta alcuni corsi della facoltà di medicina, sembra molto amica di Ami, tuttavia non sembra a conoscenza dell’esistenza di Michiru. Forse la loro è realmente un’amicizia legata solo al fatto di frequentare la stessa università…le ho chiesto di quello Yakuza moro…”
E poi quel taglio degli occhi, quelle iridi così profonde…le sue espressioni quando fa le sue supposizioni e si concentra…
“Sostiene di non conoscere neppure lui, di essere estranea alla faccenda. Mi ha spiegato di essere una di quelle ragazze che non vuole una relazione stabile, così se li trova belli e pericolosi per una notte di divertimento folle, e scappa la mattina dopo senza lasciare spiegazioni!”
Rei aveva completamente abbandonato il filo del discorso persa nel contemplare la bellezza di Setsuna.
“Beh l’ultima frase l’ho aggiunta io, non ha detto propriamente così…sembrava sincera, è un tipo un po’ strano a dire il vero. Però non so…il fatto che frequenti l’ambiente delle corse…magari dovrei tornare a farle qualche domanda.”
Lo sguardo della mora si era fermato sulle labbra rosse per il rossetto dell’ispettore.
“Rei mi stai ascoltando?”
Nessun segno di vita.
La sua espressione accigliata! ah la rende così…
“Rei?”
Seria, matura. E’ bella da impazzire! E poi quelle labbra…
“Rei?! Ti sei incantata?”
Vorrei baciarle, vorrei fossero mie!
Setsuna si alzò bruscamente dalla sedia, avvicinandosi come un fulmine alla ragazza e scuotendola leggermente “Ti senti bene?!”
Il suo tono preoccupato riscosse Rei dai suoi sogni ad occhi aperti.
“Eh?!” la guardò e sentì il calore delle sue mani su di lei.
“Mi hai fatto preoccupare, non rispondevi più e pensavo ti stessi sentendo male!”
L’ho fatta preoccupare. Sono importante per lei.
La presa leggera non accennò a diminuire. Le sue dita sembravano incollate alla sua pelle come se non ci fosse posto più adatto a loro di quello.
“Scusami!”
“A cosa stavi pensando?” le domandò sospirando l’altra.
La mano di Rei scivolò su quella di Setsuna appoggiata al suo braccio.
Il contatto le provocò una scarica di adrenalina.
“A te”.
Rischiò di soffocare nel dire quelle due semplici parole ma non riuscì a trattenersi oltre, perché stare in silenzio a guardarla stava diventando una tortura troppo grande da affrontare da sola.
 
 
*
 
 
“Dovrebbe consegnarmi la sua pistola signore.” Disse il bodyguard all’entrata del club a luci rosse in cui era stato scortato dal gorilla che l’ era andato a prelevare dal suo appartamento.
Akira esitò un momento sfiorando il grilletto.
Non gli piaceva rimanere disarmato, soprattutto non quando il capo chiamava.
Guardò torvo l’uomo dall’espressione impassibile che aveva avanzato quella richiesta e gli cedette l’arma.
“Ha altro addosso?” domandò con lo stesso tono piatto.
“Le mutande!” disse Akira irriverente.
“Molto divertente…le ripongo un’altra volta la domanda prima di perdere la pazienza…”
“Non ho altro” lo interruppe.
Viva il senso dell’umorismo eh?!
“Niente coltelli o altri oggetti contundenti?”
“Senta, vorrei fare veloce. Ho una vita sociale, una ragazza che probabilmente mi aspetta e le assicuro che si arrabbierà molto quando tornerò senza averla avvisata”.
L’altro non sembrò prestargli molta attenzione, si limitò a squadrarlo un altro momento e posando le dita sull’auricolare che aveva all’orecchio informò chi di dovere con un “arriva, è pulito”.
Akira oltrepassò il nastro che gli aveva bloccato l’entrata fino a quel momento seguito dall’uomo che lo aveva invitato a non rifiutare quell’incontro.
Il gioco di luci soffuse del locale rendeva poco chiara la vista. Era piuttosto affollato e su un divano bianco, circondato da tre uomini, quello che si spacciava per l’Oyabun, lo stava attendendo intrattenuto da una ragazza semi svestita che ballava una lenta danza per lui.
Quanta scena, per qualcuno che non è il vero capo.
Il ragazzo sapeva bene che spesso e volentieri il vero volto di chi stava dietro all’organizzazione veniva visto da gente che non aveva più potuto raccontare l’esperienza, o da pochi “eletti” la cui bocca era cucita.
Nemmeno la stessa Haruka gli aveva mai svelato di chi si trattasse realmente, forse per proteggerlo o forse per proteggere se stessa da chissà quali minacce.
“Wakagashira – hosa, Akira Aoki, di Tokyo” si presentò il moro come di prassi, avvicinandosi al secondo di turno,dell’Oyabun che facevano le sue veci.
L’uomo dal completo bianco come il sofà sul quale stava comodamente seduto, drizzò la schiena e poggiò le mani sulle propria ginocchia per sottolineare la sua posizione di superiorità.
“Signor. Aoki…” sussurrò prima di accendersi un sigaro e tirare una lunga boccata di fumo.
“Desidera un drink?”
“Sto bene così, la ringrazio!” E non mi fido a bere con questa allegra compagnia.
La pseudo ballerina del locale si sedette accanto all’uomo di cui non era permesso chiedere il nome massaggiandogli le spalle.
“Preferisce una ragazza all’alcol?” domandò con un sorriso storto.
“No, mi basta la mia!”
“E allora perché la sta fissando?”
“Mi distrae”, disse secco.
“Vattene, hai fatto abbastanza!” disse quello cacciandola malamente via.
Un vero gentiluomo!
“Per cosa mi ha fatto chiamare?” domandò impaziente Akira.
Più tempo trascorreva disarmato più s’innervosiva.
“Ha fretta?”
“Abbastanza, ho delle cose da fare…”
“mmh…capisco…” questa volta le sue labbra abbandonarono il sigaro per posarsi su un bicchiere contenente un liquido ambrato, “allora alle numerose cose che ha da fare…” disse sorseggiando l’amaro per poi farlo girare nel bicchiere, “aggiunga di chiedere il riscatto per la ragazza!”
Siamo già al punto di contrattare per Michiru. Spero che suo padre abbia i soldi.
“Ovviamente, accetteremo solo il pagamento…un no è fuori discussione!”
Akira annuì impercettibilmente conscio che se Yoshio non avesse pagato questa volta, sarebbe finita male per lui. Oppure quella ad essere uccisa sarebbe stata Michiru, a seconda della voglia di chi era al comando.
“Hai capito bene?” si rassicurò l’uomo fissandolo negli occhi.
“Si, signore!”
“Non ho più molta pazienza…”
E’ lui a non averne, tu sei solo una pedina nel suo gioco quanto me.
Akira si alzò, pronto ad abbandonare quel posto.
“Aoki?!” la voce dell’uomo lo fermò prima che potesse compiere un altro passo per allontanarsi. Sentì del metallo freddo appoggiarsi alla sua tempia senza avere il tempo di vederlo o sentirlo in anticipo.
Pistola alla testa! Fa sul serio!
Il moro deglutì immobile.
Morire questa sera non è nei piani.
“Anche se sei un sottoposto, tieni al guinzaglio quella randagia di Haruka Ten – ō. Sta rischiando di compromettere la tanto amata wa. Non le conviene…”
“D’accordo…” disse a denti stretti “signore”.
“Metti giù quell’arma!” disse con un gesto secco il finto Oyabun rivolgendosi alla guardia che stava puntando la pistola contro il capo di Akira.
“Portatemi buone notizie!” sorrise soddisfatto, richiamando l’attenzione di una cameriera in giarrettiera alla quale sussurrò qualcosa nell’orecchio.
“Sarà fatto!”
Bastardo.
Akira voltò le spalle alla tavolata di gentiluomini  che l’aveva intrattenuto, augurandosi di arrivare alla porta d’uscita e recuperare ciò che gli apparteneva in un nano secondo; e soprattutto con le sue gambe.
Uscì veloce, fermandosi senza guardare in faccia il bodyguard all’ingresso e recuperando la pistola.
Una fitta nebbiolina stava scendendo offuscando le luci della città.
Svoltò l’angolo allontanandosi dal locale.
Lo sfrecciare veloce di due automobili, le risate di due persone che camminavano sul marciapiede, una donna con un cane smanioso di cambiare percorso al guinzaglio.
Compì qualche altro passo. Voleva fare veloce, voleva arrivare al più presto a casa. L’unica cosa che in quel momento desiderava con tutto se stesso era vedere il viso di Minako.
Barcollò portandosi una mano alla fronte perlata di sudore nonostante la bassa temperatura di ottobre.
Un crampo allo stomaco lo sorprese provocandogli una forte nausea.
Ci risiamo!
Venne scosso da un brivido per poi abbassare il capo e rimettere i succhi gastrici che lo presero alla sprovvista.
Vomitò dalla tensione come da ragazzino. Come se quella fosse stata la prima volta nella sua vita a vedersela brutta.
Un altro conato lo assalì.
E’ che questa volta ho qualcosa da perdere.
 
 
*
 
 
Nella piccola biblioteca del padre di Haruka era calata l’oscurità.
Nessuna delle due si era premurata di accendere la luce e una volta che la bionda si fu calmata e il suo pianto si fu placato, avevano continuato a stare li dentro al buio.
Si erano sistemate sul pavimento, una accanto all’altra fino a che, tra una parola e un’altra Michiru si ritrovò Haruka tra le braccia.
Ormai non avevano più nulla di un rapitore e di un ostaggio.
Ma allora che cosa siamo?Si chiese Michiru mentalmente.
Era tanto importante avere una risposta? Definirsi?
Sospirò cercando di muoversi il più piano possibile, per non svegliare l’altra, che dopo averle domandato quali fossero i suoi autori preferiti, si era addormentata appoggiando la testa al suo petto e il suo respiro pesante sembrava aver preso lo stesso ritmo del battito del suo cuore.
Michiru non aveva idea di che ore fossero, ma di certo doveva essere tardi.
“Haruka, prenderai un raffreddore se rimani a dormire sul pavimento…” le disse piano, passando le dita affusolate tra le ciocche bionde.
L’altra non rispose continuando a rimanere beatamente nei suoi sogni.
L’aprirsi della porta d’ingresso attirò però l’attenzione di Michiru che rimase in ascolto.
Ci fu un susseguirsi di lievi suoni tra cui l’accendersi della luce, l’appoggiare qualcosa e un’imprecazione a bassa voce.
Una donna?
“Ma che diavolo…”  l’ombra a cui apparteneva la voce si avvicinò all’entrata della biblioteca.
“Non…fare…un passo!” Haruka aveva aperto gli occhi ed era sveglia pronta a sparare.
“Sono Minako!” la testa dai lunghi capelli biondi si sporse guardandole.
“Cosa facevate al buio? E…Wow! Haru non sapevo avessi così tanti libri!”
“Chi ti ha invitata qui dentro? Che ore sono? Perché non sei con Akira a dormire o a fare quel che fate?”
“Ben svegliata! Scusate il disturbo! Oh ciao Michiru! Che maleducata!” Minako fece un cenno di saluto con la mano alla ragazza, poi portò le mani dietro la schiena e abbassò la testa con fare dispiaciuto e preoccupato.
Un momento, perché è qui senza Akira? Quei due sono sempre insieme! SEMPRE.
Haruka sembrò agitarsi e si alzò stiracchiandosi, porgendo poi la mano a Michiru.
“Ehm…” le dita della visitatrice si torturavano tra loro, senza darsi tregua, quasi a volersi massacrare e la voce aveva perso il timbro allegro che la contraddistingueva.
“Scusatemi per l’orario sono le tre e mezza. Ho aspettato tutto questo tempo Akira, ma non è rientrato. Non mi ha lasciato detto nulla e io non so più cosa fare. Non è da lui…non è…”
“COSA?! AKIRA E’ SCOMPARSO?”
“Oddio, Haruka non dirmi…” la mano di Minako andò a coprire le labbra che di li a poco avrebbero lasciato trapelare la sua disperazione. “Che non ne sai nulla nemmeno tu. Tu sai sempre dov’è…questo vuol dire che…GLI E’ SUCCESSO QUALCOSA!”
La ragazza si era recata li per ricevere buone notizie e invece vi trovò solo terreno da fertilizzare con le proprie paure.
“Maledetto Daisuke, vuoi vedere che…”
“E’ peggio!” la voce di Akira echeggiò nella stanza.
Minako gli corse in contro gettandosi tra le sue braccia come se non lo vedesse da mesi.
Finalmente è qui! E’ vivo.
“Ehi, Mina…così mi farai soffocare, stringi meno piccola…” gli disse lui, con voce calda accarezzandole la testa.
“Mi hai fatto spaventare, io ho aspettato ma tu…” strinse le mani in due pugni colpendolo sul petto arrabbiata, “tu non arrivavi, sei uno stupido! Sei andato via senza dire niente ed io ho provato ad essere forte ma poi…”
“Shht…puoi piangere se ti va, ma è tutto ok!” gli sorrise il moro stringendola un po’ di più tuffandosi con il naso nei suoi capelli profumati.
Alzò poi lo sguardo e puntò i suoi occhi di ghiaccio in quelli di Haruka, che nell’aria aveva già percepito l’ondata di guai in arrivo.
“Non hai una bella cera…siediti!” lo invitò la collega mentre si assicurava scrupolosamente che la porta fosse chiusa e non ci fosse nessuno in ascolto dall’esterno.
“Michiru, ti ha fatto mangiare questa bestia?” s’interessò il ragazzo accennando un sorriso mentre spostava la sedia da sotto il tavolo e vi posava sullo schienale il cappotto in pelle nera.
“Ci siamo dimenticate a dire il vero…”
Minako notò l’espressione del suo ragazzo accigliarsi visibilmente.
“Non è possibile, Haruka! sei veramente un caso disperato! Io ho dovuto abbandonare la mia pietanza sul fornello, ma sono stato costretto! tu cosa diavolo avevi da fare di più importante?”
“Ehi, non ti scaldare, ti lamenti tu e non lei!” sottolineò la bionda mentre prendeva posto di fronte a lui.
“Vado a preparare qualcosa di veloce io!” si offrì Minako, “posso Haruka?”
“Certo, se riesci a recuperare qualcosa! usa quella cucina finché ti pare!”
“Vuoi darmi una mano, Michiru?” domandò poi alla ragazza, conscia che i due dovevano parlare di fatti che la riguardavano da vicino.
In risposta ebbe un gesto di assenso del capo dalla proprietaria dei capelli ondulati come i mare; e le due si diressero ai fornelli in silenzio ma con l’udito ben attento.
 
 
“Dove sei stato?” lo interrogò Haruka accendendosi una sigaretta e portandosi vicina il posacenere.
Era inquieta e aveva un estremo bisogno di nicotina dopo quella giornata.
“Ho avuto un incontro ravvicinato con…”
“Che cosa?!” lo interruppe brusca con gli occhi spalancati senza farlo finire.
“Abbassa la voce. Non voglio si preoccupi…” disse riferendosi a Minako che stava indossando un grembiule per non sporcarsi.
“Perché non mi hai chiamata?” sibilò Haruka sputando una nuvola di fumo che aleggiò tra loro per qualche istante.
“Perché volevano parlare solo con me, non era quello vero. Tranquilla.”
“Tranquilla niente, anche le brutte copie possono ammazzarti lo sai?”
“mi han fatto sudare freddo lo ammetto…” disse ripensando alla canna della pistola puntata alla tempia.
“Qual è stato il messaggio?”
Il coltello che Minako stava usando per tagliare le verdure che Michiru era riuscita a trovare nel frigo sembrò rallentare di colpo sul tagliere.
“Vogliono i soldi, Haru…”
Alcune rughe d’ espressione abitarono il viso della giovane, mentre le labbra si arricciavano in una smorfia corrucciata.
“Inoltre…”
Oh bene, altre cattive notizie in arrivo.
“Devi darti una calmata. Credo che siano a conoscenza dell’episodio di oggi e che lo trovino un problema, mantieni un basso profilo”.
Haruka spense vigorosamente la sigaretta nel posacenere.
“Torniamo alla questione più importante.”
Lo sfrigolio di qualcosa che veniva buttato in pentola la interruppe un momento.
“Dobbiamo andarci di persona giusto?”
Akira annuì con il capo.
“Non credi che ci sarà qualcuno della polizia, a sorvegliare il locale di Yoshio?”
Il nome del padre di Michiru venne detto con un tono più basso rispetto al resto della frase, quasi non udibile.
“Sanno chi siamo. O meglio, chi sono! Sarà un casino…”
“Andrò io! da solo!”
“Tu non vai da nessuna parte!” Minako si era intromessa nella discussione mentre Michiru era ancora nell’altra stanza a finire di riempire i piatti.
Lo sguardo era serio, quasi tagliente, come il coltello da cucina che stava ancora stringendo.
“Hanno dei sospetti anche su di te!” disse rivolgendosi ad Akira.
“Sta mattina mi hanno fatto delle domande…”
“Che cosa? No, Mina non mi piace questa cosa, tu non ci devi andare in mezzo!” Disse alzandosi di scatto.
“Siediti e calmati!” le ordinò la fidanzato spingendolo nuovamente sulla sedia.
“Se non volevo rischiare non mi sarei mai messa con te, chiaro?!” lo ammonì.
Ad Haruka mise quasi soggezione vederla comportarsi in quel modo. Non era abituata a quella risolutezza e a quel sangue freddo, fino a quel momento di lei aveva conosciuto solo la parte allegra, solare e chiaccherona.
“Mi hanno fatto delle domande. Sospettavano centrassi col rapimento e mi hanno chiesto anche di te…”
Michiru ripose i piatti su un vassoio.
“Penso proprio di aver fatto cadere ogni sospetto sul mio conto e ho detto di non conoscerti e di non aver nessun legame con questa storia. Inoltre, io…” si puntò l’indice al petto mentre appoggiava la lama che aveva stretto convulsivamente fino a quel momento.
“Sono amica di Ami, posso avvicinarmi a lei senza destare sospetti e farmi pagare!”
“CONOSCI AMI?” la domanda fu seguita dal rumore di vetri rotti che schizzarono sul pavimento.
Michiru era in piedi e alla frase, i bicchieri che voleva posare sul tavolo prima di servire la cena le erano caduti frantumandosi.
“Ecco perché amo la plastica!” sbuffò Haruka, alzandosi alla ricerca di una scopa.
“No, senti non te la svignare tu!”
“Akira, io qui sono la più innocua!” sottolineò Michiru vedendolo agitarsi.
“Ma non sono stupida. Credo possiate parlarne anche davanti a me, dato che si tratta di me e della mia famiglia!”
“Si ha ragione”. Disse Haruka pacata.
“Ti sei ammattita?” domandò il moro.
“Ehi, tanto lo verrebbe a sapere! E’ a conoscenza delle cose no? Non sarò io a raccontarle bugie.”
Sa tutto, tutto di me, del mio passato. E’ con me, sa ciò che rischia. Ha detto lei che ci siamo in mezzo in due.
Akira si barricò dietro al silenzio e all’espressione che comunicava apertamente un non capisco, ma mi adeguo.
“Sono amanti!” gli rivelò Minako senza curarsi del volume della sua voce.
“Noi siamo cosa?” Haruka rischiò di strozzarsi con la propria saliva.
“Possiamo tornare all’argomento principale e non perderci in stupidi gossip?”
“Puoi scappare finché vuoi dall’argomento Michiru. Ma cosa farai poi? Una volta che ti rilasceranno e tornerai dalla tua famiglia come ti comporterai, fingerai ancora che tra voi non c’è nulla?”
“Io qui ho finito!” Tossì Haruka. “Oh ma che avete poi fatto da mangiare?” chiese virando di proposito la questione.
“Spaghetti di soia con verdure, le uniche cose che abbiamo trovato!” si affrettò a rispondere Michiru, senza lasciare che i suoi occhi abbandonassero quelli della bionda che la guardava con aria di sfida.
“Allora?” rincarò la dose Minako.
Michiru non aveva una risposta alle domande di quella che le stava davanti tamburellando il piede.
Non aveva idea di ciò che sarebbe accaduto senza quelle persone nella sua vita. Poteva cancellare tutto in un attimo? Avrebbe potuto dimenticare e vivere come se non fosse accaduto nulla? Sarebbe andato tutto bene? Non sapeva cos’erano lei e Haruka.
Erano due esseri umani in una situazione che aveva dell’irreale e avevano trovato un punto d’incontro forse. Significava essere amanti? Era stata una dichiarazione la sua, mentre l’altra era in lacrime?
“Minako non insistere, sono affari loro!”
“Mangiamo?” Haruka portò in tavola quella cena anomala a tarda notte.
“Si, mi è venuta fame!” sorrise Akira ispezionando la pietanza.
“Non cominciare con le tue ossessioni in fatto di cucina eh?!” lo riprese la fidanzata.
“Su vieni a tavola Michiru!”
“Voglio parlare di questa faccenda, non mangiare!” disse in tono serio.
“Si, ma se ne parla meglio a stomaco pieno!” affermò Akira.
Haruka la prese per mano e la costrinse ad accomodarsi, sistemandole la sedia sotto al tavolo.
“uuuh come siamo galanti!” canticchiò la ragazza del moro.
“Tu sei autorizzata a parlare solo quando hai cose importanti da dirci come quella di prima!” spiegò l’altra bionda portandosi alla bocca le bacchette colme di cibo.
“Siete strani…” commentò Michiru fissandoli uno ad uno.
E anche questa sensazione lo è.
Minako rubò il piatto ad Haruka che le tirò uno scappellotto, mentre Akira rideva divertito della scena.
La sensazione di essere tra amici.
“Dai mangia!”
Quasi in famiglia.
“Ti faccio imboccare dalla tua ragazza se no!” la minacciò col sorriso Minako prendendosi gioco di lei ed Haruka.
Forse mi sveglierò domani mattina e mi accorgerò che è tutto un sogno. Che nessuno di loro esiste.
“Non lo so cosa farò!” disse decidendo di dare voce ai suoi pensieri.
Gli altri tre presenti la guardarono incuriositi, sopprimendo ogni tipo di azione che stavano compiendo.
Michiru prese la mano di Haruka e la guardò intensamente “Spero tu possa perdonarmi, io non lo so cosa farò dopo che sarà finito tutto quanto!”
L’altra sorrise silenziosa. Le aveva già detto nella biblioteca quello che avrebbe desiderato facesse.
Scappare, scappare il più lontano possibile.
Non aveva bisogno di alcun tipo di spiegazione.
 
