Premessa:
Questo capitolo è scritto a
quattro mani dalla sottoscritta e la responsabile dei capitoli pari
ed è la conclusione di questa storia. Ci sono parti di
Danimarca (di cui ho scritto il punto di vista) che non mi convincono
molto, ma l'ho rimaneggiato abbastanza e se continuo finisce che non
pubblico nulla. Ringrazio chi ha letto (più di 300 letture,
yay!) e chi l'ha messa tra le preferite/ricordate. Ergo: adrienne
riordan, Maa chan, medinspower Ari, Milla Chan, OrochiMary, Tifawow,
Fuiuki e alala.
Ringrazio sentitamente chi si è
fermato cinque minuti a commentare, alcuni commenti sono stati
utilissimi per concludere la storia (sì, anche quelli che
dicevano che sono una sadica, su Facebook), spero che quest'ultimo
capitolo vi piaccia.
Amy
La responsabile
dei capitoli pari ringrazia allo stesso modo! Per le recensioni, per
i consigli, per aver letto e aver sofferto fino a qui. Spero
sinceramente che tutto risulti abbastanza fluido, pur essendo,
appunto, un lavoro a quattro mani. E' stato un capitolo difficile per
me, oserei dire di essermelo sognato per una settimana intera! Per
cui taglio qui e lascio spazio alla fine della storia, sperando
regali emozioni come ha fatto a noi.
Lulu
Oh, Dio. Non se lo
aspettava. Non poteva aspettarselo. Ritrovarselo lì, sentirsi
stupido ed inappropriato, dopo una notte in bianco -l'ennesima-,
facendosi vedere fragile, debole, sentendosi vulnerabile davanti al
suo sguardo.
Come se non
bastasse, è completamente intontito dai medicinali. Quelli che
gli impediscono di cadere a pezzi, necessari per la propria
sopravvivenza in quanto spirito di una Nazione.
Vorrebbe stringerlo
al petto, nonostante tutto. E si odia per questo, perché non
deve pensarlo. Deve soltanto chiudergli la porta in faccia, fargli
una scenata. Ecco, è una soluzione, no?
Perdonare. Così
ha detto Fin, vero? Perdonare. Non è certo che riuscirebbe a
perdonare veramente Sve, se facesse qualcosa del genere. E ancora, è
diverso, perché un bacio non è poi così
importante, vero?
Norge, mi hai
lasciato davvero per un bacio? Uno stupido bacio, soltanto? Non ha
significato, se è dato nella foga del momento, sai? Se è
dato soltanto perché magari, quel giorno, eri arrabbiato con
me per qualche motivo, perché, magari, eri ubriaco o soltanto
non avevi bevuto le tue cinque tazze di caffè ed eri confuso
o... No, non funziona così.
Dentro di sé,
nonostante quei pensieri, non può fare a meno di provare
gelosia. E' un sentimento terribile. Lo porterebbe a fare cose
terribili, se solo gli permettesse di prendere il controllo.
Anche se vuole
perdonarlo, anche se vuole soltanto dirgli che gli oggetti che gli
appartengono, in casa, fanno male come una pugnalata, ogni volta che
li nota, anche se vuole soltanto portarselo al petto e dirgli che non
può andarsene, che non deve più andarsene, tace. Resta
immobile, sulla porta, a guardarlo.
Vorrebbe sapere
come. Cosa. Perché. Vorrebbe capire il suo tradimento e, allo
stesso tempo, comprende e giustifica il suo comportamento. Ha mille
domande, ma non ne pone nessuna. Le considera essenziali, ma non
parla. Non può.
Se parlasse ora,
sotto quello sguardo che lo rende tanto vulnerabile, non potrebbe che
dire che sta morendo lentamente, senza di lui. Ma è ancora
orgoglioso, anche se non sorride da tempo, anche se non ne perde più
a pettinare nel solito modo assurdo i propri capelli e sono,
comunque, diventati troppo lunghi per questo. Anche se non riesce
neppure a stare dritto e sta tremando, si aggrappa con forza allo
stipite ed incontra il suo sguardo.
Non lo sfida. Non ne
ha la forza. Lascia che il suo sguardo apatico frughi nella propria
anima e gli mostra quanto quegli occhi siano diventati simili.
Una vendetta che non
lo soddisfa. Ma non gli importa.
Stava quasi per
andarsene, convinto in cuor suo che non gli avrebbe aperto. E' un
anno, mese più mese meno, che non vede quella porta, quella
casa; è un po' meno, ma ugualmente molto tempo, che non
incrocia degnamente il suo sguardo.
La sorpresa di
vederlo viene immediatamente sostituita da alcune considerazioni.
Non aveva la più
pallida idea che fosse lui a suonare, è evidente dalla
medesima sorpresa che ha visto per qualche lungo istante sulla sua
faccia; è in uno stato che non merita commenti.
Lo osserva
lungamente, mentre ogni dettaglio che nota lo ferisce in più e
più modi. Non sono i capelli ormai piuttosto lunghi e lasciati
a loro stessi, non è il fatto che sia mezzo nudo e palesemente
assonnato in maniera insana (come se si trascinasse da un luogo
all'altro senza pensare all'importanza di aprire la porta con dei
vestiti addosso e un aspetto presentabile), non è nemmeno –
soltanto - la dolorosa consapevolezza di quanto sia cambiato.
E' il vuoto.
E' l'assenza di
espressione, tolto quel sussulto iniziale di vita ed una serie di
emozioni contrastanti che gli ha visto passare nelle iridi alla
velocità della luce. Una rapidità di pensiero che
sembra essere sparita, come se avesse spento un interruttore in
qualche luogo remoto del suo cervello.
Non c'è
niente in quegli occhi e non c'è il solito Danmark che sorride
di riflesso anche se è triste, anche se ha tante cose che lo
preoccupano.
E' una statua dai
capelli troppo lunghi, troppo magra, stanca e tremante.
Se ne accorge dopo
un po', preso com'è a contemplarlo, ma sì, sta
tremando. Nota la mano aggrappata allo stipite e non può fare
a meno di chiedersi se si stia trattenendo dallo spingerlo via.
Nonostante veda
disgregarsi in un istante le sue rosee aspettative di un Danmark
felice, solo o in compagnia di qualcuno che tenesse viva la sua
risata fragorosa, cerca di non farsi vedere colpito dal suo aspetto
come in realtà è.
“Mattæus”,
comincia, decidendosi a spezzare il silenzio. “E' molto tempo
che non parliamo. Avevo bisogno di sapere come stavi.”
Tutto lì,
l'essenziale, la verità. Inutile girarci intorno, chiedergli
di farlo entrare o di mettersi addosso qualcosa. Non è
importante come sentirlo dire qualcosa, fosse anche per rispondergli
che può andare al Diavolo e prenderlo a braccetto.
E' strano vederlo lì
davanti, ma, da qualche parte, sembra che abbia perso completamente
importanza.
L'ha chiamato
Mattæus. Solo quello, un tempo, avrebbe provocato una piccola
fitta di felicità. E' passato un anno... e ancora sa il suo
nome. Anche se quello non è il suo Lukas, anche se non lo
ritroverà più, avrebbe dovuto provare... qualcosa di
diverso.
