Altre realtà di Hui Xie (/viewuser.php?uid=8567)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** La macchina del tempo (presenta Seto Kaiba) ***
Capitolo 3: *** Come trovare i guai quando questi stanno alla larga ***
Capitolo 4: *** Meet the little pharaoh ***
Capitolo 5: *** Colto in flagrante ***
Capitolo 6: *** Bakura ne combina un'altra delle sue ***
Capitolo 7: *** Punto di non ritorno ***
Capitolo 8: *** Equilibrio precario ***
Capitolo 9: *** Elementare, mio caro Bakura ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Prologo
Hola ^^ Buon anno a tutti.
Ho scritto questa storia su ispirazione di
"Ritorno al futuro", uno dei film migliori che io abbia mai visto.
L'avete mai visto? La storia, ovviamente, si può leggere anche senza averlo mai
letto, ma, a chi l'avesse fatto, spero che gli piaccia in versione Yu-Gi-Oh.
Buona lettura a tutti.
Lasciatemi un commento, sia negativo che positivo.
Vorrei conoscere le vostre opinioni. Hui Xie. Prologo
Quella
mattina, Yuugi si svegliò con una strana sensazione nel cuore, un presentimento
malinconico che gli serrava la gola in una morsa dolorosa, che per qualche
minuto lo fece rimanere fermo, gli occhi viola fissi sul soffitto bianco, e la
bocca rigorosamente chiusa.
Era il primo giorno delle vacanze estive,
riflettè, ossia qualcosa di cui essere felice. Quel malumore che sentiva sulla
pelle e nelle viscere doveva derivare da qualche incubo notturno che la sveglia
naturale aveva cancellato come un disegno sulla spiaggia. Con questa allegra
consapevolezza, Yuugi scostò di scatto le lenzuola e scese con un rapido balzo,
stiracchiando in alto le braccia, per cercare di crescere ancora un po’ di più.
“Buongiorno, mou hitori no boku!”
esclamò, senza doversi curare delle opinioni degli altri. Non venne nessuna
risposta.
Allora Yuugi si voltò e notò, con sua
grande meraviglia, che il suo adorato puzzle non era appeso, come al solito, al
lato del letto, per vegliare su di lui anche la notte. Eppure, non ricordava di
averlo spostato altrove, la sera precedente. Che si fosse alzato nel sonno?
Iniziò a cercare per tutta la stanza dove potesse averlo nascosto, dall’ovvio
posto sotto il letto, a dentro l’armadio, sotto le pile di vestiti
disordinati, dentro i cassetti e fra i libri di scuola a mucchi nella scrivania
e nella libreria, tra i modellini e i vari giochi che possedeva, con un’ansia
che cresceva sempre di più.
Sentendo il rumore di suo nonno, che
armeggiava nel negozio, scese, senza curarsi del fatto di essere in pigiama,
deglutendo e sperando che lui ne sapesse qualcosa.
“Hai visto il mio puzzle?” domandò
immediatamente, senza preoccuparsi nemmeno di un “buongiorno”, troppo
ansioso per pensare alle buone maniere.
Sugoroku finì di appoggiare l’ultima
confezione al suo giusto posto e poi si voltò verso di lui. “Che puzzle?”
“Il mio puzzle. Il puzzle
millenario” Yuugi non poteva credere che suo nonno si fosse scordato di una
cosa tanto importante. “Quello che porto sempre al collo, che ci ho messo otto
anni a completarlo, la piramide…” E man mano che parlava, si accorgeva
sempre di più che suo nonno, seriamente, non se ne rammentava affatto.
“Non ricordo…” rispose infatti,
facendo anche uno sforzo di memoria, concentrandosi con la mano che sfiorava il
pizzetto ingrigito. “E non guardarmi come se fossi arteriosclerotico!”
Ma Yuugi non lo stava facendo: era
solamente sorpreso, spiacevolmente, di quello strano comportamento, fin troppo
realistico per sembrare una recita. Eppure, suo nonno non era così vecchio da
dimenticarsi i fatti, specie se riguardavano da vicino una parte importante del
suo passato.
Scotendo la testa, ritornò lentamente in
camera sua, si sedette sul letto e afferrò il suo deck, iniziando ad
esaminarlo. A parte lo strano comportamento di Sugoroku, Yuugi doveva arrendersi
all’evidenza che qualcuno gli aveva rubato il puzzle. Non sarebbe certo stata
la prima volta, ma finora si era sempre trattato di sfide leali, niente di così
subdolo come entrare di notte in casa e sottrarglielo. Man mano che scorreva con
lo sguardo i mostri che componevano il suo deck, si rese conto che
qualcos’altro, quella mattina strana, non andava. Semplicemente, quello non
era il suo mazzo, o, meglio, non era quello che aveva preparato con il suo
doppio. Era sempre il solito, tranquillo deck che suo nonno gli aveva regalato,
senza Divinità Egizie e con le cinque carte di Exodia ancora al loro posto,
mentre, nella logica dei fatti, tre di loro si dovevano ormai trovare in fondo
all’oceano Pacifico.
Rimise in fretta il mazzo a posto, afferrò
la cornetta del telefono e compose il numero di Jounouchi. Troppe cose non
quadravano, troppi fatti strani. Aveva bisogno di qualcuno che gli desse la
conferma materiale che tutto ciò che ricordava sul Magic&Wizard, sugli
oggetti millenari e, soprattutto, sul suo doppio non fossero soltanto il frutto
della sua mente sognatrice.
“Pronto?” rispose la voce sbiascicata
di qualcuno che si era appena alzato.
“Jounouchi-kun!” esclamò, felice di
avere accanto a sé qualcuno di familiare. “Sono io, Yuugi. Volevo dirti
che…”
“Chi?” chiese qualcuno di incredulo
dall’altro capo del telefono, cercando di ricordare. “Intendi Yuugi Mutou?
Il nanerottolo cacasotto che sta in classe con me?”
La felicità di pochi istanti prima svanì
rapida come una doccia fredda, e le mani iniziarono a tremargli come in preda
agli spasmi. “S-si, io…” riuscì ad esalare.
“E perché diavolo mi chiami a
quest’ora del mattino? Come se avessi tempo da perdere con te!” replicò la
voce, arrabbiata. “Su, vai a giocare con i bimbi dell’asilo” E, senza
aggiungere altro, interruppe la comunicazione.
Yuugi, come in un film muto, abbassò la
cornetta e rimase fermo, seduto sul letto, con le mani in grembo. Forse era
quello l’incubo che stava vivendo, e desiderò unicamente il risveglio, fosse
anche per andare a scuola a prendere uno dei suoi soliti brutti voti.
Cercò di riflettere con una mente fredda
che, in quel momento, non possedeva. Non era davvero possibile che tutte le
avventure che aveva vissuto dal quando aveva terminato il puzzle fino a quella
maledetta mattina fossero state solo un sogno, perché il tempo trascorso era
veramente troppo per essere contenuto in una notte sola. Inspirò profondamente,
riprese il telefono e premette il pulsante di richiamata.
“Pronto?” rispose la stessa voce di
prima, ma meno addormentata.
“Sono Yuugi…” mormorò timidamente
il ragazzo, già preparato ad una pessima replica.
“Yuugi! Ciao!” esclamò invece
Jounouchi, allegro. “Guarda, se chiamavi un attimo fa ti mandavo a quel paese
per avermi svegliato! Allora, che si fa di bello oggi, che siamo in vacanza?”
“Lo hai fatto…” Yuugi, nonostante
il sollievo nel riconoscere in quella voce il solito amico gentile e
disponibile, non potè allontanare il ricordo della telefonata precedente, di
quel tono che rammentava un tempo vuoto e in solitudine.
“Come?” Jounouchi sbatté le
palpebre.
“Mi ci hai mandato…” spiegò
debolmente. “Questa è la seconda telefonata che ti faccio…”
“Ma no, non è possibile” replicò
Jounouchi, agitando una mano davanti alla cornetta, come se l’amico potesse
vederlo. “Mi sono alzato da due minuti, quindi non è possibile che tu mi
abbia telefonato prima… Sicuro che non fosse mio padre?”
Yuugi scosse la testa. Non era così
stupido da scambiare la sua voce con un’altra. “Lasciamo perdere…” Se
voleva fargli uno scherzo, di sicuro era di pessimo gusto, ma forse derivava da
un cattivo risveglio. Meglio non stare a recriminare su qualcosa che era
passato, adesso che aveva ritrovato il suo migliore amico, in forma come sempre.
“E’ successo un guaio…”
“Un guaio?!”
“Mi hanno rubato il puzzle! Non lo
trovo più…” spiegò in fretta Yuugi, con il groppo alla gola che gli faceva
bruciare gli occhi e gli serrava il fiato nei polmoni. “Stanotte… E non me
ne sono accorto…”
Per qualche minuto, entrambi rimasero in
silenzio, ad ascoltare i rispettivi fiati. “Chiama Anzu, io avverto Honda”
disse infine Jounouchi. “Ci ritroviamo al parco fra mezz’ora. Tranquillo,
vedrai che lo recuperiamo!”
Bastò quello a renderlo di nuovo sicuro
e speranzoso, relegando in un piccolo angolo tutta l’angoscia che gli strani
avvenimenti della giornata gli stavano causando. Si salutarono velocemente,
quindi Yuugi, chiamata velocemente Anzu, che si mostrò comprensiva come al
solito, abbandonò il pigiama sul letto sfatto e si mise i soliti pantaloni blu
della divisa di scuola, con la maglia elasticizzata intonata e la giacca dello
stesso colore. Finito di prepararsi, uscì subito di casa per recarsi
all’appuntamento con i suoi amici, scordandosi persino di aprire le persiane,
che serravano la stanza, chiudendola ermeticamente dall’interno.
*-*-*
Per Seto Kaiba la parola “vacanze”
non esisteva. Al contrario, la sospensione estiva delle lezioni di scuola era
per lui soltanto un vantaggio, perché gli permetteva di recarsi al lavoro anche
la mattina, evitando le prediche degli insegnati che gli raccomandavano di non
perdere giorni di scuola.
Perciò, quel giorno, il presidente era
già al lavoro nel suo ufficio di prima mattina, e batteva velocemente sui tasti
del computer, facendo risuonare il rumore nell’aria attorno, mentre progettava
il codice per un nuovo videogame che intendeva far uscire per Natale.
Il suo accurato lavoro fu interrotto da
una chiamata della sua segretaria, che gli annunciava la visita di uno dei suoi
soci. Quello non era proprio il momento più adatto per perdere tempo a
discutere con gente simile, vista la mole di lavoro che aveva accumulato.
Sentendo dei passi nel corridoio, si alzò
dalla sedia ed aprì la porta: come aveva immaginato, si trattava di Roland, che
si stava avviando verso l’ascensore. Avrebbe mandato lui a trattare con tutte
le persone con cui aveva appuntamento, risparmiando del tempo prezioso. “Roland!”
lo chiamò, ma il dipendente non si fermò, continuando a camminare, con la
schiena rivolta verso di lui, poi, improvvisamente, scomparve.
Seto sbattè le palpebre. Forse, aveva
visto male e la presenza del suo più fedele dipendente altro non era che un
miraggio creato da lui stesso, un’illusione dovuta a qualche strana
riflessione della luce che penetrava dalla vetrate. Seccato per essersi alzato
inutilmente, riappoggiò la mano sulla maniglia della porta per richiuderla
dietro di sé mentre rientrava nell’ufficio, ma si bloccò non appena i suoi
occhi azzurri si posarono sulla stanza che avrebbe dovuto essere, a rigor di
logica, completamente vuota.
Invece, seduto alla sua scrivania, con il
solito smoking rosso fresco di tintoria, stava Gozaburo, un sigaro fra le
labbra, e i gomiti appoggiato sul piano del tavolo. Davanti a lui, su comode
poltrone in veltro verde, erano allineati tutti i Big Five, uomini che, ormai,
avevano la carriera distrutta e la vita intrappolata in un gioco virtuale. Seto,
con le gambe completamente congelate giusto sulla soglia, non potè far altro
che assistere a quel teatrino di cui, purtroppo, conosceva fin troppo bene la
causa. Evidentemente, qualcuno aveva usato, ovviamente a sproposito,
“quell’invenzione”, che avrebbe invece dovuto essere sorvegliata
accuratamente, e gli effetti non stavano tardando a manifestarsi.
“Irak?” domandò Gozaburo,
interessato.
“Ormai
è sicuro che gli Stati Uniti dichiareranno la guerra” spiegò uno degli
uomini. “L’ONU ha fallito la sua missione di ricerca delle armi di
distruzione di massa in possesso di Saddam…”
“Armi
che Bush gli avrà venduto, suppongo…” Gozaburo se la rise di gusto.
“Dopotutto, è il presidente della patria delle armi…”
“Più
probabilmente, è solo una scusa per impedire alla Cina di intessere dei
rapporti commerciali con l’Irak ed impadronirsi così del petrolio” commentò
un altro. “Non sia mai che ci sia una potenza più forte degli USA!”
“Il
motivo non mi interessa affatto” Gozaburo si alzò, e aggirò la scrivania.
“La cosa importante è trovare il modo di guadagnare il più possibile da
questa guerra, vendendo le nostre armi. Dopotutto, questo è il ruolo della
Kaiba Corporation” Appoggiò la mano sulla spalla del Big Five più vicino,
sorridendo. “Riesci a contattare Saddam?”
La
scena, com’era comparsa, svanì: l’ufficio tornò vuoto e silenzioso, e
nelle gambe di Seto tornò a circolare il sangue, rimettendo i muscoli in
movimento. Con un respiro quasi di sollievo nascosto, rientrò nell’ufficio,
ritrovando tutti gli oggetti familiari, appartenuti a lui solo, che il suo
patrigno non aveva sfiorato nemmeno col pensiero.
Seto
si risedette sulla poltrona, che ovviamente non era la stessa dei tempi di
Gozaburo, perché non aveva mai avuto l’intenzione di toccare qualcosa che gli
fosse appartenuto, riflettendo sul da farsi. La sua sorveglianza, che avrebbe
dovuto proteggere quell’invenzione importantissima e pericolosa, era
imperdonabile, certamente, ma attualmente questo non era il problema più
importante. Se si fosse trattato di un semplice furto, gli sarebbe bastato
licenziare tutti quegli incapaci e sostituirli con gente più preparata, invece
si trattava di qualcosa di ben più complesso, qualcosa che rischiava di
sconvolgere tutto il corso della storia.
Non
aveva la minima idea di chi fosse il colpevole, né di quale avvenimento avesse
cambiato per creare un futuro del genere, conosceva solo il modo e,
probabilmente, il movente. La sua mano corse inevitabilmente alla tastiera del
computer, aprendo il database dei duellanti che aveva sempre a disposizione,
aggiornato sui nuovi giocatori: gli bastava dare un’occhiata al suo nome, con
le otto stelle accanto, al secondo posto, giusto sotto il nome “Yuugi Mutou”,
per riavere dentro di sé la forza di combattere e di vincere.
Quella
forza gli entrò nelle vene anche quel giorno, ma non per il motivo usuale.
Entrambi i nomi, il suo e quello del suo rivale, erano infatti scomparsi dalla
lista, sostituiti da persone e volti conosciuti, ma assolutamente inadatti a
ricoprire quelle cariche. Spense di getto il computer, scordandosi persino di
salvare i dati del programma.
Aveva
sbagliato: non cercavano di colpire lui, bensì Yuugi. Doveva trattarsi di
qualcosa che riguardava un passato molto lontano, fin troppo. Per Seto, quella
non era altro che una seccatura, perché avrebbe dovuto coinvolgere persone con
le quali preferiva sempre non avere a che fare. Ma con una situazione del
genere, non aveva altra scelta. Si alzò, indossò il suo soprabito bianco,
afferrò la sua valigia e si diresse verso l’unico luogo in cui era sicuro di
trovarli. Il tempo a disposizione era poco e lui ne aveva già sprecato
abbastanza.
*-*-*
Marik
accavallò le gambe, cercando di sistemarsi meglio sulla scomoda sedia, in una
delle aule del museo, dove stava studiando. Girò un’altra pagina del libro,
scrutando con la fronte aggrottata le formule chimiche che doveva imparare,
giusto un attimo prima che qualcuno glielo strappasse dalle mani e lo gettasse a
terra in malo modo.
“Piantala di studiare ‘ste stupidate!
C’è qualcosa di più importante da fare!”
“Ah, sei tu…” commentò
l’egiziano, alzando leggermente un sopracciglio mente osservava annoiato il
ragazzo dai lunghi capelli bianchi. “Che vuoi?”
Bakura
gli scoccò un’occhiata atroce. “Cos’è quel tono?” chiese, incrociando
le braccia. “Noi due siamo amici, no?”
“Amici!”
esclamò beffardo Marik, mentre si alzava a recuperare il libro. “Alleati,
diciamo… E tempo fa”
“Si,
ma tu mi devi ancora restituire il favore per quello che ti ho fatto a Battle
City”
“Per
quello che non hai fatto” pensò il biondo, ma si trattenne dal dirlo.
“Insomma, che vuoi?”
“Guarda”
Bakura allungò un braccio verso di lui. “Sto scomparendo”
“Eh?”
Marik sbattè le palpebre sugli occhi violetti, quindi fissò quel arto pallido
coperto dalla solita maglia a righe blu, senza vedere nulla di strano.
“Scusa…?”
Ma
gli occhi nocciola di Bakura non erano meno sorpresi dei suoi. Iniziò ad
esaminarsi il braccio, quasi stupito di trovarlo al suo esatto posto. “Ma…
Prima…”
L’egiziano
già non lo ascoltava più. “Io me ne vado” Si infilò il libro che stava
studiando sotto il bracco e fece per allontanarsi verso un’altra sala del
grande museo di Domino City.
“No…”
Il tono usato da Bakura per fermarlo era tutto tranne che autoritario, una sorta
di stupore misto a incredulità e, forse, paura. “Il tuo tatuaggio…”
Parola
magica. Marik si fermò immediatamente, cercando di tirarsi su più che poteva
la maglietta, onde evitare che spuntasse da sopra al colletto. “Si vede?”
L’ex
ladro di tombe scosse la testa. “Al contrario…”
Marik
infilò la mano al di sotto della maglia, sfiorando con le dita la pelle della
schiena, perfettamente liscia, non più scavata e abbrustolita dal tatuaggio
delle Divinità Egizie che suo padre gli aveva impresso a fuoco quando era
ancora un bambino. Rabbrividì, ad un contatto così diverso dal solito e così
incredibilmente piacevole.
“Hai
fatto una plastica?” domandò Bakura, con uno scherzo macabro. L’altro non
si curò nemmeno di rispondergli, ma iniziò a correre verso l’ultima stanza
del museo, giusto in fondo al corridoio, dov’era conservata la stele del
Faraone Senza Nome. Si fermò proprio davanti alla vetrina che la conteneva.
“Che diavolo sta succedendo…?” mormorò.
Lui
e Bakura rimasero immobili a fissare la stele che, lentamente, cambiava sotto i
loro occhi. Le figure delle Divinità Egizie, così come il Puzzle Millenario e
la scena della lotta fra il Faraone e il sacerdote, sostituite in fretta da
altri bassorilievi che nulla centravano con la storia che conoscevano, né con
il Magic&Wizard. Erano solo il ritratto di un uomo e una donna, alla solita
maniera egiziana, come se quello fosse un blocco di pietra qualunque.
“Che
sta succedendo?” ripetè una voce dietro di loro. Yuugi, assieme alla sua
banda composta dai soliti Jounouchi, Honda e Anzu, era apparsa dietro di loro, e
tutti fissavano l’immagine con lo stesso sguardo spaurito.
La
risposta venne dalla soglia della porta, e dalla persona che meno avrebbe dovuto
interessarsi a quella storia. “Una semplice distorsione temporale” rispose
Kaiba.
Nella
prossima puntata….
Distorsione
che?! Kaiba! Lo sapevo che c’entra tu! Quando succede qualcosa, la colpa è
sempre tua! Ma adesso io, il grande Jounouchi Katsuya, ti… Bakura! Marik!
Dov’è che vorreste andare voi?! Nel passato?!
Prossima
puntata: “la macchina del tempo (presenta Seto Kaiba)” Non perdetela!
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Capitolo 2 *** La macchina del tempo (presenta Seto Kaiba) ***
La macchina del tempo
La macchina del tempo (presenta Seto Kaiba)
“Una semplice distorsione temporale”
rispose Kaiba, quindi avanzò lentamente verso di loro, scoccando un’occhiata
in tralice alla stele ormai totalmente cambiata. “Immaginavo che c’entrava
con quello, ma speravo di no…” aggiunse sospirando.
“Insomma, Kaiba, spiegati!” esclamò
Jounouchi, che veniva preso da una voglia incredibile di prenderlo a pugni ogni
volta che lo vedeva. “Una distorsione che?”
“Temporale” rispose Seto.
Marik incrociò le braccia sul petto e
scosse la testa. “Stai dicendo che qualcuno o qualcosa ha cambiato un
avvenimento del passato e adesso pure il futuro sta mutando?” chiese beffardo.
“Ma andiamo. Con cosa l’avrebbe fatto, poi?”
Seto abbassò leggermente lo sguardo a
terra, poi lo rialzò. “Con la macchina del tempo di mia invenzione”
“Come, scusa?!”
Seto inarcò leggermente il sopracciglio,
mentre osservava il gruppo. “Sarà meglio continuare questa conversazione nel
mio laboratorio…”
Fortunatamente, la limousine della Kaiba
Corporation era abbastanza grande da poter trasportare tutti i ragazzi
contemporaneamente, quindi in meno di mezz’ora arrivarono senza troppi
problemi alla fabbrica in periferia che apparteneva a Seto, e quest’ultimo li
guidò nel labirinto di corridoi fino all’ultima stanza, piena fino all’orlo
di strani marchingegni dagli usi più disparati. La macchina del tempo in
questione era costituita da una cabina grande circa un metro quadrato, con il
soffitto a cupola, e una tastiera del computer con lo schermo su uno dei lati,
mentre su quello opposto si trovavano le porte automatiche di entrata.
“Sembra un ascensore” fu il commento
di Jounouchi, e probabilmente la descrizione migliore che si potesse fare.
“Ricapitolando” disse Honda, che
sentiva in arrivo un grande mal di testa. “Tu sostieni che qualcuno ha usato
questa macchina del tempo per andare nel passato e cambiare qualche avvenimento
per impedire a Yuugi di avere il puzzle?” Dopotutto, se suo nonno già non si
ricordava più della sua esistenza, era probabile che nel cambiamento Yuugi non
lo avesse mai ottenuto.
“Credo che, chiunque sia stato, abbia
fatto ben di peggio” scosse la testa Marik. “Ha cambiato il passato di
tremila anni fa, o non si spiegherebbe il disegno sulla stele”
“Lo temo anche io” commentò Seto,
sconsolato per il fatto di dover ammettere una cosa del genere.
Jounouchi strinse forte i pugni. “E’
tutta colpa tua, Kaiba!” esclamò. “Si può sapere perché hai inventato una
cosa così pericolosa?! Dì la verità, volevi usarla per cambiare le tue
meritatissime sconfitte, vero?”
“Non mi stupisce certo che un imbecille
come te non capisca la portata di una simile cosa” commentò Seto degnandolo
solamente di un’occhiata annoiata. “So benissimo quanto cambiare anche una
solo gesto del passato sia pericoloso, anche per chi lo compie”
Il biondo rimase un pochino interdetto.
“Allora perché l’hai inventata?”
“Per migliorare i miei videogiochi”
spiegò brevemente l’altro. “Per quanto riguarda la grafica e la storia, i
miei prodotti sono insuperabili rispetto alle altre aziende e queste, per
ottenere almeno una fetta del mercato, si concentrano maggiormente
sull’aspetto storico e scenografico dei vari giochi. Per questo l’ho
inventata: supererò la concorrenza per tutto. Dopotutto, un filmato realizzato
al computer non vale una ripresa reale di Giulio Cesare mentre varca il Rubicone”
I ragazzi si limitarono ad osservarlo
schifati per qualche minuto: non potevano credere che avesse realizzato
un’invenzione che sapeva così pericolosa solo per il gusto di dimostrarsi il
migliore, ma avrebbero dovuto aspettarselo.
“Scusate…” Anzu ruppe il silenzio
alzando timidamente la mano. “Ma, visto che il passato è stato cambiato,
anche al nostro presente avrebbe dovuto accadere la stessa cosa. Come mai,
invece, ricordiamo tutto?”
Dopo la sua domanda, si alzò un leggero
coro di “si, è vero, come mai”, una sorta di mormorio confuso e dubbioso.
