The Witch's Daughter

di 68Keira68
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1_La scintilla nel buio ***
Capitolo 3: *** 2_La chiamata ***
Capitolo 4: *** 3_Aldilà del varco ***
Capitolo 5: *** 4_Rivelazioni ***
Capitolo 6: *** 5_Non ti vogliono, è solo finzione ***
Capitolo 7: *** 6_Vorrei che tu l'avessi vista ***
Capitolo 8: *** 7_Sentimenti ***
Capitolo 9: *** 8_Quello che posso e non posso essere ***
Capitolo 10: *** 9_Il significato del verbo amare ***
Capitolo 11: *** 10_Frammenti di una vita ***
Capitolo 12: *** 11_Tra il passato e il futuro c'è l'amore ***
Capitolo 13: *** 12_La magia del tramonto prima della battaglia ***
Capitolo 14: *** 13_Casa mia ***
Capitolo 15: *** 14_Nives ***
Capitolo 16: *** 15_Un addio sofferto per una meschina menzogna ***
Capitolo 17: *** 16_Un cuore di ghiaccio non batte per nessuno ***
Capitolo 18: *** 17_Apri gli occhi mia stella ***
Capitolo 19: *** 18_La madre e la strega ***
Capitolo 20: *** 19_Gigli e segreti nascosti dal tempo ***
Capitolo 21: *** 20_La speranza in un miracolo ***
Capitolo 22: *** 21_Il ballo della felicità illusoria ***
Capitolo 23: *** 22_Promettimi che sarai felice ***
Capitolo 24: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***



Salve a tutti! Sono nuova di questa sezione, questa è la prima storia che scrivo su Narnia ^^ premetto che l'idea mi è balzata in mente all'improvviso mentre guardavo il secondo film e che non ho letto i libri, quindi se ci dovesse essere qualche imprecisione sulla storia non abbiatemene per cortesia! L'inizio della storia, prologo a parte, è ambientato ai giorni nostri e introduce la protagonista, ma i nostri eroi appariranno presto, già nel terzo cappy, prometto ^^ La storia tiene conto di tutto quello che è successo ne "il leone, la strega e l'armadio" e nell'inizio de "Il principe Caspian", più o meno fino all'arrivo di Peter e co alla tavola di pietra ^^. Da quel punto la storia segue a grandi linee quella del film per un bel pezzo finchè non subisce un brusco cambio di rotta, però non voglio farvi altre anticipazioni o rovinerei la sorpresa^^.
 La giovane ragazza con i capelli rossi che è nella copertina è la cantante Taylor Swift, che da il volto alla mia protagonista, Cathrine Icepower. Vorrei sottolineare che il personaggio della mia fan fiction non è ispirato alla cantante, semplicemente è la ragazza che più si avvicinava fisicamente alla descrizione di Cathrine per poterla inserire nella copertina :-) 

Mi auguro che la storia vi piaccia ^^ e se lasciate in commentino anche piccolo per farmi sapere se è il caso di continuarla oppure no ve ne sarei grata! Un bacio a tutti quanti!




witch


Prologo


“Siete sicura di volerlo fare, mia signora?”

Una voce gracchiante e stridula, proveniente da un piccolo essere imbacuccato in una giacca marrone più grande di lui, si rivolgeva titubante all’unica persona presente in quella stanza altrimenti deserta.

“Si, vado in guerra e anche se le probabilità di vittoria sono alte, non posso rischiare su una cosa così importante.”

La voce della donna,, forte e chiara quanto gelida, rispose alla prima. Era una donna sulla quarantina, dalla bellezza immacolata ed eterea anche se fredda e algida, capace di provocare soggezione per colpa degli occhi azzurri e glaciali come iceberg ma anche attrazione grazie alla candida pelle diafana e un corpo sinuoso e perfetto nonostante l’età. La figura femminile si avvicinò ad una culla con lentezza ma con fermezza. Una volta accostatesi all’elaborato lettino, ne tirò su un fagotto azzurro, rivelando una terza presenza nella stanza, prima passata inosservata.

“Lei rappresenta l’altra parte di me. Se io disgraziatamente dovessi andarmene, continuerei a vivere in lei in attesa del giorno in cui lei stessa potrà farmi risorgere in un corpo mio. Non posso permettere di perdere entrambe”proseguì, più rivolta a se stessa che al nano inginocchiato accanto a lei.

“Ma trasportarla in un’altra dimensione potrebbe essere pericoloso, mia signora. Se non dovesse dar ritorno?” mormorò con voce tremula.

La donna posò i suoi occhi di ghiaccio sul nano, facendo frusciare la lunga e raffinata veste bianca sul pavimento del medesimo colore. Per una manciata di secondi permise ad un piccolo sorriso di scherno di modellare le sue labbra rosse come il fuoco, tonalità in netto contrasto con il resto della sua carnagione.

“Tornerà. La verrò a riprendere io dopo la vittoria.”

“E se dovessimo perdere?” osò il servitore senza riflettere, pentendosi subito dopo della sua domanda temendo la reazione della propria signora che non vantava la fama di persona misericordiosa. La donna infatti lo fulminò con lo sguardo e irrigidì i muscoli del collo, movimenti sufficienti a far tremare il nano da capo a piedi, certo che sarebbe stato punito. Fortunatamente per lui però, la donna si limitò a sibilare la risposta accorata.

“Se una disgrazia del genere dovesse realmente accadere, Nives è mia figlia, il richiamo verso la terra natia l’accompagnerà per tutta la sua vita, indicandole la giusta via quando sarà pronta per percorrerla e tornare. Senza contare che io stessa veglierei su di lei in forma di spirito.”

Scostò leggermente da lei la bambina avvolta da una coperta interamente azzurra per scrutarla in viso. Aveva a mala pena un anno, lo gote erano arrossate per la fredda temperatura della stanza, l’ultima a nord del palazzo di ghiaccio, la più piccola, ma la più preziosa per quello che conteneva: il portale spaziotemporale. Teneva gli occhi chiusi e i pugnetti stretti, anche se i lineamenti erano rilassati, segno che stava dormendo placidamente. La testa era ricoperta da soffici boccoli rossi seminascosti dalla coperta.

“Ci rivedremo, sia che dovessi vincere che dovessi perdere. Io sono te e tu sei me. Il nostro destino è legato dal nostro potere. Solo tra di noi possiamo capirci perché solo tra di noi possiamo essere noi stesse. Per gli altri saremmo sempre delle emarginate, per questo devi rimanere celata al mondo finché non sarai perfettamente al sicuro.”

La donna strinse la bambina al petto e le diede un leggero bacio sulla fronte. Poi, con una cadenza austera, si diresse verso la parete dinanzi a lei. Pareva fatta di una consistenza completamente diversa dalle altre tre. Era bianca perlacea invece che azzurra, ed emanava una pallida luce, simile al riverbero del sole su un laghetto.

“Futura regina alterum mundum veniat”

Le parole dell’incantesimo si infransero sulla superficie della parete, rivelando un’essenza gassosa che si dissolse poco a poco, mostrando una villetta a due piani, bianca e ben tenuta, ma completamente diversa dalle abitazioni che la donna e il nano erano abituati a vedere.

“Mia signora, dove state mandando la principessina?” domandò preoccupato il servitore.

“In un’epoca e in un luogo completamente diversi dal nostro, dove sarà al sicuro fino al mio ritorno” spiegò brevemente prima di sfilarsi con la mano destra un medaglione dal suo delicato collo. Era un oggetto di raffinata fattura, interamente d’oro bianco, dalla catenina all’effigie raffigurante un’elaborata J sopra un palazzo stilizzato. Lo legò al collo della bimba sussurrandole “Grazie a questo, ovunque andrai e chiunque incontrerai, sarai protetta, mia piccola Nives”

Le passò la mano sinistra sul volto, compiendo un complicato movimento con il polso, e grazie ad un incantesimo, sollevò la bambina in aria per magia.

“A presto, mia principessina” la salutò con un sorriso dolce, che raramente solcava il suo volto di ghiaccio, dopodichè, mormorando un secondo incantesimo, le fece attraversare la barriera con la speranza di rivederla il prima possibile. Quando il portale si richiuse, la donna avvertì un’inspiegabile stretta la cuore. Non poteva prevedere che quel malessere l’avvertiva che la sua speranza sarebbe risultata vana.

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Capitolo 2
*** 1_La scintilla nel buio ***



Salve a tutti^^  ho deciso di pubblicare il 1° cappy subito dopo il prologo in  quanto quest'ultimo era solo introduttivo e decisamente corto ^^  così si riesce ad avere anche un'idea più completa dell'inizio della ficcy^^ spero che il cappy piaccia, vi mando un grande bacio!!!!

witch

1_La scintilla nel buio

 

“Su, giù, su, giù, rosso, verde, giallo”

Ammaliata dalla mia stessa magia, guardavo le pareti della soffitta cambiare colore a mio piacimento, grazie alla luce irradiata dalla palla fosforescente che galleggiava nella mia mano.

“Argento, bianco, Sali”

La palla magica obbedì come sempre ai miei comandi, e salì fino a raggiungere il punto più elevato della soffitta. Da quella posizione illuminava tutta la stanza, permettendomi di vedere ogni cosa come se fosse giorno invece che piena notte.

Soddisfatta, mi adagiai comodamente su il mio puff rosa, comodo più di qualsiasi altro divano, a mio parere, pronta per finire il compito di aritmetica assegnatomi quella mattina.

Era raro che mi riducessi alle due di notte a fare i compiti di scuola, solitamente cercavo di finirli entro il pomeriggio, ma gli eventi di quel giorno me lo avevano impedito, così ora ecco Catharine Icepower, studentessa modello della Queen’s High School di Londra, che cerca disperatamente di studiare matematica per non rovinarsi la media. La mattina dopo le mie occhiaie avrebbero sicuramente battuto un record, ero stanchissima.

Mi chiesi perché, tra tutti gli incantesimi che sapevo fare, non ce ne fosse uno che mi permettesse di imparare il libro di aritmetica a memoria in cinque minuti. Se proprio dovevo essere anormale che servisse almeno a qualcosa di più utile che parlare con gli animali o creare sfere di luce.

Sorrisi alla parola “anormale”. Era una definizione che mi calzava a pennello, anche se le persone che ne erano a conoscenza erano poche. Una per la precisione, esclusa me. Quell’angelo di mia madre che fingeva di non conoscermi da quando aveva sorpreso la figlia a giocare con barbie che si muovevano da sole.

Avevo cinque anni all’epoca, e non aveva ancora ben chiara la distinzione tra fatti normali e non. Solo dopo aver visto l’espressione sconvolta di mia madre, Eleanor Campbell, la linea di confine tra normale e anormale mi fu chiara per sempre.

Sprofondai di più nel puff, in mano le disequazioni di secondo grado ancora irrisolte, che malignamente mi facevano comprendere che per questa volta potevo scordarmi un otto. Tirai un sospiro e guardai il Calvin Klein che avevo al polso. Le lancette argentate segnavano le due e mezza.

Amen, domani prenderò il mio cinque e recupererò con il prossimo compito.

Con questo pensiero scaraventai malamente quaderno e penne per terra, il più lontano possibile da me. Facendo spallucce pensai che se anche fosse stato pomeriggio, con tutti i pensieri che mi vorticavano in testa, non avrei combinato lo stesso un granché.

Eleanor era tornata questa mattina dalla Francia, dove aveva mostrato al critico pubblico parigino la sua ultima collezione di vestiti primavera-estate. Per preparare l’evento era stata via per due settimane. Due stupende settimane.

Dato che mio padre era a New York da almeno un mese, in casa c’eravamo solo io e Gabrielle, l’anziana governante che si aggirava per casa come un fantasma silenzioso con l’unica preoccupazione di assicurarsi che la polvere non si depositasse sull’argenteria. Per me era stata una magnifica vacanza mentale. Per quattordici giorni non avevo dovuto subirmi il sostenuto mutismo che mi riservava mia madre ogni qual volta papà era via per lavoro, né il suo evidente disagio a trovarsi in mia compagnia.

Quando c’era George Icepower, mio padre, manager di un’azienda d’automobili, almeno si sforzava di essere gentile nei miei confronti, di comportarsi come farebbe una madre qualsiasi. Quando eravamo io e lei sole invece, diventavamo improvvisamente due estranee. Per me era meglio così, preferivo restare da sola che sopportare accanto a me qualcuno che mi paragonava ad uno scherzo della natura.

Mi sollevai i capelli con una mano e mi feci aria sul collo con l'altra. La soffitta era il luogo ideale per riflettere senza essere disturbati, l'unica pecca era che mancava l'aria condizionata.

Cambiando il colore bianco della mia sfera con un rosa tenue, dipingendo così tutta la stanza e i vari oggetti che la riempivano di quella tonalità pastello, ripensai a come quell’assurda giornata era cominciata…

 

“Sveglia signorina Catharine, sua madre sarà qui a momenti”

La voce della mia governante giunge lieve al mio orecchio. In quella casa di matti, probabilmente la povera vecchia Gabrielle era la più sana di mente, con un innato istinto materno che compensava quello latente di mia madre.

Mia madre… il solo pensiero mi fa mettere la testa sotto il cuscino, come a volermi nascondere dalla triste realtà. Oggi, esattamente alle 7.30 del mattino, sarebbe tornata, insieme alle sue unghie smaltate e i piastratissimi capelli biondo tinto. Mio Dio, ma non poteva restarsene in Francia?

“Signorina, per favore, sua madre non gradirà il fatto di trovarla ancora a letto” insiste la governante.

Mia madre non gradirà il fatto di trovarmi ancora a casa, penso amaramente, ma mi limito a rispondere un “si, ora scendo” biascicato. Sarebbe inutile parlare delle mie controversie con Gabrielle, con la sua visione semplice del mondo non sarebbe neanche riuscita a capacitarsi che madre e figlia potessero odiarsi, senza contare che non avrebbe potuto farci niente comunque.

Di malavoglia esco dal caldo rifugio delle coperte azzurro cielo e raggiungo il morbido tappeto che tappezza il pavimento della stanza. è interamente bianca e azzurra, tanto che Gabriella la paragona sempre ad un pezzo di cielo riservato unicamente a me. Io trovo che assomigli di più all’interno di un grosso iceberg, dotato però di riscaldamento per mia fortuna.

Mi avvicino all’armadio a tre ante che occupa tre quarti della parete ad ovest. È  grande e ben fornito, la fortuna di essere figlia di una stilista è avere abiti a non finire.

Del rientro di mia madre mi importa poco o nulla, ma per andare alla Queen's High School l’abbigliamento deve essere scelto con cura ogni giorno. Opto per una gonna corta bianca e una camicetta rossa con le maniche a sbuffo, arricciata sul seno. Metto i sandali alla schiava rossi anch’essi e raggruppo i miei capelli in una coda di cavallo, lasciando però qualche ciocca ribelle e riccia libera di cadere sul collo.

Mi guardo allo specchio mentre inforco gli occhiali D&G che arrivano dritti dritti da New York, un regalo di mio padre che ci tiene a farmi sapere che mi pensa costantemente nonostante la lontananza. Almeno una delle due figure genitoriali non mi odia, anche se papà è  all’oscuro del mio piccolo segreto. Dettagli, la mia mente si rifiuta di immaginare la sua reazione se anche lui avesse saputo dei miei poteri. Meglio non pensarci.

L’immagine riflessa nella specchio affisso ad una delle ante dell’armadio è quella di una ragazza con ricci e lunghi capelli ramati, in perfetto contrasto con l’incarnato pallido ma coordinati con la bocca a forma di rosa e rossa come il fuoco. Anche se nello specchio al momento non si vedono perché nascosti dalle lenti scure, so che un paio d’occhi di ghiaccio ricambiano il mio sguardo. La ragazza nel riflesso è alta un metro e sessanta, e possiede un fisico minuto. È snella ma con le forme al posto giusto, anche se un po’ d’abbondanza in più non sarebbe guastata.

Guardo l’ora, 7.20.  Ancora dieci minuti di libertà. Mia madre arriverà con tutta la cavalleria esattamente a e trenta, non un minuto di più né uno di meno. La sua assoluta puntualità è una certezza.

Scendo al piano di sotto per fare colazione e noto una donna bassa e grassottella con cotonati capelli grigi e paffute guance rosee che mi aspetta con un vassoio con sopra un fumante cappuccino e un invitante croissant al cioccolato. Gabrielle a volte pare un angelo sceso dal cielo unicamente per me.

“Grazie Gabrielle, tu mi vizi troppo, lo sai vero?” la ringrazio togliendole il vassoio dalle mani e portandolo nel piccolo tinello che precede la cucina. La sala da pranzo posta accanto alla grande vetrata che da sul cortile è riservata solo ai pranzi familiari e alle cene di gala.

Contemplando le pareti verdi e tutto l’arredamento coordinato secondo il gusto di Eleanor, consumo la mia colazione, cercando di dimenticare cosa mi aspetta da lì a poco.

Il suono della campanello segna lo stesso la fine della mia libertà. Un voce acuta e piacevole come le unghie sulla lavagna precede una figura slanciata e sciupata. I capelli sono ancora più lisci del solito e gli occhi sono circondati da pesanti occhiaie, merito delle lunghe serate mondane parigine.

“Ben tornata a casa signora Campbell” Gabrielle, cortese come sempre, va a salutare la signora di casa.

“Gabrielle cara, che piacere ritornare nella vecchia Londra” le risponde con voce stridula mia madre.

Decido di anticipare lo strazio dei saluti. Tanto prima o poi sarebbe successo. Prendo lo zaino rosa appoggiato sulla sedia alla mia destra e mi dirigo verso l’atrio interamente blu.

“Ciao mamma, ben tornata”. Il mio tono piatto era in pentdan con la mia espressione atona. 

Mia madre si irrigidisce come di consueto alla mia vista. “Ciao cara” dice con un sorriso forzato. Per quella donna l’apparenza è tutto. Non vuole sembrare scortese nemmeno di fronte ai domestici, compresi Gabrielle e l’autista che dietro di lei sta scaricando le sue valigie dalla mercedes nera. Anche se non può impedire alla sua schiena di drizzare come il pelo di un gatto appena mi vede.

“Vado a scuola, ci vediamo dopo” e senza aspettare risposta mi fiondo fuori dalla casa divenuta ad un tratto asfissiante. Primo round andato, ora non l’avrei vista prima di sera.

Il resto della giornata scorre tranquillo. La mia scuola, la Queen’s High School di Londra, è un istituto zeppo di figli di papà dove per sopravvivere o sei un genio o possiedi mezza Londra. Io rientro in entrambe le categorie, figlia di un manager e di una stilista famosi in mezzo mondo e con la media dell’otto. La mia scuola, ovvero un edificio rosso costruito a U che da su un ampio cortile delimitato da un colonnato bianco, è il mio piccolo pezzo di cielo, dove assieme alle mie amiche posso dimenticare per qualche ora le mie abilità magiche.

Varcato l’ingresso della scuola, tutto si svolge da manuale. Lezioni fino alle due del pomeriggio, pranzo nel locale più sofisticato di Londra insieme a Claire e Margaret, ovvero nel McDonald’s di fronte alla scuola, luogo che mia madre avrebbe bruciato se avesse potuto, e lezioni di scherma. Quest’ultimo impegno è particolarmente piacevole. Adoro tirare affondi con il mio fiorino, è un ottimo antistress, libera la mente e tiene allenato il corpo. In più è l’unico sport in cui riesco bene dato che sono negata per l’atletica, particolare che la mia professoressa di educazione fisica continua a ripetermi.

 

Rinvenni dallo stato di trance in cui ero caduta mentre ricordavo la mia giornata. Mi stavo addormentando e con me anche la sfera di luce si affievoliva, ma non potevo permettermi di assopirmi. Dovevo assolutamente pensare a ciò che era successo questo pomeriggio, il fatto che aveva interrotto una routine che andava avanti da cinque anni. Era successo tutto velocemente, dopo la lezione di scherma ero andata ad Hide Park giusto per ritardare il ritorno a casa, mi ero distesa sul prato per rilassarmi e proprio mentre ero nel piacevole stato del dormiveglia era successo…

 

L’erba soffice sotto di me mi solletica il collo, lasciato scoperto dai miei capelli ora distesi sul prato come a formare una corona sopra la mia testa. Il sole primaverile mi accarezza il volto, ma ormai erano le sei di sera ed era quasi tramontato, infatti la luce è tenue e filtra a malapena dalle mie palpebre socchiuse. Ma la quiete tipica del parco a quell’ora della giornata viene improvvisamente spezzata da un rumore violento, come una forte esplosione.

Mi metto a sedere di botto, spaventata dal rumore assordante. Apro gli occhi in cerca della fonte e una luce bianca e fredda quasi mi acceca. Porto una mano dinanzi al viso per pararmi gli occhi e nel mentre sento una voce provenire al centro di quell’immensa fonte di luce.

“Vieni cara, mi stavi aspettando, lo sai che mi stavi aspettando, ora è giunto il momento…vieni”

È una voce di donna, una voce suadente e calda a discapito di tutto quel freddo improvvisamente calato sul parco. Mi sta invitando ad…entrare con lei? Ma dove? Dentro la luce? Ma di chi è la voce misteriosa e cosa vuole da me? Cosa stavo aspettando?

“Chi sei?” domando circospetta, allontanando il busto istintivamente. Sono confusa e spaventata, e provo l’istinto di scappare. Sono certa che si tratti di un fenomeno magico, ma chi si azzarderebbe ad utilizzare la magia in un parco londinese, sotto lo sguardo di tutti? La voce non risponde alle mie domande, continuando invece a cercare di convincermi di seguirla. Non so chi sia, ma non mi fido. Dentro di me avverto una sensazione di pericolo. Agisco di istinto, mi alzo e urlo “Va via!” lanciando una palla di fuoco verso il centro della bolla di luce. Sono cosciente del fatto che potrei essere vista, ma in quel momento l'istinto di conservazione è più grande.

Non ho mai usato i miei poteri contro qualcosa o qualcuno, ma spero di riuscire a far dissolvere la luce lo stesso. Invece la mia palla viene inglobata dalla fonte lucente.

“Non puoi combattermi, sono come te…” la voce continua imperterrita nella sua arringa.

Arretro di un altro passo e mi tappo le orecchie. Urlo ancora di andarsene, finché un ruggito potente sovrasta tutto il resto. La luce si dissolve e con essa va via anche il freddo. Sfinita finisco in ginocchio sull’erba. Mi guardo attorno, sperando che qualcuno possa soccorrermi e spiegarmi cos’è successo. Ciò che vedo mi lascia basita. Ogni persona nel parco è perfettamente tranquilla, chi intento a leggere, chi a giocare a palla, chi a seguire il proprio cane.

La risposta a questa stranezza mi giunge cristallina. Nessuno oltre me si è accorto di nulla.

 

Presi un grande respiro e mi tirai su dal puff. Iniziai a misurare la stanza grandi passi. Le possibilità erano due: o stavo completamente perdendo la ragione, o aveva assistito a un’esibizione di magia in grande stile. Considerando che se avessi decretato di essere pazza vedendo qualsiasi magia sarei internata già da un pezzo, ero più propensa alla seconda possibilità.

Ciò mi elettrizzava e terrorizzava allo stesso tempo. Se era magia, voleva dire che non ero l’unica persona con questi poteri. Non ero da sola. Avevo pregato di conoscere qualcun altro con le mie stesse abilità da quando le avevo scoperte, e ora, dopo sedici anni di vita, finalmente avevo il primo segno di qualche altro mago o strega su questa terra. Ma la cosa mi terrorizzava anche. Chiunque fosse stato a creare quella grande luce, perché non si era mostrato apertamente? Perché farmi solo la richiesta vaga di seguirlo facendomi sentire la sua voce?

O di seguirla, dato che ero quasi sicura che la voce fosse femminile. Ma soprattutto, perché avevo provato tanta inquietudine sentendola? Solitamente avevo un sesto senso infallibile per distinguere il pericolo nelle varie situazioni, probabilmente una delle tante conseguenze dei miei poteri, ma potevo anche essermi sbagliata. Magari, presa alla sprovvista, avevo captato il pericolo dove non c’era.

Senza contare che rimaneva l’interrogativo del ruggito che aveva messo fine a tutto. A chi apparteneva? C’era un leone accanto alla donna? Era con o contro di lei? O forse era solo il suono consueto che metteva fine alle magie della donna? Per quel che ne sapevo io, poteva anche essere un semplice effetto sonoro.

Infastidita dagli innumerevoli punti interrogativi, mi risedetti a gambe incrociate sul puff.  Misi la testa tra le mani sconsolata.

In sedici anni non avevo mai assistito a nessuna magia al di fuori della mia. Per sedici anni avevo pregato e scongiurato il cielo più volte di mandarmi un segno, di dirmi che non ero sola a quel mondo. E avevo aspettato, atteso con ansia. E ora che finalmente era giunto il momento, il mio segno, l’avevo cacciato via terrorizzata. E se non fosse più apparso nessuno? Se dopo la mia reazione avessero deciso di abbandonarmi per sempre, sola con i miei pensieri e le mie paure?

Lo sconforto si impossessò di me, temendo anche solo l’idea di aver rinunciato  all’opportunità di conoscere qualcuno come me.

Riguardai l’orologio. Erano le 3.30.

Decisi che per quella notte mi ero tormentata abbastanza. Stare sveglia con le mie domande sarebbe servito solo a farmi assomigliare ad uno zombie la mattina successiva. A malincuore spensi la sfera di luce e mi diressi a tentoni verso la botola che mi avrebbe riportata al secondo piano della villetta, diretta alla mia camera.

Una volta giunta a destinazione, mi avvicinai alla finestra e guardai le stelle. Il loro brillare immutabile nel tempo mi diede la forza di andare avanti a sperare. La misteriosa luce sarebbe tornata e con essa le risposte alle mie domande. Dovevo solo continuare a sperare.

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Capitolo 3
*** 2_La chiamata ***


Salve a tutti^^  sono tornata con il secondo cappy^^ volevo ringraziare le due prsone che mi hanno messo nei preferiti: ryry e sweet_cullen grazie mille ^^ e anche QueenBenedetta per aver recensito, sono contenta che la ficcy ti piaccia ^^

Grazie anche a tutti uelli che l'hanno letta, spero che il secondo cappy vi piaccia e se mi lasciare un commentino anche piccolo mi fareste un grande favore cosìì saprei le vostre impressioni^^

vi mando un grande bacio e vi auguro una buona lettura^^

kisskisses 68Keira68 


witch

2_La chiamata

 

Erano passati sette giorni dall’apparizione della misteriosa luce, ma le mie risposte non erano ancora giunte mentre le domande aumentavano.

In compenso avevo più chiara l’identità della voce e del ruggito misterioso. Anche se gli interrogativi riguardanti la mia natura erano ancora irrisolti, avevo avuto ragione nel sperare che la luce sarebbe tornata. Ormai era diventata piuttosto abitudinaria a dir la verità, dato che da sette notti ricevevo puntualmente la loro visita. Per questo necessitavo di dodici ore di sonno consecutive per riprendermi, essendo la notte diventata più movimentata del giorno. Così la mattina assoldata dell’ottavo giorno che seguiva l’ennesima notte insonne mi vide dirigermi verso il parco, luogo non più visitato da dopo la prima apparizione, invece che alla Queen's. Era quasi deserto a quell’ora per mia fortuna, così puntai una panchina e mi ci sdraiai. Avevo la sensazione di assomigliare ad una barbona, ma dato il sonno arretrato decisi di correre il rischio. Forse per una volta da molto tempo mi sarebbe stato concesso una dormita duratura. Chiusi gli occhi, godendomi la sensazione dei raggi del sole mattutini sulle mie palpebre mentre la mia mente ricapitolava veloce quei sette giorni e quelle sette apparizioni prima di chiudersi definitamene per qualche ora.

 

Ogni notte sentivo la donna e quello che ormai ero sicura essere un leone. La scena era sempre la stessa, anche se i discorsi si erano evoluti rispetto alla prima volta. Nel cuore della nottata, venivo svegliata da un sonoro “Bum!”, seguito a ruota da una luce fredda, dalla quale proveniva la voce della donna, e da una luce calda, da dove provenivano i ruggiti del leone.

La donna continuava ad invitarmi a seguirla, mi persuadeva dicendomi che eravamo uguali, che comprendeva il mio senso di isolamento dal resto del mondo e che lei avrebbe potuto darmi quello che cercavo, risposte e comprensione.

Il leone solitamente ruggiva in segno di disapprovazione ad ogni parola della donna, ma nell’ultima apparizione aveva parlato per la prima volta, dicendomi di aspettare, che per me non era ancora giunto il momento propizio per le rivelazioni ma che sarebbe arrivato presto, in più cercava di dissuadermi ad ascoltare la donna il più possibile.

Dopo ogni apparizione mi sentivo leggermente spossata e incredibilmente stanca. Senza contare che ero sempre più confusa. Non capivo cosa volevano da me e chi erano. In più non sapevo di chi fidarmi. La donna era molto persuasiva, non so come ma in qualche modo riusciva a toccare i tasti giusti per far breccia nella mia anima. Sembrava davvero conoscermi, sapeva cosa dirmi e cosa volevo, e, cosa ancora più strana, mi pareva di conoscerla a mia volta. Quest’ultima sensazione era quella che più mi metteva in agitazione. Questa apparente senso di familiarità faceva desiderare al mio cuore di seguirla e di ascoltarla, ma al contempo il mio cervello mi urlava di stare in guardia, che non potevo permettermi di fidarmi ciecamente basandomi su una sciocca sensazione. Altrettanto complessi erano le mie impressioni sul leone. Con lui il mio istinto mi diceva che potevo essere tranquilla, eppure in cuor mio nutrivo un certo astio nei suoi confronti, probabilmente perché non si era ancora scoperto come la donna e quindi non sapevo cosa esattamente volesse da me. Tuttavia la ragione mi faceva rimanere vigile ad entrambi.

Intanto a casa la situazione era leggermente migliorata. Mio padre era tornato, e con lui anche un po’ di allegria, seppur forzata. Il grande manager Icepower era un uomo con un fisico statuario, corti boccoli castani e caldi occhi verdi. La barba, perfettamente rasata, lasciava in bella vista una mascella quadrata, atipica per un inglese ma graditissima a mia madre, che non si stancava mai di ripetere che era stata proprio la particolare forma del viso di papà a catturare la sua attenzione e a farle conoscere l’uomo della sua vita. Una cosa era certa, Eleanor non amava me ma stravedeva per il marito. Almeno un rapporto di parentela si era salvato in questa famiglia.

Mio papà era una di quelle persone alla quale piace credere che la loro vita sia perfetta anche quando non lo è. Io lo adoravo proprio per questo. La sua calma e la sua serenità erano un tocca sana in casa, era come un antidepressivo umano per me e per mia madre, la colla che teneva unita gli Icepower. Ed era proprio quel suo carattere che lo aveva tenuto lontano dal piccolo dettaglio di avere una figlia strega costantemente ai ferri corti con sua madre. E per non distruggergli la sua bolla di sapone felice io ed Eleanor non litigavamo quasi mai dinanzi a lui né eravamo apertamente distaccate una nei confronti dell’altra se eravamo tutti e tre nella stessa stanza. Per essa mettevamo da parte le nostre controversie.

Comunque, per evitare il più possibile disagi e dispute, io passavo la maggior parte del tempo in camera mia o con le mie amiche, allontanandomi dalla signora Icepower. Loro erano la mia zona franca. Non immaginavano neppure di avere come compagnia di banco una strega, ma ciò mi permetteva di vivere qualche momento da ragazza normale che parla di attori e gossip come se fossero questioni di vita o di morte. I momenti di normalità erano preziosi come l’aria per me, anche se spesso ero stata tentata di rivelare il mio segreto a loro. Quello che mi aveva sempre trattenuta era il ricordo di mia madre che sgranava gli occhi terrorizzata e cacciava un urlo acuto fuori dalla bocca bombata vedendomi far camminare con la magia delle barbie. E se anche Claire e Maggie dopo la mia confessione mi avrebbero trattato come un’emarginata? Un mostro dalla quale scappare? Non lo avrei sopportato.

Il risultato della mia scelta era di non avere amici veri però. I rapporti che mi potevo permettere erano solo superficiali. Come si può costruire un sentimento profondo se lo basi su una bugia colossale?

Chissà se la donna misteriosa aveva i miei stessi problemi, se doveva subire il mio stesso ostracismo… stando a quel che diceva lei, si, e per questo era la sola che potesse capirmi…

 

*        *        *

 

“Ehi, Cate, sveglia Cate!”

Una voce femminile mi raggiunse come ovattata. Non mi curai nemmeno di riconoscerla, catalogandola subito come “disturbatrice”. Ero stanchissima, non avevo la minima intenzione di alzarmi da lì. Anche se nel dormiveglia non avevo nemmeno molto chiaro dove fosse il lì. L’oggetto alla quale la mia schiena si era adagiata era troppo duro per essere il mio materasso.

Purtroppo per me la disturbatrice era al quanto insistente, dato che cominciò a scuotermi per le spalle urlando “Cate! Accidenti, ti vuoi svegliare? È tutto il giorno che ti cerchiamo, ci hai fatto prendere un colpo, sai che ora sono? Le sei di sera!!”

Ma cosa andava farneticando quella voce stridula? Agitai le mani nella speranza di allontanarla. Come potevano essere le sei se mi ero addormentata dieci minuti fa…aspetta, forse non erano passati esattamente dieci minuti. Merda. Mi svegliai di botto.

Spalancai gli occhi e una ragazza dai lisci capelli castani e gli occhi azzurri entrò nel mio campo visivo. Maggie era preoccupata, glielo si leggeva in faccia.

Quando mi svegliai, tirò un sospiro di sollievo.

“Cate, ci hai spaventate a morte, si può sapere che cosa ci fai qui?!” mi domandò cercando di apparire irritata. L'effetto venne rovinato dal sollievo palpabile per avermi ritrovata.

“Ti abbiamo cercata tutto il giorno. Dopo la scuola siamo state a casa tua sicure di trovarti lì ma la governante ci ha informate che non eri ancora rientrata da scuola, così abbiamo capito che avevi tagliato e abbiamo iniziato a cercarti dappertutto”

Claire era apparsa magicamente alla destra di Margaret.

Io mi sedetti sulla panchina e le guardai entrambe sorridendo riconoscente del loro interesse nei miei confronti. Ogni tanto faceva bene sapere di contare qualcosa per qualcuno. “Ero venuta qui solo per farmi una bella dormita ragazze, non dovevate preoccuparvi, comunque grazie”

Mi beccai un'occhiata scettica. “Vorresti dirci che è da stamattina che stai dormendo sulla panchina? Cate, sono le sei!” ribatté piccata Maggie.

“Non riesco a riposare bene da più di una settimana per tua informazione, avevo bisogno di ricaricare le batterie” mi difesi tranquilla.

La ragazza dinanzi a me scosse la testa incredula.

“Cosa avete detto a Gabrielle?” chiesi poi. Non che dubitassi della loro copertura, ma  per evitare di destare sospetti a casa dicendo una cosa diversa dalla loro, dovevo essere informata della versione ufficiale.

Claire mi sorrise. “Tranquilla, abbiamo detto che ti avevamo perso di vista dopo storia perché ti eri fermata a discutere dell'ultimo compito con la professoressa, e non vedendoti arrivare poi a pranzo avevamo pensato che eri tornata a casa.”

“Grazie, devo solo inventarmi qualcosa per il pranzo saltato quindi”

Le ore di sonno avevano sortito il loro effetto, mi sentivo fresca  e riposata, pronta ad affrontare l'ennesima apparizione quella notte. Guardando le mie amiche mi accorsi però che loro erano invece pronte ad affrontare una discussione.

Sospirai, pronta all'interrogatorio. Cominciò Maggie, con la sua grande capacità di arrivare subito al nocciolo della questione senza girarci attorno. “Catharine, sei sicura di stare bene? Ultimamente sei sempre stanca e distante, passai la maggior parte del tuo tempo da sola. Cosa c'è che non va?”

La guardai intensamente chiedendo a me stessa se c'era una risposta semplice a quella domanda.

Cercai la salvezza nell'ironia. “Mag, distante io? Sono la Regina di Ghiaccio, ricordi?” sorrisi amaramente alle mie stesse parole. La Regina di Ghiaccio era il soprannome affibbiatomi dai miei compagni alla Queen's. Era nato da un'unione di cose, tra cui la mia predilezione per gli indumenti chiari. Ma soprattutto si riferiva alla mia freddezza       e al distacco che mostravo nei confronti di chiunque. Conseguenze dell'essere viziata e snob? No, niente di simile. La Regina di Ghiaccio era il soprannome meno azzeccato della storia. Io non trattavo le persone con superficialità perché mi ritenevo superiore, ma per difendere loro da me e me da loro. Meno mi mostravo più il mio segreto sarebbe rimasto al sicuro, era una strategia infallibile. Il rovescio della medaglia era di essere considerata fredda anche se non era vero. Tenevo all'amicizia di Maggie e Claire più di qualsiasi altra cosa e avrei fatto tutto per loro, ma non potevo permettermi di aprirmi.

“Si Regina, ma negli ultimi giorni sei peggiorata. È il ritorno di tua madre ad averti scombussolato così tanto?” Claire mi si era avvicinata e mi aveva cinto le spalle con un braccio come per consolarmi.

Decisi di accreditare quell'ipotesi. Era la più facile da sostenere e la più credibile.

Abbassai lo sguardo e confermai l'affermazione. Ovviamente non sapevano la vera causa dei litigi tra me ed Eleanor, ma sapevano che non ci sopportavamo a vicenda. Essendo una situazione piuttosto comune tra gli adolescenti, non era così difficile immaginare.

“Dai, è tardi, incamminiamoci verso casa, così intanto ci racconti tutto” propose Margaret.

Dato che non obbiettai, ci incamminammo tutte e tre verso casa Icepower. Claire e Margaret mi fecero domande sugli ultimi giorni a casa, e io non ebbi problemi a fare loro un resoconto completo degli ultimi battibecchi tra me e mia madre. Omettei solo qualche particolare su una voce e un leone…

Ci salutammo davanti ad una villetta bianca a due piani più soffitta, con un grande cortile esterno attraversato da un vialetto rosso. L’inferriata nera circondata da una fiorente edera era aperta e io entrai subito dopo aver salutato le mie due amiche.

Appena entrai nel grande corridoio blu, venni accolta da una premurosa Gabrielle e da un allegro signor Icepower. La parte felice della famiglia.

“Ecco qua la mia piccola che ritorna! Divertita oggi?”

La sua ingenuità era commovente. Gli saltai al collo abbracciandolo. “Come sempre papà, altrimenti a cosa serve avere sedici anni?”

“Hai già cenato? Gabrielle ti ha messo da parte qualcosa perché non sapevamo dei tuoi progetti”

L’ultima cosa che avevo ingerito era la colazione quella mattina e il mio stomaco iniziava a reclamare cibo. “Grazie, mi fiondo in cucina allora perché non ho mangiato niente da…oggi a mezzo giorno” mentii in fretta.

Mio padre mi diede un buffetto e mi lasciò passare. Non vidi mia madre in giro fortunatamente. Di sicuro si era rinchiusa in camera o fuori in giardino. Meglio così.

Mi gustai la cena felice di appagare i morsi della fame taciuti fino adesso, dopodichè mi diressi in bagno con la prospettiva di farmi un bel bagno.

Riempii la grande vasca di marmo d’acqua calda, e mi tolsi jeans, camicia e il mio medaglione. Mi rigirai un secondo quest’ultimo tra le dita. Era il mio gioiello preferito, un cerchio d’oro che tenevo al collo da quando ero nata. Probabilmente era un regalo di battesimo perché lo avevo sempre avuto da che ricordavo. Lo appoggiai alla mensola di marmo e mi immersi rilassando tutti i muscoli. Era un piacere stare a mollo, soprattutto dopo aver riposato su una scomoda panchina. La mia schiena meritava un trattamento speciale e un bagno pieno di sali era la giusta soluzione.

Tra le bollicine rosa, protetta dalle mura azzurrine del bagno, sembrava che il tempo si fermasse, creando una bolla temporale comandata solo da me. In quel momento ero l’immagine del relax.

Mi accomodai ancora di più nella vasca e iniziai a giocherellare con le sfere di sapone. Alzando un dito, le feci sollevare in cerchio e girare prima su se stesse poi su un’ellissi immaginario. Cambiai la loro forma sferica, mutandole in cuori e stelle e le feci danzare per tutta la stanza. Guardai affascinata le bolle. Erano bellissime. Mi chiesi come mia madre potesse avere il terrore di un dono che poteva creare giochi così divertenti. Non mi sembrava di stare infrangendo chissà quale legge marziale.

Forse avrei dovuto tener conto del vecchio detto “parli del diavolo e spuntan le corna” o forse alcuni demoni sono talmente insistenti che vengono fuori anche se non chiamati, fatto sta che la persona dei miei pensieri si materializzò dinanzi a me.

Eleanor Campbell era accanto allo stipite della porta, la mano ancora sulla maniglia e un’espressione terrorizzata in volto, mentre fissava con orrore le mie bolle di sapone a cuore.

Mi affrettai a farle esplodere tutte per cercare di tranquillizzarla, ma quello che ottenni fu solo di diventare io stessa l’oggetto del suo raccapriccio in mancanza dei cuoricini. Aveva gli occhi sgranati e boccheggiava incapace di proferir parola.

“Mamma, va tutta bene, calma, erano solo bolle di sapone, non stavano uccid…” iniziai io, ma i gesti frenetici di Eleanor mi azzittirono.

Si abbracciò da sola come per darsi forza e cominciò a dire “Non è reale, non è reale…” come una specie di cantilena. Poi alzò lo sguardo nuovamente verso di me e con un’ultima occhiata, uscì dalla stanza a ritroso sbattendosi la porta alle spalle.

Io buttai la testa all’indietro e sbuffai scocciata. Possibile che non si poteva nemmeno fare un bagno in pace?

Uscii in fretta dalla vasca e infilai l’accappatoio per accingermi a seguirla. Dopo aver istintivamente indossato il medaglione. Diversamente dalle altre volte, avevo bisogno di andarle dietro per cercare di appianare le acque. Essere guardata ogni volta come un mostro iniziava a pesare, non ne potevo più. Forse se le avessi parlato sarei riuscita almeno a farle cambiare espressione.

“Mamma!” urlai per il corridoio. Eleanor non si era allontanata di molto, era a solo un paio di metri di distanza dal bagno, ma appena udì la mia voce affrettò il passo.

“Mamma” ripetei con più foga aumentando a mia volta l’andatura, fino a raggiungerla per poi piazzarmi davanti e impedirle la fuga.

Messa alle strette, mi fissò negli occhi con malcelato ribrezzo.

“Per favore, sei appena tornata, anche papà è appena tornato, non potresti evitare di comportarti come se fossi una belva feroce? Ragiona! Non ho fatto niente di male, sii razionale. Sono sempre tua figlia non un’estranea altamente pericolosa”

Alle parole “tua figlia” una scintilla si accese nel suo sguardo. Si allontanò di un passo da me ed esclamò “Sei mia figlia, è vero, eppure io non faccio tutte quelle…quelle…cose strane! Perché tu si? Sei...” si interruppe, incapace di proseguire.

Questa volta la scintilla si accese dentro di me, fiammella che diventò presto un incendio.

“Uno sbaglio?” conclusi io per lei con acidità. “Un mostro? Sono cosa mamma? Hai almeno il coraggio di dirmelo in faccia o l’unica cosa che riesci a fare è trattarmi da infestata da più di dieci anni?”

Eleanor ammutolì. Io scossi la testa e senza più aggiungere altro mi diressi in camera, scioccata dalle mie stesse parole. Era la prima volta che esplodevo rigettandole addosso se non tutto almeno parte del mio rancore. Solitamente lasciavo perdere mordendomi la lingua, questa volta invece mi ero impuntata, con pessimi risultati. Chissà perché lo avevo fatto, forse ero spossata per le frustranti apparizioni notturne e le loro motivazioni vaghe sul perché mi venivano a trovare.

Una volta nella stanza buttai l’accappatoio per terra e mi sbattei la porta alle spalle. Appoggiai la mia schiena contro il legno cercando di calmarmi. Operazione fallita in partenza. Ero arrabbiata con mia madre per le sue reazioni esagerate e con me per la mia mancanza di autocontrollo. Accidenti, ma non poteva aspettare dieci minuti per andare in bagno? Con la pressante necessità di respirare aria fresca, spalancai l’armadio e mi misi la prima cosa che mi capitò sotto mano prima di precipitarmi al piano di sotto, in direzione della porta d’ingresso, la mia unica fuga per scappare da lì.

Con jeans neri e una semplice maglietta bianca con su scritto LoveIce in azzurro, percorsi a grandi passi il corridoio, finché una voce calda non mi richiamò dal tinello.

“Tesoro, vai di nuovo via con i tuoi amici?”

Mi volsi per guardare la fonte della voce. Mio padre, con un pacchetto di patatine in mano, amiche immancabili per guardare una partita di calcio alla tv, mi guardava sorridendo teneramente con i suoi grandi occhi chiari. Il mio viso si sciolse in un sorriso, dimenticando per un secondo l’arrabbiatura. Come si poteva rimanere impassibili a tanta tenerezza?

Gli andai incontro cercando di essere più naturale possibile e gli scoccai un bacio sulla guancia.

“Non faccio tardi, te lo prometto”

Mi diede un buffetto sui capelli ancora umidi, cosa che non commentò ma che lo fece accigliare, e mi salutò.

“Divertiti piccola”

Senza voltarmi imboccai velocemente la porta. L’aria notturna fu un tocca sana. La espirai a pieni polmoni mentre mi dirigevo verso una meta sconosciuta.

Mi sentivo a pezzi. I sensi di colpa per le accuse rivolte a mia madre si stavano facendo sentire, anche se avrei mentito affermando di essere completamente pentita.

Ero riuscita a concentrare in due frasi tutto il risentimento che avevo, il che era da premiare, ma mia madre aveva fatto di meglio. Con una semplice parola lasciata in sospeso era riuscita a dirmi in faccia ciò che pensava di me da quando avevo cinque anni. Ero a conoscenza che mi credeva un mostro, sarebbe stato da stupidi non capirlo, ma sentirsi dire in faccia che faceva fatica a considerarmi sua figlia metteva a dura prova qualsiasi muro potessi aver mai eretto per difendermi. Non era una semplice cannonata che le mie difese potevano assorbire comodamente, era un assedio in piena regola. Potevo sentire distintamente una ferita aprirsi nel mio muro protettivo, all’altezza del cuore.

“Sei mia figlia, è vero, eppure io non faccio tutte quelle…quelle…cose strane! Perché tu si? Sei...”

Le parole continuavano a rimbombarmi in mente, sempre più forti e impossibili da soffocare mentre a poco a poco acquistavano più consistenza. La breccia si allargava sempre di più fino a squarciare in due il mio petto, rendendomi complicato anche solo respirare.

Per lei ero un sbaglio. Avevo sempre combattuto contro quest’idea, ma se avesse avuto ragione? Dopotutto quante altre streghe conoscevo? Nessuna. E se fossi stata davvero un errore genetico, un scherzo della natura, pericoloso per chiunque mi stia accanto?

Alzai gli occhi al cielo, mentre il mio respiro si faceva affannoso. Le lacrime scivolarono silenziose giù per le mie guancie, bagnando a poco a poco la mia maglietta. Le stelle brillavano lassù, spettatrici silenziose del mio crollo. Non piangevo da molto tempo, per quelli della High School la Regina di Ghiaccio non poteva nemmeno riuscirci. Eppure ora ero lì, e le lacrime scendevano copiose senza sosta, istigate da pensieri sempre meno allegri nella mia testa.

Sono un mostro. Unica anormalità in un mondo con regole ferree, leggi che non ammettono la mia presenza, non ho il diritto di starci.

“Perché sono qui?” il mio grido squarciò il silenzio della notte. Solo il vento che soffiava tra le foglie degli alberi mi diede una risposta. Mi guardai attorno, per un secondo spaesata. Senza accorgermene ero tornata ad Hide Park, esattamente nel luogo dove era avvenuta la prima visione.

Il ricordo dell’evento magico rianimò in me una fiammella di speranza. Quella donna doveva aver fatto un incantesimo, una magia, e chiunque fosse, probabilmente era la mia unica salvezza quindi doveva mostrarsi, doveva venire da me ora che avevo più bisogno di lei. Dopotutto me lo aveva promesso, giusto? Mi aveva assicurato che era lì per me, per comprendermi.

Iniziai a urlare alla notte, con voce forte nonostante le lacrime amare. “Sei ancora qui? Vieni fuori! Ti supplico, se sei come me vieni qui! Salvami! Perché mi hai lasciato da sola!?” Aspettai un secondo guardandomi ancora in giro con ansia, in attesa di un qualsiasi segno che non giunse.

Caddi in ginocchio, sopraffatta dalle lacrime, prendendomi la testa tra le mani. Stavo urlando al nulla, i miei poteri dovevano avermi fatto impazzire. O forse quella era la risposta. Per me c’era quello, il nulla e basta, nessuno sarebbe venuto.

Poi la sentii, fredda come il ghiaccio eppure stranamente accogliente. La voce della donna era tornata.

 

Sai che non è vero, ci sono io, ci sono sempre stata e ci sarò sempre per te. Vieni via con me, ti farò conoscere quello per cui sei nata.

Oltrepassando il dolore, il tono soave della sua voce mi giunse come la salvezza. Era arrivata davvero, non mi aveva lasciata sola. Le mie labbra si incurvarono istintivamente in un sorriso timido. Forse una piccola speranza ancora c’era.

Esiste uno scopo alla mia vita? replicai mentalmente, incredula. La voce rise. Una risata cristallina.

Certo che c’è, altrimenti né tu né io saremmo qui, non trovi? Dammi la mano e ti porterò lontano da questo posto ostile e che non ci vuole.

 

Lasciai che le sue parole mi entrassero dentro, consolatrici. Avevo bisogno di crederle, la sua affermazione era troppo bella per essere una bugia. Anche perché se pure lei si fosse risultata l’ennesima falsità, probabilmente non sarei sopravvissuta alla delusione. Doveva essere vero quello che andava declamando quella voce calda e dolce. Forse avevo davvero uno scopo. Poi la mia mente si soffermò su un particolare. Aveva detto “Dammi la mano”? Curiosa, alzai la testa, aspettandomi di vedere unicamente la massa scura e compatta delle fronde del parco. Dovetti ricredermi in fretta. Davanti a me c’era un’immensa sfera azzurra con i contorni sfumati da un vapore freddo. La sfera illuminava l’erba attorno a me come se fosse giorno e al centro, anche se non credevo ai miei occhi, c’era una donna. Era la prima volta che la vedevo, ma non avevo dubbi che fosse la proprietaria della voce misteriosa. La parte di me che nutriva una certa familiarità con lei aumentò all’improvviso, facendo battere all’impazzata il mio cuore. Era stupenda. Aveva i capelli biondi come l’oro legati ad un elegante crocchia sulla testa, una bocca e un viso sottili e altezzosi e il corpo elegante coperto da un vestito senza spalline di colore azzurro chiaro, talmente lucente che sembrava fatto di cristallo. Fuori dalla bolla di luce mi porgeva la sua mano candida come il viso, dove spiccava un grande anello blu scuro.

Aveva un’espressione dolce, quasi materna, e mi fissava con comprensione, come se sapesse tutto ciò che stavo provando. Me ne sentii attratta, più di quanto ne ero stata le prime volte che la sentivo. Adesso mi fidavo ciecamente di lei, di quella creatura angelica che finalmente si era rivelata.

 

Prendi la mia mano, ripeté mentalmente perché le sue labbra rosse non si mossero, e non patirai più. Io ti capisco meglio di chiunque altro. Io sono esattamente come te, per questo dobbiamo restare unite.

La sua voce era suadente, ma ancora non mi decidevo ad allungare la mia mano. Indecisa, alzai lo sguardo per fissarla negli occhi e le mie ultime difese crollarono. Aveva due bellissime iridi azzurre come il ghiaccio, fredde quanto profonde, belle quanto sincere. Per un secondo mi parve di rivedere me stessa e in quel lapsus  protesi la mia mano verso la sua senza accorgermene. In fondo cosa avevo da temere? Non c’erano dubbi che era come me, solo una strega avrebbe potuto apparirmi davanti così all’improvviso e poi quegli occhi… In più, se davvero poteva comprendermi, era giusto che stavamo assieme.

Ma mentre stavo per sfiorare le sue dita, un ruggito potente rimbombò nel parco. Mi  guardai attorno in cerca della fonte ma non vidi nulla. La donna nella sfera però abbandonò l’espressione serafica di poco prima, turbata dal suono.

 

Vieni, presto, purtroppo non c’è molto tempo, cara. Dobbiamo sbrigarci. Porse la mano verso di me con maggior insistenza.

Perché? Le domandai mentalmente, incapace di capire la sua reazione al ruggito. Non mi era mai parsa spaventata le altre volte dal leone.

Perché qualcuno vuole separarci, qualcuno di molto…

 

Ma un secondo ruggito interruppe il discorso della mia interlocutrice. Poi c’è ne fu un terzo.

Spaventata mi alzai in piedi e scrutai gli alberi dietro le mie spalle. Ero certa che si trattasse del leone, la seconda voce che da lì a due settimane sentivo insieme a quella della donna, ma non volevo che apparisse, non ora che finalmente avevo deciso cosa fare.

Ci furono altri due ruggiti potenti e un grido agghiacciante proveniente dalla sfera, infine più nulla. Mi girai di nuovo verso la donna, ma non la trovai più ad attendermi. Rimasi immobile per cinque minuti. Dov’era andata? Non c’era più, era rimasta solo la bolla di luce. Venni presa dal panico. Non potevo accettare l’idea che la mia ultima salvezza se ne fosse andata. Non potevo pensare di essere tornata sola dopo aver accarezzato l’idea di non esserlo più. Io avevo bisogno della donna, accidenti!

 

Non sei sola

 

La voce potente, la stessa del leone, mi arrivò dritta nella mente a sostituire quella della dama.

 

Fidati di me, Cate, per favore. Attraversa il varco ora e non sarai sola.

 

“Dove sei? Fatti vedere!” urlai, spaventata dall’improvviso cambio di interlocutore.

Dovevo attraversare la sfera che in realtà era un varco, da quel che avevo capito, ma dove mi avrebbe portato? Ora che non c’era più la mano della donna ad accogliermi, mi sembrava una follia dare ascolto alla voce.

 

Fidati, il tuo destino ti attende al di là della luce rossa. È giunto il momento.

 

Non è rossa, è azzurra, pensai. Ma proprio mentre concepivo il pensiero, la sfera cambiò colore dinanzi a me. I bordi prima sfumati dal vapore divennero rossi e simili a lingue di fuoco, anche se non avvertivo il caldo nonostante la distanza ravvicinata. Ma il cambiamento più incredibile lo vidi all’interno della bolla. Ove poco prima c’era stato il bel corpo della donna, solo in uno sconfinato azzurro chiaro, ora c’era un’immensa foresta verdeggiante. Grandi alberi secolari, case di piccoli animaletti del bosco come gli uccelli e gli scoiattoli che potevo vedere tramite quel cerchio magico, circondavano una piccola radura baciata dal sole. Era un paesaggio invitante, mi ricordava gli scenari delle favole come Biancaneve.

 

Non ti accadrà niente, io ti posso giurare che non sarai mai più sola per davvero. Attraversa il varco e sarai protetta.

 

Nonostante le premesse, non riuscii a provare per il leone la stessa fiducia provata prima verso la figura femminile, anche se non capivo bene il perchè. Non nutrivo più astio, ma un certa diffidenza si. Però realizzai che entrambi mi proponevano di varcare quella soglia magica, quindi aveva davvero importanza se la attraversavo sotto indicazione di uno o dell’altro se il varco era lo stesso? L’unica differenza era che prima avevo avuto la donna ad accompagnarmi mentre ora il leone non pareva intenzionato a mostrarsi. La mia mente realizzò anche un altro pensiero, capace di rinfrancarmi e di darmi speranza. Stando alle due figure misteriose mi bastava compiere un semplice gesto per avere ciò che volevo. Dovevo solo andare via di lì. Tutto sembrava così facile.

Ad un tratto tutto, le mie amiche, Gabrielle, mia madre, mi parevano motivi insufficienti per continuare a vivere quella vita di inganni e bugie, una vita alla quale non appartenevo anche se da sedici anni mi ostinavo a farne parte.

Mia madre non mi voleva e non avevo mai stretto un legame vero con le mie amiche, perciò neanche loro avrebbero sentito la mia mancanza. La povera Gabrielle aveva una sua solida famiglia alle spalle, quindi mi avrebbe dimenticata presto. L’unica persona che forse sarebbe stata male era mio padre. Solo il suo pensiero mi fece stringere il cuore e tentennare un attimo. Lo stavo abbandonando, era vero, ma io, così inadatta a questo mondo, che beneficio potevo dargli? Ero solo una minaccia a pensarci bene. Se un giorno avessi perso il controllo dei miei poteri, avrei potuto nuocergli, e se qualcuno avesse scoperto il mio segreto, avrei rovinato per sempre la sua vita. Ma il fattore che più mi convinceva era che io per prima non ne potevo più di stare in quel posto. Volevo scoprire la verità e se il mio destino era dietro quella sfera, l’avrei afferrato senza altre esitazioni.

Chiusi gli occhi e feci un respiro profondo, dopodiché avanzai decisa all’interno del varco.

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Capitolo 4
*** 3_Aldilà del varco ***


Salve a tutti^^  eccomi qui con il terzo cappy^^ ringrazio tutti quelli che hanno letto il 2° e ranyare che ha aggiunto la ficcy tra le seguite, glasie^^ però nessuno che lascia neanche un commentino anche piccolo piccolo, uffi, vabbé, spero lo stesso che la ficcy vi piaccia anche se mi piacerebbe sapere cosa ne pensate così so se quello che sto scrivendo è da buttare oppure no ^' ! 

Vi mando un grande bacio, alla prox sett^^

kisskisses 68Keira68 ^^

witch


3_Aldilà del varco

Buio. Solo un immenso e impenetrabile buio, i miei occhi non riuscivano a scorgere altro. Della raduna vista nella sfera nemmeno l’ombra. Che fosse solo stata un’illusione per convincermi? Forse ero stata avventata ad entrare, non avrei dovuto accettare la loro proposta. Se solo ci fosse stato il leone o la strega ad indicarmi come uscire da quell’oscurità. Poi mi sentii come risucchiata da un vortice dove caldo e freddo si alternavano. L’oscurità iniziò a colorarsi lentamente. Vedevo piccoli punti di luce mescolarsi tra loro per colpa del vortice che mi avvolgeva. Era come essere dentro un uragano di colori sempre più sgargianti mano a mano che la velocità della turbina aumentava. Iniziò a girarmi la testa e mi sentii male. Era peggio delle montagne russe. Chiusi gli occhi per evitare di vedere i colori girarmi attorno, ma nell’istante esatto in cui chiusi le palpebre, sbattei contro qualcosa di duro. Riaprii gli occhi allarmata, ma quel che vidi mi riscaldò il cuore. Un cerchio di alberi secolari facevano da perimetro ad un tappeto verde pieno di fiori colorati mentre il vento mi portava il buon odore delle loro fronde scompigliandomi i capelli e il dolce suono del canto degli uccelli. Ce l’avevo fatta, avevo raggiunto la radura della sfera. Il mio cuore si riempì di stupore. Avevo appena attraversato con successo una varco magico, andava ben oltre le mie fantasie.

Anche se la testa non aveva ancora smesso di girare, mi alzai per guardarmi meglio attorno. Una volta in piedi barcollai, ma riuscii a riottenere l’equilibrio in poco tempo.

Il cielo limpido mostrava un sole caldo che illuminava tutto il cerchio d’erba nella quale mi trovavo, anche se i suoi raggi si perdevano tra i rami degli alberi, tanto da rendere il sottobosco molto più scuro della radura.

La bellezza di quel posto era da mozzare il fiato, pareva       quasi irreale, come se fosse il frutto della mia immaginazione e non un luogo reale. L’unica pecca era che non avevo idea di dove ero finita e non avevo modo di scoprirlo da sola. Da che ne sapevo io non esistevano boschi del genere a Londra, dovevo trovarmi in qualche altra città o addirittura da un’altra parte del mondo considerando che mentre a Londra era notte qua sembrava essere mattina.  Le uniche due guide che potevano fornirmi spiegazioni tuttavia non erano al mio fianco come speravo. Mi guardai attorno, aspettandomi di vedere uscire almeno uno dei due dalla macchia d’alberi, ma tutto era perfettamente immobile. Iniziai allora a chiamarli.

“Signora. SIGNORA! Leone? Dove mi trovo?” udii l’eco della mia voce riecheggiare nel piccolo spiazzo ma non ci fu risposta alcuna. Riprovai con più vigore.

“Uscite! Ho bisogno di voi, dove mi avete portata?!”

Ancora nessun suono mi giunse in risposta. Sbuffai alterata. Continuai a chiamare entrambi sgolandomi per altri dieci minuti ma non giunse nessuno.

Perché mi avevano condotto fin lì, cosa volevano da me? Mi avevano promesso delle risposte e ora nessuno si faceva avanti, non aveva alcun senso.

Mi prese il panico e iniziai a piangere sommessamente dalla disperazione. E adesso cosa facevo? Ero stata catapultata chissà dove da due perfetti sconosciuti che si erano improvvisamente dati alla latitanza. D’un tratto mi mancò l’aria, ero stata una stupida a fidarmi così ciecamente.

Il mio respiro si fece più affannoso. Ancora due secondi e mi sarebbe venuto un collasso per l’ansia, poco ma sicuro. Solo il pensiero che se fossi svenuta lì in mezzo all’erba probabilmente nessuno sarebbe venuto in mio soccorso mi fece calmare. Il miracoloso istinto di sopravvivenza che ogni tanto si faceva sentire.

Cercai di ragionare a mente lucida. Ero capitata lì attraversando un varco per cercare delle risposte alle mie domande e per conoscere persone come me, quindi quel posto non poteva ridursi a quella minuscola radura, oltre gli alberi c’era di sicuro dell’altro. Dovevo trovare la città più vicina e informazioni, era l’unica via. Se mi avevano spedito in quel luogo certamente avrei trovato quello che cercavo, ne ero sicura. Non mi dovevo far prendere dallo sconforto o ero spacciata. Feci un bel respiro e mi asciugai le lacrime con il dorso della mano, decisa, pensando che nonostante mi avessero lasciata sola in terre sconosciute, continuavo a provare un’innata fiducia sia per il leone che per la donna. Era fuori da ogni logica, ma non riuscivo a sentire rancore nei loro confronti. Ad essere sinceri non riuscivo nemmeno ad avere voglia di tornare casa. Forse avrei potuto cercare di ricreare un varco con la mia magia e tornare a Londra, ma non volevo. Desideravo troppo che si avverassero le promesse fatte dalla donna per rischiare di perdere la mia unica possibilità di conoscere la verità. Perché in fondo quel viaggio era quello, la mia prima e probabilmente unica occasione di ricevere una risposta alle domande che mi assillavano da anni.

Anche se ero da sola, ce l’avrei fatta. Avevo fatto la mia scelta ad Hide Park. Non mi ero guardata indietro mentre attraversavo il varco e non lo avrei fatto nemmeno adesso. Ero diversa, inadatta al mondo che mi lasciavo alle spalle, forse in quel luogo avrei trovato il mio posto, ed ero pronta a tutto per cercarlo e ottenerlo.

Chiusi gli occhi e inspirai profondamente stringendo il medaglione come a trarne forza. Dovevo decidere da che parte dirigermi e l’unico modo per fare la scelta giusta era affidarmi al mio istinto che non mi aveva mai deluso. Quando riaprii gli occhi esso mi guidò verso destra, ed io imboccai quella direzione senza esitare. L’avventura era iniziata.

 

*        *        *

 

Camminai quasi tutto il giorno tra gli alberi. Spesso mi imbattevo in animali del bosco. C’era un’enorme quantità di scoiattoli, uccellini, gufi e leprotti che mi osservavano con un’espressione curiosa. Anche fin troppo intelligente per essere solo degli animaletti. Ogni tanto mi imbattevo in un tronco caduto che dovevo aggirare e in qualche pianta o qualche stupefacente fiore che non avevo mai visto né studiato. Dopo le prime centinaia di metri però la stanchezza iniziò a farsi sentire. Faceva un gran caldo e io non ero abituata a lunghe marce. Con me non avevo nemmeno un cellulare per chiedere aiuto. Magari se avessi potuto chiamare la croce rossa o la guardia forestale, qualcuno sarebbe venuto a prendermi, ma quando ero uscita di casa non avevo pensato che sarei potuto finire in mezzo ad un bosco. La mia idea era di ritornare cinque minuti dopo, giusto il tempo per sbollire la rabbia, e in quel ristretto lasso di tempo non credevo mi sarebbe servito il kit di sopravvivenza né lo zainetto da boyscout. Sorrisi mesta nel pensare che la litigata con mia madre sembrava appartenente ad un’altra vita, visto dove mi trovavo al momento.

Dopo qualche ora di cammino, un dolce suono rianimò le mie speranze. Uno zampillare continuo mi informò che poco distante da me ci doveva essere un torrente o un ruscello. Mi precipitai in quella direzione. Dovevo assolutamente mettere a tacere la sete che mi bruciava in gola.

Il mio udito non si sbagliava perché, superati una decina d’alberi, trovai quello che cercavo. Un ruscello pieno di acqua cristallina scorreva placido tagliando in due il bosco. Mi inginocchia sull’argine. L’acqua era talmente limpida che potevo vedere bene il mio riflesso. I capelli erano scarmigliati e il viso era tutto sudato, mentre la maglietta era sporca di terra e stropicciata. Risi di cuore vedendomi conciata così. Sembrava che tutto il disordine accuratamente evitato per anni si fosse riversato su di me tutto in un momento. Scossi la testa e presi un sorso d’acqua immergendo le mani a coppa nel ruscello. Bevvi avidamente per cinque volte prima di dirmi dissetata. Il liquido cristallino scorreva nella mia gola dandole sollievo da tutto quel caldo. Alla fine decisi di immergere dentro tutta la testa. La mia idea fu azzeccata. L’acqua era fresca e mi fece dimenticare per un momento il sole alto in cielo. Quando riemersi per respirare mi sentii rigenerata. Mi ci voleva proprio.

Strizzai i capelli facendogli perdere l’acqua in eccesso e poi ripresi la marcia, questa volta costeggiando l’argine del fiume. Nonostante non mi intendessi di vita tra i boschi, ero quasi sicura che la maggior parte dei boyscout ti consigliavano di seguire i fiumi in caso di smarrimento. Sperai avessero ragione e che mi conducesse in una città.

Camminai tutto il pomeriggio e mi fermai solo quando il sole tramontò. Allora, sfinita, mi appoggiai al tronco più vicino al fiume e lo sconforto si fece risentire. La sete l’avevo messa a tacere grazie al ruscello, ma rischiavo di morire di fame. Non c’erano alberi da frutto e dubitavo che avrei trovato un McDonald’s in mezzo ai boschi. Non mangiavo da tutto il giorno e i morsi della fame mi dilaniavano lo stomaco. Misi la testa tra le mani. Un uomo può sopravvivere tre giorni senza mangiare, l’importante era bere, mi avevano insegnato a scuola, e ciò mi diede un briciolo di speranza. Equivaleva a dire che avevo altri due giorni per trovare un’anima buona che mi nutrisse, altrimenti ero finita. Ora però ero stanca, ero certa che non ero in grado di compiere un altro passo. Avrei ripreso la marcia la mattina seguente, con nuove energie e forse sarei stata più fortunata. Ci volle meno di un secondo perché la stanchezza ebbe la meglio sull’appetito, portandomi nel regno dei sogni.

 

I raggi caldi del sole riscaldavano il mio viso. Non un filo di vento si muoveva e tutto attorno a me taceva. Ero appoggiata a qualcosa di duro, ne ero a conoscenza, ma ero talmente sfinita che non mi importava. In quel momento avrei riposato anche su un sasso. Eppure…non sentivo solo qualcosa di duro, avvertivo anche altro. Non era qualcosa che colpiva i miei sensi, era più una sensazione. Mi sentivo osservata. Mi diedi mentalmente della stupida. Ero da sola in mezzo ad un bosco, gli unici occhi che avrebbero potuto spiarmi erano quelli di uno scoiattolo. Ma nonostante ciò non riuscivo a togliermi di dosso quella strana impressione…

“E questa chi è?” una voce baritonale mi pietrificò.

Aprii gli occhi di scatto e mi misi seduta con le spalle al tronco, notando che mentre dormivo dovevo essere scivolata sull’erba. Davanti a me ebbi la certezza che il mio sesto senso non faceva cilecca. Tre uomini in armatura medioevale mi stavano fissando con curiosità, tenendosi ad un metro di distanza. Una grande sensazione di sollievo mi invase. Avevo trovato altre persone, ero salva.

“Ben svegliata. Possiamo sapere chi siete e da dove venite, signorina?” mi domandò cortesemente ma con circospezione l’uomo più vicino. Era molto alto, con i capelli castano scuro e gli occhi verdi, la barba non rasata da un paio di giorni e i lineamenti marcati. Il tono calmo con la quale mi si rivolse mi infuse coraggio e mi affrettai a rispondere. Quei tre uomini erano degli sconosciuti che vagano in un bosco, due ottimi motivi per stare alla larga da loro in una situazione normale, ma dato che al momento la mia verteva verso la disperazione, essi rappresentavano la mia unica speranza e li avrei apprezzati anche se avessero avuto le orecchie a punta e la pelle verde probabilmente.

Mi alzai in piedi con calma ed esordii: “Mi chiamo Catherine Icepower. Mi sono persa nel bosco e non riesco a trovare la strada per la città più vicina. Voi potreste aiutarmi?” gli domandai speranzosa. Le possibilità erano due: o erano dei maniaci e a quel punto solo un miracolo poteva salvarmi, o la mia buona stella che l’altra sera sembrava avermi dimenticata, era tornata a splendere. Dall’aspetto cordiale degli uomini ero più propensa per la seconda. Doveva essere la seconda.

L’uomo si accigliò nel sentire il mio nome e mi domandò. “Icepower? Non ho mai sentito questo casato. Non siete una nobile, vero?”

Nobile? Ripetei tra me e me. Guardai le armature ammaccate e in alcuni punti arrugginite dei tre uomini che avevo dinanzi. Prima, presa dalla gioia di vedere qualcuno con due gambe e due braccia oltre me, non li avevo considerati. Ora però la mia curiosità si accese. Perché erano vestiti in quella maniera assurda?

“Ehm…Mio padre è Daniel Icepower, menager della Bloomsbery, una famosa casa editrice, mentre mia madre, Eleanor Campbell, è una stilista molto apprezzata.” Mi spiegai, sperando che rispondesse alla loro richiesta. Di certo dovevano aver sentito i loro nomi, bastava andare in un qualsiasi negozio di abbigliamento o libreria, e una volta chiarita la mia identità mi avrebbero soccorsa.

Ma quello che ottenni fu solo un’altra serie di occhiate confuse, a discapito delle mie aspettative. Avevo forse parlato arabo?

“Case edi…cosa? Non abbiamo mai sentito niente del genere, potremmo sapere dove abita?” si informò l’uomo di prima assumendo un tono sospetto.

Iniziai a balbettare. Qui c’era qualcosa di strano sotto. “Da…Londra, la conoscete vero?” cercai di accertarmi che almeno una cosa la conoscevamo entrambi.

“Non ho mai udito né di una contea né di un regno con tal nome, mi dispiace”

Contea? Regno? All’improvviso mi si accese una lampadina. C’era una possibilità che il portale non mi aveva portata solo in un altro luogo ma addirittura in un’altra epoca? Da che ne sapevo io avrebbe potuto condurmi anche su Marte, perché non indietro nel tempo? Si sarebbero spiegati i costumi medioevali dato che dubitavo fossero una nuova moda della quale non ero al corrente.

Feci la prova del nove. “Scusatemi, ma inizio ad essere leggermente confusa, potreste dirmi in che anno ci troviamo?” male che andava mi avrebbero presa per pazza. Tanto mi avevano già trovata stesa sull’erba a dormire, la considerazione che avevano di me non poteva peggiorare ancora.

I tre uomini si guardarono per un momento tra loro, accigliati, infine mi rispose l’uomo alla mia sinistra, quello che intuii fosse il più vecchio, dai capelli brizzolati e un accenno di rughe.

“Siamo nel milletrecentesimo anno dopo la scomparsa dei quattro re, signorina. È sicura di sentirsi bene?”

Era una domanda retorica vero? 1300… ero nel pieno del basso MedioEvo, altro che bene. Per un secondo mi mancò l’aria, come se qualcuno mi avesse strizzato cuore e polmoni e non fossi più capace di provvedere ai miei bisogni primari. Ma fu solo un attimo. Il momento seguente il mio cervello aveva ripreso tutto l’ossigeno che gli occorreva per tornare ronzante. Merda, ma dove caspita mi avevano portata quei due pazzi?! Ecco, vatti a fidare del primo leone parlante che trovi in giro, e pensare che i miei mi avevano sempre detto di non fidarmi degli sconosciuti!

E ora cosa facevo? Dovevo tornare a casa, andare all’avventura va bene, ma finché si hanno gli agi, almeno quelli primari, come un bagno, una doccia, una cucina che rispettava le norme igieniche, giusto quelle necessarie per non farti venire la peste.

Un campanellino mentale bloccò il fiume di preoccupazioni in cui stavo annegando. Era solo una piccola constatazione, ma forse era l’unica che mi avrebbe impedito di impazzire e che avrebbe dato un senso a quel viaggio, dato che ormai ero lì. Era il MedioEvo, non c’erano i bagni ma qualcos’altro si. Qualcosa di molto più importante per me. Era l’epoca delle streghe, come poteva essermi sfuggito? Forse mi avevano spedito qua per trovare le mie origini, la fonte dei miei poteri. Forse i miei due amici non erano stati così avventati e irragionevoli a mandarmi laggiù.

Cercai di fare buon viso a cattivo gioco. Ero certa che se avessi detto loro che ero arrivata lì grazie alla magia mi avrebbero presa e messa su un palo a bruciare. Non ci voleva un secchione per ricordarsi che nel medioevo le streghe non erano considerate amiche. Meglio non rischiare di ritrovarsi abbrustolita come una costoletta di maiale. Però se avessi giocato bene le mie carte sarei riuscita a trovare un trasporto sicuro per la città e da lì avrei potuto fare le mie ricerche con calma e discrezione.

Feci mente locale e mi apprestai  ad inventare di sana pianta una storia credibile. Avevo mentito a tutti per sedici anni non doveva essere poi così tanto difficile.

“Probabilmente no. È…ehm… un regno molto lontano. Io viaggiavo con la mia …scorta, ma ad un certo punto mi sono allontanata per un secondo per cercare un …un… ruscello e non sono più riuscita a tornare indietro. È tutto ieri che vago per il bosco senza mangiare.” Qua dovrebbero darmi l’Oscar per la recitazione, sapevo che prima o poi tutti quei film in costume si sarebbero rivelati utili. Pensai sogghignando.

Il soldato parve bersi la mia storiella. “Siete stata fortunata allora ad imbattervi in noi lady Catherine. Eravamo qui per un viaggio di ricognizione. Per il bosco vagano molti fuorilegge, non avreste dovuto allontanarvi dai vostri uomini, è pericoloso.”

“Grazie, d’ora in poi lo terrò presente. Posso sapere chi siete voi, messeri e da dove venite?” domandai a mia volta. Dato che mi avevano fatto il terzo grado mi sembrava carino mi dicessero almeno il loro nome.

“Soldato semplice William Brown di Telmar” si presentò l’uomo castano chinando la testa.

“Io invece sono Sir Benjiami McGonogall, cavaliere di Telmar”. L’uomo brizzolato, dagli occhi castani e il fisico temprato dalle molte battaglie, accennò anche lui d un inchino.

“Io, my lady, sono il soldato semplice Zachary Blancher di Telmar” esordì l’ultimo soldato, circa della stessa età di Sir Benjiami e con un lunga cicatrice che gli deturpava tutta la guancia sinistra.

“Ora viaggerete con noi, vi condurremo nella nostra città, dove potrete presentarvi al nostro re e chiedere ausilio a lui. Se volete seguirci in giornata dovremmo giungere a destinazione” mi annunciò William.

Qualcuno lassù doveva aver ascoltato le mie preghiere. Il primo passo verso le mie ricerche si stava compiendo.

“Grazie infinite.” Mentalmente ringraziai anche la cavalleria dell’epoca che soccorreva le donzelle bisognose.

 

*        *        *

 

“Quindi William, potrei chiedervi al momento dove siamo? A Telmar?” domandai al soldato più giovane, quello più propenso a rispondere alle mie domande.

Ci eravamo incamminati da poco, Sir Benjiami e Zachary aprivano la strada in rigoroso silenzio mentre io subissavo di quesiti il povero William, che però per mia fortuna non pareva scocciato dalla mia curiosità.

Mi faceva uno strano effetto rivolgermi ad un uomo in armatura, riuscivo a conversare tranquillamente solo sforzandomi di non pensare che tutto quello che mi stava accadendo era reale. Immaginai il nostro quartetto visto da fuori. Tre uomini armati di elmo e corazza che scortavano una giovane ragazza in jeans e maglietta. Il sole aveva iniziato a girare da ovest verso est.

“No, lady, per ora siamo nella foresta al confine con un altro regno”

William non aggiunse altro. Evidentemente voleva farsi pregare.

“Quale regno?” chiesi con voce stucchevole. Avevo sempre trovato deplorevole ricorrere al sex appeal per ottenere i propri scopi, ma per stavolta feci un’eccezione. Avevo bisogno di informazioni e le avrei ricevute.

Lui mi sorrise. “Forse ne avete sentito parlare anche nel vostro. Una volta, più di mille anni fa, questo regno era molto prospero e potente, ma dopo la perdita dei loro sovrani è decaduto. È divenuta una terra selvaggia, piena di creature mostruose e ingovernabili, pericolose. Così i telmarini hanno deciso che occorreva un intervento drastico. Hanno invaso questo regno e sono riusciti a riportare l’ordine eliminando queste creature inumane. Per molti secoli è regnata la pace, ma in questi ultimi tempi sembra che alcuni superstiti vogliano riorganizzare una sommossa per riportare la paura e l’anarchia. Per questo muoversi tra questi alberi senza una scorta armata e pericoloso, lady Catherine, se qualcuno di questi fuorilegge vi avesse trovata a quest’ora forse non godreste dell’ottima salute che avete ora”. Il finale, per quanto macabro, fu ad effetto. Se voleva impressionarmi c’era riuscito alla grande. Era riuscito anche a farmi provare timore verso queste creature misteriose. A sentir lui dovevo essere stata veramente fortunata a scampare da quella minaccia. Una voce logica dentro di me mi fece notare che eravamo nel MedioEvo, epoca dove storie del genere inventate di sana pianta diventavano oro colato. Un’altra vocina fastidiosa ribatté però che io stessa andavo catalogata tra quelle “storie inventate di sana pianta” e che quindi in teoria non dovevano esistere, mentre io esistevo eccome. Era tanto improbabile quindi che esistessero anche le creature nominate da William?

“Chi sono esattamente questi essere inumani di cui parlate?”

Lui scosse le spalle. “Io non ne ho ancora visti, finora si era parlato di loro solo nelle vecchie storie. Si pensava fossero tutti estinti, è stata un’orrenda sorpresa sapere che invece sono ancora vivi e vegeti” piccola pausa ad effetto. Quest’uomo era un narratore nato, volevo quasi chiedergli se non preferirebbe il lavoro del menestrello piuttosto che quello del soldato. “Si racconta di gnomi e animali parlanti che possono variare dai tassi agli orsi, ma anche di centauri, minotauri, grifoni e sirene, solo per citarne alcuni, e mi creda, nessuno di loro vede gli esseri umani di buon occhio.”

Deglutii lentamente. Centauri, minotauri? Ma dove diamine ero finita, nella Terra di Mezzo? Mancavano solo gli elfi e gli hobbit poi c’erano tutti al gran completo. C’eravamo. Mi corresse la stessa voce fastidiosa di prima, ricordandomi  amaramente che in effetti io in quel quadretto di creature sopranaturali ci entravo a pieno titolo. Ero la strega della situazione, una versione femminile di Gandalf. Mi consolai pensando che almeno io ero buona, giovane e, cosa più importante, non avevo la barba.

“Spaventata?” insinuò il soldato probabilmente notando il leggero pallore che aveva assunto il mio viso.

“Un poco”. Un flash di me in un match contro un Minotauro gigantesco mi attraversò la mente. Un brivido mi percorse da capo a piedi. Speriamo di non incontrare niente di strano fino a questa città. Sono venuta per cercare streghe buone non mostri, accidenti! Pensai soltanto.

“Scusi la mia curiosità, lady Catherine, ma è la prima volta che vedo abiti tanto…originali. Sono tipici del vostro regno?” mi domandò osservando con scetticismo i miei poveri jeans.

Soffocai una risata. Dopo tutte le domande che gli avevo fatto io sarebbe stato indelicato deriderlo.

“Si, si chiamano jeans. È un indumento molto comodo e viene usato indistintamente da donne e uomini. Per il momento sono usati solo da noi ma sono certa che presto si diffonderanno su larga scala” spiegai. Ovviamente per “presto” intendevo qualche centinaio d’anni ma non era il caso di precisare.

William sottolineò il fatto che venivano usati da ambo i sessi con una smorfia di palese disappunto. Sorrisi tra me e me pensando a quanta strada era stata fatta da loro a noi.

“Credo che potremmo fermarci qui per pranzare” Sir Benjiami si inchiodò davanti a noi. Mi domandai se erano gli anni di esercizio militare a rendere i suoi modi così meccanici e duri o se era una predisposizione naturale.

Gli altri due soldati obbedirono e si fermarono. Notai solo ora che Zachary portava una grande bisaccia di pelle a tracolla. La aprì e ne tirò fuori quattro pezzi di carne secca e del pane che distribuì in eque porzioni. Quando mi porse la mia parte provai l’istinto di storcere il naso. Non avevo mai assaggiato della carne secca e l’idea di provarla ora non mi faceva impazzire, ma per non sembrare sgarbata dopo che mi avevano salvata e che stavano dividendo le loro scorte con me, la accettai ringraziando.

Osservai William prendere la sua e mangiarla senza farsi tanti problemi, seguito a ruota da Benjiami e da Zachary. Se loro la mangiavano e non erano ancora morti forse avevo alcune possibilità di sopravvivere anche io. Fissai con diffidenza il pezzo i carne nella mia mano destra, dopodichè feci un bel respiro e ne staccai un morso. Rimasi sorpresa quando il pezzo che avevo staccato toccò il mio palato. Superando qualsiasi mia aspettativa era buono. Forse il gusto era influenzato dal prolungato digiuno, ma fatto sta che divorai tutta la mia porzione.

“Scusate per il pranzo leggermente spartano, my lady, ma sono sicuro che l’accoglienza che riceverete dal nostro re la ricompenserà appena sarà accertata la vostra appartenenza ad una casata reale” si scusò Sir Benjiami con i suoi modi pomposi.

L’ultimo pezzo di carne mi andò di traverso. Accertata la vostra appartenenza ad una casata reale. Cavolo, come facevo a dimostrare una cosa simile?

“Figuratevi, vi sono enormemente grata per tutto quello che state facendo, non avete nulla di cui scusarvi” risposi cercando di apparire tranquilla. Pensa, Cate, pensa!

Poi arrivò l’illuminazione. Il medaglione che avevo al collo. Era interamente d’oro bianco e di raffinata fattura, con un castello inciso sotto una J significante June, il mese in cui ero nata. Avrei potuto far passare quella come una prova della mia nobiltà, nel MedioEvo non avevano simboli simili dopotutto? Dovevo solo incrociare le dita.

Il pranzo durò poco, il tempo necessario di mettere in bocca qualcosa di sostanzioso per poi riprendere il cammino. A quel che pareva Sir Benjiami aveva fretta di tornare a casa per la cena.

Non ero amante delle marce serrate ma dato che non avevo scelta cercai di abituarmici. Anche perché dubitavo fortemente dell’esistenza di taxi o bus nel 1300.

 

Il sole si stava abbassando, ad occhio e croce mancavano due ore al tramonto. I raggi avevano smesso di picchiare insistenti sulle nostre teste da un po’, per nostra fortuna, e io confidano nella muta speranza che eravamo quasi giunti a destinazione, anche se non osavo chiederlo per paura che la mia speranza venisse spenta. Ero stanca morta. In tutta la giornata avevamo fatto solo un’altra piccola pausa di dieci minuti, per gentile concessione di Benjiami e le mie gambe stavano seriamente progettando uno sciopero.

I tre uomini sembravano più abituati alle lunghe camminate, ma la stanchezza iniziava ad intravedersi anche nei loro volti e il loro passo si era fatto meno serrato. Avevo smesso di fare domande da dopo la nostra seconda sosta, decidendo che il fiato era più utile conservarlo che sprecarlo, e da allora non era più volata una mosca. In un primo momento l’atmosfera mi era sembrata rilassata nonostante il silenzio. Il vento giocava tra le fronde degli alberi, che si muovevano in perfetta sintonia tra loro, creando una melodia originale con il suono placido e regolare dello scorrere dell’acqua de ruscello, dalla quale ci eravamo allontanati i passi necessari per trovare rifugio dal caldo all’ombra degli alberi. Il canto degli uccellini faceva da coro a quell’orchestra improvvisata mentre gli scoiattoli e altri innocui animali si univano a noi come pubblico. Ma da qualche tempo l’atmosfera serafica si era interrotta, divenendo stranamente tesa. Gli alberi si erano come immobilizzati e gli uccelli e gli altri animali si erano dissolti nel nulla.

I miei compagni di viaggio parevano incuranti di questo cambiamento. Erano perfettamente rilassati come prima, incuranti di ciò che li circondava. Eppure ero certa che qualcosa non andava. C’era troppa calma, troppo silenzio. Senza contare una strana carica elettrica che attraversava l’aria. Avevo una strana sensazione, mi sentivo osservata come quella mattina, avevo la pelle d’oca, eppure, nonostante avessi fatto ballare gli occhi da un tronco all’altro diverse volte, non avevo scorto nulla di pericoloso. Forse era solo la stanchezza che giocava brutti scherzi, anche se…

Un suono di tromba ed un urlo fece drizzare tutti e quattro dalla paura. In meno di un secondo realizzai con angoscia che il mio sesto senso non mi aveva tradito, nonostante avessi preferito il contrario per una volta.

All’improvviso sei persone apparvero come fantasmi dagli alberi, soverchiandoci a spade sguainate. Il cuore mi saltò in gola e mi ci volle un secondo per capire che mi sbagliavo clamorosamente su un particolare. Quelle non erano sei persone. Eravamo stati circondati dalle creature di cui mi parlava William. I tre più spaventosi erano esseri giganteschi con la testa di un toro e le corna minacciose in bella vista, e stringevano un’ascia a testa, meno terrificante del loro aspetto ma comunque degna di nota. Richiamai alla memoria le mie nozioni di mitologia greca. Erano tre minotauri. Altre due creature uscite dallo stesso libro di fantasia, erano armate di spada e avevano metà corpo da cavallo e metà da essere umano, anche se nei tratti arrabbiati e minacciosi riuscivo a scorgere ben poche tracce di umanità. Notai che uno di loro aveva a tracolla il corno che avevamo sentito precederli. Infine, l’ultimo membro del gruppo, era quello meno spaventoso. Ero quasi sicura fosse umano, dato che aveva due gambe e due braccia come noi, ma avendo il capo coperto dall’elmo non ero sicura della sua natura. Avrebbe potuto avere antenne e artigli nascosti per quel che ne sapevo.

Con il sangue ghiacciato nelle vene, vidi i miei tre custodi estrarre la spada nel disperato tentativo di proteggere loro stessi e me da bravi cavalieri, ma il numero degli avversari era superiore al loro e l’attacco li aveva colti di sorpresa. Come a rallentatore vidi il colpo preciso e forte dell’ascia di un Minotauro affondare nel corpo di William senza che questi potesse fare qualcosa per impedirlo. Si accosciò senza proferir parola, cadendo a terra come una marionetta alla quale avevano tagliato i fili. Altri due colpi netti della spada del soldato e anche Benjiami fece la stessa identica fine, seguito a ruota da Zachary. Li avevano trapassati da parte a parte come se fossero di burro.

Mi sembrò che il tempo si fermasse mentre con gli occhi sbarrati per l’orrore vedevo la freddezza con la quale uno dei tre minotauri estraeva la sua ascia insanguinata dal corpo inanimato di William. Erano morti, tutti e tre, in meno di cinque secondi e senza alcuna possibilità di opporsi. Mi mancò il respiro e rimasi immobile ad osservare quello scempio. Ma dove diamine ero finita? In un film dell’horror? Erano dei mostri, in tutte le possibili sfaccettature della parola. Osservai il viso di William, solo pochi minuti prima pieno di vita, riverso a terra, esangue. Volevo distogliere lo sguardo, una vocina interiore mi urlava di scappare o cercare una possibile via d’uscita, anche combattendo se necessario, ma i miei occhi sembravano incapaci di scollarsi da quella orrenda visione, senza contare che i miei arti non rispondevano ai comandi. In mente solo una macabra parola: morti.

Solo quando un grido di carica riempì il bosco riuscii ad alzare di scatto lo sguardo, un’espressione di puro terrore in viso. Il minotauro che aveva ucciso il soldato stava calibrando l’ascia per colpirmi. Sarei morta, senza ombra di dubbio, e non potevo fare niente per impedirlo come gli altri. Chiusi gli occhi preparandomi al peggio, ma invece di sentire l’arma atterrare su di me con violenza, udii invece una voce metallica e autoritaria che bloccò il mio assalitore.

“Fermo!”

Avvertii distintamente l’ascia del Minotauro fermarsi poco distante dalla mia testa. Mi azzardai ad aprire gli occhi, il cuore ancora colmo d’angoscia. Forse potevo sperare di vivere ancora cinque minuti, ma non ero così sciocca da pensare di essere salva.

La voce apparteneva alla persona in armatura. Dalla postura eretta e regale e dal tono saldo intuii che fosse il capo di quel piccolo quanto terrificante drappello.

“è una donna, sai che noi non uccidiamo né donne né bambini, riponi l’ascia” ordinò calmo.

Non osavo credere alle mie orecchie. L’armatura aveva davvero sentenziato la mia sopravvivenza?

“Era con quei soldati, è un abitante di Telmar, non possiamo lasciarla andare e permetterle di raccontare che ci ha visti di guardia nel bosco” obiettò la creatura con voce gutturale.

Cercai di deglutire ma a quelle parole la mia bocca era asciutta quanto il deserto del Sahara. Quale brutta e ragionevole osservazione aveva fatto.

Il soldato però non parve nemmeno riflettere sulle parole del suo sottoposto prima di riprendere la parola.

“è vero, ma non è una motivazione sufficiente per ucciderla. La porteremo alla base. Se la interroghiamo potrebbe avere anche delle informazioni a noi utili” sentenziò.

Il mio cuore raggiunse le scarpe. No, probabilmente andò molto più giù, sotto i piedi a più di mezzo metro sotto terra. Sarei stata ostaggio di quei mostri? Coloro che avevano ucciso tre persone senza nemmeno pensarci? La sola idea mi faceva tremare da capo a piedi. L’unico pensiero che riuscì a superare la coltre di paura che mi annebbiava la mente fu che il destino a volte si faceva veramente beffe di noi. Sarei stata fatta prigioniera proprio ora che avevo una possibilità di scoprire chi ero, perché avevo quei poteri… ma fu proprio quel pensiero a sbloccarmi.

Nell’istante esatto in cui lo formulai, sentii scorrere dentro di me una carica di adrenalina mai provata prima. Venni pervasa da un calore nuovo ma stranamente familiare. Le mie mani iniziarono a formicolare mentre le parole di un incantesimo mai pronunciato mi salivano alle labbra. L’energia si concentrò nel palmo delle mani e defluì in un solo istante, senza esitare, colpendo in pieno petto il Minotauro, che barcollò all’indietro cadendo rovinosamente a terra sia per la violenza del colpo sia per la sorpresa. Il mio respiro, come quello di tutti nella radura, si bloccò. La mia mente si rifiutava di registrare l’ultimo avvenimento, assolutamente privo di logica. Avevo usato un incantesimo difensivo che nemmeno conoscevo, che neanche sapevo possibile. Ma sorpassando lo sbigottimento, un’altra parola si affacciò nitida nella mia mente: scappa. Tutti erano troppo scioccati per reagire, era il momento giusto, probabilmente l’unico che avrei mai avuto. Mi lanciai nella direzione opposta a perdifiato, ritrovando improvvisamente l’uso delle gambe, il cuore a mille. Purtroppo per me i soldati, avvezzi com’erano a situazioni del genere, si ripresero in fretta dalla sorpresa.

La mia fuga fu vergognosamente breve. Avevo fatto si e no una decina di passi che due braccia forti mi presero da dietro alzandomi senza il minimo sforzo da terra. Mi ritrovai a penzoloni urlante e scalciante, la scarica di adrenalina dimenticata in un angolo remoto della mia mente e la disperazione più totale padrona del mio corpo.

“Sidus rimettila a terra e cerca di farla star ferma” dettò il soldato.

Ritoccai terra, anche se non riuscii a fare un passo per allontanarmi dalla creatura che mi aveva bloccata, individuo che scoprii essere uno dei due centauri, con mio grande spavento. Era enorme, la mia testa superava a mala pena la linea del suo bacino, senza contare che paragonare la mia forza alla sua era come paragonare quella di una mosca con quella di un leone. Cosa assai umiliante, anche se era più forte la paura che provavo verso di lui. Ma dov’era finita tutta quella bella grinta che mi aveva aiutata a tirare fuori i miei poteri? Si era dissolta nel nulla, come se non fosse mai esistita.

Il centauro mi legò le mani dietro alla schiena con una corda che gli porse uno dei tre minotauri, con la stessa facilità che io avrei usato per legare quelle di una bambola, nonostante avessi cercato di oppormi.

Il soldato in armatura intanto si era avvicinato a me e si era tolto l’elmo, scoprendo per la prima volta il suo viso. Con mio enorme sollievo, in quel gruppo di mostri, lui era un essere umano, e anche piuttosto giovane, dato che mi si presentava dinanzi un ragazzo sui vent’anni. Dall’autorità che sapeva esercitare avrei pensato fosse un uomo almeno tra i trenta e i quaranta.

Ma quello che mi sorprese di più fu l’espressione con la quale mi fissava. Mi stava studiando curioso e circospetto, come se fossi io la novità da osservare e non i suoi cari amici. Forse a furia di frequentare gente con corna e quattro zampe ci si disabitua alle persone con due braccia e due gambe e con la pelle rosa. I suoi occhi azzurri si soffermarono soprattutto sui miei indumenti, squadrandoli diffidente prima di scuotere la testa e di far muovere i capelli dorati che gli circondavano un viso dai lineamenti gentili, in perfetto contrasto con il cipiglio autoritario dei suoi modi. Infine mi fissò negli occhi e per un secondo fui certa di leggere lo sbigottimento nelle sue iridi color del cielo. Mi parve quasi di vedere il suo busto incrinarsi all’indietro, lontano da me, prima di riprendere il suo contegno, scuotendo impercettibile la testa.  In un lampo realizzai che non era il solo a squadrarmi tra il sospetto e la paura. Gli altri presenti erano in cerchio attorno a noi e mi guardavano con astio in posizione d’attacco, stringendo convulsamente la loro arma tra le mani o le zampe. Rimasi confusa, come era possibile che un accenno ai miei poteri li avesse terrorizzati così tanto? Dubitavo di essere così spaventosa da impaurire addirittura un Minotauro!

Quando il ragazzo parlò, la sua voce, non più filtrata dalla celata dell’elmo, suonò meno baritonale di prima, ma non per questo meno virile o meno ferma e ricatturò la mia attenzione.

“Potete anche calmarvi, nessuno ha intenzione di farvi del male per il momento” mi assicurò.

Peccato che le sue parole ebbero un effetto tutt’altro che rilassante su di me. Come poteva dirmi di tranquillizzarmi se ero legata e circondata da mostri?!

“Sire, mi permetto di dissentire. Avete visto quello che ha fatto? È più prudente ucciderla subito” un secondo Minotauro propose la mia imminente morte. Quelle creature iniziavano a darmi particolarmente sui nervi oltre che a terrorizzarmi.

“è una strega, è pericolosa, ammazziamola” un terzo Minotauro, molto più schietto del primo, espresse il pensiero che a quanto pare stava attraversando le menti di tutti i presenti.

Fantastico, ero considerata strana e pericolosa persino da creature mitologiche, incredibile. In compenso ebbi la conferma però che i loro sguardi diffidenti erano merito della mia magia. Evidentemente ne avevano paura e per questo non avrebbero esitato ad eliminarne la fonte. Iniziai a sudare freddo, certa che sarei crollata da un momento all’altro.

Cercai di concentrarmi sul loro capitano che a quel che sembrava era quello che mi temeva di meno. Sperai che dentro di me fosse rimasto il coraggio necessario almeno per difendermi a parole e persuaderlo di lasciarmi andare. Lui era la mia unica e ultima possibilità.

“Io non ho mai fatto del male a nessuno, non sono pericolosa, vi prego credetemi.” sussurrai con la voce leggermente incrinata da un imminente pianto. Il tono era talmente flebile che temetti non mi avesse sentito. Lui mi guardò con serietà per un lungo istante, come soppesando le mie parole. Cadde di nuovo il silenzio, nessuno osava proferir parola in attesa del responso del loro capitano. Solo dopo quella che mi parve un’eternità, il ragazzo si pronunciò. “Ti credo, ma non ha importanza, non posso lasciarti andare lo stesso, non so chi sei né da dove vieni o cosa vuoi, devo portarti alla base, ma ti assicuro che nessuno ti farà del male”

Avevo un difetto alle orecchie o il tono che avevo usato era quasi di scusa anche se l’espressione era pur sempre diffidente?

“Ma sire, è una strega!” ribatté nuovamente il Minotauro di prima.

“Non possiamo uccidere una persona solo perché ha dei poteri, per ora non ha fatto niente di male” lo liquidò con tono che non ammette repliche prima di rivolgersi nuovamente a me. “Dunque, ci dici chi sei e da dove vieni?”

Cercai di fare dei bei respiri profondi, evitando di soffermarmi sul devo portarti alla base ma facendo leva sul tranquillizzante nessuno ti farà del male. Senza contare che mi aveva appena difeso, era la prima persona che non mi additava solo perchè ero una strega. Probabilmente la paura mi aveva anestetizzato i neuroni ma in un primo momento mi fidai ciecamente delle sue parole. Poi il mio sguardo si soffermò sui cadaveri dei tre soldati e la fiducia volò via rapida come era arrivata. Quanto valeva la parola di un assassino?

Prima che me ne potessi rendere conto, lo sdegno che provavo mi fece esprimere il mio pensiero sorpassando il panico.

“Chi mi può assicurare che non mi ucciderai appena ti dirò quello che vuoi sapere? Avete appena ucciso tre persone senza pensarci, mi eliminereste con la stessa facilità” osservai con un filo di voce nonostante le mie parole piccate.

Il biondo parve risentito dalle mie affermazioni e io compresi che avevo toccato un tasto dolente. Mi lanciò un’occhiata di fuoco, ma si limitò a rispondere un “Nessuno te lo assicura, ma non hai molta scelta, o ti fidi di me e mi segui di tua volontà o ti dovrò costringere.”

Semplice e conciso. Esaminai un secondo le mie vie di fuga e con depressione crescente giudicai che erano meno di zero. O meglio una ce n’era. Rispondergli e sperare che mantenesse la sua parola.

Presi un bel respiro. “Mi chiamo Catherine Icepower e vengo da Londra, un…” ma mentre stavo per ripetere a pappagallo la storia già raccontata ai soldati, il giovane mi bloccò sorpreso.

“Londra?”

Stupita a mia volta dell’interruzione lo guardai in viso, cercando di giudicarne l’espressione inquisitrice. Di sicuro si stava domandando dove mai si trovasse Londra, esattamente come William quella mattina.

“Si, Londra è un v…” ritentai, sperando di essere convincente, ma venni nuovamente interrotta.

“La conosco, anche io vengo da lì” mi freddò circospetto.

Ammutolii di colpo. Era impossibile che un ragazzo del 1300 conoscesse la capitale inglese. Forse si era confuso con un villaggio dal nome simile.

Il ragazzo prese un grande respiro, rifletté un secondo e poi si rivolse al Minotauro che avevo colpito precedentemente con tono sbrigativo.

“Morris, prendi tu il comando per il momento, e porta a termine la missione di ricognizione.” Stabilì.

Il Minotauro di nome Morris scattò sull’attenti, sorpreso dal repentino cambio di rotta della situazione, ma ripresosi in fretta fece un cenno affermativo con il capo prima che Sidus prendesse la parola, stupito quanto lui.

“Ma signore, e la ragazza?” chiese indicandomi.

“Mi assumo io la sua tutela. La porto alle rovine con me. Per ora la cosa più importante è finire la missione non occuparsi di un’innocua strega in erba”

“Come desiderate”

In meno di un secondo le cinque creature presenti scattarono sull’attenti e si prepararono alla partenza.

Con la grazia di un elefante, Sidus mi spinse verso il suo comandante, il quale, per mia fortuna, mi prese con più delicatezza il braccio. Mi chiesi se temessero un altro attacco improvvisato se non mi lasciavano senza custode neanche un secondo. Dopodichè i due centauri e i tre minotauri si congedarono in fretta con un inchino appena accennato, prima di dirigersi a rotta di collo verso una meta a me sconosciuta, lasciandomi sola con il loro capitano. Mentalmente non potei che ringraziare il cielo per il fatto di essere con lui e non con un Minotauro poco incline a lasciarmi in vita. Una vocina nella mia mente mi fece notare che avendo a che fare con solo un carceriere la fuga era più facile, ma l’altra presenza interiore mi sconsigliò vivamente anche solo di tentarci, portando la mia attenzione sulla spada scintillante appesa al fianco del ragazzo. Ero certa che non sarei riuscita a riprodurre l’incanto di prima quindi non avrei avuto modo di difendermi dalla lama appuntita. Il mio cuore perse un battito quando realizzai che non potevo realmente far altro che seguirlo, dolente o nolente.

“Non pensare di scappare, ti ho già detto che non posso farti andare via ma se sarai collaborativa ti offro la mia totale protezione, che è la cosa migliore che puoi desiderare dato che le streghe da queste parti non sono viste di buon occhio, come hai potuto constatare”

Come se mi avesse letto nel pensiero, il capitano eliminò anche il più piccolo tentativo di fuga dalla mia mente. Feci un cenno affermativo con il capo per indicargli che avevo compreso il messaggio.

“Bene, ora io e te dovremmo fare una lunga chiacchierata. Devi spiegarmi molte cose e voglio la verità. Quindi desidero sapere sul serio da dove vieni, perché anche io arrivo da Londra e ti assicuro che nessuno veste come vesti tu ma soprattutto, nella mia Londra, le streghe esistono solo sui libri di fiabe” affermò, scrutandomi attentamente e senza mollare la presa sul mio braccio.

Io lo guardai a mia volta a occhi sgranati, il respiro più corto per colpa dell’ultima frase. Possibile che avesse anche lui attraversato il varco come me? Ma se era così perché non riconosceva i miei vestiti e perché sembrava così a suo agio con armature e mostri? Ma, cosa ancora più importante, se aveva capito che ero una strega, era possibile che ne conoscesse altre? In un attimo dimenticai di essere sua prigioniera, colta dall’improvvisa speranza di avere qualche delucidazione in più sul mio viaggio spazio-temporale e attratta dalla prospettiva di non essere l’unica straniera in quella terra.

Poco ma sicuro su una cosa eravamo d’accordo, ci sarebbe stato molto su cui parlare.

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Capitolo 5
*** 4_Rivelazioni ***


Ciao a tutti! Sono tornata con un nuovo cappy dopo una luuunga assenza, sorry per il ritardo!! 

Volevo ringraziare tutti coloro che hanno letto lo scorso cappy , kuro per aver messo la ficcy tra le seguite (glasie^^) e gegge_cullenina per averla aggiunta tra i preferiti (grazieee^^) 

Recensioni:

 QeenBenedetta: sono contenta che il cappy ti sia piaciuto, glasie^^ spero ti piaccia anke  il quarto, dimmi cosa ne pensi^^  kisskisses^^

Vi auguro una buona lettura: fatemi sapere cosa pensate del quarto capitolo^^

Kisskisses

68Keira68

witch

4_Rivelazioni

 

Sentivo il suo sguardo indagatore addosso. Sem brava intenzionato a forarmi la nuca pur di carpirmi le informazioni che desiderava. E io ero intenzionata a rispondergli, anche perché avrei potuto ricavare parecchie notizie io per prima. Ciò nonostante, le mie labbra rimanevano ermeticamente chiuse. Non sapevo da dove iniziare. Da quando avevo attraversato il varco? Da quando avevo sentito per la prima volta le voci? No, la storia era iniziata molto prima, l’arrivare lì era solo la conclusione di un viaggio iniziato anni fa. Ma come spiegare con poche parole tutta una vita?

Le corde iniziarono a farmi male, mi stavano letteralmente segando i polsi. Accidenti, perché aveva stretto i nodi così tanto? Non sono mica superman, temeva mi liberassi usando una forza bruta celata? Cercai di allentare i nodi muovendo le mani ma l’unico risultato che ottenni fu quello di far sfregare ancora di più la pelle contro il laccio. Feci una smorfia di dolore.

“Ti fa male la corda?”

Il suo interesse mi sorprese. Evidentemente non gli era sfuggita la mia espressione.

Annuii decisa, sperando in un suo slancio di altruismo.

Lui mi osservò ancora, sembrava combattuto, come se non sapesse cosa doveva fare. Infine scosse impercettibilmente la testa e con tono quasi rassegnato mi propose: “Se ti slego la corda, mi prometti che non cercherai di scappare usando la magia?”

Colsi l’occasione al volo. “Certo” sussurrai.

In meno di cinque secondi fui libera di massaggiarmi i polsi arrossati.

“Grazie” sussurrai riconoscente, anche se l’improvvisa inversione di rotta del suo comportamento ancora non sapevo spiegarla. Finché la cosa però sarebbe stata in mio favore non avrei avuto nulla da ridire.

“Puoi ringraziarmi rispondendo alle mie domande” ribatté “Siediti su quella radice e inizia a raccontare.” Mi intimò.

Era giunto il momento. Feci come mi aveva proposto, e presi posto su una grossa radice ricurva di un salice, seguita a ruota da lui che mi si sedette accanto.

“Anche io vengo da Londra, è la verità quella che ho detto, ma è proprio per questo che ora mi ritrovo qui, perché anche nella Londra che conosco io le streghe esistono solo nelle fiabe. Io sono l’eccezione che conferma la regola” spiegai a voce bassa, fissando insistentemente un insetto verde su di un fiore per evitare il suo sguardo.

“E come sei giunta fin qui?” si informò.

Il fatto che non avesse nessuna obiezione sulla mia frase mi allietò. Forse la mia storia non era così assurda vista da un punto esterno. Cercai soltanto di non ricordarmi che il punto esterno in questione era a capo di un gruppo di minotauri.

“Ho attraversato un varco. Credo fosse una specie di porta spazio-temporale perché mi ha portata indietro nel tempo a quanto pare”

Lui si accigliò. “Indietro nel tempo?”

“Si. Il soldato mi ha detto che eravamo nel 1300 dopo la scomparsa di qualcuno o qualcosa. Credo comunque che intendesse 1300 dopo Cristo, giusto?”

Lui mi sorrise comprensivo. “Temo ci sia una piccola incomprensione. Non siamo nel 1300 che intendi tu, non ci troviamo nel MedioEvo perché non siamo tornati indietro nel tempo. Noi siamo in un'altra dimensione, un altro mondo con leggi sue dove il tempo è un concetto astratto in quanto milletrecento anni fa qui era tutto esattamente uguale a come lo vedi ora.”

Rimasi a bocca aperta. Stava dicendo la verità o mi stava prendendo in giro? Ero capitata in un altro mondo?

Scossi violentemente la testa, come se muovendola le informazioni che aveva nella mente sarebbero andate a loro posto come i tasselli di un puzzle, acquistando finalmente un senso. Purtroppo non avenne.

“Quindi noi siamo…in una specie di universo parallelo?” domandai incerta.

“Esatto” mi confermò.

“Wow”

Avrei voluto fare esclamazioni più acculturate ma riuscii a proferire solo questo. Esisteva un universo parallelo a quello in cui avevo vissuto finora. Incredibile, altro che mitologia, ero capitata in un film alla “Matrix”.

“Quindi anche il leone e la donna non erano del mio mondo” sussurrai, esponendo senza accorgermene un mio pensiero.

“Come scusa?”

Alzai di scatto la testa. Giusto, la parte delle mie guide non gliela avevo ancora raccontata.

“Prima che decidessi di attraversare il varco, sono apparse più volte due figure, una era una donna molto bella mentre l’altra credo fosse un leone, anche se non si è mai mostrato a differenza della ragazza.” Spiegai.

Lui rimase spiazzato, ma cercò di dissimulare la sorpresa in fretta chiedendomi con tono perentorio. “Cosa volevano da te? Potresti descrivermeli?”

“Volevano che passassi attraverso il portale, anche se non mi hanno specificato il perché. Continuavano a ripetere che qui avrei trovato le risposte che cercavo e che dovevo fidarmi.” Risposi, assecondando la sua richiesta. “Lei era molto bella. Aveva i capelli biondi e gli occhi di un azzurro limpido. Era alta e aveva un comportamento quasi regale, con i lineamenti delicati, eterei. L’altra figura come ti ho già detto non l’ho vista, però sono certa che fosse un leone anche se parlava dato che ruggiva”

Vidi un lampo di sconcerto passare negli occhi color del cielo del giovane, ma fu solo un attimo prima che lui riacquistasse la sua espressione sicura. Il passaggio fu così repentino che mi chiesi se non me lo fossi sognato.

“Li conosci?” mi informai speranzosa.

Lui esitò un secondo prima di rispondere. “La donna no, mi spiace, ma è molto probabile che il leone fosse Aslan”

“Aslan?”

“è il re supremo che governa su questa terra, Narnia.”

Il mio cuore a quella parola perse un battito. Il mio cervello non riusciva a catalogarla, ero certa di non averla mai sentita prima, eppure il mio cuore al solo sentir nominare quella parola era come impazzito. Cercava di dirmi qualcosa, anche se non riuscivo a capire cosa.

“Se è davvero lui credo che tu sia la prima persona a vederlo da secoli.” Proseguì intanto il giovane. “È scomparso da milletrecento anni e questa apparizione potrebbe significare il suo ritorno, o almeno lo spero perché cambierebbe del tutto le sorti della guerra.”

Cercai di seguire il suo discorso ma mi persi completamente. Di quale guerra stava parlando?

Il soldato vide la mia espressione vacua e scoppiò a ridere. “Forse è meglio che ti racconti tutto dall’inizio. Tu mi hai detto la tua storia, è giusto che ora io ti dica la mia”

Era ora, pensai piccata, finalmente qualcuno che si degnava di dirmi qualcosa. Mi preparai all’ascolto, affamata di notizie con la speranza di cavare qualche ragno dal buco.

Il giovane, che scoprii chiamarsi Peter Pevensie, parlò per circa un’ora e io pendetti letteralmente dalle sue labbra. Mi raccontò una storia degna di un libro di fiabe.

Lui e i suoi fratelli, un ragazzo e due ragazze, avevano attraversato un varco per Narnia più di un anno fa, scoprendo di essere i legittimi sovrani di questa terra e che avrebbero spodestato una strega malvagia, riportando ordine e pace. Avevano vissuto per un ventina d’anni a Cair Paravel ma poi avevano per sbaglio riattraversato lo stesso passaggio di tanti anni prima ritrovandosi a Londra con la stessa età di quando l’avevano lasciata. Avevano trascorso in Inghilterra un anno, credendo che non sarebbero più tornati a Narnia, finché due settimane fa erano stati richiamati in questo regno, dove erano passati milletrecento anni e un sovrano di nome Miraz aveva preso il comando di Telmar e dichiarato guerra a tutte le creature magiche.

Alla fine del racconto avevo la testa che mi girava. Non riuscivo a capacitarmi che la sua storia fosse vera, era aldilà di qualsiasi racconto di fantascienza. Se provavo a pensare in modo razionale a tutto quello che mi stava accadendo e che avevo sentito probabilmente sarei uscita fuori di testa. In un lampo di follia mi vennero in mente i postulati di geometria studiati poco tempo fa. Riuscivo quasi a focalizzare la pagina del libro con la loro definizione: “Proprietà non dedotte né dimostrate ma accettate come vere”. Forse avrei dovuto applicare lo stesso principio. Non dovevo sforzarmi di trovare un filo logico in tutto questo ma semplicemente accettarlo come reale e continuare a viverlo. Era l’unico modo per preservare la mia sanità mentale, anche se dubitavo che i matematici autori di quella definizione avrebbero accolto la mia realtà con la stessa facilità di un postulato.

Guardai di sottecchi Peter, o meglio re Peter. Stava aspettando una mia reazione in silenzio, deciso a lasciarmi tutto il tempo di cui necessitavo per assorbire le sue parole. Forse avrei dovuto ricredermi su di lui. La prima impressione era stata pessima, ma era dovuta al fatto che ci eravamo trovati su due fronti opposti senza nemmeno una buona ragione. Spiegate ore le nostre posizioni e abbassata la guardia, sembrava totalmente un’altra persona. Preservava sempre la sicurezza del capitano ma era molto più disponibile e attento nei miei confronti da quando i minotauri e i centauri se ne erano andati. Il suo stesso modo di fare era più disinvolto, puntato a mettermi a mio agio. Iniziava a ispirarmi fiducia ancor più di William.

Decisi che dovevo dare un segno di vita, prima che il giovane pensasse che le mie capacità intellettive erano molto sotto la media. Optai per una battuta di spirito nella speranza di rompere con una risata il momentaneo silenzio.

“Quindi in teoria dovrei chiamarti maestà, giusto?” e accennai un buffo inchino.

Funzionò perché Peter scoppiò a ridere, anche se sospettavo fosse più per il sollievo di vedermi di nuovo capace di pensare che per la mia frase.

“Proprio perché sei tu ti concedo di chiamarmi Peter” ironizzò.

Risi anche io, prima di fare la domanda che mi stava più a cuore da quando aveva finito il racconto. “Dunque la persona che avete combattuto era una strega.” Esordii prendendola alla larga.

Le mie parole ebbero sul suo viso lo stesso effetto della rivelazione delle mie guide. Un lampo allarmato passò un istante sul suo bel volto, ma non feci in tempo ad avere la certezza di averlo visto che era già sparito. Mi chiesi se il passaggio tra un mondo e l’altro non mi facesse avere delle visioni.

“Si, ma era una strega cattiva, abbiamo dovuto ucciderla per il bene di Narnia” affermò deciso. Eppure, nonostante il tono fermo, mi parve di avvertire quasi una nota di scusa nella sua voce. Si, non c’erano dubbi, il cambio di universo doveva avermi fatto male alla testa.

“Però vuol dire che qui le streghe esistono, giusto? Ne conosci delle altre?” domandai d’un fiato.

Purtroppo la mia speranza venne infranta da un brusco segno di diniego della testa del biondo. “Mi spiace”

Non mi persi d’animo però e proseguii con i miei quesiti. “Ma c’è la possibilità che esistono altre streghe, non è possibile che ci fosse solo lei”

“Si, è probabile, ma credo sia meglio che ne parlassi con qualcuno di più esperto di me.”

Avevo il vago sentore che la sua accondiscendenza fosse più puntata a non ferirmi che frutto di una sua convinzione, ma non me ne curai. Avevo bisogno di credere io per prima alla mia frase.

“E dove sarebbe la suddetta persona?”

Un sorriso accattivante curvò le sue labbra. “a Narnia. Cathrine, scegli di venire con me e non perché te lo impongo io, ora che so che non sei un pericolo per noi per me puoi anche andare, ma seguimi per te. Sei una strega, una creatura magica, il tuo posto è tra gli abitanti di Narnia, devi schierarti dalla nostra parte.”

Il suo discorso mi fece restare a bocca asciutta per un attimo. Perché detta da lui la parola “strega” non era così brutta, così estranea. Appariva quasi bella, quasi normale. Non indicava un mostro, semplicemente una mia caratteristica. Il tuo posto è tra gli abitanti di Narnia. Possibile che anche io avessi un posto? Davvero lì mi avrebbero accettata? Ma prima che potessi accarezzare l’idea, la mia mente mi ricordò i volti sconvolti e diffidenti delle creature prima incontrate.

“I tuoi uomini volevano uccidermi” sussurrai con malcelato disprezzo.

“Solo perché sono stati colti alla sprovvista e non ti conoscevano. Devi capire che hanno memoria di un’unica strega, quella che li ha ridotti sotto il suo dominio. Quando hanno visto i tuoi poteri hanno pensato che fossi anche tu cattiva e si sono spaventati” li giustificò. “Quando saremo arrivati a Narnia mi occuperò io di spiegare loro chi sei e che sei dalla nostra parte. Nessuno ti nuocerà e appena ti conosceranno sono sicuro che ti accoglieranno tra loro”

Le sue parole erano davvero suadenti. Il desiderio che delineassero una realtà possibile era tale da farmi dimenticare la prudenza e accettare il suo invito a seguirlo. In fin dei conti non ero arrivata laggiù con la speranza di trovare qualcuno che mi aiutasse a trovare il mio posto? Forse era quella l’occasione che cercavo.

Peter si alzò in piedi e mi porse una mano, con un sorriso convincente. Decisi di buttarmi, di seguire l’istinto che mi urlava di fidarmi. Afferrai la sua mano e mi diressi con lui alla scoperta della terra di Narnia.

 

*

 

“Dunque ci sono centauri, minotauri, sirene, fauni, grifoni e gnomi? Non mi stai prendendo in giro?” mi accertai per l’ennesima volta.

“No, come te lo devo dire? Esistono e sono tutti a Narnia che aspettano noi”

“Wow, ma la prima volta che li hai incontrati non hai avuto paura?”

“Vuoi scherzare? Tremavo da capo a piedi, però mi sono fatto coraggio e dopo un po’ mi sono abituato alla loro presenza. Adesso non ci faccio nemmeno più caso, per me sono amici fidati, consiglieri, compagni. Presto ti abituerai anche tu, tranquilla” mi rassicurò.

“Lo spero, perché temo altrimenti che il mio povero cuore sarebbe costretto a sussultare ogni cinque secondi”

Lui scoppiò a ridere, una risata cristallina che riempì l’aria circostante risuonando tra le fronde degli alberi, che a loro piacimento facevano filtrare i raggi di sole che illuminavano il viso del mio accompagnatore. Aveva davvero un bel viso, fosse nato nella mia epoca probabilmente sarebbe diventato un fotomodello. I suoi occhi sembravano riflettere il colore limpido del cielo primaverile mentre i capelli dorati, ora liberi dall’elmo, parevano attingere il loro colore brillante direttamente dal sole. Per concludere avrei proposto ad ogni ragazzo di mia conoscenza di iniziare di allenarsi con cotta e armatura perché i risultati dell’addestramento di Peter erano davvero notevoli. Anche se era celato dalla corazza, non era difficile constatare che avesse un fisico perfetto. Nel quadro era davvero un bel ragazzo, non potevo negarlo. Anche il suo carattere migliorava di ora in ora. Già attorno al salice avevo notato un cambiamento notevole dei suoi modi, ma adesso era ancora più sciolto e rilassato di prima. Pareva a suo agio con me, e questo era dimostrato dalla ristata alla quale si era appena lasciato andare. Tutto ciò contagiava anche me. Vicino a lui l’imbarazzo e la paura provate poco prima si erano come dissolti. Ero più rilassata, libera di scherzare anche io. In più mi sentivo protetta con accanto lui, sapevo che finché mi fosse stato accanto non avrebbe permesso a niente e nessuno di nuocermi. Dopotutto me lo aveva promesso, giusto?

Senza contare che si era dimostrato un perfetto gentiluomo per tutta la durata del viaggio. Mi aveva aiutato a superare l’ostacolo di un grosso tronco caduto a terra, tranciato i rami più bassi degli alberi per facilitarmi il passaggio e si era informato più volte se necessitavo di una pausa. Ma erano tutti così rispettosi i ragazzi del ventesimo secolo?

“Aspetta c’è un groviglio di rovi lì, un attimo che faccio strada”

Come volevasi dimostrare, risi tra me e me. Voleva ribadire i miei pensieri per caso?

Da bravo cavaliere Peter estrasse la spada e raggiunse l’ammasso verde di rami e spine che sbarrava il cammino. Il mio “prode” eroe assestò due affondi da manuale recidendo due rami, ma dopo qualche altro colpo compresi che avremmo impiegato tutto il resto del pomeriggio prima di passare se avesse proseguito così. I rami erano troppi e troppo spessi, non ce l’avrebbe mai fatta da solo.

Mi avvicinai sorridendo divertita. “Hai bisogno di una mano?”

“No, ho tutto sotto controllo, tra poco ho finito” mi rispose con voce affaticata.

“D’accordo” alzai le mani in segno di resa e feci un passo indietro. Dopo altri dieci minuti la mia pazienza però iniziò a vacillare. Intuivo che non era tra i suoi principi morali farsi aiutare da una fanciulla indifesa in un problema pratico, ma non avevo intenzione di aspettare ancora per il suo orgoglio.

“Peter…” tentai nuovamente.

“Non ti preoccupare, faccio io” ribatté leggermente seccato dal mio secondo tentativo. Era sfiancato dai colpi e sicuramente arrabbiato con i rovi che stavano per avere la meglio, eppure non demordeva.

Sbuffai. Alzai la mano destra, chiusi gli occhi e mi concentrai sui rovi.

Non era la prima volta che usavo i miei poteri sulla natura. Sapevo di essere in grado di far ritirare i rami, di far sbocciare fiori e di evitare alle piante di appassire. Quel lavoro per me sarebbe stato un gioco da ragazzi.

Sentii un fiotto di energia caldo andare dal palmo della mia mano verso i rovi, fino ad entrare in contatto con loro, creando un legame tra i rami e me. Annullai i miei pensieri, facendone risaltare unicamente uno. Una parola, un comando. Ritiratevi.

Un secondo dopo udii un fruscio e un’esclamazione stupita. Aprii gli occhi e vidi con soddisfazione che i rami spinati stavano lasciando libera la strada.

Peter era rimasto con la spada ancora a mezz’aria, il viso leggermente sudato a metà tra l’irritato e lo sbigottito. Poi si girò di scatto verso di me. “Sei stata tu?” chiese sorpreso.

Mi esibii nella migliore delle mie espressioni angeliche. “Avevi bisogno di una mano” proferii semplicemente. Aspettai un secondo ma la magica parolina che volevo non giunse. “Non si ringrazia?” sbottai.

Lui rimise la spada nel fodero e mi voltò le spalle. “Potevo farcela perfettamente da solo.”

Risi. Non potevo farne a meno, ma mi procurò un’occhiata di fuoco. “Scusami ma l’atteggiamento da uomo-con-l’orgoglio-ferito non ti si addice” mi difesi.

Lui sbuffò. “Guarda invece di fare dello spirito” mi intimò.

Obbedii e gettai lo sguardo sul sentiero appena sgombro. Il fiato mi si mozzò in gola. Il bosco era finito, davanti a noi si stendeva una pianura verde smeraldo disseminata da fiori sgargianti. A qualche centinaia di metri di distanza si ergeva una costruzione monumentale in pietra. Era erosa dal tempo e l’edera ricopriva la maggior parte della facciata, ma ciò non sminuiva la sua bellezza, anzi aumentava la sua misticità. L’ingresso formato da un trilitico era preceduto da delle colonne che delimitavano un’arena in rovina, probabilmente una volta teatro di avvincenti duelli. Un corto corridoio portava dentro la costruzione con una lieve discesa e io non potei impedire alla mia curiosità di galoppare. Erano quelle “le rovine” nominate dai soldati? Cosa avrei trovato una volta dentro?

Il giovane sovrano mi diede subito la risposta alla prima delle mie domande. “Arrivati. D’ora in poi devi starmi vicino, mi raccomando, almeno fino a quando non avrò reso pubblica la tua posizione, intesi?”

“Certo” concordai d’un fiato, incapace di staccare gli occhi dall’edificio. Mi ricordava gli antichi templi e mausolei dei film in stile Indiana Jones, dove l’eroe del momento scovava misteri celati da secoli e spiegazioni a quesiti millenari. Avrei trovato anche io quello che cercavo?

Percorremmo gli ultimi passi e in quello che mi sembrò un batter di ciglia superammo la piccola arena entrando nell’ingresso formato da tre grosse pietre.

Varcata la soia, aspettai che i miei occhi si adattassero alla penombra del luogo e… il mio cuore sprofondò. Probabilmente calò anche il mio colorito, tornando a rasentare un tetro bianco-morto. Ad attenderci c’era ogni singola creatura magica esistente su ogni libro di magia che avessi mai letto o anche solo conosciuto. Fauni, gnomi, centauri, minotauri, nani. Senza contare una serie di animali parlanti come orsi, tassi, scoiattoli, topi e chi più ne ha più ne metta.

Al nostro arrivo, tutti, come un solo uomo, si girarono nella nostra direzione. Giusto per mettermi più a mio agio. Ma prima che il mio povero cuore sventolasse bandiera bianca, il mio cervello formulò un pensiero capace di dargli la salvezza. Non stavano guardando me. Non mi stavano minimamente considerando, solo qualche occhiata veloce e disinteressata. Fissavano unicamente Peter, il loro re, al quale tutti si inchinarono e salutarono con reverenza prima di tornare alle loro mansioni. Mi concedetti di fare un respiro profondo. Mai come prima d’ora ero stata tanto contenta di scatenare così poco interesse.

Solo due persone non erano tornate al proprio lavoro ma stavano venendo verso di noi, mi accorsi inseguito. Una delle due era una ragazza molto graziosa, probabilmente sulla mia età, mentre l’altro era un aiutante ragazzo di poco più grande. Il fatto mi fece ritornare tesa come una corda di violino, ma dato che erano entrambi chiaramente appartenenti alla razza umana mi permise di continuare a respirare normalmente.

“Peter, sei tornato! Come è andata la ricognizione?”

La voce squillante della ragazza ci raggiunse prima di lei.

“Non lo so, ho dovuto interromperla e lasciare il comando a Morris. Quando torneranno loro, sapremo.”

Lei annuì con un cenno del capo, poi portò i suoi occhi castani su di me e di nuovo rivide quel lampo di sconcerto passare nel suo sguardo, esattamente lo stesso che aveva attraversato il volto di Peter la prima volta che mi aveva vista. Scambiò una rapida occhiata con quest’ultimo, una muta richiesta di spiegazioni nelle iridi castane, ma questo scosse impercettibilmente la testa. Lei annuire e rilassarsi. Riuscì anche a sorridere scherzosa al fratello dicendo “Peter, non ci presenti alla tua amica?”

Il rapido corso degli eventi mi lasciò leggermente spossata. Guardai di sfuggita l’altro ragazzo accanto alla giovane. Era perfettamente tranquillo, possibile che non si fosse accorto di nulla? Forse non c’era stato niente, forse ero io che stavo diventando paranoica.

 “Non me ne hai lasciato il tempo. Vai sempre di fretta. Comunque lei è Cathrine. Cathrine, lei è mia sorella Susan mentre lui è il principe Caspian. Ti ho parlato di loro, ricordi?”

Annuii impercettibilmente, ben conscia di star facendo la figura della maleducata ma incapace di qualsiasi altra azione perché troppo impegnata a cercare di prevedere le mosse delle mie due nuove conoscenze. Come avrebbero reagito? Il ricordo vivido della violenza del minotauro non aiutava i miei nervi a stare calmi.

Per mia fortuna però, fu la stessa Susan a salvarmi.

“Piacere di conoscerti Cathrine e ben venuta” La giovane fece un passo verso di me facendo muovere la massa di morbidi e lisci capelli castani, e mi porse la mano cordiale, spiazzandomi del tutto. Solo un secondo dopo mi ricordai che non avevo scritto in fronte la parola “strega”. Dal di fuori ero un ragazza normale, e le ragazze normali venivano accolte in maniera normale. Avevo qualche minuto per prepararmi all’esplosione della bomba atomica che la grande rivelazione avrebbe causato, fino ad allora…  “Piacere mio Susan” le afferrai la mano e ricambiai il sorriso, un poco forzato.

“Piacere anche mio Cathrine” anche l’altro giovane mi si avvicinò e mi tese la mano destra. Era alto quanto Peter ma per il resto erano differenti come il giorno e la notte. La sua muscolatura era più accentuata. I capelli, che gli ricadevano in morbide ciocche attorno al viso dai lineamenti marcati, erano castani scuro, mentre gli occhi erano neri come quelli di Peter erano azzurri, ma mentre quelli del re sembravano capaci di scrutarti fino in fondo all’anima, scoprendo ogni tuo pensiero o sentimento, quelli di Caspian parevano due porte verso la sua di anima. Aveva uno sguardo aperto e solare, potevi facilmente intuire ciò che provava in quel momento solo guardandolo, dote che probabilmente portava ad affidargli la tua fiducia.

Ricambiai anche la sua stretta accompagnando il gesto con un “Piacere di conoscerti Caspian”.

“Come vi siete incontrati, Peter non dovrebbe aver attraversato villaggi” Susan stava guardando con occhio critico il mio vestiario, probabilmente per decretare da quale parte dell’universo potessero venire. Azione vana, non avrebbe mai indovinato.

“Infatti. Ma è una lunga storia ed ora sono veramente stanco, come immagino lo sia anche lei, quindi che ne dici se rimandiamo le spiegazioni a più tardi, Susy?” asserì il cavaliere al posto mio. Non potei che trovarmi completamente d’accordo con lui, probabilmente avevo camminato più oggi che in tutta la mia vita! Necessitavo di un bel letto, o di una poltrona, o di una sedia. O anche solo del pavimento, adesso come adesso mi sarei adagiata anche per terra trovando il suolo comodo come un cuscino di piume.

Susan lo guardò storto ma non aggiunse niente, limitandosi ad annuire.

“Bene. Quindi saresti così gentile da trovare una sistemazione alla nostra ospite?” propose poi, facendo esultare silenziosamente le mie membra. Forse era possibile avere qualcosa di più comodo del pavimento.

“Ci penso io.” Gli assicurò lei. “Vieni Cathrine, ti faccio strada” aggiunse poi rivolta a me, sempre mostrandosi molto cordiale. Iniziavo a sentire un moto d’affetto per quella ragazza, anche se dopo l’irruenza dei minotauri probabilmente avrei amato chiunque capace di dimostrare un pizzico di gentilezza.

“Io torno a vedere come procedono le distribuzioni delle armi, invece. Se volete scusarmi” Caspian, da perfetto gentiluomo, si congedò con un breve inchino e si diresse lontano da noi.

“Vado anche io. Ragazze” Peter lo seguì a ruota, anche lui accennando un inchino nella nostra direzione.

Mi sentii in dovere di ribadire un concetto nella mia mente, ovvero: i ragazzi della mia epoca avevano ASSOLUTAMENTE bisogno di tornare indietro di qualche secolo, o anche solo di qualche decennio. Possibile che la galanteria si perdesse tra il XX e il XXI secolo? Gli anni quaranta l’avevano mangiata a colazione?

Mentre rimuginavo su questi accertati fatti, mi feci guidare da Susan che mi condusse al piano superiore dell’edificio attraverso una scala laterale. I miei pensieri altamente filosofici mi permisero anche di non riflettere molto sul mio passaggio attraverso la fauna uscita direttamente dall’Odissea.

“Quella è la stanza di Peter e Edmund, nostro fratello, mentre di qua c’è la mia e quella di Lucy, nostra sorella. Poco più in là c’è quella di Caspian mentre questa è vuota, ma da adesso finché lo vorrai è tutta tua.”  Mi spiegò la ragazza.

Aprì la porta di legno massiccio della camera in questione ed entrò.

“Bhè, effettivamente mi rendo conto che chiamarle stanze è un complimento, per al momento non abbiamo altri luoghi dove andare con la guerra e queste servono solo per dormire e cambiarci. Mi spiace se nel tuo villaggio era …”

La stanza in questione era in effetti uno spazio di dieci metri quadri con un letto improvvisato, un armadio, una sedia e quello che poteva essere definito come un comodino e assomigliava molto più ad una grotta che ad una camera, date le pareti incurvate e scavate nella pietra. Susan si stava giustificando, era evidente, e io sentii l’accenno di affetto provato prima aumentare. Possibile che non capisse che per me andava benissimo? Mi stava dando asilo ed un posto sicuro dove stare senza chiedere nulla sulla mia persona. Certamente si fidava di Peter ma qualsiasi altra persona sarebbe stata perlomeno diffidente e di sicuro non altrettanto disponibile con una perfetta sconosciuta.

“Va benissimo, davvero. Posso solo ringraziarti” interruppi il suo fiume di parole esprimendo i miei pensieri a voce.

Susan parve quasi sollevata e io le sorrisi sincera. “Però io non arrivo da un villaggio, ma da una città” precisai.

“Non sarai di Telmar” la sua espressione cambio repentinamente, diventando sospettosa, ma io mi affrettai a smentirla.

“No, certo che no. A dir la verità non sono di questo mondo. Arrivo dal mondo reale come te e i tuoi fratelli. Siamo addirittura della stessa città, anche io sono di Londra, solo che arrivo dall’Inghilterra del 2009. Sono capitata qui tramite un portale” spiegai concisa.

Susan rimase a bocca aperta, sbigottita, per cinque minuti buoni. Forse le avevo dato troppe informazioni tutte insieme. Io aveva avuto bisogno di tutto il pomeriggio per recepire le spiegazioni di Peter e ancora non le aveva accettate del tutto. Poi però parve riscuotersi e quasi scoppiò a ridere, sorprendendomi. “Bhè, questo spiegherebbe l’abbigliamento. Davvero arrivi dal futuro? E come hai fatto a trovare un portale?”

Notai che impiegò molto meno del fratello a credere alla mia storia, anche se a lei avevo celato la piccola e insignificante parte riguardante i miei poteri. Evidentemente alcune persone impiegavano molto meno ad adattarsi alle novità rispetto alle altre. Approfittando della sua mente aperta risposi subito alla sua domanda.

“è successo, non so nemmeno io bene come. Ero ad Hide Park una sera e improvvisamente con un esplosione è comparsa una sfera di luce. Da quella sera ho iniziato a sentire le voci di una donna e…” ripetei la storia già narrata a Peter, aggiungendo l’incontro tra me e suo fratello più l’arrivo alle rovine e tacendo sui miei poteri. Non ero pronta a rivelarglieli, qualcosa mi diceva che una volta saputo chi ero la sua aria cordiale si sarebbe dissolta nel nulla. Era meglio se la informava Peter, dopotutto era suo fratello, avrebbe trovato le parole giuste.

Susan ascoltò il mio racconto interessata, interrompendomi di tanto in tanto per fare qualche domanda. Alla fine esordì con un “Ecco perché ti ha portata qui. È tipico di Peter, l’ho sempre pensato che doveva nascere nel MedioEvo e non nel 1900. Se non salva qualcuno facendo vedere di aver una soluzione per ogni cosa sta male.”

Risi della battuta, intuendo quanto doveva essere forte e bello il loro legame solo da come parlava di lui e dal suo sguardo acceso nel solo nominarlo. Erano un esempio perfetto di amore familiare. Provai un leggero moto di invidia, ma lo misi presto a tacere. Dovevo essere contenta che almeno qualcuno potesse provarlo, non invidiarlo.

“Si, però devo confessarti una cosa. C’è un piccolo particolare che non ti ho detto, ma sono certa che è meglio se ne parli con Peter, lui ti spiegherà meglio” confessai abbassando lo sguardo, colpevole.

Susan soppesò le mie parole. “è una cosa così brutta dato che non me la vuoi dire?” si informò.

“No, no!” mi affrettai io. Era meglio mettere le mani avanti, così almeno non partiva prevenuta. “non è affatto una cosa brutta ma spesso la gente ha dei pregiudizi a riguardo e non riesce a comprendere che non c’è niente di pericoloso. Per questo è meglio che la dica lui, riuscirà a farla accettare e capire meglio di me” affermai.

Parvi convincerla, anche se mi scrutava curiosa. “D’accordo, ora ti lascio riposare. Ti vengo a chiamare per la cena, tu sistemati pure e se hai bisogno di qualcosa chiama” e con questo uscì dalla stanza chiudendosi la porta alle spalla, lasciandomi sola intenta a sperare che Peter sapesse davvero esporre la notizia nel migliore dei modi. Non avrei sopportato due attacchi alla mia vita nello stesso giorno.

 

*

 Le gambe di Susan scesero gli scalini di corsa ma la sua mente era rimasta nella stanza della nuova e misteriosa giovane. Era certa che non fosse un pericolo, si vedeva lontano un miglio che era spaesata e incapace di fare un’offensiva degna di questo nome, in più si fidava ciecamente di suo fratello. Peter non avrebbe mai portato a casa un potenziale nemico, questo era sicuro. Nonostante ciò aveva provato un brivido di avvertimento lungo la schiena la prima volta che l’aveva vista e il suo istinto le diceva che la spiacevole sensazione era prettamente collegata al segreto taciuto da Cathrine. Era certa che la stessa cosa fosse capitata a Peter quando l’aveva incontrata. Il rapido sguardo che si erano lanciati e il segno di dissenso che le aveva rivolto indicavano che l’aveva capita e che poteva spiegarle. Ma cosa poteva nascondere quella ragazza di così temibile da non volerglielo dire a voce? Aveva assicurato che non aveva celato alcunché di pericoloso, ma di certo non era una notizia futile se non aveva avuto il coraggio di esplicitarla subito. Cosa occultava la ragazza?

La cosa più assurda era però che le sembrava di intuire quale potesse essere il grande mistero. Era sicura di saperlo dentro di sé, ma non riusciva a far sfociare quelle sensazioni in una frase di senso compiuto. Magari una frase che spiegasse anche l’incredibile senso di familiarità che provava senza logica nei confronti di Cathrine. L’ipotesi che l’avesse già conosciuta era da scartare a priori. Era la prima volta che la ragazza andava a Narnia quindi in quel mondo non potevano essersi incontrate, mentre nel suo universo, a Londra, non era neppure ancora nata! Ciò nonostante…

Una chioma bionda spiccò tra una pila ben ordinata di archi e spade attirando la sua attenzione.

“Peter!” lo chiamò eliminando la breve distanza tra loro e scoprendo che accanto a lui si trovava anche Caspian, il quale le rivolse un sorriso radioso nel solo vederla.

Susan cercò di ignorarlo e di rivolgersi con scioltezza al fratello, ma purtroppo per lei non poté impedire alle sue gote di colorarsi di rosso.

“Peter, dobbiamo parlare” ripeté decisa, scacciando quel briciolo di imbarazzo.

Il fratello stava analizzando la carta geografica della regione, probabilmente per la milionesima volta in pochi giorni, ma avvertendo una nota d’allarme nella voce di Susan, decise di dedicarle la sua più totale attenzione, onde evitare scenate e litigi per un futile motivo.

“Susan, hai già sistemato Cathrine?” si informò lui, con calma. Sapeva esattamente di cosa voleva discutere la sorella ed era assolutamente intenzionato a rimandare il dialogo il più tardi possibile.

“Si, la ragazza è di sopra che riposa.” Gli assicurò sbrigativa. “Ed è proprio di lei che voglio parlarti” aggiunse.

Peter sospirò. “Susy, non potremmo rimandare…” provò, ma il suo tentativo venne bruscamente bloccato dalla ragazza.

“No, non possiamo. Mi sono occupata di lei con la massima disponibilità senza chiedere niente, ma adesso mi devi dare una spiegazione.” Il cipiglio battagliero convinse definitivamente Peter a cedere.

“Susan ha ragione, Peter, chi è la ragazza?” si intromise Caspian, beccandosi un’occhiataccia dal re dal chiaro significato: traditore-qualcunque-cosa-dica-o-faccia-sei-sempre-dalla-parte-di-Susan.

“L’ho trovata nel bosco insieme ad un gruppo di soldati di Telmar, oggi durante la ricognizione” cominciò.

“Si, me lo ha detto e mi ha informato anche delle voci e da dove viene.” Lo interruppe nuovamente Susan.

“Voci? Quali voci?” si informò confuso il principe.

“Te lo spiego dopo, è una lunga storia” gli assicurò Susan, stringendogli con dolcezza un braccio “però non mi ha voluto dire una parte della storia. Ha detto che mi aveva nascosto una cosa ma che preferiva la chiedessi a te. Temeva che una volta appresa la notizia avrei potuto reagire male e che magari tu avresti potuto espormela meglio impendendo ciò.” Aggiunse poi rivolta al biondo.

Quest’ultimo sogghignò. Cathrine aveva fatto una mossa saggia, nemmeno lui sapeva come avrebbero reagito la sorella e il principe.

“Quindi si può sapere qual è questo grande segreto?” insistette.

“Si, te lo avrei detto al più presto. Però devi promettermi che mi lasciare finire di spiegare prima di saltare a conclusioni affrettate, intesi?”

La giovane annuì con un gesto impaziente del capo.

Peter inspirò a fondo prima di dire: “Cathrine è una giovane strega. È venuta qui sotto la guida di Aslan che le ha aperto un portale per cercare di capire da dove vengono i suoi poteri e conoscere altre streghe”

Silenzio. Sbigottito, incredulo, assordante. Ma fu il piacere di pochi istanti, prima di un urlo apocalittico mirato a rompere i timpani di tutti i presenti.

“COSA?!”

La “soave” voce di sua sorella sfiorò le tre ottave.

“Peter, ne sei sicuro?” le fece eco il principe.

Grazie al cielo Caspian ha una voce baritonale, pensò Peter, strizzando gli occhi per il fastidio all’udito. Se non iniziavano a fischiargli le orecchie era un miracolo.

 “Si che ne sono sicuro. Ha lanciato un sfera di energia contro Morris per difendersi anche se non gli ha fatto male, lo ha solo atterrato per qualche minuto. In più è riuscita a sciogliere un groviglio di rami solo con il pensiero. È una strega, però è in erba, non sa ancora sviluppare al massimo i suoi poteri” affermò sicuro.

“E pensare che sembra così indifesa a vederla” Caspian era semplicemente sbigottito.

“HAI PORTATO UNA STREGA QUA DENTRO?” Susan era semplicemente infuriata con Peter.

“Susy, calmati” tentò il biondo, mettendo le mani davanti al viso, preparandosi ad una possibile sfuriata.

“Si Susan, non è così grave, qui ci sono già fauni, centauri, minotauri e gnomi, una strega completerebbe solo il quadro” scherzò Caspian, provando a tranquillizzarla.

Se uno sguardo avesse potuto uccidere probabilmente entrambi i ragazzi sarebbero morti all’istante.

“Tu non capisci, non puoi capire, non c’eri l’ultima volta!” inveì Susan.

“Di cosa stai parlando?” il principe inarcò un sopraciglio. Non riusciva a comprendere la reazione a suo parere esagerata di Susan. Con tutte le creature magiche residenti lì dentro perché faceva tante storie per una giovane strega?

“Senti, da che se ne ha memoria è esistita una sola strega a Narnia, la Strega Bianca, colei che più di 1300 anni fa ha soggiogato l’intera popolazione sotto un eterno gelo. Permetti che non sia molto ben disposta nei confronti di un’altra fattucchiera?”il tono era così aggressivo che Caspian si ritrovò ad indietreggiare incoscemente.

Per sua fortuna intervenne Peter. “Susan, ai promesso che finivi di ascoltarmi. Sei arrivata ad una conclusone affrettata e sbagliata”

La furia di Susan si posò su di lui, sollevando il povero Caspian dal peso dello sguardo furente della giovane. “No, credo che sia tu a non aver capito. Lei non ha sentito solo la voce di Aslan o te ne sei dimenticato?”

Si squadrarono per un secondo, seri, Susan ancora arrabbiata, Peter inattesa che la sorella calmasse i bollenti spiriti, il tutto sotto lo sguardo stranito di Caspian che faceva balzare lo sguardo da uno all’altro come se stesse assistendo ad una partita di tennis.

Infine Susan ispirò profondamente e girò di scatto la testa, come se cercasse una verità nascosta nelle pareti di pietra.

Peter le posò una mano sulla spalla e parlò con tono calmo ma deciso. “Ho avuto anche io le tue stesse preoccupazioni e ce le ho ancora, ma non sono motivi sufficienti per prendersela con Cathrine. Ragiona, è unicamente una ragazza di diciassette anni sola, con poteri che non capisce nemmeno lei, in una terra straniera. Quale minaccia pensi che possa incarnare? Ha bisogno del nostro aiuto”

Susan abbandonò la sua posa sostenuta e incurvò le spalle, come se le parole di Peter l’avessero caricata di un peso immane.

Lo guardò quasi affranta, l’espressione arrabbiata del tutto cancellata dai suoi lineamenti. “Hai ragione, ma non posso far a meno di pensare che possa essere pericoloso. E non parlo di lei ma di tutta la situazione, di quello che può comportare darle asilo qui. Peter, sai anche tu che quasi certamente la donna che ha visto era lei. Voleva la ragazza, Aslan evidentemente glielo ha impedito ma ciò non vuol dire che non ci riproverà”

“E cosa proponi di fare, di lasciarla alla sua mercé? Se davvero la sta cercando deve rimanere a maggior ragione qui.” Ribatté deciso.

Susan sospirò contrariata. “Sono sicuro che Aslan avrebbe voluto così e io per primo non intendo lasciarla sola. D’ora in poi è sotto la nostra protezione, qui sarà al sicuro” proseguì piccato lui.

Susan tentennò ancora un momento prima di cedere. “D’accordo, tanto non riuscirei a farti cambiare idea se insistessi. Però teniamo tutti gli occhi aperti, Peter dobbiamo già combattere contro Miraz, non possiamo lottare pure contro lei, ne usciremmo sconfitti”

 “Scusate, io continuo a non capire. Chi è che le sta dando la caccia? Di chi avete paura?”

Caspian, rimasto in disparte finora nella vaga speranza di far luce sulla situazione tramite le loro parole, decise di esporre direttamente il suo interrogativo. Da bisticcio dei due aveva ricavato solo un’immensa confusione mentale.

Peter lo fissò dritto negli occhi, ma fu Susan che con un ringhio soffocato sputò la risposta, una parola innocente che rappresentava la persona più pericolosa per la libertà di Narnia. “Jadis”.

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Capitolo 6
*** 5_Non ti vogliono, è solo finzione ***


cappy 5

e Salve a tutti!!!! 

Inanzitutto vorrei scusarmi per il ritardo con il quale ho aggiornato, volevo postare molto prima ma non riuscivo a finire di scrivere il cappy causa scuola, mi hanno sommerso di verifiche sigh!!! Cmq alla fine ce l'ho fatta e ta-daaan! Ecco qui il 5 cappy, spero che vi piaccia^^ la storia inizia ad entrare più dal vivo ed iniziano ad evolversi i rapporti tra i vari personaggi ^^ ditemi cosa ne pensate ^^ un bacio grande a tutti!

Ringraziamenti:

ranyare:  Grazieeeeeeeee ^^ *me commossa*  sei troppo buona a darmi tutti questi complimenti ^^ grazie di cuore ^^ e sn stra felice che la storia ti piaccia :-)!!!!!! Anche a me nn piace molto la Susan del film difatti me la immagino più tosta, è la regina di Narnia, deve farsi valere e deve adoperarsi per il suo popolo secondo me^^! Io preferisco Peter (nn si era notato vero? hihihhih!) perchè ho la fissa per i biondi  e mi piace troppo il suo animo immacolato da cavaliere ^^ però nn mi dispiace affatto neanche Caspian infatti al cinema i miei occhi balzavano dal volto di uno al volto dell'altro come se stessi seguendo un incontro di tennis hihihih, quindi per la gelosia quando gli vengono assegnate eventuali partner ti posso capire :-)! Sn davvero molto contenta che tu mi abbia recensito, grazie milleeeee *me con la lacrimuccia che legge felice la tua recensione*^^ spero che ti piaccia anche qst cappy ^^ ti mando un bacio grande^^

QueenBenedetta: grazie infinite anche a te cara Queen^^  ci ho messo un po' però alla fine sn riuscita a postare il nuovo cappy ^^ fammi sapere se ti piace :-) ti invio un grande kiss ^^!

Grazie anche a chi l'ha solo letta, mando un bacio a tutti ^^ 

vi auguro buona lettura e spero che commentere il nuovo cappy

kisskisses 

68Keira68

witch

5_“Non ti vogliono, è solo finzione”

 

Devi andare via

Perché?

Non ti vogliono, è solo finzione

Come mai dici così? Mi trattano tutti bene

Perché ti vogliono solo usare, come tutti gli altri, scappa

Non ti credo

Sei una sciocca, lui è malvagio

Ti sbagli

È crudele, non gli importa di te

No!

Sei una stupida, ti farà del male, ti userà e butterà via, non hai trovato nulla, sei ancora sola e lo sarai per sempre

 

“BUGIARDA!”

Mi ritrovai seduta sul letto, la fronte imperlata di sudore e ansante.

Di nuovo quella voce, sempre lei. Ormai mi ero abituata alle sue visite, le aspettavo, ma nonostante ciò non potevo impedire al mio fisico di restare spossato dopo ogni dialogo. Specialmente quando la discussione si faceva attiva come questa volta. Avevo sperato di conoscerla di persona una volta attraversato il varco, ma quando questa mia speranza non si era realizzata, avevo temuto di perdere anche i miei colloqui mentali. Sapere che mi sbagliavo era un sollievo. Avevo ancora tante cose da chiederle, tante domande alla quale non aveva dato una risposta. In più rimaneva ancora l’unica persona dotata di poteri simili ai miei che avevo conosciuto finora. Non potevo permettermi di perdere questo contatto.

Rimuginai sul dialogo appena avuto. Non riuscivo a comprenderne il senso. Non che fosse una novità, a quella donna piacevano le frasi criptiche a quanto pareva, ma questa volta era stata più evasiva del solito. Aveva saputo, in qualche modo a me ignoto, che ero stata ospitata dai re di Narnia, eppure ciò, invece di renderla contenta come secondo me avrebbe dovuto, l’aveva fatta arrabbiare. Mi aveva consigliato addirittura di scappare, ma ciò era letteralmente senza senso. Ero al sicuro tra persone che mi accettavano, non era simile a quello che mi aveva promesso lei? Non era anche per quello che avevo accettato di lasciare Londra? Perché mai non doveva essere d’accordo? Senza contare che non si era nemmeno degnata di esplicitarmi le sue ragioni. Come poteva criticare Peter se non lo conosceva nemmeno, senza aver visto con quale cortesia mi aveva trattata finora?

Il rumore della porta mi distolse dai miei pensieri.

Girai di scatto la testa e scorsi un’esile figura che mi fissava curiosa dalla soia. Era una bambina sui dieci anni, con lunghi capelli castani e occhi grandi e color nocciola. Mi sorrideva colpevole, probabilmente mi stava fissando già da un pezzo.

Ricambiai il sorriso con dolcezza, invitandola ad entrare. Non se lo fece ripetere due volte e piombò dentro la stanza, sedendosi sul bordo del letto.

“Ciao, tu sei Cathrine, giusto? Io sono Lucy” si presentò allegra. Aveva una voce squillante e infantile, adatta alla sua età.

“Piacere, si sono io. Tu devi essere la sorella di Peter e Susan” chiesi, cercando di ricordare la conversazione con Peter sulla sua famiglia, leggermente sorpresa dai modi espansivi della bambina.

Lei annuì. “Il tuo nome è sulla bocca di tutti. Per questo sono qui, ero curiosa di conoscerti” proseguì concitata, neanche fossi una star televisiva.

La guardai confusa. Io, famosa?

“In che senso scusa?”

“Peter ha detto che ospitiamo una giovane strega ma che non sei pericolosa” mi spiegò in breve e con semplicità, come se fosse la cosa più naturale del mondo avere in casa una strega. La sua scioltezza mi lasciò di stucco però non potei non esserne contenta.

Quindi Peter aveva lanciato la bomba. Meno male che mi ero persa gli effetti della rivelazione. Però se ne era uscito solo un mega pettegolezzo forse non mi avrebbero messa al rogo, il che era positivo.

Gli occhi attenti di Lucy mi fissavano curiosi e solari. Quella ragazzina irradiava simpatia da tutti i pori, era impossibile resisterle. Si era catapultata nella mia stanza e senza molte remore si stava accomodando tranquillamente sul mio letto, facendo cigolare tutte le molle. E io che mi facevo chissà quali problemi quando mi trovavo con una persona sconosciuta, avrei dovuto prendere esempio dalla bimba.

“E cosa si dice esattamente?” mi informai.

“Sono tutti increduli, non si vede una strega da un sacco di tempo da queste parti sai?”

“Bhé, ta-daan!” scherzai allora facendo un mezzo inchino. La bimba rise di nuovo, poi continuò a fissarmi. Voleva pormi una domanda, le leggevo una muta richiesta negli occhi, però non aveva il coraggio di esporla a voce. Decisi di venirle incontro.

“Vuoi chiedermi qualcosa?” la incitai disponibile.

Colse l’occasione al volo. “Io…mi domandavo se potevi farmi vedere qualche magia” confessò, con voce volutamente angelica.

Questa volta fui io a ridere sollevata. Era la prima volta che mi capitava una cosa simile. Tutti quelli alla quale avevo mostrato le mie capacità sembravano terrorizzati, lei invece voleva vedere un incantesimo. La accontentai subito.

“Ma certo”

Misi le mani a coppa e feci confluire l’energia all’interno della piccola conca. Era una magia facile, non richiedeva una grande concentrazione. Quando aprii le mani una piccola sfera si librò in aria.

Vedere il volto di Lucy illuminarsi dallo stupore e dalla gioia mi scaldò il cuore. Le piaceva, la mia magia piaceva a qualcuno, procurava felicità. Incredibile.

“Puoi farle cambiare colore?” mi chiese, senza perdere di vista la sfera.

“Sicuro”

Con uno schiocco di dita feci diventare il globo rosso, poi blu, verde, giallo, azzurro, viola.

La bambina batté le mani entusiasta e io decisi di continuare l’esibizione. Trasformai la sfera in un fiore e poi lo moltiplicai, fino a riempirne la stanza. Ogni petalo era di una tonalità diversa e la corolla era luminosa. Questo mandò letteralmente in visibilio Lucy.

“Fantastico, sei bravissima!” si complimentò.

Risi di nuovo. “Esagerata, è solo un piccolo incantesimo” mi schernii io.

“Devi farlo vedere anche a Susan e gli altri, sono certa che gli piacerà” poi ad un tratto parve ricordarsi di una cosa. “A proposito, ero venuta anche per portarti questo” e mi porse un involucro colorato che prima non avevo osservato.

“Grazie” la presi e iniziai a srotolarlo per capire cos’era. Una volta riportato alla forma originaria rimasi sorpresa. Era un vestito simile a quello che aveva Susan, molto probabilmente cucito a mano e interamente ricamato.

“Era mio” mi spiegò Lucy “sai, l’ultima volta che siamo stati qui ero molto più alta, ma ora che sono tornata piccina non mi va più. A te dovrebbe andare bene, così puoi toglierti i vestiti che hai addosso, Susan mi ha detto che sono strani”

Non ha peli sulla lingua, pensai ilare.

“Sono del 2009, vanno molto di moda da dove vengo io”. Poveri jeans, tanto amati nel 2000 e tanto criticati ora. “Però grazie mille, il vestito è davvero…stupendo” aggiunsi, continuando a guardare l’abito entusiasta. Non vedevo l’ora di provarlo, difatti balzai giù dal letto, decisa ad indossarlo subito.

Lucy dovette comprendere le mie intenzioni perché si propose di aspettarmi fuori dalla porta senza che le dicessi nulla. La osservai saltellare fuori dalla stanza, leggera come era entrata. Quella bambina era davvero dolce, la conoscevo da meno di due minuti eppure l’avevo già presa in simpatia. Iniziavo a pensare che ero caratterialmente compatibile con tutti i membri della famiglia Pevensie.

Mi liberai dei jeans e della maglietta e infilai il vestito medioevale. Lucy aveva ragione, era della mia misura fortunatamente.

Lisciai le pieghe della gonna e mi guardai attorno in cerca di uno specchio. Lo trovai sopra la cassettiera e mi ci avvicinai.

Era davvero bello. Rosa antico, con una scollatura a cuore e senza spalline. Le maniche a tre quarti avevano una fine amplia e morbida e il corpetto rigido aveva dei ricami a forma di fiori che finivano all’altezza della vita, lì dove iniziava la lunga e amplia gonna. Il vestito mi segnava i fianchi ma il corpetto era peggio di qualsiasi reggiseno avessi mai provato. Mi faceva la vita più sottile di quello che era ma il prezzo era non respirare. Come facevano a sopportarlo? Avrei dovuto chiedere qualche dritta di sopravvivenza a Susan. Anche se, guardandomi bene, dovevo ammettere che mi aumentava anche di una taglia di seno. Forse potevo fare a meno di cose superflue come prendere aria dopotutto…

L’unica nota stonata erano le mie scarpe. Le All Star non si intonavano decisamente alle gonne lunghe. Pazienza. Ma mentre formulavo questo pensiero il mio sguardo cadde su un paio di ballerine rosa scuro adagiate sul letto. Sorrisi, Lucy aveva fatto le cose per bene.

Mi sfilai le scarpe e indossai le ballerine. Mi stavano leggermente larghe ma riuscivo a camminare senza difficoltà. Poco male. In compenso la visione d’insieme era nettamente migliorata, le scarpe di Lucy erano perfette sotto quest’abito.

Mi diressi verso la porta e la aprii, facendo cenno alla bambina di entrare.

“Fantastica! Stai davvero bene” si complimentò.

“Grazie”

Non potei trattenermi dal fare una mezza piroetta su me stessa per vedere la gonna gonfiarsi. Avevo superato l’età dell’infanzia, ma avevo visto farlo in troppi film e cartoni per non provarlo a mia volta ora che ne avevo l’occasione. L’effetto fu proprio quello desiderato. Il tessuto della gonna si allargò andando a formare un cerchio rosa, facendo balenare nella mia mente l’immagine di Anastasia che ballava in mezzo alle persone che prendevano vita dai quadri.

“L’ho fatto anche io le prime volte” mi confessò Lucy, facendomi l’occhiolino. Io le sorrisi complice.

“Però ti manca ancora qualcosa, aspettami qui”

Non riuscii a chiederle nemmeno cosa intendeva che era già volata via dalla stanza. Quella bambina era un piccolo terremoto. E a dimostrazione di ciò la vidi tornare dentro in meno di mezzo secondo armata di spazzola e una serie innumerabile di nastrini. Iniziai a preoccuparmi, mi aveva presa per un’enorme bambola per caso?

“Hai i capelli che sono un disastro, assomigliano ad un cespuglio”

Ripeto: viva la sincerità!

Lanciai un’occhiata di sbieco allo specchio per constatare se avesse ragione o no. Purtroppo per me dovetti ammettere che forse era stata fin troppo gentile. Prima, presa nell’osservazione dell’abito non l’avevo osservato, ma adesso notavo la mia capigliatura. Altro che orrenda, i capelli erano tutti arruffati e intrecciati, l’immagine del cespuglio calzava a pennello.

“Tranquilla, dammi un nano minuto e ti sistemo” mi assicurò Lucy.

Speriamo in bene, pensai invece io vedendola avvicinarsi brandendo pericolosamente la spazzola. Tanto peggio di così i miei capelli non potevano essere…

 

*

 

“Non dirmi che sei preoccupata”

Due occhi castani, con le sopraciglia leggermente incurvate, fissarono un principe alto e avvenente.

“Susan, sinceramente, ora che mi hai raccontato tutta la storia, non credo tu debba darti pensiero per quella ragazza. Peter ha ragione” proseguì Caspian.

La regina sospirò. “Non è per Cathrine, sono convinta che non sia pericolosa e ora penso anche io che sia giusto darle asilo qui. Ho solo paura che Jadis possa tornare” gli confidò. Erano appoggiati alle colonne dell’ingresso. L’aria fresca della sera accarezzava delicato il viso di Susan, rivolto all’insù per godere della bellezza del cielo primaverile. Era il momento della giornata che preferiva, quando il cielo prendeva quella particolare tonalità blu cobalto, non più giorno ma nemmeno sera, e qua e là iniziavano a spuntare le prime stelle.

Caspian sospirò, poi la guardò serio prima di appoggiarle una mano sulla spalla, come a volersi assicurare la sua totale attenzione. “Ascoltami, anche se dovesse accadere, non ci troverebbe impreparati. Tu e i tuoi fratelli siete riusciti a sconfiggerla in passato e ci riuscireste anche questa volta. Siete forti e avete un intero esercito che vi seguirà ovunque.”

Susan gli sorrise mesta. Considerando che la conosceva da così poco tempo, era davvero molto dolce da parte sua preoccuparsi per lei. D’istinto alzò una mano. Il bisogno di accarezzargli il volto in segno di riconoscenza era nato in lei spontaneo. Ma a metà strada si bloccò. Cosa stava facendo? Tutta questa assurda situazione doveva averla mandata in confusione! Deviò la direzione della sua carezza e gli strinse il braccio, in un muto ringraziamento. Caspian le regalò un sorriso aperto. Non doveva essersi accorto del piccolo dibattito interiore avvenuto in lei per fortuna.

“Comunque non saremo mai abbastanza per fronteggiare sia Telmar che la strega”

Rivolse il suo sguardo verso l’interno della fortezza finché i suoi occhi non si posarono su una chioma bionda. “Senza contare che Peter sembra essere talmente preso dal suo ruolo di cavaliere da aver dimenticato la corona che porta in testa” esordì alla fine con tono di rimprovero.

Caspian aggrottò le sopraciglia. “Non sono d’accordo. Ricordati che tuo fratello è stato ed è un grande re perché ha sempre governato con il cuore. La gente lo ama proprio perché si prende a cuore ogni persona che incontra ed ogni causa. Non accusarlo ingiustamente”

“Non fraintendermi, questo lo so bene. Spero solo che ogni tanto oltre al cuore governi anche con la testa o qui finirà male, credimi”

“Bhé ma per questo ci sei tu. Vi bilanciate alla perfezione” la prese in giro il principe.

Susan rise. “Forse hai ragione.” Un ghigno furbo incurvò le labbra della regina, espressione che non passò inosservata a Caspian.

“Tu hai in mente qualcosa vero?” chiese sospettoso.

“Forse. Solo una mezza idea. Una nuova alleata che potrebbe rivelarsi molto utile se vorrà aiutarci.” Disse teatrale.

“E chi sarebbe?”

“Lo vedrai stasera. Ho convocato una riunione dopo la cena” gli strinse ancora una volta il braccio prima di congedarsi con un sorriso, lasciando il bel principe ad arrovellarsi sulla sua ultima affermazione.

 

*

 

“Davvero Lucy, credi sia una buona idea?”

Eravamo sul mio letto a parlare da ormai un’ora. O meglio io parlavo, Lucy trafficava con i miei capelli felice di aver acquisito un nuovo giocattolo.

“Ma certo, sei bellissima Cathrine”

“Grazie Lucy ma non è l’acconciatura a preoccuparmi al momento”

La bambina mi guardò come se le avessi fatto un torto mortale. Davanti a quella espressione buffa non potei che scoppiare a ridere, cosa che la irritò ancora di più.

“Scusa, senza nulla togliere alla tua opera, temo quello che diranno quando mi vedranno scendere.” Le confidai, abbassando il tono di voce.

Lucy smise si lavorare sui miei capelli per un secondo. “E cosa dovrebbero dire scusa?”

Sbuffai. “Per esempio: una strega una strega! Prendetela, al rogo” scimmiottai.

Lucy mi diede una piccola spinta scocciata sulle spalle. “Non dire stupidaggini. Te l’ho detto, nessuno a parlato di roghi o decapitazioni, stai tranquilla”

“Però hai detto che ero sulla bocca di tutti. Possibile che ogni persona l’ha presa bene?”

Non riuscivo a credere che un segreto che avevo tenuto nascosto così a lungo venisse accolto con così largo consenso.

“Bhé…” la voce titubante di Lucy mi fece drizzare le orecchie. Forse avevo parlato troppo presto. “Non hanno subito fatto i salti di gioia effettivamente, sai il ricordo del regno della strega brucia ancora in molti cuori nonostante siano passati secoli.” Fece una pausa.

“E…?” La incoraggiai, iniziando a preoccuparmi.

“La maggior parte di noi quando ha capito che eri brava ha accettato la novità, davvero. Solo alcuni sono rimasti più titubanti. Hanno detto che non si sarebbero fidati. Però hanno giurato che non ti avrebbero fatto alcun male e che ti avrebbero lasciato in pace. E poi sono solo una piccola percentuale, sul serio” cercò di minimizzare

Tirai un grande sospiro. Bhé, tutto sommato era andata bene se Lucy aveva detto la verità. “E Susan e Caspian?”

“Per Caspian non ci sono problemi, anche se lui non essendo di Narnia non ha mai avuto nulla contro le streghe. Susan è stata un po’ più restia per… ecco…” si interruppe come per cercare le parole adatte. Poi riprese cambiando frase “ma ora è tutto a posto. Ha detto che sei la benvenuta” concluse sorridendo. L’affermazione lasciata a metà di prima mi incuriosì, ma decisi di non darci peso.

“Bene, ora si scende. È pronta la cena, è inutile che rimandi ancora” esclamò Lucy allegra, lasciando completamente da parte il discorso appena avvenuto. Quanto avrei voluto avere la sua spensieratezza… Decisi che potevo cercare almeno di imitarla.

Mi stampai un bel sorriso in faccia e mi alzai dal letto. Gettai una rapida occhiata allo specchio per guardare il lavoro di Lucy. Era stata brava, era riuscita a lisciare i nodi dei capelli e a ridargli la forma originaria. Poi aveva preso due ciocche, una per ogni lato, e le aveva legate indietro, lasciando il resto dei boccoli ricadere ribelli sulle spalle.

“Andiamo” dissi, affidandomi alla vivace ragazzina di dieci anni che mi sorrideva sincera.

Speriamo in bene…

 

*

 

Affollamento. La prima sensazione che ebbi entrando nella sala da pranzo, guidata passo per passo da Lucy, fu quella di affollamento, anche se non era certo che suddetta impressione fosse data dall’eccessivo numero di creature nella stanza o dalla loro mole imponente che occupava ogni spazio. Il risultato era comunque uguale.

Mi sentivo quasi di soffocare, c’erano più persone lì che alla Queen’s!

C’era una grande tavolo in legno a forma di U che occupava tutta la sala. Si beveva, si mangiava e si scherzava, molti erano in piedi, qualcuno accennava a qualche mossa con la spada o recitava barzellette per far ridere gli amici.

Mossi un passo verso l’interno, pronta a procurarmi un gran mal di testa per colpa del vociare perforante e assoluto che vi regnava. Un secondo dopo però cambiai idea. Forse non mi sarebbe venuto il mal di testa. In un secondo infatti un’unica voce tuonante fece zittire tutte le altre con una semplice frase: “è qui” due sillabe capaci di ammutolire dei centauri. Come un sol uomo tutti gli occhi della sala furono puntati su di me. Mi si bloccò il respiro. E adesso?

Calma, regola i battiti del cuore. Fingi di essere ancora a scuola, eri fissata sempre anche lì, non è molto diverso. Pensai per farmi forza. Cercai di non soffermarmi sul dettaglio che i miei compagni di classe non avevano né corna né zoccoli.

Due secondi dopo gli sguardi erano ancora puntati su di me. La mia espressione era impassibile. La maschera che mi ero costruita in molti anni era dura da buttar giù, a quanto pareva sopportava anche le creature mitologiche. Però oltre alle occhiate si erano aggiunti anche i brusii. Mi guardavano e poi bisbigliavano, cosa che non avevo mai sopportato. Scorsi espressioni basite, alcune, la maggior parte, erano semplicemente sorprese, altre curiose. Altre ancora invece, con mia grande preoccupazioni, erano diffidenti o, peggio, aggressive. Constatai però che Lucy aveva detto il vero. Gli sguardi dell’ultima categoria erano la minoranza.

Al terzo secondo un giovane biondo e atletico venne nella mia direzione. Peter mi parve un’ancora di salvezza.

Mi si accostò e mi sorrise aperto. “Sei stupenda. Gli abiti di Narnia ti donano più dei tuoi pantaloni sai?” si complimentò, incurante delle occhiate di fuoco che si era procurato presso i presenti.

Decisi che se lui poteva ignorare tutto e tutti con tanta nonchalance potevo farlo anche io. Cercai di ridere spigliata al suo riferimento ai miei jeans e lo ringraziai per il complimento.

Davvero un ottimo lavoro, sedici anni di recitazione danno i suoi frutti se riesco a simulare una risata vera in simili condizioni.

“Lucy hai fatto un ottimo lavoro. Spero non ti abbia fatto impazzire, non ti ha usata come una bambola vero?” aggiunse poi rivolto a me.

A dire il vero si. Sarebbe stata la verità, però dopo tutta l’opera svolta mi sentii in dovere di difenderla. “No, è stata molto brava”

“Il solito sospettoso!” si lagnò la bimba facendo ridere il fratello.

“Avrai fame, vieni, ti accompagno al tuo posto”

Mi porse il braccio, da vero gentil’uomo, e si fece largo tra gli sguardi allibiti e curiosi dei presenti.

Mi condusse dall’altro capo della sala, per prendere posto nella tavolata in centro, alla destra di una sedia più alta rispetto alle altre che presunsi fosse la sua.

Ci accomodammo entrambi, sempre sotto gli occhi attenti del nostro pubblico, e solo quando sia lui che io iniziammo a parlare e cenare come se niente fosse, impresa solo apparentemente facile quando hai più di cinquanta pupille che ti perforano la nuca, a poco a poco ognuno tornò alle proprie occupazioni, limitandosi a lanciare qualche occhiata di sottecchi come ad accertarsi che me ne restassi seduta buona buona e non iniziassi a lanciare fulmini e saette.

Non sentire più il peso dei loro occhi fu un sollievo.

“Mamma mia, temevo non la smettessero più” bisbigliai, accennando un sorriso allietato.

“Tranquilla, si abituano presto alle novità, dagli tempo, tra poco ti accoglieranno a  braccia aperte, fidati” mi assicurò Peter.

“Certo, come no” sussurrai sorridendo mesta.

Lui si accorse della mia espressione e mi diede un buffetto sulla guancia. “Ehi, niente facce tristi, intesi? Ti ho promesso sicurezza e accoglienza ed è quello che avrai”

Come potevo negargli un sorriso sincero se mi parlava con un tono così dolce?

“Ecco, così mi piaci, allegra” ridemmo tutti e due, procurandoci di nuovo qualche occhiata storta.

“Peter, Cathrine” la sorella di Peter, Susan, ci raggiunse con passo di marcia.

“Susan”la salutai cercando di essere il più cortese possibile. Lucy mi aveva detto che aveva avuto qualche difficoltà in più degli altri ad accettarmi, era meglio procedere con cautela in sua presenza.

“Susan, dov’eri finita? Noi abbiamo già iniziato”

“Stavo organizzando una riunione per stasera” spiegò professionale.

“Una riunione?” ripeté sorpreso Peter.

“Si, sai credo che alcune novità vadano discusse con i generali, in modo da chiarire meglio la situazione. Ad alcuni non sono bastate le tue parole sbrigative sulla nostra ospite. Vogliono conoscerla da più vicino”

Alle sue ultime parole quasi mi strozzai con un boccone di una bistecca. Afferrai al volo un bicchiere d’acqua per evitare un soffocamento, eppure la sensazione di non avere aria a sufficienza non se ne andò nemmeno una volta deglutito.

“Cathrine, tutto bene?”

“Si…coff…sto bene, grazie.”

“Per te non è un problema vero Cathrine?” si informò Susan, guardandomi anche lei preoccupata.

Da come mi squadravano apprensivi dovevo essere diventata blu. Era meglio se mi affrettavo a rispondere, anche se avrei voluto pronunciare una frase del tutto opposta a quella che dovevo dire.

“No problem, la trovo una richiesta ragionevole da parte loro”

Susan mi sorrise soddisfatta. “Bene, anche perché ti riguarda direttamente anche il secondo punto dell’ordine del giorno” rivelò.

Iniziai di nuovo a sudare freddo. Di cosa stava parlando?

“E quale sarebbe?” a giudicare dalla domanda, Peter doveva saperne quanto me. Questo mi diede un po’ di conforto.

“Lo vedrete. Ora se volete seguirmi, la riunione inizia di là tra circa cinque minuti. I generali, Caspain, Lucy e Edmund ci stanno aspettando”

Lucy? pensai tra me e me. Feci scorrere lo sguardo sulla tavolata. Effettivamente non c’era, non me ne ero nemmeno accorta, ero convinta fosse seduta qualche posto più in là.

“Arriviamo” Peter si alzò e si diresse verso un’apertura in un angolo in fondo alla sala. Io mi affrettai a seguirlo. Tra subire il terzo grado ed essere alla mercé di minotauri preferivo di gran lunga il terzo grado. Anche perché almeno lì c’era Peter, il mio porto sicuro.

Imboccammo uno stretto corridoio illuminato da una serie di torce appese al muro. Con meraviglia notai che la parete in pietra era decorata con dei graffiti. Mi fermai ad ammirarne uno. Raffigurava due ragazzi e due ragazze accanto a quelli che sembravano troni. Le due ragazze e uno dei due ragazzi erano mori, mentre il ragazzo più alto aveva i capelli dorati come la corona che portava sul capo. La comprensione arrivò immediata.

“Siete voi” sussurrai, sfiorando con delicatezza il disegno.

Peter mi si accostò “Si, noi la prima volta che siamo stati qui. Questo è il momento della nostra incoronazione” avevo avvertito davvero una nota malinconica nella sua voce?

“Quindi questi graffiti hanno più di milletrecento anni?” chiesi stupefatta.

“Esatto”

“Ah” guardai di nuovo ammirata la parete. “Fa un certo effetto.” Peter mi guardò accigliato. “Insomma” mi affrettai a spiegare “Tu sei qui accanto a me, ora, mentre questo disegno di raffigura in una scena avvenuta milletrecento anni fa, e tu non sei minimamente cambiato. È strano”

Mi sorrise comprensivo. “Si, fa un certo effetto anche a me” condivise.

Proseguimmo per il corridoio. Ogni tanto ci fermavamo per commentare qualche graffito in particolare. Da quel che aveva compreso raccontavano le principali avventure che avevano vissuto al loro primo arrivo. Mi illustrò il ritratto di un certo signor Tumnus, un caro amico di Lucy, dei coniugi Castoro, dei Doni di Babbo Natale e di Cair Paravail, il loro palazzo costruito su infinte colonne e con una cupola di vetro. Una scena in particolare catturò la mia attenzione. Era un altro palazzo, bianco come la neve e situato su un’altura. Sembrava fatto di ghiaccio. Lo fissai incantata. Era stupendo, con le guglie alte fino al cielo, bello, imponente e…inspiegabilmente famigliare. Mi sorpresi di quest’ultima sensazione, eppure ero certo che lo avevo già visto da qualche parte, molto tempo fa. Ma di certo era solo una sensazione, dubitavo che in Inghilterra esistessero castelli del genere.