Sarà come se fosse stato tutto solo un sogno?
 
 
 
 
L’angolo delle spiegazioni:
tre piccole note per chiarirvi eventuali dubbi.
 
Wa= quella che viene menzionata dal tipaccio nel club a luci rosse. E’ la “famosa” pace che l’Oyabun vuole mantenere all’interno della “famiglia”
 
Il mettere le mani sulle ginocchia= indica realmente una posizione di superiorità. Se lo yakuza appoggia le mani sul pavimento, invece, è un indizio della sua inferiorità rispetto a chi si trova davanti.
 
*Riguardo il finto Oyabun, non ricordo se l’avevo già scritto in uno dei capitoli precedenti. Ma solitamente il volto del vero capo non viene mai visto da nessuno. La sua identità deve rimanere nascosta. Per questo manda delle persone che si spacciano per lui (come in questo caso).
 


Come al solito sono a disposizione per eventuali chiarimenti o per parlare allegramente ;P 


Note dell’autrice:
Sono riuscita ad aggiornare abbastanza velocemente per fortuna, anche perché, da lunedì sarò impegnata con lo studio siccome sarà la settimana prima del mio esame, perciò non sono sicura di riuscire a pubblicare. Devo distrarmi il meno possibile (cosa molto ardua) perché essendo all’ultimo anno di università devo darmi una mossa con questi esami -.-“
L’ultima parte è priva di descrizioni perché essendo una scena corale (con più di due personaggi), penso che il definire troppo i particolari farebbe perdere il filo del discorso tra i vari protagonisti. Se qualcuno ha dei consigli su come affrontare questo tipo di scene sono ben accetti :D
Spero non vi siate annoiati!
La vostra kat vi augura un buon weekend come ormai tutti i venerdì!
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 13
*** 12. La traditrice ***




 
“Hei Haruka!” due grandi occhi che ricordavano il ghiaccio dell’Antartide la fissavano curiosi, nascosti da qualche ciuffetto pece dispettoso che tentava di nasconderli.
“Ancora tu? Che vuoi?”
“Ti piace il Natto? Eh? E il Tonkatsu? Ti piacciono?”
“Ma che domande mi fai?!” chiese con una nota di fastidio la bambina di otto anni che sedeva sulle scale appena lucidate.
“La mia mamma cucina sempre quelle cose sai?” Lo sguardo per quanto chiaro non aveva nulla di glaciale, non c’era traccia di freddezza. Quel grigio luminoso riusciva anzi a trasmettere così tanto calore che Haruka pensava di potersi bruciare se si fosse avvicinata di più al viso del ragazzino.
“No”. Rispose secca. “La mia mamma non ha mai cucinato, è troppo stanca per farlo” aggiunse interrompendo il contatto visivo con Akira.
“Quando sarò più grande voglio fare il cuoco! Sarò un grande chef!” il bambino serrò i pugni verso l’alto e la voce era colorata di una forte determinazione.
“Così farò tante pietanze e le insegnerò alla mamma. Poi…” si bloccò un momento, raggiungendo Haruka nel gradino più basso e cercando la sua espressione. “Farò tante cose buone anche per te e per le persone che amo!”
La bambina avvampò in viso a quella rivelazione.
“Akira sei ubriaco?”
“Ma che dici! Sono troppo piccolo per bere!” rise lui divertito.
“Perché dovresti cucinare per me?”
“Perché…” si portò un dito al mento fissando il lampadario di cristallo che pendeva dal soffitto come in cerca delle parole giuste da dire.
Le labbra si arricciarono in una smorfia pensierosa.
“Sei sempre sola. Da grandi mangeremo sempre insieme! Così mi vorrai bene!”
“Non dire stupidaggini!”
“Non mi vorrai bene nemmeno così?” Akira sembrò deluso. Non riusciva a conquistare quella bambina in nessun modo. Era arrivata da pochi giorni nell’appartamento poco più lontano dal suo, ma sembrava non voler far amicizia e rimanere per i fatti suoi tutto il tempo.
“Non è per quello…” Haruka poggiò il viso paffuto sulle ginocchia e si perse a disegnare dei cerchi invisibili con le dita sul pavimento “non credo di essere capace, io non sono come il mio papà…”
“Ma cosa dici! Tutti quanti sappiamo volere bene alle persone!”
“mmh…” la bambina non sembrava molto convinta.
 
 
 
Haruka sorrise a quel ricordo con lo sguardo perso verso Akira che aveva appena finito di lavare i piatti nella sua cucina aiutato da Minako.
“A cosa pensi?” domandò incuriosita Michiru vedendola per la prima volta con un’espressione rilassata in volto.
“A una cosa che mi disse Akira tanto tempo fa…” rovesciò il capo all’indietro, incrociando le braccia dietro al collo e dondolandosi sulla sedia.
Forse sto riuscendo a voler bene a qualcuno. A te, Michiru.
La ragazza la guardò interrogativa anche se non si aspettava di certo una risposta dall’altra.
“Lo sai…” cominciò la bionda “Voleva fare il cuoco quello li! E guardalo ora…si ritrova a sparare di qua e di la! Al massimo lava i piatti nella mia cucina!” il sorriso che le aveva tirato gli angoli della bocca all’insù andò scemando, incupendo il suo sguardo.
“Questo posto ammazza i sogni della gente”.
 
 
 
 
 
 
 
Al dipartimento di Polizia di Tokyo Setsuna era barricata nel suo ufficio.
Sembrava che si stesse preparando a proteggersi da una calamità naturale rinchiudendosi in un bunker sotterraneo.
Ma l’unica catastrofe che rischiava di travolgerla era un vortice di emozioni e sentimenti che avevano preso a sbattere da una parte all’altra dentro di lei.
Aveva la guerra dentro.
Poteva sentire il battito accelerato rimbombarle nelle orecchie come se fosse l’eco dei cannoni militari.
 
“A cosa stavi pensando?”
“A te”
 
L’immagine di Rei che la guardava intensamente e rispondeva alla sua domanda con voce tremante le tornò prepotente alla mente.
Ma che l’è preso?!
Il suo viso avvampò bloccando il suo scartabellare nevrotico di documenti.
No. Cos’è preso a me piuttosto!
Si coprì il viso con le mani, lasciandosi sfuggire un mugolio che morì poco dopo.
A quella dichiarazione era scappata a gambe levate come se fosse stata rincorsa da una belva feroce, lasciando Rei in quella stanza d’ospedale in piena notte.
Non sapeva come comportarsi. Era abituata ad agire secondo schemi precisi, su vie sicure, già testate prima. Le novità la prendevano alla sprovvista, scatenando il panico in lei.
Era brava a riconcorrere e catturare criminali, ma di sentimenti e storie d’amore non ne sapeva niente, aveva solo capito di aver una particolare dote nello scappare quando le si presentava qualcosa d’ignoto come quello.
“Così non va!” disse a voce alta cercando di recuperare un po’ di contegno e una buona dose di sangue freddo.
 
“Cos’è che non va?” una voce a lei familiare irruppe nella stanza assieme al cigolio della porta e il passo zoppicante accompagnato da un paio di stampelle.
Setsuna si voltò imbarazzata e vide Rei sulla soglia.
“Chiudi la porta!” disse.
“Ho le mani un tantino occupate!”
Giusto. L’ispettore si affrettò a blindarsi dentro il proprio ufficio con la mora, al sicuro da orecchie indiscrete.
“Siediti…” le disse recuperando il suo tono gentile e avvicinandole una sedia.
“Mi sono fatta portare qui da un collega e le pratiche che avevi lasciato sta notte in ospedale le ho fatte appoggiare al centralino”. Spiegò con tono professionale sedendosi a fatica per poi liberarsi dalle stampelle.
“Ci penserò io dopo…”
“Bene. Ora dobbiamo parlare però.” Il tono di voce di Rei era piatto e lo sguardo non si era ancora poggiato su di lei, come a voler sfuggire dalla figura di Setsuna sulla quale fino a qualche ora prima amava posarsi.
La donna deglutì appoggiandosi alla scrivania come per ricevere un sostegno, le gambe sembravano volerle cedere da un momento all’altro, mentre ogni cellula del suo corpo tentava di ribellarsi alla sua volontà di rimanere ferma; e soprattutto impassibile.
Sarebbe bastato così poco per abbracciarla.
“So che devi lavorare, faremo in fretta non preoccuparti, non ho intenzione di rubarti troppo tempo…”
La freddezza nella voce di Rei aveva l’effetto di una lama tagliente e stonava con i ricordi che Setsuna aveva di lei.
Mi dividono pochi passi da lei e rimango ferma immobile.
“Mi dispiace…”
Sarei io quella che dovrebbe scusarsi.
La mora deglutì rumorosamente, con gli occhi puntati in un’altra direzione, lontana dai suoi desideri. Sarebbe stato troppo doloroso guardare qualcosa che voleva così tanto intensamente ma a cui non poteva nemmeno avvicinarsi o le sarebbe sfuggita via come granelli di sabbia dalle dita.
“No, non è vero che mi dispiace!” si corresse sbuffando.
“Ok, sono confusa…”  annunciò Setsuna cercando di mantenere il controllo.
“Lo vedo!”
“Rei, insomma…” la donna sospirò azzardando un passo nella direzione dell’altra.
“No, stammi a distanza di sicurezza, te lo chiedo come favore personale!”
“Sono io a dovermi scusare, questa notte mi sono fatta prendere dal panico…”
Sul viso di Rei comparve l’abbozzo di un sorriso “ispettore non la facevo così paurosa!”
Questa è una frecciatina bella e buona! Sleale!
“E tu di cos’hai paura invece?”
L’espressione della mora si fece confusa. Di essere allontanata da te. “Di nulla, perché?!”
“Perché da quando hai messo piede qui eviti di guardarmi!”
“Touché”.
Setsuna gongolò interiormente per quella piccola rivincita.
“Dovresti spostarmi a un’altra sezione, in quella investigativa ci sei solo tu…” sibilò all’improvviso l’altra rimettendosi in piedi e dirigendosi a fatica verso la porta.
Il cuore della donna perse un battito.
Vuole allontanarsi da me?
“Così non interferirò col tuo lavoro” aggiunse sempre dandole le spalle.
Setsuna percorse a grandi falcate la breve distanza che le separava e la prese per un braccio facendola voltare.
Il rumore della stampella che cadeva al suolo coprì l’imprecazione soffocata che si fece scappare Rei.
“Vuoi essere un poliziotto si o no?!” Gli occhi dal taglio orientale attraversati da lampi porpora la scrutarono intensamente.
“Se la tua risposta è si, rimani con me!”
“Setsuna, rischio di cadere se…”
“Ti tengo io!” la interruppe l’ispettore.
Negli occhi un guizzo.
Cos’era quella frase? Era riferita solo al fatto che non l’avrebbe fatta cadere o che l’avrebbe tenuta con sé ad ogni costo?
Non farti illusioni, Rei!
“So di non essere brava in queste cose…” la presa dell’ispettore si fece quasi ferrea attorno ai fianchi dell’altra che barcollò leggermente tenendosi alle braccia di Setsuna.
“Non ho mai avuto una…” deglutì abbassando un attimo lo sguardo a terra, quasi come se si vergognasse di ciò che stava confessando. “Relazione!” disse in un fiato.
“Non so come comportarmi, oltretutto…siamo due donne…”
“Ma..”
“Non interrompermi, per favore!” la implorò Setsuna.
Se avesse perso il filo del discorso non avrebbe più avuto il coraggio di dirle ciò che aveva iniziato.
“Non ho niente in contrario su due donne che si amano, è solo…più nuovo del nuovo, insomma…in più…”
Spinse piano la mora contro la porta chiusa.
Rei venne scossa da un brivido. La voce rassicurante di Setsuna le stava facendo una confessione a cuore aperto e il suo respiro profumato le solleticava il collo.
“In più io sono praticamente il tuo capo, se si venisse a sapere, potrebbero…”
“Non m’interessa!” ora Rei non poteva più tacere.
La distanza tra i loro visi era praticamente nulla e poco importava se si sentiva andare a fuoco. Se stava bruciando. Perché sarebbe arrostita volentieri tra le fiamme pur di non perdere anche la più piccola occasione di stare con lei.
“Possono dire quello che vogliono. Non ha importanza. Potranno insinuare che non sono brava nel mio lavoro ma vado avanti lo stesso solo grazie a te o quello che gli pare…NON IMPORTA!”
La voce le si spezzò in gola, e gli occhi si fecero più lucidi.
Le mani di Rei andarono ad intrecciarsi dietro al collo dell’altra, trovando la stabilità nell’appoggio del muro per non cadere.
“Posso affrontare tutto per te. Perché non voglio passare il resto della mia vita dietro ad una scrivania persa ad osservarti tutto il giorno, costretta solo ad immaginare come sarebbe potuto essere viverti…”
Setsuna non poté fare a meno di sorridere. A quelle parole la investì una gioia che non aveva mai provato prima.
“Mi piacciono le poliziotte coraggiose!”
La mora giocherellò con una lunga ciocca dei capelli dell’investigatore, senza nascondere la propria felicità sul suo viso.
Le mani di Setsuna la tirarono di più verso di sé per sorprenderla con un bacio caldo e appassionato.
Sto sognando?
Se quello che stava vivendo fosse stato solamente un viaggio onirico, Rei avrebbe pagato  oro pur di non svegliarsi più. Le sue dita annasparono tra i lunghi capelli della donna che aveva ardentemente desiderato dal primo giorno in cui l’aveva incontrata, per poi trovare un appiglio sulla stoffa che le ricopriva le spalle.
Quando le bocche furono sazie di quel contatto e le loro labbra decisero di staccarsi le une dalle altre, Setsuna capì che quello era il bacio che aveva tanto desiderato da ragazzina e probabilmente Rei, era la persona che aveva tanto atteso.
“Sei pronta ad essere la donna del capo?”
 