Si porta i capelli
all'indietro, notando passivamente quanto non sia affatto cambiato.
Sembra che sia trascorso un giorno soltanto -come se non avesse
neppure avuto importanza- e questo dovrebbe fare male. Dovrebbe
soffrire terribilmente, eppure...
“Non è
abbastanza evidente?” chiede, non senza una traccia di
sarcasmo.
Sarcasmo. E'
indispensabile per sopravvivere, per non soccombere al vuoto che
sembra volerlo trascinare via.
Vuoto, stanchezza.
Oh, Dio... Si sente così stanco, comincia a non sentire nulla,
neppure quando lo guarda negli occhi, cercando di tenere i propri
aperti. E' diventato così difficile.
Che cosa... che cosa
l'ha convinto ad aprire la porta? Se non lo avesse fatto, se si fosse
soltanto lasciato andare nella vasca calda, ora sarebbe calmo. In
momenti come questi sembra che non esista più nulla, se non il
vuoto assoluto che regna finalmente nella propria testa.
Evidente.
“Sì, lo
è”, risponde socchiudendo gli occhi e rendendosi conto
di trovare davvero insopportabile quello sguardo, quella vista in
generale. “Scusa se l'ho chiesto.”
Ecco, ci sta
ricadendo. Non riesce a lasciarlo in quel modo e anche se adesso è
più sereno e tranquillo, non è passato giorno di
quell'anno senza che pensasse a Matt, senza che si sentisse male per
averlo abbandonato.
Sospira brevemente e
studia ancora la sua espressione, cercando di leggerne i pensieri
come se fosse tecnicamente possibile.
Non è
abituato a quella versione. Conosce quella dolce, quella romantica,
quella violenta, quella miserabile, quella appassionata, quella
infantile... ma non quella spenta.
Anche nella
malinconia, Matt ha sempre mostrato la sua sofferenza; quel nulla,
invece...
Vorrebbe non averlo
mai amato. Così, adesso, non lo avrebbe perso anche come amico
e potrebbe fare qualcosa.
“Probabilmente
non ti interessa essere aiutato da me, ma almeno rivolgiti agli
altri. Sve, Fin e mio fratello hanno un telefono. Dovresti smetterla
di allontanarli.”
Non siamo amici e
non mi sorriderai mai più. Non mi infastidirai, né mi
preparerai il caffè. Lo so. Sapevo che sarebbe successo.
Per una frazione di
secondo, solo un battito di ciglia e anche meno, abbassa lo sguardo.
Contemporaneamente stringe le labbra e osserva l'ennesima nuvoletta
di respiro causata dalla temperatura. Sì, fa freddo e dovrebbe
farlo rientrare.
“Non puoi
continuare a vivere in questo modo. Guardati. La tua vita non è
finita perché non siamo più una coppia. Hai tante cose
da fare, non sei un uomo qualunque.”
Fa un piccolo passo
indietro rimettendo le mani in tasca, dicendosi che non era una
grande idea, dopotutto, quella di andare di persona. Dovrebbe dire a
Island di chiamarlo al posto suo, insistere anche se non risponde o
se riattacca.
“Non
permetterti di lasciarti andare in questo modo e smetti di farti del
male. Per piacere.”
Non ha molto da dire
e tornerà indietro più preoccupato di prima, ma cosa
può fare, materialmente? Quel vuoto lo spaventa anche più
delle sue crisi, questa è la verità.
“Gli altri
hanno la loro vita.” risponde, semplicemente.
E' sempre stato
così, anche prima. Lui c'era. Lui era il suo sostegno, la
persona a cui raccontare ogni cosa. Gli altri... erano altri,
appunto. Non che li consideri estranei, quello mai... ma, con il
passare del tempo, hanno finito col creare le proprie famiglie,
dividendosi. Non più loro cinque, ma coppie.
E' stanco. Esausto.
Vederselo così, davanti, all'improvviso, non può che
stancarlo. Ha vissuto per mesi cercando di non pensare, di lasciar
scivolare via quel sentimento, finché, piano piano, non è
riuscito ad essere... soltanto una Nazione.
Queste cose le
sento da tantissimo tempo. Forse da prima del tempo. E' tanto che lo
penso, che ho una forma umana solo per te. Solo per conoscerti,
importunarti, prendere pugni da te e... amarti.
A cosa serve, quella
forma, se non ha più il senso che ha sempre avuto? Voleva
appartenergli, voleva che ogni singolo pensiero fosse rivolto
completamente a lui, voleva che lui fosse l'unica ragione per cui
aveva una forma umana ed esisteva.
Ed è stato
così, per un tempo che è sembrato lunghissimo e
perfetto, un periodo in cui si è sentito, finalmente, una
persona completa. E non ha mai messo nulla, durante quei momenti,
prima di Lukas. Nulla. Mai.
“Qual'è
il problema, per te, Norvegia?” chiede, apatico, prendendo
distrattamente nota delle nuvolette di vapore che emette quando
respira. Se riuscisse ancora a sentirlo, direbbe che fa freddo.
“Non salto
riunioni, i miei capi sono soddisfatti, non causo problemi. Mi sto
comportando come una Nazione come si deve. Non vedo... quale possa
essere il problema per te.” aggiunge, con quel nuovo tono
piatto, quel tono in cui riesce a proteggersi.
Di nuovo, però,
il nulla è sostituito, come quando ha aperto la porta, da
mille sentimenti contrastanti. Vorrebbe ancora chiedergli tante cose,
vorrebbe trattenerlo lì, comincia ad avere freddo. Ma non può
permetterselo.
Se vuole essere solo
un guscio, se vuole continuare a pensare che può resistere, in
quella disperata sopravvivenza, deve uccidere quegli ultimi barlumi
di coscienza, fingere di stare bene... di essere... svuotato.
“Non farò
nulla di patetico come suicidarmi, se questa è la tua
preoccupazione. Puoi tornare a casa.” sussurra, quando l'unica
cosa che desidera, dal fondo del cuore, in quei momenti, è
soltanto stringerlo ed intrappolarlo accanto a sé.
“Non mi
preoccupo che tu possa suicidarti. Non ti ritengo tanto debole”,
risponde soffermandosi ancora, trattenuto dalle sue parole. Almeno
parla, almeno dice qualcosa ed è meglio del silenzio, anche se
non è abituato a quel tono. Non che abbia da lamentarsi: lo
preferisce così, giunti a quel punto, rispetto a quello che lo
intrappolava tra le braccia nel cubicolo del bagno e si ribellava
alle sue decisioni. In qualche modo, così sembra che abbia
accettato la fine di tutto.
Non gli sfugge il
fatto di essere stato chiamato col nome impersonale che lo
rappresenta. Anche quello va bene, ma non riesce a fare lo stesso.
Quando pensa a lui o quando ne parla con altri, può anche
uscirgli Danmark, ma l'altro nome è così importante che
rivolgendoglisi con calma deve chiamarlo da umano.
“Non era nei
miei desideri che ti spegnessi in questo modo, sarà questo che
mi preoccupa.”