“Questa è la vostra residenza estiva?” scherzai rivolgendomi a Peter, poco più avanti. Peter mi sorrise divertito “Non abbiamo residenze estive…” ma le sue parole si interruppero appena videro ciò che stavo guardando. Per un secondo riapparve quell’espressione sconvolta che mi sembrava aver colto anche quel pomeriggio. Ma di nuovo scomparve prima di darmi la certezza che ci fosse stata.

“Mi ero dimenticato di questo graffito” osservò piatto.

“è molto bello”

“Preferisco Cair Paravail.” Mi rispose laconico. L’improvviso sbalzo d’umore non mi piacque. Cercai di cambiare discorso.

“Sai, credo dovremmo raggiungere Susan, ci stiamo facendo attendere troppo” tentai. Parve funzionare.

“Si, meglio non farla arrabbiare, credimi. Vieni” e mi afferrò la mano, facendo tornare l’espressione cordiale di poco prima. Chissà perché quel semplice disegno gli aveva provocato quella reazione. Forse avevo toccato un tasto dolente senza volerlo… mi ripromisi di non tornare sull’argomento, non mi piaceva quando le sue labbra non mi sorridevano più.

Presa dai miei ragionamenti non mi accorsi della sua mano che stringeva la mia. Quando ciò avvenne la reazione fu istantanea. Il sangue si concentrò tutto sulle gote, sentivo la faccia in fiamme e la mano che lui teneva ardeva. Mi diedi mentalmente della sciocca, avevo avuto una reazione da dodicenne. La sorpresa di avere un contatto improvviso mi aveva fatto arrossire, che stupida…

 

*

 

La galleria conduceva in una stanza rettangolare molto ampia e illuminata da una serie di fiamme che brillavano adiacenti al muro. Appena entrammo, un orso, due minotauri e due centauri, che delimitavano il perimetro della stanza, e Caspian, Susan, Lucy e un altro ragazzo accomodati, chi sopra chi accanto, ad un grande blocco di pietra spaccato a metà, tacquero all’istante, rivolgendo la loro attenzione a noi. Fantastico, era la seconda volta nel giro di un’ora che venivo vivisezionata con lo sguardo.

Fortunatamente però non durò a lungo, in quanto il ragazzo alto e bruno a me ancora sconosciuto mi si avvicinò con la mano tesa e un sorriso aperto sul volto.

“Ciao, tu sei Cathrine vero?” mi salutò con un timbro di voce più baritonale di quello che a prima vista gli avrei attribuito. Non doveva essere molto più grande di Lucy ad occhio e croce.

Gli strinsi la mano. “Si, sono io.” Ripetei per l’ennesima volta quella giornata. “Tu invece sei…?”

“Edmund, il fratello minore di Peter” si presentò accennando con il capo a Peter.

Dunque lui era l’ultimo dei Pevensie, ora li conoscevo tutti, e dai modo educati con i quali si era presentato potevo confermare la mia teoria. I Pevensie dovevano avere la cortesia nel sangue.

“Piacere di conoscerti”

“Piacere mio”

“Mi piacerebbe fosse un piacere condivisibile” una voce possente rimbombò nella sala come un ringhio.

O è un minotauro o è un centauro. Scommisi tra me e me. Mi volsi verso la fonte dell’esclamazione. Bingo, era un minotauro.

“Lo sarà presto Morris, uno dei motivi per cui ho indotto la riunione è proprio quello di farvi conoscere l’ultima arrivata” Susan venne in mio soccorso.

“Che si presenti dunque. Finora sappiamo solo come si chiama e che è una strega. Per il resto potrebbe anche essere una spia di Telmar” proseguì Morris.

Morris, Morris…il nome non mi è nuovo. Non era forse…merda! In un lampo mi ricordai del nome. Era il minotauro che avevo atterrato quel pomeriggio. Accidenti, proprio lui doveva partecipare alla riunione? Chissà perché qualcosa mi diceva che non era tra i miei fan…

“Calmati. Ragiona, è una strega, non può lavorare per Telmar quando quest’ultima è decisa a cancellare le creature magiche dalla faccia della terra. Sarebbe contradditorio non ti pare?” Peter mi difese a denti stretti.

“Esatto, è poi Cathrine non è ancora coinvolta nella guerra. Arriva da Londra, l’altro mondo, come noi. Non sa nemmeno dove si trovi o cosa sia Telmar” Susan si unì a Peter nel prendere le mie parti.

Evvai, per fortuna dalla mia avevo i Pevensie, Morris poteva fare ben poco contro i re e le regine.

“D’accordo, forse non collabora con Telmar, ciò non implica che non sia pericolosa”

Un centauro imponente fece un passo avanti, esprimendo la propria opinione.

Anche questa volta Peter e Susan stavano nuovamente per contrattaccare, ma ritenni più giusto prendere la parola. Avevo diciassette anni, non potevo nascondermi dietro due custodi, per quanto trovassi confortante l’idea di averli.

“Non farei mai del male a nessuno di voi.” Affermai cercando di avere la voce più ferma possibile. Non avevo mai avuto problemi a parlare davanti ad un pubblico però ora, dato che i miei ascoltatori non rientravano propriamente nella norma, ero sicura di iniziare a comprendere la così detta “ansia da palcoscenico”. Cercai di farmi forza indirizzando i miei pensieri sull’altra metà del pubblico, in particolare sul re. “Peter mi ha spiegato la vostra situazione e sono dalla vostra parte.” Conclusi decisa.

Le due creature mi fissarono sospettose.

“Ci dobbiamo fidare della parola di una sconosciuta quindi?” riprese Morris.

Forse oltre all’ansia da palcoscenico potrei iniziare a provare anche l’istinto omicida…

“Per me è più che sufficiente”

Tutti ci girammo verso la fonte di quella frase a me favorevole. Con stupore mi accorsi che a parlare era stato un topolino vestito da moschettiere abbarbicato accanto a Lucy sopra il blocco di pietra.

“Per favore, guardatela, è spaesata, si vede lontano un miglio che non costituisce alcun pericolo, come potete dubitarne? E poi il nostro re ha detto che è sotto la sua protezione, e questo dovrebbe bastare anche ai più scettici mi pare. O non ti fidi più della parola di re Peter, Morris?” proseguì provocatorio il roditore, sotto il mio sguardo sempre più sbalordito ma anche riconoscente.

Con mio sommo piacere notai che aveva messo il minotauro in difficoltà con l’ultima affermazione.

“Non osare insinuare niente del genere, Ricipì. Il re ha la mia piena e cieca fiducia” si difese ufficioso.

“Bene, allora vuol dire che non abbiamo più niente da discutere su questo punto.” Lo rimbeccò il topolino. Poi si rivolse a me, prendendomi in contropiede.  “Lady Cathrine, io sono Ricipì, cavaliere di Narnia a suo servizio” dopodiché tirò fuori la spada e mi fece una profonda riverenza.

Non sapevo se ridere della buffa situazione o se comportarmi come se nulla fosse. Dal momento però che aveva preso le mie parti, optai per la seconda.

“Lieta di fare la tua conoscenza cavaliere Ricipì” e accennai un inchino con il capo, cercando di non pensare al fatto che mi stessi presentando ad un topo.

“Credo possiamo passare al secondo punto dell’ordine del giorno allora” ci richiamò Susan, schiarendosi un poco la voce.

Quando si fu assicurata di avere l’attenzione di tutti i presenti cominciò il suo discorso. In quel momento l’ammirai molto. Parlava fluida, sicura di sé e delle sue idee, conscia della sua posizione. Se avessi dovuto prendere il suo posto non avrei saputo da dove cominciare.

“I nostri nemici sono alle porte, ogni giorno si avvicinano sempre di più e Miraz recluta continuamente nuovi soldati…” illustrò la regina.

“Questo lo sappiamo bene, Susan” la interruppe Edmund.

“Come sappiamo che possiamo affrontarli, anche noi siamo in tanti” commentò Morris borioso.

“Si, ma quello che non sapete” riprese irritata dall’interruzione Susan “E che Miraz potrebbe non essere l’unico nemico che dovremmo affrontare…”

“Come?”

Tutti i presenti la fissarono sconvolti e sorpresi. Tutti tranne i Pevensie e Caspian. Notai che Peter alla mia destra si limitava a fissare in cagnesco la sorella. Chissà perché…?

“Un’altra minaccia? Regina, con il dovuto rispetto, ne siete sicura? Chi potrebbe essere?” Ricipì espresse i pensieri di tutti.

Susan parve tentennare, d’un tratto meno sicura di come era stata finora.

“Bhé, noi…”

“Susan” Peter la richiamò secco. La ragazza gli lanciò un’occhiata veloce mordendosi il labbro inferiore. Di nuovo mi sembrò di vedere passare tra di loro un’occhiata d’intesa ma…in un battito di ciglia era nuovamente scomparsa. Forse dovevo davvero andare in analisi…

“Noi non sappiamo ancora con certezza chi o cosa sia purtroppo, ma abbiamo ottime ragioni di credere che presto Miraz non sarà più il nostro unico problema” concluse decisa.

“Ma un’idea dovrete pur avercela.” Si intromise il centauro.

Di nuovo un’ombra di incertezza adombrò Susan. “Solo vaga. Crediamo possa essere una vecchia nemica ritornata per riprendere da dove aveva finito, ma per ora non sappiamo nulla di più”

“E come possiamo costruire una difesa basandoci su supposizioni?” la provocò Morris. Forse mi ero sbagliata, Morris non era scorbutico con me perché gli stavo antipatica. Morris era scorbutico e basta.

“Purtroppo se le nostre supposizioni sono corrette l’unica cosa che noi possiamo fare e tenerci pronti al peggio” gli rispose Caspian rigido.

“Ma potrebbe non essere abbastanza, abbiamo bisogno di aiuto” proseguì Susan, ringraziando con lo sguardo il principe per il suo intervento.

“A chi? Narnia non ha molti alleati di recente” fece osservare il secondo minotauro.

“A noi basta l’aiuto di una sola persona, la stessa che avete trattato tutti con diffidenza ciechi come siete, ma che potrebbe rivelarsi la nostra unica speranza.” Rispose Susan, che accanto al blocco di pietra stava facendo scorrere il suo sguardo sincero quanto determinato sui presenti, soffermandosi per ultimo su…di me.

Iniziai a sentire caldo. Avevo una brutta sensazione. Anzi, una tremenda sensazione, e il formicolio che sentivo alla nuca, indice che molti altri ora mi stavano fissando, non mi aiutava affatto.

“Lei?” Morris quasi ringhiò. Lo guardai storto per come mi aveva appellata però da una parte dovevo ammettere che ero in accordo con lui. Io?

“è una strega, se imparasse ad usare al meglio i suoi poteri potrebbe esserci di grande aiuto contro Miraz in più potrebbe rappresentare la nostra unica speranza per il pericolo che arriverà” spiegò concisa Susan.

No, no, no. Ditemi che non sta accadendo, che non sto sentendo quello che temo di sentire!

Deglutii a vuoto più volte. Iniziai a sentirmi molto, ma molto male.

“Ma non sappiamo nemmeno se possiamo fidarci di lei” irruppe il centuaro.

“Questo punto mi sembrava che l’avessimo già chiarito o sbaglio?” lo rimbeccò Ricipì.

“In più abbiamo ragione di credere che Aslan stesso ha portato Cathrine da noi” rivelò Caspian.

Quel nome ebbe un effetto incredibile. Nell’aula piombò un silenzio quasi religioso.

“Re Aslan?” bisbigliò Ricipì, con gli occhietti colmi di stupore.

“Esatto, secondo noi voleva inviarci un aiuto” Susan si voltò verso di me, sorridendo per rassicurarmi, come se fossi una bambina.

La sensazione di malessere aumentò a dismisura.

“Cathrine” Susan parlò con voce calma ma decisa “Saresti disposta ad aiutarci? Abbiamo bisogno di te e dei tuoi poteri per vincere questa guerra. Non te lo chiederei se…” ad un tratto vedevo la sua bocca muoversi eppure non riuscivo più a comprendere il suo discorso. La mia mente era stata occupata da un ricordo, nitido quanto doloroso, da una voce cristallina che prediceva tutto quello.

Mi trattano tutti bene. Perché ti vogliono solo usare, come tutti gli altri.

Possibile avesse ragione? Guardai il volto di Peter che mi stava accanto, sperando di trovare qualcosa che smentisse i miei pensieri. Ma i suoi occhi non erano puntati su di me, continuavano a fissare la sorella, il volto era una maschera contratta.

“Susan” la richiamò per la seconda volta quella sera. Sembrava arrabbiato. “Ti rendi conto di quello che le stai chiedendo?” la sua voce era misurata, come se non volesse far trasparire il mare di emozioni che chiaramente gli si leggeva negli occhi azzurri.

Susan lo guardò a bocca aperta, offesa. “Peter, abbiamo bisogno della sua magia se vogliamo sperare di uscire vittoriosi da questa faccenda. Deve aiutarci”. Aveva parlato lentamente, come se si rivolgesse ad un ritardato, evidentemente sorpresa che il fratello non la pensasse come lei.

La reazione di Peter fu inaspettata e più decisa di quanto mi aspettavo. Con un passo annullò la distanza che ci separava e mi cinse la vita con un braccio, attirandomi a sé protettivo.

Senza rendermene conto, sentii il suo corpo caldo aderire al mio e un benessere improvviso mi pervase. Mi strinsi a lui istintivamente, attratta dal senso di protezione che le sue braccia emanavano, dimentica che stavano discutendo del mio destino o dei minotauri pronti ad analizzare ogni mio gesto. Avevo il mio custode accanto, non dovevo preoccuparmi.

Sei una sciocca, lui è malvagio. Ti sbagli.

Questa volta potevo affermare di avere ragione.

“Lei non è tenuta a fare niente che non desideri, Susan.” Le sue parole furono quasi un ringhio. Sussultai, finora aveva sempre usato un tono di voce calmo.

Susan però non si fece intimorire. “E chi ti dice che non lo desideri? Glielo ha chiesto?” Peter esitò, la sorella lo aveva preso in contro piede. “Ha detto che sta dalla nostra parte, che ritiene che siamo dalla parte del giusto. Perché non dovrebbe voler aiutarci?” ne approfittò la ragazza, con sguardo trionfante.

Quindi secondo lei, dato che avevo espresso la mia preferenza, avrei dovuto sguainare la spada ed andare in prima linea a farmi ammazzare? Cos’era, uno scherzo? Capivo che lei in quanto regina doveva salvaguardare il suo popolo, però io in quanto persona dovevo salvaguardare la mia vita. E il mio caro istinto di sopravvivenza al momento mi imponeva di prendere la parola per difendermi.

“Susan, è vero che sono dalla vostra parte, l’ho detto e lo ribadisco, però non ho intenzione di combattere” affermai con tranquillità.

Susan mi fulminò con lo sguardo ma io non feci una piega. O meglio, il brivido lungo la schiena lo aveva sentito eccome, però mantenni una facciata impassibile.

“Quindi sei qui, sei dalla nostra parte ma ti limiti a farci gli auguri e te ne lavi le mani?” sibilò.

“Susan, Cathy ha ragione, non puoi obbligarla a lottare per noi se non se la sente” anche Lucy stava prendendo le mie difese.

“Non me ne lavo le mani. Se posso fare qualcosa per voi la faccio più che volentieri, ma non chiedermi di combattere, non ho mai partecipato ad una guerra e non voglio entrarci. Non me la sento di rischiare la mia vita, mi spiace” ribadii. Mi dispiaceva sul serio, avevo capito che erano in difficoltà e gli auguravo di tutto cuore di vincere, ma non avrei guerreggiato in prima persona.

Susan aprì la bocca per ribattere ma poi la richiuse, come se fosse troppo sconvolta per parlare. Fece un grande respiro per calmarsi prima di riprendere la parola.  

“Ti rendi conto che con il tuo aiuto potresti salvare molte vite? La maggior parte delle persone che hai visto a cena potrebbe morire durante i prossimi scontri. Ma se tu ci aiutassi potresti evitare questo massacro!”

“Senti, mi dispiace ma io non me la sento di usare la magia per uccidere altra gente e ancora meno mi sento di rischiare la mia vita” esclamai irritata dalla sua insistenza. Non poteva perseverare nella sua richiesta, non ne aveva il diritto.

“Smettila Susan, le abbiamo offerto protezione non un posto nel nostro esercito, ricordi?” disse Peter, stringendomi di più a sé.

“Si, peccato che senza il suo aiuto molto probabilmente non ci sarà nessuno vivo per proteggerla” ribatté acida pestando un piede a terra per la frustrazione.

Caspian le si avvicinò e le mise entrambe le mani sulle spalle. Accostò la sua bocca all’orecchio di lei e cercò di farla ragionare. Con sollievo notai che evidentemente era solo lei a volermi arruolata.

“Susan, deve fare ciò che ritiene più giusto, non hai diritto di adirarti con lei. So che credi di fare il bene di Narnia, ma non puoi sacrificare lei per questo.”

“Non voglio mica portarla al macello, le sto chiedendo un aiuto per non vedere il mio popolo alla rovina” precisò piccata lei.

Da un lato la capivo, sentiva sulle spalle il peso della responsabilità della vita di milioni di persone, non doveva essere affatto facile. Eppure, pur dandole in parte ragione, non riuscivo a partecipare alla guerra.

“Ce la faremo anche senza magia, Susan, te lo posso assicurare” cercò di tranquillizzarla Caspian, ma Susan si liberò dalla sua presa e si rivolse a me.

“Hanno ragione loro, non posso costringerti a partecipare alla guerra. Però ti chiedo di riflettere sulla tua condizione. Sei qui al sicuro grazie a noi e ad altre persone che quotidianamente rischiano la vita mentre tu non fai nulla. Se chiederti aiuto è sbagliato, quello che fai tu cos’è?”

Mi sentii punta sul vivo. Ma come si permetteva? Aveva una vaga idea di cosa avevo passato nelle ultime quarant’otto ore? E nei miei ultimi diciassette anni? Sapeva forse chi ero, cosa cercavo e cosa volevo? Mi avevano portata loro qui, io non avevo chiesto niente! Ma dov’era finita la Susan tanto buona e gentile che solo qualche ora prima mi aveva accolta a braccia aperte? Possibile che il solo sapere che ero una strega aveva cambiato il suo atteggiamento nei miei confronti in maniera così radicale?

“Bene, se è questo il problema tolgo il disturbo immediatamente. È tuo diritto cacciarmi di qui come è mio diritto non partecipare alla guerra. Grazie per la cena e per il vestito, me ne vado subito” sbottai arrabbiata, cercando di allontanarmi, seppur a malincuore, dal petto caldo e rassicurante di Peter. Peccato che, o forse fortunatamente, lui non me lo permise. Rafforzò la presa sul mio bacino e si adirò con Susan.

“Tu non vai da nessuna parte! Susan, si può sapere cosa diamine ti è preso? Io le ho detto di venire qui e sempre io le ho giurato che sarebbe stata al sicuro senza dover niente a nessuno e non intendo venire meno alla mia parola.”

Peter la guardò in cagnesco fin quando lei non abbassò lo sguardo sconfitta e si passò una mano tra i capelli. Scosse la testa, come se stesse riordinando le idee, poi fece un grande respiro.

“Non intendevo cacciarla. Ovvio che non la manderei mai là fuori da sola. Scusami Cathrine, puoi rimanere qui tutto il tempo che ti occorre” concluse poi rivolta a me.

Il tono di voce sembrava sincero, anche se si vedeva lontano un miglio che non era affatto contenta di come si era evoluta la discussione. Probabilmente era vero che non mi avrebbe mai mandata via, ma avrebbe voluto che li aiutassi con la magia. Non si accorgeva che mi chiedeva troppo.

“Grazie Susan”

“Bene, direi che la riunione è sciolta. Ci aggiorneremo quando avremmo delle novità, per il momento tenete tutti gli occhi aperti” Peter pose fine a quella riunione.

Subito si elevarono parecchi bisbigli, la maggior parte impuntati su di me a mio malgrado.

Io cercai di dileguarmi il più in fretta possibile. Dovevo uscire, avevo bisogno di prendere una bella boccata d’aria.

Prima di andarmene però lanciai un’ultima occhiata a Susan. Mi stava ancora fissando, come anche Caspian, Edmund e le creature mitologiche.

Quando voltai la testa riuscii a risentire distintamente un'altra frase nefasta della conversazione con la donna.

Non ti vogliono, è solo finzione

Poi il mi sguardo cadde su Peter. Anche lui mi stava fissando, ma mi stava anche sorridendo, gentile come sempre. Mi ricordai di come mi aveva appena difeso a spada tratta, di come mi aveva stretta protettivo ed arrossii.

La donna si sbagliava, ne ero certa.

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Capitolo 7
*** 6_Vorrei che tu l'avessi vista ***


cappy 6

Ciao!!!!!!! Eccomi tornata con un nuovo cappy^^  a questo sono particolarmente affezionata devo dire perchè è una delle scene che  hanno ispirato l'intera ficcy, l'avevo immaginata da tanto e nn vedevo l'ora di metterla nero su bianco, ditemi voi se mi è venuta bene oppure no e se vi piace come sta procedendo la ficcy^^!

Ringrazio coloro che mi hanno aggiunta tra  le seguite: Corvus e ranyare ^^ thanksssss!!!!!!^^!!!

Ringraziamenti:

Jackie95: grazie mille per aver recensito e per aver aggiunto la ficcy tra i preferiti^^ addirittura stupenda, sei troppo buona^^ grazie mille^^!!!!!!!!!! :-)!!!!! Spero ti piaccia anche questo cappy, fammi sapere cosa ne pensi^^ kisskisses!!!!

Un grande grazie anche a chi ha solo letto^^ spero che il cappy nuovo vi paccia e che continuerete a leggere la storia, anche se mi piacerebbe sapere cosa ne pensate e se la ficcy prosegue bene o male^^
Vi auguro una buona lettura,
Kisskisses
68Keira68

witch


6_"Vorrei che tu l'avessi vista"


Erano rimasti soli nella grande stanza rettangolare. Lei si stava già preparando a discutere, non aveva intenzione di demordere, lo vedeva dal cipiglio battagliero con la quale lo stava fissando. Ma dopotutto era un bene. Anche lui voleva discutere e ne aveva tutte le ragioni.

Vide la ragazza appoggiarsi più comoda alla tavola di pietra, esattamente sotto lo sguardo onnisciente del bassorilievo di Aslan, che dall’alto della sua posizione sembrava un giudice silenzioso della discussione accesa che stava per iniziare.

Peter si limitò inizialmente a guardarla truce, riordinando le idee per un attacco diretto e immediato. Regnò il silenzio per qualche secondo finché Susan non sbuffò e si mise le mani sui fianchi.

“Non mi guardare così Peter, sai che non lo sopporto!”

“E come ti dovrei guardare Susan? Ti aspettavi forse che fossi contento della tua brillante uscita?” commentò il re sarcastico.

Susan fece una smorfia. “Non intendo accettare critiche, ho solo cercato di trovare una soluzione al nostro problema dato che nessun altro intendeva farlo” si difese piccata.

Peter si infiammò. “E per te la soluzione era mandare a morire una ragazzina di diciassette anni che con questa storia non ha nulla a che fare?”

“Non la volevo di certo mettere in pericolo” specificò quasi offesa Susan “Come puoi anche solo pensare una cosa del genere? Io le ho solo chiesto di aiutarci con la magia mica di brandire una spada!”

“Le hai quasi ordinato di prendere parte alla guerra Susan, non puoi pensare che ciò non implichi un pericolo. In più non avevi alcun diritto di insistere. Spetta solo a lei decidere di partecipare o no alla battaglia, e non puoi biasimarla se non se la sente di prendere un tale impegno”

Susan pestò un piede per la frustrazione. Suo fratello sembrava non voler rendersi conto del pericolo in cui si trovavano.

“Va bene, forse non dovevo cercare di metterla alle strette, ma Peter ragiona, quale altra scelta abbiamo? Se davvero Jadis farà ritorno possiamo già considerarci morti.” Cercò di farlo riflettere lei.

Lui si morse forte il labbro. “L’ultima volta ce la siamo cavata” disse a denti stretti.

Susan rise sprezzante. “Certo, davvero egregiamente. Certo se metti da parte il fatto che Edmund ci ha quasi lasciato la pelle e che quella volta avevamo Aslan dalla nostra parte. Oh, stavo quasi dimenticandomi di un ultimo insignificante dettaglio, l’ultima volta non avevamo anche Telmar sul fronte nemico, o te ne sei scordato?” gli elencò lei ironica.

Peter prese a misurare la stanza a grandi passi, preso anche lui dalla frustrazione. La situazione era davvero disperata, lo sapeva bene anche senza il sarcasmo di sua sorella, però cosa poteva fare? Sembrava una condizione senza via di uscita.

L’unica loro possibilità era avere a disposizione i poteri prodigiosi di quella ragazza. Doveva ammettere che ci aveva pensato anche lui, molto prima di Susan. L’idea di avere una forza così immensa da scatenare contro i telmarini era allettante, senza contare che era probabilmente l’unico modo efficace per liberarsi una volta del tutto di Jadis, ma come poteva chiedere a Cathrine una cosa del genere? Era fuori discussione, lui era un cavaliere e i cavalieri non mandavano in battaglia le fanciulle che giuravano di proteggere, andava contro ogni suo principio. Senza contare che quella giovane ne aveva già passate così tante di recente, aggiungere il peso di una guerra su quelle esili spalle gli sembrava eccessivo. No, ci doveva essere un’altra soluzione.

Fece circa dieci volte il perimetro della stanza prima che Susan gli si avvicinò e con dolcezza gli strinse il braccio, per calmarlo abbandonando il cipiglio battagliero.

“Peter, so esattamente quali sono i tuoi pensieri al momento, ma pensaci razionalmente, metti da parte l’istinto del cavaliere e pensa al tuo popolo, ti prego”

Il ragazzo fece un grande respiro e le accarezzò la spalla. “Penso sempre al mio popolo, dovresti saperlo”

Susan sorrise dolce. “Certo che lo so, ma so anche che non è nella tua natura farti aiutare, che vorresti essere in grado di risolvere tutto e proteggere tutti da solo. Ma devi renderti conto che ciò non è sempre possibile. Non sei invincibile”

Si fermò un secondo per cercare le parole più adatte per esprimere il pensiero successivo. Doveva sceglierle con cura, sapeva che Peter stava per cedere se era arrivato alle sue stesse conclusioni. “Ascolta, secondo me lei è stata mandata proprio da Aslan per aiutarci, non può essere un caso che sia finita esattamente vicino a dove eravate di pattuglia voi, non può essere una coincidenza, non quando c’è di mezzo Aslan. Senza contare che non è vero che lei è estranea alla vicenda perché se Jadis torna, lo farà principalmente per lei, anche se non sappiamo perché non puoi negare l’evidenza”

Sorpresa sentì i muscoli di Peter irrigidirsi appena pronunciò il nome della strega e non riuscì a comprenderne il motivo. L’aveva già nominata altre volte ma non aveva avuto quella reazione, cosa gli prendeva ora?

“è tutto ok?” si informò titubante.

Il ragazzo le si allontanò d’un passo. “Susan giurami che non dirai mai quello che hai appena detto dinanzi a lei o a qualcun altro che non sia della famiglia o Caspian, intesi?”

Susan lo guardò come se fosse impazzito. “Peter cosa ti prende?”

“Non voglio che Cathrine sappia chi potrebbe essere in realtà la donna delle sue visioni e né che sappia che la sta cercando” si spiegò.

“Ma perché?” Susan iniziava a temere seriamente per la sanità mentale del fratello.

“Perché si sentirebbe in colpa, penserebbe di aver portato lei a Narnia la minaccia di Jadis e sono certo che potrebbe fare qualche stupidaggine come affrontarla da sola o consegnarsi ad essa barattandosi per la nostra salvezza.”

Susan soppesò per un attimo le sue parole. Sapeva che Peter aveva la capacità di inquadrare le persone con una sola occhiata e se secondo lui Cathrine avrebbe reagito così, doveva credergli. Forse aveva ragione lui, era meglio non dirglielo, però… “Ma non pensi che sia giusto che conosca la verità? Se la tieni all’oscuro rischi soltanto che venga a sapere i fatti dalla persona sbagliata magari anche in un momento poco propizio” obiettò.

Peter fece un secco segno di diniego. “Non ora, gli dirò tutto, ma non adesso, è ancora troppo scossa dagli ultimi avvenimenti per poter sopportare anche quest’ultima informazione.”

Susan sospirò rassegnata. “D’accordo, non le diremo niente per il momento, ma la situazione non cambia.” La ragazza gli si avvicinò di nuovo, afferrò un lembo della sua camicia con le mani e appoggiò la testa sul petto del fratello, stringendolo a sé. “Peter, abbiamo bisogno del suo aiuto. Ti prego, riflettici su, non abbiamo altra possibilità, lo sai bene.” Alzò il capo per vederlo in viso.

Teneva gli occhi chiusi, l’espressione in conflitto mentre si mordeva insistentemente il labbro nel tentativo di non pronunciare le parole che mai avrebbe voluto dire. Susan si permise un accenno di sorriso, era quasi fatta.

“Neanche a me piace chiederle di aiutarci, sul serio, ma non vedo altre opzioni.” Insisté.

Peter aprì gli occhi e si guardò attorno, come cercando l’ispirazione.

“Se accettassi” iniziò lentamente “mi devi giurare che non la metterai in pericolo e che farà unicamente quello che io riterrò più giusto per lei, intesi?” stabilì.

“Te lo giuro.” Non esitò a dire Susan. Era quello che voleva anche lei d’altronde, vincere si, ma mai alle spese di quella giovane, avrebbe salvaguardato lei stessa la vita di Cathrine se si fosse rivelato necessario.

“Sarà lontano dal combattimento, ed uno di noi le sarà sempre accanto.” Concluse il re.

“Assolutamente” concordò.

Peter sospirò. “D’accordo allora, cercherò di convincerla. Ma se non dovesse accettare, questa storia verrà archiviata e nessuno” marcò la parola fissandola dritto negli occhi “si dovrà azzardare a rinfacciarglielo”

Susan gli sorrise e annuì decisa. Aveva ottenuto esattamente quello che sperava, dare una possibilità di aiuto a Narnia. Ora tutto restava nelle mani di quella giovane.

 

*

 

Avevo freddo. Tanto freddo. Lo sentivo che penetrava nelle ossa, gelandomi le membra. Eppure era estate e sulla piccola altura ove ero seduta non volava un filo di vento. Ma sapevo che il freddo che avvertivo io non aveva nulla a che vedere con la temperatura esterna. Il gelo veniva da dentro, dal cuore che al momento sentivo di ghiaccio, arido come le terre dell’Alaska.

Le parole di Susan mi martellavano la testa. Continuavo a rivedere la sua espressione irata mentre le dicevo che non avrei preso parte alla guerra. Ma come aveva potuto chiedermi una cosa simile? Rischiare la vita per una causa nemmeno mia?

Sospirai, portandomi dietro l’orecchio una ciocca di capelli. Lì fuori, nel buio della notte, ogni rumore era ovattato, ogni imperfezione inghiottita dalle tenebre. L’unica fonte di luce proveniva dal cerchio luminoso che calmo e placido osservava ogni cosa dal cielo. Calmo e placido. Esattamente le emozioni opposte a quelle che provavo io.

Mi dispiaceva per gli abitanti di Narnia se erano così messi male. Ma io cosa potevo fare? Ero solo una ragazza.

Bugia.

Mi sussurrò una vocina maligna dentro di me. Va bene, non era vero. Io ero una strega, avevo dei poteri, ma per questo ero costretta a metterli al servizio di sconosciuti rischiando la pelle? Non avevo mai usato i miei poteri per nuocere a qualcuno e l’idea di spezzare vite mi repelleva. Non potevo fare una cosa del genere. Senza contare che non intendevo mettere a repentaglio la mia.

“Ecco dov’eri finita”

La voce di Peter mi giunse alle spalle. La sua chioma bionda riluceva sotto la pallida luce lunare come il suo sorriso. Si sedette accanto a me, con i piedi a penzoloni dal grosso masso di pietra che si affacciava sopra la radura a qualche metro da terra.

“Ti ho cercata dappertutto sai? Come mai sei finita quassù?” mi chiese simulando disinteresse, come se non sapesse perché fossi là da sola.

Perché dentro mi sentivo soffocare. Risposta sincera però forse troppo diretta. Optai per una via di mezzo. “Avevo bisogno di un po’ d’aria e Lucy mi ha consigliato questo posto” quella santa ragazzina…

“Si è un buon luogo per recuperare un po’ di tranquillità”

Evidentemente doveva aver intuito la vera frase che volevo dirgli.

Calò il silenzio, ma non era imbarazzato. Come oggi pomeriggio, era un silenzio fatto di calma e riflessione. Un momento di raccoglimento prima di iniziare un’inevitabile dialogo su quello che era successo nella sala rettangolare. Perché ero certa fosse venuto per quello, dovevo solo aspettare che prendesse la parola. Dieci, nove, otto, sette, sei, cinque, quattro, tre, due, uno...

“Cathrine” et voilà. La discussione stava per avere inizio.

“Dimmi” risposi senza voltarmi. Continuavo a fissare la luna, invidiandola per la sua posizione. A lei era permesso di assistere a tutto senza prendere parte a niente. A lei non veniva chiesta alcuna partecipazione attiva, solo che stesse lì ad illuminare un poco le nostre notti buie. A lei non veniva chiesto di brandire una spada pur trovandosi nella pianura di Narnia.

“Volevo scusarmi per quello che ti ha detto Susan. Non aveva alcun diritto di accusarti a quel modo e per un motivo del genere. Mi spiace” si scusò.

La mia bocca si curvò in un sorriso. La sua voce vibrava di sincerità e questo riscaldò di un poco il mio cuore.

“Grazie” dissi semplicemente.

“Aspetta, fammi finire. Mi scuso da parte di Susan però è anche giusto che tu conosca le sue motivazioni.” Aveva intenzione di difenderla?

Questa volta voltai la testa incredula verso il suo viso. Mi osservava intensamente, aspettando un mio cenno per andare avanti. Dondolai il capo per fargli capire che lo ascoltavo.

“Susan non ce l’ha con te, assolutamente. Non voleva costringerti ad arruolarti né non le importa della tua salvezza, il pensiero di metterti di proposito in pericolo non l’ha mai sfiorata.”

A me è parso il contrario. Avrei voluto urlargli, ma mi limitai a guardarlo scettica, riducendo gli occhi ad una fessura.

Lui se ne accorse e si affrettò ad aggiungere: “Devi credermi, è la verità. Credo che quando ha perso il controllo non se ne sia nemmeno resa conto. È semplicemente preoccupata per la guerra. Non va affatto bene, la nostra situazione è grave e potrebbe precipitare da un momento all’altro. Ha solo cercato un modo per evitare un massacro al popolo di Narnia. È disposta a tutto per salvarlo e non voleva lasciare nessuna strada intentata. Solo che ha esagerato e di questo me ne rammarico.”

Di nuovo le sue parole risuonavano al mio orecchio terribilmente sincere e il mio cuore mi disse di credergli. Dopotutto la verità l’avevo presagita anche io, anche se sul momento mi ero offesa. Tirai un sospiro e tornai a fissare il firmamento cercando le parole adatte.

“Avevo intuito le sue motivazioni, per questo non sono più arrabbiata con lei.  È stata un’offesa momentanea la mia” e gli feci l’occhiolino per alleviare la tensione, anche se la frase era vera solo a metà. La ferita di Susan bruciava ancora.

Lui mi sorrise di rimando prima di rannuvolarsi in viso. Inarcai un sopraciglio. Come mai il suo umore era mutato?

“Ehi, stai bene?” gli domandai mettendogli una mano sulla spalla con un gesto istintivo.

Quando scosse la testa mi preoccupai. Si sentiva male?

Probabilmente scorse una nota d’allarme nella mia espressione perché si affrettò a tranquillizzarmi. “Io sto bene. Mi rammarico del fatto che non posso dire lo stesso di Narnia”

Ah. Anche lui era in ansia, esattamente come Susan. Probabilmente anche di più. D’un tratto mi sentii in dovere di consolarlo, così strinsi più forte la presa sulla sua spalla, in un goffo tentativo di fargli capire che io c’ero.

Il messaggio sembrò arrivare perché dopo qualche istante lui riprese a parlare. “Sono preoccupato” mi confessò come se fosse una grave colpa. “Davanti a Susan e gli altri cerco di non darlo a vedere, di convincerli che possiamo farcela, che la nostra situazione non è così disperata, ma la verità è ben diversa.” La sua voce si spense sull’ultima parola. Abbassò il capo, come se il peso di questa sua affermazione gli fosse piombato sulle spalle tutto di colpo.

Piombò nuovamente il silenzio, ma questo era pieno di tristezza. La sua tristezza e questo non riuscivo a sopportarlo. Non sapevo perché ma da quando l’avevo conosciuto sembrava che il mio umore dipendesse dal suo. Se lo vedevo felice ero rilassata mentre se lo vedevo triste…sprofondavo anche io nella desolazione. Dovevo assolutamente dirgli qualcosa per alleviargli il fardello che si era addossato, eppure non riuscivo a pronunciare nemmeno mezza parola. Ma proprio mentre mi spremevo le meningi, lui rialzò la testa di botto e riprese a parlare con foga, come se si fosse rotta una diga dentro di lui che gli frenava le parole, ora libere di uscire.

“Tu non sai com’era Narnia la prima volta che l’ho vista, era completamente diversa da ora, e non puoi immaginare quanta rabbia mi procura vederla ridotta così. Il mio popolo è inginocchio, il mio regno distrutto e io non posso fare nulla per impedirlo, sono completamente impotente per quanto la mia volontà sia grande.” Si interruppe per prendere fiato. Senza accorgersene mi aveva preso entrambe le mani e me le stringeva forte tra le sue. Gli occhi brillavano febbrili nel buio, due zaffiri illuminati dall’impeto di emozioni che lo dominavano.

“Vedi quegli alberi” riprese accennando con la testa la scura foresta che delimitava la radura. “La prima volta che li vidi, danzavano.” Mi confidò. Io mi incantai ascoltandolo. Era impossibile non rimanere ammaliati dal furore con cui parlava della sua Narnia. Potevo solo immaginare quanto avesse dedicato a queste terre, con quanta devozione le avesse e le stesse servendo. Quanto amasse il suo popolo e quanto fosse disposto a dare per esso. “Ogni singolo arbusto si muoveva, le foglie cantavano a ritmo con il vento e i fiori creavano figure danzanti. Tutto era in armonia con noi e con gli abitanti di Narnia. Ogni animale che incontravi nella foresta poteva parlare, era civilizzato. I fauni, i centauri, i minotauri, le famiglie dei piccoli animali, tutti, dal più grande al più piccolo, erano liberi di camminare e abitare dove volevano. E di vivere felici, senza preoccupazioni e soprattutto liberi dalla guerra, con una promessa di prosperità per il loro futuro e quello delle persone che li stavano a cuore e…ah” si fermò di nuovo, sopraffatto dall’intensità delle sue stesse parole. Mi guardò dritto negli occhi e notai a poco a poco l’agitazione attenuarsi. La luce dei suoi zaffiri affievolì, l’espressione mutò, divenne quasi rassegnata.

Un moto di affetto e di tenerezza nacque spontaneo con la comprensione che mi giunse immediata vedendolo. Peter soffriva. Fuori portava una maschera di sfacciata sicurezza e spavalderia, ma dentro soffriva ed era in ansia. Il suo animo si stava spezzettando mano a mano che il suo popolo si avviava alla fine, era peggio di uno stillicidio.

Spinta da questa rivelazione, mi avvicinai a lui senza nemmeno rifletterci e lo abbracciai forte, come se potessi liberarlo dal suo dolore con la mia sola presenza. Lui parve colto alla sprovvista ma ricambiò subito l’abbraccio, appoggiando la sua testa sopra la mia e cingendomi le spalle con forza, come se fossi un’ancora di salvezza. Rimanemmo così per pochi secondi…o per parecchie ore, non saprei dirlo, l’unica cosa che contava era il battito del suo cuore che sentivo furioso sotto il mio orecchio, appoggiato sul suo torace. A poco a poco lo udii decelerare, fino a tornare ad un battito regolare e continuo. Un’armonia particolare e preziosa, udibile solo da me per cullarmi. Anche il respiro, che avvertivo caldo sul mio collo, si era acquietato. Prese ad accarezzarmi con dolcezza i boccoli rossi, in un gesto spontaneo e per questo ancora più apprezzato.

Chiusi gli occhi abbandonandomi a quel momento di pace assolutamente perfetto.

Ero salita lassù per rimanere sola con i miei pensieri, convinta che l’unica ad avere preoccupazioni serie fossi io, che ero l’unica ad aver bisogno di affetto, la sola a portare costantemente una maschera per allontanare gli altri per il loro bene e per il mio. Non sapevo quanto mi sbagliavo. Peter si affliggeva esattamente come me. Anche lui portava una maschera addosso, per tenere le persone che amava distanti dalla verità, ma a causa di essa non poteva sfogarsi con nessuno, doveva tenersi le sue ansie dentro di sé. Ma soprattutto, anche Peter viaggiava verso un futuro effimero, nebuloso. Non aveva certezze, aveva un grande potere ma non sapeva come usarlo per farne del bene. Andava alla cieca e ciò lo distruggeva mentre vedeva le persone a lui care morire ad una ad una. Anzi, ragionai tra me e me, Peter provava molto più dolore di me. Mentre da me dipendevo unicamente io, da Peter dipendeva un intera popolazione e i suoi fratelli. Se io fallivo, sarei semplicemente rimasta allo scuro delle mie origini. Uno scotto molto più basso di quello del re. Se lui perdeva la guerra, sarebbero morti tutti gli abitanti di Narnia.

“Sai Cathrine” mi richiamò con voce rauca “Vorrei tanto che tu l’avessi vista. Te ne saresti innamorata, ne sono certo. Non si può non rimanere incantati da una tale dimostrazione della bellezza della natura. Va oltre la semplice magia. Te ne saresti sentita parte, era magica e bella come te”

Nel buio della notte accadde un piccolo miracolo. Per la prima volta in vita mia, arrossii di piacere. Io, la principessa di ghiaccio della Queen’s, arrossii felice del complimento del re. Era la prima volta che qualcuno mi definiva in questo modo. Qualcuno che si complimentava per i miei poteri e mi trovava bella per la mia particolarità. Dal mio cuore si staccò un grosso pezzo di ghiaccio.

Mi liberai dal suo abbraccio per guardarlo meglio in viso, sorridendogli grata.

“Ne sono sicura anche io, ma non te ne devi rammaricare”

Mi guardò interrogativo e io allargai il sorriso mentre gli sfioravo una guancia con la mano. “Come sono certa che mi sarebbe piaciuta, sono certa che la vedrò. Tu me la farai vedere, perché sono pronta a scommettere che riuscirai a riportarla all’antico splendore. La tua grinta e la tua devozione ti condurranno alla vittoria” affermai.

Il suo sguardo si illuminò alle mie parole ma…purtroppo si spense rapidamente come si era acceso.

“Vorrei che fosse così semplice, ma purtroppo grinta e devozione non bastano quando non si hanno uomini a sufficienza per combattere”

Iniziai a mordermi il labbro nervosa. Nonostante la bolla di pura pace che si era creata, il mio sesto senso mi urlava di stare allerta.

“Cosa intendi dire?” chiesi, pur intuendo dove voleva arrivare.

Perché lo vuoi sapere esplicitamente, sei forse masochista?

Si, forse lo ero, ma in quel momento non me ne importava.

“Abbiamo bisogno di aiuto. Io ho bisogno di aiuto, Cathrine”

Eravamo arrivati al nocciolo della questione, ce lo aveva scritto in faccia. Distolsi lo sguardo, incapace di sostenere i suoi occhi profondi. Ma lui mi prese una mano tra le sue e con l’altra mi afferrò il mento costringendomi a guardarlo. L’intensità del suo sguardo mi avrebbe fatta crollare, ne ero certa, e probabilmente lo sapeva anche lui.

“Kate, ti prego, non te lo chiederei se non fossi convinto che non c’è altra soluzione. Vuoi aiutarci con i tuoi poteri?” mi domandò con dolcezza.

Non ero pronta a rispondergli. Presi tempo rigirando la domanda. “Prima con Susan eri convinto che non avrei dovuto prendere parte alla guerra” dissi cauta.

Lui mi sorrise mesto. “è vero, ma non avevo valutato bene la situazione. Sono stato preso alla sprovvista e la mia mente si rifiutava di vederti guerreggiare, temevo che Susan volesse metterti in pericolo, cosa che non tolleravo e che non tollero nemmeno ora.”

Lo guardai confusa. “Allora perché me lo chiedi se non vuoi espormi?”

Allargò il sorriso. “Infatti non ho alcuna intenzione di mettere a repentaglio la tua vita. Ne ho discusso con Susan e abbiamo concordato delle norme di sicurezza” mi fissò in attesa di una mia reazione e io lo incitai a proseguire con un cenno del capo. “Tu non prenderesti parte alla battaglia, staresti in disparte, accompagnata sempre da me o massimo da Susan o da Caspian o da Edmund. Dovresti solo aiutarci con la magia. Per esempio potresti addormentare le guardie o alzare i cancelli. Oppure farci entrare in sordina dentro un luogo. Non ti chiedo niente di più” si fermò per riprendere subito “Comunque se non volessi non importa. Puoi rimanere qui tutto il tempo che vuoi, come ti ho promesso. Saresti protetta e nessuno oserebbe dirti niente. È tuo pieno diritto fare ciò che ritieni più giusto” concluse.

Perché non riuscivo a dargli un no secco come lo avevo dato a Susan?

Lo guardai negli occhi. Fu un grave errore. In quelle sfere azzurre vidi riflessa la sua volontà e la sua sincerità. Non mi stava costringendo ad aiutarlo. Mi stava dando la scelta di decidere cosa fare senza sforzature. Promettendomi sicurezza in ambo i casi.

È crudele, non gli importa di te

La voce non sapeva quanto si sbagliava. Peter si era dimostrato finora una delle persone più altruiste che io avessi mai conosciuto. Mi stava chiedendo aiuto per il suo popolo, era un grido di un naufrago che si aggrappa all’ultima scialuppa di salvataggio disponibile. Ma invece di reclamarla e cercare di ottenerla con ogni mezzo, come avrebbe fatto qualsiasi altra persona, come aveva fatto Susan solo poche ore fa, lui era disposto a rinunciarci per rispettare e proteggere me. Una persona che conosceva da meno di un giorno.

Mi venne in mente un altro pensiero,una conclusione a cui ero giunta da poco.

Aveva un grande potere ma non sapeva come usarlo per farne del bene

Almeno Peter ci stava provando ad operare per il bene altrui. Anche io avevo un grande potere, ma a differenza sua il mio rimaneva inutilizzato, in forma grezza celato al mio interno, racchiuso dalla paura di mettermi in mostra e fare qualcosa di sbagliato. Dopo anni passati a relegare la mia magia in un cantuccio del mio essere, qualcuno mi supplicava di utilizzarli per un bene superiore. Per salvare milioni di vite. Ma potevo farlo? Ero abbastanza forte?

Se non mi metto in gioco non potrò mai saperlo. Pensai. Ma il terrore era davvero grande. Non avevo mai partecipato ad una guerra, non sapevo da che parte iniziare. In più Peter non avrebbe mai potuto annullare ogni rischio pur volendolo. Io ero giunta fin lì solo per trovare un’altra strega dopotutto. No, era un’altra bugia. Io avevo attraversato il varco principalmente per un altro motivo. Non volevo più sentirmi sola. Volevo essere apprezzata per quello che ero, trovare il mio posto nel mondo. E se finalmente l’avessi trovato? I Pevensie mi avevano accolta, e Peter era certo che anche gli altri mi avrebbero accettata. Qualcuno con cui riempire la mia solitudine lo stavo trovando. E se avessi scovato anche il mio scopo? Forse dovevo mettere sul serio i miei poteri al servizio di una causa più grande.

Dovevo mettermi in gioco, accantonare la paura. Finalmente avevo la mia occasione per farmi ben volere e per dare un fine alle mie doti.

Presi un respiro profondo. Le parole che stavo per pronunciare non avrei potuto rimangiarmele. Ne tanto meno avrei voluto.

“Peter Pevensie” alzai i miei occhi di ghiaccio nei suoi che mi fissavano ansiosi. La mia voce risuonava della sicurezza di chi si è appena convinto di star facendo la scelta più giusta. “D’accordo. Ti aiuterò a riportare Narnia all’antica gloria”

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Capitolo 8
*** 7_Sentimenti ***


cappy 7

Ciao a tutti! Eccomi qui con il settimo cappy^^  gran parte di questo capitolo è impuntata sui sentimenti (da qui il titolo) di tutti i nostri quattro protagonisti , e la prima parte è dedicata ai fan della coppia Caspian e Susan (specialmente a Risotto, la cui richiesta di dar più spazio ai due piccioncini + stata esaudita ^^) . Alla fine del cappy invece c'è un piccolo indizio per la risoluzione di alcuni interrogativi della storia, chissà chi coglierà hihiih^^  Detto questo ringrazio  risotto per avermi aggiunto tra i preferiti e KissyKikka per avermi inserito tra le seguite, grazieeee^^!!!!!!! 

Ringraziamenti:

ranyare: grazie mille^^!!!! Sono davvero stra felice che Peter ti sia piaciuto (anke lui ti ringrazia commosso^^) e ancora di più che la differenza tra i due suoi ruoli sia stata capita^^ Per la recensione mancata non ti preoccupare ^^ io sono super contenta che tu abbia recensito il cappy sei e che tu stia leggendo la mia fan fiction  *me felice come una Pasqua* ^^  spero che anche quest'ultimo cappy ti piaccia, ti mando un grandissimo bacio ^^! Kisskisses^^

risotto: glasieeeee^^! Sei troppo buona con i complimenti, grazie davvero, addirittura farti sognare wow *me super commossa con il fazzoletto in mano*! Sono contenta che la ficcy ti stia piacendo ^^ e la prima parte di questo cappy è tutta per te (Caspian e Susan sono lusingati dalla tua richiesta^^) spero che ti piaccia^^. I protagonisti della ficcy sono Peter e Cate però ti prometto che Caspian e Susan saranno molto presenti (anche perchè piacciono molto anche a me^^ *me che sbava pensando a Caspian* hihihi) sono praticamente i co-protagonisti. Ancora grazieeeeeee^^!!!!!! Non vedo l'ora di sapere cosa ne pensi di qst nuovo cappy^^ un bacio grande grandeeee^^ kisskisses^^

Auguro ottime vacanze a tutti quanti e poiché non so se riuscirò ad aggiornare prima del 31, vi auguro già un felice 2010, che le stelle del nuovo anno possano portare la realizzazione di tutti i vostri desideri^^

Grazie anche a chi legge, grazie mille^^ e chiunque volesse lasciare un commentino anche breve sappia che è sempre ben accetto hihi^^

Vi auguro una buona lettura^^!

Kisskisses 68Keira68 


witch

7_Sentimenti

Chissà cosa avrebbe fatto Aslan se fosse stato qui pensò Susan, dinanzi alla grande tavola di pietra raffigurante l’immagine del re di Narnia. Avrà davvero mandato lui Cathrine da noi?

La regina sospirò e incrociò le mani. Spero solo di aver fatto bene a convincere Peter a chiederle aiuto.

Iniziò a mordicchiarsi il labbro. Continuava a ripensare alla discussione appena avvenuta. Era certa che di aver fatto l’interesse del suo popolo, avevano bisogno di aiuto e lei poteva offrirglielo. Quello di cui non era affatto sicura era se il bene di Narnia coincidesse con il bene della giovane. Aveva promesso a Peter che sarebbe stata alle sue condizioni e che Cathrine non avrebbe partecipato alla guerra, ma ciò sarebbe bastato a tenerla lontana dal pericolo? Se si fosse ferita non se lo sarebbe mai perdonato. Senza contare che Peter non le avrebbe mai più rivolto la parola e ne sarebbe uscito distrutto.

“Ancora qui a rimuginare?”

La voce calda del principe la fece sobbalzare. Non si era accorta della sua presenza silenziosa.

Si girò verso di lui e alzò le spalle, incontrando due castani occhi osservatori.

“Avevo bisogno di riflettere”

“Come sempre” ammiccò il giovane avvicinandosi. Aprì la bocca come per parlare, però poi la richiuse. Sembrava impacciato, si passò una mano dietro la nuca, scompigliandosi le ciocche morbide e scure e fece girare gli occhi attorno alla stanza, come se cercasse un’ispirazione. Susan aspettò paziente, leggermente divertita dal buffo comportamento di Caspian finché con un ultimo sospiro quest’ultimo riuscì a pronunciare la frase attesa.

“Io mi stavo solo chiedendo se tu avessi bisogno di parlare.” Mormorò in fine.

La giovane scosse la testa comprensiva. Ragazzi, tanto forti e sicuri quando devono prendere decisioni in guerra e tanto impacciati quando si entra nella sfera emotiva pensò ilare.

“So essere un bravo ascoltatore all’occorrenza” lo sentì aggiungere poi serio.

Lei gli rivolse un timido sorriso. “Grazie ma davvero, stavo solo mettendo in ordine qualche pensiero”

Alla sua risposta gentile lui parve acquisire un po’ più di sicurezza. “Certo, sono sicuro che erano futili preoccupazioni come la salvezza di Narnia e altre inezie varie tipo una guerra imminente vero?” le rispose ironico facendo ridere Susan, sorriso però che si spense subito pensando a quanto quelle parole avessero centrato il bersaglio. Caspian allora le si avvicinò. La ragazza aveva bisogno di sfogarsi con qualcuno, lo si vedeva lontano un miglio, aveva solo bisogno di un piccolo incentivo.

Compì l’ultimo passo che li separava e, guidato da un istinto più intraprendente della sua razionalità, le accarezzò con delicatezza una guancia, scostandole una ciocca di capelli dinanzi al viso. Sentì il corpo della ragazza irrigidirsi sotto il suo tocco e questo lo bloccò facendo riemergere in lui il timore di poco prima. Temette di aver esagerato, di essersi preso un permesso di troppo. Dopotutto si conoscevano da poco, cosa gli dava il diritto di prendesi certe libertà? Però il gesto gli era uscito così spontaneo che non se ne era quasi reso conto. Accidenti, forse non avrebbe nemmeno dovuto iniziare quella conversazione, di certo lei preferiva confidarsi con i suoi fratelli che con una persona conosciuta da poco. Stava già per ritrarre la mano affranto quando Susan lo sorprese. Portò la sua mano sopra quella di lui e se la premette contro il volto, appoggiandosi come bisognosa di un sostegno. La reazione lo confortò. Forse non aveva così sbagliato a cercarla. La prese anche come un tacito consenso per la mossa successiva. Con lentezza le cinse la vita con una mano mentre portò l’altra dietro la nuca della ragazza guidandola verso di lui, per confortarla. Bastarono pochi minuti per sentire i muscoli di Susan rilassarsi sotto le sue carezze. Udì distintamente un sospiro liberatorio prima di iniziare a rivelargli i suoi pensieri.

“Sono solo sotto pressione. Telmar, la guerra, ci mancavano solo questa ragazza e Jadis. Sono stanca” confessò seppellendo il viso nella camicia di Caspian come vergognandosi della sua ammissione.

Lui annuì silenzioso, comprendendola. Quei giorni erano stati stressanti per tutti. Dalle escursioni fatte avevano appreso che i telmarini stavano costruendo un ponte per raggiungerli con l’esercito e loro dovevano allestire in poco tempo una difesa resistente. In più quel giorno gli era capitata all’improvviso quell’imprevista novità, decisamente troppo per un così breve lasso di tempo. Naturale che i nervi iniziassero a risentirne. Ma era certo di non doversi preoccupare eccessivamente per la giovane donna che aveva tra le braccia. Aveva imparato a conoscerla in quei giorni, aveva visto il fuoco che ardeva dentro quell’esile figura, una fiamma brillante e inestinguibile, pronta ad incendiare chiunque le si opponesse con una volontà ferrea. Non si sarebbe fatta piegare da quelle difficoltà ma le avrebbe sicuramente superate a testa alta. Persino ora, che a capo chino si era aggrappata alla sua camicia, dalla sua persona trasparivano la determinazione e la fermezza che la caratterizzavano. La postura era eretta e la presa forte. La voce era sicura e chiara. No, Susan non avrebbe ceduto, aveva solo bisogno della vicinanza di una persona che credeva in lei, una persona che la capisse, e lui era lì per quello. Si, perché nonostante si conoscessero da poco, l’affetto che nutriva verso Susan sembrava fondato su anni di amicizia che da poche settimane. Provava per lei lo stesso senso di protezione e di appartenenza che poteva sentire verso un’amica di infanzia, o forse qualcosa di più, e come tale avrebbe voluto trattarla se… se fosse stato sicuro che Susan nutriva i suoi stessi sentimenti di affetto. Non che fosse mai stata fredda nei suoi riguardi, anzi, la regina era sempre stata disponibile, aperta e gentile. Amava la sua compagnia, glielo leggeva negli occhi. Ma quanto in là poteva spingersi prima di apparire inopportuno? Questo non lo sapeva. Ogni volta che provava a superare il limite regolare di un’amicizia formale, gli sembrava che Susan si sentisse a disagio. Non gli aveva mai rifiutato un contatto fisico come un abbraccio veloce, però quando accadeva sembrava sempre sull’allerta, come se avesse paura di qualcosa, finendo per allontanarsi molto prima di quanto il ragazzo avrebbe voluto. Quella effettivamente era la prima volta che Susan abbassava le sue difese, concedendosi un momento di tenerezza. Era evidente che ne aveva un bisogno disperato, e il pensiero che lei avesse scelto proprio lui per lasciarsi andare lo riempiva di felicità.

Avvicinò la sua bocca all’orecchio di lei, scostandole i capelli con la mano destra e accarezzandole nel contempo il lungo collo bianco, maledicendosi mentalmente per il tremore alla mano, causato dall’emozione di quella situazione così nuova ma desiderata.

“Tu sei forte, ce l’hai sempre fatta e ce la farai. Sei la regina di Narnia e la tua volontà non è mai venuta meno” le sussurrò certo delle sue parole.

Le labbra della giovane sbocciarono in un sorriso solare. Aveva percepito nella carezza il tremore alla mano, lo stesso che faceva traballare la sua voce. Sembrava fosse in soggezione, come se avesse paura di rovinare quel momento. Non capiva che per lei niente avrebbe potuto andare storto in quel preciso istante per il semplice fatto che c’era lui insieme a lei, anche se questo non glielo avrebbe mai detto. Come non gli avrebbe mai confessato quanto bene si sentisse tra le sue braccia, o come le sue parole avessero l’effetto di calmarla come quelle di nessun altro. Prima di dar voce a questi pensieri probabilmente si sarebbe consegnata a Miraz senza remore. Non aveva paura di non essere ricambiata, di ricevere un rifiuto. Anzi, forse sarebbe stata la cosa migliore sentirsi urlare un “no” in faccia. Avrebbe preferito essere certa che per Caspian non era null’altro che un’amica. Era proprio la possibilità che per lui fosse qualcosa di più che la logorava, che le incuteva terrore. Perché se così fosse stato avrebbe dovuto chiedere a se stessa cosa provava lei, domanda che cercava di evitare come la peste. Sapeva di sentirsi diversa quando c’era lui nei paraggi, ma aveva ancora accuratamente evitato di esaminare la sue sensazioni. Non avrebbe saputo reggere alla risposta. Non avrebbe sopportato anche quella consapevolezza, negativa o positiva che fosse, per tutte le conseguenze che avrebbe comportato.

È proprio un caro ragazzo, è davvero dolce…

Certi pensieri però riuscivano ugualmente a penetrare il muro che aveva eretto, specialmente quando univa il suo sguardo a quello limpido e sincero di lui.

 

*

 

Leggero. Ecco come si sentiva, leggero. Il cuore batteva forte e felice nel petto, libero da ogni preoccupazione come non lo era da molto tempo ormai.

Quella ragazza è un balsamo per le mie inquietudini.

Questi i pensieri del re di tutta Narnia mentre veloce si dirigeva verso la tavola di pietra, speranzoso di trovarci ancora la sorella per comunicarle la lieta notizia. Susan sarebbe stata al settimo cielo per la prospettiva dell’aiuto di Cathrine, così come molti altri, e ne aveva tutte le ragioni. Poteva davvero fare la differenza tra la vittoria e la sconfitta. Eppure non era ciò che faceva sorridere beato il giovane re. Il soggetto dei suoi pensieri era sempre lo stesso, una bella ragazza dagli occhi di ghiaccio ma i capelli rossi come il fuoco, ma il contesto era completamente differente. Se Susan le avrebbe eretto una statua per la sua partecipazione alla guerra, Peter l’avrebbe idolatrata per il semplice fatto di esistere. Ciò perché quella, partendo dallo spunto di convincerla ad aiutarli, erano finiti su tutt’altro argomento. Senza nemmeno rendersi conto il re le aveva confessato molte delle sue paure, delle sue angosce e dei suoi sogni. Dei suoi rimpianti e delle sue speranze. E lei lo aveva ascoltato senza battere ciglio mentre le narrava della nostalgia che provava verso la vecchia Narnia o mentre le sussurrava che avrebbe voluto fargliela vedere. Non aveva cambiato argomento né si era dimostrata annoiata neppure quando le confessava i suoi limiti e le sue mancanze, debolezze che non aveva mai avuto il coraggio di elencare a nessun’altro per la vergogna ma che con lei erano uscite fuori dalle sue labbra senza alcuno sforzo. Era stata a sentirlo fino alla fine e lo aveva consolato senza chiedere nulla in cambio, ma soprattutto senza giudicarlo. Non aveva scosso la testa scandalizzata, non lo aveva accusato di essere incapace di gestire il regno per colpa di tutte le sue mancanze. Lo aveva abbracciato invece. Gli si era buttata tra le braccia senza riflettere, facendosi sentire vicino a lui, facendogli capire che non era solo, che comprendeva tutte le sue preoccupazioni. E lui era certo che era vero. Lo avvertiva a pelle che lei poteva veramente capire la sua inquietudine e la solitudine che spesso albergava nel suo cuore, così come la sua incertezza sulla cosa giusta da fare.  Quella sera per la prima volta aveva sentito una persona vicina alla sua anima e al suo cuore come non gli era mai successo. Sembrava riuscisse a penetrare tutte le barriere difensive che aveva eretto per essere un re forte e giusto, per apparire privo di debolezze, e lo faceva senza il minimo sforzo e soprattutto senza costringerlo. Pareva quasi che esse cadessero da sole in sua presenza, perché convinte di non doverle nascondere nulla, che non erano necessarie con lei perché avrebbe compreso la realtà che celavano: la sua anima inquieta e le sue preoccupazioni.

Quella sera, sotto una tonda luna bianca e un manto di stelle custodi, lui aveva iniziato ad aprirle il suo cuore, a far venire alla luce l’identità nascosta sotto il titolo nobiliare troppo a lungo nascosta a causa degli obblighi opprimenti. Per ora si era aperta solo una breccia nella maschera, ma ben presto era certo che sarebbe crollata del tutto, permettendogli di essere se stesso almeno con una persona. Eppure già solo quel piccolo squarcio lo aveva fatto sentire leggero, lo aveva liberato. Ma oltre la sensazione di benessere aveva avvertito anche altro. Aveva percepito con chiarezza il motivo per cui sentiva quella ragazza così vicino a lui, perché lo capiva. Anche lei aveva una maschera che portava quotidianamente e che cominciava ad andarle stretta. Aveva bisogno anche lei di una boccata d’aria fresca, di poter essere se stessa con qualcuno, di confidarsi e affidarsi agli abbracci finora assenti di una persona amica. Solo che a quel che pareva la sua di maschera era anche più spessa di quella di Peter, perché se su quella del ragazzo ora spiccava una crepa liberatoria, quella di lei era ancora intatta e resistente. Ci sarebbe voluto più tempo per farla crollare.

Chissà quello che ha dovuto sopportare per essersi costruita un muro così alto attorno.

Pensò il giovane provando un moto di tenerezza verso quella giovane donna così fragile all’apparenza.

L’aiuterò. Fosse l’ultima cosa che faccio, la libererò dalla sua maschera come lei mi sta liberando dalla mia. Io sarò la sua aria fresca.

 

Pochi passi ancora e il profilo della porta della sala della tavola di pietra si stagliò alla fine del tunnel buio. L’aprì e veloce entrò dentro la stanza chiamando la sorella a gran voce e iniziando a comunicarle la novità. La cercò per un secondo con lo sguardo per la sala, continuando a parlare, ma quando finalmente la vide, le parole gli morirono in gola.

Vicini, troppo vicini, c’era due sagome. Anzi, avvinghiate l’una all’altra c’erano due sagome rispettivamente quella di sua sorella e quella di un principe che presto sarebbe stato morto.

Miraz tra poco si ritroverà senza lavoro, forse per ringraziarmi non attaccherà nemmeno più Narnia.

 

Susan e Caspian dal canto loro sobbalzarono al suono della voce del re. In meno di mezzo secondo le più svariate emozioni passarono dagli occhi di entrambi. Susan spinse via Caspian mettendo una distanza di sicurezza tra i due, dopodiché abbassò la testa più rossa di un pomodoro e iniziò ad intrecciare le dita nervosamente.

Caspian non si accorse nemmeno di essere stato allontanato dalla ragazza, impietrito com’era a guardare Peter, terrorizzato dai pensieri di quest’ultimo ma soprattutto dalla reazione che avrebbe potuto avere. Così con il volto cinereo si limitava a pregare e a fissare il suo possibile carnefice.

Peter invece…Peter era semplicemente furibondo. Raggelato sul suo posto, con gli occhi fuori dalle orbite e la bocca semi aperta, divenne prima rosa pallido, poi bianco per diventare rosso e infine viola intenso e preoccupante quando la consapevolezza del fatto che Caspian era appiccicato a sua sorella raggiunse il culmine.

Lo fulminò con lo sguardo e cercò di contare fino a dieci ripetendosi come una mantra “non posso ucciderlo” purtroppo.

Piombò un silenzio tombale, finché Susan, passata la sorpresa iniziale, decise che doveva intervenire a beneficio del principe.

“Bene Caspian, ehm… mi stavi giusto dicendo che… che devi andare vero?” disse simulando un tono disinvolto. Impresa fallita appena incrociò gli occhi assassini del fratello.

Caspian cercò di prendere la palla al balzo. “Si Susan, io me ne …stavo giusto andando. Peter…” stava per accommiatarsi anche dal re ma quest’ultimo lo precedette.

“Sparisci, ne parliamo domani” lo liquidò con una mezza minaccia.

In un millesimo di secondo Caspian si dileguò.

“Ehm…Peter io” tentò la ragazza ma Peter gli fece cenno con la mano di fermarsi.

Si pizzicò la radice del naso con il pollice e l’indice e fece un profondo respiro.

Susan provò di nuovo a prendere la parola ma Peter non glielo permise.

“No, non ne voglio parlare né ora né con te. Ti prometto che non lo uccido, però domani un bel discorsetto non glielo leva nessuno” e con questo mise fine alla questione.

Susan sorrise tra sé e sé pensando a quanto protettivo fosse il fratello. Per quanto l’intrusione l’avesse infastidita, non poteva non essere almeno un po’ felice per la reazione di Peter. A parte il fatto che la scenetta tra lui e Caspian era stata inappagabile, era un chiaro sintomo di quanto lui tenesse a lei, e questo non poteva che farla star bene, impedendole anche di adirarsi contro di lui. A patto però che non esagerasse, a quel punto bene o non bene avrebbe puntato i piedi senza pensarci due volte.

“Susy, mettendo da parte gli ultimi cinque minuti, ero venuto per darti una notizia”

Susan si riscosse. Si era quasi dimenticata della conversazione avvenuta in precedenza con il fratello. A quanto pareva aveva parlato con Cathrine, ce l’aveva fatta a convincerla?

“Dunque?” lo incitò speranzosa, notando che Peter era passato da un tono acido ad un neutro per sua fortuna.

“Ci aiuterà” disse lui semplicemente.

A quelle parole Susan gli balzò al collo urlando felice senza più pensare a niente. “Si! Forse ora abbiamo una possibilità!”

“Ok, ok, però calmati!” Peter cercò di frenare l’entusiasmo della giovane allontanandola prima che stritolasse il suo povero collo.

La ragazza, sorpresa, gli scrutò il viso con occhi critico. Perché suo fratello non esultava? Poi comprese.

“Peter, stai tranquillo, non succederà nulla” lo rassicurò accarezzandolo, anche se entrambi sapevano che quelle parole non potevano rappresentare una certezza.

Il re sospirò. “Lo spero Susy, non voglio pentirmi di aver acconsentito”

“Ehi, devi gioire, se riusciremo a mettere in atto una buona strategia, riusciremo a battere Miraz” Susan cercò di far leva su questioni pratiche per alleviare le preoccupazioni del fratello.

Lui le sorrise riconoscente e la sollevò per i fianchi facendole fare una giravolta, facendosi contagiare dall’esultanza di lei. “Lo so, altrimenti non avrei mai accettato.” Le disse prima di darle un buffetto sulla guancia, gesto che irritò non poco Susan come Peter aveva previsto. Ma dopotutto, se non l’avesse fatta arrabbiare, che gusto ci sarebbe stato nel farlo?

 

*

 

Vuoto. Dovevo avere il vuoto più totale e completo nella mia mente. Avevo bisogno di concentrazione se volevo riuscire nel mio intento. Focalizzai il bersaglio nella mia mente e feci confluire tutta la mia energia su quel punto. In testa mi ripetei una sola e singola parola come una mantra.

Addormentati

Non successe nulla, ma non mi diedi per vinta. Riprovai ancora, mi concentrai di nuovo.  Fallii. Rifeci un altro tentativo, e un altro ancora e ancora, finché non sentii la mia testa gonfiarsi sempre di più. Se stringevo ancora di più le meningi probabilmente sarebbe esplosa. A quel punto, per amore della mia testolina, mollai.

“Non ce la faccio!” sbuffai come una bambina, sdraiandomi sull’erbe a pancia in su. Neanche due secondi dopo udii dei passi avvicinarsi e un volto ilare entrare nel mio campo visivo. Gli occhi dello stesso colore del cielo che gli faceva da sfondo, mi fissavano divertiti.

“Credo sia normale, è la prima volta che ci stai provando, hai bisogno di far pratica” affermò saccente.

Portai dietro la nuca le mani sbuffando più sonoramente di prima. “è la prima volta che mi trovo così in difficoltà con un incantesimo, di solito non ho problemi a tramutare le mie volontà in realtà. Non capisco perché non riesco a far addormentare le persone!” lo guardai di sottecchi e gli puntai un dito accusatore contro. “Guardati! Ci stiamo da ore e non sei insonnolito. Non sei nemmeno lievemente stanco, non è possibile!” sbraitai.

Inizialmente cercò di trattenersi, ma la sua forza di volontà si sbriciolò appena misi il broncio. Peter mi scoppiò a ridere di gusto in faccia. Io, proseguendo nello show vediamo-Cathrine-da-bambina, mi voltai dall’altra parte.

“Scusami, ma eri troppo buffa” si giustificò adagiandosi sull’erba accanto a me.

Gli feci la linguaccia, gesto che suscitò un’altra dose di ilarità a mio malgrado.

“IO invece sono stanchissima” affermai calcando sul pronome.

Gli esercizi mi avevano spossata. Era tutta la mattina che ci esercitavamo sotto desiderio (o meglio ordine) di Susan. La ragazza era stata una Pasqua quando Peter le aveva comunicato la mia decisione e quella mattina -alle prima luci dell’alba per la mia felicità- si era precipitata in camera mia per ringraziarmi. O meglio, mi aveva stritolato in un abbraccio che voleva essere riconoscente accompagnandolo ad un mare di ringraziamenti e di scuse per come si era comportata, dopodiché si era subito lanciata su un elenco di incantesimi che potevano servire in battaglia, incurante del fatto che né io né Peter, arrivato attirato dal trambusto che la ragazza stava suscitando, la stavamo realmente ascoltando.

Tuttavia a quanto pareva Susan trovava indispensabile che io imparassi a far addormentare le persone. “Se riuscirai a far insonnolire le guardie ad una relativa distanza riusciremo ad entrate indisturbati nel castello” erano state le sue precise parole. Effettivamente l’idea era buona, senza contare che non implicava l’omicidio da parte mia, fatto che mi premeva più di tutti.

Quindi eccoci lì dalle otto del mattino vicino alle rovine dell’arena. Peter si era gentilmente offerto come cavia per i miei esercizi a suo rischio e pericolo, ma per il momento non gli era successo nulla di male per colpa di un mio errore. Anzi, a dir la verità non era successo proprio niente con mio sommo disappunto. Era la prima volta in assoluto che un mio incantesimo non andava in porto e ciò mi irritava profondamente. La mia teoria era che smuovere o mutare la volontà di un essere umano era molto più complicato che farlo su un oggetto o un animale. Però ero certa che ce la potevo fare, dovevo solo esercitarmi.

 

“Forse è meglio che facciamo una pausa, possiamo riprendere più tardi”

“E il sergente Susan?” gli ricordai io.

Lui fece un gesto di non curanza con la mano. “Mia sorella se ne farà una ragione. Le ho intimato di non infastidirti o se la vedrà con me”

“Yuppie! Allora pausa sia, ne ho bisogno” esclamai rincuorata della minaccia di Peter. Riposo, stavo arrivando…

Peter mi scompigliò i capelli ridendo. “Bene, approfitto della pausa anch’io per andare a sbrigare qualche questione.”

“Quale?” gli domandai curiosa.

Lui fece una smorfia di disappunto. “Devo andare a fare una lavata di capo a Caspian” mi confidò.

Io strabuzzai gli occhi. “E perché?”

“Perché ieri sera ho beccato il signorino appiccicato a mia sorella! Ma ti rendi conto che faccia tosta? Gli vado ad intimare di tenere le mani a posto se ci tiene ad averle ancora attaccate ai polsi in un futuro prossimo” mi spiegò digrignando i denti.

Io scoppiai a ridere divertita. Peter nei panni del “fratello geloso” era uno spettacolo. Povero Caspian, non se la sarebbe cavata a buon mercato. Lo immaginai insieme a Susan. Effettivamente erano una bella coppia e a quanto pareva se ne era accorto anche Peter. Non che fosse difficile da notare se ci ero riuscita anche io pur essendo arrivata da poco. Quei due erano sempre insieme, per non contare la perfetta alchimia che sprizzavano quando comunicavano. Sembravano in armonia.

“Non essere troppo severo, non c’è niente di male in un abbraccio” e lo guardai di sottecchi ricordandomi il momento stupendo passato ieri sera assieme.

Vidi un sorriso malizioso disegnarsi sulle labbra del re. Probabilmente lui stava pensando alla stessa cosa, o per lo meno lo speravo.

Peter scosse la testa sconsolato. “D’accordo, ci andrò piano” promise “Ti lascio sola, mi raccomando non cacciarti nei guai” mi ammonì dopo.

Gli tirai un debole pugno sul torace. “Guarda che ho vissuto diciassette sicurissimi anni anche senza la tua custodia!” gli ricordai.

“Si, ma eri a Londra o lo hai dimenticato? Qui a quanto pare hai bisogno della guardia del corpo costante”

Acci…incastrata. Pazienza, uno a zero.

Si alzò con grazia dall’erba, mi rivolse un ultimo sorriso -era il sole che mi abbagliava così tanto o era lui?- e si diresse verso l’interno dell’edificio.

Lo seguii con lo sguardo finché non vidi la sua chioma bionda sparire. Era proprio un ragazzo d’oro, lo conoscevo da poco eppure quando gli parlavo mi sembrava di aver trascorso anni insieme a lui. Non c’era mai stato alcun imbarazzo, finora le nostre conversazioni erano state tutte spontanee e …benefiche. Si, era la parola giusta. Parlare con Peter mi trasmetteva una calma ed una serenità che non avevo mai raggiunto in diciassette anni di vita. Forse perché lui conosceva il mio segreto, fatto che mi permetteva di essere più naturale, forse perché stavo condividendo con lui un’esperienza unica - certe esperienze o uniscono o dividono per forza ed essere catapultati in un altro mondo di sicuro rientrava nella categoria- forse perché mi aveva difesa a spada tratta o…forse perché era semplicemente Peter, un ragazzo che senza conoscermi mi aveva accolta in casa sua promettendomi protezione e aiuto nella mia missione.

Scossi la testa violentemente per scacciare quei pensieri. Non dovevo farmi prendere dalla mia mania di analizzare tutto e tutti. Ero sempre riuscita a rovinarmi gli aspetti belli di ogni situazione passandoli in rassegna ma questa volta non doveva accadere, non ora che stava andando così bene!

Misi le mani dietro la nuca e mi stesi sull’erba soffice la quale mi solleticava i tratti del viso. L’aria lì era fresca e pulita, nulla a che vedere con lo smog di Londra! Anche il cielo era pulito, limpido e di un azzurro intenso, senza nemmeno una nuvola, azzurro proprio come i suoi occhi…

 

*

 

Quanto pensi possa durare?

Per sempre. Perché dovrebbe finire?

Perché è una enorme bugia, e prima o poi te ne accorgerai anche tu.

Perché insisti nel dire che è una menzogna? Non vuoi la mia felicità? Io sto così bene qui.

Piccola mia, io lo dico proprio unicamente per la tua felicità. Non voglio vederti piangere per persone che non lo meritano.

Ma loro non mi faranno mai piangere.

Si invece, non li conosci, sono egoisti e opportunisti, ti sfrutteranno e basta.

Io non conosco neanche te, non ti sei ancora fatta vedere.

Si che mi conosci. Sono sempre stata con te, solo che non sono abbastanza forte da venire a prenderti.

E dove mi porteresti?

A casa.

 

“Cate? Cate sveglia!”

Mi svegliai di soprassalto ritrovandomi una ragazzina di dieci anni davanti al viso, che mi sorrideva innocente.

“Lucy! Che ore sono? Perché mi hai svegliata?” domandai irritata e mettendomi a sedere. Mi guardai un attimo attorno riconoscendo con sorpresa le rovine dell’arena. Il sole era alto, doveva essere mezzo giorno e io mi ero addormentata sull’erba appena Peter se ne era andato senza nemmeno accorgermene!

La bimba assunse un’espressione contrita. “Scusami se stavi dormendo bene ma a me sembrava il contrario. Continuavi ad agitarti, sembravi in ansia.” Si giustificò.

Tirai un sospiro e le accarezzai una guancia per tranquillizzarla. “Va tutto bene, scusami tu. Anzi, è meglio così, non posso mica passare tutto il giorno a dormire no?” aggiunsi ilare. In realtà era profondamente scocciata dell’interruzione, ma di certo non ce l’avevo con Lucy. Un’altra cosa certa era che non ero arrabbiata per il sonno mancato. L’unica cosa che mi premeva era aver interrotto la discussione con la donna. Non aveva mai lasciato trapelare così tante informazioni come questa volta. Le sue frasi erano sempre vaghe, ma quest’ultimo dialogo aveva comunque chiarito alcune domande che mi ponevo da settimane. Prima tra tutti, perché non si era ancora fatta vedere da quando ero a Narnia. Aveva detto che era troppo debole per venirmi a prendere. Quindi era malata, stava male? Aspettava di essere in forma per presentarsi probabilmente. E una volta guarita sarebbe giunta. Sarebbe arrivata per portarmi a casa aveva affermato. Ma quale casa? La sua, di sicuro. Chissà dove si trovava, forse Peter avrebbe potuto dirmelo… No, pensandoci meglio era più saggio non chiederglielo. Avevo notato che le poche volte che avevo nominato la donna delle mie visioni, Peter si era irrigidito inspiegabilmente e aveva cambiato discorso in tutta fretta. Avrei aspettato per chiedere delucidazioni la prossima volta che avessi visto la donna, ovvero appena mi fossi riaddormentata, dato che aspettava i momenti in cui ero tra le braccia di Morfeo per venire a trovarmi. Sarei andata da Peter solo come ultima risorsa. Ma perché la donna voleva portarmi via? Perché insisteva nel dire che quello non era il posto giusto per me?

“Cate, ero venuta per dirti che è pronto il pranzo. Probabilmente gli altri avranno già iniziato a mangiare, vieni?” mi informò.

Gnam, avevo una fame cieca! Il mio stomaco accolse quella notizia felice come non mai.

“Ma certo”

Lucy mi offrì la mano e io la presi, felice di quel piccolo segno di amicizia. Feci per dirigermi verso l’interno dell’edificio ma la bimba mi frenò.

“Cosa c’è Lucy?” le domandai volgendomi sorpresa verso di lei.

La piccola mi guardò tentennante. “Mi hanno riferito la tua decisione di ieri sera solo poco fa e non ero ancora riuscita a ringraziarti. Ero venuta qui anche per questo” mi sorrise con il suo sorriso infantile e sincero prima di continuare “Davvero Cathrine, grazie mille, non sai quanto significhi per noi. Con la tua scelta hai portato un barlume di speranza anche nei cuori più scettici, grazie.”

La fissai, sbalordita dalle sue parole. Caspita, per essere una bambina Lucy sapeva parlare davvero bene. Poi mi ricordai che non aveva l’età che dimostrava, perché per quanto potesse sembrarmi astruso, anche lei era la regina di Narnia e come tale aveva subito lo stesso sbalzo temporale dei suoi fratelli. Ciò però non sminuiva le sue parole.

Mi chinai e l’abbracciai commossa. “Grazie a te Lucy per quello che mi hai detto”

La piccola rise e ricambiò l’abbraccio. “Dai ora andiamo o non troveremo più niente da mettere sotto i denti!” scherzò.

Risi con lei, poi la ripresi per mano e mi diressi verso il mio piatto caldo che mi stava aspettando paziente.

 

Entrammo nella grande sala da pranzo attirando, come sempre, gli sguardi di tutti i presenti. Poco male, ormai ci stavo facendo il callo. Senza guardare nessuno, mi diressi spedita verso il posto di Peter, che già mi sorrideva allegro. Dalla sua espressione traspariva la soddisfazione per qualcosa. Feci mente locale un secondo e mi ricordai cos’era andato a fare quando mi aveva lasciata. Povero principe. Lo cercai con gli occhi lungo le file di tavoli o lo trovai seduto in un angolo vicino a Susan. Aveva il colorito pallido e pareva abbacchiato tanto che Susan sembrava continuare a confortarlo. Chissà cosa si erano detti i due sovrani…

“Mademoiselles” ci salutò Peter, invitando me e Lucy a sederci accanto a lui.

“Ancora un minuto e temo avreste trovato le pentole completamente vuote, sapete?”

“Colpa di Cate, non si schiodava da terra”

“Ehi!” lanciai il tovagliolo in direzione di Lucy, che mi rispose con una linguaccia.

“Comunque” ci richiamò divertito Peter “volevo domandarti una cosa” e si rivolse  a me.

Inevitabilmente io mi incuriosii. “Che cosa?”

Il re mi si avvicinò ammiccante “Mi chiedevo se oggi ti andava di venire con me in un posto” rispose misterioso.

Mi avvicinai a mia volta, con un mezzo sorriso provocante, stando al gioco e incurante dei possibile spettatori. “E dove?”

“Volevo mostrarti uno scorcio del mio paradiso, quel che resta della mia Narnia. Sai, non l’ho ancora fatto vedere a nessuno, lo scoperto pochi giorni fa” mi confidò a bassa voce.

“E vuoi condividerlo con me?” gli domandai lusingata.

Lui annullò la residua distanza tra di noi e mi si accostò al mio orecchio, sussurrando “Sei l’unica che lo apprezzerebbe quanto me”

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Capitolo 9
*** 8_Quello che posso e non posso essere ***


cappy 8

Ciao a tutti!!!! Lo so scusatemi ci ho messo una vita ad aggiornare, ma è riniziata la scuola e purtroppo per me ho dovuto fare i conti con una marea di compito T.T!!! Comunque alla fine ce l'ho fatta e...eccomi qui!! Ragazze mie, 5 recensioni per lo scorso cappy, SONO FELICISSIMA^^!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! Nn riuscivo a crederci^^ e poi che recensioni, siete troppo buone troppo fantastiche!!!!! Avevo la lacrimuccia! Io nn so cosa dirvi se non GRAZIEEEEEEEEEEEEEEEEE^^!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! Dopo tutto questo spero davvero tanto di non deludere le vostre aspettative con qst cappy, spero davvero che vi piaccia^^  è dedicato a tutte voi che mi avete scritto, glasie davvero^^
La prima parte è puntata su Peter e Cathy e li troviamo dove li avevamo lasciati lo scorso cappy anche per vedere fino in fondo la bellezza del posto dovrete aspettare l'ultima parte del cappy, la terza^^ la seconda invece è interamente per gli altri due piccionicini che spero appreziate^^  Quindi questa capitolo privilegia ancora molto le coppie e spero di essere riuscita con questo a dare un quadro completo della loro situazione sentimentale, specialmente quella di Cathrine che è stata la più difficile da inquadrare e ancora non so se mi è venuta bene o male, lìavrò riletta mille volte e spero che alla fine sia riuscita ad esprimere bene ciò che prova^^! Il prossimo invece sarà un cappy più movimentato con alcuni sviluppi, e qui nn aggiungo altro o vi rovinerei la sorpresa^^! Nel prox cappy poi apparirà di più Edmund che effettivamente poverino come mi è stato fatto notare è stato lasciato un po' sullo sfondo! Per Aslan e Jadis invece bisognerà pazientare ancora un po'^^! Fatemi sapere cosa ne pensate^^!
Ora passo ai ringraziamenti:

risotto: ciauu^^! Grazie mille per la tua recensione entusiasta^^ sono felice che la parte per Susy e Caspian ti sia piaciuta, ^^ spero che ti piaccia anche la parte loro di qst cappy :-) dove ci sarà un interessante svolta (però qui mi devo tappare la bocca se no dico troppo!)  e la aprte della ramanzina (ero curiosa anche io di sapere come sarebbe venuta perchè ero indecisa che tono dargli fino all'ultimo, spero che sia venuta bene alla fine^^) Nn vedo l'ora di sapere cosa ne pensi^^ ti mando un grande bacio! 68Keira68

ranyare: ciao! grazieeeeeeeeee^^ addirittura un monumento**? Sei troppo buonaaaaaaaaaaa :-)!!!!!! però sono davvero tantotantotantotanto felice che il cappy (e quella battuta hihii^^) ti sia piaciuto^^! Peter nei panni del fratello maggiore lo vedevo troppo bene per non inserirlo ^^ qui gli sviluppi tra i nostri piccionicini nn mancheranno assicuro^^ spero che ti piacciano:-)! Quando Peter scoprirà la verità ci sarà un bel pasticcio che riguarderà tutti ^^ però nn posso aggiungere altro o rovinerei la sorpresa hii^^ bisognerà aspettare ancora un po', la strada è lunga spero solo che nel frattempo sia piacevole:-)! Spero di leggere presto la tua recensione per sapere se il cappy ti è piaciuto^^, kisskisses carissima! 68Keira68

Carlottina: ciao! Glasieeeeee^^ wow tutti i capitoli d’un fiato, nn so cosa dire se no che sono davvero strastra felice che ti sia piaciuta così tanto^^!!!!!! Ti do ragione sul fatto che il binomio ragazzi-sentimenti è sempre divertente, sono forti e sicuri i ogni occasione ma quando si parla delle questioni di cuore diventano degli agnellini hihi^^ cm dicevo prima Jadis diventerà attiva tra un po’ di capitoli, però assicuro che succederanno un sacco di pasticci quando ciò accadrà, spero solo che il tutto piacerà^^ ti lascio alla scoperta del posto segreto di Peter ^^ mi auguro che il cappy ti piaccia, spero di leggere presto la tua recensione ^^ ti mando un grande bacio  68Keira68

 KissyKikka: Ciao! Sono felicissima che tu abbia recensito il cappy davvero! e grazie infinite per tutti i complimenti, sei troppo buona ^^!!!!!!  Ero felice cm una bimba mentre li leggevo >

sweetophelia: Ciao! Sono molto felice che sia i personaggi che la storia ti paicciano^^! Grazie per i complimenti :-)!!!!!! Per Jadis bisognerà aspettare ancora qualche cappy, però farà la sua bella apparizione in grande stile, lo assicuro^^! Edmund invece apparirà meglio nel prox cappy, lo prometto:-)! Ta-daan, presto sarà svelato il posto di Peter,  fammi sapere se ti piace questo nuovo cappy e il misterioso luogo del nostre bel re biondo^^! Grazie mille per la tua recensione^^ ti mando un bacio 68Keira68 :-)!

Ringrazio tantissimo anche tutti coloro che mi aggiunto tra le loro seguite e le loro preferite, grazie di cuore^^!! E anche tutti coloro che leggono^^!! Spero che il cappy vi piaccia,  vi auguro una buona lettura^^!

kisskisses

68Keira68

witch

8_Quello che posso e non posso essere

 

“Peter, sei sicuro che sia una buona idea?” domandai guadando diffidente il grosso equino che mi sovrastava.

“Ma certo, perché non dovrebbe?”

“Perché io non ho mai cavalcato e non ho la benché minima idea di come si faccia” osservai titubante.

Il suono della sua risata riecheggiò soave nell’aria. “Cate, non è necessario che tu sappia cavalcare per salire in groppa ad un destriero di Narnia” mi spiegò paziente.

Io lo guardai scettica. “E perché di grazia?”

“Perché guido io. Non ti farò cadere, te lo prometto”

Mi pietrificai dov’ero. A parlare non era stato Peter, con mio enorme sconcerto, ma il destriero che mi stava dinanzi.

Accidenti, il cavallo aveva parlato, non me lo ero immaginato!

Feci tre respiri profondi e mi dissi che potevo sopportarlo, la mia mente poteva reggere anche questa novità. Dopotutto, non era più terrificante di un minotauro.

Mi voltai verso il muso dell’equino, cercando di celare l’indifferenza che nutrivo verso di esso e anche la paura.

Dischiusi le labbra per articolare una frase, ma non mi uscì alcun suono. In risposta udii sia Peter che il cavallo ridere sommessamente.

E no, potevo farmi prendere in giro dal re ma non sopportavo di essere derisa anche da un equino. Mi feci coraggio e riformulai la frase, facendo leva sull’irritazione che provavo in quel momento.

“Sei sicuro di riuscire a non disarcionarmi? È la prima volta che salgo su un cavallo” mi assicurai piccata.

“Stai tranquilla, non sei mica la prima persona che trasporto” ribatté sicuro di sé.

Perfetto, pure il cavallo megalomane mi toccava!

“D’accordo, mi fido…”

“Fulmine”

“Come scusa?”

“Fulmine, il mio nome è Fulmine” mi informò scuotendo orgoglioso la criniera scura.

“Ah ok, bene, allora mi fido Fulmine” ripetei imbarazzata. Anche suscettibile era?

“Muoviamoci, non ho voglia di rimanere qui tutto il giorno”

Peter, già in sella al suo cavallo bianco -chissà se anche lui aveva un nome-, aspettava paziente con la sua postura eretta e regale. Visto così, a cavallo, con la spada appesa al fianco e il sole dietro che gli illuminava i capelli biondi, sembrava proprio il principe azzurro delle fiabe.

Mi incantai un secondo a guardarlo, prima che il nutrito di Fulmine mi riportasse con i piedi per terra.

“Certo, arrivo”

Mi avvicinai al fianco del mio destriero sempre più sconsolata guardando la sua altezza. Come accidenti avrei fatto a salirci?

“Aspetta, ti do una mano io” si intromise Peter vedendomi in difficoltà. In meno di un secondo fu al mio fianco e mi aiutò a mettere il primo piede nella staffa. Poi mi posizionò le mani all’attaccatura della sella e mi cinse i fianchi fornendomi la spinta necessaria per salire in groppa.

“Grazie” mormorai imbarazzata dalla mia imbranataggine.

È stato davvero cavalleresco da parte sua però…

“Dovere” mi rispose rimontando agilmente sul suo equino. “Bene, ora che siamo pronti, seguimi”  e detto questo diede un colpo di redini e partì al galoppo.

“Tieniti forte, si parte” mi intimò Fulmine e io non me lo feci ripetere due volte. Mi artigliai letteralmente alla sella, terrorizzata dall’idea di cadere e rompermi qualcosa. Da che ne sapevo io qui attorno non c’erano ospedali.

Dopo qualche metro però mi accorsi che riuscivo a stare in groppa con facilità. Stava guidando Fulmine, io dovevo solo rimanere aggrappata a lui, forse avrei conservato l’osso del collo intatto ancora per un po’.

Peter mi si affiancò con facilità, adattandosi al galoppo lento che Fulmine stava conducendo per la mia inesperienza. Riportai lo sguardo su di lui e non potei non far ritornare i pensieri di prima. Mi vennero in mente mille aggettivi per descriverlo, ma il succo era semplice: Peter era davvero bello, con una mano appoggiata al pomo della spada e l’altra che teneva con destrezza le redini.

“Allora, è così difficile?” mi chiese ironico.

Finsi di pensarci su. “No, credo di no”

“Bene, comunque tra poco saremmo arrivati, non è tanto distante”

“Non ho ancora capito bene la nostra meta però, dove mi stai portando?” domandai curiosa. A pranzo non avevo insistito molto sull’argomento, felice solo che sarei stata lontana un intero pomeriggio da Susan e i suoi esercizi, ma soprattutto che lo avrei trascorso con lui.

Mi sorrise misterioso. “In un posto che ho scoperto da poco. È una piccola spiaggia alla fine di un boschetto. Si arriva passando dentro una roccia cava a piedi.”

“E come mai nessun altro sa dove si trova?” mi informai ricordandomi delle sue parole.

“Perché l’ingresso è nascosto dagli arbusti. Io ho trovato l’apertura per puro caso mentre ero a caccia. Ho visto un cervo che spariva tra gli alberi e inseguendolo ho trovato il passaggio.”

Ottima spiegazione, peccato che la mia mente si era fermata su un’immagine ben definita di lui a caccia, anche se la mia immaginazione aveva aggiunto il corredo di cinque creature mitologiche. Potevo immedesimarmi nel cervo? Ero anche io una specie di preda trovata a caccia? Dopotutto ci eravamo incrociati durante una missione. Perché ti vogliono solo usare. Scossi la testa e mi diedi mentalmente della stupida. Che pensieri insulsi stavo formulando!

“Per me è un posto di pace. Non è ancora come la Narnia dei miei ricordi, gli alberi sono ancora fissi e la magia non risiede nel loro animo, però è tranquillo, pulito, gli animali che vi sono abitano liberi e spensierati e l’acqua è limpida e fresca. La guerra non ha ancora raggiunto quel piccolo anfratto per fortuna.”

Lo guardai con tenerezza mentre descriveva quello che avevo capito essere per lui un piccolo angolo di paradiso.

“Non vedo l’ora di andarci” sussurrai.

Lui mi sorrise sghembo e mi indicò due grandi querce. “Non dovrai attendere a lungo, siamo arrivati” disse e scese con un agile balzo giù dal cavallo.

“Visto che ti ho portata sana e salva a destinazione?” si vantò Fulmine.

“Ok ok, mi sbagliavo, contento?”, dal nitrito soddisfatto che seguì dedussi che la risposta era positiva. Incredibile, stavo avendo un botta e risposta con un cavallo, meglio che non mi ci soffermavo troppo a pensarci.

Il re mi si accostò e mi porse le braccia, invitandomi a scendere. Senza esitazione tolsi un piede dalla staffa e mi appoggiai alle sue spalle, ritrovandomi in un soffio con i piedi saldamente ancorati al terreno e, cosa ancora più gradita, tra le sue braccia.

La posizione non parve infastidire nemmeno lui perché indugiò immobile qualche attimo, prima di passarmi una mano tra i capelli e con voce bassa intimarmi di seguirlo.

Ci addentrammo tra le due querce secolari tenendoci per mano -per mia fortuna dato che continuavo ad inciampare tra le radici- facendoci strada tra i rami bassi e i piccoli arbusti che Peter molto galantemente scostava per farmi passare.

Dopo pochi passi una piccola apertura scura ci apparve. Era grande quanto bastava per far passare due o massimo tre persone per volta ed era interamente intagliata nella roccia irregolare.

Senza esitare Peter entrò dentro trascinandomi con sé pur essendo più riluttante ad immettermi in uno spazio così angusto e buio. Meglio che non pensavo a quali insetti vi potessero dimorare o sarei scappata a gambe levate.

Peter probabilmente avvertì la mia ritrosia perché mi consolò dicendo “Stai tranquilla, il tunnel dura poco, è solo qualche passo”

Mi limitai ad un cenno di assenso con il capo prima di entrare.

Una volta all’interno la poca luce che si intravedeva prima scomparve nel nulla. Scorgevo a mala pena il profilo di Peter accanto a me. Fortunatamente lui sembrava sapere dove ci stessimo dirigendo perché proseguiva sicuro tastando solo di tanto in tanto il fianco del tunnel per assicurarsi di non andare a sbattergli contro probabilmente.

Dopo poco tempo però constatai che il re era stato di parola. Un fiotto caldo di luce riempì la mia visuale sintomo che l’uscita era vicina. Affrettai il passo, desiderosa di lasciarmi alle spalle la grotta cava e mi ritrovai su di una spiaggia.

Rimasi a bocca aperta. Peter aveva ragione, quel luogo era stupendo. La spiaggia era bianca e la sabbia fine, il mare era un distesa infinita di acqua cristallina e più azzurra del cielo, tanto da non distinguere la linea dell’orizzonte. L’aria calda e pulita, accarezzandomi le gote, mi portava alle narici l’odore della salsedine insieme al dolce suono delle onde che si infrangevano delicate sulla battigia. Ispirava una pace infinita, poteva essere davvero un scorcio del paradiso. 

“Allora, ti piace?” mi sussurrò Peter ad un centimetro dal mio orecchio, facendomi sussultare. Non lo avevo sentito avvicinarsi per colpa della sabbia che aveva attutito i suoi passi.

“Moltissimo” gli risposi girandomi felice.

“Ne sono lieto” mi rivolse un sorriso a trentadue denti, felice come una Pasqua probabilmente per il luogo in cui si trovava. Non potei non restare contagiata dal suo buon umore.

Si allontanò di un passo e iniziò a togliersi prima le scarpe, poi la cintura con la spada. Io lo squadrai con aria interrogativa. Perché si stava spogliando?

Poi però quando iniziò a sbottonarsi la camicia, il mio cervello iniziò a fare le valigie per le Hawaii. Nel tempo che Peter impiegò per appallottolare l’indumento per terra, i neuroni erano ormai già sotto un albero di cocco a prendersi il sole.

Dire che mi incantai a guardarlo era un eufemismo, ma dopotutto come potevo biasimarmi? Aveva un torace scolpito. Le spalle erano ampie e ben proporzionate, sotto facevano bella mostra di sé i pettorali palestrati per poi scendere giù, dove la vita si faceva proporzionatamente sottile e ospitava degli addominali a dir poco perfetti…

“Ehi, ti sei imbambolata?”

La voce di Peter mi riscosse dal mio torpore con enorme imbarazzo.

No, ti prego dimmi che non mi ha beccata a fissarlo!

Scossi violentemente la testa per negare l’evidenza “Figurati, mi stavo solo chiedendo perché ti stessi…togliendo le scarpe” ecco, meglio prenderla alla lontana.

Peter mi sorrise malizioso. “Hai intenzione di fare il bagno vestita?” osservò divertito.

BAGNO?!

Divenni, se possibile, ancora più rossa.

“Vuoi fare il bagno?” la domanda mi uscì prima che potessi catalogarla come idiota.

Lui rise. Per mia fortuna la stava prendendo sul ridere. “Ma certo, siamo in una spiaggia con quaranta gradi all’ombra, abbiamo una distesa di acqua a nostra disposizione, preferisci forse giocare a carte?”

“No no, il bagno va benissimo, non ci avevo solo pensato” borbottai iniziando a sfilarmi il vestito per evitare di guardarlo in viso.

Mi liberai in fretta anche delle ballerine e rimasi in quella che doveva essere la biancheria intima tipica del medioevo, fornitami gentilmente da Susan proprio quella mattina. Il completo consisteva in un corpetto bianco - mozza-respiro per i miei gusti- con una scollatura a cuore e mille laccetti dietro, che rendevano l’impresa di allacciarlo autonomamente impossibile, e un paio di pantaloncini lunghi fino al ginocchio bianchi anch’essi e ornati di pizzo sull’orlo. Almeno quest’ultimi per mia fortuna erano comodi, per nulla aderenti erano invece elastici e più morbidi di una tuta.

Senza degnare più di uno sguardo Peter, mi diressi spedita verso il mare. Dopo qualche passo però cedetti alla tentazione di lanciare una rapida occhiata all’indietro e mi stupii nel vederlo immobile nella stessa posizione di poco prima. Mi stava fissando con un mezzo sorriso, probabilmente divertito dalla mia finta alterigia. Gli occhi erano di un azzurro acceso e tutto il suo corpo sembrava irradiare un’energia sconosciuta ai più.

“Cos’è? Ti è passata la voglia di tuffarti? O hai paura che sia più brava di te a nuotare e non vuoi fare una figuraccia?” lo provocai togliendomi i capelli dalla spalla con una mano e muovendo la testa con una ostenta quanto finta superiorità.

Lui accolse la sfida. “Io paura? E di cosa, di un pulcino bianco?” ribatté ridendo. Poi fece un passo in avanti, mi fissò dritto negli occhi e aggiunse con un sorriso provocatore “Un pulcino che presto sarà bagnato da capo a piedi” e detto questo iniziò a correre nella mia direzione a tutta velocità.

Colta di sorpresa capii troppo tardi le sue intenzioni. Iniziai a scappare ma tempo pochi passi che mi raggiunse e mi sollevò senza alcuna difficoltà.

Iniziai a ridere e a dimenarmi contemporaneamente.

“Mettimi giù! Peter! Mettimi giù ti ho detto!” urlai inutilmente mentre lui rideva e non accennava minimamente a diminuire la presa, tenendomi in braccio apparentemente senza sforzo.

“Manco per sogno, sei stata tu a cominciare e ora ne paghi le conseguenze” sentenziò mentre procedeva a passo di marcia dentro l’acqua che iniziava ad arrivargli alla vita.

“Scusa scusa, non lo dirò più prometto!”

“Mi dispiace ma ormai è troppo tardi per rimangiarsi le accuse, e uno” iniziò a dondolarmi preparandosi al lancio. Io chiusi forte gli occhi e iniziai ad immagazzinare più aria possibile. Accidenti a me e alla mia linguaccia, ma potevo starmene zitta e fare un bagno tranquilla?

“E due…e tre!”

Mi lanciò in acqua e l’ultima cosa che udii prima di affogare fu l’eco della sua risata cristallina.

Andai a fondo per qualche secondo, dopodiché, con una spinta, mi riportai in superficie in cerca d’aria e inizia a sputare l’acqua che avevo bevuto nonostante i miei sforzi di tenere la bocca chiusa. Odiavo essere buttata dentro l’acqua di peso, mi entrava tutta nelle orecchie e nella bocca, senza contare che l’impatto era tutt’altro che piacevole. Questa me la pagava, oh se me la pagava!

Con gli occhi ridotti ad una fessura lanciai un’occhiata omicida a Peter il quale era letteralmente piegato in due dalle risate.

Mi concessi un sorrisetto sadico, tra poco sarebbe stata un’altra persona a ridere.

“Allora, chi è quello che deve avere paura?” mi sbeffeggiò sicuro di aver ottenuto la vittoria. Povero ingenuo…

Feci un passo in avanti con aria angelica. “Tu, ovviamente”

Mi squadrò scettico. “Devo buttarti in acqua un’altra volta?”

Scossi la testa. “Peter, Peter, non lo sai che non si provocano le streghe?” e detto questo agitai velocemente le mani facendo confluire l’energia su di esse. Le puntai ai lati del ragazzo e feci alzare due potenti onde d’acqua. Feci appena in tempo a godermi l’espressione allibita del giovane che l’acqua lo investì in pieno.

Quando riemerse, bagnato almeno quanto me e annaspante, mi fissò accusatore. “è sleale usare la magia!”

Scoppiai a ridere. “In guerra e in amore tutto è concesso non lo sapevi?”

Vendetta, dolce vendetta.

Mi lasciai cadere all’indietro ad occhi chiusi, facendomi cullare dall’acqua resa piacevolmente tiepida dal sole caldo che risplendeva nel cielo. Pochi secondi dopo avvertii Peter raggiungermi con due bracciate. Mi mise un braccio dietro la nuca e con l’altra mano mi scostò le ciocche di capelli bagnate dal viso. Aprii gli occhi, godendomi appieno la pace di quell’istante, la stessa pace che vidi riflessa nei suoi zaffiri. Dai suoi capelli bagnati cadevano piccole gocce d’acqua che segnavano percorsi immaginari sul suo petto. Come incantata, alzai la mano e ne accompagnai la traccia di una, seguendo il profilo dei suoi addominali. Arrivata alla fine, lui mi prese la mano tra le sue e se la portò al volto, appoggiandosela alla guancia e chiudendo gli occhi in un’espressione di beatitudine. Quando gli riaprì, la sua voce era roca e bassa, ma capace di risuonarmi dentro il cuore.

“E noi ora siamo in guerra o in amore?” mi chiese.

La domanda mi colse impreparata e sentii un sapore amaro in bocca. Perché me lo chiedeva? Non ci stavamo divertendo anche senza farci stupidi problemi? Non ero pronta a dare una risposta. Anzi, a dire la verità non sarei mai stata pronta, non ne avevo la possibilità. Aggirai la richiesta. Gli avrei detto cosa pensavo di quel sentimento, forse avrebbe capito anche il resto.

“Sono la stessa cosa. L’amore è una guerra. Contro l’altra persona, contro terzi che si frappongono, a volte anche contro il tempo o la società. Ma soprattutto contro noi stessi, che spesso siamo incapaci di accettare il sentimento o di gestirlo oppure di viverlo”.

La mia voce era sconsolata, piegata da diciassette anni di privazione di quel sentimento. L’amore per me era un concetto estraneo, non lo avevo mai provato sulla mia pelle. Avevo sempre tenuto tutti alla larga dal mio cuore per proteggerli da me e per proteggere me stessa. Una lotta eterna per non affezionarsi troppo a nessuno ma specialmente per non far affezionare nessuno a me, alla strega. Chi avrebbe mai potuto volermi accanto nella Londra del duemila? Ero un pericolo, una stranezza da cui stare in guardia. Di certo non potevo imporre i miei sentimenti a qualcuno. Fatto era che ora non sapevo cosa volesse dire essere amata, ma soprattutto non sapevo cosa significasse amare, donare il proprio cuore a qualcuno in senso assoluto. Non lo avevo mai fatto e dubitavo di esserne in grado. Come si può promettere quindi una cosa che non sai sei puoi donare?  Era meglio essere sinceri e ammettere i propri limiti al meno con se stessi.

Lui mi soppesò con lo sguardo, intuendo il conflitto interno che aveva adombrato il mio.

Senza ribattere, mi prese in braccio con dolcezza e si diresse verso la spiaggia. Io gli passai le mani attorno al collo e mi strinsi a lui, godendo del suo calore.

Ero conscia di averlo turbato con le mie parole, ma dopotutto era quello che pensavo, quello che sentivo, non sarebbe stato giusto nei suoi confronti rifilargli una dolce frase di circostanza quando era del tutto falsa per me. Con il timore che potesse leggervi dietro una muta promessa che mai avrei potuto mantenere.

Mi adagiò sulla sabbia e si sedette di fianco a me, senza però distogliere il suo braccio dalle mie spalle.

“Non sono d’accordo sai? Non la penso affatto così, e dovresti cambiare idea anche tu” esordì con voce risoluta ma bassa.

Io mi rannicchiai ancora di più vicino a lui e tenni lo sguardo basso. “Dipende in che circostanze sei stato cresciuto”

“In che senso?”

“Tu sei abituato ad avere accanto i tuoi fratelli, a casa avrai i tuoi genitori, degli amici sinceri. Li ami e loro amano te senza riserve, vi fidate e contate l’uno sull’altro. E anche qui tutti ti adorano, ti idolatrano come loro salvatore. Sei costantemente circondato da persone che ti amano, tu sei abituato, sai come fare a donare il tuo amore a qualcuno, sai gestire il sentimento” gli illustrai con una punta di invidia.

“Tu no invece?” mi chiese mantenendo un tono neutro.

Stavo aspettando quella domanda ed ero pronta a rispondergli. Non volevo lamentarmi né passare per la povera piccola da consolare. Odiavo essere biasimata, ma volevo che capisse perché non avrei mai potuto dargli una risposta smielata al quesito di prima. “Noi siamo in guerra o in amore?”

“No” dissi secca.

Sentii i suoi occhi perforarmi e io decisi di affrontare lo sguardo, nonostante temessi l’occhiata di compassione che sicuramente lo avrebbe attraversato. Eppure quando li incrociai, rimasi sorpresa. Non c’era compassione né biasimo, c’era semplice curiosità di sapere la mia storia. Ma non era una curiosità frivola, voleva sapere per comprendere il motivo della mia risposta precedente, per comprendere e conoscere me.

Rincuorata, proseguii il mio discorso. “Mia madre è l’unica che conosce i miei poteri e mi teme come la peste. Non ci parliamo mai, a parte quando mi insulta dicendomi che sono un mostro della natura. Mio padre non sa che sono una strega quindi è più affettuoso, ma è sempre via per lavoro, lo vedrò si e no tre settimane all’anno. Non ho mai avuto un ragazzo né amiche sulla quale contare per colpa dei miei poteri, perché non potevo permettermi di farmi conoscere per quella che ero, non potevo avvicinare nessuno, confidarmi o semplicemente lasciarmi amare e amare a mia volta. Capisci ora perché ho una visione così grigia?” gli riassunsi in breve, cercando di mantenere un tono indifferente, operazione quasi riuscita se non fosse per la nota disperata che non ero stata capace di trattenere sull’ultima frase. Non ero abituata ad aprirmi e quella sincerità mi costava. Mi faceva sentire indifesa, priva di protezione, anche se il mio istinto mi tranquillizzava, dicendomi chiaramente che con Peter non ne avevo bisogno, che non dovevo tutelarmi da lui. Sperai tanto che avesse ragione.

L’amarezza si propagò nel mio cuore, come se dire quelle frasi ad alta voce le rendessero più vere e quindi anche più dolorose. Sentii forte una fitta al petto e mi rannicchiai su me stessa.

Il gesto non sfuggì agli occhi vigili del re che aumentò la stretta sulla mia spalla e iniziò ad accarezzarmi il volto con la mano libera, chinandosi su di me.

Mi cullò per qualche minuto, poi iniziò a parlare.

“Mi dispiace, non lo sapevo, ma nonostante ciò, la tua visione resta sbagliata.” Affermò.

Io lo guardai di sottecchi con un sorriso amaro, pronta a smontarlo. “E sapresti anche dirmi perché?”

“Perché non tutti sono come tua madre. Perché non sei costretta a rifugiarti e a temere il giudizio di tutto il mondo” disse prontamente.

“Finora non ho conosciuto persone molto disponibili a Londra” ribattei testarda.

“A Londra no, ma qui non sei più in Inghilterra, te lo già detto” mi ricordò “Qui tutti sanno chi sei e nessuno ti ha additata come mostro. Alcuni si sono dimostrati diffidenti, è vero, ma non per i tuoi poteri in sé, ma per quello che gli ricordavano e questo non c’entra nulla con te. Qui puoi considerarti a casa, la tua magia rientra nell’ordinario, è considerata magnifica, bella e vitale, non un qualcosa da temere. Ora sei tra persone che ti comprendono”

Mi presi un secondo per riflettere sulle sue parole. Era vero, mi ero lasciata Londra alle spalle, ma davvero avevo finalmente conosciuto chi mi accettava? La risposta la sapevo da sola. Si, era vero, per la prima volta in vita mia stavo tra persone alla quale non dovevo nascondere i miei poteri e che mi avevano accolta. La consapevolezza di ciò però mi giunse solo in quel momento. La morsa che mi attanagliava il cuore si allentò di un poco, anche se rimaneva comunque stretta. Rimaneva il problema più grande, quello dei miei limiti. Sarei riuscita a superarli? Ne dubitavo grandemente.

“E poi” proseguì Peter “in particolare IO non sono come tua madre” sottolineò.

Mi irrigidii sul posto. Mi aveva di nuovo colta di sorpresa. Temetti la continuazione della frase, però al contempo non potei impedirmi contro ogni logica di provare aspettativa, una dolce attesa che non avevo mai sperimentato prima. Cosa intendeva con quella frase? Il mio cuore perse un battito mentre trattenevo il respiro, raggelata nella mia posizione, anche se, a pensarci bene, non sapevo nemmeno cosa stavo attendendo. Altre parole di consolazione? Una promessa? No, era qualcos’altro, ma non sapevo definirla.

“Io mi fido di te e vorrei che tu potessi fidarti di me, che sapessi che puoi contare sulla mia persona, che sono qui e sempre ci sarò e che, pur conoscendoti da poco, finora ho potuto vedere una bella e giovane ragazza, generosa e dolce che ha accettato di prendere parte ad una guerra per cause che non la riguardano rischiando la sua vita per persone che non conosce” proseguì, con gli zaffiri che brillavano intensi incatenati ai miei occhi. “Del mostro di cui parlava tua madre non è ho scorto traccia, ma se davvero si comportava come mi hai detto, probabilmente l’unico mostro vero era lei” concluse duro.

Era oltre le mie aspettative, decisamente. Nessuno mi si era mai rivolto in questo modo, nessuno mi aveva mai offerto la sua amicizia, la sua comprensione totale e giudicato in modo così roseo.

Del mostro di cui parlava tua madre non è ho scorto traccia.

La frase continuava a riecheggiare nelle mie orecchie, benefica. Non mi aveva considerato strana, pericolosa, non temeva la mia vicinanza per i miei poteri. Li aveva addirittura definiti magnifici, belli e vitali. Ma non mi aveva neanche giudicato una Regina di Ghiaccio, come i miei compagni alla Queen’s.

Però… “Non è solo quello il problema” sussurrai mesta.

“E quale sarebbe l’altro?” mi incitò con un tono dolce.

Presi un bel respiro prima di dar voce ai miei pensieri. Non mi ero mai confidata così con nessuno, ma a lui lo dovevo. Si era aperto con me la sera precedente, mi aveva confidato tutto, meritava la stessa fiducia che lui aveva riposto in me.

“Peter, io…” esitai, presi un altro respiro e mi feci forza “non credo di sapere amare. Non in senso assoluto. So essere una buona amica, ma non credo di poter essere altro” espressi d’un fiato.

Ora avevo ancora più paura della sua reazione. Cosa avrebbe pensato di me di fronte ad una dichiarazione del genere? Forse credeva che fossi un caso senza speranza. Quella frase detta ad alta voce pareva senza senso pure a me, anche se rispecchiava alla perfezione quello che potevo e non potevo essere. Ma una persona estranea lo avrebbe capito? Avrebbe concepito che per me poteva essere complicato provare un sentimento solitamente così normale e spontaneo?

Ma ad un tratto sentii il mio viso aderire al suo petto e il suo braccio che mi stringeva forte.

“Non dire sciocchezze, tu sai amare. Per forza, hai un cuore d’oro, te l’ho appena detto, e da ciò ne consegue che hai più amore da donare di quello che pensi” affermò. Il mio cuore perse un altro battito e un sorriso involontario si formò sulle mie labbra. Aveva capito. Non sapevo come, ma era riuscito a comprendermi.

“Non ho mai provato un sentimento del genere, se nascesse non saprei come gestirlo” aggiunsi però, per essere sincere fino in fondo.

Mi scostò di poco da sé, quel tanto che bastava per assicurarsi che lo guardassi negli occhi. “Caty, dimentichi che ci sono io. Te lo ripeto, io sono qui per te, puoi contare su di me, nessuno ti dice di fare niente da sola. Ti aiuterò io quando lo vorrai”

Senza rendermene conto, il sorriso di prima si allargò mentre usciva fuori un “Grazie” direttamente dal cuore. La parola era semplice ma sentivo che era quella giusta. Riassumeva nella sua sincerità parecchie cose che a voce non sarei mai riuscita a dire. Grazie per avermi voluto conoscere, grazie per avermi accettata, grazie per avermi difesa, grazie per avermi offerto il tuo aiuto, grazie per la tua fiducia, grazie per i tuoi sorrisi e il tuo calore. Grazie per essermi vicino.

Peter mi baciò i capelli con dolcezza e io fui certa che avesse intuito tutto ciò che quel “grazie” racchiudeva in sé, poi si sdraiò sulla sabbia, con gli occhi chiusi e un’espressione beata in viso.

Rimasi un secondo ad ammirarlo. Forse lo aveva già detto ma…era davvero, davvero bello. I raggi del sole facevano brillare le piccole gocce d’acqua che ancora gli bagnavano il petto scolpito, che ora si abbassava e alzava a ritmo regolare e rilassato. Le braccia, tenute con scioltezza dietro la schiena, sostenevano il viso dai lineamenti degni di un angelo. Un angelo divino sceso dal cielo per proteggere me, per come la vedevo al momento. I capelli fradici e biondi gli ricadevano sulla fronte celandoli in parte le palpebre chiuse che sapevo nascondere due occhi più azzurri delle pietre preziose e poco più giù le labbra piene e morbide erano socchiuse in un mezzo sorriso. Due labbra rosee che prima mi avevano sfiorato. Due labbra che avrei preferito si posassero poco più giù dei miei capelli. Due labbra che avrei tanto voluto si posassero sulle mie.

Rimasi scioccata dai miei stessi pensieri. Avevo formulato la richiesta sul serio? Davvero avevo desiderato un bacio dal re? Mi bastò riguardare i volto di Peter per averne la conferma. Ma perché? A questo non sapevo rispondere. La voglia era nata così inaspettata da non riuscire a catalogarla né a definirne un’origine. Probabilmente era stata una richiesta dettata dalla situazione venutasi a creare dopo tutte le belle parole che mi aveva rivolto. Forse era sulla scia dell’argomento appena affrontato. Forse era semplicemente una voglia ispirata dalla gratitudine che nutrivo verso di lui al momento. Si, era senz’altro per questo.

Scossi leggermente la testa, accantonando quei pensieri. Mi distesi accanto a lui e subito il suo braccio, quasi fosse un gesto automatico, mi circondò le spalle traendomi a sé. Mi rilassai immediatamente, inebriata dal profumo della salsedine che il vento mi portava e dalla fragranza di Peter. Era un odore delizioso, mi ricordava il muschio e gli aghi di pino, era fresco, per niente pesante ma capace lo stesso di entrarti in profondità, imprimendosi nei tuoi ricordi. Ero certa che lo avrei portato per sempre con me.

Sorrisi di quel pensiero e nella beatitudine del momento, caddi nel dolce oblio tra il sonno e la veglia, nell’illusione che il mondo si riducesse a quel piccolo angolo di paradiso, il nostro piccolo angolo di paradiso, e che esistevamo unicamente io e lui.

 

*

 

Prendere la freccia. Tenerla saldamente. Tendere l’arco e puntare il proprio bersaglio. Aspettare il momento giusto.

Gli sembrava quasi di sentire distintamente la voce del suo vecchio insegnante di tiro con l’arco. “Hai tutto il tempo del mondo, non è una gara di velocità, il vincitore è colui che fa centro e il premio è la tua vita.”

Fece un respiro profondo e… perfetto, ora era pronto. Lasciò andare la freccia che si conficcò magistralmente nel bersaglio da lui scelto, una pigna su un albero a sessanta metri di distanza, che cadde con un rumore sordo. Soddisfatto, andò a recuperare la freccia dalla punta rossa. Esercitarsi con l’arco era da sempre stato un ottimo modo per rilassarsi. La concentrazione assoluta che doveva utilizzare per far centro gli impediva di pensare a qualsiasi altra cosa, anche se, ad onor del vero, al momento l’unico pensiero proibito era una ragazza dai lunghi e fluenti capelli castani.

Raccolse la pigna e la staccò dalla freccia, riponendo quest’ultima nella faretra di cuoio assicurata alle sue spalle prima di tornare alla posizione di lancio.

Susan. Solo il nome bastava per farlo sorridere beato. Però non poteva. O almeno non così. Quella mattina aveva preso una decisione, ora doveva capire se sarebbe riuscito a rispettarla prima di rivedere la regina che aveva accuratamente evitato da dopo pranzo. E ciò grazie alla discussione con Peter. Accidenti, ma quel ragazzo non poteva farsi gli affari suoi? No, doveva per forza vestire i panni del fratello geloso e ora lo aveva costretto a mettersi dinanzi alla domanda che più tra tutte avrebbe voluto evitare. Però in fondo sapeva che il re aveva ragione. Senza quella risposta la  sua condotta avrebbe potuto diventare deplorevole, e in più aveva bisogno anche lui di far chiarezza in se stesso. Solo forse avrebbe preferito impiegarci il suo tempo, arrivare a quella conclusione assoluta più tardi e non essere costretto da Peter.

Si appoggiò al tronco dell’albero mentre gli tornava alla mente la conversazione che aveva dovuto sostenere con il ragazzo nella sua camera, dopo che era venuto a prelevarlo dall’armeria interrompendo un discorso che stava avendo con Morris…

 

…Peter si richiuse la porta della stanza alle spalle e il tonfo del legno fu l’ultimo suono che riempì quel piccolo spazio per minuti interminabili che a Caspian sembrarono ore. Sapeva che avrebbe dovuto parlare con il re, ma dato che era passata tutta la mattina, la piccola speranza che magari Peter avesse fatto cadere l’argomento si era accesa in lui. Vedere come quella speranza si era dimostrata vana, lo aveva riempito di sconforto. Non aveva assolutamente interesse ad avere uno scontro con Peter, non era così masochista, ma a giudicare dallo sguardo assassino con la quale quest’ultimo lo stava fulminando, non era una buona idea cercare di farlo desistere dal suo intento. Avrebbe rischiato solo di anticipare l sua sentenza. Deglutì forte, incrociando le dita.

Evidentemente Peter doveva avergli letto negli occhi il suo timore perché a denti stretti asserì “Puoi stare tranquillo, non posso ucciderti purtroppo, quindi potrai tenere la testa ancora attaccato al collo” ma prima che Caspian potesse sospirare dal sollievo, aggiunse un minaccioso “per il momento”. Il sollievo del principe venne prepotentemente riportato indietro.

Caspian decise che doveva dire qualcosa, almeno provare una blanda linea difensiva, dopotutto non era mica un bambino!

“Peter, ascolta…”peccato che venne immediatamente interrotto dalla voce secca del re. Però, certo che quando vuole farsi rispettare ci riesce alla perfezione pensò atterrito il principe.

“No, ascolta tu. Sono cosciente che quando vi ho sorpresi ieri sera non stavate di fatto facendo alcunché, ma so anche che c’eravate molto vicini ed è questo che mi preoccupa” dichiarò accompagnando le sue parole con un’occhiata infuriata. “Ora io non ho alcuna intenzione di farti una predica, presumo tu sia grande abbastanza da conoscere già certi argomenti, ma una cosa te la devo chiedere. Se non fossi arrivato io, saresti andato avanti? E se è si, perché? Cosa ti avrebbe spinto a continuare?”

Caspian lo guardò stralunato. Si aspettava una sfuriata con i fiocchi, l’ordine assoluto di starle lontano e simili. Invece gli stava ponendo una serie di quesiti della quale non comprendeva lo scopo. Erano sicuramente preferibili alle minacce di morte di poco prima, però tra i due erano più ordinarie quelle.

“Come scusa?” chiese incapace di trattenersi.

Peter assottigliò lo sguardo e trasse un profondo respiro con l’intento evidente di calmarsi. “Te lo ripeto con parole più semplici, quali sono i tuoi sentimenti verso Susan?”

Ah. Oooh. Ahi. La richiesta giunse a brucia pelo. Forse a questo punto erano meglio le minacce. Cosa provava verso Susan? Se lo era chiesto anche lui, cosa credeva Peter? La miglior risposta che era riuscito a darsi era stata che era certamente più di un’amica, ma sarebbe bastato al re? No, ne era certo. Quello che voleva sapere lui era se la amava. Ma come poteva pretendere che gli rispondesse così su due piedi? Non era un quesito di storia dove la risposta la studiavi e poi la sapevi. Era una consapevolezza alla quale si giungeva con il tempo, e lui ne aveva avuto decisamente troppo poco per rispondergli con certezza.

Peter appoggiò la schiena alla parete e lo fissò serio a braccia conserte. “Caspian, te lo dirò una volta sola” esordì non udendo risposta alcuna da parte del principe “se non sei sicuro di amarla, stalle lontano. Prima di ripetere una scenetta come quella di ieri, rifletti bene su quello che provi. Susan non conosce mezze misure e se le fai credere di amarla comportandoti così quando il tuo è solo un gioco, ne uscirà distrutta.”

Caspian si sentì punto sull’orgoglio. “Il mio non è un gioco” ribatté con vigore. Ma come si permetteva di fare tali insinuazioni? Non avrebbe mai fatto una cosa del genere a nessuno, men che meno a Susan.

“Vogliamo chiamarla infatuazione allora.” Peter non si scompose minimamente “Tuttavia, mia sorella non si apre facilmente ad un estraneo, ma una volta che lo fa, si affida senza riserve. Quindi prima di fare qualsiasi cosa, rifletti attentamente. In più nel caso tu persistessi, non metterle fretta. Quando dico che si apre con difficoltà, non è un eufemismo. Ha bisogno del suo tempo per ogni novità.” Lo ammonì. Prese a camminare avanti e indietro per la piccola stanza, senza però distogliere il suo sguardo dal principe. “Lei ha bisogno di certezze, deve sentirsi sicura in ogni situazione, per questo cerca sempre di tenere sotto controllo gli avvenimenti che accadono, non lo fa per il piacere di governare ma perché se vede che le cose le sfuggono di mano, si sente persa. Nel campo sentimentale sa che è obbligatorio affidarsi all’altra persona, che non può fare totale affidamento solo su se stessa. Perciò sceglie le persone di cui fidarsi con molta cura e dopo un’attenta riflessione” gli illustrò con vigore. Poi aggiunse con tono più calmo“Non è necessario che mi rispondi ora, se ti vedrò di nuovo comportarti in quel modo con lei, vorrà dire che avrai capito di amarla.”

Il tono era quello che metteva fine alla discussione. Caspian se ne accorse e si accinse a lasciare la porta, stordito dalla breve arringa del giovane re, ma quando raggiunse l’uscio, la voce di quest’ultimo lo trattenne ancora per un breve istante.

“Ricordati però che se non segui il mio consiglio, se la fai soffrire” e qui la voce divenne più simile ad un ringhio “te la vedrai con me, e a quel punto non sarò magnanimo come oggi. Quindi stai attento a quello che fai se ci tieni alla tua testa”. La minaccia giunse perfettamente a destinazione. Caspian sudò freddo, ma resse lo sguardo fermo e risoluto di Peter. Si squadrarono l’un l’altro, dopodiché Caspian fece un cenno secco con la testa, per far capire che aveva recepito il messaggio, dopodiché si voltò e uscì.

 

Era stato meglio delle sue più rosee aspettative, doveva ammetterlo. Era quasi pronto a portare fasciature e cerotti, invece si era limitato ad una conversazione quasi civile con lui, se si esclude il tono di voce e l’atteggiamento. Però doveva ammettere che era stato anche giusto. Aveva ragione, non poteva stare accanto alla regina se non sapeva cosa provava per lei. Prima di cercare di conquistarla doveva avere la certezza di amarla. E dopo avrebbe potuto essere certo di poter essere per lei l’appoggio di cui aveva bisogno. Peter conosceva ogni singolo aspetto della personalità di Susan e quello che gli aveva illustrato gli aveva aperto gli occhi. La rigidità e l’imperturbabilità che la ragazza mostrava in ogni occasione erano solo una maschera fine a celare la sua insicurezza. Era stato un’idiota a non capirlo. Ma ora che lo sapeva, lo avrebbe sempre tenuto presente.

Riflettere. Peter era stato chiarissimo, fin troppo. Doveva riflettere sui suoi sentimenti. E lui lo aveva fatto. Era certo che non poteva restare indifferente a Susan, quando la vedeva qualcosa in lui si accendeva e non poteva far altro che andarle vicino. Come la terra e la luna. Lei era il centro gravitazionale alla quale lui non poteva far altro che orbitare attorno. Il suo sorriso lo contagiava, mentre quando la vedeva triste non poteva non provare un senso istintivo di protezione, il desiderio assoluto di prendersi sulle sue spalle i guai che la affliggevano. Dipendeva completamente dal suo umore, dalla sua risata cristallina che gli riempiva il cuore. Gli piacevano le loro infinite discussioni che facevano su qualsiasi argomento, la sua ironia sottile e le sue osservazioni acute. Per non parlare del suo viso. Quello gli piaceva più di qualsiasi altra cosa. Voleva perdersi in quell’oceano di cioccolato, capace di infiammarsi per ogni minima cosa ma anche di scioglierti con una dolcezza infinita. Mentre ogni qualvolta vedeva i suoi lunghi capelli ondeggiare al vento provava l’irrefrenabile impulso di immergere la sua mano in quel mare di seta per poi risalire su e accarezzare quelle gote rosa e morbide.

Ma la amava? Era una risposta impegnativa, e non sapeva se sarebbe stato in grado di farsi carico delle conseguenze che portava con sé. Aveva paura di dare un giudizio avventato. Però… sarebbe riuscito a starle lontano? No, di questo era certo. Non sarebbe sopravvissuto, già quel singolo pomeriggio senza di lei gli pareva interminabile. Qual era dunque la soluzione?

Con un sospiro tornò al campo per prepararsi ad un nuovo tiro. Quei pensieri non lo stavano portando da nessuna parte, erano sempre gli stessi da tutto il pomeriggio e l’aumento della su frustrazione era dimostrato dalla cinquantina di pigne che giacevano per terra, tutte trafitte dalla sua freccia.

Incoccò nuovamente l’arco, prese la mira e…

“Ci esercitiamo per la battaglia, soldato?”

Caspian strinse gli occhi. Aveva riconosciuto la proprietaria della voce. Perché doveva scendere al campo proprio ora? Però, andando oltre i mille motivi razionali per cui doveva essere a disagio in sua compagnia, il suo cuore cominciò ad intonare una canzone felice solo per aver avvertito la sua presenza.

“Mi tengo in allenamento” rispose senza voltarsi. Dopodiché prese la mira e tirò. L’ennesima pigna fu staccata dall’albero. Si voltò trionfo, convinto di averla impressionata. Sapeva che era sbagliato cercare di fare colpo, ma non ne aveva potuto fare a meno.

Peccato però che Susan sembrava tutt’altro che impressionata. “Non dirmi che questo è il tuo lancio migliore o siamo perduti” lo prese in giro.

Caspian le riservò un’occhiataccia. Aveva colpito un bersaglio a quasi ottanta metri di distanza! Forse la ragazza non aveva calcolato bene la distanza, quando glielo fece notare però, lei gli rise in faccia. Al ché lui fu convinto che doveva sentirsi offeso e irritato però… la sua risata cristallina. Come poteva arrabbiarsi?

Così si limitò a provocarla “Perché non tiri tu allora?” e le porse l’arco.

Susan accettò la sfida con aria beffarda. “Vediamo un po’” mormorò mentre studiava gli alberi attorno. Poi si illuminò, aveva trovato quello che cercava. “Scommettiamo che riesco a colpire quella pigna laggiù?”

Il giovane guardò dove Susan gli aveva indicato ma sicuramente si era sbagliato. Il bersaglio designato era a centoventi metri di distanza, era impensabile che ci riuscisse. Le resse comunque il gioco. Era proprio curioso di vedere la sua reazione quando avrebbe sbagliato il tiro.

Susan si preparò al lanciò. Incoccò la freccia e tese l’arco con scioltezza. Prese la mira e ispirò a fondo. Anche lei aspettava il momento giusto. Caspian, dal canto suo, cercò di puntare la sua attenzione sulla freccia ma…come faceva quando il vento gli portava l’odore dei suoi capelli, simile ai fiori di campo? Si sorprese a fissarla come un qualsiasi devoto avrebbe guardato la sua dea, con ammirazione. Era stupenda nella posa da arciere. Fiera come solo una regina può esserlo, puntava il bersaglio con un sorriso sicuro di sé dipinto sulle labbra e un’espressione buffa e concentrata che avrebbe fatto perdere la testa a qualunque ragazzo l’avesse vista. I capelli che fluttuavano al vento, lunghi fino a sfiorare i fianchi sinuosi e la schiena dritta che terminava con un morbido collo lungo e bianco.

Sentì un sibilo nell’aria e capì che la freccia era stata lanciata. Seguì veloce la sua traiettoria, togliendo a fatica lo sguardo da Susan solo per vedere la direzione del colpo. Un tonfo secco concluse il lancio. Un tonfo che lasciò un’espressione sbigottita sul volto del giovane. Susan aveva fatto centro. Aveva colpito con tranquillità un bersaglio a centoventi metri di distanza!

Si voltò a fissarla a bocca aperta e trovò lei ad attendere le sue congratulazioni con aria decisamente soddisfatta.

“Dunque” esordì con tono di finta innocenza “chi è l’arciere migliore?”

Caspian cercò di riprendere un minimo di contegno. Non poteva dargliela vinta, ci andava di mezzo il suo onore. Simulò un sorriso sghembo e le rispose “Oggi non ero particolarmente in forma, e comunque il lancio che hai visto non era certo uno dei miei migliori. Posso andare molto più in là” mentì spudoratamente, ignorando il fatto che Susan probabilmente aveva mangiato la foglia ancora prima che lui finisse la frase.

“Oh certo, possiamo ritentare domani se vuoi, magari la luna ti sarà più favorevole o ci sarà un vento migliore” lo prese in giro.

Il giovane assottigliò lo sguardo. Se voleva provocarmi, c’è riuscita alla grande.

“Quando vuoi. Comunque non mi fraintendere, io sono felice che tu te la cavi così bene nell’arco. Compensa la tua mancanza nella scherma” ribatté con un sorriso soddisfatto già dipinto sul viso. Stava aspettando la risposta indignata di lei, sicuro di aver fatto centro. Dubitava fortemente che la ragazza sapesse tirare di spada.

La replica di Susan non si fece attendere. “Lo credi davvero?” domandò con tono moderato e un sopraciglio alzato che poco mascheravano la sua irritazione.

“Si” le rispose con un’alzata di spalle, godendosi la smorfia profondamente stizzita della giovane. Caspian era sicuro che le si fossero persino ingranditi gli occhi alla sua provocazione. Certo ch è proprio suscettibile, sia mai che la si accusi di non sapere fare qualche cosa, pensò sghignazzando tra sé e sé.

“Bene, allora non ti costerà di certo mettermi alla prova dato che se così sicuro di te” L’ultima affermazione lasciò basito il principe però. La fissò stralunato, certo di non aver capito bene. Lo stava sfidando in un duello? Ma prima che potesse opporsi, la regina era già partita in quarta verso uno dei minotauri che facevano da guardia al perimetro dell’edificio e in men che non si dica era di ritorno con una lucente spada tra le mani presa in prestito.

“Stai scherzando vero?”

Susan gli rispose con un divertito “Neanche per sogno”.

“Susan, mi rifiuto di duellare con te. Mi spiace ma non posso” dichiarò risoluto lui, alzando le mani in segno di resa.

La giovane sbuffò spazientita. “Ma per favore, non mi dirai che è per una di quelle stupide regole cavalleresche come: non incrocio la lama con una donna o roba simile!” sbottò.

Caspian abbassò lo sguardo, gesto che rispose alla domanda di Susan. Lui era un cavaliere, non avrebbe mai potuto attaccarla volontariamente, vederla come un bersaglio, avrebbe potuto ferirsi in mille modi per maldestria dettata dall’inesperienza o, peggio ancora, da una sua svista.

“Ma come, prima mi provochi e poi non vuoi nemmeno misurarti con me?” insisté la ragazza mettendosi in posizione d’attacco.

Caspian le lanciò uno sguardo tra il divertito e l’ammirato. Susan aveva assunto una  posizione da manuale, con la gamba destra più avanti rispetto alla sinistra, il busto leggermente incurvato e il braccio destro proteso. Davvero perfetta. Anche troppo. Sembrava uscita fuori da un libro di teoria con la schiena dritta e l’assoluta staticità, ed era proprio quello che sbagliava. Con una rigidità degna di una statua non sarebbe stata pronta a difendersi da nessun attacco e non avrebbe avuto lo slancio necessario per un affondo efficace. Probabilmente si era applicata nella materia, nella speranza di riempire quella lacuna, peccato che evidentemente si era fermata alla teoria e aveva lasciato da parte la pratica, essenziale per padroneggiare quell’arte. Senza contare che il peso eccessivo dell’arma per il suo braccio non allenato le faceva sbilanciare il corpo in avanti. Ma l’aurea di assoluta e ferrea determinazione che emanava sembrava coprire le sue carenze tecniche, così come la scintilla di sfida che lampeggiava nei suoi occhi rendendoli color del cioccolato fuso. Nulla l’avrebbe dissuasa dal suo intento, anche perché probabilmente era certa di aver qualche possibilità di vittoria. Non si rendeva conto che si stava sopravvalutando.

“Bene, se non attacchi tu, comincio io” decise allora la regina, all’ennesimo silenzio del principe.

Partì subito alla carica, con un affondo più abile di quello che Caspian potesse predire dalla posa rigida.

Fortunatamente i riflessi allenati del principe gli permisero di sguainare prontamente la spada e parare l’attacco senza grandi difficoltà. Il colpo andato a vuoto però non sminuì l’entusiasmo di Susan, che invece sembrò alimentarsi nel vedere una reazione da parte dell’avversario. Incominciò ad incalzare un attacco dopo l’altro, senza sosta, dimostrando anche un’inaspettata precisione nei colpi. Forse il principe aveva fatto un errore di valutazione, la regina era molto più brava di quello che pensava nella scherma. A quel che pareva si era applicata con impegno nella materia, giusto per non smentire la sua nomea di persona assolutamente zelante. Tuttavia non riusciva ad essere un avversario temibile né impegnativo per Caspian. Anzi, a dire la verità non riusciva proprio ad essere un avversario. Il moro si limitava a parare, incapace addirittura di concepire l’idea di attaccarla a sua volta. Non poteva e non l’avrebbe fatto. Si sarebbe limitato a difendersi attendendo pazientemente che lei si stancasse. Il peso dell’arma era davvero eccessivo per Susan e la forza che metteva negli affondi l’avrebbero sfiancata in fretta, ne era certo. Senza contare che la precisione con la quale muoveva il braccio non si diffondeva anche al gioco di gambe. Le muoveva troppo, finendo solo per sprecare energia. Il duello avrebbe avuto vita breve.

Attacco dopo attacco i due insoliti contendenti avanzarono fino alle rovine dell’arena,  ignari del sole che iniziava la sua discesa verso la linea dell’orizzonte. La regina era concentrata sulla spada e sulle sue mosse, puntava a vincere, a dimostrare di essere all’altezza di qualunque duellante anche in una disciplina diversa dall’arco. Caspian era invece concentrato su Susan. Solo una minima parte del suo cervello registrava la traiettoria della lama, la direzione dei suoi passi, una minima, microscopica parte. Tutto il resto analizzava lei. La ruga di concentrazione assoluta che scavava la fronte altrimenti perfetta, gli occhi accesi dall’adrenalina del duello, le labbra rosee leggermente dischiuse per prendere più fiato possibile tra un attacco e l’altro. Ma soprattutto le movenze del suo corpo. Sembrava una danzatrice, forse un poco maldestra nel cimentarsi in questo ballo in solito per lei, ma non per questo meno ipnotizzante. I capelli castani ondeggiavano ad ogni suo spostamento, seguendo il bacino snello e flessuoso fasciato dal lungo e sicuramente scomodo ma incantevole vestito viola che indossava.

Si accorse di essere con le spalle al muro solo quando sentì il freddo marmo di una delle colonne dell’arena premere contro la sua schiena. In teoria, contro un duellante più esperto, sarebbe stato in trappola. Peccato però che l’esperienza che aveva gli permetteva di avere le redini del gioco in mano anche in quel momento, cosa che evidentemente però sfuggiva alla regina, che dinanzi a lui già sfoggiava un sorriso vincitore.

Decise che era arrivato il momento di porre fine al duello. Avrebbe semplicemente potuto togliersi da quella colonna e continuare a difendersi però protraendo lo scontro correva solo il rischio che Susan si facesse veramente male, pericolo finora scongiurato. E non aveva assolutamente intenzione di auto flagellarsi dopo e né di essere fatto a pezzettini da Peter ed Edmund.

Rafforzò la presa sulla sua spada e con un movimento fulmineo compì la sua prima mossa da quando era iniziata la contesa. Con una movenza fluida incrociò la sua lama con quella della ragazza, fece pressione quel tanto che bastava e torcendo di poco il polso riuscì a disarmare la regina. Il passo successivo fu ancora più breve e del tutto meccanico, il suo corpo parve spostarsi da solo senza una minima riflessione sul da farsi da parte di Caspian. Il tempo che la spada di Susan si librasse alta nel cielo catturando un raggio di sole per poi piantarsi nel terreno con un suono sordo che il principe aveva ribaltato le posizioni. Era bastato uno scatto verso sinistra, appoggiare la parte piatta della spada con attenzione ma con fermezza sul braccio della giovane e sospingerla contro la colonna.

Mossa da manuale. Pensò leggermente compiaciuto di vedere la sorpresa dipinta sul volto di Susan. Un volto che gli era incredibilmente vicino in questo momento. Caspian si diede mentalmente dell’idiota. Non aveva considerato che la sua “mossa da manuale” lo avrebbe portato ad annullare la distanza tra loro due. Erano separati solo dal filo sottile dell’arma argentata ancora inconsciamente posta a dividerli di pochi centimetri. Troppo pochi perché Caspian potesse respirare regolarmente.

Il cuore del principe batteva furioso, impegnato in un duello molto più impegnativo di quello avuto finora. Era una lotta con se stesso, tra il suo inconscio che gli urlava la verità liberatoria e assoluta che lo avrebbe assolto dall’incertezza e il suo orecchio che temeva di non essere ancora pronto per sentirla.

Però se il suo udito sembrava fuori uso, gli altri sensi funzionavano alla perfezione. Il suo profumo, così dannatamente penetrante e simile a fiori di campo, gli entrava nelle narici e gli annebbiava i pensieri, lo confondeva come una droga. Sulla pelle avvertiva il suo respiro affannoso per lo sforzo appena svolto ma ancora di più percepiva prepotente la sua presenza. I suoi lunghi capelli setosi che le ricadevano sul viso deliziosamente arrossato, gli occhi grandi e luminosi che lo fissavano. Già, lo stavano fissando come avevano fatto fin dall’inizio dello scontro. Solo che ora la scintilla di sfida si era spenta, prima per cedere il posto allo sgomento, poi alla rassegnazione dettata dalla consapevolezza di essere stata battuta e ora… Ora lo stavano scrutando, incerti. Il fuoco brillante e inestinguibile che animava quelle pupille color del cioccolato era diventato una semplice fiammella tremula. Che fosse intimidita da qualcosa? Forse era il suo sguardo che la metteva in soggezione? Come la stava guardando? Con desiderio, ecco come, si rispose immediatamente. Ma dopotutto come poteva evitarlo con quella bocca paragonabile ad un bocciolo a soli pochi centimetri di distanza? Una distanza così piccola per non provare una tentazione insostenibile eppure così grande da colmare con il gesto che desiderava compiere.

Ma cosa voleva avere? Un bacio, solo questo? E perché?

Finalmente la verità che premeva per uscire gli si rivelò con tutta la sua prepotenza. Il cuore perse un colpo e un sorriso beato gli disegnò le labbra. L’amava. L’aveva compreso solo ora. Adesso ne aveva la certezza e non avrebbe permesso ad altri dubbi di insinuarsi tra di loro. Questa volta se Peter gli avesse chiesto nuovamente cosa provava per Susan avrebbe risposto senza esitare. L’amava e aveva voglia di urlarlo a tutta Narnia. L’amava e soprattutto aveva voglia di comunicarlo a lei, la donna che voleva proteggere e senza la quale non avrebbe potuto vivere. Però poteva dirglielo, poteva dimostrarglielo dandole quel bacio? Peter gli aveva fatto giurare di muovere un passo solo quando fosse stato assolutamente certo dei suoi sentimenti. Ora la sicurezza l’aveva trovata. Eppure qualcosa in lui gli intimava ad avere pazienza, doveva aspettare, un bacio ora sarebbe stato troppo azzardato. Ma il sentimento era prepotente, soprattutto ora che aveva preso una forma definita, e la sua bocca era davvero dannatamente troppo vicina. Si incantò nel fissare la forma perfetta delle sue labbra, ne memorizzò i contorni fino ad ipnotizzarsi. Sembravano quasi chiamarlo, invitarlo a fare ciò che il cuore gli supplicava.

Senza accorgersene abbassò la spada e incurvò il busto. Meno un centimetro. Inclinò la testa di lato. Un altro centimetro se ne andava. Protese il viso verso di lei. Ormai i centimetri rimasti erano solo due e fu allora che qualcosa nello sguardo di Susan si agitò. Era paura. Aveva capito le intenzioni di Caspian e pareva tutt’altro che accondiscendente. La fiamma si era estinta del tutto lasciando il posto ad un baratro pieno di panico.

Scostò il volto velocemente e puntò le mani sul torace del ragazzo quel tanto che bastava per scostarlo e permetterle di staccarsi dalla colonna. Caspian rimase interdetto. Riuscì a registrare ciò che era successo solo quando focalizzò la figura di Susan che correva velocemente dentro l’interno dell’edificio. E la coscienza di ciò lo fece scivolare lentamente nello sconforto più assoluto. Sentì distintamente il suo cuore, al settimo cielo solo un secondo prima, sprofondare fino alle scarpe scavando una voragine al suo passaggio.

Era stato un’idiota. “Nel caso tu persistessi, non metterle fretta. Quando dico che si apre con difficoltà, non è un eufemismo. Ha bisogno del suo tempo per ogni novità” le parole di Peter erano state chiare, eppure lui le aveva dimenticate. Le aveva messo fretta. Era stato un’idiota e non aveva considerato che se lui aveva fatto chiarezza nei suoi sentimento lo stesso poteva non valere per Susan. Era stato un’idiota e aveva fatto una mossa di troppo. Era stato un’idiota e ci sarebbe voluto tempo e molte spiegazioni per riparare al guaio. Era stato un’idiota e l’aveva fatta scappare.

 

*

 

Un ruggito attraversò l’aria.

Aprii gli occhi di scatto, spaventata da quel rumore improvviso. Fu una pessima mossa, la luce del sole mi accecò e dovetti richiudere le palpebre in fretta. Le riaprii dopo qualche secondo, questa volta con calma per abituare gli occhi. Riacquistato l’utilizzo della vista, ritrovai ad attendermi il magnifico paesaggio che avevo lasciato solo… quanto tempo era passato? Non sapevo dirlo, dovevo essermi addormentata. Un sorriso malizioso mi si formò in viso al pensiero che avevo dormito cullata da lui, tra le sue braccia. Era particolare, di solito non mi addormentavo mai di pomeriggio a meno che non ero malata, ma probabilmente il calore del sole, unito alla sua inebriante presenza mi avevano fatto cadere in uno stato di pace assoluta tanto da farmi andare tra le braccia del Dio del sonno. Volsi lo sguardo verso Peter e mi accorsi che anche lui si era appisolato. Si riposava beato con un braccio stretto attorno alle mie spalle. Incredibile che riuscisse ad essere protettivo anche nel sonno. Non riuscii a resistere dal sollevare una mano ed accarezzare quel volto perfetto. Gli scostai una ciocca bionda dal viso con delicatezza, indugiando sulla sua fronte e sulla sua guancia.

Un altro ruggito però mi distolse dalla contemplazione della fisionomia del giovane, ricordandomi anche perché mi ero svegliata.

Mi liberai controvoglia dal braccio di Peter e mi sedetti dritta, guardandomi attorno circospetta. Ero quasi certa che quel ruggito appartenesse al leone delle mie visioni. Era terribilmente famigliare e per questo non riuscivo ad esserne spaventata, nonostante una minima parte del mio cervello mi informasse che era quella la sensazione che avrei dovuto provare. Il mio sguardo passò in rassegna la spiaggia bianca ma assolutamente priva di forme vitali eccetto me e il re, quindi la mia attenzione si posò sul bosco, lì dove la sabbia cedeva il posto poco a poco a forti arbusti verdi.

Un ruggito più potente degli altri mi fece sobbalzare però eliminò ogni mio dubbio. Proveniva dal bosco.

Avvertii Peter agitarsi per poi svegliarsi. Evidentemente doveva aver sentito il ruggito di...come aveva detto che si chiamava? Ah si, Aslan. Però lo sguardo pacifico che mi rivolse mi spiazzò. Non era nemmeno incuriosito dal suono insolito?

“Devo essermi addormentato, scusami” biascicò con tono di scusa stiracchiandosi incurante del mio stare sull’attenti.

“Hai sentito il ruggito?” gli domandai a brucia pelo ignorando la sua affermazione. Lui strabuzzò gli occhi ancora assonnati. “Quale rumore?” ribatté sorpreso.

Fossi stata un cartone animato probabilmente la mia mandibola avrebbe raggiunto il terreno. Com’era possibile che non avesse sentito nulla? D’accordo che dormiva ma ero pronta a scommettere che i ruggiti, specialmente l’ultimo, li avevano uditi anche i pesci dentro il mare!

“Tu non lo hai sentito? Ci sono stati tre ruggiti uno dietro l’altro. Hanno rimbombato per tutto la spiaggia” ribattei incredula.

Lo sguardo che mi rivolse in seguito non mi piacque per niente. Cercando di scrollarsi di dosso anche gli ultimi residui del sonno, mi stava scrutando con attenzione, come fa un dottore con un paziente. “Cathy, io non ho sentito proprio nulla” disse con calma.

“Non è possibile ti giuro che…” ma prima che potessi difendermi un ennesimo ruggito diede conferma alle mie parole.

Lo squadrai trionfante. Ora non avrebbe potuto negare l’evidenza. “Ecco, hai sentito adesso?”

“Cosa?” la sua domanda preoccupata rubò il mio entusiasmo.

“Come cosa il ruggito che ci è appena stato!”  mi inalberai. Non poteva dirmi che non lo aveva udito, si era sentito distintamente.

Si sedette vicino a me e mi appoggiò una mano sulla spalla. “Davvero, guarda che è tutto silenzioso, non c’è nessun ruggito” il tono tranquillizzante mi fece arrabbiare ancora di più.

Probabilmente stava pensando che fossi pazza. Mi arrabbiai ancora di più, non stavo avendo le allucinazioni, io ero certa di averlo sentita.

Mi liberai dalla sua presa e scattai in piedi esattamente nell’istante in cui un altro ruggito rimbombò nelle mie orecchie.

“Ecco, un altro!” sbottai con una nota isterica nella voce.

Si alzò anche Peter, con un’espressione davvero preoccupata in volto. “Cathy, forse hai preso troppo sole, forse è meglio che andiamo a casa, così puoi riposarti, devi essere stanca…”

Eh no, adesso basta. Mi ero stancata di non essere creduta, gli avrei dimostrato che aveva ragione. Lo avrei portato nel bosco dove ero certa che avrei trovato Aslan. Non sapevo cosa mi dava questa sicurezza, ma dentro di me sapevo che lo scopo di quei ruggiti era quello di richiamarmi in mezzo agli alberi, e io ci sarei andata insieme a Peter, per fargli vedere che la mia sanità mentale era intatta.

“Sto benissimo, grazie” ribattei acida. “Vieni con me, dato che sei così scettico, ti farò vedere che quei ruggiti sono reali” e lo presi per mano strascinandolo verso il bosco, senza dargli il tempo di ribattere.

“D’accordo Cathy” il tono che utilizzò mi irritò. Era accondiscendente, esattamente quello che si utilizzava con i pazzi. Lo avrei fatto ricredere. O almeno lo speravo, poiché ormai ci stavamo lasciando alle spalle i primi alberi ma non vedevo traccia di leoni.

Ovviamente non mi diedi per vinta e proseguii per diversi metri fino ad addentrarmi dentro il boschetto. Passò ancora qualche minuti prima che decidessi di fermarmi e iniziai a guardarmi attorno in cerca di fulve criniere. La disperazione però si impossessò di me quando non scorsi altro che alberi.

Rivolsi il mio sguardo a Peter, che continuava a squadrarmi circospetto. Accidenti, perché quel leone non si faceva vedere? Non me lo ero sognato, quei ruggiti erano reali! Però qui dopotutto non c’erano altro che alberi, forse aveva ragione Peter, forse a furia di vedere esseri soprannaturali stavo diventando pazza sul serio.

“Ti giuro che non me lo sono immaginato” il mio tono supplichevole cercava conferme nei suoi occhi. Magari se fossi risultata convincente avrebbe accantonato l’idea di far costruire un istituto psichiatrico a Narnia solo per me.

Peter mi accarezzò la guancia. “Forse è solo stata un’illusione, il residuo di un sogno che stavi facendo” tentò di consolarmi.

Decisi di non insistere oltre, anche perché non ero riuscita a procurarmi le prove che cercavo. Fece un cenno affermativo con la testa, e con un’espressione sconsolata mi diressi verso la strada appena percorsa quando… una luce intensa alla mia destra catturò l’attenzione di entrambi.

Ci voltammo all’unisono e ciò che vidi fu stupefacente. In un cono di luce, protetto da una sfera rossa, galleggiava a mezz’aria un fiore dai petali dorati. Peter ed io ci scambiammo una rapida occhiata prima di avvicinarci con cautela. Io non potei che non essere felice di quell’apparizione improvvisa, dopotutto era la prova che cercavo. Sospirai di sollievo al pensiero che non ero matta perché ora avevo la prova che il leone lo avevo sentito veramente e che la mia intuizione era giusta. Ci aveva condotto fin lì per trovare il fiore. Il perché lo aveva fatto poi era tutt’altra storia, ma dopotutto non ero mica Sherlock Holmes, mi limitavo a risolvere un mistero alla volta.

Quando mi avvicinai riconobbi di che fiore si trattava, pensando che se davvero era stato Aslan doveva aver un qual certo senso dell’umorismo.

“è un dente di leone” sussurrai.

All’improvviso l’atmosfera di fece più pesante. Lo avvertii distintamente, c’era qualcosa nell’aria, di indefinibile ma di indiscutibilmente potente. E a giudicare dall’espressione tesa di Peter, doveva averlo sentito anche lui.

Deglutii. Ed ora?

Prendilo.

Una voce rimbombò. Era una voce bassa e profonda, conosciuta. Era quella del leone. Lo cercai con lo sguardo in mezzo agli alberi ma non vidi niente, com’era prevedibile. Allora guardai Peter, nella speranza che questa volta lo avesse sentito anche lui, ma i suoi occhi erano fissi sul fiore, lo analizzavano con interesse, incuranti di qualsiasi altra cosa.

Fidati di me.

Un’altra frase risuonò e in un lampo compresi perché Peter non sentiva ciò che udivo io. Ero riuscita ad identificare da dove mi arrivasse la voce solo ora. Non la sentivo con le orecchie, la avvertivo da dentro di me, come se fosse nella mia mente. Quindi non avevo sentito il suono provenire dal bosco. Avevo percepito che volesse condurmi lì.

Ed ora, come mi aveva chiesto di giungere fin lì, mi induceva a prendere il fiore, senza spiegazione se non quella di fidarmi. Decisi senza troppi indugi di acconsentire. Dopotutto avevo accettato di farmi catapultare laggiù senza troppe rassicurazioni, afferrare uno stelo non era nulla in confronto anche se non capivo il significato di quest’azione. Dubitavo fosse solo un suo omaggio, doveva esserci qualcosa di più importante sotto, ne ero certa.

Allungai una mano verso il globo rossastro. Vidi Peter pronto a scattare per fermarmi, temendo probabilmente una trappola nascosta o un qualsiasi cosa di pericoloso dietro un apparente normalissimo, tralasciando il fatto che fluttuasse, fiore, ma lo tranquillizzai con lo sguardo.

Sfiorai la superficie luminosa della sfera. Non era una vera e propria custodia, era fatta di luce, tiepida al tatto. La attraversai fino a raggiungere lo stelo che afferrai con sicurezza. Appena però le mie dita si chiusero sul gambo, qualcosa mutò. Una folata di vento gelido ci investì in pieno e all’improvviso, facendoci tremare. La sfera divenne di un azzurro pallido e lo stesso fiore mutò. I petali dorati divennero più lunghi e curvi. Il colore sfumò fino a diventare un candido bianco mentre la luce che la circondava scomparve.

Guardai ammirata la stupenda stella alpina che tenevo tra le mani. Lo rigirai tra le dita e ne annusai l’ottimo profumo mentre udivo ancora una volta la voce di Aslan.

Risvegliali. E in un secondo capii cosa dovevo fare.

Rivolsi un sorriso consapevole a Peter, ma lui era lontano anni luce dalla coscienza che avevo io mentre fissava stranito il fiore che reggevo. Non importava, lo avrei guidato.

“Come hai fatto? E adesso?” mi chiese incapace di comprendere.

Allargai il sorriso. “Esaudisco un desiderio” gli risposi semplicemente. La mia frase enigmatica però non piacque al re che mi lanciò un’occhiata più confusa che mai.

Per tranquillizzarlo gli tesi una mano, che non esitò ad afferrare. Ora toccava a me, lo avrei ripagato per lo stupendo pomeriggio che mi aveva regalato.

“Peter, ascoltami con attenzione, ora chiudi gli occhi e focalizza nella mente il ricordo più bello che hai sulla Narnia di milletrecento anni fa” gli intimai.

Il re stava già per ribattere alla mia stramba richiesta ma lo bloccai prima. “Fidati di me, fai come ti ho chiesto”.

Il biondo mi lanciò un’ultima occhiata incerta prima di trarre un sospiro rassegnato e di acconsentire. Sarebbe rimasto di stucco vedendo ciò che lo attendeva, ne ero certa.

Chiusi gli occhi anche io e sgombrai la mente, cercando con i miei poteri di entrare in sintonia con lui. Non ero capace di leggere nel pensiero, però riuscivo ad avvertire la sua presenza, o meglio l’aurea che emanava grazie ai miei poteri. Dovevo solo concentrarmi perché ero vitale per quello che stavo per fare che fossi in completa unione mentale con lui. Pregai che tutto andasse per il verso giusto. Non avevo mai compiuto una magia di tale portata ed ero certa che da sola non ce l’avrei mai fatta. Me non ero solo, con me c’era il leone. Non fisicamente certo, ma spiritualmente era con noi, avevo chiaramente avvertito il suo immenso potere nell’aria prima. Con la sua guida avevo buone probabilità di farcela.

Bastarono pochi secondi per riuscire a focalizzare l’energia di Peter, impresa facilitata dal fatto che c’eravamo solo io e lui e che eravamo a pochi centimetri di distanza. Eliminai i miei pensieri e subito fui investita dalla beatitudine. Evidentemente era l’emozione che Peter stava provando rievocando i suoi ricordi più preziosi.

Quando fui certa che il contatto fosse solido abbastanza, aprii gli occhi e alzai la mano che teneva il fiore verso gli alberi. Concentrai tutte le mie forze in quella parte del corpo finché non la sentii pulsante di magia. Allora la liberai mormorando una sola parola “Svegliatevi”.

Un’altra folata di vento si alzò, questa volta però tiepida. La stella alpina vibrò dopodiché i petali cominciarono a moltiplicarsi e a staccarsi ad una velocità impressionante. In pochi secondi io e Peter eravamo nel centro di un vortice fatto di petali bianchi. Ma durò solo un istante, un attimo di calma prima che quelle veline candide volassero in diverse direzioni, sfiorando tutto ciò che potevano.

La terra stessa tremò e il vento cominciò a soffiare forte. Mi strinsi a Peter istintivamente anche se ero troppo incantata ad ammirare ciò che stava succedendo per provare paura. Anche il re aveva aperto gli occhi e fissava la natura guardingo.

Le fronde degli alberi si agitarono, i rami cominciarono a muoversi convulsamente finché il tremolio non si diffuse direttamente al tronco. A quel punto uno scossone più violento degli altri ci fece traballare mentre un suono distinto si elevò sopra il vento. Era simile ad un sospiro. O meglio, un grande respiro liberatorio che pose fine a tutto il trambusto. Avvertii le mie energie sciamare di colpo. La vista mi si annebbiò e le gambe divennero molli fino a cedere. Peter mi prese al volo sorreggendomi per la vita prima che toccassi terra. Meno male che il ragazzo ha buoni riflessi…

“Cathy tutto bene?” si informò preoccupato.

Feci un respiro profondo, cercando di riprendermi. Stavo già andando meglio, era stata una sensazione momentanea. Riaprii gli occhi e risentii le mie gambe tornare solide.

“Si, tutto ok” risposi flebile.

Lui mi fissò con occhi critico ma lo tranquillizzai con un sorriso. Mi allontanai di un passo da lui per fargli vedere che riuscivo a stare in piedi da sola e questo parve rassicurarlo. Probabilmente la portata della magia mi aveva sottratto più energie del previsto, senza contare che era la prima volta che mi spingevo così in là con i miei poteri.

La pace ripiombò nel bosco d’un tratto e io puntai la mia attenzione verso il bosco. A prima vista mi sembrò che non fosse cambiato nulla, ma ad un’occhiata più attenta mi accorsi che mi sbagliavo di grosso.

Si avvertiva nell’aria stessa che si respirava. Il bosco era mutato. Era impregnato di un’essenza nuova e vecchia al contempo. Era saturo di magia. Di nuovo dopo tanto, troppo, tempo.

Strinsi il braccio a Peter, per assicurarmi che fosse ancora mentalmente presente poiché non lo avevo più nemmeno sentito respirare. Il giovane sembrò scuotersi al mio richiamo e mi fissò intensamente con un’espressione indecifrabile in viso. Era il volto di chi cercava con tutte le sue forze di resistere ad una tentazione. In questo caso cercava di trattenersi dal credere che il suo desiderio più grande si era in minima parte esaudito.

Gli sorrisi rassicurante e lo presi per mano, facendogli muovere qualche passo tra gli alberi. Quegli stessi arbusti che erano stati dolorosamente immobili per secoli, ma che ora si stavano muovendo. Era esattamente come mi aveva descritto Peter, e come sempre lui aveva predetto, ne rimasi affascinata. D’un tratto sentii la sua risata esplodere, da prima bassa e piana, poi sempre più fragorosa, liberatoria. Iniziò a correre tra gli alberi trascinandomi con sé, godendosi lo spettacolo che gli si parava davanti. E dovevo ammettere che era il migliore che avessi mai visto.

Sembrava che i rami si muovessero armoniosi tra di loro, come se fossero strumenti di un’orchestra impegnati in una sinfonia a noi ignota ma deliziosa. Le foglie di un verde brillante danzavano attorno agli arbusti mentre i tronchi parevano allungarsi per sgranchirsi dal loro sonno duraturo. I fiori si staccarono dai loro steli e si riunirono per formare un’immagine raffigurante una bella donna dai lunghi capelli e i lineamenti gentili. Fluttuò fino a noi e ci strizzò l’occhiolino ridendo con una voce musicale e pacifica. Ma non era solo questo che rendeva magico quel bosco. L’aria sembrava più limpida, gli alberi più sani, l’atmosfera stessa era carica di magia, fantasia e pace.

Il mio cuore palpitò di gioia. Ci ero riuscita. Avevo risvegliato quel bosco. Ero riuscita a far del bene con i miei poteri.

Rivolsi nuovamente lo sguardo al mio accompagnatore e trovai ad accogliermi lo spettacolo più bello di tutti. Peter aveva un’espressione semplicemente estasiata, come un mecenate davanti ad un’opera d’arte perfetta. Gli occhi gli brillavano di felicità, irradiava luce da tutti i pori conformandosi al paesaggio. Si guardava attorno a bocca aperta, incapace di esprimere il suo stato d’animo. Quando si rivolse a me, ricevetti il ringraziamento più grande che potessi desiderare. Il suo sorriso di pura gioia valeva più di mille parole.

Avevo risvegliato gli alberi ed ero contenta. Ma la cosa più importante era che avevo reso contento lui.

Peter si guardò attorno e la sua risata cristallina, che tanto avevo imparato ad apprezzare, accompagnò la musica dei rami. Contagiata, iniziai a ridere anche io, felice come non mai quando Peter mi prese per i fianchi e iniziò a farmi volteggiare tra i petali che ci avvolgevano.

“Come sei riuscita a farlo?” mi domandò grato.

Alzai le spalle. “Di preciso non lo so. È stato Aslan a guidarmi” risposi. Poi aggiunsi testarda “ti avevo detto che lo avevo sentito”.

Lui ignorò la mia ultima affermazione. “Aslan?” chiese con ferma incredulo.

Feci un cenno deciso con la testa. “Ho sentito i suoi ruggiti guidarci fin qui e poi la sua voce che mi diceva di risvegliare il bosco. La sua magia riempiva lo spazio circostante ed è stata quella a guidarmi” gli spiegai con enfasi, certa di impressionarlo.

Lui balbettò per un secondo, incapace di trovare le parole giuste, probabilmente anche indeciso se credermi o no. Poi rialzò lo sguardo, lo fece scorrere attorno a noi e quello che vide parve convincerlo. Dopotutto, l’unica spiegazione plausibile per un miracolo del genere non poteva che essere magica e miracolosa anch’essa.

Si rivolse di nuovo a me e dalle sue labbra uscì un’unica frase. “Non so come ringraziarti Cathy”

Il tono era così carico di gratitudine che il mio cuore perse l’ennesimo battito i quella giornata. Un altro pezzo di ghiaccio se ne era andato per sempre.

Gli accarezzai la guancia. “Per così poco?” minimizzai “Sono io quella che ti deve ringraziare per tutto quello che hai fatto” gli ricordai abbassando il volume della voce, quasi mi rivolgessi più a me stessa che a lui. Poi pensai che dovevo specificargli una cosa, per assicurarmi che comprendesse fino a fondo la portata dell’incantesimo. “Peter, purtroppo però io non ho risvegliato tutta Narnia, non ho abbastanza forza per questo. Ho fatto rivivere solo questa piccola parte di bosco e solo grazie all’aiuto di Aslan”. Non volevo che interpretasse male ciò che stesse succedendo, o avrebbe sofferto una volta tornati alla fortezza nel vedere che non era cambiata Narnia interamente.

Lui annuì serio. “Lo avevo intuito, ma ti assicuro che per me questo è già tantissimo. E poi da qualche parte bisogna pure iniziare no?” aggiunse scherzoso.

Peter mi prese la stella alpina che ancora tenevo tra le mani quasi sovra-pensiero, la rigirò tra le dita e poi me la depose con dolcezza tra i capelli.

“Credo di sapere perché questo fiore si è tramutato quando lo hai toccato” esordì.

“Ovvero?” lo incitai.

Lui mi rivolse uno dei suoi sorrisi sghembi più mozzafiato. “Perché è quello che ti si addice di più. È candido e puro come te, e in più è una stella”

L’ultima affermazione non la compresi. “Una stella? E questo cosa c’entra con me?” chiesi curiosa.

“Tu sei una stella. Hai appena esaudito un mio desiderio come le stelle e in più tu, con i tuoi occhi, la tua pelle, la tua vitalità, brilli come e forse più degli astri del cielo e sei preziosa almeno quanto loro”

Restai rapita dalle sue parole, dai suoi zaffiri incatenati ai miei. Ma come faceva ad essere così dolce, così…perfetto?

Mi mise una ciocca di capelli dietro l’orecchio, sfiorandomi il viso, dopodiché mi strinse forte a se.

“Sei la mia stella Cathy, scesa per illuminare me e la mia vita” concluse infine e io seppi in quel momento che stavo imboccando una via senza ritorno. Si sbagliava, non ero io ad illuminare la sua vita, era lui il mio angelo custode, lui quello che mi guidava attraverso il buio, solo che evidentemente non se ne accorgeva. Come forse non aveva nemmeno intuito quanto io mi stessi legando a lui volente o nolente. Perché se io per lui era una stella, lui per me era tutto il firmamento, il mio punto di riferimento, sia Stella Polare che Croce del Sud. Se mi fossi separata da Peter a quel punto sarei stata persa per sempre come un marinaio in mezzo ad una tempesta, senza speranza di ritorno né di salvezza.

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Capitolo 10
*** 9_Il significato del verbo amare ***


cappy 9

Ciaoooo^^!!!! Dopo secoli finalmente riuscì ad aggiornare la pazza 68Keira68. Nella speranza di non venire fucilata per il ritardo ihihhi! A parte gli scherzi, scusatemi davvero ^’, quindi vi lascio andare subito alla lettura senza discorrere tanto, dico solo che in questo cappy tornano Lucy e Edmund e che è l’ultimo con profondo elucubrazioni sentimentali da parte dei personaggi, i proximi saranno più movimentati, ma già in questo cappy c’è più azione rispetto ai precedenti due ^^ spero tanto che vi piaccia, fatemi sapere cosa ne pensate^^!

 

Ringraziamenti:

 

ranyare: Ciao!! Concordo con il commento numero uno, Caspian si è comportato da idiota e come si vedrà è un'opinione comune di tutti i personaggi hihi^^ si è lasciato trasportare dall'atmosfera ma ha dimenticato con chi aveva a che fare! Però non tutto è perduto...:-) Peter ha accettato il consiglio, credo che ormai per lui sia diventato un chiodo fisso, però è un cavaliere, non si azzarderebbe mai a fare qualcosa che potrebbe mettere in difficoltà la sua damigella ^^ (e qui io parto per Narnia a cercare marito poiché da noi ormai uomini del genere sono estinti hihhi!) Sono contenta che si siano comprese le paure di Cate e Susan, temevo di aver fatto un po' di confusione in quelle parti, trattare i sentimenti è sempre difficile! E sono anche felicissima che sia piaciuta la scena del bosco!^^! Grazie mille per il tuo commento, spero che anche questo cappy ti piaccia, da ancora largo spazio ai sentimenti dei nostri eroi e spero di essere riuscita a far capire i punti di vista di tutti quanti! Ti mando un bacio grandissimo e grazie ancora^^!!!! Kisskisses 68Keira68

 

risotto: Ciao!! Grazie mille per i tuoi complimenti, * me super contenta!! * nn sai quanto sia felice di sapere che la storia ti piace così tanto XDXDXDXD!!!!! Mi disp nn essere riuscita ad aggiornare prima ma alla fine ce l'ho fatta e mi auguro che il cappy ti piaccia^^ Cathy Susan Peter e Caspian ti ringraziano tantissimo anche loro per il tuo entusiasmo e nn vedono l'ora di sapere cosa ne pensi del nuovo cappy hihi^^ un bacio e un abbraccio grandissimi ^^ kisskisses 68Keira68

 

noemy_moony: Ciao! Grazie tantissimo per i tuoi complimenti^^ sono davvero contenta che la storia ti sia piaciuta e spero che il nuovo cappy nn ti deluderà^^! Ti mando un grande bacio^^ kisskisses 68Keira68

 

KissyKikka: Ciao!!!! Cm potrei dirti che nn mi piacciono le tue recensioni, ti dovrei fare un monumento!!! Mentre la leggevo ero quasi commossa, sei stata troppo buona con i complimenti, nn so come ringraziarti!!! *.*!!!!!!! Glasieeeeeeeeeeeee :-)!!!!!!!! Sono davvero tanto tanto tanto felice che il capitolo ti sia piaciuto così tanto!! Anke Fulmine il Destriero Capace e Vanitoso come lo hai rinominato (e devo dire che gli calza a pennello il soprannome^^! Hiihi) ringrazia l'apprezzamento e promette di tornare nei prossimi capitoli ^^ Condivido l'opinione su Peter, infatti avevo in previsione una gita a Narnia per prendermelo e portarmelo a casa per vivere un “per sempre felici e contenti”, anche perchè qui da noi un cavaliere non saprei dove trovarlo, sn estinti! Bisogna ripiegare sui mondi paralleli a questo punto^^!! Sono felice che la scena del flash-back sia piaciuta e che la ramanzina di Peter sia venuta perchè ero indecisa fino all'ultimo su che tono darle, e sono anche contenta che si siano compresi i sentimenti dei vari protagonisti, temevo di aver fatto confusione ad un certo punto e di aver perso il filo logico ma mi tranquillizza sapere che così nn è stato, grazie^^!!!! Anche in questo cappy c'è molto spazio ai sentimenti, spero di essere riuscita a rimanere in linea con l'impronta data nel precedente cappy, se vedi delle discordanze mi farebbe tanto piacere che me lo dicessi se nn ti è di disturbo ^^ tengo molto al tuo giudizio e sarei contenta di sapere se la parte sentimentale di questo capitolo è stata secondo te trattata correttamente oppure no :-) grazie in anticipo :-)!!

Per la parte dell'incantesimo la sfera è diventata azzurra perchè è passata dalla diretta influenza del potere di Aslan a quello di Cathrine che ha un origine diversa ^^ Jadis per ora rimane più nell'ombra ma si riprenderà presto il suo riscatto per l'interferenza del leone nella raduna, ma nn aggiungo altro ^^ Cathrine ha affermato che il soprannome Kat nn le dispiace affatto, anzi ^^ quindi hai tutta la sua approvazione per usarlo hihihi^^

Ti posso solo più dire un altro grandissimo e sentitissimo GRAZIEEEEEEE per la tua recensione e per l'analisi accurata che hai fatto del capitolo, davvero ^^ * me felice felice felice felice!!!! * e spero di leggere presto il tuo parere su quest'ultimo capitolo,^^  ti mando un grandissimissimo bacio!!!! Kisskisses 68Keira68

 

Sweetophelia: Ciao^^!! Grazie per i tuoi complimenti^^ sono contentissima che il cappy ti sia piaciuto^^! Fulmine ha detto che ti accompagna volentieri al bosco fatato quando vuoi hihihi! Non sei la sola che ruberebbe volentieri Peter a Cate, ma dove si trovano cavalieri del genere???!!! Cate però dubito che ce lo lascerebbe fare, ci trasforma in rospi prima ahhah^^ Per la tua felicità posso anticiparti che qui ci saranno sia Lucy che Edmund, finalmente li ho fatti apparire, spero che ti piaceranno le loro parti^^ Fammi sapere cosa pensi del nuovo cappy^^! Vostra Altezza vi mando un grandissimo bacio e i miei ossequi hihihi! Kisskisses 68Keira68

 

Ringrazio tantissimo anche coloro che hanno aggiunto la ficcy ai preferiti e alle seguite e anche coloro che hanno solo letto, grazie tantissimo e spero che anche questo cappy vi piaccia!!

 

Vi auguro una buona lettura

Kisskisses

68Keira68

witch

9_Il significato del verbo amare

 

“Lucy, hai visto Peter? È tutto il pomeriggio che lo cerco”

Una risata maliziosa gli giunse come risposta dalla piccola figura femminile impegnata a leggere alcun carte. Edmund attese con un sopraciglio alzato che l’attacco di ilarità finisse. Cosa aveva detto di così divertente?

“Oh Ed… Temo che dovrai aspettare un bel po’ prima che torni”

“è uscito? E dove è andato?” chiese sorpreso.

Fantastico, aveva passato mezzo pomeriggio a cercare suo fratello per informarlo degli esiti delle ultime spedizioni e ora scopriva che era uscito. Per dove poi, dal momento che non era prevista alcuna missione riguardante loro.

Lucy gli si avvicinò con aria cospiratoria, si mise una mano davanti ad un lato della bocca e gli sussurrò divertita “è uscito con Cathrine per destinazione ignota” e gli fece l’occhiolino.