 
*
 
 
Haruka parcheggiò la macchina anonima dai vetri oscurati in una via parallela a quella dov’era ubicata la sala di Pachinko di proprietà di Yoshio.
Aveva guidato prudentemente forse per la prima volta in vita sua.
Si aggiustò gli occhiali da sole sul naso e guardò lo specchietto retrovisore nel quale spiccava il riflesso di Minako.
Ed eccolo li il motivo per cui il viaggio era stato un inno al silenzio più assoluto.
Guardò di sottecchi l’amico nel sedile accanto a lei, era rigido, dritto con le braccia incrociate e i tratti induriti da una decisione scomoda e con la quale non era in accordo.
“Mina, sappi che non sono d’accordo con questa tua scelta!” la voce di Akira tuonò infastidita, quasi irriconoscibile, all’interno nel veicolo.
I due avevano avuto una lunga discussione sulla questione quella mattina, dopo le poche ore di sonno dovute all’essersi trattenuti troppo dall’amica e all’addormentarsi solo all’alba.
“Questo l’ho capito.”
“Beh, te lo ribadisco!”
Haruka guardò altrove, leggermente imbarazzata e stranita nel vederli litigare.
“Akira non essere troppo duro con lei…” si limitò a dire in tono affabile.
“Tu, taci!” rispose brusco divincolandosi con la cintura di sicurezza che gli diede l’impressione di soffocare.
E’ vero me lo merito, in fin dei conti non ho fatto nulla per dissuaderla dalla sua scelta.
“E’ così difficile da capire?”
Minako sbuffò alzando gli occhi al cielo, mentre lui si voltava verso di lei per guardarla in viso.
“Non voglio che entri negli affari della Yakuza. Tu non centri!”
La trapassò con il suo sguardo glaciale, come se potesse scrutarle anche l’anima.
“Ho cominciato a centrare in ogni cosa che fai Akira da quando stiamo insieme, da ben due anni! Quindi non ricominciare…”
“E’ rischioso…”
“Lo so!” Lo interruppe spazientita, “ma sarebbe peggio perderti e non aver nemmeno tentato di aiutarti!”, senza dargli possibilità di replica scese veloce, chiudendo violentemente la portiera dell’auto.
L’istinto di rincorrerla e portarla via con la forza si fece prepotente nel ragazzo che però venne prontamente fermato da Haruka che lo bloccò.
“Ormai ha deciso, è rischioso farsi vedere qui, non è il caso. Non rendere vano ciò che sta facendo per te già in partenza. Rispetta la sua scelta…”
Akira boccheggiò, l’aria sembrava non aver alcuna intenzione di arrivargli ai polmoni.
Guardò Minako allontanarsi, voltargli le esile spalle e dirigersi a passo deciso e determinato verso quella situazione che sarebbe spettata a lui.
La sensazione di poterla perdere in quel momento, gli provocò un crampo allo stomaco.
Alla fine l’aveva sporcata, intaccata con quel mondo marcio in cui lui era costretto a vivere da quando era piccolo; e in cui lei ora si era gettata incurante della morale, dei principi con cui era cresciuta, dei pericoli, pur di non far compiere a lui quel gesto.
Sono disgustoso.
“Dovevi pronunciarti contraria.” Trovò il fiato per quelle poche parole, per poter colpevolizzare qualcun altro. Non voleva essere l’unico responsabile di quel danno ormai irreparabile.
Haruka sospirò, si sentì colpevole. L’istinto di conservazione e il suo egoismo avevano prevalso su quello del dovere. Lei era una complice bella e buona di quelle conseguenze che avrebbero potuto rovinare la vita di una persona genuina e innocente come Minako.
Era come mandare in guerra una bambina. Non perché fosse infantile ma a quella ragazza apparteneva una purezza di spirito che pochi adulti avrebbero potuto vantare.
“Mi dispiace Akira…”
“Se le succede qualcosa ti prenderò a bastonate, sappilo!”
“Ne hai tutto il diritto! Te lo lascerò fare…”
E che uomo sono io? Incapace di fermare la donna che amo…
Si pentì di ogni sua scelta, si pentì di non essere stato abbastanza forte, si pentì di aver litigato con lei anziché baciarla ancora una volta e si augurò di non perderla in quel modo.
 
 
 
Il sole troneggiava nel cielo della città, pallido, circondato da un alone biancastro.
Spento. Come la paura di Minako che era stata annullata, eliminata.
Freddo. Come aveva cercato di essere in quegli ultimi istanti, perché se avesse mantenuto il suo modo di fare caloroso e allegro, se avesse dato tutto il suo amore a quel ragazzo, non avrebbe trovato il coraggio di compiere quel gesto.
Lui l’avrebbe dissuasa.
Lei avrebbe rinunciato. Perché Akira poteva tutto su di lei anche se non se ne rendeva conto la maggior parte delle volte.
 
“Sei una traditrice, hai fatto la spia!”
“Non è vero!” si difese Minako col broncio.
“Tu stai dalla parte dei cattivi, non sei capace di essere una vera amica!”
 
Un'altra serie di piccoli passi e si trovò davanti all’entrata del locale.
L’insegna era accesa e luminosa nonostante fossero le undici del mattino.
Prese un respiro profondo, si guardò intorno senza dare troppo dell’occhio e spinse la porta a vetri per poi varcare la soglia della sala.
Una coppia di anziani stava giocando a Pachinko.
Un ragazzo stava cambiando la propria piccola vincita per ritentare la fortuna.
Minako percorse il salone dirigendosi al bancone dietro il quale Ami era seduta, presa da un libro di testo.
Sono sempre stata dalla parte dei cattivi, fin dall’asilo, come disse quella bambina…
La bionda sfoggiò uno dei suoi migliori sorrisi quando l’altra alzò il capo voltando pagina e la vide.
“Ciao Minako!” l’accolse con un sorriso che accompagnò uno sguardo sorpreso.
“Non c’è lezione oggi, come mai qui?”
La bionda le fece un cenno di saluto con la mano.
“Sono venuta a trovarti!”
Sono una traditrice.
“Mi fa piacere vederti! Vuoi fare una partita?” le chiese gentilmente riferendosi alle slot machine presenti nella sala.
“No, a dire il vero vorrei parlarti!”
Perdonami Ami.
“A che proposito?” l’espressione di Ami mutò nel vedere incupirsi lo sguardo di Minako “sembra una questione importante…”
“E’ delicata in effetti…”
“Di cosa si tratta?”
La bionda aggirò il bancone lucido avvicinandosi all’orecchio dell’altra.
“Di tua sorella Michiru” disse in un soffio.
Ami sbiancò, l’incredulità dipinse il suo volto assieme alla confusione.
Cosa vuol dire? Cosa sa?
Dovette appoggiarsi allo sgabello o le gambe avrebbero ceduto per il tremore.
Minako continuò sottovoce “Dovremmo andare in banca a fare un bel prelievo io e te”.
“Co – come?”
“Se rivuoi tua sorella viva e vegeta basta saldare il debito che hai con la yakuza…” la bionda si portò le mani sul capo, stiracchiandosi con fare indifferente, lanciò un’occhiata furtiva al di là del vetro e scorse il riflesso di una macchina che si parcheggiò al di là della strada.
“Cosa centri tu con questa storia?”
“Ami. Non voglio che nessuno si faccia male, dammi retta…”
“Io non posso credere che tu…”
Il campanello della porta che si apriva stroncò la sua frase, mentre qualcuno di familiare varcò la soglia.
 
Setsuna e Rei fecero il loro ingresso.
“Ami,Aino,buongiorno!” le salutò l’ispettore ancora lontano da loro.
Minako cinse le spalle della ragazza in un finto abbraccio “Ami, se non vuoi che le succeda nulla tieni la bocca cucita e filiamocela!” insistette sottovoce la bionda con  un filo di voce.
“Buongiorno ispettore!" Dissero in coro le due ragazze.
“Lei è la mia collega, Rei Hino!” disse la donna presentando la mora che avanzava cercando di essere il più disinvolta possibile con le stampelle.
“E’ un piacere…siete arrivate in un brutto momento, noi stavamo andando…”
“Oh, non è un problema! Volevo solo avvisarti che saremo di pattuglia qui, nelle vicinanze, in caso si facciano vivi di nuovo!” la informò l’ispettore.
Sta coprendo qualcuno Minako, l’aveva previsto!
“Chiamo mio padre, così potete parlare con lui ed informarlo…” disse Ami raggiungendo il piccolo ufficio dell’uomo per poi dirgli del suo spostamento e dell’arrivo di Setsuna.
“Bene possiamo andare!”
“Fantastico! Faremo un sacco di compere!” improvvisò la bionda prendendola a braccetto.
“Già!”
Setsuna notò poco entusiasmo in Ami. Qualcosa non andava.
Aveva un che di rigido e qualcosa stonava.
“Oh su, non puoi sempre stare sui libri!” disse Minako dandole un colpetto alla spalla.
“Hai ragione…” era tesa. Maledettamente tesa.
Ami avrebbe voluto urlare in quel momento.
“Ehm…mio padre sarà qui a momenti…anche perché non lascerà mai incustodita la sua preziosa sala!”
Rei e l’ispettore annuirono col capo.
“C’è qualcosa di strano…” sibilò la donna mentre le due ragazze voltarono loro le spalle.
“Sono d’accordo…” ne convenne la compagna.
 
“Ah Aino!” Setsuna richiamò l’attenzione della ragazza che sembrava aver una certa fretta.
“Si?!” si bloccò all’istante.
“Come va con i ragazzi?”
Minako sorrise “Ultimamente nemmeno uno nei paraggi!”
 
 
 
 
Note dell’autrice:
 
Bella gente eccomi qui! Il capitolo è breve, ma almeno sono riuscita ad aggiornare e a non lasciarvi proprio senza!
Mi sono concentrata poco sulla coppia Haruka / Michiru sta volta ma era ora che Setsuna e Rei si dessero una mossa quindi hanno occupato una buona parte di capitolo!
Tenterò di recuperare col prossimo, portate pazienza!
 
Colgo l’occasione per dirvi che:
Il natto= è un alimento a base di fagioli fermentati, sono pochi i giapponesi che lo consumano ma sembra essere un alimento molto salutare.
Il tonkatsu= è una cotoletta di maiale impanata e fritta che viene servita con riso bianco e verze, il tutto condito con una salsa apposita.
 
Non chiedetemi perché la scelta di questi due piatti. Li avevo in mente e gli ho messi “in bocca” ad Akira. Ultimamente sto scoprendo che mi piace un sacco scrivere dei ricordi che appartengono a lui ed Haruka, così l’ho inserito anche se magari avrà poca importanza rispetto al resto.
 
Ho cancellato una scena riguardante Akira e Minako che potete trovare sulla pagina fb.( Dove c’è di tutto).
Per chi di voi era curioso di sapere quali cose sono state aggiunte nella storia, c’è l’ultimo post sul blog che è segnalato nella mia pagina autore qui su efp!
 
Credo sia tutto…alla prossima!!
Kat

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Capitolo 14
*** 13. I'm in love what we are, not what we should be ***


 

La bambina dai lunghi capelli biondi raccolti da un grande fiocco rosso prese a camminare più velocemente sulla strada deserta.
Il bianco della neve ricopriva l’asfalto e la fioca luce dei lampioni accesi, donava maggior candore alla coltre fredda ricamata da alcune orme, che segnavano il passaggio recente di qualcuno.
Si voltò, sgranando gli occhi azzurri in cerca di qualcosa.
Dietro di lei solo il buio che avanzava facendosi sempre più denso.
-       Nessuno ti sta inseguendo  –  cercò di autoconvincersi, sprofondando col viso nella sciarpa
calda un istante dopo aver liberato dalle labbra una nuvoletta di vapore.
Non c’era nessuno dietro di lei, eppure percepì come dei passi invisibili.
La sua fantasia di bambina lavorava troppo o forse era colpa del film horror visto di nascosto dai genitori a tarda notte la sera prima, che ancora le giocava brutti scherzi.
Quasi inconsapevolmente iniziò a correre, stando ben attenta a non scivolare. Voleva tornare a casa in fretta, voleva tornare nel suo luogo sicuro.
 
Un clacson insistente e una frenata brusca strapparono Minako a quel ricordo.
Stava camminando sul marciapiede affollato, con Ami al suo fianco e per un momento si era estraniata tornando a quel dicembre di molti anni prima.
La sensazione di essere osservata si fece più forte e cercò di scrollarsela di dosso anche se inutilmente.
Mina,  non c’è tempo per le paranoie!
Deglutì, osservando il viso di Ami corrucciato in una smorfia preoccupata.
Penserà che sono una persona orribile.
Minako si fece piccola nel suo cappotto, sperando di risultare invisibile.
Non ha tutti i torti.
La mani le scivolarono in tasca, afferrando con le dita il bigliettino bianco sul quale era segnata la cifra che doveva a tutti i costi avere, per mettere fine a quella storia.
Lo sguardo di qualcuno la investì.
Lo sentì chiaramente. Sulla pelle.
I suoi occhi saettarono dall’altra parte della strada in cerca del personaggio che le aveva appena fatto venire la pelle d’oca.
Il suo passo subì una variazione di velocità per andare in sincrono a quello di Ami.
Voleva fare in fretta, anche se si era cacciata di sua spontanea volontà in quella situazione che la stava mettendo fortemente a disagio.
Non ho scritto in faccia “criminale”, devo respirare. SOLO respirare. Tra poco sarà finito tutto. Andrà bene.
Strinse le palpebre in un gesto istintivo, come se servisse a convincere meglio se stessa.
Il pensiero di Akira prese possesso di ogni antro della sua mente, rassicurandola appena.
Doveva fare al più presto, doveva correre da lui, perché in fin dei conti ora la sua casa era quel ragazzo.
 
 
 
Setsuna proseguì nel suo inseguimento a distanza.
Era dalla parte opposta della strada e cercava di passare inosservata, buttandosi letteralmente dietro le macchina parcheggiate, ogni qual volta che Minako si era girata nella sua direzione.
Maledetta Aino, che hai in mente?
Un attimo prima era tutta sorridente e teneva a braccetto l’amica ed ora sembrava solo una persona sospetta.
Aveva contato fino a dieci prima di uscire e pedinare le due ragazze, lasciando Rei sola col suo disappunto e Yoshio nella sala da gioco.
Può arrabbiarsi quanto vuole, ma con quelle stampelle farebbe solo più danni che altro!
Distraendosi prese contro ad un passante assorto nella lettura del quotidiano, un “mi scusi” frettoloso e nella sua visuale scomparvero le sagome di Minako ed Ami.
Imprecò sottovoce, stringendo denti e pugni per il nervoso.
Guardò ancora tra la folla brulicante fino a che non incrociò qualche metro più avanti la banca centrale.
Che siano entrate…
L’illuminazione la colpì come un fulmine provocandole una scarica di adrenalina.
Lo sapevo! Aino è coinvolta! E per riavere Michiru bastano i soldi! La banca, ma certo!
Aspettò che il traffico si fermasse al semaforo e corse verso l’edificio.
Un sorriso le si stampò sul viso, “Aino ti ho in pugno!”
 
 
*
 
Haruka rientrò silenziosa.
Michiru uscì dalla biblioteca appoggiandosi allo stipite della porta per salutarla, ma quando la vide le sue labbra non riuscirono a lasciare uscire alcun suono.
In volto aveva un’espressione strana. Un mezzo sorriso spiccava sulla sua faccia mentre lo sguardo era spento, assente, assorto in qualcosa.
Forse rincorreva un ricordo, forse un pensiero, ma qualunque cosa fosse non doveva essere allegro.
“Hey!”
“Hey!” rispose poco convinta Michiru. Avrebbe pagato oro per essere nella sua testa, per poter leggere i suoi pensieri più profondi e poterla capire un pochino di più.
“Allora…sei pronta?”
“Per cosa?”
“Per tornare a casa no? Se tutto va bene tra poco sarai libera!”
Il blu cobalto deviò a quelle parole per non perdersi nell’azzurro intenso dello sguardo di Michiru.
Di nuovo quegli occhi. Persi. Distanti.
“Oh…” la sua voce riuscì a produrre solo quel suono soffocato.
“Che c’è?!” domandò la bionda abbandonandosi sul divano.
Che sia dispiaciuta?
“Michiru…” la voce profonda e calda di Haruka che contrastava con quel silenzio che era appena calato le provocò un brivido lungo la schiena.
“Si?”
“Non mi hai risposto...” Sembrò faticare a finire la frase “Sei pronta?”
Forse non voglio andare più via.
“Non lo so!” disse per poi portarsi le mani alla bocca.
Haruka a quelle parole si drizzò sul divano come un fuso.
“Che c’è Michiru? Ti sei forse innamorata di me?” nonostante il suo tono fosse derisorio una strana nota, che stonava con la presa in giro le colorò la voce.
“Ti piacerebbe!” le rispose a tono l’altra facendo la sfrontata.
“Allora, perché non lo sai?”
La domanda mise spalle al muro Michiru.
Cosa doveva rispondere? C’era qualcosa che voleva sentirsi dire Haruka? C’era una cosa giusta e una sbagliata da dire in quel momento?
Non seppe rispondere.
L’unico desiderio che riusciva a sentire in quel momento era quello di non allontanarsi da li, da lei.
Non voglio risultare un’idiota.
“Ti ricordo…” Haruka si alzò e avanzò a passi decisi verso di lei, “Che io sarei quella cattiva, il nemico, tanto per intenderci”.
“Ne sono consapevole”.
La bionda si avvicinò ancora di più, sino a sfiorarle le mani. “E allora Michiru…”, l’altra si sentì impotente, sotto il controllo completo di Haruka, del suo respiro caldo, di quegli occhi magnetici.
“La risposta più saggia che dovresti dare…è…”
Il battito coprì ogni pensiero, ogni rumore, tutto tranne quella voce che la stava incantando, stregando, portando via.
“Sono pronta a fuggire il più lontano possibile” concluse Haruka.
Che poi io per egoismo non desideri la stessa cosa è un’altra questione.
“Non sei poi così cattiva come dici di essere!”  un sorriso luminoso s’impossessò delle labbra di Michiru e fu in quell’istante che Haruka cedette, gettò la maschera e forse anche parte del suo orgoglio.
 
“Sai una cosa?”
Un sospiro.
“No. Dimmi.” La voce paziente di Michiru risuonò nella stanza.
“Forse in realtà tu lo sei…”
“Cosa vuoi dire?”
“Forse tu sei pronta per andare, ma non lo vuoi dire perché sei una persona gentile che ha paura di ferire gli altri, persino persone come me e Akira”.
Uno sbuffo leggero interruppe un momento la bionda, mentre la sua mano cominciò a giocherellare con una ciocca blu che non apparteneva a lei.
Lo sguardo si abbassò appena sentendo il viso prendere un leggero colorito.
“Il fatto è che…”  ormai che ci sei dillo!  “forse, quella che non è pronta sono io.”
Le labbra di Michiru si schiusero per la sorpresa.
“In realtà, mi piacerebbe che non te ne andassi!”
Le dita affusolate e pallide abbandonarono di malavoglia i capelli che profumavano d’oceano, ma prima che potesse allontanarsi ulteriormente e voltarle le spalle, come se non avesse detto nulla d’importante, Michiru la fermò.
Non potendo optare per la forza bruta, che non le apparteneva scelse un bacio per trattenerla.
Lo fece con naturalezza, con calore, con affetto.
Si alzò sulle punte, incrociando le braccia esili dietro al collo di quella più alta, che pur rimanendo spiazzata rispose con passione a quel dono che Michiru le stava offrendo.
Il calore della sua pelle sotto i polpastrelli mentre l’accarezzava fece impazzire Haruka che divenne cieca, cieca di passione.  Fu come se la sua mente e il suo corpo non fossero più collegati.
Sentiva solo lei.
Il suo tocco gentile e leggermente tremante, il suo respiro caldo e profumato, mentre Michiru non seppe dare un nome a quella sensazione.  Si rese solo conto di non aver mai provato così tanta eccitazione, terrore e felicità allo stesso momento.
Ancora una volta il suo battito prepotente la rese sorda, le sue mani pretesero ancora più vicinanza da Haruka, che non gliela negò, invitandola con pochi gesti inframezzati da respiri mozzati a stendersi sul letto con lei.
Sembra incredibile, ma amo quello che siamo. Una stupida yazuka e un ostaggio.
Haruka a quel pensiero guardò Michiru sotto di lei, mentre con un gesto lento l’aiutò a liberarsi di quei vestiti che stavano diventando ogni secondo di più un intralcio tra loro due.
Amo questo, amo te. Non quello che dovremmo essere.
 