“Non è esattamente così…” Seto
scrutò il gruppo, ben sapendo che tutto il discorso sarebbe stato molto
complesso per le loro menti insignificanti. “Come posso spiegarvi abbassandomi
al vostro livello…?” Si avvicinò ad una lavagnetta appesa alla vicina
parete e prese il gesso appoggiato nel contenitore accanto. “Immaginiamo il
corso del tempo come una semiretta con origine nel Big Bang, anche se non è
proprio così” Disegnò una linea che partiva da un cerchietto e che andava
all’infinito verso l’alto. “Ogni singolo istante di questa linea – e
badate che stiamo parlando di infinitesimi, qualcosa di ben più piccolo dei
secondi – corrisponde ad un particolare evento. La modifica di anche uno solo
di questi attimi porta ad una distorsione temporale.
“Ovviamente, il tipo di distorsione che
si crea dipende anche dal gesto che si compie. Se qualcuno tornasse indietro nel
tempo e si fermasse per cinque minuti, senza muoversi, in mezzo al deserto del
Sahara, è chiaro che non succederebbe nulla. Se invece qualcuno uccidesse, ad
esempio, Hitler prima che fondi il partito nazional-socialista, anche se la
Seconda Guerra Mondiale dovesse ugualmente scoppiare, probabilmente non sarebbe
così disastrosa e antisemita”
Fece una croce ad un punto qualsiasi
della linea. “Supponiamo ora che qualcuno abbia cambiato un evento di una
simile portata. Ovviamente, anche tutti quegli infinitesimi istanti che
compongono il tempo dovrebbero cambiare in conseguenza di ciò. Tuttavia,
essendo appunto minuscoli e in un numero spropositato, l’effetto non è
immediato” Disegnò un’altra linea, che partiva dalla croce e procedeva poi
parallela alla prima. “Si forma invece un ramo collaterale, che potremo quasi
definire un’altra dimensione, con il futuro modificato. Piano piano, ogni
istante del nuovo corso si sostituisce all’originale, fino al cambiamento
completo”
Iniziò a disegnare una serie di linee
trasversali che partivano dalla seconda retta e la collegavano alla prima.
“Non essendo questo processo immediato, per prima cosa si hanno delle visioni,
o dei contatti, con quest’altra dimensione, che ci mostrano il nuovo futuro
che ci attende, finché anche noi non dimenticheremo tutto…” Rimase un
attimo sorpreso dal silenzio che aveva accompagnato la sua spiegazione e che
regnò anche successivamente nella stanza. “E, sinceramente, quello che ho
visto non mi piace neanche un po’!” aggiunse.
Yuugi non poté fare altro che assentire
mentalmente. Probabilmente, durante la prima telefonata che aveva fatto quella
mattina, aveva avuto il piacere di conversare con il nuovo Jounouchi, quello
dell’altra dimensione che, a quanto pare, non era affatto suo amico. Non gli
piaceva affatto una simile eventualità, anche se significava negare a sé
stesso di non essere capace di ottenere degli amici senza l’aiuto del suo
prezioso puzzle, come invece aveva sostenuto davanti a Yami a Battle City. Ma,
nonostante questo sentimento di incapacità, non poteva assolutamente
permettersi di perdere il suo doppio: forse, l’avrebbe dimenticato con il
passare del tempo, ma finché ricordava anche una sola cosa su di lui, anche
solo il colore dei suoi occhi, o il suono della sua voce, non poteva arrendersi.
Avrebbe fatto qualunque cosa, pur di riportare la storia sulla giusta via.
“Come facciamo…” domandò
timidamente, “…a rimettere tutto a posto?”
Tutti si voltarono a guardarlo, visto il
silenzio comprensibile che lo aveva accompagnato fino a quel momento.
“L’unica cosa da fare è scoprire chi sia il colpevole, quindi tornare
indietro per impedirgli di andare a modificare il passato. Roland!” Seto
schioccò le dita e il suo dipendente si manifestò al suo fianco, porgendogli
una paio di fogli scritti con una lista di nomi. “Io ho presentato ieri la mia
invenzione alla Mostra della Scienza e della Tecnologia, e la notizia dovrebbe
essere uscita sui giornali di stamani” Passò il foglio a Yuugi. “Poiché
noi abbiamo iniziato ad avere problemi da oggi, significa che il misfatto è
stato compiuto la notte scorsa, perciò può trattarsi solo di una persona
presente alla presentazione di ieri”
I ragazzi iniziarono ad esaminare i nomi.
“C’era anche Hirutani!” esclamò Jounouchi. “E’ stato lui!” Infatti,
non poteva immaginare nessun’altra ragione per cui il suo ex-amico teppista
potesse recarsi ad una mostra sulla tecnologia, materia in cui probabilmente
capiva meno di lui.
“Quello che dici è assurdo”
intervenne Honda. “Abbiamo detto che è la storia del Faraone ad essere
cambiata, vero? Hirutani non ne sa nulla”
“Potrebbe averlo scoperto facendo delle
ricerche” ribatté il biondo. “Chi non riconoscerebbe Mou hitori no Yuugi
sulla stele?” E l’amico comprese che, qualunque cosa avesse detto, non
sarebbe riuscito a fargli cambiare idea su quella questione.
“Ce ne sono tanti…” Yuugi scorse la
lista con la punta dell’indice. “Anche Haga e Ryouzaki… Il padre di Otogi…”
Tutte persone che, in una maniera o nell’altra, avevano conosciuto la vera
identità del suo doppio e che avrebbero avuto un buon motivo per vendicarsi,
sebbene lui ritenesse questo sentimento totalmente inutile e controproducente.
“Quanto tempo abbiamo?” domandò
Marik, che si era limitato ad una breve occhiata a quei nomi, non conoscendo la
maggior parte delle avventure vissute dal Faraone con i suoi amici.
“Precisamente, non lo so” rispose
Seto. “Facendo un breve calcolo…” Iniziò a disegnare sulla lavagna una
serie di formule complicate e radici cubiche senza una ragione apparente.
L’egiziano lo fermò subito. “Lascia
perdere! Tanto, sono sicuro che da quei calcoli uscirà qualcosa di molto
piccolo”
“Dell’ordine di dieci alla meno nove,
si” Seto finse di non aver sentito quel tono troppo autoritario per lui.
“E’ troppo poco tempo!” esclamò
Bakura, il quale era rimasto in silenzio fino a quel momento, una specie di
presenza fantasma, un ladro che non desiderava farsi notare. “Mandami nel
passato, Kaiba. Ti rimetto io a posto le cose”
“Proprio per niente” replicò questi.
“Chissà quanti altri casini finiresti per creare”
“Ti ho detto di mandarmici, cazzo!” E
tirò un calcio alla cabina della macchina del tempo, con una violenza più
apparente che reale.
Seto lo afferrò per il collo della
maglietta. “Che diavolo fai? Vuoi spaccarmela?”
“Ti sei cagato sotto, eh?” Bakura
sorrise ironico. “Perché sai benissimo che senza una macchina con cui tornare
indietro, tu e la tua bella azienda siete fottuti…”
“Fanculo” commentò lasciandolo.
“Che vorresti poi fare, nel passato?”
L’albino si spazzolò tranquillo la
maglietta a righe blu e bianche. “Se io scoprissi qual è l’evento che è
stato modificato, potrei impedirlo direttamente al giusto tempo e risistemare
tutto correttamente” Scoccò uno sguardo agli altri ragazzi. “Conducendo due
indagini in parallelo, una nel passato e una nel presente, avremo più
possibilità”
“Hai ragione” convenne Yuugi, in un
tono che dimostrava quanto non fosse convinto di quest’ultima idea. Troppe
volte Bakura si era rivelato un temibile avversario, sotto le spoglie di amici
sincero, fidato, anche se forse non del tutto disinteressato. Aveva imparato a
non fidarsi più, sebbene, una volta, avesse creduto alla sue parole.
“Non devi preoccuparti, piccolo re”
commentò allora lui. “Dopotutto, lo faccio soltanto per me stesso” Allungò
il braccio verso di lui. “Vedi? Sto scomparendo anche io, e permetterai che
non ci tenga affatto” Lentamente, il braccio si dissolse in una nebbia
tremolante, come un miraggio di un’oasi lontana. Durò un battito di ciglia,
poi l’arto ricomparve più nitido.
“Allora, forse non è una cosa
malvagia” disse Anzu, dopo aver ripreso il fiato che quella visione aveva
tolto a tutti. “Voglio dire… Forse, qualcuno è tornato indietro per
modificare la situazione in favore del Faraone”
“Che intendi dire?” chiese Jounouchi,
manifestando il pensiero di tutti.
“Noi sappiamo che Mou Hitori no Yuugi
si trova nel presente perché tremila anni fa si è sacrificato in
combattimento” cercò di spiegarsi, gesticolando vistosamente. “Ma se invece
avesse vinto senza avere alcun bisogno di sacrificarsi, non ci sarebbe necessità
della sua presenza nel futuro, da noi… E quindi, nemmeno di Ryou e di Kaiba
che sono… Bè…” Abbassò lo sguardo per evitare le occhiatacce che,
sapeva, le sarebbero arrivate, “…delle reincarnazioni…”
“Questo è anche peggio!” Bakura
rabbrividì: per lui era già abbastanza essere stato sconfitto tremila anni fa
e costretto a rimanere intrappolato nell’anello millenario, senza contare le
umiliazioni subite nel presente. Non aveva davvero bisogno del primo idiota che
passava a peggiorare ulteriormente la situazione.
Yuugi non aveva minimamente pensato ad
una simile eventualità, e rimase profondamente scosso. Certo, Yami era il suo
idolo, l’obiettivo da raggiungere, ma avrebbe potuto sacrificare la sua
felicità per riaverlo accanto a sé? Forse, se nel passato era davvero
sopravvissuto, aveva avuto dei giorni felici, una fidanzata, forse…
Jounouchi fu più spiccio. “Tu non lo
vuoi più con noi?! Vuoi far cambiare tutto?”
“No!
Assolutamente!” si difese Anzu. “Lo sai che Mou Hitori no Yuugi è il
mio-” Si bloccò, arrossendo, senza terminare la frase. “Solo che… Dovremo
pensare anche al suo bene…”
Seto
guardò le loro espressioni incerte e depresse, scuotendo la testa. In quella
situazione, sapeva di poter contare solo su di loro, ma, al tempo stesso, non si
fidava assolutamente. “Bakura, preparati a partire” disse solo, accendendo
lo schermo della macchina del tempo. “Dimmi dove ti devo mandare”
“Finalmente!”
esclamò l’interessato, avvicinandosi alla porta.
“In
questo caso, vengo anche io” intervenne Marik, precedendolo.
“Perché?”
Bakura lo scrutò con i suoi occhi nocciola, sospettoso.
“Primo,
perché sono un custode delle tombe ed è mio dovere verificare che nessuno
cerchi di cambiare la storia a suo favore” E gli scoccò un’occhiata
eloquente. “Secondo, perché sono l’unico che se ne intende di Egitto e
terzo… Siamo amici, giusto?” Sorrise beffardo.
Bakura
ricambiò. “Perché no? Andiamo”
“Allora,
lascio questo a voi” disse infine Yuugi, sentendo comunque una morsa nel cuore
per non poter accompagnare i due ragazzi nel passato, ad incontrare il suo
doppio per poterlo toccare come avrebbe fatto con un qualunque amico. “Noi
cercheremo il colpevole nel presente” Aspettò un istante, prima di rispondere
alla domande silenziose degli altri. “Finché non scopriamo chi è stato e
cosa ha cambiato, non possiamo essere certi che lo abbia fatto per il bene di
Mou Hitori no boku” E non si poté far altro che assentire a questa
affermazione.
“In
questo caso, io vado nel passato” disse Jounouchi, il quale non si era mai
fidato di Bakura, né era mai riuscito a perdonare a Marik il controllo mentale
che aveva avuto su di lui a Battle City.
“Non
ci pensare neanche, bonkotsu” lo deluse immediatamente Kaiba. “E’ già un
problema, per me, mandare questo due, figurati il campione dei perdenti”
Il
biondo strinse le labbra all’ennesimo insulto. “Se la situazione non fosse
grave, ti prenderei a calci nel sedere”
“E
provaci” sorrise Seto ironicamente. Al suo fianco, Roland, silenzioso, infilò
la mano nella tasca dei pantaloni.
“Non
ho tempo da perdere” Si girò, strappò la lista dalle mani di Yuugi e si avviò
verso l’uscita. “Andiamo da Hirutani: prima troviamo il colpevole, meglio è”
Ed i ragazzi, salutando leggermente gli altri, si accinsero a seguirlo, onde
evitare che combinasse qualche guaio per la troppa foga e per la rabbia.
“Per
voi” Seto si rivolse a Bakura e Marik, passandogli due semplici guanti bianchi
con un pulsante blu sulla parte del dorso. “Pronti a partire?” Premette un
pulsante sulla tastiera e la porta della cabina si aprì.
“Fai
meno chiacchiere” sbottò l’albino, entrando nella macchina mentre si
infilava il guanto alla mano destra. Marik lo seguì.
“Ti
accontento subito” commentò Seto, premendo un'altra serie di pulsanti sulla
tastiera con abile velocità. “Via!”
Le
porte si chiusero con un leggero suono cigolante, quindi la luce nel soffitto si
accese. Da dentro, la macchina del tempo somigliava ancora maggiormente ad un
ascensore, ma non avendo né pulsanti per decidere la destinazione né botola,
era molto più soffocante, e dava l’idea di una prigione dalla quale era
impossibile uscire. Inoltre, alla partenza i due ragazzi non sentirono alcun
rumore o alcun movimento né il salita né in discesa, solo un fastidioso ronzio
nelle orecchie, come se una mosca stesse volando attorno alle loro teste. Quando
cessò, le porte si aprirono, lasciando stupefatti i passeggeri che erano
convinti di trovarsi ancora nello stesso posto.
Uscirono
lentamente dalla cabina, e furono accecati da un sole caldo, che scottò la
pelle e gli occhi come se una fiamma viva ci fosse passata sopra. Dopo che la
loro vista si fu finalmente abituata a quella luce soffocante, che faceva loro
bagnare le maglie leggere dal sudore, ebbero il coraggio di voltarsi: la
macchina del tempo era scomparsa. Attorno, si stendeva solo una poco familiare
distesa di sabbia rossa e bollente, che si perdeva nell’orizzonte, e, poco
lontano, una serie di altipiani che formavano costruzioni simili a canyon.
A
quanto pareva, si trovavano in Egitto, tremila anni prima.
Nella
prossima puntata…
Sono
decisamente molto preoccupato… Chissà cosa sarà successo a Mou hitori no
boku… Anche se, adesso, quello che mi preoccupa di più è quello che
potrebbero combinare Marik e Bakura nel passato… Ma non toccheranno nulla,
vero? Vi prego, qualcuno mi dica che non toccheranno nulla!
Prossima
puntata: “Come trovare guai quando questi non ti vengono a cercare“ Non
perdetela!
Hola!
Grazie a Death
Angel,
Likos, Ayuchan e Evee per le
recensioni, e soprattutto per i complimenti che avete fatto al mio stie, sul
serio, non lo credevo così tanto buono come mi avete detto. Mi fa anche molto
piacere che abbiate visto “Ritorno al futuro”, perché è davvero un film
che merita e che non credo proprio che avrò modo di eguagliare con la mia
storia. Comunque, come vedrete, vi si distaccherà anche molto: alla fine, la
sola cosa che ho preso, è l’idea del viaggio del tempo, anche se praticamente
è quella centrale del film ^^’’ A proposito, ho saputo che hanno intenzione
di girare il quarto film della saga! Chissà come verrà…
Ho dovuto aggiungere
l’avviso “spoiler!” perché, dal prossimo capitolo, appariranno dei
personaggi della nuova serie e non so se saranno già comparsi in tv ora che
danno le puntate due volte a settimana. Mi scuso anche per le parolacce che ho
scritto, solo che mi sembravano adatte ai personaggi, anche se nell’anime non
le pronunciano. Voglio dire, Bakura era un ladro, Jounouchi un teppista… Due
così, nella realtà, ne direbbero a iosa, e mi sembrava più realistico
fargliele pronunciare anche nella mia storia. Spero di non offendere nessuno.
Evee mi ha fatto notare
che ho inserito dei termini in giapponese (e sono contento che ti piaccia come
idea ^^) dando per scontato che il lettore li conoscesse. Se così non fosse,
fatemelo presente e provvederò a tradurli. Ancora grazie per i commenti, e,
grazie anche a chi avesse solo letto la storia. Continuate a seguirla.
A presto.
Hui Xie
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Capitolo 3 *** Come trovare i guai quando questi stanno alla larga ***
Come trovare guai quando questi stanno alla larga
Come trovare guai quando questi stanno
alla larga
“Deserto, deserto… e ancora
deserto” commentò Bakura, guardandosi attorno. “Decisamente, Kaiba è un
imbecille. Cosa spera che riusciamo a fare qui?” Scoccò uno sguardo alle
montagne in lontananza. “Quella dev’essere la Valle dei Re…”
Marik, abituatosi facilmente a quel sole
caldo con il quale aveva sempre convissuto, si stava esaminando con curiosità
il guanto che gli avevano fatto indossare, domandandosi a cosa potesse mai
servire. Sperava che, in qualche modo, fosse collegato con la strada per il
ritorno a casa. In quel momento, il pulsante blu sul dorso si illuminò.
“Ehi, mi sentite?” uscì la voce di
Kaiba.
Titubante, Marik premette il pulsante, e
ne uscì immediatamente piccolo schermo proiettato, dal quale spuntava il viso
di Seto.
“Siete arrivati?” gli domandò lui,
spiccio.
“Si, ma… Dove cazzo ci hai
mandato?!” intervenne Bakura, che aveva una gran voglia di picchiarlo.
“Dovreste essere nel mille e trecento
ventotto avanti Cristo, non troppo lontani da Luxor” spiegò lui brevemente.
“La macchina del tempo non ha una precisione geografica. Adesso, ascoltatemi.
Questo schermo mi serve per comunicare con voi in caso di emergenza, ma non
solo. È anche la vostra macchina del tempo portatile. Lo vedi quel simbolo in
basso a destra?”
Marik osservò il fondo dello schermo,
dove appariva più nitido un quadratino con il disegno di una chiave. Lo toccò
leggermente, e l’immagina proiettata cambiò: divenne una cartina approssimata
dell’Egitto, con sotto una specie di contatore della data e dell’ora. “Si,
lo vedo”
“Ti basta cambiare direttamente lì per
spostarti dove vuoi, ma…” lo avvertì. “Io controllerò sempre la
situazione dalla postazione di controllo. Nel frattempo, cercherò anche di
scoprire esattamente in che punto sia avvenuta la distorsione, o almeno di
isolare una parte di tempo. A più tardi” E interruppe la comunicazione senza
nemmeno salutarli, facendo spegnere lo schermo.
“Ciao…” sospirò Marik scuotendo la
testa. aveva fatto un grosso errore a seguire Bakura, lo sapeva, ma ormai era
troppo tardi per rimediare. “Il problema è che non sappiamo nemmeno da dove
cominciare… Se solo conoscessimo il nome del Faraone, sapremmo dove
andare…”
“Io lo conosco” commentò Bakura con
un’alzata di spalle, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
“Co-co-cosa?!” esclamò Marik,
guardandolo con occhi spalancati. “Tu conosci il nome del Faraone Senza Nome,
segreto che la mia famiglia custodisce da anni e che è- era tatuato sulla mia
schiena?”
“Frena, frena” Bakura incrociò le
braccia. “Sai bene che in Egitto c’è differenza fra nome proprio e nome
segreto. Quello che conosco io è il primo, ed è pure scritto sui libri di
testo, il secondo è quello che non conosce nessuno, nemmeno lui stesso” Gli
scoccò un’occhiata eloquente. “Come suppongo che “Marik” sia il tuo
nome segreto e “Namu” il tuo nome proprio…”
L’egiziano ignorò la seconda parte
della frase. “Basterà sapere il primo. Chi è?”
“Ramses” rispose l’albino.
“Ramses I, il capostipite della diciannovesima dinastia”
A sentire quel suono, Marik non potè
fare a meno di sorridere. Nel futuro, stavano chiamando con la parola “Yami”,
oscurità, qualcuno che, in realtà, era “il figlio della luce”: fortuna che
un nome aveva smesso di decidere un destino. “Siamo nel mille e trecento
ventotto, quindi sotto il regno di Horemheb… Anno undicesimo, direi, perciò
dobbiamo spostarci di-” Stava per premere di nuovo il pulsante, quando fu
interrotto da un leggero urlo che attraversò il deserto, espandendosi in tutte
le direzioni. “Cos’è?”
“Lascia perdere” tagliò corto Bakura.
“Dicevamo?”
Un altro urlo, identico al precedente, li
interruppe nuovamente. Non sembrava qualcuno in pericolo, o il grido di una
persona spaventata, però era una richiesta di aiuto estremo, qualcosa di dolce,
triste e preoccupato allo stesso tempo.
“Viene da quelle rocce…” commentò
Marik, voltando leggermente la testa. Non l’aveva detto, ma dalla sua voce
traspariva chiaro il desiderio di recarsi per controllare la situazione.
Bakura sospirò, quindi, senza nulla
aggiungere, iniziò a comminare per dirigersi in quella zona, con il suo amico
che lo seguiva, sempre attirati dalle urla che proseguivano a intervalli
regolari. Affacciandosi da una delle pietre rotolate dalla cima della montagna,
scoprirono ben presto la causa di tutto quel baccano. Una donna, dai lunghi
capelli neri lucidi, stava sdraiata per terra, con le gambe aperte e piegate a
v, e l’addome gonfio completamente sporco di sangue per un parto che si
annunciava difficile.
“Dai, andiamocene” disse Bakura,
ritornando sui suoi passi. “Ti ricordo che noi siamo venuti a riportare il
passato al suo posto, non a modificarlo ulteriormente”
Certo, questo Marik lo sapeva molto bene.
“Però…” Come non ricordarsi che sua madre era morta nel farlo nascere? Da
un ricordo del genere, come poteva trovare dentro di sé la forza di abbandonare
una donna nelle stesse condizioni? Lui non era un bravo ragazzo, lo ammetteva,
ma in quel caso sentiva di dover fare qualcosa, solo per evitare che a qualcuno
potesse capitare ciò che era invece accaduto a lui.
“Oh, e va bene!” acconsentì infine
Bakura, sapendo come sarebbero andate a finire le cose. I due uscirono quindi da
dietro la roccia e si avvicinarono alla donna.
Lei, non appena li vide, alzò
leggermente la testa, e sorrise. “Gra… Zie…” disse solo, lasciando che
una delle tante gocce di sudore che le attraversavano il viso le scivolasse in
bocca.
“Adesso ci pensiamo noi” assicurò
Marik, che in realtà non sapeva esattamente che cosa fare. Si chinò
leggermente, giusto per vedere la vagina, completamente sporca di sangue, che si
allargava e restringeva a ritmo costante, cercando di spingere fuori quello che
si trovava all’interno del ventre. Scoprì in quel istante che non sarebbe mai
diventato medico.
“Se usassimo il metodo usato da Ace
Acchiappanimali?” propose Bakura. “Spingiamo sulla pancia e lo spariamo
fuori”
“Si, sicuramente” commentò Marik
senza prestargli ascolto. Allungò leggermente le mani verso la donna, quindi le
ritrasse. Fece così un paio di volte, finché Bakura non irritò il suo
orgoglio chiedendogli se stesse facendo una qualche danza propiziatoria. “Mi
vergogno… A toccarla lì” ammise infine.
“Sei proprio un incapace” Bakura alzò
gli occhi al cielo. “Lascia, faccio io” Si mise al suo posto e, senza alcun
problema, infilò le mani ai lati della vagina, cercando di allargala, quindi
spinse le dita un poco più in profondità, sentendo che toccavano qualcosa di
duro all’interno. Cercò di stringere più che poteva quell’oggetto viscido
e di estrarlo. Marik, solo per avere l’impressione di fare qualcosa, si
avvicinò alla donna e le asciugò il sudore dalla fronte con un fazzoletto.
“Oh, spinga, signora!” esclamò ad un
certo punto Bakura. “Non è che posso fare tutto io!”
“Lo… So…”
Infine, il ragazzo sentì quella cosa
viscida fasti strada tra le sue dita, e diventare più grossa. Allora estrasse
le mani e cercò di allargare il varco più che poteva, finchè l’intera testa
del bimbo non spuntò all’esterno. Allora la prese, senza troppe precauzioni,
e iniziò a tirarlo con più grazia di quanta ne avesse finchè, con un ultimo
urlo, il neonato nacque del tutto, liberando il ventre della madre che si lasciò
andare ad un lungo sospiro.