Ahhhh, questo spiega tutto. Pensò il giovane re comprendendo l’ilarità della sorella. Quei due ormai da quando si erano incontrati vivevano in simbiosi. Chissà che quadretto delizioso formavano a cavallo insieme nella foresta, mentre lui le mostrava galantemente i paesaggi di Narnia. Si, c’era decisamente abbastanza materiale per prendere in giro Peter per i prossimi vent’anni.

“Quindi i piccioncini sono fuori soli soletti eh?” fece ammiccante a Lucy, che gli rispose subito con un sorriso sornione.

“Oh si. Dovevi vedere come se l’è presa dopo pranzo. Sembrava quasi volesse rapire Cathrine e celarla al resto del mondo. Non vedeva l’ora di stare solo con lei, non lo ho mai visto così!”

Edmund sghignazzò. Già, neanche lui lo aveva mai visto innamorato ed era senz’altro uno spettacolo da gustarsi. Il prode cavaliere che cede agli occhi dolci della fanciulla indifesa. Era una perfetta trama per un libro di favole per bambini.

“Sai com’è Peter, dagli qualcuno da difendere e proteggere e vedrai che ne sarà rapito” commentò ironicamente.

“Ma c’è dell’altro” sussurrò misteriosa la piccola.

Lui la guardò stupito. “Ovvero?”

“Peter e Cate non sono gli unici piccioncini, come gli chiami tu, a colorare di rosa la valle di Narnia” aspettò un secondo per essere sicura di avere tutta l’attenzione del suo ascoltatore prima di rivelare la novità “In questo preciso momento Susan e Caspian sono fuori nel parco e si stanno sfidando amichevolmente a duello.” Poi commentò divertita “Probabilmente lui l’avrà punta sul vivo e lei lo ha sfidato, conoscendo Susy”.

Edmund però era rimasto una frase indietro. “Susan e Caspian sono fuori nel parco”

Quel ragazzo cercava forse la morte? Peter non gli aveva fatto un avvertimento quella mattina stessa? E da che ne sapeva lui i discorsi di suo fratello erano molto convincenti e spesso non fatti per essere ripetuti.

“Lucy, sei sicura che Caspian sia là fuori con Susan?” Ti prego dimmi che si è sbagliata.

“Si, certissima. Gli ho visto io”

Ok, a quel ragazzo piace il rischio…

Ma non riuscì a finire il pensiero che un turbine lilla e castano spalancò la porta con forza.

Sia Edmund che Lucy schizzarono in piedi allarmati, la mano del re che scivolava istintivamente verso l’elsa rassicurante della spada, pronti al peggio. Ma i loro timori si dimostrarono infondati. Appoggiata con la schiena sulla porta, tutta trafelata e ansimante, c’era uno dei soggetti dei loro pettegolezzi.

“Susy, cosa è successo?” Lucy non esitò ad andare accanto alla ragazza, che cercava disperatamente di ridarsi un briciolo di contegno.

A giudicare dal fiatone e dal colore bordeaux delle gote doveva aver corso per giungere lì. I capelli, solitamente sempre perfetti, erano  un disastro e gli occhi spalancati continuavano a guardare la porta con insistenza, come se potesse spalancarsi e mostrare un drago a due teste da un momento all’altro.

“Sto…” prese un bel respiro, cercando di recuperare il fiato perso dalla corsa “Sto bene Lucy, grazie” mentì spudoratamente. Se ne accorsero entrambi ma non dissero niente. Sapevo tutti e due che era una battaglia persa in partenza cercare di far ammettere a Susan che qualcosa non quadrava.

“D’accordo” rispose accondiscendente Lucy prendendola a braccetto.

Per fortuna Lucy sa come trattarla. Pensò Edmund.

“Perché non andate in camera a riposarvi un po’? Tra poco la cena sarà pronta e ci aspetta una notte lunga. Quando Peter torna dobbiamo discutere su alcune cose” propose simulando scioltezza il giovane moro. Sua sorella aveva un evidente bisogno di sdraiarsi, rimettere in moto il cuore e trovare un compromesso con se stessa che le permettesse di rivelare ciò che era successo con Lucy.

Susan acconsentì ed Edmund fece un rapido cenno di intesa con la sorella più piccola, ma Lucy aveva già capito qual era la sua parte.

Senza indugiare oltre accompagnò Susan nella sua stanza e si richiuse silenziosamente la porta alle spalle.

Bene, Susy è in buone mani. Ora tocca occuparsi di qualcun altro. Pensò amaramente.

Aveva un sospetto su quale potesse essere il problema della sorella e gli bastò uscire in cortile per vederlo confermato.

A qualche metro da lui, una figura slanciata prendeva ripetutamente a pugni una delle colonne dell’arena.

Edmund si era sbagliato. A Caspian non piaceva il rischio, era semplicemente un aspirante suicida. E se le orecchie di Peter fossero state raggiunte dal resoconto di quel pomeriggio, qualunque esso fosse, il desiderio del principe di Telmar sarebbe diventato realtà in meno di un minuto.

Trasse un bel respiro profondo, raccolse tutta la calma necessaria e si avviò verso Caspian.

Non aveva intenzione di fargli un’ennesima predica né di minacciarlo di chissà quali orribili morti, per quello Peter bastava e avanzava. Senza contare che era certo che per quanto l’azione compiuta dal principe potesse essere riprovevole sarebbe sempre stata entro determinati limiti. Conosceva Caspian, non avrebbe mai fatto intenzionalmente male a Susan, e lo sapeva anche Peter per quanto lo minacciasse. Però doveva udire cosa avesse combinato per ridurre Susan in quello stato.

Il principe, preso nella sua missione autolesionista, non lo aveva nemmeno sentito arrivare. Edmund notò che aveva le nocche tutte arrossate e rovinate per colpa della raffica di pugni che Caspian stava usando contro la colonna.

Decise che doveva fermarlo o tra poco avrebbe dovuto fasciarle. Gli appoggiò una mano sul braccio e lo costrinse a voltarsi.

Caspian lo fissò sorpreso di trovarlo lì, ma subito abbassò lo sguardo imbarazzato, intuendo il motivo della visita del moro.

“Caspian, si può sapere perché ti stai lacerando le mani e perché mia sorella è corsa in camera sconvolta?” Edmund optò per un approccio diretto. Girarci attorno sarebbe stato inutile dato che il fulcro della futura discussione lo conoscevano entrambi.

Il ragazzo ignorò la domanda. “Era tanto sconvolta?” chiese invece apprensivo.

“Per i canoni di Susan si” gli rispose duro.

Caspian sospirò affranto ed Edmund si pentì del tono appena usato. Il principe stava soffrendo già abbastanza di suo senza aiuti esterni ed era pronto a scommettere che aveva bisogno di qualcuno con la quale confidarsi. Forse era meglio se trovava il modo di conciliare i panni dell’amico con quelli del fratello se non voleva vedere il principe esplodergli lì davanti, dopotutto era l’unico che poteva farlo.

“Caspian, davvero, cos’è successo? Un minuto prima Lucy mi ha detto che stavate duellando e un minuto dopo vi ritrovo così” e lo indicò con un eloquente gesto della mano.

Il moro lo fissò sconsolato, apparentemente incapace di trovare le parole giuste per pronunciarsi. Si passò una mano tra i capelli e si guardò attorno come se cercasse l’ispirazione da qualche parte. Ed a un certo punto parve trovarla poiché iniziò a raccontargli tentennante.

“Lei mi ha sfidato a duello e io ho accettato. Abbiamo tirato qualche affondo, o meglio ha cercato di tirare qualche affondo” si corresse sorridendo mesto preso dai recenti ricordi “finché non mi sono ritrovato con le spalle contro la colonna” si fermò e fissò con astio il suddetto pilastro, quasi fosse colpa sua per tutto quello che era successo.

“E…?” lo incitò Edmund.

Caspian sospirò. “Ho invertito le posizioni con l’intenzione di porre fine allo scontro ma non avevo calcolato che così facendo ci saremmo ritrovati molto vicini.” Rispose enigmatico.

Edmund aggrottò la fronte. Susan era scappata solo per una vicinanza eccessiva? No, non stava in piedi, c’era dell’altro. Quello che cercava di uscire dalle labbra del principe ma che lui provava a trattenere con tutte le sue forze.

Alla fine però le parole ebbero la meglio.

“Ecco, io… so che ho sbagliato, non avrei dovuto farlo, ma me ne sono reso conto troppo tardi” cercò di giustificarsi agitato.

Il moro lo guardò confuso, in una muta richiesta di spiegazioni che non tardarono ad arrivare anche se parevano uscire con forza dalla bocca di un Caspian contrariato.

“Senza rendermene conto ad un certo punto ho visto solo la sua bocca, non esisteva più nient’altro e…mi sono proteso per baciarla, a quel punto, quando lei ha intuito le mie intenzioni, è scappata” confessò a testa china, la voce piena di rimorso.

Poi alzò lo sguardo, e fu probabilmente il mare di sconforto che Edmund vi lesse dentro che lo convinse a non infuriarsi eccessivamente.

Si, sta di sicuro soffrendo abbastanza senza aiuti.

Edmund sospirò. Se conosceva bene sua sorella, Caspian aveva davvero fatto il passo più lungo della gamba. Ora capiva perché era così sconvolta, un gesto tanto inaspettato l’aveva mandata completamente in confusione. E Caspian se ne era accorto, solo che ormai il danno era fatto.

Gli poggiò una mano sulla spalla cercando di trasmettergli forza.

“Sei stato un’idiota, te ne rendi conto si?” era una domanda retorica, fatta giusto per imprimere bene il concetto. Doveva almeno fare una battuta da tipico “fratello geloso” prima di dare consigli da amico.

“Idiota è dir poco” biasciò Caspian abbattuto.

Edmund aumentò la presa sulla spalla per scuoterlo, quel tanto che bastava per assicurarsi di togliere il suicidio dai pensieri del ragazzo.

“Si, ma non me la sento di infierire ulteriormente.” Caspian mugugnò e Edmund si affrettò ad aggiungere “Ascolta, hai davvero fatto una cavolata, ma non è tutto perduto, non ti abbattere”

Il principe lo fissò come se provenisse da un altro pianeta ed Edmund non poté fare a meno di sogghignare. “Ehi, dico sul serio. Ora lei sa quello che provi e…”

“Ed è scappata” concluse secco, accasciandosi sul pilastro di marmo, come se avesse perso tutte le forze di colpo.

“Non è scappata perché non ricambia, è scappata perché l’hai colta alla sprovvista, cosa che Susan odia. La situazione le è sfuggita di mano e si è sentita persa.” Gli illustrò Edmund che con grande piacere vide l’attenzione di Caspian destarsi completamente. Continuò spedito il suo discorso. “Caspian, credimi, non ha rifiutato te, ma l’improvvisa circostanza. Non era preparata, ora ha bisogno di tempo per accettare la novità e soprattutto per metabolizzare quello che prova lei, per accettarlo ed esprimerlo”

Caspian lo fissava come un disperato avrebbe guardato la sua unica via di salvezza. Se quello che il re stava dicendo era la verità, forse avrebbe potuto avere sul serio ancora qualche possibilità, ma non osava sperare quello che pareva troppo bello per essere vero.

Edmund rincarò la dose. “Suvvia Caspian, è chiaro come la luce del sole” sbottò.

Il principe lo fissò stralunato, in attesa di chiarimenti. Edmund non tardò a darglieli con un mezzo sorriso stampato in faccia. “Ti ama anche lei, non dirmi che non te ne sei accorto. Cambia espressione solo vedendoti! Davvero, deve solo rendersene conto lei e accettarlo. Abbi pazienza e quando sarà pronta verrà lei da te” gli confidò.

Caspian scuoteva con piccoli scatti la testa, incredulo. “Ti sbagli. Come fai ad esserne così sicuro?”

“Hai mai visto Susan sfidare a duello qualcun altro?”

“Questo cosa c’entra? L’ho provocata io” si difese Caspian.

“Appunto, e lei ha accettato, cosa che di solito non fa mai. È raro che faccia prevalere l’istinto sul lato razionale. Con un’altra persona si sarebbe limitata a guardarlo dall’alto in basso e si sarebbe voltata simulando superiorità. Tu sei l’unico che le fa questo effetto, è come se le facessi mettere da parte la ragione e le facessi dare la precedenza alle emozioni usualmente tenute sotto stretto controllo” gli spiegò con il tono di chi illustra un concetto semplice ad un bimbo cocciuto.

Ma lo sguardo di Caspian al momento era identico a quello di un bimbo. Un bambino alla quale è stato promesso il giocattolo più desiderato e più prezioso. Gli occhi gli brillavano accesi dalla luce della speranza.

“Non l’ho persa” sussurrò incredulo.

Edmund rise. “No, tranquillo.” Poi però aggiunse più serio. “Fossi in te però eviterei di raccontarlo a Peter. Non credo sarebbe molto comprensivo”

Caspian deglutì con difficoltà. Si, era assolutamente meglio evitare che quella storia raggiungesse il biondo. Aveva appena evitato di perdere Susan ora non voleva rischiare di perdere la testa.

Il re osservò divertito il colore andare nuovamente via dalle gote di Caspian appena nominò il nome del fratello. Cercò di trattenersi, ma la sua espressione terrea era davvero troppo buffa. Gli scoppiò a ridere in faccia, sostenendosi con una mano alla colonna, guadagnandosi un’occhiataccia.

Peter lo deve avere davvero terrorizzato durante la loro “discussione”.

 

*

 

Avevo una sensazione di vuoto. Una terribile sensazione di vuoto alla bocca dello stomaco. Era come se qualcuno avesse inserito tra il suddetto organo e l’addome una sfera di plastica che costringeva le altre parti dei corpi a stare più giù del normale e mi ostruiva il passaggio per l’aria. Era davvero spiacevole.

Eppure continuava a persistere nonostante mi ripetessi da ore che ero semplicemente una stupida. Sapevo perfettamente a cosa era dovuto il malessere. Avevo la causa dinanzi agli occhi. Una causa bionda con gli occhi azzurri.

“Ma dovete proprio partire?” ripetei probabilmente per la milionesima volta nel giro di un’ora. Ero sicura di aver segnato un record.

Peter si voltò verso di me sorridendo divertito. “Si Cathy, mi spiace” rispose con la pazienza di un santo. Incredibile, su un milione di risposte non ce n’era stata una pronunciata con un tono scocciato. Fosse stato qualcun altro mi avrebbe certamente mandata a quel paese.

Sospirai. Non c’era modo di dissuaderli, ormai lo avevo capito anche se continuavo insulsamente a sperare. Fatto era che non riuscivo ad accettarlo. Sapevo che quella missione era necessaria per la guerra. Peter me lo aveva ripetuto tante volte almeno quante io gli avevo chiesto di non andarci, anche se ero a conoscenza che ci teneva personalmente a capitanare quella missione.

Erano in cinque, lui, Edmund, Caspian, Morris e Tweens, un fauno. Erano necessari tutti e tre i sovrani in quanto occorrevano persone che si avvicinassero il più possibile alle mura della città senza essere visti e loro erano gli unici che davano meno nell’occhio, mentre gli altri due sarebbero rimasti leggermente in disparte ad attendere un segnale in caso di bisogno. I tre ragazzi dovevano cercare informazioni all’interno della cittadina. Dovevano sapere quanti uomini sarebbero venuti al fronte e soprattutto quanto tempo ci avrebbero messo prima di marciare verso di noi. In apparenza una spedizione facile, non implicava l’utilizzo delle armi. Però bastava un niente per farsi scoprire dentro la tana del nemico, un passo falso e qualcuno avrebbe potuto riconoscere Caspian o un altro di loro. E allora si che sarebbero servite le spade. Con quali conseguenze però non osavo pensarlo. O meglio, la mia mente cercava di rifiutare il pensiero, il mio stomaco continuava a ricordarmi i rischi. Avevo una spiacevole sensazione riguardo quella missione. Il mio istinto mi diceva che il pericolo era in agguato, che si sarebbero potuto fare seriamente male. E anche se continuavo a ripetermi che era solo una mia sciocca percezione prodotta dall’apprensione, il malessere non se ne andava.

“Suvvia Cate, prima o poi doveva succedere”

La voce di Edmund mi giunse dall’alto. Era già in groppa al suo destriero, in apparenza ansioso di partire. Avevo visto la stessa esaltazione negli occhi di Peter e Caspian con grande irritazione, possibile che ai ragazzi piacesse mettersi spontaneamente in pericolo? Domanda idiota, mi risposi da sola, ovviamente si, non fanno altro.

“Succedere cosa Ed?”

Il ragazzo mi guardava ilare. Qualsiasi fosse il suo pensiero, lo doveva divertire molto.

“Passare un pomeriggio separata da Peter” mi rispose, suscitando le risa di Caspian, Susan e Lucy che erano attorno a noi. Il principe anche lui a cavallo, le due ragazze vicino ad Edmund.

Peter per mia fortuna non rise. Si limitò ad incenerire il fratello con lo sguardo mentre io gli feci la linguaccia diventando tutta rossa, mentre tentavo una blanda linea difensiva.

“Spiritoso, non viviamo mica in simbiosi!” ribattei sapendo di mentire.

“Ha ragione Ed, passano solo i pomeriggi assieme” si intromise Lucy con un finto tono dolce che non mi piaceva per niente.

“è vero. Oh, dimenticavo, anche le mattine, Peter non le nega mai il suo aiuto per gli esercizi di magia” era arrivata anche Susan, fantastico.

“E come potrebbe? Dopotutto è un cavaliere, di conseguenza è galante in ogni momento. Anche a pranzo, quando le scosta la sedia vicino al suo posto” pure Caspian si metteva ora?

“e a cena, sia mai che Cathrine non trovi uno sgabello da sola”

“o che passi da isolata la serata, per questo la accompagna fuori a chiacchierare finito di mangiare” rincarò la dose Susan.

“o che perda la strada mentre va a letto, per ciò preferisce scortarla di persona in camera” concluse Edmund, ormai piegato in due dalle risate. Si teneva a stento in sella anche se purtroppo non era ancora caduto. Nulla in quel momento mi avrebbe reso più felice che vederlo rompersi qualcosa.

Le altre tre comari lo imitavano alla perfezione. Caspian accasciato sulla sella e Susan e Lucy che si tenevano la pancia dal ridere. Ma che carini pensai amaramente diventando probabilmente bordeaux in faccia. Purtroppo però non avevo niente con la quale obiettare. Quello che avevano detto doveva ammettere che era la pura verità. La mia bellissima e pura verità che nonostante le loro battute non avrei cambiato per nulla al mondo.

Era passata una settimana da quando Peter mi aveva portata alla spiaggia e da allora non era passato un pomeriggio senza che ci tornassimo. Era la nostra isola felice, non avevamo detto a nessuno dove ci dirigevamo né tanto meno della magia che era tornata a rianimare il boschetto. Era il nostro segreto. Il resto della giornata purtroppo era più pubblico considerando il divertente riassunto che i Pevensie e Caspian avevano appena fatto.

A salvare la situazione per fortuna ci pensò il mio biondo cavaliere.

“Ignorali, si dilettano con poco” affermò ad alta voce, simulando un’aria di sufficienza. Cercai di imitarlo, peccato che il sangue non defluisse dalle mie gote a comando. Accidenti!

Sospirai e gli andai più vicino con l’intenzione di fare un ultimo disperato tentativo di dissuaderlo dal suo viaggio, infischiandomene di risultare patetica.

“Peter, ascoltami, non ti chiedo di rimandare la missione per un mio capriccio. Ho una brutta sensazione riguardo ad oggi e il mio intuito sbaglia raramente. Accadrà qualcosa di spiacevole, non potreste rimandare a …”

Peter mi azzittì posando un dito sulle mie labbra con un’infinita dolcezza negli occhi. Con uno sguardo così come potevo sperare di tenere un filo logico nel discorso? Era una battaglia persa in partenza.

“Cathy, ti assicuro che non accadrà assolutamente niente.” E prima che potessi ribattere aggiunse. “Andiamo, ci infiltriamo silenziosi, carpiamo le informazioni e voliamo a casa. Tornerò prima del tramonto”

Sospirai. Non c’era davvero speranza. Sarebbe partito. Lo stomaco mi si contrasse più forte. Lo percepivo chiaramente, qualcosa sarebbe andato storto, ogni particella del mio corpo lo urlava. Ma come potevo pretendere che tutti dessero più retta al mio istinto che non alla logica comune? Potevo solo confidare che la sua prodezza lo avrebbe salvato da ogni pericolo.

Mi lasciò un bacio leggero sulla fronte e salì in groppa, accostandosi ad Edmund intento a scambiare le ultime battute con Susan e Lucy. Si unì a loro anche Caspian, che con nonchalance si protese dalla sella in direzione di Susan, probabilmente per salutarla. Stavo già sorridendo sotto i baffi per quella piccola ma tenera dimostrazione di interesse quando la reazione di quest’ultima ci lasciò tutti basiti. Fingendo palesemente di non averlo visto, si avvicinò a me trascinandosi dietro anche Lucy, lasciando un Caspian più abbattuto che mai.

Guardai interrogativamente Susan per spiegazioni ma lei era intenta a salutare i fratelli con la mano come se non fosse successo niente. Notai che anche Peter faceva scorrere lo sguardo tra Caspian e la sorella con un grande interrogativo sul volto. Fui sicura che avrebbe chiesto spiegazioni più tardi per chiarire la situazioni, esattamente come avrei fatto io con Susan. Solo che il suo interlocutore sarebbe stato uno sfortunato Caspian. Sperai per lui che qualunque cosa fosse successa tra i due non fosse eccessivamente grave o il principe se la sarebbe vista davvero brutta.

Salutai anche io il gruppetto, cercando di ignorare le fitte sempre più insistenti al mio stomaco. La spiacevole sensazione non se ne andava.

E mentre i cinque cavalieri si allontanavano diventando sempre più piccoli, cercavo di ripetermi come una mantra una sola semplice ma vitale frase.

Stasera lo rivedrò.

 

*

 

“Bene, considerando che non abbiamo nient’altro da fare, credo che la cosa più costruttiva sia aiutarti con i tuoi esercizi. Vero Lucy?”

La voce imperiosa di Susan mi distrasse dalla mia contemplazione della linea dell’orizzonte.

La squadrai esasperata, felice come se avessi appena ricevuto un pugno in uno stomaco. Lucy mi notò e mi strizzò l’occhio in segno di incoraggiamento. La piccola sapeva quanto poco sopportassi allenarmi con Susan. La ragazza era peggio di un sergente, se avesse voluto sarebbe entrata nell’esercito senza difficoltà. Il fatto che poi i miei miglioramenti in quei giorni fossero stati pari a zero, non aiutava la situazione.

Già di per sé quella era una stranezza che non riuscivo a spiegarmi e che mi infastidiva oltre ogni dire, se ci metteva pure lei con la sua insistenza, rischiavo davvero di andare in escandescenza.

“Forza, abbiamo tutto il pomeriggio a disposizione, sono certa che oggi faremo dei passi avanti” ci incoraggiò piena di entusiasmo Lucy. Almeno qualcuno ne aveva.

“D’accordo” biascicai sconfitta.

La posizione era la solita. Loro due davanti a me in religioso silenzio e io seduta a gambe incrociate a cercare la concentrazione come il più savio degli induisti. Peccato che qualcosa mi suggeriva che anche il risultato sarebbe stato il solito.

Sette giorni, una settimana intera, e non ero ancora riuscita ad addormentare nessuno. Non fosse stato per la cocciutaggine di Susan probabilmente ci avrei già rinunciato. Iniziavo a sospettare di non esserne semplicemente in grado. Di solito piegavo gli oggetti e le leggi della natura alla mia volontà senza il minimo sforzo. Avvertivo la loro essenza e la manipolavo come un artigiano avrebbe fatto con la creta. Ma a quanto pareva l’assenza delle persone era differente, per utilizzare una metafora simile, era più vicina al diamante, più brillante e riconoscibile, ma più dura da modellare rispetto all’umile cera. Non avevo forza abbastanza per gestirla.

Chiusi gli occhi ed espirai lentamente. Sgombrai la mente come di consueto e acuii i sensi. Percepii subito la natura circostante, il vento, il sole, l’erba, il bosco. Creta che sarebbe diventata soggetta ai miei poteri senza difficoltà. Spaziai con la mente ancora, finché non trovai le essenze più grandi, i due diamanti che cercavo, Susan e Lucy. Avvertivo con facilità anche loro, senza contare che mi erano vicine. Il problema sarebbe sopraggiunto ora.

Raggruppai la mia magia. La richiamai da ogni angolo recondito del mio essere e la concentrai sulle mie mani finché non le sentii pulsare. Allora sussurrai mentalmente il mio piccolo e futile comando. Addormentatevi.

La magia fluttuò da me a loro finché non si scontrò contro la loro aurea. Tutto da manuale. I miei poteri, che di solito avvolgevano l’essenza dell’oggetto e lo modificavano, non riuscirono nemmeno ad inglobare una minima parte del diamante come se costituisse un repellente alla magia, disperdendola nell’aria.

Anche se sfiduciata, ritentai subito. E di nuovo, di nuovo, di nuovo. Al quindicesimo tentativo, mollai la spugna.

Sbuffai sonoramente e aprii gli occhi. Ero già stanca e iniziavo ad avere il lieve mal di testa, che puntualmente mi veniva ogni qual volta mi esercitavo.

“Susan, non funziona. Come sempre” sbraitai.

Lei non si perse d’animo. “Abbiamo appena cominciato, riprova”

“Susan, è tutta la settimana che ci proviamo e non ci sono ancora riuscita” le feci notare con una certa acredine.

La regina fece una smorfia. “Forse non ci stai mettendo l’impegno necessario” sbottò.

A quel punto vidi rosso. Feci un bel respiro profondo per calmarmi, le lanciai un’occhiataccia e sibillai “è una settimana che la testa non smette un secondo di dolermi per questi assurdi esercizi, non venirmi a dire che non mi impegno”

Lucy parve intuire il mio stato d’animo perché mi guardò allarmata e intervenne celere per calmarmi. “Tranquilla, sappiamo quanto ti stai sforzando, non lo mettiamo in dubbio”

“Forse non sai gestire i tuoi poteri, dovresti imparare a conoscerli meglio prima di usarli” osservò invece Susan esaminandomi. Evidentemente non doveva aver fiutato il pericolo come Lucy. A quelle parole, la bomba esplose, alimentata dal fastidio del mio insuccesso, dalla sua assurda persistenza e dalla stanchezza che mi stava invadendo.

Come?! Io non sapevo gestire i miei poteri? Ma chi pensava di essere? Li usavo da  diciassette anni, facevano parte di me da sempre, e lei ora, completamente digiuna di magia, voleva insegnarmi come adoperarli?

Fossi stata una locomotiva probabilmente ora avrei riempito di fumo tutta la radura.

Le avrei fatto vedere chi era la strega esperta.

Chiusi gli occhi e mi concentrai, sfruttando la rabbia che mi faceva battere forte il cuore per estendere i miei sensi al massimo. Trovai subito l’aurea di Susan, raccolsi tutte le mie forze e le riversai con violenza verso un unico punto della sua essenza, il centro, probabilmente con il desiderio inconscio di colpirla per ferirla, accompagnandole con un imperativo: Addormentati. L’effluvio di magia, focalizzato su un bersaglio preciso, assunse le sembianze di una freccia. Potevo quasi udire con la mente il suo sibilo.

Poi accadde un evento del tutto inaspettato. La mia magia raggiunse l’aurea della regina ma invece di disperdersi, come aveva sempre fatto, la trapassò da parte a parte, a pari di un dardo che trafigge uno scudo. E fu allora che capii, prima ancora di udire il leggero tonfo del corpo di Susan che si afflosciava a terra.

Aprii gli occhi e mi avvicinai a lei con un sorriso a trentadue denti insieme ad una terrorizzata Lucy. La rabbia provata prima completamente dispersa dinanzi alla vista del mio primo e sudato successo e, dovevo ammettere, alla vista di una Susan finalmente azzittita. Una sensazione di sollievo mi invase. Ce l’avevo fatta. Finalmente, dopo giorni di estenuanti tentativi, ci era riuscita, avevo vinto un mio punto debole, avevo rafforzato i miei poteri. Ero fiera di me stessa.

“O mio Dio, cos’è successo?” si informò la piccola.

Povera, probabilmente pensava che trascinata dall’ira le avevo fatto chissà quale fattura. Non esitai a sorriderle tranquillizzante e incredibilmente soddisfatta. Così imparava ad accusarmi di essere incapace. Cadere come un sacco di patate nel mezzo di una discussione era una punizione sufficiente considerato il suo orgoglio. “L’ho resa contenta. L’ho addormentata” e come a voler sottolineare le mie parole, Susan emise un basso mugugno, profondamente appisolata.

“Quindi sta bene?”

“Controlla tu stessa” la invitai sicura di me.

Il suo respiro era regolare e l’espressione serena. Stava dormendo come un angioletto.

Lucy sospirò alleggerita. Poi mi rivolse un sorriso radioso. “Cate, ce l’hai fatta!” si congratulò.

Ricambiai l’entusiasmo mentre fissavo il mio risultato ancora incredula. Si, ci ero riuscita grazie alle provocazioni di Susan. A malincuore dovevo dargliela vinta su un punto, non avevo capito come dovevo utilizzare i miei poteri per questo tipo di magia, e la sua sfida mi aveva stimolata inconsciamente a migliorarmi.

“è meglio svegliarla” proposi. Volevo vedere la sua espressione nel sapere la lieta novella. Finalmente avrebbe smesso di stressarmi.

“Susan” la chiamai scuotendola leggermente. La regina però aveva il sonno pesante, ci vollero quattro richiami prima di farle aprire gli occhi e cinque minuti per farla tornare ad essere capace di intendere e volere. A quanto pareva un sonno istigato da fonti esterne era più insistente di uno naturale.

“Cos’è successo?” chiese stralunata stiracchiandosi le braccia.

“Cate ti ha fatto addormentare. Ci è riuscita, sei caduta come una pera cotta” la informò allegra la sorella minore.

Susan mi guardò sorpresa. “Davvero?”

“Oh si” confermai trionfa.

“E come hai fatto?” mi chiese più stupita che mai.

Non mi feci pregare per fornirle la spiegazione. “Ho capito cosa sbagliavoApplicavo lo stesso modo di manipolare l’essenza degli oggetti e della natura per modificare quella delle persone. L’essenza dei primi e più facile e gestibile, si piega alla mia volontà come niente, basta che la avvolga con i miei poteri” illustrai, gustandomi l’espressione rapita delle mie due ascoltatrici. Giusto per ribadire il fatto che non ero incompetente. “Ma quella delle persone è diversa. Finora pensavo che fosse semplicemente più resistente e che rifiutasse la magia come un repellente. Ma ora ho capito che mi appare più dura perché è protetta da una sorta di scudo. Ecco perché disperdeva i miei poteri. L’unico modo per eluderlo è trapassarlo ed entrare così veramente in contatto con l’essenza di un individuo. Una volta fatto ciò comandarla è semplicissimo” e feci un gesto di noncuranza con la mano, godendomi le loro facce allibite.

“Wow”

L’eloquenza di Lucy non poté non farmi ridere.

“è fantastico, ora siamo a cavallo. Ma sei sicura di aver imparato bene? E puoi farlo con più persone?” Susan badò subito di più al lato pratico.

Soppesai un secondo la sua domanda. Potevo farlo?

“Credo di si. Finché sono ad una relativa distanza posso riuscirci” assicurai.

“Perfetto. Vorrà dire che domandi faremo una prova generale con il maggior numero di persone, dopodiché sarai pronta” determinò.

Se implicava la fine degli esercizi per quel giorno, non potevo che essere d’accordo.

 

*

 

Ce l’abbiamo fatta. Non so bene quale divinità devo ringraziare, ma ce l’abbiamo fatta.

Con un sorriso di trionfo, il biondo sovrano di Narnia si dirigeva al trotto verso casa, felice come non mai.

Avevano portato a termine la missione. E con successo. Erano riusciti ad entrare nella cittadina senza farsi vedere -e già questo era di per sé un ottimo risultato-  ma in più erano riusciti a trovare la maggior parte delle informazioni che cercavano.

Lui ed Edmund, vestiti come semplici contadini nascondendo le armi sotto pesanti mantelli da viaggio, erano scivolati oltre le mura mentre Caspian intratteneva le guardie all’ingresso con un diversivo. Il piano fino a quel punto aveva funzionato alla perfezione, anche se era la parte più semplice. La seconda era la più complicata ma soprattutto la più affidata al caso. E il loro era stato incredibilmente favorevole. Si erano avvicinati alla caserma seguendo le indicazioni fornitegli da Caspian, cercando di non dare nell’occhio, per origliare le diverse conversazioni nella speranza di udire discorsi a loro utili, ma la loro buona stella li aveva fatti addirittura scontrare con la madre di uno dei soldati che si lamentava della partenza prossima del figlio proprio con quest’ultimo.

Avevano ascoltato frammenti del loro dibattito poi, appena il militare se ne era andato, non avevano esitato a “scontrarsi” accidentalmente con la signora. Nel scusarsi Edmund aveva preso la palla al balzo e aveva sfoderato tutte le sue arti dialettiche per carpirle informazioni senza creare sospetto alcuno. Le aveva raccontato che l’aveva vista discorrere con un soldato e che si domandava se per caso Telmar si preparasse a fronteggiare un’altra guerra fingendo un tono preoccupato degno del più bravo commediografo. Peter gli aveva retto il gioco e domanda dopo domanda erano riusciti a farsi dire quello che gli serviva, favoriti anche dall’indole pettegola dell’anziana signora che a quanto pareva non aspettava altro che qualcuno con la quale lamentarsi delle continue guerre proposte dai re di turno. I due ragazzi l’avevano pazientemente ascoltata e dato retta, contenti che tra un lamento e una critica la donna li avesse informati che di lì a quattro giorni un grosso manipolo di uomini sarebbe partito per il fronte attraversando la foresta in cerca dei restanti abitanti di Narnia e che i “poveri ragazzi coinvolti nelle smanie di conquista dei potenti” erano più di un migliaio.

In poche parole: centro.

Si erano accomiatati in fretta dalla donna ed si erano volatilizzati fuori dalla cerchia muraria, favoriti dal fatto che i soldati perquisivano solo chi entrava e non chi usciva.

Ed ora eccoli lì, tutti e cinque, i ragazzi a cavallo Morris e Tween a piedi, con un’espressione trionfa sulla faccia.

“Non vedo l’ora di tornare a casa, sto morendo di fame” Edmund si stiracchio le braccia dietro la nuca.

“Anche io” convenne Peter “In più non vedo l’ora di informare le ragazze delle ultime notizie. Saranno soddisfatte, soprattutto Susan, vero Caspian?” aggiunse il biondo, rivolgendosi a quest’ultimo per cercare conferma.

Ma quello che trovò sul volto del principe non fu ciò che aveva sperato. All’ultima frase l’espressione allegra di Caspian si era tramutata in una afflitta senza un’apparente spiegazione.

“Ehi Caspian, cosa ti prende? Hai una faccia tirata” osservò il re incuriosito.

Il principe lo fissò allarmato e cercò di ricomporsi. “Niente. È tutto ok” rispose frettoloso stimolando ancora di più la curiosità di Peter che assottigliò lo sguardo.

“Sicuro?”

“Certo certo” insistette preoccupato il moro.

Peter scrollò le spalle. “D’accordo” poi in un flash si ricordò della scena assistita qualche ora prima, al momento della loro partenza. “A proposito, ho notato che ultimamente tu e Susan non passate più molto tempo insieme o sbaglio? Anzi, sembra quasi che vi evitiate. È successo forse qualcosa?” si informò.

Il giovane principe sbiancò e per poco non cadde da cavallo.

Ma perché, perché è così attento a tutto ciò che riguarda la sorella? Si chiese.

Era passata una settimana dallo scontro con le spade e ancora non era riuscito a chiarire la situazione con la regina. Il loro rapporto stava degenerando, ormai Susan non gli permetteva più nemmeno di stare negli stessi tre metri quadri. Appena lo vedeva era capace di interrompere qualsiasi cosa stesse facendo e cambiare stanza senza degnarlo nemmeno di un saluto. Si era trincerata dietro un mutismo terribilmente irritante e che gli stava corrodendo l’anima. Ma come dargli torto? Dopotutto, l’idiota era stato lui, non lei. Non poteva criticarla per la sua reazione, l’unica cosa che poteva fare era cercare di farsi venire un’idea per migliorare i loro rapporti. Anche se l’unica cosa che era riuscito a compiere in sette giorni era lacerarsi il cuore ripensando all’infinito da vero masochista all’esito di quel dannato duello.

Edmund intervenne in suo aiuto molto tempestivamente. “Dici? Io non ho notato nulla”

Peter lo guardò stralunato. “Ma come? Se è una settimana che non si parlano quasi e questo pomeriggio Susan lo ha addirittura deliberatamente evitato.”

“A me non è sembrato” Edmund scrollò le spalle indifferente, pregando che Peter non indagasse oltre. Dato che il fratello non aveva ancora sollevato l’argomento, aveva sperato che fosse troppo preso da Cathrine per osservare altro, ma a quanto pare così non era stato. Il re aveva un occhio per tutto, stava solo aspettando il momento giusto per intavolare la discussione desiderata.

“Io ti ripeto di si. Volevo solo sapere se hai quindi trovato una risposta alla mia domanda di qualche giorno fa. Devo interpretare questi fatti come una risposta negativa?”

Dannazione, certo che quando ci si mette sa essere davvero pedante. Pensò Edmund tenendo le dita incrociate per Caspian. Il principe non sarebbe resistito all’interrogatorio ancora a lungo, ne era certo.

Difatti… “Ecco, a dire la verità non è così” il moro iniziò a tergiversare diventando interamente rosso.

“E com’è?” domandò Peter, accigliandosi e inasprendo d’un poco il tono. Iniziava ad agitarsi, sia Edmund che Caspian potevano vederlo chiaramente. A Peter non piacevano i giri di parole, preferiva gli approcci diretti e i tentennamenti di Caspian lo stavano irritando.

Ciò spinse definitivamente il principe a svuotare il sacco, sperando che la sua esecuzione sarebbe stata rapida ed indolore.

“La mia risposta a dire il vero è si. Ma ho fatto uno sbaglio enorme, e il suo allontanamento ne è la conseguenza” mormorò a testa china.

Peter diede un colpo di redini improvviso e si piantò dinanzi a Caspian, costringendolo a fermarsi.

“E quale sarebbe questo enorme sbaglio?”

Il tono era basso e calmo. Eppure la minaccia che celavano quelle parole era talmente consistente che la si poteva vedere alleggiare nell’aria.

Caspian  non osò guardarlo in volto ed Edmund gli si avvicinò fiutando il pericolo.

“Suvvia Peter, non è stato niente di così grave” lo difese preventivamente.

Peter lo fulminò con lo sguardo. “Tu lo sai?” sibilò sentendosi tradito.

Edmund alzò gli occhi al cielo, sconsolato.

“Sto ancora aspettando” aggiunse poi rivolto nuovamente a Caspian.

Il moro si decise ad alzare di qualche millimetro gli occhi, simulando un briciolo di coraggio che in realtà non aveva.

“Ecco, può darsi che io abbia…tentato…di baciarla” confessò “ma senza riuscirci” aggiunse poi guardando preoccupato il volto di Peter che cominciava a sfumare verso il viola.

Brutto segno, orrendo segno cominciò a dirsi il principe.

“Peter davvero, non è accaduto niente di irreparabile, non è successo assolutamente nulla” Edmund si lanciò sprezzante del pericolo nella disperata difesa di Caspian.

Ma Peter non lo ascoltava più. Si stava limitando a fissare Caspian con occhi di fuoco. Avesse potuto, lo avrebbe perforato da parte a parte con lo sguardo. Le spalle iniziarono ad abbassarsi e alzarsi a ritmo innaturale e accentuato. Mancava il fumo che gli usciva dal naso, poi era la perfetta versione umana di un bufalo inferocito.

Caspian cominciò ad agitarsi sulla sella e a votarsi ad ogni singolo santo e divinità conosciute dalla notte dei tempi. Forse qualcuno avrebbe interceduto per lui con qualche miracolo. Lanciò un’occhiata al biondo. No, neanche Odino e Zeus insieme avrebbero potuto salvarlo in quel momento.

Piombò il silenzio. La calma prima della tempesta. Persino Morris e Tween si erano bloccati preoccupati. E poi esplose.

“TU HAI FATTO COSA?!?!?!”

Il tono tuonante aveva riempito tutta l’aria circostante. Anche il vento pareva essersi fermato terrorizzato smettendo di soffiare tre le fronde degli alberi.

“Peter…” tentò di nuovo Edmund.

“Zitto tu” lo ammutolì il biondo. “Hai davvero tentato di baciarla?” ripeté incredulo sporgendosi dalla sella. “Non ci posso credere, dopo che ti avevo avvertito di darle tempo, di concederle i suoi spazi, tu l’hai forzata! Sei un’idiota, un’idiota assoluto e completo!” sbraitò agitando le mani freneticamente in direzione del principe.

Caspian provò una blanda linea difensiva sussurrando “Non l’ho fatto a posta lo giuro, ma è stato più forte di me, non me ne sono nemmeno reso conto, io…”
“Non me ne importa un accidenti se eri cosciente o no. Fatto sta che lo hai fatto! E a tuo rischio e pericolo aggiungerei” il tono si abbassò ad un sibilo talmente minaccioso da far rimpiangere l’urlo di poco prima.

A quelle parole Caspian tremò. Che tristezza, morire così giovane…

“Peter, non lo puoi uccidere” cercò di farlo ragionare Edmund.

Il sovrano lo guardò scettico “Ne sei sicuro?”

“Peter!” lo richiamò il fratello assumendo un cipiglio severo, pronto ad intervenire.

Il biondo sbuffò sonoramente e prese dei profondi respiri. Contò fino ad un milione prima di tornare a rivolgersi a Caspian. Purtroppo suo fratello aveva ragione, non poteva uccidere fisicamente il moro, anche se aveva le mani che gli prudevano come non mai. Lo avrebbe volentieri strozzato per quello che aveva fatto ma anche se non poteva ammazzarlo, non l’avrebbe di sicuro passata liscia.

Però a pensarci bene la punizione più grande l’ha già ricevuta. Pensò il ragazzo. Susan lo aveva allontanato, gli aveva addirittura tolto il saluto, quale punizione più grande di questa? La lezione l’aveva sicuramente imparata, senza contare che stava già soffrendo a sufficienza.

Un sorriso sadico che poco si addiceva alle sue fattezza d’angelo gli si dipinse sul volto. “Tranquillo Ed, ho deciso che non gli farò niente”

Edmund liberò un sospiro, visibilmente sollevato. Caspian invece rimaneva diffidente. Ricordava fin troppo bene le minacce del biondo per sperare di essersela cavata così a buon mercato.

Peter notò lo scetticismo sul viso del principe e non esitò a fornirgli la spiegazione inespressa con una punta di cattiveria nella voce. “Credo che tu ti sia punito a sufficienza da solo. Susan non dimentica facilmente e tu l’hai combinata grossa. Ti ha allontanato, ti ci vorrà un mezzo miracolo per farti riaccettare.”

La frase limpida e cristallina abbatté ancora di più Caspian con la sua schiacciante verità, però almeno si convinse, dal tono con cui era stata pronunciata, che Peter aveva detto la verità. Era salvo. Incredibilmente salvo.

Poi, improvvisamente accadde.

Un sibilo fendette l’aria circostante e una freccia andò a conficcarsi nell’albero dietro Edmund, sfiorandogli l’orecchio.

I cinque soldati rimasero interdetti. Ma furono soltanto pochi secondi.

Peter estrasse la spada, imitato celermente da Caspian ed Edmund. Morris impugnò la sua ascia e Tweens incoccò una freccia nel suo arco.

Si guardarono attorno, in attesa che il nemico si facesse avanti. Non dovettero attendere a lungo. Dal folto della foresta sbucarono fuori da ogni angolo quindici soldati di Telmar con la spada e l’arco sguainati, pronti a colpire. Li avevano circondati. Erano stati sprovveduti, avevano abbassato la guardia e senza rendersene conto si erano lasciati accerchiare. Probabilmente era una pattuglia ricognitiva che aggirandosi da quelle parti li avevano sentiti attraversare il bosco.

Peter urlò e partì all’attacco. Caricò dall’alto su un soldato e lo abbatté. Udì distintamente Caspian ed Edmund fare lo stesso mentre un colpo ben assestato di un’ascia spaccava lo scudo di un altro militare.

Non si guardò indietro e puntò subito un altro uomo. Lo uccise con un fendente preciso al basso ventre. Se ne avvicinò un altro ma Peter non si fece cogliere impreparato, roteò la spada e colpì anche lui con mosse fredde ed esperte.

“Peter!”

All’improvviso udì Edmund urlare e al contempo un dolore lancinante si diffuse dal bacino. Con un lamento si girò velocemente di spalle, stringendo i denti dal dolore. Un terzo uomo gli si era avvicinato mentre era impegnato con gli altri due e lo aveva colpito con la spada in profondità. Fortunatamente Edmund lo aveva visto ed era corso in suo soccorso per evitare di fargli completare l’affondo. Suo fratello gli aveva salvato la vita ma non era riuscito a risparmiargli la ferita profonda che stava sanguinando copiosamente.

La vista iniziò ad annebbiarsi. I suoni si fecero ovattati. Ma non poteva arrendersi, non poteva lasciare i suoi uomini a combattere da soli. Cercò con tutte le sue forze di restare presente a se stesso. Doveva farcela.

Non rispose ad Edmund che gli stava chiedendo come stava. Aveva poco fiato e respirare era diventata una fatica immensa. Non poteva sprecarlo parlando.

Strinse forte l’elsa della spada come fosse l’unica sua possibilità di restare fermo in un mondo che iniziava a girare su se stesso. I colori si facevano confusi, tutto, dagli alberi ai soldati, sembrava che avesse iniziato a vorticare velocemente. Scosse la testa, cercando di ritornare lucido.

Alzò lo spada, tamponando la ferita con la mano libera, e uccise il primo telmarino che gli era vicino. Il colpo andò a segno, probabilmente favorito anche dalla posizione elevata che lo stare a cavallo gli conferiva. Mosse di nuovo il braccio, ma il movimento gli procurò un dolore insostenibile. Si strinse il fianco con ambo le braccia lasciando cadere a terra la spada. La testa gli girava e pulsava. Il vortice aveva preso a girare ancora più veloce fino a diventare una masso informe. Udì un grido in vicinanza, anche se non avrebbe saputo dire di chi. E poi tutto divenne nero e Peter smise di lottare contro il dolce oblio che lo reclamava a gran voce, dimentico di tutto ciò che lo circondava. Sfinito, si accasciò in avanti sulla sella. L’ultimo suo pensiero fu un nome soltanto, legato ad un volto che si disegnò nitido nella sua mente.

Cathrine.

 

*

 

Usai le braccia come sostegno e inarcai la schiena per avere una visuale completa del cielo. Il sole volgeva ormai al tramonto, rendendo le nuvole macchie rosa dalle varie forme su di una tavola rossa e viola.

“Tornerò prima del tramonto”

Me lo aveva promesso. Eppure il sole era ormai allo zenit ma di lui ancora nessuna traccia.

Sospirai e guardai nuovamente il cielo, ma mentre inspiravo una terribile sensazione di vuoto mi invase e fui certa che qualcosa non quadrava. Il mio sesto senso lo stava urlando. Qualcosa di brutto sarebbe successo. O forse era già accaduto. Il mio pensiero corse a Peter e al mio presentimento di quel pomeriggio. Rabbrividii all'idea che potesse essergli successo qualcosa di male.

Il gesto non passò inosservato agli occhi delle due Pevensie che compresero immediatamente il motivo della mia agitazione. Lucy mi si accostò subito.

“Tra poco saranno qui, non temere. Sono tre ragazzi svegli e poi sia Morris che Tweens sono con loro” mi consolò la bimba accarezzandomi il braccio.

“Lucy ha ragione, arriveranno presto” aggiunse Susan sorridendomi rassicurante.

Abbozzai un sorriso, cercando di minimizzare il disagio che provavo e mormorai “Speriamo”.

Non volevo parlargli della mia sensazione. Le avrei solo fatte spaventare e basta. E poi io per prima non sapevo come interpretarla, il mio cervello l’aveva immediatamente collegata a Peter perché ero in apprensione per lui ma era una sciocchezza presumere di legare il suo destino al mio sesto senso. Molto più razionalmente avevo avuto un malessere momentaneo o forse la preoccupazione mi stava semplicemente facendo impazzire. Dovevo assolutamente calmarmi o Peter al suo ritorno avrebbe trovato l’involucro di una ragazza divorata dall’ansia.

Ansia immotivata precisai a me stessa, perché Peter sta bene e non sta correndo alcun pericolo. E soprattutto tra poco sarà qui.

Parlare di Peter mi fece venire in mente un argomento strettamente collegato. Caspian.

Data la quiete, decisi che era il momento più adatto per affrontare la questione, e poi mi sarei distratta dai miei timori.

“Susan” catturai la sua attenzione. “Non per essere indiscreta, però mi domandavo se è successo qualcosa tra te e Caspian. Prima quando stavamo salutando i ragazzi ti sei allontanata in tutta fretta da lui” considerai.

Susan distolse subito lo sguardo da me. “Non è successo nulla di importante” disse precipitosamente.

Bingo. Era accaduto senz’altro qualcosa. Il suo modo evasivo però mi suscitò una tenerezza tale che non me la sentii di insistere. Dopotutto erano questioni sue.

“Capito, non sei costretta a parlarne se non vuoi” le dissi comprensiva.

“Invece parlare le farebbe bene dato che è una settimana che non spiaccica parola sull’argomento” si intromise piccata Lucy guardando storto la sorella che sostenne fiera il suo sguardo.

“Quale argomento?” fui letteralmente incapace di trattenere la domanda dimenticando i miei buoni propositi. Quando si dice che la curiosità è donna…

Lucy, senza smettere di scrutare Susan, mi rispose a denti stretti. “La signorina qui presente evita il povero Caspian da ormai sette giorni. Non ti sembra strano che appena lui entra in una stanza lei ne esce?”

Ci riflettei un momento su e passai in rassegna i momenti passati assieme di questa settimana. Effettivamente Lucy aveva ragione, notai sbalordita. Prima non ci avevo dato peso, ma non avevo più visto i due insieme da soli da quando…da quando io e Peter eravamo andati per la prima volta alla spiaggia. Cos’altro era successo quel pomeriggio?

“Come mai?” chiesi.

La piccola stava per rispondermi ma fu bloccata da un’irritata Susan. “Se permetti, sorellina, è ancora la mia vita e gliene parlo io, intesi?”

Lucy le fece un ironico gesto di consenso con la mano.

“Ecco vedi, Caspian” si rivolse poi a me. “Ha cercato di baciarmi. Ma io l’ho respinto e da allora ammetto di aver cercato di non trovarmi sola con lui” confessa, cercando di nascondere l’imbarazzo dietro una facciata di ostentata indifferenza.

Ah. Ecco il perché del loro strano comportamento. Incredibile, Caspian, il timido e posato Caspian, aveva provato a rubare un bacio all’inarrivabile e razionale Susan. Questa si che era una notizia da prima pagina. Fossimo stati a scuola sarebbe stato il gossip della settimana.

Però non riuscivo a capire qual era il problema. Da quel che sapevo io a Susan Caspian piaceva. Perché aveva evitato il bacio? E perché ora stava evitando lui per intero?

Cercai di mettere su una frase sensata. Una confidenza meritava almeno un’affermazione di senso compiuto.

“Ma scusami, io pensavo che lui ti piacesse” osservai.

“Difatti è così. Solo che ha troppa paura per scendere dal piedistallo. Sai, finché rimani l’algida Susan nessuno e niente ti può far nulla ma quando fai crollare la maschera e diventi vulnerabile, rischi di far entrare altre persone nella tua vita e di far affidamento su loro. E alla nostra Susan non piace essere simile ai comuni mortali” Era una mia impressione o il commento di Lucy trasudava contrarietà?

“Lucy, ti ho già detto che non c’entra niente quel discorso” ribatté infastidita.

“Come no” Lucy sbuffò “Susan, te lo ripetuto milioni di volte. Capisco che tu possa esserti spaventata perché Caspian ti ha colta alla sprovvista, ma ormai hai avuto tempo a sufficienza per metabolizzare il fatto. Caspian si è praticamente dichiarato ed ora tocca a te prendere una posizione, decidere se farlo entrare nella tua vita al cento per cento oppure no. Ma a scegliere deve essere il tuo cuore, non il timore di dare la tua fiducia ad un'altra persona” rifletté la piccola.

Susan alzò gli occhi al cielo irritata. Le parole della regina avevano fatto centro senza ombra di dubbio ma Susan non voleva ammetterlo. Lucy però aveva ragione, il suo era un ottimo consiglio se era quell'eventualità a preoccupare la ragazza. Eppure non me la sentivo di criticare Susan, la capivo fin troppo bene. Non era facile mettersi in gioco, io lo stavo provando sulla mia pelle.

Era una settimana che io e Peter trascorrevamo insieme ogni nostro minuto libero e io mi sentivo come in paradiso. Quando era con lui riuscivo ad essere me stessa come non lo era mai stata. Ero leggera e spensierata. In una parola, felice.

Peter mi faceva sentire protetta e importante, speciale. E ogni volta che mi abbracciava o mi guardava con i suoi intesi occhi azzurri, il mio cuore perdeva un battito. Come quando lo vedevo venirmi in contro. O quando lo cercavo con ansia per le varie sale dell’edificio. Avevo un bisogno fisico di stargli vicino, appena ci separavamo mi sentivo incompleta, un volto di una medaglia che poteva essere felice solo se unito alla sua metà. La metà che occupava ogni mio singolo pensiero ogni singolo secondo della giornata. La metà che riempiva di forza vitale ogni singola cellula del mio corpo. La metà che mi aveva fatto rivivere, che mi aveva dato una seconda chance per sentirmi accettata.

Eppure, nonostante tutto ciò, non avevo ancora trovato il coraggio di risolvere con me stessa una conversazione importante quanto spinosa.

Avevo capito che Peter provava qualcosa per me. Oltre alle dichiarazioni implicite di sette giorni fa glielo leggevo negli occhi che brillavano appena mi guardavano. Nel suo essere così protettivo, così attento. Nella tenerezza con la quale mi accarezzava o mi abbracciava, come se potessi rompermi solo esercitando una pressione più forte, quasi con reverenza. Nella dolcezza che utilizzava nella voce quando mi si rivolgeva.

Ma potevo permettermi di amarlo e farmi amare?

Avevo già esplicitato a Peter il mio problema su quel fronte il primo giorno alla spiaggia e lui mi aveva ascoltata e rassicurata. Mi aveva detto che era certo che sapessi amare e mi aveva anche promesso che sarebbe stato sempre presente per me, che mi avrebbe aiutata ad aprirmi quando fossi stata pronta. Da quel giorno infatti non era più tornato sull'argomento. Ne si era mai spinto più in là di un bacio tra i capelli o sulla guancia. Voleva darmi tempo per decidere e comprendere me stessa, e di ciò non potevo che essergliene grata.

Il tempo io lo avevo preso e, dopo lunghe elucubrazioni, ero arrivata alla illuminata conclusione che ciò che provavo per lui era amore, considerazione che già di per sé aveva dell’incredibile, ma di cui ero certa. Non ci sarebbero potute essere altre spiegazioni per descrivere ciò che sentivo, ormai appariva chiaro anche a me pur essendo digiuna dell’argomento. Ma sebbene ciò, non avevo ancora voluto confidarglielo. E questo era il problema. Non potevo, se lo avessi fatto lui di sicuro avrebbe rispettato la sua parola e si sarebbe legato a me, si sarebbe preso l’incarico di starmi accanto sempre come aveva detto, ma ciò, anche se egoisticamente era quello che desideravo di più al mondo, sarebbe senz’altro andato a discapito della sua felicità e questo non doveva accadere. Anche se mi fosse stato vicino ero certa che non avrei mai imparato ad amare completamente e in modo assoluto qualcuno, avevo passato troppo tempo con il cuore fermo per farlo battere efficientemente subito, e ciò avrebbe fatto soffrire Peter perché nonostante i suoi sforzi non avrebbe mai ricevuto nulla in cambio. Ma d’altro canto l’idea di rinunciare a lui al momento mi pareva più dolorosa di una lenta tortura. Ero sicura che non sarei sopravvissuta ad un allontanamento, non da lui che in poco tempo era diventato una delle ragioni più importanti che mi spingevano a vivere.

Cosa fare dunque? Rispondere alla sua dichiarazione e comportarmi da egoista, rischiando di condannarlo all’infelicità o mettere la situazione in chiaro e scioglierlo dalle sue promesse, anche se sarebbe equivalso a pugnalarmi da sola?

La domanda la stavo accuratamente evitando, non avevo abbastanza coraggio da affrontarla ora come ora, quindi mi limitavo a vivere giorno per giorno godendomi le sue attenzioni, crogiolandomi nell’illusione che questa empasse durasse in eterno.

Sentendomi quindi affine a Susan per la sorgente dei suoi problemi, decisi di difenderla mettendomi nei suoi panni.

“Lucy, non è così facile aprirsi ad un estraneo, specialmente un ragazzo a cui tieni. Ci sono troppe variabili, troppi lati ignoti. Non da sicurezza, è come buttarsi in mezzo al fuoco senza la certezza che non ti brucerà, o che tu non spegnerai lui” aggiunsi pensando al mio problema.

Susan mi lanciò un’occhiata piena di gratitudine per aver preso le sue parti. Lucy invece mi squadrò con l’attenzione degna di un detective.

“Hai dei problemi d’amore anche tu vero? Altrimenti non la penseresti così, diresti l’esatto contrario” mi accusò indicandomi agitando l’indice.

Mi imporporai, ma Susan non mi diede tempo di ribattere che esclamò scettica.

“Tu? Non è possibile, tu e Peter siete un idillio”

Bene, ecco fatto. Adesso ero di un bellissimo color aragosta. Ma accidenti, va bene le battute -anzi, a dire la verità non mi piacevano nemmeno quello però le sopportavo- ma dare per scontato che io e Peter stavamo insieme senza nemmeno degnarsi di chiedere conferma mi sembrava un po’ troppo. Non avevano fatti loro a cui pensare?

“Guardate che non siamo una coppia, siamo solo buoni amici. E poi non ho alcuna pena d’amore, credetemi” mentii spudoratamente.

Forse, se il mio tono non fosse stato così concitato e sulla difensiva, mi avrebbero creduto. O forse no. Fatto era che le due regine si scambiarono un’occhiata di sottecchi e poi, in comune e silenzioso accordo, mi bombardarono di affermazioni incredule e ironiche.

“Certo come no, ma se ormai vivete in simbiosi, siete sempre appiccicati!”

“E come mai diventate entrambi rossi quando si tocca l’argomento e cercate di sviare? Tu non ce la racconti giusta Cate”

Poi Lucy mi si avvicinò gattonando sull’erba e mi diede di gomito con aria sorniona “Suvvia Cathrine, a noi puoi dirlo. Ami Peter vero? È inutile negare, lo si vede lontano un miglio!”

Le lanciai un’occhiataccia pensando a quanto potesse essere insistente quel soldo di cacio se voleva. Ma purtroppo avevano vinto loro, erano due contro una e mi avevano messo alle strette. E poi in fondo avevo bisogno di confidarmi con qualcuno, ero convinta che liberare i miei pensieri in parole mi avrebbe fatta sentire più leggera.

“Se ti dico di si sei contenta Lucy?”

A giudicare dall’espressione gongolante la risposta era evidentemente si.

“Lo sapevo! Oh come sono contenta!”

La pragmatica Susan però, pur essendosi lasciata andare anche lei ad un’esclamazione di gioia, tornò subito al centro della questione. “Cate, temo di essermi persa un passaggio. Se sai che ti piace cosa c’è che non va? Credi di non piacergli tu?”

Lucy fece una smorfia contrariata. “Non puoi non esserti accorta del suo interesse Cate, non respira nemmeno se non ti ha vicino! Dire che ti ama è un eufemismo” commentò sicura.

Non riuscii a nascondere un sorriso leggermente divertito sotto il rossore delle mie gote. Senza accorgersene la piccola regina aveva descritto me invece di suo fratello. Ma non aveva ancora centrato il fulcro della questione.

“Non è questo il problema Lucy. Mi sono accorta anche io che gli piaccio e so per certo che lui piace a me” ripetei paziente.

Lucy sospirò esasperata. “E allora cosa c’è? Perché non gli dici che lo ami?”

“Perché dire ti amo è impegnativo.” Cercai di spiegarle con calma. “Comprende donare tutto se stesso all’altra persona. Significa dargli fiducia e sapere meritarsi la sua, essere sempre disponibile, fare da punto di riferimento e io non sono affatto sicura di esserne in grado perché non l’ho mai fatto.” Elencai guardandomi insistentemente le mani. Presi fiato, feci girare lo sguardo per il piccolo spiazzo e lo posai infine su Lucy. “Peter merita una persona che lo sappia amare senza riserve, che non abbia timore di aprirsi e confidarsi, e io temo di non riuscire a dargli ciò. Se gli dicessi di amarlo lui vorrebbe mettersi con me e si aspetterebbe cose che io non posso dargli della cui privazione prima o poi ne soffrirebbe” conclusi cercando di mantenere il filo logico del discorso anche se mi risultava difficile mettere in una frase ordinata le mie emozioni confuse.

Calò un silenzio meditabondo. Ad interromperlo fu Susan, che con voce ferma cercò di riassumere la mia piccola arringa. “Quindi tu hai paura di vincolare Peter in una relazione che temi lo renderebbe infelice?”

Con mio sollievo qualcuno aveva finalmente capito quello che mi turbava. Le sorrisi mesta e annuii.

“Lucy, tu hai capito?” chiesi poi rivolgendomi verso la piccola.

La regina mi squadrò dall’alto in basso con aria contrariata. “Oh si, ho capito che siete due sciocche”.

L’uscita stupì sia me che Susan. Da Lucy non mi sarei aspettata un’affermazione così acida, lei che era sempre così comprensiva e dolce con tutti. Mi domandai cosa le fosse preso.

“Lucy, forse non hai sentito bene ciò…” Susan provò a farla ragionare prendendola con le pinze ma la sorellina la interruppe.

“No Susy ho sentito benissimo, ma quelle che non hanno capito nulla siete voi.” Si alzò in piedi e si rivolse con grinta alla ragazza, sotto gli occhi sorpresi di quest’ultima e dei miei. Il sole le aveva dato alla testa?

“Ricapitoliamo, tu” e indicò la sorella “hai paura di metterti in gioco perché temi che la tua relazione con Caspian finisca per sfuggirti di mano e tremi all'idea di riporre la tua fiducia nella persona sbagliata, mentre tu” e puntò l’indice su di me con il tono che trasudava incredulità “hai paura di confessare a Peter che lo ami perché credi di non sapere amare e di farlo quindi soffrire non mostrandoti all’altezza delle sue aspettative se vi metteste insieme.”

Dovevo ammettere che lo scetticismo di Lucy faceva apparire le motivazioni mie e di Susan molto più superficiali di quello che erano in realtà. Messa sotto questa luce sembrava tutto così facile, tanto che per un rapido istante mi convinsi anche io che in verità il mio problema non esisteva e abbassai la testa vergognandomi delle mie esclamazioni precedenti. Poi però mi ripresi. Non era affatto come stava dicendo Lucy, la piccola non si accorgeva delle nostre difficoltà e le stava appositamente sminuendo.

“Ascolta, è più diffic…” provai a far valere le nostre ragioni ma venni interrotta a mia volta.

“No, ascoltate voi invece. Vi state facendo una serie di problemi insulsi. Susan, è semplicemente assurdo che tu ti privi della possibilità di essere felice per l’eventualità remota di essere triste. In tutta sincerità dubito fortemente che Caspian possa ferirti in qualche modo, credo che quel ragazzo arriverebbe ad odiare se stesso se mai dovesse farlo. L’unico vero problema sei tu, non riesci a lasciarti andare, non riesci a fidarti chiudendoti nel tuo algido bozzolo e togliendoti da sola così l’opportunità di vivere a pieno questo sentimento.” Affermò rivolgendosi alla sorella, che fissò allibita Lucy colpita dalle sue parole sicure. Poi si rivolse a me. “Per te invece la situazione è ancora più facile. La storia che credi di non sapere amare è un’idiozia colossale, fattelo dire in tutta franchezza. Già solo il fatto che saresti pronta a tacere ciò che provi o credi di provare per non recargli sofferenza nel caso qualcosa dovesse andare storto prova inequivocabilmente che tu lo ami e che sai amare, perché prima di tutto amare vuol dire porre il benessere dell’altra persona dinanzi a quello personale. Le altre cose che hai elencato vengono da sé o forse non vengono perché non in tutti l’amore si manifesta alla stessa maniera” mise le mani incrociate davanti al petto e si risedette. Probabilmente lo slancio con la quale aveva iniziato il discorso si era attenuato. “Non c’è un decalogo dell’amore, non è una cosa che si può imparare né tanto meno insegnare perché ognuno lo può provare in maniera diversa. Viene e basta. E quando arriva lo riconosci. È una passione travolgente che ti fa identificare il centro del tuo universo con quella persona.” Proseguì imperterrita fissandomi dritta negli occhi, come a volersi assicurare la mia totale attenzione. Azione superflua perché stavo letteralmente pendendo dalle sue labbra. “E poi credimi se ti dico che tu sai amare e tanto anche. Sei buona e altruista, una persona con tali caratteristiche non può che non essere portata per amare.” Concluse il discorso, ricordandomi tanto la frase che mi aveva detto suo fratello.

Wow, due persone che la pensavano alla stessa maniera, quasi quasi riuscivano ad essere convincenti.

Infine, con un sorriso soddisfatto in volto per aver espresso la sua opinione, aggiunse rivolta ad entrambe. “Senza contare che avete due ragazzi bravi e simpatici, e se mi permettete incredibilmente  belli” e fece l’occhiolino mentre io e Susan diventavamo bordeaux “che vi amano a tal punto che si butterebbero nel fuoco per voi senza pensarci due volte. Si può sapere dunque qual è il problema data la fortuna che vi è capitata?”

La guardai ammirata, colpita da quanta saggezza potesse risiedere in un metro e venti di altezza.

Aveva ragione? Sapevo amare? Potevo permettermi il lusso di dirlo a Peter?

È una passione travolgente che ti fa identificare il centro del tuo universo con quella persona.

Sorrisi tra me e me. Lucy aveva casualmente utilizzato un’analogia simile a quella che avevo pensato io qualche giorno fa.

Lui per me era tutto il firmamento, il mio punto di riferimento, sia Stella Polare che Croce del Sud. Se mi fossi separata da Peter a quel punto sarei stata persa per sempre come un marinaio in mezzo ad una tempesta, senza speranza di ritorno né di salvezza.

Il cuore che batteva forte quando lo vedevo, il bisogno che avevo di lui, l’incapacità di pensare che gli accadesse qualcosa di male, la felicità che mi invadeva quando mi sfiorava. L’impulso travolgente che mi faceva desiderare le sue labbra ogni qualvolta eravamo vicini. Questi erano tutti i sintomi dell’amore e io li provavo, ma non implicavano che io sapessi anche donare quel sentimento che manifestavano.

Però Lucy aveva detto che principalmente amare era porre l’altra persona prima di se stessi. Sarei stata capace di anteporre il benessere di Peter al mio, magari anche a discapito di me stessa? La risposta non tardò ad arrivare. Certo, lo avrei fatto senza esitare, io mi sarei volentieri buttata nel fuoco per lui in caso di bisogno. Dunque?

La risposta, da prima bassa e piana poi sempre più forte, arrivò dritta dal cuore. Ogni lettera venne scandita da un battito e portata alla mia mente da una forte pulsazione. Stavo per ricevere la mia piccola illuminazione, la mia seconda certezza in questo campo e ogni fibra del mio corpo si protese per accoglierla al meglio. E poi finalmente arrivò.

Forse potevo sperare.

Come Lucy aveva consigliato a Susan, non ci si poteva privare da soli della possibilità di essere felice. A questo punto c’era una sola soluzione al dilemma. Ci avrei provato. Basta con l’autocommiserazione, avrei impiegato ogni singola molecola del mio essere per amare degnamente Peter. Lui mi aveva offerto il suo aiuto quando fossi stata pronta. Bene, il momento era giunto, mi sarei dichiarata e mi sarei messa in gioco. Gli avrei però ricordato i miei limiti e gli avrei fatto promettere che se non avesse funzionato avrebbe dovuto lasciarmi andare senza remore. Gli avrei intimato di sentirsi sciolto da qualsiasi impegno appena non fosse stato felice. Il fiato mi mancò, come se dovesse ricordarmi che in un’eventualità simile io avrei probabilmente perso per sempre la mia unica fonte di puro e sano ossigeno. Ma ero disposta a rischiare perché di certo il gioco valeva la candela e poi era l’unico modo per tentare di stare assieme senza mettere a rischio la sua felicità.

“Bene ragazze, e ora che ho eseguito i miei doveri di sorella e amica, vado svolgere quelli di regina” esclamò baldanzosa d’improvviso.

La “piccola saggia”, come la stavo mentalmente rinominando, si alzò con eleganza, si pulì il vestito da qualche filo d’erba e si diresse a saltelli verso l’edificio, mettendo in un buffo contrasto un atteggiamento da bambina con le parole da adulta di poco prima.

“Ehi Lu, aspetta, si può sapere di che dovere parli?” la fermò Susan, riscuotendosi all’improvviso dai suoi pensieri, che qualcosa mi suggeriva fossero simili ai miei.

“Vado con una piccola scorta a fare provviste d’acqua e di legname. Torniamo presto” spiegò brevemente, poi proseguì con il suo cammino dileguandosi in fretta. Quella piccola era una vera forza della natura, riusciva ad essere sempre allegra e pimpante in ogni cosa che faceva in ogni minuto della giornata. Se la sua energia si fosse potuta imbottigliare avremmo fatto una fortuna.

La guardai mentre spariva dentro la porta dell'edificio mentre sentivo un moto di gratitudine crescere da dentro di me. Lucy, oltre ad essere “la piccola saggia”, era un “piccolo tesoro”, una di quelle poche e rare persone che ti stavano accanto e ti aiutavano senza chiedere nulla in cambio, felici di poter donare felicità.

Mormorai un “grazie” vibrante di sincerità, certamente non udibile con le orecchie date la distanza tra me e lei e il tono basso che avevo utilizzato, ma che andava dritto al cuore a cui era destinato. Ed ero sicura che il cuore estremamente ricettivo di Lucy lo avesse avvertito.

 

*

 

“Conviene che rientriamo Cate” consigliò Susan mezz’ora dopo che Lucy se ne era andata. Eravamo rimaste ancora qualche minuto a parlare del più e del meno, tralasciando accuratamente la discussione avuta con Lucy. Per quel giorno ci eravamo confidate abbastanza, per risolvere completamente i nostri problemi ora dovevamo percorrere la fase due, la metabolizzazione del consiglio ricevuto. Grazie alla regina avevo ottenuto la certezza di amare Peter, cosa non da poco, adesso dovevo solo accettare la mia nuova condizione sentimentale e trovare il momento giusto per esprimere i miei sentimenti ad alta voce. Ma ci sarebbe stato tempo.

Così avevo dedicato il resto del pomeriggio a soddisfare la curiosità di Susan su cosa il futuro avesse portato con sé alla Londra del 2000. Ero partita in quarta spiegandogli delle invenzioni che più avevano rivoluzionato la nostra vita come il cellulare e internet e lei ne era rimasta affascinata. In più io avevo anche scoperto quanto potesse essere piacevole una conversazione con Susan quando non si parlava di questioni importanti come le guerre o i miei esercizi, che lei considerava di massima priorità purtroppo per me. Riusciva addirittura ad essere simpatica quando si lasciava andare, incredibile.

Guardai ancora in alto. Ormai il sole era sparito dietro la linea infinita dell’orizzonte, lasciando come unica traccia del suo passaggio uno stupendo color rubino in cielo.

La pianura era libera. Nessuna traccia di principi a cavallo. Sospirai e annuii sconsolata.

Susan capì la ragione del mio sconforto -anche perché molto probabilmente opprimeva anche i suoi pensieri- e chiosò “Stare qui a fissare l’orizzonte non li farà arrivare prima. Fidati, tra poco saranno qui, sono ragazzi in gamba, tanto vale aspettarli dentro con gli altri”

Convenni che aveva ragione. Mi alzai imitata subito dalla regina, e mi diressi a testa bassa verso la porta della costruzione in pietra. Fatti dieci passi però una serie di rumori concitati attirò la mia attenzione. Era il suono di diversi zoccoli che colpivano celeri il terreno e il rumore si faceva sempre più vicino.

Alzai la testa con la speranza nel cuore e un sorriso mi si disegnò spontaneo sul volto. Susan aveva ragione, erano tornati. Là, dove prima regnava incontrastata unicamente l’erba, cinque figure, due a piedi e  tre a cavallo, si muovevano con velocità verso di noi.

Rivolsi un sorriso a trentadue denti a Susan che ricambiò subito, anche lei felice.

Iniziammo a correre anche noi andandogli incontro, liete come due bimbe dinanzi ad un regalo inaspettato. Dovevo assolutamente vedere Peter, accertarmi con i miei occhi che stesse bene e che il mio brutto presagio fosse stato solo uno scherzo della mia mente.

Le figure si fecero sempre più vicine finché non riuscii a distinguerle, ma in quel momento preferii non aver visto. Desiderai con tutta me stessa tornare indietro nel tempo e nello spazio, essere ancora seduta con Susan a fissare un orizzonte vuoto ma con la speranza negli occhi anziché le persone giunte con la morte nel cuore.

Morris e Tweens correvano veloci a piedi, superando i tre cavalli. Quello di destra era sormontato da Edmund mentre quello di sinistra era governato da Caspian che teneva salde, oltre le sue, le redini del cavallo di mezzo. L’unico che non aveva il cavaliere seduto dritto e regale in sella ma un fagotto inerme accasciato sulla sua schiena. Peter.

Il mio cuore sprofondò e bloccai la corsa. Ma non fu l’unica cosa a fermarsi. Il respiro mi mancò e la mia testa si perse dietro un turbine confuso di pensieri tra loro discordanti. L’ansia mi attanagliò come una morsa e fui certa che non sarei mai più riuscita a muovermi. Ma poi un pensiero si impose sugli altri e mi diede la forza per proseguire. Dovevo aiutarlo. Peter aveva bisogno di me e io dovevo andare da lui. Ripresi a correre più veloce di prima. I metri che mi separavano da lui mi parvero chilometri, i secondi ore infinite, ma alla fine lo raggiunsi, incurante del fiato corto e delle gambe che mi dolevano.

E poi lo vidi e il mio cuore perse un altro battito. Caspian biascicò qualcosa alla mia destra ma non riuscii a capire cosa. Non riuscivo più a capire niente perché l’unica cosa che i miei sensi percepivano erano lui.

Lui che con un’espressione dolorante si lamentava sulla sella. Lui che si contorceva tenendosi il fianco premuto con la mano sinistra. Lui che aveva un fianco, la mano e il braccio completamente ricoperti di sangue.

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Capitolo 11
*** 10_Frammenti di una vita ***


Ciaoooo^^! *me che si guarda attorno preoccupata in cerca dei fucili*, lo so sono stata cattiva a lasciarvi con Peter ferito nell'ultimo capitolo, però per farmi perdonare posso assicurarvi che il cappy riapre esattamente da lì senza ulteriori indugi :-) Vi lascio subito alla lettura dato che vi ho già fatto aspettare tanto! 

Ringrazio di cuore tutti coloro che mi hanno aggiunta alle preferite e alle seguite :-) glasieee^^ e grazie mille anche a coloro che hanno solo letto^^ Spero che il capitolo vi piaccia, fatemi sapere cosa ne pensate:-)

Ringraziamenti:

debby95: Ciao! Grazie per i tuoi complimenti, addirittura unica, grazie^^ e sono molto contenta che la trama e i personaggi ti piacciano!! Spero che questo cappy nn ti deluda e che continuerai a leggere la storia^^ kisskisses 68Keira68

KissyKikka: Ciao! Io sul serio nn so come ringraziarti per tutto il tempo che dedichi alla recensione e per aver risposto alla domanda sulla continuità dei sentimenti, grazie grazie mille^^ Sono contenta che la parte sentimentale sia venuta, temevo di averla fatta troppo arzigogolata! Hai ragione di credere che grazie a Lucy, Cate e Peter faranno passi avanti, mentre per gli altri due piccioncini si procede un po’ a rallentatore, quindi dato che a due caratteri diversi si addicono reazioni diverse, il nostro Caspian dovrà portare molta pazienza, hihi^^ Sono felice che il punto di vista di Cate ti piaccia e appaia così reale J però posso dirti che nn è autobiografico, in ogni personaggio c’è un pizzico di me però è una parte molto piccola in quanto hanno un’identità propria, come se fossero persone indipendenti dalla mia penna :-) o per lo meno è così che mi piace immaginarli (spero di nn essere presa per pazza ora!! Giuro che nn sono schizofrenica e che sn cosciente che i personaggi sn finti hihi^^) Ci sn diversi sviluppi in qst cappy anche se la verità è ancora nebulosa agli occhi dei nostri protagonisti^^ spero che il cappy nn ti deluda e di leggere presto la tua fantastica recensione^^ ti ringrazio ancora di cuore^^ un bacio grande grande 68Keira68

noemi_moony: ciao! Sono contentissima che la storia ti piaccia! Perfino “la più bella”, sei troppo buona!!! *me onorata* ^^! Spero ti piaccia anche questo cappy^^!! Un abbraccio grandissimo 68Keira68!

Sweetophelia: Ciao! Mi disp di aver aggiornato così tardi, spero di nn averti lasciato con tanta ansia per il povero Peter! Per farmi perdonare però ti posso anticipare che il capitolo riparte proprio da lì, quindi devi aspettare ancora poco per sapere il suo destino! Grazie per l’informazione sullo zenit perché ero convinta del contrario ^’, glasie^^ ho cercato di prestare più attenzione anche alla battitura e agli accenti, spero di aver ridotto gli errori J! Grazie per la segnalazione^^! La storia mi è venuta in mente mentre guardavo (probabilmente per la milionesima volta ^^) le cronache di Narnia 2 durante il pezzo dove appare Jadis. Mi dispiaceva che un personaggio nel primo film così importante e con un carattere così complesso fosse stato sfruttato così poco nel sequel, speravo gli dessero più importanza! Così la mia mente bacata ha iniziato a lavorare su come fosse possibile inserirla con maggior rilievo nella storia e unita alla voglia di privilegiare di più anche il personaggio di Peter (che, in caso nn si fosse capito, io amo, hih) è nata la storia con Cathrine^^ spero di aver soddisfatto la tua curiosità ^^ grazie mille per i tuoi complimenti^^ nn vedo l’ora di leggere il tuo parere su questo nuovo cappy!! Kisskisses 68Keira68

QueenBendetta: Ciao! Sono felicissima del tuo giudizio sulla storia e che è finita tra i tuoi preferiti e seguite^^! Grazie^^ spero ti piaccia anche il nuovo cappy! Ti mando un bacio 68Keira68

Vi auguro una buona lettura^^

kisskisses 

68Keira68

witch

10_Frammenti di una vita

 

“Peter”

Il sussurrò uscì flebile e si disperse nell’aria.

Alzai una mano tremante e l’avvicinai al ragazzo che esamine mi stava davanti, ma non riuscii a sfiorarlo. Ero come paralizzata, bloccata dal terrore puro che mi stava attanagliando mente e cuore.

“Dobbiamo portarlo dentro, subito”

La voce autorevole di Edmund si impose sulle altre concitate.

Udii qualcuno acconsentire dopodiché vidi la figura di Peter scivolare via, lontano da me. Un nuovo dolore sordo mi invase mentre lo vedevo sempre più distante senza che potessi impedirlo. Senza che potessi muovermi per seguirlo. Ma perché me lo stavano portando via? Dove lo stavano conducendo? E perché io non riuscivo a fare un passo?

Non ero più capace di formulare un pensiero coerente, il dolore che provavo mi annebbiava la mente impedendomi di concentrarmi anche sulle cose più semplici, come respirare, che era diventato incredibilmente faticoso. Ogni volta che inspiravo sentivo i polmoni bruciare, come se invece dell’aria prendessi del fuoco. Ma dopotutto mi serviva davvero questa tortura? Perché dovevo respirare se lui era ridotto in quello stato? Non sarebbe stato più facile smettere e lasciarsi all’oblio? Perché rischiare di vivere senza di…

Due braccia esili mi scossero con violenza e solo allora mi accorsi di una voce allarmata che mi chiamava con insistenza.

“Cathrine! Dobbiamo andare anche noi, muoviti!”

La focalizzai piano. Era una ragazza con lunghi capelli castani e due occhi nocciola. Due iridi dilatate che mi fissavano con preoccupazione, su di un viso, di solito roseo e sereno, pallido e tirato. Due pupille che mi offrivano il riflesso del mio stesso terrore. Susan.

Ed insieme a lei tornarono anche la raduna, le rovine, l’edificio poco distante. Riavvertii la sensazione del soffio caldo del vento e tornai a recepire i suoni. Primo tra tutti la voce insistente della regina. Ma cosa mi stava dicendo? Mi concentrai sulle sue labbra che si muovevano veloci.

Mi urlava di correre, di andare da lui. Lui? La consapevolezza giunse d’un colpo. Fu come svegliarsi con un secchio d’acqua gelida. Peter, ferito, era stato portato dentro l’edificio. Peter stava male e aveva bisogno di me. Di me, che ero lì imbambolata a perdere tempo con chissà quali assurdi e caustici pensieri.

Senza tenere conto di Susan mi precipitai con tutta la velocità di cui ero capace verso Peter. Dovevo raggiungerlo, dovevo muovermi ora che finalmente la mia mente aveva ripreso a ragionare.

Corsi lungo il prato verde, sorpassai le rovine mentre disegnavano strane ombre allungate con l’ausilio del sole morente, ed entrai nell’enorme costruzione di pietra.

Non fermandomi per far riabituare gli occhi al buio dell’interno, procedetti guidata dalla memoria per qualche metro. Mano a mano che la vista tornava salii gli scalini dei piani superiori. Ero certa che l’avessero portato nella sua stanza, la cui porta mi apparve come un miraggio alla fine del corridoio in cima alla scalinata.

La spalancai ed entrai senza attendere oltre, solo in minima parte conscia di Susan alle mie spalle.

Lui era lì. Sdraiato sul letto, dolorante e semi-incosciente. Mi si strinse il cuore. Mi infilai tra Edmund e Caspian senza molti complimenti e mi inginocchiai al suo capezzale.

Aveva la fronte imperlata di sudore. Sollevai la mano, ancora tremante, ma questa volta riuscii a concludere il gesto. Lo accarezzai con una dolcezza quasi straziante scostandogli i capelli biondi da davanti il viso.  Il tocco mi informò che Peter era febbricitante mentre la vista mi riferiva quanto sangue dovesse aver perso. Era mortalmente pallido, esangue.

“Caspian, Edmund, cos’è successo?” la voce apprensiva di Susan mi giunse da dietro, ma mi apparve di un’altra dimensione tanto la mia attenzione era lontana da loro al momento.

Sentii comunque la risposta, mentre prendevo una delle mani di Peter tra le mie e me la congiungevo al petto, come in una muta preghiera.

“Siamo caduti in un imboscata e Peter è rimasto ferito. Susan è grave, il taglio è profondo e ha perso molto sangue. Dobbiamo curarlo subito, dov’è Lucy?” disse sbrigativo Edmund.

Una piccola parte della mia mente si chiese il perché servisse Lucy in questo frangente. Cosa mai poteva fare una bimba in una situazione del genere? Ma era davvero piccola, praticamente insignificante. La maggior parte era impegnata a concordare con la frase precedente. Dobbiamo curarlo subito.

“Lucy non c’è, è andata a far provviste mezz’ora fa. È al fiume” la risposta di Susan parve più simile ad un lamento e fu seguita da un’imprecazione a mezza voce di Edmund.

Sentii dei passi leggeri e poco dopo un altro paio di mani femminili accarezzavano la fronte di Peter. Susan si era avvicinata.

Senza staccare gli occhi dal viso del re, mi espressi per la prima volta. “Cosa possiamo fare?” la mia domanda era una supplica che doveva assolutamente essere esaudita.

“Bisogna far ritornare Lucy, subito, Caspian manda subito qualcuno a riportarla indietro!” Edmund parlava a metà tra l’agitazione e la disperazione.

“è troppo lontana Edmund, ci vorrà un’ora prima che torni e a quel punto potrebbe essere troppo tardi” la voce laconica di Susan piombò come una cappa sulla piccola stanza.

Non capivo perché necessitavano della presenza di Lucy però il senso della frase mi era chiaro. Quel troppo tardi mi mozzò il respiro. Strinsi più forte la mano del ragazzo al mio petto, come se con la mia sola vicinanza potessi alleviargli le sofferenze. Ma purtroppo sapevo bene che non era così. Il respiro di Peter era debole, ansimava e muoveva a piccoli scatti la testa, in preda alla febbre alta. Probabilmente la ferita aveva già fatto infezione e la fasciatura di fortuna che i ragazzi gli avevano fatto prima del mio arrivo rallentava poco o niente il continuo flusso del sangue. Sangue che stava sporcando le lenzuola, che scorreva via dal corpo di Peter goccia dopo goccia. E in un lampo la piena coscienza del pensiero che cercavo in tutti i modi di non formulare, di non farlo divenire padrone assoluto della mia mente per evitare di farmi crollare nella disperazione, si affacciò. Non era il fluido rosso che fuoriusciva dal corpo del re, era la sua vita che stava scivolando lontana ogni secondo di più. Lontana dal Narnia, lontana dal suo popolo, lontana dai suoi fratelli. Lontana da me.

Un baratro enorme ed infinito di totale angoscia prese posto nel mio cuore. Con la mano di Peter stretta nelle mie iniziai a dondolare piano avanti e indietro, sforzandomi in tutti i modi di mantenere il controllo di me stessa. Ma non ci riuscivo, non potevo. Se si fosse realizzata quell’idea, sarebbe stata la fine. Tutto ciò che in quei pochi giorni aveva riacquistato un senso lo avrebbe perduto per sempre. Io, che avevo compreso me stessa e uno scopo, che avevo imparato a far vivere i miei sentimenti, sarei stata persa per sempre. Ciò era talmente destabilizzante che non riuscivo nemmeno a concepirlo interamente. Sapevo solo una cosa, non potevo permetterlo.

“Forse ci potrebbe essere un’altra soluzione”

Il sussurrò di Susan mi parve all’orizzonte come un’ancora di salvezza. A fatica staccai gli occhi da Peter per fissarla con speranza. Era quello che volevo sentire, una risoluzione per il problema, perché di sicuro c’era qualcosa che si poteva fare, non potevamo restare con le mani in mano e guardarlo soffrire.

“Quale Susan?” Edmund espresse la mia muta domanda ad alta voce ma la regina non stava prestando la sua attenzione a lui bensì a me.

“Cathrine, tu sei l’unica che puoi salvarlo”

Quelle parole mi lasciarono basita. Io? Non ci riflettei su due volte prima di chiedere in un soffio “Cosa posso fare? Dimmelo”. Era inutile dire che avrei compiuto qualsiasi gesto pur di salvargli la vita.

“Usa i tuoi poteri. La ferita è troppo profonda per delle cure mediche normali, ma la tua magia può guarirlo” mi spiegò con tono fermo.

La mia flebile speranza si spense come una candela al vento freddo della sera. No, non poteva chiedermi questo, tutto tranne questo.

Deglutii e iniziai a scuotere la testa con piccoli e agitati cenni. “Non ho mai curato nessuno, non ho la benché minima idea di come si faccia Susan, io…” iniziai ma lei mi interruppe.

“Cate, sei l’unica che può farlo. Tu devi assolutamente farlo!” affermò decisa.

“Tu non capisci, non è che non voglio farlo, non posso. Se sbagliassi incantesimo Peter potrebbe peggiorare, potrei anche…”non conclusi la frase ma non ce n’era bisogno, il senso si era compreso.

“Morirà comunque se non facciamo niente, sei la nostra unica speranza Cathrine. Sei la sua unica speranza” intervenne Edmund.

Sospirai tornando a fissare il volto del mio re. Avevano ragione, non avrebbe resistito ancora a lungo. Poi Peter mosse la testa di lato, nella mia direzione ed socchiuse gli occhi con un lamento soffocato. Quando mi mise a fuoco, curvò gli angoli della bocca in un accenno di sorriso e mi strinse la mano che ancora tenevo tra le mie.

Sentii gli altri precipitarsi vicino a noi, circondadoci, ma Peter non prestò attenzione a nessuno di loro, fissando solo me. Uno sguardo colmo di dolcezza ma che mi gelò il cuore poiché i bei occhi del re, che avevo sempre visto brillare di vita, erano vitrei, privi di ogni guizzo. Stava davvero morendo.

Fu quello che sguardo che mi diede la forza per fare ciò che dovevo e giurai a me stessa che ci sarei riuscita. Avrei ridato a quei zaffiri che da subito avevo amato, l’energia che li contraddistingueva.

Mi avvicinai al suo volto e con una mano glielo accarezzai. “Ti salverò Peter” gli sussurrai vicino all’orecchio. Lui mi rispose con un cenno del capo. Provò a parlare ma gli uscì solo un breve gemito. Ma io avevo compreso lo stesso. Mi stava dicendo che si fidava di me. E io avrei meritato la sua fiducia. Lo avrei riportato da me.

Chiusi gli occhi e scacciai qualsiasi altro pensiero. Subito recepii le essenze di Susan, Edmund e Caspian, forti, luminose, piene di vita. Poi dinanzi a me avvertii quella di Peter, più flebile delle altre. Si stava spegnendo, dovevo agire in fretta.

Chiamai a raccolta tutti i miei poteri, chiesi al mio corpo ogni singola particella di energia che avevo senza esclusioni. La feci confluire nelle mie mani che subito sentii pulsare violentemente, intrise di forza come mai lo erano state. Le avvicinai al fianco ferito, là dove l’essenza era più debole, e incominciai l’incantesimo.

Un piccolo comando che racchiudeva tutta me stessa e le mie speranze. Guarisci.

Lanciai la mia magia con forza contro il suo scudo e lo penetrai senza difficoltà. Una volta a diretto contatto con la sua aurea, lasciai l’energia defluire a poco a poco dal mio corpo a suo. La avvertivo scivolare lentamente dalle mie membra come l’acqua di un fiume, un percorso a rilento ma inesorabile. La mia aurea si stava affievolendo eppure il mio cuore stava gioendo. L’essenza di Peter stava aumentando di intensità, era più luminosa ogni secondo che passava mentre la ferita si stava sanando. La magia stava funzionando.

Ma ad un certo punto, mentre il flusso di energia scorreva ininterrotto, sentii il mio corpo iniziare a sussultare. Da prima solo un lieve tremolio alle mani, ma poi fui percorsa da veri e propri scossoni. Mi spaventai, non mi era mai successo prima, cosa stava accadendo? Ma nonostante ciò non interruppi l’incantesimo, dovevo proseguire se volevo salvarlo.

Iniziai ad oscillare pericolosamente, mi sentivo incredibilmente stanca. Le braccia erano diventate macigni mentre la spina dorsale sembrava incapace di sostenermi. Strinsi i denti, dovevo assolutamente resistere. Mi concentrai ancora di più sulla magia mentre percepivo solo lontanamente un paio di mani forti che mi sostenevano da dietro, permettendomi di appoggiarmi.

Il taglio era quasi del tutto guarito, mancava davvero poco, ma la mia mente iniziava ad annebbiarsi, mantenere la concentrazione era sempre più difficile. Decisi di velocizzare l’incantesimo finché ancora ne ero capace, così raccolsi quel briciolo di energia che mi restava e lo riversai veloce su Peter. Sentii tutto il mio corpo, dalle mani alle gambe, tremare violentemente mentre la mia testa oscillò avanti e indietro pericolosamente. Ma il sospiro che mi uscì dalle labbra, incurante delle mie membra stanche e dello sforzo a cui mi stavo sottoponendo, fu sereno. La ferita era guarita. L’essenza di Peter brillava più luminosa che mai, come una stella in un cielo buio, finalmente salva e sana. Ce l’avevo fatta. Lo avevo salvato. Ora non dovevo più lottare. Lasciai che la mia mente si scurisse, che i pensieri tacessero. La braccia mi caddero lungo i fianchi mentre il mio corpo, ancora scosso dai tremori, si accasciava contro qualcosa di morbido, privo ormai di forza.

“Ci è riuscita”

“Ti ha guarito Peter! Sei salvo!”

Dei suoni mi giungevano ovattati ma non gli prestai attenzione finché una voce non si elevò tra tutte. Una voce conosciuta che ebbe il potere di risvegliare un barlume di lucidità nella mia coscienza sempre più remota. Peter.

“Cathrine” due braccia forti mi abbracciarono stringendomi ad un petto finalmente caldo da cui potevo sentire un cuore battere vigoroso e sano.

D’istinto mi raggomitolai su di lui mentre mi prendeva in braccio. La mia testa trovò meccanicamente posto in mezzo all’incavo del suo collo, come se fosse stata creata unicamente per quella posizione.

“Cathy, stai bene?”

Apprensivo come sempre. Pensai serena e rilassata dopo la paura dell’ultima ora. Non avevo la forza per rispondergli né per aprire gli occhi e rassicurarlo con lo sguardo, così mi limitai ad annuire con il capo. Come potevo non stare bene? Lui era salvo ed era l’unica cosa che contasse.

Lo sentii sospirare. “Grazie” mi sussurrò stringendomi di più a sé. E con l’eco della sua voce cristallina nel cuore, mi lasciai finalmente trascinare alla deriva, addormentandomi cinta dal mio angelo biondo.

 

*

 

Erano rimasti solo in tre all’interno della stanza, ora che Peter, finalmente sano e salvo, era uscito cavallerescamente con Cathrine in braccio. La giovane meritava l’ammirazione e la gratitudine di tutti loro per quello che aveva fatto e Susan si ripromise che, appena si fosse ripresa, l’avrebbe ringraziata all’infinito.

“Io vado ad aspettare Lucy all’esterno. Sarà preoccupatissima dopo che l’abbiamo mandata a chiamare di corsa per Peter” si propose Edmund, pensando alla sorella minore in arrivo. Senza aspettare risposta lasciò la stanza a rapidi passi.

Erano rimasti solo in due.

Oh no. Pensò la giovane regina, iniziando a sentire un nuovo sentimento, dopo la paura appena provata, agitare il suo animo. L’ansia.

Aveva lo sguardo basso, ma ciò nonostante riusciva chiaramente a immaginare la posa del principe che le stava davanti. Braccia conserte, sguardo imbarazzato che vagava per la stanza, piede frenetico che batteva un ritmo solo a lui noto contro il pavimento.

Era da tempo che non si trovavano più insieme da soli, Susan aveva speso tutte le sue energie per evitarlo in quei sette giorni. Eppure, dopo il discorso di Lucy, sapeva che non poteva più scappare. Sarebbe stato controproducente. Lei anelava la compagnia di Caspian, la lontananza non aveva giovato a lei quanto a lui, se aveva cercato di fuggire era perché non aveva trovato il coraggio per affrontare la nuova situazione. Ma adesso doveva tirarlo fuori. Era la regina di Narnia in fin dei conti e le regine non scappavano. Nemmeno dinanzi ai problemi di cuore. E in più dubitava di riuscire a tenerlo lontano ancora a lungo da se stessa dal momento che la figura del giovane occupava i suoi pensieri notte e giorno. Cosa aveva detto Lucy? Che doveva uscire dal suo algido bozzolo? Bene, lo avrebbe fatto. Era arrivato il momento di abbassare qualche difesa, Caspian lo meritava.

Sollevò lo sguardo e sorrise nel vedere che il principe era esattamente nella posizione da lei immaginata.  Prese un bel respiro e gli si avvicinò di qualche passo. La sorpresa di lui era quasi palpabile quando se ne accorse e un timido sorriso iniziò a farsi strada sul suo volto.

“Tu stai bene?” si informò Susan per rompere il silenzio e per accertarsi della sua salute.

“Si, nessuna ferita” la assicurò dopo qualche secondo di sbigottimento per il fatto che Susan era tornata a rivolgergli la parola.

La ragazza fece un altro passo avanti. Accidenti com’era difficile. Eppure sua sorella faceva apparire tutto così facile nella sua scaletta: vai lì, gli parli, ti apri e ottieni il tuo “felici e contenti”. La realtà era molto più complicata. O era lei a complicarla? Ma ciò non aveva importanza, c’era un’altra domanda più pressante ora. Tipo quale doveva essere la sua prossima mossa. Doveva dirgli che le dispiaceva per il suo comportamento? Ma prima che potesse formulare una qualsiasi frase, un fiume di scuse, pronunciate dall’accalorata voce del moro, la colpì.

“Susan, ti prego perdonami, non avrei dovuto comportarmi in quel modo. Era assolutamente fuori luogo, non avevo il diritto di metterti alle strette. Non sai quanto mi dispiace, mi sono dato dell’idiota milioni di volte. E quando ti ho vista correre via mi sono sentito sprofondare, volevo prendermi a pugni da solo, io…”

“Fermati, basta” Susan lo bloccò posandogli una mano sul volto, un gesto istintivo suscitato dalla tenerezza intrinseca nelle parole del ragazzo. Doveva essere stato parecchio male in quei giorni, notazione che la fece sentire in colpa ma che le diede la spinta giusta per iniziare a parlare. Se aveva sofferto voleva dire che teneva a lei, che il suo non era un interesse superficiale.

E poi… Da quanto non sentivo la sensazione della sua pelle calda sotto la mia mano?

“L’idiota sono stata io. La mia reazione è stata esagerata e ancor di più lo è stato tenerti lontano per una settimana.” Ammise arrossendo. Le difese erano veramente solide.

Gli occhi castani del ragazzo, che era ammutolito di colpo, ora la fissavano ardenti di speranza mentre deglutiva le altre centomila scuse che lei aveva bloccato. La sua espressione urlava che non si sarebbe aspettato una tale risposta da lei ma che la desiderava come un assetato nel deserto aspirava ad una brocca d’acqua.

“Caspian” cercò di proseguire, ma le parole le si bloccarono in gola. Cosa voleva dirgli?

Ti amo.

No. Non che non fosse vero. Il suo cuore parlava chiaro, ma era troppo presto. Non era pronta per un passo del genere, aveva ancora bisogno di tempo per farlo accettare a se stessa e poi per riuscire a dirglielo. Però c’era altro che poteva comunicargli. Un fortino non faceva cadere tutte le difese in un giorno. Poteva abbassare una palizzata alla volta.

Inspirò e continuò la frase, sotto il religioso silenzio del ragazzo. “Non sono scappata da te perché non ti volevo, ma perché ho avuto paura.” Confessò. Subito dopo le sembrò che un grande macigno le fosse stato tolto dal petto e proseguire divenne più facile. Forse perché sapeva che le sue parole erano pronunciate nel momento giusto alla persona giusta. Forse perché stavano dicendo la verità. Una verità che aveva aspettato fin troppo tempo prima di essere pronunciata. “è una situazione del tutto nuova e non so come comportarmi, come gestirla. Ho bisogno di tempo, di fare un passo alla volta. Spero che tu riesca a capirmi” concluse d’un fiato.

Gli occhi di Caspian brillavano di pura gioia mentre apprendeva il significato delle frasi che tanto aveva atteso. Non l’aveva perduta, Edmund aveva avuto ragione, era stata la fretta a farla allontanare non lui. E ora aveva una seconda opportunità, una seconda chance che non avrebbe bruciato. Le occorreva tempo? Gliene avrebbe dato quanto voleva, l’avrebbe aspettata anche per altri cento anni se gli dava la possibilità di starle accanto.

Prese titubante una mano di lei tra le sue e si fermò, cercando il permesso negli occhi di lei per gesto che stava per fare. Lei gli sorrise e lui, prendendolo come un consenso,  portò la mano alle labbra, posandole un delicato bacio sul dorso.

“Tutti il tempo che desideri. Sarai tu a dirmi quando ti senti pronta” le promise con la voce piena di commozione.

Susan sorrise grata. L’aveva compresa. Lucy aveva davvero visto giusto. Quel giovane era un ragazzo d’oro. Ed era di lei.

Liberò la sua mano dalla presa di Caspian e gli circondò la vita, appoggiando la testa sul suo petto. Respirò profondamente il suo odore fresco -quanto gli era mancato anche quello- e godette del calore che il suo corpo morbido le trasmetteva. Lui, dopo un attimo di esitazione data dalla sorpresa, ricambiò l’abbraccio posando la sua testa sopra quella di lei, al colmo della felicità.

La prima difesa era crollata.

 

*

 

L’ora è quasi giunta.

L’ora per cosa?

Per tornare a casa. Stai diventando forte e anche io sto riacquistando le energie.

A casa? E dove sarebbe?

È il momento di mostrartela. Ormai è questione di giorni.

Giorni? Tra qualche giorno verrai da me? Tra quanti?

 

Ma la mia domanda non ricevette risposta, come spesso accadeva nei miei dialoghi con quella donna. Un brivido mi percorse e mi svegliai di soprassalto. Mi guardai attorno, e anche se la camera era avvolta dall’oscurità, compresi che Peter mi aveva portata nella mia stanza. Sorrisi al suo nome, rammentandomi il lieto fine che ero riuscita a creare quella sera. Lo avevo salvato, strappandolo da morte certa, ero fiera di me stessa.

L’incantesimo mi era costato un certo sforzo, anche adesso mi sentivo incredibilmente stanca, nonostante probabilmente stessi dormendo da parecchie ore poiché, a giudicare dal silenzio che impregnava l’edificio, doveva essere notte fonda. La magia mi aveva prosciugato tutte le forze, tanto da riempire il mio corpo di spasimi, cosa che non era successa nemmeno quando avevo risvegliato il bosco. Probabilmente la differenza consisteva nel fatto che quella volta Aslan aveva unito i suoi poteri ai miei mentre quella sera ero stata totalmente da sola. Tuttavia ne era senz’altro valsa la pena e lo avrei rifatto senza esitazione.

Mi stiracchiai e feci per rigettarmi sul mio morbido cuscino, quando un guizzo azzurrino catturò la mia attenzione. Sulla mia destra, a mezz’aria, una piccola sfera bianco-azzurra brillava fioca. La fissai a bocca aperta, che l’avessi creata mentre dormivo? Non mi era mai accaduto ma c’era sempre una prima volta.

Poi però un’altra spiegazione si fece largo nella mia mente assieme al ricordo della frase appena sentita. È il momento di mostrartela

Che fosse opera della donna misteriosa? Una magia destinata a farmi conoscere la dimora di cui tanto parlava? Ma allora perché stava lì ferma, non avrebbe dovuto farmi scorgere qualcosa al suo interno, simile ad un sfera di cristallo?

Come se mi avesse letto nel pensiero, la bolla di luce iniziò a muoversi, dirigendosi verso la porta della stanza. Forse voleva che la seguissi? L’eccitazione mi invase insieme al senso di aspettativa. Dove mi avrebbe portato, dalla donna? No, era improbabile, anche se desideravo ardentemente conoscerla. A vedere la casa? Si, era senz’altro l’ipotesi più sensata. Ma sarei dovuta uscire dall’edificio? L’idea non mi elettrizzava, ma la curiosità batteva la paura di addentrarsi da sola nella notte. Dovevo vedere la misteriosa destinazione.

Mi liberai dalle coperte e poggiai i piedi nudi a terra. Quando mi alzai la testa mi girò violentemente, tanto che dovetti sostenermi con una mano al muro. Ero ancora debole, avevo bisogno di riposo, ma ci sarebbe stato tempo dopo per una dormita. Finito il giramento, mi incamminai verso la luce che aveva attraversato la porta della stanza.

Uscita dalla camera a mia volta la seguii silenziosa giù per le scale. La mia previsione di prima non era sbagliata, gli inquilini dell’edificio stavano tutti dormendo, doveva essere notte fonda. Scesi tutti i gradini, mi condusse attraverso le varie stanze, fino a giungere nel corridoio che portava alla sala della tavola di pietra. La direzione mi sorprese, se voleva mostrarmi una dimora perché non si dirigeva verso l’uscita dalla fortificazione? La fantomatica casa non poteva trovarsi dentro una stanza!

Sempre più curiosa la seguii e passo dopo passo rividi tutti i vari grafiti che narravano le avventure dei Pevensie illuminati dalla fioca luce della sfera, finché essa non si fermò su di uno in particolare. Era il castello di ghiaccio che mi aveva affascinato la prima volta e che aveva scatenato l’ambigua reazione di Peter.

Mi avvicinai per esaminarlo meglio. La bolla rischiarava le alte guglie e un portone di ghiaccio che suscitarono in me nuovamente quella particolare sensazione di familiarità. Ne rimasi incantata e all’improvviso mi dimenticai la motivazione della mia presenza lì. La dimora passò in secondo piano, inghiottita dal mare di inspiegabili sensazioni che provavo dinanzi al disegno. Iniziai a percorrere i lineamenti del palazzo con un dito, sfiorando con delicatezza quell’effigie. La luce della sfera iniziò ad aumentare ad ogni tocco, ma io quasi non me ne accorsi. Ero entrata in una sorta di trance, minimamente conscia che anche il flusso dei miei poteri cominciava ad aumentare. Stava defluendo da me al graffito, creando con esso un contatto più forte mano a mano che la luce scacciava via le tenebre inghiottendo in un turbine bianco il corridoio, il dipinto e me.

Il collegamento continuò a irrobustirsi finché non mi sentii trascinare con forza dentro il disegno, come se una mano invisibile mi avesse preso per mano.

Fui risucchiata al suo interno e per parecchi istanti fui privata della vista. Attorno a me vedevo solo un onnipresente bianco. Poi a poco a poco i contorni cominciarono a definirsi anche se il colore predominante restava il bianco che sfumava nell’azzurro.

Per tutto tranne per un omino che inchinato in segno di riverenza mi stava davanti. Era un gnomo con vestiti dimessi e inginocchiato fino a toccare il pavimento con la testa.

Quest’ultimo era una lastra di ghiaccio sorvolato da una nebbia fitta e delimitata da alte mura dalla quale spuntavano speroni di roccia anch’esse ghiacciate. Il complesso forniva una sala ampia e luminosa, con un soffitto a volta dalla quale lunghe stalattiti minacciavano di cadere da un momento all’altro e un portone di ghiaccio finemente elaborato che occupava tutta la parete sud. Ogni cosa era perfetta e gelida, trasudante di potere e sicurezza in mezzo ad una nebbiolina che riempiva interamente l’ambiente. Una fortezza che pareva scavata interamente all’interno di un iceberg e che sapevo essere mia, un avamposto protetto dove potevo sentirmi accolta. Quella era casa mia.

“Mi seguirete?”

Una voce algida e ferma rimbombò tra quelle candide pareti. Mi ci volle qualche secondo per comprendere che la frase era stata pronunciata da me. A poco a poco riuscii anche a prendere coscienza del mio corpo. Le mie braccia erano saldamente appoggiate ai braccioli di un trono bianco-azzurro fatto di ghiaccio, alla quale le mie gambe erano fermamente sedute con eleganza e compostezza, dando una visione di regalità favorita anche dal lungo vestito bianco scendente lungo gli scalini che elevavano il seggio rispetto al resto della sala, e impreziosito da fitti ricami raffiguranti fiocchi di neve. Il vestito era sbracciato ma, nonostante la stanza sembrasse tutt’altro che calda e priva di un qualsiasi focolare, non avvertivo freddo. La nebbia mi abbracciava, ero a mio agio immersa da quella temperatura glaciale, lo stesso trono di ghiaccio, invece di farsi trovare scomodo, duro e gelido, era per me confortevole, si sposava con il mio corpo. Il gelo mi accoglieva tra le sue spire come se fossi una sua creatura, come se ne facessi parte io stessa.

“Fino alla morte mia regina” rispose lo gnomo ancora senza osare alzare la testa da terra.

Poi i contorni della stanza si fecero sfocati fino a confondersi tra loro. L’immagine del mezz-uomo divenne nebulosa finché al suo posto non comparve una folla eterogenea di creature mitologiche. La sala era sempre la stessa, con la differenza che il portone era aperto lasciando intravedere il mare di persone che fuori da quelle mura si accalcava per intravedere l’interno di quello che sapevo essere un palazzo. Il mio palazzo.

“Popolo di Narnia” la mia voce riecheggiò tra i presenti limpida e sicura. Non ero più seduta sul trono bensì eretta, intenta a squadrare coloro che erano i miei uomini con sguardo fiero e deciso. Avevo la loro attenzione completa, aspettavano le mie parole in un silenzio quasi religioso, in un’atmosfera riservata a pochi eletti. Provai un moto di orgoglio nell’essere cosciente che essi pendevano dalle mie labbra. Sapevo che avrebbero fatto qualsiasi cosa che avessi ordinato in quel momento poiché si affidavano ciecamente a me. Disponevo completamente della loro persona.

“Questa terra è nostra come lo è stata dei nostri avi migliaia e migliaia di anni fa. Ci appartiene, fa parte di noi. Potremmo mai permettere che ora, degli invasori venuti da un altro mondo, a noi alieno e lontano, ci invadano pretendendo ci comandarci e di conquistarci?” feci una pausa enfatica, catalizzando, se possibile, ancora di più l’attenzione. Infine urlai un “NO!” forte e determinato, seguito subito da un fragoroso boato della folla.      Il mio esercito si animò cominciando a sbattere le lance e le spade sugli scudi e i piedi per terra in segno di chiara approvazione.

“Narnia è sempre stata e sempre sarà dei suoi abitanti, non di estranei. Non permetteremo che cada in mani indegne, la difenderemo con tutte le nostre forze, la proteggeremo e vi posso giurare che usciremo vittoriosi dallo scontro. Quest’oggi ricacceremo i figli di Adamo e le figlie di Eva da dove sono venuti e ci riprenderemo ciò che ci appartiene di diritto!” le ultime parole riempirono i cuori della folla che si espresse in un’altra accalorata acclamazione tanto da far traballare le affilate stalattiti. Ero certa di aver ragione, loro non mi avrebbero deluso, avremmo vinto. Dovevamo vincere.

Il frastuono era tale da rimbombare forte e fastidioso nelle orecchie, ma a mano a mano che i secondi scorrevano si fece sempre più lieve fino a scomparire nel nulla.

Mi trovavo in un’altra stanza, molto più piccola rispetto alla prima. Era anch’essa incavata nel ghiaccio, con le stalattiti e gli speroni che fuoriuscivano dal muro e l’onnipresente nebbia che ricopriva il pavimento, ma al posto del trono primeggiava al centro una culla fatta di cristallo. Il decoro che ornava presentava una serie di fiocchi di neve che si alternavano ad un N elaborata similmente alle lettere gotiche. Ma ora era vuota, non riuscivo a vederlo in prima persona ma lo sapevo. Ed ero consapevole che era ciò a procurarmi una grande angoscia. Eppure era necessario, era l’unico modo per assicurare la nostra salvezza in caso di sconfitta. Avvertii una grande determinazione invadermi mentre fissavo con decisione una parete diversa dalle altre, una parete molto importante. Sembrava fatta d’acqua e illuminava tutto l’ambiente. Ma i suoi contorni iniziavano a divenire confusi finché anch’essi si dispersero nel nulla.

E fu un secondo.

Un lungo, terribile, straziante secondo. Un leone immenso e possente riempì interamente il mio campo visivo. Mi stava venendo incontro, i denti affilati e letali ad un passo dal mio viso, il suo ruggito che rimbombava nel mio cuore fino a bloccarlo.

Il sole dietro gli illuminava la criniera fulva e regale conferendogli un’aria di inumana superiorità. Un solo pensiero si face strada nella mia mente. È invincibile.

E poi provai soltanto dolore. Un dolore immenso, insopportabile. Stavo morendo lo sapevo, ma non potevo fare nulla per impedirlo se non gridare e gridare ancora. Mi stava lacerando. Avvertivo i suoi canini penetrarmi dentro l’addome trapassandomi da parte a parte mentre gli artigli laceravano ogni lembo di pelle procurandomi fitta lancinanti…

“Cathy, Cathrine, svegliati!”

Una voce. Un’altra voce cercava di sovrastare il ruggito, ma era troppo fievole.

“Apri gli occhi forza! Devi svegliarti!”

Mi stava dicendo qualcosa, ma non capivo cosa. Il dolore mi invadeva e catalizzava tutta la mia attenzione, impendendomi di concentrarmi per comprenderla. Ciò che riuscivo a distinguere era solo il dolore. Ma dopotutto io stavo morendo, cosa importava ciò che diceva?

“Cathy, mia piccola stella”

Stella. Quella parola era riuscita a sorpassare il resto. Mi ricordava qualcosa, o meglio qualcuno appartenente ad un’altra vita. Un bosco, gli alberi che danzano, la magia e un ragazzo dai capelli color dell’oro. Peter. Con me nella raduna che mi sussurrava che sono la sua “stella” con la sua voce vellutata. La stessa che mi stava richiamando ora. E io dovevo ascoltarla, lui poteva aiutarmi, poteva salvarmi.

“Aiutami…leone” cercai di articolare una frase ma mi era difficile concentrarmi. Eppure dovevo farmi capire, lui poteva aiutarmi. “Male, tanto…leone”

“Cathy, è tutto a posto, sei al sicuro”

Come poteva dirmi che ero al sicuro? Non vedeva il grande felino che mi stava uccidendo?

Dovevo aprire gli occhi e ripetere il mio richiamo di aiuto. Raccolsi tutte le mie ultime forze e caricai d’aria i polmoni. “Peter, il leone aiuto!” urlai riuscendo a spalancare gli occhi. Ma quello che vidi mi lasciò confusa. Tremendamente e fastidiosamente confusa.

“Cathrine, non c’è nessun leone” mi informò la dolce voce di Peter, ora finalmente chiara.

E aveva ragione. non c’era nessuna chioma fulva dinanzi a me, bensì due stupendi zaffiri intrisi di preoccupazione, scorgibili distintamente nonostante il velo opaco che avevo dinanzi alle pupille. O erano lacrime? Si, stavo piangendo, il mio corpo era percosso dai singhiozzi e il viso era bagnato, mentre il mio cuore galoppava per l’ansia. Ero tornata. Non sapevo da dove ma ero tornata. Rivedere il volto del mio angelo mi procurò un altro singhiozzo, più violento degli altri ma di gioia, e si andò a sommare agli altri, di paura, di dolore che ancora avvertivo lungo i miei arti e nel petto, di ansia e di stupore, che mi attraversavano.

Le sue calde e protettive braccia mi avvolsero cercando di frenare i tremori mentre il suono vellutato della voce mi sussurrava come una mantra che ero al sicuro, che non avevo nulla da temere.

Mi fiondai nel suo petto senza remore, avevo bisogno di una sicurezza, di sentirmi protetta, di lui. E sentendo il battito regolare del suo cuore il mio grido disperato si spense dando pace alle mie corde vocali.

“Tranquilla Cathy, non è successo niente. Sei qui con me” i suoi sussurri recavano tranquillità al mio animo tormentato mentre le lacrime diminuivano fino a spegnersi.

Cominciai a riprendere il controllo di me stessa, il velo di confusione che mi ottenebrava la mente si stava dissolvendo sotto le sue carezze finché non tornò completamente lucida.

“è stato solo un incubo”

Un incubo? No, non era possibile. Non così vivido, non così reale. Quello che avevo visto non lo avevo sognato, ne ero certa. Ancora provavo il dolore, se pur in maniera minore rispetto a prima, procurato dal leone per tutto il corpo. Senza contare la nuova stanchezza che l’utilizzo dei miei poteri mi aveva causato, dal momento che non mi ero ancora ripresa dall’incantesimo precedente. Ma allora cos’era stato?

Mi staccai da lui quel tanto che bastava per guardami attorno. Come avrei potuto immaginare, dietro di lui c’erano Susan e Caspian con un’espressione tesa in volto. Alla sua destra stava Edmund, pallido e preoccupato, e accucciata accanto a me notai solo ora un’angosciata Lucy. Le mie urla dovevano averli svegliati tutti.

Un breve brivido proveniente da Peter mi fece riportare l’attenzione su di lui. Gli presi una mano e la trovai ghiacciata. Peter aveva freddo ma perché? Eravamo al chiuso e la temperatura lì dentro era sempre stata gradevole. Poi notai un particolare che prima mi era sfuggito. Io, Peter e Lucy non eravamo seduti sul duro e polveroso pavimento del corridoio bensì su una spessa lastra di ghiaccio larga circa un metro e che si estendeva da parete a parete arrampicandosi verso l’alto. Da dove era apparsa? Prima non c’era. Sembrava fosse uscita dalla mia visione insieme a me…

“Peter” un flebile filo di voce mi uscì dalle labbra.

“Si Cathy?” mi incitò lui cercando un contatto visivo che io non gli negai.

“Non è stato un incubo” mormorai lugubre.

Vidi lo sgomento passare per il suo bel volto e desiderai poterlo far andare via come era venuto. Ma non potevo, l’unico modo sarebbe stato mentirgli e quello non volevo farlo.

“Cathrine, stai bene?”

La fievole voce di Lucy, incurante della mia affermazione, mi raggiunse. Mi rivolsi verso di lei, ancora stretta nel sicuro abbraccio di Peter. Aveva i caldi occhi castani sgranati e in apprensione mentre aspettava impaziente la mia risposta.

“Credo di si” mormorai. Il sollievo che i presenti provarono dopo la mia rassicurazione era quasi palpabile.

Aiutata dal re cercai di alzarmi, ma il movimento mi procurò una forte fitta alle gambe e all’addome. Il male provato prima si faceva ancora sentire.

“Cathy cos’hai?” si informò subito Peter sorreggendomi di peso.

Mi aggrappai a lui ma cercai di consolarlo affermando che non era nulla di grave. Non volevo preoccuparlo ancora di più e poi ero sicura che il malessere si sarebbe esaurito presto. Per recuperare le forze che mi mancavano invece sarebbe bastata una notte di sonno. Una lunga e soprattutto continua notte di sonno.

Portala di là, così potrà sedersi” suggerì Susan.

Il biondo annuì e, sostenendomi con un braccio attorno alla vita, mi scortò fino alla tavola di pietra dove mi fece sdraiare. Una volta appoggiata distesi i muscoli e tirai un sospiro di sollievo. Le mie gambe non erano capaci di portare il mio peso al momento.

Ma il sollievo durò poco perché in meno di un secondo cinque paia di occhi mi attorniarono curiosi.

“Cathrine, cosa significa che non è un incubo?” Edmund per primo espresse la domanda che premeva a tutti. Quello che non sapeva era che la risposta fuggiva a me per prima.

“Non lo so Edmund, so solo che non era un parto della mia fantasia”

Edmund aggrottò le sopraciglia mentre Susan si intromise con un’altra domanda “Forse potresti iniziare a spiegarci cosa ci facevi nel corridoio a quest’ora di notte. Magari insieme troviamo una risposta”

Proposta sensata. Pensai. La accontentai subito.

“Questa notte ho ricevuto l’ennesima visita della donna misteriosa…” a quelle parole vidi Peter, che era seduto accanto a me sulla tavola, irrigidirsi e bloccare per un secondo il tranquillizzante gesto di accarezzarmi i capelli. Gli lanciai un’occhiata allarmata ma lui scosse la testa e mi fece segno di proseguire, riprendendo ad intrecciare le sue dita nei miei boccoli rossi. “Ma questa volta non voleva solo parlarmi, voleva mostrarmi qualcosa, una casa che lei definisce nostra” precisai ricordando le insistenti parole della mia visitatrice.  “E quando mi sono svegliata ho trovato una sfera di luce ad attendermi. Ho capito che voleva che la seguissi e così ho fatto”

“Hai inseguito una sfera senza sapere dove ti avrebbe portata?” mi interruppe incredulo Peter.

Sotto il suo sguardo accusatore mi vergognai un poco della mia azione sciocca e impulsiva. Ma la lezione l’avevo imparata, ecco cosa succedeva nel mettersi ad ascoltare una palla di luce nel cuore della notte…

“Credevo l’avesse fatta apparire la donna.” tentai di giustificarmi.

“Quindi non sei nemmeno sicura che la sfera fosse sua” attaccò Edmund.

“Ero pronta a scommettere di si, altrimenti non le sarei andata dietro, ma poiché non mi ha mostrato nessuna casa inizio a pensare che la donna non c’entrasse. Anche se non so chi altri avrebbe potuto far apparire quella luce” ammisi fissandomi le mani.

“E dove ti ha portata?” si informò Caspian, riprendendo le fili dell’argomento principale. Gliene fui grata, la discussione aveva iniziato a prendere direzioni spinose.

“Davanti all’affresco con il castello di ghiaccio”. Subito dopo percepii un chiaro abbassamento della temperatura come se solo la parola “ghiaccio”potesse suscitare il freddo. I lineamenti dei visi dei miei interlocutori divennero, se possibile, ancora più tesi e pallidi mentre proseguivo il racconto. “Poi da qui non saprei bene dire cosa è successo, è accaduto tutto molto velocemente. Ho semplicemente sfiorato i contorni del palazzo e ho perso il controllo dei miei poteri”

“In che modo?” domandò accigliata Susan.

“Non saprei, è la prima volta che mi capita, so solo che ad un certo punto ho avvertito la magia fuoriuscire da me indipendente dalla mia volontà” risposi concitata “mi sono sentita risucchiata al suo interno e poi… è stato indescrivibile” ed era vero. Non c’erano parole per raccontarlo compiutamente.

“Non capisco, hai iniziato a urlare all’improvviso, ti sei fatta male?”

Peter mi guardava confuso.

“La parte più turbolenta che ha suscitato le urla è stata solo verso la fine, prima ho vissuto delle scene di vita. Ma non saprei in che modo. Sembrava un sogno eppure ho la certezza che fosse reale. Ero dentro un bellissimo palazzo di ghiaccio e sedevo a mio agio su un trono con un lungo vestito bianco. Incoraggiavo con ardore degli uomini alla battaglia.”  Vedendo i loro sguardi corrucciati cercai di spiegarmi meglio “Ora non so chi fossero quelle persone né di che guerra si parlava eppure nella visione sapevo qual era il mio ruolo e cosa dovevo dire, credevo nel mio discorso, parlavo di difendere Narnia da degli invasori, che il regno era nostro e tale sarebbe dovuto rimanere e odiavo sinceramente il mio nemico”

“E chi era questo nemico?” domandò Lucy.

Mi sforzai di rammentare. “Parlavo di due figli di Adamo e due figlie di Eva mi sembra, ma non ho idea a chi si riferisse.” Un’occhiata allarmata passò tra i fratelli Pevensie, ma ero troppo impegnata a ricordare  altri particolari rilevanti per accorgermene. “Poi la scena è cambiata e mi sono ritrovata a fissare una parete liquida, pensando che dall’altra parte c’era qualcosa o qualcuno di importante e che lo avrei riavuto solo se avessi vinto la battaglia” narrai velocemente poiché un ricordo si imponeva sugli altri. Il bruciore agli arti continuava a ricordarmelo. “le scene cambiavano di continuo, senza un’apparente ordine logico e poi…” rabbrividii al ricordo del dolore e dalla paura provati. Era stata un’esperienza terribile che speravo non dover ripetere mai più. Peter se ne accorse e non esitò ad abbracciarmi stretta. Presi coraggio dalla sua presenza.

“Un leone ha coperto tutta la scena e mi ha attaccato senza pietà. Ha iniziato a mordermi e graffiarmi, mi colpiva dappertutto e io non sentivo altro che dolore.” Mi accarezzai incoscientemente l’addome “E tutt’ora continua a farmi male ovunque, anche se meno di prima” conclusi appoggiando la testa sulla spalla di Peter, iniziando a cedere alla stanchezza che pressante si faceva sentire.

“Ma l’esperienza non l’hai compiuta tu adesso, giusto? È stata una visione, come puoi provare male?” mi chiese scettica Susan.

“Susan, io non credo fosse solo un sogno.” Ripetei forse per la decima volta.  “Io ero là, lo stavo vivendo. Ero cosciente, provavo sentimenti, avevo pensieri miei e percepivo l’ambiente circostante.”

“Quindi lo hai vissuto?” la voce di Lucy era a mezza strada tra la meraviglia e la paura.

“Non credo di averlo vissuto come sto vivendo questo momento, però la sensazione era quella. Anche se non ero cosciente della realtà attuale, ma unicamente di quella, come se questa non esistesse” specificai in modo arzigogolato.

“Non potrebbe essere un ricordo?” propose Caspian.

Scossi la testa. “Sono certa di non aver mai vissuto nulla del simile. A meno che…” un’illuminazione mi raggiunse. “secondo voi è possibile che io abbia visto il futuro?”

Ma Peter smontò subito la mia teoria. “Non credo” la voce secca e perentoria mi sorprese. Perché era così contrariato? Possibile fosse solo la preoccupazione non ancora svanita?

I presenti si scambiarono uno sguardo denso di un significato a me ignoto. Bene, era giunto il momento per le mie domande.

“Perché pensi questo?”

Peter mi parlò fissando con serietà la sorella. “Perché quello che hai visto è un evento passato”

La spiegazione mi sorprese. Conosceva gli eventi che avevo descritto? Ma come poteva essere?

“Come fai a saperlo?”

“Il palazzo aveva lunghe stalattiti di ghiaccio e una nebbia al livello del pavimento?”

Indagò Edmund.

Lo fissai stranita. “Si” risposi monosillabica per la sorpresa.

“E quando hai visto il leone cos’hai provato?”

“Tanto odio e tanta rabbia. Ma anche un senso si impotenza, sapevo che stavo per morire”

“Credo che non ci siano molti dubbi” commentò enigmatico Edmund.

“Anche io, purtroppo” convenne Peter.

A quel punto la mia pazienza era bella che finita. “Riguardo a cosa?” esclamai irritata.

Peter mi guardò serio e mi prese per le spalle. “Credo che le scene che hai vissuto stanotte siano un ricordo…” lo stavo per interrompere per protestare nuovamente ma lui mi anticipò. “Non un tuo ricordo, ma di un’altra persona, che ti ha fatto entrare nella sua mente per qualche istante”

La sua spiegazione mi lasciò a bocca aperta. Era possibile fare ciò? Dopotutto era magia, dubitavo esistessero limiti.

“Ma chi?” chiesi in un sussurro.

“Jadis” il nome gli uscì come un insulto, con un’asprezza terribilmente fuori luogo se pronunciata dalle sue labbra di velluto.

“La strega bianca?”

“Si” Lucy mi diede conferma.

“Ma non è possibile, mi avete detto che è morta” cercai di ragionare.

“Vero, uccisa da Aslan come hai spiacevolmente avuto modo di vedere, o meglio sentire, tu stessa a quanto pare” mi disse Susan.

“Purtroppo per noi però quella strega sembra aver trovato un modo per tornare” aggiunse Edmund.

Peter reclamò la mia attenzione. “Ti ricordi che qualche giorno fa avevamo accennato ad una nuova minaccia che stava per colpirci? Crediamo sia lei purtroppo” asserì serio.

Li fissai a bocca aperta, scioccata. Ero entrata nella mente di Jadis? E, cosa ancora più preoccupante, la Strega Bianca stava per ricomparire?

“E in che modo può tornare nel mondo dei vivi?” domandai incredula.

“Non lo sappiamo ancora, ma quella strega è piena di risorse a quanto pare ed una via l’avrà certamente trovata.” Rispose rapido Peter. Gli lanciai un’occhiata obliqua. Nella sua risposta celere c’era qualcosa che non mi quadrava, sembrava una risposta precauzionale, per prevenire altre domande sull’argomento. Eppure il suo viso non faceva trasparire niente di strano, evidentemente ero io che mi facevo troppe paranoie.

La situazione non mi piaceva per niente. Da quello che mi avevano raccontato Jadis era una persona pericolosa, e molto anche. Aveva gettato Narnia e i suoi abitanti in cento anni di gelo e schiavitù e non aveva esitato ad eliminare chiunque le si ponesse davanti. Aveva addirittura provato ad uccidere Peter e i suoi fratelli nella batt…

“Siete voi i figli di Adamo e di Eva! Era contro di voi la battaglia che stava annunciando!” esclamai esterrefatta, colpita da una rivelazione improvvisa.

Peter annuì con aria grave. “Temo di si”

“E io che per quegli istanti vi ho odiati. Se penso che sono stata dalla sua parte mi vengono i brividi” mormorai affranta.

Peter mi diede un buffetto sulla guancia sfoderando un sorriso dolce dolce che mi fermò il cuore. “Ehi, non eri tu, erano i suoi pensieri, non hai nulla da rimproverarti”

Feci un cenno affermativo con la testa per accontentarlo ma le mie labbra rimasero corrucciate. Non sopportavo l’idea di aver provato simili sentimenti verso di loro, mi sentivo in colpa. Cercai di distrarmi facendo un’altra domanda. Volevo saperne di più riguardo alla faccenda.

“Ma come può aver fatto entrare quella sfera in camera mia? E poi perché proprio da me, che senso aveva mostrarmi quei ricordi se nemmeno mi conosce? È stato un caso?”

Ci furono cinque minuti di silenzio. Un pesante e per nulla auspicabile silenzio.

“Ecco, Cathrine” tentò Susan ma venne bruscamente interrotta da Peter.

“Noi ancora non lo sappiamo” affermò risoluto “ma faremo il possibile per saperlo” mi promise.

Mi immaginai soltanto il lampo irato che i suoi occhi lanciarono in direzione della sorella maggiore? Forse si dato che si era trattato solo di un secondo e la stanchezza era sempre più presente. Forse era quella che mi faceva divenire paranoica e visionaria.  Ormai avevo le palpebre che si abbassavano da sole e la testa era divenuta pesante. Facevo fatica a tenere il filo del discorso e non riuscii a trattenere uno sbadiglio che non sfuggì alla vista del re.

“Forse è meglio che tu vada a dormire” mi sussurrò accarezzandomi una guancia.

Scossi la testa. “No, voglio proseguire la discussione. E quel ghiaccio che c’è nel corridoio? Lo ha fatto apparire lei?” protestai, ma mi arresi quasi subito quando incrociai l’azzurro dei suoi occhi. Mi chiesi se sarei mai stata capace di negargli qualcosa fintanto ché mi fissava con tale intensità.

“Credo di si, ma è meglio proseguire domattina, quando avrai la mente più lucida” giudicò.

“Mi sa che hai ragione” asserii mentre giocherellavo distrattamente con il medaglione appeso al mio collo.

“Questo che cos’è?” mi chiese curioso il biondo notando solo ora la mia collana.

Gliela porsi e lui la afferrò portandola davanti agli occhi. “Ce l’ho da talmente tanto tempo che non mi ricordo quando mi è stata donata. Credo per il battesimo o qualcosa di simile. La J sta per June, il mese della mia nascita” spiegai.

Ebbi l’impressione di vedere la mascella di Peter indurirsi ma nuovamente fu solo un attimo, poiché ora mi sorrideva. Forse perché mi aveva appena colta a sbadigliare nuovamente.

“è davvero il caso che tu vada a letto. Sei stanca. Lucy, la accompagneresti per favore?” aggiunse poi rivolto alla piccola che mi si affiancò subito.

Io rivolsi però a Peter un’espressione allarmata. Ero appena giunta ad una conclusione, se andavo a dormire mi sarei separata da lui. E io non volevo assolutamente farlo. Sapevo che era irrazionale però avevo paura all’idea di ritrovarmi in camera da sola. E se fosse tornata la luce? E se, peggio, fosse venuta Jadis in persona? Il sapere che era a conoscenza della mia esistenza e che voleva contattarmi non mi faceva stare tranquilla. Sensazione che provavo invece se stavo con il mio angelo.

Il ragazzo colse immediatamente poiché si avvicinò al mio orecchio e mi sussurrò “Non temere, sarò da te in cinque minuti. Te lo prometto” e mi baciò la guancia come a suggellare la sua promessa.

Solo allora, con quella lieta e tranquillizzante prospettiva, accettai la mano protesa di Lucy e la seguii lungo il corridoio. Nel passaggio mi imbattei nella lastra di ghiaccio formata dalla strega. La superai cercando di non scivolarci sopra, impresa che richiedeva tutta la mia attenzione dato il mio precario equilibrio, tanto che non mi accorsi di aver toccato il ghiaccio che ricopriva la parete laterale finché non vidi con la coda dell’occhio la mia mano sopra di esso. In quel momento il mio cuore sprofondò. Non avvertivo il freddo naturale che avrei dovuto provare a contatto con il ghiaccio. Come mai? Il ricordo della piacevole sensazione che il sedere sopra il trono di quel materiale mi aveva causato mi colpì come uno schiaffo. Possibile che fosse solo una conseguenza a breve termine della visione? Come il malessere che provavo? Si, era senz’altro così. Scossi la testa e proseguii il cammino. Doveva essere senz’altro così.

 

*

 

Lo avvertiva distintamente. Il formicolio alla nuca lo stava informando del suo sguardo pressante da quando Cathrine aveva lasciato la stanza. Poteva immaginarsi la posa saccente che Susan aveva assunto, mento rialzato, sopracciglia elegantemente incurvate e mani ai fianchi, senza guardarla.

“Avanti. Stai morendo dalla voglia di dirlo. Lo so” commentò rassegnato.

“Te l’avevo detto” Susan non riuscì a trattenersi e Peter le lanciò un’occhiata di sbieco.

“Cos’altro potevo fare? Buttarla fuori e lasciarla alla mercé dei telmarini?” chiosò ironico.

“Quindi credete che sia tornata davvero, non è solo una vostra idea?” chiese Caspian.

Un deciso quanto lugubre segno di assenso sopraggiunse da Susan.

“Ma è probabile che non abbia ancora riacquisito tutti i suoi poteri o avrebbe già formato un esercito. Non è il tipo di persona che perde tempo” precisò Edmund.

“Infatti non ha perso un secondo” commentò amara Susan.

“In che senso?”

“è entrata in contatto con Cathrine, sa dove si trova.” Spiegò il re di Narnia digrignando i denti.

Peter aveva sperato che non succedesse, che i pronostici di Susan si rivelassero sbagliati. Ma non era successo, e adesso Cathrine era in pericolo e lui doveva assolutamente fare qualcosa per toglierla da quella situazione.

“Ma cosa può volere la strega da Cathrine?” domandò Edmund, più rivolto a se stesso che agli altri.

“Presumo i suoi poteri, magari la vuole come alleata per assicurarsi di non subire mai più sconfitte.” Pestò un piede a terra e aggiunse frustrata “e avrebbe ragione. Già è stato quasi un miracolo che siamo riusciti a batterla quando era sola, se si mettesse con un’altra strega diventerebbe invincibile”

“Quindi dobbiamo impedirle di avvicinarsi a Cate, a qualunque costo, giusto?”

“Esatto Caspian. Non possiamo permettere che la porti dalla sua parte”

“Dubito che Cathrine si metterebbe mai spontaneamente contro di noi. Lei è buona, a differenza di Jadis, non si alleerebbe mai con lei” commentò l’esile ma ferma voce di Lucy, facendo il suo ingresso nella stanza.

“Cathrine?” si informò subito Peter.

Lucy gli sorrise sorniona, spezzando per un secondo la tensione venutasi a creare. “è in camera sua” e gli fece un occhiolino che Peter finse di non cogliere.

“Ma come è possibile che Jadis sappia dell’esistenza di Cathrine? La ragazza non è mai stata a Narnia prima né è mai entrata in contatto con una sua creatura finché ha vissuto a Londra” commentò Susan.

Peter abbassò lo sguardo, gesto che non sfuggì alla sorella.

“Peter? Tu sai qualcosa, vero?” il tono assomigliava molto a quello di un’accusa.

Il biondo sospirò e fece passare il suo sguardo su tutti i presenti prima di aprire bocca riluttante.

“Prima ho dato un’occhiata al ciondolo di Cathrine. Glielo sempre visto al collo ma non avevo mai visto l’effigie che porta sopra” iniziò.

“E questo cosa c’entra?” si interessò accigliato Edmund.

“C’entra” gli rispose Peter tra i denti “perché il medaglione porta recata una J disegnata sopra ad un castello di ghiaccio stilizzato”

“Jadis” sussurrò esterrefatta Susan, la prima a comprendere le parole del re.

Un pesante silenzio avvolse i presenti, impegnati ad assimilare la rivelazione inaspettata.

“Ciò cosa può significare?” riuscì a mormorare Lucy, dopo cinque minuti di elucubrazioni.

“Che Jadis ha sempre saputo dell’esistenza di Cathrine, e che deve averla incontrata quando lei era piccola dato che la ragazza non serba alcun ricordo della strega e afferma di aver avuto da sempre quella collana che sicuramente le ha donato lei” illustrò Peter stringendo i pugni.

“Ma se ha sempre saputo della sua esistenza perché non ha cercato di prendersela da subito? E poi perché regalarle un medaglione se Cathrine non si ricorda nemmeno chi glielo ha dato?”

“Non saprei il motivo del dono però forse non l’ha presa con sé perché non ha potuto, forse…” provò a spiegare il re ma venne interrotto da Susan che battendo il pugno destro sulla mano sinistra esclamò: “Forse l’ha incontrata prima della battaglia che ha avuto con noi e contava di prenderla dopo averci battuto. Non aveva considerato l’opzione di perdere” propose Susan, esaltata dall’illuminazione.

Bastò un secondo perché i restanti si convincessero che quella versione era la più plausibile. Di certo, per darle il medaglione, Jadis doveva essere ancora viva la prima volta che ha incontrato Cathrine e pensava che avrebbe potuto prenderla con sé una volta eliminati Aslan e i Pevensie. Era talmente sicura della sua vittoria che aveva già pianificato azioni successive alla loro guerra, ma quando i suoi piani andarono in fumo, non poté più tornare dalla giovane che rimase con i suoi genitori, ignara della vera origine del suo medaglione e di aver conosciuto Jadis.

“Evidentemente però non siamo riusciti a eliminare del tutto la strega. Forse, per salvarsi la vita, si è auto imprigionata in una sorta di mondo parallelo dove è rimasta per tutto questo tempo, in attesa del momento propizio per tornare” ragionò Edmund.

Caspian annuì e aggiunse “E a quanto pare aspettava solo che Cathrine fosse abbastanza grande per usufruire appieno di una sua possibile alleanza per tornare da lei e, successivamente, in questo mondo da vincitrice”

Susan sospirò. “Temo che sia andata così. Ma ora dobbiamo impedirle di concludere il suo piano. Mi preoccupa il fatto che possa entrare in contatto con lei così facilmente e senza che noi ce ne accorgiamo”

“Non piace nemmeno a me Susan, credimi” commentò Peter.

“Ma c’è una cosa che mi preoccupa ancora di più” proseguì la regina come se non avesse sentito il fratello.

“Cosa?” domandò Edmund.

“Che Cathrine non abbia la minima idea di chi sia la donna misteriosa delle sue visioni e che si fidi di lei. Dobbiamo dirle la verità” e rivolse le ultime parole in particolare al fratello maggiore.

Lui storse la bocca in una smorfia contrariata.

“Peter, so anche io che questa rivelazione le causerà un certo shock. Ho capito che considera quella donna una specie di guida e che ripone in lei la massima fiducia, ma non possiamo permettere che l’ignorare la sua identità le si riveli fatale. Hai visto cosa sta facendo?”

Il ragazzo abbassò lo sguardo. Non voleva sentire le parole di Susan perché sapeva che aveva ragione. per Cathrine il non-sapere era la cosa più rischiosa al momento. Eppure non poteva pensare di fare crollare una certezza ad una ragazza che ne aveva così poche. L’avrebbe destabilizzata. Senza contare il dispiacere nel sapere che l’unica altra strega che conosce è in realtà una delle persone più spregevoli che si possano incontrare. Ma Susan continuò spietata.

“Le sta facendo vivere i pezzi più importanti della sua vita dal suo punto di vista, per farglielo comprendere e accettare, le sta facendo sentire i suoi sentimenti nella speranza forse che a poco a poco diventino anche i suoi, che le dia ragione. Ha odiato sia Aslan che noi, l’hai sentita”

“Si, ma solo finché è durata la visione. Quando ha capito che i ricordi erano di Jadis ha subito rinnegato quei sentimenti.” cercò di minimizzare.

“Per questa volta. E se dovesse convincerla che quello che avverte e pensa lei è la cosa più giusta? Che siamo noi i cattivi? Se dovesse inculcarle il suo modo di pensare e farsela alleata?” insinuò. Sospirò e si avvicinò a Peter, posandogli una mano sulla spalla.

“è furba Peter.” Affermò accalorata “Non sta usando la violenza per farsela amica. Si è conquistata la sua fiducia e a pian piano la sta rendendo partecipe del suo mondo.”

“Per Cathrine al momento la persona di cui si fida e quella alla quale appartengono i ricordi sono due persone diverse. La sua fiducia non va a Jadis”

“Per ora, ma prima o poi la strega le si rivelerà, probabilmente sta cercando di farle svelare il mistero da sola un passo alla volta. Così quando comprenderà sarà entrata nel suo mondo e nel suo modo di pensare quel tanto che basta per far si ché la diffidenza che ora prova per Jadis sia ridotta a tal punto da essere battuta dalla fiducia che prova per la donna. Così finirà per estendere quel sentimento anche alla strega. E ci riuscirà, pensa a quello che le offre. La compagnia di una persona che può comprenderla alla perfezione, di una persona come lei, una strega che le spieghi l’origine dei suoi poteri e che le dia la risposta a migliaia di altri quesiti rimasti da sempre irrisolti.” Si fermò un attimo prima di riprendere con un tono più calmo. “Cathrine se ne sentirà attratta e sentirà di appartenere per forza di cose alla parte di Jadis, se noi non la informiamo per tempo di che persona sia lei e che la suddetta persona coincide con la donna misteriosa delle sue visioni. Ma dobbiamo farlo adesso. Ora che l’odio per Jadis è ancora più forte della fiducia per la donna.” concluse risoluta.

Peter sospirò, battuto.  Purtroppo aveva ragione, il rischio che stavano correndo era enorme, non potevano permettersi un’alleanza tra le due streghe, ma soprattutto, non poteva permettere che Jadis riuscisse ad intrappolare Cathrine in una spirale di false promesse e bugie per sfruttare la sua magia. “D’accordo, gliene parlerò io domani, la metterò in guardia”

“Scusatemi se infierisco, ma a me preoccupa anche un’altra questione” si inserì Edmund.

Quattro paia di occhi si soffermarono sulla sua figura appoggiata alla parete della stanza.

“Ossia?”

“Avete visto cosa c’è in corridoio? Peter, lei hai detto che è stata opera della strega ma sai perfettamente che non è così. Quel ghiaccio lo ha fatto apparire lei, eravamo lì mentre la lastra prendeva forma. Senza contare gli occhi che aveva quando li ha aperti, mi ha fatto sinceramente paura per un attimo”

“Cosa vorresti insinuare Edmund?” domandò Lucy cauta, come se temesse la risposta.

“Che forse il collegamento tra Jadis e Cathrine potrebbe essere più forte di ciò che sappiamo o pensiamo. Solo la Strega Bianca poteva produrre del ghiaccio in quel modo, è stato differente rispetto a come fa apparire le sfere o i fiori. Lì concentra la magia nel palmo e modifica l’ambiente circostante, il ghiaccio proveniva da lei, e Cate ne faceva parte, erano un tutt’uno. E gli occhi quando li ha aperti erano della stessa sostanza della lastra, freddi, calcolatori, quasi crudeli. Identici a quelli di Jadis” si spiegò il ragazzo con calma, posando bene ogni parola.

Peter si alzò di scatto e guardò irato il fratello. “Stai supponendo che Cathrine possa essere una Strega Bianca?” il tono era intimidatorio mentre gli occhi azzurri lanciavano lampi adirati. Il discorso del giovane non gli era piaciuto affatto. Anche lui aveva notato le stesse identiche cose, era stato uno shock quando la sua Cathy sollevando le palpebre gli aveva mostrato uno sguardo glaciale invece del suo limpido e sconfinante nella dolcezza. Ma lo aveva deliberatamente ignorato, la sua mente si era rifiutata di soffermarcisi, come osava ora Edmund porre l’accento proprio su quella questione.

“Dico solo ciò che ho visto” si difese lui sostenendo l’occhiata del biondo.

“Una lastra di ghiaccio non implica niente, potrebbe semplicemente essere stata una conseguenza della connessione mentale tra lei e Jadis. Non possiamo saperlo.” Lucy cercò di intervenire per acquietare gli animi dei due ragazzi.

“Quello che sappiamo invece è che Cathrine è una ragazza buona, che è dalla nostra parte, che è pronta ad aiutarci e che va assolutamente protetta da Jadis.” Aggiunse poi con ardore Peter, sempre guardando truce il fratello.

“In più ha appena rischiato la vita per salvare Peter. Non puoi dubitare di lei” ricordò Susan.

“Non dubito della sua buona fede, sono convinto anche io che Cathrine non ci tradirebbe mai di sua volontà. Temo solo quale sia l’origine dei suoi poteri. Se fosse una Strega Bianca e si venisse a sapere scoppierebbe il finimondo. Senza contare che potrebbe essere un’ulteriore legame con Jadis e che potrebbe aiutare la strega a legarla a sé. Potrebbe fornire un rapporto ancestrale e indissolubile” propose.

“Sono solo supposizione infondate. Non esiste alcuna prova” ribatté Peter con un tono che non ammetteva repliche.

Poi si rivolse nuovamente a Susan. “Domani le parlerò delle nostre convinzioni, non le nasconderò niente, a parte quest’ultimo appunto. È solo una supposizione priva di fondamento, non voglio preoccuparla più del necessario con false notizie riguardo i suoi poteri, intesi?” e con questo chiuse la questione lasciando a gran passi la stanza.

Cathrine non era una Strega Bianca, era indifesa e troppo altruista per esserlo, dell’egoismo e della crudeltà di Jadis non sapeva nemmeno l’esistenza, come poteva provarlo? Era infamante anche solo supporlo. Dirglielo poi era fuori discussione. Non l’avrebbe mai esposta all’accusa ridicola di poter essere simile a Jadis, mai, né glielo avrebbe fatto credere. Né l’avrebbe terrorizzata con l’idea di un… come lo aveva chiamato? Ah, si, rapporto ancestrale che le univa. Era un’idea ridicola.

Arrivò dinanzi alla sua camera quasi senza accorgersene. Posò una mano sulla maniglia e subito si rilassò all’idea che lei era là dentro che lo aspettava, per il momento completamente al sicuro, come avrebbe dovuto esserlo in ogni secondo. L’avrebbe difesa dalla Strega Bianca, non avrebbe permesso che inquinasse il suo animo puro. L’avrebbe ricacciata dal limbo dalla quale era tornata e questa volta per sempre.

 

*

 

Seppellita fino al mento sotto le coperte, aspettavo l’arrivo del mio angelo. Inutile anche solo tentare di prendere sonno. Ero veramente stanca ma ero anche troppo agitata per assopirmi. Ogni minimo rumore mi faceva scattare seduta, impaurita dalla possibilità di ritrovarmi la Strega in camera, venuta a prendermi. Non sapevo come facesse a sapere di me né cosa mai avrebbe potuto desiderare da una diciassettenne però non era difficile immaginare che qualunque fosse il motivo non avrebbe avuto risvolti benevoli per me. In più continuavo ad interrogarmi su cosa mi avrebbe fatto vedere la donna misteriosa se lei non si fosse intromessa. Avrei davvero finalmente scorto la dimora di cui tanto parlava?

Un cigolio mi distolse dai miei pensieri. Una fioca luce entrò dentro la camera mentre la porta si apriva sotto la spinta della mano del giovane re di Narnia. Un sorriso beato mi si dipinse sul volto. Era arrivato.

Mi misi seduta sul letto e gli feci posto. Lui non esitò ad avvicinarsi e si accomodò accanto a me, cingendomi subito le spalle con il braccio. La mia testa trovò meccanicamente posto nell’incavo del suo collo, come se fosse stata fatta apposta per accoccolarsi in quel luogo caldo e morbido, mentre le mie braccia correvano per circondargli il petto e la schiena ampia in un abbraccio.

“Sei arrivato” esordii con un sospiro intriso di serenità. Ora che lui era lì i miei nervi potevano cominciare a rilassarsi così come i pensieri che fino ad un attimo prima si accalcavano confusamente nella mia povera testa.

“Te lo avevo promesso” mi sussurrò tra i capelli. “Come stai?”

“Va meglio. Ho smesso di sentire male per colpa del leone. È rimasta solo la stanchezza” lo assicurai.

“Per quella basta un po’ di sano riposo” commentò. “Psicologicamente invece?”

Sempre così premuroso, pensai con tenerezza.

“Bene, vorrei solo poterne sapere di più sulle motivazioni che spingono Jadis ad entrare in contatto con me. L’incertezza è logorante” aggiunsi ironica cercando di minimizzare l’angoscia che in realtà provavo.

Lui aumentò la stretta, probabilmente capendo anche ciò che avevo taciuto come sempre. “Domani ne parleremo poi con più calma. Ora sei troppo provata per sostenere una discussione seria” promise.

Gli diedi ragione. La lucidità mi aveva abbandonata da un pezzo, era già molto se riuscivo ancora a comprendere le frasi più semplici. Cercai di trattenere l’ennesimo sbadiglio. Ora che ero tra le sue braccia, rilassata e al sicuro, la stanchezza era tornata a bussare prepotente alla mia porta, senza trovare l’agitazione come ostacolo. Ero finalmente in condizione di dormire.

“è meglio che vada, così puoi addormentarti” Peter, notando il mio sbadiglio mal celato, si alzò dal letto ma io gli trattenni il braccio con veemenza, terrorizzata all’idea di rimanere sola.

“No” il tono era simile ad una supplica.

Il sovrano mi guardò sorpreso e io, pur consapevole di star facendo la figura della stupida, proseguii. “Per favore. Non voglio restare sola, non riuscirei a dormire, ho troppa paura”

Calarono cinque secondi di silenzio nei quali io mi maledissi mentalmente per la mia piccola e idiota sceneggiata, ma pregavo con tutto il cuore che accogliesse la mia preghiera. Trattenni il respiro. Sapevo che era una richiesta egoista. Gli stavo chiedendo di trascorrere la notte assieme a me per farmi da angelo custode, probabilmente accettare era troppo anche per lui. In più avrebbe potuto pensare che passare la notte insieme potesse essere troppo impegnativo, in fin dei conti ci conoscevamo da pochi giorni per dormire l’uno accanto all’altro, ma al momento l’etica morale era l’ultima cosa che mi interessava. Avevo bisogno di avvertire la sua presenza, di sentirmi protetta e solo lui sapeva darmi quel senso di sicurezza alla quale anelavo disperatamente.

Poi finalmente scorsi sul suo viso un sorriso comprensivo e… felice? Sospirai di sollievo. Evidentemente non mi aveva giudicata inopportuna né morbosa, aveva compreso la mia preoccupazione, come solo lui sapeva fare. Il mio non era solo un capriccio, avevo davvero bisogno di averlo accanto se volevo sperare di riposare e non cadere in crisi isterica ogni qual volta udivo uno scricchiolio.

“Sei sicura di volere che dorma accanto a te?” mi chiese sorridendomi.

Annuii senza esitare. “Ho bisogno di te” sussurrai e a quelle parole vidi i suoi occhi azzurri scintillare nella semi-ombra. “Ma solo se per te non è un problema” aggiunsi, conscia di non poterlo costringere.

“Se non lo è per te non lo è nemmeno per me. Mi fa sentire più tranquillo anche a me il saperti al sicuro tra le mie braccia” mi confidò premuroso.

Ringraziai il cielo che la luce in quella stanza fosse poca altrimenti mi avrebbe vista divenire bordeaux. Non poteva dirmi queste cose senza preavviso, il mio cuore non era abituato a scattare come un corridore, rischiavo di farlo morire un giorno o l’altro.

Si riaccomodò al mio fianco e io gli feci posto sotto le coperte. Rimisi la mia testa al suo posto mentre il suo braccio tornava a circondarmi le spalle.

Colta dalla beatitudine più totale mi raggomitolai contro il suo petto, inspirando a pieno polmoni il suo odore inconfondibile e delizioso e la sua mano cominciò lenta e rassicurante ad accarezzarmi i capelli.

“Grazie” mormorai a mezza voce, già sulla via del sonno. Lui mi baciò delicato la fronte e il mio cuore fece un altro scatto.

“Dormi mia piccola stella. Veglio io sul tuo riposo”

Ora finalmente avrei potuto addormentarmi. Accanto a lui i rumori non mi procuravano più timore, il buio perdeva il suo carattere intimidatorio per diventare un mantello caldo e sicuro che nascondeva il nostro dolce abbraccio.

Il sonno mi accolse tra le sue spire, ma non caddi tra le braccia di Morfeo. Il Dio greco potevo lasciarlo agli altri, io avevo il mio angelo custode. Difatti fu tra le sue braccia accoglienti e con mute promesse di amore che riuscii in fine a trovare riposo.

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Capitolo 12
*** 11_Tra il passato e il futuro c'è l'amore ***


Ciao a tutti^^! e finalmente Keira riuscì a finire l'undicesimo capitolo! Ormai disperavo io per prima di giungere al termine -.-! Però alla fine ci sn riuscita e spero tanto che vi piaccia :-) mi scuso in anticipo per gli amanti della coppia SusanxCaspian perchè il capitolo è interamente incentrato su Cathy e Peter però mi farò perdonare con il prossimo ^^  ci sn molti sviluppi in qst cappy, il romanticismo si mescola alle rivelazioni^^ spero che il mix sia riuscito bene! 

Vi auguro una buona lettura, grazie di cuore a coloro che hanno letto e/o aggiunto la ficcy tra i preferiti^^ thanks^^!

Ringraziamenti:

risotto: nn ti devi scusare sono ioche ti ringrazio tantissimo per la tua recensione e per l'entusiasmo con la quale segui la storia, grazieeeee^^!!!! **!!!  Sn davvero felice che ti piaccia così tanto :-)!!!! In qst cappy purtroppo Susan e Caspian lasciano il campo a Cathy e Peter però ti assicuro che il prossimo cappy aprirà proprio con loro due,quindi avranno il loro riscatto :-)! Spero che il cappy nn ti deluda anche se è senza di loro due :-) fammi sapere cosa ne pensi ^^ ti mando un bacio grande grande^^!

debby95: glasie^^! addirittura strepitoso, troppo buona :-)! Sono contenta che ti sia piaciuto il capitolo! spero che anche questo ti piaccia come il precedente ^^  fammi sapere come ti è parso :-) kisskisses ^^!!

noemi_moony: sono stra felice che la storia ti piaccia così tantoooo^^!! grazie infinite:-)! E mi fa piacere sapere che ti sei immersa così tanto nella trama ^^! Questo cappy è interamente dedicato a Peter e Cathy quindi spero tanto che ti piaccia  e che li troverai teneri come solo loro sanno essere ;-)! Fammi sapere se ti è piaciuto, ti mando un grande abbraccio!!

KissyKikka: ciao! Non è necessario che ti scusi anzi, ti sono super grata del fatto che apprezzi  tanto la mia storia al punto da voler dedicare così tanto tempo alla sua recensione, nn ho parole **!!! Grazie di cuore :-)!!!!!!!!!!!!!!! Aspetto la tua recensione allora, grazie ancora**!!!!!!! Però nn vorrei diventasse un peso dover recensire il capitolo,  mi piacciono davvero molto le tue recensioni super argomentate però quando non riesci per mancanza di tempo o ispirazione nn preoccuparti, nn vorrei fosse un obbligo >< nn mi azzarderei mai a criticare nessuno per una mancata recensione, sono già contenta sapendo che la storia ti piace e che l'hai letta, ogni recensione è un regalo in più, specialmente le tue così ricche e buone nei confronti della ficcy :-)!!! Spero comunque che riuscirai a trovare il tempo per recensire :-) anche se in caso contrario nn ti devi preoc :-) ti mando un ringraziamento grande grande e un bacio ancora più grande!! ^^!!

sweetophelia: Ciao! Wow addirittura scrivere un libro!!!!! Sei troppo troppo buona!!!! Non dico che nn mi piacerebbe, anzi, sarebbe senz'altro un sogno :-) ma temo dovrà passare ancora un sacco di acqua sotto i ponti prima che riesca realmente a scriverne uno! Però la speranza è l'ultima a morire come si dice :-)! Intanto di ringrazio veramente tanto :-)!!! Hai ragione sul fatto che Cate deve tenere gli occhi ben aperti, le insidie e i pericoli sono alle porte ormai, già in questo capitolo verrà fatta la prima mossa, ma nn aggiungo altro :-) Spero che il cappy ti paiccia, fammi sapere ciò che ne pensi ^^! Un bacio grandeee^^!

Vi lascio alla lettura

Un bacio a tutti coloro che leggeranno e/o recensiranno!

Kisskisses

68Keira68

witch

11_Tra il passato e il futuro c’è l’amore

 

Nella quiete beata della stanza, mi giovavo della magnifica sensazione della consapevolezza di aver dormito tra le braccia di Peter, il mio angelo che ieri sera aveva accettato di trascorrere la notte accanto a me per farmi addormentare. Potevo affermare che ci era riuscito. Erano passati a mala pena cinque minuti da quando si era sdraiato accanto a me che già dormivo profondamente. Ed era stato uno dei sonni più ristoratori che avevo fatto da quando la donna misteriosa aveva iniziato le sue visite. Non era venuto nessuno a disturbarmi, né avevo fatto brutti sogni, poiché nemmeno gli incubi osavano sfiorarmi se c’era lui a proteggermi.

Una parte di me, una piccolissima parte di me, era cosciente che avrei dovuto quanto meno provare un lieve imbarazzo all’idea di aver passato la mia prima notte con un ragazzo, eppure il disagio era l’ultima delle mie emozioni al momento. Al contrario, mi sentivo in pace con me stessa. Una sensazione di benessere mi cullava portandomi alla deriva della mia coscienza, dove dimoravano unicamente i pensieri lieti. Le preoccupazioni al momento erano state bandite. Forse lo stare tra le sue braccia protettive mi sembrava così giusto perché lui era la persona giusta. La persona che amavo e dalla quale dipendeva la mia intera esistenza.

Si, era senz’altro per questo motivo.

Aprii gli occhi e mi godetti a pieno la visione che mi veniva offerta. La stanza era illuminata dai raggi del sole mattutini che si facevano strada dalla finestra fino al volto di Peter. Stava ancora dormendo, i lineamenti erano rilassati, gli angoli della bocca distesi in un accenno di sorriso. Chissà cosa stava sognando che gli conferiva un’aurea di così assoluta tranquillità. Cedetti all’impulso irresistibile di sfiorare quel viso perfetto. Mi appoggiai su un fianco per scostargli il ciuffo biondo dagli occhi ora chiusi e lasciai che le mie dita percorressero il profilo del suo volto. Iniziai dalla fronte, scendendo giù per le palpebre, accarezzai lo zigomo destro fino al mento, poi risalii su e delicatamente toccai il contorno delle sue morbide labbra. Al mio contatto esse si dischiusero e prima che me ne accorgessi, depositarono un casto bacio sulle mie dita. Le sue palpebre mi regalarono lo splendore dei suoi zaffiri illuminati da un sorriso spontaneo.

“Buongiorno mia stella” mi salutò la sua voce vellutata se pur incrinata dal sonno.

“Ben svegliato”

Mi avvicinò a sé  con delicatezza e mi scoccò un bacio sulla fronte.

“Dormito bene?”

“Meravigliosamente.” Gli assicurai stiracchiandomi le braccia nonostante lo spazio disponibile, dato il suo abbraccio, fosse poco. Ciò nonostante me lo feci bastare, non mi sarei sciolta da quella posizione nemmeno se avessi avuto tutte le ossa in criccate. “Tu?”

“Meravigliosamente” mi copiò probabilmente divertito dal tono estasiato che avevo incoscientemente utilizzato.

Adagiai la mia testa sul suo petto e chiusi gli occhi, beandomi del ritmo costante del suo cuore mentre la sua mano mi accarezzava il braccio.

“Sai, temo che prima o poi dovremmo alzarci dal letto” suggerì dopo diversi minuti Peter.

Scossi la testa. “No, non credo sia necessario” risposi noncurante. Per me potevano anche chiuderci a chiave dentro e lasciarci lì.

Ridacchiò, facendo rimbalzare i miei boccoli rossi sulla sua camicia bianca.

“Nemmeno io Cathy, ma sono certo che mia sorella non sia dello stesso avviso come anche gli altri. Non vorrei vedere Susan entrare come un tornato in camera e buttarci fuori di peso” osservò ilare.

Feci una smorfia. Già mi immaginavo il “sergente Susan” sbattere la porta e cominciare a sbraitare su quanto lavoro ci fosse da fare e su come dovevamo renderci utili per Narnia invece di stare a poltrire a letto.

“Sia mai che mi perda i miei esercizi” commentai sarcastica, rattristandomi alla sola idea di sciogliere l’abbraccio. Non c’era un modo per saldare le sue braccia alle mie spalle vero? Peccato.

“Se ti può rallegrare, oggi non farai le tue esercitazioni”

Guardai il biondo con occhi adoranti. “Davvero?” Se era la verità, quella si prospettava una giornata splendida.

Il re annuì sorridendo alla mia reazione. “Ti porto in un posto” disse con aria di chi la sa lunga.

“Un altro dei tuoi posti segreti?” Gli chiesi ilare.

“Lo vedrai”

Gli feci la linguaccia per la risposta vaga e lui scoppiò a ridere.

“Vestiti Cathy. Io vado sotto a preparare psicologicamente Susan alla nostra partenza e a vedere se in cucina è rimasto qualcosa da mangiare dato che ormai sarà mezzogiorno passato” mi avvisò.

“Mezzogiorno?” ripetei incredula. Avevamo dormito per così tanto tempo?

“è stata una notte lunga” mi ricordò con tono allusivo.

Annuii, tornando seria pensando alla serata appena trascorsa. Era stata davvero lunga. Scossi la testa come per far scivolare via da me quei pensieri. Non volevo soffermarmici adesso. Era una mattinata così bella, non volevo rovinarla con stupide elucubrazioni.

Peter uscì dalla stanza seguito dal mio sguardo, dopodiché mi diressi al cassettone pronta a rispettare la consegna affidatami. Lo aprii, trovandomi dinanzi una discreta scelta di vestiti fornitami gentilmente da Lucy. Ne afferrai uno blu cobalto e lo appoggiai sul letto, dopo mi dedicai alla sottile arte denominata “togliere con successo e senza avere una crisi isterica un vestito medioevale”, cosa tutt’altro che semplice e che ogni volta mi ricordava quanto mi mancassero i jeans.

Cercai di ricordarmi i consigli di Susan e cominciai a sfilare i nastri e nastrini che mi imprigionavano dentro il tessuto viola. Fu una battaglia senza esclusione di colpi ma alla fine ebbi la meglio sull’abito, che appallottolai sul letto con grande soddisfazione. Agguantai l’altro, lieta che infilare quelle trappole era molto più facile che toglierle. Messo al suo posto anche l’ultimo nastrino guardai il risultato allo specchio. Scollo a V, maniche a sbuffo con pizzetto sull’orlo, corpetto morbido che fasciava i fianchi, cintura azzurra con motivo a fiore che dava inizio ad una gonna ampia e liscia. Lucy aveva davvero buon gusto, occorreva ammetterlo. Presi la spazzola e mi sistemai i capelli per quello che i ricci consentivano, pensando inorridita che Peter aveva visto il pietoso spettacolo della mia capigliatura di prima mattina. Pazienza, mi aveva trovata in mezzo ad un bosco dopo due giorni passati in mezzo agli alberi, se aveva sopportato quello avrebbe certamente superato anche questo.

Soddisfatta del risultato, ora che i capelli ricadevano nuovamente morbidi sulle spalle e non erano più aggrovigliati sul mio capo, infilai le ballerine e mi diressi al piano di sotto, sperando che Susan non avesse legato Peter ad una sedia per farlo restare. Anche se, pensai furbescamente, in tal caso avrei sempre potuto addormentarla e fuggire con il ragazzo.

Discesi le scale giungendo nell’ingresso, trovandola come sempre piena di indaffaratissime creature mitologiche. Anche troppo impegnate per essere creature teoricamente inesistenti… considerai ironica.

“Cathrine!” un fulmine castano mi circondò la vita in meno di un secondo.

“Buongiorno anche a te Lucy” salutai la bimba ridendo del suo modo di fare espansivo.

“Come stai?” si informò subito scostandosi quel tanto che bastava per fissarmi in viso.

“Bene grazie. Ho riposato come un angioletto” la rassicurai. Mai parole furono più vere.

Lucy mi sorrise maliziosa. “Oh, ne sono certa. Tutto merito del cuscino vero?” e mi fece l’occhiolino.

Divenni rossa di colpo per la battuta e per togliermi dall’imbarazzo le pizzicai un fianco. “Spiritosa!”

Cercai di cambiare in fretta argomento. “Piuttosto, sai dove si trova Peter?”

D’accordo, ammetto che quella non era la migliore delle domande per sviare il discorso da me e il biondo, ma avevo bisogno di quell’informazione, cos’altro potevo fare? Comunque fortunatamente Lucy parve intuire il mio stato d’animo e non lanciò altre frecciatine.

“è nella stalla. Presumo ti stia aspettando” mi informò.

La risposta mi sorpresa. Possibile che il sergente avesse dato il via libera così velocemente?

“Scusami, ma non è andato da Susan?”

“Si ma lei non ha fatto storie. Ha chiesto solo di non far tardi che domani ci sono gli ultimi preparativi”

“Wow” esclamai stupefatta. La veglia notturna l’aveva provata al punto da rabbonirsi così tanto? Decisi che era meglio non indagare oltre ma di cogliere al volo l’occasione.

“Bene, allora scappo prima che cambi idea. Salutami Edmund e gli altri e ringraziali per questa notte” la salutai con un bacio sulla guancia.

“Divertitevi piccioncini” disse facendo ritornare l’occhiata sorniona di prima.

Le feci la linguaccia mentre mi dirigevo verso l’esterno. Figuriamoci se non doveva dare la frecciatina finale.

Con un’agile slalom tra carpentieri e improvvisati armaioli, riuscii a raggiungere la porta d’ingresso.

Una volta all’aperto lasciai che i miei occhi si abituassero gradualmente alla calda luce di mezzogiorno. Quando finalmente vidi con chiarezza il consueto scenario della valle verde e rigogliosa dinanzi a me, mi mossi verso la stalla, godendomi la brezza tiepida che mi accarezzava donandomi un lieve sollievo dal calore dei raggi.

Pochi passi e raggiunsi la mia meta, una seconda apertura sul lato destro dell’edificio che immetteva in un grande ambiente diviso in più rettangoli da steccati in legno. Il pavimento era interamente ricoperto dalla paglia e cumuli di fieno erano disseminati in tutti gli anfratti, così come gli abbeveratoi. Ogni rettangolo era aperto, non un solo lucchetto osava entrare nella stanza come non si trovava un solo cavallo legato alla palizzata, cosa impensabile nelle stalle di Londra. Ma dopotutto anche i cavalli che lì vi abitavano erano impensabili nell’Inghilterra che conoscevo io. Gli equini nel mio mondo non parlavano e di certo non erano acuti come quelli qui presenti che al momento stavano conversando tra loro come se fossero inquilini di un appartamento invece che dei cavalli in una scuderia. La scena, se vista da un estraneo, era senz’altro assurda e inconcepibile, ma dopo alcune settimane ci avevo fatto l’abitudine. Incredibile che si riesca ad adattarsi a tutto, anche agli equini parlanti.

“Ma guarda, la miglior cavallerizza che Narnia abbia mai visto” una voce sarcastica mi giunse da sinistra.

Rettificai immediatamente il pensiero di prima. A tutto si, ma non agli equini parlanti vanesi e ironici.

“è sempre un piacere Fulmine” gli risposi simulando un tono di sufficienza. Sentii dei nitriti divertiti provenienti da un paio di cavalli accanto al mio. Fantastico, chissà cosa gli ha raccontato quel simpaticone di Fulmine, ormai sarò diventata lo zimbello dell’intera scuderia, pensai digrignando i denti.

“Eccoti finalmente, temevo ti fossi riaddormentata” una voce ben più piacevole mi si avvicinò.

“Sono stata trattenuta da Lucy, voleva sapere come stavo” gli spiegai sorridendo e ignorando completamente Fulmine.

Fece cenno di aver compreso . “Ora che sei qui, possiamo partire.” Mi prese per mano, ci avvicinammo a Fulmine e mi aiutò a salire in sella.

“Era troppo ottimistico sperare che dopo giorni e giorni imparassi a montare da sola vero?” commentò sarcastico il cavallo. Gli diedi un colpetto con i talloni come risposta.

Intanto Peter mi si era accostato in groppa al suo destriero, che avevo scoperto si chiamasse Dexter, e insieme uscimmo dalla stalla al galoppo, andando incontro al caldo sole estivo.

Solo due metri dopo il mio stomaco mi ricordò di un piccolo e insignificante dettaglio che avevo tralasciato.

“Peter, giusto per curiosità, nel posto in cui mi stai portando c’è una cucina?” domandai preoccupata.

Lui mi lanciò un’occhiata confusa. “C’era, ora però temo sia inagibile. Perché?”

“Perché io non ho fatto né colazione né pranzo” gli rammentai costernata. Non avrei toccato cibo fino a sera?

Mi sorrise malandrino. “Ho pensato a tutto io, ho fatto un salto in cucina prima di andare nelle scuderie” e diede qualche colpo leggero con la mano ad una sacca appesa alla sella.

La mia pancia sospirò di sollievo. “Meno male. Comunque sia nei peggiori dei casi c’era sempre Fulmine” scherzai simulando un tono calmo.

Il cavallo in questione a quelle parole si agitò e nitrì forte. Mi appiattii immediatamente sulla sua schiena, tenendo forte le redini, pronta ad una reazione simile.

“Ehi, ti stavo solo prendendo in giro!” gli urlai tra le risate, seguita a ruota da Peter.

“Prova a ripeterlo e ti disarciono” mi minacciò Fulmine, affatto divertito.

“Come sei suscettibile” commentai guardandomi attorno ancora ridendo. Avevamo oltrepassato la lunga vallata verde che circondava l’edificio e ci eravamo addentrati dentro la foresta, tra gli alberi secolari di Narnia profondamente addormentati. I raggi solari filtravano allegri tra le fronde creando particolari giochi di luce sulle foglie e sui tronchi abitati dai piccoli animali del bosco. La quiete regnava sovrana e io potevo respirarla a pieni polmoni insieme all’odore della resina e del muschio, un vero tocca sana per una ragazza abituata solo all’inquinamento cittadino. Passarono quindici minuti dove l’unico rumore era quello procurato dagli zoccoli dei nostri cavalli al trotto, ma come sempre mi succedeva con Peter, il silenzio era tutt’altro che sgradito. Eravamo semplicemente rilassati, lieti l’uno della presenza dell’altro e tanto bastava a renderci felici. Le parole in quel momento erano superflue.

Feci passare altri dieci minuti godendomi l’atmosfera prima di pronunciare una frase con il solo scopo di sentire la sua voce argentea in risposta.

“Potresti dirmelo dove mi stai conducendo” insinuai, certa che non me lo avrebbe rivelato mai.

“Te l’ho detto. In un bel posto” mi rispose, accontentando il mio inespresso desiderio.

“Ah, ah, spiritoso”

Lui sorrise divertito, poi mi fece cenno di guardare davanti a me con il capo. Obbedii incuriosita. Eravamo quasi alla fine del bosco, gli arbusti si facevano più radi e la luce ci raggiungeva con meno impedimenti. “Se riesci a rimanere in sella, tra poco siamo quasi arrivati” mi prese in giro.

La presi come una sfida. Assottigliai lo sguardo e lo provocai “Vuoi vedere che arrivo laggiù” ed indicai con il capo il limitare della foresta “prima di te?”

“Cathy, per favore, non voglio che tu ti faccia male correndo, limitiamoci al galoppo ok?” mi redarguì ironico.

Sapevo che non avevo la benché minima possibilità di batterlo se avessi dovuto basarmi solo sulle mie abilità di cavallerizza. Probabilmente mi sarei davvero fatta male, come pensava il biondo, ma per mia fortuna non dovevo far conto su me stessa. Se la gara avesse avuto realmente luogo, avrei riposto la mia fiducia in Fulmine. Poteva essere irritante e vanesio ma ero certa fosse un ottimo cavallo pur non intendendomene particolarmente. Con lui potevo avere qualche possibilità di vittoria, dovevo solo rimanere aggrappata alla sella. “Ma certo, se non te la senti posso accettare la storia che lo fai per il mio bene come scusa.” suggerii melliflua, sicura che dopo quelle parole avrebbe accettato la gara.

Difatti… “D’accordo, se ci tieni ad essere sconfitta, accetto la sfida” dichiarò alzando la mano in alto. “Al mio segnale”

Io mi accucciai sulla schiena del mio destriero per sussurrargli all’orecchio scuro “Fulmine, mi raccomando, devi farmi vincere, non deludermi”

Il cavallo alzò la testa altezzoso “Mi hai preso per un novellino? Io sono Fulmine di nome e di fatto. Piuttosto tu tieniti forte e non cadere” esclamò.

Sghignazzai alla risposta e accettai il consiglio aumentando la presa sulla sella e stringendo le gambe ai fianchi del cavallo, poi aspettai pronta il segnale di Peter.

“Tre, due, uno…via!” e abbassò la mano.

Partimmo entrambi con uno scatto veloce. Mi accucciai ancora di più sul dorso del mio destriero, nel tentativo di ripararmi dal vento che improvvisamente colpiva violento il mio viso a causa dell’aumento di velocità. Mi fu subito chiaro che Fulmine non aveva peccato di megalomania. Andava davvero veloce, tanto che bastarono pochi passi per staccare il povero cavallo bianco di Peter che attualmente si affannava per recuperare il terreno perduto. Avevo ben riposto la mia fiducia, la vittoria era nostra. Il traguardo era quasi raggiunto, decisi quindi di godermi gli ultimi metri a testa alta, gustando l’ebbrezza della velocità. Il mio cuore batteva veloce in sintonia con il galoppo del cavallo, sentivo l’eccitazione scorrere insieme al sangue ed era una sensazione stupenda, mi faceva sentire libera. Con i capelli in balia del vento e gli occhi accessi dall’euforia, raggiunsi la meta prescelta insieme al mio compagno di squadra.

“Vittoria!” urlai felice e ridendo.

Fulmine fece un paio di salti, molto piccoli per non disarcionarmi, e corse in cerchio  qualche minuto per festeggiare.

Poco dopo ci raggiunsero anche Dexter e Peter, il primo con il fiatone, l’altro con sguardo di sufficienza.

“Vittoria” mi scimmiottò “ma se ha fatto tutto Fulmine? Tu non hai contribuito minimamente!” si lamentò. Lo stallone in questione nitrì di approvazione meritandosi uno scappellotto da parte mia sul lungo collo, anche se sicuramente fece più male a me alla mano che a lui.

Rivolgendomi poi a Peter scossi la testa e gli sorrisi saccente. “Ti ricordo che sono il cavaliere di Fulmine, quindi i suoi successi si estendono automaticamente a me” gli feci notare.

Sbuffò sonoramente e scese con un salto giù dal suo cavallo, mormorando un “Come no, ne riparliamo quando dovrai cavalcare un destriero di Telmar o di un'altra città e non più uno di Narnia, d’accordo?”

