Una piccola storia d'amore

di emmy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una proposta di matrimonio ***
Capitolo 2: *** Sogni e desideri ***
Capitolo 3: *** Il temporale ***
Capitolo 4: *** Una camminata notturna ***
Capitolo 5: *** A casa dei Miller ***
Capitolo 6: *** La fiaba della buonanotte ***
Capitolo 7: *** Un futuro incerto ***
Capitolo 8: *** Pianto e consolazione ***
Capitolo 9: *** Buona fortuna, Gilbert! ***
Capitolo 10: *** Una brava persona ***
Capitolo 11: *** Una gentilezza ricambiata ***
Capitolo 12: *** Picnic & Confidenze ***
Capitolo 13: *** Agrodolce ***
Capitolo 14: *** Un altro temporale ***
Capitolo 15: *** Quattro risate ***
Capitolo 16: *** All'emporio ***
Capitolo 17: *** In veranda ***
Capitolo 18: *** Il ballo di White Sands ***
Capitolo 19: *** Fare la pace ***
Capitolo 20: *** Un'altra proposta di matrimonio ***



Capitolo 1
*** Una proposta di matrimonio ***


Ciao! Questo è il primo capitolo della fanfiction di Emmy Peters che si intitola “A Little Romance” e che trovate su Fanfiction.net.

Emmy, gentilmente, mi ha permesso di tradurla e pubblicarla su questo sito. Ne vale la pena, questa sua ff è molto bella ed Emmy scrive benissimo. Spero solo di aver fatto un buon lavoro.

Postilla importante: chi di noi ha visto il cartone di Anna dai capelli rossi molto probabilmente non sa che le vicende narrate si riferiscono solo al primo libro della saga di Anne: i libri sono in totale 8 e le vicende si protraggono fino alla vecchiaia della protagonista.

Alla fine del primo libro, Anne e Gilbert fanno pace e diventano molto amici, poi frequentano l’università assieme e dopo qualche anno Gilbert si dichiara (ed Anne lo rifiuta). Questa è la versione di Emmy, spero che vi piaccia.

Vi prego, commentate, Emmy ne sarebbe felice. Potete mandare i commenti direttamente a lei, se sapete l’inglese, altrimenti postateli pure qui, io li tradurrò e glieli farò avere.

Grazie a tutti e buona lettura.

Nisi Corvonero

* * *

“Per favore, Gil, non possiamo essere solo amici”?

Le parole erano gentili, tuttavia spezzarono lo stesso il cuore di Gilbert.

Gilbert era in piedi, alla fine del sentiero, accanto ad Anna Shirley.

Il sole stava cominciando a tramontare, ma l’aria era ancora calda ed un brezza gentile soffiava attorno alla coppia.

Stavano parlando.

Una domanda, poi una risposta negativa.

“Solo amici.”

Sembravano delle parole così innocue, tuttavia erano così crudeli.

Così, Anna Shirley voleva che loro fossero “solo amici”.

Gilbert sorrise debolmente:”Solo amici, Anne? Io pensavo fossimo anime affini” le ricordò lui.

Anna Shirley ebbe almeno la buona grazia di sentirsi imbarazzata:”Gil, lo sai cosa intendevo dire” tentò di spiegare la ragazza.

“No, Anna, penso di no. Spiegamelo tu!” Si, pensò Gilbert, spiegami perché mi hai rifiutato. Perchè mi hai rifiutato e mi hai spezzato il cuore.

“Gil, io sto bene così, davvero. Non credo mi sposerò mai” dichiarò Anna con calore, volendo disperatamente che Gilbert capisse che non lo stava rifiutando. Semplicemente, non voleva sposarsi, era sicura non si sarebbe mai sposata.

In effetti, era difficile dubitare della sua sincerità quando lo guardava in quel modo, pensò Gilbert: il suo viso, alzato verso il suo, era pieno di tristezza ed i suoi grandi occhi grigi lo guardavano supplichevoli.

Stava lì, con le mani pressate nervosamente l’una contro l’altra dinnanzi a lei e voleva che lui capisse le sue parole, il suo rifiuto.

Ma anche Anna Shirley stentava a capire: Gilbert Blyte era il suo compagno, il suo migliore amico, assieme a Diana Barry.

Proprio quella sera le aveva chiesto di sposarlo e questo invece di darle la gioia che chiunque si sarebbe aspettato, le provocò angoscia.

Anna non era in grado di spiegare I suoi sentimenti neppure a sè stessa, per cui, come poteva essere in grado di spiegarli a lui?

Oh, se proprio avesse dovuto sposarsi, di certo Gilbert sarebbe stata la scelta migliore, perché non c’era nessun ragazzo che le piacesse più di Gilbert.

Non c’era un ragazzo la quale compagnia o conversazione le piacesse di più di quella di Gilbert

. Ma per qualche ragione che non riusciva a comprendere, era la parola “ragazzo” che la turbava.

Il fatto era che che Gilbert Blythe non era più un ragazzo. Ormai era un uomo.

Aveva 21 anni, 3 di più di lei, era diventato un bell’uomo dalle spalle larghe.

Un bravo studente di medicina che stava per diventare dottore.

Non era rimasto molto del “ragazzo” in lui.

“per favore, Gil” Anne lo scongiurò ancora una volta “non possiamo lasciare le cose come stanno?”

Gilbert Blythe restò in silenzio per qualche momento.

Non succedeva tutti i giorni che un uomo chiedesse ad una donna di sposarlo. E non succedeva tutti i giorni che quell’uomo venisse rifiutato.

Non sapeva dire cosa lo facesse soffrire di più: essere rifiutato oppure vedere l’angoscia dipinta sul volto della persona alla quale teneva tanto.

“Va bene, Anna” rispose piano Gilbert “lasciamo le cose come stanno”.

Anna sospirò visibilmente di sollievo:”allora… allora non sei arrabbiato con me?” chiese esitante e forse anche un po’stancamente.

Davvero, credeva che nessuno avesse diritto ad arrabbiarsi più di un corteggiatore deluso, pensò Anna.

Nei libri i corteggiatori delusi reagivano sempre male, vero? e molto probabilmente gli scrittori ne sapevano di più di lei a questo proposito, considerando che quella era la sua prima esperienza del genere.

I suoi occhi si spalancarono mentre numerose scene si sviluppavano nella sua vivida immaginazione ed i suoi occhi inconsciamente si posavano sul sentiero, quasi a cercare una via di fuga.

Nonostante tutto, la bocca di Gilbert si contrasse in un sorriso.

Era sempre stato capace di leggere le espressioni del viso di Anna ed anche nel bel mezzo di quella serata orribile, si divertì ad osservarla mentre la sua mente lavorava vorticosamente.

“Direi che sono deluso, Anna, ma non sono arrabbiato” rispose lui, alzando un sopracciglio in modo beffardo.

Cosa si aspettava da lui? Che la buttasse nel lago per averlo rifiutato?

“Ah, ehm… sono contenta, Gilbert” rispose lei un po’ dimessa, la sua immaginazione imbrigliata, almeno per un po’ “e verrai ancora a trovarmi?” potremo ancora vederci?”

Gilbert tacque. Ancora quel tono. Si sentì perso.

Anna aveva rifiutato di sposarlo, tuttavia nel suo cuore sapeva che non avrebbe mai potuto negarle niente:”Certo, Anna, se tu lo vuoi.” Rispose tranquillo.

“Ma certo, Gil!” eclamò felice Anna sorridendogli mentre arrossiva di piacere al pensiero che la loro amicizia sarebbe sopravvissuta.

Incapace di resistere al suo sorriso luminoso, Gil le sorrise a sua volta.

Gli aveva spezzato il cuore.

L’aveva preso, schiacciato sotto i piedi e l’aveva spedito a calci tra la polvere.

E tuttavia, l’aveva fatto sorridere a quel modo.

La dolce brezza aveva fatto sfuggire una ciocca di capelli dalla pettinatura di Anna.

Gilbert resistette al desiderio di risistemargliela dietro l’orecchio.

Da parte sua Anna, riconobbe di essere passata da un’estrema angoscia ad un gioioso senso dei sollievo e tutto nello spazio di pochi secondi.

Aveva rifiutato Gilbert, ma poteva ancora essere sua amica.

Non l’avrebbe perso, anche se lui avrebbe potuto liquidarla sui due piedi visto che non valeva la pena di avere ancora a che fare con una ragazza problematica quanto lei.

Da parte sua, invece, Gilbert riconobbe che la donna che amava teneramente con tutto il cuore – che aveva sempre amato, per quanto riuscisse a ricordare – non lo ricambiava. Non allo stesso modo, in ogni caso.

Lei voleva un amico e niente altro. Si sarebbe accontentato di questo: non vederla più, non poterle più parlare sarebbe stato molto peggio.

In verità, nessuno dei due ragazzi aveva ben capito quello che era successo quella notte, al limitare del sentiero immerso in una dolce brezza e nell’oscurità: un uomo credeva di aver chiesto alla donna che amava di sposarlo.

Ma era stata la ragazza a rifiutarlo e non la donna.

Era la ragazza che si era spaventata a quella prospettiva ed aveva rifiutato a causa di ragioni che lei stessa non aveva ancora capito.

Era stata la ragazza che aveva rifiutato di sposare Gilbert Blythe.

* * *

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Capitolo 2
*** Sogni e desideri ***


“Oh, Diana. Non mi piace la fine dell’estate!” esclamò Anna Shirley assorta, rivolta a Diana Barry mentre le due ragazze stavano attraversando il pontile a braccetto.

“la fine dell’estate?” sobbalzò Diana stupita, rallentando I suoi passi e girandosi verso la sua amica:”Anna, ma se siamo solo a giugno! L’estate è a malapena cominciata!”

“Si, lo so” ammise Anna sospirando, mentre si appoggiata al corrimano del pontile e guardava trasognata la polla d’acqua. “Ma è duro accettare che tutta questa bellezza si dissolverà e saremo soffocati dalla malinconia. E’ un duro colpo al mio spirito” recitò Anna in tono melodrammatico. A dire la verità, il suo tono era anche sottilmente compiaciuto.

“Anna sei proprio una ragazza particolare” osservò Diana tollerante mentre le sorrideva. E comunque era abituata al fatto che Anna talvolta si comportasse e parlasse in modo strano “ma sicuramente anche io sarei triste se in autunno il mio bello lasciasse Avonlea per ritornare a studiare” osservò Diana maliziosa “Per fortuna non è questo il caso di Fred”

“Diana Barry! Gilbert Blythe non è il mio bello!”

improvvisamente, Anna era uscita dal suo rapimento estatico per protestare vivacemente: il suo viso si era fatto di porpora non appena aveva fatto cenno a Gilbert ed ai suoi studi di medicina a Dalhousie.

“Ma Anna, io non ho mai parlato di Gilbert!” protestò Diana con un espres

sione fintamente innocente e con un sorriso di scherno. Nel rendersi conto del tranello che le aveva teso la sua amica, Anna alzò gli occhi al cielo.

Ormai era abituata al fatto che tutti considerassero Gilbert come il suo fidanzato, forse era a causa di ciò che era caduta così facilmente nel tranello che le aveva teso Diana.

“Comunque…” Diana parlò lentamente e pensosa “Ora che ne parli, non ti dispiacerà che Gilbert parta, quest’autunno?” Diana le chiese cautamente.

“Certo che no!” rispose Anna altezzosamente, alzando il mento soltanto al sentire nominare ciò.

Dopo averci pensato un attimo, l’espressione di Anna si addolcì:”Beh, non mi dispiacerà di più che vedere un altro amico partire. Ma Diana, non è come tutti pensano. Gil e io siamo solamente buoni amici. Non hai idea di quanto sia stancante che tutti continuino a pensare che siamo fidanzati” disse Anna con sincero dolore, questa volta.

Erano già passate due settimane dalla proposta di Gilbert? Si domandò Anna.

Grazie al cielo, lui si era ripreso subito ed avevano continuato ad essere amici nonostante il suo rifiuto.

Erano andati al falò di Charlie Sloane ed al pic nic della chiesa, assieme a Diana, Fred e gli altri amici e non c’era stato alcuno spiacevole imbarazzo tra di loro.

La proposta di Gilbert non aveva fatto danni.

Anna non aveva riflettuto sul fatto che, nonostante niente fosse cambiato, lei non ne avesse fatto parola con Diana.

Forse perché non ne voleva parlare, o forse c’era di più?

Forse aveva paura di sentirsi rivolgere domande alle quali non avrebbe saputo rispondere.

Ma non voleva pensarci.

Era molto semplice in realtà, aveva deciso Anna: lei e Gilbert avrebbero continuato a frequentarsi durante l’estate, poi lui sarebbe tornato alla scuola di medicina e lei avrebbe continuato ad insegnare ad Avonlea.

Le sarebbe spiaciuto vederlo andare via, come le sarebbe spiaciuto veder partire qualsiasi altro amico, si disse decisa.

“Oh, Diana, guarda!” aveva esclamato Anna improvvisamente quando la sua attenzione venne catturata da una vivida macchia di colore in distanza “Sull’isola dei sogni e dei desideri stanno sbocciando i fiori” aveva dichiarato deliziata, ricordando il nome con quale, da ragazzine, avevano battezzato un minuscolo pezzo di terreno circondato da acque basse e limacciose.

A dire la verità, il nome Sogni e desideri era adatto, in quanto quella deliziosa macchia di fiori colorati poteva essere ammirata solamente da lontano. Era infatti un sogno ed un desiderio quello di riuscire a raccoglierli, in quanto quel pezzettino di terreno era troppo minuscolo per saltarci sopra e troppo fangoso da attraversare.

Afferrando la mano di Diana, Anna percorse entusiasta la distanza che separava il ponticello dall’isola dei sogni e dei desideri, trascinandosi dietro la sua amica.

“Oh, toglie semplicemente il fiato!” sospirò Anna rapita, fermandosi all’inizio delle acque paludose per ammirare il posto.

“Si, è molto bello” concordò Diana “Peccato che non li possiamo cogliere, sono sicura che hanno un profumo meraviglioso!” sospirò delusa.

Di certo, ad Avonlea non c’erano fiori più belli di quelli che crescevano sull’isoletta, indisturbati e protetti dalla loro stessa inaccessibilità.

Improvvisamente gli occhi di Anna si illuminarono.

Chinandosi, afferrò l’orlo della gonna, si rialzò, infiò l’orlo alla vita e cominciò ad arrotolare le calze. “Anna Shirley, cosa stai facendo”! gridò Diana shockata mentre Anna si accoccolava e si toglieva le scarpe.

Anna smise per un attimo e le sorrise felice:”Vado a cogliere quei fiori!” annunciò determinata togliendosi la seconda scarpa dal piede.

Per tutti quegli anni, quei fiori l’avevano tentata da lontano. Ora basta. Oggi li avrebbe colti.

Si rialzò, si girò e cominciò ad avanzare nell’acqua fangosa e limacciosa.

“Oh, Anna, sei sicura che sia una buona idea?” esclamò Diana preoccupata, ma ormai era troppo tardi: Anna si stava già dirigendo lentamente verso l’isoletta. “Stai attenta, allora!” urlò Diana.

“Diana, non ti preoccupare, so cosa sto facendo” urlò Anna di rimando da sopra la sua spalla, fiduciosa mentre metteva di nuovo un piede davanti all’altro lentamente e sporgendosi lievemente per poter mantenere l’equilibrio.

Era una sensazione strana, si disse, ad ogni passo il fango diventava più spesso.

Il fango si infilava tra le dita dei piedi quando li poggiava per terra emettendo uno strano risucchio mentre Anna camminava.

Anna non aveva percorso che una decina di passi quando decise che la sua idea impulsiva non fosse poi una grande idea.

L’isoletta dai fiori colorati era ancora lontana, almeno trecento metri e ad ogni passo camminare nel fango diventava sempre più sgradevole.

Col fango che le arrivava sopra le ginocchia, stava proprio per chiamare Diana e dirle che sarebbe tornata indietro, quando il suo piede destro sprofondò ancora di più nel fango. Forse perché le sembrava che il livello del fango crescesse sempre di più e che lo stesso la stesse risucchiando, ma la mente di Anna cominciò a riempirsi di immagini di mostri e fantasmi e di altre creature simili che avrebbero potuto infestare quelle acque limacciose di quel laghetto semisconosciuto di Avonlea.

Decidendo precipitosamente di desistere dal suo intento, Anna si girò, solo per scoprire che il suo piede destro non stava obbedendo agli ordini del suo cervello. Infatti, non era in grado di sollevare il piede dal fango. Era, in una parola, intrappolata.

“Anna, che succede?” chiamò preoccupata Diana, vedendo che Anna non proseguiva

“Diana, sono bloccata!” rispose Anna.

“Bloccata?” chiese Diana senza capire, come se non riuscisse ad immaginare come quella parola si adattasse a quella particolare situazione

“SI! B-l-o-c” sillabò Anna prima di fermarsi e di sospirare. Se solo avesse avuto qualcosa al quale attaccarsi per liberarsi. Ma lì, nel bel mezzo del fango non c’era proprio niente, pensò guardandosi attorno, avvilita.

“Anna, vengo ad aiutarti!” annunciò Anna cominciando a sollevare le sue gonne nel frattempo.

“Diana, No!” avvertì Anna, rifiutando la generosa offerta di aiuto della sua amica. Sapeva che se lei, Anna, trovava quel fango rivoltante, Diana non sarebbe stata da meno.

“Non ha senso che tutt’e due rimaniamo intrappolate nel fango senza nessuno che ci aiuti. Devi andare…” Anna tacque sentendo il rumore di un carretto che si avvicinava.

“Oh, guarda, è Gilbert Blythe!” esclamò Diana sollevata mentre Anna gemeva rumorosamente. Gilbert! Ma perchè, perchè perchè proprio lui?

“Diana e… Anna!” Esclamò Gilbert sorpreso, mentre si avvicinava e faceva fermare il cavallo.

“Cosa diavolo state combinando?” chiese, vedendo la scena che gli si parava davanti.

“Anna è intrappolata nel fango, Gilbert” Diana spiegò l’ovvietà molto velocemente, mentre Anna stava in silenzio, la testa chinata davanti a sè in un gesto di rassegnazione e mortificazione, mentre evitava gli occhi di Gilbert.

Ma perchè, perchè perchè proprio lui?

“Hmmmm” fu il commento di Gilbert mentre velocemente saltava giù dal carretto e si guardava intorno. Vide un grosso ramo, lo prese e lo portò verso il laghetto fangoso, entrando nell’acqua per qualche metro prima di allungarlo verso Anna.

“Ok, Anna, cerca di afferrare il ramo e di tirarti fuori” la istruì lui puntando i talloni dei suoi stivali da lavoro nella parte meno fangosa della riva.

Incapace di farne a meno, Anna si girò a guardare I fiori con espressione di rimpianto.

Quei fiori sarebbero sempre stati al di fuori della sua portata, si disse lei prima di obbedire alle istruzioni di Gilbert. Il ramo era piuttosto solido e diede sostegno ad Anna mentre cautamente si trascinava fuori dalle acque fangose procedendo a piccoli passi verso Gilbert. Quando fu a pochi centimetri di distanza dal ragazzo, Gilbert allungò un braccio e glielo passò attorno alla vita, mentre la riportava sulla riva sicura.

Lasciando cadere il ramo nelle acque fangose, raggiunse Anna e Diana all’asciutto e tenne gli occhi puntati al cielo, in un gesto rispettoso da gentiluomo, come se improvvisamente vivamente interessato alle nuvole sopra di lui.

Anna e Diana lo guardarono soprese da quello strano comportamento prima che Diana desse una gomitata nel fianco ad Anna indicando il suo vestito: l’orlo era ancora infilato alla vita e le si vedevano le gambe. Velocemente, Anna si risistemò il vestito e si schiarì la gola per annunciare che ora era presentabile, nonostante il fango.

Gilbert abbassò il capo ad incontrare gli occhi di Anna.

“La ringrazio per il suo aiuto, Signor Blythe” si affrettò a dire Anna, con formalità esagerata, nella speranza che questo le avrebbe evitato domande da parte di Gilbert sul perché si fosse trovata in quella strana situazione.

Davvero, come avrebbe potuto dirgli che voleva andare a cogliere dei fiori? Era ridicolo! E per qualche strana ragione, in quel momento, l’ultima cosa che voleva era che Gilbert la considerasse ridicola.

“Di niente, Signorina Shirley” rispose Gilbert, con la stessa formalità, ma con un guizzo di divertimento negli occhi nocciola, “Ho molta esperienza con le mucche intrappolate nel fango, per cui è stata una vera fortuna che io passassi per caso di qua per aiutarla!”

“M-Mucche?” disse Anna con voce strozzata. Osava paragonarla ad una… mucca? Gli occhi grigi di Anna si oscurarono, oltraggiati.

La bocca di Gilbert soppresse un sorriso:”Posso offrire a voi gentili signore un passaggio verso casa?”

“Oh, si sarebbe…” cominciò Diana prima che Anna la tirasse per un braccio.

“No, grazie, preferiamo camminare” Annunciò Anna voltandosi per andarsene. Gilbert le si parò davanti, bloccandole il passaggio.

“Anna” esordì lui, la voce improvvisamente seria, senza traccia degli scherzi di pochi attimi prima. “Anna, mi prometti che non farai più una cosa simile?” disse con voce bassa ed intima.

“Non fare cosa?” Anna alzò gli occhi verso i suoi.

“Quello” rispose Gilbert agitando la mano verso le acque fangose, mentre Anna arrossiva dall’imbarazzo al ricordo di quanto fosse stata sciocca “Avresti potuto cacciarti in guai seri, Anna” disse, la voce preoccupata.

“So di essere stata stupida, Gilbert” confessò Anna al secondo bottone della camicia di lui; per qualche ragione non riusciva a guardarlo negli occhi “Non ti preoccupare, non lo farò più!”

“Bene!” approvò Gilbert, il suo tono era tornato leggero e scherzoso, la preoccupazione e la sua serietà improvvisa erano ormai passati. “Sai, potrei non essere da queste parti la prossima volta che tu hai bisogno di essere salvata” la prese in giro lui, riferendosi ad un’altra volta in cui l’aveva salvata da una situazione… altrettanto acquosa.

Anna borbottò un “hmmmmmm” mentre si girava e se ne andava. “Non dimenticarti le scarpe!” le gridò dietro Gilbert mentre Anna gemeva forte, rigirandosi di scatto per raccogliere le scarpe da terra senza degnarsi di guardare in direzione di Gilbert.

Diana fece un gesto di scusa “Ci vediamo, Gilbert” disse, mettendosi alle calcagna di Anna.

Immobile, Gilbert Blythe guardo le due ragazze fino a che sparirono alla sua vista. Girandosi, guardò oltre le acque fangose, osservando i boccioli colorati con espressione pensosa.

* * *

“Anna!” gridò Diana mentre si fermava al portone del tetto verde la mattina dopo.

Era venuta solo per una visitina veloce prima di passare in città e la ragazza fu salutata da un’inaspettata visione proprio sul portico dei Cuthbert.

“Anna, vieni a vedere!” strillò dalla porta.

“Diana Barry, ma cosa sta…” rispose Anna Shirley mentre di corsa andava incontro all’amica; fermandosi per aprire la porta e vide che cosa indicava una Diana tanto eccitata. Proprio lì, sul pavimento della veranda c’erano tre bouquets composti dai fiori più belli e colorati che le due ragazze avessero mai visto.

“Ma cosa…?” alitò Anna, attonita, mentre Diana ridacchiava contenta.

C’era solamente un posto ad Avonlea dove crescevano quei fiori e questa era probabilmente la prima volta che qualcuno li aveva visti così da vicino

“C’è un biglietto!” indicò Diana giuliva. Anna allungò la mano verso uno dei mazzi e prese il pezzetto di carta. Lo aprì e lesse quanto vi era scritto:

Cara Anna,

So che sei una donna di parola e che manterrai la tua promessa di NON avventurarti in acque pericolose in futuro. Ti prego di accettare questi fiori non solo in sostituzione di quelli che hai dovuto abbandonare ieri, ma anche come assicurazione che un’impresa del genere non deve essere portata a termine a tuo rischio e pericolo.

Sinceramente,

Gilbert Blythe

“Allora?” la incalzò rumorosamente Diana dopo un momento.

“Sono di Gilbert” la informò Anna, guardandola stupita.

“Oh, Anna, come è romantico” si entusiasmò Diana.

Anna si riscosse dalla sorpresa:”Niente affatto. Voleva solo… voleva assicurarsi che non cercassi di attraversare ancora quelle acque fangose” spiegò confusa, anche se la spiegazione non risultò credibile neanche ai suoi stessi orecchi.

Come faceva a sapere Gilbert che stava cercando di andare a cogliere quei fiori. Levando di scatto lo sguardo, chiese alla sua amica:”Diana, non avrai…?” chiese improvvisamente sospettosa “Non gli hai detto niente, vero?” la accusò

“Anna! Certo che no!” disse Diana in tono di biasimo “Quando avrei potuto farlo?” chiese. Entrambe avevano visto Gilbert per l’ultima volta il giorno prima, per cui non c’era stata occasione per dirgli cosa Anna avesse in mente.

Anna era perplessa. Era mai possibile che Gilbert avesse intuito la ragione per la quale si era ritrovata intrappolata nel fango? Era mai possibile che lui la conoscesse così bene?

“Oh, Anna, deve aver attraversato parecchie volte per cogliere così tanti fiori, non credi?” meditò Diana con apprezzamento, ad alta voce.

“Non lo so, forse” rispose Anna, esitante, non sapendo cosa pensare

“Anna, devo andare. Ho detto alla mamma che mi sarei fermata solo un minuto. Mi sta aspettando all’incrocio” spiegò Diana in tono di scusa

Alzandosi, Anna salutò la sua amica e la guardò affrettarsi lungo il sentiero di fronte.

Quando fu sparita alla sua vista, Anna si piegò e colse un fiore rosso dal bouquet più vicino, inalando il dolce profumo del fiore delicato, mentre rifletteva su questi avvenimenti, così curiosi e sconcertanti.

Gilbert Blyte aveva attraversato quelle acque fangose per cogliere tre grossi bouquet di fiori dall’isola dei sogni e desideri per lei.

Sogni e desideri, davvero.

* * *

Grazie a Yuki, Luana80 e Rina per le recensioni

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Capitolo 3
*** Il temporale ***


“Rientriamo in casa, presto!” Ruby Gillis chiamò I suoi ospiti mentre dei nuvoloni oscuri si addensavano sopra alle loro teste, nascondendo il bel sole che aveva rallegrato la sua festa in giardino fino a pochi istanti prima.

“Sta per piovere” gridò Rudy, tentando di attirare I suoi ospiti al coperto prima del temporale.

All’annuncio improvviso, Anna Shirley guardò il cielo, la mazza da croquet ancora nella sua mano.

Si stava concentrando sulla prossima mossa perché non voleva che Gilbert la battesse, neanche ad una innocente partita di croquet, per cui non si era accorta che il cielo si andava rapidamente oscurando, mentre da lontano cominciava a sentirsi il rombare sordo dei tuoni.

“Beh, Anna, sembra proprio che dobbiamo interrompere il gioco mentre io sono in testa” annunciò Gilbert maliziosamente con un sogghigno, mentre si appoggiava alla mazza, un piede davanti all’altro e la mano poggiata con noncuranza su un fianco.

Il gioco era stato interrotto, ciononostante Gilbert era soddisfatto della vittoria sulla sua antica rivale.

Dovendo essere sincero fino in fondo, avrebbe dovuto ammettere che adorava mettersi in competizione con Anna Shirley.

Dapprima era stata una sfida nel battersi a vicenda con i voti ed ora che la scuola era finita, la loro rivalità era diminuita, ma esisteva ancora, sebbene molto più amichevole, e si manifestava quando giocavano a scacchi o a croquet.

Anna Shirley non amava perdere, pensò Gilbert sorridendo. Non era come le altre ragazze, come aveva notato, che perdevano a bella posta con i ragazzi, in modo di poterli vezzeggiare sbattendo le sopracciglia con i lori ohhhh e ahhhhhh, nella speranza di riportare una vittoria più grande di quella di una partita a croquet.

Ma Anna era diversa: voleva vincere e non ne faceva mistero, era troppo onesta e diretta nelle sue maniere per agire come le altre ragazze.

Ma anche se non indulgeva in moine, Anna Shirley non mancava certo di fascino femminile, pensò Gilbert all’improvviso, mentre la sua espressione si rabbuiava a causa della direzione improvvisa che avevano preso I suoi pensieri.

Prendiamola ora, per esempio: tutta carina e fresca nel suo vestito che aveva scelto per quel party in giardino. Era un modello a balze e gale e ricordava la rugiada all’alba. la mazza era ancora nelle sue mani guantate di pizzo, ed Anna era ferma in posa come se stesse per battere un colpo.

La sua linda figura era graziosa ed elegante ed il pizzo lasciava scoperte le curve delicate del collo e delle braccia.

“Sarebbe meglio che rientrassimo, Anna” esordì Gilbert un po’ bruscamente, arrabbiato con sè stesso, mentre cercava di acquietare gli ultimi suoi pensieri.

Pensare al fascino femminile di Anna Shirley non era certamente qualcosa al quale volesse o avesse bisogno di pensare.

Infatti, durante le ultime settimane, aveva cercato di pensare a tutto fuorché a quel fascino.

Lavorare nella fattoria di suo padre l’aveva aiutato: il duro lavoro fisico di quei giorni l’aveva aiutato e tenere lontano dalla sua mente il pensiero di una certa ragazza dai capelli rossi che sembrava completamente inconsapevole di quanto fosse bella.

“Vieni?” chiese ancora non ricevendo alcuna risposta alla sua proposta

Da parte sua, Anna era stata colta impreparata dall’improvvisa variazione delle condizioni meteorologiche: era così assorbita dal gioco con Gilbert che effettivamente quella era stata una delle poche volte in cui non aveva prestato alcuna attenzione al tempo, cosa per lei inusuale.

Per cui, quell’improvviso annuncio l’aveva colta di sorpresa, l’aveva lasciata inchiodata sul posto nonostante grosse gocce di pioggia avessero cominciato ad cadere, tra gli strilli degli ospiti che erano scappati disordinatamente verso la casa in cerca di riparo.

“Anna?” la incitò ancora Gibert, ora perplesso dall’immobilità di Anna.

Aveva cominciato a piovere forte, ma Gilbert non aveva seguito gli altri in casa per la semplice ragione che Anna non lo aveva fatto:”Anna, c’è qualcosa che non va?” chiese mentre le muoveva un passo verso di lei, proprio quando si sentì il forte rimbombo di un tuono.

Trasalendo visibilmente, Anna si riscosse dai suoi pensieri, alzando il viso, mentre Gilbert trasaliva a sua volta nel vedere la sua espressione e faceva un altro passo nella sua direzione.

Improvvisamente, Anna lasciò cadere la mazza e si girò, stringendo le sue gonne tra le mani chiuse a pugno, mentre si affrettava verso la casa. Gilbert la seguiva da vicino, mentre nella accogliente casa dei Gillys i partecipanti alla festa stavano ridendo e scherzando amichevolmente tra di loro, rammaricandosi del tempo inclemente che aveva in parte rovinato il loro divertimento all’aperto.

“Anna! Gilbert! Ma guardatevi!” li prese in giro allegramente Ruby, porgendo loro dei piccoli asciugamani mentre li accoglieva proprio dentro casa.

Gilbert seguiva Anna, la stanza piena di persone e quasi tutte le sedie disponibili erano già occupate:”Sembra proprio che non ce l’abbiate fatta ad evitare la pioggia. Asciugatevi, mentre vado a preparare il te” comandò Rudy, da brava e diligente padrona di casa.

Li lasciò per dirigersi verso la cucina.

“Anna, stai bene?” bisbigliò Gilbert, chinandosi verso la spalla di lei. Non gli era piaciuta l’espressione che le aveva visto dipinta sul viso, là fuori. Per qualche strana ragione, l’aveva preoccupato.

“Ma certo che sto bene” rispose Anna imponendosi la calma ed avvertendo il respiro di Gilbert accanto al suo orecchio, mentre il ragazzo formulava la domanda.

Il respiro caldo di Gibert, il suo bisbiglio così intimo.

Si scostò di un passo, dal bisbiglio, dal respiro, dall’uomo e cominciò a strofinarsi il viso con l’asciugamano.

All’evidente tetraggine di Anna, Gilbert si ritrasse di un passo o due, ma tenne lo sguardo fisso su di lei.

La vide cercare gli occhi di Diana Barry, mentre Diana ricambiava il suo sguardo con aria comprensiva.

“Hey, sembra proprio di essere sull’arca di Noè”, stava dicendo Josie Pye ai presenti con teatrale allegria, la voce ed il viso compiaciuti dalla propria intelligenza “tutta questa pioggia e noi che rientriamo a due a due” meditò suggestiva, ottenendo poi il risultato da lei desiderato, cioè che gli astanti ridacchiassero al suo ardito paragone.

Le sue parole, tuttavia, avevano un fondo di verità, infatti quasi tutti i partecipanti alla festa erano stati convenientemente accoppiati maschio-femmina.

“Non proprio come l’arca di Noè” obiettò Anna “dopo tutto, sono stati 40 giorni e 40 notti di piaggia, difficile paragonarli ad un temporale pomeridiano” ragionò Anna pratica, confutando la stiracchiata analogia.

Ma Josie Pye non fu molto felice di non essere più al centro dell’attenzione, soprattutto a causa di Anna Shirley:”Oh, per favore, risparmiaci la lezioncina, Signorina Shirley della Scuola di Avonlea. Siamo in estate, sai, e d’estate non c’è lezione” Josie roteò gli occhi con finta tolleranza.

Anna arrossì a questa uscita. Non era sua intenzione impartire una lezione, ma l’appunto di Josie che lei fosse davvero una maestra rese il suo imbarazzo più pesante, perché magari inavvertitamente era proprio quello che aveva fatto.

Aveva parlato solamente perché… beh, solo perché le chiacchiere l’aiutavano a distrarla da altre cose che la turbavano: la prima infuriava all’esterno, la seconda, invece, era a solo pochi passi da lei.

“Si, Anna Shirley, possiamo fare a meno di…” Josie Pye si bloccò a metà frase: aveva incontrato lo sguardo di Gilbert Blythe, al di là della stanza. Bloccandosi visibilmente sotto il suo intenso sguardo, Josie si rese conto dell’errore troppo tardi.

Quello sguardo rabbioso, pieno di repulsione non lo aveva mai incontrato e la scosse nel profondo. Saggiamente, decise di cambiare discorso e si rivolse alla persona più vicina a lei:”Jane, ti ho raccontato della fantastica stoffa che ho scelto per il mio vestito per il Ballo di White Sands?”

Il chiacchiericcio nella stanza ritornò alla normalità e sostituì quel momento imbarazzante.

“E’ l’ora del te!” annunciò gaia Ruby Gillis, entrando nella stanza con un vassoio da te carico all’inverosimile, e, da gentile ospite quale Rudy era, versò graziosamente il te fumante nelle tazze e le porse agli ospiti.

“Anna, ne vuoi una tazza?” offrì gentilmente Ruby mentre faceva il giro della stanza e si fermava dinnanzi ad Anna con una tazza in mano.

“Oh, certo, Ruby, grazie” Anna accettò gentilmente il gesto di ospitalità della sua amica, sistemando tazza e piattino nella mano, mentre un tuono particolarmente rumoroso scuoteva la stanza.

“Oh, questo era proprio forte!” osservò Ruby con noncuranza “Anna, hai freddo?” chiese notando che improvvisamente le mani di Anna avevano preso a tremare, e così pure la tazza ed il piattino “ti sei bagnata fradicia là fuori, vero?” le chiese Ruby, pensando che il tremore fosse dovuto al freddo.

“Si, penso di si” rispose Anna, grata per la scusa del freddo che nascondeva la vera ragione dei suoi tremiti e che poco aveva a che fare con la temperatura del suo corpo.

Girandosi verso i suoi ospiti, Ruby esortò cameratescamente i ragazzi;”Buttate un po’ di legna sul fuoco, ragazzi. Riscaldiamo un po’ questa stanza!” girandosi, sorrise ad Anna dandole una pacchetta sul braccio:”Non ti preoccupare, ti riscalderai in un attimo” disse lei, facendole l’occhiolino.

Anna le sorrise grata e la guardò tornare al centro della stanza per distribuiretazze da te.

La tazzina di porcellana continuava a tremare rumorosamente nelle sue mani, perciò Anna la posò sul tavolino accanto a lei, alzando lo sguardo giusto per incontrare gli occhi di Gilbert Blythe, che alzò un sopracciglio in una muta domanda, ma invano, perché Anna distolse in fretta lo sguardo.

Passò una mezz’ora prima che la tempesta finisse e gli ospiti cominciassero a ritornare alle loro case.

Qualche ragazzo ora stava asciugando i sedili del carretto per accompagnare a casa la sua compagna.

Diana, Fred, Gilbert ed Anna andarono a piedi. I ragazzi ridevano mentre le ragazze cercavano di attraversare le pozzanghere, tenendo sollevato l’orlo delle loro gonne e cercando di non macchiarle.

Gilbert guardava Anna con un’espressione interrogativa ancora dipinta sul viso.

Anna era tornata quella di sempre, il suo strano comportamento del pomeriggio non aveva lasciato tracce.

Gilbert fermò Diana prendendola per un gomito. Fred ed Anna erano poco più avanti.

“Diana, che cosa è successo ad Anna” chiese quando sia Fred che Anna non avrebbero potuto sentirli.

Incontrando gli occhi di Diana, aggiunse:”da Ruby, durante il temporale. Non sembrava più lei. che cosa le è accaduto?”

Diana guardò Gilbert con espressione piatta, sorpresa dalla sua domanda, ma ancora più sorpresa dal suo acume.

Non era da lei tradire una confidenza, per cui Diana si limitò a fare spallucce.

Non convinto, Gilbert continuò:”Sembrava… sembrava quasi… terrorizzata” disse Gilbert, rimanendo sorpreso lui stesso nel pronunciare quella parola. Perché Anna Shirley, una delle persone più sicure ed aperte che conoscesse, senza la minima traccia di timidezza aveva avuto quell’espressione così spaventata? Gilbert trovava questo fatto quantomeno strano.

Diana guardò Gilbert silenziosamente, mentre lottava con sè stessa.

Se Gilbert aveva quasi indovinato la verità, non era tradire un segreto, vero?

“Ad Anna non piacciono i temporali” gli disse Diana.

“Ad Anna non piacciono i temporali?” ripeté Gilbert.

“No” Diana scosse il capo e decise che aveva parlato abbastanza, per cui andò a raggiungere gli altri, lasciando indietro Gilbert mentre guardava innanzi a sé con espressione pensosa.

***

Emmy vi ringrazia per aver letto la sua fanfiction, in particolare

Yuki

Luana80

Alex-Kami

per le belle recensioni

continuate a leggere la storia di Emmy!

Per Alex-Kami: ti ringrazio per i complimenti, sono molto felice che trovi il mio lavoro di traduzione ben fatto. spero di continuare così. a presto. nisi corvonero

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Capitolo 4
*** Una camminata notturna ***


“Moody, lasciami giù all’angolo” Gilbert Blythe si era chinato dal suo sedile sul carro per richiamare con un colpetto sulla spalla l’attenzione di Moody Spurgeon.

Il carro con i partecipanti alla festa stava transitando sulla strada sporca, riportandoli a casa dopo la serata passata all’Hotel di White Sands.

Era già scuro, piuttosto tardi, per di più, e Gilbert Blythe aveva notato una luce in distanza che l’aveva impensierito, e gli aveva fatto ignorare le chiacchiere degli amici.

“Perchè vuoi che ti lasci qua?” chiese Moody fermando i cavalli e girandosi per guardare sorpreso Gilbert.

Stava accompagnando gli amici a casa ed aveva già salutato Diana Barry ed altri ragazzi, ma la casa dei Bythe era ancora lontana. “Non siamo neanche vicini” protestò Moody.