Bakura, solo per il gusto di completare
un lavoro, liberò il collo del bambino dal cordone ombelicale che stava
rischiando di soffocarlo e glielo tagliò con il coltello a serramanico che
portava sempre nella tasca dei jeans bianchi.
“Perché… non piange?” domandò
Marik tremando, mentre si avvicinava per controllare meglio la situazione.
“Che ne so, io” borbottò Bakura,
cercando di liberarsi dal cordone ombelicale che si infilava dappertutto.
“Forse è morto”
“Non dirlo nemmeno per scherzo!”
Per non sentire ulteriormente le
lamentele del suo amico, Bakura iniziò a schiaffeggiare le guance paffute del
neonato, per farlo riprendere. “Ehi, sveglia, è ora di colazione”
Finalmente, il bimbo allungò le braccine e le gambine, muovendo i muscoli per
la prima volta, fece il suo primo vero respiro, che portò dentro di sé anche
il soffio della vita e, infine, iniziò a piangere.
La donna, nel frattempo, stava cercando,
con enorme fatica di alzarsi. “Presto… Bisogna dargli un nome! O i demoni lo
divoreranno…”
“Un nome?” commentò Bakura. “Ma
come…” Guardò il bambino. “A… A… At…”
“Athemu” terminò la parola Marik,
limitandosi ad aggiungere la parola egiziana che valeva per servo, semplicemente
perché gli sembrava che stesse bene con le prime due lettere trovate
dall’altro.
“Atemu? Ma che nome è?” Bakura fissò
prima l’amico, poi il bambino e infine dedusse che non gliene importava poi
molto di tutta quella storia.
“Atemu…” ripetè la donna, che era
riuscita finalmente ad alzarsi. “E’ un bel nome” Prese delicatamente il
bambino, e se lo appoggiò al seno, cullando per far cessare le lacrime. Poi
fissò i due ragazzi, sorridendo. “Tu sei egiziano…” disse a Marik. “Tu
invece no…” Bakura si astenne dallo spiegarle che, in realtà, lo era anche
lui. “Questi sono brutti tempi per venire nella nostra terra, visto che siamo
in guerra con gli Ittiti” Sospirò, guardando il piccolo Atemu che, ignaro di
tutto, si stava riaddormentando nelle sue braccia. “Anche se Akunakamon li
combatte da sempre, quelli diventano sempre più forti…”
“Akunakamon è il nome segreto di
Horemheb” sussurrò Bakura a Marik prima che quest’ultimo chiedesse
spiegazioni che avrebbero potuto insospettirla più degli strani abiti che
indossavano.
“Atemu sarà il suo nome segreto…”
riflettè lei, accarezzando leggermente una guancia al bambino, e passando un
dito sui capelli neri che aveva già folti. “Per il nome proprio, però,
vorrei qualcosa di più significativo… Qualcosa che ricordi Ra…”
Approfittando di questo momento poetico
in cui la donna si era immersa, Marik e Bakura, avendo portato a termine la loro
buona azione quotidiana, pensarono bene di defilarsi prima di essere coinvolti
ancora. Si allontanarono di un centinaio di metri, nascosti dietro un’altra
roccia.
“Allora, abbiamo detto che siamo nel
mille e trecento ventotto avanti Cristo” Marik premette il pulsante blu sul
suo guanto, facendo apparire la solita schermata. “Il primo anno di regno di
Ramses I risale al mille trecento quattordici… E la capitale era Menfi…”
Premette prima il tasto della città sulla cartina, quindi iniziò a scalare gli
anni nel contatore per riuscire a raggiungere la cifra esatta.
Prima che finisse, tuttavia, un uomo a
cavallo arrivò dietro di loro, galoppando silenziosamente. “Che state
facendo?” chiese, poiché nessun estraneo avrebbe dovuto avvicinarsi alla
Valle dei Re.
Preso alla sprovvista, Bakura per prima
cosa si spaventò, quindi, rientrato in possesso delle sue facoltà mentali nel
giro di cinque secondi, premette sulla schermata il tasto “invio” ancora
prima che Marik avesse completato di selezionare l’anno. La macchina del tempo
si mise in funzione ugualmente, portandoli nel luogo e nel momento che avevano
scelto a loro stessa insaputa.
*-*-*
Nel frattempo, circa tremila anni più
tardi, il gruppo di detective composto da Yuugi, Honda, Anzu e Jounouchi si era
recato in uno dei quartieri più poveri di Domino City, ovvero la periferia ad
ovest, dove il biondo ricordava si trovasse la casa di Hirutani.
“Io sono sempre più convinto che non
può essere stato lui” commentò Honda, mentre i quattro ragazzi salivano le
scale sporche e lise di uno dei tanti condomini popolari che componevano quella
zona. “D’accordo, vi odia, ma da essere così scaltro da andare addirittura
nel passato…”
Jounouchi non lo ascoltò minimamente. Si
limitò a proseguire il suo cammino fino ad arrivare davanti ad una porta
anonima in legno, completamente rigata, che dava l’impressione di dover cadere
da un momento all’altro. Bussò, ma non ricevette alcuna risposta. Allora,
senza nemmeno aspettare, prese una rincorsa e sfondò la porta con una spallata.
“Jounouchi!” esclamò Anzu. Anche
Yuugi non lo riconosceva più: certo, non era mai stato particolarmente calmo di
carattere, ma ne passava di acqua sotto i ponti fino all’arrivare allo
sfondare una porta solo perché non qualcuno non aveva risposto.
Il ragazzo, cercando di ignorare i giusti
commenti dell’amico, entrò per primo nella prima stanza della casa, un ampio
salotto completamente occupato da riviste porno e vestiti smessi, sparsi nel
pavimento assieme a scarti di cibo, lattine di birra vuote e altra spazzatura
varia. L’odore di chiuso e di marcio gli penetrò nelle narici, e dovette
portarsi una mano sulla bocca e stringerla forte per non vomitare. Riconobbe
anche un altro puzzo: quello dell’alcol, che caratterizzava anche la sua
stessa casa, a causa di quell’ubriacone di suo padre al quale, tuttavia,
voleva ancora un poco di bene.
Hirutani era completamente stravaccato
sul divano, con i piedi appoggiati ad una pila di riviste davanti a lui. In
mano, stringeva ancora una lattina di birra vuota, e un filo di quel liquido gli
usciva ancora dalla bocca. Avvicinandosi a lui, potè notare i vestiti sporchi e
i capelli unti, segno che era passato molto tempo dall’ultimo bagno.
“Non entrate” ordinò Jounouchi, con
una voce così seria da farsi ubbidire immediatamente. Vedendo il suo ex-amico,
era divenuto subito chiaro anche a lui che non si trovava di fronte il
colpevole. “Che diavolo stai facendo?” gli domandò.
Hirutani staccò per un attimo gli occhi
dal televisore spento che stava guardando. “Ah… Sei tu…” Ma sembrava che
non l’avesse riconosciuto veramente.
“Ti ho chiesto che diavolo stai
facendo” Lo afferrò per un braccio e gli sollevo la manica, scoprendo il
livido blu sulla vena, rimasuglio di numerose iniezioni. “Che cazzo stai
facendo, eh? Che cazzo fai?!”
“Eh… Eh…” Sorrideva, ma senza
alcuna gioia o soddisfazione. Sembrava uno spasimo di morte.
Il biondo sospirò, quindi lo rigettò
sul divano con forza. Si diresse verso il bagno, una piccola stanzetta buia e
ancor più soffocante, e iniziò a cercare nei cassetti e negli armadietti,
finché non trovò quello che cercava: delle siringhe e una serie di boccette
contenenti un liquido trasparente. Le afferrò con l’intenzione di gettarle
via, ma, prima che potesse farlo, Hirutani lo afferrò per un polso, senza
alcuna forza.
“Tu… Che cazzo stai facendo?” Ma
Jounouchi lo scaraventò contro la parete opposta con un calcio. Hirutani cadde
in ginocchio, quindi si trascinò lentamente fino ai suoi piedi e gli strinse le
gambe. Piangeva. “Per favore… Dammelo… Ne ho bisogno… Dammelo…” lo
supplicò, cercando una forza che non possedeva più.
Jounouchi gettò tutte le boccette nel
water, stando bene attento a romperle nell’impatto, quindi tirò lo
sciacquone. Poi se lo scrollò di dosso e lo abbandonò nel bagno, ancora in
lacrime pietose, e uscì con sollievo da quella terribile casa. “Chiamate
un’ambulanza” disse solo ai suoi amici, prima di scendere le scale del
palazzo.
Anzu prese il suo cellulare e fece come
le era stato chiesto, mentre, assieme a Yuugi e Honda, seguiva il ragazzo fino
in strada. Jounouchi continuava a camminare senza aspettarli. “Mi domando
perché si senta così in colpa” commentò una volta terminata la telefonata.
“Dopo tutto quello che Hirutani gli ha fatto…”
“Ti sbagli” la contraddisse Honda.
“Non è senso di colpa, è paura. Jounou si è appena reso conto che avrebbe
potuto fare la sua stessa fine, se fosse rimasto con lui… Se non avesse
conosciuto te, Yuugi”
Il ragazzo, sorpreso da quelle parole,
distolse per un attimo lo sguardo dalla schiena del suo migliore amico, che
camminava qualche metro davanti a lui.
“Tu ci hai salvato” aggiunse Honda,
sorridendo.
“Ehi, muovetevi, lumache!” chiamò
Jounouchi. “Qui, il tempo non solo manca, ma cambia anche! Dobbiamo
sbrigarci”
Yuugi sorrise debolmente alle frasi dei
suoi amici, ma in fondo al cuore non riusciva del tutto a crederlo. In realtà,
erano loro che avevano salvato lui, sempre, a partire dall’altro sé stesso.
Era solo un ragazzino debole e magrolino, che tutti scambiavano per uno studente
delle elementari, il cui unico pregio era elaborare delle strategie a Magic&Wizards.
Quello che aveva chiesto al puzzle erano degli amici… E li aveva trovati. Da
solo, ci sarebbe mai riuscito? Ricordando la visione della dimensione
alternativa che aveva visto la mattina, non ne era affatto convinto. Ma non gli
restava che proseguire sulla via che aveva tracciato, riprendendosi la metà
della sua anima, pensando solo che aveva voglia di rivederla. Dopotutto, a
nessun essere umano dovrebbe essere concesso di vedere il “se avessi fatto
questa cosa al posto di un’altra”, perché generalmente si finisce per
pentirsi delle proprie scelte.
Nella
prossima puntata…
Passi
che sono agli ordini di Kaiba. Passi che sono in compagnia di Marik. Passi che
sono qui a perdere tempo. Passi che sto per salvare il mio peggior nemico. Ma il
baby-sitter non lo faccio nemmeno morto, capito?!
Prossima
puntata: “Meet the little pharaoh” Non perdetela!
Hola!
Ringrazio
tutti per aver letto la mia storia e soprattutto bnr (sono contento che lo stile
ti piaccia e che, soprattutto, si capisca che cosa sta succedendo… Visto tutti
i personaggi che bisogna far interagire assieme…), Death Angel (grazie dei
complimenti, ma non preoccuparti, so che non posso competere con Harry Potter!
^_-), Evee (grazie mille, sono contento di non aver fatto OOC, è una delle mie
più gradi preoccupazioni… Spero che questo capitolo non ti abbia delusa,
nonostante l’anticipazione forse un po’ esagerata), Ita rb (non preoccuparti
se non hai recensito la scorsa volta, sono comunque contento che la storia ti
piaccia e sarà un onore entrare nei preferiti, ci mancherebbe!), Ayu chan (Seto
dice che lasciare Bakura nel passato potrebbe sconvolgere il corso della
storia… Tranquilla, Yami apparirà nel prossimo capitolo, anche se forse non
alle dimensioni consuete… E mi fa piacere che tu abbia apprezzato l’idea
delle anticipazioni ^^), Eli (ti assicuro che il film è molto meglio della mia
storia… Guardalo e poi mi dirai ^_- Mi fa piacere che le anticipazioni ti
piacciano, così in stile anime) e Ishizu (anche se non ho ben capito cosa
volessi dire… Vuoi fare anche tu una storia su “Ritorno al futuro”?)
Come
Death Angel e Evee mi hanno consigliato, metto la traduzione dei termini
giapponesi:
Mou
hitori no boku: l’altro me stesso (Yuugi indica Yami)
Mou
hitori no Yuugi: l’altro Yuugi (gli altri indicano Yami)
Bonkotsu:
uomo comune (Kaiba indica Jounouchi – la traduzione migliore sarebbe
“insignificante”)
Kun:
non ha nessun significato in italiano, è solo un vezzeggiativo che si usa
Credo
di averli messi tutti… Se così non fosse, avvertitemi. Grazie ancora a tutti,
ci vediamo alla prossima, spero presto.
Hui
Xie
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Capitolo 4 *** Meet the little pharaoh ***
Meet the little pharaoh
Meet
the little pharaoh
"Accidenti, e adesso dove siamo
finiti?" si lamentò Marik, osservando davanti a sé un giardino di piante
esotiche e fiori colorati, dietro al quale si ergeva imponente un grande
edificio dalle pareti affrescate ad immagini di simboli dal recondito
significato, simili al tatuaggio che aveva sulla schiena e che, quindi, non gli
evocavano ricordi positivi.
"Mah…" fu il commento di Bakura,
che si stava lavando le mani ancora sporche di sangue e placenta nello stagno
del giardino, cercando anche di rendere meno visibile la macchia rossa che aveva
sulla maglietta. "Sembra che abbia ucciso qualcuno… L’unica volta che non
è così!"
Solo in quel momento Marik si rese
veramente conto di quello che avevano fatto. "No, non ci posso credere… E se
adesso avessimo sconvolto tutto? Se quel bambino e sua madre dovevano morire?"
"Oh, sarà tutta colpa tua" alzò le
spalle Bakura. "Dai, al massimo li uccidiamo noi" Dopo l’occhiata di fuoco
che l’egiziano gli scoccò, si dovette correggere. "Stavo solo
scherzando…" Sembrava veramente molto suscettibile per quanto riguardava i
problemi di parto.
"Non siete proprio cresciuti da quando
ci siamo visti, e dire che sono passati ben sei anni" disse una voce alle loro
spalle. "Siete proprio degli spiriti…"
Si voltarono, e rividero davanti a loro
la stessa donna incontrata qualche momento prima, riconoscibile nonostante il
tempo che aveva agito su di lei, rendendole i seni molli e cadenti per
l’allattamento e scavandogli alcune rughe leggere ai lati degli occhi e della
bocca.
"Spero che le mie offerte vi siano
arrivate" proseguì, stropicciandosi le mani. "Grazie ancora"
Solo allora Bakura si rese conto di una
cosa, e si maledisse per non essersene accorto prima. Visto che l’avevano
incontrata in un luogo sperduto, e senza scorta, si era persuaso che si
trattasse di una poveraccia, di una vagabonda, e non aveva nemmeno notato che
indossava, al contrario, dei vestiti di seta pregiata, e che non aveva la pelle
rovinata dai lavori nei campi o nelle botteghe. Solo che se ne era appunto
accorto in quel momento, vedendola ingioiellata e con un diadema d’oro sulla
testa, che risaltava tra la chioma nera.
"Voi comparite sempre quando ho bisogno
di voi" disse lei. "Mi spiace dovervi chiedere ancora un favore, ma non so
proprio a chi affidare i bambini. Il loro maestro è occupato in una missione
importante… Dopotutto è uno dei sei custodi… E non posso sempre chiedere
aiuto a Shimon, lui è il gran visir! Non ha tempo di badare a dei bambini"
"Come se noi lo avessimo" sbottò
Bakura a sentire il nome di Shimon, che ricordava essere il custode della chiave
millenaria.
La donna li abbracciò. "Grazie!"
"Ma non ti abbiamo ancora detto di
si…" cercò di spiegare Marik, mentre soffocava sotto la sua presa.
Lei li lasciò, quindi scomparve per un
attimo dietro alle piante del giardino e ritornò accompagnata da un gruppo di
sei bambini, tre maschi e tre femmine. Si rivolse ad uno di loro, lo prese per
mano e lo condusse davanti ai due ragazzi che stavano pensando a come poter
sfuggire a quella situazione. "Questo è il bambino che avete fatto nascere"
disse loro. "Su, Ramses, salutali"
"Ramses?" pensò Bakura e,
incuriosito, abbassò lo sguardo sul bambino.
Anche Marik fece la stessa cosa, quindi
toccò leggermente la spalla dell’amico e gli sussurrò: "Ma non ti ricorda
qualcuno?"
"Tao…" fece il piccolo Ramses con
una vocetta infantile, osservandoli incuriosito.
Bakura passò lo sguardo sui suoi occhi
viola, sulla frangetta bionda e sui capelli neri che stavano crescendo
leggermente a punta, diventando viola alle estremità. "No, non dirmelo…"
commentò all’indirizzo di Marik. "Non dirmi che abbiamo fatto nascere…
quel Faraone!"
"Abbiamo fatto di peggio" negò
l’amico, non meno sconvolto. "Gli abbiamo anche dato il suo nome segreto, la
chiave di tutto il suo potere"
"Allora, grazie" sorrise la donna,
dando ai due ragazzi due leggere pacche sulle spalle. Questi, in realtà, non
erano rimasti in silenzio perché avevano accettato l’incarico affidatogli, ma
perché troppo sconvolti da quello che avevano fatto.
"Fate i bravi" Lei ammonì i bambini
senza troppa severità, quindi fece per andarsene, ma Ramses le afferrò il
lembo della gonna, cercando di trattenerla.
"Quindi questa è Baketamon…"
rifletté Bakura, che non aveva realizzato ancora la situazione. "La moglie di
Horemheb Akunakamon…"
Baketamon staccò dolcemente le mani del
figlio dalla sua gonna e lo accarezzò leggermente sulla fronte. "Non posso
restare, lo sai" Quindi, senza indugiare oltre, si allontanò, stando ben
attenta a non farsi seguire.
Ramses rimase ad osservarla finché non
fu scomparsa dall’orizzonte, poi grossi lacrimoni iniziarono ad uscire dai
suoi grandi occhi. Si sedette a terra e iniziò a strofinarseli. "Uue…" Il
singhiozzo si trasformò in un pianto dirotto.
Bakura si appoggiò le mani sulle
orecchie, sentendo i timpani doloranti. "Ti prego, fallo smettere!"
"Si, e come?" Marik si massaggiò le
tempie, sentendo che stava per arrivare un forte mal di testa. Fortunatamente,
si ricordò di una cosa che Rishid gli aveva raccontato sulla sua infanzia e
sperò che potesse funzionare anche con altri bambini. Si mise a terra gattoni
davanti a Ramses. "Vuoi fare cavallino?"
Il bambino smise di urlare, ed osservò
incuriosito il nuovo arrivato, che lo invitava a salire sulla sua schiena. Si
asciugò le lacrime dagli occhi, che gli appannavano la vista, e, con titubanza,
si arrampicò sulla schiena di Marik. Bakura tirò un sospiro di sollievo per il
silenzio ristabilito.
Ramses, scoperto quanto fosse divertente
girare per il giardino trasportato in quel modo, iniziò ad urlare: "Veloce,
veloce!", aggrappandosi alla testa di Marik per non cadere.
"Non tirarmi i capelli!" esclamò il
povero ragazzo. Immediatamente, altre lacrime si addossarono sulle ciglia dl
bambino, così che Marik dovette correggersi immediatamente e aumentare
l’andatura pur di evitare gli strilli.
Gli altri bambini, a parte uno,
incuriositi da quel nuovo gioco, ebbero la straordinaria idea di montare in
groppa a Marik tutti insieme, incitati anche dallo stesso Ramses, senza
preoccuparsi minimamente del proprio peso. Inevitabilmente, le braccia del
ragazzo non ressero a tutto quel carico, e, alla fine, Marik si accasciò a
terra, facendoli precipitare tutti in malo modo.
"La mia povera schiena…" mormorò,
senza riuscire ad alzarsi.
"Ma perché ti sei fatto
coinvolgere?!" si lamentò Bakura, che si era appena ripreso dal mal di testa.
Ramses ed un’altra bambina che sembrava
ancora più piccola di lui stavano per rimettersi a piangere, ma furono
interrotti dall’unico dei loro compagni rimasto a terra. "E voi sareste
davvero degli spiriti mandati dagli dei?" domandò questi, osservandoli
scettico con i suoi profondi occhi blu seminascosti dalla frangetta castana.
"A me sembrate solo due sempliciotti che non hanno pazienza e non sono in
grado di controllare la propria rabbia"
Prima che Marik e Bakura potessero
ribattere, lamentandosi del fatto che un bambino, certo, magari anche di dieci
anni, ma pur sempre un bambino, potesse parlare in quel modo, intervenne
un’altra bambina, della sua stessa età, dai lunghi capelli color cioccolata.
"Sethi! Non sei gentile!" E lo rimproverò fissandolo con i suoi occhi
verdi.
"E sta’ un po’ zitta, Tuya"
ribattè lui.
"Sethi?" ripetè Marik.
"Allora questo è Kaiba…" dedusse
Bakura, quindi entrambi aggiunsero: "era antipatico fin da piccolino!"
"Tu che ne pensi, Mahado?" domandò
Sethi al bambino più grande, probabilmente sui dodici anni, che aveva la
carnagione leggermente più chiara rispetto alla loro, e i lineamenti un poco più
dolci.
Quello alzò le spalle. "Se l’ha
detto la Grande Sposa Reale…"
"…dev’essere così" terminò la
frase l’altra bambina di nove anni, l’unica ad avere i capelli neri come gli
egiziani purosangue.
"Anche tu, Isis…" sbuffò Sethi,
quindi incrociò le braccia e rivolse lo sguardo altrove, offeso per essere in
minoranza.
Marik, finalmente, si riprese dalla botta
subita e si alzò, ripulendosi i pantaloni beige. "Che si fa?"
Bakura riflettè per un attimo. "Ho
un’idea" disse infine. "Bambini, ascoltatemi, ora faremo un gioco…"
"Meno male che ero io quello che si
faceva coinvolgere…" commentò ironico Marik, incrociando le braccia.
Il ladro lo ignorò. "Adesso io conto
fino a sessantuno, nel frattempo voi vi nascondete, poi io vengo a cercarvi. Se
riesco a trovarvi ho vinto io, altrimenti avete vinto voi. Tutto chiaro?"
I bambini, avvicinatisi per ascoltare le
regole, annuirono, curiosi di provare un gioco straniero. Tutti tranne Sethi,
ovviamente. "Io non gioco" affermò, e si sedette sotto l’albero di
sicomoro più vicino con uno sguardo di sfida.
Bakura si trattenne dallo strozzarlo
seduta stante. "Pronti?" Si nascose il volto con le mani. "Via… Uno,
due…"
"Tu non guardare" Tuya ammonì Marik,
il quale fu costretto a coprirsi gli occhi pur i mandarli via. Il gruppetto si
disperse quindi per tutto il guardino. "E ora?" chiese il ragazzo, non
appena Bakura ebbe terminato di contare, per altro troppo in fretta per credere
che fosse veramente arrivato fino a sessantuno. "Non vorrai andarli a cercare sul
serio"
"Certo che no" sbuffò l’albino.
"Adesso ce la filiamo mentre sono nascosti"
Prima che potessero allontanarsi, una
voce li fermò. "Quetto gioco è butto" Ramses era uscito dal suo
nascondiglio: evidentemente si annoiava a stare fermo in un unico posto per
troppo tempo.
Bakura contò mentalmente fino a dieci.
"E’ bellissimo, invece. Fila a nasconderti!" Gli occhi di Ramses si
riempirono di lacrime.
"Va bene, va bene" intervenne Marik,
prima che al suo amico venisse un infarto per la rabbia. "Facciamo
qualcos’altro…" Tutti i bambini, tranne Sethi, che non si era minimamente
mosso, si radunarono di nuovo davanti a loro. Il ragazzo prese il primo rametto
che trovò e disegnò una chiocciola sul terreno fangoso, poi la divise in
quadrati. "Bisogna arrivare saltellando su un piede solo fino al centro e poi
tornare indietro. Chi ce la fa vince una casella su cui gli altri, al turno
successivo, non possono passare"
"Bello…" commentò la più
piccolina, che aveva grandi occhi verdi brillanti e disordinati capelli castano
scuro. "Io, io!"
"Dai, Mana, prova" la incoraggiò
Mahado, che si era evidentemente autonominato suo fratello maggiore.
I bambini furono subito presi da questo
nuovo gioco, e si disinteressarono totalmente dei loro baby-sitter.
"Che roba è?" domandò Bakura
divertito, che si era seduto sotto un altro albero, quando Marik lo raggiunse.
"La versione taroccata di campana?"