Feci una smorfia divertita. Certo che non ama perdere…

Mi si accostò e mi prese per la vita, offrendomi le sue braccia, che accettai senza esitazione, come sostegno per scendere.

“Vieni, siamo arrivati” mi informò lasciandosi la sfida e i cavalli alle spalle.

Mi guardai attorno. Eravamo su un promontorio alberato che dava sul mare preceduto da uno spicchio di spiaggia bianca. C’erano alberi da frutto e cespugli fioriti disseminati per la vasta porzione di territorio interamente ricoperta di verde. Anzi, quasi interamente verdeggiante. Delle rovine, nascoste per buona parte dall’edera e dal muschio, occupavano il centro del promontorio. Mi ricordarono le rovine dell’arena davanti all’edificio dove stazionavamo.

“è un altro dei vostri avamposti?” domandai anche se ne dubitavo fortemente. La costruzione che avevamo lasciato quella mattina era rovinata ma ancora abitabile. E soprattutto era ancora in piedi mentre l’edificio che probabilmente una volta faceva bella mostra di sé in quel posto era stato raso al suolo. Ne restavano solo le fondamenta e qualche pilastro portante.

“No” mi rispose infatti Peter. “Questa era casa nostra” aggiunse in seguito facendomi stringere il cuore nel sentire la forte nota malinconica della sua voce. Lo guardai in volto, cercando i suoi occhi per un contatto, ma il suo sguardo era lontano, diretto alle rovine, ma dalle sue pupille vacue compresi che non stava fissando le pietre color sabbia. I suoi zaffiri stavano focalizzando cose che solo lui poteva vedere. La sua espressione era contrita e lontana nel tempo. Probabilmente al posto dei miseri resti che guardavo io ora, stava rivedendo la sua casa quando era ancora in piedi, imponente e familiare. Rimasi un secondo a bocca aperta quando finalmente realizzai ciò che mi aveva detto, mettendo in secondo piano il tono con cui l’aveva pronunciato.

Quella era casa sua. O meglio ciò che ne restava. E questo significava che Peter aveva abitato su quel promontorio insieme ai suoi fratelli più di milletrecento anni fa. Quelle rovine avevano oltre un millennio di storia di cui Peter era parte integrante. Era un concetto talmente surreale che la mia mente era incapace di assorbirlo fino in fondo, limitandosi a prendere coscienza solo della superficie. Quel posto era dove Peter aveva vissuto nei tempi d’oro di Narnia ed ora che era distrutto, lui stava soffrendo. Un altro pezzo del suo passato che era stato disintegrato.

“Ora sono solo vecchie rovine ma una volta questo era il luogo più sfarzoso dell’intera Narnia sai?” la sua voce, ancora lontana come i suoi ricordi, mi riscossero. “Era il castello dei quattro troni, il palazzo dove i quattro ragazzi della profezia avrebbero abitato una volta salvata Narnia” fece una piccola pausa prima di proseguire. “Questo è quel che rimane di Cair Paravel.” Pronunciò con un sospiro affranto.

Il ricordo del graffito con il castello dorato mi sopraggiunse, lasciandomi esterrefatta. Ma lo stupore cedette il posto alla desolazione ben presto, pensando alla fine che quella gloriosa costruzione aveva fatto.

“è stata l’usura del tempo?” mormorai.

“No, Cair Paravel è stata attaccata” mi spiegò amaro.

Strabuzzai gli occhi. “Attaccata? Ma chi avrebbe osato dichiarare guerra al castello dei regnanti?” 

“Non era più il castello dei regnanti” rispose riprendendo le mie parole “quando è stata colpita io e i miei fratelli eravamo tornati a Londra, Narnia era senza una guida e i telmarini hanno colto l’occasione per attaccarci e sterminarci. Non hanno lasciato in piedi nulla, hanno calpestato le nostre case e i nostri luoghi senza rimorso, costringendo il mio popolo, o quello che ne era rimasto, a rintanarsi per secoli nel cuore della foresta, mentre quest’ultima si è chiusa in sé stessa”. L’ultima nota fu sibilata. I suoi occhi erano accesi dall’ira e le mani, strette a pugno, tremavano. Non potevo sopportare di vederlo così, dovevo cercare di consolarlo, fargli sapere che gli ero vicino.

Presi una sua mano con la mia destra e me la portai al petto, mentre gli adagiai la sinistra sul viso, facendo una lieve pressione, più simile ad una carezza, per dirigerlo verso di me. Cercai un contatto visivo che finalmente non mi negò e incrociai quegli zaffiri infuocati, desiderosi di riscatto per sé e per il suo popolo. Gli sorrisi e ricambiai il suo sguardo tentando di trasmettergli tutta la dolcezza che mi era possibile. Alla fine funzionò, il fuoco divenne più mite fino a spegnersi, e la mano, ancora adagiata all’altezza del mio cuore, si dischiuse e afferrò la mia, stringendola con calore.

Mi sorrise sghembo, mozzandomi il fiato come sempre e mi sussurrò un “Grazie”. Poi aggiunse con tono più risoluto “Vieni, ti faccia visitare ciò che resta” e mi condusse tra le pietre e l’edera tenendomi per mano, un caldo contatto che non avrei mai interrotto volontariamente.

Percorremmo qualche metro e ci fermammo su una lastra di marmo leggermente rialzata rispetto al resto e ricoperta quasi interamente dall’erba. Probabilmente era una delle poche porzioni di pavimento che si erano salvate. Sopra svettavano quattro massi a distanza regolare uno dall’altro e da una forma insolita.

“Questa era la sala del trono” mi illustrò Peter con un ampio gesto del braccio. “Quelli” ed indicò le quattro pietre allineate “erano i troni dei miei fratelli e di me” mi fece voltare dando le spalle ai seggi ormai irriconoscibili e ignorando la mia espressione allibita “e qui c’era un lungo corridoio delimitato da colonne di marmo e sormontato da un cupola di cristallo, talmente grande che quando il sole brillava la si poteva scorgere da qualsiasi parte del regno.” Mi raccontò lasciandomi ammaliata.

Con gli occhi della mente cercai di figurarmi come doveva essere stato quel castello milletrecento anni fa. Alto, artisticamente perfetto e imponente, doveva certamente trasudare potere e bellezza da ogni angolo, fungere da specchio ad una corona solida e ben tenuta che amministrava un regno prospero e felice. Non potei evitare di pensare con ironia che la sua funzione non era cambiata. Come infatti da intatto rispecchiava una popolazione in pace e lieta, ora da distrutto rifletteva un paese in ginocchio e stremato dalla guerra. E forse era proprio il significato che quelle rovine portavano con sé a ferire il cuore nobile del re più della disintegrazione del castello. Cair Paravel era simbolo di pace e di potere e come tale era stato calpestato insieme all’armonia che regnava su Narnia.

“Da di là, si raggiungevano le stanze private, mentre qui, al fondo del corridoio un terrazzo dava sul mare” proseguì il ragazzo conducendomi verso quest’ultimo punto, anche se del terrazzo rimaneva solo una grande lastra di pietra sul limitare del promontorio. Ci sedemmo su essa, con i piedi a penzoloni, e godemmo di una spettacolare vista sul mare, simile ad una tavola blu.

Mi lasciò la mano e fece scorrere il braccio attorno alla mia vita, stringendomi a sé. Io non opposi resistenza, appoggiai il mio capo sulla sua spalla e portai la mano destra sul suo petto.

Inspirai a fondo l’aria salmastra portata dal vento e puntai lo sguardo su Peter. Era ancora distante, perso nei suoi ricordi. Chissà quanto doveva soffrire per quella situazione, non riuscivo nemmeno ad immaginarlo. Avessi potuto caricarmi le sue angosce sulle mie spalle lo avrei fatto senza esitare pur di rivedere quegli occhi del loro limpido e sereno azzurro senza quell’ombra scura che li rendeva cupi.

“Un penny per i tuoi pensieri” mormorai.

La mia voce lo riportò al presente. Mi guardò e mi sorrise con l’angolo della bocca, accarezzandomi il mento con l’indice e il pollice. “Stavo solo ricordando quello che ho provato la prima volta che ho messo piede qui” mi rivelò malinconico.

“E com’è stato?” chiesi. Ero sicura che parlarne lo avrebbe aiutato a stare meglio, trincerarsi dietro i suoi ricordi gli avrebbe solo fatto male al cuore e alla mente.

“Indimenticabile. All’epoca ero solo un ragazzino che non aveva la benché minima idea di cosa significasse governare un regno e quando vidi tutte quelle persone che si inchinavano a me in questa sala così maestosa, ricordo che ne fui terrorizzato. Mi chiedevo se sarei stato all’altezza di quel ruolo, delle aspettative dei sudditi, ma ero anche ammaliato da questo mondo meraviglioso che sentivo già inspiegabilmente mio e sapevo che non lo avrei abbandonato, che avrei fatto di tutto per essere un re giusto e capace” mi raccontò, con gli zaffiri che tornavano a poco a poco a brillare di quella vitalità gioiosa che tanto amavo mentre narrava.

“E ci sei riuscito. Sei il re migliore che Narnia abbia mai avuto” affermai.

Lui chinò la testa in segno di ringraziamento. Poi però il sorriso si smorzò.

“Cosa c’è?” domandai preoccupata.

“Non è del tutto vero. Se fossi stato realmente il re bravo e capace che mi proponevo di essere, ora il mio regno non sarebbe sull’orlo della distruzione. Un re bravo e capace non abbandona il suo popolo” osservò amaro.

Mi allontanai da lui quel tanto che bastava per scuotergli il braccio con ambo le mani. “Non puoi pensarlo seriamente. Il popolo ti adora, hai un esercito che è pronto a seguirti fino alla morte perché ha fiducia in te e sa che li salverai. E questo perché hai sempre regnato con giustizia e bontà, non puoi non riconoscerlo” protestai.

“Ma li ho abbandonati” insistette lui.

“Ma non per tua volontà. Sei stato allontanato per cause di forza maggiori, non hai colpa. E comunque ora che c’è di nuovo bisogno di te sei tornato e sei pronto a combattere come hai già fatto in passato. Solo questo conta. Quando il tuo popolo ti chiama rispondi sempre senza esitare, e Narnia lo sa.”

Mi fissò con serietà soppesando le mie parole finché non parve convincersene. A quel punto mi baciò tra i capelli stringendomi forte a sé. “Cathy, come fai?” mormorò scuotendo la testa.

Mi accigliai, confusa per le sue parole e per il suo tono basso che aveva mandato la mia mente in vacanza. “Fare cosa?”

“A scacciare i sensi di colpa dal mio cuore. Quando sto con te le nubi che lo circondano si dissolvono, liberandolo”

Le mie gote arrossirono e chinai la testa. “Ne sono felice, perché dal tuo benessere dipende il mio. Posso essere contenta solo se lo sei anche tu, dovresti saperlo” confessai in un sussurro appena udibile mentre Peter mi scompigliava affettuosamente i capelli.

Un tuono in lontananza mi fece sussultare all’improvviso. Voltai lo sguardo in direzione del rumore e vidi grosse nubi grigie, che macchiavano il cielo solo poco prima limpido, provenire dal mare.

“Tra poco ci sarà un temporale” commentò Peter. Si alzò e mi porse la mano per aiutarmi.

“Andiamo via?”

“Tra poco, preferirei non tornare a casa bagnato fradicio. Prima voglio farti vedere una cosa però” disse.

Mi riprese per mano e mi condusse lungo le rovine fino ad arrivare ad una pietra più grande delle altre. Con poche mosse la liberò dall’edera che l’incatenava e cominciò a spingere a lato finché essa non si scostò rivelando di essere una porta che dava su un’apertura segreta. O meglio su un tunnel interminabile a giudicare da una prima occhiata.

“Scusami, ti dispiacerebbe illuminare la via?” mi chiese educato Peter.

Ci misi qualche secondo per comprendere la sua richiesta. Era la prima volta che mi chiedevano con tanta tranquillità e in un frangente così banale una dimostrazione di magia. Se mi avesse domandato dei fiammiferi avrebbe utilizzato lo stesso tono piatto. Sorrisi contenta e mi affrettai ad esaudire la richiesta. Un semplice gesto della mano e una sfera di luce bianca aleggiò tra di noi.

“Vieni” disse e si incamminò lungo il tunnel con la mia mano al sicuro tra le sue.

“Attenzione ai gradini, non inciampare” mi ammonì.

Il tunnel si rivelò essere invece una corta scala a chiocciola che conduceva ai sotterranei del castello che a quel che sembrava era l’unica parte che si era preservata dal tempo e dagli attacchi. Scesi reggendomi con una mano a Peter e con l’altra all’umida parete di pietra ricoperta di muschio finché il nostro cammino non fu bloccato da un cancello in ferro ormai arrugginito. A Peter bastò una spallata per aprirlo e immetterci così in una sala circolare, caratterizzata da quattro nicchie ospitanti quattro statue tra loro diverse poste dietro ad un numero eguale di scrigni di marmo grandi quanto elaborati.

“Si può dire che questa era la sala dove io e i miei fratelli riponevamo i nostri effetti personali più cari” mi informò Peter avvicinandosi alla statua in centro, quella con le fattezze di un avvenente uomo sulla trentina, regale nella sua armatura e fiero con la spada in mano e la corona in testa. Mi ci volle poco per fare il collegamento.

“Sei tu” sussurrai strabiliata. Quella che avevo davanti era la rappresentazione del re tra una quindicina d’anni. Mi guardai attorno e vidi le altre sculture.

Quella a destra raffigurava una bella donna anch’essa sulla trentina con lunghi capelli e un viso serio e composto. “Susan” mormorai indicandola. La statua accanto invece era quella di una ragazza con un’espressione giocosa e un dolce sorriso, con una ghirlanda di fiori adagiata sul capo. “Lucy” dissi prima di voltarmi alla sinistra della nicchia di Peter. La statua di un giovane uomo con spada, elmo sotto braccio ed espressione serena mi restituì lo sguardo. “Edmund”

Mi rivolsi a Peter. “Incredibile, siete voi tra…quanto? Una quindicina d’anni?” esclamai.

“Più o meno si” mi rispose chiudendo il suo scrigno e infilando qualcosa nella tasca dei pantaloni. Persa nella mia perlustrazione dell’ambiente non mi ero accorta che avesse aperto il suo forziere, però forse era meglio così. Se non mi aveva detto nulla era perché si trattava di una questione privata, forse qualche vecchio ricordo da prelevare per conservarlo e non lasciarlo in balia del tempo.

Mi sorrise e mi fece cenno di seguirlo superando la nicchia di Edmund e fermandosi davanti ad un drappo probabilmente una volta rosso vermiglio ma ora sbiadito e macchiato dall’umidità. Senza contare i numerosi buchi che tarli e topi gli avevano procurato. Il biondo ne prese un lembo con una mano e fece per scostarlo, ma un secondo prima parve ripensarci, si fermò e mi fissò esitante, incuriosendomi.

“Cathy, ascoltami attentamente” iniziò. Superfluo, come se i suoi zaffiri non avessero già catalizzato l’attenzione di ogni mio singolo neurone. “Quello che sto per farti vedere potrebbe procurarti un piccolo schock, ma prima che tu giunga a conclusioni affrettate voglio che mi prometti che mi lascerai spiegare.” Disse. Le sue parole mi sorpresero. Cosa mi stava nascondendo di così stupefacente e perché non avrei dovuto nemmeno lasciarlo parlare dopo la rivelazione?

“Peter io…” tentai di pronunciare ma non mi permise di finire la frase. Mi mise una mano sulla spalla e concluse il discorso di prima. “Ancora un momento, ricordati che qualunque cosa accada e qualunque cosa tu possa pensare dopo, io sono con te, sempre e comunque.”

Bene, ero ufficialmente preoccupata fino alla radice dei capelli e tesa come una corda di violino. Si poteva sapere cosa c’era di tanto sconvolgente dietro quel drappeggio? Un’entità divina, come un oracolo, in grado di svelare chissà quale arcano e oscuro mistero?

Finalmente, in particolare per i miei nervi, Peter si accinse a scostare il pesante drappo rosso. La stoffa era vecchia, troppo vecchia, tanto che bastò il lieve movimento del ragazzo affinché il tessuto si strappasse in alto, dove era legato al bastone, e cadesse a terra con un leggero tonfo che riecheggiò per lo spazio angusto. Un rumore sordo simile all’ultimo battito che fece il mio cuore poco prima di posare gli occhi su un dipinto ora visibile dopo secoli di segregazione.

Sentii il respiro fermarsi mentre la mente registrava con meraviglia e orrore ciò che la vista gli trasmetteva, senza riuscire a dargli una spiegazione logica. C’era una vallata verde che si stagliava su un cielo azzurro con al centro Peter, che alto e fiero rivolgeva lo sguardo verso l’orizzonte con addosso la sua armatura scintillante. La sua spada, tesa in alto in segno di vittoria, brillava al sole. Alla sua destra, in secondo piano, stavano i suoi fratelli, Susan con l’arco teso, Lucy con in mano un piccolo pugnale ed Edmund con il pomo della spada appoggiato al petto. A sinistra invece la gloriosa figura di Aslan si ergeva su di un piccolo promontorio, con il sole che gli illuminava la fulva criniera. Ma era in basso che si trovava la persona che aveva causato il mio sbigottimento. Sdraiata lungo tutta la base del quadro, avvolta da un candido vestito bianco in perfetto contrasto con il colore scuro e sinistro del sangue che lo macchiava sul petto, là dove una profonda lacerazione l’aveva ferita mortalmente, stava lei. La donna che mi aveva accompagnata in tutti quei mesi. La donna delle mie visioni.

Era senz’altro lei. La sua figura eterea, i lunghi capelli biondi che ricadevano scompostamente lungo le spalle, il viso pallido e affilato… era lei. Eppure, al contempo, non lo era affatto. Gli occhi azzurri che ero abituata a vedere colmi di comprensione e dolcezza erano seri e adirati, l’espressione, se pur in minima parte contratta da una smorfia di dolore per la ferita, era gelida. Avvertii un brivido correre lungo la spina dorsale. La sola sua vista mi mise soggezione e paura come mai prima d’allora era successo.

Ma perché era ritratta nel quadro? Non aveva senso. Quel dipinto aveva più di mille anni e si trovava nell’antico castello dei Pevensie, non aveva alcuna giustificazione la sua presenza lì.

E mentre la mia mente si sforzava senza risultato di trovare una spiegazione a ciò, una ventata d’aria mi colpì. Eravamo troppo in profondità affinché venisse da fuori, l’aria si era creata sul posto in quel momento, per quanto assurdo potesse sembrare. In breve e senza che potessi far nulla per evitarlo mi ritrovai al centro di un vortice, isolata da Peter e dal resto della stanza. Una piccola parte del mio cervello realizzò che avrei dovuto essere preoccupata, che avrei dovuto almeno tentare di liberarmi, ma non ne sentivo la necessità. Il vento non sferzava con forza contro la mia persona, al contrario sembrava accarezzarmi. Mi sfiorava con delicatezza il viso e gli arti e a poco a poco avvertii una calma innaturale invadermi. I pensieri scivolarono via dalla mia mente, confondendosi con la tromba d’aria e udii solo minimamente Peter urlare preoccupato il mio nome.

Il vortice si concentrò principalmente sul mio braccio e lo sollecitò ad alzarsi. Non mi opposi e lasciai che conducesse la mia mano fino a sfiorare al dipinto. Quando il contatto fu stabilito, avvertii i miei poteri sfuggire al mio controllo e defluire con velocità da me al quadro com’era successo meno di ventiquattr’ore prima. Il mondo attorno a me perse consistenza mentre la mia mente andava alla deriva e io venivo risucchiata dentro il dipinto…

Lo sentivo distintamente, l’aria ne era impregnata. Ah, l’odore della tensione prima della battaglia. Quanto lo amavo. Dietro di me sapevo esserci il mio esercito. I miei fedeli uomini pronti a morire per me e per il mio regno. Un regno che non avrei permesso a quegli invasori di prendermi perché io ero la regina e come tale quella terra mi apparteneva di diritto. Io ero la Strega Bianca, ero nata e cresciuta a Narnia, appartenevo a quel luogo che mi aveva allattata, come si permettevano quattro mocciosi arroganti, provenienti da chissà dove, avanzare pretese su una terra che non conoscevano?

Chiusi gli occhi per incanalare tutte le forze e renderle pronte all’uso. Dovevo assolutamente vincere quella guerra. Quando gli riaprii, il sole cocente mi permise di vedere nuovamente la grande vallata verde che ospitava i due schieramenti nemici pronti a massacrarsi l’un l’altro in nome di ideali spesso non chiari a loro per primi.

Serrai la presa sulle redini del carro da guerra trainato da due enormi orsi bianchi e alzai in alto lo scettro del potere. Il sole illuminò la sua punta di diamante creando un bagliore folgorante e quello fu il segnale d’attacco.

L’esercito si mise in marcia e la battaglia cominciò mentre io sentivo l’adrenalina scorrermi in ogni singola vena del mio corpo e i miei muscoli tesi e pronti a scattare.

I contorni della valle si fecero sfocati fino a diventare interamente bianca. Ma fu solo la questione di un secondo perché lo scenario tornò in un lampo, sempre lo stesso ma con molto più movimento. Ero nel mezzo della battaglia a piedi, il cocchio disperso chissà dove, con in mano sia la spada che lo scettro. Attorno a me si era scatenato l’inferno ma senza curarmene io procedevo algida e decisa tra minotauri e centauri che duellavano. Avevo una meta precisa, dovevo trovare lui, la causa di tutto.

Fu un sibilo, quasi impercettibile per un orecchio meno fine del mio. Mi scostai appena in tempo per vedere la lama lucente di una spada sfiorarmi la guancia. Mi voltai agile e mi misi in posizione d’attacco. Peter Pevensie mi era di fronte, l’elmo alzato e la spada pronta. Mi fissava arrogante e con disprezzo, come se fosse lui a dover difendere qualcosa che gli si voleva rubare. Come se fossi io che a torto avanzavo pretese assurde sul trono di un altro. Sentii la rabbia montare. Un ragazzino. Era solo un ragazzino presuntuoso con troppe smanie di grandezza, fatto grande dalla preziosa spada e dalle belle e false parole di incoraggiamento di Aslan. Povero sciocco, non si era nemmeno accorto che il Grande Felino si era semplicemente servito di lui per ribaltare me dal trono, che era solo una pedina in una partita centenaria.

Sferrò un attacco che parai con prontezza, il primo di una lunga serie. Era bravo a duellare, dovevo ammetterlo, lo avevano istruito bene. Aveva agilità e precisione, e non cadeva mai nella banalità sorprendendo l’avversario. Ma io avevo più di cento anni di esperienza dalla mia parte, non mi avrebbe battuto. E certamente non mi sarei fatta battere facendomi rubare il trono. La corona era mia, era stata appoggiata sul mio capo perché a me era stato fatto il dono di poter regnare su quella terra florida e di sicuro non l’avrei consegnata a lui finché fossi stata viva.

Gli affondi divennero più serrati. Combattevo sia con la spada che con lo scettro ma il ragazzo si difendeva eccezionalmente bene con quel suo sorriso sfrontato sulle labbra. Lo avrei ucciso, ne ero certa. Se mi avesse ascoltato sin dall’inizio, forse lo avrei risparmiato, ma ora che si era schierato così palesemente, sarebbe morto.

Con un’esperta torsione del polso incrociai la mia lama con la sua e gli feci volare via la spada. Mi godetti la sua espressione sbigottita mentre guardava esterrefatto l’arma che mulinava lontano. Il sorriso borioso era scomparso, sostituito da uno spaventato. Aveva capito. Ora sarebbe scoccata la sua ora. Alzai la mano con la spada e preparai il colpo mortale. Sarebbe stato rapido e indolore, questo potevo concederlo, dopotutto andava rispettato per essere un abile guerriero.

Sferrai l’attacco nell’esatto istante in cui un ruggito potente rimbombò per la vallata. Fermai il colpo, pietrificata. Il mio cuore cominciò a battere furioso. Feci violenza su me stessa per volgere la testa verso la fonte del rumore e osservai inorridita Aslan che con un balzo, le fauci spalancate e gli artigli sfoderati, mi veniva incontro minaccioso.

Non era possibile, lui non doveva essere lì. Era morto, come poteva essere?

Il sole illuminò la sua criniera conferendogli un’aria di superiorità. Sembrava una creatura divina, un feroce e impassibile giustiziere. In quel momento seppi che l’ora era veramente scoccata. Ma non per Peter, bensì per me.

Perdonami piccola Nives, non ce l’ho fatta. Ma non temere, tornerò… riuscii a pensare. E poi fu solo dolore e io urlai, urlai forte.

“Cathy, piccola”

Era insopportabile, ma ancora di più lo era il senso di sconfitta che avvertivo.

“Svegliati”

Gli invasori avevano vinto, avevano preso Narnia. Il mio regno per ora volgeva alla fine, ma io sarei tornata…

“Torna da me”

Mi sentii soffocare. L’aria mi mancava dai polmoni e non riuscivo ad incanalarla.

“Cathy”

Quella voce. Mi aveva già salvato da una situazione simile, anche se al momento mi veniva difficile ricordare, il mio istinto me lo suggeriva. Dovevo raggiungere quella voce e sarei stata salva. Ma come facevo ad andare da lei se non riuscivo nemmeno a respirare? Dovevo riuscirci. Mi concentrai e provai con tutte le mie forze. Respira, respira… Alla fine ci riuscii. I polmoni si spalancarono e accolsero con gioia l’ossigeno che veniva loro dato. Fu come riemergere da sott’acqua, come se fossi stata in apnea per chissà quanto tempo.

Aprii gli occhi e mi ritrovai tra le braccia di Peter che mi accarezzava il volto sicuramente pallido e tirato. Sospirai di sollievo, ero tornata, se pur scossa e confusa, era tornata. Anche il vento freddo che prima mi avvolgeva era scomparso, senza lasciare traccia del suo passaggio. Tornai a guardare gli occhi azzurri di Peter per cercare conforto ma non mi fu concesso. In un lampo la mia mente sovrappose l’immagine del mio angelo ad un guerriero concentrato e freddo con l’elmo e la spada. Negli occhi la voglia di uccidermi e nessun riflesso di compassione. Mi allontanai istintivamente da lui, agghiacciata, ritrovandomi in piedi con le spalle al muro.

Scossi la testa e finalmente l’immagine andò via, sostituita da una reale di un Peter mortificato che mi fissava senza comprendere. Sentii una fitta al cuore. Cosa avevo fatto? Avevo spinto via Peter terrorizzata, come avevo potuto?

“Scusami” mormorai affranta, appoggiandomi alla parete. Lui parve capire il mio attimo di confusione e mi si avvicinò. Con lentezza, per assicurarsi che io non lo respingessi di nuovo, mi riabbracciò. Stavolta ricambiai la stretta e chiusi gli occhi, lasciandomi cullare dalle sue forti braccia cercando di dimenticare ciò che avevo visto, ciò che avevo appreso. Ma non potevo, le immagini che avevo appena vissuto si ripetevano in continuazione nella mia mente ed ognuna di esse mi trascinava in un vortice di confusione senza fine. Ero di nuovo entrata in contatto con la mente di Jadis e la cosa mi terrorizzava, anche se fortunatamente questo viaggio non si era rivelato doloroso quanto il primo. Non sapevo come ci era riuscita né perché lo aveva rifatto e l’ignoranza mi logorava. Ma c’era una questione sopra le altre che mi distruggeva l’animo anche se non riuscivo a comprendere cosa fosse esattamente. Il mio cuore lo percepiva e ne soffriva, ma la mia mente non era capace di afferrare l’intuizione e di concretizzarla. O forse non voleva.

“Cathrine, va tutto bene, stai tranquilla” mi sussurrava la sua voce vellutata.

Agitai la testa insieme ai boccoli rossi. “No, non va tutto bene. Sono confusa, non capisco quello che mi succede, perché ho questi flash? Mi è successo di nuovo, senza capire come sono entrata in contatto con lei…lei che…”. E finalmente arrivò. La concretizzazione che aspettavo, anche se avrei preferito non raggiungerla.

Mi pietrificai sul posto, lo sguardo perso nel vuoto mentre la mia mente lavorava frenetica. C’erano due persone che erano in conflitto con Aslan. Due persone che avevano i miei stessi poteri. Due persone che riuscivano ad entrare in contatto con me quando più volevano. Due persone che erano bionde, con gli occhi chiari e il fisico etereo. Due persone che corrispondevano a quella figura macchiata di sangue che giaceva irata e dolente al fondo del dipinto alle mie spalle. Due persone che in realtà rispondevano ad una sola identità, ad un solo nome. Jadis.

Sentii Peter prendermi per le spalle e iniziare a scuotermi piano ma con decisione. La sua voce mi chiamava ma io non lo ascoltavo. Qualsiasi cosa avesse da dirmi al momento non aveva importanza.

Alzai lo sguardo dove sapevo esserci il suo viso senza però vederlo realmente. Gli occhi azzurri di lei occupavano interamente la mia visuale. Ma erano uno diverso dall’altro. Un’iride era dolce e comprensiva, l’altra dura e crudele.

Non era possibile, la donna misteriosa non poteva essere la Strega Bianca. La donna che mi aveva aiutata e confortata non poteva essere il nemico dei Pevensie. No.

Avvertii una fitta al cuore. La stanza incominciò a vorticare, in contorni si fecero sfumati fino a perdere definizione come la realtà stava per me perdendo senso. Non era possibile, mi ripetei forse per la milionesima volta.

“Cathy” mi richiamò per l’ennesima volta Peter. Fu la nota disperata nella sua voce che riuscì a ridarmi un barlume di lucidità in quel mare oscuro di informazioni troppo grandi per essere assorbite.

“è lei” sussurrai flebile. Deglutii e ripresi un po’ di vigore. “la donna delle mie visioni e Jadis… sono la stessa persona” conclusi con un filo di voce, riuscendo finalmente e guardare Peter negli occhi. Ma forse avrei fatto meglio a non alzare lo sguardo. Perché non c’era sorpresa nei suoi zaffiri? Perché non lanciava esclamazioni stupefatte? C’era una sola spiegazione, purtroppo.

Mi sciolsi dal suo abbraccio. “Tu lo sapevi” l’accusa voleva risuonare forte e chiara ma mi uscì flebile a causa del dolore che il tradimento sentito mi procurava. Come poteva esserne a conoscenza?

Sostenne il mio sguardo, anche se scorgevo il disagio nei suoi occhi. “Si, lo avevo intuito da un po’ di tempo” ammise.

“Da quanto?”

La domanda lo mise in imbarazzo per un secondo, ma si riprese subito. “Dalla prima volta che mi hai parlato delle tue visite”

Altro colpo al cuore. Mi chiesi cosa ne sarebbe rimasto del mio povero muscolo alla fine della giornata se sarebbe proseguita così.

“E quanto ancora avresti aspettato prima di dirmelo?” chiesi tra i denti, questa volta facendo ben trasparire la mia rabbia, sentimento che a poco a poco mi stava facendo riacquistare vigore. I contorni della stanza erano tornati nitidi, ma solo perché l’ira stava facendo spostare il centro dei miei pensieri da Jadis a Peter. Se mi fossi nuovamente fermata a riflettere sulla strega, la mia mente sarebbe nuovamente andata in confusione.

“Te lo avrei detto oggi. Dopo gli avvenimenti di ieri sera temevo non fosse più sicuro tenerti all’oscuro, per questo ti ho portato qui tra gli altri motivi, volevo tu vedessi il quadro e riconoscessi la strega” mi spiegò.

“Non avevi il diritto di nascondermi una notizia del genere!” urlai, ignorando le sue parole, conscia solo della furia che montava. Come aveva potuto farmi una cosa simile? Mi ero fidata ciecamente di lui e dopo tutte le volte che avevo ripetuto quanto mi sarebbe piaciuto conoscere l’identità della donna misteriosa, mi veniva a dire che l’aveva sempre saputo! Che me l’aveva celata volontariamente. E nel frattempo non si era fatto scrupolo a diffamare il nome di Jadis davanti a me, pur sapendo che in realtà era la donna delle mie visite della quale io mi fidavo.

“Perdonami, forse hai ragione ma sapevo che ti avrebbe messo in confusione e i tuoi problemi erano già talmente numerosi che non me la sentivo di aggiungerne un altro. Volevo proteggerti”

Le sue parole, pronunciate con quella dolcezza di cui solo lui era capace, mi colpirono più di uno schiaffo. Avrei preferito alzasse la voce, difendendosi, così avrei potuto sfogare la mia rabbia, ma le sue scuse sgonfiarono l’ira che avevo nel petto creando un buco al suo posto. Un buco vuoto e arido che si faceva sempre più grande. Era sincero glielo leggevo nelle iridi limpide, nell’accento contrito nella sua voce. Lo aveva fatto per proteggermi. Lo aveva fatto per me, non contro di me. Dovevo calmarmi e iniziare ad analizzare la situazione. Non potevo lasciare che i sentimenti che mi avevano animata finora prendessero completamente il sopravvento.

Quello che sto per farti vedere potrebbe procurarti un piccolo schock, ma prima che tu giunga a conclusioni affrettate voglio che mi prometti che mi lascerai spiegare.

Ora le sue parole acquisivano un senso. Sapeva che una volta scoperta la verità mi sarei sentita tradita e mi sarei arrabbiata, ma se mi aveva chiesto di starlo ad ascoltare, forse c’era un motivo valido dietro. Dovevo crederlo se volevo evitare che quel buco iniziasse a divorarmi interamente da dentro.

Ricordati che qualunque cosa accada e qualunque cosa tu possa pensare dopo, io sono con te, sempre e comunque.

Lo era sempre stato, dal primo momento in cui ci eravamo conosciuti. Dovevo ancora avere fiducia in lui, finora ogni cosa che aveva fatto era stata per il mio bene. Dovevo lasciarlo parlare e non accusarlo prima di conoscere tutta la storia.

Sorrisi ironicamente pensando che forse quel piccolo frangente mi stava insegnando uno dei tanti significati della parola amore, che io avevo affermato, solo il giorno prima, di provare per Peter. Amore voleva dire fiducia, e io gliel’avrei data.

Usai nuovamente il muro come sostegno, incapace di sorreggermi da me.

“Non riesco a capire” sospirai affranta. “Non ce la faccio. Spiegami, volevi  proteggermi da cosa?” domandai cercando di essere più calma possibile, rinchiudendo dietro ad un muro spesso tutte le sensazioni finora provate, anche se era difficile.

Lui parve sollevato dall’opportunità che gli stavo dando. Accennò un sorriso e si sedette sul suo forziere, invitandomi con la mano a seguirlo. Negai con la testa. Se gli fossi andata troppo vicino, sarei stata abbagliata ancora di più dai suoi occhi azzurri e dal suo sorriso e mi sarei accontentata di qualsiasi spiegazione, ma ciò non doveva accadere. Dovevo rimanere vigile, ora esigevo la verità. Inoltre non ero affatto sicura che se mi fossi allontanata dal muro le mie gambe mi avrebbero retta fino al forziere.

Peter mi rivolse uno sguardo triste, ma non commentò la mia decisione, così si apprestò a parlare.

“Volevo evitare di darti una notizia che ti avrebbe shoccata. Sapevo quanta fiducia nutrissi verso la donna misteriosa, e riuscivo a capirla. Per te era un punto di riferimento, una certezza, e non volevo togliertela dicendoti quanto invece crudele fosse una persona che tu consideravi degna della tua massima stima.” Si giustificò.

Sospirai. Una cosa era certa, la mia fiducia con lui era stata ben riposta, la spiegazione che mi aveva fornito reggeva e ben si confaceva al grande senso di protezione che aveva sempre dimostrato nei miei confronti. Povero, e io che lo avevo subito aggredito, non se lo meritava. Avevo unicamente provato a preservarmi da uno shock.

Sospirai. “D’accordo, per questa volta. Ma ora voglio sapere ogni cosa, basta segreti. C’è altro che dovrei conoscere?” chiesi, anche se temevo la risposta. Stavo ripensando ad ogni occhiata allarmata che lo avevo visto scambiarsi con Susan ogni qualvolta si toccavano determinati argomenti. Avevo imputato tutto ad una paranoia solo mia, ma ora, alla luce delle ultime scoperte, capivo che non mi ero immaginata niente e che realmente mi stavano nascondendo delle informazioni. Probabilmente notizie che Susan avrebbe voluto rivelarmi già da tempo se Peter non l’avesse fermata fulminandola ogni volta.

“Cosa vorresti sapere?” sembrava incredibilmente riluttante.

Raddrizzai le spalle e cercai di apparire il più matura possibile. Magari si sarebbe convinto che non doveva celarmi le notizie per proteggermi, che non ero così fragile. Ovviamente era solo una facciata e lo sapevo benissimo. Fragile al momento era proprio l’aggettivo che più mi si addiceva, provavo la terribile sensazione che bastasse una parola sbagliata o di troppo per rompermi definitivamente. Da un momento all’altro sarei andata in pezzi come un vaso di cristallo una volta caduto. Speravo solo che lui non lo notasse e che proseguisse con il suo discorso. Dovevo resistere finché non mi avesse detto ogni cosa, fino ad allora, doveva restare forte e bloccare i miei stessi pensieri che, suscitati dalle sue parole, mi stavano facendo impazzire. Provavo a concentrarmi unicamente sul suo discorso anche se la mia testa continuava ad urlare a ripetizione che la donna misteriosa era Jadis.

“Sapete come fa ad essere tornata?” partii dalla domanda più facile, accantonando la frase nella mia mente per quanto mi era possibile.

“Non con esattezza ma supponiamo che, per non morire quando Aslan l’ha attaccata, si sia auto imprigionata in una sorta di limbo in attesa del momento più adatto per ritornare” mi informò, apparentemente contento che avessi preso il discorso alla larga.

“E questo sarebbe il momento più adatto perché…” lo incitai.

Mi guardò dritto negli occhi, contrito come se il suo ritorno fosse una sua colpa. “Perché tu sei qui e sei grande e forte, capace di ottenere il meglio dai tuoi poteri” disse serio e contrariato.

In un lampo mi tornarono alla mente parole sentite solo ventiquattro ore prima.

Stai diventando forte e anche io sto riacquistando le energie.

Parole che non ero riuscita a comprendere all’ora e che solo adesso iniziavano ad avere  un significato se pur ancora offuscato.

“Vuole me” sussurrai, dando forma alle mie supposizioni. Il tono era incolore. Affermavano un semplice dato di fatto che io non sapevo minimamente come assumere. Dovevo essere terrorizzata perché era una prospettiva malvagia per me? O era un lato positivo? In fin dei conti non era una novità che mi cercasse. Non mi aveva mai celato le sue intenzioni di prendermi con sé, voleva portarmi a casa sua, mostrarmi la sua magia e insegnarmi ciò che io non conoscevo. Ed io ero sempre stata entusiasta all’idea. Ma quelle erano le promesse della donna misteriosa, non di Jadis. Sarebbe cambiato qualcosa ora?

 “Vuole i tuoi poteri” mi corresse. Dalla voce trapelava il suo disprezzo.

Lo guardai corrugando la fronte e lui si affrettò a spiegare. “Con te, un’altra strega, al suo fianco, diventerebbe invincibile, evitando il ripetersi degli eventi di milletrecento anni fa. È per questo che ti vuole”

Mi raddrizzai di scatto, infastidita. “No” dissi decisa. Quell’opinione non si era affacciata tra i miei pensieri e non volevo ci entrasse.

Si alzò anche lui e mi prese per le spalle, richiamando tutta la mia attenzione. “Si invece.” Ribatté. Poi aggiunse sospirando. “Cathy credimi mi dispiace. Avrei evitato di dirtelo e finché ho potuto l’ho fatto, ma ora la situazione richiede che tu sappia il pericolo che corri”

“Quale pericolo?”

“Quello di finire catturata da Jadis. Te lo abbiamo detto, è malvagia e senza scrupoli, farà di tutto per averti e per usarti, aveva già in programma di prenderti milletrecento anni fa” mi rivelò scombussolandomi per l’ennesima volta in poco tempo. Milletrecento anni fa? Come poteva sapere della mia esistenza a quel tempo, non ci eravamo mai incontrate prima, non avevo mai appreso neppure il suo nome o il nome di questo regno.

“Non regge, io non l’ho mai conosciuta” affermai certa della mia idea e accantonando momentaneamente il resto del discorso di Peter. Dovevo affrontare una questione alla volta se volevo preservare la mia sanità mentale.

Fece un segno di diniego. “è probabile che tu non te ne ricordi perché eri appena nata, ma vi siete già incontrare. Il medaglione che porti al collo ne è la prova, quella J non sta per giugno ma per Jadis. Il castello è il suo simbolo. Te lo ha dato lei”

Altro colpo. Povero il mio cuore, ormai era a brandelli.

“L’ho sempre avuto” mormorai incoerentemente. Avevo sempre posseduto un simbolo della presenza di un’altra strega nel mondo con me e non lo sapevo. Un’altra persona con i miei stessi poteri era sempre stata a conoscenza della mai esistenza e io lo ignoravo.

Erano anni quindi che mi osservava da lontano, non erano solo le ultime settimane. Cosa avrei dovuto provare anche in questo caso? Inquietudine? Timore? Fastidio? Mi stava spiando per chissà quale arcano motivo?

Mi tornò alla mente il suo viso splendente la prima volta che l’avevo vista. Così bella, così dolce, così comprensiva. No, non mi aveva spiato, aveva vegliato su di me. Si quella era la motivazione più probabile. Era sempre stata nella mia vita, come un angelo custode. Quel pensiero dolce venuto fuori quasi per magia ridusse il buco che avvertivo al petto. Procurava calore, era un’idea piacevole. Non ero mai stata veramente sola, qualcuno c’era sempre stato, nelle lunghe notti passate ad osservare le stelle con il cuore colmo di lacrime a chiedermi chi ero e nei pomeriggi soleggiati trascorsi al parco a sperare di trovare un mio simile, e quel qualcuno era Jadis.

Però perché non si era fatta vedere prima? Perché mi aveva fatto passare tutti quegli anni in completa solitudine? Era come diceva Peter? Perché solo ora secondo lei potevo esserle utile? No, non poteva essere, mi rifiutavo di crederlo. Era sempre stata dalla mia parte, mi aveva capita, non si sarebbe mai approfittata di me.

Anche io sto riacquistando le energie.

Era debole, ecco perché. Non era venuta da me perché non poteva fisicamente, non ne aveva le forze. Lo scontro con Aslan l’aveva completamente distrutta, costringendola a restare rintanata chissà dove. Solo ora aveva riacquistato un briciolo di energie e la prima cosa che aveva fatto era stata andare a cercarmi per quanto l’impedimento di questa dimensione parallela di cui Peter parlava glielo consentiva. Così si spiegava anche perché non mi era venuta incontro quando avevo attraversato il varco per giungere a Narnia. Era imprigionata là dentro e non poteva uscirne fisicamente al momento. La sensazione di calore si estese, si fece più consistente. Mi sentii meno sola nella mia unicità poiché per la prima volta vedevo quanto realmente un’altra strega fosse nella mia vita.

Cambiava qualcosa se quelle promesse le aveva fatte Jadis? No, perché lei e la donna misteriosa, la mia custode, erano la stessa persona.

“Ma non devi temere, la terremo lontana da te, non ti si avvicinerà” concluse il ragazzo.

Persa nelle mie elucubrazioni non lo avevo nemmeno sentito continuare a parlare. Quella frase però l’avevo udita distintamente. Lo guardai stupefatta.

“Ma io voglio conoscerla” dissi convinta.

Lui rimase interdetto, stupito dalla mai frase. Scosse la testa, come se non volesse credere a ciò che aveva udito, e aumentò la presa sulle mie spalle.

“Cathy” cominciò piano, come se parlasse ad una bambina piccola cocciuta “hai sentito quello che ho detto? Jadis è crudele. Se ti si avvicina, sarebbe la fine. Per te, noi, per Narnia intera” affermò risoluto.

Crudele. Era l’aggettivo che più spesso avevo visto accostato a Jadis. Insieme a spietata, senza scrupoli, sanguinaria, falsa, tiranna. La storia del suo regno mi era stata raccontata diverse volte, sempre con lo stesso tono a metà tra il disprezzo e la paura. Ed io, convinta dalla veridicità di quelle narrazioni, mi ero lasciata catturare dal sentimento popolare, lo avevo condiviso provando rabbia verso colei che agli occhi di Peter aveva quasi distrutto ciò che Narnia aveva di bello da offrire. Non mi ero mai soffermata a pensare se avessero veramente ragione oppure no, anche perché sinceramente la questione non mi aveva mai riguardato. Era una persona vissuta milletrecento anni fa, che non avevo mai conosciuto e che ormai era stata sconfitta. Di lei era rimasto solo il suo ricordo, indelebile nella mente delle creature di Narnia. Ma ora era diverso. La questione mi riguardava in prima persona ed era giusto che mi soffermassi sulla decisione di credere o meno alla versione del popolo, universalmente accettata.

Jadis era davvero crudele? Aveva realmente tentato di distruggere Narnia?

Mi tornarono alla mente i sentimenti provati attraverso i suoi ricordi. Nei suoi pensieri c’era sempre stata una sola motivazione per muovere guerra, quella di salvare il suo popolo. Quella di preservare il suo trono e la sua bella terra. Mai una volta aveva voluto guerreggiare con il solo scopo di uccidere, come invece affermavano i Pevensie.

Riflettendoci, erano le stesse motivazioni che spingevano Peter a dichiarare guerra a Miraz. Non voleva forse anche lui difendere la sua terra dagli invasori? Esattamente come Jadis aveva voluto difendere Narnia milletrecento anni fa dai figli di Adamo e dalle figlie di Eva. Solo che… in quel momento realizzai quale fosse l’origine vera del problema e nello stesso istante rimpiansi di non essere rimasta nell’ignoranza.

La guerra non era stata tra buoni e cattivi come avevo pensato. Se tutte e due le frazioni desideravano unicamente il bene di Narnia ed erano mossi da nobili ideali come poteva esserci una parte cattiva? Sicuramente i Pevensie non lo erano, Peter in primis poiché si sarebbe sacrificato all’istante per ogni causa in cui credeva, ma non lo era neppure Jadis, le cui azioni erano spinte unicamente a salvaguardare la sua terra. Senza contare che avevo personalmente conosciuto la strega e mi era parsa tutto fuorché crudele. Era dolce e comprensiva, buona, probabilmente solo vittima di una fama ingiustamente meritata e alimentata da racconti menzogneri nel corso dei secoli. La guerra era stata tra due pretendenti al trono, i Pevensie e Jadis. Entrambi volevano governare su Narnia, perciò era nato il conflitto.

Ma chi dei due aveva ragione, a chi apparteneva la corona?

Aslan affermava che Peter e i suoi fratelli erano i legittimi proprietari del potere e che Jadis se ne era ingiustamente appropriata, d’altro canto la Strega Bianca reclamava il regno giurando che l’unica vera regina era lei e che i Pevensie erano usurpatori, invasori di Narnia. A chi dovevo dar ragione?

Non essendo presente agli avvenimenti di milletrecento anni fa non potevo saperlo, dovevo lasciare la questione irrisolta finché non avessi avuto più elementi per decidere equamente. Al momento dovevo basarmi sui fatti che conoscevo e di cui ero stata partecipe e agire di conseguenza, senza farmi influenzare da nessuna delle due parti.

 “Jadis non è cattiva” dissi risoluta, concludendo il filo dei miei pensieri.

Il ragazzo mi fissò scioccato, com’era prevedibile

 “Si che lo è Cathrine! Non farti ingannare dalle sue false parole, vuole solo usarti!” ribadì con ardore.

Mi liberai dalla sua presa.

“Non puoi saperlo con certezza, sono solo stupide supposizioni. Non mi ha mai ferito né fatto nulla per farmi credere quello che dici. Da quello che ho appena scoperto sembra addirittura che abbia da sempre vegliato su di me, conscia della mia esistenza. E appena ha potuto è venuta da me, per non farmi sentire sola, per risolvere i miei dubbi” ragionai con calma. A quelle parole Peter strabuzzò gli occhi e aprì e chiuse la bocca più volte senza far uscire un sol suono, troppo strabiliato per parlare.

Ne approfittai per proseguire con il mio discorso. “Peter, credimi, non è crudele come pensate voi tutti. Io l’ho conosciuta e so quali sono e sono stati i suoi sentimenti e i suoi pensieri. Non ha mai desiderato distruggere Narnia, anzi la voleva proteggere da quelli che vedeva come invasori, ovvero da voi. I suoi pensieri sono sempre stati rivolti al benessere della sua terra esattamente come lo sono i tuoi.”

“Ti ricordo che anche io l’ho conosciuta e ho visto con i miei occhi le atrocità che ha commesso in guerra” ribatté ritrovando la voce.

Scossi la testa. “Non è vero. Tu hai solamente lottato contro Jadis, non ti sei mai fermato a parlare con lei, non hai mai cercato di conoscerla come persona e di provare a giungere ad un accordo che non prevedesse la guerra. E poi sarei curiosa di sapere di quali atrocità parli. Avrà ucciso in battaglia con la spada o qualche altra arma contundente immagino. Non che voglia affermare che sia un gesto da nulla, ma è la guerra purtroppo e dubito che tu non abbia fatto lo stesso sul campo di battaglia.” Dichiarai alzando di un tono la voce. Non avrei ammesso che Jadis era cattiva solo per compiacerlo. Ero certa che non lo fosse e lo avrei dimostrato. Lo avrei convinto del contrario e forse sarei riuscita anche ad appianare le assurde divergenze che li vedevano rivali da un millennio. Perché era letteralmente assurdo che due persone che miravano allo stesso obbiettivo si distruggessero a vicenda per manie di protagonismo. Possibile che tutte e due volessero la salvezza di Narnia ma preferivano farsi la guerra e uccidersi l’un l’altro rischiando di condannare definitivamente la loro patria alla fine invece che sotterrare i dissapori e collaborare?

“Dannazione Cathy!” esclamò sull’orlo dell’esasperazioni.

Batté un pugno sul muro alla mia destra e digrignò i denti. Non era affatto felice della piega che aveva preso la discussione, non ci voleva un genio per capirlo. Probabilmente avrebbe preferito che una volta scoperta la vera identità della donna misteriosa troncassi tutti i rapporti con lei per unirmi alla sua crociata. Mi doleva procurargli un dispiacere e ancora di più odiavo discutere con lui, avessi potuto lo avrei volentieri evitato, ma non potevo cedere questa volta, non per una questione così importante. Dovevo continuare a sostenere la mia idea, andando oltre al dispiacere che vederlo così afflitto mi procurava.

Gli posai una mano sul viso, un gesto di conforto e di ravvicinamento che sapevo lo avrebbe calmato. Funzionò poiché tirò un forte respiro e cercò di ridarsi un contegno.

“Cathrine” disse con calma “io non so cosa tu abbia sentito nei ricordi di Jadis né come si è presentata ai tuoi occhi, ma credimi se ti dico che è pericolosa. Lo dico unicamente per te. Milletrecento anni fa Narnia era completamente sotto il suo dominio e il popolo soffriva, stava per morire. Non fossimo intervenuti noi le creature di Narnia sarebbero ancora in schiavitù. E adesso che è tornata vuole rimettere le cose come prima del nostro arrivo, e vuole farlo sfruttando te. Ed io non posso permetterlo”

Mi morsi il labbro frustrata. Era come parlare ad un muro, non c’era possibilità di dialogo, non avrebbe mai cambiato idea. Era convinto di dovermi tenere al sicuro da Jadis quando invece non c’era un’altra persona che più avrebbe badato a me, eccetto forse lui. Provai un grande sconforto e senso di impotenza, tanto che sentii gli occhi lucidi. Perché Peter non capiva quello che Jadis significava per me? Perché era intenzionato a portarmi via l’idea che potessi conoscere un’altra strega e che essa teneva a me? Lui avrebbe dovuto comprendermi e appoggiarmi, non ostacolarmi così apertamente.

“Non hai capito niente. Né della situazione, né di me” mormorai amara prima di scivolare di lato sul muro e imboccare di corsa le scale, con il cuore colmo di delusione.

Dovevo uscire da quello spazio angusto diventato improvvisamente soffocante, allontanarmi da quel quadro che aveva portato alla luce la verità anche se questo significava distanziarmi da lui. La persona che in quella giornata era la seconda volta che allontanavo nonostante mi causasse una forte fitta al petto ogni metro che interponevo tra me e lui. Nonostante fosse la persona che più tra tutte volevo vicino. Ma al momento il vero spazio che ci separava non era la scalinata che stavo percorrendo, realizzai con tristezza. Era la sua incapacità di comprendere i miei pensieri, cosa che non era mai accaduta finora e che mi stava ferendo il cuore come se ogni suo rifiuto fosse un fendente di una spada la cui fodera era un odio troppo antico per essere cancellato con una singola discussione.

L’aria fredda mi colpì il viso portandomi l’odore della pioggia e degli alberi. Alzai lo sguardo al cielo e lasciai che le sue gocce d’acqua si mescolassero alle lacrime che silenziose avevano cominciato a discendere lungo le mie gote.

Come Peter aveva previsto, era scoppiato un temporale. Il cielo ospitava nubi cariche di pioggia, illuminate a intervalli più o meno lunghi da lampi e fulmini. Sentivo in lontananza le onde del mare, ingrossato dal temporale, infrangersi violente contro la scogliera.

Il tempo sembrava rispecchiare il mio umore. In meno di un’ora era passato da limpido e sereno a turbolento e agitato.

Il ritmo della pioggia era incessante, tanto che bastarono meno di cinque minuti affinché fossi inzuppata da capo a piedi.

Chiusi gli occhi e mi concentrai sulla pioggia che scivolava sul mio viso rivolto al cielo, e desiderai che con essa scivolassero anche le mie preoccupazioni, in modo che non dovessi affrontarle. Purtroppo sapevo che non era possibile, ma per qualche istante mi beai di quella dolce illusione, quel tanto che bastava per farmi recuperare calma e lucidità.

Sapevo che tra poco avrei dovuto sostenere un secondo scontro con Peter e il pensiero mi rattristava. Non volevo litigare con lui, non per un motivo del genere. Si poteva litigare con una persona perché dimostrava un esagerato e ottuso senso di protezione nei tuoi confronti per amore? Era assurdo. Quella lite ci stava allontanando e io non dovevo permettere che ciò accadesse. Dovevo trovare una soluzione senza però rinunciare a Jadis.

Riaprii gli occhi. Avevo avvertito la sua presenza alle mie spalle ancor prima di udire il suono della sua voce.

“Cathrine”

Mi voltai con calma, temendo le parole che sarebbe giunte, ma la sua espressione mi sorprese. La rabbia dimostrata poco prima sembrava essere evaporata, rimpiazzata da una afflitta e… contrita? Peter sembrava dispiaciuto, possibile che il litigare con me gli causasse lo stesso disagio che avvertivo io? A giudicare dai suoi occhi azzurri che sembravano urlare “perdono”, la risposta era si.

Con un passo eliminò la distanza tra noi e mi circondò la vita con le sua braccia con una presa decisa ma al contempo delicata, affondando il viso nell’incavo del mio collo, come se anche lui non sopportasse la separazione da me quanto io da lui. Rimasi interdetta un secondo. Peter mi stava abbracciando con slancio ed era visibilmente dispiaciuto per quello che ci eravamo detti poco prima, esattamente come lo ero io. Forse tra noi non c’era quella grande distanza che temevo si fosse formata, e se c’era il ragazzo aveva il mio stesso desiderio di colmarla immediatamente. Rilassai i muscoli del volto in un’espressione di sollievo e ricambiai l’abbraccio, accarezzandogli la nuca con movimenti lenti, incurante del fatto che la sua presa mi stava mozzando il respiro. Eravamo di nuovo sulla stessa frequenza, il muro che ci aveva distanziati in precedenza era crollato velocemente come si era formato ed io ero più che intenzionata a non farlo ricostruire mai più.

Dal modo in cui mi stringeva mi convinsi che era ciò che voleva anche lui, che il contrasto non aveva giovato a nessuno dei due nonostante fossimo convinti delle nostre opinioni. Mi teneva come se temesse che scomparissi all’improvviso. Il mio corpo aderiva perfettamente al suo, riuscivo a sentire il battito frenetico del suo cuore che faceva eco al mio.

Rimanemmo una manciata di minuti in quella posizione, uno tra le braccia dell’altro, avvolti dalla pioggia che imperterrita continuava a cadere su di noi.

“Cathrine” ripeté Peter quando riuscì a trovare la forza per distanziarsi da me quel tanto che bastava per guardami negli occhi, senza però allentare la presa sui miei fianchi. La pioggia aveva bagnato anche lui, rendendogli i capelli di una tonalità più scura e facendo aderire la sua camicia bianca al petto. Il tessuto, già leggero di suo, era quasi trasparente, tanto che celava poco o niente la splendida visione del suo petto tornito. “Mi dispiace per aver alzato la voce, non avrei dovuto perdere il controllo, scusami. Non sono arrabbiato con te, come potrei” mi lasciò un bacio sui capelli bagnati “l’unica persona con la quale sono adirato è Jadis, tu non hai colpa” mi disse con la voce intrisa di sincerità.

Non desideravo le sue scuse, anche se sapere che non era arrabbiato con me era un sollievo. Quello che volevo era comprensione, cosa che purtroppo ancora non arrivava.

Riprovai a portarlo a comprendere, questa volta però con meno fervore e più dolcezza.

“Non preoccuparti, la situazione è sfuggita di mano ad entrambi.” Presi un bel respiro “Ascolta, io non so cosa è successo mille anni fa. Non c’ero e non posso giudicare se la corona spetta a voi perché Jadis era una tiranna e si era appropriata ingiustamente del trono o se siete stati voi a rubarglielo. E personalmente non mi interessa saperlo al momento. Quello che so però è che entrambi volete che Narnia prosperi” stava per ribattere a questa mia affermazione ma aumentai il tono di voce azzittendolo. Volevo seguisse il mio ragionamento per intero. “e che nessuno dei due farebbe mai del male a me, devi credermi. Ha vegliato su di me, mi ha protetta e condotta fin qui. Si è sempre assicurata che stessi bene e il suo unico interesse nei miei confronti è che trovi finalmente le risposte che cerco e delle persone sincere con cui condividere la mia vita. Per questo intendo conoscerla” chiarii.

L’indecisione passò sul suo volto d’angelo. Si stava mordendo il labbro per trattenersi, ne ero certa. Avrebbe voluto contraddire ogni mia singola affermazione ma non voleva cominciare una nuova lite con me, non ora che ci stavamo riappacificando.

Usai il suo tentennamento per rincarnare la dose.

“Peter, è l’unica altra strega che conosco, potrebbe spiegarmi un’infinità di cose sulle mie origini, sui miei poteri e tanto altro. Potrebbe rappresentare la mia unica occasione per fare chiarezza sui misteri con la quale convivo da sempre. Non puoi togliermi quest’opportunità, non senza un valido motivo dal momento che con me ha sempre tenuto un comportamento impeccabile”.

Ancora indecisione. I suoi zaffiri mi stavano chiedendo pietà in ginocchio. Non voleva che continuassi a parlare. Evidentemente era fermamente convinto della pericolosità di Jadis ma doleva all’idea di andare contro ad un mio desiderio così grande. Sapeva che avrei sofferto all’idea di non vedersi avverare la mia speranza di incontrarla e avrebbe voluto poter fare qualcosa per evitarmi il dispiacere.

“Se non ti fidi di lei prova a fidarti della mia capacità di giudizio. Credo di essere l’unica tra voi ad aver conosciuto la donna che si cela dietro la regina e posso assicurarvi che non c’è nulla da temere. Avete gli stessi obiettivi, siete stati messi l’uno contro l’altro dalle situazioni sbagliate, da pregiudizi che sono stati ingrossati da chi vi stava attorno. Avete mai pensato che forse vi siete sempre sbagliati a giudicarla cattiva? Vi siete fidati solo delle parole di Aslan ma non avete mai sentito l’altra campana, non gli avete mai dato una possibilità di riscattarsi da quella nomea” conclusi, sperando di aver fatto centro.

Le spalle del biondo si alzarono e abbassarono lentamente per un paio di volte prima che ricevetti una risposta.

“Mia Cathy” sussurrò accarezzandomi una guancia, la voce addolorata “se davvero in lei esiste quell’aspetto compassionevole di cui mi parli e che tanto ami, ti posso giurare che era davvero ben celato dietro al gelo del suo sguardo e alla crudeltà delle sue azioni, che ti assicuro non si limitavano a quelle compiute in guerra. E per questo non posso darti ragione sul fatto che non sia pericolosa” mi disse con calma, senza smettere di accarezzarmi. “e sempre per questo non posso rallegrarmi del suo interesse per te né della tua voglia di conoscerla. Tremo all’idea di quello che potrebbe farti e sono deciso ad impedirle di raggiungerti. Non voglio che tu entri in contatto con lei, non tu che sei così buona e ingenua” le ultime parole suonarono più simili ad una supplica che ad un ordine, per questo non riuscii ad arrabbiarmi.

Era realmente dispiaciuto dal vedersi costretto ad ostacolare il rapporto tra me e Jadis e questo mi diede la certezza che aveva finalmente capito.

Sapeva quanto lei era importante per me, quanto grande fosse il mio bisogno di vederla, ma la diffidenza e la paura che provava verso la strega gli impedivano di lasciarmi avvinare a lei. Preferiva darmi quel dolore ora per preservarmi da uno più grande che secondo lui avrei provato se Jadis mi avesse presa con sé.

“Non intendo obbedire, mi spiace. Io vedrò Jadis” dissi in un sussurro ma con voce ferma, rimanendo sulle mie posizioni.

Lui scosse la testa sconsolato, poi mi sorrise serafico. “Allora mi vedo costretto a proteggerti anche contro la tua volontà” e aumentò la stretta del suo abbraccio, come se volesse inglobarmi e celarmi al mondo per custodirmi al sicuro.

A quell’affermazione stavo per ribattere ma lui mi fermò, lo sguardo di nuovo serio e acceso. “Cathy, non permetterò che ti succeda qualcosa di male, l’ho giurato a me stesso.” Disse con improvviso fervore, lasciandosi alle spalle il tono controllato di poco prima. “Non potrei sopportare l’idea di perderti. Tu sei la mia luce, la mia piccola ma fulgida stella” il mio cuore cominciò a battere furioso. Mi chiedevo dove volesse giungere con quelle parole mentre lo ascoltavo rapita. Nell’animo di nuovo quella speranza che avevo provato qualche giorno fa. Attendeva qualcosa di preciso che all’epoca non avevo saputo definire ma che ora ero capace di identificare. Aspettava due parole mai sentite prima perché non poteva e non sapeva farsene carico in passato ma che adesso era pronto a sostenere. Due parole che l’avrebbero cambiato per sempre, che mi avrebbero cambiata per sempre.

Fece una piccola pausa per riprendere fiato e probabilmente anche forza per pronunciare il resto del discorso. “Cathrine” il mio nome, un dolce sospiro tra le sue labbra “ti ho promesso che ti avrei aspettata per tutto il tempo necessario per permetterti di fare chiarezza, e così farò, ma io non ho dubbi quindi consentimi di esprimere i miei sentimenti.” Mi prese il mento tra le dita e avvicinò i nostri visi ancora di più.

Il mio cuore ora aveva smesso di battere, aspettava anche lui quelle parole che gli avrebbero dato nuova vita assieme a me e alla mia anima. Un’anima e un cuore che ero pronta a donargli se avesse pronunciato quel verbo dalle mille speranze che anelavo sentirgli dire. Perché me lo stava per dichiarare, glielo leggevo negli occhi e nel suo cuore che sentivo palpitare attraverso la leggera camicia bianca e io non vedevo l’ora di poter ricambiare al meglio delle mie possibilità.

Avevo addirittura smesso di sentire la pioggia bagnare il mio corpo, nonostante essa continuava a imperversare su di noi. Non riuscivo a credere che la situazione che si stava verificando fosse reale. Era stata capovolta troppo velocemente per permettere al mio cervello di registrare il mutamento con successo. Cinque secondi prima stavamo giudicando la bontà dubbia della Strega Bianca e cinque secondi dopo eravamo passati alle dichiarazioni a cuore aperto. Com’era possibile? Ma a dir la verità non mi interessava saperlo. L’unica cosa importante era che stava accadendo e che io stavo per toccare il cielo con un dito, perché per quanto quel brusco cambio di argomento fosse inaspettato e repentino, era prima di tutto atteso con ogni singola cellula del mio essere.

“Ti amo Cathrine”

La sua voce angelica con quelle semplici tre parole, aprì per me le porte del Paradiso.

Il mio cuore, anzi, il suo cuore poiché adesso e per sempre sarebbe appartenuto a lui e lui soltanto, riprese a battere. Io ricominciai a respirare mentre il mio animo si librava alto tra nuvole leggere in un mondo dove esistevamo solo io, lui e l’amore che nutrivo verso quell’angelo che aveva ridato un senso alla mia esistenza indicandomi la retta via e prendendomi per mano per percorrerla.

Ero ebbra di gioia, incapace di ragionare e di parlare ma solo di bearmi di quella confessione.

Vedevo nei suoi zaffiri il sollievo di aver espresso i suoi sentimenti, di essere riuscito a trovare il coraggio per mettersi in gioco, ma al contempo l’ansia mentre aspettava una mia risposta. Ma come poteva dubitare di essa? Come poteva anche solo sfiorarlo l’idea che lo avrei rifiutato? Solo il pensarlo era come pronunciare una bestemmia a gran voce.

Gli presi la mano che accarezzava la mia guancia e me la portai alle labbra, depositandoci un casto bacio. Poi gli rivolsi un sorriso che proveniva direttamente dal cuore e mi apprestai a fornirgli la certezza che anelava e che io non volevo negargli oltre. Avevo detto a me stessa che mi sarei messa in gioco. Avevo ammesso con me stessa che finalmente ero riuscita ad amare qualcuno. Ma soprattutto avevo giurato che non lo avrei mai fatto soffrire e che mi sarei dimostrata degna del suo amore.

“Un poeta disse che l’amore si scopre soltanto amando” iniziai ricordandomi di una celebre frase di Coelho. “E io sono pronta a scoprirlo con te Peter. So di amarti e voglio capire insieme a te come fare per dimostrartelo.” La voce mi si ruppe verso la fine a causa di una lacrima di gioia che si perse sulla mia gota già rigata dalle gocce di pioggia. Gioia che aumentò a dismisura quando vidi il suo volto illuminarsi di pura felicità. Felicità che avevamo suscitato io e il mio amore per lui. Quel pensiero mi faceva sentire leggera come mai prima d’ora. Ero in pace con me stessa, tutti i miei problemi si erano dissolti al dolce suono del suo “ti amo”. La guerra era una consapevolezza lontana, Jadis un problema accantonato, l’origine dei miei poteri storia passata, perfettamente trascurabili alla luce di quel meraviglioso presente che si stagliava all’orizzonte.

Avevo passato la vita ad interrogarmi sul mio passato e sul mio futuro perché odiavo il presente, ma adesso la situazione era cambiata, avevo finalmente un motivo per non guardare né indietro né avanti. E quel motivo mi stava stringendo con delicatezza tra le braccia guardando la mia anima attraverso i miei occhi. Un’anima che ero pronta a regalargli appena me l’avesse chiesta. Ora sapevo cosa c’era tra i due spazi temporali, cosa mi era sempre mancato tanto da rendere il mio presente insignificante e vuoto. Tra il passato e il futuro, c’era l’amore. Unico, stupendo e giusto.

“Ne sei veramente sicura?” chiese con la voce bassa, avvicinandosi al mio viso.

Voleva essere certo che la mia decisione non fosse affrettata, che mi fossi presa il tempo che avevo chiesto e di cui necessitavo. Sapevo che non era una domanda retorica, se al momento avessi ritirato le parole di poco fa lui lo avrebbe accettato e mi avrebbe aspettata ancora. Ma io ero sicura di ciò che provavo, non ero mai stata così certa di qualcosa in tutta la mia vita.

“Si” confermai in un soffio.

Il suo sorriso, se possibile si fece ancora più largo, mentre accorciava lentamente la distanza tra noi guardandomi fisso negli occhi.

In quel momento previdi con chiarezza ciò che stava per succedere. Stava per compiere il gesto che aspettavo da quel primo giorno insieme alla spiaggia quando mi ero persa nella sua contemplazione mentre dormiva. Evidentemente lo stava attendendo con ansia anche lui, constatai onorata e felice. Ma di nuovo voleva una mia conferma. Non si sarebbe mai azzardato ad andare avanti senza il mio consenso, anche se compiere quell’azione fosse il gesto che più desiderava al mondo.

Mi protesi in avanti, andandogli incontro per fargli capire che quello era esattamente ciò che volevo anche io. Probabilmente più di lui e da più tempo di lui. Dopo quell’incoraggiamento, perse ogni freno.

Fece sue le mie labbra con una fermezza che credevo fosse impossibile mescolare a tanta dolcezza e io finalmente constatai quanto morbidi fossero quei petali che sognavo da così tanto. Una sua mano corse alla mia nuca insinuandosi tra i miei boccoli mentre l’altra, ancora sulla mia schiena, mi stringeva di più a sé.

Io gli allacciai le mie mani dietro al collo, per poi risalire su per i capelli serici e biondi, attirandolo a me incurante del fatto che non ci fosse più nemmeno un millimetro a dividerci.

Le labbra di Peter erano sicure e decise, sapevano ciò che volevano e non tentennavano a prenderlo, eppure erano al contempo dolci e delicate, si sposavano alla perfezione con le mie, modellandosi su di esse, senza imporsi con violenza. Conduceva il gioco, ma era attento a non andare contro la mia volontà. Non si era reso conto che essa si era sbriciolata nell’istante esatto del contatto. Ero come creta nelle sue mani, ma quella vulnerabilità non mi rendeva ansiosa o a disagio. Sapevo che con lui ero al sicuro, che potevo affidarmi totalmente all’angelo che mi stringeva.

Il bacio aumentò il ritmo, accondiscendendo all’esigenza di entrambi di sentirci ancora più vicini. Una mia mano discese lungo la sua guancia come ad assicurarsi che non si sarebbe discostato da me. Dipendevo dalle sue labbra, erano diventate il mio presente, avevano cancellato il mio solitario passato e mi stavano promettendo un futuro insieme.

Non percepivo più la terra sotto i piedi, né la pioggia cadere. Esisteva solo quel bacio, tutto il mio mondo era racchiuso tra le nostre labbra che procedevano insieme in quella danza nuova eppure già così familiare, così normale, come se fossero nate solo per stare le une sulle altre. Mi sentivo appagata e felice, come se il mio unico scopo nella mia vita fosse baciare quelle labbra e se quello fosse stato realmente il Paradiso, sarei stata più che felice di baciarle per sempre.

Dante affermava che amava ben poco colui che poteva esprimere a parole quanto amasse. Non potevo che concordare, quel gesto passionale, dolce, romantico, spontaneo ero più eloquente e più vero di mille discorsi scontati che non avrebbero saputo racchiudere tutto ciò che provavo. Quel bacio portava con sé la mia voglia mai soddisfatta di sentire qualcuno accanto me, il suo desiderio di condividere le sue preoccupazioni con qualcuno, la mia necessità di essere me stessa ed essere accettata per quello che ero. Il bisogno di amare l’altro con tutto se stesso e di farglielo capire, di assicurargli che da quel momento in poi l’uno ci sarebbe sempre stato per l’altro.

Non sapevo dire se quando ci separammo fosse passato un secondo o un’eternità. Il tempo apparteneva a quella dimensione problematica che avevo lasciato a contemplare passato e futuro. Ma quando avvenne mi persi nel vedere rispecchiato il mio benessere fisico e mentale nei suoi occhi. Era la felicità fatta a persona, un sorriso beato sulle labbra e gli zaffiri luminosi rivolti verso di me.

Un timido raggio di sole gli illuminò il profilo destro del suo volto regale. Alzai lo sguardo al cielo e osservai lieta il cerchio di fuoco vincere le nubi grigie che a poco a poco lasciavano il campo ad un cielo azzurro sconfinato. Ma non era questo il solo spettacolo meraviglioso che vidi. Aveva smesso di piovere, ma le gocce d’acqua si erano cristallizzate in aria formando il perimetro di una sfera con noi al centro. Mi guardai attorno osservando estasiata la rete di piccoli diamanti che ci avvolgeva e solo allora mi accorsi che eravamo sospesi a mezz’aria, teneramente abbracciati ad una decina di metri dal suolo, alla stessa altezza delle cime più alte degli alberi del bosco.

“Come hai fatto?”

La domanda di Peter mi giunse con voce piena di stupore e meraviglia. Ssi era accorto della piccola magia avvenuta.

“Non ne ho idea” sussurrai incredula. Si trattava senza ombra di dubbio di magia, ma ero stata io a compierla? Se era si, non me ne ero minimamente resa conto.

Mi ricordavo che ad un certo punto avevo smesso di avvertire la pioggia cadere e la terra sotto i piedi, ma avevo accreditato la causa della mia percezione alla piacevole distrazione del bacio, non pensavo ad una causa effettiva. Possibile che il mio stato d’animo euforico si fosse tramutato in potere diradando le nuvole scure? Che la mia sensazione di essere al settimo cielo fosse stata tradotta in senso letterale dalla mia magia facendomi volteggiare in aria? Non era mai accaduto prima, ma di recente i miei poteri avevano dato vita a molti incantesimi che non avevo mai visto, perché ritenere impossibile anche quell’ultima dimostrazione dell’assenza di limiti in campo magico? 

“Credo che la mia magia abbia fatto divenire realtà il mio desiderio di fermare il tempo in questo meraviglioso istante, sai?” gli dissi stringendomi di più a lui.

Peter ricambiò la stretta. “Allora ha esaudito il desiderio di entrambi, mia stella” rispose, accarezzandomi i capelli. “Ma ti assicuro che anche senza magia non basterebbero mille anni per separarmi da te. Ormai ti ho presa e non ti lascerò andare facilmente” mi sussurrò all’orecchio malizioso.

Sorrisi felice a quelle parole. “Me lo prometti?”

La sua risposta fu un altro bacio paradisiaco, che firmò la sua promessa direttamente sul mio cuore, mentre i raggi del sole, filtrando attraverso le gocce cristallizzate, ci avvolgevano con i colori dell’arcobaleno.        

 

*

 

Caro il mio re, goditi questi ultimi istanti di gloria e pace perché tra non molto avrai ben poco di cui rallegrarti. Il piccolo dibattito avvenuto tra te e lei è solo la punta dell’iceberg.

Mi hai rubato il trono, il regno, privato del corpo e costretta a rilegarmi in una dimensione parallela per milletrecento anni, ma non avrai anche lei e i suoi poteri, te lo posso giurare. Lei appartiene a me, non a te, e presto si renderà conto a chi deve veramente il suo amore e la sua lealtà, non basteranno le tue belle parole e i tuoi baci per convincerla a restare dalla tua parte. E con lei mi riprenderò ciò che è mio di diritto, il controllo su Narnia e sui suoi abitanti e questa volta per sempre.

Trema mio giovane e sventurato re perché la mia vendetta è appena iniziata.

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Capitolo 13
*** 12_La magia del tramonto prima della battaglia ***


Ciao a tutti^^! Ho quasi paura ha postare dopo tutto questo tempo, avete ancora voglia di leggermi? Spero tanto di si! Anche perché qst è il cappy della battaglia, che finalmente giunge insieme ad un po’ d’azione dopo i capitoli precedenti riflessivi e più romantici. Solo la prima parte del capitolo è ancora sui toni dolci ed è dedicata ai fan di Susan e Caspian (come vi avevo promesso, dato che lo scorso capitolo ho parlato solo di Cate e Peter, qui fanno il loro ritorno il principe e la regina che compiono i loro piccoli passi avanti nelle loro complicata relazione^^). Ci sarà un colpo di scena finale che magari qualcuno aveva previsto, spero che vi incuriosisca, fatemi sapere cosa ne pensate e cosa vi attendete in seguito a questa svolta^^! Vi lascio alla lettura ora, un bacione e dato che è finita la scuola, BUONA VACANZE A TUTTIIIIIII^^!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

 

Ringraziamenti:

 

QueenBenedetta: Ciao! Sono contenta che Cate e Peter ti piacciano e grazie per i complimenti alla ficcyJ! Fammi sapere cosa ne pensi di qst’ultimo cappy ^^ grazie ancora, un bacione e a presto 68Keira68

 

Sweetophelia: ciao! Sono felicissima che la scena della dichiarazione sia riuscita e che ti abbia regalato quelle emozioni (anche io avrei dato nn so cosa per essere al posto di Cate, ti capisco hihi^^)! Effettivamente Peter ci ha messo un po’ per confessarsi apertamente, però lo h fatto principalmente per nn metterle fretta, ma alla fine si è deciso ^^! La fiducia che Cate ha in Jadis porterà ad alcuni problemi sia per lei che per Peter, quindi ha ragione a vederla di cattivo occhio, anche perché Aslan farà la sua comparsa ma ci vorrà ancora un bel po’ (si farà attendere come fa quasi sempre quindi ihih) mentre l’arrivo di Jadis è ormai alle porte cn tutti i problemi che ne conseguiranno… Sono contenta che le citazioni siano state apprezzate, anche perché sono tra le mie frasi celebri preferite e mi piaceva l’idea di riuscire ad inserirle ^^ spero che qst cappy non ti deluda, ma che ti piaccia quanto il precedente J sono curiosa di sapere le tue impressioni al più presto ^^! Ti mando un bacione grande grande 68Keira68

 

noemi_moony: ciao! Quanti complimenti grazie mille **!! Sei davvero troppo buona, nn sai quanto sono contenta nel sentire che la storia ti piaccia così tanto!!!!!! Anche a me nn dispiacerebbe incontrare un ragazzo come Peter, oltre ad essere bellissimo è pure caratterialmente perfetto, magari ne esistessero! Spero che anche qst capitolo ti piaccia così tanto J nn vedo l’ora di leggere la tua recensione J! Kisskisses 68Keira68

 

GilmoreGirl: Ciao! Wow, tutta d’un fiato? *me onorata* grazie mille per averla apprezzata così tanto!!!!!!! ^^ sn molto contenta e mi auguro che anche qst capitolo ti piacerà come i precedenti ^^ fammi sapere cosa ne pensi^^ un grandissimo bacio 68Keira68

 

Risotto: Ciao! Sono contenta che Peter ti sia piaciuto come il resto del capitolo, grazie infinite^^!! Per rimediare alla mancata presenza di Susan e Caspian nell’altro però ti anticipo che la prima parte di qst cappy è interamente loro che vivranno il loro momento di tenerezza J spero che ti piacerà ^^ fammi sapere cosa ne pensi della coppietta e del resto del cappy^^ ti mando un bacione 68Keira68

 

Marti_18: Ciao! Sono contenta che la storia e Cate e Peter ti piacciano, grazie **! Mi auguro ti piacerà anche quest’ultimo capitolo J kisskisses 68Keira68

Grazie mille anche a tutti coloro che mi hanno aggiunta tra i preferiti, tra le ricordate o tra le seguite o a coloro che hanno anche solo letto :-)

Buona lettura

Kisskisses

68Keira68

 

witch

12_La magia del tramonto prima della battaglia

 

 

Girò sul materasso, verso destra.

No, era una posizione scomoda per addormentarsi.

Si rigirò dall’altra parte.

Peggio di prima.

Calciò le lenzuola lontano da lei, la stavano soffocando.

Ma il caldo non diminuì neanche con la lontananza dal cotone.

Diede due pugni al cuscino, per ammorbidirlo, confidando che almeno quello stratagemma avrebbe funzionato, ma quando nemmeno quello le assicurò una posizione comoda, rinunciò ad appisolarsi e si sedette irritata sbuffando.

Era inutile. Da quando si era svegliata di soprassalto per colpa di un rumore molesto, non era più riuscita ad addormentarsi, nonostante si ripetesse che aveva bisogno di riposo. Quella notte ci sarebbe stata la missione per conquistare il castello di Telmar, avrebbe dovuto ristorarsi durante il pomeriggio non girare come una trattola tra le coperte!

Eppure, nonostante le sue logiche motivazioni, il sonno non giungeva. Avvilita, raccolse le gambe al petto e mise la testa sulle ginocchia, iniziando a dondolarsi dolcemente. Da bambina quel ritmato movimento aveva il potere di tranquillizzarla, forse avrebbe funzionato anche questa volta poiché il problema della dormita mancata non stava nel cuscino, bensì nei due pensieri che le martellavano incessantemente la testa.

Il primo, e il più comprensibile, era l’ansia per la battaglia imminente. Odiava la guerra, non sopportava l’odore del sangue, la vista dei soldati deceduti, il sinistro suono delle lame che cozzavano l’una con l’altra. Eppure sapeva che non poteva sottrarsi, la prosperità del suo popolo dipendeva anche da quanto lei era brava ad azzittire il suo Io e diventare una fredda e precisa arciera. Peccato però che fosse quasi impossibile far tacere la propria voce interiore, specialmente la sera, quando la consapevolezza di aver stroncato un centinaio di vite la raggiungeva in tutta la sua grandezza. E a nulla potevano le sue motivazioni, che fossero giuste o meno, perché in quei momenti niente le sembrava più sacro della vita che aveva spezzato.

Senza contare la paura di rimanere uccisa lei stessa in battaglia o, peggio ancora, il terrore che provava alla sola idea di perdere uno dei suoi fratelli o la disperazione che leggeva nei volti del suo popolo mentre piangeva le persone a loro care perse sotto il colpo di una spada.

Per non parlare delle conseguenze devastanti che avrebbe avuto una loro sconfitta. Non osava nemmeno rifletterci sopra. Se avessero perso, Narnia sarebbe stata spacciata. Telmar avrebbe vinto su tutti i fronti e a loro non sarebbe che rimasto stare rintanati da qualche parte ad attendere un miracolo o la fine.

Ciò le causa una lunga lista di ottimi motivi per soffrire di insonnia, ma a questi se ne sommava ancora uno, forse il principale. Caspian.

Il ragazzo, per una persona meno problematica e orgogliosa, sarebbe stato la chiave per allontanare le sue ansie, ma poiché lei era una persona problematica e orgogliosa rappresentava un altro motivo di preoccupazione.

Susan provava il disperato desiderio di vederlo. Voleva sentire la sua voce calda rassicurarla e stringere il suo corpo forte contro il suo per avvertirlo vicino a sé, presente come sempre per difenderla e sostenerla. Era sicura che le sarebbe bastato questo per scacciare i suoi pessimistici pensieri, la vicinanza di Caspian.

Ma non poteva uscire dalla sua stanza ed intrufolarsi in quella del giovane. Cosa avrebbe pensato lui? L’avrebbe presa per una scocciatrice che imponeva la sua presenza. In più ora stava certamente dormendo, come avrebbe dovuto fare anche lei, non poteva andare a disturbarlo. Era certa che l’animo gentile del ragazzo gli avrebbe impedito di cacciarla, ma lei non voleva rivestire il ruolo dell’importuna.

Quanto erano morbide le sue braccia che la cingevano però…

Susan sospirò e si alzò, stiracchiandosi gli arti. Si guardò attorno, pensando al da farsi. Ritornare a letto era fuori discussione. Non sarebbe riuscita ad addormentarsi nemmeno con mezza bottiglietta di sonnifero. Poteva uscire dalla stanza, fare dieci passi verso sinistra, bussare ad una porta simile alla sua e chiamare… No, anche quello non era fattibile. O meglio, non lo avrebbe fatto. Concluse che l’unica possibilità restante fosse uscire da quella angusta stanza e sperare che un po’ d’aria fresca le liberassero la mente dalle preoccupazioni.

Decisa, uscì svelta dalla camera. Una volta nel corridoio, con la cosa dell’occhio notò che la porta della stanza di Peter era aperta e che il letto era intatto. Sorrise al pensiero che il fratello aveva gradito il letto, e più specificatamente la sua ospite, della notte precedente a tal punto da ritornarci quel pomeriggio.

Almeno qualcuno che riesce a convivere felicemente con i suoi sentimenti c’è.

Mosse qualche passo con la mente rivolta a Cathrine e al re quando inaspettatamente si ritrovò dinanzi ad una porta. Non ad una porta ma a quella porta. La camera di Caspian.

Ci era giunta involontariamente poiché le scale per raggiungere il piano inferiore erano esattamente dalla parte opposta. Maledisse il suo subconscio che l’aveva condotta dove avrebbe voluto in cuor suo essere se fosse riuscita a mettere a tacere il suo raziocinio.

E ora che era giunta fin lì? Sarebbe entrata? La sua mano si protese verso la maniglia, ma appena venne a contatto con il ferro duro scattò all’indietro come se si fosse bruciata. Il cuore cominciò a batterle a mille. Sentiva sopra ogni altra cosa la presenza di Caspian dietro quella porta di semplice legno. Voleva entrare, ogni singola particella del suo essere voleva varcare quella soia, eppure la ragione prevalse, ancora una volta, e le sue gambe fecero un passo in dietro. Non poteva entrare e disturbarlo senza altra motivazione della sua voglia incondizionata di vederlo. Non era da lei e mai lo sarebbe stato.

Strinse forte i pugni e corse nella direzione delle scale. Doveva uscire, prendere una sana boccata d’aria fresca. Magari il vento, oltre all’odore delle fronde degli alberi e del muschio, avrebbe potuto portare via con sé i suoi desideri per riportarglieli solo quando sarebbe stata pronta per esaudirli.

 

Passi. Leggeri, delicati, sicuramente femminili, prima lenti nell’avvinarsi e dopo celeri nell’allontanarsi.

Li aveva sentiti distintamente risuonare nel quieto silenzio dell’edificio, proprio dietro la sua porta. Anzi, aveva la netta impressione che la proprietaria dei passi si era avvicinata di proposito alla sua stanza per poi distanziarsene in fretta, anche se non riusciva a capire perché e chi avesse compiuto un’azione apparentemente così illogica.

O meglio, c’era un nome che si era affacciato nella sua mente, ma sarebbe stato troppo bello anche solo sperare che Susan andasse da lui di sua spontanea volontà con il solo scopo di vederlo. Troppo bello, troppo irreale, troppo sentimentale trattandosi di Susan, era una spiegazione dettata più dal suo desiderio di averla con sé che dalla ragione.

La donna che gli stava sottraendo il sonno costringendolo a rigirarsi inutilmente tra le lenzuola da ore non avrebbe mai compiuto un gesto guidato solo dai sentimenti senza il supporto della logica. Era più probabile che la stanchezza gli avesse giocato un brutto tiro facendogli udire suoni inesistenti.

Era stanco, ma più mentalmente che fisicamente. Era stanco di ripensare alle parole di Susan per riudire il suono della sua voce nella testa, era stanco di riportare alla mente le sue fattezze, i suoi morbidi capelli setosi e i suoi vivaci e fermi occhi castani. Stanco di torturarsi con il desiderio insoddisfatto di posare un delicato bacio su quei petali che erano le sue labbra. Ma purtroppo sapeva bene che era un desiderio ardente quanto irrealizzabile per il momento. La regina gli aveva chiesto del tempo per metabolizzare i suoi sentimenti e lui le aveva giurato che l’avrebbe attesa. E avrebbe rispettato la sua promessa ad ogni costo.

Se sopravvivo allo scontro di questa notte.

La riflessione gli era giunta come un fulmine a ciel sereno. Quella notte si sarebbe tenuta la battaglia alla fortezza di Telmar, la battaglia per la quale tutta la popolazione di Narnia si era preparata lavorando sodo per mesi. Il pensiero fisso di Susan gli aveva fatto mettere in secondo piano tutto il resto.

Incredulo per aver quasi dimenticato una simile questione, adirato con se stesso poiché un principe non poteva certo permettersi una mancanza del genere, si alzò dal letto e andò a recuperare la spada, con l’intenzione di uscire fuori ed allenarsi, come per espiare la sua colpa.

Almeno si sarebbe certamente sentito più utile e attivo fuori a tirare fendenti all’aria che lì a stropicciare il lenzuolo riflettendo sul sorriso di Susan.

Cercando di non far eccessivamente rumore, richiuse la porta dietro di sé e si accinse a percorrere il corridoio illuminato fiocamente dalle torce. Nonostante i buoni propositi di non soffermarsi con il pensiero sulla ragazza non poté impedire ai suoi occhi di guizzare veloci sulla porta della sua stanza. Era lì, sulla parte del corridoio opposta a dove era la sua. Era chiusa, probabilmente Susan stava dormendo come avrebbe dovuto fare anche lui. Certamente non passeggiava dinanzi all’ingresso della sua camera come aveva sperato ingenuamente qualche minuto fa.

Fissò la porta con insistenza, tanto che si stupì nel non vederla andare a fuoco. Aveva un desiderio inestinguibile di aprirla ed andare da lei, sapeva che il semplice gesto di girare quella maniglia, sarebbe equivalso per lui ad avere l’accesso al Paradiso. Ma era ben conscio che se l’avesse fatto avrebbe infranto la promessa di aspettarla e lei si sarebbe allontanata un’altra volta. A quel punto riconquistarla sarebbe stato ancora più arduo, se non impossibile.

Scosse la testa desolato e proseguì lungo le scale, arrivando presto nella sala centrale, attualmente deserta. A tutti era stato consigliato di andare a dormire sin dal primo pomeriggio per essere riposati e in forma per la battaglia di quella notte a Telmar. Un’ottima idea suggerita da Lucy, ovviamente se qualcuno non soffriva di insonnia per cause di cuore come Caspian.

Uscito dalla sala, venne accolto dal sole pomeridiano, il cui calore veniva piacevolmente smorzato da un venticello fresco e leggero. Un clima ideale per allenarsi e distendere la mente.

Avanzò lungo il grande ed immenso prato che circondava l’edificio, delimitato in lontananza dagli alberi secolari, con la lieta prospettiva di poter smarrire i suoi pensieri nei gesti automatici dell’arte della scherma. Adorava tirar di spada, ma ancora di più il magico momento dove il suo braccio si fondeva con la fidata arma di metallo, diventando un tutt’uno efficace quanto letale, dove non aveva più bisogno di riflettere sulla tecnica o sulla prossima mossa in quanto ogni movimento e attacco diventavano naturali come respirare.

Tirò fuori la spada dal fodero, calibrò l’arma pregustando l’inizio dell’esercitazione e caricò il primo colpo alzando lo sguardo sopra un nemico invisibile.

Il braccio rimase fermo a mezz’aria, pietrificato, bloccando l’affondo. L’aveva vista appena aveva guardato dinanzi a sé. Non era un’allucinazione, era la realtà. Lei, la ragazza che l’aveva fatto alzare dal letto, la ragazza che desiderava con tutto se stesso, la ragazza che occupava ogni suo singolo neurone. Lei era veramente là, seduta da sola in mezzo alle rovine dell’arena, intenta ad osservare il cielo azzurro sovrappensiero. Gli bastò un attimo per capire di chi erano i passi uditi poco prima. Erano veramente di Susan, era andata da lui per vederlo ma all’ultimo doveva averci ripensato ed era corsa via. Il sentimento che l’aveva portata davanti alla sua porta era stato ancora una volta battuto dalla ferrea logica che l’aveva già allontanata da Caspian.

Il principe si chiese se fosse saggio avvicinarla, considerando che era appena fuggita dalla sua porta. Forse la sua presenza l’avrebbe infastidita e avrebbe fatto meglio a tornare dentro.

La mente del ragazzo scacciò subito quell’opzione. Era stata lei la prima ad andare da lui, ciò voleva dire che aveva il suo stesso desiderio di vederlo ma gli mancava la forza di perseguirlo. In tal caso il meglio che il giovane principe potesse fare era di aiutarla andandole incontro ed esaudendo di conseguenza l’ambizione di entrambi.

Ripose la spada nel fodero e si avvicinò con calma alla figura esile della regina.

Seduta con la schiena appoggiata ad una delle lastre di marmo, fissava assorta il cielo, gli occhi limpidi e pensierosi, i capelli sciolti prede del vento, il viso leggermente inclinato verso destra. Nel quadro, la donna più bella che avesse mai visto. Il cuore di Caspian aumentò la velocità dei battiti mentre posava il suo sguardo su di lei, discreto come una lieve e timida carezza. In quel frangente, priva della solita austerità e senza doveri immediati da eseguire, ma immersa in una personale oasi di pace, ispirava dolcezza e fragilità. Fragilità che strideva con l’idea che da lì a poco avrebbe dovuto incoccare frecce per assottigliare le linee nemiche. Fragilità che la portava ad essere la persona che Caspian meno che mai avrebbe voluto vedere in guerra. Fragilità che esigeva un custode che la proteggesse dagli avversari e da ogni possibile ferita, e lui sarebbe stato quel custode. Il suo custode. L’avrebbe difesa da ogni persona, da ogni spada e da ogni freccia che avessero anche solo osato considerarla come un bersaglio.

Talmente era immersa nelle sue riflessioni, che Susan nemmeno si accorse dell’arrivo del principe finché egli non rivelò la sua presenza richiamando la sua attenzione.

“Non riesci a dormire?” le chiese, prendendo posto accanto a lei.

Susan sobbalzò dalla sorpresa nell’udire la voce calda di Caspian. Posò il suo sguardo su di lui e un lieve rossore, raro da trovare sulle sue gote, si fece strada sul volto mentre realizzava il nuovo giunto. Il cuore prese a batterle forte, tanto che temette che lui potesse sentirlo. Accidenti, odiava essere presa alla sprovvista, specialmente se l’artefice del sentimento era capace di bloccarle la parola già normalmente. Deglutì, e cercò di riprendersi dalla sorpresa, soffocando la risposta sincera e completa che aveva in mente per rispondere alla sua domanda -“si, perché continuo a pensare a te”- e recuperando un minimo di contegno.

Felice del fatto che non fosse tenuta a fornire una risposta particolareggiata, si limitò a dire la prima parte, quella meno insidiosa.

“Si” confermò, esibendo un timido sorriso. “Neanche tu vedo” constatò poi.

Caspian ricambiò il sorriso, contento di appurare che aveva avuto ragione nel credere che la sua presenza non sarebbe risultata sgradita alla ragazza.

Il giovane si sistemò meglio accanto alla regina, slacciandosi il fodero della spada dalla vita e posandolo poco distante. “Paura per la battaglia?” si informò, considerando che la causa più probabile della sua insonnia fosse il timore per l’esito dello scontro che si sarebbe tenuto quella notte. Era plausibile che fosse in apprensione per il suo popolo, per i suoi fratelli e per se stessa.

Un calore quasi palpabile si propagò lungo il suo petto al pensiero che quando aveva sentito la necessità di essere confortata avesse pensato a lui invece che a Peter o a Edmund. L’idea che fosse andata alla sua porta in cerca di sostegno morale era verosimile. Che si fosse fermata all’ultimo vergognandosi della sua debolezza era poi possibile quanto sbagliato poiché Caspian la stava incoscientemente aspettando a braccia aperte da tutto il pomeriggio. Ma al mancato conforto si poteva facilmente rimediare, il principe le era seduto accanto per quello.

“Sono un po’ preoccupata. A parole il nostro piano sembra infallibile ma, come si dice, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Basta un minimo imprevisto perché il nostro attacco sia un fallimento. E non oso nemmeno immaginare quali sarebbero in tal caso le conseguenze per noi” mormorò a testa china. Sospirò e scosse leggermente la testa, come a voler scacciare quei funesti pensieri.

Caspian avvertì il suo cuore stringersi nell’udire la paura che riusciva a trapelare dalle sue parole, nonostante sapesse quanto la ragazza cercava di nascondergliela. Era sorpreso, non era abituato a vedere Susan così fragile. Di solito si presentava come la regina di Narnia, ferma, forte, sicura e inarrestabile quanto irreprensibile, eppure ora, bagnata dalla luce di un sole morente, in quel magico momento a confine tra il giorno e la notte dove il tempo pare fermarsi per qualche istante, Susan gli si presentava dinanzi esattamente per quello che era. Una giovane donna neanche ventenne che si liberava di una corona troppo pesante per il suo gracile collo per concedersi un istante di umana debolezza. Aveva paura che il suo popolo perdesse e venisse distrutto. Aveva paura che i suoi fratelli e le persone a lei care morissero in battaglia. Probabilmente aveva paura che lei stessa morisse in battaglia, troncando violentemente la sua vita appena iniziata.

Dinanzi agli occhi non aveva Susan, regina di Narnia, ma solo Susan. La sua Susan.

Spinto dalla tenerezza, azzardò un contatto per farle comprendere che le era vicino. Con due dita le accarezzò il mento e glielo girò nella sua direzione, in modo da guardarla negli occhi, quelle due sfere castane che avevano momentaneamente rotto gli argini di austerità per far traboccare un mare di emozioni. Timore, angoscia, apprensione, insicurezza. Ed ora che il suo sguardo si stava incatenando al suo forse anche… emozione? Aspettativa? Felicità?

“Andrà tutto bene. Tuo fratello non è uno sprovveduto, è il re più capace che Narnia abbia mai avuto e il tuo popolo sa come deve difendersi e come deve lottare. Abbiamo riveduto il piano cento volte e ci siamo esercitati a lungo e senza sosta. Siamo pronti.” Le disse con il tono più risoluto che aveva. Voleva convincerla della veridicità delle sue parole. Desiderava ardentemente scacciare via l’inquietudine dalle sue iridi nocciola. “Con questa notte, Narnia riconquisterà le sue terre e, cosa ancora più importante, la sua libertà” concluse.

La sua ricompensa fu la comparsa di un sorriso, anche se appena accennato. “Ne sei certo?” chiese in un sussurro.

“Si” le assicurò senza esitare.

Sapevano entrambi che nessuno avrebbe potuto prevedere con certezza l’esito di quella futura e determinante battaglia, ma quando si era sospesi nel tempo risultava facile crearsi un proprio futuro e credere intensamente ad esso. Ecco perché il sorriso di Susan divenne a poco a poco più sicuro e sollevato.

La giovane si avvicinò al principe e si accoccolò tra le sue braccia, mettendo la parte destra del volto a contatto con il suo petto per farsi cullare dal ritmico e costante battito del suo cuore. Il giovane rimase interdetto solo per un secondo, poi, con il volto illuminato dalla gioia, cinse la schiena di Susan con il braccio destro e prese ad accarezzarle il volto con la mano sinistra.

La felicità che provava in quell’istante era indescrivibile. Il sogno di poche ore prima era divenuto realtà. L’oggetto del suo desiderio e del suo amore era lì tra le sue braccia che si stringeva a lui in cerca di conforto, di sicurezza, di pace. La guardò con dolcezza. Aveva le palpebre chiuse e il volto finalmente rilassato, privo dell’angoscia con la quale l’aveva trovata, come se avesse scoperto nella vicinanza con il giovane l’unico antidoto per le sue preoccupazioni.

Anche le sue afflizioni si erano dissolte nel nulla. Il desiderio inesaudito che gli aveva tolto il sonno si era avverato poiché ora lei era lì a riposare sul suo petto, dove il cuore palpitava di gioia. Appoggiò la testa con delicatezza tra i suoi capelli di seta e inspirò a fondo. Lo investì il suo odore, gli ricordava quello intenso dei fiori di campo. Gli trasmetteva pace e tranquillità, come anche il calore che irradiava il suo piccolo e aggraziato corpo disteso sopra il suo.

La sensazione di fragilità e dolcezza che gli trasmetteva aumentò. L’avrebbe protetta ad ogni costo, quella notte nessuno avrebbe osato avvicinarsi alla sua piccola regina.

Chiuse gli occhi e si lasciò cullare da quella dolce sensazione di benessere e di completezza che finalmente era giunta, unendosi spiritualmente a lei in quella magica empasse tra giorno e notte, dove il tempo si ferma congelando ogni questione terrestre per cedere il passo a quella divina dell’amore.

 

*

 

Non era possibile. Non era proprio possibile. Sollevavo massi, risvegliavo foreste, addormentavo persone e non riuscivo a fare questo? Non era proprio possibile.

Sbuffai irritata e gettai di mala grazia la corazza sul letto. Maledizione a lei e a tutti i suoi lacci. Erano dieci minuti buoni che cercavo di infilarla e ancora non ero riuscita nell’intento. Quell’arnese si era rivelato più difficile da indossare che un corpetto. Il che era tutto dire.

Una risata divertita catturò la mia attenzione. Mi girai con sguardo omicida.

“Continua a ridere e te la tiro addosso” minacciai offesa e ancora più irritata alla vista di Peter perfetto nella sua smagliante armatura da cavaliere. La cotta di maglia spuntava da sotto la sua corazza recante l’effigie di Aslan, la spada era appuntata al fianco e i gambali erano allacciati correttamente a protezione delle gambe. Perché ci aveva impiegato meno di cinque minuti a vestirsi da capo a piedi? Ma soprattutto, perché la mia rabbia sbolliva mentre fissavo la sua figura slanciata, resa argentata dal riflesso dei raggi lunari sull’armatura che lo faceva sembrare il principe azzurro delle fiabe? Ero certa che nemmeno Re Artù in carne ed ossa potesse eguagliarlo in bellezza e regalità, specialmente in quelle vesti. Accidenti, non mi era concesso nemmeno di adirarmi con lui.

Peter mi si avvicinò con ancora l’ombra del sorriso sulle labbra. “Permettimi di aiutarti” si propose galante.

Accettai rassegnata. Almeno avrei evitato di passare un’altra mezz’ora buona a litigare con i lacci.

Recuperò la corazza dal letto e mi si avvicinò, iniziando a posizionarla sapientemente sul mio petto. Con poche mosse riuscì finalmente a farmi indossare la parte superiore dell’armatura sopra un vestito blu notte di Lucy, adatto per mescolarsi tra le ombre di notte. Per fortuna non era necessario che indossassi le altre protezioni, anzi dovendo assistere allo scontro vero e proprio da una posizione appartata e riparata era già un eccesso di zelo farmi indossare la corazza.

Scontro.

Quella terribile parola rimbombo nelle mie orecchie con l’eco del suo significato funesto. Tra poco sarebbe avvenuto lo scontro per il quale ci stavamo preparando da tempo. Lo scontro con la quale Narnia cercava di riacquistare la sua legittima libertà. Lo scontro alla quale io avrei partecipato per mettere fuori gioco le sentinelle e aprire la grata. Lo scontro dove i Pevensie e in particolare Peter potevano perdere la…

Un tremito violentò mi impedì anche solo di concludere il pensiero.

Il giovane re si accorse del mio stato d’animo e mi accarezzò il volto. Gli bastò guardarmi negli occhi per intuire i miei pensieri. Quei pensieri che avevo cercato di tenere alla larga fino all’ultimo, persino prendendomela con la corazza, ma che alla fine mi avevano raggiunta.

Cercai di fare un profondo respiro per tranquillizzarmi, ma sapevo che era inutile. L’ansia per la battaglia imminente stava per giungere, inarrestabile e portatrice di dolorose preoccupazioni.

“Peter” lo chiamai simulando una calma che in realtà non possedevo “mi prometti che andrà tutto bene?” gli domandai cercando nei suoi zaffiri quella sicurezza che solo lui sapeva trasmettermi. Purtroppo però in quel cielo primaverile quella volta trovai solo l’afflizione che gli causava il desiderio irrealizzabile di farmi una promessa che sapeva non poter donarmi. Io per prima ero conscia del fatto che la mia domanda era infantile e sciocca. Come poteva sapere lui che ogni cosa sarebbe andata per il verso giusto? Che saremmo stati tutti sani e salvi domani mattina? Non poteva.

Si morse il labbra, indeciso su quale risposta fornirmi. Poi un lampo di fermezza gli attraversò le iridi cristalline e la sua voce mi giunse vellutata alle orecchie mentre mi sollevava il mento con delicatezza.

“Questa è la mia promessa” disse ad un soffio dalle mie labbra prima di poggiare su di esse le sue, morbide come le aspettavo.

Ricambiai il bacio, aggrappandomi ad esso come se fosse l’unico punto fermo, l’unica certezza che potevo portare con me verso il futuro incerto. Socchiusi le labbra e accolsi la sua lingua che firmava un tacito contratto di sostegno e comprensione con la mia. Una sua mano cinse la mia vita per stringermi di più a sé, facendo sbattere le due corazze l’una contro l’altra con un metallico clangore, mentre le mie corsero ad immergersi tra i suoi capelli dorati, percorrendo i lineamenti del suo viso perfetto prima di giungere alla meta. 

Quando interruppe il bacio, rimase a pochi millimetri dalle mie labbra, bloccando la mia testa poggiando una mano dietro essa.

Quando parlò, il suo alito fresco mi investì insieme al suo odore che tanto adoravo.

“Ti prometto che qualunque cosa succeda questa notte, tu sarai al sicuro. Non permetterò a niente e a nessuno di nuocerti. Anche se Miraz dovesse vincere nella peggiore delle ipotesi, tu sarai al sicuro” ripeté l’ultima frase scandendo con calma e fermezza ogni sillaba.

Rimasi incantata dal magnetismo dei suoi occhi zaffiro trasudanti convinzione. Come potevo dubitare delle sue parole? Soprattutto se suggellate precedentemente con un bacio intriso di sincerità quanto di amore come era stato il nostro appena avvenuto.

Annuii impercettibilmente, ma non accennai ad alcun sorriso. Anche se le sue affermazioni mi rassicuravano -e mi facevano più effetto di quello che avrei desiderato- , non era la mia incolumità quella che mi stava più a cuore.

“E tu?” sussurrai, esprimendo la mia principale preoccupazione. Se sopravvivere a quella notte equivaleva a dire sopravvivere senza di lui, non ero così certa di voler scampare alla battaglia. Perché in tal caso, la mia intera esistenza futura sarebbe stata un sopravvivere come lo era stata prima di incontrare Peter, poiché solo da quando il ragazzo aveva intrecciato il suo destino con il mio aveva realmente cominciato a vivere. Morto lui, sarei morta anche io dentro, tornando ad essere la ragazza senza affetto e con il cuore sigillato che il re aveva trovato nel bosco la prima volta che ci eravamo visti.

Il secondo di esitazione che scorsi nei suoi occhi fu prontamente sostituito dal giovane sovrano da un’espressione spavalda, ma, purtroppo per me, c’era stato ed io lo avevo scorto. Tuttavia cercai di non darci peso, preferivo credere alla sua facciata di guerriero indistruttibile con la quale potevo nutrire il mio cuore con grandi speranze di rivederlo intatto e vivo domattina.

“Cathy, una volta lasciata alle spalle questa questione, sai dove saremo io e te domani pomeriggio?” chiese incurvando gli angoli delle labbra all’insù.

Scossi la testa leggermente, incuriosita.

Lui si chinò su di me e accostò la sua bocca al mio orecchio, con l’aria di confidarmi un segreto. Fece scivolare entrambe le braccia attorno alla mia vita e mi abbracciò.

“Alla nostra spiaggia. Faremo il bagno insieme, ci sdraieremo sulla sabbia per riscaldarci al sole e poi cammineremo tra gli alberi che tu hai risvegliato. Solo io e te, come sempre, e tutto questo non sarà che un brutto ricordo”

Le sue parole sussurrate tracciavano il quadro della mia completa e assoluta felicità. Lasciai che penetrassero nella mia mente, scacciando via la logica assieme ad ogni preoccupazione razionale. Non volevo ascoltare per ora, volevo solo proiettare me e il mio re tra le onde cobalto e la sabbia fine e bianca.

Ricambiai la stretta e nascosi il viso nell’incavo del suo collo, inebriandomi del suo odore.

“Non vedo l’ora” mormorai.

“Anche io”

Il cigolare della maniglia ci costrinse a separarci, seppur a malincuore.

La slanciata e seria figura di Susan, con già l’arco e la faretra in spalla, si presentò sulla soglia della mia camera da letto.

“Siamo pronti” disse lapidaria.

Emisi un respiro deciso, raccogliendo tutto il coraggio di cui necessitavo. Non c’era spazio per i ripensamenti e il tempo per la rassicurazioni era purtroppo finito.

Il momento atteso quanto temuto, era infine giunto.

 

Nel prato che circondava l’edificio, tutto l’esercito di Narnia era pronto per partire per la battaglia. I centauri calibravano un’ultima volta le spada, preparandosi per quando avrebbero dovuto utilizzarle contro i nemici. Qualche minotauro limava per l’ennesima volta un’ascia probabilmente già mortalmente affilata. I fauni assicuravano l’arco alle spalle, mentre i grifoni attendevano i loro cavalieri per partire in volo.

I cavalieri in questione erano i Pevensie, Caspian ed io. Edmund sarebbe salito in groppa con me ed insieme saremmo planati sulla torre di vedetta sinistra, dove avremo messo fuori gioco la prima sentinella e alzato il cancello. O meglio io avrei fatto ciò mentre lui mi avrebbe protetto in caso di attacchi imprevisti.

Inizialmente si era fermamente proposto Peter per il ruolo di custode, ma insieme poi si era decretato che la sua presenza attiva nello scontro era di vitale importanza. Il re non poteva restare in disparte mentre il suo popolo combatteva, doveva dare l’esempio, guidare i suoi uomini alla carica, aiutarli lottando e comandandoli. Quindi, nonostante la preoccupazione del biondo di non essermi fisicamente vicino durante la battaglia, si era optato per lasciare che Edmund rivestisse il compito del mio difensore privato. Personalmente avrei preferito Peter, ma non lo avrei mai sottratto al suo popolo in un momento tanto critico per motivazioni puramente egoistiche. Inoltre ero del parere che non avrei dovuto temere niente finché Edmund mi fosse stato accanto. Come spadaccino era abile quanto il fratello e sapevo che teneva a me, quindi non avrebbe mai permesso che mi succedesse qualcosa di spiacevole. Anche perché sospettavo che Peter lo avesse minacciato di terribili conseguenze per ogni ipotetico graffio avessi potuto subire.

Con la coda dell’occhio notai Lucy cercare di catturare la mia attenzione. Mi stava indicando una scena alle mie spalle che non tardai a visualizzare. Un sorriso malizioso mi si dipinse sul volto mentre scorgevo leggermente in disparte Susan e Caspian, vicini e immersi in una fitta conversazione dai toni teneri a giudicare dalle espressioni di entrambi. Evidentemente la regina aveva trovato il coraggio di aprirsi un poco con il giovane principe. Mi volsi e vidi Lucy farmi l’occhiolino divertita e compiaciuta. Dopotutto la maggior parte del merito per quell’avvicinamento andava a lei.

“Se siete tutti pronti, possiamo andare” la voce perentoria di Peter risuonò tra gli astanti.

No, mi ero sbagliata, quella che avevo udito non era la voce di Peter. Era la voce del re di Narnia. Mai come in quel momento ammirai la sua figura regale nell’armatura. Testa alta, schiena dritta, sguardo fiero e mano appoggiata all’elsa, fissava i suoi uomini prima della battaglia.

“Con questa notte, noi riprenderemo le nostre case e il nostro controllo legittimo sulla florida terra di Narnia. Faremo vedere a Telmar e a Miraz chi comanda su queste pianure verdi e magiche. Narnia è nostra. Ma, cosa ancora più importante, ci riprenderemo la libertà che ci è stata ingiustamente sottratta. Libertà!”

L’esercito fece da eco all’ultima parola pronunciata dalla bocca del biondo. La mia ammirazione crebbe. Peter sapeva come incitare i suoi soldati, come infiammare i loro cuori e spronarli all’attacco anche solo con una piccola arringa. Era un sovrano nato.

Si avvicinò a me e scorsi nei suoi occhi un poco di quella preoccupazione che cercava a tutti i costi di nascondere. Mi guardò teso e serio, incatenandomi con il suo sguardo.

“Io farò tutto ciò che è in mio potere per proteggerti e trarti in salvo, ma tu non fare nulla di avventato, d’accordo? Resta con Edmund, con lui sarai al sicuro. Non fare niente di più di quello che abbiamo concordato, nessun atto folle e apparentemente eroico.” Ordinò con il tono di chi non ammetteva repliche.

Non mi fu difficile acconsentire. Per quanto volessi ardentemente la vittoria di Narnia, ero troppo codarda per tentare gesti da eroe. Avrei fatto utto ciò che potevo per rendermi utile, ma non mi sarei inoltrata nel vivo della battaglia. Quello era troppo per me, nonostante l’alta causa che avrei sostenuto.

“Bene, in sella allora” concluse a voce alta. Mi diede un ultimo bacio a fior di labbra, sfiorandomi la guancia con la mano. Fu veloce e piccolo ma il suo significato era immenso. Equivaleva a dire: abbi cura di te, non temere nulla, ti difenderò, tra poco saremmo di nuovo l’uno accanto all’altra.

Senza ulteriore indugio, mi avvicinai al grifone di nome Plumage, come mi aveva informato Susan, che si chinò gentilmente favorendomi la salita sulla sua groppa. Sistemai le gambe all’attaccatura delle possenti ali e immersi le mie dita tra le morbide piume dorate della creatura. Salire su un grifone era un’esperienza che superava di gran lunga quella già particolare di galoppare su un cavallo parlante. Ero sopra una bestia mitologica, le mie mani erano aggrappate alle sue penne vellutate e lucenti che avvertivo reali sotto il mio tocco. Era strabiliante, sopportabile solo se si riusciva ad accettarlo senza analizzare nel dettaglio la situazione. Più o meno come ho fatto finora, rammentai a me stessa.

Poco dopo Edmund montò anche lui, più agilmente di me, e mi fu dietro.

“Pronta al decollo?” chiese retoricamente e senza aspettare la mia risposta, il grifone spiccò il volo.

Quando le sue zampe si staccarono da terra trattenni a stento un urlo. Non avevo mai volato su qualcosa senza motore e carburante. Sbarrai gli occhi, temendo che se avessi guardato di sotto e calcolato a che distanza ero da terra, sarei svenuta. Mi artigliai al piumaggio della creatura, minimamente cosciente che avrei potuto farle male, troppo stordita dal battere furioso del mio cuore. Mi diedi mentalmente della stupida per non aver pensato di chiedere a Peter o a qualcun altro di darmi lezioni di volo prima di quella sera. Sapevo che saremmo arrivati al castello in sella a dei grifoni, eppure, presa com’ero a preoccuparmi solo della  battaglia, avevo tralasciato il piccolo dettaglio che per me sarebbe stata la prima volta che utilizzavo quelle bestie per volare. Serrai le ginocchia attorno al fianco del grifone, ripetendomi come un mantra che, al pari di Fulmine, anche Plumage sapeva cosa fare e non mi avrebbe disarcionata.

Passai una manciata di minuti con gli occhi testardamente serrati, ama un violento scossone, dovuto ad una corrente d’aria più forte delle altre, mi costrinse ad aprirli. La sensazione fu indescrivibile. Forse avevo sbagliato a privarmi della vista. Lo spettacolo che mi si presentava davanti era talmente strabiliante da farmi dimenticare la paura di cadere nel vuoto.

Stavo volteggiando in un cielo stellato, talmente in alto che mi sembrava di far parte del firmamento. Il buio ci avvolgeva, ma non ci era ostile, copriva il nostro arrivo, accogliendoci e rendendoci parte di esso. Il vento sferzava contro il mio viso, facendomi lacrimare gli occhi, ma insieme all’odore fresco della notte, portava quello dell’adrenalina che mi entrava dentro scorrendo assieme al mio sangue, più veloce ad ogni colpo d’ala.

La sensazione di euforia che mi stava pervadendo scomparve però bruscamente quando in quel cielo nero vidi stagliarsi delle guglie aguzze illuminate dal chiarore della luna. Il palazzo di Telmar era vicino.

Deglutii a vuoto.

“Stai calma, andrà tutto bene” cercò di tranquillizzami Edmund, probabilmente accorgendosi del mio irrigidimento improvviso, peccato che la sua voce per prima suonasse tesa. Era meno abile del fratello a nascondere le preoccupazioni evidentemente. Nonostante ciò annuii, apprezzando comunque il gesto.

Guardai alla mia destra, dove sapevo stavano volando Peter e, poco più in là Susan e Caspian. Un’occhiata e un cenno di intesa segnalarono l’inizio concreto della missione.

Edmund diede un colpetto al grifone che ci trasportava ed esso con una virata ci condusse verso la torre più vicina, dove avrei dovuto neutralizzare il soldato per poi prenderne la posizione di vedetta.

Feci un grande respiro per cercare la concentrazione, il timore del volo completamente cancellato. Ora toccava a me.

Quando fummo abbastanza vicini, chiusi gli occhi e individuai l’aura del soldato. Era davanti a me, passeggiava calmo lungo il perimetro circolare del torrione di destra. Chiamai a raccolta i miei poteri e indirizzai una piccola ondata di energia con forza a penetrare la barriera della sua aura. Il soldato si accasciò al suolo come un sacco di patate poco prima che Plumage planasse silenziosamente sulla guglia. Edmund scivolò con agilità lungo la schiena della creatura alata, finché non si ritrovò in piedi sul balconcino. Si volse verso di me e protese le mani per aiutarmi a scivolare giù a mia volta. In pochi secondi mi ritrovai accanto a lui e solo allora, conquistata la torre con il soldato addormentato a terra, mi permisi di tirare un sospiro di sollievo. La prima mossa era stata compiuta con successo.

Mi protesi dal parapetto con gli occhi rivolti verso il cielo. La seconda azione era di Peter, Susan e Caspian.

Focalizzai le loro figure ancora in groppa ai grifoni. Stavano planando veloci e silenziosi verso il corridoio tra le due torri di destra. Quando furono vicini a sufficienza Susan scoccò dall’arco due frecce e atterrò due soldati, precisa come sempre. Peter smontò a qualche metro da terra e atterrò con un salto sul corridoio dietro alle spalle di un soldato. Quest’ultimo non ebbe nemmeno il tempo di realizzare cosa stava accadendo che fu trafitto dalla spada implacabile del re che venne raggiunto poco dopo da Caspian e Susan.

Insieme tutti e tre si diressero verso la torre in fondo a destra e con l’aiuto delle corde e dei picconi si calarono giù dal torrione fino a raggiungere la finestra di sotto, quella che dalle informazioni di Caspian dava l’accesso alla camera del suo tutore. Li vidi entrare dentro furtivi e indisturbati e chiudersi la finestra alle spalle. Da lì avrebbero dovuto raggiungere la camera di Miraz e contrattare la resa di Telmar.

“Bene, sono dentro” commentò soddisfatto Edmund, appoggiato al parapetto vicino a me. “Ora devi aprire il cancello” mi ricordò.

Annuii, affatto preoccupata. Quella era il compito più semplice da svolgere.

Mi volsi verso l’inferriata, protesi entrambe le mani verso essa e richiamai la magia nei palmi. La sentii subito scorrere nelle mie vene e convogliarsi nelle mani. Il cancello era pesante e non avrei saputo tenerlo aperto a lungo solo con le mie forze, ma per fortuna si trattava unicamente di aprirlo e porre poi un blocco alla ruota posta accanto ad esso, in modo che non si richiudesse.

La mia magia, una volta liberata, avvolse le sbarre di ferro e cominciò a sollevarle piano, cercando di fare il meno rumore possibile. Occorsero pochi minuti affinché il cancello fosse completamente spalancato, al che concentrai la maggior parte della magia sulla mano destra per poter utilizzare la sinistra per azionare il blocco della ruota sottostante. Ascoltai il “click”, avviso che il meccanismo era scattato, con immenso piacere.

“Il cancello è aperto e così rimarrà finché vorremo” affermai con certezza.

“Perfetto” mi rispose sorridendo “Ora dobbiamo aspettare il segnale di Caspian prima di chiamare l’esercito”.

“Ora aspettiamo” confermai io. Appoggiandomi con la schiena alla balaustra.

“Secondo te quanto ci impiegheranno?” chiesi, poco dopo.

Edmund alzò le spalle. “Poco. Devono raggiungere la camera senza essere visti e grazie a Caspian non dovrebbe essere un problema. Dopodiché Caspian tornerà indietro per dirci di far entrare l’esercito mentre Peter e Susan terranno sotto tiro Miraz e negozieranno la resa di Telmar” mi spiegò.

Pregai tra me e me che tutto andasse liscio come lo descriveva lui. Passarono altri dieci minuti in silenzio. Entrambi eravamo troppo tesi per chiacchierare di frivolezze ed era inutile disquisire ancora sulla missione in corso. Ma non era un silenzio imbarazzante, l’ansia lo riempiva a sufficienza per scacciare ogni altro sentimento.

Il velo di apparente tranquillità della notte fu però squarciato da un grido.

Sia Edmund che io scattammo in piedi, preoccupati e sorpresi, e ci protendemmo dal parapetto.

Ciò che vidi mi bloccò il respiro. Peter e Susan stavano combattendo nel cortile di pietra con tre soldati.

“Il segnale! Cathrine, dai il segnale!”

La voce altisonante del giovane re mi giunse chiara e forte nelle orecchie. Andai nel panico. Non doveva succedere questo, sarebbe dovuto arrivare Caspian dicendo che Peter e Susan avevano raggiunto la stanza del re di Telmar e che era giunto il momento di fare entrare l’esercito per prendere il castello. Perché Peter e Susan stavano combattendo ora?

“Catrhine” Edmund fece presa sulla mia spalla, richiamandomi. “Devi lanciare il segnale, subito!” l’urgenza nella sua voce era palpabile e riuscì a penetrare il mio smarrimento.

Mi concentrai per tornare presente e alzai una mano verso il cielo. Iniziai a lanciare diverse sfere di luce in aria, abbastanza in alto affinché i soldati di Narnia, poco distanti, le vedessero e capissero che era giunto il loro momento.

Funzionò perché nel giro di neanche un minuto sentimmo con sollievo la carica del nostro esercito attraversare in forze il ponte levatoio abbassato. In quello stesso momento il suono di un corno rimbombò nell’aria e il cortile si popolò dei telmarini con le spade sguainate. Lo scontro era cominciato.

Vidi con angoscia crescente fauni e centauri combattere con coraggio contro il grande numero degli uomini di Miraz. Il clangore di spade contro spade, il sibilo delle frecce scoccate da archi precisi, le grida di dolore e di incitamento si confondevano insieme ferendomi le orecchie. Ferita che si propagava fino al cuore mentre cercavo disperatamente e inutilmente di scorgere Peter in quella baraonda di armi e combattenti. Era sparito, non riuscivo a distinguerlo, e per questo la mia ansia cresceva a dismisura. Il mio re era stato inghiottito intero dalla battaglia.

“Cosa può essere andato storto?” chiesi ad Edmund, senza però distogliere lo sguardo dal cortile, con la voce che sfiorava le tre ottave.

“Non lo so. Spero solo che non sia successo niente a Caspian, non era con Peter e Susan prima” notò il giovane re.

Corrucciai la fronte, riflettendo sulle sue parole. Era vero, il principe non si trovava con i due ragazzi prima che scoppiasse la battaglia, dove era finito?

Edmund colpì con un pugno il parapetto, digrignando i denti. Era preoccupato anche lui, ma in più sembrava frustrato. Smaniava per agire ma era costretto a restare con le mani in mano accanto a me per proteggermi da potenziali aggressori. Mi sentii in colpa, ma ero troppo vigliacca per decidere di restare da sola e permettergli di partecipare alla battaglia. Mi giustificai pensando che Peter non gli avrebbe permesso di lasciarmi, anche se sapevo che era troppo piccola come scusa per mettere a tacere la mia coscienza.

“Puntare e… tirare!” una voce autoritaria richiamò la nostra attenzione.

Dalla balaustra che collegava le torri di destra si erano affacciati gli arcieri di Telmar, pronti a fare cadere sui soldati di Narnia una pioggia di letali frecce.

“No” urlai spaventata e senza accorgermene compii un ampio movimento con il braccio, facendo partire un’onda di magia che si propagò lungo tutto il cortile deviando la direzione delle frecce e diminuendo la loro potenza, facendo si che cadessero a terra come semplici ramoscelli guidati dalla forza di gravità.

Ammirai basita il mio inaspettato risultato. Avevo reso futile l’intervento degli arcieri.

“Grande Cate” si congratulò Edmund, strabuzzando gli occhi.

Un’espressione decisa si fece strada sul mio volto. Forse avevo trovato un altro modo per rendermi utile a Narnia. Potevo deviare i loro dardi, compito che non mi esponeva a rischi  e che poteva salvare diverse vite.

Vidi che gli arcieri, sbigottiti che il loro attacco era stato inefficace, si stavano preparando per riprovare a colpire. Mi preparai anche io, confluendo la magia in tutto l’avambraccio. Appena scoccarono le frecce, io lancia l’incantesimo deragliandole nuovamente.

Questa volta gli arcieri si guardarono attorno, irritati e increduli che i loro colpi non andavano a segno. Sorrisi tra me e me pensando che sicuramente non avrebbero mai potuto pensare che la causa della loro inefficacia fosse la magia. In più da quella posizione appartata poteva agire indisturbata.

“Cate, guarda là”

Edmund spinse la mia attenzione su un punto in basso, sulla sinistra vicino al colonnato. Impiegai qualche secondo per comprendere cosa voleva farmi notare, e quando scorsi una chioma bionda in mezzo alla mischia mi si ghiacciò il sangue nelle vene.

Peter stava combattendo con tre soldati contemporaneamente ed era in netto svantaggio. Cercava di tenere coraggiosamente testa a tutti e tre, ma era in difficoltà ed era evidente che non avrebbe resistito ancora a lungo. Con il cuore che iniziava a battere furioso e preoccupato, guardai freneticamente attorno a lui sperando di scorgere Susan o qualcun altro che stava venendo in suo soccorso, ma nessuno pareva essersi accorto della situazione, impegnati com’erano a scontrarsi con gli altri soldati.

“Non puoi lanciare una sfera o aiutarlo in qualche modo?” domandò agitato Edmund.

“Non posso, se lanciassi una sfera rischierei di colpire Peter, si muovono troppo per prendere la mira” dissi concitata.

Cosa si poteva fare?

Trattenni il fiato quando vidi la lama di una spada sfiorargli il viso, e lì presi la mia decisione.

“Vai tu” proposi risoluta.

Edmund mi squadrò non comprendendomi.

“Come?”

“Vai tu” ripetei “posso farti volare e planare accanto a lui” spiegai veloce, in preda all’apprensione. La vita di Peter era in pericolo e agire in fretta era fondamentale per salvarlo.

La decisione disegnò in un lampo i suoi lineamenti. “Se puoi farlo davvero, fallo subito” mi intimò, accettando la mia proposta senza ulteriore indugio.

Senza rispondergli, mi affrettai a radunare la mia magia e ad impegnarla per farlo volare, priva di qualsiasi esitazione. La paura di rimanere sola sulla torre, preda di possibili attacchi, era svanita alla luce del fatto che Peter aveva bisogno di aiuto. Avrei volentieri affrontato tutto l’esercito di Telmar da sola se fosse servito a salvarlo.

Così, incurante del fatto che aveva fatto lievitare solo me e Peter prima di allora e che lo avevo fatto incoscientemente, avvolsi il corpo di Edmund con la mia magia, lasciandomi guidare dalla ferrea volontà di salvare la persona senza la quale non avrei potuto andare avanti.

Concentrandomi sulla figura snella del giovane, urlai “vola” mentalmente. La magia funzionò e il ragazzo si librò in aria subito. Non mi diedi il tempo per gioire di quel piccolo successo e subito mi concentrai per farlo volteggiare oltre il parapetto, sopra le decine di soldati che si combattevano tra loro. Scorsi un velo di preoccupazione negli occhi castano scuro di Edmund, data dal fatto di trovarsi sospeso a decine di metri da terra senza un sicuro sostegno ad evitargli una possibile caduta, però i lineamenti del suo volto erano ancora atteggiati nella smorfia di certezza che gli avevo visto poco prima.

Lo portai esattamente sopra a dove si trovava Peter e poi lo feci scendere perpendicolarmente al cortile. Ad un paio di metri da terra Edmund aveva sguainato la spada e aveva atterrato uno dei tre soldati colpendolo di sorpresa dall’alto.

Peter nel frattempo era riuscito ad abbattere un secondo uomo mentre Edmund concludeva con l’ultimo rimasto. Solo a quel punto trassi un sospiro di sollievo. Peter era salvo. Mi appoggiai con le braccia alla balaustra, leggermente affaticata per la magia appena compiuta e per la tensione provata. Un rivolo di sudore mi scese lungo la tempia mentre osservavo con un sorriso divertito Peter che squadrava Edmund incredulo di trovarselo a fianco. Potevo immaginare il loro dialogo. Peter, soprassedendo sul fatto di essere appena stato salvato dal fratello, stava probabilmente inveendo contro il povero Edmund per avermi lasciato sulla torre da sola. Al che il moro avrebbe sicuramente risposto che senza di lui sarebbe morto, che ero stata io ad insistere per farlo volare in suo soccorso e che ormai, dato che era lì ed io non correvo alcun pericolo imminente, era inutile litigare ma occorreva andare avanti con la battaglia. A quel punto Peter avrebbe annuito ma ero certa che non gliela avrebbe perdonata facilmente e che la discussione era solo rimandata.

Mentre formulavo questo pensiero, il biondo in questione si volse verso la mia direzione, carico di apprensione.

Gli sorrisi per calmarlo, ma mentre alzavo una mano per fargli segno di non preoccuparsi, una freccia sibilò a poco distanza dal mio orecchio.

Mi pietrificai mentre vedevo Peter sbiancare anche da quella distanza. Deglutendo diressi il mio sguardo verso la provenienza del dardo. Pochi secondi dopo però avrei preferito non aver visto. Una decina di soldati, capitanati da un uomo in armatura senza elmo a nascondergli una barba nera e a punta, mi stavano puntando dal balcone di fronte. Sudai freddo. Diavolo, mi avevano vista, probabilmente mentre facevo volare Edmund. E adesso?

Li vidi preparare tutti e dieci la balestra nella mia direzione. Il mio cuore cominciò a battere furioso, ma fortunatamente il mio istinto di sopravvivenza prevalse e mi spinse a ripararmi in fretta dietro il parapetto di pietra, impenetrabile per le loro armi.

Chiusi gli occhi e mi riparai la testa con le braccia, precauzione superflua ma che mi faceva sentire più protetta, preparandomi al rumore sibilante che avrebbe accompagnato l’arrivo delle frecce. Ma non fu un rumore fischiante a raggiungere le mie orecchie, bensì quello di un oggetto pesante in ferro in caduta libera e quello di diverse urla. Confusa uscii fuori dal parapetto quel tanto che bastava per avere una visione completa della scena sottostante.

Mi ci volle un secondo per comprendere e riempirmi d’orrore. I dardi non erano giunti a me perché all’ultimo il loro capitano li aveva fermati, dando l’ordine di colpire invece con una lama la corda che tratteneva il peso posta sopra la ruota della cancellata che cadendo avrebbe chiuso definitivamente proprio l’inferriata -fonte del rumore da me udito-, chiudendo ogni possibilità di fuga ai combattenti di Narnia.

Il cancello però non si era chiuso del tutto. Un minotauro infatti si era coraggiosamente interposto tra esso e il pavimento, sostenendo con la sua sola forza l’inferriata.

Ma non avrebbe retto a lungo. Lo sapeva il minotauro, lo sapevo io, lo sapeva Peter che con la coda dell’occhio constatai come fosse stato spettatore dell’accaduto, e lo sapeva il comandante degli arcieri, che con un ghigno vittorioso stava ordinando ai suoi uomini di caricare nuovamente le armi e puntarle contro il nostro soldato.

Quando vidi le frecce partire ed andare a conficcarsi nel corpo già provato del minotauro, mi uscì un “No” soffocato e pieno d’angoscia. Ero inorridita a tal punto da non riuscire a concentrarmi per lanciare un incantesimo. Il soldato si chinò dal dolore e l’inferriata scese di qualche centimetro. Ancora qualche minuto e si sarebbe chiusa definitivamente, e con essa la nostra speranza di vittoria.

Guardai Peter, fiduciosa che sapesse cosa fare per salvare i suoi uomini. Con piacere vidi subito che la mia fiducia non sarebbe stata tradita. Il re stava urlando di ritirarsi e i soldati di Narnia avevano colto l’ordine immediatamente, e si stavano dirigendo in massa verso il cancello, cercando di uccidere quanti telmarini potevano al loro passaggio.

Presi un profondo respiro, riflettendo sul fatto che re Peter aveva preso in mano la situazione e che avrebbe portato i suoi soldati alla salvezza. Poco importava che non avevamo preso il castello, lo avevamo comunque attaccato, dando una grande dimostrazione di forza per una popolazione che teoricamente sarebbe dovuta essere estinta, e avevamo inflitto un gran numero di perdite ai nemici. Questo già di per sé era una grande risultato.

Notai gli arcieri di Telmar prepararsi ad un nuovo attacco, ma questa volta ero pronta. Deviai con facilità il loro attacco. Peccato che dopo però non ebbi il tempo di gioirne in quanto il loro capitano, compreso subito stavolta da dove provenisse l’interferenza, si diresse nella mia direzione con una balestra pronta e scoccò una freccia. Con una prontezza di spirito che non credevo di possedere mi buttai nuovamente al riparo del parapetto, giusto un secondo prima che la freccia vibrasse micidiale sopra la mia testa. Sospirai di sollievo per il pericolo scampato. Sollievo che si disperse quando avvertii il rumore metallico del cancello che si abbassava ancora.

Mi alzai in piedi ed osservai con angoscia il minotauro che si accasciava a terra e l’inferriata che centimetro dopo centimetro segnava la fine di tutti gli abitanti di Narnia ancora all’interno del cortile.

D’istinto alzai le mani e richiamai velocemente la mia magia per fermare la discesa del cancello. Lo arrestai ad un metro da terra e concentrandomi riuscii a rialzarlo di un altro paio. Sapevo che non potevo bloccarlo come avevo fatto prima, in quanto il meccanismo era stato rotto dalla caduta del peso, e ciò implicava che avrei dovuto tenerlo aperto solo con la magia finché non fossero usciti tutti. Ma la grata era davvero pesante e io già provata dagli incantesimi svolti finora, non ultimo quello di levitazione. Non avrei resistito a lungo.

Cercai con lo sguardo Peter, certa di trovarlo ancora dentro le mura del castello, e lo scorsi poco distante dalla posizione dove lo aveva visto prima.

Urlai il suo nome con quanto fiato avevo in corpo. Dovevo assolutamente ottenere la sua attenzione. Il primo richiamo però fu inutile, ma non mi persi d’animo e riprovai altre tre volte, con il cuore che batteva sempre più forte per l’agitazione. Finalmente, al quarto grido, il re mi udì e si voltò nella mia direzione. Notando le mie braccia alzate, fece saettare il suo sguardo da me al cancello sospeso a metà e gli bastò un secondo per comprendere la situazione.

“Fai uscire tutti, non reggerò a lungo” gli intimai a gran voce.

Lui mi sentì e annuì con la testa, dopodiché ripeté ai suoi uomini il comando di ritirarsi con rinnovato vigore, urlando la necessità di fare in fretta. Lo vidi poi correre nella mia direzione, sul volto un’espressione preoccupata visibile sin da quassù.

“Chiama Plumage subito! Vattene da lassù, i soldati di Miraz ti hanno puntata!” mi gridò.

Lo guardai aggrottando le sopraciglia. “Se io me ne vado, il cancello si chiude e voi morirete tutti” gli dissi di rimando, sconcertata dal fatto che non lo avesse compreso e cercando di non notare quanto sforzo mi stesse costando anche solo parlare mentre sostenevo l’incantesimo.

“Lo so, ma cosa intendi fare? Rimanere lì in eterno?”

Una lampadina mi si accese. Peter aveva inteso alla perfezione, ma non voleva andarsene sapendomi ancora in territorio nemico.

Gli sorrisi comprensiva, cercando di ignorare la debolezza che la magia prolungata mi stava causando. La testa iniziava a girarmi e cercai di scuoterla per scacciare via le vertigini.

“Non ti preoccupare, appena tutti, tu compreso, vi sarete messi in salvo, lo chiamerò subito e sarò via prima che Miraz se ne accorga” lo rassicurai, cercando di apparire sicura di me.

Lui scosse la testa. “Cathrine, non intendo rischiare, tu devi…”

“Io devo tenere l’inferriata aperta.” Lo interruppi decisa. Chiusi gli occhi per colpa di un giramento di testa più forte degli altri. La magia mi stava prosciugando le forze. Tra poco sarei crollata, non potevo sprecare tempo ed energie a discutere con Peter, doveva andarsene via presto.

Caspian arrivò tempestivamente in groppa ad un cavallo nero tenendo per le redini un secondo cavallo castano probabilmente per il re e seguito da un terzo destriero portante un signore anziano che non riconobbi. Fui felice del suo arrivo, pensando che forse lui avrebbe convinto il re ad andarsene comprendendo la situazione.

Infatti vidi i due giovani reali discutere tra loro e infine Peter montare contrariato sul suo destriero. Sospirai di sollievo, ma un altro giramento mi investì forte. Barcollai ma tentai di riprendermi subito udendo il malefico clangore metallico che mi ricordava che ad ogni mio piccolo cedimento il cancello si avvicinava al pavimento. Le mie braccia stavano tremando, tese fino allo spasimo per sostenere il flusso continuo di magia che andava da me alla cancellata, ma dovevo resistere, almeno finché Peter e Caspian non fossero usciti.

“Chiama Plumage, così inizia a dirigersi verso di te mentre noi ce ne andiamo” mi urlò il biondo.

“Ok” gridai in risposta, senza abbassare lo sguardo. Se serviva per far si che se ne andasse, lo avrei accontentato.

Con una forza che trassi da una fonte sconosciuta, alzai una delle due mani e lanciai veloce una sfera in aria, il segnale concordato con il grifone, per poi riportarla immediatamente a tenere alzato il cancello, che intento si era abbassato di un altro paio di centimetri.

L’ulteriore dispendio di energie mi causò un giramento di testa più forte degli altri e per qualche istante ogni cosa si fece buia. Feci un lento e lungo respiro per calmami e riprendere il controllo della situazione. Dovevo tenere duro ancora poco, dopodiché sarei tornata alla base con il grifone, da Peter. Mi aggrappai all’idea che domani saremmo stati alla nostra spiaggia per vincere l’affaticamento, ignorando i rumori  della battaglia sottostante che volgeva alla fine.

Con la coda dell’occhio vidi il re di Narnia, ancora restio ad andarsene, che guardava nella mia direzione, mentre Caspian lo istigava alla fuga. Fortunatamente il giovane principe sembrò riuscire a convincere infine il re ed insieme galopparono fuori dalle mura del castello, protetti dal manto della notte, con mio grande sollievo.

Le braccia ormai tremavano in maniera incontrollabile e non so grazie a quale divinità riuscivo ancora a sostenere l’incantesimo. Resistetti ancora cinque minuti per dare il tempo a tutti gli abitanti di Narnia di fuggire. Quando vidi il cortile completamente sgombro dai combattenti di Peter, potei finalmente fermare la magia.

Caddi priva di forze sulle ginocchia, accompagnata dal metallico suono dell’inferriata che si chiudeva definitivamente. Con le braccia ancora tremanti e il respiro affannoso, riuscii a girarmi di schiena per appoggiarmi al parapetto in attesa di Plumage. Mi accorsi solo in un secondo momento che una sostanza vischiosa e umida mi stava invadendo le labbra. Mi pulii con il dorso della mano, ritrovandomelo dopo sporco di un liquido rosso vermiglio. Sangue. Lo sforzo dell’incantesimo mi aveva fatto perdere sangue dal naso.

Meglio dal naso che non da qualche ferita, pensai, soddisfatta del mio operato nonostante le conseguenze fisiche. Alzai lo sguardo al cielo, godendomi la vista delle stelle mentre cercavo delle piume dorate in avvicinamento, cercando di ignorare le voci dei soldati telmarini che cercavano di salvare i feriti e di lavar via le tracce della battaglia appena avvenuta. Il petto mi si alzava e abbassava furioso, in cerca disperatamente di ossigeno.

Quando fui sicura di riuscire a reggermi in piedi se appoggiata ad un sostegno, mi alzai, se pur con qualche fatica, abbarbicata al parapetto. Seppellita al riparo della balaustra era improbabile che il grifone mi vedesse e potesse giungere in mio soccorso, riflettei. Peccato che non pensai al fatto che se ero visibile per Plumage era più che visibile anche per i soldati di Telmar come mi fece notare un grido d’allarme proveniente dal cortile.

L’urlo mi perforò il timpano più per il suo significato che per la forza effettiva del suono.

Con il cuore in gola mi girai in tempo per vedere i telmarini che indicandomi si apprestavano a raggiungere la torre dov’ero.

Terrorizzata, mi sporsi dal parapetto e iniziai a gridare il nome della bestia alata, cercando di non badare alla testa ch aveva ripreso a girare violentemente, causandomi una forte nausea. Ma dove diamine era finito quel grifone? Sarebbe dovuto restare nei paraggi pronto per arrivare!

Lo sguardo mi cadde poi in un punto del prato circostante il castello e il respiro mi i mozzò in gola. Anche nel buio della notte, la figura piumata accasciata a terra, color dell’oro, era inconfondibile. Plumage era stato abbattuto. Nessuno sarebbe venuto a prendermi, realizzai con angoscia crescente. Nessuno mi avrebbe salvata, non sarei scesa da quella torre. Non avrei rivisto Peter.

Il panico prese il sopravvento. Cosa potevo fare? Ero da sola e priva di forze. Se avessi avuto le energie necessarie avrei tentato di lievitare giù dalla torre, oltre le mura, ma nelle condizioni in cui ero non riuscivo nemmeno a sostenermi sulle mie gambe.

Quando sentii la porta della piccola torre aprirsi con violenza, seppi che ero perduta.

Cinque soldati fecero il loro ingresso squadrandomi guardinghi, ma appena si accorsero che il loro avversario era niente di più che una ragazza di diciassette anni, un’espressione beffarda si fece strada sui loro volti.

Tremai, questa volta dalla paura, ma cercai di non darmi per vinta. Non mi sarei arresa docilmente, non davanti agli uomini che avevano causato tanto dolore e sofferenza al popolo di Narnia e ai Pevensie. In quel momento rappresentavo loro, non potevo deluderli dimostrandomi debole. Così cercai di mascherare quanto più possibile il terrore che mi stava attanagliando il cuore e l’angoscia per ciò che sarebbe potuto accadere in loro nome.

“Una ragazzina?” esclamò uno dei soldati incredulo.

“Già. Vediamo se è tanto intelligente da consegnarsi senza storie” commentò un altro ironico, avvicinandosi di un passo, estraendo la spada ma senza impugnarla con convinzione.

Ignorando la frase, spinta dalle motivazioni che mi ero elencata, richiamai le forze rimaste per incanalarle in una sfera e gliela lanciai. Con essa però, scemarono anche le energie. Vidi lo sgomento negli occhi dei miei avversari, sentimento che li spinse ad afferrare tutti la spada, mentre sentivo nuovamente il sangue colarmi giù dal naso. La vista si appannò, i contorni di ciò che avevo attorno cominciarono a divenire sfumati, mentre la mia coscienza andava alla deriva, tanto che udii lontanamente le voci sorprese dei soldati accanto a me. Le gambe cedettero e tutto si fece velocemente nero mentre scivolavo nell’inconsapevolezza dove non esisteva né Telmar né un mio futuro in certo, ma solo la voglia di trovare riposo e pace tra le braccia di un angelo biondo…

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Capitolo 14
*** 13_Casa mia ***


Ciao a tutti!!! Eccomi qui con il nuovo capitolo^^ vi ho lasciate con la nostra Cate che veniva catturata da Telmar, sn stata cattiva lo ammetto, però ora riprendo esattamente da dove avevo lasciato :-) Piccolo avviso, da qui in poi la trama si distacca da quella del film prendendo una strada molto diversa. Tornerà a riprendere il copione originale tra un bel po'...^^ C'è una sorpresa alla fine del cappy, che forse qualcuna di voi avrà presagito...^^ Sono curiosa di sapere i vostri pareri sul finale e le vostre supposizioni sul prossimo capitolo, vi aspetto numerose :-) un bacioneeee^^

Ringraziamenti:

GilmoreGirl_: ecco il cappy con il suo seguito^^ si, ho chiuso nel momento cruciale la votla scorsa, però altrimenti la suspance dove sarebbe stata? :-) spero che anche questo cappy ti piaccia, fammi sapere cosa ne pensi^^ un bacione grande e grazie per la tua recensione^^!

noemi_moony: Ciao! La ficcy e io siamo onorate del fatto che pur di leggerla hai rubato il tempo allo studio **!!!! Spero che tu sia stata promossa cmq a pieni voti carissima :-)! Peter nn avrà una reazione "docile" quando scoprirà la sorte di Cate come era prevedibile, ma dopotutto gli hanno rapito la sua amata, chi può biasimarlo?^^  Ma vedrai per bene la sua reazione leggendo, nn voglio rovinarti il testo della ficcy anticipandolo^^! Sn curiosa di sapere cosa ne pensi del finale del cappy, spero di leggere presto la tua recensione^^ ti mando un bacione!!!

arual: ciao! sn felicissima che la fan fiction ti piaccia e grazie mille per i complimenti al mio modo di scrivere, thanks^^!!! Mi auguro che anche qst cappy ti piaccia^^ un abbraccio grande!

sweetophelia: Ciao! spero di aver aggiornato prima che tu sia partita per le vacanze! Scusami, l'ultima volta ho impiegato una vita prima di postare, hai ragione^', ma la scuola nn mi stava dando un attimo di tregua, sob! Cmq ora ho postato il nuovo cappy così potrai vedere il destino che attende Cate che riprende esattamente da dove l'avevamo lasciato ^^ non vedo l'ora di leggere cosa ne pensi di quello che succederà a Cathrine, di come finisce il capitolo  e soprattutto di sapere tue eventuali supposizioni per il futuro^^! Sn contenta che ti sia piaciuto cm ho descritto la battaglia, era la prima volta che mi cimentavo su una scena così movimentata ed ero un po' dubbiosa sul risultato, quindi grazie per avermi rassicurata^^! Concordo con il fatto che era ora che Susan diventasse meno rigida, infatti nn vedevo l'ora di scrivere quel pezzo, il povero Caspian stava aspettando troppo! Spero che anche qst capitolo nn ti deluda^^ a presto, un bacione grandissimo!!!! 

SweetSmile: Ciao! Grazie mille per i tuoi complimenti, nn sai quanto faccia piacere vedere il proprio lavoro apprezzato, grazie davvero! Mi auguro che anche qst capitolo ti piaccia^^ un abbraccio forte!

debby95: Ciao! Figurati, anzi spero che tu abbia passato delle belle vacanze^^! Guarda, fidati se ti dico che fa sempre piacere sentire la parola "fantastico" associata al proprio lavoro, quindi grazie di cuore!! Spero che quest'ultimo capitolo ti piaccia quanto i precedenti :-) fammi sapere cosa ne pensi^^ ti mando un bacio grande!!

Ringrazio tutti coloro che mi hanno aggiunto tra preferiti o seguite o anche chi solo legge, grazie a tutti!!!!!!!!!!

Spero che il cappy vi piaccia

kisskisses

68Keira68

witch

13_Casa mia

 

“Mio signore, non sono ancora stati avvistati”

“Non tornano”

“Il cielo è ancora sgombro”

 

Parole dure, che rimbombano in testa come nel petto. Parole pesanti, che celano dietro di sé un significato troppo devastante per dargli una forma precisa.

“Non tornano” Plumage e …Cathrine. La sua Cathy. La sua piccola e indifesa stella.

Peter batté con rabbia un pugno sul tavolo, facendo spargere il barattolino di inchiostro sulla superficie lignea.

“Peter…” la voce di Susan lo raggiunse tentennante, ma si bloccò quando vide il fratello contrarre la mascella.

Il re aveva lo sguardo fisso su un punto non definito del tavolo, i muscoli tesi e un’espressione dura in volto. Dura come la pietra, dura come la morsa ferrea con la quale stringeva l’elsa della sua fedele spada, dura come il suo sguardo. Ma in perfetto contrasto con lo smarrimento che sentiva dentro. Nessuno aveva ancora pronunciato il sospetto che aleggiava nella mente di tutti, lui non aveva avuto nemmeno la forza di pensarlo, eppure sapeva che prima o poi sarebbe successo e allora l’accaduto sarebbe divenuto reale. Ma aspettava solo quella certezza per scattare.

Si sforzava di rimanere immobile, in piedi nella sala della tavola di pietra, circondato dai suoi fratelli, da Caspian e dal suo mentore che avevano salvato dalle prigioni del castello, e da due ufficiali, ma ogni fibra del suo essere era tesa. Tesa dall’ansia che quell’attesa snervante gli causa, tesa dal dolore che l’infausto presagio gli stava procurando.

Susan si morse il labbro, non sapendo come comportarsi con il fratello maggiore. Vedeva che stava soffrendo, anche se cercava di nasconderlo. Gli leggeva il dolore negli occhi azzurri, tormentati come un mare in tempesta e nella postura innaturalmente rigida. Sospirò e tentò di parlare nuovamente, ma questa volta venne interrotta dall’arriva trafelato di un messo. L’uomo che stavano aspettando, l’uomo che portava notizie delle spie mandate in ricognizione per cercare di conoscere cosa era successo al grifone e a Cathrine vedendo che i due non tornavano dalla fortezza.

L’attenzione di tutti i presenti si focalizzò sul messo, un fauno minuto per la sua razza con una corta spada appesa al fianco. Di tutti tranne che di Peter, che imperterrito continuava a guardare fisso dinanzi a sé, troppo impegnato a cercare di mantenere un minimo di autocontrollo anche solo per girare di poco la testa.

Nella sala regnava il silenzio, rotto soltanto dai respiri corti e affaticati del fauno, causati evidentemente dalla corsa che aveva sostenuto per arrivare dal suo re il più velocemente possibile. Il messo si mise una mano sul petto e cercò di regolarizzare il respiro quel tanto che bastava per consentirgli di respirare. Quando finalmente parve riuscirci, l’informazione gli uscì in un rantolo.

“Mio signore, Plumage è stato abbattuto mentre la ragazza…è stata catturata”

Accadde. Il cuore del giovane re si spezzò in più pezzi. Gli parve che ogni singola sillaba di quella frase gli si conficcasse nel suo povero muscolo come una stilettata e da ogni ferita sgorgarono una marea di sentimenti.

C’era apprensione. Per cosa le avrebbero fatto, per cosa avrebbe dovuto subire, per l’incertezza sulla sua attuale salute e per dove si trovava.

C’era paura. Paura di non rivederla mai più, di averla persa per sempre e di dover attribuire la colpa unicamente a se stesso. Paura di non poter accarezzare mai più quella pelle soffice, paura di non baciare più le sue labbra, paura di non stringerla più a sé tra le sue braccia, paura di non risentire lo scampanellio della sua risata, paura di non rivedere più i suoi occhi brillare al chiarore della luna.

Ma soprattutto c’era rabbia. Per coloro che avevano osato imprigionarla, per Edmund che l’aveva lasciata da sola su quella torre, per Susan che aveva insistito tanto affinché partecipasse alla guerra, per Caspian che non aveva rispettato il piano, ma soprattutto per se stesso che non era stato in grado di mantenere la sua promessa di proteggerla, che se ne era andato lasciandola da sola lì in campo nemico, che le aveva permesso di esporsi al pericolo.

Un fremito gli attraversò tutto il corpo. Il suo timore più grande si era concretizzato. Cathrine era in pericolo.

Questo pensiero lo attraversò come un fulmine a ciel sereno. La certezza che gli occorreva per scattare era giunta.

Cathrine è in pericolo. Si ripeté, come per dare più veridicità al fatto, e in quel preciso istante prese la sua decisione. L’avrebbe salvata, a qualunque costo, l’avrebbe salvata. Ora, senza attendere un solo secondo di più.

Senza guardare né i fratelli né il messo né nessun altro, attraversò a rapide falcate la stanza, imboccando il corridoio di pietra con l’effigi delle sue gesta passate, mentre stringeva con forza la spada, pregustando il momento in cui l’avrebbe usata contro quei vili che avevano osato sfiorare la sua stella.

In meno di un minuto fu fuori all’aria aperta, con la luna che ancora alta nel cielo gli illuminava la via per raggiungere le stalle dove riposava il suo destriero.

Andò senza esitazioni verso quella direzione, solo in minima parte cosciente di avere dietro di sé i suoi fratelli e Caspian che cercavano di parlargli inutilmente. Niente di quello che avevano da dire poteva interessarlo ora come ora, specialmente se cercavano di dissuaderlo dall’andare da Cathrine. Quando però sua sorella gli si parò davanti fu costretto a fermarsi.

“Togliti” le disse scocciato e secco.

Susan alzò un sopraciglio. “No finché non mi ascolterai” ribatté con determinazione.

Peter abbozzò un sorriso sarcastico. “Fatica sprecata” mormorò, facendo per sorpassarla, quando una mano forte lo afferrò per il braccio, facendolo voltare.

“Lasciami subito” quasi ringhiò contro un Caspian che non si fece intimorire dal suo tono alterato.

“No, prima dicci le tue intenzioni” gli intimò.

Con la rabbia che montava, Peter si liberò dalla presa del principe con uno strattone e lo squadrò in cagnesco. Possibile che non capissero la sua fretta, che non avessero intuito i suoi propositi? Doveva andare a salvare Cathy e doveva farlo velocemente, ogni secondo che perdeva per la loro stupidità e i loro indugi poteva essere fatale per la ragazza.

“Vado a riportare qui Cathrine, cosa credi che voglia fare?”

Caspian si esibì in una smorfia dolente. “Non puoi farlo, la tua impulsività ti costerebbe la vita. Pensi di riuscire ad entrare nel castello di Miraz da solo e indisturbato e liberare Cate? È una follia”

Il re strabuzzò gli occhi. Proprio lui osava fargli la predica su ciò che era più prudente fare?

“Ma certo, così tu puoi mandare a monte un piano dalla quale dipende la vita di Narnia intera per salvare il tuo mentore e io non posso rischiare la mia di vita per salvare la persona che amo?” sbraitò.

“Esatto” gli rispose, anche se un leggero imbarazzo gli si dipinse sul volto, pensando alle disastrose conseguenze della sua azione. “Ho sbagliato e lo ammetto, ma tu non ripetere il mio stesso errore. Anche dalla tua condotta futura dipende tutta Narnia. Sei il re, se muori in una missione suicida quale sarebbe questa, Narnia cadrà con te.”

Peter si morse la lingua. Sapeva che il principe aveva ragione. Aveva dannatamente ragione. Non poteva comportarsi come voleva, neppure per le più alte motivazioni. Molte vite dipendevano totalmente da lui.

“In più Miraz avrà raddoppiato se non triplicato la guardia al castello, dopo il nostro attacco. Ti ucciderebbero senza esitazioni se ti vedessero a meno di cento metri dalle loro mura. E una volta morto non saresti di alcun aiuto a Cathrine.” Rincarò la dose Edmund, prendendo per la prima volta la parola.

Peter abbassò gli occhi sconfitto. Purtroppo non poteva ribattere a quelle affermazioni. Era tutte terribilmente vere. E dimostravano che lui era impotente in quel momento. Non poteva salvare Cathrine, non ora per lo meno.

Fece un respiro profondo. Ora che la rabbia e l’agitazione, che l’arrivo della notizia aveva portato con sé, stavano sciamando, riusciva a vedere con oggettività quanto sarebbe stato stupido e inutile da parte sua partire seduta stante alla volta di Telmar.

Ma qualcosa doveva pur fare. Il suo corpo stesso lo richiedeva, stava fremendo dalla voglia di agire per porre un rimedio a quella situazione che non sarebbe dovuta verificarsi.

Guardò i suoi fratelli e il principe uno ad uno, l’espressione ferma ma gli occhi pieni di afflizione e angoscia recanti una richiesta d’aiuto che poco dopo espresse a voce. Aveva bisogno di loro, in quel frangente anche l’orgoglio poteva essere messo da parte.

“Cosa devo fare? Non posso lasciarla lì e stare con le mani in mano” disse, con il tono rasente la disperazione.

A Susan gli si strinse il cuore a vedere il suo impavido fratello piegato dal dolore per la cattura di Cathrine. Non era abituata a scorgere quel sentimento nei suoi lineamenti, ad udire la supplica nella sua voce. Di solito pareva indistruttibile, con sempre una situazione per ogni cosa, incapace di spaventarsi o abbandonarsi alla disperazione. Non aveva mai esitato a prendere in mano la situazione, anche la più disperata, e cercare di salvarla senza chiedere l’aiuto di nessuno. Eppure ora le pareva immensamente bisognoso del loro soccorso. E lei non avrebbe esitato a darglielo, anche perché lei per prima era in apprensione per la ragazza che coraggiosamente li aveva salvati tutti tenendo il cancello aperto finendo per rimetterci la sua libertà e rischiando la sua vita. Avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per riportarla da Peter.

Con un movimento aggraziato andò accanto a suo fratello e gli strinse il braccio, in segno di conforto, catturando la sua attenzione.

“Prepareremo un piano, riorganizzeremo l’esercito e andremo a salvarla. Tutti insieme” gli illustrò cercando di trasmettergli più fiducia possibile.

Lui inspirò ed espirò forte. Poi annuì deciso, rialzando la testa e facendo scomparire ogni traccia di disperazione dal suo viso. Doveva tornare ad essere forte. Lo doveva fare per sé stesso, per il suo popolo ma soprattutto per Cathrine.

Si rivolse ad Edmund, con il tono più fermo che sapeva usare. “Quanti giorni ti ci vogliono per preparare l’esercito ad un’altra battaglia?” si informò.

“Massimo tre, non uno di più” rispose pronto il ragazzo, lieto di vedere il fratello di nuovo padrone di sé e della circostanza.

“Bene. Penseremo ad un piano per portare Cate fuori da Telmar, ma se tra tre giorni questo piano o l’esercito non dovessero essere pronti, io vado a liberarla lo stesso. E che nessuno questa volta osi fermarmi, intesi?” li squadrò nuovamente tutti, viso per viso. I presenti annuirono, certi che a nulla sarebbe valso ribattere di fronte a tale risolutezza. Infine, seri in volto ma fiduciosi nel futuro, i Pevensie e il principe si diressero verso l’interno dell’edificio, desiderosi solo di riposare dopo quella notte eccezionalmente lunga e piena di emozioni. Solo il re rimase ancora fuori, bagnato dalla luce della luna alla quale rivolse il suo sguardo.

Ora che non c’era più nessuno a vederlo, la maschera di assoluta fermezza e sicurezza crollò di nuovo, facendo traboccare il dolore immenso che sentiva. Si appoggiò alla dura parete di pietra con una mano all’altezza del petto. Non riusciva più a sentire battere il suo cuore, come se gli fosse stato strappato dal petto. Ed effettivamente questo era proprio ciò che gli era successo. Il suo cuore apparteneva a Cathrine e con lei se ne era andato.

Ma se lo sarebbe ripreso insieme alla ragazza. Tra tre giorni non un minuto di più, avrebbe immerso il viso nei suoi soffici ricci rossi e si sarebbe ubriacato del suo profumo fresco. Avrebbe accarezzato quella pelle nivea e delicata e si sarebbe beato della morbidezza delle sue labbra contro le proprie. Avrebbe stretto a sé quel corpo esile ma celante una grande forza d’animo e non l’avrebbe mai più lasciata andare via. Mai più sarebbe stata lontana da lui o in pericolo.

Se lo ripeté più e più volte e lo giurò alla luna e a tutto il firmamento che lo osservava, giudice e complice di quelle promessa che mai avrebbe infranto.

 

*

 

Freddo. Fame. Stanchezza. Paura.

Queste le sensazioni che provai una dietro l’altra appena aprii gli occhi, ridestandomi dallo svenimento.

Il freddo mi attraversava la schiena, a contatto con il pavimento di pietra, duro e irregolare, e fu quello che mi svegliò, facendomi ritrovare in un ambiente angusto quanto buio, se non per qualche raggio di sole che timido entrava attraverso una feritoia in alto a destra, illuminando quel tanto che bastava per farmi comprendere di trovarmi in una cella larga due metri quadri massimo.

Sbattei le palpebre più volte per abituare gli occhi alla fioca luce ma soprattutto per vincere la confusione post risveglio che mi stava venendo. Facendo appello a tutte le mie energie, cercai di mettermi seduta. Il movimento però, se pur lieve e lento, mi fece girare la testa, tanto da farmi venire la nausea. Vidi le sbarre della cella muoversi sotto i miei occhi e per non cadere nuovamente a terra dovetti appoggiare la schiena alla parete di pietra e tenermi la testa ferma con entrambe le mani.

Inspirai ed espirai più volte, cercando di stare più immobile possibile e a poco a poco vidi le sbarre tornare al loro posto e il senso di nausea sciamare.

A quel punto cercai di fare mente locale sul perché mi trovavo in una stanza con le sbarre. L’ultima cosa che ricordavo era la battaglia che infuriava mentre io tenevo aperto il cancello per consentire a Peter e Caspian di andarsene per poi andarmene a mia vol… L’immagine del corpo piumato e privo di vita di Plumage, accasciato ai piedi del castello, mi si parò dinanzi agli occhi, e con essa il ricordo degli avvenimenti successivi. I soldati, la mia debole difesa, la loro sorpresa e poi il buio. Quello che era accaduto dopo era facile da immaginare. Mi avevano presa di peso e sbattuta qui dentro in attesa di qualche ordine da parte di Miraz. Quindi, in poche parole, era prigioniera di Telmar. Fantastico.

Con un gesto stizzito sbattei un pugno sul pavimento e solo con lo strano tintinnio che causò quel movimento mi resi conto delle catene che avevo legate ai polsi, passate inosservate prima a causa del mal di testa.

Le fissai quasi incredula, non comprendendo la loro decisione di incatenarmi. Sapevano che ero una strega, mi avevano vista mentre lanciavo gli incantesimi e soprattutto mentre colpivo il primo soldato che mi si era avvicinato. Realmente pensavano che non sarei stata in grado di liberarmi da due semplici anelli di ferro quando potevo sollevare un intero cancello?

Con un sorrisetto altezzoso, mi accinsi a togliermi quelle futili e inutili catene, pensando che sarebbe stato solo il primo passo verso la mia liberazione. Ero una strega e dopo la scorsa notte ero più che consapevole delle mie capacità e di quanto potevano rivelarsi utili. Avevo intenzione di utilizzare ogni grammo di magia a mia disposizione per uscire da quel castello il più in fretta possibile. Non sarebbe stato difficile, avrei aperto le catene e dopo esse il cancello, dopodiché sarei scivolata su per la scala a chiocciola che scorgevo oltre le sbarre e da lì mi sarei fatta strada verso l’uscita del palazzo facendo addormentare coloro che avrei incrociato sul mio cammino. Potevo farcela, sarebbe stato difficile ma non impossibile, cercai di assicurare a me stessa.

Presi un bel respiro e mi apprestai fiduciosa a compiere il passo più facile del mio piano. Richiamai la magia che nonostante fossi ancora debilitata non tardò a farsi sentire dentro di me, al che la incanalai per togliermi le catene.

Rimasi impietrita quando vidi i due anelli di ferro ancora saldamente legati ai miei polsi. Sbalordita, non esitai a riprovare. Una volta, due volte, tre volte. Alla quarta iniziai a cercare di togliermi le catene con le mani, presa dalla frustrazione, ma esse non demordevano.

Afflitta e sconsolata, mi accasciai contro la parete. Com’era possibile che la mia magia non funzionasse? Eppure la sentivo viva scorrere dentro me. Che fossi ancora eccessivamente stanca per gli sforzi della sera precedente? Magari mi occorreva tempo per tornare in forma e solo allora avrei potuto riutilizzare i miei poteri. La spiegazione non poteva che essere quella.

Purtroppo però ciò equivaleva a dire che sarei dovuta restare lì in quella cella per chissà quanto tempo e senza la mia magia ero solamente una ragazzina di diciassette anni prigioniera in terra nemica. Ero alla completa mercé dei telmarini e del loro re. Quel pensiero mi procurò un lungo brivido lungo la schiena.

Deglutii a vuoto mentre la tachicardia tornava a farmi visita. Ormai il mio cuore passava la maggior parte del tempo al galoppo per colpa dello stress a cui quella terra mi sottoponeva. Se mai fossi tornata a casa avrei dovuto prendermi una vacanza per ridargli un ritmo decente.

Cercai di fare grandi respiri profondi, concentrandomi su un unico pensiero. Peter.

Ero certa che erano a conoscenza della mia cattura e a quell’ora il mio re stava probabilmente facendo quanto era in suo potere per liberarmi.

Chiusi gli occhi  e cercai di immaginarmi il biondo in groppa al suo destriero alla volta di Telmar con in testa l’unico scopo di venire a prendermi. Forse si stava già avvicinando al castello, era questione di poco tempo e mi avrebbe tolta da quell’angusta prigione. Si ne ero assolutamente sicura. Peter non avrebbe mai permesso che passassi troppo tempo distante da lui, figurarsi se poi sapeva che ero in pericolo. Avrebbe scalato mari e monti pur di sapermi protetta.

Le mie riflessioni tranquillizzanti furono interrotte dal sinistro cigolio della porta della cella.

Aprii gli occhi di scatto, il cuore che pompava forte in gola, preparandomi al peggio.

Un soldato con un grosso mazzo di chiavi in mano mi fissava interessato dalla sua considerevole altezza. Cercai di deglutire mentre notavo con preoccupazioni le spalle larghe come un armadio a due ante e il sorrisetto beffardo circondato da un paio di baffi nero carbone.

“Dunque tu sei la giovane strega?” considerò ad alta voce.

Annuii impercettibilmente, fissandolo circospetta.

L’uomo scoppiò a ridere. “Sei uno scricciolo!” esclamò ilare “Non ci credo che Dominique si è fatto atterrare da una ragazzetta spaurita. E io che mi aspettavo una donna matura e spavalda… che delusione” proseguì scuotendo la testa fintamente desolato.

Considerai mentalmente che Dominique dovesse essere il soldato alla quale avevo lanciato l’ultima mia sfera di energia. Avessi avuto accesso ai miei poteri ne avrei lanciata una volentieri anche contro di lui, così avremmo visto entrambi cosa era in grado di fare lo “scricciolo”… Ma come si permetteva di giudicarmi una nullità quando avevo messo il bastone tra le ruote al loro re più volte in una sola serata?

“Alzati forza, sua maestà desidera vederti” mi intimò con fare spiccio, passato l’attacco di ilarità.

Lo stomaco mi si contorse. Cosa voleva Miraz da me? Informazioni? Aiuto? Voleva usarmi come leva su Peter? Non sapevo quale era la peggiore delle ipotesi.

Riluttante, cercai di ordinare alle mie gambe di raddrizzarsi utilizzando la parete di pietra come appoggio.

Una volta in piedi cercai di muovere un passo senza il sostegno del muro, ma sentendomi barcollare mi dovetti riappoggiare immediatamente. Il soldato sbuffò spazientito ed entrò dentro la cella per afferrarmi rudemente per un braccio.

“Non ho tempo da perdere se non ti dispiace” mi disse ironico mentre veloce mi scortava fuori dalla prigione, facendomi fare gli scalini della scala a chiocciola avvistata prima a due a due. O meglio lui li faceva e io lo seguivo quasi volando dato che mi stava trascinando dietro di lui quasi di peso.

In un batter d’occhio mi ritrovai in un lungo corridoio illuminato da grandi vetrate coperte in minima parte da un drappo rosso scuro in tinta con il tappeto che nascondeva per intero il pavimento. Dovevamo essere nelle parti superiori del castello, lontano dalla lugubre cella in cui ero stata.

Mi guardai attorno, non potendo impedirmi di essere curiosa per il fatto di trovarmi in un autentico castello in stile MedioEvo, ma rimasi delusa da ciò che trovai. L’arredamento era lungi dall’essere sfarzoso, anzi lo avrei addirittura definito spartano. Non c’erano quadri a decorare le pareti, né statue o busti a riempire le nicchie, né rifiniture architettoniche degne di nota. Il corridoio, fatta eccezione per il tappeto, le tende e le torce ora spente, era tristemente spoglio e non rendeva assolutamente giustizia all’immagine che i film del mio tempo avevano creato nella mia mente.

Delusa e per un attimo dimentica della persona che m accingevo ad incontrare, mi lasciai trascinare, con un mal di testa crescente, sin dinanzi ad una porta d’ebano senza ornamenti, in linea con il resto dell’arredamento.

Il soldato, senza diminuire la presa sul mio povero braccio, al quale certamente era venuto un livido lì dove la sua pesante mano stringeva, bussò e, senza aspettare risposta, entrò in un sala rettangolare portandomi con sé.

Mi portò al centro della sala e solo a quel punto mi lasciò libero il braccio con mio sollievo. Peccato però che senza il suo sostegno le mie gambe cedettero e mi ritrovai con le ginocchia contro il pavimento cesellato della stanza. Repressi una lieve smorfia di dolore e mi limitai a massaggiare il livido sul braccio mentre facevo una veloce analisi del nuovo ambiente. Veloce forse però era un parolone, la mia mente analizzava rapida quanto glielo consentivano i giramenti di testa.

C’erano una decina di troni, quasi tutti occupati, divisi in due file ai lati della sala e in fondo ad essa, davanti ad un’ampia vetrata, principale fonte di illuminazione, si trovava un trono più grande e un poco più sfarzoso degli altri, in una posizione dominante. Il seggio regale era occupato da un uomo sulla quarantina sfoggiante un’espressione sicura e capelli corti e neri celati per metà da una corona impreziosita da pietre rare, l’elemento più sfarzoso che avevo visto finora. Pizzetto nero e statura media, re Miraz mi fissava interessato e soddisfatto con vispi occhi neri come stavano facendo anche gli altri presenti nella stanza, compresi i soldati in piedi al fondo della sala che scorgevo con la coda dell’occhio.

Cercai di reprimere il tremito di paura che quegli sguardi mi causavano. Desideravo diventare piccola fino a sparire per sottrarmi a quell’indesiderata attenzione, mi fissavano come se vedessero un animale raro in loro potere e si chiedessero come potessero sfruttarlo al meglio.

Il respiro aumentò di velocità mentre si stava avverando ciò che per anni avevo temuto e cercato accuratamente di evitare. Venire scoperta e bollata come mostro o fenomeno da baraccone, tenuta in maniera da essere inoffensiva ma comunque non lasciata a sé stessa perché troppo interessante per non guardarla.

Era così che tutte quelle persone mi stavano vedendo. Come una creatura strana, paranormale, da analizzare con circospezione come una cavia da laboratorio.

Ero stata sciocca e sprovveduta a non aspettarmelo. Con gli abitanti di Narnia, anche se la convivenza inizialmente non era stata facile, non avevo avuto questo tipo di problema per ovvie ragioni, ma con i telmarini la situazione era totalmente diversa. Loro erano esseri umani che vivevano in un mondo normale regolato da norme che non contemplavano la presenza della magia come i londinesi. Almeno fino alla rivelazione che la mitologica popolazione di Narnia era sopravvissuta.

“Ecco la giovane strega che ha salvato gli abitanti di Narnia dallo sterminio” ruppe il silenzio con voce baritonale il re.

La mia attenzione si focalizzò su di lui e cercai di ignorare i vari mormorii che seguirono le sue parole confermanti il sospetto della mia identità.

Deglutii a vuoto ma cercai di controllarmi. Dovevo tenere a mente quello che avevo pensato sulla torre, poco prima di essere catturata. Rappresentavo l’intero popolo di Narnia al momento, non potevo permettermi di dimostrarmi debole e indifesa più di quanto già non parevo. Dovevo faro per loro.

“Avete un nome cara?” mi domandò con un finto tono educato, calcando apposta sull’ultima parola per sminuirla.

Aprii la bocca ma non ne uscì alcun suono. Facendomi forza, presi un profondo respiro e riprovai, questa volta con successo.

“Sono Cathrine Icepower” mi presentai con il tono più sicuro che riuscii a simulare.

 “Bene lady Cathrine, spero che non sia stata troppo spiacevole la sorpresa di ritrovarmi priva dei vostri poteri quando vi siete svegliata” disse.

Rimasi interdetta. Come faceva a sapere lui che non riuscivo ad avere a disposizione la mia magia?

La domanda evidentemente mi si lesse sul viso perché Miraz mi rivolse un’espressione soddisfatta e goduta. “Dovete sapere che le catene che portate ai polsi sono tramandate nella mia famiglia da millenni per la loro peculiarità, quella di bloccare le capacità magiche di qualsiasi creatura, dalla più misera alla più potente. Devo confessare che non avrei mai pensato di potermene servire, anzi dubitavo persino della loro efficacia. Le avevo conservate come semplice cimelio. Eppure mi sbagliavo, se voi siete ancora qui e non avete ancora attentato alla vita di nessuno vuol dire che le catene funzionano.” Mi spiegò quieto.

Contrassi la mascella. Quindi era sua la colpa se mi ritrovavo del tutto inerme.

“Sono certo vi chiederete il perché della vostra presenza qui” continuò il sovrano, con un finto formalismo che cominciava ad irritarmi. Sapeva di avermi completamente in mano tanto da poter permettersi di prendere quasi con leggerezza questa discussione.

Usarmi per ricattare Peter in modo da sopperire all’inefficacia dei vostri soldati? Pensai caustica, ma non mi pronunciai. Non era una buona idea farlo innervosire per una piccola soddisfazione verbale data la mia posizione.

“Avete lottato tra le file nemiche e avete messo in seria difficoltà i miei arcieri, in più avete reso nulli i miei tentativi di intrappolare i soldati di Narnia e sarei pronto a scommettere che siete stata voi stessa a farli entrare” elencò facendo trapelare una lieve irritazione sul viso.

Concessi ad un sorrisetto soddisfatto di oltrepassare il timore per depositarsi sulle mie labbra sentendomi dire quanto ero stata utile al popolo di Peter. Non avrei mai creduto che un giorno sarei stata in grado di aiutare una popolazione a perorare una giusta causa ed ero immensamente orgogliosa di me stessa. Non mi pentivo di un singolo gesto nonostante le conseguenze non rosee per me. E pensare che in teoria avrei solo dovuto starmene buona sulla torre ad aspettare che la battaglia finisse…

“Azioni più che sufficienti per giustiziarvi seduta stante” proseguì re Miraz, al che il mio cuore perse un battito e probabilmente la mia faccia un tono di colorito, ma cercai di rimanere neutrale nelle espressioni. “ma riflettendo con gli illustri membri del consiglio” e indicò con un ampio gesto del braccio gli altri occupanti dei troni “siamo giunti alla conclusione che sarebbe uno spreco eliminare un potere come il vostro e che sarebbe molto più proficuo cercare di convincervi a servire Telmar e fornirci eventuali informazioni sui nostri nemici” concluse accarezzandosi il pizzetto simulando un’aria distratta tradita però dall’attenzione viva che trasmettevano i suoi occhi neri.

Non credevo alle mie orecchie. Mi aspettavo cercasse di carpirmi informazioni ma propormi di passare dalla loro parte assolutamente no. Mi sarei attesa anche che mi utilizzasse per ricattare Peter, che mi riconsegnasse a lui sana e salva in cambio della sua resa, ma non di tradire Narnia per avere in cambio salva la vita.

Ma che razza di persona pensava che fossi?

Il sangue mi ribollì nelle vene mentre l’indignazione cresceva di pari passo con l’incredulità.

“Dunque, cosa pensate della mia proposta?” mi domandò il re, sporgendosi in avanti dal suo scranno e osservandomi in attesa della mia risposta.

Uno sbuffo incredulo mi uscì prima che potessi fermarlo dalle labbra. Mi guardai attorno, e vidi negli occhi degli altri presenti il riflesso della curiosità e dell’aspettativa che albergavano in quelli del loro sovrano.

Il sorriso irritato e incredulo sul mio viso si allargò mentre rispondevo con più sicurezza di prima, grazie al senso di offesa che mi aveva causato.