Stava bene insieme a
lui e odia il fatto di dover passare per quello che l'ha ridotto
così, quando non avrebbe potuto chiedere altro che rimanere
insieme altri mille anni e mille ancora dopo.
Odia anche il fatto
che sembri importare solo a lui, quando non è così.
Si aggrappava tanto
e dipendeva troppo da lui, forse avrebbe dovuto creare un distacco
più lento, ma a che scopo se la fine era quella?
“Sembra che tu
non abbia bisogno di niente”, sussurra incontrando per l'ultima
volta i suoi occhi chiari. “Torna subito dentro, Matt, fa
freddo.”
China la testa un
momento in un cenno di saluto mite e contenuto, retrocede di un paio
di passi e si volta andando via.
Ed ecco... di nuovo
la sua schiena, un'altra volta.
Gli basterebbe
allungare una mano per fendere l'aria fredda, soltanto due secondi,
ha il tempo di reagire, di cambiare le cose, di porre almeno una
domanda, una domanda fondamentale.
Lascia che gli
invadano la testa, lascia che il freddo l'avvolga, ad occhi chiusi.
Non lo ritiene tanto
debole.
Cosa ne sa? Cosa ne
sa di quello che è diventato, senza di lui? Cosa ne sa, di
cos'è capace? Non è questione di debolezza, non è...
non è questione di coraggio. E' senso del dovere, prima di
tutto.
Una rappresentazione
di Nazione non muore mai completamente, qualcuno prende il suo posto,
ma servono anni per insegnare a quella nuova tutto quello che deve
fare, i suoi obblighi, quello che non può essere, mai.
“Se sembra che
io non abbia bisogno di nulla è perché ormai di questo
vorrei essere fatto...” mormora, ma non è sicuro che sia
udibile.
Eccola, una piccola
crepa, un piccolo segno di quanto in realtà si senta spezzare,
appena si lascia andare, appena ritrova quell'umanità.
“Mattæus
aveva tante domande da fargli. Avrebbe voluto scrivergli una lettera,
ma l'ha sempre e solo abbozzata, perché, lo sai, non era
affatto bravo con le parole... si lasciava trasportare dalle emozioni
e alla fine si perdeva il senso ultimo.” dice, finalmente a
voce alta e ferma.
Parlare di Mattæus,
come se fosse morto, come se fosse qualcuno di distante, fa meno
male, anche nel gelo di quella serata. Lui ha perso Lukas, quel Lukas
che è morto quel giorno, di fronte al mare. Se si fossero
gettati tra le onde, se fossero rinati senza memoria, forse sarebbe
così.
“Io non sono
Matt e tu non sei Lukie... Ma nell'eventualità che in te non
fosse completamente morto, persino io sono curioso e vorrei sapere
cos'è andato storto. Che cos'è cambiato tra loro? Sei
anni distrutti da un bacio... è davvero possibile?”
chiede, facendo una piccola smorfia.
Un tempo
lontanissimo, una persona ormai scomparsa, avrebbe definito quella
smorfia un sorriso. Qualcosa di simile, anche se svuotato del proprio
significato originario.
“Nel nulla che
c'è dentro di me ho ancora le sue domande.” mormora,
abbassando gli occhi, prima di spostare l'attenzione sui cappotti
appesi dietro la porta ed infilandosene uno.
Nor resta voltato di
spalle, il piede fermo nell'atto di compiere un passo, un altro
piccolo passo che lo allontanerebbe ulteriormente da lui, un passo
che scopre di non voler fare nonostante l'incredibile distanza che si
è creata tra loro.
Sospira piano
sentendosi il viso gelato, soffocato da pensieri, preoccupazioni,
desideri, sentimenti che non vogliono sparire e altri che non hanno
la forza di soppiantare i precedenti, come un affetto per Ukraina che
non riesce a diventare amore e un amore che non si lascia uccidere.
Ecco, dovrebbe
dirgli che lo ha lasciato perché non lo amava più.
Si volta e recupera
in fretta la distanza. Apre la bocca con la ferma intenzione di
sparare quella cazzata che porrebbe la parola fine alle sue domande.
A quello non ci sarebbe replica.
Le sue labbra
restano dischiuse, ma la voce non riesce a venire fuori. Non emette
il benché minimo suono, bloccato e schiacciato dal peso di
quell'assurda bugia.
La richiude e
rinuncia, stando in silenzio per il tempo necessario ad appellarsi ad
una compostezza più naturale.
Sei anni gettati via
solo per un bacio... no, non è del tutto vero.
Sono passati pochi
secondi da quando Danmark ha smesso di parlare, eppure gli sembra di
essere rimasto lì impalato e zitto a fissare il suo cappotto
per molto più tempo, motivo per il quale si decide finalmente
a rispondergli.
“Non è
il bacio, è come ci sono arrivato.”
Soffia un po'
d'aria, le mani rigidamente infilate in tasca. Ci siamo, eh. Deve
dirglielo.
Se Danmark parla di
sé al passato in quel modo, come se fosse morto, come se ora
non fosse altro che una Nazione senza le particolarità che lo
distinguevano, forse è abbastanza distaccato dal non accusarsi
troppo.
“Ci sono delle
cose che non ricordi, cose che non ho mai voluto dirti. C'è
stata quella volta... dopo mesi di calma assoluta, hai avuto una
crisi. Avevi sognato qualcosa del passato e continuavi a gridare,
agitandoti per la stanza. Ho cercato di calmarti e mi hai s... spinto
via.”
Prende un bel
respiro e gli rivolge uno sguardo molto tranquillo.
“Hai presente
quella vetrata che ti ho fatto credere di aver rotto accidentalmente?
Non è stato accidentale. E' dove sono andato a sbattere.”
E' dove mi sono
tagliato, dove ho cominciato a temerti e perdere qualcosa.
“Non è
stato per il gesto, ma da quella mattina sono rimasto sulle spine.
Continuavo a chiedermi se potesse capitare di nuovo qualcosa del
genere o di peggiore e cosa avrei dovuto fare, nel caso. Tutta
quell'ansia si è ingigantita e non sono più stato in
grado di gestirla, tanto che senza quasi rendermene conto mi sono
allontanato da te giorno dopo giorno.”
Ascoltare la propria
voce posata rievocare situazioni e pensieri che sono rimasti chiusi
dentro di sé per lunghissimi mesi lo stordisce. Non credeva di
essere capace di dire tanto, proprio a lui, ammettendo debolezza e
fragilità.
“Ho sbagliato.
Avrei dovuto affrontare questo discorso all'epoca, farti conoscere le
mie paure, ma sapevo che ti saresti odiato e il fatto di non
ricordarlo rendeva tutto più ingestibile. Adesso puoi odiare
me, perché non ho saputo fare di meglio che cercare più
calma. Qui dentro”, aggiunge sfiorandosi un secondo la tempia
con l'indice.
Si lascia scappare
una minima smorfia e, preso da quella confessione sempre taciuta, non
si rende conto di essersi esposto troppo fino a quando non ha la mano
sul petto, sopra il cappotto abbottonato, e ascolta la propria voce
parlare ancora.
“Qui, invece,
non è cambiato proprio niente, perché non ho smesso di
essere Lukas.”