"L’importante è che li tenga
occupati e non li faccia piangere" ribattè lui, seccato. "Ed è meglio di
quanto abbia fatto tu…" E qui sorrise ironico, avendo come risposta solo uno
sbuffo seccato.
Per qualche minuto la situazione rimase
tranquilla, finchè non toccò a Ramses provare a terminare il percorso. Finora,
c’era riuscito solo Mahado, che aveva conquistato la prima casella. Nel
tentativo di saltarla, come da regolamento, Ramses incespicò, per aver le gambe
corte di un bambino di sei anni, e cadde lungo e disteso per terra.
Bakura maledì mentalmente tutte le cose
che gli vennero in mente. "Adesso si mette a frignare, lo sento…"
La sua predizione si avverò nemmeno un
istante dopo, poiché il principino scoppiò in un pianto dirotto. "Voio
vincere io!" gridava.
Marik, che si era alzato ed era andato a
controllare la situazione, non potè resistere dal ridere di questa
affermazione. "Non si può vincere sempre, mio caro Re dei Giochi" E si sentì
quasi sollevato nello scoprire che anche il Faraone, in fondo, era una persona
normale, o quasi.
"No, la colpa è mia" intervenne
Mahado. "Non avrei dovuto vincere"
Bakura, che aveva chiuso gli occhi
cercando di concentrarsi su qualcos’altro pur di non sentire le urla, li riaprì
immediatamente.
Voglio
vedere il mondo che vuoi creare per noi…
Io
diventerò il tuo servitore per sempre, faraone…
Per
sempre…
Si alzò e si avvicinò al gruppo. "Non
è proprio colpa tua. Non è affatto colpa tua" gli disse. Afferrò Ramses per
la collottola, se lo mise a dorso in giù sulle ginocchia e iniziò a
sculacciarlo, fregandosene altamente dei suoi urli.
Scherzavano? Quando era piccolino, e già
costretto a rubare pur di sopravvivere, aveva sempre pensato al Faraone come ad
un essere capriccioso, che faceva il bello e il cattivo tempo, senza pensare a
nessun altro che non fosse sé stesso. Poi, aveva incontrato il "Faraone Yami"
e lo aveva visto sacrificarsi per salvare il suo popolo: anche se non
l’avrebbe mai ammesso, nemmeno a sé stesso, un poco l’aveva ammirato, e
aveva pensato che forse non tutti i sovrani fossero indisponenti. Invece, adesso
scopriva che anche lui era come se lo era immaginato e, probabilmente, anche il
suo stesso sacrificio era stato un caso.
Mahado, lui si che si era sacrificato,
solo per aiutare qualcuno che non lo meritava affatto. Quando lo aveva visto
diventare il Mago Nero, si era stupito di un simile gesto, ma, riflettendoci,
era comprensibile, visto che si trattava di salvare un paese, oltre che di
proteggere il Faraone. Ma sentirsi in colpa per aver battuto un bambino in un
gioco infantile… Era ora che qualcuno insegnasse l’educazione a quel
principe capriccioso.
"Ci stai prendendo gusto?" chiese
alla fine Marik, vedendo che non smetteva più di sculacciarlo.
"Si, devo ammetterlo"
Mahado era rimasto sconvolto da quella
scena, poiché probabilmente nessuno, nemmeno suo padre, aveva mai osato alzare
le mani su Ramses. "Smettila subito!" gridò. "Non toccare il principe!"
Il Mago delle Illusioni, il suo ka, sebbene in una versione rimpicciolita più
debole, comparve sopra di lui.
Bakura lasciò cadere Ramses e si gettò
a terra giusto in tempo per evitare che una sfera di energia magica lo colpisse
in pieno. "Come diavolo fa ad essere già capace di evocare il suo spirito?"
commentò mentre si rialzava, con la bocca impastata di erba.
"Mahado è il principe di Mitanni"
gli spiegò Sethi, che si era alzato dal suo posto per tutto quel trambusto.
"Quindi il suo è un ka reale, più potente del normale. Anche se, qui a
Menfi, è solo un ostaggio…"
"Ah, si…?" A sapere quelle notizie,
il suo sacrificio durante la loro battaglia sembrava sempre più assurdo.
"Cosa sta succedendo qui?" Un anziano
signore era appena arrivato dal fondo del giardino, facendosi riconoscere come
il visir Shimon a causa della veste che indossava. Due guardie lo scortavano.
"E
questo sarebbe gli occhi e le orecchie del Faraone?" commentò bonariamente
Marik all’indirizzo della sua età avanzata. "Secondo me è orbo e sordo…
E poi, somiglia al nonno di Yuugi…" Questo probabilmente era l’insulto
peggiore che gli fosse venuto in mente.
"E
purtroppo rompe pure quanto quel vecchio" gli fece eco Bakura.
Ramses
si gettò tra le sue braccia, piangendo e strofinando il visino cicciotto contro
la sua veste immacolata. "Micino, che cosa ti è successo…"
"Oh,
gli farà male il culetto…" mormorò Bakura sottovoce, imitando il tono
melenso del visir, tanto che Marik si dovette premere due dita sulle labbra per
non scoppiare a ridere davanti ad un personaggio così importante, almeno a quei
tempi.
"Loro…"
Mahado puntò il dito contro i due ragazzi, prontamente imitato dagli altri
bambini, Sethi a parte, che si limitò semplicemente a sbadigliare, "…hanno
osato picchiare il principe Ramses"
"COSA?!"
esclamò Shimon teatralmente. "Guardie, arrestateli immediatamente!" I due
soldati che lo accompagnavano sfoderarono immediatamente le spade.
"Ma
che, scherziamo?!" Marik indietreggiò di alcuni passi.
"Okay,
ve la siete cercata…" L’anello millenario iniziò a brillare
pericolosamente sotto la maglia di Bakura.
"Ma
smettiamola, per favore!" Sethi si frappose fra i due e le guardie. "Ramses,
mi fai proprio pena. Devi sempre andare a rifugiarti tra le gonne della mammina…"
Immediatamente,
il bambino si staccò da Shimon e si asciugò le lacrime con il dorso della
mano. "Non è vero!" E battè un piede per terra.
Il
visir guardò i due ragazzi, poi sorrise mestamente. "E va bene…" sospirò
infine. "Ma d’ora in poi, evitate simili comportamenti nei confronti della
famiglia reale…" Le guardie rinfoderarono le spade al suo cenno. Marik e
Bakura risposero con un si molto poco convinto, e aspettarono che Shimon se ne
andasse prima di sfogarsi imprecando contro chiunque, specialmente contro Mahado
che aveva fatto la spia e con Sethi che, a detta loro, non avrebbe dovuto
permettersi di aiutarli.
"Si,
si…" replicò il ragazzino, del tutto indifferente alle loro critiche.
"Adesso, che gioco avete intenzione di proporci?"
I
due si guardarono. "Mi è venuta una bella idea…" commentò infine Marik.
"Vieni, aiutami"
"E’
una delle intuizioni geniali come quelle che scovavi per uccidere il Faraone?"
replicò sorridendo ironico Bakura, ma infine si decise ad aiutarlo. In poco
tempo riuscirono a disegnare nel terriccio qualcosa di molto simile ad un
piccolo campo da calcetto, con tanto di porte fatte con sottili rametti di
papiro.
"Gioco
anche io" disse Sethi, una volta che furono spiegate le regole. La cosa lasciò
stupefatta anche i suoi stessi amici, i quali evidentemente non erano abituati a
vederlo così socievole. Tuttavia, per non sembralo troppo, pretese di essere
lui a decidere le squadre. Si mise quindi in squadra con le due ragazze,
lasciando Mahado con i due piccolini, Mana e Ramses, in modo da essere
abbastanza equilibrati.
Marik
e Bakura si sedettero al confine del campo, in vece di arbitri, anche se poi
finirono per farsi prendere dal gioco, visto che i bambini si impegnavano
sicuramente di più dei giocatori normali, senza prendere miliardi.
Poi,
Sethi dribblò abilmente Mahado, facendo passare la palla sotto le sue gambe, e
tirò nella porta difesa da Ramses, il quale, per prenderla, finì per farsi
colpire in viso. Il contraccolpo lo fece cadere rovinosamente a terra e, quando
riuscì lentamente a rialzarsi, un sottile rivolo rosso iniziò a scendergli dal
naso, attraversando la bocca e colando per il mento. Le labbra iniziarono
lentamente a tremare.
Bakura
alzò gli occhi al cielo, già preparato a ricevere un’altra scarica di urli.
"Ra, abbi pietà!"
"Gol"
commentò semplicemente Sethi, tornando nella sua metà del campo. "Forse
questo gioco è troppo duro per il piccolo principe…"
Ramses
si strofinò il naso con il dorso della mano, quindi recuperò la palla e la
passò a Mahado. Nessuna lacrima uscì dai suoi occhi. "Stai bene attento,
perché dalla mia porta non passerà più niente" Sethi si limitò ad un
sorriso tra l’ironico e il soddisfatto, mentre osservava le labbra infantili
del principe farsi sottili per la determinazione e le sopracciglia piegarsi
leggermente per la concentrazione.
Marik
e Bakura osservarono la scena senza parlare. "Erano rivali fin da
bambini…" commentò alla fine il primo, una volta che il gioco fu ripreso.
"Rivali…"
ripetè il secondo. Non ne era affatto convinto, non del tutto, almeno. Tutto ciò
che Sethi diceva o faceva gli sembrava finalizzato solamente a suscitare
l’orgoglio di Ramses, per renderlo meno frignone e mammone. Era come se lo
stesse allenando a diventare un buon Faraone. Questa era l’impressione che
aveva avuto guardando i due bambini.
"No"
si corresse da solo Marik, come rispondendo ai suoi pensieri. "Erano compagni
fin da bambini…"
Bakura
annuì. "Ma, evidentemente, è destino che Kaiba perda contro il faraone"
aggiunse, osservando con quale incredibile abilità nascosta Ramses riuscisse a
parare tutti i tiri di Sethi.
Nella prossima puntata…
Mi domando proprio che diavolo stiano combinando
tutti! Sono già passate cinque ore, e io non ho notizie da nessuno, né nel
presente né nel passato. Ma dopotutto, cosa posso aspettarmi da un branco
d’idioti come quelli? Lo sento, faranno solo casini, e altereranno ancora di
più la storia… Scommetto quello che volete che porteranno qualcuno da un
tempo all’altro!
Prossima puntata: "Colto in flagrante" Non
perdetela!
Hola!
Chiedo scusa per il titolo del capitolo in inglese,
ma in italiano mi stonava proprio, non mi piaceva. Comunque penso che abbiate
capito tutti che la traduzione era "incontra il piccolo faraone". Sono anche
contento che abbiano già trasmesso la puntata della morte di Mahado, così si
capisce meglio a cosa si riferisce Bakura quando si arrabbia (a parte che si
arrabbia continuamente…)
Come al solito,
grazie a tutti per aver letto la storia, soprattutto a Ishizu (grazie dei
complimenti), Death Angel (si, effettivamente le parti di Bakura e Marik sono
quelle venute meglio, perché sono molto meno serie delle altre… Spero quindi
che ti sia piaciuto tutto questo capitolo dedicato a loro ^^), Eli (ecco a te i
nostri due "eroi" alle prese con il faraone… Come ti sembrano?
^_-), Evee
(Mi fa piacere che non ti abbia deluso, ma ovviamente non si può pretendere
molto da nessuno di loro… Non so cosa combinerà Seto, ma da quello che ho
visto penso riuscirà a fare più di tutti anche rimanendo in ufficio ^_-), Ayu
chan (ah, non credo di essere così bravo da riuscire a farti cambiare idea su un
personaggio, anche se mi piacerebbe ^^),
bnr (o Kim? Come ti devo chiamare? Bè,
di solito le cose più importanti alla fine sono le più ovvie ^^’’ Spero
che Atemu abbia fatto il suo dovere in questo capitolo ^_- Precisamente, perché
la scena del parto ti ha colpito? L’hai trovata strana?) e
Ita rb (mi fa piacere che ti sia piaciuto, ma potresti allungare di meno le
parole? Deformano un casino la pagina ^^'' Capisco lo stesso cosa mi vuoi dire,e
sei gentilissima) per le loro
recensioni.
Continuate a seguire la mia storia ^_^ Alla prossima,
spero, presto.
Hui Xie
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Capitolo 5 *** Colto in flagrante ***
Colto in flagrante
Colto in flagrante
A dispetto del pessimo aspetto dell’entrata, e della sporcizia che regnava sovrana sull’uscio, sulla vetrina e sull’insegna, l’interno del bar non somigliava affatto alla bettola che ci si poteva aspettare. Ovviamente, l’aria era satura di fumo e odore di alcol, ma i visi delle persone sembravano privi di preoccupazioni, e le chiacchiere di grida ubriache farcite di insulti e bestemmie.
“Saranno davvero qui?” si domandò Anzu che, nonostante l’atmosfera familiare, rimaneva sulla difensiva, non abituata a luoghi simili.
“Lo spero” commentò seccato Honda. “Dopo aver girato tutta la città…!” Yuugi annuì al suo indirizzo, ma non era colpa di nessuno se Haga e Ryuzaki avevano abitato nel corso di sei mesi in una ventina di case differenti e da tutte erano stati sfrattati. Fortunatamente, l’ultima padrona di casa si era ricordata del bar dov’erano soliti passare le serate e gliel’aveva indicato.
Jounouchi, che sembrava abbastanza arrabbiato per tutta quella perdita di tempo, si avvicinò al bancone, dove il barista, un omaccione dal corpo troppo grosso per quel viso da maestro d’asilo, stava finendo di lavare gli ultimi bicchieri prima di occuparsi delle ordinazioni nuove. “Scusi, ha mai visto questi due?” E mostrò una foto che avevano scaricato dal sito dei duellanti della Kaiba Corporation.
Yuugi trattenne a stento una risata: con quell’atteggiamento il suo amico somigliava veramente troppo ad un detective-eroe di quei film banali che il pubblico americano tanto amava.
“Ma si, certo” rispose il barista dopo una rapida occhiata, appoggiando l’ultimo bicchiere sul lavandino. “Sono qui da ieri pomeriggio” E accennò con la testa l’angolo della stanza. “Buoni clienti, ma…”
I quattro ragazzi si girarono repentinamente per guardare il luogo indicato: un tavolo semivuoto in fondo, dal quale si potevano intravedere, da dietro una dozzina di bottiglie, due note capigliature assurde: una rosso fuoco, seminascosta da un vecchio capello verde, e una azzurrina, che nascondeva un paio d’occhiali gialli e fuori moda. I due ragazzi, ex-campioni di M&W, giacevano entrambi riversi sul tavolo, con le guance appoggiate sulle braccia allungate, e la bocca, spalancata nel russare, lasciava scivolare fuori gli ultimi resti di alcol e saliva.
“Si addormentano sempre così, e mi tocca lasciarli a dormire nel bar, ‘che mi fanno pena” aggiunse il barista.
Fu subito chiaro a tutti che non potevano essere loro i colpevoli della distorsione temporale, a meno che non l’avessero fatto inconsciamente come sonnambuli, cosa da escludere: forse qualcuno era riuscito a passare le difese della Kaiba Corporation, ma di sicuro non un ubriaco addormentato. C’era un limite a tutto, anche agli sbagli di Seto, qualunque cosa pensasse Jounouchi.
“Tempo perso! Tempo perso!” esclamò infatti il biondo, mentre usciva dal bar con i suoi amici. “Dove andiamo ora?”
Prima che qualcuno potesse rispondergli, la figura familiare di Otogi spuntò dall’hotel davanti al locale, stiracchiandosi: doveva essersi appena svegliato. Li vide, sbatté le palpebre, impallidendo leggermente. “Che ci fate qui?” chiese velocemente. “Non mi sembra un posto per voi…” aggiunse, guardandosi intorno nervosamente.
“E tu, allora?” ribatté Honda, alzando un sopracciglio.
Poi, Yuugi gli raccontò tutta la storia, riuscendo a sorprenderlo più della loro stessa presenza nella periferia malfamata. “C’era anche il nome di tuo padre…” aggiunse, abbassando lo sguardo come se fosse colpa sua.
“Non penserai che sia stato lui, vero?” chiese Otogi. Non ottenendo risposta, lo afferrò per il colletto della camicia che indossava sotto la solita giacca della divisa scolastica. “Non puoi crederlo!”
“Io…” Yuugi scostò lo sguardo, continuando a non rispondergli. Avrebbe tanto voluto rispondere no. Avrebbe tanto voluto non essere in quel luogo. Avrebbe voluto svegliarsi, quella mattina, con ancora il suo puzzle e il suo alter ego al suo fianco.
Otogi sospirò. “So che né io né mio padre siamo stati molto… amichevoli nei tuoi confronti” iniziò. “Ma è passato. Quell’incendio ha bruciato tutto il rancore, lasciando solo cenere. Cenere”
“Io credo in te” rispose Yuugi. “Hai combattuto onestamente, e l’incendio ha trovato solo un campo già bruciato”
“Già” intervenne Jounouchi. “Ma non possiamo sapere se le braci sono rimaste a covare sotto la cenere di tuo padre”
“E va bene” sbuffò Otogi. “Vi porto da lui, così capirete che ho ragione”
“Riuji-i…” cantilenò una voce acuta, da dietro. Una ragazza bionda gli si gettò al collo, lasciandogli un vistoso segno di rossetto sul colletto della camicia a righe azzurra, decisamente non adatta a lui.
“Scusa, tesoro…” Otogi, con un’occhiata imbarazzata ai suoi amici, si scostò, mostrando il vestito succinto che la ragazza indossava, con tanto di stivali alti con tacco e leopardati. “Adesso devo andare”
“Eh?” esclamò lei, facendo un’espressione da cane bastonato che male si addiceva al trucco pesante. “Ma avevi detto per tutta la giornata!”
Otogi estrasse il portafoglio dalla tasta e prese quasi tutte le banconote che vi si trovavano – parecchie, a detta di Jounouchi che, in vita sua, non aveva mai visto nemmeno un quarto di quella cifra. “Tieni, e comprati qualcosa di carino” Gli infilò i soldi nella scollatura, giusto fra il solco dei seni, quindi superò i ragazzi e si avviò per la strada senza aggiungere altro.
“Tornero` a trovarti!” gli gridò dietro la ragazza.
Il gruppo seguì timidamente Otogi, che se ne andava tranquillo per la sua strada, come se fosse da solo, non con una compagnia di ragazzi, suoi amici, ai cui per altro avrebbe dovuto fare da guida.
“Ma… Ma…” balbettò improvvisamente Anzu, che, nonostante l’imbarazzo, non riusciva a rimanere in silenzio, esprimendo così anche le perplessità degli altri. “Ma quella era… Una… Una prostituta…?”
“Uhm…” Il ragazzo, infilando le mani nelle tasche posteriori dei jeans, si voltò appena, scoccandole un’occhiata seccata con i suoi occhi verdi. “Secondo te?”
“OTOGI!” Questo era Jounouchi, che prendeva le difese dell’amica, troppo imbarazzata da quello sguardo per proseguire. Dopotutto, lei era una ragazza, e questa storia la colpiva più profondamente.
Il ragazzo continuò a non rispondere, e tutti presero il silenzio per assenso.
Honda impallidì, poi deglutì. Proprio lui, l’idolo di tutte le ragazze della scuola, mentre lui aveva già difficoltà a farsi accettare come ragazzo dalle persone che gli piacevano e che poi, puntualmente, lo rifiutavano, come Miho. Certo, sverginare una studentessa non sarebbe stato il massimo, ma stare con una ragazza… Credeva che Shizuka gli piacesse veramente.
“Ma come puoi?” singhiozzò leggermente Anzu. “Sono persone…”
Otogi fece un sorriso imbarazzato. ”Avete capito male…”
“No!” ribatté la ragazza, raggiungendolo e fermandosi davanti a lui. “Vendere il proprio corpo… Ti sembra normale? Ti sembra amore?”
“Non è una prostituta” Il ragazzo scostò lo sguardo da quegli occhi azzurri, decisi e arrabbiati. “Io lo sono”
“E questo cosa vuol dire?” Lei abbassò lo braccia, non capendo il senso delle sue parole. “Tu…?”
“Si, faccio la prostituta!” sbottò, arrabbiato. “E’ un lavoro come un altro, e si guadagna anche bene” Fissò Anzu. “Puoi approfittare, se vuoi, ti faccio un prezzo spec-”
Ma Anzu non gli lasciò il tempo di finire, colpendolo in viso con un sonoro schiaffo. “Non dire stronzate!” esclamò. “Non pagherei mai qualcuno per venire a letto con me! Te meno che gli altri! Mi fai schifo!”
No, scosse la testa Yuugi, mentre osservava la scena. Quello non era Otogi. Meglio, non era l’Otogi contro cui aveva combattuto così fieramente a DDD. Davvero, quanto stavano cambiando le loro esistenze per un semplice avvenimento mutato in un passato lontano di tremila anni! “Mou hitori no boku… Torna!” pensò, stringendosi le mani. “Abbiamo bisogno di te… Tutti”
Poi superò i due ragazzi, che dopo la sfuriata di Anzu erano rimasti entrambi in silenzio, e si voltò a guardarli, ostentando una tranquillità così falsa da stupire lui stesso. “Adesso, non possiamo fermarci a litigare” disse, serio. “Non abbiamo tempo” Ed era una frase che poteva suonare veramente ironica, contando che tutti i loro problemi derivavano proprio da una macchina del tempo che, teoricamente, avrebbe potuto allungare le giornate a chiunque.
“Si…” fu la risposta sibilata degli altri, simile ad un leggero alito di vento in una giornata di primavera, quindi si misero in cammino per le strade quasi deserte della città di Domino, verso il negozio di Otogi.
Poi, Yuugi si fermò all’improvviso. Davanti a lui, in fondo alla strada, spuntava il tetto rosso con la nota insegna del “Burger World”, uno dei suoi posti preferiti. Certo, era praticamente mezzogiorno, e la fame cominciava a farsi sentire, ma non era per l’odore invitante degli hamburger che gli occhi viola del ragazzo si erano concentrati su quella scritta.
Una strana sensazione lo invase, un freddo brivido scorse dalle vene dei polsi fino al cuore, accelerandogli i battiti e serrandogli la gola in una morsa dolorosa. Il suo cervello gli trasmise l’ordine di non farlo, di non entrare assolutamente in quel locale. Ma ovviamente, Yuugi, da idiota quale egli stesso si maledisse, non seguì il consiglio. Arrivò davanti alla porta, afferrò la maniglia ed entrò.
*-*-*
“Secondo te, quella è Venere?” chiese ad un certo punto Marik, indicando un punto brillante appena comparso nel cielo blu, in lontananza.
“Perché dovrebbe esserlo?” fu la laconica risposta di Bakura.
“Avevo sentito dire che la prima stella della sera è Venere…”
“Ma Venere non è mica una stella!”
“Però nell’antichità mica sapevano la differenza…”
“E i greci, allora? Non era stato un greco a fare il primo schema del sistema solare?”
“Boh… Può darsi” Marik rifletté un attimo. “Però gli Ittiti chiamavano Venere la stella di Ishtar”
“Allora sarà proprio Venere…” Bakura alzò gli occhi al cielo, ormai totalmente scuro. “Ne è comparsa un’altra”
“La stella polare?”
“Ma non indica il nord…”
“Che ne sai?”
“A istinto…”
“Si, come no…” Marik scosse la testa. “Però, ora che ci penso, forse era la stella polare la prima stella della sera… O Sirio…”
“Ma chissenefrega, anche!” sbottò Bakura. “Vorrei proprio sapere perché siamo qui a parlare di ‘ste minchiate…”
“Perché non possiamo muoverci…” allargò le braccia Marik.
I due ragazzi, con la schiena appoggiata ad un grande tronco di un sicomoro, nell’angolo più scuro del giardino, abbassarono lo sguardo per osservare attorno: Mahado dormiva con la spalla appoggiata a quella di Marik, con i capelli castani che gli coprivano in parte il volto, mentre Mana si era addormentata in braccio a lui; tra le gambe aperte di Bakura riposava Tuya, con il volto completamente affondato nella sua maglia ancora sporca, e una mano che stringeva quella di Sethi, il quale era coricato leggermente più distante, con il tronco a fargli da spalliera; Isis usava allo stesso modo le gambe di Marik, con le mani congiunte sul grembo come in preghiera; Ramses, infine, si era sistemato tra i due ragazzi, con il capo reclinato sul braccio di allungato di Bakura.