 
*
 
Il fragore di un tuono che annunciava l’inizio di un forte temporale fece sobbalzare Minako che bloccò sul nascere l’urletto che aveva minacciato di uscire dalla sua bocca.
Quanto ci vuole per prelevare tutti quei soldi?
“Signorina…” l’uomo distinto in giacca e cravatta, che sedeva di fronte ad Ami, la guardò da dietro le lenti degli occhiali da vista per poi dare un seguito alla sua frase.
“E’ una somma piuttosto elevata quella che mi ha chiesto…” ne convenne schiarendosi appena la voce.
“Non vorrei risultarle indiscreto, ma…”
“E’ per un’opera d’arte che vuole acquistare!” intervenne Minako prima che l’individuo potesse finire.
“E comunque…è indiscreto!” aggiunse battendo il piede sul pavimento lucido della banca.
Ami la fulminò con lo sguardo per poi prestare attenzione al funzionario che stava già controllando il numero di conto corrente.
“Se non erro…una parte del prelievo deve farla dal conto di suo padre, siccome nel suo non risulta l’intera cifra!”
Questo tizio mi sta innervosendo. Ho bisogno di zuccheri, devo calmarmi.
La bionda cominciò a sudare freddo. Afferrò il cellulare dalla tasca dei jeans e guardò l’orario.
E’ già passata quasi un’ora, ci sto mettendo troppo tempo. Cavolo!
“Si” disse flebilmente Ami, “posso prelevare comunque anche dal conto di mio padre, sono co - intestataria, le serve un documento?”
“Si fermi”. Il tono autoritario proveniente dalle spalle delle due ragazze bloccò il banchiere.
“La signorina non deve fare alcun prelievo!”
Entrambe si girarono in direzione della proprietaria dell’esclamazione e nella loro visuale apparve Setsuna con in mano il distintivo.
La bionda si sentì svenire.
Se avevo fatto cadere i sospetti su di me ora è proprio palese la mia colpevolezza.
Scappare era inutile, l’ispettore era un osso duro e sicuramente l’avrebbe acciuffata in ogni caso.
Era finita. Aveva fallito. Fallito miseramente.
“Aino tu vieni in centrale con me!” La donna le sventolò davanti agli occhi un paio di manette; “e metti questi bei braccialetti argentati!” aggiunse soddisfatta.
Perdonami Akira.
Minako non oppose resistenza, le porse i polsi svogliatamente con un’espressione dura in viso che non le apparteneva.
Non le darò certo soddisfazione.
“Andiamo a fare due chiacchere…di nuovo…”
Non confesserò mai. Non dirò niente.
“Però questa volta…mi assicurerò che tu finisca dietro le sbarre!”
 
 
*
 
Erano passate ore e lei non aveva detto nulla.
Era palese che fosse andato storto qualcosa, perché per quanto potesse essere arrabbiata con lui, Minako, non avrebbe mai messo un muro di silenzio tra loro, soprattutto in una situazione come quella.
Akira non riusciva a stare più seduto. Non aveva mangiato e non era riuscito a distrarsi in alcun modo.
“Maledizione!” arrabbiato, diede un calcio al cuscino che giaceva sul tappeto.
“Devo fare qualcosa…” parlò ad alta voce, per spezzare il silenzio che lo stava facendo impazzire.
Esasperato e in cerca di una buona idea si sedette sul divano portandosi le mani alla testa.
Avrebbe pianto volentieri, ma quello non era certo il momento di darsi alla disperazione più totale.
 
“Piangi come una femminuccia!” Ecco cosa gli avrebbe detto Haruka.
La suoneria del cellulare partì ad un volume spropositato.
Irritato fece per buttare dall’altra parte della stanza l’aggeggio infernale ma un numero sconosciuto attirò la sua attenzione.
Le persone che avevano il suo numero erano tutte registrate in rubrica.
Osservò lo schermo illuminarsi a intermittenza con più attenzione.
Un fisso…
“Chi diavolo…”
La curiosità scavalcò il desiderio di scagliare contro il muro il cellulare, premette il tasto della ricezione chiamate e si portò l’apparecchio all’orecchio.
Un sospiro all’altro capo.
I suoi occhi ghiaccio si sgranarono, l’avrebbe riconosciuta anche solo con uno sbuffo.
“Minako?” domandò con voce tremante.
“Devo fare in fretta, è l’unica chiamata che mi permettono di fare. Mi dispiace. Mi hanno beccata”.
Le parole dette in fretta sottovoce, concitate non gli permisero di dire nulla.
“Ti amo. Non metterti nei guai”.
La linea cadde lasciandolo impietrito.
Il cellulare gli scivolò dalle mani schiantandosi rovinosamente sul pavimento.
Era finita?
 
Si sentiva il petto squarciato.
Si sentiva annientato dalla voce che l’aveva cullato e amato in quegli anni.
Aveva sorriso dall’altra parte della cornetta?
Cosa posso fare ora?
 
“Ti amo, non cacciarti nei guai.” Quella frase sembrava avere il suono di un addio.
 
Perdendo Minako avrebbe perso tutto. Il suo mondo, o almeno la parte bella di quel mondo in cui viveva, sarebbe crollata senza di lei.
Perciò non aveva più niente da perdere.
Si fece forza.
Inspirò profondamente e perse un minuto a contemplare lo scrosciare della pioggia che si abbatteva su Tokyo.
 
“Sembra che tu abbia bisogno di un ombrello!” Akira sorrise gentilmente nel vedere una sconosciuta indecisa se affrontare quel temporale improvviso con solo il riparo della sua cartella sulla testa, o attendere ancora un po’ sotto la tettoia che l’aveva tenuta asciutta, sino a quel momento.
“E’ un tentativo per rimorchiarmi questo?” chiese ridendo di gusto lei.
“E’ la tua possibilità per arrivare a casa prima che faccia buio, dato che non accenna a smettere!” rispose di rimando il ragazzo.
La sconosciuta bionda, sembrò pensarci un momento su.
Lo guardò da capo a piedi e lo trovò bellissimo.
I suoi occhi grigi erano gentili e sinceri.
“Mi chiamo Akira!” disse porgendogli la mano per presentarsi.
“Mi…” prese un respiro “Minako, piacere!”
“Allora Minako…vuoi un passaggio sotto al mio ombrello?”
“Credo proprio accetterò!” la ragazza sorrise, prendendolo a braccetto per farsi più piccola sotto quell’ombrello rosso non troppo grande per due persone.
 
 
*
 
Michiru sotto la doccia era ignara di ciò che stava succedendo nella sala dell’appartamento.
Il getto d’acqua calda attutiva la discussione tra Haruka e Akira dai toni piuttosto accesi.
 
“Haruka mi devi portare dal vero Oyabun!” Akira non stava supplicando glielo stava ordinando anche se a denti stretti.
“Lo so, ti sto praticamente chiedendo di tradirlo…” aggiunse con una nota di dispiacere nella voce.
“No, mi stai mandando al macello Akira! Mi spappolerà il cervello nella più rosea delle alternative lo sai?”Haruka era paonazza in volto, pronta ad esplodere come un vulcano.
“E’ colpa nostra se Minako rischia di finire in galera, devo tirarla fuori da li. Non posso andare da solo e sparare da una parte all’altra in caserma, non è tecnicamente fattibile…”
“Ah avevi premeditato l’omicidio di massa prima di correre qui e progettare il mio, di omicidio!” Gli rispose sarcastica Haruka sbuffando.
“Perché ti serve quell’uomo? Non c’è altra alternativa?”
“Tu ne vedi? Io no.” Akira scosse il capo. “Chiedere un favore qui, comporta sempre qualcosa di poco piacevole ma…lui è l’unico che ha i contatti con i nostri avvocati o con i poliziotti corrotti che possono aiutarci”.
 
“Dovresti aiutarlo Haru” la voce di Michiru interruppe la loro disputa verbale.
La bionda la guardò. Aveva addosso solo un asciugamano e i capelli le ricadevano bagnati sulle spalle incollandosi alla sua pelle candida e vellutata.
Ad Haruka sembrò di vedere una Dea sulla soglia del bagno.
Agli Dei non si può disubbidire!
 
“D’accordo. Ti porterò da quello vero!” Disse di malavoglia per poi emettere uno sbuffo pesante.
“E tu…” guardò l’altra ancora ferma nella stessa posizione “vatti a vestire!”
“Grazie Haruka!” Akira strinse la ragazza in un caloroso abbraccio.
“Hey, tutto questo affetto è imbarazzante, piantala!” lo spintonò lei allontanandolo da sé.
“Oh…come sei! Devi essere più amorevole lo sai? Hai sempre quell’espressione dura poi…ti verranno le rughe presto!”
Michiru scoppiò a ridere da dietro la porta.
“Non origliare tu!” la rimproverò Haruka imbarazzata.
“Michi ti ha fatto proprio bene!” gli sussurrò Akira all’orecchio.
“Demente, zitto!!!”
Haruka si passò una mano tra i capelli. Sospirò.
L’odore di Michiru ancora sulla sua pelle.
“Andiamo!” ordinò prendendo la sua pistola, “spero che la tua sia carica, quello ha il grilletto veloce!” aggiunse, mentre nella sua testa le immagine degli uomini che aveva visto diventare di colpo cadaveri insanguinati per mano di quell’uomo prendevano il sopravvento.
 
 
 
 
 
 
“Non posso crederci, lui è sempre stato qui? In questo palazzo?”
Haruka annuì con un cenno del capo mentre l’ascensore mostrava loro i corridoi del piano più alto.
Avanzarono lentamente, mentre la ragazza cercava senza sosta una soluzione per uscire vivi da quella situazione.
Avrebbero avuto il tempo di reagire o sarebbero stati ammazzati all’istante?
Rivedrò mai Michiru?
Prese un lungo respiro avvicinandosi alla guardia vestita di scuro pronta ad impedire il loro passaggio.
“Ten – ō, lo sai che…”
“Lo so che lui non può entrare!” Haruka fu un fulmine, impugnò l’arma e sparò dritto in testa alla prima guardia che non ebbe il tempo di reagire.
“Scusa…” sibilò “eri al momento sbagliato nel posto sbagliato”.
Akira era incredulo, era stato tutto così veloce che non aveva avuto il tempo di capire ciò che era accaduto sotto ai suoi occhi.
“Haruka c’era bisogno di…” un brivido gli attraversò la schiena senza riuscire a fargli terminare la frase.
Era abituato alla violenza, ma Haruka non era una che decideva con leggerezza delle vite altrui.
“E’ una guerra questa Akira”.
Le iridi cobalto si fecero dense, per un momento sembrarono scurirsi per potere celare ogni emozione, ogni frammento di umanità che la Yakuza ancora non le aveva portato via.
 
“Non ci sono prigionieri. Solo vittime e assassini. Sta a te scegliere dove schierarti”.
 
 
 


Note dell’autrice:
 
Ciao a tutti! Questo finale in tutta sincerità non so da dove mi sia saltato fuori, ma ormai è scritto e poco importa! XD Che pasticcio.
Preparatevi perché il prossimo capitolo, che teoricamente dovrebbe essere il penultimo, sarà piuttosto movimentato.
Spero di riuscire a scrivere il tutto in modo più o meno decente. Non so sinceramente dove andremo a finire, spero solo di non perdere il controllo delle vicende o qui altro che Odissea di Omero ci salta fuori!
Mi sento piuttosto sfinita, scrivere di Michiru e Haruka è stata davvero ardua!!
Ringrazio tutti quelli che mi hanno aggiunto come autore preferito, che hanno la storia nelle seguite o nelle preferite. Tutti quelli che passano a farmi visita sulla pagina fb, chi perde un po’ di tempo a recensirmi e chi si fa del male psicologico leggendomi!
Grazie, grazie, grazie!!
 
Kat

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Capitolo 15
*** 14. La resa dei conti - Parte I ***



Warning: Il capitolo tratta di tematiche un pò sadiche, violente e contiene termini scurrili.
Io da brava autrice ho avvertito, sta a voi scegliere se procedere o meno con la lettura.
U___U
Il tutto può provocare aneurismi e quant’altro.

 
 
 
 

Setsuna batté i pugni sul tavolo frustrata, provocando una sorta di rimbombo ferroso, nella stanza degli interrogatori per lo più spoglia.
La sua pazienza era andata a farsi benedire.
Possibile che quella ragazza non parlasse? Che le rispondesse a tono con il sorriso sulle labbra nonostante la sua posizione?
Era lei ad avere il coltello dalla parte del manico, non Minako, eppure sembrava che l’altra non ne fosse minimamente turbata.
“Aino, dannazione!” Le spostò la sedia con un gesto secco rischiando di far cadere la ragazza ancora ammanettata “per l’ultima volta…voglio i nomi dei tuoi complici! Dimmi come si chiama quello yakuza moro,  so che centra in questa storia! Ci sei dentro fino al collo!”
Rei sobbalzò leggermente, nell’angolo della stanza.
Non aveva mai visto l’ispettore così aggressiva.
“Forse…sbagli approccio…” osò dire con voce sottile, quasi temesse che l’altra potesse riversare tutta quella rabbia su di lei per una parola storta.
“Stai scherzando?” Setsuna guardò la compagna tentando di respirare e calmarsi.
“Con questa gente la gentilezza non funziona!”
“Si ma…”
“Ma cosa?” Gli occhi sembrarono voler abbandonare i loro bulbi oculari all’istante.
“Non mi pare funzioni molto anche così…”
“Siete una coppia vero?” la voce di Minako irruppe in quella conversazione che stava diventando accesa ogni istante di più.
Le due si voltarono verso la testa bionda che aveva dispensato ben poche parole utili fino a quel momento e la videro sorridere ancora una volta.
“Intendo…state insieme no?!”
Setsuna arrossì violentemente in volto.
“Oh quella non è rabbia ispettore!! E’ un si, bello intenso!” disse estasiata Minako a quella visione, prendendola in giro bonariamente, come se si trattasse di un’amica.
Questa ha qualche rotella fuori posto!
“Non sono affari tuoi!” Ruggì la diretta interessata.
“Dev’essere sempre così aggressiva? Sto tentando di fare conversazione io!”
“Oh ma davvero?!” La donna era al limite. Sarebbe potuta esplodere da un momento all’altro come un vulcano e la sua colata lavica avrebbe preso in pieno Minako e chiunque avesse contestato il suo modo di agire.
“Io sto cercando di fare il mio lavoro…e tu…non collabori affatto…” Fu un ringhio soffocato.
Setsuna la fissò minacciosa negli occhi, anche le sue iridi sembravano lava incandescente.
“Posso incastrarti, Aino. Posso farlo…basterà che Ami confessi contro di te. Credi non lo farà per sua sorella?”
“Per me può fare quello che vuole Ami” Lo sguardo azzurro brillante e la voce al limite del menefreghismo furono una doccia fredda per Setsuna.
Puoi mandare a marcire in prigione me, ma non Akira. Quindi Ami è inutile!
“Setsuna…” la voce di Rei e il suo tocco leggero sulla spalla la placarono per un millesimo di secondo.
“Perché non ti prendi un momento di riposo? Vai a bere qualcosa, prenditi qualche minuto. Con i nervi tesi in questo modo non concluderai nulla…”
“D’accordo”. Non replicò consapevole che in quel modo non sarebbe arrivata a capo di nulla. La testa le pulsava e i pensieri confusi.
“Tu vuoi qualcosa? Un bicchiere d’acqua o da mangiare?” domandò a Rei prima di abbandonare la stanza.
“Per me un Hot Calpis alla fragola grazie, oppure alla pesca!” disse raggiante Minako.
“Sta scherzando vero?!”
Rei fece spallucce “io non voglio nulla, esci di qui prima che succeda l’irreparabile eh?!”
“Si è meglio” borbottò la donna, cercando di placare l’istinto omicida che scalpitava dentro di lei; chiudendo violentemente la porta dietro di sé.
 
 
*
 
 
Con una sola occhiata Haruka e Akira si capirono, la traduzione di quello sguardo era semplice: “Sfonda la porta e io lo ammazzo prima che lo faccia lui”.
Ad un silenzioso “tre” Akira con una spallata entrò in quello che doveva essere l’ufficio dell’Oyabun e a quella vista rimase spiazzato.
“Cosa vuol dire tutto questo?”
La stanza era immersa nel buio più totale.
“Cazzo!”
“Buongiorno finezza!”
“Akira, non è qui!”
“Lo vedo!”
Haruka entrò dirigendosi a passi veloci verso la scrivania mentre l’amico le copriva le spalle pronto a sparare a chiunque si fosse avvicinato.
La ragazza sparpagliò i fogli sulla superfice, alla ricerca di qualcosa che non sapeva nemmeno lei.
Tutto e niente, purché ci fosse un indizio utile a spiegare quella misteriosa sparizione.
“Non può essere…lui manda i suoi scagnozzi, manda noi a fare il lavoro sporco.” Disse sottovoce.
Aprì un cassetto  e vi trovò dei sigari.
Roba inutile.
Lo richiuse con una ginocchiata senza smettere di guardare da una parte all’altra della stanza quando un’illuminazione la colse alla sprovvista.
Lui lo sapeva!
“Merda…”
“Haruka, dovresti fare un corso di bon ton lo sai? A una ragazza non si addice un linguaggio così scurrile!”
“Non prendermi per il culo in questo momento!”
“Ecco appunto!” sospirò il moro alzando gli occhi al cielo.
“Akira lui lo sapeva!” sbottò la bionda per poi notare il led del computer lampeggiare.
“Cosa?”
“Ma sei tonto?”
“No, ma non sono nel tuo cervello!”
La bionda mosse il mouse, attendendo che la schermata le rivelasse qualcos’altro oltre al nero.
“Sapeva che saremmo venuti qua, che l’avrei tradito…”
Le iridi cobalto sembrarono rimanere incollate alla schermata del pc. Sconvolte. Gelate.
“Haruka che succede?”
La bionda boccheggiò senza riuscire ad emettere alcun suono.
Ogni muscolo del suo corpo sembrava essersi paralizzato e lei era incapace di muoversi. Persino le dita erano rimaste contratte sul piccola oggetto che le aveva permesso di leggere quella frase a caratteri cubitali sul display a sfondo bianco.
Il ragazzo si decise ad abbassare la guardia e a raggiungere la bionda.
“Spostati, fammi vedere…” le disse piano appoggiandole una mano dietro la schiena come scarno conforto e facendola leggermente scostare dal computer.
Anche i suoi occhi grigi vennero catturati come due calamite, la frase che gli stava gettando in uno stato ipnotico era semplice ed efficace “Sei fuori dai giochi Ten – ō”.
 