“Penso che mi unirò a voi non prima che l’inferno si ghiacci”

La mia risposta parve rimbombare tra le mura di pietra mentre gli astanti fermavano persino il respiro, temendo la reazione del loro re dinanzi a parole tanto azzardate.

Il silenzio calò nella sala, mentre Miraz mi fissava immobile, il sorriso di prima congelato sul volto, gli occhi duri come la pietra che costituiva le pareti.

Per un secondo mi passò nella mente l’idea che forse avevo sbagliato ad essere così tagliente, ma la scacciai subito. Il tono non avrebbe cambiato il significato della mia frase e solo una risposta affermativa avrebbe potuto portarmi un vantaggio. Indi per cui, se dovevo decidermi un destino funesto, tanto valeva che me lo scegliessi con stile.

Il sovrano si riaccomodò sul seggio reale, accarezzandosi il pizzetto con un’espressione corrucciata in volto.

“Forse non avete ben compreso la mia domanda. Ve la rifarò in modo più semplice. Volete morire o unirvi a me? Buttare via la vostra giovane e, se mi permettete, graziosa persona o diventare parte della mia corte, con tutto il prestigio e la ricchezza che ne conseguirebbe in cambio di pochi servigi?” mi ripeté infine, rompendo quel gelido silenzio.

Sorrisi nuovamente e alzai il mento altezzosa. “Ho capito benissimo, grazie. Ma se voi non avete sentito la mia risposta, ve la ripeto. Non mi unirò mai a voi” affermai, scandendo con calma l’ultima frase, sorprendendo me stessa per la fermezza con cui decidevo la mia morte. Forse era semplicemente la testa che non avendo smesso un secondo di girarmi iniziava a non funzionare più correttamente.  

Vidi la tempia del re pulsare di rabbia al mio secondo rifiuto, l’unico segnale che mi faceva conoscere cosa provava su un volto di marmo.

A quella mia risposta, i commenti esplosero dai diversi troni, a differenza del gelo caduto precedentemente. Alcuni tra gli astanti, addirittura si alzarono e mi indicarono furiosamente.

Solo il re rimase in silenzio, ad esaminarmi ed io sostenni il suo sguardo con fierezza, simulando indifferenza verso il trambusto che mi circondava e che mi vedeva protagonista, nascondendo meglio di quanto potessi immaginare il tumulto che avvertivo dentro, specchio perfetto di quello che avveniva fuori. Il cuore aveva ripreso a pompare furioso, o meglio aveva ulteriormente aumentato il ritmo dato che dubitavo avesse smesso anche solo per un secondo di essere in tachicardia.

Mi avrebbero giustiziato in quella stessa stanza?

Miraz mi aveva posto dinanzi ad una scelta, loro o la morte e io avevo optato per la seconda. Mi aveva chiesto se volevo troncare la mia giovane e graziosa persona. La risposta era certamente negativa, non avrei mai pensato di morire così giovane né l’avrei mai voluto, ma il prezzo per la mia singola vita era troppo alto, difatti la domanda del re era sbagliata. Non si trattava di scegliere tra la mia salvezza o la mia resa. Si trattava di scegliere tra la mia salvezza e quella dell’intera Narnia, perché se mi fossi schierata tra i telmarini e Miraz avesse potuto disporre dei miei poteri, per Narnia sarebbe stata la fine. Senza contare al colpo al cuore che avrei inferto ai Pevensie e soprattutto a Peter con il mio tradimento. Il giovane re non avrebbe mai lottato contro di me, lo sapevo fin troppo bene.

Potevo dunque voltare le spalle all’unico popolo che mi avesse fatto sentire a casa? Alle uniche persone che mi avevano accettata così come ero? All’unica persona che mi avesse amato e che era riuscito a vedere la vera Cathrine? No, non potevo e non lo avrei mai fatto.

Avrei rinunciato alla mia giovane e graziosa persona in nome di Narnia. Ora che avevo finalmente qualcosa e qualcuno da difendere lo avrei protetto. Anche con la mia vita.

Sentivo il cuore pesante d’angoscia ma non la lasciai trapelare. Come non ascoltai la parte di me che sarebbe volentieri scoppiata a piangere. Il trucco era non riflettere su quello che avrei perso, in particolare sull’amore di un ragazzo dalla testa bionda.

Il re si alzò e il silenzio ricadde come un manto sull’assemblea. Il mio destino, o meglio la fine di esso, stava per essere deciso.

“Ma che persona piena d’onore. Pronta alla morte pur di non tradire il suo popolo” commentò con una sfumatura amara riempiendo tutta la sala con la sua voce baritonale. Storse le labbra in una smorfia, come a sottolineare la sua disapprovazione verso la mia scelta.

“Lo sai vero che con o senza il tuo aiuto, Narnia è spacciata? Un manipolo di soldati scoordinati non può nulla contro la potenza di Telmar. Quindi perché sacrificarsi per una popolazione ad un passo dalla disfatta?” La domanda retorica venne pronunciata con tono mellifluo e io mi sentii ardere dentro. Miraz non sapeva con chi aveva a che fare. Peter non si sarebbe fatto battere da un uomo borioso e pieno di sé, quelli spacciati erano gli abitanti di Telmar non quelli di Narnia.

“Ma forse avete solo bisogno di qualche giorno in cella affinché cambiate opinione.” Sentenziò. “Scortatela in prigione di nuovo, si schiarirà le idee” aggiunse poi rivolto alle guardie.

Ci volle qualche istante affinché il messaggio venisse recapitato al cervello. Non mi avrebbe ucciso seduta stante?

Fu come se un peso enorme mi si fosse tolto dallo stomaco. Evidentemente dovevo essere più importante di quanto pensassi se mi avrebbero tenuto in vita. Non ero così stupida da pensare di essere salva, sapevo che Miraz non mi avrebbe lasciato in pace finché non avesse ottenuto ciò che voleva, ed ero consapevole anche del fatto che il soggiorno nei sotterranei non sarebbe stato come in un hotel a cinque stelle. Mi avrebbe distrutta e probabilmente puntava proprio su quello. Contava sul fatto che le privazioni e il disagio mi avrebbero sfinita al punto di cedere alla sua offerta. Ed era altrettanto plausibile che il suo piano si sarebbe avverato, ma io ero certa che non avrei trascorso molto tempo in gabbia. Peter sarebbe arrivato e mi avrebbe tratta in salvo.

Sentii una mano forte afferrarmi per il braccio, là dove un livido violaceo faceva già bella mostra di sé dalla presa di prima. Repressi una smorfia di dolore mentre con rudezza mi trascinava fuori dalla sala, facendomi quasi cadere. Le gambe erano ancora malferme e le forze latenti. La testa non aveva smesso un secondo di dolermi, neppure durante l’incontro con Miraz, e la “delicatezza” del mio carceriere non mi aiutava.

Mi lasciai trascinare fuori dalla sala lasciandomi alle spalle un brusio concitato di sottofondo e lo sguardo infuocato di Miraz. Ripercorsi i corridoi di prima, finché il pavimento non fu più coperto da un prezioso tappeto rosso e le finestre si fecero più piccole fino a divenire unicamente feritoie.

Il soldato aprì con un giro secco della chiave la porta della cella e mi buttò dentro di malagrazia. Caddi carponi sulla dura pietra lasciandomi sfuggire un piccolo gemito, e quando mi volsi in dietro per fulminarlo con un’occhiataccia, lui era già sparito su per la scala.

Sbuffando, arrivai a gattoni sino alla parete, per poi appoggiarmici con la schiena e raggruppare le gambe al petto.

Feci un bel respiro profondo e cercai di concentrarmi su un unico pensiero: il rimandare l’esecuzione di Miraz avrebbe dato a Peter il tempo sufficiente per venire a prendermi. Non avevo alcun dubbio sul fatto che sarebbe venuto, avevo piena fiducia in lui. Presto saremmo tornati alla nostra spiaggia, e avremmo passato lo splendido pomeriggio che mi aveva promesso.

Reclinai la testa all’indietro piano, per evitare di andare a sbattere contro la pietra, e distesi la mente, figurandomi tra le braccia del giovane su di una distesa di sabbia bianchissima. I raggi del sole rendevano dorati i suoi capelli e il suo sorriso brillava mentre mi guardava pieno d’affetto con gli zaffiri che tanto amavo.

Un sorriso spontaneo mi si dipinse sulle labbra e grazie a quella dolce visione riuscii a dimenticare per qualche ora la fame che tormentava il mio stomaco e le catene che stringevano i polsi finché non caddi addormentata.

 

*

 

Svegliati, piccola mia, svegliati…

 

Aprii gli occhi di soprassalto. Avevo sentito una voce riecheggiare nello spazio angusto. Anzi, avevo sentito LA voce. Avevo sentito Jadis chiamarmi.

Mi guardai attorno, speranzosa, anche se dovetti strizzare gli occhi per scorgere ciò che avevo attorno. A giudicare dalla semioscurità in cui mi trovavo, era calata la notte.

Affranta perché il mio esame non aveva rilevato nessuna presenza oltre la mia nella cella, mi riappoggiai alla parete. E poi accadde.

All’inizio fioca ma poi sempre più luminosa, apparve una sfera di luce azzurrina a mezz’aria.

Trattenni il fiato, ora conscia di ciò che stava succedendo, a differenza dell’ultima volta. Jadis stava cercando di entrare in contatto fisico con me.

Trepidante di attesa, aspettai che la sfera si tramutasse in altro o che compisse chissà quale azione. La mia aspettativa non fu delusa. La sfera di luce ondeggiò fino ai miei polsi e li avvolse con la sua luce. Sentii un lieve suono metallico e quando la luce si ridusse alla sola bolla, notai che i miei polsi erano finalmente liberi e che le catene giacevano sul mio grembo aperte. Provai subito ad evocare un semplice globo di luce.

Sorrisi felice quando vidi la magia compiersi e mi alzai da terra, notando con piacere che avevo recuperato le forze e che ora potevo fare totale affidamento sulle mie gambe.

Facendo meno rumore possibile mi accostai alla porta della cella e la aprii senza il minimo sforzo. Sgattaiolai fuori, seguita dalla sfera che mi si parò davanti quando feci per prendere la direzione delle scale. La fissai sorpresa e cercai di superarla, ma essa si frappose di nuovo tra me e gli scalini. Al che sbuffai scocciata e incrociai le braccia al petto.

“Se non vuoi che prenda le scale, dimmi tu dove devo andare per uscire da qui” sbottai. Un secondo dopo mi resi conto che stavo discutendo con una palla di luce sospesa nel nulla nella semioscurità di una prigione. Scossi la testa, incredula del fatto che stessi perdendo tempo così inutilmente. La sfera eseguiva solo gli ordini di chi la evocava, nulla di più, e certamente Jadis non mi era abbastanza vicina da sentire le mie lamentele.

Fu a causa di questi ferrei ragionamenti che strabuzzai gli occhi quando la sfera di tolse da davanti a me e prese a volteggiare nella direzione opposta. Che Jadis mi avesse sentito veramente? Ma come era possibile?

Mi ci volle meno di mezzo secondo tuttavia per decidere cosa fare. Seguii senza esitazione la sfera anche se si inoltrava sempre di più nel lungo e scuro corridoio che ospitava varie celle al momento vuote. Dopotutto aveva deciso di fidarmi molto tempo fa di Jadis, perché cambiare opinione ora? Specialmente adesso che era venuta in mio soccorso mandandomi il globo di luce, segno evidente del suo interesse benevole nei miei confronti.

Sorrisi ilare al pensiero che Peter mi avrebbe certamente redarguita quando avrebbe saputo che avevo scelto di seguire la strega anche a costo di allontanarmi dalla mia unica possibile via di fuga dal castello di Miraz.

Un centinaio di passi dopo, la sfera si fermò illuminando l’ostacolo che ci impediva di proseguire. Uno spesso muro di pietre contro la quale rivolsi un’espressione corrucciata.

“Non ha senso, perché mi hai portata sin qui se la strada è sbarrata?” domandai pensierosa, convinta che esisteva una motivazione logica.

Come a volermi rispondere, il globo volteggiò fino a una pietra in fondo sulla destra. Incuriosita, mi chinai per esaminarla meglio, notando che era di una tonalità di grigio più chiara delle altre. Con trepidazione, intuendo il perché la sfera mi avesse condotta sin lì, toccai la pietra. Quella leggera pressione bastò affinché si aprisse uno stretto passaggio sulla mia destra. La lastra che separava la fine dell’ultima cella dal muro che chiudeva il corridoio, si era aperta, rivelandosi una porta che dava su un corridoio buio.

La palla di luce mi precedette veloce, come a farsi beffe della mia lieve esitazione data dallo stupore, illuminandomi la strada che mi apprestai a percorrere.

Lo spazio era angusto e umido, ma era alto abbastanza da consentirmi di camminare con la schiena dritta. Con una leggera ansia mi accorsi che dopo qualche passo la lastra era tornata al suo posto. Se anche questo corridoio si fosse rivelato un vicolo cieco, sarei rimasta intrappolata.

Respirai a fondo, ragionando sul fatto che Jadis non mi avrebbe mai messa volontariamente in una situazione pericolosa. 

Mi addentrai nel passaggio segreto per ancora dieci minuti finché un soffio di vento non portò sollievo al mio viso, accarezzandolo con la dolce promessa della libertà. Se riusciva a passare l’aria vuol dire che il corridoio era aperto e che la fine era vicina.

Rianimata, percorsi a rapidi passi quel che restava del passaggio finché i miei piedi non si ritrovarono a camminare su soffice erba e non più sulla dura pietra.

Sospirai di gioia e guardai in alto sorridendo al cielo notturno. Le stelle brillavano riflettendo la mia felicità mentre la luna assisteva lieta alla mia liberazione. Ero fuori dal castello, ero salva e ciò non dipendeva da un gesto eroico quanto folle che avrebbe potuto compiere Peter rimettendoci la sua libertà o, peggio, la sua vita. Ero fuori dalla cella grazie a Jadis. Dovevo la mia salvezza a lei. E pensare che i Pevensie non volevano neppure sentir pronunciare il suo nome…

Lanciai un’occhiata alle mie spalle. Alte mura di pietra mi sovrastavano, nascondendo la città e il loro sovrano. Il passaggio segreto mi aveva condotta direttamente all’esterno di Telmar. Mi accostai all’apertura dalla quale ero uscita e notai che sarebbe stata celata interamente dall’edera che rigogliosa ricopriva gran parte delle mura se non fosse che qualcuno l’aveva recentemente strappata via in quel punto per consentire l’utilizzo del passaggio. I rami sottili del rampicante recavano infatti i segni evidenti di un’arma affilata. Che se ne fosse occupata Jadis poco prima di far apparire la sfera? Ma come poteva essere se la strega era intrappolata in un’altra dimensione al momento?

Mordendomi il labbro sovrappensiero, diedi le spalle a Telmar notando per la prima volta un’altra presenza oltre alla mia sul limitare della foresta. Sorpresa, aguzzai la vista e mi avvicinai finché non mi fu chiaro che la sagoma chiara che spiccava in mezzo a tanta oscurità era una carrozza trainata da due stupendi esemplari di orsi polari apparentemente privi di un guidatore.

Strabuzzai gli occhi e mi pietrificai sul posto. E se era una carrozza di Telmar o di qualche altro nobile di una città vicina loro alleata? Avrebbero potuto vedermi e a quel punto sarei tornata con le manette ai polsi e dentro la cella nel giro di un batter di ciglia.

Un orso emise un verso gutturale focalizzando la mia attenzione su di essi in modo che mi si accese una lampadina. Qualsiasi persona appartenente al mondo degli abitanti di Telmar non avrebbe mai utilizzato due orsi polari per trasportare la carrozza. Supponevo che tra i telmarini andassero di moda i cavalli, preferibilmente non parlanti. Solo una carrozza di Narnia poteva essere sufficientemente strana e magica da usufruire di orsi bianchi.

Rincuorata, mi avvinai ancora, seppur mantenendo un’aria circospetta. Non avevo mai visto una carrozza simile alla base, né potevo immaginare quali motivi spingessero un abitante di Narnia ad arrivare alle porte di Telmar nel cuore della notte. A meno che…fosse lì per me. Ma come potevano sapere dove trovarmi e quando se era stata Jadis a liberarmi?

Solo quando fui a meno di dieci metri dalla carrozza, scoprii l’identità dell’occupante. Un nano con la corporatura nerboruta che contraddistingue la sua specie, balzò giù dal fianco del cocchio, confermando i miei sospetti sulla nazionalità del proprietario della carrozza. Portava una pesante pelliccia grigio scuro e un berretto di lana, in contrasto con il caldo della serata estiva anche se lui non sembrava risentirne. Mi si avvicinò sorridendo in modo che voleva essere amichevole anche se mi provocò un brivido di repulsione. Il sorriso rassicurante sul suo viso appariva più simile ad un ghigno.

A meno di cinque passi da me, sorprendendomi ulteriormente, si profuse in un pomposo inchino.

“Altezza, lieto di vedervi sana e salva” si pronunciò con una penetrante vocina acuta.

Dire che rimasi stupefatta è un eufemismo.

Altezza?! Si rivolgeva a me?

Ricordandomi molto i personaggi dei film comici, diedi un’occhiata rapida alle mie spalle, assicurandomi che fossimo soli nello spiazzo tra le mura e la foresta. Oltre a me e al nano non c’era un’anima viva, dunque l’altezza era riferito proprio a me.

“Ci deve essere un errore. Io non sono una reale” affermai con il tono di chi parla ad un bambino piccolo per fargli comprendere un concetto complicato.

Il nano sorrise divenendo se possibile ancor più inquietante.

“Voi siete Lady Cathrine Icepower?” chiese fintamente lezioso.

“Si, sono io” risposi, con l’irritazione che stava montando a causa del suo modo di fare fastidioso.

“Allora non c’è alcun errore altezza. Sono Trumpkin, a vostro servizio” e accennò ad un altro inchino, meno profondo del precedente, prima di proseguire con il discorso “vengo da parte della regina Jadis” e con queste parole il nervosismo evaporò, sostituito da un vivo interesse.

Jadis?

Se era stata lei a mandarlo da me, tutto tornava.

Che fosse uscita dall’altra dimensione e fosse finalmente venuta a prendermi come mi aveva promesso? La speranza mi fece battere forte il cuore.

“E adesso dov’è lei?” chiesi, con la voce impregnata da un’eccitazione repentina.

“Ho l’ordine di scortarvi dalla regina”

Il battito aumentò. Jadis mi aveva liberata da Miraz, aveva mandato qualcuno ad attendermi fuori dal castello  e voleva che fossi condotta sino a lei. Un sorriso spontaneo sbocciò sulle mie labbra. Finalmente, dopo settimane passate a sentire la sua voce guida e i suoi consigli, dopo aver visto pezzi del suo passato, dopo aver sentito mille racconti sulla sua persona, l’avrei incontrata.

“Se volete salire sulla carrozza...” mi invitò Trumpkin indicando il mezzo di trasporto.

Feci un primo passo verso il veicolo senza riflettere, al secondo però l’eco della voce di Peter mi invase le orecchie. Lui non voleva che mi fidassi di Jadis e in assoluto non desiderava che entrassi in contatto con lei. Se fosse stato presente avrebbe cacciato il nano e trascinato me a chilometri di distanza.

Mi morsi il labbro, indecisa sul da farsi. Da una parte, morivo dalla voglia di conoscere di persona l’unica altra strega che conoscevo e la prima donna che si era interessata a me comprendendomi, dall’altra non volevo far infuriare Peter, il primo ragazzo che mi aveva accettata così com’ero e che mi amava. Finora avevo scelto di fidarmi di Jadis non curandomi delle reazioni del giovane re, ma andare direttamente da lei era una questione più delicata che seguire un globo.

Tirai un bel respiro e presi la mia decisione. Avrei seguito Trumpkin fino a Jadis. La diffidenza che Peter aveva nei confronti della strega era ingiusta, al contrario del mio desiderio più che vivo di vederla. Mi sarei occupata di sedare la sua rabbia in un secondo momento, quell’incontro valeva il rischio di una litigata.

Salii sulla carrozza e da così vicino potei notare i particolari che prima mi erano sfuggiti. Il veicolo era bordato in oro e decorato con ghirigori che ricordavano i soffi d’aria. Aveva un tettuccio al momento abbassato, anch’esso bianco candido e i sedili imbottiti in velluto del medesimo colore, talmente morbidi che il mio corpo ci si accomodò subito felice di essersi lasciato alle spalle le dure pietre. La mia povera schiena era dolente a causa dello scomodo giaciglio sulla quale aveva dovuto riposare l’ultima notte e la sofficità di quel sedile era per essa un vero toccasana.

Trumpkin prese posto sul seggio davanti e con un colpo di redini gli orsi, straordinariamente mansueti e obbedienti, avanzarono trainando con sé la carrozza verso un luogo a me sconosciuto ma dove avrei finalmente conosciuto la donna misteriosa.  

Quest’idea mi rendeva eccitata e nervosa al contempo, tanto che in teoria avrei dovuto essere un fascio di nervi incontrollabile, eppure complice l’imbottitura dei sedili e la stanchezza per gli ultimi avvenimenti, sentii improvvisamente le palpebre pesanti, troppo per tenerle aperte. E i miei arti richiedere di essere distesi mentre la testa implorava di esser adagiata su qualcosa simile ad un cuscino.

Senza che me ne rendessi conto, mi ritrovai distesa su un fianco su tutto il sedile, e mai giaciglio mi parve più comodo. Mi addormentai in meno di un secondo, sfinita ma con un sorriso fiducioso verso il futuro.

 

*

 

Mi svegliai  sobbalzando, probabilmente per colpa di uno scossone della carrozza.

Sbattei le palpebre più volte e stiracchiandomi il collo intorpidito, feci leva sugli avambracci per alzarmi. Mi rimisi seduta e leggermente intontita a causa del sonno, mi guardai attorno. La notte volgeva al termine dato che ad est il cielo cominciava a farsi di una tonalità più chiara. Il viaggio, e con esso il mio riposo, doveva essere durato a lungo.

Non riuscivo a riconoscere il luogo dove ci trovavamo. Eravamo usciti dalla foresta da tempo dato che non scorgevo alberi nemmeno in lontananza. Gli arbusti erano stati sostituiti da un prato simile a quello ante-stante all’edificio che fungeva da base alle creature di Narnia. Davanti a me, distante un centinaio di metri, un lago rifletteva i primi bagliori dell’alba nelle sue acque cristalline e placide mentre un isolotto collegato con la terra ferma da un ponte all’apparenza robusto, lo divideva in due. Ma ciò che catturava principalmente l’attenzione era la costruzione eretta sopra l’isola.

Il respiro mi si mozzò mentre riconoscevo il castello di ghiaccio stilizzato sul corridoio che dava sulla sala della tavola di pietra. Il disegno non gli rendeva certo giustizia. L’edificio svettava verso il cielo quasi volesse bucarlo che le aguzze guglie brillanti sotto i raggi del sole. L’azzurro quasi bianco del palazzo rifletteva la luce mattutina, rendendo la struttura scintillante, come se invece del ghiaccio fossero stati usati diamanti per costruirlo. Torri di ghiaccio, simili a stalagmiti, erano disposte in cerchio. All’esterno, vicino alle sponde dell’isolotto, c’erano quelle più basse e piccole, e mano a mano che si avvicinavano al centro dell’isola diventavano più alte e spesse, fino ad arrivare alla torre centrale, la più grande e lunga, che consisteva nel corpo principale del castello.

Il palazzo di ghiaccio si mostrava ai miei occhi, splendido e maestoso come la sua regina, e la sua vista mi procurava una sensazione inaspettata. Non ero mai stata dentro quell’edificio, ne ero certa, eppure il mio cuore provava familiarità verso esso. Mi sembrava di conoscerlo e di doverlo amare. Non mi sentivo estranea a quel castello, anzi parte integrante di esso e pensai, senza un’apparente logica, che fosse più che giusto che mi accingessi ad entrarci.

Come se mi appartenesse.

Come se gli appartenessi.

Come se fosse veramente, come aveva detto Jadis, la mia casa…

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Capitolo 15
*** 14_Nives ***


Ciao a tutti ragazzi!!! Sono tornata dalle vacanze con un nuovo capitolo :-) e già dal titolo potete presagire il contenuto di questo cappy scommetto^^ ci siamo, questo è il capitolo delle tanto attese rivelazioni e non vedo l'ora di sapere cosa ne pensate, se le vostre supposizioni hanno trovato conferma oppure no :-) ma non sarà un cappy impuntato solo su questo, l'ultima parte vede un ritorno al romanticismo che è stato un po' latente in questi ultimi capitoli, e i protagonisti saranno una coppia da voi tanto amata per questo la dedico a tutte voi fan di Caspian e Susan ^^
Faccio solo una piccola richiesta prima di lasciarvi alla lettura, please una volta finito di leggere non siate troppo rigide nel giudicare Cathrine, provate a mettervi nei suoi panni e nn biasimatela, anche perché molte cose devono ancora avvenire :-)
Detto questo vi lascio al capitolo, spero tanto che vi piaccia e nn vedo l'ora di leggere le vostre recensioni^^

Ringraziamenti:

noemi_moony: Ciao! Sono contenta di sapere che l'esame è andato bene, ora puoi goderti a pieno l'estate^^! Peter ha fatto tanta pena anche a me mentre scrivevo, mi dispiaceva tanto ma purtroppo era inevitabile :-( sn curiosa di sapere cosa ne pensi di quello che è succ ora a Cate nella sua casa e dell'ultima parte del cappy ^^ grazie mille per la tua recensione :-) a presto un bacione!

SweetSmile: Ciao! sono felice che il cappy ti sia piaciuto, grazie mille^^!!! Spero che con qst cappy la tua curiosità verrà appagata datp che risponde proprio alle tue domande^^, fammi sapre cosa ne pensi^^ un bacione grande^^!!!

sweetophelia: Ciao carissima! HIhihi sto ancora ridendo per il dialogo che hai immaginato tra Peter e il portinaio di Telmar, troppo buffo! Sarebbe una situazione fantastica da vedere hihiihih!! Effettivamente Cate è stata imprudente a salire sulla carrozza, ma nessuno le aveva  dettoche insieme alle caramelle non si accettano passaggi dagli sconosciuti evidentemente! Si, Cathrine non avrebbe mai tradito Peter per Miraz, però come hai detto tu Jadis non è Miraz e ha già un forte ascendente su Cathrine, ma i sentimenti della nostra Cate per Peter sn molto forti e radicati quindi la battaglia interiore che l'attende sarà molto tosta, chissà però chi vincerà alla fine... per la risposta occorre attendere ancora un poco...^^ Mi sn piaciute molto le tue congetture su quello che potrebbe fare Jadis, e su una sei andata molto vicina ma non svelo quale o ti rovinerei il piacere della lettura^^ sono stra curiosa di leggere la tua recensione con quello che ne pensi di questo capitolo contenente diverse rivelazioni e che scopre parecchie carte, spero tanto che ti piaccia e  che le tue aspettative non verranno deluse ^^ ci sentiamo a settembre se sei già partita :-) ti auguro di goderti le vacanze estive, beata te che parti lontano dal caldo cittadino, qui imprigionata tra i palazzi io sto morendo di caldo hihihihi^^ ti ringrazio di cuore per la tua splendida e dettagliata recensione, grazie davvero^^ mi riempe sempre di gioia vederti così appassionata e piena di supposizione, thankssssss^^!!!!! Un bacione grande grande grande!!!!!!

ranyare: Ciao carissima! Sono felice di rivederti^^ credimi, la situazione di Peter non piace neanche a me, infatti soffrivo anche io mentre scrivevo quei pezzi, ma purtroppo è una parte importante della storia il loro allontanamento, è necessario per lo sviluppo della trama, sono però da una parte molto contenta di sentirti dire che sono riuscita  a far capire e a trasmettere ciò che il giovane re prova, grazie grazie^^!!! ** In questo cappy Peter prutroppo deve ancora farsi forza, ma presto la situazione si smuoverà. Anzi a dire la verità un piccolo accontentino lo avrà già in qst cappy, una piccola dimostrazione di amore da parte di Cathrine che lo risolleverà un po'. Spero di leggere presto il tuo parere su qst cappy :-) e grazie mille per la recensione e per i tuoi complimenti^^! Ti prometto che le pene del caro Peter avranno fine tra un po' di tempo, lo amo troppo anche io per farlo soffrire ancora a lungo^^! un bacione grande :-)!!

KissyKikka: ciao carissima :-)! Tranquilla, non ti proeccupare posso capire benissimo^^ io non riesco a scrivere  e a seguire le fiction già solo per colpa dei compiti in classe che fanno a fine anno, nn oso pensare all'esame di maturità! (anche se purtroppo tra due anni ci dovrò pensare anche io sob^') quinid sei assolutamente pedonata!^^! Spero tanto che ti sia andato bene e che tu sia stata promossa^^!! Appena hai tempo sarò felicissima di leggere le tue fantastiche recensioni :-) ti mando un grande bacio!

Grazie infinite anche a tutti coloro che hanno aggiunto la ficcy tra le seguire o le preferite :-) grazie!

Buona lettura

kisskisses

68Keira68

witch

14_Nives

La carrozza attraversò il ponte senza esitazioni, indifferente al mio stupore dato dalle emozioni che mi attraversavano. Ero talmente presa dalla mia analisi interiore che non mi accorsi nemmeno quando gli orsi polari si fermarono.

Mi riscossi solo quanto Trumpkin, con la sua voce falsamente leziosa, mi invitò a scendere dal mezzo.

Obbedii meccanicamente mentre mi guardavo attorno, estasiata dalla magnificenza che il castello emanava. Eravamo ai piedi della costruzione, così vicino che alzando lo sguardo non riuscivo a scorgere la cima delle torri.

“Da questa parte, altezza” mi intimò lo gnomo precedendomi verso il portone di ingresso costituito da una spessa lastra di ghiaccio azzurrina e decorata dalla stilizzazione di fiocchi di neve.

Il contrasto tra la soffice erba verde e rigogliosa, manifesto chiaro della stagione calda nella quale ci trovavamo, e il blocco di ghiaccio con cui era costruito il castello, simbolo principale dell’inverno, mi incantava. Non riuscivo a capacitarmi di come una struttura costruita da ghiaccio e neve potesse resistere sotto un sole cocente e di come i fiori colorati potessero sposarsi così bene con la base candida e fredda del palazzo. In teoria, oggetti così opposti avrebbero dovuto cozzare tra di loro, e invece si amalgamavano, creando uno scenario incantevole e…magico.

Estinsi a rapidi passi la distanza tra me e il portone. Ero ansiosa di entrare, volevo vedere se ciò che mi aveva fatto scorgere Jadis tramite i suoi ricordi era veritiero. E poi, ovviamente, volevo vedere lei.

Trumpkin aprì il pesante portone senza bisogno del mio aiuto, impressionandomi per quanta forza potesse starci in un corpo così piccolo. Il nano mi rivolse un ghigno soddisfatto, forse intuendo i miei pensieri, e mi fece cenno di entrare.

Eccitata, oltrepassai la soglia del palazzo di ghiaccio.

Appena i miei occhi si abituarono alla luce soffusa dell’interno, restai senza fiato.

L’anteprima che mi aveva fornito la strega non rendeva giustizia a ciò che mi attendeva. La sala che mi si parò dinanzi era molto più splendida di come la ricordavo.

Il pavimento, una lastra di ghiaccio sulla quale però non avevo difficoltà a restare in piedi, era sorvolata da una nebbia leggera, simile a quella che usciva dai freezer solo mille volte più estesa, causata senza ombra di dubbio dal ghiaccio. Contrariamente però a quello che il mio raziocinio si aspettava, non avvertivo freddo, come nella visione. Ciò mi turbò. Ero certa che le sensazione di venire abbracciata dal gelo anziché colpita appartenesse a Jadis e che io l’avevo provata perché ospite dei suoi ricordi, invece la medesima percezione ce l’avevo anche io. In quel momento, il freddo stava abbracciando me, mi accoglieva come se gli appartenessi.

Mi morsi il labbro, indecisa se catalogare la scoperta come positiva o negativa.

Decisi di rimandare in seguito la scelta e mi concentrai su una questione più urgente. Dov’era la strega?

Contavo di vederla appena entrata, che mi accogliesse in casa sua, ma di lei non scorgevo traccia. Il trono di ghiaccio, che da una pedana rialzata dominava l’intera sala in modo simile allo scranno di Miraz, era vuoto. Un vuoto che paradossalmente riempiva il mio cuore di delusione.

Venni distolta da questo pensiero però dal nano, che richiamò la mia attenzione intimandomi di seguirlo in un punto in fondo a destra della sala.

Un speranza si riaccese. Che volesse condurmi in un’altra sala dove ad attendermi c’era lei?

Lo raggiunsi in pochi passi ma quello che trovai una volta da lui fu fonte di altra amarezza. Trumpkin stava dinanzi a due colonne che davano sul muro.

Delusa, decisi di rivolgere il mio interrogativo direttamente al nano.

“Scusami ma Jadis dove si trova? Avevi detto che mi dovevi portare da lei, eppure la strega non c’è”

Mi aspettavo una frase di scuse, una spiegazione per la sua momentanea assenza, invece l’ometto mi rivolse uno dei suoi sorrisi inquietanti.

“Vi sbagliate, la regina è qui con noi” mi rivelò come se nulla fosse, anche se dal guizzo divertito dei suoi occhi compresi che sapeva benissimo di avermi confusa.

Mi stava forse prendendo in giro? Diedi nuovamente una rapida occhiata alla sala, ma come ben sapevo era deserta ad eccezione di noi due.

Inarcando un sopraciglio, ribattei con tono alterato. “E dove sarebbe di grazia? Io non la vedo”

“Perché non si è ancora mostrata non vuol dire che non ci sia” mi rispose enigmatico.

Poi, senza lasciarmi il tempo di riflettere sulle sue parole, dal nulla estrasse uno scettro, lungo da terra fino alla mia spalla. Ne rimasi estasiata, era uno degli oggetti più raffinati che avessi mai visto. Il bastone era fine e bianco, e su di esso si attorcigliava una spirale di ghiaccio fino ad arrivare alla punta, costituita da un grande diamante a forma di freccia che risplendeva in mille sfaccettature alla luce del sole che fioco filtrava attraverso il ghiaccio che ricopriva le finestre.

Con un gesto rapido e inatteso, fece mulinare in aria lo scettro per poi piantarlo con un leggero schianto in mezzo alle due colonne.

Subito, da dove il magico bastone era entrato in collisione con il pavimento, si diramarono due lamine di ghiaccio che salirono lungo le colonne per poi unirsi tra di loro per formare una lastra unica e spessa.

Una lastra diversa però da quelle che formavano il castello. Una lastra che non era azzurra o trasparente.

Il mio cuore prese a scalpitare furioso mentre i miei occhi prendevano coscienza del fatto che dentro quella lastra c’era lei. C’era la donna misteriosa.

La strega bianca, che tanto avevo atteso per incontrare, si presentava davanti a me, bellissima con i lunghi capelli dorati che fluttuavano e tormentata dalla prigione che la teneva segregata in un mondo vicino al nostro ma separato. Dunque la mia supposizione era errata, la strega non era ancora riuscita a liberarsi dalla sua condanna.

Jadis non parve sorpresa di vedermi, mi stava aspettando. Mi rivolse un sorriso dolce, curvando all’insù le labbra rosse che spiccavano su di un viso tanto pallido.  Poi parlò con quella voce che avevo imparato a riconoscere come amica.

“Sei giunta finalmente. Ti do il benvenuto a casa tua” mi accolse.

Ero rimasta come paralizzata da quell’apparizione inaspettata, ma sentendola rivolgersi a me, l’euforia prese presto il posto dello stupore. Finalmente era la parola giusta, sapevo che entrambe avevamo atteso con ansia questo incontro, e tale certezza mi riempiva il cuore di gioia.

“Non vedevo l’ora di vederti” sussurrai con sincerità.

Il sorriso della donna si allargò. “Anche io” fece scorrere il suo sguardo su di me e poi aggiunse “Sei cresciuta. Sei diventata davvero una bella ragazza”.

Era orgoglio quello che udivo nella sua voce?

“Piccola mia, ho così tante cose che voglio dirti…” poi un’ombra di tristezza adombrò il suo viso. “Mi spiace solo che resta ancora questa terribile barriera a separarci fisicamente” aggiunse. Il dolore nelle sue parole era palpabile e provai una fitta al petto.

Spesi meno di un batteri di ciglia per prendere la mia decisione. L’avrei aiutata, a qualsiasi costo. Così avrei avuto anche l’opportunità di ripagarla per avermi fatto evadere dalla prigione e per essersi messa in contatto con me, interessandosi per prima alla mia situazione.

“Non c’è niente che io possa fare per aiutarti? Sono una strega anche io, la mia magia può esserti utile” mi proposi senza esitazioni.

Una scintilla di speranza accese il suo sguardo.

“Effettivamente, tu sei la sola che potresti farlo. Ma non oso chiedertelo, non vorrei che tu pensassi che ti ho condotta fin qui solo per un egoistico motivo. Risponderò a tutte le domande che vuoi pormi anche se non mi liberi” promise.

La sua voce vibrava di sincerità. Immediatamente pensai con rabbia alle infamanti parole di Peter che l’avevano disegnata come un essere spregevole e guerrafondaio.

Era pronta a rinunciare alla sua unica possibilità di essere liberata per me.

“Non potrei mai pensarlo, credimi. E poi io per prima desidero liberarti, dimmi solo cosa devo fare e lo farò.” Ripetei con convinzione.

Il suo bel viso parve illuminarsi dinanzi alla mia insistenza. Forse dopo tutti questi anni aveva quasi perso la speranza di uscire da quella dimensione. Provai tanta pena pensando a ciò che aveva dovuto patire.

“Avvicinati” mi disse.

Compii due passi davanti e mi portai a trenta centimetri di distanza dalla lastra. Jadis portò alle labbra una mano, la baciò e poi la fece uscire a fatica dal ghiaccio, aprendo un piccolo varco.

Istintivamente afferrai la mano e con delicatezza la strinsi. Era morbida, ma fredda come la neve e liscia, senza imperfezioni.

“Ora ripeti con me tre volte: Glaciei Regina, exis ex tui carcere

Da brava allieva, ripetei la formula da lei pronunciata. Immediatamente sentii la mia magia attraversarmi e giungere nella mia mano e da essa defluire lentamente dal mio corpo al suo. Le sue dita divennero più calde anche se il colorito pallido non mutò.

Ripetei la frase e vidi con piacere che la lastra iniziava ad incrinarsi là dove la mano era riuscita ad uscire. Notai però che con essa si incrinavano anche le mie forze. La magia era potente e mi stava prosciugando le energie molto velocemente. Presi un grande respiro. Avevo compiuto magie più complicate da quando ero in quella terra, non mi sarei certo arresa dinanzi a questa, e per dimostrarlo recitai per la terza volta l’incantesimo.

La mia testa divenne più leggera mentre le ginocchia minacciarono di non reggermi, ma come ricompensa udii forte lo schianto di un oggetto che va in mille pezzi. La lastra si era rotta liberando una luce accecante, mentre pezzi di ghiaccio ricoprivano inermi il pavimento.

Istintivamente lasciai la mano di Jadis per portare la mia davanti al viso per riparare i miei occhi. Strinsi le palpebre per vedere attraverso la luce ma solo quando essa si fece più fioca riuscii a scorgere un’alta ed elegante figura in mezzo alle due colonne.

Jadis, i capelli biondi sciolti sulle spalle, la schiena dritta e la postura regale, aveva gli occhi chiusi e si stringeva nelle braccia come a volersi difendere da qualcosa a me ignoto.

Solo quando sciolse la presa dalle spalle e spalancò le palpebre mi resi conto che avevo trattenuto il respiro.

Avevo liberato la strega bianca. C’ero riuscita.

Jadis si analizzò le braccia mentre le muoveva. Poi si sfiorò il busto e compì un passo avanti ed uno indietro mentre la meraviglia lasciava il posto alla gioia sul suo viso.

Strinse e aprì i pugni più volte e poi mi rivolse un sorriso di pura felicità dalla quale non potei non farmi contagiare.

“Grazie” mormorò. Una parola semplice, eppure piena di sentimento.

Feci un segno di diniego con la testa, come per voler minimizzare la mia magia nonostante la testa mi girasse ancora lievemente.

Si avvicinò a me con passi lenti e moderati, gustandosi ogni movimento che per troppo tempo le era stato negato. Quando mi fu accanto, alzò una mano e me la poggiò sulla guancia, accarezzandomela con gesti circolare del pollice.

“Si, sei proprio una bella ragazza” Ripeté più a se stessa che a me. “mia piccola Nives”

Sbattei gli occhi più volte, certa di aver capito male.

“Cathrine” la corressi automaticamente. Era comprensibile che milletrecento anni di reclusione non giovassero alla memoria.

Scosse la testa sorridendo divertita. “No, quello è il nome che ti hanno dato le persone che ti hanno cresciuta sulla terra. Il tuo vero nome è Nives, non Cathrine. Così come gli Icepower non sono i tuoi genitori”

Ci volle qualche istante affinché riuscissi ad assimilare la frase. Ma anche quando essa giunse a destinazione, la sua comprensione mi sfuggiva.

“Non credo di aver capito bene” mormorai attonita, sbattendo più volte le palpebre. Forse si era espressa male o io avevo problemi di udito.

Jadis fece un sospiro e i suoi occhi si velarono di una lieve malinconia.

“Sei venuta fin qui perché eri in cerca di risposte a domande che ti poni con insistenza da quando sei nata, giusto?”

Annuii anche se la domanda era retorica.

“Bene, ora è il tempo che tu conosca tutta la verità. Basta segreti, basta misteri. È giunto il tempo che finalmente tu comprenda chi sei in realtà e prenda la posizione che ti spetta e che per troppo tempo ti è stata ingiustamente tolta.”

La frase enigmatica non facilitava la mia comprensione, bensì mi faceva maturare uno stato d’ansia e di aspettativa. Davvero era giunto il momento che tanto attendevo? Mi avrebbe rivelato tutto quello che agognavo di sapere?

Angoscia ed eccitazione si mescolarono tra loro. Ero felice perché mi sembrava di avere davvero la chiave per aprire la porta delle risposte a portata di mano dopo anni che la cercavo. Ma ero anche preoccupata da ciò che avrebbe potuto rivelarmi.

E se ciò che mi apprestavo a sentire mi avrebbe sconvolta o messa ancora di più nel dubbio sulla mia identità? Cosa avrei fatto una volta scoperto che nelle risposte sulle quali riponevo le mie speranze di comprendermi ed sentirmi completa in realtà avrei trovato solo una grossa delusione? La mia possibilità di essere felice si sarebbe sciolta come neve al sole.

“Vieni con me, voglio mostrarti una cosa prima” Jadis interruppe le mie riflessioni tendendomi una mano invitandomi a seguirla.

La afferrai subito, risentendo la pelle liscia a vellutata di prima solo un poco più calda.

Jadis strinse la presa con fermezza, come a volermi trasmettere fiducia, nonostante io ne provassi già, e si avviò verso la parte opposta della sala del trono, oltre il colonnato, facendomi scoprire una porta di ghiaccio prima nascosta dalla nebbia. La aprì sfiorandola appena, probabilmente usufruendo di un incantesimo lieve, e ci immettemmo in un lungo corridoio illuminato da vetrate simili a quelle gotiche ma interamente costituite dal freddo e duro materiale che qui imperava.

L’arredamento era spoglio, eppure tutto, dalle pareti alle finestre, trasmetteva un senso di potenza e sontuosità, come se semplici statue o mediocri abbellimenti fossero indegni di decorare un castello già di per sé fastoso. Dopotutto, la luce che abbondante investiva il ghiaccio facendolo brillare più del diamante non rendeva il corridoio prezioso e sfarzoso senza ulteriore aiuto?

Incantata, non mi accorsi che la strega si era fermata davanti ad una porta bianca molto semplice, tanto da passare quasi inosservata nella parete anch’essa candida.

Poggiò una mano sulla maniglia, chiuse gli occhi e bisbigliò una frase con tono tanto basso da essere per me inudibile.

La porta si aprì con uno scatto secco, rivelando una stanza priva di un particolare arredamento. Anzi, una stanza del tutto spoglia.

Guardai Jadis con aria interrogativa. Perché mi aveva portato in una camera vuota?

Senza rispondere alla mia muta domanda, mi condusse al suo interno silenziosa ma tesa. Sempre più confusa, diedi un secondo esame all’ambiente, convinta che l’agitazione della regina dovesse per forza essere causata da un qualcosa presente in quelle quattro mura. E infatti lo trovai.

Mi ero sbagliata, la stanza non era vuota. Sulla sinistra, prima nascosta dalla porta, ora faceva bella mostra di sé una culla la cui base era coperta per buona parte da una abbondante, quanto morbida all’aspetto, coperta azzurrina.

Un sorriso spontaneo mi si dipinse sul viso alla sua vista e avvertii una sensazione strana alla bocca dello stomaco. Senza accorgermene, mi trascinai fino al lettino e lo sfiorai con delicatezza, come se al tatto potesse sgretolarsi in polvere. Lo guardavo concentrata, c’era qualcosa nella mia mente che voleva venire a galla, che voleva farsi conoscere, eppure non riusciva, si perdeva per strada incapace di trovare la giusta direzione per il mio cervello. Era frustrante. Ero certa si trattasse di un pensiero importante, di una specie di illuminazione, ma non ero in grado di darle una forma e un senso compiuto. Non riuscivo ad afferrarla.

Poi vidi sul dorso della mia mano una luce perlacea prima assente. Mi voltai con lentezza davanti a me per scoprire la fonte dell’illuminazione e ciò che vidi aumentò il fermento interiore della mia mente. Dinanzi mi stava una parete bianco-perla che pareva avere la consistenza dell’acqua e che emanava una luce propria.

Sapevo che cos’era e il mio cuore sussultò quando lo vide. Era un portale spaziotemporale. Simile a quello che io avevo attraversato per giungere a Narnia.

“Si, si tratta di quello che pensi”

La voce calma di Jadis, che confermava il mio sospetto inespresso, mi fece sussultare. Mi ero quasi dimenticata della sua presenza nella stanza.

“Perché mi hai portata qui? Non riesco a capire” ripetei, un lieve tremore nella voce. Ora mi avrebbe veramente raccontato ogni cosa. L’aria stessa che respiravamo si era fatta satura di aspettative e tensione, creando l’atmosfera perfetta alla conversazione che ci apprestavamo a sostenere.

Jadis fece un respiro profondo e quando parlò la sua voce parve appesantita dal carico degli anni che le gravava sulle spalle pur non lasciando segno visibile sulla sua pelle immutabile.

“Milletrecento anni fa, Narnia era una terra florida e prospera della quale io era la sua fortunata e legittima regina. Non era attraversata da guerre e il mio popolo non era costretto a nascondersi come ora” iniziò. Conoscevo il quadro della Narnia che stava dipingendo. Era lo stesso che mi aveva tracciato Peter diverse sere fa con la voce rotta dal rimpianto e dal dolore sotto un manto di stelle. La prima sera che ci eravamo aperti l’un con l’altro. “Purtroppo però la tragedia era in agguato” il brusco cambio di rotta catturò maggiormente la mia attenzione “Aslan, che per decenni aveva abbandonato queste terre, tornò intenzionato ad impadronirsi anche con la forza del mio trono. Radunò un esercito e con l’aiuto della menzogna mise il mio popolo contro di me. Raccontò loro che il mio governo era illegittimo, che dovevo essere eliminata in favore dei giusti sovrani, quattro ragazzi che secondo la leggenda sarebbero arrivati a Narnia dal loro mondo per salvarli dal mio regime tirannico” le ultime parole pronunciate erano intrise di rabbia e amara ironia che sottolineava quanto assurde per lei fossero le motivazioni di Aslan. Fece una pausa per riprendere il contegno momentaneamente perduto “A nulla valsero i miei sforzi di comunicare con i sudditi che Aslan mi aveva sottratto. Il grande felino avevo riempito le loro menti di bugie, aveva promesso loro che una volta deposta me dal trono gli avrebbe donato ricchezze a non finire, così si giunse alla guerra, come ben sai” Chinò il capo e si portò una mano al cuore, come se il ricordo della battaglia fosse ancora fonte di cocente dolore.

Sapevo quella storia, l’avevo sentita diverse volte dai Pevensie, eppure suonava del tutto nuova narrata dal punto di vista di Jadis. Se Peter aveva tracciato un quadro dove lei era il nemico da sconfiggere per riportare la libertà a Narnia, lui e i suoi fratelli i giusti sovrani e Aslan l’eroe che li aveva guidati, ora i ruoli erano completamente ribaltati. La strega risultava vittima di un gioco crudele ed egoista che aveva visto il suo regno cadere in disgrazia, le due figlie di Eva e i due figli di Adamo erano gli usurpatori crudeli e il leone la piaga che si era abbattuta su quelle terre.

Ma qual era la reale versione? Chi era la vittima e chi il nemico? A chi dovevo credere?

Non lo sapevo, al momento non ero in grado di giudicare. Non riuscivo a vedere Jadis come una minaccia, come una sanguinaria guerriera, ma non potevo nemmeno credere che Peter mi avesse mentito su ogni cosa e che non fosse il sovrano di Narnia. Cosa dovevo fare?

Per ora però dovevo rimandare la decisione da prendere perché la strega bianca riprese la parola indifferente al mio dibattito interiore.

“Sapevo che dovevo assolutamente vincere per difendere il mio popolo e la corona,e non ti nasconderò di aver peccato di superbia poiché ero convinta che avrei vinto. Ero certa che la grande magia che regola queste terre non avrebbe permesso a dei falsi re di governare su Narnia. Eppure, prima della battaglia, presi ugualmente delle misure di sicurezza in caso di sconfitta. C’era una cosa sulla quale non potevo rischiare, una questione più importante di difendere il regno o il mio trono, un segreto che doveva essere mantenuto ad ogni costo finché la situazione non si fosse calmata.”

Jadis si avvicinò a me e prese le mie mani tra le sue. Il mio sguardo si accigliò. Se finora avevo saputo cosa attendermi dal racconto a grandi linee, ora brancolavo totalmente alla cieca. Quale mistero era riuscita a celare la strega per tutto questo tempo?

La donna mi fissò con un’intensità tale da catalizzare la direzione dei miei occhi. Li aveva legati ai suoi,  e da quella distanza potevo scorgere ogni sfumatura di azzurro che caratterizzavano le sue iridi. Non c’era traccia di blu, come in quelli di Peter, ma solo una distesa si azzurro chiaro, tendente al bianco, che mi ricordava il ghiaccio che ci circondava e non il cielo limpido che scorgevo negli occhi del mio re. Ma ciò non andava a scapito dell’espressività, poiché da ogni striatura bianca-azzurra sgorgava la tensione che stava provando in quel momento.

“Quale segreto?” mormorai, ipnotizzata.

Un angolo della sua bocca rossa si piegò in un sorriso mesto. “Avevo una figlia” svelò in un sussurrò caldo, facendo tremare il mio cuore a quella rivelazione inattesa. Il pensiero che mi sfuggiva si fece più consistente anche se ancora fioco. “all’epoca solo una piccola e graziosa neonata. Nessuno era al corrente della sua esistenza, l’avevo tenuta nascosta perché temevo che se i miei nemici l’avessero saputo avrebbero cercato di portarmela via o di nuocerle per colpire me indirettamente. Quando scoppiò la guerra la mia più grande preoccupazione era cosa le sarebbe capitato se io fossi morta in battaglia. Aslan e i suoi uomini si sarebbero impadroniti del mio castello, l’avrebbero trovata, avrebbero capito chi era e l’avrebbero uccisa nella peggiore delle ipotesi, o l’avrebbero cresciuta come loro alleata, insegnandole ad odiarmi e celandole le sue origini per servirsi della magia che certamente avrebbe ereditato.” Il dolore che provava nel raccontare quelle possibili conseguenze era palpabile. Potevo solo immaginare quanto era stata in ansia e quanto doveva aver sofferto. Jadis si portò una mano al petto con aria dolente. “Così la sera prima della battaglia decisiva presi la mia decisione” proseguì. Un pallido presentimento si unì al pensiero sfuggente. Sentivo i battiti del mio cuore aumentare mentre avido ascoltava il racconto della strega. “Feci portare la sua culla qui, in questa stanza, e nel cuore della notte la raggiunsi.” Il suo sguardo si fece vago, ad un tratto non vedeva più me dinanzi a sé, ma solo la culla alla mia sinistra con un fagotto, probabilmente addormentato, al suo interno. “La presi con dolcezza tra le braccia e la cullai teneramente. Le donai un ciondolo magico con la mia effige sopra al fine di proteggerla anche a distanza. Infine mi avvicinai con lei in braccio al varco spazio-temporale e pronunciai la formula magica per mandarla in un’altra dimensione, dove sarebbe stata nascosta e al sicuro dai nemici finché non fossi tornata a riprenderla.” I suoi occhi tornarono al presente, mi guardarono con dolcezza e mi sfiorarono una guancia. Solo con quel contatto mi accorsi che la mia gota era umida. Stavo piangendo. Silenziosamente dai miei occhi stavano scendendo fiumi di lacrime. Ma perché? Che loro avessero compreso prima di me ciò che accelerava il mio cuore? Ciò che la mia mente cercava di urlarmi?

“La mandai in un mondo parallelo, la Terra, e con la magia feci credere ad una coppia di giovani sposi che abitavano in una villetta nella periferia di una città di nome Londra, di aver da poco avuto una splendida bambina. La mia bambina. La mia piccola Nives che loro ribattezzarono come Cathrine Icepower”.

Silenzio. Neanche il rumore dei nostri respiri osava farsi sentire mentre i pezzi di un puzzle lungo una vita, la mia vita, andavano al loro posto con calma e ordine. Potei quasi sentire il rumore degli incastri nella mia mente quando quel pensiero tanto atteso si concretizzò e si mostrò in tutto il suo significato.

La vista mi si appannò tanto le lacrime scendevano copiose ma dalla mia bocca non uscì alcun suono, neppure un singhiozzo.

Realizzai subito che tra la moltitudine di sentimenti che il mio cuore stava sostenendo, non c’era la sorpresa. Come se ciò che avevo sentito, dopotutto, non fosse una rivelazione, bensì una conferma che cercavo da tempo senza saperlo. Tutto cominciava a quadrare, ad acquisire un senso.

La porta delle mie risposte mi si spalancò davanti invitandomi ad entrare.

Mi ero sempre sentita un’estrania a Londra, perché quel mondo non era il mio.

Mi ero subito sentita a casa a Narnia, perché quello era il mio vero posto.

Ero l’unica a possedere dei poteri magici a casa perché quella non era la mia vera famiglia.

Sapevo che apprendere di essere stata adottata dopo tutti questi anni doveva essere uno shock per me, eppure avvertivo appena un leggero spaesamento. Come se in fondo al cuore avessi da sempre saputo che quelli non erano realmente i miei genitori, che non ero loro figlia, che non appartenevo a loro e al loro universo.

Mi ero sempre sentita diversa, lontana da un mondo regolato da rigide leggi che non prevedevano la magia. Ora avevo la certezza che le mie sensazioni erano giuste. Ero stata per diciassette anni in una terra a me straniera tra persone straniere, desiderando ardentemente di non sentirmi così isolata, di poter provare anche io la sensazione meravigliosa di appartenere a pieno diritto ad un posto. Ora l’avevo a portata di mano. Appartenevo a Narnia, ero una sua creatura anche io. Quella terra era la mia casa a tutti gli effetti, ora ne avevo la certezza.

Avevo sempre sofferto per il fatto che la persona che doveva amarmi di più al mondo, mia madre, mi considerasse un mostro, una persona dalla quale stare lontani e che sopportasse appena la mia vista, che mi temesse. Avevo sempre desiderato possedere anche io qualcuno che fosse orgoglioso di avermi per figlia, che mi volesse bene per quello che ero, che non mi rifiutasse. Avevo sognato di avere una persona da chiamare “mamma” con affetto, di avere qualcuno a cui rivolgermi in caso di bisogno sapendo che lei sarebbe stata lì per me in ogni momento. E adesso, finalmente, l’avevo trovata. La mia vera madre. Jadis, che come me era una strega, che come me aveva sofferto tanto di solitudine, che come me era stata privata della sua vera famiglia. Che mi voleva bene, che mi apprezzava per quello che ero, che, anzi, era orgogliosa e felice dei miei poteri, che mi aveva sempre vegliato da lontano, che mi trovava “cresciuta” e “bella”. Ma che soprattutto, mi voleva bene.

La scoperta non poteva scioccarmi, era ciò che avevo sempre agognato senza saperlo davvero.

Ero andata a Narnia in cerca di risposte sul perché dei miei poteri ma non avevo idea di cosa avrei trovato insieme ad esse. Ora sapevo perché possedevo la magia, ma avevo ottenuto molto di più di semplici spiegazioni.

Avevo visto il mio vero mondo.

Avevo scoperto l’esistenza di altre creature magiche.

Avevo conosciuto per la prima volta persone sincere che mi volevano bene.

Avevo preso coscienza della mia forza e di ciò che ero capace di fare.

Avevo trovato l’amore in un ragazzo bello quanto dolce e altruista che mi aveva fatto dono del suo cuore.

Avevo svelato la mia vera identità.

Ma soprattutto, avevo saputo di avere una vera madre.

Guardai Jadis e fu come se la vidi per la prima volta. Quel sorriso dolce, lo sguardo benevolo e orgoglioso che mi lanciava, la mano che continuava ad accarezzarmi, ora acquisivano del tutto un nuovo significato. Erano i gesti di una madre che vedeva dal vivo sua figlia dopo milletrecento anni. Anche i nostri dialoghi precedenti diventavano più comprensibili. Ora capivo perché aveva definito il castello “casa” mia per esempio.

Jadis era in attesa. Aspettava che io mi pronunciassi. Che dicessi qualcosa, qualsiasi cosa. Se accettavo questa nuova realtà o se la rifiutavo, se le credevo o meno, se ero contenta o sconvolta. Ma io ero incapace di esprimermi. Come potevo farle capire con una sola frase che quella notizia era la realizzazione di diciassette anni di sogni inespressi ma tanto desiderati? Che mai come in quel momento mi ero sentita completa, come se ogni mio problema si fosse risolto? Come potevo esprimere la meravigliosa sensazione che si provava ad aver acquisito un proprio posto nel mondo e ad aver preso una giusta coscienza di sé?

Aprii e chiusi la bocca un paio di volte senza riuscire ad emettere suono, ma alla fine la parola giusta sgorgò da sola dalle mie labbra in un sussurro dolce e commosso.

“Mamma”

Semplici sillabe per ognuno fuori da questa stanza, ma chiave di un mondo del tutto nuovo sia per me e per lei. Io acquisivo una vera madre per la prima volta e lei ritrovava una figlia che temeva di non riavere più.

Vidi l’azzurro dei suoi occhi appannarsi e il labbro superiore tremò appena.

“Nives” mi chiamò, con quel nome a me sconosciuto ma che ben identificava la nuova me stessa. Non ero più Cathrine Icepower, senza una famiglia che la capiva e un mondo che l’accettava, ora era Nives, giovane strega che aveva finalmente trovato il suo posto.

Jadis eliminò la distanza tra noi due e mi abbracciò stretta e attraverso quel gesto potei sentire la voglia di stringermi a sé che aveva provato ogni anno passato imprigionata nella dimensione parallela. Ricambiai la stretta mentre l’ennesima lacrima scivolava lungo la mia guancia. Stavo abbracciando mia madre, la mia vera madre, che mi voleva bene. Potevo lasciarmi Eleanor Campbell e le sue occhiate agghiacciate definitivamente alle spalle. Sapere di non avere un collegamento di sangue quella donna malefica era un sollievo. Il giudizio però non si estendeva a mio padre. Daniel Icepower mi aveva sempre voluto bene come un papà doveva fare. Non mi aveva mai fatto mancare niente e i suoi sguardi erano sempre stati colmi d’affetto. Lui per me sarebbe rimasto per sempre il mio vero “papà” e lasciarlo era il prezzo da pagare per vivere quella nuova realtà.

La strega sciolse l’abbraccio e poggiò la mano sulla mia gota, abbassandosi per accostare il suo volto al mio in modo da guadarmi bene negli occhi. Solo in quel momento, vedendo il riflesso delle mie iridi nelle sue, notai che avevamo la stessa tonalità di azzurro.

“E ora che ti ho ritrovata, insieme lotteremo per riprendere ciò che è nostro di diritto” affermò risoluta.

Un lampo di confusione passò sul mio viso e ciò spinse Jadis a spiegarsi meglio. “La corona di Narnia è nostra, piccola mia, e io ho tutta l’intenzione di riprenderla.” La fermezza nella sua voce incrinò la patina di felicità che si era appena creata, penetrando nei meandri della mia mente e ponendomi davanti un pensiero che prima non aveva considerato.

Ero stata una sciocca. Mi ero illusa che ogni questione si fosse risolta tranquillamente ma mi ero dimenticata della più importante. Il problema che offuscava la mia pace appena trovata. Come potevo essere tranquilla e contenta se le mie due ragioni di felicità erano mortali nemici? Non potevo sentir dire a Jadis di come pianificava di sottrarre il trono a Peter, perché avrebbe preteso da me un aiuto. Ma io cosa dovevo fare? Schierarmi dalla parte di mia madre o difendere il regno della persona che amavo?

Possibile che non esistesse un modo per appianare i loro contrasti? Dopotutto lottavano entrambi per il benessere di questa terra, perché avrebbero dovuto mettersi i bastoni tra le ruote a vicenda quando avevano la stessa missione? Era semplicemente assurda quella loro guerra, fondata su falsi pregiudizi che entrambi avevano e che non volevano lasciare. A ben pensarci si odiavano a morte ma non avevano mai provato a parlarsi e a scendere a compromessi.

Jadis odiava i Pevensie quasi per osmosi poiché non sopportava Aslan che le aveva sottratto il trono e loro erano fedeli a lui. I Pevensie odiavano Jadis perché Aslan gli aveva detto che era crudele e cattiva e che dovevano essere loro a governare al suo posto. Un odio nato da fattori esterni quindi, non da loro. Anzi, riflettendoci attentamente, da un fattore soltanto, colui che aveva messo in moto tutto il meccanismo. Colui alla quale poteva essere data la colpa di questa acerrima antipatia tra i due contendenti alla corona. Aslan.

Quel nome mi giunse come un’illuminazione e forse poteva fornirmi anche la chiave per risolvere la questione. L’unico colpevole di quell’odio smisurato e ingiusto era il leone. Era stato lui a schierare Peter e i suoi fratelli contro la strega senza dare a quest’ultima nemmeno la possibilità di difendersi. Era vero che i Pevensie si erano fatti abbacinare con fin troppa facilità dalle belle parole di Aslan, ma in fin dei conti come biasimarli? Erano solo dei ragazzi alla quale veniva offerta su un piatto d’argento la possibilità di combattere per una causa ritenuta giusta, di essere acclamati come eroi e di essere considerati i sovrani di un territorio vasto e stupendo. Si poteva redarguirli per aver ceduto presto alle lusinghe del grande felino? No.

Ed era sempre stato lui ad iniziare una guerra fratricida, istigando con menzogne pacifici abitanti di Narnia alla ribellione sfruttando quattro ragazzi all’oscuro della verità.

Jadis si era ritrovata in una guerra che assolutamente non voleva per sé e per il suo popolo senza poterlo impedire.

Peter si era ritrovato ad odiare una persona e a doverla uccidere spinto da una bugia colossale e da falsi ideali.

E tutto ciò per colpa di Aslan. Se lui non si fosse intromesso, probabilmente i Pevensie al loro arrivo a Narnia avrebbero trovato la regina Jadis ad accoglierli e ad immetterli in quel nuovo mondo e insieme avrebbero continuato a difenderlo e a farlo prosperare. Non ci sarebbe stata nessuna guerra, Jadis non si sarebbe dovuta rifugiare in una dimensione parallela e io non sarei cresciuta in una terra straniera soffrendo di solitudine per diciassette anni.

Sentii nascermi nel petto la rabbia verso quel grande felino che per manie di grandezza aveva distrutto e cambiato la vita di così tante persone. Se poi pensavo che con la falsità era riuscito anche a farsi praticamente adorare da Peter, che lo considerava quasi un mentore, l’ira montava a dismisura. Ma avrei rimesso le cose apposto. Avrei fatto accadere ciò che sarebbe dovuto succedere già milletrecento anni fa. Avrei fatto parlare tra loro Jadis e Peter, li avrei fatti mettere da parte i dissapori in modo che insieme lottassero per riportare la libertà a Narnia. E questa volta, senza la malsana presenza di Aslan, non si sarebbe arrivati ad una guerra. Jadis doveva capire che la vera minaccia al suo trono era il leone e non i Pevensie, mentre Peter avrebbe certamente compreso di essere stato ingannato e grazie al suo senso dell’onore e della giustizia avrebbe accettato che il regno fosse riconsegnato in mani legittime. Avrebbe dovuto rinunciare alla corona, sapevo che sarebbe stata dura e mi dolevo di ciò, ma era la cosa giusta da fare, e poi sarebbe stato comunque uno degli attori principali alla guida del governo. Se mia madre fosse tornata ad essere la regina di Narnia, lui avrebbe potuto essere il suo secondo, un suo consigliere. Se lo conoscevo bene, ero certa che avrebbe accettato, avrebbe capito che era un passo necessario da compiere per il benessere del suo popolo e per lui esso veniva prima di tutto.

“Non c’è bisogno di lottare” ribattei, pronta a sostenere le mie idee ed eccitata dalla possibilità di realizzarle. Dovevo assolutamente riuscirci, ne andava della mia felicità futura. Se avessi avuto successo, Peter e Jadis non si sarebbero uccisi l’un l’altro e io sarei stata libera di amare entrambi senza dovermi schierare.

La strega mi guardò accigliata, come se avessi parlato un’altra lingua. “Piccola mia, ti assicuro che la cosa che meno desidero al momento è condurre un’altra guerra, ma dubito che i Pevensie ci daranno spontaneamente la corona. Erano pronti a morire milletrecento anni fa e non credo che le cose siano mutate” disse scandendo bene ogni parola come se dubitasse delle mie capacità celebrali. La sola idea di poter evitare la guerra era per lei inconcepibile, ma sarei riuscita a farle cambiare opinione.

“Ti sbagli” dissi decisa lasciandola di stucco per il mio tono. “Non erano pronti a morire per conquistare il trono, erano pronti a morire per salvare Narnia”.

“Ma Narnia non era in pericolo prima che loro arrivassero, sono stati loro a metterla in una situazione di guerra” ribadì contrariata.

Accennai ad un lieve sorriso. “Si, ma questo loro non lo sapevano. Rifletti un attimo. Sono stati catapultati dal loro mondo a questo e le prime persone con la quale hanno avuto a che fare erano dei seguaci di Aslan. Sin dal primo momento si sono sentiti ripetere che tu rappresentavi il male e che occorreva toglierti la corona, che erano loro i giusti sovrani e che Aslan era il loro salvatore. Non hanno mai avuto l’opportunità di sentire l’altra campana, sono stati traviati dalle menzogne del leone e dei suoi fedeli, per questo hanno iniziato una guerra contro di te.” Spiegai con fervore.

Scorsi nei suoi occhi un lieve compiacimento quando vide la mia presa di posizione contro Aslan, ma era scettica di fronte alla mia giustificazione per le azioni dei Pevensie.

Non demorsi tuttavia e proseguii. “Credevano di fare l’interesse di Narnia sottraendoti il titolo di regina e il benessere di questa terra è la sola cosa della quale gli è sempre interessato, te lo posso giurare. Tu non hai conosciuto i Pevensie, e soprattutto Peter, come li ho conosciuti io, non ci hai mai parlato, non hai mai sentito come parlano di questa terra. La amano e sono disposti a fare tutto ciò che è in loro potere per difenderla e farla prosperare. E questo non è esattamente quello che vuoi anche tu? Non desideri vedere il tuo popolo felice e soddisfatto?”chiesi provocatoriamente.

Jadis si morse il labbro, colpita dalla mia piccola arringa infervorata. Sospirò e il suo viso si adombrò di dispiacere. Mi mise una mano sulla spalla e guardando il pavimento mormorò affranta.

“Sono arrivata troppo tardi. Evidentemente hanno affondato le loro radici troppo in profondità nel tuo cuore per salvarti dalla loro morsa venefica, sei dalla loro parte e addirittura giustifichi le loro egoistiche azioni passate”

Accigliandomi, le strinsi la mano che aveva appoggiato sulla mia spalle per farle sentire più vicina la mia presenza.

“Non dire così, non sono dalla parte di nessuno se non del giusto. So che non ti fidi di loro ma ti posso giurare che non ho mai conosciuto delle persone più splendide. Mi hanno salvata, mi hanno accolta e mi vogliono bene.” insistetti.

“Piccola mia, sei troppo buona e ingenua, loro hanno solo voluto usarti. Qual è stata la prima cosa che ti hanno chiesto entrata nella loro riunione? Quella di mettere i tuoi poteri al servizio della loro causa. E te lo hanno chiesto come se fosse un tuo obbligo, come se non avessi il diritto di rifiutare se volevi continuare a godere della loro presenza. Ti sembra il comportamento di persone che tengono veramente a te?”

“Non è andata come hai descritto tu. Non ero obbligata a fare nulla, Peter me lo ha ribadito più volte. L’unica che aveva sbagliato in quell’occasione è stata Susan, che si era lasciata prendere dal fervore della guerra, ma anche lei si è immediatamente scusata. È stata una mia scelta quella di aiutarli, scelta che Peter mi ha sempre ricordato di poter cambiare in qualunque momento” li difesi a spada tratta.

Il volto di Jadis si fece improvvisamente duro. Non le piaceva per nulla la piega che aveva preso la discussione.

“Devi fidarti di me se ti dico che i Pevensie non sono i ragazzi che credi tu. Vogliono il trono e nient’altro” ripeté.

“Ti sbagli” La mia voce era fredda a causa della ostinazione che stava dimostrando la strega.

Era peggio che parlare con il muro. Per un secondo fui tentata di demordere ma poi mi ripresi. Non potevo abbandonare quell’unica speranza che mi guidava.

Calò un silenzio carico di pensieri. Jadis era evidentemente contrariata della mia testardaggine nel voler difendere Peter e i suoi fratelli mentre io mi scervellavo su come poterle far cambiare idea.

Alla fine optai per un approccio diretto e sincero.

“Mamma” mi gustai quella parola. Come era bello pronunciarla con dolcezza e non come se fosse un insulto o uno scherno. Vidi nel suo sguardo che anche a lei piaceva sentirsi chiamare con quell’appellativo personale e familiare. “Desidero che tu rientri in possesso del tuo titolo come meriti. È la cosa giusta. Ma non lotterò mai contro Peter, non puoi chiedermelo”  affermai senza traccia di incertezza. Ero assolutamente certa delle mie parole, non sarei mai stata in grado di combattere il ragazzo. “Tu dici di non poterti fidare di loro e da una parte ti posso capire dato i vostri trascorsi, ma se non ti fidi di loro ti chiedo almeno di fidarti di me e del mio giudizio. Ti chiedo di dar loro una possibilità” la pregai. Pensai con ironia che quella discussione era quasi identica a quella che avevo sostenuto con Peter, solo i soggetti si erano invertiti.

Jadis chiuse gli occhi e sospirò, quasi esasperata. Li riaprì, scosse la testa facendo ondulare i capelli biondi come a voler prendere tempo. Poi mi rispose.

“E cosa faresti per far riacquisire a me la corona senza entrare in guerra?” mi chiese, rassegnata.

Un sorriso felice mi si disegnò sulle labbra. Aveva ceduto. Ce l’avevo fatta, avevo ottenuto la possibilità di far mettere d’accordo Peter e lei. Il primo passo verso la vittoria era stato fatto.

“Fammi parlare con Peter e i suoi fratelli. Spiegherò a loro tutta la situazione illustrando i benefici di una pace tra voi due. Se li conosco bene, accetteranno di restituirti il regno e di rimanere in veste di consiglieri alla tua corte, ne sono certa”. Illustrai senza ombra di dubbio sulla riuscita del mio progetto.

La strega scosse la testa. “Non ti farò parlare con loro, è troppo pericoloso”

La mia espressione si fece stupita. “Pericoloso?” chiesi scettica. Non poteva pensarlo sul serio.

“Esatto, come hai ben detto tu, non mi fido di loro. Ho paura che quando gli dirai di volermi rimettere al comando ti imprigioneranno e ti impediranno di tornare da me” mi spiegò.

Bloccai a stento una risata isterica. “Peter non mi farebbe mai del male, morirebbe piuttosto, su questo non ho…” ma il ricordo di una conversazione passata mi bloccò le parole in bocca.

“Non intendo obbedire, mi spiace. Io vedrò Jadis”

“Allora mi vedo costretto a proteggerti anche contro la tua volontà”

Peter sarebbe davvero arrivato a rinchiudermi da qualche parte pur di non farmi vedere la strega? E Jadis fin dove si sarebbe spinta per non farmi rincontrare i Pevensie? Entrambi volevano tenermi lontano dall’altro, come se avessero paura che io potessi schierarmi o da una parte o dall’altra, ma io non ero una bimba influenzabile, sapevo cosa desideravo e non era scoprire per chi avrei dovuto mettere a servizio i miei poteri. Io desideravo la pace tra i due contendenti, non un partito da prendere e loro avrebbero dovuto rispettare la mia volontà. Non avrei smesso si vedere né l’uno né l’altra.

Nella mia frase lasciata a metà la strega parve leggere il mio dialogo interiore. Sospirò nuovamente prima di riprendere la parola.

“Se per te è così importante, acconsentirò, anche se loro non meritano il tuo interesse, ma ad una condizione”

Trattenni il respiro. Ci era riuscita? Se era così avrei acconsentito a qualsiasi richiesta.

“Prima di andare da loro, voglio che tu faccia la Cerimonia”.

Spalancai gli occhi. “Cerimonia?” domandai confusa e curiosa. Quale cerimonia.

Il suo viso mi colpì per la serietà con la quale mi stava parlando. “La Cerimonia che ti designerà come mia futura erede e legittima principessa di Narnia” mi spiegò solenne.

Le sua parole mi rimbombarono nelle orecchie, lasciandomi inebetita. Principessa? Io? Di Narnia? Non poteva essere, io ero solo…

“Tu sei mia figlia, figlia della sovrana di queste terre, e perciò di conseguenza ne sei la principessa. È giusto che anche tu rientri nel titolo che ti è stato strappato ancora prima di acquisirlo.” proseguì, poi vedendo il mio sgomento sorriso divertita.

“Non ci avevi ancora pensato vero?”

Scossi la testa. No, non avevo mai pensato che io, semplice ragazza del 2010, strega in erba, appena venuta a conoscenza di chi era figlia, potesse essere la principessa della terra alla quale aveva da poco scoperto di appartenere. Quindi avrei chiesto a Peter di rinunciare al trono per darlo … a me? La faccenda si complicava. Un conto era dirgli di ridarlo a Jadis, ex-regina, ma come potevo chiedergli di farsi da parte per favorire una mia futura ascesa, a me che ero nuova in quel mondo, che non volevo nemmeno partecipare alla guerra?

“Non mi vedo nelle vesti di una principessa” mormorai, sperando che ci fosse la possibilità di non essere dichiarata come tale.

“Ma è quello che sei, e dopo la Cerimonia, tutta Narnia lo saprà” affermò. “E poi il rito non ti riconoscerà solo il titolo di principessa, ma anche quello di mia figlia legittima. Verrai riconosciuta davanti all’Antica Magia, e ciò farà di te una strega bianca a tutti gli effetti, risvegliando in te poteri magici ancora assopiti. Diventerai più potente ed è questo ciò che mi preme principalmente.”

“Perché?” chiesi, non comprendendo il fine.

“Perché se Peter e i suoi fratelli dovessero tradire la tua fiducia, come temo faranno, sarai in grado di difenderti adeguatamente” confessò.

Feci una smorfia. “Non ce n’è bisogno”.

Jadis mi sorriso supplice. “Accondiscendi ad un desiderio di una madre che non vuole perdere nuovamente sua figlia per favore. E poi desidero che tu venga reintegrata nel rango che ti spetta”.

Sospirai e la guardai. Stava aspettando una mia risposta con occhi azzurri che pregavano un mio consenso. Come potevo negarglielo? In fondo sarei stata dichiarata sua figlia legittima, era poi tanto male? No, finalmente avrei avuto ufficialmente una madre, quanto mi costava dire di si?

“D’accordo” le risposi infine. “Quanto ci vuole per compiere la cerimonia?” mi informai.

“Si svolgerà tra tre giorni,  di sera, quando la luna sarà piena” stabilì, felice della mia resa.

Strabuzzai gli occhi. “Tre giorni? Ma i soldati di Telmar incalzano, tra poco sarà guerra. tu e Peter dovete trovare un accordo al più presto per affrontarli e salvare Narnia” ribattei con veemenza. Non potevamo perdere tre giorni preziosi per un’inutile formalità.

Per tutta risposta, Jadis mi rivolse un’espressione divertita, come se avessi detto qualcosa di molto buffo. “Piccola mia, non c’è alcun bisogno che tu ti preoccupi di qualche soldato straniero. Peter si è dimostrato incapace di proteggere la terra che declama amare tanto, ma io non sono come lui. So perfettamente come difendere Narnia anche senza il suo aiuto. Ti assicuro che tra tre giorni Lord Miraz e la supremazia di Telmar saranno solo un ricordo lontano e fastidioso”. Le sue parole volevano essere confortanti e rassicuranti, eppure provai un brivido lungo la schiena per il tono con cui le aveva pronunciate. C’era una velata minaccia dietro la sua frase, non udibile ad orecchio ma avvertibile sulla pelle. Sembrava urlare di non sfidarla perché nessuno poteva nemmeno immaginare dove poteva arrivare pur di realizzare i suoi scopi. Ma decisi deliberatamente di ignorarlo. Non dovevo preoccuparmene, stava parlando dei nemici della sua terra, era logico che le sensazioni che provava nei loro confronti si trasmettesse anche nelle sue parole. Il quesito che dovevo pormi era un altro.

“Ma come farai a combattere contro i telmarini senza esercito? Ci vorranno settimane prima di radunarne uno, contando che nessuno a Narnia per ora sa che sei tornata” osservai.

Il sorriso si allargò. “Vieni con me” mi disse di nuovo. Mi porse la mano per la seconda volta e mi condusse lontano da quella stanza, sipario di rivelazioni ancora per la maggior parte da assimilare. Avevo ricevuto tante di quelle nozioni che mi era stato impossibile analizzarle con raziocinio. Ma probabilmente non ci sarei mai riuscita, nemmeno se avessi avuto a disposizione un anno per esaminare frase per frase quella discussione. Se mi fossi fermata a pensare con razionalità a ciò che mi stava accadendo, probabilmente sarei impazzita, dovevo continuare ad applicare la regola che mi ero imposta sin dall’inizio, accettare ciò che accadeva senza domandarmi “perché?” continuamente e lasciarmi trasportare dalla corrente. O come avrei accettato di essere diventata principessa di un regno incantato che ha come madre una strega rediviva? Il mio cervello sarebbe finito dritto in cura da una psicanalista.

Jadis mi scortò su per una scala a chiocciola, probabilmente percorrendo in salita una delle tante torri che costituivano il castello. Si fermò quando ebbimo percorso sufficienti scalini a farmi venire il fiatone. A quel punto entrammo in una stanza circolare simile ad un osservatorio. Dovevamo essere in cima alla torre.

L’arredamento era semplice ma elegante, consisteva in un telescopio posizionato alla sinistra di una grande vetrata che occupava la maggior parte della parete rotonda, una libreria incastonata nel ghiaccio e delle poltrone. Tutto ovviamente sulle tonalità dell’azzurro.

Si avvicinò alla finestra con la sua camminata sinuosa e regale, il lungo vestito bianco con la gonna liscia e priva di particolari decorazioni che fasciava il suo corpo snello muovendosi con lei.

La luce del sole, ormai alto, illuminò il profilo delicato del suo volto, rendendo la sua pelle nivea quasi perlacea. Lanciò uno sguardo al paesaggio sottostante e un sorriso disegnò le sue labbra rosse.

Mi guardò e mi allungò una mano, un invito a raggiungerla che non tardai ad accettare. Afferrai la sua mano e guardai nella direzione che mi indicava Jadis.

Rimasi stupefatta.

Sbattei gli occhi più volte, incredula dinanzi al panorama che mi si proponeva. Là dove poco prima c’era unicamente una superficie di erba verde, si stendeva una lunga colonna di creature di Narnia dirette al castello di ghiaccio.

“Narnia ha i suoi modi per comunicare” mi disse, con soddisfazione palpabile nel vedere la fila di soldati che si avvicinavano “appena sono stata liberata, tutti gli abitanti di Narnia e la stessa terra ha avvertito il mio ritorno. Il ritorno della loro regina per la quale chi le è da sempre stato fedele non vede l’ora di tornare a servizio. È con questo esercito che Telmar vedrà la fine della sua avanzata sui miei territori”.

Lo sguardo era sicuro, il tono fermo e solenne quanto la postura. Come si poteva dubitare della veridicità delle sue parole?

In quel momento, illuminata dal sole, fasciata di bianco, in cima ad un castello che si preparava a divenire casa di un esercito forte e numeroso, sembrava una dea, bella e implacabile, ed io ebbi la certezza che Narnia era davvero salva. Jadis avrebbe provveduto a lei e avrebbe provveduto anche a me.

 

*

 

Caro Peter,

ho tante cose di cui vorrei parlarti, ma non mi basterebbero mille pagine per raccontarti tutto ciò che mi è successo, perciò per il momento devo rimandare a quando finalmente potremo rivederci, il che, se ogni cosa va per il meglio, dovrebbe accadere tra tre giorni esatti.

Per ora ti basti sapere che sono al sicuro. Non crederai mai chi è stata a liberarmi dalle prigioni di Telmar, ma ti prego di non essere prevenuto nei suoi confronti quando ti dirò il nome della mia salvatrice nonché ospite. Si tratta di Jadis.

La mano con la quale teneva la lettera si strinse automaticamente, stropicciando in quel punto la carta. La mascella si contrasse mentre leggeva quel nome tanto odiato, Jadis, ma si costrinse a proseguire.

È tornata dalla dimensione che l’aveva tenuta prigioniera per tutti questi anni ed ora ha intenzione di salvare Narnia dalla minaccia di Miraz.

Ti supplico di non fare azioni avventate e di non preoccuparti per me. Io sto bene e Narnia non si trova in pericolo. So che non crederai alle mie parole al momento, ma ti prego di aspettare a prendere qualsiasi decisione, almeno finché non avremo parlato tra tre giorni. Se non ti fidi di lei per attendere, cerca di fidarti di me, ho delle ottime ragioni.”

Interruppe la lettura, questo era tutto ciò che era necessario e utile far sapere agli altri. Il resto della lettera era indirizzata a lui soltanto e solo lui doveva leggerla.

 

Ci sono altre migliaia di cose che vorrei scriverti, ma per ora mi devo trattenere. Ti dirò quindi solo più una cosa, la più importante.

Ti amo. Tanto.

E mi manchi tantissimo. Vivo pensando che ogni minuto che passa è un minuto in meno che mi separa da te.

A presto.

Per sempre tua

Cathrine

 

La sua Cathrine. La sua stella era autrice di quella lettera che gli riempiva il cuore di gioia e angoscia contemporaneamente. Niente poteva renderlo più lieto della notizia della sua liberazione dalle buie prigioni di Miraz, il pensiero della sua Cathy rinchiusa in qualche spazio angusto mercé dei telmarini era stato intollerabile. Gli ci era voluta tutta la sua forza di volontà per trattenersi dall’andare di persona e subito al castello a cercare di recuperarla. Purtroppo però quel pezzo di carta vergato dalla sua calligrafia minuta e un poco disordinata non portava con sé solo quell’informazione.

Riassunto in termini pratici, privato di ogni abbellimento aggiunto da Cate, il contenuto della comunicazione era semplicemente terrificante: Jadis era tornata. Ma questo lo avevano già capito. Appena era successo lo avevano avvertito nell’aria stessa, divenuta più gelida. Nelle nuvole che cariche di neve si erano immediatamente condensate celando il cielo finora limpido e il caldo sole. Nei fiocchi bianchi che cadendo fitti avevano chiaramente enunciato il ritorno della loro personificazione, la Strega Bianca, richiamando per lei tutti coloro che nei secoli le erano rimasti fedeli. Richiamo che era stato accolto con fervore da una grande parte delle creature di Narnia, molti dei quali membri dell’esercito che fino ad allora era stato ai comandi dei Penvensie. Una notizia già di per sé tremenda, ma non era la cosa peggiore. Aveva preso Cathrine senza che la ragazza neanche si accorgesse del pericolo che stava correndo. Dire che erano nei guai era un eufemismo bello e buono. Era successa una catastrofe. Proprio quello che non doveva assolutamente accadere. L’unica magra consolazione alla quale il giovane re si stava aggrappando era che quanto meno Jadis non avrebbe mai trattato male Cathrine, almeno fisicamente. Con tutta la fatica che aveva fatto per averla, non le avrebbe torto un capello e non l’avrebbe tenuta come una prigioniera in qualche cella fredda. L’avrebbe accolta come un’ospite d’onore o una cara amica.

Guardò i visi presenti e vide riflessa la sua stessa preoccupazione. L’unica differenza è che mancava nei loro occhi quel dolore sordo procurato dalla lontananza prolungata da Cathy che era certo fosse scorgibile nei suoi.

Ma cosa doveva fare?

No, la domanda era posta male. Sapeva perfettamente cosa doveva fare. Doveva cercare il modo migliore per difendere il suo popolo. Ma ciò poteva comportare armare l’esercito e marciare contro il castello di Jadis, dove al momento albergava Cathrine. Come avrebbe potuto assediare il palazzo dove la sua stella riposava? Avrebbe rischiato di coinvolgerla fisicamente nel conflitto mettendola in pericolo di vita. O, peggio, attaccando in modo barbaro senza rispettare le sue richieste di tempo avrebbe pensato che lui e i suoi fratelli erano indegni della sua fiducia e si sarebbe schierata completamente con la strega. Se la sarebbe ritrovata davanti nelle vesti di nemica e a quel punto come si sarebbe comportato? Avrebbe puntato la spada contro quel cuore che aveva sentito battere per lui? No, si sarebbe trafitto lui stesso piuttosto perché ciò cozzava totalmente con quello che voleva fare, ovvero proteggere Cathrine. Dalle grinfie di Jadis, dalla guerra imminente, dalla delusione che avrebbe provato una volta scoperto chi era in realtà la strega.

La vera domanda era: cosa poteva fare per conciliare le due cose? Doveva esistere una strada che l’avrebbe portato sia a difendere Cate che il regno.

Cercò lo sguardo di Susan, come se in quei riflessivi e intelligenti occhi castani potesse trovare una soluzione a tutti i suoi problemi. Li cercò  simile ad un naufrago desideroso di una zattera da agguantare per rimanere a galla in mezzo alla tempesta dei suoi pensieri. Purtroppo però nelle iridi color del cioccolato della sorella, dove tante volte aveva trovato conforto o sostegno, questa volta non vide nessuna brillante risposta ai suoi dubbi.

“Per me, dovremmo preparare l’esercito e andare a riprenderla senza esitare”

La voce di Caspian ruppe quel silenzio pieno di riflessioni.

Marciare per recuperarla mettendo a ferro e a fuoco il palazzo della strega. Era un’idea così allettante… Il giovane principe non aveva idea di quanto sarebbe piaciuto a Peter poter andare seduta stante a riprendersi la sua Cathrine. Ma come aveva già concluso, era un’opzione non praticabile.

“è la cosa peggiore che possiamo fare” ribatté Lucy con veemenza, concordando senza saperlo con Peter.

“E perché di grazia?”

Lucy, aggraziatamente seduta sulla tavola di pietra accanto a Susan, non tardò a rispondere. “Perché Cathrine al momento si fida ciecamente di Jadis e non acconsentirebbe mai a scappare da un luogo che non sente pericoloso. Dobbiamo allontanarla da lei parlandole e facendole capire con chi ha a che fare”.

“Ma potremmo parlare con lei solo tra tre giorni. Per quella data potremmo già aver subito un attacco da parte di Jadis o di Telmar e non essere sopravvissuti, non possiamo stare qui ad aspettare che la disfatta si compia” fece notare piccato Edmund in sostegno di Caspian.

“Non accadrà. Se Cathrine ci ha detto che tra tre giorni verrà qui vuol dire che ne ha parlato con Jadis e che la strega è d’accordo. Se le togliesse l’opportunità di vederci causa morte provocata da lei perderebbe la sua fiducia e non potrebbe più usufruire dei suoi poteri. E in più nella lettera Cate ha detto che Jadis stessa si sarebbe occupata di Telmar, sono certa che Miraz per noi non sarà più un problema se la strega ha veramente deciso di occuparsene” Si intromise con raziocinio Susan, lanciando un’occhiata di sbieco a Caspian mentre pronunciava l’ultima frase. Il principe però non parve preoccupato del destino che incombeva su Telmar al momento, o per lo meno non lo dava a vedere.

Perderebbe la sua fiducia.

Bingo.

Nella mente di Peter, che finora si era limitato ad ascoltare le varie opinioni sperando di udire una soluzione sensata, si accese una lampadina. Una parola pronunciata dalla sorella fece scattare una molla nella sua testa. Fiducia.

E tutto gli fu più chiaro.

Quella che si accingevano a cominciare non era una guerra contro Jadis per la conquista di Narnia e il suo trono. Era una lotta per la fiducia di Cathrine.

La strega sapeva che la ragazza avrebbe messo i suoi poteri a disposizione di chi si sarebbe fidata di più e di chi pensava dovesse governare. E chi aveva il suo appoggio avrebbe avuto una grossa possibilità d vincere la guerra che sarebbe avvenuta dopo, quella per la corona. La soluzione alla sua domanda era dunque quella. Doveva assolutamente cercare di far comprendere alla sua piccola stella che razza di mostro calcolatore e sfruttatore fosse Jadis, in modo che si allontanasse da lei salvando se stessa e Narnia intera. Povera Cathrine, era il premio più ambito che quella terra vedesse da secoli e lei neanche lo sapeva, ma doveva rendersene conto, solo quando ne fosse stata conscia avrebbe potuto agire di conseguenza e proteggersi.

“Inoltre sarebbe un suicidio attaccare ora il castello di ghiaccio. Jadis sta creando un esercito forte lo sapete, mentre il nostro si è ridotto drasticamente e i pochi rimasti sono demotivati. Non riusciremmo mai a condurre una guerra” rincarnò la dose Lucy.

“E quindi? Stiamo qui con le mani in mano ad aspettare che ci vengano ad uccidere?” disse caustico Caspian.

“No” finalmente la voce del re biondo si impose sulle altre. I presenti si zittirono e lo guardarono, ansiosi di sapere la sua opinione ancora inespressa. Peter fissò i loro volti uno ad uno, il dolore negli occhi messo per un attimo da parte dalla luce della decisione e della consapevolezza. Non poteva permettersi di abbandonarsi al senso di vuoto che provava nel petto, né alla preoccupazione che provava per la sua Cathy. Se la voleva salvare e al contempo adempiere ai suoi obblighi di re, doveva ricacciare quelle sensazioni da dove erano venute. Almeno per il momento, specie ora che sapeva cosa poteva fare.

“Terremo pronto l’esercito per ogni evenienza, ma non ci muoveremo. Aspetteremo Cathrine. Tre giorni di tregua possono esserci utili per restituire all’esercito il vigore perduto e il dialogo che ci attende potrebbe essere una grossa opportunità per strappare definitivamente Cate dall’influenza di Jadis” stabilì.

Susan e Lucy annuirono concordi e soddisfatte. Edmund e Caspian cominciarono invece a reclamare, ma uno sguardo del re bastò a far tacere ogni protesta. Il ragazzo aveva deciso e niente gli avrebbe fatto cambiare idea.

Non sarebbe sceso in una guerra suicida contro Cathrine. I due ragazzi dovevano accettarlo.

Incontrò lo sguardo di Edmund e vi lesse l’insostenibile voglia di fare qualcosa di attivo per il suo popolo, l’incapacità di rimanere con le mani in mano mentre le nuvole si condensavano all’orizzonte. Lo provava anche lui, ma l’unica scelta percorribile che congiungeva dovere e volere era quella.

Speriamo solo che in quei tre giorni Jadis non affondi i suoi artigli troppo a fondo nel cuore e nella mente della mia Cathrine.

Pensò amaro, ma cercò di allontanare da sé quell’ipotesi infausta. Se era chiara la fiducia che al momento Cate provava verso Jadis, erano inconfutabili anche le parole con la quale chiudeva la lettera.

Ti amo. Tanto.

E mi manchi tantissimo. Vivo pensando che ogni minuto che passa è un minuto in meno che mi separa da te.

A presto.

Per sempre tua

Cathrine

Cathrine lo amava, e nessuna bella frase che la strega poteva pronunciare avrebbero mai cancellato quel sentimento dal suo cuore. Su questo Peter non aveva dubbi.

Però quella certezza non colmava il vuoto che avvertiva all’altezza del petto. Anche se sapeva che lo amava, che tra tre giorni l’avrebbe rivista e che almeno fisicamente non era in pericolo, il saperla lontano da lui preda del destino avverso e di malevole influenze, lo faceva star male. Senza contare che se era sicuro sui sentimenti del cuore della ragazza, non poteva altrettanto esserlo sui pensieri che la sua mente poteva formulare sotto la presenza di Jadis. Al momento la giovane pareva fermamente decisa a non voler attribuire la ragione a nessuna delle due parti, ma prima o poi avrebbe dovuto scegliere.  E allora si sarebbe visto chi dei due era riuscito a far valere meglio le sue motivazioni. Peter aveva dalla sua la voce della verità, ma Jadis possedeva tecniche persuasive molto efficaci, come già aveva dimostrato in passato.

Cathy mi ama, e questo basterà. Ripeté a se stesso per auto convincersi. Eppure il senso di vuoto e la preoccupazioni si fecero sempre più difficili da rimandare indietro.

Senza guardare in volto nessuno, uscì dalla stanza a testa alta diretto ai piani superiori avvolto nel più assoluto e rispettoso silenzio. Una volta solo nella propria camera, con la porta ben chiusa alle sue spalle, poté togliersi la maschera di glaciale calma e farsi assalire dalla preoccupazione che lo attanagliava.

 

*

 

Siamo nei guai.

Un pensiero semplice, che non riassumeva minimamente la pericolosità della situazione in cui le creature di Narnia vertevano, ma solo questo passò per la mente della regina, come se i suoi neuroni si rifiutassero di formulare una frase più complessa che desse maggior spessore a quella catastrofe imminente.

Seduta tra le rovine della piccola arena dinanzi all’edificio, Susan cercava di ricapitolare mentalmente ciò che era accaduto nel giro delle ultime tre ore, precisamente da quando era arrivata quella lettera.

Mettendo gli avvenimenti in maniera schematica, come la sua personalità pragmatica prediligeva, la lista che si otteneva era semplice come la frase prima pensata.

Jadis era tornata.

Il loro esercito era stato dimezzato.

Cathrine era nelle mani di Jadis senza nemmeno saperlo.

Peter era rinchiuso in camera sua da due ore buone a crogiolarsi in pensieri autodistruttivi.

Eppure il sole tramonta ancora.

La constatazione nacque spontanea nella sua testa e la regina quasi se ne sorprese. Come poteva essere così poetica in un momento di tale crisi?

Ma era la verità. Il meraviglioso scenario che aveva davanti ne era una prova. Il cielo era sui colori dell’arancione, le poche nuvole rimaste dopo la tempesta di neve, che magicamente si era sciolta come era venuta senza lasciare traccia trattandosi di un mero segnale e non di un fenomeno atmosferico, erano rosate mentre il sole si avviava a sparire oltre la pianura gialla-verde per cedere il posto al suo alterego, la luna.

Il sole dopotutto era non si faceva coinvolgere dai loro problemi. Lui rimaneva là in alto, impegnato unicamente a svolgere il suo compito e ad assistere silenzioso allo scorrere delle piccole e brevi vite delle persone che godevano dei suoi raggi. Persone che avevano conflitti, complicazioni, difficoltà, risoluzioni, guerre e periodi di pace esattamente come lei e che come lei, nonostante ciò che può accadere, ogni mattina potevano assistere al miracolo dell’alba ed ogni sera accoccolarsi al tiepido calore del crepuscolo. Il sole era sempre lì, come un monito che ti ricordava che anche succedesse qualsiasi cosa la vita attorno a te prosegue indisturbata e sta a te scegliere di riuscire a trovare un istante per goderne oppure no e occuparti solo delle tue questioni. E lei, a differenza del suo solito, aveva bisogno di un momento per far parte di quella vita tranquilla fatta solo di cielo, terra e sole, senza Terlmar o streghe tra i pensieri. Giusto per ricordarsi che respirava nonostante tutto quello che era accaduto in quelle tre ore, che era ancora viva e che la catastrofe che presagivano non era ancora del tutto avvenuta.

“Sapevo di trovarti qui”

Una voce calda e familiare le giunse all’orecchie, ma tanta era la pace che stava acquisendo dalla luce morente che nemmeno sobbalzò dalla sorpresa.

Si girò e sorrise dolce a quel viso dai lineamenti marcati eppure teneri del principe Caspian.

“è un buon posto per riflettere e riacquisire calma” rispose serafica.

Il principe si sedette vicino a lei, con una gamba distesa e l’altra leggermente piegata verso il torace.

“Concordo. Il panorama attuale poi è particolarmente suggestivo” asserì.

Susan annuì e chiuse gli occhi, reclinando la testa all’indietro su di uno dei massi pensando a come la presenza del ragazzo fosse la ciliegina sulla torta in quel momento perfetto.

“Peter è uscito dalla stanza?” si informò senza aprire le palpebre.

“Non ancora. Ma è comprensibile. È piuttosto scosso”

Susan annuì di nuovo.

Scese il silenzio, ma la pace era tale da scacciare ogni forma di imbarazzo. Solo quando il giovane si schiarì la voce Susan riaprì gli occhi per fissarlo con aria interrogativa.

Caspian la stava guardando, o meglio, cercava di guardarla ma i suoi occhi scivolavano via dal suo volto dopo che lo focalizzava per più di due secondi di fila. Susan corrugò la fronte. Il giovane principe sembrava agitato, si stava morsicando il labbro e si torturava le mani senza tregua. Si bloccarono unicamente quando avvertirono la dolce presa di una terza mano, più piccola e candida. La mano della regina.

Come rassicurato da quel tocco familiare, Caspian cercò di tranquillizzarsi con un grande respiro prima di cominciare a parlare.

“Susan” la chiamò facendo sorridere la regina. Il suo nome pronunciato dal principe pareva miele. Solo lui era capace di dirlo con quell’intonazione particolare.

“Si?” lo incitò lei curiosa di sapere cosa voleva dirle Caspian.

“Ecco…” il giovane prese un bel respiro prima di parlare con il tono più sicuro che riusciva ad avere “io non voglio metterti fretta, te l’ho promesso e rispetterò la parola data, ma visti gli ultimi avvenimenti, con un domani così incerto, desideravo dirti…”

“Fermo, non aggiungere nient’altro per favore”

Fu il tono brusco più che le parole ad azzittire il giovane. Chiuse la bocca con un scatto e la delusione velò i suoi occhi neri.

Susan sentì chiaramente lo stomaco contorcersi nel vedere di averlo ferito, ma avvertiva altrettanto chiaramente la campanella di allarme che le era risuonata nella testa quando aveva capito dove Caspian stava andando a parare.

No, non poteva succedere veramente. Dopo tutto quello che stavano attraversando, non poteva aggiungere alla sua scaletta anche: “il giovane principe torna alla carica”.

Caspian non poteva aver davvero cominciato quella discussione, specialmente dopo averle detto che aveva capito le sue motivazioni e che l’avrebbe aspettata. Aver compreso ciò che gli aveva detto non voleva dire scimmiottare le sue frasi nell’introduzione di un discorso che non voleva sentire. Cosa gli passava per la testa?

non voglio metterti fretta, te l’ho promesso e rispetterò la parola data

Meno male, altrimenti cosa avrebbe fatto? Le avrebbe portato direttamente un anello?

Erano passati pochi giorni e con tutto quello che era successo non poteva sperare che aveva avuto tempo per riflettere sulla loro situazione!

Era una regina, aveva dovuto occuparsi della guerra e di Cathrine, non poteva mica far passare in primo piano le sue questioni di cuore.

Ma anche se non avesse dovuto rifletterci per affrontare quella situazione non avrebbe avuto tempo al momento per impegnarsi anima e corpo in una relazione. Aveva troppe cose di cui occuparsi da anteporre a se stessa. Non poteva permetterselo. E poi…

Anche se ora non mi viene in mente sono certa che ci sia qualche altra ottima motivazione per rimandare questa conversazione di qualche giorno…

O di qualche settimana, mese, anno, decennio…la verità è che hai paura di affrontare i tuoi sentimenti, sei riuscita buttare giù la prima palizzata, ma era quella più semplice, la più esterna, ora che si tratta di distruggere quelle più vicine al tuo cuore ecco che ricominci a scappare. Insinuò una vocina maligna dentro di lei.

Susan si morse il labbro. Doveva andarsene di lì in fretta, l’atmosfera si era fatta molto pesante, voleva correre via.

“Perdonami” sussurrò prima di alzarsi di scatto e dirigersi a passi veloci verso l’edificio, allontanandosi sia da Caspian che da quella voce malefica.

Era vero, forse aveva paura e quelle che aveva pensato erano tutte dannate scuse per rimandare il momento della verità, ma qualunque fosse la motivazione il risultato non sarebbe cambiato. Quella discussione non avrebbe avuto luogo in quell’istante. Non era pronta ad affidarsi ai sentimenti di un’altra persona.

Ma quando stava per mettere un piede fuori dall’arena, una mano le afferrò il braccio e la fece voltare per poi stringerla da entrambe le parti con delicatezza ma fermezza.

Caspian si era alzato ed ora la fissava con un’intensità e una sicurezza di sé che raramente aveva scorto nelle sue pupille scure.

Susan fu percorsa da un tremito sotto quegli occhi. Ne fu spaventata, perché stava intuendo che forse non sarebbe riuscita ad evitare ciò che stava per accadere, ma ne fu anche attratta per qualche motivo a lei ignoto e non razionale.

“Perdonami tu, ma questa volta non ti lascerò andare via senza che ti abbia espresso i miei sentimenti. Ho capito che tu non ti senti ancora pronta per dirmi ciò che provi, ma io ho il bisogno di dirtelo. Ora, senza ulteriore indugio perché con una guerra di questa portata imminente c’è il rischio di non avere più un altro momento per parlare.” Esordì d’un fiato, prendendo il coraggio a due mani come mai era riuscito a fare.

Susan cercò di liberarsi dalla presa del giovane ma lui rafforzò la stretta impedendole la fuga ma senza farle male. Ma lei non voleva sentire, non voleva udire quelle parole che sapeva stavano per essere pronunciate. Era facile fingere di non sapere ciò che si poteva solo presupporre ma una volta sentito non avrebbe potuto evitare alla sua mente di riflettere attentamente su di esso. Non avrebbe potuto evitare al suo cuore di trarre le sue conclusioni, né, temeva con tutta se stessa, impedire a quest’ultimo di farla parlare contro il suo raziocinio e di scoprirsi.

“Susan” le si rivolse di nuovo e a quel richiamo si immobilizzò. Quel miele le aveva bloccato anche il respiro. Prima ancora che aprisse bocca, Susan lesse tutto ciò che doveva sapere nei suoi occhi neri, ardenti al momento come brace. E poi giunse la conferma. “Ti amo”. E mai parole ebbero più effetto sulla sua algida persona.

Sentì qualcosa dentro spezzarsi, come uno scudo che si frantuma contro un fendente troppo potente. La confessione del giovane giunse al cuore della regina come una freccia avvelenata di miele e passione e la trafisse infiltrandosi tra le palizzate. Sentì quel dolce nettare irrogarle ogni vene e arteria, diffondersi per tutto il suo muscolo cardiaco per poi farlo battere all’impazzata come il migliore dei carburanti.

Caspian la amava.

Il sospetto c’era, era inutile negarlo, ma la sua mente l’aveva sempre prontamente zittito per evitare false speranze o insidiosi problemi consequenziali, ma ora che l’aveva sentito direttamente dalle sue labbra, il sentimento che il principe provava non poteva più essere ignorato.

Ma anche se il suo cuore era infiammato e batteva rapido, la sensazione di rifiuto verso quella conversazione persisteva. Le palizzate c’erano ancora, con qualche crepa ma in piedi.

“So che per te i tuoi obblighi da regina verranno sempre al primo posto” proseguì il principe ricatturando l’attenzione della ragazza “infatti non ti chiederei mai di anteporre me ad essi, non sarebbe giusto nei tuoi confronti né in quelli di Narnia, ti chiedo solo di riuscire a trovare un posticino anche per me nel tuo cuore, sono certo che è grande abbastanza per accogliere anche me.”

C’era una tenerezza nel suo tono di voce e una genuina sincerità nella sua semplice richiesta di essere amato e di occupare almeno un posticino nel suo cuore che Susan non poté impedirsi di provare un languore all’altezza del bacino. Un languore del tutto nuovo. Poteva una persona così altruista recare danni a qualcuno? Poteva una persona capace di tale disarmante sincerità conquistare la fiducia di qualcuno e poi tradirla? Una palizzata cadde.

“E ti posso anche assicurare che non sarei mai un peso per te. Non dovresti cercare di gestirti tra affari di stato e me, ti aiuterei come posso in qualsiasi cosa. Sono pronto a dividere con te ogni onere del tuo ruolo se me lo permetterai e in più non saresti più sola a sopportare situazioni frustranti e pericolose come questa, ci sarei sempre io ad offrirti una spalla su cui piangere o un consiglio o un semplice appoggio. Ti farei da sostegno, un punto di riferimento quando i pericoli fanno crollare alcune delle tue fidate certezze.” Continuò sempre con quella assoluta sincerità mentre con una mano iniziava ad accarezzarle dolcemente il profilo della guancia.

Poteva una persona tanto comprensiva fregarsene della tua persona e dei tuoi problemi? Frapporsi tra te e i tuoi obblighi? Un’altra palizzate crollò.

“Non devi rispondermi ora, te lo ho detto, ti aspetterò, ma volevo che tu sapessi cosa provo e cosa sono pronto ad offrirti senza esitazioni.” Concluse Caspian.

No, questa persona non lo avrebbe mai fatto. Poteva dunque codesta persona essere meritevole della tua fiducia? Essere quella giusta con la quale aprirti, alla quale affidarti? Il cuore di Susan batté libero nel petto, finalmente privo di muri o palizzate, pieno di quel dolce miele che Caspian le aveva iniettato.

Le parole che tanto avevano faticato per venire anche solo pensate perché troppo poco sicure, troppo poco logiche, si proposero con forza, pregarono di essere pronunciate.

Susan aveva paura di amare una persona e di confessarsi ad essa perché temeva di affidarsi al ragazzo sbagliato e di soffrire, di donare la sua fiducia ad una persona non degna, di aprirsi a qualcuno che le avrebbe procurato confusione e dolore e che non l’avrebbe mai compresa.

Ma quella persona non poteva coincidere con quella che dinanzi le aveva appena aperto il suo cuore senza riserve, dimostrando una autenticità di sentimento che solo poche persone potevano provare. Non poteva essere il ragazzo che la fissava come se fosse la creatura più bella dell’universo, con gli occhi che brillavano di passione e…speranza? Si, speranza, perché nonostante le avesse assicurato che l’avrebbe attesa e che non si aspettava una sua risposta seduta stante, Caspian desiderava con tutto se stesso di essere ricambiato.

E lei lo ricambiava?

Si. Come poteva non ricambiarlo? Lui, così dolce e sincero, che le confessava di amarla e che si proponeva di assisterla in ogni momento della sua vita, che le prometteva che le sarebbe sempre stato accanto. Era un ragazzo d’oro, come diceva Lucy.

Ed era pronta per dirglielo? La reticenza di prima c’era ancora o era crollata con le palizzate?

Fu sorpresa lei per prima dalla risposta che il suo cuore prontamente le diede. Si, era pronta. Ma soprattutto desiderava con tutto se stessa esserlo. Voleva una persona accanto a sé, una persona che potesse donarle un affetto e un conforto diverso da quello che poteva offrirle un fratello o una sorella. Voleva un ragazzo suo, una persona con la quale condividere la sua vita, con le sue gioie, i suoi problemi e i suoi dolori.

Gli occhi le si velarono di lacrime, ma neanche una scese lungo la gota. Non era il momento di piangere. Era un momento felice, il suo cuore volava veloce e si sentiva ebbra di gioia come non le capitava da tanto.

Cathirne, Jadis, Telmar…tutto dimenticato, tutto appartenente a quella parte della sua vita dedita a problemi e preoccupazioni. Una parte che per quell’istante si era lasciata alle spalle in favore dell’altra porzione, quella che aveva deciso di vivere quando si era seduta tra i resti dell’arena e si era accorta che il sole tramontava ancora.

Cosa si era detta? Che lei, nonostante i guai in cui si trovavano, respirava ancora, viveva. Bene, doveva mettere in pratica quello che aveva pensato, doveva vivere e goderselo, non poteva solo pensare a quello che doveva fare, ai problemi che aveva e a come risolverli. Aveva bisogno di una pausa tra una preoccupazione e l’altra. Aveva bisogno di vivere senza pensare al domani, senza pensare alle conseguenze, senza pensare di essere la regina di un regno in pericolo, senza pensare. Aveva bisogno di vivere, semplicemente. Libera con le sue emozioni. Libera con Caspian.

E fu alle sue emozioni che, per la prima volta in tutta la sua vita, lasciò il comando del suo corpo.

Caspian la stava ancora guardando, silenzioso con la bocca ma traboccante di mille sentimenti -amore, dolcezza, aspettative, passione- dagli occhi. la sua mano non aveva smesso di accarezzarla, ma ogni altra parte del suo corpo era immobile, come se temesse che spostandosi potesse rovinare quell’empasse dolce, quell’incanto che li circondava.

L’ultimo riverbero del sole gli illuminava la parte destra del volto, mettendo leggermente in ombra la sinistra e regalando una scintilla vermiglia nel suo sguardo profondo, dando l’impressione che un fuoco nascesse nelle sue pupille. O erano le emozioni che provava ad alimentare quella fiamma?

Probabilmente la versione giusta era quest’ultima. Ed erano le stesse emozioni che spinsero Susan ad alzare una mano per sfiorare quella guancia dai tratti virili.

Caspian chiuse gli occhi a quel tatto e distese le labbra, dalle quali uscì un sospiro appena accennato, in un’espressione beata. Era sollevato dalla sua reazione. Probabilmente aveva temuto di essere respinto rudemente o che la ragazza lo avrebbe insultato.

Susan fece scorrere la sua mano dalla guancia fin dietro la nuca del giovane. Infilò le dita nei suoi capelli castani, constatando quanto fossero morbidi al tatto.

E poi, senza preavviso, avvicinò il suo viso a quello di Caspian e congiunse le sue labbra con quelle di lui.   

Avvertì lo sconcerto del giovane per il suo gesto dall’irrigidimento improvviso, ma ci volle meno di un secondo affinché Caspian prendesse coscienza del bacio e ricambiasse con vigore e passione.

La sua mano corse veloce al fianco della ragazza per trarla maggiormente a sé, mentre l’altra rafforzò la presa sulla sua gota, godendo della delicatezza della sua pelle.

Le labbra di Susan si schiusero come un bocciolo per quelle di Caspian. Le loro bocche aderivano una all’altra come se fossero state fatte apposta per essere accostate, come se fossero due pezzi di un unico intero esattamente come i loro proprietari.

L’altra mano di Susan andò a congiungersi con l’altra appoggiata dietro la nuca di Caspian e insieme si allacciarono alle sue spalle, come se la giovane volesse aggrapparsi a lui e non lasciarlo mai più andare via.

Davvero solo una manciata di minuti prima la sua mente era stata attraversata da mille problemi? Susan al momento non se ne capacitava. La felicità e la completezza che provava per quel bacio erano tali da renderle difficile addirittura credere che ci fosse un mondo oltre il sapore delle labbra di Caspian e il confortevole calore emanato dal suo corpo, figurarsi dei problemi!

Quando il bacio terminò, Susan respirò e sentì dopo un’infinità di tempo di farlo realmente. Poté quasi avvertire l’aria entrarle dentro i polmoni e il suo diaframma alzarsi e abbassarsi con piacere. Da quanto tempo non  respirava davvero?

Più o meno da quando non riesco più a vivere per me stessa. Si rispose.

Caspian la guardava ammaliato e felice. No, felice era un eufemismo. Gli occhi brillavano tanto da sembrare due diamanti, irradiavano luce e vita. Il viso stesso era illuminato e il sorriso -un sorriso rivolto a lei sola e di cui lei era la causa- era il più bello, il più aperto e il più spontaneo che Susan avesse mai visto. La regina vedeva le labbra del ragazzo vibrare, come se volesse dire qualcosa, ma la gioia era tanta da non riuscire ad esprimerla.

Ma dopotutto non è lui che deve parlare, sono io. Si disse Susan.

Era giunto il momento. Era pronta e lo aveva appena dimostrato.

Prese un bel respiro e con il cuore che forte le batteva in gola per l’emozione, riuscì finalmente a dire ad alta voce quella frase tanto rimandata.

“Caspian, ti amo anche io”

Un dolce sussurrò nel vento, pronunciato nell’esatto istante in cui il sole scomparì dietro la pianura, in quel magico attimo tra il giorno e la notte che già una volta era stato scenario del loro amore all’epoca ancora non dichiarato apertamente.

Era stata una sciocca a rimandare così tanto quella discussione. Ora che era riuscita ad essere sincera con Caspian e specialmente con se stessa, si sentiva felice. Completa. Con il cuore leggero e libero di battere forte e passionale. Si sentiva amata. Ed era una sensazione meravigliosa.

Caspian la abbracciò, comunicandole con un unico caldo gesto ciò che infinite e comuni parole non avrebbero potuto esprimere a pieno. Susan si raggomitolò tra le sue braccia, affondando la testa nel suo petto ampio e protettivo.

Si, si sentiva amata, ed era proprio una sensazione meravigliosa.

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Capitolo 16
*** 15_Un addio sofferto per una meschina menzogna ***


Carissimi lettori ben ritrovati!!  Dunque dunque, ci siamo lasciati con Cate/Nives in procinto di presenziare alla Cerimonia e con Peter che intanto aspettava il suo ritorno per avere delucidazioni su ciò che le stava accadendo e da chi riprenderemo ovviamente^^ La prima parte è un piccolo momento di riflessione di Cate dove quindi non ci sono svolgimenti, ma è importante per fissare bene alcune questioni e idee :-) dalla seconda in poi ci sarà  più fermento fino alla fine del cappy, promesso :-) Il quadro della madre buona e comprensiva che Jadis si è dipinta addosso non convince (giustamente, parliamo della strega del ghiaccio!) e infatti qui si inzieranno a vedere alcune delle sue vere motivazioni anche se nn tutte...^^ povera Cate, si vedeno nubi all'orizzonte anche se lei ancora nn può scorgerle! Premessa: alla fine del cappy please non uccidete né me né Cathrine, se ci permetterete di vivere prometto che ad ogni cosa si troverà una soluzione...ma su questo argomento preferisco continuare a discutere al fondo del cappy dopo che lo avrete letto altrimenti rischierei di rovinarvi la storia! 
Come sempre ringrazio di cuore chi spende il suo tempo a leggere la mia storia, grazie grazie grazie! Spero che qst cappy vi piaccia e che nn vi deluda ^^! 
Un bacioneeee^^

Ringraziamenti:

noemi_moony: Ciao cara!! Grazie per la tua recensione smpre super puntuale e graditissimissima^^  in qst cappy l'interrogativo che ha posto verrà risolto, anche se la risposta potrebbe non essere definitiva dato che la storia non è ancora conclusa e molte cose possono accadere prima della fine! Cate dovrà scegliere anche se nn sarà affatto facile decidere tra due persone così importanti per lei...^^ Sono contenta che il cappy scorso ti sia piaciuto con il bacio tra i due cari Susan e Caspian (finalmente anche loro sono riusciti a far chiarezza e a confessarsi hihihi!). Spero di leggere presto la tua recensione su qst cappy :-)! Un bacione grande grande :-) 

ranyare: Ciao carissima^^! Sono feloice felice che il cappy scorso di sia piaciuto così tanto ^^! Cate effettivamente al momento è cieca dinanzi a ciò che Jadis combina e ha combinato, è accecata dall'idea di avere una madre ( e che madre come hai giustamente sottolineato!) per giunta strega e regina, ma dopotutto come biasimarla? Peccato però che il credere ciò che vuole e rifiutare la realtà le causerà non pochi problemi, tra cui quello di far soffrire il povero Peter! Il nostro caro re infatti passerà un brutto momento, però la fine è ancora lontana e tutto può succedere ... non bisogna disperare! hihiih sono lieta che Caspian ti sia piaciuto!!! Ti dor agione, ci fossero uomini simili in giro...le ragazze sono certa che farebbero tutte i salti di gioia da mattino a sera hihihi!!!!!!!!!! Grazie per avermi segnato la tua storia :-)! Appena ho un po' di tempo e pace (avendo i nonni lontani quando ci sono le vacanze faccio un po' la trottola in giro e quindi manca sia il tempo che la pace purtroppo! ^'!) sarò felice di leggere e commentare le vicende del nostro amato re e del caro principe di Telmar^^! promesso :-) Non vedo l'ora di sapere le tue impressioni su qst nuovo cappy^^ un grandissimo bacio!!!!

risotto: Ciao cara:-)!!! Non ti preoc^^ sono felice che tu abbia commentato la scorso cappy e che ti sia piaciuto:-) finalemtne è arrivato anche il turno di Caspian e di Susan di aprirsi! Ci hanno messo parecchio tempo in più rispetto a Peter e Cate ma alla fine ce l'hanno fatta :-)! Grazie per i tuoi complimenti^^ sono davvero contenta di sapere che sono riuscita a trasmetterti così tante emozioni, glasie glasieeee^^!!!!!!! Spero che anche qst cappy ti piaccia^^! Un bacioneoneone^^!

Grazie mille anche a tutti coloro che hanno aggiunto la fan fiction tra le preferite o/e le seguite! Grazie ragazzi^^

Vi auguro buona lettura e fatmi sapre cosa ne pensate di qst cappy^^

Kisskisses

68Keira68

witch

15_Un addio sofferto per una meschina menzogna

 

Charlie era stato il mio migliore amico fino all’età di undici anni. L’unico capace di ascoltarmi senza mai lamentarsi, che era sempre lì per me a farsi stringere nelle lunghe notti d’inverno quando l’ombra degli alberi proiettata dalla luna nella mia camera si trasformava in un terribile mostro della quale aveva paura.

Charlie era l’orsacchiotto di peluche che mio padre mi aveva regalato per il mio primo compleanno e che da quel momento avevo sempre tenuto con me. Anche quando arrivò l’adolescenza e smisi di giocarci insieme, non ebbi mai il coraggio di buttarlo via. Anche tutt’ora probabilmente era dove lo avevo lasciato la mia ultima sera passata a Londra, sul mio letto, accanto al cuscino, in una posizione privilegiata dalla quale poteva vedere tutta la stanza.

Chissà se sarebbe stato geloso se avesse saputo e potuto comprendere che ora tra le braccia stringevo un altro peluche, Fiocco, anch’esso un orsacchiotto ma col pelo interamente bianco al posto del marrone classico di Charlie.

Fiocco.

Ci avevo pensato su quasi tutta la sera prima di battezzarlo così, volevo un nome che lo rispecchiasse. E quale nome migliore di Fiocco per un orsetto bianco come i fiocchi di neve?

Sospirai e strinsi il peluche forte contro il petto, pensando con sorpresa di come sembrasse nuovo, nonostante i suoi milletrecento anni.

Milletrecento anni passati ad aspettare il ritorno della sua padroncina, come mi aveva detto mia madre quando lo avevo visto al bordo del grande letto a baldacchino che occupava gran parte della stanza. La mia stanza, quella dove avevo trascorso le prime notti della mia vita, anche se non ne conservavo memoria.

Mi guardai attorno per la miliardesima volta. Rannicchiata sul divanetto posto in una nicchia della parete opposta alla porta, sotto una grande vetrata ora spalancata, potevo scorgere ogni particolare della camera. Anche se probabilmente, avendola fissata da ieri sera costantemente, ormai non c’era più nemmeno un angolo che non conoscessi.

Quando la sera precedente Jadis mi aveva accompagnata qui su, in cima alla torre est, non volevo credere ai miei occhi. Quella stanza era la prova tangibile della mia permanenza, se pur breve, in quel castello. La prova che ero davvero nata lì, che quella era casa mia. Una casa che aveva atteso il ritorno mio e di mia madre per secoli senza neppure un filo di polvere o qualsiasi altro segno di cedimento. Ero rimasta meravigliata dallo stato di perfetta conservazione della nostra dimora, specie se pensavo che di Cair Paraveil non era rimasto null’altro che un cumulo di macerie, ma la strega mi aveva spiegato il motivo.

Il palazzo era protetto dal materiale con la quale era costruito. Il ghiaccio infatti era incantato, destinato a non sciogliersi mai e a preservare meticolosamente tutto ciò che contiene. In più le leggende che circolavano sul conto della sua proprietaria erano ancora in grado di accendere i cuori di timore tanto da non osare un attacco diretto con lo scopo di distruggerlo.

Quindi l’enorme letto a baldacchino con coperte azzurro chiaro e tende quasi trasparenti era ancora in uno stato perfetto, con il materasso e il cuscino morbidi come se fossero appena comprati. E lo stesso valeva per il soffice tappeto bianco che ricopriva interamente il pavimento della stanza, esattamente come quello che avevo voluto per decorare la mia camera a Londra come avevo notato con stupore; per il lampadario di cristallo che illuminava l’ambiente di una soffusa luce azzurrina e per la scrivania di legno ma colorata sulle tonalità del blu posta accanto ad una grande panca contenente i miei giocattoli, purtroppo poco utilizzati, dei quali faceva parte Fiocco. Il mobile più prezioso era però un armadio a due ante costruito magicamente con il ghiaccio che occupava gran parte della parete opposta al letto, alla sinistra della nicchia dove stavo. Era intarsiato con fiocchi di neve, come la fiancata della carrozza, e aveva le maniglie di cristallo, ma l’aspetto esteriore non era nulla in confronto al contenuto. La prima volta che lo avevo aperto ero rimasta meravigliata. Al suo interno, appesi ordinatamente agli ometti, c’erano una serie infinita di abiti di raffinata fattura, di ogni forgia, colore, tessuto e modello. Al confronto il mio ex-armadio impallidiva, e pensare che ero la figlia adottiva di una stilista!

Ovviamente la maggior parte dei vestiti era sulle tonalità dell’azzurro, ma c’erano anche dei rossi sgargianti, dei rosa tenue, dei verde speranza, degli accesi gialli e dei viola scuro. Si trovavano abiti da sera, con lunghi strascichi e preziosi corpetti, abiti per ogni giorno, simili a quelli che Keira Knightley sfoggiava in “Orgoglio e Pregiudizio” o vesti da camera, come quella che avevo addosso al momento. Una semplice canotta in vual azzurra, lunga fino a sopra le ginocchia e con una scollatura a V dalla quale partivano delle rose ricamate fino al bordo.

Comoda e leggera, adatta per andare a dormire in sere calde come quella.

Sospirai e ammirai le stelle che brillavano fuori dalla finestra. Un giorno intero speso a vedere i vestiti dell’armadio uno ad uno e a mettere a posto un disordine inesistente più due ore passate a scegliere il nome per un orsacchiotto ripescato da una panca di milletrecento anni fa.

Avevo finito gli argomenti per tenermi impegnata la mente, purtroppo dubitavo ci fosse ancora qualcosa che potessi fare per evitare quella spinosa abitudine detta “pensare”. Prima o poi doveva capitare, non potevo andarmi a cercare un altro orsetto o una paperetta da battezzare. Con Fiocco avevo già abbastanza toccato il fondo.

Ma se cominciavo a pensare la mia testolina avrebbe formulato solo un unico nome con tutto ciò che ne sarebbe conseguito.

Peter.

Strinsi forte al petto l’orsetto. Mi mancava. No, “mancava” era un eufemismo. Ti può “mancare” un lontano parente che non vedi dal Natale precedente o un amico che hai conosciuto in vacanza, ma quando sei lontana da ciò che fa battere il tuo cuore o permette ai tuoi polmoni di respirare, il termine “mancare” non basta. Probabilmente nessuna parola del dizionario avrebbe potuto esprimere ciò che sentivo.

Al momento ero una stella senza il suo cielo in cui risplendere.

Due giorni, resisti ancora due giorni. Mi ripetei. Ormai era il mio mantra.

Quel pomeriggio avevo spedito una lettera a Peter dicendogli che ero salva nel palazzo di Jadis e che sarei tornata da lui non prima di tre giorni, ovvero il giorno dopo aver fatto la Cerimonia che mi avrebbe riconosciuta come legittima erede della strega. Trascorso quel giorno, ne restavano due prima di riabbracciarlo.

O prima di perderlo per sempre mi sussurrò una maligna voce all’orecchio ricordandomi della discussione che avrei dovuto affrontare con il re biondo una volta finiti i convenevoli.

Era vero, era inutile fingere che così non fosse. Mi accingevo a discutere con lui su una questione delicata, la sua legittimità a governare su Narnia. Dovevo convincerlo a lasciare il trono a Jadis e a mettersi da parte nelle vesti da consigliere o altro per il bene di quelle terre. Non era affatto una cosa semplice dato l’odio e la sfiducia profondi e ben radicati che Peter nutriva verso mia madre e forse ero una folle a pensare di riuscire ad eliminare anni di antipatia con solo poche parole, ma dovevo fare un tentativo. Non potevo semplicemente stare a guardare mia madre e il mio ragazzo combattersi a vicenda. Dovevo trovare un modo per evitare un conflitto o questa volta senza l’aiuto di Aslan per i Pevensie si sarebbe davvero messa male, perché non avevo dubbi sul fatto che se Jadis fosse scesa in guerra avrebbe vinto. E avevo il terrore di quale scotto avrebbero dovuto pagare Peter e i suoi fratelli.

E in più io in quel caso cosa avrei fatto? Non potevo schierarmi con i Pevensie ora che sapevo dove stava la ragione, ma non sarei mai andata contro di loro in uno scontro sapendo che non era da attribuire ai fratelli la colpa della decaduta di mia madre, anche se sapevo in cuor mio che non sarei stata capace di alzare un dito contro di loro neppure se fossero stati gli unici responsabili. Sarei dovuta rimanere a bordo campo, aspettando che uno dei due contendenti tornasse da me vittorioso sporco del sangue dell’altra persona che amavo? Sarei semplicemente impazzita.

“Ancora sveglia?”

La voce soave di mia madre mi giunse alle orecchie. Volsi la testa e la trovai sulla soia, inondata dalla luce azzurro-bianca delle lanterne del corridoio.

Entrò con passo leggero e mi raggiunse senza il minimo rumore grazie al tappeto spesso. “Ho intravisto la luce del lampadario dal fondo della porta” mi informò come se volesse giustificare la sua intromissione nella stanza.

Le sorrisi e le feci posto sul divanetto. Ci conoscevamo relativamente da poco pur essendo madre e figlia per colpa del destino che ci aveva separate, eppure non provavo il minimo imbarazzo in sua presenza. Mi sentivo a mio agio, tranquilla, e desideravo le piccole attenzioni che mi stava donando da quando era uscita dalla sua prigionia. Erano cose sciocche e superficiali, come informarsi sui miei piatti preferiti, sulla mia salute, se la stanza mi piaceva, se i vestiti erano della taglia giusta, ma mi facevano sentire felice. Erano tutti segni del suo interesse per me, della sua voglia di conoscermi e prendersi cura della mia persona.

“Molti pensieri mi tolgono il sonno” mormorai.

“Se vuoi confidarti, io ci sono, lo sai” mi disse mettendomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio e accarezzandomi la guancia.

La guardai di sottecchi e vidi riflessa in quello specchio di ghiaccio preoccupazione ma anche tanta dolcezza.

“Lo so” ed era una sensazione splendida. Mi rannicchiai ancora apprestandomi a dar voce ai miei pensieri. Di sicuro sarebbe stato un colloquio più interessante di quello con Fiocco.

“Pensavo solo a cosa succederà se non riesco a convincere Peter” confessai.

La vidi irrigidirsi, come ogni volta che toccavo il tasto “Pevensie”, specie di quel Pevensie. Aveva intuito subito che il sentimento che mi legava a lui non era solo quello di una bella amicizia, che c’era molto altro, ma non aveva indagato oltre, forse perché preferiva darmi il beneficio del dubbio. Probabilmente non avrebbe fatto i salti di gioia nel sapere che la sua unica figlia era innamorata di uno dei suoi peggiori nemici.

“Temo che in tal caso la strada percorribile sarà una sola” mi accarezzò di nuovo la guancia, facendo una pausa ad effetto “sarà guerra”.

Un tremito mi percorse a quella parola.

“Nelle guerre la gente muore”osservai con voce spezzata. Sentivo un groppo in gola farsi sempre più grande, tanto che quasi non riuscivo a parlare.

“Purtroppo si” mi prese il mento tra le mani con dolcezza e cercò il mio sguardo. “Bimba mia, la tua paura è che i Pevensie muoiano?”

Colpita e affondata. Jadis avevo compreso il mio reale timore.

Annuii, rannicchiandomi ancora di più.

Le sue braccia furono celeri ad avvolgermi, portando la mia testa nell’incavo del suo collo in modo che lei potesse appoggiarci il suo mento sopra. Fece scorrere la sua mano su e giù per il mio braccio, in un tocco così leggero che sembrava un alito di vento.

“Non devi preoccuparti di questo, non ho alcuna intenzione di ucciderli” mi sussurrò all’orecchio come se fosse il più grande dei segreti.

I miei occhi si spalancarono dallo stupore. “Davvero?” chiesi conferma con voce flebile.

“Ma certo” mi rispose con veemenza “non ne avevo intenzione nemmeno milletrecento anni fa, anche se poi purtroppo le cose sono degenerate come ben sai”.

“E allora cosa pensi di fare?” mi informai faticando a seguirla ma felice della sua decisione. Il nodo in gola cominciava a sciogliersi così come si era formato. Jadis avrebbe risparmiato la vita a Peter, Susan, Edmund e Lucy, non avrei perso il ragazzo per sempre.

“Se rifiuteranno il mio ritorno sul trono non potranno stare qui ovviamente, ma non per questo li priverò della vita. Li farò tornare a Londra, nel loro tempo e farò in modo che non tornino mai più.”

Il respiro mi si fermò. La piccola bolla di felicità che si era formata solo qualche istante prima si infranse in mille pezzi.

Farò in modo che non tornino mai più.

Una speranza per la vita dei Pevensie. Una condanna per la mia esistenza.

Alla fine dunque, se Peter non mi avesse ascoltato, lo avrei perso lo stesso, nonostante la grazia di mia madre. Se ne sarebbe andato attraverso il varco dimensionale e non lo avrei mai più rivisto.

Gli occhi mi si appannarono di lacrime. Non avrei assistito alla sanguinosa battaglia che temevo ma sarei restata a guardare il suo viso che spariva in una porta spazio-temporale verso un mondo che ormai non mi apparteneva più mentre io sarei rimasta lì a Narnia. Perché sapevo quale sarebbe stata la mia scelta. Sarei restata in quella terra con mia madre. Per quanto amassi Peter, non potevo tornare in un luogo che non mi apparteneva e che non mi voleva. Senza contare che anche volendo tornare a Londra insieme a Peter, restavano cinquant’anni a dividere la mia città dalla sua. Saremmo andati nello stesso mondo, ma in due epoche diverse. Saremmo stati separati ugualmente.

Presi un profondo respiro. No, non dovevo piangere, era da egoisti. Dovevo essere felice del fatto che se anche le cose non fossero andate come speravo, la vita di Peter e dei suoi fratelli era salva. Avrebbe senz’altro sofferto a lasciare Narnia per sempre, ma erano giovani, il tempo avrebbe guarito la loro ferita e si sarebbero rifatti una vita nuova a Londra. Una vita dalla quale io sarei rimasta esclusa purtroppo, ma della quale dovevo gioire perché c’era e non era stata troncata prematuramente.

Peter mi avrebbe dimenticato perso nei problemi del suo tempo e io avrei sempre potuto godere del fatto che fosse vivo e che ovunque fosse stava bene e non era da solo. Solo questo contava.

Sentii le braccia di Jadis cullarmi con dolcezza come a ricordarmi che nemmeno io, in quell’eventualità che speravo con tutta me stessa che non si avverasse, sarei stata sola. Avrei avuto una madre che mi amava e insieme anche noi due ci saremmo rifatte una vita impegnandola a conoscerci meglio e a proteggere quella terra che entrambe amavamo. E con il tempo forse sarei riuscita se non proprio a far rimarginare la ferita procurata dalla sua assenza almeno a farla smettere di sanguinare.

“Andrà tutto bene” mi sussurrò con voce calda mia madre all’orecchio, come se avesse assistito al mio dibattito interiore.

Mi accoccolai di più nella sua stretta, godendo del calore materno.

Andrà tutto bene. Forse dovevo convincermene anche io e ricacciare indietro quell’infausta possibilità. Andrà tutto bene. Peter mi ascolterà, mi darà ragione e insieme vedremo risorgere Narnia. Dovevo pensare che era possibile, che sarebbe accaduto ciò, che avevo ragione. Solo convincendomene al cento per cento avrei potuto poi convincere il giovane re.

Si, andrà tutto bene. Ma il groppo in gola aveva lasciato la sua ombra pesante…

 

*

 

“Mia signora, è tutto pronto, mancate unicamente voi e la principessa”

La voce del nano arrivò leziosa alle orecchie della regina Jadis.

La strega lo degnò di una mezza occhiata senza interrompere la sua camminata verso la camera della figlia.

“Bene, tra poco giungeremo nella sala. Sto giusto andando a prendere Nives” rispose senza particolare inflessione. Solo un sorriso appena accennato sul volto lasciava intendere la sua soddisfazione verso ciò che stava per accadere.

Dopotutto, aveva aspettato quel giorno per milletrecento anni. La sua pazienza finalmente sarebbe stata ripagata.

Un fastidioso suono stridulo venne colto dal suo udito. Jadis si voltò verso il nano inarcando un sopraciglio.

“Si?” domandò fermando la sua avanzata.

Il nano si rigirò il pesante berretto di lana tra le mani, in soggezione. Si schiarì nuovamente la voce riproducendo il suono sgradevole di poco prima.

“Mia signora,” esordì accennando un lieve inchino “mi domandavo se potevo azzardarmi a chiederle il perché della Cerimonia” concluse balbettante, gli occhietti neri fissi a terra.

“Come mai questa curiosità?” il tono neutro fece tremare Trumpkin più di uno minaccioso. Nella sua calma sembrava celare una tempesta trattenuta da una maschera di ghiaccio.

“P…perché il rito aumenterà i pot…poteri della principessa e se lei all’ultimo decidesse di schierarsi con gli Usurpatori potrebbe essere un problema per voi e per noi” spiegò il nano cercando di vincere i brividi che gli scorrevano lungo la schiena.

Brividi che aumentarono alla risposta tagliente della sua regina.

“Tu, nano, mi credi davvero così sciocca da correre un rischio del genere?” il ghiaccio stesso, paragonato al suo sguardo, pareva caldo.

Trumpkin si gettò inginocchio.

“No, assolutamente no, io non avrei mai osato dire una cos…”

Jadis interruppe brusca le sue scuse. “Ma certo che no” affermò abbassando la voce. “Comunque, ti basti sapere che ho ogni cosa sotto controllo” aggiunse poi, guardando con superiorità Trumpkin ancora inchinato al suo cospetto.

Non si dilungò in ulteriori spiegazioni. In fin dei conti sarebbe stato solo uno spreco di tempo e parole, dato che dubitava che un semplice sottoposto avrebbe mai potuto comprendere la grandiosità del suo piano. Un piano che architettava da milletrecento anni e che era sotto ogni punto di vista praticamente perfetto, con un margine di errore nullo.

Il primo passo, quello di accattivarsi la totale fiducia di Nives, era stato compiuto, nonostante i grandi sforzi di quello sciocco illuso di Peter di metterle la ragazza contro.

Il secondo era stato quello di condurre la giovane da lei, al suo castello per liberarla. E anche quello era riuscito con successo, anche se ci era voluto più tempo del necessario. Avrebbe voluto trasportarla direttamente a palazzo da Londra, in modo da impedirle di fare la conoscenza dei Pevensie, ma purtroppo il leone era riuscito a metterle il bastone tra le ruote, spedendo Nives vicino ad un appostamento del giovane re. Un intoppo indesiderato ma che era stato felicemente sorpassato.

Ora doveva arrivare al terzo passo, quello della Cerimonia. Voleva sottoporre Nives ad essa proprio per evitare il rischio che potesse allearsi con i Pevensie se fossero riusciti a convincerla della loro buona fede durante l’incontro di domani.

Jadis si avvicinò ad una delle grandi finestre del corridoio e lanciò uno sguardo al cielo notturno. La luna fulgida era piena, perfetta per il rito che stavano per compiere. Rito che avrebbe riconosciuto Nives come sua legittima figlia ed erede al trono, e che avrebbe consentito all’Antica Magia di risvegliare ogni suo potere finora sopito, come aveva spiegato alla ragazza.

Ma la Cerimonia non si sarebbe limitata a ridarle queste nomine. Jadis gli aveva taciuto una conseguenza del rito, ovvero che l’avrebbe riconosciuta anche come Strega Bianca a tutti gli effetti. Ciò l’avrebbe legata indissolubilmente a lei, unica sua simile esistente. La principessa non avrebbe avvertito alcuna differenza dentro di sé, se non un aumento della sua forza magica, conseguenza spiacevole per la regina ma inevitabile, ma il suo istinto l’avrebbe guidata sempre a fidarsi della sua sola simile, ovvero Jadis, mentre coloro che prima la vedevano come una di loro, l’avrebbero avvertita diversa, estranea, anche se pure in questo caso sarebbe stata una sensazione istintiva. Avrebbero dunque continuato a volerle bene ma non sarebbero riusciti a fidarsi completamente delle sue parole.

Il risultato era semplice. Se anche fosse esistita la benché minima possibilità di convincere i Pevensie ad unirsi alla regina bianca, dopo il rito di quella sera anch’essa sarebbe stata spazzata via. I sovrani della profezia non si sarebbero fidati di una Strega Bianca e non avrebbero visto di buon occhio il suo legame con Jadis. Ma dato che le erano legati, avrebbero cercato un modo per riportarla unicamente dalla loro parte, allontanandola anche con la forza da sua madre. Ciò sarebbe andato a cozzare con le rose aspettative di Nives, che, sentendosi tradita, sarebbe tornata da sua madre dandole totalmente ragione e alleandosi con lei, con l’unica richiesta infantile di non uccidere coloro che un tempo le erano amici.

Jadis si assicurava così la totale e incondizionata lealtà della figlia. Non poteva sbagliarsi, il piano che aveva architettato non aveva falle.

Il succo era molto semplice e lei non doveva fare praticamente nulla se non recitare il ruolo della madre comprensiva e dolce. Peter e i suoi fratelli si sarebbero incastrati con le loro mani prendendo la situazione di petto e impedendo con la forza a Nives di agire secondo la sua volontà, l’ultima cosa che la giovane si aspettava da loro e ciò che avrebbe infranto la fiducia nei loro confronti.

Un sorriso simile ad un ghigno venne illuminato da un raggio di luna per un istante prima che la Strega Bianca riprendesse il cammino verso la camera di sua figlia, che ignara di ogni cosa si stava preparando per la Cerimonia che l’avrebbe fatta sua. Avrebbe avuto lei, i suoi poteri e Narnia intera. Certo per riconquistare quei territori non le occorreva la magia della ragazza, ma in futuro con lei avrebbe potuto estendere i suoi domini. In più se Aslan si fosse ripresentato avrebbe avuto una potente e utile alleata.

La sua vendetta sarebbe stata completa e avrebbe avuto tutto ciò che da milletrecento anni agognava.

 

*

 

I capelli erano raccolti in una crocchia d’argento che lasciava libera qualche ciocca ribelle in modo studiato, mentre il ciuffo lisciato ricadeva con grazia verso destra. I boccoli rossi sciolti cadevano sulle spalle, svettando sulla pelle nivea lasciata scoperta dall’abito privo di spalline.

Inclinai la testa di lato fissandomi al grande specchio della mia stanza. No, la parola abito non rendeva giustizia a quel capolavoro di seta. Nessun stilista conosciuto nel mio ex-mondo avrebbe potuto eguagliarlo.

Un corpetto candido con il decolté a forma di cuore era ricamato con un filo di oro bianco che disegnava una fitta rete di fiocchi di neve. Da esso partiva una gonna ampia, interamente in seta, che brillava come il diamante alla luce fioca delle torce azzurrine, fatto che la rendeva preziosa anche se priva di ricami, fiocchi o nastri. Il tessuto non aveva bisogno di ulteriori decori che sarebbero risultati solo pacchiani accostati al suo naturale splendore.

L’unico tocco di colore in quel trionfo di bianco era il mio ciondolo. Quello che mi aveva accompagnato fino a quel momento. Quello di cui per anni avevo frainteso il vero significato. Il tondo con incisa la “J” di Jadis, mia madre, con sotto stilizzata la mia casa. La sua tonalità dorata spiccava sul corpetto.

Due colpi, poi il cigolio della porta che si apriva, mi avvisarono che qualcuno era entrato nella stanza.

Mi voltai, già sapendo chi fosse la mia visitatrice. Mia madre aspettava sulla soia, regale come non mai con indosso un abito azzurrino con ampia gonna a più strati di cui l’ultimo in tulle e le maniche lunghe del medesimo materiale. I capelli erano raccolti in una complicata acconciatura sopra il capo, trattenuta davanti dalla scintillante corona in cristallo.

Mi si avvicinò sorridendo serena e srotolò il fagotto che stringeva tra le mani rivelandone il contenuto. Un lungo mantello color argento, lucido come il metallo ma leggero come una piuma.

Me lo allacciò al collo e potei tastare come la sua stoffa fosse quasi inesistente. Scivolava tra le mie mani come carta velina.

Il mantello mi ricadeva sulle spalle soffice, avvolgendomi come in un abbraccio, e scendeva giù fino ai piedi nascosti da due decolté bianche per poi raggrupparsi in una piccola conca. Chissà quanto era effettivamente lungo…

“Sei splendida”

Il sussurro orgoglioso di Jadis mi giunse all’orecchio suscitando subito il mio sorriso in risposta.

“Grazie, anche tu” mormorai in risposta, tornando a fissare la mia immagine allo specchio da come stavo facendo da più di mezz’ora, ovvero da quando le ancelle, delle ninfe di inaudita bellezza e leggiadria nate direttamente dalla neve e fredde al tocco come essa, avevano finito di aiutarmi a prepararmi.

Ero bella, come mai avrei pensato di poter diventare, ma non era per vanità che i miei occhi azzurri non si staccavano dalla superficie riflettente. Più mi guardavo e più cresceva in me la convinzione che quella che scorgevo non era Cathrine.

Non poteva essere la ragazzina solitaria, preda della sua singolarità e vittima delle sue incertezze. Non quella figura vestita di bianco, che pura e candida sembrava irradiare luce propria, quasi fosse superiore ai comuni mortali. Un regale. Una futura principessa e consapevole strega.

No, quella non era Cathrine. Lei era rimasta nelle prigioni di Telmar agognante chiarimenti. Quella era Nives, la parte di me che finora era rimasta assopita da qualche parte nel mio cuore.

“Gentile da parte tua, ma questa è la tua serata”. Mi diede un bacio sulla guancia, accostando il suo viso al mio da dietro. “Se sei pronta andiamo. È il momento”.

Presi un bel respiro. Si, “Nives” doveva essere riconosciuta dal mondo intero.

“Andiamo”

Mi prese per mano con una stretta forte ma gentile e ciò mi diede forza.

Insieme ci avviammo verso il corridoio azzurro grazie alla particolare illuminazione del castello.

Non parlammo durante il tragitto, ma non era necessario. La sua sola vicinanza mi tranquillizzava come mai mille discorsi avrebbero potuto fare.

Il corridoio volgeva al termine, tra non molto saremmo arrivate alla sala del trono, là dove si sarebbe svolta la Cerimonia. Iniziai a deglutire a vuoto. Stavo per divenire una principessa. L’erede al trono di Narnia.

Lo faccio per mia madre. Mi dissi con forza. Lo facevo per lei, che finalmente avrebbe potuto dichiarare al mondo di avere una figlia dopo anni di segreti. Per lei era importante e io ero felice di renderla contenta.

La porta arrivò prima di quanto mi aspettassi, ma ero pronta.

Jadis rafforzò la stretta e cercò il mio sguardo. Le sue iridi brillavano di euforia.

“Ricordati bene questo momento piccola mia. Questo è il giorno in cui sarai riconosciuta dinanzi alla forza più grande che domina queste terre. L’Antica Magia”

Le sue parole rimbombarono nel corridoio, rendendole ancora più solenni. Annuii determinata, cercando di scacciare le inquietudini che poco prima mi avevano catturata. Tentativo inutile, ma almeno uno sforzo lo avevo fatto.

La porta si aprì e avanzai dove sapevo esserci il trono di cristallo.

Un boato accolse il nostro ingresso. Stupita mi volsi verso la fonte del rumore. Dovetti sbattere più volte le palpebre per convincermi che ciò che vedevo non era un’illusione. Il salone, solitamente deserto, era stracolmo di abitanti di Narnia.

C’erano centauri, minotauri, fauni, ninfe e animali parlanti a non finire. Le porte della sala erano addirittura spalancate perché lo spazio era insufficiente ad accogliere tutti coloro che erano accorsi ad assistere alla Cerimonia, e la fila di spettatori si protraeva a perdita d’occhio.

Possibile che tutti i presenti fossero sudditi fedeli a Jadis? Che avessero atteso unicamente il suo ritorno per tornare a servire sotto la sua effigie?

La risposta era evidente dal sonoro benvenuto e dalle urla che ancora riempivano l’aria. La convinzione che fosse Jadis la vera regina si rafforzò nel constatare quanta gente la ritenesse tale. Dopotutto erano loro, le creature di Narnia, che più tra tutti avevano il diritto di decidere quale era il giusto sovrano.

Jadis alzò un braccio. Bastò un suo semplice gesto per far calare un rispettoso silenzio, tanto che temetti che il palpitare furioso del mio cuore si potesse udire per tutto la sala.

“Oggi dopo secoli e secoli di anarchia, Narnia può vedere risorgere la sua giusta regina.” Un ennesimo boato fece da eco alle parole della strega che si fece sfuggire un sorriso soddisfatto. “Finalmente questa florida terra tornerà a vedere la luce della libertà e dello splendore sotto una guida assennata e capace. Ma soprattutto, in questa notte di luna piena” e indicò la vetrata dalla quale si poteva scorgere la sfera argentata “riconoscerò mia figlia, nonché legittima futura erede al trono di Narnia, Nives, principessa di Narnia e delle Isole Solitarie”.

Alzò entrambe le braccia al cielo e iniziò a pronunciare una lenta litania. In contemporanea, tutti i presenti cominciarono a produrre un suono costante, ritmico, battendo la spada o l’ascia contro lo scudo che portavano appresso.

Dal nulla nacque un turbine di vento. Mi avvolse interamente, senza però farmi male. Mi tenne al suo interno, accarezzandomi e scompigliandomi i capelli. Notai subito che cambiava temperatura in ogni momento. Era a volte freddo e a volte caldo, mutando nel giro di un secondo. Riuscivo ancora a percepire la litania di mia madre andare avanti, ma il suono si faceva sempre più confuso, lontano, mentre il vento mi mulinava attorno, stordendomi.

Mi sentivo leggera e al sicuro. Ero inebriata da quell’aria freddo-calda che profumava a tratto di neve e a tratto di fiori. Poi inaspettatamente il turbine, un secondo prima che divenisse di nuovo freddo, entrò direttamente dentro di me. Mi riempì i polmoni, giunse al cuore e si disperse per ogni singolo arto. Mi sentii invadere da un fuoco incandescente, come se il sangue mi si fosse trasformato in lava. Ma non era una sensazione spiacevole, il calore era parte di me, semplicemente, non era contro di me, e in quel momento compresi che ciò che mi avvolgeva non era un semplice vento. Era l’Antica Magia che rispondeva al richiamo di Jadis per venirmi a riconoscere come legittima appartenente a quelle terre.

E poi tutto finì.

Il turbine cessò e io ripresi il pieno controllo dei miei sensi, constatando così che il silenzio era tornato a regnare.

Sbattei le palpebre più volte. Dentro avvertivo un turbinio di emozioni. Mi sentivo forte. Potente. Piena di vita e di energia.

Aprii e chiusi il palmo della mano più volte e richiamai la magia. La sentii scorrere veloce con il mio sangue. Confluì subito nelle mie mani che avvertirono un formicolio e un lieve tepore. Ero carica di magia come mai lo ero stata. Il rito aveva sortito il suo effetto. 

“Applaudite la principessa Nives”

La voce di Jadis echeggiò forte e chiara lungo tutto il salone.

Il mio cuore si fermò. Il tempo si fermò. Il mio respiro si fermò. Solo gli applausi, scroscianti, rumorosi, forti, sentiti e infiniti, continuavano a risuonare nelle mie orecchie. Ero stata riconosciuta come figlia di Jadis. Riconosciuta come futura regina dinanzi all’Antica Magia.

Dinanzi ai miei sudditi.

Quel pensiero quasi mi paralizzò per la sua assoluta quanto incredibile verità. Coloro che vedevo dinanzi a me, che mi acclamavano, erano i miei sudditi. Gli abitanti del mio regno che mi richiedevano come loro sovrana. Che si aspettavano da me che io mi comportassi come una principessa, che mi prendessi cura della loro terra e di loro stessi. Che mi facessi carico delle preoccupazioni e degli impegni del mio nuovo rango.

L’aria mi venne a mancare mentre facevo queste considerazioni. Considerazioni che la mia mente si era rifiutata di ponderare fino ad ora ma che adesso mi si paravano davanti con il loro destabilizzante significato. Io non potevo gestire un regno, non ne sarei mai stata capace. E non volevo avere dei sudditi, delle persone che si affidavano a me. Quel ruolo era perfetto per Peter o per Jadis, ma non di certo per me. Non potevo gestirlo e non volevo gestirlo.

La mano di Jadis si strinse attorno alla mia.

La guardai con occhi spauriti, incapace al momento di celare le emozioni che mi avevano appena assalita. Ma fortunatamente, in quelle iridi color del ghiaccio trovai ciò che mi rincuorò. Comprensione. E la promessa di non lasciarmi mai da sola.

Un sorriso sostituì l’espressione spaventata. Non avrei dovuto gestire l’intero regno da sola. Mia madre era con me. Lei si sarebbe occupata di ogni cosa e mi avrebbe insegnato a poco a poco come prendermi cura delle persone che quella bella terra ospitava.

Per il momento io dovevo impegnarmi in un’altra missione. Forse più difficile ancora di questa. Parlare con Peter.

Il pensiero del ragazzo mi riempì la testa e catturò interamente la mia attenzione, tanto che solo una minima parte di me notò che la temperatura della stanza si era improvvisamente abbassata.

 

*

 

Il sospetto che la magia aumentasse vertiginosamente la velocità degli orsi polari mi aveva colta sin dai primi metri percorsi. Il fatto di aver attraversato l’intera foresta in poco più di mezz’ora me lo aveva confermato. A meno che gli alberi fossero stati ridotti drasticamente di numero, Jadis doveva aver operato sul cocchio che mi stava conducendo dai Pevensie in modo che andasse veloce quanto una Ferrari. Speravo solo che i due animali non risentissero di quello sforzo eccessivo.

I Pevensie.

Sospirai rumorosamente.

Peter.

Chiusi gli occhi e strinsi più forte le redini. Non dovevo farmi prendere dall’agitazione.

Ma forse questo avrei dovuto dirmelo prima che il mio cuore infrangesse la barriera del suono.

Stavo morendo dalla voglia di vederlo. Necessitavo di riflettermi in quegli specchi azzurri, di sentirmi stringere tra le sue braccia. Ed ora che il mio desiderio era così vicino alla concretizzazione, la mia frenesia era alle stelle.

Ero riuscita a convincere mia madre ad andare alle rovine priva di scorta, dopo lunghe discussioni. Se i Pevensie mi avessero vista giungere con una mezza armata avrebbero potuto mettersi subito sulla difensiva, al ché le mie possibilità di convincerli sulle mie argomentazioni si sarebbero ridotte a zero. In più non ritenevo minimamente necessario presentarmi da Peter con delle guardie del corpo. La semplice idea era totalmente assurda.

Per ottenere il permesso avevo però dovuto passare l’intera giornata ad allenarmi in un incantesimo per Jadis utile in caso la situazione non avesse preso la piega desiderata. Avevo voluto che imparassi a materializzarmi e a smaterializzarmi a mio piacimento, operazione possibile e ora alla mia portata grazie al rituale compiuto la sera precedente che aveva sbloccato la maggior parte dei miei poteri.

Ero riuscita a padroneggiare quell’incantesimo a tempo di record, neanche mezza giornata, una piacevole sorpresa dato che per imparare ad addormentare le persone avevo impiegato settimane. Ma la differenza tra allora ed adesso era notevole. All’epoca avevo dovuto fare da autodidatta, mentre quella giornata avevo avuto la più valida insegnante che avrei mai potuto desiderare. Jadis mi era stata accanto e mi aveva spiegato con pazienza come dovevo sfruttare la mia magia e come dovevo pensare per azionare l’incantesimo. Non avevo dovuto scoprire da sola come gestire il flusso magico. E poi l’aumento esponenziale dei miei poteri aveva notevolmente facilitato la riuscita della magia.

Così, dopo che mi ero smaterializzata e materializzata più volte fuori e dentro il castello di ghiaccio, ecco che mi accingevo a tornare felice da Peter con il sole che ormai si apprestava a scendere oltre l’orizzonte.

I capelli, lasciati sciolti e ribelli sulle spalle, volavano al vento insieme alla gonna del vestito, tanta era la velocità alla quale gli orsi trainavano il cocchio bianco e oro. Mi strinsi di più nel mantello, fatto dello stesso leggero materiale di quello di ieri sera ma più corto, per ripararmi un poco dal freddo. Chissà perché nelle ultime ventiquattr’ore la sensazione che le temperature si fossero abbassate non mi aveva mai abbandonata. Neppure dentro il castello, dove il clima non era mai stato un problema. Per fortuna Jadis mi aveva fornito quel mantello che proteggeva bene dal freddo nonostante fosse così leggero al tatto, merito probabilmente di qualche magia.

In più quella di scegliere un abito che lasciava scoperte le spalle era stata una pessima idea, ma la colpa era delle maniche del vestito, così particolari che mi avevano attratta come una calamita. Partivano da sotto la spalla, attaccate al corpetto solo per pochi centimetri di stoffa, ed erano interamente aperte in modo che fasciassero le braccia solo se le mettevo parallele al busto. Riuscivano a rendere speciale quell’abito altrimenti semplice, simile a quello delle vestali greche.

Il suono di una tromba rimbombò nell’aria, segno che il fauno di guardia mi aveva avvistata, avvertendo tutti dell’arrivo di un estraneo. Tra non molto ogni abitante dell’edificio sarebbe spuntato fuori, presumibilmente armato per ogni evenienza, per scorgere la figura che disturbava la loro quiete.

A grande velocità sorpassammo le rovine della piccola arena e in men che non si dica gli orsi si fermarono a qualche decina di metri dalla porta principale, dove le prime creature mitologiche già uscivano.

Il mio cuore prese a rimbombarmi in petto mentre scrutavo febbrile le sagome che si accalcavano sull’uscio, ma nessuna chioma bionda si era ancora affacciata.

Mi sporsi il più possibile dal cocchio, sfruttando la sua posizione rialzata rispetto al terreno per guardare la folla dall’alto, ripassando al setaccio i presenti, ma riuscii a scorgere unicamente volti di fauni, centauri, minotauri e di altri animali che mi squadravano sospetti senza avere il coraggio o l’ardire di avvicinarsi. Si levò presto anche un alto mormorio che sicuramente mi vedeva protagonista, ma non mi importava. La mia agitazione era tale che nemmeno se si fossero accostati con torce e forconi avrebbero potuto destare la mia attenzione. Solo una minima parte del mio cervello riuscì a pensare a come potevo apparire in quel momento alle creature di Narnia fedeli al grande felino.

Regale e distante su di un cocchio dorato trainato da orsi polari, con gli occhi azzurri febbrili e la pelle diafana fasciata di bianco, era impossibile che non destassi spiacevoli ricordi nelle loro menti. Dinanzi non riuscivano a vedere Cathrine, giovane strega giunta da lontano che aveva accettato di aiutarli, bensì Jadis, la potente Strega Bianca imbattibile e implacabile che era tornata dalla sua prigione.

Tutti tranne uno ovviamente.

Un paio di occhi azzurri come il cielo in primavera non mi scambiò nemmeno per un secondo per mia madre, vedendo immediatamente e unicamente me. Perché chi vedeva con gli occhi del cuore andava oltre l’inganno che la mente poteva subire.

E furono quegli stessi occhi che mi fecero mancare il respiro. Un sorriso liberatorio mi si dipinse spontaneo sul viso mentre i miei occhi si appannavano di lacrime di gioia. Avrei riconosciuto quegli zaffiri tra mille. Come anche quei capelli biondo oro e quel volto dai tratti angelici.

“Cathrine”

Mi sentii vibrare quando udii pronunciare da quella voce calda il mio nome come se fosse un grido di speranza inattesa. Un nome che non udivo da alcuni giorni e che secondo mia madre non mi aveva mai rispecchiato, ma che detto da lui mi sembrava più mio che mai.

Senza attendere un altro secondo, balzai giù dal cocchio e cominciai a correre in sua direzione. Ogni cellula del mio corpo mi spingeva verso di lui, e solo lui riuscivo a distinguere nel numeroso gruppo di persone vicino all’ingresso. Lui, che al momento mi stava venendo incontro, correndo anch’egli e continuando a chiamarmi come se il pronunciare il mio nome rendesse la mia presenza più reale.

Mi buttai tra le sue braccia, affondando il volto nel suo petto, e respirai a fondo il suo profumo fresco e inebriante. Le sue braccia mi avvolsero senza esitazione e mi strinsero forte, come se temesse che potessi dissolvermi nel nulla se solo avesse allentato la presa.

“Cathrine, mia stella” continuava a mormorare al mio orecchio, a voce bassa e rotta dalla felicità di rivedermi.

“Peter…” mi accoccolai di più al suo petto annullando ancora di più la esigua distanza che separava. Non mi interessava nemmeno più di respirare, avrei avuto tempo dopo per farlo.

Una sua mano salì dalla mia schiena fino alla mia guancia, accarezzandomi teneramente prima di prendermi il mento e alzarlo in modo da guardarci in viso. I nostri occhi si incrociarono e di nuovo l’azzurro limpido di quelle iridi che mi fissavano brillando si legò al mio più chiaro e lucido per via delle lacrime che premevano per uscire.

Un secondo, e le mie labbra ritrovarono la morbidezza delle sue che per troppo tempo gli era stata negata. Si dischiusero come petali di un fiore per accoglierle, assaporando tutto l’amore che quel gesto impetuoso e istintivo celava. Riuscivo a sentire la dolcezza del ritrovarsi, la felicità di avvertire di nuovo il mio corpo stretto al suo, l’angoscia provata nel sapermi lontana ed esposta al pericolo.

L’altra sua mano corse tra i miei boccoli poggiandosi sotto la nuca e le mie seguirono subito il suo esempio, infilandosi tra i suoi capelli biondi.

Ci aggrappammo entrambi a quel bacio, bisognosi di risentirci vicini e di riavere quel punto fermo, il nostro amore, che ci aveva sostenuto fino ad ora.

Quando ci separammo, mi immersi nella profondità di quel mare azzurro, pieno di una dolcezza riservata a me sola. Dolcezza che però mutò presto in rimpianto.

“Cathy, perdonami, è tutta colpa mia, non sono stato in grado di difenderti…”

Il fiume di scuse pronunciate con tono sofferto si conficcò come una lama nel mio cuore. Si sentiva colpevole per la mia cattura. Conoscendolo aveva passato giorni ad auto flagellarsi credendosi responsabile della mia sventura, senza capire che lui non aveva colpa alcuna, che ero stata io troppo avventata semmai a credere di poter cavarmela da sola alla mia prima battaglia.

Come poteva Jadis pensare che Peter fosse un approfittatore, che volesse solo la mia magia e non me? Lui, che aveva patito così tanto la mia lontananza temendomi in pericolo! Commetteva lo stesso errore di giudizio di Peter, due sbagli dettati dalla scarsa conoscenza che l’uno aveva dell’altro.

“Peter, fermati. Non è stata assolutamente colpa tua. Nessuno poteva prevedere una cosa del genere” lo bloccai, sfiorandogli le labbra con l’indice. “L’importante è che ora sono qui, al sicuro e accanto a te”.

Il biondo mi baciò il dito, prese la mia mano tra la sua e se la portò al petto.

“E al sicuro resterai, te lo giuro” disse solenne.

Gli sorrisi, sentendo al bordo degli occhi le lacrime che tornavano.

“Cate!”

Un piccolo turbine castano mi investì in piedi, separandomi a malincuore da Peter.

“Cate, Cate, Cate! Sei tornata!”

“Anche io sono felicissima di rivederti Lucy” risposi ridendo di cuore e stritolandola in un abbraccio.

“Ben tornata Cathrine”

Sentii una mano stringermi la spalla. Mi voltai e il volto gioioso di Edmund mi salutò.

“Ciao Edmund” abbracciai con slancio anche lui, per poi passare a Caspian che si era avvicinato felice di rivedermi come gli altri.

Restava solo Susan.

Era accanto a Peter e mi fissava con un’espressione indecisa che mi spiazzò. Era stata l’unica che non mi aveva accolta con gioia, anzi, sembrava analizzarmi, incapace di sapere se essere contenta per il mio arrivo oppure no.

Passarono una manciata di secondi ancora prima che si decidesse per la prima scelta. La giovane regina si sciolse in un sorriso e corse ad abbracciarmi anche lei. Ricambiai sollevata la stretta.

“Ben tornata” sussurrò.

Rivolsi un sorriso a trentadue denti ad ognuno di loro. Il cuore stava per scoppiarmi dalla felicità, mi erano mancati così tanto, rivederli e riabbracciarli era per me il più bel regalo che potevano farmi.

“Vieni, sarai stanca per il viaggio”

Il braccio di Peter avvolse la mia vita e io mi strinsi a lui, abbandonandomi a quel semplice contatto che entrambi desideravamo.

Solo in quel momento analizzai nel pieno delle mie facoltà l’espressione degli astanti.

Deglutii a fatica vedendo visi corrucciati e scontrosi fissarmi. Nei loro occhi c’era un’ostilità quasi palpabile, pari solo alla loro diffidenza. Mille volte superiore a quella che mi avevano dimostrato la prima volta che mi avevano conosciuta. Il mio aspetto li spaventava, come anche il sapere che provenivo dal castello della Strega Bianca. Stavano guardando le mie vesti candide e il cocchio e vedevano la realizzazione dei timori e dei sospetti che avevano avuto quando avevo messo piede tra loro settimane fa. Ovvero che ero una strega e come tale ero crudele e potente come la donna a cui assomigliavo.

Mi sentii a disagio. Che avesse avuto ragione Jadis e fosse stato uno sbaglio andare lì? Come potevo sperare che ascoltassero la mia preghiera quando mi accoglievano con quell’aria truce senza nemmeno sapere il perché della mia visita?

“Peter, sei certo che sia un bene per tutti che io entri?” domandai titubante, cercando di nascondere il mio viso nel suo abbraccio, come se potesse celarmi a quegli occhi di fuoco che sembravano volermi uccidere ma che avevano troppo timore per farlo.

“Non essere sciocca. Certo che puoi entrare. Questa è casa tua” disse risoluto e senza esitazione.

“I tuoi sudditi non sembrano pensarla così” mormorai in risposta.

Peter lanciò una rapida occhiata attorno a sé prima di scrollare le spalle. “Se ne faranno una ragione. Non hanno motivo di comportarsi così.”

Mi sentii rincuorata dalla sua sicurezza, ma soprattutto dalla dimostrazione che lui invece mi voleva lì con sé. Non c’era la benché minima traccia di diffidenza o ostilità nei miei confronti, nonostante sapesse che ero stata ospite di Jadis. Si fidava di me esattamente come prima. Forse dopotutto una speranza, anche se piccola, ce l’avevo di convincerli. Se il re fosse stato con me, il resto del suo popolo non avrebbe potuto far altro che seguirlo. Seguirlo verso l’unica strada che li avrebbe condotti alla salvezza.

Una volta entrati, i Pevensie, Caspian ed io ci dirigemmo verso la Sala della Tavola di Pietra, adibita alle riunioni.

Peter mi condusse fino alla suddetta tavola e mi fece accomodare sopra, sedendosi poi accanto a me. Mi beai di quelle piccole attenzioni, mi facevano sentire più vero ancora il suo amore.

Notai con soddisfazione che Susan prese posto accanto a Caspian, il quale le passò con naturalezza un braccio attorno alla vita attirando la ragazza a sé senza che quest’ultima si ribellasse. Sogghignai tra me e me. Dovevo essermi persa qualche puntata della storia “Caspian e Susan” ma da quello che vedevo era facile dedurre che c’era stato un lieto fine. Susan alla fine era riuscita ad aprirsi totalmente ponendo fine ai tormenti amorosi del povero Caspian. La cosa non poteva che rendermi felice.

“Non sai quanto siamo lieti di vederti sana e salva. Eravamo così in pena per te” incominciò Lucy, scrutandomi con attenzione probabilmente in cerca di ferite o lividi.

“E ci sentivamo così in colpa. Scusaci, non avremmo dovuto chiederti di partecipare alla battaglia”

“E io non avrei dovuto assolutamente abbandonarti lassù da sola” aggiunse Edmund.

A sentire le loro voci così contrite mi si strinse il cuore. Si erano preoccupati tutti per me, e se negli occhi di Lucy, Edmund e Susan scorgevo già traccia di patimento non osavo pensare cosa doveva aver provato Peter, la cui stretta attorno alla mia vita si era rafforzata durante le ultime frasi.

“Non è stata colpa vostra. Ho deciso di mia spontanea volontà di aiutarvi e partecipare alla missione” mi rivolsi poi ad Edmund “e sono sempre stata io a convincerti di andare in soccorso dei tuoi fratelli sotto. Senza contare che la tua presenza sopra sarebbe stata inutile, anzi, avrebbero solo finito per catturarci entrambi. Quindi è stato meglio così” affermai risoluta. Non potevo permettere che si logorassero in colpe che non avevano.

Lucy prese posto accanto a me, nel lato opposto a quello di Peter, e mi accarezzò una guancia. “La cosa importante è che adesso sei qui con noi e tutta intera”.

Annuii e le sorrisi, contenta di poter archiviare l’argomento “colpa”.

“Possiamo sapere cos’è successo una volta che il cancello si è chiuso?”

Susan introdusse un nuovo argomento, ma dalla sua espressione notai che non era quella la domanda che voleva pormi. L’interesse verso Telmar era forte ma sicuramente il ritorno di Jadis lo aveva messo in secondo piano, e di sicuro il vero desiderio della regina era chiedermi della Strega Bianca. Tuttavia anche io preferivo prendere il discorso alla larga. Non avevo alcuna fretta di incominciare la spinosa conversazione che mi aspettava, specie ora che ci eravamo appena ritrovati.

“Dei soldati hanno notato che una ragazza in cima alla torre stava tenendo aperto il cancello con l’ausilio della magia, così hanno mandato alcuni uomini a prendermi. Me ne sono accorta subito ma ero troppo debole per fare un incantesimo per volare via da lì o bloccarli in qualche modo, così ho iniziato a setacciare il cielo in attesa di Plumage, confidando nel suo arrivo. Solo poco prima che i soldati irrompessero nella piccola torre mi sono resa conto che il grifone era stato abbattuto e con esso le mie speranze di fuga.”

Peter mi accarezzò dolcemente i capelli, un gesto nato per nascondermi l’espressione dolente del suo viso alla mia ultima frase, ma con la coda dell’occhio riuscii a scorgere bene i suoi occhi adombrarsi e la bocca piegarsi in una smorfia.

“E a quel punto cosa è accaduto? Ti hanno trattata male?” mi incalzò Caspian.

“No, non hanno alzato un dito per fortuna. Però mi hanno legata con catene speciali che hanno bloccato la mia magia, in modo da rendermi impossibile una fuga altrimenti fattibile.” Spiegai ricordando con amarezza quegli odiati ceppi di ferro.

“Catene anti-magia? Non sapevo che Miraz ne possedesse.”

“Io non sapevo nemmeno che esistessero” osservò stupita Lucy.

“Miraz ha detto che ve le tramandate di padre in figlio da generazioni ma che anche lui era scettico riguardo il loro potere prima di testarle sulla sottoscritta” informai Caspian. Udii Peter digrignare i denti, evidentemente poco contento della scoperta ai miei danni del sovrano di Telmar.

“Ma cosa voleva da te Miraz? Se non ti ha ucciso uno scopo ce lo aveva” Edmund riportò l’attenzione sul discorso principale.

“Voleva che io mi unissi a lui. Ha osservato le mie capacità magiche e ha notato che mi sono rivelata utile a voi. Desiderava avere una strega a suo servizio come Artù aveva Merlino”. Dissi, ignorando lo sguardo confuso di Caspian al mio esempio per lui incomprensibile ma della quale non chiese informazione per non interromperci.

“E tu cosa gli hai risposto?” chiese Susan.

La fissai dritta negli occhi. “Testuali parole: penso che mi unirò a voi non prima che l’inferno si ghiacci” risposi, fredda e quasi offesa per avermelo domandato e aver quindi messo in conto una risposta alternativa ad un secco “No”.

Edmund, Lucy e Caspian scoppiarono a ridere, divertiti dall’irriverenza con la quale avevo risposto all’attuale re di Telmar. Susan mi guardò soddisfatta mentre Peter pareva orgoglioso di me e del coraggio dimostrato.

“E poi sei evasa” concluse per me Edmund, soffocando l’ultimo eccesso di risa.

Mi morsi il labbro. Ecco che arrivava la parte turbolenta. “Si, ma non grazie alle mie sole forze”.

Riuscii quasi a percepire un aumento della tensione nell’aria, come se l’atmosfera stessa si preparasse per la discussione imminente. L’attimo di ilarità purtroppo era volato via dalla stanza come era venuto.

“Durante la notte sono stata svegliata da una voce e una sfera luminosa mi ha liberato i polsi dalle catene e mi ha condotto lungo le segrete del castello fino ad un passaggio segreto che mi ha portato direttamente fuori da Telmar, al limitare della foresta.” Raccontai cercando di riassumere velocemente.

L’espressione dei presenti era tesa e seria. Non avevo ancora pronunciato il nome della mia salvatrice, ma esso pareva rimbombare ugualmente nella stanza riempiendo la testa degli astanti.

“Ad attendermi c’era una carrozza trainata da due orsi bianchi e guidata da un nano. Mi ha assicurato di essere lì per me, per trarmi in salvo e mi ha trasportata al…Palazzo di Ghiaccio” dissi, maledicendomi per aver fatto cedere la voce sulle ultime due parole. Dovevo dimostrarmi sicura di me e tranquilla, come se fosse naturale ciò che stavo narrando. Se parlavo della collaborazione di Jadis in tono colpevole sarebbe parso che mi vergognavo del suo aiuto e che non lo desideravo, cosa che in realtà non era. Ma tenere la voce ferma con cinque paia di occhi intenti a trafiggermi non era facilissimo.

“Lì ho incontrato Jadis, rinchiusa in un limbo, una prigione che la tiene segregata da più di milletrecento anni, ma che non le ha impedito di venirmi a salvare dalla cella di Telmar. Soffriva, non immaginate quanto stava male confinata là dentro, la scelta di aiutarla è stata spontanea, giusta ed assolutamente non imposta da lei. Così ho pronunciato le formule magiche e sono riuscita a trarla in salvo da quel luogo senza tempo come lei ha salvato me e…” confessai, abbassando, mio malgrado, voce e sguardo.

“Quindi sei stata tu a liberarla?” il sibilo incredulo di Susan mi interruppe.

Ci volle tutta la mia forza di volontà per sostenere i suoi occhi di fuoco. Ero convinta di aver fatto la cosa più giusta, eppure il fatto di averla liberata a loro insaputa mi faceva sentire come una traditrice.

“Si”

“Ti rendi conto di ciò che hai fatto? Hai messo in pericolo tutta Narnia!” mi accusò la regina scostandosi da Caspian e avvicinandosi a me puntandomi un dito contro.

Non riuscii ad arrabbiarmi per quella reazione. Me l’aspettavo. E considerando come stavano al momento i fatti era più che giusta. Dopotutto, per quello che sapevano loro, io avevo di mia spontanea volontà liberato la loro acerrima nemica voltandogli le spalle e mettendoli tutti in pericolo.

“Susan, aspetta per favore…” tentai con calma.

“No. Non aspetto nulla. Come hai potuto farci una cosa simile?!” urlò.

“Adesso basta Susan”

Peter, autoritario, si frappose tra me e sua sorella, mentre Caspian afferrava quest’ultima per le spalle al doppio scopo di trattenerla e tranquillizzarla.

Susan lo fulminò con gli occhi. “Bravo, tu difendila pure! Ma hai sentito cosa ha fatto?”

“Si, ma inveirle contro in questo modo non risolve certo la situazione. Sapevi che Jadis era tornata, non capisco il motivo di questa reazione esagerata”

“Non sapevo però che a liberarla era stata lei”

“Bene, adesso lo sai. E dovresti anche sapere che la strega sarà nemica nostra ma non di Cathrine. Ha agito secondo ciò che riteneva più giusto” ribatté Peter duro.

Susan si morse il labbro prima di liberare un sospiro. Si prese qualche secondo di tempo, dopodiché parve tornare se stessa.

“Hai ragione” ammise, poi si rivolse a me “Cate, perdonami se ti ho aggredita a quel modo, non ne avevo diritto. Ma la sorpresa è stata grande, mi sono sentita…”

“Tradita” conclusi io per lei. “è comprensibile e, credimi, ne avevi il diritto. Ma è come ha detto Peter. Jadis non è mia nemica. Non potevo vederla soffrire e fingere di non poterla aiutare” spiegai sperando di riuscire a farle comprendere le mie motivazioni.

“Forse è meglio che io e Cathrine proseguiamo questa discussione da soli. Vi dispiace?” quella di Peter si presentò come una proposta alla quale poteva seguire una libera scelta, ma l’intonazione e lo sguardo non lasciavano dubbi sul fatto che sotto quella cortese domanda si celasse un ordine. Ordine che ovviamente tutti, in disaccordo o meno, eseguirono.

Lucy mi strinse ancora in un abbraccio prima di andarsene mentre Susan mi rivolse un’ultima occhiata di scuse. Sembrava seriamente pentita di avermi rivolto quelle accuse, ma poteva stare tranquilla. Fossi stata al suo posto probabilmente avrei reagito alla stessa maniera, non doveva giustificarsi. Anzi, mi sorprendeva il fatto che solo lei avesse avuto quello scatto di ira e che non fosse stata una reazione collettiva.