“Dopotutto, sono sempre bambini…”
Bakura passò lo sguardo sulla frangia bionda di Ramses, sulle ciglia già lunghe in occhi non ancora così severi, sulle labbra semi aperte, e poi… “Sarebbe così facile strozzarlo, ora…”
Marik gli riservò un’occhiata di rimprovero. “Guai in vista” aggiunse poi, mentre il pulsante blu del suo guanto iniziava a lampeggiare, segno di una chiamata dal quartiere centrale. “Kaiba” Lentamente, spostò la testa di Mahado in modo da appoggiarla contro l’albero, quindi prese Isis per le spalle e, con calma, la tenne ferma in modo che non cadesse mentre toglieva le gambe da dietro la sua schiena, e poi l’appoggiò gentilmente a terra.
Bakura alzò gli occhi al cielo, e fu molto meno delicato nell’alzarsi, separando le mani giunte di Sethi e Tuya, mentre lasciava scivolare sia la bambina che Ramses nell’erba fresca senza preoccuparsi della botta che avrebbero potuto prendere. Si avvicinò poi a Marik, il quale si era leggermente allontanato e aveva già fatto comparire lo schermo, tenendo la mano leggermente rialzata davanti a lui.
Il volto apparentemente calmo del ragazzo castano comparve nei colori sgargianti, spiccando nitido nella notte scura. “E’ passata una giornata, e io ho lavorato praticamente per farvi un favore…” mormorò lentamente. “Che diavolo state combinando?!” Si battè una mano sulla fronte. “Perché devo sempre parlare con idioti…”
In situazioni normali, i due improvvisati viaggiatori del tempo lo avrebbero tranquillamente mandato a quel paese, ma il mestiere di baby-sitter li aveva sfiancati più di quanto loro stessi volessero ammettere. “Kaiba, abbi pietà…” mormorarono contemporaneamente.
Lui agitò leggermente la mano, come dire di lasciare perdere. “Tanto, non potevo aspettarmi nient’altro da voi” fu la sua risposta. “In compenso, io ho ridotto l’arco di tempo in cui è avvenuta la distorsione. L’intervallo è dal 1312 al 1316. Datevi da fare” E chiuse la comunicazione senza aggiungere nient’altro.
“Se siamo ridotti così, è anche colpa sua…” Bakura emise un profondo sospiro. “Come lo odio…”
“Lascialo perdere” Marik selezionò l’anno, lasciando come città Menfi. “L’unica cosa che mi rompe è non aver avuto la forza di rispondergli…”
“Tu hai voluto venire con me” fece presente l’amico.
L’egiziano scosse la testa. “Gira pure il coltello nella piaga” E, senza nemmeno avvertirlo, premette il tasto invio nello schermo: un istante solo, e i due ragazzi si trovarono accecati da un forte sole pomeridiano, con il naso e le orecchie completamente otturate dai suoni e dai profumi del mercato dell’affollata città di Menfi.
Decine di persone sfilavano davanti ai loro occhi, correndo velocemente per la strada, ognuno con il proprio pacco di roba, e li sorpassavano senza nemmeno notarli, troppo immersi nei loro pensieri; altri, fermi davanti alle bancarelle, contrattavano il prezzo con i negozianti, cercando con le loro voci di sovrastare quelle di chiunque. Erano volti antichi, eppure in ciascuno si potevano ritrovare le gioie e le preoccupazioni semplici degli uomini moderni.
“Che belo…” esclamò una voce infantile, con lo stesso tono ammirato con cui i due ragazzi stavano osservando quello spettacolo.
“Già…” rispose Marik. Poi, accortosi della stranezza di quella situazione, sbatté le palpebre e abbassò lo sguardo ai suoi piedi, da dove sembrava provenire quella voce.
Bakura eseguì la stessa mossa nello stesso istante, e sobbalzò. “Che… Che diavolo ci fa lui qui?!” sbottò.
“Ci ha seguiti, temo…” rispose Marik, con un’espressione terribilmente colpevole.
“Che belo…” ripetè, in tono più dolce, il piccolo Ramses, che continuava ad osservare lo spettacolo con i suoi occhi viola spalancati, e le guance leggermente arrossate per l’entusiasmo.
“Dai, riportiamolo indietro prima che lo uccida seduta stante” ordinò Bakura, ma prima che Marik avesse anche solo il tempo di alzare la mano per premere il pulsante sul guanto, Ramses era già scomparso tra la polvere, le vesti e le gambe che costellavano la via.
Nella prossima puntata…
E’ inutile che mi guardi in quel modo, Satre. Questa volta non sono stato io a mettermi nei guai, volevo solo pescare, quando sono arrivati questi ragazzi…
Si, si, come no, Ramses. Ma sono proprio strani questi due, non trovi?
Mi divertono, però…
Piuttosto, dimmi, chi è quel bambino che ti somiglia così tanto?
Prossima puntata: “Bakura ne combina un’altra delle sue” Non perdetela!
Hola!
Dato che nell’ultimo capitolo ho ricevuto parecchi commenti che si domandavano perché mai Baketamon dovesse affidare i bambini a quei due scapestrati di Marik e Bakura, invece di pagarsi una baby sitter con i soldi delle finanze reali, sono andato a chiederlo direttamente a lei…
Baketamon: “A parte che a me sembravano dei bravi ragazzi… Di solito ai bambini ci bada un tizio di nome Remthot, che è anche il loro maestro, solo che quel giorno era impegnato e, "casualmente", tutte le balie si erano ammalate di una strana forma di influenza che le aveva costrette a letto… Perciò è stata una necessità improvvisa! Ma gli spiriti sanno sempre qual è il momento giusto per arrivare…”
Bakura: “Che sfiga, però…”
Risolta questa questione, torno a rinnovare i miei ringraziamenti a tutti quelli che hanno letto la mia storia, specialmente a Death Angel (direi che anche il calcio rimane sempre uguale in qualunque epoca…^_- Mi fa piacere che ti sia piaciuta), Ayu Chan (diciamo che il carattere che abbiamo da grandi si rispecchia in quello che facciamo da bambini… E difatti si è visto! Bakura aggiunge anche che Atemu che piange non è affatto tenero, e puoi andare a fare la baby sitter tu la prossima volta ^_-), Ita rb (grazie per aver seguito il consiglio, spero che tua madre non abbia davvero creduto che tu fossi impazzita ^^), Kim (Indipendente dalle varie vite e anche dall’età, a quanto sembra ^_- Per la storia di Mahado, mi riferivo al fatto che aveva deciso di sacrificarsi per sconfiggere Bakura, quindi, effettivamente, la colpa è principalmente sua ù_ù) e Evee (mi fa piacere essere riuscito a mantenere tutti OOC, nonostante l’età ^^). Grazie ancora a tutti per i complimenti.
Spero a presto
Hui Xie
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Capitolo 6 *** Bakura ne combina un'altra delle sue ***
Bakura ne combina un
Bakura ne combina un’altra delle sue
Bakura
abbassò lo sguardo, e strinse i pugni. Marik lo fissò per un istante, poi si
voltò e si coprì le orecchie, prevedendo l’esplosione imminente. “Ma porca
puttana!!” esclamò infatti l’amico. “Grande o piccolo, riesce sempre a
scassare la minchia! Ma che vada a fare in-”
Marik lo interruppe, allungando una mano
verso di lui. “Sono d’accordo con te, ma non mi sembra il caso, adesso”
cercò di calmarlo. “Lo potrai insultare non appena lo riacchiapperemo…”
“Oh, ci puoi giurare” commentò
Bakura. “Lo picchierò talmente tanto che non potrà sedersi per anni”
L’egiziano scosse la testa, quindi
iniziò a camminare per il mercato, tra le vesti bianche delle persone che gli
sfrecciavano al fianco, ignorandolo completamente, e si immerse totalmente negli
odori forti dei bazar di Menfi. “Ramses! Ramses!” iniziò a chiamare,
sperando che il bambino non si fosse allontanato troppo.
“Non credo che ti risponderà, se lo
chiami così” Bakura evitò di striscio una donna e gli si affiancò.
“E come dovrei fare?” replicò Marik,
scoccandogli un’occhiata arrabbiata. Era proprio inutile che facesse il
saputello, lasciandolo però ad occuparsi di tutto.
“Che so…” L’albino finse di
riflettere. “Unico principe ereditario al trono d’Egitto, sua maestà, sua
altezza, sua magnificenza…”
“Ma piantala!” Quindi lo ignorò,
continuando con il primo metodo che aveva adottato.
Camminando e chiamando, i due ragazzi
giunsero nei pressi del porto di Menfi: un formicaio rumoroso, con pescatori e
mercanti che salivano e scendevano dalle barche con le loro merci, in non meno
fretta delle persone in centro città. Decine di barche e barconi vi erano
ormeggiate, simili a tanti soldati in riga, e altrettante stavano aspettando di
trovare un posto libero. Solo l’odore cambiava: la puzza di pesce era talmente
soffocante da diventare nauseante, tanto che Marik e Bakura si chiesero come
facessero gli altri a resistervi tanto a lungo.
“Ehi, ehi!” esclamò un pescatore,
mentre allungava la mano per cercare di afferrare una piccola nave in papiro che
si stava allontanando sulla superficie liscia e pericolosa dell’acqua. Una
testolina mora spuntò dal fondo della barca, e si arrampicò sull’altra prua.
“Di chi è questo bambino?”
“Maledetto essere…” fu il commento
di Bakura, prima di prendere la rincorsa e saltare sull’imbarcazione prima che
si allontanasse troppo dalla riva. “Scendi immediatamente da lì, prima di
cadere e farti mangiare dai coccodrilli!” Si bloccò. “Anche se,
ripensandoci, non sarebbe male…”
La barca diede un grosso scossone non
appena Marik li raggiunse, e questo provocò un ulteriore allontanamento del
mezzo dalla terra, lasciando i tre a navigare in balia delle correnti lente del
Nilo. “Non credo che questa sia stata una buona idea…” commentò,
osservando il porto brulicante di Menfi allontanarsi sempre di più
all’orizzonte.
“E di chi pensi che sia la colpa?”
ribatté Bakura, mentre si scroccava le dita per trattenere il prurito alle
mani, prima che il suo istinto lo portasse a strozzare qualcuno. Inutile
specificare chi sarebbe stata la vittima.
L’imbarcazione si bloccò per un
istante, incontrando una corrente contraria, quindi iniziò a girare su sé
stessa, senza che nessuno potesse intervenire, perché, nella partenza
improvvisa, il lungo remo era stato abbandonato sulla riva. Marik cercò di
alzarsi e riacquistare un poco di equilibrio: tentativo che fallì miseramente
non appena Bakura, per la velocità della barca, inciampò e cadde direttamente
su di lui.
Poi, qualcosa o qualcuno spuntò dalla
superficie dell’acqua, e balzò sulla nave, stringendo il remo fra le mani. In
un istante, ristabilì la direzione della barca con poche abili mosse, e la portò
fuori da quella corrente sbagliata: l’imbarcazione tornò quindi a navigare
tranquilla lungo il corso del Nilo, fendendo dolcemente l’acqua chiara in due
parti.
Bakura cercò di alzarsi, districandosi
dall’amico, e si massaggiò leggermente la testa, fissando la persona che li
aveva aiutati: un ragazzino, non molto alto, che indossava solamente un corto
gonnellino bianco, il quale, bagnato, si appiccicava alle gambe non ancora
sufficientemente muscolose a causa della giovane età. Una cintura di cuoio che
tratteneva un coltello completava l’abbigliamento, assieme a dei semplici
calzari allacciati dietro il calcagno. Sulle spalle, già sviluppate, erano
appese una serie di lance con la punta in selce. Nel petto, ancora magro, già
si vedevano i segni di un duro addestramento, che stava rinforzando gli
addominali, così come i muscoli delle braccia magre. Il leggero vento che
spirava agitava una lunga capigliatura mora e una frangia bionda.
“Ma tu… Sei Ramses…?” mormorò,
rispecchiandosi in due occhi viola divertiti, che spiccavano sul viso
abbronzato, appaiandosi al leggero sorriso ironico che si era formato sulle
labbra carnose.
“Il principe Ramses, si” rispose lui,
con una leggera alzata di spalle.
“Il principe Ramses, si” ripeté con
voce stridula Bakura all’orecchio di Marik, con un’espressione terribilmente
seccata e disgustata. L’amico gli tirò una gomitata fra le costole.
Il futuro faraone fece poi qualcosa che
nessuno dei due si aspettava: si avvicinò al sé stesso versione bambina, il
quale lo fissava ammirato, e lo schiaffeggiò con tutta la forza che aveva.
“Non lo fare mai più!” gli disse. “Bisogna rispettare gli ordini dei
propri superiori e, soprattutto, non fare nulla che possa mettere in pericolo
gli altri. Nessuno dovrebbe morire per errori di altri” Grossi lacrimoni
iniziarono a formarsi sulle ciglia del piccolo Ramses, mentre si massaggiava la
guancia dolorante. “E non piangere!” Il bambino, seppur col labbro
tremolante, si asciugò gli occhi con il palmo della mano e trattenne i
singhiozzi.
Marik, alla scena, sospirò di sollievo.
Temeva già di dover subire degli altri pianti dirotti, che gli avevano
procurato un’emicrania persistente. “Ti ringrazio” disse formalmente al
ragazzo, con un leggero inchino. “Ti sarei molto grato se adesso ci riportassi
a riva…”
“No” Ramses si voltò e iniziò a
sistemare le lance che aveva con sé sul fondo della barca.
“Come no?!” scattò Bakura. Già lo
odiava da bambino e da adulto, non avrebbe avuto difficoltà a non sopportarlo
anche da ragazzino.
“Sono qui per pescare, non vedo perché
dovrei tornare indietro” spiegò il moro, afferrando una lancia e preparandola
in posizione di lancio. Scoccò loro un’altra occhiata divertita. “Oh, forse
voi non siete capaci…”
“Che?” Bakura inarcò il
sopracciglio.
“Non farti coinvolgere” lo ammonì
Marik. Parole buttate al vento.
“Adesso ti faccio vedere io”
L’albino afferrò la prima lancia che gli capitò sottomano e si avvicinò al
pelo dell’acqua.
Ramses gli riservò un sorrisetto quasi
di compassione, quindi abbassò in un istante la punta in selce sott’acqua e,
quando la rialzò, mostrò fieramente un grasso ossirinco infilzato sul balcone,
lasciando che il sole facesse luccicare le squame grigiastre.
“Che bravo…” sospirò ammirato il
bambino, fissando l’enorme pesce con gli occhi spalancati.
Al contrario, Bakura, nel tentativo di
imitare quel movimento aggraziato, finì per immergere la lancia solamente in
acqua con un grande spruzzo, mancando vistosamente il bersaglio. Il solo
risultato che ottenne fu quello di inzupparsi completamente. La sua impresa fu
accolta da una risata da parte di entrambi i Ramses, e Marik stesso non riuscì
a trattenersi.
“Ma tu da che parte stai?” sibilò
Bakura, con un’occhiata furente.
“Scusa” rispose velocemente
l’amico, cercando di trattenere inutilmente un sorriso.
Il piccolo principe, terminata la risata
si affacciò oltre la barca, rispecchiandosi sullo specchio azzurro cielo: le
labbra leggermente dischiuse, gli occhi grandi e le guance arrossate
testimoniavano il suo desiderio di partecipare alla sfida.
“Non sporgerti” lo ammonì la sua
versione cresciuta.
Bakura, lasciando perdere totalmente il
motivo che lo aveva spinto a recarsi nel passato, fissò la sua attenzione
unicamente sulle punte che il bambino teneva più alzate possibili, in modo da
affacciarsi oltre la barca. Non rifletté nemmeno, ma abbassò la mano e diede
una leggera spinta: in un istante il bambino, per il peso della testa, venne
sbilanciato in avanti e precipitò in acqua.
“Sei forse tormentato dai demoni?!”
esclamò Ramses arrabbiato, dopo aver assistito alla scena senza poter
intervenire.
“Ci sono i coccodrilli!” rincarò la
dose Marik che, al contrario dell’amico, non aveva scordato la loro missione.
“Era un’occasione troppo bella…”
si giustificò Bakura, abbassando il capo in un’espressione finta colpevole.
Il piccolo principe riemerse dall’acqua
con la testolina mora, agitando le braccia per riuscire a restare a galla, con
le lacrime che si confondevano alle gocce. Ramses allungò la mano verso di lui
per recuperarlo, ma la corrente lo trascinò oltre la lunghezza del suo braccio.
“Iside misericordiosa…” mormorò poi, fissando leggermente la riva
lontana: dalla foresta di papiri una dozzina di coccodrilli, attirati dalle
vibrazioni diverse sulla superficie del fiume, iniziò ad immergersi
nell’acqua, con i loro occhi gialli brillanti.
“Io avrò sbagliato, ma tu porti
sfiga” disse Bakura all’amico. “Fino ad un secondo fa non ce n’era
nemmeno uno!”
Ramses smise totalmente di ascoltarli,
tolse il pesce dalla sua lancia e si tuffò in acqua con uno spruzzo che bagnò
il ladro più di quanto non fosse già. Nuotò velocemente verso il bambino, e
lo prese in braccio, infilzando contemporaneamente la bocca del primo
coccodrillo che si stava avvicinando.
“Dobbiamo aiutarlo!” commentò Marik,
prendendo una lancia e provando a lanciarla come aveva visto fare al principe:
l’asta volò per un po’ in aria e si impiantò sulla schiena di un altro
animale, prima che questi potesse mordere i due Ramses.
“Come hai fatto?” si chiese Bakura,
il quale non sembrava proprio intenzionato ad aiutarli.
“Culo” replicò Marik, tirandogli un
calcio per farlo muovere.
“Ehi, voi due!” chiamò il ragazzo,
da lontano, mentre sollevava il bambino sopra la testa, restando a galla solo
con l’ausilio delle gambe. “Prendetelo al volo” Con una precisione da
cestita dell’NBA, lanciò il piccolo Ramses verso di loro, sulla barca,
incurante delle sue proteste. Marik riuscì ad afferrarlo, ma per il
contraccolpo cadde all’indietro e sbatté la testa contro il fondo duro
dell’imbarcazione, rimanendo per un attimo rintronato.
“Non ce la farà mai” commentò
Bakura, con il mento appoggiato al palmo della mano, annoiato come se stesse
guardando un film monotono. Infatti, il resto del gruppo di coccodrilli lo aveva
ormai completamente circondato: ma Ramses, senza perdere il sorriso sicuro che
lo contraddistingueva sempre, si limitò a non rispondergli e ad immergersi
sott’acqua. Dopo poco, la superficie si riempì di rosso.
Poi, un coccodrillo emerse proprio
davanti a Bakura, che, dallo spavento, perse una decina d’anni. “Ce ne sono
anche qui!” esclamò, indietreggiando. Fortunatamente l’animale venne
immobilizzato al lato della barca da una lancia lanciata con precisione dalla
riva, da qualcuno che, incurante del pericolo, si era tuffato in acqua per
raggiungerli. Bakura afferrò un’altra lancia e terminò il lavoro, gettando
poi il cadavere in acqua.
Accanto a lui, due mani affusolate
spuntarono da sott’acqua, aggrappandosi al bordo dell’imbarcazione, quindi
la figura si spinse fuori, emergendo fino ad allungare totalmente le braccia,
restando in equilibro. Marik si rialzò giusto in tempo per vederla. “Una
sirena…?” domandò, ammirando i capelli, biondi come i raggi del sole e
ricci, talmente lunghi da ricoprigli il seno nudo fino alla vita, da dove poi
iniziava la leggera gonna bianca. Due turchesi brillanti lo osservarono sotto le
lunghe ciglia.
“Temo di non avere ali” gli rispose
gentilmente la ragazzina, mentre entrava del tutto a bordo.
“Ah, Satre!” la salutò il Ramses
grande, che stava salendo in quel momento dall’altro lato, completamente
macchiato di acqua rossa, per aver ucciso tutti i coccodrilli. “Grazie
dell’aiuto”
Lei piegò le labbra carnose in un
sorriso divertito. “Ti metti sempre nei guai…” disse, scuotendo la testa
come se la cosa, in fondo, non le dispiacesse. Poi, si avvicinò al piccolo
Ramses, che singhiozzava nascosto dietro la schiena di Marik, e, sedendosi
accanto a lui, iniziò a consolarlo accarezzandogli la testa. “Dai, è tutto
finito…”
Il principe la imitò, ed entrambi
cercarono di farlo calmare. “Lo sai che ti assomiglia?” disse Satre ad un
certo punto.
“Tu trovi?” rispose Ramses,
osservando gli occhi viola del bambino. “Non mi sembra…”
Marik e Bakura si limitarono ad osservare
i due per un po’, finché il primo non si azzardò a chiedere: “Ma Satre non
è il nome di…?” E il secondo annuì.
Poi, la ragazza li guardò e sorrise.
“Tu sei delle mie parti, vero?” chiese a Bakura, riferendosi al colore
bianco delle loro carnagioni. “Io sono una principessa cretese”
Lui accennò un leggero mormorio e non le
rispose veramente.
Ramses rise sommessamente. “Satre è
una delle mie matrigne”
Anche lei si unì alle risa, poiché era
chiaro che avevano la medesima età e la stessa propensione a cercare le
avventure. “Ho solo sposato tuo padre…”
Marik rifletté: non era affatto strano
che il faraone si prendesse delle concubine molto più giovani di lui e che, fra
queste, scegliesse delle principesse straniere, però si vedeva chiaramente che
i gusti della ragazza si concentravano su qualcun altro. Non che fosse evidente,
ma dai gesti, o dalle semplici occhiate, dalle parole pronunciate quasi per
caso, o per giustificarsi, si riusciva perfettamente a capire l’intesa, perché
di amore era prematuro parlare, che si era creata fra i due ragazzi.
“Non sapevo che la Grande Sposa Reale
di Ramses I fosse stata una concubina di Akunakamon…” sussurrò leggermente
Bakura. “Ma la ricordavo vagamente… E’ sempre stata bella”
Marik sorrise. Anche se non si fosse
ricordato di aver letto il suo nome sui libri delle dinastie egiziane, non gli
sarebbe stato difficile capire chi Satre sarebbe diventata, dopo
l’incoronazione del Faraone Senza Nome, che, ormai, non era più tale.
“Perché piange ancora?” domandò il
principe, indicando la sua versione bambina che non la smetteva più di
singhiozzare.
“Uhm…” Satre lo esaminò per un
attimo, con occhio critico. “Credo si sia fatto la pipì addosso” rispose,
guardandolo. Marik e Bakura scoppiarono a ridere, così forte che dovettero
tenersi la pancia per il dolore.
“I tuoi amici sono proprio strani…”
mormorò la ragazza, guardandoli comportarsi in quella maniera assurda.
“Non sono miei amici!” si giustificò
immediatamente lui, quasi arrossendo per l’occhiata divertita che lei gli
scoccò. “Torniamo a riva” propose infine il principe, alzandosi e
recuperando il lungo remo, con il quale condusse, senza troppe difficoltà, la
barca a riva.
“Noi allora andiamo” disse Marik,
prendendo il bambino per mano, poiché né lui né Bakura avevano il coraggio di
prenderlo in braccio, e fece per allontanarsi. Non poteva certo usare la
macchina del tempo di fronte a loro.
“Arrivederci” li salutò Ramses, che
stava aiutando, senza che ce ne fosse alcun bisogno, Satre a scendere a terra,
dopodiché non lasciò la sua mano, cosa che la ragazza sembrò apprezzare,
ricambiando la stretta.
“Fai il bravo” disse lei al bambino,
che, mentre Marik e Bakura lo trascinavano abbastanza lontano per non essere
visti, continuava a fissare i due ragazzi, ancora fermi mano nella mano, coi
piedi immersi nel limo della battigia.
“Ho deciso” disse poi, una volta
ritornato a casa. “Voio diventare forte… Forte come quel ragazzo” Ma Marik
e Bakura se n’erano già andati, onde evitare di essere seguiti di nuovo, e
non avevano sentito nulla di ciò che lui aveva detto nel guardino ormai buio e
deserto.
Nella
prossima puntata…
Insomma,
che cavolo di futuro, anzi, di presente, ci attende, in questo stato? Yuugi è
sconvolto, e anch’io… Per non parlare di Otogi, Honda-kun e Jounouchi-kun.
Non ci capisco più nulla, vorrei solo che tutto tornasse come prima… Anche
perché, se così non fosse, io…
Prossima
puntata: “Punto di non ritorno” Non perdetela!
Hola
^^
Buone
olimpiadi a tutti! Parlando della storia, devo dare alcune piccole spiegazioni
che mi sono state fatte notare nei commenti.