Che cosa sta
dicendo? Non gli serve sentire quella parte, non serve a nessuno di
loro. Niente di quello che può dire ha il potere di sistemare
le cose.
E' tardi perfino per
rimangiarsi quanto si è appena lasciato fuggire, ma riesce a
fermarsi in tempo prima di dire troppo.
Abbassa la mano,
lasciando il braccio penzoloni lungo il fianco e guardando l'uomo.
“Ho risposto
alle domande di Mattæus?”, chiede, completamente
incolore.
La vista è
appannata. Ha cominciato quando Norge gli ha confessato quella cosa
terribile e si è trattenuto, per un po', nella speranza di
bloccare le sue parole con una porta.
Ma non è
riuscito a tagliare il discorso, a smettere di ascoltare la sua voce.
Matt ha sempre avuto
una dipendenza per la voce di Lukie. Era talmente raro, sentirlo
parlare così tanto, che non poteva fare a meno di ascoltarlo
in silenzio, qualsiasi cosa dicesse, fosse anche per lamentarsi di
qualcosa che aveva fatto.
Certe abitudini non
muoiono così in fretta. Non basta un anno ad ucciderle, perché
sono nate e si sono consolidate nel corso di tutta un'esistenza.
Sapere di aver
ferito Lukie uccide le ultime parti di Matt che speravano ancora.
Patetico, certo,
ma... Nonostante non possa non ripetersi che ormai l'ha perso, ha
sempre avuto quella piccola speranza, la convinzione che, un giorno,
forse, Lukie sarebbe tornato e che non ci sarebbero state domande o
accuse, soltanto un abbraccio.
Se ne va' con le
lacrime, che cominciano a scendere silenziosamente, su un viso che
non vuole cambiare espressione, che vuole rimanere impassibile, ma
che quelle grosse gocce tradiscono.
Ha promesso di non
fare mai del male a Lukie. Ha promesso di cambiare, di essere
migliore, di proteggerlo da quella persona che era diventato quasi
senza accorgersene, verso la fine di Kalmar, quando si era lasciato
andare alla paura, affidandosi ad una persona che non era mai stato
prima, perdendo a poco a poco se stesso.
Sapere di avergli
fatto male, nonostante non legga accuse nel suo sguardo, lo spezza.
“Credevo ci
fosse fiducia, tra di noi. Credevo fossimo riusciti a stabilire un
rapporto solido proprio per questo. Perché io ho mille cose
che non vanno e che ci facevano male, ma che... Stavo cambiando per
te. Per quel noi che hai distrutto mentendomi!” sbotta. Il suo
tono di voce si alterna tra furia e apatia, in un'altalena di
emozioni contrastanti che sottolineano ancora una volta come stia
perdendo il controllo.
Non gli importa più
di mantenere Matt nella tomba, di parlarne come se fosse qualcun
altro, come se la comparsa improvvisa di quell'uomo, dopo un anno,
non lo sconvolgesse.
Non basterebbero
milioni di calmanti per mantenere la farsa.
“Che cosa
credevi di fare, Lukas? Che cosa pensavi di ottenere, nascondendomi
una cosa del genere? Proteggermi? E del fatto che avrei dato la mia
vita, per proteggere te, che sarei arrivato... Avresti dovuto
dirmelo! Non mi sarebbe importato di sentirmi morire, se tu stavi
soffrendo, se ti stavi allontanando, avevo il diritto di sapere,
perché ti amavo, dannazione!”
Resta in silenzio,
continuando a fissare i suoi occhi viola attraverso il velo delle
lacrime, dicendosi che vorrebbe chiudergli la porta in faccia o
schiaffeggiarlo, ma che non lo farà, perché il solo
pensiero di fargli ancora del male è terribile.
Invece crolla in
ginocchio, aggrappandosi ai lembi del suo cappotto ed appoggiandosi
il viso.
I suoi vestiti hanno
mantenuto quel suo profumo particolare, quello di dolci e caramelle,
come un carretto di una fiera di paese. L'aveva preso in giro spesso,
per quel cambiamento, rispetto alla salsedine dei tempi in cui era un
vichingo, salsedine mista a sangue. Gli aveva detto che si era
rammollito con il tempo, ma poi gli aveva confessato che quel profumo
caratteristico era quello che distingueva Norge da Lukas... Il suo...
Il suo Lukas.
“Perdonami.”
riesce a sussurrare, prima di allontanarsi, notando come tra i dolci
ci sia qualcosa di completamente diverso... come... paglia.
Questa persona
non è più tua. pensa, per l'ennesima volta. Non è
la prima volta, sa tutto quello che ha perso e sa tutto quello che
non avrà mai più.
Lo guarda e non sa
che fare. La mano dentro la tasca si stringe da sola formando un
pugno, tremando, convogliando in quel misero punto una miriade di
emozioni violente.
La sinistra è
ancora lì, attaccata al braccio abbandonato lungo il fianco.
Nor lo guarda crollare e tenergli il cappotto, ascolta il suo pianto,
vede le sue lacrime; ha accettato ogni accusa senza poter replicare,
perché ha perfettamente ragione. Avrebbe dovuto parlare, ma la
paura di sbagliare lo ha fermato. Ha sempre pensato troppo alle
conseguenze e ora... ora...
Desidera toccarlo,
consolarlo, come avrebbe voluto fare quell'unica volta in cui lo ha
cercato e lui lo ha respinto mostrando una freddezza che non sentiva.
Voleva liberarlo da sé, da quella presenza inutile che non era
in grado di stargli vicino nel modo giusto, voleva a sua volta
liberarsi da quella presenza incognita che lo teneva sul filo di un
rasoio.
A distanza di un
anno sembra che nessuno di loro sia riuscito a liberarsi dall'altro.
E ancora, vuole
rassicurarlo. Non può lasciarlo a quel modo.
“Matt...”,
sussurra allungando la mano e cercando di sfiorargli i capelli. La
ritrae dopo pochi secondi, avvicinandosela alle labbra, guardandolo
con una profonda malinconia e temendo anche quel gesto. Prima
sembrava che, preso dalla rabbia, volesse seriamente picchiarlo e
lui... glielo avrebbe lasciato fare. Non c'è niente di sensato
nella propria testa quando lo vede in quel modo e pensare che è
tutta colpa sua, che non ha saputo reagire correttamente e l'ha
lasciato perché voleva fuggire, in sostanza, dal loro
rapporto, fa dannatamente male.
Come può
allungare le mani come se niente fosse e accarezzarlo? Ma continua a
vederlo scosso dai singhiozzi e non resiste oltre. Ignora il freddo e
si sfila il guanto con i denti, tornando con minor esitazione alla
sua testa, lisciando i capelli con le dita come faceva un tempo. Si
abbassa quasi senza rendersene conto e in un secondo è in
ginocchio davanti a lui, con la sua guancia nel palmo della mano. “Ti
ho nascosto una cosa importante, il che equivale a mentire. Hai
ragione... quello che avrei voluto non si è avverato, quindi è
evidente che abbia sbagliato tutto. Non serve a molto dirlo adesso,
vero? Mi dispiace. Non devi scusarti tu”, sussurra con la
maggior dolcezza possibile.