“Lo so” ammise Gibert, cominciando a scendere “C’è una luce ancora accesa dai Miller e vorrei controllare”.

“Ohhhhh” cantilenò Moody con aria saputa “Gilbert il buono che va a vedere come stanno I vicini” lo stuzzicò, mentre qualcuno cominciava a ridacchiare alla battutina sarcastica di Moody

Se Moody era arrivato a prendere in giro Gilbert Blythe in quella occasione era solamente a causa di una leggera invidia, invidia per il rispetto del quale Gilbert godeva ad Avonlea per le innumerevoli dimostrazioni di bontà e gentilezza.

L’espressione di Gilbert si oscurò un pochino:”Grazie per il passaggio, Moody” rispose Gilbert solo per educazione, senza lasciarsi distogliere dal suo scopo “Buonanotte a tutti” alzò la mano per salutare mentre si congedava dal gruppo, il suo gesto si vedeva a malapena a causa della debole luce della luna e della fiamma della lanterna sistemata sul carretto.

Moody scosse il capo e tornò al suo posto. Gilbert Blythe se ne poteva pure tornare a casa a piedi, visto che persisteva nel suo sciocco intento di andare dai vicini a quell’ora della notte.

Moody raccolse le fibbie del cavallo per riprendere il cammino.

“Aspetta!”

Era Anna Shirley ad aver gridato dall’altra parte del carro mentre gli altri passeggeri sobbalzavano dalla sorpresa, non ultimo Moody Spurgeon che aveva rivolto ad Anna uno sguardo attonito.

Ma Anna non stava guardando Moody, stava osservando Gilbert circondato dall’oscurità.

“Vengo con te” dichiarò a lui e agli altri prima di raccogliere le gonne e scendere dal carro prima che nessuno avesse la possibilità di fare o dire alcunché.

“Vi sta bene!” esclamò Moody Spurgeon al colmo della frustrazione. Sono tutt’e due matti, borbottò fra sé, afferrando le redini e sollecitando il cavallo così precipitosamente che il carro scartò.

Qualche “Ciao Anna” e “A presto, Gilbert!” fu tutto quello che i due udirono dai passeggeri, il carro ormai lontano. Ora che il carro se ne era andato, Anna e Gilbert si trovarono ognuno da un lato della strada a guardarsi in faccia.

L’atmosfera si era fatta improvvisamente calma e silenziosa intorno a loro e, ora che la lanterna non c’era più a fare luce, tutto era diventato più scuro.

Fu Gilbert ad interrompere il silenzio che era sceso tra loro due.

“Anna, avresti dovuto tornare a casa con gli altri” la rimproverò lui, un po’ preoccupato per lei, un po’ preoccupato, invece per se stesso.

La tortura della festa non era stata forse abbastanza? Anna doveva torturarlo ancora di più, si chiese cupo.

Gilbert stava appena cominciando a capire quanto fosse difficile stare nella stessa stanza con qualcuno che si amava e dover nascondere quell’amore.

L’aveva evitata di proposito, per tutta la sera. L’aveva evitata fino a che l’aveva notata vestita elegantemente in abito da sera, così bella da mozzare il fiato che gli era venuta voglia di…. Ecco, di farle delle cose che non aveva alcun il diritto di desiderare di farle.

Persino il ballo che avevano dovuto danzare assieme, era stato pieno di disagio per lui perché tutte le volte che la toccava, sentiva una strana eppur familiare sensazione, quasi una scossa, non molto diversa da quella che aveva provato anni prima quando lui ed i suoi amici si erano bagnati le dita ed avevano toccato gli interruttori dell’hotel di White Sands, al quale avevano appena installato l’energia elettrica.

Toccare Anna Shirley era la stessa cosa. o comunque questa era la descrizione più precisa che potesse dare a quella strana sensazione che lo confondeva e lo disturbava.

Dentro di sé, Gilbert sapeva benissimo che si trattava di qualcos’altro, qualcosa di più che una semplice scossa elettrica.

Gilbert aveva lottato per tutta l’estate per negare l’esistenza di questa sensazione e l’esistenza di Anna.

Ma era così difficile negarla quando lei stava lì, davanti a lui, in quel modo.

Erano soli, al chiaro di luna ed il colore chiaro del vestito di Anna rifletteva i raggi della luna: lei era solo a qualche passo da lui e riempiva i suoi sensi con la sua presenza.

La vedeva, la sentiva, avvertiva il suo respiro dolce ed era pura tortura.

“Marilla si preoccuperà” le ricordò Gilbert.

“No, dal momento che sono con te” spiegò Anna razionalmente. Ad Avonlea c’erano poche persone più degne di fiducia di Gilbert Blythe.

Alle parole di Anna, l’espressione di Gilbert si incupì. Aveva colto la sottile implicazione che Anna aveva dato a quelle parole.

Solo che al momento, Gilbert non sapeva quanto affidabile lui potesse essere. sapeva di essere una persona con una buona dose di auto controllo, si era sempre vantato di quella caratteristica del suo carattere, ma ora sentiva che il suo autocontrollo stava svanendo.

“Dimmi, Gilbert, cosa c’è che non va” gli chiese improvvisamente Anna.

“Cosa?” gli occhi di Gilbert si spalancarono sorpresi alla domanda che gli aveva posto Anna.

Non si era reso conto di non aver detto che qualcosa non andava. Pensava però di essere riuscito a nascondere la preoccupazione che si era insinuata in lui così come riusciva a nascondere i suoi sentimenti, specialmente quelli che provava nei confronti di Anna.

“Cosa c’è che non va” ripetè Anna “Perchè dobbiamo andare a vedere cosa è successo dai Miller?” si spiegò meglio Anna mentre si chiedeva perché Gilbert si fosse preoccupato.

Per qualche ragione, lei aveva avvertito qualcosa, qualcosa mentre erano sul carro quando lui aveva annunciato le sue intenzioni, intenzioni che intuì andavano ben oltre i rapporti di buon vicinato. Gilbert Blythe era impensierito da qualcosa e l’improvvisa intuizione che l’aveva colta le aveva fatto venire il desiderio di andare con lui.

Gilbert ristette un attimo prima di rispondere lentamente:”La luce è ancora accesa”.

“E allora?” chiese Anna con espressione piatta.

“Allora” cominciò Gilbert cautamente “la vedova Miller è….” Si bloccò, cercando di trovare le parole giuste per non essere irrispettoso :”La vedova Miller sta molto attenta ai soldi. Non terrebbe accesa la luce a quest’ora di notte a meno chè…” Gilbert lasciò la frase in sospeso.

Anna annuì lentamente.

Aveva capito:”A meno che sia successo qualcosa” concluse. Per una strana ragione, quando Gilbert aveva annuito alla correttezza della sua ipotesi, Anna aveva avvertito un moto di piacere.

Il fatto che la vedova Miller fosse cauta con il suo denaro era lapalissiano, soprattutto per il fatto che più di anno prima aveva perso il marito e la famiglia era sull’orlo della miseria.

Anna si chiese come mai non ci fosse arrivata prima a quella conclusione: una donna che riusciva a malapena a sfamare i suoi figli, non avrebbe certamente sprecato tutto quell’olio per la lampada a quell’ora di notte.

“Bene, andiamo allora” disse Anna decisa, in tono autoritario e sbrigativo, cominciando a camminare nella direzione dalla quale proveniva la luce.

Anna inciampò nell’oscurità e sarebbe caduta in avanti se delle mani robuste non l’avessero trattenuta per le braccia impedendole di cadere.

“Oh, scusa, Gil” si scusò Anna, imbarazzata per la sua goffaggine “E’ difficile vedere con questo buio” spiegò lei, ammettendo che l’idea di camminare di notte indossando un abito lungo da sera forse non era la cosa più facile a farsi.

Gilbert lasciò le braccia di Anne e richiuse le mani a pugno, lungo i fianchi. Il suo cervello, o piuttosto il suo cuore, aveva avvertito la solita scossa quando lui l’aveva toccata.

“Faresti meglio a venirmi dietro” disse lui, quasi rudemente, lottando con il desiderio di provare ancora quella scossa, di toccarla ancora.

Girando sui tacchi, si diresse verso la casa dei Miller, Anna dietro di lui al quale faceva strada.

In silenzio, I due percorsero la distanza che li divideva dalla casa dei Miller, Anna seguiva Gilbert da vicino, tenendo sollevate le gonne da terra, estremamente concentrata, dato che non voleva essere d’intralcio alcuno. Era così presa nel cammino che aveva persino smetto di parlottare, come diceva Marilla.

Ma comunque non era facile: il suolo era sconnesso in vari punti ed il buio peggiorava la situazione rendendo il cammino insidioso, le rocce, i sassi e la vegetazione erano ulteriori ostacoli.

E faceva anche più freddo, infatti Anna rabbrividì nel suo vestito senza maniche, un vestito che non era certamente adatto ad una camminata notturna; il calore dei plaid da viaggio sul carro era ormai un lontano ricordo.

All’improvviso, Anna gridò: aveva messo un piede in fallo e stava perdendo l’equilibrio.

Ancora, quelle mani ricomparvero da chissadove, sostenendola e rimettendola in piedi.

“Mi spiace tanto, Gilbert”, mormorò Anna, quasi sull’orlo delle lacrime “Non volevo esserti di intralcio con la mia lentezza” Anna si era pentita della sua decisione così impetuosa. Dopo tutto, Gilbert non le aveva chiesto di andare con lui, aveva fatto tutto lei, ed ora lei stava arrancando per la campagna, con l’unico risultato di intralciarlo.

Gilbert, all’uscita di Anna, sentì qualcosa dentro di lui molto vicino al suo cuore sciogliersi e si addolcì:”Non mi sei di impaccio” le disse dolcemente, rifiutando le sue argomentazioni. Le sue mani erano ancora sulle braccia di Anna e questa volta non fece alcun movimento per toglierle da dove stavano.

Improvvisamente, avvertì un tremito sotto le sue mani. “Hai freddo, tieni!” constatò lui, togliendosi velocemente la giacca da sera e posandola sulle spalle di Anna. A questo gesto, Anna trattenne il fiato. Era rassicurante, davvero, sentire la giacca di Gilbert sulle spalle, ancora calda del suo corpo.

Aveva scacciato il freddo che le si era insinuato nelle ossa.

Ma c’era di più: qualcosa che non riusciva a descrivere… “E’ troppo scuro per muoversi senza rischi. Faremmo meglio a stare vicino” disse Gilbert prendendo la mano di Anna e tirando gentilmente la ragazza verso di sé.

In effetti, era meglio così, cercò di razionalizzare Gilbert. Per Anna sarebbe stato più facile camminare se lui la guidava a quel modo. Riusciva a camminare bene, anche se non vedeva dove stava andando, si disse Gilbert mentre continuava a camminare, la sua mano che teneva gentilmente quella di Anna.

Da parte sua, Anna usava l’altra mano per sollevare le gonne.

Per qualche strana ragione, non le dispiaceva affatto che lui le avesse dato la sua giacca, che l’avesse presa per mano.

Era molto più facile per lei, con lui che le faceva strada.

Riusciva a camminare bene, anche se non vedeva dove stava andando.

Se non fosse stato per quella cosa che le rodeva dentro, nel cervello… oppure nel suo cuore? Era solo una sciocchezza, si rimproverò. Non valeva neanche la pena di pensarci.

Ma solo per un secondo, quando Gilbert l’aveva presa per mano, aveva provato una strana sensazione che l’aveva lasciata confusa, qualcosa che non aveva mai provato prima.

Ci pensò su un attimo, cercando nella sua mente la parola giusta per descriverla, prima di trovare l’unica che si adattava a quella sensazione.

Aveva sentito… una scossa.

* * *

Rubo uno spazietto ad Emmy per pubblicizzare le mie ff:

allora, nella sezione Originali c'è la Rivolta delle Racchie: la storia di Sara che ha a che fare con una terribile compagna di classe, tenere a bada una pestifera sorella minore, un amico un po' particolare e nel frattempo deve crescere.

Lucciole e salici, una lemon su Lady Oscar

Harry Potter e la profezia dell'unicorno: vi rimando al riassunto, che è più completo...

Grazie a tutti per le vostre recensioni: Emmy è felicissima e vi saluta tanto. Anche io sono molto contenta di sapere che il lavoro che sto facendo sia apprezzato così tanto. Grazie grazie.

In particolare

Luana80: ho messo il turbo specialmente per te. Anna è un pochino indietro per certe cose, ma alla fine chi non lo è? Non so sinceramente se ci sia qualcuno che ami il personaggio di Josie, è talmente odiosa….

Scandros: Purtroppo devo ammettere la mia ignoranza, la storia di CT la conosco pochissimo, ma prometto di informarmi. In effetti, conosco pochissimo il mondo dei manga e credo valga la pena di scoprire qualcosa di più. Grazie per le recensioni, in effetti, un punto di forza della storia di Emmy è che i personaggi sono assolutamente in carattere e le situazioni potrebbero essere tranquillamente quelle descritte da LM Montgomery. Grazie, di vero cuore.

Shana: siamo felici che la ff ti piaccia, grazie

Alex-Cami: grazie davvero… è un piacere sapere che quello che fai è seguito con tanta attenzione e partecipazione. Ti ringrazio per la mail. Volevo chiederti un paio di cosette, se non ti fa niente, per cui fra qualche giorno ti scrivo. Many thanks.

Mireille: che bel nome. Momento di imbarazzo… non so se Emmy sia inglese o americana… non gliel’ho mai chiesto. Questa è la prima ff che scrive su Anna (infatti le avevo chiesto anche io se avesse scritto qualcosa d’altro…), e ne aveva scritta una su Bonanza. Mi informerò sui suoi prossimi lavori e vi farò sapere.

Ciao a tutti

Emmy + Nisi Corvonero

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Capitolo 5
*** A casa dei Miller ***


Guidati dalla luna e dalla luce che proveniva dalla finestra posta sul davanti della casetta, Anna e Gilbert si avvicinarono alla residenza dei Miller.

Nello stesso momento, i due videro un calessino proprio davanti a casa e si guardarono allarmati.

Quel calessino lo conoscevano bene, come del resto lo conoscevano gli altri abitanti di Avonlea.

Apparteneva al dottore e la sua presenza non era mai un piacere, soprattutto a quell’ora di notte, non si poteva certo dire fosse una visita di cortesia.

La logica avrebbe voluto che, appurato questo, I due avessero fatto dietro front, pensando che qualsivoglia motivo avesse portato il dottore a quella casetta desolata a quell’ora di notte, fosse privato e non li riguardasse.

Di certo, nelle grandi città come Charlottetwon, i vicini si facevano gli affari loro, anche in caso di crisi oppure di malattia.

Ma questa era Avonlea, ed era diverso.

Con la consapevolezza che un vicino nei guai fosse anche affare loro e senza pensarci su due volte, Anna e Gilbert si avvicinarono al portico, dimentichi del fatto che si stessero tenendo ancora per mano.

Improvvisamente la porta si aprì ed i due furono investiti da un fascio di luce ed Anna Bedoe comparve sulla soglia.

Anna era una specie di vicina, lavorava dai Thompson, che abitavano proprio accanto ai Miller.

Sussultò sorpresa quando vide due figure nell’ombra della porta e rovesciò l’acqua dalla bacinella che aveva in mano, di fianco a sé e sul grembiule.

Però si ricompose subito dopo aver visto di chi si trattava. "Gilbert Blythe! Anna Shirley!" esclamò la donna con una voce ridotta ad un sussurro, sebbene ancora piena di sorpresa.

“Buona sera, Hannah” esordì Gilbert “Stavamo tornando dal Ballo a White Sands. Abbiamo visto che la luce era ancora accesa e ci siamo chiesti se c’era qualcosa che non andava “Gilbert spiegò così il motivo di quella visita improvvisa.

Hannah esalò un lungo sospiro “Certo che c’è qualcosa che non va. La Signora Miller ha avuto un altro dei suoi attacchi ed il dottore è molto preoccupato. E a tutte le ragioni per esserlo” spiegò lei con aria saputa, poi si diresse verso il corrimano del portico e vuotò il contenuto della bacinella sui cespugli.

Nel ricevere quella notizia, Anna e Gilbert si scambiarono uno sguardo preoccupato.

Si sapeva che la Signora Miller non fosse in salute già da un po’ di tempo, sin da quando il marito era mancato più di un anno prima, e si sapeva anche che la loro situazione finanziaria non fosse delle migliori.

La gente di Avonlea li aiutava, per quanto possibile, infatti Anna solamente la settimana prima aveva portato del cibo e degli abiti da parte di Marilla.

Essere poveri era una cosa, ma una cattiva salute era un’altra cosa, ben peggiore.

“Sono venuta prima, oggi” continuo Hannah girandosi verso I due e stringendo a sè la bacinella vuota “La Signora Miller ha mandato la piccola Lizzy dai Thompson a cercarmi. Sono venuta prima che ho potuto, quando posso vengo a dare una mano a tenere in ordine e cose del genere” ecco perché Hannah si trovava lì “così mi sono trovata davanti Lizzy. Voglio dire, la cosa non mi ha fatto né caldo né freddo, però dopo ho capito che c’era qualcosa che non andava. Quando sono arrivata, ho visto che la Signora Miller stava male, per cui ho mandato Jerry Monaghan a prendere il dottore. Sono stata qui tutto il tempo e sono distrutta” sospirò pesantemente nell’affermare quella verità.

Doveva essere stato pesante, lavorare per i Thompson durante il giorno e poi passare il resto della giornata ad aiutare una vicina ammalata.

“E’ stata gentile a venire ad aiutare” disse Anna. A questo piccolo segno di apprezzamento, Hanna sorrise compiaciuta. Il suo aiuto alla famiglia era, fino a quel momento, passato inosservato.

Era un’anima gentile, Hannah. Una anima gentile racchiusa in un corpo tozzo, di ragguardevoli dimensioni, le sue guance rosse tinte da un vivido color rosa.

“possiamo fare qualcosa?” chiese Anna, inconsapevole del fatto che avesse offerto anche l’aiuto di Gilbert, non solamente il suo.

“Direi!” esclamò Hannah decisa, all’offerta di aiuto “Se riusciste a mettere a letto quei due bambinetti, sarebbe un grosso aiuto, non ne avuto tempo, visto che stavo aiutando il dottore” disse Hannah, la voce velata dall’orgoglio che provava nell’essere stata investita da un tale prestigioso compito “mi sono stati tra i piedi tutta la notte e non mi ascoltano per niente, ecco” Hannah alzò gli occhi al cielo, esasperata.

Nell’udire la descrizione e la richiesta, Anna sorrise.

Se c’era una cosa nella quale era brava, era trattare i bambini: aveva passato la maggior parte della sua vita prima di arrivare ad Avonlea a prendersi cura dei bambini delle famglie alle quali era stata affidata ed ora, in qualità di maestra, aveva un’intera classe di studenti da seguire alla scuola di Avonlea.

“Ma certo!” rispose Anna, avanzando di un passo verso Hannah per sottolineare la sua disponibilità.

Fu solo in quel momento che Anna si rese conto di essere ancora attaccata a Gilbert Blythe, il quale aveva esteso il suo braccio come un ponte per annullare la distanza tra loro due. Dal canto suo, Anna, si rese conto che la sua mano era comodamente appoggiata a quella di Gilbert e lo era stata per tutto quel tempo. Arrossì furiosamente nell’accorgersi di ciò.

Cosa avrebbe mai dovuto pensare Hannah di un tale spettacolo?

Lentamente, Anna ritirò la sua mano, mentre Gilbert si era accorto che lei era arrossita e la fissava interessato mentre a sua volta si staccava da lei.

“Ma certo che possiamo aiutarti con i bambini” si affrettò ad aggiungere Anna, cercando di ignorare quel momento di imbarazzo e rendendosi conto che, col suo comportamento, ne aveva creato un altro. “Voglio dire, possiamo aiutarla, vero, Gil?” si girò verso di lui, rendendosi conto solamente in quel momento di aver offerto anche l’aiuto di Gilbert senza averlo consultato.

Gibert sorrise, per qualche strana ragione assurdamente compiaciuto del fatto che Anna desse per scontato che avrebbero aiutato assieme:”Certo,” affermò, pienamente soddisfatto dallo sguardo grato di Anna “Dove sono?”

“In cucina” rispose Hannah con un altro sospiro “svegli come dei grilli, nonostante sia così tardi. Venite con me”.

Hannah fece loro strada.

Il piano principale consisteva di una unica camera con una cucina da una parte e due camere da letto dall’altra.

Una volta entrati nella stanza ben riscaldata, Gilbert diede un colpetto sulla spalla ad Anna mentre si accingeva ad entrare in cucina dopo Hannah. Anna si girò a guardarlo con uno sguardo interrogativo.

“Magari vuoi togliere la tua…. Ehmmm, la mia giacca” sussurrò Gilbert mentre Anna arrossiva ancora una volta nel ricordare che indossava ancora la giacca che lui le aveva posato sulle spalle prima che iniziassero il cammino.

“S-si” balbettò Anna, ancora rossa in faccia, mentre si toglieva la giacca e la rendeva a Gilbert. Poi, si girò velocemente per seguire Hannah. Gilbert lanciò l’indumento su una sedia che stava lì vicino e seguì le due donne.

“il dottore è con la Signora Miller” bisbigliò Hannah, accennando con la testa verso la porta chiusa “e qui ci sono I bambini” disse, fermandosi sulla soglia della cucina, controllando la situazione con occhi stanchi.

Alla luce della lampada che illuminava la stanza, non fu difficile vedere Lizzy Miller, di sette anni ed Henry Miller, di quattro sotto al tavolo della cucina che stavano sistemando pentole, piatti smaltati e persino un ciocco di legno attorno a loro a mò di…. Beh, gli adulti non furono in grado di a mò di che cosa.

“Ciao Lizzy, ciao Henry” Anna si avvicinò ed alzò leggermente le gonne prima di accucciarsi accanto ai bambini.

Gettò uno sguardo alla struttura fabbricata dai bambini:”Cosa state facendo” chiese educatamente.

“Stiamo costruendo un fortino” spiegò Lizzy, tutta contenta, ignara della situazione come solo un bambino poteva esserlo.

“si, un …ottino!!” intervene Henry, facendo vigorosamente di sì all’indirizzo di Anna Shirley, la bella signora che tutte le volte che li era venuti a trovare aveva portato un cestino pieno di tante cose buone.

Se i bambini non apparivano turbati dal dottore, stava a significare che la mamma era malata da tanto tempo ed i piccoli si erano abituati alla presenza di un medico, che a quanto sembrava, doveva essere venuto parecchie volte a visitare la malata.

Per cui, per i bambini, era tutto a posto. “Hannah dice che l’ora di andare a letto è passata da un pezzo” Anna approcciò l’argomento nanna con molto tatto.

“Non siete stanchi? Neanche un pochino?” chiese persuasiva.

“No, io no!” ridacchiò Lizzy

“Neacche io!” rispose Henry a sua volta.

“Hmmmmm” meditò Anna, accorgendosi che il compito non era facile come si aspettava.

Però ebbe un’idea:”Sentite” esordì pensosamente, strofinandosi il viso in finta contemplazione del “fortino” “io ho tante cose da raccontarvi sui fortini,i castelli e cose del genere. Castelli magici, sapete. Castelli molto molto antichi. Quelli che hanno I fossati, I draghi, le principesse…” si interruppe, notando con piacere che i bambini avevano smesso di costruire il forte per guardarla seri “Magari, se volete posso raccontarvi qualcosa, dopo che vi siete messi il pigiamino. Cosa ne dite?” si offrì lei.

“Va bene” Lizzy colse al volo quell’offerta così allettante strisciando da sotto il tavolo mentre il fratellino faceva lo stesso.

Anna si girò per sorridere ad Hannah e a Gilbert, compiaciuta. Fu ancora più contenta quando Lizzy le si avvicinò e fece scivolare la manina nella sua.

Quando Henry le passò davanti, lo spinse gentilmente verso Gilbert:”Vai con lui” informò il bambino e nel suo tono c’era una velata presa in giro mentre guardava Gilbert divertita.

Henry fece come gli era stato detto e si avvicinò a Gilbert, guardandolo ed aspettando che Gilbert facesse qualcosa.

Gilbert si schiarì la gola, non era abituato ad avere a che fare con bambini così piccoli, così giovani. Non sapeva proprio cosa fare.

Anna prese la lampada ad olio per farsi luce e mentre lei e Lizzy uscivano dalla stanza.

Vedendo che Gilbert non sapeva che fare, Anna si fermò:”Dagli la mano e seguici” disse divertita, incontrando lo sguardo di Gilbert.

Per una volta era LEI a sapere cosa fare, quella che aveva più esperienza, per cui voce in capitolo. Ed Anna sorrise soddisfatta.

Gilbert notò l’espressione compiaciuta di Anna e le rispose in tono di falsa obbedienza:”Sissignora!” le sue sopracciglia erano inarcate, rimandendo in attesa di ulteriori istruzioni.

Anna si limitò a sorridergli e a girarsi, portando la piccola Lizzy verso la cameretta dall’altra parte della casa.

Gilbert si chinò a guardare il bambino accanto a lui:”Bene, Henry, andiamo?” chiese offrendogli la mano. Fiducioso, il bambino allungò la sua manina per prendere quella di Gilbert ed entrambi seguirono gli altri fuori dalla stanza.

* * *

grazie a tutti per aver letto questa ff e per le vostre recensioni.

ah, svelato il mistero, Emmy è canadese dell'Ontario

grazie soprattutto a Shana, Regina, WIlwarind e Luana80 tanti ringraziamenti da parte di Emmy, che è molto felice del vostro apprezzamento.

ed io ringrazio voi per i complimenti che mi fate. vuol dire che vi piace come sto traducendo questa bella storia

a presto!

nisi corvonero

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Capitolo 6
*** La fiaba della buonanotte ***


Anna entrò nella camera dei bambini e gettò un’occhiata all’ambiente che la circondava, la lampada in mano a farle luce.

La fiammella tremolava e disegnava strane ombre sui muri spogli.

Era una camera di piccole dimensioni, dall’arredamento spartano, con un letto singolo proprio al centro della stanza.

Da un lato c’era un tavolino da toeletta, dall’altro una cassettiera sulla quale erano appoggiati dei soldatini di legno ed una bambola impagliata fatta a mano.

“Ecco le vostre camicie da notte” esclamò Anna ad alta voce, dopo aver cercato e trovato i due indumenti a cavallo della seggiolina sistemata in un angolo. Appoggiò la lampada sulla cassettiera ed andò a prendere le camicie, poi porse la più piccola a Gilbert che si era fermato all’ingresso della stanza, ancora una volta incerto sul da farsi.

“Questa è quella di Henry” lo informò Anna, un ordine implicito nelle sue parole. Poi si girò e portò Lizzy accanto al letto “Salta su, Lizzy” suggerì lei.

La ragazzina obbedì immediatamente sedendosi sull’orlo del letto e facendolo rimbalzare più volte.

Con mani esperte, Anna cominciò a slacciare le scarpe della bimba, togliendole assieme alle calze.

Si accorse a malapena che Gilbert stava copiando i suoi movimenti con l’altro bambino seduto dall’altro lato del letto. Anna cominciò a slacciare i bottoni del grembiulino che proteggeva l’abito di Lizzy.

“Non mi racconti dei castelli? I castelli di tanto tanto tempo fa?” Lizzy sgusciò dalle mani di Anna, ricordando l’accordo che avevano fatto.

“Non ancora, ti racconterò tutto quando sarai pronta per andare a dormire” rispose Anna, concentrata in quello che stava facendo.

Quando Lizzy si accasciò delusa, gli occhi di Anna cominciarono a sfavillare di malizia “E poi, dobbiamo batterli, sai?”

“eh?” Lizzy la guardò con aria dubbiosa, non capendo quello che Anna volesse dire.

Anna fece un gesto col mento verso la parte opposta del letto, indicando l’uomo ed il bambino:”Loro, dobbiamo batterli” spiegò Anna, togliendole con mani esperte il grembiulino e cominciando a slacciare i bottoni del vestitito “Dobbiamo arrivare prima noi” disse Anna.

“Prima voi in che cosa?” domandò Gilbert, impacciato, mentre stava lottando con un bottone particolarmente ostinato della camicia di Henry.

“Primi ad essere pronti per andare a dormire” Anna spiegò i dettagli della gara a tutti.

Lizzy capì ed I suoi occhi si spalancarono dal piacere del nuovo gioco:”Sbrigati Signorina Shirley!” esclamò tutta contenta, tutta presa dall’eccitazione della gara, mentre sollevava le braccia al di sopra della sua testa per permettere ad Anna di sfilarle meglio il vestito e di passare alla biancheria.

“Hey, ma non l’avevi detto!” obbiettò Gilbert fingendosi oltraggiato e nel frattempo raddoppiando la velocità con la quale stava svestendo Henry.

Anna si limitò a guardarlo con un sorriso di sfida e Gilbert stava per scoppiare a ridere: con lei doveva essere tutto una gara? Gilbert sorrise ripensando alla loro antica rivalità sui banchi di scuola. Solamente che ora doveva ammettere che questa loro rivalità ora era diventata più divertente di quella scolastica.

Nonostante Anna non lo avesse avvertito, fu una gara onesta e leale: certo, Anna aveva maggiore esperienza con i bambini e le sue dita si muovevano veloci sui vestiti di Lizzy, tuttavia Gilbert aveva meno lavoro da fare in quanto Henry era un bambino, per cui i suoi abiti non avevano la sfilza di bottoni di quelli di Lizzy.

Quello che decise le sorti della gara fu un errore puramente strategico: le due camicie da notte furono passate infilate nello stesso istante, purtroppo Gilbert si era però dimenticato di slacciare i bottoni dell’apertura, per cui l’indumento si bloccò sopra la testa di Herny e non fu possibile infilarlo.

Dopo essere riuscita ad infilare la camicia da notte a Lizzy, Anna riallacciò l’ultimo bottone e aiutò la bimba ad infilarsi a letto.

“Ecco fatto!” annunciò Anna trionfante mentre Lizzy ridacchiava contenta.

Anna si girò a guardare la scena con uno sguardo divertito:”La posso aiutare, Signor Blythe?” chiese con voce scherzosa.

“No, grazie, Signorina Shirley” rispose Gilbert con una formalità eccessiva mentre cercava di goffamente di tirar fuori Henry dalla camicia da notte “Io ed Henry ce la stiamo cavando benissimo” affermò Gilbert con aria di indipendenza, riuscendo alla fine a slacciare quel bottone ostinato e ad infilarla; poi incontrò gli occhi di Henry e gli sorrise:”Ce la caviamo bene, vero. Henry?” chiese poi con voce cospiratoria.

Henry guardò Gilbert affascinato, ancora più affascinato ed interessato di quando stavano facendo la gara.

Henry non aveva più il papà e la presenza di un uomo in casa, ad aiutarlo a prepararsi per la notte era qualcosa di nuovo, strano ed in un certo senso piacevole.

Henry annuì e nello stesso tono di Gilbert gli rispose:”Ce la caiamo benne”.

Gilbert approvò sorridendo, ora tra di loro c’era si era instaurato un certo cameratismo maschile. Gilbert aiutò Henry ad infilare le braccia nelle maniche e lo aiutò ad infilarsi nel letto accanto alla sorella. Finito il suo compito – quello aiutare un bambino a prepararsi per la notte – alzò lo sguardo in direzione di Anna.

“Credo che ora tocchi a te” la prese in giro gentilmente con un sorriso, un sorriso che le ricordò che mentre I compiti di Gilbert si erano esauriti, lei aveva ancora qualcosa da fare: per convincere i bambini a prepararsi per andare a dormire, aveva promesso una fiaba della buonanotte.

Per niente spaventata da quello che doveva fare, Anna ricambiò il sorriso di Gilbert. Non era per niente intimidita, quella era per lei la parte migliore: le favole ed il fatto stesso di raccontarle. Anna spostò un pochino Lizzy e si sedette sul letto accanto ai bambini che si accucciarono l’una contro l’altro, impazienti.

Anna chinò la testa in avanti per un momento o due, pensosamente, mentre Gilbert avvicinava la seggiolina al letto e si sedette a sua volta.

Guardò intrigato il viso di Anna, quasi quasi in grado di vedere quello che succedeva nella sua testa mentre cercava di mettere assieme tutti I frammenti della sua immaginazione in una storia, la luce della lampada che risplendeva sul suo viso ed il suo corpo.

Solo un momento dopo, Anna abbandonò I suoi pensieri e si sdraiò su un fianco, inarcando un braccio protettivo sui due bambini. Guardò i due visetti concentrati e cominciò a raccontare.

“C’era una volta, tanto tanto tempo fa, un castello incantato costruito sopra una foresta” La storia cominciò in modo abbastanza innocuo, la voce di Anna sicura e decisa che raccontava, come se si stesse limitando a raccontare un fatto realmente accaduto e non un prodotto della propria immaginazione.

Presto, la storia si riempì, come promesso, di fossati, di draghi e principesse. C’era persino una eroina, Lady Lizabeth ed un valoroso Principe Henry.

Completamente rapiti dal racconto, i bambini stavano ascoltando con occhi spalancati, senza muovere un muscolo, tranne per battere le ciglia e tranne Henry che portò il pollice alla bocca per succhiarlo.

Vedendo ciò, Anna sorrise, ma non smise di raccontare, si limitò ad abbassare la voce e a parlare più lentamente, deliberatamente accompagnando i due bambini tra le braccia di Morfeo.

Mentre guardava la scena di fronte a lui, Gilbert Blythe si chinò per appoggiare gli avambracci alle ginocchia, qualcosa di molto simile alla meraviglia dipinta sul suo viso.

Le parole di Anna, sussurrate con voce dolce e misurata, erano l’unico rumore presente nella stanza. La scena era intima, troppo intima.

La luce soffusa della lampada illuminava il viso di Anna e quello dei bambini, che si distinguevano nell’oscurità.

Lo sguardo di Anna era puntato sui bambini, che a loro volta la guardavano, formando una stretta connessione tra i tre.

Gilbert avvertì una strana stretta al cuore, forse una brama, un desiderio.

Se qualcuno fosse entrato nella stanza in quel momento, avrebbe pensato di trovarsi davanti ad una scena piuttosto strana: la signora vestita elegantemente in abito da sera, era seduta su un lettino che si trovava in una stanza grigia e spoglia e raccontava una favola a due bambini.

Gilbert fu colpito dal pensiero improvviso che Anna non gli era mai parsa così bella come in quel momento.

L’aveva vista quella sera al ballo di White Sands, ed aveva colto gli sguardi ammirati che le lanciavano gli altri uomini, affascinati dalla sua bellezza, ma era un altro tipo di bellezza.

Ora in più c’era la sua dolcezza, il suo calore, la sua femminilità.

La sua voce era gentile e tenera mentre raccontava ai due bambini una storia magica fatta di castelli, draghi e principesse.

Gilbert si rese conto che lei sarebbe stata così, in quel modo con i suoi bambini. Quando questo pensiero lo colse, si sentì spezzare il cuore.

I bambini di lei, che non sarebbero mai stati anche i suoi.

Inghiottì amaro e chinò il capo.

Era troppo da sopportare.

“Ecco” Anna sussurrò piano “Ecco” ripetè lei e Gilbert alzò lo sguardo.

La stanza era silenziosa ed Anna stava spostando i capelli dalla fronte di Henry.

Il bambino si era addormentato in fretta, così come la sorella.

Gilbert non si era accorto che la storia fosse finita o quasi. Ma forse Anna si era fermata perché i bambini si erano addormentati. Non lo sapeva. Si era sentito così perso, in quella stanzetta, con i suoi pensieri ed i suoi desideri, così perso in lei che non si era accorto che lei avesse smesso di parlare e che il silenzio aveva avvolto ogni cosa.

“Si sono addormentati” sussurrò Anna, togliendo di bocca il pollice ad Henry, prima di voltarsi verso Gilbert.

I loro occhi si incontrarono e Gilbert respirò a fatica.

Un conto era guardarla con i bambini, vederla così gentile e sollecita, ma leggerlo in quegli occhi era tutt’altra storia.

Lui sostenne il suo sguardo mentre qualcosa bruciava dentro di lui.

Anna arrossì e distolse lo sguardo, sentendosi tutt’ad un tratto confusa ed incerta.

“Penso… penso che dovremmo andare, ora” disse guardandolo di sottecchi e cogliendo il suo cenno di assenso.

Si girò ancora verso i bambini, rincalzò loro le coperte e baciò loro la fronte prima di rialzarsi. Gilbert la imitò mentre Anna raccoglieva i vestiti dei bambini che erano rimasti sparsi in giro dopo la loro gara. Anna li appoggiò sullo schienale della sedia che Gilbert aveva lasciato libera. Gilbert fece un passo all’indietro, cedendo educatamente il passo ad Anna.

Dopo aver lanciato un ultimo sguardo verso i bambini addormentati, Anna si girò e si diresse verso la porta.

Anche Gilbert si fermò a guardarli, poi seguì Anna fuori dalla stanza e chiuse la porta lentamente dietro di sé.

* * *

Emmy vi ringrazia per aver letto la sua storia

e ringrazia per le recensioni

Scandros

Alex-Kami

Luana80

Shana

Kwannon

ciao a tutti e alla prossima

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Capitolo 7
*** Un futuro incerto ***


“Dovranno andare all’orfanotrofio di Charlottetown”.

A quell’affermazione, Anna Shirley rimase impietrita mentre sentiva qualcosa stringerle il cuore in una morsa gelida.

Non poteva essere, era solo un orribile incubo dal quale si sarebbe risvegliata presto.

Per il bene di Lizzy e Henry Miller, Anna sperò in un veloce risveglio.

Erano passate solamente tre settimane da quando lei e Gilbert erano passati dai Miller per la prima volta?

Il dottore si trovava lì a curare una malata signora Miller, ma quando lei e Gilbert si erano fermati a parlare con lui quella stessa notte, li aveva rassicurati dicendo loro che la signora era migliorata molto.

Poi, Anna e Gilbert erano passati a far visita parecchie volte nelle ultime settimane, così come Marilla e la Signora Barry e tanti altri vicini che si erano fatti carico di star vicino ad una vedova in difficoltà ed ai suoi due bambini.

E ad ogni visita, la salute della signora Miller andava migliorando, ma quando si era sparsa la notizia della sua morte improvvisa, tutti erano rimasti shockati.

Scompenso cardiaco, era stata la causa della sua morte, anche se qualcuno, ad esempio Rachel Lynde, affermava a buon diritto che la Signora era morta di crepacuore: non si era mai ripresa dalla morte del marito e la sua cattiva salute non era stata che la conseguenza del suo dolore.

Anna avrebbe voluto fare qualcosa, qualsiasi cosa per evitare di giungere a questo, ma a volte, Dio e la provvidenza avevano altri progetti.

E così si erano ritrovati tutti, la signora Miller era ormai sepolta ed il resto dei concittadini di Avonlea si erano ritrovati nel salotto della signora Barry per decidere del futuro di quei due bambini che erano stati così sfortunati da perdere i due genitori in così poco tempo.

“L’orfanotrofio è il posto giusto per loro” fu la fredda sentenza della signora Bluitt, che stava rigidamente appollaiata sul bordo della poltrona imbottita nel salotto della signora Barry.

La signora Bluitt era madre di una dozzina di bambini e sembrava una persona assolutamente priva di compassione.

Ci fu qualche mormorio di approvazione e persino un paio di persone appoggiarono la sua idea.

Non era che tutti volessero che i due bambini fossero mandati all’orfanotrofio, ma che altro si poteva fare? Erano orfani e la signora Miller non aveva più nessuno. Non erano neanche stati in grado di contattare nessun parente per informarli della sua morte, almeno di certo non nel ristretto periodo di tempo prima della sepoltura.

Le spese per il funerale erano state sostenute da tutta la comunità che aveva fatto la colletta per onorare la signora con un modesta cerimonia e per concederle un posto accanto a suo marito nel cimitero di Avonlea.