Se
dobbiamo guardare l’opinione delle fan dell’anime/manga, è chiaro che i
ragazzi cosiddetti “fighi” sono Seto, Yami, Marik e Bakura (chi più, chi
meno); se invece guardiamo le fan all’interno dell’anime/manga, notiamo che
questi tre qui non se li “fila” nessuno, mentre solo Ryou e Otogi sono
quelli che hanno il corteo dietro quando passano. Per questo ho scelto il
secondo per il ruolo della prostituta, (volendo mostrare tutti i vari tipi di
degrado a cui si può arrivare), anche se la maggior parte delle “fan
esterne” non lo trova affatto un bel ragazzo.
Per
quanto riguarda la storia dei soldi, è vero, purtroppo devo fare ammenda che
non si capisce. Devo aggiungere una frase per spiegare la situazione. In realtà,
i soldi che Otogi restituisce alla ragazza sono quelli che lei gli aveva
precedentemente dato come pagamento per tutto il pomeriggio. Dovendo andare con
la banda di Yuugi & Co, ha pensato di ridargli l’acconto perché la
ragazza non può usufruirne. Spero sia chiaro adesso ^^.
Miho
è una ragazza che appare nella prima serie, dai capelli violetti tenuti su da
un nastro giallo, e fa parte del gruppo di Yuugi & Co. Nel manga, invece,
appare solo in un episodio, quello in cui Yuugi e Honda fanno amicizia perché
il secondo chiede aiuto al primo per dichiarasi a Miho, di cui è innamorato.
Gli
va
male,
comunque...^^
Grazie a tutti quelli che l’hanno letta e soprattutto a Ayu chan (si,
lo so che non era una critica, puoi ben capire che era indispensabile ai fini di
descrivere una bella scenetta ^^; l’immagine di Tuya e Sethi è una di quelle
che preferisco, mi piacerebbe approfondire il loro rapporto, ma in questa storia
non ho spazio; per Otogi ti rimando a sopra), Death Angel (grazie per avermi
fatto notare l’errore, spero comunque che la spiegazione sia chiara; carina la
tua scenetta di Seto ed Otogi ^^), Evee-chan (la spiegazione di Miho è sopra,
spero di essere stato chiaro. Se hai altre curiosità chiedi pure ^^), Mana
(grazie della recensione), Ishizu (vedo che il mestiere di baby-sitter attira
molto… Dipenderà mica da come diventeranno da grandi i bambini? ^_- Bakura
comunque sostiene che non siano innocenti), e
Kim (si, è proprio quella l’immagine che volevo dare in quella scena,
meno male che ci sono riuscito! Per Yuugi in azione, dovrai aspettare il
prossimo capitolo ^_-).
A
presto
Hui
Xie
|
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Capitolo 7 *** Punto di non ritorno ***
Punto di non ritorno
Punto di non ritorno
Yuugi
posò la mano sulla maniglia della porta del Burger World, e la sensazione di
pericolo che lo aveva precedentemente assalito aumentò d’intensità,
stringendogli la bocca dello stomaco e chiudendogli la gola, soffocandolo. Non
potendo resistere, spalancò la porta di getto: immediatamente, le sue gambe si
bloccarono, congelandolo sulla soglia. Impossibilitato a muoversi, poté solo
osservare la scena che si svolgeva davanti ai suoi occhi.
Anzu era seduta ad uno dei tavoli,
accanto alla finestra, con gli occhi bendati. Accanto a lei, un evaso la teneva
in ostaggio, minacciando gli altri clienti del locale, fra cui anche Jounouchi,
con il quale Yuugi era in compagnia quel giorno.
Lo Yuugi della scena stava sistemando,
come gli era stato ordinato, una bottiglia d’alcol con un bicchiere e delle
sigarette su un vassoio, per portarle al sequestratore, che lo aveva scelto per
la sua aria inoffensiva. E così ero, pensò il ragazzo, ancora bloccato
all’entrata del Burger World, timido e fifone. Non che le cose fossero poi
cambiate di molto, nonostante il suo impegno.
“Yuugi… Sei tu?” chiese Anzu,
alzandosi. “Non venire! È pericoloso!”
“E sta’ zitta!” L’evaso le tirò
uno schiaffo, mandandola a sbattere con la schiena contro il vetro della
finestra.
Nel passato che aveva vissuto, Yuugi
ricordava, dopo quella scena, l’arrivo del suo alter-ego. Ma nel presente che
gli veniva mostrato, non vi era nessun altro sé stesso che potesse correre in
loro aiuto.
“Anzu!” Yuugi lasciò cadere il
vassoio, infrangendo la bottiglia d’alcol contro il pavimento, e si precipitò
con l’intenzione di soccorrere la sua amica.
“Che cazzo vuoi fare?” L’evaso
strinse la mano muscolosa sul calcio della pistola che gli puntò contro. Yuugi
si bloccò immediatamente, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi, e
fissando l’arma dal basso in alto con espressione colpevole. L’uomo sorrise
sadico. “Troppo tardi per pentirsi” E ansimava per il desiderio di vedere
ancora scorrere sangue, mentre tirava indietro il cane.
“Yuugi, attento!” Un attimo prima che
il colpo esplodesse, il ragazzo si sentì gettare a terra da qualcosa e,
nonostante il fortissimo rumore della pistola, non percepì alcun dolore fisico.
“Oh, peccato…” fu il commento
dell’evaso.
Solo allora Yuugi guardò alla persona
che l’aveva protetto, e che teneva appoggiata la testa contro il suo petto,
chinata lateralmente in una posizione totalmente innaturale. Sulla camicia
bianca che indossava, nella schiena, giusto all’altezza del cuore, si stava
allargando una macchia rossa, che gocciolava leggermente su di lui e sul
pavimento.
“No…” scosse la testa Yuugi,
cercando di accarezzare quei capelli castani, impregnati di sudore. “Anzu…
No, no…” E leggere lacrime inondarono il suo viso pallido.
La scena scomparve lentamente, diventando
prima opaca e tremolante, poi sfocata come una foto mal riuscita; infine, il
locale ritornò vuoto e tranquillo come doveva essere a quella data sezione
temporale. Nonostante i muscoli si fossero rimessi in moto, e il sangue fosse
tornato a scorrere nelle vene, Yuugi non aveva ancora avuto il coraggio di
muoversi, mentre sulle sue guance comparivano le stesse lacrime che aveva visto
al nuovo sé stesso.
Era forse questo il futuro che lo
aspettava, senza il suo puzzle? Era così che sarebbe andata la sua vita, a
puttane, senza il Faraone? Era davvero così incapace da non riuscire a
cavarsela da solo, impotente di fronte alla rovina delle persone che aveva più
care?
Otogi prostituta?
Anzu morta?
Jounouchi e Honda drogati?
“Tutto bene?” chiese la voce di Anzu,
dietro di lui. Lei e gli altri lo avevano raggiunti, incuriositi dal suo
atteggiamento strano.
No, Yuugi non aveva proprio la forza di
affrontarlo, né di guardarli in faccia dopo quello che aveva visto. Si voltò,
nascondendo il volto fra le mani e corse via, senza una meta, ignorando i
richiami.
*-*-*
Marik volse la testa attorno, osservando
lo spettacolo che aveva davanti agli occhi: le mura del tempio di Osiride ad
Abido, dipinte in maniera così vivace e precisa che le figure sembravano uscire
dalle pareti e camminare al suo fianco.
“Sveglia” commentò allora Bakura,
colpendolo alla nuca non proprio gentilmente. “Non siamo in visita
turistica”
“Parla quello che non perde
tempo in scherzi inutili e in gare di pesca…” ribatté l’amico, con fare
ingenuo. “Perché hai voluto venire qui, piuttosto?”
“Abido…” sospirò l’altro,
incantato per un attimo. “Ricordo perfettamente la festa per i misteri di
Osiride, nell’anno primo del regno di Ramses. E’ stata la prima volta in cui
ho visto il Faraone. Vediamo se c’è ancora” C’era uno strano tono nella
sua voce, quasi di rammarico. “Avrei potuto ucciderlo allora…”
“E perché non l’hai fatto?” chiese
Marik, in tono casuale, mentre esaminava un’altra parete dipinta di rosso.
Bakura si limitò a scoccargli
un’occhiata traversa, ma non disse nulla. “Andiamo, la cerimonia sarà già
iniziata” Iniziò a dirigersi verso il centro della struttura, nel giardino
interno, dove, davanti all’acacia sacra, il Faraone, accompagnato dai
sacerdoti, avrebbe dovuto compiere il rito di rigenerazione annuale. Lui e Marik
arrivarono fin davanti alla porta del giardino, chiusa. Attorno a loro, solo
alte mura di pietra che gli impedivano qualsiasi visione dell’interno.
Il secondo bussò leggermente contro quel
legno impenetrabile, sapendo che nessuno l’avrebbe udito. “Non credo che tu
sia entrato aprendo con una forcina…”
Ma Bakura non lo stava già più
ascoltando: si era spostato tenendosi lungo il muro, e, ad ogni passo, batteva
leggermente sul piede in contro la parete, come se cercasse qualcosa.
Finalmente, trovò il rumore che inseguiva. Si abbassò, e inizio a scavare con
le mani. Marik si avvicinò per osservare, curioso, quello che stava facendo:
quella parte di muro era stava scavata sapientemente, fino a creare un buco che
permetteva l’ingresso al giardino interno, coperto di argilla morbida per
essere invisibile ma facilmente penetrabile.
“Ci ho messo un sacco di tempo a
scavarlo, tremila anni fa” spiegò con orgoglio Bakura, prima di sdraiarsi per
terra e passare strusciando sotto il muro.
“Non ne capisco lo scopo” commentò
Marik, non molto soddisfatto di quella soluzione. “Avresti potuto vedere il
Faraone in qualsiasi altra occasione…” Tuttavia, lo seguì, lasciando che
l’argilla e la polvere del muro gli sporcasse completamente i vestiti. Non
appena uscì dall’altra parte, l’amico lo afferrò e lo trascinò a
nascondersi dietro la colonna più vicina.
Marik, all’inizio, non capì, e fece
per liberarsi dalla stretta al braccio. Si bloccò nell’esatto momento in cui
vide una testa bianco sporco spuntare dallo stesso buco che aveva utilizzato
qualche minuto prima, e il fiato gli si fermò nella gola.
Il Bakura del passato uscì dal cunicolo
con la stessa agilità di un gatto, silenzioso e pericoloso come un cobra. Senza
nemmeno preoccuparsi di essere notato, si sistemò esattamente al centro del
corridoio del portico, con le braccia incrociate sui pettorali sviluppati, e
fissò il centro del giardino, aspettando concentrato. Marik rimase ad
osservarlo, lasciando correre i suoi occhi violetti sulla profonda cicatrice che
gli attraversava l’occhio sinistro, terminando alla fine della guancia. I
capelli, rispetto al futuro, erano meno bianchi, probabilmente per lo sporco, e
molto meno ordinati. Sotto il semplice gonnellino bianco e sotto la veste
porpora, probabilmente rubata da qualche mercante, la carnagione cioccolata
faceva risaltare ancora di più il corpo muscoloso.
Al termine di questa analisi critica,
tornò a voltarsi verso il suo compagno, aspettandosi qualche commento che non
arrivò. Molto strano: si era aspettato qualche battutina sarcastica, invece
Bakura aveva lo stesso sguardo di aspettativa negli occhi nocciola, mentre
fissava l’albero di acacia nel centro del giardino rotondo.
“Osiride è il dio della
resurrezione” spiegò infine, rispondendo alla domanda fatta precedentemente.
“Volevo personalmente vedere in che maniera il Faraone resuscitasse, in modo
da impedire che lo facesse dopo il mio attacco” E fece un lungo sospiro, come
se alla fine il suo piano non fosse andato a buon fine.
“Capisco” si limitò a rispondere
Marik, decidendosi a guardare nella sua stessa direzione.
Finalmente, dopo un’attesa che sembrò
infinita, alcune persone, rigorosamente vestite di seta nera, e brillanti alla
luce del sole per i numerosi gioielli che indossavano, uscirono dalla porta del
tempio, dall’altra parte del giardino.
“Guarda” indicò Bakura, che si
divertita a fare il saccente. “Quello è Shada” Indicò un uomo pelato, con
numerosi tatuaggi sul capo rasato, che stringeva fra le mani la chiave
millenaria. “Scarso, davvero. Un altro scarso è Karim” Si riferì ad un
altro sacerdote, custode della bilancia millenaria, con un viso spigoloso ma
simpatico. “Isis, la tua antenata”
Marik quasi sobbalzò nel vedere la
figura della portatrice della collana millenaria: ovviamente, si trattava della
bambina incontrata qualche ora prima, a cui aveva fatto da baby-sitter, ma in
quel momento, adulta, con i lunghi capelli sciolti al vento, somigliava a sua
sorella in una maniera impressionante. Strinse i pugni, e si domandò se a lei
avesse fatto piacere doversi rinchiudere in un buco per secoli, senza avere il
permesso di uscire.
“Akunadin, il padre di Kaiba” proseguì
Bakura, in tono disgustato, indicando il sacerdote anziano, che si nascondeva
l’occhio millenario con i capelli bianchi, che teneva lunghi fino alle spalle.
Stava per pronunciare il nome del ragazzo che seguiva Akunadin, ma Marik lo
precedette.
“Mahado…” commentò, riconoscendo
nel portatore dell’anello millenario lo stesso sguardo fiero e leale del
bambino che avrebbe dato la vita per proteggere il piccolo principe.
Bakura annuì. “Ed infine…” Ma
rimase interdetto nel vedere un piccolo omiciattolo, grassoccio, uscire dalla
porta stringendo in mano l’ascia millenaria. “Chi è?” si domandò,
sconcertato.
“Se non lo sai tu…” borbottò Marik,
con fare polemico.
“Non c’era…” proseguì Bakura,
sempre più sconvolto. “Tremila anni fa il sacerdote dell’ascia era…”
“Il Faraone Sethi e sua moglie, la
Grande Sposa Reale, Tuya!” annunciò Akunadin, e, a seguire, sia lui che gli
altri sacerdoti si inchinarono, toccando il terreno con la fronte.
“CHE COSA?!” esclamarono Bakura e
Marik contemporaneamente, rischiando di essere scoperti dal Bakura del passato,
che saettò velocemente lo sguardo verso la colonna dove i due erano nascosti,
prima di tornare ad osservare il sovrano, che stava uscendo dal tempio.
Sethi si fermò sulla soglia del
giardino, stringendo fra le mani il pastorale e il flagello, in posizione da
cerimonia. Una ciocca ribelle spuntava leggermente da sotto la pesante doppia
corona che portava sulla testa, e gli nascondeva leggermente gli occhi zaffiro,
seri come al solito. Accanto a lui, stretta nell’elegante veste rossa, e con
lo scettro a fiore di loto in mano, stava Tuya, una bella ragazza dai lunghi
capelli cioccolata stretti in numerose trecce, e con un viso dolce come se fosse
stato modellato da un abile scultore, nei cui lineamenti si potevano riconoscere
quelli della bambina che aveva tanta confidenza con Sethi nella loro infanzia.
Il Faraone, quindi, camminando nel
corridoio formato dai sacerdoti inchinati, si avvicinò alla sacra acacia, con
sua moglie dietro, ed iniziò a decantare il rito magico. Gli altri sei, mentre
parlava, si erano alzati e avevano iniziato a innaffiare la pianta con latte e
birra, contenuta in secchi che
erano stati preparati appositamente ai piedi dell’albero.
A metà rito, Marik non ne poteva già più:
afferrò il polso dell’amico per trascinarlo via, considerato anche che il
Bakura del passato si era già allontanato non appena il Faraone era comparso
sulla soglia. Però, il Bakura del futuro, invece, non riusciva a staccare gli
occhi da Sethi, sconvolto.
“Ehi!” esclamò Marik, cercando di
farlo riprendere tirandogli degli schiaffi nella nuca. “Andiamo?”
Infine, Bakura abbassò lo sguardo, e
annuì debolmente, quindi seguì l’egiziano oltre il muro, dallo stesso
cunicolo dal quale erano entrati. Tuttavia, non aveva più la stessa arroganza e
la stessa baldanza di prima: sembrava una specie di zombie, con gli occhi
sbarrati e la bocca semiaperta. Senza neanche riflettere, si recò sulla riva
del Nilo, giusto fuori dalle mura più esterne del tempio, e si sedette fino
quasi a sfiorare l’acqua con i piedi.
Sapeva che Marik non comprendeva il suo
sconvolgimento, e, dopotutto, era comprensibile. Lui non aveva visto Ramses
uscire da quella porta, tremila anni prima, vestito nella stessa maniera, con il
pastorale e il flagello stretti nelle mani, e Satre al suo fianco, come regina.
Certo, Sethi non era meno elegante, o meno maestoso, ma non aveva la stessa luce
negli occhi: la luce di qualcuno incapace di perdere, disposto a tutto pur di
vincere, anche alla morte.
Bakura aveva avuto paura solo due volte
nella sua vita: la prima, da bambino, a Kuru Eruna, quando i soldati gli avevano
trucidato la famiglia davanti agli occhi, e quando lui stesso aveva rischiato di
essere ucciso, senza nemmeno sapere il motivo; la seconda, quel lontano giorno,
alla festa di Osiride, quando, per la prima volta, aveva visto quegli occhi
viola ardenti e decisi. Non l’avrebbe ammesso nemmeno a sé stesso, ma si,
aveva avuto paura di quel ragazzo più piccolo di lui. Per questo aveva
aspettato altri due anni prima di attaccarlo, allenandosi il più possibile per
diventare abbastanza forte da sconfiggerlo. E ora, vedere un altro al suo posto,
fosse anche Seto Kaiba...
“Se non altro, abbiamo ridotto ancora
il periodo” disse Marik, stufo del silenzio in cui si era chiuso l’amico.
“L’accidente deve essere capitato tra l’anno 1316 a.C. e oggi, più o
meno”
Finalmente, Bakura si alzò. “E
sappiamo anche perché io sto scomparendo e Yuugi e Kaiba no” Non era proprio
il tempo di recriminare: se voleva evitare una simile eresia, bisognava
riportare la storia sul suo giusto corso, e non piangersi addosso.
“Perché?” domandò, ovviamente,
Marik, che non era assolutamente a conoscenza dei particolari del passato.
“Akunadin voleva che suo figlio Sethi
salisse al trono” spiegò Bakura. “Per questo, corrotto dal potere oscuro
degli oggetti millenari, ha liberato Zork, aiutandomi, per uccidere l’attuale
Faraone e fargli succedere Sethi; ma in questa versione della storia, Sethi è
già sul trono, quindi Akunadin non ha alcun interesse nell’aiutarmi…”
Marik annuì. “Ma, se la battaglia
contro di te si è conclusa a favore di Sethi, perché lui e Yuugi ci sono
ancora?”
“Non sono, come Ryou, reincarnazioni al
solo scopo di contenitori” proseguì Bakura. “Sono discendenti” E accennò
col capo alle mura, per far capire di chi.
“Però!” esclamò Marik, ridendo.
“Proprio Kaiba!”
“Tanto non ti ha sposata per amore!”
gridò una voce femminile, familiare, da dietro il muro. “Ti ha sposato solo
perché era comodo! Insomma, meglio sopportarsi al fianco una che si è abituati
a sopportare da anni, no?”
“No, non è così…” replicò
un’altra voce, sempre familiare, ma leggermente diversa a come se la
ricordavano. “Mi ha sposata perché
vedo Horus e Seth dentro di lui… Un po’ è come se mi amasse…”
L’altra voce rispose con uno sbuffo
ironico. “Tu li vedi… Ma lui lo sa?”
Marik e Bakura si affacciarono oltre il
muro, sbirciando la scena di nascosto. Tuya aveva lo sguardo basso, e
singhiozzava. “Sei cattiva…” mormorò, passandosi la lingua sulle labbra
morbide. “Perchè vuoi punirmi come se fossi stata io ad uccidere Ramses…?
Lo conoscevo da più tempo di te…” Si voltò, con fare altezzoso, e si
allontanò verso il centro del tempio.
Bakura si avvicinò all’altra ragazza,
che era rimasta ad osservare la schiena di Tuya prima che sparisse. “Satre?”
domandò.
Lei si voltò verso di lui, e Marik potè
notare gli stessi occhi turchesi su un viso più maturo e adulto, ancora più
bello. Solo che non erano più i gioielli brillanti che guardavano Ramses sulla
barca di papiro, qualche anno prima: erano opachi, come spezzati da un dolore
troppo forte. “Voi!” sobbalzò, riconoscendoli.
“Ramses è morto?” Bakura l’afferrò
per le spalle. “Quando?”
Satre si staccò di scatto, coprendosi il
viso con le mani e con i capelli ricci biondi. “Non farmi ricordare!” esclamò.
“Avrebbe dovuto esserci lui, oggi, davanti ad Osiride…!”
“Lo so” disse serio lui. “Dimmi
quando è accaduto. Te lo riporterò”
“Eeh…” commentò Marik di
sottofondo, alzando gli occhi al cielo in modo eloquente.
Satre si asciugò le lacrime con il dorso
della mano, cercando di concentrarsi per ricordare perfettamente.
“Un’inondazione fa… Stava correndo come l’orice nel deserto… E… E'
morto...” fu la sola cosa che riuscì a dire, prima che i singhiozzi avessero
il sopravvento.
Nella
prossima puntata…
Qui
nessuno sta combinando qualcosa di buono. Lo sapevo, toccherà a noi metterci di
buona lena per combinare qualcosa, vero, ragazzi?
Tanto
io lo sapevo che era colpa di Kaiba, figuriamoci.
Non
mi interessa, Mai non c’è in questa storia. E poi, chi cavolo sono Marik e
Bakura?
Non
lo so, ma me lo sento che non faranno nulla di buono nel passato…
Prossima
puntata: “Equilibrio precario” Non perdetela!
Hola!
Rispondendo
ad un appunto di Ayuchan, specifico una cosa che ho scordato nel capitolo
precedente. Nell’Odissea, che risale all’incirca al periodo di Ramses &
Co, le sirene sono uccelli con la testa di una bellissima donna. L’aspetto di
mezze donne mezze pesci verrà loro conferito solo nel medioevo. Quindi, Marik
la scambia per una sirena perché la vede uscire dall’acqua (a mo’ della
favola), mentre Satre gli risponde riferendosi alle “ali” perché conosce
solo la prima versione delle sirene.
La
prima parte di questo capitolo è riferita ad un episodio del manga, ossia della
prima serie televisiva mai trasmessa in Italia.
Ancora tanti ringraziamenti a tutti quelli che leggono la mia storia,
soprattutto a Ayuchan (non preoccuparti, i tuoi appunti mi sono sempre utili e
non mi sembrano affatto polemici ^^; lo so, inserire il personaggio di Satre
poteva essere pericoloso, ma, come avrai notato da questo capitolo, ne avevo
bisogno per risolvere la situazione ^^), Evee (effettivamente, hai ragione,
Bakura dovrebbe essere più “cattivo”, se si segue il manga originale, ma ho
letto molte storie nel fandom inglese in cui lui è “buono” o quasi, e così
è molto più simpatico e divertente da usare, sebbene anche come vero
antagonista abbia il suo fascino), Death Angel (in realtà, non c’era molto
sull’Egitto…^^’’ Ma mi fa piacere che tu l’abbia apprezzato comunque;
la storia della pipì era solo un modo per dare un contentino anche a Marik e
Bakura, poveretti…^^), Ishizu (grazie ^^), Kim (si, era proprio Anzu… In
realtà, dato che Yuugi li chiama col –kun, ho dedotto automaticamente che lo
facesse anche lei, ma mi sa che ho toppato ^^ Mi spiace, correggerò; spero che
Satre non sia diventata Mary Sue in questo capitolo
ù_ù; Marik sant’uomo? Guarda che poi si monta la testa ^_- Anche se
poi, immaginarlo sopra Bakura ti fa venire in mente tutt’altro, vero…? :-P)
e Eli (non preoccuparti, so quanto il regno delle omb- ehm, volevo dire, la
scuola sia faticosa, ma se riesci anche a seguire la mia storia mi fa solo
piacere ^^ grazie davvero; e mi fa piacere che tu ti sia immedesimata nei due
derelitti, ma credo che tu lo abbia fatto per compassione di loro, ormai…^_-).
Grazie
ancora a tutti, e a presto.
Hui
Xie
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Capitolo 8 *** Equilibrio precario ***
Equilibrio precario
Equilibrio
precario
Marik
tremò leggermente, mentre i suoi passi risuonavano in modo innaturale
all’interno di quelle stanze vuote. “Si può sapere dove mi hai portato?”
protestò, annusando attorno l’odore di obitorio che veniva emanato da vasche
piene di liquido puzzolente.
Bakura proseguì diritto verso la sua
strada, attraversando una stanza dopo l’altra. “La casa della vita di Anubi”
disse infine, giunti all’ultima stanza, che conteneva una solo vasca piena.