Ah, si... si sta
lasciando andare troppo, ma non vuole che pianga.
Lo accarezza piano
col pollice sentendo la mano riempirsi delle sue lacrime.
Ci mette un po' a
capire che anche l'altra mano -non c'è stato bisogno di
togliere guanti da quella, non li ha più messi entrambi- è
finita sul suo viso e si muove piano per spostargli le lunghe ciocche
dietro l'orecchio. La guarda come in sogno, chiedendosi quando e come
ci sia andata senza il permesso del cervello. Scuote leggermente la
testa e cattura i suoi occhi, serissimo, addolorato in fondo
all'anima.
“Ti chiedo
perdono.”
E' brutto, ma si
sente più leggero. Non perché è ridotto così,
assolutamente no, ma per avergli svelato qualcosa che ha sempre
tenuto chiuso in un luogo inaccessibile, insieme a tante frasi dolci
che non è mai riuscito a dire a voce alta.
Si avvicina e gli
posa un bacio sulla fronte, scivolando alla tempia e poi fino allo
zigomo, sfiorandolo con le labbra come se avesse timore a premerle
completamente sulla sua pelle fredda.
Respirandogli vicino
dopo tanto tempo è colpito, oltre che dal tatto, da quel
profumo solo ed esclusivamente suo al quale era abituato e che, senza
rimedio, associa alla vita che condividevano: era quello che sentiva
sempre prima di addormentarsi.
“Vorrei
tornare indietro e agire diversamente. Perdonami... perdonami...
perdonami, Matt.” mormora, tra un piccolo bacio e l'altro.
Sta tremando dalla
testa ai piedi. Non riesce a fermarsi, non quando è così
vicino, non quando sente di nuovo le sue mani, le sue labbra... sono
sempre state tanto delicate?
Gli hanno sempre
fatto così tanto male?
Scuote piano la
testa, aggrappandosi al suo cappotto, spinto dal bisogno di tenerlo
tra le braccia, di gridargli che non importa, che deve assolutamente
entrare in casa e tornare a dare un senso a tutto quello che si è
lasciato alle spalle... anche a Dan stesso. A Matt.
Quando riesce a
sfiorarlo con le labbra, anche lui, gli sembra di sentire uno
strappo, al centro del petto. Non è un bacio, quello, non è
il contatto che ha sempre immaginato, dopo tutto il tempo trascorso
separati, qualcosa di violento ed irruento, che ottenebra la mente.
E' fin troppo
cosciente del modo in cui si stanno sfiorando, dopo quelle parole,
dopo le scuse e le lacrime. Perdonarlo. Perdonarlo, ora che glielo
sta chiedendo, con questa tristezza incredibile, con le labbra calde
che sfiorano la pelle come se non volessero osare troppo, come se
fosse il loro primo bacio... può farlo?
Può
perdonare, invece, se stesso, per quello che li ha fatti allontanare?
Alza le mani per
sfiorargli il volto e i capelli, ad occhi chiusi, respirando a
malapena, con il petto bloccato dal dolore, dalla felicità che
esplode dentro di lui per quel piccolo gesto.
Ha creduto che non
avrebbe mai più... Mai più sfiorato quella pelle che
sta diventando fredda, mai più tenuto in quel modo, mai più...
quelle parole che l'hanno ucciso, gli hanno tolto il respiro.
Non ho smesso di
essere Lukas.
Entra in casa,
Lukie. Entra, resta con me, sei freddo, non voglio che ti ammali per
colpa mia. O almeno rimettiti i guanti, anche se sentire le tue mani
su di me, ancora una volta, dopo tanto tempo...
“Freddo...”
riesce a sussurrare, quando si accorge di poter parlare senza il
rischio di singhiozzare, scivolando con le braccia intorno a lui e
stringendolo come a volerlo scaldare e sentendosi bruciare laddove
sente il contatto con il suo corpo, come se il proprio fosse
completamente teso a cercarlo, come se questo fosse qualcosa di
indispensabile che a lungo si è negato.
Resta a respirare
sulla sua spalla, bloccandosi di tanto in tanto come per intrappolare
il suo profumo più a lungo, come per riabituarsi a qualcosa
che credeva di aver perso.
Ma quel profumo non
è il solo e dopo alcuni lunghi respiri non può fare a
meno di allontanarsi, abbassando la testa.
“Devi tornare
da lei.”
Per un po', sentire
le sue braccia cercarlo lo ha riportato indietro. Si è
lasciato stringere senza respingerlo, sperando che anche solo quello
potesse calmarlo.
Teso com'è a
cercare un perdono, teso com'è a cercare di rivedere quello di
un tempo (è lo scopo col quale è andato lì, no?
Dirgli qualcosa che potesse aiutarlo - in caso stesse ancora male - e
fargli capire che lui non è sparito se ha bisogno), non si è
goduto pienamente il contatto. E' distratto da troppe cose, troppi
pensieri e vorrebbe davvero poterli rinchiudere da qualche parte,
parlare apertamente, esprimersi senza le solite difficoltà,
ammettere ancora di aver sbagliato.
Gli è mancato
da morire, questa è la verità, ma sapeva benissimo che
sarebbe stato così, dopo. Non avrebbe mai voluto lasciarlo, ma
quel bacio... quando è successo, quando, non spinto da un
desiderio fisico o da una tempesta ormonale di strana origine, si è
avvicinato a lei e ha premuto le labbra sulle sue trovando
un'immediata risposta, qualcosa si è spezzato.
Quel bacio gli ha
detto che era arrivato al limite, che se cercava conforto in qualcun
altro e non aveva il coraggio di aprire la sua mente alla persona che
amava e che aveva accanto, beh, i giochi erano finiti, le luci si
erano spente, la pista da ballo era deserta. Finito.
Aveva bisogno di
lei, in quel momento, e lei c'era. Aveva bisogno di sentirsi
protetto, al sicuro, trattato in maniera prevedibile, senza essere la
colonna portante di una coppia. E lei c'era.
Tornare da lei.
Rabbrividisce, un
po' per il freddo, un po' perché sono ancora molto vicini e
non può negare che gli faccia effetto, che anche se ha cercato
di vederlo in altri modi quello è l'uomo che...
Che... ah.
Osserva i suoi
capelli ricadere giù a nascondergli il viso abbassato e si
chiede se lei potrebbe sentirsi usata, buona solo per colmare un
vuoto che era diventato troppo fastidioso, anche se non stanno
insieme e non ne hanno mai parlato.
A volte ha pensato
che lei sapesse perfettamente come stavano le cose dentro di lui. Non
è possibile, ovviamente, ma certe volte, nei suoi occhi, gli è
sembrato di leggere la consapevolezza di non essere la persona di cui
sentiva la mancanza durante la notte. Anche se Norge vorrebbe amare
Ukraina e ogni cosa di lei sia perfetta tanto da avergli fatto
pensare più di una volta di essere adatta a stargli vicino,
non può comandare a piacimento i propri sentimenti.
Amala. Non è
facile. Sì, lo sarebbe, perché lei è amabile,
ma... non quando c'è un precedente così forte.
