The Witch's Daughter di 68Keira68 (/viewuser.php?uid=32217)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1_La scintilla nel buio ***
Capitolo 3: *** 2_La chiamata ***
Capitolo 4: *** 3_Aldilà del varco ***
Capitolo 5: *** 4_Rivelazioni ***
Capitolo 6: *** 5_Non ti vogliono, è solo finzione ***
Capitolo 7: *** 6_Vorrei che tu l'avessi vista ***
Capitolo 8: *** 7_Sentimenti ***
Capitolo 9: *** 8_Quello che posso e non posso essere ***
Capitolo 10: *** 9_Il significato del verbo amare ***
Capitolo 11: *** 10_Frammenti di una vita ***
Capitolo 12: *** 11_Tra il passato e il futuro c'è l'amore ***
Capitolo 13: *** 12_La magia del tramonto prima della battaglia ***
Capitolo 14: *** 13_Casa mia ***
Capitolo 15: *** 14_Nives ***
Capitolo 16: *** 15_Un addio sofferto per una meschina menzogna ***
Capitolo 17: *** 16_Un cuore di ghiaccio non batte per nessuno ***
Capitolo 18: *** 17_Apri gli occhi mia stella ***
Capitolo 19: *** 18_La madre e la strega ***
Capitolo 20: *** 19_Gigli e segreti nascosti dal tempo ***
Capitolo 21: *** 20_La speranza in un miracolo ***
Capitolo 22: *** 21_Il ballo della felicità illusoria ***
Capitolo 23: *** 22_Promettimi che sarai felice ***
Capitolo 24: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Salve a
tutti! Sono nuova di questa
sezione, questa è la prima storia che scrivo su Narnia ^^
premetto che l'idea
mi è balzata in mente all'improvviso mentre guardavo il
secondo film e che non
ho letto i libri, quindi se ci dovesse essere qualche imprecisione
sulla storia
non abbiatemene per cortesia! L'inizio della storia, prologo a parte,
è
ambientato ai giorni nostri e introduce la protagonista, ma i nostri
eroi
appariranno presto, già nel terzo cappy, prometto ^^ La
storia tiene conto di
tutto quello che è successo ne "il leone, la strega e
l'armadio" e
nell'inizio de "Il principe Caspian", più o meno fino
all'arrivo di
Peter e co alla tavola di pietra ^^. Da quel punto la storia segue a
grandi
linee quella del film per un bel pezzo finchè non subisce un
brusco cambio di
rotta, però non voglio farvi altre anticipazioni o rovinerei
la sorpresa^^.
La giovane ragazza con i capelli rossi che è nella
copertina è la cantante Taylor Swift, che da il volto alla
mia protagonista, Cathrine Icepower. Vorrei sottolineare che il
personaggio della mia fan fiction non è ispirato alla
cantante, semplicemente è la ragazza che più si
avvicinava fisicamente alla descrizione di Cathrine per poterla
inserire nella copertina :-)
Mi auguro
che la storia vi piaccia ^^ e
se lasciate in commentino anche piccolo per farmi sapere se
è il caso di
continuarla oppure no ve ne sarei grata! Un bacio a tutti quanti!
Prologo
“Siete
sicura di volerlo fare, mia
signora?”
Una
voce gracchiante e stridula,
proveniente da un piccolo essere imbacuccato in una giacca marrone
più grande
di lui, si rivolgeva titubante all’unica persona presente in
quella stanza
altrimenti deserta.
“Si,
vado in guerra e anche se le
probabilità di vittoria sono alte, non posso rischiare su
una cosa così
importante.”
La voce
della donna,, forte e chiara
quanto gelida, rispose alla prima. Era una donna sulla quarantina,
dalla
bellezza immacolata ed eterea anche se fredda e algida, capace di
provocare
soggezione per colpa degli occhi azzurri e glaciali come iceberg ma
anche
attrazione grazie alla candida pelle diafana e un corpo sinuoso e
perfetto
nonostante l’età. La figura femminile si
avvicinò ad una culla con lentezza ma
con fermezza. Una volta accostatesi all’elaborato lettino, ne
tirò su un
fagotto azzurro, rivelando una terza presenza nella stanza, prima
passata
inosservata.
“Lei
rappresenta l’altra parte di me. Se
io disgraziatamente dovessi andarmene, continuerei a vivere in lei in
attesa
del giorno in cui lei stessa potrà farmi risorgere in un
corpo mio. Non posso
permettere di perdere entrambe”proseguì,
più rivolta a se stessa che al nano
inginocchiato accanto a lei.
“Ma
trasportarla in un’altra dimensione
potrebbe essere pericoloso, mia signora. Se non dovesse dar
ritorno?” mormorò
con voce tremula.
La
donna posò i suoi occhi di ghiaccio
sul nano, facendo frusciare la lunga e raffinata veste bianca sul
pavimento del
medesimo colore. Per una manciata di secondi permise ad un piccolo
sorriso di
scherno di modellare le sue labbra rosse come il fuoco,
tonalità in netto
contrasto con il resto della sua carnagione.
“Tornerà.
La verrò a riprendere io dopo
la vittoria.”
“E
se dovessimo perdere?” osò il
servitore senza riflettere, pentendosi subito dopo della sua domanda
temendo la
reazione della propria signora che non vantava la fama di persona
misericordiosa. La donna infatti lo fulminò con lo sguardo e
irrigidì i muscoli
del collo, movimenti sufficienti a far tremare il nano da capo a piedi,
certo
che sarebbe stato punito. Fortunatamente per lui però, la
donna si limitò a
sibilare la risposta accorata.
“Se
una disgrazia del genere dovesse
realmente accadere, Nives è mia figlia, il richiamo verso la
terra natia
l’accompagnerà per tutta la sua vita, indicandole
la giusta via quando sarà
pronta per percorrerla e tornare. Senza contare che io stessa veglierei
su di
lei in forma di spirito.”
Scostò
leggermente da lei la bambina
avvolta da una coperta interamente azzurra per scrutarla in viso. Aveva
a mala
pena un anno, lo gote erano arrossate per la fredda temperatura della
stanza,
l’ultima a nord del palazzo di ghiaccio, la più
piccola, ma la più preziosa per
quello che conteneva: il portale spaziotemporale. Teneva gli occhi
chiusi e i
pugnetti stretti, anche se i lineamenti erano rilassati, segno che
stava
dormendo placidamente. La testa era ricoperta da soffici boccoli rossi
seminascosti dalla coperta.
“Ci
rivedremo, sia che dovessi vincere
che dovessi perdere. Io sono te e tu sei me. Il nostro destino
è legato dal
nostro potere. Solo tra di noi possiamo capirci perché solo
tra di noi possiamo
essere noi stesse. Per gli altri saremmo sempre delle emarginate, per
questo
devi rimanere celata al mondo finché non sarai perfettamente
al sicuro.”
La
donna strinse la bambina al petto e
le diede un leggero bacio sulla fronte. Poi, con una cadenza austera,
si
diresse verso la parete dinanzi a lei. Pareva fatta di una consistenza
completamente diversa dalle altre tre. Era bianca perlacea invece che
azzurra,
ed emanava una pallida luce, simile al riverbero del sole su un
laghetto.
“Futura
regina alterum mundum veniat”
Le
parole dell’incantesimo si infransero
sulla superficie della parete, rivelando un’essenza gassosa
che si dissolse
poco a poco, mostrando una villetta a due piani, bianca e ben tenuta,
ma
completamente diversa dalle abitazioni che la donna e il nano erano
abituati a
vedere.
“Mia
signora, dove state mandando la
principessina?” domandò preoccupato il servitore.
“In
un’epoca e in un luogo completamente
diversi dal nostro, dove sarà al sicuro fino al mio
ritorno” spiegò brevemente
prima di sfilarsi con la mano destra un medaglione dal suo delicato
collo. Era
un oggetto di raffinata fattura, interamente d’oro bianco,
dalla catenina
all’effigie raffigurante un’elaborata J sopra un
palazzo stilizzato. Lo legò al
collo della bimba sussurrandole “Grazie a questo, ovunque
andrai e chiunque
incontrerai, sarai protetta, mia piccola Nives”
Le
passò la mano sinistra sul volto,
compiendo un complicato movimento con il polso, e grazie ad un
incantesimo,
sollevò la bambina in aria per magia.
“A
presto, mia principessina” la salutò
con un sorriso dolce, che raramente solcava il suo volto di ghiaccio,
dopodichè,
mormorando un secondo incantesimo, le fece attraversare la barriera con
la
speranza di rivederla il prima possibile. Quando il portale si
richiuse, la
donna avvertì un’inspiegabile stretta la cuore.
Non poteva prevedere che quel
malessere l’avvertiva che la sua speranza sarebbe risultata
vana.
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Capitolo 2 *** 1_La scintilla nel buio ***
Salve a
tutti^^ ho deciso di pubblicare il 1° cappy subito
dopo il prologo in quanto quest'ultimo era solo introduttivo
e decisamente corto ^^ così si riesce ad avere
anche un'idea più completa dell'inizio della ficcy^^ spero
che il cappy piaccia, vi mando un grande bacio!!!!
1_La
scintilla
nel buio
“Su,
giù, su, giù, rosso, verde, giallo”
Ammaliata
dalla mia stessa magia, guardavo le pareti della soffitta cambiare
colore a mio
piacimento, grazie alla luce irradiata dalla palla fosforescente che
galleggiava nella mia mano.
“Argento,
bianco, Sali”
La
palla magica obbedì come sempre ai miei comandi, e
salì fino a raggiungere il
punto più elevato della soffitta. Da quella posizione
illuminava tutta la
stanza, permettendomi di vedere ogni cosa come se fosse giorno invece
che piena
notte.
Soddisfatta,
mi adagiai comodamente su il mio puff rosa, comodo più di
qualsiasi altro
divano, a mio parere, pronta per finire il compito di aritmetica
assegnatomi
quella mattina.
Era
raro che mi riducessi alle due di notte a fare i compiti di scuola,
solitamente
cercavo di finirli entro il pomeriggio, ma gli eventi di quel giorno me
lo
avevano impedito, così ora ecco Catharine Icepower,
studentessa modello della
Queen’s High School di Londra, che cerca disperatamente di
studiare matematica
per non rovinarsi la media. La mattina dopo le mie occhiaie avrebbero
sicuramente battuto un record, ero stanchissima.
Mi
chiesi perché, tra tutti gli incantesimi che sapevo fare,
non ce ne fosse uno
che mi permettesse di imparare il libro di aritmetica a memoria in
cinque
minuti. Se proprio dovevo essere anormale che servisse almeno a
qualcosa di più
utile che parlare con gli animali o creare sfere di luce.
Sorrisi
alla parola “anormale”. Era una definizione che mi
calzava a pennello, anche se
le persone che ne erano a conoscenza erano poche. Una per la
precisione,
esclusa me. Quell’angelo di mia madre che fingeva di non
conoscermi da quando
aveva sorpreso la figlia a giocare con barbie che si muovevano da sole.
Avevo
cinque anni all’epoca, e non aveva ancora ben chiara la
distinzione tra fatti
normali e non. Solo dopo aver visto l’espressione sconvolta
di mia madre,
Eleanor Campbell, la linea di confine tra normale e anormale mi fu
chiara per
sempre.
Sprofondai
di più nel puff, in mano le disequazioni di secondo grado
ancora irrisolte, che
malignamente mi facevano comprendere che per questa volta potevo
scordarmi un otto.
Tirai un sospiro e guardai il Calvin Klein che avevo al polso. Le
lancette
argentate segnavano le due e mezza.
Amen,
domani prenderò il mio cinque e
recupererò con il prossimo compito.
Con
questo pensiero scaraventai malamente quaderno e penne per terra, il
più
lontano possibile da me. Facendo spallucce pensai che se anche fosse
stato
pomeriggio, con tutti i pensieri
che mi vorticavano in testa,
non avrei combinato lo stesso un granché.
Eleanor
era tornata questa mattina dalla Francia, dove aveva mostrato al
critico
pubblico parigino la sua ultima collezione di vestiti primavera-estate.
Per
preparare l’evento era stata via per due settimane. Due
stupende settimane.
Dato
che mio padre era a New York da almeno un mese, in casa
c’eravamo solo io e
Gabrielle, l’anziana governante che si aggirava per casa come
un fantasma
silenzioso con l’unica preoccupazione di assicurarsi che la
polvere non si
depositasse sull’argenteria. Per me era stata una magnifica
vacanza mentale.
Per quattordici giorni non avevo dovuto subirmi il sostenuto mutismo
che mi
riservava mia madre ogni qual volta papà era via per lavoro,
né il suo evidente
disagio a trovarsi in mia compagnia.
Quando
c’era George Icepower, mio padre, manager di
un’azienda d’automobili, almeno si
sforzava di essere gentile nei miei confronti, di comportarsi come
farebbe una
madre qualsiasi. Quando eravamo io e lei sole invece, diventavamo
improvvisamente due estranee. Per me era meglio così,
preferivo restare da sola
che sopportare accanto a me qualcuno che mi paragonava ad uno scherzo
della
natura.
Mi
sollevai i capelli con una mano e mi feci aria sul collo con l'altra.
La
soffitta era il luogo ideale per riflettere senza essere disturbati,
l'unica
pecca era che mancava l'aria condizionata.
Cambiando
il colore bianco della mia sfera con un rosa tenue, dipingendo
così tutta la
stanza e i vari oggetti che la riempivano di quella tonalità
pastello, ripensai
a come quell’assurda giornata era cominciata…
“Sveglia
signorina Catharine, sua madre
sarà qui a momenti”
La voce
della mia governante giunge
lieve al mio orecchio. In quella casa di matti, probabilmente la povera
vecchia
Gabrielle era la più sana di mente, con un innato istinto
materno che
compensava quello latente di mia madre.
Mia
madre… il solo pensiero mi fa
mettere la testa sotto il cuscino, come a volermi nascondere dalla
triste
realtà. Oggi, esattamente alle 7.30 del mattino, sarebbe
tornata, insieme alle
sue unghie smaltate e i piastratissimi capelli biondo tinto. Mio Dio,
ma non
poteva restarsene in Francia?
“Signorina,
per favore, sua madre non
gradirà il fatto di trovarla ancora a letto”
insiste la governante.
Mia
madre non gradirà il fatto di trovarmi ancora a casa, penso amaramente, ma mi limito a rispondere un
“si, ora scendo”
biascicato. Sarebbe inutile parlare delle mie controversie con
Gabrielle, con
la sua visione semplice del mondo non sarebbe neanche riuscita a
capacitarsi
che madre e figlia potessero odiarsi, senza contare che non avrebbe
potuto
farci niente comunque.
Di
malavoglia esco dal caldo rifugio
delle coperte azzurro cielo e raggiungo il morbido tappeto che tappezza
il
pavimento della stanza. è interamente bianca e azzurra,
tanto che Gabriella la
paragona sempre ad un pezzo di cielo riservato unicamente a me. Io
trovo che
assomigli di più all’interno di un grosso iceberg,
dotato però di riscaldamento
per mia fortuna.
Mi
avvicino all’armadio a tre ante che
occupa tre quarti della parete ad ovest. È
grande e ben fornito, la fortuna di essere figlia di una
stilista è
avere abiti a non finire.
Del
rientro di mia madre mi importa poco
o nulla, ma per andare alla Queen's High School
l’abbigliamento deve essere
scelto con cura ogni giorno. Opto per una gonna corta bianca e una
camicetta
rossa con le maniche a sbuffo, arricciata sul seno. Metto i sandali
alla
schiava rossi anch’essi e raggruppo i miei capelli in una
coda di cavallo, lasciando
però qualche ciocca ribelle e riccia libera di cadere sul
collo.
Mi
guardo allo specchio mentre inforco
gli occhiali D&G che arrivano dritti dritti da New York, un
regalo di mio
padre che ci tiene a farmi sapere che mi pensa costantemente nonostante
la
lontananza. Almeno una delle due figure genitoriali non mi odia, anche
se papà è
all’oscuro
del mio piccolo segreto.
Dettagli, la mia mente si rifiuta di immaginare la sua reazione se
anche lui
avesse saputo dei miei poteri. Meglio non pensarci.
L’immagine
riflessa nella specchio
affisso ad una delle ante dell’armadio è quella di
una ragazza con ricci e
lunghi capelli ramati, in perfetto contrasto con l’incarnato
pallido ma
coordinati con la bocca a forma di rosa e rossa come il fuoco. Anche se
nello specchio
al momento non si vedono perché nascosti dalle lenti scure,
so che un paio
d’occhi di ghiaccio ricambiano il mio sguardo. La ragazza nel
riflesso è alta
un metro e sessanta, e possiede un fisico minuto. È snella
ma con le forme al
posto giusto, anche se un po’ d’abbondanza in
più non sarebbe guastata.
Guardo
l’ora, 7.20. Ancora
dieci minuti di libertà. Mia madre arriverà
con tutta la cavalleria esattamente a e trenta, non un minuto di
più né uno di
meno. La sua assoluta puntualità è una certezza.
Scendo
al piano di sotto per fare
colazione e noto una donna bassa e grassottella con cotonati capelli
grigi e
paffute guance rosee che mi aspetta con un vassoio con sopra un fumante
cappuccino e un invitante croissant al cioccolato. Gabrielle a volte
pare un
angelo sceso dal cielo unicamente per me.
“Grazie
Gabrielle, tu mi vizi troppo, lo
sai vero?” la ringrazio togliendole il vassoio dalle mani e
portandolo nel
piccolo tinello che precede la cucina. La sala da pranzo posta accanto
alla
grande vetrata che da sul cortile è riservata solo ai pranzi
familiari e alle
cene di gala.
Contemplando
le pareti verdi e tutto
l’arredamento coordinato secondo il gusto di Eleanor, consumo
la mia colazione,
cercando di dimenticare cosa mi aspetta da lì a poco.
Il
suono della campanello segna lo
stesso la fine della mia libertà. Un voce acuta e piacevole
come le unghie
sulla lavagna precede una figura slanciata e sciupata. I capelli sono
ancora
più lisci del solito e gli occhi sono circondati da pesanti
occhiaie, merito
delle lunghe serate mondane parigine.
“Ben
tornata a casa signora Campbell”
Gabrielle, cortese come sempre, va a salutare la signora di casa.
“Gabrielle
cara, che piacere ritornare
nella vecchia Londra” le risponde con voce stridula mia madre.
Decido
di anticipare lo strazio dei
saluti. Tanto prima o poi sarebbe successo. Prendo lo zaino rosa
appoggiato
sulla sedia alla mia destra e mi dirigo verso l’atrio
interamente blu.
“Ciao
mamma, ben tornata”. Il mio tono
piatto era in pentdan con la mia espressione atona.
Mia
madre si irrigidisce come di
consueto alla mia vista. “Ciao cara” dice con un
sorriso forzato. Per quella
donna l’apparenza è tutto. Non vuole sembrare
scortese nemmeno di fronte ai
domestici, compresi Gabrielle e l’autista che dietro di lei
sta scaricando le
sue valigie dalla mercedes nera. Anche se non può impedire
alla sua schiena di
drizzare come il pelo di un gatto appena mi vede.
“Vado
a scuola, ci vediamo dopo” e senza
aspettare risposta mi fiondo fuori dalla casa divenuta ad un tratto
asfissiante.
Primo round andato, ora non l’avrei vista prima di sera.
Il
resto della giornata scorre
tranquillo. La mia scuola, la Queen’s High
School di Londra, è un istituto zeppo di figli
di papà dove per sopravvivere o sei un genio o possiedi
mezza Londra. Io
rientro in entrambe le categorie, figlia di un manager e di una
stilista famosi
in mezzo mondo e con la media dell’otto. La mia scuola,
ovvero un edificio
rosso costruito a U che da su un ampio cortile delimitato da un
colonnato
bianco, è il mio piccolo pezzo di cielo, dove assieme alle
mie amiche posso
dimenticare per qualche ora le mie abilità magiche.
Varcato
l’ingresso della scuola, tutto
si svolge da manuale. Lezioni fino alle due del pomeriggio, pranzo nel
locale
più sofisticato di Londra insieme a Claire e Margaret,
ovvero nel McDonald’s di
fronte alla scuola, luogo che mia madre avrebbe bruciato se avesse
potuto, e
lezioni di scherma. Quest’ultimo impegno è
particolarmente piacevole. Adoro
tirare affondi con il mio fiorino, è un ottimo antistress,
libera la mente e
tiene allenato il corpo. In più è
l’unico sport in cui riesco bene dato che sono
negata per l’atletica, particolare che la mia professoressa
di educazione
fisica continua a ripetermi.
Rinvenni
dallo stato di trance in cui ero caduta mentre ricordavo la mia
giornata. Mi
stavo addormentando e con me anche la sfera di luce si affievoliva, ma
non
potevo permettermi di assopirmi. Dovevo assolutamente pensare a
ciò che era
successo questo pomeriggio, il fatto che aveva interrotto una routine
che
andava avanti da cinque anni. Era successo tutto velocemente, dopo la
lezione
di scherma ero andata ad Hide Park giusto per ritardare il ritorno a
casa, mi
ero distesa sul prato per rilassarmi e proprio mentre ero nel piacevole
stato
del dormiveglia era successo…
L’erba
soffice sotto di me mi solletica
il collo, lasciato scoperto dai miei capelli ora distesi sul prato come
a
formare una corona sopra la mia testa. Il sole primaverile mi accarezza
il
volto, ma ormai erano le sei di sera ed era quasi tramontato, infatti
la luce è
tenue e filtra a malapena dalle mie palpebre socchiuse. Ma la quiete
tipica del
parco a quell’ora della giornata viene improvvisamente
spezzata da un rumore
violento, come una forte esplosione.
Mi
metto a sedere di botto, spaventata
dal rumore assordante. Apro gli occhi in cerca della fonte e una luce
bianca e
fredda quasi mi acceca. Porto una mano dinanzi al viso per pararmi gli
occhi e
nel mentre sento una voce provenire al centro di
quell’immensa fonte di luce.
“Vieni
cara, mi stavi aspettando, lo sai
che mi stavi aspettando, ora è giunto il
momento…vieni”
È
una voce di donna, una voce suadente e
calda a discapito di tutto quel freddo improvvisamente calato sul
parco. Mi sta
invitando ad…entrare con lei? Ma dove? Dentro la luce? Ma di
chi è la voce
misteriosa e cosa vuole da me? Cosa stavo aspettando?
“Chi
sei?” domando circospetta,
allontanando il busto istintivamente. Sono confusa e spaventata, e
provo
l’istinto di scappare. Sono certa che si tratti di un
fenomeno magico, ma chi
si azzarderebbe ad utilizzare la magia in un parco londinese, sotto lo
sguardo
di tutti? La voce non risponde alle mie domande, continuando invece a
cercare
di convincermi di seguirla. Non so chi sia, ma non mi fido. Dentro di
me
avverto una sensazione di pericolo. Agisco di istinto, mi alzo e urlo
“Va via!”
lanciando una palla di fuoco verso il centro della bolla di luce. Sono
cosciente del fatto che potrei essere vista, ma in quel momento
l'istinto di
conservazione è più grande.
Non ho
mai usato i miei poteri contro
qualcosa o qualcuno, ma spero di riuscire a far dissolvere la luce lo
stesso.
Invece la mia palla viene inglobata dalla fonte lucente.
“Non
puoi combattermi, sono come te…” la
voce continua imperterrita nella sua arringa.
Arretro
di un altro passo e mi tappo le
orecchie. Urlo ancora di andarsene, finché un ruggito
potente sovrasta tutto il
resto. La luce si dissolve e con essa va via anche il freddo. Sfinita
finisco
in ginocchio sull’erba. Mi guardo attorno, sperando che
qualcuno possa soccorrermi
e spiegarmi cos’è successo. Ciò che
vedo mi lascia basita. Ogni persona nel
parco è perfettamente tranquilla, chi intento a leggere, chi
a giocare a palla,
chi a seguire il proprio cane.
La
risposta a questa stranezza mi giunge
cristallina. Nessuno oltre me si è accorto di nulla.
Presi
un grande respiro e mi tirai su dal puff. Iniziai a misurare la stanza
grandi
passi. Le possibilità erano due: o stavo completamente
perdendo la ragione, o
aveva assistito a un’esibizione di magia in grande stile.
Considerando che se
avessi decretato di essere pazza vedendo qualsiasi magia sarei
internata già da
un pezzo, ero più propensa alla seconda
possibilità.
Ciò
mi elettrizzava e terrorizzava allo stesso tempo. Se era magia, voleva
dire che
non ero l’unica persona con questi poteri. Non ero da sola.
Avevo pregato di
conoscere qualcun altro con le mie stesse abilità da quando
le avevo scoperte,
e ora, dopo sedici anni di vita, finalmente avevo il primo segno di
qualche
altro mago o strega su questa terra. Ma la cosa mi terrorizzava anche.
Chiunque
fosse stato a creare quella grande luce, perché non si era
mostrato
apertamente? Perché farmi solo la richiesta vaga di seguirlo
facendomi sentire
la sua voce?
O
di seguirla, dato che ero quasi sicura che la voce fosse femminile. Ma
soprattutto, perché avevo provato tanta inquietudine
sentendola? Solitamente
avevo un sesto senso infallibile per distinguere il pericolo nelle
varie
situazioni, probabilmente una delle tante conseguenze dei miei poteri,
ma
potevo anche essermi sbagliata. Magari, presa alla sprovvista, avevo
captato il
pericolo dove non c’era.
Senza
contare che rimaneva l’interrogativo del ruggito che aveva
messo fine a tutto.
A chi apparteneva? C’era un leone accanto alla donna? Era con
o contro di lei?
O forse era solo il suono consueto che metteva fine alle magie della
donna? Per
quel che ne sapevo io, poteva anche essere un semplice effetto sonoro.
Infastidita
dagli innumerevoli punti interrogativi, mi risedetti a gambe incrociate
sul
puff. Misi la testa
tra le mani
sconsolata.
In
sedici anni non avevo mai assistito a nessuna magia al di fuori della
mia. Per
sedici anni avevo pregato e scongiurato il cielo più volte
di mandarmi un
segno, di dirmi che non ero sola a quel mondo. E avevo aspettato,
atteso con
ansia. E ora che finalmente era giunto il momento, il mio segno,
l’avevo
cacciato via terrorizzata. E se non fosse più apparso
nessuno? Se dopo la mia
reazione avessero deciso di abbandonarmi per sempre, sola con i miei
pensieri e
le mie paure?
Lo
sconforto si impossessò di me, temendo anche solo
l’idea di aver
rinunciato all’opportunità
di conoscere
qualcuno come me.
Riguardai
l’orologio. Erano le 3.30.
Decisi
che per quella notte mi ero tormentata abbastanza. Stare sveglia con le
mie
domande sarebbe servito solo a farmi assomigliare ad uno zombie la
mattina
successiva. A malincuore spensi la sfera di luce e mi diressi a tentoni
verso
la botola che mi avrebbe riportata al secondo piano della villetta,
diretta
alla mia camera.
Una
volta giunta a destinazione, mi avvicinai alla finestra e guardai le
stelle. Il
loro brillare immutabile nel tempo mi diede la forza di andare avanti a
sperare. La misteriosa luce sarebbe tornata e con essa le risposte alle
mie
domande. Dovevo solo continuare a sperare.
|
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Capitolo 3 *** 2_La chiamata ***
Salve a
tutti^^ sono tornata con il secondo cappy^^ volevo
ringraziare le due prsone che mi hanno messo nei preferiti: ryry
e sweet_cullen
grazie
mille ^^ e anche QueenBenedetta per aver
recensito, sono contenta che la ficcy ti piaccia ^^
Grazie
anche a tutti uelli che l'hanno letta, spero che il secondo cappy vi
piaccia e se mi lasciare un commentino anche piccolo mi fareste un
grande favore cosìì saprei le vostre impressioni^^
vi mando
un grande bacio e vi auguro una buona lettura^^
kisskisses
68Keira68
2_La
chiamata
Erano
passati sette giorni dall’apparizione della misteriosa luce,
ma le mie risposte
non erano ancora giunte mentre le domande aumentavano.
In
compenso avevo più
chiara l’identità della voce e del ruggito
misterioso. Anche se gli interrogativi riguardanti la mia natura erano
ancora
irrisolti, avevo avuto ragione nel sperare che la luce sarebbe tornata.
Ormai
era diventata piuttosto abitudinaria a dir la verità, dato
che da sette notti
ricevevo puntualmente la loro visita. Per questo necessitavo di dodici
ore di
sonno consecutive per riprendermi, essendo la notte diventata
più movimentata
del giorno. Così la mattina assoldata dell’ottavo
giorno che seguiva l’ennesima
notte insonne mi vide dirigermi verso il parco, luogo non
più visitato da dopo
la prima apparizione, invece che alla Queen's. Era quasi deserto a
quell’ora
per mia fortuna, così puntai una panchina e mi ci sdraiai.
Avevo la sensazione
di assomigliare ad una barbona, ma dato il sonno arretrato decisi di
correre il
rischio. Forse per una volta da molto tempo mi sarebbe stato concesso
una
dormita duratura. Chiusi gli occhi, godendomi la sensazione dei raggi
del sole
mattutini sulle mie palpebre mentre la mia mente ricapitolava veloce
quei sette
giorni e quelle sette apparizioni prima di chiudersi definitamene per
qualche
ora.
Ogni
notte sentivo la donna e quello che ormai ero sicura essere un leone.
La scena
era sempre la stessa, anche se i discorsi si erano evoluti rispetto
alla prima
volta. Nel cuore della nottata, venivo svegliata da un sonoro
“Bum!”, seguito a
ruota da una luce fredda, dalla quale proveniva la voce della donna, e
da una
luce calda, da dove provenivano i ruggiti del leone.
La
donna continuava ad invitarmi a seguirla, mi persuadeva dicendomi che
eravamo
uguali, che comprendeva il mio senso di isolamento dal resto del mondo
e che
lei avrebbe potuto darmi quello che cercavo, risposte e comprensione.
Il
leone solitamente ruggiva in segno di disapprovazione ad ogni parola
della
donna, ma nell’ultima apparizione aveva parlato per la prima
volta, dicendomi
di aspettare, che per me non era ancora giunto il momento propizio per
le
rivelazioni ma che sarebbe arrivato presto, in più cercava
di dissuadermi ad
ascoltare la donna il più possibile.
Dopo
ogni apparizione mi sentivo leggermente spossata e incredibilmente
stanca.
Senza contare che ero sempre più confusa. Non capivo cosa
volevano da me e chi
erano. In più non sapevo di chi fidarmi. La donna era molto
persuasiva, non so
come ma in qualche modo riusciva a toccare i tasti giusti per far
breccia nella
mia anima. Sembrava davvero conoscermi, sapeva cosa dirmi e cosa
volevo, e,
cosa ancora più strana, mi pareva di conoscerla a mia volta.
Quest’ultima
sensazione era quella che più mi metteva in agitazione.
Questa apparente senso
di familiarità faceva desiderare al mio cuore di seguirla e
di ascoltarla, ma
al contempo il mio cervello mi urlava di stare in guardia, che non
potevo
permettermi di fidarmi ciecamente basandomi su una sciocca sensazione.
Altrettanto
complessi erano le mie impressioni sul leone. Con lui il mio istinto mi
diceva
che potevo essere tranquilla, eppure in cuor mio nutrivo un certo astio
nei
suoi confronti, probabilmente perché non si era ancora
scoperto come la donna e
quindi non sapevo cosa esattamente volesse da me. Tuttavia la ragione
mi faceva
rimanere vigile ad entrambi.
Intanto
a casa la situazione era leggermente migliorata. Mio padre era tornato,
e con
lui anche un po’ di allegria, seppur forzata. Il grande
manager Icepower era un
uomo con un fisico statuario, corti boccoli castani e caldi occhi
verdi. La
barba, perfettamente rasata, lasciava in bella vista una mascella
quadrata,
atipica per un inglese ma graditissima a mia madre, che non si stancava
mai di
ripetere che era stata proprio la particolare forma del viso di
papà a
catturare la sua attenzione e a farle conoscere l’uomo della
sua vita. Una cosa
era certa, Eleanor non amava me ma stravedeva per il marito. Almeno un
rapporto
di parentela si era salvato in questa famiglia.
Mio
papà era una di quelle persone alla quale piace credere che
la loro vita sia
perfetta anche quando non lo è. Io lo adoravo proprio per
questo. La sua calma
e la sua serenità erano un tocca sana in casa, era come un
antidepressivo umano
per me e per mia madre, la colla che teneva unita gli Icepower. Ed era
proprio
quel suo carattere che lo aveva tenuto lontano dal piccolo dettaglio di
avere
una figlia strega costantemente ai ferri corti con sua madre. E per non
distruggergli la sua bolla di sapone felice io ed Eleanor non
litigavamo quasi
mai dinanzi a lui né eravamo apertamente distaccate una nei
confronti
dell’altra se eravamo tutti e tre nella stessa stanza. Per
essa mettevamo da
parte le nostre controversie.
Comunque,
per evitare il più possibile disagi e dispute, io passavo la
maggior parte del
tempo in camera mia o con le mie amiche, allontanandomi dalla signora
Icepower.
Loro erano la mia zona franca. Non immaginavano neppure di avere come
compagnia
di banco una strega, ma ciò mi permetteva di vivere qualche
momento da ragazza
normale che parla di attori e gossip come se fossero questioni di vita
o di
morte. I momenti di normalità erano preziosi come
l’aria per me, anche se
spesso ero stata tentata di rivelare il mio segreto a loro. Quello che
mi aveva
sempre trattenuta era il ricordo di mia madre che sgranava gli occhi
terrorizzata e cacciava un urlo acuto fuori dalla bocca bombata
vedendomi far
camminare con la magia delle barbie. E se anche Claire e Maggie dopo la
mia
confessione mi avrebbero trattato come un’emarginata? Un
mostro dalla quale
scappare? Non lo avrei sopportato.
Il
risultato della mia scelta era di non avere amici veri però.
I rapporti che mi
potevo permettere erano solo superficiali. Come si può
costruire un sentimento
profondo se lo basi su una bugia colossale?
Chissà
se la donna misteriosa aveva i miei stessi problemi, se doveva subire
il mio
stesso ostracismo… stando a quel che diceva lei, si, e per
questo era la sola
che potesse capirmi…
*
*
*
“Ehi,
Cate, sveglia Cate!”
Una
voce femminile mi raggiunse come ovattata. Non mi curai nemmeno di
riconoscerla, catalogandola subito come
“disturbatrice”. Ero stanchissima, non
avevo la minima intenzione di alzarmi da lì. Anche se nel
dormiveglia non avevo
nemmeno molto chiaro dove fosse il lì. L’oggetto
alla quale la mia schiena si
era adagiata era troppo duro per essere il mio materasso.
Purtroppo
per me la disturbatrice era al quanto insistente,
dato che cominciò a
scuotermi per le spalle urlando “Cate! Accidenti, ti vuoi
svegliare? È tutto il
giorno che ti cerchiamo, ci hai fatto prendere un colpo, sai che ora
sono? Le
sei di sera!!”
Ma
cosa andava farneticando quella voce stridula? Agitai le mani nella
speranza di
allontanarla. Come potevano essere le sei se mi ero addormentata dieci
minuti
fa…aspetta, forse non erano passati esattamente dieci
minuti. Merda. Mi
svegliai di botto.
Spalancai
gli occhi e una ragazza dai lisci capelli castani e gli occhi azzurri
entrò nel
mio campo visivo. Maggie era preoccupata, glielo si leggeva in faccia.
Quando
mi svegliai, tirò un sospiro di sollievo.
“Cate,
ci hai spaventate a morte, si può sapere che cosa ci fai
qui?!” mi domandò
cercando di apparire irritata. L'effetto venne rovinato dal sollievo
palpabile
per avermi ritrovata.
“Ti
abbiamo cercata tutto il giorno. Dopo la scuola siamo state a casa tua
sicure
di trovarti lì ma la governante ci ha informate che non eri
ancora rientrata da
scuola, così abbiamo capito che avevi tagliato e abbiamo
iniziato a cercarti
dappertutto”
Claire
era apparsa magicamente alla destra di Margaret.
Io
mi sedetti sulla panchina e le guardai entrambe sorridendo riconoscente
del
loro interesse nei miei confronti. Ogni tanto faceva bene sapere di
contare
qualcosa per qualcuno. “Ero venuta qui solo per farmi una
bella dormita
ragazze, non dovevate preoccuparvi, comunque grazie”
Mi
beccai un'occhiata scettica. “Vorresti dirci che è
da stamattina che stai
dormendo sulla panchina? Cate, sono le sei!”
ribatté piccata Maggie.
“Non
riesco a riposare bene da più di una settimana per tua
informazione, avevo
bisogno di ricaricare le batterie” mi difesi tranquilla.
La
ragazza dinanzi a me scosse la testa incredula.
“Cosa
avete detto a Gabrielle?” chiesi poi. Non che dubitassi della
loro copertura,
ma per evitare di
destare sospetti a casa
dicendo una cosa diversa dalla loro, dovevo essere informata della
versione
ufficiale.
Claire
mi sorrise. “Tranquilla, abbiamo detto che ti avevamo perso
di vista dopo
storia perché ti eri fermata a discutere dell'ultimo compito
con la
professoressa, e non vedendoti arrivare poi a pranzo avevamo pensato
che eri
tornata a casa.”
“Grazie,
devo solo inventarmi qualcosa per il pranzo saltato quindi”
Le
ore di sonno avevano sortito il loro effetto, mi sentivo fresca e riposata, pronta ad
affrontare l'ennesima
apparizione quella notte. Guardando le mie amiche mi accorsi
però che loro
erano invece pronte ad affrontare una discussione.
Sospirai,
pronta all'interrogatorio. Cominciò Maggie, con la sua
grande capacità di
arrivare subito al nocciolo della questione senza girarci attorno.
“Catharine,
sei sicura di stare bene? Ultimamente sei sempre stanca e distante,
passai la
maggior parte del tuo tempo da sola. Cosa c'è che non
va?”
La
guardai intensamente chiedendo a me stessa se c'era una risposta
semplice a quella
domanda.
Cercai
la salvezza nell'ironia. “Mag, distante io? Sono la Regina
di Ghiaccio,
ricordi?” sorrisi amaramente alle mie stesse parole. La Regina
di Ghiaccio era il
soprannome affibbiatomi dai miei compagni alla Queen's. Era nato da
un'unione
di cose, tra cui la mia predilezione per gli indumenti chiari. Ma
soprattutto
si riferiva alla mia freddezza
e al
distacco che mostravo nei confronti di chiunque. Conseguenze
dell'essere
viziata e snob? No, niente di simile. La Regina
di Ghiaccio era il soprannome meno
azzeccato della storia. Io non trattavo le persone con
superficialità perché mi
ritenevo superiore, ma per difendere loro da me e me da loro. Meno mi
mostravo
più il mio segreto sarebbe rimasto al sicuro, era una
strategia infallibile. Il
rovescio della medaglia era di essere considerata fredda anche se non
era vero.
Tenevo all'amicizia di Maggie e Claire più di qualsiasi
altra cosa e avrei
fatto tutto per loro, ma non potevo permettermi di aprirmi.
“Si
Regina, ma negli ultimi giorni sei peggiorata. È il ritorno
di tua madre ad
averti scombussolato così tanto?” Claire mi si era
avvicinata e mi aveva cinto
le spalle con un braccio come per consolarmi.
Decisi
di accreditare quell'ipotesi. Era la più facile da sostenere
e la più
credibile.
Abbassai
lo sguardo e confermai l'affermazione. Ovviamente non sapevano la vera
causa
dei litigi tra me ed Eleanor, ma sapevano che non ci sopportavamo a
vicenda.
Essendo una situazione piuttosto comune tra gli adolescenti, non era
così
difficile immaginare.
“Dai,
è tardi, incamminiamoci verso casa, così intanto
ci racconti tutto” propose
Margaret.
Dato
che non obbiettai, ci incamminammo tutte e tre verso casa Icepower.
Claire e
Margaret mi fecero domande sugli ultimi giorni a casa, e io non ebbi
problemi a
fare loro un resoconto completo degli ultimi battibecchi tra me e mia
madre.
Omettei solo qualche particolare su una voce e un leone…
Ci
salutammo davanti ad una villetta bianca a due piani più
soffitta, con un
grande cortile esterno attraversato da un vialetto rosso.
L’inferriata nera
circondata da una fiorente edera era aperta e io entrai subito dopo
aver
salutato le mie due amiche.
Appena
entrai nel grande corridoio blu, venni accolta da una premurosa
Gabrielle e da
un allegro signor Icepower. La parte felice della famiglia.
“Ecco
qua la mia piccola che ritorna! Divertita oggi?”
La
sua ingenuità era commovente. Gli saltai al collo
abbracciandolo. “Come sempre
papà, altrimenti a cosa serve avere sedici anni?”
“Hai
già cenato? Gabrielle ti ha messo da parte qualcosa
perché non sapevamo dei
tuoi progetti”
L’ultima
cosa che avevo ingerito era la colazione quella mattina e il mio
stomaco
iniziava a reclamare cibo. “Grazie, mi fiondo in cucina
allora perché non ho
mangiato niente da…oggi a mezzo giorno” mentii in
fretta.
Mio
padre mi diede un buffetto e mi lasciò passare. Non vidi mia
madre in giro
fortunatamente. Di sicuro si era rinchiusa in camera o fuori in
giardino.
Meglio così.
Mi
gustai la cena felice di appagare i morsi della fame taciuti fino
adesso, dopodichè
mi diressi in bagno con la prospettiva di farmi un bel bagno.
Riempii
la grande vasca di marmo d’acqua calda, e mi tolsi jeans,
camicia e il mio
medaglione. Mi rigirai un secondo quest’ultimo tra le dita.
Era il mio gioiello
preferito, un cerchio d’oro che tenevo al collo da quando ero
nata.
Probabilmente era un regalo di battesimo perché lo avevo
sempre avuto da che
ricordavo. Lo appoggiai alla mensola di marmo e mi immersi rilassando
tutti i
muscoli. Era un piacere stare a mollo, soprattutto dopo aver riposato
su una
scomoda panchina. La mia schiena meritava un trattamento speciale e un
bagno
pieno di sali era la giusta soluzione.
Tra
le bollicine rosa, protetta dalle mura azzurrine del bagno, sembrava
che il
tempo si fermasse, creando una bolla temporale comandata solo da me. In
quel
momento ero l’immagine del relax.
Mi
accomodai ancora di più nella vasca e iniziai a
giocherellare con le sfere di
sapone. Alzando un dito, le feci sollevare in cerchio e girare prima su
se
stesse poi su un’ellissi immaginario. Cambiai la loro forma
sferica, mutandole
in cuori e stelle e le feci danzare per tutta la stanza.
Guardai
affascinata le bolle. Erano bellissime. Mi chiesi come mia madre
potesse avere
il terrore di un dono che poteva creare giochi così
divertenti. Non mi sembrava
di stare infrangendo chissà quale legge marziale.
Forse
avrei dovuto tener conto del vecchio detto “parli del diavolo
e spuntan le
corna” o forse alcuni demoni sono talmente insistenti che
vengono fuori anche
se non chiamati, fatto sta che la persona dei miei pensieri si
materializzò
dinanzi a me.
Eleanor
Campbell era accanto allo stipite della porta, la mano ancora sulla
maniglia e
un’espressione terrorizzata in volto, mentre fissava con
orrore le mie bolle di
sapone a cuore.
Mi
affrettai a farle esplodere tutte per cercare di tranquillizzarla, ma
quello
che ottenni fu solo di diventare io stessa l’oggetto del suo
raccapriccio in
mancanza dei cuoricini. Aveva gli occhi sgranati e boccheggiava
incapace di
proferir parola.
“Mamma,
va tutta bene, calma, erano solo bolle di sapone, non stavano
uccid…” iniziai
io, ma i gesti frenetici di Eleanor mi azzittirono.
Si
abbracciò da sola come per darsi forza e cominciò
a dire “Non è reale, non è
reale…” come una specie di cantilena. Poi
alzò lo sguardo nuovamente verso di
me e con un’ultima occhiata, uscì dalla stanza a
ritroso sbattendosi la porta
alle spalle.
Io
buttai la testa all’indietro e sbuffai scocciata. Possibile
che non si poteva
nemmeno fare un bagno in pace?
Uscii
in fretta dalla vasca e infilai l’accappatoio per accingermi
a seguirla. Dopo
aver istintivamente indossato il medaglione. Diversamente dalle altre
volte,
avevo bisogno di andarle dietro per cercare di appianare le acque.
Essere
guardata ogni volta come un mostro iniziava a pesare, non ne potevo
più. Forse
se le avessi parlato sarei riuscita almeno a farle cambiare
espressione.
“Mamma!”
urlai per il corridoio. Eleanor non si era allontanata di molto, era a
solo un
paio di metri di distanza dal bagno, ma appena udì la mia
voce affrettò il
passo.
“Mamma”
ripetei con più foga aumentando a mia volta
l’andatura, fino a raggiungerla per
poi piazzarmi davanti e impedirle la fuga.
Messa
alle strette, mi fissò negli occhi con malcelato ribrezzo.
“Per
favore, sei appena tornata, anche papà è appena
tornato, non potresti evitare
di comportarti come se fossi una belva feroce? Ragiona! Non ho fatto
niente di
male, sii razionale. Sono sempre tua figlia non un’estranea
altamente
pericolosa”
Alle
parole “tua figlia” una scintilla si accese nel suo
sguardo. Si allontanò di un
passo da me ed esclamò “Sei mia figlia,
è vero, eppure io non faccio tutte
quelle…quelle…cose strane! Perché tu
si? Sei...” si interruppe, incapace di
proseguire.
Questa
volta la scintilla si accese dentro di me, fiammella che
diventò presto un
incendio.
“Uno
sbaglio?” conclusi io per lei con acidità.
“Un mostro? Sono cosa mamma?
Hai almeno il coraggio di dirmelo
in faccia o l’unica cosa che riesci a fare è
trattarmi da infestata da più di
dieci anni?”
Eleanor
ammutolì. Io scossi la testa e senza più
aggiungere altro mi diressi in camera,
scioccata dalle mie stesse parole. Era la prima volta che esplodevo
rigettandole addosso se non tutto almeno parte del mio rancore.
Solitamente
lasciavo perdere mordendomi la lingua, questa volta invece mi ero
impuntata,
con pessimi risultati. Chissà perché lo avevo
fatto, forse ero spossata per le
frustranti apparizioni notturne e le loro motivazioni vaghe sul
perché mi
venivano a trovare.
Una
volta nella stanza buttai l’accappatoio per terra e mi
sbattei la porta alle
spalle. Appoggiai la mia schiena contro il legno cercando di calmarmi.
Operazione fallita in partenza. Ero arrabbiata con mia madre per le sue
reazioni esagerate e con me per la mia mancanza di autocontrollo.
Accidenti, ma
non poteva aspettare dieci minuti per andare in bagno? Con la pressante
necessità di respirare aria fresca, spalancai
l’armadio e mi misi la prima cosa
che mi capitò sotto mano prima di precipitarmi al piano di
sotto, in direzione
della porta d’ingresso, la mia unica fuga per scappare da
lì.
Con
jeans neri e una semplice maglietta bianca con su scritto LoveIce in azzurro, percorsi a grandi
passi il corridoio, finché
una voce calda non mi richiamò dal tinello.
“Tesoro,
vai di nuovo via con i tuoi amici?”
Mi
volsi per guardare la fonte della voce. Mio padre, con un pacchetto di
patatine
in mano, amiche immancabili per guardare una partita di calcio alla tv,
mi
guardava sorridendo teneramente con i suoi grandi occhi chiari. Il mio
viso si
sciolse in un sorriso, dimenticando per un secondo
l’arrabbiatura. Come si
poteva rimanere impassibili a tanta tenerezza?
Gli
andai incontro cercando di essere più naturale possibile e
gli scoccai un bacio
sulla guancia.
“Non
faccio tardi, te lo prometto”
Mi
diede un buffetto sui capelli ancora umidi, cosa che non
commentò ma che lo
fece accigliare, e mi salutò.
“Divertiti
piccola”
Senza
voltarmi imboccai velocemente la porta. L’aria
notturna fu un tocca sana. La espirai a pieni
polmoni mentre mi dirigevo verso una meta sconosciuta.
Mi
sentivo a pezzi. I sensi di colpa per le accuse rivolte a mia madre si
stavano
facendo sentire, anche se avrei mentito affermando di essere
completamente
pentita.
Ero
riuscita a concentrare in due frasi tutto il risentimento che avevo, il
che era
da premiare, ma mia madre aveva fatto di meglio. Con una semplice
parola
lasciata in sospeso era riuscita a dirmi in faccia ciò che
pensava di me da
quando avevo cinque anni. Ero a conoscenza che mi credeva un mostro,
sarebbe
stato da stupidi non capirlo, ma sentirsi dire in faccia che faceva
fatica a
considerarmi sua figlia metteva a dura prova qualsiasi muro potessi
aver mai
eretto per difendermi. Non era una semplice cannonata che le mie difese
potevano assorbire comodamente, era un assedio in piena regola. Potevo
sentire
distintamente una ferita aprirsi nel mio muro protettivo,
all’altezza del
cuore.
“Sei
mia figlia, è vero, eppure io non
faccio tutte quelle…quelle…cose strane!
Perché tu si? Sei...”
Le
parole continuavano a rimbombarmi in mente, sempre più forti
e impossibili da
soffocare mentre a poco a poco acquistavano più consistenza.
La breccia si
allargava sempre di più fino a squarciare in due il mio
petto, rendendomi
complicato anche solo respirare.
Per
lei ero un sbaglio. Avevo sempre combattuto contro
quest’idea, ma se avesse
avuto ragione? Dopotutto quante altre streghe conoscevo? Nessuna. E se
fossi
stata davvero un errore genetico, un scherzo della natura, pericoloso
per
chiunque mi stia accanto?
Alzai
gli occhi al cielo, mentre il mio respiro si faceva affannoso. Le
lacrime
scivolarono silenziose giù per le mie guancie, bagnando a
poco a poco la mia
maglietta. Le stelle brillavano lassù, spettatrici
silenziose del mio crollo.
Non piangevo da molto tempo, per quelli della High School la Regina
di Ghiaccio non
poteva nemmeno riuscirci. Eppure ora ero lì, e le lacrime
scendevano copiose
senza sosta, istigate da pensieri sempre meno allegri nella mia testa.
Sono un
mostro. Unica anormalità in un
mondo con regole ferree, leggi che non ammettono la mia presenza, non
ho il
diritto di starci.
“Perché
sono qui?” il mio grido squarciò il silenzio della
notte. Solo il vento che
soffiava tra le foglie degli alberi mi diede una risposta. Mi guardai
attorno,
per un secondo spaesata. Senza accorgermene ero tornata ad Hide Park,
esattamente nel luogo dove era avvenuta la prima visione.
Il
ricordo dell’evento magico rianimò in me una
fiammella di speranza. Quella
donna doveva aver fatto un incantesimo, una magia, e chiunque fosse,
probabilmente
era la mia unica salvezza quindi doveva mostrarsi, doveva venire da me
ora che
avevo più bisogno di lei. Dopotutto me lo aveva promesso,
giusto? Mi aveva
assicurato che era lì per me, per comprendermi.
Iniziai
a urlare alla notte, con voce forte nonostante le lacrime amare.
“Sei ancora
qui? Vieni fuori! Ti supplico, se sei come me vieni qui! Salvami!
Perché mi hai
lasciato da sola!?” Aspettai un secondo guardandomi ancora in
giro con ansia,
in attesa di un qualsiasi segno che non giunse.
Caddi
in ginocchio, sopraffatta dalle lacrime, prendendomi la testa tra le
mani.
Stavo urlando al nulla, i miei poteri dovevano avermi fatto impazzire.
O forse
quella era la risposta. Per me
c’era quello, il nulla e basta, nessuno sarebbe
venuto.
Poi
la sentii, fredda come il ghiaccio eppure stranamente accogliente. La
voce
della donna era tornata.
Sai che
non è vero, ci sono io, ci sono
sempre stata e ci sarò sempre per te. Vieni via con me, ti
farò conoscere
quello per cui sei nata.
Oltrepassando
il dolore, il tono soave della sua voce mi giunse come la salvezza. Era
arrivata davvero, non mi aveva lasciata sola. Le mie labbra si
incurvarono
istintivamente in un sorriso timido. Forse una piccola speranza ancora
c’era.
Esiste
uno scopo alla mia vita? replicai mentalmente, incredula. La voce rise.
Una
risata cristallina.
Certo
che c’è, altrimenti né tu né
io
saremmo qui, non trovi? Dammi la mano e ti porterò lontano
da questo posto
ostile e che non ci vuole.
Lasciai
che le sue parole mi entrassero dentro, consolatrici. Avevo bisogno di
crederle, la sua affermazione era troppo bella per essere una bugia.
Anche perché
se pure lei si fosse risultata l’ennesima falsità,
probabilmente non sarei
sopravvissuta alla delusione. Doveva essere vero quello che andava
declamando
quella voce calda e dolce. Forse avevo davvero uno scopo. Poi la mia
mente si
soffermò su un particolare. Aveva detto “Dammi
la mano”? Curiosa, alzai la testa, aspettandomi di
vedere unicamente la
massa scura e compatta delle fronde del parco. Dovetti ricredermi in
fretta.
Davanti a me c’era un’immensa sfera azzurra con i
contorni sfumati da un vapore
freddo. La sfera illuminava l’erba attorno a me come se fosse
giorno e al
centro, anche se non credevo ai miei occhi, c’era una donna.
Era la prima volta
che la vedevo, ma non avevo dubbi che fosse la proprietaria della voce
misteriosa. La parte di me che nutriva una certa familiarità
con lei aumentò
all’improvviso, facendo battere all’impazzata il
mio cuore. Era stupenda. Aveva
i capelli biondi come l’oro legati ad un elegante crocchia
sulla testa, una
bocca e un viso sottili e altezzosi e il corpo elegante coperto da un
vestito
senza spalline di colore azzurro chiaro, talmente lucente che sembrava
fatto di
cristallo. Fuori dalla bolla di luce mi porgeva la sua mano candida
come il
viso, dove spiccava un grande anello blu scuro.
Aveva
un’espressione dolce, quasi materna, e mi fissava con
comprensione, come se
sapesse tutto ciò che stavo provando. Me ne sentii attratta,
più di quanto ne
ero stata le prime volte che la sentivo. Adesso mi fidavo ciecamente di
lei, di
quella creatura angelica che finalmente si era rivelata.
Prendi
la mia mano, ripeté
mentalmente perché le sue labbra rosse non si mossero, e non patirai più. Io ti capisco meglio
di
chiunque altro. Io sono esattamente come te, per questo dobbiamo
restare unite.
La
sua voce era suadente, ma ancora non mi decidevo ad allungare la mia
mano.
Indecisa, alzai lo sguardo per fissarla negli occhi e le mie ultime
difese
crollarono. Aveva due bellissime iridi azzurre come il ghiaccio, fredde
quanto
profonde, belle quanto sincere. Per un secondo mi parve di rivedere me
stessa e
in quel lapsus protesi
la mia mano verso
la sua senza accorgermene. In fondo cosa avevo da temere? Non
c’erano dubbi che
era come me, solo una strega avrebbe potuto apparirmi davanti
così
all’improvviso e poi quegli occhi… In
più, se davvero poteva comprendermi, era
giusto che stavamo assieme.
Ma
mentre stavo per sfiorare le sue dita, un ruggito potente
rimbombò nel parco.
Mi guardai attorno
in cerca della fonte ma
non vidi nulla. La donna nella sfera però
abbandonò l’espressione serafica di
poco prima, turbata dal suono.
Vieni,
presto, purtroppo non c’è molto
tempo, cara. Dobbiamo sbrigarci. Porse
la mano verso di me con maggior insistenza.
Perché? Le domandai
mentalmente, incapace di capire la
sua reazione al ruggito. Non mi era mai parsa spaventata le altre volte
dal
leone.
Perché
qualcuno vuole separarci, qualcuno di molto…
Ma un secondo ruggito interruppe il
discorso della mia
interlocutrice. Poi c’è ne fu un terzo.
Spaventata mi alzai in piedi e
scrutai gli alberi
dietro le mie spalle. Ero certa che si trattasse del leone, la seconda
voce che
da lì a due settimane sentivo insieme a quella della donna,
ma non volevo che
apparisse, non ora che finalmente avevo deciso cosa fare.
Ci furono altri due ruggiti potenti
e un grido
agghiacciante proveniente dalla sfera, infine più nulla. Mi
girai di nuovo
verso la donna, ma non la trovai più ad attendermi. Rimasi
immobile per cinque
minuti. Dov’era andata? Non c’era più,
era rimasta solo la bolla di luce. Venni
presa dal panico. Non potevo accettare l’idea che la mia
ultima salvezza se ne
fosse andata. Non potevo pensare di essere tornata sola dopo aver
accarezzato
l’idea di non esserlo più. Io avevo bisogno della
donna, accidenti!
Non sei
sola
La voce potente, la stessa del
leone, mi arrivò dritta
nella mente a sostituire quella della dama.
Fidati
di me,
Cate, per favore. Attraversa il varco ora e non sarai sola.
“Dove sei? Fatti
vedere!” urlai, spaventata
dall’improvviso cambio di interlocutore.
Dovevo attraversare la sfera che in
realtà era un
varco, da quel che avevo capito, ma dove mi avrebbe portato? Ora che
non c’era
più la mano della donna ad accogliermi, mi sembrava una
follia dare ascolto
alla voce.
Fidati,
il
tuo destino ti attende al di là della luce rossa.
È giunto il momento.
Non è rossa,
è azzurra, pensai. Ma proprio mentre
concepivo il pensiero, la sfera cambiò colore dinanzi a me.
I bordi prima
sfumati dal vapore divennero rossi e simili a lingue di fuoco, anche se
non
avvertivo il caldo nonostante la distanza ravvicinata. Ma il
cambiamento più
incredibile lo vidi all’interno della bolla. Ove poco prima
c’era stato il bel
corpo della donna, solo in uno sconfinato azzurro chiaro, ora
c’era un’immensa
foresta verdeggiante. Grandi alberi secolari, case di piccoli
animaletti del
bosco come gli uccelli e gli scoiattoli che potevo vedere tramite quel
cerchio
magico, circondavano una piccola radura baciata dal sole. Era un
paesaggio
invitante, mi ricordava gli scenari delle favole come Biancaneve.
Non ti
accadrà niente, io ti posso giurare che non sarai mai
più sola per davvero.
Attraversa il varco e sarai protetta.
Nonostante le premesse, non riuscii
a provare per il
leone la stessa fiducia provata prima verso la figura femminile, anche
se non
capivo bene il perchè. Non nutrivo più astio, ma
un certa diffidenza si. Però
realizzai che entrambi mi proponevano di varcare quella soglia magica,
quindi
aveva davvero importanza se la attraversavo sotto indicazione di uno o
dell’altro
se il varco era lo stesso? L’unica differenza era che prima
avevo avuto la
donna ad accompagnarmi mentre ora il leone non pareva intenzionato a
mostrarsi.
La mia mente realizzò anche un altro pensiero, capace di
rinfrancarmi e di
darmi speranza. Stando alle due figure misteriose mi bastava compiere
un semplice
gesto per avere ciò che volevo. Dovevo solo andare via di
lì. Tutto sembrava
così facile.
Ad un tratto tutto, le mie amiche,
Gabrielle, mia
madre, mi parevano motivi insufficienti per continuare a vivere quella
vita di
inganni e bugie, una vita alla quale non appartenevo anche se da sedici
anni mi
ostinavo a farne parte.
Mia madre non mi voleva e non avevo
mai stretto un
legame vero con le mie amiche, perciò neanche loro avrebbero
sentito la mia
mancanza. La povera Gabrielle aveva
una sua solida famiglia alle spalle, quindi
mi avrebbe dimenticata presto. L’unica persona che forse
sarebbe stata male era
mio padre. Solo il suo pensiero mi fece stringere il cuore e tentennare
un
attimo. Lo stavo abbandonando, era vero, ma io, così
inadatta a questo mondo,
che beneficio potevo dargli? Ero solo una minaccia a pensarci bene. Se
un
giorno avessi perso il controllo dei miei poteri, avrei potuto
nuocergli, e se
qualcuno avesse scoperto il mio segreto, avrei rovinato per sempre la
sua vita.
Ma il fattore che più mi convinceva era che io per prima non
ne potevo più di
stare in quel posto. Volevo scoprire la verità e se il mio
destino era dietro
quella sfera, l’avrei afferrato senza altre esitazioni.
Chiusi gli occhi e feci un
respiro
profondo, dopodiché
avanzai decisa all’interno del varco.
|
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Capitolo 4 *** 3_Aldilà del varco ***
Salve a
tutti^^ eccomi qui con il terzo cappy^^ ringrazio tutti
quelli che hanno letto il 2° e
ranyare che
ha aggiunto la ficcy tra le seguite, glasie^^ però nessuno
che lascia neanche un commentino anche piccolo piccolo, uffi,
vabbé, spero lo stesso che la ficcy vi piaccia anche se mi
piacerebbe sapere cosa ne pensate così so se quello
che sto scrivendo è da buttare oppure no ^' !
Vi mando
un grande bacio, alla prox sett^^
kisskisses
68Keira68 ^^
3_Aldilà
del varco
Buio.
Solo un immenso e impenetrabile buio, i miei occhi non riuscivano a
scorgere altro.
Della raduna vista nella sfera nemmeno l’ombra. Che fosse
solo stata
un’illusione per convincermi? Forse ero stata avventata ad
entrare, non avrei
dovuto accettare la loro proposta. Se solo ci fosse stato il leone o la
strega
ad indicarmi come uscire da
quell’oscurità. Poi mi sentii come
risucchiata da un vortice dove caldo e freddo si alternavano.
L’oscurità iniziò
a colorarsi lentamente. Vedevo piccoli punti di luce mescolarsi tra
loro per
colpa del vortice che mi avvolgeva. Era come essere dentro un uragano
di colori
sempre più sgargianti mano a mano che la velocità
della turbina aumentava.
Iniziò a girarmi la testa e mi sentii male. Era peggio delle
montagne russe.
Chiusi gli occhi per evitare di vedere i colori girarmi attorno, ma
nell’istante esatto in cui chiusi le palpebre, sbattei contro
qualcosa di duro.
Riaprii gli occhi allarmata, ma quel che vidi mi riscaldò il
cuore. Un cerchio
di alberi secolari facevano da perimetro ad un tappeto verde pieno di
fiori
colorati mentre il vento mi portava il buon odore delle loro fronde
scompigliandomi i capelli e il dolce suono del canto degli uccelli. Ce
l’avevo
fatta, avevo raggiunto la radura della sfera. Il mio cuore si
riempì di
stupore. Avevo appena attraversato con successo una varco magico,
andava ben
oltre le mie fantasie.
Anche
se la testa non aveva ancora smesso di girare, mi alzai per guardarmi
meglio
attorno. Una volta in piedi barcollai, ma riuscii a riottenere
l’equilibrio in
poco tempo.
Il
cielo limpido mostrava un sole caldo che illuminava tutto il cerchio
d’erba
nella quale mi trovavo, anche se i suoi raggi si perdevano tra i rami
degli
alberi, tanto da rendere il sottobosco molto più scuro della
radura.
La
bellezza di quel posto era da mozzare il fiato, pareva quasi
irreale, come se fosse il frutto della mia immaginazione
e non un luogo reale. L’unica pecca era che non avevo idea di
dove ero finita e
non avevo modo di scoprirlo da sola. Da che ne sapevo io non esistevano
boschi
del genere a Londra, dovevo trovarmi in qualche altra città
o addirittura da
un’altra parte del mondo considerando che mentre a Londra era
notte qua
sembrava essere mattina. Le
uniche due
guide che potevano fornirmi spiegazioni tuttavia non erano al mio
fianco come
speravo. Mi guardai attorno, aspettandomi di vedere uscire almeno uno
dei due
dalla macchia d’alberi, ma tutto era perfettamente immobile.
Iniziai allora a
chiamarli.
“Signora.
SIGNORA! Leone? Dove mi trovo?” udii l’eco della
mia voce riecheggiare nel
piccolo spiazzo ma non ci fu risposta alcuna. Riprovai con
più vigore.
“Uscite!
Ho bisogno di voi, dove mi avete portata?!”
Ancora
nessun suono mi giunse in risposta. Sbuffai alterata. Continuai a
chiamare
entrambi sgolandomi per altri dieci minuti ma non giunse nessuno.
Perché
mi avevano condotto fin lì, cosa volevano da me? Mi avevano
promesso delle
risposte e ora nessuno si faceva avanti, non aveva alcun senso.
Mi
prese il panico e iniziai a piangere sommessamente dalla disperazione.
E adesso
cosa facevo? Ero stata catapultata chissà dove da due
perfetti sconosciuti che
si erano improvvisamente dati alla latitanza. D’un tratto mi
mancò l’aria, ero
stata una stupida a fidarmi così ciecamente.
Il
mio respiro si fece più affannoso. Ancora due secondi e mi
sarebbe venuto un
collasso per l’ansia, poco ma sicuro. Solo il pensiero che se
fossi svenuta lì
in mezzo all’erba probabilmente nessuno sarebbe venuto in mio
soccorso mi fece
calmare. Il miracoloso istinto di sopravvivenza che ogni tanto si
faceva
sentire.
Cercai
di ragionare a mente lucida. Ero capitata lì attraversando
un varco per cercare
delle risposte alle mie domande e per conoscere persone come me, quindi
quel
posto non poteva ridursi a quella minuscola radura, oltre gli alberi
c’era di
sicuro dell’altro. Dovevo trovare la città
più vicina e informazioni, era
l’unica via. Se mi avevano spedito in quel luogo certamente
avrei trovato
quello che cercavo, ne ero sicura. Non mi dovevo far prendere dallo
sconforto o
ero spacciata. Feci un bel respiro e mi asciugai le lacrime con il
dorso della
mano, decisa, pensando che nonostante mi avessero lasciata sola in
terre
sconosciute, continuavo a provare un’innata fiducia sia per
il leone che per la
donna. Era fuori da ogni logica, ma non riuscivo a sentire rancore nei
loro
confronti. Ad essere sinceri non riuscivo nemmeno ad avere voglia di
tornare
casa. Forse avrei potuto cercare di ricreare un varco con la mia magia
e
tornare a Londra, ma non volevo. Desideravo troppo che si avverassero
le
promesse fatte dalla donna per rischiare di perdere la mia unica
possibilità di
conoscere la verità. Perché in fondo quel viaggio
era quello, la mia prima e
probabilmente unica occasione di ricevere una risposta alle domande che
mi
assillavano da anni.
Anche
se ero da sola, ce l’avrei fatta. Avevo fatto la mia scelta
ad Hide Park. Non
mi ero guardata indietro mentre attraversavo il varco e non lo avrei
fatto
nemmeno adesso. Ero diversa, inadatta al mondo che mi lasciavo alle
spalle,
forse in quel luogo avrei trovato il mio posto, ed ero pronta a tutto
per
cercarlo e ottenerlo.
Chiusi
gli occhi e inspirai profondamente stringendo il medaglione come a
trarne
forza. Dovevo decidere da che parte dirigermi e l’unico modo
per fare la scelta
giusta era affidarmi al mio istinto che non mi aveva mai deluso. Quando
riaprii
gli occhi esso mi guidò verso destra, ed io imboccai quella
direzione senza
esitare. L’avventura era iniziata.
*
*
*
Camminai
quasi tutto il giorno tra gli alberi. Spesso mi imbattevo in animali
del bosco.
C’era un’enorme quantità di scoiattoli,
uccellini, gufi e leprotti che mi
osservavano con un’espressione curiosa. Anche fin troppo
intelligente per
essere solo degli animaletti. Ogni tanto mi imbattevo in un tronco
caduto che
dovevo aggirare e in qualche pianta o qualche stupefacente fiore che
non avevo
mai visto né studiato. Dopo le prime centinaia di metri
però la stanchezza
iniziò a farsi sentire. Faceva un gran caldo e io non ero
abituata a lunghe
marce. Con me non avevo nemmeno un cellulare per chiedere aiuto. Magari
se
avessi potuto chiamare la croce rossa o la guardia forestale, qualcuno
sarebbe
venuto a prendermi, ma quando ero uscita di casa non avevo pensato che
sarei
potuto finire in mezzo ad un bosco. La mia idea era di ritornare cinque
minuti
dopo, giusto il tempo per sbollire la rabbia, e in quel ristretto lasso
di
tempo non credevo mi sarebbe servito il kit di sopravvivenza
né lo zainetto da
boyscout. Sorrisi mesta nel pensare che la litigata con mia madre
sembrava
appartenente ad un’altra vita, visto dove mi trovavo al
momento.
Dopo
qualche ora di cammino, un dolce suono rianimò le mie
speranze. Uno zampillare
continuo mi informò che poco distante da me ci doveva essere
un torrente o un
ruscello. Mi precipitai in quella direzione. Dovevo assolutamente
mettere a
tacere la sete che mi bruciava in gola.
Il
mio udito non si sbagliava perché, superati una decina
d’alberi, trovai quello
che cercavo. Un ruscello pieno di acqua cristallina scorreva placido
tagliando
in due il bosco. Mi inginocchia sull’argine.
L’acqua era talmente limpida che
potevo vedere bene il mio riflesso. I capelli erano scarmigliati e il
viso era
tutto sudato, mentre la maglietta era sporca di terra e stropicciata.
Risi di
cuore vedendomi conciata così. Sembrava che tutto il
disordine accuratamente
evitato per anni si fosse riversato su di me tutto in un momento.
Scossi la
testa e presi un sorso d’acqua immergendo le mani a coppa nel
ruscello. Bevvi
avidamente per cinque volte prima di dirmi dissetata. Il liquido
cristallino
scorreva nella mia gola dandole sollievo da tutto quel caldo. Alla fine
decisi
di immergere dentro tutta la testa. La mia idea fu azzeccata.
L’acqua era
fresca e mi fece dimenticare per un momento il sole alto in cielo.
Quando
riemersi per respirare mi sentii rigenerata. Mi ci voleva proprio.
Strizzai
i capelli facendogli perdere l’acqua in eccesso e poi ripresi
la marcia, questa
volta costeggiando l’argine del fiume. Nonostante non mi
intendessi di vita tra
i boschi, ero quasi sicura che la maggior parte dei boyscout ti
consigliavano
di seguire i fiumi in caso di smarrimento. Sperai avessero ragione e
che mi
conducesse in una città.
Camminai
tutto il pomeriggio e mi fermai solo quando il sole
tramontò. Allora, sfinita,
mi appoggiai al tronco più vicino al fiume e lo sconforto si
fece risentire. La
sete l’avevo messa a tacere grazie al ruscello, ma rischiavo
di morire di fame.
Non c’erano alberi da frutto e dubitavo che avrei trovato un
McDonald’s in
mezzo ai boschi. Non mangiavo da tutto il giorno e i morsi della fame
mi
dilaniavano lo stomaco. Misi la testa tra le mani. Un uomo
può sopravvivere tre
giorni senza mangiare, l’importante era bere, mi avevano
insegnato a scuola, e
ciò mi diede un briciolo di speranza. Equivaleva a dire che
avevo altri due
giorni per trovare un’anima buona che mi nutrisse, altrimenti
ero finita. Ora
però ero stanca, ero certa che non ero in grado di compiere
un altro passo.
Avrei ripreso la marcia la mattina seguente, con nuove energie e forse
sarei
stata più fortunata. Ci volle meno di un secondo
perché la stanchezza ebbe la
meglio sull’appetito, portandomi nel regno dei sogni.
I
raggi caldi del sole riscaldavano il mio viso. Non un filo di vento si
muoveva
e tutto attorno a me taceva. Ero appoggiata a qualcosa di duro, ne ero
a
conoscenza, ma ero talmente sfinita che non mi importava. In quel
momento avrei
riposato anche su un sasso. Eppure…non sentivo solo qualcosa
di duro, avvertivo
anche altro. Non era qualcosa che colpiva i miei sensi, era
più una sensazione.
Mi sentivo osservata. Mi diedi mentalmente della stupida. Ero da sola
in mezzo
ad un bosco, gli unici occhi che avrebbero potuto spiarmi erano quelli
di uno
scoiattolo. Ma nonostante ciò non riuscivo a togliermi di
dosso quella strana
impressione…
“E
questa chi è?” una voce baritonale mi
pietrificò.
Aprii
gli occhi di scatto e mi misi seduta con le spalle al tronco, notando
che
mentre dormivo dovevo essere scivolata sull’erba. Davanti a
me ebbi la certezza
che il mio sesto senso non faceva cilecca. Tre uomini in armatura
medioevale mi
stavano fissando con curiosità, tenendosi ad un metro di
distanza. Una grande
sensazione di sollievo mi invase. Avevo trovato altre persone, ero
salva.
“Ben
svegliata. Possiamo sapere chi siete e da dove venite,
signorina?” mi domandò
cortesemente ma con circospezione l’uomo più
vicino. Era molto alto, con i capelli
castano scuro e gli occhi verdi, la barba non rasata da un paio di
giorni e i
lineamenti marcati. Il tono calmo con la quale mi si rivolse mi infuse
coraggio
e mi affrettai a rispondere. Quei tre uomini erano degli sconosciuti
che vagano
in un bosco, due ottimi motivi per stare alla larga da loro in una
situazione
normale, ma dato che al momento la mia verteva verso la disperazione,
essi
rappresentavano la mia unica speranza e li avrei apprezzati anche se
avessero
avuto le orecchie a punta e la pelle verde probabilmente.
Mi
alzai in piedi con calma ed esordii: “Mi chiamo Catherine
Icepower. Mi sono
persa nel bosco e non riesco a trovare la strada per la
città più vicina. Voi
potreste aiutarmi?” gli domandai speranzosa. Le
possibilità erano due: o erano
dei maniaci e a quel punto solo un miracolo poteva salvarmi, o la mia
buona
stella che l’altra sera sembrava avermi dimenticata, era
tornata a splendere.
Dall’aspetto cordiale degli uomini ero più
propensa per la seconda. Doveva
essere la seconda.
L’uomo
si accigliò nel sentire il mio nome e mi domandò.
“Icepower? Non ho mai sentito
questo casato. Non siete una nobile, vero?”
Nobile?
Ripetei
tra me e me. Guardai le armature ammaccate e
in alcuni punti arrugginite dei tre uomini che avevo dinanzi. Prima,
presa
dalla gioia di vedere qualcuno con due gambe e due braccia oltre me,
non li
avevo considerati. Ora però la mia curiosità si
accese. Perché erano vestiti in
quella maniera assurda?
“Ehm…Mio
padre è Daniel Icepower, menager della Bloomsbery, una
famosa casa editrice,
mentre mia madre, Eleanor Campbell, è una stilista molto
apprezzata.” Mi
spiegai, sperando che rispondesse alla loro richiesta. Di certo
dovevano aver
sentito i loro nomi, bastava andare in un qualsiasi negozio di
abbigliamento o
libreria, e una volta chiarita la mia identità mi avrebbero
soccorsa.
Ma
quello che ottenni fu solo un’altra serie di occhiate
confuse, a discapito
delle mie aspettative. Avevo forse parlato arabo?
“Case
edi…cosa? Non abbiamo mai sentito niente del genere,
potremmo sapere dove abita?”
si informò l’uomo di prima assumendo un tono
sospetto.
Iniziai
a balbettare. Qui c’era qualcosa di strano sotto.
“Da…Londra, la conoscete
vero?” cercai di accertarmi che almeno una cosa la
conoscevamo entrambi.
“Non
ho mai udito né di una contea né di un regno con
tal nome, mi dispiace”
Contea?
Regno? All’improvviso
mi si accese una lampadina. C’era una
possibilità che il portale non mi aveva portata solo in un
altro luogo ma
addirittura in un’altra epoca? Da che ne sapevo io avrebbe
potuto condurmi
anche su Marte, perché non indietro nel tempo? Si sarebbero
spiegati i costumi
medioevali dato che dubitavo fossero una nuova moda della quale non ero
al
corrente.
Feci
la prova del nove. “Scusatemi, ma inizio ad essere
leggermente confusa, potreste
dirmi in che anno ci troviamo?” male che andava mi avrebbero
presa per pazza.
Tanto mi avevano già trovata stesa sull’erba a
dormire, la considerazione che
avevano di me non poteva peggiorare ancora.
I
tre uomini si guardarono per un momento tra loro, accigliati, infine mi
rispose
l’uomo alla mia sinistra, quello che intuii fosse il
più vecchio, dai capelli
brizzolati e un accenno di rughe.
“Siamo
nel milletrecentesimo anno dopo la scomparsa dei quattro re, signorina.
È
sicura di sentirsi bene?”
Era
una domanda retorica vero? 1300… ero nel pieno del basso
MedioEvo, altro che
bene. Per un secondo mi mancò l’aria, come se
qualcuno mi avesse strizzato
cuore e polmoni e non fossi più capace di provvedere ai miei
bisogni primari.
Ma fu solo un attimo. Il momento seguente il mio cervello aveva ripreso
tutto
l’ossigeno che gli occorreva per tornare ronzante. Merda, ma
dove caspita mi
avevano portata quei due pazzi?! Ecco, vatti a fidare del primo leone
parlante
che trovi in giro, e pensare che i miei mi avevano sempre detto di non
fidarmi
degli sconosciuti!
E
ora cosa facevo? Dovevo tornare a casa, andare all’avventura
va bene, ma finché
si hanno gli agi, almeno quelli primari, come un bagno, una doccia, una
cucina
che rispettava le norme igieniche, giusto quelle necessarie per non
farti
venire la peste.
Un
campanellino mentale bloccò il fiume di preoccupazioni in
cui stavo annegando.
Era solo una piccola constatazione, ma forse era l’unica che
mi avrebbe
impedito di impazzire e che avrebbe dato un senso a quel viaggio, dato
che
ormai ero lì. Era il MedioEvo, non c’erano i bagni
ma qualcos’altro si.
Qualcosa di molto più importante per me. Era
l’epoca delle streghe, come poteva
essermi sfuggito? Forse mi avevano spedito qua per trovare le mie
origini, la
fonte dei miei poteri. Forse i miei due amici non erano stati
così avventati e
irragionevoli a mandarmi laggiù.
Cercai
di fare buon viso a cattivo gioco. Ero certa che se avessi detto loro
che ero
arrivata lì grazie alla magia mi avrebbero presa e messa su
un palo a bruciare.
Non ci voleva un secchione per ricordarsi che nel medioevo le streghe
non erano
considerate amiche. Meglio non rischiare di ritrovarsi abbrustolita
come una
costoletta di maiale. Però se avessi giocato bene le mie
carte sarei riuscita a
trovare un trasporto sicuro per la città e da lì
avrei potuto fare le mie
ricerche con calma e discrezione.
Feci
mente locale e mi apprestai ad
inventare
di sana pianta una storia credibile. Avevo mentito a tutti per sedici
anni non
doveva essere poi così tanto difficile.
“Probabilmente
no. È…ehm… un regno molto lontano. Io
viaggiavo con la mia …scorta, ma ad un
certo punto mi sono allontanata per un secondo per cercare un
…un… ruscello e
non sono più riuscita a tornare indietro. È tutto
ieri che vago per il bosco
senza mangiare.” Qua dovrebbero
darmi l’Oscar
per la recitazione, sapevo che prima o poi tutti quei film in costume
si
sarebbero rivelati utili. Pensai sogghignando.
Il
soldato parve bersi la mia storiella. “Siete stata fortunata
allora ad
imbattervi in noi lady Catherine. Eravamo qui per un viaggio di
ricognizione. Per
il bosco vagano molti fuorilegge, non avreste dovuto allontanarvi dai
vostri
uomini, è pericoloso.”
“Grazie,
d’ora in poi lo terrò presente. Posso sapere chi
siete voi, messeri e da dove
venite?” domandai a mia volta. Dato che mi avevano fatto il
terzo grado mi
sembrava carino mi dicessero almeno il loro nome.
“Soldato
semplice William Brown di Telmar” si presentò
l’uomo castano chinando la testa.
“Io
invece sono Sir Benjiami McGonogall, cavaliere di Telmar”.
L’uomo brizzolato,
dagli occhi castani e il fisico temprato dalle molte battaglie,
accennò anche
lui d un inchino.
“Io,
my lady, sono il soldato semplice Zachary Blancher di Telmar”
esordì l’ultimo
soldato, circa della stessa età di Sir Benjiami e con un
lunga cicatrice che
gli deturpava tutta la guancia sinistra.
“Ora
viaggerete con noi, vi condurremo nella nostra città, dove
potrete presentarvi
al nostro re e chiedere ausilio a lui. Se volete seguirci in giornata
dovremmo
giungere a destinazione” mi annunciò William.
Qualcuno
lassù doveva aver ascoltato le mie preghiere. Il primo passo
verso le mie
ricerche si stava compiendo.
“Grazie
infinite.” Mentalmente ringraziai anche la cavalleria
dell’epoca che soccorreva
le donzelle bisognose.
*
*
*
“Quindi
William, potrei chiedervi al momento dove siamo? A Telmar?”
domandai al soldato
più giovane, quello più propenso a rispondere
alle mie domande.
Ci
eravamo incamminati da poco, Sir Benjiami e Zachary aprivano la strada
in
rigoroso silenzio mentre io subissavo di quesiti il povero William, che
però
per mia fortuna non pareva scocciato dalla mia curiosità.
Mi
faceva uno strano effetto rivolgermi ad un uomo in armatura, riuscivo a
conversare tranquillamente solo sforzandomi di non pensare che tutto
quello che
mi stava accadendo era reale. Immaginai il nostro quartetto visto da
fuori. Tre
uomini armati di elmo e corazza che scortavano una giovane ragazza in
jeans e
maglietta. Il sole aveva iniziato a girare da ovest verso est.
“No,
lady, per ora siamo nella foresta al confine con un altro
regno”
William
non aggiunse altro. Evidentemente voleva farsi pregare.
“Quale
regno?” chiesi con voce stucchevole. Avevo sempre trovato
deplorevole ricorrere
al sex appeal per ottenere i propri scopi, ma per stavolta feci
un’eccezione.
Avevo bisogno di informazioni e le avrei ricevute.
Lui
mi sorrise. “Forse ne avete sentito parlare anche nel vostro.
Una volta, più di
mille anni fa, questo regno era molto prospero e potente, ma dopo la
perdita
dei loro sovrani è decaduto. È divenuta una terra
selvaggia, piena di creature
mostruose e ingovernabili, pericolose. Così i telmarini
hanno deciso che
occorreva un intervento drastico. Hanno invaso questo regno e sono
riusciti a
riportare l’ordine eliminando queste creature inumane. Per
molti secoli è
regnata la pace, ma in questi ultimi tempi sembra che alcuni superstiti
vogliano riorganizzare una sommossa per riportare la paura e
l’anarchia. Per
questo muoversi tra questi alberi senza una scorta armata e pericoloso,
lady
Catherine, se qualcuno di questi fuorilegge vi avesse trovata a
quest’ora forse
non godreste dell’ottima salute che avete ora”. Il
finale, per quanto macabro,
fu ad effetto. Se voleva impressionarmi c’era riuscito alla
grande. Era
riuscito anche a farmi provare timore verso queste creature misteriose.
A
sentir lui dovevo essere stata veramente fortunata a scampare da quella
minaccia. Una voce logica dentro di me mi fece notare che eravamo nel
MedioEvo,
epoca dove storie del genere inventate di sana pianta diventavano oro
colato.
Un’altra vocina fastidiosa ribatté però
che io stessa andavo catalogata tra
quelle “storie inventate di sana pianta” e che
quindi in teoria non dovevano
esistere, mentre io esistevo eccome. Era tanto improbabile quindi che
esistessero
anche le creature nominate da William?
“Chi
sono esattamente questi essere inumani di cui parlate?”
Lui
scosse le spalle. “Io non ne ho ancora visti, finora si era
parlato di loro
solo nelle vecchie storie. Si pensava fossero tutti estinti,
è stata un’orrenda
sorpresa sapere che invece sono ancora vivi e vegeti” piccola
pausa ad effetto.
Quest’uomo era un narratore nato, volevo quasi chiedergli se
non preferirebbe
il lavoro del menestrello piuttosto che quello del soldato.
“Si racconta di
gnomi e animali parlanti che possono variare dai tassi agli orsi, ma
anche di
centauri, minotauri, grifoni e sirene, solo per citarne alcuni, e mi
creda,
nessuno di loro vede gli esseri umani di buon occhio.”
Deglutii
lentamente. Centauri, minotauri? Ma dove diamine ero finita, nella
Terra di
Mezzo? Mancavano solo gli elfi e gli hobbit poi c’erano tutti
al gran completo.
C’eravamo. Mi corresse la
stessa voce
fastidiosa di prima, ricordandomi amaramente
che in effetti io in quel quadretto
di creature sopranaturali ci entravo a pieno titolo. Ero la strega
della
situazione, una versione femminile di Gandalf. Mi consolai pensando che
almeno
io ero buona, giovane e, cosa più importante, non avevo la
barba.
“Spaventata?”
insinuò il soldato probabilmente notando il leggero pallore
che aveva assunto
il mio viso.
“Un
poco”. Un flash di me in un match contro un Minotauro
gigantesco mi attraversò
la mente. Un brivido mi percorse da capo a piedi. Speriamo
di non incontrare niente di strano fino a questa città. Sono
venuta per cercare streghe buone non mostri, accidenti! Pensai
soltanto.
“Scusi
la mia curiosità, lady Catherine, ma è la prima
volta che vedo abiti
tanto…originali. Sono tipici del vostro regno?” mi
domandò osservando con
scetticismo i miei poveri jeans.
Soffocai
una risata. Dopo tutte le domande che gli avevo fatto io sarebbe stato
indelicato deriderlo.
“Si,
si chiamano jeans. È un indumento molto comodo e viene usato
indistintamente da
donne e uomini. Per il momento sono usati solo da noi ma sono certa che
presto
si diffonderanno su larga scala” spiegai. Ovviamente per
“presto” intendevo
qualche centinaio d’anni ma non era il caso di precisare.
William
sottolineò il fatto che venivano usati da ambo i sessi con
una smorfia di
palese disappunto. Sorrisi tra me e me pensando a quanta strada era
stata fatta
da loro a noi.
“Credo
che potremmo fermarci qui per pranzare” Sir Benjiami si
inchiodò davanti a noi.
Mi domandai se erano gli anni di esercizio militare a rendere i suoi
modi così
meccanici e duri o se era una predisposizione naturale.
Gli
altri due soldati obbedirono e si fermarono. Notai solo ora che Zachary
portava
una grande bisaccia di pelle a tracolla. La aprì e ne
tirò fuori quattro pezzi
di carne secca e del pane che distribuì in eque porzioni.
Quando mi porse la
mia parte provai l’istinto di storcere il naso. Non avevo mai
assaggiato della
carne secca e l’idea di provarla ora non mi faceva impazzire,
ma per non
sembrare sgarbata dopo che mi avevano salvata e che stavano dividendo
le loro
scorte con me, la accettai ringraziando.
Osservai
William prendere la sua e mangiarla senza farsi tanti problemi, seguito
a ruota
da Benjiami e da Zachary. Se loro la mangiavano e non erano ancora
morti forse
avevo alcune possibilità di sopravvivere anche io. Fissai
con diffidenza il
pezzo i carne nella mia mano destra, dopodichè feci un bel
respiro e ne staccai
un morso. Rimasi sorpresa quando il pezzo che avevo staccato
toccò il mio
palato. Superando qualsiasi mia aspettativa era buono. Forse il gusto
era
influenzato dal prolungato digiuno, ma fatto sta che divorai tutta la
mia
porzione.
“Scusate
per il pranzo leggermente spartano, my lady, ma sono sicuro che
l’accoglienza
che riceverete dal nostro re la ricompenserà appena
sarà accertata la vostra
appartenenza ad una casata reale” si scusò Sir
Benjiami con i suoi modi
pomposi.
L’ultimo
pezzo di carne mi andò di traverso. Accertata
la vostra appartenenza ad una casata reale. Cavolo, come
facevo a
dimostrare una cosa simile?
“Figuratevi,
vi sono enormemente grata per tutto quello che state facendo, non avete
nulla
di cui scusarvi” risposi cercando di apparire tranquilla. Pensa, Cate, pensa!
Poi
arrivò l’illuminazione. Il medaglione che avevo al
collo. Era interamente d’oro
bianco e di raffinata fattura, con un castello inciso sotto una J
significante
June, il mese in cui ero nata. Avrei potuto far passare quella come una
prova
della mia nobiltà, nel MedioEvo non avevano simboli simili
dopotutto? Dovevo
solo incrociare le dita.
Il
pranzo durò poco, il tempo necessario di mettere in bocca
qualcosa di
sostanzioso per poi riprendere il cammino. A quel che pareva Sir
Benjiami aveva
fretta di tornare a casa per la cena.
Non
ero amante delle marce serrate ma dato che non avevo scelta cercai di
abituarmici. Anche perché dubitavo fortemente
dell’esistenza di taxi o bus nel
1300.
Il
sole si stava abbassando, ad occhio e croce mancavano due ore al
tramonto. I
raggi avevano smesso di picchiare insistenti sulle nostre teste da un
po’, per
nostra fortuna, e io confidano nella muta speranza che eravamo quasi
giunti a
destinazione, anche se non osavo chiederlo per paura che la mia
speranza
venisse spenta. Ero stanca morta. In tutta la giornata avevamo fatto
solo
un’altra piccola pausa di dieci minuti, per gentile
concessione di Benjiami e
le mie gambe stavano seriamente progettando uno sciopero.
I
tre uomini sembravano più abituati alle lunghe camminate, ma
la stanchezza
iniziava ad intravedersi anche nei loro volti e il loro passo si era
fatto meno
serrato. Avevo smesso di fare domande da dopo la nostra seconda sosta,
decidendo che il fiato era più utile conservarlo che
sprecarlo, e da allora non
era più volata una mosca. In un primo momento
l’atmosfera mi era sembrata
rilassata nonostante il silenzio. Il vento giocava tra le fronde degli
alberi,
che si muovevano in perfetta sintonia tra loro, creando una melodia
originale
con il suono placido e regolare dello scorrere dell’acqua de
ruscello, dalla
quale ci eravamo allontanati i passi necessari per trovare rifugio dal
caldo
all’ombra degli alberi. Il canto degli uccellini faceva da
coro a
quell’orchestra improvvisata mentre gli scoiattoli e altri
innocui animali si
univano a noi come pubblico. Ma da qualche tempo l’atmosfera
serafica si era
interrotta, divenendo stranamente tesa. Gli alberi si erano come
immobilizzati
e gli uccelli e gli altri animali si erano dissolti nel nulla.
I
miei compagni di viaggio parevano incuranti di questo cambiamento.
Erano
perfettamente rilassati come prima, incuranti di ciò che li
circondava. Eppure
ero certa che qualcosa non andava. C’era troppa calma, troppo
silenzio. Senza
contare una strana carica elettrica che attraversava l’aria.
Avevo una strana
sensazione, mi sentivo osservata come quella mattina, avevo la pelle
d’oca,
eppure, nonostante avessi fatto ballare gli occhi da un tronco
all’altro
diverse volte, non avevo scorto nulla di pericoloso. Forse era solo la
stanchezza che giocava brutti scherzi, anche se…
Un
suono di tromba ed un urlo fece drizzare tutti e quattro dalla paura.
In meno
di un secondo realizzai con angoscia che il mio sesto senso non mi
aveva
tradito, nonostante avessi preferito il contrario per una volta.
All’improvviso
sei persone apparvero come fantasmi dagli alberi, soverchiandoci a
spade sguainate.
Il cuore mi saltò in gola e mi ci volle un secondo per
capire che mi sbagliavo
clamorosamente su un particolare. Quelle non erano sei persone. Eravamo
stati
circondati dalle creature di cui mi parlava William. I tre
più spaventosi erano
esseri giganteschi con la testa di un toro e le corna minacciose in
bella
vista, e stringevano un’ascia a testa, meno terrificante del
loro aspetto ma
comunque degna di nota. Richiamai alla memoria le mie nozioni di
mitologia
greca. Erano tre minotauri. Altre due creature uscite dallo stesso
libro di
fantasia, erano armate di spada e avevano metà corpo da
cavallo e metà da
essere umano, anche se nei tratti arrabbiati e minacciosi riuscivo a
scorgere
ben poche tracce di umanità. Notai che uno di loro aveva a
tracolla il corno
che avevamo sentito precederli. Infine, l’ultimo membro del
gruppo, era quello
meno spaventoso. Ero quasi sicura fosse umano, dato che aveva due gambe
e due braccia
come noi, ma avendo il capo coperto dall’elmo non ero sicura
della sua natura.
Avrebbe potuto avere antenne e artigli nascosti per quel che ne sapevo.
Con
il sangue ghiacciato nelle vene, vidi i miei tre custodi estrarre la
spada nel
disperato tentativo di proteggere loro stessi e me da bravi cavalieri,
ma il
numero degli avversari era superiore al loro e l’attacco li
aveva colti di
sorpresa. Come a rallentatore vidi il colpo preciso e forte
dell’ascia di un
Minotauro affondare nel corpo di William senza che questi potesse fare
qualcosa
per impedirlo. Si accosciò senza proferir parola, cadendo a
terra come una
marionetta alla quale avevano tagliato i fili. Altri due colpi netti
della
spada del soldato e anche Benjiami fece la stessa identica fine,
seguito a
ruota da Zachary. Li avevano trapassati da parte a parte come se
fossero di
burro.
Mi
sembrò che il tempo si fermasse mentre con gli occhi
sbarrati per l’orrore
vedevo la freddezza con la quale uno dei tre minotauri estraeva la sua
ascia insanguinata
dal corpo inanimato di William. Erano morti, tutti e tre, in meno di
cinque
secondi e senza alcuna possibilità di opporsi. Mi
mancò il respiro e rimasi
immobile ad osservare quello scempio. Ma dove diamine ero finita? In un
film
dell’horror? Erano dei mostri, in tutte le possibili
sfaccettature della
parola. Osservai il viso di William, solo pochi minuti prima pieno di
vita,
riverso a terra, esangue. Volevo distogliere lo sguardo, una vocina
interiore
mi urlava di scappare o cercare una possibile via d’uscita,
anche combattendo
se necessario, ma i miei occhi sembravano incapaci di scollarsi da
quella
orrenda visione, senza contare che i miei arti non rispondevano ai
comandi. In
mente solo una macabra parola: morti.
Solo
quando un grido di carica riempì il bosco riuscii ad alzare
di scatto lo
sguardo, un’espressione di puro terrore in viso. Il minotauro
che aveva ucciso
il soldato stava calibrando l’ascia per colpirmi. Sarei
morta, senza ombra di
dubbio, e non potevo fare niente per impedirlo come gli altri. Chiusi
gli occhi
preparandomi al peggio, ma invece di sentire l’arma atterrare
su di me con
violenza, udii invece una voce metallica e autoritaria che
bloccò il mio
assalitore.
“Fermo!”
Avvertii
distintamente l’ascia del Minotauro fermarsi poco distante
dalla mia testa. Mi
azzardai ad aprire gli occhi, il cuore ancora colmo
d’angoscia. Forse potevo
sperare di vivere ancora cinque minuti, ma non ero così
sciocca da pensare di
essere salva.
La
voce apparteneva alla persona in armatura. Dalla postura eretta e
regale e dal
tono saldo intuii che fosse il capo di quel piccolo quanto terrificante
drappello.
“è
una donna, sai che noi non uccidiamo né donne né
bambini, riponi l’ascia”
ordinò calmo.
Non
osavo credere alle mie orecchie. L’armatura aveva davvero
sentenziato la mia
sopravvivenza?
“Era
con quei soldati, è un abitante di Telmar, non possiamo
lasciarla andare e
permetterle di raccontare che ci ha visti di guardia nel
bosco” obiettò la
creatura con voce gutturale.
Cercai
di deglutire ma a quelle parole la mia bocca era asciutta quanto il
deserto del
Sahara. Quale brutta e ragionevole osservazione aveva fatto.
Il
soldato però non parve nemmeno riflettere sulle parole del
suo sottoposto prima
di riprendere la parola.
“è
vero, ma non è una motivazione sufficiente per ucciderla. La
porteremo alla
base. Se la interroghiamo potrebbe avere anche delle informazioni a noi
utili”
sentenziò.
Il
mio cuore raggiunse le scarpe. No, probabilmente andò molto
più giù, sotto i
piedi a più di mezzo metro sotto terra. Sarei stata ostaggio
di quei mostri? Coloro
che avevano ucciso tre persone senza nemmeno pensarci? La sola idea mi
faceva
tremare da capo a piedi. L’unico pensiero che
riuscì a superare la coltre di
paura che mi annebbiava la mente fu che il destino a volte si faceva
veramente
beffe di noi. Sarei stata fatta prigioniera proprio ora che avevo una
possibilità di scoprire chi ero, perché avevo
quei poteri… ma fu proprio quel
pensiero a sbloccarmi.
Nell’istante
esatto in cui lo formulai, sentii scorrere dentro di me una carica di
adrenalina mai provata prima. Venni pervasa da un calore nuovo ma
stranamente
familiare. Le mie mani iniziarono a formicolare mentre le parole di un
incantesimo mai pronunciato mi salivano alle labbra.
L’energia si concentrò nel
palmo delle mani e defluì in un solo istante, senza esitare,
colpendo in pieno
petto il Minotauro, che barcollò all’indietro
cadendo rovinosamente a terra sia
per la violenza del colpo sia per la sorpresa. Il mio respiro, come
quello di
tutti nella radura, si bloccò. La mia mente si rifiutava di
registrare l’ultimo
avvenimento, assolutamente privo di logica. Avevo usato un incantesimo
difensivo che nemmeno conoscevo, che neanche sapevo possibile. Ma
sorpassando
lo sbigottimento, un’altra parola si affacciò
nitida nella mia mente: scappa.
Tutti erano troppo scioccati per reagire, era il momento giusto,
probabilmente
l’unico che avrei mai avuto. Mi lanciai nella direzione
opposta a perdifiato,
ritrovando improvvisamente l’uso delle gambe, il cuore a
mille. Purtroppo per
me i soldati, avvezzi com’erano a situazioni del genere, si
ripresero in fretta
dalla sorpresa.
La
mia fuga fu vergognosamente breve. Avevo fatto si e no una decina di
passi che
due braccia forti mi presero da dietro alzandomi senza il minimo sforzo
da
terra. Mi ritrovai a penzoloni urlante e scalciante, la scarica di
adrenalina
dimenticata in un angolo remoto della mia mente e la disperazione
più totale
padrona del mio corpo.
“Sidus
rimettila a terra e cerca di farla star ferma”
dettò il soldato.
Ritoccai
terra, anche se non riuscii a fare un passo per allontanarmi dalla
creatura che
mi aveva bloccata, individuo che scoprii essere uno dei due centauri,
con mio
grande spavento. Era enorme, la mia testa superava a mala pena la linea
del suo
bacino, senza contare che paragonare la mia forza alla sua era come
paragonare
quella di una mosca con quella di un leone. Cosa assai umiliante, anche
se era
più forte la paura che provavo verso di lui. Ma
dov’era finita tutta quella
bella grinta che mi aveva aiutata a tirare fuori i miei poteri? Si era
dissolta
nel nulla, come se non fosse mai esistita.
Il
centauro mi legò le mani dietro alla schiena con una corda
che gli porse uno
dei tre minotauri, con la stessa facilità che io avrei usato
per legare quelle
di una bambola, nonostante avessi cercato di oppormi.
Il
soldato in armatura intanto si era avvicinato a me e si era tolto
l’elmo,
scoprendo per la prima volta il suo viso. Con mio enorme sollievo, in
quel
gruppo di mostri, lui era un essere umano, e anche piuttosto giovane,
dato che
mi si presentava dinanzi un ragazzo sui vent’anni.
Dall’autorità che sapeva
esercitare avrei pensato fosse un uomo almeno tra i trenta e i
quaranta.
Ma
quello che mi sorprese di più fu l’espressione con
la quale mi fissava. Mi
stava studiando curioso e circospetto, come se fossi io la
novità da osservare
e non i suoi cari amici. Forse a furia di frequentare gente con corna e
quattro
zampe ci si disabitua alle persone con due braccia e due gambe e con la
pelle
rosa. I suoi occhi azzurri si soffermarono soprattutto sui miei
indumenti,
squadrandoli diffidente prima di scuotere la testa e di far muovere i
capelli
dorati che gli circondavano un viso dai lineamenti gentili, in perfetto
contrasto con il cipiglio autoritario dei suoi modi. Infine mi
fissò negli
occhi e per un secondo fui certa di leggere lo sbigottimento nelle sue
iridi
color del cielo. Mi parve quasi di vedere il suo busto incrinarsi
all’indietro,
lontano da me, prima di riprendere il suo contegno, scuotendo
impercettibile la
testa. In un lampo
realizzai che non era
il solo a squadrarmi tra il sospetto e la paura. Gli altri presenti
erano in
cerchio attorno a noi e mi guardavano con astio in posizione
d’attacco,
stringendo convulsamente la loro arma tra le mani o le zampe. Rimasi
confusa,
come era possibile che un accenno ai miei poteri li avesse terrorizzati
così
tanto? Dubitavo di essere così spaventosa da impaurire
addirittura un
Minotauro!
Quando
il ragazzo parlò, la sua voce, non più filtrata
dalla celata dell’elmo, suonò
meno baritonale di prima, ma non per questo meno virile o meno ferma e
ricatturò la mia attenzione.
“Potete
anche calmarvi, nessuno ha intenzione di farvi del male per il
momento” mi
assicurò.
Peccato
che le sue parole ebbero un effetto tutt’altro che rilassante
su di me. Come
poteva dirmi di tranquillizzarmi se ero legata e circondata da mostri?!
“Sire,
mi permetto di dissentire. Avete visto quello che ha fatto?
È più prudente
ucciderla subito” un secondo Minotauro propose la mia
imminente morte. Quelle
creature iniziavano a darmi particolarmente sui nervi oltre che a
terrorizzarmi.
“è
una strega, è pericolosa, ammazziamola” un terzo
Minotauro, molto più schietto
del primo, espresse il pensiero che a quanto pare stava attraversando
le menti
di tutti i presenti.
Fantastico,
ero considerata strana e pericolosa persino da creature mitologiche,
incredibile. In compenso ebbi la conferma però che i loro
sguardi diffidenti
erano merito della mia magia. Evidentemente ne avevano paura e per
questo non
avrebbero esitato ad eliminarne la fonte. Iniziai a sudare freddo,
certa che
sarei crollata da un momento all’altro.
Cercai
di concentrarmi sul loro capitano che a quel che sembrava era quello
che mi
temeva di meno. Sperai che dentro di me fosse rimasto il coraggio
necessario
almeno per difendermi a parole e persuaderlo di lasciarmi andare. Lui
era la
mia unica e ultima possibilità.
“Io
non ho mai fatto del male a nessuno, non sono pericolosa, vi prego
credetemi.”
sussurrai con la voce leggermente incrinata da un imminente pianto. Il
tono era
talmente flebile che temetti non mi avesse sentito. Lui mi
guardò con serietà
per un lungo istante, come soppesando le mie parole. Cadde di nuovo il
silenzio, nessuno osava proferir parola in attesa del responso del loro
capitano. Solo dopo quella che mi parve
un’eternità, il ragazzo si pronunciò.
“Ti
credo, ma non ha importanza, non posso lasciarti andare lo stesso, non
so chi
sei né da dove vieni o cosa vuoi, devo portarti alla base,
ma ti assicuro che
nessuno ti farà del male”
Avevo
un difetto alle orecchie o il tono che avevo usato era quasi di scusa
anche se
l’espressione era pur sempre diffidente?
“Ma
sire, è una strega!” ribatté nuovamente
il Minotauro di prima.
“Non
possiamo uccidere una persona solo perché ha dei poteri, per
ora non ha fatto
niente di male” lo liquidò con tono che non
ammette repliche prima di
rivolgersi nuovamente a me. “Dunque, ci dici chi sei e da
dove vieni?”
Cercai
di fare dei bei respiri profondi, evitando di soffermarmi sul devo portarti alla base ma facendo leva
sul tranquillizzante nessuno ti
farà del
male. Senza contare che mi aveva appena difeso, era la prima
persona che
non mi additava solo perchè ero una strega. Probabilmente la
paura mi aveva
anestetizzato i neuroni ma in un primo momento mi fidai ciecamente
delle sue
parole. Poi il mio sguardo si soffermò sui cadaveri dei tre
soldati e la
fiducia volò via rapida come era arrivata. Quanto valeva la
parola di un
assassino?
Prima
che me ne potessi rendere conto, lo sdegno che provavo mi fece
esprimere il mio
pensiero sorpassando il panico.
“Chi
mi può assicurare che non mi ucciderai appena ti
dirò quello che vuoi sapere?
Avete appena ucciso tre persone senza pensarci, mi eliminereste con la
stessa
facilità” osservai con un filo di voce nonostante
le mie parole piccate.
Il
biondo parve risentito dalle mie affermazioni e io compresi che avevo
toccato
un tasto dolente. Mi lanciò un’occhiata di fuoco,
ma si limitò a rispondere un
“Nessuno te lo assicura, ma non hai molta scelta, o ti fidi
di me e mi segui di
tua volontà o ti dovrò costringere.”
Semplice
e conciso. Esaminai un secondo le mie vie di fuga e con depressione
crescente
giudicai che erano meno di zero. O meglio una ce n’era.
Rispondergli e sperare
che mantenesse la sua parola.
Presi
un bel respiro. “Mi chiamo Catherine Icepower e vengo da
Londra, un…” ma mentre
stavo per ripetere a pappagallo la storia già raccontata ai
soldati, il giovane
mi bloccò sorpreso.
“Londra?”
Stupita
a mia volta dell’interruzione lo guardai in viso, cercando di
giudicarne
l’espressione inquisitrice. Di sicuro si stava domandando
dove mai si trovasse
Londra, esattamente come William quella mattina.
“Si,
Londra è un v…” ritentai, sperando di
essere convincente, ma venni nuovamente
interrotta.
“La
conosco, anche io vengo da lì” mi
freddò circospetto.
Ammutolii
di colpo. Era impossibile che un ragazzo del 1300 conoscesse la
capitale
inglese. Forse si era confuso con un villaggio dal nome simile.
Il
ragazzo prese un grande respiro, rifletté un secondo e poi
si rivolse al
Minotauro che avevo colpito precedentemente con tono sbrigativo.
“Morris,
prendi tu il comando per il momento, e porta a termine la missione di
ricognizione.” Stabilì.
Il
Minotauro di nome Morris scattò sull’attenti,
sorpreso dal repentino cambio di
rotta della situazione, ma ripresosi in fretta fece un cenno
affermativo con il
capo prima che Sidus prendesse la parola, stupito quanto lui.
“Ma
signore, e la ragazza?” chiese indicandomi.
“Mi
assumo io la sua tutela. La porto alle rovine con me. Per ora la cosa
più
importante è finire la missione non occuparsi di
un’innocua strega in erba”
“Come
desiderate”
In
meno di un secondo le cinque creature presenti scattarono
sull’attenti e si
prepararono alla partenza.
Con
la grazia di un elefante, Sidus mi spinse verso il suo comandante, il
quale,
per mia fortuna, mi prese con più delicatezza il braccio. Mi
chiesi se
temessero un altro attacco improvvisato se non mi lasciavano senza
custode
neanche un secondo. Dopodichè i due centauri e i tre
minotauri si congedarono
in fretta con un inchino appena accennato, prima di dirigersi a rotta
di collo verso
una meta a me sconosciuta, lasciandomi sola con il loro capitano.
Mentalmente
non potei che ringraziare il cielo per il fatto di essere con lui e non
con un
Minotauro poco incline a lasciarmi in vita. Una vocina nella mia mente
mi fece
notare che avendo a che fare con solo un carceriere la fuga era
più facile, ma
l’altra presenza interiore mi sconsigliò vivamente
anche solo di tentarci,
portando la mia attenzione sulla spada scintillante appesa al fianco
del
ragazzo. Ero certa che non sarei riuscita a riprodurre
l’incanto di prima
quindi non avrei avuto modo di difendermi dalla lama appuntita. Il mio
cuore
perse un battito quando realizzai che non potevo realmente far altro
che
seguirlo, dolente o nolente.
“Non
pensare di scappare, ti ho già detto che non posso farti
andare via ma se sarai
collaborativa ti offro la mia totale protezione, che è la
cosa migliore che
puoi desiderare dato che le streghe da queste parti non sono viste di
buon
occhio, come hai potuto constatare”
Come
se mi avesse letto nel pensiero, il capitano eliminò anche
il più piccolo
tentativo di fuga dalla mia mente. Feci un cenno affermativo con il
capo per
indicargli che avevo compreso il messaggio.
“Bene,
ora io e te dovremmo fare una lunga chiacchierata. Devi spiegarmi molte
cose e
voglio la verità. Quindi desidero sapere sul serio da dove
vieni, perché anche
io arrivo da Londra e ti assicuro che nessuno veste come vesti tu ma
soprattutto, nella mia Londra, le streghe esistono solo sui libri di
fiabe” affermò,
scrutandomi attentamente e senza mollare la presa sul mio braccio.
Io
lo guardai a mia volta a occhi sgranati, il respiro più
corto per colpa
dell’ultima frase. Possibile che avesse anche lui
attraversato il varco come
me? Ma se era così perché non riconosceva i miei
vestiti e perché sembrava così
a suo agio con armature e mostri? Ma, cosa ancora più
importante, se aveva
capito che ero una strega, era possibile che ne conoscesse altre? In un
attimo
dimenticai di essere sua prigioniera, colta dall’improvvisa
speranza di avere
qualche delucidazione in più sul mio viaggio
spazio-temporale e attratta dalla
prospettiva di non essere l’unica straniera in quella terra.
Poco
ma sicuro su una cosa eravamo d’accordo, ci sarebbe stato
molto su cui parlare.
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Capitolo 5 *** 4_Rivelazioni ***
Ciao a
tutti! Sono tornata con un nuovo cappy dopo una luuunga assenza, sorry
per il ritardo!!
Volevo
ringraziare tutti coloro che hanno letto lo scorso cappy , kuro
per aver messo la ficcy tra le seguite (glasie^^) e gegge_cullenina
per averla aggiunta tra i preferiti (grazieee^^)
Recensioni:
QeenBenedetta:
sono contenta che il cappy ti sia piaciuto, glasie^^ spero ti piaccia
anke il quarto, dimmi cosa ne pensi^^ kisskisses^^
Vi auguro
una buona lettura: fatemi sapere cosa pensate del quarto capitolo^^
Kisskisses
68Keira68
4_Rivelazioni
Sentivo
il suo sguardo indagatore addosso. Sem brava intenzionato a forarmi la
nuca pur
di carpirmi le informazioni che desiderava. E io ero intenzionata a
rispondergli, anche perché avrei potuto ricavare parecchie
notizie io per
prima. Ciò nonostante, le mie labbra rimanevano
ermeticamente chiuse. Non
sapevo da dove iniziare. Da quando avevo attraversato il varco? Da
quando avevo
sentito per la prima volta le voci? No, la storia era iniziata molto
prima,
l’arrivare lì era solo la conclusione di un
viaggio iniziato anni fa. Ma come
spiegare con poche parole tutta una vita?
Le
corde iniziarono a farmi male, mi stavano letteralmente segando i
polsi.
Accidenti, perché aveva stretto i nodi così
tanto? Non sono mica superman,
temeva mi liberassi usando una forza bruta celata? Cercai di allentare
i nodi
muovendo le mani ma l’unico risultato che ottenni fu quello
di far sfregare
ancora di più la pelle contro il laccio. Feci una smorfia di
dolore.
“Ti
fa male la corda?”
Il
suo interesse mi sorprese. Evidentemente non gli era sfuggita la mia
espressione.
Annuii
decisa, sperando in un suo slancio di altruismo.
Lui
mi osservò ancora, sembrava combattuto, come se non sapesse
cosa doveva fare.
Infine scosse impercettibilmente la testa e con tono quasi rassegnato
mi
propose: “Se ti slego la corda, mi prometti che non cercherai
di scappare
usando la magia?”
Colsi
l’occasione al volo. “Certo” sussurrai.
In
meno di cinque secondi fui libera di massaggiarmi i polsi arrossati.
“Grazie”
sussurrai riconoscente, anche se l’improvvisa inversione di
rotta del suo
comportamento ancora non sapevo spiegarla. Finché la cosa
però sarebbe stata in
mio favore non avrei avuto nulla da ridire.
“Puoi
ringraziarmi rispondendo alle mie domande” ribatté
“Siediti su quella radice e
inizia a raccontare.” Mi intimò.
Era
giunto il momento. Feci come mi aveva proposto, e presi posto su una
grossa
radice ricurva di un salice, seguita a ruota da lui che mi si sedette
accanto.
“Anche
io vengo da Londra, è la verità quella che ho
detto, ma è proprio per questo
che ora mi ritrovo qui, perché anche nella Londra che
conosco io le streghe
esistono solo nelle fiabe. Io sono l’eccezione che conferma
la regola” spiegai
a voce bassa, fissando insistentemente un insetto verde su di un fiore
per
evitare il suo sguardo.
“E
come sei giunta fin qui?” si informò.
Il
fatto che non avesse nessuna obiezione sulla mia frase mi
allietò. Forse la mia
storia non era così assurda vista da un punto esterno.
Cercai soltanto di non
ricordarmi che il punto esterno in questione era a capo di un gruppo di
minotauri.
“Ho
attraversato un varco. Credo fosse una specie di porta spazio-temporale
perché
mi ha portata indietro nel tempo a quanto pare”
Lui
si accigliò. “Indietro nel tempo?”
“Si.
Il soldato mi ha detto che eravamo nel 1300 dopo la scomparsa di
qualcuno o
qualcosa. Credo comunque che intendesse 1300 dopo Cristo,
giusto?”
Lui
mi sorrise comprensivo. “Temo ci sia una piccola
incomprensione. Non siamo nel
1300 che intendi tu, non ci troviamo nel MedioEvo perché non
siamo tornati
indietro nel tempo. Noi siamo in un'altra dimensione, un altro mondo
con leggi
sue dove il tempo è un concetto astratto in quanto
milletrecento anni fa qui
era tutto esattamente uguale a come lo vedi ora.”
Rimasi
a bocca aperta. Stava dicendo la verità o mi stava prendendo
in giro? Ero
capitata in un altro mondo?
Scossi
violentemente la testa, come se muovendola le informazioni che aveva
nella
mente sarebbero andate a loro posto come i tasselli di un puzzle,
acquistando
finalmente un senso. Purtroppo non avenne.
“Quindi
noi siamo…in una specie di universo parallelo?”
domandai incerta.
“Esatto”
mi confermò.
“Wow”
Avrei
voluto fare esclamazioni più acculturate ma riuscii a
proferire solo questo. Esisteva
un universo parallelo a quello in cui avevo vissuto finora.
Incredibile, altro
che mitologia, ero capitata in un film alla
“Matrix”.
“Quindi
anche il leone e la donna non erano del mio mondo” sussurrai,
esponendo senza
accorgermene un mio pensiero.
“Come
scusa?”
Alzai
di scatto la testa. Giusto, la parte delle mie guide non gliela avevo
ancora
raccontata.
“Prima
che decidessi di attraversare il varco, sono apparse più
volte due figure, una
era una donna molto bella mentre l’altra credo fosse un
leone, anche se non si
è mai mostrato a differenza della ragazza.”
Spiegai.
Lui
rimase spiazzato, ma cercò di dissimulare la sorpresa in
fretta chiedendomi con
tono perentorio. “Cosa volevano da te? Potresti
descrivermeli?”
“Volevano
che passassi attraverso il portale, anche se non mi hanno specificato
il
perché. Continuavano a ripetere che qui avrei trovato le
risposte che cercavo e
che dovevo fidarmi.” Risposi, assecondando la sua richiesta.
“Lei era molto
bella. Aveva i capelli biondi e gli occhi di un azzurro limpido. Era
alta e
aveva un comportamento quasi regale, con i lineamenti delicati, eterei.
L’altra
figura come ti ho già detto non l’ho vista,
però sono certa che fosse un leone
anche se parlava dato che ruggiva”
Vidi
un lampo di sconcerto passare negli occhi color del cielo del giovane,
ma fu
solo un attimo prima che lui riacquistasse la sua espressione sicura.
Il
passaggio fu così repentino che mi chiesi se non me lo fossi
sognato.
“Li
conosci?” mi informai speranzosa.
Lui
esitò un secondo prima di rispondere. “La donna
no, mi spiace, ma è molto
probabile che il leone fosse Aslan”
“Aslan?”
“è
il re supremo che governa su questa terra, Narnia.”
Il
mio cuore a quella parola perse un battito. Il mio cervello non
riusciva a
catalogarla, ero certa di non averla mai sentita prima, eppure il mio
cuore al
solo sentir nominare quella parola era come impazzito. Cercava di dirmi
qualcosa, anche se non riuscivo a capire cosa.
“Se
è davvero lui credo che tu sia la prima persona a vederlo da
secoli.” Proseguì
intanto il giovane. “È scomparso da milletrecento
anni e questa apparizione
potrebbe significare il suo ritorno, o almeno lo spero
perché cambierebbe del
tutto le sorti della guerra.”
Cercai
di seguire il suo discorso ma mi persi completamente. Di quale guerra
stava
parlando?
Il
soldato vide la mia espressione vacua e scoppiò a ridere.
“Forse è meglio che
ti racconti tutto dall’inizio. Tu mi hai detto la tua storia,
è giusto che ora
io ti dica la mia”
Era
ora, pensai piccata, finalmente qualcuno che si degnava di dirmi
qualcosa. Mi
preparai all’ascolto, affamata di notizie con la speranza di
cavare qualche
ragno dal buco.
Il
giovane, che scoprii chiamarsi Peter Pevensie, parlò per
circa un’ora e io
pendetti letteralmente dalle sue labbra. Mi raccontò una
storia degna di un
libro di fiabe.
Lui
e i suoi fratelli, un ragazzo e due ragazze, avevano attraversato un
varco per
Narnia più di un anno fa, scoprendo di essere i legittimi
sovrani di questa
terra e che avrebbero spodestato una strega malvagia, riportando ordine
e pace.
Avevano vissuto per un ventina d’anni a Cair Paravel ma poi
avevano per sbaglio
riattraversato lo stesso passaggio di tanti anni prima ritrovandosi a
Londra
con la stessa età di quando l’avevano lasciata.
Avevano trascorso in
Inghilterra un anno, credendo che non sarebbero più tornati
a Narnia, finché
due settimane fa erano stati richiamati in questo regno, dove erano
passati
milletrecento anni e un sovrano di nome Miraz aveva preso il comando di
Telmar
e dichiarato guerra a tutte le creature magiche.
Alla
fine del racconto avevo la testa che mi girava. Non riuscivo a
capacitarmi che
la sua storia fosse vera, era aldilà di qualsiasi racconto
di fantascienza. Se
provavo a pensare in modo razionale a tutto quello che mi stava
accadendo e che
avevo sentito probabilmente sarei uscita fuori di testa. In un lampo di
follia
mi vennero in mente i postulati di geometria studiati poco tempo fa.
Riuscivo
quasi a focalizzare la pagina del libro con la loro definizione:
“Proprietà non dedotte
né dimostrate ma
accettate come vere”. Forse avrei dovuto applicare
lo stesso principio. Non
dovevo sforzarmi di trovare un filo logico in tutto questo ma
semplicemente
accettarlo come reale e continuare a viverlo. Era l’unico
modo per preservare
la mia sanità mentale, anche se dubitavo che i matematici
autori di quella
definizione avrebbero accolto la mia realtà con la stessa
facilità di un
postulato.
Guardai
di sottecchi Peter, o meglio re Peter. Stava aspettando una mia
reazione in
silenzio, deciso a lasciarmi tutto il tempo di cui necessitavo per
assorbire le
sue parole. Forse avrei dovuto ricredermi su di lui. La prima
impressione era
stata pessima, ma era dovuta al fatto che ci eravamo trovati su due
fronti
opposti senza nemmeno una buona ragione. Spiegate ore le nostre
posizioni e
abbassata la guardia, sembrava totalmente un’altra persona.
Preservava sempre
la sicurezza del capitano ma era molto più disponibile e
attento nei miei
confronti da quando i minotauri e i centauri se ne erano andati. Il suo
stesso
modo di fare era più disinvolto, puntato a mettermi a mio
agio. Iniziava a
ispirarmi fiducia ancor più di William.
Decisi
che dovevo dare un segno di vita, prima che il giovane pensasse che le
mie
capacità intellettive erano molto sotto la media. Optai per
una battuta di
spirito nella speranza di rompere con una risata il momentaneo silenzio.
“Quindi
in teoria dovrei chiamarti maestà, giusto?” e
accennai un buffo inchino.
Funzionò
perché Peter scoppiò a ridere, anche se
sospettavo fosse più per il sollievo di
vedermi di nuovo capace di pensare che per la mia frase.
“Proprio
perché sei tu ti concedo di chiamarmi Peter”
ironizzò.
Risi
anche io, prima di fare la domanda che mi stava più a cuore
da quando aveva
finito il racconto. “Dunque la persona che avete combattuto
era una strega.”
Esordii prendendola alla larga.
Le
mie parole ebbero sul suo viso lo stesso effetto della rivelazione
delle mie
guide. Un lampo allarmato passò un istante sul suo bel
volto, ma non feci in
tempo ad avere la certezza di averlo visto che era già
sparito. Mi chiesi se il
passaggio tra un mondo e l’altro non mi facesse avere delle
visioni.
“Si,
ma era una strega cattiva, abbiamo dovuto ucciderla per il bene di
Narnia”
affermò deciso. Eppure, nonostante il tono fermo, mi parve
di avvertire quasi
una nota di scusa nella sua voce. Si, non c’erano dubbi, il
cambio di universo
doveva avermi fatto male alla testa.
“Però
vuol dire che qui le streghe esistono, giusto? Ne conosci delle
altre?”
domandai d’un fiato.
Purtroppo
la mia speranza venne infranta da un brusco segno di diniego della
testa del
biondo. “Mi spiace”
Non
mi persi d’animo però e proseguii con i miei
quesiti. “Ma c’è la
possibilità
che esistono altre streghe, non è possibile che ci fosse
solo lei”
“Si,
è probabile, ma credo sia meglio che ne parlassi con
qualcuno di più esperto di
me.”
Avevo
il vago sentore che la sua accondiscendenza fosse più
puntata a non ferirmi che
frutto di una sua convinzione, ma non me ne curai. Avevo bisogno di
credere io
per prima alla mia frase.
“E
dove sarebbe la suddetta persona?”
Un
sorriso accattivante curvò le sue labbra. “a
Narnia. Cathrine, scegli di venire
con me e non perché te lo impongo io, ora che so che non sei
un pericolo per
noi per me puoi anche andare, ma seguimi per te. Sei una strega, una
creatura
magica, il tuo posto è tra gli abitanti di Narnia, devi
schierarti dalla nostra
parte.”
Il
suo discorso mi fece restare a bocca asciutta per un attimo.
Perché detta da
lui la parola “strega” non era così
brutta, così estranea. Appariva quasi
bella, quasi normale. Non indicava
un
mostro, semplicemente una mia caratteristica. Il
tuo posto è tra gli abitanti di Narnia. Possibile
che anche io
avessi un posto? Davvero lì mi avrebbero accettata? Ma prima
che potessi
accarezzare l’idea, la mia mente mi ricordò i
volti sconvolti e diffidenti
delle creature prima incontrate.
“I
tuoi uomini volevano uccidermi” sussurrai con malcelato
disprezzo.
“Solo
perché sono stati colti alla sprovvista e non ti
conoscevano. Devi capire che hanno
memoria di un’unica strega, quella che li ha ridotti sotto il
suo dominio.
Quando hanno visto i tuoi poteri hanno pensato che fossi anche tu
cattiva e si
sono spaventati” li giustificò. “Quando
saremo arrivati a Narnia mi occuperò io
di spiegare loro chi sei e che sei dalla nostra parte. Nessuno ti
nuocerà e
appena ti conosceranno sono sicuro che ti accoglieranno tra
loro”
Le
sue parole erano davvero suadenti. Il desiderio che delineassero una
realtà
possibile era tale da farmi dimenticare la prudenza e accettare il suo
invito a
seguirlo. In fin dei conti non ero arrivata laggiù con la
speranza di trovare
qualcuno che mi aiutasse a trovare il mio posto?
Forse era quella l’occasione che cercavo.
Peter
si alzò in piedi e mi porse una mano, con un sorriso
convincente. Decisi di
buttarmi, di seguire l’istinto che mi urlava di fidarmi.
Afferrai la sua mano e
mi diressi con lui alla scoperta della terra di Narnia.
*
“Dunque
ci sono centauri, minotauri, sirene, fauni, grifoni e gnomi? Non mi
stai
prendendo in giro?” mi accertai per l’ennesima
volta.
“No,
come te lo devo dire? Esistono e sono tutti a Narnia che aspettano
noi”
“Wow,
ma la prima volta che li hai incontrati non hai avuto paura?”
“Vuoi
scherzare? Tremavo da capo a piedi, però mi sono fatto
coraggio e dopo un po’
mi sono abituato alla loro presenza. Adesso non ci faccio nemmeno
più caso, per
me sono amici fidati, consiglieri, compagni. Presto ti abituerai anche
tu,
tranquilla” mi rassicurò.
“Lo
spero, perché temo altrimenti che il mio povero cuore
sarebbe costretto a
sussultare ogni cinque secondi”
Lui
scoppiò a ridere, una risata cristallina che
riempì l’aria circostante
risuonando tra le fronde degli alberi, che a loro piacimento facevano
filtrare
i raggi di sole che illuminavano il viso del mio accompagnatore. Aveva
davvero
un bel viso, fosse nato nella mia epoca probabilmente sarebbe diventato
un
fotomodello. I suoi occhi sembravano riflettere il colore limpido del
cielo primaverile
mentre i capelli dorati, ora liberi dall’elmo, parevano
attingere il loro
colore brillante direttamente dal sole. Per concludere avrei proposto
ad ogni
ragazzo di mia conoscenza di iniziare di allenarsi con cotta e armatura
perché
i risultati dell’addestramento di Peter erano davvero
notevoli. Anche se era
celato dalla corazza, non era difficile constatare che avesse un fisico
perfetto. Nel quadro era davvero un bel ragazzo, non potevo negarlo.
Anche il
suo carattere migliorava di ora in ora. Già attorno al
salice avevo notato un
cambiamento notevole dei suoi modi, ma adesso era ancora più
sciolto e
rilassato di prima. Pareva a suo agio con me, e questo era dimostrato
dalla
ristata alla quale si era appena lasciato andare. Tutto ciò
contagiava anche
me. Vicino a lui l’imbarazzo e la paura provate poco prima si
erano come
dissolti. Ero più rilassata, libera di scherzare anche io.
In più mi sentivo
protetta con accanto lui, sapevo che finché mi fosse stato
accanto non avrebbe
permesso a niente e nessuno di nuocermi. Dopotutto me lo aveva
promesso,
giusto?
Senza
contare che si era dimostrato un perfetto gentiluomo per tutta la
durata del
viaggio. Mi aveva aiutato a superare l’ostacolo di un grosso
tronco caduto a
terra, tranciato i rami più bassi degli alberi per
facilitarmi il passaggio e
si era informato più volte se necessitavo di una pausa. Ma
erano tutti così
rispettosi i ragazzi del ventesimo secolo?
“Aspetta
c’è un groviglio di rovi lì, un attimo
che faccio strada”
Come
volevasi dimostrare, risi tra me e me. Voleva ribadire i miei pensieri
per
caso?
Da
bravo cavaliere Peter estrasse la spada e raggiunse l’ammasso
verde di rami e
spine che sbarrava il cammino. Il mio “prode” eroe
assestò due affondi da
manuale recidendo due rami, ma dopo qualche altro colpo compresi che
avremmo
impiegato tutto il resto del pomeriggio prima di passare se avesse
proseguito
così. I rami erano troppi e troppo spessi, non ce
l’avrebbe mai fatta da solo.
Mi
avvicinai sorridendo divertita. “Hai bisogno di una
mano?”
“No,
ho tutto sotto controllo, tra poco ho finito” mi rispose con
voce affaticata.
“D’accordo”
alzai le mani in segno di resa e feci un passo indietro. Dopo altri
dieci
minuti la mia pazienza però iniziò a vacillare.
Intuivo che non era tra i suoi
principi morali farsi aiutare da una fanciulla indifesa
in un problema pratico, ma non avevo intenzione di
aspettare ancora per il suo orgoglio.
“Peter…”
tentai nuovamente.
“Non
ti preoccupare, faccio io” ribatté leggermente
seccato dal mio secondo
tentativo. Era sfiancato dai colpi e sicuramente arrabbiato con i rovi
che
stavano per avere la meglio, eppure non demordeva.
Sbuffai.
Alzai la mano destra, chiusi gli occhi e mi concentrai sui rovi.
Non
era la prima volta che usavo i miei poteri sulla natura. Sapevo di
essere in
grado di far ritirare i rami, di far sbocciare fiori e di evitare alle
piante
di appassire. Quel lavoro per me sarebbe stato un gioco da ragazzi.
Sentii
un fiotto di energia caldo andare dal palmo della mia mano verso i
rovi, fino
ad entrare in contatto con loro, creando un legame tra i rami e me.
Annullai i
miei pensieri, facendone risaltare unicamente uno. Una parola, un
comando. Ritiratevi.
Un
secondo dopo udii un fruscio e un’esclamazione stupita. Aprii
gli occhi e vidi
con soddisfazione che i rami spinati stavano lasciando libera la strada.
Peter
era rimasto con la spada ancora a mezz’aria, il viso
leggermente sudato a metà
tra l’irritato e lo sbigottito. Poi si girò di
scatto verso di me. “Sei stata
tu?” chiese sorpreso.
Mi
esibii nella migliore delle mie espressioni angeliche. “Avevi
bisogno di una
mano” proferii semplicemente. Aspettai un secondo ma la
magica parolina che
volevo non giunse. “Non si ringrazia?” sbottai.
Lui
rimise la spada nel fodero e mi voltò le spalle.
“Potevo farcela perfettamente
da solo.”
Risi.
Non potevo farne a meno, ma mi procurò un’occhiata
di fuoco. “Scusami ma
l’atteggiamento da uomo-con-l’orgoglio-ferito non
ti si addice” mi difesi.
Lui
sbuffò. “Guarda invece di fare dello
spirito” mi intimò.
Obbedii
e gettai lo sguardo sul sentiero appena sgombro. Il fiato mi si
mozzò in gola.
Il bosco era finito, davanti a noi si stendeva una pianura verde
smeraldo
disseminata da fiori sgargianti. A qualche centinaia di metri di
distanza si
ergeva una costruzione monumentale in pietra. Era erosa dal tempo e
l’edera ricopriva
la maggior parte della facciata, ma ciò non sminuiva la sua
bellezza, anzi
aumentava la sua misticità. L’ingresso formato da
un trilitico era preceduto da
delle colonne che delimitavano un’arena in rovina,
probabilmente una volta
teatro di avvincenti duelli. Un corto corridoio portava dentro la
costruzione
con una lieve discesa e io non potei impedire alla mia
curiosità di galoppare.
Erano quelle “le rovine” nominate dai soldati? Cosa
avrei trovato una volta dentro?
Il
giovane sovrano mi diede subito la risposta alla prima delle mie
domande.
“Arrivati. D’ora in poi devi starmi vicino, mi
raccomando, almeno fino a quando
non avrò reso pubblica la tua posizione, intesi?”
“Certo”
concordai d’un fiato, incapace di staccare gli occhi
dall’edificio. Mi
ricordava gli antichi templi e mausolei dei film in stile Indiana
Jones, dove
l’eroe del momento scovava misteri celati da secoli e
spiegazioni a quesiti
millenari. Avrei trovato anche io quello che cercavo?
Percorremmo
gli ultimi passi e in quello che mi sembrò un batter di
ciglia superammo la
piccola arena entrando nell’ingresso formato da tre grosse
pietre.
Varcata
la soia, aspettai che i miei occhi si adattassero alla penombra del
luogo e… il
mio cuore sprofondò. Probabilmente calò anche il
mio colorito, tornando a
rasentare un tetro bianco-morto. Ad attenderci c’era ogni
singola creatura
magica esistente su ogni libro di magia che avessi mai letto o anche
solo
conosciuto. Fauni, gnomi, centauri, minotauri, nani. Senza contare una
serie di
animali parlanti come orsi, tassi, scoiattoli, topi e chi
più ne ha più ne
metta.
Al
nostro arrivo, tutti, come un solo uomo, si girarono nella nostra
direzione.
Giusto per mettermi più a mio agio. Ma prima che il mio
povero cuore sventolasse
bandiera bianca, il mio cervello formulò un pensiero capace
di dargli la
salvezza. Non stavano guardando me. Non mi stavano minimamente
considerando,
solo qualche occhiata veloce e disinteressata. Fissavano unicamente
Peter, il
loro re, al quale tutti si inchinarono e salutarono con reverenza prima
di
tornare alle loro mansioni. Mi concedetti di fare un respiro profondo.
Mai come
prima d’ora ero stata tanto contenta di scatenare
così poco interesse.
Solo
due persone non erano tornate al proprio lavoro ma stavano venendo
verso di
noi, mi accorsi inseguito. Una delle due era una ragazza molto
graziosa,
probabilmente sulla mia età, mentre l’altro era un
aiutante ragazzo di poco più
grande. Il fatto mi fece ritornare tesa come una corda di violino, ma
dato che
erano entrambi chiaramente appartenenti alla razza umana mi permise di
continuare a respirare normalmente.
“Peter,
sei tornato! Come è andata la ricognizione?”
La
voce squillante della ragazza ci raggiunse prima di lei.
“Non
lo so, ho dovuto interromperla e lasciare il comando a Morris. Quando
torneranno
loro, sapremo.”
Lei
annuì con un cenno del capo, poi portò i suoi
occhi castani su di me e di nuovo
rivide quel lampo di sconcerto passare nel suo sguardo, esattamente lo
stesso
che aveva attraversato il volto di Peter la prima volta che mi aveva
vista.
Scambiò una rapida occhiata con quest’ultimo, una
muta richiesta di spiegazioni
nelle iridi castane, ma questo scosse impercettibilmente la testa. Lei
annuire
e rilassarsi. Riuscì anche a sorridere scherzosa al fratello
dicendo “Peter,
non ci presenti alla tua amica?”
Il
rapido corso degli eventi mi lasciò leggermente spossata.
Guardai di sfuggita
l’altro ragazzo accanto alla giovane. Era perfettamente
tranquillo, possibile
che non si fosse accorto di nulla? Forse non c’era stato
niente, forse ero io
che stavo diventando paranoica.
“Non
me ne hai lasciato il tempo. Vai sempre
di fretta. Comunque lei è Cathrine. Cathrine, lei
è mia sorella Susan mentre
lui è il principe Caspian. Ti ho parlato di loro,
ricordi?”
Annuii
impercettibilmente, ben conscia di star facendo la figura della
maleducata ma
incapace di qualsiasi altra azione perché troppo impegnata a
cercare di
prevedere le mosse delle mie due nuove conoscenze. Come avrebbero
reagito? Il
ricordo vivido della violenza del minotauro non aiutava i miei nervi a
stare
calmi.
Per
mia fortuna però, fu la stessa Susan a salvarmi.
“Piacere
di conoscerti Cathrine e ben venuta” La giovane fece un passo
verso di me
facendo muovere la massa di morbidi e lisci capelli castani, e mi porse
la mano
cordiale, spiazzandomi del tutto. Solo un secondo dopo mi ricordai che
non
avevo scritto in fronte la parola “strega”. Dal di
fuori ero un ragazza
normale, e le ragazze normali
venivano accolte in maniera normale.
Avevo qualche minuto per prepararmi all’esplosione della
bomba atomica che la
grande rivelazione avrebbe causato, fino ad allora… “Piacere mio
Susan” le afferrai la mano e
ricambiai il sorriso, un poco forzato.
“Piacere
anche mio Cathrine” anche l’altro giovane mi si
avvicinò e mi tese la mano
destra. Era alto quanto Peter ma per il resto erano differenti come il
giorno e
la notte. La sua muscolatura era più accentuata. I capelli,
che gli ricadevano
in morbide ciocche attorno al viso dai lineamenti marcati, erano
castani scuro,
mentre gli occhi erano neri come quelli di Peter erano azzurri, ma
mentre
quelli del re sembravano capaci di scrutarti fino in fondo
all’anima, scoprendo
ogni tuo pensiero o sentimento, quelli di Caspian parevano due porte
verso la
sua di anima. Aveva uno sguardo aperto e solare, potevi facilmente
intuire ciò
che provava in quel momento solo guardandolo, dote che probabilmente
portava ad
affidargli la tua fiducia.
Ricambiai
anche la sua stretta accompagnando il gesto con un “Piacere
di conoscerti
Caspian”.
“Come
vi siete incontrati, Peter non dovrebbe aver attraversato
villaggi” Susan stava
guardando con occhio critico il mio vestiario, probabilmente per
decretare da
quale parte dell’universo potessero venire. Azione vana, non
avrebbe mai
indovinato.
“Infatti.
Ma è una lunga storia ed ora sono veramente stanco, come
immagino lo sia anche
lei, quindi che ne dici se rimandiamo le spiegazioni a più
tardi, Susy?” asserì
il cavaliere al posto mio. Non potei che trovarmi completamente
d’accordo con
lui, probabilmente avevo camminato più oggi che in tutta la
mia vita!
Necessitavo di un bel letto, o di una poltrona, o di una sedia. O anche
solo
del pavimento, adesso come adesso mi sarei adagiata anche per terra
trovando il
suolo comodo come un cuscino di piume.
Susan
lo guardò storto ma non aggiunse niente, limitandosi ad
annuire.
“Bene.
Quindi saresti così gentile da trovare una sistemazione alla
nostra ospite?”
propose poi, facendo esultare silenziosamente le mie membra. Forse era
possibile
avere qualcosa di più comodo del pavimento.
“Ci
penso io.” Gli assicurò lei. “Vieni
Cathrine, ti faccio strada” aggiunse poi
rivolta a me, sempre mostrandosi molto cordiale. Iniziavo a sentire un
moto
d’affetto per quella ragazza, anche se dopo
l’irruenza dei minotauri
probabilmente avrei amato chiunque capace di dimostrare un pizzico di
gentilezza.
“Io
torno a vedere come procedono le distribuzioni delle armi, invece. Se
volete
scusarmi” Caspian, da perfetto gentiluomo, si
congedò con un breve inchino e si
diresse lontano da noi.
“Vado
anche io. Ragazze” Peter lo seguì a ruota, anche
lui accennando un inchino
nella nostra direzione.
Mi
sentii in dovere di ribadire un concetto nella mia mente, ovvero: i
ragazzi
della mia epoca avevano ASSOLUTAMENTE bisogno di tornare indietro di
qualche
secolo, o anche solo di qualche decennio. Possibile che la galanteria
si
perdesse tra il XX e il XXI secolo? Gli anni quaranta
l’avevano mangiata a
colazione?
Mentre
rimuginavo su questi accertati fatti, mi feci guidare da Susan che mi
condusse
al piano superiore dell’edificio attraverso una scala
laterale. I miei pensieri
altamente filosofici mi permisero
anche di non riflettere molto sul mio passaggio attraverso la fauna
uscita
direttamente dall’Odissea.
“Quella
è la stanza di Peter e Edmund, nostro fratello, mentre di
qua c’è la mia e
quella di Lucy, nostra sorella. Poco più in là
c’è quella di Caspian mentre
questa è vuota, ma da adesso finché lo vorrai
è tutta tua.”
Mi spiegò la ragazza.
Aprì
la porta di legno massiccio della camera in questione ed
entrò.
“Bhè,
effettivamente mi rendo conto che chiamarle stanze è un
complimento, per al
momento non abbiamo altri luoghi dove andare con la guerra e queste
servono
solo per dormire e cambiarci. Mi spiace se nel tuo villaggio era
…”
La
stanza in questione era in effetti uno spazio di dieci metri quadri con
un
letto improvvisato, un armadio, una sedia e quello che poteva essere
definito
come un comodino e assomigliava molto più ad una grotta che
ad una camera, date
le pareti incurvate e scavate nella pietra. Susan si stava
giustificando, era
evidente, e io sentii l’accenno di affetto provato prima
aumentare. Possibile
che non capisse che per me andava benissimo? Mi stava dando asilo ed un
posto
sicuro dove stare senza chiedere nulla sulla mia persona. Certamente si
fidava
di Peter ma qualsiasi altra persona sarebbe stata perlomeno diffidente
e di
sicuro non altrettanto disponibile con una perfetta sconosciuta.
“Va
benissimo, davvero. Posso solo ringraziarti” interruppi il
suo fiume di parole
esprimendo i miei pensieri a voce.
Susan
parve quasi sollevata e io le sorrisi sincera.
“Però io non arrivo da un
villaggio, ma da una città” precisai.
“Non
sarai di Telmar” la sua espressione cambio repentinamente,
diventando
sospettosa, ma io mi affrettai a smentirla.
“No,
certo che no. A dir la verità non sono di questo mondo.
Arrivo dal mondo reale
come te e i tuoi fratelli. Siamo addirittura della stessa
città, anche io sono
di Londra, solo che arrivo dall’Inghilterra del 2009. Sono
capitata qui tramite
un portale” spiegai concisa.
Susan
rimase a bocca aperta, sbigottita, per cinque minuti buoni. Forse le
avevo dato
troppe informazioni tutte insieme. Io aveva avuto bisogno di tutto il
pomeriggio per recepire le spiegazioni di Peter e ancora non le aveva
accettate
del tutto. Poi però parve riscuotersi e quasi
scoppiò a ridere, sorprendendomi.
“Bhè, questo spiegherebbe
l’abbigliamento. Davvero arrivi dal futuro? E come
hai fatto a trovare un portale?”
Notai
che impiegò molto meno del fratello a credere alla mia
storia, anche se a lei
avevo celato la piccola e insignificante parte riguardante i miei
poteri. Evidentemente
alcune persone impiegavano molto meno ad adattarsi alle
novità rispetto alle
altre. Approfittando della sua mente aperta risposi subito alla sua
domanda.
“è
successo, non so nemmeno io bene come. Ero ad Hide Park una sera e
improvvisamente con un esplosione è comparsa una sfera di
luce. Da quella sera
ho iniziato a sentire le voci di una donna e…”
ripetei la storia già narrata a
Peter, aggiungendo l’incontro tra me e suo fratello
più l’arrivo alle rovine e
tacendo sui miei poteri. Non ero pronta a rivelarglieli, qualcosa mi
diceva che
una volta saputo chi ero la sua aria cordiale si sarebbe dissolta nel
nulla.
Era meglio se la informava Peter, dopotutto era suo fratello, avrebbe
trovato
le parole giuste.
Susan
ascoltò il mio racconto interessata, interrompendomi di
tanto in tanto per fare
qualche domanda. Alla fine esordì con un “Ecco
perché ti ha portata qui. È
tipico di Peter, l’ho sempre pensato che doveva nascere nel
MedioEvo e non nel
1900. Se non salva qualcuno facendo vedere di aver una soluzione per
ogni cosa
sta male.”
Risi
della battuta, intuendo quanto doveva essere forte e bello il loro
legame solo
da come parlava di lui e dal suo sguardo acceso nel solo nominarlo.
Erano un
esempio perfetto di amore familiare. Provai un leggero moto di invidia,
ma lo
misi presto a tacere. Dovevo essere contenta che almeno qualcuno
potesse
provarlo, non invidiarlo.
“Si,
però devo confessarti una cosa. C’è un
piccolo particolare che non ti ho detto,
ma sono certa che è meglio se ne parli con Peter, lui ti
spiegherà meglio”
confessai abbassando lo sguardo, colpevole.
Susan
soppesò le mie parole. “è una cosa
così brutta dato che non me la vuoi dire?”
si informò.
“No,
no!” mi affrettai io. Era meglio mettere le mani avanti,
così almeno non
partiva prevenuta. “non è affatto una cosa brutta
ma spesso la gente ha dei
pregiudizi a riguardo e non riesce a comprendere che non
c’è niente di
pericoloso. Per questo è meglio che la dica lui,
riuscirà a farla accettare e
capire meglio di me” affermai.
Parvi
convincerla, anche se mi scrutava curiosa.
“D’accordo, ora ti lascio riposare.
Ti vengo a chiamare per la cena, tu sistemati pure e se hai bisogno di
qualcosa
chiama” e con questo uscì dalla stanza chiudendosi
la porta alle spalla,
lasciandomi sola intenta a sperare che Peter sapesse davvero esporre la
notizia
nel migliore dei modi. Non avrei sopportato due attacchi alla mia vita
nello
stesso giorno.
*
Le
gambe di Susan scesero gli scalini di corsa
ma la sua mente era rimasta nella stanza della nuova e misteriosa
giovane. Era
certa che non fosse un pericolo, si vedeva lontano un miglio che era
spaesata e
incapace di fare un’offensiva degna di questo nome, in
più si fidava ciecamente
di suo fratello. Peter non avrebbe mai portato a casa un potenziale
nemico,
questo era sicuro. Nonostante ciò aveva provato un brivido
di avvertimento
lungo la schiena la prima volta che l’aveva vista e il suo
istinto le diceva
che la spiacevole sensazione era prettamente collegata al segreto
taciuto da
Cathrine. Era certa che la stessa cosa fosse capitata a Peter quando
l’aveva
incontrata. Il rapido sguardo che si erano lanciati e il segno di
dissenso che
le aveva rivolto indicavano che l’aveva capita e che poteva
spiegarle. Ma cosa
poteva nascondere quella ragazza di così temibile da non
volerglielo dire a
voce? Aveva assicurato che non aveva celato alcunché di
pericoloso, ma di certo
non era una notizia futile se non aveva avuto il coraggio di
esplicitarla
subito. Cosa occultava la ragazza?
La
cosa più assurda era però che le sembrava di
intuire quale potesse essere il
grande mistero. Era sicura di saperlo dentro di sé, ma non
riusciva a far
sfociare quelle sensazioni in una frase di senso compiuto. Magari una
frase che
spiegasse anche l’incredibile senso di familiarità
che provava senza logica nei
confronti di Cathrine. L’ipotesi che l’avesse
già conosciuta era da scartare a
priori. Era la prima volta che la ragazza andava a Narnia quindi in
quel mondo
non potevano essersi incontrate, mentre nel suo universo, a Londra, non
era
neppure ancora nata! Ciò nonostante…
Una
chioma bionda spiccò tra una pila ben ordinata di archi e
spade attirando la
sua attenzione.
“Peter!”
lo chiamò eliminando la breve distanza tra loro e scoprendo
che accanto a lui
si trovava anche Caspian, il quale le rivolse un sorriso radioso nel
solo
vederla.
Susan
cercò di ignorarlo e di rivolgersi con scioltezza al
fratello, ma purtroppo per
lei non poté impedire alle sue gote di colorarsi di rosso.
“Peter,
dobbiamo parlare” ripeté decisa, scacciando quel
briciolo di imbarazzo.
Il
fratello stava analizzando la carta geografica della regione,
probabilmente per
la milionesima volta in pochi giorni, ma avvertendo una nota
d’allarme nella
voce di Susan, decise di dedicarle la sua più totale
attenzione, onde evitare
scenate e litigi per un futile motivo.
“Susan,
hai già sistemato Cathrine?” si informò
lui, con calma. Sapeva esattamente di
cosa voleva discutere la sorella ed era assolutamente intenzionato a
rimandare
il dialogo il più tardi possibile.
“Si,
la ragazza è di sopra che riposa.” Gli
assicurò sbrigativa. “Ed è proprio di
lei che voglio parlarti” aggiunse.
Peter
sospirò. “Susy, non potremmo
rimandare…” provò, ma il suo tentativo
venne
bruscamente bloccato dalla ragazza.
“No,
non possiamo. Mi sono occupata di lei con la massima
disponibilità senza
chiedere niente, ma adesso mi devi dare una spiegazione.” Il
cipiglio
battagliero convinse definitivamente Peter a cedere.
“Susan
ha ragione, Peter, chi è la ragazza?” si intromise
Caspian, beccandosi
un’occhiataccia dal re dal chiaro significato: traditore-qualcunque-cosa-dica-o-faccia-sei-sempre-dalla-parte-di-Susan.
“L’ho
trovata nel bosco insieme ad un gruppo di soldati di Telmar, oggi
durante la
ricognizione” cominciò.
“Si,
me lo ha detto e mi ha informato anche delle voci e da dove
viene.” Lo
interruppe nuovamente Susan.
“Voci?
Quali voci?” si informò confuso il principe.
“Te
lo spiego dopo, è una lunga storia” gli
assicurò Susan, stringendogli con
dolcezza un braccio “però non mi ha voluto dire
una parte della storia. Ha
detto che mi aveva nascosto una cosa ma che preferiva la chiedessi a
te. Temeva
che una volta appresa la notizia avrei potuto reagire male e che magari
tu avresti
potuto espormela meglio impendendo ciò.” Aggiunse
poi rivolta al biondo.
Quest’ultimo
sogghignò. Cathrine aveva fatto una mossa saggia, nemmeno
lui sapeva come
avrebbero reagito la sorella e il principe.
“Quindi
si può sapere qual è questo grande
segreto?” insistette.
“Si,
te lo avrei detto al più presto. Però devi
promettermi che mi lasciare finire
di spiegare prima di saltare a conclusioni affrettate,
intesi?”
La
giovane annuì con un gesto impaziente del capo.
Peter
inspirò a fondo prima di dire: “Cathrine
è una giovane strega. È venuta qui
sotto la guida di Aslan che le ha aperto un portale per cercare di
capire da
dove vengono i suoi poteri e conoscere altre streghe”
Silenzio.
Sbigottito, incredulo, assordante. Ma fu il piacere di pochi istanti,
prima di
un urlo apocalittico mirato a rompere i timpani di tutti i presenti.
“COSA?!”
La
“soave” voce di sua sorella sfiorò le
tre ottave.
“Peter,
ne sei sicuro?” le fece eco il principe.
Grazie
al cielo Caspian ha una voce baritonale, pensò Peter,
strizzando gli occhi per
il fastidio all’udito. Se non iniziavano a fischiargli le
orecchie era un
miracolo.
“Si
che ne sono sicuro. Ha lanciato un sfera
di energia contro Morris per difendersi anche se non gli ha fatto male,
lo ha
solo atterrato per qualche minuto. In più è
riuscita a sciogliere un groviglio
di rami solo con il pensiero. È una strega, però
è in erba, non sa ancora
sviluppare al massimo i suoi poteri” affermò
sicuro.
“E
pensare che sembra così indifesa a vederla”
Caspian era semplicemente sbigottito.
“HAI
PORTATO UNA STREGA QUA DENTRO?” Susan era semplicemente
infuriata con Peter.
“Susy,
calmati” tentò il biondo, mettendo le mani davanti
al viso, preparandosi ad una
possibile sfuriata.
“Si
Susan, non è così grave, qui ci sono
già fauni, centauri, minotauri e gnomi,
una strega completerebbe solo il quadro” scherzò
Caspian, provando a
tranquillizzarla.
Se
uno sguardo avesse potuto uccidere probabilmente entrambi i ragazzi
sarebbero
morti all’istante.
“Tu
non capisci, non puoi capire, non c’eri l’ultima
volta!” inveì Susan.
“Di
cosa stai parlando?” il principe inarcò un
sopraciglio. Non riusciva a
comprendere la reazione a suo parere esagerata di Susan. Con tutte le
creature
magiche residenti lì dentro perché faceva tante
storie per una giovane strega?
“Senti,
da che se ne ha memoria è esistita una sola strega a Narnia,
la Strega Bianca,
colei che più di 1300 anni fa ha soggiogato
l’intera popolazione sotto un
eterno gelo. Permetti che non sia molto ben disposta nei confronti di
un’altra
fattucchiera?”il tono era così aggressivo che
Caspian si ritrovò ad
indietreggiare incoscemente.
Per
sua fortuna intervenne Peter. “Susan, ai promesso che finivi
di ascoltarmi. Sei
arrivata ad una conclusone affrettata e sbagliata”
La
furia di Susan si posò su di lui, sollevando il povero
Caspian dal peso dello
sguardo furente della giovane. “No, credo che sia tu a non
aver capito. Lei non
ha sentito solo la voce di Aslan o te ne sei dimenticato?”
Si
squadrarono per un secondo, seri, Susan ancora arrabbiata, Peter
inattesa che
la sorella calmasse i bollenti spiriti, il tutto sotto lo sguardo
stranito di
Caspian che faceva balzare lo sguardo da uno all’altro come
se stesse
assistendo ad una partita di tennis.
Infine
Susan ispirò profondamente e girò di scatto la
testa, come se cercasse una
verità nascosta nelle pareti di pietra.
Peter
le posò una mano sulla spalla e parlò con tono
calmo ma deciso. “Ho avuto anche
io le tue stesse preoccupazioni e ce le ho ancora, ma non sono motivi
sufficienti per prendersela con Cathrine. Ragiona, è
unicamente una ragazza di
diciassette anni sola, con poteri che non capisce nemmeno lei, in una
terra
straniera. Quale minaccia pensi che possa incarnare? Ha bisogno del
nostro
aiuto”
Susan
abbandonò la sua posa sostenuta e incurvò le
spalle, come se le parole di Peter
l’avessero caricata di un peso immane.
Lo
guardò quasi affranta, l’espressione arrabbiata
del tutto cancellata dai suoi
lineamenti. “Hai ragione, ma non posso far a meno di pensare
che possa essere pericoloso.
E non parlo di lei ma di tutta la situazione, di quello che
può comportare
darle asilo qui. Peter, sai anche tu che quasi certamente la donna che
ha visto
era lei. Voleva la ragazza, Aslan evidentemente glielo ha impedito ma
ciò non
vuol dire che non ci riproverà”
“E
cosa proponi di fare, di lasciarla alla sua mercé? Se
davvero la sta cercando
deve rimanere a maggior ragione qui.” Ribatté
deciso.
Susan
sospirò contrariata. “Sono sicuro che Aslan
avrebbe voluto così e io per primo
non intendo lasciarla sola. D’ora in poi è sotto
la nostra protezione, qui sarà
al sicuro” proseguì piccato lui.
Susan
tentennò ancora un momento prima di cedere.
“D’accordo, tanto non riuscirei a
farti cambiare idea se insistessi. Però teniamo tutti gli
occhi aperti, Peter
dobbiamo già combattere contro Miraz, non possiamo lottare
pure contro lei, ne
usciremmo sconfitti”
“Scusate,
io continuo a non capire. Chi è che
le sta dando la caccia? Di chi avete paura?”
Caspian,
rimasto in disparte finora nella vaga speranza di far luce sulla
situazione
tramite le loro parole, decise di esporre direttamente il suo
interrogativo. Da
bisticcio dei due aveva ricavato solo un’immensa confusione
mentale.
Peter
lo fissò dritto negli occhi, ma fu Susan che con un ringhio
soffocato sputò la
risposta, una parola innocente che rappresentava la persona
più pericolosa per
la libertà di Narnia. “Jadis”.
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Capitolo 6 *** 5_Non ti vogliono, è solo finzione ***
cappy 5
e Salve a
tutti!!!!
Inanzitutto
vorrei scusarmi per il ritardo con il quale ho aggiornato, volevo
postare molto prima ma non riuscivo a finire di scrivere il cappy causa
scuola, mi hanno sommerso di verifiche sigh!!! Cmq alla fine ce l'ho
fatta e ta-daaan! Ecco qui il 5 cappy, spero che vi piaccia^^ la storia
inizia ad entrare più dal vivo ed iniziano ad evolversi i
rapporti tra i vari personaggi ^^ ditemi cosa ne pensate ^^ un bacio
grande a tutti!
Ringraziamenti:
ranyare:
Grazieeeeeeeee ^^ *me commossa* sei troppo buona a
darmi tutti questi complimenti ^^ grazie di cuore ^^ e sn stra felice
che la storia ti piaccia :-)!!!!!! Anche a me nn piace molto la Susan
del film difatti me la immagino più tosta, è la
regina di Narnia, deve farsi valere e deve adoperarsi per il suo popolo
secondo me^^! Io preferisco Peter (nn si era notato vero? hihihhih!)
perchè ho la fissa per i biondi e mi piace troppo
il suo animo immacolato da cavaliere ^^ però nn mi dispiace
affatto neanche Caspian infatti al cinema i miei occhi balzavano dal
volto di uno al volto dell'altro come se stessi seguendo un incontro di
tennis hihihih, quindi per la gelosia quando gli vengono assegnate
eventuali partner ti posso capire :-)! Sn davvero molto contenta che tu
mi abbia recensito, grazie milleeeee *me con la lacrimuccia che legge
felice la tua recensione*^^ spero che ti piaccia anche qst cappy ^^ ti
mando un bacio grande^^
QueenBenedetta:
grazie infinite anche a te cara Queen^^ ci ho messo un po'
però alla fine sn riuscita a postare il nuovo cappy ^^ fammi
sapere se ti piace :-) ti invio un grande kiss ^^!
Grazie
anche a chi l'ha solo letta, mando un bacio a tutti ^^
vi auguro
buona lettura e spero che commentere il nuovo cappy
kisskisses
68Keira68
5_“Non
ti
vogliono, è solo finzione”
Devi
andare via
Perché?
Non ti
vogliono, è solo finzione
Come
mai dici così? Mi trattano tutti bene
Perché
ti vogliono solo usare, come
tutti gli altri, scappa
Non
ti credo
Sei una
sciocca, lui è malvagio
Ti
sbagli
È
crudele, non gli importa di te
No!
Sei una
stupida, ti farà del male, ti userà
e butterà via, non hai trovato nulla, sei ancora sola e lo
sarai per sempre
“BUGIARDA!”
Mi
ritrovai seduta sul letto, la fronte imperlata di sudore e ansante.
Di
nuovo quella voce, sempre lei. Ormai mi ero abituata alle sue visite,
le
aspettavo, ma nonostante ciò non potevo impedire al mio
fisico di restare
spossato dopo ogni dialogo. Specialmente quando la discussione si
faceva attiva
come questa volta. Avevo sperato di conoscerla di persona una volta
attraversato il varco, ma quando questa mia speranza non si era
realizzata,
avevo temuto di perdere anche i miei colloqui mentali. Sapere che mi
sbagliavo
era un sollievo. Avevo ancora tante cose da chiederle, tante domande
alla quale
non aveva dato una risposta. In più rimaneva ancora
l’unica persona dotata di
poteri simili ai miei che avevo conosciuto finora. Non potevo
permettermi di
perdere questo contatto.
Rimuginai
sul dialogo appena avuto. Non riuscivo a comprenderne il senso. Non che
fosse
una novità, a quella donna piacevano le frasi criptiche a
quanto pareva, ma
questa volta era stata più evasiva del solito. Aveva saputo,
in qualche modo a
me ignoto, che ero stata ospitata dai re di Narnia, eppure
ciò, invece di
renderla contenta come secondo me avrebbe dovuto, l’aveva
fatta arrabbiare. Mi
aveva consigliato addirittura di scappare, ma ciò era
letteralmente senza
senso. Ero al sicuro tra persone che mi accettavano, non era simile a
quello
che mi aveva promesso lei? Non era anche per quello che avevo accettato
di
lasciare Londra? Perché mai non doveva essere
d’accordo? Senza contare che non
si era nemmeno degnata di esplicitarmi le sue ragioni. Come poteva
criticare
Peter se non lo conosceva nemmeno, senza aver visto con quale cortesia
mi aveva
trattata finora?
Il
rumore della porta mi distolse dai miei pensieri.
Girai
di scatto la testa e scorsi un’esile figura che mi fissava
curiosa dalla soia.
Era una bambina sui dieci anni, con lunghi capelli castani e occhi
grandi e
color nocciola. Mi sorrideva colpevole, probabilmente mi stava fissando
già da
un pezzo.
Ricambiai
il sorriso con dolcezza, invitandola ad entrare. Non se lo fece
ripetere due
volte e piombò dentro la stanza, sedendosi sul bordo del
letto.
“Ciao,
tu sei Cathrine, giusto? Io sono Lucy” si presentò
allegra. Aveva una voce
squillante e infantile, adatta alla sua età.
“Piacere,
si sono io. Tu devi essere la sorella di Peter e Susan”
chiesi, cercando di
ricordare la conversazione con Peter sulla sua famiglia, leggermente
sorpresa
dai modi espansivi della bambina.
Lei
annuì. “Il tuo nome è sulla bocca di
tutti. Per questo sono qui, ero curiosa di
conoscerti” proseguì concitata, neanche fossi una
star televisiva.
La
guardai confusa. Io, famosa?
“In
che senso scusa?”
“Peter
ha detto che ospitiamo una giovane strega ma che non sei
pericolosa” mi spiegò
in breve e con semplicità, come se fosse la cosa
più naturale del mondo avere
in casa una strega. La sua scioltezza mi lasciò di stucco
però non potei non
esserne contenta.
Quindi
Peter aveva lanciato la bomba. Meno male che mi ero persa gli effetti
della
rivelazione. Però se ne era uscito solo un mega pettegolezzo
forse non mi
avrebbero messa al rogo, il che era positivo.
Gli
occhi attenti di Lucy mi fissavano curiosi e solari. Quella ragazzina
irradiava
simpatia da tutti i pori, era impossibile resisterle. Si era
catapultata nella
mia stanza e senza molte remore si stava accomodando tranquillamente
sul mio
letto, facendo cigolare tutte le molle. E io che mi facevo
chissà quali
problemi quando mi trovavo con una persona sconosciuta, avrei dovuto
prendere
esempio dalla bimba.
“E
cosa si dice esattamente?” mi informai.
“Sono
tutti increduli, non si vede una strega da un sacco di tempo da queste
parti
sai?”
“Bhé,
ta-daan!” scherzai allora facendo un mezzo inchino. La bimba
rise di nuovo, poi
continuò a fissarmi. Voleva pormi una domanda, le leggevo
una muta richiesta
negli occhi, però non aveva il coraggio di esporla a voce.
Decisi di venirle
incontro.
“Vuoi
chiedermi qualcosa?” la incitai disponibile.
Colse
l’occasione al volo. “Io…mi domandavo se
potevi farmi vedere qualche magia”
confessò, con voce volutamente angelica.
Questa
volta fui io a ridere sollevata. Era la prima volta che mi capitava una
cosa
simile. Tutti quelli alla quale avevo mostrato le mie
capacità sembravano
terrorizzati, lei invece voleva vedere un incantesimo. La accontentai
subito.
“Ma
certo”
Misi
le mani a coppa e feci confluire l’energia
all’interno della piccola conca. Era
una magia facile, non richiedeva una grande concentrazione. Quando
aprii le
mani una piccola sfera si librò in aria.
Vedere
il volto di Lucy illuminarsi dallo stupore e dalla gioia mi
scaldò il cuore. Le
piaceva, la mia magia piaceva a qualcuno, procurava
felicità. Incredibile.
“Puoi
farle cambiare colore?” mi chiese, senza perdere di vista la
sfera.
“Sicuro”
Con
uno schiocco di dita feci diventare il globo rosso, poi blu, verde,
giallo,
azzurro, viola.
La
bambina batté le mani entusiasta e io decisi di continuare
l’esibizione.
Trasformai la sfera in un fiore e poi lo moltiplicai, fino a riempirne
la stanza.
Ogni petalo era di una tonalità diversa e la corolla era
luminosa. Questo mandò
letteralmente in visibilio Lucy.
“Fantastico,
sei bravissima!” si complimentò.
Risi
di nuovo. “Esagerata, è solo un piccolo
incantesimo” mi schernii io.
“Devi
farlo vedere anche a Susan e gli altri, sono certa che gli
piacerà” poi ad un
tratto parve ricordarsi di una cosa. “A proposito, ero venuta
anche per
portarti questo” e mi porse un involucro colorato che prima
non avevo
osservato.
“Grazie”
la presi e iniziai a srotolarlo per capire cos’era. Una volta
riportato alla
forma originaria rimasi sorpresa. Era un vestito simile a quello che
aveva
Susan, molto probabilmente cucito a mano e interamente ricamato.
“Era
mio” mi spiegò Lucy “sai,
l’ultima volta che siamo stati qui ero molto più
alta, ma ora che sono tornata piccina non mi va più. A te
dovrebbe andare bene,
così puoi toglierti i vestiti che hai addosso, Susan mi ha
detto che sono
strani”
Non ha
peli sulla lingua, pensai ilare.
“Sono
del 2009, vanno molto di moda da dove vengo io”. Poveri
jeans, tanto amati nel
2000 e tanto criticati ora. “Però grazie mille, il
vestito è davvero…stupendo”
aggiunsi, continuando a guardare l’abito entusiasta. Non
vedevo l’ora di
provarlo, difatti balzai giù dal letto, decisa ad indossarlo
subito.
Lucy
dovette comprendere le mie intenzioni perché si propose di
aspettarmi fuori
dalla porta senza che le dicessi nulla. La osservai saltellare fuori
dalla
stanza, leggera come era entrata. Quella bambina era davvero dolce, la
conoscevo da meno di due minuti eppure l’avevo già
presa in simpatia. Iniziavo
a pensare che ero caratterialmente compatibile con tutti i membri della
famiglia Pevensie.
Mi
liberai dei jeans e della maglietta e infilai il vestito medioevale.
Lucy aveva
ragione, era della mia misura fortunatamente.
Lisciai
le pieghe della gonna e mi guardai attorno in cerca di uno specchio. Lo
trovai
sopra la cassettiera e mi ci avvicinai.
Era
davvero bello. Rosa antico, con una scollatura a cuore e senza
spalline. Le
maniche a tre quarti avevano una fine amplia e morbida e il corpetto
rigido
aveva dei ricami a forma di fiori che finivano all’altezza
della vita, lì dove
iniziava la lunga e amplia gonna. Il vestito mi segnava i fianchi ma il
corpetto era peggio di qualsiasi reggiseno avessi mai provato. Mi
faceva la
vita più sottile di quello che era ma il prezzo era non
respirare. Come
facevano a sopportarlo? Avrei dovuto chiedere qualche dritta di
sopravvivenza a
Susan. Anche se, guardandomi bene, dovevo ammettere che mi aumentava
anche di una
taglia di seno. Forse potevo fare a meno di cose superflue come
prendere aria
dopotutto…
L’unica
nota stonata erano le mie scarpe. Le All Star non si intonavano
decisamente
alle gonne lunghe. Pazienza. Ma mentre formulavo questo pensiero il mio
sguardo
cadde su un paio di ballerine rosa scuro adagiate sul letto. Sorrisi,
Lucy
aveva fatto le cose per bene.
Mi
sfilai le scarpe e indossai le ballerine. Mi stavano leggermente larghe
ma
riuscivo a camminare senza difficoltà. Poco male. In
compenso la visione d’insieme
era nettamente migliorata, le scarpe di Lucy erano perfette sotto
quest’abito.
Mi
diressi verso la porta e la aprii, facendo cenno alla bambina di
entrare.
“Fantastica!
Stai davvero bene” si complimentò.
“Grazie”
Non
potei trattenermi dal fare una mezza piroetta su me stessa per vedere
la gonna
gonfiarsi. Avevo superato l’età
dell’infanzia, ma avevo visto farlo in troppi
film e cartoni per non provarlo a mia volta ora che ne avevo
l’occasione.
L’effetto fu proprio quello desiderato. Il tessuto della
gonna si allargò
andando a formare un cerchio rosa, facendo balenare nella mia mente
l’immagine
di Anastasia che ballava in mezzo alle persone che prendevano vita dai
quadri.
“L’ho
fatto anche io le prime volte” mi confessò Lucy,
facendomi l’occhiolino. Io le
sorrisi complice.
“Però
ti manca ancora qualcosa, aspettami qui”
Non
riuscii a chiederle nemmeno cosa intendeva che era già
volata via dalla stanza.
Quella bambina era un piccolo terremoto. E a dimostrazione di
ciò la vidi
tornare dentro in meno di mezzo secondo armata di spazzola e una serie
innumerabile di nastrini. Iniziai a preoccuparmi, mi aveva presa per
un’enorme
bambola per caso?
“Hai
i capelli che sono un disastro, assomigliano ad un cespuglio”
Ripeto:
viva la sincerità!
Lanciai
un’occhiata di sbieco allo specchio per constatare se avesse
ragione o no.
Purtroppo per me dovetti ammettere che forse era stata fin troppo
gentile.
Prima, presa nell’osservazione dell’abito non
l’avevo osservato, ma adesso notavo
la mia capigliatura. Altro che orrenda, i capelli erano tutti arruffati
e
intrecciati, l’immagine del cespuglio calzava a pennello.
“Tranquilla,
dammi un nano minuto e ti sistemo” mi assicurò
Lucy.
Speriamo
in bene,
pensai invece io vedendola avvicinarsi brandendo
pericolosamente la spazzola. Tanto peggio di così i miei
capelli non potevano
essere…
*
“Non
dirmi che sei preoccupata”
Due
occhi castani, con le sopraciglia leggermente incurvate, fissarono un
principe
alto e avvenente.
“Susan,
sinceramente, ora che mi hai raccontato tutta la storia, non credo tu
debba
darti pensiero per quella ragazza. Peter ha ragione”
proseguì Caspian.
La
regina sospirò. “Non è per Cathrine,
sono convinta che non sia pericolosa e ora
penso anche io che sia giusto darle asilo qui. Ho solo paura che Jadis
possa
tornare” gli confidò. Erano appoggiati alle
colonne dell’ingresso. L’aria
fresca della sera accarezzava delicato il viso di Susan, rivolto
all’insù per
godere della bellezza del cielo primaverile. Era il momento della
giornata che
preferiva, quando il cielo prendeva quella particolare
tonalità blu cobalto,
non più giorno ma nemmeno sera, e qua e là
iniziavano a spuntare le prime
stelle.
Caspian
sospirò, poi la guardò serio prima di appoggiarle
una mano sulla spalla, come a
volersi assicurare la sua totale attenzione. “Ascoltami,
anche se dovesse
accadere, non ci troverebbe impreparati. Tu e i tuoi fratelli siete
riusciti a
sconfiggerla in passato e ci riuscireste anche questa volta. Siete
forti e
avete un intero esercito che vi seguirà ovunque.”
Susan
gli sorrise mesta. Considerando che la conosceva da così
poco tempo, era
davvero molto dolce da parte sua preoccuparsi per lei.
D’istinto alzò una mano.
Il bisogno di accarezzargli il volto in segno di riconoscenza era nato
in lei
spontaneo. Ma a metà strada si bloccò. Cosa stava
facendo? Tutta questa assurda
situazione doveva averla mandata in confusione! Deviò la
direzione della sua
carezza e gli strinse il braccio, in un muto ringraziamento. Caspian le
regalò
un sorriso aperto. Non doveva essersi accorto del piccolo dibattito
interiore
avvenuto in lei per fortuna.
“Comunque
non saremo mai abbastanza per fronteggiare sia Telmar che la
strega”
Rivolse
il suo sguardo verso l’interno della fortezza
finché i suoi occhi non si
posarono su una chioma bionda. “Senza contare che Peter
sembra essere talmente
preso dal suo ruolo di cavaliere da aver dimenticato la corona che
porta in
testa” esordì alla fine con tono di rimprovero.
Caspian
aggrottò le sopraciglia. “Non sono
d’accordo. Ricordati che tuo fratello è
stato ed è un grande re perché ha sempre
governato con il cuore. La gente lo ama
proprio perché si prende a cuore ogni persona che incontra
ed ogni causa. Non
accusarlo ingiustamente”
“Non
fraintendermi, questo lo so bene. Spero solo che ogni tanto oltre al
cuore
governi anche con la testa o qui finirà male,
credimi”
“Bhé
ma per questo ci sei tu. Vi bilanciate alla perfezione” la
prese in giro il principe.
Susan
rise. “Forse hai ragione.” Un ghigno furbo
incurvò le labbra della regina,
espressione che non passò inosservata a Caspian.
“Tu
hai in mente qualcosa vero?” chiese sospettoso.
“Forse.
Solo una mezza idea. Una nuova alleata che potrebbe rivelarsi molto
utile se
vorrà aiutarci.” Disse teatrale.
“E
chi sarebbe?”
“Lo
vedrai stasera. Ho convocato una riunione dopo la cena” gli
strinse ancora una
volta il braccio prima di congedarsi con un sorriso, lasciando il bel
principe
ad arrovellarsi sulla sua ultima affermazione.
*
“Davvero
Lucy, credi sia una buona idea?”
Eravamo
sul mio letto a parlare da ormai un’ora. O meglio io parlavo,
Lucy trafficava
con i miei capelli felice di aver acquisito un nuovo giocattolo.
“Ma
certo, sei bellissima Cathrine”
“Grazie
Lucy ma non è l’acconciatura a preoccuparmi al
momento”
La
bambina mi guardò come se le avessi fatto un torto mortale.
Davanti a quella
espressione buffa non potei che scoppiare a ridere, cosa che la
irritò ancora
di più.
“Scusa,
senza nulla togliere alla tua opera, temo quello che diranno quando mi
vedranno
scendere.” Le confidai, abbassando il tono di voce.
Lucy
smise si lavorare sui miei capelli per un secondo. “E cosa
dovrebbero dire
scusa?”
Sbuffai.
“Per esempio: una strega una strega! Prendetela, al
rogo” scimmiottai.
Lucy
mi diede una piccola spinta scocciata sulle spalle. “Non dire
stupidaggini. Te
l’ho detto, nessuno a parlato di roghi o decapitazioni, stai
tranquilla”
“Però
hai detto che ero sulla bocca di tutti. Possibile che ogni persona
l’ha presa
bene?”
Non
riuscivo a credere che un segreto che avevo tenuto nascosto
così a lungo
venisse accolto con così largo consenso.
“Bhé…”
la voce titubante di Lucy mi fece drizzare le orecchie. Forse avevo
parlato
troppo presto. “Non hanno subito fatto i salti di gioia
effettivamente, sai il
ricordo del regno della strega brucia ancora in molti cuori nonostante
siano
passati secoli.” Fece una pausa.
“E…?”
La incoraggiai, iniziando a preoccuparmi.
“La
maggior parte di noi quando ha capito che eri brava ha accettato la
novità,
davvero. Solo alcuni sono rimasti più titubanti. Hanno detto
che non si
sarebbero fidati. Però hanno giurato che non ti avrebbero
fatto alcun male e
che ti avrebbero lasciato in pace. E poi sono solo una piccola
percentuale, sul
serio” cercò di minimizzare
Tirai
un grande sospiro. Bhé, tutto sommato era andata bene se
Lucy aveva detto la
verità. “E Susan e Caspian?”
“Per
Caspian non ci sono problemi, anche se lui non essendo di Narnia non ha
mai
avuto nulla contro le streghe. Susan è stata un
po’ più restia per…
ecco…” si
interruppe come per cercare le parole adatte. Poi riprese cambiando
frase “ma
ora è tutto a posto. Ha detto che sei la
benvenuta” concluse sorridendo.
L’affermazione lasciata a metà di prima mi
incuriosì, ma decisi di non darci
peso.
“Bene,
ora si scende. È pronta la cena, è inutile che
rimandi ancora” esclamò Lucy
allegra, lasciando completamente da parte il discorso appena avvenuto.
Quanto
avrei voluto avere la sua spensieratezza… Decisi che potevo
cercare almeno di
imitarla.
Mi
stampai un bel sorriso in faccia e mi alzai dal letto. Gettai una
rapida
occhiata allo specchio per guardare il lavoro di Lucy. Era stata brava,
era
riuscita a lisciare i nodi dei capelli e a ridargli la forma
originaria. Poi
aveva preso due ciocche, una per ogni lato, e le aveva legate indietro,
lasciando il resto dei boccoli ricadere ribelli sulle spalle.
“Andiamo”
dissi, affidandomi alla vivace ragazzina di dieci anni che mi sorrideva
sincera.
Speriamo
in bene…
*
Affollamento.
La prima sensazione che ebbi entrando nella sala da pranzo, guidata
passo per
passo da Lucy, fu quella di affollamento, anche se non era certo che
suddetta
impressione fosse data dall’eccessivo numero di creature
nella stanza o dalla
loro mole imponente che occupava ogni spazio. Il risultato era comunque
uguale.
Mi
sentivo quasi di soffocare, c’erano più persone
lì che alla Queen’s!
C’era
una grande tavolo in legno a forma di U che occupava tutta la sala. Si
beveva,
si mangiava e si scherzava, molti erano in piedi, qualcuno accennava a
qualche
mossa con la spada o recitava barzellette per far ridere gli amici.
Mossi
un passo verso l’interno, pronta a procurarmi un gran mal di
testa per colpa
del vociare perforante e assoluto che vi regnava. Un secondo dopo
però cambiai
idea. Forse non mi sarebbe venuto il mal di testa. In un secondo
infatti
un’unica voce tuonante fece zittire tutte le altre con una
semplice frase: “è
qui” due sillabe capaci di ammutolire dei centauri. Come un
sol uomo tutti gli
occhi della sala furono puntati su di me. Mi si bloccò il
respiro. E adesso?
Calma,
regola i battiti del cuore. Fingi
di essere ancora a scuola, eri fissata sempre anche lì, non
è molto diverso. Pensai per farmi forza. Cercai di
non soffermarmi sul
dettaglio che i miei compagni di classe non avevano né corna
né zoccoli.
Due
secondi dopo gli sguardi erano ancora puntati su di me. La mia
espressione era
impassibile. La maschera che mi ero costruita in molti anni era dura da
buttar
giù, a quanto pareva sopportava anche le creature
mitologiche. Però oltre alle
occhiate si erano aggiunti anche i brusii. Mi guardavano e poi
bisbigliavano,
cosa che non avevo mai sopportato. Scorsi espressioni basite, alcune,
la
maggior parte, erano semplicemente sorprese, altre curiose. Altre
ancora
invece, con mia grande preoccupazioni, erano diffidenti o, peggio,
aggressive.
Constatai però che Lucy aveva detto il vero. Gli sguardi
dell’ultima categoria
erano la minoranza.
Al
terzo secondo un giovane biondo e atletico venne nella mia direzione.
Peter mi
parve un’ancora di salvezza.
Mi
si accostò e mi sorrise aperto. “Sei stupenda. Gli
abiti di Narnia ti donano più
dei tuoi pantaloni sai?” si complimentò, incurante
delle occhiate di fuoco che
si era procurato presso i presenti.
Decisi
che se lui poteva ignorare tutto e tutti con tanta nonchalance potevo
farlo
anche io. Cercai di ridere spigliata al suo riferimento ai miei jeans e
lo
ringraziai per il complimento.
Davvero
un ottimo lavoro, sedici anni di
recitazione danno i suoi frutti se riesco a simulare una risata vera in
simili
condizioni.
“Lucy
hai fatto un ottimo lavoro. Spero non ti abbia fatto impazzire, non ti
ha usata
come una bambola vero?” aggiunse poi rivolto a me.
A dire
il vero si.
Sarebbe stata la verità, però dopo tutta
l’opera
svolta mi sentii in dovere di difenderla. “No, è
stata molto brava”
“Il
solito sospettoso!” si lagnò la bimba facendo
ridere il fratello.
“Avrai
fame, vieni, ti accompagno al tuo posto”
Mi
porse il braccio, da vero gentil’uomo, e si fece largo tra
gli sguardi allibiti
e curiosi dei presenti.
Mi
condusse dall’altro capo della sala, per prendere posto nella
tavolata in
centro, alla destra di una sedia più alta rispetto alle
altre che presunsi
fosse la sua.
Ci
accomodammo entrambi, sempre sotto gli occhi attenti del nostro
pubblico, e
solo quando sia lui che io iniziammo a parlare e cenare come se niente
fosse,
impresa solo apparentemente facile quando hai più di
cinquanta pupille che ti
perforano la nuca, a poco a poco ognuno tornò alle proprie
occupazioni,
limitandosi a lanciare qualche occhiata di sottecchi come ad accertarsi
che me
ne restassi seduta buona buona e non iniziassi a lanciare fulmini e
saette.
Non
sentire più il peso dei loro occhi fu un sollievo.
“Mamma
mia, temevo non la smettessero più” bisbigliai,
accennando un sorriso
allietato.
“Tranquilla,
si abituano presto alle novità, dagli tempo, tra poco ti
accoglieranno a braccia
aperte, fidati” mi assicurò Peter.
“Certo,
come no” sussurrai sorridendo mesta.
Lui
si accorse della mia espressione e mi diede un buffetto sulla guancia.
“Ehi,
niente facce tristi, intesi? Ti ho promesso sicurezza e accoglienza ed
è quello
che avrai”
Come
potevo negargli un sorriso sincero se mi parlava con un tono
così dolce?
“Ecco,
così mi piaci, allegra” ridemmo tutti e due,
procurandoci di nuovo qualche
occhiata storta.
“Peter,
Cathrine” la sorella di Peter, Susan, ci raggiunse con passo
di marcia.
“Susan”la
salutai cercando di essere il più cortese possibile. Lucy mi
aveva detto che
aveva avuto qualche difficoltà in più degli altri
ad accettarmi, era meglio
procedere con cautela in sua presenza.
“Susan,
dov’eri finita? Noi abbiamo già iniziato”
“Stavo
organizzando una riunione per stasera” spiegò
professionale.
“Una
riunione?” ripeté sorpreso Peter.
“Si,
sai credo che alcune novità vadano discusse con i generali,
in modo da chiarire
meglio la situazione. Ad alcuni non sono bastate le tue parole
sbrigative sulla
nostra ospite. Vogliono conoscerla da più vicino”
Alle
sue ultime parole quasi mi strozzai con un boccone di una bistecca.
Afferrai al
volo un bicchiere d’acqua per evitare un soffocamento, eppure
la sensazione di
non avere aria a sufficienza non se ne andò nemmeno una
volta deglutito.
“Cathrine,
tutto bene?”
“Si…coff…sto
bene, grazie.”
“Per
te non è un problema vero Cathrine?” si
informò Susan, guardandomi anche lei
preoccupata.
Da
come mi squadravano apprensivi dovevo essere diventata blu. Era meglio
se mi
affrettavo a rispondere, anche se avrei voluto pronunciare una frase
del tutto
opposta a quella che dovevo dire.
“No
problem, la trovo una richiesta ragionevole da parte loro”
Susan
mi sorrise soddisfatta. “Bene, anche perché ti
riguarda direttamente anche il
secondo punto dell’ordine del giorno”
rivelò.
Iniziai
di nuovo a sudare freddo. Di cosa stava parlando?
“E
quale sarebbe?” a giudicare dalla domanda, Peter doveva
saperne quanto me.
Questo mi diede un po’ di conforto.
“Lo
vedrete. Ora se volete seguirmi, la riunione inizia di là
tra circa cinque
minuti. I generali, Caspain, Lucy e Edmund ci stanno
aspettando”
Lucy? pensai tra me e me. Feci scorrere
lo sguardo sulla tavolata.
Effettivamente non c’era, non me ne ero nemmeno accorta, ero
convinta fosse
seduta qualche posto più in là.
“Arriviamo”
Peter si alzò e si diresse verso un’apertura in un
angolo in fondo alla sala.
Io mi affrettai a seguirlo. Tra subire il terzo grado ed essere alla
mercé di
minotauri preferivo di gran lunga il terzo grado. Anche
perché almeno lì c’era
Peter, il mio porto sicuro.
Imboccammo
uno stretto corridoio illuminato da una serie di torce appese al muro.
Con
meraviglia notai che la parete in pietra era decorata con dei graffiti.
Mi
fermai ad ammirarne uno. Raffigurava due ragazzi e due ragazze accanto
a quelli
che sembravano troni. Le due ragazze e uno dei due ragazzi erano mori,
mentre
il ragazzo più alto aveva i capelli dorati come la corona
che portava sul capo.
La comprensione arrivò immediata.
“Siete
voi” sussurrai, sfiorando con delicatezza il disegno.
Peter
mi si accostò “Si, noi la prima volta che siamo
stati qui. Questo è il momento
della nostra incoronazione” avevo avvertito davvero una nota
malinconica nella
sua voce?
“Quindi
questi graffiti hanno più di milletrecento anni?”
chiesi stupefatta.
“Esatto”
“Ah”
guardai di nuovo ammirata la parete. “Fa un certo
effetto.” Peter mi guardò
accigliato. “Insomma” mi affrettai a spiegare
“Tu sei qui accanto a me, ora,
mentre questo disegno di raffigura in una scena avvenuta milletrecento
anni fa,
e tu non sei minimamente cambiato. È strano”
Mi
sorrise comprensivo. “Si, fa un certo
effetto anche a me” condivise.
Proseguimmo
per il corridoio. Ogni tanto ci fermavamo per commentare qualche
graffito in
particolare. Da quel che aveva compreso raccontavano le principali
avventure
che avevano vissuto al loro primo arrivo. Mi illustrò il
ritratto di un certo
signor Tumnus, un caro amico di Lucy, dei coniugi Castoro, dei Doni di
Babbo
Natale e di Cair Paravail, il loro palazzo costruito su infinte colonne
e con
una cupola di vetro. Una scena in particolare catturò la mia
attenzione. Era un
altro palazzo, bianco come la neve e situato su un’altura.
Sembrava fatto di
ghiaccio. Lo fissai incantata. Era stupendo, con le guglie alte fino al
cielo,
bello, imponente e…inspiegabilmente famigliare. Mi sorpresi
di quest’ultima
sensazione, eppure ero certo che lo avevo già visto da
qualche parte, molto
tempo fa. Ma di certo era solo una sensazione, dubitavo che in
Inghilterra esistessero
castelli del genere.
“Questa
è la vostra residenza estiva?” scherzai
rivolgendomi a Peter, poco più avanti. Peter
mi sorrise divertito “Non abbiamo residenze
estive…” ma le sue parole si
interruppero appena videro ciò che stavo guardando. Per un
secondo riapparve
quell’espressione sconvolta che mi sembrava aver colto anche
quel pomeriggio.
Ma di nuovo scomparve prima di darmi la certezza che ci fosse stata.
“Mi
ero dimenticato di questo graffito” osservò piatto.
“è
molto bello”
“Preferisco
Cair Paravail.” Mi rispose laconico. L’improvviso
sbalzo d’umore non mi
piacque. Cercai di cambiare discorso.
“Sai,
credo dovremmo raggiungere Susan, ci stiamo facendo attendere
troppo” tentai.
Parve funzionare.
“Si,
meglio non farla arrabbiare, credimi. Vieni” e mi
afferrò la mano, facendo
tornare l’espressione cordiale di poco prima.
Chissà perché quel semplice
disegno gli aveva provocato quella reazione. Forse avevo toccato un
tasto
dolente senza volerlo… mi ripromisi di non tornare
sull’argomento, non mi piaceva
quando le sue labbra non mi sorridevano più.
Presa
dai miei ragionamenti non mi accorsi della sua mano che stringeva la
mia.
Quando ciò avvenne la reazione fu istantanea. Il sangue si
concentrò tutto
sulle gote, sentivo la faccia in fiamme e la mano che lui teneva
ardeva. Mi
diedi mentalmente della sciocca, avevo avuto una reazione da dodicenne.
La
sorpresa di avere un contatto improvviso mi aveva fatto arrossire, che
stupida…
*
La
galleria conduceva in una stanza rettangolare molto ampia e illuminata
da una
serie di fiamme che brillavano adiacenti al muro. Appena entrammo, un
orso, due
minotauri e due centauri, che delimitavano il perimetro della stanza, e
Caspian, Susan, Lucy e un altro ragazzo accomodati, chi sopra chi
accanto, ad
un grande blocco di pietra spaccato a metà, tacquero
all’istante, rivolgendo la
loro attenzione a noi. Fantastico, era la seconda volta nel giro di
un’ora che
venivo vivisezionata con lo sguardo.
Fortunatamente
però non durò a lungo, in quanto il ragazzo alto
e bruno a me ancora
sconosciuto mi si avvicinò con la mano tesa e un sorriso
aperto sul volto.
“Ciao,
tu sei Cathrine vero?” mi salutò con un timbro di
voce più baritonale di quello
che a prima vista gli avrei attribuito. Non doveva essere molto
più grande di
Lucy ad occhio e croce.
Gli
strinsi la mano. “Si, sono io.” Ripetei per
l’ennesima volta quella giornata.
“Tu invece sei…?”
“Edmund,
il fratello minore di Peter” si presentò
accennando con il capo a Peter.
Dunque
lui era l’ultimo dei Pevensie, ora li conoscevo tutti, e dai
modo educati con i
quali si era presentato potevo confermare la mia teoria. I Pevensie
dovevano
avere la cortesia nel sangue.
“Piacere
di conoscerti”
“Piacere
mio”
“Mi
piacerebbe fosse un piacere condivisibile” una voce possente
rimbombò nella sala
come un ringhio.
O
è un minotauro o è un centauro. Scommisi tra me e me. Mi volsi
verso la fonte
dell’esclamazione. Bingo, era un minotauro.
“Lo
sarà presto Morris, uno dei motivi per cui ho indotto la
riunione è proprio
quello di farvi conoscere l’ultima arrivata” Susan
venne in mio soccorso.
“Che
si presenti dunque. Finora sappiamo solo come si chiama e che
è una strega. Per
il resto potrebbe anche essere una spia di Telmar”
proseguì Morris.
Morris,
Morris…il nome non mi è nuovo.
Non era forse…merda! In un lampo mi
ricordai del nome. Era il minotauro che avevo atterrato quel
pomeriggio.
Accidenti, proprio lui doveva partecipare alla riunione?
Chissà perché qualcosa
mi diceva che non era tra i miei fan…
“Calmati.
Ragiona, è una strega, non può lavorare per
Telmar quando quest’ultima è decisa
a cancellare le creature magiche dalla faccia della terra. Sarebbe
contradditorio non ti pare?” Peter mi difese a denti stretti.
“Esatto,
è poi Cathrine non è ancora coinvolta nella
guerra. Arriva da Londra, l’altro mondo,
come noi. Non sa nemmeno dove si trovi o cosa sia Telmar”
Susan si unì a Peter
nel prendere le mie parti.
Evvai,
per fortuna dalla mia avevo i Pevensie, Morris poteva fare ben poco
contro i re
e le regine.
“D’accordo,
forse non collabora con Telmar, ciò non implica che non sia
pericolosa”
Un
centauro imponente fece un passo avanti, esprimendo la propria opinione.
Anche
questa volta Peter e Susan stavano nuovamente per contrattaccare, ma
ritenni
più giusto prendere la parola. Avevo diciassette anni, non
potevo nascondermi
dietro due custodi, per quanto trovassi confortante l’idea di
averli.
“Non
farei mai del male a nessuno di voi.” Affermai cercando di
avere la voce più
ferma possibile. Non avevo mai avuto problemi a parlare davanti ad un
pubblico
però ora, dato che i miei ascoltatori non rientravano
propriamente nella norma,
ero sicura di iniziare a comprendere la così detta
“ansia da palcoscenico”.
Cercai di farmi forza indirizzando i miei pensieri sull’altra
metà del
pubblico, in particolare sul re. “Peter mi ha spiegato la
vostra situazione e
sono dalla vostra parte.” Conclusi decisa.
Le
due creature mi fissarono sospettose.
“Ci
dobbiamo fidare della parola di una sconosciuta quindi?”
riprese Morris.
Forse
oltre all’ansia da palcoscenico
potrei iniziare a provare anche l’istinto omicida…
“Per
me è più che sufficiente”
Tutti
ci girammo verso la fonte di quella frase a me favorevole. Con stupore
mi
accorsi che a parlare era stato un topolino vestito da moschettiere
abbarbicato
accanto a Lucy sopra il blocco di pietra.
“Per
favore, guardatela, è spaesata, si vede lontano un miglio
che non costituisce
alcun pericolo, come potete dubitarne? E poi il nostro re ha detto che
è sotto
la sua protezione, e questo dovrebbe bastare anche ai più
scettici mi pare. O
non ti fidi più della parola di re Peter, Morris?”
proseguì provocatorio il
roditore, sotto il mio sguardo sempre più sbalordito ma
anche riconoscente.
Con
mio sommo piacere notai che aveva messo il minotauro in
difficoltà con l’ultima
affermazione.
“Non
osare insinuare niente del genere, Ricipì. Il re ha la mia
piena e cieca
fiducia” si difese ufficioso.
“Bene,
allora vuol dire che non abbiamo più niente da discutere su
questo punto.” Lo
rimbeccò il topolino. Poi si rivolse a me, prendendomi in
contropiede. “Lady
Cathrine, io sono Ricipì, cavaliere di
Narnia a suo servizio” dopodiché tirò
fuori la spada e mi fece una profonda
riverenza.
Non
sapevo se ridere della buffa situazione o se comportarmi come se nulla
fosse.
Dal momento però che aveva preso le mie parti, optai per la
seconda.
“Lieta
di fare la tua conoscenza cavaliere Ricipì” e
accennai un inchino con il capo,
cercando di non pensare al fatto che mi stessi presentando ad un topo.
“Credo
possiamo passare al secondo punto dell’ordine del giorno
allora” ci richiamò
Susan, schiarendosi un poco la voce.
Quando
si fu assicurata di avere l’attenzione di tutti i presenti
cominciò il suo
discorso. In quel momento l’ammirai molto. Parlava fluida,
sicura di sé e delle
sue idee, conscia della sua posizione. Se avessi dovuto prendere il suo
posto
non avrei saputo da dove cominciare.
“I
nostri nemici sono alle porte, ogni giorno si avvicinano sempre di
più e Miraz
recluta continuamente nuovi soldati…”
illustrò la regina.
“Questo
lo sappiamo bene, Susan” la interruppe Edmund.
“Come
sappiamo che possiamo affrontarli, anche noi siamo in tanti”
commentò Morris
borioso.
“Si,
ma quello che non sapete” riprese irritata
dall’interruzione Susan “E che Miraz
potrebbe non essere l’unico nemico che dovremmo
affrontare…”
“Come?”
Tutti
i presenti la fissarono sconvolti e sorpresi. Tutti tranne i Pevensie e
Caspian. Notai che Peter alla mia destra si limitava a fissare in
cagnesco la
sorella. Chissà
perché…?
“Un’altra
minaccia? Regina, con il dovuto rispetto, ne siete sicura? Chi potrebbe
essere?”
Ricipì espresse i pensieri di tutti.
Susan
parve tentennare, d’un tratto meno sicura di come era stata
finora.
“Bhé,
noi…”
“Susan”
Peter la richiamò secco. La ragazza gli lanciò
un’occhiata veloce mordendosi il
labbro inferiore. Di nuovo mi sembrò di vedere passare tra
di loro un’occhiata
d’intesa ma…in un battito di ciglia era nuovamente
scomparsa. Forse dovevo
davvero andare in analisi…
“Noi
non sappiamo ancora con certezza chi o cosa sia purtroppo, ma abbiamo
ottime
ragioni di credere che presto Miraz non sarà più
il nostro unico problema”
concluse decisa.
“Ma
un’idea dovrete pur avercela.” Si intromise il
centauro.
Di
nuovo un’ombra di incertezza adombrò Susan.
“Solo vaga. Crediamo possa essere una
vecchia nemica ritornata per riprendere da dove aveva finito, ma per
ora non sappiamo
nulla di più”
“E
come possiamo costruire una difesa basandoci su
supposizioni?” la provocò
Morris. Forse mi ero sbagliata, Morris non era scorbutico con me
perché gli
stavo antipatica. Morris era scorbutico e basta.
“Purtroppo
se le nostre supposizioni sono corrette l’unica cosa che noi
possiamo fare e
tenerci pronti al peggio” gli rispose Caspian rigido.
“Ma
potrebbe non essere abbastanza, abbiamo bisogno di aiuto”
proseguì Susan,
ringraziando con lo sguardo il principe per il suo intervento.
“A
chi? Narnia non ha molti alleati di recente” fece osservare
il secondo
minotauro.
“A
noi basta l’aiuto di una sola persona, la stessa che avete
trattato tutti con
diffidenza ciechi come siete, ma che potrebbe rivelarsi la nostra unica
speranza.” Rispose Susan, che accanto al blocco di pietra
stava facendo
scorrere il suo sguardo sincero quanto determinato sui presenti,
soffermandosi
per ultimo su…di me.
Iniziai
a sentire caldo. Avevo una brutta sensazione. Anzi, una tremenda
sensazione, e
il formicolio che sentivo alla nuca, indice che molti altri ora mi
stavano
fissando, non mi aiutava affatto.
“Lei?”
Morris quasi ringhiò. Lo guardai storto per come mi aveva
appellata però da una
parte dovevo ammettere che ero in accordo con lui. Io?
“è
una strega, se imparasse ad usare al meglio i suoi poteri potrebbe
esserci di
grande aiuto contro Miraz in più potrebbe rappresentare la
nostra unica
speranza per il pericolo che arriverà”
spiegò concisa Susan.
No, no,
no. Ditemi che non sta
accadendo, che non sto sentendo quello che temo di sentire!
Deglutii
a vuoto più volte. Iniziai a sentirmi molto, ma molto male.
“Ma
non sappiamo nemmeno se possiamo fidarci di lei” irruppe il
centuaro.
“Questo
punto mi sembrava che l’avessimo già chiarito o
sbaglio?” lo rimbeccò Ricipì.
“In
più abbiamo ragione di credere che Aslan stesso ha portato
Cathrine da noi”
rivelò Caspian.
Quel
nome ebbe un effetto incredibile. Nell’aula piombò
un silenzio quasi religioso.
“Re
Aslan?” bisbigliò Ricipì, con gli
occhietti colmi di stupore.
“Esatto,
secondo noi voleva inviarci un aiuto” Susan si
voltò verso di me, sorridendo
per rassicurarmi, come se fossi una bambina.
La
sensazione di malessere aumentò a dismisura.
“Cathrine”
Susan parlò con voce calma ma decisa “Saresti
disposta ad aiutarci? Abbiamo
bisogno di te e dei tuoi poteri per vincere questa guerra. Non te lo
chiederei
se…” ad un tratto vedevo la sua bocca muoversi
eppure non riuscivo più a
comprendere il suo discorso. La mia mente era stata occupata da un
ricordo,
nitido quanto doloroso, da una voce cristallina che prediceva tutto
quello.
Mi
trattano tutti bene. Perché ti
vogliono
solo usare, come tutti gli altri.
Possibile
avesse ragione? Guardai il volto di Peter che mi stava accanto,
sperando di
trovare qualcosa che smentisse i miei pensieri. Ma i suoi occhi non
erano
puntati su di me, continuavano a fissare la sorella, il volto era una
maschera
contratta.
“Susan”
la richiamò per la seconda volta quella sera. Sembrava
arrabbiato. “Ti rendi
conto di quello che le stai chiedendo?” la sua voce era
misurata, come se non
volesse far trasparire il mare di emozioni che chiaramente gli si
leggeva negli
occhi azzurri.
Susan
lo guardò a bocca aperta, offesa. “Peter, abbiamo
bisogno della sua magia se
vogliamo sperare di uscire vittoriosi da questa faccenda. Deve
aiutarci”. Aveva
parlato lentamente, come se si rivolgesse ad un ritardato,
evidentemente
sorpresa che il fratello non la pensasse come lei.
La
reazione di Peter fu inaspettata e più decisa di quanto mi
aspettavo. Con un
passo annullò la distanza che ci separava e mi cinse la vita
con un braccio,
attirandomi a sé protettivo.
Senza
rendermene conto, sentii il suo corpo caldo aderire al mio e un
benessere
improvviso mi pervase. Mi strinsi a lui istintivamente, attratta dal
senso di
protezione che le sue braccia emanavano, dimentica che stavano
discutendo del
mio destino o dei minotauri pronti ad analizzare ogni mio gesto. Avevo
il mio
custode accanto, non dovevo preoccuparmi.
Sei una
sciocca, lui è malvagio. Ti sbagli.
Questa
volta potevo affermare di avere ragione.
“Lei
non è tenuta a fare niente che non desideri,
Susan.” Le sue parole furono quasi
un ringhio. Sussultai, finora aveva sempre usato un tono di voce calmo.
Susan
però non si fece intimorire. “E chi ti dice che
non lo desideri? Glielo ha
chiesto?” Peter esitò, la sorella lo aveva preso
in contro piede. “Ha detto che
sta dalla nostra parte, che ritiene che siamo dalla parte del giusto.
Perché
non dovrebbe voler aiutarci?” ne approfittò la
ragazza, con sguardo trionfante.
Quindi
secondo lei, dato che avevo espresso la mia preferenza, avrei dovuto
sguainare
la spada ed andare in prima linea a farmi ammazzare? Cos’era,
uno scherzo?
Capivo che lei in quanto regina doveva salvaguardare il suo popolo,
però io in
quanto persona dovevo salvaguardare la mia vita. E il mio caro istinto
di
sopravvivenza al momento mi imponeva di prendere la parola per
difendermi.
“Susan,
è vero che sono dalla vostra parte, l’ho detto e
lo ribadisco, però non ho
intenzione di combattere” affermai con
tranquillità.
Susan
mi fulminò con lo sguardo ma io non feci una piega. O
meglio, il brivido lungo
la schiena lo aveva sentito eccome, però mantenni una
facciata impassibile.
“Quindi
sei qui, sei dalla nostra parte ma ti limiti a farci gli auguri e te ne
lavi le
mani?” sibilò.
“Susan,
Cathy ha ragione, non puoi obbligarla a lottare per noi se non se la
sente”
anche Lucy stava prendendo le mie difese.
“Non
me ne lavo le mani. Se posso fare qualcosa per voi la faccio
più che
volentieri, ma non chiedermi di combattere, non ho mai partecipato ad
una
guerra e non voglio entrarci. Non me la sento di rischiare la mia vita,
mi
spiace” ribadii. Mi dispiaceva sul serio, avevo capito che
erano in difficoltà
e gli auguravo di tutto cuore di vincere, ma non avrei guerreggiato in
prima
persona.
Susan
aprì la bocca per ribattere ma poi la richiuse, come se
fosse troppo sconvolta
per parlare. Fece un grande respiro per calmarsi prima di riprendere la
parola.
“Ti
rendi conto che con il tuo aiuto potresti salvare molte vite? La
maggior parte
delle persone che hai visto a cena potrebbe morire durante i prossimi
scontri.
Ma se tu ci aiutassi potresti evitare questo massacro!”
“Senti,
mi dispiace ma io non me la sento di usare la magia per uccidere altra
gente e
ancora meno mi sento di rischiare la mia vita” esclamai
irritata dalla sua
insistenza. Non poteva perseverare nella sua richiesta, non ne aveva il
diritto.
“Smettila
Susan, le abbiamo offerto protezione non un posto nel nostro esercito,
ricordi?” disse Peter, stringendomi di più a
sé.
“Si,
peccato che senza il suo aiuto molto probabilmente non ci
sarà nessuno vivo per
proteggerla” ribatté acida pestando un piede a
terra per la frustrazione.
Caspian
le si avvicinò e le mise entrambe le mani sulle spalle.
Accostò la sua bocca
all’orecchio di lei e cercò di farla ragionare.
Con sollievo notai che
evidentemente era solo lei a volermi arruolata.
“Susan,
deve fare ciò che ritiene più giusto, non hai
diritto di adirarti con lei. So
che credi di fare il bene di Narnia, ma non puoi sacrificare lei per
questo.”
“Non
voglio mica portarla al macello, le sto chiedendo un aiuto per non
vedere il
mio popolo alla rovina” precisò piccata lei.
Da
un lato la capivo, sentiva sulle spalle il peso della
responsabilità della vita
di milioni di persone, non doveva essere affatto facile. Eppure, pur
dandole in
parte ragione, non riuscivo a partecipare alla guerra.
“Ce
la faremo anche senza magia, Susan, te lo posso assicurare”
cercò di
tranquillizzarla Caspian, ma Susan si liberò dalla sua presa
e si rivolse a me.
“Hanno
ragione loro, non posso costringerti a partecipare alla guerra.
Però ti chiedo
di riflettere sulla tua condizione. Sei qui al sicuro grazie a noi e ad
altre
persone che quotidianamente rischiano la vita mentre tu non fai nulla.
Se
chiederti aiuto è sbagliato, quello che fai tu
cos’è?”
Mi
sentii punta sul vivo. Ma come si permetteva? Aveva una vaga idea di
cosa avevo
passato nelle ultime quarant’otto ore? E nei miei ultimi
diciassette anni?
Sapeva forse chi ero, cosa cercavo e cosa volevo? Mi avevano portata
loro qui,
io non avevo chiesto niente! Ma dov’era finita la Susan tanto
buona e gentile
che solo qualche ora prima mi aveva accolta a braccia aperte? Possibile
che il
solo sapere che ero una strega aveva cambiato il suo atteggiamento nei
miei
confronti in maniera così radicale?
“Bene,
se è questo il problema tolgo il disturbo immediatamente.
È tuo diritto
cacciarmi di qui come è mio diritto non partecipare alla
guerra. Grazie per la
cena e per il vestito, me ne vado subito” sbottai arrabbiata,
cercando di
allontanarmi, seppur a malincuore, dal petto caldo e rassicurante di
Peter.
Peccato che, o forse fortunatamente, lui non me lo permise.
Rafforzò la presa
sul mio bacino e si adirò con Susan.
“Tu
non vai da nessuna parte! Susan, si può sapere cosa diamine
ti è preso? Io le
ho detto di venire qui e sempre io le ho giurato che sarebbe stata al
sicuro
senza dover niente a nessuno e non intendo venire meno alla mia
parola.”
Peter
la guardò in cagnesco fin quando lei non abbassò
lo sguardo sconfitta e si
passò una mano tra i capelli. Scosse la testa, come se
stesse riordinando le
idee, poi fece un grande respiro.
“Non
intendevo cacciarla. Ovvio che non la manderei mai là fuori
da sola. Scusami
Cathrine, puoi rimanere qui tutto il tempo che ti occorre”
concluse poi rivolta
a me.
Il
tono di voce sembrava sincero, anche se si vedeva lontano un miglio che
non era
affatto contenta di come si era evoluta la discussione. Probabilmente
era vero
che non mi avrebbe mai mandata via, ma avrebbe voluto che li aiutassi
con la
magia. Non si accorgeva che mi chiedeva troppo.
“Grazie
Susan”
“Bene,
direi che la riunione è sciolta. Ci aggiorneremo quando
avremmo delle novità,
per il momento tenete tutti gli occhi aperti” Peter pose fine
a quella
riunione.
Subito
si elevarono parecchi bisbigli, la maggior parte impuntati su di me a
mio
malgrado.
Io
cercai di dileguarmi il più in fretta possibile. Dovevo
uscire, avevo bisogno
di prendere una bella boccata d’aria.
Prima
di andarmene però lanciai un’ultima occhiata a
Susan. Mi stava ancora fissando,
come anche Caspian, Edmund e le creature mitologiche.
Quando
voltai la testa riuscii a risentire distintamente un'altra frase
nefasta della
conversazione con la donna.
Non ti
vogliono, è solo finzione
Poi
il mi sguardo cadde su Peter. Anche lui mi stava fissando, ma mi stava
anche
sorridendo, gentile come sempre. Mi ricordai di come mi aveva appena
difeso a
spada tratta, di come mi aveva stretta protettivo ed arrossii.
La
donna si sbagliava, ne ero certa.
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Capitolo 7 *** 6_Vorrei che tu l'avessi vista ***
cappy 6
Ciao!!!!!!!
Eccomi tornata con un nuovo cappy^^ a questo sono
particolarmente affezionata devo dire perchè è
una delle scene che hanno ispirato l'intera ficcy, l'avevo
immaginata da tanto e nn vedevo l'ora di metterla nero su bianco,
ditemi voi se mi è venuta bene oppure no e se vi piace come
sta procedendo la ficcy^^!
Ringrazio
coloro che mi hanno aggiunta tra le seguite: Corvus
e ranyare ^^ thanksssss!!!!!!^^!!!
Ringraziamenti:
Jackie95:
grazie mille per aver recensito e per aver
aggiunto la ficcy tra i preferiti^^ addirittura stupenda, sei troppo
buona^^ grazie mille^^!!!!!!!!!! :-)!!!!! Spero ti piaccia anche questo
cappy, fammi sapere cosa ne pensi^^ kisskisses!!!!
Un grande grazie anche a chi ha solo letto^^ spero che il cappy nuovo
vi paccia e che continuerete a leggere la storia, anche se mi
piacerebbe sapere cosa ne pensate e se la ficcy prosegue bene o male^^
Vi auguro una buona lettura,
Kisskisses
68Keira68
6_"Vorrei che
tu l'avessi vista"
Erano
rimasti soli nella grande stanza rettangolare. Lei si stava
già preparando a
discutere, non aveva intenzione di demordere, lo vedeva dal cipiglio
battagliero con la quale lo stava fissando. Ma dopotutto era un bene.
Anche lui
voleva discutere e ne aveva tutte le ragioni.
Vide
la ragazza appoggiarsi più comoda alla tavola di pietra,
esattamente sotto lo
sguardo onnisciente del bassorilievo di Aslan, che dall’alto
della sua
posizione sembrava un giudice silenzioso della discussione accesa che
stava per
iniziare.
Peter
si limitò inizialmente a guardarla truce, riordinando le
idee per un attacco
diretto e immediato. Regnò il silenzio per qualche secondo
finché Susan non
sbuffò e si mise le mani sui fianchi.
“Non
mi guardare così Peter, sai che non lo sopporto!”
“E
come ti dovrei guardare Susan? Ti aspettavi forse che fossi contento
della tua
brillante uscita?” commentò il re sarcastico.
Susan
fece una smorfia. “Non intendo accettare critiche, ho solo
cercato di trovare
una soluzione al nostro problema dato che nessun altro intendeva
farlo” si
difese piccata.
Peter
si infiammò. “E per te la soluzione era mandare a
morire una ragazzina di
diciassette anni che con questa storia non ha nulla a che
fare?”
“Non
la volevo di certo mettere in pericolo” specificò
quasi offesa Susan “Come puoi
anche solo pensare una cosa del genere? Io le ho solo chiesto di
aiutarci con
la magia mica di brandire una spada!”
“Le
hai quasi ordinato di prendere parte alla guerra Susan, non puoi
pensare che
ciò non implichi un pericolo. In più non avevi
alcun diritto di insistere.
Spetta solo a lei decidere di partecipare o no alla battaglia, e non
puoi
biasimarla se non se la sente di prendere un tale impegno”
Susan
pestò un piede per la frustrazione. Suo fratello sembrava
non voler rendersi
conto del pericolo in cui si trovavano.
“Va
bene, forse non dovevo cercare di metterla alle strette, ma Peter
ragiona,
quale altra scelta abbiamo? Se davvero Jadis farà ritorno
possiamo già
considerarci morti.” Cercò di farlo riflettere lei.
Lui
si morse forte il labbro. “L’ultima volta ce la
siamo cavata” disse a denti
stretti.
Susan
rise sprezzante. “Certo, davvero egregiamente. Certo se metti
da parte il fatto
che Edmund ci ha quasi lasciato la pelle e che quella volta avevamo
Aslan dalla
nostra parte. Oh, stavo quasi dimenticandomi di un ultimo
insignificante
dettaglio, l’ultima volta non avevamo anche Telmar sul fronte
nemico, o te ne
sei scordato?” gli elencò lei ironica.
Peter
prese a misurare la stanza a grandi passi, preso anche lui dalla
frustrazione.
La situazione era davvero disperata, lo sapeva bene anche senza il
sarcasmo di
sua sorella, però cosa poteva fare? Sembrava una condizione
senza via di
uscita.
L’unica
loro possibilità era avere a disposizione i poteri
prodigiosi di quella
ragazza. Doveva ammettere che ci aveva pensato anche lui, molto prima
di Susan.
L’idea di avere una forza così immensa da
scatenare contro i telmarini era
allettante, senza contare che era probabilmente l’unico modo
efficace per
liberarsi una volta del tutto di Jadis, ma come poteva chiedere a
Cathrine una
cosa del genere? Era fuori discussione, lui era un cavaliere e i
cavalieri non
mandavano in battaglia le fanciulle che giuravano di proteggere, andava
contro
ogni suo principio. Senza contare che quella giovane ne aveva
già passate così
tante di recente, aggiungere il peso di una guerra su quelle esili
spalle gli
sembrava eccessivo. No, ci doveva essere un’altra soluzione.
Fece
circa dieci volte il perimetro della stanza prima che Susan gli si
avvicinò e
con dolcezza gli strinse il braccio, per calmarlo abbandonando il
cipiglio
battagliero.
“Peter,
so esattamente quali sono i tuoi pensieri al momento, ma pensaci
razionalmente,
metti da parte l’istinto del cavaliere e pensa al tuo popolo,
ti prego”
Il
ragazzo fece un grande respiro e le accarezzò la spalla.
“Penso sempre al mio
popolo, dovresti saperlo”
Susan
sorrise dolce. “Certo che lo so, ma so anche che non
è nella tua natura farti
aiutare, che vorresti essere in grado di risolvere tutto e proteggere
tutti da
solo. Ma devi renderti conto che ciò non è sempre
possibile. Non sei
invincibile”
Si
fermò un secondo per cercare le parole più adatte
per esprimere il pensiero
successivo. Doveva sceglierle con cura, sapeva che Peter stava per
cedere se
era arrivato alle sue stesse conclusioni. “Ascolta, secondo
me lei è stata
mandata proprio da Aslan per aiutarci, non può essere un
caso che sia finita
esattamente vicino a dove eravate di pattuglia voi, non può
essere una
coincidenza, non quando c’è di mezzo Aslan. Senza
contare che non è vero che
lei è estranea alla vicenda perché se Jadis
torna, lo farà principalmente per
lei, anche se non sappiamo perché non puoi negare
l’evidenza”
Sorpresa
sentì i muscoli di Peter irrigidirsi appena
pronunciò il nome della strega e
non riuscì a comprenderne il motivo. L’aveva
già nominata altre volte ma non
aveva avuto quella reazione, cosa gli prendeva ora?
“è
tutto ok?” si informò titubante.
Il
ragazzo le si allontanò d’un passo.
“Susan giurami che non dirai mai quello che
hai appena detto dinanzi a lei o a qualcun altro che non sia della
famiglia o
Caspian, intesi?”
Susan
lo guardò come se fosse impazzito. “Peter cosa ti
prende?”
“Non
voglio che Cathrine sappia chi potrebbe essere in realtà la
donna delle sue
visioni e né che sappia che la sta cercando” si
spiegò.
“Ma
perché?” Susan iniziava a temere seriamente per la
sanità mentale del fratello.
“Perché
si sentirebbe in colpa, penserebbe di aver portato lei a Narnia la
minaccia di
Jadis e sono certo che potrebbe fare qualche stupidaggine come
affrontarla da
sola o consegnarsi ad essa barattandosi per la nostra
salvezza.”
Susan
soppesò per un attimo le sue parole. Sapeva che Peter aveva
la capacità di
inquadrare le persone con una sola occhiata e se secondo lui Cathrine
avrebbe
reagito così, doveva credergli. Forse aveva ragione lui, era
meglio non
dirglielo, però… “Ma non pensi che sia
giusto che conosca la verità? Se la
tieni all’oscuro rischi soltanto che venga a sapere i fatti
dalla persona
sbagliata magari anche in un momento poco propizio”
obiettò.
Peter
fece un secco segno di diniego. “Non ora, gli dirò
tutto, ma non adesso, è ancora
troppo scossa dagli ultimi avvenimenti per poter sopportare anche
quest’ultima
informazione.”
Susan
sospirò rassegnata. “D’accordo, non le
diremo niente per il momento, ma la
situazione non cambia.” La ragazza gli si avvicinò
di nuovo, afferrò un lembo
della sua camicia con le mani e appoggiò la testa sul petto
del fratello,
stringendolo a sé. “Peter, abbiamo bisogno del suo
aiuto. Ti prego, riflettici
su, non abbiamo altra possibilità, lo sai bene.”