Tutti sapevano che la vedova non aveva lasciato quattrini e la casa era stata ipotecata da una banca.

Ed ora i bambini avrebbero dovuto andare in un orfanotrofio.

A quanto pareva, il pagamento per le spese per il funerale segnava la fine della generosità della comunità di Avonlea ed Anna inghiottì amaro nel rendersi conto di ciò Orfani, erano solo due piccoli orfani e queste parole spezzarono qualcosa nel cuore di Anna, qualcosa di profondo e nascosto da tanto, tanto tempo.

Lasciò vagare lo sguardo per la stanza e sulla comunità riunita.

Cosa ne sapevano? Cosa ne sapevano loro? Che cosa significasse essere un orfano e quello che comportava? Che diritto avevano di… di…

Anna sentì la rabbia, una collera giustificata montarle dentro.

Senza rendersene conto, si alzò in piedi. Lentamente, decisa, fino a rimanere a schiena dritta e a testa alta, tutta la sua postura che richiedeva attenzione.

Gli occhi di Anna fecero il giro della stanza ed incontrarono tutti quelli delle persone che avevano sostenuto in qualche modo l’idea della signora Bluitt e lanciando una silenziosa sfida prima ancora di aprire bocca.

“non posso credere alle mie orecchie” il tono di Anna grondava disgusto “Ho sempre pensato che Avonlea fosse il posto migliore qui sull’Isola di Principe Edoardo (dove vive Anna, è un’isoletta al largo della nuova scozia – Canada) e di tutto il mondo. Il posto con la gente più generosa. Ma mi sbagliavo” disse Anna.

Prese una pausa deliberatamente per permettere agli astanti di recepire le sue parole.

“Mandare quei due bambini all’orfanotrofio è la cosa peggiore, la più orribile idea che abbia mai sentito e mi vergogno di voi per il solo fatto di averla presa in considerazione”.

L’avrebbero odiata per aver detto una cosa del genere, ma ad Anna non importava.

La signora Bluitt la stava già fissando con uno sguardo di disapprovazione degli occhi ridotti ad una fessura, mentre gli altri la guardavano a bocca aperta, attoniti dopo quella brusca uscita, ma non le importava.

Stava lottando per quei bambini.

Lizzy ed Henry non avevano nessuno che li difendesse e che sapesse veramente cosa fosse meglio per loro.

Lei l’avrebbe fatto, avrebbe lottato e li avrebbe difesi.

Si, anche a rischio del biasimo della Signora Bluitt e del dispiacere dei suoi compaesani.

Non c'è nessuno che possa prendersi cura di quei due bambini” fu la debole protesta del padre di Charlie Sloane “La maggior parte di noi ha già una sua famiglia…” si lamentò.

Anna annuì lentamente:”Lo so, Signor Sloane” concordò la ragazza.

La maggior parte degli abitanti di Avonlea non era certamente ricca e quelli che stavano un po’ meglio non potevano certo assumersi la responsabilità di due bambini vivaci.

“Ma mi sembra che si possa fare qualcosa di meglio che spedirli in orfanotrofio dopo tre settimane dalla morte della madre. cosa ne sappiamo della loro famiglia? Qualcuno ha veramente cercato di rintracciare i loro parenti?” chiese ricordandosi del poco tempo che avevano avuto a disposizione prima del funerale e di quanto poco approfondita potesse essere una ricerca di solamente tre settimane?

Anna si guardò attorno, alla sua domanda ottenne solo silenzio.

“Anna ha ragione”

Le parole erano state pronunciate in tono pacato, tuttavia ruppero il muro di silenzio che si era creato e tutti gli occhi vennero puntati sulla donna che aveva parlato.

Marilla Cuthbert era uno dei più anziani e rispettati membri della comunità e la sua opinione aveva un certo peso:”Possiamo fare di meglio per quei bambini” Marilla ripetè le parole di Anna, avallandole con le sue.

Anna guardò Marilla e si sedette alla sua destra ed incontrò i suoi occhi con riconoscenza.

Un impeto improvviso di amore e di stima riempì il cuore di Anna.

Lo sapeva che a volte il suo comportamento confondeva Marilla e che certe volte lei si comportava in un modo che non era quello che la donna desiderava e che si aspettava, un modo che qualche volta aveva imbarazzato Marilla.

Come ora, per esempio, quando aveva strigliato a dovere gli amici ed i vicini di Marilla.

Li aveva quasi insultati allo scopo di spingerli ad agire in un modo differente.

Ma Marilla l’aveva appoggiata, come sempre.

“Forse, possiamo far mettere un annuncio per cercare qualche parente. Magari sul giornale di Charlottetown, forse. Me ne occuperò io”

Anna spostò il suo sguardo dall’altra parte della stanza.

Non lo aveva quasi ringraziato con gli occhi, che un’altra voce parlò: “I bambini possono rimanere qui fino a che troviamo qualcun altro. È il minimo che possiamo fare” era stata la signora Barry ad offrirsi di tenere i bambini.

“Ti aiuterò a prenderti cura di loro, mamma” anche Diana era stata lesta ad offrire il suo aiuto.

“Abbiamo bisogno di fare una colletta per l’annuncio sul giornale. Potremmo anche assumere un avvocato o un investigatore. Ci penserò io”

e quelle parole erano uscite dalla bocca del Signor Spurgeon, il padre di Moody.

“Signora Barry, le manderò dei vestiti che sto cucendo per Beth e Kenny. Loro non ne hanno molto bisogno. Credo siano proprio della taglia giusta per Lizzy ed Henry. Ne posso fare degli altri, se dovesse averne bisogno”.

E questa era la signora Hamilton, madre di due bambini della stessa idea di Lizzy ed Henry.

Anne rimase in piedi al centro della stanza, sbalordita da quell’ondata di solidarietà e di generosità che aveva visto scaturire davanti a lei.

Improvvisamente, provò vergogna per sé stessa e per i suoi discorsi sferzanti di pochi istanti prima.

Avonlea era davvero il posto migliore del mondo ed i suoi abitanti erano sicuramente i più generosi.

Doveva solo guardarsi attorno per rendersene conto.

Come amava questa gente, questo posto.

“Ecco, Signora Barry, non so se le possano servire, ma io avrei una mezza dozzina di vasetti di marmellata di pesche che le posso dare. Non ho ancora incontrato un ragazzino che non andasse pazzo per la mia marmellata di pesce” Rachel Lynde aveva fatto la sua offerta con una punta di orgoglio nella sua voce mentre i presenti scoppiarono in una risata che rischiarò completamente l’atmosfera tesa di qualche istante prima.

Rachel Lynde non perdeva mai l’occasione per vantarsi della sua abilità di cuoca.

Mentre I partecipanti alla riunione uscivano dalla stanza, Anna fu sorpresa di constatare che molti di loro le rivolgevano dei sorrisi di approvazione oppure le davano una pacca sul braccio.

Era come se la stessero ringraziando in qualche modo, si rese conto la ragazza con immenso stupore.

Li aveva praticamente insultati con la sua tirata solamente qualche minuto prima ed ora la stavano ringraziando? Solo la Signora Bluitt le era passata accanto sdegnosamente ed ignorandola completamente.

Forse non lo aveva capito, ma forse gli abitanti di Avonlea erano stati più che felici che qualcuno avesse tenuto testa a quella donna senza cuore, la signora Bluitt ed a chiunque avesse appoggiato le sue proposte.

Quando Diana le comparve a fianco, Anne le mormorò un veloce:”Grazie”.

Diana era una ragazza buona e generosa ed Anna era sinceramente sollevata al pensiero che Herny e Lizzy avrebbero ricevuto le sue attenzioni.

Diana si limitò a stringerle la mano ed a ricambiare il sorriso: era sempre felice di poter aiutare la sua amica del cuore.

Anche Gilbert le passò a fianco ed I due scambiarono uno sguardo silenzioso.

Poi Gilbert sorrise e le fece l’occhiolino.

Anna si sentì arrossire ed il rossore partì dal collo fino a fermarsi alle guance.

Distolse lo sguardo da quello dell’uomo di fronte a lei, imbarazzata dalla sua stessa reazione.

Anche Gilbert le aveva espresso la sua approvazione, a suo modo.

Ma il suo occhiolino l’aveva fatta arrossire, e confondere e lei non sapeva proprio il perché.

“posso accompagnarti a casa, Anna” le chiese Gilbert educamente, ma Anna scosse il capo.

Quello che era successo quel pomeriggio era stato troppo per un giorno solo ed Anna sentì il desiderio improvviso di rimanere sola.

Gilbert annuì salutandola e se ne andò mentre Anna si girava verso Marilla che le stava accanto e le disse:”Marilla, devo fare un paio di cose, torno subito”, sapendo che aveva bisogno di starsene per conto suo, che si sentiva scombussolata e tutto questo poco aveva a che fare con il suo strano comportamento. Era abituata a comportarsi in modo strano, niente di nuovo sotto il sole. Ma quello che stava provando era qualcosa di nuovo: quel sentimento strano, quella ansia… come se qualcosa stesse chiedendo di essere liberato.

“Non fare troppo tardi” fu l’unico commento di Marilla, mentre si aggiustava lo scialle attorno alle spalle. Anna annuì ed attese finché nella stanza non ci fu più nessuno.

Poi se ne andò, ma invece di incamminarsi sulla strada che portava al tetto verde, si diresse verso il fitto bosco vicino allo stagno dei Barry.

Una volta nascosta nel fitto bosco, si appoggiò contro un albero ed avvolse le braccia attorno al tronco.

Stava tremando, si rese conto, vagamente sorpresa del fatto di non essere per niente in grado di frenarsi e che, anzi, il suo tremore aumentava sempre di più.

Era qualcosa che aveva a che fare con quello che era accaduto alla riunione, lei lo sapeva.

Oh, tutto era a posto, per il momento ed Henry e Lizzy erano al sicuro.

Ma era l’incognito che la turbava a quel modo: erano due orfani ed avevano davanti a loro un futuro quantomai incerto.

Proprio come un’altra orfana, una ragazzina dai capelli rossi, che era passata attraverso quell’esperienza parecchi anni prima.

Da qualche parte, nel profondo del cuore di Anna, c’era una stanzetta chiusa a chiave che Anna non aveva mai aperto a nessuno.

E questa stanza era stata aperta, proprio quel pomeriggio.

Incapace di reprimere i suoi sentimenti più a lungo, Anna nascose il viso sul tronco dell’albero.

E pianse.

* * * VI è piaciuto?

Emmy vi ringrazia e vi saluta tanto. a presto

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Capitolo 8
*** Pianto e consolazione ***


Gilbert Blythe si addentrò tra gli alberi vicino allo stagno dei Barry e si fermò un momento: aveva sentito uno strano suono.

Il suo cervello tentò di capire di che rumore si trattava, ma era troppo lontano per capire e sembrava un suono soffocato.

Non era però sicuro di che suono fosse.

Anche Anna lo aveva sentito? Forse anche lei aveva udito quello strano rumore e per questo aveva scelto quella direzione?

Non aveva l’intezione di seguire Anna nella foresta: si era limitato tornare sui suoi passi per andare ad avvertire il signor Barry che l’indomani avrebbe lavorato nel suo campo di patate, quando aveva visto che Anna si stava addentrando nel bosco.

Spinto dalla curiosità, l’aveva seguita: per quale ragione si trovava lì, visto che il tetto verde era da tutt’altra parte?

E ora, nascosto tra gli alberi, aveva sentito quello strano suono.

Si inoltrò ulteriormente nella foresta, seguendo il suono, e deciso a scoprire da dove esso provenisse.

Sembrava come… ecco, sembrava quasi che qualcuno stesse piangendo.

No, non poteva essere assolutamente.

Qualcuno che piangeva nel bel mezzo della foresta.

Gilbert scosse il capo.

Passando accanto a parecchi alberi dal tronco spesso, si lasciò guidare dal suo udito.

E poi, rimase impietrito al suolo, sbalordito dalla scena che gli si era parata dinnanzi agli occhi.

Era vero! Qualcuno stava davvero piangendo!

E questo era stato il primo shock.

Ed il secondo fu scoprire che a piangere era Anna Shirley!

Gilbert sbattè gli occhi, ma la visione non scomparve.

Anna Shirley era lì, con il viso nascosto contro il tronco di un grosso acero, le sue mani posate ai lati della testa e stava piangendo.

No, stava singhiozzando, per essere precisi.

Le sue spalle erano scosse dal pianto e nel vederla così, Gilbert sentì una stilettata di dolore stringergli le viscere.

Vederla così addolorata….

Rapido, la raggiunse e si portò proprio dietro di lei.

“Anna! Anna, cosa succede?” le chiese allarmato.

Perché stava piangendo? Era successo qualcosa? Non stava bene?

Al suono di quella voce famigliare, Anna si irrigidì, la schiena si raddrizzò all’improvviso e smise di piangere.

Gilbert.

Cosa stava facendo lì Gilbert, perchè proprio lui tra tutti?

Il pensiero che qualcuno potesse trovarla in quello stato era spaventoso, ma che ad averla vista piangere così – come una bambina, nonostante lei stessa si considerasse una donna cresciuta - fosse stato proprio Gilbert, era mille volte peggio.

“Vai via, Gilbert. Lasciami sola”.

Anche se il suono fu soffocato dal tronco dell’albero, le parole di Anna furono aspre, proprio come lei voleva che fossero.

“Anna!” Gilbert pronunciò il suo nome in tono di sorpresa obiezione. Cosa intendeva dire con quel:”vai via”? Lui non era tipo da lasciare una persona in quello stato, tantomeno un’amica che stava piangendo a quel modo.

Gilbert prese un tono autoritario:”Anna! Cosa è successo?” non era una domanda.

Era un ordine.

“Gilbert, per favore!!” pregò Anna, la voce che cominciava a tremolare e le lacrime che minacciavano di ricominciare a scendere in qualunque momento.

Rendendosi conto che non stava cavando un ragno dal buco, Gilbert mutò l’ordine che aveva dato ad Anna in una supplica:”Allora, fammi andare a chiamare qualcuno.. la signora Barry. Oppure Diana. Anna, per favore, sei così triste, permettimi di chiamare qualcuno”.

“No, non voglio vedere nessuno!” gridò Anna ancora più allarmata: questo avrebbe ulteriormente peggiorato le cose e la notizia dell’umiliazione si sarebbe sparsa ancora di più a quell’affermazione, Gilbert tacque guardando la forma snella di Anna, che gli dava ancora le spalle:”Va bene. Allora suppongo che tu debba accontentarti di me” disse in tono leggero, assolutamente privo di commiserazione.

Anna tirò su col naso rumorosamente.

Gilbert non aveva nessuna intenzione di andarsene.

All’improvviso, con la coda degli occhi notò una macchia bianca vicino alla sua spalla sinistra.

Un fazzoletto.

Gilbert le stava tenendo un fazzoletto.

Anna tirò su con il naso ancora una volta e prese il fazzolettino ben ripiegato.

Un momento per asciugarsi gli occhi ed il naso, poi si girò per incontrare lo sguardo interrogativo di Gilbert.

“Sto benissimo” annunciò la ragazza, sollevando il mento in un gesto di sfida.

A quell’affermazione, Gilbert inarcò dubbioso le sopracciglia mentre Anna cominciava la sua arringa:”Ero solo rimasta un po’ male per quello che è successo là” spiegò agitando vagamente la mano in direzione della casa dei Barry.

“Dai Barry?” Gilbert si girò leggermente per riuscire a vedere la casa attraverso gli alberi. Là? Cosa intendeva, quello che era successo quel giorno nel salotto dei Barry? “Sei rimasta male per quello che hai detto alla Signora Bluitt?” chiese Gilbert tentando di farsi un’idea. “Ma Anna”, protestò “Sono molto orgoglioso di quello che hai fatto. Tutti sono orgogliosi di te. non c’è ragione di preoccuparsi”.

Ma Anna stava già scrollando il capo in un cenno di diniego mentre finiva di asciugarsi gli occhi “No, non mi riferivo a quello” disse lei piano.

Sul viso di Gilbert, si dipinse un’espressione interrogativa:”Allora, cosa è stato?”

Anna tirò un sospirone e guardò Gilbert con uno sguardo franco e sincero:”Ero… ero preoccupata… per Lizzy ed Henry… per l’orfanotrofio” spiegò lei, sentendosi improvvisamente sollevata dopo aver espresso le sue paure ad alta voce.

“Ma loro non vanno all’orfanotrofio” protestò Gilbert.

“Non ancora, forse” disse Anna pragmatica.

A dire il vero, non era ancora stato deciso niente a quel proposito. Lei era solamente riuscita a far guadagnare ancora un po’ di tempo ai due bambini, nella remota speranza di poter riuscire a rintracciare un parente disposto a prendersi cura di loro.

Con un lampo di comprensione negli occhi, Gilbert cominciò a capire.

E pose la domanda cruciale:”E l’orfanotrofio sarebbe…” Gilbert non si preoccupò di terminare la frase.

“Sarebbe la cosa peggiore che potrebbe mai capitare a quei due bambini.”, concluse Anna per lui; la verità nuda e cruda nelle parole pronunciate a fatica.

Ora che I fatti erano stati esposti, Anna continuò in fretta:”Non capiscono, Gil, la Signora Bluitt e gli altri.

Nessuno capisce, neanche Marilla… o Diana… e nemmeno… tu” balbettò lei “Nessuno sa cosa vuol dire vivere in un orfanotrofio”.

Gilbert guardò Anna, pensoso:”Ma tu si, tu sai cosa significa” disse piano.

Anna incontrò gli occhi di Gilbert e nel profondo di quegli occhi, la ragazza lesse qualcosa. Lentamente, annuì:”Si, so cosa vuol dire”.

La piccolo scintilla di illuminazione diventò una luce vivida dentro Gilbert, che chiese:”E com’è vivere in un orfanotrofio?“

A quella domanda, Anna esitò. Era strano, davvero: tutto quel tempo passato ad Avonlea e nessuno le aveva mai fatto una simile domanda. Oh, qualche volta aveva parlato delle esperienze avute da bambina, ma di solito si trattava di aneddoti buffi, ma nessuno le aveva mai domandato senza peli sulla lingua cosa volesse dire vivere in un orfanotrofio. E lei di quei posti ne aveva visti parecchi. Tra tutti gli orfanotrofi e le varie famiglie con le quali aveva vissuto, Anna aveva perso il conto di le volte era stata sballottata qua e là prima di arrivare ad Avonlea.

Benedetta, bella Avonlea, la sua unica vera casa.

Ma Gilbert stava aspettando una risposta. Anna lo sbirciò da sotto le ciglia, cercando di leggere in lui e ben sapendo che non avrebbe sopportato di essere compianta da nessuno, tanto meno da lui.

Non trovando alcun segno di commiserazione in lui, solo gentile curiosità, Anna trovò a stento le parole per rispondere. Non aveva alcun problema nel trovare parole per descrivere un salone di marmo, oppure i meravigliosi, divini lampi della sua immaginazione; aveva però problemi a trovare le parole per rispondere alla semplice domanda di Gilbert.

“E’- freddo – e – solitario – e” pronunciò quelle parole crude parole con voce strozzata “Oh, Gil, ma non capisci?” gemette lei “Sarebbe dieci volte peggio per Lizzy ed Henry. Non ho mai conosciuto la mamma, non ho mai conosciuto Avonlea. Loro invece si! Lasciare questo posto per andare in un orfanotrofio” continuò Anna agitando la mano attorno a sé “Non capisci? La mia infanzia è cominciata solamente ad undici anni. La loro finirebbe a sette e a quattro anni. Non lo posso sopportare, Gil!” gridò lei, ancora una volta prossima alle lacrime.

Improvvisamente, Gil avanzò di un passo verso di lei e appoggiò la mano sul braccio di Anna.

Sapeva che era preoccupata per i bambini, ma le sue parole avevano rivelato molto più che una giustificata preoccupazione nei confronti dei due orfani.

Capì che Anna soffriva per l’infanzia perduta ed ognuna di queste infanzie perdute erano la sua.

Le sue parole così tristi gli avevano fatto venire un desiderio irrefrenabile di consolarla.

Ma la loro era una relazione strana.

Erano amici, si. Ma da parte di lui c’era qualcosa di più.

Quel qualcosa in più non l’avrebbe mai potuto esprimere, da lui ci si aspettavano solo gesti di amicizia.

Così, si limitò ad appoggiare una mano sul braccio di Anna per consolarla ed allo stesso tempo, combatté il bisogno di avvolgerla nel suo abbraccio.

Dopo aver terminato il suo racconto, Anna abbassò gli occhi distogliendo lo sguardo da Gilbert.

Avvertiva la sua mano sul braccio e sapeva che voleva solo rassicurarla e consolarla e, per una volta, il contatto fisico non le dette fastidio.

Gilbert era il suo amico ed era stato un grande sollievo per lei potersi sfogare e riuscire ad esprimere un po’ del turbamento che aveva sempre tenuto nascosto nel suo cuore.

“Mi dispiace, Gil” si scusò Anna “probabilmente starai pensando che mi sto comportando come una bambina”.

“Non penso niente del genere” la contraddisse Gilbert “Io penso che tu sia una persona molto altruista che non vuole che gli nessuno possa passare tutto quello che hai passato tu” Gilbert si interruppe dopo essersi reso conto che l’essersi riferito agli anni infelici che Anna aveva passato prima di arrivare ad Avonlea forse era un esempio troppo personale.

Ma Anna non sembrò farci caso o prendersela “Grazie, Gil” sussurrò con la testa ancora abbassata. Era rassicurante che lui non avesse pensato male di lei dopo la sua scenata, che non pensava fosse una stupida od una bambinetta.

Ad un tratto, si sentì stringere un braccio e sollevò lo sguardo.

“Posso accompagnarti a casa, Anna?” Chiese teneramente Gilbert, sorridendo.

Era la seconda volta, quel giorno, che le poneva quella domanda.

Questa volta Anna gli sorrise di rimando ed annuì.

* * *

Emmy vi saluta e vi ringrazia. in particolare: Luana80

Kwannon

Cowgirl Sara

Kumi

Shana

Scandros

Alex-Kami

Stormy

A presto!!!

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Capitolo 9
*** Buona fortuna, Gilbert! ***


“Ho sentito che Gilbert si è offerto subito come volontario” disse Diana, chinandosi verso Anna. Il suo viso era animato e fornì l’informazione in tono confidenziale “Non appena il Signor Spurgeon ha detto che pensava sarebbe stato meglio che qualcuno fosse andato a Charlottetown per cercare i parenti di Lizzy ed Henry, Gilbert si è alzato subito. Il signor Spurgeon ha poi detto anche che sarebbe stato meglio se qualcuno si fosse presentato di persone, invece di limitarsi a scrivere . Charlie Sloane ha detto a Fred che c’era un sacco di gente disposta ad andare a Charlottetown, ma Gilbert ha battuto tutti sul tempo. Fred ha detto che Charlie gli ha detto che Gilbert è già partito: Moody lo ha accompagnato alla stazione proprio questo pomeriggio”, concluse Diana, con l’espressione soddisfatta di chi è il primo a portare notizie, ma soprattutto QUEL tipo di notizie.

Anna ascoltò Diana con occhi spalancati per la sorpresa.

Le due ragazze erano sedute sul divanetto bianco di vimini, proprio sulla veranda della casa di Orchard Slope.

Anna rimase a bocca aperta, nel tentativo di dare un senso a tutto quello che stava succedendo.

Era passato solamente un giorno da quando aveva raccontato tutto a Gilbert, laggiù nel bosco? La sua triste storia di come si fosse sentita disperata alla sola idea che Lizzy ed Henry sarebbero stati mandati in orfanotrofio?

Ed ora, proprio quando era venuta per fare una visita a Diana ad Orchard Slope, era stata informata dei nuovi sviluppi e che Gilbert era andato a Charlottetown.

“Ma Diana” protestò Anna “Perchè Gilbert è andato a Charlottetown proprio adesso?” chiese incredula.

Gilbert avrebbe dovuto lavorare tutta l’estate alla fattoria di suo padre, ma anche in quelle dei suoi vicini, per poter guadagnare i soldi per il suo mantenimento alla scuola di medicina, durante l’autunno.

Ed il suo improvviso abbandono per andarsene a Charlottetown era certamente sconcertante.

Diana fece spallucce, graziosamente, posando il suo occhio materno sui due bambini che giocavano nel cortile di fronte:”Speriamo riesca a scoprire che Lizzy ed Henry hanno dei parenti disposti ad accoglierli…”

Anna seguì lo sguardo di Diana e guardò I due bambini che giocavano nel cortile, apparentemente spensierati, mentre rimuginava tra sé e sé ed un piccolo sospetto che avanzava piano piano nella sua mente.

Gilbert era andato a Charlottetown a causa sua? A causa di quello che gli aveva raccontato il giorno prima?

No, non poteva essere ed Anna scacciò velocemente questo pensiero dalla mente.

Gilbert era preoccupato per i due bambini tanto quanto lei; era questa la ragione che lo aveva spinto ad offrire subito il suoi aiuto, pensò Anna razionalmente.

Non aveva proprio niente a che fare con lei. tuttavia, la ragazza sapeva che sarebbe stato un sacrificio per lui: lasciar perdere settimane di possibili guadagni solamente per cercare nei registri di Charlottetown per trovare i parenti di due bambini.

Ma lei ci sperava, sperava tanto Gilbert sarebbe riuscito a trovare qualcuno!

“Anna, cosa stai facendo?” chiese Diana, mentre Anna emergeva bruscamente dalle sue elucubrazione per incontrare lo sguardo perplesso di Diana.

Anna arrossì, colta sul fatto: stava inconsapevolmente mormorando una preghiera, una preghiera silenziosa, le sue labbra a mormorare parole senza emettere suono.

“Niente, Diana” mentì Anna “Ora devo andare” annunciò alzandosi in piedi, ma continuando a ripetere la preghiera nella sua mente:

“buona fortuna, Gilbert… buona fortuna…”

* * *

Prima di tutto, volevo chiedere scusa per l’enorme ritardo nell’aggiornamento: sto scrivendo gli ultimi capitoli della mia ff su Harry Potter ed ho avuto un momentaccio a causa del terzultimo capitolo, sul quale ho sudato le proverbiali sette camicie.

Detto ciò, passo a ringraziarvi

Luana80, Kwannon, Shana.

Un saluto speciale ad Alex-kami. Ciao, Alex!

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Capitolo 10
*** Una brava persona ***


Tre settimane più tardi…

“Davvero, non è stato così difficile” Gilbert era in piedi nel salotto dei Barry e stava parlando alle persone ch erano lì con lui.

Di fronte a lui, c’erano il signor e la signora Barry, Marilla ed Anna, ed una coppia di sconosciuti, che Gilbert aveva portato ad Avonlea.

“Quando poi ho trovato la registrazione del matrimonio dei signori Miller, non è stato facile risalire ai testimoni che avevano firmato la licenza: la cugina della signora Miller con il marito che sono qui con noi” disse accennando alla coppia accanto a lui.

La donna era assomigliava straordinariamente alla compianta signora Miller e non c’era alcun dubbio riguardo alla loro parentela.

“Abbiamo perso I contatti con Louisa e Hugh poco il loro matrimonio” spiegò la donna con aria dispiaciuta “Anche noi non ce la siamo passata molto bene, come potete vedere” la donna accennò con un gesto agli abiti brutti e fuori moda che indossava “Per qualche motivo, non siamo riuscite a tenerci in contatto come avremmo dovuto. Sembra che anche Louisa abbia avuto dei momenti difficili e mi dispiace così tanto di non averla potuta aiutare” si scusò la donna, gettando uno sguardo veloce verso il marito, che aveva la sua stessa espressione desolata: in quei brutti periodi che avevano passato, l’unica cosa importante era tirare avanti, per cui era stato semplice perdere i contatti con una lontana parente.

Brutte notizie, certamente, ma era stato meglio riceverle di persona, piuttosto che attraverso una lettera fredda ed impersonale.

“Ma voi ora siete qui, ed è questo che importa” Era stata Anna Shirley a parlare, quasi con espressione gioiosa, guardando le due coppie.

Era soddisfatta di quello che stava vedendo: oh, certo, i due non sembravano molto ricchi ed i loro abiti lo dimostravano chiaramente.

Ma Anna non giudicava dalle apparenze, per lei le cose materiali non erano poi così importanti.

Quello di cui Lizzy ed Herny avevano bisogno era una famiglia affettuosa ed Anna era entusiasta della prospettiva: la donna non era molto alta ed il suo viso portava qualche traccia della vita dura che aveva passato, ma i suoi occhi erano gentili. L’uomo non era molto più alto della moglie, un po’ più in carne, zoppicava un po’ e camminava con l’aiuto di un bastone.

Entrambi si trattavano con rispetto e quieta dignità, ma questo non impediva loro di dimostrare calore ed cordialità. Si, quella coppia le piaceva, decise Anna guardando Gilbert con uno sguardo di apprezzamento, uno sguardo che dimostrava tutta la sua gratitudine per quello che lui aveva fatto.

Gilbert incontrò lo sguardo di Anna con un sopracciglio inarcato, sorpreso di esser il destinatario di un tale sguardo. C’era qualcosa nello sguardo di Anna, qualcosa che lui non aveva mai visto: il modo in cui i suoi occhi si erano addolciti quando si erano posati su di lui e il modo in cui era quasi arrossita quando lo aveva guardato, lo scosse profondamente.

Sapeva che era andato a Charlottetown in parte a causa di Anna e di quello che gli aveva raccontato quel giorno nella foresta. Come tutti, era preoccupato per i due bambini, ma quando il Signor Spurgeon aveva chiesto un volontario per andare a CHarlottetown per tentare di trovare dei parenti, il suo primo pensiero era stato Anna e cosa avrebbe potuto fare per essere d’aiuto.

Era molto contento che il suo viaggio si fosse dimostrato utile. Non credeva sarebbe stato in grado di reggere la delusione di Anna, nel caso fosse tornato con brutte notizie. Anche se poi aveva perso tre settimane di guadagni che lo avrebbero aiutato alla scuola di medicina, l’espressione che aveva visto sul viso di Anna, lo aveva convinto che ne era valsa la pena.

“Ah, ecco che arriva Diana con I bambini” annunciò la signora Barry, guardando la porta dall’altra parte della stanza.

Tutti si girarono a guardare, Hannah e Silus Hunt compresi.

Hannah, nel vedere i due bambini biondi entrare nella stanza, trattenne il fiato ed i suoi occhi si velarono.

Nel vedere la donna, gli occhi del piccolo Herny si animarono improvvisamente:”Mamma!” gridò felice mentre correva verso Hannah, poi allacciò le braccine attorno alle gambe della donna e strinse forte.

Nell’assistere a quella scena, tutti rimasero di stucco.

Hannah Hunt, così come tutti gli altri, rimase impietrita, a bocca aperta perl’orrore mentre si rendeva conto della situazione: il piccolo Henry Miller l’aveva scambiata per sua madre. certo, le due donne si assomigliavano moltissimo tra di loro, ma gli adulti avevano percepito la differenza. Per un bambino non era la stessa cosa: il concetto di morte non era stato ancora compreso a fondo e l’unico pensiero di Henry fu che la sua mamma della quale aveva sentito la mancanza, era tornata all’improvviso.

Mentre gli adulti restavano scioccati ed incapaci di reagire, Lizzy, la piccola Lizzy Miller, che sembrava dimostrava più dei suoi sette anni ed improvvisamente più matura, prese in mano le redini della situazione: “No, Henry” disse, avvicinandosi al fratellino e facendolo staccare gentilmente dalle gambe di quella signora “Non è la mamma: la mamma è andata in paradise” spiegò Lizzy con tutta la sua onniscienza dei suoi sette anni.

La fiducia che il bambino riponeva nella sorellina era incrollabile, perciò Henry lasciò andare la donna, anche se il suo visetto era atteggiato ad un’espressione confusa e delusa.

Lizzy, protettiva, passò un braccio attorno alle sue spalle mentre rimanevano silenziosi in attesa che gli adulti facessero o dicessero qualcosa.

Ritrovato il contegno, Hannah Hunt si accovacciò davanti I due bambini e li guardò entrambi negli occhi:”Tua sorella ha ragione” disse poi, rivolgendosi ad Henry :”Io non sono la tua mamma. Io mi chiamo Hannah Hunt e la tua mamma era mia cugina” spiegò la donna.

Le espressioni sui visi dei due bambini denotavano ancora confusione, per cui Hannah cambiò strategia:”Ecco! Ho una foto di vostra madre. vi piacerebbe vederla?”

Senza attendere risposta, Hannah portò le mani alla tasca, mentre Lizzy ed Henry facevano un lieve cenno di assenso. Tra le sue mani comparve un dagherrotipo sbiadito, Hannah lo girò e lo mostrò ai bambini.

“Ecco” disse indicando l’immagine di una giovane donna vestita di un abito da giorno bianco in stile vittoriano, tutto pizzi e nastri. I suo viso giovane e felice messo in evidenza da quell’immagine “E’ la vostra mamma quando aveva più o meno 19 anni. E questa sono io” disse indicando l’altra ragazza della foto, un altro viso che rispecchiava lo stesso giovane ottimismo della prima:”Sono io vicino a lei, quando avevo 17 anni”.

Lizzy ed Henry guardarono la foto con interesse. Anche se non erano in grado di riconoscere la loro mamma in quella ragazza giovane, avevano perfettamente capito che Hannah Hunt era legata loro madre.

Era legata anche a loro, allora.

“E’ stata la mamma a mandarti qui” chiese Lizzy, guardando la donna per rivolgerle quella domanda innocente. Lizzy sapeva che la mamma era in paradiso e che non sarebbe tornata. Ma non era molto certa di aver capito cosa fosse esattamente il paradiso.

“Beh, non direttamente” rispose Hannah piano, soppesando le parole “Ma penso che…” si interruppe guardando Gilbert Blythe, il giovanotto che aveva combinato l’incontro “Penso che lei abbia dato una mano” Hannah sorrise al significato dei ciò che avevano appena detto. Si, forse al buon Dio non sarebbe dispiaciuta la sua affermazione: era certa che il ragazzo che si era preso la briga di cercarli e di portarli ad Avonlea, fosse stato mandato dal cielo.

“Lizzy, Henry, perché non facciamo vedere alla signora Hunt i biscotti che abbiamo preparato questo pomeriggio” esordì Diana con quell’allegra proposta. Immediatamente i bambini si illuminarono, fieri e tirarono Hannah Hunt per le braccia, Lizzy da una parte ed Henry dall’altra.

Ridendo, Hannah Hunt, si alzò in piedi e si lasciò trascinare dai due bambini. Diana, i suoi genitori e Marilla, si unirono all’allegra brigata.

Silus Hunt rimase silenzioso ed immobile mentre osservava sua moglie che lasciava la stanza assieme ai bambini. La contentezza di sua moglie, l’ombra di un lieve rossore che le illuminava il viso erano segnali impossibili da fraintendere. Silus sentì una stilettata di dolore pungergli il cuore.

Hannah aveva sempre adorato i bambini e loro ricambiavano il suo amore. Anche se erano figli di altre persone: Hannah e Silus non potevano averne e questo aveva ulteriormente peggiorato le cose, pensò l’uomo con lo sguardo ancora sulla porta attraverso la quale erano passati sua moglie ed i due bambini.

“Farei qualsiasi cosa per lei”.

“Cosa?” la domanda fu posta da Gilbert Blythe, mentre sia lui che Anna Shirley – gli unici ad essere rimasti nella stanza assieme ad Hunt – si giravano a guardarlo.

Silus Hunt si riscosse dai suoi pensieri, imbarazzato nel rendersi conto che aveva pensato a voce alta.

“Mi spiace, io…” esordì, poi decise che era ora di mettere le cose in chiaro “Hannah ci teneva così tanto a venire qui a vedere i bambini. Non ho potuto dire no, non ho potuto negarglielo. Farei qualsiasi cosa per lei” ripetè. “Ma questo rende le cose più difficili” disse sconsolato. Nel vedere gli sguardi perplessi di Anna e Gilbert, Silus spiegò:”Non possiamo prendere i bambini. Non ce lo possiamo permettere.”

“Ma… ma… “ obbiettò Anna, protestando allarmata. Cosa voleva dire che non potevano prendere i bambini? Stava andando tutto così bene, era così contenta di loro due, ed ora… questo.

Silus Hunt scosse la testa, desolato “Probabilmente, avete notato che non ce la stiamo passando bene” disse, riferendosi eufemisticamente alla loro situazione finanziaria. “Ho sempre avuto problemi nel trovare lavori fissi, con la gamba messa così” spiegò battendo il bastone sul pavimento e facendo riferimento all’incidente sul lavoro che aveva influenzato le sue possibilità di impiego durante gli ultimi anni.

Improvvisamente, gli occhi di Silus guardarono in quelli di Gilbert, con aria di sfida:”Le chiedo, Signor Blythe, da uomo a uomo. Lei condannerebbe volontariamente sua moglie ed i suoi figli ad una vita di stenti?” Lo farebbe sapendo bene di non essere in grado di mantenerli in maniera adeguata?” chiese lui, l’orgoglio nella sua voce, nonostante stesse ammettendo le sue debolezze in pubblico.

La domanda, posta da uomo ad uomo, e Gilbert scosse il capo:”No, signore, non lo farei” era una cosa tra uomini.

Un codice d’onore non scritto.

Anna sentì tutte le sue speranze dissolversi: era come se qualcosa che aveva tanto disperatamente agognato si fosse rotto e lottò contro il dolore improvviso che sentì crescere dentro di lei.

“Signor Hunt, volevo parlarle di una certa cosa più tardi, ma sembra che ora sia il momento più adatto” disse Gilbert, mentre Anna e Silus lo guardavano con aria interrogativa.

Gibert tirò fuori un foglietto dal taschino della camicia:”Quando ci siamo parlati a Charlottetown, lei mi ha detto che prima dell’incidente che l’ha… ecco, ha lavorato all’ufficio postale” Gilbert fece una pausa, poi continuò:”Mi sono preso la libertà di telegrafare per chiedere un lavoro qui alla posta di Avonlea. Gilbert tese il foglietto verso il signor Hunt.”Se è d’accordo, i consiglieri della città vorrebbero offrirle il posto di responsabile”.

Attonito, a bocca aperta dalla sorpresa, Silus Hunt si limitò a guardare Gilbert, incapace di rendersi conto di quell’offerta inaspettata.

“C’è un appartamentino proprio sopra l’ufficio postale, abbastanza grande per lei, sua moglie ed I bambini. Niente di lussuoso, però!” avvertì Gilbert.”Ma dovrebbe essere abbastanza per ricominciare”.

Silus Hunt scosse il capo, cercando di chiarirsi le idee. Si sentiva come una persona in procinto di annegare alla quale veniva offerta la salvezza:”Signor Blythe… Io… io… non so proprio cosa dire, è incredibile!” esclamò meravigliato.

Gilbert sorrise:”Devo prenderlo come un sì?” chiese.

Silus Hunt si erse in tutta la sua altezza, la sua postura più fiera di quella di pochi istanti prima.

Lentamente, porse la mano a Gilbert che, sorridendo, la strinse.

“Signor Blyte, lei è una brava persona e sono fiero di averla incontrata” disse Silus Hunt.

Gli occhi pieni di lacrime di ammirazione per lo spettacolo che si svolgeva davanti a lei, Anna pensò che non poteva essere più d’accordo.

* * *

Allora, che ne dite? Vi è piaciuto? Vero che Emmy è stata brava?

Grazie a Kwannon e Luana80... per le recensioni ed anche le proteste... ehehehehehe

buona giornata a tutti! spero che leggere questo capitolo vi abbia messo di buon umore. se volete farvi qualche risata, andate a leggere la mia ff La Rivolta delle Racchie, sezione originali - commedia.

baci

Nisi Corvonero

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Capitolo 11
*** Una gentilezza ricambiata ***


“Ecco, tutto è bene quell che finisce bene” disse Gilbert mentre passeggiava lungo il sentiero assieme ad Anna.