Peter, in piedi ad un metro di distanza da me, guardava fisso la porta appena chiusa. Si passò una mano tra i capelli e poi scosse la testa, come a voler scacciare un pensiero molesto. Pareva afflitto, probabilmente dal disguido appena avvenuto tra me e sua sorella.

Mi alzai dalla tavola e lo raggiunsi. Allacciai le mie mani dietro la sua schiena e poggiai la fronte sul suo petto. Potevo sentire il battito regolare del suo cuore e il suo torace alzarsi e abbassarmi al ritmo del suo respiro. Erano due movimenti incredibilmente rilassanti, tanto che ebbero il potere di calmare la mia mente e farmi raccogliere meglio le idee per il discorso che sapevo dovevo continuare. Anche perché la parte più impegnativa doveva ancora venire.

“Peter, ti giuro che quando ho liberato Jadis, non l’ho fatto progettando di nuocere a qualcuno o immaginando chissà quale manovra politica o militare. Ho semplicemente pensato che la donna che mi ha salvato già due volte e che mi ha protetta in questi anni aveva bisogno di aiuto, del mio aiuto, e non ho esitato a darglielo. Solo questa è la motivazione” precisai, volendo mettere ben in chiaro che mai una volta l’idea di danneggiarli mi aveva sfiorato.

Peter ricambiò l’abbraccio e depositò un bacio sui miei capelli. “Non lo avrei mai messo in dubbio Cathy, puoi starne certa. Susan ha lanciato quelle accuse presa dalla sorpresa, altrimenti nemmeno lei avrebbe mai azzardato rivolgerti tali parole” si scusò ancora per la sorella.

Appoggiò il mento sulla mia testa e prese a cullarmi tra le sue braccia. “Ciò non cambia però che se prima eravamo in una situazione delicata, ora, con il ritorno della strega, siamo in un mare di guai. Anzi, ne siamo letteralmente sommersi” mormorò affranto.

Mi scostai da lui quel tanto che bastava per guardarlo negli occhi e scossi la testa contrariata. “La pensi in questo modo solo perché affronti la situazione da un punto di vista sbagliato” lo contraddissi.

Corrucciò la fronte. “In che senso?”

“Tu parti dal presupposto che l’arrivo di Jadis sia una tragedia per te e per Narnia intera, ma non hai mai preso in considerazione l’idea che potrebbe essere un cambiamento in positivo” spiegai.

Peter sospirò. “Mi spiace ma non riesco a vedere il ritorno di un’assassina despota come una bella notizia” disse amaro.

“è qui che ti sbagli” ribattei, colpendolo piano al petto per sottolineare le mie parole “Jadis non è un’assassina e non è una despota. È buona e come te ha a cuore questa terra. Ecco perché dovresti vedere il suo ritorno come una speranza che si accende invece che come una tempesta all’orizzonte. Vuole, esattamente come voi, liberare Narnia dalla soffocante presenza di Telmar, sconfiggere Miraz e ridare alla creature di questo paese la loro giusta libertà e una vita più dignitosa che quella dei fuggiaschi.” Illustrai con fervore.

Peter sciolse l’abbraccio e si massaggiò le tempie come se gli fosse venuto il mal di testa per colpa delle mie parole.

Dopo una manciata di minuti riprese la parola. “Certo, sono assolutamente convinto che Jadis non veda l’ora di marciare contro Telmar. Solo così potrà riavere la sua terra sulla quale spadroneggiare e dettare le sue regole. Altrimenti come potrà far ripiombare Narnia nel gelo e nella disperazione eterni?” disse.

Il suo sarcasmo e la sua amarezza mi colpirono. Perché era così dannatamente ostinato a volere vedere nella Strega Bianca il male di questo mondo?

“Come puoi dire una cosa così crudele quando non la conosci nemmeno? Non immagini quanto ha sofferto chiusa in quel limbo costretta a vedere la distruzione della sua amata terra senza poter far nulla per aiutarla! Ed ora che finalmente è in grado di adoperarsi per Narnia e che il suo unico scopo è quello di riportarla all’antica gloria, tu e i tuoi fratelli le sbarrate la strada con false e infamanti accuse” ero così ferita dal suo scetticismo che non riuscii nemmeno a pronunciarmi arrabbiata come avrei voluto. Nella mia voce c’era solo un’immensa tristezza e presto sentii nei miei occhi farsi strada le lacrime suscitate dalla frustrazione.

Peter fece un altro sospiro affranto prima di tornare ad abbracciarmi stretta. “Cathy, mia bella stella, temo che tu sia vittima di un tremendo abbaglio. Il tuo essere altruista e buona ti fa vedere queste belle qualità in tutti, impedendoti addirittura di scorgere il male dove ce n’è in abbondanza come nel cuore della strega. Ti ha raggirato con le sue belle parole, facendosi credere ciò che in realtà non è, ovvero una persona generosa sulla quale si può contare.” Affermò deciso e seriamente dispiaciuto per questo mio ipotetico errore di valutazione.

Mi discostai completamente da lui, offesa. Mi credeva così incapace da non essere nemmeno in grado di decidere se una persona era degna o meno della mia fiducia?

“Ti ripeto che tu non la conosci, quindi non puoi parlare di ciò che non sai. Jadis è buona” dissi, questa volta riuscendo a far trasparire la mia fermezza, nonostante la vista cominciasse a farsi appannata.

Peter scosse la testa. “No, sei tu che non la conosci. Devi credermi, Jadis è crudele”

Udendo per la millesima volta quell’aggettivo accostato alla strega, esplosi. Era giunto il momento di rivelare tutta la verità.

“No che non lo è, accidenti! Non lo è assolutamente, è solo un’ignobile fama costruita ad arte da Aslan!”

“Perché diamine non mi vuoi dar retta?” esclamò esasperato il giovane.

Lo fissai dritto nei suoi bellissimi occhi azzurri, limpidi e dannatamente sinceri.

“Perché è mia madre, Peter!” sbottai. “Jadis è la mia vera madre. Per questo posso giurarti di conoscerla e di sapere con certezza che non è cattiva”.

Confusione. Sbigottimento. Incapacità di assimilare ciò che aveva appena udito. Queste le emozioni che potei leggere chiaramente nei lineamenti del bel giovane.

Cadde il silenzio, rotto unicamente dai sospiri che facevo per trattenere il pianto. La conversazione aveva preso una piega indesiderata. Non avrei mai voluto alzare i toni con Peter, avrei preferito riuscire a dargli questa rivelazione in una calma conversazione.

Il biondo intanto continuava ad aprire e chiudere la bocca senza riuscire a proferir parola. Mi squadrava dall’alto al basso come se mi vedesse per la prima volta. Ed in un certo senso era realmente così. Ora, i miei occhi azzurro chiaro gli rimandavano immagini passate di uno sguardo ostile, come anche la mia carnagione pallida, soprattutto con indosso quelle vesti candide. Molti misteri gli si stavano svelando dinanzi agli occhi. Per esempio ora poteva facilmente comprendere l’enorme interesse che Jadis aveva da sempre nutrito nei miei confronti, perché mi aveva indicato come “casa” il castello di ghiaccio, come mai il nostro legame era da sempre stato così intenso. Da dove venivano i miei poteri.

Peter deglutì vistosamente e sbatté più volte le palpebre come per riprendersi da un sogno ad occhi aperti. Si avvicinò a me e mi afferrò per le spalle, scuotendomi lievemente.

“Ne sei sicura?” balbettò infine, gli occhi spalancati, il viso più pallido del solito.

La notizia lo aveva sconvolto, ed era comprensibile. Scoprire che la persona che ami è la figlia della tua acerrima nemica e sconvolgente come venire a sapere che tua madre è la nemesi del tuo fidanzato. Lo potevo comprendere alla perfezione.

“Non ci sono dubbi” risposi in un sussurro.

Boccheggiò ancora per qualche istante prima di riuscire a dar forma ai suoi pensieri confusi.

“Ma com’è possibile? Tu sei nata e cresciuta a Londra e Jadis non ha mai avuto figli! Tu stessa mi hai giurato di non averla mai vista prima”

Consolandomi del fatto che nonostante questa rivelazione non mi aveva ancora puntato la spada contro come avevo temuto per un istante notando il suo sguardo sbigottito, mi apprestai a raccontargli la mia storia appena appresa.

“L’ho scoperto anche io da poco, per la precisione quattro giorni fa, dopo che sono arrivata al castello” esposi “è, come puoi ben notare, la notizia che Jadis non abbia mai avuto figli è falsa. Ha avuto me, ma ha tenuto la mia presenza nascosta al mondo per paura che i suoi nemici potessero ferirla indirettamente nuocendo a me o che potessero rapirmi in fasce per poi usufruire dei miei poteri una volta cresciuta.” Spiegai più semplicemente possibile, sperando che davanti alla prova che la strega mi voleva bene e che da sempre pensava a me dimostrasse che fosse altruista e buona, e quindi una possibile alleata.

Negli occhi di Peter passò un lampo di comprensione, segno che aveva inteso e condivideva le motivazioni di Jadis per non voler rivelare la mia nascita. Bene, era un buon segno, iniziava ad approvare almeno una sua decisione.

“Quando voi arrivaste qui a Narnia e scoppiò la guerra, io ero ancora in fasce, incapace di difendermi” proseguii “così per essere certa che in caso di una sua sconfitta io non cadessi in mani nemiche finendo per essere uccisa o cresciuta come una specie di arma, mi spedì sulla terra, nella Londra degli anni ’90, e fece credere ad una coppia di giovani sposi, gli Icepower, di aver avuto da poco una bambina che battezzarono con il nome di Cathrine. In teoria doveva essere solo una precauzione. Era convinta di vincere e in quel caso la prima cosa che avrebbe fatto sarebbe stata quella di venire a riprendermi, cancellare la memoria ai due sposi e di crescermi come avrei dovuto essere allevata” presi fiato nel più assoluto silenzio da parte di Peter, che mi ascoltava rapito come se stessi raccontando una favola ai limiti della realtà “ovvero come Nives di Narnia, figlia della regina Jadis, come sono stata legittimamente riconosciuta appena la notte scorsa dinanzi all’Antica Magia e ai sudditi di Jadis” conclusi.

Il biondo abbassò il capo. Inspirò ed espirò più volte e sbatté le palpebre. Infine mi lasciò andare le spalle e si allontanò di un passo da me. La distanza che si formò era di una manciata di centimetri eppure a me parve un abisso data la circostanza. Temetti di nuovo si stesse distanziando da me per colpa di ciò che gli avevo detto.

“Quindi tu sei la figlia di Jadis?” mi rifece la domanda, come se riproponendomela la risposta potesse cambiare.

“Si”

“E il tuo vero nome sarebbe Nives?”

Perché se esce dalla sua bocca sembra un nome tanto sgraziato e inappropriato? Perché sembra non indicare me ma una perfetta estranea quando fino a qualche ora prima mi rispecchiava così bene? Mi domandai senza giungere ad una risposta.

“Si, ma se vuoi puoi continuare a chiamarmi Cathrine” dissi, ripensando alle emozioni che mi aveva dato il sentirlo chiamarmi così poco fa.

È decisamente meglio che continui a rivolgersi a me come Cathrine, sembra più…giusto. Nives pronunciato da lui stride.

“E sei stata riconosciuta come sua figlia? Questo fa di te…una principessa di Narnia” concluse più rivolto a se stesso che a me.

Storsi il naso. “Si, ma ti prego, non ricordarmelo” mormorai mogia.

Mi guardò sorpreso e io mi affrettai a spiegarmi. “è la conseguenza che sto cercando di dimenticare. Non mi ci vedo proprio nel ruolo di regnante, non fa per me”

Era l’ombra di un sorriso quella che vedevo sul suo viso?

Lo sperai tanto, dopo l’espressione sbigottita e torva di prima avevo bisogno di scorgere le sue labbra curvarsi all’insù anche solo per poco.

Sfruttai quell’istante di quiete per proseguire con l’argomento precedente “E adesso che aveva recuperato un po’ di forze è venuta a cercarmi per riportarmi a casa come non aveva potuto fare milletrecento anni fa”.

Peter non disse altro anche se il lieve sorriso era sparito di nuovo e io approfittai di quel silenzio per arrivare al vero nocciolo della questione.

“Ma oltre che riprendersi sua figlia, Jadis vuole riprendersi il trono che le avete sottratto.”

Se avessero potuto, gli occhi del giovane sarebbero balzati fuori dalle orbite.

“Che le avete sottratto? Che le avete sottratto?! Quindi ora sei convinta che siamo noi i cattivi usurpatori e lei la povera vittima?” mi aggredì adirato.

Rimasi attonita nel vederlo arrabbiato. Era la prima volta che si infuriava così tanto con me, non era mai successo, e avrei preferito non accadesse. I suoi zaffiri brillavano come un fuoco azzurro aizzato dall’ira, la mascella era contratta così come  i pugni paralleli al suo busto.

L’istinto mi suggeriva di arretrare di un paio di passi eppure il suo aggredirmi suscitò il mio sdegno. Così invece di allontanarmi mi avvicinai con aria di sfida, ergendomi in tutta la mia altezza seppure sempre minore della sua.

“Non credo che voi siate i cattivi e lei la vittima, non l’ho mai pensato! Forse prima di saltare a conclusioni errate e campate in aria potresti avere la decenza di lasciarmi parlare o di chiedermi le cose con calma!” sbraitai, con il suo stesso fuoco negli occhi.

La mia grinta lo lasciò interdetto. Non si aspettava una reazione simile, probabilmente perché era raro che venisse contraddetto già normalmente figuriamoci quando si arrabbiava. Comunque la mia replica ebbe il suo effetto poiché parve rendersi conto di aver alzato la voce ed un secondo dopo le fiamme irose nei suoi zaffiri vennero spente da un sincero pentimento.

Sospirò e si pizzicò gli angoli degli occhi con l’indice e il pollice della mano destra. Io attesi paziente anche se ancora ribollivo per la sua affermazione affrettata e sbagliata. Ma bastò sentire le sue braccia che mi circondavano ancora una volta e il suo viso sprofondare nell’incavo tra la mia spalla e la testa affinché l’ultimo residuo di ira evaporasse. Si era riavvicinato a me e questo per ora mi bastava per riprendere la discussione con tono normale.

Gli accarezzai istintivamente il capo, scompigliandogli i capelli con dolcezza, mentre lo sentivo respirare a fondo il mio odore. Chissà se gli piaceva come a me piaceva il suo…

“Perdonami Cathy, non ho idea di cosa mi sia preso, non avrei mai voluto alzare la voce con te”

“Lo so, la situazione ci è sfuggita di mano” mormorai socchiudendo gli occhi ai brividi che il suo respiro caldo sul mio collo mi procurava.

Come potevo dirgli fino infondo ciò che era mio dovere fargli sapere quando non eravamo nemmeno in grado di urlarci a vicenda senza sentirci in colpa? Eppure, se volevo salvare il mio possibile roseo futuro, dovevo trovare la forza di concludere il mio discorso.

“Ascoltami, non penserò mai che voi siete i cattivi, ma non posso negare che il trono spetterebbe giustamente a Jadis e non a voi. Ha tutto il diritto di regnare” chiosai.

Peter sospirò quasi esasperato ma non si staccò da me con mio sommo piacere.

“Non ti seguo. Non ci vedi come usurpatori ma credi che la corona sia della strega. Sono frasi contrastanti” obiettò.

Scossi la testa. “No invece. È vero che secondo il mio punto di vista voi le avete rubato il trono ma sono fermamente convinta che non l’avete fatto per sete di potere o sapendo che era una cosa sbagliata, motivazioni che invece spingerebbero un vero usurpatore” gli illustrai con calma.

“Precisamente. Il nostro scopo era quello di salvare Narnia dalla sua tirannia” mi ripeté probabilmente per la miliardesima volta.

Sorrisi per non sbuffare di nuovo. “Appunto, voi avete lottato contro mia madre spinti da questo ideale, per questo non siete e non sarete mai i cattivi. Perché avete agito per ciò in cui credevate giusto.”

Questa volta alzò la testa per allacciare i nostri sguardi per farmi comprendere meglio la confusione in cui lo stavo mandando per le mie mezze frasi. Fossi stata al suo posto avrei già perso la pazienza imponendogli di parlarmi chiaro, ma pur sapendo quanto potessi risultare snervante non riuscivo ad esporgli di un fiato la mia richiesta. Preferivo arrivarci per piccoli passi, facendogli fare lo stesso ragionamento che mi aveva portata alla mia conclusione, in modo che capisse fino infondo il mio punto di vista e magari che riuscisse a condividerlo.

“Bene, ora ho ufficialmente perso il filo del tuo discorso. Mi stai dando ragione oppure no?”

Nonostante la situazione non fosse leggera non potei impedire alle mie labbra di incurvarsi all’insù di fronte al suo sbigottimento sincero.

“Ti sto dicendo che credo alla vostra innocenza e alla vostra onestà, infatti il problema non sta nello stabilire che ideali avete seguito per attaccare mia madre ma nel fatto che quegli ideali erano falsi. Inventati ad arte da chi ve li ha inculcati con uno scopo preciso. Aslan” rivelai ferma.

“Aslan?” ripeté troppo stupito per parere anche offeso.

Non si immaginava che avrei tirato in ballo la persona da lui tanto ammirata come colpevole, ma proseguii inarrestabile nella mia piccola arringa.

“Si.” Confermai “rifletti, è stato assente per anni poi un bel giorno è tornato e ha preteso di avere il trono di Jadis. Con false promesse si è accattivato il sostegno di diverse creature di Narnia, quelle che bastavano per formare un esercito, e ha cominciato quella guerra diffamando mia madre e il suo modo di governare. Poi siete arrivati voi, probabilmente per volere del leone stesso, e i primi che avete conosciuto erano seguaci proprio di Aslan. Il primo parere che avete udito è stato contro Jadis, sentendola dipingere come una strega crudele che spadroneggiava su tutti. In più vi siete sentiti acclamare come liberatori che, secondo una profezia la cui origine è nota solo ad Aslan, sarebbero dovuti salire al trono di Cair Paraveil.” Feci una piccola pausa ma ripresi prima che Peter potesse ribattere. “Ora sono certa che con il tuo buon cuore e lo spirito cavalleresco ti saresti schierato da coloro che pensavi indifesi anche senza la promessa della corona, ma dato che in più c’era anche quella posta in ballo sarebbe stato strano se non avessi accettato di combattere con Aslan. Eri solo un ragazzo che all’improvviso, da giovane qualunque era passato a sovrano di una terra immensa e magica, chi avrebbe potuto biasimarti per la scelta del tuo partito? Il tuo unico errore è stato quello di fidarti di Aslan senza provare nemmeno a sentire l’altra campana, Jadis, per verificare di persona la situazione. Così facendo ti saresti reso conto che mia madre era buona e governava rettamente, che la guerra era stata voluta dal leone solo per scopi egoistici e che ti stava usando”

Avevo il fiato corto quando conclusi il discorso. Avevo parlato di corsa per paura di essere interrotta da un momento all’altro, ma per fortuna questo non era successo. Il fiatone era un prezzo certamente accettabile per essere riuscita finalmente a metterlo a parte della ma opinione su come era andata quell’assurda battaglia fratricida di milletrecento anni fa.

Peter mi guardò allucinato. “Tu sei fermamente convinta di quello che hai detto?” domandò, riuscendo alla perfezione a mascherare le sue emozioni. Almeno attraverso la voce poiché nei suoi occhi potevo invece chiaramente vederle turbinare furiosamente.

“Certo” assicurai con fermezza. Una piccola speranza si accese. Me lo aveva forse chiesto per essere sicuro di potersi fidare e darmi ragione?

“Allora Jadis ha lavorato la tua mente più a fondo di quanto immaginassi” commentò aspramente.

La mia speranza si sciolse come neve al sole. No, non avevo demolito le solide mura dove nascondeva le sue verità. Anzi, non le avevo nemmeno scalfite.

“Jadis non ha fatto assolutamente niente” la difesi con tono stanco. Perché non voleva capire? “Anzi, sono stata io a convincerla della vostra innocenza e buona fede e che la colpa è tutta da attribuirsi al leone. Pensa, è lui che ha disseminato la zizzania, spaccando in due un paese prima pacifico e giustamente governato.”

“Cathrine, stai farneticando!” mi disse con il tono di chi parla ad un bimbo piccolo che non vuole ammettere di aver inventato una colossale bugia per non beccarsi una punizione. “Aslan non avrebbe mai fatto una cosa simile. E poi perché avrebbe dovuto fare tutto questo per prendere il potere se poi il trono lo ha dato a noi? Non avrebbe avuto senso”.

“Si invece, perché tu e i tuoi fratelli lo considerate come il vero re di Narnia. Colui alla quale spetta la decisione finale su ogni cosa. In più sembra quasi che lo veneriate. Quindi in teoria il regno lo avete in mano voi ma in pratica a capo di ogni questione c’è lui, quando è presente” aggiunsi.

Peter emise un suono esasperato. “Cathrine ti stai sbagliando. Aslan non ha mai voluto il trono, anzi, appena ci ha nominati sovrani è scomparso! E ti assicuro che non si è inventato la profezia né è stato lui a mettere il seme della rivoluzione nelle menti degli abitanti di Narnia. Sono stati loro a volersi ribellare. Non riuscivano più a sopportare il regime tirannico di Jadis”

“è una bugia detta dal leone. Vi ha raggirati tutti in maniera magistrale! Pensa a come sarebbe potuta andare invece se coloro che vi accolsero a Narnia fossero stati della frazione di Jadis. Voi sareste andati da lei, avreste visto con quanti sforzi cercava di sottrarre il suo popolo alla crudeltà della guerra, avreste capito con quanto amore regnava su queste terre e vi sareste uniti a lei, scacciando Aslan e restando accanto a Jadis in veste di consiglieri o qualcosa di simile. Non ci sarebbe stata alcuna guerra e voi, uniti dal comune scopo di far prosperare Narnia, avreste preservato la pace.” Gli illustrai convinta di come sarebbero potute andare bene le cose se non avessero incontrato per primi dei ribelli. “Ma c’è ancora tempo per far accadere quello che sarebbe dovuto succedere secoli fa” aggiunsi con gli occhi che brillavano di convinzione.

Peter strabuzzò gli occhi e mi squadrò incredulo. “Stai dipingendo uno scenario orribile. Narnia sarebbe ancora costretta in catena da Jadis! E poi cosa intendi con c’è ancora tempo?”

Ignorai la prima frase deliberatamente. L’avevo già contraddetto un sacco di volte su quel punto, ormai doveva aver capito come la pensavo, dunque risposi solo all’ultima domanda, che era quella che mi auguravo facesse. “Semplicemente, tu ei tuoi fratelli dovreste incontrarvi pacificamente con Jadis, ammettere che il trono è suo, restituirglielo ed evitare così un’altra guerra inutile e sanguinosa e restare qui a Narnia come suoi consiglieri” spiegai brevemente sperando di riuscire a convincerlo.

Peter mi guardò per valutarmi un attimo e io mi votai a tutti santi o gli dei che governavano quel mondo. Era giunto il momento della conversazione che tanto temevo.

“Sono sempre più convinto di ciò che ho detto prima” si pronunciò infine scuotendo la testa. Corrucciai la fronte, non comprendendolo. “Non so cosa la strega abbia detto o fatto, ma ciò che è certo è che ti ha totalmente condizionato e ti sta manipolando ad arte senza che nemmeno tu te ne accorga” chiosò.

Il mio cuore sprofondò. E così le speranze del mio roseo futuro. Non che fossero effettivamente mai state molte, ma in quelle poche che avevo ci avevo messo tutta la mia più assoluta fiducia.

Sentii le lacrime ai bordi degli occhi premere con più forza ed una uscì senza che riuscissi a trattenerla. Mi morsi il labbro e distolsi lo sguardo triste da lui, frustrata dalla sua assoluta devozione ad Aslan.

Presi un profondo respiro e trovai la forza per riguardarlo negli occhi. Immobile, mi fissava, anche lui affranto da questa situazione che ci vedeva su due schieramenti opposti.

Che ironia, eravamo a meno di un metro di distanza eppure lo sentivo distante chilometri in quel momento. Ma la cosa peggiore era che sapevo che quella distanza sarebbe aumentata sempre di più fino a separarci per sempre, incurante dei sentimenti profondi che l’uno provava verso l’altro. Aveva ragione Shakespeare, l’amore se sia contrariato non è che un mare nutrito dalle lacrime di quegli stessi amanti. Un mare tempestoso, un oceano insuperabile che ci avrebbe diviso per l’eternità.

Il cuore mi si strinse e riuscii a stento a soffocare un singhiozzo. Come se si ribellasse a quell’idea il mio corpo mi spinse tra le sue braccia che celeri e delicate mi cinsero senza esitare, come a volermi confermare che non ce l’avevano con me, che non erano da me che si allontanavano arrabbiate, ma da Jadis e dalle mie parole buone nei suoi confronti.

Le mie mani si strinsero sulla sua camicia e incominciai a scuoterlo lievemente mentre cercavo un’ultima volta disperatamente di convincerlo della mia idea.

“Peter, ti supplico, rifletti! Se vi ostinate a dare ragione ad Aslan, Jadis vi attaccherà senza pensarci due volte. Vi schiaccerà, lo sai meglio di me che non siete in grado da soli di sostenere una guerra con lei. E a quel punto si riprenderà la corona con la forza lo stesso. La differenza sarà che voi non avrete più la possibilità di restare qui a Narnia…” gli esposi con un tono più acuto del normale.

Peter strinse le sue mani sulle mie ancora arpionate alla sua camicia, e alzò il mento fieramente.

“Sai perfettamente che se la mia vita è il prezzo che devo pagare per salvare Narnia, non tentennerò nell’offrirla” dichiarò convinto.

Stupido re nobile e fiero! Pensai demoralizzata.

“Lo so, ma fortunatamente non ti sarà richiesto.” Arcuò un sopraciglio. “Jadis non ha alcuna intenzione di ucciderti. Non glielo avrei mai permesso nemmeno se fossi stata convinta del fatto che foste usurpatori!” gli chiarii, offesa che avesse messo in dubbio una cosa simile. “Però vi farà tornare a Londra appena sconfitti e farà in modo che non rimettiate più piede qui a Narnia” aggiunsi con voce triste e ferita a quell’orrenda prospettiva.

Peter emise uno sbuffo ironico, del tutto fuori luogo. Gli lanciai un’occhiata stupita, cercando il motivo dell’ilarità che non tardò a fornirmi. “E tu credi sul serio che Jadis ci lascerebbe tranquillamente andare vivi lontano di qua? Dopo milletrecento anni che medita vendetta?” disse ironico. “Mia Cathy, sei così ingenua” aggiunse dispiaciuto e intenerito al contempo.

Mi offesi ancora di più. “Devi credermi, non ha alcun interesse ad uccidervi, cosa le verrebbe in tasca? E poi io non lo permetterei mai, lo sai.” Lui scosse la testa ma io lo ignorai nuovamente, proseguendo con il mio pensiero. “Ma per me, comunque, è una terribile idea anche quella di saperti a Londra. Saresti salvo, ma io ti perderei inesorabilmente. Non ti vedrei mai più” le lacrime che avvertivo vicine non erano ancora scese, ma la mia voce era già rotta dal pianto imminente.

Peter mi accarezzò una guancia. Nei suoi zaffiri adesso potevo scorgere un dolore sordo, eco del mio. Quello che avevo detto, lo sapeva perfettamente anche lui. Sia che fosse morto sia che se ne fosse andato, non ci saremmo visti mai più.

“Quindi ti prego” continuai “accetta di ridare la corona a mia madre. Resta con me” lo supplicai.

Il ragazzo chiuse gli occhi, probabilmente per preservare la convinzione delle sue decisioni senza permettersi di vacillare. Mi morsi il labbro nervosa. Continuavo a fargli la stessa proposta, tacendo la infida voce della ragione che mi urlava che non sarei mai riuscita a convincerlo, inseguendo una speranza nulla ma che mi permetteva di non scoppiare a piangere in ginocchio.

“Accetta tu la verità che ti ho detto invece. Torna dalla nostra parte e aiutami a salvare Narnia dalla minaccia della Strega Bianca. Anche così potremmo restare insieme. Basta che tu ti schieri dalla mia parte e non contro di me” ribatté sorprendendomi.

Sorrisi amara. “Peter, non mi sto schierando contro di te, non potrei mai farlo. Mi sto schierando contro ciò che credo sbagliato per quello che penso sia giusto. Non ho fatto una scelta tra te e mia madre. Altrimenti potrei dire che tu ti sia schierato dalla parte di Aslan contro di me, quando in realtà so che non è così” ragionai stanca.

Sospirò, continuando ad accarezzarmi la guancia, scendendo poi giù lungo il collo e risalire fino alla fronte. “Giusta osservazione” ammise. Sbuffò arrabbiato e si morse il labbro preso dalla frustrazione. “è assurdo, siamo l’uno contro l’altro pur amandoci per cause indipendenti e più grandi dei nostri soli sentimenti.” Appoggiai la mia mano sopra la sua posata sulla mia guancia e voltai leggermente la testa per lasciarci sopra un bacio, comunicandogli così che ero assolutamente d’accordo con lui. Era assurdo e incredibilmente ingiusto.

Il mio cuore accelerò come anche il mio respiro quando compresi a che punto era arrivata la discussione. La conclusione. Con la sua terribile conseguenza. Sapevo che quella conclusione era la più probabile sin dall’inizio, ma avevo ardentemente pregato di sbagliarmi. Ma la mia sola preghiera e la mia convinzione non erano stati sufficienti per eliminare un odio e una situazione che andavano avanti da secoli. Ero stata un’illusa. Un’illusa che stava per perdere una delle cose più importanti della sua vita per non essere stata capace di trattenerla a sé.

“Quindi questo è un addio” sussurrai. La vista mi si appannò e questa volta non riuscii ad impedire che qualche lacrima si liberasse e scendesse lungo la gota.

Peter mi guardò confuso, lo sguardo improvvisamente riacceso. “No!” mi strinse impetuoso in un abbraccio, facendomi appoggiare la testa sulla sua spalla e mettendo la sua sopra. “Assolutamente no, ho già temuto una volta di perderti, quando eri stata catturata da Miraz. Non ho alcuna intenzione di ripetere l’esperienza. Non ti perderò di nuovo” esclamò infervorato.

Mi coccolai nella sua stretta, pregando silenziosamente che il tempo si bloccasse. Cosa non avrei dato per poter dimenticare tutto e tutti e restare tra le sue braccia per sempre, protetta e appagata dal suo amore. Chiusi gli occhi, godendomi a pieno la sensazione delle sue dita che con dolcezza si infilavano tra i miei capelli, accarezzandoli e spettinandoli, arricciandoli o lisciandoli. Inspirai il suo odore che tanto adoravo, imprimendomelo nella memoria.

Purtroppo però, nonostante tutte le magie che sapevo compiere, non ero in grado di bloccare il tempo. Il mondo non avrebbe fatto finta di dimenticarci in quella stanza, sarebbe arrivato prepotente a pretendere una decisione e delle azioni da entrambi e ci avrebbe crudelmente diviso.

“E come pensi di stare insieme? Non posso tornare a Londra con voi perché la mia Londra è avanti alla vostra di cinquant’anni, quindi saremmo comunque divisi, e poi quella non è più la mia casa. E tu non hai alcuna intenzione di dare a Jadis nemmeno un’opportunità per farti cambiare idea su di lei. Non c’è soluzione.” Gli feci notare afflitta e abbattuta.

“Si che c’è, perché non permetterò che tu venga sfruttata da una strega senza scrupoli e da essa ferita senza che nemmeno tu te ne accorga. Ti proteggerò da lei a costo di trattenerti qui con la forza” affermò deciso, aumentando la stretta dell’abbraccio.

Spalancai gli occhi. Le sue parole furono un’altra stilettata diretta al mio cuore. Aveva pronunciato la frase che mia madre aveva predetto. Quella che lei tanto temeva e che per la quale aveva voluto adeguatamente equipaggiarmi. Quella che io ero certa non avrebbe pronunciato, rispettando la mia idea.

“Non puoi dire sul serio. Non puoi costringermi” ribattei flebile, sperando ardentemente che fosse solo stato un raptus dettato dalla disperazione e che non facesse sul serio.

“Si invece. Te lo avrei promesso, ricordi? Ti proteggerò da ogni cosa, anche da te stessa se necessario” disse solenne.

Scossi la testa piano e affondai la testa nel suo petto, ricercando il battito del suo cuore per risanare la ferita che aveva appena inferto al mio. Dunque il suo odio verso la strega era grande al punto che sarebbe arrivato ad impedirmi con la forza di starle vicino nonostante fosse la mia volontà. Nonostante essa fosse mia madre, una madre che avevo appena ritrovato e che, come Peter sapeva bene, amavo. Come poteva farmi una cosa simile? Ma poi la risposta giunse tanto chiara e semplice da dissipare la tristezza e il dolore della sua scelta. Peter avrebbe fatto ciò solo perché era fermamente convinto che fosse la cosa più giusta per me. Perché era certo che Jadis mi avrebbe solo fatto soffrire. Come potevo dunque prendermela con lui?

Questo però non cambiava la situazione. Io dovevo continuare per la strada ce avevo scelto, anche se così mi sarei separata da Peter.

“Non avrei mai desiderato che finisse così, credimi” mormorai alzando il capo.

“Non finirà infatti” mi ripeté.

Incurvai le labbra in quello che doveva assomigliare ad un sorriso. “Non sai quanto vorrei che ciò fosse vero” la mia voce, un sussurrò nell’aria.

Non mi misi a spiegare il significato delle mie frasi. Non avevo il desiderio di sprecare altro tempo a litigare sul fatto che non avrebbe mai potuto trattenermi con i poteri di cui ero dotata e che quindi non saremmo restati assieme nonostante le sue intenzioni. Era ben altro il discorso che mi premeva pronunciare al momento.

“Peter, ricordati bene quello che sto per dirti” il mio cuore ora batteva triste e lento, come se volesse anche lui rallentare il tempo. Era arrivato il tempo del congedo, nonostante tutti i miei sforzi, esso era giunto con tutto il dolore che portava con sé. I suoi occhi azzurri si fissarono sui miei e io cercai di memorizzare ogni singola sfumatura di quegli zaffiri in cui tante volte mi ero persa felice. “Ti amo. Tantissimo. E questo non cambierà mai, qualsiasi cosa possa succedere, passassero mille anni, ti amerò per sempre. Anche se saremo costretti a dividerci, il mio cuore sarà solo e unicamente tuo” li dissi in un sussurro dolce e sentito. Sapevo che erano parole a lui già note, ma per me era importante proferirle ad alta voce nella speranza che così non se le sarebbe mai scordate. Le sue braccia rafforzarono la presa, come se avvertissero che di lì a poco non mi avrebbero più potuto circondare.

Peter mi guardò confuso ma lieto e commosso della mia dichiarazione sincera. “Ti amo anche io. Ora e per sempre, tu sarai l’unica stella che brillerà nel mio cielo per illuminarmi la vita.” Promise.

Un’altra lacrima, di tristezza mista a tenerezza, scivolò giù dalle mie ciglia.

Mi allungai verso di lui, che non tardò a venirmi incontro, desideroso quanto me di suggellare nel modo più consono ciò che ci eravamo giurati. Quando le nostre labbra si unirono, toccai il paradiso. Altre lacrime scesero, a questa volta non vi badai. Non tentai nemmeno di frenarle, non ne avevo la forza.

Spontaneo fu il paragone con il bacio di benvenuto che ci eravamo dati. Era stato impetuoso, a lungo agognato, e dolce, tanto dolce. Come il sapore del ritrovarsi. Questo invece sapeva di addio, era dolce e amaro al contempo e lento, come se potessi così procrastinare il saluto il più a lungo possibile.

Le mie labbra si adattarono alla perfezione sulle sue, mentre le nostre lingue si esploravano indisturbate, per non dimenticarsi mai. Sapevo che la mia bocca avrebbe conservato il sapore della sua in eterno. Non avrei mai dimenticato la sua morbidezza, né le sue mosse delicate eppure sicure, ferme, che sapevano farmi sentire amata e desiderata. Né la mia memoria avrebbe mai perduto il ricordo dei brividi che le sue mani mi procuravano mentre si infilavano tra i miei capelli, torturandoli lievemente, mi accarezzavano la nuca o scendevano giù per la schiena seguendo linee immaginarie.

Vorrei restare con te qui, ma purtroppo posso lasciarti solo il mio cuore. Il mio posto ora è accanto a Jadis. Questo il messaggio che quel bacio celava.

Quando le nostre labbra si distanziarono, le nostre teste restarono comunque vicine. Le sue braccia ancora mi stringevano a sé, come se Peter fosse davvero convinto che con quel semplice gesto potesse tener ferma una strega.

Allacciammo i nostri sguardi per un ultimo istante. Strinsi tra le mie mani il colletto della sua camicia aiutandomi con esso ad avvicinarmi di più alle sue labbra. “Addio” singhiozzai in un soffio leggero, prima di sentire il potere della magia scorrermi lungo tutto il corpo, riscaldandolo con il suo tepore. Con un grande sforzo di concentrazione riuscii a focalizzare nella mia mente l’immagine della mia stanza nel castello di ghiaccio, come mi aveva insegnato Jadis. Una parola, trasportami, e un vento mi avvolse. Mi sentii trascinare lontano, dentro un vortice, ma il tutto durò pochi secondi.

Il tempo necessario per avvertire il calore delle sue braccia scivolare via dalla mia schiena, lasciando una sensazione di gelo al suo posto.

Aprii gli occhi non potendo impedire però al mio spirito di pregare di trovarmi ancora Peter dinanzi, ma ovviamente non fu così. La magia di teletrasporto aveva funzionato. Ero nella mia camera.

Mi sentii afferrare il cuore in una morsa fredda e ferrea, tanto che mi piegai in due rannicchiandomi con una mano sul petto. Una serie di singhiozzi strozzati fuoriuscirono prepotenti dalle mie labbra ancora umide per quell’ultimo bacio. Non riuscivo nemmeno a respirare. Boccheggiavo, incapace di ricordarmi come fare per incanalare l’aria nei polmoni. Strinsi forte gli occhi e mi morsi il labbro per impedirmi di urlare tutto il dolore che sentivo.

Avevo detto addio a Peter. Avevo salutato per sempre il ragazzo che per primo era riuscito ad aprirmi le porte dell’amore, che era riuscito a comprendermi, ad accogliermi. Che mi aveva fatto sentire amata, voluta.

Non lo rivedrò mai più.

Nella mia mente mi echeggiavano solo quelle parole crudeli ma terribilmente vere. Era accaduto. Il mio futuro roseo era andato in mille pezzi prima ancora che avessi potuto assaporarlo. Dopotutto sarebbe stato troppo bello per essere vero e il destino lo sapeva. Ma perché doveva fare così male? Perché dovevo sentire la pelle infuocata là dove le sue dita mi avevano sfiorata? Perché i miei occhi si inondavano di lacrime al ricordo dei suoi sorrisi, dei suoi zaffiri, eppure erano la sola immagine che riuscivano ancora a trasmettermi nonostante non mi fosse più dinanzi. Come se la mia retina si fosse bruciata e non fosse più capace di scorgere la realtà e vedeva unicamente ciò che aveva nella memoria.

Mi sentivo squarciare il petto in due, tagliato male da una falce implacabile.

Finché altre due braccia mi cinsero le spalle. Due braccia più esili delle precedenti, più delicate e fredde. Una mano mi coprì il capo, lo spinse gentilmente sulla sua spalla e cominciò ad accarezzarlo.

“Non piangere, piccola mia, non piangere…”

Una soave melodia, balsamo per le mie ferite.

“Ha rifiutato” riuscii a dire tra un singhiozzo e l’altro a fatica.

“Lo so, tesoro mio, lo so.” Iniziò a cullarmi “Ho cercato di proteggerti da questa delusione ma non ci sono riuscita. Mi dispiace. Non meritano le tue lacrime né  il tuo dolore” affermò con una nota lieve di durezza.

Mi irrigidii. Mi staccai di colpo dal suo abbraccio per fissarla scioccata in quegli occhi di ghiaccio. “No, ti stai sbagliando. Soffriva anche lui almeno quanto me. Mi ama, ma come me, doveva fare ciò che riteneva giusto. E proprio per questo continuerò anche io ad amarlo per sempre” aggiunsi, infischiandomene del fatto che ufficialmente non avevo mai parlato di Peter in quei termini a mia madre. Tanto ero certa che lo avesse intuito, se avessi avuto con il ragazzo solo una bella amicizia non avrei certamente sofferto così tanto ora.

Altre lacrime si affacciarono al bordo dei miei occhi e, bisognosa di conforto, mi rigettai tra le braccia di mia madre, lieta di avere ancora lei su cui contare.

Non esitò a cingermi e riprese a cullarmi. “D’accordo, piccola mia.” Acconsentì affatto sorpresa, a dimostrazione del fatto che era a corrente dei miei sentimenti verso il giovane.

“Ci siamo detti addio” singhiozzai poi.

“Era inevitabile purtroppo, lo sapevi che sarebbe potuto succedere. Ma hai fatto la scelta giusta, credimi”.

Annuii. Ma perché se era la cosa giusta da fare mi faceva stare così male? Perché mi sentivo morire ad ogni respiro forzato?

Jadis sospirò affranta. “Ora tocca a me, sai anche questo, vero?” mi sussurrò all’orecchio con tono dispiaciuto.

Strinsi più forte gli occhi mentre il pianto aumentava. Si, lo sapevo.

Mi aggrappai con forza alle sue spalle e cercai il suo sguardo. “Mamma, giurami che non gli capiterà niente durante la battaglia. Che li proteggerai se sarà necessario.” Urlai sull’orlo della disperazione. Non potevo nemmeno pensare che si ferissero o addirittura morissero in guerra. La mia mente si rifiutava categoricamente di ponderare l’ipotesi.

La regina mi guardò con un mare di tristezza nello sguardo mista a comprensione. “Ti prometto che farò tutto ciò che è in mio potere per salvarli”. La sua voce solenne mi rincuorò un poco.

Mi fidavo di mia madre, sapevo che non avrebbe mai permesso la loro morte per mano di spada. Li avrebbe condotti sani e salvi a Londra.

Lontano anni e chilometri da me…

Eccoci qua alla fine del cappy... spero che nn stiate preparando fucili e cannoni, please! Per chi di voi lo sta facendo chiedo solo di tenere presente che Cate nn ha mai saputo cos'è l'amore materno e lo desidera più di ogni altra cosa al mondo, ecco perchè è fermamente decisa  a nn ascoltare nessuno, specie ora che nn ha prove materiali dell'effettiva crudeltà di Jadis, dopotutto lei per ora ha conosciuto solo una donna che l'ha voluta proteggere da tutto e tutti e che adesso l'ha faticosamente ricontattata per ritrovare i rapporto madre-figlia che ha dovuto perdere anni fa. Indi per cui ai suoi occhi Jadis è una bravissima madre, nn ha motivo di credere a ciò che dice Peter. E sempre per questo motivo nn la vede come una tiranna ma come una vittima di quello che è successo milletrecento anni fa, ecco perchè pur amando immensamente Peter non riesce a dargli ragione e a mettersi contro la strega.  Spero di essermi spiegata :-) cmq devono succedere ancora molte cose quindi è presto per tirare drammatiche conclusioni....la speranza è l'ultima a morire come si suol dire ^^ un bacio e grazie ancora per aver letto.-)!

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Capitolo 17
*** 16_Un cuore di ghiaccio non batte per nessuno ***


Hello everybody!! Tataratà, il 16 cappy è arrivato in fine :-) la seprazione di Cate e Peter ha scuscitato lacrime, però nn tutto è perduto, anche se qst cappy seguirà la vena triste dello scorso. Alle fan del caro Peter, vi prego, nn vogliatemene per quello che succede in questo capitolo, mentre scrivevo stavo soffrendo io per prima (e ciò vuole dire che probabilmente devo essere un po' masochista -.- )  però vi assicuro che io adoro il biondo re di Narnia quindi i danni che gli procuro nn posso che ripararli poi in seguito! Con questa nota di speranza chiudo l'argomento Peter e vi lascio dicendo solo che l'ultima parte del cappy è dedicata a tutti i fan della coppia CaspianXSusan :-) fatemi sapere cosa pensate di qst capitolo che come vi avevo promesso è più ricco di azione dei precedenti e meno riflessivo^^ il prossimo cercherò di scriverlo veloce veloce, promesso ;-)! Un bacio-one-one-one-one!

Ringraziamenti:

SweetSmile: Ciao! Felice che il cappy ti sia piaciuto :-)! Thanks^^ Vedere i due piccioncini separati è una sofferenza anche per me, quindi ti capisco! Speciò perchè si separano per cause di forza maggiori e nn perchè nn si amano più :-(!!! Ma si dice che l'amore è la forza più grande di tutte, e se quello tra Peter e Cate è vero e profondo vuol dire che la parola fine alla loro storia nn è ancor stata scritta! Fammi sapere cosa pensi di quest'ultimo cappy :-) aspetto la tua recensione:-) un bacione e grazie ^^!!

ranyare: Ciao cara^^! Mi scuso in anticipo per quello che succederà in questo capitolo! Chiedo venia perchè Peter se la vedrà davvero davvero brutta, tanto da far dimenticare il dolore che ha provato lo scorso cappy, (poverino, mi sto comportando malissimo con quel poveretto di re, gliene sto facendo passare di tutti i colori!!!! Prometto però che mi farò perdonare, glielo devo!!) nn aggiungo altro, però preparati psicologicamente...! Mi spiace per il problema personale che hai avuto, spero di nn aver scritto nulla che ti abbia turbato, se è così mi scuso tanto! Sono contenta che il cappy ti sia piaciuto^^ specie il suo inizio, ero un po' titubante nel partire lontanto dalla storia e arrivarci pian piano, temevo di annoiare, ma a quanto pare invece è stato apprezzato *I'm happy!!*. Ho iniziato a leggere la tua "Narnia's Rebirth", e ti posso dire che è davvero stupenda!!!!!!**!Per ora sono agli inizi, sono arrivata al terzo cappy ma proseguirò presto nella lettura! Comunque ho scritto una recensione al terzo capitolo dove ti ho scritto tutte le mie impressioni e pensieri che ti posso anticipare essere entusiasti^^!  nN Vedo l'ora di sapere le tue impressioni sul sedicesimo capitolo, spero che ti piacerà :-)! Un bacione grande  egrazie per la tua recensione!!

noemy_moony: Ciao! Contentissima che il cappy ti sia piaciuto! La separazione di Cate e Peter è stato dolorosa anche per me scriverla, però purtroppo era necessaria! Nn credo però che Cathrine sarebbe felice di sapere che ci sei a consolare Peter, temo sarebbe terribilmente gelosa e sapendo che è una strega io avrei un po' paura fossi in te hihihihihhihih^^! Fammi sapere se il continuo della storia ti piace :-)! Grazie mille per aver recensito^^ ti mando un grande bacio!!

Grazie infinite anche ovviamente a tutti coloro che hanno aggiunto la storia alle seguite e/o preferite o che solo leggono^^ Se volete farmi sapere le vostre opinioni, sarei felicissima di ascoltarle!

Buona lettura
kisskisses
68Keira68

ATTENZIONE!!!!!! La poesia che apre il capitolo non è mia, l'ho presa da un sito su internet (http://www.raccontioltre.it/2181/amore-impossibile/)un sito amatoriale simile ad efp ma che pubblica poesie invece che fan fiction.  L'ho trovata cercando poesie sull'amore impossibile o travagliato. Appena l'ho letta me ne sono innamorata, è bellissima, l'autrice è davvero brava,  e mi sembrava anche che calzasse a pennello per Peter e Cate ^^

witch

16_Un cuore di ghiaccio non batte per nessuno

 

“Vorrei svegliarmi al mattino

Con te vicino”

Ogni risveglio, come quel risveglio… il primo dove i raggi del sole ci hanno sorpresi l’uno accanto all’altra e alla quale sarebbe potuta seguire una lunga serie se i fatti si fossero svolti diversamente. Quel risveglio, dove i tuoi occhi azzurri si sono aperti per regalarmi la tua dolcezza e le tue labbra si sono dischiuse al mio tocco per donarmi un bacio su quelle dita che avevano percorso il tuo angelico profilo.

“Vorrei raccontarti le mie giornate

Abbracciata con te sul divano”

Giornate che la sera avremmo potuto rivivere insieme, magari sotto il manto di stelle in riva alla spiaggia, la nostra spiaggia, io con la testa appoggiata al tuo petto caldo cullata dal tuo respiro, tu con un braccio stretto alla mia vita e una mano immersa tra i miei capelli. Giornate che ci avrebbero visti protagonisti, felici e innamorati, sempre insieme a godere della gioia e della fortuna che la vita ci aveva offerto dopo tanto aspettare.

“Vorrei che la notte ci trovasse

Addormentati insieme”

Riposare tranquilla tra le tue braccia, protetta e in pace col mondo mentre mi sussurri con la tua voce calda e avvolgente “Dormi mia piccola stella. Veglio io sul tuo riposo”.

“Sogni, sogni

Non sono altro che sogni”

Sogni che si sono infranti, dissolti come neve dinanzi al sole della divergenza quando erano ancora acerbi, appena accennati. E che sciogliendosi hanno lasciato solo un vasto deserto di solitudine e dolore che vedo difficile, se non impossibile, superare. Tornerò mai ad avere altri sogni? Non credo, perché tu solo eri ciò che mi faceva sognare.

“Tu non sei mio

Non sarai mai mio”

Eppure l’ho pensato, immaginato, desiderato, agognato e creduto. Ma ciò che fa ancora più male è che lo penso, lo immagino, lo desidero, lo agogno e lo credo ancora adesso. Adesso che tu non sei più qui con me e che mai lo sarai più. Il mio cuore ti chiede, ti pretende, ti vuole. Non riesce a capacitarsi che tu appartieni ai tuoi fratelli, a Narnia e ai tuoi ideali, anche se sbagliati, che ci hanno costretti a questa divisione. Forse perché invece io ti appartengo senza riserve. È vero, mi sono schierata anche io dalla parte dei miei ideali, di ciò che ritenevo giusto allontanandomi da te, ma il mio cuore non è venuto con me, ti è rimasto accanto, nella sala di pietra, poiché incapace di separarsi da ciò che evidentemente ritiene suo unico ed eterno padrone.

“Perché il destino ci ha fatti incontrare, innamorare,

ma non ci fa stare insieme.”

Costretti a dividerci per non rivederci mai più. Ma il destino, non contento di separarci unicamente, ci ha voluto anche opposti, nemici su due file ben distinte, due rette parallele che non potranno mai incontrarsi. Nonostante io abbia provato a farle avvicinare fino a renderle una cosa sola con tutte le mie forze. Tentativo vano purtroppo. Non sono stata abbastanza forte per un odio così grande e un destino tanto beffardo.

Una lacrima scivolò giù fino a cadere sulle pagine del libro contenente le parole di quella poesia che sembrava leggermi dentro. Il titolo era banale, “Amore Impossibile”, eppure esprimeva alla perfezione i sentimenti dall’autrice che al momento coincidevano alla perfezione con i miei. Sperai solo che per quella giovane donna il suo amore impossibile si fosse risolto. Col passare del tempo potevano mutare molte cose. A patto che il tuo amore non fosse stato esiliato in un’altra dimensione.

Sfiorai con la mano i versi scritti in corsivo presi da quel volume trovato sulla scrivania. Era l’unico libro presente nella stanza e sfogliandolo mi ero fatta un’idea del perché. Oltre quel componimento melanconico, il libro conteneva diverse filastrocche, poesie vivaci e storielle a lieto fine. Il genere di lettura adatta ai bimbi per farli addormentare.

Sorrisi immaginandomi Jadis chinata sul bordo di una culla a recitare ninna nanne per farmi addormentare. Un sorriso fugace però, tanto che quando sparì credei di averlo solo pensato.

Sospirai e ammirai la luna che fulgida predominava il firmamento, immensa e protagonista di quel manto blu scuro. La luna non aveva la forza come il sole di rendere il cielo azzurro e luminoso, anzi, doveva all’eterno rivale se riusciva a sfoggiare quel poco chiarore, eppure romantica e argentea sembrava brillare più di un diamante nel nero della notte, simbolo della sua debolezza e del suo regno. Era esattamente come me. Anche io non avevo avuto la forza di illuminare una via pacifica agli occhi di Peter e mia madre, eppure nel mio fallimento buio brillavo come la nuova o ritrovata Principessa di Narnia, come ognuno, rivolgendosi a me, mi ricordava.

Avrei tanto preferito che non lo facessero. Ogni soprannome onorifico era una stilettata al cuore. Ogni inchino, un doloroso ricordo. Parevano urlarmi di aver rubato il posto di Peter e dei suoi fratelli. Di averli traditi per una cosa che nemmeno desidero. Il trono.

A nulla valevano i miei inutili tentativi di convincermi dinanzi allo specchio che non era affatto così. Mi ripetevo che non desideravo il potere, che avevo semplicemente aiutato mia madre a riprendersi ciò che era suo di diritto e che quindi non avevo sottratto nulla a nessuno. Ma soprattutto che l’essere divenuta principessa era una conseguenza, per giunta spiacevole, dell’avere soccorso Jadis. Eppure i sensi di colpa e la sensazione di aver usurpato il trono di Peter persisteva. Nonostante la logica mi scagionasse, il mio cuore mi imputava come colpevole e non c’era alcuna via d’uscita per non sentirmi così.

Strinsi forte le ginocchia al petto e con la guancia appoggiata ad esse scrutai il cielo in cerca di un po’ di pace che la terra mi negava. Ormai quello che avevo fatto era fatto. Non potevo tornare indietro e cercare di essere più convincente per confidare in un risultato diverso da quello ottenuto. Peter aveva fatto la sua scelta ed io non potevo che adattarmi di conseguenza. Anche se ciò significava soffrire rannicchiata nella piccola nicchia accanto alla finestra della mia stanza.

La porta si aprì, facendo entrare un fascio di luce che sovrastò quello tenue della luna. Girai la testa senza alzarla e il sorriso materno di Jadis mi salutò mentre mi indicava con il capo il vassoio che teneva stretto tra le mani contenente due tazze fumanti.

“Ti ho portato della tisana. Ti aiuterà a calmarti, hai passato una lunga serata” mi spiegò apprensiva.

Accennai ad un sorriso. Era vero che stavo soffrendo rannicchiata in un anfratto della camera, ma non ero sola. La strada che avevo imboccato non mi conduceva solo al dolore della perdita di Peter, mi portava anche l’immenso piacere che l’amore di una madre può dare. E con quell’amore con il tempo la mia ferita avrebbe smesso quanto meno di sanguinare.

Le feci posto sul piccolo divanetto e la regina si accomodò appoggiando tra me e lei il vassoio in argento.

“Grazie” mormorai afferrando il manico della tazza anch’essa argentata. Inspirai a fondo il profumo che emanava. Vaniglia. Lo stesso delizioso odore dei bastoncini che ogni anno il venticinque dicembre la nostra governante legava insieme ai tovaglioli da tavolo, quelli che di nascosto rubavo dalla cucina per portarli in camera in modo da diffonderne l’essenza nell’aria. Mi era sempre piaciuto come profumo, mi ricordava i piccoli e brevi momenti lieti della mia infanzia come il Natale.

Soffiai sopra il liquido color ocra per non scottarmi e poi accostai il bordo alla bocca per sorseggiare la bevanda, lieta di quel gesto d’affetto da parte di Jadis che davanti a me faceva scivolare il suo sguardo attento e protettivo sulla mia persona.

“Piccola mia, ti devo informare di una cosa che non ti piacerà.”

Presi un altro sorso prima di risponderle, più per concedermi del tempo per modulare la voce e non farla tremare che per bere ancora. Sapevo cosa doveva comunicarmi, eppure dissi: “Su cosa?”

Mi accarezzò con tenerezza la guancia prima di proseguire. “L’esercito è pronto, non c’è più alcun motivo per tentennare e Narnia soffre ad ogni secondo che passa. Il momento della battaglia è prossimo” decretò.

Chiusi gli occhi e inspirai a fondo. Credevo di non avere altre lacrime da versare eppure sentii nuovamente il bordo degli occhi pizzicarmi. Ma le ricacciai indietro, facendomi forza pensando che a Peter, Susan, Lucy ed Edmund non sarebbe stato fatto alcun male e che Caspian probabilmente sarebbe tornato come sovrano nelle sue terre quando Jadis si sarebbe occupata anche di Telmar. Ogni cosa si sarebbe risolta e loro sarebbero stati bene dopo essersi abituati di nuovo a Londra.

Annuii con il capo. Se avessi parlato le mie parole sarebbe parse più un lamento probabilmente. Sentii la gola secca, come se ogni mia scorta idrica si fosse condensata al livello degli occhi lasciando sfornite le altre parti del corpo. Per rimediare presi un’altra lunga sorsata della tisana. Era calda e il sapore dolce era accolto felice dalle mie papille gustative.

Jadis mi diede un’altra carezza. “Bevi piccola mia, ti farà stare meglio, te lo prometto. Del resto non ti devi preoccupare.” Un senso di calma mi avvolse. Forse la tisana stava funzionando davvero, e io che avevo sempre pensato che fossero inutili… “Te l’ho già detto, ora tocca a me, tu devi solo riposare e recuperare la serenità perduta.” Inspiegabilmente la tazza si fece pesante. Tenerla in mano era una sforzo, sentivo le dita intorpidite, le braccia fiacche, mentre la testa cominciava a farsi leggera. “Fidati di me,” la voce di Jadis era un dolce sussurro che fioco mi giungeva alle orecchie, ma non riuscivo a concentrarmi sulle parole, la mia mente iniziava a viaggiare alla deriva senza che potessi impedirlo mentre la vista si appannava. “il futuro ci attende insieme con promesse di pace e felicità.” Le palpebre si abbassavano, obbedendo ad un bisogno slegato dalla mia volontà. Avrei voluto alzarmi, rispondere a Jadis, eppure non riuscivo a compiere nessuna di queste azioni. Ci voleva troppa energia ed io non ne avevo nemmeno per impormi sui miei occhi, per impedirgli di chiudersi. Ma poi perché dovevo lottare contro questo dolce tepore che mi stava avvolgendo? Prometteva di tenermi al sicuro, di mantenere distanti i pensieri che mi tormentavano. Non era malvagio, non c’era motivo di resistere… le palpebre si chiusero mentre la testa scivolò delicatamente all’indietro fino ad appoggiarsi contro il muro alle mie spalle.

La tazza scivolò dalla mia mano incapace di sostenerla, cadendo a terra. Il tonfo, attutito per gran parte dallo spesso tappeto che ricopriva la stanza fu l’ultima cosa che fui in grado di udire prima di perdere conoscenza…

 

Soddisfatta di vedere la propria figlia addormentarsi placidamente, la Strega Bianca si alzò dal piccolo divano, lisciandosi l’ampia gonna con indifferenza.

Perfetto, la tisana corretta con un potente sonnifero aveva sortito immediatamente l’effetto desiderato, facendo crollare la ragazza in un sonno privo di sogni che sarebbe durato come minimo fino al pomeriggio del giorno dopo.

Avrebbe avuto tutto il tempo per ingaggiare la guerra quella sera stessa. I Pevensie sarebbero capitolati prima che la figlia si ridestasse.

Così non correrò il rischio di un suo intervento indesiderato alla battaglia.

Di certo non poteva rischiare che Nives vedesse come la promessa di non torcere un capello ai quattro ragazzi venisse infranta senza rimorso. Avrebbe perso fiducia nella strega, fiducia che quest’ultima aveva conquistato faticosamente e che le serviva per assicurarsi la fedeltà e di conseguenza i poteri della giovane in previsioni di guerre future.

Jadis sorrise beffarda osservando l’espressione rilassata che sua figlia ora ostentava nel sonno da lei procuratole. Era tranquilla, si sentiva al sicuro per merito suo perché credeva totalmente in lei, che non avrebbe fatto alcun male né alla sua persona né ai suoi amici.

Povera sciocca. Non si rendeva affatto conto di essere solo il pezzo più importante di una partita millenaria ben più grande del modesto e ridicolo desiderio di “essere amata”, ma ciò ovviamente giocava a suo favore.

Tzé, Nives l’aveva supplicata tra le lacrime di non nuocere ai quattro ragazzi. Con la sua anima immacolata e ingenua di certo non poteva immaginare a quale cuore stava chiedendo di essere ascoltata.

Un cuore di ghiaccio. E un cuore di ghiaccio non batte per nessuno. Nemmeno per una ragazzina spaurita e così facilmente influenzabile.

Se non avesse dovuto recitare la parte della madre impeccabile per il suo tornaconto, le avrebbe riso in faccia a quell’assurda quanto sdolcinata richiesta. Come poteva davvero pensare che non avrebbe torto una capello a coloro che l’avevano costretta all’esilio dalla sua terra dopo averla usurpata e umiliata? Aveva passato milletrecento anni agognando il giorno in cui avrebbe potuto vendicarsi di ogni singolo minuto trascorso nel limbo e avrebbe realizzato il suo desiderio. Si era perfino chiesta se veramente quella stupida e perbenista bimbetta fosse sua figlia. Come poteva aver dato alla luce un’altruista fino al midollo capace solo di piangersi addosso? Evidentemente l’essere cresciuta sulla Terra l’aveva rovinata. Per fortuna ciò non pareva aver intaccato la forza dei suoi poteri, che invece sembravano molto più grandi di ciò che aveva immaginato. Con dell’esercizio e la pratica quella ragazzina poteva diventare davvero potente. Un’ottima arma contro i suoi nemici per la quale valeva la pena recitare parti smielate.

Jadis lanciò un’occhiata fuori dalla finestra. La luna era alta nel cielo, era ora di partire. Si voltò incamminandosi in fretta verso la porta della camera. Una volta sulla soia diede un ultimo sguardo alla figlia, addormentata sul divanetto avvolta in una calda coperta. Strano, in teoria una Strega Bianca non avrebbe dovuto provare freddo, ma forse quella di stringersi in una coperta era solo un’abitudine presa negli anni più che un mero bisogno fisico.

Un sorriso le curvò le labbra. Ma non fu un sorriso intenerito alla visione di Nives accoccolata sotto la finestra, bensì un ghigno crudele e soddisfatto, che pregustava ciò che stava per accadere.

Dormi piccola ingenua ragazza. Io vado a prendere ciò che è mio, la corona e la vendetta. Non c’è spazio per stupidi sentimentalismi in questo gioco.

 

*

 

Congelati. Interamente. Tutti. Tutto.

Le case inglobate dalla ghiaccio. Le strade sommerse dalla neve. L’aria fredda e irrespirabile. Le persone. Addirittura le persone. Dal più grande al più piccolo, contadini, commercianti, nobili, adulti, bambini, donne e uomini. Tutti fino all’ultimo congelati. Simili a statue di ghiaccio eterne, riempivano le strade, le loro case, le botteghe e le taverne. Creando “un terribile e macabro museo”, come lo aveva descritto Caspian tra un tremito e l’altro, una volta tornato con espressione scioccata dalla quotidiana ronda. Il principe era davvero sconvolto. Pallido in volto, era preda di violenti scossoni, tanto che era un miracolo che fosse riuscito a cavalcare fino a tornare all’edificio senza cadere. Ma come biasimarlo in fin dei conti aveva visto la sua gente, la sua casa, interamente ricoperta dal ghiaccio. Altro che shock, era una visione capace di distruggerti.

Peter, con un braccio appoggiato sul cornicione della finestra della sua stanza per sostenersi, scosse lievemente la testa, riflettendo tra sé e sé. L’accaduto si era svolto quello stesso pomeriggio, mentre Cathrine era con lui, e concluso entro la sera, dato che Caspian si era recato a Telmar dopo che la giovane gli si era volatilizzata dalle braccia. Cathrine lo aveva informato sulle intenzioni di occuparsi di Miraz di Jadis, ma mai avrebbe pensato che potesse sbarazzarsi dei telmarini così in fretta. E in un modo tanto atroce.

A giudicare dal racconto di Caspian, non si era svolta alcuna battaglia. La mano fredda della Strega Bianca era scesa con il suo dono di morte apparente sugli ignari cittadini senza che loro avessero il tempo di accorgersene e di organizzarsi, rimanendo congelati nell’esatta posizione in cui erano quando la regina era giunta. Terribile. Semplicemente terribile.

E la mi stella è in compagnia di quella donna, preda delle sue menzogne che l’hanno allontanata da me.

Indifesa, inconsapevole di chi avesse accanto e del pericolo che correva. Questa la condizione attuale di Cathrine. Condizione che riempiva di apprensione il maggiore dei fratelli Pevensie.

Alla fine ci era riuscita, Jadis era riuscito a strappargli via il cuore e la mente di Cathrine.

No, è una bugia. La sua mente forse è ottenebrata dalle bugie, ma il suo cuore è libero dalla stretta dell’infida strega ed è mio. Mi appartiene come mi ha dimostrato baciandomi tra le lacrime. Mi appartiene come il mio appartiene a lei.

La contraddizione nacque spontanea nella sua mente ed ebbe il potere di rincuorarlo. Almeno un poco. L’unica cosa che lo avrebbe fatto stare totalmente bene era lontana da lui. Una distanza di chilometri e falsità creata dalla Strega Bianca. Una distanza che non avrebbe mai dovuto esserci e che lo stava logorando dall’interno, per il dolore, la tristezza della separazione, per la rabbia di non essere riuscito a mettere i bastoni tra le ruote a Jadis, per l’insofferenza per la situazione attuale…

Le dita scrocchiarono serrandosi. Il braccio si fletté e il pugno partì contro il muro. Un rumore sordo, segno che il colpo aveva raggiunto la superficie di pietra. La mano cominciò a pulsare, faceva male, ma era un dolore che faceva bene. A differenza di quello che provava al cuore, questo era un dolore benefico. Gli serviva proprio per riemergere da quello interno, per scuoterlo dall’autocommiserazione. Per ricordarsi che doveva reagire, che non tutto era perduto, che c’era ancora speranza perché lui era ancora vivo, pronto a colpire, a difendere Narnia. A riprendersi Cathrine.

Ma poteva farlo solo se la smetteva di stare in stato catatonico a ricordarsi ciò che aveva perso momentaneamente.

Un lampo di decisione passò negli occhi azzurri del giovane mentre alzò il capo per fissare lo spettacolo del firmamento che gli si proponeva dinanzi.

Il tempo per piangersi addosso era definitivamente concluso. Ne aveva speso in questo modo più che a sufficienza. Ora era giunto il momento della spada.

Un cigolio, dei passi leggeri e la mano di sua sorella Susan gli strinse delicatamente la spalla per attirare la sua attenzione.

Peter voltò il capo e incontrò il suo guardo. Era calmo ma risoluto. Conscio della tempesta che li aspettava ma non per questo spaventato, semmai deciso ad affrontarla a testa alta.

“Caspian si è ripreso” lo informò con il tono fintamente neutro che Peter ben conosceva. Era il tono che usava quando voleva celare il tumulto di emozioni che conteneva dentro. Era il tono che si accoppiava con la riga dritta e piatta delle labbra, una via di mezzo tra un’espressione neutra e una seria.

Chissà quanto doveva essere stata preoccupata per il giovane principe. Certamente abbastanza da non volerlo far sapere in giro, a giudicare dalla voce. Ma davvero sperava che suo fratello non capisse ciò che provava nonostante i suoi blandi tentativi di nasconderlo?

Quando Susan aveva visto entrare Caspian nella sala della tavola di pietra, con gli occhi sbarrati, vitrei, i capelli e i vestiti scompigliati segno di una cavalcata sostenuta, e il viso bianco e sconvolto, si era precipitata verso di lui, dimenticando in un attimo tutte le remore che da sempre aveva sul far apparire ciò che provava dinanzi a tutti. Gli aveva preso la testa nelle sue mani e lo aveva costretto a guardala negli occhi, come se volesse trasmettergli tutta la sua calma e stabilità in cambio della confusione che albergava in quelli neri del giovane. Lo aveva accarezzato con dolcezza e infine, stupendo ogni singola persona presente in sala, lo aveva stretto a sé con un amore quasi palpabile e il volto segnato dalla preoccupazione. Un azione così insolita che era riuscita a risvegliare Caspian dallo stato catatonico in cui verteva. A contatto con il corpo di Susan, il principe sembrò rendersi conto razionalmente di dov’era, davanti a chi, ma soprattutto a chi si stava stringendo. Tre fattori che bastarono per fargli recuperare la ragione nello sguardo e il colore sulle guancia per l’imbarazzo. Imbarazzo non abbastanza grande però da convincerlo a sciogliere l’abbraccio. Anzi, infischiandosi degli occhi scrutatori e attenti di Peter che li fissava a metà tra il contrariato e il contento, le passò entrambe le braccia attorno alla vita e la strinse più forte a sé, affondando il suo viso nella spalla e trascorrendo così i successivi cinque minuti, nel più totale e sbigottito silenzio da parte degli astanti.

Si separarono solo quando Lucy, divertita e impaziente, si schiarì forte la voce, richiamando l’attenzione dei due ragazzi, che accortesi della situazione, rossi in volto, si distanziarono di poco, senza però che il braccio di Caspian si allontanasse dalla vita di Susan, quasi avesse bisogno di quel contatto per raccontare gli avvenimenti visti.

“Ne sono felice”

Susan sospirò. Non erano le condizioni del giovane il motivo della sua visita.

“Fuori tutto è calmo. Anche troppo” sbottò infine.

Bingo.

“Vuol dire che lei si sta avvicinando. Tra poco sarà qui” sentenziò il re, osservando a sua volta la foresta che si estendeva dinanzi al loro avamposto. A differenza della voce della sorella, la sua faceva ben trasparire ciò che sentiva. Fermezza, rabbia, un’implicita sfida. Se voleva la guerra, l’avrebbe avuta. Lui di certo non si sarebbe tirato indietro. Se voleva riprendersi il trono, l’avrebbe pagato a caro prezzo.

“L’esercito è pronto” gli comunicò telegrafica. Silenzio per due minuti, poi decise di dire ad alta voce ciò che entrambi sapevano ma che non volevano udire. “Sai che sarà dura”

Un’occhiata infastidita e le labbra si strinsero fino a sbiancare.

Se lo sapeva? Certo che si! Il potere di Jadis era immenso e loro, non potendo contare sull’aiuto di Aslan, erano sprovvisti di una difesa resistente contro la sua magia. A peggiorare le cose c’era il cambio di posizione di Nives. Era sicuro che non sarebbe scesa in guerra contro di loro, ma i narniani avevano perso una preziosa alleata contro la Strega Bianca. E infine Jadis era anche riuscita a sottrargli metà del suo esercito, tra bugie, sortilegi e ricatti. Dire che erano in svantaggio era un eufemismo. La battaglia sarebbe finita in favore di Jadis, esattamente come era successo nello scontro con Telmar. Anzi, peggio. Perché se il destino riservato ai telmarini era stato crudele, il loro lo sarebbe stato senz’altro il doppio.

Sarebbe stato troppo facile rimanere congelati. Jadis voleva vendetta per quello che le avevano fatto. Voleva batterli platealmente con il suo esercito, sconfiggerli, umiliarli e poi distruggere lui e i suoi fratelli pian piano, in barba a ciò che ingenuamente Cathrine credeva sua madre avrebbe fatto.

Ma pur sapendo tutto ciò non poteva tirarsi indietro.

Scappare era inutile, non avevano dove andare e comunque Jadis li avrebbe scovati ovunque. Consegnarsi era fuori discussione. A parte il fatto che non li avrebbe risparmiati ugualmente, si sarebbe ucciso da solo ancor prima di compiere un gesto tanto da codardo. Rimaneva un’opzione sola. Combattere e sopportare le conseguenze. Almeno avrebbe avuto la coscienza apposto e sarebbe morto con onore, lottando per ciò in cui credeva.

Peter si girò deciso verso Susan, un’espressione orgogliosa in volto, animato da questi pensieri. “Probabile, ma almeno sarò morto facendo un tentativo. Se Jadis rivuole la corona per far risprofondare Narnia nella desolazione e nella schiavitù, dovrà prima tagliarmi la testa con la spada.”

Susan sbuffò e alzò gli occhi al cielo, la maschera disinteressata crollata dinanzi all’affermazione teatrale del fratello.

“Shakespeare non avrebbe saputo scriverti una battuta migliore sai?” commentò acida, guadagnandosi un’occhiataccia.

“Non sto scherzando Susie”

La regina si passò una mano sulla fronte. “Lo so purtroppo.” Gli assicurò. “Ma quel che è peggio” aggiunse in seguito “e che io, come credo anche Edmund e Lucy, la penso come te” ammise, abbozzando un mesto sorriso.

L’espressione orgogliosa e ferma di Peter si sciolse in una più tenera, commosso dalle parole della sorella. Sapeva che amavano Narnia quanto lui e che non avrebbero mai abbandonato né la terra né loro fratello, ma sentirlo pronunciare era comunque confortante.

Eliminò la distanza e la abbracciò, comunicandole così il suo apprezzamento.

Susan ricambiò la stretta, seppellendo il viso nella spalla di Peter.

“Abbiamo cominciato questa enorme avventura insieme e la finiremo insieme” gli promise la giovane regina.

“Nel bene e nel male” concluse Peter, accarezzandole teneramente il capo castano, ma mentre lo diceva, giurava a se stesso che avrebbe fatto ogni cosa in suo potere per impedire che i suoi fratelli finissero quell’avventura insieme a lui. Finché fosse stato in grado di brandire una spada, gli avrebbe difesi senza esitare.

Poi lo sentirono. L’atmosfera si fece più tesa. Un vento gelido prese a soffiare tra gli alberi e uno squillo di tromba annunciò che la loro ancestrale rivale era infine giunta.

Peter e Susan sciolsero l’abbraccio, tenendosi però per mano, trasmettendosi forza a vicenda. Un’espressione decisa, ferma, conscia di ciò che dovevano fare albergava sui loro volti. Non c’era spazio per l’ansia o l’esitazione, erano i sovrani e non dovevano tentennare quando dovevano tentare di salvare il loro popolo.

“Per Aslan”

“E per Narnia” aggiunse Peter, risoluto.

E insieme uscirono con passo veloce dalla camera, correndo verso il loro esercito. Per la loro causa. Contro Jadis.

La battaglia tanto temuta, era iniziata.

 

*

 

“Peter, sono al limitare della foresta”

“Sono sbucati fuori dal nulla”

“L’esercito è schierato”

Rumore di spade sguainate, la corsa delle donne e dei bambini per allontanarsi dal campo di battaglia, i pianti, le urla. E la tensione, inudibile ma palpabile tanto da rendere l’aria irrespirabile.

Erano passati anni dall’ultima guerra, ma la frenesia che vedeva attorno a sé l’istante prima di andare all’attacco era sempre uguale. Ed uguale era anche l’adrenalina e l’assoluta freddezza mentale che riusciva a regalargli, due doti necessarie per condurre il suo esercito.

Il Re Supremo di Narnia si voltò verso Edmund, Lucy e Caspian che lo avevano travolto di informazioni appena entrato nella sala.

“Gli arcieri sono schierati?” domandò al fratello minore.

“Si”

“Bene, Susan, va da loro e tieniti pronta” ingiunse alla regina che obbedì volatilizzandosi senza nemmeno rispondere. “Lucy, tu occupati delle donne e dei bambini all’interno dell’edificio e provvedi affinché stiano fuori dallo scontro” ordinò poi alla sorella minore che acconsentì sparendo anche lei al pari di Susan. “Voi due invece” disse infine rivolto ad Edmund e Caspian “con me. Guideremo la fanteria. Edmund, tu retrovia, Caspian, prima carica con me” dispose.

Non un’obbiezione. Neanche una singola e misera parola venne pronunciata contro gli ordini del re. Ciò perché i quattro ragazzi riponevano ogni loro speranza di vittoria e di salvezza in lui. Sapevano che se c’era una possibilità di farcela Peter l’avrebbe afferrata, loro dovevano solo ubbidirgli. E così avrebbero fatto.

Avrebbero seguito il Re di Narnia fino alla fine perché qualunque essa fosse stata, ognuno di loro sapeva che Peter avrebbe fatto del suo meglio prima di arrivarci.

Seguito dai due ragazzi mori, il giovane re attraversò a grandi falcate il corridoio, uscendo alla fresca aria notturna, satura di aspettative, di respiri agitati e cuori scalpitanti.

Trovò il suo esercito schierato come gli era stato detto. I narniani, ricoperti delle loro armature, imbroccate le loro lucide e letali armi, attendevano il loro comandante con impazienza. L’espressione sui loro volti era tesa e preoccupata. Sapevano che le chance di vittoria erano poche, eppure nei loro occhi coglieva quel lampo di sfida, quella voglia di non arrendersi e di lottare fino all’ultimo che aveva attraversato i suoi poco prima nella sua camera.

Si concesse un sorriso di orgoglio nel vederli in riga e pronti a scattare al suo segnale. E si sentì onorato di poter guidare quell’esercito formato da cuori coraggiosi e animi nobili, formato da persone pronte a morire per ciò che ritenevano giusto. Formato da persona animate dai suoi stessi ideali e che sentiva così vicine a lui nonostante le diversità di razza.

Farò del mio meglio, ve lo giuro…

Un altro corno squarciò l’aria, segno che l’esercito nemico si era avvicinato di un altro centinaio di metri.

Rivolse l’attenzione al limitare della foresta e vide ciò che mai avrebbe voluto rivedere.

A bordo del suo cocchio trainato da orsi polari, con in mano la spada e lo scettro, avvolta dalle sue vesti da battaglia, c’era la Strega Bianca. Peter deglutì a vuoto solo una volta prima di recuperare velocemente tutta la sua ferma sicurezza. Sapeva che era tornata, ma ritrovarla dinanzi a sé, nuovamente a capo di un esercito più numeroso del suo, era comunque un forte colpo da attutire. Rapide immagini dell’ultima volta in cui si erano incontrati gli attraversarono la mente. I suoi colpi precisi con la spada si contrapposero allo scettro donatore di morte di Jadis in un turbine di ricordi che culminarono con la visione di Aslan, che vincitore si scostava dalle corpo privo di vita della strega.

Quella volta ci era riuscito. Aveva vinto e portato la pace a Narnia. Ma quella volta c’era Aslan. Sarebbe riuscito ad ottenere lo stesso risultato senza l’aiuto del grande felino?

Bene, è il momento di scoprirlo.

Ma mentre formulava questo pensiero poteva quasi scorgere il sorriso beffardo della strega, come se lo deridesse del suo ottimismo, certa che da solo non sarebbe mai riuscito nei suoi scopi.

Peter strinse i denti, poi sfoderò la spada.

“Popolo di Narnia” si rivolse al suo esercito, la spada in alto, la voce profonda che echeggiava tra le file dei soldati “sono secoli che subiamo gravi perdite. Molti tra noi hanno perso persone care che a loro volta hanno dato la vita. Abbiamo perso le nostre terre e le nostre case. Eppure, nonostante questo, siamo ancora qui, vivi e con la forza di reggere le nostre spade in mano.” Il tono di voce si alzò mentre il cuore prendeva a battere violento, animato dal suo stesso discorso “Siamo ancora qui, perché nonostante le violenze e i soprusi non abbiamo ancora smarrito il nostro coraggio, il nostro onore, la nostra dignità, il nostro desiderio di giustizia, la nostra identità. E con questo e per questo io vi chiedo di combattere oggi. Per difendere quello che avete nel vostro cuore e nel vostro animo, per impedire che vi venga tolta la vostra libertà e per riottenere quello che è vostro!”

Un tumulto esplose. Grida e urla di approvazione scoppiarono alle parole del loro re, voci che infine si unirono in un coro, il quale si levò alto e sentito, vibrante di emozione.

“Per Narnia”

Una parola, una promessa, una missione.

“Per Narnia!” Peter unì la sua voce a quella dei suoi uomini, puntando la spada al cielo, in un complesso di voci che continuò finché l’ennesimo corno nemico risuonò sinistro squarciando la quiete notturna.

L’esercito si zittì. Ognuno si mise in posizione d’attacco, pronto a scattare appena il loro re l’avesse ordinato.

Peter medesimo afferrò la spada con ambo le mani e cominciò a squadrare le file nemiche avvicinarsi. Per ora non doveva dare il segnale d’attacco, l’esercito di Jadis doveva avvicinarsi di altri duecento metri, poi si sarebbe trovato sotto tiro dei suoi arcieri, appostati sul tetto dell’edificio e nascosti alla vista dei nemici dall’oscurità della notte.

Cento metri….cinquanta….trenta…venti….dieci…

Si voltò celere alle sue spalle, la spada in alto che luccicava al chiarore della luna. Un secondo dopo, sibili di frecce giungevano alle loro orecchie e una pioggia di dardi letali e invisibili si abbatté sui loro nemici. La prima carica era stata lanciata con precisione, degna della grande fama della bravura degli arcieri di Narnia, specie se comandati da Susan, imbattibile in quell’arte.

Della seconda bordata si occuparono i grifoni e le aquile. Agili e maestosi spiegarono le loro ali scendendo in picchiata contro l’esercito degli oppositori, liberando dai loro acuminati artigli pesanti pietre che mieterono altre vittime schiacciandole.

La terza non si fece attendere, ma l’effetto a sorpresa purtroppo era andato perduto e Jadis non si faceva prendere alla sprovvista per tre volte di fila. Una barriera magica venne innalzata a protezione dei suoi soldati giusto un secondo prima che le frecce e le pietre potessero recidere altre vite, ma a quel punto erano sufficientemente vicini per un attacco frontale.

Peter alzò nuovamente la spada al cielo.

“Per Narnia” incitò un’ultima volta prima di abbassare l’arma e dare così il segnale d’attacco.

In un istante il rumore della carica dei soldati dei Pevensie sovrastò qualsiasi altro suono.

Il giovane re venne travolto dalla sensazione del proprio sangue che violento gli pulsava nelle tempie, il battito del cuore che gli rimbombava nelle orecchie. Sentì forte la presenza delle sue braccia che sorreggevano la spada, del busto che si sporgeva in avanti per attaccare, delle gambe che correvano incontro al nemico. Verso la vittoria o la morte.

Il primo colpo andò a segno quasi senza che se ne accorse. Fulminea e precisa, la lama affilata trapassò senza sforzo il fianco di un fauno, e prima che il corpo privo di vita del soldato si accasciasse a terra, Peter era già alle prese con un minotauro, più impegnativo da abbattere del precedente avversario. Schivò un fendente saltando verso destra e poi un altro verso sinistra. Provare a pararli con la spada era fuori discussione, la forza fisica del minotauro era infinitamente superiore alla sua e il contraccolpo lo avrebbe tramortito o spezzato un braccio, doveva puntare sull’agilità. Evitò altri due affondi, portandosi con l’ultimo alle spalle dell’avversario. Un colpo rapido all’altezza del collo e il minotauro crollò su se stesso.

Sfruttò il secondo successivo di tregua per guardarsi attorno. Trovò per primo Edmund, impegnato in uno scontro con un centauro, difficile da uccidere ma non impossibile per le abilità di suo fratello. Caspian era dalla parte opposta ad Edmund. Stava combattendo con un fauno e un nano contemporaneamente, dimostrando più agilità con la spada di quella che Peter si augurava. Meglio così. Scorse anche Susan, scesa dalla postazione precedente per dar man forte sul campo di battaglia. Scagliava frecce con una precisione e una velocità disarmanti, nessuno né a Narnia né in nessun altro luogo avrebbe potuto eguagliarla. Ma la cosa più importante era che nessuno dei tre al momento sembrava aver riportato gravi ferite. Infine individuò chi stava realmente cercando. Jadis era alla sua destra, molto distante da lui.

Si buttò in quella direzione. Doveva raggiungerla e cercare di eliminarla, la morte della Strega era la loro unica possibilità di vittoria. Ma un fiume di soldati si frapponeva tra lui e la sua meta e Peter si ritrovò a doversi far strada a colpi di spada. Cercava di essere il più veloce possibile, uccideva solo coloro che gli bloccavano la via e con fendenti più rapidi e precisi possibili. Doveva arrivare da Jadis in fretta, ogni secondo che passava erano vite, sia del suo esercito che di quello della strega, che perdeva.

Affondo, parata, fendente, parata, schivata, affondo. Passi di una danza alla quale era avvezzo, nonostante gli anni di inattività. Era come andare in bicicletta, una volta che si imparava a stare su un campo di battaglia, non si dimenticava più. I suoi sensi erano tutti allerta, tesi al massimo come i muscoli. Si sentiva forte, agile e pieno di energie. La mente predisposta alla battaglia gli permetteva di prevedere in anticipo le mosse dell’avversario, spesso banali, da manuale, e di contro attaccare con efficacia, cogliendo di sorpresa il nemico, ferendo e uccidendo con precisione nei punti che sapeva essere meno protetti.

Altro secondo di tregua. Peter prese un respiro e cercò affannosamente di nuovo i suoi fratelli e Caspian. La prima cosa che notò però suo malgrado fu constatare che il suo esercito era in serie difficoltà. L’abilità e la tenacia dei suoi soldati parevano schiacciati dalla ferocia e dal grande numero di quelli di Jadis.

Maledizione. Devo sbrigarmi…

Poi ad trentina di metri di distanza scorse Edmund. Segnava affondi su affondi.

Un inarrestabile e temibile soldato. Pensò orgoglioso il biondo. Lanciò un’occhiata alle sue spalle cercando la sorella e il principe e un groppo gli si fermò in gola. La loro situazione era peggiorata. Caspian stava sorreggendo Susan passandole un braccio attorno alla vita mentre con l’altro cercava di difendere entrambi dagli attacchi nemici. La giovane regina era pallida, l’espressione sofferente. Era stata ferita gravemente anche se da quella distanza era impossibile per Peter capire dove e quanto era stata colpita. Il ragazzo imprecò a mezza voce. Avrebbe voluto correre dalla sorella per assicurarsi della sua salute e portarla lontano da lì, dentro l’edificio, al sicuro, ma non poteva. Doveva continuare a combattere, specie con il suo esercito in difficoltà.

Prese un bel respiro e si costrinse a scacciare via la preoccupazione. Susan era in ottime mani, Caspian non avrebbe mai permesso che si avvicinasse qualcun altro ora che le era accanto. Lui aveva una missione da svolgere e il fatto che Susan fosse stata ferita doveva solo incentivarlo a terminarla in fretta e con successo.

Si concesse un sorriso ironico pensando che la sua decisione sarebbe stata ampiamente approvata dal raziocinio della sorella. Anzi, probabilmente se l’avesse raggiunta ora voltando le spalle ai suoi doveri lo avrebbe rispedito in dietro a suon di frecce.

Con questa consapevolezza, Peter non indugiò oltre e proseguì, ignorando del tutto l’ansia. A qualche metro da Jadis, aveva perso il conto del numero di vittime fatte. La spada, prima lucida, era interamente rosso scuro, come anche la sua armatura, macchiata in più punti da sangue fortunatamente non suo. Il sudore colava dalla fronte per gli sforzi fatti, il fiato cominciava a farsi corto, mentre il braccio accusava i primi segni di affaticamento, ma l’adrenalina e la tenacia che provava lo animavano al punto da non dare peso alla stanchezza. Doveva continuare a combattere senza preoccuparsi del suo fisico. Se fosse sopravvissuto, ci sarebbe stato tempo dopo per leccarsi le ferite.

Un battito di ciglia, e gli sguardi dei due contendenti al trono si incrociarono.

Azzurro contro azzurro. Ghiaccio freddo contro un cielo limpido. Spietatezza e arroganza contro determinazione e umanità.

Un sorriso beffardo e Jadis si voltò con grazia verso Peter, infliggendo rapida l’ultimo colpo al centauro con la quale si stava misurando, facendolo crollare a terra senza alcun riguardo.

Lineamenti perfetti quanto freddi, luce folle ad animarle lo sguardo, postura dritta e regale anche durante la battaglia. La Strega Bianca si presentava al giovane re di Narnia identica all’ultima volta che l’aveva vista.

“Bene, bene. Peter caro, mi sei mancato, sai?” lo sbeffeggiò la strega facendo roteare con la mano destra lo scettro magico.

“Tu per niente, ecco perché intendo rispedirti da dove sei tornata” le parole minacciose vennero quasi ringhiate dal ragazzo che trasudava odio da ogni parte verso la donna che aveva dinanzi. Finalmente poteva guardare negli occhi la persona che gli aveva portato via metà del suo esercito, che rischiava di fare piombare Narnia nuovamente nella schiavitù e che aveva avvelenato la mente della sua Cathrine.

Il sorriso ironico si spense sul viso della strega mentre scendeva dal suo cocchio con eleganza.

“Senza Aslan? Ah. Ne dubito” lo provocò.

Il colpo arrivò veloce, quasi invisibile per dei riflessi meno allenati di quelli di Peter che riuscì a pararlo solo all’ultimo secondo. Jadis rise soddisfatta dinanzi alla fatica del giovane e senza attendere oltre caricò un altro affondo. Ma questa volta il re era pronto e contrattacco con forza, deviando la traiettoria della spada avversaria e cominciando ad attaccare a sua volta. Riuscì a far arretrare Jadis di qualche passo, ma presto lo sforzo di evitare i colpi sia dello scettro che della spada si fece sentire.

Bastò un attimo. La sua attenzione vacillò per un solo secondo e la strega ne approfittò per un affondo con la spada. Peter lo vide troppo tardi e non riuscì a pararlo del tutto. La lama gli ferì il fianco destro di striscio, un taglio non troppo profondo e di certo non letale, ma sufficiente a fargli chiudere gli occhi dal dolore. Sostenne il peso della spada solo con la mano sinistra per tamponarsi la ferita con la destra ma Jadis non gli diede il tempo per riprendersi dal male. Incalzò con una serie di colpi, soddisfatta dal piccolo successo e mettendo in crisi Peter.

Il ragazzo fu costretto ad arretrare senza poter fare un affondo efficace poiché costretto a sorreggere la spada con solo una mano.

Se continua così non ho speranze…

Stringendo i denti, Peter ignorò il dolore al fianco destro e riprese la sua arma con ambo le mani, caricando l’attacco. Quando la sua lama si scontrò con quella di Jadis le fitte al fianco per il contraccolpo non si fecero attendere, ma il re non cedette e proseguì con un secondo affondo che andò a segno. La manica del vestito di Jadis si tinse di rosso segnalando un taglio profondo sull’avambraccio.

Peter ghignò soddisfatto nel vedere il lampo di collera e stupore che attraversò gli occhi della Strega Bianca. Ma fu un ghignò che venne presto cancellato. Accecata dalla furia, Jadis iniziò a mulinare spada e scettro in una serie di attacchi rapidi ed efficaci. Portò il duello ad un ritmo sostenuto che avrebbe messo in ginocchio qualsiasi persona presente sul campo di battaglia. Qualsiasi ma non Peter.

Il re, forte della sua determinazione e della sua esperienza, sostenne abilmente ogni affondo rispondendo a tono con la sua lama, finché non prese direttamente in mano il duello e cominciò a condurre quella letale danza.

Schivava agilmente la magica punta dello scettro, parava la lama di metallo,  attaccava senza sosta e presto riuscì a ferire di nuovo la strega, procurandole un lungo taglio sulla coscia, che cominciò a sanguinare copiosamente. Jadis urlò dal dolore e dalla rabbia, piegandosi in due e facendo cadere la spada a terra.

“Sei finita, arrenditi”

Peter ansimava. Era stanco, il duello lo stava stremando, ma cercava di non darlo a vedere. Doveva far credere alla strega di essere ancora in forma, in grado di sostenere un secondo round se si fosse rialzata. Doveva darle l’impressione di essere nettamente in svantaggio, non doveva neanche immaginare che la ferita al fianco da lei fornitagli gli stava bruciando come se fosse in fiamme e che a ogni colpo dato e ricevuto gli si annebbiava la vista.

Jadis alzò il capo con gli occhi di ghiaccio venati di rosso che lanciavano saette.

“Non è finita fin quando non lo dico io” ringhiò tra i denti.

Si alzò di scatto, attingendo la forza da una fonte sconosciuta data la grave ferita riportata, strinse lo scettro nella mano sinistra e si voltò trascinandosi la gamba sanguinante.

Peter rimase impietrito al suo posto, osservando allibito l’avversaria scappare via.

Ma Jadis non scappava. Mai. Se voleva una cosa faceva di tutto per ottenerla. Percorrendo ogni via possibile.

Fu con una stretta allo stomaco che Peter scorse suo fratello minore nella traiettoria della strega e si rese conto delle reali intenzioni della donna. Jadis non stava scappando da lui rinunciando all’idea di eliminarlo. La strega stava correndo via cercando un’altra via per distruggerlo. Una via più semplice dello scontro diretto. Una via più infame che avrebbe colpito il ragazzo al cuore.

Le gambe del giovane erano già scattate in avanti mentre un “no” soffocato gli usciva a forza dalle labbra. Non c’era tempo per avvertire Edmund, doveva deviare il colpo lui stesso, doveva assolutamente riuscirci o per suo fratello sarebbe stata la fine.

Jadis mulinò in aria lo scettro preparando il colpo in direzione di un ignaro Edmund, poco distante. Peter accelerò la corsa, il cuore in gola, il fianco che gli procura fitte dolorose. La strega avrebbe trasformato il minore dei ragazzi Pevensie in una statua di ghiaccio senza che nemmeno se ne accorgesse.

Il braccio non ferito di Jadis si abbassò pronto a colpire, lo scettro carico di energia.

Poi un urlo agghiacciante serpeggiò per il campo di battaglia e la punta di cristallo dello scettro magico penetrò nella spalla di Peter.

Gli astanti si bloccarono. Chi a metà colpo, chi incrociando lo spade o le asce. Tutti si fermarono storditi da quell’inaspettata quanto cruenta visione.

Persino Jadis rimase per un attimo impietrita nel vedere la schiena del giovane inaspettatamente infilzata dal suo scettro. L’attacco diretto ad Edmund era fallito, ma in compenso aveva ferito gravemente il Re Supremo, rendendolo incapace di combattere ancora.

Con un sorriso sadico, pari ad un ghigno crudele, sfilò piano la punta di cristallo dalla spalla del re. Peter urlò di nuovo e la strega si riempì le orecchie di quel dolce suono. Il suono della sua vendetta.

La ferita gli aveva come minimo tranciato i legamenti del trapezio ed era già un miracolo che non l’avesse trapassato colpendo i polmoni. Jadis dubitava profondamente che il re sarebbe mai stato più in grado di riprendere a pieno l’uso del braccio destro, anche se avesse deciso di risparmiarlo.

Il sangue caldo colava più che copiosamente dal buco sulla spalla, imbrattando tutta la veste di Peter di un rosso vivo e macabro.

Il re faticava a respirare, il dolore era troppo persino per quel semplice movimento. Non riusciva a piangere per sfogarsi e la vista incominciava a farsi annebbiata. Le sagome dinanzi a lui si facevano sempre più sfocate. La testa gli pulsava come se qualcuno gliela stesse colpendo ripetutamente, avrebbe voluto urlare ancora per manifestare il dolore straziante che stava provando, ma la bocca si riempì presto di un liquido denso e dal sapore ferroso. Si ritrovò carponi a sputare sangue.

Jadis storse il naso contrariata. Con il flusso ematico che stava perdendo dalla ferita e quello che stava rigurgitando, Peter sarebbe presto morto dissanguato. Questo non poteva permetterlo. Sarebbe stata una morte troppo rapida e inutile. Per ora il ragazzo gli serviva vivo.

Puntò lo scettro sulla schiena del giovane e un fascio di luce bianca centrò la ferita, bloccando l’emorragia e disinfettandola. Non la richiuse né attenuò il dolore, ma quanto meno non si sarebbe infettata né avrebbe prosciugato il giovane, permettendogli di sopravvivere.

Momentaneamente. Pensò ghignando.

Nel silenzio più assoluto, Jadis, con passo lento e aggraziato, circumnavigò il ragazzo, che si teneva il braccio con la mano sinistra, piegato in due per terra, fino ad essere dritta dinanzi a lui.

Con la punta della scettro gli alzò il mento e si accostò ad esso inchinandosi di poco. Il viso del giovane re era pallido, sofferente. Gli occhi azzurri erano dilatati e più sporgenti del normale, brillavano come in preda alla febbre. Ansimava e stava sudando freddo mentre cercava con tutte le sue forze di non perdere i sensi.

Diamine se fa male!

Un sorriso crudele piegò all’insù un angolo della bocca di Jadis. Lo sguardo traboccava trionfo e soddisfazione.

“Ora, è finita” bisbigliò sibillina, con tono basso affinché solo il maggiore dei Pevensie sentisse.

Peter avvertì un nuovo dolore, che nulla aveva a che fare con la ferita. Un dolore sordo proveniente dal cuore. Le parole della strega lo avevano ferito più del suo scettro. Era vero, purtroppo sapeva che la frase di Jadis era dannatamente vera. Era finita. E non a suo vantaggio.

Aveva fallito.

“Popolo di Narnia, il vostro re è stato sconfitto” declamò con voce forte e chiara la Strega Bianca, senza staccare però gli occhi da quelli di Peter. “Avete due possibilità, gettare le armi e arrendervi oppure…”

“Non sottostaremo mai ad una strega!”

Un grido più disperato che aggressivo anticipò la carica di un coraggioso nano. Sollevò l’ascia e puntò dritto verso Jadis, tra lo stupore generale.

Peter chiuse gli occhi. Non voleva assistere alla triste sorte che aspettava quel folle eroe senza speranze. Stava soffrendo abbastanza. Gli bastò udire uno sfrigolio per comprendere che uno dei suoi soldati era appena stato tramutato in una statua di ghiaccio.

“…morire” riprese il discorso Jadis, minimamente disturbata da quella breve interruzione. Anzi, pareva quasi contenta di aver avuto occasione di fornire una prova pratica per la sua minaccia.

Clangore, rumore di metallo che cade a terra. Gli uomini dei Pevensie stavano abbassando le armi. Si erano arresi.

E cos’altro avrebbero potuto fare? Si domandò Peter.

Non poteva biasimarli. La maggior parte di loro aveva una moglie, dei figli, o comunque una vita davanti. Una vita che poteva promettere un riscatto nel futuro, una soluzione, se non fosse stata prematuramente stroncata. Opporsi ora era un suicidio. Si sarebbe interpretato il ruolo dell’eroe integro e perfetto, ma a cosa sarebbe servito se non ad aumentare la lista dei crimini della strega?

“Puoi aver vinto questa battaglia…” Peter fu costretto a fermarsi per sputare un altro grumo di sangue. Il solo gesto di parlare gli faceva impiegare ogni sua energia residua, ma non poteva tacere e rendere completa la vittoria di Jadis. “puoi anche uccidere me…” una fitta alla spalla più forte delle precedenti gli mozzò il respiro, ma si sforzò di proseguire “ma non sconfiggerai mai lo spirito di questo popolo, la sua voglia di libertà. Il tuo regno è destinato a fallire nuovamente” concluse, con tono basso e sofferto, ma non per questo la predizione arrivò meno minacciosa alle orecchie della regina.

Jadis istintivamente a quelle parole digrignò i denti, irata, ma si ricompose subito. Non gli avrebbe dato la soddisfazione di vedere che la sua frase l’aveva turbata.

“Non do credito alle parole di un condannato a morte. Però ti posso promettere che in confronto a ciò che ti aspetta essa ti parrà quasi una liberazione” scandì glaciale, godendosi il brivido che vide chiaramente scuotere il ragazzo.

“Da questo momento in poi, Narnia è di nuovo mia.” Urlò trionfante, alzando in segno di vittoria lo scettro con la punta di cristallo.

“Onore e gloria alla legittima regina Jadis” il coro del suo esercito seguì la frase della strega immediatamente, riempiendo il campo di battaglia

Fiocchi di neve incominciarono a cadere lenti dal cielo, attecchendo subito al terreno, mentre la temperatura si abbassava rapidamente. L’atmosfera stessa sembrava acclamare la Strega Bianca.

Una lacrima infine riuscì a rigare la guancia di re Peter. Una solo lacrima, di frustrazione, di impotenza, di rabbia. E di immensa desolazione e tristezza.

Non aveva salvato il suo regno. Non avrebbe mai più riabbracciato Cathrine. Aveva perso ed ora tutto il popolo ne avrebbe subito le conseguenze. Per un suo errore Narnia sarebbe tornata sotto il giogo della schiavitù. Aveva fallito.

Jadis era definitivamente tornata.

 

*

 

La schiena era indolenzita, il collo tutto in criccato, come ogni singolo osso appartenente al mio corpo. Decisamente non dovevo aver dormito nella posizione più comoda universalmente riconosciuta.

Con gli occhi ancora chiusi, cercai di allungare braccia e gambe per sgranchirmi mentre mi tornava alla mente che non mi ero recata nel letto la sera scorsa. Dovevo essermi assopita sul davanzale, ecco perché i miei muscoli protestavano.

Appunto mentale, non sostituire mai più il letto con il divanetto. Nuoce alla salute.

Sgranchii anche il collo e poi aprii lentamente gli occhi. Per poi richiuderli subito e stropicciarli. Forse stavo ancora dormendo. Decisamente si, perché quello che avevo scorto dalla finestra era un sogno.

Rialzai una palpebra alla volta e guardai aldilà del vetro. Un sorriso esplose sul mio volto. No, quello che avevo visto era una splendida realtà, non un effimero sogno.

Gli alberi del cortile del palazzo si stavano muovendo! Aggraziati, alzavano ed abbassavano i loro rami a ritmo di una misteriosa danza solo a loro nota, mentre petali di fiori volavano in scie tra loro, prendendo di tanto in tanto forme curiose e particolari.

Si erano risvegliati. Narnia si era ridestata. Era tornata a vivere.

Una risata gioiosa mi uscì spontanea dalle labbra. In preda ad una felicità febbrile mi precipitai verso l’armadio e scelsi il primo abito che mi capitò sotto mano. Dovevo andare da mia madre e condividere con lei questa gioia.

Infilai veloce il semplice vestito azzurro con le maniche lunghe, adatte al freddo che da qualche giorno regnava nel palazzo, e corsi fuori dalla mia stanza.

Percorsi rapida il lungo corridoio candido e scesi le scale a due a due reggendomi al corrimano. Giunsi alla sala del trono con il fiatone, ma con l’allegria intatta.

Jadis era presente, regalmente seduta sul suo trono di ghiaccio stava impartendo alcuni ordini ad un fauno.

Aspettai pazientemente che il suddito si allontanasse, poi mi avvicinai a lei.

“Mamma” esordii per salutarla.

Jadis, pur sorpresa, non tardò a sorridermi.

“Mia piccola Nives, ben svegliata”

L’abbracciai di slancio, incapace di contenere la mia felicità con la quale contagiai Jadis che scoppiò a ridere in uno scampanellio limpido.

“Mamma, gli alberi si stanno muovendo, danzano!” dissi d’un fiato.

La regina mi scompigliò i capelli affettuosa.

“Lo so bimba mia, è splendido”

Sciolsi l’abbraccio, troppo presa dalla frenesia per restare ferma in un’azione.

“Ma com’è successo? Ieri sera erano ancora addormentati e stamattina invece si sono destati!”

Il sorriso di Jadis si allargò. Si sistemò dritta sul trono e mi invitò ad avvicinarmi. Non esitai a prendere posto inginocchiandomi vicino al suo seggio regale, sostenendomi al bracciolo.

“Dunque?” la incitai, vedendo che esitava a chiarirsi.

Jadis mi accarezzò una guancia. “Miraz è stato sconfitto…”

“Sul serio?” la interruppi presa alla sprovvista. Tutto immaginavo meno quello. Telmar sconfitta?

Da quello che avevo capito la priorità di mia madre era di sconfiggere i Pevensie e riappropriarsi della corona, solo dopo si sarebbe occupata dei telmarini. Evidentemente aveva cambiato progetti.

“Ma com’è successo? In così poco tempo? L’esercito di Peter non ci è riuscito in secoli” osservai stupita e ammirata. Possibile che in una sola notte avessero espugnato la fortezza?

La curva delle labbra si indurì all’improvviso, il tono si velò di leggera indignazione. “Io non sono Peter. A differenza di lui, io so difendere il mio regno”.

Rimasi un secondo interdetta. La mia non era un’offesa, non c’era alcun motivo di reagire a quel modo.

Per uscire dall’imbarazzo del momentaneo silenzio però decisi di riportare la discussione sul punto più importante.

“Quindi Miraz è stato annientato” commentai, accennando un sorriso.

L’espressione di mia madre tornò soddisfatta e contenta, con mio sollievo.

“Per questo Narnia si è risvegliata?” domandai per sicurezza.

La serenità di Jadis vacillò nuovamente.

“Per questo e perché gli Usurpatori sono stati esiliati” ammise in un mormorio.

Impiegai qualche minuto per assorbire quell’informazione. Potevo quasi sentire i miei pensieri vorticare furiosi nella mia testa nel tentativo di mettersi in ordine, di chiarirsi.

Gli Usurpatori sono stati esiliati.

Gli Usurpatori. I Pevensie. Peter, Susan, Edmund, Lucy.

Sono stati sconfitti. Si è svolta una battaglia e loro hanno perso.

Sono stati esiliati. Rispediti a Londra.

Per sempre.

Peter è stato definitivamente allontanato da me.

Aprii e chiusi la bocca senza emettere suono. Deglutii nervosa e cercai di incanalare aria, anche se sembrava non essercene più nella stanza. Lo stomaco mi si contrasse e mia madre sparì dal mio campo visivo. Al suo posto vedevo solo un viso dai tratti angelici incorniciato da dei capelli biondi. Un viso che si faceva sempre più lontano. Irraggiungibile.

Cercai di riscuotermi. Ero una stupida a reagire così. Sapevo sarebbe accaduto presto o tardi. Ma apprendere che era successo così presto senza che nessuno si degnasse di avvertirmi era un colpo duro.

“Ma quando è successo? Come hai fatto a sconfiggere sia Telmar che i Pevensie in un solo giorno? Non è possibile!” riuscii infine ad obiettare in un sussurrò strozzato.

Forse avevo capito male. Sapevo che era impossibile ma decisi di crearmi quella piccola illusione a cui aggrapparmi.

“Telmar non si è rivelata particolarmente impegnativa. L’esercito non è quasi servito. Ho avuto tutto il tempo per combattere contro i quattro Usurpatori” spiegò osservando attentamente ogni mia reazione.

Lo stomaco si contrasse di nuovo. I polmoni cominciarono a bruciare. Mi costrinsi a concentrarmi sulla respirazione. Non potevo svenire per mancanza d’aria in una conversazione tanto cruciale. Specie se dovevo trovare la forza di porre un’ultima domanda. Quella più importante. Quella della quale già sapevo la risposta ma che dovevo assolutamente sentirla pronunciare chiara da Jadis. Come se udendola fosse apparsa ancora più tangibile, privandomi anche della più falsa e piccola speranza e permettendomi così di affrontare la realtà e provare ad andare avanti.

“E loro adesso dove sono?”

Le mie parole erano quasi impercettibili, ma Jadis riuscì ad afferrarle.

La risposta arrivo veloce, senza tentennamenti inutili.

“Hanno attraversato il varco poco dopo la battaglia”

Un pugnale mi avrebbe fatto meno male. Il volto di Peter sparì definitivamente dalla mia vista, risucchiato da una parete fatta d’acqua. Il mio sguardo si fece vacuo, le labbra tremavano appena mentre la mente vagava alla deriva. Squarci di ricordi, conversazioni, immagini confuse si mescolarono tra loro in un turbine sempre più veloce finché non mi riscossi dall’apatia sostituendola con l’indignazione.

“Perché non sei venuta a chiamarmi? Avrei voluto essere presente, salutarli e vederli un’ultima volta! Perché me lo hai impedito?! Li hai esiliati senza dirmelo e peggio ancora hai iniziato la guerra senza farne cenno alcuno!” la voce non era alta, ma la rabbia che cresceva si percepì alla perfezione nelle mie parole misurate.

Jadis cercò di accarezzarmi ma glielo impedii distanziandomi. Volevo prima una spiegazione, anche se mi ferì vedere il suo sguardo addolorato al mio rifiuto.

“Te lo avevo detto ieri sera che era inutile aspettare oltre”

Emisi un respiro strozzato. “Appunto, hai detto che non avremmo aspettato, non che avesti attaccato immediatamente. C’è una bella differenza. Per non avremmo aspettato io intendevo che la battaglia si sarebbe svolta entro la settimana, non entro qualche ora!” sbottai. “E poi perché una volta finita la guerra non sei venuta a chiamarmi? Era mio diritto dirgli addio” l’amarezza fuoriusciva a fiotti dalle mie parole.

“Non lo hanno voluto loro” si giustificò.

Mi alzai indietreggiando, come colpita da uno schiaffo.

“Erano amareggiati e umiliati per la sconfitta, volevano solo andarsene il più velocemente possibile.” Proseguì “E poi…” il suo tono di voce si fece basso, timoroso di continuare. Sospirò prima di trovare la giusta forza. “…temo ti ritenessero complice della loro sconfitta.” Ammise.

Traditrice.

Me lo ero aspettato. Mi ero già accusata da sola di esserlo dopotutto, quindi i Pevensie non avevano tutti i torti ad etichettarmi così. Ma il saperlo non diminuiva il dolore che sentivo propagarsi dal cuore verso ogni cellula del mio essere.

Le braccia di Jadis mi circondarono, e solo una minima parte di me registrò che alzandosi la regina aveva zoppicato. Probabilmente si era ferita durante la battaglia. L’altra parte era troppo impegnata a metabolizzare. La separazione tanto temuta era infine accaduta. Ma non potevo soffermarmi su quell’aspetto o presto sarei impazzita dal dolore. Dovevo pensare alle conseguenze positive di questo fatto, le conseguenze per le quali Jadis aveva lottato.

Mia madre era tornata a ricoprire il ruolo che le apparteneva e Narnia era tornata a risplendere. Ben pensandoci l’ultimo esito poteva essere visto anche come la realizzazione dei desideri di Peter. Il giovane aveva lottato strenuamente per riportare il paese nel suo stato glorioso, vedere quindi gli alberi tornare a danzare lo avrebbe di certo riempito di gioia.

Lotterò affinché Narnia mantenga per sempre questo stato Peter, te lo prometto.

Glielo dovevo, era il minimo che potevo fare. E fu proprio questa consapevolezza che riuscì a impedirmi di scoppiare a piangere e cadere nell’apatia più totale. Dovevo restare attiva e adoperarmi per proteggere il regno tanto amato dal ragazzo.

Te lo giuro.

 

*

 

I denti battevano incontrollabili, le labbra tremavano. Come le mani, le gambe, il busto ed ogni altra parte del suo corpo.

Colpa del freddo. Del pungente freddo che lì regnava sovrano.

Un brivido più violento degli altri la scosse e leste due braccia la avvolsero. Calde, morbide, accoglienti. Amorevoli.

“Posso fare qualcosa?” il tono di Caspian era affranto, tormentato dall’impossibilità di essere d’aiuto alla persona che amava. Alla ragazza dolce e fragile che tremava come una foglia nel suo abbraccio senza che lui potesse fare niente per impedirlo.

Susan cercò di abbozzare un sorriso per tranquillizzarlo. Lui stava soffrendo il freddo almeno quanto lei, eppure si metteva in secondo piano per preoccuparsi della giovane.

Il mio Caspian…

“Cont…continua ad abbracc…ciarmi, la tua sol…a  pr…presenza mi riscal…da” riuscì a pronunciare cercando di soffocare i brividi, mentre si rannicchiava contro il suo petto.

Il ragazzo obbedì e aumentò la stretta in cui la teneva, iniziando a strofinarle le braccia con le sue mani, in un blando tentativo di riscaldarla.

Stava davvero male, lo vedeva ad occhio.

Molto peggio di me.

Era preda di forti scossoni e colpi di tosse, la sua temperatura corporea era pari a quella di un cubetto di ghiaccio. Per non parlare del colorito, in confronto alle sue guancie la neve poteva essere considerata rossa. E le sue belle labbra piene, paragonabili solitamente a due ciliegie, vertevano verso un preoccupante viola

Ma la colpa, più che al freddo, era da attribuirsi alla grave ferita riportata in battaglia che l’aveva resa più debole del normale. Un taglio profondo le attraversava tutta la coscia e la quantità di sangue persa era tale da rendere un mancato svenimento un vero e proprio miracolo. Anzi, forse proprio la bassa temperatura aveva aiutato ad attenuare il dolore. Più un piccolo aiuto da parte di Jadis la quale aveva bloccato l’emorragia.

Non certo per bontà d’animo. Pensò amaro il principe di Telmar, ricordando con odio quando la Strega Bianca, dopo aver sconfitto e umiliato Peter, aveva ordinato l’arresto dei Pevensie e suo, radunandoli sopra un cocchio e fermando le perdite di sangue più gravi “per tenerli momentaneamente in vita”, come li aveva informati con un sadico sorriso sulle labbra.

Ovvio, se fossimo morti in battaglia non avrebbe più avuto nessuno da rinchiudere nelle prigioni. Commentò tra sé e sé acido, mentre rivedeva con chiarezza se stesso sbattuto in malo modo dentro quella piccola e ghiacciata cella, seguito a ruota da Susan, gettata a terra senza alcun riguardo nonostante la ferita alla gamba. Entrambi erano stati poi ammanettati alla caviglia, mentre Edmund e Lucy subivano lo stesso trattamento nella cella comunicante con la loro tramite il varco che si apriva nella parete di ghiaccio in comune. Peter invece era stato rinchiuso solo in una cella isolata dalla loro e non lo avevano più rivisto da dopo la cattura.

“Mi disp…piace tanto” balbettò Susan, alzando un poco il capo dal petto di Caspian per incrociare il suo sguardo confuso.

“Per cosa?”

“Per aver…ti coi…coinvolto in questa disp…puta. Non c’entravi, non avr…resti dovuto comba…batttere con noi” si spiegò affranta.

Il principe sbuffò intenerito. Sollevò il mento della ragazza con il dito indice avvicinandolo al suo viso per catturare tutta la sua attenzione.

“Nessuno mi ha obbligato a farlo, è stata una mia scelta. E poi, a differenza di quello che credi, la questione riguardava anche me.” Susan corrugò la fronte e Caspian le fornì la spiegazione con un dolce sorriso “Riguardava te, ed ogni cosa che riguarda te riguarda immediatamente anche me. Specie se c’è di mezzo la tua vita”

Parole vere e cristalline come i suoi occhi. Quei due pozzi scuri a cui Susan si stava aggrappando per non scivolare nella desolazione. Quei due pozzi scuri quanto profondi e sinceri che le stavano donando il calore di cui aveva bisogno per non soccombere, il sostegno per non perdersi nel baratro della disperazione, la speranza per non arrendersi ad un futuro che sapeva di morte. L’amore per darle qualcosa per cui lottare finché ne avesse avuto le forze e anche dopo poiché la sua fonte di energia era proprio lui. Il ragazzo che teneramente la stava stringendo riscaldandola e confortandola. Il ragazzo che prima di occuparsi della propria precaria condizione fisica si informava e impensieriva per la sua. Il ragazzo che amava e che, pur sentendosi angosciata, addolorata e colpevole per la sua cattura, era egoisticamente felice fosse lì con lei con le sue promesse di sostegno e comprensione.

“Ti..ti amo, lo sai v..vero?” riuscì a pronunciare con un trasporto che poche volte il principe le aveva scorto nello sguardo.

Le labbra del giovane si piegarono in un sorriso. “Lo so” confermò ad un soffio dalla sua bocca prima di eliminare del tutto la residua distanza e donarle un bacio che sapeva di passione, dolcezza, ansia per il futuro ma desiderio di continuare a lottare.

Susan si aggrappò alla camicia di lui per allungarsi e ricambiare il bacio, godendo della morbidezza delle labbra piene di Caspian che posate sulle sue fermavano persino i tremori del freddo, del calore che dalle guancie si diramava in tutto il corpo e del languore che lento e piacevole le saliva al cuore partendo dal ventre.

La mano della regina dalla camicia risalì lungo il petto del giovane, fino a posargli sulla guancia un’ultima delicata carezza con la quale fece finire il bacio.

Con il battito accelerato, Caspian le prese il volto tra le mani e parlò con foga improvvisa.

“Susan, ti prometto che usciremo da qui. Non so come, ma un modo lo troveremo” affermò solenne. Non avrebbe permesso che la vita della persona per lui più importante al mondo si spegnesse in quella cella di ghiaccio.

La ragazza riuscì finalmente a sorridergli mesta. Mise una sua mano sopra quella che il giovane aveva sulla sua guancia e parlò con una ritrovata calma.

“L’unica n…ostra speranza di sal…vez…za è Cathrine. Deve ap…rire gli occhi dinanzi alla r…realtà su sua madre e deve r…rendersi conto delle sue cap…pacità e pos…sibilità.” Osservò, pragmatica come sempre anche in una situazione tanto critica.

Caspian si rallegrò nel vedere che nonostante la temperatura e le ferite Susan rimaneva fedele a se stessa e lucida. Era un buon segno.

“Cathrine è buona. E per quanto Jadis possa essere una brava attrice, Cate si accorgerà presto che la madre non condivide la sua indole altruista. Ho fiducia in lei.” Il ragazzo cercò di infondere a Susan una speranza per il futuro.

Susan condivise il suo pensiero annuendo. Poi si accoccolò di nuovo al suo petto che le trasmetteva il suono rassicurante e ritmico del suo cuore innamorato. Le braccia di Caspian ripresero a cercare di riscaldarla quasi in automatico.

Poco dopo, con il capo di Caspian chino sul suo e cullata dal suo respiro, Susan riuscì ad addormentarsi con la meravigliosa sensazione si essere protetta persino in una situazione tanto critica.

Il giovane invece rimase sveglio, per custodire il sonno dell’amata e contemplarla angelicamente assopita, con le labbra simili ad un bocciolo nonostante il colore e la fronte liscia, priva di preoccupazioni.

Cathrine doveva assolutamente accettare la verità. E doveva farlo al più presto. Ne andava del futuro di Narnia, di Telmar, del suo, di Edmund, di Lucy e di Peter.

E quello della mia Susan.

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Capitolo 18
*** 17_Apri gli occhi mia stella ***


cappy17

Ciao a tutti! Incredibile ma vero, sono riuscita a finire questo diciasettesimo cappy! Avrò riscritto la parte centrale nn so quante volte prima di trovare il risultato quanto meno accettabile, ora mi rimetto al vostro giudizio :-)! Dopo tanta tristezza e addii, qui si ritrova finalmente una nota di speranza con una breve apparizione a sorpresa verso la fine, forse qualcuno di voi già sospetta di cosa si tratta....^^ non aggiungo altro e vi lascio alla lettura dopo che ci ho messo una vita ad aggiornare! Spero di essere riuscita a scrivere il cappy bene e a spiegare con chiarezza le emozioni dei vari personaggi perchè ho avuto un po' di problemi nell'esporle, le descrizioni nn riuscivano a sembrarmi realistiche, mi auguro che alla fine ce l'abbia fatta ma lascio ai posteri l'ardua sentenza hihihi^^
Finalmente sn anche riuscita a fare una copertina di questa fan fiction, mi sono messa di impegno con photoshop^^ Per il personaggio di Cathrine ho scelto la cantante Taylor Swift dopo averle opportunamente cambiato il colore dei capelli da biondo a rosso^^, per interpretare la nostra giovane principessa strega mi è sembrato il volto più adatto, voi cosa ne pensate? 

Ditemi cosa ne pensate e buona lettura!

Ringraziamenti:

ranyare: ciao carissima^^! Grazie mille, davvero ** per tutti i complimenti che mi hai fatto e per avermi aggiunta tra gli autori preferiti, nn sai quanto il tuo apprezzamento mi abbia resa felice :-) grazieeeeeeeeeeeeeeee**!!!!!!! <3! Sorry se con Peter ti ho fatto preoc, stava male anche io mentre lo scrivevo, vederlo così stringe il cuore, però mantengo la promessa per la fine lieta, nn me la rimangio, e già in questo cappy si vedrà la salita :-) Credo di aver fatto soffrire quel pover uomo abbastanza da farmi odiare, si merita un po' di pace! Mi devo cospargere il capo di cenere, nn ho + commentato la tua storia, scusami!!! Nn sn praticamente entrata in efp in questi ultimi tempi per + di due secondi alla volta, (i test di ingresso nn mi hanno lasciata molta scelta) ma adesso che il cappy 17 è scritto posso impiegare il tempo anche a leggere e mi impegno a rimediare alla mia mancanza!! Scusami, davvero! Grazie ancora per tutte le bellissime frasi che mi hai scritto!! Aspetto il tuo commento su questo cappy e spero che nn ti deludi!! Un bacione grandissimoooooo^^!

SweetSmile: Ciao! Grazie per la tua recensione^^! Tranquilla, la gioia della strega nn sarà di lunga durata, anzi si addensano nubi all'orizzonte per lei, i nostri beniamini torneranno alla ribalta! Spero che qst cappy ti piaccia :-) fammi sapere cosa ne pensi^^! Kisskisses^^!!!!!

noemi_moony: Ciao cara^^! Sono contentissima che apprezzi così tanto il mio modo di scrivere, grazie grazie :-)! Ti confiderò che riuscire a scrivere un libro è il mio sogno nel cassetto, temo però che la realizzazione sia ancora lontana, devo migliore ancora parecchioecchioecchio...! Però magari un giorno se sarò diventata molto più brava ci proverò seriamente, comunque grazie di cuore, sentir dire che potrei riuscirci è davvero bello ^^! Per quanto riguarda Cathy, il titolo del cappy dovrebbe già dare un indizio, questo è finalmente il cappy di svolta e dopo tutto quello che è successo ai poveri Pevensie direi che era giunta l'ora! Lo ho fatti penare sin troppo, specie Peter, poveretti! Nn vedo l'ora di leggere il tuo parere su questo capitolo :-) buona lettura^^ un bacio grande grande!

sweetophelia: Ciao carissima! Ho letto tutte e tre le recensione e ti devo un super grazie per aver speso il tuo tempo a scriverle, nn sai quanto lo apprezzi grazie mille!!!!!!!!!!! I Pevensie se la stanno davvero passando brutta, ma la svolta è vicina, Cathrine nn può restare nella bambagia per sempre per fortuna e finalmente si darà una svegliata! Hai tutta la mia autorizzazione ad uccidere Jadis, se lo merita dopo tutto quello che ha fatto, e che farà perchè la cara strega non ha ancora finito il suo ruolo...! Per fortuna però i Pevensie, Caspian e Cate hanno un grande alleato che come hai giustamente sottolineato tu nn ha ancora fatto la sua comparsa ma nn si farà attendere oltre, promesso^^! Come ho già detto questo è un cappy di svolta, e dopo che è successo di tutto ai nostri poveri eroi direi che era giunto il momento che la fortuna girasse anche per loro! Grazie per avermi segnalato l'errore di grammatica :-) ho fatto una svista colossale, sorry ^' in teoria il correttore ce l'ha però temo di nn aver corretto l'errore pensando di farlo in un secondo momento e poi mi sono dimenticata! Spero che il capitolo ti piaccia :-) aspetto la tua recensione e le tue opinioni^^ un grandissimo bacio**!

DreamWandered: Ben tornata carissimaaa^^! Sono felicissima che tu sia tornata a leggere e commentare la mia fan fiction, grazie^^! E grazie infinite anche per la super recensione che mi hai scritto, avrai speso tantissimo tempo e nn so come poterti dire che lo apprezzo davvero tanto se nn dicendoti: GRAZIEEEE^^!!! Dunque, andando per ordine come hai diligentemente fatto tu :-):
"Frammenti di una vita": sono contenta che il modo in cui descrivo la magia ti piaccia, se nn appare un miracolo caduto dal cielo vuol dire che sono riuscita nel mio intento^^ volevo dar l'idea che fosse un'arte che si può sapientemente utilizzare, che Cathy riesce a gestire in quanto fa parte di lei e soprattutto far capire come si riesce a gestirla^^. Purtroppo Cathy nn avverto il pericolo di Jadis praticamente finché nn prova in prima persona fin dove può spingersi la strega, cosa che crea nn pochi problemi ai nostri eroi, Peter in primis. Sono contenta che ti stia affezionando alla cara coppietta :-) è la prima volta che parla della nascita di un amore e sono felice di sapere che i due protagonisti siano riusciti e piacciano^^! 
"Tra il passato e il futuro c'è l'amore": sono lietache gli intervalli simpatici sia con il vestito che con il cavallo siano riusciti nel loro intento, quello di divertire! Appena ci sarà un'altra occasione cercherò di farne degli altri, promesso :-)! La parte del litigio tra Peter e Cathy l'avrò scritta e riscritta e sapere che alla fine sono riuscita a far capire tutte le opinioni e le emozioni della ragazza mi fa sentire sollevata^^ temo sempre che paiano troppo irrealistiche o che siano poco chiare, meno male che questa volta nn è successo^^! Il pezzo dove si dichiarano e poi fluttuano nell'aria è il mio preferito, l'avevo immaginato sin dal primo capitolo e mettere su carta e condividere quello che avevo fantasticato è stata davvero bello e realizzante, specie se sono riuscita a regalare cinque minuti piacevoli a chi lo ha letto :-) quindi sono felice che il momento romantico tra i due ragazzi ti sia paiciuto^^! Effettivamente quella di far parlare Cathy con Edmund era un'ottima idea, devo ammettere di nn aver preso in considerazione che Edmund è l'unico tra tutti ad essere stato manipolato dal finto lato dolce di Jadis, però terrò in considerazione questa idea per i cappy futuri molto prossimi, grazie^^
"La magia del tramonto prima della battaglia": abbattere il raziocinio di Susan è stata dura, il povero Caspian ne sa qualcosa hihi^^ però alla fine anche lei si è dovuta arrendere all'amore :-) complice il romantico tramonto che sono contenta di sapere che sia piaciuto così tanto nonostante effettivamente nn brillasse per originalità :-)! Cathrine ha dichiarato guerra aperta ad ogni abito medioevale credo ormai hihi! Però ho immaginato che qualasiasi ragazza del 2000 abituata ad infilarsi un paio di comodi e pratici jeans e una maglietta alle prese con corsetti e nastri si sarebbe trovata in serie difficoltà, io per prima che ho problemi già con le stringhe delle scarpe tra un po' hihi! In più ho pensato che come scena spezzasse la tensione del momento ;) Felicissima di sapere le emozioni che suscita Peter :-) per me lui è l'immagine del mio ragazzo ideale, bello, dolce, intelligente, comprensivo e con un viso d'angelo, ahhhh, cosa si può chiedere di +? (che sia reale effettivamente....però vabbé, sognare nn fa male hihi!)
"Casa mia": rimanendo fedele alla sua prontezza di spirito, Cathy nn poteva che rispondere a tono a Miraz^^ specie se pensa a che razza di crudele tiranno a di fronte! Nn mi sarebbe dispiaciuto scrivere che fosse Peter a salvarla, il bel cavaliere che salva la sua dama era molto romantico come fatto, però ho pensato che Jadis avrebbe potuto raggiungere e avvicinare Cathy con successo solo se fosse stata lontana da Peter e quella era l'unica occasione in cui il re biondo era abbastnaza distante da nn poter metter eil bastone tra le ruote alla strega. Cmq per rispondere ad una tua precedente domanda, Jadis al momento è rinchiusa in un limbo, privata del suo corpo e incapace di uscire da lì solo con le sue forze, ma nel corso dei secoli ha riacquisito abbastanza energia per poter almeno comunicare tra i due mondi e intervenire con leggeri incantesimi, come connettersi con la metne di Cathy per farle vedere i suoi ricordi o guidarla con le sfere :-) spero di aver chiarito il giusto interrogativo^^ grazie mille per i complimenti sullo stile e sulla costruzione della storia^^ nn sai quanto mi faccia piacere sapere che la storia è strutturata in modo da risultare comprensibile e piacevole, ho sempre il timore di dilungarmi troppo o troppo poco e nn esprimere quello che vorrei, quindi grazie :-)!!
"Nives": la scena della liberazione era un'altra scena che avevo immaginato sin dall'inizio della creazione della storia. Quando nel film alla fine nn era stata liberata ci ero rimasta male. Cioè, ero contenta che nn fosse accaduto nulla di irreparabile ai nostri eroi, però mi dispiaceva che un personaggio di grande importanza come la crudele Strega Bianca facesse solo un'apparizione rapida e anche ingloriosa, mi sembrava indegno! I sentimenti di Cathy invece si sono formati mentre scrivevo, quindi sn contenta che il risultato finale sia venuto bene^^ ti ringrazio ancora per tutti i tuoi complimenti, sei troppo buona^^! La scena dove il grande felino farà la sua comparsa è vicina e spero che nn ti deluda! La frase "il sole tramonta ancora" è mia, nn conosco la canzone che mi hai citato però credo che andrò a sentirla perchè mi hai incuriosito^^ .
"Un addio sofferto per una meschina menzogna": sono contenta che l'inizio ti sia piaciuto, ero un po' titubante a partire da così da lontano ma per fortuna è andata bene^^ la cerimonia si è infine dimostrata per quello che è, un raggiro da parte di Jadis, però anche qui nn è detta l'ultima parola...quella cerimonia riserverà ancora sorprese ^^ Peter purtroppo aveva iniziato bene però poi si è lasciato prendere la mano, ma come biasimarlo dopotutto? L'addio ha lasciato l'amaro in bocca anche a me, però presto si porrà rimedio anche perchè vederli separati mi fa stare troppo male!!! Sono più felice mentre scrivo di quando sono insieme da brava inguaribile romantica! Sono comunque onorata del fatto che la scena della loro separazione abbia colpito tanto :-) glasieee!
"Un cuore di ghiaccio non batte per nessuno": grazie per aver messo l'accento sulla poesia, sei l'unica che l'ha apprezzata!! La scena dl dialogo tra i due sovrani mi sembrava un appropriato proemio alla battaglia e sono contenta che sia paiciuta^^ così come la scena della battaglia :-) nn scrivo molte scene dinamiche, ce ne saranno due o tre in tutta la storia finora perchè temo sempre di non essere capace però vedere che invece vengono apprezzate mi solleva^^ forse per il futuro posso slanciarmi di più su scene simili allora^^!!!!! Fai bene ad essere sospettosa riguarda al bel giardino, gatta ci cova ma presto ogni segreto verrà svelato^^  
Come potrei mai annoiarmi a leggere una tua recensione? Sei semplicemente fantastica e nn so davvero come ringraziarti per tutto il tempo che hai dedicato a scrivermi questa tua splendida recensione!!!!!!! Grazie grazie grazie!!  Il tuo interrogativo è più che legittimo e ti posso assicurare che tra qualche cappy avrà una risposta :-) anticipo solo che l'importante nn sarà tanto il nome ma il fatto in sé e come verrà scoperto dalla nostra cara Cathy (sono enigmatica lo so, però altrimenti ti rovinerei il gusto della lettura!) :-) ormai sarò ripetitiva ma ti ringrazio ancora una volta! Spero che questo cappy ti piaccia come i precedenti e non vedo l'ora di leggere le tue impressioni e le tue idee^^! Un bacione enorme!!!!!!!!!!

Un grandissimo grazie anche a tutti coloro che hanno aggiunto la ficcy tra le seguite o le preferite o hanno semplicemente letto^^! Spero che anche questo cappy vi soddisfi^^ fatemi sapre cosa ne pensate!
Buona lettura a tutti!

Kisskisses

68Keira68

witch

17_“Apri gli occhi mia stella”

 

Qualcosa non torna.

Presi un bel respiro stiracchiandomi le braccia e incrociandole dietro la testa.

Qualcosa non torna affatto.

Mi ripetei mentalmente, sistemandomi meglio sul tronco d’albero che gentilmente spostò la grossa radice che mi infastidiva il fondoschiena.

Il pregio di sdraiarsi su alberi pensanti e mobili… considerai.

Respirai a pieni polmoni l’aria fresca e satura del buon odore delle foglie rigogliose, mentre una scia di fiori mi superava dopo essermi girata attorno e avermi delicatamente accarezzato la guancia.

Ero seduta nel giardino da più di un’ora ed ero certa che avrei potuto restarci per sempre. Mi sentivo a mio agio, come se il bosco risvegliato fosse il mio habitat ideale. Tra faggi che danzavano e petali che si libravano in aria prendendo le fattezze di donne dalla bellezza folgorante, avevo più che mai la sensazione di trovarmi immersa nella magia. Magia che pareva sottostare al mio comando. Bastava infatti che sfiorassi con una mano l’erba per vedere i fili che crescevano rigogliosi ad una velocità sorprendente, o un cenno della mia testa per far sbocciare fiori dalle tonalità più diverse. Ero padrona di quel piccolo luogo fatato, che tanto aveva aspettato per risplendere e che ora poteva rendermi partecipe del suo immane fascino. In mezzo a quelle fronde che si muovevano al ritmo della musica della natura, mi sembrava impossibile pensare che quella terra potesse essere stata scenario di guerre cruente, addirittura fratricide. Chi mai avrebbe potuto voler distruggere un tale paradiso o anche solo intaccarne la purezza e la quiete? Era un sacrilegio anche solo immaginare di compiere una tale azione.  

Eppure, nonostante la calma e la pace che regnavano nel giardino, i miei pensieri non si quietavano. Anzi, in quella tranquillità parevano raddoppiarsi, purtroppo per me, così da farmi passare ben sessanta minuti a scervellarmi sul perché del disagio che avvertivo.

Da quando Jadis mi aveva congedato nella Sala del Trono, informandomi che sarebbe uscita per sbrigare delle faccende rimaste in sospeso e chiedendomi solo di non allontanarmi dal castello per la mia sicurezza, nella mia mente c’era un unico ritornello dominante: qualcosa non tornava.

Ma cosa?

Appoggiai la testa contro il tronco del pioppo che gentilmente mi copriva dal sole.

Riflettendoci con attenzione, il disagio era nato poco dopo che mia madre mi aveva informato dell’esilio dei Pevensie. Il dolore e la sorpresa erano stati ben presto scalzati da quella nuova emozione.

Non lo hanno voluto loro. Temo ti ritenessero complice della loro sconfitta.

Frasi che mi rimbombavano nelle orecchie. Frasi che mi avevano ferito come una pugnalata in un primo momento, ma frasi che mi sembravano sbagliate, strane, ora.

Temo ti ritenessero complice della loro sconfitta.

Non permetterò che tu venga sfruttata da una strega senza scrupoli.

Come poteva Peter ritenermi “complice della loro sconfitta” quando era convinto che fosse Jadis a manipolarmi?

Non lo hanno voluto loro.

Ovvero: mi odiavano perché li avevo traditi e non avevano alcuna intenzione di rivedermi.

Ti amo anche io. Ora e per sempre, tu sarai l’unica stella che brillerà nel mio cielo per illuminarmi la vita.

Possibile che la persona che aveva deciso di non vedermi mai più fosse la stessa che solo ieri mi aveva stretta tra le braccia sussurrandomi il suo amore? No. Non se quella persona parlava con il tono di chi ha il cuore in mano. Non se quella persona aveva gli occhi che brillavano di sincerità. Non se quella persona era Peter.

Ecco cosa non torna.

Finalmente lo avevo trovato. Non tornava che Peter mi ritenesse responsabile del suo esilio. Non tornava che Peter non avesse chiesto di me l’ultima volta che ne avrebbe avuto l’opportunità.

Il ragazzo mi aveva ribadito più volte che sapeva quanto io lo amassi e come le mie azioni non erano puntate a nuocere a lui e ai suoi fratelli ma che ero fermamente convinta di fare il bene di Narnia. Non aveva senso che di punto in bianco mi additasse come una traditrice, non una manciata d’ore dopo avermi giurato il suo amore per me e lo stesso valeva anche per i suoi fratelli.

Ma perché mai Jadis avrebbe dovuto mentirmi su una cosa del genere? Forse per scagionarsi dal fatto che non mi aveva chiamata per dire addio ai Pevensie? Non volendo essere giudicata colpevole, aveva scaricato la responsabilità sui quattro ragazzi? Ma poi perché non avrebbe dovuto volere la mia presenza all’esilio forzato degli ex sovrani? Temeva forse un mio ripensamento all’ultimo minuto?

O forse quello che mi aveva raccontato mia madre corrispondeva al vero ed era successo qualcosa, dopo che io e Peter ci eravamo lasciati, da indurre i Pevensie ad odiarmi.

Sospirai, prendendomi il viso tra le mani.

Troppe domande, nessuna risposta. Essa se ne era andata con i quattro ragazzi.

A meno che…

Caspian. Il suo nome apparse come un faro nella notte dei miei pensieri. Se Peter e i suoi fratelli avevano cambiato idea sulla mia buona fede all’ultimo, di sicuro il ragazzo ne era al corrente. Lui avrebbe potuto far chiarezza al meno su quell’interrogativo.

Bene, la decisione era presa. Sarei andata a fargli visita appena mia madre fosse tornata a palazzo. Così avrei colto anche l’occasione per visitare la nuova Telmar. Ora che Miraz era stato deposto, la corona sarebbe andata in eredità a lui, e finalmente la cittadina sarebbe potuta tornare a prosperare come stava facendo Narnia.

Sorrisi divertita immaginandomi il giovane Caspian nei panni di un sovrano. Lui, così buono e ingenuo, avrebbe dovuto destreggiarsi nella fitta jungla della politica di corte e nell’ardua impresa di governare un regno.

Se farà della sua bontà d’animo il suo vessillo, sono certa che non avrà problema alcuno. Telmar sta vedendo nascere un grande sovrano. Pensai felice che Caspian avesse potuto raggiungere i suoi obiettivi e confidando nelle sue buone qualità: calma, razionalità, giustizia.

Si, sarà un grande re. Ribadii sorridendo.

Sorriso che si spense quando il vento cessò inspiegabilmente, i petali si depositarono placidi sull’erba, gli alberi si fecero tesi e con loro i miei nervi.

Poi un improvviso ruggito squarciò l’aria.

Balzai in piedi, presa alla sprovvista. Non lo avevo immaginato, ne ero certa. Avevo appena sentito il ruggito di un leone, e con me lo avevano udito anche i faggi e frassini, ancora immobili, come in attesa.

Il cuore cominciò a battere forte, dall’agitazione e dalla paura.

Sapevo a chi appartenesse quel ruggito, impossibile sbagliarsi. Aslan era lì, vicino a me, anche se invisibile ai miei occhi. Avvertivo la sua presenza a pelle come anche la natura che mi circondava, improvvisamente piombata in una calma quasi religiosa. I rami non osavano nemmeno scricchiolare, il vento non si azzardava a muovere un solo filo d’erba.

“Aslan?” chiamai, cercando di impedire alla mia voce di tremare.

Non era la prima volta che aveva un incontro ravvicinato con il felino, era successo diverse volte nelle mie visioni a Londra. Senza contare l’episodio dove la sua magia unita alla mia era riuscita a risvegliare la vegetazione del boschetto sulla spiaggia. Ma all’epoca non gli avevo dichiarato guerra aperta schierandomi dalla parte di Jadis e dichiarandolo colpevole di ogni sciagura successa a Narnia negli ultimi milletrecento anni.

La situazione era leggermente mutata.

Un altro ruggito, un altro tremito. Questa volta riuscii ad individuare la direzione dalla quale proveniva. Nord-ovest, oltre il boschetto del giardino.

Mi feci coraggio e mi incamminai verso il suono molesto, iniziando a richiamare la magia. Per ogni evenienza, era meglio tenersi pronti…

Uscita da boschetto, feci scivolare lo sguardo verso il prato circostante ma non notai nulla di sospetto.

“Aslan?” riprovai, a voce più alta, mentre proseguivo avvicinandomi sempre più alla parete ghiacciata del palazzo.

Un ruggito mi giunse in risposta. Voltai la testa di scatto, ma non mi accolse altro che la grande vetrata del castello, una delle tante che costellavano la sua fiancata.

Il cuore martellava nel petto, ma si acquietò quando riconobbe la slanciata figura di mia madre attraverso il vetro. Mi dava le spalle e stava entrando in una stanza oltre il colonnato, sul lato destro della Sala del Trono, mentre discuteva animatamente con un nano, probabilmente Nikabrik.

Sospirai di sollievo. Il saperla vicino con la probabile presenza di Aslan nei dintorni mi rassicurava.

Mi precipitai verso la porta-finestra un paio di metri più in là, mettendomi al sicuro dentro le spesse mura del palazzo, sotto la custodia di Jadis che fortunatamente era tornata molto prima di quanto mi aspettassi.

Una volta entrata avevo ancora il cuore che batteva forte e la consapevolezza che avrebbe rallentato solo quando avessi messo a corrente mia madre sull’accaduto. Lanciai un’occhiata alle mie spalle, scorgendo gli alberi del giardino che intanto era tornati a muoversi. Aggrottai la fronte a quel dettaglio. Forse Aslan vedendo mia madre se ne era andato.

Meglio avvisarla comunque. Potrebbe ritornare. Riflettei.

Peccato però che la strega non si trovasse più nella Sala. Senza esitare imboccai la direzione che l’avevo vista prendere, la prima porta alla destra del trono.

Pur non essendo mai stata in quella parte del castello, mi aspettavo un’altra stanza dalle candide pareti come tutte quelle che avevo visto finora. Dovetti però presto ricredermi. La porta dava su una scala di pietra e le pareti, pur essendo fatte di ghiaccio, non erano lisce, ma piene di irregolarità e rientranze.

Dove porteranno? Mi chiesi incuriosita.

Iniziai a discendere gli scalini, stando attenta a non scivolare sul ghiaccio, la brutta esperienza appena vissuta accantonata momentaneamente, operazione aiutata dalla consapevolezza di essere protetta con mia madre vicina.

Evocai una sfera di luce per combattere il buio in cui mi stavo inoltrando, sempre più pesante quanto il freddo si faceva più pungente e che presto mi costrinse a stringermi nelle braccia.

Decisi in fretta che quel posto non mi piaceva per niente. L’oscurità era opprimente, la temperatura troppo bassa mano a mano che si scendeva.

Ma perché mai mia madre dovrebbe tenere una parte del castello come questa?

Il mio sesto senso mi avvertiva che la risposta a quella domanda avrebbe potuto non piacermi, ma la razionalità ribatteva che quella diffidenza era semplicemente assurda. Cosa mai avrebbe potuto nascondere dentro un palazzo? Eppure il brutto presentimento non se ne andava. Forse avrei fatto meglio a lasciar perdere e a tornare indietro.

Peccato che la mia testolina riccia scartò subito quella saggia ipotesi. Dopotutto la curiosità era donna, giusto?

La curiosità però uccise il gatto. Mi ricordai, storcendo le labbra in una smorfia contrariata.

Ma io non sono un gatto. Io sono una strega. Ribattei sagace alla mia stessa coscienza, e prendendo un respiro scesi un altro scalino, e un altro finché una debole luce non si fece intravedere al fondo della scalinata.

Sorrisi sollevata pensando che finalmente avevo trovato mia madre. Sorriso che immediatamente svanì appena udii un urlo agghiacciante provenire da quella direzione.

Mamma!

Pensai preoccupata. Iniziai a correre per gli scalini ma mi bloccai di colpo quando udii l’eco della sua voce giungermi forte e affatto dolente. La distanza era troppo grande per capire quello che stava dicendo, ma era sufficiente a farmi comprendere che il grido di prima non apparteneva a lei.

Un altro urlo mi fece accapponare la pelle. Era un grido di dolore. Ma a chi poteva appartenere? E perché stava urlando? Ma soprattutto, cosa c’entrava Jadis in tutto questo?

Col cuore che batteva forte discesi un altro paio di scalini e di nuovo udii la voce di mia madre che cercava di sovrastare un altro grido. La sensazione che qualcosa assolutamente non quadrava tornò più forte di prima, insieme alla consapevolezza che non sarei dovuta mai essere lì.

Una porta sbatté, dei passi si avvicinarono.

Presa dal panico, mi gettai dietro la prima rientranza della parete per nascondermi. L’istinto, dopo quello che avevo sentito, mi diceva che non era il caso di farmi trovare lì sulle scale ad origliare, e questa volta lo assecondai di buon grado. Quando l’eco dei passi si fece più vicino, evocai con la magia una parete che coprisse la rientranza e me con essa, ma che mi permettesse di vedere senza essere vista.

Idea che mi consentì di riconoscere Jadis e Nikabrik come i proprietari dei passi. Stupita, scorsi nel volto di mia madre rabbia e frustrazione, ma le sue condizioni fisiche, come anche quelle del nano, erano perfette. Dunque le grida definitivamente non appartenevano a loro.

Allora chi…?

La confusione ormai cresceva a pari passo con il disagio.

Quando non udii più alcun suono giungere dallo stretto corridoio, sciolsi l’incantesimo e uscii dal mio nascondiglio.

I gradini erano finiti, una tortuosa stradina fiocamente illuminata mi attendeva con le sue incognite. Non ero più sicura di voler davvero scoprire cosa era successo, eppure sapevo che era mia dovere farlo. Non potevo ignorare quell’urlo raccapricciante.

Mi feci coraggio e proseguii lungo il corridoio questa volta non in discesa. Pochi passi e mi ritrovai dinanzi ad un cancello in ferro battuto dall’aria molto antica che aprii con un cenno della mano, preparandomi al peggio. Cosa avrei visto varcata quella soglia? Cosa nascondeva la strega?

La porta cigolò sinistra sui cardini, ma fu un suono coperto ben presto da un grido mezzo soffocato.

“Cathrine”

Mi impietrii, riconoscendo immediatamente quella voce, anche se il mio cervello si rifiutò di fornirmi il nome della proprietaria. Perché era assolutamente impossibile che la persona che mi aveva appena chiamata fosse lei.

“Cathrine” ripeté in un sussurro.

Con lentezza mi volsi verso la direzione del suono. “Lucy” Le mie labbra bisbigliarono il suo nome incredule.

Gli occhi da cerbiatto della bimba si incrociarono con i miei. Sentii la respirazione, come ogni mio muscolo, bloccarsi mentre leggevo in quelle iridi castane sollievo, speranza, sorpresa, ma anche dolore, angoscia, patimento, sottolineati da occhiaie profonde, da un visino solitamente roseo e pieno ora pallido e incavato, dai capelli scompigliati e dai vestiti laceri.

“Oh Cathrine sei proprio tu, non sai quanto ci ho sperato!” singhiozzò la piccola, avvicinandosi sulle ginocchia alle sbarre che ci separavano, simile ad un’assetata nel deserto davanti ad un pozzo.

Incapace di qualsiasi razionalizzazione, caddi in ginocchio anche io, aggrappandomi ai pali di ferro verticali, che la rinchiudevano in quella che era senza alcun dubbio una cella.

Una prigione nella quale la piccola Lucy era trattenuta invece che trovarsi nella sua casa a Londra, cambiamento che non aveva alcuna spiegazione. O almeno nessuna spiegazione che la mia mente riuscisse ad elaborare.

Aprii e chiusi la bocca più volte, incapace di proferire parola. Incapace di formulare un pensiero. Incapace di focalizzare ragionevolmente il fatto che Lucy fosse dinanzi a me.

Solo un’idea spiccava netta nel turbinio di confusione che stava per far esplodere la mia testa.

Non può essere vero.

“Cate”

La flebile voce di Lucy mi richiamò. Vidi quegli occhi ancora vivi e vispi, nonostante tutto quello che doveva aver passato, ma anche rossi e gonfi dal pianto e mi si strinse il cuore. Non era davvero possibile, non doveva trovarsi là giù!

“Cathrine! Non sai quanto sono felice di vederti. Temevo fossimo spacciati.”

Un’altra voce, anch’essa purtroppo conosciuta, giunse al mio orecchio. Poco dopo la testa scura di Edmund si avvicinò a quella castana della sorella minore, aumentando la confusione che mi stava sopraffacendo.

“Edmund” esclamai stupefatta.

Le parole del giovane parevano sgorgare direttamente dal cuore. Anche lui era mal ridotto, il volto era pallido e smagrito come quello di Lucy, ma in più le sue vesti erano sporche di sangue. Mi augurai che non fosse suo ma dei nemici sconfitti in battaglia.

Cercai di far chiarezza nel caos che albergava nella mia mente ma non ci riuscii. Come potevano essere nel palazzo di Jadis? Perché erano rinchiusi là sotto?

Confusione per i troppi interrogativi irrisolti, rabbia per non essere riuscita a proteggerli dalla sofferenza fisica che stavano patendo e incredulità per trovarli in prigione mi animarono, ma su tutto si impose la preoccupazione per i miei amici, sentimento che mi permise di non impazzire succube del caos dandomi un obbiettivo da perseguire con raziocinio. La loro salvezza.

“Ragazzi” riuscii a pronunciare infine, l’espressione corrucciata, gli occhi che balzavano da un viso all’altro. “cosa diamine ci fate qui? Com’è possibile? Siete feriti? Dove sono Peter e Susan?” chiesi con fervore, sull’orlo di una crisi isterica.

Se si fossero trovati in pericolo di vita non me lo sarei mai perdonato.

“Cate, sei davvero tu? Sia ringraziato il cielo!”

Prima che Edmund o Lucy potessero rispondermi, dalla cella accanto, attraverso un varco che univa i due anfratti, le braccia di un giovane principe di Telmar si sporsero, segnalando la loro presenza.

“Caspian” Pronunciai il suo nome con un tono che andava oltre lo sbigottito.

Non ci potevo credere. Anche lui era rinchiuso insieme agli altri in delle fredde e spoglie celle, malridotto, forse anche ferito gravemente. Mi sembrava di vedere uno dei miei incubi realizzarsi.

“Cathrine, non hai idea di quanto io e Susan abbiamo pregato affinché tu riuscissi a trovarci.” Mi disse Caspian, in una confessione simile a quella di Edmund.

Dai loro occhi potevo scorgere a chiare lettere quanto quelle frasi fossero sincere. Rinchiusi là sotto, avevano volto le loro uniche speranze a me, vedendomi come la sola che avrebbe potuto aiutarli. Chissà da quanto mi stavano aspettando e io come un’idiota avevo perso tempo in giardino a godere dei tiepidi raggi del sole, ignorando che i miei più cari amici stavano soffrendo.

 “No, no! Tu dovresti essere a Telmar come re! Specie ora che Miraz è stato sconfitto” obiettai presa da una confusione in continuo aumento.

“Avrei preferito, credimi” ribatté ironico.

“Ma perché vi trovate qui? Voi dovreste essere a Londra! Tu a governare il tuo regno” aggiunsi rivolta al principe “E dove sono Susan e Peter?” domandai a raffica, il tono che sfiorava le tre ottave in perfetto contrasto con quello molto più roco e basso dei ragazzi.

 “Susan è nella cella con me. Sta dormendo profondamente, altrimenti si sarebbe sbracciata anche lei al tuo arrivo. Cate, sei la nostra salvezza, tu puoi liberarci”.

Mi sporsi per vedere la cella di Caspian attraverso l’apertura nella parete comunicante con quella di Lucy ed Edmund, trovando conferma alle parole del principe. Susan era adagiata contro il muro, addormentata, apparentemente ignara di quello che le accadeva attorno. Alla sua vista sentii una pugnalata al petto. Era messa peggio degli altri tre, il viso era molto più pallido, le labbra tendevano al blu. Stava andando in ipotermia.

La mia agitazione aumentò.

“Cos’ha Susan?” trillai.

“è stata ferita gravemente. Ha perso diverso sangue e questo l’ha resa debole, incapace di sopportare questo freddo” mi spiegò Caspian preoccupato. “Cate, puoi curarla? Soffre molto e io non posso fare niente per lei” l’ultima frase era simile ad una supplica. Non osavo nemmeno immaginare quanto dovesse essere stato in ansia per lei nelle ultime ore.

Scattai verso la porta della sua cella, che aprii in un lampo, e senza farmelo ripetere due volte ero già accanto alla ragazza, ritrovando incredibilmente l’energia che avevo perduto alla vista di Lucy imprigionata.

Fredda come il ghiaccio, il dolore che provava turbava la sua espressione anche nel sonno.

“Susan?” La chiamai, scuotendola con delicatezza.

Le palpebre tremarono un poco, ma solo al secondo richiamo si aprirono.

“Cath…thrine?” bisbigliò battendo i denti.

Sorrisi sollevata nel vederla ancora capace di essere vigile. “Sono qui” la rassicurai.

Con uno scatto repentino, dato da una foga febbrile, mi artigliò il polso, avvicinandomi a sé.

“Cate, ero s…sicura che c…ci avresti tr…trovati. Sei venuta a sal..lvarci! Siamo sal…lvi…” mormorò scossa dai tremiti.

Le accarezzai la fronte, scostandole i capelli dal viso. Veder ridotta lei, di solito così posata e fiera, in quello stato, era straziante.

“Si, lo siete, te lo posso giurare. Prima però Caspian mi ha detto che ti hanno ferita, fammi vedere dove, così posso curarti” le assicurai mentre il ragazzo in questione si avvicinava al capezzale della regina.

“Ho un taglio lun…ngo la cos…scia”

Volsi lo sguardo in quella direzione, notando solo ora la veste imbrattata di sangue particolarmente in quel punto.

Facendo cenno al principe di voltarsi, alzai la gonna di Susan per scoprire il taglio. Mi si bloccò il respiro quando vidi la profondità della ferita. La coscia era interamente sporca di sangue, la spada aveva lasciato una linea dritta dall’anca fin poco sopra il ginocchio. Eppure pareva aver smesso di sanguinare, anche se era chiaro che non si era ancora cicatrizzata. Ma non persi tempo a domandarmi come l’emorragia potesse essersi fermata da sola senza che la ferita fosse stata richiusa. Adagiai le mia mani lungo il taglio e richiamai la magia. Subito la sentii potente raggrupparsi nel mio palmo che si fece caldo e luminoso. Chiusi gli occhi e individuai l’aurea debole e fioca di Susan accanto a quella più luminosa del principe. Colpii il suo scudo protettivo penetrandolo con i miei poteri come avevo sapientemente imparato a fare, e a quel punto feci defluire la mia magia in lei. Avvertii i tessuti ricucirsi, la sua aurea farsi velocemente più forte e luminosa. La ferita fu presto rimarginata. Notai con grande soddisfazione che non provavo il minimo affanno dopo quell’incantesimo, a differenza della spossatezza che mi aveva colpita dopo che avevo guarito la ferita al fianco di Peter. I miei poteri si erano di gran lunga ampliati.

Quando riaprii gli occhi, Susan era fuori pericolo. Il viso era più roseo, gli occhi lucidi e vispi. Il sorriso che mi rivolse era luminoso.

“Susan” sussurrai abbracciandola forte.

“Grazie” disse con tono accalorato. Caspian non tardò a farle da eco, il volto illuminato dal sollievo e dalla felicità di vedere salva la sua Susan.

“Tu sei ferito?” domandai rivolgendomi al ragazzo e scrutandolo con occhi clinico.

“Solo qualche graffio, nulla di grave” disse con noncuranza, troppo impegnato a controllare le condizioni ora ottime della sua amata.

Non potei evitare di sorridere intenerita da quella visione romantica prima di rivolgermi al ragazzo moro.

“Tu Edmund?”

“Ho solo riportato un polso slogato, tentando di parare il colpo di un centauro invece di schivarlo” mi informò scrollando le spalle, nel tentativo di sminuire il fatto.

Sogghignai a quel cenno d’orgoglio maschile.

Scuotendo lievemente la testa, gli feci cenno di esporre il polso in questione, avvicinandomi a gattoni alla sua cella. Lo presi tra le mie mani, mi concentrai sulla sua aurea e penetrai il suo scudo di energia come avevo fatto per la sorella. Infine feci scaturire un flusso di calore che lo guarì in pochi istanti.

Edmund mosse il polso su e giù prima di regalarmi un sorriso grato.

“Lucy?” chiamai la bimba.

“A parte il freddo io sto bene. Non ho partecipato alla battaglia, non ho nemmeno corso il pericolo di ricevere qualche ferita” affermò Lucy, una vena di triste ironia nella voce.

“Tu sei qui e non hai nemmeno combattuto?”

La bimba scosse la testa, afflitta.

Non era giusto, era solo una bambina in fin dei conti, non avrebbe mai dovuto vivere una circostanza come quella.

 “Riesci ad aprire le catene?” la richiesta di Susan mi distolse dalle mie riflessioni.

Annuii, certa di sbrigare quella faccenda in un attimo. Individuai la catena che  imprigionava Caspian e la ragazza alla caviglia e cercai di aprirla con un gesto della mano, ma il catenaccio si rivelò più resistente del previsto. Tentai una seconda e una terza volta, prima di rivelare frustrata il mio fallimento.

“Com’è possibile? Dovrebbe essere tra gli incantesimo più facili!” sbottai frustrata.

“Congelala, così si può provare a spezzarla” propose Edmund affacciato al varco nella parete.

Mi adoperai immediatamente. Dalla mia mano fuoriuscì un gettò d’aria gelida in grado di ghiacciare qualsiasi oggetto. Qualsiasi eccetto quelle dannate catene che non subirono alcun mutamento. Caspian, fiducioso, provò a romperle ugualmente, ma il tentativo fu vano. Il catenaccio restava intatto.

“Provare a scioglierle?” suggerì il principe.

Scossi la testa voltandomi. “Il calore si propagherebbe fino ad ustionare le vostre caviglie prima di riuscire nell’intento”.

Mi alzai in piedi e tirai un calcio a vuoto, demoralizzata. “Evidentemente assorbono la magia o qualcosa del genere. L’unico modo per aprirla è avere la chiave” osservai arrabbiata con quel duro pezzo di ferro.

“E adesso?” mormorò Lucy, angosciata.

Presi un respiro e con esso una decisione. “Recupererò la chiave. Deve essere nel palazzo, la troverò. A costo di mettere a soqquadro l’intero castello.” Giurai, irremovibile.

Evidentemente il mio tono doveva essere sufficientemente convincente, perché una luce di speranza brillò negli occhi castani della piccola.

“Per la temperatura purtroppo non posso far nulla. Dovrei eliminare tutto il ghiaccio del palazzo, mi dispiace” aggiunsi scusandomi sincera, sentendo io per prima il freddo che pativano là sotto.

“Non importa, resisteremo, tu occupati della chiave” risolse Susan, tornando a poco a poco la regina che conoscevo con mia immensa gioia.

 

“D’accordo” Presi un respiro e mi accinsi a ripetere per la quinta volta le domande che mi stavano assillando e che non avevano ancora ricevuto risposta “Si può sapere perchè siete qui? E…” lo voce mi tremò nel tentativo di porre il quesito che più mi stava a cuore ma del quale più temevo la risposta “Peter dov’è?” riuscii infine a dire in un sussurro.

“Lo sai perché siamo qui, Cathrine”. La voce dolce-amara di Susan, che aveva volutamente ignorato il mio ultimo interrogativo, mi fece voltare verso di lei,

Sapevo perché erano lì? Non con certezza, ma purtroppo per me non era difficile da intuirlo. C’era solo una persona che avrebbe potuto rinchiuderli in quel palazzo dopo aver vinto la guerra contro di loro. Eppure mi rifiutavo di crederlo, non poteva assolutamente essere…

“Jadis”

Un nome, una condanna.

Sentii il cuore iniziare a battere forte e dovetti regolare la respirazione per calmarlo, peccato che essa non potesse lenire anche il dolore che iniziava a farsi strada.

Quasi inconsapevolmente cominciai a scuotere la testa con scatti brevi e secchi, come se il mio subconscio non volesse arrendersi a ciò che vedeva e sentiva.

Sentii una mano delicata stringermi la spalla richiamando l’attenzione sulla sua proprietaria.

Mordendomi il labbro per sigillare i singhiozzi che non volevo far uscire, mi volsi per specchiarmi nei grandi quanto decisi occhi castani di Susan.

 “Dov’è Peter?” ripetei quasi supplicando, senza ribattere alla rivelazione della regina.

Prima di lasciarmi andare alle mie riflessioni, prima di permettere alla preoccupazione e alla confusione di divorarmi, prima di analizzare una situazione che, lo sapevo come se ogni cosa me lo stesse urlando, mi avrebbe colpita e forse affondata, dovevo sapere dove si trovava il mio re. Dovevo vederlo, assicurarmi delle sue condizioni. Ma soprattutto avvertivo l’egoistico desiderio di averlo accanto a me. Se ciò che spiegava la presenza di Caspian e dei Pevensie in quelle celle doveva ridurmi a pezzi volevo che accadesse tra le sue braccia, mentre mi guardava, così che i suoi zaffiri potessero darmi un appiglio per tentare di sopravvivere, così che la sua voce vellutata potesse salvarmi dal baratro che si stava per aprire sotto di me.

I quattro ragazzi si scambiarono uno sguardo a disagio e preoccupato. Esattamente come temevo.

Un terribile presentimento si affacciò nella mia mente come un fulmine a ciel sereno.

Aprii la bocca per parlare ma le parole mi morirono in gola. Ciò che dovevo dire era terribile anche solo da ipotizzare.

Deglutii a vuoto un paio di volte prima di mormorare la frase fatidica. “Era lui che urlava prima, vero?”

Il pesante silenzio che seguì fu più che eloquente. Un gemito strozzato uscì dalla mia gola. “Dov’è?”

Fu Lucy a rispondermi, con voce bassa, rotta dal pianto anche se dai suoi occhi non scivolò neppure una lacrima. Probabilmente ne aveva già versate troppe.

“Non lo sappiamo di preciso. Lo hanno rinchiuso in una cella da solo, separata dalle nostre. Anche se deve essere per forza a distanza d’orecchio”.

Scattare in piedi e uscire dalla cella fu un solo movimento, ma prima che potessi incamminarmi lungo il corridoio, la voce di Susan mi richiamò.

“Cate, devi sapere cos’è successo durante la battaglia, dopo che abbiamo perso!”

Le risposi senza nemmeno voltarmi. “Adesso non mi interessa. Mi farò raccontare tutto dopo, lo prometto. Tornerò presto per portarvi fuori di qui con la chiave. Tenetevi pronti.”

E queste è una promessa che manterrò ad ogni costo.

Proseguii per il passaggio, in attesa di scorgere Peter all’interno di una delle altre celle che riempivano le pareti, ma con mia sorpresa erano tutte vuote. Dove avevano imprigionato il re? Eppure non poteva essere molto lontano.

Svoltai a destra seguendo il corridoio e mi imbattei in un’unica porta di ferro con una feritoia in alto che sbarrava la strada.

Il cuore cominciò a battere forte, il respiro si fece corto. Sapevo cosa, o meglio chi, c’era oltre quella porta e avevo paura di vederlo. Non temevo di essere giudicata una traditrice, ormai sapevo che quella parola non aveva mai nemmeno lontanamente sfiorato la mente di Peter, ma paventavo le condizioni in cui lo avrei trovato. Cosa lo aveva indotto ad urlare in quel modo prima? Quali ferite aveva riportato in battaglia da procurargli tanto dolore?

Il mio compito è proprio quello di guarirlo da quelle ferite. Ricordai a me stessa, ferrea.

Presi un bel respiro e tutto il coraggio che mi era rimasto e aprii la porta con la magia, ignorando il cuore in gola.

La cella era buia, a differenza di quella degli altri quattro ragazzi, ma appena aprii la porta la luce esterna entrò insieme a me per illuminare quell’angusto spazio.

Almeno non c’è del ghiaccio alle pareti. La temperatura quanto meno è sopra lo zero. Notai guardandomi attorno.

“Due visite nel giro di un’ora…quale onore oggi”

Una voce, fiera e sarcastica per quanto debole, smascherò la presenza di una figura accasciata alla parete alla mia sinistra, il cui busto stava in piedi solo perché sostenuto dalle braccia appese sopra la testa da due rigide catene .

Avvertii il mio cuore spezzarsi riconoscendo in quel corpo malridotto, ricoperto di ferite e di sangue, Peter. Il mio Peter.

Il mio mondo intero crollò. Perché era lui a sostenerlo.

La mia vista si appannò. Perché non poteva sopportare una tale visione.

La mia mente prese a vorticare confusa. Perché non riusciva a capacitarsi di quello che stava succedendo.

Mi sentii semplicemente morire. Perché la mia vita dipendeva dalla sua e la sua al momento era seriamente compromessa.

“Peter” pronunciai in un sospiro strozzato.

Con lentezza, come se solo quel semplice gesto gli costasse molta fatica, alzò il capo nella mia direzione. Strizzò gli occhi per colpa della luce improvvisa e infine riuscì a mettermi a fuoco.

“Cathrine?” bisbigliò incredulo.

Mi portai una mano alla bocca, soffocando un urlo angosciato. Il suo bel viso era ricoperto di lividi e tagli, il labbro era spaccato, il colorito pallido. Eppure i suoi occhi, i suoi splendidi zaffiri, mantenevano la lucentezza di sempre. Brillavano ancora di vitalità, di orgoglio. Si rifiutavano di arrendersi.

Non potevo sopportare di vederlo ridotto in quello stato. E poi perché qualcuno avrebbe dovuto accanirsi tanto su di lui? Cosa aveva fatto per meritarsi questo?

“Cathy, sei tu?”

Al secondo richiamo, corsi verso di lui senza ulteriore indugio. Caddi in ginocchio e gli gettai le braccia al collo. Solo a quel punto piansi. Tanto, disperatamente. Perché era colpa mia se si trovava in quella situazione, io non gli avevo dato retta, io avevo appoggiato Jadis, io non ero riuscita ad impedire la guerra. Era solo dannatamente colpa mia.

“Ahi”  esclamò sofferente il ragazzo, eppure l’ombra di un sorriso curvava le sue labbra gonfie, coprendo la smorfia di dolore.

Mi allontanai di scatto, preoccupata. “Scusami!”.

Per l’abbraccio.

Perché non ti sono stata vicina finora.

Perché ho permesso che ciò accadesse.

Perché non ti ho ascoltato.

“Non importa”

Perché ora sei qui e solo questo conta.

Parole non pronunciate ma che entrambi sapevamo.

“Cathy, stai bene?”

Uno sbuffo divertito e isterico mi uscì tra un singhiozzo e l’altro.

Era tipico di Peter preoccuparsi per me nonostante tra i due fosse lui quello in pericolo di vita. Nonostante fosse ridotto al punto da essere incapace di tenere la testa alzata, lui si impensieriva per la mia condizione.

“Dovrei chiederlo io a te non credi?” gli risposi, accennando un sorriso tra le lacrime.

Il ragazzo alzò le spalle, gesto che gli causò altro male. Cercava di sminuire come suo fratello, evidentemente entrambi succubi della fierezza maschile.

Gli accarezzai una guancia con delicatezza, attenta a sfiorarlo solamente per non fargli male di nuovo. Non occorreva un medico per comprendere che aveva ferite ovunque. La veste era completamente macchiata di sangue e lacerata in più punti dove aveva ricevuto un colpo probabilmente di spada. Stava male, tanto, e anche se cercava di nasconderlo non poteva evitare al suo viso di piegarsi in una smorfia di dolore ad ogni minimo spostamento. Non osavo immaginare quanto dovesse essere provato il suo fisico, eppure Peter resisteva fieramente. Il suo sguardo restava fermo, la voce, seppure bassa, non tremava.

Non sapevo se era il suo smisurato orgoglio a tenerlo vigile o una grande resistenza fisica, ma qualunque cosa fosse ringraziavo il cielo per essa. Se il suo spirito fosse stato piegato, il mio si sarebbe sgretolato nello stesso istante.

“Peter, ho visto Lucy e gli altri chiusi in cella come te, credimi io…”

“Hai visto i miei fratelli e Caspian?” mi interruppe con fervore. Troppo, dato che fu scosse da un violento attacco di tosse. Mi preparai ad aiutarlo in qualsiasi modo, ma il suo sguardo mi informò che la cosa della quale necessitava di più era sapere della sua famiglia.

“Si, sono stati rinchiusi qualche cella più in là. Stanno tutti bene” aggiunsi anticipando la sua prossima domanda “Susan era stata ferita alla gamba ma l’ho guarita. E se mi dici da dove iniziare, intendo curare immediatamente anche te” annunciai, squadrandolo con occhi clinico e riconoscendo la ferita che aveva al fianco come la più grave al momento.

“No”

La risposta giunse inaspettata. Corrucciai la fronte.

“Come no? Peter, non è il momento di fare l’eroe, stai male e per quanto tu sia forte dubito che resisterai ancora a lungo” ribattei decisa. Lo avrei curato anche contro la sua volontà se necessario, non sarei stata a guardare mentre soccombeva in quella angusta cella.

“Non intendo fare l’eroe” disse deciso “ma so quanta energia ti costa un incantesimo di guarigione e se hai già curato Susan non puoi fare lo stesso con me. Rischieresti di prosciugare un’altra volta le tue forze” mi spiegò razionale.

I suoi occhi erano sinceri, avrebbe realmente rinunciato senza tentennamenti alla sua unica possibilità di essere guarito e di alleviare il suo dolore per evitare di farmi perdere di nuovo le energie. Ero semplicemente incredula.

Mi asciugai l’ennesima lacrima con il dorso della mano, sorridendo sbalordita. Non si poteva essere tanto altruisti, non era umanamente realistico.

“Quando la smetterai di preoccuparti per me” lo ripresi “e comincerai a pensare prima a te stesso? Sei gravemente ferito, hai bisogno di cure e io te le darò.”  

“Non se ciò compromette la tua di salute” ribatté.

“Non accadrà” lo rassicurai. “I miei poteri si sono praticamente raddoppiati dall’ultima volta, non mi sono nemmeno sentita stanca dopo che ho rimarginato il taglio alla gamba di Susan. Sono perfettamente in grado di guarirti. Devi solo dirmi dove per prima cosa, al fianco?” proposi.

Peter mi scrutò, probabilmente in cerca di segni di cedimento sul mio viso che smascherassero una bugia nelle mie parole, ma non trovandone parve rassegnarsi.

“Alla spalla” obiettò.

Annui decisa e mi alzai in piedi per vedere meglio la parte indicata.

Un’esclamazione inorridita mi uscì prima che riuscissi a bloccarla. Quella che Peter aveva sulla spalla non era una semplice ferita di spada. Qualcosa di grosso e appuntito doveva essere penetrato in quel punto, tranciandogli i legamenti del trapezio. Se fosse stato sottoposto a cure normali probabilmente non avrebbe mai recuperato l’uso del braccio tanto era grave la ferita. Ma ciò che era strano era che non sanguinava come avrebbe dovuto. Come quella di Susan, la ferita non si era cicatrizzata eppure l’emorragia si era fermata. Ma a giudicare dall’espressione di Peter, il dolore era ancora ben presente.

Senza perdere altro tempo, allungai le mani sulla spalla e ripetei l’incantesimo già praticato per sua sorella. Individuai la sua aurea, più luminosa di quella di Susan anche se aveva ricevuto più ferite di lei, ma molto più fioca di quello che sarebbe dovuta essere. Feci confluire la magia nei miei palmi e quando fui pronta penetrai il suo scudo cominciando a far scorrere la mia energia in lui. La magia si diffuse nei muscoli ripristinando i legamenti e nelle vene curandone le lacerazioni. Impiegai più tempo che per la gamba della ragazza, ma alla fine la spalla tornò come nuova.

Quando rividi la sua pelle rosa e perfetta sospirai di sollievo.

“Va meglio?”

“Decisamente, grazie” il tono meno dolente fu la più grande ricompensa. 

Passai immediatamente a curare il fianco che presto tornò sano. Guarii due lacerazioni profonde alla gamba destra, un’altra al braccio sinistro e una lunga ma poco profonda lungo il torace. Risanai i lividi e le abrasioni che riportava praticamente ovunque, facendo scorrere la mia magia lungo tutto il suo corpo, invadendolo con la mia calda energia dopo aver superato la protezione della sua aurea.

Infine mi occupai del viso. Cicatrizzai un taglio che gli deturpava la guancia facendola tornare rosea e perfetta come prima, ne risanai un altro sopra il sopraciglio e un livido lungo la mascella. Per ultimo guarii il labbro spaccato, ritrovando in poco tempo la sua bocca rossa e piena senza una ferita. Bocca sulla quale depositai un bacio desiderato da entrambi. Un bacio con la quale cercai di trasmettere tutto il mio dispiacere per la situazione e il mio amore che non era mai vacillato.

Quando ci separammo gli accarezzai il viso, contemplandolo, felice di rivederlo in salute come sarebbe sempre dovuto essere.

“Purtroppo non posso aprire le catene perché assorbono la magia. Occorre la chiave per liberarti, ma non preoccuparti, la troverò e tornerò il prima possibile per portarti via insieme agli altri” lo informai, con una sfumatura di scuse per la mia mancanza.

“Non ne dubito” mi assicurò, riempiendomi di gioia. Sapevo che si fidava di me, ma era comunque confortante sentirglielo dire dopo tutto quello che era successo.

“Come hai fatto a ridurti in questo stato in battaglia? Edmund e Caspian ne sono usciti praticamente illesi e Susan ha riportato solo una ferita alla gamba” chiesi poi, non capacitandomi di come un condottiero abile come lui avesse subito così tante ferite.

“Solo il fianco e la spalla sono stati colpiti in battaglia” mi rispose muovendo la spalla per quanto le catene gli consentivano per verificarne lo stato. “Ma la persona che mi ha ferito ha voluto continuare l’opera anche qui” confessò con tono aspro.

“Chi?” domandai con un filo di voce, anche se in cuor mio già sospettavo la risposta, solo una persona poteva essere indicata da Peter con tale acrimonia.

“La Strega Bianca”. Per non smentirsi, il nome gli uscì simile ad un ringhio.

Strinsi gli occhi per impedirmi di versare altre lacrime alla consapevolezza che la lista dei crimini di mia madre si allungava. La discussione che avevo rimandato con Susan stava per essere affrontata, dopotutto non avrei potuto evitarla in eterno. Anche se avrei tanto voluto chiudere gli occhi e fingere che fosse tutto un brutto sogno, dovevo affrontare la realtà. Almeno, Peter era accanto a me.

“Jadis e io abbiamo duellato insieme. L’avevo colpita al braccio e alla gamba” iniziò a raccontare Peter. Subito l’immagine di mia madre zoppicante mi tornò alla mente, dando credito alle parole del re “stavo vincendo e lei lo sapeva, così si è allontanata da me per cercare di colpire Edmund alle spalle congelandolo con lo scettro. Non c’era tempo per avvertire mio fratello così mi sono frapposto tra lui e Jadis e lo scettro ha colpito me infilzandomi la spalla”. L’odio nelle sue parole era quasi palpabile.

 “E pensare che mia madre mi aveva giurato che non vi avrebbe torto un capello, che addirittura vi avrebbe protetto durante lo scontro!” mormorai, la voce strozzata nel realizzare ciò che Jadis aveva fatto alle persone che più amavo. Come aveva potuto prima ingannarlo infimamente e poi ferirlo a quella maniera?

Le labbra di Peter si curvarono in un sorriso triste. “Se non sbaglio ti aveva anche giurato che ci avrebbe esiliati a Londra, eppure eccoci qui” mi ricordò.

Ingoiai a fatica altre lacrime. Jadis mi aveva promesso con tanta semplicità che avrebbe risparmiato i miei amici e con altrettanta semplicità aveva infranto la parola data. Tenendomi all’oscuro di tutto.

Ma come avevo fatto a non accorgermi che la strega aveva trascinato i miei amici al castello? Se il combattimento era accaduto durante la notte, probabilmente stavo ancora dormendo mentre tornavano nel palazzo, ma con tutto il rumore che avevano certamente fatto possibile che non mi fossi accorta di nulla? A meno che…

…Ti ho portato una tisana. Ti aiuterà a calmarti.