Alzò il capo per vederlo in
viso.
Teneva
gli occhi chiusi, l’espressione in conflitto mentre si
mordeva insistentemente
il labbro nel tentativo di non pronunciare le parole che mai avrebbe
voluto
dire. Susan si permise un accenno di sorriso, era quasi fatta.
“Neanche
a me piace chiederle di aiutarci, sul serio, ma non vedo altre
opzioni.”
Insisté.
Peter
aprì gli occhi e si guardò attorno, come cercando
l’ispirazione.
“Se
accettassi” iniziò lentamente “mi devi
giurare che non la metterai in pericolo
e che farà unicamente quello che io riterrò
più giusto per lei, intesi?” stabilì.
“Te
lo giuro.” Non esitò a dire Susan. Era quello che
voleva anche lei d’altronde,
vincere si, ma mai alle spese di quella giovane, avrebbe salvaguardato
lei
stessa la vita di Cathrine se si fosse rivelato necessario.
“Sarà
lontano dal combattimento, ed uno di noi le sarà sempre
accanto.” Concluse il
re.
“Assolutamente”
concordò.
Peter
sospirò. “D’accordo allora,
cercherò di convincerla. Ma se non dovesse
accettare, questa storia verrà archiviata e nessuno”
marcò la parola fissandola dritto negli occhi “si
dovrà azzardare a
rinfacciarglielo”
Susan
gli sorrise e annuì decisa. Aveva ottenuto esattamente
quello che sperava, dare
una possibilità di aiuto a Narnia. Ora tutto restava nelle
mani di quella
giovane.
*
Avevo
freddo. Tanto freddo. Lo sentivo che penetrava nelle ossa, gelandomi le
membra.
Eppure era estate e sulla piccola altura ove ero seduta non volava un
filo di
vento. Ma sapevo che il freddo che avvertivo io non aveva nulla a che
vedere
con la temperatura esterna. Il gelo veniva da dentro, dal cuore che al
momento
sentivo di ghiaccio, arido come le terre dell’Alaska.
Le
parole di Susan mi martellavano la testa. Continuavo a rivedere la sua
espressione irata mentre le dicevo che non avrei preso parte alla
guerra. Ma
come aveva potuto chiedermi una cosa simile? Rischiare la vita per una
causa
nemmeno mia?
Sospirai,
portandomi dietro l’orecchio una ciocca di capelli.
Lì fuori, nel buio della
notte, ogni rumore era ovattato, ogni imperfezione inghiottita dalle
tenebre.
L’unica fonte di luce proveniva dal cerchio luminoso che
calmo e placido
osservava ogni cosa dal cielo. Calmo e placido. Esattamente le emozioni
opposte
a quelle che provavo io.
Mi
dispiaceva per gli abitanti di Narnia se erano così messi
male. Ma io cosa
potevo fare? Ero solo una ragazza.
Bugia.
Mi
sussurrò una vocina maligna dentro di me. Va bene, non era
vero. Io ero una
strega, avevo dei poteri, ma per questo ero costretta a metterli al
servizio di
sconosciuti rischiando la pelle? Non avevo mai usato i miei poteri per
nuocere
a qualcuno e l’idea di spezzare vite mi repelleva. Non potevo
fare una cosa del
genere. Senza contare che non intendevo mettere a repentaglio la mia.
“Ecco
dov’eri finita”
La
voce di Peter mi giunse alle spalle. La sua chioma bionda riluceva
sotto la
pallida luce lunare come il suo sorriso. Si sedette accanto a me, con i
piedi a
penzoloni dal grosso masso di pietra che si affacciava sopra la radura
a
qualche metro da terra.
“Ti
ho cercata dappertutto sai? Come mai sei finita
quassù?” mi chiese simulando
disinteresse, come se non sapesse perché fossi là
da sola.
Perché
dentro mi sentivo soffocare. Risposta sincera però
forse troppo diretta. Optai per
una via di mezzo. “Avevo bisogno di un po’
d’aria e Lucy mi ha consigliato
questo posto” quella santa ragazzina…
“Si
è un buon luogo per recuperare un po’ di
tranquillità”
Evidentemente
doveva aver intuito la vera frase che volevo dirgli.
Calò
il silenzio, ma non era imbarazzato. Come oggi pomeriggio, era un
silenzio
fatto di calma e riflessione. Un momento di raccoglimento prima di
iniziare
un’inevitabile dialogo su quello che era successo nella sala
rettangolare.
Perché ero certa fosse venuto per quello, dovevo solo
aspettare che prendesse
la parola. Dieci, nove, otto, sette, sei, cinque, quattro, tre, due,
uno...
“Cathrine”
et voilà. La discussione stava per avere inizio.
“Dimmi”
risposi senza voltarmi. Continuavo a fissare la luna, invidiandola per
la sua
posizione. A lei era permesso di assistere a tutto senza prendere parte
a
niente. A lei non veniva chiesta alcuna partecipazione attiva, solo che
stesse
lì ad illuminare un poco le nostre notti buie. A lei non
veniva chiesto di
brandire una spada pur trovandosi nella pianura di Narnia.
“Volevo
scusarmi per quello che ti ha detto Susan. Non aveva alcun diritto di
accusarti
a quel modo e per un motivo del genere. Mi spiace” si
scusò.
La
mia bocca si curvò in un sorriso. La sua voce vibrava di
sincerità e questo
riscaldò di un poco il mio cuore.
“Grazie”
dissi semplicemente.
“Aspetta,
fammi finire. Mi scuso da parte di Susan però è
anche giusto che tu conosca le
sue motivazioni.” Aveva intenzione di difenderla?
Questa
volta voltai la testa incredula verso il suo viso. Mi osservava
intensamente,
aspettando un mio cenno per andare avanti. Dondolai il capo per fargli
capire
che lo ascoltavo.
“Susan
non ce l’ha con te, assolutamente. Non voleva costringerti ad
arruolarti né non
le importa della tua salvezza, il pensiero di metterti di proposito in
pericolo
non l’ha mai sfiorata.”
A me
è parso il contrario. Avrei voluto urlargli, ma mi
limitai a guardarlo
scettica, riducendo gli occhi ad una fessura.
Lui
se ne accorse e si affrettò ad aggiungere: “Devi
credermi, è la verità. Credo
che quando ha perso il controllo non se ne sia nemmeno resa conto.
È
semplicemente preoccupata per la guerra. Non va affatto bene, la nostra
situazione è grave e potrebbe precipitare da un momento
all’altro. Ha solo
cercato un modo per evitare un massacro al popolo di Narnia.
È disposta a tutto
per salvarlo e non voleva lasciare nessuna strada intentata. Solo che
ha
esagerato e di questo me ne rammarico.”
Di
nuovo le sue parole risuonavano al mio orecchio terribilmente sincere e
il mio
cuore mi disse di credergli. Dopotutto la verità
l’avevo presagita anche io,
anche se sul momento mi ero offesa. Tirai un sospiro e tornai a fissare
il
firmamento cercando le parole adatte.
“Avevo
intuito le sue motivazioni, per questo non sono più
arrabbiata con lei. È
stata un’offesa momentanea la mia” e gli
feci l’occhiolino per alleviare la tensione, anche se la
frase era vera solo a
metà. La ferita di Susan bruciava ancora.
Lui
mi sorrise di rimando prima di rannuvolarsi in viso. Inarcai un
sopraciglio.
Come mai il suo umore era mutato?
“Ehi,
stai bene?” gli domandai mettendogli una mano sulla spalla
con un gesto
istintivo.
Quando
scosse la testa mi preoccupai. Si sentiva male?
Probabilmente
scorse una nota d’allarme nella mia espressione
perché si affrettò a
tranquillizzarmi. “Io sto bene. Mi rammarico del fatto che
non posso dire lo
stesso di Narnia”
Ah.
Anche lui era in ansia, esattamente come Susan. Probabilmente anche di
più.
D’un tratto mi sentii in dovere di consolarlo,
così strinsi più forte la presa
sulla sua spalla, in un goffo tentativo di fargli capire che io
c’ero.
Il
messaggio sembrò arrivare perché dopo qualche
istante lui riprese a parlare.
“Sono preoccupato” mi confessò come se
fosse una grave colpa. “Davanti a Susan
e gli altri cerco di non darlo a vedere, di convincerli che possiamo
farcela,
che la nostra situazione non è così disperata, ma
la verità è ben diversa.” La
sua voce si spense sull’ultima parola. Abbassò il
capo, come se il peso di
questa sua affermazione gli fosse piombato sulle spalle tutto di colpo.
Piombò
nuovamente il silenzio, ma questo era pieno di tristezza. La sua
tristezza e
questo non riuscivo a sopportarlo. Non sapevo perché ma da
quando l’avevo
conosciuto sembrava che il mio umore dipendesse dal suo. Se lo vedevo
felice
ero rilassata mentre se lo vedevo triste…sprofondavo anche
io nella
desolazione. Dovevo assolutamente dirgli qualcosa per alleviargli il
fardello
che si era addossato, eppure non riuscivo a pronunciare nemmeno mezza
parola.
Ma proprio mentre mi spremevo le meningi, lui rialzò la
testa di botto e
riprese a parlare con foga, come se si fosse rotta una diga dentro di
lui che
gli frenava le parole, ora libere di uscire.
“Tu
non sai com’era Narnia la prima volta che l’ho
vista, era completamente diversa
da ora, e non puoi immaginare quanta rabbia mi procura vederla ridotta
così. Il
mio popolo è inginocchio, il mio regno distrutto e io non
posso fare nulla per
impedirlo, sono completamente impotente per quanto la mia
volontà sia grande.”
Si interruppe per prendere fiato. Senza accorgersene mi aveva preso
entrambe le
mani e me le stringeva forte tra le sue. Gli occhi brillavano febbrili
nel
buio, due zaffiri illuminati dall’impeto di emozioni che lo
dominavano.
“Vedi
quegli alberi” riprese accennando con la testa la scura
foresta che delimitava
la radura. “La prima volta che li vidi, danzavano.”
Mi confidò. Io mi incantai
ascoltandolo. Era impossibile non rimanere ammaliati dal furore con cui
parlava
della sua Narnia. Potevo solo
immaginare quanto avesse dedicato a queste terre, con quanta devozione
le
avesse e le stesse servendo. Quanto amasse il suo popolo e quanto fosse
disposto
a dare per esso. “Ogni singolo arbusto si muoveva, le foglie
cantavano a ritmo
con il vento e i fiori creavano figure danzanti. Tutto era in armonia
con noi e
con gli abitanti di Narnia. Ogni animale che incontravi nella foresta
poteva
parlare, era civilizzato. I fauni, i centauri, i minotauri, le famiglie
dei
piccoli animali, tutti, dal più grande al più
piccolo, erano liberi di
camminare e abitare dove volevano. E di vivere felici, senza
preoccupazioni e
soprattutto liberi dalla guerra, con una promessa di
prosperità per il loro
futuro e quello delle persone che li stavano a cuore
e…ah” si fermò di nuovo,
sopraffatto dall’intensità delle sue stesse
parole. Mi guardò dritto negli
occhi e notai a poco a poco l’agitazione attenuarsi. La luce
dei suoi zaffiri
affievolì, l’espressione mutò, divenne
quasi rassegnata.
Un
moto di affetto e di tenerezza nacque spontaneo con la comprensione che
mi
giunse immediata vedendolo. Peter soffriva. Fuori portava una maschera
di
sfacciata sicurezza e spavalderia, ma dentro soffriva ed era in ansia.
Il suo
animo si stava spezzettando mano a mano che il suo popolo si avviava
alla fine,
era peggio di uno stillicidio.
Spinta
da questa rivelazione, mi avvicinai a lui senza nemmeno rifletterci e
lo
abbracciai forte, come se potessi liberarlo dal suo dolore con la mia
sola
presenza. Lui parve colto alla sprovvista ma ricambiò subito
l’abbraccio,
appoggiando la sua testa sopra la mia e cingendomi le spalle con forza,
come se
fossi un’ancora di salvezza. Rimanemmo così per
pochi secondi…o per parecchie
ore, non saprei dirlo, l’unica cosa che contava era il
battito del suo cuore
che sentivo furioso sotto il mio orecchio, appoggiato sul suo torace. A
poco a
poco lo udii decelerare, fino a tornare ad un battito regolare e
continuo. Un’armonia
particolare e preziosa, udibile solo da me per cullarmi. Anche il
respiro, che
avvertivo caldo sul mio collo, si era acquietato. Prese ad accarezzarmi
con
dolcezza i boccoli rossi, in un gesto spontaneo e per questo ancora
più
apprezzato.
Chiusi
gli occhi abbandonandomi a quel momento di pace assolutamente perfetto.
Ero
salita lassù per rimanere sola con i miei pensieri, convinta
che l’unica ad
avere preoccupazioni serie fossi io, che ero l’unica ad aver
bisogno di
affetto, la sola a portare costantemente una maschera per allontanare
gli altri
per il loro bene e per il mio. Non sapevo quanto mi sbagliavo. Peter si
affliggeva esattamente come me. Anche lui portava una maschera addosso,
per
tenere le persone che amava distanti dalla verità, ma a
causa di essa non poteva
sfogarsi con nessuno, doveva tenersi le sue ansie dentro di
sé. Ma soprattutto,
anche Peter viaggiava verso un futuro effimero, nebuloso. Non aveva
certezze,
aveva un grande potere ma non sapeva come usarlo per farne del bene.
Andava
alla cieca e ciò lo distruggeva mentre vedeva le persone a
lui care morire ad
una ad una. Anzi, ragionai tra me e me, Peter provava molto
più dolore di me.
Mentre da me dipendevo unicamente io, da Peter dipendeva un intera
popolazione
e i suoi fratelli. Se io fallivo, sarei semplicemente rimasta allo
scuro delle
mie origini. Uno scotto molto più basso di quello del re. Se
lui perdeva la
guerra, sarebbero morti tutti gli abitanti di Narnia.
“Sai
Cathrine” mi richiamò con voce rauca
“Vorrei tanto che tu l’avessi vista. Te ne
saresti innamorata, ne sono certo. Non si può non rimanere
incantati da una
tale dimostrazione della bellezza della natura. Va oltre la semplice
magia. Te
ne saresti sentita parte, era magica e bella come te”
Nel
buio della notte accadde un piccolo miracolo. Per la prima volta in
vita mia,
arrossii di piacere. Io, la principessa di ghiaccio della
Queen’s, arrossii
felice del complimento del re. Era la prima volta che qualcuno mi
definiva in
questo modo. Qualcuno che si complimentava per i miei poteri e mi
trovava bella
per la mia particolarità. Dal mio cuore si staccò
un grosso pezzo di ghiaccio.
Mi
liberai dal suo abbraccio per guardarlo meglio in viso, sorridendogli
grata.
“Ne
sono sicura anche io, ma non te ne devi rammaricare”
Mi
guardò interrogativo e io allargai il sorriso mentre gli
sfioravo una guancia
con la mano. “Come sono certa che mi sarebbe piaciuta, sono
certa che la vedrò.
Tu me la farai vedere, perché sono pronta a scommettere che
riuscirai a
riportarla all’antico splendore. La tua grinta e la tua
devozione ti
condurranno alla vittoria” affermai.
Il
suo sguardo si illuminò alle mie parole
ma…purtroppo si spense rapidamente come
si era acceso.
“Vorrei
che fosse così semplice, ma purtroppo grinta e devozione non
bastano quando non
si hanno uomini a sufficienza per combattere”
Iniziai
a mordermi il labbro nervosa. Nonostante la bolla di pura pace che si
era
creata, il mio sesto senso mi urlava di stare allerta.
“Cosa
intendi dire?” chiesi, pur intuendo dove voleva arrivare.
Perché
lo vuoi sapere esplicitamente,
sei forse masochista?
Si,
forse lo ero, ma in quel momento non me ne importava.
“Abbiamo
bisogno di aiuto. Io ho bisogno di
aiuto, Cathrine”
Eravamo
arrivati al nocciolo della questione, ce lo aveva scritto in faccia.
Distolsi
lo sguardo, incapace di sostenere i suoi occhi profondi. Ma lui mi
prese una
mano tra le sue e con l’altra mi afferrò il mento
costringendomi a guardarlo.
L’intensità del suo sguardo mi avrebbe fatta
crollare, ne ero certa, e
probabilmente lo sapeva anche lui.
“Kate,
ti prego, non te lo chiederei se non fossi convinto che non
c’è altra
soluzione. Vuoi aiutarci con i tuoi poteri?” mi
domandò con dolcezza.
Non
ero pronta a rispondergli. Presi tempo rigirando la domanda.
“Prima con Susan
eri convinto che non avrei dovuto prendere parte alla guerra”
dissi cauta.
Lui
mi sorrise mesto. “è vero, ma non avevo valutato
bene la situazione. Sono stato
preso alla sprovvista e la mia mente si rifiutava di vederti
guerreggiare,
temevo che Susan volesse metterti in pericolo, cosa che non tolleravo e
che non
tollero nemmeno ora.”
Lo
guardai confusa. “Allora perché me lo chiedi se
non vuoi espormi?”
Allargò
il sorriso. “Infatti non ho alcuna intenzione di mettere a
repentaglio la tua
vita. Ne ho discusso con Susan e abbiamo concordato delle norme di
sicurezza”
mi fissò in attesa di una mia reazione e io lo incitai a
proseguire con un
cenno del capo. “Tu non prenderesti parte alla battaglia,
staresti in disparte,
accompagnata sempre da me o massimo da Susan o da Caspian o da Edmund.
Dovresti
solo aiutarci con la magia. Per esempio potresti addormentare le
guardie o
alzare i cancelli. Oppure farci entrare in sordina dentro un luogo. Non
ti
chiedo niente di più” si fermò per
riprendere subito “Comunque se non volessi
non importa. Puoi rimanere qui tutto il tempo che vuoi, come ti ho
promesso.
Saresti protetta e nessuno oserebbe dirti niente. È tuo
pieno diritto fare ciò
che ritieni più giusto” concluse.
Perché
non riuscivo a dargli un no secco come lo avevo dato a Susan?
Lo
guardai negli occhi. Fu un grave errore. In quelle sfere azzurre vidi
riflessa
la sua volontà e la sua sincerità. Non mi stava
costringendo ad aiutarlo. Mi
stava dando la scelta di decidere cosa fare senza sforzature.
Promettendomi
sicurezza in ambo i casi.
È
crudele, non gli importa di te
La
voce non sapeva quanto si sbagliava. Peter si era dimostrato finora una
delle
persone più altruiste che io avessi mai conosciuto. Mi stava
chiedendo aiuto
per il suo popolo, era un grido di un naufrago che si aggrappa
all’ultima
scialuppa di salvataggio disponibile. Ma invece di reclamarla e cercare
di
ottenerla con ogni mezzo, come avrebbe fatto qualsiasi altra persona,
come
aveva fatto Susan solo poche ore fa, lui era disposto a rinunciarci per
rispettare e proteggere me. Una persona che conosceva da meno di un
giorno.
Mi
venne in mente un altro pensiero,una conclusione a cui ero giunta da
poco.
Aveva
un grande potere ma non sapeva
come usarlo per farne del bene
Almeno
Peter ci stava provando ad operare per il bene altrui. Anche io avevo
un grande
potere, ma a differenza sua il mio rimaneva inutilizzato, in forma
grezza
celato al mio interno, racchiuso dalla paura di mettermi in mostra e
fare
qualcosa di sbagliato. Dopo anni passati a relegare la mia magia in un
cantuccio del mio essere, qualcuno mi supplicava di utilizzarli per un
bene
superiore. Per salvare milioni di vite. Ma potevo farlo? Ero abbastanza
forte?
Se non
mi metto in gioco non potrò mai
saperlo.
Pensai. Ma il terrore era
davvero grande. Non avevo mai partecipato ad una guerra, non sapevo da
che
parte iniziare. In più Peter non avrebbe mai potuto
annullare ogni rischio pur
volendolo. Io ero giunta fin lì solo per trovare
un’altra strega dopotutto. No,
era un’altra bugia. Io avevo attraversato il varco
principalmente per un altro
motivo. Non volevo più sentirmi sola. Volevo essere
apprezzata per quello che
ero, trovare il mio posto nel mondo. E se finalmente l’avessi
trovato? I
Pevensie mi avevano accolta, e Peter era certo che anche gli altri mi
avrebbero
accettata. Qualcuno con cui riempire la mia solitudine lo stavo
trovando. E se
avessi scovato anche il mio scopo? Forse dovevo mettere sul serio i
miei poteri
al servizio di una causa più grande.
Dovevo
mettermi in gioco, accantonare la paura. Finalmente avevo la mia
occasione per
farmi ben volere e per dare un fine alle mie doti.
Presi
un respiro profondo. Le parole che stavo per pronunciare non avrei
potuto
rimangiarmele. Ne tanto meno avrei voluto.
“Peter
Pevensie” alzai i miei occhi di ghiaccio nei suoi che mi
fissavano ansiosi. La
mia voce risuonava della sicurezza di chi si è appena
convinto di star facendo
la scelta più giusta. “D’accordo. Ti
aiuterò a riportare Narnia all’antica
gloria”
|
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Capitolo 8 *** 7_Sentimenti ***
cappy 7
Ciao a
tutti! Eccomi qui con il settimo cappy^^ gran parte di questo
capitolo è impuntata sui sentimenti (da qui il titolo) di
tutti i nostri quattro protagonisti , e la prima parte è
dedicata ai fan della coppia Caspian e Susan (specialmente a Risotto,
la cui richiesta di dar più spazio ai due piccioncini +
stata esaudita ^^) . Alla fine del cappy invece c'è un
piccolo indizio per la risoluzione di alcuni interrogativi della
storia, chissà chi coglierà hihiih^^
Detto questo ringrazio risotto per
avermi aggiunto tra i preferiti e KissyKikka per
avermi inserito tra le seguite, grazieeee^^!!!!!!!
Ringraziamenti:
ranyare:
grazie mille^^!!!! Sono davvero stra felice che Peter ti sia piaciuto
(anke lui ti ringrazia commosso^^) e ancora di più che la
differenza tra i due suoi ruoli sia stata capita^^ Per la recensione
mancata non ti preoccupare ^^ io sono super contenta che tu abbia
recensito il cappy sei e che tu stia leggendo la mia fan fiction
*me felice come una Pasqua* ^^ spero che anche
quest'ultimo cappy ti piaccia, ti mando un grandissimo bacio ^^!
Kisskisses^^
risotto:
glasieeeee^^! Sei troppo buona con i complimenti, grazie davvero,
addirittura farti sognare wow *me super commossa con il fazzoletto in
mano*! Sono contenta che la ficcy ti stia piacendo ^^ e la prima parte
di questo cappy è tutta per te (Caspian e Susan sono
lusingati dalla tua richiesta^^) spero che ti piaccia^^. I protagonisti
della ficcy sono Peter e Cate però ti prometto che Caspian e
Susan saranno molto presenti (anche perchè piacciono molto
anche a me^^ *me che sbava pensando a Caspian* hihihi) sono
praticamente i co-protagonisti. Ancora grazieeeeeee^^!!!!!! Non vedo
l'ora di sapere cosa ne pensi di qst nuovo cappy^^ un bacio grande
grandeeee^^ kisskisses^^
Auguro
ottime vacanze a tutti quanti e poiché non so se
riuscirò ad aggiornare prima del 31, vi auguro
già un felice 2010, che le stelle del nuovo anno possano
portare la realizzazione di tutti i vostri desideri^^
Grazie
anche a chi legge, grazie mille^^ e chiunque volesse lasciare un
commentino anche breve sappia che è sempre ben accetto hihi^^
Vi
auguro una buona lettura^^!
Kisskisses
68Keira68
7_Sentimenti
Chissà
cosa avrebbe fatto Aslan se fosse
stato qui pensò
Susan, dinanzi alla
grande tavola di pietra raffigurante l’immagine del re di
Narnia. Avrà davvero mandato lui
Cathrine da noi?
La
regina sospirò e incrociò le mani. Spero
solo di aver fatto bene a convincere Peter a chiederle
aiuto.
Iniziò
a mordicchiarsi il labbro. Continuava a ripensare alla discussione
appena
avvenuta. Era certa che di aver fatto l’interesse del suo
popolo, avevano
bisogno di aiuto e lei poteva offrirglielo. Quello di cui non era
affatto
sicura era se il bene di Narnia coincidesse con il bene della giovane.
Aveva
promesso a Peter che sarebbe stata alle sue condizioni e che Cathrine
non
avrebbe partecipato alla guerra, ma ciò sarebbe bastato a
tenerla lontana dal
pericolo? Se si fosse ferita non se lo sarebbe mai perdonato. Senza
contare che
Peter non le avrebbe mai più rivolto la parola e ne sarebbe
uscito distrutto.
“Ancora
qui a rimuginare?”
La
voce calda del principe la fece sobbalzare. Non si era accorta della
sua
presenza silenziosa.
Si
girò verso di lui e alzò le spalle, incontrando
due castani occhi osservatori.
“Avevo
bisogno di riflettere”
“Come
sempre” ammiccò il giovane avvicinandosi.
Aprì la bocca come per parlare, però
poi la richiuse. Sembrava impacciato, si passò una mano
dietro la nuca,
scompigliandosi le ciocche morbide e scure e fece girare gli occhi
attorno alla
stanza, come se cercasse un’ispirazione. Susan
aspettò paziente, leggermente
divertita dal buffo comportamento di Caspian finché con un
ultimo sospiro quest’ultimo
riuscì a pronunciare la frase attesa.
“Io
mi stavo solo chiedendo se tu avessi bisogno di parlare.”
Mormorò in fine.
La
giovane scosse la testa comprensiva. Ragazzi,
tanto forti e sicuri quando devono prendere decisioni in guerra e tanto
impacciati quando si entra nella sfera emotiva
pensò ilare.
“So
essere un bravo ascoltatore all’occorrenza” lo
sentì aggiungere poi serio.
Lei
gli rivolse un timido sorriso. “Grazie ma davvero, stavo solo
mettendo in
ordine qualche pensiero”
Alla
sua risposta gentile lui parve acquisire un po’
più di sicurezza. “Certo, sono
sicuro che erano futili preoccupazioni come la salvezza di Narnia e
altre
inezie varie tipo una guerra imminente vero?” le rispose
ironico facendo ridere
Susan, sorriso però che si spense subito pensando a quanto
quelle parole
avessero centrato il bersaglio. Caspian allora le si
avvicinò. La ragazza aveva
bisogno di sfogarsi con qualcuno, lo si vedeva lontano un miglio, aveva
solo bisogno
di un piccolo incentivo.
Compì
l’ultimo passo che li separava e, guidato da un istinto
più intraprendente
della sua razionalità, le accarezzò con
delicatezza una guancia, scostandole
una ciocca di capelli dinanzi al viso. Sentì il corpo della
ragazza irrigidirsi
sotto il suo tocco e questo lo bloccò facendo riemergere in
lui il timore di
poco prima. Temette di aver esagerato, di essersi preso un permesso di
troppo.
Dopotutto si conoscevano da poco, cosa gli dava il diritto di prendesi
certe
libertà? Però il gesto gli era uscito
così spontaneo che non se ne era quasi
reso conto. Accidenti, forse non avrebbe nemmeno dovuto iniziare quella
conversazione, di certo lei preferiva confidarsi con i suoi fratelli
che con
una persona conosciuta da poco. Stava già per ritrarre la
mano affranto quando
Susan lo sorprese. Portò la sua mano sopra quella di lui e
se la premette
contro il volto, appoggiandosi come bisognosa di un sostegno. La
reazione lo
confortò. Forse non aveva così sbagliato a
cercarla. La prese anche come un
tacito consenso per la mossa successiva. Con lentezza le cinse la vita
con una
mano mentre portò l’altra dietro la nuca della
ragazza guidandola verso di lui,
per confortarla. Bastarono pochi minuti per sentire i muscoli di Susan
rilassarsi sotto le sue carezze. Udì distintamente un
sospiro liberatorio prima
di iniziare a rivelargli i suoi pensieri.
“Sono
solo sotto pressione. Telmar, la guerra, ci mancavano solo questa
ragazza e
Jadis. Sono stanca” confessò seppellendo il viso
nella camicia di Caspian come
vergognandosi della sua ammissione.
Lui
annuì silenzioso, comprendendola. Quei giorni erano stati
stressanti per tutti.
Dalle escursioni fatte avevano appreso che i telmarini stavano
costruendo un
ponte per raggiungerli con l’esercito e loro dovevano
allestire in poco tempo
una difesa resistente. In più quel giorno gli era capitata
all’improvviso
quell’imprevista novità, decisamente troppo per un
così breve lasso di tempo.
Naturale che i nervi iniziassero a risentirne. Ma era certo di non
doversi
preoccupare eccessivamente per la giovane donna che aveva tra le
braccia. Aveva
imparato a conoscerla in quei giorni, aveva visto il fuoco che ardeva
dentro
quell’esile figura, una fiamma brillante e inestinguibile,
pronta ad incendiare
chiunque le si opponesse con una volontà ferrea. Non si
sarebbe fatta piegare
da quelle difficoltà ma le avrebbe sicuramente superate a
testa alta. Persino
ora, che a capo chino si era aggrappata alla sua camicia, dalla sua
persona
trasparivano la determinazione e la fermezza che la caratterizzavano.
La
postura era eretta e la presa forte. La voce era sicura e chiara. No,
Susan non
avrebbe ceduto, aveva solo bisogno della vicinanza di una persona che
credeva
in lei, una persona che la capisse, e lui era lì per quello.
Si, perché
nonostante si conoscessero da poco, l’affetto che nutriva
verso Susan sembrava
fondato su anni di amicizia che da poche settimane. Provava per lei lo
stesso
senso di protezione e di appartenenza che poteva sentire verso
un’amica di
infanzia, o forse qualcosa di più, e come tale avrebbe
voluto trattarla se… se
fosse stato sicuro che Susan nutriva i suoi stessi sentimenti di
affetto. Non
che fosse mai stata fredda nei suoi riguardi, anzi, la regina era
sempre stata
disponibile, aperta e gentile. Amava la sua compagnia, glielo leggeva
negli
occhi. Ma quanto in là poteva spingersi prima di apparire
inopportuno? Questo
non lo sapeva. Ogni volta che provava a superare il limite regolare di
un’amicizia formale, gli sembrava che Susan si sentisse a
disagio. Non gli
aveva mai rifiutato un contatto fisico come un abbraccio veloce,
però quando
accadeva sembrava sempre sull’allerta, come se avesse paura
di qualcosa,
finendo per allontanarsi molto prima di quanto il ragazzo avrebbe
voluto.
Quella effettivamente era la prima volta che Susan abbassava le sue
difese,
concedendosi un momento di tenerezza. Era evidente che ne aveva un
bisogno
disperato, e il pensiero che lei avesse scelto proprio lui per
lasciarsi andare
lo riempiva di felicità.
Avvicinò
la sua bocca all’orecchio di lei, scostandole i capelli con
la mano destra e
accarezzandole nel contempo il lungo collo bianco, maledicendosi
mentalmente
per il tremore alla mano, causato dall’emozione di quella
situazione così nuova
ma desiderata.
“Tu
sei forte, ce l’hai sempre fatta e ce la farai. Sei la regina
di Narnia e la
tua volontà non è mai venuta meno” le
sussurrò certo delle sue parole.
Le
labbra della giovane sbocciarono in un sorriso solare. Aveva percepito
nella
carezza il tremore alla mano, lo stesso che faceva traballare la sua
voce.
Sembrava fosse in soggezione, come se avesse paura di rovinare quel
momento.
Non capiva che per lei niente avrebbe potuto andare storto in quel
preciso
istante per il semplice fatto che c’era lui insieme a lei,
anche se questo non
glielo avrebbe mai detto. Come non gli avrebbe mai confessato quanto
bene si
sentisse tra le sue braccia, o come le sue parole avessero
l’effetto di
calmarla come quelle di nessun altro. Prima di dar voce a questi
pensieri
probabilmente si sarebbe consegnata a Miraz senza remore. Non aveva
paura di
non essere ricambiata, di ricevere un rifiuto. Anzi, forse sarebbe
stata la
cosa migliore sentirsi urlare un “no” in faccia.
Avrebbe preferito essere certa
che per Caspian non era null’altro che un’amica.
Era proprio la possibilità che
per lui fosse qualcosa di più che la logorava, che le
incuteva terrore. Perché
se così fosse stato avrebbe dovuto chiedere a se stessa cosa
provava lei,
domanda che cercava di evitare come la peste. Sapeva di sentirsi
diversa quando
c’era lui nei paraggi, ma aveva ancora accuratamente evitato
di esaminare la
sue sensazioni. Non avrebbe saputo reggere alla risposta. Non avrebbe
sopportato anche quella consapevolezza, negativa o positiva che fosse,
per
tutte le conseguenze che avrebbe comportato.
È
proprio un caro ragazzo, è davvero
dolce…
Certi
pensieri però riuscivano ugualmente a penetrare il muro che
aveva eretto,
specialmente quando univa il suo sguardo a quello limpido e sincero di
lui.
*
Leggero.
Ecco come si sentiva, leggero. Il cuore batteva forte e felice nel
petto,
libero da ogni preoccupazione come non lo era da molto tempo ormai.
Quella
ragazza è un balsamo per le mie
inquietudini.
Questi
i pensieri del re di tutta Narnia mentre veloce si dirigeva verso la
tavola di
pietra, speranzoso di trovarci ancora la sorella per comunicarle la
lieta
notizia. Susan sarebbe stata al settimo cielo per la prospettiva
dell’aiuto di
Cathrine, così come molti altri, e ne aveva tutte le
ragioni. Poteva davvero
fare la differenza tra la vittoria e la sconfitta. Eppure non era
ciò che
faceva sorridere beato il giovane re. Il soggetto dei suoi pensieri era
sempre
lo stesso, una bella ragazza dagli occhi di ghiaccio ma i capelli rossi
come il
fuoco, ma il contesto era completamente differente. Se Susan le avrebbe
eretto
una statua per la sua partecipazione alla guerra, Peter
l’avrebbe idolatrata
per il semplice fatto di esistere. Ciò perché
quella, partendo dallo spunto di convincerla
ad aiutarli, erano finiti su tutt’altro argomento. Senza
nemmeno rendersi conto
il re le aveva confessato molte delle sue paure, delle sue angosce e
dei suoi
sogni. Dei suoi rimpianti e delle sue speranze. E lei lo aveva
ascoltato senza
battere ciglio mentre le narrava della nostalgia che provava verso la
vecchia
Narnia o mentre le sussurrava che avrebbe voluto fargliela vedere. Non
aveva
cambiato argomento né si era dimostrata annoiata neppure
quando le confessava i
suoi limiti e le sue mancanze, debolezze che non aveva mai avuto il
coraggio di
elencare a nessun’altro per la vergogna ma che con lei erano
uscite fuori dalle
sue labbra senza alcuno sforzo. Era stata a sentirlo fino alla fine e
lo aveva
consolato senza chiedere nulla in cambio, ma soprattutto senza
giudicarlo. Non
aveva scosso la testa scandalizzata, non lo aveva accusato di essere
incapace
di gestire il regno per colpa di tutte le sue mancanze. Lo aveva
abbracciato
invece. Gli si era buttata tra le braccia senza riflettere, facendosi
sentire
vicino a lui, facendogli capire che non era solo, che comprendeva tutte
le sue
preoccupazioni. E lui era certo che era vero. Lo avvertiva a pelle che
lei
poteva veramente capire la sua inquietudine e la solitudine che spesso
albergava nel suo cuore, così come la sua incertezza sulla
cosa giusta da
fare. Quella sera
per la prima volta
aveva sentito una persona vicina alla sua anima e al suo cuore come non
gli era
mai successo. Sembrava riuscisse a penetrare tutte le barriere
difensive che
aveva eretto per essere un re forte e giusto, per apparire privo di
debolezze,
e lo faceva senza il minimo sforzo e soprattutto senza costringerlo.
Pareva
quasi che esse cadessero da sole in sua presenza, perché
convinte di non
doverle nascondere nulla, che non erano necessarie con lei
perché avrebbe
compreso la realtà che celavano: la sua anima inquieta e le
sue preoccupazioni.
Quella
sera, sotto una tonda luna bianca e un manto di stelle custodi, lui
aveva
iniziato ad aprirle il suo cuore, a far venire alla luce
l’identità nascosta
sotto il titolo nobiliare troppo a lungo nascosta a causa degli
obblighi
opprimenti. Per ora si era aperta solo una breccia nella maschera, ma
ben
presto era certo che sarebbe crollata del tutto, permettendogli di
essere se
stesso almeno con una persona. Eppure già solo quel piccolo
squarcio lo aveva
fatto sentire leggero, lo aveva liberato. Ma oltre la sensazione di
benessere
aveva avvertito anche altro. Aveva percepito con chiarezza il motivo
per cui
sentiva quella ragazza così vicino a lui, perché
lo capiva. Anche lei aveva una
maschera che portava quotidianamente e che cominciava ad andarle
stretta. Aveva
bisogno anche lei di una boccata d’aria fresca, di poter
essere se stessa con
qualcuno, di confidarsi e affidarsi agli abbracci finora assenti di una
persona
amica. Solo che a quel che pareva la sua di maschera era anche
più spessa di
quella di Peter, perché se su quella del ragazzo ora
spiccava una crepa
liberatoria, quella di lei era ancora intatta e resistente. Ci sarebbe
voluto
più tempo per farla crollare.
Chissà
quello che ha dovuto sopportare
per essersi costruita un muro così alto attorno.
Pensò
il giovane provando un moto di tenerezza verso quella giovane donna
così
fragile all’apparenza.
L’aiuterò.
Fosse l’ultima cosa che
faccio, la libererò dalla sua maschera come lei mi sta
liberando dalla mia. Io
sarò la sua aria fresca.
Pochi
passi ancora e il profilo della porta della sala della tavola di pietra
si
stagliò alla fine del tunnel buio.
L’aprì e veloce entrò dentro la stanza
chiamando la sorella a gran voce e iniziando a comunicarle la
novità. La cercò
per un secondo con lo sguardo per la sala, continuando a parlare, ma
quando
finalmente la vide, le parole gli morirono in gola.
Vicini,
troppo vicini, c’era due
sagome.
Anzi, avvinghiate l’una
all’altra
c’erano due sagome rispettivamente quella di sua sorella e
quella di un
principe che presto sarebbe stato morto.
Miraz
tra poco si ritroverà senza
lavoro, forse per ringraziarmi non attaccherà nemmeno
più Narnia.
Susan
e Caspian dal canto loro sobbalzarono al suono della voce del re. In
meno di
mezzo secondo le più svariate emozioni passarono dagli occhi
di entrambi. Susan
spinse via Caspian mettendo una distanza di sicurezza tra i due,
dopodiché
abbassò la testa più rossa di un pomodoro e
iniziò ad intrecciare le dita
nervosamente.
Caspian
non si accorse nemmeno di essere stato allontanato dalla ragazza,
impietrito
com’era a guardare Peter, terrorizzato dai pensieri di
quest’ultimo ma
soprattutto dalla reazione che avrebbe potuto avere. Così
con il volto cinereo
si limitava a pregare e a fissare il suo possibile carnefice.
Peter
invece…Peter era semplicemente furibondo. Raggelato sul suo
posto, con gli
occhi fuori dalle orbite e la bocca semi aperta, divenne prima rosa
pallido,
poi bianco per diventare rosso e infine viola intenso e preoccupante
quando la
consapevolezza del fatto che Caspian era appiccicato a sua sorella
raggiunse il
culmine.
Lo
fulminò con lo sguardo e cercò di contare fino a
dieci ripetendosi come una
mantra “non posso ucciderlo” purtroppo.
Piombò
un silenzio tombale, finché Susan, passata la sorpresa
iniziale, decise che
doveva intervenire a beneficio del principe.
“Bene
Caspian, ehm… mi stavi giusto dicendo che… che
devi andare vero?” disse
simulando un tono disinvolto. Impresa fallita appena
incrociò gli occhi
assassini del fratello.
Caspian
cercò di prendere la palla al balzo. “Si Susan, io
me ne …stavo giusto andando.
Peter…” stava per accommiatarsi anche dal re ma
quest’ultimo lo precedette.
“Sparisci,
ne parliamo domani” lo liquidò con una mezza
minaccia.
In
un millesimo di secondo Caspian si dileguò.
“Ehm…Peter
io” tentò la ragazza ma Peter gli fece cenno con
la mano di fermarsi.
Si
pizzicò la radice del naso con il pollice e
l’indice e fece un profondo
respiro.
Susan
provò di nuovo a prendere la parola ma Peter non glielo
permise.
“No,
non ne voglio parlare né ora né con te. Ti
prometto che non lo uccido, però
domani un bel discorsetto non glielo leva nessuno” e con
questo mise fine alla
questione.
Susan
sorrise tra sé e sé pensando a quanto protettivo
fosse il fratello. Per quanto
l’intrusione l’avesse infastidita, non poteva non
essere almeno un po’ felice
per la reazione di Peter. A parte il fatto che la scenetta tra lui e
Caspian
era stata inappagabile, era un chiaro sintomo di quanto lui tenesse a
lei, e
questo non poteva che farla star bene, impedendole anche di adirarsi
contro di
lui. A patto però che non esagerasse, a quel punto bene o
non bene avrebbe
puntato i piedi senza pensarci due volte.
“Susy,
mettendo da parte gli ultimi cinque minuti, ero venuto per darti una
notizia”
Susan
si riscosse. Si era quasi dimenticata della conversazione avvenuta in
precedenza con il fratello. A quanto pareva aveva parlato con Cathrine,
ce
l’aveva fatta a convincerla?
“Dunque?”
lo incitò speranzosa, notando che Peter era passato da un
tono acido ad un
neutro per sua fortuna.
“Ci
aiuterà” disse lui semplicemente.
A
quelle parole Susan gli balzò al collo urlando felice senza
più pensare a
niente. “Si! Forse ora abbiamo una
possibilità!”
“Ok,
ok, però calmati!” Peter cercò di
frenare l’entusiasmo della giovane
allontanandola prima che stritolasse il suo povero collo.
La
ragazza, sorpresa, gli scrutò il viso con occhi critico.
Perché suo fratello
non esultava? Poi comprese.
“Peter,
stai tranquillo, non succederà nulla” lo
rassicurò accarezzandolo, anche se
entrambi sapevano che quelle parole non potevano rappresentare una
certezza.
Il
re sospirò. “Lo spero Susy, non voglio pentirmi di
aver acconsentito”
“Ehi,
devi gioire, se riusciremo a mettere in atto una buona strategia,
riusciremo a
battere Miraz” Susan cercò di far leva su
questioni pratiche per alleviare le
preoccupazioni del fratello.
Lui
le sorrise riconoscente e la sollevò per i fianchi facendole
fare una
giravolta, facendosi contagiare dall’esultanza di lei.
“Lo so, altrimenti non
avrei mai accettato.” Le disse prima di darle un buffetto
sulla guancia, gesto
che irritò non poco Susan come Peter aveva previsto. Ma
dopotutto, se non
l’avesse fatta arrabbiare, che gusto ci sarebbe stato nel
farlo?
*
Vuoto. Dovevo avere il vuoto
più totale e completo nella mia mente.
Avevo bisogno di concentrazione se volevo riuscire nel mio intento.
Focalizzai
il bersaglio nella mia mente e feci confluire tutta la mia energia su
quel
punto. In testa mi ripetei una sola e singola parola come una mantra.
Addormentati
Non successe nulla, ma non
mi diedi per vinta. Riprovai ancora, mi concentrai di nuovo. Fallii. Rifeci un altro
tentativo, e un altro
ancora e ancora, finché non sentii la mia testa gonfiarsi
sempre di più. Se
stringevo ancora di più le meningi probabilmente sarebbe
esplosa. A quel punto,
per amore della mia testolina, mollai.
“Non ce la
faccio!” sbuffai
come una bambina, sdraiandomi sull’erbe a pancia in su.
Neanche due secondi
dopo udii dei passi avvicinarsi e un volto ilare entrare nel mio campo
visivo.
Gli occhi dello stesso colore del cielo che gli faceva da sfondo, mi
fissavano
divertiti.
“Credo sia normale,
è la
prima volta che ci stai provando, hai bisogno di far pratica”
affermò saccente.
Portai dietro la nuca le
mani sbuffando più sonoramente di prima.
“è la prima volta che mi trovo così in
difficoltà con un incantesimo, di solito non ho problemi a
tramutare le mie
volontà in realtà. Non capisco perché
non riesco a far addormentare le
persone!” lo guardai di sottecchi e gli puntai un dito
accusatore contro.
“Guardati! Ci stiamo da ore e non sei insonnolito. Non sei
nemmeno lievemente
stanco, non è possibile!” sbraitai.
Inizialmente cercò di
trattenersi, ma la sua forza di volontà si
sbriciolò appena misi il broncio.
Peter mi scoppiò a ridere di gusto in faccia. Io,
proseguendo nello show
vediamo-Cathrine-da-bambina, mi voltai dall’altra parte.
“Scusami, ma eri troppo
buffa” si giustificò adagiandosi
sull’erba accanto a me.
Gli feci la linguaccia,
gesto che suscitò un’altra dose di
ilarità a mio malgrado.
“IO invece sono
stanchissima” affermai calcando sul pronome.
Gli esercizi mi avevano
spossata. Era tutta la mattina che ci esercitavamo sotto desiderio (o
meglio
ordine) di Susan. La ragazza era stata una Pasqua quando Peter le aveva
comunicato la mia decisione e quella mattina -alle prima luci
dell’alba per la
mia felicità- si era precipitata in camera mia per
ringraziarmi. O meglio, mi
aveva stritolato in un abbraccio che voleva essere riconoscente
accompagnandolo
ad un mare di ringraziamenti e di scuse per come si era comportata,
dopodiché
si era subito lanciata su un elenco di incantesimi che potevano servire
in
battaglia, incurante del fatto che né io né
Peter, arrivato attirato dal
trambusto che la ragazza stava suscitando, la stavamo realmente
ascoltando.
Tuttavia a quanto pareva
Susan trovava indispensabile che io imparassi a far addormentare le
persone.
“Se riuscirai a far insonnolire le guardie ad una relativa
distanza riusciremo
ad entrate indisturbati nel castello” erano state le sue
precise parole.
Effettivamente l’idea era buona, senza contare che non
implicava l’omicidio da
parte mia, fatto che mi premeva più di tutti.
Quindi eccoci lì dalle
otto
del mattino vicino alle rovine dell’arena. Peter si era
gentilmente offerto
come cavia per i miei esercizi a suo rischio e pericolo, ma per il
momento non
gli era successo nulla di male per colpa di un mio errore. Anzi, a dir
la
verità non era successo proprio niente con mio sommo
disappunto. Era la prima
volta in assoluto che un mio incantesimo non andava in porto e
ciò mi irritava
profondamente. La mia teoria era che smuovere o mutare la
volontà di un essere
umano era molto più complicato che farlo su un oggetto o un
animale. Però ero
certa che ce la potevo fare, dovevo solo esercitarmi.
“Forse è
meglio che facciamo
una pausa, possiamo riprendere più tardi”
“E il sergente
Susan?” gli
ricordai io.
Lui fece un gesto di non
curanza con la mano. “Mia sorella se ne farà una
ragione. Le ho intimato di non
infastidirti o se la vedrà con me”
“Yuppie! Allora pausa
sia,
ne ho bisogno” esclamai rincuorata della minaccia di Peter.
Riposo, stavo
arrivando…
Peter mi scompigliò i
capelli
ridendo. “Bene, approfitto della pausa anch’io per
andare a sbrigare qualche
questione.”
“Quale?” gli
domandai
curiosa.
Lui fece una smorfia di disappunto.
“Devo andare a fare una lavata di capo a Caspian”
mi confidò.
Io strabuzzai gli occhi.
“E
perché?”
“Perché ieri
sera ho beccato
il signorino appiccicato a mia sorella! Ma ti rendi conto che faccia
tosta? Gli
vado ad intimare di tenere le mani a posto se ci tiene ad averle ancora
attaccate ai polsi in un futuro prossimo” mi
spiegò digrignando i denti.
Io scoppiai a ridere
divertita. Peter nei panni del “fratello geloso”
era uno spettacolo. Povero
Caspian, non se la sarebbe cavata a buon mercato. Lo immaginai insieme
a Susan.
Effettivamente erano una bella coppia e a quanto pareva se ne era
accorto anche
Peter. Non che fosse difficile da notare se ci ero riuscita anche io
pur
essendo arrivata da poco. Quei due erano sempre insieme, per non
contare la
perfetta alchimia che sprizzavano quando comunicavano. Sembravano in
armonia.
“Non essere troppo
severo,
non c’è niente di male in un abbraccio”
e lo guardai di sottecchi ricordandomi
il momento stupendo passato ieri sera assieme.
Vidi un sorriso malizioso
disegnarsi sulle labbra del re. Probabilmente lui stava pensando alla
stessa
cosa, o per lo meno lo speravo.
Peter scosse la testa
sconsolato. “D’accordo, ci andrò
piano” promise “Ti lascio sola, mi raccomando
non cacciarti nei guai” mi ammonì dopo.
Gli tirai un debole pugno
sul torace. “Guarda che ho vissuto diciassette sicurissimi
anni anche senza la
tua custodia!” gli ricordai.
“Si, ma eri a Londra o lo
hai dimenticato? Qui a quanto pare hai bisogno della guardia del corpo
costante”
Acci…incastrata.
Pazienza,
uno a zero.
Si alzò con grazia
dall’erba, mi rivolse un ultimo sorriso -era il sole che mi
abbagliava così
tanto o era lui?- e si diresse verso l’interno
dell’edificio.
Lo seguii con lo sguardo
finché non vidi la sua chioma bionda sparire. Era proprio un
ragazzo d’oro, lo
conoscevo da poco eppure quando gli parlavo mi sembrava di aver
trascorso anni
insieme a lui. Non c’era mai stato alcun imbarazzo, finora le
nostre
conversazioni erano state tutte spontanee e …benefiche. Si,
era la parola giusta.
Parlare con Peter mi trasmetteva una calma ed una serenità
che non avevo mai
raggiunto in diciassette anni di vita. Forse perché lui
conosceva il mio
segreto, fatto che mi permetteva di essere più naturale,
forse perché stavo
condividendo con lui un’esperienza unica - certe esperienze o
uniscono o
dividono per forza ed essere catapultati in un altro mondo di sicuro
rientrava
nella categoria- forse perché mi aveva difesa a spada tratta
o…forse perché era
semplicemente Peter, un ragazzo che senza conoscermi mi aveva accolta
in casa
sua promettendomi protezione e aiuto nella mia missione.
Scossi la testa
violentemente per scacciare quei pensieri. Non dovevo farmi prendere
dalla mia
mania di analizzare tutto e tutti. Ero sempre riuscita a rovinarmi gli
aspetti
belli di ogni situazione passandoli in rassegna ma questa volta non
doveva
accadere, non ora che stava andando così bene!
Misi le mani dietro la nuca
e mi stesi sull’erba soffice la quale mi solleticava i tratti
del viso. L’aria
lì era fresca e pulita, nulla a che vedere con lo smog di
Londra! Anche il
cielo era pulito, limpido e di un azzurro intenso, senza nemmeno una
nuvola,
azzurro proprio come i suoi occhi…
*
Quanto
pensi possa durare?
Per sempre. Perché
dovrebbe
finire?
Perché
è una enorme bugia, e prima o poi te ne
accorgerai anche tu.
Perché insisti nel dire
che
è una menzogna? Non vuoi la mia felicità? Io sto
così bene qui.
Piccola
mia, io lo dico proprio unicamente per la tua
felicità. Non voglio vederti piangere per persone che non lo
meritano.
Ma loro non mi faranno mai
piangere.
Si
invece, non li conosci, sono egoisti e
opportunisti, ti sfrutteranno e basta.
Io non conosco neanche te,
non ti sei ancora fatta vedere.
Si che
mi conosci. Sono sempre stata con te, solo che
non sono abbastanza forte da venire a prenderti.
E dove mi porteresti?
A casa.
“Cate? Cate
sveglia!”
Mi svegliai di soprassalto
ritrovandomi una ragazzina di dieci anni davanti al viso, che mi
sorrideva
innocente.
“Lucy! Che ore sono?
Perché
mi hai svegliata?” domandai irritata e mettendomi a sedere.
Mi guardai un
attimo attorno riconoscendo con sorpresa le rovine
dell’arena. Il sole era
alto, doveva essere mezzo giorno e io mi ero addormentata
sull’erba appena
Peter se ne era andato senza nemmeno accorgermene!
La bimba assunse
un’espressione contrita. “Scusami se stavi dormendo
bene ma a me sembrava il
contrario. Continuavi ad agitarti, sembravi in ansia.” Si
giustificò.
Tirai un sospiro e le
accarezzai una guancia per tranquillizzarla. “Va tutto bene,
scusami tu. Anzi,
è meglio così, non posso mica passare tutto il
giorno a dormire no?” aggiunsi
ilare. In realtà era profondamente scocciata
dell’interruzione, ma di certo non
ce l’avevo con Lucy. Un’altra cosa certa era che
non ero arrabbiata per il
sonno mancato. L’unica cosa che mi premeva era aver
interrotto la discussione
con la donna. Non aveva mai lasciato trapelare così tante
informazioni come
questa volta. Le sue frasi erano sempre vaghe, ma
quest’ultimo dialogo aveva
comunque chiarito alcune domande che mi ponevo da settimane. Prima tra
tutti,
perché non si era ancora fatta vedere da quando ero a
Narnia. Aveva detto che
era troppo debole per venirmi a prendere. Quindi era malata, stava
male?
Aspettava di essere in forma per presentarsi probabilmente. E una volta
guarita
sarebbe giunta. Sarebbe arrivata per portarmi a casa aveva affermato.
Ma quale
casa? La sua, di sicuro. Chissà dove si trovava, forse Peter
avrebbe potuto
dirmelo… No, pensandoci meglio era più saggio non
chiederglielo. Avevo notato
che le poche volte che avevo nominato la donna delle mie visioni, Peter
si era
irrigidito inspiegabilmente e aveva cambiato discorso in tutta fretta.
Avrei
aspettato per chiedere delucidazioni la prossima volta che avessi visto
la
donna, ovvero appena mi fossi riaddormentata, dato che aspettava i
momenti in
cui ero tra le braccia di Morfeo per venire a trovarmi. Sarei andata da
Peter
solo come ultima risorsa. Ma perché la donna voleva portarmi
via? Perché insisteva
nel dire che quello non era il posto giusto per me?
“Cate, ero venuta per
dirti
che è pronto il pranzo. Probabilmente gli altri avranno
già iniziato a
mangiare, vieni?” mi informò.
Gnam, avevo una fame cieca!
Il mio stomaco accolse quella notizia felice come non mai.
“Ma certo”
Lucy mi offrì la mano e
io
la presi, felice di quel piccolo segno di amicizia. Feci per dirigermi
verso
l’interno dell’edificio ma la bimba mi
frenò.
“Cosa
c’è Lucy?” le domandai
volgendomi sorpresa verso di lei.
La piccola mi guardò
tentennante. “Mi hanno riferito la tua decisione di ieri sera
solo poco fa e
non ero ancora riuscita a ringraziarti. Ero venuta qui anche per
questo” mi
sorrise con il suo sorriso infantile e sincero prima di continuare
“Davvero
Cathrine, grazie mille, non sai quanto significhi per noi. Con la tua
scelta
hai portato un barlume di speranza anche nei cuori più
scettici, grazie.”
La fissai, sbalordita dalle
sue parole. Caspita, per essere una bambina Lucy sapeva parlare davvero
bene. Poi
mi ricordai che non aveva l’età che dimostrava,
perché per quanto potesse
sembrarmi astruso, anche lei era la regina di Narnia e come tale aveva
subito
lo stesso sbalzo temporale dei suoi fratelli. Ciò
però non sminuiva le sue
parole.
Mi chinai e l’abbracciai
commossa. “Grazie a te Lucy per quello che mi hai
detto”
La piccola rise e
ricambiò
l’abbraccio. “Dai ora andiamo o non troveremo
più niente da mettere sotto i
denti!” scherzò.
Risi con lei, poi la ripresi
per mano e mi diressi verso il mio piatto caldo che mi stava aspettando
paziente.
Entrammo nella grande sala
da pranzo attirando, come sempre, gli sguardi di tutti i presenti. Poco
male,
ormai ci stavo facendo il callo. Senza guardare nessuno, mi diressi
spedita
verso il posto di Peter, che già mi sorrideva allegro. Dalla
sua espressione
traspariva la soddisfazione per qualcosa. Feci mente locale un secondo
e mi
ricordai cos’era andato a fare quando mi aveva lasciata.
Povero principe. Lo
cercai con gli occhi lungo le file di tavoli o lo trovai seduto in un
angolo
vicino a Susan. Aveva il colorito pallido e pareva abbacchiato tanto
che Susan
sembrava continuare a confortarlo. Chissà cosa si erano
detti i due sovrani…
“Mademoiselles”
ci salutò
Peter, invitando me e Lucy a sederci accanto a lui.
“Ancora un minuto e temo
avreste trovato le pentole completamente vuote, sapete?”
“Colpa di Cate, non si
schiodava da terra”
“Ehi!” lanciai
il tovagliolo
in direzione di Lucy, che mi rispose con una linguaccia.
“Comunque” ci
richiamò
divertito Peter “volevo domandarti una cosa” e si
rivolse a me.
Inevitabilmente io mi incuriosii.
“Che cosa?”
Il re mi si avvicinò
ammiccante “Mi chiedevo se oggi ti andava di venire con me in
un posto” rispose
misterioso.
Mi avvicinai a mia volta,
con un mezzo sorriso provocante, stando al gioco e incurante dei
possibile
spettatori. “E dove?”
“Volevo mostrarti uno
scorcio del mio paradiso, quel che resta della mia Narnia. Sai, non
l’ho ancora
fatto vedere a nessuno, lo scoperto pochi giorni fa” mi
confidò a bassa voce.
“E vuoi condividerlo con
me?” gli domandai lusingata.
Lui annullò la residua
distanza tra di noi e mi si accostò al mio orecchio,
sussurrando “Sei l’unica
che lo apprezzerebbe quanto me”
|
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Capitolo 9 *** 8_Quello che posso e non posso essere ***
cappy 8
Ciao a
tutti!!!! Lo so scusatemi ci ho messo una vita ad aggiornare, ma
è riniziata la scuola e purtroppo per me ho dovuto fare i
conti
con una marea di compito T.T!!! Comunque alla fine ce l'ho
fatta
e...eccomi qui!! Ragazze mie, 5 recensioni per lo scorso cappy, SONO
FELICISSIMA^^!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! Nn riuscivo a crederci^^ e poi che
recensioni, siete troppo buone troppo fantastiche!!!!! Avevo la
lacrimuccia! Io nn so cosa dirvi se non
GRAZIEEEEEEEEEEEEEEEEE^^!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! Dopo tutto questo
spero davvero tanto di non deludere le vostre aspettative con qst
cappy, spero davvero che vi piaccia^^ è dedicato a
tutte
voi che mi avete scritto, glasie davvero^^
La prima parte è puntata su Peter e Cathy e li troviamo dove
li
avevamo lasciati lo scorso cappy anche per vedere fino in fondo la
bellezza del posto dovrete aspettare l'ultima parte del
cappy, la
terza^^ la seconda invece è interamente per gli altri due
piccionicini che spero appreziate^^ Quindi questa capitolo
privilegia ancora molto le coppie e spero di essere riuscita con questo
a dare un quadro completo della loro situazione sentimentale,
specialmente quella di Cathrine che è stata la
più difficile da inquadrare e ancora non so se mi
è venuta bene o male, lìavrò riletta
mille volte e spero che alla fine sia riuscita ad esprimere bene
ciò che prova^^! Il prossimo invece sarà un cappy
più movimentato con alcuni sviluppi, e qui nn aggiungo altro
o vi rovinerei la sorpresa^^! Nel prox cappy poi apparirà di
più Edmund che effettivamente poverino come mi è
stato fatto notare è stato lasciato un po' sullo sfondo! Per
Aslan e Jadis invece bisognerà pazientare ancora un po'^^!
Fatemi sapere cosa ne pensate^^!
Ora passo ai ringraziamenti:
risotto:
ciauu^^! Grazie mille per la tua recensione entusiasta^^ sono
felice che la parte per Susy e Caspian ti sia piaciuta, ^^ spero che ti
piaccia anche la parte loro di qst cappy :-) dove ci sarà un
interessante svolta (però qui mi devo tappare la bocca se no
dico troppo!) e la aprte della ramanzina (ero curiosa anche
io di
sapere come sarebbe venuta perchè ero indecisa che tono
dargli
fino all'ultimo, spero che sia venuta bene alla fine^^) Nn vedo l'ora
di sapere cosa ne pensi^^ ti mando un grande bacio! 68Keira68
ranyare: ciao!
grazieeeeeeeeee^^ addirittura un monumento**? Sei troppo
buonaaaaaaaaaaa :-)!!!!!! però sono davvero
tantotantotantotanto
felice che il cappy (e quella battuta hihii^^) ti sia
piaciuto^^!
Peter nei panni del fratello maggiore lo vedevo troppo bene per non
inserirlo ^^ qui gli sviluppi tra i nostri piccionicini nn mancheranno
assicuro^^ spero che ti piacciano:-)! Quando Peter scoprirà
la
verità ci sarà un bel pasticcio che
riguarderà
tutti ^^ però nn posso aggiungere altro o rovinerei la
sorpresa
hii^^ bisognerà aspettare ancora un po', la strada
è
lunga spero solo che nel frattempo sia piacevole:-)! Spero di leggere
presto la tua recensione per sapere se il cappy ti è
piaciuto^^,
kisskisses carissima! 68Keira68
Carlottina: ciao!
Glasieeeeee^^ wow tutti i capitoli d’un
fiato, nn so cosa dire se no che sono davvero strastra felice che ti
sia
piaciuta così tanto^^!!!!!! Ti do ragione sul fatto che il
binomio
ragazzi-sentimenti è sempre divertente, sono forti e sicuri
i ogni occasione ma
quando si parla delle questioni di cuore diventano degli agnellini
hihi^^ cm
dicevo prima Jadis diventerà attiva tra un po’ di
capitoli, però assicuro che
succederanno un sacco di pasticci quando ciò
accadrà, spero solo che il tutto piacerà^^
ti lascio alla scoperta del posto segreto di Peter ^^ mi auguro che il
cappy ti
piaccia, spero di leggere presto la tua recensione ^^ ti mando un
grande bacio
68Keira68
KissyKikka:
Ciao! Sono felicissima che tu abbia recensito il
cappy davvero!
e grazie infinite per tutti i complimenti, sei troppo buona ^^!!!!!! Ero felice cm una bimba mentre li leggevo
>
sweetophelia:
Ciao! Sono molto felice che sia i personaggi che la storia ti
paicciano^^! Grazie per i complimenti :-)!!!!!! Per Jadis
bisognerà aspettare ancora qualche cappy, però
farà la sua bella apparizione in grande stile, lo
assicuro^^! Edmund invece apparirà meglio nel prox cappy, lo
prometto:-)! Ta-daan, presto sarà svelato il posto di Peter,
fammi sapere se ti piace questo nuovo cappy e il misterioso
luogo del nostre bel re biondo^^! Grazie mille per la tua recensione^^
ti mando un bacio 68Keira68 :-)!
Ringrazio
tantissimo anche tutti coloro che mi aggiunto tra le loro seguite e le
loro preferite, grazie di cuore^^!! E anche tutti coloro che
leggono^^!! Spero che il cappy vi piaccia, vi auguro una
buona lettura^^!
kisskisses
68Keira68
8_Quello
che posso e non posso essere
“Peter, sei sicuro che
sia
una buona idea?” domandai guadando diffidente il grosso
equino che mi
sovrastava.
“Ma certo,
perché non
dovrebbe?”
“Perché io non
ho mai
cavalcato e non ho la benché minima idea di come si
faccia” osservai titubante.
Il suono della sua risata
riecheggiò soave nell’aria. “Cate, non
è necessario che tu sappia cavalcare per
salire in groppa ad un destriero di Narnia” mi
spiegò paziente.
Io lo guardai scettica. “E perché di
grazia?”
“Perché guido
io. Non ti
farò cadere, te lo prometto”
Mi pietrificai dov’ero. A
parlare non era stato Peter, con mio enorme sconcerto, ma il destriero
che mi
stava dinanzi.
Accidenti, il cavallo aveva
parlato, non me lo ero immaginato!
Feci tre respiri profondi e
mi dissi che potevo sopportarlo, la mia mente poteva reggere anche
questa
novità. Dopotutto, non era più terrificante di un
minotauro.
Mi voltai verso il muso
dell’equino, cercando di celare l’indifferenza che
nutrivo verso di esso e
anche la paura.
Dischiusi le labbra per
articolare una frase, ma non mi uscì alcun suono. In
risposta udii sia Peter
che il cavallo ridere sommessamente.
E no, potevo farmi prendere
in giro dal re ma non sopportavo di essere derisa anche da un equino.
Mi feci
coraggio e riformulai la frase, facendo leva sull’irritazione
che provavo in
quel momento.
“Sei sicuro di riuscire a
non disarcionarmi? È la prima volta che salgo su un
cavallo” mi assicurai
piccata.
“Stai tranquilla, non sei
mica la prima persona che trasporto” ribatté
sicuro di sé.
Perfetto, pure il cavallo
megalomane mi toccava!
“D’accordo, mi
fido…”
“Fulmine”
“Come scusa?”
“Fulmine, il mio nome
è
Fulmine” mi informò scuotendo orgoglioso la
criniera scura.
“Ah ok, bene, allora mi
fido
Fulmine” ripetei imbarazzata. Anche suscettibile era?
“Muoviamoci, non ho
voglia
di rimanere qui tutto il giorno”
Peter, già in sella al
suo
cavallo bianco -chissà se anche lui aveva un nome-,
aspettava paziente con la
sua postura eretta e regale. Visto così, a cavallo, con la
spada appesa al
fianco e il sole dietro che gli illuminava i capelli biondi, sembrava
proprio
il principe azzurro delle fiabe.
Mi incantai un secondo a
guardarlo, prima che il nutrito di Fulmine mi riportasse con i piedi
per terra.
“Certo, arrivo”
Mi avvicinai al fianco del
mio destriero sempre più sconsolata guardando la sua
altezza. Come accidenti
avrei fatto a salirci?
“Aspetta, ti do una mano
io”
si intromise Peter vedendomi in difficoltà. In meno di un
secondo fu al mio
fianco e mi aiutò a mettere il primo piede nella staffa. Poi
mi posizionò le
mani all’attaccatura della sella e mi cinse i fianchi
fornendomi la spinta necessaria
per salire in groppa.
“Grazie”
mormorai
imbarazzata dalla mia imbranataggine.
È
stato davvero cavalleresco da parte sua però…
“Dovere” mi
rispose
rimontando agilmente sul suo equino. “Bene, ora che siamo
pronti, seguimi” e
detto questo diede un colpo di redini e
partì al galoppo.
“Tieniti forte, si
parte” mi
intimò Fulmine e io non me lo feci ripetere due volte. Mi
artigliai
letteralmente alla sella, terrorizzata dall’idea di cadere e
rompermi qualcosa.
Da che ne sapevo io qui attorno non c’erano ospedali.
Dopo qualche metro però
mi
accorsi che riuscivo a stare in groppa con facilità. Stava
guidando Fulmine, io
dovevo solo rimanere aggrappata a lui, forse avrei conservato
l’osso del collo
intatto ancora per un po’.
Peter mi si affiancò con
facilità, adattandosi al galoppo lento che Fulmine stava
conducendo per la mia
inesperienza. Riportai lo sguardo su di lui e non potei non far
ritornare i
pensieri di prima. Mi vennero in mente mille aggettivi per descriverlo,
ma il succo
era semplice: Peter era davvero bello, con una mano appoggiata al pomo
della
spada e l’altra che teneva con destrezza le redini.
“Allora, è
così difficile?” mi
chiese ironico.
Finsi di pensarci su.
“No,
credo di no”
“Bene, comunque tra poco
saremmo arrivati, non è tanto distante”
“Non ho ancora capito
bene
la nostra meta però, dove mi stai portando?”
domandai curiosa. A pranzo non
avevo insistito molto sull’argomento, felice solo che sarei
stata lontana un
intero pomeriggio da Susan e i suoi esercizi, ma soprattutto che lo
avrei
trascorso con lui.
Mi sorrise misterioso.
“In
un posto che ho scoperto da poco. È una piccola spiaggia
alla fine di un
boschetto. Si arriva passando dentro una roccia cava a piedi.”
“E come mai nessun altro
sa
dove si trova?” mi informai ricordandomi delle sue parole.
“Perché
l’ingresso è
nascosto dagli arbusti. Io ho trovato l’apertura per puro
caso mentre ero a
caccia. Ho visto un cervo che spariva tra gli alberi e inseguendolo ho
trovato il
passaggio.”
Ottima spiegazione, peccato
che la mia mente si era fermata su un’immagine ben definita
di lui a caccia,
anche se la mia immaginazione aveva aggiunto il corredo di cinque
creature
mitologiche. Potevo immedesimarmi nel cervo? Ero anche io una specie di
preda
trovata a caccia? Dopotutto ci eravamo incrociati durante una missione.
Perché ti vogliono solo usare.
Scossi la
testa e mi diedi mentalmente della stupida. Che pensieri insulsi stavo
formulando!
“Per me è un
posto di pace.
Non è ancora come la Narnia dei miei ricordi, gli alberi
sono ancora fissi e la
magia non risiede nel loro animo, però è
tranquillo, pulito, gli animali che vi
sono abitano liberi e spensierati e l’acqua è
limpida e fresca. La guerra non
ha ancora raggiunto quel piccolo anfratto per fortuna.”
Lo guardai con tenerezza
mentre descriveva quello che avevo capito essere per lui un piccolo
angolo di
paradiso.
“Non vedo l’ora
di andarci”
sussurrai.
Lui mi sorrise sghembo e mi
indicò due grandi querce. “Non dovrai attendere a
lungo, siamo arrivati” disse
e scese con un agile balzo giù dal cavallo.
“Visto che ti ho portata
sana e salva a destinazione?” si vantò Fulmine.
“Ok ok, mi sbagliavo,
contento?”, dal nitrito soddisfatto che seguì
dedussi che la risposta era
positiva. Incredibile, stavo avendo un botta e risposta con un cavallo,
meglio
che non mi ci soffermavo troppo a pensarci.
Il re mi si accostò e mi
porse le braccia, invitandomi a scendere. Senza esitazione tolsi un
piede dalla
staffa e mi appoggiai alle sue spalle, ritrovandomi in un soffio con i
piedi
saldamente ancorati al terreno e, cosa ancora più gradita,
tra le sue braccia.
La posizione non parve
infastidire nemmeno lui perché indugiò immobile
qualche attimo, prima di
passarmi una mano tra i capelli e con voce bassa intimarmi di seguirlo.
Ci addentrammo tra le due
querce secolari tenendoci per mano -per mia fortuna dato che continuavo
ad
inciampare tra le radici- facendoci strada tra i rami bassi e i piccoli
arbusti
che Peter molto galantemente scostava per farmi passare.
Dopo pochi passi una piccola
apertura scura ci apparve. Era grande quanto bastava per far passare
due o
massimo tre persone per volta ed era interamente intagliata nella
roccia
irregolare.
Senza esitare Peter
entrò
dentro trascinandomi con sé pur essendo più
riluttante ad immettermi in uno
spazio così angusto e buio. Meglio che non pensavo a quali
insetti vi potessero
dimorare o sarei scappata a gambe levate.
Peter probabilmente
avvertì
la mia ritrosia perché mi consolò dicendo
“Stai tranquilla, il tunnel dura
poco, è solo qualche passo”
Mi limitai ad un cenno di
assenso con il capo prima di entrare.
Una volta all’interno la
poca luce che si intravedeva prima scomparve nel nulla. Scorgevo a mala
pena il
profilo di Peter accanto a me. Fortunatamente lui sembrava sapere dove
ci
stessimo dirigendo perché proseguiva sicuro tastando solo di
tanto in tanto il
fianco del tunnel per assicurarsi di non andare a sbattergli contro
probabilmente.
Dopo poco tempo però
constatai che il re era stato di parola. Un fiotto caldo di luce
riempì la mia
visuale sintomo che l’uscita era vicina. Affrettai il passo,
desiderosa di
lasciarmi alle spalle la grotta cava e mi ritrovai su di una spiaggia.
Rimasi a bocca aperta. Peter
aveva ragione, quel luogo era stupendo. La spiaggia era bianca e la
sabbia
fine, il mare era un distesa infinita di acqua cristallina e
più azzurra del
cielo, tanto da non distinguere la linea dell’orizzonte.
L’aria calda e pulita,
accarezzandomi le gote, mi portava alle narici l’odore della
salsedine insieme
al dolce suono delle onde che si infrangevano delicate sulla battigia.
Ispirava
una pace infinita, poteva essere davvero un scorcio del paradiso.
“Allora, ti
piace?” mi
sussurrò Peter ad un centimetro dal mio orecchio, facendomi
sussultare. Non lo
avevo sentito avvicinarsi per colpa della sabbia che aveva attutito i
suoi
passi.
“Moltissimo”
gli risposi
girandomi felice.
“Ne sono lieto”
mi rivolse
un sorriso a trentadue denti, felice come una Pasqua probabilmente per
il luogo
in cui si trovava. Non potei non restare contagiata dal suo buon umore.
Si allontanò di un passo
e
iniziò a togliersi prima le scarpe, poi la cintura con la
spada. Io lo squadrai
con aria interrogativa. Perché si stava spogliando?
Poi però quando
iniziò a
sbottonarsi la camicia, il mio cervello iniziò a fare le
valigie per le Hawaii.
Nel tempo che Peter impiegò per appallottolare
l’indumento per terra, i neuroni
erano ormai già sotto un albero di cocco a prendersi il sole.
Dire che mi incantai a
guardarlo era un eufemismo, ma dopotutto come potevo biasimarmi? Aveva
un
torace scolpito. Le spalle erano ampie e ben proporzionate, sotto
facevano
bella mostra di sé i pettorali palestrati per poi scendere
giù, dove la vita si
faceva proporzionatamente sottile e ospitava degli addominali a dir
poco
perfetti…
“Ehi, ti sei
imbambolata?”
La voce di Peter mi riscosse
dal mio torpore con enorme imbarazzo.
No, ti
prego dimmi che non mi ha beccata a fissarlo!
Scossi violentemente la
testa per negare l’evidenza “Figurati, mi stavo
solo chiedendo perché ti
stessi…togliendo le scarpe” ecco, meglio prenderla
alla lontana.
Peter mi sorrise malizioso.
“Hai intenzione di fare il bagno vestita?”
osservò divertito.
BAGNO?!
Divenni, se possibile,
ancora più rossa.
“Vuoi fare il
bagno?” la
domanda mi uscì prima che potessi catalogarla come idiota.
Lui rise. Per mia fortuna la
stava prendendo sul ridere. “Ma certo, siamo in una spiaggia
con quaranta gradi
all’ombra, abbiamo una distesa di acqua a nostra
disposizione, preferisci forse
giocare a carte?”
“No no, il bagno va
benissimo, non ci avevo solo pensato” borbottai iniziando a
sfilarmi il vestito
per evitare di guardarlo in viso.
Mi liberai in fretta anche
delle ballerine e rimasi in quella che doveva essere la biancheria
intima
tipica del medioevo, fornitami gentilmente da Susan proprio quella
mattina. Il
completo consisteva in un corpetto bianco - mozza-respiro per i miei
gusti- con
una scollatura a cuore e mille laccetti dietro, che rendevano
l’impresa di
allacciarlo autonomamente impossibile, e un paio di pantaloncini lunghi
fino al
ginocchio bianchi anch’essi e ornati di pizzo
sull’orlo. Almeno quest’ultimi
per mia fortuna erano comodi, per nulla aderenti erano invece elastici
e più
morbidi di una tuta.
Senza degnare più di uno
sguardo Peter, mi diressi spedita verso il mare. Dopo qualche passo
però
cedetti alla tentazione di lanciare una rapida occhiata
all’indietro e mi
stupii nel vederlo immobile nella stessa posizione di poco prima. Mi
stava
fissando con un mezzo sorriso, probabilmente divertito dalla mia finta
alterigia. Gli occhi erano di un azzurro acceso e tutto il suo corpo
sembrava
irradiare un’energia sconosciuta ai più.
“Cos’è?
Ti è passata la
voglia di tuffarti? O hai paura che sia più brava di te a
nuotare e non vuoi
fare una figuraccia?” lo provocai togliendomi i capelli dalla
spalla con una
mano e muovendo la testa con una ostenta quanto finta
superiorità.
Lui accolse la sfida. “Io
paura? E di cosa, di un pulcino bianco?” ribatté
ridendo. Poi fece un passo in
avanti, mi fissò dritto negli occhi e aggiunse con un
sorriso provocatore “Un
pulcino che presto sarà bagnato da capo a piedi” e
detto questo iniziò a
correre nella mia direzione a tutta velocità.
Colta di sorpresa capii
troppo tardi le sue intenzioni. Iniziai a scappare ma tempo pochi passi
che mi
raggiunse e mi sollevò senza alcuna difficoltà.
Iniziai a ridere e a
dimenarmi contemporaneamente.
“Mettimi giù!
Peter! Mettimi
giù ti ho detto!” urlai inutilmente mentre lui
rideva e non accennava minimamente
a diminuire la presa, tenendomi in braccio apparentemente senza sforzo.
“Manco per sogno, sei
stata
tu a cominciare e ora ne paghi le conseguenze”
sentenziò mentre procedeva a
passo di marcia dentro l’acqua che iniziava ad arrivargli
alla vita.
“Scusa scusa, non lo
dirò
più prometto!”
“Mi dispiace ma ormai
è
troppo tardi per rimangiarsi le accuse, e uno”
iniziò a dondolarmi preparandosi
al lancio. Io chiusi forte gli occhi e iniziai ad immagazzinare
più aria
possibile. Accidenti a me e alla mia linguaccia, ma potevo starmene
zitta e
fare un bagno tranquilla?
“E due…e
tre!”
Mi lanciò in acqua e
l’ultima cosa che udii prima di affogare fu l’eco
della sua risata cristallina.
Andai a fondo per qualche
secondo, dopodiché, con una spinta, mi riportai in
superficie in cerca d’aria e
inizia a sputare l’acqua che avevo bevuto nonostante i miei
sforzi di tenere la
bocca chiusa. Odiavo essere buttata dentro l’acqua di peso,
mi entrava tutta
nelle orecchie e nella bocca, senza contare che l’impatto era
tutt’altro che
piacevole. Questa me la pagava, oh se me la pagava!
Con gli occhi ridotti ad una
fessura lanciai un’occhiata omicida a Peter il quale era
letteralmente piegato
in due dalle risate.
Mi concessi un sorrisetto sadico,
tra poco sarebbe stata un’altra persona a ridere.
“Allora, chi è
quello che
deve avere paura?” mi sbeffeggiò sicuro di aver
ottenuto la vittoria. Povero
ingenuo…
Feci un passo in avanti con
aria angelica. “Tu, ovviamente”
Mi squadrò scettico.
“Devo buttarti
in acqua un’altra volta?”
Scossi la testa. “Peter,
Peter, non lo sai che non si provocano le streghe?” e detto
questo agitai
velocemente le mani facendo confluire l’energia su di esse.
Le puntai ai lati
del ragazzo e feci alzare due potenti onde d’acqua. Feci
appena in tempo a
godermi l’espressione allibita del giovane che
l’acqua lo investì in pieno.
Quando riemerse, bagnato
almeno quanto me e annaspante, mi fissò accusatore.
“è sleale usare la magia!”
Scoppiai a ridere. “In
guerra e in amore tutto è concesso non lo sapevi?”
Vendetta,
dolce vendetta.
Mi lasciai cadere
all’indietro ad occhi chiusi, facendomi cullare
dall’acqua resa piacevolmente
tiepida dal sole caldo che risplendeva nel cielo. Pochi secondi dopo
avvertii
Peter raggiungermi con due bracciate. Mi mise un braccio dietro la nuca
e con
l’altra mano mi scostò le ciocche di capelli
bagnate dal viso. Aprii gli occhi,
godendomi appieno la pace di quell’istante, la stessa pace
che vidi riflessa
nei suoi zaffiri. Dai suoi capelli bagnati cadevano piccole gocce
d’acqua che
segnavano percorsi immaginari sul suo petto. Come incantata, alzai la
mano e ne
accompagnai la traccia di una, seguendo il profilo dei suoi addominali.
Arrivata alla fine, lui mi prese la mano tra le sue e se la
portò al volto,
appoggiandosela alla guancia e chiudendo gli occhi in
un’espressione di
beatitudine. Quando gli riaprì, la sua voce era roca e
bassa, ma capace di
risuonarmi dentro il cuore.
“E noi ora siamo in
guerra o
in amore?” mi chiese.
La domanda mi colse
impreparata e sentii un sapore amaro in bocca. Perché me lo
chiedeva? Non ci
stavamo divertendo anche senza farci stupidi problemi? Non ero pronta a
dare
una risposta. Anzi, a dire la verità non sarei mai stata
pronta, non ne avevo
la possibilità. Aggirai la richiesta. Gli avrei detto cosa
pensavo di quel
sentimento, forse avrebbe capito anche il resto.
“Sono la stessa cosa.
L’amore è una guerra. Contro l’altra
persona, contro terzi che si frappongono,
a volte anche contro il tempo o la società. Ma soprattutto
contro noi stessi,
che spesso siamo incapaci di accettare il sentimento o di gestirlo
oppure di
viverlo”.
La mia voce era sconsolata, piegata
da diciassette anni di privazione di quel sentimento. L’amore
per me era un
concetto estraneo, non lo avevo mai provato sulla mia pelle. Avevo
sempre
tenuto tutti alla larga dal mio cuore per proteggerli da me e per
proteggere me
stessa. Una lotta eterna per non affezionarsi troppo a nessuno ma
specialmente
per non far affezionare nessuno a me, alla strega. Chi avrebbe mai
potuto
volermi accanto nella Londra del duemila? Ero un pericolo, una
stranezza da cui
stare in guardia. Di certo non potevo imporre i miei sentimenti a
qualcuno. Fatto
era che ora non sapevo cosa volesse dire essere amata, ma soprattutto
non
sapevo cosa significasse amare, donare il proprio cuore a qualcuno in
senso
assoluto. Non lo avevo mai fatto e dubitavo di esserne in grado. Come
si può
promettere quindi una cosa che non sai sei puoi donare? Era meglio essere sinceri e
ammettere i propri
limiti al meno con se stessi.
Lui mi soppesò con lo
sguardo, intuendo il conflitto interno che aveva adombrato il mio.
Senza ribattere, mi prese in
braccio con dolcezza e si diresse verso la spiaggia. Io gli passai le
mani
attorno al collo e mi strinsi a lui, godendo del suo calore.
Ero conscia di averlo
turbato con le mie parole, ma dopotutto era quello che pensavo, quello
che
sentivo, non sarebbe stato giusto nei suoi confronti rifilargli una
dolce frase
di circostanza quando era del tutto falsa per me. Con il timore che
potesse
leggervi dietro una muta promessa che mai avrei potuto mantenere.
Mi adagiò sulla sabbia e
si
sedette di fianco a me, senza però distogliere il suo
braccio dalle mie spalle.
“Non sono
d’accordo sai? Non
la penso affatto così, e dovresti cambiare idea anche
tu” esordì con voce
risoluta ma bassa.
Io mi rannicchiai ancora di
più vicino a lui e tenni lo sguardo basso.
“Dipende in che circostanze sei
stato cresciuto”
“In che senso?”
“Tu sei abituato ad avere
accanto i tuoi fratelli, a casa avrai i tuoi genitori, degli amici
sinceri. Li
ami e loro amano te senza riserve, vi fidate e contate l’uno
sull’altro. E
anche qui tutti ti adorano, ti idolatrano come loro salvatore. Sei
costantemente circondato da persone che ti amano, tu sei abituato, sai
come
fare a donare il tuo amore a qualcuno, sai gestire il
sentimento” gli illustrai
con una punta di invidia.
“Tu no invece?”
mi chiese
mantenendo un tono neutro.
Stavo aspettando quella
domanda ed ero pronta a rispondergli. Non volevo lamentarmi
né passare per la
povera piccola da consolare. Odiavo essere biasimata, ma volevo che
capisse
perché non avrei mai potuto dargli una risposta smielata al
quesito di prima. “Noi siamo in
guerra o in amore?”
“No” dissi
secca.
Sentii i suoi occhi perforarmi
e io decisi di affrontare lo sguardo, nonostante temessi
l’occhiata di
compassione che sicuramente lo avrebbe attraversato. Eppure quando li
incrociai, rimasi sorpresa. Non c’era compassione
né biasimo, c’era semplice
curiosità di sapere la mia storia. Ma non era una
curiosità frivola, voleva
sapere per comprendere il motivo della mia risposta precedente, per
comprendere
e conoscere me.
Rincuorata, proseguii il mio
discorso. “Mia madre è l’unica che
conosce i miei poteri e mi teme come la
peste. Non ci parliamo mai, a parte quando mi insulta dicendomi che
sono un
mostro della natura. Mio padre non sa che sono una strega quindi
è più
affettuoso, ma è sempre via per lavoro, lo vedrò
si e no tre settimane
all’anno. Non ho mai avuto un ragazzo né amiche
sulla quale contare per colpa
dei miei poteri, perché non potevo permettermi di farmi
conoscere per quella
che ero, non potevo avvicinare nessuno, confidarmi o semplicemente
lasciarmi
amare e amare a mia volta. Capisci ora perché ho una visione
così grigia?” gli
riassunsi in breve, cercando di mantenere un tono indifferente,
operazione
quasi riuscita se non fosse per la nota disperata che non ero stata
capace di
trattenere sull’ultima frase. Non ero abituata ad aprirmi e
quella sincerità mi
costava. Mi faceva sentire indifesa, priva di protezione, anche se il
mio
istinto mi tranquillizzava, dicendomi chiaramente che con Peter non ne
avevo
bisogno, che non dovevo tutelarmi da lui. Sperai tanto che avesse
ragione.
L’amarezza si
propagò nel
mio cuore, come se dire quelle frasi ad alta voce le rendessero
più vere e
quindi anche più dolorose. Sentii forte una fitta al petto e
mi rannicchiai su
me stessa.
Il gesto non sfuggì agli
occhi vigili del re che aumentò la stretta sulla mia spalla
e iniziò ad
accarezzarmi il volto con la mano libera, chinandosi su di me.
Mi cullò per qualche
minuto,
poi iniziò a parlare.
“Mi dispiace, non lo
sapevo,
ma nonostante ciò, la tua visione resta
sbagliata.” Affermò.
Io lo guardai di sottecchi
con un sorriso amaro, pronta a smontarlo. “E sapresti anche
dirmi perché?”
“Perché non
tutti sono come
tua madre. Perché non sei costretta a rifugiarti e a temere
il giudizio di
tutto il mondo” disse prontamente.
“Finora non ho conosciuto
persone molto disponibili a Londra” ribattei testarda.
“A Londra no, ma qui non
sei
più in Inghilterra, te lo già detto” mi
ricordò “Qui tutti sanno chi sei e
nessuno ti ha additata come mostro. Alcuni si sono dimostrati
diffidenti, è
vero, ma non per i tuoi poteri in sé, ma per quello che gli
ricordavano e
questo non c’entra nulla con te. Qui puoi considerarti a
casa, la tua magia
rientra nell’ordinario, è considerata magnifica,
bella e vitale, non un
qualcosa da temere. Ora sei tra persone che ti comprendono”
Mi presi un secondo per
riflettere sulle sue parole. Era vero, mi ero lasciata Londra alle
spalle, ma
davvero avevo finalmente conosciuto chi mi accettava? La risposta la
sapevo da
sola. Si, era vero, per la prima volta in vita mia stavo tra persone
alla quale
non dovevo nascondere i miei poteri e che mi avevano accolta. La
consapevolezza
di ciò però mi giunse solo in quel momento. La
morsa che mi attanagliava il
cuore si allentò di un poco, anche se rimaneva comunque
stretta. Rimaneva il
problema più grande, quello dei miei limiti. Sarei riuscita
a superarli? Ne dubitavo
grandemente.
“E poi”
proseguì Peter “in
particolare IO non sono come tua madre” sottolineò.
Mi irrigidii sul posto. Mi
aveva di nuovo colta di sorpresa. Temetti la continuazione della frase,
però al
contempo non potei impedirmi contro ogni logica di provare aspettativa,
una
dolce attesa che non avevo mai sperimentato prima. Cosa intendeva con
quella
frase? Il mio cuore perse un battito mentre trattenevo il respiro,
raggelata
nella mia posizione, anche se, a pensarci bene, non sapevo nemmeno cosa
stavo
attendendo. Altre parole di consolazione? Una promessa? No, era
qualcos’altro,
ma non sapevo definirla.
“Io mi fido di te e
vorrei
che tu potessi fidarti di me, che sapessi che puoi contare sulla mia
persona,
che sono qui e sempre ci sarò e che, pur conoscendoti da
poco, finora ho potuto
vedere una bella e giovane ragazza, generosa e dolce che ha accettato
di
prendere parte ad una guerra per cause che non la riguardano rischiando
la sua
vita per persone che non conosce” proseguì, con
gli zaffiri che brillavano
intensi incatenati ai miei occhi. “Del mostro di cui parlava
tua madre non è ho
scorto traccia, ma se davvero si comportava come mi hai detto,
probabilmente
l’unico mostro vero era lei” concluse duro.
Era oltre le mie
aspettative, decisamente. Nessuno mi si era mai rivolto in questo modo,
nessuno
mi aveva mai offerto la sua amicizia, la sua comprensione totale e
giudicato in
modo così roseo.
Del
mostro di cui parlava tua madre non è ho scorto
traccia.
La frase continuava a
riecheggiare nelle mie orecchie, benefica. Non mi aveva considerato
strana,
pericolosa, non temeva la mia vicinanza per i miei poteri. Li aveva
addirittura
definiti magnifici, belli e vitali. Ma
non mi aveva neanche giudicato una Regina di Ghiaccio, come i miei
compagni
alla Queen’s.
Però…
“Non è solo quello il
problema” sussurrai mesta.
“E quale sarebbe
l’altro?” mi
incitò con un tono dolce.
Presi un bel respiro prima
di dar voce ai miei pensieri. Non mi ero mai confidata così
con nessuno, ma a
lui lo dovevo. Si era aperto con me la sera precedente, mi aveva
confidato
tutto, meritava la stessa fiducia che lui aveva riposto in me.
“Peter,
io…” esitai, presi
un altro respiro e mi feci forza “non credo di sapere amare.
Non in senso
assoluto. So essere una buona amica, ma non credo di poter essere
altro”
espressi d’un fiato.
Ora avevo ancora più
paura
della sua reazione. Cosa avrebbe pensato di me di fronte ad una
dichiarazione
del genere? Forse credeva che fossi un caso senza speranza. Quella
frase detta
ad alta voce pareva senza senso pure a me, anche se rispecchiava alla
perfezione quello che potevo e non potevo essere. Ma una persona
estranea lo
avrebbe capito? Avrebbe concepito che per me poteva essere complicato
provare
un sentimento solitamente così normale e spontaneo?
Ma ad un tratto sentii il
mio viso aderire al suo petto e il suo braccio che mi stringeva forte.
“Non dire sciocchezze, tu
sai amare. Per forza, hai un cuore d’oro, te l’ho
appena detto, e da ciò ne
consegue che hai più amore da donare di quello che
pensi” affermò. Il mio cuore
perse un altro battito e un sorriso involontario si formò
sulle mie labbra. Aveva
capito. Non sapevo come, ma era riuscito a comprendermi.
“Non ho mai provato un
sentimento del genere, se nascesse non saprei come gestirlo”
aggiunsi però, per
essere sincere fino in fondo.
Mi scostò di poco da
sé,
quel tanto che bastava per assicurarsi che lo guardassi negli occhi.
“Caty,
dimentichi che ci sono io. Te lo ripeto, io sono qui per te, puoi
contare su di
me, nessuno ti dice di fare niente da sola. Ti aiuterò io
quando lo vorrai”
Senza rendermene conto, il
sorriso di prima si allargò mentre usciva fuori un
“Grazie” direttamente dal
cuore. La parola era semplice ma sentivo che era quella giusta.
Riassumeva
nella sua sincerità parecchie cose che a voce non sarei mai
riuscita a dire.
Grazie per avermi voluto conoscere, grazie per avermi accettata, grazie
per
avermi difesa, grazie per avermi offerto il tuo aiuto, grazie per la
tua
fiducia, grazie per i tuoi sorrisi e il tuo calore. Grazie
per essermi vicino.
Peter mi baciò i capelli
con
dolcezza e io fui certa che avesse intuito tutto ciò che
quel “grazie”
racchiudeva in sé, poi si sdraiò sulla sabbia,
con gli occhi chiusi e
un’espressione beata in viso.
Rimasi un secondo ad
ammirarlo. Forse lo aveva già detto ma…era
davvero, davvero bello. I raggi del
sole facevano brillare le piccole gocce d’acqua che ancora
gli bagnavano il
petto scolpito, che ora si abbassava e alzava a ritmo regolare e
rilassato. Le
braccia, tenute con scioltezza dietro la schiena, sostenevano il viso
dai
lineamenti degni di un angelo. Un angelo
divino sceso dal cielo per proteggere me, per come la vedevo
al momento. I
capelli fradici e biondi gli ricadevano sulla fronte celandoli in parte
le
palpebre chiuse che sapevo nascondere due occhi più azzurri
delle pietre
preziose e poco più giù le labbra piene e morbide
erano socchiuse in un mezzo
sorriso. Due labbra rosee che prima mi avevano sfiorato. Due labbra che
avrei
preferito si posassero poco più giù dei miei
capelli. Due labbra che avrei
tanto voluto si posassero sulle mie.
Rimasi scioccata dai miei
stessi pensieri. Avevo formulato la richiesta sul serio? Davvero avevo
desiderato un bacio dal re? Mi bastò riguardare i volto di
Peter per averne la
conferma. Ma perché? A questo non sapevo rispondere. La
voglia era nata così inaspettata
da non riuscire a catalogarla né a definirne
un’origine. Probabilmente era
stata una richiesta dettata dalla situazione venutasi a creare dopo
tutte le belle
parole che mi aveva rivolto. Forse era sulla scia
dell’argomento appena
affrontato. Forse era semplicemente una voglia ispirata dalla
gratitudine che
nutrivo verso di lui al momento. Si, era senz’altro per
questo.
Scossi leggermente la testa,
accantonando quei pensieri. Mi distesi accanto a lui e subito il suo
braccio,
quasi fosse un gesto automatico, mi circondò le spalle
traendomi a sé. Mi
rilassai immediatamente, inebriata dal profumo della salsedine che il
vento mi
portava e dalla fragranza di Peter. Era un odore delizioso, mi
ricordava il
muschio e gli aghi di pino, era fresco, per niente pesante ma capace lo
stesso
di entrarti in profondità, imprimendosi nei tuoi ricordi.
Ero certa che lo
avrei portato per sempre con me.
Sorrisi di quel pensiero e
nella beatitudine del momento, caddi nel dolce oblio tra il sonno e la
veglia,
nell’illusione che il mondo si riducesse a quel piccolo
angolo di paradiso, il nostro
piccolo angolo di paradiso, e che
esistevamo unicamente io e lui.
*
Prendere la freccia. Tenerla
saldamente. Tendere l’arco e puntare il proprio bersaglio.
Aspettare il momento
giusto.
Gli sembrava quasi di
sentire distintamente la voce del suo vecchio insegnante di tiro con
l’arco. “Hai tutto il
tempo del mondo, non è una gara
di velocità, il vincitore è colui che fa centro e
il premio è la tua vita.”
Fece un respiro profondo
e…
perfetto, ora era pronto. Lasciò andare la freccia che si
conficcò
magistralmente nel bersaglio da lui scelto, una pigna su un albero a
sessanta
metri di distanza, che cadde con un rumore sordo. Soddisfatto,
andò a
recuperare la freccia dalla punta rossa. Esercitarsi con
l’arco era da sempre
stato un ottimo modo per rilassarsi. La concentrazione assoluta che
doveva
utilizzare per far centro gli impediva di pensare a qualsiasi altra
cosa, anche
se, ad onor del vero, al momento l’unico pensiero proibito
era una ragazza dai
lunghi e fluenti capelli castani.
Raccolse la pigna e la
staccò dalla freccia, riponendo quest’ultima nella
faretra di cuoio assicurata
alle sue spalle prima di tornare alla posizione di lancio.
Susan. Solo il nome bastava
per farlo sorridere beato. Però non poteva. O almeno non
così. Quella mattina
aveva preso una decisione, ora doveva capire se sarebbe riuscito a
rispettarla
prima di rivedere la regina che aveva accuratamente evitato da dopo
pranzo. E
ciò grazie alla discussione con Peter. Accidenti, ma quel
ragazzo non poteva
farsi gli affari suoi? No, doveva per forza vestire i panni del
fratello geloso
e ora lo aveva costretto a mettersi dinanzi alla domanda che
più tra tutte
avrebbe voluto evitare. Però in fondo sapeva che il re aveva
ragione. Senza
quella risposta la sua
condotta avrebbe
potuto diventare deplorevole, e in più aveva bisogno anche
lui di far chiarezza
in se stesso. Solo forse avrebbe preferito impiegarci il suo tempo,
arrivare a
quella conclusione assoluta più tardi e non essere costretto
da Peter.
Si appoggiò al tronco
dell’albero mentre gli tornava alla mente la conversazione
che aveva dovuto
sostenere con il ragazzo nella sua camera, dopo che era venuto a
prelevarlo
dall’armeria interrompendo un discorso che stava avendo con
Morris…
…Peter
si richiuse la porta della stanza alle spalle e
il tonfo del legno fu l’ultimo suono che riempì
quel piccolo spazio per minuti
interminabili che a Caspian sembrarono ore. Sapeva che avrebbe dovuto
parlare
con il re, ma dato che era passata tutta la mattina, la piccola
speranza che
magari Peter avesse fatto cadere l’argomento si era accesa in
lui. Vedere come
quella speranza si era dimostrata vana, lo aveva riempito di sconforto.
Non
aveva assolutamente interesse ad avere uno scontro con Peter, non era
così
masochista, ma a giudicare dallo sguardo assassino con la quale
quest’ultimo lo
stava fulminando, non era una buona idea cercare di farlo desistere dal
suo
intento. Avrebbe rischiato solo di anticipare l sua sentenza.
Deglutì forte,
incrociando le dita.
Evidentemente
Peter doveva avergli letto negli occhi
il suo timore perché a denti stretti asserì
“Puoi stare tranquillo, non posso
ucciderti purtroppo, quindi potrai tenere la testa ancora attaccato al
collo”
ma prima che Caspian potesse sospirare dal sollievo, aggiunse un
minaccioso
“per il momento”. Il sollievo del principe venne
prepotentemente riportato
indietro.
Caspian
decise che doveva dire qualcosa, almeno
provare una blanda linea difensiva, dopotutto non era mica un bambino!
“Peter,
ascolta…”peccato che venne immediatamente
interrotto dalla voce secca del re. Però,
certo che quando vuole farsi rispettare ci riesce alla perfezione pensò atterrito il principe.
“No,
ascolta tu. Sono cosciente che quando vi ho
sorpresi ieri sera non stavate di fatto facendo alcunché, ma
so anche che
c’eravate molto vicini ed è questo che mi
preoccupa” dichiarò accompagnando le
sue parole con un’occhiata infuriata. “Ora io non
ho alcuna intenzione di farti
una predica, presumo tu sia grande abbastanza da conoscere
già certi argomenti,
ma una cosa te la devo chiedere. Se non fossi arrivato io, saresti
andato
avanti? E se è si, perché? Cosa ti avrebbe spinto
a continuare?”
Caspian
lo guardò stralunato. Si aspettava una
sfuriata con i fiocchi, l’ordine assoluto di starle lontano e
simili. Invece
gli stava ponendo una serie di quesiti della quale non comprendeva lo
scopo.
Erano sicuramente preferibili alle minacce di morte di poco prima,
però tra i
due erano più ordinarie quelle.
“Come
scusa?” chiese incapace di trattenersi.
Peter
assottigliò lo sguardo e trasse un profondo
respiro con l’intento evidente di calmarsi. “Te lo
ripeto con parole più
semplici, quali sono i tuoi sentimenti verso Susan?”
Ah. Oooh. Ahi. La
richiesta giunse a brucia pelo. Forse a
questo punto erano meglio le minacce. Cosa provava verso Susan? Se lo
era
chiesto anche lui, cosa credeva Peter? La miglior risposta che era
riuscito a
darsi era stata che era certamente più di
un’amica, ma sarebbe bastato al re?
No, ne era certo. Quello che voleva sapere lui era se la amava. Ma come
poteva
pretendere che gli rispondesse così su due piedi? Non era un
quesito di storia
dove la risposta la studiavi e poi la sapevi. Era una consapevolezza
alla quale
si giungeva con il tempo, e lui ne aveva avuto decisamente troppo poco
per
rispondergli con certezza.
Peter
appoggiò la schiena alla parete e lo fissò serio
a braccia conserte. “Caspian, te lo dirò una volta
sola” esordì non udendo
risposta alcuna da parte del principe “se non sei sicuro di
amarla, stalle
lontano. Prima di ripetere una scenetta come quella di ieri, rifletti
bene su
quello che provi. Susan non conosce mezze misure e se le fai credere di
amarla
comportandoti così quando il tuo è solo un gioco,
ne uscirà distrutta.”
Caspian
si sentì punto sull’orgoglio. “Il mio
non è un
gioco” ribatté con vigore. Ma come si permetteva
di fare tali insinuazioni? Non
avrebbe mai fatto una cosa del genere a nessuno, men che meno a Susan.
“Vogliamo
chiamarla infatuazione allora.” Peter non si
scompose minimamente “Tuttavia, mia sorella non si apre
facilmente ad un
estraneo, ma una volta che lo fa, si affida senza riserve. Quindi prima
di fare
qualsiasi cosa, rifletti attentamente. In più nel caso tu
persistessi, non
metterle fretta. Quando dico che si apre con difficoltà, non
è un eufemismo. Ha
bisogno del suo tempo per ogni novità.” Lo
ammonì. Prese a camminare avanti e
indietro per la piccola stanza, senza però distogliere il
suo sguardo dal
principe. “Lei ha bisogno di certezze, deve sentirsi sicura
in ogni situazione,
per questo cerca sempre di tenere sotto controllo gli avvenimenti che
accadono,
non lo fa per il piacere di governare ma perché se vede che
le cose le sfuggono
di mano, si sente persa. Nel campo sentimentale sa che è
obbligatorio affidarsi
all’altra persona, che non può fare totale
affidamento solo su se stessa.
Perciò sceglie le persone di cui fidarsi con molta cura e
dopo un’attenta
riflessione” gli illustrò con vigore. Poi aggiunse
con tono più calmo“Non è
necessario che mi rispondi ora, se ti vedrò di nuovo
comportarti in quel modo
con lei, vorrà dire che avrai capito di amarla.”
Il tono
era quello che metteva fine alla discussione.
Caspian se ne accorse e si accinse a lasciare la porta, stordito dalla
breve
arringa del giovane re, ma quando raggiunse l’uscio, la voce
di quest’ultimo lo
trattenne ancora per un breve istante.
“Ricordati
però che se non segui il mio consiglio, se
la fai soffrire” e qui la voce divenne più simile
ad un ringhio “te la vedrai
con me, e a quel punto non sarò magnanimo come oggi. Quindi
stai attento a
quello che fai se ci tieni alla tua testa”. La minaccia
giunse perfettamente a
destinazione. Caspian sudò freddo, ma resse lo sguardo fermo
e risoluto di
Peter. Si squadrarono l’un l’altro,
dopodiché Caspian fece un cenno secco con
la testa, per far capire che aveva recepito il messaggio,
dopodiché si voltò e
uscì.
Era stato meglio delle sue
più rosee aspettative, doveva ammetterlo. Era quasi pronto a
portare fasciature
e cerotti, invece si era limitato ad una conversazione quasi civile con
lui, se
si esclude il tono di voce e l’atteggiamento. Però
doveva ammettere che era
stato anche giusto. Aveva ragione, non poteva stare accanto alla regina
se non
sapeva cosa provava per lei. Prima di cercare di conquistarla doveva
avere la
certezza di amarla. E dopo avrebbe potuto essere certo di poter essere
per lei
l’appoggio di cui aveva bisogno. Peter conosceva ogni singolo
aspetto della
personalità di Susan e quello che gli aveva illustrato gli
aveva aperto gli
occhi. La rigidità e l’imperturbabilità
che la ragazza mostrava in ogni
occasione erano solo una maschera fine a celare la sua insicurezza. Era
stato un’idiota
a non capirlo. Ma ora che lo sapeva, lo avrebbe sempre tenuto presente.
Riflettere. Peter era stato
chiarissimo, fin troppo. Doveva riflettere sui suoi sentimenti. E lui
lo aveva
fatto. Era certo che non poteva restare indifferente a Susan, quando la
vedeva
qualcosa in lui si accendeva e non poteva far altro che andarle vicino.
Come la
terra e la luna. Lei era il centro gravitazionale alla quale lui non
poteva far
altro che orbitare attorno. Il suo sorriso lo contagiava, mentre quando
la
vedeva triste non poteva non provare un senso istintivo di protezione,
il
desiderio assoluto di prendersi sulle sue spalle i guai che la
affliggevano.
Dipendeva completamente dal suo umore, dalla sua risata cristallina che
gli
riempiva il cuore. Gli piacevano le loro infinite discussioni che
facevano su
qualsiasi argomento, la sua ironia sottile e le sue osservazioni acute.
Per non
parlare del suo viso. Quello gli piaceva più di qualsiasi
altra cosa. Voleva
perdersi in quell’oceano di cioccolato, capace di infiammarsi
per ogni minima
cosa ma anche di scioglierti con una dolcezza infinita. Mentre ogni
qualvolta
vedeva i suoi lunghi capelli ondeggiare al vento provava
l’irrefrenabile
impulso di immergere la sua mano in quel mare di seta per poi risalire
su e
accarezzare quelle gote rosa e morbide.
Ma la amava? Era una
risposta impegnativa, e non sapeva se sarebbe stato in grado di farsi
carico
delle conseguenze che portava con sé. Aveva paura di dare un
giudizio
avventato. Però… sarebbe riuscito a starle
lontano? No, di questo era certo.
Non sarebbe sopravvissuto, già quel singolo pomeriggio senza
di lei gli pareva
interminabile. Qual era dunque la soluzione?
Con un sospiro tornò al
campo per prepararsi ad un nuovo tiro. Quei pensieri non lo stavano
portando da
nessuna parte, erano sempre gli stessi da tutto il pomeriggio e
l’aumento della
su frustrazione era dimostrato dalla cinquantina di pigne che giacevano
per
terra, tutte trafitte dalla sua freccia.
Incoccò nuovamente
l’arco,
prese la mira e…
“Ci esercitiamo per la
battaglia,
soldato?”
Caspian strinse gli occhi.
Aveva riconosciuto la proprietaria della voce. Perché
doveva scendere al campo proprio ora? Però,
andando oltre i
mille motivi razionali per cui doveva essere a disagio in sua
compagnia, il suo
cuore cominciò ad intonare una canzone felice solo per aver
avvertito la sua
presenza.
“Mi tengo in
allenamento”
rispose senza voltarsi. Dopodiché prese la mira e
tirò. L’ennesima pigna fu
staccata dall’albero. Si voltò trionfo, convinto
di averla impressionata.
Sapeva che era sbagliato cercare di fare colpo, ma non ne aveva potuto
fare a
meno.
Peccato però che Susan
sembrava tutt’altro che impressionata. “Non dirmi
che questo è il tuo lancio
migliore o siamo perduti” lo prese in giro.
Caspian le riservò
un’occhiataccia. Aveva colpito un bersaglio a quasi ottanta
metri di distanza!
Forse la ragazza non aveva calcolato bene la distanza, quando glielo
fece
notare però, lei gli rise in faccia. Al ché lui
fu convinto che doveva sentirsi
offeso e irritato però… la
sua risata cristallina.
Come poteva arrabbiarsi?
Così si
limitò a provocarla
“Perché non tiri tu allora?” e le porse
l’arco.
Susan accettò la sfida
con
aria beffarda. “Vediamo un po’”
mormorò mentre studiava gli alberi attorno. Poi
si illuminò, aveva trovato quello che cercava.
“Scommettiamo che riesco a
colpire quella pigna laggiù?”
Il giovane guardò dove
Susan
gli aveva indicato ma sicuramente si era sbagliato. Il bersaglio
designato era
a centoventi metri di distanza, era impensabile che ci riuscisse. Le
resse comunque
il gioco. Era proprio curioso di vedere la sua reazione quando avrebbe
sbagliato il tiro.
Susan si preparò al
lanciò.
Incoccò la freccia e tese l’arco con scioltezza.
Prese la mira e ispirò a
fondo. Anche lei aspettava il momento giusto. Caspian, dal canto suo,
cercò di
puntare la sua attenzione sulla freccia ma…come faceva
quando il vento gli
portava l’odore dei suoi capelli, simile ai fiori di campo?
Si sorprese a
fissarla come un qualsiasi devoto avrebbe guardato la sua dea, con
ammirazione.
Era stupenda nella posa da arciere. Fiera come solo una regina
può esserlo,
puntava il bersaglio con un sorriso sicuro di sé dipinto
sulle labbra e un’espressione
buffa e concentrata che avrebbe fatto perdere la testa a qualunque
ragazzo
l’avesse vista. I capelli che fluttuavano al vento, lunghi
fino a sfiorare i
fianchi sinuosi e la schiena dritta che terminava con un morbido collo
lungo e
bianco.
Sentì un sibilo
nell’aria e
capì che la freccia era stata lanciata. Seguì
veloce la sua traiettoria,
togliendo a fatica lo sguardo da Susan solo per vedere la direzione del
colpo.
Un tonfo secco concluse il lancio. Un tonfo che lasciò
un’espressione
sbigottita sul volto del giovane. Susan aveva fatto centro. Aveva
colpito con
tranquillità un bersaglio a centoventi metri di distanza!
Si voltò a fissarla a
bocca
aperta e trovò lei ad attendere le sue congratulazioni con
aria decisamente
soddisfatta.
“Dunque”
esordì con tono di
finta innocenza “chi è l’arciere
migliore?”
Caspian cercò di
riprendere
un minimo di contegno. Non poteva dargliela vinta, ci andava di mezzo
il suo
onore. Simulò un sorriso sghembo e le rispose
“Oggi non ero particolarmente in
forma, e comunque il lancio che hai visto non era certo uno dei miei
migliori.
Posso andare molto più in là”
mentì spudoratamente, ignorando il fatto che
Susan probabilmente aveva mangiato la foglia ancora prima che lui
finisse la
frase.
“Oh certo, possiamo
ritentare domani se vuoi, magari la luna ti sarà
più favorevole o ci sarà un
vento migliore” lo prese in giro.
Il giovane assottigliò
lo
sguardo. Se voleva provocarmi,
c’è
riuscita alla grande.
“Quando vuoi. Comunque
non
mi fraintendere, io sono felice che tu te la cavi così bene
nell’arco. Compensa
la tua mancanza nella scherma” ribatté con un
sorriso soddisfatto già dipinto
sul viso. Stava aspettando la risposta indignata di lei, sicuro di aver
fatto
centro. Dubitava fortemente che la ragazza sapesse tirare di spada.
La replica di Susan non si
fece attendere. “Lo credi davvero?”
domandò con tono moderato e un sopraciglio
alzato che poco mascheravano la sua irritazione.
“Si” le rispose
con
un’alzata di spalle, godendosi la smorfia profondamente
stizzita della giovane.
Caspian era sicuro che le si fossero persino ingranditi gli occhi alla
sua
provocazione. Certo ch è proprio
suscettibile,
sia mai che la si accusi di non sapere fare qualche cosa, pensò
sghignazzando tra sé e sé.
“Bene, allora non ti
costerà
di certo mettermi alla prova dato che se così sicuro di
te” L’ultima
affermazione lasciò basito il principe però. La
fissò stralunato, certo di non
aver capito bene. Lo stava sfidando in un duello? Ma prima che potesse
opporsi,
la regina era già partita in quarta verso uno dei minotauri
che facevano da
guardia al perimetro dell’edificio e in men che non si dica
era di ritorno con
una lucente spada tra le mani presa in prestito.
“Stai scherzando
vero?”
Susan gli rispose con un
divertito “Neanche per sogno”.
“Susan, mi rifiuto di
duellare con te. Mi spiace ma non posso” dichiarò
risoluto lui, alzando le mani
in segno di resa.
La giovane sbuffò
spazientita. “Ma per favore, non mi dirai che è
per una di quelle stupide
regole cavalleresche come: non incrocio la lama con una donna o roba
simile!”
sbottò.
Caspian abbassò lo
sguardo,
gesto che rispose alla domanda di Susan. Lui era un cavaliere, non
avrebbe mai
potuto attaccarla volontariamente, vederla come un bersaglio, avrebbe
potuto
ferirsi in mille modi per maldestria dettata
dall’inesperienza o, peggio
ancora, da una sua svista.
“Ma come, prima mi
provochi
e poi non vuoi nemmeno misurarti con me?” insisté
la ragazza mettendosi in
posizione d’attacco.
Caspian le lanciò uno
sguardo tra il divertito e l’ammirato. Susan aveva assunto una posizione da manuale, con
la gamba destra più
avanti rispetto alla sinistra, il busto leggermente incurvato e il
braccio
destro proteso. Davvero perfetta. Anche troppo. Sembrava uscita fuori
da un
libro di teoria con la schiena dritta e l’assoluta
staticità, ed era proprio
quello che sbagliava. Con una rigidità degna di una statua
non sarebbe stata pronta
a difendersi da nessun attacco e non avrebbe avuto lo slancio
necessario per un
affondo efficace. Probabilmente si era applicata nella materia, nella
speranza
di riempire quella lacuna, peccato che evidentemente si era fermata
alla teoria
e aveva lasciato da parte la pratica, essenziale per padroneggiare
quell’arte. Senza
contare che il peso eccessivo dell’arma per il suo braccio
non allenato le
faceva sbilanciare il corpo in avanti. Ma l’aurea di assoluta
e ferrea
determinazione che emanava sembrava coprire le sue carenze tecniche,
così come
la scintilla di sfida che lampeggiava nei suoi occhi rendendoli color
del
cioccolato fuso. Nulla l’avrebbe dissuasa dal suo intento,
anche perché
probabilmente era certa di aver qualche possibilità di
vittoria. Non si rendeva
conto che si stava sopravvalutando.
“Bene, se non attacchi
tu,
comincio io” decise allora la regina, all’ennesimo
silenzio del principe.
Partì subito alla
carica,
con un affondo più abile di quello che Caspian potesse
predire dalla posa rigida.
Fortunatamente i riflessi
allenati del principe gli permisero di sguainare prontamente la spada e
parare
l’attacco senza grandi difficoltà. Il colpo andato
a vuoto però non sminuì
l’entusiasmo di Susan, che invece sembrò
alimentarsi nel vedere una reazione da
parte dell’avversario. Incominciò ad incalzare un
attacco dopo l’altro, senza
sosta, dimostrando anche un’inaspettata precisione nei colpi.
Forse il principe
aveva fatto un errore di valutazione, la regina era molto
più brava di quello
che pensava nella scherma. A quel che pareva si era applicata con
impegno nella
materia, giusto per non smentire la sua nomea di persona assolutamente
zelante.
Tuttavia non riusciva ad essere un avversario temibile né
impegnativo per
Caspian. Anzi, a dire la verità non riusciva proprio ad
essere un avversario.
Il moro si limitava a parare, incapace addirittura di concepire
l’idea di
attaccarla a sua volta. Non poteva e non l’avrebbe fatto. Si
sarebbe limitato a
difendersi attendendo pazientemente che lei si stancasse. Il peso
dell’arma era
davvero eccessivo per Susan e la forza che metteva negli affondi
l’avrebbero
sfiancata in fretta, ne era certo. Senza contare che la precisione con
la quale
muoveva il braccio non si diffondeva anche al gioco di gambe. Le
muoveva troppo,
finendo solo per sprecare energia. Il duello avrebbe avuto vita breve.
Attacco dopo attacco i due
insoliti contendenti avanzarono fino alle rovine dell’arena, ignari del sole che
iniziava la sua discesa
verso la linea dell’orizzonte. La regina era concentrata
sulla spada e sulle
sue mosse, puntava a vincere, a dimostrare di essere
all’altezza di qualunque
duellante anche in una disciplina diversa dall’arco. Caspian
era invece
concentrato su Susan. Solo una minima parte del suo cervello registrava
la traiettoria
della lama, la direzione dei suoi passi, una minima, microscopica
parte. Tutto
il resto analizzava lei. La ruga di concentrazione assoluta che scavava
la
fronte altrimenti perfetta, gli occhi accesi dall’adrenalina
del duello, le
labbra rosee leggermente dischiuse per prendere più fiato
possibile tra un
attacco e l’altro. Ma soprattutto le movenze del suo corpo.
Sembrava una
danzatrice, forse un poco maldestra nel cimentarsi in questo ballo in
solito
per lei, ma non per questo meno ipnotizzante. I capelli castani
ondeggiavano ad
ogni suo spostamento, seguendo il bacino snello e flessuoso fasciato
dal lungo
e sicuramente scomodo ma incantevole vestito viola che indossava.
Si accorse di essere con le
spalle al muro solo quando sentì il freddo marmo di una
delle colonne
dell’arena premere contro la sua schiena. In teoria, contro
un duellante più
esperto, sarebbe stato in trappola. Peccato però che
l’esperienza che aveva gli
permetteva di avere le redini del gioco in mano anche in quel momento,
cosa che
evidentemente però sfuggiva alla regina, che dinanzi a lui
già sfoggiava un
sorriso vincitore.
Decise che era arrivato il
momento di porre fine al duello. Avrebbe semplicemente potuto togliersi
da
quella colonna e continuare a difendersi però protraendo lo
scontro correva
solo il rischio che Susan si facesse veramente male, pericolo finora
scongiurato. E non aveva assolutamente intenzione di auto flagellarsi
dopo e né
di essere fatto a pezzettini da Peter ed Edmund.
Rafforzò la presa sulla
sua
spada e con un movimento fulmineo compì la sua prima mossa
da quando era
iniziata la contesa. Con una movenza fluida incrociò la sua
lama con quella
della ragazza, fece pressione quel tanto che bastava e torcendo di poco
il
polso riuscì a disarmare la regina. Il passo successivo fu
ancora più breve e
del tutto meccanico, il suo corpo parve spostarsi da solo senza una
minima
riflessione sul da farsi da parte di Caspian. Il tempo che la spada di
Susan si
librasse alta nel cielo catturando un raggio di sole per poi piantarsi
nel
terreno con un suono sordo che il principe aveva ribaltato le
posizioni. Era
bastato uno scatto verso sinistra, appoggiare la parte piatta della
spada con
attenzione ma con fermezza sul braccio della giovane e sospingerla
contro la
colonna.
Mossa
da manuale.
Pensò leggermente compiaciuto di vedere la sorpresa dipinta
sul volto
di Susan. Un volto che gli era incredibilmente vicino in questo
momento.
Caspian si diede mentalmente dell’idiota. Non aveva
considerato che la sua
“mossa da manuale” lo avrebbe portato ad annullare
la distanza tra loro due.
Erano separati solo dal filo sottile dell’arma argentata
ancora inconsciamente
posta a dividerli di pochi centimetri. Troppo pochi perché
Caspian potesse
respirare regolarmente.
Il cuore del principe batteva
furioso, impegnato in un duello molto più impegnativo di
quello avuto finora.
Era una lotta con se stesso, tra il suo inconscio che gli urlava la
verità
liberatoria e assoluta che lo avrebbe assolto dall’incertezza
e il suo orecchio
che temeva di non essere ancora pronto per sentirla.
Però se il suo udito
sembrava fuori uso, gli altri sensi funzionavano alla perfezione. Il
suo
profumo, così dannatamente
penetrante e
simile a fiori di campo, gli entrava nelle narici e gli
annebbiava i
pensieri, lo confondeva come una droga. Sulla pelle avvertiva il suo
respiro
affannoso per lo sforzo appena svolto ma ancora di più
percepiva prepotente la
sua presenza. I suoi lunghi capelli setosi che le ricadevano sul viso
deliziosamente arrossato, gli occhi grandi e luminosi che lo fissavano.
Già, lo
stavano fissando come avevano fatto fin dall’inizio dello
scontro. Solo che ora
la scintilla di sfida si era spenta, prima per cedere il posto allo
sgomento,
poi alla rassegnazione dettata dalla consapevolezza di essere stata
battuta e
ora… Ora lo stavano scrutando, incerti. Il fuoco brillante e
inestinguibile che
animava quelle pupille color del cioccolato era diventato una semplice
fiammella tremula. Che fosse intimidita da qualcosa? Forse era il suo
sguardo
che la metteva in soggezione? Come la stava guardando? Con
desiderio, ecco come, si rispose immediatamente. Ma dopotutto
come poteva evitarlo con quella bocca paragonabile ad un bocciolo a
soli pochi centimetri di distanza? Una
distanza così piccola per non provare una tentazione
insostenibile eppure così
grande da colmare con il gesto che desiderava compiere.
Ma cosa voleva avere? Un
bacio, solo questo? E perché?
Finalmente la verità che
premeva per uscire gli si rivelò con tutta la sua
prepotenza. Il cuore perse un
colpo e un sorriso beato gli disegnò le labbra.
L’amava. L’aveva compreso solo
ora. Adesso ne aveva la certezza e non avrebbe permesso ad altri dubbi
di
insinuarsi tra di loro. Questa volta se Peter gli avesse chiesto
nuovamente
cosa provava per Susan avrebbe risposto senza esitare.
L’amava e aveva voglia
di urlarlo a tutta Narnia. L’amava e soprattutto aveva voglia
di comunicarlo a
lei, la donna che voleva proteggere e senza la quale non avrebbe potuto
vivere.
Però poteva dirglielo, poteva dimostrarglielo dandole quel
bacio? Peter gli
aveva fatto giurare di muovere un passo solo quando fosse stato
assolutamente
certo dei suoi sentimenti. Ora la sicurezza l’aveva trovata.
Eppure qualcosa in
lui gli intimava ad avere pazienza, doveva aspettare, un bacio ora
sarebbe
stato troppo azzardato. Ma il sentimento era prepotente, soprattutto
ora che
aveva preso una forma definita, e la sua bocca era davvero
dannatamente troppo vicina. Si incantò nel
fissare la forma
perfetta delle sue labbra, ne memorizzò i contorni fino ad
ipnotizzarsi.
Sembravano quasi chiamarlo, invitarlo a fare ciò che il
cuore gli supplicava.
Senza accorgersene
abbassò
la spada e incurvò il busto. Meno un centimetro.
Inclinò la testa di lato. Un
altro centimetro se ne andava. Protese il viso verso di lei. Ormai i
centimetri
rimasti erano solo due e fu allora che qualcosa nello sguardo di Susan
si
agitò. Era paura. Aveva capito le intenzioni di Caspian e
pareva tutt’altro che
accondiscendente. La fiamma si era estinta del tutto lasciando il posto
ad un
baratro pieno di panico.
Scostò il volto
velocemente
e puntò le mani sul torace del ragazzo quel tanto che
bastava per scostarlo e
permetterle di staccarsi dalla colonna. Caspian rimase interdetto.
Riuscì a
registrare ciò che era successo solo quando
focalizzò la figura di Susan che
correva velocemente dentro l’interno dell’edificio.
E la coscienza di ciò lo
fece scivolare lentamente nello sconforto più assoluto.
Sentì distintamente il
suo cuore, al settimo cielo solo un secondo prima, sprofondare fino
alle scarpe
scavando una voragine al suo passaggio.
Era stato un’idiota.
“Nel caso tu persistessi, non
metterle fretta.
Quando dico che si apre con difficoltà, non è un
eufemismo. Ha bisogno del suo
tempo per ogni novità” le parole di
Peter erano state chiare, eppure lui le
aveva dimenticate. Le aveva messo fretta. Era stato un’idiota
e non aveva
considerato che se lui aveva fatto chiarezza nei suoi sentimento lo
stesso
poteva non valere per Susan. Era stato un’idiota e aveva
fatto una mossa di
troppo. Era stato un’idiota e ci sarebbe voluto tempo e molte
spiegazioni per
riparare al guaio. Era stato un’idiota e l’aveva
fatta scappare.
*
Un ruggito attraversò
l’aria.
Aprii gli occhi di scatto,
spaventata da quel rumore improvviso. Fu una pessima mossa, la luce del
sole mi
accecò e dovetti richiudere le palpebre in fretta. Le
riaprii dopo qualche
secondo, questa volta con calma per abituare gli occhi. Riacquistato
l’utilizzo
della vista, ritrovai ad attendermi il magnifico paesaggio che avevo
lasciato
solo… quanto tempo era passato? Non sapevo dirlo, dovevo
essermi addormentata.
Un sorriso malizioso mi si formò in viso al pensiero che
avevo dormito cullata
da lui, tra le sue braccia. Era particolare, di solito non mi
addormentavo mai
di pomeriggio a meno che non ero malata, ma probabilmente il calore del
sole,
unito alla sua inebriante presenza mi avevano fatto cadere in uno stato
di pace
assoluta tanto da farmi andare tra le braccia del Dio del sonno. Volsi
lo
sguardo verso Peter e mi accorsi che anche lui si era appisolato. Si
riposava
beato con un braccio stretto attorno alle mie spalle. Incredibile che
riuscisse
ad essere protettivo anche nel sonno. Non riuscii a resistere dal
sollevare una
mano ed accarezzare quel volto perfetto. Gli scostai una ciocca bionda
dal viso
con delicatezza, indugiando sulla sua fronte e sulla sua guancia.
Un altro ruggito però mi
distolse dalla contemplazione della fisionomia del giovane,
ricordandomi anche
perché mi ero svegliata.
Mi liberai controvoglia dal
braccio di Peter e mi sedetti dritta, guardandomi attorno circospetta.
Ero
quasi certa che quel ruggito appartenesse al leone delle mie visioni.
Era
terribilmente famigliare e per questo non riuscivo ad esserne
spaventata,
nonostante una minima parte del mio cervello mi informasse che era
quella la
sensazione che avrei dovuto provare. Il mio sguardo passò in
rassegna la
spiaggia bianca ma assolutamente priva di forme vitali eccetto me e il
re,
quindi la mia attenzione si posò sul bosco, lì
dove la sabbia cedeva il posto
poco a poco a forti arbusti verdi.
Un ruggito più potente
degli
altri mi fece sobbalzare però eliminò ogni mio
dubbio. Proveniva dal bosco.
Avvertii Peter agitarsi per
poi svegliarsi. Evidentemente doveva aver sentito il ruggito di...come
aveva
detto che si chiamava? Ah si, Aslan. Però lo sguardo
pacifico che mi rivolse mi
spiazzò. Non era nemmeno incuriosito dal suono insolito?
“Devo essermi
addormentato,
scusami” biascicò con tono di scusa
stiracchiandosi incurante del mio stare
sull’attenti.
“Hai sentito il
ruggito?”
gli domandai a brucia pelo ignorando la sua affermazione. Lui
strabuzzò gli
occhi ancora assonnati. “Quale rumore?”
ribatté sorpreso.
Fossi stata un cartone
animato probabilmente la mia mandibola avrebbe raggiunto il terreno.
Com’era
possibile che non avesse sentito nulla? D’accordo che dormiva
ma ero pronta a
scommettere che i ruggiti, specialmente l’ultimo, li avevano
uditi anche i
pesci dentro il mare!
“Tu non lo hai sentito?
Ci
sono stati tre ruggiti uno dietro l’altro. Hanno rimbombato
per tutto la
spiaggia” ribattei incredula.
Lo sguardo che mi rivolse in
seguito non mi piacque per niente. Cercando di scrollarsi di dosso
anche gli
ultimi residui del sonno, mi stava scrutando con attenzione, come fa un
dottore
con un paziente. “Cathy, io non ho sentito proprio
nulla” disse con calma.
“Non è
possibile ti giuro
che…” ma prima che potessi difendermi un ennesimo
ruggito diede conferma alle
mie parole.
Lo squadrai trionfante. Ora
non avrebbe potuto negare l’evidenza. “Ecco, hai
sentito adesso?”
“Cosa?” la sua
domanda
preoccupata rubò il mio entusiasmo.
“Come cosa il ruggito che
ci
è appena stato!”
mi inalberai. Non
poteva dirmi che non lo aveva udito, si era sentito distintamente.
Si sedette vicino a me e mi
appoggiò una mano sulla spalla. “Davvero, guarda
che è tutto silenzioso, non
c’è nessun ruggito” il tono
tranquillizzante mi fece arrabbiare ancora di più.
Probabilmente stava pensando
che fossi pazza. Mi arrabbiai ancora di più, non stavo
avendo le allucinazioni,
io ero certa di averlo sentita.
Mi liberai dalla sua presa e
scattai in piedi esattamente nell’istante in cui un altro
ruggito rimbombò
nelle mie orecchie.
“Ecco, un
altro!” sbottai
con una nota isterica nella voce.
Si alzò anche Peter, con
un’espressione davvero preoccupata in volto.
“Cathy, forse hai preso troppo
sole, forse è meglio che andiamo a casa, così
puoi riposarti, devi essere
stanca…”
Eh no,
adesso basta. Mi
ero stancata di non essere creduta, gli avrei
dimostrato che aveva ragione. Lo avrei portato nel bosco dove ero certa
che
avrei trovato Aslan. Non sapevo cosa mi dava questa sicurezza, ma
dentro di me
sapevo che lo scopo di quei ruggiti era quello di richiamarmi in mezzo
agli
alberi, e io ci sarei andata insieme a Peter, per fargli vedere che la
mia
sanità mentale era intatta.
“Sto benissimo,
grazie”
ribattei acida. “Vieni con me, dato che sei così
scettico, ti farò vedere che
quei ruggiti sono reali” e lo presi per mano strascinandolo
verso il bosco,
senza dargli il tempo di ribattere.
“D’accordo
Cathy” il tono
che utilizzò mi irritò. Era accondiscendente,
esattamente quello che si
utilizzava con i pazzi. Lo avrei fatto ricredere. O almeno lo speravo,
poiché
ormai ci stavamo lasciando alle spalle i primi alberi ma non vedevo
traccia di
leoni.
Ovviamente non mi diedi per
vinta e proseguii per diversi metri fino ad addentrarmi dentro il
boschetto.
Passò ancora qualche minuti prima che decidessi di fermarmi
e iniziai a
guardarmi attorno in cerca di fulve criniere. La disperazione
però si
impossessò di me quando non scorsi altro che alberi.
Rivolsi il mio sguardo a
Peter, che continuava a squadrarmi circospetto. Accidenti,
perché quel leone
non si faceva vedere? Non me lo ero sognato, quei ruggiti erano reali!
Però qui
dopotutto non c’erano altro che alberi, forse aveva ragione
Peter, forse a
furia di vedere esseri soprannaturali stavo diventando pazza sul serio.
“Ti giuro che non me lo
sono
immaginato” il mio tono supplichevole cercava conferme nei
suoi occhi. Magari
se fossi risultata convincente avrebbe accantonato l’idea di
far costruire un
istituto psichiatrico a Narnia solo per me.
Peter mi accarezzò la
guancia. “Forse è solo stata
un’illusione, il residuo di un sogno che stavi
facendo” tentò di consolarmi.
Decisi di non insistere
oltre, anche perché non ero riuscita a procurarmi le prove
che cercavo. Fece un
cenno affermativo con la testa, e con un’espressione
sconsolata mi diressi
verso la strada appena percorsa quando… una luce intensa
alla mia destra
catturò l’attenzione di entrambi.
Ci voltammo all’unisono e
ciò che vidi fu stupefacente. In un cono di luce, protetto
da una sfera rossa,
galleggiava a mezz’aria un fiore dai petali dorati. Peter ed
io ci scambiammo
una rapida occhiata prima di avvicinarci con cautela. Io non potei che
non
essere felice di quell’apparizione improvvisa, dopotutto era
la prova che
cercavo. Sospirai di sollievo al pensiero che non ero matta
perché ora avevo la
prova che il leone lo avevo sentito veramente e che la mia intuizione
era
giusta. Ci aveva condotto fin lì per trovare il fiore. Il
perché lo aveva fatto
poi era tutt’altra storia, ma dopotutto non ero mica Sherlock
Holmes, mi
limitavo a risolvere un mistero alla volta.
Quando mi avvicinai
riconobbi di che fiore si trattava, pensando che se davvero era stato
Aslan
doveva aver un qual certo senso dell’umorismo.
“è un dente di
leone”
sussurrai.
All’improvviso
l’atmosfera
di fece più pesante. Lo avvertii distintamente,
c’era qualcosa nell’aria, di
indefinibile ma di indiscutibilmente potente. E a giudicare
dall’espressione
tesa di Peter, doveva averlo sentito anche lui.
Deglutii. Ed ora?
Prendilo.
Una voce rimbombò. Era
una
voce bassa e profonda, conosciuta. Era quella del leone. Lo cercai con
lo
sguardo in mezzo agli alberi ma non vidi niente, com’era
prevedibile. Allora
guardai Peter, nella speranza che questa volta lo avesse sentito anche
lui, ma
i suoi occhi erano fissi sul fiore, lo analizzavano con interesse,
incuranti di
qualsiasi altra cosa.
Fidati
di me.
Un’altra frase
risuonò e in
un lampo compresi perché Peter non sentiva ciò
che udivo io. Ero riuscita ad
identificare da dove mi arrivasse la voce solo ora. Non la sentivo con
le
orecchie, la avvertivo da dentro di me, come se fosse nella mia mente.
Quindi
non avevo sentito il suono provenire dal bosco. Avevo
percepito che volesse condurmi lì.
Ed ora, come mi aveva
chiesto di giungere fin lì, mi induceva a prendere il fiore,
senza spiegazione
se non quella di fidarmi. Decisi senza troppi indugi di acconsentire.
Dopotutto
avevo accettato di farmi catapultare laggiù senza troppe
rassicurazioni, afferrare
uno stelo non era nulla in confronto anche se non capivo il significato
di
quest’azione. Dubitavo fosse solo un suo omaggio, doveva
esserci qualcosa di
più importante sotto, ne ero certa.
Allungai una mano verso il
globo rossastro. Vidi Peter pronto a scattare per fermarmi, temendo
probabilmente una trappola nascosta o un qualsiasi cosa di pericoloso
dietro un
apparente normalissimo, tralasciando il fatto che fluttuasse, fiore, ma
lo
tranquillizzai con lo sguardo.
Sfiorai la superficie
luminosa della sfera. Non era una vera e propria custodia, era fatta di
luce,
tiepida al tatto. La attraversai fino a raggiungere lo stelo che
afferrai con
sicurezza. Appena però le mie dita si chiusero sul gambo,
qualcosa mutò. Una
folata di vento gelido ci investì in pieno e
all’improvviso, facendoci tremare.
La sfera divenne di un azzurro pallido e lo stesso fiore
mutò. I petali dorati
divennero più lunghi e curvi. Il colore sfumò
fino a diventare un candido
bianco mentre la luce che la circondava scomparve.
Guardai ammirata la stupenda
stella alpina che tenevo tra le mani. Lo rigirai tra le dita e ne
annusai
l’ottimo profumo mentre udivo ancora una volta la voce di
Aslan.
Risvegliali.
E in un secondo capii cosa dovevo fare.
Rivolsi un sorriso
consapevole a Peter, ma lui era lontano anni luce dalla coscienza che
avevo io
mentre fissava stranito il fiore che reggevo. Non importava, lo avrei
guidato.
“Come hai fatto? E
adesso?”
mi chiese incapace di comprendere.
Allargai il sorriso.
“Esaudisco un desiderio” gli risposi semplicemente.
La mia frase enigmatica
però non piacque al re che mi lanciò
un’occhiata più confusa che mai.
Per tranquillizzarlo gli
tesi una mano, che non esitò ad afferrare. Ora toccava a me,
lo avrei ripagato
per lo stupendo pomeriggio che mi aveva regalato.
“Peter, ascoltami con
attenzione, ora chiudi gli occhi e focalizza nella mente il ricordo
più bello
che hai sulla Narnia di milletrecento anni fa” gli intimai.
Il re stava già per
ribattere alla mia stramba richiesta ma lo bloccai prima.
“Fidati di me, fai
come ti ho chiesto”.
Il biondo mi lanciò
un’ultima occhiata incerta prima di trarre un sospiro
rassegnato e di
acconsentire. Sarebbe rimasto di stucco vedendo ciò che lo
attendeva, ne ero
certa.
Chiusi gli occhi anche io e
sgombrai la mente, cercando con i miei poteri di entrare in sintonia
con lui.
Non ero capace di leggere nel pensiero, però riuscivo ad
avvertire la sua
presenza, o meglio l’aurea che emanava grazie ai miei poteri.
Dovevo solo
concentrarmi perché ero vitale per quello che stavo per fare
che fossi in
completa unione mentale con lui. Pregai che tutto andasse per il verso
giusto.
Non avevo mai compiuto una magia di tale portata ed ero certa che da
sola non
ce l’avrei mai fatta. Me non ero solo, con me c’era
il leone. Non fisicamente
certo, ma spiritualmente era con noi, avevo chiaramente avvertito il
suo
immenso potere nell’aria prima. Con la sua guida avevo buone
probabilità di
farcela.
Bastarono pochi secondi per
riuscire a focalizzare l’energia di Peter, impresa facilitata
dal fatto che c’eravamo
solo io e lui e che eravamo a pochi centimetri di distanza. Eliminai i
miei
pensieri e subito fui investita dalla beatitudine. Evidentemente era
l’emozione
che Peter stava provando rievocando i suoi ricordi più
preziosi.
Quando fui certa che il contatto
fosse solido abbastanza, aprii gli occhi e alzai la mano che teneva il
fiore
verso gli alberi. Concentrai tutte le mie forze in quella parte del
corpo
finché non la sentii pulsante di magia. Allora la liberai
mormorando una sola
parola “Svegliatevi”.
Un’altra folata di vento
si
alzò, questa volta però tiepida. La stella alpina
vibrò dopodiché i petali
cominciarono a moltiplicarsi e a staccarsi ad una velocità
impressionante. In
pochi secondi io e Peter eravamo nel centro di un vortice fatto di
petali
bianchi. Ma durò solo un istante, un attimo di calma prima
che quelle veline
candide volassero in diverse direzioni, sfiorando tutto ciò
che potevano.
La terra stessa tremò e
il
vento cominciò a soffiare forte. Mi strinsi a Peter
istintivamente anche se ero
troppo incantata ad ammirare ciò che stava succedendo per
provare paura. Anche
il re aveva aperto gli occhi e fissava la natura guardingo.
Le fronde degli alberi si
agitarono, i rami cominciarono a muoversi convulsamente
finché il tremolio non
si diffuse direttamente al tronco. A quel punto uno scossone
più violento degli
altri ci fece traballare mentre un suono distinto si elevò
sopra il vento. Era
simile ad un sospiro. O meglio, un grande respiro liberatorio che pose
fine a
tutto il trambusto. Avvertii le mie energie sciamare di colpo. La vista
mi si
annebbiò e le gambe divennero molli fino a cedere. Peter mi
prese al volo
sorreggendomi per la vita prima che toccassi terra. Meno
male che il ragazzo ha buoni riflessi…
“Cathy tutto
bene?” si
informò preoccupato.
Feci un respiro profondo,
cercando di riprendermi. Stavo già andando meglio, era stata
una sensazione
momentanea. Riaprii gli occhi e risentii le mie gambe tornare solide.
“Si, tutto ok”
risposi
flebile.
Lui mi fissò con occhi
critico ma lo tranquillizzai con un sorriso. Mi allontanai di un passo
da lui
per fargli vedere che riuscivo a stare in piedi da sola e questo parve
rassicurarlo. Probabilmente la portata della magia mi aveva sottratto
più
energie del previsto, senza contare che era la prima volta che mi
spingevo così
in là con i miei poteri.
La pace ripiombò nel
bosco
d’un tratto e io puntai la mia attenzione verso il bosco. A
prima vista mi
sembrò che non fosse cambiato nulla, ma ad
un’occhiata più attenta mi accorsi
che mi sbagliavo di grosso.
Si avvertiva nell’aria
stessa che si respirava. Il bosco era mutato. Era impregnato di
un’essenza
nuova e vecchia al contempo. Era saturo di magia. Di nuovo dopo tanto,
troppo,
tempo.
Strinsi il braccio a Peter,
per assicurarmi che fosse ancora mentalmente presente poiché
non lo avevo più
nemmeno sentito respirare. Il giovane sembrò scuotersi al
mio richiamo e mi
fissò intensamente con un’espressione
indecifrabile in viso. Era il volto di
chi cercava con tutte le sue forze di resistere ad una tentazione. In
questo
caso cercava di trattenersi dal credere che il suo desiderio
più grande si era
in minima parte esaudito.
Gli sorrisi rassicurante e
lo presi per mano, facendogli muovere qualche passo tra gli alberi.
Quegli
stessi arbusti che erano stati dolorosamente immobili per secoli, ma
che ora si
stavano muovendo. Era esattamente come mi aveva descritto Peter, e come
sempre
lui aveva predetto, ne rimasi affascinata. D’un tratto sentii
la sua risata
esplodere, da prima bassa e piana, poi sempre più fragorosa,
liberatoria.
Iniziò a correre tra gli alberi trascinandomi con
sé, godendosi lo spettacolo
che gli si parava davanti. E dovevo ammettere che era il migliore che
avessi
mai visto.
Sembrava che i rami si
muovessero armoniosi tra di loro, come se fossero strumenti di
un’orchestra
impegnati in una sinfonia a noi ignota ma deliziosa. Le foglie di un
verde
brillante danzavano attorno agli arbusti mentre i tronchi parevano
allungarsi
per sgranchirsi dal loro sonno duraturo. I fiori si staccarono dai loro
steli e
si riunirono per formare un’immagine raffigurante una bella
donna dai lunghi
capelli e i lineamenti gentili. Fluttuò fino a noi e ci
strizzò l’occhiolino
ridendo con una voce musicale e pacifica. Ma non era solo questo che
rendeva
magico quel bosco. L’aria sembrava più limpida,
gli alberi più sani,
l’atmosfera stessa era carica di magia, fantasia e pace.
Il mio cuore palpitò di
gioia. Ci ero riuscita. Avevo risvegliato quel bosco. Ero riuscita a
far del
bene con i miei poteri.
Rivolsi nuovamente lo sguardo
al mio accompagnatore e trovai ad accogliermi lo spettacolo
più bello di tutti.
Peter aveva un’espressione semplicemente estasiata, come un
mecenate davanti ad
un’opera d’arte perfetta. Gli occhi gli brillavano
di felicità, irradiava luce
da tutti i pori conformandosi al paesaggio. Si guardava attorno a bocca
aperta,
incapace di esprimere il suo stato d’animo. Quando si rivolse
a me, ricevetti
il ringraziamento più grande che potessi desiderare. Il suo
sorriso di pura
gioia valeva più di mille parole.
Avevo risvegliato gli alberi
ed ero contenta. Ma la cosa più importante era che avevo
reso contento lui.
Peter si guardò attorno
e la
sua risata cristallina, che tanto avevo imparato ad apprezzare,
accompagnò la
musica dei rami. Contagiata, iniziai a ridere anche io, felice come non
mai
quando Peter mi prese per i fianchi e iniziò a farmi
volteggiare tra i petali
che ci avvolgevano.
“Come sei riuscita a
farlo?”
mi domandò grato.
Alzai le spalle. “Di
preciso
non lo so. È stato Aslan a guidarmi” risposi. Poi
aggiunsi testarda “ti avevo
detto che lo avevo sentito”.
Lui ignorò la mia ultima
affermazione. “Aslan?” chiese con ferma incredulo.
Feci un cenno deciso con la
testa. “Ho sentito i suoi ruggiti guidarci fin qui e poi la
sua voce che mi
diceva di risvegliare il bosco. La sua magia riempiva lo spazio
circostante ed
è stata quella a guidarmi” gli spiegai con enfasi,
certa di impressionarlo.
Lui balbettò per un
secondo,
incapace di trovare le parole giuste, probabilmente anche indeciso se
credermi
o no. Poi rialzò lo sguardo, lo fece scorrere attorno a noi
e quello che vide
parve convincerlo. Dopotutto, l’unica spiegazione plausibile
per un miracolo
del genere non poteva che essere magica e miracolosa
anch’essa.
Si rivolse di nuovo a me e
dalle sue labbra uscì un’unica frase.
“Non so come ringraziarti Cathy”
Il tono era così carico
di
gratitudine che il mio cuore perse l’ennesimo battito i
quella giornata. Un
altro pezzo di ghiaccio se ne era andato per sempre.
Gli accarezzai la guancia.
“Per così poco?” minimizzai
“Sono io quella che ti deve ringraziare per tutto
quello che hai fatto” gli ricordai abbassando il volume della
voce, quasi mi
rivolgessi più a me stessa che a lui. Poi pensai che dovevo
specificargli una
cosa, per assicurarmi che comprendesse fino a fondo la portata
dell’incantesimo.
“Peter, purtroppo però io non ho risvegliato tutta
Narnia, non ho abbastanza
forza per questo. Ho fatto rivivere solo questa piccola parte di bosco
e solo
grazie all’aiuto di Aslan”. Non volevo che
interpretasse male ciò che stesse
succedendo, o avrebbe sofferto una volta tornati alla fortezza nel
vedere che
non era cambiata Narnia interamente.
Lui annuì serio.
“Lo avevo
intuito, ma ti assicuro che per me questo è già
tantissimo. E poi da qualche
parte bisogna pure iniziare no?” aggiunse scherzoso.
Peter mi prese la stella
alpina che ancora tenevo tra le mani quasi sovra-pensiero, la
rigirò tra le
dita e poi me la depose con dolcezza tra i capelli.
“Credo di sapere
perché
questo fiore si è tramutato quando lo hai toccato”
esordì.
“Ovvero?” lo
incitai.
Lui mi rivolse uno dei suoi
sorrisi sghembi più mozzafiato. “Perché
è quello che ti si addice di più. È
candido e puro come te, e in più è una
stella”
L’ultima affermazione non
la
compresi. “Una stella? E questo cosa c’entra con
me?” chiesi curiosa.
“Tu sei una stella. Hai
appena esaudito un mio desiderio come le stelle e in più tu,
con i tuoi occhi,
la tua pelle, la tua vitalità, brilli come e forse
più degli astri del cielo e
sei preziosa almeno quanto loro”
Restai rapita dalle sue
parole, dai suoi zaffiri incatenati ai miei. Ma come faceva ad essere
così
dolce, così…perfetto?
Mi mise una ciocca di
capelli dietro l’orecchio, sfiorandomi il viso,
dopodiché mi strinse forte a
se.
“Sei la mia
stella Cathy,
scesa per illuminare me e la mia vita” concluse infine e io
seppi in quel
momento che stavo imboccando una via senza ritorno. Si sbagliava, non
ero io ad
illuminare la sua vita, era lui il mio angelo custode, lui quello che
mi
guidava attraverso il buio, solo che evidentemente non se ne accorgeva.
Come
forse non aveva nemmeno intuito quanto io mi stessi legando a lui
volente o
nolente. Perché se io per lui era una stella, lui per me era
tutto il
firmamento, il mio punto di riferimento, sia Stella Polare che Croce
del Sud.
Se mi fossi separata da Peter a quel punto sarei stata persa per sempre
come un
marinaio in mezzo ad una tempesta, senza speranza di ritorno
né di salvezza.
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Capitolo 10 *** 9_Il significato del verbo amare ***
cappy 9
Ciaoooo^^!!!!
Dopo secoli finalmente riuscì ad aggiornare la pazza
68Keira68. Nella speranza
di non venire fucilata per il ritardo ihihhi! A parte gli scherzi,
scusatemi
davvero ^’, quindi vi lascio andare subito alla lettura senza
discorrere tanto,
dico solo che in questo cappy tornano Lucy e Edmund e che è
l’ultimo con
profondo elucubrazioni sentimentali da parte dei personaggi, i proximi
saranno
più movimentati, ma già in questo cappy
c’è più azione rispetto ai precedenti
due ^^ spero tanto che vi piaccia, fatemi sapere cosa ne pensate^^!
Ringraziamenti:
ranyare:
Ciao!! Concordo con il commento numero uno, Caspian si
è comportato da idiota e
come si vedrà è un'opinione comune di tutti i
personaggi hihi^^ si è lasciato
trasportare dall'atmosfera ma ha dimenticato con chi aveva a che fare!
Però non
tutto è perduto...:-) Peter ha accettato il consiglio, credo
che ormai per lui
sia diventato un chiodo fisso, però è un
cavaliere, non si azzarderebbe mai a
fare qualcosa che potrebbe mettere in difficoltà la sua
damigella ^^ (e qui io
parto per Narnia a cercare marito poiché da noi ormai uomini
del genere sono
estinti hihhi!) Sono contenta che si siano comprese le paure di Cate e
Susan,
temevo di aver fatto un po' di confusione in quelle parti, trattare i
sentimenti è sempre difficile! E sono anche felicissima che
sia piaciuta la
scena del bosco!^^! Grazie mille per il tuo commento, spero che anche
questo
cappy ti piaccia, da ancora largo spazio ai sentimenti dei nostri eroi
e spero
di essere riuscita a far capire i punti di vista di tutti quanti! Ti
mando un
bacio grandissimo e grazie ancora^^!!!! Kisskisses 68Keira68
risotto:
Ciao!! Grazie mille per i tuoi complimenti, * me super contenta!! * nn
sai
quanto sia felice di sapere che la storia ti piace così
tanto XDXDXDXD!!!!! Mi
disp nn essere riuscita ad aggiornare prima ma alla fine ce l'ho fatta
e mi
auguro che il cappy ti piaccia^^ Cathy Susan Peter e Caspian ti
ringraziano
tantissimo anche loro per il tuo entusiasmo e nn vedono l'ora di sapere
cosa ne
pensi del nuovo cappy hihi^^ un bacio e un abbraccio grandissimi ^^
kisskisses
68Keira68
noemy_moony:
Ciao! Grazie tantissimo per i tuoi complimenti^^ sono davvero contenta
che la
storia ti sia piaciuta e spero che il nuovo cappy nn ti
deluderà^^! Ti mando un
grande bacio^^ kisskisses 68Keira68
KissyKikka:
Ciao!!!! Cm potrei dirti che nn mi piacciono le tue recensioni, ti
dovrei fare
un monumento!!! Mentre la leggevo ero quasi commossa, sei stata troppo
buona
con i complimenti, nn so come ringraziarti!!! *.*!!!!!!!
Glasieeeeeeeeeeeee
:-)!!!!!!!! Sono davvero tanto tanto tanto felice che il capitolo ti
sia
piaciuto così tanto!! Anke Fulmine il Destriero Capace e
Vanitoso come lo hai
rinominato (e devo dire che gli calza a pennello il soprannome^^!
Hiihi)
ringrazia l'apprezzamento e promette di tornare nei prossimi capitoli
^^
Condivido l'opinione su Peter, infatti avevo in previsione una gita a
Narnia
per prendermelo e portarmelo a casa per vivere un “per sempre
felici e
contenti”, anche perchè qui da noi un cavaliere
non saprei dove trovarlo, sn
estinti! Bisogna ripiegare sui mondi paralleli a questo punto^^!! Sono
felice
che la scena del flash-back sia piaciuta e che la ramanzina di Peter
sia venuta
perchè ero indecisa fino all'ultimo su che tono darle, e
sono anche contenta
che si siano compresi i sentimenti dei vari protagonisti, temevo di
aver fatto
confusione ad un certo punto e di aver perso il filo logico ma mi
tranquillizza
sapere che così nn è stato, grazie^^!!!! Anche in
questo cappy c'è molto spazio
ai sentimenti, spero di essere riuscita a rimanere in linea con
l'impronta data
nel precedente cappy, se vedi delle discordanze mi farebbe tanto
piacere che me
lo dicessi se nn ti è di disturbo ^^ tengo molto al tuo
giudizio e sarei
contenta di sapere se la parte sentimentale di questo capitolo
è stata secondo te
trattata correttamente oppure no :-) grazie in anticipo :-)!!
Per
la parte dell'incantesimo la sfera è diventata azzurra
perchè è passata dalla
diretta influenza del potere di Aslan a quello di Cathrine che ha un
origine
diversa ^^ Jadis per ora rimane più nell'ombra ma si
riprenderà presto il suo
riscatto per l'interferenza del leone nella raduna, ma nn aggiungo
altro ^^
Cathrine ha affermato che il soprannome Kat nn le dispiace affatto,
anzi ^^
quindi hai tutta la sua approvazione per usarlo hihihi^^
Ti
posso solo più dire un altro grandissimo e sentitissimo
GRAZIEEEEEEE per la tua
recensione e per l'analisi accurata che hai fatto del capitolo, davvero
^^ * me
felice felice felice felice!!!! * e spero di leggere presto il tuo
parere su
quest'ultimo capitolo,^^ ti
mando un
grandissimissimo bacio!!!! Kisskisses 68Keira68
Sweetophelia:
Ciao^^!! Grazie per i tuoi complimenti^^ sono contentissima che il
cappy ti sia
piaciuto^^! Fulmine ha detto che ti accompagna volentieri al bosco
fatato quando
vuoi hihihi! Non sei la sola che ruberebbe volentieri Peter a Cate, ma
dove si
trovano cavalieri del genere???!!! Cate però dubito che ce
lo lascerebbe fare,
ci trasforma in rospi prima ahhah^^ Per la tua felicità
posso anticiparti che
qui ci saranno sia Lucy che Edmund, finalmente li ho fatti apparire,
spero che
ti piaceranno le loro parti^^ Fammi sapere cosa pensi del nuovo
cappy^^! Vostra
Altezza vi mando un grandissimo bacio e i miei ossequi hihihi!
Kisskisses
68Keira68
Ringrazio
tantissimo anche coloro che hanno aggiunto la ficcy ai preferiti e alle
seguite
e anche coloro che hanno solo letto, grazie tantissimo e spero che
anche questo
cappy vi piaccia!!
Vi
auguro una buona lettura
Kisskisses
68Keira68
9_Il
significato del verbo amare
“Lucy,
hai visto Peter? È tutto il pomeriggio che lo
cerco”
Una
risata maliziosa gli giunse come risposta dalla piccola figura
femminile
impegnata a leggere alcun carte. Edmund attese con un sopraciglio
alzato che
l’attacco di ilarità finisse. Cosa aveva detto di
così divertente?
“Oh
Ed… Temo che dovrai aspettare un bel po’ prima che
torni”
“è
uscito? E dove è andato?” chiese sorpreso.
Fantastico,
aveva passato mezzo pomeriggio a cercare suo fratello per informarlo
degli
esiti delle ultime spedizioni e ora scopriva che era uscito. Per dove
poi, dal
momento che non era prevista alcuna missione riguardante loro.
Lucy
gli si avvicinò con aria cospiratoria, si mise una mano
davanti ad un lato
della bocca e gli sussurrò divertita “è
uscito con Cathrine per destinazione
ignota” e gli fece l’occhiolino.
Ahhhh,
questo spiega tutto. Pensò il giovane re
comprendendo l’ilarità della
sorella. Quei due ormai da quando si erano incontrati vivevano in
simbiosi.
Chissà che quadretto delizioso formavano a cavallo insieme
nella foresta,
mentre lui le mostrava galantemente i paesaggi di Narnia. Si,
c’era decisamente
abbastanza materiale per prendere in giro Peter per i prossimi
vent’anni.
“Quindi
i piccioncini sono fuori soli soletti eh?” fece ammiccante a
Lucy, che gli
rispose subito con un sorriso sornione.
“Oh
si. Dovevi vedere come se l’è presa dopo pranzo.
Sembrava quasi volesse rapire
Cathrine e celarla al resto del mondo. Non vedeva l’ora di
stare solo con lei,
non lo ho mai visto così!”
Edmund
sghignazzò. Già, neanche lui lo aveva mai visto
innamorato ed era senz’altro
uno spettacolo da gustarsi. Il prode cavaliere che cede agli occhi
dolci della
fanciulla indifesa. Era una perfetta trama per un libro di favole per
bambini.
“Sai
com’è Peter, dagli qualcuno da difendere e
proteggere e vedrai che ne sarà
rapito” commentò ironicamente.
“Ma
c’è dell’altro”
sussurrò misteriosa la piccola.
Lui
la guardò stupito. “Ovvero?”
“Peter
e Cate non sono gli unici piccioncini, come gli chiami tu, a colorare
di rosa
la valle di Narnia” aspettò un secondo per essere
sicura di avere tutta
l’attenzione del suo ascoltatore prima di rivelare la
novità “In questo preciso
momento Susan e Caspian sono fuori nel parco e si stanno sfidando
amichevolmente a duello.” Poi commentò divertita
“Probabilmente lui l’avrà
punta sul vivo e lei lo ha sfidato, conoscendo Susy”.
Edmund
però era rimasto una frase indietro. “Susan
e Caspian sono fuori nel parco”
Quel
ragazzo cercava forse la morte? Peter non gli aveva fatto un
avvertimento
quella mattina stessa? E da che ne sapeva lui i discorsi di suo
fratello erano
molto convincenti e spesso non fatti per essere ripetuti.
“Lucy,
sei sicura che Caspian sia là fuori con Susan?” Ti prego dimmi che si è sbagliata.
“Si,
certissima. Gli ho visto io”
Ok, a
quel ragazzo piace il rischio…
Ma
non riuscì a finire il pensiero che un turbine lilla e
castano spalancò la
porta con forza.
Sia
Edmund che Lucy schizzarono in piedi allarmati, la mano del re che
scivolava
istintivamente verso l’elsa rassicurante della spada, pronti
al peggio. Ma i
loro timori si dimostrarono infondati. Appoggiata con la schiena sulla
porta,
tutta trafelata e ansimante, c’era uno dei soggetti dei loro
pettegolezzi.
“Susy,
cosa è successo?” Lucy non esitò ad
andare accanto alla ragazza, che cercava
disperatamente di ridarsi un briciolo di contegno.
A
giudicare dal fiatone e dal colore bordeaux delle gote doveva aver
corso per
giungere lì. I capelli, solitamente sempre perfetti, erano un disastro e gli occhi
spalancati
continuavano a guardare la porta con insistenza, come se potesse
spalancarsi e
mostrare un drago a due teste da un momento all’altro.
“Sto…”
prese un bel respiro, cercando di recuperare il fiato perso dalla corsa
“Sto
bene Lucy, grazie” mentì spudoratamente. Se ne
accorsero entrambi ma non
dissero niente. Sapevo tutti e due che era una battaglia persa in
partenza
cercare di far ammettere a Susan che qualcosa non quadrava.
“D’accordo”
rispose accondiscendente Lucy prendendola a braccetto.
Per
fortuna Lucy sa come trattarla. Pensò Edmund.
“Perché
non andate in camera a riposarvi un po’? Tra poco la cena
sarà pronta e ci
aspetta una notte lunga. Quando Peter torna dobbiamo discutere su
alcune cose”
propose simulando scioltezza il giovane moro. Sua sorella aveva un
evidente
bisogno di sdraiarsi, rimettere in moto il cuore e trovare un
compromesso con
se stessa che le permettesse di rivelare ciò che era
successo con Lucy.
Susan
acconsentì ed Edmund fece un rapido cenno di intesa con la
sorella più piccola,
ma Lucy aveva già capito qual era la sua parte.
Senza
indugiare oltre accompagnò Susan nella sua stanza e si
richiuse silenziosamente
la porta alle spalle.
Bene,
Susy è in buone mani. Ora tocca
occuparsi di qualcun altro. Pensò
amaramente.
Aveva
un sospetto su quale potesse essere il problema della sorella e gli
bastò
uscire in cortile per vederlo confermato.
A
qualche metro da lui, una figura slanciata prendeva ripetutamente a
pugni una
delle colonne dell’arena.
Edmund
si era sbagliato. A Caspian non piaceva il rischio, era semplicemente
un
aspirante suicida. E se le orecchie di Peter fossero state raggiunte
dal
resoconto di quel pomeriggio, qualunque esso fosse, il desiderio del
principe
di Telmar sarebbe diventato realtà in meno di un minuto.
Trasse
un bel respiro profondo, raccolse tutta la calma necessaria e si
avviò verso
Caspian.
Non
aveva intenzione di fargli un’ennesima predica né
di minacciarlo di chissà
quali orribili morti, per quello Peter bastava e avanzava. Senza
contare che
era certo che per quanto l’azione compiuta dal principe
potesse essere
riprovevole sarebbe sempre stata entro determinati limiti. Conosceva
Caspian,
non avrebbe mai fatto intenzionalmente male a Susan, e lo sapeva anche
Peter
per quanto lo minacciasse. Però doveva udire cosa avesse
combinato per ridurre
Susan in quello stato.
Il
principe, preso nella sua missione autolesionista, non lo aveva nemmeno
sentito
arrivare. Edmund notò che aveva le nocche tutte arrossate e
rovinate per colpa
della raffica di pugni che Caspian stava usando contro la colonna.
Decise
che doveva fermarlo o tra poco avrebbe dovuto fasciarle. Gli
appoggiò una mano
sul braccio e lo costrinse a voltarsi.
Caspian
lo fissò sorpreso di trovarlo lì, ma subito
abbassò lo sguardo imbarazzato,
intuendo il motivo della visita del moro.
“Caspian,
si può sapere perché ti stai lacerando le mani e
perché mia sorella è corsa in
camera sconvolta?” Edmund optò per un approccio
diretto. Girarci attorno
sarebbe stato inutile dato che il fulcro della futura discussione lo
conoscevano entrambi.
Il
ragazzo ignorò la domanda. “Era tanto
sconvolta?” chiese invece apprensivo.
“Per
i canoni di Susan si” gli rispose duro.
Caspian
sospirò affranto ed Edmund si pentì del tono
appena usato. Il principe stava
soffrendo già abbastanza di suo senza aiuti esterni ed era
pronto a scommettere
che aveva bisogno di qualcuno con la quale confidarsi. Forse era meglio
se
trovava il modo di conciliare i panni dell’amico con quelli
del fratello se non
voleva vedere il principe esplodergli lì davanti, dopotutto
era l’unico che
poteva farlo.
“Caspian,
davvero, cos’è successo? Un minuto prima Lucy mi
ha detto che stavate duellando
e un minuto dopo vi ritrovo così” e lo
indicò con un eloquente gesto della
mano.
Il
moro lo fissò sconsolato, apparentemente incapace di trovare
le parole giuste
per pronunciarsi. Si passò una mano tra i capelli e si
guardò attorno come se
cercasse l’ispirazione da qualche parte. Ed a un certo punto
parve trovarla
poiché iniziò a raccontargli tentennante.
“Lei
mi ha sfidato a duello e io ho accettato. Abbiamo tirato qualche
affondo, o
meglio ha cercato di tirare qualche affondo” si corresse
sorridendo mesto preso
dai recenti ricordi “finché non mi sono ritrovato
con le spalle contro la colonna”
si fermò e fissò con astio il suddetto pilastro,
quasi fosse colpa sua per
tutto quello che era successo.
“E…?”
lo incitò Edmund.
Caspian
sospirò. “Ho invertito le posizioni con
l’intenzione di porre fine allo scontro
ma non avevo calcolato che così facendo ci saremmo ritrovati
molto vicini.”
Rispose enigmatico.
Edmund
aggrottò la fronte. Susan era scappata solo per una
vicinanza eccessiva? No,
non stava in piedi, c’era dell’altro. Quello che
cercava di uscire dalle labbra
del principe ma che lui provava a trattenere con tutte le sue forze.
Alla
fine però le parole ebbero la meglio.
“Ecco,
io… so che ho sbagliato, non avrei dovuto farlo, ma me ne
sono reso conto
troppo tardi” cercò di giustificarsi agitato.
Il
moro lo guardò confuso, in una muta richiesta di spiegazioni
che non tardarono
ad arrivare anche se parevano uscire con forza dalla bocca di un
Caspian
contrariato.
“Senza
rendermene conto ad un certo punto ho visto solo la sua bocca, non
esisteva più
nient’altro e…mi sono proteso per baciarla, a quel
punto, quando lei ha intuito
le mie intenzioni, è scappata” confessò
a testa china, la voce piena di
rimorso.
Poi
alzò lo sguardo, e fu probabilmente il mare di sconforto che
Edmund vi lesse
dentro che lo convinse a non infuriarsi eccessivamente.
Si, sta
di sicuro soffrendo abbastanza
senza aiuti.
Edmund
sospirò. Se conosceva bene sua sorella, Caspian aveva
davvero fatto il passo
più lungo della gamba. Ora capiva perché era
così sconvolta, un gesto tanto
inaspettato l’aveva mandata completamente in confusione. E
Caspian se ne era
accorto, solo che ormai il danno era fatto.
Gli
poggiò una mano sulla spalla cercando di trasmettergli
forza.
“Sei
stato un’idiota, te ne rendi conto si?” era una
domanda retorica, fatta giusto
per imprimere bene il concetto. Doveva almeno fare una battuta da
tipico
“fratello geloso” prima di dare consigli da amico.
“Idiota
è dir poco” biasciò Caspian abbattuto.
Edmund
aumentò la presa sulla spalla per scuoterlo, quel tanto che
bastava per
assicurarsi di togliere il suicidio dai pensieri del ragazzo.
“Si,
ma non me la sento di infierire ulteriormente.” Caspian
mugugnò e Edmund si
affrettò ad aggiungere “Ascolta, hai davvero fatto
una cavolata, ma non è tutto
perduto, non ti abbattere”
Il
principe lo fissò come se provenisse da un altro pianeta ed
Edmund non poté
fare a meno di sogghignare. “Ehi, dico sul serio. Ora lei sa
quello che provi
e…”
“Ed
è scappata” concluse secco, accasciandosi sul
pilastro di marmo, come se avesse
perso tutte le forze di colpo.
“Non
è scappata perché non ricambia, è
scappata perché l’hai colta alla sprovvista,
cosa che Susan odia. La situazione le è sfuggita di mano e
si è sentita persa.”
Gli illustrò Edmund che con grande piacere vide
l’attenzione di Caspian
destarsi completamente. Continuò spedito il suo discorso.
“Caspian, credimi,
non ha rifiutato te, ma l’improvvisa circostanza. Non era
preparata, ora ha
bisogno di tempo per accettare la novità e soprattutto per
metabolizzare quello
che prova lei, per accettarlo ed esprimerlo”
Caspian
lo fissava come un disperato avrebbe guardato la sua unica via di
salvezza. Se
quello che il re stava dicendo era la verità, forse avrebbe
potuto avere sul
serio ancora qualche possibilità, ma non osava sperare
quello che pareva troppo
bello per essere vero.
Edmund
rincarò la dose. “Suvvia Caspian, è
chiaro come la luce del sole” sbottò.
Il
principe lo fissò stralunato, in attesa di chiarimenti.
Edmund non tardò a
darglieli con un mezzo sorriso stampato in faccia. “Ti ama
anche lei, non dirmi
che non te ne sei accorto. Cambia espressione solo vedendoti! Davvero,
deve
solo rendersene conto lei e accettarlo. Abbi pazienza e quando
sarà pronta
verrà lei da te” gli confidò.
Caspian
scuoteva con piccoli scatti la testa, incredulo. “Ti sbagli.
Come fai ad
esserne così sicuro?”
“Hai
mai visto Susan sfidare a duello qualcun altro?”
“Questo
cosa c’entra? L’ho provocata io” si
difese Caspian.
“Appunto,
e lei ha accettato, cosa che di solito non fa mai. È raro
che faccia prevalere
l’istinto sul lato razionale. Con un’altra persona
si sarebbe limitata a
guardarlo dall’alto in basso e si sarebbe voltata simulando
superiorità. Tu sei
l’unico che le fa questo effetto, è come se le
facessi mettere da parte la
ragione e le facessi dare la precedenza alle emozioni usualmente tenute
sotto
stretto controllo” gli spiegò con il tono di chi
illustra un concetto semplice
ad un bimbo cocciuto.
Ma
lo sguardo di Caspian al momento era identico a quello di un bimbo. Un
bambino
alla quale è stato promesso il giocattolo più
desiderato e più prezioso. Gli
occhi gli brillavano accesi dalla luce della speranza.
“Non
l’ho persa” sussurrò incredulo.
Edmund
rise. “No, tranquillo.” Poi però
aggiunse più serio. “Fossi in te però
eviterei
di raccontarlo a Peter. Non credo sarebbe molto comprensivo”
Caspian
deglutì con difficoltà. Si, era assolutamente
meglio evitare che quella storia
raggiungesse il biondo. Aveva appena evitato di perdere Susan ora non
voleva
rischiare di perdere la testa.
Il
re osservò divertito il colore andare nuovamente via dalle
gote di Caspian
appena nominò il nome del fratello. Cercò di
trattenersi, ma la sua espressione
terrea era davvero troppo buffa. Gli scoppiò a ridere in
faccia, sostenendosi
con una mano alla colonna, guadagnandosi un’occhiataccia.
Peter
lo deve avere davvero terrorizzato
durante la loro “discussione”.
*
Avevo
una sensazione di vuoto. Una terribile sensazione di vuoto alla bocca
dello
stomaco. Era come se qualcuno avesse inserito tra il suddetto organo e
l’addome
una sfera di plastica che costringeva le altre parti dei corpi a stare
più giù
del normale e mi ostruiva il passaggio per l’aria. Era
davvero spiacevole.
Eppure
continuava a persistere nonostante mi ripetessi da ore che ero
semplicemente
una stupida. Sapevo perfettamente a cosa era dovuto il malessere. Avevo
la
causa dinanzi agli occhi. Una causa bionda con gli occhi azzurri.
“Ma
dovete proprio partire?” ripetei probabilmente per la
milionesima volta nel
giro di un’ora. Ero sicura di aver segnato un record.
Peter
si voltò verso di me sorridendo divertito. “Si
Cathy, mi spiace” rispose con la
pazienza di un santo. Incredibile, su un milione di risposte non ce
n’era stata
una pronunciata con un tono scocciato. Fosse stato qualcun altro mi
avrebbe
certamente mandata a quel paese.
Sospirai.
Non c’era modo di dissuaderli, ormai lo avevo capito anche se
continuavo
insulsamente a sperare. Fatto era che non riuscivo ad accettarlo.
Sapevo che
quella missione era necessaria per la guerra. Peter me lo aveva
ripetuto tante
volte almeno quante io gli avevo chiesto di non andarci, anche se ero a
conoscenza che ci teneva personalmente a capitanare quella missione.
Erano
in cinque, lui, Edmund, Caspian, Morris e Tweens, un fauno. Erano
necessari
tutti e tre i sovrani in quanto occorrevano persone che si
avvicinassero il più
possibile alle mura della città senza essere visti e loro
erano gli unici che
davano meno nell’occhio, mentre gli altri due sarebbero
rimasti leggermente in
disparte ad attendere un segnale in caso di bisogno. I tre ragazzi
dovevano
cercare informazioni all’interno della cittadina. Dovevano
sapere quanti uomini
sarebbero venuti al fronte e soprattutto quanto tempo ci avrebbero
messo prima
di marciare verso di noi. In apparenza una spedizione facile, non
implicava
l’utilizzo delle armi. Però bastava un niente per
farsi scoprire dentro la tana
del nemico, un passo falso e qualcuno avrebbe potuto riconoscere
Caspian o un
altro di loro. E allora si che sarebbero servite le spade. Con quali
conseguenze però non osavo pensarlo. O meglio, la mia mente
cercava di rifiutare
il pensiero, il mio stomaco continuava a ricordarmi i rischi. Avevo una
spiacevole sensazione riguardo quella missione. Il mio istinto mi
diceva che il
pericolo era in agguato, che si sarebbero potuto fare seriamente male.
E anche
se continuavo a ripetermi che era solo una mia sciocca percezione
prodotta
dall’apprensione, il malessere non se ne andava.
“Suvvia
Cate, prima o poi doveva succedere”
La
voce di Edmund mi giunse dall’alto. Era già in
groppa al suo destriero, in
apparenza ansioso di partire. Avevo visto la stessa esaltazione negli
occhi di
Peter e Caspian con grande irritazione, possibile che ai ragazzi
piacesse
mettersi spontaneamente in pericolo? Domanda
idiota, mi risposi da sola,
ovviamente si, non fanno altro.
“Succedere
cosa Ed?”
Il
ragazzo mi guardava ilare. Qualsiasi fosse il suo pensiero, lo doveva
divertire
molto.
“Passare
un pomeriggio separata da Peter” mi rispose, suscitando le
risa di Caspian,
Susan e Lucy che erano attorno a noi. Il principe anche lui a cavallo,
le due
ragazze vicino ad Edmund.
Peter
per mia fortuna non rise. Si limitò ad incenerire il
fratello con lo sguardo
mentre io gli feci la linguaccia diventando tutta rossa, mentre tentavo
una
blanda linea difensiva.
“Spiritoso,
non viviamo mica in simbiosi!” ribattei sapendo di mentire.
“Ha
ragione Ed, passano solo i pomeriggi assieme” si intromise
Lucy con un finto
tono dolce che non mi piaceva per niente.
“è
vero. Oh, dimenticavo, anche le mattine, Peter non le nega mai il suo
aiuto per
gli esercizi di magia” era arrivata anche Susan, fantastico.
“E
come potrebbe? Dopotutto è un cavaliere, di conseguenza
è galante in ogni
momento. Anche a pranzo, quando le scosta la sedia vicino al suo
posto” pure
Caspian si metteva ora?
“e
a cena, sia mai che Cathrine non trovi uno sgabello da sola”
“o
che passi da isolata la serata, per questo la accompagna fuori a
chiacchierare
finito di mangiare” rincarò la dose Susan.
“o
che perda la strada mentre va a letto, per ciò preferisce
scortarla di persona
in camera” concluse Edmund, ormai piegato in due dalle
risate. Si teneva a
stento in sella anche se purtroppo non era ancora caduto. Nulla in quel
momento
mi avrebbe reso più felice che vederlo rompersi qualcosa.
Le
altre tre comari lo imitavano alla perfezione. Caspian accasciato sulla
sella e
Susan e Lucy che si tenevano la pancia dal ridere. Ma
che carini pensai amaramente diventando probabilmente
bordeaux
in faccia. Purtroppo però non avevo niente con la quale
obiettare. Quello che
avevano detto doveva ammettere che era la pura verità. La
mia bellissima e pura
verità che nonostante le loro battute non avrei cambiato per
nulla al mondo.
Era
passata una settimana da quando Peter mi aveva portata alla spiaggia e
da
allora non era passato un pomeriggio senza che ci tornassimo. Era la
nostra
isola felice, non avevamo detto a nessuno dove ci dirigevamo
né tanto meno
della magia che era tornata a rianimare il boschetto. Era il nostro
segreto. Il
resto della giornata purtroppo era più pubblico considerando
il divertente riassunto che i
Pevensie e
Caspian avevano appena fatto.
A
salvare la situazione per fortuna ci pensò il mio biondo
cavaliere.
“Ignorali,
si dilettano con poco” affermò ad alta voce,
simulando un’aria di sufficienza.
Cercai di imitarlo, peccato che il sangue non defluisse dalle mie gote
a
comando. Accidenti!
Sospirai
e gli andai più vicino con l’intenzione di fare un
ultimo disperato tentativo
di dissuaderlo dal suo viaggio, infischiandomene di risultare patetica.
“Peter,
ascoltami, non ti chiedo di rimandare la missione per un mio capriccio.
Ho una
brutta sensazione riguardo ad oggi e il mio intuito sbaglia raramente.
Accadrà
qualcosa di spiacevole, non potreste rimandare a …”
Peter
mi azzittì posando un dito sulle mie labbra con
un’infinita dolcezza negli
occhi. Con uno sguardo così come potevo sperare di tenere un
filo logico nel
discorso? Era una battaglia persa in partenza.
“Cathy,
ti assicuro che non accadrà assolutamente niente.”
E prima che potessi
ribattere aggiunse. “Andiamo, ci infiltriamo silenziosi,
carpiamo le informazioni
e voliamo a casa. Tornerò prima del tramonto”
Sospirai.
Non c’era davvero speranza. Sarebbe partito. Lo stomaco mi si
contrasse più
forte. Lo percepivo chiaramente, qualcosa sarebbe andato storto, ogni
particella del mio corpo lo urlava. Ma come potevo pretendere che tutti
dessero
più retta al mio istinto che non alla logica comune? Potevo
solo confidare che
la sua prodezza lo avrebbe salvato da ogni pericolo.
Mi
lasciò un bacio leggero sulla fronte e salì in
groppa, accostandosi ad Edmund
intento a scambiare le ultime battute con Susan e Lucy. Si
unì a loro anche
Caspian, che con nonchalance si protese dalla sella in direzione di
Susan,
probabilmente per salutarla. Stavo già sorridendo sotto i
baffi per quella
piccola ma tenera dimostrazione di interesse quando la reazione di
quest’ultima
ci lasciò tutti basiti. Fingendo palesemente di non averlo
visto, si avvicinò a
me trascinandosi dietro anche Lucy, lasciando un Caspian più
abbattuto che mai.
Guardai
interrogativamente Susan per spiegazioni ma lei era intenta a salutare
i
fratelli con la mano come se non fosse successo niente. Notai che anche
Peter
faceva scorrere lo sguardo tra Caspian e la sorella con un grande
interrogativo
sul volto. Fui sicura che avrebbe chiesto spiegazioni più
tardi per chiarire la
situazioni, esattamente come avrei fatto io con Susan. Solo che il suo
interlocutore sarebbe stato uno sfortunato Caspian. Sperai per lui che
qualunque cosa fosse successa tra i due non fosse eccessivamente grave
o il
principe se la sarebbe vista davvero brutta.
Salutai
anche io il gruppetto, cercando di ignorare le fitte sempre
più insistenti al
mio stomaco. La spiacevole sensazione non se ne andava.
E
mentre i cinque cavalieri si allontanavano diventando sempre
più piccoli,
cercavo di ripetermi come una mantra una sola semplice ma vitale frase.
Stasera
lo rivedrò.
*
“Bene,
considerando che non abbiamo nient’altro da fare, credo che
la cosa più
costruttiva sia aiutarti con i tuoi esercizi. Vero Lucy?”
La
voce imperiosa di Susan mi distrasse dalla mia contemplazione della
linea
dell’orizzonte.
La
squadrai esasperata, felice come se avessi appena ricevuto un pugno in
uno
stomaco. Lucy mi notò e mi strizzò
l’occhio in segno di incoraggiamento. La
piccola sapeva quanto poco sopportassi allenarmi con Susan. La ragazza
era
peggio di un sergente, se avesse voluto sarebbe entrata
nell’esercito senza
difficoltà. Il fatto che poi i miei miglioramenti in quei
giorni fossero stati
pari a zero, non aiutava la situazione.
Già
di per sé quella era una stranezza che non riuscivo a
spiegarmi e che mi
infastidiva oltre ogni dire, se ci metteva pure lei con la sua
insistenza,
rischiavo davvero di andare in escandescenza.
“Forza,
abbiamo tutto il pomeriggio a disposizione, sono certa che oggi faremo
dei
passi avanti” ci incoraggiò piena di entusiasmo
Lucy. Almeno qualcuno ne aveva.
“D’accordo”
biascicai sconfitta.
La
posizione era la solita. Loro due davanti a me in religioso silenzio e
io
seduta a gambe incrociate a cercare la concentrazione come il
più savio degli
induisti. Peccato che qualcosa mi suggeriva che anche il risultato
sarebbe
stato il solito.
Sette
giorni, una settimana intera, e non ero ancora riuscita ad addormentare
nessuno. Non fosse stato per la cocciutaggine di Susan probabilmente ci
avrei
già rinunciato. Iniziavo a sospettare di non esserne
semplicemente in grado. Di
solito piegavo gli oggetti e le leggi della natura alla mia
volontà senza il
minimo sforzo. Avvertivo la loro essenza e la manipolavo come un
artigiano
avrebbe fatto con la creta. Ma a quanto pareva l’assenza
delle persone era
differente, per utilizzare una metafora simile, era più
vicina al diamante, più
brillante e riconoscibile, ma più dura da modellare rispetto
all’umile cera.
Non avevo forza abbastanza per gestirla.
Chiusi
gli occhi ed espirai lentamente. Sgombrai la mente come di consueto e
acuii i
sensi. Percepii subito la natura circostante, il vento, il sole,
l’erba, il
bosco. Creta che sarebbe diventata soggetta ai miei poteri senza
difficoltà.
Spaziai con la mente ancora, finché non trovai le essenze
più grandi, i due
diamanti che cercavo, Susan e Lucy. Avvertivo con facilità
anche loro, senza
contare che mi erano vicine. Il problema sarebbe sopraggiunto ora.
Raggruppai
la mia magia. La richiamai da ogni angolo recondito del mio essere e la
concentrai sulle mie mani finché non le sentii pulsare.
Allora sussurrai
mentalmente il mio piccolo e futile comando. Addormentatevi.
La
magia fluttuò da me a loro finché non si
scontrò contro la loro aurea. Tutto da
manuale. I miei poteri, che di solito avvolgevano l’essenza
dell’oggetto e lo
modificavano, non riuscirono nemmeno ad inglobare una minima parte del
diamante
come se costituisse un repellente alla magia, disperdendola
nell’aria.
Anche
se sfiduciata, ritentai subito. E di nuovo, di nuovo, di nuovo. Al
quindicesimo
tentativo, mollai la spugna.
Sbuffai
sonoramente e aprii gli occhi. Ero già stanca e iniziavo ad
avere il lieve mal
di testa, che puntualmente mi veniva ogni qual volta mi esercitavo.
“Susan,
non funziona. Come sempre” sbraitai.
Lei
non si perse d’animo. “Abbiamo appena cominciato,
riprova”
“Susan,
è tutta la settimana che ci proviamo e non ci sono ancora
riuscita” le feci
notare con una certa acredine.
La
regina fece una smorfia. “Forse non ci stai mettendo
l’impegno necessario”
sbottò.
A
quel punto vidi rosso. Feci un bel respiro profondo per calmarmi, le
lanciai
un’occhiataccia e sibillai “è una
settimana che la testa non smette un secondo
di dolermi per questi assurdi esercizi, non venirmi a dire che non mi
impegno”
Lucy
parve intuire il mio stato d’animo perché mi
guardò allarmata e intervenne
celere per calmarmi. “Tranquilla, sappiamo quanto ti stai
sforzando, non lo
mettiamo in dubbio”
“Forse
non sai gestire i tuoi poteri, dovresti imparare a conoscerli meglio
prima di
usarli” osservò invece Susan esaminandomi.
Evidentemente non doveva aver
fiutato il pericolo come Lucy. A quelle parole, la bomba esplose,
alimentata
dal fastidio del mio insuccesso, dalla sua assurda persistenza e dalla
stanchezza che mi stava invadendo.
Come?! Io non sapevo gestire i miei
poteri? Ma chi pensava di
essere? Li usavo da diciassette
anni,
facevano parte di me da sempre, e lei ora, completamente digiuna di
magia,
voleva insegnarmi come adoperarli?
Fossi
stata una locomotiva probabilmente ora avrei riempito di fumo tutta la
radura.
Le
avrei fatto vedere chi era la strega esperta.
Chiusi
gli occhi e mi concentrai, sfruttando la rabbia che mi faceva battere
forte il
cuore per estendere i miei sensi al massimo. Trovai subito
l’aurea di Susan, raccolsi
tutte le mie forze e le riversai con violenza verso un unico punto
della sua
essenza, il centro, probabilmente con il desiderio inconscio di
colpirla per
ferirla, accompagnandole con un imperativo: Addormentati.
L’effluvio di magia, focalizzato su un bersaglio preciso,
assunse le sembianze
di una freccia. Potevo quasi udire con la mente il suo sibilo.
Poi
accadde un evento del tutto inaspettato. La mia magia raggiunse
l’aurea della
regina ma invece di disperdersi, come aveva sempre fatto, la
trapassò da parte
a parte, a pari di un dardo che trafigge uno scudo. E fu allora che
capii,
prima ancora di udire il leggero tonfo del corpo di Susan che si
afflosciava a
terra.
Aprii
gli occhi e mi avvicinai a lei con un sorriso a trentadue denti insieme
ad una
terrorizzata Lucy. La rabbia provata prima completamente dispersa
dinanzi alla
vista del mio primo e sudato successo e, dovevo ammettere, alla vista
di una
Susan finalmente azzittita. Una sensazione di sollievo mi invase. Ce
l’avevo
fatta. Finalmente, dopo giorni di estenuanti tentativi, ci era
riuscita, avevo
vinto un mio punto debole, avevo rafforzato i miei poteri. Ero fiera di
me
stessa.
“O
mio Dio, cos’è successo?” si
informò la piccola.
Povera,
probabilmente pensava che trascinata dall’ira le avevo fatto
chissà quale
fattura. Non esitai a sorriderle tranquillizzante e incredibilmente
soddisfatta. Così imparava ad accusarmi di essere incapace.
Cadere come un
sacco di patate nel mezzo di una discussione era una punizione
sufficiente
considerato il suo orgoglio. “L’ho resa contenta.
L’ho addormentata” e come a
voler sottolineare le mie parole, Susan emise un basso mugugno,
profondamente
appisolata.
“Quindi
sta bene?”
“Controlla
tu stessa” la invitai sicura di me.
Il
suo respiro era regolare e l’espressione serena. Stava
dormendo come un
angioletto.
Lucy
sospirò alleggerita. Poi mi rivolse un sorriso radioso.
“Cate, ce l’hai fatta!”
si congratulò.
Ricambiai
l’entusiasmo mentre fissavo il mio risultato ancora
incredula. Si, ci ero
riuscita grazie alle provocazioni di Susan. A malincuore dovevo
dargliela vinta
su un punto, non avevo capito come dovevo utilizzare i miei poteri per
questo
tipo di magia, e la sua sfida mi aveva stimolata inconsciamente a
migliorarmi.
“è
meglio svegliarla” proposi. Volevo vedere la sua espressione
nel sapere la
lieta novella. Finalmente avrebbe smesso di stressarmi.
“Susan”
la chiamai scuotendola leggermente. La regina però aveva il
sonno pesante, ci
vollero quattro richiami prima di farle aprire gli occhi e cinque
minuti per farla
tornare ad essere capace di intendere e volere. A quanto pareva un
sonno
istigato da fonti esterne era più insistente di uno naturale.
“Cos’è
successo?” chiese stralunata stiracchiandosi le braccia.
“Cate
ti ha fatto addormentare. Ci è riuscita, sei caduta come una
pera cotta” la
informò allegra la sorella minore.
Susan
mi guardò sorpresa. “Davvero?”
“Oh
si” confermai trionfa.
“E
come hai fatto?” mi chiese più stupita che mai.
Non
mi feci pregare per fornirle la spiegazione. “Ho capito cosa
sbagliavoApplicavo
lo stesso modo di manipolare l’essenza degli oggetti e della
natura per
modificare quella delle persone. L’essenza dei primi e
più facile e gestibile,
si piega alla mia volontà come niente, basta che la avvolga
con i miei poteri”
illustrai, gustandomi l’espressione rapita delle mie due
ascoltatrici. Giusto
per ribadire il fatto che non ero incompetente. “Ma quella
delle persone è
diversa. Finora pensavo che fosse semplicemente più
resistente e che rifiutasse
la magia come un repellente. Ma ora ho capito che mi appare
più dura perché è
protetta da una sorta di scudo. Ecco perché disperdeva i
miei poteri. L’unico
modo per eluderlo è trapassarlo ed entrare così
veramente in contatto con
l’essenza di un individuo. Una volta fatto ciò
comandarla è semplicissimo” e
feci un gesto di noncuranza con la mano, godendomi le loro facce
allibite.
“Wow”
L’eloquenza
di Lucy non poté non farmi ridere.
“è
fantastico, ora siamo a cavallo. Ma sei sicura di aver imparato bene? E
puoi
farlo con più persone?” Susan badò
subito di più al lato pratico.
Soppesai
un secondo la sua domanda. Potevo farlo?
“Credo
di si. Finché sono ad una relativa distanza posso
riuscirci” assicurai.
“Perfetto.
Vorrà dire che domandi faremo una prova generale con il
maggior numero di
persone, dopodiché sarai pronta”
determinò.
Se
implicava la fine degli esercizi per quel giorno, non potevo che essere
d’accordo.
*
Ce
l’abbiamo fatta. Non so bene quale
divinità devo ringraziare, ma ce l’abbiamo fatta.
Con
un sorriso di trionfo, il biondo sovrano di Narnia si dirigeva al
trotto verso
casa, felice come non mai.
Avevano
portato a termine la missione. E con successo. Erano riusciti ad
entrare nella
cittadina senza farsi vedere -e già questo era di per
sé un ottimo
risultato- ma in
più erano riusciti a trovare
la maggior parte delle informazioni che cercavano.
Lui
ed Edmund, vestiti come semplici contadini nascondendo le armi sotto
pesanti
mantelli da viaggio, erano scivolati oltre le mura mentre Caspian
intratteneva
le guardie all’ingresso con un diversivo. Il piano fino a
quel punto aveva
funzionato alla perfezione, anche se era la parte più
semplice. La seconda era
la più complicata ma soprattutto la più affidata
al caso. E il loro era stato
incredibilmente favorevole. Si erano avvicinati alla caserma seguendo
le
indicazioni fornitegli da Caspian, cercando di non dare
nell’occhio, per
origliare le diverse conversazioni nella speranza di udire discorsi a
loro
utili, ma la loro buona stella li aveva fatti addirittura scontrare con
la
madre di uno dei soldati che si lamentava della partenza prossima del
figlio
proprio con quest’ultimo.
Avevano
ascoltato frammenti del loro dibattito poi, appena il militare se ne
era
andato, non avevano esitato a “scontrarsi”
accidentalmente con la signora. Nel
scusarsi Edmund aveva preso la palla al balzo e aveva sfoderato tutte
le sue
arti dialettiche per carpirle informazioni senza creare sospetto
alcuno. Le
aveva raccontato che l’aveva vista discorrere con un soldato
e che si domandava
se per caso Telmar si preparasse a fronteggiare un’altra
guerra fingendo un
tono preoccupato degno del più bravo commediografo. Peter
gli aveva retto il
gioco e domanda dopo domanda erano riusciti a farsi dire quello che gli
serviva, favoriti anche dall’indole pettegola
dell’anziana signora che a quanto
pareva non aspettava altro che qualcuno con la quale lamentarsi delle
continue
guerre proposte dai re di turno. I due ragazzi l’avevano
pazientemente
ascoltata e dato retta, contenti che tra un lamento e una critica la
donna li
avesse informati che di lì a quattro giorni un grosso
manipolo di uomini
sarebbe partito per il fronte attraversando la foresta in cerca dei
restanti
abitanti di Narnia e che i “poveri
ragazzi coinvolti nelle smanie di conquista dei potenti”
erano più di un
migliaio.
In
poche parole: centro.
Si
erano accomiatati in fretta dalla donna ed si erano volatilizzati fuori
dalla
cerchia muraria, favoriti dal fatto che i soldati perquisivano solo chi
entrava
e non chi usciva.
Ed
ora eccoli lì, tutti e cinque, i ragazzi a cavallo Morris e
Tween a piedi, con
un’espressione trionfa sulla faccia.
“Non
vedo l’ora di tornare a casa, sto morendo di fame”
Edmund si stiracchio le
braccia dietro la nuca.
“Anche
io” convenne Peter “In più non vedo
l’ora di informare le ragazze delle ultime
notizie. Saranno soddisfatte, soprattutto Susan, vero
Caspian?” aggiunse il
biondo, rivolgendosi a quest’ultimo per cercare conferma.
Ma
quello che trovò sul volto del principe non fu
ciò che aveva sperato.
All’ultima frase l’espressione allegra di Caspian
si era tramutata in una
afflitta senza un’apparente spiegazione.
“Ehi
Caspian, cosa ti prende? Hai una faccia tirata”
osservò il re incuriosito.
Il
principe lo fissò allarmato e cercò di
ricomporsi. “Niente. È tutto ok” rispose
frettoloso stimolando ancora di più la curiosità
di Peter che assottigliò lo
sguardo.
“Sicuro?”
“Certo
certo” insistette preoccupato il moro.
Peter
scrollò le spalle. “D’accordo”
poi in un flash si ricordò della scena assistita
qualche ora prima, al momento della loro partenza. “A
proposito, ho notato che
ultimamente tu e Susan non passate più molto tempo insieme o
sbaglio? Anzi,
sembra quasi che vi evitiate. È successo forse
qualcosa?” si informò.
Il
giovane principe sbiancò e per poco non cadde da cavallo.
Ma
perché, perché è così
attento a tutto
ciò che riguarda la sorella? Si
chiese.
Era
passata una settimana dallo scontro con le spade e ancora non era
riuscito a
chiarire la situazione con la regina. Il loro rapporto stava
degenerando, ormai
Susan non gli permetteva più nemmeno di stare negli stessi
tre metri quadri.
Appena lo vedeva era capace di interrompere qualsiasi cosa stesse
facendo e
cambiare stanza senza degnarlo nemmeno di un saluto. Si era trincerata
dietro
un mutismo terribilmente irritante e che gli stava corrodendo
l’anima. Ma come
dargli torto? Dopotutto, l’idiota era stato lui, non lei. Non
poteva criticarla
per la sua reazione, l’unica cosa che poteva fare era cercare
di farsi venire
un’idea per migliorare i loro rapporti. Anche se
l’unica cosa che era riuscito
a compiere in sette giorni era lacerarsi il cuore ripensando
all’infinito da
vero masochista all’esito di quel dannato duello.
Edmund
intervenne in suo aiuto molto tempestivamente. “Dici? Io non
ho notato nulla”
Peter
lo guardò stralunato. “Ma come? Se è
una settimana che non si parlano quasi e
questo pomeriggio Susan lo ha addirittura deliberatamente
evitato.”
“A
me non è sembrato” Edmund scrollò le
spalle indifferente, pregando che Peter
non indagasse oltre. Dato che il fratello non aveva ancora sollevato
l’argomento,
aveva sperato che fosse troppo preso da Cathrine per osservare altro,
ma a
quanto pare così non era stato. Il re aveva un occhio per
tutto, stava solo
aspettando il momento giusto per intavolare la discussione desiderata.
“Io
ti ripeto di si. Volevo solo sapere se hai quindi trovato una risposta
alla mia
domanda di qualche giorno fa. Devo interpretare questi fatti come una
risposta
negativa?”
Dannazione,
certo che quando ci si mette
sa essere davvero pedante. Pensò
Edmund tenendo le dita incrociate per Caspian. Il principe non sarebbe
resistito all’interrogatorio ancora a lungo, ne era certo.
Difatti…
“Ecco, a dire la verità non è
così” il moro iniziò a tergiversare
diventando
interamente rosso.
“E
com’è?” domandò Peter,
accigliandosi e inasprendo d’un poco il tono. Iniziava
ad agitarsi, sia Edmund che Caspian potevano vederlo chiaramente. A
Peter non
piacevano i giri di parole, preferiva gli approcci diretti e i
tentennamenti di
Caspian lo stavano irritando.
Ciò
spinse definitivamente il principe a svuotare il sacco, sperando che la
sua
esecuzione sarebbe stata rapida ed indolore.
“La
mia risposta a dire il vero è si. Ma ho fatto uno sbaglio
enorme, e il suo
allontanamento ne è la conseguenza”
mormorò a testa china.
Peter
diede un colpo di redini improvviso e si piantò dinanzi a
Caspian,
costringendolo a fermarsi.
“E
quale sarebbe questo enorme sbaglio?”
Il
tono era basso e calmo. Eppure la minaccia che celavano quelle parole
era
talmente consistente che la si poteva vedere alleggiare
nell’aria.
Caspian
non osò guardarlo in volto ed Edmund gli si
avvicinò fiutando il pericolo.
“Suvvia
Peter, non è stato niente di così
grave” lo difese preventivamente.
Peter
lo fulminò con lo sguardo. “Tu lo sai?”
sibilò sentendosi tradito.
Edmund
alzò gli occhi al cielo, sconsolato.
“Sto
ancora aspettando” aggiunse poi rivolto nuovamente a Caspian.
Il
moro si decise ad alzare di qualche millimetro gli occhi, simulando un
briciolo
di coraggio che in realtà non aveva.
“Ecco,
può darsi che io abbia…tentato…di
baciarla” confessò “ma senza
riuscirci”
aggiunse poi guardando preoccupato il volto di Peter che cominciava a
sfumare
verso il viola.
Brutto
segno, orrendo segno cominciò a dirsi il
principe.
“Peter
davvero, non è accaduto niente di irreparabile, non
è successo assolutamente
nulla” Edmund si lanciò sprezzante del pericolo
nella disperata difesa di
Caspian.
Ma
Peter non lo ascoltava più. Si stava limitando a fissare
Caspian con occhi di
fuoco. Avesse potuto, lo avrebbe perforato da parte a parte con lo
sguardo. Le
spalle iniziarono ad abbassarsi e alzarsi a ritmo innaturale e
accentuato.
Mancava il fumo che gli usciva dal naso, poi era la perfetta versione
umana di
un bufalo inferocito.
Caspian
cominciò ad agitarsi sulla sella e a votarsi ad ogni singolo
santo e divinità
conosciute dalla notte dei tempi. Forse qualcuno avrebbe interceduto
per lui
con qualche miracolo. Lanciò un’occhiata al
biondo. No, neanche Odino e Zeus
insieme avrebbero potuto salvarlo in quel momento.
Piombò
il silenzio. La calma prima della tempesta. Persino Morris e Tween si
erano
bloccati preoccupati. E poi esplose.
“TU
HAI FATTO COSA?!?!?!”
Il
tono tuonante aveva riempito tutta l’aria circostante. Anche
il vento pareva
essersi fermato terrorizzato smettendo di soffiare tre le fronde degli
alberi.
“Peter…”
tentò di nuovo Edmund.
“Zitto
tu” lo ammutolì il biondo. “Hai davvero
tentato di baciarla?” ripeté incredulo
sporgendosi dalla sella. “Non ci posso credere, dopo che ti
avevo avvertito di
darle tempo, di concederle i suoi spazi, tu l’hai forzata!
Sei un’idiota,
un’idiota assoluto e completo!” sbraitò
agitando le mani freneticamente in
direzione del principe.
Caspian
provò una blanda linea difensiva sussurrando “Non
l’ho fatto a posta lo giuro,
ma è stato più forte di me, non me ne sono
nemmeno reso conto, io…”
“Non me ne importa un accidenti se eri cosciente o no. Fatto
sta che lo hai
fatto! E a tuo rischio e pericolo aggiungerei” il tono si
abbassò ad un sibilo
talmente minaccioso da far rimpiangere l’urlo di poco prima.
A
quelle parole Caspian tremò. Che
tristezza, morire così giovane…
“Peter,
non lo puoi uccidere” cercò di farlo ragionare
Edmund.
Il
sovrano lo guardò scettico “Ne sei
sicuro?”
“Peter!”
lo richiamò il fratello assumendo un cipiglio severo, pronto
ad intervenire.
Il
biondo sbuffò sonoramente e prese dei profondi respiri.
Contò fino ad un
milione prima di tornare a rivolgersi a Caspian. Purtroppo suo fratello
aveva
ragione, non poteva uccidere fisicamente il moro, anche se aveva le
mani che
gli prudevano come non mai. Lo avrebbe volentieri strozzato per quello
che
aveva fatto ma anche se non poteva ammazzarlo, non l’avrebbe
di sicuro passata
liscia.
Però
a pensarci bene la punizione più
grande l’ha già ricevuta. Pensò il
ragazzo. Susan lo aveva allontanato, gli aveva addirittura tolto il
saluto,
quale punizione più grande di questa? La lezione
l’aveva sicuramente imparata,
senza contare che stava già soffrendo a sufficienza.
Un
sorriso sadico che poco si addiceva alle sue fattezza
d’angelo gli si dipinse
sul volto. “Tranquillo Ed, ho deciso che non gli
farò niente”
Edmund
liberò un sospiro, visibilmente sollevato. Caspian invece
rimaneva diffidente.
Ricordava fin troppo bene le minacce del biondo per sperare di
essersela cavata
così a buon mercato.
Peter
notò lo scetticismo sul viso del principe e non
esitò a fornirgli la
spiegazione inespressa con una punta di cattiveria nella voce.
“Credo che tu ti
sia punito a sufficienza da solo. Susan non dimentica facilmente e tu
l’hai
combinata grossa. Ti ha allontanato, ti ci vorrà un mezzo
miracolo per farti
riaccettare.”
La
frase limpida e cristallina abbatté ancora di più
Caspian con la sua
schiacciante verità, però almeno si convinse, dal
tono con cui era stata
pronunciata, che Peter aveva detto la verità. Era salvo.
Incredibilmente salvo.
Poi,
improvvisamente accadde.
Un
sibilo fendette l’aria circostante e una freccia
andò a conficcarsi nell’albero
dietro Edmund, sfiorandogli l’orecchio.
I
cinque soldati rimasero interdetti. Ma furono soltanto pochi secondi.
Peter
estrasse la spada, imitato celermente da Caspian ed Edmund. Morris
impugnò la
sua ascia e Tweens incoccò una freccia nel suo arco.
Si
guardarono attorno, in attesa che il nemico si facesse avanti. Non
dovettero
attendere a lungo. Dal folto della foresta sbucarono fuori da ogni
angolo
quindici soldati di Telmar con la spada e l’arco sguainati,
pronti a colpire.
Li avevano circondati. Erano stati sprovveduti, avevano abbassato la
guardia e
senza rendersene conto si erano lasciati accerchiare. Probabilmente era
una
pattuglia ricognitiva che aggirandosi da quelle parti li avevano
sentiti
attraversare il bosco.
Peter
urlò e partì all’attacco.
Caricò dall’alto su un soldato e lo
abbatté. Udì
distintamente Caspian ed Edmund fare lo stesso mentre un colpo ben
assestato di
un’ascia spaccava lo scudo di un altro militare.
Non
si guardò indietro e puntò subito un altro uomo.
Lo uccise con un fendente
preciso al basso ventre. Se ne avvicinò un altro ma Peter
non si fece cogliere
impreparato, roteò la spada e colpì anche lui con
mosse fredde ed esperte.
“Peter!”
All’improvviso
udì Edmund urlare e al contempo un dolore lancinante si
diffuse dal bacino. Con
un lamento si girò velocemente di spalle, stringendo i denti
dal dolore. Un
terzo uomo gli si era avvicinato mentre era impegnato con gli altri due
e lo
aveva colpito con la spada in profondità. Fortunatamente
Edmund lo aveva visto
ed era corso in suo soccorso per evitare di fargli completare
l’affondo. Suo
fratello gli aveva salvato la vita ma non era riuscito a risparmiargli
la ferita
profonda che stava sanguinando copiosamente.
La
vista iniziò ad annebbiarsi. I suoni si fecero ovattati. Ma
non poteva
arrendersi, non poteva lasciare i suoi uomini a combattere da soli.
Cercò con
tutte le sue forze di restare presente a se stesso. Doveva farcela.
Non
rispose ad Edmund che gli stava chiedendo come stava. Aveva poco fiato
e
respirare era diventata una fatica immensa. Non poteva sprecarlo
parlando.
Strinse
forte l’elsa della spada come fosse l’unica sua
possibilità di restare fermo in
un mondo che iniziava a girare su se stesso. I colori si facevano
confusi,
tutto, dagli alberi ai soldati, sembrava che avesse iniziato a
vorticare
velocemente. Scosse la testa, cercando di ritornare lucido.
Alzò
lo spada, tamponando la ferita con la mano libera, e uccise il primo
telmarino
che gli era vicino. Il colpo andò a segno, probabilmente
favorito anche dalla
posizione elevata che lo stare a cavallo gli conferiva. Mosse di nuovo
il
braccio, ma il movimento gli procurò un dolore
insostenibile. Si strinse il
fianco con ambo le braccia lasciando cadere a terra la spada. La testa
gli
girava e pulsava. Il vortice aveva preso a girare ancora più
veloce fino a
diventare una masso informe. Udì un grido in vicinanza,
anche se non avrebbe
saputo dire di chi. E poi tutto divenne nero e Peter smise di lottare
contro il
dolce oblio che lo reclamava a gran voce, dimentico di tutto
ciò che lo
circondava. Sfinito, si accasciò in avanti sulla sella.
L’ultimo suo pensiero
fu un nome soltanto, legato ad un volto che si disegnò
nitido nella sua mente.
Cathrine.
*
Usai
le braccia come sostegno e inarcai la schiena per avere una visuale
completa
del cielo. Il sole volgeva ormai al tramonto, rendendo le nuvole
macchie rosa
dalle varie forme su di una tavola rossa e viola.
“Tornerò
prima del tramonto”
Me
lo aveva promesso. Eppure il sole era ormai allo zenit ma di lui ancora
nessuna
traccia.
Sospirai
e guardai nuovamente il cielo, ma mentre inspiravo una terribile
sensazione di
vuoto mi invase e fui certa che qualcosa non quadrava. Il mio sesto
senso lo
stava urlando. Qualcosa di brutto sarebbe successo. O forse era
già accaduto.
Il mio pensiero corse a Peter e al mio presentimento di quel
pomeriggio.
Rabbrividii all'idea che potesse essergli successo qualcosa di male.
Il
gesto non passò inosservato agli occhi delle due Pevensie
che compresero
immediatamente il motivo della mia agitazione. Lucy mi si
accostò subito.
“Tra
poco saranno qui, non temere. Sono tre ragazzi svegli e poi sia Morris
che
Tweens sono con loro” mi consolò la bimba
accarezzandomi il braccio.
“Lucy
ha ragione, arriveranno presto” aggiunse Susan sorridendomi
rassicurante.
Abbozzai
un sorriso, cercando di minimizzare il disagio che provavo e mormorai
“Speriamo”.
Non
volevo parlargli della mia sensazione. Le avrei solo fatte spaventare e
basta.
E poi io per prima non sapevo come interpretarla, il mio cervello
l’aveva
immediatamente collegata a Peter perché ero in apprensione
per lui ma era una
sciocchezza presumere di legare il suo destino al mio sesto senso.
Molto più
razionalmente avevo avuto un malessere momentaneo o forse la
preoccupazione mi
stava semplicemente facendo impazzire. Dovevo assolutamente calmarmi o
Peter al
suo ritorno avrebbe trovato l’involucro di una ragazza
divorata dall’ansia.
Ansia
immotivata
precisai a me stessa, perché Peter
sta bene e non sta correndo alcun pericolo. E soprattutto
tra poco sarà qui.
Parlare
di Peter mi fece venire in mente un argomento strettamente collegato.
Caspian.
Data
la quiete, decisi che era il momento più adatto per
affrontare la questione, e
poi mi sarei distratta dai miei timori.
“Susan”
catturai la sua attenzione. “Non per essere indiscreta,
però mi domandavo se è
successo qualcosa tra te e Caspian. Prima quando stavamo salutando i
ragazzi ti
sei allontanata in tutta fretta da lui” considerai.
Susan
distolse subito lo sguardo da me. “Non è successo
nulla di importante” disse
precipitosamente.
Bingo. Era accaduto senz’altro
qualcosa. Il suo modo evasivo però mi suscitò
una tenerezza tale che non me la sentii di insistere. Dopotutto erano
questioni
sue.
“Capito,
non sei costretta a parlarne se non vuoi” le dissi
comprensiva.
“Invece
parlare le farebbe bene dato che è una settimana che non
spiaccica parola
sull’argomento” si intromise piccata Lucy guardando
storto la sorella che
sostenne fiera il suo sguardo.
“Quale
argomento?” fui letteralmente incapace di trattenere la
domanda dimenticando i
miei buoni propositi. Quando si dice che la curiosità
è donna…
Lucy,
senza smettere di scrutare Susan, mi rispose a denti stretti.
“La signorina qui
presente evita il povero Caspian da ormai sette giorni. Non ti sembra
strano
che appena lui entra in una stanza lei ne esce?”
Ci
riflettei un momento su e passai in rassegna i momenti passati assieme
di
questa settimana. Effettivamente Lucy aveva ragione, notai sbalordita.
Prima
non ci avevo dato peso, ma non avevo più visto i due insieme
da soli da
quando…da quando io e Peter eravamo andati per la prima
volta alla spiaggia.
Cos’altro era successo quel pomeriggio?
“Come
mai?” chiesi.
La
piccola stava per rispondermi ma fu bloccata da un’irritata
Susan. “Se
permetti, sorellina, è ancora la mia vita e gliene parlo io,
intesi?”
Lucy
le fece un ironico gesto di consenso con la mano.
“Ecco
vedi, Caspian” si rivolse poi a me. “Ha cercato di
baciarmi. Ma io l’ho
respinto e da allora ammetto di aver cercato di non trovarmi sola con
lui”
confessa, cercando di nascondere l’imbarazzo dietro una
facciata di ostentata
indifferenza.
Ah. Ecco il perché del loro
strano comportamento. Incredibile, Caspian, il
timido e posato Caspian, aveva provato a rubare un bacio
all’inarrivabile e
razionale Susan. Questa si che era una notizia da prima pagina. Fossimo
stati a
scuola sarebbe stato il gossip della settimana.
Però
non riuscivo a capire qual era il problema. Da quel che sapevo io a
Susan
Caspian piaceva. Perché aveva evitato il bacio? E
perché ora stava evitando lui
per intero?
Cercai
di mettere su una frase sensata. Una confidenza meritava almeno
un’affermazione
di senso compiuto.
“Ma
scusami, io pensavo che lui ti piacesse” osservai.
“Difatti
è così. Solo che ha troppa paura per scendere dal
piedistallo. Sai, finché
rimani l’algida Susan nessuno e niente ti può far
nulla ma quando fai crollare
la maschera e diventi vulnerabile, rischi di far entrare altre persone
nella
tua vita e di far affidamento su loro. E alla nostra Susan non piace
essere
simile ai comuni mortali” Era una mia impressione o il
commento di Lucy
trasudava contrarietà?
“Lucy,
ti ho già detto che non c’entra niente quel
discorso” ribatté infastidita.
“Come
no” Lucy sbuffò “Susan, te lo ripetuto
milioni di volte. Capisco che tu possa
esserti spaventata perché Caspian ti ha colta alla
sprovvista, ma ormai hai
avuto tempo a sufficienza per metabolizzare il fatto. Caspian si
è praticamente
dichiarato ed ora tocca a te prendere una posizione, decidere se farlo
entrare
nella tua vita al cento per cento oppure no. Ma a scegliere deve essere
il tuo
cuore, non il timore di dare la tua fiducia ad un'altra
persona” rifletté la
piccola.
Susan
alzò gli occhi al cielo irritata. Le parole della regina
avevano fatto centro
senza ombra di dubbio ma Susan non voleva ammetterlo. Lucy
però aveva ragione,
il suo era un ottimo consiglio se era quell'eventualità a
preoccupare la
ragazza. Eppure non me la sentivo di criticare Susan, la capivo fin
troppo
bene. Non era facile mettersi in gioco, io lo stavo provando sulla mia
pelle.
Era
una settimana che io e Peter trascorrevamo insieme ogni nostro minuto
libero e
io mi sentivo come in paradiso. Quando era con lui riuscivo ad essere
me stessa
come non lo era mai stata. Ero leggera e spensierata. In una parola,
felice.
Peter
mi faceva sentire protetta e importante, speciale. E ogni volta che mi
abbracciava o mi guardava con i suoi intesi occhi azzurri, il mio cuore
perdeva
un battito. Come quando lo vedevo venirmi in contro. O quando lo
cercavo con
ansia per le varie sale dell’edificio. Avevo un bisogno
fisico di stargli
vicino, appena ci separavamo mi sentivo incompleta, un volto di una
medaglia
che poteva essere felice solo se unito alla sua metà. La
metà che occupava ogni
mio singolo pensiero ogni singolo secondo della giornata. La
metà che riempiva
di forza vitale ogni singola cellula del mio corpo. La metà
che mi aveva fatto
rivivere, che mi aveva dato una seconda chance per sentirmi accettata.
Eppure,
nonostante tutto ciò, non avevo ancora trovato il coraggio
di risolvere con me
stessa una conversazione importante quanto spinosa.
Avevo
capito che Peter provava qualcosa per me. Oltre alle dichiarazioni
implicite di
sette giorni fa glielo leggevo negli occhi che brillavano appena mi
guardavano.
Nel suo essere così protettivo, così attento.
Nella tenerezza con la quale mi
accarezzava o mi abbracciava, come se potessi rompermi solo esercitando
una
pressione più forte, quasi con reverenza. Nella dolcezza che
utilizzava nella
voce quando mi si rivolgeva.
Ma
potevo permettermi di amarlo e farmi amare?
Avevo
già esplicitato a Peter il mio problema su quel fronte il
primo giorno alla
spiaggia e lui mi aveva ascoltata e rassicurata. Mi aveva detto che era
certo
che sapessi amare e mi aveva anche promesso che sarebbe stato sempre
presente
per me, che mi avrebbe aiutata ad aprirmi quando fossi stata pronta. Da
quel
giorno infatti non era più tornato sull'argomento. Ne si era
mai spinto più in
là di un bacio tra i capelli o sulla guancia. Voleva darmi
tempo per decidere e
comprendere me stessa, e di ciò non potevo che essergliene
grata.
Il
tempo io lo avevo preso e, dopo lunghe elucubrazioni, ero arrivata alla
illuminata
conclusione che ciò che provavo per lui era amore,
considerazione che già di
per sé aveva dell’incredibile, ma di cui ero
certa. Non ci sarebbero potute
essere altre spiegazioni per descrivere ciò che sentivo,
ormai appariva chiaro
anche a me pur essendo digiuna dell’argomento. Ma sebbene
ciò, non avevo ancora
voluto confidarglielo. E questo era il problema. Non potevo, se lo
avessi fatto
lui di sicuro avrebbe rispettato la sua parola e si sarebbe legato a
me, si
sarebbe preso l’incarico di starmi accanto sempre come aveva
detto, ma ciò,
anche se egoisticamente era quello che desideravo di più al
mondo, sarebbe
senz’altro andato a discapito della sua felicità e
questo non doveva accadere.
Anche se mi fosse stato vicino ero certa che non avrei mai imparato ad
amare
completamente e in modo assoluto qualcuno, avevo passato troppo tempo
con il
cuore fermo per farlo battere efficientemente subito, e ciò
avrebbe fatto
soffrire Peter perché nonostante i suoi sforzi non avrebbe
mai ricevuto nulla
in cambio. Ma d’altro canto l’idea di rinunciare a
lui al momento mi pareva più
dolorosa di una lenta tortura. Ero sicura che non sarei sopravvissuta
ad un
allontanamento, non da lui che in poco tempo era diventato una delle
ragioni
più importanti che mi spingevano a vivere.
Cosa
fare dunque? Rispondere alla sua dichiarazione e comportarmi da
egoista,
rischiando di condannarlo all’infelicità o mettere
la situazione in chiaro e
scioglierlo dalle sue promesse, anche se sarebbe equivalso a pugnalarmi
da
sola?
La
domanda la stavo accuratamente evitando, non avevo abbastanza coraggio
da
affrontarla ora come ora, quindi mi limitavo a vivere giorno per giorno
godendomi le sue attenzioni, crogiolandomi nell’illusione che
questa empasse durasse
in eterno.
Sentendomi
quindi affine a Susan per la sorgente dei suoi problemi, decisi di
difenderla
mettendomi nei suoi panni.
“Lucy,
non è così facile aprirsi ad un estraneo,
specialmente un ragazzo a cui tieni.