 
*
 
 
Michiru era in attesa del ritorno di Haruka e Akira.
Quanto ci sarebbe voluto? Stavano bene?
La voglia irrefrenabile di correre fuori dall’appartamento alla ricerca dei due veniva arrestata solamente dal piccolo particolare di non sapere dove stava l’uomo più potente della Yakuza.
Ne convenne che non era una buona idea.
Avrebbe perso tempo inutilmente cercando alla cieca e di conseguenza avrebbe creato problemi ad Haruka, per non parlare degli spiacevoli incontri che avrebbe potuto fare.
Aveva trovato tre attenuanti nel giro di qualche secondo per non varcare da sola quella soglia,
respirò profondamente, sentendosi un po’ una codarda nel rimanere con le mani in mano.
“Saranno di ritorno a momenti…” disse ad alta voce, nella speranza che quella rassicurazione che stava facendo a sé stessa, potesse risultare a qualche Dio una preghiera da esaudire.
Un bussare improvviso la colse alla sprovvista.
Michiru si lanciò verso la porta per aprire.
Aveva dimenticato le chiavi?
“Grazie al cielo Har – “ rimase paralizzata dal terrore che le impedì di finire la frase che morì cadendo nel nulla.
Daisuke si affrettò nel mettere il piede oltre la soglia per non permetterle di chiuderlo fuori.
“Buonasera signorina!” ghignò malevolo, mentre entrava senza troppi problemi nell’appartamento.
“Mi dispiace non essere la sua dolce metà…”
Michiru indietreggiò di qualche passo.
“Anzi, no. Non ci tengo ad essere una sporca lesbica, figlia di un uomo codardo e senza spina dorsale…”
“Il padre di Haruka era una persona migliore di lei, ma anche il peggiore tipo di spazzatura su questa terra lo sarebbe!” riuscì a dire Michiru ritrovandosi ad inciampare nella poltrona dietro di sé.
“Non mi toccano le parole di una sgualdrina!”
L’uomo rise di gusto, divertito nel vedere la smorfia di paura che la ragazza tentava in tutti i modi di celare sotto quella falsa aggressività.
Mentre Michiru si divincolava per rialzarsi e mettersi più lontano possibile da Daisuke, degli altri passi cadenzati da un rumore diverso fecero il loro ingresso.
Un uomo in abito bianco dal capo coperto da un cappello del medesimo colore, che stringeva un elegante bastone da passeggio dagli intarsi dorati entrò alle spalle di Daisuke, che si voltò per poi posare nuovamente il suo sguardo su Michiru.
“Ti presento l’Oyabun, dovresti esserne onorata, non tutti quanti possono vederlo in viso sai?”
“Haruka, Akira…cosa li avete fatto?” La rabbia traboccò dalla voce di Michiru.
“Sei in presenza di una persona di tale importanza e tu nomini quei due sorci?” Daisuke riuscì a raggiungerla tirandole uno schiaffo in volto.
“Che maniere, Daisuke…” lo rimproverò l’uomo dal completo candido che squadrò la ragazza, “E’ un peccato, doverla far fuori…con una bellezza così, molti clienti pagherebbero somme considerevoli, per divertirsi con lei…”
Ma di che diavolo parla?
“E’ da addomesticare, non vede? Quella sudicia…”
Con un cenno l’Oyabun lo zittì. Passò oltre il suo sottoposto fino ad arrivare a Michiru.
“Ora andremo dalla tua famiglia. Siccome quei due disgraziati, con cui hai fatto amicizia non sono capaci nemmeno di riscuotere una semplice somma di denaro senza attirare l’attenzione della polizia, andremo noi di persona…Michiru”.
La ragazza deglutì abbassando lo sguardo, mai aveva avuto paura così tanto di un essere umano.
Si sentì come una bambina in preda agli incubi nella sua cameretta, in attesa che l’uomo nero la venga a prendere per farle del male.
“Se tuo padre non mi darà ciò che mi spetta…ucciderò prima tua sorella. Poi…” le sollevò il mento per poter perdersi in quel blu che annegava nel terrore “Ammazzerò lui davanti a te. Mi prenderò la sua intera attività e…” sembrò pensarci un po’ su, indeciso tra varie alternative che conosceva solo lui nella sua mente.
“Farò di te una bellissima Geisha per i miei clienti più importanti. Facendo magari assistere la tua stupida amante a tutto quello che ti succederà in quelle stanze, fino a quando sarà necessario, dopo di che ammazzerò anche il vostro amichetto e poi…” una scintilla sadica gli illuminò lo sguardo e fece scattare un sorriso sul suo volto ormai raggrinzito dal tempo, “farò sparire anche te davanti a lei e…” si voltò verso Daisuke che sembrava piuttosto soddisfatto nell’ascoltare il futuro che il suo capo aveva deciso di riservare per tutte quelle persone.
“Secondo te è meglio lasciarla viva Haruka?”
“Mmh…si.”
“Interessante…non la odi talmente tanto da volerla far fuori con le tue mani?”
“Credo che lasciandola vivere con tutte queste morti sulle spalle sarebbe più doloroso, la morte è per i codardi, per chi vuole alleviare le proprie sofferenze…”
“Ecco perché mi piaci, Daisuke. Sei senza scrupoli. E’ ciò che ci vuole per fare strada!”
“Andiamo ragazzina!” L’Oyabun la tirò per i capelli facendola gridare di dolore.
“Andiamo a vedere come muore la tua famiglia!”
 
 
*
 
 
Rei si sedette davanti a Minako che cercava di massaggiarsi i polsi intorpiditi e doloranti dalle manette.
“Potresti togliermele? Mi fanno male…” chiese gentilmente la bionda porgendole le mani.
“D’accordo…”
Non è certo un energumeno pericoloso.
“Grazie!” sorrise di rimando Minako finalmente libera.
“Setsuna ti spremerà e ti darà il tormento fino a che non parlerai lo sai?”
L’altra fece spallucce. Poco importava. Poteva subire qualunque cosa ma non una parola sarebbe uscita dalle sue labbra.
“Non t’interessa finire in prigione? Non vedere più i tuoi amici…i tuoi cari”.
“State insieme?”
Rei non capì perché quella deviazione di discorso e rimase in silenzio.
“Allora?! Ho ragione?” insistette Minako curiosa.
La mora accennò un “si” con il capo.
“Dunque sei tu la persona importante di cui parlava…” disse in un sospiro portandosi le mani dietro al collo per massaggiarselo.
“Cosa centra questo?”
“Dovresti capire…” si limitò a dire.
Rei aggrottò la fronte confusa.
“Che se si ha qualcuno d’importante da proteggere non importa nient’altro al mondo!”
Dunque lo sta facendo per qualcun altro! Non è una della yakuza. Lo sapevo…
“E chi è questa persona?”
Minako sorrise sospirando “Sarei una stupida a dirtelo!”
“Non credo che tu sia una persona cattiva…sembri una persona per bene, però sei in un brutto guaio, abbiamo una testimone. Se lei sostiene la nostra tesi e i fatti tu risulterai complice di quella gente, di un rapimento. E’ una cosa seria, te ne rendi conto?”
La bionda sbuffò. “Temo che tu non capisca…facciamo un esempio pratico!”, si alzò dalla sedia stiracchiandosi “posso fare due passi qui intorno al tavolo? Per sgranchirmi le gambe…mi fan male…” chiese cortesemente.
La porta si apre solo dall’esterno, dall’interno bisogna avere la chiave.
“D’accordo. Ma qui dove ti posso tenere d’occhio per bene.” Le disse indicando con lo sguardo le stampelle.
L’altra annuì e cominciò a parlare “Facciamo un ipotesi…”
Rei si rilassò sulla sedia guardandola camminare da una parte all’altra della stanza.
“La tua donna è nei guai, guai grossi s’intende…”
“Ha dell’irreale, Setsuna è una poliziotta”.
“Come siete noiose. Cerca di tenerla fuori dal contesto: è dalla parte della legge, per un momento”.
La mora fece una smorfia e roteò gli occhi “d’accordo, continua. Tra poco arriverà e non so quanto si sarà calmata…”
“Dicevo…” riprese tranquilla Minako “è nei guai fino al collo, per un qualsiasi motivo, non importa quale. Tu la denunceresti? Non faresti di tutto per aiutarla anche a costo di combinare pasticci? Di rimetterci la pelle?”
“Se rapisce qualcuno io la denuncio…ma comunque è un esempio inverosimile!”
“Cocciuta. E’ inutile non sei nella situazione…e non sei nemmeno romantica, non puoi capire!!”
“Se stai cercando di confessare qualcosa devi essere più diretta!”
Minako si fermò, si appoggiò al tavolo e sorrise sorniona “Vorrei avere un avvocato! Credo che sia nel mio diritto!”
 
 
*
 
 
“CORRI!” gridò Haruka dietro ad Akira mentre si lanciavano in una discesa sfrenata delle scale.
“Ha passato il compito a Daisuke, sarà da Michiru!”
Il fiato sembrò venirle a mancare dopo quelle parole, non tanto per la corsa quanto al pensiero di quell’individuo con Michiru.
La dolce, indifesa, bellissima Michiru.
Strinse le palpebre scacciando ogni brutto pensiero che le rimbalzava in testa.
Abbassò la testa e superò nel corridoio Akira. Sapeva che le sue gambe erano le più veloci. Sapeva di poter fare in tempo. 
Doveva fare in tempo.
Rallentò appena nel vedere la porta dell’appartamento spalancata.
E’ troppo tardi?
“Haruka!” la voce di Michiru che la chiamava disperata all’improvviso.
Il suo sguardo scattò come una molla in direzione del suono e la vide davanti a sé, nell’ascensore che si stava chiudendo davanti ai suoi occhi.
Daisuke la teneva ferma, con le mani dietro la schiena, stretta a sé con a fianco l’uomo che l’aveva condannata a quella vita.
“Sayounara Haruka!” sorrise Daisuke, per poi tappare con una mano la bocca a Michiru che sembrava piangere disperata.
Akira la raggiunse attesero un momento guardando i numeri dell’ascensore cominciare a scendere in ordine decrescente.
“Il sotterraneo, il posto macchine!! Andiamo!” Ordinò Haruka scendendo le scale.
“Akira lo so che vorresti andare subito da Minako ma…”
“Ti sembra il caso di fare questi discorsi ora?!” ridacchiò l’amico.
“Se vuoi me la cavo io con quelli, puoi andare in centrale intanto…”
“Si a fare la mia carneficina!” disse ironico l’altro rendendosi conto di non avere un buon piano.
 
 
 
“Signore…”
“E spostati!” gridò Daisuke spintonando lontano, quello che doveva essere il custode del parcheggio della Yakuza.
“Se non ti dispiace lascerei la mia limousine qui, è un po’ ingombrante nel traffico e sembra che dovremmo avere parecchia fretta!” disse l’Oyabun al suo scagnozzo.
“Certo signore, prenderemo la mia…”
 
“Signo – “
“Ma levati dalle palle, imbecille!” ringhiò Haruka togliendo in malo modo, dalla propria strada, il povero malcapitato che cercava solo di fare il suo lavoro.
“Lasciala subito, Daisuke!” urlò la bionda impugnando la pistola e puntandola verso di lui.
“Non hai il coraggio di sparare, potresti colpire lei!” la minacciò lui, facendosi scudo con Michiru.
Maledizione! Non posso rischiare!
Le mani di Haruka tremarono.
Akira era andato a prendere la macchina, mentre il custode stava facendo manovra con la vettura che sarebbe stata utilizzata dal boss della Yakuza.
“Non posso colpire te…” sorrise mentre l’Oyabun stava per salire in macchina.
“Ma posso ammazzare lui, finalmente!”
Senza pensarci due volte puntò la revolver verso l’assassino di suo padre e senza pensarci due volte fece per sparare.
Daisuke lasciò dalla sua stretta Michiru, per spingere via dalla traiettoria della ragazza il padre dell’organizzazione, che l’aveva nominato qualche ora prima suo erede.
Tutto per l’Oyabun. Tutto per chi ha fatto di me, un uomo potente.
 
Michiru corse in direzione di Haruka approfittando del momento in cui i due uomini si erano lanciati a terra per sopravvivere al colpo andato a vuoto.
“Stai bene?”
“Si!”
“Oddio, per fortuna!” Gli occhi cobalto la guardarono preoccupati, “avevo pensato al peggio!”
“Sei arrivata in tempo!” Sorrise Michiru abbracciandola, mentre l’auto con alla guida Akira sgommava verso di loro.
“Sali!” ordinò Haruka, mentre l’amico scendeva lasciandole il posto da pilota.
“Cosa stai facendo?!” chiese confusa la bionda.
“Tu sei quella più veloce, muoviti! Andate! Li tengo occupati che qui cominciano a spa – “
 Un colpo partì colpendo in quel momento il fanale della Ferrari gialla.
“Idiota è d’importazione!”
Il moro prese a sparare contro i due uomini mentre Haruka partiva a tutta velocità senza una direzione ancora precisa.
 
 
 
*
 
 
Setsuna aprì la porta della piccola cella che avevano in commissariato.
“Entra Aino! Per un po’ avrai compagnia!” disse la donna accennando con un gesto del capo alla prostituta seduta all’interno della cella.
“Fantastico! Così non mi annoierò mentre attenderò il mio avvocato!”
“Se vuoi ce n’è uno di ufficio…a proposito ho chiamato Ami per venire a testimoniare…”
“Vorrei rifletterci!”
“Su cosa?”
“Sull’avvocato da scegliere!”
“Fai come ti pare io posso trattenerti intanto, potevo già farlo per la corsa…”
Minako sbuffò.
“Ehy ciao!” salutò con una mano la giovane donna da marciapiede, che ricambiò con un smorfia molto lontana dall’essere un sorriso quel gesto.
“Sono Minako!” disse sedendosi di fronte a lei.
“Ah – Ah”
“Tu ce l’hai un avvocato?”
L’altra la guardò spazientita “Non sopporto le chiacchere!”
“Oh beh…”  La bionda rimase in silenzio.
Come riconosco qua dentro la gente corrotta? Lo so bene che c’è…
Appoggiò la testa al muro spoglio e ingrigito.
Uno della Yakuza di sicuro mi farebbe uscire, c’è da fidarsi di quelli d’ufficio?
Sospirò cercando di concentrarsi e trovare una soluzione, una scappatoia.
A parte la testimonianza di Ami non hanno prove…probabilmente la mia situazione non è così grave se non scoprono altro.
“Ohwn.” Si lamentò ciondolando la testa.
Puntò gli occhi oltre le sbarre, verso la porta socchiusa che la divideva dal resto del caos della centrale.
Il cervello si spense in modalità off e tutto quello che riuscì ad immaginare, fu Akira con il suo sorriso che riservava solo a lei, che la veniva a prendere.
 
 
 
 
Note dell’autrice:
 
Oh mamma. Che mal di testa.
Allora!!! Mettiamo in chiaro un po’ di cose:
 
-       Il capitolo NON doveva essere così.
-       DOVEVA terminare in un altro modo.
-       L’hot calpis è una bevanda esistente in Giappone a base di yougurt se non erro e c’è in più gusti alla frutta.
-       Io sono una capra già di mio per quanto riguarda il diritto, per come funziona il sistema giudiziario in Giappone poi ne so ancora meno. Ho provato a fare delle ricerche ma zero. Pertanto vi chiedo di prendere molto con le molle le cose scritte in merito all’ambito legislativo. In caso qualcuno sapesse come funzionano questo tipo di cose realmente in Giappone se me lo spiega mi fa felice :D
 
L’ho terminato solo ora dalle dieci di mattina, ho deciso di spostare il resto alla “seconda” parte, perciò vi beccherete un capitolo in più ;)
Non mi andava di lasciarvi senza per il weekend!
Buon sabato e buona domenica!!
Baci Kat

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Capitolo 16
*** 15. La resa dei conti - Parte II ***


 

WARNING:  Anche questo capitolo contiene termini volgari, violenza e forse vi farà arrabbiare.Detto ciò, sedetevi comodi, prendete un pacchetto di patatine a attenti a non strozzarvi.
Vi aspettano 9 pagine di assurdità.
Buona lettura, a chi si avventura!

 
 
 
La pioggia si era fatta torrenziale impedendo una visuale nitida della strada ad Haruka, che cercava per quanto possibile, di mantenere una velocità sostenuta.
Il cielo plumbeo e il forte temporale sembravano aver mandato in tilt la fitta rete stradale di Tokyo, intasate da vetture e mezzi pubblici che avanzavano a passo d’uomo.
“Anche quel giorno aveva cominciato a piovere forte…” disse Michiru all’improvviso, con lo sguardo chiaro perso al di là del finestrino.
“Quando ti ho rapita...” Disse con un leggero sorriso, “già”.
Posò la mano sul cambio accarezzandolo piano per poi scalare in prima e fermarsi a causa della coda.
“Mi dispiace di averti fatta entrare in questo casino…”
Suonano strane queste parole.
“Se tornassi indietro…”
Cosa faresti Haruka? Se potessi riavvolgere il tempo, rifaresti tutto quanto?
La frase morì all’istante, senza proseguire.
Haruka non aveva una risposta, perché una risposta a tutta quella situazione non poteva esserci.
Poteva dire che non l’avrebbe rifatto, ma in qualche modo avrebbe mentito.
Se non avesse eseguito gli ordini non ci sarebbe stata Michiru nella sua vita e lei, non avrebbe trovato la forza di reagire.
Non sarebbe tornata a vivere, perché di fatto quella ragazza, con solo la forza della sua gentilezza e del suo modo di essere aveva distrutto il muro che non permetteva ad Haruka di vedere il mondo, la vita vera, un’alternativa.
Senza di lei, sarei ancora prigioniera di me stessa e del mondo della Yakuza.
La mano di Michiru si posò sulla sua, il suo tocco leggero la fece fremere proprio come era successo qualche ora prima, sotto quelle lenzuola, che non avevano mai conosciuto l’amore sino a quel momento.
“Non posso pensare di tornare indietro”. Disse con voce flebile la bionda, guardandola negli occhi.
“Lo so”. Michiru capiva perfettamente.
“Tornerai ad Osaka, quando tutto sarà finito?”
Lo sguardo blu virò bruscamente altrove.
La testa di capelli acqua marina si lasciò andare sul sedile, mentre un profondo sospiro attraversò la cassa toracica della ragazza per poi abbandonarla.
“Ho la mia vita là…” sorrise leggermente, guardando due giovani divertiti da qualcosa, sul sedile posteriore della macchina bianca a fianco a loro. “Ho i miei ragazzi. Il mio lavoro…”
“Non ti mancano mai Ami e tuo padre?” chiese la bionda, mentre la sua testa poneva incessantemente un altro tipo di domanda.
Non ti mancherò io?
“A volte si”, la mano di Michiru lasciò quella dell’altra per ravvivarsi i capelli spettinati dalla corsa.
“Ma ad Osaka c’è il mare”.
 A quelle parole l’immagine delle onde che s’increspavano l’una contro l’altra e lo scroscio dell’acqua che accompagnava le melodie suonate da Michiru le invasero la mente.
“Non so come spiegarlo…ma il mare riesce a portare via ogni mia preoccupazione, ogni mio pensiero”. Liberò un sospiro. “Mi fa sentire a casa, non sono mai sola!”
Riuscirà a portare via anche me da i tuoi pensieri, Michiru?
 