“Si, ma solo grazie a te, Gilbert” ammise Anna, nella sua voce l’implicito complimento per gli sforzi da lui compiuti per trovare una nuova casa a Lizzy ed Henry.

Un ramo carico di foglie impediva il passaggio alla ragazza, per cui Gilbert, lo spostò e lo trattenne affinché Anna potesse passare. Le sue guance si imporporarono.

Era sempre così premuroso, pensò lei mentre passava avanti.

Pensava sempre agli altri, anche nelle cose più semplici come lo spostare un ramo per farla passare mentre la stava accompagnando a casa.

Senza parlare di quello che aveva fatto per Lizzy ed Henry e per gli Hunt.

“Ma è stata una tua idea, Anna” Gilbert ricambiò il complimento, mentre i suoi lunghi passi lo riportavano a fianco di Anna ancora una volta. “Sei stata tu a fare partire tutto” disse, ricordandosi di come Anna aveva parlato in difesa dei bambini nel salotto dei Barry Anna sorrise:”Ah, allora funziona così? allora in questa squadra, io sono la mente e tu il braccio!” disse Anna scherzosamente mentre continuavano a camminare l’una di fianco all’altro.

Gilbert prese un’espressione pensosa:”Siamo una squadra, Anna?” chiese lui lentamente, assaporando la parola con improvvisa serietà nella sua voce mentre guardava il sentiero davanti a sé.

Nel sentirsi rivolgere quella domanda, Anna sussultò, agitata dall’involontaria implicazione contenuta nelle sue stesse parole.

“Oh, guarda! stanno fiorendo le roselline selvatiche!” esclamò guardando verso un grosso cespuglio coperto di boccioli di colore rosa e cambiando decisamente discorso.

La manovra di Anna non gli sfuggì. Gilbert seguì lo sguardo di Anna e rispose piano:”Si, è vero, stanno fiorendo”.

Mentre proseguivano il loro cammino, I due rimasero in silenzio, ognuno di loro perso nei suoi pensieri fino a che Anna notò che stavano arrivando al “Posto”.

Il “Posto” era il nome molto poco romantico che Anna aveva dato al luogo dove Gilbert, mesi addietro, le aveva chiesto di sposarlo. Ogni volta che Anna passava di lì, si sentiva in imbarazzo e quel giorno non faceva eccezione.

Ma era stato impossibile evitare quel luogo dato che esso si trovava a metà strada tra il Tetto Verde e qualsiasi altro posto.

Inconsapevolmente, Anna accelerò l’andatura, affrettandosi oltre al luogo in cui era avvenuta quella spiacevole conversazione e, di conseguenza, costringendo Gilbert ad allungare il passo per raggiungerla.

Una volta passati oltre ed aver lasciato alle spalle quel ricordo, Anna sbirciò Gilbert con la coda dell’occhio:”Domani sarai a lavorare al campo del signor Barry, vero Gilbert?”

“Si, certo” rispose Gilbert, un po’ sorpreso da quella domanda. di certo, i suoi propositi lavorativi per quell’estate, non erano un argomento di conversazione molto interessante.

Gilbert aveva lavorato alla fattoria di suo padre, ma anche in altre fattorie nei dintorni per cercare di guadagnare qualcosa per pagare le spese scolastiche dell’autunno successivo. Al momento, stava anche lavorando di più per recuperare i guadagni persi quando era andato a Charlottetown.

“Allora… allora, ti porti il pranzo da casa, vero Gilbert?” chiese Anna facendo la gnorri “Quando lavori, voglio dire” spiegò lei, imbarazzata dalla sua stessa domanda, ma comunque decisa a fare le cose fino in fondo.

Perplesso dale strane domande, e chiedendosi dove volesse arrivare Anna, Gilbert rispose:”Si, mi porto dietro il pranzo”.

“Ma se lavori nel campo di patate del signor Barry, allora non c’è un ruscello nelle vicinanze” osservò Anna.

“No, nessun ruscello” rispose Gilbert completamente spiazzato.

“Allora, non c’è neanche un posto per tenere in fresco le tue bottiglie” osservò Anna con aria leggera, riferendosi a quella vecchia usanza di tenere in fresco le bottiglie in un corso d’acqua, come facevano gli operai e gli studenti.

Gilbert si fermè e si voltè verso Anna. Ma cosa voleva dire, con tutte quelle domande?”No, non c’è nessun posto per tenere la roba in fresco” disse Gilbert.

Anche Anna si era fermata. Aveva dovuto, perché non poteva continuare a camminare visto che Gilbert si era fermato.

Riluttante, Anna si girò verso di lui ed incontrò il suo sguardo interrogativo, ed un momento dopo abbassò gli occhi. Per qualche ragione, gli avvenimenti degli ultimi minuti l’avevano resa molto nervosa, ma Anna era determinata a procedere.

“Ecco, Gilbert” esordì Anna a mo’ di spiegazione, il suo sguardo puntato sulla punta dello stivale di lui “Beh, ecco, io ho pensato che forse, se vuoi, potrei portarti il pranzo dal Tetto Verde. Non è lontano, sai, dal campo del Signor Barry e non sarebbe un disturbo, per me. Di solito, scrivo durante la mattinata e faccio comunque una pausa verso mezzogiorno…” Anna lasciò in sospeso la sua proposta.

Mio Dio, spero di non essere stata inappropriata o troppo diretta, pensò la ragazza. Lei voleva soltanto ringraziare GIlbert, mostrargli la sua gratitudine per tutto quello che aveva fatto di recente.

D’altronde, gli amici si aiutano, ed Anna si era resa conto che non aveva mai fatto niente per Gilbert.

Anna attendeva, ma la sua proposta fu accolta con un silenzio. Alzò lo sguardo, la disperazione nei suoi occhi:”Ma se… se tu non vuoi…” si schernì lei ed il suo viso esprimeva tutta la delusione riguardo al rifiuto che pensava di aver ottenuto.

Era mortificata, mortificata di aver parlato. Ma perché non aveva tenuto la bocca chiusa?

Gilbert si costrinse a superare lo stupore ed a rispondere:”Si, cioè, no..” si affrettò a rispondere, confondendo le parole. Ma davvero Anna voleva portargli il pranzo? La prospettiva lo aveva mandato in estasi, era solo per quello che non era riuscito subito a replicare, solo perché era tanto sorpreso. “Sarebbe fantastico, Anna” proseguì “Portare qualcosa con me è complicato… e sono felice di accettare la tua offerta”.

Anna sospirò di sollievo:”Bene, allora siamo d’accordo” sorrise Anna. ora che la cosa era stata sistemata, sollevò lo sguardo per incontrare gli occhi di Gilbert.

Gilbert le sorrise di rimando e per un attimo rimasero a guardarsi, senza disagio, né imbarazzo:”Devo andare, Gilbert” disse Anna. “Marilla mi starà aspettando. ci vediamo domani, verso mezzogiorno?”

“A domain, Anna” sorrise Gilbert mentre la guardava voltarsi, sollevare le gonne ed avviarsi verso il Tetto Verde. Gilbert stette a guardarla fino a che scomparve dalla sua vista e poi, a sua volta, si avviò verso casa.

Se qualcuno l’avesse visto in quel momento, sarebbe stato sorpreso di notare un simile sorriso dipinto sul suo viso.

e se Gilbert avesse spiegato la ragione di quel sorriso così radioso, quel qualcuno sarebbe rimasto ancora più sorpreso.

Perché il sorriso che portava stampato in faccia Gilbert era lo specchio di quello nel suo cuore.

* * *

Scussate il ritardo. Qui tra Harry Potter, racchie e donne arrabbiate, non ce la si fa più.

Volevo segnalarvi che anche un'altra autrice si sta cimentando con il fandom di Anna dai capelli rossi:

si tratta di Kirby, andate a leggere anche le sue storie, mi sembra che stia facendo un buon lavoro.

Spero che il capitolo vi sia piaciuto.

un grazie a:

Shana

Kwannon

Scandros

Luana80.

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Capitolo 12
*** Picnic & Confidenze ***


“Penso siano stati cinque orfanotrofi e quattro famiglie” stava dicendo Anna, il viso accigliato mentre cercava di ricordare il numero esatto dei posti nei quali aveva vissuto prima di arrivare ad Avonlea.

Stava seduta per terra, al riparo delle fronde di un grosso acero; le sue ginocchia erano piegate e circondate dalle sue braccia. “Ma forse erano quattro orfanotrofi e cinque famiglie”, si corresse poi, inclinando la testa da un lato, mentre cercava di raccapezzarsi con i suoi ricordi. “Non mi ricordo di preciso” disse lentamente. “Forse ci sono stati altri posti dei quali non mi ricordo più” disse girandosi verso Gilbert.

Gilbert incontrò lo sguardo di Anna, tentando di rimanere impassibile. Anche lui era seduto sotto all’acero. La sua schiena era appoggiata sul grosso tronco e le sue gambe erano allungate con noncuranza dinnanzi a lui. Aveva in grembo una tovaglietta da picnic ed appoggiata al suo fianco c’era una bottiglia vuota.

Stava ascoltando il racconto di Anna. Lui e lei stavano facendo il solito picnic di mezzogiorno al campo dei Barry.

Quel giorno, come altri del resto, Anna gli stava raccontando i ricordi della sua infanzia.

Nonostante la maggior parte delle storie non fosse allegra (Anna aveva vissuto gran parte della sua infanzia in vari orfanotrofi), Gilbert si preoccupava sempre di rimanere impassibile, indipendentemente dalla storia che Anna gli stava raccontando. In qualche modo Gilbert sentiva che Anna voleva, anzi, aveva bisogno, di raccontare del suo passato e la cosa migliore che potesse fare era ascoltare i suoi racconti senza giudicare.

I loro picnic assieme erano iniziati in maniera piuttosto informale: dapprima c’era stata l’offerta di Anna di portargli il pranzo. In realtà, lei voleva solamente lasciarli il cestino, ma poi Gilbert l’aveva invitata a fargli compagnia mentre mangiava, per cui lei era rimasta.

Ora era diventata un’abitudine: si sedevano al fresco di un grosso albero mentre si dividevano il pranzo. Qualche volta Anna pranzava con lui, ma a volte si limitava a tenergli compagnia.

Il cestino di vimini che Anna aveva portato con sé conteneva le delizie preparate nella cucina del tetto verde.

Anna si preoccupava sempre di portare con sé una bibita fresca: Gilbert lavorava nei campi, per cui doveva essere di certo assetato e quando Marilla preparava il suo famoso dolce di prugne, Anna ne prendeva sempre un poco da offrire a Gilbert, che ne andava matto.

Aveva anche notato che a Gilbert era piaciuto particolarmente il suo pollo fritto, per cui Anna cercava di prepararglielo spesso. Di solito, il menu era composto da insalata di patate, tramezzini e tutta una serie di piatti appetitosi. Anna godeva particolarmente nel scegliere tutti i bocconcini che sapeva avrebbero stuzzicato il suo appetito.

Quando nella cucina del tetto verde tutto era pronto, Anna si appendeva il cestino al braccio e si dirigeva verso Orchard Slope e verso il campo di patate nel quale Gilbert stava lavorando.

Un campo di patate non era certo un posto romantico, di certo niente a che vedere con un pranzo al White Sands o in qualche altro albergo con i corridoi di marmo del quale Anna aveva letto in qualche libro o che aveva costruito nella sua mente.

Ma non c’era proprio niente di romantico in quei picnic, ricordò Anna a sé stessa: stava solo dando una mano ad un amico, un amico che le aveva fatto tante gentilezze che lei ora stava cercando di ricambiare in qualche modo.

Eppure, in qualche angolo della sua mente, Anna pensava che ancora una volta, era lui ad aiutarla: infatti dopo ogni incontro Anna pensava meravigliata a quanto si sentiva più leggera, come se un peso le fosse stato sollevato dalle spalle.

Anna capì il perché solo dopo parecchi picnic: giorno dopo giorno, Anna aveva cominciato ad aprirsi, a raccontare quello che le era successo da bambina, prima che arrivasse ad Avonlea. Storie che non aveva mai raccontato a nessuno e che aveva tenuto al sicuro nel suo cuore per tanto tempo.

Tutto era cominciato quel giorno nella foresta, quando gli aveva confidato la sua paura che Henry e Lizzy fossero mandati in orfanotrofio. Lui le aveva chiesto come fosse stare in un orfanotrofio. Era la prima volta che qualcuno le poneva una simile domanda ed Anna aveva scoperto di sentirsi sollevata a poterne parlare. Anna non era stupita di ciò. Quello che la stupiva maggiormente era il fatto che si sentisse così a suo agio nell’aprirsi a Gilbert.

Anna non aveva mai raccontato niente né a Marilla, né a Matthew. Dopo tutto, erano stati loro due a salvarla dagli orfanotrofi, ma Anna rispettava la mentalità pratica con la quale Marilla affrontava la vita: per la donna non aveva senso rivangare il passato, quello che era stato era stato ed era inutile piangere sul latte versato.

Per quanto riguardava Diana, la sua amica del cuore, sarebbe stata sconvolta nel sentirle raccontare tutto quello che le era accaduto. Una volta ci aveva anche provato, ma l’espressione devastata di Diana le aveva impedito di continuare il suo racconto.

Per cui, l’unico che rimaneva era Gilbert. Lui non l’aveva mai salvata da una vita infelice, ma non era neanche rimasto sconvolto dai suoi racconti. Si limitava ad ascoltarla e ciò era tutto quello di cui Anna aveva bisogno.

E quel giorno, uno dei tanti giovedì senza niente di speciale, tranne l’azzurro del cielo, Anna stava ancora raccontando.

“Poi, in ogni famiglia nelle quali ho vissuto, sembrava che il padre fosse sempre dedito al bere. Non so perché” si domandò Anna ad alta voce. “Non penso che all’orfanotrofio facessero apposta, ma forse erano queste famiglie a cercare un bambino da tenere a casa. I bambini dell’orfanotrofio sono sempre dei gran lavoratori e le famiglie ricevevano dei soldi per tenerci da loro. Per cui era forse per l’incentivo. Una famiglia con il padre che beve credo abbia sempre bisogno di soldi” Anna annuì, compiaciuta dall‘acutezza del proprio ragionamento. “Io credo, Gilbert Blythe, che un ubriacone non sia utile né a sé stesso, né agli altri” concluse in un tono che ricordava molto da vicino quello di Marilla.

Anna era molto brava a raccontare e fece una pausa prima di riprendere:”Certe famiglie erano peggiori di altre. I Parker, per esempio. Il signor Parker aveva la sbronza cattiva. Bicchieri rotti e facce peste. Se la prendeva con qualsiasi cosa o chiunque incontrasse sulla sua strada mentre era sbronzo… ed era uno che non aveva pazienza, ti posso dire questo”.

“E tu, Anna?” la interruppe Gilbert.

“Io cosa?” Anna guardò Gilbert.

“Ti sei mai trovata sulla sua strada?” chiese Gilbert usando lo stesso eufemismo.

Anna fece spallucce, sembrando disinvolta:”Certo, tante volte, soprattutto all’inizio. Ma poi ho imparato a girare al largo” rispose Anna e fece una pausa. “Beh, la maggior parte delle volte ci riuscivo” si corresse mentre Gilbert alle sue parole, inghiottì amaro ed il suo proposito di rimanere impassibile cominciava a vacillare pericolosamente.

“Poi, dopo un anno, i Parkers se ne sono andati ad Halifax per andare a stare dalla sorella della signora e sono tornata all’orfanotrofio. Mi è spiaciuto lasciarli” disse Anna.

“Come, ti è dispiaciuto?” Gilbert era sbalordito. Le era spiaciuto lasciare una famiglia dove, a quanto sembrava, il padre ubriacone picchiava moglie e figli e forse anche Anna e più di una volta.

“Ma certo, Gilbert” disse Anna, come se stesse constatando l’ovvio. “L’orfanotrofio era sempre peggiore di qualsiasi famiglia”.

“Ma come è possibile, Anna?” chiese Gilbert, cercando di capire in che modo l’orfanotrofio potesse essere peggio di quello che gli aveva appena raccontato.

“Perché…” Anna si interruppe, cercando il modo migliore per spiegare il suo pensiero. “Nell’orfanotrofio sono sempre stata invisibile” concluse lei, in un tono che faceva ben capire che questa era stata per lei la croce più difficile da portare, peggio di qualsiasi famiglia disastrata.

"Invisibile?" domandò Gilbert, sorpreso dalla strana risposta di Anna.

Anna annuì. Si, si era sempre lamentata dei suoi capelli rossi che si vedevano a metri di distanza, ma era un’altra questione: quando all’orfanotrofio arrivavano le famiglie per scegliere un bambino, i suoi capelli rossi e la figura scarna le impedivano sempre di essere scelta.

Essere invisibile.

Un’altra cosa ancora.

Anna frugò nella sua mente ed estrasse dai suoi ricordi una storia che oitesse aiutare Gilbert a capire.

“Una volta, ci portarono fuori, al parco. Devi capire, Gilbert, che questo succedeva molto raramente”. Anna sottolineò l’importanza di quel fatto. “Per lo più, giocavamo nel cortile dietro all’orfanotrofio, ma questa era un’uscita speciale, che facevamo solamente una volta all’anno. Ci hanno portato con i carri perché il parco era lontano dall’orfanotrofio. Era una bellissima giornata e noi bambini abbiamo potuto giocare in uno spazio aperto. Mi sono sempre piaciuti gli alberi ed i fiori…” Anna si interruppe ed agitò la mano davanti a sé, i suoi occhi fattisi più dolci a quel ricordo. “Beh, lo sai come sono fatta: avevo la testa fra le nuvole, il tempo passava e non so come, ma all’improvviso mi sono accorta di essere rimasta sola, Gil. Tutti gli altri se ne erano andati. Forse sono anche venuti venuti a chiamarmi, ma non li ho sentiti, oppure non me ne sono accorta” riflettè Anna ad alta voce confessando questo altro suo difetto, quello di non accorgersi di niente quando era presa da qualcosa. “Dapprima, ho aspettato. Ho pensato che quando si fossero accorti che non c’ero, sarebbero venuti a cercarmi. Ho aspettato tanto, ma non è venuto nessuno”. Disse Anna, la voce più bassa, una inconfondibile traccia di dolore nelle sue parole:”Così, dopo un po’, ho cominciato a camminare sperando di ritrovare la strada. Ma ci avevano portato con il carro e si trattava di un lungo cammino. Dopo tanto tempo, quando era già buio da un pezzo, ho ritrovato la strada. Non sono mai stata più sollevata in vita mia. Ho cominciato a bussare ed ad aspettare che mi venissero ad aprire, ma avevano già chiuso tutto per la notte”.

Anna incontrò ancora lo sguardo di Gilbert, inconsciamente implorando la sua comprensione.

“Capisci, Gil? Nessuno si era accorto che io non c’ero. Ero invisibile e nessun bambino vuole esserlo” Anna scosse il capo, mentre rimarcava quella verità “Quando la direttrice seppe cosa era successo, si arrabbiò moltissimo con me e mi mandò a letto senza cena. Non era contenta che fossi rientrata sana e salva, no, si arrabbiò perché il mio vestito era bagnato fradicio” Anna raccontò a bassa voce, guardando in basso mentre strappava dei fili d’erba dal terreno.

“Avevi il vestito bagnato?” ripetè Gilbert, rattristato dalla sua storia, ma confuso da quel dettaglio. Si chiese se non si fosse perso qualche parte della storia.”Ma come è successo?”

“Aveva cominciato a piovere mentre ancora stavo fuori” rispose Anna che continuava imperterrita a strappare fili d’erba. “Sai, un temporale” puntualizzò poi.

Gilbert trasalì, e, nonostante i suoi sforzi, apparve turbato:”Quanti anni avevi, quanti anni avevi quando è successo?” chiese, quasi pretendendo una risposta.

Anna fece spallucce: non so, ero molto giovane, credo cinque o sei anni” rispose.

Gilbert tacque per un attimo, per comprendere il significato profondo di quello che aveva detto Anna.

Una bambina, persa nel temporale, lasciata completamente sola a ritrovare la strada di casa.

Doveva essere stata terrorizzata. Nonostante Anna non lo avesse accennato, Gilbert capì cosa doveva aver provato in quel momento.

Era una storia così triste da spezzare il cuore, soprattutto perché tutto ciò era accaduto ad Anna, la sua Anna.

Poi, improvvisamente, Gilbert si ricordò del giorno in cui erano cosi in casa, in occasione della festa in giardino a casa di Ruby. Aveva notato quanto fosse spaventata, si capiva da come Anna stava tremando che il temporale le faceva molta paura, ma quel giorno Gilbert non ne aveva capita la ragione.

Con una stretta al cuore, Gilbert realizzò che ora era tutto chiaro.

“Vedi perché ti dicevo che stare all’orfanotrofio è peggio che stare con una famiglia?” conluse Anna. “Sebbene…” Anna aggrottò le sopracciglia nel ricordare. “C’è stata una volta in cui mi sono sentita invisibile anche se stavo con una famiglia” ammise.

“Cosa è successo?”

Anna arrossì nel rendersi conto che i racconti della sua infanzia avevano monopolizzato la conversazione fino a quel momento. “Gilbert, sei sicuro di voler ascoltare?” domandò.

“Certo, Anna” Gilbert mostrando un educato interesse.

Le storie di Anna gli stavano spezzando il cuore, ma sentiva che Anna aveva bisogno di raccontare, per cui mise da parte i suoi sentimenti e la incoraggiò a continuare.

“Beh, non è così importante, davvero” incominciò Anna. “E’ stato quando vivevo con i Thompson, cioè dopo i Parker e prima degli Hammonds,” Anna si preoccupò di specificare quando tutto quello che stava per raccontare fosse avvenuto.

“Mancava poco a Natale ed avevo visto un giocattolo di legno nella vetrina di un negozio. Era lo schiaccianoci, sai quello del balletto. Lo conosci?” chiese Anna. Nel vedere il cenno di assenso da parte di Gilbert, Anna proseguì, “ovviamente, all’epoca non sapevo che fosse il personaggio di un balletto, so solo che quell’omino rosso mi piaceva tanto e qualcosa in lui aveva colpito la mia immaginazione. Per cui raccontai alla signora Thompson quanto quel giocattolo mi piacesse. Sai, giusto per precauzione, in caso volesse sapere cosa mi sarebbe piaciuto per Natale” La voce di Anna si spezzò.

“Ma non te lo hanno regalato” Gilbert affermò con sicurezza, domandandosi dove volesse arrivare Anna con il suo racconto.

Anna scosse il capo:“No. Ma non è questo il punto, Gil” cercò di spiegare Anna.

“Il fatto è che nessuno mi regalò niente. Tutti i bambini avevano ricevuto qualcosa per Natale, tranne me. Ero tornata invisibile, Gilbert, proprio come all’orfanotrofio. Non ero una di loro, ero la servetta. Dopo quel fatto, ho imparato a non desiderare cose normali, di tutti i giorni. Se desideravo qualcosa, era sempre fuori dalla mia portata ed impossibile da raggiungere. Era più semplice. E’ più semplice desiderare qualcosa che sai in partenza che non puoi avere, invece di qualcosa di possibile con il rischio di rimanere deluso”.

Gilbert ascoltò l’ultima confidenza di Anna.

Ora tante cose che si era domandato su di lei, trovavano una risposta.

Quell’immaginazione così vivida che aveva fin dalla più tenera età, non era che un modo per sopportare la sua vita infelice.

“E’ per questo che sono così grata verso Matthew e Marilla, per tutto quello che hanno fatto per me. Il mio primo, vero Natale l’ho passato assieme a loro. I miei primi regali” Anna sorrise a quel ricordo felice, pensando al vestito con le maniche a sbuffo che le aveva regalato Matthew.

“La tua infanzia è cominciata solo quando sei arrivata qui ad Avonlea” osservò Gilbert.

“Come?” Anna si girò sorpresa verso di lui.

“E’quello che hai detto quel giorno nella foresta,” le ricordò Gilbert. “Che la tua infanzia è cominciata quando avevi 11 anni.”

“Sì, immagino che si potrebbe dire anche così”, concesse Anna e guardò la natura che la circondava. “Oh, Gil, non voglio che tutto questo finisca! Avonlea è il più bel posto al mondo e non voglio che niente e nessuno lo cambi mai” affermò.

Gilbert ascoltò in silenzio le ultime parole di Anna perché era rimasto molto colpito da tutto quello che lei gli aveva raccontato.

Ripensò a quanto le aveva chiesto di sposarlo e quanto gli aveva risposto che voleva le cose rimanessero quelle che erano.

Era soddisfatta di quello che aveva. Gilbert suppose che chiunque la cui infanzia fosse cominciata solamente ad undici anni, non avesse alcuna fretta di prendere impegni seri a diciotto anni, per esempio un fidanzamento che avrebbe portato al matrimonio.

Mettendo insieme tutto quello che Anna gli aveva confidato, la sua supposizione aveva senso.

Improvvisamente, sorrise: se l’infanzia di Anna era cominciata così tardi, ora poteva capire la sua riluttanza nell’accettare la sua proposta che, dopo tutto, le aveva fatto solo pochi mesi prima.

Ma tutte le infanzie, per tardi che fossero iniziate, prima o poi sarebbero finite. Con il primo barlume di speranza in tanti mesi, Gilbert Blythe rivalutò la situazione. Era davvero molto semplice, pensò felice: avrebbe aspettato, l’avrebbe aspettata. Lui era un uomo paziente ed forse, fra qualche anno, quando Anna sarebbe stata pronta, le avrebbe chiesto ancora di sposarlo.

“Bene, Anna. Devo tornare al lavoro” annunciò Gilbert all’improvviso, alzandosi in piedi e tendendo le mani ad Anna per aiutarla a fare lo stesso.

Come al solito, Anna si sentì meglio dopo essersi confidata con Gilbert.

Anna si era domandata se le sue storie non fossero troppo deprimenti per Gilbert e se fosse il caso, piuttosto, di tenersi tutto dentro. In quel momento, però, i suoi dubbi sparirono, perché Gilbert, accanto a lei era calmo e rilassato ed il suo sorriso andava da un orecchio all’altro.

* * *

Ciaooo. Avete passato buone ferie?

Una buona notizia: ho comprato il PC portatile, per cui posso lavorare anche da casa e gli aggiornamenti saranno molto più veloci.

Grazie a tutti voi che avete letto e recensito.

In particolare a

Luana80

Kwannon

Shana

Alla prossima!

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Capitolo 13
*** Agrodolce ***


Una settimana dopo, Anna, con un cestino appeso al braccio, stava percorrendo Orchard Slope per raggiungere il posto dove di solito si incontrava con Gilbert.

Si accorse, stupita, che Gilbert non era lì ad aspettarla A dire la verità, quel giorno era un po’ in anticipo rispetto al solito, infatti, in genere si incontravano verso mezzogiorno.

Anna appoggiò il cestino sotto all’albero, all’ombra delle fronde e si guardò attorno.

Dove avrebbe potuto essere Gilbert?

Se avesse lavorato in qualche altro posto, glielo avrebbe senz’altro detto, come aveva fatto quando era andato a lavorare dagli altri vicini.

In quelle occasioni, avevano rimandato il loro rituale giornaliero.

Aggrottò le sopracciglia.

Se ne era forse dimenticata?

Niente di strano: quella mattina era stata così assorbita nello scrivere che non si sarebbe per niente sorpresa se si fosse dimenticata del cambiamento della loro solita routine ed avesse agito per forza della consuetudine.

Ecco cosa erano diventati quei picnic: una bella e facile consuetudine.

Decise che sarebbe stato meglio dare un’occhiata in giro, per cui si diresse verso la baracca che si trovava alla fine del campo.

Era l’unico altro posto in cui Gilbert si sarebbe potuto trovare.

Se così non fosse stato, voleva dire che aveva fatto confusione con le date, perciò sarebbe tornata a casa, si disse. A questo pensiero, per qualche strano motivo, Anna si sentì delusa.

Mentre si avvicinava al retro della rozza baracca, Anna notò che non c’erano segni di vita.

Anna girò l’angolo e quello che vide, la paralizzò sul posto e la fece trasalire.

Gilbert Blythe era davanti a lei, nudo fino alla cintola ed a gambe aperte mentre si chinava su un catino d’acqua appoggiato ad un tronco.

Si stava lavando vigorosamente il torso ed il viso.

Il sangue le imporporò le guance di un colore scarlatto ed Anna voltò di scatto, dando le spalle alla scena e mortificata per avere interrotto un momento tanto intimo.

Si preparò velocemente ad andarsene ancora più in fretta.

“Anna, aspetta!” la chiamò Gilbert, sorpreso dall’arrivo di Anna.

La sua voce la bloccò sul posto, ma Anna non si girò a guardarlo, il corpo rigido per la tensione.

“Scusa, Anna, mi stavo dando una pulita. Ci metto solo un attimo” spiegò Gilbert, continuando a riassettarsi ed afferrando una salvietta per asciugarsi velocemente. Poi, si infilò poi una camicia e con un gesto fluido se la abbottonò.

Nei giorni in cui si doveva incontrare con Anna, Gilbert si era sempre premurato di portare con sé una camicia pulita per potersi cambiare, ma non si sarebbe mai aspettato che Anna lo vedesse… così.

"No Gilbert, sono io a doverti chiedere scusa. Oggi sono in anticipo” disse Anna ammettendo il suo errore ed in cuor suo, maledicendo la propria stupidità. Avrebbe dovuto saperlo, avrebbe dovuto immaginarlo che Gilbert si ripulisse prima di incontrarla per i loro picnic.

Era sempre pulito ed in ordine.

Cosa era andata a pensare? Che Gil non sudasse mentre lavorava? Come era stata stupida a non arrivarci.

“Bella giornata, vero?” Gilbert le pose la domanda in modo leggero mentre si trovava ancora alle spalle di lei, cercando di colmare quella sensazione di imbarazzo mentre finiva di vestirsi.

Anna guardò fisso davanti a sé e prese un profondo respiro per calmare i nervi. “Si, è una bella giornata” convenne, avvertendo la presenza di Gilbert dietro di sé mentre lui le si avvicinava.

Lo poteva sentire ed indovinare i suoi movimenti persino con le spalle girate: in quel momento lui stava infilandosi la camicia nei calzoni.

Nel rendersi conto di ciò, Anna inghiottì faticosamente.

“Ecco fatto, sono a posto” annunciò Gilbert, infilando le braccia nelle bretelle e mettendosi a fianco di Anna, che gli lanciò uno sguardo in tralice per accertarsi che fosse davvero così, poi riportò la sua attenzione al campo che si stendeva davanti a sé.

“Ho lasciato il cestino sotto all’acero” disse accennando con la mano verso quella direzione”.

“Bene, allora andiamo, va bene?” disse Gilbert dolcemente, facendo un passo in avanti.

Puntando lo sguardo e tentando di guardare dappertutto tranne l’uomo che le stava accanto, Anna adeguò il passo a quello di Gilbert ed insieme percorsero la breve distanza che li separava dall’acero.

Anna era ancora scossa e non aveva ancora capito il motivo di quel suo turbamento: certo, non aveva mai visto Gilbert senza camicia. Ma a dire il vero non aveva mai visto nessun uomo senza la camicia.

I dettami del tempo imponevano di mantenere sempre un certo decoro tra i sessi.

Le uniche persone che aveva visto non completamente vestite erano tutti bambini: quelli dei quali si era presa cura e, più recentemente, Lizzy ed Henry Miller.

Ma Gilbert Blythe poco vestito non assomigliava certo ad un bambino.

Ma tutti gli uomini avevano dei muscoli simili a quelli di Gilbert, si domandò Anna con la visione di quelle braccia, quelle spalle e quel petto bene impressa nella sua mente.

Com’era diverso da lei, si meravigliò. Sia per struttura che per proporzione.

Persino le braccia erano diverse dalle sue: muscolose e vigorose che terminavano in due mani forti e capaci.

Tutto in lui dava un’impressione di forza. Il corpo di Gilbert era così diverso dal suo.

Senza rendersene conto, Anna incrociò le braccia sullo stomaco, poi fece scorrere una mano sotto la manica del vestito per sentire la consistenza del suo braccio femminile e cercare di immaginare le differenze tra loro due.

Improvvisamente, si chiese come sarebbe stato toccare le braccia di Glbert, ma scacciò subito quel pensiero dalla sua mente e lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, mentre arrossiva nel rendersi conto della direzione che avevano preso i suoi pensieri.

Quando arrivarono sotto all’acero, Gilbert afferrò il plaid e lo stese a terra, mentre Anna si sedeva al solito posto e cercava sempre di sfuggire lo sguardo di lui.

Gilbert aveva la schiena appoggiata contro il tronco dell’alberto e le gambe allungate davanti a sé.

“Cos’hai portato, oggi?”chiese in tono leggero, in tono scherzoso, cercando di riportare tutto alla normalità, come al solito. Sapeva che Anna era in imbarazzo per averlo visto mentre si lavava. Beh, anche lui lo era, ma capiva che per lei doveva essere sicuramente peggio.

Dopo le ultime confidenze che le aveva fatto, Gilbert aveva cominciato a pensare che Anna fosse più giovane di quanto non lo fosse anagraficamente. Più giovane e forse bisognosa di essere protetta e difesa, rassicurata sul fatto che il loro rapporto rimanesse platonico.

Dopo tutto, aveva preso la decisione di aspettare qualche anno prima di proporsi a lei in maniera differente da un amico perché voleva darle il tempo di crescere e di maturare.

Stare davanti a lei mezzo nudo non era certo un modo per aiutarlo a tenere fede al patto che aveva fatto con sé stesso.

Felice di avere qualcosa da fare, qualcosa sul quale puntare la propria attenzione, Anna cominciò a tirare fuori il cibo dal cestino.

“Ecco, ho preparato della limonata” disse prendendo una grossa bottiglia piena fino all’orlo e posandola accanto al cestino “E poi, ci sarebbero anche delle pesche al vino (in originale, il vocabolo è cobbler, che sarebbe una bevanda ottenuta con pesche, vino e zucchero. Siccome non credo che cobbler sarebbe stato compreso, ho preferito tradurre come pesche al vino. NdT)

Anna alzò il viso per guardare Gilbert, ma lo riabbassò un attimo dopo, trasalendo. Cominciò a tirare fuori dal cestino tutto il contenuto, alla rinfusa. Il suo viso era ancora sconvolto ed era arrossita di nuovo.

Gilbert rimase sorpreso da quell’atteggiamento strano, ma Anna non se ne accorse.

Era solo che non si aspettava di vederlo a quel modo. Non lo sapeva? Non sapeva che i suoi capelli ancora bagnati gli si arricciavano a quel modo? E che l’incavo della sua gola era ancora umido?

Anna sospirò Beh, se Gilbert aveva dovuto finire di mettersi in ordine in fretta e furia, era solamente colpa sua, per cui non poteva certo biasimarlo per il suo aspetto.

Ma comunque, tutto ciò era sconcertante.

“Ecco, Gil” disse piano Anna quando fu tutto pronto.

“Mi fai compagnia, Anna?” chiese Gilbert, invitandola a condividere il cibo con lui, come faceva sempre.

Anna scosse la testa, declinando la sua offerta. Era troppo… troppo scombussolata per mangiare.

Ripiegò le ginocchia verso di sé e le cinse con le braccia, lo sguardo verso il campo ed il corpo girato dalla parte opposta rispetto a dove si trovava Gilbert.

Gilbert osservò la taciturna Anna per un attimo, poi prese la bottiglia di limonata e svitando il coperchio prima di inghiottire un sorso della bevanda.

I suoi occhi si spalancarono per la sorpresa, ma si costrinse ad inghiottire, prima di appoggiare la bottiglia e prendere un tramezzino.

Dopo qualche minuto di assoluto silenzio, Anna decise che ne aveva avuto abbastanza della sua stessa stupidità. Non doveva comportarsi come una bambinetta per il solo fatto di aver visto Gilbert senza la camicia.

Per cui, cercò e trovò un argomento di conversazione per rompere il ghiaccio.

“Allora, Gilbert, la tua famiglia deve essere orgogliosa di te” disse girando il capo a guardarlo.

Nel percepire lo sguardo interrogativo di Gilbert, Anna spiegò:”Che tu vada alla scuola di medicina e tutto il resto.”

Gilbert fece spallucce e diede un altro morso al suo tramezzino.

I suoi capelli ed il suo collo erano ormai asciutti, notò Anna, ed il suo semplice addentare un panino aiutò a riportare le cose alla normalità. Improvvisamente, il disagio scomparve e l’atmosfera era quella dei loro soliti picnic.

Girandosi ancora di più verso di lui, Anna insistette:”E’ una nobile professione, quella del dottore.

Gilbert inghiottì il boccone e guardò Anna, capendo dove voleva arrivare con le sue parole;”Anna, non cominciare anche tu”, disse, apparentemente deluso.

Anna spalancò gli occhi per la sorpresa:”Non cominciare anche io a far che cosa?”

“Non cominciare anche tu con la storia del dottore e della nobiltà d‘animo”. spiegò “Tu non hai idea di quanto sia pesante che tutti continuino a ripeterti che stai facendo una cosa nobile. La gente non capisce.”

“Non capisce cosa, Gil” chiese Anna, domandandosi cosa volesse dire con quell’affermazione.

“Non voglio diventare un dottore perché è una cosa nobile” affermò Gilbert, incontrando gli occhi di Anna.

“Per quanto mi piaccia lavorare all’aperto e fare il contadino, so che non lo vorrei fare per tutta la vita.

Fred, Charlie e Moody potrebbero, ma non io. Ho bisogno di qualcosa di più, Anna”. spiegò Gilbert. “Fare il contadino non mi basta, per cui la mia scelta di diventare dottore è molto egoistica e per niente nobile.”

Anna ponderò per un attimo le parole di Gilbert, pensando che non gli aveva mai domandato quali fossero le sue ambizioni. Gilbert Blythe era un uomo brillante, questo lo sapeva da molto tempo, fin da quando andavano ancora a scuola.

Il fatto che la vita del contadino non l’avrebbe soddisfatto, non la sorprese.”Ma avresti potuto fare qualcosa d’altro, oltre al contadino, Gil. Perché vuoi diventare medico?” domandò.

“Beh..” si interruppe Gilbert, l’espressione appena imbarazzata:”Mi piace essere d’aiuto” confessò alla fine.

“Mi fa sentire bene. Per cui mi è sembrato naturale scegliere di fare il dottore.” “Ti piace essere d’aiuto?” ripetè Anna. Certo, sapeva che Gilbert spesso dava una mano agli altri, ma era la prima volta che le diceva che quella cosa gli piaceva e che lo soddisfaceva. “E non è… nobile?” lo prese in giro Anna, provocandolo deliberatamente.

Gilbert rispose con un sorriso. “No, per niente. Ed ora lasciami finire il panino” le ordinò con finta severità, chiudendo il discorso definitivamente sulla nobiltà d’animo o presunta tale.

Anna sorrise tra sé e sé, ma non chiese più niente a Gilbert.

Per qualche ragione, le aveva fatto piacere che si fosse aperto con lei, che condividesse il fatto che anche lui, a volte, venisse frainteso.

E che fosse d’accordo o meno, Anna pensava che Gilbert fosse molto nobile per aver scelto di diventare dottore. Nonostante avesse ammesso che lo faceva esclusivamente per propria soddisfazione.

“Sai, Gilbert…” disse Anna inclinando la testa da un lato, fingendo di essere assorta nella meditazione. “Non ho mai capito perché i dottori dicono che “praticano” la professione. Pratica. Non vuol dire niente. Vorrei un dottore che non “praticasse” su di me, ma che sappia quello che sta facendo.” Gli occhi di Anna erano spalancati in un’espressione di finto orrore ed incontrarono quelli di Gilbert.

Le spalle di Gilbert Blythe tremarono per un secondo o due prima che scoppiasse a ridere. “Oh, pratica… allora, come chiameresti la mia attività?” riuscì ad articolare tra una risata e l’altra.Non saprei.” Anna agitò nell’aria la mano, i suoi occhi persi nella ricerca di un possible nome. “Cosa ne dici dell’Emporio della Salute del Dottor Blythe? Di certo, ispirerebbe molta più fiducia” disse Anna autorevolmente.