Ci sono troppe variabili, troppi lati ignoti. Non da sicurezza,
è come buttarsi
in mezzo al fuoco senza la certezza che non ti brucerà, o
che tu non spegnerai
lui” aggiunsi pensando al mio problema.
Susan
mi lanciò un’occhiata piena di gratitudine per
aver preso le sue parti. Lucy
invece mi squadrò con l’attenzione degna di un
detective.
“Hai
dei problemi d’amore anche tu vero? Altrimenti non la
penseresti così, diresti
l’esatto contrario” mi accusò
indicandomi agitando l’indice.
Mi
imporporai, ma Susan non mi diede tempo di ribattere che
esclamò scettica.
“Tu?
Non è possibile, tu e Peter siete un idillio”
Bene,
ecco fatto. Adesso ero di un bellissimo color aragosta. Ma accidenti,
va bene
le battute -anzi, a dire la verità non mi piacevano nemmeno
quello però le
sopportavo- ma dare per scontato che io e Peter stavamo insieme senza
nemmeno
degnarsi di chiedere conferma mi sembrava un po’ troppo. Non
avevano fatti loro
a cui pensare?
“Guardate
che non siamo una coppia, siamo solo buoni amici. E poi non ho alcuna
pena
d’amore, credetemi” mentii spudoratamente.
Forse,
se il mio tono non fosse stato così concitato e sulla
difensiva, mi avrebbero
creduto. O forse no. Fatto era che le due regine si scambiarono
un’occhiata di
sottecchi e poi, in comune e silenzioso accordo, mi bombardarono di
affermazioni incredule e ironiche.
“Certo
come no, ma se ormai vivete in simbiosi, siete sempre
appiccicati!”
“E
come mai diventate entrambi rossi quando si tocca l’argomento
e cercate di
sviare? Tu non ce la racconti giusta Cate”
Poi
Lucy mi si avvicinò gattonando sull’erba e mi
diede di gomito con aria sorniona
“Suvvia Cathrine, a noi puoi dirlo. Ami Peter vero?
È inutile negare, lo si vede
lontano un miglio!”
Le
lanciai un’occhiataccia pensando a quanto potesse essere
insistente quel soldo
di cacio se voleva. Ma purtroppo avevano vinto loro, erano due contro
una e mi
avevano messo alle strette. E poi in fondo avevo bisogno di confidarmi
con
qualcuno, ero convinta che liberare i miei pensieri in parole mi
avrebbe fatta
sentire più leggera.
“Se
ti dico di si sei contenta Lucy?”
A
giudicare dall’espressione gongolante la risposta era
evidentemente si.
“Lo
sapevo! Oh come sono contenta!”
La
pragmatica Susan però, pur essendosi lasciata andare anche
lei ad
un’esclamazione di gioia, tornò subito al centro
della questione. “Cate, temo
di essermi persa un passaggio. Se sai che ti piace cosa
c’è che non va? Credi
di non piacergli tu?”
Lucy
fece una smorfia contrariata. “Non puoi non esserti accorta
del suo interesse
Cate, non respira nemmeno se non ti ha vicino! Dire che ti ama
è un eufemismo”
commentò sicura.
Non
riuscii a nascondere un sorriso leggermente divertito sotto il rossore
delle
mie gote. Senza accorgersene la piccola regina aveva descritto me
invece di suo
fratello. Ma non aveva ancora centrato il fulcro della questione.
“Non
è questo il problema Lucy. Mi sono accorta anche io che gli
piaccio e so per
certo che lui piace a me” ripetei paziente.
Lucy
sospirò esasperata. “E allora cosa
c’è? Perché non gli dici che lo
ami?”
“Perché
dire ti amo è
impegnativo.” Cercai di
spiegarle con calma. “Comprende donare tutto se stesso
all’altra persona.
Significa dargli fiducia e sapere meritarsi la sua, essere sempre
disponibile,
fare da punto di riferimento e io non sono affatto sicura di esserne in
grado
perché non l’ho mai fatto.” Elencai
guardandomi insistentemente le mani. Presi
fiato, feci girare lo sguardo per il piccolo spiazzo e lo posai infine
su Lucy.
“Peter merita una persona che lo sappia amare senza riserve,
che non abbia
timore di aprirsi e confidarsi, e io temo di non riuscire a dargli
ciò. Se gli
dicessi di amarlo lui vorrebbe mettersi con me e si aspetterebbe cose
che io
non posso dargli della cui privazione prima o poi ne
soffrirebbe” conclusi
cercando di mantenere il filo logico del discorso anche se mi risultava
difficile mettere in una frase ordinata le mie emozioni confuse.
Calò
un silenzio meditabondo. Ad interromperlo fu Susan, che con voce ferma
cercò di
riassumere la mia piccola arringa. “Quindi tu hai paura di
vincolare Peter in
una relazione che temi lo renderebbe infelice?”
Con
mio sollievo qualcuno aveva finalmente capito quello che mi turbava. Le
sorrisi
mesta e annuii.
“Lucy,
tu hai capito?” chiesi poi rivolgendomi verso la piccola.
La
regina mi squadrò dall’alto in basso con aria
contrariata. “Oh si, ho capito
che siete due sciocche”.
L’uscita
stupì sia me che Susan. Da Lucy non mi sarei aspettata
un’affermazione così
acida, lei che era sempre così comprensiva e dolce con
tutti. Mi domandai cosa
le fosse preso.
“Lucy,
forse non hai sentito bene ciò…” Susan
provò a farla ragionare prendendola con
le pinze ma la sorellina la interruppe.
“No
Susy ho sentito benissimo, ma quelle che non hanno capito nulla siete
voi.” Si
alzò in piedi e si rivolse con grinta alla ragazza, sotto
gli occhi sorpresi di
quest’ultima e dei miei. Il sole le aveva dato alla testa?
“Ricapitoliamo,
tu” e indicò la sorella “hai paura di
metterti in gioco perché temi che la tua
relazione con Caspian finisca per sfuggirti di mano e tremi all'idea di
riporre
la tua fiducia nella persona sbagliata, mentre tu” e
puntò l’indice su di me
con il tono che trasudava incredulità “hai paura
di confessare a Peter che lo
ami perché credi di non sapere amare e di farlo quindi
soffrire non mostrandoti
all’altezza delle sue aspettative se vi metteste
insieme.”
Dovevo
ammettere che lo scetticismo di Lucy faceva apparire le motivazioni mie
e di
Susan molto più superficiali di quello che erano in
realtà. Messa sotto questa
luce sembrava tutto così facile, tanto che per un rapido
istante mi convinsi
anche io che in verità il mio problema non esisteva e
abbassai la testa
vergognandomi delle mie esclamazioni precedenti. Poi però mi
ripresi. Non era
affatto come stava dicendo Lucy, la piccola non si accorgeva delle
nostre
difficoltà e le stava appositamente sminuendo.
“Ascolta,
è più diffic…” provai a far
valere le nostre ragioni ma venni interrotta a mia
volta.
“No,
ascoltate voi invece. Vi state facendo una serie di problemi insulsi.
Susan, è
semplicemente assurdo che tu ti privi della possibilità di
essere felice per
l’eventualità remota di essere triste. In tutta
sincerità dubito fortemente che
Caspian possa ferirti in qualche modo, credo che quel ragazzo
arriverebbe ad
odiare se stesso se mai dovesse farlo. L’unico vero problema
sei tu, non riesci
a lasciarti andare, non riesci a fidarti chiudendoti nel tuo algido
bozzolo e
togliendoti da sola così l’opportunità
di vivere a pieno questo sentimento.”
Affermò rivolgendosi alla sorella, che fissò
allibita Lucy colpita dalle sue
parole sicure. Poi si rivolse a me. “Per te invece la
situazione è ancora più
facile. La storia che credi di non sapere amare è
un’idiozia colossale, fattelo
dire in tutta franchezza. Già solo il fatto che saresti
pronta a tacere ciò che
provi o credi di provare per non recargli sofferenza nel caso qualcosa
dovesse
andare storto prova inequivocabilmente che tu lo ami e che sai amare,
perché
prima di tutto amare vuol dire porre il benessere dell’altra
persona dinanzi a
quello personale. Le altre cose che hai elencato vengono da
sé o forse non
vengono perché non in tutti l’amore si manifesta
alla stessa maniera” mise le
mani incrociate davanti al petto e si risedette. Probabilmente lo
slancio con
la quale aveva iniziato il discorso si era attenuato. “Non
c’è un decalogo
dell’amore, non è una cosa che si può
imparare né tanto meno insegnare perché
ognuno lo può provare in maniera diversa. Viene e basta. E
quando arriva lo
riconosci. È una passione travolgente che ti fa identificare
il centro del tuo
universo con quella persona.” Proseguì
imperterrita fissandomi dritta negli
occhi, come a volersi assicurare la mia totale attenzione. Azione
superflua
perché stavo letteralmente pendendo dalle sue labbra.
“E poi credimi se ti dico
che tu sai amare e tanto anche. Sei buona e altruista, una persona con
tali
caratteristiche non può che non essere portata per
amare.” Concluse il
discorso, ricordandomi tanto la frase che mi aveva detto suo fratello.
Wow,
due persone che la pensavano alla stessa maniera, quasi quasi
riuscivano ad
essere convincenti.
Infine,
con un sorriso soddisfatto in volto per aver espresso la sua opinione,
aggiunse
rivolta ad entrambe. “Senza contare che avete due ragazzi
bravi e simpatici, e
se mi permettete incredibilmente belli”
e fece l’occhiolino mentre io e Susan diventavamo bordeaux
“che vi amano a tal
punto che si butterebbero nel fuoco per voi senza pensarci due volte.
Si può
sapere dunque qual è il problema data la fortuna che vi
è capitata?”
La
guardai ammirata, colpita da quanta saggezza potesse risiedere in un
metro e
venti di altezza.
Aveva
ragione? Sapevo amare? Potevo permettermi il lusso di dirlo a Peter?
È
una passione travolgente che ti fa
identificare il centro del tuo universo con quella persona.
Sorrisi
tra me e me. Lucy aveva casualmente utilizzato un’analogia
simile a quella che
avevo pensato io qualche giorno fa.
Lui per
me
era tutto il firmamento, il mio punto di riferimento, sia Stella Polare
che
Croce del Sud. Se mi fossi separata da Peter a quel punto sarei stata
persa per
sempre come un marinaio in mezzo ad una tempesta, senza speranza di
ritorno né
di salvezza.
Il
cuore che batteva forte quando lo vedevo, il bisogno che avevo di lui,
l’incapacità di pensare che gli accadesse qualcosa
di male, la felicità che mi
invadeva quando mi sfiorava. L’impulso travolgente che mi
faceva desiderare le
sue labbra ogni qualvolta eravamo vicini. Questi erano tutti i sintomi
dell’amore e io li provavo, ma non implicavano che io sapessi
anche donare quel
sentimento che manifestavano.
Però
Lucy aveva detto che principalmente amare era porre l’altra
persona prima di se
stessi. Sarei stata capace di anteporre il benessere di Peter al mio,
magari
anche a discapito di me stessa? La risposta non tardò ad
arrivare. Certo, lo
avrei fatto senza esitare, io mi
sarei volentieri buttata nel fuoco per lui in caso di bisogno. Dunque?
La
risposta, da prima bassa e piana poi sempre più forte,
arrivò dritta dal cuore.
Ogni lettera venne scandita da un battito e portata alla mia mente da
una forte
pulsazione. Stavo per ricevere la mia piccola illuminazione, la mia
seconda
certezza in questo campo e ogni fibra del mio corpo si protese per
accoglierla
al meglio. E poi finalmente arrivò.
Forse
potevo sperare.
Come
Lucy aveva consigliato a Susan, non ci si poteva privare da soli della
possibilità di essere felice. A questo punto c’era
una sola soluzione al
dilemma. Ci avrei provato. Basta con l’autocommiserazione,
avrei impiegato ogni
singola molecola del mio essere per amare degnamente Peter. Lui mi
aveva
offerto il suo aiuto quando fossi stata pronta. Bene, il momento era
giunto, mi
sarei dichiarata e mi sarei messa in gioco. Gli avrei però
ricordato i miei
limiti e gli avrei fatto promettere che se non avesse funzionato
avrebbe dovuto
lasciarmi andare senza remore. Gli avrei intimato di sentirsi sciolto
da
qualsiasi impegno appena non fosse stato felice. Il fiato mi
mancò, come se
dovesse ricordarmi che in un’eventualità simile io
avrei probabilmente perso
per sempre la mia unica fonte di puro e sano ossigeno. Ma ero disposta
a
rischiare perché di certo il gioco valeva la candela e poi
era l’unico modo per
tentare di stare assieme senza mettere a rischio la sua
felicità.
“Bene
ragazze, e ora che ho eseguito i miei doveri di sorella e amica, vado
svolgere
quelli di regina” esclamò baldanzosa
d’improvviso.
La
“piccola saggia”, come la stavo mentalmente
rinominando, si alzò con eleganza,
si pulì il vestito da qualche filo d’erba e si
diresse a saltelli verso
l’edificio, mettendo in un buffo contrasto un atteggiamento
da bambina con le
parole da adulta di poco prima.
“Ehi
Lu, aspetta, si può sapere di che dovere parli?”
la fermò Susan, riscuotendosi
all’improvviso dai suoi pensieri, che qualcosa mi suggeriva
fossero simili ai
miei.
“Vado
con una piccola scorta a fare provviste d’acqua e di legname.
Torniamo presto”
spiegò brevemente, poi proseguì con il suo
cammino dileguandosi in fretta.
Quella piccola era una vera forza della natura, riusciva ad essere
sempre
allegra e pimpante in ogni cosa che faceva in ogni minuto della
giornata. Se la
sua energia si fosse potuta imbottigliare avremmo fatto una fortuna.
La
guardai mentre spariva dentro la porta dell'edificio mentre sentivo un
moto di
gratitudine crescere da dentro di me. Lucy, oltre ad essere
“la piccola
saggia”, era un “piccolo tesoro”, una di
quelle poche e rare persone che ti
stavano accanto e ti aiutavano senza chiedere nulla in cambio, felici
di poter
donare felicità.
Mormorai
un “grazie” vibrante di sincerità,
certamente non udibile con le orecchie date
la distanza tra me e lei e il tono basso che avevo utilizzato, ma che
andava
dritto al cuore a cui era destinato. Ed ero sicura che il cuore
estremamente
ricettivo di Lucy lo avesse avvertito.
*
“Conviene
che rientriamo Cate” consigliò Susan
mezz’ora dopo che Lucy se ne era andata.
Eravamo rimaste ancora qualche minuto a parlare del più e
del meno,
tralasciando accuratamente la discussione avuta con Lucy. Per quel
giorno ci
eravamo confidate abbastanza, per risolvere completamente i nostri
problemi ora
dovevamo percorrere la fase due, la metabolizzazione del consiglio
ricevuto.
Grazie alla regina avevo ottenuto la certezza di amare Peter, cosa non
da poco,
adesso dovevo solo accettare la mia nuova condizione sentimentale e
trovare il
momento giusto per esprimere i miei sentimenti ad alta voce. Ma ci
sarebbe
stato tempo.
Così
avevo dedicato il resto del pomeriggio a soddisfare la
curiosità di Susan su
cosa il futuro avesse portato con sé alla Londra del 2000.
Ero partita in
quarta spiegandogli delle invenzioni che più avevano
rivoluzionato la nostra
vita come il cellulare e internet e lei ne era rimasta affascinata. In
più io
avevo anche scoperto quanto potesse essere piacevole una conversazione
con
Susan quando non si parlava di questioni importanti come le guerre o i
miei
esercizi, che lei considerava di massima priorità purtroppo
per me. Riusciva
addirittura ad essere simpatica quando si lasciava andare, incredibile.
Guardai
ancora in alto. Ormai il sole era sparito dietro la linea infinita
dell’orizzonte, lasciando come unica traccia del suo
passaggio uno stupendo
color rubino in cielo.
La
pianura era libera. Nessuna traccia di principi a cavallo. Sospirai e
annuii
sconsolata.
Susan
capì la ragione del mio sconforto -anche perché
molto probabilmente opprimeva
anche i suoi pensieri- e chiosò “Stare qui a
fissare l’orizzonte non li farà
arrivare prima. Fidati, tra poco saranno qui, sono ragazzi in gamba,
tanto vale
aspettarli dentro con gli altri”
Convenni
che aveva ragione. Mi alzai imitata subito dalla regina, e mi diressi a
testa
bassa verso la porta della costruzione in pietra. Fatti dieci passi
però una
serie di rumori concitati attirò la mia attenzione. Era il
suono di diversi
zoccoli che colpivano celeri il terreno e il rumore si faceva sempre
più
vicino.
Alzai
la testa con la speranza nel cuore e un sorriso mi si
disegnò spontaneo sul
volto. Susan aveva ragione, erano tornati. Là, dove prima
regnava incontrastata
unicamente l’erba, cinque figure, due a piedi e
tre a cavallo, si muovevano con velocità verso
di noi.
Rivolsi
un sorriso a trentadue denti a Susan che ricambiò subito,
anche lei felice.
Iniziammo
a correre anche noi andandogli incontro, liete come due bimbe dinanzi
ad un
regalo inaspettato. Dovevo assolutamente vedere Peter, accertarmi con i
miei
occhi che stesse bene e che il mio brutto presagio fosse stato solo uno
scherzo
della mia mente.
Le
figure si fecero sempre più vicine finché non
riuscii a distinguerle, ma in
quel momento preferii non aver visto. Desiderai con tutta me stessa
tornare
indietro nel tempo e nello spazio, essere ancora seduta con Susan a
fissare un
orizzonte vuoto ma con la speranza negli occhi anziché le
persone giunte con la
morte nel cuore.
Morris
e Tweens correvano veloci a piedi, superando i tre cavalli. Quello di
destra
era sormontato da Edmund mentre quello di sinistra era governato da
Caspian che
teneva salde, oltre le sue, le redini del cavallo di mezzo.
L’unico che non
aveva il cavaliere seduto dritto e regale in sella ma un fagotto inerme
accasciato sulla sua schiena. Peter.
Il
mio cuore sprofondò e bloccai la corsa. Ma non fu
l’unica cosa a fermarsi. Il
respiro mi mancò e la mia testa si perse dietro un turbine
confuso di pensieri
tra loro discordanti. L’ansia mi attanagliò come
una morsa e fui certa che non
sarei mai più riuscita a muovermi. Ma poi un pensiero si
impose sugli altri e
mi diede la forza per proseguire. Dovevo aiutarlo. Peter aveva bisogno
di me e
io dovevo andare da lui. Ripresi a correre più veloce di
prima. I metri che mi
separavano da lui mi parvero chilometri, i secondi ore infinite, ma
alla fine
lo raggiunsi, incurante del fiato corto e delle gambe che mi dolevano.
E
poi lo vidi e il mio cuore perse un altro battito. Caspian
biascicò qualcosa
alla mia destra ma non riuscii a capire cosa. Non riuscivo
più a capire niente
perché l’unica cosa che i miei sensi percepivano
erano lui.
Lui
che con un’espressione dolorante si lamentava sulla sella.
Lui che si
contorceva tenendosi il fianco premuto con la mano sinistra. Lui che
aveva un
fianco, la mano e il braccio completamente ricoperti di sangue.
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Capitolo 11 *** 10_Frammenti di una vita ***
Ciaoooo^^!
*me che si
guarda attorno preoccupata in cerca dei fucili*, lo so sono stata
cattiva a lasciarvi con Peter ferito nell'ultimo capitolo,
però per farmi perdonare posso assicurarvi che il cappy
riapre esattamente da lì senza ulteriori indugi :-) Vi
lascio subito alla lettura dato che vi ho già fatto
aspettare tanto!
Ringrazio di
cuore tutti
coloro che mi hanno aggiunta alle preferite e alle seguite :-)
glasieee^^ e grazie mille anche a coloro che hanno solo letto^^ Spero
che il capitolo vi piaccia, fatemi sapere cosa ne pensate:-)
Ringraziamenti:
debby95:
Ciao! Grazie per i tuoi complimenti, addirittura unica, grazie^^ e sono
molto
contenta che la trama e i personaggi ti piacciano!! Spero che questo
cappy nn
ti deluda e che continuerai a leggere la storia^^ kisskisses 68Keira68
KissyKikka:
Ciao! Io sul serio nn so come ringraziarti per tutto il
tempo che dedichi alla
recensione e per aver risposto alla domanda sulla continuità
dei sentimenti,
grazie grazie mille^^ Sono contenta che la parte sentimentale sia
venuta,
temevo di averla fatta troppo arzigogolata! Hai ragione di credere che
grazie a
Lucy, Cate e Peter faranno passi avanti, mentre per gli altri due
piccioncini
si procede un po’ a rallentatore, quindi dato che a due
caratteri diversi si
addicono reazioni diverse, il nostro Caspian dovrà portare
molta pazienza,
hihi^^ Sono felice che il punto di vista di Cate ti piaccia e appaia
così reale
J però posso
dirti che
nn è autobiografico, in ogni personaggio
c’è un pizzico di me però è
una parte molto
piccola in quanto hanno un’identità propria, come
se fossero persone
indipendenti dalla mia penna :-) o per lo meno è
così che mi piace immaginarli
(spero di nn essere presa per pazza ora!! Giuro che nn sono
schizofrenica e che
sn cosciente che i personaggi sn finti hihi^^) Ci sn diversi sviluppi
in qst
cappy anche se la verità è ancora nebulosa agli
occhi dei nostri protagonisti^^
spero che il cappy nn ti deluda e di leggere presto la tua fantastica
recensione^^ ti ringrazio ancora di cuore^^ un bacio grande grande
68Keira68
noemi_moony:
ciao! Sono contentissima che la storia ti piaccia! Perfino
“la più bella”, sei
troppo buona!!! *me onorata* ^^! Spero ti piaccia anche questo
cappy^^!! Un
abbraccio grandissimo 68Keira68!
Sweetophelia:
Ciao! Mi disp di aver aggiornato così tardi, spero di nn
averti lasciato con
tanta ansia per il povero Peter! Per farmi perdonare però ti
posso anticipare
che il capitolo riparte proprio da lì, quindi devi aspettare
ancora poco per
sapere il suo destino! Grazie per l’informazione sullo zenit
perché ero
convinta del contrario ^’, glasie^^ ho cercato di prestare
più attenzione anche
alla battitura e agli accenti, spero di aver ridotto gli errori J! Grazie per la
segnalazione^^! La
storia mi è venuta
in mente mentre guardavo (probabilmente per la milionesima volta ^^) le
cronache di Narnia 2 durante il pezzo dove appare Jadis. Mi dispiaceva
che un
personaggio nel primo film così importante e con un
carattere così complesso
fosse stato sfruttato così poco nel sequel, speravo gli
dessero più importanza!
Così la mia mente bacata ha iniziato a lavorare su come
fosse possibile
inserirla con maggior rilievo nella storia e unita alla voglia di
privilegiare
di più anche il personaggio di Peter (che, in caso nn si
fosse capito, io amo,
hih) è nata la storia con Cathrine^^ spero di aver
soddisfatto la tua curiosità
^^ grazie mille per i tuoi complimenti^^ nn vedo l’ora di
leggere il tuo parere
su questo nuovo cappy!! Kisskisses 68Keira68
QueenBendetta:
Ciao! Sono felicissima del tuo giudizio sulla storia e che è
finita tra i tuoi
preferiti e seguite^^! Grazie^^ spero ti piaccia anche il nuovo cappy!
Ti mando
un bacio 68Keira68
Vi auguro una buona
lettura^^
kisskisses
68Keira68
10_Frammenti
di una vita
“Peter”
Il
sussurrò uscì flebile e si disperse
nell’aria.
Alzai
una mano tremante e l’avvicinai al ragazzo che esamine mi
stava davanti, ma non
riuscii a sfiorarlo. Ero come paralizzata, bloccata dal terrore puro
che mi
stava attanagliando mente e cuore.
“Dobbiamo
portarlo dentro, subito”
La
voce autorevole di Edmund si impose sulle altre concitate.
Udii
qualcuno acconsentire dopodiché vidi la figura di Peter
scivolare via, lontano
da me. Un nuovo dolore sordo mi invase mentre lo vedevo sempre
più distante
senza che potessi impedirlo. Senza che potessi muovermi per seguirlo.
Ma perché
me lo stavano portando via? Dove lo stavano conducendo? E
perché io non riuscivo
a fare un passo?
Non
ero più capace di formulare un pensiero coerente, il dolore
che provavo mi
annebbiava la mente impedendomi di concentrarmi anche sulle cose
più semplici,
come respirare, che era diventato incredibilmente faticoso. Ogni volta
che inspiravo
sentivo i polmoni bruciare, come se invece dell’aria
prendessi del fuoco. Ma
dopotutto mi serviva davvero questa tortura? Perché dovevo
respirare se lui era
ridotto in quello stato? Non sarebbe stato più facile
smettere e lasciarsi
all’oblio? Perché rischiare di vivere senza
di…
Due
braccia esili mi scossero con violenza e solo allora mi accorsi di una
voce
allarmata che mi chiamava con insistenza.
“Cathrine!
Dobbiamo andare anche noi, muoviti!”
La
focalizzai piano. Era una ragazza con lunghi capelli castani e due
occhi
nocciola. Due iridi dilatate che mi fissavano con preoccupazione, su di
un
viso, di solito roseo e sereno, pallido e tirato. Due pupille che mi
offrivano
il riflesso del mio stesso terrore. Susan.
Ed
insieme a lei tornarono anche la raduna, le rovine,
l’edificio poco distante.
Riavvertii la sensazione del soffio caldo del vento e tornai a recepire
i
suoni. Primo tra tutti la voce insistente della regina. Ma cosa mi
stava
dicendo? Mi concentrai sulle sue labbra che si muovevano veloci.
Mi
urlava di correre, di andare da lui. Lui? La consapevolezza giunse
d’un colpo.
Fu come svegliarsi con un secchio d’acqua gelida. Peter,
ferito, era stato
portato dentro l’edificio. Peter stava male e aveva bisogno
di me. Di me, che
ero lì imbambolata a perdere tempo con chissà
quali assurdi e caustici
pensieri.
Senza
tenere conto di Susan mi precipitai con tutta la velocità di
cui ero capace
verso Peter. Dovevo raggiungerlo, dovevo muovermi ora che finalmente la
mia
mente aveva ripreso a ragionare.
Corsi
lungo il prato verde, sorpassai le rovine mentre disegnavano strane
ombre
allungate con l’ausilio del sole morente, ed entrai
nell’enorme costruzione di
pietra.
Non
fermandomi per far riabituare gli occhi al buio dell’interno,
procedetti guidata
dalla memoria per qualche metro. Mano a mano che la vista tornava salii
gli
scalini dei piani superiori. Ero certa che l’avessero portato
nella sua stanza,
la cui porta mi apparve come un miraggio alla fine del corridoio in
cima alla
scalinata.
La
spalancai ed entrai senza attendere oltre, solo in minima parte conscia
di
Susan alle mie spalle.
Lui
era lì. Sdraiato sul letto, dolorante e semi-incosciente. Mi
si strinse il
cuore. Mi infilai tra Edmund e Caspian senza molti complimenti e mi
inginocchiai al suo capezzale.
Aveva
la fronte imperlata di sudore. Sollevai la mano, ancora tremante, ma
questa
volta riuscii a concludere il gesto. Lo accarezzai con una dolcezza
quasi
straziante scostandogli i capelli biondi da davanti il viso. Il tocco mi
informò che Peter era febbricitante
mentre la vista mi riferiva quanto sangue dovesse aver perso. Era
mortalmente
pallido, esangue.
“Caspian,
Edmund, cos’è successo?” la voce
apprensiva di Susan mi giunse da dietro, ma mi
apparve di un’altra dimensione tanto la mia attenzione era
lontana da loro al
momento.
Sentii
comunque la risposta, mentre prendevo una delle mani di Peter tra le
mie e me
la congiungevo al petto, come in una muta preghiera.
“Siamo
caduti in un imboscata e Peter è rimasto ferito. Susan
è grave, il taglio è
profondo e ha perso molto sangue. Dobbiamo curarlo subito,
dov’è Lucy?” disse
sbrigativo Edmund.
Una
piccola parte della mia mente si chiese il perché servisse
Lucy in questo
frangente. Cosa mai poteva fare una bimba in una situazione del genere?
Ma era
davvero piccola, praticamente insignificante. La maggior parte era
impegnata a
concordare con la frase precedente. Dobbiamo
curarlo subito.
“Lucy
non c’è, è andata a far provviste
mezz’ora fa. È al fiume” la risposta di
Susan
parve più simile ad un lamento e fu seguita da
un’imprecazione a mezza voce di
Edmund.
Sentii
dei passi leggeri e poco dopo un altro paio di mani femminili
accarezzavano la
fronte di Peter. Susan si era avvicinata.
Senza
staccare gli occhi dal viso del re, mi espressi per la prima volta.
“Cosa
possiamo fare?” la mia domanda era una supplica che doveva
assolutamente essere
esaudita.
“Bisogna
far ritornare Lucy, subito, Caspian manda subito qualcuno a riportarla
indietro!” Edmund parlava a metà tra
l’agitazione e la disperazione.
“è
troppo lontana Edmund, ci vorrà un’ora prima che
torni e a quel punto potrebbe
essere troppo tardi” la voce laconica di Susan
piombò come una cappa sulla
piccola stanza.
Non
capivo perché necessitavano della presenza di Lucy
però il senso della frase mi
era chiaro. Quel troppo tardi mi
mozzò il respiro. Strinsi più forte la mano del
ragazzo al mio petto, come se
con la mia sola vicinanza potessi alleviargli le sofferenze. Ma
purtroppo
sapevo bene che non era così. Il respiro di Peter era
debole, ansimava e
muoveva a piccoli scatti la testa, in preda alla febbre alta.
Probabilmente la
ferita aveva già fatto infezione e la fasciatura di fortuna
che i ragazzi gli
avevano fatto prima del mio arrivo rallentava poco o niente il continuo
flusso
del sangue. Sangue che stava sporcando le lenzuola, che scorreva via
dal corpo
di Peter goccia dopo goccia. E in un lampo la piena coscienza del
pensiero che
cercavo in tutti i modi di non formulare, di non farlo divenire padrone
assoluto della mia mente per evitare di farmi crollare nella
disperazione, si
affacciò. Non era il fluido rosso che fuoriusciva dal corpo
del re, era la sua
vita che stava scivolando lontana ogni secondo di più.
Lontana dal Narnia,
lontana dal suo popolo, lontana dai suoi fratelli. Lontana da me.
Un
baratro enorme ed infinito di totale angoscia prese posto nel mio
cuore. Con la
mano di Peter stretta nelle mie iniziai a dondolare piano avanti e
indietro,
sforzandomi in tutti i modi di mantenere il controllo di me stessa. Ma
non ci
riuscivo, non potevo. Se si fosse realizzata quell’idea,
sarebbe stata la fine.
Tutto ciò che in quei pochi giorni aveva riacquistato un
senso lo avrebbe
perduto per sempre. Io, che avevo compreso me stessa e uno scopo, che
avevo
imparato a far vivere i miei sentimenti, sarei stata persa per sempre.
Ciò era
talmente destabilizzante che non riuscivo nemmeno a concepirlo
interamente.
Sapevo solo una cosa, non potevo permetterlo.
“Forse
ci potrebbe essere un’altra soluzione”
Il
sussurrò di Susan mi parve all’orizzonte come
un’ancora di salvezza. A fatica
staccai gli occhi da Peter per fissarla con speranza. Era quello che
volevo
sentire, una risoluzione per il problema, perché di sicuro
c’era qualcosa che
si poteva fare, non potevamo restare con le mani in mano e guardarlo
soffrire.
“Quale
Susan?” Edmund espresse la mia muta domanda ad alta voce ma
la regina non stava
prestando la sua attenzione a lui bensì a me.
“Cathrine,
tu sei l’unica che puoi salvarlo”
Quelle
parole mi lasciarono basita. Io? Non ci riflettei su due volte prima di
chiedere in un soffio “Cosa posso fare? Dimmelo”.
Era inutile dire che avrei
compiuto qualsiasi gesto pur di salvargli la vita.
“Usa
i tuoi poteri. La ferita è troppo profonda per delle cure
mediche normali, ma
la tua magia può guarirlo” mi spiegò
con tono fermo.
La
mia flebile speranza si spense come una candela al vento freddo della
sera. No,
non poteva chiedermi questo, tutto tranne questo.
Deglutii
e iniziai a scuotere la testa con piccoli e agitati cenni.
“Non ho mai curato
nessuno, non ho la benché minima idea di come si faccia
Susan, io…” iniziai ma
lei mi interruppe.
“Cate,
sei l’unica che può farlo. Tu devi assolutamente
farlo!” affermò decisa.
“Tu
non capisci, non è che non voglio farlo, non posso. Se
sbagliassi incantesimo
Peter potrebbe peggiorare, potrei anche…”non
conclusi la frase ma non ce n’era
bisogno, il senso si era compreso.
“Morirà
comunque se non facciamo niente, sei la nostra unica speranza Cathrine.
Sei la
sua unica speranza” intervenne Edmund.
Sospirai
tornando a fissare il volto del mio re. Avevano ragione, non avrebbe
resistito
ancora a lungo. Poi Peter mosse la testa di lato, nella mia direzione
ed
socchiuse gli occhi con un lamento soffocato. Quando mi mise a fuoco,
curvò gli
angoli della bocca in un accenno di sorriso e mi strinse la mano che
ancora
tenevo tra le mie.
Sentii
gli altri precipitarsi vicino a noi, circondadoci, ma Peter non
prestò
attenzione a nessuno di loro, fissando solo me. Uno sguardo colmo di
dolcezza
ma che mi gelò il cuore poiché i bei occhi del
re, che avevo sempre visto
brillare di vita, erano vitrei, privi di ogni guizzo. Stava davvero
morendo.
Fu
quello che sguardo che mi diede la forza per fare ciò che
dovevo e giurai a me
stessa che ci sarei riuscita. Avrei ridato a quei zaffiri che da subito
avevo
amato, l’energia che li contraddistingueva.
Mi
avvicinai al suo volto e con una mano glielo accarezzai. “Ti
salverò Peter” gli
sussurrai vicino all’orecchio. Lui mi rispose con un cenno
del capo. Provò a
parlare ma gli uscì solo un breve gemito. Ma io avevo
compreso lo stesso. Mi
stava dicendo che si fidava di me. E io avrei meritato la sua fiducia.
Lo avrei
riportato da me.
Chiusi
gli occhi e scacciai qualsiasi altro pensiero. Subito recepii le
essenze di
Susan, Edmund e Caspian, forti, luminose, piene di vita. Poi dinanzi a
me
avvertii quella di Peter, più flebile delle altre. Si stava
spegnendo, dovevo
agire in fretta.
Chiamai
a raccolta tutti i miei poteri, chiesi al mio corpo ogni singola
particella di
energia che avevo senza esclusioni. La feci confluire nelle mie mani
che subito
sentii pulsare violentemente, intrise di forza come mai lo erano state.
Le
avvicinai al fianco ferito, là dove l’essenza era
più debole, e incominciai
l’incantesimo.
Un
piccolo comando che racchiudeva tutta me stessa e le mie speranze. Guarisci.
Lanciai
la mia magia con forza contro il suo scudo e lo penetrai senza
difficoltà. Una
volta a diretto contatto con la sua aurea, lasciai l’energia
defluire a poco a
poco dal mio corpo a suo. La avvertivo scivolare lentamente dalle mie
membra
come l’acqua di un fiume, un percorso a rilento ma
inesorabile. La mia aurea si
stava affievolendo eppure il mio cuore stava gioendo.
L’essenza di Peter stava
aumentando di intensità, era più luminosa ogni
secondo che passava mentre la
ferita si stava sanando. La magia stava funzionando.
Ma
ad un certo punto, mentre il flusso di energia scorreva ininterrotto,
sentii il
mio corpo iniziare a sussultare. Da prima solo un lieve tremolio alle
mani, ma
poi fui percorsa da veri e propri scossoni. Mi spaventai, non mi era
mai
successo prima, cosa stava accadendo? Ma nonostante ciò non
interruppi
l’incantesimo, dovevo proseguire se volevo salvarlo.
Iniziai
ad oscillare pericolosamente, mi sentivo incredibilmente stanca. Le
braccia
erano diventate macigni mentre la spina dorsale sembrava incapace di
sostenermi. Strinsi i denti, dovevo assolutamente resistere. Mi
concentrai
ancora di più sulla magia mentre percepivo solo lontanamente
un paio di mani
forti che mi sostenevano da dietro, permettendomi di appoggiarmi.
Il
taglio era quasi del tutto guarito, mancava davvero poco, ma la mia
mente
iniziava ad annebbiarsi, mantenere la concentrazione era sempre
più difficile.
Decisi di velocizzare l’incantesimo finché ancora
ne ero capace, così raccolsi
quel briciolo di energia che mi restava e lo riversai veloce su Peter.
Sentii
tutto il mio corpo, dalle mani alle gambe, tremare violentemente mentre
la mia
testa oscillò avanti e indietro pericolosamente. Ma il
sospiro che mi uscì
dalle labbra, incurante delle mie membra stanche e dello sforzo a cui
mi stavo
sottoponendo, fu sereno. La ferita era guarita. L’essenza di
Peter brillava più
luminosa che mai, come una stella in un cielo buio, finalmente salva e
sana. Ce
l’avevo fatta. Lo avevo salvato. Ora non dovevo
più lottare. Lasciai che la mia
mente si scurisse, che i pensieri tacessero. La braccia mi caddero
lungo i
fianchi mentre il mio corpo, ancora scosso dai tremori, si accasciava
contro
qualcosa di morbido, privo ormai di forza.
“Ci
è riuscita”
“Ti
ha guarito Peter! Sei salvo!”
Dei
suoni mi giungevano ovattati ma non gli prestai attenzione
finché una voce non
si elevò tra tutte. Una voce conosciuta che ebbe il potere
di risvegliare un
barlume di lucidità nella mia coscienza sempre
più remota. Peter.
“Cathrine”
due braccia forti mi abbracciarono stringendomi ad un petto finalmente
caldo da
cui potevo sentire un cuore battere vigoroso e sano.
D’istinto
mi raggomitolai su di lui mentre mi prendeva in braccio. La mia testa
trovò
meccanicamente posto in mezzo all’incavo del suo collo, come
se fosse stata
creata unicamente per quella posizione.
“Cathy,
stai bene?”
Apprensivo
come sempre.
Pensai serena e rilassata dopo la paura dell’ultima
ora. Non avevo la forza per rispondergli né per aprire gli
occhi e rassicurarlo
con lo sguardo, così mi limitai ad annuire con il capo. Come
potevo non stare
bene? Lui era salvo ed era l’unica cosa che contasse.
Lo
sentii sospirare. “Grazie” mi sussurrò
stringendomi di più a sé. E con l’eco
della sua voce cristallina nel cuore, mi lasciai finalmente trascinare
alla
deriva, addormentandomi cinta dal mio angelo biondo.
*
Erano
rimasti solo in tre all’interno della stanza, ora che Peter,
finalmente sano e
salvo, era uscito cavallerescamente con Cathrine in braccio. La giovane
meritava l’ammirazione e la gratitudine di tutti loro per
quello che aveva
fatto e Susan si ripromise che, appena si fosse ripresa,
l’avrebbe ringraziata
all’infinito.
“Io
vado ad aspettare Lucy all’esterno. Sarà
preoccupatissima dopo che l’abbiamo
mandata a chiamare di corsa per Peter” si propose Edmund,
pensando alla sorella
minore in arrivo. Senza aspettare risposta lasciò la stanza
a rapidi passi.
Erano
rimasti solo in due.
Oh no. Pensò la giovane
regina, iniziando a sentire un nuovo sentimento, dopo
la paura appena provata, agitare il suo animo. L’ansia.
Aveva
lo sguardo basso, ma ciò nonostante riusciva chiaramente a
immaginare la posa
del principe che le stava davanti. Braccia conserte, sguardo
imbarazzato che
vagava per la stanza, piede frenetico che batteva un ritmo solo a lui
noto
contro il pavimento.
Era
da tempo che non si trovavano più insieme da soli, Susan
aveva speso tutte le
sue energie per evitarlo in quei sette giorni. Eppure, dopo il discorso
di
Lucy, sapeva che non poteva più scappare. Sarebbe stato
controproducente. Lei
anelava la compagnia di Caspian, la lontananza non aveva giovato a lei
quanto a
lui, se aveva cercato di fuggire era perché non aveva
trovato il coraggio per
affrontare la nuova situazione. Ma adesso doveva tirarlo fuori. Era la
regina
di Narnia in fin dei conti e le regine non scappavano. Nemmeno dinanzi
ai
problemi di cuore. E in più dubitava di riuscire a tenerlo
lontano ancora a
lungo da se stessa dal momento che la figura del giovane occupava i
suoi
pensieri notte e giorno. Cosa aveva detto Lucy? Che doveva uscire dal
suo
algido bozzolo? Bene, lo avrebbe fatto. Era arrivato il momento di
abbassare
qualche difesa, Caspian lo meritava.
Sollevò
lo sguardo e sorrise nel vedere che il principe era esattamente nella
posizione
da lei immaginata. Prese
un bel respiro
e gli si avvicinò di qualche passo. La sorpresa di lui era
quasi palpabile
quando se ne accorse e un timido sorriso iniziò a farsi
strada sul suo volto.
“Tu
stai bene?” si informò Susan per rompere il
silenzio e per accertarsi della sua
salute.
“Si,
nessuna ferita” la assicurò dopo qualche secondo
di sbigottimento per il fatto
che Susan era tornata a rivolgergli la parola.
La
ragazza fece un altro passo avanti. Accidenti com’era
difficile. Eppure sua
sorella faceva apparire tutto così facile nella sua
scaletta: vai lì, gli
parli, ti apri e ottieni il tuo “felici e
contenti”. La realtà era molto più
complicata. O era lei a complicarla? Ma ciò non aveva
importanza, c’era
un’altra domanda più pressante ora. Tipo quale
doveva essere la sua prossima
mossa. Doveva dirgli che le dispiaceva per il suo comportamento? Ma
prima che
potesse formulare una qualsiasi frase, un fiume di scuse, pronunciate
dall’accalorata voce del moro, la colpì.
“Susan,
ti prego perdonami, non avrei dovuto comportarmi in quel modo. Era
assolutamente fuori luogo, non avevo il diritto di metterti alle
strette. Non
sai quanto mi dispiace, mi sono dato dell’idiota milioni di
volte. E quando ti
ho vista correre via mi sono sentito sprofondare, volevo prendermi a
pugni da
solo, io…”
“Fermati,
basta” Susan lo bloccò posandogli una mano sul
volto, un gesto istintivo
suscitato dalla tenerezza intrinseca nelle parole del ragazzo. Doveva
essere
stato parecchio male in quei giorni, notazione che la fece sentire in
colpa ma
che le diede la spinta giusta per iniziare a parlare. Se aveva sofferto
voleva
dire che teneva a lei, che il suo non era un interesse superficiale.
E
poi… Da quanto non sentivo la
sensazione
della sua pelle calda sotto la mia mano?
“L’idiota
sono stata io. La mia reazione è stata esagerata e ancor di
più lo è stato
tenerti lontano per una settimana.” Ammise arrossendo. Le difese erano veramente solide.
Gli
occhi castani del ragazzo, che era ammutolito di colpo, ora la
fissavano
ardenti di speranza mentre deglutiva le altre centomila scuse che lei
aveva
bloccato. La sua espressione urlava che non si sarebbe aspettato una
tale
risposta da lei ma che la desiderava come un assetato nel deserto
aspirava ad
una brocca d’acqua.
“Caspian”
cercò di proseguire, ma le parole le si bloccarono in gola.
Cosa voleva dirgli?
Ti amo.
No.
Non che non fosse vero. Il suo cuore parlava chiaro, ma era troppo
presto. Non
era pronta per un passo del genere, aveva ancora bisogno di tempo per
farlo
accettare a se stessa e poi per riuscire a dirglielo. Però
c’era altro che
poteva comunicargli. Un fortino non faceva cadere tutte le difese in un
giorno.
Poteva abbassare una palizzata alla volta.
Inspirò
e continuò la frase, sotto il religioso silenzio del
ragazzo. “Non sono
scappata da te perché non ti volevo, ma perché ho
avuto paura.” Confessò.
Subito dopo le sembrò che un grande macigno le fosse stato
tolto dal petto e
proseguire divenne più facile. Forse perché
sapeva che le sue parole erano
pronunciate nel momento giusto alla persona giusta. Forse
perché stavano
dicendo la verità. Una verità che aveva aspettato
fin troppo tempo prima di
essere pronunciata. “è una situazione del tutto
nuova e non so come
comportarmi, come gestirla. Ho bisogno di tempo, di fare un passo alla
volta.
Spero che tu riesca a capirmi” concluse d’un fiato.
Gli
occhi di Caspian brillavano di pura gioia mentre apprendeva il
significato
delle frasi che tanto aveva atteso. Non l’aveva perduta,
Edmund aveva avuto
ragione, era stata la fretta a farla allontanare non lui. E ora aveva
una
seconda opportunità, una seconda chance che non avrebbe
bruciato. Le occorreva
tempo? Gliene avrebbe dato quanto voleva, l’avrebbe aspettata
anche per altri
cento anni se gli dava la possibilità di starle accanto.
Prese
titubante una mano di lei tra le sue e si fermò, cercando il
permesso negli
occhi di lei per gesto che stava per fare. Lei gli sorrise e lui,
prendendolo
come un consenso, portò
la mano alle
labbra, posandole un delicato bacio sul dorso.
“Tutti
il tempo che desideri. Sarai tu a dirmi quando ti senti
pronta” le promise con
la voce piena di commozione.
Susan
sorrise grata. L’aveva compresa. Lucy aveva davvero visto
giusto. Quel giovane
era un ragazzo d’oro. Ed era di lei.
Liberò
la sua mano dalla presa di Caspian e gli circondò la vita,
appoggiando la testa
sul suo petto. Respirò profondamente il suo odore fresco -quanto gli era mancato anche quello- e
godette del calore che il suo
corpo morbido le trasmetteva. Lui, dopo un attimo di esitazione data
dalla
sorpresa, ricambiò l’abbraccio posando la sua
testa sopra quella di lei, al
colmo della felicità.
La
prima difesa era crollata.
*
L’ora
è quasi giunta.
L’ora
per cosa?
Per
tornare a casa. Stai diventando
forte e anche io sto riacquistando le energie.
A
casa? E dove sarebbe?
È
il momento di mostrartela. Ormai è
questione di giorni.
Giorni?
Tra qualche giorno verrai da me? Tra quanti?
Ma
la mia domanda non ricevette risposta, come spesso accadeva nei miei
dialoghi
con quella donna. Un brivido mi percorse e mi svegliai di soprassalto.
Mi
guardai attorno, e anche se la camera era avvolta
dall’oscurità, compresi che
Peter mi aveva portata nella mia stanza. Sorrisi al suo nome,
rammentandomi il
lieto fine che ero riuscita a creare quella sera. Lo avevo salvato,
strappandolo da morte certa, ero fiera di me stessa.
L’incantesimo
mi era costato un certo sforzo, anche adesso mi sentivo incredibilmente
stanca,
nonostante probabilmente stessi dormendo da parecchie ore
poiché, a giudicare
dal silenzio che impregnava l’edificio, doveva essere notte
fonda. La magia mi
aveva prosciugato tutte le forze, tanto da riempire il mio corpo di
spasimi,
cosa che non era successa nemmeno quando avevo risvegliato il bosco.
Probabilmente la differenza consisteva nel fatto che quella volta Aslan
aveva
unito i suoi poteri ai miei mentre quella sera ero stata totalmente da
sola.
Tuttavia ne era senz’altro valsa la pena e lo avrei rifatto
senza esitazione.
Mi
stiracchiai e feci per rigettarmi sul mio morbido cuscino, quando un
guizzo
azzurrino catturò la mia attenzione. Sulla mia destra, a
mezz’aria, una piccola
sfera bianco-azzurra brillava fioca. La fissai a bocca aperta, che
l’avessi
creata mentre dormivo? Non mi era mai accaduto ma c’era
sempre una prima volta.
Poi
però un’altra spiegazione si fece largo nella mia
mente assieme al ricordo
della frase appena sentita. È il
momento
di mostrartela
Che
fosse opera della donna misteriosa? Una magia destinata a farmi
conoscere la
dimora di cui tanto parlava? Ma allora perché stava
lì ferma, non avrebbe
dovuto farmi scorgere qualcosa al suo interno, simile ad un sfera di
cristallo?
Come
se mi avesse letto nel pensiero, la bolla di luce iniziò a
muoversi,
dirigendosi verso la porta della stanza. Forse voleva che la seguissi?
L’eccitazione mi invase insieme al senso di aspettativa. Dove
mi avrebbe
portato, dalla donna? No, era improbabile, anche se desideravo
ardentemente
conoscerla. A vedere la casa? Si, era senz’altro
l’ipotesi più sensata. Ma
sarei dovuta uscire dall’edificio? L’idea non mi
elettrizzava, ma la curiosità
batteva la paura di addentrarsi da sola nella notte. Dovevo vedere la
misteriosa destinazione.
Mi
liberai dalle coperte e poggiai i piedi nudi a terra. Quando mi alzai
la testa
mi girò violentemente, tanto che dovetti sostenermi con una
mano al muro. Ero
ancora debole, avevo bisogno di riposo, ma ci sarebbe stato tempo dopo
per una
dormita. Finito il giramento, mi incamminai verso la luce che aveva
attraversato la porta della stanza.
Uscita
dalla camera a mia volta la seguii silenziosa giù per le
scale. La mia
previsione di prima non era sbagliata, gli inquilini
dell’edificio stavano
tutti dormendo, doveva essere notte fonda. Scesi tutti i gradini, mi
condusse attraverso
le varie stanze, fino a giungere nel corridoio che portava alla sala
della
tavola di pietra. La direzione mi sorprese, se voleva mostrarmi una
dimora
perché non si dirigeva verso l’uscita dalla
fortificazione? La fantomatica casa
non poteva trovarsi dentro una stanza!
Sempre
più curiosa la seguii e passo dopo passo rividi tutti i vari
grafiti che
narravano le avventure dei Pevensie illuminati dalla fioca luce della
sfera,
finché essa non si fermò su di uno in
particolare. Era il castello di ghiaccio
che mi aveva affascinato la prima volta e che aveva scatenato
l’ambigua
reazione di Peter.
Mi
avvicinai per esaminarlo meglio. La bolla rischiarava le alte guglie e
un
portone di ghiaccio che suscitarono in me nuovamente quella particolare
sensazione
di familiarità. Ne rimasi incantata e
all’improvviso mi dimenticai la
motivazione della mia presenza lì. La dimora
passò in secondo piano,
inghiottita dal mare di inspiegabili sensazioni che provavo dinanzi al
disegno.
Iniziai a percorrere i lineamenti del palazzo con un dito, sfiorando
con
delicatezza quell’effigie. La luce della sfera
iniziò ad aumentare ad ogni
tocco, ma io quasi non me ne accorsi. Ero entrata in una sorta di
trance,
minimamente conscia che anche il flusso dei miei poteri cominciava ad
aumentare. Stava defluendo da me al graffito, creando con esso un
contatto più
forte mano a mano che la luce scacciava via le tenebre inghiottendo in
un turbine
bianco il corridoio, il dipinto e me.
Il
collegamento continuò a irrobustirsi finché non
mi sentii trascinare con forza
dentro il disegno, come se una mano invisibile mi avesse preso per mano.
Fui
risucchiata al suo interno e per parecchi istanti fui privata della
vista.
Attorno a me vedevo solo un onnipresente bianco. Poi a poco a poco i
contorni
cominciarono a definirsi anche se il colore predominante restava il
bianco che
sfumava nell’azzurro.
Per
tutto tranne per un omino che inchinato in segno di riverenza mi stava
davanti.
Era un gnomo con vestiti dimessi e inginocchiato fino a toccare il
pavimento
con la testa.
Quest’ultimo
era una lastra di ghiaccio sorvolato da una nebbia fitta e delimitata
da alte
mura dalla quale spuntavano speroni di roccia anch’esse
ghiacciate. Il
complesso forniva una sala ampia e luminosa, con un soffitto a volta
dalla
quale lunghe stalattiti minacciavano di cadere da un momento
all’altro e un
portone di ghiaccio finemente elaborato che occupava tutta la parete
sud. Ogni
cosa era perfetta e gelida, trasudante di potere e sicurezza in mezzo
ad una
nebbiolina che riempiva interamente l’ambiente. Una fortezza
che pareva scavata
interamente all’interno di un iceberg e che sapevo essere
mia, un avamposto
protetto dove potevo sentirmi accolta. Quella era casa mia.
“Mi
seguirete?”
Una
voce algida e ferma rimbombò tra quelle candide pareti. Mi
ci volle qualche
secondo per comprendere che la frase era stata pronunciata da me. A
poco a poco
riuscii anche a prendere coscienza del mio corpo. Le mie braccia erano
saldamente appoggiate ai braccioli di un trono bianco-azzurro fatto di
ghiaccio,
alla quale le mie gambe erano fermamente sedute con eleganza e
compostezza,
dando una visione di regalità favorita anche dal lungo
vestito bianco scendente
lungo gli scalini che elevavano il seggio rispetto al resto della sala,
e
impreziosito da fitti ricami raffiguranti fiocchi di neve. Il vestito
era
sbracciato ma, nonostante la stanza sembrasse tutt’altro che
calda e priva di
un qualsiasi focolare, non avvertivo freddo. La nebbia mi abbracciava,
ero a
mio agio immersa da quella temperatura glaciale, lo stesso trono di
ghiaccio,
invece di farsi trovare scomodo, duro e gelido, era per me
confortevole, si
sposava con il mio corpo. Il gelo mi accoglieva tra le sue spire come
se fossi
una sua creatura, come se ne facessi parte io stessa.
“Fino
alla morte mia regina” rispose lo gnomo ancora senza osare
alzare la testa da
terra.
Poi
i contorni della stanza si fecero sfocati fino a confondersi tra loro.
L’immagine
del mezz-uomo divenne nebulosa finché al suo posto non
comparve una folla
eterogenea di creature mitologiche. La sala era sempre la stessa, con
la
differenza che il portone era aperto lasciando intravedere il mare di
persone
che fuori da quelle mura si accalcava per intravedere
l’interno di quello che sapevo
essere un palazzo. Il mio palazzo.
“Popolo
di Narnia” la mia voce riecheggiò tra i presenti
limpida e sicura. Non ero più
seduta sul trono bensì eretta, intenta a squadrare coloro
che erano i miei
uomini con sguardo fiero e deciso. Avevo la loro attenzione completa,
aspettavano le mie parole in un silenzio quasi religioso, in
un’atmosfera
riservata a pochi eletti. Provai un moto di orgoglio
nell’essere cosciente che
essi pendevano dalle mie labbra. Sapevo che avrebbero fatto qualsiasi
cosa che
avessi ordinato in quel momento poiché si affidavano
ciecamente a me. Disponevo
completamente della loro persona.
“Questa
terra è nostra come lo è stata dei nostri avi
migliaia e migliaia di anni fa.
Ci appartiene, fa parte di noi. Potremmo mai permettere che ora, degli
invasori
venuti da un altro mondo, a noi alieno e lontano, ci invadano
pretendendo ci
comandarci e di conquistarci?” feci una pausa enfatica,
catalizzando, se
possibile, ancora di più l’attenzione. Infine
urlai un “NO!” forte e
determinato, seguito subito da un fragoroso boato della folla. Il
mio esercito si animò cominciando a
sbattere le lance e le spade sugli scudi e i piedi per terra in segno
di chiara
approvazione.
“Narnia
è sempre stata e sempre sarà dei suoi abitanti,
non di estranei. Non
permetteremo che cada in mani indegne, la difenderemo con tutte le
nostre
forze, la proteggeremo e vi posso giurare che usciremo vittoriosi dallo
scontro.
Quest’oggi ricacceremo i figli di Adamo e le figlie di Eva da
dove sono venuti
e ci riprenderemo ciò che ci appartiene di
diritto!” le ultime parole
riempirono i cuori della folla che si espresse in un’altra
accalorata
acclamazione tanto da far traballare le affilate stalattiti. Ero certa
di aver
ragione, loro non mi avrebbero deluso, avremmo vinto. Dovevamo
vincere.
Il
frastuono era tale da rimbombare forte e fastidioso nelle orecchie, ma
a mano a
mano che i secondi scorrevano si fece sempre più lieve fino
a scomparire nel
nulla.
Mi
trovavo in un’altra stanza, molto più piccola
rispetto alla prima. Era
anch’essa incavata nel ghiaccio, con le stalattiti e gli
speroni che
fuoriuscivano dal muro e l’onnipresente nebbia che ricopriva
il pavimento, ma
al posto del trono primeggiava al centro una culla fatta di cristallo.
Il
decoro che ornava presentava una serie di fiocchi di neve che si
alternavano ad
un N elaborata similmente alle lettere gotiche. Ma ora era vuota, non
riuscivo
a vederlo in prima persona ma lo sapevo. Ed ero consapevole che era
ciò a
procurarmi una grande angoscia. Eppure era necessario, era
l’unico modo per
assicurare la nostra salvezza in caso di sconfitta. Avvertii una grande
determinazione invadermi mentre fissavo con decisione una parete
diversa dalle
altre, una parete molto importante. Sembrava fatta d’acqua e
illuminava tutto
l’ambiente. Ma i suoi contorni iniziavano a divenire confusi
finché anch’essi
si dispersero nel nulla.
E
fu un secondo.
Un
lungo, terribile, straziante secondo. Un leone immenso e possente
riempì
interamente il mio campo visivo. Mi stava venendo incontro, i denti
affilati e
letali ad un passo dal mio viso, il suo ruggito che rimbombava nel mio
cuore
fino a bloccarlo.
Il
sole dietro gli illuminava la criniera fulva e regale conferendogli
un’aria di
inumana superiorità. Un solo pensiero si face strada nella
mia mente. È invincibile.
E
poi provai soltanto dolore. Un dolore immenso, insopportabile. Stavo
morendo lo
sapevo, ma non potevo fare nulla per impedirlo se non gridare e gridare
ancora.
Mi stava lacerando. Avvertivo i suoi canini penetrarmi dentro
l’addome
trapassandomi da parte a parte mentre gli artigli laceravano ogni lembo
di
pelle procurandomi fitta lancinanti…
“Cathy,
Cathrine, svegliati!”
Una
voce. Un’altra voce cercava di sovrastare il ruggito, ma era
troppo fievole.
“Apri
gli occhi forza! Devi svegliarti!”
Mi
stava dicendo qualcosa, ma non capivo cosa. Il dolore mi invadeva e
catalizzava
tutta la mia attenzione, impendendomi di concentrarmi per comprenderla.
Ciò che
riuscivo a distinguere era solo il dolore. Ma dopotutto io stavo
morendo, cosa
importava ciò che diceva?
“Cathy,
mia piccola stella”
Stella. Quella parola era riuscita a
sorpassare il resto. Mi
ricordava qualcosa, o meglio qualcuno appartenente ad
un’altra vita. Un bosco,
gli alberi che danzano, la magia e un ragazzo dai capelli color
dell’oro. Peter.
Con me nella raduna che mi sussurrava che sono la sua
“stella” con la sua voce
vellutata. La stessa che mi stava richiamando ora. E io dovevo
ascoltarla, lui
poteva aiutarmi, poteva salvarmi.
“Aiutami…leone”
cercai di articolare una frase ma mi era difficile concentrarmi. Eppure
dovevo
farmi capire, lui poteva aiutarmi. “Male,
tanto…leone”
“Cathy,
è tutto a posto, sei al sicuro”
Come
poteva dirmi che ero al sicuro? Non vedeva il grande felino che mi
stava
uccidendo?
Dovevo
aprire gli occhi e ripetere il mio richiamo di aiuto. Raccolsi tutte le
mie
ultime forze e caricai d’aria i polmoni. “Peter, il
leone aiuto!” urlai
riuscendo a spalancare gli occhi. Ma quello che vidi mi
lasciò confusa.
Tremendamente e fastidiosamente confusa.
“Cathrine,
non c’è nessun leone” mi
informò la dolce voce di Peter, ora finalmente chiara.
E
aveva ragione. non c’era nessuna chioma fulva dinanzi a me,
bensì due stupendi
zaffiri intrisi di preoccupazione, scorgibili distintamente nonostante
il velo
opaco che avevo dinanzi alle pupille. O erano lacrime? Si, stavo
piangendo, il
mio corpo era percosso dai singhiozzi e il viso era bagnato, mentre il
mio
cuore galoppava per l’ansia. Ero tornata. Non sapevo da dove
ma ero tornata. Rivedere
il volto del mio angelo mi procurò un altro singhiozzo,
più violento degli
altri ma di gioia, e si andò a sommare agli altri, di paura,
di dolore che
ancora avvertivo lungo i miei arti e nel petto, di ansia e di stupore,
che mi
attraversavano.
Le
sue calde e protettive braccia mi avvolsero cercando di frenare i
tremori
mentre il suono vellutato della voce mi sussurrava come una mantra che
ero al
sicuro, che non avevo nulla da temere.
Mi
fiondai nel suo petto senza remore, avevo bisogno di una sicurezza, di
sentirmi
protetta, di lui. E sentendo il battito regolare del suo cuore il mio
grido
disperato si spense dando pace alle mie corde vocali.
“Tranquilla
Cathy, non è successo niente. Sei qui con me” i
suoi sussurri recavano
tranquillità al mio animo tormentato mentre le lacrime
diminuivano fino a
spegnersi.
Cominciai
a riprendere il controllo di me stessa, il velo di confusione che mi
ottenebrava la mente si stava dissolvendo sotto le sue carezze
finché non tornò
completamente lucida.
“è
stato solo un incubo”
Un
incubo? No, non era possibile. Non così vivido, non
così reale. Quello che
avevo visto non lo avevo sognato, ne ero certa. Ancora provavo il
dolore, se
pur in maniera minore rispetto a prima, procurato dal leone per tutto
il corpo.
Senza contare la nuova stanchezza che l’utilizzo dei miei
poteri mi aveva
causato, dal momento che non mi ero ancora ripresa
dall’incantesimo precedente.
Ma allora cos’era stato?
Mi
staccai da lui quel tanto che bastava per guardami attorno. Come avrei
potuto
immaginare, dietro di lui c’erano Susan e Caspian con
un’espressione tesa in
volto. Alla sua destra stava Edmund, pallido e preoccupato, e
accucciata
accanto a me notai solo ora un’angosciata Lucy. Le mie urla
dovevano averli
svegliati tutti.
Un
breve brivido proveniente da Peter mi fece riportare
l’attenzione su di lui.
Gli presi una mano e la trovai ghiacciata. Peter aveva freddo ma
perché?
Eravamo al chiuso e la temperatura lì dentro era sempre
stata gradevole. Poi
notai un particolare che prima mi era sfuggito. Io, Peter e Lucy non
eravamo
seduti sul duro e polveroso pavimento del corridoio bensì su
una spessa lastra
di ghiaccio larga circa un metro e che si estendeva da parete a parete
arrampicandosi verso l’alto. Da dove era apparsa? Prima non
c’era. Sembrava
fosse uscita dalla mia visione insieme a me…
“Peter”
un flebile filo di voce mi uscì dalle labbra.
“Si
Cathy?” mi incitò lui cercando un contatto visivo
che io non gli negai.
“Non
è stato un incubo” mormorai lugubre.
Vidi
lo sgomento passare per il suo bel volto e desiderai poterlo far andare
via
come era venuto. Ma non potevo, l’unico modo sarebbe stato
mentirgli e quello
non volevo farlo.
“Cathrine,
stai bene?”
La
fievole voce di Lucy, incurante della mia affermazione, mi raggiunse.
Mi
rivolsi verso di lei, ancora stretta nel sicuro abbraccio di Peter.
Aveva i
caldi occhi castani sgranati e in apprensione mentre aspettava
impaziente la
mia risposta.
“Credo
di si” mormorai. Il sollievo che i presenti provarono dopo la
mia
rassicurazione era quasi palpabile.
Aiutata
dal re cercai di alzarmi, ma il movimento mi procurò una
forte fitta alle gambe
e all’addome. Il male provato prima si faceva ancora sentire.
“Cathy
cos’hai?” si informò subito Peter
sorreggendomi di peso.
Mi
aggrappai a lui ma cercai di consolarlo affermando che non era nulla di
grave.
Non volevo preoccuparlo ancora di più e poi ero sicura che
il malessere si
sarebbe esaurito presto. Per recuperare le forze che mi mancavano
invece
sarebbe bastata una notte di sonno. Una lunga e soprattutto continua
notte di
sonno.
“Portala di là,
così potrà sedersi” suggerì
Susan.
Il
biondo annuì e, sostenendomi con un braccio attorno alla
vita, mi scortò fino
alla tavola di pietra dove mi fece sdraiare. Una volta appoggiata
distesi i
muscoli e tirai un sospiro di sollievo. Le mie gambe non erano capaci
di
portare il mio peso al momento.
Ma
il sollievo durò poco perché in meno di un
secondo cinque paia di occhi mi
attorniarono curiosi.
“Cathrine,
cosa significa che non è un incubo?” Edmund per
primo espresse la domanda che
premeva a tutti. Quello che non sapeva era che la risposta fuggiva a me
per
prima.
“Non
lo so Edmund, so solo che non era un parto della mia fantasia”
Edmund
aggrottò le sopraciglia mentre Susan si intromise con
un’altra domanda “Forse
potresti iniziare a spiegarci cosa ci facevi nel corridoio a
quest’ora di
notte. Magari insieme troviamo una risposta”
Proposta
sensata. Pensai.
La accontentai subito.
“Questa
notte ho ricevuto l’ennesima visita della donna
misteriosa…” a quelle parole
vidi Peter, che era seduto accanto a me sulla tavola, irrigidirsi e
bloccare
per un secondo il tranquillizzante gesto di accarezzarmi i capelli. Gli
lanciai
un’occhiata allarmata ma lui scosse la testa e mi fece segno
di proseguire,
riprendendo ad intrecciare le sue dita nei miei boccoli rossi.
“Ma questa volta
non voleva solo parlarmi, voleva mostrarmi qualcosa, una casa che lei
definisce
nostra” precisai ricordando le insistenti parole della mia
visitatrice. “E
quando mi sono svegliata ho trovato una
sfera di luce ad attendermi. Ho capito che voleva che la seguissi e
così ho
fatto”
“Hai
inseguito una sfera senza sapere dove ti avrebbe portata?” mi
interruppe
incredulo Peter.
Sotto
il suo sguardo accusatore mi vergognai un poco della mia azione sciocca
e
impulsiva. Ma la lezione l’avevo imparata, ecco cosa
succedeva nel mettersi ad
ascoltare una palla di luce nel cuore della notte…
“Credevo
l’avesse fatta apparire la donna.” tentai di
giustificarmi.
“Quindi
non sei nemmeno sicura che la sfera fosse sua”
attaccò Edmund.
“Ero
pronta a scommettere di si, altrimenti non le sarei andata dietro, ma
poiché
non mi ha mostrato nessuna casa inizio a pensare che la donna non
c’entrasse.
Anche se non so chi altri avrebbe potuto far apparire quella
luce” ammisi
fissandomi le mani.
“E
dove ti ha portata?” si informò Caspian,
riprendendo le fili dell’argomento
principale. Gliene fui grata, la discussione aveva iniziato a prendere
direzioni spinose.
“Davanti
all’affresco con il castello di ghiaccio”. Subito
dopo percepii un chiaro
abbassamento della temperatura come se solo la parola
“ghiaccio”potesse
suscitare il freddo. I lineamenti dei visi dei miei interlocutori
divennero, se
possibile, ancora più tesi e pallidi mentre proseguivo il
racconto. “Poi da qui
non saprei bene dire cosa è successo, è accaduto
tutto molto velocemente. Ho
semplicemente sfiorato i contorni del palazzo e ho perso il controllo
dei miei
poteri”
“In
che modo?” domandò accigliata Susan.
“Non
saprei, è la prima volta che mi capita, so solo che ad un
certo punto ho
avvertito la magia fuoriuscire da me indipendente dalla mia
volontà” risposi
concitata “mi sono sentita risucchiata al suo interno e
poi… è stato
indescrivibile” ed era vero. Non c’erano parole per
raccontarlo compiutamente.
“Non
capisco, hai iniziato a urlare all’improvviso, ti sei fatta
male?”
Peter
mi guardava confuso.
“La
parte più turbolenta che ha suscitato le urla è
stata solo verso la fine, prima
ho vissuto delle scene di vita. Ma non saprei in che modo. Sembrava un
sogno
eppure ho la certezza che fosse reale. Ero dentro un bellissimo palazzo
di
ghiaccio e sedevo a mio agio su un trono con un lungo vestito bianco.
Incoraggiavo con ardore degli uomini alla battaglia.” Vedendo i loro sguardi
corrucciati cercai di
spiegarmi meglio “Ora non so chi fossero quelle persone
né di che guerra si
parlava eppure nella visione sapevo qual era il mio ruolo e cosa dovevo
dire,
credevo nel mio discorso, parlavo di difendere Narnia da degli
invasori, che il
regno era nostro e tale sarebbe dovuto rimanere e odiavo sinceramente
il mio
nemico”
“E
chi era questo nemico?” domandò Lucy.
Mi
sforzai di rammentare. “Parlavo di due figli di Adamo e due
figlie di Eva mi
sembra, ma non ho idea a chi si riferisse.”
Un’occhiata allarmata passò tra i
fratelli Pevensie, ma ero troppo impegnata a ricordare
altri particolari rilevanti per accorgermene.
“Poi la scena è cambiata e mi sono ritrovata a
fissare una parete liquida,
pensando che dall’altra parte c’era qualcosa o
qualcuno di importante e che lo avrei
riavuto solo se avessi vinto la battaglia” narrai velocemente
poiché un ricordo
si imponeva sugli altri. Il bruciore agli arti continuava a
ricordarmelo. “le
scene cambiavano di continuo, senza un’apparente ordine
logico e poi…”
rabbrividii al ricordo del dolore e dalla paura provati. Era stata
un’esperienza terribile che speravo non dover ripetere mai
più. Peter se ne
accorse e non esitò ad abbracciarmi stretta. Presi coraggio
dalla sua presenza.
“Un
leone ha coperto tutta la scena e mi ha attaccato senza
pietà. Ha iniziato a
mordermi e graffiarmi, mi colpiva dappertutto e io non sentivo altro
che
dolore.” Mi accarezzai incoscientemente l’addome
“E tutt’ora continua a farmi
male ovunque, anche se meno di prima” conclusi appoggiando la
testa sulla
spalla di Peter, iniziando a cedere alla stanchezza che pressante si
faceva
sentire.
“Ma
l’esperienza non l’hai compiuta tu adesso, giusto?
È stata una visione, come
puoi provare male?” mi chiese scettica Susan.
“Susan,
io non credo fosse solo un sogno.” Ripetei forse per la
decima volta. “Io
ero là, lo stavo vivendo. Ero cosciente,
provavo sentimenti, avevo pensieri miei e percepivo
l’ambiente circostante.”
“Quindi
lo hai vissuto?” la voce di Lucy era a mezza strada tra la
meraviglia e la
paura.
“Non
credo di averlo vissuto come sto vivendo questo momento,
però la sensazione era
quella. Anche se non ero cosciente della realtà attuale, ma
unicamente di
quella, come se questa non esistesse” specificai in modo
arzigogolato.
“Non
potrebbe essere un ricordo?” propose Caspian.
Scossi
la testa. “Sono certa di non aver mai vissuto nulla del
simile. A meno che…”
un’illuminazione mi raggiunse. “secondo voi
è possibile che io abbia visto il
futuro?”
Ma
Peter smontò subito la mia teoria. “Non
credo” la voce secca e perentoria mi
sorprese. Perché era così contrariato? Possibile
fosse solo la preoccupazione
non ancora svanita?
I
presenti si scambiarono uno sguardo denso di un significato a me
ignoto. Bene,
era giunto il momento per le mie domande.
“Perché
pensi questo?”
Peter
mi parlò fissando con serietà la sorella.
“Perché quello che hai visto è un
evento passato”
La
spiegazione mi sorprese. Conosceva gli eventi che avevo descritto? Ma
come
poteva essere?
“Come
fai a saperlo?”
“Il
palazzo aveva lunghe stalattiti di ghiaccio e una nebbia al livello del
pavimento?”
Indagò
Edmund.
Lo
fissai stranita. “Si” risposi monosillabica per la
sorpresa.
“E
quando hai visto il leone cos’hai provato?”
“Tanto
odio e tanta rabbia. Ma anche un senso si impotenza, sapevo che stavo
per
morire”
“Credo
che non ci siano molti dubbi” commentò enigmatico
Edmund.
“Anche
io, purtroppo” convenne Peter.
A
quel punto la mia pazienza era bella che finita. “Riguardo a
cosa?” esclamai
irritata.
Peter
mi guardò serio e mi prese per le spalle. “Credo
che le scene che hai vissuto
stanotte siano un ricordo…” lo stavo per
interrompere per protestare nuovamente
ma lui mi anticipò. “Non un tuo ricordo, ma di
un’altra persona, che ti ha
fatto entrare nella sua mente per qualche istante”
La
sua spiegazione mi lasciò a bocca aperta. Era possibile fare
ciò? Dopotutto era
magia, dubitavo esistessero limiti.
“Ma
chi?” chiesi in un sussurro.
“Jadis”
il nome gli uscì come un insulto, con un’asprezza
terribilmente fuori luogo se
pronunciata dalle sue labbra di velluto.
“La
strega bianca?”
“Si”
Lucy mi diede conferma.
“Ma
non è possibile, mi avete detto che è
morta” cercai di ragionare.
“Vero,
uccisa da Aslan come hai spiacevolmente avuto modo di vedere, o meglio
sentire,
tu stessa a quanto pare” mi disse Susan.
“Purtroppo
per noi però quella strega sembra aver trovato un modo per
tornare” aggiunse
Edmund.
Peter
reclamò la mia attenzione. “Ti ricordi che qualche
giorno fa avevamo accennato
ad una nuova minaccia che stava per colpirci? Crediamo sia lei
purtroppo”
asserì serio.
Li
fissai a bocca aperta, scioccata. Ero entrata nella mente di Jadis? E,
cosa
ancora più preoccupante, la Strega Bianca stava per
ricomparire?
“E
in che modo può tornare nel mondo dei vivi?”
domandai incredula.
“Non
lo sappiamo ancora, ma quella strega è piena di risorse a
quanto pare ed una
via l’avrà certamente trovata.” Rispose
rapido Peter. Gli lanciai un’occhiata
obliqua. Nella sua risposta celere c’era qualcosa che non mi
quadrava, sembrava
una risposta precauzionale, per prevenire altre domande
sull’argomento. Eppure
il suo viso non faceva trasparire niente di strano, evidentemente ero
io che mi
facevo troppe paranoie.
La
situazione non mi piaceva per niente. Da quello che mi avevano
raccontato Jadis
era una persona pericolosa, e molto anche. Aveva gettato Narnia e i
suoi
abitanti in cento anni di gelo e schiavitù e non aveva
esitato ad eliminare
chiunque le si ponesse davanti. Aveva addirittura provato ad uccidere
Peter e i
suoi fratelli nella batt…
“Siete
voi i figli di Adamo e di Eva! Era contro di voi la battaglia che stava
annunciando!”
esclamai esterrefatta, colpita da una rivelazione improvvisa.
Peter
annuì con aria grave. “Temo di si”
“E
io che per quegli istanti vi ho odiati. Se penso che sono stata dalla
sua parte
mi vengono i brividi” mormorai affranta.
Peter
mi diede un buffetto sulla guancia sfoderando un sorriso dolce dolce
che mi
fermò il cuore. “Ehi, non eri tu, erano i suoi
pensieri, non hai nulla da
rimproverarti”
Feci
un cenno affermativo con la testa per accontentarlo ma le mie labbra
rimasero
corrucciate. Non sopportavo l’idea di aver provato simili
sentimenti verso di
loro, mi sentivo in colpa. Cercai di distrarmi facendo
un’altra domanda. Volevo
saperne di più riguardo alla faccenda.
“Ma
come può aver fatto entrare quella sfera in camera mia? E
poi perché proprio da
me, che senso aveva mostrarmi quei ricordi se nemmeno mi conosce?
È stato un
caso?”
Ci
furono cinque minuti di silenzio. Un pesante e per nulla auspicabile
silenzio.
“Ecco,
Cathrine” tentò Susan ma venne bruscamente
interrotta da Peter.
“Noi
ancora non lo sappiamo” affermò risoluto
“ma faremo il possibile per saperlo”
mi promise.
Mi
immaginai soltanto il lampo irato che i suoi occhi lanciarono in
direzione
della sorella maggiore? Forse si dato che si era trattato solo di un
secondo e
la stanchezza era sempre più presente. Forse era quella che
mi faceva divenire
paranoica e visionaria. Ormai
avevo le
palpebre che si abbassavano da sole e la testa era divenuta pesante.
Facevo
fatica a tenere il filo del discorso e non riuscii a trattenere uno
sbadiglio
che non sfuggì alla vista del re.
“Forse
è meglio che tu vada a dormire” mi
sussurrò accarezzandomi una guancia.
Scossi
la testa. “No, voglio proseguire la discussione. E quel
ghiaccio che c’è nel
corridoio? Lo ha fatto apparire lei?” protestai, ma mi arresi
quasi subito
quando incrociai l’azzurro dei suoi occhi. Mi chiesi se sarei
mai stata capace
di negargli qualcosa fintanto ché mi fissava con tale
intensità.
“Credo
di si, ma è meglio proseguire domattina, quando avrai la
mente più lucida”
giudicò.
“Mi
sa che hai ragione” asserii mentre giocherellavo
distrattamente con il
medaglione appeso al mio collo.
“Questo
che cos’è?” mi chiese curioso il biondo
notando solo ora la mia collana.
Gliela
porsi e lui la afferrò portandola davanti agli occhi.
“Ce l’ho da talmente
tanto tempo che non mi ricordo quando mi è stata donata.
Credo per il battesimo
o qualcosa di simile. La J sta per June, il mese della mia
nascita” spiegai.
Ebbi
l’impressione di vedere la mascella di Peter indurirsi ma
nuovamente fu solo un
attimo, poiché ora mi sorrideva. Forse perché mi
aveva appena colta a
sbadigliare nuovamente.
“è
davvero il caso che tu vada a letto. Sei stanca. Lucy, la
accompagneresti per
favore?” aggiunse poi rivolto alla piccola che mi si
affiancò subito.
Io
rivolsi però a Peter un’espressione allarmata. Ero
appena giunta ad una
conclusione, se andavo a dormire mi sarei separata da lui. E io non
volevo assolutamente
farlo. Sapevo che era irrazionale però avevo paura
all’idea di ritrovarmi in
camera da sola. E se fosse tornata la luce? E se, peggio, fosse venuta
Jadis in
persona? Il sapere che era a conoscenza della mia esistenza e che
voleva
contattarmi non mi faceva stare tranquilla. Sensazione che provavo
invece se
stavo con il mio angelo.
Il
ragazzo colse immediatamente poiché si avvicinò
al mio orecchio e mi sussurrò
“Non temere, sarò da te in cinque minuti. Te lo
prometto” e mi baciò la guancia
come a suggellare la sua promessa.
Solo
allora, con quella lieta e tranquillizzante prospettiva, accettai la
mano
protesa di Lucy e la seguii lungo il corridoio. Nel passaggio mi
imbattei nella
lastra di ghiaccio formata dalla strega. La superai cercando di non
scivolarci
sopra, impresa che richiedeva tutta la mia attenzione dato il mio
precario
equilibrio, tanto che non mi accorsi di aver toccato il ghiaccio che
ricopriva
la parete laterale finché non vidi con la coda
dell’occhio la mia mano sopra di
esso. In quel momento il mio cuore sprofondò. Non avvertivo
il freddo naturale
che avrei dovuto provare a contatto con il ghiaccio. Come mai? Il
ricordo della
piacevole sensazione che il sedere sopra il trono di quel materiale mi
aveva
causato mi colpì come uno schiaffo. Possibile che fosse solo
una conseguenza a
breve termine della visione? Come il malessere che provavo? Si, era
senz’altro
così. Scossi la testa e proseguii il cammino. Doveva essere
senz’altro così.
*
Lo
avvertiva distintamente. Il formicolio alla nuca lo stava informando
del suo
sguardo pressante da quando Cathrine aveva lasciato la stanza. Poteva
immaginarsi la posa saccente che Susan aveva assunto, mento rialzato,
sopracciglia elegantemente incurvate e mani ai fianchi, senza guardarla.
“Avanti.
Stai morendo dalla voglia di dirlo. Lo so”
commentò rassegnato.
“Te
l’avevo detto” Susan non riuscì a
trattenersi e Peter le lanciò un’occhiata di
sbieco.
“Cos’altro
potevo fare? Buttarla fuori e lasciarla alla mercé dei
telmarini?” chiosò
ironico.
“Quindi
credete che sia tornata davvero, non è solo una vostra
idea?” chiese Caspian.
Un
deciso quanto lugubre segno di assenso sopraggiunse da Susan.
“Ma
è probabile che non abbia ancora riacquisito tutti i suoi
poteri o avrebbe già
formato un esercito. Non è il tipo di persona che perde
tempo” precisò Edmund.
“Infatti
non ha perso un secondo” commentò amara Susan.
“In
che senso?”
“è
entrata in contatto con Cathrine, sa dove si trova.”
Spiegò il re di Narnia
digrignando i denti.
Peter
aveva sperato che non succedesse, che i pronostici di Susan si
rivelassero
sbagliati. Ma non era successo, e adesso Cathrine era in pericolo e lui
doveva
assolutamente fare qualcosa per toglierla da quella situazione.
“Ma
cosa può volere la strega da Cathrine?”
domandò Edmund, più rivolto a se stesso
che agli altri.
“Presumo
i suoi poteri, magari la vuole come alleata per assicurarsi di non
subire mai
più sconfitte.” Pestò un piede a terra
e aggiunse frustrata “e avrebbe ragione.
Già è stato quasi un miracolo che siamo riusciti
a batterla quando era sola, se
si mettesse con un’altra strega diventerebbe
invincibile”
“Quindi
dobbiamo impedirle di avvicinarsi a Cate, a qualunque costo,
giusto?”
“Esatto
Caspian. Non possiamo permettere che la porti dalla sua parte”
“Dubito
che Cathrine si metterebbe mai spontaneamente contro di noi. Lei
è buona, a
differenza di Jadis, non si alleerebbe mai con lei”
commentò l’esile ma ferma
voce di Lucy, facendo il suo ingresso nella stanza.
“Cathrine?”
si informò subito Peter.
Lucy
gli sorrise sorniona, spezzando per un secondo la tensione venutasi a
creare.
“è in camera sua” e gli fece un
occhiolino che Peter finse di non cogliere.
“Ma
come è possibile che Jadis sappia dell’esistenza
di Cathrine? La ragazza non è
mai stata a Narnia prima né è mai entrata in
contatto con una sua creatura
finché ha vissuto a Londra” commentò
Susan.
Peter
abbassò lo sguardo, gesto che non sfuggì alla
sorella.
“Peter?
Tu sai qualcosa, vero?” il tono assomigliava molto a quello
di un’accusa.
Il
biondo sospirò e fece passare il suo sguardo su tutti i
presenti prima di
aprire bocca riluttante.
“Prima
ho dato un’occhiata al ciondolo di Cathrine. Glielo sempre
visto al collo ma
non avevo mai visto l’effigie che porta sopra”
iniziò.
“E
questo cosa c’entra?” si interessò
accigliato Edmund.
“C’entra”
gli rispose Peter tra i denti “perché il
medaglione porta recata una J
disegnata sopra ad un castello di ghiaccio stilizzato”
“Jadis”
sussurrò esterrefatta Susan, la prima a comprendere le
parole del re.
Un
pesante silenzio avvolse i presenti, impegnati ad assimilare la
rivelazione
inaspettata.
“Ciò
cosa può significare?” riuscì a
mormorare Lucy, dopo cinque minuti di
elucubrazioni.
“Che
Jadis ha sempre saputo dell’esistenza di Cathrine, e che deve
averla incontrata
quando lei era piccola dato che la ragazza non serba alcun ricordo
della strega
e afferma di aver avuto da sempre quella collana che sicuramente le ha
donato
lei” illustrò Peter stringendo i pugni.
“Ma
se ha sempre saputo della sua esistenza perché non ha
cercato di prendersela da
subito? E poi perché regalarle un medaglione se Cathrine non
si ricorda nemmeno
chi glielo ha dato?”
“Non
saprei il motivo del dono però forse non l’ha
presa con sé perché non ha
potuto, forse…” provò a spiegare il re
ma venne interrotto da Susan che
battendo il pugno destro sulla mano sinistra esclamò:
“Forse l’ha incontrata
prima della battaglia che ha avuto con noi e contava di prenderla dopo
averci
battuto. Non aveva considerato l’opzione di
perdere” propose Susan, esaltata
dall’illuminazione.
Bastò
un secondo perché i restanti si convincessero che quella
versione era la più
plausibile. Di certo, per darle il medaglione, Jadis doveva essere
ancora viva
la prima volta che ha incontrato Cathrine e pensava che avrebbe potuto
prenderla con sé una volta eliminati Aslan e i Pevensie. Era
talmente sicura
della sua vittoria che aveva già pianificato azioni
successive alla loro
guerra, ma quando i suoi piani andarono in fumo, non poté
più tornare dalla
giovane che rimase con i suoi genitori, ignara della vera origine del
suo
medaglione e di aver conosciuto Jadis.
“Evidentemente
però non siamo riusciti a eliminare del tutto la strega.
Forse, per salvarsi la
vita, si è auto imprigionata in una sorta di mondo parallelo
dove è rimasta per
tutto questo tempo, in attesa del momento propizio per
tornare” ragionò Edmund.
Caspian
annuì e aggiunse “E a quanto pare aspettava solo
che Cathrine fosse abbastanza
grande per usufruire appieno di una sua possibile alleanza per tornare
da lei
e, successivamente, in questo mondo da vincitrice”
Susan
sospirò. “Temo che sia andata così. Ma
ora dobbiamo impedirle di concludere il
suo piano. Mi preoccupa il fatto che possa entrare in contatto con lei
così
facilmente e senza che noi ce ne accorgiamo”
“Non
piace nemmeno a me Susan, credimi” commentò Peter.
“Ma
c’è una cosa che mi preoccupa ancora di
più” proseguì la regina come se non
avesse sentito il fratello.
“Cosa?”
domandò Edmund.
“Che
Cathrine non abbia la minima idea di chi sia la donna misteriosa delle
sue
visioni e che si fidi di lei. Dobbiamo dirle la
verità” e rivolse le ultime parole
in particolare al fratello maggiore.
Lui
storse la bocca in una smorfia contrariata.
“Peter,
so anche io che questa rivelazione le causerà un certo
shock. Ho capito che
considera quella donna una specie di guida e che ripone in lei la
massima
fiducia, ma non possiamo permettere che l’ignorare la sua
identità le si riveli
fatale. Hai visto cosa sta facendo?”
Il
ragazzo abbassò lo sguardo. Non voleva sentire le parole di
Susan perché sapeva
che aveva ragione. per Cathrine il non-sapere era la cosa
più rischiosa al
momento. Eppure non poteva pensare di fare crollare una certezza ad una
ragazza
che ne aveva così poche. L’avrebbe destabilizzata.
Senza contare il dispiacere
nel sapere che l’unica altra strega che conosce è
in realtà una delle persone
più spregevoli che si possano incontrare. Ma Susan
continuò spietata.
“Le
sta facendo vivere i pezzi più importanti della sua vita dal
suo punto di
vista, per farglielo comprendere e accettare, le sta facendo sentire i
suoi
sentimenti nella speranza forse che a poco a poco diventino anche i
suoi, che
le dia ragione. Ha odiato sia Aslan che noi, l’hai
sentita”
“Si,
ma solo finché è durata la visione. Quando ha
capito che i ricordi erano di
Jadis ha subito rinnegato quei sentimenti.” cercò
di minimizzare.
“Per
questa volta. E se dovesse convincerla che quello che avverte e pensa
lei è la
cosa più giusta? Che siamo noi i cattivi? Se dovesse
inculcarle il suo modo di
pensare e farsela alleata?” insinuò.
Sospirò e si avvicinò a Peter, posandogli
una mano sulla spalla.
“è
furba Peter.” Affermò accalorata “Non
sta usando la violenza per farsela amica.
Si è conquistata la sua fiducia e a pian piano la sta
rendendo partecipe del
suo mondo.”
“Per
Cathrine al momento la persona di cui si fida e quella alla quale
appartengono i
ricordi sono due persone diverse. La sua fiducia non va a
Jadis”
“Per
ora, ma prima o poi la strega le si rivelerà, probabilmente
sta cercando di
farle svelare il mistero da sola un passo alla volta. Così
quando comprenderà
sarà entrata nel suo mondo e nel suo modo di pensare quel
tanto che basta per
far si ché la diffidenza che ora prova per Jadis sia ridotta
a tal punto da
essere battuta dalla fiducia che prova per la donna. Così
finirà per estendere
quel sentimento anche alla strega. E ci riuscirà, pensa a
quello che le offre.
La compagnia di una persona che può comprenderla alla
perfezione, di una
persona come lei, una strega che le spieghi l’origine dei
suoi poteri e che le
dia la risposta a migliaia di altri quesiti rimasti da sempre
irrisolti.” Si fermò
un attimo prima di riprendere con un tono più calmo.
“Cathrine se ne sentirà
attratta e sentirà di appartenere per forza di cose alla
parte di Jadis, se noi
non la informiamo per tempo di che persona sia lei e che la suddetta
persona
coincide con la donna misteriosa delle sue visioni. Ma dobbiamo farlo
adesso.
Ora che l’odio per Jadis è ancora più
forte della fiducia per la donna.”
concluse risoluta.
Peter
sospirò, battuto. Purtroppo
aveva
ragione, il rischio che stavano correndo era enorme, non potevano
permettersi
un’alleanza tra le due streghe, ma soprattutto, non poteva
permettere che Jadis
riuscisse ad intrappolare Cathrine in una spirale di false promesse e
bugie per
sfruttare la sua magia. “D’accordo, gliene
parlerò io domani, la metterò in
guardia”
“Scusatemi
se infierisco, ma a me preoccupa anche un’altra
questione” si inserì Edmund.
Quattro
paia di occhi si soffermarono sulla sua figura appoggiata alla parete
della
stanza.
“Ossia?”
“Avete
visto cosa c’è in corridoio? Peter, lei hai detto
che è stata opera della
strega ma sai perfettamente che non è così. Quel
ghiaccio lo ha fatto apparire
lei, eravamo lì mentre la lastra prendeva forma. Senza
contare gli occhi che
aveva quando li ha aperti, mi ha fatto sinceramente paura per un
attimo”
“Cosa
vorresti insinuare Edmund?” domandò Lucy cauta,
come se temesse la risposta.
“Che
forse il collegamento tra Jadis e Cathrine potrebbe essere
più forte di ciò che
sappiamo o pensiamo. Solo la Strega Bianca poteva produrre del ghiaccio
in quel
modo, è stato differente rispetto a come fa apparire le
sfere o i fiori. Lì
concentra la magia nel palmo e modifica l’ambiente
circostante, il ghiaccio proveniva
da lei, e Cate ne faceva parte, erano un tutt’uno. E gli
occhi quando li ha
aperti erano della stessa sostanza della lastra, freddi, calcolatori,
quasi
crudeli. Identici a quelli di Jadis” si spiegò il
ragazzo con calma, posando
bene ogni parola.
Peter
si alzò di scatto e guardò irato il fratello.
“Stai supponendo che Cathrine
possa essere una Strega Bianca?” il tono era intimidatorio
mentre gli occhi
azzurri lanciavano lampi adirati. Il discorso del giovane non gli era
piaciuto
affatto. Anche lui aveva notato le stesse identiche cose, era stato uno
shock
quando la sua Cathy sollevando le palpebre gli aveva mostrato uno
sguardo
glaciale invece del suo limpido e sconfinante nella dolcezza. Ma lo
aveva
deliberatamente ignorato, la sua mente si era rifiutata di
soffermarcisi, come
osava ora Edmund porre l’accento proprio su quella questione.
“Dico
solo ciò che ho visto” si difese lui sostenendo
l’occhiata del biondo.
“Una
lastra di ghiaccio non implica niente, potrebbe semplicemente essere
stata una
conseguenza della connessione mentale tra lei e Jadis. Non possiamo
saperlo.” Lucy
cercò di intervenire per acquietare gli animi dei due
ragazzi.
“Quello
che sappiamo invece è che Cathrine è una ragazza
buona, che è dalla nostra
parte, che è pronta ad aiutarci e che va assolutamente
protetta da Jadis.”
Aggiunse poi con ardore Peter, sempre guardando truce il fratello.
“In
più ha appena rischiato la vita per salvare Peter. Non puoi
dubitare di lei”
ricordò Susan.
“Non
dubito della sua buona fede, sono convinto anche io che Cathrine non ci
tradirebbe mai di sua volontà. Temo solo quale sia
l’origine dei suoi poteri.
Se fosse una Strega Bianca e si venisse a sapere scoppierebbe il
finimondo.
Senza contare che potrebbe essere un’ulteriore legame con
Jadis e che potrebbe
aiutare la strega a legarla a sé. Potrebbe fornire un
rapporto ancestrale e
indissolubile” propose.
“Sono
solo supposizione infondate. Non esiste alcuna prova”
ribatté Peter con un tono
che non ammetteva repliche.
Poi
si rivolse nuovamente a Susan. “Domani le parlerò
delle nostre convinzioni, non
le nasconderò niente, a parte quest’ultimo
appunto. È solo una supposizione
priva di fondamento, non voglio preoccuparla più del
necessario con false
notizie riguardo i suoi poteri, intesi?” e con questo chiuse
la questione
lasciando a gran passi la stanza.
Cathrine
non era una Strega Bianca, era indifesa e troppo altruista per esserlo,
dell’egoismo e della crudeltà di Jadis non sapeva
nemmeno l’esistenza, come
poteva provarlo? Era infamante anche solo supporlo. Dirglielo poi era
fuori
discussione. Non l’avrebbe mai esposta all’accusa
ridicola di poter essere
simile a Jadis, mai, né glielo avrebbe fatto credere.
Né l’avrebbe terrorizzata
con l’idea di un… come lo aveva chiamato? Ah, si,
rapporto ancestrale che le
univa. Era un’idea ridicola.
Arrivò
dinanzi alla sua camera quasi senza accorgersene. Posò una
mano sulla maniglia e
subito si rilassò all’idea che lei era
là dentro che lo aspettava, per il
momento completamente al sicuro, come avrebbe dovuto esserlo in ogni
secondo.
L’avrebbe difesa dalla Strega Bianca, non avrebbe permesso
che inquinasse il
suo animo puro. L’avrebbe ricacciata dal limbo dalla quale
era tornata e questa
volta per sempre.
*
Seppellita
fino al mento sotto le coperte, aspettavo l’arrivo del mio
angelo. Inutile
anche solo tentare di prendere sonno. Ero veramente stanca ma ero anche
troppo
agitata per assopirmi. Ogni minimo rumore mi faceva scattare seduta,
impaurita
dalla possibilità di ritrovarmi la Strega in camera, venuta
a prendermi. Non
sapevo come facesse a sapere di me né cosa mai avrebbe
potuto desiderare da una
diciassettenne però non era difficile immaginare che
qualunque fosse il motivo
non avrebbe avuto risvolti benevoli per me. In più
continuavo ad interrogarmi
su cosa mi avrebbe fatto vedere la donna misteriosa se lei non si fosse
intromessa. Avrei davvero finalmente scorto la dimora di cui tanto
parlava?
Un
cigolio mi distolse dai miei pensieri. Una fioca luce entrò
dentro la camera
mentre la porta si apriva sotto la spinta della mano del giovane re di
Narnia.
Un sorriso beato mi si dipinse sul volto. Era arrivato.
Mi
misi seduta sul letto e gli feci posto. Lui non esitò ad
avvicinarsi e si
accomodò accanto a me, cingendomi subito le spalle con il
braccio. La mia testa
trovò meccanicamente posto nell’incavo del suo
collo, come se fosse stata fatta
apposta per accoccolarsi in quel luogo caldo e morbido, mentre le mie
braccia
correvano per circondargli il petto e la schiena ampia in un abbraccio.
“Sei
arrivato” esordii con un sospiro intriso di
serenità. Ora che lui era lì i miei
nervi potevano cominciare a rilassarsi così come i pensieri
che fino ad un
attimo prima si accalcavano confusamente nella mia povera testa.
“Te
lo avevo promesso” mi sussurrò tra i capelli.
“Come stai?”
“Va
meglio. Ho smesso di sentire male per colpa del leone. È
rimasta solo la
stanchezza” lo assicurai.
“Per
quella basta un po’ di sano riposo”
commentò. “Psicologicamente invece?”
Sempre
così premuroso, pensai con tenerezza.
“Bene,
vorrei solo poterne sapere di più sulle motivazioni che
spingono Jadis ad
entrare in contatto con me. L’incertezza è
logorante” aggiunsi ironica cercando
di minimizzare l’angoscia che in realtà provavo.
Lui
aumentò la stretta, probabilmente capendo anche
ciò che avevo taciuto come
sempre. “Domani ne parleremo poi con più calma.
Ora sei troppo provata per
sostenere una discussione seria” promise.
Gli
diedi ragione. La lucidità mi aveva abbandonata da un pezzo,
era già molto se
riuscivo ancora a comprendere le frasi più semplici. Cercai
di trattenere
l’ennesimo sbadiglio. Ora che ero tra le sue braccia,
rilassata e al sicuro, la
stanchezza era tornata a bussare prepotente alla mia porta, senza
trovare
l’agitazione come ostacolo. Ero finalmente in condizione di
dormire.
“è
meglio che vada, così puoi addormentarti” Peter,
notando il mio sbadiglio mal
celato, si alzò dal letto ma io gli trattenni il braccio con
veemenza,
terrorizzata all’idea di rimanere sola.
“No”
il tono era simile ad una supplica.
Il
sovrano mi guardò sorpreso e io, pur consapevole di star
facendo la figura
della stupida, proseguii. “Per favore. Non voglio restare
sola, non riuscirei a
dormire, ho troppa paura”
Calarono
cinque secondi di silenzio nei quali io mi maledissi mentalmente per la
mia
piccola e idiota sceneggiata, ma pregavo con tutto il cuore che
accogliesse la
mia preghiera. Trattenni il respiro. Sapevo che era una richiesta
egoista. Gli
stavo chiedendo di trascorrere la notte assieme a me per farmi da
angelo
custode, probabilmente accettare era troppo anche per lui. In
più avrebbe
potuto pensare che passare la notte insieme potesse essere troppo
impegnativo,
in fin dei conti ci conoscevamo da pochi giorni per dormire
l’uno accanto
all’altro, ma al momento l’etica morale era
l’ultima cosa che mi interessava.
Avevo bisogno di avvertire la sua presenza, di sentirmi protetta e solo
lui
sapeva darmi quel senso di sicurezza alla quale anelavo disperatamente.
Poi
finalmente scorsi sul suo viso un sorriso comprensivo e…
felice? Sospirai di
sollievo. Evidentemente non mi aveva giudicata inopportuna
né morbosa, aveva
compreso la mia preoccupazione, come solo lui sapeva fare. Il mio non
era solo
un capriccio, avevo davvero bisogno di averlo accanto se volevo sperare
di
riposare e non cadere in crisi isterica ogni qual volta udivo uno
scricchiolio.
“Sei
sicura di volere che dorma accanto a te?” mi chiese
sorridendomi.
Annuii
senza esitare. “Ho bisogno di te” sussurrai e a
quelle parole vidi i suoi occhi
azzurri scintillare nella semi-ombra. “Ma solo se per te non
è un problema”
aggiunsi, conscia di non poterlo costringere.
“Se
non lo è per te non lo è nemmeno per me. Mi fa
sentire più tranquillo anche a
me il saperti al sicuro tra le mie braccia” mi
confidò premuroso.
Ringraziai
il cielo che la luce in quella stanza fosse poca altrimenti mi avrebbe
vista
divenire bordeaux. Non poteva dirmi queste cose senza preavviso, il mio
cuore
non era abituato a scattare come un corridore, rischiavo di farlo
morire un
giorno o l’altro.
Si
riaccomodò al mio fianco e io gli feci posto sotto le
coperte. Rimisi la mia
testa al suo posto mentre il suo braccio tornava a circondarmi le
spalle.
Colta
dalla beatitudine più totale mi raggomitolai contro il suo
petto, inspirando a
pieno polmoni il suo odore inconfondibile e delizioso e la sua mano
cominciò
lenta e rassicurante ad accarezzarmi i capelli.
“Grazie”
mormorai a mezza voce, già sulla via del sonno. Lui mi
baciò delicato la fronte
e il mio cuore fece un altro scatto.
“Dormi
mia piccola stella. Veglio io sul tuo riposo”
Ora
finalmente avrei potuto addormentarmi. Accanto a lui i rumori non mi
procuravano più timore, il buio perdeva il suo carattere
intimidatorio per
diventare un mantello caldo e sicuro che nascondeva il nostro dolce
abbraccio.
Il
sonno mi accolse tra le sue spire, ma non caddi tra le braccia di
Morfeo. Il
Dio greco potevo lasciarlo agli altri, io avevo il mio angelo custode.
Difatti fu
tra le sue braccia accoglienti e con mute promesse di amore che riuscii
in fine
a trovare riposo.
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Capitolo 12 *** 11_Tra il passato e il futuro c'è l'amore ***
Ciao a tutti^^! e
finalmente Keira riuscì a finire l'undicesimo capitolo!
Ormai disperavo io per prima di giungere al termine -.-!
Però alla fine ci sn riuscita e spero tanto che vi piaccia
:-) mi scuso in anticipo per gli amanti della coppia SusanxCaspian
perchè il capitolo è interamente incentrato su
Cathy e Peter però mi farò perdonare con il
prossimo ^^ ci sn molti sviluppi in qst cappy, il
romanticismo si mescola alle rivelazioni^^ spero che il mix sia
riuscito bene!
Vi auguro una buona
lettura, grazie di cuore a coloro che hanno letto e/o aggiunto la ficcy
tra i preferiti^^ thanks^^!
Ringraziamenti:
risotto:
nn ti devi scusare sono ioche ti ringrazio tantissimo per la tua
recensione e per l'entusiasmo con la quale segui la storia,
grazieeeee^^!!!! **!!! Sn davvero felice che ti piaccia
così tanto :-)!!!! In qst cappy purtroppo Susan e Caspian
lasciano il campo a Cathy e Peter però ti assicuro che il
prossimo cappy aprirà proprio con loro due,quindi avranno il
loro riscatto :-)! Spero che il cappy nn ti deluda anche se
è senza di loro due :-) fammi sapere cosa ne pensi ^^ ti
mando un bacio grande grande^^!
debby95:
glasie^^! addirittura strepitoso, troppo
buona :-)! Sono contenta che ti sia piaciuto il capitolo!
spero che anche questo ti piaccia come il precedente ^^ fammi
sapere come ti è parso :-) kisskisses ^^!!
noemi_moony:
sono stra felice che la storia ti piaccia così
tantoooo^^!! grazie infinite:-)! E mi fa piacere sapere che ti sei
immersa così tanto nella trama ^^! Questo cappy è
interamente dedicato a Peter e Cathy
quindi spero tanto che ti piaccia e che li troverai teneri
come solo loro sanno essere ;-)! Fammi sapere se ti è
piaciuto, ti mando un grande abbraccio!!
KissyKikka:
ciao! Non è necessario che ti scusi anzi, ti sono super
grata del fatto che apprezzi tanto la mia storia al punto da
voler dedicare così tanto tempo alla sua recensione, nn ho
parole **!!! Grazie di cuore :-)!!!!!!!!!!!!!!! Aspetto la tua
recensione allora, grazie ancora**!!!!!!! Però nn vorrei
diventasse un peso dover recensire il capitolo, mi piacciono
davvero molto le tue recensioni super argomentate però
quando non riesci per mancanza di tempo o ispirazione nn preoccuparti,
nn vorrei fosse un obbligo >< nn mi azzarderei mai a
criticare nessuno per una mancata recensione, sono
già
contenta sapendo che la storia ti piace e che l'hai letta, ogni
recensione è un regalo in più, specialmente le
tue così ricche e buone nei confronti della ficcy :-)!!!
Spero comunque che riuscirai a trovare il tempo per recensire :-) anche
se in caso contrario nn ti devi preoc :-) ti mando un ringraziamento
grande grande e un bacio ancora più grande!! ^^!!
sweetophelia:
Ciao! Wow addirittura scrivere un libro!!!!! Sei troppo
troppo buona!!!! Non dico che nn mi piacerebbe, anzi, sarebbe
senz'altro un sogno :-) ma temo dovrà passare ancora un
sacco di acqua sotto i ponti prima che riesca realmente a scriverne
uno! Però la speranza
è l'ultima a morire come si dice :-)! Intanto di ringrazio
veramente tanto :-)!!! Hai ragione sul fatto che Cate deve tenere gli
occhi ben aperti, le insidie e i pericoli sono alle porte ormai,
già in questo capitolo verrà fatta la prima
mossa, ma nn aggiungo altro :-) Spero che il cappy ti paiccia, fammi
sapere ciò che ne pensi ^^! Un bacio grandeee^^!
Vi
lascio alla lettura
Un
bacio a tutti coloro che leggeranno e/o recensiranno!
Kisskisses
68Keira68
11_Tra
il passato e
il futuro c’è l’amore
Nella
quiete beata della stanza, mi giovavo della magnifica sensazione della
consapevolezza di aver dormito tra le braccia di Peter, il mio angelo
che ieri
sera aveva accettato di trascorrere la notte accanto a me per farmi
addormentare. Potevo affermare che ci era riuscito. Erano passati a
mala pena
cinque minuti da quando si era sdraiato accanto a me che già
dormivo
profondamente. Ed era stato uno dei sonni più ristoratori
che avevo fatto da
quando la donna misteriosa aveva iniziato le sue visite. Non era venuto
nessuno
a disturbarmi, né avevo fatto brutti sogni,
poiché nemmeno gli incubi osavano
sfiorarmi se c’era lui a proteggermi.
Una
parte di me, una piccolissima parte di me, era cosciente che avrei
dovuto
quanto meno provare un lieve imbarazzo all’idea di aver
passato la mia prima
notte con un ragazzo, eppure il disagio era l’ultima delle
mie emozioni al
momento. Al contrario, mi sentivo in pace con me stessa. Una sensazione
di
benessere mi cullava portandomi alla deriva della mia coscienza, dove
dimoravano unicamente i pensieri lieti. Le preoccupazioni al momento
erano
state bandite. Forse lo stare tra le sue braccia protettive mi sembrava
così
giusto perché lui era la persona giusta. La persona che
amavo e dalla quale
dipendeva la mia intera esistenza.
Si,
era senz’altro per questo motivo.
Aprii
gli occhi e mi godetti a pieno la visione che mi veniva offerta. La
stanza era
illuminata dai raggi del sole mattutini che si facevano strada dalla
finestra
fino al volto di Peter. Stava ancora dormendo, i lineamenti erano
rilassati,
gli angoli della bocca distesi in un accenno di sorriso.
Chissà cosa stava
sognando che gli conferiva un’aurea di così
assoluta tranquillità. Cedetti
all’impulso irresistibile di sfiorare quel viso perfetto. Mi
appoggiai su un
fianco per scostargli il ciuffo biondo dagli occhi ora chiusi e lasciai
che le
mie dita percorressero il profilo del suo volto. Iniziai dalla fronte,
scendendo giù per le palpebre, accarezzai lo zigomo destro
fino al mento, poi
risalii su e delicatamente toccai il contorno delle sue morbide labbra.
Al mio
contatto esse si dischiusero e prima che me ne accorgessi, depositarono
un
casto bacio sulle mie dita. Le sue palpebre mi regalarono lo splendore
dei suoi
zaffiri illuminati da un sorriso spontaneo.
“Buongiorno
mia stella” mi salutò la sua voce vellutata se pur
incrinata dal sonno.
“Ben
svegliato”
Mi
avvicinò a sé
con delicatezza e mi
scoccò un bacio sulla fronte.
“Dormito
bene?”
“Meravigliosamente.”
Gli assicurai stiracchiandomi le braccia nonostante lo spazio
disponibile, dato
il suo abbraccio, fosse poco. Ciò nonostante me lo feci
bastare, non mi sarei
sciolta da quella posizione nemmeno se avessi avuto tutte le ossa in
criccate.
“Tu?”
“Meravigliosamente”
mi copiò probabilmente divertito dal tono estasiato che
avevo incoscientemente
utilizzato.
Adagiai
la mia testa sul suo petto e chiusi gli occhi, beandomi del ritmo
costante del
suo cuore mentre la sua mano mi accarezzava il braccio.
“Sai,
temo che prima o poi dovremmo alzarci dal letto”
suggerì dopo diversi minuti
Peter.
Scossi
la testa. “No, non credo sia necessario” risposi
noncurante. Per me potevano
anche chiuderci a chiave dentro e lasciarci lì.
Ridacchiò,
facendo rimbalzare i miei boccoli rossi sulla sua camicia bianca.
“Nemmeno
io Cathy, ma sono certo che mia sorella non sia dello stesso avviso
come anche
gli altri. Non vorrei vedere Susan entrare come un tornato in camera e
buttarci
fuori di peso” osservò ilare.
Feci
una smorfia. Già mi immaginavo il “sergente
Susan” sbattere la porta e
cominciare a sbraitare su quanto lavoro ci fosse da fare e su come
dovevamo
renderci utili per Narnia invece di stare a poltrire a letto.
“Sia
mai che mi perda i miei esercizi” commentai sarcastica,
rattristandomi alla
sola idea di sciogliere l’abbraccio. Non c’era un
modo per saldare le sue
braccia alle mie spalle vero? Peccato.
“Se
ti può rallegrare, oggi non farai le tue
esercitazioni”
Guardai
il biondo con occhi adoranti. “Davvero?” Se era la
verità, quella si
prospettava una giornata splendida.
Il
re annuì sorridendo alla mia reazione. “Ti porto
in un posto” disse con aria di
chi la sa lunga.
“Un
altro dei tuoi posti segreti?” Gli chiesi ilare.
“Lo
vedrai”
Gli
feci la linguaccia per la risposta vaga e lui scoppiò a
ridere.
“Vestiti
Cathy. Io vado sotto a preparare psicologicamente Susan alla nostra
partenza e
a vedere se in cucina è rimasto qualcosa da mangiare dato
che ormai sarà
mezzogiorno passato” mi avvisò.
“Mezzogiorno?”
ripetei incredula. Avevamo dormito per così tanto tempo?
“è
stata una notte lunga” mi ricordò con tono
allusivo.
Annuii,
tornando seria pensando alla serata appena trascorsa. Era stata davvero
lunga.
Scossi la testa come per far scivolare via da me quei pensieri. Non
volevo
soffermarmici adesso. Era una mattinata così bella, non
volevo rovinarla con
stupide elucubrazioni.
Peter
uscì dalla stanza seguito dal mio sguardo,
dopodiché mi diressi al cassettone
pronta a rispettare la consegna affidatami. Lo aprii, trovandomi
dinanzi una
discreta scelta di vestiti fornitami gentilmente da Lucy. Ne afferrai
uno blu
cobalto e lo appoggiai sul letto, dopo mi dedicai alla sottile arte
denominata
“togliere con successo e senza avere una crisi isterica un
vestito medioevale”,
cosa tutt’altro che semplice e che ogni volta mi ricordava
quanto mi mancassero
i jeans.
Cercai
di ricordarmi i consigli di Susan e cominciai a sfilare i nastri e
nastrini che
mi imprigionavano dentro il tessuto viola. Fu una battaglia senza
esclusione di
colpi ma alla fine ebbi la meglio sull’abito, che
appallottolai sul letto con
grande soddisfazione. Agguantai l’altro, lieta che infilare
quelle trappole era
molto più facile che toglierle. Messo al suo posto anche
l’ultimo nastrino
guardai il risultato allo specchio. Scollo a V, maniche a sbuffo con
pizzetto
sull’orlo, corpetto morbido che fasciava i fianchi, cintura
azzurra con motivo
a fiore che dava inizio ad una gonna ampia e liscia. Lucy aveva davvero
buon
gusto, occorreva ammetterlo. Presi la spazzola e mi sistemai i capelli
per
quello che i ricci consentivano, pensando inorridita che Peter aveva
visto il
pietoso spettacolo della mia capigliatura di prima mattina. Pazienza,
mi aveva
trovata in mezzo ad un bosco dopo due giorni passati in mezzo agli
alberi, se
aveva sopportato quello avrebbe certamente superato anche questo.
Soddisfatta
del risultato, ora che i capelli ricadevano nuovamente morbidi sulle
spalle e
non erano più aggrovigliati sul mio capo, infilai le
ballerine e mi diressi al
piano di sotto, sperando che Susan non avesse legato Peter ad una sedia
per
farlo restare. Anche se, pensai
furbescamente, in tal caso avrei sempre
potuto addormentarla e fuggire con il ragazzo.
Discesi
le scale giungendo nell’ingresso, trovandola come sempre
piena di
indaffaratissime creature mitologiche. Anche
troppo impegnate per essere creature teoricamente
inesistenti… considerai
ironica.
“Cathrine!”
un fulmine castano mi circondò la vita in meno di un secondo.
“Buongiorno
anche a te Lucy” salutai la bimba ridendo del suo modo di
fare espansivo.
“Come
stai?” si informò subito scostandosi quel tanto
che bastava per fissarmi in
viso.
“Bene
grazie. Ho riposato come un angioletto” la rassicurai. Mai parole furono più vere.
Lucy
mi sorrise maliziosa. “Oh, ne sono certa. Tutto merito del
cuscino vero?” e mi
fece l’occhiolino.
Divenni
rossa di colpo per la battuta e per togliermi dall’imbarazzo
le pizzicai un
fianco. “Spiritosa!”
Cercai
di cambiare in fretta argomento. “Piuttosto, sai dove si
trova Peter?”
D’accordo,
ammetto che quella non era la migliore delle domande per sviare il
discorso da
me e il biondo, ma avevo bisogno di quell’informazione,
cos’altro potevo fare?
Comunque fortunatamente Lucy parve intuire il mio stato
d’animo e non lanciò
altre frecciatine.
“è
nella stalla. Presumo ti stia aspettando” mi
informò.
La
risposta mi sorpresa. Possibile che il sergente avesse dato il via
libera così
velocemente?
“Scusami,
ma non è andato da Susan?”
“Si
ma lei non ha fatto storie. Ha chiesto solo di non far tardi che domani
ci sono
gli ultimi preparativi”
“Wow”
esclamai stupefatta. La veglia notturna l’aveva provata al
punto da rabbonirsi
così tanto? Decisi che era meglio non indagare oltre ma di
cogliere al volo
l’occasione.
“Bene,
allora scappo prima che cambi idea. Salutami Edmund e gli altri e
ringraziali
per questa notte” la salutai con un bacio sulla guancia.
“Divertitevi
piccioncini” disse facendo ritornare l’occhiata
sorniona di prima.
Le
feci la linguaccia mentre mi dirigevo verso l’esterno. Figuriamoci se non doveva dare la frecciatina
finale.
Con
un’agile slalom tra carpentieri e improvvisati armaioli,
riuscii a raggiungere
la porta d’ingresso.
Una
volta all’aperto lasciai che i miei occhi si abituassero
gradualmente alla
calda luce di mezzogiorno. Quando finalmente vidi con chiarezza il
consueto
scenario della valle verde e rigogliosa dinanzi a me, mi mossi verso la
stalla,
godendomi la brezza tiepida che mi accarezzava donandomi un lieve
sollievo dal
calore dei raggi.
Pochi
passi e raggiunsi la mia meta, una seconda apertura sul lato destro
dell’edificio che immetteva in un grande ambiente diviso in
più rettangoli da
steccati in legno. Il pavimento era interamente ricoperto dalla paglia
e cumuli
di fieno erano disseminati in tutti gli anfratti, così come
gli abbeveratoi.
Ogni rettangolo era aperto, non un solo lucchetto osava entrare nella
stanza
come non si trovava un solo cavallo legato alla palizzata, cosa
impensabile
nelle stalle di Londra. Ma dopotutto anche i cavalli che lì
vi abitavano erano
impensabili nell’Inghilterra che conoscevo io. Gli equini nel
mio mondo non
parlavano e di certo non erano acuti come quelli qui presenti che al
momento
stavano conversando tra loro come se fossero inquilini di un
appartamento
invece che dei cavalli in una scuderia. La scena, se vista da un
estraneo, era
senz’altro assurda e inconcepibile, ma dopo alcune settimane
ci avevo fatto
l’abitudine. Incredibile che si riesca ad adattarsi a tutto,
anche agli equini
parlanti.
“Ma
guarda, la miglior cavallerizza che Narnia abbia mai visto”
una voce sarcastica
mi giunse da sinistra.
Rettificai
immediatamente il pensiero di prima. A tutto si, ma non agli equini
parlanti
vanesi e ironici.
“è
sempre un piacere Fulmine” gli risposi simulando un tono di
sufficienza. Sentii
dei nitriti divertiti provenienti da un paio di cavalli accanto al mio.
Fantastico, chissà cosa gli ha
raccontato quel
simpaticone di Fulmine, ormai sarò diventata lo zimbello
dell’intera scuderia,
pensai digrignando i denti.
“Eccoti
finalmente, temevo ti fossi riaddormentata” una voce ben
più piacevole mi si
avvicinò.
“Sono
stata trattenuta da Lucy, voleva sapere come stavo” gli
spiegai sorridendo e
ignorando completamente Fulmine.
Fece
cenno di aver compreso . “Ora che sei qui, possiamo
partire.” Mi prese per
mano, ci avvicinammo a Fulmine e mi aiutò a salire in sella.
“Era
troppo ottimistico sperare che dopo giorni e giorni imparassi a montare
da sola
vero?” commentò sarcastico il cavallo. Gli diedi
un colpetto con i talloni come
risposta.
Intanto
Peter mi si era accostato in groppa al suo destriero, che avevo
scoperto si
chiamasse Dexter, e insieme uscimmo dalla stalla al galoppo, andando
incontro
al caldo sole estivo.
Solo
due metri dopo il mio stomaco mi ricordò di un piccolo e
insignificante
dettaglio che avevo tralasciato.
“Peter,
giusto per curiosità, nel posto in cui mi stai portando
c’è una cucina?”
domandai preoccupata.
Lui
mi lanciò un’occhiata confusa.
“C’era, ora però temo sia inagibile.
Perché?”
“Perché
io non ho fatto né colazione né pranzo”
gli rammentai costernata. Non avrei
toccato cibo fino a sera?
Mi
sorrise malandrino. “Ho pensato a tutto io, ho fatto un salto
in cucina prima
di andare nelle scuderie” e diede qualche colpo leggero con
la mano ad una
sacca appesa alla sella.
La
mia pancia sospirò di sollievo. “Meno male.
Comunque sia nei peggiori dei casi
c’era sempre Fulmine” scherzai simulando un tono
calmo.
Il
cavallo in questione a quelle parole si agitò e
nitrì forte. Mi appiattii
immediatamente sulla sua schiena, tenendo forte le redini, pronta ad
una
reazione simile.
“Ehi,
ti stavo solo prendendo in giro!” gli urlai tra le risate,
seguita a ruota da
Peter.
“Prova
a ripeterlo e ti disarciono” mi minacciò Fulmine,
affatto divertito.
“Come
sei suscettibile” commentai guardandomi attorno ancora
ridendo. Avevamo
oltrepassato la lunga vallata verde che circondava l’edificio
e ci eravamo
addentrati dentro la foresta, tra gli alberi secolari di Narnia
profondamente
addormentati. I raggi solari filtravano allegri tra le fronde creando
particolari giochi di luce sulle foglie e sui tronchi abitati dai
piccoli
animali del bosco. La quiete regnava sovrana e io potevo respirarla a
pieni
polmoni insieme all’odore della resina e del muschio, un vero
tocca sana per
una ragazza abituata solo all’inquinamento cittadino.
Passarono quindici minuti
dove l’unico rumore era quello procurato dagli zoccoli dei
nostri cavalli al
trotto, ma come sempre mi succedeva con Peter, il silenzio era
tutt’altro che
sgradito. Eravamo semplicemente rilassati, lieti l’uno della
presenza
dell’altro e tanto bastava a renderci felici. Le parole in
quel momento erano
superflue.
Feci
passare altri dieci minuti godendomi l’atmosfera prima di
pronunciare una frase
con il solo scopo di sentire la sua voce argentea in risposta.
“Potresti
dirmelo dove mi stai conducendo” insinuai, certa che non me
lo avrebbe rivelato
mai.
“Te
l’ho detto. In un bel posto” mi rispose,
accontentando il mio inespresso
desiderio.
“Ah,
ah, spiritoso”
Lui
sorrise divertito, poi mi fece cenno di guardare davanti a me con il
capo.
Obbedii incuriosita. Eravamo quasi alla fine del bosco, gli arbusti si
facevano
più radi e la luce ci raggiungeva con meno impedimenti.
“Se riesci a rimanere
in sella, tra poco siamo quasi arrivati” mi prese in giro.
La
presi come una sfida. Assottigliai lo sguardo e lo provocai
“Vuoi vedere che
arrivo laggiù” ed indicai con il capo il limitare
della foresta “prima di te?”
“Cathy,
per favore, non voglio che tu ti faccia male correndo, limitiamoci al
galoppo
ok?” mi redarguì ironico.
Sapevo
che non avevo la benché minima possibilità di
batterlo se avessi dovuto basarmi
solo sulle mie abilità di cavallerizza. Probabilmente mi
sarei davvero fatta
male, come pensava il biondo, ma per mia fortuna non dovevo far conto
su me
stessa. Se la gara avesse avuto realmente luogo, avrei riposto la mia
fiducia
in Fulmine. Poteva essere irritante e vanesio ma ero certa fosse un
ottimo
cavallo pur non intendendomene particolarmente. Con lui potevo avere
qualche
possibilità di vittoria, dovevo solo rimanere aggrappata
alla sella. “Ma certo,
se non te la senti posso accettare la storia che lo fai per il mio bene
come
scusa.” suggerii melliflua, sicura che dopo quelle parole
avrebbe accettato la
gara.
Difatti…
“D’accordo, se ci tieni ad essere sconfitta,
accetto la sfida” dichiarò alzando
la mano in alto. “Al mio segnale”
Io
mi accucciai sulla schiena del mio destriero per sussurrargli
all’orecchio
scuro “Fulmine, mi raccomando, devi farmi vincere, non
deludermi”
Il
cavallo alzò la testa altezzoso “Mi hai preso per
un novellino? Io sono Fulmine
di nome e di fatto. Piuttosto tu tieniti forte e non cadere”
esclamò.
Sghignazzai
alla risposta e accettai il consiglio aumentando la presa sulla sella e
stringendo le gambe ai fianchi del cavallo, poi aspettai pronta il
segnale di
Peter.
“Tre,
due, uno…via!” e abbassò la mano.
Partimmo
entrambi con uno scatto veloce. Mi accucciai ancora di più
sul dorso del mio
destriero, nel tentativo di ripararmi dal vento che improvvisamente
colpiva
violento il mio viso a causa dell’aumento di
velocità. Mi fu subito chiaro che
Fulmine non aveva peccato di megalomania. Andava davvero veloce, tanto
che
bastarono pochi passi per staccare il povero cavallo bianco di Peter
che
attualmente si affannava per recuperare il terreno perduto. Avevo ben
riposto
la mia fiducia, la vittoria era nostra. Il traguardo era quasi
raggiunto,
decisi quindi di godermi gli ultimi metri a testa alta, gustando
l’ebbrezza
della velocità. Il mio cuore batteva veloce in sintonia con
il galoppo del
cavallo, sentivo l’eccitazione scorrere insieme al sangue ed
era una sensazione
stupenda, mi faceva sentire libera. Con i capelli in balia del vento e
gli
occhi accessi dall’euforia, raggiunsi la meta prescelta
insieme al mio compagno
di squadra.
“Vittoria!”
urlai felice e ridendo.
Fulmine
fece un paio di salti, molto piccoli per non disarcionarmi, e corse in
cerchio qualche
minuto per festeggiare.
Poco
dopo ci raggiunsero anche Dexter e Peter, il primo con il fiatone,
l’altro con
sguardo di sufficienza.
“Vittoria”
mi scimmiottò “ma se ha fatto tutto Fulmine? Tu
non hai contribuito
minimamente!” si lamentò. Lo stallone in questione
nitrì di approvazione
meritandosi uno scappellotto da parte mia sul lungo collo, anche se
sicuramente
fece più male a me alla mano che a lui.
Rivolgendomi
poi a Peter scossi la testa e gli sorrisi saccente. “Ti
ricordo che sono il
cavaliere di Fulmine, quindi i suoi successi si estendono
automaticamente a me”
gli feci notare.
Sbuffò
sonoramente e scese con un salto giù dal suo cavallo,
mormorando un “Come no,
ne riparliamo quando dovrai cavalcare un destriero di Telmar o di
un'altra
città e non più uno di Narnia,
d’accordo?”
Feci
una smorfia divertita. Certo che non ama
perdere…
Mi
si accostò e mi prese per la vita, offrendomi le sue
braccia, che accettai
senza esitazione, come sostegno per scendere.
“Vieni,
siamo arrivati” mi informò lasciandosi la sfida e
i cavalli alle spalle.
Mi
guardai attorno. Eravamo su un promontorio alberato che dava sul mare
preceduto
da uno spicchio di spiaggia bianca. C’erano alberi da frutto
e cespugli fioriti
disseminati per la vasta porzione di territorio interamente ricoperta
di verde.
Anzi, quasi interamente verdeggiante. Delle rovine, nascoste per buona
parte
dall’edera e dal muschio, occupavano il centro del
promontorio. Mi ricordarono
le rovine dell’arena davanti all’edificio dove
stazionavamo.
“è
un altro dei vostri avamposti?” domandai anche se ne dubitavo
fortemente. La
costruzione che avevamo lasciato quella mattina era rovinata ma ancora
abitabile. E soprattutto era ancora in piedi mentre
l’edificio che probabilmente
una volta faceva bella mostra di sé in quel posto era stato
raso al suolo. Ne
restavano solo le fondamenta e qualche pilastro portante.
“No”
mi rispose infatti Peter. “Questa era casa nostra”
aggiunse in seguito
facendomi stringere il cuore nel sentire la forte nota malinconica
della sua
voce. Lo guardai in volto, cercando i suoi occhi per un contatto, ma il
suo
sguardo era lontano, diretto alle rovine, ma dalle sue pupille vacue
compresi
che non stava fissando le pietre color sabbia. I suoi zaffiri stavano
focalizzando cose che solo lui poteva vedere. La sua espressione era
contrita e
lontana nel tempo. Probabilmente al posto dei miseri resti che guardavo
io ora,
stava rivedendo la sua casa quando era ancora in piedi, imponente e
familiare.
Rimasi un secondo a bocca aperta quando finalmente realizzai
ciò che mi aveva
detto, mettendo in secondo piano il tono con cui l’aveva
pronunciato.
Quella era casa sua. O meglio
ciò che ne restava. E questo significava che
Peter aveva abitato su quel promontorio insieme ai suoi fratelli
più di
milletrecento anni fa. Quelle rovine avevano oltre un millennio di
storia di
cui Peter era parte integrante. Era un concetto talmente surreale che
la mia
mente era incapace di assorbirlo fino in fondo, limitandosi a prendere
coscienza solo della superficie. Quel posto era dove Peter aveva
vissuto nei
tempi d’oro di Narnia ed ora che era distrutto, lui stava
soffrendo. Un altro
pezzo del suo passato che era stato disintegrato.
“Ora
sono solo vecchie rovine ma una volta questo era il luogo
più sfarzoso
dell’intera Narnia sai?” la sua voce, ancora
lontana come i suoi ricordi, mi
riscossero. “Era il castello dei quattro troni, il palazzo
dove i quattro
ragazzi della profezia avrebbero abitato una volta salvata
Narnia” fece una
piccola pausa prima di proseguire. “Questo è quel
che rimane di Cair Paravel.”
Pronunciò con un sospiro affranto.
Il
ricordo del graffito con il castello dorato mi sopraggiunse,
lasciandomi
esterrefatta. Ma lo stupore cedette il posto alla desolazione ben
presto,
pensando alla fine che quella gloriosa costruzione aveva fatto.
“è
stata l’usura del tempo?” mormorai.
“No,
Cair Paravel è stata attaccata” mi
spiegò amaro.
Strabuzzai
gli occhi. “Attaccata? Ma chi avrebbe osato dichiarare guerra
al castello dei
regnanti?”
“Non
era più il castello dei regnanti” rispose
riprendendo le mie parole “quando è
stata colpita io e i miei fratelli eravamo tornati a Londra, Narnia era
senza
una guida e i telmarini hanno colto l’occasione per
attaccarci e sterminarci.
Non hanno lasciato in piedi nulla, hanno calpestato le nostre case e i
nostri
luoghi senza rimorso, costringendo il mio popolo, o quello che ne era
rimasto,
a rintanarsi per secoli nel cuore della foresta, mentre
quest’ultima si è
chiusa in sé stessa”. L’ultima nota fu
sibilata. I suoi occhi erano accesi
dall’ira e le mani, strette a pugno, tremavano. Non potevo
sopportare di
vederlo così, dovevo cercare di consolarlo, fargli sapere
che gli ero vicino.
Presi
una sua mano con la mia destra e me la portai al petto, mentre gli
adagiai la
sinistra sul viso, facendo una lieve pressione, più simile
ad una carezza, per
dirigerlo verso di me. Cercai un contatto visivo che finalmente non mi
negò e
incrociai quegli zaffiri infuocati, desiderosi di riscatto per
sé e per il suo
popolo. Gli sorrisi e ricambiai il suo sguardo tentando di
trasmettergli tutta
la dolcezza che mi era possibile. Alla fine funzionò, il
fuoco divenne più mite
fino a spegnersi, e la mano, ancora adagiata all’altezza del
mio cuore, si
dischiuse e afferrò la mia, stringendola con calore.
Mi
sorrise sghembo, mozzandomi il fiato come sempre e mi
sussurrò un “Grazie”. Poi
aggiunse con tono più risoluto “Vieni, ti faccia
visitare ciò che resta” e mi
condusse tra le pietre e l’edera tenendomi per mano, un caldo
contatto che non
avrei mai interrotto volontariamente.
Percorremmo
qualche metro e ci fermammo su una lastra di marmo leggermente rialzata
rispetto al resto e ricoperta quasi interamente dall’erba.
Probabilmente era
una delle poche porzioni di pavimento che si erano salvate. Sopra
svettavano
quattro massi a distanza regolare uno dall’altro e da una
forma insolita.
“Questa
era la sala del trono” mi illustrò Peter con un
ampio gesto del braccio.
“Quelli” ed indicò le quattro pietre
allineate “erano i troni dei miei fratelli
e di me” mi fece voltare dando le spalle ai seggi ormai
irriconoscibili e
ignorando la mia espressione allibita “e qui c’era
un lungo corridoio
delimitato da colonne di marmo e sormontato da un cupola di cristallo,
talmente
grande che quando il sole brillava la si poteva scorgere da qualsiasi
parte del
regno.” Mi raccontò lasciandomi ammaliata.
Con
gli occhi della mente cercai di figurarmi come doveva essere stato quel
castello milletrecento anni fa. Alto, artisticamente perfetto e
imponente,
doveva certamente trasudare potere e bellezza da ogni angolo, fungere
da
specchio ad una corona solida e ben tenuta che amministrava un regno
prospero e
felice. Non potei evitare di pensare con ironia che la sua funzione non
era
cambiata. Come infatti da intatto rispecchiava una popolazione in pace
e lieta,
ora da distrutto rifletteva un paese in ginocchio e stremato dalla
guerra. E
forse era proprio il significato che quelle rovine portavano con
sé a ferire il
cuore nobile del re più della disintegrazione del castello.
Cair Paravel era
simbolo di pace e di potere e come tale era stato calpestato insieme
all’armonia che regnava su Narnia.
“Da
di là, si raggiungevano le stanze private, mentre qui, al
fondo del corridoio
un terrazzo dava sul mare” proseguì il ragazzo
conducendomi verso quest’ultimo
punto, anche se del terrazzo rimaneva solo una grande lastra di pietra
sul
limitare del promontorio. Ci sedemmo su essa, con i piedi a penzoloni,
e
godemmo di una spettacolare vista sul mare, simile ad una tavola blu.
Mi
lasciò la mano e fece scorrere il braccio attorno alla mia
vita, stringendomi a
sé. Io non opposi resistenza, appoggiai il mio capo sulla
sua spalla e portai
la mano destra sul suo petto.
Inspirai
a fondo l’aria salmastra portata dal vento e puntai lo
sguardo su Peter. Era
ancora distante, perso nei suoi ricordi. Chissà quanto
doveva soffrire per
quella situazione, non riuscivo nemmeno ad immaginarlo. Avessi potuto
caricarmi
le sue angosce sulle mie spalle lo avrei fatto senza esitare pur di
rivedere
quegli occhi del loro limpido e sereno azzurro senza
quell’ombra scura che li
rendeva cupi.
“Un
penny per i tuoi pensieri” mormorai.
La
mia voce lo riportò al presente. Mi guardò e mi
sorrise con l’angolo della
bocca, accarezzandomi il mento con l’indice e il pollice.
“Stavo solo
ricordando quello che ho provato la prima volta che ho messo piede
qui” mi
rivelò malinconico.
“E
com’è stato?” chiesi. Ero sicura che
parlarne lo avrebbe aiutato a stare
meglio, trincerarsi dietro i suoi ricordi gli avrebbe solo fatto male
al cuore
e alla mente.
“Indimenticabile.
All’epoca ero solo un ragazzino che non aveva la
benché minima idea di cosa
significasse governare un regno e quando vidi tutte quelle persone che
si
inchinavano a me in questa sala così maestosa, ricordo che
ne fui terrorizzato.
Mi chiedevo se sarei stato all’altezza di quel ruolo, delle
aspettative dei
sudditi, ma ero anche ammaliato da questo mondo meraviglioso che
sentivo già
inspiegabilmente mio e sapevo che non lo avrei abbandonato, che avrei
fatto di
tutto per essere un re giusto e capace” mi
raccontò, con gli zaffiri che
tornavano a poco a poco a brillare di quella vitalità
gioiosa che tanto amavo
mentre narrava.
“E
ci sei riuscito. Sei il re migliore che Narnia abbia mai
avuto” affermai.
Lui
chinò la testa in segno di ringraziamento. Poi
però il sorriso si smorzò.
“Cosa
c’è?” domandai preoccupata.
“Non
è del tutto vero. Se fossi stato realmente il re bravo e
capace che mi
proponevo di essere, ora il mio regno non sarebbe sull’orlo
della distruzione.
Un re bravo e capace non abbandona il suo popolo”
osservò amaro.
Mi
allontanai da lui quel tanto che bastava per scuotergli il braccio con
ambo le
mani. “Non puoi pensarlo seriamente. Il popolo ti adora, hai
un esercito che è
pronto a seguirti fino alla morte perché ha fiducia in te e
sa che li salverai.
E questo perché hai sempre regnato con giustizia e
bontà, non puoi non
riconoscerlo” protestai.
“Ma
li ho abbandonati” insistette lui.
“Ma
non per tua volontà. Sei stato allontanato per cause di
forza maggiori, non hai
colpa. E comunque ora che c’è di nuovo bisogno di
te sei tornato e sei pronto a
combattere come hai già fatto in passato. Solo questo conta.
Quando il tuo
popolo ti chiama rispondi sempre senza esitare, e Narnia lo
sa.”
Mi
fissò con serietà soppesando le mie parole
finché non parve convincersene. A quel
punto mi baciò tra i capelli stringendomi forte a
sé. “Cathy, come fai?”
mormorò scuotendo la testa.
Mi
accigliai, confusa per le sue parole e per il suo tono basso che aveva
mandato
la mia mente in vacanza. “Fare cosa?”
“A
scacciare i sensi di colpa dal mio cuore. Quando sto con te le nubi che
lo
circondano si dissolvono, liberandolo”
Le
mie gote arrossirono e chinai la testa. “Ne sono felice,
perché dal tuo
benessere dipende il mio. Posso essere contenta solo se lo sei anche
tu,
dovresti saperlo” confessai in un sussurro appena udibile
mentre Peter mi
scompigliava affettuosamente i capelli.
Un
tuono in lontananza mi fece sussultare all’improvviso. Voltai
lo sguardo in
direzione del rumore e vidi grosse nubi grigie, che macchiavano il
cielo solo
poco prima limpido, provenire dal mare.
“Tra
poco ci sarà un temporale” commentò
Peter. Si alzò e mi porse la mano per
aiutarmi.
“Andiamo
via?”
“Tra
poco, preferirei non tornare a casa bagnato fradicio. Prima voglio
farti vedere
una cosa però” disse.
Mi
riprese per mano e mi condusse lungo le rovine fino ad arrivare ad una
pietra
più grande delle altre. Con poche mosse la liberò
dall’edera che l’incatenava e
cominciò a spingere a lato finché essa non si
scostò rivelando di essere una
porta che dava su un’apertura segreta. O meglio su un tunnel
interminabile a
giudicare da una prima occhiata.
“Scusami,
ti dispiacerebbe illuminare la via?” mi chiese educato Peter.
Ci
misi qualche secondo per comprendere la sua richiesta. Era la prima
volta che
mi chiedevano con tanta tranquillità e in un frangente
così banale una
dimostrazione di magia. Se mi avesse domandato dei fiammiferi avrebbe
utilizzato lo stesso tono piatto. Sorrisi contenta e mi affrettai ad
esaudire
la richiesta. Un semplice gesto della mano e una sfera di luce bianca
aleggiò
tra di noi.
“Vieni”
disse e si incamminò lungo il tunnel con la mia mano al
sicuro tra le sue.
“Attenzione
ai gradini, non inciampare” mi ammonì.
Il
tunnel si rivelò essere invece una corta scala a chiocciola
che conduceva ai
sotterranei del castello che a quel che sembrava era l’unica
parte che si era
preservata dal tempo e dagli attacchi. Scesi reggendomi con una mano a
Peter e
con l’altra all’umida parete di pietra ricoperta di
muschio finché il nostro
cammino non fu bloccato da un cancello in ferro ormai arrugginito. A
Peter
bastò una spallata per aprirlo e immetterci così
in una sala circolare,
caratterizzata da quattro nicchie ospitanti quattro statue tra loro
diverse
poste dietro ad un numero eguale di scrigni di marmo grandi quanto
elaborati.
“Si
può dire che questa era la sala dove io e i miei fratelli
riponevamo i nostri
effetti personali più cari” mi informò
Peter avvicinandosi alla statua in centro,
quella con le fattezze di un avvenente uomo sulla trentina, regale
nella sua armatura
e fiero con la spada in mano e la corona in testa. Mi ci volle poco per
fare il
collegamento.
“Sei
tu” sussurrai strabiliata. Quella che avevo davanti era la
rappresentazione del
re tra una quindicina d’anni. Mi guardai attorno e vidi le
altre sculture.
Quella
a destra raffigurava una bella donna anch’essa sulla trentina
con lunghi
capelli e un viso serio e composto. “Susan”
mormorai indicandola. La statua
accanto invece era quella di una ragazza con un’espressione
giocosa e un dolce
sorriso, con una ghirlanda di fiori adagiata sul capo.
“Lucy” dissi prima di
voltarmi alla sinistra della nicchia di Peter. La statua di un giovane
uomo con
spada, elmo sotto braccio ed espressione serena mi restituì
lo sguardo.
“Edmund”
Mi
rivolsi a Peter. “Incredibile, siete voi
tra…quanto? Una quindicina d’anni?”
esclamai.
“Più
o meno si” mi rispose chiudendo il suo scrigno e infilando
qualcosa nella tasca
dei pantaloni. Persa nella mia perlustrazione dell’ambiente
non mi ero accorta
che avesse aperto il suo forziere, però forse era meglio
così. Se non mi aveva
detto nulla era perché si trattava di una questione privata,
forse qualche
vecchio ricordo da prelevare per conservarlo e non lasciarlo in balia
del
tempo.
Mi
sorrise e mi fece cenno di seguirlo superando la nicchia di Edmund e
fermandosi
davanti ad un drappo probabilmente una volta rosso vermiglio ma ora
sbiadito e
macchiato dall’umidità. Senza contare i numerosi
buchi che tarli e topi gli
avevano procurato. Il biondo ne prese un lembo con una mano e fece per
scostarlo,
ma un secondo prima parve ripensarci, si fermò e mi
fissò esitante,
incuriosendomi.
“Cathy,
ascoltami attentamente” iniziò. Superfluo,
come se i suoi zaffiri non avessero già catalizzato
l’attenzione di ogni mio
singolo neurone. “Quello che sto per farti vedere
potrebbe procurarti un
piccolo schock, ma prima che tu giunga a conclusioni affrettate voglio
che mi
prometti che mi lascerai spiegare.” Disse. Le sue parole mi
sorpresero. Cosa mi
stava nascondendo di così stupefacente e perché
non avrei dovuto nemmeno
lasciarlo parlare dopo la rivelazione?
“Peter
io…” tentai di pronunciare ma non mi permise di
finire la frase. Mi mise una
mano sulla spalla e concluse il discorso di prima. “Ancora un
momento,
ricordati che qualunque cosa accada e qualunque cosa tu possa pensare
dopo, io
sono con te, sempre e comunque.”
Bene,
ero ufficialmente preoccupata fino alla radice dei capelli e tesa come
una
corda di violino. Si poteva sapere cosa c’era di tanto
sconvolgente dietro quel
drappeggio? Un’entità divina, come un oracolo, in
grado di svelare chissà quale
arcano e oscuro mistero?
Finalmente,
in particolare per i miei nervi, Peter si accinse a scostare il pesante
drappo
rosso. La stoffa era vecchia, troppo vecchia, tanto che
bastò il lieve
movimento del ragazzo affinché il tessuto si strappasse in
alto, dove era
legato al bastone, e cadesse a terra con un leggero tonfo che
riecheggiò per lo
spazio angusto. Un rumore sordo simile all’ultimo battito che
fece il mio cuore
poco prima di posare gli occhi su un dipinto ora visibile dopo secoli
di
segregazione.
Sentii
il respiro fermarsi mentre la mente registrava con meraviglia e orrore
ciò che
la vista gli trasmetteva, senza riuscire a dargli una spiegazione
logica. C’era
una vallata verde che si stagliava su un cielo azzurro con al centro
Peter, che
alto e fiero rivolgeva lo sguardo verso l’orizzonte con
addosso la sua armatura
scintillante. La sua spada, tesa in alto in segno di vittoria, brillava
al
sole. Alla sua destra, in secondo piano, stavano i suoi fratelli, Susan
con
l’arco teso, Lucy con in mano un piccolo pugnale ed Edmund
con il pomo della
spada appoggiato al petto. A sinistra invece la gloriosa figura di
Aslan si
ergeva su di un piccolo promontorio, con il sole che gli illuminava la
fulva
criniera. Ma era in basso che si trovava la persona che aveva causato
il mio
sbigottimento. Sdraiata lungo tutta la base del quadro, avvolta da un
candido
vestito bianco in perfetto contrasto con il colore scuro e sinistro del
sangue
che lo macchiava sul petto, là dove una profonda lacerazione
l’aveva ferita
mortalmente, stava lei. La donna che mi aveva accompagnata in tutti
quei mesi.
La donna delle mie visioni.
Era
senz’altro lei. La sua figura eterea, i lunghi capelli biondi
che ricadevano
scompostamente lungo le spalle, il viso pallido e affilato…
era lei. Eppure, al
contempo, non lo era affatto. Gli occhi azzurri che ero abituata a
vedere colmi
di comprensione e dolcezza erano seri e adirati,
l’espressione, se pur in
minima parte contratta da una smorfia di dolore per la ferita, era
gelida.
Avvertii un brivido correre lungo la spina dorsale. La sola sua vista
mi mise
soggezione e paura come mai prima d’allora era successo.
Ma
perché era ritratta nel quadro? Non aveva senso. Quel
dipinto aveva più di
mille anni e si trovava nell’antico castello dei Pevensie,
non aveva alcuna
giustificazione la sua presenza lì.
E
mentre la mia mente si sforzava senza risultato di trovare una
spiegazione a
ciò, una ventata d’aria mi colpì.
Eravamo troppo in profondità affinché venisse
da fuori, l’aria si era creata sul posto in quel momento, per
quanto assurdo
potesse sembrare. In breve e senza che potessi far nulla per evitarlo
mi ritrovai
al centro di un vortice, isolata da Peter e dal resto della stanza. Una
piccola
parte del mio cervello realizzò che avrei dovuto essere
preoccupata, che avrei
dovuto almeno tentare di liberarmi, ma non ne sentivo la
necessità. Il vento
non sferzava con forza contro la mia persona, al contrario sembrava
accarezzarmi. Mi sfiorava con delicatezza il viso e gli arti e a poco a
poco
avvertii una calma innaturale invadermi. I pensieri scivolarono via
dalla mia
mente, confondendosi con la tromba d’aria e udii solo
minimamente Peter urlare
preoccupato il mio nome.
Il
vortice si concentrò principalmente sul mio braccio e lo
sollecitò ad alzarsi.
Non mi opposi e lasciai che conducesse la mia mano fino a sfiorare al
dipinto.
Quando il contatto fu stabilito, avvertii i miei poteri sfuggire al mio
controllo e defluire con velocità da me al quadro
com’era successo meno di
ventiquattr’ore prima. Il mondo attorno a me perse
consistenza mentre la mia
mente andava alla deriva e io venivo risucchiata dentro il
dipinto…
Lo
sentivo distintamente, l’aria ne era impregnata. Ah,
l’odore della tensione
prima della battaglia. Quanto lo amavo. Dietro di me sapevo esserci il
mio
esercito. I miei fedeli uomini pronti a morire per me e per il mio
regno. Un
regno che non avrei permesso a quegli invasori di prendermi
perché io ero la
regina e come tale quella terra mi apparteneva di diritto. Io ero la
Strega
Bianca, ero nata e cresciuta a Narnia, appartenevo a quel luogo che mi
aveva
allattata, come si permettevano quattro mocciosi arroganti, provenienti
da
chissà dove, avanzare pretese su una terra che non
conoscevano?
Chiusi
gli occhi per incanalare tutte le forze e renderle pronte
all’uso. Dovevo
assolutamente vincere quella guerra. Quando gli riaprii, il sole
cocente mi
permise di vedere nuovamente la grande vallata verde che ospitava i due
schieramenti nemici pronti a massacrarsi l’un
l’altro in nome di ideali spesso
non chiari a loro per primi.
Serrai
la presa sulle redini del carro da guerra trainato da due enormi orsi
bianchi e
alzai in alto lo scettro del potere. Il sole illuminò la sua
punta di diamante
creando un bagliore folgorante e quello fu il segnale
d’attacco.
L’esercito
si mise in marcia e la battaglia cominciò mentre io sentivo
l’adrenalina
scorrermi in ogni singola vena del mio corpo e i miei muscoli tesi e
pronti a
scattare.
I
contorni della valle si fecero sfocati fino a diventare interamente
bianca. Ma
fu solo la questione di un secondo perché lo scenario
tornò in un lampo, sempre
lo stesso ma con molto più movimento. Ero nel mezzo della
battaglia a piedi, il
cocchio disperso chissà dove, con in mano sia la spada che
lo scettro. Attorno
a me si era scatenato l’inferno ma senza curarmene io
procedevo algida e decisa
tra minotauri e centauri che duellavano. Avevo una meta precisa, dovevo
trovare
lui, la causa di tutto.
Fu
un sibilo, quasi impercettibile per un orecchio meno fine del mio. Mi
scostai
appena in tempo per vedere la lama lucente di una spada sfiorarmi la
guancia.
Mi voltai agile e mi misi in posizione d’attacco. Peter
Pevensie mi era di
fronte, l’elmo alzato e la spada pronta. Mi fissava arrogante
e con disprezzo,
come se fosse lui a dover difendere qualcosa che gli si voleva rubare.
Come se
fossi io che a torto avanzavo pretese assurde sul trono di un altro.
Sentii la
rabbia montare. Un ragazzino. Era solo un ragazzino presuntuoso con
troppe
smanie di grandezza, fatto grande dalla preziosa spada e dalle belle e
false
parole di incoraggiamento di Aslan. Povero sciocco, non si era nemmeno
accorto
che il Grande Felino si era semplicemente servito di lui per ribaltare
me dal
trono, che era solo una pedina in una partita centenaria.
Sferrò
un attacco che parai con prontezza, il primo di una lunga serie. Era
bravo a
duellare, dovevo ammetterlo, lo avevano istruito bene. Aveva
agilità e
precisione, e non cadeva mai nella banalità sorprendendo
l’avversario. Ma io
avevo più di cento anni di esperienza dalla mia parte, non
mi avrebbe battuto.
E certamente non mi sarei fatta battere facendomi rubare il trono. La
corona
era mia, era stata appoggiata sul mio capo perché a me era
stato fatto il dono
di poter regnare su quella terra florida e di sicuro non
l’avrei consegnata a
lui finché fossi stata viva.
Gli
affondi divennero più serrati. Combattevo sia con la spada
che con lo scettro
ma il ragazzo si difendeva eccezionalmente bene con quel suo sorriso
sfrontato
sulle labbra. Lo avrei ucciso, ne ero certa. Se mi avesse ascoltato sin
dall’inizio, forse lo avrei risparmiato, ma ora che si era
schierato così
palesemente, sarebbe morto.
Con
un’esperta torsione del polso incrociai la mia lama con la
sua e gli feci
volare via la spada. Mi godetti la sua espressione sbigottita mentre
guardava
esterrefatto l’arma che mulinava lontano. Il sorriso borioso
era scomparso,
sostituito da uno spaventato. Aveva capito. Ora sarebbe scoccata la sua
ora.
Alzai la mano con la spada e preparai il colpo mortale. Sarebbe stato
rapido e
indolore, questo potevo concederlo, dopotutto andava rispettato per
essere un
abile guerriero.
Sferrai
l’attacco nell’esatto istante in cui un ruggito
potente rimbombò per la
vallata. Fermai il colpo, pietrificata. Il mio cuore
cominciò a battere
furioso. Feci violenza su me stessa per volgere la testa verso la fonte
del
rumore e osservai inorridita Aslan che con un balzo, le fauci
spalancate e gli
artigli sfoderati, mi veniva incontro minaccioso.
Non
era possibile, lui non doveva essere lì. Era morto, come
poteva essere?
Il
sole illuminò la sua criniera conferendogli
un’aria di superiorità. Sembrava
una creatura divina, un feroce e impassibile giustiziere. In quel
momento seppi
che l’ora era veramente scoccata. Ma non per Peter,
bensì per me.
Perdonami
piccola Nives, non ce l’ho
fatta. Ma non temere, tornerò… riuscii
a pensare. E poi fu solo dolore e io urlai, urlai forte.
“Cathy,
piccola”
Era
insopportabile, ma ancora di più lo era il senso di
sconfitta che avvertivo.
“Svegliati”
Gli
invasori avevano vinto, avevano preso Narnia. Il mio regno per ora
volgeva alla
fine, ma io sarei tornata…
“Torna
da me”
Mi
sentii soffocare. L’aria mi mancava dai polmoni e non
riuscivo ad incanalarla.
“Cathy”
Quella
voce. Mi aveva già salvato da una situazione simile, anche
se al momento mi
veniva difficile ricordare, il mio istinto me lo suggeriva. Dovevo
raggiungere
quella voce e sarei stata salva. Ma come facevo ad andare da lei se non
riuscivo nemmeno a respirare? Dovevo riuscirci. Mi concentrai e provai
con
tutte le mie forze. Respira,
respira…
Alla fine ci riuscii. I polmoni si spalancarono e accolsero con gioia
l’ossigeno che veniva loro dato. Fu come riemergere da
sott’acqua, come se
fossi stata in apnea per chissà quanto tempo.
Aprii
gli occhi e mi ritrovai tra le braccia di Peter che mi accarezzava il
volto
sicuramente pallido e tirato. Sospirai di sollievo, ero tornata, se pur
scossa
e confusa, era tornata. Anche il vento freddo che prima mi avvolgeva
era
scomparso, senza lasciare traccia del suo passaggio. Tornai a guardare
gli
occhi azzurri di Peter per cercare conforto ma non mi fu concesso. In
un lampo
la mia mente sovrappose l’immagine del mio angelo ad un
guerriero concentrato e
freddo con l’elmo e la spada. Negli occhi la voglia di
uccidermi e nessun
riflesso di compassione. Mi allontanai istintivamente da lui,
agghiacciata,
ritrovandomi in piedi con le spalle al muro.
Scossi
la testa e finalmente l’immagine andò via,
sostituita da una reale di un Peter
mortificato che mi fissava senza comprendere. Sentii una fitta al
cuore. Cosa
avevo fatto? Avevo spinto via Peter terrorizzata, come avevo potuto?
“Scusami”
mormorai affranta, appoggiandomi alla parete. Lui parve capire il mio
attimo di
confusione e mi si avvicinò. Con lentezza, per assicurarsi
che io non lo
respingessi di nuovo, mi riabbracciò. Stavolta ricambiai la
stretta e chiusi
gli occhi, lasciandomi cullare dalle sue forti braccia cercando di
dimenticare
ciò che avevo visto, ciò che avevo appreso. Ma
non potevo, le immagini che
avevo appena vissuto si ripetevano in continuazione nella mia mente ed
ognuna
di esse mi trascinava in un vortice di confusione senza fine. Ero di
nuovo
entrata in contatto con la mente di Jadis e la cosa mi terrorizzava,
anche se
fortunatamente questo viaggio non si era rivelato doloroso quanto il
primo. Non
sapevo come ci era riuscita né perché lo aveva
rifatto e l’ignoranza mi
logorava. Ma c’era una questione sopra le altre che mi
distruggeva l’animo
anche se non riuscivo a comprendere cosa fosse esattamente. Il mio
cuore lo
percepiva e ne soffriva, ma la mia mente non era capace di afferrare
l’intuizione e di concretizzarla. O forse non voleva.
“Cathrine,
va tutto bene, stai tranquilla” mi sussurrava la sua voce
vellutata.
Agitai
la testa insieme ai boccoli rossi. “No, non va tutto bene.
Sono confusa, non
capisco quello che mi succede, perché ho questi flash? Mi
è successo di nuovo,
senza capire come sono entrata in contatto con lei…lei
che…”. E finalmente
arrivò. La concretizzazione che aspettavo, anche se avrei
preferito non
raggiungerla.
Mi
pietrificai sul posto, lo sguardo perso nel vuoto mentre la mia mente
lavorava
frenetica. C’erano due persone che erano in conflitto con
Aslan. Due persone
che avevano i miei stessi poteri. Due persone che riuscivano ad entrare
in
contatto con me quando più volevano. Due persone che erano
bionde, con gli
occhi chiari e il fisico etereo. Due persone che corrispondevano a
quella
figura macchiata di sangue che giaceva irata e dolente al fondo del
dipinto
alle mie spalle. Due persone che in realtà rispondevano ad
una sola identità,
ad un solo nome. Jadis.
Sentii
Peter prendermi per le spalle e iniziare a scuotermi piano ma con
decisione. La
sua voce mi chiamava ma io non lo ascoltavo. Qualsiasi cosa avesse da
dirmi al
momento non aveva importanza.
Alzai
lo sguardo dove sapevo esserci il suo viso senza però
vederlo realmente. Gli
occhi azzurri di lei occupavano
interamente la mia visuale. Ma erano uno diverso dall’altro.
Un’iride era dolce
e comprensiva, l’altra dura e crudele.
Non
era possibile, la donna misteriosa non poteva essere la Strega Bianca.
La donna
che mi aveva aiutata e confortata non poteva essere il nemico dei
Pevensie. No.
Avvertii
una fitta al cuore. La stanza incominciò a vorticare, in
contorni si fecero
sfumati fino a perdere definizione come la realtà stava per
me perdendo senso.
Non era possibile, mi ripetei forse per la milionesima volta.
“Cathy”
mi richiamò per l’ennesima volta Peter. Fu la nota
disperata nella sua voce che
riuscì a ridarmi un barlume di lucidità in quel
mare oscuro di informazioni
troppo grandi per essere assorbite.
“è
lei” sussurrai flebile. Deglutii e ripresi un po’
di vigore. “la donna delle
mie visioni e Jadis… sono la stessa persona”
conclusi con un filo di voce, riuscendo
finalmente e guardare Peter negli occhi. Ma forse avrei fatto meglio a
non
alzare lo sguardo. Perché non c’era sorpresa nei
suoi zaffiri? Perché non
lanciava esclamazioni stupefatte? C’era una sola spiegazione,
purtroppo.
Mi
sciolsi dal suo abbraccio. “Tu lo sapevi”
l’accusa voleva risuonare forte e
chiara ma mi uscì flebile a causa del dolore che il
tradimento sentito mi
procurava. Come poteva esserne a conoscenza?
Sostenne
il mio sguardo, anche se scorgevo il disagio nei suoi occhi.
“Si, lo avevo
intuito da un po’ di tempo” ammise.
“Da
quanto?”
La
domanda lo mise in imbarazzo per un secondo, ma si riprese subito.
“Dalla prima
volta che mi hai parlato delle tue visite”
Altro
colpo al cuore. Mi chiesi cosa ne sarebbe rimasto del mio povero
muscolo alla
fine della giornata se sarebbe proseguita così.
“E
quanto ancora avresti aspettato prima di dirmelo?” chiesi tra
i denti, questa
volta facendo ben trasparire la mia rabbia, sentimento che a poco a
poco mi
stava facendo riacquistare vigore. I contorni della stanza erano
tornati
nitidi, ma solo perché l’ira stava facendo
spostare il centro dei miei pensieri
da Jadis a Peter. Se mi fossi nuovamente fermata a riflettere sulla
strega, la
mia mente sarebbe nuovamente andata in confusione.
“Te
lo avrei detto oggi. Dopo gli avvenimenti di ieri sera temevo non fosse
più
sicuro tenerti all’oscuro, per questo ti ho portato qui tra
gli altri motivi,
volevo tu vedessi il quadro e riconoscessi la strega” mi
spiegò.
“Non
avevi il diritto di nascondermi una notizia del genere!”
urlai, ignorando le
sue parole, conscia solo della furia che montava. Come aveva potuto
farmi una
cosa simile? Mi ero fidata ciecamente di lui e dopo tutte le volte che
avevo
ripetuto quanto mi sarebbe piaciuto conoscere
l’identità della donna misteriosa,
mi veniva a dire che l’aveva sempre saputo! Che me
l’aveva celata volontariamente.
E nel frattempo non si era fatto scrupolo a diffamare il nome di Jadis
davanti
a me, pur sapendo che in realtà era la donna delle mie
visite della quale io mi
fidavo.
“Perdonami,
forse hai ragione ma sapevo che ti avrebbe messo in confusione e i tuoi
problemi erano già talmente numerosi che non me la sentivo
di aggiungerne un
altro. Volevo proteggerti”
Le
sue parole, pronunciate con quella dolcezza di cui solo lui era capace,
mi
colpirono più di uno schiaffo. Avrei preferito alzasse la
voce, difendendosi,
così avrei potuto sfogare la mia rabbia, ma le sue scuse
sgonfiarono l’ira che
avevo nel petto creando un buco al suo posto. Un buco vuoto e arido che
si
faceva sempre più grande. Era sincero glielo leggevo nelle
iridi limpide,
nell’accento contrito nella sua voce. Lo aveva fatto per
proteggermi. Lo aveva
fatto per me, non contro di me. Dovevo calmarmi e iniziare ad
analizzare la
situazione. Non potevo lasciare che i sentimenti che mi avevano animata
finora
prendessero completamente il sopravvento.
Quello
che sto per farti vedere potrebbe
procurarti un piccolo schock, ma prima che tu giunga a conclusioni
affrettate
voglio che mi prometti che mi lascerai spiegare.
Ora
le sue parole acquisivano un senso. Sapeva che una volta scoperta la
verità mi
sarei sentita tradita e mi sarei arrabbiata, ma se mi aveva chiesto di
starlo
ad ascoltare, forse c’era un motivo valido dietro. Dovevo
crederlo se volevo
evitare che quel buco iniziasse a divorarmi interamente da dentro.
Ricordati
che qualunque cosa accada e
qualunque cosa tu possa pensare dopo, io sono con te, sempre e comunque.
Lo
era sempre stato, dal primo momento in cui ci eravamo conosciuti.
Dovevo ancora
avere fiducia in lui, finora ogni cosa che aveva fatto era stata per il
mio
bene. Dovevo lasciarlo parlare e non accusarlo prima di conoscere tutta
la
storia.
Sorrisi
ironicamente pensando che forse quel piccolo frangente mi stava
insegnando uno
dei tanti significati della parola amore, che io avevo affermato, solo
il
giorno prima, di provare per Peter. Amore voleva dire fiducia, e io
gliel’avrei
data.
Usai
nuovamente il muro come sostegno, incapace di sorreggermi da me.
“Non
riesco a capire” sospirai affranta. “Non ce la
faccio. Spiegami, volevi proteggermi
da cosa?” domandai cercando di
essere più calma possibile, rinchiudendo dietro ad un muro
spesso tutte le
sensazioni finora provate, anche se era difficile.
Lui
parve sollevato dall’opportunità che gli stavo
dando. Accennò un sorriso e si
sedette sul suo forziere, invitandomi con la mano a seguirlo. Negai con
la
testa. Se gli fossi andata troppo vicino, sarei stata abbagliata ancora
di più
dai suoi occhi azzurri e dal suo sorriso e mi sarei accontentata di
qualsiasi
spiegazione, ma ciò non doveva accadere. Dovevo rimanere
vigile, ora esigevo la
verità. Inoltre non ero affatto sicura che se mi fossi
allontanata dal muro le
mie gambe mi avrebbero retta fino al forziere.
Peter
mi rivolse uno sguardo triste, ma non commentò la mia
decisione, così si
apprestò a parlare.
“Volevo
evitare di darti una notizia che ti avrebbe shoccata. Sapevo quanta
fiducia
nutrissi verso la donna misteriosa, e riuscivo a capirla. Per te era un
punto
di riferimento, una certezza, e non volevo togliertela dicendoti quanto
invece
crudele fosse una persona che tu consideravi degna della tua massima
stima.” Si
giustificò.
Sospirai.
Una cosa era certa, la mia fiducia con lui era stata ben riposta, la
spiegazione che mi aveva fornito reggeva e ben si confaceva al grande
senso di
protezione che aveva sempre dimostrato nei miei confronti. Povero, e io
che lo
avevo subito aggredito, non se lo meritava. Avevo unicamente provato a
preservarmi da uno shock.
Sospirai.
“D’accordo, per questa volta. Ma ora voglio sapere
ogni cosa, basta segreti.
C’è altro che dovrei conoscere?” chiesi,
anche se temevo la risposta. Stavo
ripensando ad ogni occhiata allarmata che lo avevo visto scambiarsi con
Susan
ogni qualvolta si toccavano determinati argomenti. Avevo imputato tutto
ad una
paranoia solo mia, ma ora, alla luce delle ultime scoperte, capivo che
non mi
ero immaginata niente e che realmente mi stavano nascondendo delle
informazioni. Probabilmente notizie che Susan avrebbe voluto rivelarmi
già da
tempo se Peter non l’avesse fermata fulminandola ogni volta.
“Cosa
vorresti sapere?” sembrava incredibilmente riluttante.
Raddrizzai
le spalle e cercai di apparire il più matura possibile.
Magari si sarebbe
convinto che non doveva celarmi le notizie per proteggermi, che non ero
così fragile.
Ovviamente era solo una facciata e lo sapevo benissimo. Fragile al
momento era
proprio l’aggettivo che più mi si addiceva,
provavo la terribile sensazione che
bastasse una parola sbagliata o di troppo per rompermi definitivamente.
Da un
momento all’altro sarei andata in pezzi come un vaso di
cristallo una volta
caduto. Speravo solo che lui non lo notasse e che proseguisse con il
suo
discorso. Dovevo resistere finché non mi avesse detto ogni
cosa, fino ad
allora, doveva restare forte e bloccare i miei stessi pensieri che,
suscitati
dalle sue parole, mi stavano facendo impazzire. Provavo a concentrarmi
unicamente sul suo discorso anche se la mia testa continuava ad urlare
a
ripetizione che la donna misteriosa era Jadis.
“Sapete
come fa ad essere tornata?” partii dalla domanda
più facile, accantonando la
frase nella mia mente per quanto mi era possibile.
“Non
con esattezza ma supponiamo che, per non morire quando Aslan
l’ha attaccata, si
sia auto imprigionata in una sorta di limbo in attesa del momento
più adatto
per ritornare” mi informò, apparentemente contento
che avessi preso il discorso
alla larga.
“E
questo sarebbe il momento più adatto
perché…” lo incitai.
Mi
guardò dritto negli occhi, contrito come se il suo ritorno
fosse una sua colpa.
“Perché tu sei qui e sei grande e forte, capace di
ottenere il meglio dai tuoi
poteri” disse serio e contrariato.
In
un lampo mi tornarono alla mente parole sentite solo ventiquattro ore
prima.
Stai
diventando forte e anche io sto
riacquistando le energie.
Parole
che non ero riuscita a comprendere all’ora e che solo adesso
iniziavano ad
avere un
significato se pur ancora
offuscato.
“Vuole
me” sussurrai, dando forma alle mie supposizioni. Il tono era
incolore.
Affermavano un semplice dato di fatto che io non sapevo minimamente
come
assumere. Dovevo essere terrorizzata perché era una
prospettiva malvagia per
me? O era un lato positivo? In fin dei conti non era una
novità che mi
cercasse. Non mi aveva mai celato le sue intenzioni di prendermi con
sé, voleva
portarmi a casa sua, mostrarmi la sua magia e insegnarmi ciò
che io non
conoscevo. Ed io ero sempre stata entusiasta all’idea. Ma
quelle erano le
promesse della donna misteriosa, non di Jadis. Sarebbe cambiato
qualcosa ora?
“Vuole
i tuoi poteri” mi corresse. Dalla voce
trapelava il suo disprezzo.
Lo
guardai corrugando la fronte e lui si affrettò a spiegare.
“Con te, un’altra
strega, al suo fianco, diventerebbe invincibile, evitando il ripetersi
degli
eventi di milletrecento anni fa. È per questo che ti
vuole”
Mi
raddrizzai di scatto, infastidita. “No” dissi
decisa. Quell’opinione non si era
affacciata tra i miei pensieri e non volevo ci entrasse.
Si
alzò anche lui e mi prese per le spalle, richiamando tutta
la mia attenzione.
“Si invece.” Ribatté. Poi aggiunse
sospirando. “Cathy credimi mi dispiace.
Avrei evitato di dirtelo e finché ho potuto l’ho
fatto, ma ora la situazione
richiede che tu sappia il pericolo che corri”
“Quale
pericolo?”
“Quello
di finire catturata da Jadis. Te lo abbiamo detto, è
malvagia e senza scrupoli,
farà di tutto per averti e per usarti, aveva già
in programma di prenderti
milletrecento anni fa” mi rivelò scombussolandomi
per l’ennesima volta in poco
tempo. Milletrecento anni fa? Come poteva sapere della mia esistenza a
quel
tempo, non ci eravamo mai incontrate prima, non avevo mai appreso
neppure il
suo nome o il nome di questo regno.
“Non
regge, io non l’ho mai conosciuta” affermai certa
della mia idea e accantonando
momentaneamente il resto del discorso di Peter. Dovevo affrontare una
questione
alla volta se volevo preservare la mia sanità mentale.
Fece
un segno di diniego. “è probabile che tu non te ne
ricordi perché eri appena
nata, ma vi siete già incontrare. Il medaglione che porti al
collo ne è la
prova, quella J non sta per giugno ma per Jadis. Il castello
è il suo simbolo.
Te lo ha dato lei”
Altro
colpo. Povero il mio cuore, ormai era a brandelli.
“L’ho
sempre avuto” mormorai incoerentemente. Avevo sempre
posseduto un simbolo della
presenza di un’altra strega nel mondo con me e non lo sapevo.
Un’altra persona
con i miei stessi poteri era sempre stata a conoscenza della mai
esistenza e io
lo ignoravo.
Erano
anni quindi che mi osservava da lontano, non erano solo le ultime
settimane.
Cosa avrei dovuto provare anche in questo caso? Inquietudine? Timore?
Fastidio?
Mi stava spiando per chissà quale arcano motivo?
Mi
tornò alla mente il suo viso splendente la prima volta che
l’avevo vista. Così
bella, così dolce, così comprensiva. No, non mi
aveva spiato, aveva vegliato su
di me. Si quella era la motivazione più probabile. Era
sempre stata nella mia
vita, come un angelo custode. Quel pensiero dolce venuto fuori quasi
per magia
ridusse il buco che avvertivo al petto. Procurava calore, era
un’idea
piacevole. Non ero mai stata veramente sola, qualcuno c’era
sempre stato, nelle
lunghe notti passate ad osservare le stelle con il cuore colmo di
lacrime a
chiedermi chi ero e nei pomeriggi soleggiati trascorsi al parco a
sperare di
trovare un mio simile, e quel qualcuno era Jadis.
Però
perché non si era fatta vedere prima? Perché mi
aveva fatto passare tutti
quegli anni in completa solitudine? Era come diceva Peter?
Perché solo ora
secondo lei potevo esserle utile? No, non poteva essere, mi rifiutavo
di
crederlo. Era sempre stata dalla mia parte, mi aveva capita, non si
sarebbe mai
approfittata di me.
Anche
io sto riacquistando le energie.
Era
debole, ecco perché. Non era venuta da me perché
non poteva fisicamente, non ne
aveva le forze. Lo scontro con Aslan l’aveva completamente
distrutta, costringendola
a restare rintanata chissà dove. Solo ora aveva riacquistato
un briciolo di
energie e la prima cosa che aveva fatto era stata andare a cercarmi per
quanto
l’impedimento di questa dimensione parallela di cui Peter
parlava glielo
consentiva. Così si spiegava anche perché non mi
era venuta incontro quando
avevo attraversato il varco per giungere a Narnia. Era imprigionata
là dentro e
non poteva uscirne fisicamente al momento. La sensazione di calore si
estese,
si fece più consistente. Mi sentii meno sola nella mia
unicità poiché per la
prima volta vedevo quanto realmente un’altra strega fosse
nella mia vita.
Cambiava
qualcosa se quelle promesse le aveva fatte Jadis? No, perché
lei e la donna
misteriosa, la mia custode, erano la stessa persona.
“Ma
non devi temere, la terremo lontana da te, non ti si
avvicinerà” concluse il
ragazzo.
Persa
nelle mie elucubrazioni non lo avevo nemmeno sentito continuare a
parlare.
Quella frase però l’avevo udita distintamente. Lo
guardai stupefatta.
“Ma
io voglio conoscerla” dissi convinta.
Lui
rimase interdetto, stupito dalla mai frase. Scosse la testa, come se
non
volesse credere a ciò che aveva udito, e aumentò
la presa sulle mie spalle.
“Cathy”
cominciò piano, come se parlasse ad una bambina piccola
cocciuta “hai sentito quello
che ho detto? Jadis è crudele. Se ti si avvicina, sarebbe la
fine. Per te, noi,
per Narnia intera” affermò risoluto.
Crudele.
Era l’aggettivo che più spesso avevo visto
accostato a Jadis. Insieme a
spietata, senza scrupoli, sanguinaria, falsa, tiranna. La storia del
suo regno
mi era stata raccontata diverse volte, sempre con lo stesso tono a
metà tra il
disprezzo e la paura. Ed io, convinta dalla veridicità di
quelle narrazioni, mi
ero lasciata catturare dal sentimento popolare, lo avevo condiviso
provando
rabbia verso colei che agli occhi di Peter aveva quasi distrutto
ciò che Narnia
aveva di bello da offrire. Non mi ero mai soffermata a pensare se
avessero
veramente ragione oppure no, anche perché sinceramente la
questione non mi
aveva mai riguardato. Era una persona vissuta milletrecento anni fa,
che non
avevo mai conosciuto e che ormai era stata sconfitta. Di lei era
rimasto solo
il suo ricordo, indelebile nella mente delle creature di Narnia. Ma ora
era
diverso. La questione mi riguardava in prima persona ed era giusto che
mi
soffermassi sulla decisione di credere o meno alla versione del popolo,
universalmente accettata.
Jadis
era davvero crudele? Aveva realmente tentato di distruggere Narnia?
Mi
tornarono alla mente i sentimenti provati attraverso i suoi ricordi.
Nei suoi
pensieri c’era sempre stata una sola motivazione per muovere
guerra, quella di
salvare il suo popolo. Quella di preservare il suo trono e la sua bella
terra.
Mai una volta aveva voluto guerreggiare con il solo scopo di uccidere,
come
invece affermavano i Pevensie.
Riflettendoci,
erano le stesse motivazioni che spingevano Peter a dichiarare guerra a
Miraz.
Non voleva forse anche lui difendere la sua terra dagli invasori?
Esattamente
come Jadis aveva voluto difendere Narnia milletrecento anni fa dai
figli di Adamo
e dalle figlie di Eva. Solo che… in quel momento realizzai
quale fosse
l’origine vera del problema e nello stesso istante rimpiansi
di non essere
rimasta nell’ignoranza.
La
guerra non era stata tra buoni e cattivi come avevo pensato. Se tutte e
due le
frazioni desideravano unicamente il bene di Narnia ed erano mossi da
nobili
ideali come poteva esserci una parte cattiva? Sicuramente i Pevensie
non lo
erano, Peter in primis poiché si sarebbe sacrificato
all’istante per ogni causa
in cui credeva, ma non lo era neppure Jadis, le cui azioni erano spinte
unicamente a salvaguardare la sua terra. Senza contare che avevo
personalmente
conosciuto la strega e mi era parsa tutto fuorché crudele. Era dolce e comprensiva, buona,
probabilmente solo vittima
di una fama ingiustamente meritata e alimentata da racconti menzogneri
nel
corso dei secoli. La guerra era stata tra due pretendenti al trono, i
Pevensie
e Jadis. Entrambi volevano governare su Narnia, perciò era
nato il conflitto.
Ma
chi dei due aveva ragione, a chi apparteneva la corona?
Aslan
affermava che Peter e i suoi fratelli erano i legittimi proprietari del
potere
e che Jadis se ne era ingiustamente appropriata, d’altro
canto la Strega Bianca
reclamava il regno giurando che l’unica vera regina era lei e
che i Pevensie
erano usurpatori, invasori di Narnia. A chi dovevo dar ragione?
Non
essendo presente agli avvenimenti di milletrecento anni fa non potevo
saperlo,
dovevo lasciare la questione irrisolta finché non avessi
avuto più elementi per
decidere equamente. Al momento dovevo basarmi sui fatti che conoscevo e
di cui
ero stata partecipe e agire di conseguenza, senza farmi influenzare da
nessuna
delle due parti.
“Jadis
non è cattiva” dissi risoluta,
concludendo il filo dei miei pensieri.
Il
ragazzo mi fissò scioccato, com’era prevedibile
“Si
che lo è Cathrine! Non farti ingannare
dalle sue false parole, vuole solo usarti!” ribadì
con ardore.
Mi
liberai dalla sua presa.
“Non
puoi saperlo con certezza, sono solo stupide supposizioni. Non mi ha
mai ferito
né fatto nulla per farmi credere quello che dici. Da quello
che ho appena
scoperto sembra addirittura che abbia da sempre vegliato su di me,
conscia
della mia esistenza. E appena ha potuto è venuta da me, per
non farmi sentire sola,
per risolvere i miei dubbi” ragionai con calma. A quelle
parole Peter strabuzzò
gli occhi e aprì e chiuse la bocca più volte
senza far uscire un sol suono,
troppo strabiliato per parlare.
Ne
approfittai per proseguire con il mio discorso. “Peter,
credimi, non è crudele
come pensate voi tutti. Io l’ho conosciuta e so quali sono e
sono stati i suoi
sentimenti e i suoi pensieri. Non ha mai desiderato distruggere Narnia,
anzi la
voleva proteggere da quelli che vedeva come invasori, ovvero da voi. I
suoi pensieri
sono sempre stati rivolti al benessere della sua terra esattamente come
lo sono
i tuoi.”
“Ti
ricordo che anche io l’ho conosciuta e ho visto con i miei
occhi le atrocità
che ha commesso in guerra” ribatté ritrovando la
voce.
Scossi
la testa. “Non è vero. Tu hai solamente lottato
contro Jadis, non ti sei mai
fermato a parlare con lei, non hai mai cercato di conoscerla come
persona e di
provare a giungere ad un accordo che non prevedesse la guerra. E poi
sarei
curiosa di sapere di quali atrocità parli. Avrà
ucciso in battaglia con la
spada o qualche altra arma contundente immagino. Non che voglia
affermare che
sia un gesto da nulla, ma è la guerra purtroppo e dubito che
tu non abbia fatto
lo stesso sul campo di battaglia.” Dichiarai alzando di un
tono la voce. Non
avrei ammesso che Jadis era cattiva solo per compiacerlo. Ero certa che
non lo
fosse e lo avrei dimostrato. Lo avrei convinto del contrario e forse
sarei
riuscita anche ad appianare le assurde divergenze che li vedevano
rivali da un
millennio. Perché era letteralmente assurdo che due persone
che miravano allo
stesso obbiettivo si distruggessero a vicenda per manie di
protagonismo.
Possibile che tutte e due volessero la salvezza di Narnia ma
preferivano farsi
la guerra e uccidersi l’un l’altro rischiando di
condannare definitivamente la
loro patria alla fine invece che sotterrare i dissapori e collaborare?
“Dannazione
Cathy!” esclamò sull’orlo
dell’esasperazioni.
Batté
un pugno sul muro alla mia destra e digrignò i denti. Non
era affatto felice della
piega che aveva preso la discussione, non ci voleva un genio per
capirlo.
Probabilmente avrebbe preferito che una volta scoperta la vera
identità della
donna misteriosa troncassi tutti i rapporti con lei per unirmi alla sua
crociata. Mi doleva procurargli un dispiacere e ancora di
più odiavo discutere
con lui, avessi potuto lo avrei volentieri evitato, ma non potevo
cedere questa
volta, non per una questione così importante. Dovevo
continuare a sostenere la
mia idea, andando oltre al dispiacere che vederlo così
afflitto mi procurava.
Gli
posai una mano sul viso, un gesto di conforto e di ravvicinamento che
sapevo lo
avrebbe calmato. Funzionò poiché tirò
un forte respiro e cercò di ridarsi un
contegno.
“Cathrine”
disse con calma “io non so cosa tu abbia sentito nei ricordi
di Jadis né come
si è presentata ai tuoi occhi, ma credimi se ti dico che
è pericolosa. Lo dico
unicamente per te. Milletrecento anni fa Narnia era completamente sotto
il suo
dominio e il popolo soffriva, stava per morire. Non fossimo intervenuti
noi le
creature di Narnia sarebbero ancora in schiavitù. E adesso
che è tornata vuole
rimettere le cose come prima del nostro arrivo, e vuole farlo
sfruttando te. Ed
io non posso permetterlo”
Mi
morsi il labbro frustrata. Era come parlare ad un muro, non
c’era possibilità
di dialogo, non avrebbe mai cambiato idea. Era convinto di dovermi
tenere al
sicuro da Jadis quando invece non c’era un’altra
persona che più avrebbe badato
a me, eccetto forse lui. Provai un grande sconforto e senso di
impotenza, tanto
che sentii gli occhi lucidi. Perché Peter non capiva quello
che Jadis
significava per me? Perché era intenzionato a portarmi via
l’idea che potessi
conoscere un’altra strega e che essa teneva a me? Lui avrebbe
dovuto
comprendermi e appoggiarmi, non ostacolarmi così apertamente.
“Non
hai capito niente. Né della situazione, né di
me” mormorai amara prima di
scivolare di lato sul muro e imboccare di corsa le scale, con il cuore
colmo di
delusione.
Dovevo
uscire da quello spazio angusto diventato improvvisamente soffocante,
allontanarmi da quel quadro che aveva portato alla luce la
verità anche se
questo significava distanziarmi da lui. La persona che in quella
giornata era
la seconda volta che allontanavo nonostante mi causasse una forte fitta
al petto
ogni metro che interponevo tra me e lui. Nonostante fosse la persona
che più
tra tutte volevo vicino. Ma al momento il vero spazio che ci separava
non era
la scalinata che stavo percorrendo, realizzai con tristezza. Era la sua
incapacità di comprendere i miei pensieri, cosa che non era
mai accaduta finora
e che mi stava ferendo il cuore come se ogni suo rifiuto fosse un
fendente di
una spada la cui fodera era un odio troppo antico per essere cancellato
con una
singola discussione.
L’aria
fredda mi colpì il viso portandomi l’odore della
pioggia e degli alberi. Alzai
lo sguardo al cielo e lasciai che le sue gocce d’acqua si
mescolassero alle
lacrime che silenziose avevano cominciato a discendere lungo le mie
gote.
Come
Peter aveva previsto, era scoppiato un temporale. Il cielo ospitava
nubi
cariche di pioggia, illuminate a intervalli più o meno
lunghi da lampi e
fulmini. Sentivo in lontananza le onde del mare, ingrossato dal
temporale,
infrangersi violente contro la scogliera.
Il
tempo sembrava rispecchiare il mio umore. In meno di un’ora
era passato da
limpido e sereno a turbolento e agitato.
Il
ritmo della pioggia era incessante, tanto che bastarono meno di cinque
minuti
affinché fossi inzuppata da capo a piedi.
Chiusi
gli occhi e mi concentrai sulla pioggia che scivolava sul mio viso
rivolto al
cielo, e desiderai che con essa scivolassero anche le mie
preoccupazioni, in
modo che non dovessi affrontarle. Purtroppo sapevo che non era
possibile, ma
per qualche istante mi beai di quella dolce illusione, quel tanto che
bastava
per farmi recuperare calma e lucidità.
Sapevo
che tra poco avrei dovuto sostenere un secondo scontro con Peter e il
pensiero
mi rattristava. Non volevo litigare con lui, non per un motivo del
genere. Si
poteva litigare con una persona perché dimostrava un
esagerato e ottuso senso
di protezione nei tuoi confronti per amore? Era assurdo. Quella lite ci
stava
allontanando e io non dovevo permettere che ciò accadesse.
Dovevo trovare una
soluzione senza però rinunciare a Jadis.
Riaprii
gli occhi. Avevo avvertito la sua presenza alle mie spalle ancor prima
di udire
il suono della sua voce.
“Cathrine”
Mi
voltai con calma, temendo le parole che sarebbe giunte, ma la sua
espressione
mi sorprese. La rabbia dimostrata poco prima sembrava essere evaporata,
rimpiazzata da una afflitta e… contrita? Peter sembrava
dispiaciuto, possibile
che il litigare con me gli causasse lo stesso disagio che avvertivo io?
A
giudicare dai suoi occhi azzurri che sembravano urlare
“perdono”, la risposta
era si.
Con
un passo eliminò la distanza tra noi e mi
circondò la vita con le sua braccia
con una presa decisa ma al contempo delicata, affondando il viso
nell’incavo
del mio collo, come se anche lui non sopportasse la separazione da me
quanto io
da lui. Rimasi interdetta un secondo. Peter mi stava abbracciando con
slancio
ed era visibilmente dispiaciuto per quello che ci eravamo detti poco
prima,
esattamente come lo ero io. Forse tra noi non c’era quella
grande distanza che
temevo si fosse formata, e se c’era il ragazzo aveva il mio
stesso desiderio di
colmarla immediatamente. Rilassai i muscoli del volto in
un’espressione di
sollievo e ricambiai l’abbraccio, accarezzandogli la nuca con
movimenti lenti,
incurante del fatto che la sua presa mi stava mozzando il respiro.
Eravamo di
nuovo sulla stessa frequenza, il muro che ci aveva distanziati in
precedenza
era crollato velocemente come si era formato ed io ero più
che intenzionata a
non farlo ricostruire mai più.
Dal
modo in cui mi stringeva mi convinsi che era ciò che voleva
anche lui, che il
contrasto non aveva giovato a nessuno dei due nonostante fossimo
convinti delle
nostre opinioni. Mi teneva come se temesse che scomparissi
all’improvviso. Il
mio corpo aderiva perfettamente al suo, riuscivo a sentire il battito
frenetico
del suo cuore che faceva eco al mio.
Rimanemmo
una manciata di minuti in quella posizione, uno tra le braccia
dell’altro,
avvolti dalla pioggia che imperterrita continuava a cadere su di noi.
“Cathrine”
ripeté Peter quando riuscì a trovare la forza per
distanziarsi da me quel tanto
che bastava per guardami negli occhi, senza però allentare
la presa sui miei
fianchi. La pioggia aveva bagnato anche lui, rendendogli i capelli di
una
tonalità più scura e facendo aderire la sua
camicia bianca al petto. Il
tessuto, già leggero di suo, era quasi trasparente, tanto
che celava poco o
niente la splendida visione del suo petto tornito. “Mi
dispiace per aver alzato
la voce, non avrei dovuto perdere il controllo, scusami. Non sono
arrabbiato
con te, come potrei” mi lasciò un bacio sui
capelli bagnati “l’unica persona
con la quale sono adirato è Jadis, tu non hai
colpa” mi disse con la voce
intrisa di sincerità.
Non
desideravo le sue scuse, anche se sapere che non era arrabbiato con me
era un
sollievo. Quello che volevo era comprensione, cosa che purtroppo ancora
non
arrivava.
Riprovai
a portarlo a comprendere, questa volta però con meno fervore
e più dolcezza.
“Non
preoccuparti, la situazione è sfuggita di mano ad
entrambi.” Presi un bel
respiro “Ascolta, io non so cosa è successo mille
anni fa. Non c’ero e non
posso giudicare se la corona spetta a voi perché Jadis era
una tiranna e si era
appropriata ingiustamente del trono o se siete stati voi a rubarglielo.
E
personalmente non mi interessa saperlo al momento. Quello che so
però è che
entrambi volete che Narnia prosperi” stava per ribattere a
questa mia
affermazione ma aumentai il tono di voce azzittendolo. Volevo seguisse
il mio
ragionamento per intero. “e che nessuno dei due farebbe mai
del male a me, devi
credermi. Ha vegliato su di me, mi ha protetta e condotta fin qui. Si
è sempre
assicurata che stessi bene e il suo unico interesse nei miei confronti
è che
trovi finalmente le risposte che cerco e delle persone sincere con cui
condividere la mia vita. Per questo intendo conoscerla”
chiarii.
L’indecisione
passò sul suo volto d’angelo. Si stava mordendo il
labbro per trattenersi, ne
ero certa. Avrebbe voluto contraddire ogni mia singola affermazione ma
non
voleva cominciare una nuova lite con me, non ora che ci stavamo
riappacificando.
Usai
il suo tentennamento per rincarnare la dose.
“Peter,
è l’unica altra strega che conosco, potrebbe
spiegarmi un’infinità di cose
sulle mie origini, sui miei poteri e tanto altro. Potrebbe
rappresentare la mia
unica occasione per fare chiarezza sui misteri con la quale convivo da
sempre.
Non puoi togliermi quest’opportunità, non senza un
valido motivo dal momento
che con me ha sempre tenuto un comportamento impeccabile”.
Ancora
indecisione. I suoi zaffiri mi stavano chiedendo pietà in
ginocchio. Non voleva
che continuassi a parlare. Evidentemente era fermamente convinto della
pericolosità di Jadis ma doleva all’idea di andare
contro ad un mio desiderio
così grande. Sapeva che avrei sofferto all’idea di
non vedersi avverare la mia
speranza di incontrarla e avrebbe voluto poter fare qualcosa per
evitarmi il
dispiacere.
“Se
non ti fidi di lei prova a fidarti della mia capacità di
giudizio. Credo di
essere l’unica tra voi ad aver conosciuto la donna che si
cela dietro la regina
e posso assicurarvi che non c’è nulla da temere.
Avete gli stessi obiettivi,
siete stati messi l’uno contro l’altro dalle
situazioni sbagliate, da
pregiudizi che sono stati ingrossati da chi vi stava attorno. Avete mai
pensato
che forse vi siete sempre sbagliati a giudicarla cattiva? Vi siete
fidati solo
delle parole di Aslan ma non avete mai sentito l’altra
campana, non gli avete
mai dato una possibilità di riscattarsi da quella
nomea” conclusi, sperando di
aver fatto centro.
Le
spalle del biondo si alzarono e abbassarono lentamente per un paio di
volte
prima che ricevetti una risposta.
“Mia
Cathy” sussurrò accarezzandomi una guancia, la
voce addolorata “se davvero in
lei esiste quell’aspetto compassionevole di cui mi parli e
che tanto ami, ti
posso giurare che era davvero ben celato dietro al gelo del suo sguardo
e alla
crudeltà delle sue azioni, che ti assicuro non si limitavano
a quelle compiute
in guerra. E per questo non posso darti ragione sul fatto che non sia
pericolosa” mi disse con calma, senza smettere di
accarezzarmi. “e sempre per
questo non posso rallegrarmi del suo interesse per te né
della tua voglia di
conoscerla. Tremo all’idea di quello che potrebbe farti e
sono deciso ad
impedirle di raggiungerti. Non voglio che tu entri in contatto con lei,
non tu
che sei così buona e ingenua” le ultime parole
suonarono più simili ad una
supplica che ad un ordine, per questo non riuscii ad arrabbiarmi.
Era
realmente dispiaciuto dal vedersi costretto ad ostacolare il rapporto
tra me e
Jadis e questo mi diede la certezza che aveva finalmente capito.
Sapeva
quanto lei era importante per me, quanto grande fosse il mio bisogno di
vederla, ma la diffidenza e la paura che provava verso la strega gli
impedivano
di lasciarmi avvinare a lei. Preferiva darmi quel dolore ora per
preservarmi da
uno più grande che secondo lui avrei provato se Jadis mi
avesse presa con sé.
“Non
intendo obbedire, mi spiace. Io vedrò Jadis” dissi
in un sussurro ma con voce
ferma, rimanendo sulle mie posizioni.
Lui
scosse la testa sconsolato, poi mi sorrise serafico. “Allora
mi vedo costretto
a proteggerti anche contro la tua volontà” e
aumentò la stretta del suo
abbraccio, come se volesse inglobarmi e celarmi al mondo per custodirmi
al
sicuro.
A
quell’affermazione stavo per ribattere ma lui mi
fermò, lo sguardo di nuovo
serio e acceso. “Cathy, non permetterò che ti
succeda qualcosa di male, l’ho
giurato a me stesso.” Disse con improvviso fervore,
lasciandosi alle spalle il
tono controllato di poco prima. “Non potrei sopportare
l’idea di perderti. Tu
sei la mia luce, la mia piccola ma fulgida stella” il mio
cuore cominciò a
battere furioso. Mi chiedevo dove volesse giungere con quelle parole
mentre lo
ascoltavo rapita. Nell’animo di nuovo quella speranza che
avevo provato qualche
giorno fa. Attendeva qualcosa di preciso che all’epoca non
avevo saputo
definire ma che ora ero capace di identificare. Aspettava due parole
mai
sentite prima perché non poteva e non sapeva farsene carico
in passato ma che
adesso era pronto a sostenere. Due parole che l’avrebbero
cambiato per sempre,
che mi avrebbero cambiata per
sempre.
Fece
una piccola pausa per riprendere fiato e probabilmente anche forza per
pronunciare il resto del discorso. “Cathrine” il
mio nome, un dolce sospiro tra
le sue labbra “ti ho promesso che ti avrei aspettata per
tutto il tempo
necessario per permetterti di fare chiarezza, e così
farò, ma io non ho dubbi
quindi consentimi di esprimere i miei sentimenti.” Mi prese
il mento tra le
dita e avvicinò i nostri visi ancora di più.
Il
mio cuore ora aveva smesso di battere, aspettava anche lui quelle
parole che
gli avrebbero dato nuova vita assieme a me e alla mia anima.
Un’anima e un
cuore che ero pronta a donargli se avesse pronunciato quel verbo dalle
mille
speranze che anelavo sentirgli dire. Perché me lo stava per
dichiarare, glielo
leggevo negli occhi e nel suo cuore che sentivo palpitare attraverso la
leggera
camicia bianca e io non vedevo l’ora di poter ricambiare al
meglio delle mie
possibilità.
Avevo
addirittura smesso di sentire la pioggia bagnare il mio corpo,
nonostante essa
continuava a imperversare su di noi. Non riuscivo a credere che la
situazione
che si stava verificando fosse reale. Era stata capovolta troppo
velocemente
per permettere al mio cervello di registrare il mutamento con successo.
Cinque
secondi prima stavamo giudicando la bontà dubbia della
Strega Bianca e cinque
secondi dopo eravamo passati alle dichiarazioni a cuore aperto.
Com’era
possibile? Ma a dir la verità non mi interessava saperlo.
L’unica cosa importante
era che stava accadendo e che io stavo per toccare il cielo con un
dito, perché
per quanto quel brusco cambio di argomento fosse inaspettato e
repentino, era
prima di tutto atteso con ogni singola cellula del mio essere.
“Ti
amo Cathrine”
La
sua voce angelica con quelle semplici tre parole, aprì per
me le porte del
Paradiso.
Il
mio cuore, anzi, il suo cuore
poiché
adesso e per sempre sarebbe appartenuto a lui e lui soltanto, riprese a
battere. Io ricominciai a respirare mentre il mio animo si librava alto
tra
nuvole leggere in un mondo dove esistevamo solo io, lui e
l’amore che nutrivo
verso quell’angelo che aveva ridato un senso alla mia
esistenza indicandomi la
retta via e prendendomi per mano per percorrerla.
Ero
ebbra di gioia, incapace di ragionare e di parlare ma solo di bearmi di
quella
confessione.
Vedevo
nei suoi zaffiri il sollievo di aver espresso i suoi sentimenti, di
essere
riuscito a trovare il coraggio per mettersi in gioco, ma al contempo
l’ansia
mentre aspettava una mia risposta. Ma come poteva dubitare di essa?
Come poteva
anche solo sfiorarlo l’idea che lo avrei rifiutato? Solo il
pensarlo era come
pronunciare una bestemmia a gran voce.
Gli
presi la mano che accarezzava la mia guancia e me la portai alle
labbra, depositandoci
un casto bacio. Poi gli rivolsi un sorriso che proveniva direttamente
dal cuore
e mi apprestai a fornirgli la certezza che anelava e che io non volevo
negargli
oltre. Avevo detto a me stessa che mi sarei messa in gioco. Avevo
ammesso con
me stessa che finalmente ero riuscita ad amare qualcuno. Ma soprattutto
avevo
giurato che non lo avrei mai fatto soffrire e che mi sarei dimostrata
degna del
suo amore.
“Un
poeta disse che l’amore si scopre soltanto amando”
iniziai ricordandomi di una
celebre frase di Coelho. “E io sono pronta a scoprirlo con te
Peter. So di
amarti e voglio capire insieme a te come fare per
dimostrartelo.” La voce mi si
ruppe verso la fine a causa di una lacrima di gioia che si perse sulla
mia gota
già rigata dalle gocce di pioggia. Gioia che
aumentò a dismisura quando vidi il
suo volto illuminarsi di pura felicità. Felicità
che avevamo suscitato io e il
mio amore per lui. Quel pensiero mi faceva sentire leggera come mai
prima
d’ora. Ero in pace con me stessa, tutti i miei problemi si
erano dissolti al
dolce suono del suo “ti amo”. La guerra era una
consapevolezza lontana, Jadis
un problema accantonato, l’origine dei miei poteri storia
passata,
perfettamente trascurabili alla luce di quel meraviglioso presente che
si stagliava
all’orizzonte.
Avevo
passato la vita ad interrogarmi sul mio passato e sul mio futuro
perché odiavo
il presente, ma adesso la situazione era cambiata, avevo finalmente un
motivo
per non guardare né indietro né avanti. E quel
motivo mi stava stringendo con
delicatezza tra le braccia guardando la mia anima attraverso i miei
occhi.
Un’anima che ero pronta a regalargli appena me
l’avesse chiesta. Ora sapevo
cosa c’era tra i due spazi temporali, cosa mi era sempre
mancato tanto da
rendere il mio presente insignificante e vuoto. Tra il passato e il
futuro,
c’era l’amore. Unico, stupendo e giusto.
“Ne
sei veramente sicura?” chiese con la voce bassa,
avvicinandosi al mio viso.
Voleva
essere certo che la mia decisione non fosse affrettata, che mi fossi
presa il
tempo che avevo chiesto e di cui necessitavo. Sapevo che non era una
domanda
retorica, se al momento avessi ritirato le parole di poco fa lui lo
avrebbe
accettato e mi avrebbe aspettata ancora. Ma io ero sicura di
ciò che provavo,
non ero mai stata così certa di qualcosa in tutta la mia
vita.
“Si”
confermai in un soffio.
Il
suo sorriso, se possibile si fece ancora più largo, mentre
accorciava
lentamente la distanza tra noi guardandomi fisso negli occhi.
In
quel momento previdi con chiarezza ciò che stava per
succedere. Stava per
compiere il gesto che aspettavo da quel primo giorno insieme alla
spiaggia
quando mi ero persa nella sua contemplazione mentre dormiva.
Evidentemente lo
stava attendendo con ansia anche lui, constatai onorata e felice. Ma di
nuovo
voleva una mia conferma. Non si sarebbe mai azzardato ad andare avanti
senza il
mio consenso, anche se compiere quell’azione fosse il gesto
che più desiderava
al mondo.
Mi
protesi in avanti, andandogli incontro per fargli capire che quello era
esattamente ciò che volevo anche io. Probabilmente
più di lui e da più tempo di
lui. Dopo quell’incoraggiamento, perse ogni freno.
Fece
sue le mie labbra con una fermezza che credevo fosse impossibile
mescolare a
tanta dolcezza e io finalmente constatai quanto morbidi fossero quei
petali che
sognavo da così tanto. Una sua mano corse alla mia nuca
insinuandosi tra i miei
boccoli mentre l’altra, ancora sulla mia schiena, mi
stringeva di più a sé.
Io
gli allacciai le mie mani dietro al collo, per poi risalire su per i
capelli
serici e biondi, attirandolo a me incurante del fatto che non ci fosse
più
nemmeno un millimetro a dividerci.
Le
labbra di Peter erano sicure e decise, sapevano ciò che
volevano e non
tentennavano a prenderlo, eppure erano al contempo dolci e delicate, si
sposavano alla perfezione con le mie, modellandosi su di esse, senza
imporsi
con violenza. Conduceva il gioco, ma era attento a non andare contro la
mia
volontà. Non si era reso conto che essa si era sbriciolata
nell’istante esatto
del contatto. Ero come creta nelle sue mani, ma quella
vulnerabilità non mi
rendeva ansiosa o a disagio. Sapevo che con lui ero al sicuro, che
potevo
affidarmi totalmente all’angelo che mi stringeva.
Il
bacio aumentò il ritmo, accondiscendendo
all’esigenza di entrambi di sentirci
ancora più vicini. Una mia mano discese lungo la sua guancia
come ad
assicurarsi che non si sarebbe discostato da me. Dipendevo dalle sue
labbra,
erano diventate il mio presente, avevano cancellato il mio solitario
passato e
mi stavano promettendo un futuro insieme.
Non
percepivo più la terra sotto i piedi, né la
pioggia cadere. Esisteva solo quel
bacio, tutto il mio mondo era racchiuso tra le nostre labbra che
procedevano
insieme in quella danza nuova eppure già così
familiare, così normale, come se
fossero nate solo per stare le une sulle altre. Mi sentivo appagata e
felice,
come se il mio unico scopo nella mia vita fosse baciare quelle labbra e
se
quello fosse stato realmente il Paradiso, sarei stata più
che felice di
baciarle per sempre.
Dante
affermava che amava ben poco colui che poteva esprimere a parole quanto
amasse.
Non potevo che concordare, quel gesto passionale, dolce, romantico,
spontaneo
ero più eloquente e più vero di mille discorsi
scontati che non avrebbero
saputo racchiudere tutto ciò che provavo. Quel bacio portava
con sé la mia
voglia mai soddisfatta di sentire qualcuno accanto me, il suo desiderio
di
condividere le sue preoccupazioni con qualcuno, la mia
necessità di essere me
stessa ed essere accettata per quello che ero. Il bisogno di amare
l’altro con
tutto se stesso e di farglielo capire, di assicurargli che da quel
momento in
poi l’uno ci sarebbe sempre stato per l’altro.
Non
sapevo dire se quando ci separammo fosse passato un secondo o
un’eternità. Il
tempo apparteneva a quella dimensione problematica che avevo lasciato a
contemplare passato e futuro. Ma quando avvenne mi persi nel vedere
rispecchiato
il mio benessere fisico e mentale nei suoi occhi. Era la
felicità fatta a
persona, un sorriso beato sulle labbra e gli zaffiri luminosi rivolti
verso di
me.
Un
timido raggio di sole gli illuminò il profilo destro del suo
volto regale.
Alzai lo sguardo al cielo e osservai lieta il cerchio di fuoco vincere
le nubi
grigie che a poco a poco lasciavano il campo ad un cielo azzurro
sconfinato. Ma
non era questo il solo spettacolo meraviglioso che vidi. Aveva smesso
di
piovere, ma le gocce d’acqua si erano cristallizzate in aria
formando il
perimetro di una sfera con noi al centro. Mi guardai attorno osservando
estasiata la rete di piccoli diamanti che ci avvolgeva e solo allora mi
accorsi
che eravamo sospesi a mezz’aria, teneramente abbracciati ad
una decina di metri
dal suolo, alla stessa altezza delle cime più alte degli
alberi del bosco.
“Come
hai fatto?”
La
domanda di Peter mi giunse con voce piena di stupore e meraviglia. Ssi
era
accorto della piccola magia avvenuta.
“Non
ne ho idea” sussurrai incredula. Si trattava senza ombra di
dubbio di magia, ma
ero stata io a compierla? Se era si, non me ne ero minimamente resa
conto.
Mi
ricordavo che ad un certo punto avevo smesso di avvertire la pioggia
cadere e
la terra sotto i piedi, ma avevo accreditato la causa della mia
percezione alla
piacevole distrazione del bacio, non pensavo ad una causa effettiva.
Possibile
che il mio stato d’animo euforico si fosse tramutato in
potere diradando le
nuvole scure? Che la mia sensazione di essere al settimo cielo fosse
stata
tradotta in senso letterale dalla mia magia facendomi volteggiare in
aria? Non
era mai accaduto prima, ma di recente i miei poteri avevano dato vita a
molti
incantesimi che non avevo mai visto, perché ritenere
impossibile anche
quell’ultima dimostrazione dell’assenza di limiti
in campo magico?
“Credo
che la mia magia abbia fatto divenire realtà il mio
desiderio di fermare il
tempo in questo meraviglioso istante, sai?” gli dissi
stringendomi di più a
lui.
Peter
ricambiò la stretta. “Allora ha esaudito il
desiderio di entrambi, mia stella”
rispose, accarezzandomi i capelli. “Ma ti assicuro che anche
senza magia non
basterebbero mille anni per separarmi da te. Ormai ti ho presa e non ti
lascerò
andare facilmente” mi sussurrò
all’orecchio malizioso.
Sorrisi
felice a quelle parole. “Me lo prometti?”
La
sua risposta fu un altro bacio paradisiaco, che firmò la sua
promessa
direttamente sul mio cuore, mentre i raggi del sole, filtrando
attraverso le
gocce cristallizzate, ci avvolgevano con i colori
dell’arcobaleno.
*
Caro il
mio re, goditi questi ultimi
istanti di gloria e pace perché tra non molto avrai ben poco
di cui rallegrarti.
Il piccolo dibattito avvenuto tra te e lei è solo la punta
dell’iceberg.
Mi hai
rubato il trono, il regno,
privato del corpo e costretta a rilegarmi in una dimensione parallela
per
milletrecento anni, ma non avrai anche lei e i suoi poteri, te lo posso
giurare. Lei appartiene a me, non a te, e presto si renderà
conto a chi deve
veramente il suo amore e la sua lealtà, non basteranno le
tue belle parole e i
tuoi baci per convincerla a restare dalla tua parte. E con lei mi
riprenderò
ciò che è mio di diritto, il controllo su Narnia
e sui suoi abitanti e questa
volta per sempre.
Trema
mio giovane e sventurato re perché
la mia vendetta è appena iniziata.
|
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Capitolo 13 *** 12_La magia del tramonto prima della battaglia ***
Ciao
a tutti^^! Ho quasi paura ha postare dopo tutto questo tempo, avete
ancora
voglia di leggermi? Spero tanto di si! Anche perché qst
è il cappy della
battaglia, che finalmente giunge insieme ad un po’
d’azione dopo i capitoli
precedenti riflessivi e più romantici. Solo la prima parte
del capitolo è
ancora sui toni dolci ed è dedicata ai fan di Susan e
Caspian (come vi avevo
promesso, dato che lo scorso capitolo ho parlato solo di Cate e Peter,
qui
fanno il loro ritorno il principe e la regina che compiono i loro
piccoli passi
avanti nelle loro complicata relazione^^). Ci sarà un colpo
di scena finale che
magari qualcuno aveva previsto, spero che vi incuriosisca, fatemi
sapere cosa
ne pensate e cosa vi attendete in seguito a questa svolta^^! Vi lascio
alla
lettura ora, un bacione e dato che è finita la scuola, BUONA
VACANZE A
TUTTIIIIIII^^!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Ringraziamenti:
QueenBenedetta:
Ciao! Sono contenta che Cate e Peter ti piacciano e grazie per i
complimenti
alla ficcyJ! Fammi sapere cosa ne pensi di
qst’ultimo cappy ^^ grazie ancora, un
bacione e a presto 68Keira68
Sweetophelia:
ciao! Sono felicissima che la scena della dichiarazione sia riuscita e
che ti
abbia regalato quelle emozioni (anche io avrei dato nn so cosa per
essere al
posto di Cate, ti capisco hihi^^)! Effettivamente Peter ci ha messo un
po’ per
confessarsi apertamente, però lo h fatto principalmente per
nn metterle fretta,
ma alla fine si è deciso ^^! La fiducia che Cate ha in Jadis
porterà ad alcuni
problemi sia per lei che per Peter, quindi ha ragione a vederla di
cattivo
occhio, anche perché Aslan farà la sua comparsa
ma ci vorrà ancora un bel po’
(si farà attendere come fa quasi sempre quindi ihih) mentre
l’arrivo di Jadis è
ormai alle porte cn tutti i problemi che ne conseguiranno…
Sono contenta che le
citazioni siano state apprezzate, anche perché sono tra le
mie frasi celebri
preferite e mi piaceva l’idea di riuscire ad inserirle ^^
spero che qst cappy
non ti deluda, ma che ti piaccia quanto il precedente J sono curiosa di sapere le tue
impressioni al più
presto ^^! Ti mando un bacione grande grande 68Keira68
noemi_moony:
ciao! Quanti complimenti grazie mille **!! Sei davvero
troppo buona, nn sai
quanto sono contenta nel sentire che la storia ti piaccia
così tanto!!!!!!
Anche a me nn dispiacerebbe incontrare un ragazzo come Peter, oltre ad
essere
bellissimo è pure caratterialmente perfetto, magari ne
esistessero! Spero che
anche qst capitolo ti piaccia così tanto J nn vedo l’ora di leggere
la tua recensione J! Kisskisses 68Keira68
GilmoreGirl:
Ciao! Wow, tutta d’un fiato? *me onorata* grazie mille per
averla apprezzata
così tanto!!!!!!! ^^ sn molto contenta e mi auguro che anche
qst capitolo ti
piacerà come i precedenti ^^ fammi sapere cosa ne pensi^^ un
grandissimo bacio
68Keira68
Risotto:
Ciao! Sono contenta che Peter ti sia piaciuto come il resto
del capitolo,
grazie infinite^^!! Per rimediare alla mancata presenza di Susan e
Caspian
nell’altro però ti anticipo che la prima parte di
qst cappy è interamente loro
che vivranno il loro momento di tenerezza J spero che ti piacerà ^^
fammi sapere cosa ne pensi
della coppietta e del resto del cappy^^ ti mando un bacione 68Keira68
Marti_18:
Ciao! Sono contenta che la storia e Cate e Peter ti
piacciano, grazie **! Mi
auguro ti piacerà anche quest’ultimo capitolo J kisskisses 68Keira68
Grazie mille anche a tutti
coloro che mi hanno aggiunta tra i preferiti, tra le ricordate o tra le
seguite o a coloro che hanno anche solo letto :-)
Buona lettura
Kisskisses
68Keira68
12_La magia del
tramonto prima della battaglia
Girò
sul materasso, verso destra.
No,
era una posizione scomoda per addormentarsi.
Si
rigirò dall’altra parte.
Peggio
di prima.
Calciò
le lenzuola lontano da lei, la stavano soffocando.
Ma
il caldo non diminuì neanche con la lontananza dal cotone.
Diede
due pugni al cuscino, per ammorbidirlo, confidando che almeno quello
stratagemma avrebbe funzionato, ma quando nemmeno quello le
assicurò una
posizione comoda, rinunciò ad appisolarsi e si sedette
irritata sbuffando.
Era
inutile. Da quando si era svegliata di soprassalto per colpa di un
rumore
molesto, non era più riuscita ad addormentarsi, nonostante
si ripetesse che
aveva bisogno di riposo. Quella notte ci sarebbe stata la missione per
conquistare il castello di Telmar, avrebbe dovuto ristorarsi durante il
pomeriggio non girare come una trattola tra le coperte!
Eppure,
nonostante le sue logiche motivazioni, il sonno non giungeva. Avvilita,
raccolse le gambe al petto e mise la testa sulle ginocchia, iniziando a
dondolarsi dolcemente. Da bambina quel ritmato movimento aveva il
potere di
tranquillizzarla, forse avrebbe funzionato anche questa volta
poiché il
problema della dormita mancata non stava nel cuscino, bensì
nei due pensieri
che le martellavano incessantemente la testa.
Il
primo, e il più comprensibile, era l’ansia per la
battaglia imminente. Odiava la
guerra, non sopportava l’odore del sangue, la vista dei
soldati deceduti, il
sinistro suono delle lame che cozzavano l’una con
l’altra. Eppure sapeva che
non poteva sottrarsi, la prosperità del suo popolo dipendeva
anche da quanto
lei era brava ad azzittire il suo Io e diventare una fredda e precisa
arciera.
Peccato però che fosse quasi impossibile far tacere la
propria voce interiore,
specialmente la sera, quando la consapevolezza di aver stroncato un
centinaio
di vite la raggiungeva in tutta la sua grandezza. E a nulla potevano le
sue
motivazioni, che fossero giuste o meno, perché in quei
momenti niente le
sembrava più sacro della vita che aveva spezzato.
Senza
contare la paura di rimanere uccisa lei stessa in battaglia o, peggio
ancora,
il terrore che provava alla sola idea di perdere uno dei suoi fratelli
o la
disperazione che leggeva nei volti del suo popolo mentre piangeva le
persone a
loro care perse sotto il colpo di una spada.
Per
non parlare delle conseguenze devastanti che avrebbe avuto una loro
sconfitta.
Non osava nemmeno rifletterci sopra. Se avessero perso, Narnia sarebbe
stata
spacciata. Telmar avrebbe vinto su tutti i fronti e a loro non sarebbe
che
rimasto stare rintanati da qualche parte ad attendere un miracolo o la
fine.
Ciò
le causa una lunga lista di ottimi motivi per soffrire di insonnia, ma
a questi
se ne sommava ancora uno, forse il principale. Caspian.
Il
ragazzo, per una persona meno problematica e orgogliosa, sarebbe stato
la
chiave per allontanare le sue ansie, ma poiché lei era una
persona problematica
e orgogliosa rappresentava un altro motivo di preoccupazione.
Susan
provava il disperato desiderio di vederlo. Voleva sentire la sua voce
calda
rassicurarla e stringere il suo corpo forte contro il suo per
avvertirlo vicino
a sé, presente come sempre per difenderla e sostenerla. Era
sicura che le
sarebbe bastato questo per scacciare i suoi pessimistici pensieri, la
vicinanza
di Caspian.
Ma
non poteva uscire dalla sua stanza ed intrufolarsi in quella del
giovane. Cosa
avrebbe pensato lui? L’avrebbe presa per una scocciatrice che
imponeva la sua
presenza. In più ora stava certamente dormendo, come avrebbe
dovuto fare anche
lei, non poteva andare a disturbarlo. Era certa che l’animo
gentile del ragazzo
gli avrebbe impedito di cacciarla, ma lei non voleva rivestire il ruolo
dell’importuna.
Quanto
erano morbide le sue braccia che la
cingevano però…
Susan
sospirò e si alzò, stiracchiandosi gli arti. Si
guardò attorno, pensando al da
farsi. Ritornare a letto era fuori discussione. Non sarebbe riuscita ad
addormentarsi nemmeno con mezza bottiglietta di sonnifero. Poteva
uscire dalla
stanza, fare dieci passi verso sinistra, bussare ad una porta simile
alla sua e
chiamare… No, anche quello non era fattibile. O meglio, non
lo avrebbe fatto.
Concluse che l’unica possibilità restante fosse
uscire da quella angusta stanza
e sperare che un po’ d’aria fresca le liberassero
la mente dalle
preoccupazioni.
Decisa,
uscì svelta dalla camera. Una volta nel corridoio, con la
cosa dell’occhio notò
che la porta della stanza di Peter era aperta e che il letto era
intatto.
Sorrise al pensiero che il fratello aveva gradito il letto, e
più
specificatamente la sua ospite, della notte precedente a tal punto da
ritornarci quel pomeriggio.
Almeno
qualcuno che riesce a convivere
felicemente con i suoi sentimenti c’è.
Mosse
qualche passo con la mente rivolta a Cathrine e al re quando
inaspettatamente
si ritrovò dinanzi ad una porta. Non ad una
porta ma a quella porta.
La
camera di Caspian.
Ci
era giunta involontariamente poiché le scale per raggiungere
il piano inferiore
erano esattamente dalla parte opposta. Maledisse il suo subconscio che
l’aveva
condotta dove avrebbe voluto in cuor suo essere se fosse riuscita a
mettere a
tacere il suo raziocinio.
E
ora che era giunta fin lì? Sarebbe entrata? La sua mano si
protese verso la
maniglia, ma appena venne a contatto con il ferro duro
scattò all’indietro come
se si fosse bruciata. Il cuore cominciò a batterle a mille.
Sentiva sopra ogni
altra cosa la presenza di Caspian dietro quella porta di semplice
legno. Voleva
entrare, ogni singola particella del suo essere voleva varcare quella
soia,
eppure la ragione prevalse, ancora una volta, e le sue gambe fecero un
passo in
dietro. Non poteva entrare e disturbarlo senza altra motivazione della
sua
voglia incondizionata di vederlo. Non era da lei e mai lo sarebbe stato.
Strinse
forte i pugni e corse nella direzione delle scale. Doveva uscire,
prendere una
sana boccata d’aria fresca. Magari il vento, oltre
all’odore delle fronde degli
alberi e del muschio, avrebbe potuto portare via con sé i
suoi desideri per
riportarglieli solo quando sarebbe stata pronta per esaudirli.
Passi.
Leggeri, delicati, sicuramente femminili, prima lenti
nell’avvinarsi e dopo
celeri nell’allontanarsi.