“Qualcosa non va!” Michiru fece per aprire la portiera della Ferrari.
“Cosa fai?” Haruka la prese per il polso tirandola a sé.
“Vado…” il suo battito accelerò a quella stretta.
Ecco che divento sorda e non altro vedo che lei…
“Vado…solo a vedere qual è il problema, non ci stiamo muovendo…forse c’è stato un incidente, torno subito”.
Lo prometti?
Gli occhi cobalto sembravano supplicarla di non andare.
“Giuro, non scappo!”
“Ok…” la voce roca di Haruka acconsentì lasciandola scendere dall’auto.
 
Michiru avanzò.
La gente nervosa aveva cominciato a suonare i clacson come se la cosa potesse sbloccare quel muro di mezzi che impediva a tutti di tornare a circolare.
Corse sotto la pioggia nel traffico fermo per capire quale fosse il problema.
Piccole gocce fredde scivolarono sui suoi vestiti e la pelle, andando ad adornarle come perle i capelli lunghi ondulati.
“Oh…”
Alcuni vigili erano giunti sul posto per dirigere la circolazione.
“Il semaforo si è spento…”
Forse un blackout.
 
 
*
 
 Daisuke si scagliò gridando contro Akira che lo aveva disarmato un’istante prima.
“Non mi occorre una pistola per farti fuori ragazzetto!”
“E’ la scusa che usi tutte le volte che come uno stupido ti fai volar via dalle mani una revolver?” Lo derise il moro, mentre la mano dell’uomo premeva sul suo volto come ad allontanarlo.
L’Oyabun salì sulla vettura mettendosi al volante, incurante del suo scagnozzo e smanioso di concludere i suoi affari.
Per lui solo il denaro e il potere erano ciò che contava, al resto poteva benissimo voltare le spalle e passarci sopra.
“Guarda tuo padre!” disse Akira spingendo Daisuke contro la sua Infiniti G coupé argentata, assestandogli un pugno che gli fece voltare il viso in direzione del boss.
“Guarda l’uomo per cui hai sacrificato tutto…se ne sta andando!”
L’espressione di Daisuke mutò in incredulità.
“Io…sono il suo successore!” ripeté a sé stesso, sottovoce.
“Sei solo carne da macello, non gli servi. A lui importa del suo stupido denaro. Ti sta lasciando qui!”.
Akira sorrise compiaciuto, “ti sta lasciando nelle mie mani a morire!”
L’auto fece manovra, il finestrino si abbassò appena, giusto perché la voce del guidatore fosse udibile ai due.
“Mentre voi vi azzuffate e compromettete la wa, di questo posto come avete sempre fatto, io vado a prendere ciò che mi spetta…”
“Ma…” Daisuke provò a divincolarsi per protestare e Akira lo colpì con un pugno allo stomaco che lo fece piegare su se stesso gemendo di dolore.
“Mio caro Daisuke…che leader saresti, se non riesci ad occuparti di un cane come Akira?”
Il ragazzo non si fece toccare da quella provocazione, aveva ben altro a cui pensare e voleva fare in fretta.
Sarò anche un cane, ma un cane con delle persone a cui tengo e per cui combatterò fino alla fine.
“Signore, lo ucciderò!” ringhiò lo Yakuza ancora devoto al suo capo.
“Ho fatto un giuramento, intendo rispettarlo. Farò tutto per voi, padre!”
“Risulti ridicolo Daisuke!” Akira non si risparmiò un altro colpo, “Sei spazzatura quanto me per lui!”
Il motore dell’auto ruggì.
L’Oyabun rise di gusto, compiaciuto dal suo essere superiore.
“Vado dalla tua amica…so dov’è. So sempre dove siete!”
Gli occhi di ghiaccio si sgranarono appena, ma non lasciarono trapelare la loro preoccupazione.
“E dopo che mi sarò occupato di lei, farò visita alla tua bella ragazza…”
Il respiro di Akira si mozzò all’istante, Daisuke ne approfittò dell’ attimo di distrazione del moro, per placcarlo e buttarlo a terra sotto il suo peso.
“Non ci provare!” aveva la forza solo di gridare in quel momento mentre il suo corpo sembrava rifiutarsi di reagire in qualsiasi modo.
“Lo farò, mio caro!”
Dovete star lontani da Minako!
Daisuke raggiunse con una mano la pistola che era scivolata a terra nello scontro precedente.
“Ti ucciderò, lo giuro!” gridò in preda a una sorta d’isterismo all’Oyabun.
“No, prima ti ammazzerò io…” gli sussurrò quello sopra di lui, mentre un ghigno sadico gli compariva in volto puntandogli contro l’arma.
La macchina sgasò uscendo dal parcheggio sotterraneo e abbandonando i due avversari là sotto.
Le dita di Daisuke sfiorarono il grilletto.
Akira chiuse gli occhi stringendo le palpebre. Per un momento pensò di farla finita, di porre fine a quell’esistenza e a quelle continue torture.
Potrei stare per l’eternità senza di lei, però? Senza la sua risata?
La canna fredda della pistola si puntò sulla sua fronte.
Senza la sua voce?
Il suo corpo sembrò farsi pesante, stanco anche lui di combattere per rimanere in piedi, sottoposto ogni volta a risse e corse per salvarsi la pelle.
Senza il suo amore?
Le sue iridi tornarono a vedere la luce, a fissare lo sguardo che pareva iniettato di sangue di Daisuke, pronto a farlo fuori senza alcuna indecisione. Era il ritratto di un diavolo, di chi aveva perso la sua umanità.
“Sayonara, Akira!”
Il moro sorrise.
Riuscì a percepire la pressione del dito sul grilletto e il ruotare del tamburo contenente i proiettili.
Un click a vuoto, senza un conseguente sparo lasciò di sasso Daisuke.
“Ma cosa?”
“Idiota”, il sorriso di Akira si fece ancora più largo.
“Volevi ammazzarmi con la mia pistola…”
“Una vale l’altra!”
“Certo…peccato che sia scarica!”
Il ragazzo sembrò recuperare tutte le sue forze e concentrarle in una ginocchiata al linguine di Daisuke, togliendoselo di dosso.
“Ho finito le munizioni mentre tentavo di colpirvi prima, così l’ho buttata a terra e poi ti ho disarmato!” gli spiegò dandogli un calcio allo stomaco.
“Se mi farò ammazzare non sarà con la mia pistola e tantomeno, da te!”
Un grido disumano rimbombò nel garage.
Akira stava pestando violentemente le dita dello yakuza steso sull’asfalto umido che cercava di trascinarsi lontano da lui.
“Ehi, non ho ancora finito…non è educato parlare sopra agli altri o gridare come una gallina!”
“Bastardo!” sibilò, prima di urlare ancora una volta dal dolore che l’altro gli provocò all’istante.
“Mi pare di avere sentito un crack…ti ho rotto un dito?”
“Maledetto…figlio di…”
“Ehi, non offendere la mamma!” il volto di Akira si fece serio.
Si piegò recuperando l’arma dell’altro, rigirandosela tra le mani.
“Non la tieni molto bene, questa bambina eh?!”
Daisuke tentò di alzarsi, ma un calcio dell’altro lo fece ripiombare al suolo.
“Almeno è carica, è ancora utile insomma…”
“Ma che caz - ”
“sshtt, ehi…” Akira si chinò e lo colpì con il cane della pistola, “non essere scurrile, hai una certa età sai? Non ti si addicono le parolacce, quelle sono riservate al vocabolario di Haruka!”
L’uomo anche se malconcio sembrò trovare qualcosa di divertente in quella frase perché cominciò a ridere, suscitando una certa irritazione nel ragazzo.
“Si è scopata anche te quella lesbica?”
I tratti del moro s’indurirono. I suoi occhi divennero il ritratto dell’Antartide, perdendo ogni sfumatura di calore tramutandosi in due sottili fessure. Lame gelide.
“Ti ho detto di non essere maleducato!” lo riprese serio per poi tirarlo per i capelli brizzolati costringendolo così ad alzare il volto verso di lui.
“Smettila di ridere, non lo trovo divertente…”
“Sembri diventato un sadico lo sai?”
Akira rimase un istante in silenzio osservando per l’ultima volta la faccia tumefatta di quello che aveva reso la vita ancora più ardua di quanto già non fosse alla sua amica.
“Non sei l’unico stronzo qui dentro, sai?!”
“Non sembra una tua frase…”
“Infatti non lo è!” lo interruppe l’altro, “è quello che avrebbe detto Haruka…”
Un verso schifato rantolò fuori dalla bocca dell’uomo.
“Di, Sayonara a questo mondo, Daisuke!”
Furono le ultime parole che l’uomo sentì, prima che un proiettile lo trapassasse mettendo fine alla sua squallida vita.
 
 
 
 
*
 
“Un’altra volta ferme, non ci credo!” Haruka cominciò a tamburellare le dita sul volante visibilmente nervosa.
Era riuscita a guidare senza rimanere imbottigliata per cinque minuti scarsi, per poi ritrovarsi nuovamente bloccata dietro ad un camion.
“Dove stiamo andando?” chiese Michiru.
“Ti riporto dalla tua famiglia…sperando che Akira si sia occupato di quei due piantagrane…”
Michiru sembrò turbata. “Riuscirai a farcela?”
La bionda fece spallucce, in quel momento le importava poco del suo destino.
Tutto ciò che riusciva a desiderare era riportare al sicuro Michiru.
“Fammi una promessa…” prese fiato la ragazza sfiorandole una guancia con le dita fredde.
Haruka annuì piano con un cenno impercettibile del capo.
“Promettimi che farai tutto il possibile…e anche l’impossibile, per sopravvivere!”
“D’accordo…”
La bionda le sorrise per poi spostare la sua attenzione sullo specchietto retrovisore.
“Merda!”
“Che c’è?”
“E’ qui!”
“Chi?”
“L’Oyabun!” la voce di Haruka si fece concitata “ci ha già beccate, questo traffico ci ha rallentato troppo!!”
Michiru si divincolò dalla cintura di sicurezza per voltarsi e guardare dietro di sé.
“O cavolo…” si lasciò sfuggire sottovoce vedendo la vettura dell’uomo subito dopo quella che seguiva la loro ferrari.
“Dobbiamo filarcela!” Le mani esperte della bionda fecero girare velocemente il volante.
“Do…dove pensi di andare?” chiese Michiru capendo che non era possibile superare la fila di macchine che avevano davanti a loro.
“Oltre lo spartitraffico. Allaccia la cintura!”
“Ce l’ho già, allacciata! Ma…”
“Michiru, non contestare, per favore!!”
 
I pneumatici sembrarono girare a vuoto per un momento sull’asfalto bagnato. Stridettero, per poi partire ad una velocità spropositata oltre lo spartitraffico che venne buttato giù malamente dalla bionda, che non aveva intenzione di rimanere un secondo di più dove si trovava.
“Dimmi, dove hai preso la patente? Perché ce l’hai vero?”
La Ferrari s’insidiò nella corsia prendendo a correre contro mano seguita dall’auto scura dell’ Oyabun.
Haruka non rispose, concentrata sulla guida.
“Attenta!!” gridò Michiru coprendosi gli occhi.
“Lo vedo! Lo vedo!”
“Faremo un frontale, me lo sento!”
“Hai un’idea migliore?!”
“Si, guidare nel senso giusto!”
La bionda ridacchiò guardandola con la coda dell’occhio.
“E ora perché ridi?”
“Sei carina quando ti spaventi!”
“Haruka!!”
La lancetta schizzò oltre i centotrenta, la macchina schivò un utilitaria rossa guidata da un uomo anziano che rischiò il collasso nel vedersi arrivare a tutta velocità un auto contro.
“Dove cavolo sei Akira? Stai bene?”
Michiru sentì Haruka sibilare quelle parole e la vide assumere un’espressione sofferente.
L’auto dietro di loro si avvicinò ancora di più.
La bionda poté intravedere il riso dell’uomo che si pregustava la sua vittoria.
“Dobbiamo tornare nell’altra corsia Haruka, così ci ammazzeremo prima che lo faccia lui!”
“D’accordo”.
Accelerò di nuovo, guardando alla sue destra.
Il traffico sembrava essere tornato a scorrere normalmente nonostante la pioggia non fosse cessata.
“Tieniti forte!”
Michiru deglutì ubbidendo all’istante.
“Ora finiremo in centro…” precisò Haruka compiendo la stessa azione fatta per uscire dal traffico poco prima.
“Questi spartitraffico si piegano come carta!” disse non appena la macchina si riassestò sull’asfalto, facendo inchiodare una vettura sulla loro strada.
L’altra si portò una mano al petto riprendendo a respirare dopo una breve apnea da tensione.
“Quel vecchio se la cava al volante, non l’avrei mai detto! Di solito non guida mai…cavolo abbiamo noi la macchina più distrutta della sua…”
“Certo Haruka!” il tono di Michiru si fece appena più stridulo “noi sfondiamo le cose! Lui passa dai nostri varchi! E’ ovvio che la nostra macchina sia messa peggio!”
“Ohi, ohi, respira Michi!”
“Non dirmi di respirare!!”
“Cosa devo fare augurarti di soffocare? Tra poco vai in iperventilazione se non ti dai una calmata!”
Michiru sospirò puntando gli occhi al cielo “Ti ringrazio per la preoccupazione, ma in questo contesto è un po’…complesso rimanere tranquilla!”
Gli alti palazzi moderni della città sfrecciarono sotto gli occhi della ragazza come all’alba di quell’inseguimento con la polizia.
Guardò le insegne luminose e i grandi cartelloni pubblicitari cercando di non pensare, che quella sarebbe potuta essere la loro ultima corsa.
Doveva scacciare la paura dalla sua mente, doveva scacciarla dalle sue viscere che si stavano contorcendo dal terrore che le causava quella situazione.
Per un istante invidiò Haruka, sembrava sempre essere calma e senza preoccupazioni nel momento del pericolo.
Forse ci è abituata?
La luce dell’imbrunire, anche se pallida per il temporale, illuminò il viso della giovane al volante.
E’ bellissima. Vorrei poterla guardare per sempre…
Michiru le posò una mano sulla spalla, aveva bisogno di un contatto con lei, la sentì irrigidirsi appena, colta alla sprovvista da quel gesto per poi ammansirsi subito dopo come un gattino in cerca di carezze.
Le passò la mano tra i fili di grano che le ricoprivano la testa e si accorse di trovare così la sua calma.
Quella che doveva rappresentare un pericolo per lei, ormai era il suo prezioso talismano contro la paura e le preoccupazioni, era diventata come il mare.
Infondo anche qui vicino c’è l’oceano.
Socchiuse gli occhi, riuscendo ad estraniarsi dalla situazione; e il rombo del motore divenne per un momento il canto dei gabbiani che era solita ascoltare ad Osaka.
Sospirò.
Le immagini di lei bambina e suo padre sulla spiaggia a giocare durante la calura estiva s’impossessarono della sua mente.
Caro padre, come mi guarderesti se lo sapessi? Avresti ancora occhi per me? Mi riserveresti una delle tue carezze gentili se fossi a conoscenza del fatto che amo uno scarto della società, come lo chiameresti tu?
Eppure è così. La tua bambina è perdutamente innamorata del suo rapitore.
 
La vettura sbandò appena colpita da quella dell’Oyabun.
Michiru si ritrovò catapultata  nuovamente nell’incubo, nella realtà.
“Attenta Haruka! C’è l’area pedonale li!”
Il semaforo scattò sul rosso dando ai pedoni il permesso di procedere sulle strisce nel centro della città.
“Non posso fermarmi, Michi!”
“Ma…”
“Si sposteranno vedrai!”
Haruka prese a suonare il clacson insistentemente passando in mezzo alla folla di persona che riuscì ad uscire indenne dal possibile scontro con la Ferrari, mentre Michiru si coprì gli occhi per non guardare la scena.
“Ok, tutto bene…”
“Tutto bene?”
“Si!” la rassicurò l’altra “non ho messo sotto nessuno, puoi aprire gli occhi!”
“Svolta! Svolta a sinistra!” le ordinò Michiru prendendole all’ultimo il volante.
La bionda rimase interdetta.
“Andiamo sull’altra strada, li non c’è il rischio di investire qualcuno!”
Haruka sorrise. “Sempre a pensare agli altri! E’ anche questo che mi piace di te!”
Michiru si sentì avvampare.
“Non l’abbiamo ancora seminato!” ringhiò la bionda, sterzando violentemente.
Spinse il piede sull’acceleratore, decisa ad attraversare l’incrocio che l’aspettava davanti a sé.
Il semaforo da verde scintillante passò a rosso accesso.
Lo sguardo cobalto sembrò voler sfidare il destino, non si abbassò, si puntò oltre l’incrocio ancora libero quando un furgone bianco, spuntò alla sua destra colpendo la sua fiancata.
L’impatto fu inevitabile.
L’auto si schiantò contro un altro veicolo capottandosi più volte in mezzo alla strada.
Dall’impatto non ne uscì indenne nemmeno l’Oyabun, che senza riuscire a frenare si scontrò allo stesso modo, andando a finire rovinosamente contro il muro poco distante da dove si trovavano intrappolate Haruka e Michiru.
Una nuvola di fumo si alzò dal suolo bagnato, avvolgendo l’auto sportiva gialla scintillante.
Michiru emise un mugolio soffocato.
Haruka aprì gli occhi ritrovandosi appesa a testa in giù, bloccata tra il sedile e l’airbag gonfio.
La testa sembrò volerle scoppiare da un momento all’altro, si portò una mano sulla fronte dolorante per poi voltare il capo verso il muro.
Un colpo di tosse.
E’ ancora vivo!
“Michiru…”
Nessuna risposta.
“Michiru!” la chiamò più forte, scuotendola appena per una spalla.
“Si?”
“Principessa devi sbrigarti ok?”
“Cosa?” l’altra aveva una nota confusa nella voce.
“Devi andare via di qui, stai bene no?”
“Si…” deglutì “credo di si…”
“Ok perfetto!” disse frettolosa l’altra accarezzandole il capo.
“Tu stai bene?” Lo sguardo azzurro puntandosi su di lei, sembrò riprendere lucidità di colpo.
“Nulla di rotto direi!” Haruka si sforzò di sorridere.
“Adesso ti libero dalla cintura, va bene?”
“Si, ma…”
“Non protestare Michiru ti prego…”
“D’accordo!” Acconsentì l’altra.
“Al mio tre te la slaccio, stai attenta a non farti male e occhio ai vetri…”
Michiru inspirò profondamente.
Per qualche motivo il terrore la stava attanagliando.
“Uno…”
Andrà bene Michiru.
“Due…”
Sta bene anche lei, è tutto sotto controllo.
“Tre!”
La cintura si arricciò su se stessa liberandola all’istante.
“Ok, esci di qui!” La voce di Haruka sembrava essere appena più serena.
“Brava principessa, esci da questo buco, così!” La incitò sottovoce.
“Ora arrivo a tirarti fuori!” la voce cristallina di Michiru e i suoi passi che calpestavano le pozzanghere sembrarono echeggiare sotto la pioggia.
Una fitta di dolore fece emettere un rantolo alla bionda.
La gamba…non riesco a muoverla…
“Eccomi!” Michiru si sdraiò sull’asfalto grondando.
“Ora ti aiuto ad uscire…”
“N…no!”
“Come?! Che dici Haruka?”
Un rumore proveniente dalla macchina dell’Oyabun la fece rabbrividire.
Sta cercando di uscire il bastardo. E ci riuscirà.
“Ascoltami!”
La sua mano afferrò il braccio di Michiru.
“Michiru…”
“Dimmi…”
“Michiru, scappa! Va via! Ora!”
La ragazza scattò in piedi come un fuso a quell’ordine.
“Non importa dove, vai anche in centrale! è qui vicino! Ma corri!”
“Io non…”
“Si puoi!”
Un tuono illuminò il cielo ormai scuro.
“Ti ho fatto una promessa, puoi fidarti!” le sorrise Haruka con i capelli bagnati e facendole un cenno con la mano.
L’altra guardò l’incrocio, cercò di orientarsi.
Vide il furgone completamente distrutto dall’altro lato della strada.
Nessuno ha ancora chiamato i soccorsi.
“Sbrigati!”
Le gambe di Michiru ubbidirono all’impulso del cervello prendendo a correre.
Non voleva andarsene ed abbandonarla li, ma qualcosa di più forte e la voce di Haruka l’avevano fatta scattare.
 