Gilbert sorrise del disprezzo di Anna nei confronti della “pratica”, così priva di immaginazione e cominciò a ridere di gusto, immaginando la reazione della gente se avesse appeso alla finestra dello studio un cartello con scritto “Emporio della Salute del Dottor Blythe”.

“.. E paziente… Ma che razza di parola è mai quella?” proseguì Anna, apparentemente incurante delle risate di Gilbert. “Non ha significato!”

Gilbert si portò la mani allo stomaco e rise ancora. Aveva capito dove Anna volesse andare a parare.

“Non ci provare!” urlò in tono di finta autorità, interrompendo il suo tentativo di prendere in giro uno dei termini preferiti della sua professione.

Anna si limitò a ridere.

Era divertente prendere in giro Gilbert a quel modo: era un bersaglio così facile!

Prendendole le mani, Gilbert aiutò Anna ad alzarsi in piedi, mentre entrambi stavano ancora ridendo.

Si trovarono faccia a faccia e Gilbert teneva ancora le mani di Anna nelle sue.

Smisero di ridere e per qualche secondo si guardarono negli occhi, in silenzio, fino a che Gilbert le lasciò andare le mani e fece un passo per allontanarsi da lei.

“Devo andare” disse Anna fissando gli avanzi del loro picnic.

“Ti… ti accompagno fino alla stalla, Anna” propose Gilbert mentre Anna annuiva e si chinava a raccogliere i piatti.

Nel vedere la bottiglia ancora mezza piena di limonata, gliela porse:”Vuoi finirla tu?” gli domandò.

Gilbert annuì e prese la bottiglia, irrigidendosi un poco prima di inghiottire tutto il contenuto in un unico, lungo sorso. Poi rese la bottiglia, ormai vuota, ad Anna.

Pochi istanti dopo, i due stavano camminando l’una di fianco all’altro verso la stalla dei Barry, nella quale, in quel momento, altri lavoranti assunti per l’estate stavano affaccendandosi.

Fermandosi accanto alla stalla, Gilbert si girò per porgere ad Anna il cestino da picnic. Proprio in quel momento, Charlie Sloa

ne uscì dalla stalla portando una carriola colma di verdura verso un carretto. Vedendo i due, Charlie non resistette all’impulso di lanciare una frecciata:”Guarda, guarda, è Gilbert Blythe assieme alla sua cara mogliettina” li prese in giro, un po’ per cattiveria, ed un altro po’ per invidia: dopo tutto, nessuno dei lavoranti aveva qualcuno che gli portava il pranzo tutti i giorni e, soprattutto, nessuno carino come Anna Shirley; l’inspiegabile fortuna di Gilbert aveva cominciato ad irritare non solo Charlie, ma anche altri ragazzi.

Nell’udire quelle parole di scherno, Anna trasalì.

Mortificata ed attonita allo stesso tempo. Essere presa in giro a quel modo! Aveva sempre odiato quando qualcuno insinuava che Gilbert fosse il suo bello, ma questo era peggio, molto, molto peggio. Due chiazze di colore comparvero sulle sue guance.

In fretta, Gilbert si piazzò davanti a lei, per impedirle di vedere Charlie e gli altri lavoranti che osservavano la scena, interessati.

“Ci vediamo domani, Anna?” chiese a voce bassa. Anna sollevò lo sguardo per incontrare i suoi occhi, le guance ancora rosse per l’imbarazzo, ma con gli occhi decisi. Se Charlie Sloane pensava di averla fatta rimaner male, ebbene, si sbagliava di grosso!

“Certamente, Gilbert.” rispose Anna a testa alta ed il mento spinto verso l’alto.

Gilbert sorrise, orgoglioso di Anna:”Bene, allora a presto” la salutò, mentre guardava Anna voltarsi e prendere la strada del ritorno ignorando Charlie, proprio come avrebbe ignorato qualsiasi altra persona l’avesse presa in giro. Anna se ne andò più in fretta che potè: era difficile mantenere un contegno per molto tempo, soprattutto quando invece avrebbe voluto sprofondare.

Gilbert rimase a guardarla fino a che svoltò ad una curva e scomparve dalla sua vista.

Poi, si girò e con cinque passi decisi, si avvicinò a Charlie Sloane, che si trovava accanto al carro e sogghignava soddisfatto.

Con un movimento fluido, Gilbert afferrò Charlier per la camicia e lo spinse rudemente contro il muro della stalla, tenendolo ben fermo e rendendogli impossibile ogni movimento.

Il suo pugno era serrato sulla stoffa della camicia di Charlie.

“Non ti azzardare a fare ancora una cosa del genere”. Le parole di Gilbert furono pronunciate a voce bassa, così bassa da risultare minacciose, come l’espressione che era comparsa sul viso di Gilbert mentre guardava Charlie dall’alto in basso.

Improvvisamente, Charlie si rese conto di aver commesso un grosso errore. Spaventato, la sua voce si riempì di rimorso:”Stavo… stavo solo scherzando, Gil!”

Velocemente come lo aveva bloccato, Gilbert lo lasciò libero e Charlie si lasciò andare contro il muro.

Senza una parola, Gilbert girò sui tacchi e ritornò al campo ed al lavoro per il quale veniva pagato. Gli altri lavoranti si scambiarono occhiate preoccupate.

Nessuno fiato, ma la scena alla quale avevano assistito ebbe su di loro lo stesso effetto che ebbe su Charlie Sloane.

Nessuno voleva inimicarsi Gilbert Blythe, per cui restava solamente una cosa fare e l’avrebbero fatta.

Nessuno si sarebbe mai più preso gioco di Anna Shirley.

* * *

La zanzariera sbattè dietro le spalle di Anna, mentre essa entrava dalla porta posteriore del Tetto Verde. Appoggiò il cestino da picnic al tavolo e cominciò a svuotarlo.

“Anna, sei tu?” chiamò una voce ed Anna sorrise.

"Si Marilla!"

Marilla entrò in cucina e la sua postura rivelava una profonda irritazione.

“Anna Shirley, che cosa hai fatto!” chiese la donna.

"Marilla?" Anna sollevò lo sguardo sorpresa per chiedere alla donna il motivo della sua rabbia… domandandosi che cosa avesse combinato... questa volta.

“Rachel Lynde si è quasi strozzata quando ha assaggiato la tua limonata! Perché non mi hai detto che non l‘avevi zuccherata?” domandò Marilla.

Non l’aveva zuccherata? Gli occhi di Anna si spalancarono in una espressione sorpresa. Si ricordava di aver spremuto i limoni, ma per quanto riguardava lo zucchero… oh, lo sapeva che quel giorno aveva la testa chissà dove!

“Oh Marilla, scusami” Anna fece subito atto di contrizione.

“Credo di essermene dimenticata” Anna ammise il suo errore.

“Beh, vedi di fare in modo che non succeda più” nell’udire le scuse di Anna, Marilla si addolcì. Quella ragazza si dimenticava tutto ed aveva la testa fra le nuvole, ma a Marilla non spiaceva quel tratto del suo carattere.

“Meglio non offrire più a Rachel Lynde della limonata senza zucchero. E’ già abbastanza acida di suo, non credi?” chiese Marilla con un sorriso diabolico ed Anna scoppiò a ridere per l’improvvisa battutaccia fatta da Marilla.

“Forse hai ragione, Marilla” ammise Anna con uguale salacità.

Improvvisamente, l’attenzione di Anna fu attirata dalla bottiglia vuota che aveva tirato fuori dal cestino ed appoggiato sul tavolo. La limonata di Gilbert. La stessa limonata che Marilla aveva offerto a Rachel Lynde.

“Meglio che riprenda il mio lavoro di cucito” disse Marilla e si voltò per lasciare la stanza.

“Ma… ma… “ Anna esclamò rivolta alla schiena di Marilla, indicando la bottiglia vuota e cercando di capire. Perché Gilbert non le aveva detto che la limonata mancava di zucchero? Perché si era bevuto un’intera bottiglia di limonata senza zucchero senza lamentarsi? Anna guardò la bottiglia con un’espressione attonita, come se per magia questa potesse divulgare il suo misterioso segreto.

“Ma cosa?” Marilla si era girata verso di lei.

Anna incontrò lo sguardo di Marilla e sbattè gli occhi, lentamente capendo il significato che stava dietro quel gesto. Possibile? Era mai possibile che Gilbert non avesse voluto ferire i suoi sentimenti, facendole notare che la limonata era rovinata?

“Allora?” incalzò Marilla, notando l’espressione perplessa di Anna. “Cosa c’è?”

Ripensando a quello che era successo durante l’estate e a quello che aveva imparato su Gilbert, all’improvviso Anna seppe con chiarezza che la risposta era lì davanti a lei.

Alzando lo sguardo, incontrò gli occhi di Marilla con i suoi che risplendevano di un’improvvisa dolcezza, e le sue parole non rispecchiarono quello che provava realmente dentro di lei.

“Non è niente, Marilla”.

Agrodolce, giustamente.

* * *

Ciao a tutti! Grazie per la pazienza. In effetti, il capitolo era pronto già da due settimane, ma con il sito fuori uso, non era possibile, per cui arrivo solo ora.

Vi è piaciuto questo capitolo? Vi assicuro che il prossimo sarà ancora meglio. Vi è piaciuta questa versione in desabillé del caro Gilbert? Emmy è stata proprio brava!

Passo a ringraziare

Luana80

Kwannon

Shana

per le loro recensioni così carine.

Faccio pubblicità al nuovo capitolo della rivolta delle racchie, postato proprio il giorno in cui il sito è andato in palla, ed una nuova ff mia su Lady Oscar: Tre Generazioni di Jarjayes. Ci sono Oscar, Andrè... ed un personaggio misterioso del passato.

A presto e grazie a tutti! Nisi Corvonero

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Capitolo 14
*** Un altro temporale ***


Marilla Cuthbert era in piedi sulla veranda del Tetto Verde e guardava preoccupata il cielo che si stava oscurando sempre di più.

Anna era uscita a piedi pochi minuti prima per andare a trovare i vicini, gli anziani signori Diehl. Ogni tanto, Anna andava a visitare la coppia per controllare che tutto andasse bene.

Marilla nutriva forti dubbi sul fatto che Anna riuscisse ad arrivare all’abitazione dei Diehl prima che iniziasse a piovere.

A giudicare dal cielo, pensò Marilla, entro pochi minuti, ci sarebbe stata una bella tempesta.

Nel corso degli anni passati con lei, Marilla aveva capito che Anna non amava i temporali. Non gliene aveva mai spiegato la ragione, in verità, ma Marilla era stata abbastanza acuta da non lasciarla mai da sola in quelle occasioni.

Marilla non era mai stata un granché nell’offrire il conforto di un abbraccio, ma sapeva che Anna si sentiva meglio se aveva qualcuno vicino durante i temporali, per cui Marilla non le aveva mai fatto mancare il suo appoggio in questo senso.

Ma quel giorno era tutto un altro paio di maniche: le condizioni meteorologiche erano peggiorate improvvisamente ed in un breve lasso di tempo.

Anna era là fuori da sola, a piedi e non era possibile raggiungerla prima che iniziasse a piovere. Marilla sapeva bene che se avesse capito che il tempo sarebbe andato peggiorando, Anna non avrebbe osato uscire; ma c’era stato un bel sole per tutta la settimana ed il mattino aveva ingannevolmente fatto presagire che non ci sarebbero state variazioni di sorta.

Marilla aggrottò le sopracciglia, preoccupata ed un groppo di ansia prese a stringerle lo stomaco.

“Buongiorno, Signorina Cuthbert.”

Marilla sussultò e si girò verso la voce, sorpresa di vedere Gilbert Blythe nello spiazzo erboso dietro alla veranda in groppa al suo cavallo; era stata talmente assorta nei suoi pensieri che non lo aveva udito avvicinarsi.

“Gilbert Blythe, che bella sorpresa,” disse Marilla, rispettando le convenienze, ma altresì pronunciando quelle parole con sincerità.

A Marilla, il giovane Gilbert era sempre stato simpatico.

Non lo aveva mai detto ad Anna, ma aveva sempre pensato che se ad Anna fosse mai venuto il desiderio di sposarsi, non avrebbe potuto fare una scelta migliore di Gilbert Blythe.

Per contro, era ormai chiaro per tutti che Gilbert fosse perdutamente innamorato di una certa signorina Anna Shirley.

Marilla non aveva la minima intenzione di interferire, per cui non aveva mai parlato ad Anna in tal senso. Era lei a dover scegliere cosa avrebbe fatto nella sua vita e Marilla l’avrebbe sostenuta, sia intendesse prendere marito, sia che decidesse di rimanere nubile. Dopo tutto, lei stessa era sopravvissuta ad una vita di zitellaggio e poteva affermare con cognizione di causa che non era triste quanto si volesse far credere. A dirla tutta, Marilla era piuttosto orgogliosa della sua indipendenza e non credeva che ci si dovesse sposare tanto per fare. Ogni uomo ed ogni donna doveva prendere la sua decisione autonomamente.

“Qual buon vento ti porta, Gilbert?” domandò Marilla con un pizzico di malizia. Tutti sapevano perfettamente cosa - o piuttosto chi - attirasse Gilbert Blythe così spesso al Tetto Verde e persino Marilla Cuthbert si divertiva a prenderlo un po’ in giro.

“Anna mi ha detto che voleva controllare le condizioni dell’aula scolastica prima che inizino le lezioni, per cui ho pensato che avremmo potuto andare oggi, se ne aveva voglia” rispose Gilbert, apparentemente inconsapevole della malizia contenuta nelle parole di Marilla. Gilbert alzò il capo per guardare il cielo. “Ma a quanto pare, dobbiamo aspettarci un bel temporale.” osservò, nella speranza che Marilla lo invitasse ad entrare. Non tanto per ripararsi dalla pioggia, quanto per avere l’occasione di vedere Anna.

“Si, lo credo anch’io.” ripeté Marilla rabbuiandosi al pensiero di Anna da sola nel temporale.

“Qualcosa non va, Signorina Cuthbert?” Gilbert si era accorto dell’espressione preoccupata di Marilla.

“Sono un po’ preoccupata per Anna” disse piano Marilla, mentre Gilbert sussultava, preoccupato a sua volta.

Marilla preoccupata? Per Anna?

“E’ uscita una mezz’ora fa per andare a trovare i Diehl e non credo riesca ad arrivare a casa loro prima che cominci a tempestare.” spiegò Marilla. Poi, mettendo da parte le sue ansie, si rivolse a Gilbert:”Che maleducata, sono! Gilbert, non vuoi entrare in casa per ripararti dalla pioggia? Non ha senso che qualcun altro si infradici, oggi.” osservò pratica Marilla.

Ma Gilbert aveva a malapena ascoltato la sua proposta.”Anna è là fuori da sola?” Gli occhi di Gilbert incontrarono quelli di Marilla in una muta domanda, la mente concentrata su quell’unico particolare, mentre il cielo diventava ancora più minaccioso ed un tuono cominciava a rimbombare in lontananza.

“Ad Anna i temporali non piacciono.” disse Gilbert a voce alta, richiamando alla mente quel giorno alla festa di Ruby Gillis e la paura che lei aveva provato, così come il racconto di quando, da bambina, era rimasta sola sotto la pioggia battente.

Marilla lo guardò, sorpresa: allora, lo sapeva anche lui. Si disse che non avrebbe dovuto essere così stupita: dopo tutto, entrambi tenevano ad Anna e Gilbert aveva scoperto qualcosa che lei stessa era stata in grado di cogliere, molto tempo prima. Così Marilla sostenne lo sguardo di Gilbert ed annuì.

“E vero, ad Anna non piacciono i temporali” Marilla fece eco a Gilbert, mentre i due si guardavano, consapevoli della loro intesa.

“Signorina Cuthbert, vedo se riesco a raggiungerla” decise Gilbert all’improvviso.”Forse non riuscirò a tenerla al riparo dalla pioggia, ma… ma almeno non sarà da sola.” spiegò Gilbert.

Ah, così Gilbert aveva capito anche quello, si disse Marilla, per cui annuì con gratitudine.”Grazie, Gilbert.” disse. Ma lui aveva già girato il cavallo, puntando i talloni al fianco.

Marilla ristette nel guardarlo allontanarsi con espressione tra il preoccupato ed il pensoso.

* * *

Mentre stava percorrendo la strada per andare dai Diehl, Anna si rese conto improvvisamente che il tempo stava rapidamente peggiorando, per cui il suo umore leggero fu sostituito dalla preoccupazione e dal disagio. Quell’uscita aveva solo lo scopo di fare visita ai vicini, ma quel repentino cambio delle condizioni atmosferiche aveva portato nuovi e sgradevoli sviluppi. In un primo tempo, Anna semplicemente aumentò l’andatura, sperando di farcela a raggiungere la casa dei Diehl prima che cominciasse a piovere. Ma quando udì il rombo del tuono, Anna non riuscì più a mantenere la calma e ritornò sui suoi passi, verso il Tetto Verde, che si trovava a distanza maggiore dell’abitazione dei vicini. Ma Anna aveva agito per mero istinto, ed il suo istinto le aveva suggerito di andare nel posto più sicuro che conoscesse e cioè casa sua.

Quando la pioggia cominciò a cadere più forte, sollevò le sottane e cominciò a correre, il cuore che le batteva dalla paura. Oh, come odiava i temporali. Li aveva sempre odiati. Da quella volta in cui… no, meglio no pensarci: ripensare a quel momento così triste della sua infanzia non l’avrebbe certo aiutata a togliersi d’impiccio.

Aveva incominciato a piovere ancora più forte e la pioggia fitta le impediva la visuale. Anna era ormai bagnata fino alle ossa ed il vento sibilante le sferzava gli abiti.

Improvvisamente, un lampo attraversò il cielo e pochi secondi dopo, udì un forte tuono.

Anna alzò un braccio a proteggersi il viso dalla pioggia e dai lampi mentre continuava la sua corsa e tagliava per un campo, sperando di abbreviare il tragitto.

Improvvisamente, si trovò davanti qualcosa che si muoveva e per lo spavento lasciò ricadere il braccio ed urlò. Davanti a lei un enorme animale. Era spaventata, non solo dall’animale, ma anche da tutta quella pioggia, dal vento e dai tuoni.

Nel trovarsi davanti Anna all’improvviso ed udendo il suo grido, Gilbert Blythe tirò le redini e smontò velocemente da cavallo. In una manciata di passi, raggiunse Anna e la prese per il braccio, mentre con l’altra mano reggeva le redini del cavallo.

“Anna, sono io! Sono Gilbert!” urlò in modo da sovrastare il rumore della tempesta. Ma Anna cominciò a divincolarsi dalla sua stretta e a lottare per liberarsi con una forza pari alla sua.

Gilbert la tirò più vicina a sé, serrando la stretta:”Anna, sono io!”ripetè ancora una volta, la faccia a pochi centimetri da quella di lei.

Improvvisamente, Anna si calmò, la voce di lui ebbe la meglio sulla sua paura ed Anna alzò lo sguardo per incontrare quello di Gilbert, quasi piangendo per il sollievo nel vederlo davanti a sé.

“Dai, vieni con me. Conosco un posto dove possiamo ripararci dalla pioggia,” disse Gilbert aspettando l’assenso di Anna prima di prenderla per mano e di condurla via, le redini strette nell’altra mano.

Non ci voleva molto ad arrivare alla stalla dei Turner. In verità, non si trattava propriamente di una stalla, quanto di una struttura di fortuna, a voler essere generosi.

Si trovava in fondo al campo, lontana dalle altre costruzioni e serviva più che altro per conservarci un poco di fieno e gli attrezzi. Gilbert lasciò andare la mano di Anna per aprire la porta, mentre un altro tuono rimbombò forte nel cielo.

Anna si corse dentro mentre Gilbert faceva entrare anche il cavallo e chiudeva la porta dietro di sé.

La stalla era piccola e c’erano solamente due finestre che facevano entrare un po’ di luce, l’una dalla parte opposta rispetto all’altra.

Fiutando il profumo del fieno fresco, il cavallo trotterellò in un angolo per brucare soddisfatto quel cibo inaspettato. Anna stava in piedi a fissare il muro di fortuna della stalla, le braccia strette attorno al corpo e tremava dal freddo e dalla paura.

Gilbert era dietro di lui e non sapeva cosa fare per farla stare meglio.

“Marilla sarà f-furiosa,”osservò Anna, fingendo un’allegria che era ben lungi da provare. La sua mano stremante rimosse lo spillone che fissava il cappello che indossava. Era tutto bagnato e completamente rovinato. Così se lo tolse mentre batteva di denti dal freddo. “Questo è il terzo che ho rovinato q-quest’e-estate.” ammise, alludendo alla sua sfortuna con i cappelli.”Ne ho perso uno al f-falò di Moody qualche settimana fa. Ero sicura di averlo appoggiato alla panchina accanto al portico, ma quando sono andata a riprenderlo non c’era più. E quell’altro che avevo appeso al recinto quando sono andata a mungere. D-Dolly se lo era mangiato tutto.” raccontò Anna desolata. “Ed ora questo. S-sono sicura che è talmente fradicio che non è più possibile sistemarlo.” balbettò Anna, mentre appendeva il cappello ad un gancio.

Tremava, come faceva sempre quando era nervosa o in ansia.

Gilbert vide una coperta appesa ad un gancio accanto a quello al quale Anna aveva appeso il proprio cappello. La coperta era vecchia e sdrucita, ma sembrava abbastanza pulita. Per cui la prese, la dispiegò e la tenne aperta per Anna.

“Anna, tu hai freddo.” disse lanciandole un chiaro invito. Anna annuì: era vero che aveva freddo, per cui permise a Gilbert di avvolgerle la coperta attorno alle spalle.

Anna stava disperatamente tentando di apparire calma e tranquilla e l’ultima cosa che voleva era di mostrare tutta la sua paura, specialmente davanti a Gilbert. Pensò che per il momento se la stesse cavando bene. Almeno, lo sperava! Per cui, fu assolutamente una sorpresa per lei, dopo un tuono particolarmente rumoroso, di ritrovarsi improvvisamente tra le braccia di Gilbert.

Forse era stato a causa del suo grido spaventato, inconsapevolmente articolato per la paura del temporale, che Gilbert l’aveva presa tra le braccia, oppure era stata lei che gli si era avvicinata senza volerlo.

Era accaduto così in fretta che non avrebbe mai saputo dire come fossero accaduto.

L’unica cosa certa era che lei in quel momento era lì, stretta contro il corpo di Gilbert, il corpo di lei tutto in quell’abbraccio. Le forti braccia di Glbert le circondavano la schiena, tenendola vicina a lui ed il viso di Anna era appoggiato al petto di Gilbert.

“Su, dai, Anna. Finirà in fretta,” disse Gilbert, come se stesse consolando un bambino. In un certo senso, era proprio così, elaborò ricordando le storie che Anna gli aveva raccontato e che risalivano alla sua infanzia.

Anna non avrebbe voluto che succedesse una cosa del genere e permettere a Gilbert di consolarla così. Ma ora che si trovava tra le braccia di lui, le sembrava così bello, così giusto che non riusciva proprio a staccarsi da lui.

Il pensiero che, forse, più tardi avrebbe finito vergognarsene terribilmente non le importava. Ora Anna prendeva golosamente quello che le veniva offerto.

“Ma perché deve piovere così?” con una vocina spaventata, Anna formulò quella domanda, che era stata posta milioni di volte da altre persone prima di lei.

“Beh, qualcuno dice che quando piove è perché Dio sta piangendo,” rispose Gilbert, dando una risposta adatta ad un bambino, una risposta che potesse scacciare via le sue paura.

“Ma perché Dio piange?” Ancora quella vocina spaventata. Questa volta un po’ soffocata perché Anna aveva ancora il viso nascosto nel suo petto.

“Non saprei.” Gilbert fece una pausa. “Forse hai combinato qualcosa?” chiese accusatorio, lo scherno nelle sue parole. La sua domanda fu accolta da un breve silenzio e Gilbert trattenne il fiato per un momento.

Improvvisamente uno sbuffo poco adatto ad una signora ed un piccolo pugno lo colpì al petto.”Gilbert Blythe, ritira subito quello che hai detto.” lo rimbeccò una Anna oltreggiata.

“Beh, io sono sicuro che Dio non stia piangendo per qualcosa che ho fatto IO!” rispose Gilbert con aria fintamente innocente.

Gilbert Blythe era incorreggibile! Anna scoppiò a ridere forte, sorpresa lei per prima che potesse mettersi a ridere in un simile frangente. Non aveva mai riso durante un temporale. Aveva sempre avuto paura e le sembrava strano che potesse ridere durante una tempesta in atto.

Gilbert era felice di aver fatto ridere Anna.

La tensione che aveva sentito nel suo corpo fino a pochi istanti prima era sparita ed ora Anna era morbida e cedevole nella sue braccia. Aveva anche smesso di tremare.

Ma nessuno dei due fece un tentativo per separarsi dall’altro. Si limitarono a stare abbracciati. La guancia di Anna era sul petto di lui e le braccia di Gilbert incrociate sulla schiena di Anna per serrarla forte contro di sé.

Il loro corpi si fondevano benissimo l’uno nell’altro. La struttura sottile di Anna si adattava perfettamente a quella di Gilbert.

Ora che non aveva più paura, Anna si stupì di sentirsi così sicura, probabilmente l’ultima cosa che avrebbe pensato di provare durante un temporale. Forse perché ora, per la prima volta, stava ascoltando il rumori del temporale. Mai le era capitato nella sua vita perchè la sua paura aveva eretto un muro tra lei e qualsiasi cosa d’altro.

Ma ora aveva iniziato ad ascoltare per davvero. La pioggia ticchettava sul tetto di alluminio in maniera quasi armonica.

Da dove stava, poteva vedere quello che c’era oltre la finestra: un olmo ondeggiava graziosamente al vento, i suoi rami impegnati in una vivace danza ultraterrena.

Il rimbombare dei tuoni era come le percussioni di un’orchestra. Ed i tuoni che di tanto in tanto squarciavano il cielo, erano uno spettacolo di luci, che illuminavano la danza dell’olmo.

Persino gli odori erano cambiati: il caldo odore di terra della stalla, il fieno, le assi di cedro e persino…persino Gilbert.

I suoi abiti, proprio come i suoi, erano zuppi di pioggia ed essendo così stretta contro di lui, riusciva a percepire la sua essenza, forte e mascolina.

Sentiva il suo cuore battere contro il suo orecchio ed era una bella sensazione.

Il cavallo era a pochi passi da loro, il suo corpo pesante le dava una sensazione di calma.

Il suo respiro pesante unito ai rumori del temporale, il suo brucare il fieno, uno zoccolo strascinato sul pavimento sporco. Tutto l’insieme, la pioggia, i tuoni, i lampi, la stalla… era tutto così selvaggio…e primitivo, e…

“E’ bellissimo!” Anna mormorò meravigliata, inconsapevole di aver parlato ad alta voce.

“Cosa?” chiese Gilbert, stupito dal commento.

Ma Anna non rispose: non voleva che Gilbert la considerasse una stupida.

Ma questa era la prima volta, la prima volta che riusciva a cogliere tutta la bellezza del temporale, in tutta la sua magnificenza e la sua gloria. E ne fu completamente conquistata.

Rimasero così, abbracciati, ancora per lunghi istanti, immersi in un silenzio profondo e confortevole, fino a che il temporale cominciò ad allontanarsi, i lampi finirono del tutto e la pioggia si ridusse e poche rare goccioline.

Il cielo si rischiarò e qualche raggio di sole cominciò ad avere la meglio sulle nubi ed illuminò la terra.

Anna rimase colpita da quello spettacolo. Un altro po’ di bellezza da assaporare.

Avrebbero dovuto tornare a casa, disse Gilbert a sé stesso, ma era riluttante a porre fine a tutto questo. Era riluttante a lasciarla andare.

Lentamente, allentò la stretta e si scostò leggermente.

“Dobbiamo andare.” disse.

Anna lo sentì, ma non si mosse.

Era strano, pensò che avrebbe dovuto sentirsi in imbarazzo, ed invece…

Avrebbe dovuto, vero? Si trovava in una stalla, abbracciata ad un uomo.

Per quanto ci provasse, non si sentì né in colpa, né a disagio.

Gilbert le aveva fatto un enorme favore e le aveva anche fatto un gran regalo. Era venuto a cercarla durante un temporale, aveva portato via la sua paura e le aveva mostrato una bellezza che non aveva mai pensato esistesse.

Anna alzò il viso verso quello di lui, trovando a stento le parole giuste, come le capitava tutte le volte che voleva dire qualcosa che per lei era molto importante.

Era facile chiacchierare, parlare e cicalare su cose banali e frivole, ma trovare le parole adatte ora era complicato.

“Gilbert, grazie,” disse alla fine; le parole poco più di un sospiro dalle sue labbra, che dicevano meno di quanto volesse dire e più di quanto sperasse.

Guardando il viso di Anna rivolto verso il suo mentre stringeva il suo corpo morbido tra le sue braccia, Gilbert seppe in quel momento di essere solo un semplice uomo, fatto di carne e sangue, tentato da tutti i desideri, le voglie e le debolezze di generazioni di uomini prima di lui.

Dopo aver incontrato lo sguardo di Anna, i suoi occhi si posarono sulla bocca di lei, così vicina alla sua, così fortuitamente facile da catturare.

Doveva solo annullare un’infinitesima distanza per assaporare tutta la sua dolcezza e si sentì preda di sentimenti contrastanti.

Vinse il gentiluomo che stava dentro di lui: lasciò cadere le braccia e fece un passo all’indietro.

“Faremmo meglio ad andare, Anna.” disse e si girò verso il cavallo.

* * *

Lo so già: sarete arrabbiatissime sia con me (che non c’entro niente!), che con Emmy che ha stroncato Gilbert che stava per dare il sospirato bacio ad Anna.

Comunque, grazie a tutti per avere letto e per le vostre recensioni che, dopo Gilbert versione ignuda, sono aumentate vistosamente.

Passo a ringraziarvi, una per una

Luana80: Penso anche io che Gilbert sia stato un gran bel vedere. Peccato non essere là.

Scandros: Ciao Alex, tutto bene e spero lo stesso per te. Non importa che tu non abbia recensito. Come ho avuto modo di dire anche alla nostra comune amica, mi importa molto di più che leggiate questa storia e che questa continui ad appassionarvi. Tutte le volte che rileggo gli scritti di Emmy anche io mi emoziono sempre. Un abbraccio.

Kwannon: se i tuoi ormoni sono partiti così a razzo, immaginati un po’ quelli di Anna…

Ale Kanou: Evviva! Una new entry! Ciao! Allora sei vecia? anche io, ho 35 anni suonati ed Anna e Lady Oscar sono tra gli anime che mi hanno toccato il cuore. Ringrazio io te, per le parole gentili, anche da parte di Emmy.

Valentina: Un’altra new entry! ti ringrazio per la recensione e ti saluto.

Luna Viola: Che bella sorpresa trovare una tua recensione. Ma grazie, Liv. passerò i tuoi complimenti anche ad Emmy… dopo tutto, se questa storia è così bella, è solo merito suo. Sayonara.

Alex-kami: Ciao cara. Ho scoperto, rileggendo il manga di Anne, che cosa significa il –kami del tuo nick. Carino. Passo a rispondere alla recensione. Diciamo che ricevere simili recensioni ripaga della fatica e dell’impegno speso e ti spinge ad accendere il PC dopo una giornata di lavoro durante la quale ti hanno fatto arrabbiare e ti hanno esasperato. Sto cercando di tradurre lo scritto di Emmy nella maniera più fedele possibile, in quanto sono totalmente d’accordo nel riconoscerle il grande merito di non aver stravolto i personaggi nella loro essenza. E questo non è poco. Chi mi conosce un pochino, sa che non amo per niente le storie OOC, per cui apprezzo questa storia anche per la fedeltà con la quale ripropone i personaggi della Montgomery. Sono sempre molto triste quando leggo i tuoi appunti sul generale peggioramento delle fic. Purtroppo scrivere fanfics è diventato di moda e la qualità non è sempre tenuta in gran conto. E’ vero, ne ho lette anche io di storie scritte male, ma scrivere per te, per me, per altri amici di EFP è un bisogno e questo bisogno ci spinge a fare del nostro meglio, perché attraverso la scrittura, forse parliamo un po’ di noi e di quello che riteniamo sia importante.

Riguardo alla sensualità di questa storia. Avendone l’età, ho letto storie anche ad alto contenuto erotico. Ma nessuna mi ha mai emozionato come la scoperta dell’attrazione, anche fisica – molto fisica, direi, che lega Anna e Gilbert.

Sempre molto misurata e delicata, Emmy ci fa capire che il rapporto tra Anna e Gilbert è un rapporto completo e maturo. Grazie di tutto, Alex. Sono davvero onorata di avere la tua ammirazione.

baci a tutti, a presto! Nisi Corvonero

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Capitolo 15
*** Quattro risate ***


Era passata una settimana dal temporale ed Anna e Gilbert si trovavano in classe.”Oh, no!” esclamò Anna, costernata.

Anna voleva controllare che tutto fosse a posto prima dell’inizio dell’anno scolastico e Gilbert l’aveva accompagnata. Pensava che tutto quello che avrebbe dovuto fare si sarebbe ridotto a mettere un po’ d’ordine e a preparare l’aula per l’inizio delle lezioni… magari pulire la lavagna e predisporre i nuovi libri di testo.

Ma quello che si trovò davanti era molto peggio di quello che si era aspettata.”Che diavolo è successo, qui! (Anna esclama What in tarnation happened che letteralmente vuole dire cosa dannazione è accaduto. Per cui, anche Anna ha i suoi momenti No. Specifico in quanto si potrebbe pensare che Anna non si esprima a quel modo. Ed invece… Tarnation è un termine proprio dello slang americano. NdT.)esclamò mentre, sbigottita osservava lo sfacelo tutto intorno a lei. Libri e fogli erano sparsi alla rinfusa sul pavimento, ricoperti da pezzetti di legno e da detriti vari.

Gilbert andò al centro della stanza e sollevò lo sguardo.”Ecco cosa è successo, disse attirando l’attenzione di Anna verso il buco sul soffitto. “Il tetto deve essere crollato durante l’ultimo temporale.” ipotizzò Gilbert.

“Ma è successo più di una settimana fa!” disse Anna mentre cominciava a prendere fuoco. I responsabili della scuola avrebbero dovuto mandare qualcuno a controllare che tutto andasse bene.

Perché questo sopralluogo lo aveva dovuto portare a termine l’insegnante?”Non ci posso credere! Fra tre settimane inizia la scuola e guarda che..” esclamò Anna. Poi continuò ad inveire contro i responsabili negligenti che continuavano a ritenere l’istruzione un fatto di secondaria importanza.

Si era sempre battuta per avere più libri, più attrezzature ed ora c’erano anche da affrontare gli alti costi per effettuare tutte le riparazioni, senza contare che il tutto era stato peggiorato dalla loro poca efficienza e dalla loro incuria.

“Accidenti!” sussultò Anna dopo che improvvisamente un uccello era volato dalla libreria ed era uscito attraverso il buco del tetto. A quanto pareva, anche la fauna stava approfittando di quel riparo sui generis. Ed Anna incominciò un’altra filippica contro l’incuria e l’ingiustizia.

Gilbert incrociò le braccia sul petto e si appoggiò contro un banco, mentre osservava Anna che continuava imperterrita a sbraitare contro i direttori della scuola. La bocca di lui era serrata nel tentativo di reprimere uno sguardo divertito, che conteneva sì divertimento, ma anche qualcosa di più.

Anna era assolutamente inviperita. Aveva un bel caratterino, quella, non vi era il minimo dubbio in proposito, cosa che Gilbert aveva imparato a sue spese tanti anni prima quando lei gli aveva frantumato la lavagnetta sulla testa perché lui l’aveva presa in giro per i suoi capelli.

Ma ora era diverso, l’effetto che aveva su di lui. Non potè fare a meno di notare come fosse tutta animata, come il rossore le illuminasse il viso in maniera deliziosa, come i suoi occhi le si fossero incupiti e quasi mandassero scintille rabbiose. Pensò che non le avrebbe mai potuto dire una cosa del genere. Dirle come le sembrava in quel momento risvegliò qualcosa dentro di lui, qualcosa nel suo sangue che non aveva niente a che fare con lavagnette, ma che lo indusse a pensare a quello che avrebbe voluto fare in quel momento. Qualcosa che non aveva niente a che fare con la sua infanzia.

Improvvisamente, Anna si voltò verso di lui:”E cosa stai facendo lì impalato! FAI QUALCOSA!” urlò quasi, gli occhi che mandavano lampi.

Gilbert nell’udire quel comando, alzò un sopracciglio, le labbra che indicavano chiaramente quanto fosse divertito.

Apparentemente ridotto all’obbedienza, sciolse le braccia che fino ad un momento prima stavano incrociate sul petto e cominciò a controllare ogni singolo banco, ammucchiando le lavagnette che stavano sopra di essi in una pila ordinata.

Anna lo guardò perplessa:”Si può sapere cosa stai facendo” chiese.

Gilbert si bloccò ed alzò lo sguardo verso di lei, una pila di lavagnette in mano ed un sorriso stampato in faccia:”Sto togliendo le lavagnette dalla tua portata.” rispose.

Anna lo guardò ancora, piano piano afferrando il significato della battuta ed il riferimento all’incidente che era occorso tra loro due.

Improvvisamente, la sua rabbia passò come per magia ed Anna scoppiò a ridere.

“Gilbert Blythe! Finiscila!” lo rimbeccò falsamente offesa.

“Va bene, ma solo se mi prometti che non mi farai del male.” rispose a tono Gilbert, sempre scherzando sulla vicinanza delle lavagnette, la rabbia di Anna e la sua personale sicurezza.

“Non ti farò niente,” rise Anna. “Prometto che non ti fracasserò un’altra lavagnetta sulla testa.” giurò in tono falsamente solenne, divertendosi lei stessa all’uscita di Gilbert.

“Meno male!”rise Gilbert, facendo poi una pausa di silenzio.

“Cosa mi dici dei responsabili?”domandò, tenendo le lavagnette strette al petto mentre guardava Anna con uno sguardo saputo, le sopracciglia arcuate.

Anna rise:”Non farò niente neanche a loro.” sospirò elargendo il suo perdono, magnanima.”Sebbene meritino una bella strigliata. Ci penserò io.”

“Bene,” sorrise Gilbert mentre appoggiava le lavagnette su un banco vicino.

Ripensando al suo comportamento degli ultimi mesi, Anna arrossì dal rimorso. “Scusami Gilbert, io non volevo…”esordì per poi azzittirsi, imbarazzata dalla sua scenata. “Il mio brutto carattere ha sempre la meglio. Mi dispiace, io non volevo…” si interruppe incerta.

Non avrebbe mai voluto sfogarsi con Gilbert per le condizioni dell’aula, non era giusto nei suoi confronti.

Purtroppo a volte non riusciva proprio a trattenersi dall’esplodere.

“Non ti preoccupare, Anna, ti posso capire.” Disse Gilbert, mettendosi di fronte a lei. “Ci metti passione, nelle cose.” riconobbe. “Siamo molto simili in questo.”

Passione? Gli occhi di Anna si spalancarono per la sorpresa.

“Tu? Gilbert, tu non perdi mai la calma,” lo contraddisse lei. Non c’era nessuno più calmo e più equilibrato di Gilbert Blythe, pensò Anna.

“Questo è vero,” Gilbert scosse la testa con un sorriso. “La mia passione prende una direzione diversa.” disse in tono leggero, ma i suoi occhi erano seri ed nella profondità di quegli occhi che la stavano fissando, Anna potè leggere qualcosa.