Li
aveva sentiti distintamente risuonare nel quieto silenzio
dell’edificio,
proprio dietro la sua porta. Anzi, aveva la netta impressione che la
proprietaria dei passi si era avvicinata di proposito alla sua stanza
per poi
distanziarsene in fretta, anche se non riusciva a capire
perché e chi avesse
compiuto un’azione apparentemente così illogica.
O
meglio, c’era un nome che si era affacciato nella sua mente,
ma sarebbe stato
troppo bello anche solo sperare che Susan andasse da lui di sua
spontanea
volontà con il solo scopo di vederlo. Troppo bello, troppo
irreale, troppo
sentimentale trattandosi di Susan, era una spiegazione dettata
più dal suo
desiderio di averla con sé che dalla ragione.
La
donna che gli stava sottraendo il sonno costringendolo a rigirarsi
inutilmente
tra le lenzuola da ore non avrebbe mai compiuto un gesto guidato solo
dai
sentimenti senza il supporto della logica. Era più probabile
che la stanchezza
gli avesse giocato un brutto tiro facendogli udire suoni inesistenti.
Era
stanco, ma più mentalmente che fisicamente. Era stanco di
ripensare alle parole
di Susan per riudire il suono della sua voce nella testa, era stanco di
riportare alla mente le sue fattezze, i suoi morbidi capelli setosi e i
suoi
vivaci e fermi occhi castani. Stanco di torturarsi con il desiderio
insoddisfatto di posare un delicato bacio su quei petali che erano le
sue
labbra. Ma purtroppo sapeva bene che era un desiderio ardente quanto
irrealizzabile per il momento. La regina gli aveva chiesto del tempo
per
metabolizzare i suoi sentimenti e lui le aveva giurato che
l’avrebbe attesa. E
avrebbe rispettato la sua promessa ad ogni costo.
Se
sopravvivo allo scontro di questa
notte.
La
riflessione gli era giunta come un fulmine a ciel sereno. Quella notte
si
sarebbe tenuta la battaglia alla fortezza di Telmar, la battaglia per
la quale
tutta la popolazione di Narnia si era preparata lavorando sodo per
mesi. Il
pensiero fisso di Susan gli aveva fatto mettere in secondo piano tutto
il
resto.
Incredulo
per aver quasi dimenticato una simile questione, adirato con se stesso
poiché
un principe non poteva certo permettersi una mancanza del genere, si
alzò dal
letto e andò a recuperare la spada, con
l’intenzione di uscire fuori ed
allenarsi, come per espiare la sua colpa.
Almeno
si sarebbe certamente sentito più utile e attivo fuori a
tirare fendenti
all’aria che lì a stropicciare il lenzuolo
riflettendo sul sorriso di Susan.
Cercando
di non far eccessivamente rumore, richiuse la porta dietro di
sé e si accinse a
percorrere il corridoio illuminato fiocamente dalle torce. Nonostante i
buoni
propositi di non soffermarsi con il pensiero sulla ragazza non
poté impedire ai
suoi occhi di guizzare veloci sulla porta della sua stanza. Era
lì, sulla parte
del corridoio opposta a dove era la sua. Era chiusa, probabilmente
Susan stava
dormendo come avrebbe dovuto fare anche lui. Certamente non passeggiava
dinanzi
all’ingresso della sua camera come aveva sperato ingenuamente
qualche minuto
fa.
Fissò
la porta con insistenza, tanto che si stupì nel non vederla
andare a fuoco.
Aveva un desiderio inestinguibile di aprirla ed andare da lei, sapeva
che il
semplice gesto di girare quella maniglia, sarebbe equivalso per lui ad
avere
l’accesso al Paradiso. Ma era ben conscio che se
l’avesse fatto avrebbe infranto
la promessa di aspettarla e lei si sarebbe allontanata
un’altra volta. A quel
punto riconquistarla sarebbe stato ancora più arduo, se non
impossibile.
Scosse
la testa desolato e proseguì lungo le scale, arrivando
presto nella sala
centrale, attualmente deserta. A tutti era stato consigliato di andare
a
dormire sin dal primo pomeriggio per essere riposati e in forma per la
battaglia di quella notte a Telmar. Un’ottima idea suggerita
da Lucy,
ovviamente se qualcuno non soffriva di insonnia per cause di cuore come
Caspian.
Uscito
dalla sala, venne accolto dal sole pomeridiano, il cui calore veniva
piacevolmente smorzato da un venticello fresco e leggero. Un clima
ideale per
allenarsi e distendere la mente.
Avanzò
lungo il grande ed immenso prato che circondava l’edificio,
delimitato in
lontananza dagli alberi secolari, con la lieta prospettiva di poter
smarrire i
suoi pensieri nei gesti automatici dell’arte della scherma.
Adorava tirar di
spada, ma ancora di più il magico momento dove il suo
braccio si fondeva con la
fidata arma di metallo, diventando un tutt’uno efficace
quanto letale, dove non
aveva più bisogno di riflettere sulla tecnica o sulla
prossima mossa in quanto
ogni movimento e attacco diventavano naturali come respirare.
Tirò
fuori la spada dal fodero, calibrò l’arma
pregustando l’inizio
dell’esercitazione e caricò il primo colpo alzando
lo sguardo sopra un nemico
invisibile.
Il
braccio rimase fermo a mezz’aria, pietrificato, bloccando
l’affondo. L’aveva
vista appena aveva guardato dinanzi a sé. Non era
un’allucinazione, era la
realtà. Lei, la ragazza che l’aveva fatto alzare
dal letto, la ragazza che
desiderava con tutto se stesso, la ragazza che occupava ogni suo
singolo
neurone. Lei era veramente là, seduta da sola in mezzo alle
rovine dell’arena,
intenta ad osservare il cielo azzurro sovrappensiero. Gli
bastò un attimo per
capire di chi erano i passi uditi poco prima. Erano veramente di Susan,
era
andata da lui per vederlo ma all’ultimo doveva averci
ripensato ed era corsa
via. Il sentimento che l’aveva portata davanti alla sua porta
era stato ancora
una volta battuto dalla ferrea logica che l’aveva
già allontanata da Caspian.
Il
principe si chiese se fosse saggio avvicinarla, considerando che era
appena fuggita
dalla sua porta. Forse la sua presenza l’avrebbe infastidita
e avrebbe fatto
meglio a tornare dentro.
La
mente del ragazzo scacciò subito quell’opzione.
Era stata lei la prima ad
andare da lui, ciò voleva dire che aveva il suo stesso
desiderio di vederlo ma
gli mancava la forza di perseguirlo. In tal caso il meglio che il
giovane
principe potesse fare era di aiutarla andandole incontro ed esaudendo
di
conseguenza l’ambizione di entrambi.
Ripose
la spada nel fodero e si avvicinò con calma alla figura
esile della regina.
Seduta
con la schiena appoggiata ad una delle lastre di marmo, fissava assorta
il
cielo, gli occhi limpidi e pensierosi, i capelli sciolti prede del
vento, il
viso leggermente inclinato verso destra. Nel quadro, la donna
più bella che
avesse mai visto. Il cuore di Caspian aumentò la
velocità dei battiti mentre
posava il suo sguardo su di lei, discreto come una lieve e timida
carezza. In
quel frangente, priva della solita austerità e senza doveri
immediati da
eseguire, ma immersa in una personale oasi di pace, ispirava dolcezza e
fragilità. Fragilità che strideva con
l’idea che da lì a poco avrebbe dovuto incoccare
frecce per assottigliare le linee nemiche. Fragilità che la
portava ad essere
la persona che Caspian meno che mai avrebbe voluto vedere in guerra.
Fragilità
che esigeva un custode che la proteggesse dagli avversari e da ogni
possibile
ferita, e lui sarebbe stato quel custode. Il suo
custode. L’avrebbe difesa da ogni persona, da ogni spada e da
ogni freccia che avessero anche solo osato considerarla come un
bersaglio.
Talmente
era immersa nelle sue riflessioni, che Susan nemmeno si accorse
dell’arrivo del
principe finché egli non rivelò la sua presenza
richiamando la sua attenzione.
“Non
riesci a dormire?” le chiese, prendendo posto accanto a lei.
Susan
sobbalzò dalla sorpresa nell’udire la voce calda
di Caspian. Posò il suo
sguardo su di lui e un lieve rossore, raro da trovare sulle sue gote,
si fece
strada sul volto mentre realizzava il nuovo giunto. Il cuore prese a
batterle
forte, tanto che temette che lui potesse sentirlo. Accidenti, odiava
essere
presa alla sprovvista, specialmente se l’artefice del
sentimento era capace di
bloccarle la parola già normalmente. Deglutì, e
cercò di riprendersi dalla
sorpresa, soffocando la risposta sincera e completa che aveva in mente
per
rispondere alla sua domanda -“si, perché continuo
a pensare a te”- e
recuperando un minimo di contegno.
Felice
del fatto che non fosse tenuta a fornire una risposta
particolareggiata, si
limitò a dire la prima parte, quella meno insidiosa.
“Si”
confermò, esibendo un timido sorriso. “Neanche tu
vedo” constatò poi.
Caspian
ricambiò il sorriso, contento di appurare che aveva avuto
ragione nel credere
che la sua presenza non sarebbe risultata sgradita alla ragazza.
Il
giovane si sistemò meglio accanto alla regina, slacciandosi
il fodero della
spada dalla vita e posandolo poco distante. “Paura per la
battaglia?” si
informò, considerando che la causa più probabile
della sua insonnia fosse il
timore per l’esito dello scontro che si sarebbe tenuto quella
notte. Era
plausibile che fosse in apprensione per il suo popolo, per i suoi
fratelli e
per se stessa.
Un
calore quasi palpabile si propagò lungo il suo petto al
pensiero che quando
aveva sentito la necessità di essere confortata avesse
pensato a lui invece che
a Peter o a Edmund. L’idea che fosse andata alla sua porta in
cerca di sostegno
morale era verosimile. Che si fosse fermata all’ultimo
vergognandosi della sua
debolezza era poi possibile quanto sbagliato poiché Caspian
la stava
incoscientemente aspettando a braccia aperte da tutto il pomeriggio. Ma
al
mancato conforto si poteva facilmente rimediare, il principe le era
seduto
accanto per quello.
“Sono
un po’ preoccupata. A parole il nostro piano sembra
infallibile ma, come si
dice, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare.
Basta un minimo imprevisto
perché il nostro attacco sia un fallimento. E non oso
nemmeno immaginare quali
sarebbero in tal caso le conseguenze per noi”
mormorò a testa china. Sospirò e
scosse leggermente la testa, come a voler scacciare quei funesti
pensieri.
Caspian
avvertì il suo cuore stringersi nell’udire la
paura che riusciva a trapelare
dalle sue parole, nonostante sapesse quanto la ragazza cercava di
nascondergliela. Era sorpreso, non era abituato a vedere Susan
così fragile. Di
solito si presentava come la regina di Narnia, ferma, forte, sicura e
inarrestabile quanto irreprensibile, eppure ora, bagnata dalla luce di
un sole
morente, in quel magico momento a confine tra il giorno e la notte dove
il
tempo pare fermarsi per qualche istante, Susan gli si presentava
dinanzi
esattamente per quello che era. Una giovane donna neanche ventenne che
si
liberava di una corona troppo pesante per il suo gracile collo per
concedersi
un istante di umana debolezza. Aveva paura che il suo popolo perdesse e
venisse
distrutto. Aveva paura che i suoi fratelli e le persone a lei care
morissero in
battaglia. Probabilmente aveva paura che lei stessa morisse in
battaglia,
troncando violentemente la sua vita appena iniziata.
Dinanzi
agli occhi non aveva Susan, regina di Narnia, ma solo Susan. La sua Susan.
Spinto
dalla tenerezza, azzardò un contatto per farle comprendere
che le era vicino.
Con due dita le accarezzò il mento e glielo girò
nella sua direzione, in modo
da guardarla negli occhi, quelle due sfere castane che avevano
momentaneamente
rotto gli argini di austerità per far traboccare un mare di
emozioni. Timore,
angoscia, apprensione, insicurezza. Ed ora che il suo sguardo si stava
incatenando al suo forse anche… emozione? Aspettativa?
Felicità?
“Andrà
tutto bene. Tuo fratello non è uno sprovveduto, è
il re più capace che Narnia
abbia mai avuto e il tuo popolo sa come deve difendersi e come deve
lottare.
Abbiamo riveduto il piano cento volte e ci siamo esercitati a lungo e
senza
sosta. Siamo pronti.” Le disse con il tono più
risoluto che aveva. Voleva
convincerla della veridicità delle sue parole. Desiderava
ardentemente
scacciare via l’inquietudine dalle sue iridi nocciola.
“Con questa notte,
Narnia riconquisterà le sue terre e, cosa ancora
più importante, la sua
libertà” concluse.
La
sua ricompensa fu la comparsa di un sorriso, anche se appena accennato.
“Ne sei
certo?” chiese in un sussurro.
“Si”
le assicurò senza esitare.
Sapevano
entrambi che nessuno avrebbe potuto prevedere con certezza
l’esito di quella
futura e determinante battaglia, ma quando si era sospesi nel tempo
risultava
facile crearsi un proprio futuro e credere intensamente ad esso. Ecco
perché il
sorriso di Susan divenne a poco a poco più sicuro e
sollevato.
La
giovane si avvicinò al principe e si accoccolò
tra le sue braccia, mettendo la
parte destra del volto a contatto con il suo petto per farsi cullare
dal
ritmico e costante battito del suo cuore. Il giovane rimase interdetto
solo per
un secondo, poi, con il volto illuminato dalla gioia, cinse la schiena
di Susan
con il braccio destro e prese ad accarezzarle il volto con la mano
sinistra.
La
felicità che provava in quell’istante era
indescrivibile. Il sogno di poche ore
prima era divenuto realtà. L’oggetto del suo
desiderio e del suo amore era lì
tra le sue braccia che si stringeva a lui in cerca di conforto, di
sicurezza,
di pace. La guardò con dolcezza. Aveva le palpebre chiuse e
il volto finalmente
rilassato, privo dell’angoscia con la quale l’aveva
trovata, come se avesse scoperto
nella vicinanza con il giovane l’unico antidoto per le sue
preoccupazioni.
Anche
le sue afflizioni si erano dissolte nel nulla. Il desiderio inesaudito
che gli
aveva tolto il sonno si era avverato poiché ora lei era
lì a riposare sul suo
petto, dove il cuore palpitava di gioia. Appoggiò la testa
con delicatezza tra
i suoi capelli di seta e inspirò a fondo. Lo
investì il suo odore, gli
ricordava quello intenso dei fiori di campo. Gli trasmetteva pace e
tranquillità, come anche il calore che irradiava il suo
piccolo e aggraziato
corpo disteso sopra il suo.
La
sensazione di fragilità e dolcezza che gli trasmetteva
aumentò. L’avrebbe
protetta ad ogni costo, quella notte nessuno avrebbe osato avvicinarsi
alla sua
piccola regina.
Chiuse
gli occhi e si lasciò cullare da quella dolce sensazione di
benessere e di
completezza che finalmente era giunta, unendosi spiritualmente a lei in
quella
magica empasse tra giorno e notte, dove il tempo si ferma congelando
ogni
questione terrestre per cedere il passo a quella divina
dell’amore.
*
Non
era possibile. Non era proprio possibile. Sollevavo massi, risvegliavo
foreste,
addormentavo persone e non riuscivo a fare questo? Non era proprio
possibile.
Sbuffai
irritata e gettai di mala grazia la corazza sul letto. Maledizione a
lei e a
tutti i suoi lacci. Erano dieci minuti buoni che cercavo di infilarla e
ancora
non ero riuscita nell’intento. Quell’arnese si era
rivelato più difficile da
indossare che un corpetto. Il che era tutto dire.
Una
risata divertita catturò la mia attenzione. Mi girai con
sguardo omicida.
“Continua
a ridere e te la tiro addosso” minacciai offesa e ancora
più irritata alla
vista di Peter perfetto nella sua smagliante armatura da cavaliere. La
cotta di
maglia spuntava da sotto la sua corazza recante l’effigie di
Aslan, la spada
era appuntata al fianco e i gambali erano allacciati correttamente a
protezione
delle gambe. Perché ci aveva impiegato meno di cinque minuti
a vestirsi da capo
a piedi? Ma soprattutto, perché la mia rabbia sbolliva
mentre fissavo la sua
figura slanciata, resa argentata dal riflesso dei raggi lunari
sull’armatura
che lo faceva sembrare il principe azzurro delle fiabe? Ero certa che
nemmeno
Re Artù in carne ed ossa potesse eguagliarlo in bellezza e
regalità,
specialmente in quelle vesti. Accidenti, non mi era concesso nemmeno di
adirarmi con lui.
Peter
mi si avvicinò con ancora l’ombra del sorriso
sulle labbra. “Permettimi di
aiutarti” si propose galante.
Accettai
rassegnata. Almeno avrei evitato di passare un’altra
mezz’ora buona a litigare
con i lacci.
Recuperò
la corazza dal letto e mi si avvicinò, iniziando a
posizionarla sapientemente
sul mio petto. Con poche mosse riuscì finalmente a farmi
indossare la parte
superiore dell’armatura sopra un vestito blu notte di Lucy,
adatto per
mescolarsi tra le ombre di notte. Per fortuna non era necessario che
indossassi
le altre protezioni, anzi dovendo assistere allo scontro vero e proprio
da una
posizione appartata e riparata era già un eccesso di zelo
farmi indossare la
corazza.
Scontro.
Quella
terribile parola rimbombo nelle mie orecchie con l’eco del
suo significato
funesto. Tra poco sarebbe avvenuto lo scontro per il quale ci stavamo
preparando da tempo. Lo scontro con la quale Narnia cercava di
riacquistare la
sua legittima libertà. Lo scontro alla quale io avrei
partecipato per mettere
fuori gioco le sentinelle e aprire la grata. Lo scontro dove i Pevensie
e in
particolare Peter potevano perdere
la…
Un
tremito violentò mi impedì anche solo di
concludere il pensiero.
Il
giovane re si accorse del mio stato d’animo e mi
accarezzò il volto. Gli bastò
guardarmi negli occhi per intuire i miei pensieri. Quei pensieri che
avevo
cercato di tenere alla larga fino all’ultimo, persino
prendendomela con la
corazza, ma che alla fine mi avevano raggiunta.
Cercai
di fare un profondo respiro per tranquillizzarmi, ma sapevo che era
inutile.
L’ansia per la battaglia imminente stava per giungere,
inarrestabile e
portatrice di dolorose preoccupazioni.
“Peter”
lo chiamai simulando una calma che in realtà non possedevo
“mi prometti che andrà
tutto bene?” gli domandai cercando nei suoi zaffiri quella
sicurezza che solo
lui sapeva trasmettermi. Purtroppo però in quel cielo
primaverile quella volta
trovai solo l’afflizione che gli causava il desiderio
irrealizzabile di farmi
una promessa che sapeva non poter donarmi. Io per prima ero conscia del
fatto
che la mia domanda era infantile e sciocca. Come poteva sapere lui che
ogni
cosa sarebbe andata per il verso giusto? Che saremmo stati tutti sani e
salvi
domani mattina? Non poteva.
Si
morse il labbra, indeciso su quale risposta fornirmi. Poi un lampo di
fermezza
gli attraversò le iridi cristalline e la sua voce mi giunse
vellutata alle
orecchie mentre mi sollevava il mento con delicatezza.
“Questa
è la mia promessa” disse ad un soffio dalle mie
labbra prima di poggiare su di
esse le sue, morbide come le aspettavo.
Ricambiai
il bacio, aggrappandomi ad esso come se fosse l’unico punto
fermo, l’unica
certezza che potevo portare con me verso il futuro incerto. Socchiusi
le labbra
e accolsi la sua lingua che firmava un tacito contratto di sostegno e
comprensione con la mia. Una sua mano cinse la mia vita per stringermi
di più a
sé, facendo sbattere le due corazze l’una contro
l’altra con un metallico
clangore, mentre le mie corsero ad immergersi tra i suoi capelli
dorati,
percorrendo i lineamenti del suo viso perfetto prima di giungere alla
meta.
Quando
interruppe il bacio, rimase a pochi millimetri dalle mie labbra,
bloccando la
mia testa poggiando una mano dietro essa.
Quando
parlò, il suo alito fresco mi investì insieme al
suo odore che tanto adoravo.
“Ti
prometto che qualunque cosa succeda questa notte, tu sarai al sicuro.
Non
permetterò a niente e a nessuno di nuocerti. Anche se Miraz
dovesse vincere
nella peggiore delle ipotesi, tu sarai al sicuro”
ripeté l’ultima frase
scandendo con calma e fermezza ogni sillaba.
Rimasi
incantata dal magnetismo dei suoi occhi zaffiro trasudanti convinzione.
Come
potevo dubitare delle sue parole? Soprattutto se suggellate
precedentemente con
un bacio intriso di sincerità quanto di amore come era stato
il nostro appena
avvenuto.
Annuii
impercettibilmente, ma non accennai ad alcun sorriso. Anche se le sue
affermazioni mi rassicuravano -e mi facevano più effetto di
quello che avrei
desiderato- , non era la mia incolumità quella che mi stava
più a cuore.
“E
tu?” sussurrai, esprimendo la mia principale preoccupazione.
Se sopravvivere a
quella notte equivaleva a dire sopravvivere senza di lui, non ero
così certa di
voler scampare alla battaglia. Perché in tal caso, la mia
intera esistenza
futura sarebbe stata un sopravvivere
come lo era stata prima di incontrare Peter, poiché solo da
quando il ragazzo
aveva intrecciato il suo destino con il mio aveva realmente cominciato
a vivere. Morto lui, sarei morta
anche io
dentro, tornando ad essere la ragazza senza affetto e con il cuore
sigillato
che il re aveva trovato nel bosco la prima volta che ci eravamo visti.
Il
secondo di esitazione che scorsi nei suoi occhi fu prontamente
sostituito dal
giovane sovrano da un’espressione spavalda, ma, purtroppo per
me, c’era stato
ed io lo avevo scorto. Tuttavia cercai di non darci peso, preferivo
credere
alla sua facciata di guerriero indistruttibile con la quale potevo
nutrire il
mio cuore con grandi speranze di rivederlo intatto e vivo domattina.
“Cathy,
una volta lasciata alle spalle questa questione, sai dove saremo io e
te domani
pomeriggio?” chiese incurvando gli angoli delle labbra
all’insù.
Scossi
la testa leggermente, incuriosita.
Lui
si chinò su di me e accostò la sua bocca al mio
orecchio, con l’aria di
confidarmi un segreto. Fece scivolare entrambe le braccia attorno alla
mia vita
e mi abbracciò.
“Alla
nostra spiaggia. Faremo il bagno insieme, ci sdraieremo sulla sabbia
per
riscaldarci al sole e poi cammineremo tra gli alberi che tu hai
risvegliato.
Solo io e te, come sempre, e tutto questo non sarà che un
brutto ricordo”
Le
sue parole sussurrate tracciavano il quadro della mia completa e
assoluta
felicità. Lasciai che penetrassero nella mia mente,
scacciando via la logica
assieme ad ogni preoccupazione razionale. Non volevo ascoltare per ora,
volevo
solo proiettare me e il mio re tra le onde cobalto e la sabbia fine e
bianca.
Ricambiai
la stretta e nascosi il viso nell’incavo del suo collo,
inebriandomi del suo
odore.
“Non
vedo l’ora” mormorai.
“Anche
io”
Il
cigolare della maniglia ci costrinse a separarci, seppur a malincuore.
La
slanciata e seria figura di Susan, con già l’arco
e la faretra in spalla, si
presentò sulla soglia della mia camera da letto.
“Siamo
pronti” disse lapidaria.
Emisi
un respiro deciso, raccogliendo tutto il coraggio di cui necessitavo.
Non c’era
spazio per i ripensamenti e il tempo per la rassicurazioni era
purtroppo
finito.
Il
momento atteso quanto temuto, era infine giunto.
Nel
prato che circondava l’edificio, tutto l’esercito
di Narnia era pronto per partire
per la battaglia. I centauri calibravano un’ultima volta le
spada, preparandosi
per quando avrebbero dovuto utilizzarle contro i nemici. Qualche
minotauro
limava per l’ennesima volta un’ascia probabilmente
già mortalmente affilata. I
fauni assicuravano l’arco alle spalle, mentre i grifoni
attendevano i loro
cavalieri per partire in volo.
I
cavalieri in questione erano i Pevensie, Caspian ed io. Edmund sarebbe
salito
in groppa con me ed insieme saremmo planati sulla torre di vedetta
sinistra,
dove avremo messo fuori gioco la prima sentinella e alzato il cancello.
O
meglio io avrei fatto ciò mentre lui mi avrebbe protetto in
caso di attacchi
imprevisti.
Inizialmente
si era fermamente proposto Peter per il ruolo di custode, ma insieme
poi si era
decretato che la sua presenza attiva nello scontro era di vitale
importanza. Il
re non poteva restare in disparte mentre il suo popolo combatteva,
doveva dare
l’esempio, guidare i suoi uomini alla carica, aiutarli
lottando e comandandoli.
Quindi, nonostante la preoccupazione del biondo di non essermi
fisicamente
vicino durante la battaglia, si era optato per lasciare che Edmund
rivestisse
il compito del mio difensore privato. Personalmente avrei preferito
Peter, ma
non lo avrei mai sottratto al suo popolo in un momento tanto critico
per
motivazioni puramente egoistiche. Inoltre ero del parere che non avrei
dovuto temere
niente finché Edmund mi fosse stato accanto. Come spadaccino
era abile quanto
il fratello e sapevo che teneva a me, quindi non avrebbe mai permesso
che mi
succedesse qualcosa di spiacevole. Anche perché sospettavo
che Peter lo avesse
minacciato di terribili conseguenze per ogni ipotetico graffio avessi
potuto subire.
Con
la coda dell’occhio notai Lucy cercare di catturare la mia
attenzione. Mi stava
indicando una scena alle mie spalle che non tardai a visualizzare. Un
sorriso
malizioso mi si dipinse sul volto mentre scorgevo leggermente in
disparte Susan
e Caspian, vicini e immersi in una fitta conversazione dai toni teneri
a
giudicare dalle espressioni di entrambi. Evidentemente la regina aveva
trovato
il coraggio di aprirsi un poco con il giovane principe. Mi volsi e vidi
Lucy
farmi l’occhiolino divertita e compiaciuta. Dopotutto la
maggior parte del
merito per quell’avvicinamento andava a lei.
“Se
siete tutti pronti, possiamo andare” la voce perentoria di
Peter risuonò tra
gli astanti.
No,
mi ero sbagliata, quella che avevo udito non era la voce di Peter. Era
la voce
del re di Narnia. Mai come in quel momento ammirai la sua figura regale
nell’armatura. Testa alta, schiena dritta, sguardo fiero e
mano appoggiata
all’elsa, fissava i suoi uomini prima della battaglia.
“Con
questa notte, noi riprenderemo le nostre case e il nostro controllo
legittimo
sulla florida terra di Narnia. Faremo vedere a Telmar e a Miraz chi
comanda su
queste pianure verdi e magiche. Narnia è nostra. Ma, cosa
ancora più
importante, ci riprenderemo la libertà che ci è
stata ingiustamente sottratta.
Libertà!”
L’esercito
fece da eco all’ultima parola pronunciata dalla bocca del
biondo. La mia
ammirazione crebbe. Peter sapeva come incitare i suoi soldati, come
infiammare
i loro cuori e spronarli all’attacco anche solo con una
piccola arringa. Era un
sovrano nato.
Si
avvicinò a me e scorsi nei suoi occhi un poco di quella
preoccupazione che
cercava a tutti i costi di nascondere. Mi guardò teso e
serio, incatenandomi
con il suo sguardo.
“Io
farò tutto ciò che è in mio potere per
proteggerti e trarti in salvo, ma tu non
fare nulla di avventato, d’accordo? Resta con Edmund, con lui
sarai al sicuro.
Non fare niente di più di quello che abbiamo concordato,
nessun atto folle e
apparentemente eroico.” Ordinò con il tono di chi
non ammetteva repliche.
Non
mi fu difficile acconsentire. Per quanto volessi ardentemente la
vittoria di
Narnia, ero troppo codarda per tentare gesti da eroe. Avrei fatto utto
ciò che
potevo per rendermi utile, ma non mi sarei inoltrata nel vivo della
battaglia.
Quello era troppo per me, nonostante l’alta causa che avrei
sostenuto.
“Bene,
in sella allora” concluse a voce alta. Mi diede un ultimo
bacio a fior di
labbra, sfiorandomi la guancia con la mano. Fu veloce e piccolo ma il
suo
significato era immenso. Equivaleva a dire: abbi cura di te, non temere
nulla,
ti difenderò, tra poco saremmo di nuovo l’uno
accanto all’altra.
Senza
ulteriore indugio, mi avvicinai al grifone di nome Plumage, come mi
aveva
informato Susan, che si chinò gentilmente favorendomi la
salita sulla sua
groppa. Sistemai le gambe all’attaccatura delle possenti ali
e immersi le mie
dita tra le morbide piume dorate della creatura. Salire su un grifone
era
un’esperienza che superava di gran lunga quella
già particolare di galoppare su
un cavallo parlante. Ero sopra una bestia mitologica, le mie mani erano
aggrappate alle sue penne vellutate e lucenti che avvertivo reali sotto
il mio
tocco. Era strabiliante, sopportabile solo se si riusciva ad accettarlo
senza
analizzare nel dettaglio la situazione. Più
o meno come ho fatto finora, rammentai a me stessa.
Poco
dopo Edmund montò anche lui, più agilmente di me,
e mi fu dietro.
“Pronta
al decollo?” chiese retoricamente e senza aspettare la mia
risposta, il grifone
spiccò il volo.
Quando
le sue zampe si staccarono da terra trattenni a stento un urlo. Non
avevo mai
volato su qualcosa senza motore e carburante. Sbarrai gli occhi,
temendo che se
avessi guardato di sotto e calcolato a che distanza ero da terra, sarei
svenuta.
Mi artigliai al piumaggio della creatura, minimamente cosciente che
avrei
potuto farle male, troppo stordita dal battere furioso del mio cuore.
Mi diedi
mentalmente della stupida per non aver pensato di chiedere a Peter o a
qualcun
altro di darmi lezioni di volo prima di quella sera. Sapevo che saremmo
arrivati al castello in sella a dei grifoni, eppure, presa
com’ero a
preoccuparmi solo della battaglia,
avevo
tralasciato il piccolo dettaglio che per me sarebbe stata la prima
volta che
utilizzavo quelle bestie per volare. Serrai le ginocchia attorno al
fianco del
grifone, ripetendomi come un mantra che, al pari di Fulmine, anche
Plumage
sapeva cosa fare e non mi avrebbe disarcionata.
Passai
una manciata di minuti con gli occhi testardamente serrati, ama un
violento
scossone, dovuto ad una corrente d’aria più forte
delle altre, mi costrinse ad
aprirli. La sensazione fu indescrivibile. Forse avevo sbagliato a
privarmi
della vista. Lo spettacolo che mi si presentava davanti era talmente
strabiliante da farmi dimenticare la paura di cadere nel vuoto.
Stavo
volteggiando in un cielo stellato, talmente in alto che mi sembrava di
far
parte del firmamento. Il buio ci avvolgeva, ma non ci era ostile,
copriva il
nostro arrivo, accogliendoci e rendendoci parte di esso. Il vento
sferzava
contro il mio viso, facendomi lacrimare gli occhi, ma insieme
all’odore fresco
della notte, portava quello dell’adrenalina che mi entrava
dentro scorrendo
assieme al mio sangue, più veloce ad ogni colpo
d’ala.
La
sensazione di euforia che mi stava pervadendo scomparve però
bruscamente quando
in quel cielo nero vidi stagliarsi delle guglie aguzze illuminate dal
chiarore
della luna. Il palazzo di Telmar era vicino.
Deglutii
a vuoto.
“Stai
calma, andrà tutto bene” cercò di
tranquillizzami Edmund, probabilmente
accorgendosi del mio irrigidimento improvviso, peccato che la sua voce
per
prima suonasse tesa. Era meno abile del fratello a nascondere le
preoccupazioni
evidentemente. Nonostante ciò annuii, apprezzando comunque
il gesto.
Guardai
alla mia destra, dove sapevo stavano volando Peter e, poco
più in là Susan e
Caspian. Un’occhiata e un cenno di intesa segnalarono
l’inizio concreto della
missione.
Edmund
diede un colpetto al grifone che ci trasportava ed esso con una virata
ci
condusse verso la torre più vicina, dove avrei dovuto
neutralizzare il soldato
per poi prenderne la posizione di vedetta.
Feci
un grande respiro per cercare la concentrazione, il timore del volo
completamente cancellato. Ora toccava a me.
Quando
fummo abbastanza vicini, chiusi gli occhi e individuai l’aura
del soldato. Era davanti
a me, passeggiava calmo lungo il perimetro circolare del torrione di
destra.
Chiamai a raccolta i miei poteri e indirizzai una piccola ondata di
energia con
forza a penetrare la barriera della sua aura. Il soldato si
accasciò al suolo
come un sacco di patate poco prima che Plumage planasse silenziosamente
sulla
guglia. Edmund scivolò con agilità lungo la
schiena della creatura alata,
finché non si ritrovò in piedi sul balconcino. Si
volse verso di me e protese
le mani per aiutarmi a scivolare giù a mia volta. In pochi
secondi mi ritrovai
accanto a lui e solo allora, conquistata la torre con il soldato
addormentato a
terra, mi permisi di tirare un sospiro di sollievo. La prima mossa era
stata
compiuta con successo.
Mi
protesi dal parapetto con gli occhi rivolti verso il cielo. La seconda
azione
era di Peter, Susan e Caspian.
Focalizzai
le loro figure ancora in groppa ai grifoni. Stavano planando veloci e
silenziosi verso il corridoio tra le due torri di destra. Quando furono
vicini
a sufficienza Susan scoccò dall’arco due frecce e
atterrò due soldati, precisa
come sempre. Peter smontò a qualche metro da terra e
atterrò con un salto sul
corridoio dietro alle spalle di un soldato. Quest’ultimo non
ebbe nemmeno il
tempo di realizzare cosa stava accadendo che fu trafitto dalla spada
implacabile del re che venne raggiunto poco dopo da Caspian e Susan.
Insieme
tutti e tre si diressero verso la torre in fondo a destra e con
l’aiuto delle
corde e dei picconi si calarono giù dal torrione fino a
raggiungere la finestra
di sotto, quella che dalle informazioni di Caspian dava
l’accesso alla camera
del suo tutore. Li vidi entrare dentro furtivi e indisturbati e
chiudersi la
finestra alle spalle. Da lì avrebbero dovuto raggiungere la
camera di Miraz e
contrattare la resa di Telmar.
“Bene,
sono dentro” commentò soddisfatto Edmund,
appoggiato al parapetto vicino a me.
“Ora devi aprire il cancello” mi ricordò.
Annuii,
affatto preoccupata. Quella era il compito più semplice da
svolgere.
Mi
volsi verso l’inferriata, protesi entrambe le mani verso essa
e richiamai la
magia nei palmi. La sentii subito scorrere nelle mie vene e
convogliarsi nelle
mani. Il cancello era pesante e non avrei saputo tenerlo aperto a lungo
solo
con le mie forze, ma per fortuna si trattava unicamente di aprirlo e
porre poi
un blocco alla ruota posta accanto ad esso, in modo che non si
richiudesse.
La
mia magia, una volta liberata, avvolse le sbarre di ferro e
cominciò a
sollevarle piano, cercando di fare il meno rumore possibile. Occorsero
pochi minuti
affinché il cancello fosse completamente spalancato, al che
concentrai la
maggior parte della magia sulla mano destra per poter utilizzare la
sinistra
per azionare il blocco della ruota sottostante. Ascoltai il
“click”, avviso che
il meccanismo era scattato, con immenso piacere.
“Il
cancello è aperto e così rimarrà
finché vorremo” affermai con certezza.
“Perfetto”
mi rispose sorridendo “Ora dobbiamo aspettare il segnale di
Caspian prima di
chiamare l’esercito”.
“Ora
aspettiamo” confermai io. Appoggiandomi con la schiena alla
balaustra.
“Secondo
te quanto ci impiegheranno?” chiesi, poco dopo.
Edmund
alzò le spalle. “Poco. Devono raggiungere la
camera senza essere visti e grazie
a Caspian non dovrebbe essere un problema. Dopodiché Caspian
tornerà indietro
per dirci di far entrare l’esercito mentre Peter e Susan
terranno sotto tiro
Miraz e negozieranno la resa di Telmar” mi spiegò.
Pregai
tra me e me che tutto andasse liscio come lo descriveva lui. Passarono
altri
dieci minuti in silenzio. Entrambi eravamo troppo tesi per
chiacchierare di
frivolezze ed era inutile disquisire ancora sulla missione in corso. Ma
non era
un silenzio imbarazzante, l’ansia lo riempiva a sufficienza
per scacciare ogni
altro sentimento.
Il
velo di apparente tranquillità della notte fu
però squarciato da un grido.
Sia
Edmund che io scattammo in piedi, preoccupati e sorpresi, e ci
protendemmo dal
parapetto.
Ciò
che vidi mi bloccò il respiro. Peter e Susan stavano
combattendo nel cortile di
pietra con tre soldati.
“Il
segnale! Cathrine, dai il segnale!”
La
voce altisonante del giovane re mi giunse chiara e forte nelle
orecchie. Andai
nel panico. Non doveva succedere questo, sarebbe dovuto arrivare
Caspian
dicendo che Peter e Susan avevano raggiunto la stanza del re di Telmar
e che era
giunto il momento di fare entrare l’esercito per prendere il
castello. Perché
Peter e Susan stavano combattendo ora?
“Catrhine”
Edmund fece presa sulla mia spalla, richiamandomi. “Devi
lanciare il segnale,
subito!” l’urgenza nella sua voce era palpabile e
riuscì a penetrare il mio
smarrimento.
Mi
concentrai per tornare presente e alzai una mano verso il cielo.
Iniziai a
lanciare diverse sfere di luce in aria, abbastanza in alto
affinché i soldati
di Narnia, poco distanti, le vedessero e capissero che era giunto il
loro
momento.
Funzionò
perché nel giro di neanche un minuto sentimmo con sollievo
la carica del nostro
esercito attraversare in forze il ponte levatoio abbassato. In quello
stesso
momento il suono di un corno rimbombò nell’aria e
il cortile si popolò dei
telmarini con le spade sguainate. Lo scontro era cominciato.
Vidi
con angoscia crescente fauni e centauri combattere con coraggio contro
il
grande numero degli uomini di Miraz. Il clangore di spade contro spade,
il
sibilo delle frecce scoccate da archi precisi, le grida di dolore e di
incitamento si confondevano insieme ferendomi le orecchie. Ferita che
si
propagava fino al cuore mentre cercavo disperatamente e inutilmente di
scorgere
Peter in quella baraonda di armi e combattenti. Era sparito, non
riuscivo a
distinguerlo, e per questo la mia ansia cresceva a dismisura. Il mio re
era
stato inghiottito intero dalla battaglia.
“Cosa
può essere andato storto?” chiesi ad Edmund, senza
però distogliere lo sguardo
dal cortile, con la voce che sfiorava le tre ottave.
“Non
lo so. Spero solo che non sia successo niente a Caspian, non era con
Peter e
Susan prima” notò il giovane re.
Corrucciai
la fronte, riflettendo sulle sue parole. Era vero, il principe non si
trovava
con i due ragazzi prima che scoppiasse la battaglia, dove era finito?
Edmund
colpì con un pugno il parapetto, digrignando i denti. Era
preoccupato anche
lui, ma in più sembrava frustrato. Smaniava per agire ma era
costretto a
restare con le mani in mano accanto a me per proteggermi da potenziali
aggressori. Mi sentii in colpa, ma ero troppo vigliacca per decidere di
restare
da sola e permettergli di partecipare alla battaglia. Mi giustificai
pensando
che Peter non gli avrebbe permesso di lasciarmi, anche se sapevo che
era troppo
piccola come scusa per mettere a tacere la mia coscienza.
“Puntare
e… tirare!” una voce autoritaria
richiamò la nostra attenzione.
Dalla
balaustra che collegava le torri di destra si erano affacciati gli
arcieri di
Telmar, pronti a fare cadere sui soldati di Narnia una pioggia di
letali
frecce.
“No”
urlai spaventata e senza accorgermene compii un ampio movimento con il
braccio,
facendo partire un’onda di magia che si propagò
lungo tutto il cortile deviando
la direzione delle frecce e diminuendo la loro potenza, facendo si che
cadessero a terra come semplici ramoscelli guidati dalla forza di
gravità.
Ammirai
basita il mio inaspettato risultato. Avevo reso futile
l’intervento degli
arcieri.
“Grande
Cate” si congratulò Edmund, strabuzzando gli occhi.
Un’espressione
decisa si fece strada sul mio volto. Forse avevo trovato un altro modo
per
rendermi utile a Narnia. Potevo deviare i loro dardi, compito che non
mi
esponeva a rischi e
che poteva salvare
diverse vite.
Vidi
che gli arcieri, sbigottiti che il loro attacco era stato inefficace,
si
stavano preparando per riprovare a colpire. Mi preparai anche io,
confluendo la
magia in tutto l’avambraccio. Appena scoccarono le frecce, io
lancia
l’incantesimo deragliandole nuovamente.
Questa
volta gli arcieri si guardarono attorno, irritati e increduli che i
loro colpi
non andavano a segno. Sorrisi tra me e me pensando che sicuramente non
avrebbero mai potuto pensare che la causa della loro inefficacia fosse
la
magia. In più da quella posizione appartata poteva agire
indisturbata.
“Cate,
guarda là”
Edmund
spinse la mia attenzione su un punto in basso, sulla sinistra vicino al
colonnato. Impiegai qualche secondo per comprendere cosa voleva farmi
notare, e
quando scorsi una chioma bionda in mezzo alla mischia mi si
ghiacciò il sangue
nelle vene.
Peter
stava combattendo con tre soldati contemporaneamente ed era in netto
svantaggio. Cercava di tenere coraggiosamente testa a tutti e tre, ma
era in
difficoltà ed era evidente che non avrebbe resistito ancora
a lungo. Con il
cuore che iniziava a battere furioso e preoccupato, guardai
freneticamente attorno
a lui sperando di scorgere Susan o qualcun altro che stava venendo in
suo
soccorso, ma nessuno pareva essersi accorto della situazione, impegnati
com’erano a scontrarsi con gli altri soldati.
“Non
puoi lanciare una sfera o aiutarlo in qualche modo?”
domandò agitato Edmund.
“Non
posso, se lanciassi una sfera rischierei di colpire Peter, si muovono
troppo
per prendere la mira” dissi concitata.
Cosa
si poteva fare?
Trattenni
il fiato quando vidi la lama di una spada sfiorargli il viso, e
lì presi la mia
decisione.
“Vai
tu” proposi risoluta.
Edmund
mi squadrò non comprendendomi.
“Come?”
“Vai
tu” ripetei “posso farti volare e planare accanto a
lui” spiegai veloce, in
preda all’apprensione. La vita di Peter era in pericolo e
agire in fretta era
fondamentale per salvarlo.
La
decisione disegnò in un lampo i suoi lineamenti.
“Se puoi farlo davvero, fallo
subito” mi intimò, accettando la mia proposta
senza ulteriore indugio.
Senza
rispondergli, mi affrettai a radunare la mia magia e ad impegnarla per
farlo
volare, priva di qualsiasi esitazione. La paura di rimanere sola sulla
torre,
preda di possibili attacchi, era svanita alla luce del fatto che Peter
aveva
bisogno di aiuto. Avrei volentieri affrontato tutto
l’esercito di Telmar da
sola se fosse servito a salvarlo.
Così,
incurante del fatto che aveva fatto lievitare solo me e Peter prima di
allora e
che lo avevo fatto incoscientemente, avvolsi il corpo di Edmund con la
mia
magia, lasciandomi guidare dalla ferrea volontà di salvare
la persona senza la
quale non avrei potuto andare avanti.
Concentrandomi
sulla figura snella del giovane, urlai “vola”
mentalmente. La magia funzionò e
il ragazzo si librò in aria subito. Non mi diedi il tempo
per gioire di quel piccolo
successo e subito mi concentrai per farlo volteggiare oltre il
parapetto, sopra
le decine di soldati che si combattevano tra loro. Scorsi un velo di
preoccupazione negli occhi castano scuro di Edmund, data dal fatto di
trovarsi
sospeso a decine di metri da terra senza un sicuro sostegno ad
evitargli una
possibile caduta, però i lineamenti del suo volto erano
ancora atteggiati nella
smorfia di certezza che gli avevo visto poco prima.
Lo
portai esattamente sopra a dove si trovava Peter e poi lo feci scendere
perpendicolarmente al cortile. Ad un paio di metri da terra Edmund
aveva
sguainato la spada e aveva atterrato uno dei tre soldati colpendolo di
sorpresa
dall’alto.
Peter
nel frattempo era riuscito ad abbattere un secondo uomo mentre Edmund
concludeva
con l’ultimo rimasto. Solo a quel punto trassi un sospiro di
sollievo. Peter
era salvo. Mi appoggiai con le braccia alla balaustra, leggermente
affaticata
per la magia appena compiuta e per la tensione provata. Un rivolo di
sudore mi
scese lungo la tempia mentre osservavo con un sorriso divertito Peter
che
squadrava Edmund incredulo di trovarselo a fianco. Potevo immaginare il
loro
dialogo. Peter, soprassedendo sul fatto di essere appena stato salvato
dal
fratello, stava probabilmente inveendo contro il povero Edmund per
avermi
lasciato sulla torre da sola. Al che il moro avrebbe sicuramente
risposto che
senza di lui sarebbe morto, che ero stata io ad insistere per farlo
volare in
suo soccorso e che ormai, dato che era lì ed io non correvo
alcun pericolo
imminente, era inutile litigare ma occorreva andare avanti con la
battaglia. A
quel punto Peter avrebbe annuito ma ero certa che non gliela avrebbe
perdonata
facilmente e che la discussione era solo rimandata.
Mentre
formulavo questo pensiero, il biondo in questione si volse verso la mia
direzione, carico di apprensione.
Gli
sorrisi per calmarlo, ma mentre alzavo una mano per fargli segno di non
preoccuparsi, una freccia sibilò a poco distanza dal mio
orecchio.
Mi
pietrificai mentre vedevo Peter sbiancare anche da quella distanza.
Deglutendo
diressi il mio sguardo verso la provenienza del dardo. Pochi secondi
dopo però
avrei preferito non aver visto. Una decina di soldati, capitanati da un
uomo in
armatura senza elmo a nascondergli una barba nera e a punta, mi stavano
puntando dal balcone di fronte. Sudai freddo. Diavolo, mi avevano
vista,
probabilmente mentre facevo volare Edmund. E adesso?
Li
vidi preparare tutti e dieci la balestra nella mia direzione. Il mio
cuore
cominciò a battere furioso, ma fortunatamente il mio istinto
di sopravvivenza
prevalse e mi spinse a ripararmi in fretta dietro il parapetto di
pietra,
impenetrabile per le loro armi.
Chiusi
gli occhi e mi riparai la testa con le braccia, precauzione superflua
ma che mi
faceva sentire più protetta, preparandomi al rumore
sibilante che avrebbe
accompagnato l’arrivo delle frecce. Ma non fu un rumore
fischiante a
raggiungere le mie orecchie, bensì quello di un oggetto
pesante in ferro in
caduta libera e quello di diverse urla. Confusa uscii fuori dal
parapetto quel
tanto che bastava per avere una visione completa della scena
sottostante.
Mi
ci volle un secondo per comprendere e riempirmi d’orrore. I
dardi non erano
giunti a me perché all’ultimo il loro capitano li
aveva fermati, dando l’ordine
di colpire invece con una lama la corda che tratteneva il peso posta
sopra la
ruota della cancellata che cadendo avrebbe chiuso definitivamente
proprio
l’inferriata -fonte del rumore da me udito-, chiudendo ogni
possibilità di fuga
ai combattenti di Narnia.
Il
cancello però non si era chiuso del tutto. Un minotauro
infatti si era
coraggiosamente interposto tra esso e il pavimento, sostenendo con la
sua sola
forza l’inferriata.
Ma
non avrebbe retto a lungo. Lo sapeva il minotauro, lo sapevo io, lo
sapeva
Peter che con la coda dell’occhio constatai come fosse stato
spettatore
dell’accaduto, e lo sapeva il comandante degli arcieri, che
con un ghigno
vittorioso stava ordinando ai suoi uomini di caricare nuovamente le
armi e
puntarle contro il nostro soldato.
Quando
vidi le frecce partire ed andare a conficcarsi nel corpo già
provato del
minotauro, mi uscì un “No” soffocato e
pieno d’angoscia. Ero inorridita a tal
punto da non riuscire a concentrarmi per lanciare un incantesimo. Il
soldato si
chinò dal dolore e l’inferriata scese di qualche
centimetro. Ancora qualche
minuto e si sarebbe chiusa definitivamente, e con essa la nostra
speranza di
vittoria.
Guardai
Peter, fiduciosa che sapesse cosa fare per salvare i suoi uomini. Con
piacere
vidi subito che la mia fiducia non sarebbe stata tradita. Il re stava
urlando
di ritirarsi e i soldati di Narnia avevano colto l’ordine
immediatamente, e si
stavano dirigendo in massa verso il cancello, cercando di uccidere
quanti
telmarini potevano al loro passaggio.
Presi
un profondo respiro, riflettendo sul fatto che re Peter aveva preso in
mano la
situazione e che avrebbe portato i suoi soldati alla salvezza. Poco
importava
che non avevamo preso il castello, lo avevamo comunque attaccato, dando
una
grande dimostrazione di forza per una popolazione che teoricamente
sarebbe
dovuta essere estinta, e avevamo inflitto un gran numero di perdite ai
nemici.
Questo già di per sé era una grande risultato.
Notai
gli arcieri di Telmar prepararsi ad un nuovo attacco, ma questa volta
ero
pronta. Deviai con facilità il loro attacco. Peccato che
dopo però non ebbi il
tempo di gioirne in quanto il loro capitano, compreso subito stavolta
da dove
provenisse l’interferenza, si diresse nella mia direzione con
una balestra
pronta e scoccò una freccia. Con una prontezza di spirito
che non credevo di
possedere mi buttai nuovamente al riparo del parapetto, giusto un
secondo prima
che la freccia vibrasse micidiale sopra la mia testa. Sospirai di
sollievo per
il pericolo scampato. Sollievo che si disperse quando avvertii il
rumore
metallico del cancello che si abbassava ancora.
Mi
alzai in piedi ed osservai con angoscia il minotauro che si accasciava
a terra
e l’inferriata che centimetro dopo centimetro segnava la fine
di tutti gli
abitanti di Narnia ancora all’interno del cortile.
D’istinto
alzai le mani e richiamai velocemente la mia magia per fermare la
discesa del
cancello. Lo arrestai ad un metro da terra e concentrandomi riuscii a
rialzarlo
di un altro paio. Sapevo che non potevo bloccarlo come avevo fatto
prima, in
quanto il meccanismo era stato rotto dalla caduta del peso, e
ciò implicava che
avrei dovuto tenerlo aperto solo con la magia finché non
fossero usciti tutti.
Ma la grata era davvero pesante e io già provata dagli
incantesimi svolti
finora, non ultimo quello di levitazione. Non avrei resistito a lungo.
Cercai
con lo sguardo Peter, certa di trovarlo ancora dentro le mura del
castello, e
lo scorsi poco distante dalla posizione dove lo aveva visto prima.
Urlai
il suo nome con quanto fiato avevo in corpo. Dovevo assolutamente
ottenere la
sua attenzione. Il primo richiamo però fu inutile, ma non mi
persi d’animo e
riprovai altre tre volte, con il cuore che batteva sempre
più forte per
l’agitazione. Finalmente, al quarto grido, il re mi
udì e si voltò nella mia
direzione. Notando le mie braccia alzate, fece saettare il suo sguardo
da me al
cancello sospeso a metà e gli bastò un secondo
per comprendere la situazione.
“Fai
uscire tutti, non reggerò a lungo” gli intimai a
gran voce.
Lui
mi sentì e annuì con la testa,
dopodiché ripeté ai suoi uomini il comando di
ritirarsi con rinnovato vigore, urlando la necessità di fare
in fretta. Lo vidi
poi correre nella mia direzione, sul volto un’espressione
preoccupata visibile
sin da quassù.
“Chiama
Plumage subito! Vattene da lassù, i soldati di Miraz ti
hanno puntata!” mi
gridò.
Lo
guardai aggrottando le sopraciglia. “Se io me ne vado, il
cancello si chiude e
voi morirete tutti” gli dissi di rimando, sconcertata dal
fatto che non lo
avesse compreso e cercando di non notare quanto sforzo mi stesse
costando anche
solo parlare mentre sostenevo l’incantesimo.
“Lo
so, ma cosa intendi fare? Rimanere lì in eterno?”
Una
lampadina mi si accese. Peter aveva inteso alla perfezione, ma non
voleva
andarsene sapendomi ancora in territorio nemico.
Gli
sorrisi comprensiva, cercando di ignorare la debolezza che la magia
prolungata
mi stava causando. La testa iniziava a girarmi e cercai di scuoterla
per
scacciare via le vertigini.
“Non
ti preoccupare, appena tutti, tu compreso, vi sarete messi in salvo, lo
chiamerò subito e sarò via prima che Miraz se ne
accorga” lo rassicurai,
cercando di apparire sicura di me.
Lui
scosse la testa. “Cathrine, non intendo rischiare, tu
devi…”
“Io
devo tenere l’inferriata aperta.” Lo interruppi
decisa. Chiusi gli occhi per
colpa di un giramento di testa più forte degli altri. La
magia mi stava
prosciugando le forze. Tra poco sarei crollata, non potevo sprecare
tempo ed
energie a discutere con Peter, doveva andarsene via presto.
Caspian
arrivò tempestivamente in groppa ad un cavallo nero tenendo
per le redini un
secondo cavallo castano probabilmente per il re e seguito da un terzo
destriero
portante un signore anziano che non riconobbi. Fui felice del suo
arrivo,
pensando che forse lui avrebbe convinto il re ad andarsene comprendendo
la
situazione.
Infatti
vidi i due giovani reali discutere tra loro e infine Peter montare
contrariato
sul suo destriero. Sospirai di sollievo, ma un altro giramento mi
investì
forte. Barcollai ma tentai di riprendermi subito udendo il malefico
clangore
metallico che mi ricordava che ad ogni mio piccolo cedimento il
cancello si
avvicinava al pavimento. Le mie braccia stavano tremando, tese fino
allo
spasimo per sostenere il flusso continuo di magia che andava da me alla
cancellata,
ma dovevo resistere, almeno finché Peter e Caspian non
fossero usciti.
“Chiama
Plumage, così inizia a dirigersi verso di te mentre noi ce
ne andiamo” mi urlò
il biondo.
“Ok”
gridai in risposta, senza abbassare lo sguardo. Se serviva per far si
che se ne
andasse, lo avrei accontentato.
Con
una forza che trassi da una fonte sconosciuta, alzai una delle due mani
e
lanciai veloce una sfera in aria, il segnale concordato con il grifone,
per poi
riportarla immediatamente a tenere alzato il cancello, che intento si
era
abbassato di un altro paio di centimetri.
L’ulteriore
dispendio di energie mi causò un giramento di testa
più forte degli altri e per
qualche istante ogni cosa si fece buia. Feci un lento e lungo respiro
per
calmami e riprendere il controllo della situazione. Dovevo tenere duro
ancora
poco, dopodiché sarei tornata alla base con il grifone, da
Peter. Mi aggrappai
all’idea che domani saremmo stati alla nostra spiaggia per
vincere
l’affaticamento, ignorando i rumori
della battaglia sottostante che volgeva alla fine.
Con
la coda dell’occhio vidi il re di Narnia, ancora restio ad
andarsene, che
guardava nella mia direzione, mentre Caspian lo istigava alla fuga.
Fortunatamente il giovane principe sembrò riuscire a
convincere infine il re ed
insieme galopparono fuori dalle mura del castello, protetti dal manto
della
notte, con mio grande sollievo.
Le
braccia ormai tremavano in maniera incontrollabile e non so grazie a
quale
divinità riuscivo ancora a sostenere
l’incantesimo. Resistetti ancora cinque
minuti per dare il tempo a tutti gli abitanti di Narnia di fuggire.
Quando vidi
il cortile completamente sgombro dai combattenti di Peter, potei
finalmente
fermare la magia.
Caddi
priva di forze sulle ginocchia, accompagnata dal metallico suono
dell’inferriata che si chiudeva definitivamente. Con le
braccia ancora tremanti
e il respiro affannoso, riuscii a girarmi di schiena per appoggiarmi al
parapetto in attesa di Plumage. Mi accorsi solo in un secondo momento
che una
sostanza vischiosa e umida mi stava invadendo le labbra. Mi pulii con
il dorso
della mano, ritrovandomelo dopo sporco di un liquido rosso vermiglio.
Sangue.
Lo sforzo dell’incantesimo mi aveva fatto perdere sangue dal
naso.
Meglio
dal naso che non da qualche
ferita,
pensai, soddisfatta del mio
operato nonostante le conseguenze fisiche. Alzai lo sguardo al cielo,
godendomi
la vista delle stelle mentre cercavo delle piume dorate in
avvicinamento,
cercando di ignorare le voci dei soldati telmarini che cercavano di
salvare i
feriti e di lavar via le tracce della battaglia appena avvenuta. Il
petto mi si
alzava e abbassava furioso, in cerca disperatamente di ossigeno.
Quando
fui sicura di riuscire a reggermi in piedi se appoggiata ad un
sostegno, mi
alzai, se pur con qualche fatica, abbarbicata al parapetto. Seppellita
al
riparo della balaustra era improbabile che il grifone mi vedesse e
potesse
giungere in mio soccorso, riflettei. Peccato che non pensai al fatto
che se ero
visibile per Plumage era più che visibile anche per i
soldati di Telmar come mi
fece notare un grido d’allarme proveniente dal cortile.
L’urlo
mi perforò il timpano più per il suo significato
che per la forza effettiva del
suono.
Con
il cuore in gola mi girai in tempo per vedere i telmarini che
indicandomi si
apprestavano a raggiungere la torre dov’ero.
Terrorizzata,
mi sporsi dal parapetto e iniziai a gridare il nome della bestia alata,
cercando di non badare alla testa ch aveva ripreso a girare
violentemente,
causandomi una forte nausea. Ma dove diamine era finito quel grifone?
Sarebbe
dovuto restare nei paraggi pronto per arrivare!
Lo
sguardo mi cadde poi in un punto del prato circostante il castello e il
respiro
mi i mozzò in gola. Anche nel buio della notte, la figura
piumata accasciata a
terra, color dell’oro, era inconfondibile. Plumage era stato
abbattuto. Nessuno
sarebbe venuto a prendermi, realizzai con angoscia crescente. Nessuno
mi
avrebbe salvata, non sarei scesa da quella torre. Non avrei rivisto
Peter.
Il
panico prese il sopravvento. Cosa potevo fare? Ero da sola e priva di
forze. Se
avessi avuto le energie necessarie avrei tentato di lievitare
giù dalla torre,
oltre le mura, ma nelle condizioni in cui ero non riuscivo nemmeno a
sostenermi
sulle mie gambe.
Quando
sentii la porta della piccola torre aprirsi con violenza, seppi che ero
perduta.
Cinque
soldati fecero il loro ingresso squadrandomi guardinghi, ma appena si
accorsero
che il loro avversario era niente di più che una ragazza di
diciassette anni,
un’espressione beffarda si fece strada sui loro volti.
Tremai,
questa volta dalla paura, ma cercai di non darmi per vinta. Non mi
sarei arresa
docilmente, non davanti agli uomini che avevano causato tanto dolore e
sofferenza al popolo di Narnia e ai Pevensie. In quel momento
rappresentavo
loro, non potevo deluderli dimostrandomi debole. Così cercai
di mascherare
quanto più possibile il terrore che mi stava attanagliando
il cuore e
l’angoscia per ciò che sarebbe potuto accadere in
loro nome.
“Una
ragazzina?” esclamò uno dei soldati incredulo.
“Già.
Vediamo se è tanto intelligente da consegnarsi senza
storie” commentò un altro
ironico, avvicinandosi di un passo, estraendo la spada ma senza
impugnarla con
convinzione.
Ignorando
la frase, spinta dalle motivazioni che mi ero elencata, richiamai le
forze
rimaste per incanalarle in una sfera e gliela lanciai. Con essa
però, scemarono
anche le energie. Vidi lo sgomento negli occhi dei miei avversari,
sentimento
che li spinse ad afferrare tutti la spada, mentre sentivo nuovamente il
sangue
colarmi giù dal naso. La vista si appannò, i
contorni di ciò che avevo attorno
cominciarono a divenire sfumati, mentre la mia coscienza andava alla
deriva,
tanto che udii lontanamente le voci sorprese dei soldati accanto a me.
Le gambe
cedettero e tutto si fece velocemente nero mentre scivolavo
nell’inconsapevolezza
dove non esisteva né Telmar né un mio futuro in
certo, ma solo la voglia di
trovare riposo e pace tra le braccia di un angelo biondo…
|
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Capitolo 14 *** 13_Casa mia ***
Ciao a tutti!!! Eccomi qui
con il nuovo capitolo^^ vi ho lasciate con la nostra Cate che veniva
catturata da Telmar, sn stata cattiva lo ammetto, però ora
riprendo esattamente da dove avevo lasciato :-) Piccolo avviso, da qui
in poi la trama si distacca da quella del film prendendo una strada
molto diversa. Tornerà a riprendere il copione originale tra
un bel po'...^^ C'è una sorpresa alla fine del cappy, che
forse qualcuna di voi avrà presagito...^^ Sono curiosa di
sapere i vostri pareri sul finale e le vostre supposizioni sul prossimo
capitolo, vi aspetto numerose :-) un bacioneeee^^
Ringraziamenti:
GilmoreGirl_:
ecco il cappy con il suo seguito^^ si, ho chiuso nel momento cruciale
la votla scorsa, però altrimenti la suspance dove sarebbe
stata? :-) spero che anche questo cappy ti piaccia, fammi sapere cosa
ne pensi^^ un bacione grande e grazie per la tua recensione^^!
noemi_moony: Ciao!
La ficcy e io siamo onorate del fatto che pur di leggerla hai rubato il
tempo allo studio **!!!! Spero che tu sia stata promossa cmq a pieni
voti carissima :-)! Peter nn avrà una reazione "docile"
quando scoprirà la sorte di Cate come era prevedibile, ma
dopotutto gli hanno rapito la sua amata, chi può
biasimarlo?^^ Ma vedrai per bene la sua reazione leggendo, nn
voglio rovinarti il testo della ficcy anticipandolo^^! Sn curiosa di
sapere cosa ne pensi del finale del cappy, spero di leggere presto la
tua recensione^^ ti mando un bacione!!!
arual:
ciao! sn felicissima che la fan fiction ti piaccia e grazie mille per i
complimenti al mio modo di scrivere, thanks^^!!! Mi auguro che anche
qst cappy ti piaccia^^ un abbraccio grande!
sweetophelia: Ciao!
spero di aver aggiornato prima che tu sia partita per le vacanze!
Scusami, l'ultima volta ho impiegato una vita prima di postare, hai
ragione^', ma la scuola nn mi stava dando un attimo di tregua, sob! Cmq
ora ho postato il nuovo cappy così potrai vedere il destino
che attende Cate che riprende esattamente da dove l'avevamo lasciato ^^
non vedo l'ora di leggere cosa ne pensi di quello che
succederà a Cathrine, di come finisce il capitolo
e soprattutto di sapere tue eventuali supposizioni
per il futuro^^! Sn contenta che ti sia piaciuto cm ho descritto la
battaglia, era la prima volta che mi cimentavo su una scena
così movimentata ed ero un po' dubbiosa sul risultato,
quindi grazie per avermi rassicurata^^! Concordo con il fatto che era
ora che Susan diventasse meno rigida, infatti nn vedevo l'ora di
scrivere quel pezzo, il povero Caspian stava aspettando troppo! Spero
che anche qst capitolo nn ti deluda^^ a presto, un bacione
grandissimo!!!!
SweetSmile: Ciao!
Grazie mille per i tuoi complimenti, nn sai quanto faccia piacere
vedere il proprio lavoro apprezzato, grazie davvero! Mi auguro che
anche qst capitolo ti piaccia^^ un abbraccio forte!
debby95: Ciao!
Figurati, anzi spero che tu abbia passato delle belle vacanze^^!
Guarda, fidati se ti dico che fa sempre piacere sentire la parola
"fantastico" associata al proprio lavoro, quindi grazie di cuore!!
Spero che quest'ultimo capitolo ti piaccia quanto i precedenti :-)
fammi sapere cosa ne pensi^^ ti mando un bacio grande!!
Ringrazio tutti coloro che
mi hanno aggiunto tra preferiti o seguite o anche chi solo legge,
grazie a tutti!!!!!!!!!!
Spero che il cappy vi
piaccia
kisskisses
68Keira68
13_Casa
mia
“Mio
signore, non sono ancora stati avvistati”
“Non
tornano”
“Il
cielo è ancora sgombro”
Parole dure, che rimbombano
in testa come nel petto. Parole pesanti, che celano dietro di
sé un significato
troppo devastante per dargli una forma precisa.
“Non
tornano” Plumage
e …Cathrine. La sua Cathy. La sua piccola e indifesa stella.
Peter batté con rabbia
un
pugno sul tavolo, facendo spargere il barattolino di inchiostro sulla
superficie lignea.
“Peter…”
la voce di Susan lo
raggiunse tentennante, ma si bloccò quando vide il fratello
contrarre la
mascella.
Il re aveva lo sguardo fisso
su un punto non definito del tavolo, i muscoli tesi e
un’espressione dura in
volto. Dura come la pietra, dura come la morsa ferrea con la quale
stringeva
l’elsa della sua fedele spada, dura come il suo sguardo. Ma
in perfetto
contrasto con lo smarrimento che sentiva dentro. Nessuno aveva ancora
pronunciato il sospetto che aleggiava nella mente di tutti, lui non
aveva avuto
nemmeno la forza di pensarlo, eppure sapeva che prima o poi sarebbe
successo e
allora l’accaduto sarebbe divenuto reale. Ma aspettava solo
quella certezza per
scattare.
Si sforzava di rimanere
immobile, in piedi nella sala della tavola di pietra, circondato dai
suoi
fratelli, da Caspian e dal suo mentore che avevano salvato dalle
prigioni del
castello, e da due ufficiali, ma ogni fibra del suo essere era tesa.
Tesa
dall’ansia che quell’attesa snervante gli causa,
tesa dal dolore che l’infausto
presagio gli stava procurando.
Susan si morse il labbro,
non sapendo come comportarsi con il fratello maggiore. Vedeva che stava
soffrendo, anche se cercava di nasconderlo. Gli leggeva il dolore negli
occhi
azzurri, tormentati come un mare in tempesta e nella postura
innaturalmente
rigida. Sospirò e tentò di parlare nuovamente, ma
questa volta venne interrotta
dall’arriva trafelato di un messo. L’uomo che
stavano aspettando, l’uomo che
portava notizie delle spie mandate in ricognizione per cercare di
conoscere
cosa era successo al grifone e a Cathrine vedendo che i due non
tornavano dalla
fortezza.
L’attenzione di tutti i
presenti si focalizzò sul messo, un fauno minuto per la sua
razza con una corta
spada appesa al fianco. Di tutti tranne che di Peter, che imperterrito
continuava a guardare fisso dinanzi a sé, troppo impegnato a
cercare di
mantenere un minimo di autocontrollo anche solo per girare di poco la
testa.
Nella sala regnava il
silenzio, rotto soltanto dai respiri corti e affaticati del fauno,
causati
evidentemente dalla corsa che aveva sostenuto per arrivare dal suo re
il più
velocemente possibile. Il messo si mise una mano sul petto e
cercò di
regolarizzare il respiro quel tanto che bastava per consentirgli di
respirare.
Quando finalmente parve riuscirci, l’informazione gli
uscì in un rantolo.
“Mio signore, Plumage
è
stato abbattuto mentre la ragazza…è stata
catturata”
Accadde. Il cuore del
giovane re si spezzò in più pezzi. Gli parve che
ogni singola sillaba di quella
frase gli si conficcasse nel suo povero muscolo come una stilettata e
da ogni
ferita sgorgarono una marea di sentimenti.
C’era apprensione. Per
cosa
le avrebbero fatto, per cosa avrebbe dovuto subire, per
l’incertezza sulla sua
attuale salute e per dove si trovava.
C’era paura. Paura di non
rivederla mai più, di averla persa per sempre e di dover
attribuire la colpa unicamente
a se stesso. Paura di non poter accarezzare mai più quella
pelle soffice, paura
di non baciare più le sue labbra, paura di non stringerla
più a sé tra le sue
braccia, paura di non risentire lo scampanellio della sua risata, paura
di non
rivedere più i suoi occhi brillare al chiarore della luna.
Ma soprattutto c’era
rabbia.
Per coloro che avevano osato imprigionarla, per Edmund che
l’aveva lasciata da
sola su quella torre, per Susan che aveva insistito tanto
affinché partecipasse
alla guerra, per Caspian che non aveva rispettato il piano, ma
soprattutto per
se stesso che non era stato in grado di mantenere la sua promessa di
proteggerla, che se ne era andato lasciandola da sola lì in
campo nemico, che
le aveva permesso di esporsi al pericolo.
Un fremito gli
attraversò
tutto il corpo. Il suo timore più grande si era
concretizzato. Cathrine era in
pericolo.
Questo pensiero lo
attraversò come un fulmine a ciel sereno. La certezza che
gli occorreva per
scattare era giunta.
Cathrine
è in pericolo. Si ripeté, come per
dare più veridicità al fatto, e
in quel preciso istante prese la sua decisione. L’avrebbe
salvata, a qualunque
costo, l’avrebbe salvata. Ora, senza attendere un solo
secondo di più.
Senza guardare né i
fratelli
né il messo né nessun altro,
attraversò a rapide falcate la stanza, imboccando
il corridoio di pietra con l’effigi delle sue gesta passate,
mentre stringeva
con forza la spada, pregustando il momento in cui l’avrebbe
usata contro quei
vili che avevano osato sfiorare la sua stella.
In meno di un minuto fu
fuori all’aria aperta, con la luna che ancora alta nel cielo
gli illuminava la
via per raggiungere le stalle dove riposava il suo destriero.
Andò senza esitazioni
verso
quella direzione, solo in minima parte cosciente di avere dietro di
sé i suoi
fratelli e Caspian che cercavano di parlargli inutilmente. Niente di
quello che
avevano da dire poteva interessarlo ora come ora, specialmente se
cercavano di
dissuaderlo dall’andare da Cathrine. Quando però
sua sorella gli si parò
davanti fu costretto a fermarsi.
“Togliti” le
disse scocciato
e secco.
Susan alzò un
sopraciglio.
“No finché non mi ascolterai”
ribatté con determinazione.
Peter abbozzò un sorriso
sarcastico. “Fatica sprecata” mormorò,
facendo per sorpassarla, quando una mano
forte lo afferrò per il braccio, facendolo voltare.
“Lasciami
subito” quasi
ringhiò contro un Caspian che non si fece intimorire dal suo
tono alterato.
“No, prima dicci le tue
intenzioni” gli intimò.
Con la rabbia che montava,
Peter si liberò dalla presa del principe con uno strattone e
lo squadrò in
cagnesco. Possibile che non capissero la sua fretta, che non avessero
intuito i
suoi propositi? Doveva andare a salvare Cathy e doveva farlo
velocemente, ogni
secondo che perdeva per la loro stupidità e i loro indugi
poteva essere fatale
per la ragazza.
“Vado a riportare qui
Cathrine, cosa credi che voglia fare?”
Caspian si esibì in una
smorfia dolente. “Non puoi farlo, la tua
impulsività ti costerebbe la vita.
Pensi di riuscire ad entrare nel castello di Miraz da solo e
indisturbato e
liberare Cate? È una follia”
Il re strabuzzò gli
occhi.
Proprio lui osava fargli la predica su ciò che era
più prudente fare?
“Ma certo,
così tu puoi
mandare a monte un piano dalla quale dipende la vita di Narnia intera
per
salvare il tuo mentore e io non posso rischiare la mia di vita per
salvare la
persona che amo?” sbraitò.
“Esatto” gli
rispose, anche
se un leggero imbarazzo gli si dipinse sul volto, pensando alle
disastrose
conseguenze della sua azione. “Ho sbagliato e lo ammetto, ma
tu non ripetere il
mio stesso errore. Anche dalla tua condotta futura dipende tutta
Narnia. Sei il
re, se muori in una missione suicida quale sarebbe questa, Narnia
cadrà con
te.”
Peter si morse la lingua.
Sapeva che il principe aveva ragione. Aveva dannatamente ragione. Non
poteva
comportarsi come voleva, neppure per le più alte
motivazioni. Molte vite
dipendevano totalmente da lui.
“In più Miraz
avrà
raddoppiato se non triplicato la guardia al castello, dopo il nostro
attacco.
Ti ucciderebbero senza esitazioni se ti vedessero a meno di cento metri
dalle
loro mura. E una volta morto non saresti di alcun aiuto a
Cathrine.” Rincarò la
dose Edmund, prendendo per la prima volta la parola.
Peter abbassò gli occhi
sconfitto. Purtroppo non poteva ribattere a quelle affermazioni. Era
tutte
terribilmente vere. E dimostravano che lui era impotente in quel
momento. Non
poteva salvare Cathrine, non ora per lo meno.
Fece un respiro profondo. Ora
che la rabbia e l’agitazione, che l’arrivo della
notizia aveva portato con sé,
stavano sciamando, riusciva a vedere con oggettività quanto
sarebbe stato
stupido e inutile da parte sua partire seduta stante alla volta di
Telmar.
Ma qualcosa doveva pur fare.
Il suo corpo stesso lo richiedeva, stava fremendo dalla voglia di agire
per
porre un rimedio a quella situazione che non sarebbe dovuta verificarsi.
Guardò i suoi fratelli e
il
principe uno ad uno, l’espressione ferma ma gli occhi pieni
di afflizione e
angoscia recanti una richiesta d’aiuto che poco dopo espresse
a voce. Aveva
bisogno di loro, in quel frangente anche l’orgoglio poteva
essere messo da
parte.
“Cosa devo fare? Non
posso
lasciarla lì e stare con le mani in mano” disse,
con il tono rasente la
disperazione.
A Susan gli si strinse il
cuore a vedere il suo impavido fratello piegato dal dolore per la
cattura di
Cathrine. Non era abituata a scorgere quel sentimento nei suoi
lineamenti, ad
udire la supplica nella sua voce. Di solito pareva indistruttibile, con
sempre
una situazione per ogni cosa, incapace di spaventarsi o abbandonarsi
alla
disperazione. Non aveva mai esitato a prendere in mano la situazione,
anche la
più disperata, e cercare di salvarla senza chiedere
l’aiuto di nessuno. Eppure
ora le pareva immensamente bisognoso del loro soccorso. E lei non
avrebbe esitato
a darglielo, anche perché lei per prima era in apprensione
per la ragazza che
coraggiosamente li aveva salvati tutti tenendo il cancello aperto
finendo per
rimetterci la sua libertà e rischiando la sua vita. Avrebbe
fatto tutto ciò che
era in suo potere per riportarla da Peter.
Con un movimento aggraziato
andò accanto a suo fratello e gli strinse il braccio, in
segno di conforto,
catturando la sua attenzione.
“Prepareremo un piano,
riorganizzeremo l’esercito e andremo a salvarla. Tutti
insieme” gli illustrò
cercando di trasmettergli più fiducia possibile.
Lui inspirò ed
espirò forte.
Poi annuì deciso, rialzando la testa e facendo scomparire
ogni traccia di
disperazione dal suo viso. Doveva tornare ad essere forte. Lo doveva
fare per
sé stesso, per il suo popolo ma soprattutto per Cathrine.
Si rivolse ad Edmund, con il
tono più fermo che sapeva usare. “Quanti giorni ti
ci vogliono per preparare
l’esercito ad un’altra battaglia?” si
informò.
“Massimo tre, non uno di
più” rispose pronto il ragazzo, lieto di vedere il
fratello di nuovo padrone di
sé e della circostanza.
“Bene. Penseremo ad un
piano
per portare Cate fuori da Telmar, ma se tra tre giorni questo piano o
l’esercito non dovessero essere pronti, io vado a liberarla
lo stesso. E che
nessuno questa volta osi fermarmi, intesi?” li
squadrò nuovamente tutti, viso
per viso. I presenti annuirono, certi che a nulla sarebbe valso
ribattere di
fronte a tale risolutezza. Infine, seri in volto ma fiduciosi nel
futuro, i
Pevensie e il principe si diressero verso l’interno
dell’edificio, desiderosi
solo di riposare dopo quella notte eccezionalmente lunga e piena di
emozioni.
Solo il re rimase ancora fuori, bagnato dalla luce della luna alla
quale
rivolse il suo sguardo.
Ora che non c’era
più
nessuno a vederlo, la maschera di assoluta fermezza e sicurezza
crollò di
nuovo, facendo traboccare il dolore immenso che sentiva. Si
appoggiò alla dura
parete di pietra con una mano all’altezza del petto. Non
riusciva più a sentire
battere il suo cuore, come se gli fosse stato strappato dal petto. Ed
effettivamente questo era proprio ciò che gli era successo.
Il suo cuore
apparteneva a Cathrine e con lei se ne era andato.
Ma se lo sarebbe ripreso
insieme alla ragazza. Tra tre giorni non un minuto di più,
avrebbe immerso il
viso nei suoi soffici ricci rossi e si sarebbe ubriacato del suo
profumo
fresco. Avrebbe accarezzato quella pelle nivea e delicata e si sarebbe
beato
della morbidezza delle sue labbra contro le proprie. Avrebbe stretto a
sé quel
corpo esile ma celante una grande forza d’animo e non
l’avrebbe mai più
lasciata andare via. Mai più sarebbe stata lontana da lui o
in pericolo.
Se lo ripeté
più e più volte
e lo giurò alla luna e a tutto il firmamento che lo
osservava, giudice e
complice di quelle promessa che mai avrebbe infranto.
*
Freddo. Fame. Stanchezza.
Paura.
Queste le sensazioni che
provai una dietro l’altra appena aprii gli occhi,
ridestandomi dallo
svenimento.
Il freddo mi attraversava la
schiena, a contatto con il pavimento di pietra, duro e irregolare, e fu
quello
che mi svegliò, facendomi ritrovare in un ambiente angusto
quanto buio, se non
per qualche raggio di sole che timido entrava attraverso una feritoia
in alto a
destra, illuminando quel tanto che bastava per farmi comprendere di
trovarmi in
una cella larga due metri quadri massimo.
Sbattei le palpebre più
volte per abituare gli occhi alla fioca luce ma soprattutto per vincere
la
confusione post risveglio che mi stava venendo. Facendo appello a tutte
le mie
energie, cercai di mettermi seduta. Il movimento però, se
pur lieve e lento, mi
fece girare la testa, tanto da farmi venire la nausea. Vidi le sbarre
della
cella muoversi sotto i miei occhi e per non cadere nuovamente a terra
dovetti
appoggiare la schiena alla parete di pietra e tenermi la testa ferma
con
entrambe le mani.
Inspirai ed espirai più
volte, cercando di stare più immobile possibile e a poco a
poco vidi le sbarre
tornare al loro posto e il senso di nausea sciamare.
A quel punto cercai di fare
mente locale sul perché mi trovavo in una stanza con le
sbarre. L’ultima cosa
che ricordavo era la battaglia che infuriava mentre io tenevo aperto il
cancello per consentire a Peter e Caspian di andarsene per poi
andarmene a mia
vol… L’immagine del corpo piumato e privo di vita
di Plumage, accasciato ai
piedi del castello, mi si parò dinanzi agli occhi, e con
essa il ricordo degli
avvenimenti successivi. I soldati, la mia debole difesa, la loro
sorpresa e poi
il buio. Quello che era accaduto dopo era facile da immaginare. Mi
avevano
presa di peso e sbattuta qui dentro in attesa di qualche ordine da
parte di
Miraz. Quindi, in poche parole, era prigioniera di Telmar. Fantastico.
Con un gesto stizzito sbattei
un pugno sul pavimento e solo con lo strano tintinnio che
causò quel movimento
mi resi conto delle catene che avevo legate ai polsi, passate
inosservate prima
a causa del mal di testa.
Le fissai quasi incredula,
non comprendendo la loro decisione di incatenarmi. Sapevano che ero una
strega,
mi avevano vista mentre lanciavo gli incantesimi e soprattutto mentre
colpivo
il primo soldato che mi si era avvicinato. Realmente pensavano che non
sarei
stata in grado di liberarmi da due semplici anelli di ferro quando
potevo
sollevare un intero cancello?
Con un sorrisetto altezzoso,
mi accinsi a togliermi quelle futili e inutili catene, pensando che
sarebbe
stato solo il primo passo verso la mia liberazione. Ero una strega e
dopo la
scorsa notte ero più che consapevole delle mie
capacità e di quanto potevano
rivelarsi utili. Avevo intenzione di utilizzare ogni grammo di magia a
mia
disposizione per uscire da quel castello il più in fretta
possibile. Non
sarebbe stato difficile, avrei aperto le catene e dopo esse il
cancello,
dopodiché sarei scivolata su per la scala a chiocciola che
scorgevo oltre le
sbarre e da lì mi sarei fatta strada verso
l’uscita del palazzo facendo
addormentare coloro che avrei incrociato sul mio cammino. Potevo
farcela,
sarebbe stato difficile ma non impossibile, cercai di assicurare a me
stessa.
Presi un bel respiro e mi
apprestai fiduciosa a compiere il passo più facile del mio
piano. Richiamai la
magia che nonostante fossi ancora debilitata non tardò a
farsi sentire dentro
di me, al che la incanalai per togliermi le catene.
Rimasi impietrita quando
vidi i due anelli di ferro ancora saldamente legati ai miei polsi.
Sbalordita,
non esitai a riprovare. Una volta, due volte, tre volte. Alla quarta
iniziai a
cercare di togliermi le catene con le mani, presa dalla frustrazione,
ma esse
non demordevano.
Afflitta e sconsolata, mi
accasciai contro la parete. Com’era possibile che la mia
magia non funzionasse?
Eppure la sentivo viva scorrere dentro me. Che fossi ancora
eccessivamente
stanca per gli sforzi della sera precedente? Magari mi occorreva tempo
per
tornare in forma e solo allora avrei potuto riutilizzare i miei poteri.
La
spiegazione non poteva che essere quella.
Purtroppo però
ciò equivaleva
a dire che sarei dovuta restare lì in quella cella per
chissà quanto tempo e
senza la mia magia ero solamente una ragazzina di diciassette anni
prigioniera
in terra nemica. Ero alla completa mercé dei telmarini e del
loro re. Quel
pensiero mi procurò un lungo brivido lungo la schiena.
Deglutii a vuoto mentre la
tachicardia tornava a farmi visita. Ormai il mio cuore passava la
maggior parte
del tempo al galoppo per colpa dello stress a cui quella terra mi
sottoponeva.
Se mai fossi tornata a casa avrei dovuto prendermi una vacanza per
ridargli un
ritmo decente.
Cercai di fare grandi
respiri profondi, concentrandomi su un unico pensiero. Peter.
Ero certa che erano a
conoscenza della mia cattura e a quell’ora il mio re stava
probabilmente
facendo quanto era in suo potere per liberarmi.
Chiusi gli occhi
e cercai di immaginarmi il biondo in groppa
al suo destriero alla volta di Telmar con in testa l’unico
scopo di venire a
prendermi. Forse si stava già avvicinando al castello, era
questione di poco
tempo e mi avrebbe tolta da quell’angusta prigione. Si ne ero
assolutamente
sicura. Peter non avrebbe mai permesso che passassi troppo tempo
distante da
lui, figurarsi se poi sapeva che ero in pericolo. Avrebbe scalato mari
e monti
pur di sapermi protetta.
Le mie riflessioni
tranquillizzanti furono interrotte dal sinistro cigolio della porta
della
cella.
Aprii gli occhi di scatto,
il cuore che pompava forte in gola, preparandomi al peggio.
Un soldato con un grosso
mazzo di chiavi in mano mi fissava interessato dalla sua considerevole
altezza.
Cercai di deglutire mentre notavo con preoccupazioni le spalle larghe
come un
armadio a due ante e il sorrisetto beffardo circondato da un paio di
baffi nero
carbone.
“Dunque tu sei la giovane
strega?” considerò ad alta voce.
Annuii impercettibilmente,
fissandolo
circospetta.
L’uomo scoppiò
a ridere.
“Sei uno scricciolo!” esclamò ilare
“Non ci credo che Dominique si è fatto
atterrare da una ragazzetta spaurita. E io che mi aspettavo una donna
matura e
spavalda… che delusione” proseguì
scuotendo la testa fintamente desolato.
Considerai mentalmente che Dominique dovesse essere il soldato alla
quale avevo lanciato l’ultima mia sfera di energia. Avessi
avuto accesso ai
miei poteri ne avrei lanciata una volentieri anche contro di lui,
così avremmo
visto entrambi cosa era in grado di fare lo
“scricciolo”… Ma come si permetteva
di giudicarmi una nullità quando avevo messo il bastone tra
le ruote al loro re
più volte in una sola serata?
“Alzati forza, sua
maestà
desidera vederti” mi intimò con fare spiccio,
passato l’attacco di ilarità.
Lo stomaco mi si contorse.
Cosa voleva Miraz da me? Informazioni? Aiuto? Voleva usarmi come leva
su Peter?
Non sapevo quale era la peggiore
delle ipotesi.
Riluttante, cercai di
ordinare alle mie gambe di raddrizzarsi utilizzando la parete di pietra
come
appoggio.
Una volta in piedi cercai di
muovere un passo senza il sostegno del muro, ma sentendomi barcollare
mi
dovetti riappoggiare immediatamente. Il soldato sbuffò
spazientito ed entrò
dentro la cella per afferrarmi rudemente per un braccio.
“Non ho tempo da perdere
se
non ti dispiace” mi disse ironico mentre veloce mi scortava
fuori dalla
prigione, facendomi fare gli scalini della scala a chiocciola avvistata
prima a
due a due. O meglio lui li faceva e io lo seguivo quasi volando dato
che mi
stava trascinando dietro di lui quasi di peso.
In un batter d’occhio mi
ritrovai in un lungo corridoio illuminato da grandi vetrate coperte in
minima
parte da un drappo rosso scuro in tinta con il tappeto che nascondeva
per
intero il pavimento. Dovevamo essere nelle parti superiori del
castello,
lontano dalla lugubre cella in cui ero stata.
Mi guardai attorno, non
potendo impedirmi di essere curiosa per il fatto di trovarmi in un
autentico
castello in stile MedioEvo, ma rimasi delusa da ciò che
trovai. L’arredamento
era lungi dall’essere sfarzoso, anzi lo avrei addirittura
definito spartano.
Non c’erano quadri a decorare le pareti, né statue
o busti a riempire le
nicchie, né rifiniture architettoniche degne di nota. Il
corridoio, fatta
eccezione per il tappeto, le tende e le torce ora spente, era
tristemente
spoglio e non rendeva assolutamente giustizia all’immagine
che i film del mio
tempo avevano creato nella mia mente.
Delusa e per un attimo
dimentica della persona che m accingevo ad incontrare, mi lasciai
trascinare,
con un mal di testa crescente, sin dinanzi ad una porta
d’ebano senza ornamenti,
in linea con il resto dell’arredamento.
Il soldato, senza diminuire
la presa sul mio povero braccio, al quale certamente era venuto un
livido lì
dove la sua pesante mano stringeva, bussò e, senza aspettare
risposta, entrò in
un sala rettangolare portandomi con sé.
Mi portò al centro della
sala e solo a quel punto mi lasciò libero il braccio con mio
sollievo. Peccato
però che senza il suo sostegno le mie gambe cedettero e mi
ritrovai con le
ginocchia contro il pavimento cesellato della stanza. Repressi una
lieve
smorfia di dolore e mi limitai a massaggiare il livido sul braccio
mentre
facevo una veloce analisi del nuovo ambiente. Veloce forse
però era un
parolone, la mia mente analizzava rapida quanto glielo consentivano i
giramenti
di testa.
C’erano una decina di
troni,
quasi tutti occupati, divisi in due file ai lati della sala e in fondo
ad essa,
davanti ad un’ampia vetrata, principale fonte di
illuminazione, si trovava un
trono più grande e un poco più sfarzoso degli
altri, in una posizione
dominante. Il seggio regale era occupato da un uomo sulla quarantina
sfoggiante
un’espressione sicura e capelli corti e neri celati per
metà da una corona
impreziosita da pietre rare, l’elemento più
sfarzoso che avevo visto finora.
Pizzetto nero e statura media, re Miraz mi fissava interessato e
soddisfatto
con vispi occhi neri come stavano facendo anche gli altri presenti
nella stanza,
compresi i soldati in piedi al fondo della sala che scorgevo con la
coda dell’occhio.
Cercai di reprimere il
tremito di paura che quegli sguardi mi causavano. Desideravo diventare
piccola
fino a sparire per sottrarmi a quell’indesiderata attenzione,
mi fissavano come
se vedessero un animale raro in loro potere e si chiedessero come
potessero
sfruttarlo al meglio.
Il respiro aumentò di
velocità mentre si stava avverando ciò che per
anni avevo temuto e cercato
accuratamente di evitare. Venire scoperta e bollata come mostro o
fenomeno da
baraccone, tenuta in maniera da essere inoffensiva ma comunque non
lasciata a
sé stessa perché troppo interessante per non
guardarla.
Era così che tutte
quelle
persone mi stavano vedendo. Come una creatura strana, paranormale, da
analizzare con circospezione come una cavia da laboratorio.
Ero stata sciocca e
sprovveduta a non aspettarmelo. Con gli abitanti di Narnia, anche se la
convivenza inizialmente non era stata facile, non avevo avuto questo
tipo di
problema per ovvie ragioni, ma con i telmarini la situazione era
totalmente
diversa. Loro erano esseri umani che vivevano in un mondo normale
regolato da
norme che non contemplavano la presenza della magia come i londinesi.
Almeno
fino alla rivelazione che la mitologica popolazione di Narnia era
sopravvissuta.
“Ecco la giovane strega
che
ha salvato gli abitanti di Narnia dallo sterminio” ruppe il
silenzio con voce
baritonale il re.
La mia attenzione si
focalizzò su di lui e cercai di ignorare i vari mormorii che
seguirono le sue
parole confermanti il sospetto della mia identità.
Deglutii a vuoto ma cercai
di controllarmi. Dovevo tenere a mente quello che avevo pensato sulla
torre,
poco prima di essere catturata. Rappresentavo l’intero popolo
di Narnia al
momento, non potevo permettermi di dimostrarmi debole e indifesa
più di quanto
già non parevo. Dovevo faro per loro.
“Avete un nome
cara?” mi
domandò con un finto tono educato, calcando apposta
sull’ultima parola per
sminuirla.
Aprii la bocca ma non ne
uscì alcun suono. Facendomi forza, presi un profondo respiro
e riprovai, questa
volta con successo.
“Sono Cathrine
Icepower” mi
presentai con il tono più sicuro che riuscii a simulare.
“Bene
lady Cathrine, spero che non sia stata
troppo spiacevole la sorpresa di ritrovarmi priva dei vostri poteri
quando vi
siete svegliata” disse.
Rimasi interdetta. Come
faceva a sapere lui che non riuscivo ad avere a disposizione la mia
magia?
La domanda evidentemente mi
si lesse sul viso perché Miraz mi rivolse
un’espressione soddisfatta e goduta. “Dovete
sapere che le catene che portate ai polsi sono tramandate nella mia
famiglia da
millenni per la loro peculiarità, quella di bloccare le
capacità magiche di
qualsiasi creatura, dalla più misera alla più
potente. Devo confessare che non
avrei mai pensato di potermene servire, anzi dubitavo persino della
loro
efficacia. Le avevo conservate come semplice cimelio. Eppure mi
sbagliavo, se
voi siete ancora qui e non avete ancora attentato alla vita di nessuno
vuol
dire che le catene funzionano.” Mi spiegò quieto.
Contrassi la mascella.
Quindi era sua la colpa se mi ritrovavo del tutto inerme.
“Sono certo vi chiederete
il
perché della vostra presenza qui”
continuò il sovrano, con un finto formalismo
che cominciava ad irritarmi. Sapeva di avermi completamente in mano
tanto da
poter permettersi di prendere quasi con leggerezza questa discussione.
Usarmi
per ricattare Peter in modo da sopperire
all’inefficacia dei vostri soldati? Pensai
caustica, ma non mi pronunciai. Non era una buona idea farlo
innervosire per
una piccola soddisfazione verbale data la mia posizione.
“Avete lottato tra le
file
nemiche e avete messo in seria difficoltà i miei arcieri, in
più avete reso
nulli i miei tentativi di intrappolare i soldati di Narnia e sarei
pronto a
scommettere che siete stata voi stessa a farli entrare”
elencò facendo
trapelare una lieve irritazione sul viso.
Concessi ad un sorrisetto
soddisfatto di oltrepassare il timore per depositarsi sulle mie labbra
sentendomi dire quanto ero stata utile al popolo di Peter. Non avrei
mai creduto
che un giorno sarei stata in grado di aiutare una popolazione a
perorare una
giusta causa ed ero immensamente orgogliosa di me stessa. Non mi
pentivo di un
singolo gesto nonostante le conseguenze non rosee per me. E pensare che
in
teoria avrei solo dovuto starmene buona sulla torre ad aspettare che la
battaglia finisse…
“Azioni più
che sufficienti
per giustiziarvi seduta stante” proseguì re Miraz,
al che il mio cuore perse un
battito e probabilmente la mia faccia un tono di colorito, ma cercai di
rimanere
neutrale nelle espressioni. “ma riflettendo con gli illustri
membri del
consiglio” e indicò con un ampio gesto del braccio
gli altri occupanti dei
troni “siamo giunti alla conclusione che sarebbe uno spreco
eliminare un potere
come il vostro e che sarebbe molto più proficuo cercare di
convincervi a
servire Telmar e fornirci eventuali informazioni sui nostri
nemici” concluse
accarezzandosi il pizzetto simulando un’aria distratta
tradita però
dall’attenzione viva che trasmettevano i suoi occhi neri.
Non credevo alle mie
orecchie. Mi aspettavo cercasse di carpirmi informazioni ma propormi di
passare
dalla loro parte assolutamente no. Mi sarei attesa anche che mi
utilizzasse per
ricattare Peter, che mi riconsegnasse a lui sana e salva in cambio
della sua
resa, ma non di tradire Narnia per avere in cambio salva la vita.
Ma che razza di persona
pensava che fossi?
Il sangue mi ribollì
nelle
vene mentre l’indignazione cresceva di pari passo con
l’incredulità.
“Dunque, cosa pensate
della
mia proposta?” mi domandò il re, sporgendosi in
avanti dal suo scranno e
osservandomi in attesa della mia risposta.
Uno sbuffo incredulo mi
uscì
prima che potessi fermarlo dalle labbra. Mi guardai attorno, e vidi
negli occhi
degli altri presenti il riflesso della curiosità e
dell’aspettativa che
albergavano in quelli del loro sovrano.
Il sorriso irritato e
incredulo sul mio viso si allargò mentre rispondevo con
più sicurezza di prima,
grazie al senso di offesa che mi aveva causato.
“Penso che mi
unirò a voi
non prima che l’inferno si ghiacci”
La mia risposta parve rimbombare
tra le mura di pietra mentre gli astanti fermavano persino il respiro,
temendo
la reazione del loro re dinanzi a parole tanto azzardate.
Il silenzio calò nella
sala,
mentre Miraz mi fissava immobile, il sorriso di prima congelato sul
volto, gli
occhi duri come la pietra che costituiva le pareti.
Per un secondo mi passò
nella mente l’idea che forse avevo sbagliato ad essere
così tagliente, ma la
scacciai subito. Il tono non avrebbe cambiato il significato della mia
frase e
solo una risposta affermativa avrebbe potuto portarmi un vantaggio.
Indi per
cui, se dovevo decidermi un destino funesto, tanto valeva che me lo
scegliessi
con stile.
Il sovrano si riaccomodò
sul
seggio reale, accarezzandosi il pizzetto con un’espressione
corrucciata in
volto.
“Forse non avete ben
compreso la mia domanda. Ve la rifarò in modo più
semplice. Volete morire o
unirvi a me? Buttare via la vostra giovane e, se mi permettete,
graziosa
persona o diventare parte della mia corte, con tutto il prestigio e la
ricchezza che ne conseguirebbe in cambio di pochi servigi?”
mi ripeté infine,
rompendo quel gelido silenzio.
Sorrisi nuovamente e alzai
il mento altezzosa. “Ho capito benissimo, grazie. Ma se voi
non avete sentito
la mia risposta, ve la ripeto. Non mi unirò mai a
voi” affermai, scandendo con
calma l’ultima frase, sorprendendo me stessa per la fermezza
con cui decidevo
la mia morte. Forse era semplicemente la testa che non avendo smesso un
secondo
di girarmi iniziava a non funzionare più correttamente.
Vidi la tempia del re
pulsare di rabbia al mio secondo rifiuto, l’unico segnale che
mi faceva
conoscere cosa provava su un volto di marmo.
A quella mia risposta, i
commenti esplosero dai diversi troni, a differenza del gelo caduto
precedentemente. Alcuni tra gli astanti, addirittura si alzarono e mi
indicarono furiosamente.
Solo il re rimase in
silenzio, ad esaminarmi ed io sostenni il suo sguardo con fierezza,
simulando
indifferenza verso il trambusto che mi circondava e che mi vedeva
protagonista,
nascondendo meglio di quanto potessi immaginare il tumulto che
avvertivo
dentro, specchio perfetto di quello che avveniva fuori. Il cuore aveva
ripreso
a pompare furioso, o meglio aveva ulteriormente aumentato il ritmo dato
che
dubitavo avesse smesso anche solo per un secondo di essere in
tachicardia.
Mi avrebbero giustiziato in
quella stessa stanza?
Miraz mi aveva posto dinanzi
ad una scelta, loro o la morte e io avevo optato per la seconda. Mi
aveva
chiesto se volevo troncare la mia giovane
e graziosa persona. La risposta era certamente negativa, non
avrei mai
pensato di morire così giovane né
l’avrei mai voluto, ma il prezzo per la mia
singola vita era troppo alto, difatti la domanda del re era sbagliata.
Non si
trattava di scegliere tra la mia salvezza o la mia resa. Si trattava di
scegliere tra la mia salvezza e quella dell’intera Narnia,
perché se mi fossi
schierata tra i telmarini e Miraz avesse potuto disporre dei miei
poteri, per
Narnia sarebbe stata la fine. Senza contare al colpo al cuore che avrei
inferto
ai Pevensie e soprattutto a Peter con il mio tradimento. Il giovane re
non
avrebbe mai lottato contro di me, lo sapevo fin troppo bene.
Potevo dunque voltare le
spalle all’unico popolo che mi avesse fatto sentire a casa?
Alle uniche persone
che mi avevano accettata così come ero? All’unica
persona che mi avesse amato e
che era riuscito a vedere la vera Cathrine? No, non potevo e non lo
avrei mai
fatto.
Avrei rinunciato alla mia
giovane e graziosa persona in nome di Narnia. Ora che avevo finalmente
qualcosa
e qualcuno da difendere lo avrei protetto. Anche con la mia vita.
Sentivo il cuore pesante
d’angoscia ma non la lasciai trapelare. Come non ascoltai la
parte di me che
sarebbe volentieri scoppiata a piangere. Il trucco era non riflettere
su quello
che avrei perso, in particolare sull’amore di un ragazzo
dalla testa bionda.
Il re si alzò e il
silenzio
ricadde come un manto sull’assemblea. Il mio destino, o
meglio la fine di esso,
stava per essere deciso.
“Ma che persona piena
d’onore. Pronta alla morte pur di non tradire il suo
popolo” commentò con una
sfumatura amara riempiendo tutta la sala con la sua voce baritonale.
Storse le
labbra in una smorfia, come a sottolineare la sua disapprovazione verso
la mia
scelta.
“Lo sai vero che con o
senza
il tuo aiuto, Narnia è spacciata? Un manipolo di soldati
scoordinati non può
nulla contro la potenza di Telmar. Quindi perché
sacrificarsi per una popolazione
ad un passo dalla disfatta?” La domanda retorica venne
pronunciata con tono
mellifluo e io mi sentii ardere dentro. Miraz non sapeva con chi aveva
a che
fare. Peter non si sarebbe fatto battere da un uomo borioso e pieno di
sé,
quelli spacciati erano gli abitanti di Telmar non quelli di Narnia.
“Ma forse avete solo
bisogno
di qualche giorno in cella affinché cambiate
opinione.” Sentenziò. “Scortatela
in prigione di nuovo, si schiarirà le idee”
aggiunse poi rivolto alle guardie.
Ci volle qualche istante
affinché il messaggio venisse recapitato al cervello. Non mi
avrebbe ucciso
seduta stante?
Fu come se un peso enorme mi
si fosse tolto dallo stomaco. Evidentemente dovevo essere
più importante di
quanto pensassi se mi avrebbero tenuto in vita. Non ero così
stupida da pensare
di essere salva, sapevo che Miraz non mi avrebbe lasciato in pace
finché non
avesse ottenuto ciò che voleva, ed ero consapevole anche del
fatto che il
soggiorno nei sotterranei non sarebbe stato come in un hotel a cinque
stelle.
Mi avrebbe distrutta e probabilmente puntava proprio su quello. Contava
sul
fatto che le privazioni e il disagio mi avrebbero sfinita al punto di
cedere
alla sua offerta. Ed era altrettanto plausibile che il suo piano si
sarebbe
avverato, ma io ero certa che non avrei trascorso molto tempo in
gabbia. Peter
sarebbe arrivato e mi avrebbe tratta in salvo.
Sentii una mano forte
afferrarmi per il braccio, là dove un livido violaceo faceva
già bella mostra
di sé dalla presa di prima. Repressi una smorfia di dolore
mentre con rudezza
mi trascinava fuori dalla sala, facendomi quasi cadere. Le gambe erano
ancora
malferme e le forze latenti. La testa non aveva smesso un secondo di
dolermi,
neppure durante l’incontro con Miraz, e la
“delicatezza” del mio carceriere non
mi aiutava.
Mi lasciai trascinare fuori
dalla sala lasciandomi alle spalle un brusio concitato di sottofondo e
lo
sguardo infuocato di Miraz. Ripercorsi i corridoi di prima,
finché il pavimento
non fu più coperto da un prezioso tappeto rosso e le
finestre si fecero più
piccole fino a divenire unicamente feritoie.
Il soldato aprì con un
giro
secco della chiave la porta della cella e mi buttò dentro di
malagrazia. Caddi
carponi sulla dura pietra lasciandomi sfuggire un piccolo gemito, e
quando mi
volsi in dietro per fulminarlo con un’occhiataccia, lui era
già sparito su per
la scala.
Sbuffando, arrivai a gattoni
sino alla parete, per poi appoggiarmici con la schiena e raggruppare le
gambe
al petto.
Feci un bel respiro profondo
e cercai di concentrarmi su un unico pensiero: il rimandare
l’esecuzione di
Miraz avrebbe dato a Peter il tempo sufficiente per venire a prendermi.
Non
avevo alcun dubbio sul fatto che sarebbe venuto, avevo piena fiducia in
lui.
Presto saremmo tornati alla nostra spiaggia, e avremmo passato lo
splendido
pomeriggio che mi aveva promesso.
Reclinai la testa
all’indietro piano, per evitare di andare a sbattere contro
la pietra, e
distesi la mente, figurandomi tra le braccia del giovane su di una
distesa di
sabbia bianchissima. I raggi del sole rendevano dorati i suoi capelli e
il suo
sorriso brillava mentre mi guardava pieno d’affetto con gli
zaffiri che tanto
amavo.
Un sorriso spontaneo mi si
dipinse sulle labbra e grazie a quella dolce visione riuscii a
dimenticare per
qualche ora la fame che tormentava il mio stomaco e le catene che
stringevano i
polsi finché non caddi addormentata.
*
Svegliati,
piccola mia, svegliati…
Aprii gli occhi di
soprassalto. Avevo sentito una voce riecheggiare nello spazio angusto.
Anzi,
avevo sentito LA voce. Avevo sentito Jadis chiamarmi.
Mi guardai attorno,
speranzosa, anche se dovetti strizzare gli occhi per scorgere
ciò che avevo
attorno. A giudicare dalla semioscurità in cui mi trovavo,
era calata la notte.
Affranta perché il mio
esame
non aveva rilevato nessuna presenza oltre la mia nella cella, mi
riappoggiai
alla parete. E poi accadde.
All’inizio fioca ma poi
sempre più luminosa, apparve una sfera di luce azzurrina a
mezz’aria.
Trattenni il fiato, ora
conscia di ciò che stava succedendo, a differenza
dell’ultima volta. Jadis
stava cercando di entrare in contatto fisico con me.
Trepidante di attesa,
aspettai che la sfera si tramutasse in altro o che compisse
chissà quale
azione. La mia aspettativa non fu delusa. La sfera di luce
ondeggiò fino ai
miei polsi e li avvolse con la sua luce. Sentii un lieve suono
metallico e
quando la luce si ridusse alla sola bolla, notai che i miei polsi erano
finalmente liberi e che le catene giacevano sul mio grembo aperte.
Provai subito
ad evocare un semplice globo di luce.
Sorrisi felice quando vidi
la magia compiersi e mi alzai da terra, notando con piacere che avevo
recuperato le forze e che ora potevo fare totale affidamento sulle mie
gambe.
Facendo meno rumore
possibile mi accostai alla porta della cella e la aprii senza il minimo
sforzo.
Sgattaiolai fuori, seguita dalla sfera che mi si parò
davanti quando feci per
prendere la direzione delle scale. La fissai sorpresa e cercai di
superarla, ma
essa si frappose di nuovo tra me e gli scalini. Al che sbuffai
scocciata e
incrociai le braccia al petto.
“Se non vuoi che prenda
le
scale, dimmi tu dove devo andare per uscire da qui” sbottai.
Un secondo dopo mi
resi conto che stavo discutendo con una palla di luce sospesa nel nulla
nella
semioscurità di una prigione. Scossi la testa, incredula del
fatto che stessi
perdendo tempo così inutilmente. La sfera eseguiva solo gli
ordini di chi la
evocava, nulla di più, e certamente Jadis non mi era
abbastanza vicina da
sentire le mie lamentele.
Fu a causa di questi ferrei
ragionamenti che strabuzzai gli occhi quando la sfera di tolse da
davanti a me
e prese a volteggiare nella direzione opposta. Che Jadis mi avesse
sentito
veramente? Ma come era possibile?
Mi ci volle meno di mezzo
secondo tuttavia per decidere cosa fare. Seguii senza esitazione la
sfera anche
se si inoltrava sempre di più nel lungo e scuro corridoio
che ospitava varie
celle al momento vuote. Dopotutto aveva deciso di fidarmi molto tempo
fa di
Jadis, perché cambiare opinione ora? Specialmente adesso che
era venuta in mio
soccorso mandandomi il globo di luce, segno evidente del suo interesse
benevole
nei miei confronti.
Sorrisi ilare al pensiero
che Peter mi avrebbe certamente redarguita quando avrebbe saputo che
avevo
scelto di seguire la strega anche a costo di allontanarmi dalla mia
unica
possibile via di fuga dal castello di Miraz.
Un centinaio di passi dopo,
la sfera si fermò illuminando l’ostacolo che ci
impediva di proseguire. Uno
spesso muro di pietre contro la quale rivolsi un’espressione
corrucciata.
“Non ha senso,
perché mi hai
portata sin qui se la strada è sbarrata?” domandai
pensierosa, convinta che
esisteva una motivazione logica.
Come a volermi rispondere,
il globo volteggiò fino a una pietra in fondo sulla destra.
Incuriosita, mi
chinai per esaminarla meglio, notando che era di una
tonalità di grigio più
chiara delle altre. Con trepidazione, intuendo il perché la
sfera mi avesse
condotta sin lì, toccai la pietra. Quella leggera pressione
bastò affinché si
aprisse uno stretto passaggio sulla mia destra. La lastra che separava
la fine
dell’ultima cella dal muro che chiudeva il corridoio, si era
aperta,
rivelandosi una porta che dava su un corridoio buio.
La palla di luce mi
precedette veloce, come a farsi beffe della mia lieve esitazione data
dallo
stupore, illuminandomi la strada che mi apprestai a percorrere.
Lo spazio era angusto e
umido, ma era alto abbastanza da consentirmi di camminare con la
schiena
dritta. Con una leggera ansia mi accorsi che dopo qualche passo la
lastra era
tornata al suo posto. Se anche questo corridoio si fosse rivelato un
vicolo
cieco, sarei rimasta intrappolata.
Respirai a fondo, ragionando
sul fatto che Jadis non mi avrebbe mai messa volontariamente in una
situazione
pericolosa.
Mi addentrai nel passaggio
segreto per ancora dieci minuti finché un soffio di vento
non portò sollievo al
mio viso, accarezzandolo con la dolce promessa della
libertà. Se riusciva a
passare l’aria vuol dire che il corridoio era aperto e che la
fine era vicina.
Rianimata, percorsi a rapidi
passi quel che restava del passaggio finché i miei piedi non
si ritrovarono a
camminare su soffice erba e non più sulla dura pietra.
Sospirai di gioia e guardai
in alto sorridendo al cielo notturno. Le stelle brillavano riflettendo
la mia
felicità mentre la luna assisteva lieta alla mia
liberazione. Ero fuori dal
castello, ero salva e ciò non dipendeva da un gesto eroico
quanto folle che
avrebbe potuto compiere Peter rimettendoci la sua libertà o,
peggio, la sua
vita. Ero fuori dalla cella grazie a Jadis. Dovevo la mia salvezza a
lei. E
pensare che i Pevensie non volevano neppure sentir pronunciare il suo
nome…
Lanciai un’occhiata alle
mie
spalle. Alte mura di pietra mi sovrastavano, nascondendo la
città e il loro
sovrano. Il passaggio segreto mi aveva condotta direttamente
all’esterno di
Telmar. Mi accostai all’apertura dalla quale ero uscita e
notai che sarebbe
stata celata interamente dall’edera che rigogliosa ricopriva
gran parte delle
mura se non fosse che qualcuno l’aveva recentemente strappata
via in quel punto
per consentire l’utilizzo del passaggio. I rami sottili del
rampicante recavano
infatti i segni evidenti di un’arma affilata. Che se ne fosse
occupata Jadis
poco prima di far apparire la sfera? Ma come poteva essere se la strega
era
intrappolata in un’altra dimensione al momento?
Mordendomi il labbro
sovrappensiero, diedi le spalle a Telmar notando per la prima volta
un’altra
presenza oltre alla mia sul limitare della foresta. Sorpresa, aguzzai
la vista
e mi avvicinai finché non mi fu chiaro che la sagoma chiara
che spiccava in
mezzo a tanta oscurità era una carrozza trainata da due
stupendi esemplari di
orsi polari apparentemente privi di un guidatore.
Strabuzzai gli occhi e mi
pietrificai sul posto. E se era una carrozza di Telmar o di qualche
altro
nobile di una città vicina loro alleata? Avrebbero potuto
vedermi e a quel
punto sarei tornata con le manette ai polsi e dentro la cella nel giro
di un
batter di ciglia.
Un orso emise un verso
gutturale focalizzando la mia attenzione su di essi in modo che mi si
accese
una lampadina. Qualsiasi persona appartenente al mondo degli abitanti
di Telmar
non avrebbe mai utilizzato due orsi polari per trasportare la carrozza.
Supponevo che tra i telmarini andassero di moda i cavalli,
preferibilmente non
parlanti. Solo una carrozza di Narnia poteva essere sufficientemente
strana e
magica da usufruire di orsi bianchi.
Rincuorata, mi avvinai
ancora, seppur mantenendo un’aria circospetta. Non avevo mai
visto una carrozza
simile alla base, né potevo immaginare quali motivi
spingessero un abitante di
Narnia ad arrivare alle porte di Telmar nel cuore della notte. A meno
che…fosse
lì per me. Ma come potevano sapere dove trovarmi e quando se
era stata Jadis a
liberarmi?
Solo quando fui a meno di
dieci metri dalla carrozza, scoprii l’identità
dell’occupante. Un nano con la
corporatura nerboruta che contraddistingue la sua specie,
balzò giù dal fianco
del cocchio, confermando i miei sospetti sulla nazionalità
del proprietario
della carrozza. Portava una pesante pelliccia grigio scuro e un
berretto di
lana, in contrasto con il caldo della serata estiva anche se lui non
sembrava
risentirne. Mi si avvicinò sorridendo in modo che voleva
essere amichevole
anche se mi provocò un brivido di repulsione. Il sorriso
rassicurante sul suo viso
appariva più simile ad un ghigno.
A meno di cinque passi da
me, sorprendendomi ulteriormente, si profuse in un pomposo inchino.
“Altezza, lieto di
vedervi
sana e salva” si pronunciò con una penetrante
vocina acuta.
Dire che rimasi stupefatta
è
un eufemismo.
Altezza?! Si rivolgeva a me?
Ricordandomi molto i
personaggi dei film comici, diedi un’occhiata rapida alle mie
spalle,
assicurandomi che fossimo soli nello spiazzo tra le mura e la foresta.
Oltre a
me e al nano non c’era un’anima viva, dunque
l’altezza era riferito
proprio a me.
“Ci deve essere un
errore.
Io non sono una reale” affermai con il tono di chi parla ad
un bambino piccolo
per fargli comprendere un concetto complicato.
Il nano sorrise divenendo se
possibile ancor più inquietante.
“Voi siete Lady Cathrine
Icepower?” chiese fintamente lezioso.
“Si, sono io”
risposi, con
l’irritazione che stava montando a causa del suo modo di fare
fastidioso.
“Allora non
c’è alcun errore
altezza. Sono Trumpkin, a vostro servizio” e
accennò ad un altro inchino, meno
profondo del precedente, prima di proseguire con il discorso
“vengo da parte
della regina Jadis” e con queste parole il nervosismo
evaporò, sostituito da un
vivo interesse.
Jadis?
Se era stata lei a mandarlo
da me, tutto tornava.
Che fosse uscita
dall’altra
dimensione e fosse finalmente venuta a prendermi come mi aveva
promesso? La
speranza mi fece battere forte il cuore.
“E adesso
dov’è lei?”
chiesi, con la voce impregnata da un’eccitazione repentina.
“Ho l’ordine di
scortarvi
dalla regina”
Il battito aumentò.
Jadis mi
aveva liberata da Miraz, aveva mandato qualcuno ad attendermi fuori dal
castello e voleva
che fossi condotta
sino a lei. Un sorriso spontaneo sbocciò sulle mie labbra.
Finalmente, dopo settimane
passate a sentire la sua voce guida e i suoi consigli, dopo aver visto
pezzi
del suo passato, dopo aver sentito mille racconti sulla sua persona,
l’avrei
incontrata.
“Se volete salire sulla
carrozza...” mi invitò Trumpkin indicando il mezzo
di trasporto.
Feci un primo passo verso il
veicolo senza riflettere, al secondo però l’eco
della voce di Peter mi invase
le orecchie. Lui non voleva che mi fidassi di Jadis e in assoluto non
desiderava che entrassi in contatto con lei. Se fosse stato presente
avrebbe
cacciato il nano e trascinato me a chilometri di distanza.
Mi morsi il labbro, indecisa
sul da farsi. Da una parte, morivo dalla voglia di conoscere di persona
l’unica
altra strega che conoscevo e la prima donna che si era interessata a me
comprendendomi, dall’altra non volevo far infuriare Peter, il
primo ragazzo che
mi aveva accettata così com’ero e che mi amava.
Finora avevo scelto di fidarmi
di Jadis non curandomi delle reazioni del giovane re, ma andare
direttamente da
lei era una questione più delicata che seguire un globo.
Tirai un bel respiro e presi
la mia decisione. Avrei seguito Trumpkin fino a Jadis. La diffidenza
che Peter
aveva nei confronti della strega era ingiusta, al contrario del mio
desiderio
più che vivo di vederla. Mi sarei occupata di sedare la sua
rabbia in un
secondo momento, quell’incontro valeva il rischio di una
litigata.
Salii sulla carrozza e da
così vicino potei notare i particolari che prima mi erano
sfuggiti. Il veicolo
era bordato in oro e decorato con ghirigori che ricordavano i soffi
d’aria.
Aveva un tettuccio al momento abbassato, anch’esso bianco
candido e i sedili
imbottiti in velluto del medesimo colore, talmente morbidi che il mio
corpo ci
si accomodò subito felice di essersi lasciato alle spalle le
dure pietre. La
mia povera schiena era dolente a causa dello scomodo giaciglio sulla
quale
aveva dovuto riposare l’ultima notte e la
sofficità di quel sedile era per essa
un vero toccasana.
Trumpkin prese posto sul
seggio davanti e con un colpo di redini gli orsi, straordinariamente
mansueti e
obbedienti, avanzarono trainando con sé la carrozza verso un
luogo a me
sconosciuto ma dove avrei finalmente conosciuto la donna misteriosa.
Quest’idea mi rendeva
eccitata e nervosa al contempo, tanto che in teoria avrei dovuto essere
un
fascio di nervi incontrollabile, eppure complice
l’imbottitura dei sedili e la
stanchezza per gli ultimi avvenimenti, sentii improvvisamente le
palpebre
pesanti, troppo per tenerle aperte. E i miei arti richiedere di essere
distesi
mentre la testa implorava di esser adagiata su qualcosa simile ad un
cuscino.
Senza che me ne rendessi
conto, mi ritrovai distesa su un fianco su tutto il sedile, e mai
giaciglio mi
parve più comodo. Mi addormentai in meno di un secondo,
sfinita ma con un
sorriso fiducioso verso il futuro.
*
Mi
svegliai sobbalzando,
probabilmente per
colpa di uno scossone della carrozza.
Sbattei
le palpebre più volte e stiracchiandomi il collo
intorpidito, feci leva sugli
avambracci per alzarmi. Mi rimisi seduta e leggermente intontita a
causa del
sonno, mi guardai attorno. La notte volgeva al termine dato che ad est
il cielo
cominciava a farsi di una tonalità più chiara. Il
viaggio, e con esso il mio
riposo, doveva essere durato a lungo.
Non
riuscivo a riconoscere il luogo dove ci trovavamo. Eravamo usciti dalla
foresta
da tempo dato che non scorgevo alberi nemmeno in lontananza. Gli
arbusti erano
stati sostituiti da un prato simile a quello ante-stante
all’edificio che
fungeva da base alle creature di Narnia. Davanti a me, distante un
centinaio di
metri, un lago rifletteva i primi bagliori dell’alba nelle
sue acque
cristalline e placide mentre un isolotto collegato con la terra ferma
da un
ponte all’apparenza robusto, lo divideva in due. Ma
ciò che catturava
principalmente l’attenzione era la costruzione eretta sopra
l’isola.
Il
respiro mi si mozzò mentre riconoscevo il castello di
ghiaccio stilizzato sul
corridoio che dava sulla sala della tavola di pietra. Il disegno non
gli
rendeva certo giustizia. L’edificio svettava verso il cielo
quasi volesse
bucarlo che le aguzze guglie brillanti sotto i raggi del sole.
L’azzurro quasi
bianco del palazzo rifletteva la luce mattutina, rendendo la struttura
scintillante, come se invece del ghiaccio fossero stati usati diamanti
per
costruirlo. Torri di ghiaccio, simili a stalagmiti, erano disposte in
cerchio.
All’esterno, vicino alle sponde dell’isolotto,
c’erano quelle più basse e
piccole, e mano a mano che si avvicinavano al centro
dell’isola diventavano più
alte e spesse, fino ad arrivare alla torre centrale, la più
grande e lunga, che
consisteva nel corpo principale del castello.
Il
palazzo di ghiaccio si mostrava ai miei occhi, splendido e maestoso
come la sua
regina, e la sua vista mi procurava una sensazione inaspettata. Non ero
mai
stata dentro quell’edificio, ne ero certa, eppure il mio
cuore provava
familiarità verso esso. Mi sembrava di conoscerlo e di
doverlo amare. Non mi
sentivo estranea a quel castello, anzi parte integrante di esso e
pensai, senza
un’apparente logica, che fosse più che giusto che
mi accingessi ad entrarci.
Come
se mi appartenesse.
Come
se gli appartenessi.
Come
se fosse veramente, come aveva detto Jadis, la mia casa…
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Capitolo 15 *** 14_Nives ***
Ciao a tutti ragazzi!!!
Sono tornata dalle vacanze con un nuovo capitolo :-) e già
dal titolo potete presagire il contenuto di questo cappy scommetto^^ ci
siamo, questo è il capitolo delle tanto attese rivelazioni e
non vedo l'ora di sapere cosa ne pensate, se le vostre supposizioni
hanno trovato conferma oppure no :-) ma non sarà un cappy
impuntato solo su questo, l'ultima parte vede un ritorno al
romanticismo che è stato un po' latente in questi ultimi
capitoli, e i protagonisti saranno una coppia da voi tanto amata per
questo la dedico a tutte voi fan di Caspian e Susan ^^
Faccio solo una piccola richiesta prima di lasciarvi alla lettura,
please una volta finito di leggere non siate troppo rigide nel
giudicare Cathrine, provate a mettervi nei suoi panni e nn biasimatela,
anche perché molte cose devono ancora avvenire :-)
Detto questo vi lascio al capitolo, spero tanto che vi piaccia e nn
vedo l'ora di leggere le vostre recensioni^^
Ringraziamenti:
noemi_moony:
Ciao! Sono contenta di sapere che l'esame è andato bene, ora
puoi goderti a pieno l'estate^^! Peter ha fatto tanta pena anche a me
mentre scrivevo, mi dispiaceva tanto ma purtroppo era inevitabile :-(
sn curiosa di sapere cosa ne pensi di quello che è succ ora
a Cate nella sua casa e dell'ultima parte del cappy ^^ grazie mille per
la tua recensione :-) a presto un bacione!
SweetSmile: Ciao!
sono felice che il cappy ti sia piaciuto, grazie mille^^!!! Spero che
con qst cappy la tua curiosità verrà appagata
datp che risponde proprio alle tue domande^^, fammi sapre cosa ne
pensi^^ un bacione grande^^!!!
sweetophelia:
Ciao carissima! HIhihi sto ancora ridendo per il dialogo che hai
immaginato tra Peter e il portinaio di Telmar, troppo buffo! Sarebbe
una situazione fantastica da vedere hihiihih!! Effettivamente Cate
è stata imprudente a salire sulla carrozza, ma nessuno le
aveva dettoche insieme alle caramelle non si accettano
passaggi dagli sconosciuti evidentemente! Si, Cathrine non avrebbe mai
tradito Peter per Miraz, però come hai detto tu Jadis non
è Miraz e ha già un forte ascendente su Cathrine,
ma i sentimenti della nostra Cate per Peter sn molto forti e radicati
quindi la battaglia interiore che l'attende sarà molto
tosta, chissà però chi vincerà alla
fine... per la risposta occorre attendere ancora un poco...^^ Mi sn
piaciute molto le tue congetture su quello che potrebbe fare Jadis, e
su una sei andata molto vicina ma non svelo quale o ti rovinerei il
piacere della lettura^^ sono stra curiosa di leggere la tua recensione
con quello che ne pensi di questo capitolo contenente diverse
rivelazioni e che scopre parecchie carte, spero tanto che ti piaccia e
che le tue aspettative non verranno deluse ^^ ci sentiamo a
settembre se sei già partita :-) ti auguro di goderti le
vacanze estive, beata te che parti lontano dal caldo cittadino, qui
imprigionata tra i palazzi io sto morendo di caldo hihihihi^^ ti
ringrazio di cuore per la tua splendida e dettagliata recensione,
grazie davvero^^ mi riempe sempre di gioia vederti così
appassionata e piena di supposizione, thankssssss^^!!!!! Un bacione
grande grande grande!!!!!!
ranyare: Ciao
carissima! Sono felice di rivederti^^ credimi, la situazione di Peter
non piace neanche a me, infatti soffrivo anche io mentre scrivevo quei
pezzi, ma purtroppo è una parte importante della storia il
loro allontanamento, è necessario per lo sviluppo della
trama, sono però da una parte molto contenta di sentirti
dire che sono riuscita a far capire e a trasmettere
ciò che il giovane re prova, grazie grazie^^!!! ** In questo
cappy Peter prutroppo deve ancora farsi forza, ma presto la situazione
si smuoverà. Anzi a dire la verità un piccolo
accontentino lo avrà già in qst cappy, una
piccola dimostrazione di amore da parte di Cathrine che lo
risolleverà un po'. Spero di leggere presto il tuo parere su
qst cappy :-) e grazie mille per la recensione e per i tuoi
complimenti^^! Ti prometto che le pene del caro Peter avranno fine tra
un po' di tempo, lo amo troppo anche io per farlo soffrire ancora a
lungo^^! un bacione grande :-)!!
KissyKikka: ciao
carissima :-)! Tranquilla, non ti proeccupare posso capire benissimo^^
io non riesco a scrivere e a seguire le fiction
già solo per colpa dei compiti in classe che fanno a fine
anno, nn oso pensare all'esame di maturità! (anche se
purtroppo tra due anni ci dovrò pensare anche io sob^')
quinid sei assolutamente pedonata!^^! Spero tanto che ti sia andato
bene e che tu sia stata promossa^^!! Appena hai tempo sarò
felicissima di leggere le tue fantastiche recensioni :-) ti mando un
grande bacio!
Grazie infinite anche a
tutti coloro che hanno aggiunto la ficcy tra le seguire o le preferite
:-) grazie!
Buona lettura
kisskisses
68Keira68
14_Nives
La carrozza attraversò
il
ponte senza esitazioni, indifferente al mio stupore dato dalle emozioni
che mi
attraversavano. Ero talmente presa dalla mia analisi interiore che non
mi
accorsi nemmeno quando gli orsi polari si fermarono.
Mi riscossi solo quanto
Trumpkin, con la sua voce falsamente leziosa, mi invitò a
scendere dal mezzo.
Obbedii meccanicamente
mentre mi guardavo attorno, estasiata dalla magnificenza che il
castello
emanava. Eravamo ai piedi della costruzione, così vicino che
alzando lo sguardo
non riuscivo a scorgere la cima delle torri.
“Da questa parte,
altezza”
mi intimò lo gnomo precedendomi verso il portone di ingresso
costituito da una
spessa lastra di ghiaccio azzurrina e decorata dalla stilizzazione di
fiocchi
di neve.
Il contrasto tra la soffice
erba verde e rigogliosa, manifesto chiaro della stagione calda nella
quale ci
trovavamo, e il blocco di ghiaccio con cui era costruito il castello,
simbolo
principale dell’inverno, mi incantava. Non riuscivo a
capacitarmi di come una
struttura costruita da ghiaccio e neve potesse resistere sotto un sole
cocente
e di come i fiori colorati potessero sposarsi così bene con
la base candida e
fredda del palazzo. In teoria, oggetti così opposti
avrebbero dovuto cozzare
tra di loro, e invece si amalgamavano, creando uno scenario incantevole
e…magico.
Estinsi a rapidi passi la
distanza tra me e il portone. Ero ansiosa di entrare, volevo vedere se
ciò che
mi aveva fatto scorgere Jadis tramite i suoi ricordi era veritiero. E
poi,
ovviamente, volevo vedere lei.
Trumpkin aprì il pesante
portone
senza bisogno del mio aiuto, impressionandomi per quanta forza potesse
starci
in un corpo così piccolo. Il nano mi rivolse un ghigno
soddisfatto, forse
intuendo i miei pensieri, e mi fece cenno di entrare.
Eccitata, oltrepassai la
soglia del palazzo di ghiaccio.
Appena i miei occhi si
abituarono alla luce soffusa dell’interno, restai senza fiato.
L’anteprima che mi aveva
fornito la strega non rendeva giustizia a ciò che mi
attendeva. La sala che mi
si parò dinanzi era molto più splendida di come
la ricordavo.
Il pavimento, una lastra di
ghiaccio sulla quale però non avevo difficoltà a
restare in piedi, era
sorvolata da una nebbia leggera, simile a quella che usciva dai freezer
solo
mille volte più estesa, causata senza ombra di dubbio dal
ghiaccio. Contrariamente
però a quello che il mio raziocinio si aspettava, non
avvertivo freddo, come
nella visione. Ciò mi turbò. Ero certa che le
sensazione di venire abbracciata
dal gelo anziché colpita appartenesse a Jadis e che io
l’avevo provata perché
ospite dei suoi ricordi, invece la medesima percezione ce
l’avevo anche io. In
quel momento, il freddo stava abbracciando me, mi accoglieva come se
gli
appartenessi.
Mi morsi il labbro, indecisa
se catalogare la scoperta come positiva o negativa.
Decisi di rimandare in
seguito la scelta e mi concentrai su una questione più
urgente. Dov’era la
strega?
Contavo di vederla appena
entrata, che mi accogliesse in casa sua, ma di lei non scorgevo
traccia. Il
trono di ghiaccio, che da una pedana rialzata dominava
l’intera sala in modo
simile allo scranno di Miraz, era vuoto. Un vuoto che paradossalmente
riempiva
il mio cuore di delusione.
Venni distolta da questo
pensiero però dal nano, che richiamò la mia
attenzione intimandomi di seguirlo
in un punto in fondo a destra della sala.
Un speranza si riaccese. Che
volesse condurmi in un’altra sala dove ad attendermi
c’era lei?
Lo raggiunsi in pochi passi
ma quello che trovai una volta da lui fu fonte di altra amarezza.
Trumpkin
stava dinanzi a due colonne che davano sul muro.
Delusa, decisi di rivolgere
il mio interrogativo direttamente al nano.
“Scusami ma Jadis dove si
trova? Avevi detto che mi dovevi portare da lei, eppure la strega non
c’è”
Mi aspettavo una frase di
scuse, una spiegazione per la sua momentanea assenza, invece
l’ometto mi
rivolse uno dei suoi sorrisi inquietanti.
“Vi sbagliate, la regina
è
qui con noi” mi rivelò come se nulla fosse, anche
se dal guizzo divertito dei
suoi occhi compresi che sapeva benissimo di avermi confusa.
Mi stava forse prendendo in
giro? Diedi nuovamente una rapida occhiata alla sala, ma come ben
sapevo era
deserta ad eccezione di noi due.
Inarcando un sopraciglio,
ribattei con tono alterato. “E dove sarebbe di grazia? Io non
la vedo”
“Perché non si
è ancora
mostrata non vuol dire che non ci sia” mi rispose enigmatico.
Poi, senza lasciarmi il
tempo di riflettere sulle sue parole, dal nulla estrasse uno scettro,
lungo da
terra fino alla mia spalla. Ne rimasi estasiata, era uno degli oggetti
più
raffinati che avessi mai visto. Il bastone era fine e bianco, e su di
esso si
attorcigliava una spirale di ghiaccio fino ad arrivare alla punta,
costituita
da un grande diamante a forma di freccia che risplendeva in mille
sfaccettature
alla luce del sole che fioco filtrava attraverso il ghiaccio che
ricopriva le
finestre.
Con un gesto rapido e
inatteso, fece mulinare in aria lo scettro per poi piantarlo con un
leggero
schianto in mezzo alle due colonne.
Subito, da dove il magico
bastone era entrato in collisione con il pavimento, si diramarono due
lamine di
ghiaccio che salirono lungo le colonne per poi unirsi tra di loro per
formare
una lastra unica e spessa.
Una lastra diversa però
da
quelle che formavano il castello. Una lastra che non era azzurra o
trasparente.
Il mio cuore prese a
scalpitare furioso mentre i miei occhi prendevano coscienza del fatto
che
dentro quella lastra c’era lei. C’era la donna
misteriosa.
La strega bianca, che tanto
avevo atteso per incontrare, si presentava davanti a me, bellissima con
i
lunghi capelli dorati che fluttuavano e tormentata dalla prigione che
la teneva
segregata in un mondo vicino al nostro ma separato. Dunque la mia
supposizione
era errata, la strega non era ancora riuscita a liberarsi dalla sua
condanna.
Jadis non parve sorpresa di
vedermi, mi stava aspettando. Mi rivolse un sorriso dolce, curvando
all’insù le
labbra rosse che spiccavano su di un viso tanto pallido. Poi parlò con
quella voce che avevo imparato
a riconoscere come amica.
“Sei giunta finalmente.
Ti
do il benvenuto a casa tua” mi accolse.
Ero rimasta come paralizzata
da quell’apparizione inaspettata, ma sentendola rivolgersi a
me, l’euforia
prese presto il posto dello stupore. Finalmente
era la parola giusta, sapevo che entrambe avevamo atteso con
ansia questo
incontro, e tale certezza mi riempiva il cuore di gioia.
“Non vedevo
l’ora di
vederti” sussurrai con sincerità.
Il sorriso della donna si
allargò. “Anche io” fece scorrere il suo
sguardo su di me e poi aggiunse “Sei
cresciuta. Sei diventata davvero una bella ragazza”.
Era orgoglio quello che
udivo nella sua voce?
“Piccola mia, ho
così tante
cose che voglio dirti…” poi un’ombra di
tristezza adombrò il suo viso. “Mi
spiace solo che resta ancora questa terribile barriera a separarci
fisicamente”
aggiunse. Il dolore nelle sue parole era palpabile e provai una fitta
al petto.
Spesi meno di un batteri di
ciglia per prendere la mia decisione. L’avrei aiutata, a
qualsiasi costo. Così
avrei avuto anche l’opportunità di ripagarla per
avermi fatto evadere dalla
prigione e per essersi messa in contatto con me, interessandosi per
prima alla
mia situazione.
“Non
c’è niente che io possa
fare per aiutarti? Sono una strega anche io, la mia magia
può esserti utile” mi
proposi senza esitazioni.
Una scintilla di speranza
accese il suo sguardo.
“Effettivamente, tu sei
la
sola che potresti farlo. Ma non oso chiedertelo, non vorrei che tu
pensassi che
ti ho condotta fin qui solo per un egoistico motivo.
Risponderò a tutte le
domande che vuoi pormi anche se non mi liberi” promise.
La sua voce vibrava di
sincerità. Immediatamente pensai con rabbia alle infamanti
parole di Peter che
l’avevano disegnata come un essere spregevole e
guerrafondaio.
Era pronta a rinunciare alla
sua unica possibilità di essere liberata per me.
“Non potrei mai pensarlo,
credimi. E poi io per prima desidero liberarti, dimmi solo cosa devo
fare e lo
farò.” Ripetei con convinzione.
Il suo bel viso parve
illuminarsi dinanzi alla mia insistenza. Forse dopo tutti questi anni
aveva
quasi perso la speranza di uscire da quella dimensione. Provai tanta
pena
pensando a ciò che aveva dovuto patire.
“Avvicinati” mi
disse.
Compii due passi davanti e
mi portai a trenta centimetri di distanza dalla lastra. Jadis
portò alle labbra
una mano, la baciò e poi la fece uscire a fatica dal
ghiaccio, aprendo un
piccolo varco.
Istintivamente afferrai la
mano e con delicatezza la strinsi. Era morbida, ma fredda come la neve
e
liscia, senza imperfezioni.
“Ora ripeti con me tre
volte: Glaciei Regina, exis ex tui carcere ”
Da brava allieva, ripetei la
formula da lei pronunciata. Immediatamente sentii la mia magia
attraversarmi e
giungere nella mia mano e da essa defluire lentamente dal mio corpo al
suo. Le
sue dita divennero più calde anche se il colorito pallido
non mutò.
Ripetei la frase e vidi con
piacere che la lastra iniziava ad incrinarsi là dove la mano
era riuscita ad
uscire. Notai però che con essa si incrinavano anche le mie
forze. La magia era
potente e mi stava prosciugando le energie molto velocemente. Presi un
grande
respiro. Avevo compiuto magie più complicate da quando ero
in quella terra, non
mi sarei certo arresa dinanzi a questa, e per dimostrarlo recitai per
la terza
volta l’incantesimo.
La mia testa divenne più
leggera mentre le ginocchia minacciarono di non reggermi, ma come
ricompensa
udii forte lo schianto di un oggetto che va in mille pezzi. La lastra
si era
rotta liberando una luce accecante, mentre pezzi di ghiaccio
ricoprivano inermi
il pavimento.
Istintivamente lasciai la
mano di Jadis per portare la mia davanti al viso per riparare i miei
occhi.
Strinsi le palpebre per vedere attraverso la luce ma solo quando essa
si fece
più fioca riuscii a scorgere un’alta ed elegante
figura in mezzo alle due
colonne.
Jadis, i capelli biondi
sciolti sulle spalle, la schiena dritta e la postura regale, aveva gli
occhi
chiusi e si stringeva nelle braccia come a volersi difendere da
qualcosa a me
ignoto.
Solo quando sciolse la presa
dalle spalle e spalancò le palpebre mi resi conto che avevo
trattenuto il
respiro.
Avevo liberato la strega
bianca. C’ero riuscita.
Jadis si analizzò le
braccia
mentre le muoveva. Poi si sfiorò il busto e compì
un passo avanti ed uno
indietro mentre la meraviglia lasciava il posto alla gioia sul suo viso.
Strinse e aprì i pugni
più
volte e poi mi rivolse un sorriso di pura felicità dalla
quale non potei non
farmi contagiare.
“Grazie”
mormorò. Una parola
semplice, eppure piena di sentimento.
Feci un segno di diniego con
la testa, come per voler minimizzare la mia magia nonostante la testa
mi
girasse ancora lievemente.
Si avvicinò a me con
passi
lenti e moderati, gustandosi ogni movimento che per troppo tempo le era
stato
negato. Quando mi fu accanto, alzò una mano e me la
poggiò sulla guancia,
accarezzandomela con gesti circolare del pollice.
“Si, sei proprio una
bella
ragazza” Ripeté più a se stessa che a
me. “mia piccola Nives”
Sbattei gli occhi più
volte,
certa di aver capito male.
“Cathrine” la
corressi
automaticamente. Era comprensibile che milletrecento anni di reclusione
non
giovassero alla memoria.
Scosse la testa sorridendo
divertita. “No, quello è il nome che ti hanno dato
le persone che ti hanno
cresciuta sulla terra. Il tuo vero nome è Nives, non
Cathrine. Così come gli
Icepower non sono i tuoi genitori”
Ci volle qualche istante
affinché riuscissi ad assimilare la frase. Ma anche quando
essa giunse a
destinazione, la sua comprensione mi sfuggiva.
“Non credo di aver capito
bene” mormorai attonita, sbattendo più volte le
palpebre. Forse si era espressa
male o io avevo problemi di udito.
Jadis fece un sospiro e i
suoi occhi si velarono di una lieve malinconia.
“Sei venuta fin qui
perché
eri in cerca di risposte a domande che ti poni con insistenza da quando
sei
nata, giusto?”
Annuii anche se la domanda
era retorica.
“Bene, ora è
il tempo che tu
conosca tutta la verità. Basta segreti, basta misteri.
È giunto il tempo che
finalmente tu comprenda chi sei in realtà e prenda la
posizione che ti spetta e
che per troppo tempo ti è stata ingiustamente
tolta.”
La frase enigmatica non
facilitava la mia comprensione, bensì mi faceva maturare uno
stato d’ansia e di
aspettativa. Davvero era giunto il momento che tanto attendevo? Mi
avrebbe
rivelato tutto quello che agognavo di sapere?
Angoscia ed eccitazione si
mescolarono tra loro. Ero felice perché mi sembrava di avere
davvero la chiave
per aprire la porta delle risposte a portata di mano dopo anni che la
cercavo.
Ma ero anche preoccupata da ciò che avrebbe potuto
rivelarmi.
E se ciò che mi
apprestavo a
sentire mi avrebbe sconvolta o messa ancora di più nel
dubbio sulla mia
identità? Cosa avrei fatto una volta scoperto che nelle
risposte sulle quali
riponevo le mie speranze di comprendermi ed sentirmi completa in
realtà avrei
trovato solo una grossa delusione? La mia possibilità di
essere felice si
sarebbe sciolta come neve al sole.
“Vieni con me, voglio
mostrarti una cosa prima” Jadis interruppe le mie riflessioni
tendendomi una
mano invitandomi a seguirla.
La afferrai subito,
risentendo la pelle liscia a vellutata di prima solo un poco
più calda.
Jadis strinse la presa con
fermezza, come a volermi trasmettere fiducia, nonostante io ne provassi
già, e
si avviò verso la parte opposta della sala del trono, oltre
il colonnato,
facendomi scoprire una porta di ghiaccio prima nascosta dalla nebbia.
La aprì
sfiorandola appena, probabilmente usufruendo di un incantesimo lieve, e
ci
immettemmo in un lungo corridoio illuminato da vetrate simili a quelle
gotiche
ma interamente costituite dal freddo e duro materiale che qui imperava.
L’arredamento era
spoglio,
eppure tutto, dalle pareti alle finestre, trasmetteva un senso di
potenza e sontuosità,
come se semplici statue o mediocri abbellimenti fossero indegni di
decorare un
castello già di per sé fastoso. Dopotutto, la
luce che abbondante investiva il
ghiaccio facendolo brillare più del diamante non rendeva il
corridoio prezioso
e sfarzoso senza ulteriore aiuto?
Incantata, non mi accorsi
che la strega si era fermata davanti ad una porta bianca molto
semplice, tanto
da passare quasi inosservata nella parete anch’essa candida.
Poggiò una mano sulla
maniglia, chiuse gli occhi e bisbigliò una frase con tono
tanto basso da essere
per me inudibile.
La porta si aprì con uno
scatto secco, rivelando una stanza priva di un particolare arredamento.
Anzi,
una stanza del tutto spoglia.
Guardai Jadis con aria
interrogativa. Perché mi aveva portato in una camera vuota?
Senza rispondere alla mia
muta domanda, mi condusse al suo interno silenziosa ma tesa. Sempre
più
confusa, diedi un secondo esame all’ambiente, convinta che
l’agitazione della
regina dovesse per forza essere causata da un qualcosa presente in
quelle
quattro mura. E infatti lo trovai.
Mi ero sbagliata, la stanza
non era vuota. Sulla sinistra, prima nascosta dalla porta, ora faceva
bella
mostra di sé una culla la cui base era coperta per buona
parte da una abbondante,
quanto morbida all’aspetto, coperta azzurrina.
Un sorriso spontaneo mi si
dipinse sul viso alla sua vista e avvertii una sensazione strana alla
bocca
dello stomaco. Senza accorgermene, mi trascinai fino al lettino e lo
sfiorai
con delicatezza, come se al tatto potesse sgretolarsi in polvere. Lo
guardavo
concentrata, c’era qualcosa nella mia mente che voleva venire
a galla, che
voleva farsi conoscere, eppure non riusciva, si perdeva per strada
incapace di
trovare la giusta direzione per il mio cervello. Era frustrante. Ero
certa si
trattasse di un pensiero importante, di una specie di illuminazione, ma
non ero
in grado di darle una forma e un senso compiuto. Non riuscivo ad
afferrarla.
Poi vidi sul dorso della mia
mano una luce perlacea prima assente. Mi voltai con lentezza davanti a
me per
scoprire la fonte dell’illuminazione e ciò che
vidi aumentò il fermento
interiore della mia mente. Dinanzi mi stava una parete bianco-perla che
pareva
avere la consistenza dell’acqua e che emanava una luce
propria.
Sapevo che cos’era e il
mio
cuore sussultò quando lo vide. Era un portale
spaziotemporale. Simile a quello
che io avevo attraversato per giungere a Narnia.
“Si, si tratta di quello
che
pensi”
La voce calma di Jadis, che
confermava il mio sospetto inespresso, mi fece sussultare. Mi ero quasi
dimenticata della sua presenza nella stanza.
“Perché mi hai
portata qui?
Non riesco a capire” ripetei, un lieve tremore nella voce.
Ora mi avrebbe
veramente raccontato ogni cosa. L’aria stessa che respiravamo
si era fatta satura
di aspettative e tensione, creando l’atmosfera perfetta alla
conversazione che
ci apprestavamo a sostenere.
Jadis fece un respiro
profondo e quando parlò la sua voce parve appesantita dal
carico degli anni che
le gravava sulle spalle pur non lasciando segno visibile sulla sua
pelle
immutabile.
“Milletrecento anni fa,
Narnia era una terra florida e prospera della quale io era la sua
fortunata e
legittima regina. Non era attraversata da guerre e il mio popolo non
era
costretto a nascondersi come ora” iniziò.
Conoscevo il quadro della Narnia che
stava dipingendo. Era lo stesso che mi aveva tracciato Peter diverse
sere fa
con la voce rotta dal rimpianto e dal dolore sotto un manto di stelle.
La prima
sera che ci eravamo aperti l’un con l’altro.
“Purtroppo però la tragedia era in
agguato” il brusco cambio di rotta catturò
maggiormente la mia attenzione
“Aslan, che per decenni aveva abbandonato queste terre,
tornò intenzionato ad
impadronirsi anche con la forza del mio trono. Radunò un
esercito e con l’aiuto
della menzogna mise il mio popolo contro di me. Raccontò
loro che il mio
governo era illegittimo, che dovevo essere eliminata in favore dei
giusti
sovrani, quattro ragazzi che secondo la leggenda sarebbero arrivati a
Narnia
dal loro mondo per salvarli dal mio regime tirannico” le
ultime parole
pronunciate erano intrise di rabbia e amara ironia che sottolineava
quanto
assurde per lei fossero le motivazioni di Aslan. Fece una pausa per
riprendere
il contegno momentaneamente perduto “A nulla valsero i miei
sforzi di
comunicare con i sudditi che Aslan mi aveva sottratto. Il grande felino
avevo
riempito le loro menti di bugie, aveva promesso loro che una volta
deposta me
dal trono gli avrebbe donato ricchezze a non finire, così si
giunse alla
guerra, come ben sai” Chinò il capo e si
portò una mano al cuore, come se il
ricordo della battaglia fosse ancora fonte di cocente dolore.
Sapevo quella storia,
l’avevo sentita diverse volte dai Pevensie, eppure suonava
del tutto nuova
narrata dal punto di vista di Jadis. Se Peter aveva tracciato un quadro
dove
lei era il nemico da sconfiggere per riportare la libertà a
Narnia, lui e i
suoi fratelli i giusti sovrani e Aslan l’eroe che li aveva
guidati, ora i ruoli
erano completamente ribaltati. La strega risultava vittima di un gioco
crudele
ed egoista che aveva visto il suo regno cadere in disgrazia, le due
figlie di
Eva e i due figli di Adamo erano gli usurpatori crudeli e il leone la
piaga che
si era abbattuta su quelle terre.
Ma qual era la reale
versione? Chi era la vittima e chi il nemico? A chi dovevo credere?
Non lo sapevo, al momento
non ero in grado di giudicare. Non riuscivo a vedere Jadis come una
minaccia,
come una sanguinaria guerriera, ma non potevo nemmeno credere che Peter
mi
avesse mentito su ogni cosa e che non fosse il sovrano di Narnia. Cosa
dovevo
fare?
Per ora però dovevo
rimandare la decisione da prendere perché la strega bianca
riprese la parola
indifferente al mio dibattito interiore.
“Sapevo che dovevo
assolutamente vincere per difendere il mio popolo e la corona,e non ti
nasconderò di aver peccato di superbia poiché ero
convinta che avrei vinto. Ero
certa che la grande magia che regola queste terre non avrebbe permesso
a dei
falsi re di governare su Narnia. Eppure, prima della battaglia, presi
ugualmente
delle misure di sicurezza in caso di sconfitta. C’era una
cosa sulla quale non
potevo rischiare, una questione più importante di difendere
il regno o il mio
trono, un segreto che doveva essere mantenuto ad ogni costo
finché la
situazione non si fosse calmata.”
Jadis si avvicinò a me e
prese le mie mani tra le sue. Il mio sguardo si accigliò. Se
finora avevo
saputo cosa attendermi dal racconto a grandi linee, ora brancolavo
totalmente
alla cieca. Quale mistero era riuscita a celare la strega per tutto
questo
tempo?
La donna mi fissò con
un’intensità tale da catalizzare la direzione dei
miei occhi. Li aveva legati
ai suoi, e da
quella distanza potevo
scorgere ogni sfumatura di azzurro che caratterizzavano le sue iridi.
Non c’era
traccia di blu, come in quelli di Peter, ma solo una distesa si azzurro
chiaro,
tendente al bianco, che mi ricordava il ghiaccio che ci circondava e
non il
cielo limpido che scorgevo negli occhi del mio re. Ma ciò
non andava a scapito
dell’espressività, poiché da ogni
striatura bianca-azzurra sgorgava la tensione
che stava provando in quel momento.
“Quale
segreto?” mormorai,
ipnotizzata.
Un angolo della sua bocca
rossa si piegò in un sorriso mesto. “Avevo una
figlia” svelò in un sussurrò
caldo, facendo tremare il mio cuore a quella rivelazione inattesa. Il
pensiero
che mi sfuggiva si fece più consistente anche se ancora
fioco. “all’epoca solo
una piccola e graziosa neonata. Nessuno era al corrente della sua
esistenza,
l’avevo tenuta nascosta perché temevo che se i
miei nemici l’avessero saputo
avrebbero cercato di portarmela via o di nuocerle per colpire me
indirettamente. Quando scoppiò la guerra la mia
più grande preoccupazione era
cosa le sarebbe capitato se io fossi morta in battaglia. Aslan e i suoi
uomini
si sarebbero impadroniti del mio castello, l’avrebbero
trovata, avrebbero
capito chi era e l’avrebbero uccisa nella peggiore delle
ipotesi, o l’avrebbero
cresciuta come loro alleata, insegnandole ad odiarmi e celandole le sue
origini
per servirsi della magia che certamente avrebbe ereditato.”
Il dolore che
provava nel raccontare quelle possibili conseguenze era palpabile.
Potevo solo
immaginare quanto era stata in ansia e quanto doveva aver sofferto.
Jadis si
portò una mano al petto con aria dolente.
“Così la sera prima della battaglia
decisiva presi la mia decisione” proseguì. Un
pallido presentimento si unì al
pensiero sfuggente. Sentivo i battiti del mio cuore aumentare mentre
avido ascoltava
il racconto della strega. “Feci portare la sua culla qui, in
questa stanza, e
nel cuore della notte la raggiunsi.” Il suo sguardo si fece
vago, ad un tratto
non vedeva più me dinanzi a sé, ma solo la culla
alla mia sinistra con un
fagotto, probabilmente addormentato, al suo interno. “La
presi con dolcezza tra
le braccia e la cullai teneramente. Le donai un ciondolo magico con la
mia
effige sopra al fine di proteggerla anche a distanza. Infine mi
avvicinai con
lei in braccio al varco spazio-temporale e pronunciai la formula magica
per
mandarla in un’altra dimensione, dove sarebbe stata nascosta
e al sicuro dai
nemici finché non fossi tornata a riprenderla.” I
suoi occhi tornarono al
presente, mi guardarono con dolcezza e mi sfiorarono una guancia. Solo
con quel
contatto mi accorsi che la mia gota era umida. Stavo piangendo.
Silenziosamente
dai miei occhi stavano scendendo fiumi di lacrime. Ma
perché? Che loro avessero
compreso prima di me ciò che accelerava il mio cuore?
Ciò che la mia mente
cercava di urlarmi?
“La mandai in un mondo
parallelo, la Terra, e con la magia feci credere ad una coppia di
giovani sposi
che abitavano in una villetta nella periferia di una città
di nome Londra, di
aver da poco avuto una splendida bambina. La mia bambina. La mia
piccola Nives
che loro ribattezzarono come Cathrine Icepower”.
Silenzio. Neanche il rumore
dei nostri respiri osava farsi sentire mentre i pezzi di un puzzle
lungo una
vita, la mia vita, andavano al loro posto con calma e ordine. Potei
quasi
sentire il rumore degli incastri nella mia mente quando quel pensiero
tanto
atteso si concretizzò e si mostrò in tutto il suo
significato.
La vista mi si appannò
tanto
le lacrime scendevano copiose ma dalla mia bocca non uscì
alcun suono, neppure
un singhiozzo.
Realizzai subito che tra la
moltitudine di sentimenti che il mio cuore stava sostenendo, non
c’era la sorpresa.
Come se ciò che avevo sentito, dopotutto, non fosse una
rivelazione, bensì una
conferma che cercavo da tempo senza saperlo. Tutto cominciava a
quadrare, ad
acquisire un senso.
La porta delle mie risposte
mi si spalancò davanti invitandomi ad entrare.
Mi ero sempre sentita
un’estrania a Londra, perché quel mondo non era il
mio.
Mi ero subito sentita a casa
a Narnia, perché quello era il mio vero posto.
Ero l’unica a possedere
dei
poteri magici a casa perché quella non era la mia vera
famiglia.
Sapevo che apprendere di
essere stata adottata dopo tutti questi anni doveva essere uno shock
per me,
eppure avvertivo appena un leggero spaesamento. Come se in fondo al
cuore
avessi da sempre saputo che quelli non erano realmente i miei genitori,
che non
ero loro figlia, che non appartenevo a loro e al loro universo.
Mi ero sempre sentita
diversa, lontana da un mondo regolato da rigide leggi che non
prevedevano la
magia. Ora avevo la certezza che le mie sensazioni erano giuste. Ero
stata per
diciassette anni in una terra a me straniera tra persone straniere,
desiderando
ardentemente di non sentirmi così isolata, di poter provare
anche io la
sensazione meravigliosa di appartenere a pieno diritto ad un posto. Ora
l’avevo
a portata di mano. Appartenevo a Narnia, ero una sua creatura anche io.
Quella
terra era la mia casa a tutti gli effetti, ora ne avevo la certezza.
Avevo sempre sofferto per il
fatto che la persona che doveva amarmi di più al mondo, mia
madre, mi
considerasse un mostro, una persona dalla quale stare lontani e che
sopportasse
appena la mia vista, che mi temesse. Avevo sempre desiderato possedere
anche io
qualcuno che fosse orgoglioso di avermi per figlia, che mi volesse bene
per
quello che ero, che non mi rifiutasse. Avevo sognato di avere una
persona da
chiamare “mamma” con affetto, di avere qualcuno a
cui rivolgermi in caso di
bisogno sapendo che lei sarebbe stata lì per me in ogni
momento. E adesso,
finalmente, l’avevo trovata. La mia vera madre. Jadis, che
come me era una
strega, che come me aveva sofferto tanto di solitudine, che come me era
stata
privata della sua vera famiglia. Che mi voleva bene, che mi apprezzava
per
quello che ero, che, anzi, era orgogliosa e felice dei miei poteri, che
mi
aveva sempre vegliato da lontano, che mi trovava
“cresciuta” e “bella”. Ma che
soprattutto, mi voleva bene.
La scoperta non poteva
scioccarmi, era ciò che avevo sempre agognato senza saperlo
davvero.
Ero andata a Narnia in cerca
di risposte sul perché dei miei poteri ma non avevo idea di
cosa avrei trovato
insieme ad esse. Ora sapevo perché possedevo la magia, ma
avevo ottenuto molto
di più di semplici spiegazioni.
Avevo visto il mio vero
mondo.
Avevo scoperto
l’esistenza
di altre creature magiche.
Avevo conosciuto per la
prima volta persone sincere che mi volevano bene.
Avevo preso coscienza della
mia forza e di ciò che ero capace di fare.
Avevo trovato l’amore in
un
ragazzo bello quanto dolce e altruista che mi aveva fatto dono del suo
cuore.
Avevo svelato la mia vera
identità.
Ma soprattutto, avevo saputo
di avere una vera madre.
Guardai Jadis e fu come se
la vidi per la prima volta. Quel sorriso dolce, lo sguardo benevolo e
orgoglioso che mi lanciava, la mano che continuava ad accarezzarmi, ora
acquisivano del tutto un nuovo significato. Erano i gesti di una madre
che
vedeva dal vivo sua figlia dopo milletrecento anni. Anche i nostri
dialoghi
precedenti diventavano più comprensibili. Ora capivo
perché aveva definito il
castello “casa” mia per esempio.
Jadis era in attesa.
Aspettava che io mi pronunciassi. Che dicessi qualcosa, qualsiasi cosa.
Se
accettavo questa nuova realtà o se la rifiutavo, se le
credevo o meno, se ero
contenta o sconvolta. Ma io ero incapace di esprimermi. Come potevo
farle
capire con una sola frase che quella notizia era la realizzazione di
diciassette anni di sogni inespressi ma tanto desiderati? Che mai come
in quel
momento mi ero sentita completa, come se ogni mio problema si fosse
risolto?
Come potevo esprimere la meravigliosa sensazione che si provava ad aver
acquisito un proprio posto nel mondo e ad aver preso una giusta
coscienza di
sé?
Aprii e chiusi la bocca un
paio di volte senza riuscire ad emettere suono, ma alla fine la parola
giusta
sgorgò da sola dalle mie labbra in un sussurro dolce e
commosso.
“Mamma”
Semplici sillabe per ognuno
fuori da questa stanza, ma chiave di un mondo del tutto nuovo sia per
me e per
lei. Io acquisivo una vera madre per la prima volta e lei ritrovava una
figlia
che temeva di non riavere più.
Vidi l’azzurro dei suoi
occhi appannarsi e il labbro superiore tremò appena.
“Nives” mi
chiamò, con quel
nome a me sconosciuto ma che ben identificava la nuova me stessa. Non
ero più
Cathrine Icepower, senza una famiglia che la capiva e un mondo che
l’accettava,
ora era Nives, giovane strega che aveva finalmente trovato il suo posto.
Jadis eliminò la
distanza
tra noi due e mi abbracciò stretta e attraverso quel gesto
potei sentire la
voglia di stringermi a sé che aveva provato ogni anno
passato imprigionata
nella dimensione parallela. Ricambiai la stretta mentre
l’ennesima lacrima
scivolava lungo la mia guancia. Stavo abbracciando mia madre, la mia
vera
madre, che mi voleva bene. Potevo lasciarmi Eleanor Campbell e le sue
occhiate
agghiacciate definitivamente alle spalle. Sapere di non avere un
collegamento
di sangue quella donna malefica era un sollievo. Il giudizio
però non si
estendeva a mio padre. Daniel Icepower mi aveva sempre voluto bene come
un papà
doveva fare. Non mi aveva mai fatto mancare niente e i suoi sguardi
erano
sempre stati colmi d’affetto. Lui per me sarebbe rimasto per
sempre il mio vero
“papà” e lasciarlo era il prezzo da
pagare per vivere quella nuova realtà.
La strega sciolse
l’abbraccio e poggiò la mano sulla mia gota,
abbassandosi per accostare il suo
volto al mio in modo da guadarmi bene negli occhi. Solo in quel
momento,
vedendo il riflesso delle mie iridi nelle sue, notai che avevamo la
stessa
tonalità di azzurro.
“E ora che ti ho
ritrovata,
insieme lotteremo per riprendere ciò che è nostro
di diritto” affermò risoluta.
Un lampo di confusione
passò
sul mio viso e ciò spinse Jadis a spiegarsi meglio.
“La corona di Narnia è
nostra, piccola mia, e io ho tutta l’intenzione di
riprenderla.” La fermezza
nella sua voce incrinò la patina di felicità che
si era appena creata,
penetrando nei meandri della mia mente e ponendomi davanti un pensiero
che
prima non aveva considerato.
Ero stata una sciocca. Mi
ero illusa che ogni questione si fosse risolta tranquillamente ma mi
ero
dimenticata della più importante. Il problema che offuscava
la mia pace appena
trovata. Come potevo essere tranquilla e contenta se le mie due ragioni
di
felicità erano mortali nemici? Non potevo sentir dire a
Jadis di come
pianificava di sottrarre il trono a Peter, perché avrebbe
preteso da me un
aiuto. Ma io cosa dovevo fare? Schierarmi dalla parte di mia madre o
difendere
il regno della persona che amavo?
Possibile che non esistesse
un modo per appianare i loro contrasti? Dopotutto lottavano entrambi
per il
benessere di questa terra, perché avrebbero dovuto mettersi
i bastoni tra le
ruote a vicenda quando avevano la stessa missione? Era semplicemente
assurda
quella loro guerra, fondata su falsi pregiudizi che entrambi avevano e
che non
volevano lasciare. A ben pensarci si odiavano a morte ma non avevano
mai
provato a parlarsi e a scendere a compromessi.
Jadis odiava i Pevensie
quasi per osmosi poiché non sopportava Aslan che le aveva
sottratto il trono e
loro erano fedeli a lui. I Pevensie odiavano Jadis perché
Aslan gli aveva detto
che era crudele e cattiva e che dovevano essere loro a governare al suo
posto.
Un odio nato da fattori esterni quindi, non da loro. Anzi,
riflettendoci
attentamente, da un fattore soltanto, colui che aveva messo in moto
tutto il
meccanismo. Colui alla quale poteva essere data la colpa di questa
acerrima
antipatia tra i due contendenti alla corona. Aslan.
Quel nome mi giunse come
un’illuminazione e forse poteva fornirmi anche la chiave per
risolvere la
questione. L’unico colpevole di quell’odio
smisurato e ingiusto era il leone.
Era stato lui a schierare Peter e i suoi fratelli contro la strega
senza dare a
quest’ultima nemmeno la possibilità di difendersi.
Era vero che i Pevensie si
erano fatti abbacinare con fin troppa facilità dalle belle
parole di Aslan, ma
in fin dei conti come biasimarli? Erano solo dei ragazzi alla quale
veniva
offerta su un piatto d’argento la possibilità di
combattere per una causa
ritenuta giusta, di essere acclamati come eroi e di essere considerati
i
sovrani di un territorio vasto e stupendo. Si poteva redarguirli per
aver
ceduto presto alle lusinghe del grande felino? No.
Ed era sempre stato lui ad
iniziare una guerra fratricida, istigando con menzogne pacifici
abitanti di
Narnia alla ribellione sfruttando quattro ragazzi all’oscuro
della verità.
Jadis si era ritrovata in
una guerra che assolutamente non voleva per sé e per il suo
popolo senza
poterlo impedire.
Peter si era ritrovato ad
odiare una persona e a doverla uccidere spinto da una bugia colossale e
da
falsi ideali.
E tutto ciò per colpa di
Aslan. Se lui non si fosse intromesso, probabilmente i Pevensie al loro
arrivo
a Narnia avrebbero trovato la regina Jadis ad accoglierli e ad
immetterli in
quel nuovo mondo e insieme avrebbero continuato a difenderlo e a farlo
prosperare. Non ci sarebbe stata nessuna guerra, Jadis non si sarebbe
dovuta
rifugiare in una dimensione parallela e io non sarei cresciuta in una
terra
straniera soffrendo di solitudine per diciassette anni.
Sentii nascermi nel petto la
rabbia verso quel grande felino che per manie di grandezza aveva
distrutto e
cambiato la vita di così tante persone. Se poi pensavo che
con la falsità era
riuscito anche a farsi praticamente adorare da Peter, che lo
considerava quasi
un mentore, l’ira montava a dismisura. Ma avrei rimesso le
cose apposto. Avrei
fatto accadere ciò che sarebbe dovuto succedere
già milletrecento anni fa.
Avrei fatto parlare tra loro Jadis e Peter, li avrei fatti mettere da
parte i
dissapori in modo che insieme lottassero per riportare la
libertà a Narnia. E
questa volta, senza la malsana presenza di Aslan, non si sarebbe
arrivati ad
una guerra. Jadis doveva capire che la vera minaccia al suo trono era
il leone
e non i Pevensie, mentre Peter avrebbe certamente compreso di essere
stato
ingannato e grazie al suo senso dell’onore e della giustizia
avrebbe accettato
che il regno fosse riconsegnato in mani legittime. Avrebbe dovuto
rinunciare
alla corona, sapevo che sarebbe stata dura e mi dolevo di
ciò, ma era la cosa
giusta da fare, e poi sarebbe stato comunque uno degli attori
principali alla guida
del governo. Se mia madre fosse tornata ad essere la regina di Narnia,
lui
avrebbe potuto essere il suo secondo, un suo consigliere. Se lo
conoscevo bene,
ero certa che avrebbe accettato, avrebbe capito che era un passo
necessario da
compiere per il benessere del suo popolo e per lui esso veniva prima di
tutto.
“Non
c’è bisogno di lottare”
ribattei, pronta a sostenere le mie idee ed eccitata dalla
possibilità di
realizzarle. Dovevo assolutamente riuscirci, ne andava della mia
felicità
futura. Se avessi avuto successo, Peter e Jadis non si sarebbero uccisi
l’un
l’altro e io sarei stata libera di amare entrambi senza
dovermi schierare.
La strega mi guardò
accigliata, come se avessi parlato un’altra lingua.
“Piccola mia, ti assicuro
che la cosa che meno desidero al momento è condurre
un’altra guerra, ma dubito
che i Pevensie ci daranno spontaneamente la corona. Erano pronti a
morire
milletrecento anni fa e non credo che le cose siano mutate”
disse scandendo
bene ogni parola come se dubitasse delle mie capacità
celebrali. La sola idea
di poter evitare la guerra era per lei inconcepibile, ma sarei riuscita
a farle
cambiare opinione.
“Ti sbagli”
dissi decisa
lasciandola di stucco per il mio tono. “Non erano pronti a
morire per
conquistare il trono, erano pronti a morire per salvare
Narnia”.
“Ma Narnia non era in
pericolo prima che loro arrivassero, sono stati loro a metterla in una
situazione di guerra” ribadì contrariata.
Accennai ad un lieve
sorriso. “Si, ma questo loro non lo sapevano. Rifletti un
attimo. Sono stati
catapultati dal loro mondo a questo e le prime persone con la quale
hanno avuto
a che fare erano dei seguaci di Aslan. Sin dal primo momento si sono
sentiti
ripetere che tu rappresentavi il male e che occorreva toglierti la
corona, che
erano loro i giusti sovrani e che Aslan era il loro salvatore. Non
hanno mai
avuto l’opportunità di sentire l’altra
campana, sono stati traviati dalle
menzogne del leone e dei suoi fedeli, per questo hanno iniziato una
guerra
contro di te.” Spiegai con fervore.
Scorsi nei suoi occhi un
lieve compiacimento quando vide la mia presa di posizione contro Aslan,
ma era
scettica di fronte alla mia giustificazione per le azioni dei Pevensie.
Non demorsi tuttavia e
proseguii. “Credevano di fare l’interesse di Narnia
sottraendoti il titolo di
regina e il benessere di questa terra è la sola cosa della
quale gli è sempre
interessato, te lo posso giurare. Tu non hai conosciuto i Pevensie, e
soprattutto Peter, come li ho conosciuti io, non ci hai mai parlato,
non hai
mai sentito come parlano di questa terra. La amano e sono disposti a
fare tutto
ciò che è in loro potere per difenderla e farla
prosperare. E questo non è
esattamente quello che vuoi anche tu? Non desideri vedere il tuo popolo
felice
e soddisfatto?”chiesi provocatoriamente.
Jadis si morse il labbro,
colpita dalla mia piccola arringa infervorata. Sospirò e il
suo viso si adombrò
di dispiacere. Mi mise una mano sulla spalla e guardando il pavimento
mormorò
affranta.
“Sono arrivata troppo
tardi.
Evidentemente hanno affondato le loro radici troppo in
profondità nel tuo cuore
per salvarti dalla loro morsa venefica, sei dalla loro parte e
addirittura
giustifichi le loro egoistiche azioni passate”
Accigliandomi, le strinsi la
mano che aveva appoggiato sulla mia spalle per farle sentire
più vicina la mia
presenza.
“Non dire
così, non sono
dalla parte di nessuno se non del giusto. So che non ti fidi di loro ma
ti
posso giurare che non ho mai conosciuto delle persone più
splendide. Mi hanno
salvata, mi hanno accolta e mi vogliono bene.” insistetti.
“Piccola mia, sei troppo
buona e ingenua, loro hanno solo voluto usarti. Qual è stata
la prima cosa che
ti hanno chiesto entrata nella loro riunione? Quella di mettere i tuoi
poteri
al servizio della loro causa. E te lo hanno chiesto come se fosse un
tuo
obbligo, come se non avessi il diritto di rifiutare se volevi
continuare a
godere della loro presenza. Ti sembra il comportamento di persone che
tengono
veramente a te?”
“Non è andata
come hai
descritto tu. Non ero obbligata a fare nulla, Peter me lo ha ribadito
più
volte. L’unica che aveva sbagliato in
quell’occasione è stata Susan, che si era
lasciata prendere dal fervore della guerra, ma anche lei si
è immediatamente
scusata. È stata una mia scelta quella di aiutarli, scelta
che Peter mi ha sempre
ricordato di poter cambiare in qualunque momento” li difesi a
spada tratta.
Il volto di Jadis si fece
improvvisamente duro. Non le piaceva per nulla la piega che aveva preso
la
discussione.
“Devi fidarti di me se ti
dico che i Pevensie non sono i ragazzi che credi tu. Vogliono il trono
e
nient’altro” ripeté.
“Ti sbagli” La
mia voce era
fredda a causa della ostinazione che stava dimostrando la strega.
Era peggio che parlare con
il muro. Per un secondo fui tentata di demordere ma poi mi ripresi. Non
potevo
abbandonare quell’unica speranza che mi guidava.
Calò un silenzio carico
di
pensieri. Jadis era evidentemente contrariata della mia testardaggine
nel voler
difendere Peter e i suoi fratelli mentre io mi scervellavo su come
poterle far
cambiare idea.
Alla fine optai per un
approccio diretto e sincero.
“Mamma” mi
gustai quella
parola. Come era bello pronunciarla con dolcezza e non come se fosse un
insulto
o uno scherno. Vidi nel suo sguardo che anche a lei piaceva sentirsi
chiamare
con quell’appellativo personale e familiare.
“Desidero che tu rientri in
possesso del tuo titolo come meriti. È la cosa giusta. Ma
non lotterò mai
contro Peter, non puoi chiedermelo”
affermai senza traccia di incertezza. Ero assolutamente
certa delle mie
parole, non sarei mai stata in grado di combattere il ragazzo.
“Tu dici di non
poterti fidare di loro e da una parte ti posso capire dato i vostri
trascorsi,
ma se non ti fidi di loro ti chiedo almeno di fidarti di me e del mio
giudizio.
Ti chiedo di dar loro una possibilità” la pregai.
Pensai con ironia che quella
discussione era quasi identica a quella che avevo sostenuto con Peter,
solo i
soggetti si erano invertiti.
Jadis chiuse gli occhi e
sospirò, quasi esasperata. Li riaprì, scosse la
testa facendo ondulare i
capelli biondi come a voler prendere tempo. Poi mi rispose.
“E cosa faresti per far
riacquisire a me la corona senza entrare in guerra?” mi
chiese, rassegnata.
Un sorriso felice mi si
disegnò sulle labbra. Aveva ceduto. Ce l’avevo
fatta, avevo ottenuto la
possibilità di far mettere d’accordo Peter e lei.
Il primo passo verso la
vittoria era stato fatto.
“Fammi parlare con Peter
e i
suoi fratelli. Spiegherò a loro tutta la situazione
illustrando i benefici di
una pace tra voi due. Se li conosco bene, accetteranno di restituirti
il regno
e di rimanere in veste di consiglieri alla tua corte, ne sono
certa”. Illustrai
senza ombra di dubbio sulla riuscita del mio progetto.
La strega scosse la testa.
“Non ti farò parlare con loro, è troppo
pericoloso”
La mia espressione si fece
stupita. “Pericoloso?” chiesi scettica. Non poteva
pensarlo sul serio.
“Esatto, come hai ben
detto
tu, non mi fido di loro. Ho paura che quando gli dirai di volermi
rimettere al
comando ti imprigioneranno e ti impediranno di tornare da me”
mi spiegò.
Bloccai a stento una risata
isterica. “Peter non mi farebbe mai del male, morirebbe
piuttosto, su questo
non ho…” ma il ricordo di una conversazione
passata mi bloccò le parole in
bocca.
“Non
intendo obbedire, mi spiace. Io
vedrò Jadis”
“Allora
mi vedo costretto a proteggerti
anche contro la tua volontà”
Peter
sarebbe davvero arrivato a rinchiudermi da qualche parte pur di non
farmi
vedere la strega? E Jadis fin dove si sarebbe spinta per non farmi
rincontrare
i Pevensie? Entrambi volevano tenermi lontano dall’altro,
come se avessero
paura che io potessi schierarmi o da una parte o dall’altra,
ma io non ero una
bimba influenzabile, sapevo cosa desideravo e non era scoprire per chi
avrei
dovuto mettere a servizio i miei poteri. Io desideravo la pace tra i
due
contendenti, non un partito da prendere e loro avrebbero dovuto
rispettare la
mia volontà. Non avrei smesso si vedere né
l’uno né l’altra.
Nella
mia frase lasciata a metà la strega parve leggere il mio
dialogo interiore.
Sospirò nuovamente prima di riprendere la parola.
“Se
per te è così importante,
acconsentirò, anche se loro non meritano il tuo
interesse, ma ad una condizione”
Trattenni
il respiro. Ci era riuscita? Se era così avrei acconsentito
a qualsiasi
richiesta.
“Prima
di andare da loro, voglio che tu faccia la Cerimonia”.
Spalancai
gli occhi. “Cerimonia?” domandai confusa e curiosa.
Quale cerimonia.
Il
suo viso mi colpì per la serietà con la quale mi
stava parlando. “La Cerimonia
che ti designerà come mia futura erede e legittima
principessa di Narnia” mi
spiegò solenne.
Le
sua parole mi rimbombarono nelle orecchie, lasciandomi inebetita.
Principessa?
Io? Di Narnia? Non poteva essere, io ero solo…
“Tu
sei mia figlia, figlia della sovrana di queste terre, e
perciò di conseguenza ne
sei la principessa. È giusto che anche tu rientri nel titolo
che ti è stato
strappato ancora prima di acquisirlo.” proseguì,
poi vedendo il mio sgomento
sorriso divertita.
“Non
ci avevi ancora pensato vero?”
Scossi
la testa. No, non avevo mai pensato che io, semplice ragazza del 2010,
strega
in erba, appena venuta a conoscenza di chi era figlia, potesse essere
la
principessa della terra alla quale aveva da poco scoperto di
appartenere.
Quindi avrei chiesto a Peter di rinunciare al trono per darlo
… a me? La
faccenda si complicava. Un conto era dirgli di ridarlo a Jadis,
ex-regina, ma
come potevo chiedergli di farsi da parte per favorire una mia futura
ascesa, a
me che ero nuova in quel mondo, che non volevo nemmeno partecipare alla
guerra?
“Non
mi vedo nelle vesti di una principessa” mormorai, sperando
che ci fosse la
possibilità di non essere dichiarata come tale.
“Ma
è quello che sei, e dopo la Cerimonia, tutta Narnia lo
saprà” affermò. “E poi
il rito non ti riconoscerà solo il titolo di principessa, ma
anche quello di
mia figlia legittima. Verrai riconosciuta davanti all’Antica
Magia, e ciò farà
di te una strega bianca a tutti gli effetti, risvegliando in te poteri
magici
ancora assopiti. Diventerai più potente ed è
questo ciò che mi preme
principalmente.”
“Perché?”
chiesi, non comprendendo il fine.
“Perché
se Peter e i suoi fratelli dovessero tradire la tua fiducia, come temo
faranno,
sarai in grado di difenderti adeguatamente”
confessò.
Feci
una smorfia. “Non ce n’è
bisogno”.
Jadis
mi sorriso supplice. “Accondiscendi ad un desiderio di una
madre che non vuole
perdere nuovamente sua figlia per favore. E poi desidero che tu venga
reintegrata nel rango che ti spetta”.
Sospirai
e la guardai. Stava aspettando una mia risposta con occhi azzurri che
pregavano
un mio consenso. Come potevo negarglielo? In fondo sarei stata
dichiarata sua
figlia legittima, era poi tanto male? No, finalmente avrei avuto
ufficialmente
una madre, quanto mi costava dire di si?
“D’accordo”
le risposi infine. “Quanto ci vuole per compiere la
cerimonia?” mi informai.
“Si
svolgerà tra tre giorni,
di sera, quando
la luna sarà piena” stabilì, felice
della mia resa.
Strabuzzai
gli occhi. “Tre giorni? Ma i soldati di Telmar incalzano, tra
poco sarà guerra.
tu e Peter dovete trovare un accordo al più presto per
affrontarli e salvare
Narnia” ribattei con veemenza. Non potevamo perdere tre
giorni preziosi per
un’inutile formalità.
Per
tutta risposta, Jadis mi rivolse un’espressione divertita,
come se avessi detto
qualcosa di molto buffo. “Piccola mia, non
c’è alcun bisogno che tu ti
preoccupi di qualche soldato straniero. Peter si è
dimostrato incapace di
proteggere la terra che declama amare tanto, ma io non sono come lui.
So
perfettamente come difendere Narnia anche senza il suo aiuto. Ti
assicuro che
tra tre giorni Lord Miraz e la supremazia di Telmar saranno solo un
ricordo
lontano e fastidioso”. Le sue parole volevano essere
confortanti e
rassicuranti, eppure provai un brivido lungo la schiena per il tono con
cui le
aveva pronunciate. C’era una velata minaccia dietro la sua
frase, non udibile
ad orecchio ma avvertibile sulla pelle. Sembrava urlare di non sfidarla
perché
nessuno poteva nemmeno immaginare dove poteva arrivare pur di
realizzare i suoi
scopi. Ma decisi deliberatamente di ignorarlo. Non dovevo
preoccuparmene, stava
parlando dei nemici della sua terra, era logico che le sensazioni che
provava
nei loro confronti si trasmettesse anche nelle sue parole. Il quesito
che
dovevo pormi era un altro.
“Ma come farai a
combattere
contro i telmarini senza esercito? Ci vorranno settimane prima di
radunarne
uno, contando che nessuno a Narnia per ora sa che sei
tornata” osservai.
Il sorriso si allargò.
“Vieni con me” mi disse di nuovo. Mi porse la mano
per la seconda volta e mi
condusse lontano da quella stanza, sipario di rivelazioni ancora per la
maggior
parte da assimilare. Avevo ricevuto tante di quelle nozioni che mi era
stato
impossibile analizzarle con raziocinio. Ma probabilmente non ci sarei
mai
riuscita, nemmeno se avessi avuto a disposizione un anno per esaminare
frase
per frase quella discussione. Se mi fossi fermata a pensare con
razionalità a
ciò che mi stava accadendo, probabilmente sarei impazzita,
dovevo continuare ad
applicare la regola che mi ero imposta sin dall’inizio,
accettare ciò che
accadeva senza domandarmi “perché?”
continuamente e lasciarmi trasportare dalla
corrente. O come avrei accettato di essere diventata principessa di un
regno
incantato che ha come madre una strega rediviva? Il mio cervello
sarebbe finito
dritto in cura da una psicanalista.
Jadis mi scortò su per
una
scala a chiocciola, probabilmente percorrendo in salita una delle tante
torri
che costituivano il castello. Si fermò quando ebbimo
percorso sufficienti
scalini a farmi venire il fiatone. A quel punto entrammo in una stanza
circolare simile ad un osservatorio. Dovevamo essere in cima alla
torre.
L’arredamento era
semplice
ma elegante, consisteva in un telescopio posizionato alla sinistra di
una
grande vetrata che occupava la maggior parte della parete rotonda, una
libreria
incastonata nel ghiaccio e delle poltrone. Tutto ovviamente sulle
tonalità
dell’azzurro.
Si avvicinò alla
finestra
con la sua camminata sinuosa e regale, il lungo vestito bianco con la
gonna
liscia e priva di particolari decorazioni che fasciava il suo corpo
snello
muovendosi con lei.
La luce del sole, ormai
alto, illuminò il profilo delicato del suo volto, rendendo
la sua pelle nivea
quasi perlacea. Lanciò uno sguardo al paesaggio sottostante
e un sorriso
disegnò le sue labbra rosse.
Mi guardò e mi
allungò una
mano, un invito a raggiungerla che non tardai ad accettare. Afferrai la
sua
mano e guardai nella direzione che mi indicava Jadis.
Rimasi stupefatta.
Sbattei gli occhi più
volte,
incredula dinanzi al panorama che mi si proponeva. Là dove
poco prima c’era
unicamente una superficie di erba verde, si stendeva una lunga colonna
di
creature di Narnia dirette al castello di ghiaccio.
“Narnia ha i suoi modi
per
comunicare” mi disse, con soddisfazione palpabile nel vedere
la fila di soldati
che si avvicinavano “appena sono stata liberata, tutti gli
abitanti di Narnia e
la stessa terra ha avvertito il mio ritorno. Il ritorno della loro
regina per
la quale chi le è da sempre stato fedele non vede
l’ora di tornare a servizio.
È con questo esercito che Telmar vedrà la fine
della sua avanzata sui miei
territori”.
Lo sguardo era sicuro, il
tono fermo e solenne quanto la postura. Come si poteva dubitare della
veridicità delle sue parole?
In quel momento, illuminata
dal sole, fasciata di bianco, in cima ad un castello che si preparava a
divenire casa di un esercito forte e numeroso, sembrava una dea, bella
e
implacabile, ed io ebbi la certezza che Narnia era davvero salva. Jadis
avrebbe
provveduto a lei e avrebbe provveduto anche a me.
*
“Caro
Peter,
ho
tante cose di cui vorrei parlarti, ma non mi
basterebbero mille pagine per raccontarti tutto ciò che mi
è successo, perciò
per il momento devo rimandare a quando finalmente potremo rivederci, il
che, se
ogni cosa va per il meglio, dovrebbe accadere tra tre giorni esatti.
Per ora
ti basti sapere che sono al sicuro. Non
crederai mai chi è stata a liberarmi dalle prigioni di
Telmar, ma ti prego di
non essere prevenuto nei suoi confronti quando ti dirò il
nome della mia
salvatrice nonché ospite. Si tratta di Jadis.
La mano con la quale teneva
la lettera si strinse automaticamente, stropicciando in quel punto la
carta. La
mascella si contrasse mentre leggeva quel nome tanto odiato, Jadis, ma
si
costrinse a proseguire.
È
tornata dalla dimensione che l’aveva tenuta
prigioniera per tutti questi anni ed ora ha intenzione di salvare
Narnia dalla
minaccia di Miraz.
Ti
supplico di non fare azioni avventate e di non
preoccuparti per me. Io sto bene e Narnia non si trova in pericolo. So
che non
crederai alle mie parole al momento, ma ti prego di aspettare a
prendere
qualsiasi decisione, almeno finché non avremo parlato tra
tre giorni. Se non ti
fidi di lei per attendere, cerca di fidarti di me, ho delle ottime
ragioni.”
Interruppe la lettura,
questo era tutto ciò che era necessario e utile far sapere
agli altri. Il resto
della lettera era indirizzata a lui soltanto e solo lui doveva leggerla.
Ci sono
altre migliaia di cose che vorrei scriverti,
ma per ora mi devo trattenere. Ti dirò quindi solo
più una cosa, la più
importante.
Ti amo.
Tanto.
E mi
manchi tantissimo. Vivo pensando che ogni minuto
che passa è un minuto in meno che mi separa da te.
A
presto.
Per
sempre tua
Cathrine
La sua Cathrine. La sua
stella era autrice di quella lettera che gli riempiva il cuore di gioia
e
angoscia contemporaneamente. Niente poteva renderlo più
lieto della notizia
della sua liberazione dalle buie prigioni di Miraz, il pensiero della
sua Cathy
rinchiusa in qualche spazio angusto mercé dei telmarini era
stato
intollerabile. Gli ci era voluta tutta la sua forza di
volontà per trattenersi
dall’andare di persona e subito al castello a cercare di
recuperarla. Purtroppo
però quel pezzo di carta vergato dalla sua calligrafia
minuta e un poco
disordinata non portava con sé solo
quell’informazione.
Riassunto in termini
pratici, privato di ogni abbellimento aggiunto da Cate, il contenuto
della comunicazione
era semplicemente terrificante: Jadis era tornata. Ma questo lo avevano
già
capito. Appena era successo lo avevano avvertito nell’aria
stessa, divenuta più
gelida. Nelle nuvole che cariche di neve si erano immediatamente
condensate
celando il cielo finora limpido e il caldo sole. Nei fiocchi bianchi
che
cadendo fitti avevano chiaramente enunciato il ritorno della loro
personificazione, la Strega Bianca, richiamando per lei tutti coloro
che nei
secoli le erano rimasti fedeli. Richiamo che era stato accolto con
fervore da
una grande parte delle creature di Narnia, molti dei quali membri
dell’esercito
che fino ad allora era stato ai comandi dei Penvensie. Una notizia
già di per
sé tremenda, ma non era la cosa peggiore. Aveva preso
Cathrine senza che la
ragazza neanche si accorgesse del pericolo che stava correndo. Dire che
erano
nei guai era un eufemismo bello e buono. Era successa una catastrofe.
Proprio
quello che non doveva assolutamente accadere. L’unica magra
consolazione alla
quale il giovane re si stava aggrappando era che quanto meno Jadis non
avrebbe
mai trattato male Cathrine, almeno fisicamente. Con tutta la fatica che
aveva
fatto per averla, non le avrebbe torto un capello e non
l’avrebbe tenuta come
una prigioniera in qualche cella fredda. L’avrebbe accolta
come un’ospite
d’onore o una cara amica.
Guardò i visi presenti e
vide
riflessa la sua stessa preoccupazione. L’unica differenza
è che mancava nei
loro occhi quel dolore sordo procurato dalla lontananza prolungata da
Cathy che
era certo fosse scorgibile nei suoi.
Ma cosa doveva fare?
No, la domanda era posta male.
Sapeva perfettamente cosa doveva
fare. Doveva cercare il modo migliore per difendere il suo popolo. Ma
ciò
poteva comportare armare l’esercito e marciare contro il
castello di Jadis,
dove al momento albergava Cathrine. Come avrebbe potuto assediare il
palazzo
dove la sua stella riposava? Avrebbe rischiato di coinvolgerla
fisicamente nel
conflitto mettendola in pericolo di vita. O, peggio, attaccando in modo
barbaro
senza rispettare le sue richieste di tempo avrebbe pensato che lui e i
suoi
fratelli erano indegni della sua fiducia e si sarebbe schierata
completamente
con la strega. Se la sarebbe ritrovata davanti nelle vesti di nemica e
a quel
punto come si sarebbe comportato? Avrebbe puntato la spada contro quel
cuore
che aveva sentito battere per lui? No, si sarebbe trafitto lui stesso
piuttosto
perché ciò cozzava totalmente con quello che voleva fare, ovvero proteggere Cathrine.
Dalle grinfie di Jadis,
dalla guerra imminente, dalla delusione che avrebbe provato una volta
scoperto
chi era in realtà la strega.
La vera domanda era: cosa poteva fare per conciliare le due cose?
Doveva esistere una strada che l’avrebbe portato sia a
difendere Cate che il
regno.
Cercò lo sguardo di
Susan,
come se in quei riflessivi e intelligenti occhi castani potesse trovare
una
soluzione a tutti i suoi problemi. Li cercò
simile ad un naufrago desideroso di una zattera da
agguantare per
rimanere a galla in mezzo alla tempesta dei suoi pensieri. Purtroppo
però nelle
iridi color del cioccolato della sorella, dove tante volte aveva
trovato
conforto o sostegno, questa volta non vide nessuna brillante risposta
ai suoi
dubbi.
“Per me, dovremmo
preparare
l’esercito e andare a riprenderla senza esitare”
La voce di Caspian ruppe
quel silenzio pieno di riflessioni.
Marciare per recuperarla
mettendo a ferro e a fuoco il palazzo della strega. Era
un’idea così
allettante… Il giovane principe non aveva idea di quanto
sarebbe piaciuto a
Peter poter andare seduta stante a riprendersi la sua Cathrine. Ma come
aveva
già concluso, era un’opzione non praticabile.
“è la cosa
peggiore che
possiamo fare” ribatté Lucy con veemenza,
concordando senza saperlo con Peter.
“E perché di
grazia?”
Lucy, aggraziatamente seduta
sulla tavola di pietra accanto a Susan, non tardò a
rispondere. “Perché Cathrine
al momento si fida ciecamente di Jadis e non acconsentirebbe mai a
scappare da
un luogo che non sente pericoloso. Dobbiamo allontanarla da lei
parlandole e
facendole capire con chi ha a che fare”.
“Ma potremmo parlare con
lei
solo tra tre giorni. Per quella data potremmo già aver
subito un attacco da
parte di Jadis o di Telmar e non essere sopravvissuti, non possiamo
stare qui
ad aspettare che la disfatta si compia” fece notare piccato
Edmund in sostegno
di Caspian.
“Non accadrà.
Se Cathrine ci
ha detto che tra tre giorni verrà qui vuol dire che ne ha
parlato con Jadis e
che la strega è d’accordo. Se le togliesse
l’opportunità di vederci causa morte
provocata da lei perderebbe la sua fiducia e non potrebbe
più usufruire dei
suoi poteri. E in più nella lettera Cate ha detto che Jadis
stessa si sarebbe
occupata di Telmar, sono certa che Miraz per noi non sarà
più un problema se la
strega ha veramente deciso di occuparsene” Si intromise con
raziocinio Susan,
lanciando un’occhiata di sbieco a Caspian mentre pronunciava
l’ultima frase. Il
principe però non parve preoccupato del destino che
incombeva su Telmar al
momento, o per lo meno non lo dava a vedere.
Perderebbe
la sua fiducia.
Bingo.
Nella mente di Peter, che
finora si era limitato ad ascoltare le varie opinioni sperando di udire
una
soluzione sensata, si accese una lampadina. Una parola pronunciata
dalla
sorella fece scattare una molla nella sua testa. Fiducia.
E tutto gli fu più
chiaro.
Quella che si accingevano a
cominciare non era una guerra contro Jadis per la conquista di Narnia e
il suo
trono. Era una lotta per la fiducia di Cathrine.
La strega sapeva che la
ragazza avrebbe messo i suoi poteri a disposizione di chi si sarebbe
fidata di
più e di chi pensava dovesse governare. E chi aveva il suo
appoggio avrebbe
avuto una grossa possibilità d vincere la guerra che sarebbe
avvenuta dopo,
quella per la corona. La soluzione alla sua domanda era dunque quella.
Doveva
assolutamente cercare di far comprendere alla sua piccola stella che
razza di
mostro calcolatore e sfruttatore fosse Jadis, in modo che si
allontanasse da
lei salvando se stessa e Narnia intera. Povera Cathrine, era il premio
più
ambito che quella terra vedesse da secoli e lei neanche lo sapeva, ma
doveva
rendersene conto, solo quando ne fosse stata conscia avrebbe potuto
agire di
conseguenza e proteggersi.
“Inoltre sarebbe un
suicidio
attaccare ora il castello di ghiaccio. Jadis sta creando un esercito
forte lo
sapete, mentre il nostro si è ridotto drasticamente e i
pochi rimasti sono
demotivati. Non riusciremmo mai a condurre una guerra”
rincarnò la dose Lucy.
“E quindi? Stiamo qui con
le
mani in mano ad aspettare che ci vengano ad uccidere?” disse
caustico Caspian.
“No” finalmente
la voce del
re biondo si impose sulle altre. I presenti si zittirono e lo
guardarono,
ansiosi di sapere la sua opinione ancora inespressa. Peter
fissò i loro volti
uno ad uno, il dolore negli occhi messo per un attimo da parte dalla
luce della
decisione e della consapevolezza. Non poteva permettersi di
abbandonarsi al senso
di vuoto che provava nel petto, né alla preoccupazione che
provava per la sua
Cathy. Se la voleva salvare e al contempo adempiere ai suoi obblighi di
re,
doveva ricacciare quelle sensazioni da dove erano venute. Almeno per il
momento,
specie ora che sapeva cosa poteva
fare.
“Terremo pronto
l’esercito
per ogni evenienza, ma non ci muoveremo. Aspetteremo Cathrine. Tre
giorni di
tregua possono esserci utili per restituire all’esercito il
vigore perduto e il
dialogo che ci attende potrebbe essere una grossa
opportunità per strappare
definitivamente Cate dall’influenza di Jadis”
stabilì.
Susan e Lucy annuirono
concordi e soddisfatte. Edmund e Caspian cominciarono invece a
reclamare, ma
uno sguardo del re bastò a far tacere ogni protesta. Il
ragazzo aveva deciso e
niente gli avrebbe fatto cambiare idea.
Non sarebbe sceso in una
guerra suicida contro Cathrine. I due ragazzi dovevano accettarlo.
Incontrò lo sguardo di
Edmund e vi lesse l’insostenibile voglia di fare qualcosa di
attivo per il suo
popolo, l’incapacità di rimanere con le mani in
mano mentre le nuvole si
condensavano all’orizzonte. Lo provava anche lui, ma
l’unica scelta
percorribile che congiungeva dovere e volere era quella.
Speriamo
solo che in quei tre giorni Jadis non affondi
i suoi artigli troppo a fondo nel cuore e nella mente della mia
Cathrine.
Pensò amaro, ma
cercò di
allontanare da sé quell’ipotesi infausta. Se era
chiara la fiducia che al
momento Cate provava verso Jadis, erano inconfutabili anche le parole
con la
quale chiudeva la lettera.
Ti amo.
Tanto.
E mi
manchi tantissimo. Vivo pensando che ogni minuto
che passa è un minuto in meno che mi separa da te.
A
presto.
Per
sempre tua
Cathrine
Cathrine lo amava, e nessuna bella
frase che la strega
poteva pronunciare avrebbero mai cancellato quel sentimento dal suo
cuore. Su
questo Peter non aveva dubbi.
Però quella certezza non
colmava il vuoto che avvertiva all’altezza del petto. Anche
se sapeva che lo
amava, che tra tre giorni l’avrebbe rivista e che almeno
fisicamente non era in
pericolo, il saperla lontano da lui preda del destino avverso e di
malevole
influenze, lo faceva star male. Senza contare che se era sicuro sui
sentimenti
del cuore della ragazza, non poteva altrettanto esserlo sui pensieri
che la sua
mente poteva formulare sotto la presenza di Jadis. Al momento la
giovane pareva
fermamente decisa a non voler attribuire la ragione a nessuna delle due
parti,
ma prima o poi avrebbe dovuto scegliere.
E allora si sarebbe visto chi dei due era riuscito a far
valere meglio
le sue motivazioni. Peter aveva dalla sua la voce della
verità, ma Jadis
possedeva tecniche persuasive molto efficaci, come già aveva
dimostrato in
passato.
Cathy
mi ama, e questo basterà. Ripeté a se stesso per
auto convincersi. Eppure il
senso di vuoto e la preoccupazioni si fecero sempre più
difficili da rimandare
indietro.
Senza guardare in volto
nessuno, uscì dalla stanza a testa alta diretto ai piani
superiori avvolto nel
più assoluto e rispettoso silenzio. Una volta solo nella
propria camera, con la
porta ben chiusa alle sue spalle, poté togliersi la maschera
di glaciale calma
e farsi assalire dalla preoccupazione che lo attanagliava.
*
Siamo
nei guai.
Un pensiero semplice, che
non riassumeva minimamente la pericolosità della situazione
in cui le creature
di Narnia vertevano, ma solo questo passò per la mente della
regina, come se i
suoi neuroni si rifiutassero di formulare una frase più
complessa che desse maggior
spessore a quella catastrofe imminente.
Seduta tra le rovine della
piccola arena dinanzi all’edificio, Susan cercava di
ricapitolare mentalmente
ciò che era accaduto nel giro delle ultime tre ore,
precisamente da quando era
arrivata quella lettera.
Mettendo gli avvenimenti in
maniera schematica, come la sua personalità pragmatica
prediligeva, la lista
che si otteneva era semplice come la frase prima pensata.
Jadis era tornata.
Il loro esercito era stato
dimezzato.
Cathrine era nelle mani di
Jadis senza nemmeno saperlo.
Peter era rinchiuso in
camera sua da due ore buone a crogiolarsi in pensieri autodistruttivi.
Eppure
il sole tramonta ancora.
La constatazione nacque
spontanea nella sua testa e la regina quasi se ne sorprese. Come poteva
essere
così poetica in un momento di tale crisi?
Ma era la verità. Il
meraviglioso scenario che aveva davanti ne era una prova. Il cielo era
sui
colori dell’arancione, le poche nuvole rimaste dopo la
tempesta di neve, che
magicamente si era sciolta come era venuta senza lasciare traccia
trattandosi
di un mero segnale e non di un fenomeno atmosferico, erano rosate
mentre il
sole si avviava a sparire oltre la pianura gialla-verde per cedere il
posto al
suo alterego, la luna.
Il sole dopotutto era non si
faceva coinvolgere dai loro problemi. Lui rimaneva là in
alto, impegnato
unicamente a svolgere il suo compito e ad assistere silenzioso allo
scorrere
delle piccole e brevi vite delle persone che godevano dei suoi raggi.
Persone
che avevano conflitti, complicazioni, difficoltà,
risoluzioni, guerre e periodi
di pace esattamente come lei e che come lei, nonostante ciò
che può accadere,
ogni mattina potevano assistere al miracolo dell’alba ed ogni
sera accoccolarsi
al tiepido calore del crepuscolo. Il sole era sempre lì,
come un monito che ti
ricordava che anche succedesse qualsiasi cosa la vita attorno a te
prosegue
indisturbata e sta a te scegliere di riuscire a trovare un istante per
goderne oppure
no e occuparti solo delle tue questioni. E lei, a differenza del suo
solito,
aveva bisogno di un momento per far parte di quella vita tranquilla
fatta solo
di cielo, terra e sole, senza Terlmar o streghe tra i pensieri. Giusto
per
ricordarsi che respirava nonostante tutto quello che era accaduto in
quelle tre
ore, che era ancora viva e che la catastrofe che presagivano non era
ancora del
tutto avvenuta.
“Sapevo di trovarti
qui”
Una voce calda e familiare
le giunse all’orecchie, ma tanta era la pace che stava
acquisendo dalla luce
morente che nemmeno sobbalzò dalla sorpresa.
Si girò e sorrise dolce
a
quel viso dai lineamenti marcati eppure teneri del principe Caspian.
“è un buon
posto per
riflettere e riacquisire calma” rispose serafica.
Il principe si sedette
vicino a lei, con una gamba distesa e l’altra leggermente
piegata verso il
torace.
“Concordo. Il panorama
attuale poi è particolarmente suggestivo”
asserì.
Susan annuì e chiuse gli
occhi, reclinando la testa all’indietro su di uno dei massi
pensando a come la
presenza del ragazzo fosse la ciliegina sulla torta in quel momento
perfetto.
“Peter è
uscito dalla
stanza?” si informò senza aprire le palpebre.
“Non ancora. Ma
è
comprensibile. È piuttosto scosso”
Susan annuì di nuovo.
Scese il silenzio, ma la
pace era tale da scacciare ogni forma di imbarazzo. Solo quando il
giovane si
schiarì la voce Susan riaprì gli occhi per
fissarlo con aria interrogativa.
Caspian la stava guardando,
o meglio, cercava di guardarla ma i suoi occhi scivolavano via dal suo
volto
dopo che lo focalizzava per più di due secondi di fila.
Susan corrugò la
fronte. Il giovane principe sembrava agitato, si stava morsicando il
labbro e
si torturava le mani senza tregua. Si bloccarono unicamente quando
avvertirono
la dolce presa di una terza mano, più piccola e candida. La
mano della regina.
Come rassicurato da quel
tocco familiare, Caspian cercò di tranquillizzarsi con un
grande respiro prima
di cominciare a parlare.
“Susan” la
chiamò facendo
sorridere la regina. Il suo nome pronunciato dal principe pareva miele.
Solo
lui era capace di dirlo con quell’intonazione particolare.
“Si?” lo
incitò lei curiosa
di sapere cosa voleva dirle Caspian.
“Ecco…”
il giovane prese un
bel respiro prima di parlare con il tono più sicuro che
riusciva ad avere “io
non voglio metterti fretta, te l’ho promesso e
rispetterò la parola data, ma
visti gli ultimi avvenimenti, con un domani così incerto,
desideravo dirti…”
“Fermo, non aggiungere
nient’altro per favore”
Fu il tono brusco più
che le
parole ad azzittire il giovane. Chiuse la bocca con un scatto e la
delusione
velò i suoi occhi neri.
Susan sentì chiaramente
lo
stomaco contorcersi nel vedere di averlo ferito, ma avvertiva
altrettanto
chiaramente la campanella di allarme che le era risuonata nella testa
quando
aveva capito dove Caspian stava andando a parare.
No, non poteva succedere
veramente. Dopo tutto quello che stavano attraversando, non poteva
aggiungere
alla sua scaletta anche: “il giovane principe torna alla
carica”.
Caspian non poteva aver
davvero cominciato quella discussione, specialmente dopo averle detto
che aveva
capito le sue motivazioni e che l’avrebbe aspettata. Aver
compreso ciò che gli
aveva detto non voleva dire scimmiottare le sue frasi
nell’introduzione di un
discorso che non voleva sentire. Cosa gli passava per la testa?
non
voglio metterti fretta, te l’ho promesso e
rispetterò la parola data
Meno male, altrimenti cosa
avrebbe fatto? Le avrebbe portato direttamente un anello?
Erano passati pochi giorni e
con tutto quello che era successo non poteva sperare che aveva avuto
tempo per
riflettere sulla loro situazione!
Era una regina, aveva dovuto
occuparsi della guerra e di Cathrine, non poteva mica far passare in
primo
piano le sue questioni di cuore.
Ma anche se non avesse
dovuto rifletterci per affrontare quella situazione non avrebbe avuto
tempo al
momento per impegnarsi anima e corpo in una relazione. Aveva troppe
cose di cui
occuparsi da anteporre a se stessa. Non poteva permetterselo. E
poi…
Anche
se ora non mi viene in mente sono certa che ci
sia qualche altra ottima motivazione per rimandare questa conversazione
di
qualche giorno…
O di
qualche settimana, mese, anno, decennio…la verità
è che hai paura di affrontare i tuoi sentimenti, sei
riuscita buttare giù la
prima palizzata, ma era quella più semplice, la
più esterna, ora che si tratta
di distruggere quelle più vicine al tuo cuore ecco che
ricominci a scappare. Insinuò una vocina
maligna dentro di lei.
Susan si morse il labbro.
Doveva andarsene di lì in fretta, l’atmosfera si
era fatta molto pesante,
voleva correre via.
“Perdonami”
sussurrò prima
di alzarsi di scatto e dirigersi a passi veloci verso
l’edificio,
allontanandosi sia da Caspian che da quella voce malefica.
Era vero, forse aveva paura
e quelle che aveva pensato erano tutte dannate scuse per rimandare il
momento
della verità, ma qualunque fosse la motivazione il risultato
non sarebbe
cambiato. Quella discussione non avrebbe avuto luogo in
quell’istante. Non era
pronta ad affidarsi ai
sentimenti di un’altra persona.
Ma quando stava per mettere
un piede fuori dall’arena, una mano le afferrò il
braccio e la fece voltare per
poi stringerla da entrambe le parti con delicatezza ma fermezza.
Caspian si era alzato ed ora
la fissava con un’intensità e una sicurezza di
sé che raramente aveva scorto
nelle sue pupille scure.
Susan fu percorsa da un
tremito sotto quegli occhi. Ne fu spaventata, perché stava
intuendo che forse
non sarebbe riuscita ad evitare ciò che stava per accadere,
ma ne fu anche
attratta per qualche motivo a lei ignoto e non razionale.
“Perdonami tu, ma questa
volta
non ti lascerò andare via senza che ti abbia espresso i miei
sentimenti. Ho
capito che tu non ti senti ancora pronta per dirmi ciò che
provi, ma io ho il
bisogno di dirtelo. Ora, senza ulteriore indugio perché con
una guerra di
questa portata imminente c’è il rischio di non
avere più un altro momento per
parlare.” Esordì d’un fiato, prendendo
il coraggio a due mani come mai era
riuscito a fare.
Susan cercò di liberarsi
dalla presa del giovane ma lui rafforzò la stretta
impedendole la fuga ma senza
farle male. Ma lei non voleva sentire, non voleva udire quelle parole
che
sapeva stavano per essere pronunciate. Era facile fingere di non sapere
ciò che
si poteva solo presupporre ma una volta sentito non avrebbe potuto
evitare alla
sua mente di riflettere attentamente su di esso. Non avrebbe potuto
evitare al
suo cuore di trarre le sue conclusioni, né, temeva con tutta
se stessa,
impedire a quest’ultimo di farla parlare contro il suo
raziocinio e di
scoprirsi.
“Susan” le si
rivolse di
nuovo e a quel richiamo si immobilizzò. Quel miele le aveva
bloccato anche il
respiro. Prima ancora che aprisse bocca, Susan lesse tutto
ciò che doveva
sapere nei suoi occhi neri, ardenti al momento come brace. E poi giunse
la
conferma. “Ti amo”. E mai parole ebbero
più effetto sulla sua algida persona.
Sentì qualcosa dentro
spezzarsi, come uno scudo che si frantuma contro un fendente troppo
potente. La
confessione del giovane giunse al cuore della regina come una freccia
avvelenata di miele e passione e la trafisse infiltrandosi tra le
palizzate.
Sentì quel dolce nettare irrogarle ogni vene e arteria,
diffondersi per tutto
il suo muscolo cardiaco per poi farlo battere all’impazzata
come il migliore
dei carburanti.
Caspian la amava.
Il sospetto c’era, era
inutile negarlo, ma la sua mente l’aveva sempre prontamente
zittito per evitare
false speranze o insidiosi problemi consequenziali, ma ora che
l’aveva sentito
direttamente dalle sue labbra, il sentimento che il principe provava
non poteva
più essere ignorato.
Ma anche se il suo cuore era
infiammato e batteva rapido, la sensazione di rifiuto verso quella
conversazione persisteva. Le palizzate c’erano ancora, con
qualche crepa ma in
piedi.
“So che per te i tuoi
obblighi da regina verranno sempre al primo posto”
proseguì il principe
ricatturando l’attenzione della ragazza “infatti
non ti chiederei mai di
anteporre me ad essi, non sarebbe giusto nei tuoi confronti
né in quelli di
Narnia, ti chiedo solo di riuscire a trovare un posticino anche per me
nel tuo
cuore, sono certo che è grande abbastanza per accogliere
anche me.”
C’era una tenerezza nel
suo
tono di voce e una genuina sincerità nella sua semplice
richiesta di essere
amato e di occupare almeno un posticino nel
suo cuore che Susan non poté impedirsi di provare un
languore all’altezza del
bacino. Un languore del tutto nuovo. Poteva una persona così
altruista recare
danni a qualcuno? Poteva una persona capace di tale disarmante
sincerità
conquistare la fiducia di qualcuno e poi tradirla? Una palizzata cadde.
“E ti posso anche
assicurare
che non sarei mai un peso per te. Non dovresti cercare di gestirti tra
affari
di stato e me, ti aiuterei come posso in qualsiasi cosa. Sono pronto a
dividere
con te ogni onere del tuo ruolo se me lo permetterai e in
più non saresti più
sola a sopportare situazioni frustranti e pericolose come questa, ci
sarei
sempre io ad offrirti una spalla su cui piangere o un consiglio o un
semplice
appoggio. Ti farei da sostegno, un punto di riferimento quando i
pericoli fanno
crollare alcune delle tue fidate certezze.”
Continuò sempre con quella assoluta
sincerità mentre con una mano iniziava ad accarezzarle
dolcemente il profilo
della guancia.
Poteva una persona tanto
comprensiva fregarsene della tua persona e dei tuoi problemi? Frapporsi
tra te
e i tuoi obblighi? Un’altra palizzate crollò.
“Non devi rispondermi
ora,
te lo ho detto, ti aspetterò, ma volevo che tu sapessi cosa
provo e cosa sono
pronto ad offrirti senza esitazioni.” Concluse Caspian.
No, questa
persona non lo avrebbe mai fatto. Poteva dunque codesta
persona essere meritevole della tua fiducia? Essere quella giusta con
la quale
aprirti, alla quale affidarti? Il cuore di Susan batté
libero nel petto,
finalmente privo di muri o palizzate, pieno di quel dolce miele che
Caspian le
aveva iniettato.
Le parole che tanto avevano
faticato per venire anche solo pensate perché troppo poco
sicure, troppo poco
logiche, si proposero con forza, pregarono di essere pronunciate.
Susan aveva paura di amare
una persona e di confessarsi ad essa perché temeva di
affidarsi al ragazzo
sbagliato e di soffrire, di donare la sua fiducia ad una persona non
degna, di
aprirsi a qualcuno che le avrebbe procurato confusione e dolore e che
non
l’avrebbe mai compresa.
Ma quella persona non poteva
coincidere con quella che dinanzi le aveva appena aperto il suo cuore
senza
riserve, dimostrando una autenticità di sentimento che solo
poche persone
potevano provare. Non poteva essere il ragazzo che la fissava come se
fosse la
creatura più bella dell’universo, con gli occhi
che brillavano di passione
e…speranza? Si, speranza, perché nonostante le
avesse assicurato che l’avrebbe
attesa e che non si aspettava una sua risposta seduta stante, Caspian
desiderava con tutto se stesso di essere ricambiato.
E lei lo ricambiava?
Si. Come poteva non
ricambiarlo? Lui, così dolce e sincero, che le confessava di
amarla e che si
proponeva di assisterla in ogni momento della sua vita, che le
prometteva che
le sarebbe sempre stato accanto. Era un ragazzo d’oro, come
diceva Lucy.
Ed era pronta per dirglielo?
La reticenza di prima c’era ancora o era crollata con le
palizzate?
Fu sorpresa lei per prima
dalla risposta che il suo cuore prontamente le diede. Si, era pronta.
Ma
soprattutto desiderava con tutto se stessa esserlo. Voleva una persona
accanto
a sé, una persona che potesse donarle un affetto e un
conforto diverso da
quello che poteva offrirle un fratello o una sorella. Voleva un ragazzo
suo,
una persona con la quale condividere la sua vita, con le sue gioie, i
suoi
problemi e i suoi dolori.
Gli occhi le si velarono di
lacrime, ma neanche una scese lungo la gota. Non era il momento di
piangere.
Era un momento felice, il suo cuore volava veloce e si sentiva ebbra di
gioia
come non le capitava da tanto.
Cathirne, Jadis,
Telmar…tutto dimenticato, tutto appartenente a quella parte
della sua vita
dedita a problemi e preoccupazioni. Una parte che per
quell’istante si era
lasciata alle spalle in favore dell’altra porzione, quella
che aveva deciso di
vivere quando si era seduta tra i resti dell’arena e si era
accorta che il sole tramontava ancora.
Cosa si era detta? Che lei,
nonostante i guai in cui si trovavano, respirava ancora, viveva. Bene,
doveva
mettere in pratica quello che aveva pensato, doveva vivere e goderselo,
non
poteva solo pensare a quello che doveva fare, ai problemi che aveva e a
come
risolverli. Aveva bisogno di una pausa tra una preoccupazione e
l’altra. Aveva
bisogno di vivere senza pensare al domani, senza pensare alle
conseguenze,
senza pensare di essere la regina di un regno in pericolo, senza
pensare. Aveva
bisogno di vivere, semplicemente. Libera con le sue emozioni. Libera
con
Caspian.
E fu alle sue emozioni che,
per la prima volta in tutta la sua vita, lasciò il comando
del suo corpo.
Caspian la stava ancora
guardando, silenzioso con la bocca ma traboccante di mille sentimenti
-amore,
dolcezza, aspettative, passione- dagli occhi. la sua mano non aveva
smesso di
accarezzarla, ma ogni altra parte del suo corpo era immobile, come se
temesse
che spostandosi potesse rovinare quell’empasse dolce,
quell’incanto che li
circondava.
L’ultimo riverbero del
sole
gli illuminava la parte destra del volto, mettendo leggermente in ombra
la
sinistra e regalando una scintilla vermiglia nel suo sguardo profondo,
dando
l’impressione che un fuoco nascesse nelle sue pupille. O
erano le emozioni che
provava ad alimentare quella fiamma?
Probabilmente la versione
giusta era quest’ultima. Ed erano le stesse emozioni che
spinsero Susan ad
alzare una mano per sfiorare quella guancia dai tratti virili.
Caspian chiuse gli occhi a
quel tatto e distese le labbra, dalle quali uscì un sospiro
appena accennato,
in un’espressione beata. Era sollevato dalla sua reazione.
Probabilmente aveva
temuto di essere respinto rudemente o che la ragazza lo avrebbe
insultato.
Susan fece scorrere la sua
mano dalla guancia fin dietro la nuca del giovane. Infilò le
dita nei suoi
capelli castani, constatando quanto fossero morbidi al tatto.
E poi, senza preavviso,
avvicinò il suo viso a quello di Caspian e congiunse le sue
labbra con quelle
di lui.
Avvertì lo sconcerto del
giovane per il suo gesto dall’irrigidimento improvviso, ma ci
volle meno di un
secondo affinché Caspian prendesse coscienza del bacio e
ricambiasse con vigore
e passione.
La sua mano corse veloce al
fianco della ragazza per trarla maggiormente a sé, mentre
l’altra rafforzò la
presa sulla sua gota, godendo della delicatezza della sua pelle.
Le labbra di Susan si
schiusero come un bocciolo per quelle di Caspian. Le loro bocche
aderivano una
all’altra come se fossero state fatte apposta per essere
accostate, come se
fossero due pezzi di un unico intero esattamente come i loro
proprietari.
L’altra mano di Susan
andò a
congiungersi con l’altra appoggiata dietro la nuca di Caspian
e insieme si
allacciarono alle sue spalle, come se la giovane volesse aggrapparsi a
lui e
non lasciarlo mai più andare via.
Davvero solo una manciata di
minuti prima la sua mente era stata attraversata da mille problemi?
Susan al
momento non se ne capacitava. La felicità e la completezza
che provava per quel
bacio erano tali da renderle difficile addirittura credere che ci fosse
un
mondo oltre il sapore delle labbra di Caspian e il confortevole calore
emanato
dal suo corpo, figurarsi dei problemi!
Quando il bacio terminò,
Susan respirò e sentì dopo
un’infinità di tempo di farlo realmente.
Poté quasi
avvertire l’aria entrarle dentro i polmoni e il suo diaframma
alzarsi e
abbassarsi con piacere. Da quanto tempo non
respirava davvero?
Più
o meno da quando non riesco più a vivere per me
stessa.
Si rispose.
Caspian la guardava
ammaliato e felice. No, felice era un eufemismo. Gli occhi brillavano
tanto da
sembrare due diamanti, irradiavano luce e vita. Il viso stesso era
illuminato e
il sorriso -un sorriso rivolto a lei sola e di cui lei era la causa-
era il più
bello, il più aperto e il più spontaneo che Susan
avesse mai visto. La regina
vedeva le labbra del ragazzo vibrare, come se volesse dire qualcosa, ma
la
gioia era tanta da non riuscire ad esprimerla.
Ma
dopotutto non è lui che deve parlare, sono io. Si disse Susan.
Era giunto il momento. Era
pronta e lo aveva appena dimostrato.
Prese un bel respiro e con
il cuore che forte le batteva in gola per l’emozione,
riuscì finalmente a dire
ad alta voce quella frase tanto rimandata.
“Caspian, ti amo anche
io”
Un dolce sussurrò nel
vento,
pronunciato nell’esatto istante in cui il sole
scomparì dietro la pianura, in
quel magico attimo tra il giorno e la notte che già una
volta era stato
scenario del loro amore all’epoca ancora non dichiarato
apertamente.
Era stata una sciocca a
rimandare così tanto quella discussione. Ora che era
riuscita ad essere sincera
con Caspian e specialmente con se stessa, si sentiva felice. Completa.
Con il
cuore leggero e libero di battere forte e passionale. Si sentiva amata.
Ed era
una sensazione meravigliosa.