 
*
 
Rei abbandonò un bacio sulle labbra di Setsuna.
“Sicura che non vuoi venire a riposarti un po’?”
La donna le accarezzò i capelli con un gesto lento, gustandoselo.
“Sicura…”
“Aino è in cella e Ami non verrà qui prima di domani mattina…”
“Avrò tempo di dormire con te e riposarmi quanto questa storia sarà finita. Manca poco, me lo sento!”
“Si e dopo avrai un altro caso a rubarti il sonno!” la prese in giro Rei avanzando con le stampelle verso la porta.
“Fatti accompagnare per andare a casa, il tempo è pessimo e così starò anche più tranquilla!” disse Setsuna.
“Non preoccuparti. Il taxi mi aspetta fuori!”
“D’accordo…buona notte allora!”
“Notte, Sets!”
L’ispettore rimase sulla soglia fino a che l’altra non scomparve dalla sua visuale.
Si avviò con calma alla macchinetta per le bevande decisa ad ingerire un’altra dose di caffè forte, per affrontare la notte in centrale.
Un tuono rimbombò e le luci si spensero per un’istante per poi tornare ad accendersi nuovamente.
Un calo di tensione.
L’odore di caffè invase la stanza.
Setsuna prese il bicchiere fumante tra le mani dirigendosi verso il suo ufficio.
“Che tempo da lupi!” Esclamò soffermandosi a guardare fuori dalla finestra la strada in procinto di allagarsi.
Avanzò nel corridoio, una luce era accesa nella stanza in cui si trovava la cella. La guardia di turno era alla scrivania intenta a leggersi un giornale, mentre la testa bionda di Minako giaceva sulla branda beatamente addormentata.
O ha un bel sangue freddo o ha la coscienza pulita la ragazza…
 
 
*
 
 
I passi di Michiru erano spariti in lontananza con i rumori del traffico.
Haruka si sganciò dalla cintura rimanendo incastrata all’interno dell’abitacolo.
La gamba non dava cenno di voler collaborare.
“Dannazione!”
Cercò di evitare i vetri rotti sparsi ovunque per non ferirsi ulteriormente, quando la portiera dell’auto dell’Oyabun si spalancò improvvisamente, rivelandole alla vista l’uomo traballante.
Il completo bianco era macchiato solo in un punto da qualche piccolo schizzo rosso, probabilmente appartenente alla ferita di poco conto che si era procurato sul viso.
“Ten’ō, dove è finita la tua amichetta?”
“Lontano da te!” sorrise soddisfatta lei.
“E’ inutile che fai quell’espressione, credi che non la ritroverò?”
“Magari creperai prima, sarebbe ora, sai?”
“Ma guardati…” l’uomo la osservò con un’espressione di superiorità in volto, “Che pena che mi fai…”
Haruka cercò distrattamente la sua arma, ma senza successo.
“Intrappolata in una delle tue bellissime macchine da corsa che non riesci a muoverti…”
Le luci del semaforo che cambiarono colore nella strada deserta illuminarono il volto dell’Oyabun.
“Pensavo che non potessi arrivare ad essere una perdente come tuo padre!”
A quelle parole la bionda sputò disgustata verso l’uomo.
“Non era un perdente!”
“Oh, lo era eccome. Per anni ti ho cresciuta come se fossi mia figlia e sai…ero orgoglioso di te!”
Haruka si divincolò, riuscendo a trascinarsi con metà del busto fuori dal finestrino.
“Ma poi, hai mandato tutto all’aria. Il tuo ultimo compito era piuttosto semplice e ti avrebbe permesso di prendere il mio posto, tra tutti quanti! I sentimenti sono per i deboli!”
“Puoi dire quello che ti pare…”
“E’ inutile che fai la menefreghista, sai che posso toglierti ogni cosa, dagli amici alla vita!”
A quelle parole il pensiero tornò ad Akira.
Una smorfia dipinse il suo volto facendo sorridere l’Oyabun.
“Spero proprio che quel buon annulla di Daisuke abbia fatto fuori il tuo amichetto!”
“Vi farò fuori uno ad uno se così fosse!” Haruka sembrò ruggire, strisciando sotto la pioggia.
Una fitta di dolore alla gamba la bloccò.
Così non va!
“Ti piacerebbe…” la sfidò quello. In piedi davanti a lei, puntando nella sua direzione un’arma dalla canna argentea e scintillante, che nella sua mente prese la forma di una lama affilata.
Perdonami Akira se non ho potuto fare nulla per te e Minako.
Il rumore di un auto che inchiodava a poca distanza da li.
Le sirene di un ambulanza che si avvicinavano.
La pioggia.
Lo sguardo penetrante e pieno di disgusto dell’assassino di suo padre.
Perdonami Michiru se non ho mantenuto la mia promessa.
“Muori, Ten’ō!”
Scusa papà!
Haruka chiuse gli occhi.
Non voleva che l’ultimo ricordo della sua vita, fosse l’uomo che l’aveva tormentata fin da bambina.
Si morse il labbro, chinando il capo, prendendo coscienza della sua fine.
Penso di amarti, Michiru.
E l’ultima cosa che udì, fu uno sparo.
 
 
 
 
 
Note dell’autrice:
 
Non ci credo, ce l’ho fatta!!!!! Si, lo so. Sono un infame ad avere terminato così il capitolo, ma…sono nove pagine di delirio! Credo possano essere sufficienti cavolo!
Non avevo pensato di mettere la “lotta” tra Akira e Daisuke per esteso e invece così è stato! Quindi, per colpa sua non ho messo qui il prologo, nemmeno questa volta.
Per forza di cose lo inserirò nel prossimo capitolo.
Non sono molto soddisfatta dell’inseguimento, ma spero comunque che il capitolo sia di vostro gradimento.
Alla prossima!
 
Kat

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Capitolo 17
*** 16. Stockholm Syndrome ***




 
I tre scalini che la separavano dall’entrata della centrale, in quel momento, le sembrarono una vera e propria prova di resistenza.
Michiru si era immobilizzata davanti al portone, senza avere la forza di entrare, il freddo nelle ossa e l’acqua piovana che scorreva sull’asfalto allagato le arrivava alle caviglie.
Non accenna a smettere…
Alzò il capo verso il cielo, scossa da un brivido.
Cupo e senza stelle.
Un macigno sullo stomaco.
Devo aiutare Haruka.
Quel pensiero le diede il coraggio di entrare nell’edificio.
Spinse il portone e una luce accecante, rispetto alle tenebre che erano calate all’esterno, la colpì in pieno viso, quasi accecandola.
Un ragazzo vedendola in piedi davanti a sé sgranò gli occhi soffocando un verso indefinito, lasciando che la pila di fogli stretta fino a quel momento, gli cadesse dalle mani.
Con lo sguardo di chi aveva visto un fantasma, dopo averla ripetutamente osservata attentamente, prese a correre nel corridoio scomparendo dalla sua visuale.
 
 
 
 
La porta dell'ufficio si aprì violentemente senza alcun avviso, lasciando comparire la figura alta e magra di un giovane dai capelli corti nero pece sulla soglia visibilmente agitato.
"Ispettore Meiō!" la sua voce arrivò violenta all'orecchio della donna che sedeva alla scrivania tenendo all'orecchio destro la cornetta telefonica e che stava spegnendo energicamente una sigaretta nel posacenere davanti a lei seminascosto dalle pile di documenti abbandonate sulla scrivania.
Le sue iridi scure si posarono severe sul ragazzo mentre sibilava un "uhm, ho capito, le saprò dire." come chiusura a quella telefonata.
"Ispettore Meiō..." ripetè la voce una volta che la donna gli prestò attenzione.
"Si, Takumi! E comunque gradirei bussasse la prossima volta!"
"Mi scusi ispettore, ma è urgente!"
Seguì un breve silenzio in cui la donna accavallò le gambe sulla sedia voltandosi con tutto il corpo verso il suo interlocutore.
"L'abbiamo ritrovata!" proseguì il giovane.
Sembrava non tenersi più nella pelle, il suo sguardo vispo si era illuminato a quelle due parole e un sorriso soddisfatto gli si era dipinto in volto.
"Puoi essere più preciso?"
"Abbiamo ritrovato Michiru Kaiō!"
A quel nome la donna scattò in piedi come se una scarica elettrica l'avesse colpita.
Non ci posso credere!
L'ispettore Setsuna Meiō scartò il ragazzo che le aveva comunicato la notizia uscendo dalla stanza senza aggiungere altro.
Camminò per il lungo corridoio osservando distrattamente il tempo fuori da una delle finestre della centrale.
Un violento temporale si stava abbattendo fuori dalla struttura, le gocce pesanti picchiettavano imperterrite sui vetri con uno scroscio continuo che accompagnò i suoi passi veloci.
Distogliendo lo sguardo e salutando distrattamente con un cenno della mano un collega, si domandò come fosse possibile che una persona sparita nel nulla comparisse inspiegabilmente da un momento all'altro.
Si diede un leggero pizzicotto al braccio per assicurarsi non stesse sognando. Nella sua carriera nessun caso si era mai risolto da solo prima d'ora.
Si fermò davanti ad una porta, sistemandosi i lunghi capelli dietro le orecchie e stirando alcune pieghe appena visibili dal suo vestito.
Posò la mano sulla maniglia, contò fino a tre prima di spingerlo verso il basso ed entrò nella stanza grigia e spoglia dove di solito si tenevano gli interrogatori.
Lo spazio era essenziale ed impersonale, ad arredarlo c'era solo un semplice tavolo, due sedie e un mobiletto basso in metallo tutt'altro che elegante.
La lampadina appesa al soffitto senza alcuna plafoniera emetteva un flebile ronzio.
"Signorina Kaiō! E' un piacere vederla illesa!" l'ispettore si avvicinò alla giovane donna dicendo quella frase dopo aver girato attorno al tavolo e tendendole una mano. Mano che rimase a mezz'aria senza ricevere alcuna stretta.
Il capo della ragazza era chino, una cascata di lunghi capelli bagnati, dal colore acqua marina ricadeva in avanti coprendole il viso.
La mani erano strette tra loro e si torturavano silenziose senza sosta sulle ginocchia.
Setsuna le appoggiò una mano sulla spalla, ma l'altra si scostò senza degnarla di uno sguardo.
"Le hanno fatto del male?" la domanda uscì dalla bocca della donna che fece qualche passo indietro per non turbarla ulteriormente.
"Si può fidare di me..." fece una breve pausa per poi aggiungere alla frase il suo nome "Michiru..."
La ragazza sobbalzò al suono del suo nome, un ricordo si accese violento nella sua testa "Michiru..." la voce era un soffio, "Michiru scappa! Va via! Ora!"
Due occhi cobalto.
La pioggia fredda.
La macchina distrutta dall'urto con l'altra.
Non è stata una buona idea venire qui!
"Ma quegli imbecilli non le han dato nemmeno una giacca? Qualcosa con cui asciugarsi?!"
La voce di Setsuna la riportò al presente.
"Si prenderà un raffreddore Michiru, ci penso io, torno subito!"
Il rumore della porta che si chiuse le fece alzare lo sguardo che vagò per la stanza come alla ricerca di qualcosa, una via d'uscita alternativa.
Maledizione! Sono una codarda! Non dovevo andarmene! Non dovevo venire qui!
Si sentì mancare il respiro quando un pensiero la colpì. Il più importante.
Starà bene?
Si portò la mano candida al petto, le dita si contrassero sul tessuto bagnato della camicetta tirandone la stoffa.
Il suo cuore perse un battito al pensiero di quel nome.
Haruka...
"Ecco qui, questa la terrà al caldo! Ho chiesto di farle un té!"
L'ispettore era tornato lanciandole uno sguardo apprensivo e appoggiandole delicatamente una coperta scura sulle spalle.
"Grazie"
"Di nulla."
La donna sorrise, sedendosi davanti a lei e incrociando le mani sul tavolo.
"Si sente bene?"
Come risposta alla domanda seguì un pesante silenzio.
"Michiru, sarà sconvolta ma è necessario parlarne..."
Non sono sconvolta.
"Un rapimento non è cosa da poco, devo sapere tutto ciò che ricorda. Sbatterò personalmente quei cani in prigione!"
"Chi le dice sia stata rapita?" lo sguardo blu intenso era quasi accigliato.
"Non è così? Perchè mi risulta che lei..."
"Cosa?" la interruppe brusca sbattendo violentemente un pugno sulla superficie liscia del tavolo "Cosa le risulta?" la voce s'incrinò sull'ultima domanda.
"Suo padre dice che non sarebbe mai scappata senza dare sue notizie e non ne avrebbe avuto motivo...è scomparsa di colpo e si sono perse le sue tracce."
Non confesserò, non confesserò mai!
"Ho bisogno della sua collaborazione..."
Non dirò una parola.
"Le hanno intimata di tacere? Se è così non deve preoccuparsi, la proteggeremo noi!"
Non ho bisogno di protezione.
"Cosa le hanno detto? L'hanno minacciata?"
Non voglio protezione, non devo essere protetta a questo ci pensa già...
"Michiru può fidarsi, è il mio lavoro...non le accadrà nulla!"
Ci pensa già Haruka!
Quell'ultimo pensiero accompagnò un battito violento del suo cuore che sembrò schizzarle in gola.
Non avrebbe fatto alcun nome, non avrebbe raccontato nulla.
E con quelle convinzioni, che si radicavano sempre di più nella sua mente, tutto le fu immediatamente chiaro.
Si era innamorata del suo rapitore e l'avrebbe protetto fino alla fine.
La voce dell'ispettore si fece ovattata e lontana, le immagini sfumarono fino a quando la sua vista non fu più nitida, si sentì pesante.
Un capogiro.
"Va tutto bene?" quell'ultima domanda giunse al suo udito distorta quasi irriconoscibile e nell'ultimo istante di lucidità, prima di svenire, fu consapevole del fatto che lei era vittima della Sindrome di Stoccolma.
 
 
*
 
 
Lo sparo riecheggiò nell’aria. Quello fu l’unico rumore che interruppe la cantilena della pioggia fredda.
Haruka aprì gli occhi stordita, ancora a terra.
Davanti a lei, l’acqua della pozzanghera divenne rossa cremisi, rossa sangue.
Alzò lo sguardo e il suo cuore perse un battito.
L’Oyabun  si stava accasciando ferito, tentando di trovare nella spalla di Akira un appiglio.
Il ragazzo che aveva sparato il colpo prima di lui e le aveva salvato la vita, lo spinse lontano quel corpo, senza concedergli alcuna pietà.
Quello che seguì fu un tonfo sordo dell’uomo sgraziato ed un rantolo.
“Fortuna che sono arrivato in tempo…” sussurrò Akira aiutando l’amica a liberare gli arti inferiori dalla prigionia della vettura e a darle un sostegno per alzarsi.
Gli occhi ghiacciati sembrarono sorriderle sollevati.
“Oh Akira…sei vivo!” quelle parole vennero spezzate da un singhiozzo della bionda, che si avvinghiò al suo collo con presa ferrea.
Il ragazzo le accarezzò il capo, infilando le dita tra i suoi capelli bagnati e godendosi in silenzio quel raro gesto di affetto.
“E’ tutto ok, Haru…la parte brutta è finita…” sussurrò, “Daisuke è morto…ora sei tu l’Oyabun. Sei intoccabile. La corsa era tra voi due!”
L’Oyabun a terra tossì emettendo uno strano fischio di gola.
I due si voltarono a guardarlo, lo spettro di una risata malevola dava ancora luce a quel viso che lentamente si stava spegnendo.
“Dammi la pistola Akira!” disse Haruka passandosi il palmo della mano sotto il naso e gli occhi per asciugarsi le lacrime.
Il ragazzo ubbidì in silenzio.
“Il peggiore dei tuoi incubi si sta per avverare…” disse in un soffio la bionda all’orecchio del vecchio, che sgranò gli occhi a causa di uno  spasmo di dolore.
“Quella che ti ha deluso, la figlia di chi per te era un perdente…ora…sale al trono! Manderò in rovina il tuo squallido impero, padre!” l’ultima parola fu caricata di disprezzo e prima che il moribondo potesse dire qualsiasi cosa un colpo della revolver gli perforò la cassa cranica.
“No, non la esaudisco la tua ultima preghiera”.
 
Haruka prese un lungo respiro dopo quell’ultima frase.
Pioggia incessante.
Chiuse gli occhi in un momento di raccoglimento cercando di dimenticare il rumore che provocavano i proiettili una volta lacerata la carne.
Pioggia che lava, pioggia che purifica.
“Haru…”
Questa pioggia mi farà rinascere in qualche modo?
“Andiamo…”
La presa forte di Akira la sorresse.
“Dove…?”
“A casa, Haruka…andiamo a casa!”
Ora suonava strana quella parola.
“Ma…Michiru e Minako…”
“L’hai mandata alla polizia no?”
La bionda annuì con un cenno del capo salendo sull’auto argentata.
“E allora sarà al sicuro. Minako terrà duro ancora un altro po’, è in gamba! Dobbiamo solo medicarti, sei piuttosto malconcia!”
Haruka grugnì in segno di protesta.
“Un principe azzurro non può recuperare la propria principessa in queste condizioni!” Concluse con un occhiolino prima di mettere in moto e sfrecciare via.
 