Anna trasalì. Ma perché a volte Gilbert faceva così, si chiese. Perché qualche volte diceva delle cose totalmente senza senso per lei, ma che le causavano un brivido che le correva lungo il corpo, accompagnato da folli pulsazioni e dal suo cuore che le batteva selvaggiamente? Oh, fin da quando erano piccoli, Gilbert si era preso gioco di lei, ma nel corso di quell’ultima estate, i suoi scherzi erano cambiati.

Quest’ultimo, per esempio, l’aveva lasciata senza fiato, confusa e completamente sconvolta. Era come quando a volte lui la toccava, provocandole quella strana scossa che la attraversava da parte a parte. Solo che in questo caso, lui aveva usato solamente delle parole, che però erano in grado di provocarle la stessa reazione.

Ne aveva avuto abbastanza, per quel giorno, per cui Anna gli voltò le spalle e si chinò per raccogliere qualche maceria; anche Gilbert le si accoccolò accanto e le diede una mano.

“Non ti preoccupare, Anna, c’è tutto il tempo per riparare il tetto prima che cominci la scuola”, la rassicurò Gilbert.

Ancora chinata, Anna annuì alla sua logica conclusione. Si era resa conto di aver esagerato con la sua tirata.

Ma quella era stata solo una reazione naturale causata dalla delusione.

“Se sei d’accordo, posso contattare i responsabili e prendere accordi al più presto.” si offrì Gilbert.

Anna continuò il suo lavoro, ma scosse il capo. “No, Gilbert. Sarò io a contattarli. Tocca più a me che a te.” disse notando che, al solito, Gilbert aveva offerto il suo aiuto. Una volta le aveva detto che le piaceva essere d’aiuto e lo aveva dimostrato, ancora una volta.

Lavorarono in un silenzio confortevole, riordinando quando possibile prima di andarsene per poi dirigersi, fianco a fianco, verso il Tetto Verde.

“A proposito di scuola, anche tu fra poco dovrai tornare a Dalhousie, vero, Gil?” domandò Anna in tono leggero. Per qualche ragione, era da un po’ che il pensiero della partenza di Gilbert le stava frullando in testa.

Non se lo spiegava proprio il perché; d’altronde, lo aveva sempre saputo che Gilbert avrebbe dovuto partire.

E, come aveva raccontato a Diana Barry in primavera, Gilbert le sarebbe mancato proprio come qualsiasi amico che avrebbe dovuto partire.

Però, ora, quelle parole non sembravano più molto vere come parevano essere fino a qualche tempo prima. Negli ultimi mesi c’era stato qualche piccolo cambiamento, beh, forse non così piccolo, nelle sue personali percezioni ed Anna oramai pensava che Gilbert le sarebbe mancato terribilmente.

Era naturale, cercò di razionalizzare: avevano passato così tanto tempo assieme durante l’estate che la sua assenza avrebbe lasciato un senso di vuoto. E questo era quello che continuava a ripetersi.

Ma Gilbert non aveva ancora risposto alla sua domanda riguardante al suo ritorno a scuola. Infatti, c’era stato un lungo silenzio dopo che lei aveva parlato.”Tornerai presto a Dalhousie, vero Gilbert?” ripetè mentre imboccavano una svolta. “Alloraaaaaarrrrrrrrrggggghhhhhhhhh!!!”

Urlò Anna improvvisamente e fece qualche passo indietro visto che era stata investita da un getto d’acqua,apparentemente una secchiata.

Il piccolo Tommy Henderson, il colpevole - a quanto sembrava - lasciò cadere il secchio che teneva in mano, il viso atteggiato ad un’espressione shockata, gli occhi spalancati nel rendersi conto del terribile errore commesso.

Anna lo guardò incredula, le braccia aperte mentre rivolgeva lo sguardo su sé stessa. Era bagnata fradicia dalla testa ai piedi.

Alzò lo sguardo ancora una volta e guardò il ragazzino spaventato.

“Tommy Henderson!!” urlò quasi.

“Signorina Shirley! Mi scusi tanto!” urlò il bambino. “Io e Donny… io e Donny stavamo giocando… non sapevo che fosse lei, glielo giuro!” piagnucolò sullo scambio di persona.

Come poteva sapere che Miss Shirley stesse arrivando proprio in quel momento, mentre lui e Donny si stavano sfidando a colpi di secchiate d’acqua.

“Anna”, esordì Gilbert, la voce bassa, forse provando un minimo di compassione nei confronti del ragazzino.

Anna si girò verso di lui:”Tu stanne fuori!” comandò, gli occhi che mandavano scintille. Anna si girò verso il ragazzino.”Guarda cosa hai fatto! Sono fradicia!” strillò, lamentandosi.

“Si, certo!” riconobbe Tommy, per un momento fiero della sua buona mira, prima che si ricordasse dell’errore commesso.”Ma le chiedo scusa, non sapevo che fosse lei”, ripetè le sue scuse, implorando perdono.

Anna sospirò rumorosamente, in segno di sopportazione. “Va bene, allora”, sibilò il suo perdono. “Ma filate via, prima che io cambi idea” li minacciò. Fin troppo felice di essersela cavata con così poco, Tommy se la diede a gambe e poco dopo scomparve dalla sua vista.

Mentre Anna si staccava le vesti bagnate dal corpo, a disagio e contrariata, Gilbert non potè trattenere una risata.

Aveva pensato che sarebbe stato necessario un suo intervento per salvare Tommy dalla furia di Anna, ma Anna non glielo aveva permesso, anche perché in fondo non sarebbe servito.

Nonostante la sua rabbia e la sua furia, Anna aveva dimostrato di avere un cuore tenero. Aveva accettato le scuse del ragazzino, sebbene in maniera poco convinta. E la minaccia non aveva alcun fondamento. Anna non gli avrebbe fatto del male più di quanto non gliene avrebbe fatto lui.

“Si può sapere cosa hai da ridere?” domandò Anna di malagrazia, girandosi verso di lui, gli occhi ridotti ad una fessura mentre osservava il suo sorriso.

Gilbert cercò di trattenersi, si sforzò di farlo. Aveva anche pensato che sarebbe stato nel suo interesse, ma onestamente non ce la fece.

“Ah, niente.” rispose evasivo, mentre le sue labbra si stavano ripiegando in un sorriso.

Anna strinse ancora di più gli occhi. Ma che bella giornata! Prima il tetto della scuola. Poi… quello. E Gilbert aveva visto tutto.

“Sarebbe meglio se ti accompagnassi a casa. Sai, così ti puoi cambiare.” le propose Gilbert con una punta di scherno nella sua voce.

“Beh, allora è meglio che vada da sola.” disse Anna sospirando rumorosamente.

“Prego?” domandò Gilbert, sorpreso della sua uscita.

Anna si girò verso di lui. “Gilbert Blythe, non so se tu lo hai notato, ma non vado molto d’accordo con…” Anna tacque ed accennò a sé stessa “…l’acqua- E sembra che tu sia attorno quando mi succedono queste cose. Marilla sta cominciando a pensare che sia per colpa tua; perciò non credo che riportandomi a casa bagnata fradicia migliori la tua posizione…”

Gilbert si grattò il collo mentre rifletteva sulle parole di Anna. Aveva ragione ancora un volta. Tornando con il pensiero indietro nel tempo, ripensò a quello che era accaduto, ai problemi che Anna aveva avuto con l’acqua.

Quel giorno, quando l’aveva salvata quando la barca del Signor Barry era colata a picco; quando aveva tentato di fare uscire la mucca dal campo di cavoli ed era caduta in acqua; quando era rimasta intrappolata nel fango mentre cercava di cogliere i fiori che crescevano sull’isoletta; il temporale quando erano andati a casa di Ruby Gillis. Ed il temporale della settimana prima. Senza parlare di quello che era accaduto pochi minuti prima. Si. Anna Shirley non andava particolarmente d’accordo con l’acqua. Gilbert sorrise ed atteggiò il volto in una espressione eroica.”Beh, Anna. Penso di essere abbastanza coraggioso per affrontare la rabbia di Marilla, se anche tu lo sei. Vogliamo andare?” le sorrise ed alzò le sopracciglia, in una muta domanda.

“Va bene. Poi non venirmi a dire che non ti avevo avvertito” borbottò Anna fra i denti.

Poco tempo dopo, i due arrivarono al Tetto Verde; la porta si aprì scricchiolando e Marilla apparve sulla veranda e rimase a bocca aperta.

“Anna Shirley, cosa hai combinato questa volta!” esclamò forse per la millesima volta da quando avevano iniziato a vivere assieme.

“Sono stata colpita dal fuoco incrociato” spiegò Anna con un sospiro, facendo riferimento alla lotta con l’acqua che i bambini avevano ingaggiato. Raccolse le gonne bagnate e salì gli scalini. Nel notare l’espressione perplessa di Marilla, Anna raccontò:”Tommy e Donny Henderson. Stavano prendendosi a secchiate d’acqua. Ed io mi sono trovata nel mezzo.”

“Anna Shirley! Questa le batte tutte!” esclamò Marilla, perplessa e confusa dalla spiegazione. “Quante maniere ci sono per ridursi bagnata fradicia in questo modo?” scosse il capo, sconsolatamente.

Non riuscendo più a trattenersi, Gilbert sogghignò e rispose:”Non so quante maniere ci siano, signorina Cuthbert, ma sono sicuro che Anna vuole scoprirle tutte!”

Improvvisamente, due paia di occhi vennero puntati su di lui, interrogativi e perplessi. Ma Gilbert si limitò ad allargare il sorriso e si inchinò profondamente.”Arrivederci, signore” disse e si girò, sperando che non gli scappasse da ridere prima di essersene andato.

Oltre le sue spalle, sentì che Anna stava rientrando in casa e che commentava:”Marilla, è orribile indossare un vestito fradicio” si lamentò ”Mi sento come se fossi avvolta in un gatto morto tutto bagnato.”

Incapace di trattenersi più a lungo, Gilbert Blythe buttò indietro la testa e scoppiò a ridere mentre percorreva la strada a ritroso.

* * *

Ciao a tutti! Eccovi il nuovo capitolo, spero vi sia piaciuto.

grazie a tutti voi che avete letto e recensito, in particolare:

Iorik: Ti capisco: io di anni ne ho 35 ed aspettavo che Emmy aggiornasse i suoi capitoli, che non mi hanno mai delusa. Comunque, grazie per i complimenti.

Lu: Prego, troppo gentile. Felice che questa storia ti piaccia così tanto (e piace molto anche a me, te lo assicuro!)

daffydebby: che bello, sei arrivata anche qui! Emmy è bravissima, davvero. A presto! E tante grazie

Kwannon: Ebbene sì, Emmy ci sta facendo arrostire a fuoco lento… comunque, ancora cinque capitoli di sofferenza, cara!

Maggie: Mi inchino profusamente e ti ringrazio.

Cowgirl Sara: grazie per il bacione che ricambio con entusiasmo. Evviva Emmy e quello che scrive!

Meiko: ciao, come va? E’ tanto tempo che non ci sentiamo. Sono d’accordo con tutto quello che dici… anche se, come dicevo sopra, Emmy ama farci rimanere sulle spine.

Luana80. Prima di tutto, scusa se non ho risposto alla tua mail, ma questo è un periodo un po’ incasinato. Lo farò quanto prima. Anche io ho gli occhi a cuoricino, davvero. Un bacione e grazie di tutto.

Grazie a tutti, al prossimo aggiornamento.

Nisi Corvonero per Emmy

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Capitolo 16
*** All'emporio ***


“Zitta, E’ lui!” sibilò Diana mentre piantava il gomito nel fianco di Anna per farla tacere.

Anna alzò la testa dalla stoffa che stava esaminando per seguire lo sguardo della sua amica.

Dall’altra parte dell’emporio c’era un giovanotto, biondo e molto alto che indossava un vestito scuro il quale taglio sartoriale si era visto molto raramente lì ad Avonlea.

“Arriva da Halifax” bisbigliò Diana “La sua famiglia è proprietaria della banca e suo padre vuole che faccia esperienza prima di ritirarsi e lasciargli le redini della Società. E’ per questo che si trova ad Avonlea.” riferì Diana.

Non che Avonlea avesse questa grande filiale della banca, solo uno sportello, e quello era il nuovo direttore.

Anna lanciò uno sguardo al nuovo concittadino. Sì, corrispondeva alla descrizione che Diana le aveva fatto pochi minuti prima. Ed il suo nome altisonante ben si accordava con la sua statura imponente ed il suo atteggiarsi.

Arthur Nathaniel Richardson III.

“Non credi che sia un bell’uomo?” domandò Diana in tono complice, mentre puntava lo sguardo al di là dei rotoli di tessuto neanche tanto nascostamente. Anna fissò l’uomo mentre veniva servito dal proprietario dell’emporio. “Si, penso di sì.” concesse Anna, evidentemente non troppo interessata mentre ritornava a dedicare la sua attenzione ai tessuti davanti a lei.

Anna e Diana si trovavano all’emporio per scegliere le stoffe dei vestiti che avevano intenzione di cucire ed indossare al ballo di White Sands, che si sarebbe tenuto circa due settimane più tardi.

“Pensi di sì!” esclamò Diana cercando di non farsi sentire troppo. “Ma come, metà delle ragazze di Avonlea stanno facendo carte false per farsi notare da lui, e l’altra metà farà lo stesso non appena saprà che lui è qui!” esordì Diana enfatica.

Diana era sempre al corrente degli ultimi pettegolezzi.

Ed era sempre tra le prime persone ad esserne messa a conoscenza.

Diana lanciò uno sguardo in tralice verso la sua amica:”Ma io ho Fred e tu hai Gilbert e non c’è nessuno che possa reggere il confronto.” affermò in tono leggero, aspettando la reazione di Anna… ed attendendo una smentita da parte sua all’affermazione che lei e Gilbert fossero una coppia.

Anna non alzò lo sguardo e si limitò ad arrossire lievemente e si concentrò maggiormente sulla stoffa. “Questa organza è carina, vero?” domandò.

Diana inarcò le sopracciglia, sorpresa: di tutte le volte che aveva punzecchiato Anna sulla vera natura dei suoi rapporti con Gilbert Blythe, sia direttamente che indirettamente, quella era la prima volta che Anna non aveva negato che ci fosse qualcosa tra di loro.

Non lo aveva confermato, ma lo non aveva neanche negato.

Diana ripeté l’affondo (Pettegola! NdT):”Si, quell’organza è carina. Sono sicura che anche a Gilbert piacerà.” la punzecchiò maliziosa.

Anna arrossì ancora di più: sapeva che Diana si aspettava che le dicesse qualcosa e precisamente che lei e Gilbert non erano fidanzati e che non le importava che il suo vestito nuovo gli piacesse o meno.

Ma per qualche ragione che non era in grado di capire, non se la sentì di rimbeccare Diana; per la verità, non se la sentiva più di negare con chiunque facesse delle insinuazioni in tal senso. Forse era perché non se la sentiva di rispondere a tono alla sua migliore amica. Era facile negare davanti a qualcuno che non la conosceva intimamente, ma Anna sapeva che non avrebbe mai potuto mentire proprio a lei. Ciò nondimeno, quello che Diana aveva detto non era completamente vero: in primavera aveva rifiutato la proposta di matrimonio di Gilbert e non era probabile che lui le chiedesse ancora in moglie. Ora lui la considerava solamente una buona amica. Non era quello che lei aveva sempre voluto?

Però da qualche tempo a quella parte, Gilbert era diventato molto importante per lei.

Un carissimo amico, sì… ma anche qualcos’altro.

Anna scosse il capo, nel tentativo di schiarirsi le idee. Non poté rispondere a Diana semplicemente perché non sapeva cosa dire. Gilbert non era “suo”, tuttavia lui era molto importante per lei. Ed ogni giorno che passava, Anna ne era sempre più convinta.

“Marilla dice sempre che l’organza mi sta bene,” rispose invece Anna. Diana sorrise, quasi gongolando per il suo trionfo. Aveva accennato a Gilbert per ben due volte e per ben due volte Anna non aveva smentito niente.

Era una cosa apparentemente da nulla, ma Diana sapeva bene quanto fosse importante e si sentiva quasi stordita dalla contentezza: Anna era la sua migliore amica e Gilbert Blythe era perfetto per lei.

Lei sapeva per esperienza quanta gioia e felicità potesse donare l’amore. Era sicura che Fred Wright si sarebbe dichiarato da lì a poco ed il pensiero che la sua amica avrebbe potuto provare le stesse meravigliose sensazioni da lì a poco, le procurava solamente una grande gioia.

“A proposito di Gilbert, dov’è andato oggi?” Diana forzò la mano con la terza allusione.

Senza pensarci, Anna rispose:”Probabilmente è andato dagli Smythe ad aiutare a costruire la stalla.”

“Probabilmente?” domandò Diana con le sopracciglia aggrottate nell’udire quella vaga risposta.

Anna alzò lo sguardo quasi sorpresa, domandandosi lei stessa come facesse a sapere dove fosse Gilbert. “Ecco, io…” balbettò. “Veramente, non sono sicura che sia dagli Smythe, ma penso che potrebbe essere da loro.” spiegò Anna brevemente. Anna sapeva che a Gilbert piaceva dare una mano, non glielo aveva forse detto durante uno dei loro picnic?

Non glielo aveva forse dimostrato innumerevoli volte?

Era questa caratteristica così peculiare che le aveva fatto intuire dove fosse Gilbert quel giorno e cosa stesse facendo.

Lui non le aveva detto niente; Anna però sapeva che quando qualcuno aveva bisogno di aiuto, Gilbert arrivava.

Diana fissò interessata la sua amica:”Ora che mi ci fai pensare, mi sembra di ricordare che Fred mi abbia detto che lui, Gilbert e qualcun altro sarebbero andati là” disse Diana con espressione che si faceva man mano pensierosa. “Però tu già lo sapevi.” affermò, domandandole una spiegazione ancora più esauriente.

Anna fece spallucce mentre arrossiva ancora di più e cercava di minimizzare l’importanza dell’affermazione della sua amica.

Conosceva abbastanza Gilbert per fare un’ipotesi corretta e questo non significava niente, vero?

“Hai scelto la stoffa?” le chiese invece, riportando la conversazione su un terreno più neutro.

Rivolgendo la sua attenzione di nuovo alla stoffa davanti a sè, Diana Barry nascose un sorriso, decise per quel giorno aveva stuzzicato abbastanza Anna e si dichiarò più che soddisfatta di quello che aveva appreso.

Dall’altra parte del locale, il nuovo concittadino Arthur Nathaniel Richardson III si stava guardando attorno.

Aveva già notato le due giovani signore non appena era entrato nel negozio ed aveva continuato a gettare l’occhio su di loro mentre parlava con il proprietario dell’emporio.

Dopo tutto, Avonlea avrebbe potuto anche non essere così male come aveva pensato all’inizio.

Aveva maledetto l’insistenza con la quale suo padre lo aveva spronato a farsi le ossa in un piccolo villaggio come Avonlea. Di certo, avrebbe preferito una grande città, più brillante e più vivace di quel piccolo villaggio; stava però cominciando a pensare che, forse, quel piccolo villaggio avrebbe potuto offrirgli qualche piacevole sorpresa.

Per esempio, le due donne dall’altra parte della stanza.

Tuttavia la sua attenzione fu attirata in particolare da una delle due: lei aveva una fiera chioma rossa che illuminava un viso singolarmente attraente ed una figura armoniosa.

Arthur Richardson sorrise. Si, decisamente le prospettive erano molto più rosee di quanto non si fosse aspettato all’inizio.

* * *

MANCANO QUATTRO CAPITOLI ALLA FINE! STATE IN CAMPANA!

Notizia importante. A causa delle Madonne che mi state tirando, ho pensato di evitare i vostri accidenti comunicandovi per e-mail gli aggiornamenti alle mie storie. Se scrivete a nisi_corvonero@yahoo.it, verrete inseriti in rubrica, perciò tempestivamente avvisati che ho pubblicato qualche cosa di nuovo. Grazie e tanti baci.

Ciao a tutti e buon anno, anche da parte di Emmy che vi ringrazia vi saluta.

Un ringraziamento particolare a:

Luana80, per esserci sempre e comunque.

Kwannon che adora Gilbert ed aspetta che entrambi si diano una mossa che sarebbe anche ora (ti consiglio il prossimo capitolo).

e Lu, che pare Emmy abbia inesorabilmente portato sulla strada della perdizione.

ciao e, già che ci siamo, tanti auguri a tutte per domani.

Nisi Corvonero in vena di scemenze.

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Capitolo 17
*** In veranda ***


“Scacco!” esclamò allegra Anna Shirley, mentre alzava lo sguardo dagli scacchi e sorrideva soddisfatta a Gilbert Blythe.

“Non cantar vittoria troppo presto, signorina Anna.” rispose Gilbert senza staccare gli occhi dalla scacchiera che si trovava tra loro due, mentre continuava a studiare la mossa seguente.

Anna Shirley giocava a scacchi con lo stesso spirito col quale faceva qualsiasi altra cosa: per vincere. Siccome aveva già vinto la partita precedente, Gilbert non era disposto farle fare il bis.

In quella bella domenica, Anna e Gilbert erano seduti in veranda. Lui si accarezzò il mento pensosamente ed infine mosse il cavallo, impedendole di fare scacco. “Credo che questa mossa io ti abbia rotto le uova nel paniere.” osservò ridendo mentre alzava la testa ed inarcava giocosamente le sopracciglia e, allo stesso tempo, batteva una mano sulla coscia.

Trasalendo al contatto del palmo con i suoi calzoni, Gilbert serrò la mano a pugno. Nonostante fosse stato cauto nell’usare quella mano, in quel momento se ne era dimenticato.

“Gil, cosa ti succede?” Anna lo aveva visto trasalire ed aveva notato anche l’espressione di dolore dipinta sul suo viso.

“Niente.” rispose lui, cercando di liquidare la faccenda.

“Non ci credo!” lo contraddisse Anna mentre lo guardava in faccia.

Credeva che non avesse visto la faccia che aveva fatto? Era trasalito solo per un attimo, ma lei lo aveva notato.

“Cosa è successo alla tua mano?” chiese indicando il pugno. Si era accorta che il suo trasalire e il movimento della sua mano, erano coincisi nello stesso istante.

“Fammi vedere.” gli ordinò, determinata a scoprire la verità.

“Anna, non è niente.” ripeté Gilbert, convinto. Era una cosa da nulla alla quale aveva rimediato con qualche cerotto, niente del quale preoccuparsi.

Gilbert, con il suo comportamento evasivo, non ottenne il suo scopo: Anna, diventò se possibile ancora più determinata a scoprire cosa lui le stesse nascondendo.

“Bene, allora se non è niente, fammelo vedere.” lo esortò.

“Non possiamo continuare a giocare? Tocca a te muovere.” Gilbert tentò di distogliere l’attenzione di Anna.

Gilbert si ostinava a non collaborare. Anna esitò per una manciata di secondi prima di chinarsi sul tavolo e prendergli la mano, sorprendendo lo stesso Gilbert con il suo gesto improvviso.

La sorpresa gli impedì di resistere ed Anna riuscì a tirare la sua mano vicino a sé.

Ignorò la scossa che l’aveva percorsa quando le loro mani si erano toccate ed aprì piano il pugno di Gilbert per vedere cosa non andasse.

“Gilbert! Cosa hai fatto!” esclamò, allarmata alla vista che le si parava davanti. Il palmo di Gilbert era una massa di escoriazioni rosse e gonfie che avevano tutta l’aria di essere molto dolorose.

Gilbert fece spallucce, noncurante, e tentò di riprendere possesso della sua mano, ma Anna gli afferrò il polso, gli occhi in quelli di lui che esigevano una risposta.

Non sapeva l’effetto che gli faceva quando lo toccava, si domandò, non aveva idea di quanto gli facesse perdere la testa quel suo tocco innocente?

No, probabilmente No. Gilbert sospirò. Tutto sommato, poteva anche risponderle, così avrebbe messo termine a quella dolce tortura che lei gli stava infliggendo.

“Ieri nei campi ho esagerato col lavoro.” imbarazzato, spiegò la ragione delle sue ferite. “Ma non è niente.”, ripeté, minimizzando l‘entità delle sue escoriazioni.

Anna gli lanciò uno sguardo esasperato. Sapeva che quell’estate Gilbert stava lavorando molto nei campi; faceva anche gli straordinari per recuperare il tempo perduto a Charlottetown mentre cercava di rintracciare i parenti di Lizzy ed Henry Miller. Ma non le piaceva il fatto che lui si stesse facendo del male. Proprio Gilbert, un futuro dottore. Avrebbe dovuto avere un po’ più di buon senso, no?

“Non ti muovere.” ordinò Anna, lasciando la sua mano ed alzandosi in piedi. Per educazione, quando una signora andava via, lui si alzava. E lo fece anche quella volta, ma Anna non ne volle sapere.

“Ho detto di non muoverti!” comandò lei, indicando la sedia.

La porta si chiuse alle spalle di Anna e Gilbert si lasciò cadere sulla sedia con un’espressione divertita in viso.

Oh, era una comandina, quella. Si, una comandina… suscettibile… piena di vita… e adorabile.

Scosse la testa nel rendersi conto della direzione che avevano preso i suoi pensieri.

Si, Anna era adorabile, ma non doveva pensarci. Con un grande sforzo, si impose di concentrare i suoi pensieri su un terreno più sicuro.

La porta si aprì con una spallata ed Anna comparve con una bacinella d’acqua in una mano, un fazzoletto e della pomata nell’altra. Appoggiò il tutto sul tavolino, e trascinò la sedia accanto a quella di Gilbert.

“Fammi vedere la mano.” ordinò per la seconda volta, prendendo posto accanto a lui ed aprendo il barattolo di pomata.

Gilbert sapeva che discutere con lei sarebbe stato inutile. A quando pareva, Anna voleva curargli la mano ferita ed il suo proposito era chiaro nel tono della sua voce.

Gilbert sospirò e controvoglia le obbedì, girando il palmo all’insù.

Anna prese la sua mano nella sua, intinse il fazzoletto nell’acqua, lo strizzò e lo passò sul palmo di Gilbert con un tocco leggerissimo.

Gilbert la guardava mentre era tutta concentrata sul suo compito.

Fece qualche commento sulla sua trascuratezza, lo rimproverò e Gilbert fu sorpreso di scoprire che ciò non gli dispiaceva per niente.

Erano seduti vicini, così vicini che le loro ginocchia si sfioravano e lui poteva avvertire l’inconfondibile profumo di lillà dei capelli di Anna.

No, non gli dispiaceva. Proprio per niente.

Avere Anna così vicina mentre lo curava così premurosamente valeva bene qualche ferita.

Anche se tutto questo era una dolcissima tortura.

“Ti sto facendo male?” chiese Anna senza alzare gli occhi.

“No.” rispose Gilbert, deglutendo a fatica e completamente dimentico delle condizioni della sua mano. La sua mente era fastidiosamente occupata da ben altri pensieri.

“Bene.” disse Anna, mettendo da parte il fazzoletto e passando due dita nella pomata. La spalmò accuratamente sulle escoriazioni con tocco gentile. I suoi movimenti erano leggeri e circolari per far penetrare la crema in maniera uniforme.

“Ecco, tutto a posto. Ma mi devi promettere di stare più attento, Gil.” lo rimproverò gentilmente Anna, alzando il viso per incontrare gli occhi di Gilbert con i suoi, evidentemente preoccupati.

“Come, sei preoccupata per me, Anna?” chiese Gilbert sorridendo ed in tono beffardo, sperando di scacciare i suoi pensieri da Anna.

Il viso di Anna si fece pensoso mentre lo fissava per un momento e ponderava seriamente la questione. “Non voglio che tu ti faccia del male.” disse piano. “Tu sei importante per me.”

Come era stato facile dire la verità, pensò Anna. Perché ERA la verità: Gilbert era importante per lei. L’unica sorpresa era stato scoprire quando fosse stato facile dirlo ad alta voce.

Gilbert rimase impietrito, sbalordito dalla risposta di Anna e dalla preoccupazione e dall’affetto che aveva letto nei suoi occhi.

Davvero Anna Shirley aveva detto che lui era importante per lei?

Gilbert sostenne lo sguardo di Anna, cercando di leggere in lei, cercando di comprendere cosa stesse dietro a quelle semplici parole; a sua volta, Anna sostenne lo sguardo di Gilbert senza esitare, senza tentare di distogliere il suo.

Tutto si fece silenzioso attorno a loro.

Nessuno dei due si mosse, o tentò di farlo. Si limitarono a guardarsi l’un l’altra, il tempo che sembrava essersi fermato mentre erano seduti vicini e la mano di Gilbert era ancora in quella di Anna.

Improvvisamente, Anna sussultò.

Qualcuno la stava chiamando.

“E’ Diana.” disse, ritirando la sua mano e l’incantesimo di pochi istanti prima irrimediabilmente spezzato.

Gilbert appoggiò l’altra mano al braccio di Anna, bloccandola mentre tentava di alzarsi. Anna si girò a guardarlo.

“Grazie, Anna.” disse piano, riferendosi alle cure da lei prestate e forse anche a qualcos’altro, non sapeva.

Anna fece di sì con la testa e si alzò.

* * *

“Ti dico che è vero!” ripeté Diana circa un’oretta dopo che Gilbert se ne era andato.

Lei e Anna erano comodamente sedute in veranda.

“Fred lo ha saputo da Moody che lo ha saputo proprio da Gilbert.” spiegò Diana.

Anna scosse il capo incredula. Come era possibile? Per quale motivo Gilbert non le aveva detto niente? Erano stati assieme per tutta l’estate, ma lui non ne aveva fatto il minimo cenno. La settimana precedente gli aveva fatto delle domande, ma neanche in quella occasione lui ne aveva parlato.

“Fred mi ha detto che se il padre di Gilbert non ce la facesse ad ottenere l’ipoteca, Gilbert dovrebbe dargli i soldi per scuola di medicina.”

Anna cercò di assorbire il colpo, e cioè che se la fattoria di suo padre navigava in cattive acque, probabilmente lui non sarebbe tornato a scuola.

“La banca gli ha già rifiutato il prestito due volte.” disse Diana.”E sembra proprio che Gilbert abbia l’intenzione di dare i suoi soldi al padre. Anna, non credi che sarebbe troppo duro per Gilbert, rinunciare a tutto?

Anna si fece pensosa. Gilbert che rinunciava ai soldi che gli servivano per la scuola per darli a qualcun altro? Diana non conosceva Gilbert come lo conosceva lei. Non era poi così strano da parte di Gilbert comportarsi così, anzi, tutto il contrario, pensò Anna. Gilbert era sempre disposto a dare una mano, soprattutto alla sua famiglia.

“Diana, ma è terribile!” dichiarò Anna. “Gilbert DEVE tornare a scuola!” si lagnò, ripensando alle cose che lei e Gilbert si erano detti durante i loro picnic.

Gilbert le aveva raccontato che fare il contadino non lo avrebbe mai fatto felice, che aveva altre ambizioni e che la scuola di medicina era l’unica scelta egoistica che avesse mai fatto. Man mano che passava l’estate e si avvicinava per Gilbert il momento di partire, Anna si faceva sempre più triste. Per quanto non lo volesse ammettere nemmeno con sé stessa, il pensiero che Gilbert sarebbe partito, la rendeva immensamente triste.

Ma questa notizia improvvisa era ancora peggio ed alla prospettiva che Gilbert non sarebbe tornato a scuola, la rese ancora più infelice. Anna scosse il capo pensando all’assurdità della cosa: era dispiaciuta perché Gilbert sarebbe partito, ed ora era ancora più giù di corda perché lui sarebbe rimasto. Era assurdo.

“Ma Diana, deve pur esserci una soluzione!” esclamò Anna.

Diana fece spallucce:”Penso che l’unico modo è che la banca cambi idea e conceda il prestito; non vedo altra scelta.”

Anna inclinò il capo da una parte, pensosa.

La banca. C’era un nuovo direttore, Arthur Richardson. Anna lo aveva incontrato qualche volta e nonostante non potesse dire che quell’uomo non le piacesse, non poteva nemmeno dire il contrario.

Anna aveva avvertito da parte sua un certo interesse nei suoi confronti, ma lo aveva trovato piuttosto presuntuoso ed aveva rifiutato il suo invito ad accompagnarla al picnic in riva al mare di Moody. Ci era andata assieme ai suoi amici, assieme a Gilbert.

Anna si domandò se il padre di Gilbert avesse parlato con Richardson. Valeva la pena fare un tentativo, giusto?

Ma Anna non poteva certo chiedere a Gilbert di cosa avrebbe fatto suo padre per risolvere le sue difficoltà finanziarie, visto che non le aveva nemmeno accennato del problema.

Anna si morse il labbro pensosamente.

No, avrebbe dovuto scoprirlo da sola.

* * *

Mancano tre capitoli e si accettano scommesse su cosa accadrà. Penso che il prossimo capitolo vi farà arrabbiare un pochino, però…

Siccome l’altra mia traduzione è finita, conto di essere un pelino più veloce.

Notizia importante. A causa delle Madonne che mi state tirando, ho pensato di evitare i vostri accidenti comunicandovi per e-mail gli aggiornamenti delle storie alle quali sto lavorando. Se scrivete a nisi_corvonero@yahoo.it, verrete inseriti in rubrica, perciò tempestivamente avvisati che ho pubblicato qualche cosa di nuovo. Grazie e tanti baci.

Ringrazio di cuore tutti voi che avete letto e recensito.

Lu

Altair76

Meiko

Kwannon

Luana80.

Grazie anche ad Alex-kami e Scandros per il costante incoraggiamento e grazie anche a Luana per un sacco di motivi.

Meiko ha fatto un’osservazione intelligente, ma altro dirvi non vò!

Un abbraccio e a presto!

Nisi Corvonero

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Capitolo 18
*** Il ballo di White Sands ***


Arthur Nathaniel Richardson III non riuscì a credere alla sua fortuna: tale fortuna che quella mattina aveva fatto entrare in banca Anna Shirley.

L’aveva adocchiata fin da quando era arrivato ad Avonlea, ma tutti i suoi tentativi di approccio erano stati vani fino a quel momento.

Aveva rifiutato il suo invito ad accompagnarla al picnic alla spiaggia ed l'ovvio disinteresse nei suoi confronti aveva di conseguenza accresciuto il suo.

Arthur Richardson era abituato ad ottenere quello che voleva ed al momento quello che voleva era Anna Shirley.

Che la ragione che l’aveva portata in banca quella mattina fosse un po’ particolare, per lui rappresentava un ulteriore vantaggio.

“Allora, Signorina Shirley, vediamo se ho capito bene. Lei non è qui per negoziare un’ipoteca sul Tetto Verde. Lei invece vuole avere delle informazioni sulla proprietà di un suo vicino… ed esattamente sulla fattoria dei Blythe. E’ giusto?” chiese Arthur fissando la giovane donna con uno sguardo accuratamente studiato.

Anna Shirley si mosse a disagio sulla sedia, sentendosi improvvisamente molto stupida.

“Sì, è giusto” rispose chiamando a raccolta tutto il suo coraggio e sentendosi arrossire alla domanda che le era stata posta.

“Signorina Shirley, è però mio dovere avvertirla che quello che mi sta domandando di fare è molto scorretto. Non è abitudine della nostra banca rilasciare informazioni finanziarie se non ai diretti interessati.” spiegò Arthur.

“Lo so, Signor Richardson, infatti io non sono venuta qui per… per…” disse Anna, titubante. Non era chiaro neanche a lei il perché si fosse recata in banca. Probabilmente era stata molto stupida. Tutto quello che voleva era dare una mano, ma non sapeva come.

Arthur Richardson lanciò un’occhiata alla ragazza seduta dall’altro lato della sua scrivania mentre valutava la mossa seguente.

“Forse…” esordì lui. “Forse… è probabile che lei sia venuta per fornirmi delle referenze personali sul conto dei signori Blythe, dico bene?”

Anna Shirley sbattè gli occhi, gli occhi che si illuminarono all’idea. “Certo, Certo che posso darle delle referenze!” rispose entusiasta.

Avrebbe fatto qualsiasi cosa per aiutare il padre di Gilbert ad ottenere l’ipoteca e per permettere a lui di proseguire gli studi. “Conosco i Blythe da quando sono arrivata qui ad Avonlea. Sono andata a scuola con il loro figlio e non c’è nessuna famiglia migliore di loro. Glielo posso garantire.” assicurò

“Signorina Shirley, tengo in gran conto la sua personale opinione, ma la prego di comprendere la mia posizione. I Signori Blythe non l’hanno citata come referenza. Il solo fatto di discuterne con lei, costituisce una violazione delle procedure della nostra banca.” disse Arthur in tono di affettato dispiacere.

“Oh”, mormorò Anna, desolata, fissando le sue mani intrecciate nel suo grembo.

“Ma…” fece una pausa ad effetto, inclinando la testa da un lato con aria pensosa.

“Ma cosa?” Anna alzò lo sguardo speranzosa.

Arthur si sporse verso di lei. “Ma non c’è nulla che le impedisca di darmi referenze sui Blythe al di fuori della banca.” suggerì dolcemente. “Diciamo in un ambito… sociale (vecchio marpione! NdT).”

Notando l’espressione confusa comparsa sul viso di Anna, proseguì. “Prima di arrivare ad una decisione, la nostra banca prende in considerazione tutte le informazioni possibili, provenienti da tutte le fonti. Per cui tali informazioni verranno riportate alla sede centrale. Sono disposto a fare questo per lei.”

“Signor Richardson, le sarei eternamente grata!” Anna sospirò di sollievo, compiaciuta che forse dalla sua visita alla banca forse ne sarebbe venuto qualcosa di buono.

“Molto bene. Allora facciamo al ballo di White Sands?” domandò Artur.

“Prego?” Anna lo guardò disorientata.

Arthur Richardson sorrise indulgente. “L’ambito sociale. In quella occasione parleremo della situazione finanziaria dei Blythes.” suggerì. Il ballo di White Sands è fissato per venerdì sera e mi sembra l’occasione più appropriata. Passo a prenderla verso le sette, allora?”

“Oh, s…sì, certo.” Anna balbettò accettando l’invito. Era successo tutto talmente in fretta che non aveva avuto neanche il tempo di pensarci.

Si trattava solamente di un ballo e non sarebbe stata una tragedia parteciparvi con il Signor Richardson, se questo avesse potuto aiutare i Blythe.

“Molto bene. Allora a presto.” Arthur Richarson si alzò e le tese la mano.

Anna si alzò dopo di lui e gli strinse la mano che le porgeva.

“Buona giornata, Signorina Shirley.” augurò Arthur sollecito.

“Buona giornata, Signor Richardson.” rispose Anna con un cenno del capo prima di uscire dalla stanza.

Arthur Richardson guardò Anna Shirley attraverso il vetro mentre si allontanava. Quando sparì dalla sua visuale, si concesse un sorrisetto soddisfatto.

* * *

“Hey Anna! Aspetta un attimo!” la chiamò Gilbert Blythe non appena la vide camminare con passo veloce sul marciapiede di legno. Ma Anna non rallentò il passo. Forse non l’aveva sentito, pensò Gilbert, per cui si mise a correre per poterla raggiungere. Quando le fu accanto, la prese per il gomito.

Non appena avvertì la mano di Gilbert, Anna trasalì. Quel tocco che conosceva così bene procurava sempre una scossa ai suoi sensi.

Si girò velocemente verso di lui: “Gilbert, vado di fretta.” disse lei riprendendo il suo passo veloce. Gilbert la seguì, le sue lunghe falcate che tenevano senza fatica il passo accelerato di lei.

Non voleva parlare con lui, non quando aveva accettato l’invito di un altro uomo ad andare al ballo di White Sands.

Non che avesse promesso di andare con Gilbert, ma sapeva che lui si aspettava di andare con lei, Fred e Diana.

Provava un forte senso di colpa e si sentiva a disagio con Gilbert.

“Lo vedo che sei di fretta.” rise Gilbert, prendendola in giro per il suo passo di carica. “Non ti trattengo, ma volevo solo ricordarti che venerdì c’è il ballo a White Sands.”

Oh, maledizione! Anna fece una smorfia. Proprio l’unica cosa della quale NON voleva parlare.