Caspian la abbracciò,
comunicandole con un unico caldo gesto ciò che infinite e
comuni parole non
avrebbero potuto esprimere a pieno. Susan si raggomitolò tra
le sue braccia,
affondando la testa nel suo petto ampio e protettivo.
Si, si sentiva amata, ed
era
proprio una sensazione meravigliosa.
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Capitolo 16 *** 15_Un addio sofferto per una meschina menzogna ***
Carissimi lettori ben
ritrovati!! Dunque dunque, ci siamo lasciati con Cate/Nives
in procinto di presenziare alla Cerimonia e con Peter che intanto
aspettava il suo ritorno per avere delucidazioni su ciò che
le stava accadendo e da chi riprenderemo ovviamente^^ La prima parte
è un piccolo momento di riflessione di Cate dove quindi non
ci sono svolgimenti, ma è importante per fissare bene alcune
questioni e idee :-) dalla seconda in poi ci sarà
più fermento fino alla fine del cappy, promesso :-) Il
quadro della madre buona e comprensiva che Jadis si è
dipinta addosso non convince (giustamente, parliamo della strega del
ghiaccio!) e infatti qui si inzieranno a vedere alcune delle sue vere
motivazioni anche se nn tutte...^^ povera Cate, si vedeno nubi
all'orizzonte anche se lei ancora nn può scorgerle!
Premessa: alla fine del cappy please non uccidete né me
né Cathrine, se ci permetterete di vivere prometto che ad
ogni cosa si troverà una soluzione...ma su questo argomento
preferisco continuare a discutere al fondo del cappy dopo che lo avrete
letto altrimenti rischierei di rovinarvi la storia!
Come sempre ringrazio di cuore chi spende il suo tempo a leggere la mia
storia, grazie grazie grazie! Spero che qst cappy vi piaccia e che nn
vi deluda ^^!
Un bacioneeee^^
Ringraziamenti:
noemi_moony: Ciao cara!!
Grazie per la tua recensione smpre super puntuale e graditissimissima^^
in qst cappy l'interrogativo che ha posto verrà
risolto, anche se la risposta potrebbe non essere definitiva dato che
la storia non è ancora conclusa e molte cose possono
accadere prima della fine! Cate dovrà scegliere anche se nn
sarà affatto facile decidere tra due persone così
importanti per lei...^^ Sono contenta che il cappy scorso ti sia
piaciuto con il bacio tra i due cari Susan e Caspian (finalmente anche
loro sono riusciti a far chiarezza e a confessarsi hihihi!). Spero di
leggere presto la tua recensione su qst cappy :-)! Un bacione grande
grande :-)
ranyare: Ciao carissima^^!
Sono feloice felice che il cappy scorso di sia piaciuto così
tanto ^^! Cate effettivamente al momento è cieca dinanzi a
ciò che Jadis combina e ha combinato, è accecata
dall'idea di avere una madre ( e che madre come hai giustamente
sottolineato!) per giunta strega e regina, ma dopotutto come
biasimarla? Peccato però che il credere ciò che
vuole e rifiutare la realtà le causerà non pochi
problemi, tra cui quello di far soffrire il povero Peter! Il nostro
caro re infatti passerà un brutto momento, però
la fine è ancora lontana e tutto può succedere
... non bisogna disperare! hihiih sono lieta che Caspian ti sia
piaciuto!!! Ti dor agione, ci fossero uomini simili in giro...le
ragazze sono certa che farebbero tutte i salti di gioia da mattino a
sera hihihi!!!!!!!!!! Grazie per avermi segnato la tua storia :-)!
Appena ho un po' di tempo e pace (avendo i nonni lontani quando ci sono
le vacanze faccio un po' la trottola in giro e quindi manca sia il
tempo che la pace purtroppo! ^'!) sarò felice di leggere e
commentare le vicende del nostro amato re e del caro principe di
Telmar^^! promesso :-) Non vedo l'ora di sapere le tue impressioni su
qst nuovo cappy^^ un grandissimo bacio!!!!
risotto: Ciao cara:-)!!!
Non ti preoc^^ sono felice che tu abbia commentato la scorso cappy e
che ti sia piaciuto:-) finalemtne è arrivato anche il turno
di Caspian e di Susan di aprirsi! Ci hanno messo parecchio tempo in
più rispetto a Peter e Cate ma alla fine ce l'hanno fatta
:-)! Grazie per i tuoi complimenti^^ sono davvero contenta di sapere
che sono riuscita a trasmetterti così tante emozioni, glasie
glasieeee^^!!!!!!! Spero che anche qst cappy ti piaccia^^! Un
bacioneoneone^^!
Grazie mille anche a tutti
coloro che hanno aggiunto la fan fiction tra le preferite o/e le
seguite! Grazie ragazzi^^
Vi auguro buona lettura e
fatmi sapre cosa ne pensate di qst cappy^^
Kisskisses
68Keira68
15_Un
addio sofferto per una meschina menzogna
Charlie
era stato il mio migliore amico fino all’età di
undici anni. L’unico capace di
ascoltarmi senza mai lamentarsi, che era sempre lì per me a
farsi stringere
nelle lunghe notti d’inverno quando l’ombra degli
alberi proiettata dalla luna
nella mia camera si trasformava in un terribile mostro della quale
aveva paura.
Charlie era
l’orsacchiotto
di peluche che mio padre mi aveva regalato per il mio primo compleanno
e che da
quel momento avevo sempre tenuto con me. Anche quando arrivò
l’adolescenza e
smisi di giocarci insieme, non ebbi mai il coraggio di buttarlo via.
Anche
tutt’ora probabilmente era dove lo avevo lasciato la mia
ultima sera passata a
Londra, sul mio letto, accanto al cuscino, in una posizione
privilegiata dalla
quale poteva vedere tutta la stanza.
Chissà se sarebbe stato
geloso se avesse saputo e potuto comprendere che ora tra le braccia
stringevo
un altro peluche, Fiocco, anch’esso un orsacchiotto ma col
pelo interamente
bianco al posto del marrone classico di Charlie.
Fiocco.
Ci avevo pensato su quasi tutta
la sera prima di battezzarlo così, volevo un nome che lo
rispecchiasse. E quale
nome migliore di Fiocco per un orsetto bianco come i fiocchi di neve?
Sospirai e strinsi il
peluche forte contro il petto, pensando con sorpresa di come sembrasse
nuovo,
nonostante i suoi milletrecento anni.
Milletrecento
anni passati ad aspettare il ritorno
della sua padroncina, come mi aveva
detto mia madre quando lo avevo visto al bordo del grande letto a
baldacchino
che occupava gran parte della stanza. La mia stanza, quella dove avevo
trascorso le prime notti della mia vita, anche se non ne conservavo
memoria.
Mi guardai attorno per la
miliardesima volta. Rannicchiata sul divanetto posto in una nicchia
della
parete opposta alla porta, sotto una grande vetrata ora spalancata,
potevo
scorgere ogni particolare della camera. Anche se probabilmente,
avendola
fissata da ieri sera costantemente, ormai non c’era
più nemmeno un angolo che
non conoscessi.
Quando la sera precedente
Jadis mi aveva accompagnata qui su, in cima alla torre est, non volevo
credere
ai miei occhi. Quella stanza era la prova tangibile della mia
permanenza, se
pur breve, in quel castello. La prova che ero davvero nata
lì, che quella era
casa mia. Una casa che aveva atteso il ritorno mio e di mia madre per
secoli
senza neppure un filo di polvere o qualsiasi altro segno di cedimento.
Ero
rimasta meravigliata dallo stato di perfetta conservazione della nostra
dimora,
specie se pensavo che di Cair Paraveil non era rimasto
null’altro che un cumulo
di macerie, ma la strega mi aveva spiegato il motivo.
Il palazzo era protetto dal
materiale con la quale era costruito. Il ghiaccio infatti era
incantato,
destinato a non sciogliersi mai e a preservare meticolosamente tutto
ciò che
contiene. In più le leggende che circolavano sul conto della
sua proprietaria
erano ancora in grado di accendere i cuori di timore tanto da non osare
un
attacco diretto con lo scopo di distruggerlo.
Quindi l’enorme letto a
baldacchino con coperte azzurro chiaro e tende quasi trasparenti era
ancora in
uno stato perfetto, con il materasso e il cuscino morbidi come se
fossero
appena comprati. E lo stesso valeva per il soffice tappeto bianco che
ricopriva
interamente il pavimento della stanza, esattamente come quello che
avevo voluto
per decorare la mia camera a Londra come avevo notato con stupore; per
il
lampadario di cristallo che illuminava l’ambiente di una
soffusa luce azzurrina
e per la scrivania di legno ma colorata sulle tonalità del
blu posta accanto ad
una grande panca contenente i miei giocattoli, purtroppo poco
utilizzati, dei
quali faceva parte Fiocco. Il mobile più prezioso era
però un armadio a due
ante costruito magicamente con il ghiaccio che occupava gran parte
della parete
opposta al letto, alla sinistra della nicchia dove stavo. Era
intarsiato con
fiocchi di neve, come la fiancata della carrozza, e aveva le maniglie
di
cristallo, ma l’aspetto esteriore non era nulla in confronto
al contenuto. La
prima volta che lo avevo aperto ero rimasta meravigliata. Al suo
interno,
appesi ordinatamente agli ometti, c’erano una serie infinita
di abiti di
raffinata fattura, di ogni forgia, colore, tessuto e modello. Al
confronto il
mio ex-armadio impallidiva, e pensare che ero la figlia adottiva di una
stilista!
Ovviamente la maggior parte
dei vestiti era sulle tonalità dell’azzurro, ma
c’erano anche dei rossi
sgargianti, dei rosa tenue, dei verde speranza, degli accesi gialli e
dei viola
scuro. Si trovavano abiti da sera, con lunghi strascichi e preziosi
corpetti,
abiti per ogni giorno, simili a quelli che Keira Knightley sfoggiava in
“Orgoglio e Pregiudizio” o vesti da camera, come
quella che avevo addosso al
momento. Una semplice canotta in vual azzurra, lunga fino a sopra le
ginocchia
e con una scollatura a V dalla quale partivano delle rose ricamate fino
al
bordo.
Comoda e leggera, adatta per
andare a dormire in sere calde come quella.
Sospirai e ammirai le stelle
che brillavano fuori dalla finestra. Un giorno intero speso a vedere i
vestiti
dell’armadio uno ad uno e a mettere a posto un disordine
inesistente più due
ore passate a scegliere il nome per un orsacchiotto ripescato da una
panca di
milletrecento anni fa.
Avevo finito gli argomenti
per tenermi impegnata la mente, purtroppo dubitavo ci fosse ancora
qualcosa che
potessi fare per evitare quella spinosa abitudine detta
“pensare”. Prima o poi
doveva capitare, non potevo andarmi a cercare un altro orsetto o una
paperetta
da battezzare. Con Fiocco avevo già abbastanza toccato il
fondo.
Ma se cominciavo a pensare
la mia testolina avrebbe formulato
solo un unico nome con tutto ciò che ne sarebbe conseguito.
Peter.
Strinsi forte al petto
l’orsetto. Mi mancava. No, “mancava” era
un eufemismo. Ti può “mancare” un
lontano parente che non vedi dal Natale precedente o un amico che hai
conosciuto in vacanza, ma quando sei lontana da ciò che fa
battere il tuo cuore
o permette ai tuoi polmoni di respirare, il termine
“mancare” non basta.
Probabilmente nessuna parola del dizionario avrebbe potuto esprimere
ciò che
sentivo.
Al momento ero una stella
senza il suo cielo in cui risplendere.
Due
giorni, resisti ancora due giorni. Mi ripetei. Ormai era il mio
mantra.
Quel pomeriggio avevo
spedito una lettera a Peter dicendogli che ero salva nel palazzo di
Jadis e che
sarei tornata da lui non prima di tre giorni, ovvero il giorno dopo
aver fatto
la Cerimonia che mi avrebbe riconosciuta come legittima erede della
strega.
Trascorso quel giorno, ne restavano due prima di riabbracciarlo.
O prima
di perderlo per sempre mi sussurrò una maligna
voce all’orecchio ricordandomi
della discussione che avrei dovuto affrontare con il re biondo una
volta finiti
i convenevoli.
Era vero, era inutile
fingere che così non fosse. Mi accingevo a discutere con lui
su una questione
delicata, la sua legittimità a governare su Narnia. Dovevo
convincerlo a
lasciare il trono a Jadis e a mettersi da parte nelle vesti da
consigliere o
altro per il bene di quelle terre. Non era affatto una cosa semplice
dato
l’odio e la sfiducia profondi e ben radicati che Peter
nutriva verso mia madre
e forse ero una folle a pensare di riuscire ad eliminare anni di
antipatia con
solo poche parole, ma dovevo fare un tentativo. Non potevo
semplicemente stare
a guardare mia madre e il mio ragazzo combattersi a vicenda. Dovevo
trovare un
modo per evitare un conflitto o questa volta senza l’aiuto di
Aslan per i
Pevensie si sarebbe davvero messa male, perché non avevo
dubbi sul fatto che se
Jadis fosse scesa in guerra avrebbe vinto. E avevo il terrore di quale
scotto
avrebbero dovuto pagare Peter e i suoi fratelli.
E in più io in quel caso
cosa avrei fatto? Non potevo schierarmi con i Pevensie ora che sapevo
dove
stava la ragione, ma non sarei mai andata contro di loro in uno scontro
sapendo
che non era da attribuire ai fratelli la colpa della decaduta di mia
madre, anche
se sapevo in cuor mio che non sarei stata capace di alzare un dito
contro di
loro neppure se fossero stati gli unici responsabili. Sarei dovuta
rimanere a
bordo campo, aspettando che uno dei due contendenti tornasse da me
vittorioso
sporco del sangue dell’altra persona che amavo? Sarei
semplicemente impazzita.
“Ancora
sveglia?”
La voce soave di mia madre
mi giunse alle orecchie. Volsi la testa e la trovai sulla soia,
inondata dalla
luce azzurro-bianca delle lanterne del corridoio.
Entrò con passo leggero
e mi
raggiunse senza il minimo rumore grazie al tappeto spesso.
“Ho intravisto la
luce del lampadario dal fondo della porta” mi
informò come se volesse
giustificare la sua intromissione nella stanza.
Le sorrisi e le feci posto
sul divanetto. Ci conoscevamo relativamente da poco pur essendo madre e
figlia
per colpa del destino che ci aveva separate, eppure non provavo il
minimo
imbarazzo in sua presenza. Mi sentivo a mio agio, tranquilla, e
desideravo le
piccole attenzioni che mi stava donando da quando era uscita dalla sua
prigionia. Erano cose sciocche e superficiali, come informarsi sui miei
piatti
preferiti, sulla mia salute, se la stanza mi piaceva, se i vestiti
erano della
taglia giusta, ma mi facevano sentire felice. Erano tutti segni del suo
interesse
per me, della sua voglia di conoscermi e prendersi cura della mia
persona.
“Molti pensieri mi
tolgono
il sonno” mormorai.
“Se vuoi confidarti, io
ci
sono, lo sai” mi disse mettendomi una ciocca di capelli
dietro l’orecchio e
accarezzandomi la guancia.
La guardai di sottecchi e
vidi riflessa in quello specchio di ghiaccio preoccupazione ma anche
tanta
dolcezza.
“Lo so” ed era
una
sensazione splendida. Mi rannicchiai ancora apprestandomi a dar voce ai
miei
pensieri. Di sicuro sarebbe stato un colloquio più
interessante di quello con
Fiocco.
“Pensavo solo a cosa
succederà se non riesco a convincere Peter”
confessai.
La vidi irrigidirsi, come
ogni volta che toccavo il tasto “Pevensie”, specie
di quel Pevensie. Aveva
intuito subito che il sentimento che mi legava a lui non era solo
quello di una
bella amicizia, che c’era molto altro, ma non aveva indagato
oltre, forse
perché preferiva darmi il beneficio del dubbio.
Probabilmente non avrebbe fatto
i salti di gioia nel sapere che la sua unica figlia era innamorata di
uno dei
suoi peggiori nemici.
“Temo che in tal caso la
strada percorribile sarà una sola” mi
accarezzò di nuovo la guancia, facendo
una pausa ad effetto “sarà guerra”.
Un tremito mi percorse a
quella parola.
“Nelle guerre la gente
muore”osservai con voce spezzata. Sentivo un groppo in gola
farsi sempre più
grande, tanto che quasi non riuscivo a parlare.
“Purtroppo si”
mi prese il
mento tra le mani con dolcezza e cercò il mio sguardo.
“Bimba mia, la tua paura
è che i Pevensie muoiano?”
Colpita e affondata. Jadis
avevo compreso il mio reale timore.
Annuii, rannicchiandomi
ancora di più.
Le sue braccia furono celeri
ad avvolgermi, portando la mia testa nell’incavo del suo
collo in modo che lei
potesse appoggiarci il suo mento sopra. Fece scorrere la sua mano su e
giù per
il mio braccio, in un tocco così leggero che sembrava un
alito di vento.
“Non devi preoccuparti di
questo, non ho alcuna intenzione di ucciderli” mi
sussurrò all’orecchio come se
fosse il più grande dei segreti.
I miei occhi si spalancarono
dallo stupore. “Davvero?” chiesi conferma con voce
flebile.
“Ma certo” mi
rispose con
veemenza “non ne avevo intenzione nemmeno milletrecento anni
fa, anche se poi
purtroppo le cose sono degenerate come ben sai”.
“E allora cosa pensi di
fare?” mi informai faticando a seguirla ma felice della sua
decisione. Il nodo
in gola cominciava a sciogliersi così come si era formato.
Jadis avrebbe
risparmiato la vita a Peter, Susan, Edmund e Lucy, non avrei perso il
ragazzo
per sempre.
“Se rifiuteranno il mio
ritorno
sul trono non potranno stare qui ovviamente, ma non per questo li
priverò della
vita. Li farò tornare a Londra, nel loro tempo e
farò in modo che non tornino
mai più.”
Il respiro mi si fermò.
La
piccola bolla di felicità che si era formata solo qualche
istante prima si
infranse in mille pezzi.
Farò
in modo che non tornino mai più.
Una speranza per la vita dei
Pevensie. Una condanna per la mia esistenza.
Alla fine dunque, se Peter
non mi avesse ascoltato, lo avrei perso lo stesso, nonostante la grazia
di mia
madre. Se ne sarebbe andato attraverso il varco dimensionale e non lo
avrei mai
più rivisto.
Gli occhi mi si appannarono
di lacrime. Non avrei assistito alla sanguinosa battaglia che temevo ma
sarei
restata a guardare il suo viso che spariva in una porta
spazio-temporale verso
un mondo che ormai non mi apparteneva più mentre io sarei
rimasta lì a Narnia.
Perché sapevo quale sarebbe stata la mia scelta. Sarei
restata in quella terra
con mia madre. Per quanto amassi Peter, non potevo tornare in un luogo
che non
mi apparteneva e che non mi voleva. Senza contare che anche volendo
tornare a
Londra insieme a Peter, restavano cinquant’anni a dividere la
mia città dalla
sua. Saremmo andati nello stesso mondo, ma in due epoche diverse.
Saremmo stati
separati ugualmente.
Presi un profondo respiro.
No, non dovevo piangere, era da egoisti. Dovevo essere felice del fatto
che se
anche le cose non fossero andate come speravo, la vita di Peter e dei
suoi
fratelli era salva. Avrebbe senz’altro sofferto a lasciare
Narnia per sempre,
ma erano giovani, il tempo avrebbe guarito la loro ferita e si
sarebbero
rifatti una vita nuova a Londra. Una vita dalla quale io sarei rimasta
esclusa
purtroppo, ma della quale dovevo gioire perché
c’era e non era stata troncata
prematuramente.
Peter mi avrebbe dimenticato
perso nei problemi del suo tempo e io avrei sempre potuto godere del
fatto che
fosse vivo e che ovunque fosse stava bene e non era da solo. Solo
questo
contava.
Sentii le braccia di Jadis
cullarmi con dolcezza come a ricordarmi che nemmeno io, in
quell’eventualità
che speravo con tutta me stessa che non si avverasse, sarei stata sola.
Avrei
avuto una madre che mi amava e insieme anche noi due ci saremmo rifatte
una
vita impegnandola a conoscerci meglio e a proteggere quella terra che
entrambe
amavamo. E con il tempo forse sarei riuscita se non proprio a far
rimarginare
la ferita procurata dalla sua assenza almeno a farla smettere di
sanguinare.
“Andrà tutto
bene” mi
sussurrò con voce calda mia madre all’orecchio,
come se avesse assistito al mio
dibattito interiore.
Mi accoccolai di più
nella
sua stretta, godendo del calore materno.
Andrà
tutto bene.
Forse dovevo convincermene anche io e ricacciare indietro
quell’infausta possibilità. Andrà
tutto
bene. Peter mi ascolterà, mi darà
ragione e insieme vedremo risorgere
Narnia. Dovevo pensare che era possibile, che sarebbe accaduto
ciò, che avevo
ragione. Solo convincendomene al cento per cento avrei potuto poi
convincere il
giovane re.
Si,
andrà tutto bene. Ma il groppo in gola aveva
lasciato la sua ombra
pesante…
*
“Mia signora,
è tutto
pronto, mancate unicamente voi e la principessa”
La voce del nano arrivò
leziosa alle orecchie della regina Jadis.
La strega lo degnò di
una
mezza occhiata senza interrompere la sua camminata verso la camera
della
figlia.
“Bene, tra poco
giungeremo
nella sala. Sto giusto andando a prendere Nives” rispose
senza particolare
inflessione. Solo un sorriso appena accennato sul volto lasciava
intendere la
sua soddisfazione verso ciò che stava per accadere.
Dopotutto, aveva aspettato
quel giorno per milletrecento anni. La sua pazienza finalmente sarebbe
stata
ripagata.
Un fastidioso suono stridulo
venne colto dal suo udito. Jadis si voltò verso il nano
inarcando un
sopraciglio.
“Si?”
domandò fermando la sua
avanzata.
Il nano si rigirò il
pesante
berretto di lana tra le mani, in soggezione. Si schiarì
nuovamente la voce
riproducendo il suono sgradevole di poco prima.
“Mia signora,”
esordì
accennando un lieve inchino “mi domandavo se potevo
azzardarmi a chiederle il
perché della Cerimonia” concluse balbettante, gli
occhietti neri fissi a terra.
“Come mai questa
curiosità?”
il tono neutro fece tremare Trumpkin più di uno minaccioso.
Nella sua calma
sembrava celare una tempesta trattenuta da una maschera di ghiaccio.
“P…perché
il rito aumenterà
i pot…poteri della principessa e se lei all’ultimo
decidesse di schierarsi con
gli Usurpatori potrebbe essere un problema per voi e per noi”
spiegò il nano
cercando di vincere i brividi che gli scorrevano lungo la schiena.
Brividi che aumentarono alla
risposta tagliente della sua regina.
“Tu, nano, mi credi
davvero
così sciocca da correre un rischio del genere?” il
ghiaccio stesso, paragonato
al suo sguardo, pareva caldo.
Trumpkin si gettò
inginocchio.
“No, assolutamente no, io
non avrei mai osato dire una cos…”
Jadis interruppe brusca le
sue scuse. “Ma certo che no” affermò
abbassando la voce. “Comunque, ti basti
sapere che ho ogni cosa sotto controllo” aggiunse poi,
guardando con
superiorità Trumpkin ancora inchinato al suo cospetto.
Non si dilungò in
ulteriori
spiegazioni. In fin dei conti sarebbe stato solo uno spreco di tempo e
parole,
dato che dubitava che un semplice sottoposto avrebbe mai potuto
comprendere la
grandiosità del suo piano. Un piano che architettava da
milletrecento anni e
che era sotto ogni punto di vista praticamente perfetto, con un margine
di
errore nullo.
Il primo passo, quello di
accattivarsi la totale fiducia di Nives, era stato compiuto, nonostante
i
grandi sforzi di quello sciocco illuso di Peter di metterle la ragazza
contro.
Il secondo era stato quello
di condurre la giovane da lei, al suo castello per liberarla. E anche
quello
era riuscito con successo, anche se ci era voluto più tempo
del necessario. Avrebbe
voluto trasportarla direttamente a palazzo da Londra, in modo da
impedirle di
fare la conoscenza dei Pevensie, ma purtroppo il leone era riuscito a
metterle
il bastone tra le ruote, spedendo Nives vicino ad un appostamento del
giovane
re. Un intoppo indesiderato ma che era stato felicemente sorpassato.
Ora doveva arrivare al terzo
passo, quello della Cerimonia. Voleva sottoporre Nives ad essa proprio
per
evitare il rischio che potesse allearsi con i Pevensie se fossero
riusciti a
convincerla della loro buona fede durante l’incontro di
domani.
Jadis si avvicinò ad una
delle grandi finestre del corridoio e lanciò uno sguardo al
cielo notturno. La
luna fulgida era piena, perfetta per il rito che stavano per compiere.
Rito che
avrebbe riconosciuto Nives come sua legittima figlia ed erede al trono,
e che
avrebbe consentito all’Antica Magia di risvegliare ogni suo
potere finora
sopito, come aveva spiegato alla ragazza.
Ma la Cerimonia non si
sarebbe limitata a ridarle queste nomine. Jadis gli aveva taciuto una
conseguenza del rito, ovvero che l’avrebbe riconosciuta anche
come Strega
Bianca a tutti gli effetti. Ciò l’avrebbe legata
indissolubilmente a lei, unica
sua simile esistente. La principessa non avrebbe avvertito alcuna
differenza
dentro di sé, se non un aumento della sua forza magica,
conseguenza spiacevole
per la regina ma inevitabile, ma il suo istinto l’avrebbe
guidata sempre a
fidarsi della sua sola simile, ovvero Jadis, mentre coloro che prima la
vedevano come una di loro, l’avrebbero avvertita diversa,
estranea, anche se
pure in questo caso sarebbe stata una sensazione istintiva. Avrebbero
dunque
continuato a volerle bene ma non sarebbero riusciti a fidarsi
completamente
delle sue parole.
Il risultato era semplice.
Se anche fosse esistita la benché minima
possibilità di convincere i Pevensie
ad unirsi alla regina bianca, dopo il rito di quella sera
anch’essa sarebbe
stata spazzata via. I sovrani della profezia non si sarebbero fidati di
una
Strega Bianca e non avrebbero visto di buon occhio il suo legame con
Jadis. Ma
dato che le erano legati, avrebbero cercato un modo per riportarla
unicamente
dalla loro parte, allontanandola anche con la forza da sua madre.
Ciò sarebbe
andato a cozzare con le rose aspettative di Nives, che, sentendosi
tradita, sarebbe
tornata da sua madre dandole totalmente ragione e alleandosi con lei,
con
l’unica richiesta infantile di non uccidere coloro che un
tempo le erano amici.
Jadis si assicurava così
la
totale e incondizionata lealtà della figlia. Non poteva
sbagliarsi, il piano
che aveva architettato non aveva falle.
Il succo era molto semplice
e lei non doveva fare praticamente nulla se non recitare il ruolo della
madre
comprensiva e dolce. Peter e i suoi fratelli si sarebbero incastrati
con le
loro mani prendendo la situazione di petto e impedendo con la forza a
Nives di
agire secondo la sua volontà, l’ultima cosa che la
giovane si aspettava da loro
e ciò che avrebbe infranto la fiducia nei loro confronti.
Un sorriso simile ad un
ghigno venne illuminato da un raggio di luna per un istante prima che
la Strega
Bianca riprendesse il cammino verso la camera di sua figlia, che ignara
di ogni
cosa si stava preparando per la Cerimonia che l’avrebbe fatta
sua. Avrebbe
avuto lei, i suoi poteri e Narnia intera. Certo per riconquistare quei
territori non le occorreva la magia della ragazza, ma in futuro con lei
avrebbe
potuto estendere i suoi domini. In più se Aslan si fosse
ripresentato avrebbe
avuto una potente e utile alleata.
La sua vendetta sarebbe
stata completa e avrebbe avuto tutto ciò che da
milletrecento anni agognava.
*
I capelli erano raccolti in
una crocchia d’argento che lasciava libera qualche ciocca
ribelle in modo
studiato, mentre il ciuffo lisciato ricadeva con grazia verso destra. I
boccoli
rossi sciolti cadevano sulle spalle, svettando sulla pelle nivea
lasciata
scoperta dall’abito privo di spalline.
Inclinai la testa di lato
fissandomi al grande specchio della mia stanza. No, la parola abito non
rendeva
giustizia a quel capolavoro di seta. Nessun stilista conosciuto nel mio
ex-mondo avrebbe potuto eguagliarlo.
Un corpetto candido con il
decolté a forma di cuore era ricamato con un filo di oro
bianco che disegnava
una fitta rete di fiocchi di neve. Da esso partiva una gonna ampia,
interamente
in seta, che brillava come il diamante alla luce fioca delle torce
azzurrine,
fatto che la rendeva preziosa anche se priva di ricami, fiocchi o
nastri. Il
tessuto non aveva bisogno di ulteriori decori che sarebbero risultati
solo
pacchiani accostati al suo naturale splendore.
L’unico tocco di colore
in
quel trionfo di bianco era il mio ciondolo. Quello che mi aveva
accompagnato
fino a quel momento. Quello di cui per anni avevo frainteso il vero
significato. Il tondo con incisa la “J” di Jadis,
mia madre, con sotto
stilizzata la mia casa. La sua tonalità dorata spiccava sul
corpetto.
Due colpi, poi il cigolio
della porta che si apriva, mi avvisarono che qualcuno era entrato nella
stanza.
Mi voltai, già sapendo
chi
fosse la mia visitatrice. Mia madre aspettava sulla soia, regale come
non mai
con indosso un abito azzurrino con ampia gonna a più strati
di cui l’ultimo in
tulle e le maniche lunghe del medesimo materiale. I capelli erano
raccolti in
una complicata acconciatura sopra il capo, trattenuta davanti dalla
scintillante corona in cristallo.
Mi si avvicinò
sorridendo
serena e srotolò il fagotto che stringeva tra le mani
rivelandone il contenuto.
Un lungo mantello color argento, lucido come il metallo ma leggero come
una
piuma.
Me lo allacciò al collo
e
potei tastare come la sua stoffa fosse quasi inesistente. Scivolava tra
le mie
mani come carta velina.
Il mantello mi ricadeva
sulle spalle soffice, avvolgendomi come in un abbraccio, e scendeva
giù fino ai
piedi nascosti da due decolté bianche per poi raggrupparsi
in una piccola
conca. Chissà quanto era effettivamente lungo…
“Sei splendida”
Il sussurro orgoglioso di
Jadis mi giunse all’orecchio suscitando subito il mio sorriso
in risposta.
“Grazie, anche
tu” mormorai
in risposta, tornando a fissare la mia immagine allo specchio da come
stavo
facendo da più di mezz’ora, ovvero da quando le
ancelle, delle ninfe di
inaudita bellezza e leggiadria nate direttamente dalla neve e fredde al
tocco
come essa, avevano finito di aiutarmi a prepararmi.
Ero bella, come mai avrei
pensato di poter diventare, ma non era per vanità che i miei
occhi azzurri non
si staccavano dalla superficie riflettente. Più mi guardavo
e più cresceva in
me la convinzione che quella che scorgevo non era Cathrine.
Non poteva essere la
ragazzina solitaria, preda della sua singolarità e vittima
delle sue
incertezze. Non quella figura vestita di bianco, che pura e candida
sembrava
irradiare luce propria, quasi fosse superiore ai comuni mortali. Un
regale. Una
futura principessa e consapevole strega.
No, quella non era Cathrine.
Lei era rimasta nelle prigioni di Telmar agognante chiarimenti. Quella
era
Nives, la parte di me che finora era rimasta assopita da qualche parte
nel mio
cuore.
“Gentile da parte tua, ma
questa è la tua serata”. Mi diede un bacio sulla
guancia, accostando il suo
viso al mio da dietro. “Se sei pronta andiamo. È
il momento”.
Presi un bel respiro. Si,
“Nives” doveva essere riconosciuta dal mondo
intero.
“Andiamo”
Mi prese per mano con una
stretta forte ma gentile e ciò mi diede forza.
Insieme ci avviammo verso il
corridoio azzurro grazie alla particolare illuminazione del castello.
Non parlammo durante il
tragitto, ma non era necessario. La sua sola vicinanza mi
tranquillizzava come
mai mille discorsi avrebbero potuto fare.
Il corridoio volgeva al
termine, tra non molto saremmo arrivate alla sala del trono,
là dove si sarebbe
svolta la Cerimonia. Iniziai a deglutire a vuoto. Stavo per divenire
una
principessa. L’erede al trono di Narnia.
Lo
faccio per mia madre. Mi dissi con forza. Lo facevo per
lei, che finalmente
avrebbe potuto dichiarare al mondo di avere una figlia dopo anni di
segreti.
Per lei era importante e io ero felice di renderla contenta.
La porta arrivò prima di
quanto mi aspettassi, ma ero pronta.
Jadis rafforzò la
stretta e
cercò il mio sguardo. Le sue iridi brillavano di euforia.
“Ricordati bene questo
momento piccola mia. Questo è il giorno in cui sarai
riconosciuta dinanzi alla
forza più grande che domina queste terre. L’Antica
Magia”
Le sue parole rimbombarono
nel corridoio, rendendole ancora più solenni. Annuii
determinata, cercando di
scacciare le inquietudini che poco prima mi avevano catturata.
Tentativo
inutile, ma almeno uno sforzo lo avevo fatto.
La porta si aprì e
avanzai
dove sapevo esserci il trono di cristallo.
Un boato accolse il nostro
ingresso. Stupita mi volsi verso la fonte del rumore. Dovetti sbattere
più
volte le palpebre per convincermi che ciò che vedevo non era
un’illusione. Il
salone, solitamente deserto, era stracolmo di abitanti di Narnia.
C’erano centauri,
minotauri,
fauni, ninfe e animali parlanti a non finire. Le porte della sala erano
addirittura spalancate perché lo spazio era insufficiente ad
accogliere tutti
coloro che erano accorsi ad assistere alla Cerimonia, e la fila di
spettatori
si protraeva a perdita d’occhio.
Possibile che tutti i
presenti fossero sudditi fedeli a Jadis? Che avessero atteso unicamente
il suo
ritorno per tornare a servire sotto la sua effigie?
La risposta era evidente dal
sonoro benvenuto e dalle urla che ancora riempivano l’aria.
La convinzione che
fosse Jadis la vera regina si rafforzò nel constatare quanta
gente la ritenesse
tale. Dopotutto erano loro, le creature di Narnia, che più
tra tutti avevano il
diritto di decidere quale era il giusto sovrano.
Jadis alzò un braccio.
Bastò
un suo semplice gesto per far calare un rispettoso silenzio, tanto che
temetti
che il palpitare furioso del mio cuore si potesse udire per tutto la
sala.
“Oggi dopo secoli e
secoli
di anarchia, Narnia può vedere risorgere la sua giusta
regina.” Un ennesimo
boato fece da eco alle parole della strega che si fece sfuggire un
sorriso
soddisfatto. “Finalmente questa florida terra
tornerà a vedere la luce della
libertà e dello splendore sotto una guida assennata e
capace. Ma soprattutto,
in questa notte di luna piena” e indicò la vetrata
dalla quale si poteva
scorgere la sfera argentata “riconoscerò mia
figlia, nonché legittima futura
erede al trono di Narnia, Nives, principessa di Narnia e delle Isole
Solitarie”.
Alzò entrambe le braccia
al
cielo e iniziò a pronunciare una lenta litania. In
contemporanea, tutti i
presenti cominciarono a produrre un suono costante, ritmico, battendo
la spada
o l’ascia contro lo scudo che portavano appresso.
Dal nulla nacque un turbine
di vento. Mi avvolse interamente, senza però farmi male. Mi
tenne al suo interno,
accarezzandomi e scompigliandomi i capelli. Notai subito che cambiava
temperatura in ogni momento. Era a volte freddo e a volte caldo,
mutando nel
giro di un secondo. Riuscivo ancora a percepire la litania di mia madre
andare
avanti, ma il suono si faceva sempre più confuso, lontano,
mentre il vento mi
mulinava attorno, stordendomi.
Mi sentivo leggera e al
sicuro. Ero inebriata da quell’aria freddo-calda che
profumava a tratto di neve
e a tratto di fiori. Poi inaspettatamente il turbine, un secondo prima
che
divenisse di nuovo freddo, entrò direttamente dentro di me.
Mi riempì i polmoni,
giunse al cuore e si disperse per ogni singolo arto. Mi sentii invadere
da un
fuoco incandescente, come se il sangue mi si fosse trasformato in lava.
Ma non
era una sensazione spiacevole, il calore era parte di me,
semplicemente, non
era contro di me, e in quel momento compresi che ciò che mi
avvolgeva non era
un semplice vento. Era l’Antica Magia che rispondeva al
richiamo di Jadis per
venirmi a riconoscere come legittima appartenente a quelle terre.
E poi tutto finì.
Il turbine cessò e io
ripresi il pieno controllo dei miei sensi, constatando così
che il silenzio era
tornato a regnare.
Sbattei le palpebre più
volte. Dentro avvertivo un turbinio di emozioni. Mi sentivo forte.
Potente.
Piena di vita e di energia.
Aprii e chiusi il palmo
della mano più volte e richiamai la magia. La sentii
scorrere veloce con il mio
sangue. Confluì subito nelle mie mani che avvertirono un
formicolio e un lieve
tepore. Ero carica di magia come mai lo ero stata. Il rito aveva
sortito il suo
effetto.
“Applaudite la
principessa
Nives”
La voce di Jadis
echeggiò
forte e chiara lungo tutto il salone.
Il mio cuore si fermò.
Il
tempo si fermò. Il mio respiro si fermò. Solo gli
applausi, scroscianti,
rumorosi, forti, sentiti e infiniti, continuavano a risuonare nelle mie
orecchie. Ero stata riconosciuta come figlia di Jadis. Riconosciuta
come futura
regina dinanzi all’Antica Magia.
Dinanzi
ai miei sudditi.
Quel pensiero quasi mi
paralizzò per la sua assoluta quanto incredibile
verità. Coloro che vedevo
dinanzi a me, che mi acclamavano, erano i miei sudditi. Gli abitanti
del mio
regno che mi richiedevano come loro sovrana. Che si aspettavano da me
che io mi
comportassi come una principessa, che mi prendessi cura della loro
terra e di
loro stessi. Che mi facessi carico delle preoccupazioni e degli impegni
del mio
nuovo rango.
L’aria mi venne a mancare
mentre facevo queste considerazioni. Considerazioni che la mia mente si
era
rifiutata di ponderare fino ad ora ma che adesso mi si paravano davanti
con il
loro destabilizzante significato. Io non potevo gestire un regno, non
ne sarei
mai stata capace. E non volevo avere dei sudditi, delle persone che si
affidavano a me. Quel ruolo era perfetto per Peter o per Jadis, ma non
di certo
per me. Non potevo gestirlo e non volevo gestirlo.
La mano di Jadis si strinse
attorno alla mia.
La guardai con occhi
spauriti, incapace al momento di celare le emozioni che mi avevano
appena
assalita. Ma fortunatamente, in quelle iridi color del ghiaccio trovai
ciò che
mi rincuorò. Comprensione. E la promessa di non lasciarmi
mai da sola.
Un sorriso sostituì
l’espressione spaventata. Non avrei dovuto gestire
l’intero regno da sola. Mia
madre era con me. Lei si sarebbe occupata di ogni cosa e mi avrebbe
insegnato a
poco a poco come prendermi cura delle persone che quella bella terra
ospitava.
Per il momento io dovevo
impegnarmi in un’altra missione. Forse più
difficile ancora di questa. Parlare
con Peter.
Il pensiero del ragazzo mi
riempì la testa e catturò interamente la mia
attenzione, tanto che solo una
minima parte di me notò che la temperatura della stanza si
era improvvisamente
abbassata.
*
Il sospetto che la magia
aumentasse vertiginosamente la velocità degli orsi polari mi
aveva colta sin
dai primi metri percorsi. Il fatto di aver attraversato
l’intera foresta in
poco più di mezz’ora me lo aveva confermato. A
meno che gli alberi fossero
stati ridotti drasticamente di numero, Jadis doveva aver operato sul
cocchio
che mi stava conducendo dai Pevensie in modo che andasse veloce quanto
una
Ferrari. Speravo solo che i due animali non risentissero di quello
sforzo
eccessivo.
I
Pevensie.
Sospirai rumorosamente.
Peter.
Chiusi gli occhi e strinsi
più forte le redini. Non dovevo farmi prendere
dall’agitazione.
Ma forse questo avrei dovuto
dirmelo prima che il mio cuore infrangesse la barriera del suono.
Stavo morendo dalla voglia
di vederlo. Necessitavo di riflettermi in quegli specchi azzurri, di
sentirmi
stringere tra le sue braccia. Ed ora che il mio desiderio era
così vicino alla
concretizzazione, la mia frenesia era alle stelle.
Ero riuscita a convincere
mia madre ad andare alle rovine priva di scorta, dopo lunghe
discussioni. Se i
Pevensie mi avessero vista giungere con una mezza armata avrebbero
potuto
mettersi subito sulla difensiva, al ché le mie
possibilità di convincerli sulle
mie argomentazioni si sarebbero ridotte a zero. In più non
ritenevo minimamente
necessario presentarmi da Peter con delle guardie del corpo. La
semplice idea
era totalmente assurda.
Per ottenere il permesso
avevo però dovuto passare l’intera giornata ad
allenarmi in un incantesimo per
Jadis utile in caso la situazione non avesse preso la piega desiderata.
Avevo
voluto che imparassi a materializzarmi e a smaterializzarmi a mio
piacimento,
operazione possibile e ora alla mia portata grazie al rituale compiuto
la sera
precedente che aveva sbloccato la maggior parte dei miei poteri.
Ero riuscita a padroneggiare
quell’incantesimo a tempo di record, neanche mezza giornata,
una piacevole
sorpresa dato che per imparare ad addormentare le persone avevo
impiegato
settimane. Ma la differenza tra allora ed adesso era notevole.
All’epoca avevo
dovuto fare da autodidatta, mentre quella giornata avevo avuto la
più valida
insegnante che avrei mai potuto desiderare. Jadis mi era stata accanto
e mi
aveva spiegato con pazienza come dovevo sfruttare la mia magia e come
dovevo
pensare per azionare l’incantesimo. Non avevo dovuto scoprire
da sola come
gestire il flusso magico. E poi l’aumento esponenziale dei
miei poteri aveva
notevolmente facilitato la riuscita della magia.
Così, dopo che mi ero
smaterializzata e materializzata più volte fuori e dentro il
castello di
ghiaccio, ecco che mi accingevo a tornare felice da Peter con il sole
che ormai
si apprestava a scendere oltre l’orizzonte.
I capelli, lasciati sciolti
e ribelli sulle spalle, volavano al vento insieme alla gonna del
vestito, tanta
era la velocità alla quale gli orsi trainavano il cocchio
bianco e oro. Mi strinsi
di più nel mantello, fatto dello stesso leggero materiale di
quello di ieri
sera ma più corto, per ripararmi un poco dal freddo.
Chissà perché nelle ultime
ventiquattr’ore la sensazione che le temperature si fossero
abbassate non mi
aveva mai abbandonata. Neppure dentro il castello, dove il clima non
era mai
stato un problema. Per fortuna Jadis mi aveva fornito quel mantello che
proteggeva bene dal freddo nonostante fosse così leggero al
tatto, merito
probabilmente di qualche magia.
In più quella di
scegliere
un abito che lasciava scoperte le spalle era stata una pessima idea, ma
la
colpa era delle maniche del vestito, così particolari che mi
avevano attratta
come una calamita. Partivano da sotto la spalla, attaccate al corpetto
solo per
pochi centimetri di stoffa, ed erano interamente aperte in modo che
fasciassero
le braccia solo se le mettevo parallele al busto. Riuscivano a rendere
speciale
quell’abito altrimenti semplice, simile a quello delle
vestali greche.
Il suono di una tromba
rimbombò nell’aria, segno che il fauno di guardia
mi aveva avvistata,
avvertendo tutti dell’arrivo di un estraneo. Tra non molto
ogni abitante
dell’edificio sarebbe spuntato fuori, presumibilmente armato
per ogni
evenienza, per scorgere la figura che disturbava la loro quiete.
A grande velocità
sorpassammo le rovine della piccola arena e in men che non si dica gli
orsi si
fermarono a qualche decina di metri dalla porta principale, dove le
prime
creature mitologiche già uscivano.
Il mio cuore prese a
rimbombarmi in petto mentre scrutavo febbrile le sagome che si
accalcavano
sull’uscio, ma nessuna chioma bionda si era ancora affacciata.
Mi sporsi il più
possibile
dal cocchio, sfruttando la sua posizione rialzata rispetto al terreno
per
guardare la folla dall’alto, ripassando al setaccio i
presenti, ma riuscii a
scorgere unicamente volti di fauni, centauri, minotauri e di altri
animali che
mi squadravano sospetti senza avere il coraggio o l’ardire di
avvicinarsi. Si
levò presto anche un alto mormorio che sicuramente mi vedeva
protagonista, ma
non mi importava. La mia agitazione era tale che nemmeno se si fossero
accostati con torce e forconi avrebbero potuto destare la mia
attenzione. Solo
una minima parte del mio cervello riuscì a pensare a come
potevo apparire in
quel momento alle creature di Narnia fedeli al grande felino.
Regale e distante su di un
cocchio dorato trainato da orsi polari, con gli occhi azzurri febbrili
e la
pelle diafana fasciata di bianco, era impossibile che non destassi
spiacevoli
ricordi nelle loro menti. Dinanzi non riuscivano a vedere Cathrine,
giovane
strega giunta da lontano che aveva accettato di aiutarli,
bensì Jadis, la
potente Strega Bianca imbattibile e implacabile che era tornata dalla
sua
prigione.
Tutti tranne uno ovviamente.
Un paio di occhi azzurri
come il cielo in primavera non mi scambiò nemmeno per un
secondo per mia madre,
vedendo immediatamente e unicamente me. Perché chi vedeva
con gli occhi del
cuore andava oltre l’inganno che la mente poteva subire.
E furono quegli stessi occhi
che mi fecero mancare il respiro. Un sorriso liberatorio mi si dipinse
spontaneo sul viso mentre i miei occhi si appannavano di lacrime di
gioia.
Avrei riconosciuto quegli zaffiri tra mille. Come anche quei capelli
biondo oro
e quel volto dai tratti angelici.
“Cathrine”
Mi sentii vibrare quando
udii pronunciare da quella voce calda il mio nome come se fosse un
grido di
speranza inattesa. Un nome che non udivo da alcuni giorni e che secondo
mia
madre non mi aveva mai rispecchiato, ma che detto da lui mi sembrava
più mio
che mai.
Senza attendere un altro
secondo, balzai giù dal cocchio e cominciai a correre in sua
direzione. Ogni
cellula del mio corpo mi spingeva verso di lui, e solo lui riuscivo a
distinguere nel numeroso gruppo di persone vicino
all’ingresso. Lui, che al
momento mi stava venendo incontro, correndo anch’egli e
continuando a chiamarmi
come se il pronunciare il mio nome rendesse la mia presenza
più reale.
Mi buttai tra le sue
braccia, affondando il volto nel suo petto, e respirai a fondo il suo
profumo
fresco e inebriante. Le sue braccia mi avvolsero senza esitazione e mi
strinsero forte, come se temesse che potessi dissolvermi nel nulla se
solo
avesse allentato la presa.
“Cathrine, mia
stella”
continuava a mormorare al mio orecchio, a voce bassa e rotta dalla
felicità di
rivedermi.
“Peter…”
mi accoccolai di
più al suo petto annullando ancora di più la
esigua distanza che separava. Non
mi interessava nemmeno più di respirare, avrei avuto tempo
dopo per farlo.
Una sua mano salì dalla
mia
schiena fino alla mia guancia, accarezzandomi teneramente prima di
prendermi il
mento e alzarlo in modo da guardarci in viso. I nostri occhi si
incrociarono e
di nuovo l’azzurro limpido di quelle iridi che mi fissavano
brillando si legò
al mio più chiaro e lucido per via delle lacrime che
premevano per uscire.
Un secondo, e le mie labbra
ritrovarono la morbidezza delle sue che per troppo tempo gli era stata
negata.
Si dischiusero come petali di un fiore per accoglierle, assaporando
tutto
l’amore che quel gesto impetuoso e istintivo celava. Riuscivo
a sentire la
dolcezza del ritrovarsi, la felicità di avvertire di nuovo
il mio corpo stretto
al suo, l’angoscia provata nel sapermi lontana ed esposta al
pericolo.
L’altra sua mano corse
tra i
miei boccoli poggiandosi sotto la nuca e le mie seguirono subito il suo
esempio, infilandosi tra i suoi capelli biondi.
Ci aggrappammo entrambi a
quel bacio, bisognosi di risentirci vicini e di riavere quel punto
fermo, il
nostro amore, che ci aveva sostenuto fino ad ora.
Quando ci separammo, mi
immersi nella profondità di quel mare azzurro, pieno di una
dolcezza riservata
a me sola. Dolcezza che però mutò presto in
rimpianto.
“Cathy, perdonami,
è tutta
colpa mia, non sono stato in grado di difenderti…”
Il fiume di scuse
pronunciate con tono sofferto si conficcò come una lama nel
mio cuore. Si
sentiva colpevole per la mia cattura. Conoscendolo aveva passato giorni
ad auto
flagellarsi credendosi responsabile della mia sventura, senza capire
che lui
non aveva colpa alcuna, che ero stata io troppo avventata semmai a
credere di
poter cavarmela da sola alla mia prima battaglia.
Come poteva Jadis pensare
che Peter fosse un approfittatore, che volesse solo la mia magia e non
me? Lui,
che aveva patito così tanto la mia lontananza temendomi in
pericolo! Commetteva
lo stesso errore di giudizio di Peter, due sbagli dettati dalla scarsa
conoscenza che l’uno aveva dell’altro.
“Peter, fermati. Non
è stata
assolutamente colpa tua. Nessuno poteva prevedere una cosa del
genere” lo
bloccai, sfiorandogli le labbra con l’indice.
“L’importante è che ora sono qui,
al sicuro e accanto a te”.
Il biondo mi baciò il
dito,
prese la mia mano tra la sua e se la portò al petto.
“E al sicuro resterai, te
lo
giuro” disse solenne.
Gli sorrisi, sentendo al
bordo degli occhi le lacrime che tornavano.
“Cate!”
Un piccolo turbine castano
mi investì in piedi, separandomi a malincuore da Peter.
“Cate, Cate, Cate! Sei
tornata!”
“Anche io sono
felicissima
di rivederti Lucy” risposi ridendo di cuore e stritolandola
in un abbraccio.
“Ben tornata
Cathrine”
Sentii una mano stringermi
la spalla. Mi voltai e il volto gioioso di Edmund mi salutò.
“Ciao Edmund”
abbracciai con
slancio anche lui, per poi passare a Caspian che si era avvicinato
felice di
rivedermi come gli altri.
Restava solo Susan.
Era accanto a Peter e mi
fissava con un’espressione indecisa che mi
spiazzò. Era stata l’unica che non
mi aveva accolta con gioia, anzi, sembrava analizzarmi, incapace di
sapere se
essere contenta per il mio arrivo oppure no.
Passarono una manciata di
secondi ancora prima che si decidesse per la prima scelta. La giovane
regina si
sciolse in un sorriso e corse ad abbracciarmi anche lei. Ricambiai
sollevata la
stretta.
“Ben tornata”
sussurrò.
Rivolsi un sorriso a
trentadue denti ad ognuno di loro. Il cuore stava per scoppiarmi dalla
felicità, mi erano mancati così tanto, rivederli
e riabbracciarli era per me il
più bel regalo che potevano farmi.
“Vieni, sarai stanca per
il
viaggio”
Il braccio di Peter avvolse
la mia vita e io mi strinsi a lui, abbandonandomi a quel semplice
contatto che
entrambi desideravamo.
Solo in quel momento
analizzai nel pieno delle mie facoltà
l’espressione degli astanti.
Deglutii a fatica vedendo
visi corrucciati e scontrosi fissarmi. Nei loro occhi c’era
un’ostilità quasi palpabile,
pari solo alla loro diffidenza. Mille volte superiore a quella che mi
avevano
dimostrato la prima volta che mi avevano conosciuta. Il mio aspetto li
spaventava, come anche il sapere che provenivo dal castello della
Strega
Bianca. Stavano guardando le mie vesti candide e il cocchio e vedevano
la
realizzazione dei timori e dei sospetti che avevano avuto quando avevo
messo
piede tra loro settimane fa. Ovvero che ero una strega e come tale ero
crudele
e potente come la donna a cui assomigliavo.
Mi sentii a disagio. Che
avesse avuto ragione Jadis e fosse stato uno sbaglio andare
lì? Come potevo
sperare che ascoltassero la mia preghiera quando mi accoglievano con
quell’aria
truce senza nemmeno sapere il perché della mia visita?
“Peter, sei certo che sia
un
bene per tutti che io entri?” domandai titubante, cercando di
nascondere il mio
viso nel suo abbraccio, come se potesse celarmi a quegli occhi di fuoco
che
sembravano volermi uccidere ma che avevano troppo timore per farlo.
“Non essere sciocca.
Certo
che puoi entrare. Questa è casa tua” disse
risoluto e senza esitazione.
“I tuoi sudditi non
sembrano
pensarla così” mormorai in risposta.
Peter lanciò una rapida
occhiata attorno a sé prima di scrollare le spalle.
“Se ne faranno una ragione.
Non hanno motivo di comportarsi così.”
Mi sentii rincuorata dalla
sua sicurezza, ma soprattutto dalla dimostrazione che lui invece mi
voleva lì
con sé. Non c’era la benché minima
traccia di diffidenza o ostilità nei miei
confronti, nonostante sapesse che ero stata ospite di Jadis. Si fidava
di me
esattamente come prima. Forse dopotutto una speranza, anche se piccola,
ce
l’avevo di convincerli. Se il re fosse stato con me, il resto
del suo popolo
non avrebbe potuto far altro che seguirlo. Seguirlo verso
l’unica strada che li
avrebbe condotti alla salvezza.
Una volta entrati, i
Pevensie, Caspian ed io ci dirigemmo verso la Sala della Tavola di
Pietra,
adibita alle riunioni.
Peter mi condusse fino alla
suddetta tavola e mi fece accomodare sopra, sedendosi poi accanto a me.
Mi beai
di quelle piccole attenzioni, mi facevano sentire più vero
ancora il suo amore.
Notai con soddisfazione che
Susan prese posto accanto a Caspian, il quale le passò con
naturalezza un
braccio attorno alla vita attirando la ragazza a sé senza
che quest’ultima si
ribellasse. Sogghignai tra me e me. Dovevo essermi persa qualche
puntata della
storia “Caspian e Susan” ma da quello che vedevo
era facile dedurre che c’era
stato un lieto fine. Susan alla fine era riuscita ad aprirsi totalmente
ponendo
fine ai tormenti amorosi del povero Caspian. La cosa non poteva che
rendermi
felice.
“Non sai quanto siamo
lieti
di vederti sana e salva. Eravamo così in pena per
te” incominciò Lucy,
scrutandomi con attenzione probabilmente in cerca di ferite o lividi.
“E ci sentivamo
così in
colpa. Scusaci, non avremmo dovuto chiederti di partecipare alla
battaglia”
“E io non avrei dovuto
assolutamente abbandonarti lassù da sola” aggiunse
Edmund.
A sentire le loro voci
così
contrite mi si strinse il cuore. Si erano preoccupati tutti per me, e
se negli
occhi di Lucy, Edmund e Susan scorgevo già traccia di
patimento non osavo
pensare cosa doveva aver provato Peter, la cui stretta attorno alla mia
vita si
era rafforzata durante le ultime frasi.
“Non è stata
colpa vostra.
Ho deciso di mia spontanea volontà di aiutarvi e partecipare
alla missione” mi
rivolsi poi ad Edmund “e sono sempre stata io a convincerti
di andare in
soccorso dei tuoi fratelli sotto. Senza contare che la tua presenza
sopra
sarebbe stata inutile, anzi, avrebbero solo finito per catturarci
entrambi.
Quindi è stato meglio così” affermai
risoluta. Non potevo permettere che si
logorassero in colpe che non avevano.
Lucy prese posto accanto a
me, nel lato opposto a quello di Peter, e mi accarezzò una
guancia. “La cosa importante
è che adesso sei qui con noi e tutta intera”.
Annuii e le sorrisi,
contenta di poter archiviare l’argomento “colpa”.
“Possiamo sapere
cos’è
successo una volta che il cancello si è chiuso?”
Susan introdusse un nuovo
argomento, ma dalla sua espressione notai che non era quella la domanda
che
voleva pormi. L’interesse verso Telmar era forte ma
sicuramente il ritorno di
Jadis lo aveva messo in secondo piano, e di sicuro il vero desiderio
della
regina era chiedermi della Strega Bianca. Tuttavia anche io preferivo
prendere
il discorso alla larga. Non avevo alcuna fretta di incominciare la
spinosa conversazione
che mi aspettava, specie ora che ci eravamo appena ritrovati.
“Dei soldati hanno notato
che una ragazza in cima alla torre stava tenendo aperto il cancello con
l’ausilio della magia, così hanno mandato alcuni
uomini a prendermi. Me ne sono
accorta subito ma ero troppo debole per fare un incantesimo per volare
via da
lì o bloccarli in qualche modo, così ho iniziato
a setacciare il cielo in
attesa di Plumage, confidando nel suo arrivo. Solo poco prima che i
soldati
irrompessero nella piccola torre mi sono resa conto che il grifone era
stato
abbattuto e con esso le mie speranze di fuga.”
Peter mi accarezzò
dolcemente i capelli, un gesto nato per nascondermi
l’espressione dolente del
suo viso alla mia ultima frase, ma con la coda dell’occhio
riuscii a scorgere
bene i suoi occhi adombrarsi e la bocca piegarsi in una smorfia.
“E a quel punto cosa
è
accaduto? Ti hanno trattata male?” mi incalzò
Caspian.
“No, non hanno alzato un
dito per fortuna. Però mi hanno legata con catene speciali
che hanno bloccato
la mia magia, in modo da rendermi impossibile una fuga altrimenti
fattibile.”
Spiegai ricordando con amarezza quegli odiati ceppi di ferro.
“Catene anti-magia? Non
sapevo che Miraz ne possedesse.”
“Io non sapevo nemmeno
che
esistessero” osservò stupita Lucy.
“Miraz ha detto che ve le
tramandate di padre in figlio da generazioni ma che anche lui era
scettico
riguardo il loro potere prima di testarle sulla sottoscritta”
informai Caspian.
Udii Peter digrignare i denti, evidentemente poco contento della
scoperta ai
miei danni del sovrano di Telmar.
“Ma cosa voleva da te
Miraz?
Se non ti ha ucciso uno scopo ce lo aveva” Edmund
riportò l’attenzione sul
discorso principale.
“Voleva che io mi unissi
a
lui. Ha osservato le mie capacità magiche e ha notato che mi
sono rivelata
utile a voi. Desiderava avere una strega a suo servizio come
Artù aveva
Merlino”. Dissi, ignorando lo sguardo confuso di Caspian al
mio esempio per lui
incomprensibile ma della quale non chiese informazione per non
interromperci.
“E tu cosa gli hai
risposto?” chiese Susan.
La fissai dritta negli
occhi. “Testuali parole: penso che mi unirò a voi
non prima che l’inferno si
ghiacci” risposi, fredda e quasi offesa per avermelo
domandato e aver quindi
messo in conto una risposta alternativa ad un secco
“No”.
Edmund, Lucy e Caspian
scoppiarono a ridere, divertiti dall’irriverenza con la quale
avevo risposto
all’attuale re di Telmar. Susan mi guardò
soddisfatta mentre Peter pareva
orgoglioso di me e del coraggio dimostrato.
“E poi sei
evasa” concluse
per me Edmund, soffocando l’ultimo eccesso di risa.
Mi morsi il labbro. Ecco che
arrivava la parte turbolenta. “Si, ma non grazie alle mie
sole forze”.
Riuscii quasi a percepire un
aumento della tensione nell’aria, come se
l’atmosfera stessa si preparasse per
la discussione imminente. L’attimo di ilarità
purtroppo era volato via dalla
stanza come era venuto.
“Durante la notte sono
stata
svegliata da una voce e una sfera luminosa mi ha liberato i polsi dalle
catene
e mi ha condotto lungo le segrete del castello fino ad un passaggio
segreto che
mi ha portato direttamente fuori da Telmar, al limitare della
foresta.”
Raccontai cercando di riassumere velocemente.
L’espressione dei
presenti
era tesa e seria. Non avevo ancora pronunciato il nome della mia
salvatrice, ma
esso pareva rimbombare ugualmente nella stanza riempiendo la testa
degli
astanti.
“Ad attendermi
c’era una
carrozza trainata da due orsi bianchi e guidata da un nano. Mi ha
assicurato di
essere lì per me, per trarmi in salvo e mi ha trasportata
al…Palazzo di
Ghiaccio” dissi, maledicendomi per aver fatto cedere la voce
sulle ultime due
parole. Dovevo dimostrarmi sicura di me e tranquilla, come se fosse
naturale
ciò che stavo narrando. Se parlavo della collaborazione di
Jadis in tono
colpevole sarebbe parso che mi vergognavo del suo aiuto e che non lo
desideravo, cosa che in realtà non era. Ma tenere la voce
ferma con cinque paia
di occhi intenti a trafiggermi non era facilissimo.
“Lì ho
incontrato Jadis,
rinchiusa in un limbo, una prigione che la tiene segregata da
più di
milletrecento anni, ma che non le ha impedito di venirmi a salvare
dalla cella
di Telmar. Soffriva, non immaginate quanto stava male confinata
là dentro, la
scelta di aiutarla è stata spontanea, giusta ed
assolutamente non imposta da
lei. Così ho pronunciato le formule magiche e sono riuscita
a trarla in salvo
da quel luogo senza tempo come lei ha salvato me
e…” confessai, abbassando, mio
malgrado, voce e sguardo.
“Quindi sei stata tu a
liberarla?” il sibilo incredulo di Susan mi interruppe.
Ci volle tutta la mia forza
di volontà per sostenere i suoi occhi di fuoco. Ero convinta
di aver fatto la
cosa più giusta, eppure il fatto di averla liberata a loro
insaputa mi faceva
sentire come una traditrice.
“Si”
“Ti rendi conto di
ciò che
hai fatto? Hai messo in pericolo tutta Narnia!” mi
accusò la regina scostandosi
da Caspian e avvicinandosi a me puntandomi un dito contro.
Non riuscii ad arrabbiarmi
per quella reazione. Me l’aspettavo. E considerando come
stavano al momento i
fatti era più che giusta. Dopotutto, per quello che sapevano
loro, io avevo di
mia spontanea volontà liberato la loro acerrima nemica
voltandogli le spalle e
mettendoli tutti in pericolo.
“Susan, aspetta per
favore…”
tentai con calma.
“No. Non aspetto nulla.
Come
hai potuto farci una cosa simile?!” urlò.
“Adesso basta
Susan”
Peter, autoritario, si
frappose tra me e sua sorella, mentre Caspian afferrava
quest’ultima per le
spalle al doppio scopo di trattenerla e tranquillizzarla.
Susan lo fulminò con gli
occhi. “Bravo, tu difendila pure! Ma hai sentito cosa ha
fatto?”
“Si, ma inveirle contro
in
questo modo non risolve certo la situazione. Sapevi che Jadis era
tornata, non
capisco il motivo di questa reazione esagerata”
“Non sapevo
però che a
liberarla era stata lei”
“Bene, adesso lo sai. E
dovresti anche sapere che la strega sarà nemica nostra ma
non di Cathrine. Ha
agito secondo ciò che riteneva più
giusto” ribatté Peter duro.
Susan si morse il labbro
prima di liberare un sospiro. Si prese qualche secondo di tempo,
dopodiché
parve tornare se stessa.
“Hai ragione”
ammise, poi si
rivolse a me “Cate, perdonami se ti ho aggredita a quel modo,
non ne avevo
diritto. Ma la sorpresa è stata grande, mi sono
sentita…”
“Tradita”
conclusi io per
lei. “è comprensibile e, credimi, ne avevi il
diritto. Ma è come ha detto
Peter. Jadis non è mia nemica. Non potevo vederla soffrire e
fingere di non
poterla aiutare” spiegai sperando di riuscire a farle
comprendere le mie
motivazioni.
“Forse è
meglio che io e
Cathrine proseguiamo questa discussione da soli. Vi
dispiace?” quella di Peter
si presentò come una proposta alla quale poteva seguire una
libera scelta, ma
l’intonazione e lo sguardo non lasciavano dubbi sul fatto che
sotto quella
cortese domanda si celasse un ordine. Ordine che ovviamente tutti, in
disaccordo o meno, eseguirono.
Lucy mi strinse ancora in un
abbraccio prima di andarsene mentre Susan mi rivolse
un’ultima occhiata di
scuse. Sembrava seriamente pentita di avermi rivolto quelle accuse, ma
poteva
stare tranquilla. Fossi stata al suo posto probabilmente avrei reagito
alla
stessa maniera, non doveva giustificarsi. Anzi, mi sorprendeva il fatto
che
solo lei avesse avuto quello scatto di ira e che non fosse stata una
reazione
collettiva.
Peter, in piedi ad un metro
di distanza da me, guardava fisso la porta appena chiusa. Si
passò una mano tra
i capelli e poi scosse la testa, come a voler scacciare un pensiero
molesto. Pareva
afflitto, probabilmente dal disguido appena avvenuto tra me e sua
sorella.
Mi alzai dalla tavola e lo
raggiunsi. Allacciai le mie mani dietro la sua schiena e poggiai la
fronte sul
suo petto. Potevo sentire il battito regolare del suo cuore e il suo
torace
alzarsi e abbassarmi al ritmo del suo respiro. Erano due movimenti
incredibilmente rilassanti, tanto che ebbero il potere di calmare la
mia mente
e farmi raccogliere meglio le idee per il discorso che sapevo dovevo
continuare.
Anche perché la parte più impegnativa doveva
ancora venire.
“Peter, ti giuro che
quando
ho liberato Jadis, non l’ho fatto progettando di nuocere a
qualcuno o
immaginando chissà quale manovra politica o militare. Ho
semplicemente pensato
che la donna che mi ha salvato già due volte e che mi ha
protetta in questi
anni aveva bisogno di aiuto, del mio aiuto,
e non ho esitato a darglielo. Solo questa è la
motivazione” precisai, volendo
mettere ben in chiaro che mai una volta l’idea di
danneggiarli mi aveva
sfiorato.
Peter ricambiò
l’abbraccio e
depositò un bacio sui miei capelli. “Non lo avrei
mai messo in dubbio Cathy,
puoi starne certa. Susan ha lanciato quelle accuse presa dalla
sorpresa,
altrimenti nemmeno lei avrebbe mai azzardato rivolgerti tali
parole” si scusò
ancora per la sorella.
Appoggiò il mento sulla
mia
testa e prese a cullarmi tra le sue braccia. “Ciò
non cambia però che se prima
eravamo in una situazione delicata, ora, con il ritorno della strega,
siamo in
un mare di guai. Anzi, ne siamo letteralmente sommersi”
mormorò affranto.
Mi scostai da lui quel tanto
che bastava per guardarlo negli occhi e scossi la testa contrariata.
“La pensi
in questo modo solo perché affronti la situazione da un
punto di vista
sbagliato” lo contraddissi.
Corrucciò la fronte.
“In che
senso?”
“Tu parti dal presupposto
che l’arrivo di Jadis sia una tragedia per te e per Narnia
intera, ma non hai
mai preso in considerazione l’idea che potrebbe essere un
cambiamento in
positivo” spiegai.
Peter sospirò.
“Mi spiace ma
non riesco a vedere il ritorno di un’assassina despota come
una bella notizia”
disse amaro.
“è qui che ti
sbagli”
ribattei, colpendolo piano al petto per sottolineare le mie parole
“Jadis non è
un’assassina e non è una despota. È
buona e come te ha a cuore questa terra.
Ecco perché dovresti vedere il suo ritorno come una speranza
che si accende
invece che come una tempesta all’orizzonte. Vuole,
esattamente come voi,
liberare Narnia dalla soffocante presenza di Telmar, sconfiggere Miraz
e ridare
alla creature di questo paese la loro giusta libertà e una
vita più dignitosa
che quella dei fuggiaschi.” Illustrai con fervore.
Peter sciolse l’abbraccio
e
si massaggiò le tempie come se gli fosse venuto il mal di
testa per colpa delle
mie parole.
Dopo una manciata di minuti
riprese la parola. “Certo, sono assolutamente convinto che
Jadis non veda l’ora
di marciare contro Telmar. Solo così potrà
riavere la sua terra sulla quale
spadroneggiare e dettare le sue regole. Altrimenti come
potrà far ripiombare
Narnia nel gelo e nella disperazione eterni?” disse.
Il suo sarcasmo e la sua
amarezza mi colpirono. Perché era così
dannatamente ostinato a volere vedere
nella Strega Bianca il male di questo mondo?
“Come puoi dire una cosa
così crudele quando non la conosci nemmeno? Non immagini
quanto ha sofferto
chiusa in quel limbo costretta a vedere la distruzione della sua amata
terra
senza poter far nulla per aiutarla! Ed ora che finalmente è
in grado di
adoperarsi per Narnia e che il suo unico scopo è quello di
riportarla
all’antica gloria, tu e i tuoi fratelli le sbarrate la strada
con false e
infamanti accuse” ero così ferita dal suo
scetticismo che non riuscii nemmeno a
pronunciarmi arrabbiata come avrei voluto. Nella mia voce
c’era solo un’immensa
tristezza e presto sentii nei miei occhi farsi strada le lacrime
suscitate dalla
frustrazione.
Peter fece un altro sospiro
affranto prima di tornare ad abbracciarmi stretta. “Cathy,
mia bella stella,
temo che tu sia vittima di un tremendo abbaglio. Il tuo essere
altruista e
buona ti fa vedere queste belle qualità in tutti,
impedendoti addirittura di
scorgere il male dove ce n’è in abbondanza come
nel cuore della strega. Ti ha
raggirato con le sue belle parole, facendosi credere ciò che
in realtà non è,
ovvero una persona generosa sulla quale si può
contare.” Affermò deciso e
seriamente dispiaciuto per questo mio ipotetico errore di valutazione.
Mi discostai completamente
da lui, offesa. Mi credeva così incapace da non essere
nemmeno in grado di
decidere se una persona era degna o meno della mia fiducia?
“Ti ripeto che tu non la
conosci, quindi non puoi parlare di ciò che non sai. Jadis
è buona” dissi,
questa volta riuscendo a far trasparire la mia fermezza, nonostante la
vista
cominciasse a farsi appannata.
Peter scosse la testa.
“No,
sei tu che non la conosci. Devi credermi, Jadis è
crudele”
Udendo per la millesima
volta quell’aggettivo accostato alla strega, esplosi. Era
giunto il momento di
rivelare tutta la verità.
“No che non lo
è, accidenti!
Non lo è assolutamente, è solo
un’ignobile fama costruita ad arte da Aslan!”
“Perché
diamine non mi vuoi
dar retta?” esclamò esasperato il giovane.
Lo fissai dritto nei suoi
bellissimi occhi azzurri, limpidi e dannatamente sinceri.
“Perché
è mia madre, Peter!”
sbottai. “Jadis è la mia vera madre. Per questo
posso giurarti di conoscerla e
di sapere con certezza che non è cattiva”.
Confusione. Sbigottimento.
Incapacità di assimilare ciò che aveva appena
udito. Queste le emozioni che
potei leggere chiaramente nei lineamenti del bel giovane.
Cadde il silenzio, rotto
unicamente dai sospiri che facevo per trattenere il pianto. La
conversazione
aveva preso una piega indesiderata. Non avrei mai voluto alzare i toni
con
Peter, avrei preferito riuscire a dargli questa rivelazione in una
calma
conversazione.
Il biondo intanto continuava
ad aprire e chiudere la bocca senza riuscire a proferir parola. Mi
squadrava
dall’alto al basso come se mi vedesse per la prima volta. Ed
in un certo senso
era realmente così. Ora, i miei occhi azzurro chiaro gli
rimandavano immagini
passate di uno sguardo ostile, come anche la mia carnagione pallida,
soprattutto con indosso quelle vesti candide. Molti misteri gli si
stavano
svelando dinanzi agli occhi. Per esempio ora poteva facilmente
comprendere
l’enorme interesse che Jadis aveva da sempre nutrito nei miei
confronti, perché
mi aveva indicato come “casa” il castello di
ghiaccio, come mai il nostro
legame era da sempre stato così intenso. Da dove venivano i
miei poteri.
Peter deglutì
vistosamente e
sbatté più volte le palpebre come per riprendersi
da un sogno ad occhi aperti.
Si avvicinò a me e mi afferrò per le spalle,
scuotendomi lievemente.
“Ne sei
sicura?” balbettò
infine, gli occhi spalancati, il viso più pallido del
solito.
La notizia lo aveva
sconvolto, ed era comprensibile. Scoprire che la persona che ami
è la figlia della
tua acerrima nemica e sconvolgente come venire a sapere che tua madre
è la
nemesi del tuo fidanzato. Lo potevo comprendere alla perfezione.
“Non ci sono
dubbi” risposi
in un sussurro.
Boccheggiò ancora per
qualche istante prima di riuscire a dar forma ai suoi pensieri confusi.
“Ma
com’è possibile? Tu sei
nata e cresciuta a Londra e Jadis non ha mai avuto figli! Tu stessa mi
hai
giurato di non averla mai vista prima”
Consolandomi del fatto che
nonostante questa rivelazione non mi aveva ancora puntato la spada
contro come
avevo temuto per un istante notando il suo sguardo sbigottito, mi
apprestai a
raccontargli la mia storia appena appresa.
“L’ho scoperto
anche io da
poco, per la precisione quattro giorni fa, dopo che sono arrivata al
castello” esposi
“è, come puoi ben notare, la notizia che Jadis non
abbia mai avuto figli è
falsa. Ha avuto me, ma ha tenuto la mia presenza nascosta al mondo per
paura
che i suoi nemici potessero ferirla indirettamente nuocendo a me o che
potessero rapirmi in fasce per poi usufruire dei miei poteri una volta
cresciuta.” Spiegai più semplicemente possibile,
sperando che davanti alla
prova che la strega mi voleva bene e che da sempre pensava a me
dimostrasse che
fosse altruista e buona, e quindi una possibile alleata.
Negli occhi di Peter
passò
un lampo di comprensione, segno che aveva inteso e condivideva le
motivazioni
di Jadis per non voler rivelare la mia nascita. Bene, era un buon
segno,
iniziava ad approvare almeno una sua decisione.
“Quando voi arrivaste qui
a
Narnia e scoppiò la guerra, io ero ancora in fasce, incapace
di difendermi”
proseguii “così per essere certa che in caso di
una sua sconfitta io non
cadessi in mani nemiche finendo per essere uccisa o cresciuta come una
specie
di arma, mi spedì sulla terra, nella Londra degli anni
’90, e fece credere ad
una coppia di giovani sposi, gli Icepower, di aver avuto da poco una
bambina
che battezzarono con il nome di Cathrine. In teoria doveva essere solo
una
precauzione. Era convinta di vincere e in quel caso la prima cosa che
avrebbe
fatto sarebbe stata quella di venire a riprendermi, cancellare la
memoria ai
due sposi e di crescermi come avrei dovuto essere allevata”
presi fiato nel più
assoluto silenzio da parte di Peter, che mi ascoltava rapito come se
stessi
raccontando una favola ai limiti della realtà
“ovvero come Nives di Narnia,
figlia della regina Jadis, come sono stata legittimamente riconosciuta
appena
la notte scorsa dinanzi all’Antica Magia e ai sudditi di
Jadis” conclusi.
Il biondo abbassò il
capo.
Inspirò ed espirò più volte e
sbatté le palpebre. Infine mi lasciò andare le
spalle e si allontanò di un passo da me. La distanza che si
formò era di una
manciata di centimetri eppure a me parve un abisso data la circostanza.
Temetti
di nuovo si stesse distanziando da me per colpa di ciò che
gli avevo detto.
“Quindi tu sei la figlia
di
Jadis?” mi rifece la domanda, come se riproponendomela la
risposta potesse
cambiare.
“Si”
“E il tuo vero nome
sarebbe
Nives?”
Perché
se esce dalla sua bocca sembra un nome tanto
sgraziato e inappropriato? Perché sembra non indicare me ma
una perfetta
estranea quando fino a qualche ora prima mi rispecchiava
così bene? Mi domandai senza giungere ad una
risposta.
“Si, ma se vuoi puoi
continuare a chiamarmi Cathrine” dissi, ripensando alle
emozioni che mi aveva
dato il sentirlo chiamarmi così poco fa.
È
decisamente meglio che continui a rivolgersi a me come
Cathrine, sembra più…giusto. Nives pronunciato da
lui stride.
“E sei stata riconosciuta
come sua figlia? Questo fa di te…una principessa di
Narnia” concluse più
rivolto a se stesso che a me.
Storsi il naso. “Si, ma
ti
prego, non ricordarmelo” mormorai mogia.
Mi guardò sorpreso e io
mi
affrettai a spiegarmi. “è la conseguenza che sto
cercando di dimenticare. Non
mi ci vedo proprio nel ruolo di regnante, non fa per me”
Era l’ombra di un sorriso
quella che vedevo sul suo viso?
Lo sperai tanto, dopo
l’espressione sbigottita e torva di prima avevo bisogno di
scorgere le sue
labbra curvarsi all’insù anche solo per poco.
Sfruttai quell’istante di
quiete per proseguire con l’argomento precedente “E
adesso che aveva recuperato
un po’ di forze è venuta a cercarmi per riportarmi
a casa come non aveva potuto
fare milletrecento anni fa”.
Peter non disse altro anche
se il lieve sorriso era sparito di nuovo e io approfittai di quel
silenzio per
arrivare al vero nocciolo della questione.
“Ma oltre che riprendersi
sua figlia, Jadis vuole riprendersi il trono che le avete
sottratto.”
Se avessero potuto, gli
occhi del giovane sarebbero balzati fuori dalle orbite.
“Che le avete sottratto? Che le avete sottratto?! Quindi ora sei
convinta che siamo noi i cattivi usurpatori e lei la povera
vittima?” mi
aggredì adirato.
Rimasi attonita nel vederlo
arrabbiato. Era la prima volta che si infuriava così tanto
con me, non era mai
successo, e avrei preferito non accadesse. I suoi zaffiri brillavano
come un
fuoco azzurro aizzato dall’ira, la mascella era contratta
così come i
pugni paralleli al suo busto.
L’istinto mi suggeriva di
arretrare di un paio di passi eppure il suo aggredirmi
suscitò il mio sdegno.
Così invece di allontanarmi mi avvicinai con aria di sfida,
ergendomi in tutta
la mia altezza seppure sempre minore della sua.
“Non credo che voi siate
i
cattivi e lei la vittima, non l’ho mai pensato! Forse prima
di saltare a
conclusioni errate e campate in aria potresti avere la decenza di
lasciarmi
parlare o di chiedermi le cose con calma!” sbraitai, con il
suo stesso fuoco
negli occhi.
La mia grinta lo lasciò
interdetto. Non si aspettava una reazione simile, probabilmente
perché era raro
che venisse contraddetto già normalmente figuriamoci quando
si arrabbiava. Comunque
la mia replica ebbe il suo effetto poiché parve rendersi
conto di aver alzato
la voce ed un secondo dopo le fiamme irose nei suoi zaffiri vennero
spente da
un sincero pentimento.
Sospirò e si
pizzicò gli
angoli degli occhi con l’indice e il pollice della mano
destra. Io attesi
paziente anche se ancora ribollivo per la sua affermazione affrettata e
sbagliata. Ma bastò sentire le sue braccia che mi
circondavano ancora una volta
e il suo viso sprofondare nell’incavo tra la mia spalla e la
testa affinché
l’ultimo residuo di ira evaporasse. Si era riavvicinato a me
e questo per ora
mi bastava per riprendere la discussione con tono normale.
Gli accarezzai istintivamente
il capo, scompigliandogli i capelli con dolcezza, mentre lo sentivo
respirare a
fondo il mio odore. Chissà se gli piaceva come a me piaceva
il suo…
“Perdonami Cathy, non ho
idea di cosa mi sia preso, non avrei mai voluto alzare la voce con
te”
“Lo so, la situazione ci
è
sfuggita di mano” mormorai socchiudendo gli occhi ai brividi
che il suo respiro
caldo sul mio collo mi procurava.
Come potevo dirgli fino
infondo ciò che era mio dovere fargli sapere quando non
eravamo nemmeno in
grado di urlarci a vicenda senza sentirci in colpa? Eppure, se volevo
salvare
il mio possibile roseo futuro, dovevo trovare la forza di concludere il
mio
discorso.
“Ascoltami, non
penserò mai
che voi siete i cattivi, ma non posso negare che il trono spetterebbe
giustamente
a Jadis e non a voi. Ha tutto il diritto di regnare” chiosai.
Peter sospirò quasi
esasperato ma non si staccò da me con mio sommo piacere.
“Non ti seguo. Non ci
vedi
come usurpatori ma credi che la corona sia della strega. Sono frasi
contrastanti” obiettò.
Scossi la testa. “No
invece.
È vero che secondo il mio punto di vista voi le avete rubato
il trono ma sono
fermamente convinta che non l’avete fatto per sete di potere
o sapendo che era
una cosa sbagliata, motivazioni che invece spingerebbero un vero
usurpatore”
gli illustrai con calma.
“Precisamente. Il nostro
scopo era quello di salvare Narnia dalla sua tirannia” mi
ripeté probabilmente
per la miliardesima volta.
Sorrisi per non sbuffare di
nuovo. “Appunto, voi avete lottato contro mia madre spinti da
questo ideale,
per questo non siete e non sarete mai i cattivi. Perché
avete agito per ciò in
cui credevate giusto.”
Questa volta alzò la
testa
per allacciare i nostri sguardi per farmi comprendere meglio la
confusione in
cui lo stavo mandando per le mie mezze frasi. Fossi stata al suo posto
avrei
già perso la pazienza imponendogli di parlarmi chiaro, ma
pur sapendo quanto
potessi risultare snervante non riuscivo ad esporgli di un fiato la mia
richiesta. Preferivo arrivarci per piccoli passi, facendogli fare lo
stesso
ragionamento che mi aveva portata alla mia conclusione, in modo che
capisse
fino infondo il mio punto di vista e magari che riuscisse a
condividerlo.
“Bene, ora ho
ufficialmente
perso il filo del tuo discorso. Mi stai dando ragione oppure
no?”
Nonostante la situazione non
fosse leggera non potei impedire alle mie labbra di incurvarsi
all’insù di
fronte al suo sbigottimento sincero.
“Ti sto dicendo che credo
alla vostra innocenza e alla vostra onestà, infatti il
problema non sta nello
stabilire che ideali avete seguito per attaccare mia madre ma nel fatto
che
quegli ideali erano falsi. Inventati ad arte da chi ve li ha inculcati
con uno
scopo preciso. Aslan” rivelai ferma.
“Aslan?”
ripeté troppo
stupito per parere anche offeso.
Non si immaginava che avrei
tirato in ballo la persona da lui tanto ammirata come colpevole, ma
proseguii
inarrestabile nella mia piccola arringa.
“Si.” Confermai
“rifletti, è
stato assente per anni poi un bel giorno è tornato e ha
preteso di avere il
trono di Jadis. Con false promesse si è accattivato il
sostegno di diverse
creature di Narnia, quelle che bastavano per formare un esercito, e ha
cominciato quella guerra diffamando mia madre e il suo modo di
governare. Poi
siete arrivati voi, probabilmente per volere del leone stesso, e i
primi che
avete conosciuto erano seguaci proprio di Aslan. Il primo parere che
avete
udito è stato contro Jadis, sentendola dipingere come una
strega crudele che
spadroneggiava su tutti. In più vi siete sentiti acclamare
come liberatori che,
secondo una profezia la cui origine è nota solo ad Aslan,
sarebbero dovuti
salire al trono di Cair Paraveil.” Feci una piccola pausa ma
ripresi prima che
Peter potesse ribattere. “Ora sono certa che con il tuo buon
cuore e lo spirito
cavalleresco ti saresti schierato da coloro che pensavi indifesi anche
senza la
promessa della corona, ma dato che in più c’era
anche quella posta in ballo
sarebbe stato strano se non avessi accettato di combattere con Aslan.
Eri solo
un ragazzo che all’improvviso, da giovane qualunque era
passato a sovrano di
una terra immensa e magica, chi avrebbe potuto biasimarti per la scelta
del tuo
partito? Il tuo unico errore è stato quello di fidarti di
Aslan senza provare
nemmeno a sentire l’altra campana, Jadis, per verificare di
persona la
situazione. Così facendo ti saresti reso conto che mia madre
era buona e
governava rettamente, che la guerra era stata voluta dal leone solo per
scopi
egoistici e che ti stava usando”
Avevo il fiato corto quando
conclusi il discorso. Avevo parlato di corsa per paura di essere
interrotta da
un momento all’altro, ma per fortuna questo non era successo.
Il fiatone era un
prezzo certamente accettabile per essere riuscita finalmente a metterlo
a parte
della ma opinione su come era andata quell’assurda battaglia
fratricida di
milletrecento anni fa.
Peter mi guardò
allucinato.
“Tu sei fermamente convinta di quello che hai
detto?” domandò, riuscendo alla
perfezione a mascherare le sue emozioni. Almeno attraverso la voce
poiché nei
suoi occhi potevo invece chiaramente vederle turbinare furiosamente.
“Certo”
assicurai con
fermezza. Una piccola speranza si accese. Me lo aveva forse chiesto per
essere
sicuro di potersi fidare e darmi ragione?
“Allora Jadis ha lavorato
la
tua mente più a fondo di quanto immaginassi”
commentò aspramente.
La mia speranza si sciolse
come neve al sole. No, non avevo demolito le solide mura dove
nascondeva le sue
verità. Anzi, non le avevo nemmeno scalfite.
“Jadis non ha fatto
assolutamente niente” la difesi con tono stanco.
Perché non voleva capire?
“Anzi, sono stata io a convincerla della vostra innocenza e
buona fede e che la
colpa è tutta da attribuirsi al leone. Pensa, è
lui che ha disseminato la
zizzania, spaccando in due un paese prima pacifico e giustamente
governato.”
“Cathrine, stai
farneticando!” mi disse con il tono di chi parla ad un bimbo
piccolo che non
vuole ammettere di aver inventato una colossale bugia per non beccarsi
una
punizione. “Aslan non avrebbe mai fatto una cosa simile. E
poi perché avrebbe
dovuto fare tutto questo per prendere il potere se poi il trono lo ha
dato a
noi? Non avrebbe avuto senso”.
“Si invece,
perché tu e i
tuoi fratelli lo considerate come il vero re di Narnia. Colui alla
quale spetta
la decisione finale su ogni cosa. In più sembra quasi che lo
veneriate. Quindi
in teoria il regno lo avete in mano voi ma in pratica a capo di ogni
questione
c’è lui, quando è presente”
aggiunsi.
Peter emise un suono
esasperato. “Cathrine ti stai sbagliando. Aslan non ha mai
voluto il trono,
anzi, appena ci ha nominati sovrani è scomparso! E ti
assicuro che non si è
inventato la profezia né è stato lui a mettere il
seme della rivoluzione nelle
menti degli abitanti di Narnia. Sono stati loro a volersi ribellare.
Non
riuscivano più a sopportare il regime tirannico di
Jadis”
“è una bugia
detta dal
leone. Vi ha raggirati tutti in maniera magistrale! Pensa a come
sarebbe potuta
andare invece se coloro che vi accolsero a Narnia fossero stati della
frazione
di Jadis. Voi sareste andati da lei, avreste visto con quanti sforzi
cercava di
sottrarre il suo popolo alla crudeltà della guerra, avreste
capito con quanto
amore regnava su queste terre e vi sareste uniti a lei, scacciando
Aslan e
restando accanto a Jadis in veste di consiglieri o qualcosa di simile.
Non ci
sarebbe stata alcuna guerra e voi, uniti dal comune scopo di far
prosperare
Narnia, avreste preservato la pace.” Gli illustrai convinta
di come sarebbero
potute andare bene le cose se non avessero incontrato per primi dei
ribelli.
“Ma c’è ancora tempo per far accadere
quello che sarebbe dovuto succedere
secoli fa” aggiunsi con gli occhi che brillavano di
convinzione.
Peter strabuzzò gli
occhi e
mi squadrò incredulo. “Stai dipingendo uno
scenario orribile. Narnia sarebbe
ancora costretta in catena da Jadis! E poi cosa intendi con c’è ancora tempo?”
Ignorai la prima frase
deliberatamente. L’avevo già contraddetto un sacco
di volte su quel punto,
ormai doveva aver capito come la pensavo, dunque risposi solo
all’ultima
domanda, che era quella che mi auguravo facesse.
“Semplicemente, tu ei tuoi
fratelli dovreste incontrarvi pacificamente con Jadis, ammettere che il
trono è
suo, restituirglielo ed evitare così un’altra
guerra inutile e sanguinosa e
restare qui a Narnia come suoi consiglieri” spiegai
brevemente sperando di riuscire
a convincerlo.
Peter mi guardò per
valutarmi un attimo e io mi votai a tutti santi o gli dei che
governavano quel
mondo. Era giunto il momento della conversazione che tanto temevo.
“Sono sempre
più convinto di
ciò che ho detto prima” si pronunciò
infine scuotendo la testa. Corrucciai la
fronte, non comprendendolo. “Non so cosa la strega abbia
detto o fatto, ma ciò
che è certo è che ti ha totalmente condizionato e
ti sta manipolando ad arte
senza che nemmeno tu te ne accorga” chiosò.
Il mio cuore sprofondò.
E
così le speranze del mio roseo futuro. Non che fossero
effettivamente mai state
molte, ma in quelle poche che avevo ci avevo messo tutta la mia
più assoluta
fiducia.
Sentii le lacrime ai bordi
degli occhi premere con più forza ed una uscì
senza che riuscissi a
trattenerla. Mi morsi il labbro e distolsi lo sguardo triste da lui,
frustrata
dalla sua assoluta devozione ad Aslan.
Presi un profondo respiro e
trovai la forza per riguardarlo negli occhi. Immobile, mi fissava,
anche lui
affranto da questa situazione che ci vedeva su due schieramenti
opposti.
Che ironia, eravamo a meno
di un metro di distanza eppure lo sentivo distante chilometri in quel
momento.
Ma la cosa peggiore era che sapevo che quella distanza sarebbe
aumentata sempre
di più fino a separarci per sempre, incurante dei sentimenti
profondi che l’uno
provava verso l’altro. Aveva ragione Shakespeare,
l’amore se sia contrariato
non è che un mare nutrito dalle lacrime di quegli stessi
amanti. Un mare
tempestoso, un oceano insuperabile che ci avrebbe diviso per
l’eternità.
Il cuore mi si strinse e
riuscii a stento a soffocare un singhiozzo. Come se si ribellasse a
quell’idea
il mio corpo mi spinse tra le sue braccia che celeri e delicate mi
cinsero
senza esitare, come a volermi confermare che non ce l’avevano
con me, che non
erano da me che si allontanavano arrabbiate, ma da Jadis e dalle mie
parole
buone nei suoi confronti.
Le mie mani si strinsero
sulla sua camicia e incominciai a scuoterlo lievemente mentre cercavo
un’ultima
volta disperatamente di convincerlo della mia idea.
“Peter, ti supplico,
rifletti! Se vi ostinate a dare ragione ad Aslan, Jadis vi
attaccherà senza
pensarci due volte. Vi schiaccerà, lo sai meglio di me che
non siete in grado
da soli di sostenere una guerra con lei. E a quel punto si
riprenderà la corona
con la forza lo stesso. La differenza sarà che voi non
avrete più la
possibilità di restare qui a Narnia…”
gli esposi con un tono più acuto del
normale.
Peter strinse le sue mani
sulle mie ancora arpionate alla sua camicia, e alzò il mento
fieramente.
“Sai perfettamente che se
la
mia vita è il prezzo che devo pagare per salvare Narnia, non
tentennerò
nell’offrirla” dichiarò convinto.
Stupido
re nobile e fiero! Pensai demoralizzata.
“Lo so, ma fortunatamente
non ti sarà richiesto.” Arcuò un
sopraciglio. “Jadis non ha alcuna intenzione
di ucciderti. Non glielo avrei mai permesso nemmeno se fossi stata
convinta del
fatto che foste usurpatori!” gli chiarii, offesa che avesse
messo in dubbio una
cosa simile. “Però vi farà tornare a
Londra appena sconfitti e farà in modo che
non rimettiate più piede qui a Narnia” aggiunsi
con voce triste e ferita a
quell’orrenda prospettiva.
Peter emise uno sbuffo ironico,
del tutto fuori luogo. Gli lanciai un’occhiata stupita,
cercando il motivo
dell’ilarità che non tardò a fornirmi.
“E tu credi sul serio che Jadis ci
lascerebbe tranquillamente andare vivi lontano di qua? Dopo
milletrecento anni
che medita vendetta?” disse ironico. “Mia Cathy,
sei così ingenua” aggiunse
dispiaciuto e intenerito al contempo.
Mi offesi ancora di più.
“Devi credermi, non ha alcun interesse ad uccidervi, cosa le
verrebbe in tasca?
E poi io non lo permetterei mai, lo sai.” Lui scosse la testa
ma io lo ignorai
nuovamente, proseguendo con il mio pensiero. “Ma per me,
comunque, è una
terribile idea anche quella di saperti a Londra. Saresti salvo, ma io
ti
perderei inesorabilmente. Non ti vedrei mai più”
le lacrime che avvertivo
vicine non erano ancora scese, ma la mia voce era già rotta
dal pianto
imminente.
Peter mi accarezzò una
guancia. Nei suoi zaffiri adesso potevo scorgere un dolore sordo, eco
del mio.
Quello che avevo detto, lo sapeva perfettamente anche lui. Sia che
fosse morto
sia che se ne fosse andato, non ci saremmo visti mai più.
“Quindi ti
prego” continuai “accetta
di ridare la corona a mia madre. Resta con me” lo supplicai.
Il ragazzo chiuse gli occhi,
probabilmente per preservare la convinzione delle sue decisioni senza
permettersi di vacillare. Mi morsi il labbro nervosa. Continuavo a
fargli la
stessa proposta, tacendo la infida voce della ragione che mi urlava che
non
sarei mai riuscita a convincerlo, inseguendo una speranza nulla ma che
mi
permetteva di non scoppiare a piangere in ginocchio.
“Accetta tu la
verità che ti
ho detto invece. Torna dalla nostra parte e aiutami a salvare Narnia
dalla
minaccia della Strega Bianca. Anche così potremmo restare
insieme. Basta che tu
ti schieri dalla mia parte e non contro di me”
ribatté sorprendendomi.
Sorrisi amara. “Peter,
non
mi sto schierando contro di te, non potrei mai farlo. Mi sto schierando
contro ciò
che credo sbagliato per quello che penso sia giusto. Non ho fatto una
scelta
tra te e mia madre. Altrimenti potrei dire che tu ti sia schierato
dalla parte
di Aslan contro di me, quando in realtà so che non
è così” ragionai stanca.
Sospirò, continuando ad
accarezzarmi la guancia, scendendo poi giù lungo il collo e
risalire fino alla
fronte. “Giusta osservazione” ammise.
Sbuffò arrabbiato e si morse il labbro
preso dalla frustrazione. “è assurdo, siamo
l’uno contro l’altro pur amandoci
per cause indipendenti e più grandi dei nostri soli
sentimenti.” Appoggiai la
mia mano sopra la sua posata sulla mia guancia e voltai leggermente la
testa
per lasciarci sopra un bacio, comunicandogli così che ero
assolutamente d’accordo
con lui. Era assurdo e incredibilmente ingiusto.
Il mio cuore accelerò
come
anche il mio respiro quando compresi a che punto era arrivata la
discussione.
La conclusione. Con la sua terribile conseguenza. Sapevo che quella
conclusione
era la più probabile sin dall’inizio, ma avevo
ardentemente pregato di
sbagliarmi. Ma la mia sola preghiera e la mia convinzione non erano
stati
sufficienti per eliminare un odio e una situazione che andavano avanti
da
secoli. Ero stata un’illusa. Un’illusa che stava
per perdere una delle cose più
importanti della sua vita per non essere stata capace di trattenerla a
sé.
“Quindi questo
è un addio”
sussurrai. La vista mi si appannò e questa volta non riuscii
ad impedire che
qualche lacrima si liberasse e scendesse lungo la gota.
Peter mi guardò confuso,
lo
sguardo improvvisamente riacceso. “No!” mi strinse
impetuoso in un abbraccio,
facendomi appoggiare la testa sulla sua spalla e mettendo la sua sopra.
“Assolutamente no, ho già temuto una volta di
perderti, quando eri stata
catturata da Miraz. Non ho alcuna intenzione di ripetere
l’esperienza. Non ti
perderò di nuovo” esclamò infervorato.
Mi coccolai nella sua
stretta, pregando silenziosamente che il tempo si bloccasse. Cosa non
avrei
dato per poter dimenticare tutto e tutti e restare tra le sue braccia
per
sempre, protetta e appagata dal suo amore. Chiusi gli occhi, godendomi
a pieno
la sensazione delle sue dita che con dolcezza si infilavano tra i miei
capelli,
accarezzandoli e spettinandoli, arricciandoli o lisciandoli. Inspirai
il suo
odore che tanto adoravo, imprimendomelo nella memoria.
Purtroppo però,
nonostante
tutte le magie che sapevo compiere, non ero in grado di bloccare il
tempo. Il
mondo non avrebbe fatto finta di dimenticarci in quella stanza, sarebbe
arrivato
prepotente a pretendere una decisione e delle azioni da entrambi e ci
avrebbe
crudelmente diviso.
“E come pensi di stare
insieme? Non posso tornare a Londra con voi perché la mia
Londra è avanti alla
vostra di cinquant’anni, quindi saremmo comunque divisi, e
poi quella non è più
la mia casa. E tu non hai alcuna intenzione di dare a Jadis nemmeno
un’opportunità per farti cambiare idea su di lei.
Non c’è soluzione.” Gli feci
notare afflitta e abbattuta.
“Si che
c’è, perché non
permetterò che tu venga sfruttata da una strega senza
scrupoli e da essa ferita
senza che nemmeno tu te ne accorga. Ti proteggerò da lei a
costo di trattenerti
qui con la forza” affermò deciso, aumentando la
stretta dell’abbraccio.
Spalancai gli occhi. Le sue
parole furono un’altra stilettata diretta al mio cuore. Aveva
pronunciato la
frase che mia madre aveva predetto. Quella che lei tanto temeva e che
per la
quale aveva voluto adeguatamente equipaggiarmi. Quella che io ero certa
non
avrebbe pronunciato, rispettando la mia idea.
“Non puoi dire sul serio.
Non puoi costringermi” ribattei flebile, sperando
ardentemente che fosse solo
stato un raptus dettato dalla disperazione e che non facesse sul serio.
“Si invece. Te lo avrei
promesso, ricordi? Ti proteggerò da ogni cosa, anche da te
stessa se necessario”
disse solenne.
Scossi la testa piano e
affondai la testa nel suo petto, ricercando il battito del suo cuore
per
risanare la ferita che aveva appena inferto al mio. Dunque il suo odio
verso la
strega era grande al punto che sarebbe arrivato ad impedirmi con la
forza di
starle vicino nonostante fosse la mia volontà. Nonostante
essa fosse mia madre,
una madre che avevo appena ritrovato e che, come Peter sapeva bene,
amavo. Come
poteva farmi una cosa simile? Ma poi la risposta giunse tanto chiara e
semplice
da dissipare la tristezza e il dolore della sua scelta. Peter avrebbe
fatto ciò
solo perché era fermamente convinto che fosse la cosa
più giusta per me. Perché
era certo che Jadis mi avrebbe solo fatto soffrire. Come potevo dunque
prendermela
con lui?
Questo però non cambiava
la
situazione. Io dovevo continuare per la strada ce avevo scelto, anche
se così
mi sarei separata da Peter.
“Non avrei mai desiderato
che finisse così, credimi” mormorai alzando il
capo.
“Non finirà
infatti” mi
ripeté.
Incurvai le labbra in quello
che doveva assomigliare ad un sorriso. “Non sai quanto vorrei
che ciò fosse
vero” la mia voce, un sussurrò
nell’aria.
Non mi misi a spiegare il
significato delle mie frasi. Non avevo il desiderio di sprecare altro
tempo a litigare
sul fatto che non avrebbe mai potuto trattenermi con i poteri di cui
ero dotata
e che quindi non saremmo restati assieme nonostante le sue intenzioni.
Era ben
altro il discorso che mi premeva pronunciare al momento.
“Peter, ricordati bene
quello che sto per dirti” il mio cuore ora batteva triste e
lento, come se
volesse anche lui rallentare il tempo. Era arrivato il tempo del
congedo,
nonostante tutti i miei sforzi, esso era giunto con tutto il dolore che
portava
con sé. I suoi occhi azzurri si fissarono sui miei e io
cercai di memorizzare
ogni singola sfumatura di quegli zaffiri in cui tante volte mi ero
persa
felice. “Ti amo. Tantissimo. E questo non cambierà
mai, qualsiasi cosa possa
succedere, passassero mille anni, ti amerò per sempre. Anche
se saremo
costretti a dividerci, il mio cuore sarà solo e unicamente
tuo” li dissi in un
sussurro dolce e sentito. Sapevo che erano parole a lui già
note, ma per me era
importante proferirle ad alta voce nella speranza che così
non se le sarebbe
mai scordate. Le sue braccia rafforzarono la presa, come se
avvertissero che di
lì a poco non mi avrebbero più potuto circondare.
Peter mi guardò confuso
ma
lieto e commosso della mia dichiarazione sincera. “Ti amo
anche io. Ora e per
sempre, tu sarai l’unica stella che brillerà nel
mio cielo per illuminarmi la
vita.” Promise.
Un’altra lacrima, di
tristezza mista a tenerezza, scivolò giù dalle
mie ciglia.
Mi allungai verso di lui,
che non tardò a venirmi incontro, desideroso quanto me di
suggellare nel modo
più consono ciò che ci eravamo giurati. Quando le
nostre labbra si unirono,
toccai il paradiso. Altre lacrime scesero, a questa volta non vi badai.
Non
tentai nemmeno di frenarle, non ne avevo la forza.
Spontaneo fu il paragone con
il bacio di benvenuto che ci eravamo dati. Era stato impetuoso, a lungo
agognato, e dolce, tanto dolce. Come il sapore del ritrovarsi. Questo
invece
sapeva di addio, era dolce e amaro al contempo e lento, come se potessi
così
procrastinare il saluto il più a lungo possibile.
Le mie labbra si adattarono
alla perfezione sulle sue, mentre le nostre lingue si esploravano
indisturbate,
per non dimenticarsi mai. Sapevo che la mia bocca avrebbe conservato il
sapore
della sua in eterno. Non avrei mai dimenticato la sua morbidezza,
né le sue
mosse delicate eppure sicure, ferme, che sapevano farmi sentire amata e
desiderata. Né la mia memoria avrebbe mai perduto il ricordo
dei brividi che le
sue mani mi procuravano mentre si infilavano tra i miei capelli,
torturandoli
lievemente, mi accarezzavano la nuca o scendevano giù per la
schiena seguendo
linee immaginarie.
Vorrei
restare con te qui, ma purtroppo posso
lasciarti solo il mio cuore. Il mio
posto ora è accanto a Jadis.
Questo il messaggio che quel bacio celava.
Quando le nostre labbra si
distanziarono, le nostre teste restarono comunque vicine. Le sue
braccia ancora
mi stringevano a sé, come se Peter fosse davvero convinto
che con quel semplice
gesto potesse tener ferma una strega.
Allacciammo i nostri sguardi
per un ultimo istante. Strinsi tra le mie mani il colletto della sua
camicia
aiutandomi con esso ad avvicinarmi di più alle sue labbra.
“Addio” singhiozzai
in un soffio leggero, prima di sentire il potere della magia scorrermi
lungo
tutto il corpo, riscaldandolo con il suo tepore. Con un grande sforzo
di
concentrazione riuscii a focalizzare nella mia mente
l’immagine della mia
stanza nel castello di ghiaccio, come mi aveva insegnato Jadis. Una
parola, trasportami, e un vento mi
avvolse. Mi
sentii trascinare lontano, dentro un vortice, ma il tutto
durò pochi secondi.
Il tempo necessario per
avvertire il calore delle sue braccia scivolare via dalla mia schiena,
lasciando una sensazione di gelo al suo posto.
Aprii gli occhi non potendo
impedire però al mio spirito di pregare di trovarmi ancora
Peter dinanzi, ma
ovviamente non fu così. La magia di teletrasporto aveva
funzionato. Ero nella
mia camera.
Mi sentii afferrare il cuore
in una morsa fredda e ferrea, tanto che mi piegai in due
rannicchiandomi con
una mano sul petto. Una serie di singhiozzi strozzati fuoriuscirono
prepotenti
dalle mie labbra ancora umide per quell’ultimo bacio. Non
riuscivo nemmeno a
respirare. Boccheggiavo, incapace di ricordarmi come fare per
incanalare l’aria
nei polmoni. Strinsi forte gli occhi e mi morsi il labbro per impedirmi
di
urlare tutto il dolore che sentivo.
Avevo detto addio a Peter.
Avevo salutato per sempre il ragazzo che per primo era riuscito ad
aprirmi le
porte dell’amore, che era riuscito a comprendermi, ad
accogliermi. Che mi aveva
fatto sentire amata, voluta.
Non lo
rivedrò mai più.
Nella mia mente mi
echeggiavano solo quelle parole crudeli ma terribilmente vere. Era
accaduto. Il
mio futuro roseo era andato in mille pezzi prima ancora che avessi
potuto
assaporarlo. Dopotutto sarebbe stato troppo bello per essere vero e il
destino
lo sapeva. Ma perché doveva fare così male?
Perché dovevo sentire la pelle
infuocata là dove le sue dita mi avevano sfiorata?
Perché i miei occhi si
inondavano di lacrime al ricordo dei suoi sorrisi, dei suoi zaffiri,
eppure
erano la sola immagine che riuscivano ancora a trasmettermi nonostante
non mi
fosse più dinanzi. Come se la mia retina si fosse bruciata e
non fosse più
capace di scorgere la realtà e vedeva unicamente
ciò che aveva nella memoria.
Mi sentivo squarciare il
petto in due, tagliato male da una falce implacabile.
Finché altre due braccia
mi
cinsero le spalle. Due braccia più esili delle precedenti,
più delicate e
fredde. Una mano mi coprì il capo, lo spinse gentilmente
sulla sua spalla e
cominciò ad accarezzarlo.
“Non piangere, piccola
mia,
non piangere…”
Una soave melodia, balsamo
per le mie ferite.
“Ha rifiutato”
riuscii a
dire tra un singhiozzo e l’altro a fatica.
“Lo so, tesoro mio, lo
so.”
Iniziò a cullarmi “Ho cercato di proteggerti da
questa delusione ma non ci sono
riuscita. Mi dispiace. Non meritano le tue lacrime né il tuo dolore”
affermò con una nota lieve di
durezza.
Mi irrigidii. Mi staccai di
colpo dal suo abbraccio per fissarla scioccata in quegli occhi di
ghiaccio.
“No, ti stai sbagliando. Soffriva anche lui almeno quanto me.
Mi ama, ma come
me, doveva fare ciò che riteneva giusto. E proprio per
questo continuerò anche
io ad amarlo per sempre” aggiunsi, infischiandomene del fatto
che ufficialmente
non avevo mai parlato di Peter in quei termini a mia madre. Tanto ero
certa che
lo avesse intuito, se avessi avuto con il ragazzo solo una bella
amicizia non
avrei certamente sofferto così tanto ora.
Altre lacrime si
affacciarono al bordo dei miei occhi e, bisognosa di conforto, mi
rigettai tra
le braccia di mia madre, lieta di avere ancora lei su cui contare.
Non esitò a cingermi e
riprese a cullarmi. “D’accordo, piccola
mia.” Acconsentì affatto sorpresa, a
dimostrazione del fatto che era a corrente dei miei sentimenti verso il
giovane.
“Ci siamo detti
addio”
singhiozzai poi.
“Era inevitabile
purtroppo,
lo sapevi che sarebbe potuto succedere. Ma hai fatto la scelta giusta,
credimi”.
Annuii. Ma perché se era
la
cosa giusta da fare mi faceva stare così male?
Perché mi sentivo morire ad ogni
respiro forzato?
Jadis sospirò affranta.
“Ora
tocca a me, sai anche questo, vero?” mi sussurrò
all’orecchio con tono
dispiaciuto.
Strinsi più forte gli
occhi
mentre il pianto aumentava. Si, lo sapevo.
Mi aggrappai con forza alle
sue spalle e cercai il suo sguardo. “Mamma, giurami che non
gli capiterà niente
durante la battaglia. Che li proteggerai se sarà
necessario.” Urlai sull’orlo
della disperazione. Non potevo nemmeno pensare che si ferissero o
addirittura
morissero in guerra. La mia mente si rifiutava categoricamente di
ponderare
l’ipotesi.
La regina mi guardò con
un
mare di tristezza nello sguardo mista a comprensione. “Ti
prometto che farò
tutto ciò che è in mio potere per
salvarli”. La sua voce solenne mi rincuorò un
poco.
Mi fidavo di mia madre,
sapevo che non avrebbe mai permesso la loro morte per mano di spada. Li
avrebbe
condotti sani e salvi a Londra.
Lontano
anni e chilometri da me…
Eccoci qua alla fine del
cappy... spero che nn stiate preparando fucili e cannoni, please! Per
chi di voi lo sta facendo chiedo solo di tenere presente che Cate nn ha
mai saputo cos'è l'amore materno e lo desidera
più di ogni altra cosa al mondo, ecco perchè
è fermamente decisa a nn ascoltare nessuno, specie
ora che nn ha prove materiali dell'effettiva crudeltà di
Jadis, dopotutto lei per ora ha conosciuto solo una donna che l'ha
voluta proteggere da tutto e tutti e che adesso l'ha faticosamente
ricontattata per ritrovare i rapporto madre-figlia che ha dovuto
perdere anni fa. Indi per cui ai suoi occhi Jadis è una
bravissima madre, nn ha motivo di credere a ciò che dice
Peter. E sempre per questo motivo nn la vede come una tiranna ma come
una vittima di quello che è successo milletrecento anni fa,
ecco perchè pur amando immensamente Peter non riesce a
dargli ragione e a mettersi contro la strega. Spero di
essermi spiegata :-) cmq devono succedere ancora molte cose quindi
è presto per tirare drammatiche conclusioni....la speranza
è l'ultima a morire come si suol dire ^^ un bacio e grazie
ancora per aver letto.-)!
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Capitolo 17 *** 16_Un cuore di ghiaccio non batte per nessuno ***
Hello everybody!!
Tataratà, il 16 cappy è arrivato in fine :-) la
seprazione di Cate e Peter ha scuscitato lacrime, però nn
tutto è perduto, anche se qst cappy seguirà la
vena triste dello scorso. Alle fan del caro Peter, vi prego, nn
vogliatemene per quello che succede in questo capitolo, mentre scrivevo
stavo soffrendo io per prima (e ciò vuole dire che
probabilmente devo essere un po' masochista -.- )
però vi assicuro che io adoro il biondo re di
Narnia quindi i danni che gli procuro nn posso che ripararli poi in
seguito! Con questa nota di speranza chiudo l'argomento Peter e vi
lascio dicendo solo che l'ultima parte del cappy è dedicata
a tutti i fan della coppia CaspianXSusan :-) fatemi sapere cosa pensate
di qst capitolo che come vi avevo promesso è più
ricco di azione dei precedenti e meno riflessivo^^ il prossimo
cercherò di scriverlo veloce veloce, promesso
;-)! Un
bacio-one-one-one-one!
Ringraziamenti:
SweetSmile:
Ciao! Felice che il cappy ti sia piaciuto :-)! Thanks^^ Vedere i due
piccioncini separati è una sofferenza anche per me, quindi
ti capisco! Speciò perchè si separano per cause
di forza maggiori e nn perchè nn si amano più
:-(!!! Ma si dice che l'amore è la forza più
grande di tutte, e se quello tra Peter e Cate è vero e
profondo vuol dire che la parola fine alla loro storia nn è
ancor stata scritta! Fammi sapere cosa pensi di quest'ultimo cappy :-)
aspetto la tua recensione:-) un bacione e grazie ^^!!
ranyare:
Ciao cara^^! Mi scuso in anticipo per quello che succederà
in questo capitolo! Chiedo venia perchè Peter se la
vedrà davvero davvero brutta, tanto da far dimenticare il
dolore che ha provato lo scorso cappy, (poverino, mi sto comportando
malissimo con quel poveretto di re, gliene sto facendo passare di tutti
i colori!!!! Prometto però che mi farò perdonare,
glielo devo!!) nn aggiungo altro, però preparati
psicologicamente...! Mi spiace per il problema personale che hai avuto,
spero di nn aver scritto nulla che ti abbia turbato, se è
così mi scuso tanto! Sono contenta che il cappy ti sia
piaciuto^^ specie il suo inizio, ero un po' titubante nel partire
lontanto dalla storia e arrivarci pian piano, temevo di annoiare, ma a
quanto pare invece è stato apprezzato *I'm happy!!*. Ho
iniziato a leggere la tua "Narnia's Rebirth", e ti posso dire che
è davvero stupenda!!!!!!**!Per ora sono agli inizi, sono
arrivata al terzo cappy ma proseguirò presto nella lettura!
Comunque ho scritto una recensione al terzo capitolo dove ti ho scritto
tutte le mie impressioni e pensieri che ti posso anticipare essere
entusiasti^^! nN Vedo l'ora di sapere le tue impressioni sul
sedicesimo capitolo, spero che ti piacerà :-)! Un bacione
grande egrazie per la tua recensione!!
noemy_moony:
Ciao! Contentissima che il cappy ti sia piaciuto! La separazione di
Cate e Peter è stato dolorosa anche per me scriverla,
però purtroppo era necessaria! Nn credo però che
Cathrine sarebbe felice di sapere che ci sei a consolare Peter, temo
sarebbe terribilmente gelosa e sapendo che è una strega io
avrei un po' paura fossi in te hihihihihhihih^^! Fammi sapere se il
continuo della storia ti piace :-)! Grazie mille per aver recensito^^
ti mando un grande bacio!!
Grazie infinite anche
ovviamente a tutti coloro che hanno aggiunto la storia alle seguite e/o
preferite o che solo leggono^^ Se volete farmi sapere le vostre
opinioni, sarei felicissima di ascoltarle!
Buona lettura
kisskisses
68Keira68
ATTENZIONE!!!!!!
La poesia che apre il capitolo non è mia, l'ho presa da un
sito su internet
(http://www.raccontioltre.it/2181/amore-impossibile/)un sito amatoriale
simile ad efp ma che pubblica poesie invece che fan fiction.
L'ho trovata cercando poesie sull'amore impossibile o
travagliato. Appena l'ho letta me ne sono innamorata, è
bellissima, l'autrice è davvero brava, e mi
sembrava anche che calzasse a pennello per Peter e Cate ^^
16_Un
cuore di ghiaccio non batte per nessuno
“Vorrei svegliarmi al
mattino
Con te vicino”
Ogni
risveglio, come quel risveglio… il primo dove i
raggi del sole ci hanno sorpresi l’uno accanto
all’altra e alla quale sarebbe
potuta seguire una lunga serie se i fatti si fossero svolti
diversamente. Quel
risveglio, dove i tuoi occhi azzurri si sono aperti per regalarmi la
tua
dolcezza e le tue labbra si sono dischiuse al mio tocco per donarmi un
bacio su
quelle dita che avevano percorso il tuo angelico profilo.
“Vorrei raccontarti le
mie
giornate
Abbracciata con te sul
divano”
Giornate
che la sera avremmo potuto rivivere insieme,
magari sotto il manto di stelle in riva alla spiaggia, la nostra
spiaggia, io
con la testa appoggiata al tuo petto caldo cullata dal tuo respiro, tu
con un
braccio stretto alla mia vita e una mano immersa tra i miei capelli.
Giornate
che ci avrebbero visti protagonisti, felici e innamorati, sempre
insieme a
godere della gioia e della fortuna che la vita ci aveva offerto dopo
tanto
aspettare.
“Vorrei che la notte ci
trovasse
Addormentati insieme”
Riposare
tranquilla tra le tue braccia,
protetta e in pace col mondo mentre mi sussurri con la tua voce calda e
avvolgente “Dormi mia piccola stella. Veglio io sul tuo
riposo”.
“Sogni, sogni
Non sono altro che sogni”
Sogni
che si sono infranti, dissolti come neve dinanzi
al sole della divergenza quando erano ancora acerbi, appena accennati.
E che
sciogliendosi hanno lasciato solo un vasto deserto di solitudine e
dolore che
vedo difficile, se non impossibile, superare. Tornerò mai ad
avere altri sogni?
Non credo, perché tu solo eri ciò che mi faceva
sognare.
“Tu non sei mio
Non sarai mai mio”
Eppure
l’ho pensato, immaginato, desiderato, agognato
e creduto. Ma ciò che fa ancora più male
è che lo penso, lo immagino, lo
desidero, lo agogno e lo credo ancora adesso. Adesso che tu non sei
più qui con
me e che mai lo sarai più. Il mio cuore ti chiede, ti
pretende, ti vuole. Non
riesce a capacitarsi che tu appartieni ai tuoi fratelli, a Narnia e ai
tuoi
ideali, anche se sbagliati, che ci hanno costretti a questa divisione.
Forse
perché invece io ti appartengo senza riserve. È
vero, mi sono schierata anche
io dalla parte dei miei ideali, di ciò che ritenevo giusto
allontanandomi da
te, ma il mio cuore non è venuto con me, ti è
rimasto accanto, nella sala di
pietra, poiché incapace di separarsi da ciò che
evidentemente ritiene suo unico
ed eterno padrone.
“Perché il
destino ci ha
fatti incontrare, innamorare,
ma non ci fa stare
insieme.”
Costretti
a dividerci per non rivederci mai più. Ma il
destino, non contento di separarci unicamente, ci ha voluto anche
opposti,
nemici su due file ben distinte, due rette parallele che non potranno
mai
incontrarsi. Nonostante io abbia provato a farle avvicinare fino a
renderle una
cosa sola con tutte le mie forze. Tentativo vano purtroppo. Non sono
stata
abbastanza forte per un odio così grande e un destino tanto
beffardo.
Una lacrima scivolò
giù fino
a cadere sulle pagine del libro contenente le parole di quella poesia
che
sembrava leggermi dentro. Il titolo era banale, “Amore
Impossibile”, eppure
esprimeva alla perfezione i sentimenti dall’autrice che al
momento coincidevano
alla perfezione con i miei. Sperai solo che per quella giovane donna il
suo
amore impossibile si fosse risolto. Col passare del tempo potevano
mutare molte
cose. A patto che il tuo amore non fosse stato esiliato in
un’altra dimensione.
Sfiorai con la mano i versi
scritti in corsivo presi da quel volume trovato sulla scrivania. Era
l’unico
libro presente nella stanza e sfogliandolo mi ero fatta
un’idea del perché.
Oltre quel componimento melanconico, il libro conteneva diverse
filastrocche,
poesie vivaci e storielle a lieto fine. Il genere di lettura adatta ai
bimbi
per farli addormentare.
Sorrisi immaginandomi Jadis
chinata sul bordo di una culla a recitare ninna nanne per farmi
addormentare.
Un sorriso fugace però, tanto che quando sparì
credei di averlo solo pensato.
Sospirai e ammirai la luna
che fulgida predominava il firmamento, immensa e protagonista di quel
manto blu
scuro. La luna non aveva la forza come il sole di rendere il cielo
azzurro e
luminoso, anzi, doveva all’eterno rivale se riusciva a
sfoggiare quel poco
chiarore, eppure romantica e argentea sembrava brillare più
di un diamante nel
nero della notte, simbolo della sua debolezza e del suo regno. Era
esattamente
come me. Anche io non avevo avuto la forza di illuminare una via
pacifica agli
occhi di Peter e mia madre, eppure nel mio fallimento buio brillavo
come la
nuova o ritrovata Principessa di Narnia, come ognuno, rivolgendosi a
me, mi
ricordava.
Avrei tanto preferito che
non lo facessero. Ogni soprannome onorifico era una stilettata al
cuore. Ogni
inchino, un doloroso ricordo. Parevano urlarmi di aver rubato il posto
di Peter
e dei suoi fratelli. Di averli traditi per una cosa che nemmeno
desidero. Il
trono.
A nulla valevano i miei
inutili tentativi di convincermi dinanzi allo specchio che non era
affatto
così. Mi ripetevo che non desideravo il potere, che avevo
semplicemente aiutato
mia madre a riprendersi ciò che era suo di diritto e che
quindi non avevo sottratto
nulla a nessuno. Ma soprattutto che l’essere divenuta
principessa era una
conseguenza, per giunta spiacevole, dell’avere soccorso
Jadis. Eppure i sensi
di colpa e la sensazione di aver usurpato il trono di Peter persisteva.
Nonostante la logica mi scagionasse, il mio cuore mi imputava come
colpevole e
non c’era alcuna via d’uscita per non sentirmi
così.
Strinsi forte le ginocchia
al petto e con la guancia appoggiata ad esse scrutai il cielo in cerca
di un
po’ di pace che la terra mi negava. Ormai quello che avevo
fatto era fatto. Non
potevo tornare indietro e cercare di essere più convincente
per confidare in un
risultato diverso da quello ottenuto. Peter aveva fatto la sua scelta
ed io non
potevo che adattarmi di conseguenza. Anche se ciò
significava soffrire
rannicchiata nella piccola nicchia accanto alla finestra della mia
stanza.
La porta si aprì,
facendo
entrare un fascio di luce che sovrastò quello tenue della
luna. Girai la testa
senza alzarla e il sorriso materno di Jadis mi salutò mentre
mi indicava con il
capo il vassoio che teneva stretto tra le mani contenente due tazze
fumanti.
“Ti ho portato della
tisana.
Ti aiuterà a calmarti, hai passato una lunga
serata” mi spiegò apprensiva.
Accennai ad un sorriso. Era
vero che stavo soffrendo rannicchiata in un anfratto della camera, ma
non ero
sola. La strada che avevo imboccato non mi conduceva solo al dolore
della
perdita di Peter, mi portava anche l’immenso piacere che
l’amore di una madre
può dare. E con quell’amore con il tempo la mia
ferita avrebbe smesso quanto
meno di sanguinare.
Le feci posto sul piccolo
divanetto e la regina si accomodò appoggiando tra me e lei
il vassoio in
argento.
“Grazie”
mormorai afferrando
il manico della tazza anch’essa argentata. Inspirai a fondo
il profumo che
emanava. Vaniglia. Lo stesso delizioso odore dei bastoncini che ogni
anno il
venticinque dicembre la nostra governante legava insieme ai tovaglioli
da
tavolo, quelli che di nascosto rubavo dalla cucina per portarli in
camera in
modo da diffonderne l’essenza nell’aria. Mi era
sempre piaciuto come profumo,
mi ricordava i piccoli e brevi momenti lieti della mia infanzia come il
Natale.
Soffiai sopra il liquido
color ocra per non scottarmi e poi accostai il bordo alla bocca per
sorseggiare
la bevanda, lieta di quel gesto d’affetto da parte di Jadis
che davanti a me
faceva scivolare il suo sguardo attento e protettivo sulla mia persona.
“Piccola mia, ti devo
informare di una cosa che non ti piacerà.”
Presi un altro sorso prima
di risponderle, più per concedermi del tempo per modulare la
voce e non farla
tremare che per bere ancora. Sapevo cosa doveva comunicarmi, eppure
dissi: “Su
cosa?”
Mi accarezzò con
tenerezza
la guancia prima di proseguire. “L’esercito
è pronto, non c’è più alcun
motivo
per tentennare e Narnia soffre ad ogni secondo che passa. Il momento
della
battaglia è prossimo” decretò.
Chiusi gli occhi e inspirai
a fondo. Credevo di non avere altre lacrime da versare eppure sentii
nuovamente
il bordo degli occhi pizzicarmi. Ma le ricacciai indietro, facendomi
forza
pensando che a Peter, Susan, Lucy ed Edmund non sarebbe stato fatto
alcun male
e che Caspian probabilmente sarebbe tornato come sovrano nelle sue
terre quando
Jadis si sarebbe occupata anche di Telmar. Ogni cosa si sarebbe risolta
e loro
sarebbero stati bene dopo essersi abituati di nuovo a Londra.
Annuii con il capo. Se
avessi parlato le mie parole sarebbe parse più un lamento
probabilmente. Sentii
la gola secca, come se ogni mia scorta idrica si fosse condensata al
livello
degli occhi lasciando sfornite le altre parti del corpo. Per rimediare
presi
un’altra lunga sorsata della tisana. Era calda e il sapore
dolce era accolto
felice dalle mie papille gustative.
Jadis mi diede un’altra
carezza. “Bevi piccola mia, ti farà stare meglio,
te lo prometto. Del resto non
ti devi preoccupare.” Un senso di calma mi avvolse. Forse la
tisana stava
funzionando davvero, e io che avevo sempre pensato che fossero
inutili… “Te
l’ho già detto, ora tocca a me, tu devi solo
riposare e recuperare la serenità
perduta.” Inspiegabilmente la tazza si fece pesante. Tenerla
in mano era una
sforzo, sentivo le dita intorpidite, le braccia fiacche, mentre la
testa
cominciava a farsi leggera. “Fidati di me,” la voce
di Jadis era un dolce
sussurro che fioco mi giungeva alle orecchie, ma non riuscivo a
concentrarmi
sulle parole, la mia mente iniziava a viaggiare alla deriva senza che
potessi
impedirlo mentre la vista si appannava. “il futuro ci attende
insieme con
promesse di pace e felicità.” Le palpebre si
abbassavano, obbedendo ad un
bisogno slegato dalla mia volontà. Avrei voluto alzarmi,
rispondere a Jadis,
eppure non riuscivo a compiere nessuna di queste azioni. Ci voleva
troppa
energia ed io non ne avevo nemmeno per impormi sui miei occhi, per
impedirgli
di chiudersi. Ma poi perché dovevo lottare contro questo
dolce tepore che mi
stava avvolgendo? Prometteva di tenermi al sicuro, di mantenere
distanti i
pensieri che mi tormentavano. Non era malvagio, non c’era
motivo di resistere…
le palpebre si chiusero mentre la testa scivolò
delicatamente all’indietro fino
ad appoggiarsi contro il muro alle mie spalle.
La tazza scivolò dalla
mia
mano incapace di sostenerla, cadendo a terra. Il tonfo, attutito per
gran parte
dallo spesso tappeto che ricopriva la stanza fu l’ultima cosa
che fui in grado
di udire prima di perdere conoscenza…
Soddisfatta di vedere la
propria figlia addormentarsi placidamente, la Strega Bianca si
alzò dal piccolo
divano, lisciandosi l’ampia gonna con indifferenza.
Perfetto, la tisana corretta
con un potente sonnifero aveva sortito immediatamente
l’effetto desiderato,
facendo crollare la ragazza in un sonno privo di sogni che sarebbe
durato come
minimo fino al pomeriggio del giorno dopo.
Avrebbe avuto tutto il tempo
per ingaggiare la guerra quella sera stessa. I Pevensie sarebbero
capitolati
prima che la figlia si ridestasse.
Così
non correrò il rischio di un suo intervento
indesiderato alla battaglia.
Di certo non poteva
rischiare che Nives vedesse come la promessa di non torcere un capello
ai
quattro ragazzi venisse infranta senza rimorso. Avrebbe perso fiducia
nella
strega, fiducia che quest’ultima aveva conquistato
faticosamente e che le
serviva per assicurarsi la fedeltà e di conseguenza i poteri
della giovane in
previsioni di guerre future.
Jadis sorrise beffarda
osservando l’espressione rilassata che sua figlia ora
ostentava nel sonno da
lei procuratole. Era tranquilla, si sentiva al sicuro per merito suo
perché
credeva totalmente in lei, che non avrebbe fatto alcun male
né alla sua persona
né ai suoi amici.
Povera sciocca. Non si
rendeva affatto conto di essere solo il pezzo più importante
di una partita
millenaria ben più grande del modesto e ridicolo desiderio
di “essere amata”,
ma ciò ovviamente giocava a suo favore.
Tzé, Nives
l’aveva
supplicata tra le lacrime di non nuocere ai quattro ragazzi. Con la sua
anima
immacolata e ingenua di certo non poteva immaginare a quale cuore stava
chiedendo di essere ascoltata.
Un cuore di ghiaccio. E un
cuore di ghiaccio non batte per nessuno. Nemmeno per una ragazzina
spaurita e
così facilmente influenzabile.
Se non avesse dovuto
recitare la parte della madre impeccabile per il suo tornaconto, le
avrebbe
riso in faccia a quell’assurda quanto sdolcinata richiesta.
Come poteva davvero
pensare che non avrebbe torto una capello a coloro che
l’avevano costretta
all’esilio dalla sua terra dopo averla usurpata e umiliata?
Aveva passato
milletrecento anni agognando il giorno in cui avrebbe potuto vendicarsi
di ogni
singolo minuto trascorso nel limbo e avrebbe realizzato il suo
desiderio. Si
era perfino chiesta se veramente quella stupida e perbenista bimbetta
fosse sua
figlia. Come poteva aver dato alla luce un’altruista fino al
midollo capace
solo di piangersi addosso? Evidentemente l’essere cresciuta
sulla Terra l’aveva
rovinata. Per fortuna ciò non pareva aver intaccato la forza
dei suoi poteri,
che invece sembravano molto più grandi di ciò che
aveva immaginato. Con
dell’esercizio e la pratica quella ragazzina poteva diventare
davvero potente. Un’ottima
arma contro i suoi nemici per la quale valeva la pena recitare parti
smielate.
Jadis lanciò
un’occhiata
fuori dalla finestra. La luna era alta nel cielo, era ora di partire.
Si voltò
incamminandosi in fretta verso la porta della camera. Una volta sulla
soia
diede un ultimo sguardo alla figlia, addormentata sul divanetto avvolta
in una
calda coperta. Strano, in teoria una Strega Bianca non avrebbe dovuto
provare
freddo, ma forse quella di stringersi in una coperta era solo
un’abitudine
presa negli anni più che un mero bisogno fisico.
Un sorriso le curvò le
labbra. Ma non fu un sorriso intenerito alla visione di Nives
accoccolata sotto
la finestra, bensì un ghigno crudele e soddisfatto, che
pregustava ciò che
stava per accadere.
Dormi
piccola ingenua ragazza. Io vado a prendere ciò
che è mio, la corona e la vendetta. Non
c’è spazio per stupidi sentimentalismi
in questo gioco.
*
Congelati. Interamente.
Tutti. Tutto.
Le case inglobate dalla
ghiaccio. Le strade sommerse dalla neve. L’aria fredda e
irrespirabile. Le
persone. Addirittura le persone. Dal più grande al
più piccolo, contadini,
commercianti, nobili, adulti, bambini, donne e uomini. Tutti fino
all’ultimo
congelati. Simili a statue di ghiaccio eterne, riempivano le strade, le
loro
case, le botteghe e le taverne. Creando “un terribile e
macabro museo”, come lo
aveva descritto Caspian tra un tremito e l’altro, una volta
tornato con
espressione scioccata dalla quotidiana ronda. Il principe era davvero
sconvolto. Pallido in volto, era preda di violenti scossoni, tanto che
era un
miracolo che fosse riuscito a cavalcare fino a tornare
all’edificio senza
cadere. Ma come biasimarlo in fin dei conti aveva visto la sua gente,
la sua
casa, interamente ricoperta dal ghiaccio. Altro che shock, era una
visione
capace di distruggerti.
Peter, con un braccio
appoggiato sul cornicione della finestra della sua stanza per
sostenersi,
scosse lievemente la testa, riflettendo tra sé e
sé. L’accaduto si era svolto
quello stesso pomeriggio, mentre Cathrine era con lui, e concluso entro
la
sera, dato che Caspian si era recato a Telmar dopo che la giovane gli
si era
volatilizzata dalle braccia. Cathrine lo aveva informato sulle
intenzioni di
occuparsi di Miraz di Jadis, ma mai avrebbe pensato che potesse
sbarazzarsi dei
telmarini così in fretta. E in un modo tanto atroce.
A giudicare dal racconto di
Caspian, non si era svolta alcuna battaglia. La mano fredda della
Strega Bianca
era scesa con il suo dono di morte apparente sugli ignari cittadini
senza che
loro avessero il tempo di accorgersene e di organizzarsi, rimanendo
congelati
nell’esatta posizione in cui erano quando la regina era
giunta. Terribile.
Semplicemente terribile.
E la mi
stella è in compagnia di quella donna, preda
delle sue menzogne che l’hanno allontanata da me.
Indifesa, inconsapevole di
chi avesse accanto e del pericolo che correva. Questa la condizione
attuale di
Cathrine. Condizione che riempiva di apprensione il maggiore dei
fratelli
Pevensie.
Alla fine ci era riuscita,
Jadis era riuscito a strappargli via il cuore e la mente di Cathrine.
No,
è una bugia. La sua mente forse è ottenebrata
dalle bugie, ma il suo cuore è libero dalla stretta
dell’infida strega ed è
mio. Mi appartiene come mi ha dimostrato baciandomi tra le lacrime. Mi
appartiene come il mio appartiene a lei.
La contraddizione nacque
spontanea nella sua mente ed ebbe il potere di rincuorarlo. Almeno un
poco.
L’unica cosa che lo avrebbe fatto stare totalmente bene era
lontana da lui. Una
distanza di chilometri e falsità creata dalla Strega Bianca.
Una distanza che
non avrebbe mai dovuto esserci e che lo stava logorando
dall’interno, per il
dolore, la tristezza della separazione, per la rabbia di non essere
riuscito a
mettere i bastoni tra le ruote a Jadis, per l’insofferenza
per la situazione
attuale…
Le dita scrocchiarono
serrandosi. Il braccio si fletté e il pugno partì
contro il muro. Un rumore
sordo, segno che il colpo aveva raggiunto la superficie di pietra. La
mano
cominciò a pulsare, faceva male, ma era un dolore che faceva
bene. A differenza
di quello che provava al cuore, questo era un dolore benefico. Gli
serviva
proprio per riemergere da quello interno, per scuoterlo
dall’autocommiserazione. Per ricordarsi che doveva reagire,
che non tutto era
perduto, che c’era ancora speranza perché lui era
ancora vivo, pronto a
colpire, a difendere Narnia. A riprendersi Cathrine.
Ma poteva farlo solo se la
smetteva di stare in stato catatonico a ricordarsi ciò che
aveva perso
momentaneamente.
Un lampo di decisione
passò
negli occhi azzurri del giovane mentre alzò il capo per
fissare lo spettacolo
del firmamento che gli si proponeva dinanzi.
Il tempo per piangersi
addosso era definitivamente concluso. Ne aveva speso in questo modo
più che a
sufficienza. Ora era giunto il momento della spada.
Un cigolio, dei passi
leggeri e la mano di sua sorella Susan gli strinse delicatamente la
spalla per
attirare la sua attenzione.
Peter voltò il capo e
incontrò il suo guardo. Era calmo ma risoluto. Conscio della
tempesta che li
aspettava ma non per questo spaventato, semmai deciso ad affrontarla a
testa
alta.
“Caspian si è
ripreso” lo
informò con il tono fintamente neutro che Peter ben
conosceva. Era il tono che
usava quando voleva celare il tumulto di emozioni che conteneva dentro.
Era il
tono che si accoppiava con la riga dritta e piatta delle labbra, una
via di
mezzo tra un’espressione neutra e una seria.
Chissà quanto doveva
essere
stata preoccupata per il giovane principe. Certamente abbastanza da non
volerlo
far sapere in giro, a giudicare dalla voce. Ma davvero sperava che suo
fratello
non capisse ciò che provava nonostante i suoi blandi
tentativi di nasconderlo?
Quando Susan aveva visto
entrare Caspian nella sala della tavola di pietra, con gli occhi
sbarrati,
vitrei, i capelli e i vestiti scompigliati segno di una cavalcata
sostenuta, e
il viso bianco e sconvolto, si era precipitata verso di lui,
dimenticando in un
attimo tutte le remore che da sempre aveva sul far apparire
ciò che provava
dinanzi a tutti. Gli aveva preso la testa nelle sue mani e lo aveva
costretto a
guardala negli occhi, come se volesse trasmettergli tutta la sua calma
e
stabilità in cambio della confusione che albergava in quelli
neri del giovane.
Lo aveva accarezzato con dolcezza e infine, stupendo ogni singola
persona
presente in sala, lo aveva stretto a sé con un amore quasi
palpabile e il volto
segnato dalla preoccupazione. Un azione così insolita che
era riuscita a
risvegliare Caspian dallo stato catatonico in cui verteva. A contatto
con il
corpo di Susan, il principe sembrò rendersi conto
razionalmente di dov’era,
davanti a chi, ma soprattutto a chi si stava stringendo. Tre fattori
che
bastarono per fargli recuperare la ragione nello sguardo e il colore
sulle
guancia per l’imbarazzo. Imbarazzo non abbastanza grande
però da convincerlo a
sciogliere l’abbraccio. Anzi, infischiandosi degli occhi
scrutatori e attenti
di Peter che li fissava a metà tra il contrariato e il
contento, le passò
entrambe le braccia attorno alla vita e la strinse più forte
a sé, affondando
il suo viso nella spalla e trascorrendo così i successivi
cinque minuti, nel
più totale e sbigottito silenzio da parte degli astanti.
Si separarono solo quando
Lucy, divertita e impaziente, si schiarì forte la voce,
richiamando
l’attenzione dei due ragazzi, che accortesi della situazione,
rossi in volto,
si distanziarono di poco, senza però che il braccio di
Caspian si allontanasse
dalla vita di Susan, quasi avesse bisogno di quel contatto per
raccontare gli
avvenimenti visti.
“Ne sono
felice”
Susan sospirò. Non erano
le
condizioni del giovane il motivo della sua visita.
“Fuori tutto è
calmo. Anche
troppo” sbottò infine.
Bingo.
“Vuol dire che lei si sta
avvicinando. Tra poco sarà qui”
sentenziò il re, osservando a sua volta la
foresta che si estendeva dinanzi al loro avamposto. A differenza della
voce
della sorella, la sua faceva ben trasparire ciò che sentiva.
Fermezza, rabbia,
un’implicita sfida. Se voleva la guerra, l’avrebbe
avuta. Lui di certo non si
sarebbe tirato indietro. Se voleva riprendersi il trono,
l’avrebbe pagato a
caro prezzo.
“L’esercito
è pronto” gli
comunicò telegrafica. Silenzio per due minuti, poi decise di
dire ad alta voce
ciò che entrambi sapevano ma che non volevano udire.
“Sai che sarà dura”
Un’occhiata infastidita e
le
labbra si strinsero fino a sbiancare.
Se lo sapeva? Certo che si!
Il potere di Jadis era immenso e loro, non potendo contare
sull’aiuto di Aslan,
erano sprovvisti di una difesa resistente contro la sua magia. A
peggiorare le
cose c’era il cambio di posizione di Nives. Era sicuro che
non sarebbe scesa in
guerra contro di loro, ma i narniani avevano perso una preziosa alleata
contro
la Strega Bianca. E infine Jadis era anche riuscita a sottrargli
metà del suo
esercito, tra bugie, sortilegi e ricatti. Dire che erano in svantaggio
era un
eufemismo. La battaglia sarebbe finita in favore di Jadis, esattamente
come era
successo nello scontro con Telmar. Anzi, peggio. Perché se
il destino riservato
ai telmarini era stato crudele, il loro lo sarebbe stato
senz’altro il doppio.
Sarebbe stato troppo facile
rimanere congelati. Jadis voleva vendetta per quello che le avevano
fatto.
Voleva batterli platealmente con il suo esercito, sconfiggerli,
umiliarli e poi
distruggere lui e i suoi fratelli pian piano, in barba a ciò
che ingenuamente
Cathrine credeva sua madre avrebbe fatto.
Ma pur sapendo tutto ciò
non
poteva tirarsi indietro.
Scappare era inutile, non
avevano dove andare e comunque Jadis li avrebbe scovati ovunque.
Consegnarsi
era fuori discussione. A parte il fatto che non li avrebbe risparmiati
ugualmente,
si sarebbe ucciso da solo ancor prima di compiere un gesto tanto da
codardo.
Rimaneva un’opzione sola. Combattere e sopportare le
conseguenze. Almeno
avrebbe avuto la coscienza apposto e sarebbe morto con onore, lottando
per ciò
in cui credeva.
Peter si girò deciso
verso
Susan, un’espressione orgogliosa in volto, animato da questi
pensieri.
“Probabile, ma almeno sarò morto facendo un
tentativo. Se Jadis rivuole la
corona per far risprofondare Narnia nella desolazione e nella
schiavitù, dovrà
prima tagliarmi la testa con la spada.”
Susan sbuffò e
alzò gli
occhi al cielo, la maschera disinteressata crollata dinanzi
all’affermazione
teatrale del fratello.
“Shakespeare non avrebbe
saputo scriverti una battuta migliore sai?”
commentò acida, guadagnandosi
un’occhiataccia.
“Non sto scherzando
Susie”
La regina si passò una
mano
sulla fronte. “Lo so purtroppo.” Gli
assicurò. “Ma quel che è
peggio” aggiunse
in seguito “e che io, come credo anche Edmund e Lucy, la
penso come te” ammise,
abbozzando un mesto sorriso.
L’espressione orgogliosa
e
ferma di Peter si sciolse in una più tenera, commosso dalle
parole della
sorella. Sapeva che amavano Narnia quanto lui e che non avrebbero mai
abbandonato né la terra né loro fratello, ma
sentirlo pronunciare era comunque
confortante.
Eliminò la distanza e la
abbracciò, comunicandole così il suo
apprezzamento.
Susan ricambiò la
stretta,
seppellendo il viso nella spalla di Peter.
“Abbiamo cominciato
questa
enorme avventura insieme e la finiremo insieme” gli promise
la giovane regina.
“Nel bene e nel
male”
concluse Peter, accarezzandole teneramente il capo castano, ma mentre
lo
diceva, giurava a se stesso che avrebbe fatto ogni cosa in suo potere
per
impedire che i suoi fratelli finissero
quell’avventura insieme a lui. Finché fosse stato
in grado di brandire una
spada, gli avrebbe difesi senza esitare.
Poi lo sentirono.
L’atmosfera si fece più tesa. Un vento gelido
prese a soffiare tra gli alberi e
uno squillo di tromba annunciò che la loro ancestrale rivale
era infine giunta.
Peter e Susan sciolsero
l’abbraccio, tenendosi però per mano,
trasmettendosi forza a vicenda.
Un’espressione decisa, ferma, conscia di ciò che
dovevano fare albergava sui
loro volti. Non c’era spazio per l’ansia o
l’esitazione, erano i sovrani e non
dovevano tentennare quando dovevano tentare di salvare il loro popolo.
“Per Aslan”
“E per Narnia”
aggiunse
Peter, risoluto.
E insieme uscirono con passo
veloce dalla camera, correndo verso il loro esercito. Per la loro
causa. Contro
Jadis.
La battaglia tanto temuta,
era iniziata.
*
“Peter, sono al limitare
della foresta”
“Sono sbucati fuori dal
nulla”
“L’esercito
è schierato”
Rumore di spade sguainate,
la corsa delle donne e dei bambini per allontanarsi dal campo di
battaglia, i
pianti, le urla. E la tensione, inudibile ma palpabile tanto da rendere
l’aria
irrespirabile.
Erano passati anni
dall’ultima guerra, ma la frenesia che vedeva attorno a
sé l’istante prima di
andare all’attacco era sempre uguale. Ed uguale era anche
l’adrenalina e
l’assoluta freddezza mentale che riusciva a regalargli, due
doti necessarie per
condurre il suo esercito.
Il Re Supremo di Narnia si
voltò verso Edmund, Lucy e Caspian che lo avevano travolto
di informazioni
appena entrato nella sala.
“Gli arcieri sono
schierati?” domandò al fratello minore.
“Si”
“Bene, Susan, va da loro
e
tieniti pronta” ingiunse alla regina che obbedì
volatilizzandosi senza nemmeno
rispondere. “Lucy, tu occupati delle donne e dei bambini
all’interno
dell’edificio e provvedi affinché stiano fuori
dallo scontro” ordinò poi alla
sorella minore che acconsentì sparendo anche lei al pari di
Susan. “Voi due
invece” disse infine rivolto ad Edmund e Caspian
“con me. Guideremo la
fanteria. Edmund, tu retrovia, Caspian, prima carica con me”
dispose.
Non un’obbiezione.
Neanche
una singola e misera parola venne pronunciata contro gli ordini del re.
Ciò
perché i quattro ragazzi riponevano ogni loro speranza di
vittoria e di
salvezza in lui. Sapevano che se c’era una
possibilità di farcela Peter
l’avrebbe afferrata, loro dovevano solo ubbidirgli. E
così avrebbero fatto.
Avrebbero seguito il Re di
Narnia fino alla fine perché qualunque essa fosse stata,
ognuno di loro sapeva
che Peter avrebbe fatto del suo meglio prima di arrivarci.
Seguito dai due ragazzi
mori, il giovane re attraversò a grandi falcate il
corridoio, uscendo alla
fresca aria notturna, satura di aspettative, di respiri agitati e cuori
scalpitanti.
Trovò il suo esercito
schierato come gli era stato detto. I narniani, ricoperti delle loro
armature,
imbroccate le loro lucide e letali armi, attendevano il loro comandante
con
impazienza. L’espressione sui loro volti era tesa e
preoccupata. Sapevano che
le chance di vittoria erano poche, eppure nei loro occhi coglieva quel
lampo di
sfida, quella voglia di non arrendersi e di lottare fino
all’ultimo che aveva
attraversato i suoi poco prima nella sua camera.
Si concesse un sorriso di
orgoglio nel vederli in riga e pronti a scattare al suo segnale. E si
sentì
onorato di poter guidare quell’esercito formato da cuori
coraggiosi e animi
nobili, formato da persone pronte a morire per ciò che
ritenevano giusto.
Formato da persona animate dai suoi stessi ideali e che sentiva
così vicine a
lui nonostante le diversità di razza.
Farò
del mio meglio, ve lo giuro…
Un altro corno squarciò
l’aria, segno che l’esercito nemico si era
avvicinato di un altro centinaio di
metri.
Rivolse l’attenzione al
limitare della foresta e vide ciò che mai avrebbe voluto
rivedere.
A bordo del suo cocchio
trainato da orsi polari, con in mano la spada e lo scettro, avvolta
dalle sue
vesti da battaglia, c’era la Strega Bianca. Peter
deglutì a vuoto solo una
volta prima di recuperare velocemente tutta la sua ferma sicurezza.
Sapeva che
era tornata, ma ritrovarla dinanzi a sé, nuovamente a capo
di un esercito più
numeroso del suo, era comunque un forte colpo da attutire. Rapide
immagini
dell’ultima volta in cui si erano incontrati gli
attraversarono la mente. I
suoi colpi precisi con la spada si contrapposero allo scettro donatore
di morte
di Jadis in un turbine di ricordi che culminarono con la visione di
Aslan, che
vincitore si scostava dalle corpo privo di vita della strega.
Quella volta ci era
riuscito. Aveva vinto e portato la pace a Narnia. Ma quella
volta c’era Aslan. Sarebbe riuscito ad ottenere lo stesso
risultato senza l’aiuto del grande felino?
Bene,
è il momento di scoprirlo.
Ma mentre formulava questo
pensiero poteva quasi scorgere il sorriso beffardo della strega, come
se lo
deridesse del suo ottimismo, certa che da solo non sarebbe mai riuscito
nei
suoi scopi.
Peter strinse i denti, poi
sfoderò la spada.
“Popolo di
Narnia” si
rivolse al suo esercito, la spada in alto, la voce profonda che
echeggiava tra
le file dei soldati “sono secoli che subiamo gravi perdite.
Molti tra noi hanno
perso persone care che a loro volta hanno dato la vita. Abbiamo perso
le nostre
terre e le nostre case. Eppure, nonostante questo, siamo ancora qui,
vivi e con
la forza di reggere le nostre spade in mano.” Il tono di voce
si alzò mentre il
cuore prendeva a battere violento, animato dal suo stesso discorso
“Siamo
ancora qui, perché nonostante le violenze e i soprusi non
abbiamo ancora
smarrito il nostro coraggio, il nostro onore, la nostra
dignità, il nostro
desiderio di giustizia, la nostra identità. E con questo e
per questo io vi
chiedo di combattere oggi. Per difendere quello che avete nel vostro
cuore e
nel vostro animo, per impedire che vi venga tolta la vostra
libertà e per
riottenere quello che è vostro!”
Un tumulto esplose. Grida e
urla di approvazione scoppiarono alle parole del loro re, voci che
infine si
unirono in un coro, il quale si levò alto e sentito,
vibrante di emozione.
“Per Narnia”
Una parola, una promessa,
una missione.
“Per Narnia!”
Peter unì la
sua voce a quella dei suoi uomini, puntando la spada al cielo, in un
complesso
di voci che continuò finché l’ennesimo
corno nemico risuonò sinistro
squarciando la quiete notturna.
L’esercito si
zittì. Ognuno
si mise in posizione d’attacco, pronto a scattare appena il
loro re l’avesse
ordinato.
Peter medesimo afferrò
la
spada con ambo le mani e cominciò a squadrare le file
nemiche avvicinarsi. Per
ora non doveva dare il segnale d’attacco,
l’esercito di Jadis doveva
avvicinarsi di altri duecento metri, poi si sarebbe trovato sotto tiro
dei suoi
arcieri, appostati sul tetto dell’edificio e nascosti alla
vista dei nemici
dall’oscurità della notte.
Cento
metri….cinquanta….trenta…venti….dieci…
Si voltò celere alle sue
spalle, la spada in alto che luccicava al chiarore della luna. Un
secondo dopo,
sibili di frecce giungevano alle loro orecchie e una pioggia di dardi
letali e
invisibili si abbatté sui loro nemici. La prima carica era
stata lanciata con
precisione, degna della grande fama della bravura degli arcieri di
Narnia,
specie se comandati da Susan, imbattibile in quell’arte.
Della seconda bordata si
occuparono i grifoni e le aquile. Agili e maestosi spiegarono le loro
ali
scendendo in picchiata contro l’esercito degli oppositori,
liberando dai loro
acuminati artigli pesanti pietre che mieterono altre vittime
schiacciandole.
La terza non si fece
attendere, ma l’effetto a sorpresa purtroppo era andato
perduto e Jadis non si
faceva prendere alla sprovvista per tre volte di fila. Una barriera
magica
venne innalzata a protezione dei suoi soldati giusto un secondo prima
che le
frecce e le pietre potessero recidere altre vite, ma a quel punto erano
sufficientemente vicini per un attacco frontale.
Peter alzò nuovamente la
spada al cielo.
“Per Narnia”
incitò
un’ultima volta prima di abbassare l’arma e dare
così il segnale d’attacco.
In un istante il rumore
della carica dei soldati dei Pevensie sovrastò qualsiasi
altro suono.
Il giovane re venne travolto
dalla sensazione del proprio sangue che violento gli pulsava nelle
tempie, il
battito del cuore che gli rimbombava nelle orecchie. Sentì
forte la presenza
delle sue braccia che sorreggevano la spada, del busto che si sporgeva
in
avanti per attaccare, delle gambe che correvano incontro al nemico.
Verso la
vittoria o la morte.
Il primo colpo andò a
segno
quasi senza che se ne accorse. Fulminea e precisa, la lama affilata
trapassò
senza sforzo il fianco di un fauno, e prima che il corpo privo di vita
del
soldato si accasciasse a terra, Peter era già alle prese con
un minotauro, più
impegnativo da abbattere del precedente avversario. Schivò
un fendente saltando
verso destra e poi un altro verso sinistra. Provare a pararli con la
spada era
fuori discussione, la forza fisica del minotauro era infinitamente
superiore
alla sua e il contraccolpo lo avrebbe tramortito o spezzato un braccio,
doveva
puntare sull’agilità. Evitò altri due
affondi, portandosi con l’ultimo alle
spalle dell’avversario. Un colpo rapido all’altezza
del collo e il minotauro
crollò su se stesso.
Sfruttò il secondo
successivo di tregua per guardarsi attorno. Trovò per primo
Edmund, impegnato
in uno scontro con un centauro, difficile da uccidere ma non
impossibile per le
abilità di suo fratello. Caspian era dalla parte opposta ad
Edmund. Stava
combattendo con un fauno e un nano contemporaneamente, dimostrando
più agilità
con la spada di quella che Peter si augurava. Meglio così.
Scorse anche Susan,
scesa dalla postazione precedente per dar man forte sul campo di
battaglia.
Scagliava frecce con una precisione e una velocità
disarmanti, nessuno né a
Narnia né in nessun altro luogo avrebbe potuto eguagliarla.
Ma la cosa più
importante era che nessuno dei tre al momento sembrava aver riportato
gravi
ferite. Infine individuò chi stava realmente cercando. Jadis
era alla sua
destra, molto distante da lui.
Si buttò in quella
direzione. Doveva raggiungerla e cercare di eliminarla, la morte della
Strega
era la loro unica possibilità di vittoria. Ma un fiume di
soldati si frapponeva
tra lui e la sua meta e Peter si ritrovò a doversi far
strada a colpi di spada.
Cercava di essere il più veloce possibile, uccideva solo
coloro che gli
bloccavano la via e con fendenti più rapidi e precisi
possibili. Doveva
arrivare da Jadis in fretta, ogni secondo che passava erano vite, sia
del suo
esercito che di quello della strega, che perdeva.
Affondo, parata, fendente,
parata, schivata, affondo. Passi di una danza alla quale era avvezzo,
nonostante gli anni di inattività. Era come andare in
bicicletta, una volta che
si imparava a stare su un campo di battaglia, non si dimenticava
più. I suoi
sensi erano tutti allerta, tesi al massimo come i muscoli. Si sentiva
forte,
agile e pieno di energie. La mente predisposta alla battaglia gli
permetteva di
prevedere in anticipo le mosse dell’avversario, spesso
banali, da manuale, e di
contro attaccare con efficacia, cogliendo di sorpresa il nemico,
ferendo e
uccidendo con precisione nei punti che sapeva essere meno protetti.
Altro secondo di tregua.
Peter prese un respiro e cercò affannosamente di nuovo i
suoi fratelli e
Caspian. La prima cosa che notò però suo malgrado
fu constatare che il suo
esercito era in serie difficoltà.
L’abilità e la tenacia dei suoi soldati
parevano schiacciati dalla ferocia e dal grande numero di quelli di
Jadis.
Maledizione.
Devo sbrigarmi…
Poi ad trentina di metri di
distanza scorse Edmund. Segnava affondi su affondi.
Un
inarrestabile e temibile soldato. Pensò orgoglioso il
biondo. Lanciò un’occhiata alle
sue spalle cercando la sorella e il principe e un groppo gli si
fermò in gola. La
loro situazione era peggiorata. Caspian stava sorreggendo Susan
passandole un
braccio attorno alla vita mentre con l’altro cercava di
difendere entrambi
dagli attacchi nemici. La giovane regina era pallida,
l’espressione sofferente.
Era stata ferita gravemente anche se da quella distanza era impossibile
per
Peter capire dove e quanto era stata colpita. Il ragazzo
imprecò a mezza voce.
Avrebbe voluto correre dalla sorella per assicurarsi della sua salute e
portarla lontano da lì, dentro l’edificio, al
sicuro, ma non poteva. Doveva continuare
a combattere, specie con il suo esercito in difficoltà.
Prese un bel respiro e si
costrinse a scacciare via la preoccupazione. Susan era in ottime mani,
Caspian
non avrebbe mai permesso che si avvicinasse qualcun altro ora che le
era
accanto. Lui aveva una missione da svolgere e il fatto che Susan fosse
stata
ferita doveva solo incentivarlo a terminarla in fretta e con successo.
Si concesse un sorriso
ironico pensando che la sua decisione sarebbe stata ampiamente
approvata dal
raziocinio della sorella. Anzi, probabilmente se l’avesse
raggiunta ora
voltando le spalle ai suoi doveri lo avrebbe rispedito in dietro a suon
di
frecce.
Con questa consapevolezza,
Peter non indugiò oltre e proseguì, ignorando del
tutto l’ansia. A qualche
metro da Jadis, aveva perso il conto del numero di vittime fatte. La
spada,
prima lucida, era interamente rosso scuro, come anche la sua armatura,
macchiata in più punti da sangue fortunatamente non suo. Il
sudore colava dalla
fronte per gli sforzi fatti, il fiato cominciava a farsi corto, mentre
il
braccio accusava i primi segni di affaticamento, ma
l’adrenalina e la tenacia
che provava lo animavano al punto da non dare peso alla stanchezza.
Doveva
continuare a combattere senza preoccuparsi del suo fisico. Se fosse
sopravvissuto, ci sarebbe stato tempo dopo per leccarsi le ferite.
Un battito di ciglia, e gli
sguardi dei due contendenti al trono si incrociarono.
Azzurro contro azzurro.
Ghiaccio freddo contro un cielo limpido. Spietatezza e arroganza contro
determinazione e umanità.
Un sorriso beffardo e Jadis
si voltò con grazia verso Peter, infliggendo rapida
l’ultimo colpo al centauro con
la quale si stava misurando, facendolo crollare a terra senza alcun
riguardo.
Lineamenti perfetti quanto
freddi, luce folle ad animarle lo sguardo, postura dritta e regale
anche
durante la battaglia. La Strega Bianca si presentava al giovane re di
Narnia
identica all’ultima volta che l’aveva vista.
“Bene, bene. Peter caro,
mi
sei mancato, sai?” lo sbeffeggiò la strega facendo
roteare con la mano destra lo
scettro magico.
“Tu per niente, ecco
perché
intendo rispedirti da dove sei tornata” le parole minacciose
vennero quasi
ringhiate dal ragazzo che trasudava odio da ogni parte verso la donna
che aveva
dinanzi. Finalmente poteva guardare negli occhi la persona che gli
aveva
portato via metà del suo esercito, che rischiava di fare
piombare Narnia
nuovamente nella schiavitù e che aveva avvelenato la mente
della sua Cathrine.
Il sorriso ironico si spense
sul viso della strega mentre scendeva dal suo cocchio con eleganza.
“Senza Aslan? Ah. Ne
dubito”
lo provocò.
Il colpo arrivò veloce,
quasi invisibile per dei riflessi meno allenati di quelli di Peter che
riuscì a
pararlo solo all’ultimo secondo. Jadis rise soddisfatta
dinanzi alla fatica del
giovane e senza attendere oltre caricò un altro affondo. Ma
questa volta il re
era pronto e contrattacco con forza, deviando la traiettoria della
spada
avversaria e cominciando ad attaccare a sua volta. Riuscì a
far arretrare Jadis
di qualche passo, ma presto lo sforzo di evitare i colpi sia dello
scettro che
della spada si fece sentire.
Bastò un attimo. La sua
attenzione vacillò per un solo secondo e la strega ne
approfittò per un affondo
con la spada. Peter lo vide troppo tardi e non riuscì a
pararlo del tutto. La
lama gli ferì il fianco destro di striscio, un taglio non
troppo profondo e di
certo non letale, ma sufficiente a fargli chiudere gli occhi dal
dolore.
Sostenne il peso della spada solo con la mano sinistra per tamponarsi
la ferita
con la destra ma Jadis non gli diede il tempo per riprendersi dal male.
Incalzò
con una serie di colpi, soddisfatta dal piccolo successo e mettendo in
crisi
Peter.
Il ragazzo fu costretto ad
arretrare senza poter fare un affondo efficace poiché
costretto a sorreggere la
spada con solo una mano.
Se
continua così non ho speranze…
Stringendo i denti, Peter
ignorò il dolore al fianco destro e riprese la sua arma con
ambo le mani,
caricando l’attacco. Quando la sua lama si scontrò
con quella di Jadis le fitte
al fianco per il contraccolpo non si fecero attendere, ma il re non
cedette e
proseguì con un secondo affondo che andò a segno.
La manica del vestito di
Jadis si tinse di rosso segnalando un taglio profondo
sull’avambraccio.
Peter ghignò soddisfatto
nel
vedere il lampo di collera e stupore che attraversò gli
occhi della Strega
Bianca. Ma fu un ghignò che venne presto cancellato.
Accecata dalla furia,
Jadis iniziò a mulinare spada e scettro in una serie di
attacchi rapidi ed
efficaci. Portò il duello ad un ritmo sostenuto che avrebbe
messo in ginocchio
qualsiasi persona presente sul campo di battaglia. Qualsiasi ma non
Peter.
Il re, forte della sua
determinazione e della sua esperienza, sostenne abilmente ogni affondo
rispondendo a tono con la sua lama, finché non prese
direttamente in mano il
duello e cominciò a condurre quella letale danza.
Schivava agilmente la magica
punta dello scettro, parava la lama di metallo,
attaccava senza sosta e presto riuscì a ferire
di nuovo la strega,
procurandole un lungo taglio sulla coscia, che cominciò a
sanguinare
copiosamente. Jadis urlò dal dolore e dalla rabbia,
piegandosi in due e facendo
cadere la spada a terra.
“Sei finita,
arrenditi”
Peter ansimava. Era stanco,
il duello lo stava stremando, ma cercava di non darlo a vedere. Doveva
far
credere alla strega di essere ancora in forma, in grado di sostenere un
secondo
round se si fosse rialzata. Doveva darle l’impressione di
essere nettamente in
svantaggio, non doveva neanche immaginare che la ferita al fianco da
lei
fornitagli gli stava bruciando come se fosse in fiamme e che a ogni
colpo dato
e ricevuto gli si annebbiava la vista.
Jadis alzò il capo con
gli
occhi di ghiaccio venati di rosso che lanciavano saette.
“Non è finita
fin quando non
lo dico io” ringhiò tra i denti.
Si alzò di scatto,
attingendo
la forza da una fonte sconosciuta data la grave ferita riportata,
strinse lo
scettro nella mano sinistra e si voltò trascinandosi la
gamba sanguinante.
Peter rimase impietrito al
suo posto, osservando allibito l’avversaria scappare via.
Ma Jadis non scappava. Mai.
Se voleva una cosa faceva di tutto per ottenerla. Percorrendo ogni via
possibile.
Fu con una stretta allo
stomaco che Peter scorse suo fratello minore nella traiettoria della
strega e
si rese conto delle reali intenzioni della donna. Jadis non stava
scappando da
lui rinunciando all’idea di eliminarlo. La strega stava
correndo via cercando
un’altra via per distruggerlo. Una via più
semplice dello scontro diretto. Una
via più infame che avrebbe colpito il ragazzo al cuore.
Le gambe del giovane erano
già scattate in avanti mentre un “no”
soffocato gli usciva a forza dalle
labbra. Non c’era tempo per avvertire Edmund, doveva deviare
il colpo lui
stesso, doveva assolutamente riuscirci o per suo fratello sarebbe stata
la
fine.
Jadis mulinò in aria lo
scettro preparando il colpo in direzione di un ignaro Edmund, poco
distante. Peter
accelerò la corsa, il cuore in gola, il fianco che gli
procura fitte dolorose. La
strega avrebbe trasformato il minore dei ragazzi Pevensie in una statua
di
ghiaccio senza che nemmeno se ne accorgesse.
Il braccio non ferito di
Jadis si abbassò pronto a colpire, lo scettro carico di
energia.
Poi un urlo agghiacciante
serpeggiò per il campo di battaglia e la punta di cristallo
dello scettro
magico penetrò nella spalla di Peter.
Gli astanti si bloccarono.
Chi a metà colpo, chi incrociando lo spade o le asce. Tutti
si fermarono storditi
da quell’inaspettata quanto cruenta visione.
Persino Jadis rimase per un
attimo impietrita nel vedere la schiena del giovane inaspettatamente
infilzata
dal suo scettro. L’attacco diretto ad Edmund era fallito, ma
in compenso aveva
ferito gravemente il Re Supremo, rendendolo incapace di combattere
ancora.
Con un sorriso sadico, pari
ad un ghigno crudele, sfilò piano la punta di cristallo
dalla spalla del re.
Peter urlò di nuovo e la strega si riempì le
orecchie di quel dolce suono. Il
suono della sua vendetta.
La ferita gli aveva come
minimo tranciato i legamenti del trapezio ed era già un
miracolo che non
l’avesse trapassato colpendo i polmoni. Jadis dubitava
profondamente che il re
sarebbe mai stato più in grado di riprendere a pieno
l’uso del braccio destro,
anche se avesse deciso di risparmiarlo.
Il sangue caldo colava
più
che copiosamente dal buco sulla spalla, imbrattando tutta la veste di
Peter di
un rosso vivo e macabro.
Il re faticava a respirare,
il dolore era troppo persino per quel semplice movimento. Non riusciva
a
piangere per sfogarsi e la vista incominciava a farsi annebbiata. Le
sagome
dinanzi a lui si facevano sempre più sfocate. La testa gli
pulsava come se
qualcuno gliela stesse colpendo ripetutamente, avrebbe voluto urlare
ancora per
manifestare il dolore straziante che stava provando, ma la bocca si
riempì
presto di un liquido denso e dal sapore ferroso. Si ritrovò
carponi a sputare
sangue.
Jadis storse il naso
contrariata. Con il flusso ematico che stava perdendo dalla ferita e
quello che
stava rigurgitando, Peter sarebbe presto morto dissanguato. Questo non
poteva
permetterlo. Sarebbe stata una morte troppo rapida e inutile. Per ora
il
ragazzo gli serviva vivo.
Puntò lo scettro sulla
schiena del giovane e un fascio di luce bianca centrò la
ferita, bloccando
l’emorragia e disinfettandola. Non la richiuse né
attenuò il dolore, ma quanto
meno non si sarebbe infettata né avrebbe prosciugato il
giovane, permettendogli
di sopravvivere.
Momentaneamente. Pensò ghignando.
Nel silenzio più
assoluto,
Jadis, con passo lento e aggraziato, circumnavigò il
ragazzo, che si teneva il
braccio con la mano sinistra, piegato in due per terra, fino ad essere
dritta
dinanzi a lui.
Con la punta della scettro
gli alzò il mento e si accostò ad esso
inchinandosi di poco. Il viso del giovane
re era pallido, sofferente. Gli occhi azzurri erano dilatati e
più sporgenti
del normale, brillavano come in preda alla febbre. Ansimava e stava
sudando
freddo mentre cercava con tutte le sue forze di non perdere i sensi.
Diamine
se fa male!
Un sorriso crudele piegò
all’insù un angolo della bocca di Jadis. Lo
sguardo traboccava trionfo e
soddisfazione.
“Ora, è
finita” bisbigliò
sibillina, con tono basso affinché solo il maggiore dei
Pevensie sentisse.
Peter avvertì un nuovo
dolore, che nulla aveva a che fare con la ferita. Un dolore sordo
proveniente
dal cuore. Le parole della strega lo avevano ferito più del
suo scettro. Era
vero, purtroppo sapeva che la frase di Jadis era dannatamente vera. Era
finita.
E non a suo vantaggio.
Aveva fallito.
“Popolo di Narnia, il
vostro
re è stato sconfitto” declamò con voce
forte e chiara la Strega Bianca, senza
staccare però gli occhi da quelli di Peter. “Avete
due possibilità, gettare le
armi e arrendervi oppure…”
“Non sottostaremo mai ad
una
strega!”
Un grido più disperato
che
aggressivo anticipò la carica di un coraggioso nano.
Sollevò l’ascia e puntò
dritto verso Jadis, tra lo stupore generale.
Peter chiuse gli occhi. Non
voleva assistere alla triste sorte che aspettava quel folle eroe senza
speranze. Stava soffrendo abbastanza. Gli bastò udire uno
sfrigolio per
comprendere che uno dei suoi soldati era appena stato tramutato in una
statua
di ghiaccio.
“…morire”
riprese il
discorso Jadis, minimamente disturbata da quella breve interruzione.
Anzi,
pareva quasi contenta di aver avuto occasione di fornire una prova
pratica per
la sua minaccia.
Clangore, rumore di metallo
che cade a terra. Gli uomini dei Pevensie stavano abbassando le armi.
Si erano
arresi.
E
cos’altro avrebbero potuto fare? Si domandò Peter.
Non poteva biasimarli. La
maggior parte di loro aveva una moglie, dei figli, o comunque una vita
davanti.
Una vita che poteva promettere un riscatto nel futuro, una soluzione,
se non
fosse stata prematuramente stroncata. Opporsi ora era un suicidio. Si
sarebbe
interpretato il ruolo dell’eroe integro e perfetto, ma a cosa
sarebbe servito
se non ad aumentare la lista dei crimini della strega?
“Puoi aver vinto questa
battaglia…” Peter fu costretto a fermarsi per
sputare un altro grumo di sangue.
Il solo gesto di parlare gli faceva impiegare ogni sua energia residua,
ma non
poteva tacere e rendere completa la vittoria di Jadis. “puoi
anche uccidere
me…” una fitta alla spalla più forte
delle precedenti gli mozzò il respiro, ma
si sforzò di proseguire “ma non sconfiggerai mai
lo spirito di questo popolo,
la sua voglia di libertà. Il tuo regno è
destinato a fallire nuovamente” concluse,
con tono basso e sofferto, ma non per questo la predizione
arrivò meno
minacciosa alle orecchie della regina.
Jadis istintivamente a
quelle parole digrignò i denti, irata, ma si ricompose
subito. Non gli avrebbe
dato la soddisfazione di vedere che la sua frase l’aveva
turbata.
“Non do credito alle
parole
di un condannato a morte. Però ti posso promettere che in
confronto a ciò che
ti aspetta essa ti parrà quasi una liberazione”
scandì glaciale, godendosi il
brivido che vide chiaramente scuotere il ragazzo.
“Da questo momento in
poi,
Narnia è di nuovo mia.” Urlò
trionfante, alzando in segno di vittoria lo
scettro con la punta di cristallo.
“Onore e gloria alla
legittima regina Jadis” il coro del suo esercito
seguì la frase della strega
immediatamente, riempiendo il campo di battaglia
Fiocchi di neve
incominciarono a cadere lenti dal cielo, attecchendo subito al terreno,
mentre
la temperatura si abbassava rapidamente. L’atmosfera stessa
sembrava acclamare
la Strega Bianca.
Una lacrima infine
riuscì a
rigare la guancia di re Peter. Una solo lacrima, di frustrazione, di
impotenza,
di rabbia. E di immensa desolazione e tristezza.
Non aveva salvato il suo
regno. Non avrebbe mai più riabbracciato Cathrine. Aveva
perso ed ora tutto il
popolo ne avrebbe subito le conseguenze. Per un suo errore Narnia
sarebbe
tornata sotto il giogo della schiavitù. Aveva fallito.
Jadis era definitivamente
tornata.
*
La schiena era indolenzita,
il collo tutto in criccato, come ogni singolo osso appartenente al mio
corpo.
Decisamente non dovevo aver dormito nella posizione più
comoda universalmente
riconosciuta.
Con gli occhi ancora chiusi,
cercai di allungare braccia e gambe per sgranchirmi mentre mi tornava
alla
mente che non mi ero recata nel letto la sera scorsa. Dovevo essermi
assopita
sul davanzale, ecco perché i miei muscoli protestavano.
Appunto
mentale, non sostituire mai più il letto con
il divanetto. Nuoce alla salute.
Sgranchii anche il collo e
poi aprii lentamente gli occhi. Per poi richiuderli subito e
stropicciarli.
Forse stavo ancora dormendo. Decisamente si, perché quello
che avevo scorto
dalla finestra era un sogno.
Rialzai una palpebra alla
volta e guardai aldilà del vetro. Un sorriso esplose sul mio
volto. No, quello
che avevo visto era una splendida realtà, non un effimero
sogno.
Gli alberi del cortile del
palazzo si stavano muovendo! Aggraziati, alzavano ed abbassavano i loro
rami a
ritmo di una misteriosa danza solo a loro nota, mentre petali di fiori
volavano
in scie tra loro, prendendo di tanto in tanto forme curiose e
particolari.
Si erano risvegliati. Narnia
si era ridestata. Era tornata a vivere.
Una risata gioiosa mi
uscì
spontanea dalle labbra. In preda ad una felicità febbrile mi
precipitai verso
l’armadio e scelsi il primo abito che mi capitò
sotto mano. Dovevo andare da
mia madre e condividere con lei questa gioia.
Infilai veloce il semplice
vestito azzurro con le maniche lunghe, adatte al freddo che da qualche
giorno
regnava nel palazzo, e corsi fuori dalla mia stanza.
Percorsi rapida il lungo
corridoio candido e scesi le scale a due a due reggendomi al corrimano.
Giunsi
alla sala del trono con il fiatone, ma con l’allegria
intatta.
Jadis era presente,
regalmente seduta sul suo trono di ghiaccio stava impartendo alcuni
ordini ad
un fauno.
Aspettai pazientemente che
il suddito si allontanasse, poi mi avvicinai a lei.
“Mamma” esordii
per
salutarla.
Jadis, pur sorpresa, non
tardò a sorridermi.
“Mia piccola Nives, ben
svegliata”
L’abbracciai di slancio,
incapace di contenere la mia felicità con la quale contagiai
Jadis che scoppiò
a ridere in uno scampanellio limpido.
“Mamma, gli alberi si
stanno
muovendo, danzano!” dissi d’un fiato.
La regina mi scompigliò
i
capelli affettuosa.
“Lo so bimba mia,
è
splendido”
Sciolsi l’abbraccio,
troppo
presa dalla frenesia per restare ferma in un’azione.
“Ma
com’è successo? Ieri
sera erano ancora addormentati e stamattina invece si sono
destati!”
Il sorriso di Jadis si
allargò. Si sistemò dritta sul trono e mi
invitò ad avvicinarmi. Non esitai a
prendere posto inginocchiandomi vicino al suo seggio regale,
sostenendomi al
bracciolo.
“Dunque?” la
incitai,
vedendo che esitava a chiarirsi.
Jadis mi accarezzò una
guancia. “Miraz è stato
sconfitto…”
“Sul serio?” la
interruppi
presa alla sprovvista. Tutto immaginavo meno quello. Telmar
sconfitta?
Da quello che avevo capito
la priorità di mia madre era di sconfiggere i Pevensie e
riappropriarsi della
corona, solo dopo si sarebbe occupata dei telmarini. Evidentemente
aveva
cambiato progetti.
“Ma
com’è successo? In così
poco tempo? L’esercito di Peter non ci è riuscito
in secoli” osservai stupita e
ammirata. Possibile che in una sola notte avessero espugnato la
fortezza?
La curva delle labbra si
indurì all’improvviso, il tono si velò
di leggera indignazione. “Io non sono Peter.
A differenza di lui, io so
difendere il mio regno”.
Rimasi un secondo
interdetta. La mia non era un’offesa, non c’era
alcun motivo di reagire a quel
modo.
Per uscire dall’imbarazzo
del momentaneo silenzio però decisi di riportare la
discussione sul punto più
importante.
“Quindi Miraz
è stato
annientato” commentai, accennando un sorriso.
L’espressione di mia
madre
tornò soddisfatta e contenta, con mio sollievo.
“Per questo Narnia si
è
risvegliata?” domandai per sicurezza.
La serenità di Jadis
vacillò
nuovamente.
“Per questo e
perché gli
Usurpatori sono stati esiliati” ammise in un mormorio.
Impiegai qualche minuto per
assorbire quell’informazione. Potevo quasi sentire i miei
pensieri vorticare
furiosi nella mia testa nel tentativo di mettersi in ordine, di
chiarirsi.
Gli
Usurpatori sono stati esiliati.
Gli
Usurpatori. I Pevensie. Peter, Susan, Edmund,
Lucy.
Sono
stati sconfitti. Si è svolta una battaglia e loro
hanno perso.
Sono
stati esiliati. Rispediti a Londra.
Per
sempre.
Peter
è stato definitivamente allontanato da me.
Aprii e chiusi la bocca
senza emettere suono. Deglutii nervosa e cercai di incanalare aria,
anche se
sembrava non essercene più nella stanza. Lo stomaco mi si
contrasse e mia madre
sparì dal mio campo visivo. Al suo posto vedevo solo un viso
dai tratti
angelici incorniciato da dei capelli biondi. Un viso che si faceva
sempre più
lontano. Irraggiungibile.
Cercai di riscuotermi. Ero
una stupida a reagire così. Sapevo sarebbe accaduto presto o
tardi. Ma
apprendere che era successo così
presto senza che nessuno si degnasse di avvertirmi era un colpo duro.
“Ma quando è
successo? Come
hai fatto a sconfiggere sia Telmar che i Pevensie in un solo giorno?
Non è
possibile!” riuscii infine ad obiettare in un
sussurrò strozzato.
Forse avevo capito male.
Sapevo che era impossibile ma decisi di crearmi quella piccola
illusione a cui
aggrapparmi.
“Telmar non si
è rivelata
particolarmente impegnativa. L’esercito non è
quasi servito. Ho avuto tutto il
tempo per combattere contro i quattro Usurpatori”
spiegò osservando attentamente
ogni mia reazione.
Lo stomaco si contrasse di
nuovo. I polmoni cominciarono a bruciare. Mi costrinsi a concentrarmi
sulla
respirazione. Non potevo svenire per mancanza d’aria in una
conversazione tanto
cruciale. Specie se dovevo trovare la forza di porre
un’ultima domanda. Quella
più importante. Quella della quale già sapevo la
risposta ma che dovevo
assolutamente sentirla pronunciare chiara da Jadis. Come se udendola
fosse
apparsa ancora più tangibile, privandomi anche della
più falsa e piccola
speranza e permettendomi così di affrontare la
realtà e provare ad andare
avanti.
“E loro adesso dove
sono?”
Le mie parole erano quasi
impercettibili, ma Jadis riuscì ad afferrarle.
La risposta arrivo veloce,
senza tentennamenti inutili.
“Hanno attraversato il
varco
poco dopo la battaglia”
Un pugnale mi avrebbe fatto
meno male. Il volto di Peter sparì definitivamente dalla mia
vista, risucchiato
da una parete fatta d’acqua. Il mio sguardo si fece vacuo, le
labbra tremavano
appena mentre la mente vagava alla deriva. Squarci di ricordi,
conversazioni,
immagini confuse si mescolarono tra loro in un turbine sempre
più veloce finché
non mi riscossi dall’apatia sostituendola con
l’indignazione.
“Perché non
sei venuta a
chiamarmi? Avrei voluto essere presente, salutarli e vederli
un’ultima volta!
Perché me lo hai impedito?! Li hai esiliati senza dirmelo e
peggio ancora hai
iniziato la guerra senza farne cenno alcuno!” la voce non era
alta, ma la
rabbia che cresceva si percepì alla perfezione nelle mie
parole misurate.
Jadis cercò di
accarezzarmi
ma glielo impedii distanziandomi. Volevo prima una spiegazione, anche
se mi
ferì vedere il suo sguardo addolorato al mio rifiuto.
“Te lo avevo detto ieri
sera
che era inutile aspettare oltre”
Emisi un respiro strozzato.
“Appunto, hai detto che non avremmo aspettato, non che avesti
attaccato
immediatamente. C’è una bella differenza. Per non avremmo aspettato io intendevo che la
battaglia si sarebbe
svolta entro la settimana, non entro qualche ora!” sbottai.
“E poi perché una volta
finita la guerra non sei venuta a chiamarmi? Era mio diritto dirgli
addio”
l’amarezza fuoriusciva a fiotti dalle mie parole.
“Non lo hanno voluto
loro”
si giustificò.
Mi alzai indietreggiando,
come colpita da uno schiaffo.
“Erano amareggiati e
umiliati
per la sconfitta, volevano solo andarsene il più velocemente
possibile.”
Proseguì “E poi…” il suo tono
di voce si fece basso, timoroso di continuare.
Sospirò prima di trovare la giusta forza.
“…temo ti ritenessero complice della
loro sconfitta.” Ammise.
Traditrice.
Me lo ero aspettato. Mi ero
già accusata da sola di esserlo dopotutto, quindi i Pevensie
non avevano tutti
i torti ad etichettarmi così. Ma il saperlo non diminuiva il
dolore che sentivo
propagarsi dal cuore verso ogni cellula del mio essere.
Le braccia di Jadis mi
circondarono, e solo una minima parte di me registrò che
alzandosi la regina
aveva zoppicato. Probabilmente si era ferita durante la battaglia.
L’altra parte
era troppo impegnata a metabolizzare. La separazione tanto temuta era
infine
accaduta. Ma non potevo soffermarmi su quell’aspetto o presto
sarei impazzita
dal dolore. Dovevo pensare alle conseguenze positive di questo fatto,
le
conseguenze per le quali Jadis aveva lottato.
Mia madre era tornata a
ricoprire il ruolo che le apparteneva e Narnia era tornata a
risplendere. Ben
pensandoci l’ultimo esito poteva essere visto anche come la
realizzazione dei
desideri di Peter. Il giovane aveva lottato strenuamente per riportare
il paese
nel suo stato glorioso, vedere quindi gli alberi tornare a danzare lo
avrebbe
di certo riempito di gioia.
Lotterò
affinché Narnia mantenga per sempre questo
stato Peter, te lo prometto.
Glielo dovevo, era il minimo
che potevo fare. E fu proprio questa consapevolezza che
riuscì a impedirmi di
scoppiare a piangere e cadere nell’apatia più
totale. Dovevo restare attiva e
adoperarmi per proteggere il regno tanto amato dal ragazzo.
Te lo
giuro.
*
I denti battevano
incontrollabili, le labbra tremavano. Come le mani, le gambe, il busto
ed ogni
altra parte del suo corpo.
Colpa del freddo. Del
pungente freddo che lì regnava sovrano.
Un brivido più violento
degli altri la scosse e leste due braccia la avvolsero. Calde, morbide,
accoglienti. Amorevoli.
“Posso fare
qualcosa?” il
tono di Caspian era affranto, tormentato
dall’impossibilità di essere d’aiuto
alla persona che amava. Alla ragazza dolce e fragile che tremava come
una
foglia nel suo abbraccio senza che lui potesse fare niente per
impedirlo.
Susan cercò di abbozzare
un
sorriso per tranquillizzarlo. Lui stava soffrendo il freddo almeno
quanto lei,
eppure si metteva in secondo piano per preoccuparsi della giovane.
Il mio
Caspian…
“Cont…continua
ad
abbracc…ciarmi, la tua sol…a
pr…presenza
mi riscal…da” riuscì a pronunciare
cercando di soffocare i brividi, mentre si
rannicchiava contro il suo petto.
Il ragazzo obbedì e
aumentò
la stretta in cui la teneva, iniziando a strofinarle le braccia con le
sue
mani, in un blando tentativo di riscaldarla.
Stava davvero male, lo
vedeva ad occhio.
Molto
peggio di me.
Era preda di forti scossoni
e colpi di tosse, la sua temperatura corporea era pari a quella di un
cubetto
di ghiaccio. Per non parlare del colorito, in confronto alle sue
guancie la
neve poteva essere considerata rossa. E le sue belle labbra piene,
paragonabili
solitamente a due ciliegie, vertevano verso un preoccupante viola
Ma la colpa, più che al
freddo, era da attribuirsi alla grave ferita riportata in battaglia che
l’aveva
resa più debole del normale. Un taglio profondo le
attraversava tutta la coscia
e la quantità di sangue persa era tale da rendere un mancato
svenimento un vero
e proprio miracolo. Anzi, forse proprio la bassa temperatura aveva
aiutato ad
attenuare il dolore. Più un piccolo aiuto da parte di Jadis
la quale aveva
bloccato l’emorragia.
Non
certo per bontà d’animo. Pensò amaro il principe
di Telmar, ricordando con
odio quando la Strega Bianca, dopo aver sconfitto e umiliato Peter,
aveva
ordinato l’arresto dei Pevensie e suo, radunandoli sopra un
cocchio e fermando
le perdite di sangue più gravi “per tenerli
momentaneamente in vita”, come li
aveva informati con un sadico sorriso sulle labbra.
Ovvio,
se fossimo morti in battaglia non avrebbe più
avuto nessuno da rinchiudere nelle prigioni. Commentò tra
sé e sé acido, mentre rivedeva con chiarezza se
stesso
sbattuto in malo modo dentro quella piccola e ghiacciata cella, seguito
a ruota
da Susan, gettata a terra senza alcun riguardo nonostante la ferita
alla gamba.
Entrambi erano stati poi ammanettati alla caviglia, mentre Edmund e
Lucy
subivano lo stesso trattamento nella cella comunicante con la loro
tramite il
varco che si apriva nella parete di ghiaccio in comune. Peter invece
era stato
rinchiuso solo in una cella isolata dalla loro e non lo avevano
più rivisto da
dopo la cattura.
“Mi disp…piace
tanto”
balbettò Susan, alzando un poco il capo dal petto di Caspian
per incrociare il
suo sguardo confuso.
“Per cosa?”
“Per aver…ti
coi…coinvolto
in questa disp…puta. Non c’entravi, non
avr…resti dovuto comba…batttere con
noi” si spiegò affranta.
Il principe sbuffò
intenerito. Sollevò il mento della ragazza con il dito
indice avvicinandolo al
suo viso per catturare tutta la sua attenzione.
“Nessuno mi ha obbligato
a
farlo, è stata una mia scelta. E poi, a differenza di quello
che credi, la
questione riguardava anche me.” Susan corrugò la
fronte e Caspian le fornì la
spiegazione con un dolce sorriso “Riguardava te, ed ogni cosa
che riguarda te
riguarda immediatamente anche me. Specie se c’è di
mezzo la tua vita”
Parole vere e cristalline
come i suoi occhi. Quei due pozzi scuri a cui Susan si stava
aggrappando per
non scivolare nella desolazione. Quei due pozzi scuri quanto profondi e
sinceri
che le stavano donando il calore di cui aveva bisogno per non
soccombere, il
sostegno per non perdersi nel baratro della disperazione, la speranza
per non
arrendersi ad un futuro che sapeva di morte. L’amore per
darle qualcosa per cui
lottare finché ne avesse avuto le forze e anche dopo
poiché la sua fonte di
energia era proprio lui. Il ragazzo che teneramente la stava stringendo
riscaldandola e confortandola. Il ragazzo che prima di occuparsi della
propria
precaria condizione fisica si informava e impensieriva per la sua. Il
ragazzo
che amava e che, pur sentendosi angosciata, addolorata e colpevole per
la sua
cattura, era egoisticamente felice fosse lì con lei con le
sue promesse di
sostegno e comprensione.
“Ti..ti amo, lo sai
v..vero?” riuscì a pronunciare con un trasporto
che poche volte il principe le
aveva scorto nello sguardo.
Le labbra del giovane si
piegarono in un sorriso. “Lo so”
confermò ad un soffio dalla sua bocca prima di
eliminare del tutto la residua distanza e donarle un bacio che sapeva
di
passione, dolcezza, ansia per il futuro ma desiderio di continuare a
lottare.
Susan si aggrappò alla
camicia di lui per allungarsi e ricambiare il bacio, godendo della
morbidezza
delle labbra piene di Caspian che posate sulle sue fermavano persino i
tremori
del freddo, del calore che dalle guancie si diramava in tutto il corpo
e del
languore che lento e piacevole le saliva al cuore partendo dal ventre.
La mano della regina dalla
camicia risalì lungo il petto del giovane, fino a posargli
sulla guancia
un’ultima delicata carezza con la quale fece finire il bacio.
Con il battito accelerato,
Caspian le prese il volto tra le mani e parlò con foga
improvvisa.
“Susan, ti prometto che
usciremo da qui. Non so come, ma un modo lo troveremo”
affermò solenne. Non
avrebbe permesso che la vita della persona per lui più
importante al mondo si
spegnesse in quella cella di ghiaccio.
La ragazza riuscì
finalmente
a sorridergli mesta. Mise una sua mano sopra quella che il giovane
aveva sulla
sua guancia e parlò con una ritrovata calma.
“L’unica
n…ostra speranza di
sal…vez…za è Cathrine. Deve
ap…rire gli occhi dinanzi alla
r…realtà su sua
madre e deve r…rendersi conto delle sue
cap…pacità e
pos…sibilità.” Osservò,
pragmatica come sempre anche in una situazione tanto critica.
Caspian si rallegrò nel
vedere che nonostante la temperatura e le ferite Susan rimaneva fedele
a se
stessa e lucida. Era un buon segno.
“Cathrine è
buona. E per
quanto Jadis possa essere una brava attrice, Cate si
accorgerà presto che la
madre non condivide la sua indole altruista. Ho fiducia in
lei.” Il ragazzo
cercò di infondere a Susan una speranza per il futuro.
Susan condivise il suo
pensiero annuendo. Poi si accoccolò di nuovo al suo petto
che le trasmetteva il
suono rassicurante e ritmico del suo cuore innamorato. Le braccia di
Caspian
ripresero a cercare di riscaldarla quasi in automatico.
Poco dopo, con il capo di
Caspian chino sul suo e cullata dal suo respiro, Susan
riuscì ad addormentarsi
con la meravigliosa sensazione si essere protetta persino in una
situazione
tanto critica.
Il giovane invece rimase
sveglio, per custodire il sonno dell’amata e contemplarla
angelicamente
assopita, con le labbra simili ad un bocciolo nonostante il colore e la
fronte
liscia, priva di preoccupazioni.
Cathrine doveva
assolutamente accettare la verità. E doveva farlo al
più presto. Ne andava del
futuro di Narnia, di Telmar, del suo, di Edmund, di Lucy e di Peter.
E
quello della mia Susan.
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Capitolo 18 *** 17_Apri gli occhi mia stella ***
cappy17
Ciao
a tutti! Incredibile ma vero, sono riuscita a finire questo
diciasettesimo cappy! Avrò riscritto la parte centrale nn so
quante volte prima di trovare il risultato quanto meno accettabile, ora
mi rimetto al vostro giudizio :-)! Dopo tanta tristezza e addii, qui si
ritrova finalmente una nota di speranza con una breve apparizione a
sorpresa verso la fine, forse qualcuno di voi già sospetta
di
cosa si tratta....^^ non aggiungo altro e vi lascio alla lettura dopo
che ci ho messo una vita ad aggiornare! Spero di essere riuscita a
scrivere il cappy bene e a spiegare con chiarezza le emozioni dei vari
personaggi perchè ho avuto un po' di problemi nell'esporle,
le
descrizioni nn riuscivano a sembrarmi realistiche, mi auguro che alla
fine ce l'abbia fatta ma lascio ai posteri l'ardua sentenza hihihi^^
Finalmente sn anche riuscita a fare una copertina di questa fan
fiction, mi sono messa di impegno con photoshop^^ Per il personaggio di
Cathrine ho scelto la cantante Taylor Swift dopo averle opportunamente
cambiato il colore dei capelli da biondo a rosso^^, per interpretare la
nostra giovane principessa strega mi è sembrato il volto
più adatto, voi cosa ne pensate?
Ditemi cosa ne pensate e
buona lettura!
Ringraziamenti:
ranyare:
ciao carissima^^! Grazie mille, davvero ** per tutti i complimenti che
mi hai fatto e per avermi aggiunta tra gli autori preferiti, nn sai
quanto il tuo apprezzamento mi abbia resa felice :-)
grazieeeeeeeeeeeeeeee**!!!!!!! <3! Sorry se con Peter ti ho
fatto
preoc, stava male anche io mentre lo scrivevo, vederlo così
stringe il cuore, però mantengo la promessa per la fine
lieta,
nn me la rimangio, e già in questo cappy si vedrà
la
salita :-) Credo di aver fatto soffrire quel pover uomo abbastanza da
farmi odiare, si merita un po' di pace! Mi devo cospargere il capo di
cenere, nn ho + commentato la tua storia, scusami!!! Nn sn praticamente
entrata in efp in questi ultimi tempi per + di due secondi alla volta,
(i test di ingresso nn mi hanno lasciata molta scelta) ma adesso che il
cappy 17 è scritto posso impiegare il tempo anche a leggere
e mi impegno a rimediare alla mia mancanza!! Scusami, davvero!
Grazie ancora per tutte le bellissime frasi che mi hai scritto!!
Aspetto il tuo commento su questo cappy e spero che nn ti deludi!! Un
bacione grandissimoooooo^^!
SweetSmile:
Ciao! Grazie per la tua recensione^^! Tranquilla, la gioia della strega
nn sarà di lunga durata, anzi si addensano nubi
all'orizzonte
per lei, i nostri beniamini torneranno alla ribalta! Spero che qst
cappy ti piaccia :-) fammi sapere cosa ne pensi^^! Kisskisses^^!!!!!
noemi_moony:
Ciao cara^^! Sono contentissima che apprezzi così tanto il
mio
modo di scrivere, grazie grazie :-)! Ti confiderò che
riuscire a
scrivere un libro è il mio sogno nel cassetto, temo
però
che la realizzazione sia ancora lontana, devo migliore ancora
parecchioecchioecchio...! Però magari un giorno se
sarò
diventata molto più brava ci proverò seriamente,
comunque
grazie di cuore, sentir dire che potrei riuscirci è davvero
bello ^^! Per quanto riguarda Cathy, il titolo del cappy dovrebbe
già dare un indizio, questo è finalmente il cappy
di
svolta e dopo tutto quello che è successo ai poveri Pevensie
direi che era giunta l'ora! Lo ho fatti penare sin troppo, specie
Peter, poveretti! Nn vedo l'ora di leggere il tuo parere su questo
capitolo :-) buona lettura^^ un bacio grande grande!
sweetophelia:
Ciao carissima! Ho letto tutte e tre le recensione e ti devo un super
grazie per aver speso il tuo tempo a scriverle, nn sai quanto lo
apprezzi grazie mille!!!!!!!!!!! I Pevensie se la stanno davvero
passando brutta, ma la svolta è vicina, Cathrine nn
può
restare nella bambagia per sempre per fortuna e finalmente si
darà una svegliata! Hai tutta la mia autorizzazione ad
uccidere
Jadis, se lo merita dopo tutto quello che ha fatto, e che
farà
perchè la cara strega non ha ancora finito il suo ruolo...!
Per
fortuna però i Pevensie, Caspian e Cate hanno un grande
alleato
che come hai giustamente sottolineato tu nn ha ancora fatto la sua
comparsa ma nn si farà attendere oltre, promesso^^! Come ho
già detto questo è un cappy di svolta, e dopo che
è successo di tutto ai nostri poveri eroi direi che era
giunto
il momento che la fortuna girasse anche per loro! Grazie per avermi
segnalato l'errore di grammatica :-) ho fatto una svista colossale,
sorry ^' in teoria il correttore ce l'ha però temo di nn
aver
corretto l'errore pensando di farlo in un secondo momento e poi mi sono
dimenticata! Spero che il capitolo ti piaccia :-) aspetto la tua
recensione e le tue opinioni^^ un grandissimo bacio**!
DreamWandered:
Ben tornata carissimaaa^^! Sono felicissima che tu sia tornata a
leggere e commentare la mia fan fiction, grazie^^! E grazie infinite
anche per la super recensione che mi hai scritto, avrai speso
tantissimo tempo e nn so come poterti dire che lo apprezzo davvero
tanto se nn dicendoti: GRAZIEEEE^^!!! Dunque, andando per ordine come
hai diligentemente fatto tu :-):
"Frammenti di una vita": sono contenta che il modo in cui descrivo la
magia ti piaccia, se nn appare un miracolo caduto dal cielo vuol dire
che sono riuscita nel mio intento^^ volevo dar l'idea che fosse un'arte
che si può sapientemente utilizzare, che Cathy riesce a
gestire
in quanto fa parte di lei e soprattutto far capire come si riesce a
gestirla^^. Purtroppo Cathy nn avverto il pericolo di Jadis
praticamente finché nn prova in prima persona fin dove
può spingersi la strega, cosa che crea nn pochi problemi ai
nostri eroi, Peter in primis. Sono contenta che ti stia affezionando
alla cara coppietta :-) è la prima volta che parla della
nascita
di un amore e sono felice di sapere che i due protagonisti siano
riusciti e piacciano^^!
"Tra il passato e il futuro c'è l'amore": sono lietache gli
intervalli simpatici sia con il vestito che con il cavallo siano
riusciti nel loro intento, quello di divertire! Appena ci
sarà
un'altra occasione cercherò di farne degli altri, promesso
:-)!
La parte del litigio tra Peter e Cathy l'avrò scritta e
riscritta e sapere che alla fine sono riuscita a far capire tutte le
opinioni e le emozioni della ragazza mi fa sentire sollevata^^ temo
sempre che paiano troppo irrealistiche o che siano poco chiare, meno
male che questa volta nn è successo^^! Il pezzo dove si
dichiarano e poi fluttuano nell'aria è il mio preferito,
l'avevo
immaginato sin dal primo capitolo e mettere su carta e condividere
quello che avevo fantasticato è stata davvero bello e
realizzante, specie se sono riuscita a regalare cinque minuti piacevoli
a chi lo ha letto :-) quindi sono felice che il momento romantico tra i
due ragazzi ti sia paiciuto^^! Effettivamente quella di far parlare
Cathy con Edmund era un'ottima idea, devo ammettere di nn aver preso in
considerazione che Edmund è l'unico tra tutti ad essere
stato
manipolato dal finto lato dolce di Jadis, però
terrò in
considerazione questa idea per i cappy futuri molto prossimi, grazie^^
"La magia del tramonto prima della battaglia": abbattere il raziocinio
di Susan è stata dura, il povero Caspian ne sa qualcosa
hihi^^
però alla fine anche lei si è dovuta arrendere
all'amore
:-) complice il romantico tramonto che sono contenta di sapere che sia
piaciuto così tanto nonostante effettivamente nn brillasse
per
originalità :-)! Cathrine ha dichiarato guerra aperta ad
ogni
abito medioevale credo ormai hihi! Però ho immaginato che
qualasiasi ragazza del 2000 abituata ad infilarsi un paio di comodi e
pratici jeans e una maglietta alle prese con corsetti e nastri si
sarebbe trovata in serie difficoltà, io per prima che ho
problemi già con le stringhe delle scarpe tra un po' hihi!
In
più ho pensato che come scena spezzasse la tensione del
momento
;) Felicissima di sapere le emozioni che suscita Peter :-) per me lui
è l'immagine del mio ragazzo ideale, bello, dolce,
intelligente,
comprensivo e con un viso d'angelo, ahhhh, cosa si può
chiedere
di +? (che sia reale effettivamente....però
vabbé,
sognare nn fa male hihi!)
"Casa mia": rimanendo fedele alla sua prontezza di spirito, Cathy nn
poteva che rispondere a tono a Miraz^^ specie se pensa a che razza di
crudele tiranno a di fronte! Nn mi sarebbe dispiaciuto scrivere che
fosse Peter a salvarla, il bel cavaliere che salva la sua dama era
molto romantico come fatto, però ho pensato che Jadis
avrebbe
potuto raggiungere e avvicinare Cathy con successo solo se fosse stata
lontana da Peter e quella era l'unica occasione in cui il re biondo era
abbastnaza distante da nn poter metter eil bastone tra le ruote alla
strega. Cmq per rispondere ad una tua precedente domanda, Jadis al
momento è rinchiusa in un limbo, privata del suo corpo e
incapace di uscire da lì solo con le sue forze, ma nel corso
dei
secoli ha riacquisito abbastanza energia per poter almeno comunicare
tra i due mondi e intervenire con leggeri incantesimi, come connettersi
con la metne di Cathy per farle vedere i suoi ricordi o guidarla con le
sfere :-) spero di aver chiarito il giusto interrogativo^^ grazie mille
per i complimenti sullo stile e sulla costruzione della storia^^ nn sai
quanto mi faccia piacere sapere che la storia è strutturata
in
modo da risultare comprensibile e piacevole, ho sempre il timore di
dilungarmi troppo o troppo poco e nn esprimere quello che vorrei,
quindi grazie :-)!!
"Nives": la scena della liberazione era un'altra scena che avevo
immaginato sin dall'inizio della creazione della storia. Quando nel
film alla fine nn era stata liberata ci ero rimasta male.
Cioè,
ero contenta che nn fosse accaduto nulla di irreparabile ai nostri
eroi, però mi dispiaceva che un personaggio di grande
importanza
come la crudele Strega Bianca facesse solo un'apparizione rapida e
anche ingloriosa, mi sembrava indegno! I sentimenti di Cathy invece si
sono formati mentre scrivevo, quindi sn contenta che il risultato
finale sia venuto bene^^ ti ringrazio ancora per tutti i tuoi
complimenti, sei troppo buona^^! La scena dove il grande felino
farà la sua comparsa è vicina e spero che nn ti
deluda!
La frase "il sole tramonta ancora" è mia, nn conosco la
canzone
che mi hai citato però credo che andrò a sentirla
perchè mi hai incuriosito^^ .
"Un addio sofferto per una meschina menzogna": sono contenta che
l'inizio ti sia piaciuto, ero un po' titubante a partire da
così
da lontano ma per fortuna è andata bene^^ la cerimonia si
è infine dimostrata per quello che è, un raggiro
da parte
di Jadis, però anche qui nn è detta l'ultima
parola...quella cerimonia riserverà ancora sorprese ^^ Peter
purtroppo aveva iniziato bene però poi si è
lasciato
prendere la mano, ma come biasimarlo dopotutto? L'addio ha lasciato
l'amaro in bocca anche a me, però presto si porrà
rimedio
anche perchè vederli separati mi fa stare troppo male!!!
Sono
più felice mentre scrivo di quando sono insieme da brava
inguaribile romantica! Sono comunque onorata del fatto che la scena
della loro separazione abbia colpito tanto :-) glasieee!
"Un cuore di ghiaccio non batte per nessuno": grazie per aver messo
l'accento sulla poesia, sei l'unica che l'ha apprezzata!! La scena dl
dialogo tra i due sovrani mi sembrava un appropriato proemio alla
battaglia e sono contenta che sia paiciuta^^ così come la
scena
della battaglia :-) nn scrivo molte scene dinamiche, ce ne saranno due
o tre in tutta la storia finora perchè temo sempre di non
essere
capace però vedere che invece vengono apprezzate mi
solleva^^
forse per il futuro posso slanciarmi di più su scene simili
allora^^!!!!! Fai bene ad essere sospettosa riguarda al bel giardino,
gatta ci cova ma presto ogni segreto verrà svelato^^
Come potrei mai annoiarmi a leggere una tua recensione? Sei
semplicemente fantastica e nn so davvero come ringraziarti per tutto il
tempo che hai dedicato a scrivermi questa tua splendida
recensione!!!!!!! Grazie grazie grazie!! Il tuo interrogativo
è più che legittimo e ti posso assicurare che tra
qualche
cappy avrà una risposta :-) anticipo solo che l'importante
nn
sarà tanto il nome ma il fatto in sé e come
verrà
scoperto dalla nostra cara Cathy (sono enigmatica lo so,
però
altrimenti ti rovinerei il gusto della lettura!) :-) ormai
sarò
ripetitiva ma ti ringrazio ancora una volta! Spero che questo cappy ti
piaccia come i precedenti e non vedo l'ora di leggere le tue
impressioni e le tue idee^^! Un bacione enorme!!!!!!!!!!
Un
grandissimo grazie anche a tutti coloro che hanno aggiunto la ficcy tra
le seguite o le preferite o hanno semplicemente letto^^! Spero che
anche questo cappy vi soddisfi^^ fatemi sapre cosa ne pensate!
Buona lettura a tutti!
Kisskisses
68Keira68
17_“Apri
gli occhi mia stella”
Qualcosa
non
torna.
Presi un bel respiro
stiracchiandomi le braccia e incrociandole dietro la testa.
Qualcosa
non torna affatto.
Mi ripetei mentalmente,
sistemandomi meglio sul tronco d’albero che gentilmente
spostò la grossa radice
che mi infastidiva il fondoschiena.
Il
pregio di sdraiarsi su alberi pensanti e mobili… considerai.
Respirai a pieni polmoni
l’aria fresca e satura del buon odore delle foglie
rigogliose, mentre una scia
di fiori mi superava dopo essermi girata attorno e avermi delicatamente
accarezzato la guancia.
Ero seduta nel giardino da
più
di un’ora ed ero certa che avrei potuto restarci per sempre.
Mi sentivo a mio
agio, come se il bosco risvegliato fosse il mio habitat ideale. Tra
faggi che
danzavano e petali che si libravano in aria prendendo le fattezze di
donne
dalla bellezza folgorante, avevo più che mai la sensazione
di trovarmi immersa
nella magia. Magia che pareva sottostare al mio comando. Bastava
infatti che
sfiorassi con una mano l’erba per vedere i fili che
crescevano rigogliosi ad
una velocità sorprendente, o un cenno della mia testa per
far sbocciare fiori
dalle tonalità più diverse. Ero padrona di quel
piccolo luogo fatato, che tanto
aveva aspettato per risplendere e che ora poteva rendermi partecipe del
suo
immane fascino. In mezzo a quelle fronde che si muovevano al ritmo
della musica
della natura, mi sembrava impossibile pensare che quella terra potesse
essere
stata scenario di guerre cruente, addirittura fratricide. Chi mai
avrebbe
potuto voler distruggere un tale paradiso o anche solo intaccarne la
purezza e
la quiete? Era un sacrilegio anche solo immaginare di compiere una tale
azione.
Eppure, nonostante la calma
e la pace che regnavano nel giardino, i miei pensieri non si
quietavano. Anzi,
in quella tranquillità parevano raddoppiarsi, purtroppo per
me, così da farmi passare
ben sessanta minuti a scervellarmi sul perché del disagio
che avvertivo.
Da quando Jadis mi aveva
congedato nella Sala del Trono, informandomi che sarebbe uscita per
sbrigare
delle faccende rimaste in sospeso e chiedendomi solo di non
allontanarmi dal
castello per la mia sicurezza, nella mia mente c’era un unico
ritornello
dominante: qualcosa non tornava.
Ma cosa?
Appoggiai la testa contro il
tronco del pioppo che gentilmente mi copriva dal sole.
Riflettendoci con attenzione,
il disagio era nato poco dopo che mia madre mi aveva informato
dell’esilio dei
Pevensie. Il dolore e la sorpresa erano stati ben presto scalzati da
quella
nuova emozione.
Non lo
hanno voluto loro. Temo ti ritenessero complice
della loro sconfitta.
Frasi che mi rimbombavano nelle
orecchie. Frasi che mi avevano ferito come una pugnalata in un primo
momento,
ma frasi che mi sembravano sbagliate, strane, ora.
Temo ti
ritenessero complice della loro sconfitta.
Non
permetterò che tu venga sfruttata da una strega
senza scrupoli.
Come poteva Peter ritenermi
“complice della loro sconfitta” quando era convinto
che fosse Jadis a
manipolarmi?
Non lo
hanno voluto loro.
Ovvero: mi odiavano
perché
li avevo traditi e non avevano alcuna intenzione di rivedermi.
Ti amo
anche io. Ora e per sempre, tu sarai l’unica
stella che brillerà nel mio cielo per illuminarmi la vita.
Possibile che la persona che
aveva deciso di non vedermi mai più fosse la stessa che solo
ieri mi aveva
stretta tra le braccia sussurrandomi il suo amore? No. Non se quella
persona
parlava con il tono di chi ha il cuore in mano. Non se quella persona
aveva gli
occhi che brillavano di sincerità. Non se quella persona era
Peter.
Ecco
cosa non torna.
Finalmente lo avevo trovato.
Non tornava che Peter mi ritenesse responsabile del suo esilio. Non
tornava che
Peter non avesse chiesto di me l’ultima volta che ne avrebbe
avuto
l’opportunità.
Il ragazzo mi aveva ribadito
più volte che sapeva quanto io lo amassi e come le mie
azioni non erano puntate
a nuocere a lui e ai suoi fratelli ma che ero fermamente convinta di
fare il
bene di Narnia. Non aveva senso che di punto in bianco mi additasse
come una
traditrice, non una manciata d’ore dopo avermi giurato il suo
amore per me e lo
stesso valeva anche per i suoi fratelli.
Ma perché mai Jadis
avrebbe
dovuto mentirmi su una cosa del genere? Forse per scagionarsi dal fatto
che non
mi aveva chiamata per dire addio ai Pevensie? Non volendo essere
giudicata
colpevole, aveva scaricato la responsabilità sui quattro
ragazzi? Ma poi perché
non avrebbe dovuto volere la mia presenza all’esilio forzato
degli ex sovrani?
Temeva forse un mio ripensamento all’ultimo minuto?
O forse quello che mi aveva
raccontato mia madre corrispondeva al vero ed era successo qualcosa,
dopo che
io e Peter ci eravamo lasciati, da indurre i Pevensie ad odiarmi.
Sospirai, prendendomi il
viso tra le mani.
Troppe domande, nessuna
risposta. Essa se ne era andata con i quattro ragazzi.
A meno
che…
Caspian. Il suo nome apparse
come un faro nella notte dei miei pensieri. Se Peter e i suoi fratelli
avevano
cambiato idea sulla mia buona fede all’ultimo, di sicuro il
ragazzo ne era al
corrente. Lui avrebbe potuto far chiarezza al meno su
quell’interrogativo.
Bene, la decisione era
presa. Sarei andata a fargli visita appena mia madre fosse tornata a
palazzo.
Così avrei colto anche l’occasione per visitare la
nuova Telmar. Ora che Miraz
era stato deposto, la corona sarebbe andata in eredità a
lui, e finalmente la
cittadina sarebbe potuta tornare a prosperare come stava facendo Narnia.
Sorrisi divertita
immaginandomi il giovane Caspian nei panni di un sovrano. Lui,
così buono e
ingenuo, avrebbe dovuto destreggiarsi nella fitta jungla della politica
di
corte e nell’ardua impresa di governare un regno.
Se
farà della sua bontà d’animo il suo
vessillo, sono
certa che non avrà problema alcuno. Telmar sta vedendo
nascere un grande
sovrano. Pensai
felice che Caspian
avesse potuto raggiungere i suoi obiettivi e confidando nelle sue buone
qualità: calma, razionalità, giustizia.
Si,
sarà un grande re. Ribadii sorridendo.
Sorriso che si spense quando
il vento cessò inspiegabilmente, i petali si depositarono
placidi sull’erba,
gli alberi si fecero tesi e con loro i miei nervi.
Poi un improvviso ruggito
squarciò l’aria.
Balzai in piedi, presa alla
sprovvista. Non lo avevo immaginato, ne ero certa. Avevo appena sentito
il
ruggito di un leone, e con me lo avevano udito anche i faggi e
frassini, ancora
immobili, come in attesa.
Il cuore cominciò a
battere
forte, dall’agitazione e dalla paura.
Sapevo a chi appartenesse
quel ruggito, impossibile sbagliarsi. Aslan era lì, vicino a
me, anche se
invisibile ai miei occhi. Avvertivo la sua presenza a pelle come anche
la
natura che mi circondava, improvvisamente piombata in una calma quasi
religiosa. I rami non osavano nemmeno scricchiolare, il vento non si
azzardava
a muovere un solo filo d’erba.
“Aslan?”
chiamai, cercando
di impedire alla mia voce di tremare.
Non era la prima volta che
aveva un incontro ravvicinato con il felino, era successo diverse volte
nelle
mie visioni a Londra. Senza contare l’episodio dove la sua
magia unita alla mia
era riuscita a risvegliare la vegetazione del boschetto sulla spiaggia.
Ma
all’epoca non gli avevo dichiarato guerra aperta schierandomi
dalla parte di
Jadis e dichiarandolo colpevole di ogni sciagura successa a Narnia
negli ultimi
milletrecento anni.
La situazione era leggermente
mutata.
Un altro ruggito, un altro
tremito. Questa volta riuscii ad individuare la direzione dalla quale
proveniva. Nord-ovest, oltre il boschetto del giardino.
Mi feci coraggio e mi
incamminai verso il suono molesto, iniziando a richiamare la magia. Per
ogni
evenienza, era meglio tenersi pronti…
Uscita da boschetto, feci
scivolare lo sguardo verso il prato circostante ma non notai nulla di
sospetto.
“Aslan?”
riprovai, a voce
più alta, mentre proseguivo avvicinandomi sempre
più alla parete ghiacciata del
palazzo.
Un ruggito mi giunse in
risposta. Voltai la testa di scatto, ma non mi accolse altro che la
grande
vetrata del castello, una delle tante che costellavano la sua fiancata.
Il cuore martellava nel
petto, ma si acquietò quando riconobbe la slanciata figura
di mia madre
attraverso il vetro. Mi dava le spalle e stava entrando in una stanza
oltre il
colonnato, sul lato destro della Sala del Trono, mentre discuteva
animatamente
con un nano, probabilmente Nikabrik.
Sospirai di sollievo. Il
saperla vicino con la probabile presenza di Aslan nei dintorni mi
rassicurava.
Mi precipitai verso la
porta-finestra un paio di metri più in là,
mettendomi al sicuro dentro le
spesse mura del palazzo, sotto la custodia di Jadis che fortunatamente
era tornata
molto prima di quanto mi aspettassi.
Una volta entrata avevo
ancora il cuore che batteva forte e la consapevolezza che avrebbe
rallentato
solo quando avessi messo a corrente mia madre sull’accaduto.
Lanciai un’occhiata
alle mie spalle, scorgendo gli alberi del giardino che intanto era
tornati a
muoversi. Aggrottai la fronte a quel dettaglio. Forse Aslan vedendo mia
madre
se ne era andato.
Meglio
avvisarla comunque. Potrebbe ritornare. Riflettei.
Peccato però che la
strega non
si trovasse più nella Sala. Senza esitare imboccai la
direzione che l’avevo
vista prendere, la prima porta alla destra del trono.
Pur non essendo mai stata in
quella parte del castello, mi aspettavo un’altra stanza dalle
candide pareti come
tutte quelle che avevo visto finora. Dovetti però presto
ricredermi. La porta
dava su una scala di pietra e le pareti, pur essendo fatte di ghiaccio,
non
erano lisce, ma piene di irregolarità e rientranze.
Dove
porteranno?
Mi chiesi incuriosita.
Iniziai a discendere gli
scalini, stando attenta a non scivolare sul ghiaccio, la brutta
esperienza
appena vissuta accantonata momentaneamente, operazione aiutata dalla
consapevolezza di essere protetta con mia madre vicina.
Evocai una sfera di luce per
combattere il buio in cui mi stavo inoltrando, sempre più
pesante quanto il
freddo si faceva più pungente e che presto mi costrinse a
stringermi nelle
braccia.
Decisi in fretta che quel
posto non mi piaceva per niente. L’oscurità era
opprimente, la temperatura troppo
bassa mano a mano che si scendeva.
Ma
perché mai mia madre dovrebbe tenere una parte del
castello come questa?
Il mio sesto senso mi
avvertiva che la risposta a quella domanda avrebbe potuto non piacermi,
ma la
razionalità ribatteva che quella diffidenza era
semplicemente assurda. Cosa mai
avrebbe potuto nascondere dentro un palazzo? Eppure il brutto
presentimento non
se ne andava. Forse avrei fatto meglio a lasciar perdere e a tornare
indietro.
Peccato che la mia testolina
riccia scartò subito quella saggia ipotesi. Dopotutto la
curiosità era donna,
giusto?
La
curiosità però uccise il gatto. Mi ricordai, storcendo le labbra in
una smorfia
contrariata.
Ma io
non sono un gatto. Io sono una strega. Ribattei sagace alla mia stessa
coscienza, e
prendendo un respiro scesi un altro scalino, e un altro
finché una debole luce
non si fece intravedere al fondo della scalinata.
Sorrisi sollevata pensando
che finalmente avevo trovato mia madre. Sorriso che immediatamente
svanì appena
udii un urlo agghiacciante provenire da quella direzione.