Si trattiene ad
accarezzarlo ancora un po', volendo sinceramente spiegargli meglio le
cose, ma non trovando le parole perché parlare di sentimenti è
sempre stato complicato. Gli sposta i capelli indietro con una mano,
lasciandoli scivolare tra le dita e socchiudendo gli occhi mentre si
avvicina.
“Non stiamo
insieme, non siamo innamorati.”
Come se questo
spiegasse tutto.
Una parte di lui
voleva che lo sapesse, forse... forse sta lavorando troppo di
fantasia. Deve smetterla di pensare di poterlo avere ancora, anche se
i problemi tra loro potrebbero risolversi spiegandosi meglio, con
calma, affrontando con coraggio ogni momento no, imparando dagli
errori commessi.
Un anno non si
cancella così e Matt non è lì ad aspettarlo.
Nemmeno i sei,
nemmeno i sei.
Stringe la mano
dietro la sua nuca e se lo spinge sotto il mento, sul petto.
Lo tiene in quel
modo per un po', senza parlare, ripiombato nella solita quiete
verbale dopo il lungo discorso di prima che - fa male -, ma era
doveroso a fronte delle domande irrisolte.
Vorrebbe tenerlo
molto di più, nonostante il freddo e nonostante stia passando
per un approfittatore seriale. Sospira interiormente e alla fine,
dopo aver resistito alla tentazione di dargli ancora un piccolo bacio
sulla testa, lo allontana restando davanti a lui.
“Torno a casa.
Non volevo farti star male, venendo stasera. Se puoi perdonarmi, un
giorno, fammelo sapere. Basta un sorriso... come quelli che facevi
spesso”, mormora aspettando che lo guardi ancora una volta.
Non voglio
tornare da nessuno, voglio restare qui, pensa, trattenendosi dal
sollevare a forza il suo viso e baciarlo fino al mattino dopo. Non
per bisogno di affetto, ma proprio perché lo vuole.
Non stanno insieme,
non sono innamorati.
E' improvviso il
gelo che sente. La rabbia che preme per sfogarsi e quel terribile
senso di nulla che sembra volerlo inghiottire dall'interno.
Non alza la testa,
quando si allontana, in cuor proprio pensa sia meglio non guardarlo e
lasciare che se ne vada, nonostante tutto il calore che ha sentito
prima, per il semplice sfiorarsi delle labbra.
Si è sentito
vivo per la prima volta in quella che gli è sembrata una vita,
ma che è solo un anno.
Però non va'
bene. Non va' bene, quella frase, è talmente sbagliata che non
può non fargli male.
Che cosa vuol dire,
non sono innamorati? Che cosa vuol dire, quando per mesi l'ha
detestata, ha sognato le peggiori immagini di loro due felici,
lontani anni luce da lui, che tentava di andare avanti con i pezzi
che gli erano rimasti, costretto a sopravvivere in una casa in cui
ogni singolo centimetro gli ricordava lui?
“Non vi
amate...” sussurra, con una voce che non gli esce del tutto
normale. Spezzata, sofferta, stanca da quel continuo sbalzo di umore.
Vorrebbe trascinarsi fino alla camera e prendere i soliti calmanti,
sprofondare in un sonno senza sogni ed annullarsi.
Tornare ad essere
solo Danmark, nonostante tutte le emozioni provate in quello
sfiorarsi timido.
“Come faccio a
sorridere, se neppure quello che desideravo per te era vero?
Credevo... credevo fossi felice, con lei, ero pronto a dirti che è
una ragazza tanto carina e che non la devi assolutamente far
soffrire!” sbotta, alzando la testa di scatto.
E' ancora lì.
Sembra che voglia indugiare il più possibile, sembra quasi non
voglia andarsene... e nonostante gli abbia detto che è ancora
Lukie -il suo Lukie?- non vuole crederci, non vuole illudersi ed
essere risbattuto in terra dalla realtà dei fatti.
Eppure tende la mano
per afferrargli un polso, per trattenerlo.
“Mi ami da
morire.” comincia, guardandolo dal basso, il petto ancora
bloccato dallo strappo che ha sentito prima, ancora spaventato. Ma se
quello è il suo Lukie... Quello è lui, vero? Suo, suo,
suo.
Gli gira la testa,
ma non gli importa.
“Più di
quanto ritenevi possibile, ogni giorno di più. Quando mi hai
lasciato eri distrutto e, anche se sei andato avanti per la tua
Nazione, ti sei spento ed il tuo cuore è diventato un blocco
di ghiaccio. Hai continuato ad evitarmi, stai usando qualcuno perché
così credi sia più semplice, ma in realtà ti
senti solo quanto me e in cuor tuo sai che mi amerai ancora fino al
Ragnarök.”
Non voleva
pronunciare quelle parole, perché è quello che spera,
quello che desidera, quello che lo renderebbe così felice da
ucciderlo, probabilmente. Se Norge negasse... Se dicesse che sono
solo elucubrazioni mentali malate, se tornasse da lei come gli ha
chiesto...
Ma lei lo merita. Si
mette un attimo al suo posto e la immagina aspettarlo, con quel viso
sempre sorridente e dolce, nonostante tutto. Non si amano. E Lukas
cosa diavolo ne sa?
E se anche
tornassero insieme, di fronte all'abisso delle loro personalità,
cosa lo tratterrebbe accanto a lui? Se anche... Non deve pensarci.
Non deve assolutamente, non deve sperare consciamente queste cose.
Devo tornare a
casa, devo andare via. Alzarmi e percorrere a ritroso la strada che
ho fatto, senza voltarmi. Adesso.
Lo pensa
intensamente, ma sono occhi negli occhi, vicini, ha il polso bloccato
dalla sua presa ed è stordito.
Dovrebbe correggerlo
e dirgli che non sta usando una persona, che le vuole bene, che lo ha
trattato con la massima cura e gli ha dato quello che poteva, ma
anche che lei non soffrirà perché amava (e ama) un
altro uomo. Per una volta vorrebbe davvero aprire la bocca e
chiarirgli le parti in ombra di quell'anno trascorso e di quel
rapporto, ma non c'è spazio per altro dopo che gli ha mandato
il cuore in gola.
Gli dirà ogni
cosa, se vuole ascoltare, ma non ora. Ora ci sono solo loro.
Quelle... parole...
Avrebbe saputo dar
voce ad una dichiarazione simile con la medesima intensità?
Forse nemmeno per iscritto. E sa di non aver mai detto niente del
genere in vita sua, eppure...
“Ogni parola”,
dichiara sentendo spezzarsi qualcosa dentro, dolorosamente e
improvvisamente, quel qualcosa che cercava di tenere chiuso in un
angolo perché non facesse troppo rumore.
“E' vera ogni
parola.”
L'ha ammesso. Non
avrebbe dovuto, ma avverte un'ondata di calore assieme allo strappo
delle proprie cuciture - accurate solo in apparenza - perché
Mattæus ha capito tutto.
Non potevo dirlo
meglio, pensa, schiacciato dall'imbarazzo e da quel suono
invadente e martellante che continua ad essere il proprio battito.
Non sente più freddo, nemmeno al viso.