Con un ennesimo singhiozzo, realizzai come mia madre mi avesse tranquillamente tolto di scena, impedendo un mio coinvolgimento. Mi aveva drogata. La tisana era stata solo un pretesto per farmi assumere un sonnifero, ecco perché mi ero addormentata di botto senza nemmeno riuscire a raggiungere il letto. E io che lo avevo scambiato per un gesto d’amore materno…

“Ma lei voleva solo far tornare la pace e la prosperità a Narnia. Per questo ha anche sconfitto Miraz” sussurrai incoerentemente, non rassegnandomi alla verità sempre più palese. Come potevo mettermi il cuore in pace dinanzi ad una realtà tanto atroce?

“Cathy, mia stella, ti prego apri gli occhi, te lo chiedo nuovamente” Alzai lo sguardo su Peter, rispondendo alla sua preghiera e apprestandomi ad ascoltarlo, gli occhi lucidi di un pianto represso. “Quello che voleva era tornare a tiranneggiare sopra una landa ghiacciata perché questo è diventata Narnia ora che è tornata, un deserto di ghiaccio e Telmar con essa, ha congelato ogni angolo della città compresi i suoi abitanti”.

“Non ha senso, in giardino gli alberi sono tornati a danzare!” obiettai, aggrappandomi alla piccola speranza che Peter si sbagliasse almeno su quel punto. Non poteva essersi spinta a tanto.

“Il risveglio è limitato al giardino del castello, probabilmente Jadis ha pensato di tenerti buona facendoti credere che Narnia era tornata quella d’un tempo. Basta attraversare il ponte per rendersi conto che il resto del paese è tutto ricoperto di neve gelida”.

Confusione e stordimento popolarono la mia testa.

Guardai Peter negli occhi e in quelle iridi celesti non scorsi altro che sincerità e tanto amore. Voleva che gli credessi principalmente per il mio stesso bene, come potevo dubitare della sua parole? Eppure credere che mia madre mi avesse mentito faceva male. Tanto, tanto male. Possibile che mi avesse solo usata, che tutto ciò che mi aveva detto corrispondesse al falso?

“Ma perché avrebbe dovuto rinchiudervi qui sotto? Perché ti ha ferito così?” chiesi, girando l’argomento nella speranza di trovare una spiegazione a quelle azioni che non fosse crudeltà gratuita. Dopotutto Jadis ormai aveva vinto, aveva la corona, a cosa gli servivano dei prigionieri?

“Cercava di estorcermi un’informazione per lei vitale, dove si trova Aslan” mi disse.

Corrucciai la fronte. “Ma voi non sapete dove si trova Aslan, altrimenti sareste andati da lui a chiedergli aiuto. Io per prima le avevo detto che non avevamo la benché minima idea di dove potesse essere” obiettai.

“Si, ma lei ha pensato che noi lo sapessimo e che te lo avessimo tenuto nascosto.” Spiegò.

Scossi la testa allibita e inorridita. “E Jadis ti avrebbe torturato per farti confessare?”

“Si”

Una pugnalata al cuore. Una vera e propria pugnalata al cuore.

“Cathy?” mi richiamò calmo Peter, vedendo il mio smarrimento.

Alzai lo sguardo sul bel re. I miei occhi stavano supplicando pietà. Ad un tratto desiderai di non aver mai saputo come era andata veramente la guerra, perché i miei amici si trovassero rinchiusi in celle fredde e perché Peter era stato ridotto in quello stato pietoso. La possibilità che mia madre si rivelasse in realtà la crudele Strega Bianca che tutti temevano mi stava dilaniando.

E Peter lo sapeva, ecco perché con il tono più dolce del miele cercò di confortarmi.

“Mia stella, so che deve essere orribile apprendere tutto questo, ma purtroppo è necessario per la tua salvezza e per quella di Narnia intera.”

Presi un respiro profondo. Peter aveva ragione. Non potevo più difendere mia madre dalle accuse che le venivano rivolte. La verità era troppo palese affinché potessi fingere di non vederla.

Frasi da lui pronunciate in un tempo che mi sembrava tanto lontano riecheggiarono nella mia mente, frasi che sembravano predire saggiamente un futuro alla quale non avrei mai creduto se non l’avessi visto.

Tu credi sul serio che Jadis ci lascerebbe tranquillamente andare vivi lontano di qua? Dopo milletrecento anni che medita vendetta?

Lo avevo creduto. Come una piccola ingenua avevo davvero creduto nella buona fede nella strega, avevo creduto ad ogni sua singola promessa, ad ogni frase e proposito confidando che non avrebbe mai mentito a sua figlia, fiduciosa che il suo cuore non avrebbe mai potuto compiere atti di vendetta. E invece mi ero clamorosamente sbagliata. Ero stata raggirata con facilità e i Pevensie e Caspian ne avevano purtroppo pagato le conseguenze insieme ai loro regni.

Perché la Strega Bianca non aveva mai avuto alcuna intenzione di lasciare impunito il colpo di stato avvenuto tredici secoli prima. Perché Jadis covava vendetta da troppo tempo, a differenza di quello che avevo ingenuamente sperato. Una vendetta che esigeva di essere consumata.

Jadis mi aveva mentito, ogni sua singola parola si era dimostrata essere falsa. Falsa come il suo amore per me, perché se davvero mi amava come diceva, non mi avrebbe mai raggirato in un modo tanto infame ed infido.

Alcune lacrime scapparono dal mio controllo mentre un singhiozzo mi scosse. Per la seconda volta mi vedevo strappare via l’affetto di una madre, proprio quando iniziavo a godere del suo dolce sapore. Era ingiusto. Terribilmente ingiusto.

“Evidentemente non è il mio destino avere qualcuno da chiamare mamma con affetto” mormorai con amarezza.

“Mia Cathy, vieni qui” Peter mi invitò tra le sue braccia e io non esitai ad accoccolarmi sul suo petto ampio e caldo.

Altri singhiozzi, altre lacrime, ma su entrambi la dolce e rassicurante voce di Peter cercò di imporsi.

“Jadis non merita il tuo pianto. La sola che deve soffrire e che infine soffrirà sarà lei, specie quando si accorgerà che per la sua crudeltà ha perso la cosa più preziosa che la vita avrebbe mai potuto regalarle, che non è di certo una corona, bensì il tuo affetto, l’affetto di una figlia altruista e buona che le avrebbe donato solo felicità.”

Parole di conforto, balsamo sulla mia ferita se pronunciate con quel tono vellutato.

“Ma tu sei diversa, sei capace di amare e di essere amata dalle persone che lo fanno con il cuore. Hai l’amicizia di Susan, di Edmund e di Caspian, che farebbero qualsiasi cosa per te senza pensarci un attimo. Hai Lucy che praticamente ti adora.” Il ricordo dei quattro ragazzi riuscì a strapparmi un sorriso di tenerezza che vinse in parte i singhiozzi. “E hai il mio amore, ora e per sempre come dovresti ben sapere”.

L’ultima dichiarazione bloccò definitivamente le lacrime. Lo guardai grata di quelle splendide parole che mi aveva rivolto e che riuscivano almeno ad arginare il dolore che sentivo.

“Hai ragione. Io ho voi e per difendervi farò tutto ciò che è in mio potere. Anche” deglutii, sentendo gli occhi farsi nuovamente lucidi. “andare contro Jadis” dichiarai con la voce più ferma che riuscii a sfoderare.

Un sorriso illuminò il volto del re. Un sorriso sollevato e speranzoso. “Sai, per qualche istante ho temuto di averti persa per sempre per colpa della strega” mi confessò.

“Perdonami, sul serio. Non sai quanto mi dispiace per non averti dato retta sin da subito.” Mormorai afflitta, prima di abbracciarlo senza più paura di fargli male.

“Chi potrebbe mai biasimarti, mia Cathy? Le tue scelte sono sempre state dettate dall’amore, mai dall’egoismo o dalla cattiveria”.   

In questo caso dall’amore verso una madre che non credevo di avere, che avevo sperato tenesse a me e il cui sentimento si rivelava ora fasullo. Ma nonostante le nuove scoperte, sarei riuscita a nuocerle in modo assoluto per il bene di Narnia? La risposta la sapevo già. Dovevo però dirlo a Peter, occorreva mettere in chiaro fin dove mi sarei spinta per aiutarli.

“Ascoltami però, anche se Jadis ha fatto quello che ha fatto, per me rimane sempre la persona più simile ad una vera madre che ho mai avuto. Quindi se ci fosse un altro scontro non vi aiuterò ad ucciderla. Prometto che non vi intralcerò né giudicherò, ma semplicemente che non alzerò la spada personalmente contro di lei.” affermai, confidando nella sua comprensione.

Un lampo di serietà passò in quelle iridi celesti che mi scrutarono l’animo. Storse la bocca in una smorfia contrariata prima di rispondermi.

“Quindi cosa intendi fare?” mi chiese senza nessuna particolare inflessione nella voce.

“Se Narnia soffre come mi hai detto, riparerò al danno che ho fatto e aiuterò te e i tuoi fratelli a riprendervi il trono in ogni modo possibile, eccetto eliminare Jadis. ” ribadii senza remore.

Peter mi soppesò ancora un secondo prima di sussurrare un “D’accordo, effettivamente non sarebbe giusto chiederti una cosa simile. Ti capisco”.

Sospirai sollevata. Un sollievo momentaneo perché subito mi ricordai ciò che dovevo fare. Trovare la chiave e liberare i ragazzi.

“Ora vado, ma tornerò con la chiave prima che tu possa sentire la mia mancanza” mormorai ad un soffio dalle sue labbra.

“Impossibile, già la sento” ribatté ilare strappandomi un sorriso.

Gli diedi un ultimo bacio, non di addio questa volta, solo un semplice arrivederci.

“Ti amo” gli dissi quando ci separammo, e fui lieta di poterglielo comunicare senza la sofferenza di cui era intriso l’ultima volta che lo avevo pronunciato.

“Ti amo” mi fece eco lui, guardandomi con gli occhi che brillavano.

Mi allontanai a malincuore, ma questa volta almeno sapevo che lo avrei rivisto a breve.

 

Una volta che la porta si fu richiusa, compresi che c’era una cosa che dovevo fare prima di cercare la chiave. Dovevo andare a Narnia e a Telmar e rendermi conto di persona di cosa avevo contribuito a fare. Dovevo sapere l’entità del danno.

Richiamai la mia magia, facendola scorrere per tutto il mio corpo. La sentii pulsare dal torace fino alle mani e poi giù verso i piedi per risalire fino alla testa. Focalizzai le rovine dove gli abitanti di Narnia si erano nascosti per molti mesi e formulai l’incantesimo.

Un vortice d’aria mi circondò, e presto provai la sensazione di venire trascinata all’indietro.

Quando riaprii gli occhi, non riuscivo a credere che ciò che vedevo fosse vero. Il colore ocra dell’edificio era interamente ricoperto da quello candido della neve. Quello come la piccola arena, i cui resti erano seppelliti dai fiocchi, e la pianura, la verdeggiante e fertile pianura piena di fiori dai colori più vivaci nei miei più recenti ricordi, era interamente bianca.

Una folata di vento gelido mi fece battere i denti. Cercai di stringermi nelle mie braccia ma il freddo era davvero pungente, quasi insopportabile. Come la ferita al mio cuore che aveva ripreso a sanguinare all’ennesima prova tangibile della vera natura di Jadis.

Come poteva aver ridotto quella florida terra a, come lo aveva chiamato Peter, un deserto di ghiaccio?

Desiderosa di sottrarmi a quella vista, cercai di farmi forza e ripetei la magia trasportandomi a Telmar in pochi istanti. Gli stessi istanti che impiegai per rimanere senza respiro.

Telmar era messa peggio di Narnia. Anch’essa era completamente ricoperta di neve, ma Jadis non aveva incantato solo vie e strade.

Come orribilmente ammaliata, mi avvicinai ad una statua di ghiaccio poco distante, simile alle mille che sembravano riempire la cittadina. Raffigurava un anziano signore con in mano un libro, ripreso nell’atto di camminare. L’espressione era pensierosa, ma i muscoli del viso rilassati.

Indietreggiai inorridita, finendo per inciampare nei miei passi e cadere sulla soffice quanto fredda neve. Quella non era una statua. Quella era una persona congelata, quella come tutte le altre.

Aprii la bocca per urlare, ma non un suono riuscì ad uscire dalle mie labbra. Avevo la gola bloccata dall’orrore.

Solo un demonio poteva essere capace di un atto tanto crudele. Un demonio, o una strega. Per la precisione la Strega Bianca.

Ora più che mai mi parve chiaro che la donna dai lineamenti gentili e il tono dolce che avevo chiamato “mamma” non era altro che una copertura, una maschera che celavano un anima nera in perfetto contrasto con il candore della neve che tanto adorava, ma fredda esattamente come essa.

Una folata d’aria calda mi investì da dietro, giungendo del tutto inaspettata, e prima che mi voltassi, una voce bassa e possente mi risuonò nelle orecchie.

“Questo è solo un assaggio di ciò che la Strega Bianca è capace di fare”

Spaventata, mi voltai di scatto. Trattenni il respiro mentre con stupore crescente registravo una folta criniera che si muoveva al vento freddo simile a lingue di fuoco. Un corpo possente, poggiato su quattro zampe dal manto dorato, con postura fiera e regale si stava avvicinando con lentezza, segnando orme sul tappeto di neve.

“Aslan”

Il mio sussurrò strozzato si perse nel vento, ma fui certa che lui lo avesse sentito.

Il grande felino puntò su di me i suoi occhi scuri, che chissà quante ere aveva scorto, soppesandomi con espressione neutra.

Sentii il cuore in gola. Non ero preparata ad incontrarlo, era assolutamente l’ultima persona che mi aspettavo e che sapevo di poter affrontare. Mi sentivo terribilmente in colpa per averlo accusato ingiustamente e di aver contribuito allo scempio che Jadis aveva fatto della sua terra. Mi vergognavo, temevo la sua collera e il suo giudizio.

Incapace di sostenere il suo sguardo imperscrutabile abbassai le mie iride azzurre, attendendo la sua rabbia. Una rabbia che però non scorsi affatto nelle sue parole che seguirono.

“Così tu sei Cathrine Icepower. Non vedevo l’ora di conoscerti di persona”

Incredula, azzardai a guardarlo di nuovo negli occhi scorgendo un lampo di benevolenza nella sua espressione. Possibile che non fosse adirato con me dopo quello che avevo combinato?

Tuttavia, io mi sentivo in dovere almeno di tentare di scusarmi.

“Aslan, io…mi dispiace, davvero. Non avrei mai voluto tutto questo. L’unica cosa che desideravo era riportare Narnia a com’era milletrecento anni fa, volevo vederla risplendere come nei racconti di Peter e invece ho combinato un disastro. Narnia e Telmar sono congelate, la persona della quale mi ero fidata si è dimostrata una sanguinaria tiranna che io ho rimesso sul trono e i Pevensie sono rinchiusi in…” iniziai a raffica, vincendo a poco a poco il magone che sentivo in gola, come se elencare ogni disgrazia da me causata fosse in qualche modo terapeutico, uno sfogo.

“Basta giovane Cathrine, non occorre che tu ti scusi. So che le tue intenzioni erano delle più onorevoli. Sei stata ingannata dalla vera colpevole di tutto ciò, la Strega Bianca, e probabilmente sei la sua principale vittima. Hai tutta la mia comprensione”

Le parole del grande sovrano erano sincere, il mio cuore lo sapeva e subito, come per magia, mi sentii più sollevata. Aslan non era in collera con me e soprattutto era qui. Aslan era infine tornato. Peter, i suoi fratelli, Caspian e Narnia erano salvi.

“Grazie” gli dissi. Una parola semplice ma intrisa di sentimento.

“L’importante è che ora tu sia pronta ad assumerti le tue responsabilità e che aiuti i Pevensie e il giovane principe di Telmar. Hanno bisogno di te” mi ingiunse serio.

Il mio sguardo si corrucciò. “Tu non li aiuterai?” chiesi smarrita, alzandomi da terra, infreddolita dalla neve.

“Si, quando mi verrete a cercare, io vi aiuterò. Ma ora non è ancora giunto quel momento. Tu, Cathrine, hai la possibilità di salvarli senza di me dalle grinfie della strega e di sconfiggere quest’ultima” mi informò con sicurezza.

“Ti sbagli.” Ribattei immediatamente, confusa dal suo rifiuto di aiutarci. “Mi impegnerò con tutta me stessa per farli uscire dal castello” mi affrettai a specificare “ma da sola non riuscirò mai a battere Jadis. Non posso. E ho paura che nemmeno Peter ce la possa fare, abbiamo bisogno di te per questo” conclusi.

Il grande felino scosse la testa. “Questa battaglia è tua e del giovane re, la mia è stata combattuta anni addietro. Solo voi due dovete trovare la forza per distruggere la Strega Bianca per sempre.” Decretò con tono che non ammetteva repliche.

Scossi la testa in segno di diniego. Non ce l’avrei mai fatta, ne ero certa. Mi morsi il labbro per la frustrazione, perché diamine non voleva soccorrerci da Jadis?

“Non so nemmeno dove sia la chiave per liberarli dalle loro celle” mormorai afflitta.

“Jadis è una Strega Bianca, non si fida di nessuno eccetto che di se stessa. Sono certo che la chiave la troverai nella sua camera, ben custodita da qualche incantesimo” mi consigliò.

Aggrottai le sopraciglia. “Anche io sono una Strega Bianca” obiettai, risentita.

Con mia sorpresa, Aslan parve sorridermi ironico. “Sai qual è la caratteristica che contraddistingue una Strega Bianca?” chiese pacato ed enigmatico.

“Quella di avere dei poteri magici” risposi di istinto.

Il felino scosse la folta criniera. “è quella di avere un cuore di ghiaccio” mi corresse paziente.

Mi rattristai. Ciò voleva dire che anche io avevo un cuore di ghiaccio? Ma prima che potessi formulare la domanda ad alta voce, il felino fece un passo avanti, e poi un altro fino ad arrivare a sfiorarmi con la criniera. Non potei impedirmi di provare un brivido di paura ad averlo a quello distanza ravvicinata. Era alto quanto me e le zanne affilate e letali spiccavano sulla sua bocca socchiusa. Sarebbe bastato un morso per uccidermi.

Ma lui non lo farebbe mai. Ricordai a me stessa cercando di imporre la ragione sull’istinto con successo. Era vero, Aslan non mi avrebbe mai fatto del male. Al contrario di quello che aveva fatto Jadis.

“Cathrine, sei giovane, ma sei molto potente. Hai un grande potenziale e sono certo che lo sfrutterai nel migliore dei modi possibile. Se avrai fiducia in te stessa niente ti sarà impossibile. Affidati alla tua magia, essa non ti tradirà mai perché fa parte di te. Ma se anche essa non bastasse, affidati all’amore di Peter e all’amicizia di Caspian, Susan, Edmund e Lucy. I loro sentimenti sono puri e non verranno mai meno. Se resterete uniti, riuscirete nei vostri intenti”.

Il suo discorso mi riscaldò il cuore. Erano consigli quasi da padre. Si preoccupava per me, ma soprattutto aveva fiducia nella mia persona. Mi credeva davvero capace di portare a termine la difficile missione che mi aveva affidato. Il suo ottimismo mi contagiò e improvvisamente mi sentii più consapevole delle mie potenzialità. Dopotutto se lui credeva possibile un mio successo perché io non avrei dovuto?

“Grazie Aslan” ripetei sorridendogli riconoscente.

Il leone ricambiò il sorriso. “Ricorda, quando mi verrete a cercare io vi aiuterò” ripeté serio “Ora vai. Buona fortuna giovane Cathrine”

Aslan spalancò la grande bocca e soffiò investendomi con un fiotto di aria calda come i raggi del sole. Mi sentii trascinare all’indietro e in un attimo non avvertii più il caldo del suo soffio né il freddo della neve sotto di me, bensì la sofficità del tappeto che ricopriva il pavimento della mia stanza. E una voce irosa che la riempiva graffiandomi i timpani e facendomi presagire il peggio.

“Dove sei stata?”

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Capitolo 19
*** 18_La madre e la strega ***


Ciao ragazzi e ragazze :-)! Rullo di tamburi....il capitolo è arrivato^^!!! Ci ho impiegato più tempo di quello che speravo ma alla fine sono riuscita a pubblicarlo, sarà venuto bene? A voi l'ardua sentenza! In qst cappy si svolge il nodo cruciale di tutta la storia, per qst nn mi dilungo oltre e vi lascio alla lettura! Mi auguro che vi piaccia, fatemi sapere cosa ne pensate :-)

Ringraziamenti:

Eve_Cla84:  Ciao! Non sai quanto sn contenta di sapere di avere una nuova lettrice e ti ringrazio tantissimo per i tuoi complimenti e apprezzamenti per la mia storia :-)!  Anche Cathrine ringrazia per i complimenti che hai rivolto al suo personaggio, se ne è sentita onorata ** , in + è sempre un sollievo sapere che si è riusciti a caratterizzare con successo un personaggio e i suoi legami con le altre persone, temo sempre di nn essere riuscita a descrivere compiutamente i miei personaggi e sapere che ciò nn è successo mi rassicura :-)! Anche a me l'aspetto regale di Jadis è sempre piaciuto nei film, devo confessare che la fan fiction è nata anche per rendere omaggio al suo personaggio a cui nel secondo film secondo me hanno dato una parte troppo piccola e poco significativa. Insomma, è la potente Strega Bianca e sarà apparsa si e no cinque minuti! Nn mi sembrava giusto... tuttavia la psicologia della mia Jadis nn è ancora stata approfondita del tutto e credo rivelerà ancora sorprese in qst ultimi capitoli, sorprese che spero verranno apprezzate :-) Ti ringrazio ancora tanto e spero di leggere presto la tua recensione su qst capitolo :-) un bacione!!!!!

lovely_:  ciao!! Sn felice che tu sia stata così contenta dell'aggiornamento la volta scorsa e che il cappy ti sia piaciuto :-)! Spero che ti piacerà anche qst volta e che nn deluderà le aspettative :-)! Grazie mille per la recensione :-) kisskisses :-)!

ranyare: ciao! Aslan apprezza tantissimo il tifo, hiihi, io invece apprezzo davvero tanto tanto tanto tutti i tuoi complimenti, sn felice di sapere che anche l'ultimo capitolo abbia regalato delle emozioni e che sia piaciuto, grazieeeeeeeee**! In qst cappy invece sarà Cate ad avere bisogno di tutto il tifo possibile, è il suo momento e l'impresa che la aspetta nn è affatto facile, ma come hai detto tu se Aslan ha fiducia in lei avrà i suoi buoni motivi! Nn sapevo che anche tu avessi optato per Taylor Swift per uno dei tuoi personaggi :-) sarà che ultimamente la si vede dappertutto, persino ad X Factor! Cmq con il viso d'angioletto che ha (beata lei perchè è davvero bella >

Freddy Barnes: Ciao!! Nn sai quanto sn stata felice nel leggere le tue recensioni, hai letto tutta la ficcy praticamente d'un fiato! Nn saprei cosa dire se non che mi sento onorata e stra contenta! Grazie mille anche per tutti i complimenti e per aver apprezzato tanto i personaggi:-)!!! Concordo sul fatto che se esistessero ragazzi come Caspian e Peter il mondo sarebbe un posto migliore hihiihi (specie per noi ragazze!) ma chissà, la speranza è l'ultima a morire (qui l'ottimismo galoppa!). Si, cm hai detto tu, ora che finalmente Cate si è resa conto della "dolce personcina" che è Jadis in realtà si è arrivati al momento più cruciale di tutta la storia e spero tanto che cm l'ho reso nel cappy nn deluda le aspettative :-)! Spero di leggere presto cosa pensi di qst diciottesimo capitolo e mi auguro che ti piaccia :-) mille grazie ancora per le tue recensioni e i tuoi complimenti, thanks^^ un bacione grandeeee^^

sweetophelia: Ciao! Si, effettivamente era ora che Cate si rendesse conto della verità! E finalmente adesso può partire alla carica e portare a compimento la missione che Aslan le ha dato anche se le difficoltà saranno parecchie, la strega è un osso duro da sconfiggere purtroppo per lei! Cm sempre sn contenta di sapere che il cappy scorso ti sia piaciuto, grazie infinite per i complimenti e spero che anche qst venga apprezzato :-)! Siamo ormai al cappy cruciale della storia, per qst mi auguro che il cappy sia venuto bene come speravo! Nn vedo l'ora di leggere il tuo parere :-) un bacio e un abbraccio grandiii^^ PS. Grazie per avermi detto di aver apprezzato la copertina, sei stata l'unica a farlo e temevo nn fosse piaciuta:-)! 

noemi_moony:  Ciao! Felicissima di sapere che il cappy ti sia piaciuto! I ragazzi sn in una brutta situazione per Cate adesso finalmente ha capito da che parte deve agire e quindi farà il possibile per aiutarli! Hihihih, effettivamente un'amica come Cate in certe situazioni farebbe più che comodo, addio mal di testa e raffreddori e niente più antibiotici >

Ringrazio anche tutti coloro che hanno aggiunto la fan fiction tra le seguite, le preferite e /o da ricordare e quelli che hanno anche solo letto, grazie a tutti**

Vi auguro una buona lettura

Kisskisses

68Keira68

witch

18_La madre e la strega

 

Presa alla sprovvista sobbalzai nell’udire una voce irritata provenire dal divanetto sotto il davanzale.

Voltai lo sguardo in quella direzione e vidi Jadis, seduta composta, i lineamenti del volto irrigiditi quanto la spina dorsale. Era arrabbiata, bastava vedere le scintille furiose che le attraversavano gli occhi per comprenderlo. Il mio cuore cominciò a battere veloce come le ali di un colibrì. Sapeva chi avevo visto? Sapeva del mio incontro con Aslan?

“Ti ho chiesto, dove sei stata?” ripeté con un’evidente sforzo di tenere il tono di voce basso.

La dolcezza con la quale era solita rivolgersi a me si era volatilizzata nel nulla e il cambiamento non mi piaceva per niente. Fiera e algida, con lo sguardo di ghiaccio, mi metteva in soggezione.

Presi un profondo respiro per farmi forza e cercando di non far vacillare la mia voce le risposi.

“Sono andata fuori”

“Ti avevo chiesto di non farlo” mi ricordò contrariata.

Sbuffai ironica, riuscendo a vincere la momentanea paura grazie all’irritazione.

“Perché sapevi che non mi sarebbe piaciuto affatto quello che avrei visto. Mi hai mentito, Narnia non è tornata quella di una volta, è sepolta sotto la neve” sbottai, accusandola.

Jadis si alzò, sovrastandomi con la sua longilinea figura. I tratti del volto erano rimasti immutati, ma dalle iridi di ghiaccio uscivano lampi, segno che le mie parole l’avevano colpita.

“Punti di vista. Per me questo è il volto che Narnia deve avere, non pieno di orribili fiori e stupidi alberi danzanti” pronunciò l’ultima parola con una smorfia di disgusto “Per una Strega Bianca, regina del gelo, la neve è il suo regno” affermò con orgoglio.

“Ti sbagli, anche io sono una Strega eppure preferisco di gran lunga vedere la natura risvegliarsi attorno a me, non vederla congelata. E tu lo sai benissimo o non avresti ridestato gli alberi in giardino per farmi credere ciò che volevi.” ribattei piccata, contraddicendola per la prima volta.

“Questo solo perché sei stata riconosciuta come Strega Bianca da troppo poco tempo per condividere il mio gusto. Per ciò ti ho tenuto all’oscuro di come Narnia era realmente mutata. Ti avrei detto la verità quando saresti stata pronta.” Si giustificò.

Aprii la bocca per ribattere ma la richiusi, assalita da dubbi improvvisi. Stava dicendo il vero? Anche io prima o poi sarei divenuta come lei, amante delle lande ghiacciate?

Qual è la caratteristica che contraddistingue una Strega Bianca? Quella di avere un cuore di ghiaccio.

Aslan era stato chiaro, eppure dentro di me sapevo che non sarei mai potuta divenire come mia madre. Non avrei mai potuto nuocere a coloro che amavo come a nessun altro. E non avrei mai apprezzato un deserto di ghiaccio come terra da chiamare casa.

Sapevo bene cosa desideravo e cosa no. Quella mattina in mezzo alla natura mi ero sentita a mio agio come da giorni non riuscivo a sentirmi in quel palazzo freddo. Non dovevo farmi paranoie per colpa di pregiudizi comuni, nessuno poteva dire cosa o chi sarei diventata se non io stessa.

“Ne dubito profondamente, comunque resta il fatto che mi hai mentito. Ma non è questa la bugia più grave” proseguii a conclusione della mia riflessione.

“E quale sarebbe?” mi chiese inarcando un sopraciglio.

“I Pevensie sono rinchiusi nelle prigioni del castello, mezzi congelati quando mi avevi giurato che erano tornati a Londra sani e salvi e con loro c’è anche Caspian!” le ricordai acida e infervorata. Ancora non mi capacitavo di come aveva potuto accanirsi tanto sui ragazzi anche dopo aver vinto la battaglia. Era pura disumanità, andava oltre la mia semplice comprensione. Senza contare che associare a lei un tale gesto mi feriva ancora il cuore.

Vidi la sorpresa serpeggiare sul suo volto, segno che non sospettava neppure una mia visita alle prigioni, ma essa sparì presto dietro un’espressione dura e sicura.

“Posso immaginare cosa ti avranno detto. Che sono stata spietata e ingiustamente crudele” commentò sarcastica.

“Perché potresti affermare il contrario? Ho visto io stessa come li hai ridotti” la sfidai, infastidita da come osava sminuire con dell’ironia le sue azioni infami quando personalmente ne avevo constatato il risultato.

“Certo!” rispose alterata dalla mia insinuazione. “Quello che ho fatto non è né ingiusto né insensato. Sono troppo pericolosi per essere lasciati liberi di andarsene, troverebbero senz’altro un modo per tornare e spodestarci nuovamente o hai dimenticato chi è il loro alleato? Aslan li sostiene ed ora sarà senz’altro nell’ombra ad aspettare il momento giusto per attaccare.” Spiegò le sue ragioni.

Strabuzzai gli occhi. Anche ammesso che i Pevensie potessero realmente costituire una minaccia da soli, come poteva anche solo pensare che ciò le dava il diritto di rinchiuderli in una cella gelida e torturarli a suo piacimento? Non esisteva né in cielo né in terra! Solo una sadica folle poteva ideare questo pensiero.

Sadica e folle. I due aggettivi che Peter cercava di farmi comprendere essere caratteristici di Jadis. Pensai amareggiata.

“Non saresti dovuta venirlo a sapere perché ero certa che non avresti capito. E come potevi tu, mia piccola Nives, così buona e ingenua. Non avresti compreso il grave pericolo che avrebbero costituito per la nostra sicurezza né la vitale importanza che per noi ha cercare di sapere dove Aslan ora si trovi per attaccarlo prima che lui colpisca noi” proseguì, addolcendo improvvisamente il tono di voce.

Sorpresa notai che anche i suoi tratti si erano ingentiliti. Lo sguardo era tornato ad essere compassionevole e comprensivo come lo era sempre stato. Fu un cambiamento talmente repentino da lasciarmi sbigottita, ma cercai di riprendermi in fretta. Sapevo cosa intendeva fare, voleva riportarmi dalla sua parte, riconquistarmi facendomi rivedere la maschera della madre buona e dolce alla quale mai avrei voluto rinunciare. Ma non mi sarei fatta abbindolare nuovamente. Ora sapevo cosa celava l’apparenza e non potevo certo fingere di non aver mai scorto il marcio che c’era in lei. Non potevo dimenticare che Peter e gli altri ragazzi erano rinchiusi in spazi freddi e angusti per colpa sua. Non potevo scordare il deserto di ghiaccio che avevo visitato solo pochi minuti fa. Dovevo attenermi ai fatti, non credere ciò che il mio cuore avrebbe tanto voluto pensare, ovvero che era tutto falso, che Jadis non era la tiranna che purtroppo avevo appreso essere.

“Mamma è assurdo! I Pevensie e Caspian non sono affatto pericolosi! E non ha la benché minima giustificazione rinchiuderli là sotto e trattarli in quel modo. Senza contare che è inutile che continui a domandargli dove si trovi Aslan, non lo sanno nemmeno, credimi” cercai di farla ragionare, tacendo attentamente sul mio incontro personale con il leone.

Jadis scosse la testa, simulando un’espressione mortificata. “Questo è ciò che hanno voluto farti credere piccola mia, ma non devi farti ingannare. Ci vogliono distruggere, vogliono riprendersi il trono, fidati di me” ripeté con il tono più suadente che riuscì a trovare.

Gli occhi mi si fecero lucidi. Era una causa persa, non c’era speranza. Non avrei mai potuto convincerla a rinunciare alla corona e al dominio su Narnia. Non ci sarebbe mai stata una pace tra lei e i Pevensie. Dovevo rassegnarmi al fatto che schierandomi dalla parte di Peter, avrei perso Jadis. Per ora però dovevo stare al suo gioco, fingere che le credevo. Continuare a contraddirla l’avrebbe solo portata a perdere le staffe e a far rinchiudere anche me in prigione. A quel punto non avrei più potuto essere utile per Susan, Caspian, Edmund, Lucy e Peter.

Presi un profondo respiro cercando di similare la mia miglior espressione dispiaciuta. Mi morsi il labbro e finsi di essere profondamente combattuta con me stessa. Guardai fuori dalla finestra come a trarre ispirazione e poi sospirai di nuovo, afflitta.

“Certo che mi fido di te, sei mia madre. Cos’altro potrei fare? Perdonami per lo sfogo di prima” mormorai.

Il sorriso che Jadis mi rivolse gratificò le mie doti di attrice.

“Ti chiedo solo una cosa. Non ucciderli, te ne prego” aggiunsi per avvalorare la mia recita e per almeno tentare di proteggere le vite dei ragazzi finché non li avessi liberati.

“Ma certo.” Mi assicurò. “Fingiamo che questo brutto disguido non sia mai avvenuto, ora dormi piccola mia e non ti preoccupare più di nulla.” Concluse avvicinandosi a me e accarezzandomi la guancia.

Non so dove trovai la forza, ma al posto di piangere per la tristezza che quel falso gesto amorevole mi procurava, riuscii pure a sorridere per non compromettermi.

Quando fu sull’uscio, si volse un’ultima volta prima di andarsene.

“Devo uscire per poco tempo. Desidererei che tu stessi in camera, senza andare alle prigioni. Lo farai?” mi chiese a brucia pelo.

Puntai i miei occhi dentro i suoi. Ghiaccio nel ghiaccio. Con lo sguardo fermo e sicuro, un sorriso dolce e ingenuo, la mia voce rispose alla sua richiesta senza il minimo tremito.

“Come vuoi tu, mamma. Ti aspetto”.

Jadis mi soppesò un attimo. Un attimo che mi parve infinito, dove due lamine ghiacciate cercarono di penetrare la mia mente. Inutilmente, perché la mia maschera fu più dura dei suoi occhi se dopo poco la strega ricambiò il sorriso e uscì dalla stanza.

Rimasi dieci minuti a fissare insistentemente la porta bianca, immobile sul posto. Gli occhi mi pizzicavano e ora che non dovevo più tenere la recita potei finalmente far scendere le lacrime giù per le guancie.

Sentirla parlare della sua visione di un regno giusto, vederla mentirmi così platealmente e mentirle a mia volta era orribile. Adesso potevo chiaramente capire quanto ogni suo sorriso, ogni sua parola dolce era stata una parte di un’enorme farsa.

Deglutii e presi un profondo respiro. Con il dorso della mano mi asciugai con forza le lacrime. Dovevo superare quel momento, dovevo andare avanti con la mia missione.

Aggrappandomi al pensiero di Peter, mi accostai alla finestra dalla quale potevo godere della visuale del ponte che collegava il castello a Narnia.

Quando infine scorsi il cocchio bianco allontanarsi con a bordo Jadis, decisi che era giunto il momento per andare a cercare la chiave. Appena mi mossi verso la porta però, un rumore di passi e di ferro contro ferro mi giunse all’orecchio. Proveniva da dietro la porta e affinando l’udito potevo anche sentire tre voci baritonali che discutevano con calma tra di loro. Scossi la testa amareggiata.

Ovviamente Jadis nonostante il sorriso che mi aveva rivolto non si fidava delle mie parole. Forse la mia recita non era stata impeccabile come avevo creduto se aveva ritenuto opportuno mandare tre guardie di stanza alla mia porta.

Mi concessi comunque un sorriso ironico. Credeva davvero di potermi fermare con tre soldatini messi a fare la sentinella? Mi sottovalutava a tal punto?

Storcendo le labbra, chiusi gli occhi e mi concentrai. Ci impiegai un secondo per trovare quello che cercavo. Tre auree luminose poco distanti, due nani e un minotauro se non mi sbagliavo. Richiamai la magia e penetrai i loro scudi. Con semplicità assoluta gli uomini caddero addormentati.

Si, decisamente mi sottovaluta. Considerai fiera di me stessa.

Aprii la porta, trovandomi i tre corpi appisolati sul pavimento. Li scavalcai con noncuranza e mi diressi spedita verso la torre sud del palazzo, dove si trovava la camera di Jadis.

Camminavo rasente al muro, tendendo l’orecchio per captare anche il minimo rumore sospetto e tenendo la mia magia pronta per essere usata. Se avessi incontrato qualche altro soldato della strega dovevo agire in fretta e farlo addormentare, non sapevo se Jadis avesse messo in allarme altri tra i suoi uomini sul fatto che dovevo restare confinata in camera ed era meglio non rischiare.

Con passo veloce ma silenzioso, raggiunsi senza intoppi la torre sud. Cominciai a salire la scala a chiocciola facendo gli scalini a due a due sentendo il tempo che mi scivolava via come la sabbia in una clessidra.

A dieci passi dalla cima avevo il fiatone ma non mi concessi di riprendere fiato. Chiusi gli occhi e cercai la presenza di auree davanti alla porta della camera della strega nascostami alla vista dalla curva della torre. Con mio sollievo notai che non c’era nessuno a fare da guardia. O Jadis non si fidava nemmeno dei suoi soldati per metterli di sentinella dinanzi alla sua porta o era certa che nessuno era tanto pazzo da osare ad entrare nella sua stanza. Qualunque fosse il motivo, non indugiai oltre e aprii la porta di ghiaccio.

Anche se sapevo con certezza dove si trovava, non avevo ancora messo piede nella camera di mia madre, ma riuscivo comunque a immaginarmi come poteva essere. Elegantemente sobria, interamente bianca, insopportabilmente fredda. Come lei.

Appena l’uscio si dischiuse, una folata gelida mi investì insieme ad una leggera nebbiolina, ricordandomi molto l’apertura di una grande cella frigorifera anche per la temperatura decisamene più bassa rispetto alle altre zone del castello.

Quando la nebbia si dissolse, notai come le mie aspettative non fossero state deluse.

Era una stanza circolare, priva di finestre probabilmente per escludere anche solo la più remota possibilità che un tiepido raggio di sole penetrasse. Opposto alla porta, un letto a baldacchino catturava lo sguardo. Era interamente costruito nel ghiaccio, eccezion fatta solo per il materasso e le tende candide legate con un nastro d’argento ai pali verticali che sostenevano la struttura. Pali sui quali era presente un’intarsiatura raffigurante fiocchi di neve stilizzati e che con la loro levigatezza rilucevano alla luce delle fiaccole azzurrine dando alla stanza una luminosità particolare, che in modo paradossale mi ricordava quella soffusa dei luoghi sacri, fatto che mi metteva in soggezione.

Presi un bel respiro per farmi forza e analizzai il resto dell’ambiente. Accanto al letto c’era un comodino, ovviamente in ghiaccio anch’esso, per ogni lato del letto, un lungo comò che seguiva la forma circolare della stanza e, alla destra della porta, un armadio, se possibile, ancora più grande del mio.

Vincendo la soggezione entrai nella stanza e cominciai a cercare la chiave dentro il primo dei cassetti del lungo comò. Si aprì con uno scatto mostrandomi una lunga serie di quaderni sgualciti e ingialliti dal tempo. Li sfiorai corrucciando la fronte. Mi sarei aspettata delle maglie, della biancheria, invece sotto il tocco leggero delle mie dita stavano quelli che sembravano essere… dei diari? I diari di Jadis. Il ritmo del mio cuore accelerò. Possibile che Jadis tenesse dei quaderni dove appuntare giorno per giorno la sua vita? Se così fosse stato, tra quelle pagine ci sarebbero state le esperienze di mia madre, le sue aspettative, i suoi piani, i suoi desideri e i suoi dubbi. I suoi sentimenti.

Leggendoli forse avrei trovato ciò che l’aveva spinta a divenire la crudele tiranna che era ora. Quello che aveva fatto mentre era la regina di Narnia. Ma soprattutto quello che aveva provato nell’apprendere che aveva avuto una figlia, quello che le era costato separarsi da me e forse cosa provava tutt’ora nei miei confronti. In quella carta resa sottile dai secoli che erano trascorsi da quando erano stati riposti in quel cassetto c’era la verità sui sentimenti che mia madre nutriva nei miei confronti. Le frasi lì vergate erano prive di abbellimenti fatti per secondi fini o giochi di parole puntati a confondere, esplicitavano semplicemente la realtà.

Mi morsi il labbro. Avrei tanto desiderato potermi mettere a leggerli ma nella mia testa il ticchettio di un orologio immaginario scandiva inesorabile il tempo che mi restava per liberare i miei amici.

Scossi la testa e decisa richiusi il cassetto, promettendo a me stessa che avrei trovato il modo per appropriarmi della verità lì celata.

Guardandomi sconsolata attorno realizzai che setacciando ogni cassetto avrei impiegato un’eternità per ritrovare la chiave che avrebbe aperto le celle dei ragazzi. Non ce l’avrei mai fatta. A meno che…Aslan aveva detto di affidarmi alla mia magia, e se proprio essa fosse stata capace di guidarmi verso la chiave?

Tentar non nuoce…

Alzai le braccia e distesi le dita dove feci confluire i miei poteri che subito accorsero al richiamo. Mostrami dov’è la chiave che libererà i Pevensie e Caspian. Ordinai.

L’incantesimo funzionò. Sentii la mia magia disperdersi per la stanza, riempire ogni anfratto, entrare in ogni mobile, guardare sia sopra che sotto ogni oggetto. Stava cercando la chiave al mio posto in maniera molto più veloce ed efficiente di quanto avrei mai potuto fare io.

Una manciata di secondi dopo, i miei stessi poteri mi sospinsero verso il grande armadio alla mia destra, come avrebbe fatto un segugio al guinzaglio. Una volta accanto ad esso, spalancai le ante, fiduciosa che avrei trovato l’oggetto che desideravo.

Un’esclamazione di giubilo mi fuoriuscì dalle labbra, accompagnato da un’espressione incredula. All’anta sinistra, appesa per un gancio, c’era la chiave, ma quell’armadio nascondeva ben più di quella. Sotto un’infinità di vestiti di raffinata fattura, lucenti come diamanti, colorati di ogni graduazione dell’azzurro e del bianco, c’erano le armi dei miei amici.

Nell’angolo a destra, appoggiati alla parete, si trovavano l’infallibile arco e la faretra di Susan. Accanto la spada e lo scudo con il leone rosso di Edmund che ricoprivano in parte lo scudo grigio e oro di Caspian e la sua spada. Sulla sinistra c’erano la pozione capace di curare ogni male e il piccolo ma affilato pugnale di Lucy e infine lo scudo con l’emblema di Aslan e la spada con l’intarsiatura dorata raffigurante un leone di Peter.

Le avevo ritrovate. O meglio, la mia magia le aveva ritrovate.

Afferrai la chiave stringendola forte poi incantai le armi. Le avvolsi con la magia e le feci fluttuare in aria, poco sopra la mia testa. Con un gesto della mano richiusi l’armadio e mi precipitai fuori dalla stanza, anche se non potei impedirmi di rivolgere un ultimo pensiero di rimpianto per quei diari ai quali stavo momentaneamente voltando le spalle, ripromettendomi che in un futuro non molto lontano sarei riuscita a leggerli.

Ridiscesi le scale, sperando che mia madre non fosse ancora tornata. Le armi fluttuanti sopra la mia testa tintinnavano metalliche, ma non potevo rallentare il ritmo della corsa per ridurre il rumore. Mi augurai soltanto che nessuno accorresse a controllare cosa stesse succedendo.

Desiderio vano. Appena uscii dalla torre, udii in lontananza dei passi pesanti arrivare nella mia direzione seguito dal cozzare di spade contro armature. Soldati.

Mi bloccai di colpo, riflettendo velocemente sul da farsi. Chiusi gli occhi e individuai quattro auree, due molto voluminose, probabilmente centauri, una piccola ma spessa, sicuramente un nano e un’altra di media stazza, un minotauro. Non sarei riuscita ad affrontarli contemporaneamente in uno scontro, dovevo fermarli prima che mi raggiungessero. Dovevo farli addormentare.

Richiamai il mio potere e con forza penetrai i loro scudi. In mente un solo ordine. Addormentatevi.

La magia fece subito il suo effetto. Sentii un tonfo metallico, segno che le quattro guardie erano crollate sul pavimento, placidamente appisolate. Fidandomi del mio incantesimo però non andai a controllare di persona ma ripresi la corsa verso le prigioni.

Raggiunsi la sala del trono con i polmoni ormai in fiamme, ma non me ne curai e imboccai decisa la porta dietro il seggio regale. Usando l’irregolare parete come sostegno per non scivolare sugli scalini particolarmente ghiacciati, discesi lungo la tortuosa scala illuminandola con una sfera di luce.

Quando finalmente scorsi il cancello di ferro arrugginito, sospirai di sollievo. Li avevo raggiunti senza grandi intoppi.

Aprii l’inferriata e subito la voce di Susan mi accolse.

“Cathrine! Ce l’hai fatta? Hai la chiave?”

I quattro ragazzi si avvicinarono ansiosi alle sbarre che li rinchiudevano e io sorrisi alla vista dei loro volti che mi fissavano fiduciosi, lieta di non aver deluso le loro speranze.

Alzai la mano che teneva la chiave, sventolandola come un trofeo e indicando le armi sospese sopra la mia testa aggiunsi “e non solo quella”.

“Hai ritrovato l’arco e le spade!” esclamò stupefatto Edmund, rivolgendomi uno sguardo pieno di gratitudine.

“Anche la mia pozione! Temevo di non rivederla più” si accodò Lucy, il volto raggiante.

“Erano insieme alla chiave nell’armadio di Jadis.” Li informai mentre aprivo la cella dei più piccoli dei Pevensie e mi accostavo alla catena che stringeva la caviglia della giovane regina. Un scatto metallico e il rigido ferro liberò Lucy che mi abbracciò di slancio per ringraziarmi. Ricambiai la stretta scompigliandole affettuosamente i capelli castani prima di sottrarre anche Edmund dal giogo del catenaccio.

“Grazie Cate” mormorò il ragazzo, massaggiandosi la caviglia arrossata.

Andai nella cella di Susan e Caspian oltrepassando il varco comunicante e aprii anche le loro catene.

“Ci hai salvati Cate, non so come ringraziarti” affermò Susan con tono accalorato.

Scossi la testa lieve. “Non dirlo nemmeno, considerando tutto quello che avete fatto per me e che sono stata io a ficcarvi in questa situazione, era il minimo che potessi fare.” Le risposi, sicura di quello che stavo dicendo. Mi avevano accolta tra di loro accordandomi la massima fiducia e io gli avevo voltato le spalle facendoli rinchiudere in cella. Adoperarmi per aiutarli era davvero il minimo.

“Bene, adesso io vado a liberare Peter mentre voi riprendete le vostre armi. Aspettateci qui pronti a correre. Abbiamo poco tempo, intesi?” predisposi celere.

Quattro teste annuirono con espressione seria, condividendo il mio piano. “Perfetto, a dopo allora” mi congedai, uscendo dalla cella e percorrendo il resto del corridoio, ansiosa di liberare Peter.

Raggiunsi in fretta la spessa porta di ferro. La aprii con un gesto veloce, facendo entrare di nuovo la luce nello spazio angusto.

Due lucenti occhi azzurri catturarono il mio sguardo, lieti e sorpresi di vedermi di ritorno in così poco tempo.

“Cathy!” mi sorrise e fui felice di vedere il suo viso illuminarsi privo della sofferenza di cui era intriso l’ultima volta che ero entrata in quella cella. Fortunatamente Jadis non doveva più essere scesa a rendergli visita.

“Ho trovato la chiave, ci sono riuscita” gli dissi in risposta, mostrando il mio piccolo tesoro di ferro.

“Sapevo che ci saresti riuscita”.

Attraversai la cella e mi inginocchiai accanto a lui. Due scatti metallici e le pesanti catene che lo trattenevano si aprirono. Peter barcollò in avanti quando improvvisamente gli venne a mancare il sostegno che lo aveva tenuto alzato per due giorni ma riuscii ad impedirgli di cadere, frapponendomi tra lui e il pavimento e accogliendolo nel mio abbraccio.

Si riprese tuttavia in fretta e nonostante avesse le braccia anchilosate riuscì ricambiare forte la stretta.

“Mi mancava la sensazione di stringerti a me” mi sussurrò in un respiro all’orecchio, procurandomi un brivido per il fiotto d’aria calda che mi colpì il collo.

“E a me mancava la sensazione di protezione che la tua stretta mi da” ricambiai in un soffio, riflettendo su quanto mi sentissi al sicuro rannicchiata al suo petto, come se le braccia di Peter costituissero un’impenetrabile barriera per tutti i mali e i problemi di questo mondo. E in un certo senso era veramente così. Per me Peter era la soluzione per ogni preoccupazione che potesse affliggermi poiché la sua sola presenza bastava a farmi sentire meglio.

“Peter, i tuoi fratelli e Caspian ci aspettano all’uscita delle prigioni. Dobbiamo raggiungerli. Jadis al momento non c’è ma potrebbe tornare da un momento all’altro, dobbiamo fare in fretta” lo misi al corrente.

Il giovane rafforzò l’abbraccio un istante prima di scioglierlo.

“Andiamo” asserì deciso.

Si alzò massaggiandosi una spalla alla volta per riattivare a pieno la circolazione.

Mi prese per mano e si incamminò con passo svelto verso i suoi fratelli, lasciandosi dietro quella prigione che entrambi ci auguravamo di non vedere mai più.

Udimmo l’eco delle voci dei ragazzi rimbombare nel corridoio un paio di minuti prima dell’arrivo di un turbine con fluenti capelli castani.

“Peter!”. Lucy si tuffò tra le braccia del fratello che non esitò a trarla a sé sollevandola, lasciando la mia mano.

“Piccola, stai bene?” le chiese immediatamente apprensivo, da bravo capo famiglia.

Ma prima che la bimba potesse rispondergli, Susan lo abbracciò stretto mettendosi accanto alla sorella, seguita a ruota da Edmund. Per ultimo si avvicinò Caspian che gli strinse la spalla, un gesto meno espansivo di quello dei Pevensie ma non per questo meno coinvolto.

“Eravamo preoccupati da morire, non sapevamo cosa fare o cosa pensare!” continuò Lucy, gli occhi improvvisamente lucidi.

Peter le sorrise e le diede un buffetto. “Non dovevate, dovreste sapere che ci vuole ben più di una strega per piegarmi!” si vantò il re, nascondendo dietro un’espressione spavalda tutto quello che in realtà aveva patito.

Lucy sorrise visibilmente sollevata. Non potei impedirmi di guardarla con tenerezza. Nonostante fosse per certi aspetti molto matura per la sua età, la sua ingenuità era intatta al punto da fidarsi totalmente della palese menzogna del fratello, proteggendola dal dolore che la verità le avrebbe inferto.

Uno sguardo scambiato con Susan ed Edmund mi informò invece come la bugia a fin di bene di Peter non avesse avuto effetto su di loro, ma non dissero nulla per smentirlo, limitandosi a sorridere mesti. Dopotutto la piccola Lucy aveva condiviso fin troppo l’orrore di quella triste vicenda, perché renderla partecipe anche di quest’ultimo fatto? In più entrambi sapevano che l’orgoglio di Peter non gli avrebbe mai permesso di ammettere quanto si era trovato in difficoltà alla mercé della strega.

“Credo che questa sia tua, re Peter”

Edmund, con un gesto solenne che poco però si intonava ala sua espressione radiosa, porse la spada di Narnia al fratello, tenendola orizzontalmente con entrambe le mani.

Lo sguardo di Peter si accese di gioia. Sfiorò il manico dorato della sua spada quasi con reverenza, poi senza ulteriore indugiò afferrò l’elsa e liberò la lama dal fodero con l’altra mano. L’affilato metallo brillò alla luce delle torce mentre rifletteva il viso sicuro e soddisfatto del suo proprietario.

“Andiamo a riprenderci le nostre terre”

Una semplice frase, ma rimbombò come un ordine e una speranza nel silenzio rispettoso che attorniava il re.

Noi tutti annuimmo, rincuorati dal vedere il sovrano di Narnia di nuovo pronto a guidarci, pronto a lottare per quello in cui credeva, per il suo regno.

Peter si assicurò la spada alla vita e lo scudo alla schiena, dopodiché cominciammo a correre su per le scale che ci avrebbero condotto nel salone.

Caspian in testa guidava il nostro piccolo drappello con accanto Susan, seguiti a ruota da Edmund e Lucy. Infine c’era Peter che con la mano stretta nella mia mi aiutava a risalire velocemente la lunga scalinata.

Quanto tempo era passato da quando ero uscita dalla mia stanza? Non lo sapevo, ma speravo non abbastanza da ritenere ragionevole il rientro a casa di Jadis. L’ultima cosa che desideravo era arrivare ad uno scontro aperto per far uscire dal palazzo i cinque ragazzi. Dovevo ancora intermente metabolizzare che ogni cosa da lei detta o fatta fosse falsa, non ero pronta per affrontarla.

La luce si fece più intensa, segno che l’uscita era vicina. Riuscivo già ad intravedere la porta, appena una decina di scalini distante. A cinque passi dall’uscio ci fermammo, tacitamente concordi del fatto che era più prudente se io li avessi preceduti nel salone, assicurando che ci fosse il via libera per proseguire. Con passo leggero percorsi gli ultimi gradini. Quando entrai nel corridoio sospirai di sollievo. Non c’erano guardie ad attenderci né la Strega Bianca, potevamo  fuggire come nelle mie più rosee aspettative.

Tornai indietro e un mio sorriso di incoraggiamento segnalò ai miei amici l’assenza di ostacoli nel salone.

Riprendemmo la corsa, uscendo definitivamente dal corridoio freddo e buio delle prigioni, io nuovamente mano nella mano con Peter che mi sorrideva gioioso, pregustando la tanto desiderata libertà.

I nostri passi rimbombavano nella grande sala deserta mentre ci facevamo strada tra la leggera nebbiolina che ricopriva il pavimento per raggiungere il portone, unica via di fuga da quella gabbia di ghiaccio.

A cinque metri di distanza richiamai la mia magia, alzai la mano libera verso la porta intarsiata e impartii l’ordine di aprirsi rilasciando il potere.

Uno scatto e uno stridio seguirono l’incantesimo. Il pesante portone si aprì lentamente, facendo penetrare qualche timido raggio di sole nell’atrio.

Caspian fu il primo ad uscire, trascinandosi Susan dietro. A seguire anche Edmund e Lucy varcarono la soglia uscendo dal palazzo.

Ce l’abbiamo fatta. Pensai felice, ad un passo dal portone, ma presto compresi che avevo parlato troppo presto.

Un forte vento si alzò dal nulla, costringendo me e Peter a fermarci, investiti dalla potenza di quel turbine improvviso. Il vento aumentò di intensità al punto da coprire quasi il tonfo del portone che si richiudeva. Un tonfo che tuttavia rimbombò nel mio cuore come il suono della salvezza che fugge via.

Il ragazzo mi abbracciò, cercando di proteggermi da quella folata ma nemmeno lui poteva battere un vortice. Fummo entrambi scaraventati a terra, diversi metri più in là rispetto al portone.

“Credevate davvero che sarebbe stato così facile sfuggirmi?”

Ira. Ciò che mi procurò brividi di paura lungo tutta la spina dorsale. Ciò che fece irrigidire il busto di Peter ancora stretto al mio. Ciò che vibrava nell’ultima voce che avrei voluto sentire al momento. Una voce che purtroppo conoscevo bene e che avrebbe segnato la fine della libertà mia e di Peter. La voce di Jadis.

Con il cuore in gola mi strinsi di più a Peter con un gesto quasi involontario, cercando una protezione dagli occhi di ghiaccio della strega che sentivo trapassarci pur senza vederli.

Lentamente mi voltai senza separarmi da Peter. Lei era là, in piedi dinanzi al suo trono, algida e regale come sempre. Fiera come una regina, imbattibile come una dea della guerra.

“Pensavate che ben sette guardie addormentate non avrebbero allarmato i soldati mandandomi a chiamare?” proseguì.

Mi morsi il labbro. Presa dalla fretta non avevo pensato che sarebbe stata una buona idea nascondere i corpi delle guardie. Mi diedi della stupida mentalmente. L’unica mia difesa poteva essere che avrei perso troppo tempo in un’operazione del genere, rischiando di non riuscire comunque a liberare i ragazzi.

Le iridi gelide della si soffermarono su Peter per un secondo, senza preoccuparsi di celare il disprezzo che provava, poi puntarono su di me.

Mi sentii trafiggere. Non c’era traccia alcuna della dolcezza, della serenità e della benevolenza che solitamente albergava in quegli occhi. Quei sentimenti erano stati scalzati dalla rabbia, dal senso di tradimento e dalla delusione, emozioni che mi sommersero bloccandomi il respiro.

“Tu, sangue del mio sangue, la mia unica figlia ed erede, mi hai tradita.” Le sue parole rimbombarono nell’ampio salone, suonando come sentenze, fino ad arrivare dentro il mio cuore. Cuore che cominciò a pulsare ancora più forte, animato però insieme alla paura da un sentimento nuovo suscitato dall’ultimo verbo, dall’ultima accusa. Mi hai tradita. Fu quella frase a farmi esplodere la rabbia per tutte le colpe di cui si era macchiata.

“Come puoi tu parlare a me di tradimento? Tu, che mi hai raggirata con un mare di menzogne al fine di usarmi per i tuoi scopi! Io ti avrò anche tradita schierandomi dalla parte dei Pevensie ma sei stata tu la prima a tradire me e la mia buona fede ingannandomi.” Sputai con ira tutto d’un fiato, trovando la forza e la voce per risponderle.

Ma come si permetteva di recitare ancora la parte della vittima imbrogliata? Dopo tutto quello che aveva fatto?

Sentii la pressione del braccio di Peter sul mio fianco e un attimo dopo mi ritrovai in piedi stretta al re biondo che cercava di recuperare una posizione che gli permettesse di scattare in caso avesse dovuto estrarre la spada.

La risata amara della strega riecheggiò tra le pareti di ghiaccio.

“Tu e la tua buona fede? Sciocca ragazza, credi sul serio che in questa partita la cosa più importante siano i sentimenti di una ragazzina? Siamo in guerra da milletrecento anni e tu sei solo una pedina in uno scontro millenario”.

Strinsi i denti. Le sue parole mi ferivano quanto il tono sprezzante che usava, ma non volevo dargli la soddisfazione di farglielo vedere.

Una pedina. Ecco come mia madre mi considerava e mi aveva considerato per tutto il tempo. Una stupida pedina da giocare al meglio, poco importava con che mezzi, ogni cosa era lecita pur di ottenere il trono, sia pure recitare la parte della madre amorevole se era utile per ingannarmi. Tutti i discorsi che recitavano quanto mi amasse, quanto desiderasse il mio bene e quanto aveva atteso per potermi abbracciare erano bugie costruite a tavolino con un fine ben preciso. Fine che era stato raggiunto a pieno. Il mio cuore che sanguinava ne era una prova lampante.

“Ti sbagli, solo tu la vedi in questo modo. Cathrine non è affatto una pedina, è la ragazza più meravigliosa e buona che io abbia mai conosciuto e se tu non sei stata in grado di apprezzare le qualità di tua figlia è solo un problema tuo. Ma sappi che è proprio per questo tuo modo di vedere le persone che ti circondano che hai perso la guerra secoli fa, un regno formato da sudditi che temono e sono succubi del loro sovrano è un regno destinato a fallire e te lo dimostrerò di nuovo se la prima lezione non ti è bastata”.

La voce di Peter giunse a risanare la mia ferita. Posai il mio sguardo su di lui, intervenuto come un angelo custode in mio soccorso. Il busto era appena inclinato nella mia direzione mostrando una atteggiamento protettivo mentre il volto era diretto verso Jadis. La riga delle labbra era dura, gli occhi azzurri ardevano di rabbia e convinzione.

Rafforzai la presa sulla sua camicia mentre un sorriso involontario mi curvava la bocca. Se per Jadis ero solo una misera pedina, per Peter rappresentavo molto altro e me ne aveva appena dato un ulteriore prova.

“ILLUSO!”

I bei tratti alteri della regina del ghiaccio furono sfigurati dall’irritazione per quella provocazione.

Alzò la mano con un ampio gesto e una forte corrente d’aria si sprigionò dirigendosi verso me e il ragazzo. Ma questa volta ero pronta.

Richiamai il potere facendolo convergere negli avambracci che posi a croce davanti al viso ponendomi in modo da coprire anche Peter. Da essi la magia uscì formando uno scudo della larghezza di un metro facendo scivolare il violento fiotto di aria gelida sui suoi lati lasciando me e il giovane illesi.

Ebbi la soddisfazione di scorgere la sorpresa sul suo viso per la mia dimostrazione di magia prima che riuscisse a dissimulare ogni emozione diversa dal disprezzo. L’avevo colpita, non si aspettava che sapessi usare i miei poteri così prontamente e con efficacia e ciò l’aveva lasciata interdetta.

Sfruttai il momento per cercare di riportare la discussione su toni più tranquilli, per provare a farla ragione. Temevo che quel primo attacco potesse essere il primo di una lunga e sanguinosa serie e non ero pronta né fisicamente né psicologicamente per lottare contro mia madre o per vederla combattere contro Peter, dovevo tentare una via diplomatica. Sapevo che tutti i miei tentativi fatti finora per ottenere una risoluzione pacifica del conflitto erano stati un buco nell’acqua, ma non potevo semplicemente arrendermi e accettare di giungere alle armi con mia madre, non riuscivo ad accettarlo, non senza aver provato fino all’ultimo a trovare una via alternativa.

“Mamma, quello che hai fatto è sbagliato. I Pevensie e Caspian sono innocenti ed è giusto che siano loro a governare suoi loro rispettivi regni. Come è giusto che il popolo di Narnia e quello di Terlmar vivano la loro vita in libertà in una terra florida. Non puoi trasformare ogni cosa in una landa desolata, questo che hai costruito non è un regno è una tomba dove sono seppellite la felicità della povera gente sulla quali stai tiranneggiando e la bellezza del paese che stai distruggendo” cercai di convincerla.

Guardai i suoi occhi azzurri farsi ancora più duri, una lastra di ghiaccio impenetrabile che spezzarono le mie speranze di raggiungere in qualche modo una parte sensibile del suo cuore.

Le sue labbra invece si piegarono in un sorriso di scherno mentre pronunciava le frasi che sapevo mi sarebbero rimbombate crudeli nella mente per molte notti a seguire.

“Credi sul serio che me ne importi qualcosa? Io sono la regina, mio è il regno, mia la legge. Tutto il resto non conta”

No. Non avrei mai toccato il suo cuore nemmeno se le avessi parlato per altri milletrecento anni perché evidentemente non c’era un cuore che batteva dentro quel busto dritto e ben fasciato.

“Non finché ci sarò io”

Io invece, nel bene e nel male, un cuore lo possedevo. Un cuore che si fermò quando vide Peter estrarre la spada dal fodero con un gesto esperto quanto fluido, afferrarla saldamente con ambo le mani e partire alla carica contro Jadis.

Un “no” soffocato mi uscì dalle labbra, ma era troppo tardi.

Il suono del primo temuto colpo vibrò nell’aria risuonando per tutta la sala fin dentro la mia testa. La spada di Peter era stata bloccata celermente dallo scettro che la strega impugnava come un’asta da guerra. I due sovrani erano in piedi l’uno di fronte all’altro, davanti al trono di ghiaccio, li sguardi che battagliavano tra loro più delle armi che avevano incrociato.

Girando il polso Peter riuscì a distanziarsi dalla strega facendo leva sull’arma stessa di quest’ultima. Una pausa, il tempo di un battito di ciglia e il grido che precedeva una carica giunse da ambo le parti.

La lama del re brillava alla luce delle torce azzurrine, un faro che rappresentava la libertà del popolo di Narnia, mentre Jadis mulinava lo scettro bianco che tante vite aveva congelato e con esse la loro dignità.

Il duello iniziò. Quel duello a cui mai avrei voluto assistere prese vita dinanzi ai miei occhi. Alla fine, nonostante tutti i miei sforzi non ero riuscita ad evitarlo ed ora le due persone che più avevo amato si fronteggiavano nell’intento di donare la morte al loro avversario.

Un colpo al fianco inatteso da parte di Jadis costrinse Peter a ripiegare per pararlo, scendendo dalla piattaforma. Il re cominciò ad indietreggiare lungo il salone sotto gli attacchi dello scettro che si susseguivano con ritmo sostenuto.

Ma quando stavo per temere per la sorte del ragazzo, con una finta ben riuscita Peter riuscì a scartare la strega e a colpirla con successo lungo l’avambraccio con la quale teneva lo scettro.

Jadis urlò dal dolore e la manica prima candida si imbrattò presto del suo sangue.

Il biondo ghignò soddisfatto. “Quale trucco hai intenzione di usare stavolta per salvarti? Tenterai di congelare anche tua figlia?” la provocò Peter.

Fu un errore perché quella frase mordace dettata da un breve momento di trionfo dette uno stimolo in più alla strega per caricare il nuovo colpo. La bocca contratta in una smorfia di rabbia, gli occhi ridotti a fessure, mulinò veloce lo scettro e lanciò un colpo dall’alto cogliendo impreparato il giovane re che non riuscendo a scansarlo in tempo si procurò un taglio lungo dalla spalla fino a metà busto.

Peter indietreggiò e cercò di tamponarsi all’altezza della spalla la ferita, dove era più profonda e il sangue usciva più copiosamente. Lungo il petto per fortuna invece pareva essere poco più profondo di un graffio. Non doveva aver danneggiato i muscoli e gli organi interni.

“Peter!” gridai in preda all’angoscia, ma incapace di muovere un passo nella sua direzione. Ero come impietrita al mio posto. Avevo gli occhi sbarrati che assistevano pieni di orrore alla scena che pareva essere uscita da uno dei miei peggiori incubi, ma non potevo parteciparvi. Proprio quello stesso orrore che provavo mi bloccava gli arti, impedendo ai miei muscoli di scattare. O forse era l’impossibilità di comprendere cosa dovessi fare a rendermi inerme?

Desideravo aiutare Peter. Avessi potuto lo avrei trasportato via da lì, lontano dalle grinfie di Jadis. La mia anima piangeva nel vederlo ferito e i miei occhi non sopportavano sorprenderlo in difficoltà in un duello. Ma per aiutarlo avrei dovuto lottare contro mia madre e questo la mia mente si rifiutava di accettarlo.

Jadis lo incalzò con un altro attacco e un altro ancora mettendo in serie difficoltà Peter che era costretto a combattere con il braccio sinistro con la quale aveva meno dimestichezza a causa della ferita alla spalla destra. Il ragazzo indietreggiò ancora finché un altro colpo dall’alto non lo costrinse a impugnare l’elsa con ambo le mani, sforzando la spalla lesa. Vidi la smorfia di dolore che gli fece serrare i suoi zaffiri e il mio cuore si strinse di paura. Jadis approfittò di quell’istante di tregua invece per richiamare la magia e spingere Peter a terra lanciandogli un’altra sferzata d’aria gelida.

Con un tonfo la schiena del ragazzo toccò il pavimento di ghiaccio facendogli uscire dalle labbra un grido soffocato.

La strega gli si avvicinò, ergendosi superba e potente davanti a lui e gli puntò la punta di cristallo dello scettro sul petto come ammonimento a non alzarsi.

Un ghigno malvagio le sfigurò il volto. La mia mente in un lampo sovra posizionò un’altra immagine che avevo del suo viso. Una ben differente. Una che mi mostrava un sorriso luminoso che si spandeva fino a due occhi azzurri brillanti di gioia e serenità. Il suo viso la notte in cui l’avevo liberata, quando mi aveva detto che era mia madre. Cosa era rimasto in quell’espressione dura e crudele dell’amorevole donna che mi aveva chiamata “figlia mia”?

Sentii delle lacrime calde iniziare a scendermi lungo le gote mentre la mia testa formulava la riposta. Assolutamente niente. La sete di vendetta, la rabbia e la crudeltà le avevano corroso l’animo e offuscato la mente. Tutto quello che io avevo visto era solo un involucro, una bolla di sapone pronta ad esplodere quando non ci sarebbe più stato bisogno di nascondermi il suo vero volto.

“Non commetterò due volte lo stesso errore. Ora ti ucciderò e finalmente mi sarò liberata della tua scomoda presenza”.

La frase mi rimbombò in testa superando ogni mio singolo pensiero. Il mio respiro, il battito del mio cuore, ogni cosa si fermarono incentrandosi sue due singole parole.

Ti ucciderò.

No. No finché io ero in vita.

Vidi Jadis alzare lo scettro e impugnarlo saldamente come un’asta da guerra, la punta di cristallo indirizzata verso Peter. Ma io ero pronta.

Senza pensare, senza nemmeno concentrarmi, sentii i palmi delle mani pulsare di energia viva. Un attimo dopo due potenti sfere magiche furono lanciate alla velocità di un proiettile in direzione della strega.

Il colpo andò a segno. Con un leggero tonfo la Strega Bianca sbatté contro una delle colonne di marmo che fiancheggiavano il salone per poi accosciarsi sbigottita al suolo. L’attacco non era stato abbastanza potente da ferirla o farle perdere i sensi ma l’aveva distolta da Peter che al momento mi guardava tra il meravigliato e il grato.

Incredula alzai le mie mani davanti agli occhi e le squadrai come se fossero dei corpi assestanti, staccati dalla mia persona. Avevo lanciato due sfere contro Jadis. Avevo attaccato mia madre.

Sentivo ancora le lacrime scorrermi lungo le gote senza sosta mentre il respiro era reso discontinuo dai singhiozzi.

Ho attaccato mia madre. Ripetei a me stessa.

Ma non ebbi tempo di sentirmi in colpa, triste, confusa o felice per aver aiutato Peter perché un grido di avvertimento di quest’ultimo riportò la mia attenzione al presente.

Quando Jadis si rialzò, i suoi occhi di ghiaccio puntavano dritti su di me, trapassandomi da parte a parte.

Istintivamente arretrai d’un passo. Con i lineamenti irrigiditi dall’ira e la bocca ridotta ad una fessura faceva ancora più paura di prima.

“Possibile” disse avanzando lentamente verso di me “che tu non abbia ancora capito” la distanza si accorciò ancora. Avrei voluto ardentemente aumentarla ma dopo quel primo e unico passo indietro non riuscivo più a muovermi. Ero inchiodata dallo shock del mio attacco e dalla rabbia di quegli occhi azzurri. “che non ti devi mettere in mezzo?”

Fu un attimo. Jadis alzò il braccio e una raffica di vento più forte della precedente mi travolse. Questa volta non ero preparata e il turbine mi investì. Mi sentii alzare, incapace di oppormi, e trascinare all’indietro finché non battei violentemente con la schiena contro una colonna.

Lo scontro mi fece male tanto da farmi fuoriuscire un grido di dolore.

Mi accasciai a terra. Avrei voluto rialzarmi, cercare di rimettermi in una posizione che mi permettesse di contrastare gli attacchi di Jadis, ma la strega fu più veloce. Non avevo ancora toccato terra che lei era già dinanzi a me, la punta di diamante dello scettro puntato contro il mio petto come prima lo era stata contro quello di Peter.

Alzai lo sguardo per incontrare il suo. Lei mi stava squadrando con addosso un’espressione irritata e irata.

Tremai sotto quegli occhi ma cercai di farmi coraggio, di sostenere quel viso.

“Avrei dovuto stare a guardare mentre ammazzavi Peter? Mentre commettevi l’ennesimo crimine?” sputai, trovando il coraggio di esprimere la rabbia che invece provavo io.

Jadis strinse gli occhi. Sentii la pressione della punta dello scettro sul mio sterno.

“Ovviamente no, tu sei la piccola moralista, giusto? La brava ragazza vittima delle bugie e delle cospirazioni.” Una risata di scherno riempì la sala. Una risata priva di gioia che si spense nel gelo del suo sguardo. “Piccola stupida, l’unica cosa che dovevi fare era restare in disparte. Saresti vissuta in un palazzo, saresti stata la principessa di Narnia e invece per inseguire degli sciocchi ideali ti sei messa contro di me. L’errore più grande che potessi fare” sentenziò. Il disprezzo risuonava forte e chiaro nella sua voce. Disprezzo per la mia scelta di mettermi dalla parte dei Pevensie, dalla parte di Aslan. Ma c’era anche un’altra emozione. Dispiacere? Desolazione? Amarezza? Non avrei saputo dirlo.

Deglutii a vuoto.

L’errore più grande che potessi fare.

Perché non avevo la minima speranza di batterla in duello magico. Ero una strega in erba, lei era la Strega Bianca. Aslan si era sbagliato, aveva sopravvalutato la mia forza e la mia esperienza, avrebbe dovuto affrontare lui Jadis. Il fatto che io fossi a terra minacciata dallo scettro ne era la prova. Minacciata da mia madre.

Improvvisamente la rabbia scemò, sostituita da un’immensa tristezza. Nulla era andato come avevo sperato. Avevo desiderato di conoscere le mie origini, di trovare le risposte ai miei numerosi perché e per un breve lasso di tempo mi era parso di essere riuscita ad ottenere quello che agognavo, ma mi ero solo illusa. Era stata solo una breve parentesi rosa prima che la situazione degenerasse fino ad arrivare a quel punto. Forse, se quella era davvero la fine, avrei fatto meglio a restare a Londra. I Pevensie non sarebbero stati in pericolo, Narnia neppure e io avrei potuto continuare a crogiolarmi in fantasiose ipotesi sulla mia storia e non scontrarmi mai con la cruda realtà.

“Quella che non ha capito nulla sei tu.” La mia bocca diede voce ai miei pensieri senza che quasi glielo ordinassi. Vidi un guizzo di sorpresa passare sul suo volto. Non si aspettava una risposta simile. “Io ti ho amata veramente come si ama una madre e se tu non fossi stata così presa dalla tua smania di vendetta e non fossi stata così decisa a rovinare questa terra, insieme saremmo potute essere felici” fui interrotta da l’ennesimo singhiozzo, suscitato dal quadro bello quanto impossibile che stavo dipingendo. “Saremmo state insieme, avremmo vissuto in questo bel palazzo e avremmo potuto far prosperare Narnia accanto ai Pevensie. Ma la crudeltà ti ha corroso a tal punto che non hai mai nemmeno preso in considerazione un’ipotesi del genere” la accusai senza però riuscire ad imprimere forza nel tono. La desolazione era troppo grande per alzare la voce. Altri due singhiozzi mi scossero. Presi un bel respiro e mi costrinsi a proseguire, spinta dall’ultima speranza che ancora nutrivo nel cuore. “Ma potremmo ancora riuscire ad avere il nostro futuro insieme. Se tu rinunciassi ai tuoi propositi e deponessi le armi, io potrei perdonarti tutto. Potremmo vivere in pace, insieme e contente”. Sapevo che era ingenuo e utopistico anche solo proporlo, che il mio desiderio era vano e destinato a non essere esaudito, eppure non potevo impedirmi di fare un ultimo tentativo. Nonostante sentissi la pressione della punta di diamante sul mio petto, avrei sempre continuato a sperare di veder coincidere l’immagine della mia donna guida, pronta a sorridermi e sostenermi, con quella della donna dinanzi a me. Tanto cosa avevo da perdere più di quello che mi era già scivolato via dalle mani? Peter era ferito, Aslan non sarebbe giunto in nostro soccorso e io non sarei stata capace di attaccare nuovamente Jadis, non riuscivo nonostante la ragione mi urlasse di farlo. Avevamo perso.

La sua risata gelida però spense il fuoco della mia già flebile speranza.

“La disperazione fa perdere il senno evidentemente” mi schernì squadrandomi ilare. “Sono tornata per vendicarmi e riprendermi il trono e quando avrò finito con voi due il mio scopo sarà raggiunto. Secondo te rinuncerei a tutto questo per te? Per continuare a recitare la parte della madre smielata in un mondo pieno di insulsi alberi danzanti con quattro ragazzini ad indossare la mia corona? Non credo proprio.”

Invece di un’altra lacrima, sul mio viso nacque un sorriso. Era un sorriso amaro, rassegnato. Sapevo quale sarebbe stata la sua risposta al mio ultimo tentativo, eppure, quasi da masochista, l’avevo fatta lo stesso.

Deglutii, inghiottendo un singhiozzo. Alzai lo sguardo piantandolo nel suo, priva della paura che prima mi aveva colta.

“Quindi ucciderai tua figlia?” le chiesi con una punta di sfida. Si sarebbe spinta fino a quel punto? Probabilmente si, dopotutto aveva spento milioni di vite, una terra intera, perché si sarebbe dovuta fermare dinanzi a me che per lei rappresentavo unicamente un’arma ben affilata, una pedina?

Jadis alzò il braccio facendo elegantemente volteggiare lo scettro sopra la sua testa. I suoi gesti non mostravano esitazione, possibile però che io proprio quell’esitazione avessi potuto scorgerla nei suoi occhi azzurri? Il tempo di un battito di ciglia, ma l’avevo scorta. Un fremito aveva mosso quello sguardo di ghiaccio, lo stesso sguardo che ora mi fissava immobile.

“Hai avuto la tua occasione. Poteva finire molto diversamente” sussurrò, per la prima volta in quel pomeriggio senza scherno o acrimonia. Anzi, forse con un velo di…delusione? Tristezza? Possibile...?

La mano si strinse lungo il magico bastone, il braccio si alzò.

Serrai gli occhi facendo scivolare ancora una lacrima che racchiudeva tutta la mia amarezza per quella ingiusta fine, il dispiacere per non aver salvato Narnia e aver deluso Aslan, la paura per la sorte che avrebbe atteso Peter da lì a poco.

Un grido soffocato.

Spalancai gli occhi che restarono inorriditi da quello che videro. La mia veste era sporca di sangue. Sangue che continuava a scorrere. Sangue che non era mio.

“Anche tu hai avuto la tua di occasione” sentii pronunciare in un ringhio sofferente.

Lentamente alzai lo sguardo.

Jadis, pallida e con le iridi dilatate, boccheggiava in cerca d’aria. Le mani stringevano convulsamente una lama affilata che le fuoriusciva dal centro del petto incurante di ferirsi ulteriormente. Il sangue colava a fiotti dalla ferita e dalla punta della spada, finendo sulla mia gonna e imbrattandola.

Uno spiacevole stridio e Peter ritrasse la lama insanguinata.

Il suo sguardo mi fece tremare. Era freddo come quello della strega quando ci aveva attaccati. Freddo e deciso. Lo sguardo di un combattente, un soldato che cinicamente deve battere il suo avversario.

Jadis barcollò all’indietro di un paio di passi poi cadde a terra con un tonfo. Tossì e altro sangue le colò dalle labbra che a poco a poco stavano perdendo il loro solito colorito acceso.

“Tu…un semplice…figlio di Adamo…come hai potuto…?” riuscì a dire, fulminando Peter con un’occhiata così carica d’odio da sembrare quasi mortale.

Io, con occhi sgranati, osservavo la scena incapace di comprenderla a pieno. Jadis, la grande e invincibile Strega Bianca, era a terra in una pozza di sangue. Jadis stava morendo. Mia madre stava morendo per mano di Peter.

Un fischio sordo suonava nelle mie orecchie e mi stava stordendo, la testa mi girava. Jadis stava morendo per mano di Peter. La situazione era stata capovolta troppo velocemente perché potessi comprenderla. Jadis stava morendo per mano di Peter. Di Peter, che sporco anche lui di sangue, fissava la sua nemesi privo di pietà, simile ad una pietra ma regale nell’atteggiamento come il  re che era.

La mia vista si appannò quando le lacrime rifecero capolino più copiose di prima.

Mia madre stava morendo per mano di Peter ed io ero inchiodata a terra, preda dell’emozioni più diverse, troppe per decidere quale seguire e comportarsi di conseguenza. Divisa tra la voglia di andare da lei, mia madre, pregarla di farsi forza e cercare di curarla e il desiderio di abbracciare forte Peter e assicurarmi sulla sua salute. Combattuta tra il dolore che provavo alla vista della sua sofferenza e il sollievo di sapere che i Pevensie erano salvi e che Narnia aveva nuovamente un futuro degno di questo nome. Indecisa se cambiare la mia scelta, salvare mia madre e condannare i Pevensie o lasciarla morire dinanzi ai miei occhi senza muovere un dito. Incerta se far prevalere Nives o Cathrine in una decisione che avrebbe influenzato la mia vita e quella di molte altre persone per sempre.

Incrociai il suo sguardo e in quelle iridi cristalline vidi qualcosa che non avrei mai dimenticato. Vidi orgoglio. Nei suoi occhi albergava l’orgoglio. Ma non sembrava l’ultimo lampo di fierezza di una grande combattente bensì pareva orgogliosa nel vedere ciò che stava fissando, ovvero nel guardare me. Ma perché avrebbe dovuto esserlo? Non ne aveva motivo, in fin dei conti avevo contribuito alla sua disfatta, eppure…

“…Figlia…una grande strega…”

Dolcezza in una frase balbettata? Un sorriso accennato sul suo volto?

Non lo avrei mai saputo. Si era trattato della debolezza di un istante, troppo poco per essere sicura di quello che avevo visto o sentito. Una debolezza trapelata da un muro difensivo incrinato dalla ferita ricevuta, una debolezza uscita prima dell’ultimo sospiro, una debolezza che la morte portò via con sé prima che potesse essere definita come tale, lasciandomi per sempre con il dubbio sulla veridicità delle sue ultime parole, su quanto veramente era stato pronunciato e su quanto il mio desiderio di riconoscere i tratti gentili della donna che avevo chiamato “mamma” in quelli della strega mi aveva fatto udire ciò che volevo.

Il suo sguardo sempre fiero si fece vacuo, i lineamenti si irrigidirono e il petto si abbassò per l’ultima volta.

Jadis era morta.

Un singhiozzo strozzato. Un altro e un altro ancora in una serie che avrebbe potuto essere infinita.

Sentii la stretta forte e calda delle braccia di Peter cingermi da dietro. La sua testa si poggiò nell’incavo del mio collo e le sue labbra mi posarono un casto bacio sulla guancia, asciugandomi una lacrima. Una delle tante che continuavano a scendere dai miei occhi che caparbi fissavano il corpo perfetto, insanguinato e privo di vita di mia madre, imprimendosi nella memoria quell’immagine.

Proprio sotto i miei occhi, una luce chiara, bianca, prima fioca poi sempre più luminosa, avvolse l’aggraziata figura di Jadis. Un soffio freddo, simile ad un respiro, sfiorò sia me che il ragazzo e un sibilo riempì l’aria nell’attimo esatto in cui il corpo della Strega Bianca si dissolse, fondendosi con quel chiarore magico che l’aveva circondata e che la trascinava via con sé.

Jadis era definitivamente spirata. Forse ora avrebbe trovato la pace che non era riuscita a godere in questa vita.

Una scossa violenta ebbe il potere di percuotermi e farmi distogliere lo sguardo da dove poco prima c’erano state le spoglie di mia madre.

“Che succede?” domandò Peter allarmato.

Lo fissai in volto e con sollievo vidi sparita l’espressione cinica che aveva indossato poco prima. I suoi zaffiri erano tornati limpidi e buoni come lo erano sempre stati. Il soldato freddo era scomparso, sostituito dal mio Peter.

Un’altra scossa, più violenta della prima, seguita subito da un’altra che aprì una lunga crepa sul pavimento di ghiaccio. Altre scosse. Il trono si spaccò, percorso anche lui da una crepa mentre il pavimento continuava a tremare.

“Cathy, presto, dobbiamo andarcene!”

La voce di Peter mi giunse agitata alle orecchie, eppure non riuscivo a provare un decimo della sua apprensione. Il mio cuore era troppo saturo del dolore e dello shock della morte di Jadis per provare paura per il terremoto.

Due mani forti mi fecero alzare afferrandomi da sotto le ascelle. Un braccio mi circondò la vita e mi sentii trascinare di peso verso il portone.

Alcune stalattiti caddero dal soffitto mentre altre crepe si formavano sul pavimento.

Il palazzo stava crollando. L’incantesimo che lo aveva protetto dall’usura del tempo e dai cambiamenti climatici si era spezzato con la vita della sua creatrice e da solo, il ghiaccio che lo aveva da sempre ricoperto non aveva la forza per continuare ad esistere.

“Forza, ancora poco e saremo al sicuro”

Peter si avvicinò al portone e riuscì ad aprirlo da solo per permetterci di uscire dal castello.

Senza che me ne rendessi conto, eravamo fuori all’aria aperta, lontano dal pericolo.

Fummo soccorsi immediatamente dai quattro ragazzi che ci stavano apprensivamente aspettando da quando io e Peter eravamo stati trattenuti da Jadis.

Sentii le braccia esili di Lucy stringermi, Susan parlarmi concitata cercando di capire cosa fosse successo durante la nostra assenza e perché il palazzo stesse andando in pezzi, ma ogni cosa mi sembrava distante. Non riuscivo a concentrarmi su ciò che stava accadendo, avevo solo la vaga percezione della terra che continuava a tremare.

Poi improvvisamente un forte vento si alzò e circondò interamente prima il palazzo, poi il bosco e infine investì me, separandomi dai Pevensie e da Caspian.

Temevo di essere spazzata via da quel turbine violento, ma invece il vento mi accolse dentro di sé, scompigliandomi appena i capelli e stordendomi. L’aria era calda, piacevole, e aveva il profumo dei fiori, due qualità troppo familiari perché io non riconoscessi in quel vento l’Antica Magia che già alla Cerimonia mi aveva avvolta.

Nuovamente entrò dentro di me incendiandomi. La sentii battere insieme al mio cuore, scorrere con il mio sangue nelle vene e riempirmi i polmoni al posto dell’ossigeno.

La prima volta che l’Antica Magia era venuta da me era stato per riconoscermi come strega e legittima erede di Jadis. Sapevo che era tornata per ribadire quella discendenza. Ora che Jadis era morta, io ero diventata padrona del Palazzo di Ghiaccio. Avevo preso il posto di mia madre e la magia voleva comunicarmelo.

Il vento cessò all’improvviso così come era venuto, permettendomi di tornare a vedere ciò che mi circondava. I ragazzi erano ancora accanto a me, fortunatamente sani e salvi, ma le loro espressioni erano sbigottite. I loro occhi balzavano da me al palazzo velocemente con aria interrogativa.

Corrucciai la fronte e guardai a mia volta il castello. Rimasi senza fiato.

Il castello che era stato la casa di Jadis era ancora in piedi e aveva smesso di tremare, eppure era totalmente diverso da come tutti lo ricordavano. Il ghiaccio che ricopriva le finestre si era sciolto, lasciando filtrare la luce attraverso i vetri trasparenti. Le guglie appuntite, simili a stalattiti, erano scomparse, sostituite da torri di marmo bianco circolari. Anche il ghiaccio che ricopriva le pareti stesse del castello era crollato in blocchi, andando a ricoprire in parte il giardino -che con dispiacere vidi ricaduto nel suo sonno, segno che anche quell’incantesimo si era sciolto con la dipartita di Jadis- sostituito da lastre di marmo candido.

“Cos’è successo?” domandò Susan con un filo di voce.

Il mio sguardo si posò su di lei.

“Jadis è morta ed ogni incantesimo da lei fatto si è spezzato con la sua fine. Il ghiaccio del castello si è sciolto, così come avrà fatto anche il resto della neve che ricopriva Narnia” spiegai esprimendo le mie riflessioni ad alta voce e finalmente tornando ad essere partecipe del presente, fuori dalla prigione dei miei pensieri.

“Jadis è morta? Ne sei sicura?” si intromise Edmund.

“Si” rispose Peter per me. “è lei che ci ha impedito di seguirvi fuori dal salone. È apparsa all’improvviso e io e Cate ci siamo ritrovati a combattere.”

“Avete combattuto da soli contro la strega?” L’espressione stupefatta di Lucy faceva ben comprendere l’entità dell’impresa compiuta da suo fratello.

“Non avevamo altra scelta. Fortunatamente però Peter è il miglior combattente di tutta Narnia ed è riuscito a sconfiggere per sempre Jadis” svelai, lodando il ragazzo che sorrise modesto.

“Con un notevole aiuto da parte tua però” aggiunse.

Scossi la testa. “Il mio aiuto è stato minimo. Se non fosse stato per il tuo sangue freddo non ci saremmo salvati”.

Peter stava ulteriormente per ribattere ma un colpo di tosse lo bloccò. Si portò la mano alla spalla con espressione sofferente e solo allora mi ricordai della ferita infertagli da Jadis e che lui aveva finora stoicamente sopportato.

“Peter, mi dispiace, mi ero scordata della ferita. Mi hai addirittura portata fuori dal palazzo di peso…!” esclamai avvicinandomi.

“Shh, non preoccuparti. È tutto apposto” mi zittì lui minimizzando come era solito.

“Lo sarà quando ti avrò curato” ribattei, e senza aggiungere altro chiamai a raccolta la mia magia e mi concentrai in cerca della sua aurea.

Da infermiera provetta qual ero diventata, impiegai meno di un minuto per ricucire i tessuti della spalla e fermare l’emorragia.

“Grazie” bisbigliò Peter avvicinandosi al mio orecchio e depositandomi un bacio sulla guancia.

“Grazie a te” ricambiai. Mi aveva appena salvato la vita due volte di seguito, guarirlo era il minimo che potessi fare.

“Ehm” la piccola Lucy si schiarì la voce ottenendo l’attenzione dei presenti, in particolare mia e di suo fratello. “Quindi abbiamo vinto? La strega è stata sconfitta per sempre?” chiese conferma guardando prima me poi Peter con i grandi occhi da cerbiatta speranzosi.

“Si Lu, Jadis non tornerà mai più” La lieta conferma non tardò a giungere dal re.

“Finalmente possiamo dimenticare questa storia” commentò sollevato Edmund.

Improvvisamente la consapevolezza che almeno quella guerra era finita mi colpì. Finora avevo pensato alla fine della Strega come alla morte di Jadis, non avevo ancora realizzato che essa significava anche la fine della tiranna che aveva soggiogato sia Narnia che Telmar e i suoi abitanti. Narnia era finalmente salva, poteva tornare a prosperare felice sotto la guida giusta dei Pevensie.

Il sollievo che scorgevo negli occhi dei ragazzi attorno a me era grande quanto se non più del mio, quasi palpabile nell’aria che era tornata ad essere primaverile in ogni luogo del regno. Non avrebbero più dovuto lottare contro il loro stesso popolo, si erano lasciati la minaccia della Strega Bianca per sempre dietro alle spalle.

Avevano vinto.

Ma io? Potevo come loro lasciarmi Jadis alle spalle senza rimpianti?

Un’idea fulminea mi balenò in testa e la mia attenzione fu catalizzata dalle verdi fronde del bosco.

“Ed ora come facciamo a tornare a casa? A piedi ci impiegheremo un’eternità” Sentii Caspian cambiare la direzione del discorso puntando a lato pratico della nostra nuova situazione.

“Nella stalla ci sono un cocchio e una carrozza. Possiamo usare quelli” li informai distratta. “Voi andate pure avanti, io vi raggiungo fra un attimo” aggiunsi continuando a guardare insistentemente gli alberi.

Con la coda dell’occhio vidi i ragazzi scambiarsi uno sguardo interrogativo ma nessuno ribatté.

Senza attendere oltre mi diressi verso il boschetto. Nel vedere il palazzo crollare, il nome di Jadis divenire solo un ricordo, era nato in me un desiderio che dovevo assolutamente soddisfare anche se forse non era la cosa giusta da fare.

Dietro di me sentii dei passi. Non mi volsi nemmeno, ero praticamente certa che Peter mi avrebbe seguita.

Raggiunsi il centro del bosco tornato dormiente e con lo sguardo individuai il più grande tra i blocchi di ghiaccio disseminati sull’erba destinati a sciogliersi definitivamente a breve.

Una volta trovato lo sollevai avvolgendolo con la magia e lo posizionai davanti a me, tra gli alberi. Era alto mezzo metro più di me e largo altrettanto, perfetto per il mio scopo.

Chiusi gli occhi e ripescai dai miei ricordi la figura di Jadis, regale ma dolce come la prima volta che mi era parsa dopo che l’avevo liberata dalla sua prigione dimensionale.

Richiamai la magia nelle mani e protesi quest’ultime verso il blocco di ghiaccio. La magia cominciò a defluire da me al freddo materiale e con essa levigai un basamento di trenta centimetri. Da lì iniziai a modellare l’orlo di un elegante quanto semplice vestito, poi risalii su disegnando le pieghe dell’abito che faceva intravedere la forma di due lunghe gambe e di una vita snella. Salendo ancora con la magia scolpii un busto magro nascosto da un corsetto che lasciava scoperte le spalle. Disegnai un braccio con il pugno chiuso appoggiato sul petto, all’altezza del cuore, e l’altro lungo il fianco intento a sorreggere lo scettro con la punta di diamante

Per ultimo modellai nel ghiaccio un collo lungo e fine che sorreggeva un volto dalle fattezza perfette, quasi angeliche, e circondato da una cascata di lunghi capelli mossi. Sul viso un dolce sorriso piegava la curva delle labbra piene sottostanti un naso piccolo e all’insù che divideva due occhi grandi che mostravano un’espressione comprensiva e amorevole.

Quando sollevai le palpebre il volto della statua di ghiaccio di mia madre ricambiava il mio sguardo.

Presi un bel respiro e feci un ultimo incantesimo sul mio operato. Avvolsi la statua da un velo magico, invisibile alla vista ma che avrebbe impedito al ghiaccio di sciogliersi salvando la statua dalle intemperie e dallo scorrere del tempo.

“Perché?”

Lo stupore di Peter, finora silenzioso spettatore della mia magia, era più che giustificabile.

“è un monumento funebre. Non ho potuto seppellirla perché il suo corpo è andato distrutto ma volevo che ci fosse almeno qualcosa per onorare la sua memoria” spiegai cercando di far trapelare meno possibile quanto ciò mi faceva soffrire. Non volevo mostrarmi più provata di quanto già Peter sospettasse o lo avrei messo nello scomoda posizione di dover consolarmi per la morte della sua più acerrima nemica.

Il ragazzo storse la bocca in una smorfia di disappunto. “Non sono del parere che la sua memoria vada onorata dopo tutto quello che la Strega Bianca ha fatto” commentò acido.

Sospirai. “Hai ragione, la Strega Bianca non merita tanto” lo assecondai accattivandomi il suo stupore. “Ma io non l’ho fatto per lei né l’ho scolpita. Guarda bene la statua, quella che io voglio commemorare e che ho ritratto è mia madre. È Jadis come io l’ho conosciuta e come vorrei ricordare. È la Jadis che non è morta per la tua spada ma per la sua stessa sete di vendetta. È la Jadis che ho chiamato mamma e che non voglio dimenticare per quanto breve sia stata la sua presenza” precisai. Un singhiozzo stava per rovinare l’ultima parola ma riuscii a soffocarlo. Non avevo più voglia di piangere, avevo versato fin troppe lacrime di recente.

Peter scosse la testa e sospirò. Poi mi si accostò e mi abbracciò forte. Sentii il soffio del suo respiro tra i miei capelli procurarmi brividi familiari e il calore del suo corpo infondermi comprensione. Come sempre, mi aveva capita.

“Mi spiace” mormorò a mezza voce, sincero.

Mi scostai da lui quel tanto che bastava per perdermi in quei zaffiri luminosi pieni di conforto e amore, quel conforto e quell’amore che mi erano mancati terribilmente durante la nostra forzata separazione. Quel conforto e quell’amore che erano tornati ad illuminargli lo sguardo dopo aver vissuto tante sofferenze.

Gli accarezzai la guancia fino ad arrivare alla sua nuca e infilare le mie dita tra i suoi capelli di seta. Poi accostai il mio viso al suo e lo baciai con trasporto, cercando di soffocare ogni triste esperienza vissuta nelle ultime ore nella dolcezza di quelle labbra e nell’infinità del suo amore.

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Capitolo 20
*** 19_Gigli e segreti nascosti dal tempo ***


Hola todos!! Sono tornata con il nuovo capitolo!! Iniziavo a temere che nn sarei riuscita a postare prima di Natale, ma per fortuna ci sn riuscita! :-) è il capitolo più lungo che ho scritto finora, spero che nn vi annoierete ora di arrivare alla fine! Anche perchè ci saranno diverse rivelazioni tra cui la risposta ad un interrogativo che si sono posti in molti... chissà cosa ci sarà scritto....^^ la prima parte però è semplicemente una parentesi romantica tra due personaggi che nn dicevano la loro da un po' di tempo, le fan della coppia trattata spero apprezzeranno :-)! Ora, dato che vi ho già fatto attendere abbastanza grazie alla mia super lentezza nell'aggiornare, vi lascio alla lettura nella speranza che quello che leggerete vi piacerà! Qst volta temo un po' il giudizio di chi sarà paziente e gentile nel dirmelo perchè le rivelazioni saranno parecchie e potrebbero stupire, spero però nn in senso negativo!

Ringraziamenti:
 ranyare: Ciao! spero tu abbia asciugato tutte le lacrime e che sia pronta per questo nuovo capitolo del quale aspetto il tuo giudizio con dita incrociate! Sn felicissima che la scena della battaglia ti sia piaciuta perchè di solito mi vengono meglio le scene dove i personaggi riflettono sui loro sentimenti o le scene romantiche, quindi quando descrivo una scena d'azione ho sempre paura che nn sia venuta! Se il nostro caro Peter (tra l'altro sono andata a vedere il terzo film di narnia e mi è mancato tantissimo il mio amore biondo!!!!  Ma perchè Aslan nn gli ha permesso di tornare, cosa accidenti gli cambiava a lui se entravano cinque persone nel suo regno e nn tre? Mah...! sob!) ti è piaciuto nei panni del re nell'ultimo cappy sn certa che ti piacerà anche a metà di questo dove si cala perfettamente di nuovo nei panni del mitico sovrano di Narnia^^  Spero di leggere presto il tuo parere su qst capitolo, ci sn molte rivelazioni e vorrei sapere cosa ne pensi! Grazie mille per la tua recensione e per i tuoi complimenti :-) love you! un bacione:-)!

sweetophelia: Ciao! hihhi, nn vorrei dire ma credo di aver intuito che tu sia contenta della morte della strega!!!!!!! XD! Anche Peter è felice, il momento dove la infilza è anche il suo preferito, ha provato un'enorme soddisfazione personale!!! x Cate superare la cosa sarà ovviamente più dura che per il ragazzo, però in qst capitolo troverà il modo di avere una consolazione, e poi ci sarà sempre Peter accanto a lei:-)! Tranquilla, la storia ha superato la metà però la parola fine è ancora lontana :-) cmq grazie di cuore per l'entusiasmo che dimostri per ogni capitolo, nn hai idea di quanto mi faccia piacere!!! thanks^^!!!!!!!!!! Gli interrogativi che hai posto prometto che presto o tardi verranno tutti risolti, uno in particolare già in questo capitolo e nn vedo l'ora di sapere cosa ne pensi della risposta :-)! Grazie mille ancora :-) ti mando un grande bacio!!!!!!

bex: Ciao! Sono felicissima che tu abbia apprezzato e letto tutti i capitoli della fan fiction scritti finora! E grazie mille per tutti i complimenti che mi hai fatto e per aver apprezzato l'idea che Jadis avesse una figlia, sei troppo buona :-)!!!!! Ho risposto alla tua mail :-) scusami se nn l'ho fatto subito, e che volevo aspettare di postare il nuovo capitolo prima, solo che speravo che l'operazione si svolgesse in tempi più brevi invece il capitolo nn finiva mai, aggiungevo sempre qualche pezzo con il risultato che ci ho messo una vita a pubblicare! Cmq grazie per la tua mail, è la prima che ricevo, quando ho visto che la casella postale aveva un mess mi sn emozionata! thanks^^ spero che anche questa cappy ti piaccia e spero di sapere presto le tue impressioni :-) un bacio grande!

Eve_Cla 84:  Ciao!! Se volevi regalare un po' di felicità ti posso assicurare che ci sei riuscita perchè se già una recensione di per sé fa piacere, piena di apprezzamenti come la tua nn può che riempirmi il cuore di gioia, perciò grazie grazie :-)!!!!!! Sn contenta che i diari abbiano destato curiosità :-) la loro esistenza nn era programmata, l'idea è venuta praticamente fuori da sola mentre scrivevo dell'incursione di Cate nella camera di Jadis. Mi si è accesa la lampadina! E in questo capitolo avranno un largo spazio, largo abbastanza spero da saziare la tua curiosità sul loro contenuto e anche su altri quesiti :-)! Descrivere le emozioni di Cate durante il duello tra Peter e Jadis è stata la parte più difficile del cappy perciò sono felice di sapere di esserci riuscita alla fine, grazie :-)! Povera Cate, per lei vedere i due combattersi a vicenda nn è stato affatto bello e sarà dura andare oltre la morte di Jadis, però grazie all'aiuto di Peter e di alcune scoperte riuscirà a trovare una consolazione alla fine :-) Spero di leggere presto la tua recensione perchè nn vedo l'ora di sapre cosa pensi delle varie rivelazioni che il cappy contiene!! Ancora grazie per la tua recensione :-) ti mando un grande grande bacio cara ^^!

Grazie anche a tutti coloro che hanno inserito la storia tra preferiti o seguite e anche a coloro che leggono solo:-) chiunque voglia farmi sapre cosa pensa della storia ovviamente è più che ben accetto^^
Vi auguro buona lettura
kisskisses
68Keira68

19_Gigli e segreti nascosti dal tempo

 

Un sospiro di sollievo le fuoriuscì dalle labbra quando il rassicurante profilo dell’edificio, loro rifugio in quelle ultime settimane, si stagliò all’orizzonte.

Erano solo mura usurate dal tempo, eppure era stato il baluardo della loro resistenza, senza contare che dalla cella fredda e inospitale mai costruzione le era parsa più simile ad una casa se non quelle rovine.

“Una moneta per i tuoi pensieri”

Il sussurro di Caspian le giunse dolce come una carezza ad un soffio dal suo orecchio. Si voltò per specchiarsi in quei pozzi scuri che erano stati la sua ancora di salvezza in quei due terribili giorni.

“Riflettevo sul fatto che non vedo l’ora di abbracciare il mio cuscino” gli rispose con un sorriso ilare.

Caspian rise. “Ti capisco”.

Il mio cuscino. Un cuscino che si trovava nella sua camera, una stanza distante ben tre porte da quella del ragazzo dove egli avrebbe riposato. Quella sera avrebbe dovuto coricarsi senza le calde braccia di Caspian a cingerla.

Le labbra di Susan si piegarono in una smorfia di disappunto a quel pensiero. Non voleva dormire in un letto da sola, non dopo che aveva costatato quanto bello fosse assopirsi accanto alla persona amata, sentire il calore del suo corpo contro il proprio e il soffio del suo respiro sul collo. Ma ora che erano stati liberati e che non erano più costretti a stare vicini nello stesso angusto spazio poteva azzardarsi di chiedere al principe di dormire con lei di sua libera scelta?

Caspian non si era mostrato per niente reticente a prendere sonno accanto a lei nella cella di Jadis, ma ora la situazione era mutata. Nella prigione il ragazzo non aveva scelto di stare con lei, era stato costretto, senza contare che in un frangente del genere avere una persona amica vicino poteva essere di conforto. Ma ora che era libero di dormire nella sua stanza, al sicuro, avrebbe potuto desiderare di dormire lo stesso con lei?

C’era un solo modo per scoprirlo anche se per farlo occorreva prendere a due mani tutto il coraggio di cui disponeva.

“Caspian” lo chiamò, attirando la sua attenzione. Le sue guancie si imporporarono. Susan odiò se stessa per questa sua debolezza. Non le piaceva far trasparire così chiaramente ciò che provava, peccato che quando c’era di mezzo Caspian indossare la sua maschera da regina le risultava più difficile che affrontare l’esercito di Miraz. “Sai, il mio cuscino è molto grande. Mi chiedevo se ti andava di abbracciarlo insieme a me, nella mia stanza” il volume della voce era indirettamente proporzionale al rosso delle sue gote, tanto che l’ultima parola risultò quasi inudibile per chiunque fosse stato presente. Per chiunque eccetto per chi ascoltava la regina con il cuore.

Il volto di Caspian si illuminò nell’udire la proposta che lui stesso avrebbe voluto farle ma che non aveva osato pronunciare. Decidere spontaneamente di condividere la stessa camera era un passo importante, in più rendeva ufficiale agli occhi di tutti il loro rapporto e il ragazzo aveva già sperimentato cosa succedeva se faceva pressione a Susan nel compiere determinate tappe. L’aveva allontanata una volta, non avrebbe commesso lo stesso errore. Ma questa volta era Susan stessa a farsi avanti e perciò, per quanto questo gli sembrasse incredibile come un sogno, non avrebbe avuto ulteriori indugi.

Le passò un braccio attorno alla vita e la attrasse a sé, posandole un bacio tra i lunghi capelli castani.

“Non vedo l’ora di abbracciarlo. Anche perché, se ancora non lo avessi capito, temo di non essere più in grado di dormire se non ti ho vicina” le confessò audace sussurrandole all’orecchio.

Susan avvampò ancora di più, ma un sorriso sincero e di pura gioia curvò le sue labbra. Labbra che furono catturate per un rapido quanto tenero bacio da quelle del principe poco prima che il cocchio preso in prestito nella stalla della strega si fermasse.

Caspian scese con un agile balzò poi si girò per porgere la mano a Susan e aiutarla a scendere a sua volta prima di incamminarsi verso la porta dell’edificio.

Quando entrarono, trovarono i reduci dello scontro con l’esercito di Jadis stipati nella sala comune usata per i pasti, alcuni con espressione confusa, altri guardinga, altri ancora incredula. La domanda che passava per la mente di ogni presente era limpida come l’acqua. Perché la neve si era sciolta? Una domanda che poteva avere una sola risposta, una risposta tuttavia che era troppo meravigliosa anche solo per considerarla. Ecco perché gli abitanti di Narnia erano in empasse ad attendere qualcosa o qualcuno che chiarisse la nuova situazione. Ed ecco perché l’arrivo dei due regnanti fu accolto con un religioso silenzio che racchiudeva tutte le speranze e le aspettative nei cuori dei presenti.

“Regina Susan, principe Caspian” mormorò qualche d’uno come se sussurrare il loro nome li rendesse più veri e meno simili ad un miraggio in una tempesta.

Susan sorrise fiera al suo popolo, tornando a vestire i panni che più le si addicevano, il rossore sulle sue guancie improvvisamente scomparso.

“Popolo di Narnia. Sono lieta di annunciare che la Strega Bianca è stata sconfitta da Re Peter e da Lady Cathrine e questa volta non tornerà mai più. Narnia è definitivamente libera dalla sua infausta presenza”

Seguirono cinque lunghi secondi di silenzio, il tempo che occorse ai presenti per assimilare la notizia, per comprendere che era la verità, che le loro preghiere erano state esaudite. Che erano davvero salvi. Poi, un’ovazione esplose.

Qualcuno gridò di gioia, altri risero finalmente sollevati dall’enorme peso che si erano portati addietro negli ultimi giorni. Altri ancora inneggiarono al coraggio e alla forza del loro re che li aveva liberati da Jadis, mentre alcuni si limitavano a sorridere, troppo sopraffatti per esprimere ciò che provavano in un altro modo.

Anche Caspian e Susan risero gustandosi quel meritato momento di catarsi. In quell’istante, in mezzo al suo popolo finalmente tornato a sorridere, Susan ebbe la consapevolezza che avevano veramente vinto. E il premio era la gioia che scorgeva nei volti degli abitanti della sua terra.

Sentì Caspian prenderle la mano e sospingerla verso la scala al fondo della sala conducente alle camere. La regina guardò in volto il principe, stanco e provato quanto lei, e annuì. Decisamente quella di andare a letto era un’ottima idea dopo l’avventura trascorsa.

Intercettò Ricipì, che con la spada rivolta verso l’alto continuava a decantare le lodi del suo sovrano, e gli si avvicinò.

“Ricipì, posso affidarti un compito?” gli chiese gentile.

Il topo, come prevedibile, si inchinò profondamente con la spada sul cuore e si affrettò a rispondere “Ogni vostro desiderio è un ordine mia regina”.

“Re Peter, re Edmund, la regina Lucy e Lady Cathrine stanno per arrivare a bordo di una carrozza, affido a te il compito di organizzare un’accoglienza calorosa. Il Principe Caspian ed io invece ci ritiriamo nelle nostre stanze”.

“Sarà fatto” promise il valoroso cavaliere.

Susan annuì, infine si accinse a seguire Caspian al piano superiore.

“Sai, quando hai un tetto sotto la testa non riesci a comprendere la fortuna che hai finché non ti ritrovi a dormire su una lastra di ghiaccio” commentò la ragazza salendo le scale.

“Già, dai per scontato anche di poter godere di una temperatura superiore allo zero” si accodò Caspian sorridendo sarcastico.

Quando giunsero davanti alla porta della camera di Susan, la ragazza si voltò a guardare il principe per assicurarsi che non avesse cambiato idea, ma la conferma delle intenzioni del giovane giunse veloce e in maniera inequivocabile. Caspian aprì la porta e prense la ragazza in braccio per farle varcare la soglia.

Susan, presa alla sprovvista, rimase interdetta in un primo momento, ma poi decise di godersi l’attimo. Erano reduci da un’esperienza che avrebbe potuto ucciderli e questo le aveva insegnato che d’ora in poi doveva cercare di lasciarsi andare un poco di più, di vivere la sua vita in modo da non aver rimpianti in caso un’altra guerra minacciasse la sua sicurezza.

Cinse con le sue braccia il collo del bel giovane moro che le regalò uno sguardo così intenso e felice da lasciarla senza fiato. Sentì il cuore balzarle in gola a ricordarle più che mai che se c’era qualcuno che poteva farla sentire viva, che le poteva donare dei ricordi indimenticabili, era proprio Caspian.

Il principe di Telmar chiuse la porta con un lieve calcio poi si diresse verso il letto dove adagiò la giovane.

Susan però, vittima di una frenesia che i suoi stessi pensieri le avevano fornito, non sciolse il suo abbraccio, al contrario trascinò il ragazzo giù con sé, sprofondando insieme a lui nel morbido materasso.

Un sorriso sbarazzino, malizioso ma così spontaneo da avere quasi dell’infantile, si fece vedere sul volto della regina che si illuminò di una luce insolita, a lei estranea tanto da lasciare Caspian ammaliato a fissarla. Era la luce della spensieratezza, del desiderio di cogliere l’attimo senza curarsi delle conseguenze. Una luce contagiosa poiché ben presto rischiarò anche il volto del moro.

Susan fece scivolare una delle due mani, che ancora cingevano la nuca del giovane, tra i capelli corvini di Caspian fino a giungere sulla sua guancia sulla quale poteva avvertire la lieve ruvidezza di un accenno di barba. Gli sfiorò lo zigomo, scorse giù fino alla mascella e poi accarezzò le sue labbra, morbide e piene, in grado di aprirgli un mondo di emozioni che mai avrebbe immaginato accessibili per lei.

Gli occhi castani, nei quali albergava un guizzo di malizia solitamente latente, si incontrarono con quelli di Caspian e ne rimasero stregati, imprigionati. Le sue due pozze scure, di solito pieni di genuinità, di innocenza e di bontà ardevano come brace. Erano uno scorcio del fuoco che gli stava incendiando il cuore, un fuoco alimentato dal desiderio che aveva della giovane, suscitato dalla sua pelle di pesca, dalle sue labbra di rosa e dal suo meraviglioso viso.

Il cuore di Susan batté ancora più forte sotto quegli occhi che dichiaravano a gran voce di volerla, ma soprattutto di amarla. Uno sguardo che la contemplava come se fosse una dea da venerare e da desiderare, come se per lui fosse ciò che più di prezioso il mondo poteva avere.

Caspian le si avvicinò con il capo e prese a baciarle il collo. Erano baci lenti ma dolci, sentiva solo la lieve pressione delle sue labbra sulla sua pelle, baci in contraddizione con la bramosia che gli aveva scorto negli occhi, quasi come se avesse paura di assecondare i suoi desideri. O forse anche lui voleva godersi l’attimo? Forse voleva assaporarlo secondo per secondo e non bruciare nessuna tappa, non avere fretta.

La bocca di Caspian salì su e giunse a baciarle la guancia, il mento fino ad arrivare alla loro meta, le sue labbra, mentre la giovane gli accarezzava i capelli con una mano e lo stringeva sempre più a sé con l’altra facendo pressione sulla schiena di lui.

Susan ricambiò il bacio e assaporò la morbidezza della labbra di Caspian per un momento che le parve infinitamente perfetto. Le loro bocche ormai si modellavano le une sulle altre come se fossero due pezzi complementari, come se volessero sottolineare la reciproca appartenenza dei loro proprietari.

Fu Caspian infine a distanziarsi da lei quel tanto che bastava per incatenarla nuovamente con il suo sguardo. Il fuoco che precedentemente si era intravvisto in quelle pupille si era affievolito, parzialmente soddisfatto da quel bacio appassionato, ed era tornata a regnare la consueta genuina felicità che le contraddistingueva.

“Ti amo Susan” le sussurrò ad un respiro dalle sue labbra.

La giovane tremò nell’udire la sua voce così profonda e rauca. “Ti amo Caspian” bisbigliò in risposta. Una risposta forse scontata, prevedibile, ma non per questo perdeva la sua veridicità. E di certo non per questo il cuore del giovane evitò di aumentare il ritmo del suo battito all’ennesima conferma di essere ricambiato da Susan.

Caspian le scivolò di fianco e le cinse la vita traendola a sé con dolcezza. Le depositò un bacio sul capo e appoggiò il suo viso tra i capelli della ragazza, inspirando a fondo il suo buono e inconfondibile odore di fiori di campo.

Susan accarezzò il braccio che la teneva prima di girarsi su se stessa e ritrovare il contatto con le labbra del bel principe.

Forse, dopotutto, il cuscino avrebbe potuto aspettare, a differenza dell’amore che esigeva per quella sera di essere vissuto a pieno…

 

*

 

Allungai le braccia e cinsi il cuscino, sprofondandoci il viso dentro. Stiracchiai le gambe, le aprii e le chiusi un paio di volte, godendomi la sensazione della morbidezza del materasso. Decisamente non esisteva cosa più ristoratrice del dolce dormiveglia. Coccolarmi tra le lenzuola mi distendeva i nervi, rilassava i muscoli e mi illudeva di essere in un limbo dove esistevamo solo io, il mio cuscino e, da qualche giorno, Peter, che con me condivideva quei teneri e rilassanti risvegli.

Sfilai una mano da sotto il guanciale e cercai a tentoni quella del biondo in questione dalla sua parte del letto. Corrucciai la fronte però quando mi resi conto che la sua metà di materasso era vuota.

Di malavoglia alzai il capo e aprii gli occhi. Con delusione constatai che la mia impressione era giusta. Peter non c’era e a giudicare dalla temperatura del materasso in quel punto, se ne era andato da un pezzo.

Con un sospiro lanciai uno sguardo al resto della stanza…e rimasi di sasso. Due colonne al fondo del materasso sosteneva un baldacchino. Un grande armadio di ghiaccio riempiva quasi tutta la parete bianca davanti a me insieme ad una panca aperta.

Chiusi gli occhi e scossi la testa con il cuore che batteva a mille. Quando gli riaprii, i mobili che aveva visto erano scomparsi, sostituiti da un armadio in legno notevolmente più piccolo e un semplice letto.

Nascosi il viso tra le mani e inspirai a lungo. La mia mente mi aveva giocato un brutto scherzo, il mio subconscio aveva sovrapposizionato l’immagine della mia stanza al castello di ghiaccio con quella che avevo lì alle rovine. Evidentemente nel dormiveglia, nel mio limbo protetto, avevo sperato che gli ultimi complicati e incisivi avvenimenti non fossero accaduti, che erano stati solo un incubo molto lungo, e di conseguenza la mia testa aveva immaginato di trovarsi ancora in quella camera, fornendomi quell’immagine al posto della realtà.

Deglutii e presi un ultimo respiro per farmi forza. Ora ero sveglia, era inutile soffermarsi su sciocche allucinazioni dettate da una mente ancora addormentata. Piuttosto sarebbe stato meglio alzarsi e cercare di raggiungere Peter.

Infilai le ballerine poste accanto al letto e mi posizionai di fronte allo specchio. Un debole sorriso si formò sul mio viso quando vidi i capelli tutti scompigliati.

Era bello constatare che alcune cose non cambiavano mai. Con pazienza presi la spazzola sul comò e cominciai a districare la massa informe che avevo come acconciatura. Quando finalmente dei boccoli degni di tale nome tornarono a sfiorarmi le spalle, uscii dalla stanza.

Scesi le scale e cercai di attraversare furtiva la sala comune. La sera precedente, quando Peter, Edmund, Lucy ed io eravamo rientrati, ero riuscita silenziosamente a svignarmela ai piani superiori mentre il popolo accoglieva i sovrani con i giusti onori, sperando che essendo impegnati a lodare i regnanti non avrebbero avuto tempo per incenerire me con occhiate maligne e sospettose. Sapevo che non avevo nulla da temere, che avendo il favore di Peter nessuno si sarebbe osato a farmi del male, ma non avevo voglia di sentirmi additare come una traditrice, una strega malvagia o un elemento da evitare, preferivo di gran lunga passare inosservata almeno finché l’astio e la diffidenza nei miei confronti non fossero stati dimenticati.

Un fauno però ruppe la mia rosea speranza di raggiungere indenne la sala della tavola di pietra dove certamente erano riuniti i miei amici.

Malauguratamente la creatura incrociò il mio sguardo, sobbalzò e sgranò gli occhi. Sbuffando io mi affrettai a chinare la testa e aumentai il passo, ma mentre cercavo di svignarmela, l’abitante di Narnia mi prese in contro piede facendo l’ultima cosa che mi aspettavo. Inclinò il busto davanti e con tono rispettoso mormorò “Buon giorno principessa Cathrine”.

Rimasi spiazzata. Non aveva estratto la spada. Non aveva incitato i suoi compagni a puntarmi contro torce e forconi. Non aveva pronunciato nemmeno un misero insulto. Si era inchinato e mi aveva salutata come “principessa”.

Ma ciò che fu ancora più sorprendente fu che altri si affrettarono ad imitarlo. Stavo forse ancora dormendo?

“Grazie, buongiorno anche a voi” sussurrai di risposta istintivamente grazie ad anni di buona educazione che mi salvarono dal fare scena muta.

Accennai ad un saluto con il capo dopodiché mi dileguai il più velocemente possibile lungo il corridoio che portava alla sala adibita alle riunioni, scuotendo incredula la testa.

“Ben svegliata dormigliona” la voce energica di Lucy mi accolse nell’aula.

Mi sorrideva allegra dalla sua postazione preferita, appollaiata sul bordo della tavola di pietra a gambe incrociate.

“ ‘Giorno Cate”

“Buon giorno” dissi ai giovani sovrani “Caspian, Susan” aggiunsi poi con un sorriso prima al moro poi alla ragazza.

Passai al setaccio la stanza sperando di catturare un paio di zaffiri luminosi ma restai delusa. Peter non si trovava nemmeno lì.

“Arriverà tra poco” mi informò Lucy intuendo i miei pensieri.

“Come mai quell’aria stupefatta?” mi domandò invece Susan.

Rivolsi la mia attenzione alla giovane, posta alla destra della tavola e appoggiata con la schiena sul petto di Caspian. “Niente, è che mi aspettavo di essere quasi linciata dai narniani appena si fossero accorti della mia presenza, invece prima mi hanno chiamata principessa e si sono persino inchinati” spiegai stranita.

Vidi la regina esprimersi in una smorfia divertita mentre Caspian, Lucy ed Edmund ridacchiarono.

“Vedo che il discorso di Peter ha sortito il suo effetto” commentò ilare Caspian.

“Quale discorso?” mi informai corrucciando la fronte. Cosa mi ero persa?

“Stamattina sono tornati tutti coloro che avevano combattuto al fianco di Jadis” mi mise a parte Edmund.

“E Peter ha ritenuto opportuno giustamente redarguirli e far loro giurare nuovamente fedeltà a noi e ad Aslan.” Aggiunse Lucy.

“Quindi sono stati tutti perdonati?”

“Non proprio. Combatteranno di nuovo dalla nostra parte, ma sono tenuti sotto stretta sorveglianza e al primo sospetto verranno trattati come i traditori meritano” il tono amaro con la quale Susan si espresse mi fece deglutire.

“Comunque sia non crediamo ci sarà bisogno di adottare tali misure. La maggior parte di loro ha disertato le nostre file sotto minaccia o sotto un incantesimo. Pochi hanno lottato per Jadis convinti di quello che stavano facendo” puntualizzò fiduciosa la più piccola dei Pevensie.

Annuii sollevata. Non era piacevole sapere che il proprio esercito era composto da un nutrito numero di traditori.

“Ma questo cosa c’entra con me?” chiesi tornando al discorso iniziale.

“Peter ha colto l’occasione anche per minacciare di morte chiunque ti avesse anche solo guardato in modo storto” il sorriso divertito di Lucy la diceva lunga sul modo in cui il biondo si fosse espresso. Poveri abitanti di Narnia… non osavo immaginare in che modo avesse formulato la sua “gentile” richiesta.

“E poi ha anche formalizzato il tuo nuovo status di principessa ora che si è scoperta la tua vera identità.” Concluse Caspian sorridendo anche lui probabilmente al ricordo dell’arringa, certamente molto infervorata, del sovrano.

“Come?!” esclamai sorpresa. Quindi era stato Peter a dire a tutti di chiamarmi con quell’inappropriato appellativo? Ma cosa gli era saltato in mente?

“Non sei contenta?” Lucy mi guardò stupita della mia reazione.

“Sono felice di non dovermi guardare le spalle da possibili attentatori, ma non sono una principessa. Morta Jadis credevo fosse abbastanza chiaro che Narnia sarebbe tornata a voi, non intendo essere la principessa di un trono usurpato” ribattei con veemenza.

“Infatti è così. I sovrani di Narnia siamo tornati ad esserlo i miei fratelli ed io”.

Una voce ben conosciuta mi giunse dalle spalle. Una voce che aspettavo di udire da quando mi ero svegliata.

Mi voltai addolcendo la mia espressione istintivamente alla vista di quei tratti angelici.

Peter mi venne incontro, mi trasse a sé e mi donò un bacio a fior di labbra.

“Buon giorno” mi sussurrò all’orecchio.

“Buon giorno anche a te” ricambiai, lieta di potermelo finalmente sentir dire da lui.

Edmund si schiarì la voce sonoramente, richiamando la mia attenzione e facendomi ricordare le mie obiezioni.

“Temo di aver perso il filo allora. Se i regnanti giustamente siete voi, perché dovrebbero chiamarmi principessa?” chiesi inarcando un sopraciglio.

“Jadis era già regina prima di allungare le mani su Narnia. Il castello di ghiaccio e le terre ad esso adiacenti sono dei suoi legittimi possedimenti, così come le Isole Solitarie di cui era imperatrice” mi illustrò paziente.

“E tu sei la legittima principessa di quelle corone.” Affermò Susan.

Mi massaggiai le tempie. Troppe informazioni assieme, mi stava venendo il mal di testa. Quindi, riassumendo, la magia non era l’unica cosa che mia madre mi lasciava in eredità. Avevo appena scoperto di avere una corona sulla testa. Anzi, due per la precisione. Fantastico.

“Per ora sei solo principessa perché non hai avuto una cerimonia di incoronazione, al quale però provvederemo appena possibile.” Promise Peter.

Un mugolio di disapprovazione mi uscì prima che potessi fermarmi. Certo, non vedevo proprio l’ora di essere incoronata, era il sogno di una vita.

Sospirai e raccolsi le idee per iniziare la mia presa di posizione. “Ascoltate, non ho alcun interessa a diventare regina, né ad essere una principessa. Nives era l’erede di quei possedimenti, ma Nives è morta insieme a Jadis. Sono rimasta io, Cathrine, e l’unica cosa che mi rallegro di aver ereditato e che continuerò ad usare è la mia magia. Quei possedimenti potete annetterli al regno di Narnia, non mi interessa. Se occorre posso firmare un documento di concessione” obiettai riflessiva.

Peter strabuzzò gli occhi. “Ma sono i tuoi territori, il tuo trono. Hai dei doveri verso la gente che vi abita, verso i tuoi sudditi.” Ribatté.

Sorrisi divertita dalla reazione del giovane. Vedeva la situazione attraverso i suoi occhi, per lui rinunciare al trono sarebbe stato come lasciare in panne le persone che gli davano fiducia. Non riusciva a vederla dal mio punto di vista.

“Non ho idea di come si amministri un regno Peter, non sono tagliata per quel ruolo. Ci vuole una forza, una lungimiranza e un’attitudine al comando che io non ho. Non tutti sono nati per governare come te. Faccio di più gli interessi di quel popolo mettendolo sotto la vostra guida che assumendomene la responsabilità, fidati” ragionai “e poi preferirei non avere qualcosa che mi ricorda Jadis ogni giorno” sussurrai a solo beneficio di Peter il quale aumentò la stretta sul mio fianco comprendendomi.

Il maggiore dei Pevensie sospirò e fece passare qualche secondo di riflessivo silenzio prima di proporre: “Allora potremmo fare in questo modo. Noi ci occuperemo di ogni aspetto dell’amministrazione di quel regno, ma tu conserverai il tuo titolo di principessa e potrai richiedere il diretto controllo sulle tue terre in qualunque momento. Cosa ne pensi?”

L’ultima frase era una domanda, ma il tono avvertiva a chiare lettere che non avrebbe ammesso repliche.

Storsi il labbro. Era insulso essere chiamate con un appellativo onorifico senza far alcunché per meritarlo. Tuttavia acconsentii. Peter non mi avrebbe mai permesso altrimenti.

Il ragazzo sorrise contento della mia resa, poi si rivolse agli altri presenti. “Perfetto, risolta questa questione possiamo passare ad altro. Le nostre spie dicono che i telmarini non si sono accorti di essere stati congelati. Sciolto l’incantesimo hanno ripreso la loro vita come se niente fosse” li informò.

“Ed insieme ad essa anche la preparazione della guerra contro di noi, scommetto.” Aggiunse amaro Edmund.

Peter annuì con espressione grave. Susan si morse il labbro frustrata e Caspian imprecò a mezza voce. Eravamo appena usciti da un grosso pericolo, ma un altro non meno grande stava di nuovo minacciando la nostra ritrovata pace. Chissà se saremmo mai riusciti a liberare questa terra da ogni influenza esterna e farle avere un’esistenza tranquilla?

“Cosa possiamo fare?” domandò pragmatica Susan.

“Prepararci alla guerra” rispose secco Peter.

La regina annuì, i lineamenti del volto tesi. “Dobbiamo organizzarci allora”.

Sotto i miei occhi, Peter si trasformò da semplice ragazzo a re supremo. Postura dritta e regale, sguardo e tono fermi, sembrava quasi illuminato da una luce particolare mentre dettava ordini e organizzava il futuro della sua gente senza la benché minima esitazione.

“Innanzitutto i bambini e coloro che non possono combattere vanno messi al sicuro” sentenziò guardando Lucy.

La piccola regina annuì seria. “Me ne occuperò io, non è un problema” assicurò.

“Bene” commentò il biondo. “Passiamo alla difesa”.

“Io direi di piazzare gli arcieri sulla balconata sopra l’ingresso. Offriranno una buona copertura per i fanti da quella postazione” propose Susan trovando subito concordi i restanti.

“Te ne puoi occupare tu?” le chiese Peter, anche se già conosceva la risposta.

“Ma certo”

Con i lineamenti del volto tesi e lo sguardo fermo, dubitavo seriamente che esistesse qualcosa che non sarebbe stata capace di fare. Lei come tutti gli altri. In quel momento i Pevensie mi parevano invincibili. Seri e determinati, le menti perfettamente in sincronia, ognuno conscio del proprio compito e del proprio dovere, ognuno pieno di fiducia verso le capacità degli altri. Formavano una squadra affiatata, perfettamente sintonizzata, unita dall’affetto e dalla stima che provavano tra loro.

“Per quanto riguarda l’esercito di terra…” e si rivolse al fratello minore.

Edmund fece un passo avanti. “Dobbiamo evitare lo scontro frontale. La loro superiorità numerica ci schiaccerebbe” illustrò.

“Giusto, perciò cosa proponi?” concordò Peter.

Un silenzio meditabondo piombò sulla stanza. Non avevamo soldati a sufficienza per sopportare un corpo a corpo, ma come potevamo sfoltire le file dei nostri nemici se non sotto i colpi delle nostre spade?

A sorpresa, Caspian si schiarì la voce, catturando su di sé l’attenzione. “Forse ho un’idea” disse.

“Ovvero?” si informò Susan attenta.

“Sapete che l’edificio oltre al piano terreno e quello superiore comprende anche un piano sotterraneo che si estende per un paio di chilometri sotto la raduna qui fuori?”

“Si, e questo ci è utile perché…?” lo incalzò Peter, non comprendendo l’introduzione del principe.

Il ragazzo si concesse un sorriso. “Il soffitto del sotterraneo è retto da delle colonne di pietra. Se quelle colonne venissero distrutte il terreno crollerebbe come niente” spiegò.

Ora anche Peter sorrideva soddisfatto, intuendo dove il giovane volesse andare a parare. “E se accidentalmente quelle colonne venissero distrutte mentre i telmarini passano sopra alla zona che sostengono…” proseguì per Caspian.

“Una parte dell’esercito cadrebbe insieme al soffitto e verrebbe seppellita dalle macerie” concluse Edmund, giunto anche lui alla medesima soluzione battendosi il pugno sull’altra mano, approvando il piano.

“Se siete d’accordo allora una parte dell’esercito aspetterà sotto con Caspian che, quando i soldati di Telmar saranno nella giusta posizione, darà l’ordine di distruggere le colonne portanti, mentre io ed Edmund saremo sul prato con il resto dei fanti” decretò Peter entusiasta dell’idea.

“Io potrei coordinarvi facilmente con la magia” mi inserii timida nella discussione, presa da un’idea improvvisa. “Posso inviare una sfera di luce a Caspian per comunicargli quando è il momento di far crollare il soffitto.”

“Perfetto, così il piano dovrebbe funzionare e noi ci saremmo tolti di mezzo una parte dell’esercito di Miraz senza perdere un soldato” commentò il re supremo.

“Il numero dei soldati che Telmar ha a disposizione non è l’unico dei nostri problemi però. La città può usufruire di macchine da guerra che Narnia non ha più da secoli.” L’annotazione di Susan fece tornare in toto il pessimismo appena alleggerito.

“Parli delle catapulte, vero?” precisò Edmund. La regina annuì tesa.

Effettivamente le catapulte costituivano un ottimo mezzo per distruggere il nostro edificio e per assottigliare le nostre fila. Erano grandi e inavvicinabili per semplici fanti, indistruttibili utilizzando solo piccole frecce. Ma il peggio era che Narnia non aveva nulla di simile da contrapporre. A meno che…una lampadina mi si accese, fornendomi la soluzione del problema su un piatto d’argento. Una soluzione tanto semplice che mi diedi della sciocca per non averci pensato prima.

“Quel problema credo di potervelo risolvere io tranquillamente” affermai con sfacciata convinzione.

“Davvero?” mi chiese sorpreso Peter.

Finsi un’aria offesa. “Credi davvero che qualche pezzo di legno possa mettere in difficoltà la figlia della Strega Bianca? Mi sottovaluti signor Pevensie” lo provocai sorridendo accattivante.

“Non dubitavo delle tue capacità, mia permalosa strega.” Ribatté stando al gioco. “Non volevo coinvolgerti nella battaglia. Finché si tratta di inviare un segnale va bene ma oltre quello avrei preferito che questa volte te ne stessi in disparte” aggiunse scrutandomi.

Trattenni a stento uno sbuffo. Era vero, l’ultima e la prima volta che avevo partecipato ad una battaglia avevo finito con il farmi catturare, però non per questo avrebbe potuto tenermi in una campana di vetro per il resto della mia esistenza. Specie ora che ero divenuta più consapevole dei miei poteri e che potevo rivelarmi più utile di prima.

“Peter, apprezzo il tuo senso di protezione ma sono capace di badare a me stessa. E poi avrete bisogno di ogni aiuto possibile e negarti quello di una strega per un eccesso di scrupoli mi sembra una mossa stupida” cercai di farlo riflettere.

“Ha ragione. Il suo contributo potrebbe essere decisivo. Senza le catapulte la situazione risulterà molto meno impari” mi supportò logica Susan.

Le lanciai un’occhiata di ringraziamento per il sostegno poi tornai a fissare il biondo che mi guardava a sua volta con brillanti zaffiri tormentati. Era diviso tra il dovere verso il suo popolo e quello di proteggermi che aveva sempre sentito da che ci eravamo incontrati.

Gli accarezzai il volto. “Starò lontana dalla battaglia, non intendo affrontare direttamente nessuno. Le condizioni saranno quelle della volta scorsa, contributo magico in cambio dell’esonero dall’usare armi contundenti.” Proseguii cercando ulteriori motivazioni per la mia causa. Non volevo rimanere con le mani in mano mentre loro rischiavano la vita, però avrei perseverato con la mia scelta di non uccidere nessuno. Vidi la sua titubanza aumentare e decisi di aiutarlo ulteriormente concludendo. “E poi i miei poteri si sono raddoppiati, lo sai. Dubito seriamente che qualcuno possa nuocermi ora come ora” vantai peccando appositamente di modestia.

Ciò parve convincerlo definitivamente. “D’accordo. Ma starai sulla balconata vicino a Susan, fuori dalla mischia” ordinò aumentando la stretta dell’abbraccio, probabilmente un riflesso istintivo al pensiero che sarei stata di nuovo esposta al pericolo. L’ombra di un sorriso mi si dipinse in volto. Si poteva essere più iper-protettivi?

“Del resto dovrà occuparsene la fanteria.” Commentò Caspian, tornando all’argomento principale.

“E se ne occuperà nel migliore dei modi.” Promise Peter e lanciò un’occhiata allusiva al fratello.

Edmund comprese e annuì. “Vado ad occuparmene immediatamente” ed uscì dalla stanza.

“Io vado a scegliere un gruppo di soldati per abbattere le colonne.” Annunciò Caspian sparendo dietro ad Edmund.

La terza ad uscire celere dalla stanza fu la regina maggiore, diretta verso lo schieramento degli arcieri di sua competenza, seguita a ruota dalla piccola Lucy che si apprestava ad informare del nostro piano coloro che avrebbero dovuto seguirla ai piani superiori appena la battaglia fosse iniziata. Una battaglia decisiva, che avrebbe segnato le sorti di Narnia. Un’ennesima ferita su quella terra florida dalla quale sarebbe sgorgato il sangue dei suoi stessi abitanti, abitanti che forse avrebbero potuto estinguersi al tramonto di quel fatidico giorno.

Sospirai affranta. Altra guerra, altri avversari, ma stesse paure e stesso dolore.

Sentii la pressione della mano di Peter sollevarmi il mento, obbligandomi a fissarmi negli occhi.

“Non sei costretta a partecipare” mormorò.

Un angolo della mia bocca si piegò in su in un’amara smorfia. “Pensi che resterei a guardare mentre voi rischiate la vita?” risposi cercando di mascherare l’afflizione con il sarcasmo.

Il re chinò lentamente la testa e mi baciò. Un bacio calmo e lento, un bacio di conforto, puntato a farmi comprendere che lui era vicino e che capiva ciò che provavo. Un bacio che mi ripeteva che non ero sola. Un bacio che voleva fornirmi una speranza per il futuro, che mi dettava di non arrendermi perché insieme ce l’avremmo fatta. Avremmo superato anche quest’ulteriore sfida.

“Lucy sarà dentro l’edificio, protetta da quelle mura. Caspian è un bravo combattente e porterà a termine la sua missione. Susan e tu sarete al sicuro sulla balconata, impegnate nei vostri incarichi che saprete eseguire alla perfezione. Edmund sarà con me e non permetterò a niente e a nessuno di nuocergli” mi rassicurò poggiando la sua fronte sulla mia.

Chiusi gli occhi e mi inebriai del suo profumo che mi giungeva forte e dolce data la distanza ravvicinata, come anche il suo respiro che mi raffreddava delicatamente le labbra ancora umide dal suo bacio.

Sollevai le palpebre e sprofondai in quel cielo primaverile, profondo e infinito come i suoi sentimenti. “E tu?” sussurrai.

Un sorriso sghembo gli curvò le labbra. “Non perderò la vita in un semplice scontro.”
“Perché sei re Peter il Magnifico?” lo canzonai, ritrovando quel poco di spirito per scherzare oltre la coltre di preoccupazioni che mi annebbiava la mente.

“No, perché sono troppo egoista per permettere a qualcuno di privarmi del piacere di rivederti dopo la battaglia. O di accarezzare la tua pelle morbida” la sua mano scorse lungo la mia guancia, giù per il collo fino alla clavicola. “giocare con i tuoi capelli ricci e ribelli” le sue dita si intrecciarono con i miei boccoli dietro la mia nuca. Tirò piano una ciocca e un brivido mi percorse lungo tutta la schiena. Con imbarazzo fui incapace di trattenere un mugolio. “Di stringerti a me e sentire la dolce pressione del tuo corpo” l’altro braccio si poggiò sulla mia vita e con delicatezza mi avvicinò al suo petto caldo che si abbassava e alzava piano e ritmicamente, pregustando il passo successivo che entrambi conoscevamo. “o di rubarti mille baci, poi di nuovo cento, poi di seguito mille, poi di nuovo altri cento” mormorò citando i versi che Catullo dedicò alla sua Clodia, con il tono sempre più rauco, facendomi tremare il cuore e le gambe.

Le nostre labbra si riunirono come poco prima, ma in modo totalmente diverso. Se precedentemente il bacio era di comprensione e rassicurazione, ora era passionale, energico, pieno di vita, di voglia di godersi il momento, del desiderio che entrambi nutrivamo verso l’altro.

Allacciai le mie mani dietro la sua nuca e ricambiai con tutta me stessa, dimenticando ogni problema come sempre mi accadeva quando le nostre lingue si univano in quella danza ancestrale che tanti significati poteva celare e tante emozioni trasmettere.

Un’aspra battaglia ci attendeva. Il destino ci richiedeva di dimostrare ancora il nostro coraggio e la nostra determinazione. Ma noi eravamo pronti. Eravamo uniti e forti del sentimento che ci legava tra di noi e a quella terra. E proprio per difendere l’amore verso l’altro, verso i nostri amici, verso le creature di Narnia e verso Narnia stessa, avremmo vinto.

 

*

 

La mia veste era sporca di sangue. Sangue che continuava a scorrere. Sangue che non era mio.

Lentamente alzai lo sguardo.

Jadis, pallida e con le iridi dilatate, boccheggiava in cerca d’aria. Le mani stringevano convulsamente una lama affilata che le fuoriusciva dal centro del petto incurante di ferirsi ulteriormente. Il sangue colava a fiotti dalla ferita e dalla punta della spada, finendo sulla mia gonna e imbrattandola.

Jadis barcollò all’indietro di un paio di passi poi cadde a terra con un tonfo. Tossì e altro sangue le colò dalle labbra che a poco a poco stavano perdendo il loro solito colorito acceso.

Incrociai il suo sguardo e in quelle iridi cristalline vidi qualcosa che non avrei mai dimenticato. Vidi orgoglio. Nei suoi occhi albergava l’orgoglio. Ma non sembrava l’ultimo lampo di fierezza di una grande combattente bensì pareva orgogliosa nel vedere ciò che stava fissando, ovvero me. Ma perché avrebbe dovuto esserlo? Non ne aveva motivo, in fin dei conti avevo contribuito alla sua disfatta, eppure…

“…Figlia…una grande strega…”

Il suo sguardo sempre fiero si fece vacuo, i lineamenti si irrigidirono e il petto si abbassò per l’ultima volta.

Jadis era morta…

 

Mi svegliai di soprassalto, ritrovandomi seduta sul mio letto, il cuore a mille e la fronte sudata.  Mi misi una mano sul petto che si alzava ed abbassava a ritmo sostenuto. Davanti a me, solo l’immagine ancora vivida di uno sguardo che si faceva vacuo. Chiusi gli occhi nella speranza di scacciare quella visione e cercai di focalizzarmi sul respiro.

Mi concentrai sul diaframma e tentai di regolarizzarne il movimento. Impiegai diversi minuti ma alla fine riuscii ad ottenere un risultato accettabile.

Titubante riaprii gli occhi. L’immagine di prima era svanita, sostituita dal profilo dell’armadio in legno della mia stanza, illuminato appena da uno dei primi raggi di sole della giornata.

Mi girai verso la parte destra del letto. Sorrisi quando scorsi l’espressione rilassata dipinta sul viso di Peter. Nonostante i problemi che lo tormentavano durante il giorno, almeno la notte il re sembrava trovare una meritata pace.

Peccato non potessi dire lo stesso per me. Sospirai raccogliendo le ginocchia al petto. Il ricordo della morte di mia madre continuava a tormentarmi. Anche la notte scorsa la mia mente non mi aveva risparmiata dal farmela rivivere minuto per minuto. Avrei tanto voluto dimenticarlo. Desideravo esistesse un incantesimo per farmi buttare il triste ricordo in un cassetto da chiudere a chiave per non rivederlo mai più. Purtroppo però sapevo che ciò non fosse possibile. Avrei rivissuto quella scena nella mia testa molte altre volte, potevo solo sperare che con il tempo mi facesse meno male rivedere il sangue che colava imperterrito e sentire quelle ultime parole che mi aveva rivolto: “Figlia…una grande strega”.

Parole alla quale non riuscivo a dare un senso e che probabilmente sarebbero per sempre rimaste senza significato essendo morta l’unica persona che avrebbe potuto spiegarmele. Sarebbe rimasta una questione irrisolta, un’altra da aggiungere al grande elenco che avevo, elenco che, guarda caso, aveva come centro la figura di Jadis stessa.

Forse era quello che principalmente mi toglieva il sonno, che più mi tormentava, il fatto di non essere riuscita a trovare una risposta ad ogni mia domanda, di avere ancora così tanti dubbi sulle mie origini, sulla mia natura, ma in particolare di non essere riuscita a conoscere la strega fino in fondo. Credevo di essere stata la sola ad entrare in contatto con la vera Jadis, di aver visto la donna dietro il mito, ma gli avvenimenti mi avevano chiaramente dimostrato di essermi sbagliata, che la figura buona e dolce che io accostavo alla persona di mia madre in realtà non era che una copertura. Eppure ero certa che Jadis fosse molto più della crudele tiranna che aveva messo in pericolo Narnia e i Pevensie. Alla fine avevo scorto dell’altro oltre l’odio che si ostinava ad ostentare. Quello sguardo pieno di orgoglio e soddisfazione diretto a me e quella frase enigmatica mi avevano fatto intravedere un altro aspetto della complessa e molteplice personalità di Jadis, un aspetto però che sarebbe rimasto sepolto assieme a lei, tormentandomi con la sua impossibilità di essere conosciuto.

Se solo avessi potuto risolvere i miei quesiti, se avessi potuto avere la possibilità di far luce per intero sul vero volto di Jadis, forse sarei riuscita a chiudere quel capitolo della mia vita e lasciarmelo alle spalle. Non avrei dovuto convivere con la terribile sensazione di aver lasciato una questione importante irrisolta.

Eppure dovevo riuscire a trovare il modo di farmene una ragione. La strega era morta insieme ad ogni mia possibilità di conoscere lei e me stessa e poiché, nonostante avessi imparato a compiere magie che non avrei mai creduto possibili, non ero ancora in grado di resuscitare i morti, né tanto meno di parlarci e purtroppo dubitavo esistessero altri modi per comunicare con lei a parte questi. Come poteva fornirmi le mie risposte se non parlandomi? Non c’erano libri su di lei dove avrei potuto trovare le informazioni che cercavo come a scuola.

Un momento. Libri, informazioni… i diari di Jadis!

Bingo.

In un lampo rividi il cassetto aperto nella stanza della strega. Il cassetto che conteneva una trentina di volumetti dalla copertina marrone custodi un tesoro per me inestimabile. I pensieri di mia madre, le sue idee, un pezzo della sua stessa anima.

Un sorriso si allargò sul mio volto, colta dalla frenesia di quell’illuminazione. Dovevo leggerli immediatamente, non potevo attendere oltre. Se avessi rimandato, con una guerra di tali proporzioni come quella che ci aspettava, avrei potuto perdere la mia ultima occasione per sempre.

Mi voltai verso Peter, ancora profondamente addormentato, e li posai una carezza leggera sulla guancia. Se avesse saputo cosa avevo in mente di fare, probabilmente avrebbe insistito per accompagnarmi ma era giusto che restasse con il suo popolo per prepararsi alla battaglia imminente. Era meglio tenerlo all’oscuro della mia piccola escursione mattutina, con un po’ di fortuna sarei tornata ancora prima che si accorgesse della mia assenza.

Scivolai silenziosa giù dal letto, percorsi con passo felpato i lunghi corridoi e mi trovai fuori in un baleno, inondata dai primi raggi di sole che lentamente si facevano strada all’orizzonte. Venni colta però poi da uno scrupolo improvviso. Se non fossi riuscita a tornare prima del risveglio di Peter, al ragazzo sarebbe venuto un colpo non vedendomi nel letto. Dovevo trovare un modo per fargli sapere dove mi fossi diretta o avrebbe incominciato a cercarmi per tutto il regno in un nanosecondo.

Andai alle scuderie e facendo attenzione a non fare rumore per non svegliare i cavalli addormentati, mi avvicinai a Fulmine, anch’esso appisolato.

“Ehi, Fulmine” bisbigliai.

Neanche un grugnito mi giunse in risposta.

“Fulmine!” lo chiamai alzando di poco la voce.

Con un nitrito infastidito il cavallo girò ostinatamente la testa, continuando a dormire.

Sbuffai. “Ti vuoi svegliare cavallo pigrone?” dissi dandogli un colpo sul collo tornito.

Questo parve funzionare. Il destriero aprì gli occhi di scatto, mi mise a fuoco e scalciò piano con espressione irritata.

“Cathrine! Si può sapere a cosa devo l’onore di una tua visita all’alba?!” mi apostrofò sarcastico.

Sfoggiando il mio miglior sorriso angelico risposi: “Ben svegliato Fulmine. Ecco, avrei bisogno di un piccolo favore” iniziai.

Fulmine nitrì sbuffando. “Il fatto che ti sopporto permettendoti di cavalcarmi ogni volta che esci con il re non è un favore già abbastanza grande?”.

Mi morsi il labbro e presi un bel respiro contando fino a dieci. Non dovevo rispondere alla provocazione, non adesso che dovevo chiedergli il mio piccolo favore.

“D’accordo, di mattina sei un poco irritabile…” lo scusai cercando di controllare la mia voce.

“Se per mattina intendi all’alba” mi interruppe caustico.

“…ma ho bisogno di te, per favore” proseguii ignorando deliberatamente l’ultimo commento.

L’equino sbuffò di nuovo. Lo guardai con espressione supplichevole incrociando le mani al petto. A quel punto Fulmine parve cedere.

“E cosa dovrei fare, di grazia?” mi domandò torvo.

Gli sorrisi di gratitudine. “Devo andare al castello di ghiaccio, ora” rivelai.

Fulmine indietreggiò come se lo avessi colpito. Scosse l’elegante e fulva criniera e mi aggredì con un energico “No!”.

Corrucciai la fronte. “Perché no? Non è più pericoloso adesso che Jadis è morta. Non c’è nemmeno il ghiaccio!” obiettai non giustificando tanta agitazione.

Il cavallo mi guardava con gli occhi fuori dalle orbite, come se fossi pazza.

“Non importa. Quel castello è stata la sua dimora ed è stata la tomba di tanti dei nostri, sa di morte e schiavitù. Nessuno di noi si avventurerebbe laggiù senza un valido motivo, rappresenta troppe sofferenze per il nostro popolo” mi spiegò convinto.

Sospirai afflitta. Non mi ero ancora totalmente abituata a vedere Jadis con i loro occhi e ogni volta che lo facevo sentivo una fitta al cuore.

“Ascolta, capisco perfettamente le tue ragioni, ma io un motivo valido per andarci ce l’ho” ribattei. Fulmine stava per aprir bocca ma io lo precedetti, sapendo già cosa volesse dirmi. “Non ti chiedo di accompagnarmi” a queste parole il cavallo si bloccò, stupito. Era sicuro che il mio favore consistesse in quello, non poteva certo sapere che non avevo bisogno di nessun mezzo tradizionale per spostarmi in quanto strega. Quello che volevo domandargli era altro. “Ho solo bisogno che nel caso in cui Peter mi cerchi per l’edificio tu gli dica che mi trovo al castello, che sono al sicuro e che tornerò presto. Puoi farlo?” gli chiesi.

Fulmine mi guardò contrariato, evidentemente non apprezzava nemmeno l’idea che fossi io ad andare al palazzo, però parve meno turbato nel sapere che non doveva recarsi lui stesso.

“Ma certo. Se dovesse chiedere glielo riferirò” mi promise.

“Grazie” e lo accarezzai scompigliandogli giocosamente la criniera.

“Ogni desiderio è un ordine, principessa” mi prese in giro abbozzando un goffo inchino, ottenendo lo scopo di alleggerire l’atmosfera.

“Ah. Ah” risposi stando al gioco. Gli feci la linguaccia, infine mi voltai e, silenziosa come ero venuta, me ne andai.

Perfetto, così se non fossi riuscita a tornare prima che Peter si svegliasse almeno avrebbe avuto modo di scoprire dove fossi finita. Appena fui nuovamente all’aria aperta, richiamai la mia magia facendola scorrere in ogni parte del mio corpo, lungo le mie vene insieme al sangue, in ogni singolo osso, e mi concentrai sull’immagine del palazzo l’ultima volta che lo avevo visto. Il familiare vento mi avvolse e mi sentii risucchiata in un turbine. Quando riaprii gli occhi, la luce del sole, che si stava facendo sempre più forte, risplendeva su una costruzione di marmo bianco.

Sciolta la neve, il palazzo, con torri color latte e finestre ampie e riflettenti i raggi solari, sembrava uscito da un libro delle favole. Nell’aria non c’era la benché minima traccia dell’odore di morte e schiavitù di cui aveva parlato Fulmine, ma le vecchie convinzioni erano dure a morire e probabilmente il popolo di Narnia non avrebbe mai apprezzato quel luogo che invece a me, con il bosco che mi inviava il profumo dei fiori, ispirava pace.

Mi incamminai verso l’interno, aprendo il pesante portone dell’ingresso. Ciò che vidi mi lasciò a bocca aperta. Strutturalmente non era cambiato nulla, eppure mi sembrava una sala del tutto diversa ora che la nebbia, che perennemente aveva ricoperto il pavimento, era scomparsa. Dalle vetrate filtrava la luce che illuminava le colonne, ora divenute di marmo bianco, e il trono di cristallo. Il salone era luminoso e incredibilmente caldo, due caratteristiche che mai avrei pensato di poter attribuire ad una stanza di quel palazzo.

Il mio sguardo corse sul colonnato di sinistra senza che potessi evitarlo. Non c’erano tracce evidenti, sembrava anzi che nessuno avesse mai abitato in quelle stanze, ma io sapevo che vicino alla quarta colonna dal portone si era svolto ciò che tormentava le mie notti, lo scontro che aveva ucciso Jadis.

Il sangue, il suo sguardo che si spegneva, la crudele espressione di Peter, il suo corpo che si dissolveva, tutto mi turbinò dinanzi agli occhi stordendomi. Chiusi gli occhi e mi presi la testa tra le mani.

“Figlia, una grande strega” “Figlia, una grande strega” “Figlia, una grande strega” “Figlia, una grande strega”.

La frase mi rimbombò nella mente. Pretendeva a gran voce di essere compresa, non potevo più rimandare, né volevo.

Iniziai a correre lungo il salone, raggiungendo il corridoio che mi avrebbe portata alla scala a chiocciola conducente alla stanza di Jadis. Mi fermai solo quando una porta bianca mi sbarrò la strada. Avevo il fiatone per la corsa, ma non era dovuto alla stanchezza il tremolio nella mia mano quando si allungò verso la maniglia. Una leggera pressione e i cardini cigolarono, mostrandomi per la seconda volta una camera circolare. Era ancora priva di finestra, ma anche lì, come in ogni altra ala del castello, gli elementi architettonici prima fatti di ghiaccio ora era divenuti di marmo bianco mentre i mobili e le colonne del letto a baldacchino erano fatti di cristallo.

La temperatura si era alzata, divenendo sopportabile, la fonte di luce invece era rimasta la stessa, una torcia con una fiamma azzurrina.

Presi un bel respiro e mi accostai al comò. Strinsi le dita attorno alle maniglie e feci scivolare il cassetto sui suoi supporti. I diari erano lì come lo erano stati per tutti quei secoli.

Il cuore accelerò il battito mentre lo sguardo accarezzava le copertine di quei fragili quanto preziosi libri. Afferrai il volume più vicino ma appena entrai in contatto con la carta lasciai cadere il libro come se mi fossi scottata, presa da un ripensamento improvviso. Cosa avrei trovato tra quelle pagine? La spiegazione per quel lampo d’orgoglio scorto all’ultimo negli occhi di Jadis? Il lato nascosto che ero solo riuscita a intravedere? O semplicemente la conferma del parere dei Pevensie, che la strega oltre che il rancore e l’odio nel suo cuore non poteva covare altro?

Strinsi le dita a pugno, facendomi forza. Qualsiasi verità si celasse in quei diari, l’avrei letta e accettata, bella o brutta che fosse stata. Almeno avrei chiuso quella faccenda e non mi sarei tormentata su interrogativi che mi avrebbero seguito altrimenti per sempre.

Riafferrai il libricino e lo aprii, stando attenta a non rompere la rilegatura già lesionata dal tempo. I fogli erano ingialliti come era prevedibile, ma l’inchiostro nero era ancora leggibile. La calligrafia era esattamente come me la immaginavo, elegante ed elaborata.

Faticando a deglutire mi apprestai a leggere la prima pagina.

“Oggi ho dovuto estinguere l’ennesimo focolaio di ribelli. Sembra incredibile, eppure, dopo dieci anni dalla scomparsa del Grande Felino e dalla nascita del mio regno, alcune creature di Narnia ancora mi si oppongono.”

Dieci anni dalla nascita del mio regno. Dunque quella pagina risaliva agli anni del suo dominio su Narnia, novant’anni prima dell’arrivo dei Pevensie.

“Poco male, tanto oltre ad essere un fastidio non possono costituire un serio pericolo ora che colui che chiamavano sovrano è sparito senza lasciar traccia. Dovranno rassegnarsi a dare la loro fedeltà a me, la vera e unica regina di Narnia, e se non lo faranno di loro spontanea volontà, ci penserò io stessa a persuaderli. Non permetterò che un gruppo di idioti con idee moraleggianti rovinino la quiete del mio regno, non ora che dopo tutti i miei sforzi sono riuscita ad ottenerlo per me e a plagiarlo secondo la forma che da sempre avrebbe dovuto avere, una terra perennemente ricoperta di ghiaccio.”

Chiusi il libro con un colpo secco. Quella parte la conoscevo, non occorreva che mi facessi del male continuando a leggere.

Appoggiai il diario nel cassettone e ne afferrai un altro, esternamente identico. Lo sfoglia con delicatezza, leggendo qualche frase o massimo un paragrafo per comprendere a grandi linee il contenuto. A prima vista mi parve identico al primo. Era stata scritto vent’anni dopo ma si parlava ugualmente dei problemi del regno, delle guerre al fronte contro i paesi confinanti, di qualche gruppo ribelle determinato a non morire.

Sconsolata ne afferrai un altro ancora ma dovetti giungere al quarto diario prima di incappare in una frase capace di destare la mia attenzione.

“Sono riuscita ad ottenere quello che ho sempre voluto. Sono la regina di Narnia, sono la strega più potente che questa terra abbia mai visto, talmente potente che sono riuscita a far piombare un inverno eterno su tutto il paese, eppure oggi, combattendo contro il popolo dei Rhyers, mi sono ferita. Quel pusillanime di capitano è riuscito a ferirmi lungo il fianco con la spada, avendo successo là dove molti prima di lui avevano fallito. Ora il taglio si è completamente rimarginato, ma il sangue che scorreva dal fianco mi ha fatto riflettere. Per quanto la mia magia possa essere grande e impedirmi di invecchiare, io non sono immortale. Ho sconfitto molti nemici ma la morte è invincibile anche per me. Un colpo di spada, una malattia, e perderò tutto ciò che ho conquistato. Non è giusto, deve esistere un modo affinché io possa tornare indietro in caso di morte. Ma quale? Quale magia potrebbe operare tale miracolo?”

Dunque Jadis aveva paura di morire e perdere il regno e i suoi poteri? Comprensibile, molti altri sovrani giunti al culmine hanno poi il terrore di restare privi di ciò per cui hanno faticosamente lottato. Ma Jadis era riuscita a trovare un modo per resuscitare, per eludere la morte? La risposta mi giunse immediata. Ovviamente si, era stata uccisa da Aslan eppure era riuscita a tornare, una via la doveva aver trovata. Ma quale?

Girai veloce le pagine del diario in cerca di un paragrafo che potesse fornirmi la risposta che cercavo. Alla fine del libro, quando stavo per riporlo desolata, lo trovai.

La calligrafia era meno elegante, sembrava quasi febbrile come se Jadis fosse stata ansiosa di mettere nero su bianco i suoi pensieri.

Mi incollai alla pagina e con curiosità crescente iniziai a leggere.

“Ho trovato la soluzione. Dopo mesi di infruttuose ricerche, sono riuscita a scovare una magia antica che potrebbe risolvere il mio problema. È una magia potente eppure talmente ovvia che mi sento sciocca a non averci pensato subito.

Si basa sul concetto elementare che gli esseri viventi sono costituiti da anima e corpo. Una ferita o una malattia agiscono sul corpo ma nulla possono contro lo spirito che lascia la materia alla quale era legato in caso di morte di questa per disperdersi e unirsi all’Antica Magia che fornisce vita a questa terra. Esiste però un incantesimo capace di intrappolare quello spirito in un limbo, impedendogli di congiungersi con l’Antica Magia. L’anima così può essere richiamata a nuova vita in qualsiasi momento da una persona con la quale ha legami di sangue pronunciando una semplice formula indipendentemente dal fatto che sia versata o meno nelle arti magiche.

Questa è la mia soluzione. Se dovessi morire, prima di chiudere gli occhi per sempre rinchiuderò la mia anima in un limbo dove sarò protetta finché qualcuno non potrà richiamarmi, qualcuno unito a me da legami di sangue.

Non ho parenti in vita. I miei genitori sono morti da tempo e non ho idea di dove possano essere i discendenti della mia famiglia. Ma questo non è un problema. Ormai ho deciso, avrò un figlio, un figlio mio che mai mi tradirà e che costituirà la mia garanzia di tornare dal regno dei morti.”

Con un tonfo leggero mi lasciai cadere sul letto. Il diario mi scivolò dalle mani depositandosi sul materasso accanto a me. Per un lungo periodo di tempo fissai il vuoto, senza respirare, senza muovermi, ma soprattutto senza pensare. Non ne avevo la forza o forse mi mancava semplicemente il coraggio per elaborare ciò che avevo appena letto. Non avevo il cuore che batteva forte né sentivo le lacrime pizzicarmi al bordo degli occhi. Non provavo assolutamente niente, dentro di me c’era solo lo stesso vuoto che riempiva i miei occhi. Il mio cuore batteva al ritmo della desolazione, troppo stanco per provare emozioni più complesse. Solo dopo molto tempo una vocina nella mia testa riuscì a farsi strada azzittendo l’eco delle parole appena lette che ancora mi rimbombavano nella mente. Una vocina razionale, la quale infischiandosene degli avvertimenti del cuore che non desiderava mettersi alla prova ulteriormente affrontando il contenuto del diario, pretendeva di interiorizzare ciò che avevo letto. La verità, quella per la quale ero scappata dalla camera mia e di Peter all’alba, quella che mi tormentava da sempre, quella che ogni persona desidera apprendere. La verità sul perché ero nata.

Esistono di solito due motivi per giustificare la nascita di un bambino. Il più augurabile e il più nobile è quello di coronare il sogno d’amore di una coppia con un frutto tangibile del loro sentimento. È il motivo che ognuno desidera per sé anche se non sempre purtroppo avviene. Spesso un concepimento avviene per errore, per la premura e la disattenzione di due amanti, tuttavia seppur non programmato il bambino ha una buona percentuale di essere amato ugualmente dai genitori.

La mia nascita invece non rientrava in nessuno dei due casi. La mia nascita era stata premedita, voluta certo ma per un tornaconto prettamente personale. Non era stata dettata dal desiderio di crescere un figlio, di avere una discendenza o qualcuno da curare e amare, bensì era stata una scelta ponderata, calcolata secondo i suoi pro e i suoi contro, con un fine ben preciso.

La mia nascita serviva per impedire la morte di mia madre. Ero nata per quello, eppure, per ironia della sorte, ero stata proprio io a contribuire alla sua definitiva disfatta. La sua garanzia di tornare dal regno dei morti aveva aiutato Peter a spedircela con un biglietto di sola andata.

Dunque era solo questo che io ero stata per Jadis? Una chiave per l’immortalità? Un mero strumento? Aveva definitivamente ragione Peter nel dire che in quel cuore di ghiaccio non albergava nemmeno la più flebile fiammella d’amore?

“Figlia una grande strega”

La frase mi riecheggiò nelle orecchie con il suo ambiguo significato. Non aveva senso. Perché guardarmi con orgoglio e chiamarmi “figlia” se l’avevo tradita e delusa non rispettando i suoi progetti?

Scuotendo la testa confusa riafferrai il diario e sfogliai le pagine in cerca di un altro paragrafo che mi desse un spiegazione. Non poteva essere tutta lì la verità che cercavo, non poteva ridursi a quella scoperta orribile. Ci doveva essere dell’altro.

Il mio cuore sobbalzò quando scorsi tra le righe una parola che non mi aspettavo. Ero stata una sciocca a non immaginarlo, era una cosa del tutto logica trovare informazioni anche su quella cosa, dopotutto le motivazioni della mia nascita non cambiavano la meccanica, eppure fui colta totalmente alla sprovvista quando lessi le due sillabe che formavano la parola “padre”.

“Sono a Suavitas, la mia terra natia. Era più di un secolo che non vi tornavo e non ne sentivo la mancanza. Tutto è rimasto esattamente uguale a come lo ricordavo. Un agglomerato di case di media grandezza circondate da una florida vegetazione o dal ghiaccio perenne. Spero ardentemente che il mio soggiorno sia il più breve possibile. Troverò l’uomo degno di essere il padre di mio figlio e poi tornerò nel mio palazzo con la speranza di non rivedere mai più questo sperduto paese.”

Suavitas? Padre di mio figlio? La testa iniziò a girarmi.

Avevo un padre. Sapevo che fosse una considerazione stupida, era ovvio che non fossi stata concepita per mezzo dello spirito santo, eppure non avevo mai chiesto a Jadis chi fosse, né avevo tanto meno pensato a come potesse essere. Non avevo mai nemmeno riflettuto sul fatto che in un’epoca ormai remota fosse esistito. La notizia di essere stata adottata e che la strega fosse la mia vera madre mi aveva talmente assorbita da farmi dimenticare di dover per forza avere due figure genitoriali. Due figure che provenivano da Suavitas, la loro terra natale e, forse, anche la mia.

Risfogliai le pagine cercando di controllare il tremore alle mani. Il vuoto di prima era stato colmato dall’emozione di questa scoperta. Avevo un padre. Ed ora anelavo a saperne di più.

Un fiore scivolò a sorpresa dal diario al materasso. Corrugando la fronte lo sollevai. Era un giglio lasciato a seccare tra le pagine. Temendo di romperlo anche solo stringendolo tra le dita lo riadagiai sul piumone bianco. Incuriosita iniziai a leggere la pagina segnata dal fiore.

“è lui, ne sono sicura. Ha una quarantina d’anni, di poco più vecchio dell’età che mostro, ed è bello. È il più avvenente tra tutti gli uomini del cittadina, impossibile non notarlo. È molto alto e ha spalle ampie. Il fisico è muscoloso ma ben proporzionato. Ha gli occhi verdi che risaltano sulla carnagione chiara come i germogli delle foglie che cercano di lottare contro il manto di neve. I capelli sono folti e rossi come il fuoco, caratteristica che su chiunque altro mi avrebbe fatto storcere il naso in favore di un biondo chiaro, ma addosso a lui li trovo stranamente affascinanti. È uno Stregone Bianco, da quel che ho sentito al quanto potente, tanto da far parte del Concilium Rei Publicae. Decisamente, Ian Caerphilly è un partito perfetto per avere un figlio forte, potente e bello, ma soprattutto un mago bianco.

La conquista in più sembra non essere poi difficile come temevo. Ci siamo incontrati ieri vicino ai gigli, in riva al fiume e oggi è venuto da me con un mazzo di gigli appena colti in mano, con la scusa di voler profumare tutta la mia stanza con l’odore di quei fiori bianchi.

Solitamente odio i fiori, ma per fortuna il giglio fa eccezione. Bianco come la neve, delicatamente profumato, è lontano dai colori sgargianti e i profumi intensi e quasi nauseanti degli altri fiori. Sopportabile averne un vaso in casa dunque. E poi dimostrare di apprezzare un gesto romantico è un’ottima mossa per lanciare il messaggio che desidero, quello di farsi avanti. E a giudicare dallo sguardo acceso con la quale mi fissava non mancherà molto prima che Ian faccia la sua mossa.”

Ian Caerphilly. Il nome di mio padre era Ian Caerphilly. Nives Caerphilly invece era il mio. Avrei tanto desiderato vedere un suo ritratto, un’immagine, anche solo una volta per vedere quanto gli assomigliavo, se avevo ereditato altro oltre il rosso acceso dei capelli. E la magia. Perché ora sapevo che anche mio padre era uno stregone. Uno stregone potente. Ciò voleva dire che io e Jadis non eravamo le uniche due streghe in tutta quella grande terra. Ce n’erano stati altri. Altri che abitavano in questa città, Suavitas. Esisteva ancora? C’erano ancora altri maghi e altre streghe? Il cuore si accese per l’eccitazione a quel pensiero. Forse non ero l’ultima strega di Narnia.

L’occhio mi ricadde sui petali bianchi di quel giglio rivelatosi un regalo. Faceva parte del mazzo di fiori che mio padre aveva donato a mia madre per corteggiarla dopo appena un giorno che l’aveva conosciuta. Doveva esserne rimasto folgorato. Mi si compose nella mente l’immagine di mia madre con addosso un elegante e sobrio abito bianco che le fasciava le forme perfettamente modellate; questo assieme ad un viso dai tratti fini incorniciato da boccoli d’oro e agli occhi azzurri capaci di simulare la più dolce delle espressioni come la curva delicata delle labbra faceva senz’altro di Jadis una donna desiderabile fisicamente, mentre la sua mente astuta e brillante e la capacità di manipolare il prossimo bastavano e avanzavano per ottenebrare la mente di un uomo. Non c’era da stupirsi se Ian se ne era invaghito.

Ma, a discapito di quello che si potrebbe intendere da una lettura superficiale del diario, anche la strega non sembrava essere rimasta del tutto indifferente. Affermava di apprezzare le sue numerosi doti poiché facevano di lui un partito perfetto eppure aveva conservato uno dei gigli da lui regalatole. Avrebbe potuto limitarsi a tenere i fiori nel vaso finché doveva sottostare al corteggiamento invece aveva serbato un giglio custodendolo per tutti quei secoli.

Possibile che Jadis non fosse stata del tutto indifferente a Ian? Che non lo avesse considerato del tutto solo uno strumento per raggiungere il suo scopo ultimo, un insignificante mezzo? Possibile che quel cuore ritenuto inesistente dai più avesse in realtà in un tempo lontano battuto per qualcuno anche se a quel che pareva era lei per prima a non voler ammettere quella verità? Mi tornarono alla mente la linea dura delle sue labbra, lo sguardo crudele e l’espressione seria che aveva prima di duellare con Peter. Il viso di un’inflessibile assassina. Impossibile associare a quella persona sentimenti come l’amore che possono provare due persone tra loro. Ma c’era stato anche quello sguardo orgoglioso e… in un lampo la mia mente mi fornì il ricordo di un istante prima mai considerato.

Quando Jadis aveva levato lo scettro contro di me, riversa a terra, prima di colpirmi il suo sguardo aveva tentennato. C’era stata esitazione. E il tono con la quale aveva pronunciato la frase a seguire era stato velato dalla tristezza. Un altro momento a favore della teoria che quella della cinica tiranna fosse una maschera che nascondeva anche un altro lato di Jadis? Un lato che forse secoli prima poteva veramente aver provato affetto per qualcuno? Magari non ammettendolo nemmeno con se stessa, però provato, non di meno.

O forse mi stavo solo illudendo. Il mio bisogno di vedere nella strega un aspetto se non sentimentale almeno umano era talmente grande da farmi interpretare in maniera fantasiosa una realtà che invece era molto più semplice anche se crudele: Jadis si era presa gioco senza scrupoli del cuore di mio padre come del mio.

Mi morsi il labbro. Era meglio andare avanti nella lettura, formulare ipotesi su ipotesi serviva solo a tormentarmi maggiormente.

Girai le pagine del diario, leggendo solo i paragrafi che trovavo più rilevanti. A quel che sembrava Ian era stato un ottimo corteggiatore. L’aveva riempita di complimenti e di regali di vario genere, dai fiori ai vestiti. L’aveva portata a vedere un lago di nome Argecus, una distesa d’acqua con la peculiare caratteristica di diventare d’argento puro sotto i raggi solari, e…

“la foresta Hiemaestas, poco distante da Suavitas, una foresta dove alberi completamente in fiore si alternano a rami ricoperti di neve. Un’immagine molto suggestiva, l’estate contro l’inverno, il caldo contro il freddo, la personificazione della differenza che divide quelli come noi.”

Quelli come noi? Corrucciai la fronte cercando di interpretare quale significato potesse celare quella frase enigmatica. Ciò che però lessi di sfuggita nelle righe successive fece passare presto in secondo piano il mio interrogativo.

“Tornati dalla foresta, Ian mi ha accompagnato a casa dove finalmente è successo ciò desideravo da quando lo avevo conosciuto. Complice qualche bicchiere di troppo di vino elfico, Ian si è fatto avanti, dichiarando di amarmi. Senza attendere una mia risposta mi ha baciata, un bacio molto più passionale di quelli fugaci e leggeri che si era finora concesso. A fatto scorrere la sua mano calda dalla mia nuca giù fino alla schiena, alla ricerca dei lacci che tenevano legato il mio vestito, e con poche e abili mosse lo ha sfilato. Deciso ma attento mi ha adagiata sul divano mentre lo liberavo dall’ingombro della camicia. Da lì in poi i miei ricordi si fanno più confusi. Ero ebbra dal vino, ma c’era anche dell’altro. Rammento di aver cercato di restare presente a me stessa. Mi ripetevo che ciò che stavo facendo era solo un lavoro, quello che dovevo compiere per ottenere il mio scopo, avere un figlio, eppure dentro di me ho iniziato a provare…felicità. Ero compiaciuta, contenta, e non solo perché stavo ottenendo ciò che volevo, c’era anche un altro motivo. Un motivo che giustificava anche il senso di appagamento che mi ha investito subito dopo. Non so spiegarmi questa strana emozione, ma non posso dimenticare come la sensazione delle sue labbra sulle mie, delle sue mani che mi accarezzavano e del suo peso contro il mio corpo fosse stata piacevole.

Ciò che conta tuttavia è che sia riuscita nel mio intento, nient’altro.”

Ero senza parole. Il contenuto di quelle pagine era di una portata eccezionale. Andava oltre le mie aspettative. E dimostrava che avevo ragione. Jadis possedeva un lato nascosto, un lato con un cuore non completamente di ghiaccio. Perché Jadis aveva amato. Non era nemmeno riuscita a scriverlo nel suo diario, a dirlo tra sé e sé, ma la verità si leggeva chiaramente anche tra le righe. Probabilmente non era perdutamente innamorata come Ian lo era di lei, né avrebbe mai dato la sua vita per lui o si sarebbe persa in sciocche fantasie romantiche, però si era sentita legata a lui, lo aveva visto come un suo pari e non come un oggetto utile.

Istintivamente, un sorriso beato mi curvò le labbra. Era vero che la mia nascita era stata premeditata con un preciso scopo, ciò non toglieva però che fosse stata lo stesso il frutto di un amore. E questa era una consapevolezza che risanava molte delle mie ferite.

Con cuore più leggero scorsi le altre pagine ma non trovai nient’altro a parte descrizioni di altri pomeriggi trascorsi in luoghi particolari e magici e serate passate l’uno tra le braccia dell’altro. Notai però come le nottate successive a quella prima serata passionale erano state descritte con meno trasporto, tralasciando la maggior parte delle emozioni provate, come se la strega si vergognasse di provare sensazioni suscitate da un gesto d’amore e le ammissioni fatte dopo la prima volta fossero frutto solo di un momentaneo cedimento.

Chiusi il diario e lo rimisi assieme agli altri, prendendo poi quello subito accanto immaginando fosse il proseguimento. La mia intuizione fu giusta, evidentemente i diari erano disposti in ordine cronologico.

Sfogliai avida le pagine, in attesa di scorgere la frase che stavo aspettando da quando ero entrata nella stanza. Finalmente, verso metà diario, la trovai.

“Sono incinta. Dopo tre mesi, sono riuscita a rimanere incinta. Sono soddisfatta di me stessa, ogni cosa sta procedendo come l’avevo programmata. Presto avrò il mio bambino, darò alla luce una nuova vita, una vita che garantirà la mia per sempre. Potrebbe forse andar meglio?

Oggi l’ho comunicato ad Ian. Quando l’ha saputo ha iniziato a gridare per la felicità, stupido sentimentale. Ho dovuto reggere il gioco, mi sono dimostrata felice quanto e più di lui per non insospettirlo. Il caro Ian non immagina nemmeno di essere stato raggirato. Né tanto meno immagina che presto me ne andrò portandomi via nostro figlio e che non ci rivedrà mai più.

Pensavo di partire immediatamente dopo il concepimento, però ora ho cambiato idea. Narnia è lontana e non voglio rischiare a fare un viaggio così lungo nella mia nuova condizione, potrei perdere il bimbo. Né posso teletrasportarmi e rischiare di affaticarmi troppo. Resterò qui finché non partorirò. Intanto andrò a vivere a casa di Ian. Ora che aspetto suo figlio, ha insistito affinché vivessimo assieme. Ovviamente non ho potuto non accettare l’offerta, tanto più che converrà a me per prima avere un aiuto vicino nei mesi futuri.”             