 
*
 
 
Quando Michiru aprì gli occhi nel suo letto d’ospedale, la prima figura che mise a fuoco fu quella del ragazzo incontrato in aereo il giorno in cui arrivò a Tokyo.
E’ stato tutto un sogno?
“Buongiorno Michiru, sono il Dottor Chiba, finalmente ci rivediamo!” il giovane sorrise, puntandole un momento la luce di una piccola pila verso la pupilla.
“Sono contento di vedere che stai bene!”
No. Era tutto reale.
“Tu…lavori qui!” disse sorpresa.
Mamoru si indicò con un dito il cartellino appeso al camice “Così pare!”
“Quanto tempo è passato?” domandò la ragazza mettendosi a sedere.
“Sono le dieci del trentun’ ottobre!” disse il medico controllandole la flebo, “ti hanno portata qui intorno alle dieci di ieri sera, a causa dello stress subito il tuo fisico ha ceduto ma non preoccuparti!” sorrise per rassicurarla, “Tutto ciò che ti serve è un po’ di riposo e tranquillità, nulla di più!”
Ho perso così tanto tempo? Oh no, Akira, Haruka! Dannazione!
“Io…devo andare via di qui!”
Il ragazzo la guardò incuriosito da quell’esclamazione improvvisa.
“Sei al sicuro nessuno verrà a farti del male!”
“Non è per quello, devo…” Michiru si morse la lingua, “devo aiutare una persona!”
“Calmati…” lo sguardo intenso ed apprensivo di Mamoru cercò d’indagare il suo.
Si avvicinò a lei, rimettendola a letto.
“Ascoltami. Devi riposare e basta, ti ho fissato un appuntamento con uno psicologo in caso ti serva sfogarti con qualcuno e…”
“Non sono mica impazzita!” rispose piccata Michiru.
La risposta sprezzante fece rimanere interdetto il medico.
Buffo, sembra una persona così posata…
“Non intendo dire questo. Un rapimento è comunque un trauma…considerala una chiaccherata amichevole e nulla di più. Servirà solo a farti stare un po’ più tranquilla. Inoltre, ho detto agli agenti di lasciarti in pace ancora per qualche ora!”
“Bene!”
“D’accordo…io ora vado. Se…hai bisogno di qualunque cosa…”
“Si, c’è un campanello, lo so!”
Mamoru sostò un momento sulla soglia prima di uscire definitivamente dalla stanza, “a più tardi Michiru!”. Un cenno di saluto con la mano accompagnato da un sorriso e poi sparì.
 
 
Dalla porta fece capolino una testa blu che salutò educatamente nel corridoio il dottor Chiba.
“Ami, ciao!” Michiru nel vedere la sorella abbandonò un momento i pensieri cupi che la stavano cominciando a tormentare.
“Oh Michiru stai bene!” disse l’altra abbracciandola teneramente. “Che paura ci hai fatto prendere!”
“Papà dov’è?”
“Al piano di sotto, sta compilando qualche scartoffia, tra poco arriverà anche lui!” la rassicurò raggiante Ami.
Devo uscire da qui, ma non so come fare…
“Cos’è successo? Non ti hanno fatta del male vero?”
“No, affatto…” lo sguardo blu si abbassò sulle lenzuola.
Come poteva dire a sua sorella che le persone con cui aveva convissuto quella prigionia erano diventate importanti per lei?
“Ok. Senti Michi…io ora devo andare a testimoniare in centrale ma, torno presto ok? Mi puoi raccontare tutto!”
A quelle parole Michiru afferrò la manica della sorella.
“Cosa devi andare a dire…in centrale?” deglutì, cercando di non apparire troppo preoccupata ma non accennò a diminuire la presa dal braccio dell’altra.
“Minako, una mia compagna di corso era venuta a chied - ”
“Devi mentire!” la interruppe la più grande.
Ami apparve confusa, aggrottò le sopracciglia e provò a mettere insieme una frase di senso compiuta che non fosse cosa diavolo stai dicendo?
“Minako non è una cattiva persona!”
“Oddio, lei centra davvero…”
“Ami, stammi a sentire…”
“Stai vaneggiando!”
“No”.
Ami inspirò a fondo, cercando di capire quello che voleva sua sorella e quale fosse la cosa giusta da fare.
“Minako è stata un’amica e quello che ha fatto, lo ha fatto solo per non mettere nei guai il suo ragazzo…”
“Chi è il biondo, delinquente?”
“No e poi è una donna Haruka!”
“Oh…” le labbra di Ami formarono una piccola “o” per la sorpresa.
“Sto cercando di dirti…”
“Dillo chiaro, perché in questo frangente mi sembra un assurdità il fatto che tu voglia mentire alla polizia!”
Michiru lasciò la stoffa della manica di Ami e sospirò.
“Loro mi hanno difesa. Mi hanno protetta dal vero responsabile in tutti i modi possibili, Ami. Mi hanno salvato la vita. Se sono qui a parlare con te è solo merito di Haruka..”
“la bionda…”
“Si, esatto; e di Akira…il ragazzo di Minako”.
Ami chinò il capo di lato, si posò una mano alla fronte, sotto la frangia come a misurarsi la febbre e sbuffò.
“Minako ha fatto un gesto estremo, ma…io al suo posto avrei fatto lo stesso. Per proteggere te o papà farei di tutto…ed ora tu devi aiutarmi.” Michiru prese fiato. “Devi aiutarmi a proteggere chi mi ha difesa, ti prego!”
 
 
*
 
 
Setsuna rientrò in centrale, l’espressione che Rei aveva in viso non prometteva nulla di buono.
“Cos’è successo?”
“Ok, non ti arrabbiare come prima cosa…” cominciò la mora.
“E come seconda cosa?”
“Quando sono arrivata era già successo, io non centro!” si discolpò subito alzando il palmo della mano in aria.
L’ispettore respirò a fondo.
Aveva mal di testa a causa del mancato riposo e sapeva che di li a qualche secondo la sua emicrania sarebbe peggiorata a causa di una brutta notizia.
“Me lo dici tu quindi o lo devo scoprire da sola?”
“Quale ti fa meno arrabbiare?”
“Quella che mi fa perdere meno tempo, perché sono esausta Rei!”
La mora sembrò pensare a quale fosse la scelta migliore. Fece sedere la fidanzata e le massaggiò le tempie reggendosi in piedi col busto appoggiato allo schienale.
“Addirittura? Scommetto che mi farà infuriare la cosa allora…”
“Vuoi un giro di parole o devo essere rapida e concisa?” domandò la mora prima di sputare il rospo.
“Fa più male un colpo secco o se si rigira un bel coltello acuminato nella ferita?”
“Sembra un rebus detta così…”
“Non cambiare argomento! Spara! Si rapida ed indolore!”
Rei le lasciò un bacio leggero sul capo e l’altra alzò gli occhi al cielo impaziente.
Odiava le attese.
“ehm…” La fidanzata si schiarì la voce.
“Ricorda che io ho le stampelle e sono appoggiata in bilico a questo affare perciò non fare movimenti troppo bruschi per la rabbia…”
“REI!”
“Ok. MinakoAinoNonE’piùNellaSuaCella!” disse tutta d’un fiato.
“CHE COSA?”
Oh no, esplosione in arrivo!
“Ricordati!! Sedia, stampelle io che cado, movimenti bruschi!”
“Dannazione Rei! Riprendile!” gridò Setsuna passandole gli oggetti così da poter finalmente scattare in piedi come un fuso e gesticolare quanto le pareva.
“Com’è possibile?”
“Ehm…Ehm…”
“Rei, non andare in iperventilazione! Non funziona con me!”
“Ma…”
Setsuna si portò le mani nei capelli. Scosse la testa per poi sventolare i palmi in aria.
“Non ci posso credere!”
A passo spedito si diresse dalla guardia di turno alla cella.
“Imbecille!!”
“Signor…Signor Ispetto -”
Pure mezzo analfabeta.
“Non posso assentarmi da questo posto per qualche ora che una persona da trattenere riesce magicamente a scomparire nel nulla? Come ha fatto?!”
“Ma…”
“Parla santi numi!”
“L’ha portata via!” l’uomo sembrò tartagliare un momento.
“Chi?”
“U..un…po-poliziotto!”
“E chi era?!” Setsuna si portò le mani sui fianchi indispettita e sconcertata “com’era fatto? Come si chiamava? Voglio i dettagli!”
 
 
*
 
Yoshio ed Ami avevano abbandonato da circa venti minuti la stanza.
Michiru scattò in piedi alla ricerca dei vestiti puliti che Ami le aveva portato di ricambio.
Due bussate leggere alla porta la fecero però tornare sotto le coperte.
Chi è sta volta?
“Si?!”
Riconobbe immediatamente i due occhi cobalto che si presentarono nella stanza.
“Sei viva! Oddio!” esclamò andando ad abbracciare Haruka.
“Mantengo le mie promesse principessa!” le sorrise la bionda baciandola poi con trasporto.
“La divisa ti dona! Dove l’hai recuperata?” domandò Michiru guardandola vestita nella sua uniforme da poliziotta.
“Sai com’è…ad Halloween ci si traveste facilmente! Ah, non ho ucciso nessuno per averla lo giuro!”
“Dimmi di Akira e Minako! E l’oyabun? Daisuke?”
“Frena! Troppe domande!”
Michiru si sporse appena dalla porta per controllare che nessuno fosse in arrivo e richiuse la porta della stanza.
“In breve…” cominciò la bionda scompigliandosi i ciuffetti ribelli che le uscivano dal cappello, “Daisuke è stato ucciso da Akira che è venuto in mio aiuto sparando all’Oyabun. Lui è morto ed ora a capo della Yakuza ci sono io, perciò è stato facile trovare i nomi dei nostri infiltrati nella polizia e far liberare Minako, che ora si trova vestita da infermiera sexy sul sedile posteriore della macchina parcheggiata qui sotto con il suo cavaliere a fianco!”
Michiru boccheggiò alla ricerca di aria da respirare.
“Ho intenzione di cambiare le cose Michi…”
“Cosa vuoi dire?”
“Voglio dire che…collaborerò con la polizia per far sbattere dentro tutte le persone a capo dei vari clan della yakuza. Il mio ruolo da Oyabun mi servirà solo come copertura, non voglio certo continuare a fare questo schifo di vita…”
“E’ fantastico!” Michiru l’abbracciò nuovamente alzandosi sulle punte.
“Ora devo andare…”
“Vengo anche io!”
“Oh no per carità, ferma!”
Haruka sembrò implorante.
“Penseranno che ti avrò rapita di nuovo!”
“Lascio un…biglietto?” La ragazza fece un mezzo giro su se stessa alla ricerca di un foglio e di una penna.
“Ora accompagno in aeroporto Minako e Akira…finalmente potranno trasferirsi in una vera casa…e indovina dove hanno scelto di andare per cambiare un po’ aria?”
“Dove?” la curiosità pizzicava la voce di Michiru.
“Ad Osaka!”
“Li avrò come vicini di casa, allora!” scherzò allegra la ragazza.
“Ho convinto Ami a non testimoniare, è tutto quello che sono riuscita a fare…ora però…”
“Michiru…resta qui!” ad Haruka costarono enormemente quelle parole.
“Riprenditi, passa un po’ di tempo con la tua famiglia e poi torna a casa…”
Gli occhi di Michiru si riempirono di lacrime all’improvviso.
“Non piangere…questo non è un addio, solo un arrivederci. Te lo prometto!”
La bionda abbandonò un bacio sulla sua fronte allontanandosi da lei.
Doveva andarsene da li o non avrebbe resistito a quegli occhi che volevano tenerla legata a lei.
“Quanto?” Michiru tirò su col naso, “quanto dovrò aspettare?”
“Non te ne accorgerai nemmeno!” Haruka sorrise, uscendo dalla porta.
“Mantengo sempre le promesse che ti faccio!”
“Farai il possibile?”
“E anche l’impossibile, principessa!”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
EPILOGO:
 
Un mese dopo – Osaka.
 
Akira sventolò nuovamente la boccetta contenente il liquido scuro sotto il naso della propria ragazza, intenta ad assaporare un pezzo di sushi con le bacchette.
“Mina! Aggiungici la salsa di soia! Ti assicuro che è molto più buono così!”
“Zitto un po’! bada alle tue cose da mangiare! Lascia in pace me!”
“Scorbutica!”
“Ossessionato dalla cucina!”
“Ehi, voi due! Basta!” tossicchiò Michiru rimproverandoli bonariamente all’altro lato del tavolo.
“E’ bellissimo questo ristorante sul mare!” disse appoggiando una mano sotto al mento contemplando dall’ampia vetrata l’orizzonte che si perdeva oltre la superfice dell’oceano.
“E pensa che da domani lavorerò qui!” disse tutto orgoglioso Akira, gonfiando il petto.
“Pensa…” lo prese in giro Minako. “Te lo immagini dopo a casa? Romperà ancora di più le scatole per i suoi prelibati piatti!”
I tre scoppiarono a ridere all’unisono.
“E tu Mina? Che farai? Akira ha esaudito il suo sogno…”
“Io studio come non frequentante!” arrossì lievemente, un po’ imbarazzata “tua sorella è stata molto gentile, si è offerta di darmi una mano in vista degli esami!”
“Mi fa piacere!”
Il cameriere si avvicinò al tavolo portando il conto, chiesto qualche minuto prima dal ragazzo moro.
“Offro io!” disse Michiru prendendo per prima lo scontrino.
“Non se ne parla! Noi siamo in due e mangiamo come fogne!”
“Invece si fa come dico io!” protestò col sorriso sulle labbra la ragazza, decisa più che mai.
“Dai, Minako lasciala fare…se il conto è troppo salato possiamo sempre sparare a un po’ di gente!”
Le due lo guardarono torve.
“Ok, era una battutaccia, sapete le brutte abitudini…”
“Zitto Akira!” dissero in coro le ragazze.
 
La bionda guardò la porta del ristorante come in attesa di qualcosa.
“Aspetti qualcuno?” chiese l’altra notandola rigirarsi sulla sedia.
“Io? Assolutamente no!”
Il cellulare di Michiru squillò in quell’istante senza permetterle di indagare oltre.
Strano, un numero sconosciuto.
Fece cenno ai due amici di aspettare un momento e si allontanò, dirigendosi sul molo rispondendo alla chiamata.
“Pronto?”
“Ehi, principessa!”
Solo Haruka mi chiama così!
“Haru!”
“Indovinato!”
“Ciao…”
“Senti…quell’idiota di Akira ha sbagliato a darmi le indicazioni per arrivare da voi. Era talmente esaltato che gli è andato in tilt il cervello a quanto pare…”
“Sei…” il respiro le venne a mancare.
Era così felice da non riuscire più a respirare.
“Sei qui? Ad Osaka?”
“Precisamente!”
“E…” Michiru si appoggiò al parapetto, guardando le onde calme che si agitavano lente sotto di lei.
“Dove sei di preciso?”
Il rumore dell’acqua coprì ogni altro suono.
“Dietro di te!”
Sentì il respiro di Haruka solleticarle il collo e le sue labbra umide e calde appoggiarsi sopra la sua pelle.
“Non posso crederci!”
“Hai così poca fiducia in me?”
Haruka le sistemò meglio la sciarpa lenta che le scopriva in parte il collo.
“Rischi di raffreddarti…”
“Non mi ucciderà di certo un po’ di freddo!”
“Già.” Haruka sorrise “a quanto pare sei una con la pellaccia dura!”
“O forse…” Michiru si strinse a lei, nel suo cappotto nero elegante che profumava di cannella.
“Ho un attimo angelo custode!”
“Non credo sia il termine più adatto, per definirmi!”
“Sei pallosa!” Michiru si lasciò andare ad una risata cristallina.
“Ehy! Questo vocabolario non ti si addice!”
“Ma come te lo devo dire? E’ la tua presenza a farmi diventare scurrile!”
“Fantastico! Un ottimo benvenuto!”
La ragazza fece abbassare la bionda verso di sé tirandola per il bavero della giacca.
“Il mare, te,gli amici…cosa voglio di meglio?”
Il suo sussurro la fece rabbrividire.
“Potrei rapirti. Sarebbe la ciliegina sulla torta non trovi?”
Le farfalle nello stomaco non risparmiarono Michiru che si abbandonò ad un bacio caldo, dal sapore meno pericoloso dei precedenti che c’erano stati.
 
“Se vuoi farlo…fa che sia per sempre questa volta!”
 
 
 
 
 
 

-       Stockholm Syndrome –
 

 
 
Note dell’autrice:
 
Qui dovrebbero partire i titoli di coda.
*Kat Logan disperata*, non posso crederci che sia finita! Mi viene da piangere, mi domando come farò ora!! E’ vero ho tipo altre 400 fanfiction in mente da scrivere ma questa è stata speciale.
Mi ha dato una gran soddisfazione scriverla e per la prima volta sono orgogliosa di una delle mie storie. E’ ufficialmente la mia storia preferita ora. (Chissà se mi sentirete mai dire di nuovo queste parole -.-“).
Stockholm è stata speciale perché mi ha fatta emozionare mentre la scrivevo e soprattutto lo è stata grazie a voi e ai vostri splendidi commenti.
Con le vostre recensioni positive è entrata anche lei in classifica nella top 40 del fandom con altre due delle fic che l’hanno preceduta.
Alla fine ho optato per un lieto fine e far riunire tutti quanti.
Il breve epilogo non era stato pensato. Mi è venuto di getto, all’ultimo e ho pensato di inserirlo, per completare un po’ il tutto; nonostante avessi pensato di stroncare il capitolo col pezzo precedente.
Spero non vi abbia deluso e che in qualche modo possiate avere un bel ricordo di questa fan fiction.
Non posso crederci, c’è persino chi ha fatto delle fan art! ma qui è bene che non mi dilunghi oltre! Parlo sempre troppo!!
Colgo l’occasione per dirvi che la prossima settimana, pubblicherò la nuova ff “Love Trap” che oltre ad Haruka e Michiru comprenderà altri personaggi (tra cui probabilmente la guest star: Akira! Si non ho il coraggio di abbandonarlo!), perciò se vi va, vi sentite soli o non avete altro da fare e volete darmi un parere…sapete che Kat, non vi abbandona!
 
Ulteriori ringraziamenti (doverosi per me):
Un grazie di cuore a chi ha seguito Stockholm Syndrome. Sia che abbia commentato o meno. Grazie ai 52 iscritti alla pagina fb che mi tengono compagnia e sono un aiuto prezioso nel decidere quale decisione prendere quando sono in crisi con una storia.
 
Grazie alla mia beta TheGhostOf You  che ha segnalato la storia per le scelte anche se non ci è entrata :D
Grazie a Yas V, che mi ha fatto commuovere con la recensione al precedente capitolo e che mi ha nominata Kat Tarantino (che onore cavolo!!!)
Grazie a Caso che ha commentato fin dalla mia prima storia su efp e ancora è qui a farlo!
Grazie a Blue Lady, che mi da sempre dei voti altissimi che all’università invece mi negano. E mi ha aiutata in una decisione relativa alla prossima storia.
Grazie ad Amaerize per le fan art della ff!
Grazie a Learco che ha sempre una parola “buona” per distruggere Setsuna.
Grazie a Rita Ite che come un fulmine si è letta tutte le storie precedenti arrivando a commentare questa O___O (caspita che voglia che hai!!)
Grazie a Serenity Endimion che mi lascia sempre un papiro delirante che fa delirare anche me nella conseguente risposta.
Grazie a DylanDog, Hanako Hanako, Arwen 297, fulmineo e a chiunque ci sia stato a supportarmi!
 
Questo è tutto, Kat Logan Tarantino, passa e chiude!

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