Continua a guardarlo
negli occhi, passando in pochi secondi da uno all'altro, finché
si spinge contro di lui ed è un movimento quasi sincronizzato
dato che Matt gli si getta addosso nello stesso istante.
Norge lo prende per
il bavero del cappotto e lo bacia senza poter aggiungere altro, senza
la forza né la volontà di farlo. Lo preme contro la
cornice della porta e si schiaccia così violentemente al suo
corpo che, mentre viene a sua volta circondato da due braccia decise,
gli manca il respiro.
Per qualche secondo
si dice che è quasi buffo, il modo in cui si sono avventati
l'uno sull'altro.
Ma tutto è
presto annullato in un soffio, mentre incrocia le braccia nella sua
schiena, come se temesse una sua fuga -un'altra! Non potrebbe
sopportarlo!- e risponde a quel bacio. O lo inizia. Poco importa,
ora.
E' vera ogni parola.
Significa che lo ama e basta quello. Davvero, basta, è sempre
bastato.
Nella propria testa
è come se avesse fatto tabula rasa di ogni cosa. Lacrime,
rimpianti, accuse. Non c'è più nulla, ma è un
nulla che non è affatto desolante come quello che gli offrono
le medicine. E' un nulla assolutamente pieno di Norge. Di Lukas.
Gli appoggia le mani
sul viso, nella disperazione di quel bacio, non appena si accorge che
sono di nuovo legati, che Norge non scapperà e non lo lascerà
solo.
Non gli è mai
piaciuto farlo sentire in trappola, seppure il desiderio di chiuderlo
in uno scrigno, come qualcosa di incredibilmente prezioso, sia sempre
stato forte.
Una prigione, per
trattenerlo e non farlo scomparire.
Per un attimo ha
desiderato respingerlo, dirgli che li ha lasciati morire, che non
potrà mai più fidarsi, che ha il terrore di perderlo
nello stesso modo, ma come potrebbe riuscirci? L'idea di avergli
fatto del male, di esserselo dimenticato, è abbastanza da
farlo tacere.
Danimarca sa di
essere egoista.
Per
questo lo trascina in casa, chiudendo la porta dietro di loro,
senza staccare un secondo le labbra dalle sue. Perdere un secondo
soltanto di quel contatto sarebbe un delitto. L'ha desiderato troppo.
Resta. Resta, per
favore, torna a darmi un senso. Sono debole e stupido e dipendo da
te. Non è così che si comporta una Nazione, ma non mi
importa. Non mi è mai importato.
Tu sei la persona
che ho scelto e quelle parole, quella dichiarazione, era la mia.
Vorrebbe
gridarglielo e sussurrarglielo allo stesso tempo, ma non ne ha la
forza. Come tante cose prima di questo, chiude tutto in una parte del
cuore, in attesa di trovare parole che lo facciano apparire meno
patetico.
Norge...
Lukie deve sapere che è indispensabile. Quando troverà
quelle parole e sarà capace di dirglielo senza fargli del
male, allora... Allora potrà togliersi quel fiume di parole
dal cuore. Riversargli addosso tutto il proprio amore.
Norge
si accorge vagamente di essere dentro casa e che la porta è
stata chiusa con una pedata. Lo sa perché le mani di Matt non
si sono mosse dal suo viso e dai capelli e lo sa perché ha
udito lo sbattere secco che non è riuscito a farlo sobbalzare
nemmeno di un millimetro.
Nonostante
la delicatezza di quel tocco e le continue carezze che riceve, non
riesce ad essere composto allo stesso modo. Semplicemente ha perso la
capacità di fingere, di controllarsi, di mentire – o è
troppo stanco per continuare a farlo - e quelle maledette parole
continuano a rimbalzargli in testa, vorticando.
Camera,
camera, camera.
E'
importante arrivarci?
Scosta
violentemente i lembi del suo cappotto e lo abbassa lungo le braccia,
sbottonando il proprio, veloce, fino a lanciarlo dietro di sé
con poche mosse furiose.
Non
smette di baciarlo, non ci pensa nemmeno, ma si prodiga lo stesso a
far sparire più indumenti che può per unirsi
finalmente, di nuovo, all'unico corpo che ama.
Apre
gli occhi di scatto, subito colpito da un feroce mal di testa. E'
sempre così, quando le medicine smettono di fare effetto. I
pensieri corrono più velocemente, non più rallentati e
bloccati. Non è più apatico e sente il dolore, tutto il
possibile dolore, troppo intenso per essere sopportabile.
La
prima cosa che fa, di solito, è tendere il braccio verso il
comodino per trovare le pillole, ma questa volta è diverso.
E'
diverso perché ricorda la sera precedente, ricorda che Lukas è
tornato, ricorda che gli ha detto che lo ama, che hanno fatto
l'amore. Ferocemente. Il proprio corpo conferma, non era un sogno, ha
male ovunque e, se si guarda,
ha probabilmente il segno dei morsi.
Eppure,
nonostante la violenza, sa che non hanno mai fatto l'amore in un modo
così dolce. Con tutto il cuore, dopo mesi passati a mentirsi e
negare ciò che ormai è ovvio.
Se
non controlla lo stato del proprio corpo, è perché ha
paura ad abbassare gli occhi ed accorgersi che quello è
veramente un sogno o che, peggio, è solo nel letto.
Eppure ha detto
che mi ama.
Ingenuo.
E' davvero ingenuo ad aggrapparsi a quelle parole.
Lo sai benissimo
che potrebbe essersene andato anche dopo questo. Lo ha già
fatto.
Vorrebbe
prendere le medicine e raggomitolarsi sotto le coperte, nascondersi
agli occhi del mondo, vergognarsi per come si è comportato,
preso dalla foga del momento. Ma è impulsivo, dannazione.
E
lo ama. Così tanto.
Guardando
il soffitto, rimane teso a cercare il respiro della persona che
-deve- dormirgli accanto. Trattiene il proprio, per così
tanto tempo che i bordi
della propria visuale diventano neri. Quando respira rumorosamente,
tutto in una volta, è consapevole che il letto è vuoto.
Gli
bruciano gli occhi, ma non ha più lacrime. Le ha versate tutte
la sera precedente. Diavolo. E' stato così felice. Una
felicità così grande esplosa nel petto in un solo
momento, come il primo respiro doloroso dopo un'apnea.
Ed
è così. E' rimasto in una sorta di stasi, per un lungo
anno, un sonno profondo, da cui ormai si sente lontano. Anche
volendolo, non può tornare a quello stato di catatonia.
Deve
guardare la realtà... e scoprire se quella notte è
stata solo qualcosa di irripetibile, un'occasione in cui si sono
sentiti soli oppure... Oppure.
Tende
un braccio verso la parte vuota del letto, facendo un piccolo sorriso
quando si rende conto che è stato automatico addormentarsi
così, come se, veramente, Lukas avesse ripreso almeno quel
posto alla sua destra, a lungo vuoto.
Sfiora
il tessuto e lo sente fresco. Risalendo, tendendosi
all'inverosimile, nulla cambia. Il sorriso svanisce. Il vuoto prende
di nuovo il sopravvento.