Mamma!
Pensai preoccupata. Iniziai
a correre per gli scalini ma mi bloccai di colpo quando udii
l’eco della sua
voce giungermi forte e affatto dolente. La distanza era troppo grande
per capire
quello che stava dicendo, ma era sufficiente a farmi comprendere che il
grido
di prima non apparteneva a lei.
Un altro urlo mi fece
accapponare la pelle. Era un grido di dolore. Ma a chi poteva
appartenere? E
perché stava urlando? Ma soprattutto, cosa
c’entrava Jadis in tutto questo?
Col cuore che batteva forte
discesi un altro paio di scalini e di nuovo udii la voce di mia madre
che
cercava di sovrastare un altro grido. La sensazione che qualcosa
assolutamente
non quadrava tornò più forte di prima, insieme
alla consapevolezza che non
sarei dovuta mai essere lì.
Una porta sbatté, dei
passi
si avvicinarono.
Presa dal panico, mi gettai
dietro la prima rientranza della parete per nascondermi.
L’istinto, dopo quello
che avevo sentito, mi diceva che non era il caso di farmi trovare
lì sulle
scale ad origliare, e questa volta lo assecondai di buon grado. Quando
l’eco
dei passi si fece più vicino, evocai con la magia una parete
che coprisse la
rientranza e me con essa, ma che mi permettesse di vedere senza essere
vista.
Idea che mi consentì di
riconoscere Jadis e Nikabrik come i proprietari dei passi. Stupita,
scorsi nel
volto di mia madre rabbia e frustrazione, ma le sue condizioni fisiche,
come
anche quelle del nano, erano perfette. Dunque le grida definitivamente
non
appartenevano a loro.
Allora
chi…?
La confusione ormai cresceva
a pari passo con il disagio.
Quando non udii più
alcun
suono giungere dallo stretto corridoio, sciolsi l’incantesimo
e uscii dal mio
nascondiglio.
I gradini erano finiti, una
tortuosa stradina fiocamente illuminata mi attendeva con le sue
incognite. Non
ero più sicura di voler davvero scoprire cosa era successo,
eppure sapevo che
era mia dovere farlo. Non potevo ignorare quell’urlo
raccapricciante.
Mi feci coraggio e proseguii
lungo il corridoio questa volta non in discesa. Pochi passi e mi
ritrovai
dinanzi ad un cancello in ferro battuto dall’aria molto
antica che aprii con un
cenno della mano, preparandomi al peggio. Cosa avrei visto varcata
quella soglia?
Cosa nascondeva la strega?
La porta cigolò sinistra
sui
cardini, ma fu un suono coperto ben presto da un grido mezzo soffocato.
“Cathrine”
Mi impietrii, riconoscendo
immediatamente quella voce, anche se il mio cervello si
rifiutò di fornirmi il
nome della proprietaria. Perché era assolutamente
impossibile che la persona
che mi aveva appena chiamata fosse lei.
“Cathrine”
ripeté in un
sussurro.
Con lentezza mi volsi verso
la direzione del suono. “Lucy” Le mie labbra
bisbigliarono il suo nome
incredule.
Gli occhi da cerbiatto della
bimba si incrociarono con i miei. Sentii la respirazione, come ogni mio
muscolo, bloccarsi mentre leggevo in quelle iridi castane sollievo,
speranza, sorpresa,
ma anche dolore, angoscia, patimento, sottolineati da occhiaie
profonde, da un visino
solitamente roseo e pieno ora pallido e incavato, dai capelli
scompigliati e dai
vestiti laceri.
“Oh Cathrine sei proprio
tu,
non sai quanto ci ho sperato!” singhiozzò la
piccola, avvicinandosi sulle
ginocchia alle sbarre che ci separavano, simile ad
un’assetata nel deserto
davanti ad un pozzo.
Incapace di qualsiasi
razionalizzazione, caddi in ginocchio anche io, aggrappandomi ai pali
di ferro
verticali, che la rinchiudevano in quella che era senza alcun dubbio
una cella.
Una prigione nella quale la
piccola Lucy era trattenuta invece che trovarsi nella sua casa a
Londra, cambiamento
che non aveva alcuna spiegazione. O almeno nessuna spiegazione che la
mia mente
riuscisse ad elaborare.
Aprii e chiusi la bocca
più
volte, incapace di proferire parola. Incapace di formulare un pensiero.
Incapace di focalizzare ragionevolmente il fatto che Lucy fosse dinanzi
a me.
Solo un’idea spiccava
netta
nel turbinio di confusione che stava per far esplodere la mia testa.
Non
può essere vero.
“Cate”
La flebile voce di Lucy mi
richiamò. Vidi quegli occhi ancora vivi e vispi, nonostante
tutto quello che
doveva aver passato, ma anche rossi e gonfi dal pianto e mi si strinse
il
cuore. Non era davvero possibile, non doveva trovarsi là
giù!
“Cathrine! Non sai quanto
sono felice di vederti. Temevo fossimo spacciati.”
Un’altra voce,
anch’essa
purtroppo conosciuta, giunse al mio orecchio. Poco dopo la testa scura
di
Edmund si avvicinò a quella castana della sorella minore,
aumentando la
confusione che mi stava sopraffacendo.
“Edmund”
esclamai
stupefatta.
Le parole del giovane
parevano sgorgare direttamente dal cuore. Anche lui era mal ridotto, il
volto
era pallido e smagrito come quello di Lucy, ma in più le sue
vesti erano
sporche di sangue. Mi augurai che non fosse suo ma dei nemici sconfitti
in
battaglia.
Cercai di far chiarezza nel
caos che albergava nella mia mente ma non ci riuscii. Come potevano
essere nel
palazzo di Jadis? Perché erano rinchiusi là sotto?
Confusione per i troppi
interrogativi irrisolti, rabbia per non essere riuscita a proteggerli
dalla
sofferenza fisica che stavano patendo e incredulità per
trovarli in prigione mi
animarono, ma su tutto si impose la preoccupazione per i miei amici,
sentimento
che mi permise di non impazzire succube del caos dandomi un obbiettivo
da
perseguire con raziocinio. La loro salvezza.
“Ragazzi”
riuscii a
pronunciare infine, l’espressione corrucciata, gli occhi che
balzavano da un
viso all’altro. “cosa diamine ci fate qui?
Com’è possibile? Siete feriti? Dove
sono Peter e Susan?” chiesi con fervore, sull’orlo
di una crisi isterica.
Se si fossero trovati in
pericolo di vita non me lo sarei mai perdonato.
“Cate, sei davvero tu?
Sia
ringraziato il cielo!”
Prima che Edmund o Lucy
potessero rispondermi, dalla cella accanto, attraverso un varco che
univa i due
anfratti, le braccia di un giovane principe di Telmar si sporsero,
segnalando
la loro presenza.
“Caspian”
Pronunciai il suo
nome con un tono che andava oltre lo sbigottito.
Non ci potevo credere. Anche
lui era rinchiuso insieme agli altri in delle fredde e spoglie celle,
malridotto,
forse anche ferito gravemente. Mi sembrava di vedere uno dei miei
incubi
realizzarsi.
“Cathrine, non hai idea
di
quanto io e Susan abbiamo pregato affinché tu riuscissi a
trovarci.” Mi disse
Caspian, in una confessione simile a quella di Edmund.
Dai loro occhi potevo
scorgere a chiare lettere quanto quelle frasi fossero sincere.
Rinchiusi là
sotto, avevano volto le loro uniche speranze a me, vedendomi come la
sola che
avrebbe potuto aiutarli. Chissà da quanto mi stavano
aspettando e io come
un’idiota avevo perso tempo in giardino a godere dei tiepidi
raggi del sole,
ignorando che i miei più cari amici stavano soffrendo.
“No,
no! Tu dovresti essere a Telmar come re!
Specie ora che Miraz è stato sconfitto” obiettai
presa da una confusione in
continuo aumento.
“Avrei preferito,
credimi” ribatté
ironico.
“Ma perché vi
trovate qui? Voi
dovreste essere a Londra! Tu a governare il tuo regno”
aggiunsi rivolta al
principe “E dove sono Susan e Peter?” domandai a
raffica, il tono che sfiorava
le tre ottave in perfetto contrasto con quello molto più
roco e basso dei
ragazzi.
“Susan
è nella cella con me. Sta dormendo
profondamente, altrimenti si sarebbe sbracciata anche lei al tuo
arrivo. Cate,
sei la nostra salvezza, tu puoi liberarci”.
Mi sporsi per vedere la cella
di Caspian attraverso l’apertura nella parete comunicante con
quella di Lucy ed
Edmund, trovando conferma alle parole del principe. Susan era adagiata
contro
il muro, addormentata, apparentemente ignara di quello che le accadeva
attorno.
Alla sua vista sentii una pugnalata al petto. Era messa peggio degli
altri tre,
il viso era molto più pallido, le labbra tendevano al blu.
Stava andando in
ipotermia.
La mia agitazione
aumentò.
“Cos’ha
Susan?” trillai.
“è stata
ferita gravemente.
Ha perso diverso sangue e questo l’ha resa debole, incapace
di sopportare
questo freddo” mi spiegò Caspian preoccupato.
“Cate, puoi curarla? Soffre molto
e io non posso fare niente per lei” l’ultima frase
era simile ad una supplica.
Non osavo nemmeno immaginare quanto dovesse essere stato in ansia per
lei nelle
ultime ore.
Scattai verso la porta della
sua cella, che aprii in un lampo, e senza farmelo ripetere due volte
ero già
accanto alla ragazza, ritrovando incredibilmente l’energia
che avevo perduto
alla vista di Lucy imprigionata.
Fredda come il ghiaccio, il
dolore che provava turbava la sua espressione anche nel sonno.
“Susan?” La
chiamai,
scuotendola con delicatezza.
Le palpebre tremarono un
poco, ma solo al secondo richiamo si aprirono.
“Cath…thrine?”
bisbigliò
battendo i denti.
Sorrisi sollevata nel
vederla ancora capace di essere vigile. “Sono qui”
la rassicurai.
Con uno scatto repentino,
dato da una foga febbrile, mi artigliò il polso,
avvicinandomi a sé.
“Cate, ero
s…sicura che c…ci
avresti tr…trovati. Sei venuta a sal..lvarci! Siamo
sal…lvi…” mormorò scossa
dai tremiti.
Le accarezzai la fronte,
scostandole i capelli dal viso. Veder ridotta lei, di solito
così posata e
fiera, in quello stato, era straziante.
“Si, lo siete, te lo
posso
giurare. Prima però Caspian mi ha detto che ti hanno ferita,
fammi vedere dove,
così posso curarti” le assicurai mentre il ragazzo
in questione si avvicinava
al capezzale della regina.
“Ho un taglio
lun…ngo la cos…scia”
Volsi lo sguardo in quella
direzione, notando solo ora la veste imbrattata di sangue
particolarmente in
quel punto.
Facendo cenno al principe di
voltarsi, alzai la gonna di Susan per scoprire il taglio. Mi si
bloccò il
respiro quando vidi la profondità della ferita. La coscia
era interamente
sporca di sangue, la spada aveva lasciato una linea dritta
dall’anca fin poco
sopra il ginocchio. Eppure pareva aver smesso di sanguinare, anche se
era
chiaro che non si era ancora cicatrizzata. Ma non persi tempo a
domandarmi come
l’emorragia potesse essersi fermata da sola senza che la
ferita fosse stata
richiusa. Adagiai le mia mani lungo il taglio e richiamai la magia.
Subito la
sentii potente raggrupparsi nel mio palmo che si fece caldo e luminoso.
Chiusi
gli occhi e individuai l’aurea debole e fioca di Susan
accanto a quella più luminosa
del principe. Colpii il suo scudo protettivo penetrandolo con i miei
poteri
come avevo sapientemente imparato a fare, e a quel punto feci defluire
la mia
magia in lei. Avvertii i tessuti ricucirsi, la sua aurea farsi
velocemente più
forte e luminosa. La ferita fu presto rimarginata. Notai con grande
soddisfazione che non provavo il minimo affanno dopo
quell’incantesimo, a
differenza della spossatezza che mi aveva colpita dopo che avevo
guarito la
ferita al fianco di Peter. I miei poteri si erano di gran lunga
ampliati.
Quando riaprii gli occhi,
Susan era fuori pericolo. Il viso era più roseo, gli occhi
lucidi e vispi. Il
sorriso che mi rivolse era luminoso.
“Susan”
sussurrai
abbracciandola forte.
“Grazie” disse
con tono
accalorato. Caspian non tardò a farle da eco, il volto
illuminato dal sollievo
e dalla felicità di vedere salva la sua Susan.
“Tu sei
ferito?” domandai
rivolgendomi al ragazzo e scrutandolo con occhi clinico.
“Solo qualche graffio,
nulla
di grave” disse con noncuranza, troppo impegnato a
controllare le condizioni
ora ottime della sua amata.
Non potei evitare di
sorridere intenerita da quella visione romantica prima di rivolgermi al
ragazzo
moro.
“Tu Edmund?”
“Ho solo riportato un
polso
slogato, tentando di parare il colpo di un centauro invece di
schivarlo” mi
informò scrollando le spalle, nel tentativo di sminuire il
fatto.
Sogghignai a quel cenno
d’orgoglio maschile.
Scuotendo lievemente la
testa, gli feci cenno di esporre il polso in questione, avvicinandomi a
gattoni
alla sua cella. Lo presi tra le mie mani, mi concentrai sulla sua aurea
e
penetrai il suo scudo di energia come avevo fatto per la sorella.
Infine feci scaturire
un flusso di calore che lo guarì in pochi istanti.
Edmund mosse il polso su e
giù prima di regalarmi un sorriso grato.
“Lucy?” chiamai
la bimba.
“A parte il freddo io sto
bene. Non ho partecipato alla battaglia, non ho nemmeno corso il
pericolo di
ricevere qualche ferita” affermò Lucy, una vena di
triste ironia nella voce.
“Tu sei qui e non hai
nemmeno combattuto?”
La bimba scosse la testa,
afflitta.
Non era giusto, era solo una
bambina in fin dei conti, non avrebbe mai dovuto vivere una circostanza
come
quella.
“Riesci
ad aprire le catene?” la richiesta di Susan
mi distolse dalle mie riflessioni.
Annuii, certa di sbrigare
quella faccenda in un attimo. Individuai la catena che
imprigionava Caspian e la ragazza alla
caviglia e cercai di aprirla con un gesto della mano, ma il catenaccio
si
rivelò più resistente del previsto. Tentai una
seconda e una terza volta, prima
di rivelare frustrata il mio fallimento.
“Com’è
possibile? Dovrebbe
essere tra gli incantesimo più facili!” sbottai
frustrata.
“Congelala,
così si può
provare a spezzarla” propose Edmund affacciato al varco nella
parete.
Mi adoperai immediatamente.
Dalla mia mano fuoriuscì un gettò
d’aria gelida in grado di ghiacciare
qualsiasi oggetto. Qualsiasi eccetto quelle dannate catene che non
subirono
alcun mutamento. Caspian, fiducioso, provò a romperle
ugualmente, ma il
tentativo fu vano. Il catenaccio restava intatto.
“Provare a
scioglierle?”
suggerì il principe.
Scossi la testa voltandomi.
“Il calore si propagherebbe fino ad ustionare le vostre
caviglie prima di
riuscire nell’intento”.
Mi alzai in piedi e tirai un
calcio a vuoto, demoralizzata. “Evidentemente assorbono la
magia o qualcosa del
genere. L’unico modo per aprirla è avere la
chiave” osservai arrabbiata con
quel duro pezzo di ferro.
“E adesso?”
mormorò Lucy,
angosciata.
Presi un respiro e con esso
una decisione. “Recupererò la chiave. Deve essere
nel palazzo, la troverò. A
costo di mettere a soqquadro l’intero castello.”
Giurai, irremovibile.
Evidentemente il mio tono
doveva essere sufficientemente convincente, perché una luce
di speranza brillò
negli occhi castani della piccola.
“Per la temperatura
purtroppo non posso far nulla. Dovrei eliminare tutto il ghiaccio del
palazzo,
mi dispiace” aggiunsi scusandomi sincera, sentendo io per
prima il freddo che
pativano là sotto.
“Non importa,
resisteremo,
tu occupati della chiave” risolse Susan, tornando a poco a
poco la regina che
conoscevo con mia immensa gioia.
“D’accordo”
Presi un respiro
e mi accinsi a ripetere per la quinta volta le domande che mi stavano
assillando e che non avevano ancora ricevuto risposta “Si
può sapere perchè
siete qui? E…” lo voce mi tremò nel
tentativo di porre il quesito che più mi
stava a cuore ma del quale più temevo la risposta
“Peter dov’è?” riuscii infine
a dire in un sussurro.
“Lo sai perché
siamo qui,
Cathrine”. La voce dolce-amara di Susan, che aveva
volutamente ignorato il mio
ultimo interrogativo, mi fece voltare verso di lei,
Sapevo perché erano
lì? Non
con certezza, ma purtroppo per me non era difficile da intuirlo.
C’era solo una
persona che avrebbe potuto rinchiuderli in quel palazzo dopo aver vinto
la
guerra contro di loro. Eppure mi rifiutavo di crederlo, non poteva
assolutamente essere…
“Jadis”
Un nome, una condanna.
Sentii il cuore iniziare a
battere forte e dovetti regolare la respirazione per calmarlo, peccato
che essa
non potesse lenire anche il dolore che iniziava a farsi strada.
Quasi inconsapevolmente
cominciai a scuotere la testa con scatti brevi e secchi, come se il mio
subconscio non volesse arrendersi a ciò che vedeva e sentiva.
Sentii una mano delicata
stringermi la spalla richiamando l’attenzione sulla sua
proprietaria.
Mordendomi il labbro per
sigillare i singhiozzi che non volevo far uscire, mi volsi per
specchiarmi nei
grandi quanto decisi occhi castani di Susan.
“Dov’è
Peter?” ripetei quasi supplicando,
senza ribattere alla rivelazione della regina.
Prima di lasciarmi andare
alle mie riflessioni, prima di permettere alla preoccupazione e alla
confusione
di divorarmi, prima di analizzare una situazione che, lo sapevo come se
ogni
cosa me lo stesse urlando, mi avrebbe colpita e forse affondata, dovevo
sapere
dove si trovava il mio re. Dovevo vederlo, assicurarmi delle sue
condizioni. Ma
soprattutto avvertivo l’egoistico desiderio di averlo accanto
a me. Se ciò che
spiegava la presenza di Caspian e dei Pevensie in quelle celle doveva
ridurmi a
pezzi volevo che accadesse tra le sue braccia, mentre mi guardava,
così che i
suoi zaffiri potessero darmi un appiglio per tentare di sopravvivere,
così che
la sua voce vellutata potesse salvarmi dal baratro che si stava per
aprire
sotto di me.
I quattro ragazzi si
scambiarono uno sguardo a disagio e preoccupato. Esattamente come
temevo.
Un terribile presentimento
si affacciò nella mia mente come un fulmine a ciel sereno.
Aprii la bocca per parlare
ma le parole mi morirono in gola. Ciò che dovevo dire era
terribile anche solo
da ipotizzare.
Deglutii a vuoto un paio di
volte prima di mormorare la frase fatidica. “Era lui che
urlava prima, vero?”
Il pesante silenzio che
seguì fu più che eloquente. Un gemito strozzato
uscì dalla mia gola.
“Dov’è?”
Fu Lucy a rispondermi, con
voce bassa, rotta dal pianto anche se dai suoi occhi non
scivolò neppure una
lacrima. Probabilmente ne aveva già versate troppe.
“Non lo sappiamo di
preciso.
Lo hanno rinchiuso in una cella da solo, separata dalle nostre. Anche
se deve
essere per forza a distanza d’orecchio”.
Scattare in piedi e uscire
dalla cella fu un solo movimento, ma prima che potessi incamminarmi
lungo il
corridoio, la voce di Susan mi richiamò.
“Cate, devi sapere
cos’è
successo durante la battaglia, dopo che abbiamo perso!”
Le risposi senza nemmeno
voltarmi. “Adesso non mi interessa. Mi farò
raccontare tutto dopo, lo prometto.
Tornerò presto per portarvi fuori di qui con la chiave.
Tenetevi pronti.”
E
queste è una promessa che manterrò ad ogni costo.
Proseguii per il passaggio,
in attesa di scorgere Peter all’interno di una delle altre
celle che riempivano
le pareti, ma con mia sorpresa erano tutte vuote. Dove avevano
imprigionato il
re? Eppure non poteva essere molto lontano.
Svoltai a destra seguendo il
corridoio e mi imbattei in un’unica porta di ferro con una
feritoia in alto che
sbarrava la strada.
Il cuore cominciò a
battere
forte, il respiro si fece corto. Sapevo cosa, o meglio chi,
c’era oltre quella porta e avevo paura di vederlo. Non temevo
di essere giudicata una traditrice, ormai sapevo che quella parola non
aveva
mai nemmeno lontanamente sfiorato la mente di Peter, ma paventavo le
condizioni
in cui lo avrei trovato. Cosa lo aveva indotto ad urlare in quel modo
prima?
Quali ferite aveva riportato in battaglia da procurargli tanto dolore?
Il mio
compito è proprio quello di guarirlo da quelle
ferite.
Ricordai a me stessa, ferrea.
Presi un bel respiro e tutto
il coraggio che mi era rimasto e aprii la porta con la magia, ignorando
il
cuore in gola.
La cella era buia, a
differenza di quella degli altri quattro ragazzi, ma appena aprii la
porta la
luce esterna entrò insieme a me per illuminare
quell’angusto spazio.
Almeno
non c’è del ghiaccio alle pareti. La
temperatura quanto meno è sopra lo zero. Notai guardandomi attorno.
“Due visite nel giro di
un’ora…quale onore oggi”
Una voce, fiera e sarcastica
per quanto debole, smascherò la presenza di una figura
accasciata alla parete
alla mia sinistra, il cui busto stava in piedi solo perché
sostenuto dalle
braccia appese sopra la testa da due rigide catene .
Avvertii il mio cuore
spezzarsi riconoscendo in quel corpo malridotto, ricoperto di ferite e
di
sangue, Peter. Il mio Peter.
Il mio mondo intero
crollò.
Perché era lui a sostenerlo.
La mia vista si appannò.
Perché non poteva sopportare una tale visione.
La mia mente prese a
vorticare confusa. Perché non riusciva a capacitarsi di
quello che stava
succedendo.
Mi sentii semplicemente
morire. Perché la mia vita dipendeva dalla sua e la sua al
momento era seriamente
compromessa.
“Peter”
pronunciai in un
sospiro strozzato.
Con lentezza, come se solo
quel semplice gesto gli costasse molta fatica, alzò il capo
nella mia
direzione. Strizzò gli occhi per colpa della luce improvvisa
e infine riuscì a
mettermi a fuoco.
“Cathrine?”
bisbigliò
incredulo.
Mi portai una mano alla
bocca, soffocando un urlo angosciato. Il suo bel viso era ricoperto di
lividi e
tagli, il labbro era spaccato, il colorito pallido. Eppure i suoi
occhi, i suoi
splendidi zaffiri, mantenevano la lucentezza di sempre. Brillavano
ancora di
vitalità, di orgoglio. Si rifiutavano di arrendersi.
Non potevo sopportare di vederlo
ridotto in quello stato. E poi perché qualcuno avrebbe
dovuto accanirsi tanto
su di lui? Cosa aveva fatto per meritarsi questo?
“Cathy, sei
tu?”
Al secondo richiamo, corsi
verso di lui senza ulteriore indugio. Caddi in ginocchio e gli gettai
le
braccia al collo. Solo a quel punto piansi. Tanto, disperatamente.
Perché era
colpa mia se si trovava in quella situazione, io non gli avevo dato
retta, io
avevo appoggiato Jadis, io non ero riuscita ad impedire la guerra. Era
solo
dannatamente colpa mia.
“Ahi” esclamò
sofferente il ragazzo, eppure l’ombra
di un sorriso curvava le sue labbra gonfie, coprendo la smorfia di
dolore.
Mi allontanai di scatto,
preoccupata. “Scusami!”.
Per
l’abbraccio.
Perché
non ti sono stata vicina finora.
Perché
ho permesso che ciò accadesse.
Perché
non ti ho ascoltato.
“Non importa”
Perché
ora sei qui e solo questo conta.
Parole non pronunciate ma
che entrambi sapevamo.
“Cathy, stai
bene?”
Uno sbuffo divertito e
isterico mi uscì tra un singhiozzo e l’altro.
Era tipico di Peter
preoccuparsi per me nonostante tra i due fosse lui quello in pericolo
di vita.
Nonostante fosse ridotto al punto da essere incapace di tenere la testa
alzata,
lui si impensieriva per la mia condizione.
“Dovrei chiederlo io a te
non credi?” gli risposi, accennando un sorriso tra le lacrime.
Il ragazzo alzò le
spalle, gesto
che gli causò altro male. Cercava di sminuire come suo
fratello, evidentemente
entrambi succubi della fierezza maschile.
Gli accarezzai una guancia
con delicatezza, attenta a sfiorarlo solamente per non fargli male di
nuovo.
Non occorreva un medico per comprendere che aveva ferite ovunque. La
veste era
completamente macchiata di sangue e lacerata in più punti
dove aveva ricevuto
un colpo probabilmente di spada. Stava male, tanto, e anche se cercava
di
nasconderlo non poteva evitare al suo viso di piegarsi in una smorfia
di dolore
ad ogni minimo spostamento. Non osavo immaginare quanto dovesse essere
provato
il suo fisico, eppure Peter resisteva fieramente. Il suo sguardo
restava fermo,
la voce, seppure bassa, non tremava.
Non sapevo se era il suo
smisurato orgoglio a tenerlo vigile o una grande resistenza fisica, ma
qualunque cosa fosse ringraziavo il cielo per essa. Se il suo spirito
fosse
stato piegato, il mio si sarebbe sgretolato nello stesso istante.
“Peter, ho visto Lucy e
gli
altri chiusi in cella come te, credimi io…”
“Hai visto i miei
fratelli e
Caspian?” mi interruppe con fervore. Troppo, dato che fu
scosse da un violento
attacco di tosse. Mi preparai ad aiutarlo in qualsiasi modo, ma il suo
sguardo
mi informò che la cosa della quale necessitava di
più era sapere della sua
famiglia.
“Si, sono stati rinchiusi
qualche cella più in là. Stanno tutti
bene” aggiunsi anticipando la sua
prossima domanda “Susan era stata ferita alla gamba ma
l’ho guarita. E se mi
dici da dove iniziare, intendo curare immediatamente anche
te” annunciai,
squadrandolo con occhi clinico e riconoscendo la ferita che aveva al
fianco
come la più grave al momento.
“No”
La risposta giunse
inaspettata. Corrucciai la fronte.
“Come no? Peter, non
è il
momento di fare l’eroe, stai male e per quanto tu sia forte
dubito che
resisterai ancora a lungo” ribattei decisa. Lo avrei curato
anche contro la sua
volontà se necessario, non sarei stata a guardare mentre
soccombeva in quella
angusta cella.
“Non intendo fare l’eroe” disse
deciso “ma so quanta
energia ti costa un incantesimo di guarigione e se hai già
curato Susan non
puoi fare lo stesso con me. Rischieresti di prosciugare
un’altra volta le tue
forze” mi spiegò razionale.
I suoi occhi erano sinceri,
avrebbe realmente rinunciato senza tentennamenti alla sua unica
possibilità di
essere guarito e di alleviare il suo dolore per evitare di farmi
perdere di
nuovo le energie. Ero semplicemente incredula.
Mi asciugai l’ennesima
lacrima con il dorso della mano, sorridendo sbalordita. Non si poteva
essere
tanto altruisti, non era umanamente realistico.
“Quando la smetterai di
preoccuparti per me” lo ripresi “e comincerai a
pensare prima a te stesso? Sei
gravemente ferito, hai bisogno di cure e io te le
darò.”
“Non se ciò
compromette la
tua di salute” ribatté.
“Non
accadrà” lo rassicurai.
“I miei poteri si sono praticamente raddoppiati
dall’ultima volta, non mi sono
nemmeno sentita stanca dopo che ho rimarginato il taglio alla gamba di
Susan.
Sono perfettamente in grado di guarirti. Devi solo dirmi dove per prima
cosa,
al fianco?” proposi.
Peter mi scrutò,
probabilmente in cerca di segni di cedimento sul mio viso che
smascherassero
una bugia nelle mie parole, ma non trovandone parve rassegnarsi.
“Alla spalla”
obiettò.
Annui decisa e mi alzai in
piedi per vedere meglio la parte indicata.
Un’esclamazione
inorridita
mi uscì prima che riuscissi a bloccarla. Quella che Peter
aveva sulla spalla
non era una semplice ferita di spada. Qualcosa di grosso e appuntito
doveva
essere penetrato in quel punto, tranciandogli i legamenti del trapezio.
Se
fosse stato sottoposto a cure normali probabilmente non avrebbe mai
recuperato
l’uso del braccio tanto era grave la ferita. Ma
ciò che era strano era che non
sanguinava come avrebbe dovuto. Come quella di Susan, la ferita non si
era
cicatrizzata eppure l’emorragia si era fermata. Ma a
giudicare dall’espressione
di Peter, il dolore era ancora ben presente.
Senza perdere altro tempo,
allungai le mani sulla spalla e ripetei l’incantesimo
già praticato per sua
sorella. Individuai la sua aurea, più luminosa di quella di
Susan anche se
aveva ricevuto più ferite di lei, ma molto più
fioca di quello che sarebbe
dovuta essere. Feci confluire la magia nei miei palmi e quando fui
pronta
penetrai il suo scudo cominciando a far scorrere la mia energia in lui.
La
magia si diffuse nei muscoli ripristinando i legamenti e nelle vene
curandone
le lacerazioni. Impiegai più tempo che per la gamba della
ragazza, ma alla fine
la spalla tornò come nuova.
Quando rividi la sua pelle
rosa e perfetta sospirai di sollievo.
“Va meglio?”
“Decisamente,
grazie” il
tono meno dolente fu la più grande ricompensa.
Passai immediatamente a
curare il fianco che presto tornò sano. Guarii due
lacerazioni profonde alla
gamba destra, un’altra al braccio sinistro e una lunga ma
poco profonda lungo
il torace. Risanai i lividi e le abrasioni che riportava praticamente
ovunque,
facendo scorrere la mia magia lungo tutto il suo corpo, invadendolo con
la mia
calda energia dopo aver superato la protezione della sua aurea.
Infine mi occupai del viso.
Cicatrizzai un taglio che gli deturpava la guancia facendola tornare
rosea e
perfetta come prima, ne risanai un altro sopra il sopraciglio e un
livido lungo
la mascella. Per ultimo guarii il labbro spaccato, ritrovando in poco
tempo la
sua bocca rossa e piena senza una ferita. Bocca sulla quale depositai
un bacio
desiderato da entrambi. Un bacio con la quale cercai di trasmettere
tutto il
mio dispiacere per la situazione e il mio amore che non era mai
vacillato.
Quando ci separammo gli
accarezzai il viso, contemplandolo, felice di rivederlo in salute come
sarebbe
sempre dovuto essere.
“Purtroppo non posso
aprire
le catene perché assorbono la magia. Occorre la chiave per
liberarti, ma non
preoccuparti, la troverò e tornerò il prima
possibile per portarti via insieme
agli altri” lo informai, con una sfumatura di scuse per la
mia mancanza.
“Non ne dubito”
mi assicurò,
riempiendomi di gioia. Sapevo che si fidava di me, ma era comunque
confortante
sentirglielo dire dopo tutto quello che era successo.
“Come hai fatto a ridurti
in
questo stato in battaglia? Edmund e Caspian ne sono usciti praticamente
illesi
e Susan ha riportato solo una ferita alla gamba” chiesi poi,
non capacitandomi
di come un condottiero abile come lui avesse subito così
tante ferite.
“Solo il fianco e la
spalla
sono stati colpiti in battaglia” mi rispose muovendo la
spalla per quanto le
catene gli consentivano per verificarne lo stato. “Ma la
persona che mi ha
ferito ha voluto continuare l’opera anche qui”
confessò con tono aspro.
“Chi?” domandai
con un filo
di voce, anche se in cuor mio già sospettavo la risposta,
solo una persona
poteva essere indicata da Peter con tale acrimonia.
“La Strega
Bianca”. Per non
smentirsi, il nome gli uscì simile ad un ringhio.
Strinsi gli occhi per
impedirmi di versare altre lacrime alla consapevolezza che la lista dei
crimini
di mia madre si allungava. La discussione che avevo rimandato con Susan
stava
per essere affrontata, dopotutto non avrei potuto evitarla in eterno.
Anche se
avrei tanto voluto chiudere gli occhi e fingere che fosse tutto un
brutto
sogno, dovevo affrontare la realtà. Almeno, Peter era
accanto a me.
“Jadis e io abbiamo
duellato
insieme. L’avevo colpita al braccio e alla gamba”
iniziò a raccontare Peter.
Subito l’immagine di mia madre zoppicante mi tornò
alla mente, dando credito
alle parole del re “stavo vincendo e lei lo sapeva,
così si è allontanata da me
per cercare di colpire Edmund alle spalle congelandolo con lo scettro.
Non
c’era tempo per avvertire mio fratello così mi
sono frapposto tra lui e Jadis e
lo scettro ha colpito me infilzandomi la spalla”.
L’odio nelle sue parole era
quasi palpabile.
“E
pensare che mia madre mi aveva giurato che
non vi avrebbe torto un capello, che addirittura vi avrebbe protetto
durante lo
scontro!” mormorai, la voce strozzata nel realizzare
ciò che Jadis aveva fatto
alle persone che più amavo. Come aveva potuto prima
ingannarlo infimamente e
poi ferirlo a quella maniera?
Le labbra di Peter si
curvarono in un sorriso triste. “Se non sbaglio ti aveva
anche giurato che ci
avrebbe esiliati a Londra, eppure eccoci qui” mi
ricordò.
Ingoiai a fatica altre
lacrime. Jadis mi aveva promesso con tanta semplicità che
avrebbe risparmiato i
miei amici e con altrettanta semplicità aveva infranto la
parola data.
Tenendomi all’oscuro di tutto.
Ma come avevo fatto a non
accorgermi che la strega aveva trascinato i miei amici al castello? Se
il
combattimento era accaduto durante la notte, probabilmente stavo ancora
dormendo mentre tornavano nel palazzo, ma con tutto il rumore che
avevano
certamente fatto possibile che non mi fossi accorta di nulla? A meno
che…
…Ti
ho portato una tisana. Ti aiuterà a calmarti.
Con un ennesimo singhiozzo,
realizzai come mia madre mi avesse tranquillamente tolto di scena,
impedendo un
mio coinvolgimento. Mi aveva drogata. La tisana era stata solo un
pretesto per farmi
assumere un sonnifero, ecco perché mi ero addormentata di
botto senza nemmeno
riuscire a raggiungere il letto. E io che lo avevo scambiato per un
gesto d’amore
materno…
“Ma lei voleva solo far
tornare la pace e la prosperità a Narnia. Per questo ha
anche sconfitto Miraz”
sussurrai incoerentemente, non rassegnandomi alla verità
sempre più palese.
Come potevo mettermi il cuore in pace dinanzi ad una realtà
tanto atroce?
“Cathy, mia stella, ti
prego
apri gli occhi, te lo chiedo nuovamente” Alzai lo sguardo su
Peter, rispondendo
alla sua preghiera e apprestandomi ad ascoltarlo, gli occhi lucidi di
un pianto
represso. “Quello che voleva era tornare a tiranneggiare
sopra una landa
ghiacciata perché questo è diventata Narnia ora
che è tornata, un deserto di
ghiaccio e Telmar con essa, ha congelato ogni angolo della
città compresi i suoi
abitanti”.
“Non ha senso, in
giardino
gli alberi sono tornati a danzare!” obiettai, aggrappandomi
alla piccola
speranza che Peter si sbagliasse almeno su quel punto. Non poteva
essersi
spinta a tanto.
“Il risveglio
è limitato al
giardino del castello, probabilmente Jadis ha pensato di tenerti buona
facendoti credere che Narnia era tornata quella d’un tempo.
Basta attraversare
il ponte per rendersi conto che il resto del paese è tutto
ricoperto di neve
gelida”.
Confusione e stordimento
popolarono la mia testa.
Guardai Peter negli occhi e
in quelle iridi celesti non scorsi altro che sincerità e
tanto amore. Voleva
che gli credessi principalmente per il mio stesso bene, come potevo
dubitare
della sua parole? Eppure credere che mia madre mi avesse mentito faceva
male.
Tanto, tanto male. Possibile che mi avesse solo usata, che tutto
ciò che mi
aveva detto corrispondesse al falso?
“Ma perché
avrebbe dovuto
rinchiudervi qui sotto? Perché ti ha ferito
così?” chiesi, girando l’argomento
nella speranza di trovare una spiegazione a quelle azioni che non fosse
crudeltà gratuita. Dopotutto Jadis ormai aveva vinto, aveva
la corona, a cosa
gli servivano dei prigionieri?
“Cercava di estorcermi
un’informazione per lei vitale, dove si trova
Aslan” mi disse.
Corrucciai la fronte. “Ma
voi non sapete dove si trova Aslan, altrimenti sareste andati da lui a
chiedergli aiuto. Io per prima le avevo detto che non avevamo la
benché minima
idea di dove potesse essere” obiettai.
“Si, ma lei ha pensato
che
noi lo sapessimo e che te lo avessimo tenuto nascosto.”
Spiegò.
Scossi la testa allibita e
inorridita. “E Jadis ti avrebbe torturato per farti
confessare?”
“Si”
Una pugnalata al cuore. Una
vera e propria pugnalata al cuore.
“Cathy?” mi
richiamò calmo
Peter, vedendo il mio smarrimento.
Alzai lo sguardo sul bel re.
I miei occhi stavano supplicando pietà. Ad un tratto
desiderai di non aver mai
saputo come era andata veramente la guerra, perché i miei
amici si trovassero
rinchiusi in celle fredde e perché Peter era stato ridotto
in quello stato
pietoso. La possibilità che mia madre si rivelasse in
realtà la crudele Strega
Bianca che tutti temevano mi stava dilaniando.
E Peter lo sapeva, ecco
perché con il tono più dolce del miele
cercò di confortarmi.
“Mia stella, so che deve
essere orribile apprendere tutto questo, ma purtroppo è
necessario per la tua
salvezza e per quella di Narnia intera.”
Presi un respiro profondo.
Peter aveva ragione. Non potevo più difendere mia madre
dalle accuse che le
venivano rivolte. La verità era troppo palese
affinché potessi fingere di non
vederla.
Frasi da lui pronunciate in
un tempo che mi sembrava tanto lontano riecheggiarono nella mia mente,
frasi
che sembravano predire saggiamente un futuro alla quale non avrei mai
creduto
se non l’avessi visto.
Tu
credi sul serio che Jadis ci lascerebbe
tranquillamente andare vivi lontano di qua? Dopo milletrecento anni che
medita
vendetta?
Lo avevo creduto. Come una
piccola ingenua avevo davvero creduto nella buona fede nella strega,
avevo
creduto ad ogni sua singola promessa, ad ogni frase e proposito
confidando che
non avrebbe mai mentito a sua figlia, fiduciosa che il suo cuore non
avrebbe
mai potuto compiere atti di vendetta. E invece mi ero clamorosamente
sbagliata.
Ero stata raggirata con facilità e i Pevensie e Caspian ne
avevano purtroppo
pagato le conseguenze insieme ai loro regni.
Perché la Strega Bianca
non
aveva mai avuto alcuna intenzione di lasciare impunito il colpo di
stato
avvenuto tredici secoli prima. Perché Jadis covava vendetta
da troppo tempo, a
differenza di quello che avevo ingenuamente sperato. Una vendetta che
esigeva
di essere consumata.
Jadis mi aveva mentito, ogni
sua singola parola si era dimostrata essere falsa. Falsa come il suo
amore per
me, perché se davvero mi amava come diceva, non mi avrebbe
mai raggirato in un
modo tanto infame ed infido.
Alcune lacrime scapparono
dal mio controllo mentre un singhiozzo mi scosse. Per la seconda volta
mi vedevo
strappare via l’affetto di una madre, proprio quando iniziavo
a godere del suo
dolce sapore. Era ingiusto. Terribilmente ingiusto.
“Evidentemente non
è il mio
destino avere qualcuno da chiamare mamma con affetto”
mormorai con amarezza.
“Mia Cathy, vieni
qui” Peter
mi invitò tra le sue braccia e io non esitai ad accoccolarmi
sul suo petto
ampio e caldo.
Altri singhiozzi, altre
lacrime, ma su entrambi la dolce e rassicurante voce di Peter
cercò di imporsi.
“Jadis non merita il tuo
pianto. La sola che deve soffrire e che infine soffrirà
sarà lei, specie quando
si accorgerà che per la sua crudeltà ha perso la
cosa più preziosa che la vita
avrebbe mai potuto regalarle, che non è di certo una corona,
bensì il tuo
affetto, l’affetto di una figlia altruista e buona che le
avrebbe donato solo
felicità.”
Parole di conforto, balsamo
sulla mia ferita se pronunciate con quel tono vellutato.
“Ma tu sei diversa, sei
capace di amare e di essere amata dalle persone che lo fanno con il
cuore. Hai
l’amicizia di Susan, di Edmund e di Caspian, che farebbero
qualsiasi cosa per
te senza pensarci un attimo. Hai Lucy che praticamente ti
adora.” Il ricordo
dei quattro ragazzi riuscì a strapparmi un sorriso di
tenerezza che vinse in
parte i singhiozzi. “E hai il mio amore, ora e per sempre
come dovresti ben
sapere”.
L’ultima dichiarazione
bloccò definitivamente le lacrime. Lo guardai grata di
quelle splendide parole
che mi aveva rivolto e che riuscivano almeno ad arginare il dolore che
sentivo.
“Hai ragione. Io ho voi e
per difendervi farò tutto ciò che è in
mio potere. Anche” deglutii, sentendo
gli occhi farsi nuovamente lucidi. “andare contro
Jadis” dichiarai con la voce
più ferma che riuscii a sfoderare.
Un sorriso illuminò il
volto
del re. Un sorriso sollevato e speranzoso. “Sai, per qualche
istante ho temuto
di averti persa per sempre per colpa della strega” mi
confessò.
“Perdonami, sul serio.
Non
sai quanto mi dispiace per non averti dato retta sin da
subito.” Mormorai
afflitta, prima di abbracciarlo senza più paura di fargli
male.
“Chi potrebbe mai
biasimarti, mia Cathy? Le tue scelte sono sempre state dettate
dall’amore, mai
dall’egoismo o dalla cattiveria”.
In questo caso dall’amore
verso una madre che non credevo di avere, che avevo sperato tenesse a
me e il
cui sentimento si rivelava ora fasullo. Ma nonostante le nuove
scoperte, sarei
riuscita a nuocerle in modo assoluto per il bene di Narnia? La risposta
la
sapevo già. Dovevo però dirlo a Peter, occorreva
mettere in chiaro fin dove mi
sarei spinta per aiutarli.
“Ascoltami
però, anche se
Jadis ha fatto quello che ha fatto, per me rimane sempre la persona
più simile
ad una vera madre che ho mai avuto. Quindi se ci fosse un altro scontro
non vi
aiuterò ad ucciderla. Prometto che non vi
intralcerò né giudicherò, ma
semplicemente
che non alzerò la spada personalmente contro di
lei.” affermai, confidando
nella sua comprensione.
Un lampo di serietà
passò in
quelle iridi celesti che mi scrutarono l’animo. Storse la
bocca in una smorfia
contrariata prima di rispondermi.
“Quindi cosa intendi
fare?”
mi chiese senza nessuna particolare inflessione nella voce.
“Se Narnia soffre come mi
hai detto, riparerò al danno che ho fatto e
aiuterò te e i tuoi fratelli a
riprendervi il trono in ogni modo possibile, eccetto eliminare Jadis.
” ribadii
senza remore.
Peter mi soppesò ancora
un
secondo prima di sussurrare un “D’accordo,
effettivamente non sarebbe giusto
chiederti una cosa simile. Ti capisco”.
Sospirai sollevata. Un
sollievo momentaneo perché subito mi ricordai ciò
che dovevo fare. Trovare la
chiave e liberare i ragazzi.
“Ora vado, ma
tornerò con la
chiave prima che tu possa sentire la mia mancanza” mormorai
ad un soffio dalle
sue labbra.
“Impossibile,
già la sento”
ribatté ilare strappandomi un sorriso.
Gli diedi un ultimo bacio,
non di addio questa volta, solo un semplice arrivederci.
“Ti amo” gli
dissi quando ci
separammo, e fui lieta di poterglielo comunicare senza la sofferenza di
cui era
intriso l’ultima volta che lo avevo pronunciato.
“Ti amo” mi
fece eco lui,
guardandomi con gli occhi che brillavano.
Mi allontanai a malincuore,
ma questa volta almeno sapevo che lo avrei rivisto a breve.
Una volta che la porta si fu
richiusa, compresi che c’era una cosa che dovevo fare prima
di cercare la
chiave. Dovevo andare a Narnia e a Telmar e rendermi conto di persona
di cosa
avevo contribuito a fare. Dovevo sapere l’entità
del danno.
Richiamai la mia magia,
facendola scorrere per tutto il mio corpo. La sentii pulsare dal torace
fino
alle mani e poi giù verso i piedi per risalire fino alla
testa. Focalizzai le
rovine dove gli abitanti di Narnia si erano nascosti per molti mesi e
formulai l’incantesimo.
Un vortice d’aria mi
circondò, e presto provai la sensazione di venire trascinata
all’indietro.
Quando riaprii gli occhi,
non riuscivo a credere che ciò che vedevo fosse vero. Il
colore ocra
dell’edificio era interamente ricoperto da quello candido
della neve. Quello
come la piccola arena, i cui resti erano seppelliti dai fiocchi, e la
pianura,
la verdeggiante e fertile pianura piena di fiori dai colori
più vivaci nei miei
più recenti ricordi, era interamente bianca.
Una folata di vento gelido
mi fece battere i denti. Cercai di stringermi nelle mie braccia ma il
freddo
era davvero pungente, quasi insopportabile. Come la ferita al mio cuore
che
aveva ripreso a sanguinare all’ennesima prova tangibile della
vera natura di
Jadis.
Come poteva aver ridotto
quella florida terra a, come lo aveva chiamato Peter, un deserto di
ghiaccio?
Desiderosa di sottrarmi a
quella vista, cercai di farmi forza e ripetei la magia trasportandomi a
Telmar
in pochi istanti. Gli stessi istanti che impiegai per rimanere senza
respiro.
Telmar era messa peggio di
Narnia. Anch’essa era completamente ricoperta di neve, ma
Jadis non aveva
incantato solo vie e strade.
Come orribilmente ammaliata,
mi avvicinai ad una statua di ghiaccio poco distante, simile alle mille
che
sembravano riempire la cittadina. Raffigurava un anziano signore con in
mano un
libro, ripreso nell’atto di camminare.
L’espressione era pensierosa, ma i
muscoli del viso rilassati.
Indietreggiai inorridita,
finendo per inciampare nei miei passi e cadere sulla soffice quanto
fredda
neve. Quella non era una statua. Quella era una persona congelata,
quella come
tutte le altre.
Aprii la bocca per urlare,
ma non un suono riuscì ad uscire dalle mie labbra. Avevo la
gola bloccata
dall’orrore.
Solo un demonio poteva essere
capace di un atto tanto crudele. Un demonio, o una strega. Per la
precisione la
Strega Bianca.
Ora più che mai mi parve
chiaro che la donna dai lineamenti gentili e il tono dolce che avevo
chiamato
“mamma” non era altro che una copertura, una
maschera che celavano un anima
nera in perfetto contrasto con il candore della neve che tanto adorava,
ma
fredda esattamente come essa.
Una folata d’aria calda
mi
investì da dietro, giungendo del tutto inaspettata, e prima
che mi voltassi,
una voce bassa e possente mi risuonò nelle orecchie.
“Questo è solo
un assaggio
di ciò che la Strega Bianca è capace di
fare”
Spaventata, mi voltai di
scatto. Trattenni il respiro mentre con stupore crescente registravo
una folta
criniera che si muoveva al vento freddo simile a lingue di fuoco. Un
corpo
possente, poggiato su quattro zampe dal manto dorato, con postura fiera
e
regale si stava avvicinando con lentezza, segnando orme sul tappeto di
neve.
“Aslan”
Il mio sussurrò
strozzato si
perse nel vento, ma fui certa che lui lo avesse sentito.
Il grande felino puntò
su di
me i suoi occhi scuri, che chissà quante ere aveva scorto,
soppesandomi con
espressione neutra.
Sentii il cuore in gola. Non
ero preparata ad incontrarlo, era assolutamente l’ultima
persona che mi
aspettavo e che sapevo di poter affrontare. Mi sentivo terribilmente in
colpa
per averlo accusato ingiustamente e di aver contribuito allo scempio
che Jadis
aveva fatto della sua terra. Mi vergognavo, temevo la sua collera e il
suo
giudizio.
Incapace di sostenere il suo
sguardo imperscrutabile abbassai le mie iride azzurre, attendendo la
sua
rabbia. Una rabbia che però non scorsi affatto nelle sue
parole che seguirono.
“Così tu sei
Cathrine
Icepower. Non vedevo l’ora di conoscerti di
persona”
Incredula, azzardai a
guardarlo di nuovo negli occhi scorgendo un lampo di benevolenza nella
sua
espressione. Possibile che non fosse adirato con me dopo quello che
avevo
combinato?
Tuttavia, io mi sentivo in
dovere almeno di tentare di scusarmi.
“Aslan, io…mi
dispiace,
davvero. Non avrei mai voluto tutto questo. L’unica cosa che
desideravo era
riportare Narnia a com’era milletrecento anni fa, volevo
vederla risplendere
come nei racconti di Peter e invece ho combinato un disastro. Narnia e
Telmar
sono congelate, la persona della quale mi ero fidata si è
dimostrata una sanguinaria
tiranna che io ho rimesso sul trono e i Pevensie sono rinchiusi
in…” iniziai a
raffica, vincendo a poco a poco il magone che sentivo in gola, come se
elencare
ogni disgrazia da me causata fosse in qualche modo terapeutico, uno
sfogo.
“Basta giovane Cathrine,
non
occorre che tu ti scusi. So che le tue intenzioni erano delle
più onorevoli.
Sei stata ingannata dalla vera colpevole di tutto ciò, la
Strega Bianca, e
probabilmente sei la sua principale vittima. Hai tutta la mia
comprensione”
Le parole del grande sovrano
erano sincere, il mio cuore lo sapeva e subito, come per magia, mi
sentii più
sollevata. Aslan non era in collera con me e soprattutto era qui. Aslan
era
infine tornato. Peter, i suoi fratelli, Caspian e Narnia erano salvi.
“Grazie” gli
dissi. Una
parola semplice ma intrisa di sentimento.
“L’importante
è che ora tu
sia pronta ad assumerti le tue responsabilità e che aiuti i
Pevensie e il
giovane principe di Telmar. Hanno bisogno di te” mi ingiunse
serio.
Il mio sguardo si
corrucciò.
“Tu non li aiuterai?” chiesi smarrita, alzandomi da
terra, infreddolita dalla
neve.
“Si, quando mi verrete a
cercare, io vi aiuterò. Ma ora non è ancora
giunto quel momento. Tu, Cathrine,
hai la possibilità di salvarli senza di me dalle grinfie
della strega e di
sconfiggere quest’ultima” mi informò con
sicurezza.
“Ti sbagli.”
Ribattei
immediatamente, confusa dal suo rifiuto di aiutarci. “Mi
impegnerò con tutta me
stessa per farli uscire dal castello” mi affrettai a
specificare “ma da sola
non riuscirò mai a battere Jadis. Non posso. E ho paura che
nemmeno Peter ce la
possa fare, abbiamo bisogno di te per questo” conclusi.
Il grande felino scosse la
testa. “Questa battaglia è tua e del giovane re,
la mia è stata combattuta anni
addietro. Solo voi due dovete trovare la forza per distruggere la
Strega Bianca
per sempre.” Decretò con tono che non ammetteva
repliche.
Scossi la testa in segno di
diniego. Non ce l’avrei mai fatta, ne ero certa. Mi morsi il
labbro per la
frustrazione, perché diamine non voleva soccorrerci da Jadis?
“Non so nemmeno dove sia
la
chiave per liberarli dalle loro celle” mormorai afflitta.
“Jadis è una
Strega Bianca, non
si fida di nessuno eccetto che di se stessa. Sono certo che la chiave
la
troverai nella sua camera, ben custodita da qualche
incantesimo” mi consigliò.
Aggrottai le sopraciglia.
“Anche io sono una Strega Bianca” obiettai,
risentita.
Con mia sorpresa, Aslan parve
sorridermi ironico. “Sai qual è la caratteristica
che contraddistingue una
Strega Bianca?” chiese pacato ed enigmatico.
“Quella di avere dei
poteri
magici” risposi di istinto.
Il felino scosse la folta
criniera. “è quella di avere un cuore di
ghiaccio” mi corresse paziente.
Mi rattristai. Ciò
voleva
dire che anche io avevo un cuore di ghiaccio? Ma prima che potessi
formulare la
domanda ad alta voce, il felino fece un passo avanti, e poi un altro
fino ad
arrivare a sfiorarmi con la criniera. Non potei impedirmi di provare un
brivido
di paura ad averlo a quello distanza ravvicinata. Era alto quanto me e
le zanne
affilate e letali spiccavano sulla sua bocca socchiusa. Sarebbe bastato
un
morso per uccidermi.
Ma lui
non lo farebbe mai. Ricordai a me stessa cercando di
imporre la ragione
sull’istinto con successo. Era vero, Aslan non mi avrebbe mai
fatto del male.
Al contrario di quello che aveva fatto Jadis.
“Cathrine, sei giovane,
ma
sei molto potente. Hai un grande potenziale e sono certo che lo
sfrutterai nel
migliore dei modi possibile. Se avrai fiducia in te stessa niente ti
sarà
impossibile. Affidati alla tua magia, essa non ti tradirà
mai perché fa parte
di te. Ma se anche essa non bastasse, affidati all’amore di
Peter e
all’amicizia di Caspian, Susan, Edmund e Lucy. I loro
sentimenti sono puri e
non verranno mai meno. Se resterete uniti, riuscirete nei vostri
intenti”.
Il suo discorso mi
riscaldò
il cuore. Erano consigli quasi da padre. Si preoccupava per me, ma
soprattutto
aveva fiducia nella mia persona. Mi credeva davvero capace di portare a
termine
la difficile missione che mi aveva affidato. Il suo ottimismo mi
contagiò e
improvvisamente mi sentii più consapevole delle mie
potenzialità. Dopotutto se
lui credeva possibile un mio successo perché io non avrei
dovuto?
“Grazie Aslan”
ripetei
sorridendogli riconoscente.
Il leone ricambiò il
sorriso. “Ricorda, quando mi verrete a cercare io vi
aiuterò” ripeté serio “Ora
vai. Buona fortuna giovane Cathrine”
Aslan spalancò la grande
bocca e soffiò investendomi con un fiotto di aria calda come
i raggi del sole.
Mi sentii trascinare all’indietro e in un attimo non avvertii
più il caldo del
suo soffio né il freddo della neve sotto di me,
bensì la sofficità del tappeto
che ricopriva il pavimento della mia stanza. E una voce irosa che la
riempiva
graffiandomi i timpani e facendomi presagire il peggio.
“Dove sei
stata?”
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Capitolo 19 *** 18_La madre e la strega ***
Ciao ragazzi e ragazze
:-)! Rullo di tamburi....il capitolo è arrivato^^!!! Ci ho
impiegato più tempo di quello che speravo ma alla fine sono
riuscita a pubblicarlo, sarà venuto bene? A voi l'ardua
sentenza! In qst cappy si svolge il nodo cruciale di tutta la storia,
per qst nn mi dilungo oltre e vi lascio alla lettura! Mi auguro che vi
piaccia, fatemi sapere cosa ne pensate :-)
Ringraziamenti:
Eve_Cla84: Ciao!
Non sai quanto sn contenta di sapere di avere una nuova lettrice e ti
ringrazio tantissimo per i tuoi complimenti e apprezzamenti per la mia
storia :-)! Anche Cathrine ringrazia per i complimenti che
hai rivolto al suo personaggio, se ne è sentita onorata ** ,
in + è sempre un sollievo sapere che si è
riusciti a caratterizzare con successo un personaggio e i suoi legami
con le altre persone, temo sempre di nn essere riuscita a descrivere
compiutamente i miei personaggi e sapere che ciò nn
è successo mi rassicura :-)! Anche a me l'aspetto regale di
Jadis è sempre piaciuto nei film, devo confessare che la fan
fiction è nata anche per rendere omaggio al suo personaggio
a cui nel secondo film secondo me hanno dato una parte troppo piccola e
poco significativa. Insomma, è la potente Strega Bianca e
sarà apparsa si e no cinque minuti! Nn mi sembrava giusto...
tuttavia la psicologia della mia Jadis nn è ancora stata
approfondita del tutto e credo rivelerà ancora sorprese in
qst ultimi capitoli, sorprese che spero verranno apprezzate :-) Ti
ringrazio ancora tanto e spero di leggere presto la tua recensione su
qst capitolo :-) un bacione!!!!!
lovely_: ciao!!
Sn felice che tu sia stata così contenta dell'aggiornamento
la volta scorsa e che il cappy ti sia piaciuto :-)! Spero che ti
piacerà anche qst volta e che nn deluderà le
aspettative :-)! Grazie mille per la recensione :-) kisskisses :-)!
ranyare: ciao! Aslan
apprezza tantissimo il tifo, hiihi, io invece apprezzo davvero tanto
tanto tanto tutti i tuoi complimenti, sn felice di sapere che anche
l'ultimo capitolo abbia regalato delle emozioni e che sia piaciuto,
grazieeeeeeeee**! In qst cappy invece sarà Cate ad avere
bisogno di tutto il tifo possibile, è il suo momento e
l'impresa che la aspetta nn è affatto facile, ma come hai
detto tu se Aslan ha fiducia in lei avrà i suoi buoni
motivi! Nn sapevo che anche tu avessi optato per Taylor Swift per uno
dei tuoi personaggi :-) sarà che ultimamente la si vede
dappertutto, persino ad X Factor! Cmq con il viso d'angioletto che ha
(beata lei perchè è davvero bella
>
Freddy Barnes: Ciao!! Nn
sai quanto sn stata felice nel leggere le tue recensioni, hai letto
tutta la ficcy praticamente d'un fiato! Nn saprei cosa dire se non che mi sento
onorata e stra contenta! Grazie mille anche per tutti i complimenti e
per aver apprezzato tanto i personaggi:-)!!! Concordo sul fatto che se
esistessero ragazzi come Caspian e Peter il mondo sarebbe un posto
migliore hihiihi (specie per noi ragazze!) ma chissà, la
speranza è l'ultima a morire (qui l'ottimismo galoppa!). Si,
cm hai detto tu, ora che finalmente Cate si è resa conto
della "dolce personcina" che è Jadis in realtà si
è arrivati al momento più cruciale di tutta la
storia e spero tanto che cm l'ho reso nel cappy nn deluda le
aspettative :-)! Spero di leggere presto cosa pensi di qst diciottesimo
capitolo e mi auguro che ti piaccia :-) mille grazie ancora per le tue
recensioni e i tuoi complimenti, thanks^^ un bacione grandeeee^^
sweetophelia: Ciao! Si,
effettivamente era ora che Cate si rendesse conto della
verità! E finalmente adesso può partire alla
carica e portare a compimento la missione che Aslan le ha dato anche se
le difficoltà saranno parecchie, la strega è un
osso duro da sconfiggere purtroppo per lei! Cm sempre sn contenta di
sapere che il cappy scorso ti sia piaciuto, grazie infinite per i
complimenti e spero che anche qst venga apprezzato :-)! Siamo ormai al
cappy cruciale della storia, per qst mi auguro che il cappy sia venuto
bene come speravo! Nn vedo l'ora di leggere il tuo parere :-) un bacio
e un abbraccio grandiii^^ PS. Grazie per avermi detto di aver
apprezzato la copertina, sei stata l'unica a farlo e temevo nn fosse
piaciuta:-)!
noemi_moony:
Ciao! Felicissima di sapere che il cappy ti sia piaciuto! I
ragazzi sn in una brutta situazione per Cate adesso finalmente ha
capito da che parte deve agire e quindi farà il possibile
per aiutarli! Hihihih, effettivamente un'amica come Cate in certe
situazioni farebbe più che comodo, addio mal di testa e
raffreddori e niente più antibiotici >
Ringrazio anche tutti
coloro che hanno aggiunto la fan fiction tra le seguite, le preferite e
/o da ricordare e quelli che hanno anche solo letto, grazie a tutti**
Vi auguro una buona lettura
Kisskisses
68Keira68
18_La
madre e la strega
Presa
alla
sprovvista sobbalzai nell’udire una voce irritata provenire
dal divanetto sotto
il davanzale.
Voltai lo sguardo in quella
direzione e vidi Jadis, seduta composta, i lineamenti del volto
irrigiditi
quanto la spina dorsale. Era arrabbiata, bastava vedere le scintille
furiose
che le attraversavano gli occhi per comprenderlo. Il mio cuore
cominciò a
battere veloce come le ali di un colibrì. Sapeva chi avevo
visto? Sapeva del
mio incontro con Aslan?
“Ti ho chiesto, dove sei
stata?” ripeté con un’evidente sforzo di
tenere il tono di voce basso.
La dolcezza con la quale era
solita rivolgersi a me si era volatilizzata nel nulla e il cambiamento
non mi
piaceva per niente. Fiera e algida, con lo sguardo di ghiaccio, mi
metteva in
soggezione.
Presi un profondo respiro
per farmi forza e cercando di non far vacillare la mia voce le risposi.
“Sono andata
fuori”
“Ti avevo chiesto di non
farlo” mi ricordò contrariata.
Sbuffai ironica, riuscendo a
vincere la momentanea paura grazie all’irritazione.
“Perché sapevi
che non mi
sarebbe piaciuto affatto quello che avrei visto. Mi hai mentito, Narnia
non è
tornata quella di una volta, è sepolta sotto la
neve” sbottai, accusandola.
Jadis si alzò,
sovrastandomi
con la sua longilinea figura. I tratti del volto erano rimasti
immutati, ma
dalle iridi di ghiaccio uscivano lampi, segno che le mie parole
l’avevano
colpita.
“Punti di vista. Per me
questo è il volto che Narnia deve avere, non pieno di
orribili fiori e stupidi
alberi danzanti”
pronunciò l’ultima
parola con una smorfia di disgusto “Per una Strega Bianca,
regina del gelo, la
neve è il suo regno” affermò con
orgoglio.
“Ti sbagli, anche io sono
una Strega eppure preferisco di gran lunga vedere la natura
risvegliarsi
attorno a me, non vederla congelata. E tu lo sai benissimo o non
avresti
ridestato gli alberi in giardino per farmi credere ciò che
volevi.” ribattei
piccata, contraddicendola per la prima volta.
“Questo solo
perché sei
stata riconosciuta come Strega Bianca da troppo poco tempo per
condividere il
mio gusto. Per ciò ti ho tenuto all’oscuro di come
Narnia era realmente mutata.
Ti avrei detto la verità quando saresti stata
pronta.” Si giustificò.
Aprii la bocca per ribattere
ma la richiusi, assalita da dubbi improvvisi. Stava dicendo il vero?
Anche io
prima o poi sarei divenuta come lei, amante delle lande ghiacciate?
Qual
è la caratteristica che contraddistingue una
Strega Bianca? Quella di avere un cuore di ghiaccio.
Aslan era stato chiaro,
eppure dentro di me sapevo che non sarei mai potuta divenire come mia
madre.
Non avrei mai potuto nuocere a coloro che amavo come a nessun altro. E
non
avrei mai apprezzato un deserto di ghiaccio come terra da chiamare casa.
Sapevo bene cosa desideravo
e cosa no. Quella mattina in mezzo alla natura mi ero sentita a mio
agio come
da giorni non riuscivo a sentirmi in quel palazzo freddo. Non dovevo
farmi
paranoie per colpa di pregiudizi comuni, nessuno poteva dire cosa o chi
sarei
diventata se non io stessa.
“Ne dubito profondamente,
comunque resta il fatto che mi hai mentito. Ma non è questa
la bugia più grave”
proseguii a conclusione della mia riflessione.
“E quale
sarebbe?” mi chiese
inarcando un sopraciglio.
“I Pevensie sono
rinchiusi
nelle prigioni del castello, mezzi congelati quando mi avevi giurato
che erano
tornati a Londra sani e salvi e con loro c’è anche
Caspian!” le ricordai acida
e infervorata. Ancora non mi capacitavo di come aveva potuto accanirsi
tanto
sui ragazzi anche dopo aver vinto la battaglia. Era pura
disumanità, andava
oltre la mia semplice comprensione. Senza contare che associare a lei
un tale
gesto mi feriva ancora il cuore.
Vidi la sorpresa serpeggiare
sul suo volto, segno che non sospettava neppure una mia visita alle
prigioni,
ma essa sparì presto dietro un’espressione dura e
sicura.
“Posso immaginare cosa ti
avranno detto. Che sono stata spietata e ingiustamente
crudele” commentò
sarcastica.
“Perché
potresti affermare
il contrario? Ho visto io stessa come li hai ridotti” la
sfidai, infastidita da
come osava sminuire con dell’ironia le sue azioni infami
quando personalmente
ne avevo constatato il risultato.
“Certo!”
rispose alterata
dalla mia insinuazione. “Quello che ho fatto non è
né ingiusto né insensato.
Sono troppo pericolosi per essere lasciati liberi di andarsene,
troverebbero
senz’altro un modo per tornare e spodestarci nuovamente o hai
dimenticato chi è
il loro alleato? Aslan li sostiene ed ora sarà
senz’altro nell’ombra ad
aspettare il momento giusto per attaccare.” Spiegò
le sue ragioni.
Strabuzzai gli occhi. Anche
ammesso che i Pevensie potessero realmente costituire una minaccia da
soli,
come poteva anche solo pensare che ciò le dava il diritto di
rinchiuderli in
una cella gelida e torturarli a suo piacimento? Non esisteva
né in cielo né in
terra! Solo una sadica folle poteva ideare questo pensiero.
Sadica
e folle. I due aggettivi che Peter cercava di
farmi comprendere essere caratteristici di Jadis. Pensai amareggiata.
“Non saresti dovuta
venirlo
a sapere perché ero certa che non avresti capito. E come
potevi tu, mia piccola
Nives, così buona e ingenua. Non avresti compreso il grave
pericolo che
avrebbero costituito per la nostra sicurezza né la vitale
importanza che per
noi ha cercare di sapere dove Aslan ora si trovi per attaccarlo prima
che lui
colpisca noi” proseguì, addolcendo improvvisamente
il tono di voce.
Sorpresa notai che anche i
suoi tratti si erano ingentiliti. Lo sguardo era tornato ad essere
compassionevole e comprensivo come lo era sempre stato. Fu un
cambiamento
talmente repentino da lasciarmi sbigottita, ma cercai di riprendermi in
fretta.
Sapevo cosa intendeva fare, voleva riportarmi dalla sua parte,
riconquistarmi
facendomi rivedere la maschera della madre buona e dolce alla quale mai
avrei
voluto rinunciare. Ma non mi sarei fatta abbindolare nuovamente. Ora
sapevo
cosa celava l’apparenza e non potevo certo fingere di non
aver mai scorto il
marcio che c’era in lei. Non potevo dimenticare che Peter e
gli altri ragazzi
erano rinchiusi in spazi freddi e angusti per colpa sua. Non potevo
scordare il
deserto di ghiaccio che avevo visitato solo pochi minuti fa. Dovevo
attenermi
ai fatti, non credere ciò che il mio cuore avrebbe tanto
voluto pensare, ovvero
che era tutto falso, che Jadis non era la tiranna che purtroppo avevo
appreso
essere.
“Mamma è
assurdo! I Pevensie
e Caspian non sono affatto pericolosi! E non ha la benché
minima
giustificazione rinchiuderli là sotto e trattarli in quel
modo. Senza contare
che è inutile che continui a domandargli dove si trovi
Aslan, non lo sanno
nemmeno, credimi” cercai di farla ragionare, tacendo
attentamente sul mio
incontro personale con il leone.
Jadis scosse la testa,
simulando un’espressione mortificata. “Questo
è ciò che hanno voluto farti
credere piccola mia, ma non devi farti ingannare. Ci vogliono
distruggere,
vogliono riprendersi il trono, fidati di me”
ripeté con il tono più suadente
che riuscì a trovare.
Gli occhi mi si fecero
lucidi. Era una causa persa, non c’era speranza. Non avrei
mai potuto
convincerla a rinunciare alla corona e al dominio su Narnia. Non ci
sarebbe mai
stata una pace tra lei e i Pevensie. Dovevo rassegnarmi al fatto che
schierandomi dalla parte di Peter, avrei perso Jadis. Per ora
però dovevo stare
al suo gioco, fingere che le credevo. Continuare a contraddirla
l’avrebbe solo
portata a perdere le staffe e a far rinchiudere anche me in prigione. A
quel
punto non avrei più potuto essere utile per Susan, Caspian,
Edmund, Lucy e
Peter.
Presi un profondo respiro
cercando di similare la mia miglior espressione dispiaciuta. Mi morsi
il labbro
e finsi di essere profondamente combattuta con me stessa. Guardai fuori
dalla
finestra come a trarre ispirazione e poi sospirai di nuovo, afflitta.
“Certo che mi fido di te,
sei mia madre. Cos’altro potrei fare? Perdonami per lo sfogo
di prima”
mormorai.
Il sorriso che Jadis mi
rivolse gratificò le mie doti di attrice.
“Ti chiedo solo una cosa.
Non ucciderli, te ne prego” aggiunsi per avvalorare la mia
recita e per almeno tentare
di proteggere le vite dei ragazzi finché non li avessi
liberati.
“Ma certo.” Mi
assicurò. “Fingiamo
che questo brutto disguido non sia mai avvenuto, ora dormi piccola mia
e non ti
preoccupare più di nulla.” Concluse avvicinandosi
a me e accarezzandomi la
guancia.
Non so dove trovai la forza,
ma al posto di piangere per la tristezza che quel falso gesto amorevole
mi
procurava, riuscii pure a sorridere per non compromettermi.
Quando fu sull’uscio, si
volse un’ultima volta prima di andarsene.
“Devo uscire per poco
tempo.
Desidererei che tu stessi in camera, senza andare alle prigioni. Lo
farai?” mi chiese
a brucia pelo.
Puntai i miei occhi dentro i
suoi. Ghiaccio nel ghiaccio. Con lo sguardo fermo e sicuro, un sorriso
dolce e
ingenuo, la mia voce rispose alla sua richiesta senza il minimo tremito.
“Come vuoi tu, mamma. Ti
aspetto”.
Jadis mi soppesò un
attimo.
Un attimo che mi parve infinito, dove due lamine ghiacciate cercarono
di
penetrare la mia mente. Inutilmente, perché la mia maschera
fu più dura dei
suoi occhi se dopo poco la strega ricambiò il sorriso e
uscì dalla stanza.
Rimasi dieci minuti a fissare
insistentemente la porta bianca, immobile sul posto. Gli occhi mi
pizzicavano e
ora che non dovevo più tenere la recita potei finalmente far
scendere le
lacrime giù per le guancie.
Sentirla parlare della sua
visione di un regno giusto, vederla mentirmi così
platealmente e mentirle a mia
volta era orribile. Adesso potevo chiaramente capire quanto ogni suo
sorriso,
ogni sua parola dolce era stata una parte di un’enorme farsa.
Deglutii e presi un profondo
respiro. Con il dorso della mano mi asciugai con forza le lacrime.
Dovevo
superare quel momento, dovevo andare avanti con la mia missione.
Aggrappandomi al pensiero di
Peter, mi accostai alla finestra dalla quale potevo godere della
visuale del
ponte che collegava il castello a Narnia.
Quando infine scorsi il
cocchio bianco allontanarsi con a bordo Jadis, decisi che era giunto il
momento
per andare a cercare la chiave. Appena mi mossi verso la porta
però, un rumore
di passi e di ferro contro ferro mi giunse all’orecchio.
Proveniva da dietro la
porta e affinando l’udito potevo anche sentire tre voci
baritonali che
discutevano con calma tra di loro. Scossi la testa amareggiata.
Ovviamente Jadis nonostante
il sorriso che mi aveva rivolto non si fidava delle mie parole. Forse
la mia
recita non era stata impeccabile come avevo creduto se aveva ritenuto
opportuno
mandare tre guardie di stanza alla mia porta.
Mi concessi comunque un
sorriso ironico. Credeva davvero di potermi fermare con tre soldatini
messi a
fare la sentinella? Mi sottovalutava a tal punto?
Storcendo le labbra, chiusi
gli occhi e mi concentrai. Ci impiegai un secondo per trovare quello
che
cercavo. Tre auree luminose poco distanti, due nani e un minotauro se
non mi
sbagliavo. Richiamai la magia e penetrai i loro scudi. Con
semplicità assoluta
gli uomini caddero addormentati.
Si,
decisamente mi sottovaluta. Considerai fiera di me stessa.
Aprii la porta, trovandomi i
tre corpi appisolati sul pavimento. Li scavalcai con noncuranza e mi
diressi
spedita verso la torre sud del palazzo, dove si trovava la camera di
Jadis.
Camminavo rasente al muro,
tendendo l’orecchio per captare anche il minimo rumore
sospetto e tenendo la
mia magia pronta per essere usata. Se avessi incontrato qualche altro
soldato
della strega dovevo agire in fretta e farlo addormentare, non sapevo se
Jadis
avesse messo in allarme altri tra i suoi uomini sul fatto che dovevo
restare
confinata in camera ed era meglio non rischiare.
Con passo veloce ma
silenzioso, raggiunsi senza intoppi la torre sud. Cominciai a salire la
scala a
chiocciola facendo gli scalini a due a due sentendo il tempo che mi
scivolava
via come la sabbia in una clessidra.
A dieci passi dalla cima
avevo il fiatone ma non mi concessi di riprendere fiato. Chiusi gli
occhi e
cercai la presenza di auree davanti alla porta della camera della
strega
nascostami alla vista dalla curva della torre. Con mio sollievo notai
che non
c’era nessuno a fare da guardia. O Jadis non si fidava
nemmeno dei suoi soldati
per metterli di sentinella dinanzi alla sua porta o era certa che
nessuno era
tanto pazzo da osare ad entrare nella sua stanza. Qualunque fosse il
motivo,
non indugiai oltre e aprii la porta di ghiaccio.
Anche se sapevo con certezza
dove si trovava, non avevo ancora messo piede nella camera di mia
madre, ma
riuscivo comunque a immaginarmi come poteva essere. Elegantemente
sobria,
interamente bianca, insopportabilmente fredda. Come lei.
Appena l’uscio si
dischiuse,
una folata gelida mi investì insieme ad una leggera
nebbiolina, ricordandomi
molto l’apertura di una grande cella frigorifera anche per la
temperatura
decisamene più bassa rispetto alle altre zone del castello.
Quando la nebbia si
dissolse, notai come le mie aspettative non fossero state deluse.
Era una stanza circolare,
priva di finestre probabilmente per escludere anche solo la
più remota
possibilità che un tiepido raggio di sole penetrasse.
Opposto alla porta, un
letto a baldacchino catturava lo sguardo. Era interamente costruito nel
ghiaccio, eccezion fatta solo per il materasso e le tende candide
legate con un
nastro d’argento ai pali verticali che sostenevano la
struttura. Pali sui quali
era presente un’intarsiatura raffigurante fiocchi di neve
stilizzati e che con
la loro levigatezza rilucevano alla luce delle fiaccole azzurrine dando
alla
stanza una luminosità particolare, che in modo paradossale
mi ricordava quella
soffusa dei luoghi sacri, fatto che mi metteva in soggezione.
Presi un bel respiro per
farmi forza e analizzai il resto dell’ambiente. Accanto al
letto c’era un
comodino, ovviamente in ghiaccio anch’esso, per ogni lato del
letto, un lungo
comò che seguiva la forma circolare della stanza e, alla
destra della porta, un
armadio, se possibile, ancora più grande del mio.
Vincendo la soggezione
entrai nella stanza e cominciai a cercare la chiave dentro il primo dei
cassetti del lungo comò. Si aprì con uno scatto
mostrandomi una lunga serie di
quaderni sgualciti e ingialliti dal tempo. Li sfiorai corrucciando la
fronte.
Mi sarei aspettata delle maglie, della biancheria, invece sotto il
tocco
leggero delle mie dita stavano quelli che sembravano essere…
dei diari? I diari
di Jadis. Il ritmo del mio cuore accelerò. Possibile che
Jadis tenesse dei
quaderni dove appuntare giorno per giorno la sua vita? Se
così fosse stato, tra
quelle pagine ci sarebbero state le esperienze di mia madre, le sue
aspettative, i suoi piani, i suoi desideri e i suoi dubbi. I suoi
sentimenti.
Leggendoli forse avrei
trovato ciò che l’aveva spinta a divenire la
crudele tiranna che era ora.
Quello che aveva fatto mentre era la regina di Narnia. Ma soprattutto
quello
che aveva provato nell’apprendere che aveva avuto una figlia,
quello che le era
costato separarsi da me e forse cosa provava tutt’ora nei
miei confronti. In
quella carta resa sottile dai secoli che erano trascorsi da quando
erano stati
riposti in quel cassetto c’era la verità sui
sentimenti che mia madre nutriva
nei miei confronti. Le frasi lì vergate erano prive di
abbellimenti fatti per
secondi fini o giochi di parole puntati a confondere, esplicitavano
semplicemente la realtà.
Mi morsi il labbro. Avrei
tanto desiderato potermi mettere a leggerli ma nella mia testa il
ticchettio di
un orologio immaginario scandiva inesorabile il tempo che mi restava
per
liberare i miei amici.
Scossi la testa e decisa
richiusi il cassetto, promettendo a me stessa che avrei trovato il modo
per
appropriarmi della verità lì celata.
Guardandomi sconsolata
attorno realizzai che setacciando ogni cassetto avrei impiegato
un’eternità per
ritrovare la chiave che avrebbe aperto le celle dei ragazzi. Non ce
l’avrei mai
fatta. A meno che…Aslan aveva detto di affidarmi alla mia
magia, e se proprio
essa fosse stata capace di guidarmi verso la chiave?
Tentar
non nuoce…
Alzai le braccia e distesi
le dita dove feci confluire i miei poteri che subito accorsero al
richiamo. Mostrami dov’è
la chiave che libererà i
Pevensie e Caspian. Ordinai.
L’incantesimo
funzionò.
Sentii la mia magia disperdersi per la stanza, riempire ogni anfratto,
entrare
in ogni mobile, guardare sia sopra che sotto ogni oggetto. Stava
cercando la
chiave al mio posto in maniera molto più veloce ed
efficiente di quanto avrei
mai potuto fare io.
Una manciata di secondi
dopo, i miei stessi poteri mi sospinsero verso il grande armadio alla
mia
destra, come avrebbe fatto un segugio al guinzaglio. Una volta accanto
ad esso,
spalancai le ante, fiduciosa che avrei trovato l’oggetto che
desideravo.
Un’esclamazione di
giubilo
mi fuoriuscì dalle labbra, accompagnato da
un’espressione incredula. All’anta
sinistra, appesa per un gancio, c’era la chiave, ma
quell’armadio nascondeva
ben più di quella. Sotto un’infinità di
vestiti di raffinata fattura, lucenti
come diamanti, colorati di ogni graduazione dell’azzurro e
del bianco, c’erano
le armi dei miei amici.
Nell’angolo a destra,
appoggiati alla parete, si trovavano l’infallibile arco e la
faretra di Susan.
Accanto la spada e lo scudo con il leone rosso di Edmund che
ricoprivano in
parte lo scudo grigio e oro di Caspian e la sua spada. Sulla sinistra
c’erano
la pozione capace di curare ogni male e il piccolo ma affilato pugnale
di Lucy
e infine lo scudo con l’emblema di Aslan e la spada con
l’intarsiatura dorata
raffigurante un leone di Peter.
Le avevo ritrovate. O
meglio, la mia magia le aveva ritrovate.
Afferrai la chiave
stringendola forte poi incantai le armi. Le avvolsi con la magia e le
feci
fluttuare in aria, poco sopra la mia testa. Con un gesto della mano
richiusi
l’armadio e mi precipitai fuori dalla stanza, anche se non
potei impedirmi di
rivolgere un ultimo pensiero di rimpianto per quei diari ai quali stavo
momentaneamente
voltando le spalle, ripromettendomi che in un futuro non molto lontano
sarei
riuscita a leggerli.
Ridiscesi le scale, sperando
che mia madre non fosse ancora tornata. Le armi fluttuanti sopra la mia
testa
tintinnavano metalliche, ma non potevo rallentare il ritmo della corsa
per
ridurre il rumore. Mi augurai soltanto che nessuno accorresse a
controllare
cosa stesse succedendo.
Desiderio vano. Appena uscii
dalla torre, udii in lontananza dei passi pesanti arrivare nella mia
direzione
seguito dal cozzare di spade contro armature. Soldati.
Mi bloccai di colpo,
riflettendo velocemente sul da farsi. Chiusi gli occhi e individuai
quattro
auree, due molto voluminose, probabilmente centauri, una piccola ma
spessa,
sicuramente un nano e un’altra di media stazza, un minotauro.
Non sarei
riuscita ad affrontarli contemporaneamente in uno scontro, dovevo
fermarli
prima che mi raggiungessero. Dovevo farli addormentare.
Richiamai il mio potere e
con forza penetrai i loro scudi. In mente un solo ordine. Addormentatevi.
La magia fece subito il suo
effetto. Sentii un tonfo metallico, segno che le quattro guardie erano
crollate
sul pavimento, placidamente appisolate. Fidandomi del mio incantesimo
però non
andai a controllare di persona ma ripresi la corsa verso le prigioni.
Raggiunsi la sala del trono
con i polmoni ormai in fiamme, ma non me ne curai e imboccai decisa la
porta
dietro il seggio regale. Usando l’irregolare parete come
sostegno per non
scivolare sugli scalini particolarmente ghiacciati, discesi lungo la
tortuosa
scala illuminandola con una sfera di luce.
Quando finalmente scorsi il
cancello di ferro arrugginito, sospirai di sollievo. Li avevo raggiunti
senza
grandi intoppi.
Aprii l’inferriata e
subito
la voce di Susan mi accolse.
“Cathrine! Ce
l’hai fatta?
Hai la chiave?”
I quattro ragazzi si
avvicinarono ansiosi alle sbarre che li rinchiudevano e io sorrisi alla
vista
dei loro volti che mi fissavano fiduciosi, lieta di non aver deluso le
loro
speranze.
Alzai la mano che teneva la
chiave, sventolandola come un trofeo e indicando le armi sospese sopra
la mia
testa aggiunsi “e non solo quella”.
“Hai ritrovato
l’arco e le
spade!” esclamò stupefatto Edmund, rivolgendomi
uno sguardo pieno di
gratitudine.
“Anche la mia pozione!
Temevo di non rivederla più” si accodò
Lucy, il volto raggiante.
“Erano insieme alla
chiave
nell’armadio di Jadis.” Li informai mentre aprivo
la cella dei più piccoli dei
Pevensie e mi accostavo alla catena che stringeva la caviglia della
giovane
regina. Un scatto metallico e il rigido ferro liberò Lucy
che mi abbracciò di
slancio per ringraziarmi. Ricambiai la stretta scompigliandole
affettuosamente
i capelli castani prima di sottrarre anche Edmund dal giogo del
catenaccio.
“Grazie Cate”
mormorò il
ragazzo, massaggiandosi la caviglia arrossata.
Andai nella cella di Susan e
Caspian oltrepassando il varco comunicante e aprii anche le loro
catene.
“Ci hai salvati Cate, non
so
come ringraziarti” affermò Susan con tono
accalorato.
Scossi la testa lieve.
“Non
dirlo nemmeno, considerando tutto quello che avete fatto per me e che
sono
stata io a ficcarvi in questa situazione, era il minimo che potessi
fare.” Le
risposi, sicura di quello che stavo dicendo. Mi avevano accolta tra di
loro accordandomi
la massima fiducia e io gli avevo voltato le spalle facendoli
rinchiudere in
cella. Adoperarmi per aiutarli era davvero il minimo.
“Bene, adesso io vado a
liberare Peter mentre voi riprendete le vostre armi. Aspettateci qui
pronti a
correre. Abbiamo poco tempo, intesi?” predisposi celere.
Quattro teste annuirono con
espressione seria, condividendo il mio piano. “Perfetto, a
dopo allora” mi
congedai, uscendo dalla cella e percorrendo il resto del corridoio,
ansiosa di
liberare Peter.
Raggiunsi in fretta la
spessa porta di ferro. La aprii con un gesto veloce, facendo entrare di
nuovo
la luce nello spazio angusto.
Due lucenti occhi azzurri
catturarono il mio sguardo, lieti e sorpresi di vedermi di ritorno in
così poco
tempo.
“Cathy!” mi
sorrise e fui
felice di vedere il suo viso illuminarsi privo della sofferenza di cui
era
intriso l’ultima volta che ero entrata in quella cella.
Fortunatamente Jadis
non doveva più essere scesa a rendergli visita.
“Ho trovato la chiave, ci
sono riuscita” gli dissi in risposta, mostrando il mio
piccolo tesoro di ferro.
“Sapevo che ci saresti
riuscita”.
Attraversai la cella e mi
inginocchiai accanto a lui. Due scatti metallici e le pesanti catene
che lo
trattenevano si aprirono. Peter barcollò in avanti quando
improvvisamente gli
venne a mancare il sostegno che lo aveva tenuto alzato per due giorni
ma
riuscii ad impedirgli di cadere, frapponendomi tra lui e il pavimento e
accogliendolo nel mio abbraccio.
Si riprese tuttavia in
fretta e nonostante avesse le braccia anchilosate riuscì
ricambiare forte la
stretta.
“Mi mancava la sensazione
di
stringerti a me” mi sussurrò in un respiro
all’orecchio, procurandomi un
brivido per il fiotto d’aria calda che mi colpì il
collo.
“E a me mancava la
sensazione di protezione che la tua stretta mi da” ricambiai
in un soffio,
riflettendo su quanto mi sentissi al sicuro rannicchiata al suo petto,
come se
le braccia di Peter costituissero un’impenetrabile barriera
per tutti i mali e
i problemi di questo mondo. E in un certo senso era veramente
così. Per me
Peter era la soluzione per ogni preoccupazione che potesse affliggermi
poiché
la sua sola presenza bastava a farmi sentire meglio.
“Peter, i tuoi fratelli e
Caspian ci aspettano all’uscita delle prigioni. Dobbiamo
raggiungerli. Jadis al
momento non c’è ma potrebbe tornare da un momento
all’altro, dobbiamo fare in
fretta” lo misi al corrente.
Il giovane rafforzò
l’abbraccio un istante prima di scioglierlo.
“Andiamo”
asserì deciso.
Si alzò massaggiandosi
una
spalla alla volta per riattivare a pieno la circolazione.
Mi prese per mano e si
incamminò con passo svelto verso i suoi fratelli,
lasciandosi dietro quella
prigione che entrambi ci auguravamo di non vedere mai più.
Udimmo l’eco delle voci
dei
ragazzi rimbombare nel corridoio un paio di minuti prima
dell’arrivo di un turbine
con fluenti capelli castani.
“Peter!”. Lucy
si tuffò tra
le braccia del fratello che non esitò a trarla a
sé sollevandola, lasciando la
mia mano.
“Piccola, stai
bene?” le
chiese immediatamente apprensivo, da bravo capo famiglia.
Ma prima che la bimba
potesse rispondergli, Susan lo abbracciò stretto mettendosi
accanto alla
sorella, seguita a ruota da Edmund. Per ultimo si avvicinò
Caspian che gli
strinse la spalla, un gesto meno espansivo di quello dei Pevensie ma
non per
questo meno coinvolto.
“Eravamo preoccupati da
morire, non sapevamo cosa fare o cosa pensare!”
continuò Lucy, gli occhi
improvvisamente lucidi.
Peter le sorrise e le diede
un buffetto. “Non dovevate, dovreste sapere che ci vuole ben
più di una strega
per piegarmi!” si vantò il re, nascondendo dietro
un’espressione spavalda tutto
quello che in realtà aveva patito.
Lucy sorrise visibilmente
sollevata. Non potei impedirmi di guardarla con tenerezza. Nonostante
fosse per
certi aspetti molto matura per la sua età, la sua
ingenuità era intatta al
punto da fidarsi totalmente della palese menzogna del fratello,
proteggendola
dal dolore che la verità le avrebbe inferto.
Uno sguardo scambiato con
Susan ed Edmund mi informò invece come la bugia a fin di
bene di Peter non
avesse avuto effetto su di loro, ma non dissero nulla per smentirlo,
limitandosi a sorridere mesti. Dopotutto la piccola Lucy aveva
condiviso fin
troppo l’orrore di quella triste vicenda, perché
renderla partecipe anche di
quest’ultimo fatto? In più entrambi sapevano che
l’orgoglio di Peter non gli
avrebbe mai permesso di ammettere quanto si era trovato in
difficoltà alla
mercé della strega.
“Credo che questa sia
tua,
re Peter”
Edmund, con un gesto solenne
che poco però si intonava ala sua espressione radiosa, porse
la spada di Narnia
al fratello, tenendola orizzontalmente con entrambe le mani.
Lo sguardo di Peter si
accese di gioia. Sfiorò il manico dorato della sua spada
quasi con reverenza,
poi senza ulteriore indugiò afferrò
l’elsa e liberò la lama dal fodero con
l’altra mano. L’affilato metallo brillò
alla luce delle torce mentre rifletteva
il viso sicuro e soddisfatto del suo proprietario.
“Andiamo a riprenderci le
nostre terre”
Una semplice frase, ma
rimbombò come un ordine e una speranza nel silenzio
rispettoso che attorniava
il re.
Noi tutti annuimmo,
rincuorati dal vedere il sovrano di Narnia di nuovo pronto a guidarci,
pronto a
lottare per quello in cui credeva, per il suo regno.
Peter si assicurò la
spada
alla vita e lo scudo alla schiena, dopodiché cominciammo a
correre su per le
scale che ci avrebbero condotto nel salone.
Caspian in testa guidava il
nostro piccolo drappello con accanto Susan, seguiti a ruota da Edmund e
Lucy.
Infine c’era Peter che con la mano stretta nella mia mi
aiutava a risalire
velocemente la lunga scalinata.
Quanto tempo era passato da
quando ero uscita dalla mia stanza? Non lo sapevo, ma speravo non
abbastanza da
ritenere ragionevole il rientro a casa di Jadis. L’ultima
cosa che desideravo
era arrivare ad uno scontro aperto per far uscire dal palazzo i cinque
ragazzi.
Dovevo ancora intermente metabolizzare che ogni cosa da lei detta o
fatta fosse
falsa, non ero pronta per affrontarla.
La luce si fece più
intensa,
segno che l’uscita era vicina. Riuscivo già ad
intravedere la porta, appena una
decina di scalini distante. A cinque passi dall’uscio ci
fermammo, tacitamente
concordi del fatto che era più prudente se io li avessi
preceduti nel salone,
assicurando che ci fosse il via libera per proseguire. Con passo
leggero
percorsi gli ultimi gradini. Quando entrai nel corridoio sospirai di
sollievo.
Non c’erano guardie ad attenderci né la Strega
Bianca, potevamo fuggire
come nelle mie più rosee aspettative.
Tornai indietro e un mio
sorriso di incoraggiamento segnalò ai miei amici
l’assenza di ostacoli nel
salone.
Riprendemmo la corsa,
uscendo definitivamente dal corridoio freddo e buio delle prigioni, io
nuovamente mano nella mano con Peter che mi sorrideva gioioso,
pregustando la
tanto desiderata libertà.
I nostri passi rimbombavano
nella grande sala deserta mentre ci facevamo strada tra la leggera
nebbiolina
che ricopriva il pavimento per raggiungere il portone, unica via di
fuga da
quella gabbia di ghiaccio.
A cinque metri di distanza
richiamai la mia magia, alzai la mano libera verso la porta intarsiata
e
impartii l’ordine di aprirsi rilasciando il potere.
Uno scatto e uno stridio
seguirono l’incantesimo. Il pesante portone si
aprì lentamente, facendo
penetrare qualche timido raggio di sole nell’atrio.
Caspian fu il primo ad
uscire, trascinandosi Susan dietro. A seguire anche Edmund e Lucy
varcarono la
soglia uscendo dal palazzo.
Ce
l’abbiamo fatta. Pensai felice, ad un passo dal
portone, ma presto compresi che avevo
parlato troppo presto.
Un forte vento si alzò
dal
nulla, costringendo me e Peter a fermarci, investiti dalla potenza di
quel
turbine improvviso. Il vento aumentò di intensità
al punto da coprire quasi il
tonfo del portone che si richiudeva. Un tonfo che tuttavia
rimbombò nel mio
cuore come il suono della salvezza che fugge via.
Il ragazzo mi abbracciò,
cercando di proteggermi da quella folata ma nemmeno lui poteva battere
un
vortice. Fummo entrambi scaraventati a terra, diversi metri
più in là rispetto
al portone.
“Credevate davvero che
sarebbe stato così facile sfuggirmi?”
Ira. Ciò che mi
procurò
brividi di paura lungo tutta la spina dorsale. Ciò che fece
irrigidire il busto
di Peter ancora stretto al mio. Ciò che vibrava
nell’ultima voce che avrei
voluto sentire al momento. Una voce che purtroppo conoscevo bene e che
avrebbe
segnato la fine della libertà mia e di Peter. La voce di
Jadis.
Con il cuore in gola mi
strinsi di più a Peter con un gesto quasi involontario,
cercando una protezione
dagli occhi di ghiaccio della strega che sentivo trapassarci pur senza
vederli.
Lentamente mi voltai senza
separarmi da Peter. Lei era là, in piedi dinanzi al suo
trono, algida e regale
come sempre. Fiera come una regina, imbattibile come una dea della
guerra.
“Pensavate che ben sette
guardie addormentate non avrebbero allarmato i soldati mandandomi a
chiamare?”
proseguì.
Mi morsi il labbro. Presa
dalla fretta non avevo pensato che sarebbe stata una buona idea
nascondere i
corpi delle guardie. Mi diedi della stupida mentalmente.
L’unica mia difesa
poteva essere che avrei perso troppo tempo in un’operazione
del genere,
rischiando di non riuscire comunque a liberare i ragazzi.
Le iridi gelide della si
soffermarono su Peter per un secondo, senza preoccuparsi di celare il
disprezzo
che provava, poi puntarono su di me.
Mi sentii trafiggere. Non
c’era traccia alcuna della dolcezza, della
serenità e della benevolenza che
solitamente albergava in quegli occhi. Quei sentimenti erano stati
scalzati
dalla rabbia, dal senso di tradimento e dalla delusione, emozioni che
mi
sommersero bloccandomi il respiro.
“Tu, sangue del mio
sangue,
la mia unica figlia ed erede, mi hai tradita.” Le sue parole
rimbombarono
nell’ampio salone, suonando come sentenze, fino ad arrivare
dentro il mio
cuore. Cuore che cominciò a pulsare ancora più
forte, animato però insieme alla
paura da un sentimento nuovo suscitato dall’ultimo verbo,
dall’ultima accusa. Mi hai tradita.
Fu quella frase a farmi
esplodere la rabbia per tutte le colpe di cui si era macchiata.
“Come puoi tu parlare a
me
di tradimento? Tu, che mi hai raggirata con un mare di menzogne al fine
di
usarmi per i tuoi scopi! Io ti avrò anche tradita
schierandomi dalla parte dei
Pevensie ma sei stata tu la prima a tradire me e la mia buona fede
ingannandomi.” Sputai con ira tutto d’un fiato,
trovando la forza e la voce per
risponderle.
Ma come si permetteva di
recitare ancora la parte della vittima imbrogliata? Dopo tutto quello
che aveva
fatto?
Sentii la pressione del
braccio di Peter sul mio fianco e un attimo dopo mi ritrovai in piedi
stretta
al re biondo che cercava di recuperare una posizione che gli
permettesse di
scattare in caso avesse dovuto estrarre la spada.
La risata amara della strega
riecheggiò tra le pareti di ghiaccio.
“Tu e la tua buona fede?
Sciocca ragazza, credi sul serio che in questa partita la cosa
più importante
siano i sentimenti di una ragazzina? Siamo in guerra da milletrecento
anni e tu
sei solo una pedina in uno scontro millenario”.
Strinsi i denti. Le sue
parole mi ferivano quanto il tono sprezzante che usava, ma non volevo
dargli la
soddisfazione di farglielo vedere.
Una pedina. Ecco come mia
madre mi considerava e mi aveva considerato per tutto il tempo. Una
stupida
pedina da giocare al meglio, poco importava con che mezzi, ogni cosa
era lecita
pur di ottenere il trono, sia pure recitare la parte della madre
amorevole se
era utile per ingannarmi. Tutti i discorsi che recitavano quanto mi
amasse,
quanto desiderasse il mio bene e quanto aveva atteso per potermi
abbracciare
erano bugie costruite a tavolino con un fine ben preciso. Fine che era
stato
raggiunto a pieno. Il mio cuore che sanguinava ne era una prova
lampante.
“Ti sbagli, solo tu la
vedi
in questo modo. Cathrine non è affatto una pedina,
è la ragazza più
meravigliosa e buona che io abbia mai conosciuto e se tu non sei stata
in grado
di apprezzare le qualità di tua figlia è solo un
problema tuo. Ma sappi che è
proprio per questo tuo modo di vedere le persone che ti circondano che
hai
perso la guerra secoli fa, un regno formato da sudditi che temono e
sono
succubi del loro sovrano è un regno destinato a fallire e te
lo dimostrerò di
nuovo se la prima lezione non ti è bastata”.
La voce di Peter giunse a
risanare la mia ferita. Posai il mio sguardo su di lui, intervenuto
come un
angelo custode in mio soccorso. Il busto era appena inclinato nella mia
direzione mostrando una atteggiamento protettivo mentre il volto era
diretto
verso Jadis. La riga delle labbra era dura, gli occhi azzurri ardevano
di rabbia
e convinzione.
Rafforzai la presa sulla sua
camicia mentre un sorriso involontario mi curvava la bocca. Se per
Jadis ero
solo una misera pedina, per Peter rappresentavo molto altro e me ne
aveva
appena dato un ulteriore prova.
“ILLUSO!”
I bei tratti alteri della
regina del ghiaccio furono sfigurati dall’irritazione per
quella provocazione.
Alzò la mano con un
ampio
gesto e una forte corrente d’aria si sprigionò
dirigendosi verso me e il
ragazzo. Ma questa volta ero pronta.
Richiamai il potere
facendolo convergere negli avambracci che posi a croce davanti al viso
ponendomi in modo da coprire anche Peter. Da essi la magia
uscì formando uno
scudo della larghezza di un metro facendo scivolare il violento fiotto
di aria
gelida sui suoi lati lasciando me e il giovane illesi.
Ebbi la soddisfazione di
scorgere la sorpresa sul suo viso per la mia dimostrazione di magia
prima che
riuscisse a dissimulare ogni emozione diversa dal disprezzo.
L’avevo colpita,
non si aspettava che sapessi usare i miei poteri così
prontamente e con
efficacia e ciò l’aveva lasciata interdetta.
Sfruttai il momento per
cercare di riportare la discussione su toni più tranquilli,
per provare a farla
ragione. Temevo che quel primo attacco potesse essere il primo di una
lunga e
sanguinosa serie e non ero pronta né fisicamente
né psicologicamente per
lottare contro mia madre o per vederla combattere contro Peter, dovevo
tentare una
via diplomatica. Sapevo che tutti i miei tentativi fatti finora per
ottenere
una risoluzione pacifica del conflitto erano stati un buco
nell’acqua, ma non
potevo semplicemente arrendermi e accettare di giungere alle armi con
mia
madre, non riuscivo ad accettarlo, non senza aver provato fino
all’ultimo a
trovare una via alternativa.
“Mamma, quello che hai
fatto
è sbagliato. I Pevensie e Caspian sono innocenti ed
è giusto che siano loro a
governare suoi loro rispettivi regni. Come è giusto che il
popolo di Narnia e
quello di Terlmar vivano la loro vita in libertà in una
terra florida. Non puoi
trasformare ogni cosa in una landa desolata, questo che hai costruito
non è un
regno è una tomba dove sono seppellite la
felicità della povera gente sulla
quali stai tiranneggiando e la bellezza del paese che stai
distruggendo” cercai
di convincerla.
Guardai i suoi occhi azzurri
farsi ancora più duri, una lastra di ghiaccio impenetrabile
che spezzarono le
mie speranze di raggiungere in qualche modo una parte sensibile del suo
cuore.
Le sue labbra invece si
piegarono in un sorriso di scherno mentre pronunciava le frasi che
sapevo mi
sarebbero rimbombate crudeli nella mente per molte notti a seguire.
“Credi sul serio che me
ne
importi qualcosa? Io sono la regina, mio è il regno, mia la
legge. Tutto il
resto non conta”
No. Non avrei mai toccato il
suo cuore nemmeno se le avessi parlato per altri milletrecento anni
perché
evidentemente non c’era un cuore che batteva dentro quel
busto dritto e ben
fasciato.
“Non finché ci
sarò io”
Io invece, nel bene e nel
male, un cuore lo possedevo. Un cuore che si fermò quando
vide Peter estrarre
la spada dal fodero con un gesto esperto quanto fluido, afferrarla
saldamente
con ambo le mani e partire alla carica contro Jadis.
Un “no”
soffocato mi uscì
dalle labbra, ma era troppo tardi.
Il suono del primo temuto
colpo vibrò nell’aria risuonando per tutta la sala
fin dentro la mia testa. La
spada di Peter era stata bloccata celermente dallo scettro che la
strega impugnava
come un’asta da guerra. I due sovrani erano in piedi
l’uno di fronte all’altro,
davanti al trono di ghiaccio, li sguardi che battagliavano tra loro
più delle
armi che avevano incrociato.
Girando il polso Peter
riuscì a distanziarsi dalla strega facendo leva
sull’arma stessa di
quest’ultima. Una pausa, il tempo di un battito di ciglia e
il grido che
precedeva una carica giunse da ambo le parti.
La lama del re brillava alla
luce delle torce azzurrine, un faro che rappresentava la
libertà del popolo di
Narnia, mentre Jadis mulinava lo scettro bianco che tante vite aveva
congelato
e con esse la loro dignità.
Il duello iniziò. Quel
duello a cui mai avrei voluto assistere prese vita dinanzi ai miei
occhi. Alla
fine, nonostante tutti i miei sforzi non ero riuscita ad evitarlo ed
ora le due
persone che più avevo amato si fronteggiavano
nell’intento di donare la morte
al loro avversario.
Un colpo al fianco inatteso
da parte di Jadis costrinse Peter a ripiegare per pararlo, scendendo
dalla
piattaforma. Il re cominciò ad indietreggiare lungo il
salone sotto gli
attacchi dello scettro che si susseguivano con ritmo sostenuto.
Ma quando stavo per temere
per la sorte del ragazzo, con una finta ben riuscita Peter
riuscì a scartare la
strega e a colpirla con successo lungo l’avambraccio con la
quale teneva lo
scettro.
Jadis urlò dal dolore e
la
manica prima candida si imbrattò presto del suo sangue.
Il biondo ghignò
soddisfatto. “Quale trucco hai intenzione di usare stavolta
per salvarti?
Tenterai di congelare anche tua figlia?” la
provocò Peter.
Fu un errore perché
quella
frase mordace dettata da un breve momento di trionfo dette uno stimolo
in più
alla strega per caricare il nuovo colpo. La bocca contratta in una
smorfia di
rabbia, gli occhi ridotti a fessure, mulinò veloce lo
scettro e lanciò un colpo
dall’alto cogliendo impreparato il giovane re che non
riuscendo a scansarlo in
tempo si procurò un taglio lungo dalla spalla fino a
metà busto.
Peter indietreggiò e
cercò
di tamponarsi all’altezza della spalla la ferita, dove era
più profonda e il
sangue usciva più copiosamente. Lungo il petto per fortuna
invece pareva essere
poco più profondo di un graffio. Non doveva aver danneggiato
i muscoli e gli
organi interni.
“Peter!” gridai
in preda
all’angoscia, ma incapace di muovere un passo nella sua
direzione. Ero come
impietrita al mio posto. Avevo gli occhi sbarrati che assistevano pieni
di
orrore alla scena che pareva essere uscita da uno dei miei peggiori
incubi, ma
non potevo parteciparvi. Proprio quello stesso orrore che provavo mi
bloccava
gli arti, impedendo ai miei muscoli di scattare. O forse era
l’impossibilità di
comprendere cosa dovessi fare a rendermi inerme?
Desideravo aiutare Peter.
Avessi potuto lo avrei trasportato via da lì, lontano dalle
grinfie di Jadis.
La mia anima piangeva nel vederlo ferito e i miei occhi non
sopportavano
sorprenderlo in difficoltà in un duello. Ma per aiutarlo
avrei dovuto lottare
contro mia madre e questo la mia mente si rifiutava di accettarlo.
Jadis lo incalzò con un
altro attacco e un altro ancora mettendo in serie difficoltà
Peter che era
costretto a combattere con il braccio sinistro con la quale aveva meno
dimestichezza a causa della ferita alla spalla destra. Il ragazzo
indietreggiò
ancora finché un altro colpo dall’alto non lo
costrinse a impugnare l’elsa con
ambo le mani, sforzando la spalla lesa. Vidi la smorfia di dolore che
gli fece
serrare i suoi zaffiri e il mio cuore si strinse di paura. Jadis
approfittò di
quell’istante di tregua invece per richiamare la magia e
spingere Peter a terra
lanciandogli un’altra sferzata d’aria gelida.
Con un tonfo la schiena del
ragazzo toccò il pavimento di ghiaccio facendogli uscire
dalle labbra un grido
soffocato.
La strega gli si
avvicinò,
ergendosi superba e potente davanti a lui e gli puntò la
punta di cristallo
dello scettro sul petto come ammonimento a non alzarsi.
Un ghigno malvagio le
sfigurò il volto. La mia mente in un lampo sovra
posizionò un’altra immagine
che avevo del suo viso. Una ben differente. Una che mi mostrava un
sorriso
luminoso che si spandeva fino a due occhi azzurri brillanti di gioia e
serenità. Il suo viso la notte in cui l’avevo
liberata, quando mi aveva detto
che era mia madre. Cosa era rimasto in quell’espressione dura
e crudele
dell’amorevole donna che mi aveva chiamata “figlia
mia”?
Sentii delle lacrime calde
iniziare a scendermi lungo le gote mentre la mia testa formulava la
riposta.
Assolutamente niente. La sete di vendetta, la rabbia e la
crudeltà le avevano
corroso l’animo e offuscato la mente. Tutto quello che io
avevo visto era solo
un involucro, una bolla di sapone pronta ad esplodere quando non ci
sarebbe più
stato bisogno di nascondermi il suo vero volto.
“Non
commetterò due volte lo
stesso errore. Ora ti ucciderò e finalmente mi
sarò liberata della tua scomoda
presenza”.
La frase mi rimbombò in
testa superando ogni mio singolo pensiero. Il mio respiro, il battito
del mio
cuore, ogni cosa si fermarono incentrandosi sue due singole parole.
Ti
ucciderò.
No. No finché io ero in
vita.
Vidi Jadis alzare lo scettro
e impugnarlo saldamente come un’asta da guerra, la punta di
cristallo
indirizzata verso Peter. Ma io ero pronta.
Senza pensare, senza nemmeno
concentrarmi, sentii i palmi delle mani pulsare di energia viva. Un
attimo dopo
due potenti sfere magiche furono lanciate alla velocità di
un proiettile in
direzione della strega.
Il colpo andò a segno.
Con
un leggero tonfo la Strega Bianca sbatté contro una delle
colonne di marmo che
fiancheggiavano il salone per poi accosciarsi sbigottita al suolo.
L’attacco
non era stato abbastanza potente da ferirla o farle perdere i sensi ma
l’aveva
distolta da Peter che al momento mi guardava tra il meravigliato e il
grato.
Incredula alzai le mie mani
davanti agli occhi e le squadrai come se fossero dei corpi assestanti,
staccati
dalla mia persona. Avevo lanciato due sfere contro Jadis. Avevo
attaccato mia
madre.
Sentivo ancora le lacrime
scorrermi lungo le gote senza sosta mentre il respiro era reso
discontinuo dai
singhiozzi.
Ho
attaccato mia madre. Ripetei a me stessa.
Ma non ebbi tempo di
sentirmi in colpa, triste, confusa o felice per aver aiutato Peter
perché un
grido di avvertimento di quest’ultimo riportò la
mia attenzione al presente.
Quando Jadis si rialzò,
i
suoi occhi di ghiaccio puntavano dritti su di me, trapassandomi da
parte a
parte.
Istintivamente arretrai
d’un
passo. Con i lineamenti irrigiditi dall’ira e la bocca
ridotta ad una fessura
faceva ancora più paura di prima.
“Possibile”
disse avanzando
lentamente verso di me “che tu non abbia ancora
capito” la distanza si accorciò
ancora. Avrei voluto ardentemente aumentarla ma dopo quel primo e unico
passo
indietro non riuscivo più a muovermi. Ero inchiodata dallo
shock del mio
attacco e dalla rabbia di quegli occhi azzurri. “che non ti
devi mettere in mezzo?”
Fu un attimo. Jadis alzò
il
braccio e una raffica di vento più forte della precedente mi
travolse. Questa
volta non ero preparata e il turbine mi investì. Mi sentii
alzare, incapace di
oppormi, e trascinare all’indietro finché non
battei violentemente con la
schiena contro una colonna.
Lo scontro mi fece male
tanto da farmi fuoriuscire un grido di dolore.
Mi accasciai a terra. Avrei
voluto rialzarmi, cercare di rimettermi in una posizione che mi
permettesse di
contrastare gli attacchi di Jadis, ma la strega fu più
veloce. Non avevo ancora
toccato terra che lei era già dinanzi a me, la punta di
diamante dello scettro
puntato contro il mio petto come prima lo era stata contro quello di
Peter.
Alzai lo sguardo per
incontrare il suo. Lei mi stava squadrando con addosso
un’espressione irritata
e irata.
Tremai sotto quegli occhi ma
cercai di farmi coraggio, di sostenere quel viso.
“Avrei dovuto stare a
guardare mentre ammazzavi Peter? Mentre commettevi l’ennesimo
crimine?” sputai,
trovando il coraggio di esprimere la rabbia che invece provavo io.
Jadis strinse gli occhi.
Sentii la pressione della punta dello scettro sul mio sterno.
“Ovviamente no, tu sei la
piccola moralista, giusto? La brava ragazza vittima delle bugie e delle
cospirazioni.” Una risata di scherno riempì la
sala. Una risata priva di gioia
che si spense nel gelo del suo sguardo. “Piccola stupida,
l’unica cosa che
dovevi fare era restare in disparte. Saresti vissuta in un palazzo,
saresti
stata la principessa di Narnia e invece per inseguire degli sciocchi
ideali ti
sei messa contro di me. L’errore più grande che
potessi fare” sentenziò. Il disprezzo
risuonava forte e chiaro nella sua voce. Disprezzo per la mia scelta di
mettermi dalla parte dei Pevensie, dalla parte di Aslan. Ma
c’era anche un’altra
emozione. Dispiacere? Desolazione? Amarezza? Non avrei saputo dirlo.
Deglutii a vuoto.
L’errore
più grande che potessi fare.
Perché non avevo la
minima
speranza di batterla in duello magico. Ero una strega in erba, lei era
la
Strega Bianca. Aslan si era sbagliato, aveva sopravvalutato la mia
forza e la
mia esperienza, avrebbe dovuto affrontare lui Jadis. Il fatto che io
fossi a
terra minacciata dallo scettro ne era la prova. Minacciata da mia madre.
Improvvisamente la rabbia
scemò, sostituita da un’immensa tristezza. Nulla
era andato come avevo sperato.
Avevo desiderato di conoscere le mie origini, di trovare le risposte ai
miei
numerosi perché e per un breve lasso di tempo mi era parso
di essere riuscita
ad ottenere quello che agognavo, ma mi ero solo illusa. Era stata solo
una
breve parentesi rosa prima che la situazione degenerasse fino ad
arrivare a
quel punto. Forse, se quella era davvero la fine, avrei fatto meglio a
restare
a Londra. I Pevensie non sarebbero stati in pericolo, Narnia neppure e
io avrei
potuto continuare a crogiolarmi in fantasiose ipotesi sulla mia storia
e non
scontrarmi mai con la cruda realtà.
“Quella che non ha capito
nulla sei tu.” La mia bocca diede voce ai miei pensieri senza
che quasi glielo
ordinassi. Vidi un guizzo di sorpresa passare sul suo volto. Non si
aspettava
una risposta simile. “Io ti ho amata veramente come si ama
una madre e se tu
non fossi stata così presa dalla tua smania di vendetta e
non fossi stata così
decisa a rovinare questa terra, insieme saremmo potute essere
felici” fui
interrotta da l’ennesimo singhiozzo, suscitato dal quadro
bello quanto impossibile
che stavo dipingendo. “Saremmo state insieme, avremmo vissuto
in questo bel
palazzo e avremmo potuto far prosperare Narnia accanto ai Pevensie. Ma
la
crudeltà ti ha corroso a tal punto che non hai mai nemmeno
preso in
considerazione un’ipotesi del genere” la accusai
senza però riuscire ad
imprimere forza nel tono. La desolazione era troppo grande per alzare
la voce.
Altri due singhiozzi mi scossero. Presi un bel respiro e mi costrinsi a
proseguire, spinta dall’ultima speranza che ancora nutrivo
nel cuore. “Ma
potremmo ancora riuscire ad avere il nostro futuro insieme. Se tu
rinunciassi
ai tuoi propositi e deponessi le armi, io potrei perdonarti tutto.
Potremmo
vivere in pace, insieme e contente”. Sapevo che era ingenuo e
utopistico anche
solo proporlo, che il mio desiderio era vano e destinato a non essere
esaudito,
eppure non potevo impedirmi di fare un ultimo tentativo. Nonostante
sentissi la
pressione della punta di diamante sul mio petto, avrei sempre
continuato a
sperare di veder coincidere l’immagine della mia donna guida,
pronta a sorridermi
e sostenermi, con quella della donna dinanzi a me. Tanto cosa avevo da
perdere
più di quello che mi era già scivolato via dalle
mani? Peter era ferito, Aslan
non sarebbe giunto in nostro soccorso e io non sarei stata capace di
attaccare
nuovamente Jadis, non riuscivo nonostante la ragione mi urlasse di
farlo.
Avevamo perso.
La sua risata gelida
però
spense il fuoco della mia già flebile speranza.
“La disperazione fa
perdere
il senno evidentemente” mi schernì squadrandomi
ilare. “Sono tornata per
vendicarmi e riprendermi il trono e quando avrò finito con
voi due il mio scopo
sarà raggiunto. Secondo te rinuncerei a tutto questo per te?
Per continuare a
recitare la parte della madre smielata in un mondo pieno di insulsi
alberi
danzanti con quattro ragazzini ad indossare la mia corona? Non credo
proprio.”
Invece di un’altra
lacrima,
sul mio viso nacque un sorriso. Era un sorriso amaro, rassegnato.
Sapevo quale
sarebbe stata la sua risposta al mio ultimo tentativo, eppure, quasi da
masochista, l’avevo fatta lo stesso.
Deglutii, inghiottendo un
singhiozzo. Alzai lo sguardo piantandolo nel suo, priva della paura che
prima
mi aveva colta.
“Quindi ucciderai tua
figlia?” le chiesi con una punta di sfida. Si sarebbe spinta
fino a quel punto?
Probabilmente si, dopotutto aveva spento milioni di vite, una terra
intera,
perché si sarebbe dovuta fermare dinanzi a me che per lei
rappresentavo
unicamente un’arma ben affilata, una pedina?
Jadis alzò il braccio
facendo elegantemente volteggiare lo scettro sopra la sua testa. I suoi
gesti
non mostravano esitazione, possibile però che io proprio
quell’esitazione
avessi potuto scorgerla nei suoi occhi azzurri? Il tempo di un battito
di
ciglia, ma l’avevo scorta. Un fremito aveva mosso quello
sguardo di ghiaccio,
lo stesso sguardo che ora mi fissava immobile.
“Hai avuto la tua
occasione.
Poteva finire molto diversamente” sussurrò, per la
prima volta in quel
pomeriggio senza scherno o acrimonia. Anzi, forse con un velo
di…delusione?
Tristezza? Possibile...?
La mano si strinse lungo il
magico bastone, il braccio si alzò.
Serrai gli occhi facendo
scivolare ancora una lacrima che racchiudeva tutta la mia amarezza per
quella
ingiusta fine, il dispiacere per non aver salvato Narnia e aver deluso
Aslan,
la paura per la sorte che avrebbe atteso Peter da lì a poco.
Un grido soffocato.
Spalancai gli occhi che
restarono inorriditi da quello che videro. La mia veste era sporca di
sangue.
Sangue che continuava a scorrere. Sangue che non era mio.
“Anche tu hai avuto la
tua
di occasione” sentii pronunciare in un ringhio sofferente.
Lentamente alzai lo sguardo.
Jadis, pallida e con le
iridi dilatate, boccheggiava in cerca d’aria. Le mani
stringevano convulsamente
una lama affilata che le fuoriusciva dal centro del petto incurante di
ferirsi
ulteriormente. Il sangue colava a fiotti dalla ferita e dalla punta
della
spada, finendo sulla mia gonna e imbrattandola.
Uno spiacevole stridio e
Peter ritrasse la lama insanguinata.
Il suo sguardo mi fece
tremare. Era freddo come quello della strega quando ci aveva attaccati.
Freddo
e deciso. Lo sguardo di un combattente, un soldato che cinicamente deve
battere
il suo avversario.
Jadis barcollò
all’indietro
di un paio di passi poi cadde a terra con un tonfo. Tossì e
altro sangue le
colò dalle labbra che a poco a poco stavano perdendo il loro
solito colorito
acceso.
“Tu…un
semplice…figlio di
Adamo…come hai potuto…?”
riuscì a dire, fulminando Peter con un’occhiata
così
carica d’odio da sembrare quasi mortale.
Io, con occhi sgranati,
osservavo la scena incapace di comprenderla a pieno. Jadis, la grande e
invincibile Strega Bianca, era a terra in una pozza di sangue. Jadis
stava
morendo. Mia madre stava morendo per mano di Peter.
Un fischio sordo suonava
nelle mie orecchie e mi stava stordendo, la testa mi girava. Jadis
stava
morendo per mano di Peter. La situazione era stata capovolta troppo
velocemente
perché potessi comprenderla. Jadis stava morendo per mano di
Peter. Di Peter,
che sporco anche lui di sangue, fissava la sua nemesi privo di
pietà, simile ad
una pietra ma regale nell’atteggiamento come il
re che era.
La mia vista si appannò
quando le lacrime rifecero capolino più copiose di prima.
Mia madre stava morendo per
mano di Peter ed io ero inchiodata a terra, preda
dell’emozioni più diverse,
troppe per decidere quale seguire e comportarsi di conseguenza. Divisa
tra la
voglia di andare da lei, mia madre, pregarla di farsi forza e cercare
di
curarla e il desiderio di abbracciare forte Peter e assicurarmi sulla
sua
salute. Combattuta tra il dolore che provavo alla vista della sua
sofferenza e
il sollievo di sapere che i Pevensie erano salvi e che Narnia aveva
nuovamente
un futuro degno di questo nome. Indecisa se cambiare la mia scelta,
salvare mia
madre e condannare i Pevensie o lasciarla morire dinanzi ai miei occhi
senza
muovere un dito. Incerta se far prevalere Nives o Cathrine in una
decisione che
avrebbe influenzato la mia vita e quella di molte altre persone per
sempre.
Incrociai il suo sguardo e
in quelle iridi cristalline vidi qualcosa che non avrei mai
dimenticato. Vidi orgoglio.
Nei suoi occhi albergava l’orgoglio. Ma non sembrava
l’ultimo lampo di fierezza
di una grande combattente bensì pareva orgogliosa nel vedere
ciò che stava
fissando, ovvero nel guardare me. Ma perché avrebbe dovuto
esserlo? Non ne
aveva motivo, in fin dei conti avevo contribuito alla sua disfatta,
eppure…
“…Figlia…una
grande strega…”
Dolcezza in una frase
balbettata? Un sorriso accennato sul suo volto?
Non lo avrei mai saputo. Si
era trattato della debolezza di un istante, troppo poco per essere
sicura di
quello che avevo visto o sentito. Una debolezza trapelata da un muro
difensivo
incrinato dalla ferita ricevuta, una debolezza uscita prima
dell’ultimo
sospiro, una debolezza che la morte portò via con
sé prima che potesse essere
definita come tale, lasciandomi per sempre con il dubbio sulla
veridicità delle
sue ultime parole, su quanto veramente era stato pronunciato e su
quanto il mio
desiderio di riconoscere i tratti gentili della donna che avevo
chiamato
“mamma” in quelli della strega mi aveva fatto udire
ciò che volevo.
Il suo sguardo sempre fiero
si fece vacuo, i lineamenti si irrigidirono e il petto si
abbassò per l’ultima
volta.
Jadis era morta.
Un singhiozzo strozzato. Un
altro e un altro ancora in una serie che avrebbe potuto essere
infinita.
Sentii la stretta forte e
calda delle braccia di Peter cingermi da dietro. La sua testa si
poggiò
nell’incavo del mio collo e le sue labbra mi posarono un
casto bacio sulla
guancia, asciugandomi una lacrima. Una delle tante che continuavano a
scendere
dai miei occhi che caparbi fissavano il corpo perfetto, insanguinato e
privo di
vita di mia madre, imprimendosi nella memoria quell’immagine.
Proprio sotto i miei occhi,
una luce chiara, bianca, prima fioca poi sempre più
luminosa, avvolse
l’aggraziata figura di Jadis. Un soffio freddo, simile ad un
respiro, sfiorò
sia me che il ragazzo e un sibilo riempì l’aria
nell’attimo esatto in cui il
corpo della Strega Bianca si dissolse, fondendosi con quel chiarore
magico che
l’aveva circondata e che la trascinava via con sé.
Jadis era definitivamente
spirata. Forse ora avrebbe trovato la pace che non era riuscita a
godere in
questa vita.
Una scossa violenta ebbe il
potere di percuotermi e farmi distogliere lo sguardo da dove poco prima
c’erano
state le spoglie di mia madre.
“Che succede?”
domandò Peter
allarmato.
Lo fissai in volto e con
sollievo vidi sparita l’espressione cinica che aveva
indossato poco prima. I
suoi zaffiri erano tornati limpidi e buoni come lo erano sempre stati.
Il
soldato freddo era scomparso, sostituito dal mio Peter.
Un’altra scossa,
più
violenta della prima, seguita subito da un’altra che
aprì una lunga crepa sul
pavimento di ghiaccio. Altre scosse. Il trono si spaccò,
percorso anche lui da
una crepa mentre il pavimento continuava a tremare.
“Cathy, presto, dobbiamo
andarcene!”
La voce di Peter mi giunse
agitata alle orecchie, eppure non riuscivo a provare un decimo della
sua
apprensione. Il mio cuore era troppo saturo del dolore e dello shock
della
morte di Jadis per provare paura per il terremoto.
Due mani forti mi fecero
alzare afferrandomi da sotto le ascelle. Un braccio mi
circondò la vita e mi
sentii trascinare di peso verso il portone.
Alcune stalattiti caddero
dal soffitto mentre altre crepe si formavano sul pavimento.
Il palazzo stava crollando.
L’incantesimo che lo aveva protetto dall’usura del
tempo e dai cambiamenti climatici
si era spezzato con la vita della sua creatrice e da solo, il ghiaccio
che lo
aveva da sempre ricoperto non aveva la forza per continuare ad
esistere.
“Forza, ancora poco e
saremo
al sicuro”
Peter si avvicinò al
portone
e riuscì ad aprirlo da solo per permetterci di uscire dal
castello.
Senza che me ne rendessi
conto, eravamo fuori all’aria aperta, lontano dal pericolo.
Fummo soccorsi
immediatamente dai quattro ragazzi che ci stavano apprensivamente
aspettando da
quando io e Peter eravamo stati trattenuti da Jadis.
Sentii le braccia esili di
Lucy stringermi, Susan parlarmi concitata cercando di capire cosa fosse
successo durante la nostra assenza e perché il palazzo
stesse andando in pezzi,
ma ogni cosa mi sembrava distante. Non riuscivo a concentrarmi su
ciò che stava
accadendo, avevo solo la vaga percezione della terra che continuava a
tremare.
Poi improvvisamente un forte
vento si alzò e circondò interamente prima il
palazzo, poi il bosco e infine
investì me, separandomi dai Pevensie e da Caspian.
Temevo di essere spazzata
via da quel turbine violento, ma invece il vento mi accolse dentro di
sé, scompigliandomi
appena i capelli e stordendomi. L’aria era calda, piacevole,
e aveva il profumo
dei fiori, due qualità troppo familiari perché io
non riconoscessi in quel
vento l’Antica Magia che già alla Cerimonia mi
aveva avvolta.
Nuovamente entrò dentro
di
me incendiandomi. La sentii battere insieme al mio cuore, scorrere con
il mio
sangue nelle vene e riempirmi i polmoni al posto
dell’ossigeno.
La prima volta che
l’Antica
Magia era venuta da me era stato per riconoscermi come strega e
legittima erede
di Jadis. Sapevo che era tornata per ribadire quella discendenza. Ora
che Jadis
era morta, io ero diventata padrona del Palazzo di Ghiaccio. Avevo
preso il posto
di mia madre e la magia voleva comunicarmelo.
Il vento cessò
all’improvviso così come era venuto, permettendomi
di tornare a vedere ciò che
mi circondava. I ragazzi erano ancora accanto a me, fortunatamente sani
e
salvi, ma le loro espressioni erano sbigottite. I loro occhi balzavano
da me al
palazzo velocemente con aria interrogativa.
Corrucciai la fronte e
guardai a mia volta il castello. Rimasi senza fiato.
Il castello che era stato la
casa di Jadis era ancora in piedi e aveva smesso di tremare, eppure era
totalmente diverso da come tutti lo ricordavano. Il ghiaccio che
ricopriva le
finestre si era sciolto, lasciando filtrare la luce attraverso i vetri
trasparenti. Le guglie appuntite, simili a stalattiti, erano scomparse,
sostituite da torri di marmo bianco circolari. Anche il ghiaccio che
ricopriva
le pareti stesse del castello era crollato in blocchi, andando a
ricoprire in
parte il giardino -che con dispiacere vidi ricaduto nel suo sonno,
segno che
anche quell’incantesimo si era sciolto con la dipartita di
Jadis- sostituito da
lastre di marmo candido.
“Cos’è
successo?” domandò
Susan con un filo di voce.
Il mio sguardo si posò
su di
lei.
“Jadis è morta
ed ogni
incantesimo da lei fatto si è spezzato con la sua fine. Il
ghiaccio del
castello si è sciolto, così come avrà
fatto anche il resto della neve che
ricopriva Narnia” spiegai esprimendo le mie riflessioni ad
alta voce e
finalmente tornando ad essere partecipe del presente, fuori dalla
prigione dei
miei pensieri.
“Jadis è
morta? Ne sei
sicura?” si intromise Edmund.
“Si” rispose
Peter per me.
“è lei che ci ha impedito di seguirvi fuori dal
salone. È apparsa
all’improvviso e io e Cate ci siamo ritrovati a
combattere.”
“Avete combattuto da soli
contro la strega?” L’espressione stupefatta di Lucy
faceva ben comprendere
l’entità dell’impresa compiuta da suo
fratello.
“Non avevamo altra
scelta.
Fortunatamente però Peter è il miglior
combattente di tutta Narnia ed è
riuscito a sconfiggere per sempre Jadis” svelai, lodando il
ragazzo che sorrise
modesto.
“Con un notevole aiuto da
parte tua però” aggiunse.
Scossi la testa. “Il mio
aiuto è stato minimo. Se non fosse stato per il tuo sangue
freddo non ci
saremmo salvati”.
Peter stava ulteriormente
per ribattere ma un colpo di tosse lo bloccò. Si
portò la mano alla spalla con
espressione sofferente e solo allora mi ricordai della ferita
infertagli da
Jadis e che lui aveva finora stoicamente sopportato.
“Peter, mi dispiace, mi
ero
scordata della ferita. Mi hai addirittura portata fuori dal palazzo di
peso…!” esclamai
avvicinandomi.
“Shh, non preoccuparti.
È
tutto apposto” mi zittì lui minimizzando come era
solito.
“Lo sarà
quando ti avrò
curato” ribattei, e senza aggiungere altro chiamai a raccolta
la mia magia e mi
concentrai in cerca della sua aurea.
Da infermiera provetta qual
ero diventata, impiegai meno di un minuto per ricucire i tessuti della
spalla e
fermare l’emorragia.
“Grazie”
bisbigliò Peter
avvicinandosi al mio orecchio e depositandomi un bacio sulla guancia.
“Grazie a te”
ricambiai. Mi
aveva appena salvato la vita due volte di seguito, guarirlo era il
minimo che
potessi fare.
“Ehm” la
piccola Lucy si
schiarì la voce ottenendo l’attenzione dei
presenti, in particolare mia e di
suo fratello. “Quindi abbiamo vinto? La strega è
stata sconfitta per sempre?” chiese
conferma guardando prima me poi Peter con i grandi occhi da cerbiatta
speranzosi.
“Si Lu, Jadis non
tornerà
mai più” La lieta conferma non tardò a
giungere dal re.
“Finalmente possiamo
dimenticare questa storia” commentò sollevato
Edmund.
Improvvisamente la
consapevolezza che almeno quella guerra era finita mi colpì.
Finora avevo
pensato alla fine della Strega come alla morte di Jadis, non avevo
ancora
realizzato che essa significava anche la fine della tiranna che aveva
soggiogato sia Narnia che Telmar e i suoi abitanti. Narnia era
finalmente
salva, poteva tornare a prosperare felice sotto la guida giusta dei
Pevensie.
Il sollievo che scorgevo
negli occhi dei ragazzi attorno a me era grande quanto se non
più del mio,
quasi palpabile nell’aria che era tornata ad essere
primaverile in ogni luogo
del regno. Non avrebbero più dovuto lottare contro il loro
stesso popolo, si
erano lasciati la minaccia della Strega Bianca per sempre dietro alle
spalle.
Avevano vinto.
Ma io? Potevo come loro
lasciarmi Jadis alle spalle senza rimpianti?
Un’idea fulminea mi
balenò
in testa e la mia attenzione fu catalizzata dalle verdi fronde del
bosco.
“Ed ora come facciamo a
tornare a casa? A piedi ci impiegheremo
un’eternità” Sentii Caspian cambiare la
direzione del discorso puntando a lato pratico della nostra nuova
situazione.
“Nella stalla ci sono un
cocchio e una carrozza. Possiamo usare quelli” li informai
distratta. “Voi
andate pure avanti, io vi raggiungo fra un attimo” aggiunsi
continuando a
guardare insistentemente gli alberi.
Con la coda dell’occhio
vidi
i ragazzi scambiarsi uno sguardo interrogativo ma nessuno
ribatté.
Senza attendere oltre mi
diressi verso il boschetto. Nel vedere il palazzo crollare, il nome di
Jadis
divenire solo un ricordo, era nato in me un desiderio che dovevo
assolutamente
soddisfare anche se forse non era la cosa giusta da fare.
Dietro di me sentii dei
passi. Non mi volsi nemmeno, ero praticamente certa che Peter mi
avrebbe
seguita.
Raggiunsi il centro del
bosco tornato dormiente e con lo sguardo individuai il più
grande tra i blocchi
di ghiaccio disseminati sull’erba destinati a sciogliersi
definitivamente a
breve.
Una volta trovato lo
sollevai avvolgendolo con la magia e lo posizionai davanti a me, tra
gli
alberi. Era alto mezzo metro più di me e largo altrettanto,
perfetto per il mio
scopo.
Chiusi gli occhi e ripescai
dai miei ricordi la figura di Jadis, regale ma dolce come la prima
volta che mi
era parsa dopo che l’avevo liberata dalla sua prigione
dimensionale.
Richiamai la magia nelle
mani e protesi quest’ultime verso il blocco di ghiaccio. La
magia cominciò a
defluire da me al freddo materiale e con essa levigai un basamento di
trenta
centimetri. Da lì iniziai a modellare l’orlo di un
elegante quanto semplice
vestito, poi risalii su disegnando le pieghe dell’abito che
faceva intravedere
la forma di due lunghe gambe e di una vita snella. Salendo ancora con
la magia
scolpii un busto magro nascosto da un corsetto che lasciava scoperte le
spalle.
Disegnai un braccio con il pugno chiuso appoggiato sul petto,
all’altezza del
cuore, e l’altro lungo il fianco intento a sorreggere lo
scettro con la punta
di diamante
Per ultimo modellai nel
ghiaccio un collo lungo e fine che sorreggeva un volto dalle fattezza
perfette,
quasi angeliche, e circondato da una cascata di lunghi capelli mossi.
Sul viso
un dolce sorriso piegava la curva delle labbra piene sottostanti un
naso
piccolo e all’insù che divideva due occhi grandi
che mostravano un’espressione
comprensiva e amorevole.
Quando sollevai le palpebre il
volto della statua di ghiaccio di mia madre ricambiava il mio sguardo.
Presi un bel respiro e feci
un ultimo incantesimo sul mio operato. Avvolsi la statua da un velo
magico,
invisibile alla vista ma che avrebbe impedito al ghiaccio di
sciogliersi
salvando la statua dalle intemperie e dallo scorrere del tempo.
“Perché?”
Lo stupore di Peter, finora
silenzioso spettatore della mia magia, era più che
giustificabile.
“è un
monumento funebre. Non
ho potuto seppellirla perché il suo corpo è
andato distrutto ma volevo che ci
fosse almeno qualcosa per onorare la sua memoria” spiegai
cercando di far
trapelare meno possibile quanto ciò mi faceva soffrire. Non
volevo mostrarmi
più provata di quanto già Peter sospettasse o lo
avrei messo nello scomoda
posizione di dover consolarmi per la morte della sua più
acerrima nemica.
Il ragazzo storse la bocca
in una smorfia di disappunto. “Non sono del parere che la sua
memoria vada
onorata dopo tutto quello che la Strega Bianca ha fatto”
commentò acido.
Sospirai. “Hai ragione,
la
Strega Bianca non merita tanto” lo assecondai accattivandomi
il suo stupore.
“Ma io non l’ho fatto per lei né
l’ho scolpita. Guarda bene la statua, quella
che io voglio commemorare e che ho ritratto è mia madre.
È Jadis come io l’ho
conosciuta e come vorrei ricordare. È la Jadis che non
è morta per la tua spada
ma per la sua stessa sete di vendetta. È la Jadis che ho
chiamato mamma e che
non voglio dimenticare per quanto breve sia stata la sua
presenza” precisai. Un
singhiozzo stava per rovinare l’ultima parola ma riuscii a
soffocarlo. Non
avevo più voglia di piangere, avevo versato fin troppe
lacrime di recente.
Peter scosse la testa e
sospirò. Poi mi si accostò e mi
abbracciò forte. Sentii il soffio del suo
respiro tra i miei capelli procurarmi brividi familiari e il calore del
suo
corpo infondermi comprensione. Come sempre, mi aveva capita.
“Mi spiace”
mormorò a mezza
voce, sincero.
Mi scostai da lui quel tanto
che bastava per perdermi in quei zaffiri luminosi pieni di conforto e
amore,
quel conforto e quell’amore che mi erano mancati
terribilmente durante la
nostra forzata separazione. Quel conforto e quell’amore che
erano tornati ad
illuminargli lo sguardo dopo aver vissuto tante sofferenze.
Gli accarezzai la guancia
fino ad arrivare alla sua nuca e infilare le mie dita tra i suoi
capelli di
seta. Poi accostai il mio viso al suo e lo baciai con trasporto,
cercando di
soffocare ogni triste esperienza vissuta nelle ultime ore nella
dolcezza di
quelle labbra e nell’infinità del suo amore.
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Capitolo 20 *** 19_Gigli e segreti nascosti dal tempo ***
Hola todos!! Sono
tornata con il nuovo capitolo!! Iniziavo a temere che nn sarei riuscita
a postare prima di Natale, ma per fortuna ci sn riuscita! :-)
è il capitolo più lungo che ho scritto finora,
spero che nn vi annoierete ora di arrivare alla fine! Anche
perchè ci saranno diverse rivelazioni tra cui la risposta ad
un interrogativo che si sono posti in molti... chissà cosa
ci sarà scritto....^^ la prima parte però
è semplicemente una parentesi romantica tra due personaggi
che nn dicevano la loro da un po' di tempo, le fan della coppia
trattata spero apprezzeranno :-)! Ora, dato che vi ho già
fatto attendere abbastanza grazie alla mia super lentezza
nell'aggiornare, vi lascio alla lettura nella speranza che quello che
leggerete vi piacerà! Qst volta temo un po' il giudizio di
chi sarà paziente e gentile nel dirmelo perchè le
rivelazioni saranno parecchie e potrebbero stupire, spero
però nn in senso negativo!
Ringraziamenti:
ranyare: Ciao! spero tu abbia
asciugato tutte le lacrime e che sia pronta per questo nuovo capitolo
del quale aspetto il tuo giudizio con dita incrociate! Sn felicissima
che la scena della battaglia ti sia piaciuta perchè di
solito mi vengono meglio le scene dove i personaggi riflettono sui loro
sentimenti o le scene romantiche, quindi quando descrivo una scena
d'azione ho sempre paura che nn sia venuta! Se il nostro caro Peter
(tra l'altro sono andata a vedere il terzo film di narnia e mi
è mancato tantissimo il mio amore biondo!!!! Ma
perchè Aslan nn gli ha permesso di tornare, cosa accidenti
gli cambiava a lui se entravano cinque persone nel suo regno e nn tre?
Mah...! sob!) ti è piaciuto nei panni del re nell'ultimo
cappy sn certa che ti piacerà anche a metà di
questo dove si cala perfettamente di nuovo nei panni del mitico sovrano
di Narnia^^ Spero di leggere presto il tuo parere su qst
capitolo, ci sn molte rivelazioni e vorrei sapere cosa ne pensi! Grazie
mille per la tua recensione e per i tuoi complimenti :-) love you! un
bacione:-)!
sweetophelia: Ciao! hihhi, nn vorrei dire ma
credo di aver intuito che tu sia contenta della morte della
strega!!!!!!! XD! Anche Peter è felice, il momento dove la
infilza è anche il suo preferito, ha provato un'enorme
soddisfazione personale!!! x Cate superare la cosa sarà
ovviamente più dura che per il ragazzo, però in
qst capitolo troverà il modo di avere una consolazione, e
poi ci sarà sempre Peter accanto a lei:-)! Tranquilla, la
storia ha superato la metà però la parola fine
è ancora lontana :-) cmq grazie di cuore per l'entusiasmo
che dimostri per ogni capitolo, nn hai idea di quanto mi faccia
piacere!!! thanks^^!!!!!!!!!! Gli interrogativi che hai posto prometto
che presto o tardi verranno tutti risolti, uno in particolare
già in questo capitolo e nn vedo l'ora di sapere cosa ne
pensi della risposta :-)! Grazie mille ancora :-) ti mando un grande
bacio!!!!!!
bex: Ciao! Sono felicissima che tu abbia
apprezzato e letto tutti i capitoli della fan fiction scritti finora! E
grazie mille per tutti i complimenti che mi hai fatto e per aver
apprezzato l'idea che Jadis avesse una figlia, sei troppo buona
:-)!!!!! Ho risposto alla tua mail :-) scusami se nn l'ho fatto subito,
e che volevo aspettare di postare il nuovo capitolo prima, solo che
speravo che l'operazione si svolgesse in tempi più brevi
invece il capitolo nn finiva mai, aggiungevo sempre qualche pezzo con
il risultato che ci ho messo una vita a pubblicare! Cmq grazie per la
tua mail, è la prima che ricevo, quando ho visto che la
casella postale aveva un mess mi sn emozionata! thanks^^ spero che
anche questa cappy ti piaccia e spero di sapere presto le tue
impressioni :-) un bacio grande!
Eve_Cla 84: Ciao!! Se volevi regalare
un po' di felicità ti posso assicurare che ci sei riuscita
perchè se già una recensione di per sé
fa piacere, piena di apprezzamenti come la tua nn può che
riempirmi il cuore di gioia, perciò grazie grazie :-)!!!!!!
Sn contenta che i diari abbiano destato curiosità :-) la
loro esistenza nn era programmata, l'idea è venuta
praticamente fuori da sola mentre scrivevo dell'incursione di Cate
nella camera di Jadis. Mi si è accesa la lampadina! E in
questo capitolo avranno un largo spazio, largo abbastanza spero da
saziare la tua curiosità sul loro contenuto e anche su altri
quesiti :-)! Descrivere le emozioni di Cate durante il duello tra Peter
e Jadis è stata la parte più difficile del cappy
perciò sono felice di sapere di esserci riuscita alla fine,
grazie :-)! Povera Cate, per lei vedere i due combattersi a vicenda nn
è stato affatto bello e sarà dura andare oltre la
morte di Jadis, però grazie all'aiuto di Peter e di alcune
scoperte riuscirà a trovare una consolazione alla fine :-)
Spero di leggere presto la tua recensione perchè nn vedo
l'ora di sapre cosa pensi delle varie rivelazioni che il cappy
contiene!! Ancora grazie per la tua recensione :-) ti mando un grande
grande bacio cara ^^!
Grazie anche a tutti coloro che hanno inserito la storia tra preferiti
o seguite e anche a coloro che leggono solo:-) chiunque voglia farmi
sapre cosa pensa della storia ovviamente è più
che ben accetto^^
Vi auguro buona lettura
kisskisses
68Keira68
19_Gigli e
segreti nascosti dal tempo
Un sospiro di sollievo le
fuoriuscì dalle labbra quando il rassicurante profilo
dell’edificio, loro
rifugio in quelle ultime settimane, si stagliò
all’orizzonte.
Erano solo mura usurate dal
tempo, eppure era stato il baluardo della loro resistenza, senza
contare che
dalla cella fredda e inospitale mai costruzione le era parsa
più simile ad una
casa se non quelle rovine.
“Una moneta per i tuoi
pensieri”
Il sussurro di Caspian le
giunse dolce come una carezza ad un soffio dal suo orecchio. Si
voltò per
specchiarsi in quei pozzi scuri che erano stati la sua ancora di
salvezza in
quei due terribili giorni.
“Riflettevo sul fatto che
non
vedo l’ora di abbracciare il mio cuscino” gli
rispose con un sorriso ilare.
Caspian rise. “Ti
capisco”.
Il mio
cuscino.
Un cuscino che si trovava nella sua camera, una stanza distante ben tre
porte
da quella del ragazzo dove egli avrebbe riposato. Quella sera avrebbe
dovuto
coricarsi senza le calde braccia di Caspian a cingerla.
Le labbra di Susan si
piegarono in una smorfia di disappunto a quel pensiero. Non voleva
dormire in
un letto da sola, non dopo che aveva costatato quanto bello fosse
assopirsi
accanto alla persona amata, sentire il calore del suo corpo contro il
proprio e
il soffio del suo respiro sul collo. Ma ora che erano stati liberati e
che non
erano più costretti a stare vicini nello stesso angusto
spazio poteva
azzardarsi di chiedere al principe di dormire con lei di sua libera
scelta?
Caspian non si era mostrato
per niente reticente a prendere sonno accanto a lei nella cella di
Jadis, ma
ora la situazione era mutata. Nella prigione il ragazzo non aveva
scelto di
stare con lei, era stato costretto, senza contare che in un frangente
del
genere avere una persona amica vicino poteva essere di conforto. Ma ora
che era
libero di dormire nella sua stanza, al sicuro, avrebbe potuto
desiderare di
dormire lo stesso con lei?
C’era un solo modo per
scoprirlo anche se per farlo occorreva prendere a due mani tutto il
coraggio di
cui disponeva.
“Caspian” lo
chiamò,
attirando la sua attenzione. Le sue guancie si imporporarono. Susan
odiò se
stessa per questa sua debolezza. Non le piaceva far trasparire
così chiaramente
ciò che provava, peccato che quando c’era di mezzo
Caspian indossare la sua
maschera da regina le risultava più difficile che affrontare
l’esercito di
Miraz. “Sai, il mio cuscino è molto grande. Mi
chiedevo se ti andava di
abbracciarlo insieme a me, nella mia stanza” il volume della
voce era
indirettamente proporzionale al rosso delle sue gote, tanto che
l’ultima parola
risultò quasi inudibile per chiunque fosse stato presente.
Per chiunque eccetto
per chi ascoltava la regina con il cuore.
Il volto di Caspian si
illuminò nell’udire la proposta che lui stesso
avrebbe voluto farle ma che non
aveva osato pronunciare. Decidere spontaneamente di condividere la
stessa camera
era un passo importante, in più rendeva ufficiale agli occhi
di tutti il loro
rapporto e il ragazzo aveva già sperimentato cosa succedeva
se faceva pressione
a Susan nel compiere determinate tappe. L’aveva allontanata
una volta, non
avrebbe commesso lo stesso errore. Ma questa volta era Susan stessa a
farsi
avanti e perciò, per quanto questo gli sembrasse incredibile
come un sogno, non
avrebbe avuto ulteriori indugi.
Le passò un braccio
attorno
alla vita e la attrasse a sé, posandole un bacio tra i
lunghi capelli castani.
“Non vedo l’ora
di
abbracciarlo. Anche perché, se ancora non lo avessi capito,
temo di non essere
più in grado di dormire se non ti ho vicina” le
confessò audace sussurrandole
all’orecchio.
Susan avvampò ancora di
più,
ma un sorriso sincero e di pura gioia curvò le sue labbra.
Labbra che furono
catturate per un rapido quanto tenero bacio da quelle del principe poco
prima
che il cocchio preso in prestito nella stalla della strega si fermasse.
Caspian scese con un agile
balzò poi si girò per porgere la mano a Susan e
aiutarla a scendere a sua volta
prima di incamminarsi verso la porta dell’edificio.
Quando entrarono, trovarono
i reduci dello scontro con l’esercito di Jadis stipati nella
sala comune usata
per i pasti, alcuni con espressione confusa, altri guardinga, altri
ancora
incredula. La domanda che passava per la mente di ogni presente era
limpida
come l’acqua. Perché la neve si era sciolta? Una
domanda che poteva avere una
sola risposta, una risposta tuttavia che era troppo meravigliosa anche
solo per
considerarla. Ecco perché gli abitanti di Narnia erano in
empasse ad attendere
qualcosa o qualcuno che chiarisse la nuova situazione. Ed ecco
perché l’arrivo
dei due regnanti fu accolto con un religioso silenzio che racchiudeva
tutte le
speranze e le aspettative nei cuori dei presenti.
“Regina Susan, principe
Caspian” mormorò qualche d’uno come se
sussurrare il loro nome li rendesse più
veri e meno simili ad un miraggio in una tempesta.
Susan sorrise fiera al suo
popolo, tornando a vestire i panni che più le si addicevano,
il rossore sulle
sue guancie improvvisamente scomparso.
“Popolo di Narnia. Sono
lieta di annunciare che la Strega Bianca è stata sconfitta
da Re Peter e da
Lady Cathrine e questa volta non tornerà mai più.
Narnia è definitivamente
libera dalla sua infausta presenza”
Seguirono cinque lunghi
secondi di silenzio, il tempo che occorse ai presenti per assimilare la
notizia, per comprendere che era la verità, che le loro
preghiere erano state
esaudite. Che erano davvero salvi. Poi, un’ovazione esplose.
Qualcuno gridò di gioia,
altri risero finalmente sollevati dall’enorme peso che si
erano portati addietro
negli ultimi giorni. Altri ancora inneggiarono al coraggio e alla forza
del
loro re che li aveva liberati da Jadis, mentre alcuni si limitavano a
sorridere, troppo sopraffatti per esprimere ciò che
provavano in un altro modo.
Anche Caspian e Susan risero
gustandosi quel meritato momento di catarsi. In
quell’istante, in mezzo al suo
popolo finalmente tornato a sorridere, Susan ebbe la consapevolezza che
avevano
veramente vinto. E il premio era la gioia che scorgeva nei volti degli
abitanti
della sua terra.
Sentì Caspian prenderle
la
mano e sospingerla verso la scala al fondo della sala conducente alle
camere.
La regina guardò in volto il principe, stanco e provato
quanto lei, e annuì.
Decisamente quella di andare a letto era un’ottima idea dopo
l’avventura
trascorsa.
Intercettò
Ricipì, che con
la spada rivolta verso l’alto continuava a decantare le lodi
del suo sovrano, e
gli si avvicinò.
“Ricipì, posso
affidarti un
compito?” gli chiese gentile.
Il topo, come prevedibile,
si inchinò profondamente con la spada sul cuore e si
affrettò a rispondere
“Ogni vostro desiderio è un ordine mia
regina”.
“Re Peter, re Edmund, la
regina Lucy e Lady Cathrine stanno per arrivare a bordo di una
carrozza, affido
a te il compito di organizzare un’accoglienza calorosa. Il
Principe Caspian ed
io invece ci ritiriamo nelle nostre stanze”.
“Sarà
fatto” promise il
valoroso cavaliere.
Susan annuì, infine si
accinse a seguire Caspian al piano superiore.
“Sai, quando hai un tetto
sotto la testa non riesci a comprendere la fortuna che hai
finché non ti
ritrovi a dormire su una lastra di ghiaccio”
commentò la ragazza salendo le
scale.
“Già, dai per
scontato anche
di poter godere di una temperatura superiore allo zero” si
accodò Caspian
sorridendo sarcastico.
Quando giunsero davanti alla
porta della camera di Susan, la ragazza si voltò a guardare
il principe per
assicurarsi che non avesse cambiato idea, ma la conferma delle
intenzioni del
giovane giunse veloce e in maniera inequivocabile. Caspian
aprì la porta e prense
la ragazza in braccio per farle varcare la soglia.
Susan, presa alla
sprovvista, rimase interdetta in un primo momento, ma poi decise di
godersi
l’attimo. Erano reduci da un’esperienza che avrebbe
potuto ucciderli e questo
le aveva insegnato che d’ora in poi doveva cercare di
lasciarsi andare un poco
di più, di vivere la sua vita in modo da non aver rimpianti
in caso un’altra
guerra minacciasse la sua sicurezza.
Cinse con le sue braccia il
collo del bel giovane moro che le regalò uno sguardo
così intenso e felice da
lasciarla senza fiato. Sentì il cuore balzarle in gola a
ricordarle più che mai
che se c’era qualcuno che poteva farla sentire viva, che le
poteva donare dei
ricordi indimenticabili, era proprio Caspian.
Il principe di Telmar chiuse
la porta con un lieve calcio poi si diresse verso il letto dove
adagiò la
giovane.
Susan però, vittima di
una
frenesia che i suoi stessi pensieri le avevano fornito, non sciolse il
suo
abbraccio, al contrario trascinò il ragazzo giù
con sé, sprofondando insieme a
lui nel morbido materasso.
Un sorriso sbarazzino,
malizioso ma così spontaneo da avere quasi
dell’infantile, si fece vedere sul
volto della regina che si illuminò di una luce insolita, a
lei estranea tanto
da lasciare Caspian ammaliato a fissarla. Era la luce della
spensieratezza, del
desiderio di cogliere l’attimo senza curarsi delle
conseguenze. Una luce
contagiosa poiché ben presto rischiarò anche il
volto del moro.
Susan fece scivolare una
delle due mani, che ancora cingevano la nuca del giovane, tra i capelli
corvini
di Caspian fino a giungere sulla sua guancia sulla quale poteva
avvertire la
lieve ruvidezza di un accenno di barba. Gli sfiorò lo
zigomo, scorse giù fino
alla mascella e poi accarezzò le sue labbra, morbide e
piene, in grado di
aprirgli un mondo di emozioni che mai avrebbe immaginato accessibili
per lei.
Gli occhi castani, nei quali
albergava un guizzo di malizia solitamente latente, si incontrarono con
quelli
di Caspian e ne rimasero stregati, imprigionati. Le sue due pozze
scure, di
solito pieni di genuinità, di innocenza e di
bontà ardevano come brace. Erano
uno scorcio del fuoco che gli stava incendiando il cuore, un fuoco
alimentato
dal desiderio che aveva della giovane, suscitato dalla sua pelle di
pesca,
dalle sue labbra di rosa e dal suo meraviglioso viso.
Il cuore di Susan batté
ancora più forte sotto quegli occhi che dichiaravano a gran
voce di volerla, ma
soprattutto di amarla. Uno sguardo che la contemplava come se fosse una
dea da
venerare e da desiderare, come se per lui fosse ciò che
più di prezioso il
mondo poteva avere.
Caspian le si avvicinò
con
il capo e prese a baciarle il collo. Erano baci lenti ma dolci, sentiva
solo la
lieve pressione delle sue labbra sulla sua pelle, baci in
contraddizione con la
bramosia che gli aveva scorto negli occhi, quasi come se avesse paura
di
assecondare i suoi desideri. O forse anche lui voleva godersi
l’attimo? Forse
voleva assaporarlo secondo per secondo e non bruciare nessuna tappa,
non avere
fretta.
La bocca di Caspian salì
su
e giunse a baciarle la guancia, il mento fino ad arrivare alla loro
meta, le
sue labbra, mentre la giovane gli accarezzava i capelli con una mano e
lo
stringeva sempre più a sé con l’altra
facendo pressione sulla schiena di lui.
Susan ricambiò il bacio
e
assaporò la morbidezza della labbra di Caspian per un
momento che le parve
infinitamente perfetto. Le loro bocche ormai si modellavano le une
sulle altre
come se fossero due pezzi complementari, come se volessero sottolineare
la
reciproca appartenenza dei loro proprietari.
Fu Caspian infine a
distanziarsi da lei quel tanto che bastava per incatenarla nuovamente
con il
suo sguardo. Il fuoco che precedentemente si era intravvisto in quelle
pupille
si era affievolito, parzialmente soddisfatto da quel bacio
appassionato, ed era
tornata a regnare la consueta genuina felicità che le
contraddistingueva.
“Ti amo Susan”
le sussurrò
ad un respiro dalle sue labbra.
La giovane tremò
nell’udire
la sua voce così profonda e rauca. “Ti amo
Caspian” bisbigliò in risposta. Una
risposta forse scontata, prevedibile, ma non per questo perdeva la sua
veridicità. E di certo non per questo il cuore del giovane
evitò di aumentare
il ritmo del suo battito all’ennesima conferma di essere
ricambiato da Susan.
Caspian le scivolò di
fianco
e le cinse la vita traendola a sé con dolcezza. Le
depositò un bacio sul capo e
appoggiò il suo viso tra i capelli della ragazza, inspirando
a fondo il suo
buono e inconfondibile odore di fiori di campo.
Susan accarezzò il
braccio
che la teneva prima di girarsi su se stessa e ritrovare il contatto con
le
labbra del bel principe.
Forse, dopotutto, il cuscino
avrebbe potuto aspettare, a differenza dell’amore che esigeva
per quella sera
di essere vissuto a pieno…
*
Allungai le braccia e cinsi
il cuscino, sprofondandoci il viso dentro. Stiracchiai le gambe, le
aprii e le
chiusi un paio di volte, godendomi la sensazione della morbidezza del
materasso. Decisamente non esisteva cosa più ristoratrice
del dolce
dormiveglia. Coccolarmi tra le lenzuola mi distendeva i nervi,
rilassava i muscoli
e mi illudeva di essere in un limbo dove esistevamo solo io, il mio
cuscino e,
da qualche giorno, Peter, che con me condivideva quei teneri e
rilassanti
risvegli.
Sfilai una mano da sotto il
guanciale e cercai a tentoni quella del biondo in questione dalla sua
parte del
letto. Corrucciai la fronte però quando mi resi conto che la
sua metà di
materasso era vuota.
Di malavoglia alzai il capo
e aprii gli occhi. Con delusione constatai che la mia impressione era
giusta.
Peter non c’era e a giudicare dalla temperatura del materasso
in quel punto, se
ne era andato da un pezzo.
Con un sospiro lanciai uno
sguardo al resto della stanza…e rimasi di sasso. Due colonne
al fondo del
materasso sosteneva un baldacchino. Un grande armadio di ghiaccio
riempiva
quasi tutta la parete bianca davanti a me insieme ad una panca aperta.
Chiusi gli occhi e scossi la
testa con il cuore che batteva a mille. Quando gli riaprii, i mobili
che aveva
visto erano scomparsi, sostituiti da un armadio in legno notevolmente
più
piccolo e un semplice letto.
Nascosi il viso tra le mani
e inspirai a lungo. La mia mente mi aveva giocato un brutto scherzo, il
mio
subconscio aveva sovrapposizionato l’immagine della mia
stanza al castello di
ghiaccio con quella che avevo lì alle rovine. Evidentemente
nel dormiveglia,
nel mio limbo protetto, avevo sperato che gli ultimi complicati e
incisivi
avvenimenti non fossero accaduti, che erano stati solo un incubo molto
lungo, e
di conseguenza la mia testa aveva immaginato di trovarsi ancora in
quella camera,
fornendomi quell’immagine al posto della realtà.
Deglutii e presi un ultimo
respiro per farmi forza. Ora ero sveglia, era inutile soffermarsi su
sciocche
allucinazioni dettate da una mente ancora addormentata. Piuttosto
sarebbe stato
meglio alzarsi e cercare di raggiungere Peter.
Infilai le ballerine poste
accanto al letto e mi posizionai di fronte allo specchio. Un debole
sorriso si
formò sul mio viso quando vidi i capelli tutti scompigliati.
Era bello constatare che
alcune cose non cambiavano mai. Con pazienza presi la spazzola sul
comò e
cominciai a districare la massa informe che avevo come acconciatura.
Quando
finalmente dei boccoli degni di tale nome tornarono a sfiorarmi le
spalle,
uscii dalla stanza.
Scesi le scale e cercai di
attraversare furtiva la sala comune. La sera precedente, quando Peter,
Edmund,
Lucy ed io eravamo rientrati, ero riuscita silenziosamente a
svignarmela ai
piani superiori mentre il popolo accoglieva i sovrani con i giusti
onori,
sperando che essendo impegnati a lodare i regnanti non avrebbero avuto
tempo
per incenerire me con occhiate maligne e sospettose. Sapevo che non
avevo nulla
da temere, che avendo il favore di Peter nessuno si sarebbe osato a
farmi del
male, ma non avevo voglia di sentirmi additare come una traditrice, una
strega
malvagia o un elemento da evitare, preferivo di gran lunga passare
inosservata
almeno finché l’astio e la diffidenza nei miei
confronti non fossero stati
dimenticati.
Un fauno però ruppe la
mia
rosea speranza di raggiungere indenne la sala della tavola di pietra
dove
certamente erano riuniti i miei amici.
Malauguratamente la creatura
incrociò il mio sguardo, sobbalzò e
sgranò gli occhi. Sbuffando io mi affrettai
a chinare la testa e aumentai il passo, ma mentre cercavo di
svignarmela,
l’abitante di Narnia mi prese in contro piede facendo
l’ultima cosa che mi
aspettavo. Inclinò il busto davanti e con tono rispettoso
mormorò “Buon giorno
principessa Cathrine”.
Rimasi spiazzata. Non aveva
estratto la spada. Non aveva incitato i suoi compagni a puntarmi contro
torce e
forconi. Non aveva pronunciato nemmeno un misero insulto. Si era
inchinato e mi
aveva salutata come “principessa”.
Ma ciò che fu ancora
più
sorprendente fu che altri si affrettarono ad imitarlo. Stavo forse
ancora
dormendo?
“Grazie, buongiorno anche
a
voi” sussurrai di risposta istintivamente grazie ad anni di
buona educazione
che mi salvarono dal fare scena muta.
Accennai ad un saluto con il
capo dopodiché mi dileguai il più velocemente
possibile lungo il corridoio che
portava alla sala adibita alle riunioni, scuotendo incredula la testa.
“Ben svegliata
dormigliona”
la voce energica di Lucy mi accolse nell’aula.
Mi sorrideva allegra dalla
sua postazione preferita, appollaiata sul bordo della tavola di pietra
a gambe
incrociate.
“ ‘Giorno
Cate”
“Buon giorno”
dissi ai
giovani sovrani “Caspian, Susan” aggiunsi poi con
un sorriso prima al moro poi
alla ragazza.
Passai al setaccio la stanza
sperando di catturare un paio di zaffiri luminosi ma restai delusa.
Peter non
si trovava nemmeno lì.
“Arriverà tra
poco” mi
informò Lucy intuendo i miei pensieri.
“Come mai
quell’aria stupefatta?”
mi domandò invece Susan.
Rivolsi la mia attenzione
alla giovane, posta alla destra della tavola e appoggiata con la
schiena sul petto
di Caspian. “Niente, è che mi aspettavo di essere
quasi linciata dai narniani
appena si fossero accorti della mia presenza, invece prima mi hanno
chiamata principessa e si sono
persino inchinati”
spiegai stranita.
Vidi la regina esprimersi in
una smorfia divertita mentre Caspian, Lucy ed Edmund ridacchiarono.
“Vedo che il discorso di
Peter ha sortito il suo effetto” commentò ilare
Caspian.
“Quale
discorso?” mi
informai corrucciando la fronte. Cosa mi ero persa?
“Stamattina sono tornati
tutti coloro che avevano combattuto al fianco di Jadis” mi
mise a parte Edmund.
“E Peter ha ritenuto
opportuno giustamente redarguirli e far loro giurare nuovamente
fedeltà a noi e
ad Aslan.” Aggiunse Lucy.
“Quindi sono stati tutti
perdonati?”
“Non proprio.
Combatteranno
di nuovo dalla nostra parte, ma sono tenuti sotto stretta sorveglianza
e al
primo sospetto verranno trattati come i traditori meritano”
il tono amaro con
la quale Susan si espresse mi fece deglutire.
“Comunque sia non
crediamo
ci sarà bisogno di adottare tali misure. La maggior parte di
loro ha disertato
le nostre file sotto minaccia o sotto un incantesimo. Pochi hanno
lottato per
Jadis convinti di quello che stavano facendo”
puntualizzò fiduciosa la più
piccola dei Pevensie.
Annuii sollevata. Non era
piacevole sapere che il proprio esercito era composto da un nutrito
numero di
traditori.
“Ma questo cosa
c’entra con
me?” chiesi tornando al discorso iniziale.
“Peter ha colto
l’occasione
anche per minacciare di morte chiunque ti avesse anche solo guardato in
modo
storto” il sorriso divertito di Lucy la diceva lunga sul modo
in cui il biondo
si fosse espresso. Poveri abitanti di Narnia… non osavo
immaginare in che modo
avesse formulato la sua “gentile” richiesta.
“E poi ha anche
formalizzato
il tuo nuovo status di principessa ora che si è scoperta la
tua vera identità.”
Concluse Caspian sorridendo anche lui probabilmente al ricordo
dell’arringa,
certamente molto infervorata, del sovrano.
“Come?!”
esclamai sorpresa.
Quindi era stato Peter a dire a tutti di chiamarmi con
quell’inappropriato
appellativo? Ma cosa gli era saltato in mente?
“Non sei
contenta?” Lucy mi
guardò stupita della mia reazione.
“Sono felice di non
dovermi
guardare le spalle da possibili attentatori, ma non sono una
principessa. Morta
Jadis credevo fosse abbastanza chiaro che Narnia sarebbe tornata a voi,
non
intendo essere la principessa di un trono usurpato” ribattei
con veemenza.
“Infatti è
così. I sovrani
di Narnia siamo tornati ad esserlo i miei fratelli ed io”.
Una voce ben conosciuta mi
giunse dalle spalle. Una voce che aspettavo di udire da quando mi ero
svegliata.
Mi voltai addolcendo la mia
espressione istintivamente alla vista di quei tratti angelici.
Peter mi venne incontro, mi
trasse a sé e mi donò un bacio a fior di labbra.
“Buon giorno”
mi sussurrò
all’orecchio.
“Buon giorno anche a
te”
ricambiai, lieta di potermelo finalmente sentir dire da lui.
Edmund si schiarì la
voce
sonoramente, richiamando la mia attenzione e facendomi ricordare le mie
obiezioni.
“Temo di aver perso il
filo
allora. Se i regnanti giustamente siete voi, perché
dovrebbero chiamarmi
principessa?” chiesi inarcando un sopraciglio.
“Jadis era già
regina prima
di allungare le mani su Narnia. Il castello di ghiaccio e le terre ad
esso
adiacenti sono dei suoi legittimi possedimenti, così come le
Isole Solitarie di
cui era imperatrice” mi illustrò paziente.
“E tu sei la legittima
principessa di quelle corone.” Affermò Susan.
Mi massaggiai le tempie.
Troppe informazioni assieme, mi stava venendo il mal di testa. Quindi,
riassumendo, la magia non era l’unica cosa che mia madre mi
lasciava in
eredità. Avevo appena scoperto di avere una corona sulla
testa. Anzi, due per
la precisione. Fantastico.
“Per ora sei solo
principessa perché non hai avuto una cerimonia di
incoronazione, al quale però
provvederemo appena possibile.” Promise Peter.
Un mugolio di
disapprovazione mi uscì prima che potessi fermarmi. Certo,
non vedevo proprio
l’ora di essere incoronata, era il sogno di una vita.
Sospirai e raccolsi le idee
per iniziare la mia presa di posizione. “Ascoltate, non ho
alcun interessa a
diventare regina, né ad essere una principessa. Nives era
l’erede di quei
possedimenti, ma Nives è morta insieme a Jadis. Sono rimasta
io, Cathrine, e
l’unica cosa che mi rallegro di aver ereditato e che
continuerò ad usare è la
mia magia. Quei possedimenti potete annetterli al regno di Narnia, non
mi
interessa. Se occorre posso firmare un documento di
concessione” obiettai
riflessiva.
Peter strabuzzò gli
occhi.
“Ma sono i tuoi territori, il tuo trono. Hai dei doveri verso
la gente che vi
abita, verso i tuoi sudditi.” Ribatté.
Sorrisi divertita dalla
reazione del giovane. Vedeva la situazione attraverso i suoi occhi, per
lui
rinunciare al trono sarebbe stato come lasciare in panne le persone che
gli
davano fiducia. Non riusciva a vederla dal mio punto di vista.
“Non ho idea di come si
amministri un regno Peter, non sono tagliata per quel ruolo. Ci vuole
una
forza, una lungimiranza e un’attitudine al comando che io non
ho. Non tutti
sono nati per governare come te. Faccio di più gli interessi
di quel popolo
mettendolo sotto la vostra guida che assumendomene la
responsabilità, fidati” ragionai
“e poi preferirei non avere qualcosa che mi ricorda Jadis
ogni giorno”
sussurrai a solo beneficio di Peter il quale aumentò la
stretta sul mio fianco
comprendendomi.
Il maggiore dei Pevensie
sospirò e fece passare qualche secondo di riflessivo
silenzio prima di
proporre: “Allora potremmo fare in questo modo. Noi ci
occuperemo di ogni
aspetto dell’amministrazione di quel regno, ma tu conserverai
il tuo titolo di
principessa e potrai richiedere il diretto controllo sulle tue terre in
qualunque momento. Cosa ne pensi?”
L’ultima frase era una
domanda, ma il tono avvertiva a chiare lettere che non avrebbe ammesso
repliche.
Storsi il labbro. Era
insulso essere chiamate con un appellativo onorifico senza far
alcunché per
meritarlo. Tuttavia acconsentii. Peter non mi avrebbe mai permesso
altrimenti.
Il ragazzo sorrise contento
della mia resa, poi si rivolse agli altri presenti.
“Perfetto, risolta questa
questione possiamo passare ad altro. Le nostre spie dicono che i
telmarini non
si sono accorti di essere stati congelati. Sciolto
l’incantesimo hanno ripreso
la loro vita come se niente fosse” li informò.
“Ed insieme ad essa anche
la
preparazione della guerra contro di noi, scommetto.” Aggiunse
amaro Edmund.
Peter annuì con
espressione
grave. Susan si morse il labbro frustrata e Caspian imprecò
a mezza voce.
Eravamo appena usciti da un grosso pericolo, ma un altro non meno
grande stava
di nuovo minacciando la nostra ritrovata pace. Chissà se
saremmo mai riusciti a
liberare questa terra da ogni influenza esterna e farle avere
un’esistenza
tranquilla?
“Cosa possiamo
fare?”
domandò pragmatica Susan.
“Prepararci alla
guerra”
rispose secco Peter.
La regina annuì, i
lineamenti del volto tesi. “Dobbiamo organizzarci
allora”.
Sotto i miei occhi, Peter si
trasformò da semplice ragazzo a re supremo. Postura dritta e
regale, sguardo e
tono fermi, sembrava quasi illuminato da una luce particolare mentre
dettava ordini
e organizzava il futuro della sua gente senza la benché
minima esitazione.
“Innanzitutto i bambini e
coloro che non possono combattere vanno messi al sicuro”
sentenziò guardando
Lucy.
La piccola regina annuì
seria. “Me ne occuperò io, non è un
problema” assicurò.
“Bene”
commentò il biondo.
“Passiamo alla difesa”.
“Io direi di piazzare gli
arcieri sulla balconata sopra l’ingresso. Offriranno una
buona copertura per i
fanti da quella postazione” propose Susan trovando subito
concordi i restanti.
“Te ne puoi occupare
tu?” le
chiese Peter, anche se già conosceva la risposta.
“Ma certo”
Con i lineamenti del volto
tesi e lo sguardo fermo, dubitavo seriamente che esistesse qualcosa che
non
sarebbe stata capace di fare. Lei come tutti gli altri. In quel momento
i
Pevensie mi parevano invincibili. Seri e determinati, le menti
perfettamente in
sincronia, ognuno conscio del proprio compito e del proprio dovere,
ognuno
pieno di fiducia verso le capacità degli altri. Formavano
una squadra
affiatata, perfettamente sintonizzata, unita dall’affetto e
dalla stima che
provavano tra loro.
“Per quanto riguarda
l’esercito di terra…” e si rivolse al
fratello minore.
Edmund fece un passo avanti.
“Dobbiamo evitare lo scontro frontale. La loro
superiorità numerica ci
schiaccerebbe” illustrò.
“Giusto,
perciò cosa
proponi?” concordò Peter.
Un silenzio meditabondo
piombò sulla stanza. Non avevamo soldati a sufficienza per
sopportare un corpo
a corpo, ma come potevamo sfoltire le file dei nostri nemici se non
sotto i
colpi delle nostre spade?
A sorpresa, Caspian si
schiarì la voce, catturando su di sé
l’attenzione. “Forse ho
un’idea” disse.
“Ovvero?” si
informò Susan
attenta.
“Sapete che
l’edificio oltre
al piano terreno e quello superiore comprende anche un piano
sotterraneo che si
estende per un paio di chilometri sotto la raduna qui fuori?”
“Si, e questo ci
è utile
perché…?” lo incalzò Peter,
non comprendendo l’introduzione del principe.
Il ragazzo si concesse un
sorriso. “Il soffitto del sotterraneo è retto da
delle colonne di pietra. Se
quelle colonne venissero distrutte il terreno crollerebbe come
niente” spiegò.
Ora anche Peter sorrideva
soddisfatto,
intuendo dove il giovane volesse andare a parare. “E se
accidentalmente quelle
colonne venissero distrutte mentre i telmarini passano sopra alla zona
che
sostengono…” proseguì per Caspian.
“Una parte
dell’esercito
cadrebbe insieme al soffitto e verrebbe seppellita dalle
macerie” concluse
Edmund, giunto anche lui alla medesima soluzione battendosi il pugno
sull’altra
mano, approvando il piano.
“Se siete
d’accordo allora
una parte dell’esercito aspetterà sotto con
Caspian che, quando i soldati di
Telmar saranno nella giusta posizione, darà
l’ordine di distruggere le colonne
portanti, mentre io ed Edmund saremo sul prato con il resto dei
fanti” decretò
Peter entusiasta dell’idea.
“Io potrei coordinarvi
facilmente con la magia” mi inserii timida nella discussione,
presa da un’idea
improvvisa. “Posso inviare una sfera di luce a Caspian per
comunicargli quando
è il momento di far crollare il soffitto.”
“Perfetto,
così il piano
dovrebbe funzionare e noi ci saremmo tolti di mezzo una parte
dell’esercito di
Miraz senza perdere un soldato” commentò il re
supremo.
“Il numero dei soldati
che
Telmar ha a disposizione non è l’unico dei nostri
problemi però. La città può
usufruire di macchine da guerra che Narnia non ha più da
secoli.” L’annotazione
di Susan fece tornare in toto il pessimismo appena alleggerito.
“Parli delle catapulte,
vero?” precisò Edmund. La regina annuì
tesa.
Effettivamente le catapulte
costituivano un ottimo mezzo per distruggere il nostro edificio e per
assottigliare le nostre fila. Erano grandi e inavvicinabili per
semplici fanti,
indistruttibili utilizzando solo piccole frecce. Ma il peggio era che
Narnia
non aveva nulla di simile da contrapporre. A meno che…una
lampadina mi si
accese, fornendomi la soluzione del problema su un piatto
d’argento. Una
soluzione tanto semplice che mi diedi della sciocca per non averci
pensato
prima.
“Quel problema credo di
potervelo risolvere io tranquillamente” affermai con
sfacciata convinzione.
“Davvero?” mi
chiese
sorpreso Peter.
Finsi un’aria offesa.
“Credi
davvero che qualche pezzo di legno possa mettere in
difficoltà la figlia della
Strega Bianca? Mi sottovaluti signor Pevensie” lo provocai
sorridendo
accattivante.
“Non dubitavo delle tue
capacità,
mia permalosa strega.” Ribatté stando al gioco.
“Non volevo coinvolgerti nella
battaglia. Finché si tratta di inviare un segnale va bene ma
oltre quello avrei
preferito che questa volte te ne stessi in disparte” aggiunse
scrutandomi.
Trattenni a stento uno
sbuffo. Era vero, l’ultima e la prima volta che avevo
partecipato ad una
battaglia avevo finito con il farmi catturare, però non per
questo avrebbe
potuto tenermi in una campana di vetro per il resto della mia
esistenza. Specie
ora che ero divenuta più consapevole dei miei poteri e che
potevo rivelarmi più
utile di prima.
“Peter, apprezzo il tuo
senso di protezione ma sono capace di badare a me stessa. E poi avrete
bisogno
di ogni aiuto possibile e negarti quello di una strega per un eccesso
di
scrupoli mi sembra una mossa stupida” cercai di farlo
riflettere.
“Ha ragione. Il suo
contributo potrebbe essere decisivo. Senza le catapulte la situazione
risulterà
molto meno impari” mi supportò logica Susan.
Le lanciai un’occhiata di
ringraziamento per il sostegno poi tornai a fissare il biondo che mi
guardava a
sua volta con brillanti zaffiri tormentati. Era diviso tra il dovere
verso il
suo popolo e quello di proteggermi che aveva sempre sentito da che ci
eravamo
incontrati.
Gli accarezzai il volto.
“Starò lontana dalla battaglia, non intendo
affrontare direttamente nessuno. Le
condizioni saranno quelle della volta scorsa, contributo magico in
cambio
dell’esonero dall’usare armi
contundenti.” Proseguii cercando ulteriori
motivazioni per la mia causa. Non volevo rimanere con le mani in mano
mentre
loro rischiavano la vita, però avrei perseverato con la mia
scelta di non
uccidere nessuno. Vidi la sua titubanza aumentare e decisi di aiutarlo
ulteriormente concludendo. “E poi i miei poteri si sono
raddoppiati, lo sai.
Dubito seriamente che qualcuno possa nuocermi ora come ora”
vantai peccando
appositamente di modestia.
Ciò parve convincerlo
definitivamente. “D’accordo. Ma starai sulla
balconata vicino a Susan, fuori
dalla mischia” ordinò aumentando la stretta
dell’abbraccio, probabilmente un
riflesso istintivo al pensiero che sarei stata di nuovo esposta al
pericolo.
L’ombra di un sorriso mi si dipinse in volto. Si poteva
essere più
iper-protettivi?
“Del resto
dovrà occuparsene
la fanteria.” Commentò Caspian, tornando
all’argomento principale.
“E se ne
occuperà nel
migliore dei modi.” Promise Peter e lanciò
un’occhiata allusiva al fratello.
Edmund comprese e annuì.
“Vado ad occuparmene immediatamente” ed
uscì dalla stanza.
“Io vado a scegliere un
gruppo di soldati per abbattere le colonne.”
Annunciò Caspian sparendo dietro
ad Edmund.
La terza ad uscire celere
dalla stanza fu la regina maggiore, diretta verso lo schieramento degli
arcieri
di sua competenza, seguita a ruota dalla piccola Lucy che si apprestava
ad
informare del nostro piano coloro che avrebbero dovuto seguirla ai
piani
superiori appena la battaglia fosse iniziata. Una battaglia decisiva,
che
avrebbe segnato le sorti di Narnia. Un’ennesima ferita su
quella terra florida
dalla quale sarebbe sgorgato il sangue dei suoi stessi abitanti,
abitanti che
forse avrebbero potuto estinguersi al tramonto di quel fatidico giorno.
Sospirai affranta. Altra
guerra, altri avversari, ma stesse paure e stesso dolore.
Sentii la pressione della
mano di Peter sollevarmi il mento, obbligandomi a fissarmi negli occhi.
“Non sei costretta a
partecipare” mormorò.
Un angolo della mia bocca si
piegò in su in un’amara smorfia. “Pensi
che resterei a guardare mentre voi
rischiate la vita?” risposi cercando di mascherare
l’afflizione con il sarcasmo.
Il re chinò lentamente
la
testa e mi baciò. Un bacio calmo e lento, un bacio di
conforto, puntato a farmi
comprendere che lui era vicino e che capiva ciò che provavo.
Un bacio che mi
ripeteva che non ero sola. Un bacio che voleva fornirmi una speranza
per il
futuro, che mi dettava di non arrendermi perché insieme ce
l’avremmo fatta.
Avremmo superato anche quest’ulteriore sfida.
“Lucy sarà
dentro
l’edificio, protetta da quelle mura. Caspian è un
bravo combattente e porterà a
termine la sua missione. Susan e tu sarete al sicuro sulla balconata,
impegnate
nei vostri incarichi che saprete eseguire alla perfezione. Edmund
sarà con me e
non permetterò a niente e a nessuno di nuocergli”
mi rassicurò poggiando la sua
fronte sulla mia.
Chiusi gli occhi e mi
inebriai del suo profumo che mi giungeva forte e dolce data la distanza
ravvicinata, come anche il suo respiro che mi raffreddava delicatamente
le
labbra ancora umide dal suo bacio.
Sollevai le palpebre e
sprofondai in quel cielo primaverile, profondo e infinito come i suoi
sentimenti. “E tu?” sussurrai.
Un sorriso sghembo gli
curvò
le labbra. “Non perderò la vita in un semplice
scontro.”
“Perché sei re Peter il Magnifico?” lo
canzonai, ritrovando quel poco di
spirito per scherzare oltre la coltre di preoccupazioni che mi
annebbiava la
mente.
“No, perché
sono troppo
egoista per permettere a qualcuno di privarmi del piacere di rivederti
dopo la
battaglia. O di accarezzare la tua pelle morbida” la sua mano
scorse lungo la
mia guancia, giù per il collo fino alla clavicola.
“giocare con i tuoi capelli
ricci e ribelli” le sue dita si intrecciarono con i miei
boccoli dietro la mia
nuca. Tirò piano una ciocca e un brivido mi percorse lungo
tutta la schiena.
Con imbarazzo fui incapace di trattenere un mugolio. “Di
stringerti a me e
sentire la dolce pressione del tuo corpo” l’altro
braccio si poggiò sulla mia
vita e con delicatezza mi avvicinò al suo petto caldo che si
abbassava e alzava
piano e ritmicamente, pregustando il passo successivo che entrambi
conoscevamo.
“o di rubarti mille baci, poi di nuovo cento, poi di seguito
mille, poi di
nuovo altri cento” mormorò citando i versi che
Catullo dedicò alla sua Clodia,
con il tono sempre più rauco, facendomi tremare il cuore e
le gambe.
Le nostre labbra si
riunirono come poco prima, ma in modo totalmente diverso. Se
precedentemente il
bacio era di comprensione e rassicurazione, ora era passionale,
energico, pieno
di vita, di voglia di godersi il momento, del desiderio che entrambi
nutrivamo
verso l’altro.
Allacciai le mie mani dietro
la sua nuca e ricambiai con tutta me stessa, dimenticando ogni problema
come
sempre mi accadeva quando le nostre lingue si univano in quella danza
ancestrale che tanti significati poteva celare e tante emozioni
trasmettere.
Un’aspra battaglia ci
attendeva. Il destino ci richiedeva di dimostrare ancora il nostro
coraggio e
la nostra determinazione. Ma noi eravamo pronti. Eravamo uniti e forti
del
sentimento che ci legava tra di noi e a quella terra. E proprio per
difendere
l’amore verso l’altro, verso i nostri amici, verso
le creature di Narnia e
verso Narnia stessa, avremmo vinto.
*
La mia
veste era sporca di sangue. Sangue che
continuava a scorrere. Sangue che non era mio.
Lentamente
alzai lo sguardo.
Jadis,
pallida e con le iridi dilatate, boccheggiava
in cerca d’aria. Le mani stringevano convulsamente una lama
affilata che le
fuoriusciva dal centro del petto incurante di ferirsi ulteriormente. Il
sangue
colava a fiotti dalla ferita e dalla punta della spada, finendo sulla
mia gonna
e imbrattandola.
Jadis
barcollò all’indietro di un paio di passi poi
cadde a terra con un tonfo. Tossì e altro sangue le
colò dalle labbra che a
poco a poco stavano perdendo il loro solito colorito acceso.
Incrociai
il suo sguardo e in quelle iridi cristalline
vidi qualcosa che non avrei mai dimenticato. Vidi orgoglio. Nei suoi
occhi
albergava l’orgoglio. Ma non sembrava l’ultimo
lampo di fierezza di una grande
combattente bensì pareva orgogliosa nel vedere
ciò che stava fissando, ovvero
me. Ma perché avrebbe dovuto esserlo? Non ne aveva motivo,
in fin dei conti
avevo contribuito alla sua disfatta, eppure…
“…Figlia…una
grande strega…”
Il suo
sguardo sempre fiero si fece vacuo, i
lineamenti si irrigidirono e il petto si abbassò per
l’ultima volta.
Jadis
era morta…
Mi svegliai di soprassalto,
ritrovandomi seduta sul mio letto, il cuore a mille e la fronte sudata. Mi misi una mano sul petto
che si alzava ed
abbassava a ritmo sostenuto. Davanti a me, solo l’immagine
ancora vivida di uno
sguardo che si faceva vacuo. Chiusi gli occhi nella speranza di
scacciare quella
visione e cercai di focalizzarmi sul respiro.
Mi concentrai sul diaframma
e tentai di regolarizzarne il movimento. Impiegai diversi minuti ma
alla fine
riuscii ad ottenere un risultato accettabile.
Titubante riaprii gli occhi.
L’immagine di prima era svanita, sostituita dal profilo
dell’armadio in legno
della mia stanza, illuminato appena da uno dei primi raggi di sole
della
giornata.
Mi girai verso la parte
destra del letto. Sorrisi quando scorsi l’espressione
rilassata dipinta sul
viso di Peter. Nonostante i problemi che lo tormentavano durante il
giorno,
almeno la notte il re sembrava trovare una meritata pace.
Peccato non potessi dire lo
stesso per me. Sospirai raccogliendo le ginocchia al petto. Il ricordo
della
morte di mia madre continuava a tormentarmi. Anche la notte scorsa la
mia mente
non mi aveva risparmiata dal farmela rivivere minuto per minuto. Avrei
tanto
voluto dimenticarlo. Desideravo esistesse un incantesimo per farmi
buttare il
triste ricordo in un cassetto da chiudere a chiave per non rivederlo
mai più.
Purtroppo però sapevo che ciò non fosse
possibile. Avrei rivissuto quella scena
nella mia testa molte altre volte, potevo solo sperare che con il tempo
mi
facesse meno male rivedere il sangue che colava imperterrito e sentire
quelle
ultime parole che mi aveva rivolto: “Figlia…una
grande strega”.
Parole alla quale non
riuscivo a dare un senso e che probabilmente sarebbero per sempre
rimaste senza
significato essendo morta l’unica persona che avrebbe potuto
spiegarmele.
Sarebbe rimasta una questione irrisolta, un’altra da
aggiungere al grande
elenco che avevo, elenco che, guarda caso, aveva come centro la figura
di Jadis
stessa.
Forse era quello che
principalmente mi toglieva il sonno, che più mi tormentava,
il fatto di non
essere riuscita a trovare una risposta ad ogni mia domanda, di avere
ancora
così tanti dubbi sulle mie origini, sulla mia natura, ma in
particolare di non
essere riuscita a conoscere la strega fino in fondo. Credevo di essere
stata la
sola ad entrare in contatto con la vera Jadis, di aver visto la donna
dietro il
mito, ma gli avvenimenti mi avevano chiaramente dimostrato di essermi
sbagliata, che la figura buona e dolce che io accostavo alla persona di
mia
madre in realtà non era che una copertura. Eppure ero certa
che Jadis fosse
molto più della crudele tiranna che aveva messo in pericolo
Narnia e i
Pevensie. Alla fine avevo scorto dell’altro oltre
l’odio che si ostinava ad
ostentare. Quello sguardo pieno di orgoglio e soddisfazione diretto a
me e
quella frase enigmatica mi avevano fatto intravedere un altro aspetto
della
complessa e molteplice personalità di Jadis, un aspetto
però che sarebbe
rimasto sepolto assieme a lei, tormentandomi con la sua
impossibilità di essere
conosciuto.
Se solo avessi potuto
risolvere i miei quesiti, se avessi potuto avere la
possibilità di far luce per
intero sul vero volto di Jadis, forse sarei riuscita a chiudere quel
capitolo
della mia vita e lasciarmelo alle spalle. Non avrei dovuto convivere
con la
terribile sensazione di aver lasciato una questione importante
irrisolta.
Eppure dovevo riuscire a
trovare il modo di farmene una ragione. La strega era morta insieme ad
ogni mia
possibilità di conoscere lei e me stessa e
poiché, nonostante avessi imparato a
compiere magie che non avrei mai creduto possibili, non ero ancora in
grado di
resuscitare i morti, né tanto meno di parlarci e purtroppo
dubitavo esistessero
altri modi per comunicare con lei a parte questi. Come poteva fornirmi
le mie
risposte se non parlandomi? Non c’erano libri su di lei dove
avrei potuto
trovare le informazioni che cercavo come a scuola.
Un
momento. Libri, informazioni… i diari di Jadis!
Bingo.
In un lampo rividi il
cassetto aperto nella stanza della strega. Il cassetto che conteneva
una
trentina di volumetti dalla copertina marrone custodi un tesoro per me
inestimabile. I pensieri di mia madre, le sue idee, un pezzo della sua
stessa
anima.
Un sorriso si allargò
sul
mio volto, colta dalla frenesia di quell’illuminazione.
Dovevo leggerli
immediatamente, non potevo attendere oltre. Se avessi rimandato, con
una guerra
di tali proporzioni come quella che ci aspettava, avrei potuto perdere
la mia
ultima occasione per sempre.
Mi voltai verso Peter,
ancora profondamente addormentato, e li posai una carezza leggera sulla
guancia. Se avesse saputo cosa avevo in mente di fare, probabilmente
avrebbe
insistito per accompagnarmi ma era giusto che restasse con il suo
popolo per
prepararsi alla battaglia imminente. Era meglio tenerlo
all’oscuro della mia
piccola escursione mattutina, con un po’ di fortuna sarei
tornata ancora prima
che si accorgesse della mia assenza.
Scivolai silenziosa giù
dal
letto, percorsi con passo felpato i lunghi corridoi e mi trovai fuori
in un
baleno, inondata dai primi raggi di sole che lentamente si facevano
strada
all’orizzonte. Venni colta però poi da uno
scrupolo improvviso. Se non fossi
riuscita a tornare prima del risveglio di Peter, al ragazzo sarebbe
venuto un
colpo non vedendomi nel letto. Dovevo trovare un modo per fargli sapere
dove mi
fossi diretta o avrebbe incominciato a cercarmi per tutto il regno in
un
nanosecondo.
Andai alle scuderie e
facendo attenzione a non fare rumore per non svegliare i cavalli
addormentati,
mi avvicinai a Fulmine, anch’esso appisolato.
“Ehi, Fulmine”
bisbigliai.
Neanche un grugnito mi
giunse in risposta.
“Fulmine!” lo
chiamai
alzando di poco la voce.
Con un nitrito infastidito
il cavallo girò ostinatamente la testa, continuando a
dormire.
Sbuffai. “Ti vuoi
svegliare
cavallo pigrone?” dissi dandogli un colpo sul collo tornito.
Questo parve funzionare. Il
destriero aprì gli occhi di scatto, mi mise a fuoco e
scalciò piano con
espressione irritata.
“Cathrine! Si
può sapere a
cosa devo l’onore di una tua visita
all’alba?!” mi apostrofò sarcastico.
Sfoggiando il mio miglior
sorriso angelico risposi: “Ben svegliato Fulmine. Ecco, avrei
bisogno di un
piccolo favore” iniziai.
Fulmine nitrì sbuffando.
“Il
fatto che ti sopporto permettendoti di cavalcarmi ogni volta che esci
con il re
non è un favore già abbastanza grande?”.
Mi morsi il labbro e presi
un bel respiro contando fino a dieci. Non dovevo rispondere alla
provocazione,
non adesso che dovevo chiedergli il mio piccolo favore.
“D’accordo, di
mattina sei
un poco irritabile…” lo scusai cercando di
controllare la mia voce.
“Se per mattina intendi
all’alba” mi interruppe caustico.
“…ma ho
bisogno di te, per
favore” proseguii ignorando deliberatamente
l’ultimo commento.
L’equino
sbuffò di nuovo. Lo
guardai con espressione supplichevole incrociando le mani al petto. A
quel
punto Fulmine parve cedere.
“E cosa dovrei fare, di
grazia?” mi domandò torvo.
Gli sorrisi di gratitudine.
“Devo andare al castello di ghiaccio, ora” rivelai.
Fulmine indietreggiò
come se
lo avessi colpito. Scosse l’elegante e fulva criniera e mi
aggredì con un
energico “No!”.
Corrucciai la fronte.
“Perché no? Non è più
pericoloso adesso che Jadis è morta. Non
c’è nemmeno il
ghiaccio!” obiettai non giustificando tanta agitazione.
Il cavallo mi guardava con
gli occhi fuori dalle orbite, come se fossi pazza.
“Non importa. Quel
castello
è stata la sua dimora ed è stata la tomba di
tanti dei nostri, sa di morte e
schiavitù. Nessuno di noi si avventurerebbe
laggiù senza un valido motivo,
rappresenta troppe sofferenze per il nostro popolo” mi
spiegò convinto.
Sospirai afflitta. Non mi
ero ancora totalmente abituata a vedere Jadis con i loro occhi e ogni
volta che
lo facevo sentivo una fitta al cuore.
“Ascolta, capisco
perfettamente
le tue ragioni, ma io un motivo valido per andarci ce
l’ho” ribattei. Fulmine
stava per aprir bocca ma io lo precedetti, sapendo già cosa
volesse dirmi. “Non
ti chiedo di accompagnarmi” a queste parole il cavallo si
bloccò, stupito. Era
sicuro che il mio favore consistesse in quello, non poteva certo sapere
che non
avevo bisogno di nessun mezzo tradizionale per spostarmi in quanto
strega.
Quello che volevo domandargli era altro. “Ho solo bisogno che
nel caso in cui
Peter mi cerchi per l’edificio tu gli dica che mi trovo al
castello, che sono
al sicuro e che tornerò presto. Puoi farlo?” gli
chiesi.
Fulmine mi guardò
contrariato, evidentemente non apprezzava nemmeno l’idea che
fossi io ad andare
al palazzo, però parve meno turbato nel sapere che non
doveva recarsi lui
stesso.
“Ma certo. Se dovesse
chiedere glielo riferirò” mi promise.
“Grazie” e lo
accarezzai
scompigliandogli giocosamente la criniera.
“Ogni desiderio
è un ordine,
principessa” mi prese in giro abbozzando un goffo inchino,
ottenendo lo scopo
di alleggerire l’atmosfera.
“Ah. Ah”
risposi stando al
gioco. Gli feci la linguaccia, infine mi voltai e, silenziosa come ero
venuta,
me ne andai.
Perfetto, così se non
fossi
riuscita a tornare prima che Peter si svegliasse almeno avrebbe avuto
modo di
scoprire dove fossi finita. Appena fui nuovamente all’aria
aperta, richiamai la
mia magia facendola scorrere in ogni parte del mio corpo, lungo le mie
vene
insieme al sangue, in ogni singolo osso, e mi concentrai
sull’immagine del
palazzo l’ultima volta che lo avevo visto. Il familiare vento
mi avvolse e mi
sentii risucchiata in un turbine. Quando riaprii gli occhi, la luce del
sole,
che si stava facendo sempre più forte, risplendeva su una
costruzione di marmo
bianco.
Sciolta la neve, il palazzo,
con torri color latte e finestre ampie e riflettenti i raggi solari,
sembrava
uscito da un libro delle favole. Nell’aria non
c’era la benché minima traccia
dell’odore di morte e schiavitù di cui aveva
parlato Fulmine, ma le vecchie
convinzioni erano dure a morire e probabilmente il popolo di Narnia non
avrebbe
mai apprezzato quel luogo che invece a me, con il bosco che mi inviava
il
profumo dei fiori, ispirava pace.
Mi incamminai verso
l’interno, aprendo il pesante portone
dell’ingresso. Ciò che vidi mi lasciò a
bocca aperta. Strutturalmente non era cambiato nulla, eppure mi
sembrava una
sala del tutto diversa ora che la nebbia, che perennemente aveva
ricoperto il
pavimento, era scomparsa. Dalle vetrate filtrava la luce che illuminava
le
colonne, ora divenute di marmo bianco, e il trono di cristallo. Il
salone era
luminoso e incredibilmente caldo, due caratteristiche che mai avrei
pensato di
poter attribuire ad una stanza di quel palazzo.
Il mio sguardo corse sul
colonnato di sinistra senza che potessi evitarlo. Non c’erano
tracce evidenti,
sembrava anzi che nessuno avesse mai abitato in quelle stanze, ma io
sapevo che
vicino alla quarta colonna dal portone si era svolto ciò che
tormentava le mie
notti, lo scontro che aveva ucciso Jadis.
Il sangue, il suo sguardo
che si spegneva, la crudele espressione di Peter, il suo corpo che si
dissolveva, tutto mi turbinò dinanzi agli occhi stordendomi.
Chiusi gli occhi e
mi presi la testa tra le mani.
“Figlia,
una grande strega” “Figlia, una grande
strega” “Figlia, una grande strega”
“Figlia, una grande strega”.
La frase mi rimbombò
nella
mente. Pretendeva a gran voce di essere compresa, non potevo
più rimandare, né
volevo.
Iniziai a correre lungo il
salone, raggiungendo il corridoio che mi avrebbe portata alla scala a
chiocciola
conducente alla stanza di Jadis. Mi fermai solo quando una porta bianca
mi
sbarrò la strada. Avevo il fiatone per la corsa, ma non era
dovuto alla
stanchezza il tremolio nella mia mano quando si allungò
verso la maniglia. Una
leggera pressione e i cardini cigolarono, mostrandomi per la seconda
volta una
camera circolare. Era ancora priva di finestra, ma anche lì,
come in ogni altra
ala del castello, gli elementi architettonici prima fatti di ghiaccio
ora era
divenuti di marmo bianco mentre i mobili e le colonne del letto a
baldacchino
erano fatti di cristallo.
La temperatura si era
alzata, divenendo sopportabile, la fonte di luce invece era rimasta la
stessa,
una torcia con una fiamma azzurrina.
Presi un bel respiro e mi
accostai al comò. Strinsi le dita attorno alle maniglie e
feci scivolare il
cassetto sui suoi supporti. I diari erano lì come lo erano
stati per tutti quei
secoli.
Il cuore accelerò il
battito
mentre lo sguardo accarezzava le copertine di quei fragili quanto
preziosi
libri. Afferrai il volume più vicino ma appena entrai in
contatto con la carta
lasciai cadere il libro come se mi fossi scottata, presa da un
ripensamento
improvviso. Cosa avrei trovato tra quelle pagine? La spiegazione per
quel lampo
d’orgoglio scorto all’ultimo negli occhi di Jadis?
Il lato nascosto che ero
solo riuscita a intravedere? O semplicemente la conferma del parere dei
Pevensie, che la strega oltre che il rancore e l’odio nel suo
cuore non poteva
covare altro?
Strinsi le dita a pugno,
facendomi forza. Qualsiasi verità si celasse in quei diari,
l’avrei letta e
accettata, bella o brutta che fosse stata. Almeno avrei chiuso quella
faccenda
e non mi sarei tormentata su interrogativi che mi avrebbero seguito
altrimenti
per sempre.
Riafferrai il libricino e lo
aprii, stando attenta a non rompere la rilegatura già
lesionata dal tempo. I
fogli erano ingialliti come era prevedibile, ma l’inchiostro
nero era ancora
leggibile. La calligrafia era esattamente come me la immaginavo,
elegante ed
elaborata.
Faticando a deglutire mi
apprestai a leggere la prima pagina.
“Oggi
ho dovuto estinguere l’ennesimo focolaio di
ribelli. Sembra incredibile, eppure, dopo dieci anni dalla scomparsa
del Grande
Felino e dalla nascita del mio regno, alcune creature di Narnia ancora
mi si
oppongono.”
Dieci anni dalla nascita del
mio regno. Dunque quella pagina risaliva agli anni del suo dominio su
Narnia,
novant’anni prima dell’arrivo dei Pevensie.
“Poco
male, tanto oltre ad essere un fastidio non
possono costituire un serio pericolo ora che colui che chiamavano
sovrano è
sparito senza lasciar traccia. Dovranno rassegnarsi a dare la loro
fedeltà a
me, la vera e unica regina di Narnia, e se non lo faranno di loro
spontanea
volontà, ci penserò io stessa a persuaderli. Non
permetterò che un gruppo di idioti
con idee moraleggianti rovinino la quiete del mio regno, non ora che
dopo tutti
i miei sforzi sono riuscita ad ottenerlo per me e a plagiarlo secondo
la forma
che da sempre avrebbe dovuto avere, una terra perennemente ricoperta di
ghiaccio.”
Chiusi il libro con un colpo
secco. Quella parte la conoscevo, non occorreva che mi facessi del male
continuando a leggere.
Appoggiai il diario nel
cassettone e ne afferrai un altro, esternamente identico. Lo sfoglia
con
delicatezza, leggendo qualche frase o massimo un paragrafo per
comprendere a
grandi linee il contenuto. A prima vista mi parve identico al primo.
Era stata
scritto vent’anni dopo ma si parlava ugualmente dei problemi
del regno, delle
guerre al fronte contro i paesi confinanti, di qualche gruppo ribelle
determinato a non morire.
Sconsolata ne afferrai un
altro ancora ma dovetti giungere al quarto diario prima di incappare in
una
frase capace di destare la mia attenzione.
“Sono
riuscita ad ottenere quello che ho sempre
voluto. Sono la regina di Narnia, sono la strega più potente
che questa terra
abbia mai visto, talmente potente che sono riuscita a far piombare un
inverno
eterno su tutto il paese, eppure oggi, combattendo contro il popolo dei
Rhyers,
mi sono ferita. Quel pusillanime di capitano è riuscito a
ferirmi lungo il
fianco con la spada, avendo successo là dove molti prima di
lui avevano
fallito. Ora il taglio si è completamente rimarginato, ma il
sangue che
scorreva dal fianco mi ha fatto riflettere. Per quanto la mia magia
possa
essere grande e impedirmi di invecchiare, io non sono immortale. Ho
sconfitto
molti nemici ma la morte è invincibile anche per me. Un
colpo di spada, una
malattia, e perderò tutto ciò che ho conquistato.
Non è giusto, deve esistere
un modo affinché io possa tornare indietro in caso di morte.
Ma quale? Quale
magia potrebbe operare tale miracolo?”
Dunque Jadis aveva paura di
morire e perdere il regno e i suoi poteri? Comprensibile, molti altri
sovrani
giunti al culmine hanno poi il terrore di restare privi di
ciò per cui hanno
faticosamente lottato. Ma Jadis era riuscita a trovare un modo per
resuscitare,
per eludere la morte? La risposta mi giunse immediata. Ovviamente si,
era stata
uccisa da Aslan eppure era riuscita a tornare, una via la doveva aver
trovata.
Ma quale?
Girai veloce le pagine del
diario in cerca di un paragrafo che potesse fornirmi la risposta che
cercavo.
Alla fine del libro, quando stavo per riporlo desolata, lo trovai.
La calligrafia era meno
elegante, sembrava quasi febbrile come se Jadis fosse stata ansiosa di
mettere
nero su bianco i suoi pensieri.
Mi incollai alla pagina e
con curiosità crescente iniziai a leggere.
“Ho
trovato la soluzione. Dopo mesi di infruttuose
ricerche, sono riuscita a scovare una magia antica che potrebbe
risolvere il
mio problema. È una magia potente eppure talmente ovvia che
mi sento sciocca a
non averci pensato subito.
Si basa
sul concetto elementare che gli esseri viventi
sono costituiti da anima e corpo. Una ferita o una malattia agiscono
sul corpo
ma nulla possono contro lo spirito che lascia la materia alla quale era
legato
in caso di morte di questa per disperdersi e unirsi
all’Antica Magia che
fornisce vita a questa terra. Esiste però un incantesimo
capace di intrappolare
quello spirito in un limbo, impedendogli di congiungersi con
l’Antica Magia.
L’anima così può essere richiamata a
nuova vita in qualsiasi momento da una
persona con la quale ha legami di sangue pronunciando una semplice
formula
indipendentemente dal fatto che sia versata o meno nelle arti magiche.
Questa
è la mia soluzione. Se dovessi morire, prima di
chiudere gli occhi per sempre rinchiuderò la mia anima in un
limbo dove sarò
protetta finché qualcuno non potrà richiamarmi,
qualcuno unito a me da legami
di sangue.
Non ho
parenti in vita. I miei genitori sono morti da
tempo e non ho idea di dove possano essere i discendenti della mia
famiglia. Ma
questo non è un problema. Ormai ho deciso, avrò
un figlio, un figlio mio che
mai mi tradirà e che costituirà la mia garanzia
di tornare dal regno dei
morti.”
Con un tonfo leggero mi
lasciai cadere sul letto. Il diario mi scivolò dalle mani
depositandosi sul
materasso accanto a me. Per un lungo periodo di tempo fissai il vuoto,
senza
respirare, senza muovermi, ma soprattutto senza pensare. Non ne avevo
la forza
o forse mi mancava semplicemente il coraggio per elaborare
ciò che avevo appena
letto. Non avevo il cuore che batteva forte né sentivo le
lacrime pizzicarmi al
bordo degli occhi. Non provavo assolutamente niente, dentro di me
c’era solo lo
stesso vuoto che riempiva i miei occhi. Il mio cuore batteva al ritmo
della
desolazione, troppo stanco per provare emozioni più
complesse. Solo dopo molto
tempo una vocina nella mia testa riuscì a farsi strada
azzittendo l’eco delle
parole appena lette che ancora mi rimbombavano nella mente. Una vocina
razionale, la quale infischiandosene degli avvertimenti del cuore che
non
desiderava mettersi alla prova ulteriormente affrontando il contenuto
del
diario, pretendeva di interiorizzare ciò che avevo letto. La
verità, quella per
la quale ero scappata dalla camera mia e di Peter all’alba,
quella che mi
tormentava da sempre, quella che ogni persona desidera apprendere. La
verità
sul perché ero nata.
Esistono di solito due
motivi per giustificare la nascita di un bambino. Il più
augurabile e il più
nobile è quello di coronare il sogno d’amore di
una coppia con un frutto
tangibile del loro sentimento. È il motivo che ognuno
desidera per sé anche se
non sempre purtroppo avviene. Spesso un concepimento avviene per
errore, per la
premura e la disattenzione di due amanti, tuttavia seppur non
programmato il
bambino ha una buona percentuale di essere amato ugualmente dai
genitori.
La mia nascita invece non
rientrava in nessuno dei due casi. La mia nascita era stata premedita,
voluta
certo ma per un tornaconto prettamente personale. Non era stata dettata
dal
desiderio di crescere un figlio, di avere una discendenza o qualcuno da
curare
e amare, bensì era stata una scelta ponderata, calcolata
secondo i suoi pro e i
suoi contro, con un fine ben preciso.
La mia nascita serviva per
impedire la morte di mia madre. Ero nata per quello, eppure, per ironia
della
sorte, ero stata proprio io a contribuire alla sua definitiva disfatta.
La sua garanzia di tornare dal regno dei morti
aveva aiutato Peter a spedircela con un biglietto di sola andata.
Dunque era solo questo che
io ero stata per Jadis? Una chiave per
l’immortalità? Un mero strumento? Aveva
definitivamente ragione Peter nel dire che in quel cuore di ghiaccio
non
albergava nemmeno la più flebile fiammella d’amore?
“Figlia
una grande strega”
La frase mi riecheggiò
nelle
orecchie con il suo ambiguo significato. Non aveva senso.
Perché guardarmi con
orgoglio e chiamarmi “figlia” se l’avevo
tradita e delusa non rispettando i
suoi progetti?
Scuotendo la testa confusa
riafferrai il diario e sfogliai le pagine in cerca di un altro
paragrafo che mi
desse un spiegazione. Non poteva essere tutta lì la
verità che cercavo, non
poteva ridursi a quella scoperta orribile. Ci doveva essere
dell’altro.
Il mio cuore sobbalzò
quando
scorsi tra le righe una parola che non mi aspettavo. Ero stata una
sciocca a
non immaginarlo, era una cosa del tutto logica trovare informazioni
anche su
quella cosa, dopotutto le
motivazioni
della mia nascita non cambiavano la meccanica, eppure fui colta
totalmente alla
sprovvista quando lessi le due sillabe che formavano la parola
“padre”.
“Sono
a Suavitas, la mia terra natia. Era più di un
secolo che non vi tornavo e non ne sentivo la mancanza. Tutto
è rimasto
esattamente uguale a come lo ricordavo. Un agglomerato di case di media
grandezza circondate da una florida vegetazione o dal ghiaccio perenne.
Spero
ardentemente che il mio soggiorno sia il più breve
possibile. Troverò l’uomo
degno di essere il padre di mio figlio e poi tornerò nel mio
palazzo con la
speranza di non rivedere mai più questo sperduto
paese.”
Suavitas? Padre di mio
figlio? La testa iniziò a girarmi.
Avevo un padre. Sapevo che
fosse una considerazione stupida, era ovvio che non fossi stata
concepita per
mezzo dello spirito santo, eppure non avevo mai chiesto a Jadis chi
fosse, né
avevo tanto meno pensato a come potesse essere. Non avevo mai nemmeno
riflettuto sul fatto che in un’epoca ormai remota fosse
esistito. La notizia di
essere stata adottata e che la strega fosse la mia vera madre mi aveva
talmente
assorbita da farmi dimenticare di dover per forza avere due figure
genitoriali.
Due figure che provenivano da Suavitas, la loro terra natale e, forse,
anche la
mia.
Risfogliai le pagine
cercando di controllare il tremore alle mani. Il vuoto di prima era
stato
colmato dall’emozione di questa scoperta. Avevo un padre. Ed
ora anelavo a
saperne di più.
Un fiore scivolò a
sorpresa
dal diario al materasso. Corrugando la fronte lo sollevai. Era un
giglio
lasciato a seccare tra le pagine. Temendo di romperlo anche solo
stringendolo
tra le dita lo riadagiai sul piumone bianco. Incuriosita iniziai a
leggere la
pagina segnata dal fiore.
“è
lui, ne sono sicura. Ha una quarantina d’anni, di
poco più vecchio dell’età che mostro,
ed è bello. È il più avvenente tra
tutti
gli uomini del cittadina, impossibile non notarlo. È molto
alto e ha spalle
ampie. Il fisico è muscoloso ma ben proporzionato. Ha gli
occhi verdi che
risaltano sulla carnagione chiara come i germogli delle foglie che
cercano di
lottare contro il manto di neve. I capelli sono folti e rossi come il
fuoco,
caratteristica che su chiunque altro mi avrebbe fatto storcere il naso
in
favore di un biondo chiaro, ma addosso a lui li trovo stranamente
affascinanti.
È uno Stregone Bianco, da quel che ho sentito al quanto
potente, tanto da far
parte del Concilium Rei Publicae. Decisamente, Ian Caerphilly
è un partito
perfetto per avere un figlio forte, potente e bello, ma soprattutto un
mago
bianco.
La
conquista in più sembra non essere poi difficile
come temevo. Ci siamo incontrati ieri vicino ai gigli, in riva al fiume
e oggi
è venuto da me con un mazzo di gigli appena colti in mano,
con la scusa di
voler profumare tutta la mia stanza con l’odore di quei fiori
bianchi.
Solitamente
odio i fiori, ma per fortuna il giglio fa
eccezione. Bianco come la neve, delicatamente profumato, è
lontano dai colori
sgargianti e i profumi intensi e quasi nauseanti degli altri fiori.
Sopportabile averne un vaso in casa dunque. E poi dimostrare di
apprezzare un
gesto romantico è un’ottima mossa per lanciare il
messaggio che desidero,
quello di farsi avanti. E a giudicare dallo sguardo acceso con la quale
mi
fissava non mancherà molto prima che Ian faccia la sua
mossa.”
Ian Caerphilly. Il nome di
mio padre era Ian Caerphilly. Nives Caerphilly invece era il mio. Avrei
tanto
desiderato vedere un suo ritratto, un’immagine, anche solo
una volta per vedere
quanto gli assomigliavo, se avevo ereditato altro oltre il rosso acceso
dei
capelli. E la magia. Perché ora sapevo che anche mio padre
era uno stregone.
Uno stregone potente. Ciò voleva dire che io e Jadis non
eravamo le uniche due
streghe in tutta quella grande terra. Ce n’erano stati altri.
Altri che
abitavano in questa città, Suavitas. Esisteva ancora?
C’erano ancora altri
maghi e altre streghe? Il cuore si accese per l’eccitazione a
quel pensiero.
Forse non ero l’ultima strega di Narnia.
L’occhio mi ricadde sui
petali bianchi di quel giglio rivelatosi un regalo. Faceva parte del
mazzo di
fiori che mio padre aveva donato a mia madre per corteggiarla dopo
appena un
giorno che l’aveva conosciuta. Doveva esserne rimasto
folgorato. Mi si compose
nella mente l’immagine di mia madre con addosso un elegante e
sobrio abito
bianco che le fasciava le forme perfettamente modellate; questo assieme
ad un
viso dai tratti fini incorniciato da boccoli d’oro e agli
occhi azzurri capaci
di simulare la più dolce delle espressioni come la curva
delicata delle labbra
faceva senz’altro di Jadis una donna desiderabile
fisicamente, mentre la sua
mente astuta e brillante e la capacità di manipolare il
prossimo bastavano e
avanzavano per ottenebrare la mente di un uomo. Non c’era da
stupirsi se Ian se
ne era invaghito.
Ma, a discapito di quello
che si potrebbe intendere da una lettura superficiale del diario, anche
la
strega non sembrava essere rimasta del tutto indifferente. Affermava di
apprezzare le sue numerosi doti poiché facevano di lui un partito perfetto eppure aveva
conservato uno dei gigli da lui
regalatole. Avrebbe potuto limitarsi a tenere i fiori nel vaso
finché doveva
sottostare al corteggiamento invece aveva serbato un giglio
custodendolo per
tutti quei secoli.
Possibile che Jadis non
fosse stata del tutto indifferente a Ian? Che non lo avesse considerato
del
tutto solo uno strumento per raggiungere il suo scopo ultimo, un
insignificante
mezzo? Possibile che quel cuore ritenuto inesistente dai più
avesse in realtà
in un tempo lontano battuto per qualcuno anche se a quel che pareva era
lei per
prima a non voler ammettere quella verità? Mi tornarono alla
mente la linea
dura delle sue labbra, lo sguardo crudele e l’espressione
seria che aveva prima
di duellare con Peter. Il viso di un’inflessibile assassina.
Impossibile
associare a quella persona sentimenti come l’amore che
possono provare due
persone tra loro. Ma c’era stato anche quello sguardo
orgoglioso e… in un lampo
la mia mente mi fornì il ricordo di un istante prima mai
considerato.
Quando Jadis aveva levato lo
scettro contro di me, riversa a terra, prima di colpirmi il suo sguardo
aveva
tentennato. C’era stata esitazione. E il tono con la quale
aveva pronunciato la
frase a seguire era stato velato dalla tristezza. Un altro momento a
favore
della teoria che quella della cinica tiranna fosse una maschera che
nascondeva
anche un altro lato di Jadis? Un lato che forse secoli prima poteva
veramente
aver provato affetto per qualcuno? Magari non ammettendolo nemmeno con
se
stessa, però provato, non di meno.
O forse mi stavo solo
illudendo. Il mio bisogno di vedere nella strega un aspetto se non
sentimentale
almeno umano era talmente grande da farmi interpretare in maniera
fantasiosa
una realtà che invece era molto più semplice
anche se crudele: Jadis si era
presa gioco senza scrupoli del cuore di mio padre come del mio.
Mi morsi il labbro. Era
meglio andare avanti nella lettura, formulare ipotesi su ipotesi
serviva solo a
tormentarmi maggiormente.
Girai le pagine del diario,
leggendo solo i paragrafi che trovavo più rilevanti. A quel
che sembrava Ian
era stato un ottimo corteggiatore. L’aveva riempita di
complimenti e di regali
di vario genere, dai fiori ai vestiti. L’aveva portata a
vedere un lago di nome
Argecus, una distesa d’acqua con la peculiare caratteristica
di diventare
d’argento puro sotto i raggi solari, e…
“la
foresta Hiemaestas, poco distante da Suavitas, una
foresta dove alberi completamente in fiore si alternano a rami
ricoperti di
neve. Un’immagine molto suggestiva, l’estate contro
l’inverno, il caldo contro
il freddo, la personificazione della differenza che divide quelli come
noi.”
Quelli come noi? Corrucciai
la fronte cercando di interpretare quale significato potesse celare
quella
frase enigmatica. Ciò che però lessi di sfuggita
nelle righe successive fece
passare presto in secondo piano il mio interrogativo.
“Tornati
dalla foresta, Ian mi ha accompagnato a casa
dove finalmente è successo ciò desideravo da
quando lo avevo conosciuto.
Complice qualche bicchiere di troppo di vino elfico, Ian si
è fatto avanti,
dichiarando di amarmi. Senza attendere una mia risposta mi ha baciata,
un bacio
molto più passionale di quelli fugaci e leggeri che si era
finora concesso. A
fatto scorrere la sua mano calda dalla mia nuca giù fino
alla schiena, alla
ricerca dei lacci che tenevano legato il mio vestito, e con poche e
abili mosse
lo ha sfilato. Deciso ma attento mi ha adagiata sul divano mentre lo
liberavo
dall’ingombro della camicia. Da lì in poi i miei
ricordi si fanno più confusi.