“Il luogo della mummificazione”
“Vuoi dire che lì dentro…?” domandò
leggermente Marik, indicando quella costruzione che ora gli sembrava simile ad
una lapide.
“C’è un cadavere, si” Bakura non
sembrava altrettanto schifato.
L’egiziano aprì lo schermo della
macchina del tempo e controllò la data: primo mese della stagione della semina
dell’anno ventunesimo del regno del faraone Horemheb. All’incirca, quindi,
nel periodo che Satre aveva loro indicato. “Non dirmi che pensi che lì
dentro-”
“Se le mie deduzioni sono esatte” lo
anticipò Bakura. “Solo i principi reali avevano diritto alla mummificazione
lunga, che dura settanta giorni, perciò venivano immersi nel natron nelle
ultime stanze…” Si avvicinò al bordo della vasca. “Comunque, adesso
controlliamo” Immerse le mani nel liquido e afferrò il cadavere che vi si
trovava all’interno, facendolo emergere fino all’addome.
Marik trattenne il respiro: era veramente
il Faraone Senza Nome, o Ramses, come avevano scoperto chiamarsi. Solo, era
morto. Il natron stava agendo sulla sua pelle, atrofizzandogli i muscoli e
incollandogli al pelle alle ossa, tanto che numerose macchie scure lo
ricoprivano già. Gli occhi erano chiusi, ma nessuno avrebbe mai potuto pensare
che stesse dormendo, vista la smorfia che avevano assunto le sue labbra livide e
ormai rovinate. L’addome era abbassato, perché privato di tutti gli organi
interni, e diviso a metà da un profondo taglio, ancora più inquietante perché
non perdeva sangue, come fosse un pezzo di plastica.
Bakura, sempre tenendo il cadavere in
posizione semi-eretta, prese il coltello a serramanico che teneva in tasca e
iniziò ad incidere la pelle accanto ad un piccolo foro che aveva individuato
all’altezza del cuore. Quando il taglio fu abbastanza lungo, rimise a posto il
coltello, perfettamente pulito, e infilò le dita nella ferita, rimestando
all’interno come se non stesse frugando in un cuore umano, ma nel fango.
Marik scostò lo sguardo: non era un tipo
facilmente impressionabile, ma non amava i particolari macabri e risvegliarsi
con il cadavere sanguinante del padre, da lui stesso ucciso, era stato
abbastanza per lui. Riaprì gli occhi solo quando sentì il rumore del corpo che
veniva immerso nuovamente nel natron.
“Guarda” Bakura allungò la mano
sporca verso di lui, mostrando un piccolo oggetto rotondo, nero.
“E’ un proiettile!” esclamò Marik,
riconoscendolo.
“Come volevasi dimostrare, qualcuno dal
futuro lo ha davvero ucciso” L’albino scoccò uno sguardo alla vasca, con il
liquido ancora in movimento. “Ora, se non altro, sappiamo da cosa dobbiamo
salvarlo”
L’altro annuì, preparando la macchina
del tempo. “Dove andiamo?” Poi si corresse: “a quando andiamo?”
Bakura rispose senza esitazione.
“Quattro giorni prima di ora”
*-*-*
“Ma… Sei Yuugi?”
Bastò questa semplice frase, pronunciata
da una voce troppo familiare, a far fermare il ragazzo, che aveva iniziato a
correre, con le lacrime trattenute che bruciavano nel viso, giusto per
dimenticare verso che futuro stava andando. “Raphael?” chiese, un po’
titubante, al ragazzo biondo e muscoloso che lo aveva chiamato, non sicuro di
averlo riconosciuto. Poi, quando dietro di lui spuntarono altri due ragazzi,
dalle inconfondibili pettinature rosso fuoco e castano alla Goku di Dragon Ball,
non ebbe più dubbi. “Amelda, Valon… Ciao”
“Stai piangendo?” chiese Raphael,
preferendo quella domanda, più diretta, al semplice come stai.
Yuugi scostò lo sguardo, mordendosi il
labbro. Non voleva coinvolgere anche loro, ma non si poteva negare che fossero
già implicati in tutta la storia, per non parlare del fatto che né Kaiba né
Jounouchi si fidavano di loro. Alla fine, pensando che sfogarsi con degli
estranei lo avrebbe fatto stare meglio comunque, si decise a raccontargli tutta
la storia della distorsione temporale.
“Ecco, figuriamoci” fu il commento di
Amelda, alla fine del racconto, allargando le braccia. “Quando succede qualche
casino, c’è sempre Kaiba di mezzo…”
“Spero proprio che non sospettiate
anche di noi…” Raphael si chinò verso Yuugi con viso poco amichevole.
“No?”
Il ragazzino si limito a fare un
sorrisetto imbarazzato. Ci aveva fatto un pensierino, in effetti, su di loro.
“Non ci sarebbe servito a niente
uccidere il Faraone!” proseguì allora il biondo. “Dopotutto, è stato Darz
a rovinarci la vita, al massimo avremo colpito lui…”
“O Gozaburo Kaiba…” aggiunse Amelda,
che, nonostante tutto, non riusciva a dimenticare la figura di quell’uomo che
si congratulava per la distruzione della città e per la morte di tanti
innocenti, tra cui suo fratello.
“O Jounouchi… Stavo solo
scherzando!” si giustificò un istante dopo Valon, all’espressione sconvolta
del ragazzo dagli occhi viola.
“Yuugi, sei qua!” Puntuale come del
proverbio del diavolo e delle corna, Jounouchi comparve nella strada,seguito dal
resto della banda. “Perché sei scappato via in quel modo? Ci hai fatto
preoccupare…”
Allora, lui si asciugò le lacrime.
“Scusatemi, è solo un po’ di stress” Non sapeva perché, ma parlare con i
tre ex-guerrieri di Doma gli aveva ridato un po’ di tranquillità, e si
sentiva nuovamente pronto per tornare alla ricerca del colpevole.
“Vogliamo andare a casa mia, allora?”
intervenne Otogi. “Così vi dimostrerò che mio padre è innocente…” Tutti
annuirono, compresi Raphael, Valon e Amelda che erano ormai curiosi di sapere
come sarebbe terminata quella storia. Magari, senza la presenza del faraone,
sarebbe stato Dartz a vincere la guerra!
*-*-*
Bakura cercò di mantenere una calma che
non aveva. Affondò ancora di più i piedi nella sabbia, mentre si avvicinava ai
due ragazzi, vestiti di tutto punto per una battuta di caccia. “Perché
diavolo voi due non ve ne restate a casa?!”
“Ma che vuoi?” Ramses, con la lancia
stretta fra le mani, e l’arco appeso alla spalla, guardò l’esplosione di
rabbia con indifferenza. Accanto a lui, Satre stringeva il laccio della faretra
in modo che non le toccasse il capezzolo, e guardava Bakura come se fosse pazzo.
Marik rise sommessamente: a quanto pare,
i due ragazzi preferivano starsene a cacciare per conto loro nel deserto,
piuttosto che rimanersene chiusi a palazzo. Dopotutto, era la medesima cosa che
lui stesso prediligeva, perciò non poteva pretendere che gli ubbidissero quando
non aveva la facoltà di convincerli a fare dell’altro.
“A proposito, sai cosa mi è venuto in
mente?” disse ad un certo punto Ramses a Satre, ignorando completamente Bakura,
che fumava per il nervoso. “Una volta, anche io quand’ero bambino sono stato
salvato da dei coccodrilli. E ricordo che il merito andò ad un ragazzo molto
coraggioso che da allora ho sempre cercato di imitare…”
“Davvero?” Satre spalancò
leggermente i suoi occhi blu. “Che coincidenza!”
“Sembrano il cioccolato con la
panna…” pensò Marik, mentre guardava i due. Bastava notare semplicemente il
modo in cui lui la guardava ridere, o le leggere occhiate che di tanto in tanto
lei gli scoccava, per capire quanto fossero legati, se non già innamorati. Ma,
per una volta, Bakura aveva ragione. Se fossero rimasti a palazzo, sarebbe stato
molto più difficile per il misterioso assassino riuscire nel suo intento.
“Anche secondo me dovreste tornare a
casa, credo che oggi sia un giorno nefasto…” disse, serio come un
professore. Però, Ramses era totalmente concentrato a levare una mosca rimasta
incastrata nei ricci intrigati di Satre e non l’aveva nemmeno sentito. La
stessa cosa valeva per la ragazza, tutta impegnata ad osservare i gesti del
compagno. “Ma mi state ascoltando?!”
Non ebbe il tempo di ascoltare la
risposta, perché Bakura lo afferrò per un braccio e lo trascinò un centinaio
di metri lontano dai ragazzi. “Che diavolo fai?” esclamò Marik liberandosi
dalla stretta.
Bakura si sedette sulla duna di sabbia,
nella classica posizione giapponese, ed, estratto dalla tasca il suo coltello
portatile, se lo puntò verso il ventre, pronto a fare harakiri. “Marik, ti
prego di eseguire il kaishatsu” disse serio.
“Idiota!” Marik scoppiò a ridere.
“Non sei mica un samurai!” Poi si guardò attorno. “E dove la trovo in
mezzo deserto una katana per tagliarti la testa?”
“Ma ti rendi conto?!” Bakura balzò
in piedi e, dopo averlo afferrato per le spalle, iniziò a strattonarlo. “Io
gli ho dato il suo nome segreto, io l’ho fatto diventare forte e coraggioso,
io l’ho trasformato nel mio peggior nemico…!” Lo lasciò, voltandosi
dall’altra parte. “Voglio solo morire…”
“Ah, non preoccuparti, ci penserà il
Faraone ad accontentarti, fra poco” fu il solo commentò di Marik.
Bakura gli scoccò un’occhiata furente.
“Che cosa vuoi dire…?”
“Sono sempre più strani” commentò
Satre, che osservava la scenetta a distanza.
“Però sono divertenti” aggiunse
Ramses, che non riusciva a capire nulla delle cose che dicevano in giapponese,
ma li sentiva così vicini, così in sintonia, da provare una sorta di invidia
nei confronti della loro amicizia, qualcosa che comunque non aveva nessuna
ragione di provare, per due motivi essenziali. Il primo era che lui stesso aveva
dei migliori amici, che avrebbero dato la vita per lui, come Mahado, e il
secondo… Marik e Bakura non erano affatto amici!
Poi, Ramses sentì un rumore alle sue
spalle, e si voltò: in lontananza, sopra un’alta duna, correva veloce un
grosso animale, alzando spruzzi di sabbia al suo passaggio, galoppando. “Un
orice!” esclamò, passando l’arco nelle mani di Satre. “E’ mio!”
Quindi, si mise a correre nella sua direzione, perché dal punto in cui si
trovava precedentemente la luce del sole era troppo forte per poter mirare
precisamente, e nel frattempo si appoggiò la lancia sulla spalla, pronto a
lanciarla quando fosse venuto il momento giusto.
Correva
come un orice nella pianura…
“Minchia!”
Bakura ricordò solo in quel momento la frase che Satre, due anni dopo, o
un’ora prima a seconda della prospettiva, aveva detto loro, e ricollegò ciò
che la ragazza aveva cercato di dire tra i singhiozzi. “E’ adesso il
momento!” capì, e iniziò a correre.
Marik si guardò intorno e, nel riverbero
dei raggi solari, vide una figura eretta, come un obelisco. “Là!” gridò,
sperando che qualcuno lo ascoltasse. In quell’esatto momento si sentì un
colpo di pistola.
“Ah, cos’è?!” si spaventò Satre,
non abituata ad un rumore così forte, tappandosi le orecchie con la mano.
“Là!” tentò ancora Marik,
affiancandosi a lei. Un attimo dopo la ragazza, ripreso il controllo di sé e
notato la figura in controluce, afferrò una freccia e la scoccò verso la
misteriosa persona. Subito dopo, però, abbassò gli occhi per la luce troppo
forte, e li asciugò dalle lacrime che le stavano uscendo.
Anche Marik abbassò gli occhi e, quando
ebbe la forza di alzarli di nuovo, perché il bruciore si era attenuato, non vi
era più nessuna figura sulla duna. “L’hai preso?”
Satre scosse la testa. “Ra era con
lui” Ed intendeva dire che la luce del sole era troppo forte.
Poi, entrambi voltarono lo sguardo per
controllare la situazione. Bakura si era gettato su Ramses per fargli schivare
la pallottola, ma entrambi giacevano ancora a terra, mentre la sabbia che
avevano alzato scendeva lentamente su di loro.
Finalmente, Bakura alzò leggermente la
testa, scrollando leggermente la lunga capigliatura per pulirsela, con movimenti
non molto diversi da quelli di un cane. Sotto di lui, Ramses rise leggermente.
“Si può sapere cose di prende?” sbottò irritato l’albino.
“Mi
stai facendo il solletico sul collo…” rispose il ragazzo tra una risata e
l’altra. Solo allora Bakura notò la posizione imbarazzante in cui entrambi
erano finiti, e si scostò di scatto. Ramses invece non si mosse, ma allargò
semplicemente le braccia e le gambe,rimanendo con la schiena sulla sabbia, fino
a toccare la sua lancia, che era caduta a terra nello scontro. “Mi hai fatto
perdere la preda…” mormorò infine.
“Oh, scusa tanto!” ribatté seccato
Bakura. “Non l’ho certo fatto apposta!” E si pentì subito, perché quella
frase suonava quasi come una giustificazione.
“Lo so” Ramses si alzò. Sebbene non
sapesse dire esattamente cosa fosse successo, sapeva che quello strano ragazzo
gli aveva appena salvato la vita. Lo capiva a pelle. “Grazie” Quindi gli
voltò le spalle e si diresse verso la duna inondata di luce, dove Marik e Satre
si erano recati, dopo essersi accertati della salute dei due compagni, per
scovare delle tracce del colpevole.
Bakura tergiversò un poco prima di
seguirlo. Aveva notato nei suoi occhi viola una luce diversa, un ringraziamento
ben più profondo, come se quel gesto, assieme alle altre avventure che avevano
vissuto, avesse formato per l’altro un legame indissolubile. “Modificare il
passato è davvero strano…” pensò, mentre si avvicinava agli altri.
Evidentemente, il motivo per cui Ramses, ai suoi tempi, aveva lottato con tanta
determinazione doveva derivare anche dal fatto di sentirsi tradito da una
persona che credeva amica: lui stesso.
Lasciò perdere questo discorso. Non gli
importava nulla di ciò che il Faraone avesse provato, né quali motivi lo
spingevano a combattere. Sapeva solo una cosa: l’avrebbe sconfitto. Almeno,
questo era ciò che cercava di ripetersi, quasi una sorta di autoconvincimento,
anche perché non riusciva a dimenticare l’espressione sul viso di Ramses
quando l’aveva ringraziato.
Quando finalmente arrivò sulla
collinetta, trovò Satre, delusa perché la sua freccia aveva solo sfiorato il
colpevole, ed era quindi sporca di sabbia e sangue, Ramses che cercava di
consolarla e Marik che rideva a squarciagola senza che nessuno gli desse peso.
“Ma che cazzo fai?” fu la domanda di Bakura, che era già irritato per i
fatti suoi.
L’egiziano smise finalmente di ridere.
“Ho scoperto il colpevole. So chi è”
“Davvero?!”
“Si, e ho anche le prove…” Alzò il
guanto. “Finché il capo supremo non ci chiama, abbiamo tempo per fare
un’altra cosuccia…” E toccò pericolosamente il tasto blu della macchina
del tempo.
Nella
prossima (e ultima) puntata:
Finalmente,
è venuto il mio turno di darmi da fare, visto che finora ha fatto tutto solo
Bakura, e difatti si è vista l’utilità delle sue azioni… Lasciamo perdere,
va’… E comunque, il mio nome è Ishtar, Marik Ishtar, e il colpevole sei tu!
Prossima
puntata: “elementare, mio caro Bakura” Non perdetela!
Hola!
^_^ In
questo capitolo viene nominato l'harakiri e il kaishatsu (che spero vivamente di
aver scritto giusto, perché ho perso il volume di Love Hina dove l'avevo letto
-_-), che sarebbe, appunto, il suicidio tipico dei samurai (lo sa bene chi legge
Ranma): in pratica, il malcapitato si tranciava il ventre con la sua spada
mentre un altro gli tagliava la testa. Almeno, questo è quello che ho letto,
spero sia esatto ^^ Grazie
ancora a tutti per aver letto la storia e soprattutto a Ayuchan (non
preoccuparti per la nota, era colpa mia che mi ero scordato di dirlo ^^'' Mi fa
piacere che Ramses come l'ho costruito ti sia piaciuto, vista la tua passione
^_- ma come, adesso ti fidi più di Bakura che di Marik?!), Death Angel (se
Bakura ti abbia fatto pena mi fa piacere, ma non l'avrò reso troppo drammatico?
Spero di no!), Ita rb (non preoccuparti, grazie della recensione), Kim (con
Yuugi temo di essere stato un po' sadico, mi dispiace, ma credo che davvero lui
si sia sentito perduto nell'accorgersi di non essere riuscito a diventare forte
senza l'altro se stesso... Credo che tu possa capire che intendo ^_-) e Evee (
la tua è un'ipotesi interessante... Dovresti dirlo a Marik prima che sbagli
persona! Spero comunque di riuscire a rispondere a tutte le tue domande in tempo
utile... ù_ù). Alla
prossima, spero presto. Hui
Xie
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Capitolo 9 *** Elementare, mio caro Bakura ***
Elementare
Elementare,
mio caro Bakura
“Perché?!”
Questo fu il primo incredulo commento di
Otogi non appena vide le porte e le finestre di casa sua completamente ricoperte
di nastro adesivo, con i sigilli della polizia e i cartelli che avvertivano
dell’ingresso vietato.
Yuugi sospirò: quello doveva essere un
altro bello scherzo della distorsione temporale.
“Ma quando l’hanno fatto?” si
chiese Jounouchi. “Come facevi a non saperne nulla?”
“Boh…” scosse la tesa Otogi. “Io
sono fuori da ieri pomeriggio…” Guardò ancora una volta la porta sigillata.
“E mio padre…?”
“Se andiamo a casa mia” Yuugi indicò
il minuscolo negozio all’angolo, giusto alla fine della strada. “Puoi
chiamare il 118 e vedere che cos’è successo…” Tutti annuirono, anche
perché era la cosa più intelligente da fare al momento, e lo seguirono fin nel
negozio, dove il moro poté telefonare alla polizia.
“Sono Ryuji Otogi… Si, i sigilli?”
Gli altri si misero ad ascoltare, interessati. “Cosa?! No, non è possibile…
Mio padre, capisco… Non ne sapevo nulla… Va bene, arrivo” Mise giù la
cornetta, e si voltò a fissare i ragazzi, che aspettavano pazientemente che gli
fornisse una risposta. “Hanno trovato della cocaina in casa mia: a quanto
pare, erano sulle tracce di mio padre da un bel po’ di tempo”
“Vuoi dire che faceva lo
spacciatore?!” esclamò Anzu, sconvolta. Sapeva di cosa era stato capace
quell’uomo una volta, ma non avrebbe immaginato mai che potesse cadere così
in basso. Otogi annuì.
Già, pensò Yuugi, effettivamente uno
spacciatore mancava nella lista di tutti i possibili lavori. Ci mancava solo che
Mai saltasse su dicendo che si era messa a fare la prostituta per strada e
avrebbero raggiunto l’apice della desolazione.
“Comunque, questo elimina mio padre
dalla vostra lista dei sospetti” proseguì Otogi. “Era in centrale ieri
notte”
E questo era un problema, visto che la
loro lista dei sospettati si esauriva proprio con lui.
Lui si avviò verso la porta.
“Scusatemi se non continuo ad indagare con voi, ma devo andare…” Non ebbe
bisogno di aggiungere nulla: li salutò e uscì dal negozio.
Ma non vi era altro su cui indagare. Gli
amici si guardarono tristemente: non restava loro che tornare da Kaiba e
prendersi una noiosissima ramanzina su quanto erano stati incapaci; la cosa
peggiore, tuttavia, era proprio quella di non potersi opporre alla sua scenata.
“Idioti!” fu infatti il commento di
Seto, quando, tornati nel laboratorio della macchina del tempo, gli riferirono i
fatti della giornata e, soprattutto, la conclusione di aver fatto solamente un
buco nell’acqua. “Ma, dopotutto, come potevo aspettarmi di più da uno che
ha bisogno dello spirito di un morto per vincere, da un bonkotsu, da una ragazza
pon pon e da una che muore se sta zitta due minuti?” Scoccò un’occhiata
storta ai tre ex-guerrieri di Doma, ma si trattenne dall’aggiungere altri
commenti.
“Piuttosto, Marik e Bakura?”
Jounouchi non aveva certo scordato quei due e la loro missione nel passato e, se
possibile, la cosa lo preoccupava maggiormente del fallimento della loro
missione.
In quell’istante, lo schermo della
macchina del tempo si accese, facendo scorrere una sequela incomprensibile di
numeri e cifre. “Stanno tornando” rispose Kaiba, e il tono di voce tradì
leggermente la sua aspettativa. Poi lo schermo si spense, e le porte della
cabina si aprirono, lasciando uscire Marik e Bakura.
“Eh?” Tutti strabuzzarono gli occhi,
fissandoli. Il primo indossava un impermeabile marrone, chiuso stretto in vita
da una cintura in cuoio, dei pantaloni beige e un paio di scarpe di vernice che
persino il nonno di Yuugi si sarebbe rifiutato di indossare. In testa portava
uno strano cappello con la visiera davanti e dietro e stringeva tra le mani
coperte dai guanti una pipa di legno scuro. Bakura, invece, indossava una specie
di smoking, con un panciotto bianco che lo ingrassava, e una bombetta troppo
piccola per sostenere la sua folta capigliatura. Al contrario di Marik, che
sembrava orgoglioso del suo look, teneva lo sguardo basso e aveva le guance in
fiamme per la vergogna.
“Ecco gli altri due idioti…”
commentò disgustato Kaiba. “Piaciuto il carnevale?” Jounouchi e Honda non
poterono proprio trattenersi e scoppiarono a ridere.
“E io avrei affidato la vita di Mou Hitori
no Boku a… questi due?” si domandò mentalmente Yuugi.
“Guardate che è una cosa seria!” si
offese Marik, ma si contraddisse subito dopo quando, appoggiandosi la pipa alle
labbra, fece uscire dal tubo una serie di bolle di sapone, cosa che aumentò
l’ilarità generale.
“La vogliamo finire?!” esplose Kaiba,
afferrando la prima cosa che gli capitò sottomano e lanciandola contro il
ragazzo, che riuscì a schivarla in tempo. L’oggetto, manco a dirlo, finì in
faccia a Jounouchi, che rideva giusto dietro di lui, facendolo cadere a terra.
“E’ quello che dico anche io…”
parlò finalmente Bakura, indicandosi i vestiti. “Va bene che abbiamo risolto
il caso, ma era proprio necessaria questa pagliacciata?”
“Fondamentale!” si accigliò Marik.
Yuugi percepì solo la prima parte del
discorso. “Avete risolto il caso? Davvero?”
“Ovviamente. La storia ritornerà sul
suo giusto corso” si bullò Marik. “E ho anche scoperto chi è il
colpevole…”
Tutti tacquero, aspettando la
continuazione.
“Piantala di fare il cretino!” esclamò
Bakura, che non ne poteva più di sopportarlo in modalità Sherlock Holmes.
“Noi abbiamo sempre pensato che il
colpevole, chiunque fosse, volesse vendicarsi del Faraone” iniziò Marik,
camminando leggermente avanti e indietro per la stanza, e portandosi di tanto in
tanto la pipa alle labbra.
“Non è così?” chiese Yuugi,
sorpreso. Non vedeva proprio altre ragioni.
“Effettivamente, questa era l’ipotesi
più probabile, ma non l’unica” gli rispose l’egiziano. “In questo caso,
abbiamo proprio trascurato la parte fondamentale, il movente, e questo ci ha
sviati. Infatti, il colpevole mirava sì ad uccidere il faraone, ma solo per non
farlo riapparire nella nostra epoca, non per vendetta. Insomma, non voleva
incontrarlo nel presente. Inoltre, si tratta di una persona che conosce la
storia solo a grandi linee”
“Come fai a dirlo?” chiese il suo
amico, che si stava, con suo sommo sollievo, liberando di quei vestiti scomodi e
fuori moda che era stato costretto ad indossare.