Un
vuoto ben diverso da quello con cui si è svegliato -non
pensare a nulla, essere felici- o quello che ha provato ogni secondo,
nel corso di quell'anno. Il vuoto che si forma quando qualcosa che è
perfettamente al proprio posto viene portato via. Doloroso, lo fa
tornare ad un'apnea diversa, quella che precede un singhiozzo. Non
vuole. Non può.
Basta
debolezza.
Ti ha offerto
molto più di quello che meritavi, questa notte. Ti ha dato un
modo per staccarti da lui.
Ma mille ragioni
per stargli accanto. Non posso smettere di amarlo.
Si
rannicchia su un fianco, artigliando il cuscino vuoto e portandoselo
al petto, dicendosi che non deve farlo, ma respirando a pieni polmoni
il leggero profumo dolce dell'uomo che ama.
Ricorda
di averlo fatto anche la prima volta che hanno fatto l'amore, mentre
Lukas era sotto la doccia. L'aveva trovato così e Den l'aveva
fissato mentre, sfregandosi i capelli con un asciugamano, lo guardava
tra il confuso e il perplesso, chiedendogli cosa cavolo stesse
combinando e togliendogli il cuscino.
Il suo profumo lo fa
sentire male e bene allo stesso tempo, come uno squarcio nel cuore
che si risana e torna a formarsi, in continuazione. E' una presenza.
Un'assenza.
E' Lukas.
Resta a respirare ad
occhi chiusi, quando sente un botto provenire dalla cucina e
sobbalza, scattando in piedi.
Recupera l'ascia e
scende rapidamente di sotto, fino all'origine di quel rumore, pronto
ad affrontare l'avversario. Ma quello che si ritrova davanti non è
affatto uno sconosciuto entrato di nascosto.
“Lukie...”
sussurra, lasciando l'ascia appoggiata al muro ed osservando la scena
che gli si presenta dinanzi. C'è qualcosa di bruciato e
fumante, nella padella abbandonata nel lavandino. E le fette di pane
tostato non se la passano meglio. Il caffè profuma e sovrasta
tutto l'odore di bruciato.
E poi c'è
lui. Impeccabile, nonostante il segno nero sotto l'occhio -da dove
esce il carbone?- solo un po' stizzito per il disastro in mezzo al
quale lo ha trovato.
Ma è lì.
E' nella sua cucina e sta cercando di preparare un sembiante di
colazione. E non l'ha mai fatto. E anche se la cucina è
probabilmente da cambiare, quel gesto è incredibilmente bello.
Per questo lo
abbraccia di slancio, incrociando le braccia nella sua schiena e non
facendo alcun movimento che indichi che voglia lasciarlo andare. Non
vuole. Non può.
Questa volta lo
intrappola, posando la guancia sulla sua testa e sfregandosi piano.
Il profumo lo invade completamente e riesce finalmente a respirare
normalmente, senza scatti strani, senza strappi.
“Non sei
andato via. Sei ancora qui.”
“... Ce-certo
che sono qui”, borbotta Norge dopo qualche secondo, arrossendo
furiosamente per il modo in cui l'ha trovato e per quell'abbraccio
stritolante.
Non ci è
andato affatto leggero durante la notte. Hanno fatto l'amore senza
lasciarsi il tempo di riprendersi, più e più volte, per
ore, toccandosi e baciandosi con una foga che non ricorda di aver mai
avuto, nemmeno i primi tempi. C'era tanto bisogno di riaverlo e
ancora di più sentirsi suo. Non c'è stato un singolo
istante di imbarazzo mentre si trascinavano reciprocamente verso la
camera da letto, sbattendo in ogni angolo, ansimando senza ossigeno
tra un bacio e l'altro, finendo finalmente uno sull'altro. Come se
non avessero mai smesso di amarsi in quel modo.
Tuttavia, i suoi
slanci gli sono mancati e riescono ancora a coglierlo di sorpresa.
Norge si è
svegliato presto restando ad osservarlo dormire, con una fissità
tale che temeva si sentisse squadrato e si svegliasse. Lo ha sfiorato
con la punta delle dita, pensando tanto, fermandosi ad analizzare
ogni momento della sera prima, ogni parola e ogni gesto.
Mi ami da morire.
Si è ritratto
e si è voltato sul fianco, mettendosi seduto e guardandosi le
gambe graffiate. Niente di preoccupante: i segni che ha lasciato su
Matt ci metteranno molto di più a guarire e... vuole fargliene
altri, ancora. Vuole dormire in quel letto, vuole farsi amare da lui.
Vuole, non vorrebbe.
Vuole.
Si è alzato
con l'intenzione di andarsene e la voglia di rimanere. Per un po' ha
pensato che si è lasciato prendere troppo da lui, dai suoi
occhi e da quel bisogno disperato di riaverlo con sé che ha
sentito in ogni sua reazione. Ha pensato che doveva essere sicuro di
quello che faceva, che non poteva spuntare a quel modo nella sua vita
e rimanere senza la ferma convinzione di tornare ins...
Mi ami da morire.
La verità
assoluta, più forte di qualsiasi paura, una verità che
gli ha fatto girare la testa come una giostra e lo ha ributtato a
sedere, affondato, con l'unica risposta alle proprie incertezze.
Non poteva
andarsene, non di nuovo, non in quel modo. Perché andarsene?
Ha molta più voglia di restare e ha molte più ragioni
per farlo.
“Sono qui”,
ripete con maggior convinzione. “Ma ho combinato un disastro”,
borbotta in tono serio e lamentoso al tempo stesso, cercando di darsi
un tono. “Non so cosa mi sia saltato in mente... forse è
meglio che esca a compr...”
Non lo fa finire.
Matt lo stringe talmente forte, gemendo piano, che il solo pensiero
di andare a comprare qualcosa di commestibile, caldo e già
pronto per la colazione, scivola dalla sua mente come sabbia tra le
dita.
“O forse no.
Chi se ne frega”, aggiunge appoggiando la fronte alla sua
spalla e posando le dita sulla pelle nuda della schiena. Riesce a
sentire i graffi sotto i polpastrelli e, per un attimo, si domanda se
non abbia esagerato. Li accarezza piano seguendone il rilievo,
sentendo la sua guancia premuta contro la propria testa. Se lo
stringe ancora un po' rischia di fargli mancare l'aria, ma sembra che
a Matt non importi altro che tenerlo lì, fermo, intrappolato,
sotto controllo.
A Norge la cosa non
dispiace assolutamente.
Quante mattine
avrebbe voluto riaverlo vicino in quel modo? Quante notti? Quante
volte si è chiesto se avesse preso una decisione giusta e
sensata?
“No, non credo
di dover andare da qualche parte”, aggiunge salendo con le mani
e trovando le punte dei capelli decisamente troppo lunghi.
“Questa
mattina preferisco tagliarti i capelli.”
Li arrotola tra le
dita, socchiudendo gli occhi e provando una pace che bramava da
moltissimo tempo. Spera che anche per lui sia lo stesso, che gli
basti anche solo tenerlo a quel modo.
“E ti dirò
una cosa che sentirai ogni giorno, a partire da oggi.”
Si solleva e
avvicina le labbra al suo orecchio, spostando di lato le ciocche
invadenti con la punta del naso.
“...
Buongiorno, Matt.”
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