Ero ebbra dal vino, ma c’era anche dell’altro.
Rammento di aver cercato di
restare presente a me stessa. Mi ripetevo che ciò che stavo
facendo era solo un
lavoro, quello che dovevo compiere per ottenere il mio scopo, avere un
figlio,
eppure dentro di me ho iniziato a
provare…felicità. Ero compiaciuta, contenta,
e non solo perché stavo ottenendo ciò che volevo,
c’era anche un altro motivo.
Un motivo che giustificava anche il senso di appagamento che mi ha
investito
subito dopo. Non so spiegarmi questa strana emozione, ma non posso
dimenticare
come la sensazione delle sue labbra sulle mie, delle sue mani che mi
accarezzavano e del suo peso contro il mio corpo fosse stata piacevole.
Ciò
che conta tuttavia è che sia riuscita nel mio
intento, nient’altro.”
Ero senza parole. Il
contenuto di quelle pagine era di una portata eccezionale. Andava oltre
le mie
aspettative. E dimostrava che avevo ragione. Jadis possedeva un lato
nascosto,
un lato con un cuore non completamente di ghiaccio. Perché
Jadis aveva amato.
Non era nemmeno riuscita a scriverlo nel suo diario, a dirlo tra
sé e sé, ma la
verità si leggeva chiaramente anche tra le righe.
Probabilmente non era
perdutamente innamorata come Ian lo era di lei, né avrebbe
mai dato la sua vita
per lui o si sarebbe persa in sciocche fantasie romantiche,
però si era sentita
legata a lui, lo aveva visto come un suo pari e non come un oggetto
utile.
Istintivamente, un sorriso
beato mi curvò le labbra. Era vero che la mia nascita era
stata premeditata con
un preciso scopo, ciò non toglieva però che fosse
stata lo stesso il frutto di
un amore. E questa era una consapevolezza che risanava molte delle mie
ferite.
Con cuore più leggero
scorsi
le altre pagine ma non trovai nient’altro a parte descrizioni
di altri
pomeriggi trascorsi in luoghi particolari e magici e serate passate
l’uno tra
le braccia dell’altro. Notai però come le nottate
successive a quella prima
serata passionale erano state descritte con meno trasporto,
tralasciando la
maggior parte delle emozioni provate, come se la strega si vergognasse
di
provare sensazioni suscitate da un gesto d’amore e le
ammissioni fatte dopo la
prima volta fossero frutto solo di un momentaneo cedimento.
Chiusi il diario e lo rimisi
assieme agli altri, prendendo poi quello subito accanto immaginando
fosse il
proseguimento. La mia intuizione fu giusta, evidentemente i diari erano
disposti
in ordine cronologico.
Sfogliai avida le pagine, in
attesa di scorgere la frase che stavo aspettando da quando ero entrata
nella
stanza. Finalmente, verso metà diario, la trovai.
“Sono
incinta. Dopo tre mesi, sono riuscita a rimanere
incinta. Sono soddisfatta di me stessa, ogni cosa sta procedendo come
l’avevo
programmata. Presto avrò il mio bambino, darò
alla luce una nuova vita, una
vita che garantirà la mia per sempre. Potrebbe forse andar
meglio?
Oggi
l’ho comunicato ad Ian. Quando l’ha saputo ha
iniziato
a gridare per la felicità, stupido sentimentale. Ho dovuto
reggere il gioco, mi
sono dimostrata felice quanto e più di lui per non
insospettirlo. Il caro Ian
non immagina nemmeno di essere stato raggirato. Né tanto
meno immagina che
presto me ne andrò portandomi via nostro figlio e che non ci
rivedrà mai più.
Pensavo
di partire immediatamente dopo il
concepimento, però ora ho cambiato idea. Narnia è
lontana e non voglio
rischiare a fare un viaggio così lungo nella mia nuova
condizione, potrei perdere
il bimbo. Né posso teletrasportarmi e rischiare di
affaticarmi troppo. Resterò
qui finché non partorirò. Intanto
andrò a vivere a casa di Ian. Ora che aspetto
suo figlio, ha insistito affinché vivessimo assieme.
Ovviamente non ho potuto
non accettare l’offerta, tanto più che
converrà a me per prima avere un aiuto
vicino nei mesi futuri.”
Scossi piano la testa,
sorridendo mesta. Era stata felice di essere rimasta incinta,
ovviamente però
solo perché aveva un secondo fine come non aveva esitato a
sottolineare persino
con se stessa. Sospirai triste. Cosa potevo aspettarmi? Salti di gioia
perché
stava per divenire madre? Andava già oltre le mie
più rosee aspettative la
parentesi romantica avvenuta per il mio concepimento. Comunque sia
potevo trovare
conforto nel sapere che mio padre invece era stato genuinamente
contento
nell’apprendere che avrebbe presto avuto un figlio. Da quello
che avevo capito
era stata una sorpresa, non era nei suoi progetti, eppure era
ugualmente
felice.
Quello che mi lasciava
leggermente basita però era l’eccessiva prudenza
dimostrata da Jadis nel non
volere neppure affrontare il viaggio di ritorno a casa. Era vero che un
eccessivo sforzo fisico era altamente sconsigliabile ad una donna
incinta, ma
sapevo per esperienza che un incantesimo di teletrasporto non era
così faticoso
di per sé, figurarsi per una strega del calibro di Jadis.
Senza contare che
restare ancora a Suavitas voleva dire dimostrarsi follemente innamorata
di Ian
e lieta all’idea di diventare madre, due cose che mettevano a
dura prova la
capacità di fingere di Jadis da quello che scriveva.
Possibile che invece, a
discapito di tutte le sue lamentele, la prospettiva di soffermarsi
ancora per
un po’ in compagnia del mago non la ripugnasse poi
così tanto?
Saltai diverse pagine
riguardanti il procedere relativamente tranquillo della gravidanza che
andava
di pari passo con l’aumento delle attenzioni
dell’innamorato Ian. Attenzioni,
come era nel suo stile, mai eccessivamente sdolcinate o eclatanti, ma
presenti.
Non si perdeva in complimenti iperbolici o gesti clamorosi,
semplicemente le
stava accanto, la assisteva quando aveva bisogno di alzarsi e di
spostarsi,
evitava di farla affaticare e non le faceva mancare
alcunché. Attenzioni
fedelmente riportate da Jadis nel suo diario senza particolari
inflessioni che
facevano trapelare la sua gratitudine, ma nemmeno accompagnate da
sdegno o
indolenza.
Tornai a leggere quasi alla
fine del diario, quando i miei occhi furono catturati dalla parola
“bimba”.
“Ho
partorito una bimba. Una femmina. Una bambina che
diventerà una donna forte e bella come sua madre, per citare
Ian. Una Strega
Bianca come sua madre. Non potevo chiedere di meglio.
È
davvero bella, così tanto da sembrare una magia, la
più riuscita tra quelle che ho compiuto finora. Ha la
carnagione chiara come la
mia, eccetto che sulle guancie, dopo spiccano due pomini di un rosa
più scuro.
La boccuccia rossa sembra un bocciolo, mentre gli occhi grandi e vispi
sono identici
ai miei, hanno lo stesso azzurro chiaro. Invece i radi capelli, che le
coprono
la sommità del suo visino a cuore, hanno lo stesso colore
fuoco di quelli del
padre.
Sono
orgogliosa di me stessa, ho dato alla luce una
creatura bellissima, degna di diventare la principessa di Narnia.
Anche
Ian è felicissimo. È stato vicino a me per tutta
la durata del travaglio anche se il costume prevede che i compagni
stiano
lontani dalle loro donne durante il parto. Ha detto che la piccola ha i
miei
lineamenti. È stato lui a sceglierle il nome, Nives. Dice
che nell’antica
lingua del mondo parallelo vuol dire “neve” e che
perciò gli sembra il nome più
adatto ad una giovane strega bianca con la pelle candida, con
l’augurio che
quando crescerà saprà essere sia soffice che
fredda, a seconda di cosa la
situazione necessita, esattamente come lei.
L’unico
problema è che Nives per ora è piccola, troppo
piccola e fragile per affrontare il viaggio di ritorno a casa. Temo che
dovrò
rimandare ancora un poco. Devo resistere qualche mese massimo, poi
finalmente
potrò tornare nel mio regno.
Sento
dei lamenti. Mia figlia deve essersi svegliata,
è meglio che vada da lei. Mi sembra strano parlare di mia
figlia ora che è
nata, ora che sono davvero diventata madre. Forse perché non
ho mai realmente
pensato a ciò che avere un figlio avrebbe realmente
comportato. Non ho mai
immaginato che avrei dovuto allattarlo, cullarlo e prendermi cura di
lui, non
pensavo nemmeno di essere adatta a questo ruolo. I bambini solitamente
mi
infastidiscono. Per quello che so io i bambini piangono, mangiano,
sporcano e
disturbano, per questo me ne sono sempre tenuta a distanza. Eppure
Nives non mi
infastidisce. Non mi dispiace occuparmi di lei. Non piange quasi mai e
ha uno
sguardo intelligente. Forse perché non è una
bambina. È la mia bambina.”
Quindi il mio nome lo aveva
scelto mio padre. Mio padre, che era stato al settimo cielo nel momento
della
mia nascita. Mi sentii scaldare il cuore a quel pensiero. Mio padre mi
aveva
amata da subito disinteressatamente. Ma anche Jadis pareva felice.
Forse era
solo orgogliosa di ciò che lei era stata capace di fare,
però era felice.
Qualunque fosse la causa era soddisfatta di sua figlia. Era contenta
che avevo
i suoi occhi, la sua carnagione e i suoi tratti. In più non
aveva fatto alcun
accenno al fatto che le servivo principalmente per richiamarla in vita
in caso
di morte, semplicemente si era limitata a pensare a come sarei divenuta
un’ottima principessa, a come avrei seguito le sue orme come
strega e a come
ero bella. In più nell’ultima parte aveva
affermato di come le piacesse
occuparsi di me. Voleva allattare, cullare e prendersi cura di me, sua
figlia
Nives e non dell’oggetto che le serviva per essere
resuscitata. Non volevo
darmi false speranze, me ne ero già create fin troppe da
quando l’avevo
conosciuta e dopo qualche tempo ognuna di essa era stata distrutta,
però da
quello che si capiva da quelle ultime frasi c’era una
realtà diversa da quella
che cercavo di adattarmi senza successo. Forse allora non ero stata
solo uno
strumento per Jadis. Forse, almeno per qualche periodo, Jadis mi aveva
voluto
bene. Se non proprio disinteressatamente, almeno sinceramente.
Ma ciò che mi dava
principalmente
da pensare era che Jadis aveva nuovamente rimandato la sua partenza.
Aveva
ragione nel pensare che un viaggio in carrozza molto lungo non avrebbe
giovato
alla mia salute dopo pochi giorni di vita, ma se mi avesse
teletrasportata non
avrei patito nulla. Dopotutto poco tempo dopo avevo affrontato con
successo il
passaggio da una dimensione all’altra. Possibile che cercasse
solo delle scuse
con se stessa per rimandare il distacco da una situazione che in fin
dei conti
non le dispiaceva? Da uno stile di vita completamente diverso da
ciò che aveva tenuto
finora? Da Ian e dalle sue attenzioni? O mi stavo di nuovo illudendo
stupidamente e facevo congetture fantasiose mentre l’unico
pensiero di Jadis
era quello di non mandare all’aria per imprudenza un progetto
studiato e
portato a conclusione dopo mesi e mesi.
Proseguii con la lettura dei
miei primi giorni di vita. Se quello che la strega scriveva
corrispondeva al
vero, Ian e lei erano stati due genitori esemplari, almeno in quel
periodo.
Jadis mi dava il latte e Ian mi metteva a letto la sera. Mio padre mi
aveva
persino intagliato nel ghiaccio degli animaletti in miniatura per
giocare,
ghiaccio che grazie alla magia aveva perso la sua gelida temperatura e
la
capacità di sciogliersi. Ma la cosa più
sconvolgente era che dal diario
traspariva… felicità. Dal modo di scrivere, dalle
parole usate, dalle scene che
dipingeva, Jadis sembrava felice. Le giornate scorrevano tranquille.
Noi tre
passavamo in casa la maggior parte del tempo, con me che costituivo il
passatempo principale, altrimenti andavamo alla foresta Hiemaestas, in
giro per
la città o in casa di alcuni degli amici di Ian. Come una
famiglia qualsiasi.
Una normale e felice famiglia. Finchè…
“Ian
oggi mi ha portata di nuovo al lago Argecus. È da
quando è nata Nives che non vi tornavamo. Abbiamo preso una
barca e abbiamo
navigato tra le onde che si facevano argentee sotto i raggi solari del
primo
pomeriggio. Nives si è divertita molto, peccato non
serberà nessun ricordo
della sua prima gita in barca.
Quando
siamo giunti più o meno al centro del lago
però, Ian si è fermato e ha tirato fuori una
piccola scatola con un anello. Mi
ha chiesto di sposarlo. Mi ha chiesto di diventare sua moglie.
Gli ho
detto di si, non potevo rispondere altrimenti,
ma non lo sposerò ovviamente. È arrivato il
momento di partire, di tornare al
mio ruolo di regina, sono stata via fin troppo tempo. La bambina
è pronta, io
anche, partiremo questa notte stessa, rimandare ulteriormente non
avrebbe
senso. Domattina Ian si sveglierà e non troverà
né la sua fidanzata né sua
figlia. Ci cercherà ovunque probabilmente, ma dubito che
giungerà fino a
Narnia. Come potrebbe sospettare che la docile ragazza che ha amato
fino ad
oggi sia in realtà la regina di Narnia? Forse
però se lo avesse saputo non mi
avrebbe fatto quell’assurda proposta di matrimonio. Non
avrebbe creduto
realistico che rinunciassi a tutto, al mio trono, al mio regno, ai miei
sudditi, al mio titolo, per lui, per una semplice vita a Suavitas, il
regno
dalla quale sono scappata anni fa.
Mi
spiace Ian, sei stato un ottimo fidanzato e un
bravo padre, ma il tuo compito ora è finito. Io sono la
regina di Narnia, ed è
tempo che torni a regnare.”
Lenta ma inesorabile, la
consapevolezza di quello che avevo appena letto diventava da nebulosa
via via
più chiara, fino a diventare accecante e impossibile da non
guardare e
affrontare. Jadis non era rientrata a Narnia perché smaniava
dal desiderio di
ritornare ad essere una regina, Jadis era rientrata a Narnia per
scappare da
Suavitas e dalla vita tranquilla che il paese offriva. Dalla vita da
fidanzata
e da madre alla quale si stava assuefacendo senza nemmeno rendersene
conto, dalla
vita calma, priva di guerre, problemi, vendette, giochi e piani di
potere, che
si stava abituando a condurre e che cercava di prolungare
inconsapevolmente.
Finché la truffaldina e inaspettata proposta di matrimonio
non l’aveva messa
dinanzi alla spietata vista della meta dove l’avrebbe
condotta la via che aveva
intrapreso. A quel punto era ritornata sui suoi passi, rifiutando
quell’attimo
di debolezza che l’aveva spinta a rimandare la partenza.
Quell’attimo di
debolezza che le aveva fatto apprezzare le attenzione di Ian, le notti
che
avevano trascorso assieme, lo stringere sua figlia tra le braccia e
accorgersi
che aveva i suoi stessi occhi.
Quella di Jadis non era
crudeltà innata, fine a se stessa. Gli atti crudeli che
aveva compiuto erano
stati fatti solo per ottenere e conservare il suo trono, non per
un’indole
profondamente malvagia perché ora era chiaro che quel cuore
che temevo totalmente
di ghiaccio in realtà era stato capace anche di battere. Era
anche chiaro
tuttavia come avesse infine volutamente scelto di proseguire a compiere
azioni
crudeli pur di tornare a regnare a discapito di una vita tranquilla e
pacifica.
Aveva avuto la possibilità di abbandonare la
crudeltà ma l’aveva rifiutata.
Jadis voleva essere una regina, e non sarebbe mai venuta a patti su
questo
punto.
Ciò nonostante, trovare
la
certezza dell’esistenza di un lato luminoso, seppur piccolo,
della sua
personalità, non poteva che rendermi felice. Jadis non era
stata solo la
crudele tiranna che tutti temevano, era stata anche una madre e
un’amante.
Inconsciemente, la mia mano
si allungò fino ad accarezzare la terza parola della
penultima righa. Ian.
Immaginai come dovesse
essersi sentito la mattina seguente. Era stato abbandonato senza
preavviso
dalla donna della sua vita e dalla figlia appena nata.
L’aggettivo “addolorato”
certamente non sarebbe bastato per descrivere ciò che doveva
aver provato. Mi
doleva il cuore per avergli procurato, anche se inconsapevolemente, un
tale
dolore. Doveva averci cercate a lungo e dappertutto, ma come aveva
immaginato
Jadis, non doveva averci trovate. Chissà se dopo qualche
tempo fosse riuscito a
metabolizzare l’accaduto, se fosse riuscito a rifarsi una
vita. Magari aveva
trovato un’altra ragazza, più sincera, meno
ambiziosa, con la quale coronare il
suo sogno di avere una famiglia. Forse aveva avuto altri figli, sorelle
e
fratelli di cui io non avrei mai saputo l’esistenza. Glielo
auguravo. Ian si
meritava di aver vissuto una vita lunga e felice, non di restare
intrappolato
per sempre nel trauma che Jadis gli aveva volontariamente causato.
Sospirando e cercando di non
pensare a mio padre, chiusi il libro e iniziai a leggere quello
seguente.
Parlava del ritorno a Narnia mio e di Jadis e di come…
“non
posso stare lontana dal mio regno nemmeno un
breve lasso di tempo, che la disgrazia incombe.
Appena
tornate, ho voluto fare un giro di ispezione
per accertarmi di persona che ogni cosa fosse in ordine, ma la mia
speranza è
stata preso infranta. Mentre mi avviavo verso il castello, ho
incontrato un
Figlio di Adamo. Un Figlio di Adamo! Qui a Narnia, nelle mie terre!
Come osa
mettere piede proprio nel mio regno uno stupido ragazzino? Ma non
è la parte
peggiore. Il moccioso ha detto di avere due sorelle e un fratello. Sono
in
quattro. Due Figlie di Eva e due Figli di Adamo sono entrati a Narnia.
Esattamente come la profezia aveva predetto.
Questo
è molto più di un problema, è una
disgrazia.
Devo adoperarmi per estirpare la minaccia all’origine. Non
deve diffondersi la
voce della loro presenza a Narnia o gli abitanti inizieranno a sperare
in un
colpo di stato. Si uniranno e si ribelleranno e non ho alcuna
intenzione di
dover debellare il focolaio di una guerra civile.
La
minaccia sarà spazzata prima che diventi realmente
tale.”
Chiusi il diario con un
colpo secco. La parte successiva la conoscevo fino alla nausa, leggerla
nuovamente dal punto di vista di Jadis, questa volta senza apposite
censure o
abbellimenti, non rientrava nei miei desideri. Non ci tenevo
particolarmente a conoscere
quanto mia madre avesse desiderato la morte dei Pevensie, ne avevo
avuto un
assaggio più che sufficiente.
Rimisi il libricino nel
cassettone accanto agli altri e afferrrai l’ultimo diario. La
rilegatura era
diversa da quella degli altri. Era più lucida, affatto
logora, segno che era il
più recente. L’ultimo diario di Jadis,
probabilmente quello che aveva iniziato
a scrivere dopo che l’avevo liberata dal limbo.
Mi riaccomodai sul piumone
bianco e aprii alla prima pagina.
“Terra,
cielo, stelle, applaudite, gioite, la vostra
regina è tornata. Sono passati milletrecento anni, ho dovuto
subito l’esilio
dalle mie terra ed essere costretta ad una non-vita per tredici secoli,
ma ora
sono di nuovo qui, viva e più potente che mai, pronta a
riprendermi tutto ciò
che è mio di diritto, il trono, Narnia e Nives.
Narnia
è molto cambiata da come la ricordavo. È
più
selvaggia. Gli alberi non mi parlano più, nemmeno alcuni dei
miei vecchi
alleati che ho scoperto ancora in vita. Si sono chiusi in loro stessi,
cadendo
in un sonno profondo. La maggior parte degli abitanti di Narnia invece
ha
disimparato a parlare, regredendo ad uno stato brado. Tutto questo per
colpa
degli invasori, di Telmar, che ha osato oltrepassare i confini
usufruendo di un
momentaneo periodo di debolezza di Narnia. Ma ora che questo paese ha
nuovamente una regina degna di questo nome, Telmar avrà
quello che si merita.
La congelerò per sempre, in modo che sia d’esempio
a chi intende sfidare queste
terre e la loro sovrana. E la loro principessa. Perché
adesso Narnia può
contare anche su una principessa, mia figlia Nives.
L’ultima
volta che l’ho vista, era una neonata, poco
più grande del mio avambraccio, con paffute guancie rosee e
vispi occhi
azzurri. Ora ha diciassette anni. È cresciuta. È
diventata una splendida
ragazza, non posso che essere orgogliosa. Ha ereditato i miei stessi
lineamenti
regali e delicati, il collo lungo, la pelle chiara, ma soprattutto gli
occhi,
che sono l’unica cosa rimasta invariata in lei, due iridi
azzurro-bianche come
il ghiaccio. La mia stessa identita tonalità e lo stesso
taglio. Lo sguardo
però è quello di Ian. Non è freddo,
distaccato e impenetrabile come il mio,
bensì profondo, morbido, luminoso come quello del padre.
Suoi sono anche il
colore dei capelli, rosso fuoco, e le labbra, piene e carnose.
In
più è molto potente. Quando ha praticato
l’incantesimo per liberarmi dal limbo ho sentito la magia
scorrere in lei come
un fiume in piena. Ha risposto immediatamente al suo richiamo e non ha
esitato
ad eseguire la sua volontà, anche in un incantesimo
complicato come quello per
far tornare una persona dall’aldilà. E non
è ancora stata sottoposta alla
Cerimonia! Non vedo l’ora di vedere quanto verranno
incrementati i suoi poteri
dopo che sarà stata riconosciuta come Strega Bianca
dall’Antica Magia. La sua
magia unità alla mia ci aprirà il mondo. Nessuno
potrà opporsi a noi.
L’unica
pecca è il suo cuore. Mi ero già accorta che
non possedeva la mia stessa indole mentre la osservavo da lontano, ma
ora ne ho
avuto la conferma.
Nives
è dannatamente buona, terribilmente ingenua,
dannosamente altruista. Non ha il cuore di una Strega Bianca. Ma
ciò che è
peggio è che i suoi sentimenti per benisti l’hanno
fatta affezionare ai
Pevensie. Nives, mia figlia, è amica degli Usurpatori, uno
dei miei peggiori
incubi che si avvera e io non sono stata abbastanza abile per
impedirlo. E non
sono nemmeno stata tanto accorta da vedere quanto profondo era il
legame che la
unisce a loro. Sarebbe pronta a dare la sua stessa vita per salvarli,
quella
piccola stupida! Senza contare il legame particolare che la unisce a
Peter. Si
è innamorata di quel ragazzino impertinente, lo crede un
eroe e non accetterà
mai una diversa versione dei fatti a meno che non veda lei stessa
qualcosa che
va contro le sue aspettative su di lui. Ma come ha potuto lei, mia
figlia,
farmi questo affronto? Innamorarsi del mio peggior nemico?
Devo
fare qualcosa, assolutamente. Devo escogitare un
piano per allontanarla dai Pevensie, ma devo stare attenta, agire con
cautela e
furbizia. Non posso separarla da loro usando la forza o si ribellerebbe
schierandosi dalla loro parte e io perderei tutta l’influenza
che ho su lei
della quale godo ora. Devo trascinarla completamente alla mia causa
giocando
d’astuzia.
Non
pensavo dovessi ricorrere a questi mezzi per
assicurarmi la sua assoluta fedeltà. Sapevo che il suo
carattere fosse diverso
dal mio, ma non credevo al punto da avere priorità e
desideri persino opposti
ai miei. È una Strega Bianca anche se ancora non
riconosciuta. Dovrebbe amare
la neve e il ghiaccio, essere algida, calcolatrice, non fidarsi del
prossimo,
non esitare a compiere qualsiasi azione pur di ottenere ciò
che vuole, e
invece… Temo che la lontananza da me e il soggiorno sulla
Terra l’abbia
rovinata. Poco male, finché non sarà capace di
capire ciò che è meglio per lei,
ciò che più si addice ad una Strega Bianca, le
farò credere di comportarmi come
la persona più altruista e generosa di tutto il regno.
Incanterò il giardino,
risvegliando gli alberi che sembrano esserle tanto cari e
fingerò di non voler
torcere un capello ai Pevensie. Confido che prima o poi le sue
inclinazioni
naturali emergeranno dal torpore in cui paiono essere cadute, a quel
punto
smetterò di recitare e le dirò la
verità sui miei piani, piani che finalmente
potrà apprezzare e condividere, a differenza di quello che
farebbe ora con
quella sua indole dannatamente e terribilmente buona.”
Mi morsi il labbro, forte e
a lungo, finché il dolore fisico non assordò per
un attimo la paura che quelle
ultime righe mi avevano suscitato.
Prima o
poi le sue inclinazioni naturali emergeranno
dal torpore in cui paiono essere cadute.
Io ero una Strega Bianca e
in quanto tale Jadis si era aspettata determinate caratteristiche
caratteriali.
Avrei dovuto essere fredda, cinica, distaccata, incapace di provare un
affetto
profondo e disinteressato per qualcuno. Invece ero dannatamente
buona, terribilmente ingenua, dannosamente altruista.
Ma avrei continuato ad esserlo?
L’idea di essere
destinata a
trasformarmi in una donna senza scrupoli, prigioniera della mia
crudeltà e del
mio egoismo, mi soffocava. Mi sentivo mancare il respiro nel pensare di
avere
una tale condanna nel mio futuro.
Chiusi gli occhi e cercai di
focalizzare nella mia mente l’immagine di ciò che
più mi faceva sentire viva,
amata e amante, di ciò che mi procurava calore e fiducia.
Il volto sorridente di Peter
fece capolino tra i miei ricordi. I lisci capelli d’oro
lucenti al sole, gli
zaffiri luminosi rivolti a me, le labbra piene curvate
all’insù. Sentii il
suono vellutato e basso della sua voce sussurrare il mio nome, le sue
mani che mi
stringevano riscaldandomi dentro e fuori, la sua bocca morbida poggiata
con
dolcezza sulla mia. E il grande, immisurabile e infinito amore che
provavo
verso di lui.
No, il mio cuore non poteva
diventare come il suo. Il mio cuore avrebbe per sempre battuto per
Peter. Non
avrei smesso di amare, di provare compassione e affetto. Non sarei di
certo mai
diventata santa, né mi vedevo così dannatamente
buona come scriveva lei, però non sarei diventata
crudele. Se necessario
avrei sfatato il mito che vedeva ogni Strega Bianca come una sadica
folle,
sarei andata contro secoli di radicate convinzioni, ma avrei mantenuto
la mia
indole.
Aggrappandomi a questa
solida fermezza, girai la pagina del diario e appena lessi la prima
frase il
mio muscolo cardiaco aumentò il ritmo talmente tanto da
assoldare la mia
opinione appena formulata.
“Sono
tornata a Suavitas. Non avrei dovuto farlo, è
stata un’inutile perdita di tempo. Però volevo
vedere se anche lì fosse giunto
il cataclisma che ha colpito Narnia, se la magia fosse stata scacciata
anche
dove era più radicata. Fortunatamente no. Suavitas risplende
della sua gloria
pacifica oggi come milletrecento anni fa e come probabilmente
farà per sempre,
con il suo lago d’argento e la sua foresta con alberi
invernali e primaverili.
Sono
andata nella città dove ho conosciuto Ian. Volevo
vedere se era rimasto qualcosa della sua casa. Ovviamente si,
lì il tempo pare
non scorrere. La villetta a due piani è ancora in piedi, pur
con qualche
modifica apportata dai vari proprietari che si sono succeduti. Ora vi
abitano
una giovane coppia di ventenni, una strega e uno stregone bianco. Ho
girato per
le varie strada, dove nulla pare essere cambiato, finché non
ho raggiunto il
cimitero. I nomi sulle lapidi sono le uniche cose che sono mutate,
comprensibile dopo tredici secoli, ma sapevo che per i membri del
Consilium le
tombe vengono conservate in onore ai servizi resi al paese. Difatti la
tomba di
Ian Caerphilly era presente, in perfetto stato grazie alla magia. Una
semplice
lastra di marmo bianco recante il suo nome, i suoi meriti, le date di
nascita e
di morte e la frase marito e padre
amato, segno che doveva essersi poi
sposato e che doveva aver avuto altri figli. Ho lasciato una corona di
gigli.
Non ho mai amato ricordare chi è morto, mi sembra inutile
commemorare chi non
c’è più, privo di scopo e di beneficio,
ma mi è parso giusto rendere un omaggio
alla memoria del padre di mia figlia ora che è tornata a
casa.
Non
credo andrò mai più a Suavitas. Ora con quel
luogo
ho definitivamente chiuso. Per sempre.”
“Ho
delle faccende da sbrigare” Le parole con la quale mi aveva
salutato qualche
giorno prima mi tornarono alla mente per essere collegate a quella
nuova
scoperta.
Una goccia cadde sulla
pagina del diario. Poi un’altra e un’altra ancora.
Lo chiusi e lo allontani per
non bagnarlo, incapace di frenare le lacrime che lente e silenziose
scendevano
lunga la guancia.
Ecco dove Jadis era andata.
Si era diretta a Suavitas per rendere omaggio a mio padre. Ian, che
come mi ero
augurata era riuscito a superare la nostra perdita e rifarsi una vita.
Ian, che
non avrebbe mai saputo che la sua primogenita aveva le sue stesse
labbra e il
suo stesso sguardo, ma che forse il suo spirito aveva avvertito che era
tornata
a casa e che aveva riportato in vita anche la donna da lui amata.
Era strano per me pensarci,
però per quella terra e per mia madre erano passati tredici
secoli dal mio
concepimento. Milletrecento lunghi anni, eppure Jadis non aveva smesso
di
pensare a Ian e si era sentita in dovere di andare a rendergli un
ultimo saluto
prima di “chiudere definitivamente
con
quel luogo”. Secondo i suoi standard io ero quella dannatamente buona, ma non si era
evidentemente accorta che lei per
prima non era quel concentrato di crudeltà e distacco che
credeva se secoli e
secoli non erano riusciti a toglierle dalla mente l’immagine
del viso di Ian.
“Cathrine!
CATHRINE!”
Un grido eccheggiò per
le
pareti marmoree fino a giungere da me alla torre. Sorrisi affatto
stupita.
Peter. Probabilmente agitato per non avermi trovato nel letto accanto a
lui.
Alzai una mano e una sfera
apparve a mezz’aria.
“Portalo qui”
le ordinai in
un sussurro. La bolla di luce schizzò fuori dalla stanza per
eseguire il suo
compito.
Cercai di asciugarmi con il
dorso della mano le lacrime per non farmi vedere in quello stato dal
ragazzo,
ma era inutile. Appena ne toglievo una, un’altra scorreva
giù in un flusso
ininterrotto. Non riuscivo a smettere di piangere. Ma non per un
eventuale
dolore suscitato dalle scoperte appena fatte. Semplicemente la lettura
di quei
diari mi aveva procurato un calderone così grande di
emozioni che ero incapace
di assorbirle e catalogarle. Gioia, tristezza, sollievo,
preoccupazioni,
perplessità, soddisfazione, paura, tutto si mescolava
insieme rendendo al mio
cuore impossibile il compito di trattenere tutto al suo interno,
costringedo le
emozioni a trovare un altro luogo o un’altra via per uscire.
E l’unica via
alternativa che il mio fisico aveva trovato era sfogarsi con le
lacrime, far
fuoriuscire con quelle goccie salate poco alla volta tutto
ciò che provavo.
Rumore di passi, il clangore
di una spada contro l’armatura, il respiro affaticato. Peter
apparve presto sulla
soglia della camera di mia madre.
Gli sorrisi contenta di
vederlo, bagnandomi le labbra con i lucciconi che scendevano come un
fiume.
“Cathy”
Peter sospirò sollevato
dal
vedermi intera. Poi però il suo sguardo si fece afflitto nel
vedermi in
lacrime. Mi si avvicinò e mi abbracciò stretta.
“Perché stai piangendo? Perché
sei venuta qui scappando all’alba dalla stanza?” mi
chiese mormorando tra i
miei capelli.
“Avevo bisogno di tornare
al
castello di ghiaccio. Dovevo fare una cosa e la dovevo fare da sola. Se
ti sei
preoccupato per me mi dispiace, non pensavo di impegarci tanto, credevo
di
tornare addirittura prima che ti svegliassi” risposi godendo
della sensazione
delle sue braccia che mi circondavano.
Peter si scostò un poco
per
guardarmi negli occhi incredulo. “Preoccupato?” mi
riprese. “è un eufemismo. Mi
sveglio convinto di averti accanto a me e invece trovo un letto vuoto.
Ti cerco
per tutto l’edificio e tu non sei da nessuna parte. Quando
ormai al limite
dell’agitazione raggiungo le scuderie, un cavallo con tutta
tranquillità mi si
fa avanti dicendomi che se ti cercavo ti avrei trovata al palazzo della
strega
dove ti eri recata all’alba. Sono mezzo morto dalla paura,
Cathy! Non ti avrei
impedito di venire ma almeno potevi avvertirmi prima se ci tenevi alla
mia
salute”.
Mi concessi un sorriso mezzo
divertito. “Mi spiace, davvero. È stata una
decisione presa all’improvviso, non
era un viaggio programmato, altrimenti te lo avrei detto. E poi stavi
riposando
così bene, non volevo svegliarti.” Mi difesi.
“Comunque vostra altezza mi
sottovaluta. Dovrebbe sapere che la sua strega è
più che capace di difendersi
da una semplice pattuglia e che comunque di certo smaterializzandosi
non ne
avrebbe trovate lungo il tragitto” lo presi in giro, cercando
di smorzare
l’ansia che ancora provava.
Sorrise abbassando la testa
in segno di scusa. “Cosa vi posso dire, principessa? Tengo
molto alla mia vita
e voi la possedete. Devo assicurarmi che ne abbiate cura”.
Ribatté.
L’improvviso cambio di
tono
mi sorprese, lasciandomi senza risposte sagaci o incapace di
ricambiare. O
semplicemente di pensare. Erano le parole più belle che
avevo mai udito. Ma ciò
che le rendevano ancora più speciali era che erano state
pronunciate senza un
motivo specifico, una ricorrenza o una giustificazione diverse oltre il
fatto
che le pensava sul serio e che aveva il desiderio di farmelo sapere.
Impossibilitata da formulare
una qualsiasi frase, compii l’unico gesto che gli avrebbe
fatto capire quanto
mi avesse colpito. Lo baciai, con slancio, con desiderio, con amore.
Quando ci separammo, il suo
sguardo si era fatto malandrino. “Se ottengo questo
risultato, dovrei chiamarti
principessa più spesso” ironizzò.
Abbozzai una risata, un
suono leggero che strideva con le lacrime che ancora mi rigavano le
guancie
come notò Peter per primo.
“Perché sei
qui?” domandò di
nuovo, tornando serio.
Allungai una mano e presi
uno dei libricini. “Questo è il diario di
Jadis” gli rivelai mentre glielo
porgevo. “E nel cassettone ce ne sono altri”.
Peter sgranò gli occhi,
osservando con stupore il quaderno che stringeva tra le dita.
“Il suo diario
segreto?” chiese conferma.
Annuii. “Li ho scoperti
mentre cercavo la chiave per la vostra cella. In quel momento
ovviamente non
potevo fermarmi a leggerli, ma mi ero ripromessa di farlo appena ne
avessi
avuto la possibilità. Stamattina mi sono svegliata per colpa
di un incubo su
mia madre e in un lampo mi sono ricordata dei diari. Dovevo leggerli,
ne avevo
bisogno” gli spiegai.
Il ragazzo scosse la testa
desolato.
Corrucciai la fronte.
“Cosa
c’è che non va?”
“Perché ti sei
voluta far
del male leggendo queste pagine? Quello che avevi visto non ti aveva
fatto
soffrire abbastanza mostrandoti quando Jadis potesse essere crudele,
dovevi per
forza ricevere un’ulteriore conferma?” mi chiese
addolorato.
Gli accarezzai una guancia,
negando le sue parole con il capo. “Stai traendo conclusioni
sbagliate. Non sto
piangendo perché quello che ho letto mi ha sconvolta
sottolineando il lato
malvagio di Jadis, bensì il contrario.” Affermai
con calma.
Peter inarnò un
sopraciglio,
sospettoso. “Cosa intendi?”
Presi un bel respiro e gli
strinsi forte una mano. Quello che avevo da raccontargli richiedeva
tempo, ma
soprattutto la forza di rivivere per la seconda volta tutte le scoperte
che
avevo fatto in poche ore. Gli rivelai il motivo per cui Jadis aveva
voluto un
figlio, del viaggio a Suavitas, di mio padre e dei sentimenti che la
strega
aveva nutrito per lui. Questo punto fu il più difficile.
Peter pareva non voler
accettare la possibilità che Jadis fosse stata capace di
amare qualcuno, seppur
nel suo modo contorto. Dovetti andare a recuperare il diario dentro il
quale
aveva conservato il giglio rivelatore per iniziare almeno a incrinare
il muro
ferreo delle sue convinzioni. Non arrivò ad ammettere che
forse Jadis possedeva
un altro lato oltre quello universalmente riconosciuto, però
almeno una mezza
idea che contraddiceva il pensiero comune ora la possedeva. Gli
raccontai poi
della mia nascita e del nostro ritorno a Narnia fino a quello che
pensava di me
diciassettenne e della sua visita alla lapide di Ian.
“Capisci quindi che avevo
ragione? Certo mia madre ha sempre visto i vantaggi che avere un figlio
le
avrebbe portato, però teneva a me anche in quanto a Nives,
non solo come
assicurazione sulla vita o potente alleata, e questo mi basta. Sapere
di aver
avuto una madre che era fiera di me, di quello che sono diventata
crescendo, mi
fa stare bene. Adesso so anche cosa intendeva con l’ultima
frase che mi ha
rivolto” conclusi, eccitata dal mio stesso racconto.
“Ovvero?” si
informò Peter,
non riuscendo a starmi dietro.
“Ha mormorato: figlia,
una
grande strega. Voleva che io diventassi ancora più forte,
che fossi una grande
strega. Era un augurio per il futuro. Ed ho anche la conferma che quel
lampo
d’orgoglio che le ho scorto negli occhi all’ultimo
è esistito veramente, non me
lo sono solo immaginato! Lei era orgogliosa di quello che sono
diventata
crescendo.”
Peter sospirò. Sembrava
non
volersi arrendere alla prova dell’esistenza di
un’altra Jadis, della donna
dietro la sovrana. Una donna capace di provare orgoglio per sua figlia
e
affetto per un uomo. “Eppure stava per ucciderti”
rifletté.
Il mio sguardo si
adombrò.
“È vero, ma non perché mi odiava o
perché non gliene importava nulla di me.
Semplicemente perché mi ero schierata contro di lei, ero
divenuta un ostacolo
tra lei e la sua corona, che è la cosa alla quale ha sempre
tenuto di più e per
la quale ha sacrificato tutta se stessa.” Ribattei. Poi
sospirai frustrata dallo
scetticismo di Peter, gli afferrai entrambe le mani ed esclamai.
“Ascoltami,
non voglio giustificare gli atti orrendi che ha commesso, il suo
dominio di
terrore e gli omicidi compiuti senza scrupoli. Non ti dico nemmeno che
la
crudeltà che dimostrava in realtà era una
maschera che nascondevano un altro
aspetto di lei, non sono così stupida”
“Voglio ben
sperare”
commentò, ma proseguii ignorandolo.
“Dico solo che tra un
misfatto e l’altro, che tu ci creda o meno, è
stata capace di affezionarsi ad
Ian, di assaporare per qualche tempo una vita pacifica e di provare la
gioia di
avere una figlia. So benissimo che la cosa alla quale teneva di
più al mondo è
sempre stata il potere e che per esso era disposta a fare ogni cosa,
ciò non
esclude però che mia madre possa aver tenuto a me a modo suo
o a mio padre.
Riesci a comprendermi?” chiesi, quasi con una nota
d’esasperazione e di supplica.
Peter mi fissò dritto
negli
occhi. Era combattuto tra il credermi e il restare attaccato a
ciò che aveva
sempre pensato su Jadis. Sapevo che l’odio che nutriva nei
confronti della
strega era profondo, ma possibile che fosse radicato al punto da non
riuscire
nemmeno ad ammettere che mia madre potesse aver avuto un briciolo di
umanità
nella sua personalità?
Alla fine sospirò e mi
accarezzò una guancia. “Se ti fa piacere, posso
darti il beneficio del dubbio.
È il massimo che posso concedere”.
Sorrisi e lo abbracciai. Era
abbastanza. Mi accontentavo di non sentirlo negare punto per punto ogni
mia
nuova scoperta sull’identità di mia madre ora che
finalmente ero riuscita a
formularne una.
“Ascolta, dobbiamo
tornare
all’edificio. Dobbiamo prepararci ad una guerra, non posso
assentarmi più di
quello che ho già fatto. Susan darebbe di matto”
disse cercando di
sdrammatizzare.
“Certo”
concordai, alzandomi
dal letto.
Riposi l’ultimo diario al
suo posto e chiusi il cassettone. Mi allontanai sfiorando la superficie
di
cristallo con le dita come se volessi accarezzarla. Quelle pagine mi
avevano
rivelato più di quello che speravo di sapere. Non avrei mai
ringraziato
abbastanza la buona stella che mi aveva condotto da loro.
Con Peter ripercorsi la
scala a chiocciola e in breve fummo nel salone.
“Sai, non mi ero mai
accorto
di quale bellezza nascondesse il ghiaccio” asserì
il biondo indicando la sala
del trono mentre superavamo il colonnato in direzione del portone.
“Il marmo lo rende un
posto
molto regale, e le finestre ampie lo innondano di luce.”
Concordai, lieta che
Peter fosse riuscito a formulare un commento positivo su un qualcosa
che
riguardasse la strega.
Appena fuori, il sole
primaverile ci investì tanto che impiegai qualche istante a
distinguere le due
figure piumate che ci aspettavano davanti al castello.
“Rihys, come mai non sei
all’edificio?” la voce di Peter era stupita quanto
la mia espressione, però si
rivolse ad uno solo dei due grifoni presenti.
“Perdonate
maestà, ma la
regina Susan mi ha inviato per recarvi un urgente messaggio.
L’esercito di
Telmar è alle porte, dovete rientrare immediatamente. Teme
che l’attacco tanto
atteso sia prossimo” annunciò.
Sentii il sangue gelarsi
nelle vene. Telmar vicina? Attacco prossimo? Quindi la guerra che
stavamo aspettando
e paventando era arrivata. Possibile che non potessi avere qualche
giorno di
pace e tranquillità, che le battaglie non finissero mai in
quella terra?
Sentii il re imprecare
sottovoce. “Dobbiamo muoverci allora. Halder, riesci ad
andare più veloce di come
hai fatto all’andata?” domandò
rivolgendosi al secondo grifone e informandomi
su come fosse giunto al castello precedentemente.
“Certo
maestà” rispose senza
esitare la creatura.
“Temo però che
non potremmo
percorrere la via diretta per l’edificio” si
intromise Rihys.
“Perché?”
il tono di Peter
era tornato ad essere quello del sovrano. Sicuro, impassibile, adatto a
comandare.
“Perché
l’esercito di Telmar
percorre proprio quella via e se noi la adottassimo ci vedrebbero
arrivare e
potrebbero cercare di colpirci mentre siamo in volo. È
pericoloso, altezza” gli
spiegò.
“Correremo il rischio,
non
possiamo indugiare oltre”
“Oppure voi due potreste
prendere la via che ritenete più sicura mentre io e il re
potremmo prendere una
scorciatoia” mi inserii io rivolgendomi a Halder e Rihys.
Il ragazzo mi guardò
sorpreso. “Quale scorciatoia?”
“Potrei provare a
smaterializzare entrambi e a materializzarci nella sala della tavola di
pietra”
proposi con semplicità.
Gli occhi di Peter si
illuminarono. “Perfetto, faremo così allora.
Presto Cathy”
Sorridendo per la fiducia
con la quale Peter mi si affidava, gli afferrai le mani e mi concentrai
chiudendo gli occhi. Non mi ero mai materializzata con
un’altra persona ma ero
convinta di potercela fare. O almeno lo speravo.
Richiamai la magia,
facendola scorrere nelle gambe, lungo il torace, su per il collo e per
le
braccia. Poi la feci fuoriuscire dai palmi della mia mani e avvolsi con
essa le
braccia di Peter, il suo petto, la testa e le sue gambe
finché non fu
interamente dentro l’alone della mia magia. Per istinto
sapevo di non dover
penetrare il suo scudo come per le guarigioni, poiché per
teletrasportarlo non
dovevo agire internamente al suo corpo, bensì esteriormente,
come per la
lievitazione. Focalizzai la sala della tavola di pietra e lanciai
l’incantesimo.
Il famigliare vortice ci
circondò. Mi sentii risucchiare via e poi in
un’istante il vento cessò. Aprii
gli occhi e sorrisi. Ci ero riuscita, le pareti color ocra della sala
adibita
alle riunioni mi circondava. Ma cosa ancora più importante,
Peter era in piedi
davanti a me ed era tutto intero. Per mia fortuna possedeva ancora due
braccia,
due gambe e una testa.
“Sei stata
grande” mormorò
Peter costatando il mio successo.
“Inezie”
sminuii. “Ora viene
la parte difficile” commentai con un’involontaria
nota amara. Peter si fece
serio e aumentò la stretta sulle mie mani come se avesse
bisogno di forza.
Sapeva che quel momento sarebbe arrivato, si stava preparando da quando
era
tornato, ma ciò non rendeva più facile
affrontarlo. Ancora una volta il suo
popolo era in pericolo e avrebbe dovuto combattere una guerra. Altri
narniani
sarebbero morti sotto le spade nemiche e lui stesso avrebbe di nuovo
rischiato
la sua vita. Ma non si sarebbe tirato indietro, questo mai. Re Peter il
Magnifico
avrebbe combattuto anche questa guerra con la stessa fierezza e lo
stesso
coraggio di sempre.
Un’altra sfida stava per
iniziare.
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Capitolo 21 *** 20_La speranza in un miracolo ***
Ciao ragazzi e ragazze!
Come
sono trascorse le vacanze di Natale? Le mie bene, all'insegna del relax
più completo :-)! L'unica pecca è che purtroppo
sono
finite lasciando il campo alla scuola, sob! Poco male, ho
già
iniziato a fare il conto alla rovescia per Pasqua hihihi! Passando al
capitolo, lo scorso si era incentrato su Jadis e la sua
personalità bloccando il corso della storia, questo invece
cambia completamente il ritmo. I telmarini lasciati in secondo piano
per molti capitoli ora sono tornati più numerosi di prima
con i
loro progetti di conquista. Vi avviso che questo capitolo non brilla
per la fantasia, poiché seguirà molto da vicino
le scene
del film seppur qualche cambiamento ci sia. Questo perchè
essendo la ficcy ambientata nel secondo film volevo comunque tenere
conto della sua trama nonostante l'inserizione del personaggio di
Cathrine e della sua vicenda, spero che non vi dispiaccia e che
troviate comunque interessante rivisitare le scene del film dal punto
di vista della nostra protagonista. Vi posso assicurare però
che ciò si limita a questo cappy e che nel prossimo
prenderò di nuovo le distanze dalla pellicola di Adams :-)
P.S.
A fondo pagina trovate una piccola sorpresa, ho postato un
fotomontaggio di Cathrine e Peter nella loro spiaggia, spero che vi
piaccia!
Ringraziamenti:
bex: Ciao!
Grazie per la tua recensione, sono felicissima di sapere che il cappy
scorso ti sia piaciuto così tanto e un grazie di cuore per
tutti i tuoi complimenti *me felice con gli occhi a stellina*!
Concordo, i ragazzi come Peter dovrebbero abbondare un po' di
più, è semplicemente perfetto! (tranquilla, anche
io mi farei chiudere da lui in una stanza, in cima ad una torre, in una
baita in montagna, su un'isola deserta...ho reso il concetto?
hihihihii!!!!!) Ci tenevo a dare il giusto spazio a Jadis, non mi
piaceva che l'idea che Cathrine alla fine considerasse la madre solo
una strega malvagia, e non mi sembrava minimamente giusto trattare un
personaggio come Jadis al pari di un cattivo qualunque assetato di
potere, la strega bianca meritava di essere analizzata meglio secondo
me ed è uno dei motivi che mi ha fatto scrivere questa fan
fiction :-) Telmar è tornata a combattere, però
temo di doverti dire che nn sarà l'ultima
difficoltà che i nostri due ragazzi dovranno affrontare per
avere la loro felicità, un altro problema ancora
più grave si affaccia all'orizzonte ma non aggiungo altro
(lo so, sono cattiva, ma la suspance altrimenti dove sta?). Spero di
leggere presto il tuo commento su questa capitolo e che ti piaccia! Un
bacione grande grande!
sweetophelia:
Ciao! Dopo molti rinvii sono riuscita a pubblicare questo cappy che
come hai immaginato tratta della guerra contro Telmar! L'altro cappy
effettivamente avevo interrotto il flusso narrativo, però mi
sembrava doveroso concludere con una nota positiva la storia di Jadis,
come ho detto anche a bex non era giusto ridurre il suo personaggio a
quello di un cattivo qualunque con manie di grandezza, ho sempre
pensato che nascondesse una psicologia più profonda e poi
non potevo lasciare Cathy con la terribile consapevolezza di avere per
madre una sadica pazza. L'arcano del papà di Cathy
è finalmente svelato, però posso anticipare che
non è l'ultimo dei segreti che la rossa scoprirà
prima della parola fine :-) Per ora però ciò che
principalmete occuperà i suoi pensieri sarà la
guerra contro Telmar. Sono un po' timorosa riguardo alla scena della
guerra, spero di non aver deluso nessuno volendo seguire il film, ci ho
pensato e ripensato però alla fine credo chela fan fiction
basandosi su le cronache di Narnia 2 doveva avere un collegamento
stretto con il film per quanto l'introduzione di un nuovo personaggio
lo consentisse. Cosa ne pensi? Aspetto ansiosa il tuo reponso! Grazie
mille per la tua recensione che come ben sai apprezzo sempre tanto
tanto tanto!!!!!!!! Ti mando un grande bacio!
Eve_Cla84:
Ciao! Sono felice che il capitolo ti sia piaciuto
tanto specie il ritratto del carattere di Jadis e grazie infinite per i
tuoi complimenti, davvero grazie :-)! Concordo con te, anche secondo me
vedere Jadis solo come la crudele strega è sbagliato,
è un personaggio psicologico di grande spessore, non sarebbe
giusto ridurla ad un semplice cattivo con il cuore di pietra, secondo
me ha una personalità molto complessa e profonda dietro
l'immagine che da di sé, e poi non volevo che Cathrine
credesse che sua madre fosse solo la gelida strega conquistatrice! Il
capitolo Ian non è ancora chiuso, si sentirà
ancora parlare di lui, però purtroppo 1300 anni sono troppi
anche per uno stregone, quindi temo che Cathy nn avrà mai il
piacere di poterlo incontrare dal vivo :-(, Effettivamente hai ragione,
finito il pericolo Jadis subito che ne arriva un altro a distruggere la
quiete dei nostri protagonisti! Prima o poi però Telmar
doveva tornare a farsi sentire, e per fortuna troverà i
Pevensie pronti ad accoglierla! Mi auguro che anche questo capitolo ti
piaccia nonostante sia rimasta molto fedele alla trama del film, spero
di sapere presto cosa ne pensi! Un bacioneoneone e ancora mille grazie
per la tua recensione!
Grazie infinite anche
ovviamente a tutti coloro che mi hanno aggiunta tra seguite e/o
preferite, thanks^^ e se avete il piacere di farmi sapere cosa ne
pensate della storia sappiate che i commenti sono sempre accolti
più che a braccia aperte!
Buona lettura
kisskisses
68Keira68
20_La
speranza in un miracolo
Vedere le espressioni allibite dei
Pevensie, di
Caspian, di Ripicì, di Nikabrik e di alcuni degli ufficiali
per la nostra
improvvisa apparizione nella sala era uno spettacolo impagabile.
“Come
siete…?” balbettò Susan
all’indirizzo mio e di
Peter rompendo il silenzio stupito che era calato dopo
il nostro arrivo.
“Cathy ci ha
smaterializzato entrambi” spiegò il
biondo con semplicità.
Susan scosse leggermente la testa e
strabuzzò gli
occhi, ma si riprese subito. “Bene”
commentò “molto utile considerando la situazione
in cui vertiamo” concluse introducendo subito il motivo per
cui ci aveva fatti
convocare.
Vidi i lineamenti di Peter
indurirsi, la
spensieratezza, con la quale aveva risposto divertito dal viso sorpreso
della
sorella, del tutto svanita.
“Quanto è
grave?” domandò diretto.
“L’esercito
è qui fuori, con ben cinque catapulte.
Stanno sistemando l’accampamento”
illustrò Edmund con tono grave.
Le labbra di Peter si serrarono.
“Cinque?” chiese
conferma a denti stretti.
“Purtroppo. E ci saranno
almeno un migliaio di uomini”
proseguì Caspian tetro.
Il Re Supremo chiuse gli occhi,
come se cercasse di
assorbire la nefasta notizia. Quando li riaprì
però nelle sue iridi color
zaffiro scorsi solo un’assoluta determinazione.
“Ce lo aspettavamo.
Sapevamo che avevano delle
catapulte, che ci erano numericamente superiori e soprattutto che la
battaglia
sarebbe arrivata. Non dobbiamo farci prendere dal panico.”
Esclamò, con
un’evidente tentativo di risollevare gli animi dei narniani
presenti che si
stavano dando allo sconforto e dei suoi fratelli stessi.
“Si ma non
così tanto numericamente superiori”
commentò amara Susan.
“Nonostante il numero
dobbiamo combattere. Non abbiamo
altra scelta se vogliamo salvare Narnia” disse piccato il
ragazzo.
“Non ci resta che lottare
allora” concordò Edmund,
poggiando una mano sul pomo della spada come ad attingere forza da essa.
“E sperare in un
miracolo”
aggiunse caustica Lucy.
Noi tutti la guardammo,
colpiti dal suo insolito pessimismo, ma nessuno ribatté,
nemmeno Peter. Ognuno
sapeva fin troppo bene la critica situazione in cui ci trovavamo per
avere
obiezioni se non ostentando un falso e inutile ottimismo.
Era vero. I telmarini erano
più numerosi di quello che pensavamo come anche il numero
delle catapulte,
batterli sarebbe stato difficile. Noi eravamo in pochi e nonostante
l’idea di
Caspian, del grosso dei soldati nemici se ne sarebbe occupata la
fanteria, la
nostra piccola per quanto brava fanteria. Un miracolo, se mai fosse
stato
possibile, sarebbe stato opportuno.
Sospirai frustrata. Volevo
rendermi utile, poter fornire una soluzione, ma come? Purtroppo io ero
una
semplice strega alle prime armi, i miracoli erano fuori dalla mia
portata. Chi
mai avrebbe potuto compierne uno? Forse Jadis ci sarebbe riuscita. Con
semplicità aveva congelato tutta Telmar rendendola innocua,
per lei
probabilmente spazzare via il loro esercito sarebbe stato un gioco da
ragazzi.
Ma Jadis, anche se avessimo trovato il modo di convincerla a lottare
dalla
nostra parte, era morta. Oltre lei chi altri avrebbe potuto aiutarci?
Poi l’eco
di parole lontane e quasi dimenticate mi tornò alla mente.
Le uniche parole che
avrebbero potuto ridare una speranza non falsa ma tangibile,
appartenenti
all’unica persona che avrebbe realmente potuto operare un
miracolo.
“Forse il miracolo
potrebbe
non essere così impossibile da far avverare”
esordii.
Cinque paia di occhi
sorpresi si posarono su di me con un’implicita ma chiara
domanda.
“Non avevo ancora avuto
occasione di dirvelo, ma prima di andare a cercare la chiave sono
andata alle
rovine e a Telmar per rendermi conto dell’entità
del danno che avevo fatto”
iniziai. Peter aprì bocca per ribattere alla mia ultima
affermazione ma io lo
precedetti. Non volevo udire per l’ennesima volta che non
dovevo sentirmi
responsabile per i misfatti di mia madre, avevo la mia parte di colpa
nell’intera questione e non volevo che venisse sminuita o
persino cancellata.
“e lì ho incontrato Aslan” conclusi.
A Peter morì la sua
obiezione sulle labbra. Per un lungo e interminabile minuto tutti i
presenti
trattennero il respiro, increduli a ciò che avevano appena
udito. Susan iniziò
persino a scuotere con piccoli scatti la testa in segno di diniego,
incapace di
interiorizzare l’informazione appena sentita.
“Ne… sei
proprio sicura?”
sussurrò infine Peter, recuperando l’uso della
parola.
Gli regalai un sorriso
convincente e annuii con il capo. “Gli ho parlato, non posso
sbagliarmi”.
“E cosa vi siete
detti?”
volle sapere Susan. Il suo tono era cauto, circospetto, come se temesse
di
abbandonarsi alla speranza che una notizia come quella del ritorno di
Aslan
avrebbe potuto dare.
“Mi ha consigliato su
dove
potevo trovare la chiave per aprire le vostre celle e mi ha detto di
fidarsi di
me e di voi, che se fossimo rimasti uniti saremmo riusciti a battere la
strega”
raccontai ricordando con precisione la discussione avuta con il Grande
Felino.
“E infine mi ha detto che quando avreste avuto bisogno di
lui, quando lo
avreste cercato, vi avrebbe aiutati” rivelai.
“Cate perché
non ce lo hai
detto prima? Questo cambia tutto!” mi aggredì
Susan, improvvisamente
infervorata.
“Giusto, con tutta la
calma
che c’è stata in questi giorni non so proprio come
ho fatto a scordarlo”
ironizzai sibillina. Sapevo perfettamente anche io che avevo scordato
un’informazione di assoluta importanza, ma la regina avrebbe
dovuto capire che
la morte di Jadis per me aveva avuto la precedenza sul resto.
Peter cercò di camuffare
una
risata per la mia risposta con un colpo di tosse e lo stesso fecero
Edmund e
Caspian.
La regina si morse il labbro,
rendendosi conto dell’accusa che mi aveva rivolto.
“Scusa, hai
ragione.” ammise
“L’importante è che ora lo
sappiamo.” Si rivolse poi al fratello maggiore, gli
occhi brillanti di nuova energia, pieni di vita e, finalmente, di
speranza
“abbiamo una possibilità Peter”.
“Si”
concordò il re Supremo
con un sorriso trionfante. “Ora dobbiamo solo decidere chi
andrà a chiedere
l’aiuto di Aslan”.
“Andrò
io”. La voce pacata
ma risoluta di Lucy non esitò a proporsi.
“Come? Ma mia regina,
dovreste addentrarvi nella foresta e con i telmarini alle porte
sarà
pericoloso!”
L’obiezione veemente
giunse
da Trumpkin, rompendo il silenzio in cui si era tenuto finora.
Lucy gli si avvicinò e
gli
sorrise per tranquillizzarlo. “Lo so, ma è un mio
dovere. Non temere, sono
certa che non mi accadrà nulla.”
“Non potete esserne
certa.
Di noi non ne sono già morti abbastanza? Dovete per forza
rischiare anche la
vostra vita?” ribatté infervorato e sinceramente
preoccupato il nano.
“Riflettici bene Lucy.
NIkabrik
ha ragione.” si accodò Peter corrugando la fronte.
Gli occhi grandi e sicuri
della piccola regina si posarono sul fratello. “Ci ho pensato
attentamente.
Peter, trovare Aslan è la nostra unica speranza e io sono
l’unica che può
cercarlo senza far perdere all’esercito un valido membro.
Perfavore”. Inisté.
Come sempre, rimasi stupita
da quanta forza d’animo potesse risiedere in un corpo
così piccino. Lucy non
doveva avere più di unidici anni, eppure parlava con la
stessa fermezza e la
stessa coscienza di un’adulta. Era convinta di quello che
affermava, sapeva
quali responsabilità comportava il compito che stava per
prendersi ed era
pronta a farsene carico senza esitazioni.
Peter prese un gran respiro,
preda dell’indecisione. L’idea di lasciare alla
sorella più piccola un incarico
come quello, pericoloso quanto impegnativo, gli pesava come un macigno,
ma
sapeva che probabilmente se esisteva una persona in grado di trovare
Aslan,
quella era Lucy, la bimba che con il suo cuore dolce e ingenuo aveva il
più
stretto legame con il felino e che aveva avuto ben due contatti con lui
da
quando era tornata a Narnia.
Vidi il suo sguardo correre
verso Susan in cerca di aiuto e trovò negli occhi color
cioccolato della
sovrana la risolutezza che sperava. Sua sorella aveva già in
mente quale fosse
la decisione più giusta da prendere.
“Lucy è la
nostra unica
speranza” disse a Trumpkin.
Il nano spalancò gli
occhi, contrariato. “Almeno
permettetemimi di venire con voi” supplicò rivolto
alla piccola.
Lucy scosse la testa.
“No, tu sei più utile qui”.
“E poi non
sarà sola. Io andrò con lei” propose
Susan,
sorprendendoci.
Sentii i muscoli di Peter
rilassarsi, evidentemente
felice della decisione presa dalla ragazza.
“Perfetto. Insieme
dovreste avere più probabilità di
successo” constatò il re. La sua fronte non era
più corrucciata, eppure nella
sua voce non potei non notare ugualmente una sfumatura di
preoccupazione.
Certo, sapere che Lucy non sarebbe andata da Aslan da sola lo
tranquillizzava
in parte, ma sarebbe stato impossibile per la sua indole lasciare
andare le sue
sorelle senza avere un minimo di timore.
“Quindi ora il nostro
principale problema è quello di
intrattenere l’esercito di Miraz finché Lucy e
Susan non trovano Aslan?” chiese
retoricamente Edmund, cambiando la direzione del discorso.
Peter annuì,
l’espressione di nuovo grave. “E temo che
l’unico modo per far ciò sia resistere il
più a lungo possibile combattendo”
commentò amaro.
Dalla tavola di pietra, Caspian si
schiarì la voce,
catturando su di sé l’attenzione. “Forse
c’è un altro modo per prendere tempo”
rivelò.
“Quale?”
domandò interessato Peter.
“Miraz sarà
pure un tiranno, ma come re di Telmar deve
attenersi alle tradizioni del suo popolo, e ce n’è
una in particolare che
farebbe al caso nostro” ci informò “Il
re di un esercito può sfidare a duello
il re dell’esercito avversario risparmiando ai loro uomini di
guerreggiare. Il
vincitore, vince la guerra. Il perdente” si interruppe,
fissando intensamente
Peter prima di concludere con tono nefasto “muore”.
Il respiro mi si bloccò
al suono di quella macabra
parola. I miei occhi cercarono quelli di Peter ansiosi di scorgere in
essi una
risposta negativa a quella proposta. Ma la fermezza che scorsi in
quelle iridi
zaffiro mi fece sprofondare il cuore.
“No, troveremo
un’altra maniera” mi opposi con fervore.
Non potevo nemmeno pensare che Peter corresse un rischio simile.
“Temo non ce ne
siano” si inserì Edmund fissandomi
serio. “Anche io non sono entusiasta dell’idea, ma
è l’unico modo che abbiamo
per dare a Lucy e Susan il tempo per svolgere la loro
missione” ragionò.
Mi morsi forte il labbro, frustrata
dalla verità che
quelle parole avevano.
“è una
decisione rischiosa.” Disse Susan, dandomi
ragione. “Peter non può correre un pericolo
simile. Se… Peter dovesse perdere,
il popolo di Narnia perderebbe il suo re e a quel punto sarebbe futile
anche
tutto il tempo di questo mondo” osservò piccata.
“Concordo. Dobbiamo
trovare un’altra via” la
appoggiai, guardando Peter supplichevole di non compiere un gesto tanto
avventato.
Purtroppo però
l’espressione decisa del viso del re mi
informò di quanto inutili fossero le obiezioni mie e della
sorella prima che
parlasse.
“Non
c’è un’altra via”
obiettò riprendendo la frase
del fratello. Peter prese un bel respiro prima di rivelare la sua
decisione.
“Se questa tradizione ci darà il tempo necessario
per contattare Aslan, sfiderò
Miraz a duello. In quanto re è mio dovere fare tutto
ciò che posso per il mio
popolo, e data la vostra scarsa fiducia nelle mie capacità
vi ricordo che sono
uscito da più di uno scontro vincitore, non è il
caso quindi di disperarsi già
per la mia sconfitta.” Aggiunse poi diretto a me e a Susan.
Mi sentii avvampare, offesa
dall’insinuazione, ma
prima che potessi aprire bocca, la regina ribatté.
“Nessuno mette in dubbio le
tue abilità Peter. Sei probabilmente il più abile
combattente di Narnia e lo
sappiamo. Ma Miraz non è uno dei soldati semplici che
abbatti come niente in
battaglia, è un membro della famiglia reale, è
stato educato a vincere nei
duelli da quando è nato. Lo scontro non sarà
semplice.”
Peter la fulminò con lo
sguardo, risentito dalle
osservazioni corrette della sorella. “Ciò
nonostante” disse gelido
“combatterò”. Sentii il cuore perdere un
battito a quella decisione. Avrebbe di
nuovo rischiato la vita per il suo popolo, e questa volta in una sfida
ancor
più pericolosa delle precedenti.
“Bene. Edmund, prendi
carta e penna per favore.
Scriverò a Miraz la mia intenzione di sfidarlo e tu andrai
in ambasciata con
due soldati come scorta per consegnargli la lettera.”
Proclamò risoluto, senza
ulteriore indugio.
Edmund annuì e si
adoperò immediatamente per esaudire
la richiesta del fratello.
Sentivo un senso di disperazione
crescermi nel petto e
cercai nei visi dei ragazzi presenti segni della mia stessa angoscia.
Caspian
era serio ma, almeno in apparenza, calmo. Susan aveva il viso di
pietra, solo
gli occhi lasciavano intravedere la preoccupazione e la rabbia per la
testardaggine del fratello. I lineamenti di Lucy invece erano contratti
quanto
i miei dalla paura per la sorte di Peter.
Accidenti a lui, ma
perché doveva essere così eroico
in qualsiasi situazione? Perché aveva un senso
dell’onore e del dovere così
grandi? Non poteva per una volta essere egoista e pensare prima di
tutto alla
sua vita? Era così complicato avere un briciolo di istinto
di
autoconservazione?
Sentii la pressione calda di una
mano accarezzarmi la
guancia. Mi voltai verso destra e vidi il volto della fonte della mia
preoccupazione più vicino di quanto mi aspettassi. Aprii
bocca per cercare di
dissuaderlo dal suo intento in un ultimo tentativo, ma rimasi bloccata
quando
scorsi nelle sue iridi zaffiro un altro sentimento oltre la sicurezza
di quali
erano i suoi obblighi. In quel cielo azzurro albergava
l’inquietudine. Ciò fece
capitolare le mie accuse. Peter possedeva uno spirito di
autoconservazione e
non era stato avventato nella sua scelta. Sapeva con esattezza a cosa
andava in
contro duellando con Miraz, ai pericoli in cui poteva incorrere e aveva
paura.
Paura di lasciare il suo regno privo di una guida, i suoi fratelli da
soli, la
sua vita tra le braccia della morte. Eppure era disposto a pagare
quell’alto
prezzo, a correre il rischio per il bene di Narnia.
Con riluttanza, a quel punto mi
rassegnai. “Fa
attenzione, ti prego” bisbigliai a suo solo beneficio.
“Tornerò
vincitore” mi promise in un dolce sussurro e
io sperai che avesse ragione con tutte le mie forze, supplicando
l’entità
divina che proteggeva quel magico mondo, chiunque essa fosse.
*
“Destriero mi ha sempre
servito fedelmente. Siete in
buone mani” assicurò Caspian finendo di stringere
i lacci delle staffe della
sella di Susan e Lucy, già montate sulla schiena del cavallo
nero.
“O zoccoli”
disse Lucy, in un blando tentativo di
alleggerire l’atmosfera che aleggiava tra i tre ragazzi, resa
grave
dall’importanza del compito che le due sorelle Pevensie si
apprestavano a
eseguire.
“Oh, a
proposito” esclamò il principe. “Questo
credo
sia tuo.” Il ragazzo trafficò con la cinghia alla
quale era appesa la spada,
sciogliendo il cordino che legava ad essa un corno bianco con ghirigori
dorati
sul bordo. “è giusto che te lo
restituisca” concluse porgendo l’oggetto a
Susan.
“Il mio corno
magico” osservò sorpresa la regina. Lo
prese tra le mani, accarezzando la superificie linea, affatto intaccata
dallo
scorrere dei secoli. Un accenno di sorriso le curvò le
labbra vedendo l’oggetto
che in più di un’occasione l’aveva
aiutata in passato. Poi però lo riconsegnò
al giovane. “tienilo tu. Potrebbe servirti per
chiamarmi.” Gli rispose
ammiccante.
Una luce di malizia si accese negli
occhi scuri di
Caspian. “Con un tale invito, rischi che potrei usarlo molto
spesso.” Ribatté
stando al gioco.
Lucy si schiarì la voce,
facendo notare la sua
presenza del tutto dimenticata dai due giovani. “Ragazzi, tic
tac, il tempo
scorre. Potreste continuare a tubare come due colombe dopo che avremo
vinto la
guerra?”.
“Lucy!” Susan
riprese la sorella, le guancie che si
imporporarono celeri.
“B…bene. In
bocca al lupo ragazze” balbettò
imbarazzato Caspian allontanandosi di un passo.
La piccola scoppiò a
ridere divertita. Susan borbottò
qualcosa di poco carino nei confronti della sorella, ma
l’invettiva si perse
nel rumore degli zoccoli di Destriero, spronato con forza dalla regina.
Quando il sole investì
le due figure però il riso si
spense. La loro missione era iniziata, una missione dalla quale
dipendeva
Narnai intera. Lucy chiuse gli occhi e pregò con tutta se
stessa di non
deludere i suoi fratelli e chi credeva in lei. Doveva assolutamente
trovare
Aslan, non poteva permettersi errori, e sapeva che per trovarlo
esisteva un
unico modo. Doveva credere che ciò fosse possibile.
*
Alla fioca luce delle candele, il
leone dorato,
simbolo di forza e onore, brillava come il resto della lama di metallo
lucido.
La strinsi al petto come fosse un amuleto e la scongiurai di aiutare il
suo
possessore come sempre aveva fatto.
“Ecco
l’elmo” Edmund passò l’ultimo
pezzo
dell’armatura al fratello maggiore che lo prese sotto il
braccio.
“La spada”
dissi io, porgendogli la nobile arma che
venne prontamente infilata nella fodera.
Un’ora fa Edmund era
tornato con la risposta di Miraz
alla sfida lanciata da Peter, una risposta, purtroppo per me, positiva.
Edmund
aveva dovuto sfoderare le sue migliori doti di diplomatico, ma alla
fine il
sovrano di Telmar aveva accettato di duellare con il re di Narnia. Ed
ora
Peter, scintillante nella sua armatura, si apprestava a combattere come
annunciato.
Il biondo mi si avvicinò
e prese una ciocca dei miei
capelli tra le sue dita coperte dal guanto in pelle.
“Vi aspetto fuori. Peter,
cinque minuti” si congedò
Edmund, intuendo il desiderio mio e del fratello di essere lasciati
soli.
“Peter, ti prego, se ti
succedesse qualcosa io…”
iniziai con tono più petulante di quello che avrei voluto.
Probabilmente stavo
facendo la figura della sciocca, ma non mi interessava. Al momento le
mie
energie erano troppo concentrate a sperare nella vittoria di Peter per
preoccuparsi di mantenere un certo contegno.
“Shh” mi
zittì il ragazzo, poggiando un dito sulle mie
labbra. “Non mi accadrà niente. Te l’ho
già detto. Sono troppo egoista per
permettere a qualcuno di privarmi del piacere di tornare da
te.”
La serietà e la
convinzione nel suo sguardo erano tali
da riuscire quasi a convincermi. Quasi. Perché nonostante i
suoi sforzi,
l’ombra di inquietudine che avevo scorto prima
c’era ancora.
Volevo aggiungere qualcosa, la mia
mente mi urlava di
fargli sapere quanto tenessi a lui e di come non poteva assolutamente
permettersi di rimanere ucciso in quel duello, ma ogni frase che
pensavo mi
sembrava banale e ripetitiva. Così mi sollevai sulle punte
dei piedi e lo
baciai con passione e preoccupazione, optando per un gesto che a
differenza
delle parole non sarebbe mai stato banale.
Quando ci separammo, Peter aveva un
sorriso malizioso
dipinto in volto. “Se volevi darmi un ulteriore incentevo per
tornare, ci sei
riuscita” scherzò.
Mi permisi di ridacchiare,
finché Peter non si diresse
all’uscita, portandomi con sé.
La breve salita che
dall’ingresso dell’edificio
conduceva al cortile mi parve infinita. Ad attenderci c’era
tutto l’esercito di
Narnia sparso lungo il muro delle rovine e alla vista del suo sovrano
proruppe
in urla e incitamenti. Par contro, un centinaio di metri prima
dell’arena dove
si sarebbe svolto l’incontro, gli uomini di Telmar
sostenevano il loro re in silenzio,
impettiti nelle file ordinate del loro battaglione, emanando
solennità e
compattezza.
Dal lato più vicino
dell’arena, dove ancora il resto
di un trilitico stava in piedi, ci attendevano Edmund, anche lui con
indosso
l’armatura, Warwik, il centauro ufficiale
dell’esercito, Ripicì e Trumpkin.
Notai che mancava Caspian. Lo cercai con lo sguardo, ma senza successo.
Dov’era
finito il principe di Telmar?
“Sei pronto
fratello?”
La voce di Edmund era tesa,
specchio della sua
apprensione. Peter annuì con un cenno del capo, apparendo
esattamente come
voleva apparire, forte, determinato, invincibile. Infilò
l’elmo, celando il suo
viso da ragazzo per divenire un combattente la cui identità
si fondeva con
quella della sua spada.
Con un movimento elegante,
sfoderò quest’ultima
recante l’effigie di Aslan, facendola scintillare al sole,
poi avanzò verso il
centro dell’arena.
Dalla parte opposta, re Miraz lo
imitò, indossando
l’elmo che gli nascose completamente il volto e impugnando la
sua spada,
lasciandosi alle spalle il generale Glozelle e due Lord del consiglio
di
Telmar.
I due avversari iniziarono a
camminare in cerchio,
studiandosi a vicenda.
“C’è
ancora tempo per ritirarsi” sentii pronunciare a
Miraz.
Stupido, pensai, non
ha
idea di con chi ha a che fare.
“Fate pure”
rispose Peter mordace.
“Quanti ancora dovranno
morire per il trono?” lo
provocò il sovrano.
“Soltanto uno”
e detto questo, Peter partì con il
primo affondo. Miraz parò con più
agilità di quello che ci si poteva aspettare
da una persona della sua età, e ricambiò con una
serie di colpi dall’alto. Gli
attacchi di Miraz puntavano sulla forza, sperava di piegare Peter sotto
i suoi
poderosi affondi contando su una superiorità fisica che
doveva essere certo di
possedere. Lo stile di combattimento del biondo invece era totalmente
diverso.
Peter mirava a sopraffare l’avversario con
l’agilità e la precisione dei colpi.
I due contendenti per diversi
minuti parvero
uguagliarsi. Riparandosi dietro lo scudo, Miraz riusciva a schermirsi
dagli
attacchi di Peter mentre quest’ultimo riusciva a schivare
quelli avversari. Un
colpo violento al viso da parte di Miraz fece arretrare Peter che
reclinò il
capo facendo cadere a terra l’elmo e sfilare il cappuccio
della maglia in
ferro. Subito dopo però un affondo di Peter andò
a segno, ferendo la gamba del
sovrano poco sopra il ginocchio.
Esultai. Uno a zero per Peter.
Purtroppo però questo
attacco parve dare nuovo vigore
a Miraz che iniziò ad incalzare una serie di affondi furiosi
e possenti. Peter
schivò a più riprese, ma l’ultimo
attacco, diretto al fianco destro, fu troppo
veloce e per pararlo il ragazzo fu costretto a sbilanciarsi usando lo
scudo sul
lato opposto rispetto a dove lo portava. Peter, in equilibrio precario,
non
riuscì a sostenere il colpo violento e cadde a terra.
Miraz colse l’occasione
per caricare un colpo
dall’alto ma il biondo, rotolando sul fianco,
riuscì ad evitarlo. Purtroppo
però non riuscì a schivare anche il calcio che il
sovrano di Telmar diede ad un
lato dello scudo concavo. Un urlo di dolore si propagò
nell’aria e il mio cuore
si strinse quando si rese conto che proveniva da Peter. Lo scudo,
abbassato dal
calcio da un lato, si era con un colpo secco alzato
all’altezza
dell’avambraccio del ragazzo, slogandogli la spalla.
Trattenni il respiro portandomi le
mani al petto, gli
occhi pieni di orrore. Senza pensare, feci due passi in avanti, in
direzione di
Peter. Dovevo andare da lui. Avrei interrotto il duello se necessario
ma doveva
raggiungiungere il ragazzo e guarirlo.
Ma due forti braccia mi trattennero
afferrandomi per
la vita.
“Cate, cos’hai
intenzione di fare?” la voce di Edmund
mi giunse allarmata all’orecchio.
“Lasciami. Ha bisogno di
aiuto, sta male, io posso
aiutarlo” gli risposi, il tono trapelante panico e ansia,
cercando di
svincolare dalla sua presa che per tenermi ferma aumentò.
“Se piombassi
lì con la pretesa di aiutarlo non ti
rivolgerebbe mai più la parola. È un re e un
ottimo combattente. È
sopravvissuto a ferite peggiori, ma quella che tu faresti al suo
orgoglio
soccorrendolo come fosse un bambino davanti all’esercito suo
e avversario non
guarirebbe mai. Credimi.” Affermò con risolutezza.
“Ma…”
provai ad obiettare ma Edmund non me lo permise
parlandomi sopra. “Lo so. Anche io sono preoccupato, cosa
credi? Ma dobbiamo
fidarci di lui e lasciarlo fare.”
Mi morsi il labbro e presi un bel
respiro, cercando di
calmarmi per ammettere con me stessa che il moro aveva ragione. Peter
non
avrebbe mai perdonato un’intromissione da parte mia. Era
difficile da
accettare, ma purtroppo l’unica cosa che potevo fare era
restare a guardare e
sperare.
“Lucy tieniti
forte!”
La bimba cinse con più
forza la vita di Susan mentre
quest’ultima con un colpo di redini aumentò
l’andatura della corsa.
“Quanti sono?”
domandò Lucy intimorita.
“Credo cinque”
Cinque. Cinque soldati erano loro
alle calcagna. Erano
apparsi dal nulla, appena si erano inoltrate al galoppo nella foresta.
Simili
ad ombre si erano buttati al loro inseguimento, come se non stessero
aspettando
altro.
“Riusciamo a
seminarli?”
Alla richiesta della piccola non
giunse alcuna
risposta. Lucy cominciò a temere il peggio. Erano in cinque
contro due, di cui
solo una capace di difendersi con un’arma inutilizzabile in
groppa ad un
cavallo in corsa. L’unica possibilità era riuscire
a staccarli, ma i destrieri
di Telmar si stavano rivelando più veloci del previsto,
rendendo l’impresa
difficile.
Susan tirò le redini a
sorpresa, fermando il cavallo.
Con un balzo scese giù e consegnò le briglie alla
sorella minore, prendendo al
loro posto arco e faretra.
“Susan!” la
richiamò allarmata la piccola. “Cosa
intendi fare?”.
La regina guardò Lucy
dritta negli occhi castani,
divenuti grandi e spauriti.
“Mi dispiace Lucy ma temo
di non poterti più
accompagnare” la informò cercando di sorriderle
nonostante la serietà del
momento.
“No Susan, sali a
cavallo. Li semineremo” tentò la
bimba. Si fidava ciecamente della abilità di arciera di
Susan, ma cinque
avversari erano troppi per una sola persona. Non poteva abbandonare la
sorella
in una situazione tanto critica.
“Non temere. Tu trova
Aslan, questo ha la precedenza
su tutto” decretò la sovrana. Lucy
tentennò, aprì bocca per ribattere, ma prima
che potesse aggiungere altro un rumore di zoccoli annunciò
quanto i loro nemici
fossero vicini. Susan urlò “Vai!” e
diede un colpo a Destriero per farlo
partire. Lucy si aggrappò alle redini e il cavallo corse fin
sopra un’altura.
La piccola si girò all’indietro, il cuore pesante
al pensiero del pericolo che
Susan stava per correre. La sorella maggiore si voltò
incrociando lo sguardo
della piccola regina. Le sorrise, cercando di tranquillizzarla e di non
far
trapelare quanto invece lei per prima sapesse come la missione che
l’attendeva
fosse difficile se non impossibile. Gli occhi color nocciola della
bimba si
riempirono di lacrime, ma trovò la forza per dare un colpo
di redini a
Destriero e proseguire la corsa come Susan voleva.
Quando Lucy si
allontanò, la regina sospirò di
sollievo pensando che la sorella sarebbe senz’altro riuscita
a raggiungere
Aslan, salvando Narnia. Se lei fosse riuscita nel compito di difendere
lei e il
suo viaggio. Era conscia di essere in svantaggio numerico e di
rischiare la sua
stessa vita, ma era consapevole anche del fatto che affrontare i nemici
frapponendosi tra loro e Lucy era l’unica cosa fattibile per
dare a
quest’ultima una possibilità di trovare il Grande
Felino. E poi non avrebbe mai
permesso a degli ignobili soldati di torcere un capello a sua sorella.
Sarebbero dovuti passare sopra lei e il suo arco prima di riuscirci.
Con un respiro profondo prese una
freccia rossa dalla
faretra alle sue spalle. Alzò l’arco dinanzi a
sé e posizionò la freccia.
Lentamente tese la corda, sfiorando il piumaggio delicato che decorava
il
dardo, e attese.
Il rumore si faceva sempre
più vicino. Ora si poteva
udire anche il suono delle voci concitate e del cozzare delle spade
contro le
armature. Tese ulteriormente l’arco, iniziando a puntarlo
verso la fonte del
rumore.
L’espressione era
concentrata, priva della paura che
le batteva nel cuore. Non si sarebbe mai mostrata terrorizzata davanti
al
nemico. Li avrebbe affrontati a testa alta. Dritta, impavida, perfetta
quanto
temibile nella sua posa da arciera, si sarebbe fatta vedere altera e
pericolosa
come una dea della caccia.
Quando un raggio di sole
illuminò l’elmo del primo
soldato, il dardo partì sibillando centrando in pieno il
bersaglio, letale come
sempre. L’uomo non era ancora caduto a terra quando una
seconda freccia era già
stata incoccata e scagliata, conficcandosi nel collo del secondo
soldato.
I tre rimasti avevano sguainato la
spada. Il più
vicino si diresse con la lama alzata, pronta a sferrare un colpo
mortale
dall’alto diretto alla regina di Narnia, ma Susan era pronta
e una terza
freccia venne lanciata con precisione uccidendo il telmarino. Peccato
che concetrata
nel tiro non aveva scorto il quarto soldato avvicinarsi.
All’ultimo riuscì ad
abbassarsi per evitare la lama, ma con un calcio l’uomo la
fece cadere.
Nell’impatto con il terreno alla giovane sfuggì di
mano l’arco. Tentò di
alzarsi, ma prima che potesse far qualsiasi cosa, i due cavalieri le si
avvicinarono a spada tratta. Susan sentì il cuore
sprofondare. Serrò gli occhi
preparandosi all’affondo letale che presto sarebbe
inevitabilmente giunto.
È finita.
Un paio di occhi neri, ma ardenti
come brace, occuparono
il suo ultimo pensiero insieme alla consapevolezza che non vi ci
sarebbe mai
più specchiata al loro interno, prima che il rumore
metallico di due lame che
si scontravano le riempisse le orecchie.
Alzò le palpebre di
scatto, sorpresa di non provare
dolore alcuno. Sorpresa di poter scorgere ancora il mondo reale e non
il
paradiso. Sorpresa di vedere la persona, che all’ultimo aveva
impegnato la sua
mente, combattere contro il quinto soldato dopo aver abbattuto il
quarto.
Caspian, in groppa ad un cavallo
nero, con indosso
l’armatura e la spada sguainata, l’aveva salvata.
Un movimento di polso e la lama del
telmarino fu
strappata dalla mano del suo proprietario. Un affondo, rapido e deciso,
e il
duello finì.
Caspian si voltò
rivolgendole un sorriso solo
leggermente incrinato dalla fatica appena compiuta.
“Sicura di non rivolere
il corno?” la provocò ilare
porgendole una mano per aiutarla a salire sul dorso del destriero.
Bello, vittorioso, sereno,
illuminato dal sole,
sembrava più che mai un’apparizione. Un angelo
custode comparso unicamente per
lei, quasi lo avesse evocato.
Susan si alzò,
recuperò l’arco e si aggrappò alla mano
del ragazzo per salire sul cavallo. Gli cinse la vita e
poggiò il suo capo
nell’incavo della spalla del giovane.
“Grazie”
sussurrò al suo orecchio, depositandogli un
bacio sulla guancia.
“Dovere. Potevo
permettere a due insignificanti
soldati di privare Narnia della regina più bella che avesse
mai visto?”.
Susan rise, il cuore
improvvisamente alleggerito
dall’angoscia provata poco fa. Non riusciva ancora a credere
di essere scampata
ai telmarini. Più o meno quanto non riusciva a credere che
il principe fosse lì
con lei.
Riassumendo, era viva, era con
Caspian e Lucy era al
sicuro, diretta verso Aslan. Aveva assolto il suo incarico. Grazie
all’aiuto
del principe che in quel momento più di qualsiasi altro
sentì di amare come non
aveva mai amato nessun’altro. Quella piccola saggia di sua
sorella aveva visto
davvero giusto. Caspian era un ragazzo d’oro e non si sarebbe
mai pentita di aver
fatto cadere le palizzate attorno al suo cuore per consentirgli
l’accesso. Per
una volta, l’aver agito seguendo i sentimenti e
l’istinto l’aveva condotta
sulla via più difficile da trovare, la via della
felicità.
Peter rotolò sul braccio
sano e cercò di alzarsi in
piedi. I lineamenti erano contratti dal dolore, ma gli occhi brillavano
di
rabbia e sfida, desiderosi di rivalsa. Si portò la mano al
petto, per non
sostenere a peso morto lo scudo e con la destra caricò un
colpo dall’alto. Dopo
qualche affondo però i duellanti si bloccarono. Peter era
voltato di schiena,
ma vidi che la testa non era rivolta a Miraz, bensì ad un
punto alla sua
sinistra.
“Sua altezza ha bisogno
di una tregua?” chiese il
telmarino mellifluo.
“Cinque
minuti?” propose Peter, cogliendo l’occasione.
“Tre!”
decretò Miraz, agitando la spada.
Sospirai di sollievo. Una tregua
avrebbe permesso a
Peter di venire da noi, in modo che potessi soccorrerlo con la magia.
Il biondo abbassò la sua
lama e si volse nella nostra
direzione. La sua espressione malcelava il dolore che provava alla
spalla, il
che incrementò a dismisura la mia apprensione.
Resistetti all’impulso di
corrergli incontro, memore
delle osservazioni di Edmund, ma quando finalmente Peter ci raggiunse,
non
riuscii ad impedirmi di accarezzargli il viso sudato e di scostargli
una ciocca
di capelli da davanti gli occhi.
“Sto bene,
tranquilla” mentì spudoratamente.
Scossi la testa ma non lo
contraddii. Peter rivolse
l’attenzione a qualcuno dietro di me e io seguii la direzione
del suo sguardo.
Con mia sorpresa alle nostre spalle
erano comparsi
Susan e Caspian. Una lampadina mi si accese in testa e compresi
perché Peter
poco prima non stava guardando il suo avversario e aveva chiesto una
tregua.
“Lucy?”
domandò con tono allarmato, chiamando l’unica
assente.
“è riuscita a
passare” lo rassicurò Susan. “Con un
piccolo aiuto” e indicò Caspian con
l’estremità del suo arco che stringeva tra
le mani, segno che doveva essere da poco uscita da uno scontro, aiutata
dal
giovane principe.
“Grazie” la
voce di Peter era impregnata di
gratitudine.
“Bhè, tu eri
impegnato” minimizzò Caspian.
“Ascolta” disse
poi il re rivolto alla sorella “vai dagli
arcieri, in ogni caso non credo che quelli di Telmar manterranno la
parola. E
vai anche tu, mettiti al sicuro” concluse al mio indirizzo.
Scossi la testa. “No,
resto qui finché il duello non è
finito. Dopo andrò dove vorrai” mi impuntai.
Peter sospirò ma non
tentò di persuadermi, capendo che
sarebbe stata fatica sprecata.
“Fa attenzione”
Susan gli si avvicinò per
abbracciarlo, ma appeno lo cinse, un’esclamazione di dolore
fuoriuscì dalle
labbra di Peter.
“Scusa”
“Non importa”
Susan corse via mentre il biondo si
sedette, lasciando
spada e scudo ad Edmund.
“Credo sia
slogata” ci informò Peter sfiorando la
spalla con la mano.
“Aspetta, ci penso
io” mi proposi immediatamente,
sentendo già la magia formicolare nelle mie mani.
“No!” si oppose
il ragazzo con inaspettata veemenza.
Mi bloccai, incredula.
“Possibile che ogni volta
che cerco di curarti hai
qualche obiezione?” mi infervorai.
Peter addolcì
l’espressione. “Scusa, ma farmi curare
dalla tua magia sarebbe come imbrogliare”.
Lo squadrai con aria interrogativa.
“Perché? Anche
Miraz si starà facendo curare” obiettai.
“Certo, ma con i metodi
normali che possono solo
alleviare il dolore e non farlo sparire. Se tu mi curassi tornerei come
nuovo,
e questo non sarebbe corretto poiché costituirebbe un
vantaggio che non dovrei
avere.” Mi spiegò con convinzione.
Sbuffai, incredula a ciò
che sentivo. “Oh ti prego!
Riesci a mettere da parte il tuo smisurato senso dell’onore
per cinque minuti e
comportarti in maniera ragionevole? Ti assicuro che al tuo popolo fa
più comodo
un re con l’onore leggermente intaccato ma vivo, che morto ma
senza macchia!”
gli feci notare piccata.
“Vorresti veramente farmi
scrivere la storia del mio
popolo su di un imbroglio? Mi spiace, ma non posso farlo”
ribatté imperturbabile
dinanzi al mio fervore.
Sospirai sconsolata. “Sei
impossibile” borbottai,
arrendendomi. Cercare di far andare Peter contro il suo senso del
giusto era
come chiedere al sole di non tramontare, un battaglia persa.
“Se vincerò,
sarà alla mia maniera, Cathy.” Concluse
Peter, stringendomi dolcemente la mano.
Capiva il mio desiderio di aiutarlo
e non deplorava la
mia proposta, ma non sarebbe mai sceso a patti con ciò che
riteneva giusto e
sbagliato.
Stupido re
senza macchia e senza paura. Neanche l’Orlando di Ariosto
rispettava così
fedelmente l’ideale dell’eroe perfetto.
“Pensi che se Miraz fosse
stato al tuo posto si
sarebbe comportato come te?” osservai retorica.
Peter mi guardò di
sbieco. “Certo che no. Ma io non
sono Miraz” sottolineò.
“E poi ci sono io. Non
sarò un mago ma qualcosa posso
fare.” Si intromise Edmund poggiando una mano sulla spalla
dolente del
fratello. “Sei pronto?”
Peter annuì,
preparandosi psicologicamente a ciò che
il moro stava per fare. Edmund tirò il braccio di
quest’ultimo con la mano
libera.
Si udì un
“crack” e Peter soffocò un grido di
dolore.
“Meglio?” si
informò il giovane re.
“Più o
meno”
Peter si rialzò e
riprese spada e scudo, roteando
lentamente la spalla rimessa a posto.
Dall’altra parte
dell’arena, anche Miraz si era
alzato. Si stava rivolgendo al suo generale mentre
quest’ultimo gli rendeva la
sua spada.
“Peter, sorridi”
La richesta di Edmund mi colse di
sorpresa. Era del
tutto fuori luogo, come poteva chiedere al fratello di sorridere in un
momento
come quello. Il biondo corrucciò le sopraciglia ma il
ragazzo per tutta
risposta indicò con il capo i narniani alle nostre spalle.
Mi voltai lentamente. Quello che
vidi mi atterrì. Il
popolo di Narnia, prima energico e fiducioso, pareva aver abbandonato
ogni
speranza. I loro visi erano sconsolati, pronti ad arrendersi, certi
della
sconfitta.
Compresi il perché della
frase di Edmund. Il popolo
era sfiduciato perché vedeva il suo sovrano in
difficoltà. Se Peter avesse
sorriso, li avrebbe rassicurato, ridando loro la speranza.
E così il biondo fece.
Ostentando un falso ottimismo,
puntò la sua lama al cielo, in segno di una vittoria che
poteva essere prossima.
Il gesto parve funzionare. Le creature esultarono, rincuorate dalla
visione del
loro re tornato forte, affatto provato dal duello. Solo quando Peter si
voltò
verso Miraz fece scomparire il sorriso cedendo il passo ad
un’espressione seria
e concentrata, visibile solo da me, Edmund, Caspian e, purtroppo, Miraz.
Rifiutando l’elmo appena
recuperato che il fratello
gli porgeva, Peter si avviò di nuovo verso il centro
dell’arena.
Un singhiozzo strozzato
fuoriuscì dalle mie labbra
prima che potessi fermarlo. Mi sentivo impotente a causa della mia
impossibilità di aiutarlo e questo aumentava la mia
sensazione di aver lasciato
il ragazzo da solo ad affrontare uno scontro che avrebbe potuto
costargli la
vita.
Un braccio mi avvolse le spalle, in
un gesto di conforto.
Caspian mi si era avvicinato. I suoi lineamenti erano tesi, ma
attraverso i
suoi due pozzi scuri cercava di trasmettermi speranza e sicurezza.
Il duello non
è ancora finito e Peter ha tutte le possibilità
di vincere. Mi
dissi e continuai a ripetermelo come un mantra
quando le due lame avversarie si scontrarono, mettendo ufficialmente
fine alla
tregua.
Affando, parata, affondo, parata.
Poi, Miraz disarmò
Peter. Sobbalzai, trattenendo il fiato. Il biondo era rimasto solo con
lo
scudo, dietro il quale cominciò a ripararsi disperatamente.
Uno, due, tre
colpi. Al quarto però riuscì a contrattaccare.
Mentre Miraz stava per caricare
dall’alto, Peter colpì l’avversario al
viso con lo scudo. Il telmarino arretrò
tramortito, perdendo la spada. Peter incalzò colpendolo di
nuovo, ma al secondo
attacco Miraz afferrò lo scudo, creando una situazione di
stallo. La forza dei
due contendendi sembrava equivalersi mentre si impegnavano per
sovrastare
l’altro, finché il re di Narnia non
riuscì a girare lo scudo fino a portarlo
alle spalle di Miraz e bloccargli le mani, ancora ancorate al clipeo,
dietro la
schiena. Ripresi a respirare, purtroppo però subito dopo il
sovrano di Telmar
si liberò e sferò un pugno al viso di Peter. Il
giovane indietreggiò di un
passo, ma si riprese in fretta e con un grido di carica
cominciò a colpire a
suo volta con il guanto ferrato. Presto Miraz si trovò in
difficoltà. Inciampò
andando all’indietro e cadde. Alzò entrambe le
mani per coprirsi il viso, ma
mentre tutti noi ci aspettavamo che Peter proseguisse
nell’attacco, questi
gridò forte “Tregua!”.
“Non è il
momento di essere magnanimi Peter!” urlò
Edmund, contrariato dalla generosità del fratello.
Fui d’accordo con lui.
Come poteva interrompersi?
Andava bene essere giusti e onesti, ma rinunciare ad una situazione
favorevole
fornendo al nemico la possibilità di ucciderti sfiorava
l’assurdo. Specie se la
posta in gioco era la vita.
Eppure Peter si rialzò
e, dando le spalle al sovrano,
si diresse verso di noi. Era visibilmente stanco, aveva il fiato
pesante e il
naso sanguinava. Avrebbe retto difficilmente ad un altro round.
Perché aveva
dovuto fermarsi quando avrebbe potuto porre fine al duello con la sua
vittoria?
Ma forse se lo avesse fatto non sarebbe stato Peter, il Magnifico Re
che aveva
donato al suo popolo trent’anni di pace e
prosperità.
Un rumore di sfregamento, il
tintinnare metallico di
un’armatura. L’azione si svolse fulminea. Miraz
raccolse la spada, si alzò e
correndo si diresse con la lama alzata alle spalle di Peter.
Urlai di terrore e istintivamente
mi strinsi a
Caspian, chiudendo gli occhi contro la sua spalla nell’esatto
istante in cui
Edmund urlò il nome del fratello.
Suoni di colluttazione, un grido di
sforzo poi un
tonfo, a cui fece eco il mio cuore che sprofondò sotto terra.
Tremai, presa da una paura cieca,
incapace di
sollevare le palpebre e controllare cosa fosse successo. Se quello che
temevo
era accaduto, non avevo la forza per guardare, non l’avevo
nemmeno per pensare.
“Cosa
c’è? È troppo per te togliere la vita
ragazzo?”
Una frase pronunciata con tono
affaticato. Una frase
pronunciata da una voce che sarebbe dovuta risuonare vittoriosa e che
avrebbe
dovuto lanciare ben altro messaggio.
Con il cuore ancora fermo, non
osante riprendere a
battere per una falsa speranza, trovai la forza per osservare la scena.
I miei occhi quasi faticarono a
mettere a fuoco la
scena che gli si presentava davanti. Peter era in piedi, ansante ma in
piedi, e
soprattutto era vivo. Aveva la spada appoggiata alla spalla, il braccio
piegato
pronto a sferrare il colpo che avrebbe tolto la vita all’uomo
inginocchiato
dinanzi a lui. Sbattei le palpebre più volte, incredula. La
situazione si era
capovolta. Miraz, ormai sconfitto, guardava Peter negli occhi con
sguardo di
sfida per difendere un orgoglio che non voleva venire meno neanche ad
un passo
dalla morte. In qualche modo il re di Narnia era riuscito ad evitare
l’assalto
a tradimento di Miraz, a togliergli la spada e a costringerlo alla
resa. Ed ora
passata l’ansia, non mi restava che ammirare la figura
slanciata di Peter che
si ergeva vittorioso nell’arena. Vittorioso ma incerto. Miraz
gli aveva
lanciato una provocazione che Peter non coglieva. Tentennava stringendo
l’elsa
della spada sempre più forte, le spalle che si abbassavano e
alzavano per gli
sforzi compiuti. L’odio lampeggiava nelle iridi azzurre,
mostrando una rabbia
che veniva a stento tenuta sotto controllo, eppure non sferrava
l’attacco.
“Non sta a me
togliertela” disse in un ringhio infine.
Si voltò e porse la
spada a Caspian. Sentii i muscoli
del principe tendersi sorpresi. Il suo sguardo saettò
confuso dal biondo a
Miraz per tre volte, poi parve prendere coscienza della sua posizione e
della
richiesta che gli veniva fatta. Tolse il braccio da attorno alle mie
spalle e
si incamminò verso Peter, il volto serio e più
pallido di quello che
probabilmente avrebbe voluto che fosse.
Capii l’esitazione di
Peter. Il ragazzo si era fermato
chiedendosi se era suo il compito di decidere della vita di
quell’uomo e aveva
pensato che Miraz, pur essendo un suo nemico, era prima di tutto lo zio
di
Caspian, nonché l’assassino del padre del ragazzo.
La decisione spettava quindi
al giovane principe. Un principe che con un’inaspettata mano
ferma aveva
afferrato la spada che Peter gli aveva porto.
Caspian alzò il gomito e
tirò indietro il braccio,
trascinando la spada in alto con sé nel movimento, facendo
scivolare la lama
sotto l’altra mano. La punta tagliente e letale
dell’arma era puntata contro
Miraz come il suo sguardo. Due occhi neri che, a discapito della
freddezza che
il corpo cercava di mantenere, rivelavano il tumulto che lo dominava
internamente. Si scorgeva l’avversione per i crimini che il
re di Telmar aveva
commesso, la voglia di vendicare i soprusi subiti e la morte del padre,
il
desiderio di mettere la parola fine a quella battaglia. Ma anche la
repulsione
per compiere un gesto come un omicidio a sangue freddo. Caspian in quel
momento
aveva il potere di condannare Miraz, suo zio, a morte, poteva decidere
se
l’uomo davanti a lui doveva vivere o morire e se avesse
optato per la seconda
si sarebbe automaticamente eletto a boia. Un gesto la cui sola idea lo
ripugnava.
Caspian era un cavaliere, un
soldato, e come tale per
difendere i suoi ideali, le persone a cui teneva e se stesso, aveva
già dovuto
macchiarsi del sangue dei suoi nemici, aveva già tolto la
vita a persone
sconosciute, individui senza volto per lui ma che avevano parenti,
sogni,
speranze e soprattutto un futuro prima che venissero trapassati dalla
spada del
principe. Ma quando si uccide in battaglia, quando si è in
mezzo alla mischia,
quando non si ha il tempo per riflettere sulle proprie azioni
perché ogni
secondo speso senza attaccare potrebbe portare alla propria morte, non
si deve
scegliere se dare la vita o la morte alle persone che si affrontano. La
scelta
in guerra è del tutto diverso. Si è soli con il
proprio avversario e l’opzione
è “se stessi o lui”. Non si è
giudici e boia, ma semplici individui che cercano
di sopravvivere in un turbine di spade tra cui la più
affilata e la più veloce
vince, compiendo azioni dettate più dall’istinto
di sopravvivenza che dalla
ragione.
“Forse mi sono
sbagliato”
Miraz parlò. Un brillio
di orgoglio che copriva una
muta rassegnazione negli occhi neri, identici a quelli del nipote.
“Forse hai le
qualità per regnare dopotutto”.
Vidi la schiena di Caspian
irrigidirsi a quel commento
che pronunciato dal re ormai sconfitto risuonava simile a un
complimento o ad
una benedizione, un consenso per prendere la sua corona. Gli occhi del
principe
si fecero umidi, ma la mano che stringeva l’elsa rimase
ferma, resa immobile
dall’indecisione che attanagliava l’animo del
giovane. Vita o morte?
Miraz non si era fatto scrupoli
quando aveva dovuto
uccidere il proprio fratello. Per lui non c’era stata alcuna
differenza tra
l’ammazzare qualcuno in battaglia e l’assassinare
il sangue del proprio sangue
nel suo letto per sete di potere. Perché allora Caspian
avrebbe dovuto aver
timore di agire allo stesso modo? Miraz forse non meritava di essere
ripagato
con la stessa moneta? Essere ucciso dal nipote per la corona e
dimostrate così
di saper fare tutto ciò che necessario per ottenere il regno.
Caspian urlò e
sollevò in alto la spada che brillò
sinistra. Poi con un colpò secco e deciso
l’abbassò colpendo il suo bersaglio.
Il terreno tra le lastre di marmo
sottostanti.
“Non certo le
tue”
Il sussurro di Caspian fu appena
udibile. Le parole
erano uscite a forza tra i denti, parole frustrate e rabbiose come le
lacrime
che aveva ai bordi degli occhi.
Miraz guardava incredulo il
nipote, il respiro ansante per la paura di una condanna che non era
giunta.
“Tieniti pure la tua
vita,
ma io restituisco alla gente di Narnia la sua terra”
decretò Caspian vicino al
viso del vecchio re.
Il moro con un’ultima
occhiata allo zio, si allontanò volgendogli le spalle. Peter
gli si avvicinò e
gli pose una mano sulla spalla. Non si dissero niente. Non
c’era bisogno, tutti
noi sapevamo che Caspian aveva fatto la scelta più giusta.
Miraz forse non meritava di
essere ripagato con la stessa moneta? Si, lo avrebbe meritato. Era un
assassino
e un tiranno, un cancro sia per Telmar che per Narnia.
Caspian avrebbe dovuto aver
timore di agire allo stesso modo di Miraz? Si, perché anche
se il re avesse
meritato la morte, nessuno avrebbe avuto il diritto di dargliela con
un’esecuzione. Il suo assassinio non avrebbe giovato a Narnia
né a nessun
altro, erano ben altre le imprese da compiere per aiutare quella terra.
Compiere quel crimine avrebbe unicamente macchiato l’animo
del giovane e
avrebbe fatto scrivere l’inizio di quella che doveva essere
una nuova era per
Narnia e Telmar sopra altro sangue, un inizio inaccettabile per chi si
dichiarava portatore di pace. L’unica cosa che veramente
contava era aver vinto
il duello.
Abbiamo
vinto.
Quel pensiero mi colpì
con
forza, portando con sé un enorme sollievo. Sorridendo mi
avvicinai a Peter,
Caspian ed Edmund.
Peter era stremato dal
duello e si teneva il braccio slogato, Caspian aveva ancora i
lineamenti tesi
ma tutti e tre sorridevano sollevati, con in mente il mio stesso
pensiero.
“Ora posso guarirti o hai
qualche obiezione?” chiesi sarcastica a Peter.
“Sono tutto
tuo” rispose
porgendomi la parte lesa.
Meno di un minuto, e il
braccio tornò come nuovo. “Posso
sdebitarmi?” il biondo mi si rivolse
malizioso.
Io risi, notando come avessi
bisogno di lasciarmi la tensione precedente alle spalle. “Se
proprio insisti…”
dissi stando al gioco avvicinando il mio viso al suo. Ma prima che le
sue
labbra potessero posarsi sulle mie che le attendevano ansiose, un grido
si
sparse per la raduna.
“Narnia ha violato
l’accordo! All’attacco!”
Peter, Caspian, Edmund ed io
ci voltammo di scatto verso il centro dell’arena. Sentii una
sensazione di gelo
invadermi quando vidi il corpo privo di vita di Miraz accasciato a
terra con
una freccia nel fianco, senza dubbio la causa della sua morte. Volsi lo
sguardo
ai bordi delle rovine e con orrore e paura scorsi Lord Glozelle e un
altro Lord
preparare le loro truppe per dar battaglia.
“Ma abbiamo vinto!
Perché ci
attaccano?” balbettai confusa, rifiutando di accettare il
precipitare della
situazione.
Peter mi afferrò per le
spalle e catalizzò tutta la mia attenzione. Il suo sguardo e
la sua espressione
erano tornati ad essere quelli del sovrano, decisi, seri e pronti a
tutto.
“Come pensavamo non
avevano alcuna
intenzione di rispettare l’accordo. Vogliono il regno e non
se ne andranno
finché non lo otterranno.”
“Dobbiamo
combattere?”
chiesi con tono rassegnato.
“Si.” Rispose
secco. “Ecco
perché tu ora correrai a metterti al riparo vicino a Susan,
e attenderai lì il
mio segnale, intesi?” mi impose.
Annuii con il capo, gli
occhi pieni di apprensione. Avrei voluto ripetergli di fare attenzione,
di
tornare vivo, di non esporsi inutilmente al pericolo, ma non
c’era tempo.
Tuttavia, dalla veloce e lieve carezza che mi diede al viso, ebbi la
consapevolezza che sapeva già ciò che volevo
dirgli, non occorreva che aprissi
bocca.
Con un ultimo sospiro, mi
separai da lui e cominciai a correre verso l’edificio,
cercando di non vedere
il mio allontanamento come un abbandono.
Attraversai il salone e
salii a perdifiato le scale che conducevano alle camere superiori. In
breve
sbucai fuori, sul balconcino del secondo piano, dove molte sere
addietro Peter
ed io ci eravamo abbracciati per la prima volta al chiarore della luna.
“Cate!” la
regina, arco e
freccia in mano pronti all’uso, mi chiamò a
sé.
“Hai visto quello che
è
successo?” le domandai. Magari dalla sua postazione era
riuscita a comprendere
meglio il perché di come si erano evoluti gli eventi.
“Si, uno dei Lord si
è avvicinato
a Miraz con la scusa di aiutarlo ad alzarsi e lo ha infilzato con una
freccia a
tradimento. Poi ha dichiarato l’attacco facendo ricadere su
di noi la colpa del
delitto.” Mi mise a parte brevemente.
Scossi la testa con
espressione sprezzante. “Vili. Proprio un’azione da
loro” sputai con rancore.
“Già, ma oltre
che resistere
fino all’arrivo di Lucy non possiamo far altro”
asserì Susan.
“Ci riusciremo”
affermai,
cercando di infondere sicurezza a me per prima. Dovevamo riuscirci.
Cercai con gli occhi la
figura di Peter. Spada sguainata, accanto ad Edmund aspettava che la
carica dei
nemici fosse alla distanza giusta per dirmi di mandare il segnale a
Caspian,
che sotto di noi attendeva impaziente con la sua fanteria, e far
scattare la
nostra trappola.
Il biondo alzò la lama.
Richiamai la magia e una sfera comparve all’istante nel mio
palmo. Quando il
braccio abbassò l’arma, ordinai alla bolla di luce
di materializzarsi davanti a
Caspian, rispondendo all’ordine di Peter.
Pochi secondi, e la terra
cominciò a tremare. Sotto i miei occhi il terreno sopra il
quale la cavalleria
di Telmar stava passando si aprì in mille crepe fino a
cedere totalmente sotto
il peso dei cavalli. Sorrisi soddisfatta. Il piano del principe aveva
funzionato egregiamente, il terrapieno era crollato trascinando con
sé parte
dell’esercito telmarino.
Dalle due aperture
sotterranee Caspian uscì seguito dai narniani che subito
attaccarono i soldati
di Telmar sopravvissuti al crollo e che disperatamente cercavano di
aggrapparsi
al terreno per ilzarsi su di esso.
Il nostro attacco fu ben
organizzato. L’esercito bloccò le vie di fuga
laterali dividendosi in due e
Peter ed Edmund si unirono alla carica celeri, seguiti dalla fanteria.
L’occhio mi cadde sui
soldati telmarini posizionati un paio di centinaia di metri
più distanti.
Avevano cominciato a marciare accompagnati da cinque catapulte, notai
preoccupata. Avevamo praticamente distrutto la loro cavalleria, ma la
fanteria
di Telmar era il triplo della nostra.
“Susan,
laggiù” indicai
allarmata.
La ragazza seguì la
direzione segnalatele e impallidì, rendendosi conto della
vicinanza del
pericolo.
“Soldati,
puntare” la regina
incoccò la sua freccia, imitata immediatamente dai suoi
arcieri. “Tirare!”
ordinò.
Una pioggia di freccie cadde
letale sopra ciò che restava della cavalleria, annientandola
del tutto.
Ora
tocca a me.
Pensai puntando con lo sguardo la catapulta più vicina.
Presi un respiro e
riscaldai le dita richiamando il flusso magico. Quando lo sentii
pulsare
potente nelle mie mani, lo lanciai in direzione della macchina da
guerra come
una fune, creando un collegamento tra l’arnese e me. Quando
lo raggiunsi, lo
avvolsi interamente con la mia magia, facendola adattare come un guanto
alla
forma della catapulta. A quel punto serrai forte i pugni, riducendo
bruscamente
di conseguenza l’estensione del campo di magia avvolgente la
macchina. Un forte
fragore accompagnò la visione della catapulta che collassava
su se stessa. Meno
una.
Ma non feci in tempo a
rallegrarmene perché la terra tremò di nuovo.
Impiegai qualche istante a
comprendere che la causa stava nelle pietre scagliate con violenza
dalle altre
quattro catapulte restanti. Avevano attaccato l’edificio e
stavano distruggendo
il balconcino sopra il quale ci trovavamo.
Susan gridò
“Mettetevi al
riparo” e mi apprestai ad ubbidirle, ma
all’improvviso sentii la terra mancarmi
sotto i piedi. Precipitai nel vuoto seguita dalla regina. Gridai dallo
spavento, ma proprio la paura mi fece avvertire la magia scorrere
veloce e
potente nelle vene. Senza rifletterci la liberai ed essa avvolse sia me
che
Susan. Ad un metro dal suolo riuscii miracolosamente a frenare la
nostra
caduta. Adagio, feci atterrare entrambe, sane e, incredibilmente, salve.
Cinque secondi dopo mi
sentii stritolare in un abbraccio.
“Diamine Cathrine, mi hai
fatto perdere dieci anni di vita! Stai bene? Tu Susan?”
“Se riuscissi a respirare
starei bene” risposi cercando di sorridere, nonostante il
cuore battesse ancora
all’impazzata per il rischio appena superato. E pensare che
non ero mai voluta
salire sulle montagne russe proprio per evitare emozioni
simili…
“Anche io tutto
bene”
rispose con voce flebile Susan. Un’occhiata al colorito
pallido delle sue
guancie mi suggerì che lei dovesse pensarla come me sulle
“emozioni forti”.
Caspian le si era
materializzato al fianco proprio come Peter era apparso al mio, mentre
Edmund,
meno impetuoso, si limitava a squadrare sia me che la sorella con
occhio
clinico per accertarsi della nostra salute.
“Possibile che Lucy non
sia
ancora arrivata da Aslan?” esclamò il biondo
frustrato.
“Non è una
missione facile.
Dobbiamo cercare di darle altro tempo” ragionò
Susan.
“è un suicidio
continuare a
combattere. Ci schiacceranno subito, hai visto quanti sono?”
osservo Edmund,
pragramatico quanto nefasto.
“Quindi cosa facciamo? Ci
ritiriamo?” domandò Caspian.
Peter lo fulminò con lo
sguardo. “E dove di grazia? L’apertura della
fortezza è crollata e se andassimo
nella foresta ci inseguirebbero come il gatto con il topo
finchè non ci
avessero ammazzati tutti” gli rispose. “Se devo
morire, personalmente
preferisco farlo affrontando e cercando di battere il nemico.
Finché possiamo
brandire una spada, abbiamo una possibilità di
vittoria.” Dichiarò, fiero e
regale come solo lui poteva essere. Nei suoi zaffiri vidi brillare
quella
sicurezza e quel desiderio di non arrendersi che lo caratterizzava e
che tanto
amavo.
Gli strinsi forte il braccio
e cercai di mostrarmi sicura e pronta almeno un decimo di qaunto lo era
lui.
“Ha ragione. Non
è ancora
finita, Telmar non ha ancora vinto. Combattiamo e prendiamo il tempo
che serve
a Lucy. Riuscirà a portare a termine il suo compito, ne sono
certa” lo
appoggiai senza esitare.
Dopo qualche attimo, vidi la
determinazione lampeggiare negli occhi dei tre ragazzi, scalzando via
le remore
che li avevano colpiti.
I ragazzi sguainarono le
spade e Susan si preparò ad usare l’arco. Poi
però Peter si volse nella mia
direzione ed ebbe un tentennamento.
“Edmund, tu resta con
Cathrine” decretò.
“Cosa?”
“No!”
Sia io che il giovane re ci
ribellammo.
“Peter, è
ridicolo, Edmund è
uno dei migliori combattenti di Narnia, è mille volte
più utile sul campo che
accanto a me!” obiettai con grinta.
“Mi spiace Peter ma
questa
volta non posso obbedire. Il mio popolo ha bisogno di me quanto di
te” proseguì
Edmund.
“Cosa dovrei fare,
lasciarti
qui priva di difesa?” Dal suo sguardo capii che aveva
compreso le nostre
opposizioni ma che non poteva condividerle. Era tormentato, diviso,
come spesso
capitava quando c’ero io di mezzo, tra il suo dovere e i suoi
desideri.
Accennai un sorriso
sconsolato. “Priva di difesa? Peter sono un strega! Credi che
Jadis avesse
bisogno di guardie del corpo? Sono perfettamente in grado di difendermi
se dovesse
giungere qualcuno, i miei poteri si sono triplicati
dall’assedio al forte”.
Peter mi fissò con una
muta
supplica negli occhi, ma alla fine dovette cedere dinanzi alla
decisione mia e
del fratello. Dopotutto sapeva anche lui quanto la sua richiesta fosse
controproducente e illogica.
“Anche io sono troppo
egoista per permettere a qualcuno di uccidermi” aggiunsi a
suo solo beneficio,
usando le stesse sue parole.
A malincuore, Peter
acconsentì con un cenno della testa.
Il sovrano sguainò la
spada,
che risplendette della luce della speranza, e si rivolse ai suoi
fratelli e a
Caspian.
“Per Narnia!”
urlò e tutti e
quattro corsero a combattere il nemico.
Il mio cuore volò con
loro.
Saperli esposti al pericolo mi angosciava. Avrei voluto seguirli,
esserli
vicino per aiutarli e proteggerli, ma non riuscivo. Per andare con loro
in
prima linea avrei dovuto combattere e uccidere altrimenti sarei stata
unicamente di intralcio, ma questo andava al di là delle mie
possibilità. Non
sarei mai stata capace di togliere la vita, neppure per salvare Narnia.
Ero
molto più utile nelle retrovie, a occuparmi delle catapulte.
Focalizzai la seconda,
richiamai i miei poteri e quando fui pronta lasciai correre la magia da
me ad
essa fino ad avvolgerla interamente. Chiusi le mani a pugno e la
catapulta fece
presto la stessa fine della precedente.
Ripetei l’operazione per
la
terza macchina, la penultima, ma finito l’incantesimo sentii
un sibillo vicino
al fianco sinistro. Mi scansai in tempo per evitare un colpo di spada,
con una
prontezza di riflessi della quale mi stupii io per prima. I miracoli
dell’istinto di sopravvivenza…
Mi voltai per guardare in
faccia il soldato che mi aveva attaccata. Alto poco più di
me ma piazzato, con
un viso aggressivo che non prometteva niente di buono, si
preparò per un
secondo affondo. All’ultimo riuscii a scansarlo, mossa che
fece dipingere un
ghigno sul volto del mio aggressore.
“Sei indefesa e sei una
donna, pensi sul serio di riuscirmi a sfuggire?” mi
provocò.
Assottigliai lo sguardo,
infiammandomi a quella frase. “Hai tralasciato una cosa.
Prima di tutto io sono
una strega”. Caricai il palmo di energia e con rabbia gli
lanciai contro una
sfera in pieno petto. L’impatto fu talmente forte da
mozzargli il respiro.
Bastò solo un’altra sfera per tramortirlo. Il
soldato, privato della sua
sbagliata sicurezza, si accasciò a terra.
Mi permisi di squadrarlo con
disprezzo, senza il minimo rimorso. Misogeno e violento, pessimo
binomio da
trovare in un uomo. Aveva avuto la lezione che si meritava.
Gli voltai le spalle e
iniziai ad occuparmi dell’ultima catapulta. La raggiunsi e
l’avvolsi come le
altre, e infine la annientai, eliminando il pericolo che costituiva.
Sorrisi sollevata di aver
eliminato uno dei maggiori pericoli. Mi ero difesa da sola ed ero stata
utile
all’esercito di Narnia, ero fiera di me stessa.
Facendo scorrere gli occhi
su tutta la raduna, cominciai a cercare i Pevensie e Caspian intenti a
combattere.
Impiegai del tempo, ma alla
fine riuscii a visualizzarli tra la folla di soldati che combattevano.
Susan
era sulla destra, intenta a scagliare freccie a raffica con precisione
o a
difendesi usando l’arco come un bastone se necessario.
Caspian poco distante dava
prova che la sua abilità con la spada era degna di un
principe, ma Edmund,
dall’altra parte del campo, non era da meno. Riusciva ad
affrontare i nemici
due alla volta senza il minimo sforzo, sferzando l’aria con
la lama della sua
spada in ampi giri donatori di morte per i telmarini.
Infine trovai Peter, poco
più avanti rispetto al fratello, che mulinava la spada in
una danza aggraziata
quanto letale. Per abbattere l’avversario di turno gli
bastava un colpo e
subito passava ad un altro, senza esitazione, senza riposarsi. Era
abile come
nessun altro e pareva imbattibile, proprio come un re deve sembrare
agli occhi
del suo popolo e dei nemici. Eppure non potevo impedirmi di provare
apprensione
per lui e per gli altri.
Lucy,
ti supplico, fai presto.
L’intervento di Susan non
era servito. Non del tutto almeno. Sua sorella aveva eliminato i cinque
soldati
che le stavano inseguendo ma purtroppo non erano gli unici telmarini a
stare di
guardia nel bosco. Lucy se ne era presto accorta dopo qualche metro,
quando un
rumore di zoccoli aveva rivelato la presenza di un sesto uomo dietro di
lei.
La piccola aveva dato un
colpo di redini per distanziarlo, ma il soldato era veloce e molto
più bravo di
lei a cavalcare evitando gli alberi.
Il cuore di Lucy batteva
come le ali di un colibrì dall’agitazione. Se
l’avesse presa sarebbe stata
perduta, dato che non aveva armi con sé, e con lei
l’intera Narnia. Non poteva
permettersi di essere catturata. Aveva una missione importante da
portare a
termine, una missione che i suoi fratelli le avevano affidato, non
poteva
tradire la loro fiducia e le loro aspettative non dimostrandosi
all’altezza dei
suoi doveri. Ma soprattutto non poteva deludere il suo popolo.
“Fermati!”
gridò il soldato.
Lucy aumentò il ritmo
della
corsa, ma dentro di lei si faceva inesorabilmente strada la
consapevolezza che
la sua fuga sarebbe durata ancora poco. Dannazione, cosa poteva fare?
Un movimento sospetto verso
destra. Volse lo sguardo, temendo l’arrivo di un secondo
soldato. Una figura
correva tra gli alberi. Faticava ad identificarla a causa della fitta
vegetazione, ma non sembrava un abitante di Telmar a cavallo. Sembrava
più…
La misteriosa figura si
avvicinò e un ruggito potente squarciò
l’aria. Destriero si alzò su due zampe
terrorizzato, facendo cadere Lucy dal suo dorso. Ma la piccola regina
non provò
alcun male, troppo impegnata a fissare incredula un grande e maestoso
felino
fare un balzo, superandola, addosso al soldato che la stava inseguendo,
sbranandolo.
Lucy si alzò e si
voltò
verso il leone. Un sorriso radioso le si dipinse in viso quando
riconobbe nel
felino, che regale si ergeva sopra un promontorio, colui che stava
cercando. Il
re Supremo di Narnia, Aslan.
L’agitazione scomparve,
come
ogni altra preoccupazione. Non si curò nemmeno di chiedersi
da dove e come
fosse apparso per salvarla. Era riusciva a trovarlo, Aslan era tornato.
Narnia
era salva.
Senza ulteriore indugio gli
corse incontro, le lacrime agli occhi per la felicità.
“Aslan!”
gridò. Lo abbracciò
di slancio, affondando il viso nella sua folta criniera, facendo cadere
entrambi per terra.
“Ho sempre saputo che non
ci
avevi abbandonati, che saresti tornato!” esclamò
gioiosa. “Ma perché non ti sei
rivelato? Perché questa volta non sei venuto ruggendo a
salvarci?” chiese poi,
fissandolo smarrita non comprendendo il suo comportamento, tanto
diverso da
quello che aveva addottato la prima volta che erano giunti a Narnia.
“Le cose non avvengono
mai
due volte allo stesso modo” si giustificò il Re,
guardando la bimba con
indulgenza e dolcezza.
Lucy abbozzò un sorriso
a
quella filosofica spiegazione. “Ma adesso ci aiuterai vero?
Telmar ci ha
attaccati ma il nostro esercito non è abbastanza numeroso
per fronteggiarlo.
Stiamo per perdere, abbiamo bisogno di te” lo
supplicò, portando subito alla
luce il motivo del suo arrivo lì.
“Ma certo”
confermò
immediatamente. “Sconfiggeremo Telmar e Narnia
riavrà la sua meritata pace”
promise solenne. “Sai Lucy, credo che i tuoi amici alberi
abbiano dormito a
sufficienza” e detto questo, emise un forte ruggito che
scosse l’intero bosco,
dalle radici più profonde degli alberi alle loro cime
più alte. Un ruggito che
si disperse presto per tutta Narnia con il chiaro messaggio che il suo
sovrano
aveva finalmente fatto ritorno.
Mi mordicchiai il labbro,
presa dall’irrequietezza. Dovevo fare qualcosa, non potevo
starmene con le mani
in mano o sarei stata divorata dall’angoscia. Ma come potevo
rendermi utile?
Poi, come un lampo, mi venne in mente. Non volevo uccidere e non lo
avrei mai
fatto, però avrei potuto tramortire i soldati avversari con
semplicità
lanciando sfere di energia come avevo fatto con il militare di prima.
Una mossa
simile avrebbe assottigliato le loro file.
Alzai al cielo i palmi delle
mani, coagulai la mia magia al loro interno e feci apparire una decina
di sfere
di energia.
Colpite
solo i telmarini. Ordinai, dopodiché
abbassai le mani con forza,
portandole all’altezza delle spalle. Le sfere sfrecciarono
nell’aria come proiettili.
Il tempo di raggiungere il campo di battaglia che dieci soldati caddero
a terra
tramortiti.
Uno di essi era vicino a
Peter, il quale lo vidi volgersi sbigottito nella mia direzione. Gli
sorrisi
vittoriosa. Il biondo incurvò le labbra
all’insù al metà tra il sorpreso e il
soddisfatto, prima di riprendere a combattere.
Rialzai le mani in cielo ed
evocai altre dieci sfere. Prima però che potessi lanciarle,
una voce
inaspettata mi colse di sorpresa, facendomi dissolvere le bolle di luce.
Giovane
Cathrine, ho bisogno del tuo aiuto.
Conoscevo bene quella voce e
sapevo da dove proveniva. L’avevo sentita diverse volte nella
mia testa. Era la
voce di Aslan.
La sorpresa scemò in
felicità. Se Aslan mi aveva contattata sapeva che Narnia era
in guerra, forse
era lì vicino, ed ero pronta a scommettere che il merito era
da attribuirsi
interamente a Lucy. Ci era riuscita.
Devo
chiederti di unire i tuoi poteri ai miei ancora
una volta.
“Come nel
boschetto?” lo
assecondai avendo fiducia che qualsiasi cosa mi avesse chiesto sarebbe
stata
utile al paese.
Si.
Solo che questa volta risveglieremo Narnia intera.
Il mio cuore fece un balzo.
Davvero avremmo risvegliato tutta Narnia? Era realmente possibile
un’azione
tanto meravigliosa quanto desiderata?
“Non credo di essere
sufficientemente forte” obiettai considerando quanta energia
aveva richiesto
ridar vita solo ad una piccola zona.
Fidati
di me Cathrine. Sei molto più potente di quanto
immagini.
Mi morsi il labbro,
indecisa. Impegnarmi in un incantesimo tanto potente era pericoloso.
Lanciai
uno sguardo a Peter immerso nella battaglia. Vedere la sua Narnia
risplendere
come un tempo era ciò che bramava di più.
Così come i suoi fratelli e il suo
popolo. Potevo io essere di ostacolo alla realizzazione di questo
desiderio per
scrupolo?
“D’accordo”
accettai,
cercando di mettere a tacere i miei timori.
Presi un respiro e chiusi
gli occhi. Feci scorrere la mia magia lungo le braccia fino alle mani.
Richiamai alla memoria le immagini che avevo del boschetto una volta
tornato in
vita. Mi focalizzai su di esse prima di liberare la magia con una
semplice
parola celante un importante significato,
“risvegliala”.
Ma non avvertii il flusso
magico raggiungere subito il terreno, meta alla quale lo avevo
destinato, bensì
lo sentii andare a confluire con un altro potere, uno molto
più potente del
mio. Quello di Aslan, un flusso di magia caldo e denso, a differenza
del mio,
più leggero, che scorreva lento ma inarrestabile.
Sentiii la magia scorrere
via dal mio corpo come un fiume in piena per diversi minuti, ma non
provai
nessun cenno di indebolimento, constatai sorpresa. Possibile che avesse
ragione
Aslan, che fossi davvero più potente di quanto pensavo?
Sapevo di aver fatto
notevoli progressi dopo la Cerimonia, ma non pensavo fino a questo
punto.
L’incantesimo che il felino mi aveva chiesto non era solo
complesso, ma
richiedeva una quantità spropositata di energie se ad Aslan
per primo occorreva
il mio aiuto.
Era passata un’altra
manciata di minuti quando avvertii la terra tremare per la terza volta
in
quella giornata. Questa volta però il terremoto mi
procurò gioia invece di
apprensione perché sapevo quale significato aveva.
L’incantesimo stava
funzionando, il terreno e le sue piante a poco a poco si stavano
risvegliando,
rinvigorite dall’energia che io e il loro re gli stavamo
mandando.
Ma dopo altri cinque minuti
la stanchezza cominciò a farsi sentire. Ero migliorata
certo, ma restavo pur
sempre una strega in erba, non ero inesauribile né
invincibile, e l’incantesimo
consumava diverse energie per molto tempo. Le braccia iniziarono a
tremare,
seguite presto dalle gambe. Strinsi i denti e cercai di farmi forza,
stendendo
i muscoli degli arti. Il mio respiro aumentò il ritmo e
delle goccie di sudore
colarono giù dalla fronte. Il tremore aumetò e in
breve caddi sulle ginocchia,
incapace di sostenermi in piedi. Ciò nonostante
però non interruppi il flusso
di energia. La vibrazione salì lungo le spalle fino a
raggiungere l’intera
schiena che prese ad oscillare. Sentivo l’energia scorrere
via da me con
rapidità, lasciandomi spossata come solo una volta mi era
successo, quando
avevo curato Peter per la prima volta.
Resisti
giovane Cathrine, manca poco.
La voce di Aslan mi infuse
la determinazione necessaria per tenere duro. Dovevo riuscirci e ci
sarei
riuscita, per Peter e per Narnia.
La terra venne scossa con
violenza e il rumore del terreno che si apriva accompagnò la
fine
dell’incantesimo.
È
fatta.
Sentii il leone affermare soddisfatto.
Il flusso di energia si
interruppe. Le mie braccia smisero di tremare e caddero lungo il busto
lasciandosi andare come il resto del mio corpo. Mi accasciai sulla
schiena,
sfinita ma con la consapevolezza di aver fatto tutto ciò che
potevo per quella
terra che mi aveva dato tanto. Un sorriso beato mi si dipinse in volto
mentre
cercavo di regolarizzare il respiro. Adesso potevo stare tranquilla.
Narnia si
era risvegliata e Aslan era tornato, la guerra era senza ombra di
dubbio ormai
vinta.
Un braccio mi sollevò la
nuca mentre una mano mi accarezzò la guancia.
“Cathrine! Cathy apri gli
occhi! Cosa è successo?”
Il mio unico desiderio in
quel momento era quello di poter dormire, anche lì sul prato
mentre la
battaglia si concludeva, ma l’apprensione che avvertivo in
quella voce mi
indusse a sforzarmi di aprire gli occhi e di non abbandonarmi al sonno
ristoratore. Sapevo che se non lo avessi fatto, probabilmente il povero
Peter
sarebbe morto d’ansia prima di constatare che il mio cuore
batteva ancora.
Con lentezza riuscii a
sbattere le palpebre, focalizzando due occhi azzurri splendidi anche se
agitati.
“Sto bene”
borbottai
abbozzando un sorriso.
I lineamenti contratti del
re si rilassarono. Mi sollevò il busto per abbracciarmi e mi
sussurrò
all’orecchio con tono di rimprovero: “Accidenti
Cathy, mi sono girato verso di
te e ti ho vista cadere a terra, per oggi puoi smettere di farmi
prendere dei
colpi?”.
Risi a quell’affermazione
esasperata.
“Invece di ridere
guardati
attorno” mi rimbrottò fintamente offeso.
Allungai uno sguardo oltre la
sua spalla ubbidendo e quello che vidi mi fermò il respiro.
Gli alberi si
stavano allontanando dalla foresta, stavano raggiungendo il campo di
battaglia
per allontanare gli invasori! Le loro possenti radici entravano dentro
il
terreno e uscivano diversi metri distanti sbaragliando decine di
soldati con un
solo colpo. Era strabiliante! Lanciai un’occhiata alla
postazione del nemico e
non potei evitare di accennare un ghigno quando li scorsi correre via
come topi
impauriti.
“Narnia si è
svegliata per
ricacciare i telmarini da dove sono venuti, non è
fantastico?” esclamò Peter.
Contemplai il suo viso. Se
gli alberi che lottavano erano strabilianti, lui era semplicemente
meraviglioso. I suoi zaffiri irradiavano gioia pura mentre il suo
sorriso, così
aperto e sincero, illuminava più del sole. Se quello era il
risultato, avrei
ripetuto l’incantesimo altre mille volte se fosse stato
necessario.
“Lo so, chi credi che sia
stato a riportarli invita?” insinuai tranquilla.
Peter mi scostò per
fissarmi
in viso stupito e ammirato. “Sei stata tu?”.
Annuii, divertita dalla sua
sorpresa. “Insieme ad Aslan. È riuscito a
contattarmi, probabilmente dopo che
Lucy lo ha trovato, e mi ha chiesto di unire la mia magia alla sua per
ridare
energia a Narnia” spiegai.
Il giovane mi abbracciò
di
nuovo, con più forza. “Oh Cathy, non ci sono
parole per descriverti quanto ti
sia grato e quanto questa terra ti debba.”.
Mi allontanai di poco e gli
poggiai due dita sulle labbra per zittirlo. “È
anche la mia terra, non
dimenticarlo. Una terra che mi ha dato delle origini, degli amici, un
luogo da
chiamare casa e te. Quello che ho fatto è il
minimo” ribattei, fissandolo
seria.
Peter mi baciò le mie
due
dita prima di prendere la mia mano nella sua.
“Allora andiamo a
completare
il lavoro. Facciamo capire a Telmar una volta per tutte a chi
appartiene
Narnia”.
Annuii sorridendo decisa. Mi
aiutò ad alzarmi e, poiché seppur debole riuscivo
a stare in piedi, constatai
felice quanto anche la mia capacità di ripresa fosse
notevolmente migliorata.
Veloci, corremmo contro i
telmarini che cercavano invano di scappare nella foresta, inseguiti da
Narnia
intera, alberi compresi.
La
ritirata si fermò quando giunsero al fiume. I
soldati rimasti avanzarono di qualche passo lungo il ponte, capitanati
dall’uomo che riconobbi come l’assassino di Miraz.
Anche noi ci bloccammo poco
distanti dalla riva, raggiungendo il resto dei soldati con Susan,
Edmund e
Caspian.
Guardai confusa Peter, non
comprendendo il perché della resa dei telmarini. Ma Peter
stava guardando oltre
il ponte alibito. Seguii la traiettoria dei suoi occhi e focalizzai la
fonte
del suo stupore. Un sorriso di sollievo e felicità
curvò le mie labbra. La
piccola Lucy era in piedi dall’altra parte
dell’impalcatura in legno, incolume
fortunatamente, e vicino a lei, dritto e regale, c’era Aslan.
Il mio cuore batté
forte.
Dopo averne tanto sentito parlare, dopo aver ascoltato la sua voce
guidarmi,
dopo aver sperato che riapparisse per salvarci, Aslan era
lì, dinanzi a noi.
Non era un miraggio, né una breve comparsa. Era veramente
lì per noi, per aiutarci.
Alla fine, il miracolo dentro il quale riponevamo tutte le nostre
speranze, si
era avverato. Narnia aveva ritrovato il suo Re Supremo.
Con la folta criniera preda
del vento, fissava con sguardo severo i soldati di Telmar, attoniti e
spaventati. A rompere la situazione di stallo fu il comandante dei
telmarini.
Puntò la sua spada in alto e gridò
“All’attacco!” spronando il suo cavallo,
non
sospettando minimamente contro chi stava avendo la presunzione di
scontrarsi.
Ma quando attraversarono
metà del fiume, Aslan spalancò le fauci,
mostrando i denti affilati come lame,
per emettere un assordante ruggito. I soldati si bloccarono,
terrorizzati dalla
potenza e dal senso di pericolo che il felino trasmetteva. Ma non
fecero in
tempo a battere in ritirata che l’acqua cominciò a
scorrere più velocemente,
finché un’enorme onda giunse da destra.
L’acqua si fermò davanti al ponte e
l’onda divenne più grande, cominciando a prendere
le sembianze di un gigante
busto umano. Con gli occhi pieni di stupore, osservai lo spirito
dell’acqua
risvegliarsi dal suo sonno secolare e sollevare il ponte con sopra i
soldati.
Gli bastò un solo movimento, una minima dimostrazione di
forza, per spazzare
via le travi di legno che avevano osato tentare di contrallare e domare
il suo
corso d’acqua e punire i suoi costruttori.
La maggior parte dei
telmarini fu sommersa dall’acqua. Quando riemersero avevano
perso sia le armi
che la forza per combattere. L’unica possibilità
che gli restava era la resa.
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Capitolo 22 *** 21_Il ballo della felicità illusoria ***
cappy21
Ma salveeee!!!!!
Tataratatà: sono finalmente arrivata a pubblicare questo
cappy
anche se ormai cominciavo a disperare. L'avrò riletto mille
volte, nn ero mai convinta che andasse bene, ma alla fine ho deciso che
era meglio rimettermi al vostro giudizio e sperare di aver fatto del
mio meglio :-) Dunque, ormai siamo quasi giunti alla fine, manca solo
un capitolo + il prologo e qst ficcy sarà finita. Mi viene
tanta
tristezza se ci penso, è un anno e mezzo che lavoro a questa
storia (lo so, me ne rendo conto, sono di una lentezza infinita a
scrivere, ma ormai ve ne sarete accorti da soli, sorry!), ma il congedo
per ora ve lo risparmio, ve lo conservo per l'utlimo capitolo (ma anche
no, direte voi, e avete tutte le ragioni, ma sono sentimentale quindi
qualche parola nel mio piccolo angolo dell'autrice purtroppo mi sa che
la dovrete subite!). Parlando di cosa più allegre e attuali,
abbiamo lasciato i nostri beniamini usciti vittoriosi dallo scontro con
Telmar grazie all'intervento di Aslan ed esattamente da lì
comincia questo nuovo capitolo. Lo scorso brillava molto poco per
originalità dato che riprendeva da vicino gli avvenimenti
del
film, con questo però sono felice di dire che, a parte la
primissima parte, tornano le novità e i colpi di scena. Le
ultime domande verranno a galla con le rispettive risposte e spero
sarete soddisfatti. è uno dei capitoli alla quale tengo di
più proprio per la sua parte delucidativa che ho lasciato
appositamente per il finale, spero solo che le sorprese saranno gradite
:-) e che mi farete sapere cosa ne pensate^^ Vi lascio alla lettura, un
grande bacio!
Ringraziamenti:
Freddy Barnes: Ciao bella! Don't worry, sono
felice che i
cappy 18 e 19 ti siano piaciuti e che tu abbia recensito il 20, grazie
:-)! Sono contenta che il cappy abbia avuto successo anche se era poco
orginale ;-), con qst però si cambia registro e la farina
torna
ad essere per la maggior parte del mio sacco (per quanto può
esserlo una ficcy ovviamente hhihihi^^). Concordo con te, Susan
è proprio fortunata, però personalmente continuo
a
preferire Peter,
il biondo paladino della giustizia
(immagino che nn si sia minimamente notato dal mondo in cui lo descrivo
nella storia, nu nu >.>!). La parte dove Aslan e Cate
risvegliano
insieme la foresta è nata da un'idea improvvisa, quindi sn
felice che sia piaciuta :-), come anche quella di Cathy che si difende
dal telmarino (lì era il mio femminismo a scrivere...!). Non
hai
idea di quanto mi faccia felice sapere che questa fan fiction ti piace
tanto, davvero, grazie :-) purtroppo però si avvicina la
fine,
anche se mi dispiace . Spero solo di riuscire a scrivere un
degno
finale per i protagonisti :-) Fammi sapere cosa pensi di questo
penultimo cappy cara :-) un bacione grande e ancora mille grazie
^^!!!!!
ranyare: Ciao cara! Sono felicissima di leggere
la tua recensione e
ancora di più nel sapere che gli ultimi due cappy ti sono
piaciuti^^! No, non ho letto i libri di Narnia, mi sn fermata
ai film, ma nei libri racc qualcosa sul passato della strega :-)?
Perchè purtroppo il film la lascia nel mistero! Cmq
incredibile ma vero anche il ghiacciolo un po' di calore lo ha provato,
ho pensato fosse più giusto che un personaggio dello
spessore psicologico di Jadis avesse anche un altro lato, nn solo la
facciata della Regina di Ghiaccio sadica, secondo me nn era realistico
che si limitasse a fare la parte della super cattiva! Non so come
ringraziarti per quello che mi hai scritto, sapere che la mia fan
fiction è riuscita a suscitarti quelle emozioni è
il più bel complimento che potessi farmi, davvero grazie**!
Spero che anche qst cappy riesca a renderti così partecipe!
Hai fatto bene a dirmi dell'errore, grazie :-) così posso
correggere la svista XD, (nn che io abbia confuso i nomi
perchè durante il film ero più concentrata su
Peter e Caspian, no no, sia mai hihihihihi!!) . Non vedo l'ora di
sapere la tua opinione su qst capitolo, specie sulla sua
penultima parte :-) grazie ancora e un bacio grade grande!
bex: Ciau!!! Tranquilla, ti capisco
benissimo x gli esami, io sn ancora in quarta liceo ma già
qui trovare un po' di tempo libero è un'impresa epica!
Però grazie per aver trovato il tempo pe commentare la mia
storia :-) e davvero grazie infinite per apprezzarla così
tanto!! Nn hai idea di come sia felice nel sapere che sono riuscita a
trasmettere delle emozioni, poiché questo secondo me
è lo scopo principale di una storia, quindi glasie glasie
glasie! Concordo con te sul fatto che Peter sia fantastico, bello,
eroico, onesto, intelligente e dolce, cosa può desiderare
una donna di più? *ricorda mentalmente a se stessa che il
buon re è una finzione letteraria* *si dice che ha ragione*
*alza le spalle e decide di continuare ad ammirarlo lo stesso* hihihi,
ok a parte il piccolo sclero, sono contenta che anche la battaglia e il
risveglio di Narnia siano piaciuti ^^ spero che anche qst cappy ti
piaccia, ci sn un bel po' di novità e colpi di scena, nn
vedo l'roa di sapere cosa ne pensi! Un bacione e grazie ancora!
Niji_Shoku no Yume: Ciao bella! Dunque: 1) nn
sapevo che i titoli dei capitoli piacessero così tanto, anzi
delle volte nn so cosa farmi venire in mente, quindi grazie!! 2) si le
frasi le ho inventate io, la prima in particolare è tratta
dal capitolo 8 "Quello che posso e non posso essere" :-). Sono felice
che la metafora di Susan sia piaciuta e ancora di più che
sia riuscita a far comprendere i suoi sentimenti, che
trovo più difficili da trattare rispetto agli altri
a causa del carattere del personaggio, e che sia trasparita l'ansia
generale per la battaglia. Quella di trasmettere le emozioni dei
personaggi è sempre la parte più complicata
e sapere che ci sn riuscita mi fa davvero felice, grazie!!!
Devo ammettere che per un attimo ho pensato di far partecipare Cathy
alla battaglia, ma ho scartato quasi subito l'idea. Cate è
dopotutto una ragazza dei nostri giorni, nn è un soldato, nn
avrebbe nemmeno avuto la capacità e la prontezza per
buttarsi nella mischia e poi avrebbe fatto l'effetto da supereroina
come dici giustamente tu e non era proprio il caso, però ho
pensato che sapendo i suoi amici in pericolo nn se ne sarebbe nemmeno
stata con le mani in mano, quindi farla agire a distanza mi
è sembrato un giusto compromesso! Grazie infinite
per apprezzare tanto la storia e per tutti i tuoi complimenti, grazie
davvero! Spero di leggere presto cosa ne pensi di qst cappy e che ti
piaccia! Un bacio grandeee!!!! P.S. Scusa la curiosità ma
posso chiederti cosa significa il tuo nuovo nick? Cmq suono davvero
bene :-)! E tranquilla nn sei pazza ad ascoltarti la soudtrack mentre
leggi, io ho registrato il pezzo della colonna sonora di Pirati dei
Caraibi 1 dove prima di partire con la musica c'è Jack che
fa "yo-oh beviamoci su!" con la sua voce meravigliosa! hihihi!!!!!
DreamWanderer: Ciao!!! Non ti
preoccupare per il tempo, la mia storia nn scappa :-) e poi le tue
recensioni sono sempre così belle e accurate che sarebbe un
piacere enorme leggerle anche tra un anno, quindi don't worry! Concordo
sia con il fatto che gli spoiler rendono più interessante
una storia, anche perchè spesso mettono l'accento su un
particolare magari passato in osservato e quindi ci porta a ragionare
sui prox capitoli aprendoci mille domande e aumentando la nostra voglia
di leggerla, sia sull'avere un contatto con gli autori o/e i lettori,
è interessante mettere le opinioni a confronto, avere
chiarimenti o avere la possibilità di spiegare il
perchè o come una cosa è stata scritta :-)! E con
questo e per questo ti ringrazio per la tua ultima recensione e passo a
risponderti cap per cap :-):
Recensione per "Apri gli occhi mia stella": La scena dove Cathy
finalmente inizia a comprendere che qualcosa nn va è una di
quelle che avevo in mente dall'inizio come anche la discesa nelle
prigioni :-) ho pensato che il desiderio della ragazza di avere una
madre fosse così grande da farle ignorare la
realtà finché nn se la fosse palesemente trovata
davanti, solo allora avrebbe potuto accettare che Jadis non fosse
quella che sperava, anche se è dispiaciuto anche a me per la
nostra stellina, alla fine tutto quello che aveva sempre voluto era una
famiglia che la amasse, ma purtroppo non era nel suo destino, anche se
come hai detto giustamente tu, l'amore di Peter è talmente
grande da poter compensare la mancanza :-) Grazie per aver notato il
parallelismo tra il cambio di luogo e il cambio di
personalità di Jadis, tra la nascosta aula del
castello e il celato carattere malvagio di Jadis, sei l'unica che lo ha
fatto :-)! Jadis ovviamente nn si smentisce nel trattamento che riserva
ai nostri beniamini, in particolare al suo avversario principale,
Peter, che però ho immaginato fiero e d'un pezzo anche in
una situazione critica. Dopotutto è Re Peter il Magnifico,
nn avrebbe mai dato a Jadis la soddisfazione di vederlo abbassare la
testa! L'idea che Cathy andasse a vedere personalmente il misfatto
è nata invece all'improvviso, e si è collegata
quasi da sola alla prima apparizione di Aslan, visto quasi come una
guida spirituale, che invece avevo messo in conto di far apparire in
maniera diversa, meno ad affetto, quindi sono contenta di sapere che la
scena sia piaciuta! :-)!
Recensione per "La madre e la strega": Sono felice di sapere che Cathy
in "missione salvataggio" sia piaciuta, mi è piaciuto molto
descriverla forte nel momento del bisogno, nonostante il dolore che
provava per colpa di Jadis, senza contare che ora che è una
strega riconosciuta può davvero fare la differenza con i
suoi poteri! (qui però c'era anche una sfumatura femminista
dato che per una volta è la donzella che salva il principe e
nn vicerversa. Caspita, sono quasi duemila anni che noi donne ci
facciamo salvare mi sembra giusto far vedere che possiamo anche noi
all'occorrenza essere capaci di badare a noi stesse e alle persone che
amiamo XD!). Anche secondo me sono tenerissimi Peter e Cathy, mi piace
l'idea che riescano a ritagliarsi degli spazi per loro anche in mezzo
alla bufera, come se traessero forza per affrontare i loro problemi
proprio dalla consapevolezza che sono insieme e che si amano :-) (ad
avercela una storia d'amore così! XD) Sono contenta che la
tensione e i sentimenti di Cathrine siano stati compresi, ho
rivisionato quella parte venti volte, nn ero mai convinta di essere
riuscit aad esprimere tutte le sfaccettature di quello che prova,
quindi grazie per avermi rassicurata! Per il castello che si trasforma
alla morte della proprietaria ho voluto attenermi al primo film, quando
alla fine si vede il ghiaccio che si scioglie dopo che Aslan ha ucciso
Jadis, mi sembrava giusto rispettare questa particolarità
(anche se fa molto fiaba disney stile La bella e la Bestia ^^).
Sconfitta Jadis-Strega Bianca, mi sembrava doveroso per Cathrine
mettere in evidenza anche l'altro aspetto della donna, la Jadis-madre,
libera di venire a galla nel cuore della nostra stella ora che nn
è più un imminente pericolo, che è poi
il fulcro del cappy successivo. Non ero però convinta che
venisse apprezzata come scelta, spesso il cattivo vuole essere visto
solo come cattivo e basta, non si accetta che possa avere anche un
altro lato, quindi sono felice di sapere che invece la decisione
è stata appoggiata! Thanks^^!
Recensione per "Gigli e segreti nascosti dal tempo": era
più che giusto che dopo lotte, intrighi, spade e catene
finalmente Caspian e Susan trovassero un po' di tempo per stare
assieme, liberi da ogni pensiero e felici di essere ancora vivi! Sono
felice che la scena sia piaciuta :-) la parte più difficile
però è stata farla diversa dalla scena dove Cathy
chiede a Peter di restare con lei, non volevo ripetere frasi e
atteggiamenti simili, non sarebbe stato corretto dato che i personaggi
sono molto diversi tra loro, spero di esserci riuscita! Si, con Susan
come regina dubito che anche solo una foglia osasse cadere nella
stagione sbagliata, hihi con lei pace e ordine erano assicurati! La
riunione è stata la parte più divertente da
descrivere, me li immaginavo tutti coordinati e affiatati con Peter
come supervisore, anche se purtroppo ciò significava il
ritorno delle difficoltà, della serie mai che si possa star
tranquilli! I diari rappresentano un'altra lampadina accesa mentre
scrivevo l'altro cappy. Volevo che Jadis facesse sentire la sua campana
e che Cathy avesse la possibilità di conoscerla
interalmente, ma mi sembrava irrealistico far si che fosse la strega a
parlare direttamente di se stessa alla figlia, così ho
sfruttato un intermediario cartaceo. Questa era la parte di cui temevo
di più il giudizio, non sapevo se far vedere Jadis anche
come donna capace di amare sarebbe stata apprezzata come idea, avevo
paura che molti vedessero irrealistico questo suo lato o poco coerente
con i precedenti capitoli, sono sollevata quindi nel sapere che sia
stata capita e che sia piaciuta come parte, grazie^^. Si, decisamente a
Peter possiamo perdonargli di non essere così propenso al
perdono, anche se personalmente a lui potrei perdonare qualsiasi colpa,
come si fa a tenere il muso al biondo e giusto re? XD!
Recensione per "La speranza in un miracolo": qst è stato il
cappy meno originale della storia, ma dato che la mia fan fiction si
inserisce nel film mi sembrava giusto restargli fedele nelle scene che
hanno in comune come questa, sono contenta però che sia
piaciuto ugualmente e non sia stato visto come una trascrizione pura e
semplice delle scene del film ma che le piccole personalizzazioni siano
state notate e apprezzate, grazie! L'idea di far aiutare Aslan da Cate
è nata principalmente proprio per farla riscattare
completamente dall'essersi fidata di Jadis. Cathy ovviamente non ha
colpa per aver creduto di avere una madre che la amasse, ma con il suo
buon cuore non può fare a meno di sentirsi in parte
responsabile per il disastro avvenuto. Si, anche io voglio un
Peter!!!!!! Tenero, dolce, cavalleresco, sempre tutto dedito alla sua
amata....ahhhhh, ma dove sono???? XD!
Altro che doverti perdonare, non so come ringraziarti per l'attenzione
che dedichi alle recensioni che mi lasci, ognuna è un grande
regalo che mi fai! Anche se grazie è una piccola parola
spero che tu capisca quanto mi facciano felice le tue recensioni!!!!!
In più come sempre hai appianato i miei timori su molti
punti :-)! Sono curiosa di sapere cosa ne pensi di questo capitolo che
torna a distaccarsi dal film e (spero) a sorprendere! In particolare la
penultima parte dove ci sono diverse rivelazioni sulle quali spero di
leggere presto la tua opinione! Grazie ancora, ti mando un bacio
grandissimo cara!!! XD
sweetophelia: ciau!! Sono contenta che il
cappy ti sia piaciuto anche se nn brillava per fantasia dato che
riprendeva da vicino le scene del film :-) Si effettivamente la
capacità dei protagonisti dei film di essere spiritosi in
ogni momento è presente in quasi ogni racconto,
però personalmente nn mi dispiace, anzi, riesce a rompere la
tensione di una scena. Il colmo in qst cose era Buffy che mentre
impalava vampiri e uccideva demoni riusciva anche a pensare a non
sporcare la maglietta o a rovinarsi il trucco, però sono
scene talmente ben inserite che nn mi sn mai dispiaciute XD! Davvero
Miraz fa quella fine nel libro? Ahahahah, poveretto, alla faccia della
fine gloriosa che dovrebbe fare un sovrano! Però hai
ragione, con tutto quello che ha fatto gli sta solo bene! Spero di
spaere presto cosa pensi di qst ultimo cappy e che ti piaccia! Grazie
mille per la recension, un bacio grande!
SamanthaShadow24: Ciao! Grazie per la
recensione, sono contenta che la storia ti piaccia e spero che qst
cappy nn ti deluda! Un bacio!
Grazie infinite anche a coloro che hanno aggiunto la fan fiction tra le
seguite e/o le preferite e a tutti coloro che solo leggono! Ovviamente
chi volesse farmi sapere il suo parere è sempre il ben
accetto :-)!
Vi auguro buona lettura
Kisskisses
68Keira68
21_Il ballo della
felicità illusoria
Sentii Peter stringermi la
mano. Mi volsi verso di lui ma i suoi zaffiri erano ancora puntati sul
felino.
“Andiamo” disse
con tono
vibrante di impazienza.
Non riuscivo ad immaginare
cosa significasse per lui rivedere Aslan, colui che lo aveva
trasformato da
semplice ragazzo a Re Peter il Magnifico. Se provavo io il desiderio di
vederlo, senza che avessi spartito con lui particolari avvenimenti, il
ragazzo doveva
agognare di incontrarlo.
Lo seguii senza esitazioni
mentre si immergeva nel fiume, imitato da Susan, Edmund e Caspian. Per
fortuna
l’acqua era bassa, tanto che in centro, dove era
più profonda, mi arrivava di
poco sopra la vita.
Sentivo il battito del mio
cuore rimbombarmi nel petto mentre vedevo la maestosa figura del
fantomatico re
avvicinarsi. Quando giungemmo alla riva opposta, Peter estrasse la
spada con un
lieve stridore metallico e la piantò davanti a lui nel
terreno,
inginocchiandosi, come i suoi fratelli e il principe. Timorosa e con le
gambe
tremanti, mi inchinai anche io, conscia che davanti a me si trovava il
felino
che con la sua magia regnava su Narnia da tempo immemore, il cui sapere
era
pari a quello di una divinità come la venerazione con la
quale i suoi sudditi
parlavano di lui.
“Alzatevi, sovrani di
Narnia” ci salutò il Grande Felino, con voce
profonda e possente quanto la sua
persona.
Peter, Susan e Edmund si
alzarono. Caspian ed io invece rimanemmo nella nostra posizione, certi
di non
essere compresi nel richiamo.
“Tutti i
sovrani” sottolineò
Aslan.
Non comprendendo corrucciai
la fronte. Chi altri intendeva? Poi però mi ricordai di un
particolare
importante. Miraz era morto, di conseguenza la corona tornava ad essere
di
Caspian, come sarebbe sempre dovuto essere. Caspian ora era dunque re.
“Non credo di essere
pronto”
mormorò intimidito il ragazzo.
Lo guardai di sottecchi,
sorridendo intenerita. Si addiceva all’indole di Caspian non
sentirsi degno di
un trono che aveva dimostrato in innumerevoli occasioni di meritare
molto più
dei precedenti sovrani, non ultima quella di risparmiare Miraz per
amore della
giustizia.
“Proprio
perché dici così so
che sei pronto” gli disse Aslan, con benevolenza.
Scorsi Caspian tentennante
guardarsi attorno prima di alzarsi, accettando definitivamente quel
titolo
nuovo che a prima vista gli faceva timore.
“Anche tu, giovane
Cathrine”
aggiunse poi rivolgendosi a me.
Sobbalzai, colta di
sorpresa. Scossi la testa, confusa. “Io non sono una sovrana,
sono solo una
strega” asserii con voce, purtroppo per me, molto
più flebile di quello che
avrei voluto. Mi sarebbe piaciuto apparire forte e sicura di me, ma la
sua
presenza mi intimoriva. Avevo già avuto un incontro con
Aslan, oltre a sentire
la sua voce guidarmi, ma nel turbine di neve nella cristallizzata
Telmar era
parso come una figura evanescente, quasi un miraggio. Una visione ben
diversa
da quella più concreta che mi si presentava dinanzi. Ora
potevo avvertire tutta
l’aura di magnificenza che emanava. Era quasi schiacciante,
ci si sentiva
inevitabilmente soppesati, sotto esame. Non avevo idea di come Lucy,
come gli
altri Pevensie, riuscisse ad essere così a suo agio. Forse
era una semplice
questione di abitudine.
“Sei la figlia di Jadis.
Per
diritto hai ereditato il suo regno” mi ricordò.
“No. Ho rinunciato a quel
diritto cedendo il regno ai Pevensie” lo informai, trovando
finalmente il
coraggio di guardarlo negli occhi. Grandi, dorati e verticali,
corrispondevano
alla descrizione degli occhi dei felini, eppure la
profondità che possedevano,
la saggezza che nascondevano, la capacità di penetrare il
prossimo che
emanavano, li faceva essere unici e peculiari.
“Temo tu sia in errore.
Da
ciò che ho capito i Pevensie si limiteranno ad amministrare
il regno, ma ciò
non ti toglie il titolo e i tuoi doveri nei suoi confronti. E questo fa
di te
una regina, appena vorrai essere incoronata.”
Rimasi senza repliche.
Lanciai uno sguardo supplichevole a Peter, ma lui si limitò
a sorridermi compiaciuto
e concordante. Ovvio, fosse stato per lui sarei salita al trono appena
tornata
dal pallazzo di ghiaccio…
Priva di altre
possibilità, trovai
il coraggio di alzarmi, accettando silenziosamente un titolo che, a
differenza
di Caspian, non avrei mai meritato né sentito.
“Bene miei cari amici.
Avete
vinto una lunga e faticosa battaglia, ora, dopo tante fatiche, potrete
finalmente rilassarvi” affermò rivolgendosi a noi
tutti. “Prima però resta
ancora una cosa da fare.” Il suo sguardo millenario si
posò su Caspian, il
quale si immobilizzò per il timore reverenziale che nutriva.
“Il tuo titolo di
re ha bisogno di una cerimonia ufficiale di legittimazione e vorrei
svolgerla
subito, in modo che quando rientrerai a Telmar potrai farlo da suo
sovrano.”
Il moro rimase senza fiato.
Chinò il capo balbettando grato: “Sarebbe un onore
essere incoronato con la sua
benedizione”.
Aslan inclinò a sua
volta il
muso, annuendo. “Peter, Edmund, sareste così
gentili da radunare l’esercito per
assistere?” chiese.
“Ma certo”
Immediatamente vidi i due
ragazzi adoperarsi per eseguire gli ordini del felino. I soldati di
Telmar
stavano ancora uscendo dal fiume, mentre i narniani a riva
costringevano chi
tra loro possedesse ancora armi ad abbandonarle, osteggiando la loro
vittoria.
Peter, utilizzando la sua
attitudine al comando, impiegò poco tempo ad ottenere
l’attenzione dei presenti
e ad informarli su cosa stava per succedere. Felice, constatai come sia
gli
abitanti di Narnia che quelli di Telmar accogliessero con gioia la
notizia. Per
i narniani significava la possibilità concreta che le
promesse fatte da Caspian
di restituirgli la loro terra divenissero realtà, mentre per
i telmarini voleva
dire essere nuovamente governati da un sovrano più propenso
ad occuparsi del
benessere del suo popolo che non della gloria personale.
In poco tempo si formò
un
cerchio attorno al Grande Leone. Caspian con passo infermo e sotto
sollecitazione di Susan, si pose davanti ad Aslan e si inginocchio con
il capo
chinato.
Riuscii a scorgere
l’emozione sul suo viso, sentimento che veniva condiviso da
tutti i presenti,
me compresa. Il nuovo re di Telmar stava per essere incoronato e un
nuovo regno
era alle porte, con speranze di felicità e
prosperità.
Peter mi si avvicinò e
mi
strinse la mano. Volsi lo sguardo verso di lui ed ebbi la gioia di
vedere il
suo volto sereno.
“La prossima potresti
essere
tu” mi sussurrò allusivo all’orecchio.
Gli sorrisi scettica.
“Non
ci contare”.
“Vedremo”
sogghignò.
“Popolo di Telmar e di
Narnia.” La voce di Aslan riecheggiò possente
nello spazio circostante.
“Abbiamo combattuto aspramente tra di noi per motivi
sbagliati quali vecchi
pregiudizi, diffidenza, sete di potere, motivi portati avanti da
persone non
degne di guidare il prossimo. Ora però il destino ci da la
possibilità di
renderci conto dei nostri errori e di porvi rimedio. Possiamo deporre
le armi e
cominciare una nuova era. Farsi ché dei motivi giusti ci
uniscano per coabitare
insieme e in pace in una grande terra, motivi come l’amore,
la tolleranza, il
rispetto reciproco e l’amicizia che può esistere
anche tra razze così diverse
esteriormente ma accumunate da interessi e sentimenti
identici.”
Le parole del sovrano
rimbombarono nel petto e dagli sguardi attenti e coivolti dei presenti
seppi
che non ero la sola ad essere rimasta colpita dal quel discorso e dalla
sua
schiacciante verità. Era vero, la diffidenza verso
ciò che non si conosce era
stata facilmente utilizzata come stimolo per condurre una guerra la cui
sola
vera giustificazione era il desiderio di governare di pochi individui,
ma
adesso si poteva cambiare. Narnia e Telmar potevano imparare a
conoscersi e a
convivere, ad apprezzarsi a vicenda.
“Una nuova era che
comincerà
dall’incoronazione di questo ragazzo, giovane ma con il cuore
e l’animo pronti
per farsi carico di un impegno così grande, guidare questa
città verso la
pace.” Proseguì focalizzandosi sullo scopo
principale di quella riunione.
Aslan si fermò e
soppesò con
uno sguardo serio Caspian ad un metro di distanza prima di emettere un
fragoroso ruggito che colse di sorpresa ogni uomo o creatura. In
quell’istante
una corona scintillante apparve a mezz’aria, circondata da un
leggero bagliore
dorato. Circolare come si conviene, sul bordo superiore si alternavano
delle
croci stilizzate con rubini incastonati nel loro centro. La corona
volteggiò
sopra il capo di Caspian tra il silenzio rapito degli astanti, fino a
poggiarsi
sul suo capo scuro. Solo a quel punto il ragazzo, ora ufficialmente re
di
Telmar, alzò lo sguardo, uno sguardo dalla quale era
scomparsa l’agitazione di
poco prima per far spazio ad una nuova consapevolezza, ad una nuova
forza.
“Alzati, Re Caspian X,
sovrano di Telmar” lo nominò Aslan.
Caspian si alzò, il
mento
alto, le spalle dritte, emanante un’autorevolezza che non gli
avevo mai visto
prima addosso, una fermezza che ero solita associare a Peter, del tutto
nuova
sul solitamente timido e riservato Caspian. Un sicurezza che sembrava
discendere direttamente dal peso e dal significato della corona
postagli sul
capo.
Un applauso fragoroso,
sentito, spontaneo, non tardò a nascere insieme ad ovazioni
e auguri di un
regno felice. Sentii le lacrime agli occhi per la commozione mentre mi
rendevo
conto che il principe che non riusciva nemmeno a confessare il proprio
amore a
Susan non c’era più, sostituito da un re che era
stato accolto con giubilio dal
suo popolo. Caspian era maturato e si apprestava ad iniziare il suo
destino da
re forte e magnanimo.
Susan gli corse vicino e lo
abbracciò di slancio, il viso illuminato dalla
felicità. Non riuscivo a sentire
ciò che si stavano dicendo a causa della distanza e del
frastuono dei
festeggiamenti, ma potevo ben immaginare le lodi e i complimenti che la
regina
stava rivolgendo al giovane.
“È
finita” la voce di Peter
condusse la mia attenzione su di lui.
Mi accarezzò la guancia,
contemplando il mio volto. “È finita”
ripeté. Il tono non era gioioso, ebbro di
felicità, affaticato o incredulo, ma d’immenso
sollievo. Sollievo per essere
riuscito ad assolvere il suo compito, a salvare Narnia e i suoi cari.
Ce
l’aveva fatta.
È
finita.
Ribadii a me stessa.
Era vero, era davvero
finita. La guerra, la paura, l’ansia, l’incertezza,
le perdite. Era tutto
cessato, appartenente al passato. Mi resi conto in quel momento che non
avevo
ancora assimilato il concetto. Era accaduto tutto così in
fretta che non ne
avevo avuto tempo. Ma ora la consapevolezza di ciò si fece
strada lentamente in
me, procurandomi un grande e vivo calore al petto.
È
finita.
Non avrei più dovuto temere per le sorti di Narnia, temere
di vederla ridotta
in cenere da Telmar. Non avrei più dovuto vedere Susan,
Edmund, Lucy e Caspian
partire per qualche pericolosa missione. Non avrei più
dovuto salutare Peter
all’inizio di un combattimento con la schiacciante paura di
non rivederlo in
vita.
Un sorriso si allargò
sul
mio volto, mentre gli occhi si illuminarono di quella presa di
coscienza.
“è
finita” dissi ad alta
voce.
Ci guardammo. Nei suoi
zaffiri vidi riflessi i miei stessi sentimenti, il mio stesso desiderio
di
lasciarsi ogni cosa alle spalle e di guardare solo avanti.
Piano piano iniziammo
entrambi a ridere, prima sommessamente poi sempre più
fragorosamente. Era
finita e noi avevamo vinto. Era la realizzazione di ogni nostra
speranza.
Peter mi afferrò per la
vita
e mi fece volteggiare in aria continuando a ridere finché le
nostre labbra non
si incontrarono per condividere in modo intimo e unicamente nostro quel
momento
che avrebbe dato una svolta alle nostre esistenze.
Quando ci separammo, mi
sentii abbracciare da più persone. Edmund e Lucy ci avevano
raggiunti, nelle
loro espressioni la nostra stessa felicità. Presto si
unirono anche Caspian e
Susan e tutti insieme ci stringemmo in un abbraccio, senza riuscire a
frenare
quel riso che costituiva lo sfogo di giorni di ansia e di paura.
Abbandonarsi
alla gaiezza era l’unico modo per liberarsi dai vari timori
di cui eravamo
stati preda, cedere al momento di catarsi l’unica porta da
attraversare per
avviarci verso la via del futuro.
*
“Ahi!” mi
lamentai
inclinando il capo.
“Vuoi stare
ferma?”
Lucy mi sgridò,
procurandosi
un’occhiataccia da parte mia attraverso lo specchio davanti
al quale ero
seduta.
“Se tu evitassi di
ridurmi
la testa a un colabrodo io starei ferma.” mi difesi.
La piccola sbuffò.
“Chi
bella vuole apparire un po’ deve soffrire” mi
rispose saccente, continuando ad
infilare forcine tra i miei capelli con sadica nonchalance.
Feci una smorfia di
disappunto. Una smorfia probabilmente molto divertente
perché la regina scoppiò
a ridere.
“Ecco brava, io sono qui
che
soffro e tu ridi alle mie spese” l’accusai,
simulando un tono lagnoso.
“Ma sai che per essere
una
potente strega ti lamenti più di un bambino?” mi
prese in giro. “Comunque la tortura
è terminata.” Aggiunse mettendo
quella che speravo essere l’ultima infida forcina.
“Sei pronta”.
Analizzai il risultato alla
grande superficie riflettente. Dovetti ammettere che Lucy, nonostante
mi avesse
procurato un tremendo male alla testa, aveva fatto un capolavoro. Mi
sentii in
colpa per aver avuto remore nell’accettare il suo aiuto
quando si era proposta
di acconciarmi i capelli per la festa di quella sera. Nel campo
dell’estetica
la ragazzina sapeva il fatto suo. Aveva raccolto i miei ricci in
un’elegante
crocchia, lasciando però libero qualche boccolo di ricadere
sulle spalle
lasciate scoperte dal vestito. Il mio ciuffo era poi stato tirato fino
a
diventare liscio e assicurato al lato sinistro da una pinzetta. Come
tocco
finale Lucy aveva poi inserito delle forcine con perline verdi ad
un’estremità,
una decorazione fine e unica, anche se un poco dolorosa.
“Ti piace?”
Mi volsi verso di lei
regalandole un sorriso raggiante. “Non sai quanto, grazie
infinite” e le diedi
un bacio sulla guancia.
Tornai a contemplarmi nello
specchio. Stavo dando prova di un’immensa vanità,
me ne rendevo conto, ma
quella pettinatura era talmente bella che non potevo esimermi
dall’ammirarla.
Così agghindata mi ricordavo le damigelle dei film in
costume, immagine alla
quale contribuiva il vestito. Da un corpetto a cuore verde speranza,
sopra il
quale erano ricamate delle rose stilizzate, partivano due fini spalline
d’argento che cadevano morbide sotto le spalle, lasciando
quest’ultime
scoperte. Ad esse erano cucite due maniche lasciate aperte in velo
verzino chiaro
lunghe oltre la vita, evidenziata da una cintura anch’essa
argentata sotto la
quale si apriva una gonna morbida in seta leggera non molto ampia.
“Questo intendi
metterlo?”
Lucy richiamò la mia
attenzione porgendomi un medaglione dorato con incisa una
“J”. Presi tra le
mani l’oggetto e lo fissai indecisa, poi con un sospiro lo
appoggiai sul
tavolino.
“Questa sera
no”. Non
sarebbe stato corretto indossare il simbolo della Strega Bianca alla
festa per
la vittoria di Narnia e il ritorno di Aslan. Lucy si limitò
ad annuire ma non
aggiunse altro e gliene fui grata.
Anche la piccola regina
sembrava uscita da un libro di fiabe per quella serata. Si era
arricciata i
capelli e aveva posto un nastrino dorato sul capo per fissarli. Colore
che
veniva ripreso in molti particolari del vestito come le maniche a
sbuffo e la
cintura e che si sposava alla perfezione con il rosso predominante
della stoffa
in velluto dalla quale era composta la gonna ampia e il bustino morbido
con
scollo a barca.
“Credo siamo pronte per
degnare il mondo della nostra presenza” proposi con falsa
vanità.
“Concordo” mi
assecondò la
ragazza adottando il mio stesso tono.
Lasciammo la camera che
Caspian aveva gentilmente messo a disposizione mia e di Peter, una
delle tante che
il castello di Telmar contava. Il nuove re si era assicurato di persona
che
fossimo tutti sistemati nelle stanze della zona patronale, e
benché fossero lontane
dall’idea di sfarzo che i film sul Medio Evo avevano creato
nella mia mente,
erano confortevoli e arredate con elegante sobrietà. Quella
assegnata al biondo
e a me comprendeva un letto matrimoniale sormontato da un baldacchino
dalla
quale pendeva un drappo blu scuro lungo fino al tappeto di una
tonalità più
chiara. Attaccati alla parete, alla sinistra del letto,
c’erano due armadi di
media grandezza, mentre in quella di destra, oltre a contenere la porta
posta
in corrispondenza della testata del baldacchino, si trovava un tavolino
da
toiletta. Il tutto illuminato da un ampia porta-finestra ad arco che
dava su un
piccolo balconcino rettangolare.
La regina minore ed io
scendemmo al piano di sotto e percorremmo il corridoio illuminato da
torcie e
candelabbri fino ad arrivare alle porte del salone, sorvegliato da due
guardie
che si affrettarono a consentirci l’accesso.
Quando le porte si aprirono,
restai senza parole. A discapito dello spoglio corridoio e
dell’austerità della
sala del trono, quella sera il salone brillava di luce propria. Una
scalinata
coperta da un tappeto rosso immetteva in una sala ampia e rettangolare,
che a
sua vola permetteva l’accesso ad un terrazzo dalla parte
destra. Lungo il
perimetro erano stati disposti tavoli allestiti con ricche portate in
abbondante quantità, tanto che ero sicura che avremmo potuto
sfamare l’intera
città per una settimana intera. Il centro della sala invece
era adibito alle
danze accompagnate da un’orchestra posta alla sinistra della
fine della
scalinata. Ma ciò che più mi riempì il
cuore di gioia e meraviglia, fu vedere
che gli invitati erano sia creature di Narnia che telmarini e che
stavano
festeggiando assieme in allegria. Brindavano alla pace, si passavano le
portate
con spensieratezza e ballavano tra le risa, in un turbinio di vestiti
di seta
colorata e zoccoli.
In quel momento ebbi la
prova tangibile che la prosperità tanto propugnata fosse
davvero alle porte. Se
la tolleranza e l’amicizia si fossero instaurate nei cuori
dei sudditi di
Telmar e Narnia, allora la pace era davvero realizzabile in quella
grande
terra.
Sorridendo raggiante scesi
gli scalini con Lucy individuando tra la folla Edmund e Caspian che ci
vennero
incontro. I due sovrani erano impeccabili nei loro vestiti da festa. Il
re di
Telmar aveva una casacca verde acqua con un motivo di una
tonalità più chiara,
in contrasto con gli occhi e i capelli scuri. Il giovane Pevensie
indossava
invece una casacca grigia smanicata con sotto una camicia nera. E
finalmente,
per una volta alla loro cintura non scorgevo alcuna spada.
Caspian, facendo sfoggio
della cavalleria medioevale, mi porse la mano per aiutarmi a scendere
gli
ultimi tre scalini.
“Siete splendide
ragazze” si
complimentò Edmund.
“Grazie, ma anche voi vi
difendete bene. Già qualche cuore infranto tra le
invitate?” gli rispose Lucy
ridendo maliziosa.
Mi unii a lei distrattamente
facendo scorrere lo sguardo tra la folla. C’erano giovani
ragazze, centauri,
eleganti lord e fieri minotauri, ma mancavano…
“Peter e
Susan?” domandai
delusa dalla loro assenza.
“Sono con Aslan. Voleva
parlargli prima della festa” mi informò Caspian.
“Ma credo che tra poco si
uniranno a noi” rassicurò Edmund. Corrucciai la
fronte impensierita. Cosa
doveva dirgli il felino di così importante?
“Nel frattempo”
aggiunse il neo-re
ricatturando la mia attenzione. “Potete concedermi
l’onore di questo ballo?”.
Le nuvole appena
condensatesi sul mio umore si sciolsero dall’eccitazione per
la proposta. Era
la prima volta che ballavo ad un ricevimento simile e da brava ragazza
del
duemila cresciuta con la fiaba di Cenerentola, sognavo da tutta una
vita di
volteggiare con un abito lungo fino ai piedi in una sala illuminata da
candele.
Avevo persino supplicato Lucy di tenermi un corso accelerato nel
pomeriggio
sulle danze tradizionali per prepararmi all’augurata
evenienza.
“Più che
volentieri” risposi
con un lieve inchino.
Caspian mi condusse al
centro della sala mentre cominciava una nuova ballata. Dalla
disposizione dei
ballerini riconobbi di quale danza si trattasse, la Danza dei Fiori, e
mi
affrettai a dispormi nella fila delle ragazze, opposta a quella dei
ragazzi.
Alla prima nota di mandolino, le dame si inchinarono. Toccò
poi ai signori, ma
subito il ritmo della ballata si fece più allegro e appena
allo strumento si
aggiunsero altri due mandolini, un piano e una fisarmonica, le file si
spezzarono per formare gruppi da tre ragazze con i rispettivi
cavalieri. Ci
prendemmo per mano e cominciammo a girare in tondo formando un cerchio,
finché
il ritmo non raggiunse il culmine, invitandoci a fare tre salti verso
destra,
poi tre verso sinistra e ancora tre verso destra. Quando il suono
rallentò un
poco, i gruppi si divisero e i presenti si sistemarono a coppie di due,
ogni
ragazzo con la sua dama. Caspian mi prese una mano e
appoggiò l’altra sulla mia
vita, iniziando a condurmi tra i ballerini, saltando di lato e
cambiando
direzione ogni tre salti. Era un’eccellente cavaliere,
portava onore
all’educazione da principe che aveva certamente ricevuto. Io
invece cercavo di
stare al passo, quella danza fortunatamente era semplice da eseguire,
bastava
lasciarsi trasportare dal ritmo. Un ritmo incalzante, così
allegro che era
impossibile non restarne contaggiati, tanto che la mia espressione,
come anche
quella del giovane sovrano, era raggiante. Gli occhi mi brillavano, e
nonostante iniziassi ad avere il fiatone non avrei mai smesso di
danzare. Ogni
riflessione si confondeva con le note che leggere e liete si libravano
nell’aria a smuovere risa che saturavano la sala di buon
umore. Ogni preoccupazione
si perdeva nel frusciare di vesti scintillanti e non c’era
posto per i pensieri
se non per quello sul passo successivo.
Quando la musico
rallentò
fino a fermarsi dovetti aggrapparmi al braccio di Caspian per
riprendere fiato.
Caspita, altro che pesi e flessioni, ero più che convinta
che due ore a
settimana di danze medioevali avrebbero fatto più miracoli
delle palestre
londinesi!
“Vi dispiace se vi rubo
il
cavaliere, madame?”
Una voce allegra precedette
la radiosa figura di Susan alle spalle del re di Telmar.
“Affatto. È
tutto vostro”
risposi. Non potei evitare di ammirarla. Fasciata in un vestito di seta
azzurra
con ricami dorati, metteva in mostra il suo fisico snello e sinuoso in
modo
elegante e ammaliante al contempo. Le maniche lunghe erano arricciate
in tre
punti, particolare che impreziosiva il vestito, mentre sulle spalle,
scoperte in
parte dalla scollatura a barca, ricadevano soffici i boccoli castani
sciolti. Ma
il dettaglio più bello era il dolce sorriso che rivolse a
Caspian, sorriso che
creava tenere fossette ai lati della bocca…ma che non si
spandeva agli occhi,
constatai confusa. Sembravano adombrati per qualche motivo, anche se
nessuna
spiegazione logica mi si affacciava nella mente per giustificare
ciò.
Lanciai un’occhiata al
giovane moro. Le mie labbra si curvarono all’insù
osservando l’espressione
rapita di Caspian. Fissava Susan a bocca aperta, come se fosse
un’apparizione,
una dea giunta per miracolo da lui. Ne era letteralmente stregato. O
meglio, ne
era innamorato.
Senza aggiungere altro, mi
allontanai silenziosamente, lasciandoli la loro giusta
intimità, pensando che
se davvero Susan aveva qualche problema era compito di Caspian
occuparsene. E
sperando che si accorgessero che erano al centro della pista da ballo
prima che
iniziasse un’altra danza…
Ma riuscii a percorrere solo
pochi mentri prima che un braccio mi circondasse una vita e delle
parole mi
venissero sussurrate nell’orecchio.
“Il mio cuore aveva mai
amato?” il soffio del suo respiro mi procurò un
brivido lungo il collo mentre
riconoscevo la voce tanto attesa. “Occhi rinnegatelo,
perché non ha mai
conosciuto la vera bellezza fino ad ora”.
Mi girai nel suo abbraccio
per ritrovarmi vicino alle sue labbra.
“È il vostro
modo per dirmi
che sono carina, messer Romeo?”
Sul suo volto apparve un
sorriso accattivante che mi fece perdere un battito.
“Carina?” ripeté
fingendosi alibito. “Credo che molto più che
splendida sia ciò che Shakespeare
intendesse, mia Lady” mi contraddisse.
Appesa finalmente la spada
al chiodo, con addosso una casacca blu notte aperta sul davanti a
lasciar
vedere la camicia bianca decisamente troppo aderente al petto per la
mia
precaria lucidità, Peter mi apparve come il più
bel Romeo che mai film e libri
avrebbero potuto mostrare.
Gli scostai con una carezza
il ciuffo biondo che gli nascondeva parzialmente le iridi zaffiro e
solo allora
mi accorsi che a discapito del suo sorriso, qualcosa non andava.
Un’ombra
offuscava i suoi occhi, specchio di pensieri che evidentemente lo
preoccupavano.
“C’è
qualche problema?” indagai
corrucciando la fronte.
La domanda lo colse di
sorpresa ma parve riprendersi subito simulando un’aria
sbarazzina. “E me lo
chiedi? La musica suona da un’ora e noi non abbiamo ancora
danzato assieme.” Si
lamentò fingendosi offeso.
Scrutai il suo viso in cerca
di qualche segnale che mi svelasse se i miei sospetti fossero fondati o
meno,
ma a parte quell’ombra che mi pareva di vedere nel suo
sguardo non c’era
nient’altro. Che stessi diventando paranoica?
“Vogliamo
rimediare?” proposi
accantonando i miei timori.
“Ovviamente”
Mi prese per mano e mi
condusse sulla pista da ballo che una nuova canzone stava per cominciare.
Il primo pezzo era suonato al piano, inizio che
preannunciava
quella che Lucy mi aveva informata essere la Ballata della Primavera.
Era più
lenta e complicata di quella che avevo eseguito con Caspian
poiché comprendeva
un maggior numero di passi. Sperai di riuscire a ricordarmeli tutti ed
evitare
figuracce pubbliche.
Come la danza precedente, si
crearono due file parallele di ragazzi e ragazze. Quando un violino si
aggiunse
al piano, tutti facemmo un passo verso il nostro accompagnatore o
accompagnatrice. Un passo lento, quasi strascicato, con le braccia
lungo il
fianco e lo sguardo fermo sul viso dell’altro. Alla seconda
nota di violino,
avanzammo di un altro passo, trovandoci uno dinanzi
all’altro, per poi superare
il nostro compagno senza interrompere però il contatto
visivo. Alla fine della
quarta nota ci ritrovammo nuovamente separati in file, occupando
però posti
opposti rispetto i precedenti. La musica proseguì e noi
ripetemmo i passi di
prima, ma quando giungemmo di nuovo l’uno accanto
all’altro, invece di
superarci, prendemmo a girare intorno sfiorandoci le mani alzate al
livello del
petto. Scorsi gli occhi di Peter ardere di bramosia ad
un’intensità tale da
procurarmi un brivido lungo la schiena. Ma non era semplice desiderio.
L’ombra
scorta prima pareva cresciuta a dismisura rendendo il suo sguardo
tormentato,
come quello di un bambino che vuole ardentemente una cosa ma sa di non
poterla
avere. Ma cosa poteva turbare così tanto Peter? Se era me
che desiderava come
mi gridavano i suoi zaffiri, perché provava quel tormento?
Dopo tutte le volte
che glielo avevo detto sapeva perfettamente che ero sua, che lo amavo.
Che non
mi avrebbe mai persa.
Il movimento cambiò. I
cavalieri presero una mano della loro dama, la portarono brevemente
alle labbra
per baciarla e poi la sollevarono sopra le loro teste, consentendo alla
ragazza
di girargli attorno insieme alle loro gonne esageratamente larghe. Dopo
due
giri completi, il re pose le sue mani sui miei fianchi facendo aderire
la mia
schiena al suo petto per un breve istante prima di sollevarmi in aria e
appoggiarmi alla sua destra. Mi fece voltare, mi passò un
braccio attorno alla
vita e diede il via alla parte della danza a me più
familiare, quella simile ad
un classico ma intramontabile lento.
Come Caspian, era un ottimo
ballerino, probabilmente reso esperto dai numerosi rivecimenti e balli
dati
sotto il suo regno milletrecento anni prima. Mi conduceva con
scioltezza lungo
la pista da ballo, facendomi sentire così leggera che mi
sembrava di
volteggiare su di una nuvola mentre il mio cuore si sarebbe librato
ancora più
in alto se …non ci fosse stato quell’infausta
scurità nei suoi occhi ad
impensierirmi. Una giravolta mi fece scorgere Susan accanto al suo re
poco
distante e d’un tratto ricordai un dettaglio importante.
Avevo visto negli
occhi castani della regina lo stesso tormento che albergava in quelli
di Peter.
Il ragazzo mi strinse
più
forte a sé e mi ritrovai a fissarlo nuovamente in viso, un
viso sempre più
buio. Ma cosa poteva preoccuparlo tanto? Cosa poteva essere successo
durante
quel pomeriggio ad entrambi?
La
discussione con Aslan.
La risposta mi giunse
limpida. Sia il re che la regina avevano avuto una discussione con il
Felino
prima del ballo e nessuno sapeva cosa li aveva detto. Ma a giudicare
dalle loro
espressioni non erano buone notizie. Decisi di prendere il toro per le
corna.
“Peter, ciò
che Aslan ti ha
detto ti ha per caso turbato?” domandai a bruciapelo.
Il volto del giovane si fece
di pietra. “Aslan…ha voluto solo farci presente
che non tutto è stato risolto.
C’è ancora una decisione da prendere.”
Rispose vago.
Mi lasciai sfuggire un
sospiro di sollievo. Mi ero aspettata nuovi nemici
all’orizzonte o altre
catastrofi imminenti, invece la situazione sembrava più rosa
del previsto. “Ed
è questa decisione che ti angustia?” lo incalzai,
meno impensierita.
Peter annuì grave.
“Sai che
se vuoi con me puoi parlare di tutto. Magari posso aiutarti a far
chiarezza” mi
proposi immediatamente.
Il re mi regalò
un’espressione intenerita e fece scivolare la mano dalla mia
vita alla mia
guancia per accarezzarla.
“Oh Cathy, non hai idea
di
quello che Aslan…” purtroppo però non
riuscì a concludere la frase. La musica
era appena terminata quando un piccolo turbine pimpante
piombò in mezzo a noi.
“Fratellone, mi devi un
ballo da tredici secoli, ricordi?”
Lucy reclamò con voce
trillante l’attenzione di Peter. Scoppiai a ridere nel vedere
l’espressione
confusa del re biondo, confusione che la bimba non tardò a
dissipare.
“Era previsto un
ricevimento
la sera in cui ce ne siamo andati, e tu prima di partire per la caccia
mi avevi
promesso che avresti danzato con me!” gli ricordò.
Un lampo di comprensione
passò sul viso del bel giovane.
“Ma certo, e io mantengo
sempre le mie promesse” ribadì Peter tendendo la
mano alla sorella minore. “Ti
spiace Cathy?” chiese poi a me con uno sguardo di scuse.
“Sono certa che
sopravviverà
dieci minuti senza il suo cavaliere” lo rassicurò
ironica Lucy al posto mio,
suscitando altre risa da parte mia.
“Divertitevi”
gli augurai
allietata dalla scena che mi si presentava davanti: la piccola regina che
letteralmente trascinava il fratello grande il doppio di lei in mezzo
alla
pista da ballo. Avremmo ripreso la discussione in un altro momento.
Uscendo dalla pista, lanciai
un’occhiata tra gli invitati alla ricerca di Caspian, Susan
ed Edmund. I primi
due si accingevano a danzare mentre il terzo stava parlando con due
ragazzi
dall’altra parte della sala. In altre parole, erano
impegnati.
Pazienza,
mi
dissi. Mi sarei intrattenuta da sola. Lo sguardo mi cadde sulla
terrazza
deserta, in particolare su di una panchina vuota particolarmente
invitante. Mi
diressi verso quella promessa di comodità, facendo lo slagon
tra gli invitati
che si frapponevano tra me e la mia meta. Presto mi lasciai alle spalle
il
suono di un’allegra ballata e del chiacchiericcio vivace,
sostituendoli con la
quiete notturna che faceva da sottofondo allo splendido panorama della
luna circondata
dalle sue stelle simili a fedeli ancelle, come direbbe Shakespeare.
Mi strinsi nelle spalle per
ripararmi dalla brezza serale e mi misi ad ammirare il manto stellato.
Come
avevo già avuto modo di osservare, le costellazioni erano
diverse da quelle a
cui ero abituata. Gli unici due elementi celesti a me familiari erano
il sole e
la luna, presenti per qualche inspiegabile motivo anche in quella
dimensione
parallela, ma la disposizione delle stelle era totalmente differente.
Sarebbe
stato bello però imparare come loro dividevano il
firmamento, se avevano uno
zodiaco e quale mitologia si celasse dietro ogni costellazione.
Chissà quali
leggende su coraggiosi centauri e testardi minotauri, innamorate sirene
e dolci
ninfe, raccontava il loro cielo.
“Un spettacolo,
vero?”
Sobbalzai presa alla
sprovvista nell’udire una voce calda e profonda al mio
fianco. Aslan si era
avvicinato alla mia destra senza che me ne accorgessi. Mi sentii
improvvisamente tesa, come sempre quando ero al suo cospetto, ma
fortunatamente
ero molto meno agitata rispetto alla prima volta che lo avevo visto. Il
mio
cuore non aveva accelerato il battito e mi sentivo perfettamente
padrona di me
stessa.
“Si, è
meraviglioso”
concordai, tornando a scrutare il cielo. “Mi dispiace solo
non poter riconoscere
alcuna costellazione”.
“Forse posso esserti
utile”
si propose il maestoso felino. “Vedi quel gruppo di sei
stelle, poste due in
alto vicine, due sotto in verticale e altre due in
orizzontale?”
Seguii la traiettoria del
suo sguardo. “Si, le vedo”.
“Quella è la
costellazione
di Daren, un minotauro che con il suo sacrificio riuscì a
salvare il suo
villaggio dall’assalto di briganti, affrontandoli da solo per
dare il tempo ai
suoi compaesani di prepararsi a respingerli.” La sua voce era
possente,
vigorosa, eppure antica, tanto che sambrava provenisse da
un’epoca lontana, e
non accanto a me. La voce di chi aveva visto tante, forse troppe cose,
ma che
grazie alla sua forza d’animo non si sarebbe mai stancata di
vederne altre.
“Mentre quelle quattro stelle particolarmente luminose che
formano un quadrato,
formano la costellazione degli Amatores” proseguì
indicandomi con il muso
dorato un punto alla mia sinistra “narra la triste storia
della ninfa Dalia e
di suo fratello Loren, colpevoli di essersi innamorati di due fratelli
mortali,
rispettivamente il giovane Matthew e la bella Clarissa. I quattro
ragazzi erano
consapevoli che il loro amore era proibito dalle leggi che
all’epoca vigevano
tra le ninfe sui rapporti con altre razze, e del problema dovuto al
fatto che
le ninfe sono immortali, ma tuttavia il loro sentimento era
così grande che non
solo trasgredirono alla ninfa, allora regina, Drusilla e alle sue
disposizioni,
ma compirono una magia antica quanto potente, quella dello scambio di
essenze.”
Era un abile narratore, conciso ma poetico, e la sua storia era
ammaliante. Ero
incantata dalle sue parole come una bimba che pende dalle labbra della
mamma
per sentire come finisce una fiaba nuova ed emozionante. “Le
due giovani innamorate
avevano deciso infatti di scambiarsi la loro essenza, ovvero la loro
natura,
così che Dalia sarebbe divenuta una ragazza mortale mentre
Clarissa un’eterna
ninfa e avrebbero potuto condividere la loro vita con i rispettivi
amati. Drusilla
lo venne a sapere e colta dall’ira compì una
terribile vendetta.” La mia mano
scattò istintivamente al petto, presagendo la triste piega
che la storia stava
per prendere. “Compì lo scambio di essenza anche
su Matthew e Loren, riportando
il problema dell’immortalità tra le due coppie di
amanti, ma non contenta
scagliò una malattia incurabile a Loren e Dalia per la loro
trasgressione alle
sue leggi. I due fratelli si ammalarono e resi mortali
dall’incantesimo usato,
morirono tra le braccia di Clarissa e Matthew in pochi giorni. Il
dolore per
quella perdita fu talmente grande che i due ragazzi rimasti soli si
tolsero la
vita subito dopo, raggiungendo i loro amati.”
“Ma è
terribile. Perché
Drusilla ha voluto a tutti i costi punirli a quel modo? Non avevano
fatto
niente di male” protestai, con le lacrime agli occhi.
“Non tutti i regnanti
sanno
essere giusti” mi rammentò probabilmente
riferendosi a Miraz, macchiatosi di
crimini ben peggiori. “Tuttavia c’è una
nota lieta alla fine della storia. Si
dice che l’Antica Magia, impressionata dalla
profondità dei sentimenti dei
giovani, tali da condurli al suicidio per amore, decise di trasformare
le anime
dei quattro ragazzi in stelle tra loro vicine, in modo che
nell’eternità del
firmamento potessero stare insieme, liberi di amarsi”.
I miei occhi si allargarono
dallo stupore e corsero ad osservare la costellazione degli Amatores.
Le
quattro stelle brillavano nel cielo scuro come le altre. Possibile che
in
realtà fossero le anime di quattro giovani? Impiegai poco a
convincermene. Se
questa storia me l’avesse raccontata la mia insegnante di
astronomia l’avrei
immediatamente catalogata come un aneddoto mitologico, ma a Narnia non
c’erano
racconti fantasiosi perché la realtà superava di
gran lunga l’immaginazione
anche della mente più fervida.
“Sono certo
però che oltre
alle stelle ci sia qualcos’altro che vorresti chiedermi, o
sbaglio?”
La domanda giunse sibillina
e inaspettata alle mie orecchie. Il mio sguardo guizzò di
nuovo verso il
felino e mi chiesi come potesse sapere dei dubbi che mi angustiavano.
Domanda
sciocca. Dopotutto è Aslan, il deus ex machina
di ogni situazione.
In fin dei conti tuttavia la
possibilità che mi regalava, per quanto inaspettata, era
d’oro. Aslan sapeva
ogni cosa, di certo avrebbe potuto illuminarmi su questioni che a me
restavano
oscure ed evitare di farmi accontentare delle spiegazioni sommarie che
mi ero
data per cercare di mettermi il cuore in pace. “Non sbagli.
Ci sarebbe qualcosa
che mi piacerebbe poterti chiedere” ammisi, incrociando le
mani sul grembo.
I suoi occhi ambrati
dall’espressione secolare mi invitarono mutamente a
proseguire.
Presi un respiro per
raccogliere le idee. Da dove cominciare?
Dal
dubbio che più mi assilla. Decisi.
“I miei interrogativi
sono
tanti, ma mentre alcuni sono semplici curiosità su mia madre
o il mio passato,
ce n’è uno che mi tormenta.” Iniziai
giocherellando con un lembo del vestito.
“Io sono una Strega Bianca da quando mia mamma mi ha fatta
riconoscere
dall’Antica Magia, ma a parte un notevole incremento dei miei
poteri non ho
notato nessun mutamento nella mia personalità, nel mio modo
di considerare la
vita, la natura e gli affetti fortunatamente”. Mi sembrava
che esprimere quel
mio timore ad alta voce rendesse la sua possibilità di
essere fondato più viva
e ciò aumentava l’agitazione nella mia voce,
facendomi parlare più
concitatamente di quanto avessi voluto. Mi fermai, cercando di
riottenere il
controllo sulla mia voce perdendomi nell’osservazione del
manto celeste. Quando
fui certa di non avere il tono simile ad una campanella, proseguii.
“Tuttavia
Jadis sembrava convinta che presto o tardi avrei cominciato ad essere
come lei
e a provare i suoi stessi sentimenti verso il mondo perché
era nel naturale
comportamento di una Strega Bianca.” Riportai lo sguardo su
Aslan, fissandolo
con occhi supplici mentre formulavo la mia domanda. “Io non
voglio divenire
come lei. Non voglio essere fredda, incapace di dimostrare il mio
affetto,
essere crudele. Non voglio. Ma ho il terrore di non poterlo evitare,
che Jadis avesse
ragione e che io sia condannata dalla mia stessa natura. Dunque per
favore
dimmi, ogni Strega Bianca deve avere il cuore di ghiaccio, è
inevitabile?”.
Il Grande Sovrano mi
soppesò
per un momento. Un lungo interminabile momento dove trattenni il
respiro,
immobile, in attesa del verdetto che mi avrebbe annunciato il futuro
nel bene e
nel male.
“Ancora una
volta” si
espresse infine “la superificiale conoscenza che Jadis aveva
dell’Antica Magia
ha decretato la sua disfatta. Tu non sei una Strega Bianca”
mi rivelò.
Arretrai col busto, come
colpita da un pugno. “Come non sono una Strega Bianca? Sono
sua figlia”
protestai flebilmente, fissandolo smarrita mentre mi sentivo come se
stessi
precipitando in un baratro sgretolato il pavimento delle mie poche
certezze.
“Ciò implica
che tu sia una
strega, ma non devi necessariamente essere membro della Magia Bianca
come lo
erano i tuoi genitori perché, contrariamente a quanto
credeva tua madre, essere
o meno una Strega Bianca non è un fattore
ereditario.” Specificò.
Ero convinta che ancora una
parola e i miei occhi sarebbero usciti dalle orbite tanto erano
divenuti
grandi. “Ma allora cosa sono?” mi costruinsi a
chiedere, anche se non ero certa
che la risposta potesse essere piacevole. Andava a finire che ero
strana e uno
scherzo della natura anche in un mondo come Narnia…
Lo sguardo del felino si
colorò di tenerezza. “C’era da
aspettarsi che Jadis non si degnasse nemmeno di
informarti su ciò che concerne il tuo popolo.” Si
lamentò.
“So che esistono altri
maghi, o per lo meno che esistevano, in una città di nome
Suavitas” protestai
irritata dalla sua affermazione sulla mia totale ignoranza. Mi sentivo
già come
una bimba alla quale bisogna insegnare ogni cosa senza che lo si
sottolineasse.
“Però non hai
idea di dove
sia, come sia organizzata e chi vi abita.” Osservò
paziente.
Colpita e affondata,
abbassai lo sguardo.
Aslan sospirò.
“Credo sia
bene comincire dall’inizio” propose guardando il
cielo, come se in esso
cercasse l’ispirazione per il suo discorso.
“Migliaia di anni fa, in
un
tempo tanto lontano che Narnia ne ha ormai perso memoria, i maghi e le
streghe
vivevano qui a Narnia, in armonia con le altre creature
magiche”. Lentamente mi
sentii trascinare dalla sua voce profonda dentro quel nuovo racconto.
Un
racconto molto diverso dal primo, poiché sapevo che narrava
la mia storia, ma
anche quella del felino, il cui sguardo non focalizzava più
le stelle
splendenti. Possibile che fosse perso nei suoi ricordi? Che avesse
visto
l’epoca di cui parlava di persona? Un’occhiata alla
sua espressione me ne diede
la conferma, poiché sembrava lontana quanto quegli anni.
“Era un tempo davvero
felice
e prospero. Narnia non aveva ancora conosciuto cosa significasse la
guerra,
ognuno viveva lavorando per il benessere proprio e comune facendo
ciò che gli
riusciva meglio e i possessori della magia cercavano di allietare la
vita dei
meno fortunati con incantesimi contro il freddo o le malattie.
Purtroppo però il
periodo di
pace era destinato a concludersi. Le creature di Narnia cominciarono a
provare
invidia verso i maghi e le loro capacità. Constatarono che
per coloro che
usavano la magia la vita era più facile. Non dovevano farsi
carico di fatiche
fisiche, per ogni incombenza quotidiana bastava un semplice gesto della
mano.
Questo comportava più tempo libero a disposizione, tempo che
poteva essere
impegnato allietandosi in svariati modi, prendendosi cura della loro
persona o
accrescendo la loro cultura. Il divario cresceva di anno in anno e i
narniani
cominciarono a guardarli con diffidenza. Non accettarono più
il loro aiuto e li
emarginarono. Quando infine i maghi cercarono di promuovere alcune
modifiche al
sistema di vita collettivo innovazioni a cui erano arrivati grazie ad
una
cultura maggiore, sperando di migliorare il loro livello di vita e di
riconquistarsi
la loro fiducia, le creature di Narnia si dimostrarono fortemente
ostili e li
imposero di andarsene dal regno in quanto non erano più ben
accetti. I maghi
restarono profondamente delusi e sconvolti da questa richiesta, non
comprendendo come potessero rinunciare a dei benefici che avrebbero
giovato a
loro. Ma mentre alcuni decisero di dimettersi alla volontà
del popolo e si
apprestarono ad andarsene non volendo entrare in conflitto, altri si
opposero e
affermarono che erano i narniani che se non li sopportavano dovevano
andarsene,
in quanto Narnia era casa dei maghi quanto delle creature magiche.
Questa fu la prima
divergenza che nacque nella cominità dei maghi, la prima e
l’ultima ma che
portò a conseguenze determinanti. I propensi ad andarsene
dimostrarono di avere
un cuore buono e puro, animato dal desiderio di fare del bene
disinteressatamente. Gli spiriti combattivi invece furono avvelenati
dal
risentimento che cominciarono a nutrire nei confronti delle creature di
Narnia.
Scoppiò una guerra. La
Prima
Guerra di Narnia. Alcuni maghi e alcune streghe decisero di prendere le
armi
contro i narniani per costringerli alla resa o all’esilio.
Furono crudeli,
spietati, scoprendo un lato oscuro che in tempo di pace non aveva avuto
modo di
emergere ma che aveva sempre albergato in loro.” Il ricordo
degli occhi freddi
di Jadis mentre sollevava lo scettro letale contro Peter mi
passò dinanzi come
un lampo doloroso. Potevo ben immaginare la crudeltà di cui
parlava Aslan. “I
maghi che invece avrebbero lasciato Narnia subito, decisero di
schierarsi a
difesa delle creature magiche, in netto svantaggio contro la potente
magia
devastatrice degli stregoni, anche se avevano chiesto il loro
allontanamento.
Fu una guerra fratricida. Il
sangue sembrava sgorgare direttamente dalla madre terra e la
diversità di
sentimenti che animava i due schieramenti di maghi fu tale che la
stessa magia
da loro usata, finora neutra, si divise in due parti.”
“La magia buona e la
maggia
cattiva” sussurrai seguendo il discorso del felino. Se prima
ero ammaliata
dalla narrazione della storia delle costellazioni, ora ero
completamente
assorbita dal discorso.
La musica lontana, gli
invitati, il castello, Peter…tutto dimenticato dinanzi alla
realtà che Aslan mi
stava descrivendo in maniera talmente coinvolgente che mi pareva di
aver
vissuto tutto ciò che lui diceva. Sentivo dentro al cuore la
tristezza e il
dolore suscitato da quella guerra, l’orrore per i sopprusi
inferti dai miei
simili a terzi e l’apprensione per quei maghi coraggiosi che
cercavano di
opporsi a tanta crudeltà.
Aslan annuì confermando
le
mie parole. “Nacque la Magia Bianca, che si piegava ai
possessori di un cuore
duro e freddo come il materiale dalla quale attingeva la sua forza, il
ghiaccio. E la Magia Rossa, usata dai cuori che ardevano accesse
dall’amore per
la giustizia e la salvaguardia della natura come fuoco,
l’elemento dalla quale
prendeva energia.”
Restai impietrita alle sue
parole. Solo la mia bocca si spalancò, segno evidente della
mia incapacità di
poter credere che in quella rivelazione risiedesse la mia salvezza.
“Tu Cathrine, hai un
cuore
portato all’amore e alla giustizia come hai più
volte dimostrato. Un cuore che
l’Antica Magia ha riconosciuto immediatamente durante la
cerimonia e che le ha
permesso di dichiararti una Strega Rossa, fatto che Jadis non aveva
previsto e
della quale non era a conoscenza, convinta che la tipologia di magia
fosse
ereditaria e non decretata dalle naturali inclinazioni di ogni
individuo”.
In un flash mi ricordai
quando, durante la cerimonia, l’Antica Magia mi aveva avvolta
in un turbine a
tratti freddo e a tratti caldo e di come, dopo numerosi passaggi, fosse
entrato
dentro di me nel momento in cui sapeva dei fiori della primavera. Un
segnale
che l’ignoranza e le troppe bugie non mi avevano fatto
cogliere.
Strega
Rossa. Sono una Strega Rossa.
Quelle due parole mi
rimbombarono in testa, insieme all’enorme significato che si
portarono dietro.
Sentii il mio cuore farsi più leggero, mentre incredule le
mie labbra si
distendevano in un sorriso sollevato.
“Ne sei certo? Quindi non
diventerò una strega crudele?”
Non sarei diventata come mia
madre. Non avrei mai smesso di amare Peter, o di nutrire amicizia e
affetto.
Non mi sarei mai comportata come Jadis. Sarei rimasta me stessa, con le
mie
idee e i miei principi. Potevo guardare al futuro senza aver paura
della mia
persona.
Anche Aslan mi sorrise,
contagiato dal mio sollievo. “Ne sono certo. Giovane
Cathrine, una persona non
può diventare crudele se non ha un cuore improntato per
divenirlo. Jadis questo
lo ignorava, convinta che poiché eri figlia di due adepti
della Magia Bianca,
saresti divenuta come lei.” mi confermò.
Avrei voluto ridere per la
felicità. Il calore che avvertivo nel petto, suscitato da
quella certezza, era
talmente grande che avrei voluto espanderlo al mondo intero gridando di
gioia.
Tuttavia un interrogativo riuscì a farsi strada nella coltre
di allegria che mi
stava offuscando.
“Ma come è
possibile che
Jadis ignorasse come agisca l’Antica Magia?”
Possibile
che la strega non avesse nemmeno sospettato
che potessi essere diversa da lei?
“È molto
più comprensibile
di quanto tu possa pensare. La scissione tra Magia Bianca e Magia Rossa
è
accaduta talmente tanto tempo fa che le sue cause sono andate perdute.
È
credenza comune che sia un fattore ereditario l’appartenere
all’uno o all’altro
tipo di magia. In più il novantanove per cento delle volte
un bimbo che ha
entrambi i genitori appartenenti o alla Magia Bianca o alla Magia Rossa
è anche
lui uno stregone Bianco o Rosso semplicemente perché da
quando nasce gli viene
impartita una determinata educazione che lo porta a nutrire gli stessi
sentimenti dei genitori e ad avere le loro stesse
convinzioni.” Mi spiegò
esauriente.
“Quindi se fossi
cresciuta
con Jadis e Ian sarei divenuta una Strega Bianca.”
La considerazione mi
fuoriuscì dalla bocca senza che riflettessi. Sapevo che
crescere con i miei
veri genitori avrebbe cambiato radicalmente la mia vita, ma ora sapevo
anche
che avrebbe cambiato me stessa. Non sarei stata semplicemente Nives,
strega
cresciuta a Suavitas conscia da sempre della sua identità.
Sarei stata Nives,
strega cresciuta a Suavitas con dubbia moralità, un cuore
poco propenso alla
generosità disinteressata e principi totalmente diversi dai
miei. Una persona
con nessun punto in comune con Cathrine Icepower.
Dovevo quindi rallegrarmi di
essere stata mandata dagli Icepower poiché il prezzo per
crescere con la mia
vera famiglia sarebbe stato rinunciare alla mia attuale
identità? La risposta
probabilmente non l’avrei mai conosciuta, perché
solo io potevo darla ma non
sarei mai stata in grado di operare una simile scelta. Ma
fortunatamente non
era necessario che lo facessi, dato che non avrebbe cambiato lo stato
attuale
delle cose.
Il Grande Felino mi
guardò
dritto negli occhi, facendomi scorrere un brivido lungo la schiena.
Sembrava mi
stesse leggendo l’anima attraverso le mie iridi azzurre,
tanto era profonda l’intensità
del suo sguardo, mentre mi parlava. “Probabilmente
si” si espresse neutro “ma
quello che importa non è ciò che sarebbe stato,
ma ciò che è stato. Il destino
ha voluto che non ti venisse concesso di crescere con i tuoi genitori,
e per
quanto questo mi dispiaccia sinceramente, specie per ciò che
hai dovuto
affrontare a Londra durante la tua infanzia, non posso fare a meno di
constatare come la loro assenza abbia avuto un effetto più
positivo di quanto
avrebbe mai potuto fare la loro presenza e spero che condividerai con
me questa
opinione.” Affermò secco, chiudendo la questione.
Tanta determinazione mi sorprese
ma annuii celere. Che si fosse irritato dalla mia semplice
constatazione? O
forse aveva intuito la mia incertezza sullo scegliere se era stato
meglio
crescere da sola ma con buoni principi o con i miei veri genitori?
Qualsiasi fosse il motivo
tuttavia non aveva più importanza. Attualmente solo su una
questione la mia
mente riusciva a fissarsi. Ero una Strega Rossa. La spada di Damocle
che
pendeva minacciosa sulla mia testa con il suo destino ingiusto quanto
infausto
era stata distrutta.
“Quindi Cate
resterà per
sempre Cate”. Rischiavo di diventare pedante ma non mi
interessava. Sentirselo
riconfermare era balsamo per le mie orecchie.
“Puoi stare
tranquilla” mi
rispose accondiscendente il leone.
Il mio sorriso si
allargò,
godendosi il suono di quella frase.
Alzai gli occhi verso gli
astri, consapevole che avrei potuto apprezzare la loro bellezza per
tutta la
mia vita con gli stessi sentimenti che provavo ora.
Se adesso però il mio
cuore
poteva stare in pace, lo stesso non poteva farlo la mia
curiosità. Il mio
presente e il mio futuro mi erano noti, ma il mio passato rimaneva da
scoprire.
“Come si è
conclusa la Prima
Guerra di Narnia?” domandai riprendendo il discorso
precedente.
“La guerra si protrasse a
lungo, finché i maghi non divennero consapevoli del danno
che con i loro poteri
stavano causando alla terra stessa. Decisero di comune accordo di
sotterrare le
ostilità, ricordando che l’inizio del conflitto
era nato a causa di terzi e non
da offese mosse tra loro. Riuscirono a riappacificarsi, anche se
ciò non bastò
a riunificare la magia da loro divisa. Lasciarono Narnia, gli Stregoni
Rossi
per rispettare la volontà delle creature magiche, gli
Stregoni Bianchi perché
convinti che i maghi dovessero avere una loro patria indipendente e
lontana da
coloro che non erano adepti della magia.” Mi adombrai
all’idea che i maghi,
alla fine dei conti, fossero stati indotti ad abbandonare Narnia per
l’invidia
e la diffidenza degli altri. Non ero d’accordo con i metodi
utilizzati dai
Maghi Bianchi per obiettare, ma potevo ben comprendere il loro sdegno.
Li
avevano da sempre aiutati come più potevano, e la loro
disponibilità li aveva
condotti ad essere cacciati dalle loro case. Possibile che persino un
mondo
come quello di Narnia non fosse esente dalla discriminazione?
“Andarono a
Suavitas?”
chiesi.
Aslan annuì.
“Viaggiarono a
lungo, attraversarono la Pianura Sempreverde a nord del Bosco Fosco
fino a
superare le Montagne Rocciose ad est. Oltre la catena montuosa
trovarono una
terra florida e dal clima favorevole ad ospitare un popolo. Fondarono
Suavitas,
inizialmente un agglomerato urbano di medie proporzioni, ma che divenne
sempre
più grande con il passare degli anni, sino a diventare un
regno poco più
piccolo di Narnia stessa.”
I miei occhi si spalancarono
dallo stupore. Avevo pensato che Suavitas fosse stata unicamente una
città e
che magari ce ne fossero state altre abitate da soli maghi, non avevo
mai
immaginato potesse essere stato un regno così vasto!
“Ma esiste
tutt’oggi?” mi
informai accesa di speranza.
“Si. È un
regno lontano, di
cui praticamente nessuno sa l’esistenza poiché
dopo la guerra si sono persi
totalmente i contatti con i maghi, ma esiste ed è una terra
meravigliosa a mio
parere.”
Respirai riempiendo i miei
polmoni di eccitazione e desiderio di sapere ogni cosa possibile su
quel regno divenuto
improvvisamente reale e non più un’utopia, un
luogo con una precisa
collocazione geografica e non evanescente. Improvvisamente diventava un
regno
vero e non solo una parola vargata sulle pagine di un vecchio diario.
“Raccontami qualcosa su
Suavitas, perfavore” lo supplicai, gli occhi che brillavano
mentre cercavano di
immaginarsi quale terra fantastica potesse essere
“Com’è organizzata?
Com’è chi
vi abita? Come sono le case, le abitudini, i vestiti, le
persone?” lo incalzai
euforica.
Il Sovrano Supremo rise del
mio entusiasmo, sinceramente divertito. “Calma, calma giovane
Cathrine, come ho
già detto risponderò ad ogni tua
domanda” mi rassicurò. Alzò lo sguardo
al
cielo, raccogliendo le idee prima di cominciare. “I
possessori di Magia Bianca
e quelli di Magia Rossa, pur avendo modi diversi di percepire e
apprezzare il
mondo attorno a loro, concordarono che dovevano restare uniti se
volevano
fondare un regno forte. Devo dire che riuscirono nel loro intento,
poiché la loro
convivenza pacifica dovrebbe essere presa ad esempio dalla maggior
parte delle
comunità, Narnia compresa. Il senso di appartenenza ad una
razza comune, quella
dei seguici della magia, riuscì a farli superare ogni altra
differenza, più o
meno grande. Anzi, i maghi delle due frazioni si rispettavano a
vicenda, anche
se avevano punti di vista e preferenze dissimili. L’unica
regola alla quale
bisognava sottostare era che nessuno si poteva permettere di criticare
o
attaccare l’altro, regola che fu sempre rispettata, sino ad
oggi.”
Senso di appartenenza?
Unione? Rispetto? Parole che stridevano con l’immagine che
avevo di Jadis. Se
mia madre rappresentava la comunità dei Maghi Bianchi,
dubitavo che gli
Stregoni Rossi fossero mai riusciti a costruire qualcosa in pace con
loro. Il
racconto di Aslan non reggeva.
“Mi è
difficile credere che
delle persone così diverse come i Maghi Bianchi e i Maghi
Rossi possano
condividere la stessa terra senza andare gli uni contro gli altri. Sono
certa
che Jadis non avrebbe mai retto una simile convivenza”
obiettai alzando
scettica un sopraciglio.
Il Grande Felino però
scosse
lento la criniera fulva. “Hai ragione su Jadis, tua madre
infatti se ne andò
dal regno appena le fu possibile, non sopportando quel clima pacifico e
liberale, e andò in cerca di un paese da modellare secondo
le sue esigenze
anche con la forza.” Mi rivelò alludendo alla sua
conquista di Narnia. “Ma sei
in grave errore se pensi che tutta la comunità dei Maghi
Bianchi abbia le
stesse qualità che contraddistinguevano Jadis. La
popolazione dei maghi non
vide più alcuna divergenza da dopo la Prima
Guerra.” Ribadì con fermezza.
“Ma hai appena detto che
ciò
che differenzia i Bianchi dai Rossi è la loro
crudeltà” obiettai confusa.
Sentivo che mi stava per arrivare un gran malditesta.
“È vero, ma
non è una
crudeltà sempre manifesta, che applicano alla vita
quotidiana. È una crudeltà
che si rivela se stimolata, come quando i narniani li hanno cacciati.
Certamente
non è nella loro indole compiere atti di
generosità disinteressata,
preoccuparsi per il prossimo a meno che non faccia parte della loro
famiglia.
Sono scaltri, non brillano per sincerità e non sanno
apprezzare il fiorire
della natura. Non esitano ad approfittarsi degli altri, ad avere la
meglio
nelle dispute, sono egoisti ed egocentrici, l’unica cosa che
può essere messa
sopra il loro bene personale è il bene del regno grazie alla
grande
considerazione che hanno per la loro stirpe. Ma sanno vivere civilmente
accanto
ai Rossi, per i quali hanno un grande rispetto, collaborano per la
prosperità
di Suavitas e rispettano le leggi.” Li descisse accurato.