“Elementare, mio caro Bakura” Marik
agitò il dito indice davanti al viso, in disapprovazione. “Se si fosse
trattato di una vendetta, per tutti sarebbe stato molto più vantaggioso colpire
nel passato del XX° secolo, non tremila anni prima. Prendiamo Haga e Ryuzaki:
loro avrebbero potuto dire ai se stessi del passato di modificare i loro deck
per non perdere nuovamente. Sarebbe stato più conveniente e meno complicato”
“Si, è vero” assentì Kaiba, seppur
con il rammarico di dovergli dare ragione.
“E poi, il colpevole non sapeva
precisamente di Bakura. Infatti, se l’avesse saputo, avrebbe potuto uccidere
piuttosto lui, e in questo modo il faraone non avrebbe più avuto la necessità
di sacrificarsi e quindi rimanere imprigionato nel puzzle”
Yuugi annuì, sentendo ancora freddo
nello stomaco: nonostante tutto, il puzzle continuava a non riapparire appeso al
suo collo. “Chi è? E perché lo ha fatto?”
“Il perché lo so a grandi linee”
rispose Marik. “Ma… Anzu. Dove ti sei tagliata?”
La ragazza, involontariamente, si coprì
la ferita al braccio destro con la mano, sentendo lo sguardo di tutti su di lei.
“Oggi, quando sono uscita dal bar…” Yuugi sbatté le palpebre: eppure, non
aveva notato quel taglio sottile prima…
“Sicura? Non è stata piuttosto la
freccia di Satre?”
“Di chi?” negò Anzu, mostrando
un’espressione sorpresa.
“Tanto è inutile che continui a
negare” sbottò Marik, stanco della sua reticenza. “Ho le prove che sei
stata tu” Si frugò in tasca, ed estrasse una specie di tamagochi a forma di
cuore, do colore rosso. “L’ho trovato sulla scena del delitto…”
“Signor Kaiba!” esclamò Roland,
entrando in quel momento nella stanza. “Abbiamo scoperto il problema nel
sistema di sicurezza. A quanto sembra, l’allarme viene disturbato dalle
frequenze di certi apparecchi elettronici come…” Fissò l’oggetto tra le
dita di Marik. “…come quello…”
“E’ tuo, Anzu…” mormorò Yuugi,
ma la domanda venne espressa più come affermazione. Il ragazzo estrasse dalla
tasca il suo tamagochi a forma di cuore, quello che molto tempo prima lei stessa
gli aveva regalato, e premette uno dei pulsanti: immediatamente, i due oggetti
si misero a suonare, dimostrando che i due possessori erano compatibili tra di
loro. “E’ proprio il tuo…”
“Perché?!” l’aggredì Jounouchi.
“Dimmi perché cazzo l’hai fatto?!”
Anzu abbassò lo sguardo, mentre le
lacrime iniziavano a rigargli le guance. “I-Io… Io lo amo” singhiozzò.
“Con tutta me stessa… Ma lui… Lui se ne sarebbe andato… Allora, meglio
fosse stato non conoscerlo mai..."
"E così hai pensato di utilizzare
la macchina del tempo" terminò Marik al suo posto. "Sono sicuro che
nella lista troveremo il nome di qualche gruppo di danza…"
La ragazza alzò lo sguardo e li fissò, sorridendo
debolmente. “Ma lo sapevo. Lo sapevo che mi avreste fermato…” E poi le
lacrime ebbero il sopravvento.
“No” scosse la testa Kaiba. “Non lo
sapeva. Lo sa adesso: ed è un segno che la storia sta veramente tornando come
doveva essere”
“Il caso è risolto” sorrise Marik,
soffiando ancora nell’aria qualche bolla di sapone con la sua pipa.
*-*-*
Il mattino successivo, quando Yuugi aprì
gli occhi, stupito con se stesso per essere riuscito a dormire, la prima cosa
che fece fu alzarsi di scatto per controllare che il puzzle millenario fosse
tornato al suo posto, appeso al lato del suo letto: c’era, come avrebbe dovuto
essere. Sospirò di sollievo, toccandolo delicatamente con i polpastrelli,
quindi lo indossò.
“Che succede, Aibou?” Yami era
apparso nella sua figura trasparente, seduto accanto a lui sul letto, con le
gambe accavallate e un’espressione curiosa in viso.
Yuugi lasciò che le lacrime scorressero
tranquillamente lungo le sue guance. “Sei tornato…” E, se solo avesse
potuto farlo, l’avrebbe abbracciato, e avrebbe affondato il viso bagnato nel
suo petto, singhiozzando felice.
“Ehm, Aibou…” commentò Yami,
sbattendo leggermente le palpebre, confuso. “Dove sarei dovuto andare?”
Per un attimo, nemmeno Yuugi capì la
situazione, poi si rese conto che l’altro sé stesso doveva ignorare tutto
quello che era loro successo, semplicemente perché non aveva potuto viverlo
nella dimensione alternativa che stava per crearsi. Rimase indeciso se
raccontarglielo oppure no, ma infine lo fece. Era più giusto.
“E così è stata Anzu…” fu
l’unico commento che disse Yami alla fine, nascondendo la testa tra le
ginocchia delle gambe piegate. Sospirò poi a lungo, indeciso su cosa dire.
Sapeva bene che il suo partner aveva sempre avuto un debole per lei, perciò
cosa mai avrebbe potuto consolarlo dall’aver scoperto che la ragazza che amava
aveva cercato di uccidere un altro dei suoi migliori amici.
Yuugi si rigettò sul letto, coprendo i
singhiozzi sulla stoffa del cuscino. “E’ tutta colpa mia” mormorò, con la
bocca impastata di saliva.
“Eh…?” Yami balzò su di scatto.
“Che stai dicendo…?”
“Se… Se fossi stato più forte, più
bravo…” Si voltò leggermente a fissarlo, con le ciglia imbevute di lacrime.
“Forse… Forse Anzu si sarebbe innamorata di me… E allora… Allora…”
“No!” Il faraone pronunciò la
negazione con un tono molto perentorio, come usava fare talvolta con gli
avversari. “Tu non c’entri. Al massimo, la colpa è mia per averle dato
delle illusioni”
“Ah, si…” mormorò Yuugi molto poco
convinto, strofinando il viso contro il cuscino. “Però… Però è indubbio
che senza di te sono un incapace… Guarda come sarebbe stata la vita di tutti
se… Se-”
Yami si risedette sul letto accanto a
lui, e iniziò ad accarezzargli virtualmente i capelli neri, spettinati dopo la
nottata. “Ascoltami: la dimensione cambiata non è colpa tua, come non è mai
stato merito mio se hai trovato degli amici. Pensaci bene: Honda ha detto che
sei stato tu a salvare loro, ed è così. Chi si è fatto picchiare per
salvarli?” I singhiozzi di Yuugi cessarono leggermente, mentre lui andava
avanti. “E Anzu stessa… Nell’altra dimensione, sarebbe morta per te…
Non per me” Fece un altro sospiro profondissimo. “Probabilmente sono davvero
io che non dovrei essere qui, e che sta facendo tanti danni…”
“Non è vero” Yuugi si voltò a
pancia in su, per guardalo. “Non è vero…” ripeté. “Io sono… Sono
veramente contento di averti conosciuto…”
“Anch’io” Yami sorrise debolmente.
“Se non ci fossi tu, io non ci sarei… Come vedi, sei importante per
tutti…”
L’altro ragazzo si morse leggermente le
labbra. “Cosa dovremo fare, ora…?”
“Con Anzu, intendi?”
Yuugi annuì. “Kaiba ha detto che il
suo reato non è perseguibile penalmente…” Ma, a prescindere dal castigo che
avrebbero dovuto darle, e lasciarla sola sembrava già una condanna accettabile,
lui stesso non sapeva darsi pace di ciò che era successo, né dei sentimenti
che provava: aveva amato Anzu, certo, e poteva sentire un poco di pietà per il
suo amore non corrisposto, dato che si trovava da tanto tempo nella medesima
situazione, però… No, era più che altro triste, spaventato ed arrabbiato.
Triste, perché perdere una persona cara in quella maniera è doloroso;
spaventato per un tradimento simile, e terrorizzato dall’idea che potesse
capitare con altre persone; arrabbiato perché lei aveva… Aveva cercato di
uccidere l’altro se stesso… Non riusciva proprio a capirla, né a
perdonarla. La temeva soltanto.
“In effetti…” Yami alzò un po’
le sopracciglia, cercando di trovare, senza successo, una parola giusta per
definirlo. Era strano: proprio lui, che aveva lasciato stare persone come
Pegasus e Marik, i quali avevano cercato di ucciderlo per motivi altrettanto
egoistici, non riusciva proprio a pensare ad Anzu nella stessa maniera. Era
veramente ironico come fosse più facile perdonare un estraneo che un amico,
visto quanto più in profondità ferisce quel tradimento. Fissò quindi dritto
davanti a sé. “Credo, allora, che dovremo guardarci le spalle…”
Il suo partner si ricoprì gli occhi
umidi con le braccia. Tornare indietro era impossibile
*-*-*
“Che
ti succede oggi?” Una delle sue compagne di danza si avvicinò ad Anzu, mentre
quella terminava i suoi esercizi alla sbarra. “Non è da te sbagliare una
simile sequenza di passi… Anzi, è da quando siamo andate a quella mostra
sulla tecnologia che sei strana…”
“Ho…
Litigato con i miei migliori amici” ammise la ragazza, sistemandosi uno
scaldamuscoli fucsia che era scivolato tutto sulla caviglia. “Per colpa
mia…”
L’altra
ballerina la guardò stranita. “Tutto qui? Proprio perché sono i tuoi
migliori amici, sarà più facile perdonarti. Basterà che tu ammetta di aver
sbagliato, no?” Alzò le spalle. “Se tu fossi orgogliosa sarebbe un conto,
ma dato che non è così…” Quindi si allontanò leggermente per eseguire la
sequenza di passi che l’insegnante aveva appena ordinato.
“Magari
fosse una cosa così semplice…” Anzu sospirò, appoggiandosi totalmente alla
sbarra e nascondendosi il viso con le mani. Certo, avrebbe potuto tornare da
loro e spiegare per bene cosa avesse fatto, ma non sarebbe servito: la cosa
importante era che aveva premuto quel maledetto grilletto, e non c’era altro
che potesse dire per giustificarsi.
Quando
aveva visto Kaiba presentare quella macchina del tempo, era stata così
felice… Avrebbero potuto andare tutti insieme nel passato, e aiutare Mou Hitori
no Yuugi… Impedirgli di morire… Era una cosa fantastica! Poi, le era venuta
la tentazione di andarci da sola. In quel modo, forse, lui si sarebbe potuto
innamorare di lei, di una coraggiosa ragazza che rischiava la vita per
salvarlo…
Quello
era stato il suo primo errore: essere egoista per amarlo troppo.
Sapeva,
ovviamente, che Kaiba non le avrebbe mai permesso di andare nel passato, perciò
aveva dovuto agire di nascosto, entrando alla sede della società la notte
stessa, e utilizzando la macchina del tempo grazie alle istruzioni che aveva
trovato proprio al fianco dello strumento. Probabilmente Seto era talmente
sicuro che nessuno potesse entrare che non si curava di lasciare documenti
importanti in giro. Per prudenza, si era portata dietro anche la sua pistola,
quella stessa che aveva rubato all’evaso del Burger Wolrd dopo che questi era
morto: le sarebbe potuta servire, in caso di combattimento. Era proprio per
scopi difensivi che non l’aveva consegnata alla polizia.
Aveva
poi preso un tempo a caso, basandosi su qualche lettura che aveva fatto
sull’antico Egitto e sulle informazioni che le aveva dato Isis, ed era stata
fortunata. Lo aveva trovato subito, sebbene Mou Hitori no Yuugi che aveva
incontrato fosse un po’ troppo giovane per lei, all’incirca sui quattordici
anni, e ancora un principe.
Eppure,
mentre lo osservava sdraiato sulla sabbia, dall’alto dell’altura su cui si
trovava, lo vedeva sempre bello, già con quegli occhi profondissimi e
l’espressione decisa, le labbra carnose, e, per di più, vestito com’era,
poteva anche osservarne gli addominali che si sviluppavano pian piano.
Un
paradiso.
Almeno,
finché non era arrivata lei. Satre, così si chiamava. Bella, bionda, occhi
azzurri, fisico perfetto. Perché diavolo esistevano persone così? E sembrava
anche essere molto in confidenza con lui…
"Ho
saputo della tua impresa" gli aveva detto ad un certo punto lei. "Hai
salvato un'altra fanciulla indifesa dalle fauci di un coccodrillo..." Era
un tono molto ironico, leggermente malizioso.
Ad
Anzu era venuto in mente l'episodio del Luna Park, quando si era messa nei guai
apposta per poterlo incontrare. Gli fece veramente molto piacere vedere che nel
passato non era diverso dal futuro, sempre coraggioso e pronto ad aiutare gli
altri, senza pretendere nulla.
"Non
parlare come se l'avessi fatto per farmela" aveva replicato infatti lui,
con la stessa voce già profonda della quale Anzu si era innamorata, continuando
nella sua opera di affinare la lama della sua lancia con un sasso. "Diciamo
che... Le persone che non riescono a salvarsi da soli mi fanno pena" Gli
scoccò un'occhiata. "E poi, trovo molto più facile aiutare qualcuno per
cui non provo nulla: evita coinvolgimenti emotivi"
"Oh...
Quindi non salveresti me?" aveva chiesto Satre, con un'espressione
innocente.
"Ma
certo che lo farei..." Lui scostò lo sguardo.
Ma
lei non aveva sentito queste ultime frasi. Si era concentrato sulle prime. Mou
Hitori no Yuugi salvava le persone per pena. Aiutava quelle di cui non gli
importava nulla. Non poteva crederci. Quindi tutte le attenzioni, l'impegno, le
frasi gentili non erano altro che una facciata per nascondere la pietà che
provava nei suoi confronti, nei confronti di una ragazzina incapace sempre in
difficoltà. E dire che lei aveva cercato in tutti i modi di consolarlo, di
aiutarlo quando lui, probabilmente, pensava ad altro visto che non provava
niente a stare in sua compagnia... Forse nemmeno amicizia. Inconsciamente, la
mano aveva afferrato la pistola che era infilata nella tasca dei pantaloni.
"Un orice!" Mou Hitori no Yuugi si era alzato di scatto, impugnando la
lancia, e si era diretto velocemente verso il grosso erbivoro, in modo da
poterlo colpire con più facilità.
Un attimo: non aveva nemmeno ragionato. Aveva solamente preso la pistola e
sparato. Aveva desiderato vederlo morire, e il suo desiderio si era realizzato.
Naturalmente, non appena aveva sentito il colpo risuonarle nelle orecchie, e Mou
Hitori no Yuugi cadere con il viso nella sabbia simile ad una marionetta a cui
erano stati tagliati i fili, si era improvvisamente resa conto di quello che
aveva fatto, come se la bolla d'acqua che gli aveva offuscato la mente fosse
scoppiata, rivelandogli la verità.
Lo
aveva ucciso.
Ancora
adesso non riusciva a spiegarsi come aveva potuto ritornare nel presente e a
casa sua con le sue gambe, dati gli spasmi ed il tremore che le scuotevano tutte
le membra. Ovviamente, non aveva chiuso occhio. Invece, fingere con i suoi
amici, la mattina successiva, era stato più facile. teneva troppo alla loro
amicizia per riuscire a rivelare loro la sua colpa. Se l'avesse fatto,
probabilmente, un giorno avrebbero anche potuto perdonarla. Ma non aveva nemmeno
ilo coraggio di ripetere a se stessa che aveva ucciso un uomo. Per altro, non un
uomo qualunque, ma la persona che amava.
Chissà
cosa stava pensando ora Mou Hitori no Yuugi! Il suo disprezzo era la cosa che la
faceva stare più male. "Eppure ti amo..."
"Masaki!"
chiamò la sua insegnante. "Vieni a vedere i passi per la coreografia"
"Si..."
*-*-*
Marik e Bakura si erano seduti su una
panca in uno dei corridoio del museo, stravaccati come barboni, e lasciavano che
i visitatori gli passassero davanti senza notarli minimamente.
“Ma porc…!” esclamò allora il
primo, che cercava inutilmente di far venire almeno uno degli esercizi sul libro
che stava studiando. “Mi domando chi è l’imbecille che ha creato la
chimica…” Con tutto quello che aveva avuto da fare per la distorsione, il
tempo per imparare si era ridotto notevolmente.
“Ma perché la studi, se ti fa
schifo…” commentò Bakura, chiudendo gli occhi e appoggiando la testa sulle
mani incrociate dietro la nuca.
“Perché io, al contrario di te, ci
tengo ad essere promosso” replicò l’altro, acido. Dopo qualche minuto di
silenzio, aggiunse: “però è stato divertente”
“Cosa?” chiese Bakura, senza aprire
gli occhi.
“Andare nel passato”
“Mmm…” Lui si leccò le labbra,
assaporando per un attimo i ricordi della giornata precedente, soprattutto
alcune scene particolari... “Si…”
“Guarda chi c’è…” sorrise
leggermente Marik, costringendo l’amico ad alzarsi dalla posizione quasi
sdraiata e a fissare davanti a sé. Yami stava in piedi di fronte a loro, con la
solita espressione seria, un braccio lungo il fianco e l’altro appoggiato
sulla cintura a vita bassa che conteneva il deck, il puzzle appoggiato sul body
blu attillato e la giacca della divisa scolastica che, indossata sulle spalle,
ondeggiava leggermente ad ogni suo movimento.
Nessuno dei tre parlò. “Grazie”
disse infine Yami, grattandosi leggermente una guancia.
“Oh, non l’ho fatto mica per te!”
esclamò Bakura, ridendo leggermente. “Se solo non ci fosse stato Sethi, io
avrei lasciato Anzu a fare quello che doveva fare…” E sorrise pensando a
quanto erano buoni quei ragazzi, che alla fine l’avevano pure perdonata!
“No, non per quello” scosse la testa
Yami, sempre più imbarazzato. “Non so bene per cosa… E’ che mi sento di
ringraziarvi”
Marik sorrise leggermente: certo, aveva
capito benissimo a cosa il faraone stesse alludendo, sebbene lui stesso non lo
potesse ricordare. Si riferiva al fatto che, grazie ai loro casini temporali,
era diventato il sovrano coraggioso che era.
Allora Bakura, scuotendo la testa, si alzò
e gli poggio una mano sulla spalla. “Figurati, è sempre un piacere aiutare i
bambini che si fanno la pipì addosso anche a sei anni” gli sussurrò
leggermente nell’orecchio, lasciando però che anche Marik lo sentisse e
scoppiasse a ridere, abbandonando definitivamente
gli studi di chimica.
Yami, pur non sapendo cosa il ladro
volesse intendere, arrossì suo malgrado. “Bakura!” esclamò, mentre
l’altro si allontanava lungo il corridoio. “Che diavolo hai fatto nel
passato?!”
*-*-*
“Senti, fratellone…” iniziò
leggermente Mokuba, mentre i due uscivano da uno dei sotterranei segreti del
grattacielo della Kaiba Corporation. “Non avevi promesso a Yuugi e agli altri
di distruggere la macchina del tempo, in modo che nessuno potesse più usarla a
sproposito?” Si guardò indietro, nella stanza che avevano appena lasciato, e
fissò con preoccupazione la cabina, ancora perfettamente integra, che era stata
spostata in quel luogo.
Seto premette un pulsante e la porta
blindata si chiuse, chiudendo tutto ermeticamente. “Mokuba, non è importante
quello che fai” gli rispose, serio e cinico. “La cosa importante è quello
che fai credere agli altri” E, senza aggiungere altro, si allontanò dal
corridoio per tornare al lavoro.
Hola!
Siamo
arrivati già (o finalmente) all'ultima puntata. Spero che vi sia piaciuta e non
vi abbia deluso. Lo so, il colpevole è un po' particolare, ma ho pensato che
così fosse davvero come un giallo vero (anche se, devo ammetterlo, non avevo
dato indizi per scoprire chi davvero fosse il colpevole), dove l'assassino è
sempre il più insospettabile. Il finale è in parte
aperto, ma non credo proprio che ne farò un seguito; però, se qualcuno
avesse delle idee per sfruttarlo, sono perfettamente disposto a cedergli l'eredità.
Passiamo ai
ringraziamenti.
Grazie
a tutti quelli che hanno letto la mia storia e soprattutto quelli che mi hanno sostenuto
durante la pubblicazione, come Ita rb (ecco a te il sicario, soddisfatta? ^^), Death Angel
(mi fa piacere che quella frase ti sia piaciuta, anche se forse un po' troppo
esagerata per il carattere dei personaggi ^^ Magari fosse stato davvero così!),
Octavia88 (ammetto la mia ignoranza, non lo sapevo ^^'' Grazie per avermelo
spiegato e grazie dei complimenti, anche se sono un ragazzo ^_-), Evee (se strozzavi Marik non avremmo mai scoperto il nome del vero colpevole...
Non era Kaiba, peccato... Lo credevo anche io ^_-), Ayu chan (sono contenta che
quella scena ti abbia fatto un po' impressione, era il mio scopo ^^ Satre ti
ringrazia per il permesso accordatole, ne approfitterà subito ^_-), Kim (si, è
l'ultimo... Sai, preferisco sempre non esagerare in lunghezza, per non rischiare
di annoiare tirandola troppo per le lunghe, e la mia intenzione era far ripercorrere determinate tappe a Marik e
Bakura, oltre le quali avrei sforato troppo, credo ^^ Avevo già in mente quella
scena, ma dopo la tua ammissione di essere una shonen-ai speravo proprio che ti
piacesse! ^^ Te la dedico), Eli (no, che io sappia della mummia di
Ramses/Atemu non ne parlano assolutamente, nemmeno del manga, perciò non si sa nulla, nemmeno se
la sua assenza dipenda dal fatto di essersi sacrificato. Effettivamente, tra
Atemu e Bakura non dovrebbe esserci affatto nè odio nè vendetta, visto che non
è colpa né dell'uno né dell'altro... E' per quello che ho scritto la frase ^^),
Likos, Mana e Ishizu (grazie per le recensioni agli scorsi capitoli, spero che prima o
poi abbiate occasione o/e voglia di terminare la lettura). Grazie di cuore a
tutti. Vi amo.
Spero
a presto con la nuova storia.
Hui
Xie
Hola alla seconda! Come
ho scritto nell'introduzione, ho modificato questo ultimo capitolo su
suggerimento di uno dei miei recensori, Cry, che mi ha fatto notare delle
incongruenze evidenti. Come ho detto prima, avevo scelto Anzu come colpevole per
creare un colpo di scena, perciò non mi sono curato molto di rendere il movente
e le reazioni con molta profondità. E' stata proprio una grande pecca da parte
mia, perciò ho provveduto al più presto a porvi rimedio. Spero proprio che con
queste modifiche risulti tutto più credibile.
Come Anzu avesse la pistola l'avevo lasciato sottinteso apposta per vedere se
qualcuno lo capiva, ma in questa seconda versione ho preferito esplicitarlo
direttamente, tanto non era nulla di particolare da nascondere ^^ Posso solo
sperare che le modifiche vi piacciano. Posso dire che è stato più difficile
scrivere questo pezzo rispetto all'intera storia, perché rendere OOC i
personaggi in una situazione simile è veramente facilissimo.
Approfitto di questa occasione per ringraziare tutte le persone che hanno molto
gentilmente recensito la prima versione del capitolo, come Death Angel (mi fa
piacere che ti abbiano tutti fatto ridere ancora, e che il colpevole sia stato
di tuo gradimento), Mana (ma guarda che mi avevi già recensito una volta ^^ Non
te lo ricordi più? Comunque grazie), Ita rb (meno male che non ti aspettavi
Tea, altrimenti che colpo di scena sarebbe stato? Grazie dei complimenti),
Francesca Akira89 (per fantasia logica intendi le spiegazioni che ho cercato di
dare alla storia delle dimensioni? Se è così, consultare tre matematici e un
fisico non è stato tempo sprecato ^^ grazie mille dei tuoi complimenti allo
stile), Cry (grazie per avermi fatto notare queste incongruenze; spero davvero
che leggerai la versione nuova e che non ti avveleni più il resto della storia),
Likos (Avevi pensato a Mokuba?! Accidenti, che teoria interessante...! Non ho la
minima idea su come Marik abbia convinto Bakura a conciarsi come Watson,
suppongo abbia fatto leva sui suoi sensi di colpa per tutto il disastro che ha
combinato nel passato ^^), Ayuchan (Bakura è diventato a furor di popolo il
buffone di questa storia, a quanto pare...^^) e Eli (mi fa piacere che il finale
aperto ti piaccia, so che a volte rischia di lasciare un po' così... Il fatto
che la filosofia di Seto sia anche la tua mi fa capire che non è del tutto
inventato ^^) Di nuovo a presto, e grazie ancora a tutti.
Hui Xie
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