“Io e Fred passeremo a prendere prima Diana, poi verremo al Tetto Verde. Va bene?” domandò Gilbert.

Anna sentì il rossore tingerle le guance. “Ecco, Gilbert, non ho bisogno di un passaggio per andare al Ballo.” rispose evasiva.

“Oh. Hai deciso di non andarci?” domandò Gilbert sorpreso.

Strano. Avrebbe potuto giurare che sia lei che Diana stessero preparando degli abiti nuovi per l’occasione ed a questo punto era ben strano che Anna decidesse di rimanere a casa.

“No, ci sarò al ballo, ma non ho bisogno di un passaggio.” Anna pronunciò quelle parole in fretta, in una sola tirata.

Poi si girò verso l’edificio che stava alla sua destra. “Oh, ecco la posta. Ho promesso a Marilla che avrei ritirato la corrispondenza. Ci vediamo, Gil!” disse, scappando letteralmente da lui e dirigendosi verso la porta dell’ufficio postale.

Rimasto solo, Gilbert Blythe rimase impietrito sul posto, gli occhi puntati sulle porte della posta, ormai chiuse, le sopracciglia corrugate per la sorpresa e la delusione.

* * *

Fu altrettanto sgradevole dare la notizia a Diana quando si incontrarono, qualche ora più tardi. Diana la guardò confusa al di sopra della sua tazza di the.

“Se non hai bisogno di un passaggio, come ci arriverai al ballo?” domandò Diana posando la tazza sul piattino. “Non ci andrai per conto tuo, vero? Lo sai che Marilla non vuole che tu guidi il carro da sola, di notte.” la sola idea la scandalizzava.

“No, mi accompagnano.”

“Ti accompagnano?” chiese Diana, riducendo gli occhi ad una fessura. “Anna Shirley, hai intenzione di dirmi cosa sta succedendo o te lo devo strappare di bocca?” Diana posò tazza e piattino sul tavolo prima di rivolgere uno sguardo corrucciato alla sua amica.

Anna sospirò, evidentemente rassegnata. “Vado con qualcun altro. Vado… vado con Arthur Richardson.”

“Arthur Richardson!” esclamò Diana. “Ma non dovevi…” Diana lasciò la frase in sospeso.

Aveva intenzione di chiederle “Non dovevi andare con Gilbert?”, prima di ricordarsi che lo stato della loro relazione era ancora incerto. Anna non aveva mai ammesso che lei e Gilbert fossero una coppia ma lei aveva fatto due più due. Si era forse sbagliata?

“Si. Arthur Richardson mi ha invitata ed io ho accettato.” rispose Anna, criptica.

Diana pensò per un momento a quello che Anna le aveva appena detto. “Beh, allora suppongo che Arthur Richardson sia il tuo uomo ideale”. disse dubbiosa.

“Come?” Anna inarcò il sopracciglio.

“Arthur Richardson. E’ l’uomo ideale del quale hai sempre parlato. Nelle tue storie, sai.” Nel vedere lo sguardo perplesso di Anna, Diana spiegò “L’espiazione di Averil. La storia che stai scrivendo. Arthur Richardson assomiglia a Percy, vero?

La sua storia? Anna si domandò che nesso ci fosse. Non aveva scritto una riga da mesi! Per qualche strana ragione, non le piaceva più: la trama ed i personaggi ora le sembravano così stupidi. Non aveva smesso di scrivere, ma al momento si stava occupando di un altro romanzo, che era molto diverso dal primo.

Anna fece spallucce. “Non ne ho idea” disse Anna, per niente propensa a raccontare i veri motivi che l’avevano indotta ad accettare l’invito di Arthur Richardson.

Se Diana aveva pensato ci fosse un certo interesse, che lo pensasse pure. Era più semplice che raccontarle tutta la faccenda. Anche perché non era pronta a dire la verità. Non a Diana, ma neanche a se stessa.

“Anna, sei davvero sicura?” Diana la guardò tutta preoccupata.

“Diana, non preoccuparti. So cosa sto facendo.” disse Anna sorridendo rassicurante. “Dai, fammi vedere il tuo vestito nuovo.” disse, cambiando argomento.

* * *

Se Gilbert Blythe avesse dovuto elencare le cose che gli avevano causato più sofferenza nel corso della sua vita, di certo il vedere Anna Shirley entrare nella sala da ballo al braccio di Arthur Richardson sarebbe stato ai primi posti di quella classifica.

Gilbert si trovava dall’altra parte della stanza, la giacca sbottonata, le mani sprofondate nelle tasche e la spalla appoggiata ad una colonna. Quando vide entrare i due, i suoi occhi si strinsero ad una fessura, ma non diede nessun altro segno di reazione.

Esternamente era senz’altro così, ma dentro di sé, nella sua mente e nel suo cuore, Gilbert provava una ridda di sentimenti contrastanti.

Pensò che quella sera Anna fosse proprio bella. Era lì, con il suo vestito di organza, i capelli raccolti elegantemente sulla testa che lasciavano scoperta la pelle candida e morbida del collo e delle spalle. Il vestito sottolineava la sua vita sottile e la stoffa della gonna ricadeva morbidamente.

Era raffinata, elegante e terribilmente affascinante.

Nessuna donna aveva il diritto di essere così bella, pensò Gilbert, accigliandosi mentre tentava di soffocare la bruciante gelosia che provava nel vedere Anna al braccio di un altro uomo.

Lo sapeva che sarebbe venuta al ballo con qualcun altro, ne aveva sentito parlare nei giorni successivi al loro incontro all’ufficio postale, quando lei gli aveva detto che non aveva bisogno di un passaggio. Ai pettegoli della città non era parso vero di informarlo della nuova coppia formata da Anna Shirley ed il direttore della banca.

Non sapeva neanche perché avesse deciso di venire comunque al ballo. Forse per autolesionismo? Se era questa la ragione, di certo aveva raggiunto il suo scopo.

Dall’altro capo della stanza, Anna Shirley con la mano posata sul braccio di Arthur Richardson, si guardò attorno.

Il ballo di White Sands era considerato un evento molto elegante: ospiti abbigliati in maniera raffinata, un’orchestra di sei elementi in un angolo ed un tavolo coperto da una candida tovaglia colmo di bevande e stuzzichini.

Improvvisamente, gli occhi di Anna incontrarono quelli di Gilbert.

La salutò con un veloce cenno del capo, il viso atteggiato in una espressione sardonica. Anna arrossì e distolse lo sguardo.

Desiderava ardentemente che la serata fosse già finita. Si sentiva profondamente a disagio, non si riconosceva in quella situazione e non vedeva l’ora che il ballo fosse finito per far tornare le cose nel solito modo.

Ma prima di allora, c’era da affrontare la serata.

“Signorina Shirley, mi concede questo ballo?”. La domanda venne formulata da Arthur Richardson che si trovava accanto a lei. Le sorrise sollecito.

Anna annuì e gli permise di prenderla tra le braccia.

Arthur Richardson si confermò un ottimo ballerino. Faceva bene molte cose ed una di queste era ballare. Nonostante ciò, Anna notò che le si era fatto troppo accosto, la stringeva troppo per farla a sentire a suo agio.

La prima impressione che aveva avuto di lui la prima volta che lo aveva visto, non era cambiata. Era un uomo troppo sicuro di sè e troppo presuntuoso. Come le mancava la compagnia di Diana e degli altri amici, di Gilbert.

Se fosse venuta al ballo con gli altri, probabilmente avrebbe riso e scherzato, invece di dover sopportare le pesanti attenzioni di Arthur Richarson, uomo pedante e totalmente privo di senso dell’umorismo.

Non l’aveva neanche lasciata parlare dei Blythe, in modo da avere la possibilità di fornire la sua raccomandazione. Dopo tutto, era questa l’unica ragione che l’aveva indotta ad accettare il suo invito.

Continuava ad eludere il discorso, dicendo che ci sarebbe stato tutto il tempo e che dovevano godersi la serata. Anna sospirò e si stampò in viso un’espressione di educato divertimento per il resto della danza.

Diana Barry si avvicinò a Gilbert ed anche lei fissò Anna che stava ballando con Richardson.

“Gilbert?” lo chiamò. Lui trasalì e si girò verso di lei.

“Diana! Come sei bella stasera.” Gilbert le fece il complimento sorridendo, costringendosi a distogliere i pensieri da Anna.

Diana si limitò a ricambiare il suo sguardo con un’espressione addolorata che rispecchiava perfettamente le emozioni e la sofferenza di qualcun altro. “Gil, io non so cosa stia combinando.” disse Diana a voce bassa.

Gilbert alzò un sopracciglio. Allora Diana aveva notato la sua preoccupazione (certo che sì: aveva un muso fino alle ginocchia! NdT). Facendo finta di non capire, Gilbert rispose: “Non so cosa vuoi dire.”

“Anna.” Spiegò Diana anche se non era necessario. “Non so cosa ci faccia qui con lui. Io so che è a te che tiene. Io lo so.” gli disse Diana, per una volta parlandogli apertamente di quello che aveva notato osservandola, specialmente di quello che aveva visto e sentito quel giorno all’emporio, quando la sua amica non aveva smentito le sue insinuazioni.”

“Oh, lo so che ci tiene a me, Diana. Me lo ha detto.” rispose Gilbert con un tono cupo ed amareggiato.

Certo, Anna gli aveva detto che lui era importante per lei. Quel giorno sulla veranda, quando lei gli aveva curato la mano lui se lo ricordava bene. Solo che solo ora aveva capito cosa realmente volesse dire.

Gli voleva bene come ad un caro amico e niente più. Era stato uno stupido, uno stupido con le sue teorie idiote sull’aspettare che Anna fosse pronta per lui. Nel suo piano, però, non aveva tenuto conto di un particolare importante: non aveva pensato che forse Anna non lo avrebbe aspettato a sua volta.

“Se mi vuoi scusare, Diana, penso che sia ora che io me ne vada. Ho visto abbastanza per questa sera.” disse Gilbert, i suoi occhi ancora fissi sulla coppia che danzava. Riportò lo sguardo su Diana. “Salutami Fred, vuoi?” la salutò Gilbert con un sorriso stentato. Le strinse la mano, si voltò e si allontanò.

“Gilbert…” balbettò Diana, invano, alle spalle di lui. Si sentiva triste ed impotente mentre guardava un amico che soffriva ed un’altra amica che era la causa di tale sofferenza.

* * *

“Qui non si riesce a parlare, c’è troppo rumore. Andiamo in veranda?” Suggerì Artur Richardson ad Anna pochi istanti più tardi.

“Va bene.” annuì lei e gli si affiancò mentre uscivano dalla stanza.

Dopo parecchi balli con Arthur Richardson era riuscita a portare il discorso sui Blythe ed Anna non ebbe la forza di rifiutarsi di seguirlo.

Uscendo dalla stanza, i due cominciarono a passeggiare nella ampia veranda che circondava il perimetro dell’Hotel di White Sands. Era buio, ma la luce filtrava dalle finestre, gettando una sorta di penombra sulla veranda.

Passarono accanto a parecchie altre coppie che stavano passeggiando a loro volta, fino a che raggiunsero un posto appartato, adatto per una conversazione a tu per tu.

Anna si girò verso Arthur: “Stavamo dicendo dei Blythe…”

“Oh, signorina Shirley! Non dobbiamo buttare via il nostro tempo assieme per parlare di loro.”

“Cosa?” esclamò Anna sorpresa. Cosa diavolo intendeva? Era solo per parlare dei Blythe che lo aveva seguito fin lì… e che aveva accettato il suo invito al ballo.

“Senta, lei vuole che io metta una buona parola per i Blythe, lo capisco. Io l’aiuto volentieri, ma anche lei deve aiutare me.” spiegò Arthur.

“Si può sapere di cosa sta parlando?” Anna rimase a bocca aperta.

Arthur ridacchiò. Queste ragazze di campagna, così ingenue! Afferrò la mano di Anna e la strinse tra le sue. Anna cercò di ritirarla, ma invano.

"Signor Richardson...," esordì lei.

"Arthur," la interruppe correggendola, cingendole la vita con la mano libera.

Anche mentre ballavano lui aveva posato una mano sulla sua vita, ma ora Anna cominciò a preoccuparsi e tentò di divincolarsi.

“Non devi essere timida con me, Anna.” la rimproverò Arthur, prendendola tra le braccia. Anna cominciò a ribellarsi furiosamente.

“Questo” non era quello che voleva succedesse.

“Mi lasci andare!” gli intimò, contorcendosi sotto suo tocco indesiderato, ad un tempo arrabbiata ed impaurita.

“Coraggio! Un bacetto non farebbe del male a nessuno, vero?” chiese Arthur, stringendola più forte tra le braccia e serrandola più vicina a sé.

Si chinò su di lei, ma Anna si voltò per evitare le sue labbra, mentre cercava di spingerlo via.

“Mi lasci andare!” urlò quasi, chiamando a raccolta tutto il suo sdegno, ritrovandosi finalmente libera.

Qualcuno le aveva strappato Arthur Richardson di dosso.

Ad Anna parve di aver visto un altro uomo ed involontariamente gridò: “Gil!”, mentre Arthur Richardson veniva spedito a gambe all’aria e parecchi metri più avanti con un preciso diretto.

Anna si portò le mani alla bocca, in un gesto che voleva essere di shock, ma anche per impedirsi di urlare.

Inorridita, vide Gilbert accanto a lei, il corpo irrigidito ed i pugni serrati; dall’altra parte, Arthur Richardson.

I due uomini si stavano fronteggiando.

Lentamente, Arthur Richardson si rialzò, asciugando con la mano un rivolo di sangue che gli fluiva da un angolo della bocca.

Guardò Gilbert, poi Anna ed ancora Gilbert, un lampo di comprensione ad illuminargli gli occhi.

“Ora capisco tutto.” disse sarcastico. “Signorina Shirley, non mi ha mai detto che uno dei Blythe è il suo fidanzato. Penso che sia chiaro per tutti che ora il nostro accordo non è più valido.” annunciò togliendo la polvere dalle maniche e riassettandosi il nodo della cravatta.

Guardò altezzoso Gilbert e si allontanò, lasciandoli soli.

Richardson poteva pure essere un uomo dappoco, ma non era certo uno stupido. E sarebbe stato molto stupido a fare a botte con un uomo molto più alto e forte di lui. Un singolo pugno era stato sufficiente per dargli un’idea della forza del suo avversario. Di certo, era tutto quel lavoro nei campi a rendere gli uomini del villaggio così forti e muscolosi. Arthur alzò gli occhi al cielo e rientrò.

Rimasti soli, Gilbert si voltò verso di lei. “Anna, stai bene?” le domandò, evidentemente preoccupato. Stava proprio per andarsene quando gli era venuta voglia di una passeggiata per schiarirsi le idee. Dopo pochi passi era arrivato in quell’angolino appartato e si era trovato davanti una Anna che stava cercando di respingere un accompagnatore troppo zelante.

Ed il suo istinto protettivo nei confronti di lei aveva avuto la meglio.

“Oh, Gilbert, cosa hai fatto!” si lamentò Anna.

Gli occhi di lui si ridussero ad una fessura. Cosa aveva fatto LUI? Piuttosto, cosa ci faceva LEI, al chiar di luna con un uomo che conosceva da meno di due settimane? E cosa significavano le parole del suo accompagnatore. “Cosa significa che il nostro accordo non è più valido?”

Anna esalò un sospiro e sputò la risposta. “Voleva dire che non avrai i soldi.”

“Cosa?” Cosa diavolo significava tutto ciò? Cosa c’entrava in tutta quella storia?

“L’ipoteca, il prestito. Tuo padre non li otterrà.” Sibilò a denti stretti. Non c’erano più possibilità, non dopo che Gilbert aveva preso a pugni il banchiere ed aveva rovinato tutto.

No, si corresse, era stata lei a rovinare tutto con il suo intervento. Era tutta colpa sua.

Gilbert Blythe tacque per un momento, valutando le parole di Anna, collegando ciò che aveva appena udito.

“E cosa ne sai tu dell’ipoteca di mio padre?” chiese insospettito.

Anna alzò il mento in un gesto di sfida e lo guardò storto: “Quello che sanno tutti, Gil. Che tuo padre vuole accendere un’ipoteca sulla fattoria e che se non la otterrà tu dovrai dargli i soldi che servono a pagare i tuoi studi. Giusto?”

Gilbert serrò ancora gli occhi. “Questo è vero solo in parte.” la corresse. “Ho già dato i soldi a mio padre, per cui non ha bisogno di richiedere un’ipoteca.”

“Oh!” esclamò Anna, sorpresa. Non lo sapeva. E ciò voleva dire… ciò stava a significare che tutto quello che aveva fatto era stato inutile.

“Tornerò a scuola.” proseguì Gilbert. “Forse non questo semestre, ma di certo dopo Natale. Ho già fatto richiesta per una borsa di studio. Se non dovessi ottenerla, troverò un modo di continuare ugualmente. Dubiti anche della mia volontà di ottenere quello che voglio?” le domandò in un tono di sfida del tutto simile a quello di lei.

Anna inghiottì un rospo: avrebbe perso solo un semestre? Non sapeva nemmeno questo. Chissà come era giunta a pensare che la carriera scolastica di Gilbert sarebbe finita.

“Allora, cosa stavi cercando di fare?” le domandò, sempre più sospettoso. “Volevi ingraziartelo in modo da farci ottenere un prestito?” ipotizzò, facendo un gesto verso la sala, verso la quale Richardson si era diretto.

“Volevo solo aiutarti!” rispose Anna sulla difensiva.

“Aiutarmi?” Gilbert si passò una mano tremante tra i capelli. “Credimi, non mi stavi aiutando affatto!” Non aveva idea di quello che gli aveva fatto passare, di quello che aveva provato nel vederla al braccio di un altro uomo?

Improvvisamente, la rabbia di Anna esplose in tutta la sua violenza: “Beh, questo non sarebbe successo se tu mi avessi detto come stavano le cose, invece di costringermi a scoprire tutto da sola! Pensavo di essere tua amica, Gilbert Blythe! Siamo stati assieme per tutta l’estate, hai ascoltato i miei problemi ed mi hai aiutato tante volte. Perché non mi hai detto che TU avevi bisogno di aiuto?” domandò Anna, il dolore che aveva preso il posto della rabbia. Sì, forse era così: era ferita perché Gilbert non si era confidato con lei.

Gilbert scosse il capo: “Non potevo dirtelo.”

“Perché no? Gli amici si aiutano l’un l’altro, vero?” chiese Anna.

“E’ diverso.” gli occhi di Gilbert si incupirono.

“Perché?” Anna voleva sapere.

Gilbert non rispose. Come avrebbe potuto? Come avrebbe potuto raccontarlo alla donna che amava. Stava studiando per diventare dottore, certo, ma anche per avere una professione che gli avrebbe permesso di mantenere sua moglie ed i suoi figli. Era una cosa che doveva fare da solo, senza l’aiuto di nessuno.

Soprattutto senza l’aiuto della donna che voleva diventasse sua moglie e la madre dei suoi figli. Era una regola non scritta che faceva parte dell’orgoglio proprio di un uomo. E Gilbert era troppo uomo d’onore (Mafioso? Bah! NdT) per non rispettarla.

Anna sbuffò sdegnosamente al silenzio di Gilbert. “Capisco. Allora mettiamoci una pietra sopra, va bene?" Disse, guardandolo furiosa prima di girare sui suoi tacchi ed allontanarsi.

“Dove vai?”

“Vado a chiedere a Diana e a Fred di accompagnarmi a casa.”

“Anna, aspetta!” Gilbert le prese un braccio; Anna trasalì al contatto e si divincolò.

“Non mi toccare!” gli intimò. Come poteva pensare normalmente se lui la toccava? Ogni volta che sentiva le sue mani su di lei, avvertiva quella particolare scossa ed in quel momento aveva bisogno di pensare lucidamente.

Gilbert inghiottì amaro e nascose il suo smarrimento. Allora lei non voleva che la toccasse più? Di questo si trattava?

“Buona notte, Gilbert” Anna gli passò sdegnosamente accanto, per poi girare l’angolo e sparire dalla sua vista.

Rimasto solo, Gilbert si girò verso il muro più vicino e tirò un colpo micidiale contro di esso, sfogando tutto il suo dolore e la sua frustrazione.

* * *

E' ufficiale: Emmy è una sadica...

Vedete come vi voglio bene? Ho tradotto questo lungo capitolo in solo due settimane...

Mi spiace, in questo capitolo, niente Gilbert a petto nudo.

Ringrazio tutti voi per aver letto e recensito.

un grazie particolare va a Luana80, lei sa perchè, ad Alex-Kami e a Scandros per il costante incoraggiamento

Un abbraccio forte a Lu

anche a

Shana (bentornata!)

DidiBlack

ed alla mitica Kwannon

Coraggio, mancano solo due capitoli.

Un abbraccio e a presto

Nisi

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Capitolo 19
*** Fare la pace ***


Anna Shirley era disperata.

Non che ciò fosse evidente. Nonostante in passato spesso avesse manifestato la sua “profonda disperazione” (per esempio, quando si era tinta i capelli di verde), per qualche ragione ora non era in grado di esprimere tutta la sua infelicità.

Erano passati già tre giorni dalla lite all’Hotel di White Sands e ad ogni giorno che passava, Anna si sentiva sempre più triste.

Accidenti al suo caratteraccio! Si faceva sempre prendere dalla rabbia ed ora stava pagando caro il suo scoppio d’ira di qualche sera prima e le cose che aveva detto a Gilbert.

Era estremamente dispiaciuta, ma anche ferita. Le bruciava ancora che Gilbert non le avesse confidato i suoi problemi con la scuola, nonostante tutto il tempo passato assieme durante l’estate.

Quando gliene aveva chiesta la ragione, Gilbert non le aveva risposto. Ma non ci voleva certo un genio per capire quel che ci stava dietro. Lei si era fidata di lui, gli aveva confidato i suoi problemi, ma lui non si era fidato abbastanza di lei per fare lo stesso. E questa era la cosa che la faceva stare peggio.

Come potevano essere amici se la fiducia era a senso unico? Era da venerdì che non scambiavano parola ed oggi era già lunedì. Neanche il giorno prima, in chiesa, si erano parlati. Né prima, né dopo la funzione.

E perché lui avrebbe dovuto andare da lei? Si domandò.

Perché Gilbert avrebbe dovuto rivolgerle la parola dopo quello che gli aveva detto?

E lei non era andata da lui perché… Ecco, in tutta la sua vita era stata bravissima a fare le sfuriate, ma chiedere scusa era tutto un altro paio di maniche. Non aveva la minima idea di come approcciarlo e di che cosa dirgli.

Dopo la funzione aveva lasciato sola Marilla per qualche minuto ed era andata alla tomba di Matthew. Oh, come le mancava, come sentiva nostalgia dell’appoggio e della guida di quell’uomo così caro dall’animo gentile.

Erano già passati due anni. Due anni da quando lui se ne era andato, rifletté Anna mentre deponeva un mazzo di fiori di campo accanto alla lapide.

Sorrise al ricordo di quando era arrivata ad Avonlea. Era stato proprio lui a venirla a prendere ed a farla sentire la benvenuta. Se lo ricordava così bene. Erano sul carretto di ritorno dalla stazione di Bright River. Lei lo aveva avvertito che parlava troppo, che la gente se ne lamentava sempre e che se ci si fosse messa d’impegno avrebbe posto in freno alla sua lingua. “Parla quanto vuoi, non mi dai fastidio.” aveva risposto Matthew. Quella sua risposta l’aveva lasciata di stucco per un attimo. Era la prima volta nella sua vita che qualcuno l’accettava per quello che era. Se quel giorno lui le aveva rubato un pezzetto del suo cuore, quello che Anna ne aveva ricevuto in cambio era molto, molto di più. Perché fu proprio in quel momento che la piccola orfana si rese conto che aveva trovato una casa.

Ora però niente sembrava andare nel verso giusto, sospirò pesantemente Anna.

Quasi quasi, era felice che fosse giorno di bucato. Dato che non era in grado di cancellare i suoi tristi pensieri su Gilbert, si sarebbe tenuta occupata con il duro lavoro. E si trattava certamente di un lavoro pesante: era davanti alla stufa, un pentolone di alluminio che ribolliva e lei che ne rimestava il contenuto con un asse di legno. Indossava il suo abito più vecchio, talmente stinto che il motivo stampato sulla stoffa non era più distinguibile ed un largo grembiule con una grossa tasca sul davanti a proteggere i vestiti.

La spallina del grembiule continuava a scenderle lungo il braccio. I capelli di Anna erano tirati indietro, acconciati in una unica treccia che le scendeva lungo la schiena. Piccole ciocche ribelli le sfuggivano dalla pettinatura, incorniciando il suo viso arrossato dal caldo e dal vapore in una nuvola dal colore deciso.

“Ho quasi finito con la roba bianca, Marilla.” gridò in tono falsamente giocondo al di sopra della sua spalla mentre dava gli ultimi giri al bucato che stava bollendo nel pentolone. Ora Anna avrebbe dovuto solamente risciacquare in panni in acqua fredda, strizzarli e stenderli per farli asciugare.

Marilla Cuthbert non le rispose e continuò a spazzare il pavimento della cucina mentre continuava a fissare la schiena di Anna con uno sguardo preoccupato. Marilla sentiva che Anna era turbata e che si stava buttando nel lavoro con energia eccessiva.

A nessuno piaceva così tanto fare il bucato. Sapeva che era qualcosa che aveva a che fare con Gilbert, e che i due erano ai ferri corti. Sapeva che dal fatto che Anna avesse accettato di andare al ballo di White Sands con Arthur Richardson non ne sarebbe venuto niente di buono. E quando il giorno precedente, all’uscita della chiesa, Anna e Gilbert non si erano parlati, Marilla aveva visto avverarsi i suoi timori.

Purtroppo non sapeva come essere d’aiuto e d’altronde non aveva il coraggio di chiedere niente ad Anna. Se solo Matthew fosse stato ancora lì con loro! Aveva sempre compreso Anna molto meglio di lei; lei aveva dovuto fare molta fatica per imparare trattare Anna. Ed aveva commesso molti errori. Forse perché entrambe, lei ed Anna, erano così simili tra di loro: erano orgogliose e testarde. E questi erano brutti difetti.

Marilla guardò Anna sollevare un cesto di vimini, pieno di biancheria pulita. Gli abiti erano impilati l’uno sopra l’altro ed Anna quasi sparì dietro tutto a quel bucato.

“Vado a stendere” disse Anna, ancora troppo allegra per un cesto di biancheria, mentre apriva la porta per uscire all’esterno.

Quando la porta si richiuse alle spalle di Anna, Marilla sospirò ancora una volta. Riprese a spazzare e pochi minuti dopo uscì in veranda portando la scopa con sé.

Aveva ripreso il suo lavoro da pochi secondi, quando si accorse che stava arrivando qualcuno dal sentiero principale. Mentre la figura si avvicinava, gli occhi di Marilla si accesero per la sorpresa.

“Gilbert Blythe!” esclamò Marilla, facendo una pausa mentre un sorriso ne attraversava il viso segnato ed invecchiato.

“Buongiorno, signorina Cuthbert.” rispose Gilbert con un cenno del capo e fermandosi a pochi metri dalla veranda.

“Gilbert, che piacere vederti! Non vuoi entrare un momento?” Marilla era tutta presa dai convenevoli di buon vicinato. Era giusto quello che ci voleva! Ora Anna e Gilbert avrebbero fatto la pace. Marilla quasi ridacchiò a quel pensiero.

“No, la ringrazio” rifiutò Gilbert. “Sto andando al frutteto dei Barry. Oggi lavoro lì. Sono soltanto di passaggio.” spiegò. Infatti indossava gli abiti da lavoro.

Marilla si sentì morire il sorriso sulle labbra. “Sei venuto per parlare con Anna, vero?” domandò voltandosi verso la porta. “E’ nel retro a stendere il bucato. Vado a…”

“No, la prego, non la chiami.” la interruppe Gilbert, prevedendo quello che Marilla aveva intenzione di fare.

Era contento che Anna in quel momento non fosse lì e che avesse potuto parlare solo con la signorina Cuthbert. Non se la sentiva si affrontare Anna e di certo non avrebbe potuto sopportare un altro rifiuto da parte di lei. Dopo quello che era successo venerdì, non era nemmeno sicuro che lo volesse vedere ancora. E, quanto pareva, era proprio così.

Nel vedere lo sguardo perplesso della signorina Cuthbert, Gilbert fece qualche passo verso i gradini della veranda, abbassando lo sguardo mentre si frugava nella tasca posteriore dei calzoni e ne estraeva un pacchettino. Alzò lo sguardo e parlò a fatica: “Mi chiedevo… mi chiedevo se lei fosse così gentile da dare questo ad Anna da parte mia.” chiese porgendole il pacchetto.

Marilla fissò la scatolina avvolta nella carta da pacco.

C’era anche un biglietto fermato con una cordicella.

“Ma… Ma…” balbettò Marilla, alzando gli occhi dal pacchetto per incontrare lo sguardo di Gilbert. “Non sarebbe meglio che glielo dessi tu?” domandò speranzosa.

Gilbert scosse il capo senza parlare, ma supplicandola con gli occhi. “Va bene, Gilbert.” acconsentì Marilla, scendendo le scale per prendere la scatola che Gilbert le stava porgendo.

“Grazie, Signorina Cuthbert. Le sono molto grato.” disse Gilbert facendo qualche passo all’indietro. “Buona giornata.” disse, prima di girare sui tacchi e ripercorrere i suoi passi a ritroso.

Marilla rimase sui gradini della veranda del Tetto Verde e guardò Gilbert Blythe che se ne stava andando. Poi girò sui tacchi a sua volta e rientrò in casa.

* * *

Anna rientrò in cucina pochi attimi più tardi.

“Ho steso il bucato; però ho dovuto essere un po’ creativa per farci stare tutto. Dovremmo proprio chiedere a Jerry Buote di tirare ancora un’altra corda per il bucato.” chiacchierò Anna mentre rientrava con il cesto ormai vuoto.

Marilla dava le spalle ad Anna ed era occupata ad impastare; in modo casuale disse: “Gilbert Blythe è passato di qui prima di andare a lavorare al frutteto dei Barry.” un silenzio di tomba accolse le sue parole e Marilla sorrise lievemente, pensando che Anna fosse rimasta di sasso. Sempre con lo stesso tono, continuò: “Ha lasciato un pacchetto per te. E’ sul tavolo del soggiorno.”

Marilla si girò giusto in tempo per vedere Anna lasciar cadere il cesto vuoto sul tavolo e correre via verso il soggiorno. Si trattenne dallo scoppiare in una risata fragorosa nel vedere la reazione di Anna. Dopotutto, forse le cose si sarebbero sistemate, pensò mentre innalzava una silenziosa preghiera verso il cielo.

Anna Shirley quasi scivolò davanti al tavolo. Non era quasi riuscita a credere alle proprie orecchie quando Marilla le aveva detto che Gilbert era passato dal tetto verde ed aveva lasciato un pacchetto per lei, la sorpresa evidente dagli occhi spalancati e dal cuore che le martellava nel petto; Anna provò ancora quella stessa sorpresa quando guardò il tavolo sul quale era posato un minuscolo pacchetto ed un biglietto assicurato ad essa. Quel biglietto, vergato con la grafia decisa di Gilbert era per lei.

Anna afferrò il pacchetto e lo strinse a sé per un attimo, prima di correre su per le scale e chiudersi in camera sua. Si sedette sul bordo del letto e con mani tremanti slegò la cordicella che chiudeva il messaggio che Gil le aveva scritto.

Aprì il foglio e lesse:

Cara Anna,

L’ho comprato solo poche settimane fa e volevo dartelo come regalo di Natale, però ho pensato di usarlo come offerta di pace.

Mi spiace per tutto quello che è successo venerdì sera. Avevi ragione: gli amici si aiutano ed ho sbagliato a non raccontarti niente dei miei problemi con la scuola di medicina.

Spero che tu mi dia un’altra possibilità e che torniamo ad essere amici come sempre (Sempre? Pensa alla lavagnetta, Gilbert! NdT). Per favore, dimmi di sì, altrimenti mi toccherebbe uscire con Moody che non cucina bene quanto te.

Il tuo amico (spero) Gilbert

Ci mancò poco che Anna scoppiasse a ridere. Oh, Gilbert!

Matto, incorreggibile Gilbert!

Lei lo perdonava, se lui faceva altrettanto.

Anna non aveva nessun dubbio a riguardo delle sue responsabilità, ma il suo cuore divenne improvvisamente più leggero e sorrise.

Gilbert le aveva già fatto un enorme regalo soltanto per il fatto che era stato lui a fare il primo passo.

Anna aprì la scatola ed il fiato le si mozzò in gola nel vederne il contenuto.

Era una statuina di legno. Era minuziosamente scolpita, la giacchetta dell’uniforme militare era dipinta di un rosso brillante, con i bottoni neri e le spalline dorate.

Anche le gambe erano dipinte di nero e al fianco della figurina pendeva una spada.

L’espressione del viso era a metà tra le seriosità di un soldato e la giocondità di un giocattolo per bambini.

Con grande cura, Anna estrasse il suo regalo dalla scatola, tenendolo nel palmo della sua mano.

Era uno Schiaccianoci, il personaggio del balletto.

Era bellissimo, molto più bello di quello del quale aveva parlato a Gilbert, quello che aveva visto in quella vetrina tanti anni prima che avrebbe desiderato ricevere per Natale e che non le era stato donato perché lei era solamente un’orfana, un‘orfana invisibile alla quale non si regalava niente.

Improvvisamente, da qualche parte dentro di lei, in un posto che non sapeva neanche esistesse, Anna sentì qualcosa premere per uscire allo scoperto. Inghiottì a fatica, una, due volte, ma fu inutile. I singhiozzi non vennero più trattenuti e finalmente Anna cominciò a piangere, le sue spalle e la schiena scosse da quelle ondate di dolore.

Lacrime presero a scorrerle lungo le guance, annebbiandole la visuale.

Anna afferrò le cocche del suo grembiule e le portò davanti alla bocca per soffocare il suono dei singhiozzi, mentre scivolava sul pavimento e ripiegava le ginocchia al petto.

Non riusciva a fermarsi, e non ci provò nemmeno. Non lo aveva mai capito, non sapeva di quella bambina. Aveva passato tanti Natali felici con i Cuthbert che avevano in qualche modo compensato quelli tristi di tanti anni prima. Ma non si era mai resa conto di quella bambina invisibile che era dentro di lei. Se l’era portata dentro inconsapevolmente per tutti quegli anni? Aspettando? Aspettando che qualcuno si accorgesse di lei? E quel giorno era arrivato: qualcuno si era reso conto della sua esistenza e la piccola orfana invisibile aveva avuto il suo Schiaccianoci.

E sembrava proprio che un pezzettino del suo cuore che le era stato sottratto, in quel momento le venisse restituito. Ora se ne rendeva conto: il suo non era un pianto triste, ma un pianto pieno di gioia e di gratitudine.

Passò parecchio tempo prima che Anna smettesse di piangere.

Fece dei respiri profondi per riprendere il controllo di sé, poi si asciugò gli occhi con il grembiule.

Avvolse con cura il piccolo Schiaccianoci nella sua veste da camera, aprì la porta, uscì dalla stanza e si avviò verso le scale. “Esco un momento, Marilla!” gridò Anna, mentre scendeva velocemente al piano di sotto ed usciva di casa senza attendere risposta. Molto probabilmente, era tutta in disordine, dopo tutto quel bucato, aveva i capelli scomposti ed aveva pianto. Ma non le importava: doveva andare da lui.

Nell’udire le parole di Anna, Marilla sorrise. Si domandò cosa avesse trattenuto Anna così a lungo nella sua camera, tanto che si era domandata se fosse il caso di andare a controllare, ma alla fine aveva deciso di rimanere dov’era, in cucina.

Il frutteto dei Barry. Marilla aveva detto che Gil era andato lì a lavorare e lì si diresse con passo deciso.

Però Anna aveva fretta, per cui iniziò a correre, sollevando le gonne da terra mentre si affrettava sul sentiero.

In cima ad una scala a pioli, Gilbert Blythe stava raccogliendo mele.

Si girò quando sentì che qualcuno lo stava chiamando.

Quel qualcuno era ancora lontano e sbirciò tra il fogliame per capire di chi si trattasse.

Era Anna!

Stava correndo di gran carriera verso di lui. In fretta, Gilbert scese dalla scala e si liberò dalla borsa delle mele che portava a tracolla.

Il suo primo pensiero fu che ci fosse qualcosa che non andava. Altrimenti Anna non avrebbe corso a quel modo? Soltanto qualcosa di storto avrebbe potuto giustificare quella fretta.

Il cuore che batteva forte, Gilbert le corse incontro.

“Anna, cosa è successo?” urlò, annullando la distanza tra loro due e le si fermò dinnanzi.

Anna invece, non si fermò: gli gettò le braccia al collo e lo strinse forte a sé.

Gilbert si restò impietrito dalla sorpresa e trattenne il respiro. “Sono venuta… per ringraziarti…” gli sussurrò Anna all’orecchio, ancora col fiatone.

Per ringraziarlo? Gilbert si costrinse a pensare. Voleva ringraziarlo per lo Schiaccianoci.

Ma lei… lei… lo stava stringendo a sé! Non lo sapeva? Non lo sapeva l’effetto che ciò stava avendo su di lui (ragazze, un po’ di contegno… non siate così maliziose! NdT)

“Anna… Anna… Per favore…” la supplicò. Le posò le mani sulle spalle per allontanarla da sé.

Le aveva scritto quel biglietto, le aveva dato lo Schiaccianoci per ristabilire la loro amicizia, ma come poteva pensare all’amicizia quando la donna che lui amava lo stava stringendo a quel modo, col suo corpo caldo e morbido stretto intimamente contro il suo. Gli faceva venire voglia di fare delle cose, cose che non aveva alcun diritto di fare, come per esempio, stringerla a sé, ricambiare il suo abbraccio… ed altro ancora; cose per le quali Anna non era ancora pronta.

Cercò di fermarla, ma Anna non desistette. Il suo cuore era troppo pieno d’amore, sì, pieno d’amore per quell’uomo che aveva fatto tanto per lei.

“Anna… ti prego!” la implorò Gilbert.

Ma Anna doveva fare ancora una cosa: “Grazie, Gil. Ti ringrazio per il regalo.” sussurrò Anna, poi si alzò in punta di piedi e gli posò un tenero bacio sullo zigomo.

Gilbert rimase come paralizzato, sorpreso oltre ogni dire.

Improvvisamente, Anna se ne era andata, velocemente come era arrivata.

La spallina del suo grembiule ancora lungo il braccio e la treccia che danzava allegramente alle sue spalle.

Ancora a bocca aperta dallo stupore, Gilbert Blythe la guardò fino a che Anna scomparve dalla sua vista e rimase fermo, immobile sul posto per parecchio tempo ancora.

* * *

Ciao a tutti! Avete visto come sono stata brava? Il nuovo capitolo on line dopo solo una settimana.

Ed ora, manca l'ultimo: è un papiro come se ne trovavano solamente alla scomparsa biblioteca di Alessandria d'Egitto, è precisamente il doppio dei soliti capitoli, ma vedrò di velocizzarmi. Puntuale come al solito, è arrivata la paturnia da distacco da fanfiction terminata.

Mi passerà mai? Boh! Ai posteri l'ardua sentenza.

Vi ringrazio per avere letto e commentato.

In ordine sparso:

Luana, Alex-kami (che non ringrazierò mai abbastanza per le sue recensioni estremamente particolareggiate), Scandros, DidiBlack, Kwannon, Altair76.

Se volete, c'è Arthur Richardson III che sarebbe disposto ad invitarvi al prossimo ballo di White Sands.

Un abbraccio a tutti.

Nisi aka Anna dai capelli castano scuro (non fa lo stesso effetto, eh?)

Ciaooooooo!