“Jadis era feroce e
spietata anche per gli standard della sua schiera. Bramava il potere,
amava
comandare e sovrastare il prossimo, desideri solamente suoi, non
derivanti
dalla sua razza.” Aggiunse con tono pacato, inclinazione
però che non rese meno
dolorosa il quadro che aveva fatto di mia madre. Gli aggettivi che
Aslan le
aveva attribuito erano tutti veri e ciò mi faceva male, ma
cercai di tener ben
presente che il felino non sapeva che quel ritratto calzava solo su una
delle
due faccie di Jadis. Era il profilo di Jadis Strega Bianca, non della
Jadis
madre che ero riuscita a scorgere brevemente di persona e poi
approfondire con
i suoi diari. Ma non dissi una sola parola per riscattarla. Ero conscia
che
sarebbe stata una causa persa tentar di far vedere Jadis ad Aslan sotto
un’altra luce. Non ci ero ancora completamente riuscita con
Peter, il quale
l’aveva odiata per vent’anni, ovvero pochi secondi
rispetto ai secoli di rancore
che doveva provare il leone. Mi limitai quindi ad usare quella mia
consapevolezza per lenire la ferita riaperta dalle sue parole.
“Quindi vivono in
armonia.”
Tirai le fila di quella lunga parentesi. “E come vivono?
C’è un re, una regina,
un governo…” chiesi cercando di chiudere
definitivamente il discorso
precedente.
“La loro è una
comunità
molto avanzata. Potendo utilizzare la magia, per accrescere la loro
cultura
poterono anche viaggiare attraverso il tempo e lo spazio, venendo a
conoscenza
del mondo terrestre, quello dove sei cresciuta tu”
proseguì.
“Andarono sulla
Terra?” la
domanda era retorica considerando che il re era stato chiaro, ma il mio
stupore
era tanto grande che non potei trattenermi.
Mi diedi subito della
stupida. Era ovvio che potessero attraversare i varchi temporali,
dopotutto
erano maghi, eppure finora avevo considerato quel viaggio una
prerogativa
unicamente di Aslan e di Jadis, vedendo la creazione di un passaggio
come un
qualcosa di eccezionale e pericoloso, una magia potente da utilizzare
solo in
caso di necessità. Invece a quanto sembrava era una pratica
relativamente
comune. Come i londinesi andavano al mare per le vacanze, i maghi
andavano in
un mondo parallelo. Tutto normale…
“Molte volte. Erano
affascinati da un mondo privo di magia così diverso dal
loro. consideravano i
figli di Adamo e le figlie di Eva creature particolarmente ingegnose
poiché
erano riusciti ad assolvere alle loro esigenze unicamente sfruttando
l’intelligenza.
Rimasero particolarmente colpiti dalla letteratura, dalle tradizioni e
dalle
molte correnti di pensiero che nacquero nel corso dei secoli, tanto da
adottarne alcune. Integrarono molti libri terrestri con quelli loro
nelle
biblioteche e istituirono il loro governo unendo insieme il meglio
delle molte
forme di potere che erano state pensate.” Ad ogni sua parola
sentivo crescere
un senso di appagamento. Sapere che il mondo alla quale appartenevo e
il mondo
dove ero cresciuta non erano poi così distanti e
inavvicinabili come avevo
creduto mi allietava. Non dovevo rinnegare le mie origini per
abbracciare la
mia identità di strega.
“Divisero il regno in
contade” continuò Aslan “ognuna
governata da un sindaco elettivo che poteva
essere deposto in ogni momento se il popolo non fosse stato soddisfatto
del suo
operato. Il sindaco aveva, e ha tuttora, il compito di adoperarsi
affinché le
richieste dei cittadini vengano esaudite e deve supervisionare il
benessere
della sua area di competenza. Non ha il potere di emanare leggi,
né di imporre
tasse. Può unicamente proporle se gli sembrano necessarie,
ma la decisione
finale la prende la maggioranza durante il consiglio cittadino che ogni
mese si
riunisce. Infine annualmente deve recarsi a Corusca, la capitale del
regno dove
ha sede il Concilium Rei Publicae, nel quale si discutono le esigenze
di
Suavitas e quelle delle specifiche regioni.”
Dire che rimasi affascinata
dall’organizzazione della mia patria era un eufemismo. Se la
teoria era
rispettata fedelmente, Suavitas avrebbe superato per efficienza e
armonia la
patria ideale di Thomas More.
“Sembra un regno
splendido”
sussurrai, provando l’ardente desiderio di visitarlo con i
miei occhi.
“Lo
è” confermò il sovrano.
“I maghi sono una popolazione molto avanzata.
L’ignoranza è stata sconfitta
totalmente da millenni e la loro pari ed eccellente istruzione
è il principale
motivo per cui non ci sono né criminali né
ingiustizie. Non ci sono sovrani
superiori e sudditi inferiori come poteva accadere nel MedioEvo
terrestre, ci
sono solo persone alla quale viene accordato il permesso di
rappresentare la
volontà comune per facilitazione organizzativa, ma sono solo
degli attori che
recitano il volere popolare. Le decisioni vengono prese tutti insieme
ed ognuno
viene rispettato e valorizzato in quanto individuo pari a chiunque
altro.” Si
fermò un secondo prima di aggiungere. “Tuo padre,
se non sbaglio, era una di
queste persone.”
“Si, era uno dei membri
del
Consilium…” mi bloccai, rendendomi conto solo
allora di un particolare. Un
dettaglio che prima, quando avevo nominato Ian e il felino non aveva
dato segni
di stupore mostrando invece di conoscerlo, era passato in sordina ma
che ora
reclamava la mia attenzione. Aslan sapeva di mio padre.
“Come conosci Ian
Caerphilly?” chiesi, più brusca di quanto
desiderassi essere.
Fortunatamente il sovrano
soprasedette sul mio tono, limitandosi a fornirmi la risposta.
“Jadis è
riuscita a nascondermi la tua esistenza per milletrecento
anni.” Disse,
prendendo il discorso da lontano. “Non avevo mai minimamente
sospettato potesse
avere una figlia, è stata incredibilmente abile a
nascondermelo.” I suoi occhi
secolari si posarono su di me, inchiodandomi per la loro
intensità. “Ti prego
di credermi se ti dico che se avessi saputo di te, ti avrei cercata
appena
finita la guerra per crescerti qui a Narnia. Mi spiace per la
solitudine di cui
hai dovuto soffrire a Londra. Mi sarei preso cura di te se solo ne
avessi avuto
l’opportunità.” C’era tanta
dolcezza nella sua voce che non dubitai un solo
istante della veridicità delle sue parole. Sentii gli occhi
bruciarmi, segno
che le lacrime erano pronte per scendere, suscitate dal calore che mi
aveva
invaso il petto per la confessione del felino, ma riuscii a ricacciarle
indietro dicendo a me stessa che non era il momento giusto per
piangere. La mia
stima e il mio affetto per Aslan aumentarono, come anche il mio senso
di colpa
ripensando a come ero stata pronta ad accusarlo di ogni sciagura di
Narnia. Era
stato pronto a crescermi… esattamente come aveva temuto
Jadis.
L’avrebbero
cresciuta come loro alleata, insegnandole
ad odiarmi e celandole le sue origini per servirsi della magia che
certamente
avrebbe ereditato. Le parole della
strega mi si riproposero prepotenti dimostrando che almeno su quello
aveva
avuto ragione. Ma sarebbe stato un male? Per Jadis ovviamente si,
avrebbe visto
sua figlia crescere sotto gli ideali di Aslan, uno dei suoi peggiori
incubi. Ma
per me? Sarei diventata grande a Narnia, avrei avuto vicino qualcuno
che mi
insegnasse ad apprezzare e controllare i miei poteri. Qualcuno che non
mi
tacciava come diversa, qualcuno che mi voleva bene. Avrei avuto
un’infanzia
felice e senza rinunciare ai miei ideali attuali.
Desideravo rendere Aslan
partecipe di quelle riflessioni, ringraziarlo quanto meno, ma non
riuscivo ad
aprir bocca. Tuttavia dal sorriso appena accennato che mi rivolse,
compresi che
aveva intuito perfettamente i miei pensieri dai miei occhi lucidi.
“Purtroppo
però ne sono
venuto a conoscenza solo poco tempo fa, quando tua madre ti ha
contattata dal
limbo dove era rinchiusa.” Riprese il discorso, riportando la
mia attenzione al
presente. “Aprire un varco temporale dal limbo richiede
un’energia talmente
grande che è impossibile non percepirla nell’aria
e nella natura, per chi ha
orecchie per ascoltare.” Mi spiegò conciso.
“Seguendo la meta della sua magia,
ho capito con chi cercava di mettersi in contatto. Appena ho visto che
eri una
strega, ho compreso chi fossi e che dovevo tenerti lontana da Jadis.
Per questo
interrompevo i tuoi discorsi con lei e sempre per questo ho deviato la
direzione del varco temporale che ti ha condotta
qui…”
“Ecco perché
sono capitata
nella radura vicino a dove era di pattuglia Peter e non c’era
Jadis!” lo
interruppi presa dalle mie conclusioni.
“In realtà
avrei voluto
direzionarti direttamente alle rovine, ma ho dovuto cambiare rotta
velocemente
e lottare contro la magia di Jadis, così ho potuto solo
evitare che ti portasse
al Palazzo di Ghiaccio e condurti dove sapevo avresti presto o tardi
incontrato
i Pevensie” precisò.
Ed ecco
spiegato perché non avevo incontrato nessuno
ad attendermi oltre il varco a parte alberi e ancora alberi. Considerai tra me e me.
“Ma questo cosa
c’entra con
Ian?” riportai la discussione sul suo punto cruciale.
“Una volta assicuratomi
che
fossi al sicuro sotto la protezione del giovane Peter, mi sono
informato su di
te, su quando Jadis ti aveva avuto, con chi e come era riuscita a
celarlo.
L’Antica Magia mi ha aiutato, conducendomi a Suavitas e
parlandomi di Ian
Caerphilly, tuo padre.” Riassunse brevemente quella che
invece doveva essere stata
una lunga ricerca nel passato.
Ero incredula che Aslan
fosse riuscito a reperire informazioni su di una persona vissuta
milletrecento
anni fa. Io ero venuta a conoscenza di mio padre solo grazie ai diari
di Jadis,
una fonte diretta, ma il felino era stato capace di apprendere
ciò che gli
interessava senza aiuti esterni. O meglio, con il solo aiuto della sua
immensa
conoscenza dell’Antica Magia. Forse avrei dovuto rassegnarmi
e smettere di sorprendermi
all’apparizione del primo minotauro, ne avrei guadagnato
certamente in salute.
Oramai avrei dovuto comprendere che a Narnia i fatti andavano
semplicemente
accettati così come venivano esposti, senza doverci
ragionare su o farli
rivenire a qualche logica pragmatica.
“Sai cosa gli
è successo
dopo che Jadis se ne è andata?” domandai
lasciandomi alle spalle lo stupore.
Aslan annuì con il capo
dorato. “L’abbandono della Strega Bianca lo
distrusse. Non si diede pace per
molte lune, passò più di un anno a girare per
tutto il regno, di città in città
alla vostra ricerca.” Il mio cuore si strinse al pensiero di
quanto dolore,
seppur inconsapevole, gli avevo causato. L’unica colpa di Ian
era stata quella
di averci amato e per questo era stato punito venendo privato della
futura
moglie e della figlia neonata senza preavviso. Non osavo neppur
immaginare
quanto avesse sofferto. “Solo quando alla fine si arrese,
riuscì a passare
oltre il dolore e la delusione, ma ci vollero altri tre anni prima che
riuscisse a ricostruirsi una vita e si innamorasse di
un’altra giovane strega,
una Strega Bianca di nome Eilein, con la quale ebbe un bambino di nome
Erold.”
Posai i miei occhi azzurri
in quelli ambrati del leone, la morsa che un poco si allentava.
“E dopo è
riuscito ad essere felice?” chiesi timorosa della risposta.
“Non vi ha mai
dimenticate,
ma alla fine è riuscito ad vivere felice anche con il vostro
ricordo.”
Sospirai un poco sollevata.
Sapere che l’atto meschino di Jadis non lo aveva rovinato per
sempre mi faceva
stare meglio. Da quello che mia madre aveva scritto, Ian era un
brav’uomo. Si
meritava la felicità che solo un amorevole focolare
domestico può dare. Infine
era riuscito a costruirsi una famiglia, con una moglie degna, un
figlio… solo
in un secondo momento realizzai che quel bimbo per me senza volto, del
quale
conoscevo solo il nome, era mio fratello. Mi sarebbe piaciuto poterlo
conoscere, sapere se anche lui avesse ereditato i capelli rossi di
nostro
padre. Da figlia unica, cresciuta in una casa tanto grande quanto
vuota, spesso
avevo desiderato la compagnia di una figura della mia età,
capace di
comprendermi. Un fratello o una sorella. Mi consolai pensando che
almeno uno
dei due Caerphilly aveva avuto una bella infanzia.
“Credo di averti
trattenuta
sin troppo giovane Cathrine. I tuoi interrogativi sono stati tutti
risolti e
qualcun altro reclama giustamente la tua attenzione”.
Aslan interruppe la catena
dei miei pensieri. Mi voltai a guardarlo confusa dalle sue enigmatiche
parole
ma il sovrano fissava un punto alle mie spalle. Seguii la sua
traiettoria,
verso l’uscio della porta finestra. In piedi, appoggiato alla
cornice
dell’apertura, Peter stava silenziosamente chiedendo il
permesso ad Aslan per
interromperci.
Sorrisi spontanea al suo
indirizzo. Avevo l’impellente necessità di
riportargli la discussione avuta con
il Supremo Sovrano, dovevo dirgli che non ero una Strega Bianca,
narrargli di
Suavitas…
Aslan si congedò,
attraversando il balcone con pochi passi. Per un attimo credetti di
cogliere
uno sguardo d’intesa tra i due sovrani prima che Peter si
inchinasse al passaggio
del felino, ma passò così in fretta che
probabilmente lo immaginai soltanto.
Il biondo mi fu subito
accanto ed io lo accolsi gettandogli le braccia al collo, esternando il
mio
stato d’animo.
Ero felice. Tanto felice.
Per la prima volta in vita mia non avevo più domande, dubbi
su di me, sul mio
passato. Sapevo quali erano le mie origini, quale era la mia vera
natura, le
mie capacità. Sapevo perché ero cresciuta a
Londra e non a Narnia.
Sapevo chi ero.
“Oh Peter, non hai idea
di
cosa mi abbia detto Aslan, non sono una Strega Bianca!” quasi
trillai.
Lo sguardo confuso del
ragazzo unito al sorriso spontaneo che era nato contagiato dal mio
entusiasmo,
mi fecero ridere divertita.
“Come scusa?”
domandò.
D’accordo, forse la mia
frase era stata un poco disconnessa. Lo invitai a sedersi alla panchina
ed iniziai
a raccontargli ogni cosa. Lo misi a parte della Prima Guerra di Narnia,
della
migrazione dei maghi, del loro scisma interno e del regno che avevano
fondato.
Come avevo pensato, Peter non aveva mai saputo l’esistenza di
un regno di soli
maghi, e la notizia lo conquistò. Era ammirato dalla loro
organizzazione e si
domandava come fosse possibile che non fosse rimasta traccia a Narnia
della
loro presenza. Infine gli dissi la novità più
grande, quale era la mia vera
natura. Giunti a questo punto però non mostrò la
felicità che ero certa di
suscitare, la stessa che invadeva me.
“Non sei contento che non
sia una Strega Bianca?” lo incalzai, quasi irritata per la
sua scarsa
emotività. Possibile che mentre io avrei voluto urlarlo al
mondo intero, lui sembrasse
del tutto indifferente?
“Sono contento che tu sia
contenta della notizia” rispose serafico.
Scossi la testa, non
comprendendolo. “Ma vuol dire che non diventerò
come Jadis, che non sarò mai
crudele o un pericolo per Narnia” insistetti, corrucciando la
fronte.
Il sorriso sghembo che mi
rivolse però era talmente bello che le rughe sulla mia testa
presto si
appianarono contro la mia volontà.
“Cathy, Strega Bianca o
Rossa non ho mai pensato solo per un secondo che tu potessi diventare
diversa
dalla meravigliosa ragazza che sei ora. Capisco che per te sia
importante saperlo,
ma a me non è mai importato cosa fossi. Ti amerei anche se
scoprissimo che in
realtà sei una sirena, dovresti saperlo.”
La sua risposta lo
condonò
completamente dalla sua poca partecipazione alla novità. Ero
conscia che la mia
espressione stava per divenire languida, così gli andai
incontro per posargli
un bacio a fior di labbra, giusto per darmi il tempo di ricompormi. Una
volta
però che la sua bocca si accostò alla mia, quello
che doveva essere un semplice
casto bacio, divenne subito più profondo. Peter prese il mio
viso tra le mani e
lo avvicinò a sé con un’esigenza che
gli avevo sentito poche volte prima.
Tutte volte dove stava per
succedere qualcosa di spiacevole.
Un campanello d’allarme
suonò nella mia testa mentre mi ricordavo
dell’occhiata di intesa tra lui e
Aslan, della discussione misteriosa che aveva avuto con il felino e
della
turbata espressione che aveva mantenuto per tutta la serata.
Che ha
mantenuto anche mentre gli raccontavo di
Suavitas,
mi resi conto riflettendo.
Mentre parlavo non vi avevo fatto caso, ma ripensandoci
un’ombra aveva sempre offuscato
il suo sguardo per tutta la conversazione.
Facendo appello a tutta la
mia volontà, che in quel momento rasentava lo zero, mi
separai da lui e dalle
sue labbra morbide, poggiandogli una mano sulla spalla.
Nei suoi occhi vidi la
conferma dei miei timori. Erano un mare in tempesta e il suo controllo
stava
naufragando. Mi sentii mancare il respiro. Sapevo che solo qualcosa di
veramente importante poteva turbarlo così tanto, ma cosa?
Gli scostai una ciocca
bionda dalla fronte e ridiscesi fino a poggiare la mano sulla sua
guancia.
“Peter, posso sapere cosa
succede? C’è qualcosa che devi dirmi?”
chiesi cercando di mantenere calmo il
tono di voce. Qualunque cosa fosse, i miei nervi dovevano restare
saldi, solo
in questo modo avrei potuto essergli utile.
“Avrei voluto dirtelo a
fine
festa, per farti passare una serata piacevole, ma non credo di riuscire
a
nascondertelo oltre, perdonami.” Si scusò,
guardandomi addolorato.
“Cosa mi stai
nascondendo?” scandii,
preparandomi mentalmente al peggio. L’euforia provata prima
era scomparsa,
scalzata prepotentemente dal senso di inquietudine che le ambigue
parole di
Peter mi avevano causato. Qualcosa di molto spiacevole era alle porte,
lo
vedevo riflesso nei suoi occhi. La mia, anzi, la nostra pace stava per
essere
nuovamente messa a rischio. E pensare che solo pochi minuti fa ero
convinta di
averla finalmente raggiunta! Possibile che prima avessi goduto solo di
una
felicità illusoria? Che dietro la spensieratezza e i buoni
auspici di quel
ballo si nascondesse un dolore imminente?
“Ho parlato con
Aslan”
incominciò senza farsi pregare ulteriormente. Era chiaro che
non riusciva più a
trattenersi, che aveva bisogno di parlarmene, di qualunque cosa si
trattasse. Se
aveva taciuto fino adesso era realmente solo per amor mio.
“E
quindi…?” lo incalzai.
“Ha detto a me e a
Susan…”
si interruppe. Abbassò lo sguardo e trasse un profondo
respiro prima di
continuare. La mia agitazione aumentò. Cosa doveva dirmi di
così difficile?
Sembrava che ogni parola gli procurasse una fitta al petto.
“…che il nostro
tempo è scaduto.”
|
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Capitolo 23 *** 22_Promettimi che sarai felice ***
Ciao carissime/i!!!!!! Ok,
lo so, sono in mostruoso ritardo,
però per farmi perdonare vi informo che ho già
scritto
l'epilogo e che quindi lo posterò a breve, poichè
mi
sembrava corretto pubblicare l'ultimo cappy e l'epilogo a poca distanza
l'uno dall'altro. Sob, l'ultimo cappy. Alla fine è arrivato,
se
penso che le prime righe di questa storia sono state scritte in una
lontana afosa serata di agosto del 2009 e ora siamo a maggio del 2011,
mi sembra incredibile di essere davvero giunta alla parola "fine". Due
anni sono tanti e le cose che sono successe sono ancora di
più,
cose che cambiano una persona (si spera in meglio) e di conseguenza
anche il modo di scrivere, come credo vi sarete accorti. L'altro giorno
stavo rileggendo i primissimi capitoli e quasi dubitavo di essere stata
io l'autrice! Ma basta con i sentimentalismi, vi farò
già
penare con il contenuto del cappy, non occorre che vi torturi anche con
l'angolo dell'autrice! E poi c'è ancora l'epilogo da
pubblicare,
quindi non pensate che dopo questo 22° cap vi sarete liberati
di
me, ho ancora le ultime pagine con la quale disturbarvi XD!!!
Parlando di questo capitolo, come il precedente parte esattamente da
dove si è concluso il ventunesimo, ovvero con Peter che dice
a
Cathy che il loro tempo è scaduto. Immagino abbiate
tutti
capito a cosa si riferisca, ma quindi come si comporteranno le nostre
due coppie di piccioncini? Vi confesserò che il finale non
lo
avevo in mente chiaro come la maggior parte degli eventi della storia,
ero indecisa tra il caro e dolce happy ending e un finale
più
poetico ma malinconico, indecisione che è durata fino
all'ultimo
e che è stata difficile da prendere. Spero che alla fine
abbia
fatto la scelta giusta e che la conclusione della storia vi piaccia :-)
dopo tutta la pazienza che avete avuto nel seguirmi per questi lunghi
ventidue capitoli, il minimo che vi devo è concludere la
storia
senza farvi venire la voglia di tirarmi pomodori e ortaggi vari! Fatemi
quindi sapere cosa ne pensate e tenetevi pronti per l'epilogo, il quale
sa.,le ultime righe che pubblicherò per
questa storia, ve
lo prometto XD!
Ringraziamenti:
Bex:
ciao carissima! Lo so,
sono stata crudele a lasciare la storia con
quell’affermazione di Peter però in
mia difesa posso dire che credevo di metterci molto meno ad aggiornare,
davvero! Adesso però che finalmente sono riuscita a postare
spero di farmi
perdonare con il contenuto del capitolo !
Sono felicissima che lo scorso cap ti sia paiciuto e
che ti abbiano sorpreso le rivelazioni fatte da Aslan, le avevo in
testa da
tanto e non vedevo l’ora di scriverle, quindi sono contenta
che siano state
apprezzate, grazie mille!! Dunque premetto che il finale del secondo
film a me
non è piaciuto per niente neanche a me. Ero convinta che
sarebbero rimasti tutti e quattro a
Narnia e quando hanno comunicato il contrario credo di essermi fatta
uscire un
sonoro “no!” nonostante fossi al cinema XD!
Però anche se l’idea dell’happy
ending è molto bella o anche un debole per i finali magari
più tristi ma
poetici, quindi ero divisa tra queste due possibilità. Per
ora non aggiungo
altro, ti lascio il piacere (o almeno spero sia così XD) di
scoprire cosa ho
scelto leggendo! Non vedo l’ora di sapere cosa ne pensi, ti
mando un grande
bacio e ancora grazie per la tua recensione!!
Dahylia: ciao
bella^^! Come potrei annoiarmi nel leggere la tua recensione? L'unica
cosa che posso dirti è grazie mille per aver recensito lo
scorso cap e per averlo apprezzato!!!!!!!!!!!!! La scena
dell'incoronazione di Caspian è nata proprio
perchè anche io avevo notato quel particolare nel film, un
secondo prima stava combattendo contro Telmar e l'attimo dopo aveva la
corona in testa O.o, però poi ho pensato che molto
probabilmente ci aveva pensato Aslan a incoronarlo legittimamente ^^.
La parte della festa è una delle mie preferite quindi sono
felicissma che ti sia piaciuta e che tu sia riuscita a immaginarti bene
la scena**, come anche la parte con Aslan, trattare personaggi di
simile spessore non è molto facile, avevo paura di non aver
reso bene l'aria di potenza e saggezza che emanava, quindi grazie per
avermi rassicurata :-) Si, la magia Rossa rappresenta idealmente
l'amore in contrapposizione all'egoismo ma anche più
pragramaticamente il fuoco in opposizione al ghiaccio :-)
Però, Jadis figlia di un gigante e della prima moglie di
Adamo, alla faccia di avere parenti importanti XD! Thanks for the
information :-) Anche io nel film ci sono rimasta malissimo quando i
sovrani se ne sono andati, caspita, dopo tutto quello che avevano
fatto, dopo tutte le fatiche compiute per quel regno, perchè
mai Aslan ha dovuto rimandarli a casa senza la possibilità
di ritornare per Peter e Su? L'ho trovata un'enorme ingiustizia! Sono
andata comunque poi a vedere il terzo film, ma proprio come hai detto
tu, senza Peter e Susan sembrava mancasse qualcosa, non era
più lo stesso...:-(! Tuttavia capisco che i Pevensie non
essendo originari di Narnai dovevano comunque imparare a vivere anche
nel loro mondo, a Londra, problema che, essendo la storia tratta da
Narnia 2, ho dovuto affrontare anche io in questo cappy. Come lo
avrò risolto? XD sono sadica, lo so! Però spero
tanto che il finale ti piaccia, sono curiosa di sapere cosa ne pensi!
Ti mando un bacione e grazie ancora per la recensione:-)!
Ps: bello come significato Niji_Shoku no Yume, molto
poetico :-) però adesso giusto per non smentirmi devo
chiederti il significato del tuo nuovo nickname! Di primo achito ti
direi che mi ricorda il nome di qualche divinità greca o
qualche ninfa, come Dafne, sono fuori strada o ci ho azzeccato? :-)
Freddy Barnes:
Ciao caraaa! Grazie per aver recensito e per il tuo
entusiasmo, davvero grazie^^! Sono felice che come mi sono immaginta
l'incoronazione di Caspian ti sia piaciuto, e che sia riuscita a
trasmettere la gioia dei personaggi nell'apprendere che finalmente la
guerra era finita perchè avevo un sacco di dubbi su quale
fosse il modo migliore per rendere quella parte. XD mi sa che hai
ragione, la piccola Lucy dietro quel faccino tenero potrebbe nascondere
un animo sadico, per esempio verso la fine del secondo film, quando
è sul ponte con Aslan, tira fuori con aria angelica il
pugnale sorridendo come se niente fosse...mah qua mi sa che dovrebbero
stare molto attenti hihihihihii!!!!!!!! Sono felicissima che la storia
su Suavitas ti sia piaciuta, l'avevo pensata da tanto e non vedevo
l'ora di scriverla e sapere cosa ne pensavate!!!! Anche io sono triste
che qst sia l'ultimo cappy, però mi consolo sapendo che ho
ancora l'epilogo da pubblicare, gli addii e le lacrime me le tengo
tutte per quello (mi spiace ma non scamperete al sentimentalismo della
sottoscritta!). Ti lascio alla lettura e spero di leggere presto la tua
recensione per sapere se l'ultimo capitolo ti sia piaciuto o meno :-)
grazie ancora, un bracio grandissimo!!!!!
sweetophelia:
ciao bellissima! Grazie per aver recensito^^
Sono contenta che tu sia riuscita a immaginarti bene le varie scene :-)
Si, la storia di Suavitas ha richiesto diverso tempo, però
mi sono divertita tantissimo a costruirla passo per passo, il bello di
scrivere dopotutto è proprio quello di creare una cosa dal
nulla che segua la tua immaginazione :-) Cmq concordo con te sul fatto
che nel nostro mondo una costituzione perfetta non potrà mai
esserci, e nemmeno nel mondo di Narnia come dimostrano le continue
guerre che dilaniano il regno. Tuttavia ho pensato che nella
società dei maghi, essendo più evoluta sia dei
narniani che anche dei terrestri, avendo tutti uguali diritti data
l'assenza di classi nobili e povere e avendo capacità che
forniscono a tutti le medesime possibilità, potesse essere
almeno ipotizzabile il funzionamento di una costituzione utopica,
quanto meno sulla carta :-) Si, le costellazioni sono state ispirate
dai miti classici. Io frequento lo scientifico però ti
confesso che anche io ho sempre avuto un debole per i miti greci e
romani, se si pensa che loro, a differenza nostra, non avevano miti
precedenti a cui rifarsi, sono davvero ammirabili per la
quantità e la varietà delle storie che ci hanno
tramandato! Spero che anche qst cappy ti piaccia, non vedo l'ora di
sapere un tuo parere^^! un bacione!!!!
DreamWanderer:
ciao tesoro!! Qui tutto bene, grazie, a parte
gli ultimi compiti in classe di fine anno, ma mi consolo con il
miraggio delle vacanze, il traguardo/mare è vicino XD!!
Tu come stai? Spero che il periodo pieno all'uni sia passato, io
già sclero alle superiori non oso pensare come sia
all'università! Cara, davvero non è assolutamente
un peso rispondere alla tua recensione, vi dedichi sempre tantissimo
tempo ed è sempre così accurata e attenta che
dare una risposta è davvero il minimo che possa fare! Grazie
per avermi rassicurata su Jadis, sono sollevata nel constatare che la
mia idea di un cattivo capace anche di provare altri sentimenti oltre
l'odio sia condivisa! Cmq ho visto solo i film di Narnia :-), il che
forse in qst caso è stato un bene così non avevo
influenze di nessun genere è ho potuto spaziare con la
fantasia :-)! Grazie anche per avermi tranquillizzata sul cappy basato
prettamente sul film, temevo di risultare noiosa dato che la storia
della battaglia era nota, sapere che non è risultato
così è un sollievo! Sono felice che la scena
dell'incoronazione sia piaciuta e che sia riuscita a far trasmettere il
senso di felicità e di consapevolezza che la guerra fosse
conclusa che provano i personaggi xkè avevo mille dubbi su
cm rendere quelle emozioni! Il menzionare la corona di Cate mi sembrava
doveroso, nella fiction non l'ho mai sottolineato particolarmente
però anche lei è una sovrana volente o nolente e
prima o poi dovrà farne i conti! La scena della preparazione
al ballo è nata come sketch per alleggerire l'atmosfera che
progressivamente, come fa intuire il titolo, va a incupirsi, e sono
lieta che sia stata apprezzata :-) poi volevo far relazionare Cate
anche con altri personaggi, motivo per cui il primo ballo lo fa con
Caspian e non con Peter. Nella storia la faccio quasi sempre interagire
con Peter, però ci tenevo a sottolineare che la nostra Cathy
ha un ottimo rapporto con tutti i Pevensie e con il nuovo sovrano di
Telmar, cosa che sottolineerò anche in qst cappy^^. Guarda,
se ti può consolare mi sono sciolta anche io mentre la
scrivevo, la scena del ballo tra Peter e Cathy **! Non che abbia
scritto una scena tratta direttamente dai miei sogni romantici, eh,
noooooo, sia mai XD!!!! Non ho saputo resistere alla tentazione di
paragonarli a Romeo e Giulietta rubando (l'ennesima XD) frase di
Shakespeare, specie se si considera la loro imminente separazione per
causa di forza maggiori...! E poi, diciamocelo, Peter nei panni di
Romeo secondo me ci sta benissimo <3!!!!!! Sono felice che tu
abbia notato la parte scenografica del ballo, non lo ha fatto nessun
altro! E anche che abbia apprezzato il mix di "passi, sguardi ed
emozioni" tra i personaggi, così mi hai fatto capire che la
scena era riuscita, thanks^^!!! Si la storia del Amatores lo inventata
io :-), anche se, come immagino si sia capito, mi sono ispirata ai miti
greci e alla loro lunga tradizione di amori finiti tragicamente per
colpa degli dei o di incomprensioni, miti che tra l'altro adoro! Cmq
avrà una piccola ripercussione nei pensieri della nostra
bella Cathy, facendola riflettere sul tema dell'amore in qst cappy^^.
Ti confesserò la mia ignoranza riguardo l'esistenza della
Magia Rossa nella mitologia, l'idea mi era venuta più
semplicemente solo per avere un altro tipo di magia che si
contrapponesse a quella Bianca. La scelta del colore rosso per indicare
la magia buona è nata perchè il rosso
è idealmente il colore dell'amore, della carità e
del fuoco, che si contrapponevano all'odio, all'egoismo e al ghiaccio
:-) Probabilmente proprio perchè il colore rosso
è associato di solito a queste cose ci saranno molte
leggende con la Magia Rossa come protagonista, però qst
è solo una mia supposizione :-) Sono davvero
felicissimissima che la storia dello scisma tra i narniani e i maghi e
la fondazione di Suavitas ti sia piaciuta^^ l'avevo in testa da tanto e
non vedevo l'ora di scriverla e rimetterla al vostro giudizio! Non so
come ringraziarti per i tuoi complimenti, mi fa davvero un'enorme
piacere sapere che il mio racconto poteva addirittura essere davvero
parte della storia del passato di Narnia :-) grazie davvero**! La
rivelazione finale di Peter voleva creare suspance ovviamente,
però mi dispiace di averci messo così tanto per
aggiornare, volevo tenervi un poco con il fiato sospeso ma non
così tanto, giuro! Spero di farmi perdonare con il contenuto
del capitolo. L'ultimo capitolo, caspita, incredibile ma alla fine
è giunto sul serio, credevo non sarei mai riuscita a
scriverlo! Riprende esattamente dall'affermazione del nostro bel
sovrano e poi.... sorpresa! Spero di leggere presto la tua recensione
per sapere cosa ne pensi del finale di qst storia, come sai tengo
tantissimo al tuo parere quindi spero che il cappy ti piaccia! Ci
sarà ancora un epilogo che pubblicherò a breve
(è già bello pronto ^^) però
è una specie di bonus, (non è il termine giusto
per definirlo ma non me ne vengono in mente altri) la parola fine viene
scritta in qst dato che è qui che ogni cosa si decide,
l'epilogo mostrerà solo le conseguenze delle scelte compiute
dai nostri eroi in qst capitolo :-) Ti auguro una buona lettura e
ancora grazie infinie per le tue recensioni, per il tuo entusiasmo e
per i tantissimi e troppo buoni complimenti che mi hai fatto! Un bacio
grande grande grande e a presto <3
Grazie mille anche a
coloro che mi hanno aggiunta tra i preferiti e/o le seguite o anche a
chi solo legge, grazie^^! Vi ricordo che qst è l'ultimo
capitolo ma ci sarà ancora l'epilogo che vedrete pubblicato
:-)
Vi auguro una buona lettura
kisskisses
68Keira68
22_Promettimi
che sarai felice
“Scaduto?”
ripetei assottigliando lo sguardo
nel tentativo di comprendere. “In che senso, cosa vuol
dire?” scandii mentre un
brutto presentimento iniziò a farsi strada dentro di me,
anche se confuso,
offuscato dall’enigmaticità della frase di Peter.
Il ragazzo prese un altro respiro e parve trovare la forza
per rialzare i suoi zaffiri
sul mio viso. “Vuol dire che dobbiamo andare via da Narnia,
Cathy. Io e i miei
fratelli dobbiamo tornare a Londra.”
Mi ritrassi, come colpita da
uno schiaffo. Mossi la testa a scatti, piccoli, nervosi, negatori del
significato di quella frase. D’un colpo compresi il
perché dell’urgenza nel suo
bacio. Aveva bisogno di sentirmi vicina a sé
perché sapeva che il tempo che ci
restava da condividere era contato.
Perché se ne sarebbe
andato.
Sarebbe tornato a Londra.
“No!” quasi
urlai, incapace
di accettare ciò che mi diceva. Anche l’ultimo
residuo dell’euforia provata
prima scivolò via da me, lontana e irraggiungibile.
“Cathy…”
Peter tentò di
prendermi il viso tra le mani ma io mi allontanai, scattando in piedi.
“No, no, no”
ripetei più
volte, camminando a ritroso finché non fui bloccata dalla
balconata. “Perché?
Perché lo dice Aslan? Che diritto ha lui di decidere chi
deve restare e chi
deve rimanere?” gridai. Contro Peter, contro Aslan, contro il
cielo stesso che
ci era testimone, mentre sentivo l’ira montare dentro il mio
petto con foga.
Il re mi si avvicinò
cauto,
un’espressione affranta a dipingergli il volto, in netto
contrasto con la mia
rabbia.
Ero adirata e incredula. Come
poteva permettersi Aslan di cacciarli via da Narnia, specie ora che
avevano
appena rischiato la vita per salvarla di nuovo? Cosa pensava, che
potesse
chiamarli a suo piacimento, farli mettere in gioco la loro esistenza e
poi,
come ricompensa per la loro vittoria, buttarli fuori dal loro regno?
Ero ingiusto,
non potevo accettarlo e la rassegnazione che vedevo dipinta sul volto
di Peter
non faceva che aggravare la situazione.
“Cathy, non è
così semplice,
fammi spiegare” tentò di calmarmi.
“Non
c’è niente da spiegare.
Voi non dovete andarvene solo perché lui lo ordina. Avete
tutto il diritto di
restare, il popolo stesso vi vuole.” obiettai sbattendo i
palmi delle mani
contro il marmo della balaustra per la frustrazione. “Io ti
voglio” aggiunsi
con un tono più basso.
Peter appoggiò le sue
mani
sulle mie intrappolandomi tra il parapetto e il suo corpo, cercando
così di
costringermi a sentirlo.
“Aslan non ci ha ordinato
di
andarcene. Ci ha posto dinanzi ad una scelta”
precisò.
Strinsi gli occhi confusa,
invitandolo a proseguire anche se sentivo ancora la rabbia schiumare.
“Ci ha fatto presente che
nessuno può vivere sospeso tra due mondi, ognuno deve avere
un mondo di
appartenenza e viverci, rispettando le leggi della natura. A me, Susan,
Edmund
e Lucy è stata data la possibilità di vivere per
qualche tempo in due mondi
diversi per imparare a conoscere meglio noi stessi e per apprendere
tutto ciò
che serve per condurre la nostra esistenza, ma adesso che io e Susan ci
avviamo
all’età adulta e abbiamo imparato tutto quello che
potevamo da entrambe le
realtà, dobbiamo decidere in che mondo vivere.”
Corrucciai la fronte, certa
di aver compreso male. “Quindi è una scelta vostra
quella di tornare a Londra?”
chiesi conferma.
Peter annuì, lasciandomi
estrefatta.
Per un lungo e intenso
minuto l’unica cosa di cui fui cosciente fu il ronzio sempre
più acuto che mi
riempiva le orecchie, riportandomi l’eco delle sue parole e
di ciò che
significavano. Poi il mio respiro si fece affannoso, i battiti cardiaci
si
affrettarono e dal petto sentii esplodere una nuova ondata di rabbia,
insieme
ad un’immensa delusione. Era lui che voleva andarsene dal suo
regno, dalla sua
gente! Dopo tutte le parole spese ad esplicare il senso di appartenenza
che
sentiva verso Narnia, l’amore che provava per il suo popolo,
decideva di
voltargli le spalle. E decideva di voltarle anche a me. Se ne stava
andando
senza rifletterci due volte, abbandonandomi, dimostrando come tutto
quello che
mi avesse detto, non fosse altro che polvere al vento.
Sentii un groppo in gola e i
miei occhi si fecero lucidi. Non poteva essere vero, non potevo
crederci. Non volevo crederci.
Puntai entrambe le mani sul
suo petto con forza cercando di distanziarlo. Desideravo allontanarmi
da lui,
mi sembrava di soffocare, avevo bisogno di spazio per prendere fiato e
urlare
finché i miei polmoni avessero retto per sfogarmi. Peter
però mi si oppose,
afferrandomi per i polsi.
“Lasciami, tanto
è questo
quello che vuoi fare, ora o poi non fa differenza” gli sputai
con acrimonia,
fulminandolo con lo sguardo, mentre cercavo di svincolarmi dalla sua
presa. Il
ragazzo mi lasciò andare ed io cominciai a colpirlo al petto
con i pugni, riversando
in essi l’ira che mi aveva invasa. Inutile dire quanto i miei
sforzi furono
vani. Nonostante la mia buona volontà Peter non si fece
minimamente male,
parando ogni colpo senza però cercare di fermarmi,
consapevole forse più di me
di quanto avessi bisogno di sfogarmi. Solo quando smisi, affaticata
più dai
miei sentimenti che dallo sforzo fisico, mi riafferrò i
polsi e si avvicinò
ancora, bloccandomi definitivamente contro la balaustra con il suo
peso.
“Non è come
pensi tu, non
voglio lasciarti, fammi finire” mi supplicò con
quella sua voce soffice che con
ben altre parole mi aveva conquistata.
I miei occhi lampeggiarono.
“Ah
no? È come sarebbe, sentiamo! Perché
l’unica interpretazione possibile mi
sembra quella che vuoi lasciarmi, nonostante tutte
quelle…” tutte quelle
promesse e meravigliose frasi
che mi hai regalato, avrei voluto continuare, ma le parole
mi morirono in
gola.
Avvertivo la delusione e il
dolore pronte a travolgermi come un’onda anomala, anche se
cercavo di tenerle a
bada. Non volevo farmi dominare da loro, non se volevo scaricare
addosso a
Peter tutta la mia più che giustificata rabbia.
Mi tenne i polsi con una
sola mano, liberandosi l’altra per portarmela sotto il mento,
delicato ma fermo.
“Ti amo. E tutto quello
che
ti ho detto è assolutamente vero.” Disse, intuendo
come sempre i miei pensieri
senza che dovessi esplicarli. “Non hai idea di quanto stia
soffrendo per questa
scelta, ma non posso fare altrimenti” proseguì con
una fermezza tale da far
vacillare la mia posizione.
“Spiegati” gli
imposi,
fissandolo duramente.
Peter mi sfiorò una
guancia,
sperando di addolcire il mio sguardo, ma resistetti alla morbidezza
della sua
mano, non piegandomi. Il biondo sospirò vedendo fallito il
suo piccolo
tentativo e cominciò a parlare.
“Edmund e Lucy devono
tornare a Londra perché hanno ancora da imparare qualcosa
nel nostro mondo. Poi
torneranno a Narnia un’ultima volta e infine dovranno anche
loro scegliere dove
vivere”. Qualcosa cominciò a delucidarsi oltre la
coltre di delusione, prima
che Peter continuasse. “Se io e Susan decidessimo di restare
a Narnia, dovremmo
separarci da Edmund e Lucy, dovremmo lasciarli soli. Senza contare che
non sappiamo
quando tornerebbero a Narnia. Potrebbero volerci mesi come anni. O
addirittura
secoli e noi non li rivedremmo mai più”. La nebbia
si fece più rada, il mio
sguardo vacillò. “Non posso lasciare Ed e Lucy da
soli. Sono ancora piccoli, e
specie ora che papà non c’è
più hanno bisogno di me e Susan.” Prese un respiro
profondo prima di proseguire. “Vorrei restare a Narnia con
tutto il cuore, lo
sai, ma ho dei doveri verso la mia famiglia che devono venire prima dei
miei
desideri.”
Tutta l’energia
alimentata
dalla rabbia mi lasciò, scacciata da quella spiegazione
così dannatamente
logica e comprensibile. Mi sentii debole, stanca, perfetta preda del
dolore che
avevo cercato di allontanare, e stupida per essere saltata a
conclusioni
affrettate e non aver avuto fiducia in Peter. Poggiai la mia fronte sul
suo
petto come fossi priva di forze, spossata dai troppi sentimenti che mi
avevano
animata in poco tempo, e mi abbandonai al lento ritmo del suo respiro e
allo
scorrere delle mie lacrime che insensibili alla mia volontà
avevano preso a
scorrere. Lacrime di desolazione, suscitate dal senso di impotenza che
la
schiacciante ineluttabilità della sua partenza mi faceva
provare. Lacrime che
erano anticamera del dolore che mi avrebbe presto sommersa.
Ora capivo. Ero stata
avventata a lanciargli quelle accuse. Peter mi amava e stava soffrendo
per la
scelta che aveva fatto. Ma, come aveva detto lui, non poteva fare
altrimenti.
Non poteva abbandonare Edmund e Lucy, lui era il fratello maggiore, la
loro
guida, il loro sostegno. Sarei stata un’egoista a chiedergli
di restare per me
rinunciando alla sua famiglia, alle persone con la quale aveva
condiviso tutta
la sua vita. Erano i suoi fratelli. Non avevo nemmeno il diritto di
essere
arrabbiata con lui. Semmai, l’unica persona con la quale
potevo prendermela era
il destino, che beffardo, nonostante tutte le difficoltà che
avevamo dovuto
superare, non voleva lasciarci in pace, deciso a privarci della
felicità che
finalmente avevamo sperato di godere.
“Capisco”
mormorai flebile, condividendo
la sua rassegnazione ora che conoscevo la situazione. Il ragazzo non
poteva
opporsi a quella scelta, ora comprendevo. Non si poteva lottare contro
ciò che
era giusto e necessario.
Peter mi passò le
braccia
attorno alle spalle e mi strinse forte, affondando il viso nei miei
capelli.
“Non hai idea di come mi senta, di quanto mi sia costata
questa decisione. Non
avrei mai pensato di dover di nuovo andarmene, di abbandonare questa
terra. Ma
ho degli obblighi verso la mia famiglia prima che con me stesso. Devo
tornare
con loro, tornare a casa. E poi non riesco a lasciarli andare da soli,
non
potrei.” Confessò, cullandomi con un dolce
movimento. “Ma non posso nemmeno
lasciare te” aggiunse poi.
Mi scostai un poco per
guardarlo negli occhi, afflitta dalla consapevolezza di quanto i suoi
desideri
fossero inconciliabili con i suoi propositi. “Neanche io
voglio che tu te ne
vada, credo sia chiaro”.
“Ma il fatto che debba
lasciare Narnia non vuol dire che debba lasciare anche te.”
Insinuò enigmatico.
La mia espressione era
simile ad un grande punto interrogativo. “Non ti
seguo” ammisi.
Peter mi prese per le spalle
e accostò il suo viso serio al mio. “Potresti
attraversare il varco anche tu,
tornare a Londra con noi” mi propose, un lampo di speranza
negli occhi azzurri.
Restai interdetta dalla sua
proposta inaspettata. Tornare a Londra.
Da quando ero arrivata a Narnia non avevo mai pensato ad un mio
eventuale
ritorno in Inghilterra, ma non avevo nemmeno considerato
l’idea di avere una
vita in quel luogo incantato. Gli eventi si erano susseguiti
l’un l’altro
prendendo il sopravvento, in una girandola continua di scoperte e
imprevisti che
mi avevano impedito di fare progetti a lungo termine, limitandomi a
vivere un
giorno alla volta. Non avevo nemmeno considerato che prima o poi avrei
dovuto
decidere. Ma ora che la scelta mi veniva posta dinanzi, qual era la mia
risposta? Tornare o restare? Poi mi ricordai un piccolo
dettaglio.
“Se anche attraversassi
il
varco, saremmo comunque separati dai sessant’anni che
distanziano la tua Londra
dalla mia” gli feci notare. La mia
Londra. Mi resi conto subito di come quel pronome possessivo stonasse
sulle mie
labbra se riferito a quella città. Londra non era mai stata mia, non l’avevo mai sentita
come tale.
Tra quelle residenze vittoriane e prati ben curati ero sempre stata un
corpo
estranio inserito a forza, un’anomalia tenuta nascosta per il
quieto vivere
comune. Mia era un aggettivo
accostabile a ben altro paese. Mia
potevo avvicinarlo al nome Narnia, luogo dove ero nata e che mi aveva
accolta a
braccia aperta appena vi ero tornata. Sarei potuta tornare alla
solitudine di
una realtà a me ostile? La risposta era semplice quanto
certa. No.
“Potremmo chiedere ad
Aslan
di trasportarti nel nostro tempo, non credo sarebbe un problema per
lui.”
risolse pronto il biondo, dando prova di aver già pensato
all’ostacolo.
Questo cambiava le carte in
tavola. La domanda diveniva un’altra. Restare o tornare con
Peter? Avrei
continuato a subire una realtà ostile, ma non più
da sola. Dopotutto una
persona che mi amasse e che mi conoscesse interamente non era
ciò che più mi
era mancato in Inghilterra? Non era anche per l’assenza di
questa ipotetica
figura amica che non avevo esitato ad attraversare il varco che mi
aveva
condotta a Narnia? Quel “no” pensato con tanta
fermezza vacillò.
“E
dove vivrei? Nella tua Londra non ho una
casa, né un lavoro, né niente. Sarei una
ragazzina venuta fuori dal nulla”
obiettai prendendo tempo.
Peter si illuminò,
già lieto
di non vedermi rifiutare la sua proposta di primo achito.
“Potresti vivere con
me e i miei fratelli per qualche tempo e finire la scuola con noi. Poi
potremmo
andare a vivere io e te in una casa nostra appena saremmo indipendenti,
massimo
nel giro di due anni. Insieme potremmo costruirci una nostra vita nella
mia Londra.
Non sarà magica come un’esistenza a Narnia, ma
sarebbe comunque una vita
insieme.” Proseguì, illustrandomi
un’idea sulla quale probabilmente aveva
lavorato tutta la sera. Il suo tono era però cauto, a
discapito del fervore che
gli animava le iridi zaffiro. Sapeva che quanto mi stava chiedendo era
tanto,
forse troppo, che quello delineato da lui era un progetto grande e
avventato,
basato su castelli di carta costruiti sulla terra
dell’immaginazione.
Presi un respiro profondo e
abbassai lo sguardo, non sapendo cosa dire, cosa pensare.
L’unica mia
consapevolezza era che la scelta postami davanti sarebbe stata la
più
importante di tutta la mia vita. Una consapevolezza schiacciante, il
cui solo risultato
era quello di mandarmi ancora più in confusione.
Peter mi accarezzò una
guancia con dolcezza, come se con quel solo gesto potesse mettere in
ordine il
caos che regnava nella mia mente. “So che è una
decisione difficile. Si tratta
del tuo futuro e non ti chiedo di rispondermi subito. Voglio solo che
tu
rifletta attentamente su questa possibilità.”
“È
l’unico modo per restare
insieme” mormorai, il capo ancora chino, come appesantito
dalle troppe
riflessioni.
“Si”
concordò “ma il prezzo
è alto, lo so bene. Probabilmente troppo alto, ma questo lo
devi decidere tu.
Sappi solo che mi atterrò a qualsiasi cosa tu scelga e che
se decidessi di
restare a Narnia non metterò in dubbio il tuo amore per me.
So perfettamente
cosa rappresenti questa terra per te, cosa vi hai trovato e quanto ti
sarebbe
difficile riprendere una vita normale a Londra.”
A quelle parole alzai gli
occhi, nuovamente lucidi. Ancora una volta metteva ogni decisione nelle
mie
mani. Mi dava libero arbitrio a patto che scegliessi ciò che
mi avrebbe reso
felice. Ma come potevo decidere tra la persona con cui volevo vivere,
Peter, e
il mondo che mi permetteva di vivere come strega, la vera me stessa?
“Noi partiamo domattina.
Hai
tutta la notte per decidere.” Concluse infine.
Il tono sofferente della sua
voce commentava ogni cosa per entrambi.
Sentii le lacrime sul punto
di scendere ancora, ma Peter, accortosene, scongiurò il
pericolo. Mi prese di
nuovo il mento e mi alzò il viso per baciarmi. Passionale,
tormentato,
bisognoso, urgente, dolce e malinconico. Un bacio che esprimeva il
nostro
desiderio di voler restare insieme e il dolore sordo che ci provocava
anche
solo l’idea di dividerci.
Passandogli le mani dietro
la nuca, lo attirai maggiormente a me, anche se dubitavo ci fosse
ancora spazio
a dividerci. Sentiii le sue dita infilarsi tra i miei ricci,
giocandoci,
tirandoli con delicatezza, procurandomi piccoli brividi lungo la spina
dorsale.
Lo amavo così tanto. Era
stato il primo alla quale avevo aperto il mio cuore, la mia anima. Il
primo che
mi aveva conosciuta veramente, che era riuscito a farmi avere fiducia
nell’amore e nell’amicizia. Perché il
fato ancora minacciava la felicità che
avremmo potuto raggiungere solo insieme? La sola idea che quel bacio
potesse
essere l’ultimo mi era insopportabile. Non riuscivo nemmeno
ad immaginarmi
senza Peter.
Le mani del ragazzo scesero
giù tracciando linee immaginarie sulla mia schiena. Le sue
labbra si scostarono
dalle mie, avventurandosi lungo la mandibola, poi sul collo,
costringendomi a
reclinare indietro il capo. Avrei potuto vivere anni e anni senza le
sue mani
gentili che mi accarezzavano? Senza il soffio caldo del suo respiro
sulla mia
pelle? Non lo sapevo. Ma non sapevo nemmeno se la loro presenza sarebbe
bastata
per farmi tornare a nascondermi da una città basata su
preconcetti limitati che
fornivano la difinizione di “normale”, una
definizione che mi escludeva e che
mi avrebbe sempre fatta sentire diversa.
*
Aria. Pura, fresca, liberatoria
aria. La respirò a pieni polmoni, beandosi della sensazione
dell’ossigeno che
gli penetrava nei tessuti rinvigorendoli. Si concentrò sul
diaframma che si
alzava e abbassava a ritmo controllato una, due, tre volte. Presto
però il
giovane re di Telmar si rese conto che per quante volte potesse
ripetere quel
movimento, il suo apparato respiratorio non avrebbe esplulso i pensieri
nefasti
che gli ronzavano in testa assieme all’anidride carbonica.
Quelli sarebbero
rimasti nella sua mente per tutta la notte e molto tempo ancora per
tormentarlo, per ricordargli con quali esatte parole aveva rinunciato
per
sempre alla persona che amava…
“Ti
amo, e per questo non ti chiederò mai di scegliere
tra me e la tua famiglia, né di comportarti diversamente da
ciò che ritieni
giusto e se la tua decisione è quella di andartene la
accetterò. Sappi però che
ti amerò ancora dopo che te ne sarai andata e che
probabilmente non smetterò
mai di farlo.”
Parole posate, scelte con
cura dopo i lunghi minuti di silenzio che erano seguiti
all’annuncio inaspettato
e devastante di Susan Pevensie. Un annuncio che aveva informato il
giovane
sovrano dell’imminente partenza della ragazza. E della sua
impossibilità a
tornare in un ipotetico futuro.
Imporsi il silenzio per
darsi il tempo di riflettere e agire secondo la ragione e non
l’istinto gli era
costato tutta la sua forza di volontà. Il primo impulso alle
parole “Devo
andarmene” della giovane era stato quello di afferarla per le
spalle e
scuoterla finché non avesse cambiato idea. Sapeva che
avrebbe anche potuto
arrivare a supplicarla di non tornare nella sua città,
facendo leva sul
rapporto che in quelle settimane erano faticosamente riusciti a
costruirsi e
dipingendo il futuro che avrebbero potuto condividere. Fortunatamente
però una
voce interiore era intervenuta in tempo per fermarlo, costringendolo a
pensare
alle conseguenze che si sarebbero susseguite a quella reazione.
Tralasciando
che tentare di far cambiare idea a Susan, in particolare se
l’idea riguardava
un dovere da compiere, era come pregare la pioggia di non cadere, ossia
inutile,
esibirsi in una scenata simile avrebbe avuto come unico risultato,
oltre quello
di apparire ridicolo e infantile, quello di farla soffrire. O meglio,
farla
dolere più di quello che già stava patendo.
Perché la decisione di andarsene la
stava facendo soffrire, glielo aveva letto nei lineamenti del suo bel
viso a
cuore, che inutilmente aveva cercato di irrigidire nella posa che
assumeva
quando si comportava da regina, come se volesse già mettere
una distanza tra
lei e Caspian per prepararsi per gradi alla definitiva separazione, ma
che
inevitabilmente si erano sciolti in una smorfia dolente alla prima
carezza
comprensiva del ragazzo. Una carezza significante che Caspian aveva
capito
quanto Susan stesse pagando la scelta di partire, quanto desiderasse
restare a
Narnia, con il suo popolo e con lui. Ma per quanto potesse agognare di
non
partire, Susan Pevensie non si sarebbe mai sottratta ad un suo dovere,
specie
se era nei contronti della sua famiglia.
Caspian tirò un calcio a
vuoto, sfogando la frustrazione sulle pietre del ciottolato del cortile
dove
stava camminando.
Dannazione
a lei e al suo smisurato senso del dovere!
Quel senso del dovere che
l’aveva resa la regina più grande che Narnia
avesse mai avuto, che le aveva
dato la forza per compiere scelte difficili per il suo popolo, che la
caratterizzava e le dava quella particolare luce negli occhi che
Caspian tanto
amava. Ma che ora la stava privando della sua felicità,
aprendole la porta ad
una vita di rimpianti. La stessa porta che il re vedeva dinanzi a
sé. Amava
quella testarda, splendida e dolce ragazza che lo aveva stregato prima
con la
sua forza d’animo, poi con la tenerezza e
l’insicurezza che si celavano dietro
ad essa, e la sola idea di non vederla mai più gli straziava
il cuore. Aveva
sperato che sconfitto Miraz e riavuto il regno, ogni cosa sarebbe
andata per il
verso giusto, secondo i suoi desideri, e il primo tra tutti era stato
proprio
quello di condividere i giorni futuri con la regina di Narnia e del suo
cuore.
Ora quel sogno, prima a portata di mano, aveva messo le ali e si era
allontanato sino a diventare irraggiungibile. Era volato via. A Londra,
per la
precisione. La città dove la sua Susan sarebbe tornata per
non andarsene mai
più, come aveva decretato Aslan.
Era profondamente ingiusto.
Perché non potevano restare?
Ingiusto e insensato.
Perché
lasciare Narnia nuovamente senza re visto cosa era accaduto
l’ultima volta?
Ingiusto, insensato e
crudele. Perché il destino doveva separare delle persone che
si amavano o che
si volevano semplicemente bene?
Purtroppo però oltre ad
essere ingiusto, insensato e crudele, era deciso. I Pevensie non
avrebbero
cambiato idea, la scelta era stata fatta. L’unica cosa che
Caspian poteva fare
ora era accettarlo e sperare che con il tempo il ricordo del dolce
sorriso di
Susan da doloroso divenisse agro-dolce fino a tenero, e nel mentre
vivere la
propria vita cercando di essere un sovrano capace almeno un decimo di
quanto lo
era stata lei. E augurarle di raggiungere la felicità anche
nel loro lontano e
strano mondo.
Alzò lo sguardo al cielo
blu
e prese un altro respiro. L’aria fresca della notte era
ristorativa, portatrice
del quieto silenzio che dominava in quelle ore del giorno. Si
fermò, dopo aver
percorso l’intero cortile del palazzo quasi senza
accorgersene, immerso com’era
nelle sue elucubrazioni. Il ragazzo constatò con piacere
come camminare sotto
le stelle aveva anche quella volta sortito un effetto benefico come in
passato.
Si sentiva molto più calmo di quando aveva abbandonato la
sua camera
lasciandosi alle spalle Susan. In quel momento aveva la mente in
sobbuglio e lo
stomaco contratto per le troppe emozioni. Ora, anche se il dolore sordo
per
l’imminente separazione restava, sentiva di poter provare a
sopportarlo, di
poterlo controllare e cercare di godersi così le ultime ore
che gli restavano
accanto alla sua amata.
Stava quasi per tornare
indietro quando il profilo di una giovane donna delineato da un raggio
di luna
catturò la sua attenzione. Sorrise mesto riconoscendo la
persona seduta
sull’erba con la schiena appoggiata ad una delle quercie sul
fondo del cortile.
Avrebbe dovuto aspettarsi di trovare anche lei lì, in preda
a pensieri simili
ai suoi. Erano nella stessa situazione in fin dei conti.
Proprio per condividere il
peso di quel destino simile il re le si avvicinò, sperando
di recare sollievo a
se stesso e magari di alleviare le pene a lei.
Ero assolutamente certa che
nessun studioso letterario o insegnante avrebbero mai potuto trovare
parole
adatte per descrivere quanto dilaniante fosse essere vittime di un
dubbio
amletico. L’unico modo per comprendere i sentimenti del
povero principe di
Danimarca era provarli in prima persona, e anche se la mia domanda era
diversa
dal suo ormai proverbiale “essere o non essere?”,
ero sicura che fosse di
uguale portata.
Restare o tornare? Narnia o
Peter? La magia o una vita normale?
Mi presi la testa tra le
mani, poggiando i gomiti sulle ginocchia. Odiavo essere in dubbio.
Già non
sopportavo quando nel frigorifero trovavo più di due tipi di
yogurt tra cui
scegliere, figurarsi trovare ad affrontare una decisione simile. Ma
cosa avevo
fatto di male nella mia vita? In fin dei conti non avevo chiesto tanto,
solo
delle risposte e delle persone sincere attorno a me, era forse la luna?
O forse
questo era il prezzo da pagare per aver ottenuto la realizzazione del
mio
desiderio. A ben pensarci tutti i sogni che avevo quando avevo
attraversato il
varco si erano realizzati. Avevo trovato l’affetto di amici
veri, l’amore di un
ragazzo semplicemente perfetto e un’identità. La
mia missione a Narnia era
teoricamente conclusa. Sarei quindi potuta tornare a Londra e
archiviare
l’esperienza fatta in quel magico mondo?
Ne dubitavo.
Quell’avventura
iniziata quasi per caso si era spinta troppo oltre per essere messa da
parte
con facilità. Io non ero una semplice visitatrice come i
Pevensie, quel viaggio
mi aveva messa a parte di una rivelazione non trascurabile. Io non ero
ospite
di Narnia, gentilmente accolta perché adempisse al suo
incarico. Io ero un suo
abitante, ne facevo parte. E questo senso di appartenenza non poteva
essere
ignorato.
Dovevo quindi restare? Il
bel volto di Peter mi apparve talmente nitido da farmi male al cuore.
Lo avevo
allontanato recandomi nel cortile interno per avere tempo per
riflettere da
sola, ma la sua immagine mi compariva dinanzi agli occhi talmente
spesso che
era come averlo accanto.
Preda dello sconforto,
sospirai facendo scivolare lo sguardo sull’erba fresca per la
notte, finché non
notai un gruppetto di foglie radunate in un angolo accanto al muretto
in pietra
che delimitava il prato. Distrattamente alzai una mano, liberando un
leggero
flusso di magia atto a sollevarle. Le feci avvicinare e le tramutai in
candide
margherite. Con le dita imitai il giro di un vortice e i fiori
seguirono il
comando circondandomi, provocando un lieve soffio d’aria. Le
margherite
crearono una sfera con me al centro e presto la mia mente di
ricordò di
un’altra sfera magica, fatta di goccie d’acqua
cristallizzate, che aveva
inglobato me e Peter. Una meravigliosa sfera ferma a
mezz’aria attraverso la
quale i raggi del sole erano filtrati dando vita ai colori
dell’arcobaleno,
complici e spettatori del primo bacio tra il giovane e me, un bacio che
aveva
sugellato un “ti amo” atteso e sincero. Il ricordo
era talmente vivo che mi
parve quasi di poter sentire la morbidezza delle sue labbra sulle mie
quando
esitanti si erano appoggiate per la prima volta.
Con un altro sospiro cercai
di riscuotermi. Di certo certe reminiscenze non erano d’aiuto
in quel
frangente. Solo allora notai cosa avevo incosciamente creato con i
fiori.
Strabuzzai gli occhi, incredula di dove potesse arrivare il subconscio,
e il
mio sguardo fu ricambiato da quello di Peter. O meglio
dall’immagine del volto
di Peter che ero riuscita a ricreare servendomi dei petali delle
margherite.
Dovevo complimentarmi con me stessa poiché la somiglianza
era impressionante,
il suo viso mi sorrideva a mezz’aria esattamente come avrebbe
fatto l’originale,
al contempo però avrei voluto prendermi a testate. Potevo
scegliere di
andarmene con i suoi bei lineamenti davanti?
Per giustizia decisi di
creare accanto, con dei fili d’erba mutati in altre
margherite, il castello di
mia madre l’ultima volta che lo avevo visto, ovvero privo di
ghiaccio,
assumendolo come simbolo di Narnia.
Bene, ora potevo ripropormi
la domanda con anche un ausilio visivo. Restare o tornare?
Guardai il castello. Se
restavo, mi aspettava una vita da Strega Rossa. Non avrei mai dovuto
nascondere
i miei poteri, al contrario sarei sempre stata apprezzata per essi.
Avrei
potuto aiutare Narnia e i suoi abitanti ad avviarsi in quella nuova era
di
pace. Quella terra mi aveva donato tanto e io ero consapevole del fatto
che
avrei potuto ricambiare il favore. Sarei stata conosciuta per le mie
capacità e
avrei avuto una mia identità. Sarei sempre stata Cathrine,
la potente Strega
Rossa che aveva risvegliato Narnia. E mi sarei sentita a casa.
Il quadro dipinto mi
riempiva il cuore di orgoglio e speranza. Una vita passata ad esaltare
la mia
magia, a sfruttarla per il bene comune e non a nasconderla, a
considerarla una
maledizione, era stato il mio sogno più grande per tutta
l’infanzia e
l’adolescenza. Prima però che arrivasse Peter.
Il mio sguardo guizzò
verso le
angeliche fattezze del giovane. Lui mi aveva fatto conoscere
l’amore, cambiando
nettamente le mie priorità. Se prima ero certa che non dover
temere la mia
magia mi sarebbe bastato per raggiungere la felicità, ora
ero sicura del
contrario. Non potevo essere completamente felice se Peter non era al
mio
fianco. Era come se il ragazzo mi completasse, se fosse una tessera
essenziale
del puzzle della mia vita. Ma che vita mi attendeva nella Londra post
guerra
assieme al biondo?
Potresti
vivere con me e i miei fratelli per qualche
tempo e finire la scuola con noi.
Vivere con lui, nella sua
casa, e frequentare la sua scuola. Riprendere un’esistenza
non molto diversa da
quella che conducevo nella Londra del duemila. La differenza
più sostanziale
probabilmente stava nell’uso delle divise scolastiche.
Poi
potremmo andare a vivere io e te in una casa
nostra appena saremmo indipendenti, massimo nel giro di due anni.
Due anni. Tra due anni avrei
compiuto diciannove anni. Nella mia Londra mi sarei iscritta
all’università,
avrei partecipato alla maggior parte dei festini del campus dove avrei
conosciuto un ragazzo con il quale avere una storia importante che
sarebbe
certamente naufragata entro tre anni, e poi mi sarei avviata nel mondo
del
lavoro. Rimboccandomi le maniche avrei potuto affiancare mio padre nei
suoi
viaggi all’estero, sarei diventata una valida manager, una
brava imprenditrice.
Sarei divenuta una persona indipendente, con un ottimo stipendio, una
bella
casa. Una persona che non doveva rendere conto a nessuno, che poteva
disporre
liberamente della propria vita perché ne era
l’unica padrona e perché sapeva
perfettamente come viverla. Con ironia mi resi conto di come queste
ultime
considerazioni potessero essere fatte anche per la mia ipotetica vita a
Narnia.
Il “lavoro” che mi attendeva in quel regno magico
era di natura ben diversa ma
mi avrebbe condotto alla stessa enorme libertà.
Potevo accostarle anche alla
mia esistenza possibile nella Londra di Peter? A diciannove anni
saremmo andati a vivere io e lui in una casa
notra.
Peter non pensava all’università, ma ad
un’altra continuazione. Quel “vivere
io e te in una casa nostra” nel
1948 implicava una condizione ben precisa. Il matrimonio. Peter voleva
sposarmi.
Non me lo aveva chiesto esplicitamente, ma era sottointeso in quella
frase. Tra
due anni ci saremmo sposati e ci saremmo trasferiti in
una casa nostra.
Se pochi mesi addietro mi
avrebbe chiesto se potevo prendere in considerazione l’idea
di sposarmi così
presto probabilmente avrei riso, negando energicamente anche la
più remota
possibilità. Ora però, guardando quel viso che mi
fissava con dolcezza, la
parola matrimonio non assumeva
quel
significato imperioso e pauroso che gli avevo attribuito. Non sembrava
una
gabbia di responsabilità che da sempre mi intimoriva,
bensì solo un modo più
solenne per dire “ti amo”. Dopotutto gli avevo
ripetuto mille volte che sarei
stata sua per sempre, la promessa che avrei fatto all’altare
sarebbe stata solo
una conferma. E poi, sarebbe stato così terribile svegliarsi
ogni mattina con tra
le sue calde e accoglienti braccia?
Insieme
potremmo costruirci una nostra vita nella mia
Londra. Non sarà magica come un’esistenza a
Narnia, ma sarebbe comunque una
vita insieme.
Dunque se fossi partita con
Peter mi sarei certamente sposata a diciannove anni. E poi? Secondo il
ragazzo
potevamo costruirci una “nostra vita”, ma cosa
intendeva di preciso? Nella mia
Londra sarei diventata una manager, a Naria una Strega capace di
aiutare la
popolazione, ma nella sua?
Lui, giovane aitante e
intelligente, avrebbe di certo avuto le strade spalancate. Avvocato,
dottore,
militare, avrebbe potuto diventare qualsiasi cosa avesse voluto. Ma
quale
sarebbe stato il mio ruolo in una società a me sconosciuta e
ancora restia ad
aprire le porte al gentil sesso? Un’immagine di me con una
candida camicetta
abbottonata sino al collo, indaffarata tra la cucina e il salotto,
frastornata
dai capricci di un bimbo, mi attanagliò lo stomaco. Non ci
voleva uno storico
per capire che i ruoli preponderanti per le donne nella seconda
metà del
novecento restavano quelli di moglie e madre. Ovviamente
c’erano le operaie, le
insegnanti, le sarte e altri impieghi simili, ma tutti erano comunque
alterego
di una moglie immersa nella biancheria da pulire o da bambini da curare
una
volta timbrato il cartellino.
Di certo sarebbe stata una vita insieme. Avrei tenuto in ordine la
casa, avrei cucinato, forse sarei riuscita a trovarmi un piccolo
impiego, e poi
avrei aspettato che Peter tornasse a casa dal lavoro. Non sarei stata
la grande
manager Cathrine Icepower, né la potente Strega Rossa
Cathrine, bensì la
signora Pevensie. In un mondo completamente diverso dal mio eccetto per
la
diffidenza verso la magia. In un mondo dove non conoscevo nessuno a
parte
Peter, al quale mi sarei certamente aggrappata in quanto unico appiglio
in un
mare di novità. In un mondo dove le parole indipendenza e
libertà si svuotavano
del loro allettante significato. Come potevo essere autonoma in una
società a
me estranea? Come potevo costruirmi una mia identità se non
potevo far uscire
né la strega né l’Icepower? Come potevo
essere libera di disporre della mia
vita se dipendevo totalmente da Peter?
Una
vita insieme.
Peter aveva basato quel futuro sul nostro amore, ma sarebbe bastato a
farci felici? Forse per lui lo sarebbe stato. La vita che avevo
raffigurato era
dopotutto la vita tipo di un ragazzo della seconda metà del
novecento. Ma io?
“Disturbo?”
Mi girai sorpresa verso la
voce inaspettata e mi ritrovai accanto al neo incoronato re di Telmar.
“Accomodati” lo
invitai indicandogli
la mia destra. La luce della luna era fioca ma bastò per
notare l’espressione
buia e rassegnata del ragazzo. Evidentemente Susan doveva averlo
informato
sulle ultime novità.
“Qualcosa mi dice che
siamo
tormentati dagli stessi pensieri” commentò
accenando con il capo alla
riproduzione del viso di Peter con le margherite e confermando la mia
intuizione.
“Credo
anch’io”. Sorridendo
mesta, con un gesto della mano distrussi le due composizioni facendo
cadere i
petali a terra.
“Tu...tu come
stai?” abbozzai.
I suoi occhi, resi d’argento dai raggi lunari, erano spenti,
rassegnati,
dolenti. Non mi piaceva vederlo in questo stato, specie dopo averlo
ammirato
pieno di vita e forza solo poche ore prima, ed ero del parere che
esprimere
quei sentimenti ad alta voce lo avrebbe aiutato, come se farli uscire
dalla sua
bocca li avrebbe fatti uscire anche un poco dal suo cuore.
Caspian sorrise amaro,
fissando i petali bianchi sull’erba. “Male e
purtroppo dubito ci sia qualcosa
che si possa fare per star meglio.” La rassegnazione nella
sua voce mi
appesantì il cuore. Lui, sempre così speranzoso e
vivace, pareva ora svuotato
dei buoni sentimenti con i quali aveva sempre vissuto. “Ma
immagino non te lo
debba spiegare. Se c’è qualcuno che possa capire
come mi sento quella sei
proprio tu” proseguì.
Annuii e gli strinsi forte
il braccio come a sottolineare le sue parole. Era vero, il suo dolore
era eco
del mio. Il mio animo era attanagliato però anche da un
altro sentimento che il
moro non sapeva, il dubbio.
“Credo di si. Tuttavia le
nostre situazioni non sono completamente uguali” insinuai.
Caspian aggrottò le
scure
sopraciglia. “Ovvero?”.
“Ovvero Peter mi ha
chiesto
di andare con lui nella sua Londra” lo misi a parte.
“Ah.”
Due lettere. Due piccole e
semplici lettere che però se accostate rendevano bene lo
stupore dipinto sul
suo viso. Caspian alzò il mento al cielo, annuì
come rivolto a se stesso e per
diversi minuti vidi il suo sguardo assorto nei suoi pensieri. Seguii la
traiettoria dei suoi occhi con un sospiro e
cercai di immaginarmi il filo dei suoi ragionamenti per
non tornare a
perdermi nei miei.
“Non avevo considerato
questa eventualità, sai?” disse infine,
facilitandomi il compito che mi era
prefissa.
“Nemmeno io”
sbuffai.
“E cosa credi di
fare?”
Domanda scontata. Peccato
che la risposta non lo fosse altrettanto.
Alzai le spalle e presi un
profondo respiro prima di rantolare un rassegnato “Non ne ho
la benché minima
idea”.
Caspian mi passò un
braccio
attorno alle spalle per attrarmi a sé e io volentieri
poggiai la testa sulla
sua spalla. Prima del suo arrivo non mi ero resa conto che avevo
bisogno di una
persona che mi stesse vicina, con la quale confidarmi e che mi capisse.
Un
amico. E Caspian era la persona più adatta poiché
oltre ad essermi
sentimentalmente vicino data la nostra simile situazione, era anche
l’unico tra
i miei amici a non essere imparentato con l’oggetto dei miei
problemi e con il
quale quindi potevo parlare liberamente, senza temere influenze o
complicazioni
varie.
“Tu cosa faresti se fossi
al
mio posto?” gli chiesi a bruciapelo.
“Se Susan mi avesse
chiesto
di partire?” il suo petto si alzò e
abbassò lentamente con anche la mia mano
appoggiata sopra. “Non è una risposta facile. Di
primo achito, con il cuore, ti
direi che la seguirei subito ovunque, anche in capo al mondo, ma
riflettendoci…” lasciò in sospeso la
frase, prendendosi tempo per pensare.
Lo aspettai paziente,
conscia di quanto complicata fosse la mia richiesta. Io era tutta la
serata che
ci ragionavo su…
Alzai gli occhi al cielo, cercando
la costellazione che mi aveva indicato Aslan. Dopo poco riusciia a
localizzarla. Quattro stelle brillavano alla mia destra, ora come da
millenni
sotto il nome di Costellazione degli Amatores. Mi ricordai la triste
storia ad
esse legate, i quattro amanti uccisi dal loro stesso sentimento, divisi
in vita
e uniti solo nella morte. Di certo quei ragazzi avevano agito
d’istinto, con il cuore,
come aveva detto Caspian,
ma se si fossero presi più tempo per pensare? I due amanti
appartenenti al
popolo delle ninfe si sarebbe suicidati per seguire i loro compagni
ugualmente
o avrebbero optato per continuare a vivere, portando con sé
il ricordo degli
amanti e sperando un giorno di tornare ad essere felici? E cosa sarebbe
stato
più giusto per loro? Seguire il cuore, qualunque sia la
strada a cui porti ma
rispettando un sentimento puro, o ascoltare la ragione e fare la scelta
migliore per se stessi? L’opzione migliore sarebbe quella che
vede cuore e
ragione indicare la stessa via, ma quando ciò non era
possibile cosa bisognava
scegliere?
“Temo
che…” riprese il moro,
riottenendo la mia attenzione “nonostante ami Susan
più di me stesso, non
potrei mai lasciare il mio popolo. Sono il suo re, ho dei doveri ben
precisi
verso esso” affermò serio. “E
poi” aggiunse posando il suo sguardo reso argento
dalla luna “non credo riuscirei a vivere in un mondo tanto
diverso dal mio. Non
ho mai visto Londra ma da quel poco che mi hanno raccontato so che non
è un
luogo per me. Ho bisogno di vivere in un posto che possa chiamare casa,
e
l’unica casa che conosco è Telmar”
concluse.
Mi morsi il labbro annuendo
con il capo per dirgli che avevo compreso la sua posizione.
“Quindi l’amore non
basta?” domandai esprimendo ad alta voce uno dei quesiti che
avevo posto a me
stessa prima.
Caspian accennò ad un
sorriso amaro e distolse lo sguardo verso un punto non definito del
cortile,
cercando le parole giuste. “L’amore è
necessario per renderci completamente
felici, ma non è l’unico ingrediente di cui una
persona ha bisogno per sentirsi
bene. È brutto da dire ma non si può vivere di
solo amore, è una visione molto
romantica ma poco realistica. Un uomo o una donna hanno bisogno di
sentirsi
bene con se stessi, realizzati come individui e di un posto che sentono
come
loro in cui vivere, per esempio. A Londra sono convinto che non potrei
avere
niente di ciò quindi, anche se sarebbe una scelta sofferta e
rimpiangerei Susan
probabilmente per anni e anni, deciderei di restare. Sarebbe la scelta
più
ragionevole”.
Caspian avrebbe ascoltato la
ragione. Pur amando immensamente Susan, avrebbe scelto di vivere a
Narnia
perché era la scelta
più ragionevole.
La scelta che con maggiore probabilità gli avrebbe
assicurato una media
felicità e un futuro.
Ammiravo molto la
determinazione che aveva avuto nel fornirmi la risposta. Caspian sapeva
cosa lo
avrebbe reso pià felice, cosa era meglio per lui, e lo aveva
espresso in
maniera limpida e incontrovertibile. Che il giovane re avesse ragione?
Forse
davvero l’amore non bastava…
“Capisco” dissi
soltanto.
Avrei voluto aggiungere altro ma se avessi iniziato ad esprimere ad
alta voce
tutte le mie considerazioni e idee probabilmente non sarebbero bastati
due
giorni. Sperai che intuisse almeno una minima parte dei miei pensieri.
Evidentemente le mie
speranze non dovevano essere mal riposte perché Caspian
aumentò la presa sulle
mie spalle e avvicinò il suo viso al mio orecchio.
“Questo però
è solo il mio
parere. Io resterei, ma un’altra persona avrebbe potuto dirti
che sarebbe
partito senza esitare, felice magari di lasciarsi Narnia alle spalle
per un’avventura.”
Riprese con tono leggermente più concitato. “Non
lasciarti influenzare dal mio
discorso poiché solo tu puoi decidere cosa ti renderebbe
più felice.”
Mi massaggiai le tempie con
la mano destra, sospirando. “È una parola. Come
faccio a sapere cosa mi farebbe
felice?” chiesi frustrata. Ma cosa pensava che mi fossi
chiesta durante le
ultime quattro ore? Se preferivo i dolci di Narnia o quelli di Londra?
Il giovane poggiò la
testa
sul tronco dell’albero, riflettendo. “Pensa a cosa
ti fa sentire appagata. L’assenza
di cosa ti farebbe mancare l’aria? Senza cosa ti sentiresti
incompleta,
insofferente, perennemente in attesa di un cambiamento per migliorare
la tua
vita?”
La domanda mi lasciò
interdetta. Non l’avevo mai messa in termini così
espliciti, ma forse solo
affrontanre un interrogativo così diretto poteva aiutarmi a
trovare una
risposta utile. L’assenza di cosa
mi
farebbe mancare l’aria?
“Nessuno ti ha mai detto
che
quando vuoi regali vere e proprie perle di saggezza?” gli
dissi, cercando di
smorzare l’atmosfera appesantita da quei discorsi.
Funzionò
poiché mi giunse
presto la risata smorzata di Caspian. “Custodiscile bene
perché le dono solo a
pochi eletti” stette al gioco.
“Tranquillo, io e quelle
perle abbiamo tutta una nottata davanti per stare assieme a
riflettere” gli
assicurai sarcastica.
Il giovane mi diede un bacio
tra i capelli. “Sarà meglio che ti lasci
allora.” Mi disse prima di alzarsi
agile da terra. “Spero tu riesca a capire quale sia la scelta
migliore per te” mi
augurò. Gli sorrisi, intenerita dalla brillante
sincerità che vedevo nei suoi
occhi. Era proprio un bravo ragazzo, mi aveva ascoltata e mi era stato
vicino
senza nemmeno che glielo chiedessi, di sua iniziativa.
Il giovane fece per
andarsene poi però parve ripensarci e si volse nuovamente
verso di me. “Cate,
ascolta, volevo ancora solo dirti che se decidessi di restare, mi
piacerebbe
che tu potessi considerare Telmar e questo castello come casa tua. Sai,
una
mano per governare un regno così grande fa sempre
comodo” propose, cercando di
nascondere un lieve imbarazzo con
l’umorismo.
Il mio petto si scaldò
per
la sua dimostrazione di amicizia. Avevo sbagliato, non era un bravo
ragazzo,
era un ragazzo d’oro. Ma soprattutto, era davvero un caro,
caro amico.
“Grazia
Caspian” mormorai
commossa e ricevetti in cambio il sorriso aperto e sincero del giovane,
prima
che si voltasse di nuovo e si inoltrasse
nell’oscurità del cortile.
*
Era una bella porta. In
mogano, intarsiata con un motivo di foglie d’acanto, con un
maniglia in ottone
diligentemente lucidato. Mi sarebbe seriamente dispiaciuto se avesse
preso
fuoco a causa dell’intensità con la quale la stavo
fissando. Purtroppo però,
nonostante stessi cercando di impormi di girare quella dannata maniglia
e farla
finita, erano dieci minuti che i miei occhi non si staccavano dal
motivo del
fogliame, dimostrandomi come preferivano guardare quello invece del
viso della
persona che mi attendeva al di là della porta.
Non
fare la stupida, hai preso una decisione? Bene, ora
entri a testa alta e la difendi. Così si comportano le
persone indipendenti. Predicai a me stessa cercando di
simulare una fermezza
che in realtà non possedevo.
Presi un bel respiro e
concentrai tutte le mie forze sul complicato compito di alzare la mano
destra.
Con lentezza riuscii ad appoggiarla alla maniglia e a far stringere le
dita
attorno a quel tubicino di freddo metallo. Un altro sospiro, una lieve
pressione. L’uscio si dischiuse.
Inutile dire come avrei
preferito immettermi in un antro di minotauri inferociti. Almeno mi
sarei
difesa senza preoccuparmi di ferire i miei avversari.
“Ti aspettavo”
mi salutò una
voce un po’ roca, di chi sta per addormentarsi.
Mi volsi verso il letto alla
mia sinistra. Illuminato solo dall’argentea luce lunare che
gli rendeva il
petto nudo quasi marmoreo, c’era un ragazzo sdraiato
comodamente sul piumone
blu cobalto. Le braccia dietro la testa, un gamba leggermente
inclinata, Peter
mi sorrise invitandomi con lo sguardo ad avvicinarmi.
Se voleva lasciarmi senza
parole togliendosi la maglietta ci era pienamente riuscito. Non era la
prima
circostanza in cui potevo ammirare i suoi pettorali, eppure ogni volta
rimanevo
incantata dalla loro perfezione.
Anche se il primo istinto
era quello di tuffarmi tra le sue braccia, gli feci cenno di attendere
ancora
un po’. Mi diressi verso il paravento posto sulla parete
opposta a quella della
porta, un semplice pannello in rigida stoffa scura, da utilizzare come
camerino, come avevo visto in numerosi film in costume. Dietro il
paravento
c’era un comodino con la biancheria per la notte, gentilmente
fatta comprare da
Caspian per noi. Aprii il primo dei tre cassetti e tirai fuori una
camicia da
notte in seta leggera. La appoggiai sopra il mobiletto e mi accinsi a
districare l’intrigo di nodi e cordini che tenevano il
vestito attaccato al mio
busto. Con una punta d’orgoglio notai quanto mi fossi
impratichita nella
sottile e delicata arte di togliermi una di quelle trappole di tessuto.
Il
vestito mi scivolò addosso cadendo con un piccolo tonfo
sordo. Ripresi la
camicia da notte e la indossai. Il morbido tessuto mi
accarezzò il corpo
coprendomelo e modellandosi su esso. Controllai il risultato nello
specchio
intero, posizionato alla sinistra del comodino. Arricciai le labbra
compiaciuta. Chiunque l’avesse scelta aveva un ottimo gusto.
Era di buona
fattura ma semplice, priva di pizzi o merletti, l’unico suo
vezzo stava nello
scollo a cuore. Era in stile impero e da sotto il seno partiva una
lunga gonna
che evidenziava le mie forme ad ogni movimento. Il rosso dei miei
capelli
risaltava sul colore bianco latte della seta, tonalità che
mi ricordava i
vestiti delle sacerdotesse dei templi romani.
Chissà
se a Peter piacerà…
Era un vestito casto, niente
a che fare con la provocante e a volte anche volgare lingerie che avevo
visto
sfoggiata nei negozi del ventunesimo secolo dato che l’unica
parte anatomica
scoperta erano le braccia, eppure nella sua sobria eleganza, nella
leggerezza
del tessuto, nel suo adattarsi al mio corpo, mi faceva sentire bella.
Uscita dal riparo del
paravento, il brillio malizioso negli occhi del mio re risposero alla
mia
domanda. Si, gli piaceva.
Senza farmi pregare
ulteriormente mi avvinai al letto sorridendogli fintemente ingenua,
mettendo
momentaneamente da parte le ansie che mi avevano trattenuta dietro la
porta. Con
dolcezza gli accarezzai una guancia con il dorso della mano, facendolo
scorrere
dalla tempia fino alla mascella. Peter alzò lentamente il
busto mettendosi a
sedere, mi afferrò per la vita con il braccio sinistro e mi
fece scivolare
sulle sue ginocchia. I nostri nasi si sfiorarono, i miei occhi color
ghiaccio
si scontrarono con un cielo primaverile. Il tempo di un respiro e
sentii la
dolce pressione delle sue labbra sulle mie. La mia bocca si dischiuse
obbediente per accogliere la sua lingua ansiosa di incominciare con la
mia la
loro ancestrale danza. Le mie mani si poggiarono sulla sua mascella,
traendolo
maggiormente a me, mentre Peter mi spingeva all’indietro,
facendo adagiare la
mia schiena sul morbido materasso, senza interrompere il bacio. Per non
aggravarmi del suo peso, si sosteneva con il braccio sinistro,
lasciando però
la mano destra libera di percorrermi il fianco e poi giù
fino alla coscia con
lente carezze.
Solo quando il pressante
bisogno d’ossigeno ci impose di respirare, ci separammo.
Alzai le palpebre e
contemplai la vista del viso di Peter, distante dal mio di pochi
centimetri.
Con i lineamenti rilassati, le labbra ancora umide e socchiuse per
prendere
fiato, un ciuffo d’oro ribelle sulla fronte, era
semplicemente perfetto. Non
avrei cambiato una virgola del suo volto come del suo carattere. Mi
persi in
quel quieto mare che erano le sue iridi. Non c’era traccia
del tormento scorto
in precedenza, evidentemente doveva averlo relegato in qualche
cantuccio della
sua mente per permettergli di godersi a pieno l’attimo che mi
aveva appena
regalato. Il mio di sguardo invece si adombrò
all’istante rendendomi conto che
presto sarei stata io a riportare vivo quel sentimento nel cuore di
Peter.
Il giovane parve accorgersi
del mio cambiamento perché scosse la testa in una muta
domanda.
Aprii le labbra
istintivamente per rispondergli, ma la voce si perse nel desiderio di
preservare la tranquillità perfetta che aleggiava
nell’aria. Sdraiata sul
soffice letto, immersa nella calma notturna, l’unica cosa di
cui volevo essere
cosciente era la presenza del corpo di Peter sopra il mio, del calore
che mi
trasmetteva, del profumo fresco che emanava. Sapevo che era una pace
racchiusa
in una bolla di sapone circondata dagli aghi della realtà,
ma avrei voluto
essere tanto forte da soffiare in eterno per allonare la sfera dalle
punte
acuminate. Purtroppo però non potevo.
“Peter,
io…” il mio sussurro
si interruppe. Come potevo dirgli quello che dovevo? Le parole erano
dolorose come
scaglie di vetro contro la gola.
Il ragazzo però
sfoderò un
sorriso comprensivo, in contrasto con la pena dipinta sul mio viso.
“Hai deciso” mi
venne
incontro.
Annuii con il capo, incapace
di proferir parola.
“E hai scelto di
restare”
concluse.
Distolsi lo sguardo dalla
sua persona, sentendomi una traditrice, anche se nella sua voce non
c’era
traccia d’accusa. Anzi, non c’era traccia
d’alcun sentimento, la sua sembrava
una semplice constatazione.
Sentii le sue dita correre
sotto il mio mento e riportarmelo nella sua direzione.
Con timore mi azzardai a
guardarlo. L’assenza di tormento che mi aspettavo nei suoi
occhi mi colpì. Vi
albergava invece una consapevolezza che mi lasciò
interdetta. Come se avesse
sempre saputo che non sarei andata con lui.
Sentii il mio cuore
stringersi. Significava che considerava il mio amore così
flebile da non
prendere nemmeno in considerazione l’idea di tornare a Londra
per lui? No, non
poteva pensarlo. Dovevo fargli capire la mia posizione, i miei motivi.
“Peter,
mi dispiace. Io ti amo, non hai idea
di quanto ti ami” cominciai, ma il giovane mi
zittì poggiando leggero due dita
sulle mie labbra.
“Lo so, Cathy, lo so. Ma
so
anche che non è una scelta facile quella di lasciare Narnia,
specie per te. Ti
capisco.” mi interruppe.
Scossi prepotentemente la
testa. “No che non capisci” obiettai in un
sussurro. Il nostro tono di voce era
lieve, come se entrambi temessimo di disturbare la quiete che ci
avvolgeva come
una coperta. “Non ho preferito Narnia a te, non ho scelto tra
due mondi, ma tra
due possibili Cathrine” gli spiegai.
Peter aggrottò le
sopraciglia. “D’accordo, non ti seguo”
ammise.
Gli scostai una ciocca
ribelle da davanti alla fronte e accennai ad un sorriso mesto.
“Ho provato ad
immaginare che persona sarei diventata a Narnia e a Londra.”
Premisi. “A Narnia
sarei la giovane strega rossa, apprezzata e utile con la sua magia, ma
soprattutto qui so qual è il mio posto, so come viverci e
questo mi fa sentire
indipendente e sicura di me.” Dissi con voce bassa
“Nella tua Londra invece
sarei un pesce fuor d’acqua, costretto a nascondere le sue
capacità, destinato
a non essere apprezzato né conosciuto, incapace di trovare
un suo ruolo e
dipenderei in tutto e per tutto da te. E questa è
un’immagine di me che non mi
piace.”
“Ma staremo insieme io e
te,
potremmo costruirci una famiglia” provò, anche se
gli leggevo in faccia che
sapeva quanto debole fosse il suo tentativo.
“Lo so, e non hai idea di
come mi piacerebbe. Ma non nella tua Londra. Nella mia sarei ancora
riuscita a
trovare un mio posto. Nel duemila le strade per le giovani donne sono
numerose,
al pari di quelle degli uomini, avrei trovato la mia via, ma nella tua
città
sarei unicamente la signora Pevensie, priva di qualsiasi indipendenza.
Mi
spiace ma non posso vivere così, non posso dipendere
totalmente da qualcuno, è
un’idea che mi spaventa, anche se quel qualcuno saresti
tu.”
“Perché?”
mi chiese
soltanto. Fui sollevata nel sentire solo voglia di chiarimento nella
sua voce e
non acrimonia.
“Perché
perderei la cosa più
importante”
“Ovvero?”
L’assenza
di cosa mi farebbe mancare l’aria?
“La mia
libertà” gli
risposi, semplice, diretta. “Allontanandomi da te
probabilmente mi precludo
l’unica cosa che renderebbe la mia vita felice, ma senza essa
so che non
riuscirei a vivere né felicemente né
infelicemene.”
Peter si morse il labbro,
assimilando le mie parole. Restai immobile, aspettando una sua
reazione, una
parola, un gesto. Qualsiasi cosa mi facesse capire cosa stesse
pensando. Solo
quando mosse le labbra permettei al mio diaframma di alzarsi nuovamente.
“Capisco”
mormorò. “E
approvo la tua scelta”.
Trassi un sospiro di
sollievo. “Davvero?” chiesi conferma quasi
incredula. Speravo non si
arrabbiasse o si adombrasse, ma di certo non immaginavo di ottenere
persino la
sua approvazione.
Peter abbozzò un sorriso
malinconico.
“Egoisticamente avrei voluto tu venissi con me, ma sono
contento che tu abbia
trovato la tua strada, anche se è diversa dalla mia. Quando
ti ho vista la
prima volta eri un pulcino smarrito. Non sapevi chi eri, dove andare,
con chi…
Ora invece davanti a me ho una donna forte, che sa cosa vuole e che
è riuscita
a trovare il suo posto nel mondo. E io non posso che essere fiero e
contento
per te, mia fulgida stella.”
Sentii gli occhi farsi
lucidi. “Oh Peter…” balbettai, le labbra
tremanti.
“Shh” mi
intimò scuotendo la
testa e sfiorandomi teneramente. “Ora basta, per favore.
Domattina, i raggi del
sole ci illumineranno due strade diverse, ma ora la luna rischiara
un’unica via
ed io intendo percorrerla con te per tanto che le stelle saranno in
cielo” mi
sfiorò le labbra con un bacio. “Voglio sentirti
vicina a me finché posso.”
Sussurrò con voce bassa e suadente.
Gli presi il viso tra le
mani e lo trassi a me per sottolineare quanto concordassi con le sue
parole.
Dentro di me il dolore stava per aprire una voragine
che solo con molta difficoltà e molto tempo
sarei riuscita a rimarginare, ma per il momento quel crudele sentimento
doveva
restare fuori dalla nostra bolla di sapone, che nonostante la sua
fragilità era
riuscita a resistere alla nostra discussione. Avevo soffiato con
sufficiente
energia per proteggerla, ma soprattutto aveva soffiato anche Peter,
desideroso
quanto me di godere di quell’ultima notte che ci era concessa
senza essere
turbati da brutti pensieri, dimenticandoli l’uno nelle labbra
dell’altro.
Ci sarebbe stato tempo per
piangere. Ci sarebbe stato tempo per crogiolarsi nei ricordi. Sarebbero
stati
la mia unica compagnia in lunghe serate rannicchiata in un grande letto
vuoto.
Più avanti, nei giorni, nei mesi, negli anni successivi. Non
certo quella
notte.
La consapevolezza che
quell’incanto non sarebbe durato che poche ore si perse nelle
lenzuola blu
mare. Quello che temevo era il futuro, ma esso non era ancora giunto.
Attualmente c’era il presente. Un meraviglioso presente in
cui intendevo
smarrirmi.
Al momento l’unica cosa
di
cui si volevano riempire i miei occhi era la visione dei suoi
lineamenti
angelici e del suo petto marmoreo e caldo sotto il mio tocco.
L’unica cosa
sopra la quale la mia mente voleva soffermarsi era la sensazione di
essere sua.
Unicamente e semplicemente sua, come le sue mani mi ricordavano
disegnando
complicati arabaschi sulla mia pelle improvvisamente ardente. Mani
delicate, ma
che non si risparmiavano così come le sue labbra morbide
eppure passionali come
fuoco.
Il mondo esterno si
distrusse. Peter era il mio mondo. I suoi occhi, il mio cielo. Il suo
petto, la
mia terra. Il suo respiro, caldo sulla mia spalla e leggermente
affannato, il
mio vento. La sua voce, roca e profonda mentre sussurrava il mio nome,
l’unica
e la più bella melodia dell’universo. Le sue mani,
raggi di sole che mi
riscaldavano percorrendomi.
Per quella notte, c’era
solo
Peter.
*
“CHE COSA?”
La voce squillante di Lucy
riempì indignata la stanza.
“Non starete parlando sul
serio spero” si accodò Edmund, scoccanto
un’occhiata allibita al fratello
maggiore.
Peter lanciò uno sguardo
d’aiuto a Susan. Di solito era lei quella che sapeva da che
verso prendere i
fratelli.
Susan alzò le mani in
segno
di calma e avanzò di un passo. “Ci abbiamo
riflettuto a lungo e questa è la
scelta più giusta, credeteci” cercò di
convincerli.
Lucy la guardò scettica,
alzando un sopraciglio. “Come puoi parlare così?
Secondo te abbandonare Narnia
per sempre è una scelta giusta?”
“Di certo non lo
è
abbandonare voi due!” ribatté Peter. La sua voce
era stanca. Si era svegliato
presto quella mattina, sapendo di dover adempiere a quello spiacevole
compito.
Aveva rimandato fino all’ultimo, ma prima a poi quella
discussione la doveva
affrontare. Occorreva pur dire a Edmund e a Lucy che dovevano lasciare
Narnia.
Di nuovo.
“Ma non sarebbe mica un
addio. Solo un arrivederci” strillò la bimba
picata.
Peter si massaggiò le
tempie. La voce acuta di Lucy gli avrebbe senz’altro fatto
venire il mal di testa.
“Si ma a tempo
indeterminato. Potreste tornare tra un mese ma anche tra dieci anni, e
io non
ho alcuna intezione di farvi partire da soli senza sapere quando
potrò
rivedervi. Siamo una famiglia e le famiglie restano unite.”
Intervenne Susan,
cercando di essere abbastanza risoluta da porre fine al discorso.
Speranza vana.
“No, le famiglie si
contraddistinguono perché si vogliono bene, non
perché restano ottusamente
appiccicate anche a rischio della propria
felicità!” affermò la più
piccola dei
Pevensie, alzando ostinatamente lo sguardo sulla sorella, lasciando
quest’ultima interdetta per la veemenza delle sue parole.
“Cosa vuoi
dire?”
“Lo sai perfettamente
Peter.” Si intromise Edmund. “Io e Lucy non abbiamo
scelta, dobbiamo tornare,
ma sapendo che rivedremo ancora Narnia lo accettiamo di buon grado. Per
te e
Susan è diverso. Potete scegliere dove vivere e state
facendo la scelta
sbagliata.”
“Non vi
lascerò partire…”
incominciò a ribattere il biondo, iniziando a scaldarsi per
l’insistenza dei
fratelli minori. Possibile che non capissero quanto costava loro quella
decisione? Dovevano anche mettersi loro due a complicare le cose?
Edmund però lo
interruppe,
alzando il tono di voce. “Tu e Susan volete restare a Narnia.
È chiaro ed è
giusto così. Amate questa terra e vi sentireste in colpa per
il resto della
vita se aveste la consapevolezza di averla nuovamente privata di un re,
di non
aver adempito ai vostri doveri nei suoi confronti.” Disse,
inchiodando il
ragazzo di fronte a sé con lo sguardo più fermo e
sicuro che Peter gli avesse
mai visto
“Senza contare che
entrambi
lascereste indietro molto più che un regno. Non avete
pensato a Caspian e a
Cathrine? A come si sentiranno? E a come vi sentirete voi senza di
loro, senza
vederli mai più? Tornando a Londra vi condannate
all’infelicità” rincarò Lucy,
la voce un poco più bassa di prima ma non meno coinvolta.
Susan e Peter si scambiarono
uno sguardo affranto. Sapevano che tutto quello che i fratelli avevano
detto
era terribilmente vero.
Oh, se lo sapevano…
Alla sola idea di deludere
ancora il loro popolo, quel popolo che li aveva accolti, acclamati e
che tanta
fiducia aveva nei loro sovrani, Peter si sentiva come un ladro che
fuggiva
furtivamente dal suo compito. E il pensiero di Cathrine…
quello lo faceva semplicemente
morire.
Ma cosa poteva fare? Aveva
dei doveri anche nei confronti della sua famiglia. Non
l’avrebbe divisa, non
l’avrebbe lasciata sola. In più Edmund e Lucy non
avevano considerato che anche
l’idea di non rivedere più loro due gli straziava
il cuore. Erano i suoi
fratelli più piccoli, erano vissuti sempre insieme, sempre
presenti gli uni per
gli altri, supportandosi nei momenti di difficoltà e
condividendo gioia e
dolore. Come poteva separarsi da loro? Erano come una parte di lui.
Si sentì stringere il
braccio da una mano piccola e calda. Abbassò di poco gli
occhi e un paio di
grandi iridi castane gli sorrisero.
“Peter, tu e Susan siete
i
fratelli migliori del mondo, vi siete sempre presi cura di me e di
Edmund, ma
non dovete sacrificare l’intera vostra esistenza per noi.
Credi che noi
potremmo davvero vivere contenti sapendo che voi avete rinunciato alla
vostra
felicità per seguirci?” gli disse, prendendo il
discorso con più calma. “Tu e
Susan dovete restare qui. Questa è la cosa più
giusta.” ripeté convinta “Qui
siete davvero indispensabili, il popolo ha bisogno di voi e voi di lui.
Tu in
particolare, dato che soffri se non salvi la vita di qualcuno durante
la
settimana.” Peter abbozzò un sorriso mentre
portava con una carezza una ciocca
castana dietro l’orecchio della sorellina “Qui
sarete felici. Vi costruireste
una vostra vita. Una vita passate nella terra che adorate, a svolgere i
doveri
che più vi convengono. Ma soprattutto una vita insieme alla
persona che amate.
Avete trovato l’amore qui a Narnia e se ve lo lascerete
scappare lo
rimpiangerete per tutta la vita, ne sono certa. Ed io non posso
permettere che
ciò accada, non per una motivazione così
sciocca.”
“La famiglia è
una
motivazione sciocca secondo te?” chiese retorico il biondo
interrompendola.
Lucy sbuffò irritata.
“Noi
saremo sempre una famiglia, la distanza non distrugge un legame
profondo come
il nostro.” Lo rimbeccò “E poi sono
certa che non sarebbe una lunga lontananza.
Aslan non lo permetterebbe, lo conosci, non ci lascerebbe divisi. Poco
tempo ed
io ed Edmund saremo tornati. E tutti insieme potremmo vivere a
Narnia” concluse
con un sorriso volto ad infondere fiducia nei fratelli maggiori.
“Sul serio, non potete
chiudere le porte ai vostri desideri per una scusa simile. Io e Lucy
siamo
cresciuti. A Londra ce la caveremo benissimo, non abbiamo
più bisogno della
vostra protezione, e Aslan è d’accordo con noi o
non vi avrebbe nemmeno messo
nella condizione di scegliere. Qualche tempo e poi saremo di nuovo
uniti.”
Aggiunse Edmund cercando di farli ragionare.
Peter sospirò e
cercò aiuto
nella sorella. Vide nel suo viso la stessa indecisione che albergava
nel suo.
Guardò allora la piccola
Lucy, ancora teneramente stretta al suo braccio, e vi scorse, oltre la
convinzione per la sua causa, il dispiacere per la loro eventuale
separazione,
anche se era certa che sarebbe stata breve. Lo stesso lo scorse negli
occhi
scuri di Edmund.
Anche loro avrebbero
sofferto nel dividersi, come lui. Poteva dunque lasciarli andare a
farli patire
una sofferenza che avrebbe potuto evitare?
“Quest’inutile
discussione è
andata avanti fin troppo a lungo. La decisione è
già stata presa. Tra qualche
ore partiremo tutti e quattro.” Decretò, sperando
che non si accorgessero di
come la sicurezza che mostrava fosse in realtà simulata.
Edmund sospirò, irritato
e
desolato al contempo per la testardaggine del fratello. Lucy lo
guardò affranta
e scosse la testa, ma non osò ribattere niente. Aveva
tentato tutto il
possibile.
Susan si avvicinò al
biondo
e gli sorrise mesta, triste, comunicandogli di essere
d’accordo, ma che, come
lui, ne doleva.
Aveva fatto davvero la
scelta giusta? Aveva passato la serata precedente ad auto convincersi.
Aveva
convinto Cathrine e aveva cercato di dirlo in maniera convinta anche ad
Edmund
e Lucy. Loro però erano riusciti a far crollare la certezza
che si era con
tanta fatica costruito. Le cose che avevano detto, le affermazioni su
Aslan,
sulla loro indipendenza, sulla loro felicità, sui loro
diritti e i loro doveri,
ogni cosa metteva in discussione la sua scelta.
E se fosse rimasto? Cosa
sarebbe accaduto?
L’immagine della sua
Cathy,
con i capelli arruffati e il sorriso che gli regalava ogni mattina
quando si
svegliava, gli riempì la mente. Avrebbe vissuto con lei,
ogni giorno si sarebbe
destato con lei tra le braccia e si sarebbe addormentato al suono del
battito
del cuore della giovane contro il suo petto. Avrebbe potuto provvedere
al
benessere del suo popolo. Riprendere il governo da dove lo aveva
interrotto
milletrecento anni fa e riportare Narnia al suo splendore originale.
Proteggerla da eventuali invasori o da qualsiasi cosa avesse osato
minacciarla.
Ma Lucy e Edmund sarebbero
stati soli a Londra. Loro due affermavano di essere capaci di badare a
se
stessi, ma ai loro occhi erano ancora così innocenti,
così inesperti del mondo.
Lucy si intrufolava ancora nel suo letto quando la sera il tuono di un
temporale la spaventava mentre Edmund era nell’adolescenza,
un’età difficile
dove si ha bisogno di una persona più grande accanto, capace
di guidarti, di
essere un modello. Poteva lasciarli in balia di loro stessi? Per quanto
tempo
poi? In cuor suo sapeva che Lucy aveva ragione su Aslan. Non avrebbe
acconsentito ad una lunga lontananza. Ma qual era il concetto di
“lunga” per
una creatura immortale?
Non poteva rischiare di
scoprirlo. Doveva partire. Anche se…
*
I raggi del sole inondavano il
corridoio, sostituendo la fioca luce delle torcie accese fino a qualche
ora
prima. Quei dannati e crudeli raggi che segnavano l’inizio
del giorno. Di quel giorno. Il
giorno della partenza
dei Pevensie.
Il mio infantile desiderio
che la notte -quella meravigliosa notte che avrei ricordato per sempre-
appena
trascorsa durasse in eterno, non si era avverato ovviamente. La luna
era
calata, e il suo posto era stato preso dal cerchio di fuoco che aveva
svegliato
me e Peter, ancora teneramente abbracciati.
Il giovane biondo a
malincuore aveva lasciato il letto per dirigersi verso la camera del
fratello
minore, dove mi stavo dirigendo. Gli aspettava un compito gravoso,
quello di
informare Edmund e Lucy della loro imminente partenza, annuncio
rimandato più a
lungo possibile per far godere a pieno la serata precedente ai due
ragazzi
senza nefaste notizie.
Dinanzi alla porta del
stanza di Edmund trovai Caspian. Il giovane mi accolse con un sorriso
triste,
desolato, che ricambiai con un cenno.
“Credi possiamo
entrare?” mi
rivolsi a lui.
“Penso abbiano finito.
È
un’ora buona che stanno parlando e
ormai…” la sua voce si incrinò,
lasciando la
frase in sospeso.
Gli strinsi il braccio,
facendogli capire che gli ero vicina, che lo capivo. Caspian mi
guardò in viso
e colse il significato del mio gesto, quale scelta alla fine avessi
fatto. Solo
quella avrebbe motivato
l’ombra nelle
mie iridi.
“Hai deciso di
restare”
constatò. Il tono era modulato per sembrare neutrale, ma
riuscii a sentire una
traccia di sollievo. Evidentemente l’idea di non venire
abbandonato proprio da
tutti non poteva che fargli piacere. Potevo comprenderlo anche in
questo. Io
per prima ero felice di sapere che almeno un amico sarebbe rimasto al
mio
fianco, che non sarei stata completamente sola.
“Se
c’è una camera per
me in questo bel
castello…” accennai
cercando di scherzare per alleggerire l’argomento.
“Tutte quelle che
vuoi” mi
rispose sincero.
Gli sorrisi grata,
dopodiché
mi feci forze per girare la maniglia. In quelle ultime
ventiquattr’ore aprire
le porte era diventato un compito incredibilmente faticoso.
Quattro paia d’occhi si
voltarono verso di noi, sorpresi di vederci. Era evidente che il nostro
ingresso aveva interrotto una discussione ancora in corso.
Imbarazzata abbassai lo
sguardo sulle mie mani intrecciandole nervosamente, sentendomi
un’intrusa in
quella che era una chiara riunione familiare.
“Ehm”
cominciò Caspian, a
disagio quanto me “Io volevo solo avvisarvi che è
tutto pronto. Il popolo e
Aslan vi stanno aspettando nella piazza per il commiato” li
informò diligente.
“Grazie, arriviamo
subito”
gli rispose Peter, lanciando un’occhiata ai fratelli per
cogliere eventuali
obiezioni.
Per il
commiato.
Sentii il respiro mancarmi,
mentre il fantasma di quello che avevo temuto da ieri sera diventava un
fatto
reale e concreto. Un fatto immediato.
Tra poco sarebbero partiti
ed io non li avrei mai più visti. Il corpetto si fece
stretto, l’aria pareva
essere stata risucchiata via dalla stanza. Avrebbero attraversato il
portale,
andando a Londra, lontano da qui.
No, non potevo farcela a
vederli andarsene. Era troppo.
Sperando che avrebbero
capito, mi schiarii la voce richiamando la loro attenzione.
“Ragazzi, scusatemi ma
non
credo di riuscire a vedervi attraversare il portale. Non ce la
faccio.” Ammisi
con un sussurro fioco, come se fosse una fatica immane pronunciare
quelle poche
parole. “Vi dispiace se vi saluto qui?” supplicai,
respirando affannosamente
per soffocare il pianto che sentivo ormai prossimo.
I loro occhi, lucidi come i
miei, mi accarezzarono con dolcezza e compassione, capendomi.
“Ma certo Cate, non
dovevi
nemmeno scusarti”
Edmund mi si avvicinò
per
primo abbracciandomi forte. “Stammi bene, mi
raccomando.” Mormorò
accarezzandomi una guancia al pari di un vero fratello. “Ti
auguro una vita
piena di felicità, te la meriti”.
Ecco, come fa una persona a
trattenersi dal piangere, pur con tutti i buoni presupposti di questo e
dell’altro mondo, se poi un amico ti dona un addio del
genere? Non era dunque
colpa mia e della mai debolezza se la prima lacrima scappò
dal mio controllo.
“Grazie Ed, abbi cura di
te
anche tu. E soprattutto controlla che Peter non si cacci nei guai
perfavore”
aggiunsi a suo unico beneficio.
Edmund accennò ad una
lieve
risata alla quale mi unii, anche se avevo iniziato a tirare su con il
naso,
ricercando un minimo di “self-control” che pareva
avermi abbandonata.
Mi si accostò poi la
piccola
Lucy. Dai suoi occhi colmi di lacrime constatai a come avesse
già rinunciato al
ritegno al contrario di me. I suoi grandi occhi castani mi guardarono
con un
mare di tristezza prima di gettarmi le braccia al collo.
“Mi mancherai
tantissimo”
bisbigliò, singhiozzando.
“Non quanto tu mancherai
a
me” ribattei, mentre un seconda lacrima scivolava lungo la
guancia.
“Però noi due
ci rivedremo
vero? Aslan ha detto che io ed Edmund torneremo”
balbettò.
La sua voce era piena di
speranza, una speranza alla quale mi aggrappai anche io. Sapevo che le
possibilità di rivederci nella sua terza visita a Narnia
erano poche, ma non
potevo biasimarmi per accendermi una piccola luce per alleviare la
nostra pena,
per questo dissi: “Lo spero tanto. Sappi che vi
penserò ogni giorno finchè non
tornerete. Ti voglio bene.”
La bimba aumentò la
stretta
prima di scioglierla. Con un’espressione mesta e intenerita
le asciugai le
lacrime che le solcavano il dolce viso a forma di cuore, poi le posai
un bacio
sulla fronte, pregando silenziosamente che le nostre speranze si
avverassero.
Avrei dato qualsiasi cosa per poter rivedere quella ragazzina, che
alternava in
maniera adorabile comportamenti infantili e saggezza da adulti, e che
per me
era diventata praticamente una sorella minore. Dire che le volevo bene
era stato
riduttivo, ma sapevo che lei conosceva e condivideva i miei sentimenti.
Con un’ultima carezza, mi
allontanai da lei per dirigermi verso Susan. La ragazza era
l’unica Pevensie
con la quale avevo avuto a che ridire. Era stata la più
diffidente per la mia
natura di strega, la più propensa a vedere in me anche un
asso nella manica da
usare contro Telmar e la più arrabbiata per la mia unione
con Jadis. Avevamo
urlato, avevamo litigato, ma alla fine eravamo riuscite a comprenderci
e a
volerci bene. Tanto che ora l’unica cosa che mi veniva in
mente guardandola non
erano le sfuriate e i disaccordi, bensì che avrei perso una
cara amica.
Un’amica con la quale avevo lottato fianco a fianco nei
momenti difficili,
un’amica che si era aperta rivelandomi i suoi sentimenti
sedute su un prato in
un caldo pomeriggio.
Senza tentennare
l’abbracciai, e subito fui ricambiata.
“Sei una delle persone
più
determinate e caparbie che abbia mai conosciuto e ti ammiro per questo.
Non
perdere mai la tua forza, mi raccomando” le confidai quello
che pensavo di lei.
“Tu invece non perdere
mai
la tua bontà e il tuo altruismo, per i quali non
smetterò mai di ringraziarti”
ricambiò, sincera. Nella voce c’era
l’evidente segno che stava cercando di
mantenere la calma e non commuoversi come avevamo fatto io e sua
sorella. Avrei
dovuto aspettarmelo. Tuttavia dubitavo sarebbe riuscita a mantenere il
controllo fino all’ultimo. Era al limite, glielo si leggeva
nell’espressione
trattenuta del volto. Avrei voluto dirle che se si fosse lasciata
andare
nessuno glielo avrebbe sottolineato, ma rinunciai. Avrebbe giurato il
contrario
fino a negare l’evidenza.
Rimaneva ora solo una
persona. L’avevo lasciata appositamente per ultima, sperando
che salutando gli
altri mi sarei preparata al definitivo addio anche da lui. Purtroppo
però
quando posai il mio sguardo sul suo viso, le lacrime che salirono ai
miei occhi
mi illustrarono come non sarei stata preparata a quel distacco nemmeno
se
avessi salutato ogni abitante di Narnia.
“Noi iniziamo ad andare.
Ti
aspettiamo nella piazza Peter” propose Susan tempestiva.
Mentre i tre Pevensie e
Caspian uscivano dalla stanza, ringraziai mentalmente la ragazza per
aver
compreso la nostra situazione e averci regalato un momento di privacy.
L’ultimo.
Iniziavo a vedere la sua
immagine sfocata a causa delle lacrime, ma non passò il
tempo di un singhiozzo
che sentii le sue braccia avvolgermi, calde e accoglienti, come tante
volte
avevano fatto.
Affondai il viso nel suo
petto, riempiendomi i polmoni del suo profumo fresco, sperando
scioccamente che
potessi conservarne un poco per quando lui non ci fosse più
stato.
“Oh Cathy”
mormorò Peter
poggiato con la guancia sul mio capo, mentre immergeva una mano tra i
miei
boccoli. “Non piangere, ti prego” mi
supplicò con voce addolorata.
Svelta, con il dorso della mano
asciugai le goccie che avevano iniziato a cadere, sapendo che vedermi
così gli
avrebbe solo straziato di più il cuore. Dovevo cercare di
farmi forza, non
potevo permettere che fosse Peter a farsela per entrambi. Ma era tutto
così
doloroso. Avevo la sensazione di avere una spada affilata puntata sul
cuore,
pronta ad affondare nel mio petto appena le fatidiche parole di congedo
fossero
state pronunciate. Una sensazione che avevo già sentito la
prima volta che
temevo non avrei più rivisto Peter, quando gli avevo detto
“addio” per andare
da Jadis, ma non per questo meno dolorosa.
Presa dall’agitazione
suscitata dalla consapevolezza sempre più opprimente che il
nostro tempo stava
per scadere, mi aggrappai al colletto della camicia del ragazzo per
avvicinare il
suo viso al mio.
“Ascolta, voglio che tu
mi
prometta due cose”.
Peter poggiò la sua mano
destra sulla mia e con l’altra mi accarezzò il
viso. “Tutto quello che vuoi”
sussurrò, colpito dalla mia improvvisa foga.
“Promettimi
che…” la mia
voce, rotta da un pianto che cercavo di trattenere, tremava, rendendomi
arduo
il compito di dire ciò che dovevo. “che sarai
felice. Che ti farai una
splendida vita che non ti farà rimpiangere le tue
scelte”.
Scorsi un guizzò di
sorpresa
nel suo sguardo, subito sostituita da un’ombra di
tentennamento. Sapevo che la
mia era una richiesta difficile, ma volevo essere sicura che Peter
avesse una
vita lieta, che si costruisse un’esistenza appagante, con un
casa e una
famiglia.
“Promettimelo”
lo pregai
ancora.
Il biondo sospirò
afflitto
prima di bisbigliare “te lo prometto”.
Accennai ad un sorriso di
sollievo. La sua
sarebbe stata una vita
di cui purtroppo non avrei potuto far parte, ma almeno volevo fosse
felice,
come Peter si meritava. Era una consapevolezza che mi avrebbe aiutata a
superare la separazione.
“E che” la mia
voce questa
volta si abbassò, imbarazzata e timorosa di ciò
che stavo per chiedere, come i
miei occhi, improvvisamente molto interessati ai risvolti della sua
camicia
“ogni tanto, penserai a me. Che non dimenticherai quello che
c’è stato tra
noi”.
Sentii la stretta sulla mia
mano aumentare. “Cathy, come puoi anche solo ipotizzare che
non sarai più nei
miei pensieri?” ribatté quasi offeso. Prendendomi
il mento tra l’indice e il
pollice mi alzò il viso. “Credo non
passerà un singolo secondo senza che tu sia
la regina dei miei pensieri, come potrei dimenticarti? Sei la mia
stella,
ricordi?” affermò, serio e convinto.
La frase mi sciolse il
cuore, ma nonostante ciò scossi la testa, contrariata.
“Non è questo
che voglio.
Non puoi vivere con il mio ricordo sempre in testa e sperare di andare
avanti
con una nuova vita.” Gli poggiai il palmo della mano sulla
guancia. “Il passato
è passato, non può convivere con il presente e io
farò parte del passato.
Quello che ti chiedo è solo di tirarlo fuori ogni tanto da
un recondito
cassetto e di ripensare al mio volto con un sorriso, unicamente
questo.”
Precisai, sperando che mi capisse.
Peter sospirò e mi
strinse
al suo petto, la sua mano sul mio capo, senza aggiungere altro. Mi
presi la
licenza di considerare il suo silenzio come un si, anche se dentro di
me
pensavo che se fosse stato lui a farmi una richiesta simile non avrei
mai
potuto acconsentire.
Come avrei potuto non
pensarlo quotidianamente? Come potevo non provare nostalgia di quelle
calde
braccia che ora mi cullavano, facendomi sentire protetta?
La spada cominciò a
bucarmi
la pelle, come crudele ammonitrice.
“Ora promettimi tu una
cosa”
mormorò. Era una mia impressione o anche la sua voce era
rotta come la mia?
“Giurami che non smetterai mai di risplendere come hai fatto
per me. Sei una
persona speciale, destinata a brillare nel cielo di Narnia proprio come
una
stella. Non smarrirti nel buio della nostalgia e del rimpianto, ma vivi
illuminando la vita altrui.” Alzai il viso dal suo petto, gli
occhi spalancati.
Solo lui avrebbe mai potuto dedicarmi una frase tanto meravigliosa,
esaltando
qualità visibili solo ai suoi occhi ma che pronunciate da
lui sembravano vere
anche a me. “So che farai del bene a questo popolo, tu e
Caspian lo guiderete
in quest’era di pace” concluse. I suoi zaffiri
bruciavano di passione e
convinzione per quello che stava dicendo, un fuoco che cercava
però di arginare
il mare di dolore che scorgevo nelle iridi.
Preda della commozione,
dell’amore e della tristezza, lo baciai, non sapendo come
altro ribattere a
parole così sentite. Ma non un bacio pieno di passione e
dolcezza come quelli
che ci eravamo scambiati la notte appena trascorsa, nella penombra
della nostra
camera. Le mie labbra erano bagnate da lacrime di amarezza riuscite
infine a
sfuggire al mio controllo, un sentimento che si univa alla desolazione
e al
dolore. Le nostro lingue portarono avanti la famigliare danza
lentamente, come
se avessero bisogno di tempo anche loro per salutarsi e volessero
ricordare
ogni dettaglio dell’altra.
Quando ci separammo, stavo
ormai piangendo senza freni.
Peter mi guardò
intensamente. Aveva i lineamenti rigidi, tesi nell’evidente
tentativo di
mantenere un certo contengno, ma vidi nei suoi occhi tormento ed
afflizione.
Insieme ad una schiacciante consapevolezza.
“Devo andare”
bisbigliò a
suo malgrado con voce strozzata. Mi accarezzò con languore
straziante la
guancia rigata.
Dimentica di ogni ritegno,
tirai su con il naso e singhiozzando iniziai a scuotere la testa in un
infantile gesto di rifiuto. Avevo provato ad abituarmi
all’idea del distacco
nelle ultime ventiquattro ore, avevo cercato di autoconvincermi che era
la
scelta più giusta, avevo fatto presente a me stessa che ero
sopravvissuta al
primo addio che gli avevo dato, ma niente avrebbe potuto prepararmi
sufficientemente per quel momento, niente me lo avrebbe fatto accettare
completamente o me lo avrebbe fatto affrontare senza soffrire.
“Cathy” mi
richiamò, usando
il suo tono vellutato che mi fece chiudere gli occhi.
Mi costrinsi a fare dei
respiri profondi, facendo uscire l’aria dalla labbra con un
lieve tremolio.
Devi
essere forte, devi essere forte. Mi ripetevo come un mantra. Dovevo
lasciarlo andare,
non potevo trattenerlo lì con la forza.
Cercando di farmi sostenere
da una forza che in realtà non avevo, alzai le palpebre. Il
momento era giunto.
“Addio Peter”
La mia voce, un sussurro
tremulo che si disperdeva nell’aria satura di pianto.
Il ragazzo mi sfiorò le
labbra con le sue. Un’ultima volta.
“Addio mia
Cathy”
Un sussurro lieve eppure
abbastanza forte da spingere l’elsa della spada dentro il mio
petto.
Dei passi pesanti, oppressi
dalla mole di emozioni che sostengono, la porta che si chiuse e poi il
silenzio. Un silenzio capace di urlare più forte del rumore
la mia condanna. Se
n’era andato.
La lama affilata raggiunse
definitivamente il mio cuore. La sentii trafiggerlo con un colpo
deciso,
spietata. Inutilmente le mie mani corsero al petto, come se potessero
lenire
quel dolore interno con la loro sola presenza.
Di nuovo in poco tempo i
miei polmoni bruciarono per l’improvvisa mancanza
d’aria. Mi guardai attorno,
boccheggiando. Le quattro pareti divennero opprimenti, le vedevo
venirmi
incontro minacciando di schiacciarmi.
Dovevo andarmene da quella
camera.
Cercando di concentrarmi
riuscii a radunare le forze che le lacrime non avevano ancora
prosciugato. Con
una notevole fatica mi materializzai nelle scuderie di Telmar,
lì dove riposava
uno dei pochi amici che mi restavano.
“Fulmine!”
Con un nitrito il cavallo
rispose al mio richiamo, avvicinandosi sorpreso dalla mia visita.
“Cathrine, non dovresti
essere
nella piazza per il Com…” incominciò ad
apostrofarmi, ma si interruppe quando
mi guardò in viso. Arretrò con il muso. La mia
espressione era così stravolta
da destare quasi spavento? Probabilmente si.
“Cate, posso fare
qualcosa?”
mi domandò cambiando nettamente la direzione del discorso.
Gli fui grata per non avermi
chiesto perché piagevo. Avevo contato sulla sua intelligenza
da equino magico
per non dover dare spiegazioni.
“Portami alla
spiaggia per favore” lo pregai con
un fil di voce. Non occorreva specificare quale, ero certa avrebbe
capito.
Avevo bisogno di
allontanarmi da quel castello, da Telmar, da tutti. Avevo bisogno di
stare sola
per metabolizzare quella ferita che mi aveva aperto il cuore. E avevo
bisogno
di farlo nell’unico posto in cui avrei sentito la sua
presenza sempre.
La nostra spiaggia.
Ma per quanto la voglia di
raggiungerla più in fretta possibile fosse tanta, ero
consapevole che non sarei
riuscita a smaterializzarmi così lontano nelle mie
condizioni. Per compiere un
viaggio del genere magicamente occorreva una grande concentrazione, e
al
momento la mia era impegnata a tenere malamente insieme i cocci della
mia anima
devastata.
Fortunatamente, Fulmine
accettò immediatamente di offrirmi il suo aiuto senza
aggiungere un’altra
parola e al galoppo attraversammo il ponte immettendoci nel bosco. Sul
suo
dorso, saldamente aggrappata alle redini, non mi restava altro che
sperare che
il vento che mi sferzava il viso, assieme alle lacrime si portasse via
al meno
una minima parte del dolore che mi trafiggeva.
*
Quando
sono per sempre, gli addii dovrebbero essere
rapidi. Lord
Byron docet. Un saluto,
una stretta di mano e ci si avvia per la propria strada, senza voltarsi
indietro. Semplice e lineare. Eppure perché al giovane re
biondo pareva
un’impresa impossibile allontanarsi dalla propria gente?
L’annuncio della loro
partenza imminente da parte del Re Supremo aveva sollevato veementi
proteste da
parte delle creature di Narnia, radunate nella piazza sottostante al
terrazzino
dove si trovavano i Pevensie, Aslan e Caspian. Proteste che Peter non
era
riuscito a non accogliere con una punta di orgoglio e soddisfazione,
nonostante
la tristezza del viaggio. Erano la riprova che il popolo li amava e che
li
volevano come sovrani quanto i Pevensie volevano continuare a guidarli
e
assicurarsi il loro benestare.
Purtroppo però non
sarebbero
bastate per impedire il loro ritorno in Inghilterra.
La
decisione ormai è presa. Si ripetè per la
millesima volta.
Facendosi forza, avanzò
di
un passo verso la folla, le mani alzate intente a istigare la calma.
“Popolo di Narnia,
è stato
un onore per i miei fratelli e me governarvi fintanto che ci
è stato concesso.
Purtroppo per noi è tempo di andarcene, ma nonostante la
pena sia grande, trovo
confronto nel sapere di lasciarvi in ottime mani” con lo
sguardo si rivolse a
Caspian, in piedi alla sua destra. “Re Caspian
saprà guidarvi in questa nuova
era di pace, assicurandovi la prosperità che vi siete
guadagnati duramente”.
Detto questo si avvicinò al giovane sovrano, il quale lo
fissava grato delle
parole pronunciate dal maggiore dei Pevensie. Peter gli tese la mano,
afferrata
prontamente da Caspian in una stretta forte. Solo un’occhiata
e una presa sulla
spalla. Nient’altro, ma bastava per trasmettere tutto
ciò che doveva essere
detto. Si erano trovati in disaccordo su molti punti, c’era
stato antagonismo
ed erano arrivati persino a minacciarsi l’un
l’altro, ma alla fine avevano
imparato a conoscersi, a rispettarsi e, senza nemmeno che se ne
rendessero
conto, a fare affidamento durante le battaglie o nella quiete della
quotidianità. Erano diventati amici.
Appena il giovane biondo si
fece da parte, fu il turno di Edmund e Lucy di prendere congedo dal ex
principe. Il saluto di Edmund fu simile a quello del fratello. Una
stretta di
mano, poche ma sentite frasi di commiato. Diverso fu invece quello
della bimba.
I suoi occhi, lucidi da quando si era separata da Cathrine, avevano
ripreso a
lacrimare sulla spalla del ragazzo quando questo si era chinato per
abbracciarla.
Lord Byron aveva ragione.
Gli addii avrebbero dovuto essere brevi. Estenderli con parole e
abbracci
prolungava solo la lenta agonia del separarsi. Eppure il definitivo
distacco
spaventava al punto da preferire allungare il commiato. Pur di
procrastinare
anche di poco quell’ineluttabile evento, si era disposti a
sopportare quella
pena. Gli addii avrebbero dovuto essere brevi, era vero, ma Lord Byron
non
doveva aver tenuto conto dell’indole prettamente masochista
dell’animo umano.
Come conferma delle sue
riflessioni, Peter scorse il viso di Susan mentre si apprestava ad
avvicinarsi
a Caspian. Colpito vide i grandi occhi castani della sorella,
solitamente
imperturbabili, lucidi e pronti al pianto. Probabilmente seguire il
consiglio
del poeta inglese, limitarsi ad un cenno di saluto e scappare lontano
da quel
luogo, le avrebbe risparmiato le lacrime che sarebbero certamente
sgorgate
durante il bacio d’addio che si stavano per dare. Ma Peter
ben sapeva che per
nulla al mondo la ragazza avrebbe rinunciato a quell’ultimo
bacio, anche se
aveva il velenoso sapore della separazione.
Peter avrebbe voluto
lasciare a Susan e a Caspian la stessa privacy che era stata concessa a
lui e a
Cathrine, purtroppo però non poteva allontanare un centinaio
di persone e
lasciare la piazza a loro. L’unica cosa fattibile era che
lui, Edmund e Lucy
cominciassero ad avviarsi verso il portale. Almeno Susan avrebbe potuto
separarsi da Caspian senza essere sotto lo sguardo più
interessato e vicino dei
fratelli.
Con un cenno del capo
richiamò l’attenzione di questi ultimi,
intimandoli a seguirlo. Solo dieci
passi lo separavano dal portale spazio-temporale, aperto dividendo
magicamente
il tronco di un albero in due parti dal Grande Felino, che lo avrebbe
riportato
a Londra. Casa sua. Molto, molto lontano da quel luogo meraviglioso.
Un luogo che aveva sentito
suo dal primo momento. Che aveva imparato a conoscere e ad apprezzare
al punto
da considerare più normali gli animali parlanti che quelli
muti di Londra.
Nove passi.
Inspirò a fondo,
chiudendo
un’istante gli occhi. L’aria stessa in quel luogo
sembrava essere più pulita,
satura del profumo dei fiori e della magia. Niente a che vedere con lo
smog e i
fumi che rendevano Londra inquinata e grigia.
Otto passi.
Voci di protesta che a gran
voce urlavano il suo nome giungevano ancora alle orecchie di Peter. Il
popolo
lo reclamava. Il suo popolo gli
stava
chiedendo di restare. Questa volta non lo avrebbe lasciato
completamente in
balia di se stesso, Caspian avrebbe salvaguardato il benessere dei suoi
sudditi, ma il giovane era comunque prima re di Telmar, non di Narnia.
Lui,
Peter, era il re di Narnia, un re che per la seconda volta abbandonava
la gente
che aveva riposto fiducia in lui, persone che gli avevano affidato la
loro
esistenza, che lo volevano. Poteva davvero piantarli in asso? E lui
sarebbe
stato capace di convivere con il rimorso di non aver adempito ai suoi
doveri
verso le creature di Narnia? Senza sapere se realmente sarebbero
riusciti a
godersi la meritata pace senza che essa venisse turbata da agenti
esterni?
Sette passi.
Si lanciò un ultimo
sguardo
attorno, cercando di imprimersi nella memoria tutto ciò che
vedeva. Alla sua
sinistra, postura dritta e pugno chiuso sul cuore, sostavano il
valoroso Ripicì
e il minotauro Morris. Due creature magiche, appartenenti a libri di
fiabe,
teoricamente inesistenti, nelle quali però Peter aveva
sentito la fedeltà e
l’amicizia più vere e presenti che in qualunque
uomo o donna del suo mondo. In
quel luogo aveva trovato degli amici leali ai quali aveva
più volte affidato la
sua vita senza esitare. Dubitava che sarebbe riuscito a stringere
legami così
profondi una volta tornato a casa.
Sei passi.
Casa. Per tutto quel tempo
aveva ribadito a se stesso che Londra era casa sua e che quindi era
giusto
tornarci. Ma il termine “casa” dopotutto non
indicava un concetto relativo? Chi
aveva decretato che la propria “casa” era il luogo
in cui si nasceva? “Casa”
non era il posto dove si desiderava stare? Nella quale ci si sentiva a
proprio
agio come se si fosse una parte integrante di esso? Dove si era voluti
e amati?
Il posto in cui si voleva vivere? Era proprio Londra
“casa” sua?
Cinque passi.
Cosa avrebbe fatto una volta
tornato in Inghilterra? Avrebbe proseguito gli studi e poi trovato un
lavoro.
Forse, dopo qualche anno, sarebbe anche riuscito a costruirsi una casa
tutta
sua. Ma sarebbe davvero stato felice? C’era stato un tempo,
molti anni prima
quando mondi come Narnia esistevano solo nelle sue fantasie, dove era
riuscito
a immaginarsi come membro rispettabile della comunità
inglese. Gli sarebbe
piaciuto entrare nell’esercito, avere una carriera militare,
sapere che con le
proprie azioni poteva riuscire a salvare la vita di altre persone. Ma
ora,
consapevole che il mondo di Londra non era l’unico esistente,
quel futuro che
appena quindicenne si era dipinto per lui era svanito, sostituito da
altre
aspirazioni, altri sogni. Aveva combattuto in groppa a grifoni e
unicorni,
guidato un esercito di nani arcieri e centauri spadaccini, aveva
amministrato
un regno per vent’anni, provvedendo alla sua
prosperità. Aveva ricostruito una
civiltà riportandola alla pace e allo splendore. Sarebbe
riuscito ad
abbandonare tutto questo, ad abbandonare il suo regno e la
consapevolezza di
poter fare tangibilmente del bene, per Londra? Dove il suo raggio
d’azione era
talmente limitato da dubitare che avrebbe realmente potuto rendersi
utile a
qualcuno? Sarebbe riuscito a vivere come una persona qualunque in una
realtà
piatta e banale?
Quattro passi.
L’ultimo anno passato in
quella città era stato un inferno, inutile negarlo. Aveva
sofferto la mancanza
della sua gente, ne aveva fatto quasi una malattia. Si era sentito
impotente e
insignificante, come se avesse avuto le mani legate per tutto il tempo.
Non era
riuscito a vivere in quella comunità perché non
se ne sentiva più parte. Si era
sentito un estranio tra coloro che una volta erano i suoi concittadini.
Con gli
anni sarebbe riuscito a riadattarsi, a trovare il suo posto in quel
mondo?
Tre passi.
A Londra però
c’erano i suoi
fratelli. Edmund e Lucy erano costretti a tornare, non poteva lasciarli
da soli
con il rischio di non rivederli mai più. Ma davvero non li
avrebbe più rivisti?
In cuor suo sapeva che quello che la piccola gli aveva detto era vero.
Aslan
non avrebbe mai acconsentito a tenerli separati a lungo. Ma comunque
per
qualche tempo avrebbero vissuto distanti. Si rendeva conto che entrambi
stavano
crescendo. Edmund era un giovane uomo, aveva acquisito
un’invidiabile sicurezza
di sé e sarebbe certamente stato in grado di prendersi cura
della sorella.
Mentre Lucy si stava avviando ad essere una splendida ragazza, senza
contare
che possedeva una saggezza di cui pochi potevano vantare anche in
età più adulta.
Ormai erano piccoli e indifesi solo ai suoi occhi, eppure separarsene
era
davvero difficile, il senso di protezione che aveva sempre avvertito
nei loro
confronti era smisurato e quasi impossibile da mettere da parte. Ma se
li
avesse seguiti per non separarsi da loro solo per qualche tempo avrebbe
davvero
condannato all’infelicità lui e Susan come i
fratelli minori avevano fermamente
sostenuto? La durata della separazione, se si aveva fede nella buona
indole di
Aslan, si prospettava breve, molto più dell’eterna
infelicità che sarebbe
derivata dall’allontanamento da quel mondo magico…
Due passi.
…e da Cathrine. Aveva
proibito a se stesso di soffermarsi su quel pensiero fintanto si fosse
trovato
a Narnia. Voleva mostrarsi forte davanti al suo popolo durante la sua
ultima
apparizione, proposito irrealizzabile se avesse pensato al congedo
preso dalla
ragazza. Separarsi da lei era stata l’azione più
difficile della sua vita.
L’amava e le aveva giurato che sarebbero restati insieme.
Infrangere quella
promessa e allontanarsi da ciò che illuminava la sua
esistenza era stato come
strapparsi il cuore dal petto. Dal momento in cui le sue braccia aveva
sciolto
la presa da quell’esile e caldo corpo, aveva avvertito un
vuoto, un senso di
apatia quasi paralizzante. Non era dolore, quello sarebbe giunto una
volta
metabolizzato l’avvenimento. Era semplicemente una
sconcertante assenza di
emozioni. Come se fossero state risucchiate via da lui da
quell’ultimo bacio a
fior di labbra che aveva dato alla sua stella. Sarebbe riuscito a
vivere senza
di lei? Le aveva promesso che sarebbe stato felice, che si sarebbe
ricostruito
una vita, eppure era convinto che non avrebbe potuto dividere la sua
esistenza
con nessun’altra ragazza oltre la sua Cathy. Quella ragazzina
che aveva trovato
sperduta nel bosco, animata da un fuoco e una grinta insospettabili da
quel suo
visino ingenuo, gli era entrata dentro quasi come un veleno,
prendendosi la sua
anima e la sua mente. Non sarebbe mai riuscito a disintossicarsi. Ma a
tormentarlo maggiormente era chiedersi se Cathrine invece ci sarebbe
riuscita. Quando
le aveva detto addio, aveva letto un dolore e un tormento insostenibile
nei
suoi grandi occhi azzurri. Il suo viso, di solito capace di illuminare
tutto
ciò che le era attorno, era spento, pallido, privo di
speranza. Una vista che
lo aveva ucciso. Aveva condannato anche lei
all’infelicità, un’altra persona
che si aggiungeva alla lunga lista di infelici che aveva creato con la
sua
scelta. Possibile che un decisione che portava tanto dolore fosse
realmente
quella giusta? Che avesse sbagliato, accecato da uno smisurato e non
necessario
senso del dovere che gli aveva impedito di giudicare oggettivamente la
situazione credendo che rinunciare alla propria felicità
fosse inevitabile per
percorrere la stada corretta?
Un passo.
Si voltò indietro, in
direzione della sorella. Susan si era separata da Caspian e li stava
seguendo.
Il suo volto riluceva della sofferenza che provava, eco di quella di
Peter.
Negli occhi, il filo dei pensieri del fratello maggiore.
Bastò uno sguardo tra
loro per comunicarsi ciò che dovevano.
La decisione era stata presa.
*
Con le braccia rannicchiate
al petto, come se con quel gesto infantile potessi trattenere i
molteplici
sentimenti che provavo ed evitare che esplodessero distruggendomi,
sedevo sulla
sabbia fine, poco distante dalle onde che indolenti si infrangevano
sulla battigia.
La gola bruciava, incapace di sopportare oltre il pianto che ora
proseguiva
sommesso. Le lacrime scivolavano giù a ritmo costante dai
miei occhi, fissi
sull’orizzonte. Desideravo smarrirmi nella vista splendida
del mare che si
univa con il cielo azzurro in un punto lontano, come se la mia
coscienza
potesse perdersi in quell’infinità.
Cercavo di non pensare. Mi
imponevo di non pensare. Se lo avessi fatto,
l’enormità della consapevolezza di
ciò che era successo mi avrebbe travolta con la forza di uno
tsunami. Non
pensare invece mi permetteva di far cullare la mia mente dal dolce
sciabordio
delle onde di quel mare calmo.
Quanto tempo era passato da
quando, fuggendo dalla realtà tra gli arbusti che celavano
la grotta, ero
giunta nella mia piccola oasi di pace, in quel piccolo
angolo di paradiso? Pochi minuti, ore? Non mi interessava.
Fuori da quella spiaggia non c’era niente ad attendermi, solo
un mondo che in
ogni cosa mi urlava l’assenza di Peter. Quel piccolo anfratto
invece mi parlava
di lui, lo sentivo vicino a me, e poco importava che fosse solo una
mera
illusione di una persona distrutta. Per me quella spiaggia tratteneva
il suo
ricordo. Nel colore del mare, riuscivo a scorgere la sfumatura degli
occhi di
Peter, la loro profondità mentre giurava di amarmi. Nei
raggi del sole, i
riflessi dorati dei suoi capelli, fini come i granelli di sabbia che
sentivo
scorrere tra le mie dita. Negli alberi e nelle roccie che cingevano la
baia, le
braccia del ragazzo che mi circondavano teneramente con la promessa di
proteggermi. Il vento tiepido, oltre all’odore della
salsedine, mi portava
invece l’eco della sua voce morbida mentre mi
diceva…
“Sapevo di trovarti
qui”
Il tempo parve fermarsi,
timoroso di rompere un incanto improvviso e ignoto con il suo incedere
continuo.
Il dolore mi aveva forse condotta alla pazzia totalmente? Il mio
desiderio di
averlo vicino era tanto grande da indurre la mia mente a sentire il
suono della
sua voce? Doveva essere così. L’alternativa era
facilmente verificabile.
Sarebbe bastato ruotare la testa di poco verso la mia destra, nella
direzione
in cui il suono mi era giunto. Ma se si fosse rivelata sbagliata, la
delusione
mi avrebbe dato il colpo di grazia.
“Se fossi partita tu,
avrei
cercato un luogo che mi parlasse di
te, e quale posto migliore di questo, dove per la prima volta ho
compreso
seriamente di amarti?”
Era troppo forte per essere
il flebile sussurro del vento. Troppo reale per essere il parto della
mia mente
addolorata.
Con il cuore in gola, mi
voltai lentamente. La mia bocca si spalancò di incredula
meraviglia quando i
miei occhi, sbarrati e lucidi, si posarono sulla figura
dell’ultima persona che
credevo di rivedere e dell’unica che avrei voluto accanto per
sempre. Peter,
retto in piedi, con le mani poggiate sui fianchi, mi sorrideva con la
felicità
di un bambino nel giorno di Natale davanti al regalo che più
aveva atteso.
All’improvviso il tempo
tornò a scorrere e sentii le mie energie, prima esaurite nel
languore dello
sconforto, tornare a pompare insieme al mio sangue. Corrergli incontro
e
gettarmi tra le sue braccia ansiose fu questione solo di
un’istante.
Ridendo di pura gioia, Peter
poggiò le sue mani sui miei fianchi e sfruttando il mio
stesso slancio mi alzò
in aria, facendomi volteggiare. Sentivo la pressione delle sue mani
bruciare
come fuoco, il suo odore di bosco e muschio inebriarmi di nuovo. Vedevo
ogni
sfumatura del color zaffiro delle sue iridi o dei riflessi dorati dei
suoi
capelli. Avvertivo la sua presenza con una forza quasi schiacciante,
come se
qualcuno avesse sviluppato i miei sensi prima ottenebrati.
Stupore, gioia, confusione,
felicità, tutto si agitò in una girandola di
sentimenti che culminarono quando
le mie labbra si posarono sulle sue, riprendendosi la pace che
l’ “addio”
pronunciato poche ore prima le aveva tolto. Fu come riunire due tessere
di un
puzzle, mi sentivo di nuovo completa, traboccante di vita, piena di
emozioni e di
voglia di provarle.
Peter era con me. Il mondo
poteva ricominciare a girare.
Il bisogno di ossigeno mi
costrinse a interrompere il bacio. Lo guardai, gli occhi colmi di
felicità
quanto le dita lo erano di tenerezza mentre sfioravano le sue labbra
ancora
umide. Avevo tante domande, una più importante
dell’altra, eppure quando parlai
l’unica frase che uscì fu
un’affermazione. Semplice, forse scontata, ma per me
era di vitale importanza ribadirla ad alta voce ora che il destino mi
aveva
dato la possibilità di farlo.
“Ti amo”
Un sorriso sghembo si
dipinse sul suo bel viso. “Perché credi che io sia
qui se non perché ti amo
anch’io?” rispose, sfregando lieve il suo naso
contro il mio.
Lo baciai ancora, come a
confermare la sua reale presenza su quella spiaggia, scongiurando il
pericolo
che si trattasse di un miraggio.
Non riuscivo a credere fosse
lì, che fossi tra le sue braccia. Gli avevo detto addio, il
mio cuore si stava
rassegnando ad abbandonare la sensazione di battere quel dolce
sentimento
chiamato amore, eppure Peter era lì. Gli avevo detto addio
perché il destino
sembrava avesse deciso che le nostre strade dovevano essere separate,
perché i
nostri doveri e le nostre necessità non convergevano, eppure
Peter era lì. Se
fosse stato un sogno, volentieri non mi sarei mai più
svegliata, ma il brivido
che la sua mano, che morbida mi accarezzava il viso, mi procurava, mi
dava la
certezza che quella fosse la realtà. Una realtà
che non mi faceva più paura
perché invece di presentarsi deserta e dolorosa era
traboccante di speranza e
amore.
Perché Peter era
lì con me.
Incredibilmente, inspiegabilmente, meravigliosamente lì con
me.
“Ma
com’è possibile?”
mormorai, facendo scorrere i miei occhi sulla sua figura come se fosse
un’apparizione miracolosa, resa quasi divina dai raggi del
sole che definivano
i suoi contorni alle sue spalle.
“Ti ho promesso che sarei
stato felice, e io mantengo sempre le mie promesse” disse
solenne. Poi mi si
accostò all’orecchio come se dovesse svelarmi un
segreto. “Il problema, mia
Cathy, è che io posso essere felice solo se sono accanto a
te”.
A quelle parole sentii le
lacrime pungermi di nuovo, questa volta però per gioia, ma
le ricacciai
indietro, dimenticandole nelle tenerezza di un altro bacio.
“Ma Lucy ed Edmund, i
tuoi
doveri?” riuscii a impormi di chiedere.
Anche se mi vergognavo ad
ammetterlo, il mio interesse per quelle questioni al momento era pari
allo
zero, tuttavia una vocina interiore mi ricordò come forse
avrei dovuto evitare
di smarrirmi nella dolce sensazione che mi trasmettevano le sue labbra
e avere
notizie su aspetti più pratici. Tolta
quell’incombenza, sarei annegata nel mare
dei suoi occhi per non riemergerne mai più senza ulteriore
indugio.
“Loro sono partiti. Solo
Susan è rimasta qui” mi informò.
Una piccola parte della mia
mente registrò che a Telmar dovevano esserci dunque altri
due giovani amanti
preda della mia felicità. Non potevo che esserne contenta,
Caspian e Susan meritavano
il loro lieto fine quanto noi.
“E li hai lasciati
andare?”
la mia voce suonò quasi sospettosa. Peter mi era parso
fermamente convinto a
non abbandonare i fratelli minori, cosa gli aveva fatto cambiare idea?
Il biondo annuì, e
dall’ombra che aleggiò sul suo viso compresi che
la decisione presa non era
stata tra le più semplici.
“Non avrei voluto
separarmi
da loro, ma è Narnia ad avere più bisogno di me,
almeno quanto io di questo
posto. Lucy ed Edmund se la caveranno, anche se faccio fatica ad
ammetterlo,
sono cresciuti e sono in gamba. E poi non sarà per molto,
Aslan ci ha promesso
che presto li farà tornare” spiegò.
Le sue parole erano concise,
ma lo conoscevo talmente bene che riuscivo a leggergli
l’enorme conflitto
interiore che aveva affrontato dal tormento che ancora sostava nelle
sue iridi.
Nonostante fosse indiscutibilmente felice di essere rimasto, si sentiva
in
colpa nei confronti di Edmund e Lucy. Credeva di averli abbandonati e
quindi di
essere venuto meno al suo ruolo di fratello maggiore, anche se in cuor
suo
sapeva che i due ragazzi non correvano alcun pericolo a Londra.
Gli presi il viso tra le mani
e appoggiai la mia fronte sulla sua, riempiendo il suo campo visivo.
“Staranno bene, vedrai. E
tra meno di quanto pensi saranno di nuovo qui con noi”
affermai venendo
incontro alle sue angoscie inespresse.
Il sorriso con cui mi
gratificò mi fece comprendere che la mia intuizione fosse
giusta.
“E quando verranno,
saranno
felici di vedere la loro Narnia splendente come ai tempi
d’oro, forse anche di
più, grazie alla tua guida e al tuo operato.”
Sfregai il mio naso con il suo e
gli diedi un bacio leggero. “Sei il re migliore che Narnia
abbia mai avuto,
dire che questo paese abbia bisogno di te è un
eufemismo.” Conclusi, rincarando
la dose con la speranza di acquietare almeno un poco le sue ansie.
Peter a quel punto sorrise
malizioso. Veloce, mi prese in braccio senza sforzo, permettendomi di
cingergli
il collo con le braccia. “Non quanto io ho bisogno di te.
Sarei stato perso a
Londra senza la mia piccola stella” mi sussurrò
all’orecchio, procurandomi un
brivido lungo la schiena.
“Non hai idea di come mi
senta
ora. Vederti qui, sapere che non te ne andrai… la tua stella
si stava già
spegnendo dopo solo pochi minuti che ci eravamo lasciati. Non speravo
di
sentirmi di nuovo così felice” gli confessai,
mostrandogli su un piatto
d’argento la mia debolezza, il mio bisogno di lui, senza
alcuna remora o
timore, perché sapevo di svelarli ad un osservatore attento
e premuroso.
“Ti assicuro Cathy che
finché avrò fiato in corpo, non ti
lascerò mai più, qualsiasi cosa succeda. La
separazione porta troppo dolore, e io non voglio infliggertene mai
più. Saremo
felici. Insieme, qui a Narnia, perché questo è il
nostro posto.” giurò,
prendendo la mia mano destra nella sua e mettendosela sul cuore.
Poi mi baciò di nuovo,
suggellando le sue parole, facendomi volteggiare tra le sue braccia
mentre
girava su se stesso.
Ero ebbra di gioia e la
consapevolezza che le affermazioni di Peter erano vere mi donava una
pace e una
serenità che credevo non sarei mai riuscita a raggiungere.
Ero appagata, in
armonia con me stessa, con il fato e con il mondo.
Non temevo più il
futuro. Al
contrario non vedevo l’ora di viverlo, un desiderio che non
avevo mai provato
quando nella mia camera a Londra temevo di essere condannata alla
solitudine e
all’incertezza o quando, sul freddo davanzale del palazzo di
Jadis, temevo di
dover scegliere tra mia madre e la persona che amavo. O ancora quando,
rannicchiata su una spiagga deserta, ero certa che il mio cuore avrebbe
provato
tanto dolore da divenire incapace di provare un altro sentimento.
Avevo sempre visto il mio
futuro nebuloso, perché nel mio presente c’erano
solo verità celate e certezze
instabili. Perché non ero consapevole di chi fossi e non
sapevo chi avrei avuto
accanto. Avevo così poca fiducia nel mio avvenire che senza
riflettere mi ero
gettata in quell’avventura dimostratasi ben presto
più grande di me, convinta
che qualsiasi cosa mi avesse portato sarebbe stato meglio di quello che
avevo,
poiché ciò che possedevo era solo
un’infinito senso di incompletezza. Una
scelta avventata, ma che si era dimostrata la migliore che potessi
prendere,
perché quel giorno che mi aveva vista correre disperata e
lacrimante ad Hyde
Park, totalmente senza speranza, mi aveva cambiato lo vita, donandomi
tutto ciò
che mi mancava e che da sempre avevo agognato.
Quella notte avevo gridato
al cielo una domanda precisa. Perché
sono
qui? Avevo chiesto alle stelle, supplicando di rispondermi.
Perché ero al
mondo con quei poteri, che scopo aveva la mia vita, chi si interessava
a me?
Ora avevo la risposta.
Possedevo quei poteri
perché
ero la figlia della più potente Strega Bianca mai vissuta a
Narnia e il mio
scopo era difendere con la mia magia quella terra che era la mia vera
casa. Ma
soprattutto ero al mondo per godere dell’amicizia di persone
sincere e buone, e
dell’amore di un ragazzo che mi aveva aperto il cuore,
dimostrandomi quanto
potessi avere da un sentimento tanto profondo ma finora represso.
Dopo anni passati a soffrire
un presente buio e temere un futuro incerto, ero felice di vivere in un
presente che aveva il sapore dolce della bocca di Peter con davanti un
futuro
illuminato dal suo amore e dalle mie nuove certezze.
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Capitolo 24 *** Epilogo ***
E siamo ancora qua, come
direbbe Vasco, purtroppo (almeno per me XD) per l'ultima volta. Ve lo
avevo promesso, ed ecco dunque l'epilogo che pone definitivamente fine
a questa lunga storia. Sarò eccessivamente sentimentale, ma
vi confesserò che mi viene quasi da piangere all'idea che
non scriverò più delle avventure di Cathy e
Peter. So già che mi mancheranno tantissimo e con loro tutto
il magico mondo di Narnia. Dopo due anni mi sembra quasi di conoscere
di persona questi due personaggi e gli altri coprotagonisti, e
pubblicando quest'ultimo capitolo, mi pare di salutare degli amici.
Spero solo che un po' di loro resterà in voi che avete
apprezzato e seguito questa storia e che non ve li scorderete subito
dopo aver spento il pc, ma che resteranno almeno un poco ancora con voi
:-)
Peter e Cathy
però non sono gli unici che mi mancheranno.
Sentirò mille volte di più la mancanza di voi
cari lettori che con pazienza mi avete seguita e appoggiata e di tutte
voi anime buone che avete recensito la mia storia, regalandomi la
possibilità di sapere cosa ne pensavate e dandomi talvolta
dei consigli per migliorarla e migliorare il mio stile. Vi ringrazio di
cuore, ogni vostra singola parola è stata la spinta giusta
per continuare a scrivere sera dopo sera e mi ha riempito l'animo di
gioia e orgoglio per questa storia, Witch's Daugther, ufficialmente la
prima storia che riesco a concludere, a cui riesco dare un finale e
pubblicarlo, un altro motivo per cui sicuramente mi resterà
per sempre nel cuore.
Bene, ora che vi ho
sufficientemente annoiati a morte con tutte queste sdolcinate
chiacchiere, posso lasciarvi alla lettura dell'epilogo che spero
apprezzerete come degna conclusione della storia e che vi
lascerà appagati :-)
Ringraziamenti:
Dahylia:
Ciao carissima^^! Forse sto diventando ripetitiva ma non
smetterò di dire quanto sono felice che l'ultimo capitolo ti
sia piaciuto :-) l'ultimo capitolo è sempre quello
più importante, dove si tirano le somme della storia, si
decide in via definitiva del destino dei propri personaggi e bisogna
quindi compiere scelte che possono essere giuste e lasciare appagato il
lettore o disastrose e rovinare un'intera storia, quindi ero abbastanza
impaurita da responsi, ma sono super lieta di saperlo positivo e che
sia riuscita a tenere alta la suspance in modo da dare la bella
sorpresa alla fine. Nella conclusione ha poi prevalso il mio lato
romantico. Avevo pensato di renderlo struggente con un amore reso
impossibile dalla lontananza, ma poi ho pensato che ci sono tante
storie tristi già nella realtà, almeno qui, nel
nostro mondo fantasy di pagine d'internet dove le cose le decidiamo
noi, il finale poteva essere lieto e felice e farci sognare almeno per
il tempo della lettura :-) Guarda, per la decisione di Cate ti confesso
che non avevo mai pensato seriamente di farla tornare a Londra con
Peter, il mio marcato femminismo mi impediva di prendere in
considerazione l'idea di farle perdere la sua indipendenza per amore,
non ci riuscivo proprio! Sarebbe stata una scelta in cui lei avrebbe
sacrificato troppo, mentre Peter, anche se rinuncia per qualche tempo a
vivere con i suoi fratelli, ha tutto da guadagnare a restare a Narnia
in quanto è il Re. Si, arrivare alla fine è una
grande soddisfazione, mi sembra di essere riuscita a raggiungere uno
scopo, un traguardo! Ti auguro di provare presto la stessa cosa e sono
sicura che ce la farai! Si, ero decisamente fuori strada con la
divinità XD complimenti per la fantasia del nome che hai
inventato, è davvero bello, quasi musicale :-) Spero davvero
tanto che l'epilogo ti piaccia e che dia un buona conclusione alla
storia :-) spero di sentirti presto, un bacio grande!!!!!
bex:
ma ciao!!!!!!! Sono stra felice che lo scorso cappy sia stato tanto
apprezzato!!! Concordo pienamente con te, sono convinta anche io che a
lungo andare il fatto di aver dovuto compiere tutte quelle rinunce
avrebbe finito per rovinare il rapporto tra Cathy e Peter, infatti non
ho mai seriamente pensato che Cate potesse seguirlo a Londra. Ho
trovato più che ragionevole che Peter tentasse di
propriorierglielo, ma come si legge nemmeno lui era convinto che Cate
avrebbe accettato. Credo che nessuna ragazza del 2000, mettendo da
parte l'euforia e la passione dell'attimo, avrebbe accettato di
rinunciare alla propria indipendenza, sono del parere che sia
l'ingrediente essenziale per vivere. Però dall'altra parte
sono anche romantica e il finale con le lacrime, anche se mi aveva
stilisticamente tentata, ho deciso di accantonarlo in favore dell'happy
ending. Dopotutto quei due ne avevano già passate di tutti i
colori poverini, un lieto fine se lo meritavano! E lo meritavamo anche
noi sognatrici ^^ spero che anche quest'ultima apparizione di Cathy e
Peter ti piaccia, e che mi farai presto sapere cosa ne pensi :-) un
bacione e grazie mille per i tuoi complimenti!!!
sweetophelia:
Ciao cara! Grazie davvero per i tuoi complimenti :-) Sono felice che
sia trasparita l'incertezza fino all'ultimo, perchè oltre a
essere la mia era anche il sentimento che provavano i nostri
protagonisti, con la domanda madre "andare o restare?".Guarda,
è la prima storia che riesco a concludere, quasi non ci
credo nemmeno io che finalmente ho scritto la parola fine in una fan
fiction, spero solo che questa sia la prima storia iniziata e
conclusa di una lunga serie :-) Mi auguro che l'epilogo ti piaccia,
fammi poi sapere cosa ne pensi^^ un bacio grande e grazie ancora!!
Un grazie enorme anche a
chi ha aggiunto questa storia tra le preferite e/o le seguite, o anche
a chi ha solo letto con costanza la mia ff, grazie di cuore a tutti!
Buona lettura di
quest'ultimo capitolo
kisskisses
68Keira68
P.S. per le recensioni di
questo capitolo, a chi avrà la pazienza di scrivermi,
ringrazierò ognuno usando la mail :-) un grazie a tutti in
anticipo :-)
Epilogo
“Tesoro?”
Il richiamo si perse nella quiete
silenziosa della
camera da letto.
L’uomo entrò
dentro la
stanza, i passi attutiti dal soffice tappeto blu che ricopriva il
pavimento.
Fece scorrere lo sguardo sull’ambiete circostante, sul letto
a baldacchino in
parte celato dalla tenda blu cobalto, sul separé color creme
dove risaltava una
vestaglia femminile rossa, sull’armadio a due ante in noce,
ma non trovò la
persona cercata.
Attraversò la camera
fino a
giungere alla porta finestra che dava su un terrazzino, invitato
dall’anta
spalancata dalla quale entrava la brezza leggera che faceva ondeggiare
le tende
beige.
Un sorriso si dipinse sul
volto del moro. A pochi passi di distanza, mollemente appoggiata alla
balaustra
in pietra, i lunghi capelli castani mossi dal vento, c’era la
donna da lui
cercata.
Caspian si prese un momento
per osservarla. Nonostante fossero passati ormai dieci anni dal loro
primo
incontro, non si sarebbe mai annoiato di seguire il profilo perfetto
del suo
viso, né di scorgere il dolce sorriso che
gli rivolgeva la
mattina, un meraviglioso regalo che ancora ogni tanto temeva di
perdere, di
svegliarsi e accorgersi che quei magnifici anni trascorsi assieme non
fossero
altro che un sogno e che lei se ne fosse andata via con i suoi
fratelli, a
Londra. Poi però la stringeva tra le braccia e quando il suo
profumo simile a
fiori di campo lo invadeva, ogni timore svaniva, mentre si rafforzava
la
certezza che Susan fosse lì, che non fosse partita
perché l’unico futuro in
cui voleva vivere era quello in cui c’era anche lui,
come gli aveva sussurrato una fatidica mattina di dieci anni prima su
una
piazzetta sotto gli occhi di tutto il popolo, rinunciando a ritornare
nella sua
città natale. Rinunciando a non vivere a Narnia. Rinunciando
ad abbandonare il
giovane.
Lo stupore di quel giorno nel
vedere la ragazza ritornare indietro, raggiante dopo che gli aveva
appena detto
addio tra i singhiozzi, nel sentire le sue esili braccia allacciarsi
dietro il
suo collo, lo aveva quasi paralizzato. Per un lungo istante era stato
incapace
di qualsiasi reazione, finché la sua mente non aveva
metabolizzato il messaggio
delle parole di Susan. La ragazza non sarebbe partita. Sarebbe rimasta
a Narnia
con lui.
La gioia provata era stata
indescrivibile. Aveva stretto la presa sui suoi fianchi e
l’aveva alzata in
aria, iniziando a ridere di felicità, dimentico del
centinaio di telmarini e
narniani che li osservavano poiché solo una cosa era
importante in quel
momento. Susan.
Caspian si scostò
dall’intelatiatura della porta-finestra su cui si era
adagiato e si avvicinò
alla regina, immersa nei suoi pensieri al punto di accorgersi della
presenza
dell’uomo solo quando questi gli passò le braccia
attorno alla vita, facendo
aderire il suo petto alla schiena di lei.
“Ehi, ciao”
mormorò sorpresa
ma lieta dell’arrivo di Caspian. La ragazza volse il viso
nella direzione del
giovane per un bacio a fior di labbra, poi tornò a fissare
l’orizzonte,
adagiandosi nel suo abbraccio.
“Andrew?”
domandò Susan,
facendo scorrere lentamente la sua mano sull’avambraccio del
re.
“è andato a
Cair Paravail
con Edmund e Melanie. Ed lo riporterà per cena” le
rispose, posando il mento
sul suo capo.
La regina sorrise. Appena
poteva il figlio coglieva l’occasione di andare al castello
dei quattro troni. Il
bimbo, simile al padre nell’aspetto tanto quanto non lo era
nel carattere
esuberante e aperto, adorava sgattaiolare a Narnia e respirare a pieno
l’odore
della magia che lì regnava. Certo, da quando era stata
stipulata la pace un
decennio fa, anche a Telmar era divenuto normale scorgere minotauri e
tassi
parlanti intenti ad acquistare uno scudo dall’armaiolo,
tuttavia solo nel regno
oltre il fiume ci si poteva totalmente immergere in
un’atmosfera
sovrannaturale. E Andrew, con i suoi grandi e intelligenti occhi
castani, ne era
ammaliato.
Andrew. Il suo
Andrew. Una piccola peste smilza di
sette anni, capace di mettere il castello di Telmar a soqquadro
giocando a fare
il “prode” cavaliere e di far disperare il suo
tutore per la sua incapacità di
star fermo cinque minuti. Era un bambino sveglio, interessato a
qualsiasi cosa
gli succedesse accanto, fosse il volo di un ippogrifo o le fasi della
luna,
furbo quanto bastava per trovare modi sempre più fantasiosi
per evitare la
vasca da bagno, aveva ereditato dalla madre un grande senso pratico e
organizzativo, ma peccava totalmente nell’adempiere ai suoi
piccoli doveri, come
era d’obbligo alla sua età, quali tenere in ordine
la stanza e applicarsi nello
studio. Tuttavia agli occhi di Susan gli si poteva perdonare tutto
quando, con
un sorriso dolce e innocente, la sera gli portava un mazzetto di
margherite
colte durante la sua passeggiata pomeridiana.
La regina prestò la sua
attenzione allo scenario che le si prestava dinanzi. Sotto il suo
sguardo la
vita quotidiana di Telmar proseguiva tranquilla e vivace. Dal
terrazzino della
sua camera da letto poteva scorgere il fabbro battere ripetutamente il
suo
martello contro un ferro rovente e una donna sulla quarantina comprare
il pane
dal panettiere accanto tenendo per mano un pargoletto
all’incirca di cinque
anni; alla sua destra un gruppo di ragazzini giocava spensieratamente
con dei
giovani fauni al tiro con l’arco, mentre poco distante poteva
vedere attraverso
la vetrina del negozio una sarta intenta a prendere le misure di una
cliente. Un
perfetto ritratto della parola pace, una parola che lei si era
impegnata a
mantenere per il bene della sua gente in qualità di regina.
Regina di Narnia e
di Telmar, come l’avevano nominata dopo il suo matrimonio con
Caspian e come si
sentiva nel cuore dopo tutti quegli anni, dove aveva imparato a
conoscere quel
regno prima lontano e ostile ed ora tanto noto e amato.
Il suo matrimonio…
quell’anno festeggiavano il loro nono anniversario ma ancora
poteva viverlo
minuto per minuto nei suoi ricordi e riprovare per intero la gioia di
quel
giorno. Caspian le aveva chiesto di sposarlo dopo un anno dalla sua
decisione
di restare a Narnia. Un pomeriggio di metà aprile il giovane
l’aveva portata
alle rovine della piccola arena davanti al loro avamposto durante la
guerra,
con la scusa di fare un picnik per allontanarsi per qualche tempo
dall’impegno
che la corona portava con sé e Susan, entusiasta
dell’idea, aveva accettato
prontamente. Verso il volgere della sera, quando ormai nel cielo
l’azzurro
cedeva il passo all’arancio acceso del tramonto, Caspian le
si era
inginocchiato davanti e, con voce vibrante dall’emozione,
aveva aggiunto un
altro ricordo legato a quel luogo per loro così speciale,
chiedendole di
diventare sua moglie. Susan non aveva esitato a dare una commossa
risposta
affermativa e a gettargli le braccia al collo. Stava aspettando quella
proposta
da settimane, come tutta la corte e i suoi fratelli del resto.
“A cosa pensi?”
Susan si riscosse dai suoi
ricordi e si volse verso il marito. “Al giorno del nostro
matrimonio” gli
rivelò. “Te lo ricordi?”
Caspian ridacchiò.
“Intendi
il giorno in cui mi hai reso l’uomo più felice di
Telmar? Si ho un vago
ricordo” ironizzò. “Quando sei entrata
nella Sala del Trono, con quel vestito bianco
lungo e stretto, temevo di restare paralizzato dall’emozione.
Eri la cosa più
splendida che avessi mai visto, talmente bella che credevo ti saresti
dissolta
come un miraggio.” Mormorò, tornando indietro con
la mente al momento in cui,
dal fondo della Sala dove avevano deciso di svolgere la cerimonia,
presieduta
da Aslan in persona, Susan, al fianco di Peter, era apparsa fasciata da
un
abito da sirena, con i capelli raccolti in una crocchia tenuta in piedi
da rose
bianche, identiche a quelle che componevano il bouquet.
L’attraversata della
navata gli era parsa infinita, perso com’era
nell’incedere sinuoso della bella
regina e quando finalmente le aveva preso le mani tra le sue, aveva
avuto
l’ennesima conferma dal battere del suo cuore di come la
meravigliosa donna che
aveva davanti potesse essere l’unica che desiderasse al suo
fianco negli anni a
venire.
“Quando Aslan ci ha
dichiarati marito e moglie in nome dell’Antica Magia, ho
avuto la certezza che
niente sarebbe più andato storto, che insieme avremmo
trovato una soluzione ad
ogni cosa” gli confessò Susan.
Caspian considerò a
come,
una decina di anni fa, un’ammissione del genere le sarebbe
costata una fatica
immensa e a come sarebbe deliziosamente divenuta rossa fino alla radice
dei
capelli, mentre ora non provava alcun imbarazzo a confidargli debolezze
e
sentimenti. Sotto quell’aspetto Susan aveva imparato ad
aprirsi di più verso
gli altri e a non vedere come una mancanza il mostrare ciò
che provava. Un
ragguardevole traguardo se pensava a quanto tempo avesse impiegato per
ammettere
che lo amava, durante i loro primi mesi insieme. Peccato solo non
potesse
attribuirsi il merito del cambiamento. Quello infatti andava
interamente a
Andrew. La nascita di loro figlio aveva cambiato profondamente il modo
in cui
Susan si approcciava al mondo. Era diventata meno ligia, più
permissiva, capace
di perdere ore a fissare il viso addormentato del suo bambino con aria
trasognata, e a non vergognarsi di ammettere quanto vi fosse legata,
come lo
era anche lui ovviamente. Non aveva mai seriamente pensato
all’idea di avere
figli e all’inizio l’idea di avere la
responsabilità della vita di un’altra
persona lo aveva impanicato. Alla fine però, stupendo lui
per primo, si era
rivelato essere un buon padre, capace di misurare accuratamente
negazioni e
permessi, anche se erano rare le volte in cui negava qualcosa al
piccolo quando
veniva a chiedergliela con il faccino pieno di entusiasmo verso qualche
interesse nuovo e, per lui, esaltante.
“Il popolo ha fatto festa
per una settimana intera. Erano tutti così contenti. Persino
Peter sorrideva!”
continuò a ricordare Susan.
Caspian sbuffò
all’ultima
affermazione. “Parla per te, a me tuo fratello ha riservato
solo ammonimenti e
sguardi truci per tutta la giornata, i sorrisi e le congratulazioni te
le sei
prese solo tu.” Si lamentò.
La ragazza rise. “Sai
com’è
fatto, anche se era felice per me, soffriva nel vedermi uscire dalla
sua
protezione, anche se non ne avevo bisogno.” Lo difese
bonaria. “E poi credo
fosse anche un poco geloso” insinuò pensierosa.
Caspian si accigliò.
“Geloso? E di cosa?”
“Del fatto che tu avessi
ricevuto subito una risposta affermativa alla tua proposta di
matrimonio. Anche
Peter aveva chiesto a Cathrine di sposarlo in quei giorni, ma lei gli
aveva
risposto che non si sentiva ancora pronta per un passo del
genere” gli rivelò.
“Non lo sapevo”
il re
scoppiò a ridere. “Povero Peter, Cate lo ha tenuto
sulle spine per altri due
anni prima di cedere!”
Susan si unì alle
risate.
“Peter ha provato a convincerla in tutti i modi ma lei non ne
ha voluto proprio
sapere. Era fermamente decisa a compiere almeno vent’anni
prima di legarsi
ufficialmente”.
“Adesso che lo so posso
affermare di essere stato molto più fortunato”
Caspian posò un bacio tra i
capelli castani della giovane donna.
Susan si girò nel suo
abbraccio,
le labbra arricciate in una smorfia furba mentre gli passava le braccia
attorno
al collo. “Solo per questo?” gli chiese alzando un
sopraciglio.
Caspian la penetrò con
uno
sgardo acceso. “Per questo. Per la carezza per la quale mi
svegli ogni mattina”
con una mano percorse il profilo del volto della regina “per
la fermezza con la
quale mi hai sostenuto durante questi dieci anni di governo. Per
l’amore con la
quale accudisci nostro figlio” le sollevò il mento
con dolcezza “e per le tue
labbra che mi sussurrano che mi ami”. Il baciò che
seguì fu pieno di quella
calma e di quell’amore consapevole tipico solo di due persone
che, dopo essersi
scelte e conosciute, sanno di non dover avere fretta nel dimostrarsi il
reciproco affetto perché hanno tutta la loro esistenza da
trascorrere insieme.
“La mia vita è
più perfetta
di quanto avessi mai potuto progettare, e questo lo devo unicamente a
te” gli
mormorò poggiando la sua fronte su quella di Susan.
La regina sorrise,
riscaldata da quelle parole. “Sicuro che non potrebbe
divenire più perfetta
ancora?” insinuò a bassa voce, alzando lo sguardo
sul suo viso.
Il giovane si accigliò.
“Non
vedo come ciò possa essere possibile. Il mio regno prospera
e ho una moglie e
un figlio meravigliosi per i quali darei la vita. Chiedere di
più sarebbe
chiedere l’inesistente.” Osservò
convinto.
Susan gli accarezzò
distrattamente i capelli scuri. “E se ti dicessi che presto
potresti avere un
altro figlio meraviglioso per il quale daresti la vita?”
Caspian la fissò
confuso, ma
quando il significato che quelle parole portavano venne assimilato, la
confusione lasciò il posto prima allo stupore e poi alla
gioia più pura. Il re
sollevò Susan per i fianchi e urlò di
felicità, gli occhi che brillavano.
“Davvero aspetti un
bambino?
Da quanto?” volle sapere rimettendola giù e
stringendola forte a sé.
Susan rise, appagata dalla
reazione del marito. “Due mesi. Dovrebbe nascere a Gennaio
dell’anno prossimo”
Caspian guardò la donna
che
amava, godendo della visione del suo sorriso radioso che si spandeva
fino ai
lucenti occhi castani, pieni di quella dolcezza e di quel calore da cui
da
sempre attingeva la sua forza. Con delicatezza poggiò una
mano sul ventre della
ragazza, pensando emozionato al tesoro che sua moglie custodiva dentro
di sé in
quel momento.
“è ancora
presto per
sentirlo” gli ricordò con tenerezza Susan.
Caspian la guardò
estasiato,
come se avesse dinanzi una dea. La dea che con la sua benevolenza gli
stava per
donare un secondo figlio, una seconda ragione per vivere.
“Se questa volta
è una
femmina la chiameremo Alhena” decise il giovane.
“Abbiamo tempo per
pensarci,
non trovi?” gli fece notare la sua sposa, cingendogli
nuovamente le spalle.
“Non è mai
troppo presto per
pensare ad una bimba con gli splendidi lineamenti di sua
madre” ribattè
Caspian, facendo scorrere le braccia attorno alla sua vita.
“Né per un
maschietto con
gli stessi grandi occhi scuri e il sorriso dolce del padre”
concordò Susan.
La regina gli posò un
altro
bacio leggero sulle labbra, prima di girarsi nella stretta del giovane
e
appoggiare la sua schiena al busto di lui, riscaldata dalle sue braccia
forti
ma che la teneva con delicatezza.
Caspian la cullò nel suo
abbraccio, perso nella meravigliosa notizia che la moglie gli aveva
appena
dato.
Un figlio. Un’altra
splendida
creatura che gli avrebbe fatto il dono di chiamarlo
“papà”. Questa volta poi
poteva assaporare appieno la gioia di quella prospettiva senza la paura
di non
essere all’altezza della situazione, timore che lo aveva
colto nell’apprendere
l’imminente nascita di Andrew. Quando una mattina Susan, dopo
due settimane che
era vittima di nausea e svenimenti, gli aveva annunciato la lieta causa
dei
suoi malesseri, si era sentito preda di una felicità
incontenibile, ma presto
il terrore di non essere un buon padre, di rovinare
l’esistenza di un’altra
persona, di non essere in grado di badare ad un figlio, lo aveva quasi
paralizzato. Un terrore che lo aveva accompagnato per tutti i mesi
della
gravidanza e che diveniva più grande tanto più
evidente diventava la pancia di
sua moglie. Un terrore che si era dissolto come neve al sole solo
quando per la
prima volta aveva stretto tra le braccia un fagotto roseo, con gli
occhi e i
pugnetti chiusi. Un fagotto che era suo figlio. La sensazione che aveva
provato
era stata indescrivibile. All’improvviso aveva realizzato
ciò che doveva fare.
Era talmente semplice che si era dato dell’idiota per non
averlo compreso
prima. L’unica cosa possibile da fare verso quella creatura
nata dall’amore tra
lui e Susan, era amarla. Solo e semplicemente questo. Amarla.
Come amava sua moglie. Come
amava il suo popolo. Un atto che avrebbe potuto compiere per tutta la
vita. Un
sentimento che lo avrebbe accompagnato riempiendo la sua esistenza e
che non si
sarebbe mai esaurito, ma che avrebbe perseverato eterno come il vento
che
soffia tra le foglie, sempre alimentato da nuove emozioni e vicende,
come
faceva già da dieci anni e come avrebbe fatto per tanti
decenni a venire.
*
“2 tonnellate di legname
in
cambio dei vostri farmaci, entro la fine di luglio, mi sembra uno
scambio equo,
signor Isador”
Un uomo sulla quarantina
firmò
la pergamena sulla quale era stato redatto il nostro accordo sorridendo
soddisfatto.
“è sempre un
piacere
trattare con voi, Vostra Altezza”
“Il piacere è
mio” gli
risposi, alzandomi dalla sedia e porgendogli la mano.
Isador chinò la testa
scura
e mi baciò il dorso della mano prendendomela con la sua
guantata. Poi batté le
mani due volte e accanto a lui comparve il mantello blu notte che gli
avevo
fatto sistemare da un cameriere al suo arrivo al castello. Con un
fluido
movimento del braccio si posò la mantella sulle spalle,
avvolgendo la sua bassa
figura, resa rotonda da un evidente amore per la buona cucina.
“Manderò degli
uomini fidati
al confine per la consegna del legname” rassicurai il mago.
Questi rivolse il suo viso
paffuto e bonario verso di me, guardandomi con piccoli occhi verdi, che
nascondevano una scintilla di furbizia a dispetto del sorriso semplice
che
mostrava. “Vi aspetteremo puntuali,
Maestà.” Mi rispose.
Annuii fiduciosa delle sue
parole. Da quando cinque anni fa erano cominciati i rapporti con il
mondo dei
maghi, non avevo mai avuto motivo di lamentarmi di una loro mancanza.
Anzi, la
loro efficienza nel rispettare gli impegni era invidiabile, specchio di
una
scrupolosa organizzazione interna. Ogni sei mesi, precisi come orologi,
al
confine avvenivano gli scambi che avevamo concordato durante gli
incontri tra
gli ambasciatori e me. Scambi che si erano rivelati molto vantaggiosi
sia per
Narnia che per Suavitas, dandomi ragione sul fatto che i nostri due
popoli
dovessero ricominciare ad avere una linea di comunicazione.
Non era stato facile da
attuare come progetto. La prima volta che avevo accennato a Peter della
possibilità di avviare una relazione con il popolo
aldilà delle Montagne
Rocciose, avevo trovato un re restio ad accettare la mia proposta.
Aveva da
subito compreso il mio desiderio di conoscere quel luogo utopico che
nelle mie
fantasie aveva assunto una cornice da fiaba succube dei racconti di
Aslan, ma
temeva conseguenze negative dal riallacciare i rapporti con la
comunità dei
maghi. Aveva paura che tentare di riavvicinare i nostri due popoli
riaccendesse
le rivalità già emerse in passato e che avevano
portato alla guerra. Timori
plausibili ma che per fortuna ero riuscita a fargli superare con una
semplice
argomentazione. Il mio tentativo di stringere un’alleanza con
loro non avrebbe
portato ad una nuova unione tra maghi e creature di Narnia, ma
semplicemente
alla rinnovata conoscenza dell’esistenza gli uni degli altri.
Trovavo insulso
che due popoli che condividevano lo stesso passato e abitavano sulla
stessa
terra, ignorassero le reciproche esistenze solo per dissidi sorti
migliaia di
anni fa, in un passato talmente remoto che nessuno più
ricordava. Suavitas e
Narnia potevano andare d’accordo, aiutarsi l’un
l’altra continuando però a
vivere la loro vita di sempre, senza che una popolazione interferisse
con le
abitudini dell’altra. Desideravo un rapporto aperto, che
procurasse benefici ma
non portasse alla guerra.
Tre mesi dopo, io, Peter e
un piccolo manipolo di uomini stavamo attraversando il Bosco Fosco,
meta: la
dimenticata Suavitas.
“Le auguro una buona
giornata, Vostra Altezza” mi salutò con tono
affatto ossequioso, anzi, quasi
confidenziale grazie agli incontri mensili che tenevamo da ormai cinque
anni.
Isador era un brav’uomo, rispettoso ma socievole. Discutere
con lui sulle
novità e l’andamento dei rispettivi regni era un
incarico che mi ero assunta
con enorme piacere, diventando l’ambasciatrice di Narnia, un
compito mio
soltanto in cui Peter mi aveva lasciato completa capacità di
agire. Un compito
che mi ero guadagnata vincendo oltre il suo scetticismo, quello di
Suavitas la
prima volta che vi avevamo messo piede.
Lo stupore dei maghi e delle
streghe al nostro arrivo era stato talmente forte da essere quasi
tangibile, ma
a poco a poco la diffidenza iniziale era scemata in
curiosità fino a divenire
vivo interesse. Nessuno si era mai avventurato nelle loro terre e
nessuno aveva
mai osato lasciarsele alle spalle, eccetto Jadis, la cui storia
però era
sconosciuta alle orecchie del magico popolo. La possibilità
di superare i
propri confini e di avventurarsi nella terra dove i loro antenati erano
cresciuti stuzziccò molte menti, facendoci divenire da
stranieri inattesi ad
ospiti desiderati. Il sindaco della città in cui eravamo
giunti, Florarbor,
volle sapere ogni dettaglio del nostro regno, divenuto quasi una
leggenda dati
i secoli che non se ne parlava. La mia proposta di provare a ricreare
un
rapporto tra le nostre due civiltà e di aprire le strade
alla condivisione
delle nostre due culture fu presa in considerazione dal nostro ospite,
con la
promessa che avrebbe radunato il Consilium Rei Publicae, portandoci a
Corusca,
la capitale del loro regno nonché sede del consiglio.
Il viaggio durò tre
giorni e
una volta giunti fummo accolti con cordialità dal sindaco di
Corusca, Ethan
Godfrey. Ci volle una settimana per radunare i sindaci di tutte le
quindici
regioni dello Stato, ma alla fine il Consilium ebbe inizio e Peter ed
io ebbimo
la possibilità di partecipare e di proporre la nostra
pacifica alleanza.
Convincere la maggioranza a
votare per la nostra idea non fu facile. Molti condividevano il timore
del re
di Narnia espresso in precedenza a me, quello di un ritorno delle
ostilità tra
i due popoli. Fortunatamente però le argomentazioni che
avevano vinto Peter
unite ad una grande novità, ovvero quella di una regina di
Narnia appartenente
in origine alla loro comunità, riuscì infine a
vincere i miscredenti. Il “si”
ebbe la maggioranza, e le trattative tra i due regni cominciarono. In
capo ad
una settimana fu stilato un trattato di alleanza, che comprendeva la
libertà di
entrambi i popoli di valicare il confine oltre ad alcuni scambi
commerciali. Il
territorio di Suavitas infatti, stretto tra le Montagne Rocciose e il
Grande
Mare, scarseggiava di materie prime, abbondanti invece nella
più vasta Narnia.
Eravamo giunti così all’accordo di condividere
parte delle nostre risorse in
cambio dei medicamenti, inesistenti a Narnia, che alcuni maghi
specializzatesi
nelle cure mediche avevano creato, e altri oggetti per uso quotidiano
che
potevano migliorare le condizioni di vita degli abitanti del mio regno.
“Grazie, buona giornata
anche a lei”.
Con un ultimo cenno del capo,
il mago si smaterializzò sotto i miei occhi, tornando nella
sua patria.
Presi la pergamena dalla
scrivania in noce e la arrotolai per deporla con cura dentro il
cassetto.
Soddisfatta del contratto appena rinnovato, uscii dal mio studio,
unicamente
dedicato al mio incarico da ambasciatrice. Avevo optato per la
semplicità e la
funzionalità nell’arredarlo, limitandomi ad una
scrivania con l’occorrente per
scrivere, comode sedie e un tappeto per rendere più caldo
l’ambiente. L’unico
mobilio non funzionale era la lunga libreria che ricopriva gran parte
delle
pareti. I libri che vi erano riposti non erano mai stati consultati per
il mio
lavoro, ma come potevo resistere allo stereotipo di uno studio con la
libreria?
Mi sistemai alcune pieghe
della gonna rosa antico, liscia e lunga fino ai piedi, e le maniche
formate da
due striscie in voile che morbide ricadevano sulle braccia lasciando
scoperte
le spalle, prima di uscire dalla stanza. Percorsi il corridoio
innondato dalla
luce del giorno, prestando scarsa attenzione alla mia direzione.
Conoscevo quel
castello talmente bene che avrei potuto muovermi ad occhi bendati dopo
otto
anni che vi abitavo. E dopo essermi smarrita nei suoi meandri un
centinaio di
volte i primi tempi. Peter aveva deriso il mio scarso senso
dell’orientamento
per mesi, ma alla fine ero riuscita ad imparare a riconoscere i
corridoi e ad
amare ogni centimetro di quel palazzo, condividendo il sentimento che
aveva
spinto il re a voler ricostruire Cair Paraveil esattamente
com’era durante il
suo primo governo. I lavori del castello erano stati uno dei primi
ordini di
Peter e nel giro di due anni, sotto la sua stretta vigilanza, Cair
Paraveil era
tornata a risplendere sulla sua posizione privilegiata sulla scogliera.
Le
colonne in marmo, i balconi in muratura, le stanze con i loro trompe
d’oil, e
altri mille dettagli che il cuore del sovrano non aveva scordato, erano
stati
ricostruiti con fedeltà rispetto all’originale. Il
tetto di cristallo aveva
ripreso a sormontare i quattro troni, con l’unica differenza
che il terzo
scranno da sinistra invece di essere occupato da Susan era divenuto
mio. La
seconda Pevensie sarebbe rimasta regina di Narnia, ma abitando ormai
stabilmente a Telmar aveva deciso di rinunciare ad un governo attivo
sul suo
primo regno, cedendo a me il suo posto. Con sommo piacere di Peter e
mio enorme
disappunto. L’appellativo “Altezza” mi
calzava ancora stretto nonostante
fossero ormai anni che mi si rivolgevano con quel titolo o con i suoi
numerosi
e altisonanti quanto sgraditi sinonimi. Senza contare che, come
aggiunta alle
mie disgrazie, Peter era infine riuscito a convincermi a prendere le
redini del
regno ereditato da mia madre. Così da che non volevo sentir
parlare di governo
o responsabilità mi ero ritrovata regina di Narnia e
imperatrice delle Isole
Solitarie. Quando si dice la fortuna…
Arrivata alla fine del
corridioio, cominciai a scendere la grande scalinata che mi avrebbe
condotta al
salone d’ingresso, una sala circolare decorata con varie
statue raffiguranti
fauni e ninfe e arazzi che raccontavano episodi della gloriosa storia
di
Narnia. Alla fine del corridoio raggiunsi il portone in mogano,
controllato
dalle sculture di due imponenti minotauri. Aprii un’apertura
ad altezza d’uomo
creata all’interno del battente di destra, ideata per le
entrate e le uscite di
persone singole in modo da evitare l’apertura delle due
pesanti ante principali
quando non necessaria.
Finalmente mi ritrovai nel
cortile, all’aria aperta. Gli alberi del viale accolsero il
mio arrivo
inclinando le fronde imitando un inchino, che ricambiai lieta. Feci
scorrere lo
sguardo lungo il prato verde, dove aiuole dai mille colori danzavano al
ritmo
del vento. Respirai a fondo quell’aria che aveva il sapore
della quiete, finché
il suono di risate conosciute non interruppe quel silenzio.
Mi diressi verso le risa,
percorrendo il fianco del castello verso sinistra fino ad arrivare in
un’altra
ala del cortile. Un sorriso spontaneo mi si dipinse in viso alla
meravigliosa
vista che mi si parò dinanzi. Un giovane uomo, alto e
slanciato, con i capelli
biondi che riflettevano il sole, giocava con una ragazza dalla fluente
chioma
castana e due bambini, un maschietto di sette anni e una femminuccia di
quattro
dai boccoli color dell’oro.
“Ah! Se ti
prendo…!” il
bimbo iniziò a correre ma non riuscì a scappare
dalla presa di Peter. Il
giovane lo agguantò e Andrew cadde sotto
l’implacabile attacco di solletico
dello zio.
Le risate dei quattro mi
riempirono il cuore di gioia, un sentimento che vi albergava da dieci
anni. Da
quando avevo deciso di restare a Narnia. Da quando Peter aveva
rinunciato a
Londra per restare con me.
Il tempo ci aveva dimostrato
come le nostre scelte fossero state giuste. Non c’era stato
un solo giorno in
cui avessi rimpianto la mia decisione, la quale mi aveva condotto
unicamente
verso la felicità. Una felicità che era aumentata
dai lieti cambiamenti che la
vita a Narnia mi aveva portato.
Inanzitutto il vedere con i
miei occhi i luoghi in cui ero nata. La visita a Suavitas di cinque
anni fa e
le successive erano dei ricordi preziosi che mi avevano dimostrato come
potessi
trovare ancora qualcosa di più sbalorditivo dei paesaggi di
Narnia visitando i
luoghi che Jadis aveva descritto nei suoi diari e altri ancora.
Durante uno di quei viaggi poi
c’era stato anche un altro grande cambiamento. Un cambiamento
per il quale
avevo a lungo tentennato ma che alla fine mi ero decisa ad affrontare.
Il
matrimonio.
Un piccolo urlo
accompagnò
il secondo agguato ai danni di Andrew da parte di suo zio. Era
incredibile la
somiglianza tra il bimbo e Caspian. Nei tratti del viso ovale di Andrew
si
potevano chiaramente riconoscere gli stessi lineamenti del padre.
Sembrava la
sua copia in miniatura. Era molto più vivace di lui
però. Non perdeva
un’occasione per cacciarsi in qualche guaio e più
di una volta il re di Telmar
insieme a mio marito avevano dovuto andarlo a recuperare da qualche sua
spedizione avventurosa nei boschi.
Mio
marito.
Una parola il cui suono era diventato dolce nel corso dei nostri sette
anni di
matrimonio. Prima di accettare la sua proposta lo avevo fatto penare
per ben
tre anni, rimandando con la scusa di non sentirmi ancora pronta a
legarmi
ufficialmente. Volevo aspettare di aver compiuto almeno i
vent’anni d’età. Dal
mio punto di vista poi non c’era alcun bisogno di metterci
fretta. Vivevamo
insieme ed eravamo felici, non vedevo il perché di dover
ufficializzare la
nostra unione con una cerimonia fastosa e subire dopo tutte le
conseguenze che
essa avrebbe portato con sé, prima tra tutte la corona.
Sposando Peter sarei
divenuta la regina di Narnia, un’idea che mi terrorizzava,
talmente grande da
schiacciarmi.
Alla fine però avevo
ceduto.
E come avrei potuto dire ancora di no a Peter dopo l’ultimo
modo che aveva
trovato per chiedermi di sposarlo? In una delle nostre visite a
Suavitas mi
aveva portata in barca sull’Argecus, il lago dalla peculiare
capacità di mutare
le sue acque in argento liquido se illuminato dai raggi del sole, e
cogliendomi
impreparata mi aveva chiesto di diventare sua moglie. Lo scegliere lo
stesso
posto che aveva fatto da scenario alla proposta di matrimonio da parte
di Ian a
mia madre aveva sortito il suo effetto. La sorpresa unita al calore che
mi
aveva procurato il sapere come Peter si fosse ricordato di quel
particolare
della vita dei miei genitori, mi aveva fatto pronunciare il fatidico
“si”.
Pochi giorni dopo mi ero
ritrovata ad affrontare il matrimonio e tutto ciò che ne
sarebbe conseguito.
Per l’organizzazione della cerimonia Susan e Lucy, il cui
ritorno era giunto
dopo appena tre anni dalla partenza assieme al fratello dimostrando
come la
nostra fiducia in Aslan non fosse stata mal riposta, si erano rivelate
delle
instancabili aiutanti. Susan aveva coordinato i preparativi mentre Lucy
si era
divertita a sfornare idee sempre più creative per
l’evento, rifacendosi della
mancata partecipazione al matrimonio della sorella.
Così una calda mattinata
primaverile aveva visto il re Supremo di Narnia unirsi in matrimonio
con la
figlia della Strega Bianca. O almeno in questo modo era stato riportato
l’evento. Per me ciò che quel cielo limpido aveva
assistito era stata l’unione
tra una delle ragazze più fortunate di Narnia e il giovane
che amava più di se
stessa e che le aveva mozzato il respiro quando lo aveva visto
sull’altare posto
tra due alberi di pesco, splendido nel suo abito rosso e oro.
Con un sorriso pensai a come
solo in quell’esatto istante tutto il timore che la parola
“matrimonio” mi
aveva da sempre ispirato si fosse dissolto. Persino il diventare regina
di
Narnia divenne un’innezia se paragonato a ciò che
stavo per fare: dichiarare al
mondo intero che quel meraviglioso ragazzo che mi sorrideva colmo di
felicità
era mio marito e che lo sarebbe stato per sempre. Il
“si” che suggellò la
nostra unione fu accompagnato da un vortice di petali di fiori di pesco
che ci
avvolse, accarezzandoci, e da canto cristallino di una Fenice che
portava
l’augurio di vivere un amore eterno secondo la tradizione di
Narnia.
“Zia Cate!”
Una voce acuta mi
riportò al
presente.
“Zia Cate salvami! Zio mi
vuole fare il solletico!”
Novanta centimetri di pura
energia mi stavano correndo incontro, inseguiti dal
“terribile” Peter.
“Oh no, ti
proteggerò io!”
dissi allargando le braccia. Andrew si tuffò letteralmente
nella mia stretta ed
io mi interposi tra il bimbo e Peter, che mi guardò felice
di constatare che
avevo finito il mio compito per quel giorno.
“Consegnami Andrew o
dovrò
fare il solletico anche a te” minacciò.
“Mi spiace ma Andrew
è sotto
la mia protezione, se lo vuoi dovrai vedertela con me” stetti
al gioco.
“Vai zia, fagli
vedere!” mi
incoraggiò il piccolo, ben attento a non sporgersi troppo da
dietro la mia
schiena.
“Ah è
così eh?” indispettito
Peter si mise le mani sui fianchi. “Allora vorrà
dire che farò il solletico ad
entrambi!” e riprese a correre nella nostra direzione.
“Andrew
scappa!” lo incitai
correndo a mia volta verso le altre due persone presenti nel cortile.
“Zia Lucy aiutaci
tu!” gridò
Andrew in direzione della ragazza dai lunghi capelli castani. Lucy
acchiappò il
bimbo e lo prese in braccio per “proteggerlo”,
divertita dalla fuga del nipote.
Un braccio mi afferrò
per la
vita e mi fece sdraiare a terra con una lieve pressione.
L’attacco di solletico
che seguì fu immediato.
“No, no,
fermo!” cominciai a
ridere cercando di bloccargli le mani.
“Colpa tua che ti sei
messa
in mezzo. Ora devi pagare pegno” ribattè Peter
divertito. “Ragazzi forza, tutti
contro Cathrine!”
Andrew non se lo fece
ripetere due volte, felice di non essere più il bersaglio
dello zio, e presto
fu seguito anche da una sghignazzante Lucy.
“Basta, basta,
pietà!” ormai
avevo le lacrime agli occhi.
“Mama, ti difendo io,
mama!”
Due piccole manine si
posarono sul grande petto di Peter, cercando di allontanarlo da me. Il
biondo
si spinse all’indietro, fingendo di essere stato vinto dalla
forza della minuta
creatura che gli si parò di fronte.
L’attacco ai miei danni
ebbe
fine ed io potei riprendere a respirare. Mi drizzai a sedere e strinsi
forte il
vitino della bambina che avevo davanti.
“La mia
salvatrice” la
ringraziai dandole un bacio tra i boccoli dorati.
“Ti talvo io
mama” ripeté la
bimba, guardandomi soddisfatta del suo operato con i suoi grandi
occhioni
azzurri come il cielo in primavera. Lo stesso azzurro intenso di quelli
del
padre.
“Ah quindi preferisci la
mamma al papà?” si intromise Peter fingendosi
arrabbiato.
Posa che non gli riusciva
affatto se l’indirizzata era sua figlia. Peter non amava
Eveleen. No, amare era
un verbo riduttivo. Peter adorava
Eveleen. Da quando la piccola era nata non lo avevo mai sentito alzare
la voce
o perdere la pazienza con lei. Da quando aveva aperto i suoi occhi ai
suoi
primi passi, Peter le era stato accanto, sempre pronto a proteggerla,
ad
aiutarla o semplicemente a trascorrere del tempo con lei. Come quando
la
portava a cavalcioni per il grande cortile o giocava a nascondino tra
le sale
del castello. Oppure come quando le leggeva le fiabe la sera, facendola
addormentare nel letto matrimoniale tra le nostre braccia prima di
metterla nel
suo lettino e salutarla con uno sguardo che sfiorava semplicemente la
venerazione, come avevo più volte potuto ammirare accostata
allo stipite della
porta della sua cameretta.
Eveleen rimase interdetta
dalle parole del padre. Si mordicchiò il labbro e i suoi
grandi occhi si fecero
umidi per la paura di aver offeso Peter.
“No, no, io voio tanto
bene
a papà!” trillò e si tuffò
tra le sue braccia, per rimediare al piccolo danno
compiuto.
Peter le scompigliò i
ricci
biondi e la strinse con un braccio ridendo.
Il mio cuore si gonfiò
di
gioia. Nessun panorama, nessuna opera d’arte poteva ripagare
la visione di mio
marito e mia figlia abbracciarsi. Era una vista che mi dava
l’ennesima conferma
che le scelte e i fatti compiuti finora erano stati quelli giusti.
“Zia Lu,
dov’è zio Ed?”
La domanda di Andrew mi fece
notare l’effettiva assenza del terzo dei Pevensie.
“Ha ragione, dove si
è
cacciato?” chiesi anche io, cercando con gli occhi.
Lucy sorrise maliziosa e
indicò un punto oltre le sue spalle, una grande quercia
dietro alla quale si
intravedeva il profilo di un giovane uomo. “è con
Melanie” disse allusiva.
“Ah…”
le fece eco
comprendendo.
“Uffa, non gioca
più con noi
per stare con Mel, non è giusto!”
sbuffò invece il piccolo Andrew.
Melanie era la figlia del
generale dell’esercito di Telmar. Una ragazza graziosa, ben
educata, con corti
capelli castano chiaro e un fisico minuto, che era riuscita a far
invaghire di
sé Edmund fino a fargli perdere la testa. Cosa che,
ovviamente, lo rendeva oggetto
di continue battute più o meno velate da parte nostra, Lucy
in primis.
I due si erano incontrati
circa un mese prima quasi per caso. Edmund era andato a trovare Susan e
Caspian
a Telmar e nelle scuderie del castello aveva trovato una giovane
ragazza,
persasi nel grande castello mentre cercava il padre per recargli un
messaggio
da parte della moglie. Da bravo cavaliere Edmund non aveva resistito ad
aiutare
il prototipo della donzella in difficoltà, finendo per
innamorarsi della
giovane dai luminosi occhi smeraldini e aumentando di conseguenza le
sue visite
a Telmar.
Nonostante le battute
però,
noi tutti eravamo felice per il moro. Erano una trentina di giorni che
camminava ad un metro dal suolo, come si poteva non augurargli altro se
non che
la sua relazione con Melanie proseguisse?
Andrew, ancora imbronciato
per la mancanza dello zio, si avvicinò ad Eveleen, appena
lasciata andare dal
padre intenta a raccogliere un mazzetto di margherite da terra. Con la
coda
dell’occhio vidi il suo sguardo mutare da atterrito a furbo e
con un gesto
fulmineo strappò di mano i fiori dalla manina di Eve.
“Dammeli Andy!
Cattivo!” la
protesta della bimba non tardò a farsi sentire.
Andrew, divertito, alzò
il
braccio con la quale teneva le margherite in alto, fuori dalla portata
della
cugina.
Eveleen iniziò a saltare
cercando di raggiungere i fiori, ma la distanza era troppa per le sue
corte
gambe, non ci sarebbe mai riuscita.
Contrariata, mi alzai,
pronta a mettere fine alla disputa mentre il faccino di Eveleen
cominciava a
contrarsi pronto al pianto.
“Dammi i
fioli!” gridò
arrabbiata la piccola, pestando un piede per terra.
Ciò che seguì
lasciò tutti
sbigottiti.
I fiori svanirono dalla mano
stretta di Andrew e ricomparvero in quella di Eveleen, la quale
soddisfatta
ricacciò indietro le lacrime e si allontanò dal
cugino dispettoso.
Peter e Lucy mi guardarono,
negli occhi una muta richiesta.
“Non sono stata
io”
sussurrai incredula.
Posai lo sguardo su mia
figlia, che felice aveva ripreso a raccogliere margherite,
apparentemente
ignara dello stupore che aveva suscitato in tutti compreso Andrew.
Eveleen…aveva compiuto
una
magia?
Mi avvicinai a lei,
chinandomi alla sua altezza e passandole un braccio intorno al vitino.
“Amore, puoi dire alla
mamma
come hai fatto a riprendere i tuoi fiori?” le domandai
cercando di mantenere
una facciata tranquilla.
La bimba sbatté gli
occhioni. “Io li ho chiamati e lolo sono venuti,
mama” mi rispose alzando le
spalle, come se fosse la cosa più semplice del mondo.
Le mie labbra si distesero
in un sorriso sorpreso ma felice. La presi in braccio e la fece
volteggiare.
“Ma è
fantastico, piccola
mia!” esclamai.
La domanda più grande
che ci
ponevamo riguardo alla nascita di nostra figlia, era se sarebbe nata
con o
senza i miei poteri. Anni addietro, quando ancora vivevo a Londra, mi
ero detta
più volte che se mai avessi avuto figli avrei sperato per
loro che non
ereditassero la mia magia, in modo che avessero una vita normale. Ma da
quando
avevo imparato a vedere i miei poteri come un dono e non come una
maledizione,
la mia speranza era radicalmente cambiata. Mi ero augurata che Eveleen
ereditasse anche quel lato di me. Le avrei fatto scoprire le sue
capacità,
quanto bene potesse fare alle persone e quanto potesse anche essere
divertente
essere una strega. Le avrei dato tutto l’appoggio che a me
era mancato durante
la mia infanzia e la mia adolescenza, facendole apprezzare i suoi
poteri come
una meravigliosa parte di sé e non come
un’anomalia.
“è una cosa
molto bella?” mi
domandò, non capendo il motivo della mai gioia.
“Stupenda,
amore.” Si
avvicinò Peter, accarezzandole il viso. “Sei anche
tu una strega, come la tua
mamma” le disse, sorridendomi. Sostenendo Eveleen solo con un
braccio, mi
avvicinai a lui per un bacio, lieta che anche lui considerasse
meravigliosa la
scoperta. Avevamo già affrontato la possibilità
che Eveleen avesse dei poteri
in alcune nostre discussioni, e il re mi aveva già
rassicurata sul fatto che
avrebbe considerato la magia come un altro aspetto splendido della sua
“piccola
stellina”, esattamente come faceva con la madre, vederlo
però confermato era un
sollievo.
La bimba mi guardò
spalancando gli occhi. “Quindi anche io posso fale le bolle
cololate?” chiese
diffidente.
Scoppiai a ridere. “Ma
certo! E quando sarai più grande ti insegnerò
tante altre magie, ancora più
belle!” le promisi.
“Come volare, per
esempio”
si intromise Lucy, eccitata anche lei dalla nuova notizia.
Mia figlia volse il faccino
stupito verso la zia. “Volale? Come le falfalle?”
“Si. Lo sai che la tua
mamma
è riuscita a far volare lo zio Edmund, una volta?”
“Davvelo?” gli
occhi della
bimba divennero tanto grandi da riempirle tutto il viso.
“Ma certo, vuoi che ti
racconti come è accaduto?” chiese la ragazza
avvicinandosi con un sorriso.
“Si!”
esclamò Eve
protendendo le braccia verso la zia. Gliela diedi in braccio, obbedendo
al suo
desiderio, e le vidi allontanarsi poco più in là
mentre Lucy cominciava a
narrare sotto lo sguardo meravigliato della nipote.
Scossi la testa divertita,
ripensando a quanto tempo era passato da quell’episodio.
Anzi, da quell’intera
grande avventura che aveva richiamato i Pevensie a Narnia dopo il loro
millenario esilio. Un’avventura per fortuna conclusasi bene,
come quella che
aveva riportato nel regno Edmund e Lucy dopo tre anni dalla loro
partenza.
Caspian e Peter erano
partiti a bordo di un veliero alla ricerca dei sette Lord esiliati
precedentemente da Lord Miraz, una missione apparentemente semplice che
però si
era trasformata in un pericoloso viaggio tra isole maledette e pirati
ostili.
Durante il viaggio, inaspettatamente avevano visto emergere
dall’acqua i più
piccoli dei Pevensie assieme ad un loro cugino di nome Eustace Scrubb,
e con il
loro aiuto, certamente mandato provvidenzialmente da Aslan, erano
riusciti a
concludere la missione, alla fine della quale Eustace aveva rifatto
ritorno a
Londra, mentre Edmund e Lucy erano potuto restare con noi, tornando a
vivere a
Cair Paraveil. Lo stupore mio e di Susan, rimaste a Telmar per la
gravidanza di
quest’ultima, nel vedere tornare assieme ai nostri uomini
anche i due ragazzi
era stato immenso, ma più grande era stata la gioia che ne
era seguita.
“Così entrambe
le mie stelle
sono streghe”
Peter mi abbracciò da
dietro, appoggiando il capo nell’incavo del mio collo.
“Devi stare molto attento
ora, se ci fai arrabbiare potremmo trasformarti in un rospo”
scherzai,
reclinando indietro la testa.
Sentii la mia schiena scossa
dalla sua risata.
“Comunque sapevo che era
speciale. Esattamente come la sua mamma” mi
sussurrò, facendo giungere un
fiotto d’aria calda vicino al mio orecchio.
Girai il viso per guardarlo
negli occhi, scuotendolo leggermente.
“La magia non
è l’unica cosa
a renderla speciale. Ogni giorno che passa ti somiglia di
più. L’altro ieri
l’ho sentita sostenere una discussione con Andrew su come
fosse ingiusto da
parte sua prendere in giro il figlio di Ripicì per il
desiderio di divenire
cavaliere e di come bisognasse rispettare ogni creatura”
Un lampo d’orgoglio
passò
nelle sue iridi azzurro cielo.
“Diciamo che ha preso il
meglio di entrambi allora.”
Annuii concordando.
“Speriamo solo che non abbia preso la tua
testardaggine” aggiunsi scherzando.
“Senti da che pulpito
viene
la predica!” ribatté, fingendosi offeso.
Ridemmo entrambi, mentre le
braccia di Peter mi cullavano leggermente.
Poco distante, Andrew si era
aggiunto nel gruppo degli ascoltatori della storia di Lucy, la quale si
stava
divertendo a raccontare annedoti passati con tanto di mimo. Lucy ed
Edmund si
erano dimostrati due zii meravigliosi e instancabili baby-sitter a
tempo pieno.
Senza il loro prezioso aiuto conciliare i ruoli di sovrani e genitori
sarebbe
stato quasi impossibile sia per noi che per i regnanti di Telmar. Erano
sempre
pronti a prendersi cura dei nipoti, i quali aveva
un’adorazione per i due zii,
grandi abbastanza per accudirli e sentirsi protetti ma giovani quanto
bastava
per non dire mai di no ad un nuovo gioco.
Osservai come i boccoli
della mia bambina rilucevano al sole come quelli del papà,
seguendola ad ogni
movimento del corpicino intento nell’ascolto del racconto.
Era così bella e dolce.
L’avrei osservata tutto il giorno senza mai stancarmi. Ero
colpita dall’amore
smisurato che Peter aveva nei suoi confronti, ma io non ero da meno.
Non mi ero
mai immaginata madre, quanto meno non prima dei trent’anni.
Eppure accudire
quello scricciolo tenero quanto incredibilmente intelligente per la sua
età,
era divenuta la mia occupazione principale e più gradita.
Avevo i miei
incarichi di regina e di ambasciatrice, avevo un mio ruolo nella
società di cui
andavo fiera, ma da quando Eveleen era nata, avevo rivisto la scala
delle mie
priorità e lei si era ritrovata in cima. Era divenuta il
centro della mia vita.
Avevo avuto due donne da
chiamare “mamma”, ma poiché nessuno dei
due si era dimostrata un buon esempio
da imitare, non avevo idea di come si comportasse una brava madre. Ero
certa
però che ad Eveleen non avrei mai fatto mancare
ciò che io in particolare non
avevo avuto, amore e appoggio. Il giorno in cui era nata, avevo giurato
a me stessa
che le sarei sempre stata accanto in qualunque occasione e non sarei
mai venuta
meno al mio giuramento.
Vedendo il suo volto sereno
e spensierato, ero convinta che finora Peter ed io ce la stessimo
cavando alla
perfezione. L’unica cosa che forse ci mancava era un
po’ di polso nel far
valere qualche divieto, come non esitava a farci notare Susan. Ma,
nonostante
ci avessimo seriamente provato, né Peter né io
riuscivamo a imporci su
quell’angioletto. Ma per ora non dovevamo preoccuparci.
Eveleen era buona e
molto più obbediente del cugino, il cui gioco preferito era
cacciarsi nei guai,
qualsiasi essi fossero. Le sgridate le preservavamo per
l’adolescenza, quando,
ne ero certa, la testa dura ereditata dal padre si sarebbe fatta
sentire. Al
momento il suo unico peccato era quello di svegliarci nel cuore della
notte a
causa di un brutto sogno.
“Cathy?” mi
chiamò Peter.
Mi girai, circondandogli il
collo con le braccia.
“Si?” mormorai
serafica.
“Avresti mai immaginato
la
tua vita così?”
La domanda mi colse di
sorpresa, ma la risposta non fu difficile da dare. “No. Non
credevo si potesse
essere tanto felici” dichiarai con semplicità.
Peter mi regalò uno dei
suoi
meravigliosi sorrisi. “Nemmeno io” mi
confidò in un sussurro.
Ricambiai il sorriso,
avvicinandomi al suo viso tanto da sfiorargli il naso con il mio.
“Allora ti
dirò un segreto. Tutto questo è per sempre. Lo
hai giurato quando mi hai
sposata” dissi con il tono di chi stesse rivelando
chissà quale scoperta.
“Per sempre”
ribadì. La sua
voce, più bassa del solito, mi vibrò dentro,
facendo palpitare il mio cuore.
Incredibile come, dopo dieci anni, solo la sua voce riusciva ancora a
farmi
librare verso il cielo. Molti affermano che l’amore
è una fiamma che si
consuma. Non potevo essere più in disaccordo.
L’amore che provavo verso Peter
era ancora più profondo ora che dieci anni fa, consolidato
dalla nostra routine
quotidiana, come se ogni gesto che compivamo fosse un ceppo aggiunto a
quel bracere.
Peter mi baciò con
dolcezza,
schiudendo quelle labbra ormai modellate sulle sue.
“Mama,
papà!”
Una vocina acuta si impose
sul resto. Con un sospiro rassegnato ci separammo per rivolgerci a
Eveleen che
correndo si stava avvicinando.
“Davvelo hai fatto volale
zio Edmund per salavale papà?” chiese guardandomi
ammirata.
Sorrisi della sua meraviglia
e mi apprestai a risponderle, quando Peter mi sussurrò
all’orecchio “Stanotte
riprendiamo da dove ci siamo interrotti”.
Ero una madre. Ero una
moglie. Ero una regina. Ma avevo pur sempre ventisette anni e nessun
titolo mi
avrebbe impedito di arrossire alle sue parole. Né di
iniziare a sperare che le
lancette dell’orologio prendessero a scorrere molto, ma molto
velocemente.
“Mama!”
reclamò la mia
attenzione la bimba contrariata dalla mia lentezza nel rispondere.
“Ehm, ma certo tesoro.
Anche
se è tuo zio che merita di più la tua
ammirazione. All’epoca non ero ancora
molto brava con la magia, potevo anche farlo cadere e fargli male, ma
tuo zio
Edmund invece si è fidato lasciandosi trasportare in
volo” le spiegai.
“Più che di
coraggio
parlerei di avventatezza. Solo dopo che la battaglia fu finita mi resi
conto
del pericolo corso!”
Una voce allegra si aggiunse
al nostro gruppo.
“Zio!”
urlò il piccolo
Andrew correndo in contro ad Edmund. Il giovane gli
scompigliò affettuosamente
i capelli mentre si avvicinava a noi mano nella mano con Melanie. Rossa
di
capelli, quasi bianca nell’incarnato, la ragazza sorrideva
beata della presenza
del giovane accanto a sé, azzardando solo qualche timida
occhiata in nostra
direzione. Nonostante passasse molto tempo in nostra compagnia, non si
era
ancora abituata a parlarci normalmente. Nella sua testa, Peter, Lucy ed
io
eravamo i sovrani di Narnia, trattarci come semplici amici era tanto di
più
lontano ci potesse essere da quello che aveva imparato a fare durante
la sua
educazione. Confidavo però fosse solo questione di tempo.
Anche la timidezza dovrà
pur avere i suoi limiti, giusto?
“Fai volare anche me come
hai fatto con lo zio?” mi domandò Andrew
avvicinandosi.
“Anche me, anche
me!” si
accodò subito Eve.
“Non
saprei…” finsi di
rifletterci su.
Subito i bimbi cominciarono
a saltarmi attorno assediandomi di suppliche, sotto le risa divertite
dei
presenti.
“Mi sa che ti tocca
Cate”
suggerì mia cognata.
Sospirai, fintamente
rassegnata. “Va bene allora” concessi.
Le urla che seguirono furono
un segnale evidente della loro gioia.
Cominciai a far confluire la
mia magia nei palmi delle mani. Quando fui pronta cercai le loro
piccole auree
luminose e senza esitare le avvolsi con il mio potere.
Senza fatica, feci alzare i
due bambini in aria, poco sopra le nostre teste.
Eveleen e Andrew si
guardarono attorno estasiati. Ridendo e gridando felici, agitarono le
braccia e
le gambe come se stessero nuotando nel mare, allo scopo di muoversi.
Accondiscesi al loro desiderio, facendoli compiere in volo un giro
attorno a
noi tre rimasti a terra. Li feci alzare di un paio di metri e li
trasportai con
attenzione sopra il cortile, spaziandolo a destra e a sinistra.
I due cugini ridevano,
contenti di quel nuovo gioco, emozionati di stagliarsi contro il cielo
che
tendeva ormai all’arancione. Il sole era quasi del tutto
tramontato
all’orizzonte. Un altro giorno era finito e la luna tornava a
regnare nella
notte limpida, finché un’altra alba avrebbe
segnato l’arrivo di un nuovo
giorno. Un giorno perfetto come tutti quelli che avevo vissuto da
lì a dieci
anni e come tutti quelli che avrei avuto nel mio futuro.
Lanciai un’occhiata a
Peter,
che fissava divertito sua figlia e il nipote volteggiare come due
libellule. Ai
miei occhi non aveva mai smesso di essere il meraviglioso angelo sceso
dal
cielo unicamente per me. Era bello e regale come la prima volta che lo
avevo
visto, quando, seppur terrorizzata dal ritrovarmi in una raduna con sei
bestie
mitologiche, appena si era tolto l’elmo, non avevo potuto non
notare quanto
fosse attraente.
Forse, il nuovo
giorno perfetto poteva aspettare.
Per il momento mi sarei limitata ad aspettare quella sicuramente
meravigliosa
notte.
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