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Capitolo 20
*** Un'altra proposta di matrimonio ***


“Allora, i compiti per il fine settimana…” Anna Shirley esordì in tono serio e compreso mentre avanzava tra i banchi della scuola di Avonlea con un libro aperto tra le mani.

Gli studenti la guardavano con il viso levato verso di lei.

Anna si fermò al centro dell’aula e si voltò, lo sguardo fisso sugli studenti.

Prima di parlare ancora, sorrise: “I compiti per il fine settimana sono: divertitevi e riposatevi e tornate qui lunedì mattina in orario e pronti ad imparare.” concluse prima posare il libro sul palmo aperto e di chiuderlo con un gesto secco.

Gli studenti eruppero in grida di gioia.

Anna ridacchiò: “Potete andare.” urlò per sovrastare tutto quel baccano. Che peggiorò quando i ragazzi, dai sette ai quindici anni, velocemente raccolsero i loro effetti personali e si precipitarono verso la porta. Non che a loro non piacesse la scuola, ma la prospettiva di un bel fine settimana d’autunno senza compiti da svolgere era semplicemente irresistibile.

Anna Shirley posò su di loro uno sguardo indulgente mentre l’aula si svuotava.

Era venerdì pomeriggio ed Anna sorrise soddisfatta.

Il quadrimestre era iniziato da parecchie settimane e lei provava ancora quella sensazione di completezza che le veniva dall’insegnamento. Per quanto riguardava le condizioni meteorologiche, quell’autunno avanzato si stava rivelando prevedibilmente caldo visto che si trovavano nel bel mezzo dell’estate di San Martino (in inglese si chiama Estate Indiana NdT).

Anna non se l’era sentita perciò di negare ai suoi studenti un ultimo fine settimana libero da impegni prima dell’inizio dell’inverno, che sarebbe stato lungo e freddo e che avrebbe limitato le loro possibilità di svagarsi all’aperto.

Ora che l’aula era vuota, Anna ritornò alla cattedra. Raddrizzò alcuni libri, mise a posto dei fogli e pulì la lavagna con gesti ampi.

Quel giorno indossava una gonna blu scuro leggermente svasata ed una blusa di lino bianco accuratamente sistemata in vita. Attorno ai polsi, dei volant di pizzo.

Appuntato sul petto, un orologio a guisa di spilla ed i suoi capelli tizianeschi erano morbidamente raccolti in un nodo appena sopra la sua nuca.

L’insieme risultava essere molto professionale tuttavia molto femminile.

"Signorina Shirley?" Nel sentirsi chiamata, Anna sbirciò al di sopra della sua spalla e vide Hannah Hunt in piedi sulla soglia.

Anna le sorrise, rimettendo a posto il cancellino. Poi si voltò verso la donna mentre strofinava le mani l’una contro l’altra per ripulirle dalla polvere di gesso.

“Signora Hunt! Prego, si accomodi.” la invitò andandole incontro per accoglierla.

Hannah Hunt entrò e si avvicinò ad Anna, quasi timidamente.

“Sono venuta a prendere Lizzy insieme ad Henry ed ho pensato di fermarmi a chiedere come se la cava la bambina a scuola.” spiegò mentre le si avvicinava ancora di più. “Cioè, se va tutto bene.” specificò ulteriormente, nella speranza di non sembrare troppo apprensiva od iper protettiva.

Anna sorrise. La piccola Lizzy Miller, di sette anni, era in prima; Anna era felice di essere la sua insegnante: ciò le dava la possibilità di conoscere meglio quella famiglia che Gilbert si era impegnato così tanto per riunificare.

“Lizzy è molto brava, Signora Hunt.” rispose Anna rassicurante, “Il suo andamento scolastico è buono e si è anche fatta delle amiche.” la informò con un sorriso.

“Oh, come sono contenta, Signorina Shirley.” sospirò Hannah sollevata. “Ero un po’ preoccupata per lei, sa, con tutti questi cambiamenti.” Hannah Hunt si riferiva alla prematura morte della Signora Miller ed alla presa sotto tutela dei due bambini da parte sua e di suo marito Silus.

Hannah non aveva figli suoi e non faceva mistero che l’improvvisa responsabilità di due ragazzini unita alla la sua inesperienza, l’avessero impensierita non poco. Lei voleva fare tutto quanto in suo potere per rendere quel periodo di transizione il più sereno possibile per i due ragazzini. Intuendo quello che Hannah Hunt avesse veramente bisogno di sentirsi dire, Anna abbassò la voce, ed il suo tono, da professionale, passò ad uno più confidenziale.

“Qualsiasi cosa stia facendo, signora Hunt, continui a farla: Lizzy si è ambientata benissimo alla sua nuova casa ed al nuovo ambiente. Sono sicura che anche per Henry è così.

Il viso di Hannah Hunt si illuminò di un sorriso appena accennato, come il sole quando si affaccia all’orizzonte. “La ringrazio, Signorina Shirley.” disse, gli occhi che brillavano di stima. “Non la trattengo oltre. Buona giornata.”

“Arrivederci.” rispose Anna. “Se dovesse aver bisogno di parlare ancora di Lizzy… o di qualsiasi altra cosa, venga, per favore.” si corresse Anna protendendosi verso l’altra donna in un gesto di amicizia.

Hannah Hunt sorrise ancora, gli occhi che le tremolavano per il piacere. “Grazie, signorina Shirley. Penso che lo farò.” la ringraziò accettando l’offerta di Anna. Poi annuì e lasciò la stanza.

Seguendo Hannah Hunt fino alla porta, Anna scese il primo gradino della scalinata e lasciò vagare lo sguardo nel cortile della scuola.

C’erano ancora parecchi bambini che si attardavano a giocare dopo le lezioni.

“Lizzy! Henry!” Hannah Hunt chiamò dal centro del cortile.

Immediatamente, Lizzy ed Henry Miller interruppero i loro giochi e corsero verso la donna, poi le si misero a fianco.

Anna osservò Hannah sorridere ai bambini e dire loro qualcosa. Un momento dopo, Lizzy ed Henry presero Hannah per mano e si avviarono verso casa. Lizzy alzò lo sguardo verso la donna e cominciò a parlare animatamente.

Anna sospettò le stesse raccontando della sua giornata a scuola. Hannah a sua volta guardava Lizzy con uno sguardo colmo d’amore e di comprensione.

Anna ristette a guardarli per qualche momento, provando nel suo cuore lo stesso sentimento d’amore.

Era così felice che Lizzy ed Henry avessero trovato una casa, una casa accogliente e persone affettuose che si prendevano buona cura di loro, e che non avessero dovuto lasciare Avonlea per andare a stare in un orfanotrofio.

Ripensò a tutto ciò che era successo ed a colui il quale aveva reso possibile tutto ciò. Il suo cuore si gonfiò di tenerezza al solo pensiero; il suo viso ed i suoi occhi si addolcirono ancora di più ed Anna si perse nei suoi sogni ad occhi aperti.

“Un’altra settimana è finita, Signorina Shirley?”

La voce scherzosa riscosse Anna dai suoi pensieri, che si voltò nella direzione dalla quale quella voce proveniva.

Gilbert Blythe (ma quanto sei bello! NdT) era davanti ai gradini, le braccia incrociate sul petto.

Era appoggiato al muro e le sorrideva.

“Oh, Gil, non ti ho visto arrivare!” esclamò Anna in tono leggero, anche se quando lo aveva visto, era arrossita. Meno male che lui non era in grado di leggerle la mente, pensò Anna, perché era proprio a lui che erano rivolti i suoi pensieri.

Ricordando con quanta tenerezza lo stesse pensando, Anna arrossì ancora di più.

“Devo solo prendere il maglione.” disse in fretta mentre rientrava in aula, sia per recuperare l’indumento, sia per calmarsi un po’.

Gilbert aveva preso l’abitudine di accompagnarla a casa. Era diventata la loro routine, fin da quando Anna aveva cominciato ad insegnare. Dopo il ramoscello d’ulivo che Gilbert le aveva offerto, la loro amicizia era stata ripristinata, ma i sentimenti di Anna si erano fatti ben più profondi.

Il regalo di Gilbert le aveva aperto gli occhi… su molte cose, ma in particolare, le aveva fatto capire quali fossero i veri sentimenti che provava nei suoi confronti.

Ma al momento, niente era stato detto e così Anna recitava la parte della buona amica nascondendo i suoi veri sentimenti, così come faceva Gilbert; tuttavia per lei era più difficile in quanto era meno abituata a farlo.

Anna ricomparve sui gradini e si infilò il maglione. Poi si girò per chiudere bene la porta della scuola dietro di lei. Gilbert si trovava sui gradini, una mano sulla ringhiera e la stava aspettando.

“Non immaginerai mai cosa ha detto Harold Pye oggi in classe.” esordì Anna in tono da conversazione, le mani che sollevavano le gonne per poter scendere le scale.

“Cos’ha detto?”

“E’ stato molto divertente: lui haaaaaaaaaaaa!” urlò improvvisamente Anna perdendo l’equilibrio e cadendo in avanti.

Un paio di forti braccia (ora cado pure io! NdT) la sostennero e la sollevarono di qualche centimetro da terra.

Anna inghiottì con difficoltà ed incontrò gli occhi di Gilbert, il suo viso a pochi millimetri da quello di lei.

Gilbert ricambiò lo sguardo e la tenne contro di sé per qualche secondo, poi, lentamente, la posò a terra, sana e salva.

“Ti si è impigliata la gonna.” disse Gilbert per spiegare il motivo della caduta, le sue braccia che ancora la stringevano.

“Come?” chiese Anna guardandolo con un’espressione stranita.

Come poteva pensare quando Gilbert la teneva così, quando il suo tocco causava scosse e fuochi d’artificio dentro di lei?

“La tua gonna. Si è impigliata.” ripetè Gilbert.

“Oh.” disse Anna. E poi ancora: “Oh!” quando si rese conto di quanto era successo e lasciava le braccia di Gilbert. Girò il capo e vide che l’orlo della sua gonna si era impigliato in una spaccatura dello scalino. In questo modo, il tessuto era rimasto sollevato lasciando esposta una buona porzione del polpaccio della ragazza.

“Oh!” esclamò Anna, gli occhi mortificati per quanto accaduto e tentando senza successo di disimpigliare la stoffa.

“Stai ferma.” le ordinò Gilbert, chinandosi per disincastrare il tessuto dalla spaccatura.

Anna rimase ferma sul posto, i pugni nascosti tra le pieghe della gonna, aspettando con paziente umiliazione che Gilbert la liberasse.

“Ecco fatto.” disse Gilbert quando ebbe finito e l’orlo fu tornato al suo posto.

Anna aveva il capo chinato, due chiazze di rosso le macchiavano le guance.

Perché doveva sempre cacciarsi in quelle situazioni imbarazzanti, si domandò. E perché tutto ciò succedeva sempre quando c’era Gilbert? Gilbert aveva distolto lo sguardo dalla sua gamba scoperta, ma in ogni caso sentì che Anna era molto imbarazzata.

“Anna, avrebbe potuto capitare a chiunque!” disse, tentando di tirarla un po’ su di morale.

Anna lo sbirciò da sotto le ciglia ed inarcò un sopracciglio. “A tutti?” chiese, scuotendo appena la stoffa della sua gonna.

Gilbert sorrise: “Beh, a qualsiasi donna.” disse accennando alla differenza di abbigliamento tra maschi e femmine.

“No, cose del genere capitano solamente me.” lo corresse con un sospiro.

Poi alzò il capo fieramente ed incontrò coraggiosamente lo sguardo di Gilbert, come per contrastare il fato ingiusto che si accaniva contro di lei. “La ringrazio molto per il suo aiuto, Signor Blythe.” disse molto formalmente con aria decisa; il suo orgoglio le era venuto in aiuto ancora una volta per salvarla da un comico incidente.

Gilbert le sorrise di rimando. Oh, come la amava, lei e le sue contraddizioni. Era imbarazzata per quello stupido incidente, ma era anche talmente fiera da non voler mostrare il suo disagio.

“Di niente, signorina Shirley.” le rispose Gilbert con la stessa formalità. “Bene, ora però raccontami cosa ha detto oggi Harold Pye.” suggerì, cambiando abilmente argomento. “Come mai non hai libri da portare a casa?” domandò, visto che portarle i libri era compito suo e quel giorno Anna non ne aveva con sé.

“Ho lasciato liberi i ragazzi per il fine settimana ed ho deciso che anche l’insegnante si meritava la stessa cosa.” lo informò in tono cospiratorio.

“Dunque, allora Harold Pye…” Anna rise mentre ricominciava a raccontare, camminando tranquillamente accanto a Gilbert mentre insieme percorrevano la strada verso il Tetto Verde.

Dopo parecchio tempo, la conversazione si affievolì ed i due continuarono a camminare in silenzio l’una in fianco all’altro, limitandosi a godere di quel pomeriggio autunnale che forse sarebbe stato una delle ultime belle giornate della stagione.

Anna non poté fare a meno di pensare che presto sarebbe stato davvero autunno: le foglie stavano già colorandosi di rosso e di arancione e presto sarebbero cadute a terra lasciando gli alberi nudi ed al freddo. Poi sarebbe arrivata la neve, infine Natale e Gilbert sarebbe partito. Sarebbe tornato a scuola per l’inizio del quadrimestre successivo. Anna si sentì assalire dalla tristezza al solo pensiero. Sapeva che frequentare quella scuola era il sogno di Gilbert ed era felice per lui, ma quanto le sarebbe mancato! E non solo perché si era abituata ad averlo intorno.

No. Ci era voluto tanto tempo, ma adesso Anna poteva ammettere la verità con se stessa.

Le sarebbe mancato perché… lo amava.

Dal giorno in cui le aveva dato lo Schiaccianoci.

No, non era vero: quello era stato il giorno in cui si era resa conto di amarlo.

Non sapeva bene di preciso quando avesse cominciato a provare quei sentimenti nei suoi confronti. Era successo tutto in maniera graduale. Solo che lei non sapeva ancora bene cosa fare con quella nuova consapevolezza: aveva rifiutato la sua proposta di matrimonio in primavera - erano quasi passati sei mesi - e lui non aveva più accennato alla cosa.

Neanche lei lo aveva fatto.

Anna non sapeva come comportarsi, né se ci fosse ancora speranza per lei. Gilbert se ne sarebbe andato ed avrebbe incontrato altra gente, altre ragazze e si sarebbe dimenticato della ragazza di Avonlea che era stata sua amica nel corso di quella dolce estate.

Al solo pensiero, Anna sentì male al cuore e si fece ancora più taciturna e quieta.

I due continuarono a percorrere la strada che li conduceva a casa. Le ombre si allungavano mentre il giorno moriva.

Improvvisamente, Anna si rese conto che erano arrivati al “posto”.

Il luogo dal quale non si poteva fare a meno di passare per andare al Tetto Verde e dove Gilbert aveva chiesto ad Anna di sposarlo tanti mesi prima.

Era davvero un angolo incantevole, protetto e riparato, con la strada che estendeva i suoi meandri attorno ai grossi aceri.

In passato, ogni volta che Anna vi si avvicinava

, accelerava il passo, ricacciando in fondo alla mente i ricordi ad esso collegati. Ma non quel giorno.

Quel giorno Anna si ritrovò a rallentare il passo man mano che si avvicinavano, fino a fermarsi completamente.

“Anna?”

Anna si fece di brace ed abbassò gli occhi. Cosa stava facendo? Stava agendo impulsivamente ed ora Gilbert voleva conoscerne la ragione. Beh, sarebbe stato meglio dirglielo, no? Sarebbe stato meglio sapere subito se c’era speranza piuttosto che non sapere, giusto?

Coraggiosamente, Anna sollevò il capo per incontrare gli occhi di lui. (ragazze, ci siamo! NdT) “Questo è il “posto”, Gilbert”. disse a mo’ di spiegazione.

“Il posto?” ripeté Gilbert.

“Si, il posto dove mi hai chiesto di sposarti.”

Ecco. Lo aveva detto.

Qualcosa del quale non avevano parlato per tutto quel tempo.

“Lo so che è successo qui, Anna.” rispose piano Gilbert, mentre si domandava dove volesse arrivare Anna.

“Io non… Io non…” esitò Anna, incespicando nelle parole, tuttavia proseguì.

“Quel giorno ero molto confusa, Gilbert.” spiegò di getto. “La tua proposta mi aveva spaventato. Io non volevo che cambiasse niente.”

“Anna, lo so.” la voce di Gilbert era gentile e comprensiva. Lui era in piedi di fronte a lei ed Anna voleva spiegargli i motivi del suo rifiuto; a sua volta, lui voleva renderle le cose meno difficili.

Aveva imparato così tante cose sui di lei nel corso di quell’estate: aveva appreso dei primi anni della sua vita e che la sua vera infanzia era iniziata quando era arrivata ad Avonlea e che non aveva fretta di cambiare niente della sua vita.

Lui lo capiva ed ora voleva evitarle quell’imbarazzo. “Anna, non mi devi spiegare niente…” esordì.

“Io oggi ti darei un’altra risposta.” lo interruppe Anna.

“Cosa?” Gilbert la guardò sorpreso e strabiliato.

“Ho detto che oggi ti darei un’altra risposta.” ripeté Anna senza fiato, il suo cuore che le martellava selvaggiamente nel petto per la sua sfacciataggine.

Non poteva proprio fare una proposta di matrimonio a Gilbert, certe cose non stavano bene. Per cui fece quello che poteva per fargli capire che se le avesse chiesto un’altra volta di sposarlo, lei avrebbe accettato e se era confusa la scorsa primavera, ora non lo era più.

Si trattava comunque di una proposta di matrimonio ed Anna attese la risposta di Gilbert con il fiato sospeso.

Dal canto suo, Gilbert era rimasto di stucco. Di tutto quello che Anna avrebbe potuto dirgli, di certo questa era proprio l’ultima cosa che si sarebbe aspettato.

Dopo un momento, gli occhi di Gilbert si addolcirono guardandola.

Come sembrava dolce e vulnerabile. Ma lui aveva le idee più chiare di lei, o almeno così pensava. Se una parte del suo cuore aveva esultato, la sua mente gli aveva detto che era troppo presto.

“Dai, vieni, Anna che ti accompagno a casa.” Parlò con grande gentilezza e si girò appena per riprendere il loro cammino.

Allora lui non la voleva più, pensò Anna desolata.

Una proposta ed un rifiuto. Si trattava dunque di una ripetizione di quella orribile primavera di sei mesi prima, si chiese.

“Allora ho rovinato tutto, Gilbert?” chiese Anna.

Aveva combinato un disastro. Prima per averlo rifiutato ed ora per aver cercato di far rivivere qualcosa che evidentemente Gilbert non desiderava rivivere.

Alla domanda di Anna, Gilbert si fermò e si girò verso di lei. “No, Anna.” le disse con la stessa voce gentile di poc’anzi. “Non hai rovinato niente. Ma hai bisogno di tempo. Tu non sei pronta.” disse cautamente, cercando di spiegarsi.

Pronta? Nell’udire quelle parole, le sopracciglia di Anna si aggrottarono.

Non sono pronta… per amare? Perché, c’era forse un tempo prescritto per quelle cose, si domandò, senza sapere che se lei glielo avesse chiesto, Gilbert le avrebbe parlato del suo piano, dei tre anni di attesa. L’avrebbe aspettata per tre anni per darle il tempo di terminare la sua infanzia, per così dire. Tempo fino al momento in cui lui pensava sarebbe stata pronta per lui.

Allo sguardo allibito di Anna, Gilbert proseguì: “Le cose che ti sono successe durante la tua infanzia prima che arrivassi ad Avonlea. Hai bisogno di tempo per superarle. Tu hai bisogno di tempo per…” esordì, ma Anna stava già scuotendo il capo e lo interruppe.” “Ma Gilbert, tu mi hai già aiutato tanto, non lo sai?” gli chiese, impetuosa e decisa. Non si rendeva conto di quanto le fosse stata vicino, di quello che aveva fatto per Lizzy ed Henry, di come fosse venuto a cercarla durante il temporale, di quando le aveva regalato lo Schiaccianoci, la sua pazienza nell’ascoltare tutte le sue storie di quando era piccola. Lui le aveva dato una mano per tutte cose ed anche per guarire le sue vecchie ferite.

Gilbert le sorrise teneramente. “Ne sono felice. “ disse e lo pensava per davvero.

Era felice che Anna fosse venuta a patti con i suoi problemi, ma ciò non significava che fosse pronta per lui.

Vedendo che nonostante tutto Gilbert era irremovibile, Anna chiese:”Ma perché, Gil?”. cercava di comprendere i motivi del suo rifiuto. Era forse perché lui non… lui non l’amava più? Se le aveva chiesto di sposarlo, qualcosa per lei avrebbe dovuto pur provarla. Non era dunque rimasto più niente di quell’amore?

Gilbert si passò una mano sulla fronte, cercando una maniera per farglielo capire. Come poteva fidanzarsi con la donna che amava e continuare come se nulla fosse? Continuare come Anna certamente si aspettava.

Perché lei non sapeva, non poteva sapere di quello che provava lui in fondo al suo cuore. Era stato già difficile trattenersi quando loro erano solamente buoni amici, come poteva farlo da fidanzati? Si ricordava bene di quel giorno nella stalla dopo il temporale.

Era stato ad un passo dal baciarla.

Era stato così difficile lasciarla andare e all’epoca non c’erano legami tra loro due. Se fossero stati fidanzati, molto probabilmente lui l’avrebbe baciata e dubitava fortemente che lei fosse pronta per quello. D’altra parte, c’era il suo piano, il suo piano dei tre anni. Ora avrebbe solamente dovuto spiegarlo ad Anna, così lei avrebbe compreso. “Una volta ti ho detto che sono un uomo appassionato, Anna.” cominciò, a voce bassa e fissandola nella speranza che le sue parole avessero un significato.

Anna si ricordava di quella conversazione che avevano avuto quel giorno, nell’aula.

Aveva detto che loro due erano molto simili, entrambi erano appassionati: lei per il suo temperamento e lui per… quello che era, non sapeva bene. Però non capiva cosa c’entrasse quel discorso con quello che si stavano dicendo in quel momento.

Se non l’amava, era meglio che glielo dicesse subito senza giri di parole che non avrebbe capito.

“Sì, sei un uomo appassionato. Ma cosa c’entra, adesso?” chiese, la voce frustrata.

“Certo che c’entra, Anna!” ruggì Gilbert, frustrato a sua volta. Nel vedere lo sguardo perplesso di Anna, fece la sua confessione. “Perché sei tu, Anna, sei tu la mia passione!”

Quell’autocontrollo che aveva sempre frenato Gilbert, si ruppe improvvisamente dentro di lui: prese Anna per la vita e la tirò contro di sé.

Gli occhi di Anna si spalancarono, lei sorpresa sia per la confessione di Gilbert che per l’improvviso contatto fisico.

Tuttavia, Gilbert non si fermò.

Con un movimento fluido, abbassò il capo e catturò le labbra di Anna con le sue.

La sua logica gli diceva di mostrare ad Anna cosa veramente lui volesse dire, ma una volta che la sua bocca toccò le labbra morbide di lei, la sua logica si perse e lui con lei.

All’inizio Anna fu semplicemente sorpresa. Sorpresa che Gilbert l’avesse afferrata a quel modo, che la stesse baciando con la bocca sulla sua mentre la teneva contro di sé, la sua mano premuta sulla sua schiena.

Anna strinse il tessuto della camicia di lui tra i pugni, più che altro per sostenersi. Non passò molto tempo prima che la sorpresa svanisse e che lasciasse il posto ad altre sensazioni.

Quando Gilbert la toccava, Anna provava sempre una scossa dentro di sé. Ma il suo bacio era qualcosa di completamente diverso.

Sentì un senso di calore diffondersi lentamente in tutto il corpo, partendo dal centro del suo essere fino ad arrivare ad ogni più piccola parte di lei. Era come un fuoco liquido, lava nelle sue vene, e lei si stava sciogliendo al suo calore.

Le sue gambe si fecero instabili e cedevoli.

Tutti i pensieri lasciarono la sua mente e lei sentì solo quella sensazione, solo Gilbert.

Gilbert alzò il capo ed Anna, gli occhi ancora chiusi ed il viso levato verso quello di lui, sussurrò senza fiato: “Gil!” ma Gilbert si limitò ad inclinare la testa dall’altro lato e le catturò le labbra in un bacio ancora più profondo. Spostò le braccia dalla vita di lei per circondarle la schiena, serrandola forte contro di sé mentre continuava a baciarla. Anna aprì i pugni, lasciò andare la stoffa e gli posò le mani sul petto. Senza che lei potesse fare niente per fermarle, le sue braccia si mossero per cingere il collo di lui.

Si trovavano a metà strada quando lui la lasciò andare di colpo. Anna incespicò all’indietro per suo il gesto improvviso ed andò a sbattere la schiena contro un grosso tronco.

Per fortuna, perché le sue gambe sembravano non essere più in grado di reggerla.

Quel bacio l’aveva lasciata senza fiato e sconvolta.

Gilbert le aveva voltato le spalle, le gambe divaricate. Una mano era poggiata sul fianco, mentre l’altra passava e ripassava tremante tra i suoi capelli corvini.

Il movimento delle sue spalle ed il fiatone, fecero capire ad Anna che Gilbert era rimasto sconvolto quanto lei.

“Anna… Anna… Mi dispiace.” Gilbert pronunciò le sue scuse con voce strozzata e le spalle sempre verso di lei. “Non avevo il diritto di…” continuò. C

osa aveva mai fatto? Aveva perso la testa, ecco cosa aveva fatto. “Anna, scusami.” disse mentre aspettava le recriminazioni di lei che sentiva di meritare interamente.

Che non arrivarono perché Anna rimase in silenzio e lui la supplicò: “Anna, ti prego, di’ qualcosa!” Persino le recriminazioni sarebbero state meglio di quel silenzio.

Ma lei era con la schiena appoggiata all’albero, le sue mani ancorate alla ruvida superficie per sostenersi, visto che le ginocchia si erano improvvisamente trasformate in gelatina.

Anna stava pensando a cose diverse dalle recriminazioni.

Allora, ecco cosa intendeva Gilbert quando parlava della sua passione. La sua mente cominciò ad elaborare l’informazione, avventurandosi in quel nuovo aspetto della loro relazione e pensando a cosa avrebbe comportato per loro andare oltre all’amicizia.

“Tu vorresti…” Anna esitò, ma poi, coraggiosamente, completò la domanda. “Tu vorresti farlo molto spesso?” domandò riferendosi al bacio come al risultato di una ricerca appena iniziata.

Gilbert rimase a bocca aperta mentre si girava a guardare Anna, attonito, per la domanda che gli aveva posto.

Perché gli stava chiedendo una cosa simile? Dove erano andate a finire le recriminazioni per il suo comportamento non certo da gentiluomo? E perché si appoggiava all’albero a quella maniera?

Anna incontrò lo sguardo di Gilbert: “Tu vorresti farlo molto spesso?” ripetè.

Gilbert fece un respiro profondo. Gli aveva fatto una domanda e lui le avrebbe risposto: “Sì, Anna.” disse con voce roca e profonda. “Molto spesso, mi spiace”.

Ecco. Le aveva detto la verità. Ora non avrebbe più potuto fraintendere i suoi desideri che aveva tanto a lungo nascosto nel suo cuore.

Anna distolse lo sguardo. “Beh, Gilbert.” esordì ponderando prima la risposta nella sua mente. “Se è così, per me va bene.” disse accettando quello che lui le aveva detto.

Gilbert rimase di stucco, stupefatto dalla piega che stavano prendendo gli eventi e sentendo che un barlume di speranza si accendeva dentro di lui.

Non se lo sarebbe mai aspettato. Ma ora la sua mente ed il suo cuore presero in considerazione quella possibilità.

“Anna, vieni via da quell’albero.” implorò. Come poteva parlarle seriamente mentre era appoggiata al tronco in quel modo?

“Non ci riesco, Gilbert. Le gambe non mi reggono.” confessò Anna. Gilbert la studiò per un attimo. Era la verità: Anna era appoggiata all’albero e ci si aggrappava per tenersi in piedi.

Gilbert aggrottò le sopracciglia mentre valutava la situazione ed una remota possibilità gli passava per la mente.

“Sono… sono stato io?” chiese, incredulo.

Anna incontrò i suoi occhi ed annuì lentamente.

Con poche falcate, Gilbert la raggiunse e le si mise a fianco; un sorriso felice gli illuminava il volto mentre la guardava ed la prendeva per la vita, offrendo il suo sostegno in aggiunta a quello fornito dall’albero.

Anna spostò una mano e la appoggiò al braccio di lui.

Lo sentì sussultare sotto il suo tocco.

Ah, allora non era solo lei a sentire quelle scosse. “Gilbert, che cos’è questa cosa che ci succede?” chiese meravigliata fissando la sua mano che era ancora posata sul braccio di lui. “Non ne ho idea, Anna. Non mi è mai capitato con nessuno tranne che con te.” rispose Gilbert con voce bassa e roca.

I loro sguardi si incontrarono e Gilbert fissò la bocca di Anna.

Lentamente, il suo capo si abbassò mentre sfiorava le labbra di lei con le sue. Anna appoggiò ancora la testa contro l’albero mentre si stavano baciando.

Era così diverso, quel bacio, dal precedente: un mero sfioramento di labbra, così tenero e gentile che però emozionò Anna proprio come il precedente.

O forse anche di più.

Gilbert si staccò il minimo indispensabile per poter inclinare il capo dall’altra parte e la baciò ancora, nello stesso modo dolce e tenero, le labbra che accarezzavano quelle di lei.

Anna si staccò dall’albero, preferendo appoggiarsi a Gilbert.

Subito lui la serrò contro di sé stringendola alla vita ed offrendole un sostegno più che sufficiente per le sue ginocchia tremolanti.

Anna sollevò le braccia e questa volta riuscì ad allacciargliele attorno al collo. Le labbra di Gilbert si spostarono e cominciarono a percorrere il viso di lei fino a raggiungere il suo orecchio.

Poi si limitò a stringerla contro di sé, il viso accostato a quello di lei.

Anna si meravigliò di sentirsi così al caldo, così protetta e amata. Non sapendo bene cosa fare, Anna imitò quello che aveva appena fatto Gilbert e girò il capo per posare piccoli, rapidi baci lungo il suo zigomo ispido. Gilbert emise un suono strano, forse un gemito e girò a sua volta il capo per catturare le labbra di Anna con un bacio lungo e lento; dopo un momento si staccò per inclinare la testa dall’altro lato e baciarla ancora.

Quando il bacio ebbe termine, Anna si accoccolò contro di lui appoggiandogli la guancia al petto.

Improvvisamente Anna si rese conto che dopo tutti i baci che si erano scambiati, non avevano ancora chiarito le cose tra di loro.

“Gilbert…” esordì. “Allora noi siamo… ecco… fidanzati?” chiese esitante, sentendo la risata uscire dal suo petto prima che dalle sue labbra.

Sorpresa, sollevò il capo verso di lui. “Anna Shirley! Come se andassi a baciare a questo modo tutte le ragazze che incontro! Vorrei vedere che non fossimo fidanzati!” Gilbert le sorrise.

“Oh!” Anna sorrise a sua volta. Non era la cosa più romantica che si era aspettata e neanche la più poetica per suggellare il loro fidanzamento, ma Anna ne era immensamente felice in ogni caso; anche perché ormai Gilbert aveva fugato i suoi dubbi e le aveva confermato di non aver mai baciato nessun’altra ragazza.

Gilbert fissò il sorriso di Anna ed un pensiero gli attraversò la mente.

Le parole.

Anna aveva sempre amato le parole.

Lui non era un poeta e non aveva belle frasi da offrirle.

Lui poteva darle solo tutto quello che sentiva nel suo cuore.

“Anna, io ti amo.” disse con voce sincera.

“Anche io ti amo, Gil.” gli sussurrò Anna di rimando.

“Anna, ci vorranno almeno tre anni prima che io mi diplomi alla scuola di medicina. E neanche allora potrò darti splendore di diamanti e stanze tutte di marmo (le parole sono quelle originali della Montgomery. NdT).” la avvertì lui.

“Non voglio splendore di diamanti né stanze tutte di marmo. Io voglio solo te (ancora le parole usate dalla Montgomery).”

Vedendo il sorriso di Gilbert, Anna si alzò in punta di piedi e lo baciò.

Quando si staccò da lui, Anna sorrideva maliziosamente.

“Sei sicuro di volermi, Gil? Ho parecchi difetti, sai?” lo informò scherzosa.

“Davvero?” lui alzò un sopracciglio, fingendo uno scetticismo che non provava.

“Non vado molto d’accordo con l’acqua.” disse lei ricordandogli tutte le volte che lui aveva dovuto salvarla da stagni, ruscelli fangosi e temporali.

Gilbert gettò indietro il capo e scoppiò a ridere. “Penso di poterlo sopportare.” la rassicurò.

“E lascio sempre in giro i miei cappelli. Non riesco a tenermene uno per più di due settimane.”

Gilbert sorrise tollerante. “Quando diventerò dottore, ti comprerò tutti i cappelli che vorrai.”

“C’è poi la questione dei miei capelli. Sai, sono rossi.” Anna fornì quell’informazione con un’espressione falsamente inorridita.

Gilbert rise ancora. Come se non l’avesse mai notato. Poi si fece di nuovo serio: “I tuoi capelli sono bellissimi.” le disse con un delizioso sospiro che le fece correre brividi lungo la schiena.

“E poi parlo troppo. Me lo dicono sempre tutti.” lo avvertì Anna con un sorriso ironico.

Gilbert le sorrise ancora: “Parla quanto vuoi, non mi dai fastidio.”

Improvvisamente, il sorriso morì sulle labbra di lei, mentre trasaliva alle parole di Gilbert, lo sguardo fisso sul viso di lui mentre si ricordava di un’altra persona che le aveva detto le stesse parole, tanti anni prima.

Anna scoppiò in lacrime e nascose il viso sul petto di Gilbert.

“Anna! Anna! Che cosa ho detto di male?” Gilbert implorò spaventato e confuso dalla reazione di lei.

Senza sapere bene cosa avesse fatto per farla piangere così, si scusò: “Anna, mi spiace tanto, perdonami!”

Anna scosse il capo ancora nascosto sul petto di lui. Come poteva spiegarglielo? Non era quello che aveva fatto, bensì le parole che aveva usato.

“Parla quanto vuoi, non mi dai fastidio.”

Anna pensò all’unica persona che aveva pronunciato quelle stesse parole.

Matthew.

Erano passati così tanti anni ed ora le sembrava di tornare a casa.

Era stata la prima volta in cui si era sentita accettata per quello che era. E

ra forse la stessa cosa? Quasi come tornare a casa… con Gilbert?

Improvvisamene, Anna pensò che era vero. Sembrava quasi che Matthew avesse favorito tutto quello che era successo tra lei e Gilbert, come se stesse dando loro la sua benedizione. Un giorno glielo avrebbe raccontato, decise.

Non subito, ma un giorno lo avrebbe fatto.

Per il momento, si limitò a tirare su col naso ed a ricomporsi. “Sto bene, Gilbert.” lo rassicurò mentre si asciugava le lacrime con la camicia di lui.

Gilbert la guardò stupefatto.

Anna si stava asciugando il viso con la sua camicia?

“Oh, Gilbert, mi spiace!” si scusò Anna quando si rese conto di quello che stava facendo. Cercò di spianare con la mano le pieghe del tessuto.

Gilbert le sorrise teneramente. Quel gesto così intimo non gli era dispiaciuto proprio per niente. Al contrario!

“Sono una sciocca sognatrice e parlo troppo.” gli disse ancora, facendo un respiro profondo e sollevando lo sguardo verso di lui per dimostrargli che si era ripresa.

Gilbert le asciugò gli occhi: “Non penso che tu sia una sciocca sognatrice. Penso che tu sia una persona affettuosa e gentile con tanto buon cuore. E non mi spiace che tu parli troppo.”

“Davvero?”

“Certamente. Perché ho qualcosa che non ha nessuno altro oltre a me.” le rispose Gilbert soddisfatto.

“Oh, e cosa sarebbe?” Anna lo guardò incuriosita.

Gilbert abbassò il capo e ridusse la voce ad un sussurro: “Un modo per farti stare zitta.” e per dimostrarglielo, le chiuse la bocca con un bacio.

Oh, sì, pensò Anna. Non poteva proprio parlare quando lui la baciava. E perché poi avrebbe dovuto farlo?

Quando Gilbert si staccò da lei, Anna tenne chiusi gli occhi ed il viso sollevato verso di lui perché sapeva che Gilbert avrebbe inclinato la testa e l’avrebbe baciata ancora.

Infatti così accadde.

Anna sorrise mentre Gilbert la stava baciando. Solo pochi baci e lei già lo conosceva.

Poi non pensò più e si abbandonò alle sensazioni che lui le stava regalando.

Anna e Gilbert si fermarono su quella stradicciola ancora per parecchio tempo; i loro cuori erano vicini mentre si baciavano, parlavano, si stringevano forte l’un l’altra e si abbracciavano.

Due cuori vicini l‘uno all‘altro. Proprio come dovevano essere.

Fine

* * *

Mi spiace, non ho fazzolettini per tutti, bastano a malapena per me.

E’ finita ed ancora non ci credo, ma mi viene un groppo in gola solo al pensiero che non riceverò più le vostre impressioni su questa storia.

Avendo lo stesso nome della protagonista, devo ammettere che anche io sono una sciocca sognatrice e che mi spiace aver concluso questa bella avventura che mi ha permesso di indossare i panni della traduttrice oltre a quelli soliti di autrice di fanfiction un po‘ fuori di testa (pa pa pa, leggete la rivolta delle racchie, se pensate ancora che io sia una persona seria).

IMPORTANTISSIMO! Ho appena ricevuto dall'autrice Spikeswench il permesso di tradurre la sua One-shot sulla prima notte di Anna e Gilbert. E' molto carina, ma non aspettatevi scene torride. Si parla di Anna e Gilbert, in fondo!

Dovrei cavarmela piuttosto velocemente, per cui controllate la sezione fra una decina di giorni. O forse prima, non so.

Nel corso di questa storia sono entrata in contatto con persone davvero speciali e qui non posso fare a meno di menzionare Luana, Alex-kami e Scandros con le quali ho stretto un bellissimo legame di amicizia.

Qui affermo che Gilbert è un gran bel tipo, che però non ha ancora scalzato dalle prime posizioni della mia Fig Parade personale André e Leonid Yusupov che si alternano al primo ed al secondo posto di questa classifica un po’ delirante.

Un grazie particolare a Kwannon che ha recensito ogni capitolo e che in qualche caso mi ha fatto fare delle belle risate.

Anche a Lu, Shana, Meiko, Altair76, Cate (la new entry del fandom di Anna dai capelli rossi), Mysticmoon, Munk (l’unico ragazzo che ha avuto il fegato di leggere e recensire), Didi Black, L-fy (la mia carissima amica che ha recensito tutti i capitoli in una volta sola facendomi venire l’infarto), Riru, Iorik, Daffydebby (ben ritrovata!), Maggie, Cowgirl Sara, Lunetta, Valentina, Ale Kanou, Stormy, Kumi, Wilwarind, Regina, Mireille ed infine Yuki.

L’ultima precisazione prima di lasciarvi: la mia prima fanfiction si intitolava “Harry Potter e la profezia dell’unicorno.”; il pairing principale era quello formato da Ginny e Draco. Ogni volta che Draco dava un bacio a Ginny, a lei si piegavano le ginocchia e non riusciva più a reggersi in piedi. L’idea l’ho presa proprio da questa fanfiction, anche se devo ammettere che ho esagerato gli effetti dei baci di Draco Malfoy ed il suo fascino.

Emmy vi ringrazia per aver seguito ed amato la sua storia.

No, non ha più scritto altre fanfics oltre “A Little Romance”, mi spiace.

Per cui, Emmy si ritira in buon ordine ed io faccio altrettanto.

Grazie di cuore a tutti voi.

Frignosamente vostra Nisi Corvonero per Emmy Peters.

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