Scossi piano la testa, sorridendo mesta. Era stata felice di essere rimasta incinta, ovviamente però solo perché aveva un secondo fine come non aveva esitato a sottolineare persino con se stessa. Sospirai triste. Cosa potevo aspettarmi? Salti di gioia perché stava per divenire madre? Andava già oltre le mie più rosee aspettative la parentesi romantica avvenuta per il mio concepimento. Comunque sia potevo trovare conforto nel sapere che mio padre invece era stato genuinamente contento nell’apprendere che avrebbe presto avuto un figlio. Da quello che avevo capito era stata una sorpresa, non era nei suoi progetti, eppure era ugualmente felice.

Quello che mi lasciava leggermente basita però era l’eccessiva prudenza dimostrata da Jadis nel non volere neppure affrontare il viaggio di ritorno a casa. Era vero che un eccessivo sforzo fisico era altamente sconsigliabile ad una donna incinta, ma sapevo per esperienza che un incantesimo di teletrasporto non era così faticoso di per sé, figurarsi per una strega del calibro di Jadis. Senza contare che restare ancora a Suavitas voleva dire dimostrarsi follemente innamorata di Ian e lieta all’idea di diventare madre, due cose che mettevano a dura prova la capacità di fingere di Jadis da quello che scriveva. Possibile che invece, a discapito di tutte le sue lamentele, la prospettiva di soffermarsi ancora per un po’ in compagnia del mago non la ripugnasse poi così tanto?

Saltai diverse pagine riguardanti il procedere relativamente tranquillo della gravidanza che andava di pari passo con l’aumento delle attenzioni dell’innamorato Ian. Attenzioni, come era nel suo stile, mai eccessivamente sdolcinate o eclatanti, ma presenti. Non si perdeva in complimenti iperbolici o gesti clamorosi, semplicemente le stava accanto, la assisteva quando aveva bisogno di alzarsi e di spostarsi, evitava di farla affaticare e non le faceva mancare alcunché. Attenzioni fedelmente riportate da Jadis nel suo diario senza particolari inflessioni che facevano trapelare la sua gratitudine, ma nemmeno accompagnate da sdegno o indolenza.

Tornai a leggere quasi alla fine del diario, quando i miei occhi furono catturati dalla parola “bimba”.

“Ho partorito una bimba. Una femmina. Una bambina che diventerà una donna forte e bella come sua madre, per citare Ian. Una Strega Bianca come sua madre. Non potevo chiedere di meglio.

È davvero bella, così tanto da sembrare una magia, la più riuscita tra quelle che ho compiuto finora. Ha la carnagione chiara come la mia, eccetto che sulle guancie, dopo spiccano due pomini di un rosa più scuro. La boccuccia rossa sembra un bocciolo, mentre gli occhi grandi e vispi sono identici ai miei, hanno lo stesso azzurro chiaro. Invece i radi capelli, che le coprono la sommità del suo visino a cuore, hanno lo stesso colore fuoco di quelli del padre.

Sono orgogliosa di me stessa, ho dato alla luce una creatura bellissima, degna di diventare la principessa di Narnia.

Anche Ian è felicissimo. È stato vicino a me per tutta la durata del travaglio anche se il costume prevede che i compagni stiano lontani dalle loro donne durante il parto. Ha detto che la piccola ha i miei lineamenti. È stato lui a sceglierle il nome, Nives. Dice che nell’antica lingua del mondo parallelo vuol dire “neve” e che perciò gli sembra il nome più adatto ad una giovane strega bianca con la pelle candida, con l’augurio che quando crescerà saprà essere sia soffice che fredda, a seconda di cosa la situazione necessita, esattamente come lei.

L’unico problema è che Nives per ora è piccola, troppo piccola e fragile per affrontare il viaggio di ritorno a casa. Temo che dovrò rimandare ancora un poco. Devo resistere qualche mese massimo, poi finalmente potrò tornare nel mio regno.

Sento dei lamenti. Mia figlia deve essersi svegliata, è meglio che vada da lei. Mi sembra strano parlare di mia figlia ora che è nata, ora che sono davvero diventata madre. Forse perché non ho mai realmente pensato a ciò che avere un figlio avrebbe realmente comportato. Non ho mai immaginato che avrei dovuto allattarlo, cullarlo e prendermi cura di lui, non pensavo nemmeno di essere adatta a questo ruolo. I bambini solitamente mi infastidiscono. Per quello che so io i bambini piangono, mangiano, sporcano e disturbano, per questo me ne sono sempre tenuta a distanza. Eppure Nives non mi infastidisce. Non mi dispiace occuparmi di lei. Non piange quasi mai e ha uno sguardo intelligente. Forse perché non è una bambina. È la mia bambina.”

Quindi il mio nome lo aveva scelto mio padre. Mio padre, che era stato al settimo cielo nel momento della mia nascita. Mi sentii scaldare il cuore a quel pensiero. Mio padre mi aveva amata da subito disinteressatamente. Ma anche Jadis pareva felice. Forse era solo orgogliosa di ciò che lei era stata capace di fare, però era felice. Qualunque fosse la causa era soddisfatta di sua figlia. Era contenta che avevo i suoi occhi, la sua carnagione e i suoi tratti. In più non aveva fatto alcun accenno al fatto che le servivo principalmente per richiamarla in vita in caso di morte, semplicemente si era limitata a pensare a come sarei divenuta un’ottima principessa, a come avrei seguito le sue orme come strega e a come ero bella. In più nell’ultima parte aveva affermato di come le piacesse occuparsi di me. Voleva allattare, cullare e prendersi cura di me, sua figlia Nives e non dell’oggetto che le serviva per essere resuscitata. Non volevo darmi false speranze, me ne ero già create fin troppe da quando l’avevo conosciuta e dopo qualche tempo ognuna di essa era stata distrutta, però da quello che si capiva da quelle ultime frasi c’era una realtà diversa da quella che cercavo di adattarmi senza successo. Forse allora non ero stata solo uno strumento per Jadis. Forse, almeno per qualche periodo, Jadis mi aveva voluto bene. Se non proprio disinteressatamente, almeno sinceramente.  

Ma ciò che mi dava principalmente da pensare era che Jadis aveva nuovamente rimandato la sua partenza. Aveva ragione nel pensare che un viaggio in carrozza molto lungo non avrebbe giovato alla mia salute dopo pochi giorni di vita, ma se mi avesse teletrasportata non avrei patito nulla. Dopotutto poco tempo dopo avevo affrontato con successo il passaggio da una dimensione all’altra. Possibile che cercasse solo delle scuse con se stessa per rimandare il distacco da una situazione che in fin dei conti non le dispiaceva? Da uno stile di vita completamente diverso da ciò che aveva tenuto finora? Da Ian e dalle sue attenzioni? O mi stavo di nuovo illudendo stupidamente e facevo congetture fantasiose mentre l’unico pensiero di Jadis era quello di non mandare all’aria per imprudenza un progetto studiato e portato a conclusione dopo mesi e mesi.  

Proseguii con la lettura dei miei primi giorni di vita. Se quello che la strega scriveva corrispondeva al vero, Ian e lei erano stati due genitori esemplari, almeno in quel periodo. Jadis mi dava il latte e Ian mi metteva a letto la sera. Mio padre mi aveva persino intagliato nel ghiaccio degli animaletti in miniatura per giocare, ghiaccio che grazie alla magia aveva perso la sua gelida temperatura e la capacità di sciogliersi. Ma la cosa più sconvolgente era che dal diario traspariva… felicità. Dal modo di scrivere, dalle parole usate, dalle scene che dipingeva, Jadis sembrava felice. Le giornate scorrevano tranquille. Noi tre passavamo in casa la maggior parte del tempo, con me che costituivo il passatempo principale, altrimenti andavamo alla foresta Hiemaestas, in giro per la città o in casa di alcuni degli amici di Ian. Come una famiglia qualsiasi. Una normale e felice famiglia. Finchè…

“Ian oggi mi ha portata di nuovo al lago Argecus. È da quando è nata Nives che non vi tornavamo. Abbiamo preso una barca e abbiamo navigato tra le onde che si facevano argentee sotto i raggi solari del primo pomeriggio. Nives si è divertita molto, peccato non serberà nessun ricordo della sua prima gita in barca.

Quando siamo giunti più o meno al centro del lago però, Ian si è fermato e ha tirato fuori una piccola scatola con un anello. Mi ha chiesto di sposarlo. Mi ha chiesto di diventare sua moglie.

Gli ho detto di si, non potevo rispondere altrimenti, ma non lo sposerò ovviamente. È arrivato il momento di partire, di tornare al mio ruolo di regina, sono stata via fin troppo tempo. La bambina è pronta, io anche, partiremo questa notte stessa, rimandare ulteriormente non avrebbe senso. Domattina Ian si sveglierà e non troverà né la sua fidanzata né sua figlia. Ci cercherà ovunque probabilmente, ma dubito che giungerà fino a Narnia. Come potrebbe sospettare che la docile ragazza che ha amato fino ad oggi sia in realtà la regina di Narnia? Forse però se lo avesse saputo non mi avrebbe fatto quell’assurda proposta di matrimonio. Non avrebbe creduto realistico che rinunciassi a tutto, al mio trono, al mio regno, ai miei sudditi, al mio titolo, per lui, per una semplice vita a Suavitas, il regno dalla quale sono scappata anni fa.

Mi spiace Ian, sei stato un ottimo fidanzato e un bravo padre, ma il tuo compito ora è finito. Io sono la regina di Narnia, ed è tempo che torni a regnare.”

Lenta ma inesorabile, la consapevolezza di quello che avevo appena letto diventava da nebulosa via via più chiara, fino a diventare accecante e impossibile da non guardare e affrontare. Jadis non era rientrata a Narnia perché smaniava dal desiderio di ritornare ad essere una regina, Jadis era rientrata a Narnia per scappare da Suavitas e dalla vita tranquilla che il paese offriva. Dalla vita da fidanzata e da madre alla quale si stava assuefacendo senza nemmeno rendersene conto, dalla vita calma, priva di guerre, problemi, vendette, giochi e piani di potere, che si stava abituando a condurre e che cercava di prolungare inconsapevolmente. Finché la truffaldina e inaspettata proposta di matrimonio non l’aveva messa dinanzi alla spietata vista della meta dove l’avrebbe condotta la via che aveva intrapreso. A quel punto era ritornata sui suoi passi, rifiutando quell’attimo di debolezza che l’aveva spinta a rimandare la partenza. Quell’attimo di debolezza che le aveva fatto apprezzare le attenzione di Ian, le notti che avevano trascorso assieme, lo stringere sua figlia tra le braccia e accorgersi che aveva i suoi stessi occhi.

Quella di Jadis non era crudeltà innata, fine a se stessa. Gli atti crudeli che aveva compiuto erano stati fatti solo per ottenere e conservare il suo trono, non per un’indole profondamente malvagia perché ora era chiaro che quel cuore che temevo totalmente di ghiaccio in realtà era stato capace anche di battere. Era anche chiaro tuttavia come avesse infine volutamente scelto di proseguire a compiere azioni crudeli pur di tornare a regnare a discapito di una vita tranquilla e pacifica. Aveva avuto la possibilità di abbandonare la crudeltà ma l’aveva rifiutata. Jadis voleva essere una regina, e non sarebbe mai venuta a patti su questo punto.

Ciò nonostante, trovare la certezza dell’esistenza di un lato luminoso, seppur piccolo, della sua personalità, non poteva che rendermi felice. Jadis non era stata solo la crudele tiranna che tutti temevano, era stata anche una madre e un’amante.

Inconsciemente, la mia mano si allungò fino ad accarezzare la terza parola della penultima righa. Ian.

Immaginai come dovesse essersi sentito la mattina seguente. Era stato abbandonato senza preavviso dalla donna della sua vita e dalla figlia appena nata. L’aggettivo “addolorato” certamente non sarebbe bastato per descrivere ciò che doveva aver provato. Mi doleva il cuore per avergli procurato, anche se inconsapevolemente, un tale dolore. Doveva averci cercate a lungo e dappertutto, ma come aveva immaginato Jadis, non doveva averci trovate. Chissà se dopo qualche tempo fosse riuscito a metabolizzare l’accaduto, se fosse riuscito a rifarsi una vita. Magari aveva trovato un’altra ragazza, più sincera, meno ambiziosa, con la quale coronare il suo sogno di avere una famiglia. Forse aveva avuto altri figli, sorelle e fratelli di cui io non avrei mai saputo l’esistenza. Glielo auguravo. Ian si meritava di aver vissuto una vita lunga e felice, non di restare intrappolato per sempre nel trauma che Jadis gli aveva volontariamente causato.

Sospirando e cercando di non pensare a mio padre, chiusi il libro e iniziai a leggere quello seguente. Parlava del ritorno a Narnia mio e di Jadis e di come…

“non posso stare lontana dal mio regno nemmeno un breve lasso di tempo, che la disgrazia incombe.

Appena tornate, ho voluto fare un giro di ispezione per accertarmi di persona che ogni cosa fosse in ordine, ma la mia speranza è stata preso infranta. Mentre mi avviavo verso il castello, ho incontrato un Figlio di Adamo. Un Figlio di Adamo! Qui a Narnia, nelle mie terre! Come osa mettere piede proprio nel mio regno uno stupido ragazzino? Ma non è la parte peggiore. Il moccioso ha detto di avere due sorelle e un fratello. Sono in quattro. Due Figlie di Eva e due Figli di Adamo sono entrati a Narnia. Esattamente come la profezia aveva predetto.

Questo è molto più di un problema, è una disgrazia. Devo adoperarmi per estirpare la minaccia all’origine. Non deve diffondersi la voce della loro presenza a Narnia o gli abitanti inizieranno a sperare in un colpo di stato. Si uniranno e si ribelleranno e non ho alcuna intenzione di dover debellare il focolaio di una guerra civile.

La minaccia sarà spazzata prima che diventi realmente tale.”

Chiusi il diario con un colpo secco. La parte successiva la conoscevo fino alla nausa, leggerla nuovamente dal punto di vista di Jadis, questa volta senza apposite censure o abbellimenti, non rientrava nei miei desideri. Non ci tenevo particolarmente a conoscere quanto mia madre avesse desiderato la morte dei Pevensie, ne avevo avuto un assaggio più che sufficiente.

Rimisi il libricino nel cassettone accanto agli altri e afferrrai l’ultimo diario. La rilegatura era diversa da quella degli altri. Era più lucida, affatto logora, segno che era il più recente. L’ultimo diario di Jadis, probabilmente quello che aveva iniziato a scrivere dopo che l’avevo liberata dal limbo.

Mi riaccomodai sul piumone bianco e aprii alla prima pagina.

“Terra, cielo, stelle, applaudite, gioite, la vostra regina è tornata. Sono passati milletrecento anni, ho dovuto subito l’esilio dalle mie terra ed essere costretta ad una non-vita per tredici secoli, ma ora sono di nuovo qui, viva e più potente che mai, pronta a riprendermi tutto ciò che è mio di diritto, il trono, Narnia e Nives.

Narnia è molto cambiata da come la ricordavo. È più selvaggia. Gli alberi non mi parlano più, nemmeno alcuni dei miei vecchi alleati che ho scoperto ancora in vita. Si sono chiusi in loro stessi, cadendo in un sonno profondo. La maggior parte degli abitanti di Narnia invece ha disimparato a parlare, regredendo ad uno stato brado. Tutto questo per colpa degli invasori, di Telmar, che ha osato oltrepassare i confini usufruendo di un momentaneo periodo di debolezza di Narnia. Ma ora che questo paese ha nuovamente una regina degna di questo nome, Telmar avrà quello che si merita. La congelerò per sempre, in modo che sia d’esempio a chi intende sfidare queste terre e la loro sovrana. E la loro principessa. Perché adesso Narnia può contare anche su una principessa, mia figlia Nives.

L’ultima volta che l’ho vista, era una neonata, poco più grande del mio avambraccio, con paffute guancie rosee e vispi occhi azzurri. Ora ha diciassette anni. È cresciuta. È diventata una splendida ragazza, non posso che essere orgogliosa. Ha ereditato i miei stessi lineamenti regali e delicati, il collo lungo, la pelle chiara, ma soprattutto gli occhi, che sono l’unica cosa rimasta invariata in lei, due iridi azzurro-bianche come il ghiaccio. La mia stessa identita tonalità e lo stesso taglio. Lo sguardo però è quello di Ian. Non è freddo, distaccato e impenetrabile come il mio, bensì profondo, morbido, luminoso come quello del padre. Suoi sono anche il colore dei capelli, rosso fuoco, e le labbra, piene e carnose.

In più è molto potente. Quando ha praticato l’incantesimo per liberarmi dal limbo ho sentito la magia scorrere in lei come un fiume in piena. Ha risposto immediatamente al suo richiamo e non ha esitato ad eseguire la sua volontà, anche in un incantesimo complicato come quello per far tornare una persona dall’aldilà. E non è ancora stata sottoposta alla Cerimonia! Non vedo l’ora di vedere quanto verranno incrementati i suoi poteri dopo che sarà stata riconosciuta come Strega Bianca dall’Antica Magia. La sua magia unità alla mia ci aprirà il mondo. Nessuno potrà opporsi a noi.

L’unica pecca è il suo cuore. Mi ero già accorta che non possedeva la mia stessa indole mentre la osservavo da lontano, ma ora ne ho avuto la conferma.

Nives è dannatamente buona, terribilmente ingenua, dannosamente altruista. Non ha il cuore di una Strega Bianca. Ma ciò che è peggio è che i suoi sentimenti per benisti l’hanno fatta affezionare ai Pevensie. Nives, mia figlia, è amica degli Usurpatori, uno dei miei peggiori incubi che si avvera e io non sono stata abbastanza abile per impedirlo. E non sono nemmeno stata tanto accorta da vedere quanto profondo era il legame che la unisce a loro. Sarebbe pronta a dare la sua stessa vita per salvarli, quella piccola stupida! Senza contare il legame particolare che la unisce a Peter. Si è innamorata di quel ragazzino impertinente, lo crede un eroe e non accetterà mai una diversa versione dei fatti a meno che non veda lei stessa qualcosa che va contro le sue aspettative su di lui. Ma come ha potuto lei, mia figlia, farmi questo affronto? Innamorarsi del mio peggior nemico?

Devo fare qualcosa, assolutamente. Devo escogitare un piano per allontanarla dai Pevensie, ma devo stare attenta, agire con cautela e furbizia. Non posso separarla da loro usando la forza o si ribellerebbe schierandosi dalla loro parte e io perderei tutta l’influenza che ho su lei della quale godo ora. Devo trascinarla completamente alla mia causa giocando d’astuzia.

Non pensavo dovessi ricorrere a questi mezzi per assicurarmi la sua assoluta fedeltà. Sapevo che il suo carattere fosse diverso dal mio, ma non credevo al punto da avere priorità e desideri persino opposti ai miei. È una Strega Bianca anche se ancora non riconosciuta. Dovrebbe amare la neve e il ghiaccio, essere algida, calcolatrice, non fidarsi del prossimo, non esitare a compiere qualsiasi azione pur di ottenere ciò che vuole, e invece… Temo che la lontananza da me e il soggiorno sulla Terra l’abbia rovinata. Poco male, finché non sarà capace di capire ciò che è meglio per lei, ciò che più si addice ad una Strega Bianca, le farò credere di comportarmi come la persona più altruista e generosa di tutto il regno. Incanterò il giardino, risvegliando gli alberi che sembrano esserle tanto cari e fingerò di non voler torcere un capello ai Pevensie. Confido che prima o poi le sue inclinazioni naturali emergeranno dal torpore in cui paiono essere cadute, a quel punto smetterò di recitare e le dirò la verità sui miei piani, piani che finalmente potrà apprezzare e condividere, a differenza di quello che farebbe ora con quella sua indole dannatamente e terribilmente buona.”

Mi morsi il labbro, forte e a lungo, finché il dolore fisico non assordò per un attimo la paura che quelle ultime righe mi avevano suscitato.

Prima o poi le sue inclinazioni naturali emergeranno dal torpore in cui paiono essere cadute.

Io ero una Strega Bianca e in quanto tale Jadis si era aspettata determinate caratteristiche caratteriali. Avrei dovuto essere fredda, cinica, distaccata, incapace di provare un affetto profondo e disinteressato per qualcuno. Invece ero dannatamente buona, terribilmente ingenua, dannosamente altruista. Ma avrei continuato ad esserlo?

L’idea di essere destinata a trasformarmi in una donna senza scrupoli, prigioniera della mia crudeltà e del mio egoismo, mi soffocava. Mi sentivo mancare il respiro nel pensare di avere una tale condanna nel mio futuro.

Chiusi gli occhi e cercai di focalizzare nella mia mente l’immagine di ciò che più mi faceva sentire viva, amata e amante, di ciò che mi procurava calore e fiducia.

Il volto sorridente di Peter fece capolino tra i miei ricordi. I lisci capelli d’oro lucenti al sole, gli zaffiri luminosi rivolti a me, le labbra piene curvate all’insù. Sentii il suono vellutato e basso della sua voce sussurrare il mio nome, le sue mani che mi stringevano riscaldandomi dentro e fuori, la sua bocca morbida poggiata con dolcezza sulla mia. E il grande, immisurabile e infinito amore che provavo verso di lui.

No, il mio cuore non poteva diventare come il suo. Il mio cuore avrebbe per sempre battuto per Peter. Non avrei smesso di amare, di provare compassione e affetto. Non sarei di certo mai diventata santa, né mi vedevo così dannatamente buona come scriveva lei, però non sarei diventata crudele. Se necessario avrei sfatato il mito che vedeva ogni Strega Bianca come una sadica folle, sarei andata contro secoli di radicate convinzioni, ma avrei mantenuto la mia indole.

Aggrappandomi a questa solida fermezza, girai la pagina del diario e appena lessi la prima frase il mio muscolo cardiaco aumentò il ritmo talmente tanto da assoldare la mia opinione appena formulata.

“Sono tornata a Suavitas. Non avrei dovuto farlo, è stata un’inutile perdita di tempo. Però volevo vedere se anche lì fosse giunto il cataclisma che ha colpito Narnia, se la magia fosse stata scacciata anche dove era più radicata. Fortunatamente no. Suavitas risplende della sua gloria pacifica oggi come milletrecento anni fa e come probabilmente farà per sempre, con il suo lago d’argento e la sua foresta con alberi invernali e primaverili.

Sono andata nella città dove ho conosciuto Ian. Volevo vedere se era rimasto qualcosa della sua casa. Ovviamente si, lì il tempo pare non scorrere. La villetta a due piani è ancora in piedi, pur con qualche modifica apportata dai vari proprietari che si sono succeduti. Ora vi abitano una giovane coppia di ventenni, una strega e uno stregone bianco. Ho girato per le varie strada, dove nulla pare essere cambiato, finché non ho raggiunto il cimitero. I nomi sulle lapidi sono le uniche cose che sono mutate, comprensibile dopo tredici secoli, ma sapevo che per i membri del Consilium le tombe vengono conservate in onore ai servizi resi al paese. Difatti la tomba di Ian Caerphilly era presente, in perfetto stato grazie alla magia. Una semplice lastra di marmo bianco recante il suo nome, i suoi meriti, le date di nascita e di morte e la frase marito e padre amato, segno che doveva essersi poi sposato e che doveva aver avuto altri figli. Ho lasciato una corona di gigli. Non ho mai amato ricordare chi è morto, mi sembra inutile commemorare chi non c’è più, privo di scopo e di beneficio, ma mi è parso giusto rendere un omaggio alla memoria del padre di mia figlia ora che è tornata a casa.

Non credo andrò mai più a Suavitas. Ora con quel luogo ho definitivamente chiuso. Per sempre.”

“Ho delle faccende da sbrigare” Le parole con la quale mi aveva salutato qualche giorno prima mi tornarono alla mente per essere collegate a quella nuova scoperta.

Una goccia cadde sulla pagina del diario. Poi un’altra e un’altra ancora. Lo chiusi e lo allontani per non bagnarlo, incapace di frenare le lacrime che lente e silenziose scendevano lunga la guancia.

Ecco dove Jadis era andata. Si era diretta a Suavitas per rendere omaggio a mio padre. Ian, che come mi ero augurata era riuscito a superare la nostra perdita e rifarsi una vita. Ian, che non avrebbe mai saputo che la sua primogenita aveva le sue stesse labbra e il suo stesso sguardo, ma che forse il suo spirito aveva avvertito che era tornata a casa e che aveva riportato in vita anche la donna da lui amata.

Era strano per me pensarci, però per quella terra e per mia madre erano passati tredici secoli dal mio concepimento. Milletrecento lunghi anni, eppure Jadis non aveva smesso di pensare a Ian e si era sentita in dovere di andare a rendergli un ultimo saluto prima di “chiudere definitivamente con quel luogo”. Secondo i suoi standard io ero quella dannatamente buona, ma non si era evidentemente accorta che lei per prima non era quel concentrato di crudeltà e distacco che credeva se secoli e secoli non erano riusciti a toglierle dalla mente l’immagine del viso di Ian.

“Cathrine! CATHRINE!”

Un grido eccheggiò per le pareti marmoree fino a giungere da me alla torre. Sorrisi affatto stupita. Peter. Probabilmente agitato per non avermi trovato nel letto accanto a lui.

Alzai una mano e una sfera apparve a mezz’aria.

“Portalo qui” le ordinai in un sussurro. La bolla di luce schizzò fuori dalla stanza per eseguire il suo compito.

Cercai di asciugarmi con il dorso della mano le lacrime per non farmi vedere in quello stato dal ragazzo, ma era inutile. Appena ne toglievo una, un’altra scorreva giù in un flusso ininterrotto. Non riuscivo a smettere di piangere. Ma non per un eventuale dolore suscitato dalle scoperte appena fatte. Semplicemente la lettura di quei diari mi aveva procurato un calderone così grande di emozioni che ero incapace di assorbirle e catalogarle. Gioia, tristezza, sollievo, preoccupazioni, perplessità, soddisfazione, paura, tutto si mescolava insieme rendendo al mio cuore impossibile il compito di trattenere tutto al suo interno, costringedo le emozioni a trovare un altro luogo o un’altra via per uscire. E l’unica via alternativa che il mio fisico aveva trovato era sfogarsi con le lacrime, far fuoriuscire con quelle goccie salate poco alla volta tutto ciò che provavo.

Rumore di passi, il clangore di una spada contro l’armatura, il respiro affaticato. Peter apparve presto sulla soglia della camera di mia madre.

Gli sorrisi contenta di vederlo, bagnandomi le labbra con i lucciconi che scendevano come un fiume.

“Cathy”

Peter sospirò sollevato dal vedermi intera. Poi però il suo sguardo si fece afflitto nel vedermi in lacrime. Mi si avvicinò e mi abbracciò stretta. “Perché stai piangendo? Perché sei venuta qui scappando all’alba dalla stanza?” mi chiese mormorando tra i miei capelli.

“Avevo bisogno di tornare al castello di ghiaccio. Dovevo fare una cosa e la dovevo fare da sola. Se ti sei preoccupato per me mi dispiace, non pensavo di impegarci tanto, credevo di tornare addirittura prima che ti svegliassi” risposi godendo della sensazione delle sue braccia che mi circondavano.

Peter si scostò un poco per guardarmi negli occhi incredulo. “Preoccupato?” mi riprese. “è un eufemismo. Mi sveglio convinto di averti accanto a me e invece trovo un letto vuoto. Ti cerco per tutto l’edificio e tu non sei da nessuna parte. Quando ormai al limite dell’agitazione raggiungo le scuderie, un cavallo con tutta tranquillità mi si fa avanti dicendomi che se ti cercavo ti avrei trovata al palazzo della strega dove ti eri recata all’alba. Sono mezzo morto dalla paura, Cathy! Non ti avrei impedito di venire ma almeno potevi avvertirmi prima se ci tenevi alla mia salute”.

Mi concessi un sorriso mezzo divertito. “Mi spiace, davvero. È stata una decisione presa all’improvviso, non era un viaggio programmato, altrimenti te lo avrei detto. E poi stavi riposando così bene, non volevo svegliarti.” Mi difesi. “Comunque vostra altezza mi sottovaluta. Dovrebbe sapere che la sua strega è più che capace di difendersi da una semplice pattuglia e che comunque di certo smaterializzandosi non ne avrebbe trovate lungo il tragitto” lo presi in giro, cercando di smorzare l’ansia che ancora provava.

Sorrise abbassando la testa in segno di scusa. “Cosa vi posso dire, principessa? Tengo molto alla mia vita e voi la possedete. Devo assicurarmi che ne abbiate cura”. Ribatté.

L’improvviso cambio di tono mi sorprese, lasciandomi senza risposte sagaci o incapace di ricambiare. O semplicemente di pensare. Erano le parole più belle che avevo mai udito. Ma ciò che le rendevano ancora più speciali era che erano state pronunciate senza un motivo specifico, una ricorrenza o una giustificazione diverse oltre il fatto che le pensava sul serio e che aveva il desiderio di farmelo sapere.

Impossibilitata da formulare una qualsiasi frase, compii l’unico gesto che gli avrebbe fatto capire quanto mi avesse colpito. Lo baciai, con slancio, con desiderio, con amore.

Quando ci separammo, il suo sguardo si era fatto malandrino. “Se ottengo questo risultato, dovrei chiamarti principessa più spesso” ironizzò.

Abbozzai una risata, un suono leggero che strideva con le lacrime che ancora mi rigavano le guancie come notò Peter per primo.

“Perché sei qui?” domandò di nuovo, tornando serio.

Allungai una mano e presi uno dei libricini. “Questo è il diario di Jadis” gli rivelai mentre glielo porgevo. “E nel cassettone ce ne sono altri”.

Peter sgranò gli occhi, osservando con stupore il quaderno che stringeva tra le dita. “Il suo diario segreto?” chiese conferma.

Annuii. “Li ho scoperti mentre cercavo la chiave per la vostra cella. In quel momento ovviamente non potevo fermarmi a leggerli, ma mi ero ripromessa di farlo appena ne avessi avuto la possibilità. Stamattina mi sono svegliata per colpa di un incubo su mia madre e in un lampo mi sono ricordata dei diari. Dovevo leggerli, ne avevo bisogno” gli spiegai.

Il ragazzo scosse la testa desolato.

Corrucciai la fronte. “Cosa c’è che non va?”

“Perché ti sei voluta far del male leggendo queste pagine? Quello che avevi visto non ti aveva fatto soffrire abbastanza mostrandoti quando Jadis potesse essere crudele, dovevi per forza ricevere un’ulteriore conferma?” mi chiese addolorato.

Gli accarezzai una guancia, negando le sue parole con il capo. “Stai traendo conclusioni sbagliate. Non sto piangendo perché quello che ho letto mi ha sconvolta sottolineando il lato malvagio di Jadis, bensì il contrario.” Affermai con calma.

Peter inarnò un sopraciglio, sospettoso. “Cosa intendi?”

Presi un bel respiro e gli strinsi forte una mano. Quello che avevo da raccontargli richiedeva tempo, ma soprattutto la forza di rivivere per la seconda volta tutte le scoperte che avevo fatto in poche ore. Gli rivelai il motivo per cui Jadis aveva voluto un figlio, del viaggio a Suavitas, di mio padre e dei sentimenti che la strega aveva nutrito per lui. Questo punto fu il più difficile. Peter pareva non voler accettare la possibilità che Jadis fosse stata capace di amare qualcuno, seppur nel suo modo contorto. Dovetti andare a recuperare il diario dentro il quale aveva conservato il giglio rivelatore per iniziare almeno a incrinare il muro ferreo delle sue convinzioni. Non arrivò ad ammettere che forse Jadis possedeva un altro lato oltre quello universalmente riconosciuto, però almeno una mezza idea che contraddiceva il pensiero comune ora la possedeva. Gli raccontai poi della mia nascita e del nostro ritorno a Narnia fino a quello che pensava di me diciassettenne e della sua visita alla lapide di Ian.

“Capisci quindi che avevo ragione? Certo mia madre ha sempre visto i vantaggi che avere un figlio le avrebbe portato, però teneva a me anche in quanto a Nives, non solo come assicurazione sulla vita o potente alleata, e questo mi basta. Sapere di aver avuto una madre che era fiera di me, di quello che sono diventata crescendo, mi fa stare bene. Adesso so anche cosa intendeva con l’ultima frase che mi ha rivolto” conclusi, eccitata dal mio stesso racconto.

“Ovvero?” si informò Peter, non riuscendo a starmi dietro.

“Ha mormorato: figlia, una grande strega. Voleva che io diventassi ancora più forte, che fossi una grande strega. Era un augurio per il futuro. Ed ho anche la conferma che quel lampo d’orgoglio che le ho scorto negli occhi all’ultimo è esistito veramente, non me lo sono solo immaginato! Lei era orgogliosa di quello che sono diventata crescendo.”

Peter sospirò. Sembrava non volersi arrendere alla prova dell’esistenza di un’altra Jadis, della donna dietro la sovrana. Una donna capace di provare orgoglio per sua figlia e affetto per un uomo. “Eppure stava per ucciderti” rifletté.

Il mio sguardo si adombrò. “È vero, ma non perché mi odiava o perché non gliene importava nulla di me. Semplicemente perché mi ero schierata contro di lei, ero divenuta un ostacolo tra lei e la sua corona, che è la cosa alla quale ha sempre tenuto di più e per la quale ha sacrificato tutta se stessa.” Ribattei. Poi sospirai frustrata dallo scetticismo di Peter, gli afferrai entrambe le mani ed esclamai. “Ascoltami, non voglio giustificare gli atti orrendi che ha commesso, il suo dominio di terrore e gli omicidi compiuti senza scrupoli. Non ti dico nemmeno che la crudeltà che dimostrava in realtà era una maschera che nascondevano un altro aspetto di lei, non sono così stupida”

“Voglio ben sperare” commentò, ma proseguii ignorandolo.

“Dico solo che tra un misfatto e l’altro, che tu ci creda o meno, è stata capace di affezionarsi ad Ian, di assaporare per qualche tempo una vita pacifica e di provare la gioia di avere una figlia. So benissimo che la cosa alla quale teneva di più al mondo è sempre stata il potere e che per esso era disposta a fare ogni cosa, ciò non esclude però che mia madre possa aver tenuto a me a modo suo o a mio padre. Riesci a comprendermi?” chiesi, quasi con una nota d’esasperazione e di supplica.

Peter mi fissò dritto negli occhi. Era combattuto tra il credermi e il restare attaccato a ciò che aveva sempre pensato su Jadis. Sapevo che l’odio che nutriva nei confronti della strega era profondo, ma possibile che fosse radicato al punto da non riuscire nemmeno ad ammettere che mia madre potesse aver avuto un briciolo di umanità nella sua personalità?

Alla fine sospirò e mi accarezzò una guancia. “Se ti fa piacere, posso darti il beneficio del dubbio. È il massimo che posso concedere”.

Sorrisi e lo abbracciai. Era abbastanza. Mi accontentavo di non sentirlo negare punto per punto ogni mia nuova scoperta sull’identità di mia madre ora che finalmente ero riuscita a formularne una.

“Ascolta, dobbiamo tornare all’edificio. Dobbiamo prepararci ad una guerra, non posso assentarmi più di quello che ho già fatto. Susan darebbe di matto” disse cercando di sdrammatizzare.

“Certo” concordai, alzandomi dal letto.

Riposi l’ultimo diario al suo posto e chiusi il cassettone. Mi allontanai sfiorando la superficie di cristallo con le dita come se volessi accarezzarla. Quelle pagine mi avevano rivelato più di quello che speravo di sapere. Non avrei mai ringraziato abbastanza la buona stella che mi aveva condotto da loro.

Con Peter ripercorsi la scala a chiocciola e in breve fummo nel salone.

“Sai, non mi ero mai accorto di quale bellezza nascondesse il ghiaccio” asserì il biondo indicando la sala del trono mentre superavamo il colonnato in direzione del portone.

“Il marmo lo rende un posto molto regale, e le finestre ampie lo innondano di luce.” Concordai, lieta che Peter fosse riuscito a formulare un commento positivo su un qualcosa che riguardasse la strega.

Appena fuori, il sole primaverile ci investì tanto che impiegai qualche istante a distinguere le due figure piumate che ci aspettavano davanti al castello.

“Rihys, come mai non sei all’edificio?” la voce di Peter era stupita quanto la mia espressione, però si rivolse ad uno solo dei due grifoni presenti.

“Perdonate maestà, ma la regina Susan mi ha inviato per recarvi un urgente messaggio. L’esercito di Telmar è alle porte, dovete rientrare immediatamente. Teme che l’attacco tanto atteso sia prossimo” annunciò.

Sentii il sangue gelarsi nelle vene. Telmar vicina? Attacco prossimo? Quindi la guerra che stavamo aspettando e paventando era arrivata. Possibile che non potessi avere qualche giorno di pace e tranquillità, che le battaglie non finissero mai in quella terra?

Sentii il re imprecare sottovoce. “Dobbiamo muoverci allora. Halder, riesci ad andare più veloce di come hai fatto all’andata?” domandò rivolgendosi al secondo grifone e informandomi su come fosse giunto al castello precedentemente.

“Certo maestà” rispose senza esitare la creatura.

“Temo però che non potremmo percorrere la via diretta per l’edificio” si intromise Rihys.

“Perché?” il tono di Peter era tornato ad essere quello del sovrano. Sicuro, impassibile, adatto a comandare.

“Perché l’esercito di Telmar percorre proprio quella via e se noi la adottassimo ci vedrebbero arrivare e potrebbero cercare di colpirci mentre siamo in volo. È pericoloso, altezza” gli spiegò.

“Correremo il rischio, non possiamo indugiare oltre”

“Oppure voi due potreste prendere la via che ritenete più sicura mentre io e il re potremmo prendere una scorciatoia” mi inserii io rivolgendomi a Halder e Rihys.

Il ragazzo mi guardò sorpreso. “Quale scorciatoia?”

“Potrei provare a smaterializzare entrambi e a materializzarci nella sala della tavola di pietra” proposi con semplicità.

Gli occhi di Peter si illuminarono. “Perfetto, faremo così allora. Presto Cathy”

Sorridendo per la fiducia con la quale Peter mi si affidava, gli afferrai le mani e mi concentrai chiudendo gli occhi. Non mi ero mai materializzata con un’altra persona ma ero convinta di potercela fare. O almeno lo speravo.

Richiamai la magia, facendola scorrere nelle gambe, lungo il torace, su per il collo e per le braccia. Poi la feci fuoriuscire dai palmi della mia mani e avvolsi con essa le braccia di Peter, il suo petto, la testa e le sue gambe finché non fu interamente dentro l’alone della mia magia. Per istinto sapevo di non dover penetrare il suo scudo come per le guarigioni, poiché per teletrasportarlo non dovevo agire internamente al suo corpo, bensì esteriormente, come per la lievitazione. Focalizzai la sala della tavola di pietra e lanciai l’incantesimo.

Il famigliare vortice ci circondò. Mi sentii risucchiare via e poi in un’istante il vento cessò. Aprii gli occhi e sorrisi. Ci ero riuscita, le pareti color ocra della sala adibita alle riunioni mi circondava. Ma cosa ancora più importante, Peter era in piedi davanti a me ed era tutto intero. Per mia fortuna possedeva ancora due braccia, due gambe e una testa.

“Sei stata grande” mormorò Peter costatando il mio successo.

“Inezie” sminuii. “Ora viene la parte difficile” commentai con un’involontaria nota amara. Peter si fece serio e aumentò la stretta sulle mie mani come se avesse bisogno di forza. Sapeva che quel momento sarebbe arrivato, si stava preparando da quando era tornato, ma ciò non rendeva più facile affrontarlo. Ancora una volta il suo popolo era in pericolo e avrebbe dovuto combattere una guerra. Altri narniani sarebbero morti sotto le spade nemiche e lui stesso avrebbe di nuovo rischiato la sua vita. Ma non si sarebbe tirato indietro, questo mai. Re Peter il Magnifico avrebbe combattuto anche questa guerra con la stessa fierezza e lo stesso coraggio di sempre.

Un’altra sfida stava per iniziare.

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Capitolo 21
*** 20_La speranza in un miracolo ***



Ciao ragazzi e ragazze! Come sono trascorse le vacanze di Natale? Le mie bene, all'insegna del relax più completo :-)! L'unica pecca è che purtroppo sono finite lasciando il campo alla scuola, sob! Poco male, ho già iniziato a fare il conto alla rovescia per Pasqua hihihi! Passando al capitolo, lo scorso si era incentrato su Jadis e la sua personalità bloccando il corso della storia, questo invece cambia completamente il ritmo. I telmarini lasciati in secondo piano per molti capitoli ora sono tornati più numerosi di prima con i loro progetti di conquista. Vi avviso che questo capitolo non brilla per la fantasia, poiché seguirà molto da vicino le scene del film seppur qualche cambiamento ci sia. Questo perchè essendo la ficcy ambientata nel secondo film volevo comunque tenere conto della sua trama nonostante l'inserizione del personaggio di Cathrine e della sua vicenda, spero che non vi dispiaccia e che troviate comunque interessante rivisitare le scene del film dal punto di vista della nostra protagonista. Vi posso assicurare però che ciò si limita a questo cappy e che nel prossimo prenderò di nuovo le distanze dalla pellicola di Adams :-)
P.S.
A fondo pagina trovate una piccola sorpresa, ho postato un fotomontaggio di Cathrine e Peter nella loro spiaggia, spero che vi piaccia!

Ringraziamenti:

bex: Ciao! Grazie per la tua recensione, sono felicissima di sapere che il cappy scorso ti sia piaciuto così tanto e un grazie di cuore per tutti i tuoi complimenti *me felice con gli occhi a stellina*! Concordo, i ragazzi come Peter dovrebbero abbondare un po' di più, è semplicemente perfetto! (tranquilla, anche io mi farei chiudere da lui in una stanza, in cima ad una torre, in una baita in montagna, su un'isola deserta...ho reso il concetto? hihihihii!!!!!) Ci tenevo a dare il giusto spazio a Jadis, non mi piaceva che l'idea che Cathrine alla fine considerasse la madre solo una strega malvagia, e non mi sembrava minimamente giusto trattare un personaggio come Jadis al pari di un cattivo qualunque assetato di potere, la strega bianca meritava di essere analizzata meglio secondo me ed è uno dei motivi che mi ha fatto scrivere questa fan fiction :-) Telmar è tornata a combattere, però temo di doverti dire che nn sarà l'ultima difficoltà che i nostri due ragazzi dovranno affrontare per avere la loro felicità, un altro problema ancora più grave si affaccia all'orizzonte ma non aggiungo altro (lo so, sono cattiva, ma la suspance altrimenti dove sta?). Spero di leggere presto il tuo commento su questa capitolo e che ti piaccia! Un bacione grande grande!

sweetophelia: Ciao! Dopo molti rinvii sono riuscita a pubblicare questo cappy che come hai immaginato tratta della guerra contro Telmar! L'altro cappy effettivamente avevo interrotto il flusso narrativo, però mi sembrava doveroso concludere con una nota positiva la storia di Jadis, come ho detto anche a bex non era giusto ridurre il suo personaggio a quello di un cattivo qualunque con manie di grandezza, ho sempre pensato che nascondesse una psicologia più profonda e poi non potevo lasciare Cathy con la terribile consapevolezza di avere per madre una sadica pazza. L'arcano del papà di Cathy è finalmente svelato, però posso anticipare che non è l'ultimo dei segreti che la rossa scoprirà prima della parola fine :-) Per ora però ciò che principalmete occuperà i suoi pensieri sarà la guerra contro Telmar. Sono un po' timorosa riguardo alla scena della guerra, spero di non aver deluso nessuno volendo seguire il film, ci ho pensato e ripensato però alla fine credo chela fan fiction basandosi su le cronache di Narnia 2 doveva avere un collegamento stretto con il film per quanto l'introduzione di un nuovo personaggio lo consentisse. Cosa ne pensi? Aspetto ansiosa il tuo reponso! Grazie mille per la tua recensione che come ben sai apprezzo sempre tanto tanto tanto!!!!!!!! Ti mando un grande bacio!

Eve_Cla84:  Ciao! Sono felice che il capitolo ti sia piaciuto tanto specie il ritratto del carattere di Jadis e grazie infinite per i tuoi complimenti, davvero grazie :-)! Concordo con te, anche secondo me vedere Jadis solo come la crudele strega è sbagliato, è un personaggio psicologico di grande spessore, non sarebbe giusto ridurla ad un semplice cattivo con il cuore di pietra, secondo me ha una personalità molto complessa e profonda dietro l'immagine che da di sé, e poi non volevo che Cathrine credesse che sua madre fosse solo la gelida strega conquistatrice! Il capitolo Ian non è ancora chiuso, si sentirà ancora parlare di lui, però purtroppo 1300 anni sono troppi anche per uno stregone, quindi temo che Cathy nn avrà mai il piacere di poterlo incontrare dal vivo :-(, Effettivamente hai ragione, finito il pericolo Jadis subito che ne arriva un altro a distruggere la quiete dei nostri protagonisti! Prima o poi però Telmar doveva tornare a farsi sentire, e per fortuna troverà i Pevensie pronti ad accoglierla! Mi auguro che anche questo capitolo ti piaccia nonostante sia rimasta molto fedele alla trama del film, spero di sapere presto cosa ne pensi! Un bacioneoneone e ancora mille grazie per la tua recensione!

Grazie infinite anche ovviamente a tutti coloro che mi hanno aggiunta tra seguite e/o preferite, thanks^^ e se avete il piacere di farmi sapere cosa ne pensate della storia sappiate che i commenti sono sempre accolti più che a braccia aperte!

Buona lettura

kisskisses

68Keira68

witch

20_La speranza in un miracolo

Vedere le espressioni allibite dei Pevensie, di Caspian, di Ripicì, di Nikabrik e di alcuni degli ufficiali per la nostra improvvisa apparizione nella sala era uno spettacolo impagabile.

“Come siete…?” balbettò Susan all’indirizzo mio e di Peter rompendo il silenzio stupito che era calato dopo il nostro arrivo.

“Cathy ci ha smaterializzato entrambi” spiegò il biondo con semplicità.

Susan scosse leggermente la testa e strabuzzò gli occhi, ma si riprese subito. “Bene” commentò “molto utile considerando la situazione in cui vertiamo” concluse introducendo subito il motivo per cui ci aveva fatti convocare.

Vidi i lineamenti di Peter indurirsi, la spensieratezza, con la quale aveva risposto divertito dal viso sorpreso della sorella, del tutto svanita.

“Quanto è grave?” domandò diretto.

“L’esercito è qui fuori, con ben cinque catapulte. Stanno sistemando l’accampamento” illustrò Edmund con tono grave.

Le labbra di Peter si serrarono. “Cinque?” chiese conferma a denti stretti.

“Purtroppo. E ci saranno almeno un migliaio di uomini” proseguì Caspian tetro.

Il Re Supremo chiuse gli occhi, come se cercasse di assorbire la nefasta notizia. Quando li riaprì però nelle sue iridi color zaffiro scorsi solo un’assoluta determinazione.

“Ce lo aspettavamo. Sapevamo che avevano delle catapulte, che ci erano numericamente superiori e soprattutto che la battaglia sarebbe arrivata. Non dobbiamo farci prendere dal panico.” Esclamò, con un’evidente tentativo di risollevare gli animi dei narniani presenti che si stavano dando allo sconforto e dei suoi fratelli stessi.

“Si ma non così tanto numericamente superiori” commentò amara Susan.

“Nonostante il numero dobbiamo combattere. Non abbiamo altra scelta se vogliamo salvare Narnia” disse piccato il ragazzo.

“Non ci resta che lottare allora” concordò Edmund, poggiando una mano sul pomo della spada come ad attingere forza da essa.

“E sperare in un miracolo” aggiunse caustica Lucy.

Noi tutti la guardammo, colpiti dal suo insolito pessimismo, ma nessuno ribatté, nemmeno Peter. Ognuno sapeva fin troppo bene la critica situazione in cui ci trovavamo per avere obiezioni se non ostentando un falso e inutile ottimismo.

Era vero. I telmarini erano più numerosi di quello che pensavamo come anche il numero delle catapulte, batterli sarebbe stato difficile. Noi eravamo in pochi e nonostante l’idea di Caspian, del grosso dei soldati nemici se ne sarebbe occupata la fanteria, la nostra piccola per quanto brava fanteria. Un miracolo, se mai fosse stato possibile, sarebbe stato opportuno.

Sospirai frustrata. Volevo rendermi utile, poter fornire una soluzione, ma come? Purtroppo io ero una semplice strega alle prime armi, i miracoli erano fuori dalla mia portata. Chi mai avrebbe potuto compierne uno? Forse Jadis ci sarebbe riuscita. Con semplicità aveva congelato tutta Telmar rendendola innocua, per lei probabilmente spazzare via il loro esercito sarebbe stato un gioco da ragazzi. Ma Jadis, anche se avessimo trovato il modo di convincerla a lottare dalla nostra parte, era morta. Oltre lei chi altri avrebbe potuto aiutarci? Poi l’eco di parole lontane e quasi dimenticate mi tornò alla mente. Le uniche parole che avrebbero potuto ridare una speranza non falsa ma tangibile, appartenenti all’unica persona che avrebbe realmente potuto operare un miracolo.

“Forse il miracolo potrebbe non essere così impossibile da far avverare” esordii.

Cinque paia di occhi sorpresi si posarono su di me con un’implicita ma chiara domanda.

“Non avevo ancora avuto occasione di dirvelo, ma prima di andare a cercare la chiave sono andata alle rovine e a Telmar per rendermi conto dell’entità del danno che avevo fatto” iniziai. Peter aprì bocca per ribattere alla mia ultima affermazione ma io lo precedetti. Non volevo udire per l’ennesima volta che non dovevo sentirmi responsabile per i misfatti di mia madre, avevo la mia parte di colpa nell’intera questione e non volevo che venisse sminuita o persino cancellata. “e lì ho incontrato Aslan” conclusi.

A Peter morì la sua obiezione sulle labbra. Per un lungo e interminabile minuto tutti i presenti trattennero il respiro, increduli a ciò che avevano appena udito. Susan iniziò persino a scuotere con piccoli scatti la testa in segno di diniego, incapace di interiorizzare l’informazione appena sentita.

“Ne… sei proprio sicura?” sussurrò infine Peter, recuperando l’uso della parola.

Gli regalai un sorriso convincente e annuii con il capo. “Gli ho parlato, non posso sbagliarmi”.

“E cosa vi siete detti?” volle sapere Susan. Il suo tono era cauto, circospetto, come se temesse di abbandonarsi alla speranza che una notizia come quella del ritorno di Aslan avrebbe potuto dare.

“Mi ha consigliato su dove potevo trovare la chiave per aprire le vostre celle e mi ha detto di fidarsi di me e di voi, che se fossimo rimasti uniti saremmo riusciti a battere la strega” raccontai ricordando con precisione la discussione avuta con il Grande Felino. “E infine mi ha detto che quando avreste avuto bisogno di lui, quando lo avreste cercato, vi avrebbe aiutati” rivelai.

“Cate perché non ce lo hai detto prima? Questo cambia tutto!” mi aggredì Susan, improvvisamente infervorata.

“Giusto, con tutta la calma che c’è stata in questi giorni non so proprio come ho fatto a scordarlo” ironizzai sibillina. Sapevo perfettamente anche io che avevo scordato un’informazione di assoluta importanza, ma la regina avrebbe dovuto capire che la morte di Jadis per me aveva avuto la precedenza sul resto.

Peter cercò di camuffare una risata per la mia risposta con un colpo di tosse e lo stesso fecero Edmund e Caspian.

La regina si morse il labbro, rendendosi conto dell’accusa che mi aveva rivolto.

“Scusa, hai ragione.” ammise “L’importante è che ora lo sappiamo.” Si rivolse poi al fratello maggiore, gli occhi brillanti di nuova energia, pieni di vita e, finalmente, di speranza “abbiamo una possibilità Peter”.

“Si” concordò il re Supremo con un sorriso trionfante. “Ora dobbiamo solo decidere chi andrà a chiedere l’aiuto di Aslan”.

“Andrò io”. La voce pacata ma risoluta di Lucy non esitò a proporsi.

“Come? Ma mia regina, dovreste addentrarvi nella foresta e con i telmarini alle porte sarà pericoloso!”

L’obiezione veemente giunse da Trumpkin, rompendo il silenzio in cui si era tenuto finora.

Lucy gli si avvicinò e gli sorrise per tranquillizzarlo. “Lo so, ma è un mio dovere. Non temere, sono certa che non mi accadrà nulla.”

“Non potete esserne certa. Di noi non ne sono già morti abbastanza? Dovete per forza rischiare anche la vostra vita?” ribatté infervorato e sinceramente preoccupato il nano.

“Riflettici bene Lucy. NIkabrik ha ragione.” si accodò Peter corrugando la fronte.

Gli occhi grandi e sicuri della piccola regina si posarono sul fratello. “Ci ho pensato attentamente. Peter, trovare Aslan è la nostra unica speranza e io sono l’unica che può cercarlo senza far perdere all’esercito un valido membro. Perfavore”. Inisté.

Come sempre, rimasi stupita da quanta forza d’animo potesse risiedere in un corpo così piccino. Lucy non doveva avere più di unidici anni, eppure parlava con la stessa fermezza e la stessa coscienza di un’adulta. Era convinta di quello che affermava, sapeva quali responsabilità comportava il compito che stava per prendersi ed era pronta a farsene carico senza esitazioni.

Peter prese un gran respiro, preda dell’indecisione. L’idea di lasciare alla sorella più piccola un incarico come quello, pericoloso quanto impegnativo, gli pesava come un macigno, ma sapeva che probabilmente se esisteva una persona in grado di trovare Aslan, quella era Lucy, la bimba che con il suo cuore dolce e ingenuo aveva il più stretto legame con il felino e che aveva avuto ben due contatti con lui da quando era tornata a Narnia.

Vidi il suo sguardo correre verso Susan in cerca di aiuto e trovò negli occhi color cioccolato della sovrana la risolutezza che sperava. Sua sorella aveva già in mente quale fosse la decisione più giusta da prendere.

“Lucy è la nostra unica speranza” disse a Trumpkin.

Il nano spalancò gli occhi, contrariato. “Almeno permettetemimi di venire con voi” supplicò rivolto alla piccola.

Lucy scosse la testa. “No, tu sei più utile qui”.

“E poi non sarà sola. Io andrò con lei” propose Susan, sorprendendoci.

Sentii i muscoli di Peter rilassarsi, evidentemente felice della decisione presa dalla ragazza.

“Perfetto. Insieme dovreste avere più probabilità di successo” constatò il re. La sua fronte non era più corrucciata, eppure nella sua voce non potei non notare ugualmente una sfumatura di preoccupazione. Certo, sapere che Lucy non sarebbe andata da Aslan da sola lo tranquillizzava in parte, ma sarebbe stato impossibile per la sua indole lasciare andare le sue sorelle senza avere un minimo di timore. 

“Quindi ora il nostro principale problema è quello di intrattenere l’esercito di Miraz finché Lucy e Susan non trovano Aslan?” chiese retoricamente Edmund, cambiando la direzione del discorso.

Peter annuì, l’espressione di nuovo grave. “E temo che l’unico modo per far ciò sia resistere il più a lungo possibile combattendo” commentò amaro.

Dalla tavola di pietra, Caspian si schiarì la voce, catturando su di sé l’attenzione. “Forse c’è un altro modo per prendere tempo” rivelò.

“Quale?” domandò interessato Peter.

“Miraz sarà pure un tiranno, ma come re di Telmar deve attenersi alle tradizioni del suo popolo, e ce n’è una in particolare che farebbe al caso nostro” ci informò “Il re di un esercito può sfidare a duello il re dell’esercito avversario risparmiando ai loro uomini di guerreggiare. Il vincitore, vince la guerra. Il perdente” si interruppe, fissando intensamente Peter prima di concludere con tono nefasto “muore”.

Il respiro mi si bloccò al suono di quella macabra parola. I miei occhi cercarono quelli di Peter ansiosi di scorgere in essi una risposta negativa a quella proposta. Ma la fermezza che scorsi in quelle iridi zaffiro mi fece sprofondare il cuore.

“No, troveremo un’altra maniera” mi opposi con fervore. Non potevo nemmeno pensare che Peter corresse un rischio simile.

“Temo non ce ne siano” si inserì Edmund fissandomi serio. “Anche io non sono entusiasta dell’idea, ma è l’unico modo che abbiamo per dare a Lucy e Susan il tempo per svolgere la loro missione” ragionò.

Mi morsi forte il labbro, frustrata dalla verità che quelle parole avevano.

“è una decisione rischiosa.” Disse Susan, dandomi ragione. “Peter non può correre un pericolo simile. Se… Peter dovesse perdere, il popolo di Narnia perderebbe il suo re e a quel punto sarebbe futile anche tutto il tempo di questo mondo” osservò piccata.

“Concordo. Dobbiamo trovare un’altra via” la appoggiai, guardando Peter supplichevole di non compiere un gesto tanto avventato.

Purtroppo però l’espressione decisa del viso del re mi informò di quanto inutili fossero le obiezioni mie e della sorella prima che parlasse.

“Non c’è un’altra via” obiettò riprendendo la frase del fratello. Peter prese un bel respiro prima di rivelare la sua decisione. “Se questa tradizione ci darà il tempo necessario per contattare Aslan, sfiderò Miraz a duello. In quanto re è mio dovere fare tutto ciò che posso per il mio popolo, e data la vostra scarsa fiducia nelle mie capacità vi ricordo che sono uscito da più di uno scontro vincitore, non è il caso quindi di disperarsi già per la mia sconfitta.” Aggiunse poi diretto a me e a Susan.

Mi sentii avvampare, offesa dall’insinuazione, ma prima che potessi aprire bocca, la regina ribatté. “Nessuno mette in dubbio le tue abilità Peter. Sei probabilmente il più abile combattente di Narnia e lo sappiamo. Ma Miraz non è uno dei soldati semplici che abbatti come niente in battaglia, è un membro della famiglia reale, è stato educato a vincere nei duelli da quando è nato. Lo scontro non sarà semplice.”

Peter la fulminò con lo sguardo, risentito dalle osservazioni corrette della sorella. “Ciò nonostante” disse gelido “combatterò”. Sentii il cuore perdere un battito a quella decisione. Avrebbe di nuovo rischiato la vita per il suo popolo, e questa volta in una sfida ancor più pericolosa delle precedenti.

“Bene. Edmund, prendi carta e penna per favore. Scriverò a Miraz la mia intenzione di sfidarlo e tu andrai in ambasciata con due soldati come scorta per consegnargli la lettera.” Proclamò risoluto, senza ulteriore indugio.

Edmund annuì e si adoperò immediatamente per esaudire la richiesta del fratello.

Sentivo un senso di disperazione crescermi nel petto e cercai nei visi dei ragazzi presenti segni della mia stessa angoscia. Caspian era serio ma, almeno in apparenza, calmo. Susan aveva il viso di pietra, solo gli occhi lasciavano intravedere la preoccupazione e la rabbia per la testardaggine del fratello. I lineamenti di Lucy invece erano contratti quanto i miei dalla paura per la sorte di Peter.

Accidenti a lui, ma perché doveva essere così eroico in qualsiasi situazione? Perché aveva un senso dell’onore e del dovere così grandi? Non poteva per una volta essere egoista e pensare prima di tutto alla sua vita? Era così complicato avere un briciolo di istinto di autoconservazione?

Sentii la pressione calda di una mano accarezzarmi la guancia. Mi voltai verso destra e vidi il volto della fonte della mia preoccupazione più vicino di quanto mi aspettassi. Aprii bocca per cercare di dissuaderlo dal suo intento in un ultimo tentativo, ma rimasi bloccata quando scorsi nelle sue iridi zaffiro un altro sentimento oltre la sicurezza di quali erano i suoi obblighi. In quel cielo azzurro albergava l’inquietudine. Ciò fece capitolare le mie accuse. Peter possedeva uno spirito di autoconservazione e non era stato avventato nella sua scelta. Sapeva con esattezza a cosa andava in contro duellando con Miraz, ai pericoli in cui poteva incorrere e aveva paura. Paura di lasciare il suo regno privo di una guida, i suoi fratelli da soli, la sua vita tra le braccia della morte. Eppure era disposto a pagare quell’alto prezzo, a correre il rischio per il bene di Narnia.

Con riluttanza, a quel punto mi rassegnai. “Fa attenzione, ti prego” bisbigliai a suo solo beneficio.

“Tornerò vincitore” mi promise in un dolce sussurro e io sperai che avesse ragione con tutte le mie forze, supplicando l’entità divina che proteggeva quel magico mondo, chiunque essa fosse.

 

*

 

“Destriero mi ha sempre servito fedelmente. Siete in buone mani” assicurò Caspian finendo di stringere i lacci delle staffe della sella di Susan e Lucy, già montate sulla schiena del cavallo nero.

“O zoccoli” disse Lucy, in un blando tentativo di alleggerire l’atmosfera che aleggiava tra i tre ragazzi, resa grave dall’importanza del compito che le due sorelle Pevensie si apprestavano a eseguire.

“Oh, a proposito” esclamò il principe. “Questo credo sia tuo.” Il ragazzo trafficò con la cinghia alla quale era appesa la spada, sciogliendo il cordino che legava ad essa un corno bianco con ghirigori dorati sul bordo. “è giusto che te lo restituisca” concluse porgendo l’oggetto a Susan.

“Il mio corno magico” osservò sorpresa la regina. Lo prese tra le mani, accarezzando la superificie linea, affatto intaccata dallo scorrere dei secoli. Un accenno di sorriso le curvò le labbra vedendo l’oggetto che in più di un’occasione l’aveva aiutata in passato. Poi però lo riconsegnò al giovane. “tienilo tu. Potrebbe servirti per chiamarmi.” Gli rispose ammiccante.

Una luce di malizia si accese negli occhi scuri di Caspian. “Con un tale invito, rischi che potrei usarlo molto spesso.” Ribatté stando al gioco.

Lucy si schiarì la voce, facendo notare la sua presenza del tutto dimenticata dai due giovani. “Ragazzi, tic tac, il tempo scorre. Potreste continuare a tubare come due colombe dopo che avremo vinto la guerra?”.

“Lucy!” Susan riprese la sorella, le guancie che si imporporarono celeri.

“B…bene. In bocca al lupo ragazze” balbettò imbarazzato Caspian allontanandosi di un passo.

La piccola scoppiò a ridere divertita. Susan borbottò qualcosa di poco carino nei confronti della sorella, ma l’invettiva si perse nel rumore degli zoccoli di Destriero, spronato con forza dalla regina.

Quando il sole investì le due figure però il riso si spense. La loro missione era iniziata, una missione dalla quale dipendeva Narnai intera. Lucy chiuse gli occhi e pregò con tutta se stessa di non deludere i suoi fratelli e chi credeva in lei. Doveva assolutamente trovare Aslan, non poteva permettersi errori, e sapeva che per trovarlo esisteva un unico modo. Doveva credere che ciò fosse possibile.

 

*

 

Alla fioca luce delle candele, il leone dorato, simbolo di forza e onore, brillava come il resto della lama di metallo lucido. La strinsi al petto come fosse un amuleto e la scongiurai di aiutare il suo possessore come sempre aveva fatto.

“Ecco l’elmo” Edmund passò l’ultimo pezzo dell’armatura al fratello maggiore che lo prese sotto il braccio.

“La spada” dissi io, porgendogli la nobile arma che venne prontamente infilata nella fodera.

Un’ora fa Edmund era tornato con la risposta di Miraz alla sfida lanciata da Peter, una risposta, purtroppo per me, positiva. Edmund aveva dovuto sfoderare le sue migliori doti di diplomatico, ma alla fine il sovrano di Telmar aveva accettato di duellare con il re di Narnia. Ed ora Peter, scintillante nella sua armatura, si apprestava a combattere come annunciato.

Il biondo mi si avvicinò e prese una ciocca dei miei capelli tra le sue dita coperte dal guanto in pelle.

“Vi aspetto fuori. Peter, cinque minuti” si congedò Edmund, intuendo il desiderio mio e del fratello di essere lasciati soli.

“Peter, ti prego, se ti succedesse qualcosa io…” iniziai con tono più petulante di quello che avrei voluto. Probabilmente stavo facendo la figura della sciocca, ma non mi interessava. Al momento le mie energie erano troppo concentrate a sperare nella vittoria di Peter per preoccuparsi di mantenere un certo contegno.

“Shh” mi zittì il ragazzo, poggiando un dito sulle mie labbra. “Non mi accadrà niente. Te l’ho già detto. Sono troppo egoista per permettere a qualcuno di privarmi del piacere di tornare da te.”

La serietà e la convinzione nel suo sguardo erano tali da riuscire quasi a convincermi. Quasi. Perché nonostante i suoi sforzi, l’ombra di inquietudine che avevo scorto prima c’era ancora.

Volevo aggiungere qualcosa, la mia mente mi urlava di fargli sapere quanto tenessi a lui e di come non poteva assolutamente permettersi di rimanere ucciso in quel duello, ma ogni frase che pensavo mi sembrava banale e ripetitiva. Così mi sollevai sulle punte dei piedi e lo baciai con passione e preoccupazione, optando per un gesto che a differenza delle parole non sarebbe mai stato banale.

Quando ci separammo, Peter aveva un sorriso malizioso dipinto in volto. “Se volevi darmi un ulteriore incentevo per tornare, ci sei riuscita” scherzò.

Mi permisi di ridacchiare, finché Peter non si diresse all’uscita, portandomi con sé.

La breve salita che dall’ingresso dell’edificio conduceva al cortile mi parve infinita. Ad attenderci c’era tutto l’esercito di Narnia sparso lungo il muro delle rovine e alla vista del suo sovrano proruppe in urla e incitamenti. Par contro, un centinaio di metri prima dell’arena dove si sarebbe svolto l’incontro, gli uomini di Telmar sostenevano il loro re in silenzio, impettiti nelle file ordinate del loro battaglione, emanando solennità e compattezza.

Dal lato più vicino dell’arena, dove ancora il resto di un trilitico stava in piedi, ci attendevano Edmund, anche lui con indosso l’armatura, Warwik, il centauro ufficiale dell’esercito, Ripicì e Trumpkin. Notai che mancava Caspian. Lo cercai con lo sguardo, ma senza successo. Dov’era finito il principe di Telmar?

“Sei pronto fratello?”

La voce di Edmund era tesa, specchio della sua apprensione. Peter annuì con un cenno del capo, apparendo esattamente come voleva apparire, forte, determinato, invincibile. Infilò l’elmo, celando il suo viso da ragazzo per divenire un combattente la cui identità si fondeva con quella della sua spada.

Con un movimento elegante, sfoderò quest’ultima recante l’effigie di Aslan, facendola scintillare al sole, poi avanzò verso il centro dell’arena.

Dalla parte opposta, re Miraz lo imitò, indossando l’elmo che gli nascose completamente il volto e impugnando la sua spada, lasciandosi alle spalle il generale Glozelle e due Lord del consiglio di Telmar.

I due avversari iniziarono a camminare in cerchio, studiandosi a vicenda.

“C’è ancora tempo per ritirarsi” sentii pronunciare a Miraz.

Stupido, pensai, non ha idea di con chi ha a che fare.

“Fate pure” rispose Peter mordace.

“Quanti ancora dovranno morire per il trono?” lo provocò il sovrano.

“Soltanto uno” e detto questo, Peter partì con il primo affondo. Miraz parò con più agilità di quello che ci si poteva aspettare da una persona della sua età, e ricambiò con una serie di colpi dall’alto. Gli attacchi di Miraz puntavano sulla forza, sperava di piegare Peter sotto i suoi poderosi affondi contando su una superiorità fisica che doveva essere certo di possedere. Lo stile di combattimento del biondo invece era totalmente diverso. Peter mirava a sopraffare l’avversario con l’agilità e la precisione dei colpi.

I due contendenti per diversi minuti parvero uguagliarsi. Riparandosi dietro lo scudo, Miraz riusciva a schermirsi dagli attacchi di Peter mentre quest’ultimo riusciva a schivare quelli avversari. Un colpo violento al viso da parte di Miraz fece arretrare Peter che reclinò il capo facendo cadere a terra l’elmo e sfilare il cappuccio della maglia in ferro. Subito dopo però un affondo di Peter andò a segno, ferendo la gamba del sovrano poco sopra il ginocchio.

Esultai. Uno a zero per Peter.

Purtroppo però questo attacco parve dare nuovo vigore a Miraz che iniziò ad incalzare una serie di affondi furiosi e possenti. Peter schivò a più riprese, ma l’ultimo attacco, diretto al fianco destro, fu troppo veloce e per pararlo il ragazzo fu costretto a sbilanciarsi usando lo scudo sul lato opposto rispetto a dove lo portava. Peter, in equilibrio precario, non riuscì a sostenere il colpo violento e cadde a terra.

Miraz colse l’occasione per caricare un colpo dall’alto ma il biondo, rotolando sul fianco, riuscì ad evitarlo. Purtroppo però non riuscì a schivare anche il calcio che il sovrano di Telmar diede ad un lato dello scudo concavo. Un urlo di dolore si propagò nell’aria e il mio cuore si strinse quando si rese conto che proveniva da Peter. Lo scudo, abbassato dal calcio da un lato, si era con un colpo secco alzato all’altezza dell’avambraccio del ragazzo, slogandogli la spalla.

Trattenni il respiro portandomi le mani al petto, gli occhi pieni di orrore. Senza pensare, feci due passi in avanti, in direzione di Peter. Dovevo andare da lui. Avrei interrotto il duello se necessario ma doveva raggiungiungere il ragazzo e guarirlo.

Ma due forti braccia mi trattennero afferrandomi per la vita.

“Cate, cos’hai intenzione di fare?” la voce di Edmund mi giunse allarmata all’orecchio.

“Lasciami. Ha bisogno di aiuto, sta male, io posso aiutarlo” gli risposi, il tono trapelante panico e ansia, cercando di svincolare dalla sua presa che per tenermi ferma aumentò.

“Se piombassi lì con la pretesa di aiutarlo non ti rivolgerebbe mai più la parola. È un re e un ottimo combattente. È sopravvissuto a ferite peggiori, ma quella che tu faresti al suo orgoglio soccorrendolo come fosse un bambino davanti all’esercito suo e avversario non guarirebbe mai. Credimi.” Affermò con risolutezza.

“Ma…” provai ad obiettare ma Edmund non me lo permise parlandomi sopra. “Lo so. Anche io sono preoccupato, cosa credi? Ma dobbiamo fidarci di lui e lasciarlo fare.”

Mi morsi il labbro e presi un bel respiro, cercando di calmarmi per ammettere con me stessa che il moro aveva ragione. Peter non avrebbe mai perdonato un’intromissione da parte mia. Era difficile da accettare, ma purtroppo l’unica cosa che potevo fare era restare a guardare e sperare.

 

“Lucy tieniti forte!”

La bimba cinse con più forza la vita di Susan mentre quest’ultima con un colpo di redini aumentò l’andatura della corsa.

“Quanti sono?” domandò Lucy intimorita.

“Credo cinque”

Cinque. Cinque soldati erano loro alle calcagna. Erano apparsi dal nulla, appena si erano inoltrate al galoppo nella foresta. Simili ad ombre si erano buttati al loro inseguimento, come se non stessero aspettando altro.

“Riusciamo a seminarli?”

Alla richiesta della piccola non giunse alcuna risposta. Lucy cominciò a temere il peggio. Erano in cinque contro due, di cui solo una capace di difendersi con un’arma inutilizzabile in groppa ad un cavallo in corsa. L’unica possibilità era riuscire a staccarli, ma i destrieri di Telmar si stavano rivelando più veloci del previsto, rendendo l’impresa difficile.

Susan tirò le redini a sorpresa, fermando il cavallo. Con un balzo scese giù e consegnò le briglie alla sorella minore, prendendo al loro posto arco e faretra.

“Susan!” la richiamò allarmata la piccola. “Cosa intendi fare?”.

La regina guardò Lucy dritta negli occhi castani, divenuti grandi e spauriti.

“Mi dispiace Lucy ma temo di non poterti più accompagnare” la informò cercando di sorriderle nonostante la serietà del momento.

“No Susan, sali a cavallo. Li semineremo” tentò la bimba. Si fidava ciecamente della abilità di arciera di Susan, ma cinque avversari erano troppi per una sola persona. Non poteva abbandonare la sorella in una situazione tanto critica.

“Non temere. Tu trova Aslan, questo ha la precedenza su tutto” decretò la sovrana. Lucy tentennò, aprì bocca per ribattere, ma prima che potesse aggiungere altro un rumore di zoccoli annunciò quanto i loro nemici fossero vicini. Susan urlò “Vai!” e diede un colpo a Destriero per farlo partire. Lucy si aggrappò alle redini e il cavallo corse fin sopra un’altura. La piccola si girò all’indietro, il cuore pesante al pensiero del pericolo che Susan stava per correre. La sorella maggiore si voltò incrociando lo sguardo della piccola regina. Le sorrise, cercando di tranquillizzarla e di non far trapelare quanto invece lei per prima sapesse come la missione che l’attendeva fosse difficile se non impossibile. Gli occhi color nocciola della bimba si riempirono di lacrime, ma trovò la forza per dare un colpo di redini a Destriero e proseguire la corsa come Susan voleva.

Quando Lucy si allontanò, la regina sospirò di sollievo pensando che la sorella sarebbe senz’altro riuscita a raggiungere Aslan, salvando Narnia. Se lei fosse riuscita nel compito di difendere lei e il suo viaggio. Era conscia di essere in svantaggio numerico e di rischiare la sua stessa vita, ma era consapevole anche del fatto che affrontare i nemici frapponendosi tra loro e Lucy era l’unica cosa fattibile per dare a quest’ultima una possibilità di trovare il Grande Felino. E poi non avrebbe mai permesso a degli ignobili soldati di torcere un capello a sua sorella. Sarebbero dovuti passare sopra lei e il suo arco prima di riuscirci.

Con un respiro profondo prese una freccia rossa dalla faretra alle sue spalle. Alzò l’arco dinanzi a sé e posizionò la freccia. Lentamente tese la corda, sfiorando il piumaggio delicato che decorava il dardo, e attese.

Il rumore si faceva sempre più vicino. Ora si poteva udire anche il suono delle voci concitate e del cozzare delle spade contro le armature. Tese ulteriormente l’arco, iniziando a puntarlo verso la fonte del rumore.

L’espressione era concentrata, priva della paura che le batteva nel cuore. Non si sarebbe mai mostrata terrorizzata davanti al nemico. Li avrebbe affrontati a testa alta. Dritta, impavida, perfetta quanto temibile nella sua posa da arciera, si sarebbe fatta vedere altera e pericolosa come una dea della caccia.

Quando un raggio di sole illuminò l’elmo del primo soldato, il dardo partì sibillando centrando in pieno il bersaglio, letale come sempre. L’uomo non era ancora caduto a terra quando una seconda freccia era già stata incoccata e scagliata, conficcandosi nel collo del secondo soldato.

I tre rimasti avevano sguainato la spada. Il più vicino si diresse con la lama alzata, pronta a sferrare un colpo mortale dall’alto diretto alla regina di Narnia, ma Susan era pronta e una terza freccia venne lanciata con precisione uccidendo il telmarino. Peccato che concetrata nel tiro non aveva scorto il quarto soldato avvicinarsi. All’ultimo riuscì ad abbassarsi per evitare la lama, ma con un calcio l’uomo la fece cadere. Nell’impatto con il terreno alla giovane sfuggì di mano l’arco. Tentò di alzarsi, ma prima che potesse far qualsiasi cosa, i due cavalieri le si avvicinarono a spada tratta. Susan sentì il cuore sprofondare. Serrò gli occhi preparandosi all’affondo letale che presto sarebbe inevitabilmente giunto.

È finita.

Un paio di occhi neri, ma ardenti come brace, occuparono il suo ultimo pensiero insieme alla consapevolezza che non vi ci sarebbe mai più specchiata al loro interno, prima che il rumore metallico di due lame che si scontravano le riempisse le orecchie.

Alzò le palpebre di scatto, sorpresa di non provare dolore alcuno. Sorpresa di poter scorgere ancora il mondo reale e non il paradiso. Sorpresa di vedere la persona, che all’ultimo aveva impegnato la sua mente, combattere contro il quinto soldato dopo aver abbattuto il quarto.

Caspian, in groppa ad un cavallo nero, con indosso l’armatura e la spada sguainata, l’aveva salvata.

Un movimento di polso e la lama del telmarino fu strappata dalla mano del suo proprietario. Un affondo, rapido e deciso, e il duello finì.

Caspian si voltò rivolgendole un sorriso solo leggermente incrinato dalla fatica appena compiuta.

“Sicura di non rivolere il corno?” la provocò ilare porgendole una mano per aiutarla a salire sul dorso del destriero.

Bello, vittorioso, sereno, illuminato dal sole, sembrava più che mai un’apparizione. Un angelo custode comparso unicamente per lei, quasi lo avesse evocato.

Susan si alzò, recuperò l’arco e si aggrappò alla mano del ragazzo per salire sul cavallo. Gli cinse la vita e poggiò il suo capo nell’incavo della spalla del giovane.

“Grazie” sussurrò al suo orecchio, depositandogli un bacio sulla guancia.

“Dovere. Potevo permettere a due insignificanti soldati di privare Narnia della regina più bella che avesse mai visto?”.

Susan rise, il cuore improvvisamente alleggerito dall’angoscia provata poco fa. Non riusciva ancora a credere di essere scampata ai telmarini. Più o meno quanto non riusciva a credere che il principe fosse lì con lei.

Riassumendo, era viva, era con Caspian e Lucy era al sicuro, diretta verso Aslan. Aveva assolto il suo incarico. Grazie all’aiuto del principe che in quel momento più di qualsiasi altro sentì di amare come non aveva mai amato nessun’altro. Quella piccola saggia di sua sorella aveva visto davvero giusto. Caspian era un ragazzo d’oro e non si sarebbe mai pentita di aver fatto cadere le palizzate attorno al suo cuore per consentirgli l’accesso. Per una volta, l’aver agito seguendo i sentimenti e l’istinto l’aveva condotta sulla via più difficile da trovare, la via della felicità.

 

Peter rotolò sul braccio sano e cercò di alzarsi in piedi. I lineamenti erano contratti dal dolore, ma gli occhi brillavano di rabbia e sfida, desiderosi di rivalsa. Si portò la mano al petto, per non sostenere a peso morto lo scudo e con la destra caricò un colpo dall’alto. Dopo qualche affondo però i duellanti si bloccarono. Peter era voltato di schiena, ma vidi che la testa non era rivolta a Miraz, bensì ad un punto alla sua sinistra.

“Sua altezza ha bisogno di una tregua?” chiese il telmarino mellifluo.

“Cinque minuti?” propose Peter, cogliendo l’occasione.

“Tre!” decretò Miraz, agitando la spada.

Sospirai di sollievo. Una tregua avrebbe permesso a Peter di venire da noi, in modo che potessi soccorrerlo con la magia.

Il biondo abbassò la sua lama e si volse nella nostra direzione. La sua espressione malcelava il dolore che provava alla spalla, il che incrementò a dismisura la mia apprensione.

Resistetti all’impulso di corrergli incontro, memore delle osservazioni di Edmund, ma quando finalmente Peter ci raggiunse, non riuscii ad impedirmi di accarezzargli il viso sudato e di scostargli una ciocca di capelli da davanti gli occhi.

“Sto bene, tranquilla” mentì spudoratamente.

Scossi la testa ma non lo contraddii. Peter rivolse l’attenzione a qualcuno dietro di me e io seguii la direzione del suo sguardo.

Con mia sorpresa alle nostre spalle erano comparsi Susan e Caspian. Una lampadina mi si accese in testa e compresi perché Peter poco prima non stava guardando il suo avversario e aveva chiesto una tregua.

“Lucy?” domandò con tono allarmato, chiamando l’unica assente.

“è riuscita a passare” lo rassicurò Susan. “Con un piccolo aiuto” e indicò Caspian con l’estremità del suo arco che stringeva tra le mani, segno che doveva essere da poco uscita da uno scontro, aiutata dal giovane principe.

“Grazie” la voce di Peter era impregnata di gratitudine.

“Bhè, tu eri impegnato” minimizzò Caspian.

“Ascolta” disse poi il re rivolto alla sorella “vai dagli arcieri, in ogni caso non credo che quelli di Telmar manterranno la parola. E vai anche tu, mettiti al sicuro” concluse al mio indirizzo.

Scossi la testa. “No, resto qui finché il duello non è finito. Dopo andrò dove vorrai” mi impuntai.

Peter sospirò ma non tentò di persuadermi, capendo che sarebbe stata fatica sprecata.

“Fa attenzione” Susan gli si avvicinò per abbracciarlo, ma appeno lo cinse, un’esclamazione di dolore fuoriuscì dalle labbra di Peter.

“Scusa”

“Non importa”

Susan corse via mentre il biondo si sedette, lasciando spada e scudo ad Edmund.

“Credo sia slogata” ci informò Peter sfiorando la spalla con la mano.

“Aspetta, ci penso io” mi proposi immediatamente, sentendo già la magia formicolare nelle mie mani.

“No!” si oppose il ragazzo con inaspettata veemenza. Mi bloccai, incredula.

“Possibile che ogni volta che cerco di curarti hai qualche obiezione?” mi infervorai.

Peter addolcì l’espressione. “Scusa, ma farmi curare dalla tua magia sarebbe come imbrogliare”.

Lo squadrai con aria interrogativa. “Perché? Anche Miraz si starà facendo curare” obiettai.

“Certo, ma con i metodi normali che possono solo alleviare il dolore e non farlo sparire. Se tu mi curassi tornerei come nuovo, e questo non sarebbe corretto poiché costituirebbe un vantaggio che non dovrei avere.” Mi spiegò con convinzione.

Sbuffai, incredula a ciò che sentivo. “Oh ti prego! Riesci a mettere da parte il tuo smisurato senso dell’onore per cinque minuti e comportarti in maniera ragionevole? Ti assicuro che al tuo popolo fa più comodo un re con l’onore leggermente intaccato ma vivo, che morto ma senza macchia!” gli feci notare piccata.

“Vorresti veramente farmi scrivere la storia del mio popolo su di un imbroglio? Mi spiace, ma non posso farlo” ribatté imperturbabile dinanzi al mio fervore.

Sospirai sconsolata. “Sei impossibile” borbottai, arrendendomi. Cercare di far andare Peter contro il suo senso del giusto era come chiedere al sole di non tramontare, un battaglia persa.

“Se vincerò, sarà alla mia maniera, Cathy.” Concluse Peter, stringendomi dolcemente la mano.

Capiva il mio desiderio di aiutarlo e non deplorava la mia proposta, ma non sarebbe mai sceso a patti con ciò che riteneva giusto e sbagliato.

Stupido re senza macchia e senza paura. Neanche l’Orlando di Ariosto rispettava così fedelmente l’ideale dell’eroe perfetto.

“Pensi che se Miraz fosse stato al tuo posto si sarebbe comportato come te?” osservai retorica.

Peter mi guardò di sbieco. “Certo che no. Ma io non sono Miraz” sottolineò.

“E poi ci sono io. Non sarò un mago ma qualcosa posso fare.” Si intromise Edmund poggiando una mano sulla spalla dolente del fratello. “Sei pronto?”

Peter annuì, preparandosi psicologicamente a ciò che il moro stava per fare. Edmund tirò il braccio di quest’ultimo con la mano libera.

Si udì un “crack” e Peter soffocò un grido di dolore.

“Meglio?” si informò il giovane re.

“Più o meno”

Peter si rialzò e riprese spada e scudo, roteando lentamente la spalla rimessa a posto.

Dall’altra parte dell’arena, anche Miraz si era alzato. Si stava rivolgendo al suo generale mentre quest’ultimo gli rendeva la sua spada.

“Peter, sorridi”

La richesta di Edmund mi colse di sorpresa. Era del tutto fuori luogo, come poteva chiedere al fratello di sorridere in un momento come quello. Il biondo corrucciò le sopraciglia ma il ragazzo per tutta risposta indicò con il capo i narniani alle nostre spalle.

Mi voltai lentamente. Quello che vidi mi atterrì. Il popolo di Narnia, prima energico e fiducioso, pareva aver abbandonato ogni speranza. I loro visi erano sconsolati, pronti ad arrendersi, certi della sconfitta.

Compresi il perché della frase di Edmund. Il popolo era sfiduciato perché vedeva il suo sovrano in difficoltà. Se Peter avesse sorriso, li avrebbe rassicurato, ridando loro la speranza.

E così il biondo fece. Ostentando un falso ottimismo, puntò la sua lama al cielo, in segno di una vittoria che poteva essere prossima. Il gesto parve funzionare. Le creature esultarono, rincuorate dalla visione del loro re tornato forte, affatto provato dal duello. Solo quando Peter si voltò verso Miraz fece scomparire il sorriso cedendo il passo ad un’espressione seria e concentrata, visibile solo da me, Edmund, Caspian e, purtroppo, Miraz.

Rifiutando l’elmo appena recuperato che il fratello gli porgeva, Peter si avviò di nuovo verso il centro dell’arena.

Un singhiozzo strozzato fuoriuscì dalle mie labbra prima che potessi fermarlo. Mi sentivo impotente a causa della mia impossibilità di aiutarlo e questo aumentava la mia sensazione di aver lasciato il ragazzo da solo ad affrontare uno scontro che avrebbe potuto costargli la vita.

Un braccio mi avvolse le spalle, in un gesto di conforto. Caspian mi si era avvicinato. I suoi lineamenti erano tesi, ma attraverso i suoi due pozzi scuri cercava di trasmettermi speranza e sicurezza.

Il duello non è ancora finito e Peter ha tutte le possibilità di vincere. Mi dissi e continuai a ripetermelo come un mantra quando le due lame avversarie si scontrarono, mettendo ufficialmente fine alla tregua.

Affando, parata, affondo, parata. Poi, Miraz disarmò Peter. Sobbalzai, trattenendo il fiato. Il biondo era rimasto solo con lo scudo, dietro il quale cominciò a ripararsi disperatamente. Uno, due, tre colpi. Al quarto però riuscì a contrattaccare. Mentre Miraz stava per caricare dall’alto, Peter colpì l’avversario al viso con lo scudo. Il telmarino arretrò tramortito, perdendo la spada. Peter incalzò colpendolo di nuovo, ma al secondo attacco Miraz afferrò lo scudo, creando una situazione di stallo. La forza dei due contendendi sembrava equivalersi mentre si impegnavano per sovrastare l’altro, finché il re di Narnia non riuscì a girare lo scudo fino a portarlo alle spalle di Miraz e bloccargli le mani, ancora ancorate al clipeo, dietro la schiena. Ripresi a respirare, purtroppo però subito dopo il sovrano di Telmar si liberò e sferò un pugno al viso di Peter. Il giovane indietreggiò di un passo, ma si riprese in fretta e con un grido di carica cominciò a colpire a suo volta con il guanto ferrato. Presto Miraz si trovò in difficoltà. Inciampò andando all’indietro e cadde. Alzò entrambe le mani per coprirsi il viso, ma mentre tutti noi ci aspettavamo che Peter proseguisse nell’attacco, questi gridò forte “Tregua!”.

“Non è il momento di essere magnanimi Peter!” urlò Edmund, contrariato dalla generosità del fratello.

Fui d’accordo con lui. Come poteva interrompersi? Andava bene essere giusti e onesti, ma rinunciare ad una situazione favorevole fornendo al nemico la possibilità di ucciderti sfiorava l’assurdo. Specie se la posta in gioco era la vita.

Eppure Peter si rialzò e, dando le spalle al sovrano, si diresse verso di noi. Era visibilmente stanco, aveva il fiato pesante e il naso sanguinava. Avrebbe retto difficilmente ad un altro round. Perché aveva dovuto fermarsi quando avrebbe potuto porre fine al duello con la sua vittoria? Ma forse se lo avesse fatto non sarebbe stato Peter, il Magnifico Re che aveva donato al suo popolo trent’anni di pace e prosperità.

Un rumore di sfregamento, il tintinnare metallico di un’armatura. L’azione si svolse fulminea. Miraz raccolse la spada, si alzò e correndo si diresse con la lama alzata alle spalle di Peter.

Urlai di terrore e istintivamente mi strinsi a Caspian, chiudendo gli occhi contro la sua spalla nell’esatto istante in cui Edmund urlò il nome del fratello.

Suoni di colluttazione, un grido di sforzo poi un tonfo, a cui fece eco il mio cuore che sprofondò sotto terra.

Tremai, presa da una paura cieca, incapace di sollevare le palpebre e controllare cosa fosse successo. Se quello che temevo era accaduto, non avevo la forza per guardare, non l’avevo nemmeno per pensare.

“Cosa c’è? È troppo per te togliere la vita ragazzo?”

Una frase pronunciata con tono affaticato. Una frase pronunciata da una voce che sarebbe dovuta risuonare vittoriosa e che avrebbe dovuto lanciare ben altro messaggio.

Con il cuore ancora fermo, non osante riprendere a battere per una falsa speranza, trovai la forza per osservare la scena.

I miei occhi quasi faticarono a mettere a fuoco la scena che gli si presentava davanti. Peter era in piedi, ansante ma in piedi, e soprattutto era vivo. Aveva la spada appoggiata alla spalla, il braccio piegato pronto a sferrare il colpo che avrebbe tolto la vita all’uomo inginocchiato dinanzi a lui. Sbattei le palpebre più volte, incredula. La situazione si era capovolta. Miraz, ormai sconfitto, guardava Peter negli occhi con sguardo di sfida per difendere un orgoglio che non voleva venire meno neanche ad un passo dalla morte. In qualche modo il re di Narnia era riuscito ad evitare l’assalto a tradimento di Miraz, a togliergli la spada e a costringerlo alla resa. Ed ora passata l’ansia, non mi restava che ammirare la figura slanciata di Peter che si ergeva vittorioso nell’arena. Vittorioso ma incerto. Miraz gli aveva lanciato una provocazione che Peter non coglieva. Tentennava stringendo l’elsa della spada sempre più forte, le spalle che si abbassavano e alzavano per gli sforzi compiuti. L’odio lampeggiava nelle iridi azzurre, mostrando una rabbia che veniva a stento tenuta sotto controllo, eppure non sferrava l’attacco.

“Non sta a me togliertela” disse in un ringhio infine.

Si voltò e porse la spada a Caspian. Sentii i muscoli del principe tendersi sorpresi. Il suo sguardo saettò confuso dal biondo a Miraz per tre volte, poi parve prendere coscienza della sua posizione e della richiesta che gli veniva fatta. Tolse il braccio da attorno alle mie spalle e si incamminò verso Peter, il volto serio e più pallido di quello che probabilmente avrebbe voluto che fosse.

Capii l’esitazione di Peter. Il ragazzo si era fermato chiedendosi se era suo il compito di decidere della vita di quell’uomo e aveva pensato che Miraz, pur essendo un suo nemico, era prima di tutto lo zio di Caspian, nonché l’assassino del padre del ragazzo. La decisione spettava quindi al giovane principe. Un principe che con un’inaspettata mano ferma aveva afferrato la spada che Peter gli aveva porto.

Caspian alzò il gomito e tirò indietro il braccio, trascinando la spada in alto con sé nel movimento, facendo scivolare la lama sotto l’altra mano. La punta tagliente e letale dell’arma era puntata contro Miraz come il suo sguardo. Due occhi neri che, a discapito della freddezza che il corpo cercava di mantenere, rivelavano il tumulto che lo dominava internamente. Si scorgeva l’avversione per i crimini che il re di Telmar aveva commesso, la voglia di vendicare i soprusi subiti e la morte del padre, il desiderio di mettere la parola fine a quella battaglia. Ma anche la repulsione per compiere un gesto come un omicidio a sangue freddo. Caspian in quel momento aveva il potere di condannare Miraz, suo zio, a morte, poteva decidere se l’uomo davanti a lui doveva vivere o morire e se avesse optato per la seconda si sarebbe automaticamente eletto a boia. Un gesto la cui sola idea lo ripugnava.

Caspian era un cavaliere, un soldato, e come tale per difendere i suoi ideali, le persone a cui teneva e se stesso, aveva già dovuto macchiarsi del sangue dei suoi nemici, aveva già tolto la vita a persone sconosciute, individui senza volto per lui ma che avevano parenti, sogni, speranze e soprattutto un futuro prima che venissero trapassati dalla spada del principe. Ma quando si uccide in battaglia, quando si è in mezzo alla mischia, quando non si ha il tempo per riflettere sulle proprie azioni perché ogni secondo speso senza attaccare potrebbe portare alla propria morte, non si deve scegliere se dare la vita o la morte alle persone che si affrontano. La scelta in guerra è del tutto diverso. Si è soli con il proprio avversario e l’opzione è “se stessi o lui”. Non si è giudici e boia, ma semplici individui che cercano di sopravvivere in un turbine di spade tra cui la più affilata e la più veloce vince, compiendo azioni dettate più dall’istinto di sopravvivenza che dalla ragione.

“Forse mi sono sbagliato”

Miraz parlò. Un brillio di orgoglio che copriva una muta rassegnazione negli occhi neri, identici a quelli del nipote.

“Forse hai le qualità per regnare dopotutto”.

Vidi la schiena di Caspian irrigidirsi a quel commento che pronunciato dal re ormai sconfitto risuonava simile a un complimento o ad una benedizione, un consenso per prendere la sua corona. Gli occhi del principe si fecero umidi, ma la mano che stringeva l’elsa rimase ferma, resa immobile dall’indecisione che attanagliava l’animo del giovane. Vita o morte?

Miraz non si era fatto scrupoli quando aveva dovuto uccidere il proprio fratello. Per lui non c’era stata alcuna differenza tra l’ammazzare qualcuno in battaglia e l’assassinare il sangue del proprio sangue nel suo letto per sete di potere. Perché allora Caspian avrebbe dovuto aver timore di agire allo stesso modo? Miraz forse non meritava di essere ripagato con la stessa moneta? Essere ucciso dal nipote per la corona e dimostrate così di saper fare tutto ciò che necessario per ottenere il regno.

Caspian urlò e sollevò in alto la spada che brillò sinistra. Poi con un colpò secco e deciso l’abbassò colpendo il suo bersaglio.

Il terreno tra le lastre di marmo sottostanti.

“Non certo le tue”

Il sussurro di Caspian fu appena udibile. Le parole erano uscite a forza tra i denti, parole frustrate e rabbiose come le lacrime che aveva ai bordi degli occhi.

Miraz guardava incredulo il nipote, il respiro ansante per la paura di una condanna che non era giunta.

“Tieniti pure la tua vita, ma io restituisco alla gente di Narnia la sua terra” decretò Caspian vicino al viso del vecchio re.

Il moro con un’ultima occhiata allo zio, si allontanò volgendogli le spalle. Peter gli si avvicinò e gli pose una mano sulla spalla. Non si dissero niente. Non c’era bisogno, tutti noi sapevamo che Caspian aveva fatto la scelta più giusta.

Miraz forse non meritava di essere ripagato con la stessa moneta? Si, lo avrebbe meritato. Era un assassino e un tiranno, un cancro sia per Telmar che per Narnia.

Caspian avrebbe dovuto aver timore di agire allo stesso modo di Miraz? Si, perché anche se il re avesse meritato la morte, nessuno avrebbe avuto il diritto di dargliela con un’esecuzione. Il suo assassinio non avrebbe giovato a Narnia né a nessun altro, erano ben altre le imprese da compiere per aiutare quella terra. Compiere quel crimine avrebbe unicamente macchiato l’animo del giovane e avrebbe fatto scrivere l’inizio di quella che doveva essere una nuova era per Narnia e Telmar sopra altro sangue, un inizio inaccettabile per chi si dichiarava portatore di pace. L’unica cosa che veramente contava era aver vinto il duello.

Abbiamo vinto.

Quel pensiero mi colpì con forza, portando con sé un enorme sollievo. Sorridendo mi avvicinai a Peter, Caspian ed Edmund.

Peter era stremato dal duello e si teneva il braccio slogato, Caspian aveva ancora i lineamenti tesi ma tutti e tre sorridevano sollevati, con in mente il mio stesso pensiero.

“Ora posso guarirti o hai qualche obiezione?” chiesi sarcastica a Peter.

“Sono tutto tuo” rispose porgendomi la parte lesa.

Meno di un minuto, e il braccio tornò come nuovo. “Posso sdebitarmi?” il biondo mi si rivolse malizioso.

Io risi, notando come avessi bisogno di lasciarmi la tensione precedente alle spalle. “Se proprio insisti…” dissi stando al gioco avvicinando il mio viso al suo. Ma prima che le sue labbra potessero posarsi sulle mie che le attendevano ansiose, un grido si sparse per la raduna.

“Narnia ha violato l’accordo! All’attacco!”

Peter, Caspian, Edmund ed io ci voltammo di scatto verso il centro dell’arena. Sentii una sensazione di gelo invadermi quando vidi il corpo privo di vita di Miraz accasciato a terra con una freccia nel fianco, senza dubbio la causa della sua morte. Volsi lo sguardo ai bordi delle rovine e con orrore e paura scorsi Lord Glozelle e un altro Lord preparare le loro truppe per dar battaglia.

“Ma abbiamo vinto! Perché ci attaccano?” balbettai confusa, rifiutando di accettare il precipitare della situazione.

Peter mi afferrò per le spalle e catalizzò tutta la mia attenzione. Il suo sguardo e la sua espressione erano tornati ad essere quelli del sovrano, decisi, seri e pronti a tutto.

“Come pensavamo non avevano alcuna intenzione di rispettare l’accordo. Vogliono il regno e non se ne andranno finché non lo otterranno.”

“Dobbiamo combattere?” chiesi con tono rassegnato.

“Si.” Rispose secco. “Ecco perché tu ora correrai a metterti al riparo vicino a Susan, e attenderai lì il mio segnale, intesi?” mi impose.

Annuii con il capo, gli occhi pieni di apprensione. Avrei voluto ripetergli di fare attenzione, di tornare vivo, di non esporsi inutilmente al pericolo, ma non c’era tempo. Tuttavia, dalla veloce e lieve carezza che mi diede al viso, ebbi la consapevolezza che sapeva già ciò che volevo dirgli, non occorreva che aprissi bocca.

Con un ultimo sospiro, mi separai da lui e cominciai a correre verso l’edificio, cercando di non vedere il mio allontanamento come un abbandono.

Attraversai il salone e salii a perdifiato le scale che conducevano alle camere superiori. In breve sbucai fuori, sul balconcino del secondo piano, dove molte sere addietro Peter ed io ci eravamo abbracciati per la prima volta al chiarore della luna.

“Cate!” la regina, arco e freccia in mano pronti all’uso, mi chiamò a sé.

“Hai visto quello che è successo?” le domandai. Magari dalla sua postazione era riuscita a comprendere meglio il perché di come si erano evoluti gli eventi.

“Si, uno dei Lord si è avvicinato a Miraz con la scusa di aiutarlo ad alzarsi e lo ha infilzato con una freccia a tradimento. Poi ha dichiarato l’attacco facendo ricadere su di noi la colpa del delitto.” Mi mise a parte brevemente.

Scossi la testa con espressione sprezzante. “Vili. Proprio un’azione da loro” sputai con rancore.

“Già, ma oltre che resistere fino all’arrivo di Lucy non possiamo far altro” asserì Susan.

“Ci riusciremo” affermai, cercando di infondere sicurezza a me per prima. Dovevamo riuscirci.

Cercai con gli occhi la figura di Peter. Spada sguainata, accanto ad Edmund aspettava che la carica dei nemici fosse alla distanza giusta per dirmi di mandare il segnale a Caspian, che sotto di noi attendeva impaziente con la sua fanteria, e far scattare la nostra trappola.

Il biondo alzò la lama. Richiamai la magia e una sfera comparve all’istante nel mio palmo. Quando il braccio abbassò l’arma, ordinai alla bolla di luce di materializzarsi davanti a Caspian, rispondendo all’ordine di Peter.

Pochi secondi, e la terra cominciò a tremare. Sotto i miei occhi il terreno sopra il quale la cavalleria di Telmar stava passando si aprì in mille crepe fino a cedere totalmente sotto il peso dei cavalli. Sorrisi soddisfatta. Il piano del principe aveva funzionato egregiamente, il terrapieno era crollato trascinando con sé parte dell’esercito telmarino.

Dalle due aperture sotterranee Caspian uscì seguito dai narniani che subito attaccarono i soldati di Telmar sopravvissuti al crollo e che disperatamente cercavano di aggrapparsi al terreno per ilzarsi su di esso.

Il nostro attacco fu ben organizzato. L’esercito bloccò le vie di fuga laterali dividendosi in due e Peter ed Edmund si unirono alla carica celeri, seguiti dalla fanteria.

L’occhio mi cadde sui soldati telmarini posizionati un paio di centinaia di metri più distanti. Avevano cominciato a marciare accompagnati da cinque catapulte, notai preoccupata. Avevamo praticamente distrutto la loro cavalleria, ma la fanteria di Telmar era il triplo della nostra.

“Susan, laggiù” indicai allarmata.

La ragazza seguì la direzione segnalatele e impallidì, rendendosi conto della vicinanza del pericolo.

“Soldati, puntare” la regina incoccò la sua freccia, imitata immediatamente dai suoi arcieri. “Tirare!” ordinò.

Una pioggia di freccie cadde letale sopra ciò che restava della cavalleria, annientandola del tutto.

Ora tocca a me. Pensai puntando con lo sguardo la catapulta più vicina. Presi un respiro e riscaldai le dita richiamando il flusso magico. Quando lo sentii pulsare potente nelle mie mani, lo lanciai in direzione della macchina da guerra come una fune, creando un collegamento tra l’arnese e me. Quando lo raggiunsi, lo avvolsi interamente con la mia magia, facendola adattare come un guanto alla forma della catapulta. A quel punto serrai forte i pugni, riducendo bruscamente di conseguenza l’estensione del campo di magia avvolgente la macchina. Un forte fragore accompagnò la visione della catapulta che collassava su se stessa. Meno una.

Ma non feci in tempo a rallegrarmene perché la terra tremò di nuovo. Impiegai qualche istante a comprendere che la causa stava nelle pietre scagliate con violenza dalle altre quattro catapulte restanti. Avevano attaccato l’edificio e stavano distruggendo il balconcino sopra il quale ci trovavamo.

Susan gridò “Mettetevi al riparo” e mi apprestai ad ubbidirle, ma all’improvviso sentii la terra mancarmi sotto i piedi. Precipitai nel vuoto seguita dalla regina. Gridai dallo spavento, ma proprio la paura mi fece avvertire la magia scorrere veloce e potente nelle vene. Senza rifletterci la liberai ed essa avvolse sia me che Susan. Ad un metro dal suolo riuscii miracolosamente a frenare la nostra caduta. Adagio, feci atterrare entrambe, sane e, incredibilmente, salve.

Cinque secondi dopo mi sentii stritolare in un abbraccio.

“Diamine Cathrine, mi hai fatto perdere dieci anni di vita! Stai bene? Tu Susan?”

“Se riuscissi a respirare starei bene” risposi cercando di sorridere, nonostante il cuore battesse ancora all’impazzata per il rischio appena superato. E pensare che non ero mai voluta salire sulle montagne russe proprio per evitare emozioni simili…

“Anche io tutto bene” rispose con voce flebile Susan. Un’occhiata al colorito pallido delle sue guancie mi suggerì che lei dovesse pensarla come me sulle “emozioni forti”.

Caspian le si era materializzato al fianco proprio come Peter era apparso al mio, mentre Edmund, meno impetuoso, si limitava a squadrare sia me che la sorella con occhio clinico per accertarsi della nostra salute.

“Possibile che Lucy non sia ancora arrivata da Aslan?” esclamò il biondo frustrato.

“Non è una missione facile. Dobbiamo cercare di darle altro tempo” ragionò Susan.

“è un suicidio continuare a combattere. Ci schiacceranno subito, hai visto quanti sono?” osservo Edmund, pragramatico quanto nefasto.

“Quindi cosa facciamo? Ci ritiriamo?” domandò Caspian.

Peter lo fulminò con lo sguardo. “E dove di grazia? L’apertura della fortezza è crollata e se andassimo nella foresta ci inseguirebbero come il gatto con il topo finchè non ci avessero ammazzati tutti” gli rispose. “Se devo morire, personalmente preferisco farlo affrontando e cercando di battere il nemico. Finché possiamo brandire una spada, abbiamo una possibilità di vittoria.” Dichiarò, fiero e regale come solo lui poteva essere. Nei suoi zaffiri vidi brillare quella sicurezza e quel desiderio di non arrendersi che lo caratterizzava e che tanto amavo.

Gli strinsi forte il braccio e cercai di mostrarmi sicura e pronta almeno un decimo di qaunto lo era lui.

“Ha ragione. Non è ancora finita, Telmar non ha ancora vinto. Combattiamo e prendiamo il tempo che serve a Lucy. Riuscirà a portare a termine il suo compito, ne sono certa” lo appoggiai senza esitare.

Dopo qualche attimo, vidi la determinazione lampeggiare negli occhi dei tre ragazzi, scalzando via le remore che li avevano colpiti.

I ragazzi sguainarono le spade e Susan si preparò ad usare l’arco. Poi però Peter si volse nella mia direzione ed ebbe un tentennamento.

“Edmund, tu resta con Cathrine” decretò.

“Cosa?”

“No!”

Sia io che il giovane re ci ribellammo.

“Peter, è ridicolo, Edmund è uno dei migliori combattenti di Narnia, è mille volte più utile sul campo che accanto a me!” obiettai con grinta.

“Mi spiace Peter ma questa volta non posso obbedire. Il mio popolo ha bisogno di me quanto di te” proseguì Edmund.

“Cosa dovrei fare, lasciarti qui priva di difesa?” Dal suo sguardo capii che aveva compreso le nostre opposizioni ma che non poteva condividerle. Era tormentato, diviso, come spesso capitava quando c’ero io di mezzo, tra il suo dovere e i suoi desideri.

Accennai un sorriso sconsolato. “Priva di difesa? Peter sono un strega! Credi che Jadis avesse bisogno di guardie del corpo? Sono perfettamente in grado di difendermi se dovesse giungere qualcuno, i miei poteri si sono triplicati dall’assedio al forte”.

Peter mi fissò con una muta supplica negli occhi, ma alla fine dovette cedere dinanzi alla decisione mia e del fratello. Dopotutto sapeva anche lui quanto la sua richiesta fosse controproducente e illogica.

“Anche io sono troppo egoista per permettere a qualcuno di uccidermi” aggiunsi a suo solo beneficio, usando le stesse sue parole.

A malincuore, Peter acconsentì con un cenno della testa.

Il sovrano sguainò la spada, che risplendette della luce della speranza, e si rivolse ai suoi fratelli e a Caspian.

“Per Narnia!” urlò e tutti e quattro corsero a combattere il nemico.

Il mio cuore volò con loro. Saperli esposti al pericolo mi angosciava. Avrei voluto seguirli, esserli vicino per aiutarli e proteggerli, ma non riuscivo. Per andare con loro in prima linea avrei dovuto combattere e uccidere altrimenti sarei stata unicamente di intralcio, ma questo andava al di là delle mie possibilità. Non sarei mai stata capace di togliere la vita, neppure per salvare Narnia. Ero molto più utile nelle retrovie, a occuparmi delle catapulte.

Focalizzai la seconda, richiamai i miei poteri e quando fui pronta lasciai correre la magia da me ad essa fino ad avvolgerla interamente. Chiusi le mani a pugno e la catapulta fece presto la stessa fine della precedente.

Ripetei l’operazione per la terza macchina, la penultima, ma finito l’incantesimo sentii un sibillo vicino al fianco sinistro. Mi scansai in tempo per evitare un colpo di spada, con una prontezza di riflessi della quale mi stupii io per prima. I miracoli dell’istinto di sopravvivenza…

Mi voltai per guardare in faccia il soldato che mi aveva attaccata. Alto poco più di me ma piazzato, con un viso aggressivo che non prometteva niente di buono, si preparò per un secondo affondo. All’ultimo riuscii a scansarlo, mossa che fece dipingere un ghigno sul volto del mio aggressore.

“Sei indefesa e sei una donna, pensi sul serio di riuscirmi a sfuggire?” mi provocò.

Assottigliai lo sguardo, infiammandomi a quella frase. “Hai tralasciato una cosa. Prima di tutto io sono una strega”. Caricai il palmo di energia e con rabbia gli lanciai contro una sfera in pieno petto. L’impatto fu talmente forte da mozzargli il respiro. Bastò solo un’altra sfera per tramortirlo. Il soldato, privato della sua sbagliata sicurezza, si accasciò a terra.

Mi permisi di squadrarlo con disprezzo, senza il minimo rimorso. Misogeno e violento, pessimo binomio da trovare in un uomo. Aveva avuto la lezione che si meritava.

Gli voltai le spalle e iniziai ad occuparmi dell’ultima catapulta. La raggiunsi e l’avvolsi come le altre, e infine la annientai, eliminando il pericolo che costituiva.

Sorrisi sollevata di aver eliminato uno dei maggiori pericoli. Mi ero difesa da sola ed ero stata utile all’esercito di Narnia, ero fiera di me stessa.

Facendo scorrere gli occhi su tutta la raduna, cominciai a cercare i Pevensie e Caspian intenti a combattere.

Impiegai del tempo, ma alla fine riuscii a visualizzarli tra la folla di soldati che combattevano. Susan era sulla destra, intenta a scagliare freccie a raffica con precisione o a difendesi usando l’arco come un bastone se necessario.

Caspian poco distante dava prova che la sua abilità con la spada era degna di un principe, ma Edmund, dall’altra parte del campo, non era da meno. Riusciva ad affrontare i nemici due alla volta senza il minimo sforzo, sferzando l’aria con la lama della sua spada in ampi giri donatori di morte per i telmarini.

Infine trovai Peter, poco più avanti rispetto al fratello, che mulinava la spada in una danza aggraziata quanto letale. Per abbattere l’avversario di turno gli bastava un colpo e subito passava ad un altro, senza esitazione, senza riposarsi. Era abile come nessun altro e pareva imbattibile, proprio come un re deve sembrare agli occhi del suo popolo e dei nemici. Eppure non potevo impedirmi di provare apprensione per lui e per gli altri.

Lucy, ti supplico, fai presto.

 

L’intervento di Susan non era servito. Non del tutto almeno. Sua sorella aveva eliminato i cinque soldati che le stavano inseguendo ma purtroppo non erano gli unici telmarini a stare di guardia nel bosco. Lucy se ne era presto accorta dopo qualche metro, quando un rumore di zoccoli aveva rivelato la presenza di un sesto uomo dietro di lei.

La piccola aveva dato un colpo di redini per distanziarlo, ma il soldato era veloce e molto più bravo di lei a cavalcare evitando gli alberi.

Il cuore di Lucy batteva come le ali di un colibrì dall’agitazione. Se l’avesse presa sarebbe stata perduta, dato che non aveva armi con sé, e con lei l’intera Narnia. Non poteva permettersi di essere catturata. Aveva una missione importante da portare a termine, una missione che i suoi fratelli le avevano affidato, non poteva tradire la loro fiducia e le loro aspettative non dimostrandosi all’altezza dei suoi doveri. Ma soprattutto non poteva deludere il suo popolo.

“Fermati!” gridò il soldato.

Lucy aumentò il ritmo della corsa, ma dentro di lei si faceva inesorabilmente strada la consapevolezza che la sua fuga sarebbe durata ancora poco. Dannazione, cosa poteva fare?

Un movimento sospetto verso destra. Volse lo sguardo, temendo l’arrivo di un secondo soldato. Una figura correva tra gli alberi. Faticava ad identificarla a causa della fitta vegetazione, ma non sembrava un abitante di Telmar a cavallo. Sembrava più…

La misteriosa figura si avvicinò e un ruggito potente squarciò l’aria. Destriero si alzò su due zampe terrorizzato, facendo cadere Lucy dal suo dorso. Ma la piccola regina non provò alcun male, troppo impegnata a fissare incredula un grande e maestoso felino fare un balzo, superandola, addosso al soldato che la stava inseguendo, sbranandolo.

Lucy si alzò e si voltò verso il leone. Un sorriso radioso le si dipinse in viso quando riconobbe nel felino, che regale si ergeva sopra un promontorio, colui che stava cercando. Il re Supremo di Narnia, Aslan.

L’agitazione scomparve, come ogni altra preoccupazione. Non si curò nemmeno di chiedersi da dove e come fosse apparso per salvarla. Era riusciva a trovarlo, Aslan era tornato. Narnia era salva.

Senza ulteriore indugio gli corse incontro, le lacrime agli occhi per la felicità.

“Aslan!” gridò. Lo abbracciò di slancio, affondando il viso nella sua folta criniera, facendo cadere entrambi per terra.

“Ho sempre saputo che non ci avevi abbandonati, che saresti tornato!” esclamò gioiosa. “Ma perché non ti sei rivelato? Perché questa volta non sei venuto ruggendo a salvarci?” chiese poi, fissandolo smarrita non comprendendo il suo comportamento, tanto diverso da quello che aveva addottato la prima volta che erano giunti a Narnia.

“Le cose non avvengono mai due volte allo stesso modo” si giustificò il Re, guardando la bimba con indulgenza e dolcezza.

Lucy abbozzò un sorriso a quella filosofica spiegazione. “Ma adesso ci aiuterai vero? Telmar ci ha attaccati ma il nostro esercito non è abbastanza numeroso per fronteggiarlo. Stiamo per perdere, abbiamo bisogno di te” lo supplicò, portando subito alla luce il motivo del suo arrivo lì.

“Ma certo” confermò immediatamente. “Sconfiggeremo Telmar e Narnia riavrà la sua meritata pace” promise solenne. “Sai Lucy, credo che i tuoi amici alberi abbiano dormito a sufficienza” e detto questo, emise un forte ruggito che scosse l’intero bosco, dalle radici più profonde degli alberi alle loro cime più alte. Un ruggito che si disperse presto per tutta Narnia con il chiaro messaggio che il suo sovrano aveva finalmente fatto ritorno.

 

Mi mordicchiai il labbro, presa dall’irrequietezza. Dovevo fare qualcosa, non potevo starmene con le mani in mano o sarei stata divorata dall’angoscia. Ma come potevo rendermi utile? Poi, come un lampo, mi venne in mente. Non volevo uccidere e non lo avrei mai fatto, però avrei potuto tramortire i soldati avversari con semplicità lanciando sfere di energia come avevo fatto con il militare di prima. Una mossa simile avrebbe assottigliato le loro file.

Alzai al cielo i palmi delle mani, coagulai la mia magia al loro interno e feci apparire una decina di sfere di energia.

Colpite solo i telmarini. Ordinai, dopodiché abbassai le mani con forza, portandole all’altezza delle spalle. Le sfere sfrecciarono nell’aria come proiettili. Il tempo di raggiungere il campo di battaglia che dieci soldati caddero a terra tramortiti.

Uno di essi era vicino a Peter, il quale lo vidi volgersi sbigottito nella mia direzione. Gli sorrisi vittoriosa. Il biondo incurvò le labbra all’insù al metà tra il sorpreso e il soddisfatto, prima di riprendere a combattere.

Rialzai le mani in cielo ed evocai altre dieci sfere. Prima però che potessi lanciarle, una voce inaspettata mi colse di sorpresa, facendomi dissolvere le bolle di luce.

Giovane Cathrine, ho bisogno del tuo aiuto.

Conoscevo bene quella voce e sapevo da dove proveniva. L’avevo sentita diverse volte nella mia testa. Era la voce di Aslan.

La sorpresa scemò in felicità. Se Aslan mi aveva contattata sapeva che Narnia era in guerra, forse era lì vicino, ed ero pronta a scommettere che il merito era da attribuirsi interamente a Lucy. Ci era riuscita.

Devo chiederti di unire i tuoi poteri ai miei ancora una volta.

“Come nel boschetto?” lo assecondai avendo fiducia che qualsiasi cosa mi avesse chiesto sarebbe stata utile al paese.

Si. Solo che questa volta risveglieremo Narnia intera.

Il mio cuore fece un balzo. Davvero avremmo risvegliato tutta Narnia? Era realmente possibile un’azione tanto meravigliosa quanto desiderata?

“Non credo di essere sufficientemente forte” obiettai considerando quanta energia aveva richiesto ridar vita solo ad una piccola zona.

Fidati di me Cathrine. Sei molto più potente di quanto immagini.

Mi morsi il labbro, indecisa. Impegnarmi in un incantesimo tanto potente era pericoloso. Lanciai uno sguardo a Peter immerso nella battaglia. Vedere la sua Narnia risplendere come un tempo era ciò che bramava di più. Così come i suoi fratelli e il suo popolo. Potevo io essere di ostacolo alla realizzazione di questo desiderio per scrupolo?

“D’accordo” accettai, cercando di mettere a tacere i miei timori.

Presi un respiro e chiusi gli occhi. Feci scorrere la mia magia lungo le braccia fino alle mani. Richiamai alla memoria le immagini che avevo del boschetto una volta tornato in vita. Mi focalizzai su di esse prima di liberare la magia con una semplice parola celante un importante significato, “risvegliala”.

Ma non avvertii il flusso magico raggiungere subito il terreno, meta alla quale lo avevo destinato, bensì lo sentii andare a confluire con un altro potere, uno molto più potente del mio. Quello di Aslan, un flusso di magia caldo e denso, a differenza del mio, più leggero, che scorreva lento ma inarrestabile.

Sentiii la magia scorrere via dal mio corpo come un fiume in piena per diversi minuti, ma non provai nessun cenno di indebolimento, constatai sorpresa. Possibile che avesse ragione Aslan, che fossi davvero più potente di quanto pensavo? Sapevo di aver fatto notevoli progressi dopo la Cerimonia, ma non pensavo fino a questo punto. L’incantesimo che il felino mi aveva chiesto non era solo complesso, ma richiedeva una quantità spropositata di energie se ad Aslan per primo occorreva il mio aiuto.

Era passata un’altra manciata di minuti quando avvertii la terra tremare per la terza volta in quella giornata. Questa volta però il terremoto mi procurò gioia invece di apprensione perché sapevo quale significato aveva. L’incantesimo stava funzionando, il terreno e le sue piante a poco a poco si stavano risvegliando, rinvigorite dall’energia che io e il loro re gli stavamo mandando.

Ma dopo altri cinque minuti la stanchezza cominciò a farsi sentire. Ero migliorata certo, ma restavo pur sempre una strega in erba, non ero inesauribile né invincibile, e l’incantesimo consumava diverse energie per molto tempo. Le braccia iniziarono a tremare, seguite presto dalle gambe. Strinsi i denti e cercai di farmi forza, stendendo i muscoli degli arti. Il mio respiro aumentò il ritmo e delle goccie di sudore colarono giù dalla fronte. Il tremore aumetò e in breve caddi sulle ginocchia, incapace di sostenermi in piedi. Ciò nonostante però non interruppi il flusso di energia. La vibrazione salì lungo le spalle fino a raggiungere l’intera schiena che prese ad oscillare. Sentivo l’energia scorrere via da me con rapidità, lasciandomi spossata come solo una volta mi era successo, quando avevo curato Peter per la prima volta.

Resisti giovane Cathrine, manca poco.

La voce di Aslan mi infuse la determinazione necessaria per tenere duro. Dovevo riuscirci e ci sarei riuscita, per Peter e per Narnia.

La terra venne scossa con violenza e il rumore del terreno che si apriva accompagnò la fine dell’incantesimo.

È fatta. Sentii il leone affermare soddisfatto.

Il flusso di energia si interruppe. Le mie braccia smisero di tremare e caddero lungo il busto lasciandosi andare come il resto del mio corpo. Mi accasciai sulla schiena, sfinita ma con la consapevolezza di aver fatto tutto ciò che potevo per quella terra che mi aveva dato tanto. Un sorriso beato mi si dipinse in volto mentre cercavo di regolarizzare il respiro. Adesso potevo stare tranquilla. Narnia si era risvegliata e Aslan era tornato, la guerra era senza ombra di dubbio ormai vinta.

Un braccio mi sollevò la nuca mentre una mano mi accarezzò la guancia.

“Cathrine! Cathy apri gli occhi! Cosa è successo?”

Il mio unico desiderio in quel momento era quello di poter dormire, anche lì sul prato mentre la battaglia si concludeva, ma l’apprensione che avvertivo in quella voce mi indusse a sforzarmi di aprire gli occhi e di non abbandonarmi al sonno ristoratore. Sapevo che se non lo avessi fatto, probabilmente il povero Peter sarebbe morto d’ansia prima di constatare che il mio cuore batteva ancora.

Con lentezza riuscii a sbattere le palpebre, focalizzando due occhi azzurri splendidi anche se agitati.

“Sto bene” borbottai abbozzando un sorriso.

I lineamenti contratti del re si rilassarono. Mi sollevò il busto per abbracciarmi e mi sussurrò all’orecchio con tono di rimprovero: “Accidenti Cathy, mi sono girato verso di te e ti ho vista cadere a terra, per oggi puoi smettere di farmi prendere dei colpi?”.

Risi a quell’affermazione esasperata.

“Invece di ridere guardati attorno” mi rimbrottò fintamente offeso.

Allungai uno sguardo oltre la sua spalla ubbidendo e quello che vidi mi fermò il respiro. Gli alberi si stavano allontanando dalla foresta, stavano raggiungendo il campo di battaglia per allontanare gli invasori! Le loro possenti radici entravano dentro il terreno e uscivano diversi metri distanti sbaragliando decine di soldati con un solo colpo. Era strabiliante! Lanciai un’occhiata alla postazione del nemico e non potei evitare di accennare un ghigno quando li scorsi correre via come topi impauriti.

“Narnia si è svegliata per ricacciare i telmarini da dove sono venuti, non è fantastico?” esclamò Peter.

Contemplai il suo viso. Se gli alberi che lottavano erano strabilianti, lui era semplicemente meraviglioso. I suoi zaffiri irradiavano gioia pura mentre il suo sorriso, così aperto e sincero, illuminava più del sole. Se quello era il risultato, avrei ripetuto l’incantesimo altre mille volte se fosse stato necessario.

“Lo so, chi credi che sia stato a riportarli invita?” insinuai tranquilla.

Peter mi scostò per fissarmi in viso stupito e ammirato. “Sei stata tu?”.

Annuii, divertita dalla sua sorpresa. “Insieme ad Aslan. È riuscito a contattarmi, probabilmente dopo che Lucy lo ha trovato, e mi ha chiesto di unire la mia magia alla sua per ridare energia a Narnia” spiegai.

Il giovane mi abbracciò di nuovo, con più forza. “Oh Cathy, non ci sono parole per descriverti quanto ti sia grato e quanto questa terra ti debba.”.

Mi allontanai di poco e gli poggiai due dita sulle labbra per zittirlo. “È anche la mia terra, non dimenticarlo. Una terra che mi ha dato delle origini, degli amici, un luogo da chiamare casa e te. Quello che ho fatto è il minimo” ribattei, fissandolo seria.

Peter mi baciò le mie due dita prima di prendere la mia mano nella sua.

“Allora andiamo a completare il lavoro. Facciamo capire a Telmar una volta per tutte a chi appartiene Narnia”.

Annuii sorridendo decisa. Mi aiutò ad alzarmi e, poiché seppur debole riuscivo a stare in piedi, constatai felice quanto anche la mia capacità di ripresa fosse notevolmente migliorata.

Veloci, corremmo contro i telmarini che cercavano invano di scappare nella foresta, inseguiti da Narnia intera, alberi compresi.

La  ritirata si fermò quando giunsero al fiume. I soldati rimasti avanzarono di qualche passo lungo il ponte, capitanati dall’uomo che riconobbi come l’assassino di Miraz. Anche noi ci bloccammo poco distanti dalla riva, raggiungendo il resto dei soldati con Susan, Edmund e Caspian.

Guardai confusa Peter, non comprendendo il perché della resa dei telmarini. Ma Peter stava guardando oltre il ponte alibito. Seguii la traiettoria dei suoi occhi e focalizzai la fonte del suo stupore. Un sorriso di sollievo e felicità curvò le mie labbra. La piccola Lucy era in piedi dall’altra parte dell’impalcatura in legno, incolume fortunatamente, e vicino a lei, dritto e regale, c’era Aslan.

Il mio cuore batté forte. Dopo averne tanto sentito parlare, dopo aver ascoltato la sua voce guidarmi, dopo aver sperato che riapparisse per salvarci, Aslan era lì, dinanzi a noi. Non era un miraggio, né una breve comparsa. Era veramente lì per noi, per aiutarci. Alla fine, il miracolo dentro il quale riponevamo tutte le nostre speranze, si era avverato. Narnia aveva ritrovato il suo Re Supremo.

Con la folta criniera preda del vento, fissava con sguardo severo i soldati di Telmar, attoniti e spaventati. A rompere la situazione di stallo fu il comandante dei telmarini. Puntò la sua spada in alto e gridò “All’attacco!” spronando il suo cavallo, non sospettando minimamente contro chi stava avendo la presunzione di scontrarsi.

Ma quando attraversarono metà del fiume, Aslan spalancò le fauci, mostrando i denti affilati come lame, per emettere un assordante ruggito. I soldati si bloccarono, terrorizzati dalla potenza e dal senso di pericolo che il felino trasmetteva. Ma non fecero in tempo a battere in ritirata che l’acqua cominciò a scorrere più velocemente, finché un’enorme onda giunse da destra. L’acqua si fermò davanti al ponte e l’onda divenne più grande, cominciando a prendere le sembianze di un gigante busto umano. Con gli occhi pieni di stupore, osservai lo spirito dell’acqua risvegliarsi dal suo sonno secolare e sollevare il ponte con sopra i soldati. Gli bastò un solo movimento, una minima dimostrazione di forza, per spazzare via le travi di legno che avevano osato tentare di contrallare e domare il suo corso d’acqua e punire i suoi costruttori.

La maggior parte dei telmarini fu sommersa dall’acqua. Quando riemersero avevano perso sia le armi che la forza per combattere. L’unica possibilità che gli restava era la resa.

spiaggia

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Capitolo 22
*** 21_Il ballo della felicità illusoria ***


cappy21 Ma salveeee!!!!! Tataratatà: sono finalmente arrivata a pubblicare questo cappy anche se ormai cominciavo a disperare. L'avrò riletto mille volte, nn ero mai convinta che andasse bene, ma alla fine ho deciso che era meglio rimettermi al vostro giudizio e sperare di aver fatto del mio meglio :-) Dunque, ormai siamo quasi giunti alla fine, manca solo un capitolo + il prologo e qst ficcy sarà finita. Mi viene tanta tristezza se ci penso, è un anno e mezzo che lavoro a questa storia (lo so, me ne rendo conto, sono di una lentezza infinita a scrivere, ma ormai ve ne sarete accorti da soli, sorry!), ma il congedo per ora ve lo risparmio, ve lo conservo per l'utlimo capitolo (ma anche no, direte voi, e avete tutte le ragioni, ma sono sentimentale quindi qualche parola nel mio piccolo angolo dell'autrice purtroppo mi sa che la dovrete subite!). Parlando di cosa più allegre e attuali, abbiamo lasciato i nostri beniamini usciti vittoriosi dallo scontro con Telmar grazie all'intervento di Aslan ed esattamente da lì comincia questo nuovo capitolo. Lo scorso brillava molto poco per originalità dato che riprendeva da vicino gli avvenimenti del film, con questo però sono felice di dire che, a parte la primissima parte, tornano le novità e i colpi di scena. Le ultime domande verranno a galla con le rispettive risposte e spero sarete soddisfatti. è uno dei capitoli alla quale tengo di più proprio per la sua parte delucidativa che ho lasciato appositamente per il finale, spero solo che le sorprese saranno gradite :-) e che mi farete sapere cosa ne pensate^^ Vi lascio alla lettura, un grande bacio!

Ringraziamenti:
 
Freddy Barnes: Ciao bella! Don't worry, sono felice che i cappy 18 e 19 ti siano piaciuti e che tu abbia recensito il 20, grazie :-)! Sono contenta che il cappy abbia avuto successo anche se era poco orginale ;-), con qst però si cambia registro e la farina torna ad essere per la maggior parte del mio sacco (per quanto può esserlo una ficcy ovviamente hhihihi^^). Concordo con te, Susan è proprio fortunata, però personalmente continuo a preferire Peter
, il biondo paladino della giustizia  (immagino che nn si sia minimamente notato dal mondo in cui lo descrivo nella storia, nu nu >.>!). La parte dove Aslan e Cate risvegliano insieme la foresta è nata da un'idea improvvisa, quindi sn felice che sia piaciuta :-), come anche quella di Cathy che si difende dal telmarino (lì era il mio femminismo a scrivere...!). Non hai idea di quanto mi faccia felice sapere che questa fan fiction ti piace tanto, davvero, grazie :-) purtroppo però si avvicina la fine, anche se mi dispiace . Spero solo di riuscire a scrivere un degno finale per i protagonisti :-) Fammi sapere cosa pensi di questo penultimo cappy cara :-) un bacione grande e ancora mille grazie ^^!!!!!

ranyare: Ciao cara! Sono felicissima di leggere la tua recensione e ancora di più nel sapere che gli ultimi due cappy ti sono piaciuti^^! No, non ho letto i libri di Narnia, mi sn fermata ai film, ma nei libri racc qualcosa sul passato della strega :-)? Perchè purtroppo il film la lascia nel mistero! Cmq incredibile ma vero anche il ghiacciolo un po' di calore lo ha provato, ho pensato fosse più giusto che un personaggio dello spessore psicologico di Jadis avesse anche un altro lato, nn solo la facciata della Regina di Ghiaccio sadica, secondo me nn era realistico che si limitasse a fare la parte della super cattiva! Non so come ringraziarti per quello che mi hai scritto, sapere che la mia fan fiction è riuscita a suscitarti quelle emozioni è il più bel complimento che potessi farmi, davvero grazie**! Spero che anche qst cappy riesca a renderti così partecipe! Hai fatto bene a dirmi dell'errore, grazie :-) così posso correggere la svista XD,  (nn che io abbia confuso i nomi perchè durante il film ero più concentrata su Peter e Caspian, no no, sia mai hihihihihi!!) . Non vedo l'ora di sapere la tua opinione su qst  capitolo, specie sulla sua penultima parte :-) grazie ancora e un bacio grade grande!

bex:  Ciau!!! Tranquilla, ti capisco benissimo x gli esami, io sn ancora in quarta liceo ma già qui trovare un po' di tempo libero è un'impresa epica! Però grazie per aver trovato il tempo pe commentare la mia storia :-) e davvero grazie infinite per apprezzarla così tanto!! Nn hai idea di come sia felice nel sapere che sono riuscita a trasmettere delle emozioni, poiché questo secondo me è lo scopo principale di una storia, quindi glasie glasie glasie! Concordo con te sul fatto che Peter sia fantastico, bello, eroico, onesto, intelligente e dolce, cosa può desiderare una donna di più? *ricorda mentalmente a se stessa che il buon re è una finzione letteraria* *si dice che ha ragione* *alza le spalle e decide di continuare ad ammirarlo lo stesso* hihihi, ok a parte il piccolo sclero, sono contenta che anche la battaglia e il risveglio di Narnia siano piaciuti ^^ spero che anche qst cappy ti piaccia, ci sn un bel po' di novità e colpi di scena, nn vedo l'roa di sapere cosa ne pensi! Un bacione e grazie ancora!

Niji_Shoku no Yume: Ciao bella! Dunque: 1) nn sapevo che i titoli dei capitoli piacessero così tanto, anzi delle volte nn so cosa farmi venire in mente, quindi grazie!! 2) si le frasi le ho inventate io, la prima in particolare è tratta dal capitolo 8 "Quello che posso e non posso essere" :-). Sono felice che la metafora di Susan sia piaciuta e ancora di più che sia riuscita a far comprendere i suoi sentimenti, che trovo più difficili da trattare rispetto agli altri a causa del carattere del personaggio, e che sia trasparita l'ansia generale per la battaglia. Quella di trasmettere le emozioni dei personaggi è sempre la parte più complicata  e sapere che ci sn riuscita mi fa davvero felice, grazie!!! Devo ammettere che per un attimo ho pensato di far partecipare Cathy alla battaglia, ma ho scartato quasi subito l'idea. Cate è dopotutto una ragazza dei nostri giorni, nn è un soldato, nn avrebbe nemmeno avuto la capacità e la prontezza per buttarsi nella mischia e poi avrebbe fatto l'effetto da supereroina come dici giustamente tu e non era proprio il caso, però ho pensato che sapendo i suoi amici in pericolo nn se ne sarebbe nemmeno stata con le mani in mano, quindi farla agire a distanza mi è sembrato un giusto compromesso!  Grazie infinite per apprezzare tanto la storia e per tutti i tuoi complimenti, grazie davvero! Spero di leggere presto cosa ne pensi di qst cappy e che ti piaccia! Un bacio grandeee!!!! P.S. Scusa la curiosità ma posso chiederti cosa significa il tuo nuovo nick? Cmq suono davvero bene :-)! E tranquilla nn sei pazza ad ascoltarti la soudtrack mentre leggi, io ho registrato il pezzo della colonna sonora di Pirati dei Caraibi 1 dove prima di partire con la musica c'è Jack che fa "yo-oh beviamoci su!" con la sua voce meravigliosa! hihihi!!!!!

DreamWanderer:  Ciao!!! Non ti preoccupare per il tempo, la mia storia nn scappa :-) e poi le tue recensioni sono sempre così belle e accurate che sarebbe un piacere enorme leggerle anche tra un anno, quindi don't worry! Concordo sia con il fatto che gli spoiler rendono più interessante una storia, anche perchè spesso mettono l'accento su un particolare magari passato in osservato e quindi ci porta a ragionare sui prox capitoli aprendoci mille domande e aumentando la nostra voglia di leggerla, sia sull'avere un contatto con gli autori o/e i lettori, è interessante mettere le opinioni a confronto, avere chiarimenti o avere la possibilità di spiegare il perchè o come una cosa è stata scritta :-)! E con questo e per questo ti ringrazio per la tua ultima recensione e passo a risponderti cap per cap :-):
Recensione per "Apri gli occhi mia stella": La scena dove Cathy finalmente inizia a comprendere che qualcosa nn va è una di quelle che avevo in mente dall'inizio come anche la discesa nelle prigioni :-) ho pensato che il desiderio della ragazza di avere una madre fosse così grande da farle ignorare la realtà finché nn se la fosse palesemente trovata davanti, solo allora avrebbe potuto accettare che Jadis non fosse quella che sperava, anche se è dispiaciuto anche a me per la nostra stellina, alla fine tutto quello che aveva sempre voluto era una famiglia che la amasse, ma purtroppo non era nel suo destino, anche se come hai detto giustamente tu, l'amore di Peter è talmente grande da poter compensare la mancanza :-) Grazie per aver notato il parallelismo tra il cambio di luogo e il cambio di personalità di Jadis, tra la nascosta  aula del castello e il celato carattere malvagio di Jadis, sei l'unica che lo ha fatto :-)! Jadis ovviamente nn si smentisce nel trattamento che riserva ai nostri beniamini, in particolare al suo avversario principale, Peter, che però ho immaginato fiero e d'un pezzo anche in una situazione critica. Dopotutto è Re Peter il Magnifico, nn avrebbe mai dato a Jadis la soddisfazione di vederlo abbassare la testa! L'idea che Cathy andasse a vedere personalmente il misfatto è nata invece all'improvviso, e si è collegata quasi da sola alla prima apparizione di Aslan, visto quasi come una guida spirituale, che invece avevo messo in conto di far apparire in maniera diversa, meno ad affetto, quindi sono contenta di sapere che la scena sia piaciuta! :-)!
Recensione per "La madre e la strega": Sono felice di sapere che Cathy in "missione salvataggio" sia piaciuta, mi è piaciuto molto descriverla forte nel momento del bisogno, nonostante il dolore che provava per colpa di Jadis, senza contare che ora che è una strega riconosciuta può davvero fare la differenza con i suoi poteri! (qui però c'era anche una sfumatura femminista dato che per una volta è la donzella che salva il principe e nn vicerversa. Caspita, sono quasi duemila anni che noi donne ci facciamo salvare mi sembra giusto far vedere che possiamo anche noi all'occorrenza essere capaci di badare a noi stesse e alle persone che amiamo XD!). Anche secondo me sono tenerissimi Peter e Cathy, mi piace l'idea che riescano a ritagliarsi degli spazi per loro anche in mezzo alla bufera, come se traessero forza per affrontare i loro problemi proprio dalla consapevolezza che sono insieme e che si amano :-) (ad avercela una storia d'amore così! XD) Sono contenta che la tensione e i sentimenti di Cathrine siano stati compresi, ho rivisionato quella parte venti volte, nn ero mai convinta di essere riuscit aad esprimere tutte le sfaccettature di quello che prova, quindi grazie per avermi rassicurata! Per il castello che si trasforma alla morte della proprietaria ho voluto attenermi al primo film, quando alla fine si vede il ghiaccio che si scioglie dopo che Aslan ha ucciso Jadis, mi sembrava giusto rispettare questa particolarità (anche se fa molto fiaba disney stile La bella e la Bestia ^^). Sconfitta Jadis-Strega Bianca, mi sembrava doveroso per Cathrine mettere in evidenza anche l'altro aspetto della donna, la Jadis-madre, libera di venire a galla nel cuore della nostra stella ora che nn è più un imminente pericolo, che è poi il fulcro del cappy successivo. Non ero però convinta che venisse apprezzata come scelta, spesso il cattivo vuole essere visto solo come cattivo e basta, non si accetta che possa avere anche un altro lato, quindi sono felice di sapere che invece la decisione è stata appoggiata! Thanks^^!
Recensione per "Gigli e segreti nascosti dal tempo":  era più che giusto che dopo lotte, intrighi, spade e catene finalmente Caspian e Susan trovassero un po' di tempo per stare assieme, liberi da ogni pensiero e felici di essere ancora vivi! Sono felice che la scena sia piaciuta :-) la parte più difficile però è stata farla diversa dalla scena dove Cathy chiede a Peter di restare con lei, non volevo ripetere frasi e atteggiamenti simili, non sarebbe stato corretto dato che i personaggi sono molto diversi tra loro, spero di esserci riuscita! Si, con Susan come regina dubito che anche solo una foglia osasse cadere nella stagione sbagliata, hihi con lei pace e ordine erano assicurati! La riunione è stata la parte più divertente da descrivere, me li immaginavo tutti coordinati e affiatati con Peter come supervisore, anche se purtroppo ciò significava il ritorno delle difficoltà, della serie mai che si possa star tranquilli! I diari rappresentano un'altra lampadina accesa mentre scrivevo l'altro cappy. Volevo che Jadis facesse sentire la sua campana e che Cathy avesse la possibilità di conoscerla interalmente, ma mi sembrava irrealistico far si che fosse la strega a parlare direttamente di se stessa alla figlia, così ho sfruttato un intermediario cartaceo. Questa era la parte di cui temevo di più il giudizio, non sapevo se far vedere Jadis anche come donna capace di amare sarebbe stata apprezzata come idea, avevo paura che molti vedessero irrealistico questo suo lato o poco coerente con i precedenti capitoli, sono sollevata quindi nel sapere che sia stata capita e che sia piaciuta come parte, grazie^^. Si, decisamente a Peter possiamo perdonargli di non essere così propenso al perdono, anche se personalmente a lui potrei perdonare qualsiasi colpa, come si fa a tenere il muso al biondo e giusto re? XD!
Recensione per "La speranza in un miracolo": qst è stato il cappy meno originale della storia, ma dato che la mia fan fiction si inserisce nel film mi sembrava giusto restargli fedele nelle scene che hanno in comune come questa, sono contenta però che sia piaciuto ugualmente e non sia stato visto come una trascrizione pura e semplice delle scene del film ma che le piccole personalizzazioni siano state notate e apprezzate, grazie! L'idea di far aiutare Aslan da Cate è nata principalmente proprio per farla riscattare completamente dall'essersi fidata di Jadis. Cathy ovviamente non ha colpa per aver creduto di avere una madre che la amasse, ma con il suo buon cuore non può fare a meno di sentirsi in parte responsabile per il disastro avvenuto. Si, anche io voglio un Peter!!!!!! Tenero, dolce, cavalleresco, sempre tutto dedito alla sua amata....ahhhhh, ma dove sono???? XD!
Altro che doverti perdonare, non so come ringraziarti per l'attenzione che dedichi alle recensioni che mi lasci, ognuna è un grande regalo che mi fai! Anche se grazie è una piccola parola spero che tu capisca quanto mi facciano felice le tue recensioni!!!!! In più come sempre hai appianato i miei timori su molti punti :-)! Sono curiosa di sapere cosa ne pensi di questo capitolo che torna a distaccarsi dal film e (spero) a sorprendere! In particolare la penultima parte dove ci sono diverse rivelazioni sulle quali spero di leggere presto la tua opinione! Grazie ancora, ti mando un bacio grandissimo cara!!! XD

sweetophelia: ciau!! Sono contenta che il cappy ti sia piaciuto anche se nn brillava per fantasia dato che riprendeva da vicino le scene del film :-) Si effettivamente la capacità dei protagonisti dei film di essere spiritosi in ogni momento è presente in quasi ogni racconto, però personalmente nn mi dispiace, anzi, riesce a rompere la tensione di una scena. Il colmo in qst cose era Buffy che mentre impalava vampiri e uccideva demoni riusciva anche a pensare a non sporcare la maglietta o a rovinarsi il trucco, però sono scene talmente ben inserite che nn mi sn mai dispiaciute XD! Davvero Miraz fa quella fine nel libro? Ahahahah, poveretto, alla faccia della fine gloriosa che dovrebbe fare un sovrano! Però hai ragione, con tutto quello che ha fatto gli sta solo bene! Spero di spaere presto cosa pensi di qst ultimo cappy e che ti piaccia! Grazie mille per la recension, un bacio grande!

SamanthaShadow24: Ciao! Grazie per la recensione, sono contenta che la storia ti piaccia e spero che qst cappy nn ti deluda! Un bacio!

Grazie infinite anche a coloro che hanno aggiunto la fan fiction tra le seguite e/o le preferite e a tutti coloro che solo leggono! Ovviamente chi volesse farmi sapere il suo parere è sempre il ben accetto :-)!
Vi auguro buona lettura
Kisskisses
68Keira68
 

witch


21_Il ballo della felicità illusoria

 

Sentii Peter stringermi la mano. Mi volsi verso di lui ma i suoi zaffiri erano ancora puntati sul felino.

“Andiamo” disse con tono vibrante di impazienza.

Non riuscivo ad immaginare cosa significasse per lui rivedere Aslan, colui che lo aveva trasformato da semplice ragazzo a Re Peter il Magnifico. Se provavo io il desiderio di vederlo, senza che avessi spartito con lui particolari avvenimenti, il ragazzo doveva agognare di incontrarlo.

Lo seguii senza esitazioni mentre si immergeva nel fiume, imitato da Susan, Edmund e Caspian. Per fortuna l’acqua era bassa, tanto che in centro, dove era più profonda, mi arrivava di poco sopra la vita.

Sentivo il battito del mio cuore rimbombarmi nel petto mentre vedevo la maestosa figura del fantomatico re avvicinarsi. Quando giungemmo alla riva opposta, Peter estrasse la spada con un lieve stridore metallico e la piantò davanti a lui nel terreno, inginocchiandosi, come i suoi fratelli e il principe. Timorosa e con le gambe tremanti, mi inchinai anche io, conscia che davanti a me si trovava il felino che con la sua magia regnava su Narnia da tempo immemore, il cui sapere era pari a quello di una divinità come la venerazione con la quale i suoi sudditi parlavano di lui.

“Alzatevi, sovrani di Narnia” ci salutò il Grande Felino, con voce profonda e possente quanto la sua persona.

Peter, Susan e Edmund si alzarono. Caspian ed io invece rimanemmo nella nostra posizione, certi di non essere compresi nel richiamo.

“Tutti i sovrani” sottolineò Aslan.

Non comprendendo corrucciai la fronte. Chi altri intendeva? Poi però mi ricordai di un particolare importante. Miraz era morto, di conseguenza la corona tornava ad essere di Caspian, come sarebbe sempre dovuto essere. Caspian ora era dunque re.

“Non credo di essere pronto” mormorò intimidito il ragazzo.

Lo guardai di sottecchi, sorridendo intenerita. Si addiceva all’indole di Caspian non sentirsi degno di un trono che aveva dimostrato in innumerevoli occasioni di meritare molto più dei precedenti sovrani, non ultima quella di risparmiare Miraz per amore della giustizia.

“Proprio perché dici così so che sei pronto” gli disse Aslan, con benevolenza.

Scorsi Caspian tentennante guardarsi attorno prima di alzarsi, accettando definitivamente quel titolo nuovo che a prima vista gli faceva timore.

“Anche tu, giovane Cathrine” aggiunse poi rivolgendosi a me.

Sobbalzai, colta di sorpresa. Scossi la testa, confusa. “Io non sono una sovrana, sono solo una strega” asserii con voce, purtroppo per me, molto più flebile di quello che avrei voluto. Mi sarebbe piaciuto apparire forte e sicura di me, ma la sua presenza mi intimoriva. Avevo già avuto un incontro con Aslan, oltre a sentire la sua voce guidarmi, ma nel turbine di neve nella cristallizzata Telmar era parso come una figura evanescente, quasi un miraggio. Una visione ben diversa da quella più concreta che mi si presentava dinanzi. Ora potevo avvertire tutta l’aura di magnificenza che emanava. Era quasi schiacciante, ci si sentiva inevitabilmente soppesati, sotto esame. Non avevo idea di come Lucy, come gli altri Pevensie, riuscisse ad essere così a suo agio. Forse era una semplice questione di abitudine.

“Sei la figlia di Jadis. Per diritto hai ereditato il suo regno” mi ricordò.

“No. Ho rinunciato a quel diritto cedendo il regno ai Pevensie” lo informai, trovando finalmente il coraggio di guardarlo negli occhi. Grandi, dorati e verticali, corrispondevano alla descrizione degli occhi dei felini, eppure la profondità che possedevano, la saggezza che nascondevano, la capacità di penetrare il prossimo che emanavano, li faceva essere unici e peculiari.

“Temo tu sia in errore. Da ciò che ho capito i Pevensie si limiteranno ad amministrare il regno, ma ciò non ti toglie il titolo e i tuoi doveri nei suoi confronti. E questo fa di te una regina, appena vorrai essere incoronata.”

Rimasi senza repliche. Lanciai uno sguardo supplichevole a Peter, ma lui si limitò a sorridermi compiaciuto e concordante. Ovvio, fosse stato per lui sarei salita al trono appena tornata dal pallazzo di ghiaccio…

Priva di altre possibilità, trovai il coraggio di alzarmi, accettando silenziosamente un titolo che, a differenza di Caspian, non avrei mai meritato né sentito.

“Bene miei cari amici. Avete vinto una lunga e faticosa battaglia, ora, dopo tante fatiche, potrete finalmente rilassarvi” affermò rivolgendosi a noi tutti. “Prima però resta ancora una cosa da fare.” Il suo sguardo millenario si posò su Caspian, il quale si immobilizzò per il timore reverenziale che nutriva. “Il tuo titolo di re ha bisogno di una cerimonia ufficiale di legittimazione e vorrei svolgerla subito, in modo che quando rientrerai a Telmar potrai farlo da suo sovrano.”

Il moro rimase senza fiato. Chinò il capo balbettando grato: “Sarebbe un onore essere incoronato con la sua benedizione”.

Aslan inclinò a sua volta il muso, annuendo. “Peter, Edmund, sareste così gentili da radunare l’esercito per assistere?” chiese.

“Ma certo”

Immediatamente vidi i due ragazzi adoperarsi per eseguire gli ordini del felino. I soldati di Telmar stavano ancora uscendo dal fiume, mentre i narniani a riva costringevano chi tra loro possedesse ancora armi ad abbandonarle, osteggiando la loro vittoria.

Peter, utilizzando la sua attitudine al comando, impiegò poco tempo ad ottenere l’attenzione dei presenti e ad informarli su cosa stava per succedere. Felice, constatai come sia gli abitanti di Narnia che quelli di Telmar accogliessero con gioia la notizia. Per i narniani significava la possibilità concreta che le promesse fatte da Caspian di restituirgli la loro terra divenissero realtà, mentre per i telmarini voleva dire essere nuovamente governati da un sovrano più propenso ad occuparsi del benessere del suo popolo che non della gloria personale.

In poco tempo si formò un cerchio attorno al Grande Leone. Caspian con passo infermo e sotto sollecitazione di Susan, si pose davanti ad Aslan e si inginocchio con il capo chinato.

Riuscii a scorgere l’emozione sul suo viso, sentimento che veniva condiviso da tutti i presenti, me compresa. Il nuovo re di Telmar stava per essere incoronato e un nuovo regno era alle porte, con speranze di felicità e prosperità.

Peter mi si avvicinò e mi strinse la mano. Volsi lo sguardo verso di lui ed ebbi la gioia di vedere il suo volto sereno.

“La prossima potresti essere tu” mi sussurrò allusivo all’orecchio.

Gli sorrisi scettica. “Non ci contare”.

“Vedremo” sogghignò.

“Popolo di Telmar e di Narnia.” La voce di Aslan riecheggiò possente nello spazio circostante. “Abbiamo combattuto aspramente tra di noi per motivi sbagliati quali vecchi pregiudizi, diffidenza, sete di potere, motivi portati avanti da persone non degne di guidare il prossimo. Ora però il destino ci da la possibilità di renderci conto dei nostri errori e di porvi rimedio. Possiamo deporre le armi e cominciare una nuova era. Farsi ché dei motivi giusti ci uniscano per coabitare insieme e in pace in una grande terra, motivi come l’amore, la tolleranza, il rispetto reciproco e l’amicizia che può esistere anche tra razze così diverse esteriormente ma accumunate da interessi e sentimenti identici.”

Le parole del sovrano rimbombarono nel petto e dagli sguardi attenti e coivolti dei presenti seppi che non ero la sola ad essere rimasta colpita dal quel discorso e dalla sua schiacciante verità. Era vero, la diffidenza verso ciò che non si conosce era stata facilmente utilizzata come stimolo per condurre una guerra la cui sola vera giustificazione era il desiderio di governare di pochi individui, ma adesso si poteva cambiare. Narnia e Telmar potevano imparare a conoscersi e a convivere, ad apprezzarsi a vicenda.

“Una nuova era che comincerà dall’incoronazione di questo ragazzo, giovane ma con il cuore e l’animo pronti per farsi carico di un impegno così grande, guidare questa città verso la pace.” Proseguì focalizzandosi sullo scopo principale di quella riunione.

Aslan si fermò e soppesò con uno sguardo serio Caspian ad un metro di distanza prima di emettere un fragoroso ruggito che colse di sorpresa ogni uomo o creatura. In quell’istante una corona scintillante apparve a mezz’aria, circondata da un leggero bagliore dorato. Circolare come si conviene, sul bordo superiore si alternavano delle croci stilizzate con rubini incastonati nel loro centro. La corona volteggiò sopra il capo di Caspian tra il silenzio rapito degli astanti, fino a poggiarsi sul suo capo scuro. Solo a quel punto il ragazzo, ora ufficialmente re di Telmar, alzò lo sguardo, uno sguardo dalla quale era scomparsa l’agitazione di poco prima per far spazio ad una nuova consapevolezza, ad una nuova forza.

“Alzati, Re Caspian X, sovrano di Telmar” lo nominò Aslan.

Caspian si alzò, il mento alto, le spalle dritte, emanante un’autorevolezza che non gli avevo mai visto prima addosso, una fermezza che ero solita associare a Peter, del tutto nuova sul solitamente timido e riservato Caspian. Un sicurezza che sembrava discendere direttamente dal peso e dal significato della corona postagli sul capo.

Un applauso fragoroso, sentito, spontaneo, non tardò a nascere insieme ad ovazioni e auguri di un regno felice. Sentii le lacrime agli occhi per la commozione mentre mi rendevo conto che il principe che non riusciva nemmeno a confessare il proprio amore a Susan non c’era più, sostituito da un re che era stato accolto con giubilio dal suo popolo. Caspian era maturato e si apprestava ad iniziare il suo destino da re forte e magnanimo.

Susan gli corse vicino e lo abbracciò di slancio, il viso illuminato dalla felicità. Non riuscivo a sentire ciò che si stavano dicendo a causa della distanza e del frastuono dei festeggiamenti, ma potevo ben immaginare le lodi e i complimenti che la regina stava rivolgendo al giovane.

“È finita” la voce di Peter condusse la mia attenzione su di lui.

Mi accarezzò la guancia, contemplando il mio volto. “È finita” ripeté. Il tono non era gioioso, ebbro di felicità, affaticato o incredulo, ma d’immenso sollievo. Sollievo per essere riuscito ad assolvere il suo compito, a salvare Narnia e i suoi cari. Ce l’aveva fatta.

È finita. Ribadii a me stessa.

Era vero, era davvero finita. La guerra, la paura, l’ansia, l’incertezza, le perdite. Era tutto cessato, appartenente al passato. Mi resi conto in quel momento che non avevo ancora assimilato il concetto. Era accaduto tutto così in fretta che non ne avevo avuto tempo. Ma ora la consapevolezza di ciò si fece strada lentamente in me, procurandomi un grande e vivo calore al petto.

È finita. Non avrei più dovuto temere per le sorti di Narnia, temere di vederla ridotta in cenere da Telmar. Non avrei più dovuto vedere Susan, Edmund, Lucy e Caspian partire per qualche pericolosa missione. Non avrei più dovuto salutare Peter all’inizio di un combattimento con la schiacciante paura di non rivederlo in vita.

Un sorriso si allargò sul mio volto, mentre gli occhi si illuminarono di quella presa di coscienza.

“è finita” dissi ad alta voce.

Ci guardammo. Nei suoi zaffiri vidi riflessi i miei stessi sentimenti, il mio stesso desiderio di lasciarsi ogni cosa alle spalle e di guardare solo avanti.

Piano piano iniziammo entrambi a ridere, prima sommessamente poi sempre più fragorosamente. Era finita e noi avevamo vinto. Era la realizzazione di ogni nostra speranza.

Peter mi afferrò per la vita e mi fece volteggiare in aria continuando a ridere finché le nostre labbra non si incontrarono per condividere in modo intimo e unicamente nostro quel momento che avrebbe dato una svolta alle nostre esistenze.

Quando ci separammo, mi sentii abbracciare da più persone. Edmund e Lucy ci avevano raggiunti, nelle loro espressioni la nostra stessa felicità. Presto si unirono anche Caspian e Susan e tutti insieme ci stringemmo in un abbraccio, senza riuscire a frenare quel riso che costituiva lo sfogo di giorni di ansia e di paura. Abbandonarsi alla gaiezza era l’unico modo per liberarsi dai vari timori di cui eravamo stati preda, cedere al momento di catarsi l’unica porta da attraversare per avviarci verso la via del futuro.

 

*

 

“Ahi!” mi lamentai inclinando il capo.

“Vuoi stare ferma?”

Lucy mi sgridò, procurandosi un’occhiataccia da parte mia attraverso lo specchio davanti al quale ero seduta.

“Se tu evitassi di ridurmi la testa a un colabrodo io starei ferma.” mi difesi.

La piccola sbuffò. “Chi bella vuole apparire un po’ deve soffrire” mi rispose saccente, continuando ad infilare forcine tra i miei capelli con sadica nonchalance.

Feci una smorfia di disappunto. Una smorfia probabilmente molto divertente perché la regina scoppiò a ridere.

“Ecco brava, io sono qui che soffro e tu ridi alle mie spese” l’accusai, simulando un tono lagnoso.

“Ma sai che per essere una potente strega ti lamenti più di un bambino?” mi prese in giro. “Comunque la tortura è terminata.” Aggiunse mettendo quella che speravo essere l’ultima infida forcina. “Sei pronta”.

Analizzai il risultato alla grande superficie riflettente. Dovetti ammettere che Lucy, nonostante mi avesse procurato un tremendo male alla testa, aveva fatto un capolavoro. Mi sentii in colpa per aver avuto remore nell’accettare il suo aiuto quando si era proposta di acconciarmi i capelli per la festa di quella sera. Nel campo dell’estetica la ragazzina sapeva il fatto suo. Aveva raccolto i miei ricci in un’elegante crocchia, lasciando però libero qualche boccolo di ricadere sulle spalle lasciate scoperte dal vestito. Il mio ciuffo era poi stato tirato fino a diventare liscio e assicurato al lato sinistro da una pinzetta. Come tocco finale Lucy aveva poi inserito delle forcine con perline verdi ad un’estremità, una decorazione fine e unica, anche se un poco dolorosa.

“Ti piace?”

Mi volsi verso di lei regalandole un sorriso raggiante. “Non sai quanto, grazie infinite” e le diedi un bacio sulla guancia.

Tornai a contemplarmi nello specchio. Stavo dando prova di un’immensa vanità, me ne rendevo conto, ma quella pettinatura era talmente bella che non potevo esimermi dall’ammirarla. Così agghindata mi ricordavo le damigelle dei film in costume, immagine alla quale contribuiva il vestito. Da un corpetto a cuore verde speranza, sopra il quale erano ricamate delle rose stilizzate, partivano due fini spalline d’argento che cadevano morbide sotto le spalle, lasciando quest’ultime scoperte. Ad esse erano cucite due maniche lasciate aperte in velo verzino chiaro lunghe oltre la vita, evidenziata da una cintura anch’essa argentata sotto la quale si apriva una gonna morbida in seta leggera non molto ampia.

“Questo intendi metterlo?”

Lucy richiamò la mia attenzione porgendomi un medaglione dorato con incisa una “J”. Presi tra le mani l’oggetto e lo fissai indecisa, poi con un sospiro lo appoggiai sul tavolino.

“Questa sera no”. Non sarebbe stato corretto indossare il simbolo della Strega Bianca alla festa per la vittoria di Narnia e il ritorno di Aslan. Lucy si limitò ad annuire ma non aggiunse altro e gliene fui grata.

Anche la piccola regina sembrava uscita da un libro di fiabe per quella serata. Si era arricciata i capelli e aveva posto un nastrino dorato sul capo per fissarli. Colore che veniva ripreso in molti particolari del vestito come le maniche a sbuffo e la cintura e che si sposava alla perfezione con il rosso predominante della stoffa in velluto dalla quale era composta la gonna ampia e il bustino morbido con scollo a barca.

“Credo siamo pronte per degnare il mondo della nostra presenza” proposi con falsa vanità.

“Concordo” mi assecondò la ragazza adottando il mio stesso tono.

Lasciammo la camera che Caspian aveva gentilmente messo a disposizione mia e di Peter, una delle tante che il castello di Telmar contava. Il nuove re si era assicurato di persona che fossimo tutti sistemati nelle stanze della zona patronale, e benché fossero lontane dall’idea di sfarzo che i film sul Medio Evo avevano creato nella mia mente, erano confortevoli e arredate con elegante sobrietà. Quella assegnata al biondo e a me comprendeva un letto matrimoniale sormontato da un baldacchino dalla quale pendeva un drappo blu scuro lungo fino al tappeto di una tonalità più chiara. Attaccati alla parete, alla sinistra del letto, c’erano due armadi di media grandezza, mentre in quella di destra, oltre a contenere la porta posta in corrispondenza della testata del baldacchino, si trovava un tavolino da toiletta. Il tutto illuminato da un ampia porta-finestra ad arco che dava su un piccolo balconcino rettangolare.

La regina minore ed io scendemmo al piano di sotto e percorremmo il corridoio illuminato da torcie e candelabbri fino ad arrivare alle porte del salone, sorvegliato da due guardie che si affrettarono a consentirci l’accesso.

Quando le porte si aprirono, restai senza parole. A discapito dello spoglio corridoio e dell’austerità della sala del trono, quella sera il salone brillava di luce propria. Una scalinata coperta da un tappeto rosso immetteva in una sala ampia e rettangolare, che a sua vola permetteva l’accesso ad un terrazzo dalla parte destra. Lungo il perimetro erano stati disposti tavoli allestiti con ricche portate in abbondante quantità, tanto che ero sicura che avremmo potuto sfamare l’intera città per una settimana intera. Il centro della sala invece era adibito alle danze accompagnate da un’orchestra posta alla sinistra della fine della scalinata. Ma ciò che più mi riempì il cuore di gioia e meraviglia, fu vedere che gli invitati erano sia creature di Narnia che telmarini e che stavano festeggiando assieme in allegria. Brindavano alla pace, si passavano le portate con spensieratezza e ballavano tra le risa, in un turbinio di vestiti di seta colorata e zoccoli.

In quel momento ebbi la prova tangibile che la prosperità tanto propugnata fosse davvero alle porte. Se la tolleranza e l’amicizia si fossero instaurate nei cuori dei sudditi di Telmar e Narnia, allora la pace era davvero realizzabile in quella grande terra.

Sorridendo raggiante scesi gli scalini con Lucy individuando tra la folla Edmund e Caspian che ci vennero incontro. I due sovrani erano impeccabili nei loro vestiti da festa. Il re di Telmar aveva una casacca verde acqua con un motivo di una tonalità più chiara, in contrasto con gli occhi e i capelli scuri. Il giovane Pevensie indossava invece una casacca grigia smanicata con sotto una camicia nera. E finalmente, per una volta alla loro cintura non scorgevo alcuna spada.

Caspian, facendo sfoggio della cavalleria medioevale, mi porse la mano per aiutarmi a scendere gli ultimi tre scalini.

“Siete splendide ragazze” si complimentò Edmund.

“Grazie, ma anche voi vi difendete bene. Già qualche cuore infranto tra le invitate?” gli rispose Lucy ridendo maliziosa.

Mi unii a lei distrattamente facendo scorrere lo sguardo tra la folla. C’erano giovani ragazze, centauri, eleganti lord e fieri minotauri, ma mancavano…

“Peter e Susan?” domandai delusa dalla loro assenza.

“Sono con Aslan. Voleva parlargli prima della festa” mi informò Caspian.

“Ma credo che tra poco si uniranno a noi” rassicurò Edmund. Corrucciai la fronte impensierita. Cosa doveva dirgli il felino di così importante?

“Nel frattempo” aggiunse il neo-re ricatturando la mia attenzione. “Potete concedermi l’onore di questo ballo?”.

Le nuvole appena condensatesi sul mio umore si sciolsero dall’eccitazione per la proposta. Era la prima volta che ballavo ad un ricevimento simile e da brava ragazza del duemila cresciuta con la fiaba di Cenerentola, sognavo da tutta una vita di volteggiare con un abito lungo fino ai piedi in una sala illuminata da candele. Avevo persino supplicato Lucy di tenermi un corso accelerato nel pomeriggio sulle danze tradizionali per prepararmi all’augurata evenienza.

“Più che volentieri” risposi con un lieve inchino.

Caspian mi condusse al centro della sala mentre cominciava una nuova ballata. Dalla disposizione dei ballerini riconobbi di quale danza si trattasse, la Danza dei Fiori, e mi affrettai a dispormi nella fila delle ragazze, opposta a quella dei ragazzi. Alla prima nota di mandolino, le dame si inchinarono. Toccò poi ai signori, ma subito il ritmo della ballata si fece più allegro e appena allo strumento si aggiunsero altri due mandolini, un piano e una fisarmonica, le file si spezzarono per formare gruppi da tre ragazze con i rispettivi cavalieri. Ci prendemmo per mano e cominciammo a girare in tondo formando un cerchio, finché il ritmo non raggiunse il culmine, invitandoci a fare tre salti verso destra, poi tre verso sinistra e ancora tre verso destra. Quando il suono rallentò un poco, i gruppi si divisero e i presenti si sistemarono a coppie di due, ogni ragazzo con la sua dama. Caspian mi prese una mano e appoggiò l’altra sulla mia vita, iniziando a condurmi tra i ballerini, saltando di lato e cambiando direzione ogni tre salti. Era un’eccellente cavaliere, portava onore all’educazione da principe che aveva certamente ricevuto. Io invece cercavo di stare al passo, quella danza fortunatamente era semplice da eseguire, bastava lasciarsi trasportare dal ritmo. Un ritmo incalzante, così allegro che era impossibile non restarne contaggiati, tanto che la mia espressione, come anche quella del giovane sovrano, era raggiante. Gli occhi mi brillavano, e nonostante iniziassi ad avere il fiatone non avrei mai smesso di danzare. Ogni riflessione si confondeva con le note che leggere e liete si libravano nell’aria a smuovere risa che saturavano la sala di buon umore. Ogni preoccupazione si perdeva nel frusciare di vesti scintillanti e non c’era posto per i pensieri se non per quello sul passo successivo.

Quando la musico rallentò fino a fermarsi dovetti aggrapparmi al braccio di Caspian per riprendere fiato. Caspita, altro che pesi e flessioni, ero più che convinta che due ore a settimana di danze medioevali avrebbero fatto più miracoli delle palestre londinesi!

“Vi dispiace se vi rubo il cavaliere, madame?”

Una voce allegra precedette la radiosa figura di Susan alle spalle del re di Telmar.

“Affatto. È tutto vostro” risposi. Non potei evitare di ammirarla. Fasciata in un vestito di seta azzurra con ricami dorati, metteva in mostra il suo fisico snello e sinuoso in modo elegante e ammaliante al contempo. Le maniche lunghe erano arricciate in tre punti, particolare che impreziosiva il vestito, mentre sulle spalle, scoperte in parte dalla scollatura a barca, ricadevano soffici i boccoli castani sciolti. Ma il dettaglio più bello era il dolce sorriso che rivolse a Caspian, sorriso che creava tenere fossette ai lati della bocca…ma che non si spandeva agli occhi, constatai confusa. Sembravano adombrati per qualche motivo, anche se nessuna spiegazione logica mi si affacciava nella mente per giustificare ciò.

Lanciai un’occhiata al giovane moro. Le mie labbra si curvarono all’insù osservando l’espressione rapita di Caspian. Fissava Susan a bocca aperta, come se fosse un’apparizione, una dea giunta per miracolo da lui. Ne era letteralmente stregato. O meglio, ne era innamorato.

Senza aggiungere altro, mi allontanai silenziosamente, lasciandoli la loro giusta intimità, pensando che se davvero Susan aveva qualche problema era compito di Caspian occuparsene. E sperando che si accorgessero che erano al centro della pista da ballo prima che iniziasse un’altra danza…

Ma riuscii a percorrere solo pochi mentri prima che un braccio mi circondasse una vita e delle parole mi venissero sussurrate nell’orecchio.

“Il mio cuore aveva mai amato?” il soffio del suo respiro mi procurò un brivido lungo il collo mentre riconoscevo la voce tanto attesa. “Occhi rinnegatelo, perché non ha mai conosciuto la vera bellezza fino ad ora”.

Mi girai nel suo abbraccio per ritrovarmi vicino alle sue labbra.

“È il vostro modo per dirmi che sono carina, messer Romeo?”

Sul suo volto apparve un sorriso accattivante che mi fece perdere un battito. “Carina?” ripeté fingendosi alibito. “Credo che molto più che splendida sia ciò che Shakespeare intendesse, mia Lady” mi contraddisse.

Appesa finalmente la spada al chiodo, con addosso una casacca blu notte aperta sul davanti a lasciar vedere la camicia bianca decisamente troppo aderente al petto per la mia precaria lucidità, Peter mi apparve come il più bel Romeo che mai film e libri avrebbero potuto mostrare.

Gli scostai con una carezza il ciuffo biondo che gli nascondeva parzialmente le iridi zaffiro e solo allora mi accorsi che a discapito del suo sorriso, qualcosa non andava. Un’ombra offuscava i suoi occhi, specchio di pensieri che evidentemente lo preoccupavano.

“C’è qualche problema?” indagai corrucciando la fronte.

La domanda lo colse di sorpresa ma parve riprendersi subito simulando un’aria sbarazzina. “E me lo chiedi? La musica suona da un’ora e noi non abbiamo ancora danzato assieme.” Si lamentò fingendosi offeso.

Scrutai il suo viso in cerca di qualche segnale che mi svelasse se i miei sospetti fossero fondati o meno, ma a parte quell’ombra che mi pareva di vedere nel suo sguardo non c’era nient’altro. Che stessi diventando paranoica?

“Vogliamo rimediare?” proposi accantonando i miei timori.

“Ovviamente”

Mi prese per mano e mi condusse sulla pista da ballo che una nuova canzone stava per cominciare. Il primo pezzo era suonato al piano, inizio che preannunciava quella che Lucy mi aveva informata essere la Ballata della Primavera. Era più lenta e complicata di quella che avevo eseguito con Caspian poiché comprendeva un maggior numero di passi. Sperai di riuscire a ricordarmeli tutti ed evitare figuracce pubbliche.

Come la danza precedente, si crearono due file parallele di ragazzi e ragazze. Quando un violino si aggiunse al piano, tutti facemmo un passo verso il nostro accompagnatore o accompagnatrice. Un passo lento, quasi strascicato, con le braccia lungo il fianco e lo sguardo fermo sul viso dell’altro. Alla seconda nota di violino, avanzammo di un altro passo, trovandoci uno dinanzi all’altro, per poi superare il nostro compagno senza interrompere però il contatto visivo. Alla fine della quarta nota ci ritrovammo nuovamente separati in file, occupando però posti opposti rispetto i precedenti. La musica proseguì e noi ripetemmo i passi di prima, ma quando giungemmo di nuovo l’uno accanto all’altro, invece di superarci, prendemmo a girare intorno sfiorandoci le mani alzate al livello del petto. Scorsi gli occhi di Peter ardere di bramosia ad un’intensità tale da procurarmi un brivido lungo la schiena. Ma non era semplice desiderio. L’ombra scorta prima pareva cresciuta a dismisura rendendo il suo sguardo tormentato, come quello di un bambino che vuole ardentemente una cosa ma sa di non poterla avere. Ma cosa poteva turbare così tanto Peter? Se era me che desiderava come mi gridavano i suoi zaffiri, perché provava quel tormento? Dopo tutte le volte che glielo avevo detto sapeva perfettamente che ero sua, che lo amavo. Che non mi avrebbe mai persa.

Il movimento cambiò. I cavalieri presero una mano della loro dama, la portarono brevemente alle labbra per baciarla e poi la sollevarono sopra le loro teste, consentendo alla ragazza di girargli attorno insieme alle loro gonne esageratamente larghe. Dopo due giri completi, il re pose le sue mani sui miei fianchi facendo aderire la mia schiena al suo petto per un breve istante prima di sollevarmi in aria e appoggiarmi alla sua destra. Mi fece voltare, mi passò un braccio attorno alla vita e diede il via alla parte della danza a me più familiare, quella simile ad un classico ma intramontabile lento.

Come Caspian, era un ottimo ballerino, probabilmente reso esperto dai numerosi rivecimenti e balli dati sotto il suo regno milletrecento anni prima. Mi conduceva con scioltezza lungo la pista da ballo, facendomi sentire così leggera che mi sembrava di volteggiare su di una nuvola mentre il mio cuore si sarebbe librato ancora più in alto se …non ci fosse stato quell’infausta scurità nei suoi occhi ad impensierirmi. Una giravolta mi fece scorgere Susan accanto al suo re poco distante e d’un tratto ricordai un dettaglio importante. Avevo visto negli occhi castani della regina lo stesso tormento che albergava in quelli di Peter.

Il ragazzo mi strinse più forte a sé e mi ritrovai a fissarlo nuovamente in viso, un viso sempre più buio. Ma cosa poteva preoccuparlo tanto? Cosa poteva essere successo durante quel pomeriggio ad entrambi?

La discussione con Aslan.

La risposta mi giunse limpida. Sia il re che la regina avevano avuto una discussione con il Felino prima del ballo e nessuno sapeva cosa li aveva detto. Ma a giudicare dalle loro espressioni non erano buone notizie. Decisi di prendere il toro per le corna.

“Peter, ciò che Aslan ti ha detto ti ha per caso turbato?” domandai a bruciapelo.

Il volto del giovane si fece di pietra. “Aslan…ha voluto solo farci presente che non tutto è stato risolto. C’è ancora una decisione da prendere.” Rispose vago.

Mi lasciai sfuggire un sospiro di sollievo. Mi ero aspettata nuovi nemici all’orizzonte o altre catastrofi imminenti, invece la situazione sembrava più rosa del previsto. “Ed è questa decisione che ti angustia?” lo incalzai, meno impensierita.

Peter annuì grave. “Sai che se vuoi con me puoi parlare di tutto. Magari posso aiutarti a far chiarezza” mi proposi immediatamente.

Il re mi regalò un’espressione intenerita e fece scivolare la mano dalla mia vita alla  mia guancia per accarezzarla.

“Oh Cathy, non hai idea di quello che Aslan…” purtroppo però non riuscì a concludere la frase. La musica era appena terminata quando un piccolo turbine pimpante piombò in mezzo a noi.

“Fratellone, mi devi un ballo da tredici secoli, ricordi?”

Lucy reclamò con voce trillante l’attenzione di Peter. Scoppiai a ridere nel vedere l’espressione confusa del re biondo, confusione che la bimba non tardò a dissipare.

“Era previsto un ricevimento la sera in cui ce ne siamo andati, e tu prima di partire per la caccia mi avevi promesso che avresti danzato con me!” gli ricordò.

Un lampo di comprensione passò sul viso del bel giovane.

“Ma certo, e io mantengo sempre le mie promesse” ribadì Peter tendendo la mano alla sorella minore. “Ti spiace Cathy?” chiese poi a me con uno sguardo di scuse.

“Sono certa che sopravviverà dieci minuti senza il suo cavaliere” lo rassicurò ironica Lucy al posto mio, suscitando altre risa da parte mia.

“Divertitevi” gli augurai allietata dalla scena che mi si presentava davanti: la piccola regina che letteralmente trascinava il fratello grande il doppio di lei in mezzo alla pista da ballo. Avremmo ripreso la discussione in un altro momento.

Uscendo dalla pista, lanciai un’occhiata tra gli invitati alla ricerca di Caspian, Susan ed Edmund. I primi due si accingevano a danzare mentre il terzo stava parlando con due ragazzi dall’altra parte della sala. In altre parole, erano impegnati.

Pazienza, mi dissi. Mi sarei intrattenuta da sola. Lo sguardo mi cadde sulla terrazza deserta, in particolare su di una panchina vuota particolarmente invitante. Mi diressi verso quella promessa di comodità, facendo lo slagon tra gli invitati che si frapponevano tra me e la mia meta. Presto mi lasciai alle spalle il suono di un’allegra ballata e del chiacchiericcio vivace, sostituendoli con la quiete notturna che faceva da sottofondo allo splendido panorama della luna circondata dalle sue stelle simili a fedeli ancelle, come direbbe Shakespeare.

Mi strinsi nelle spalle per ripararmi dalla brezza serale e mi misi ad ammirare il manto stellato. Come avevo già avuto modo di osservare, le costellazioni erano diverse da quelle a cui ero abituata. Gli unici due elementi celesti a me familiari erano il sole e la luna, presenti per qualche inspiegabile motivo anche in quella dimensione parallela, ma la disposizione delle stelle era totalmente differente. Sarebbe stato bello però imparare come loro dividevano il firmamento, se avevano uno zodiaco e quale mitologia si celasse dietro ogni costellazione. Chissà quali leggende su coraggiosi centauri e testardi minotauri, innamorate sirene e dolci ninfe, raccontava il loro cielo.

“Un spettacolo, vero?”

Sobbalzai presa alla sprovvista nell’udire una voce calda e profonda al mio fianco. Aslan si era avvicinato alla mia destra senza che me ne accorgessi. Mi sentii improvvisamente tesa, come sempre quando ero al suo cospetto, ma fortunatamente ero molto meno agitata rispetto alla prima volta che lo avevo visto. Il mio cuore non aveva accelerato il battito e mi sentivo perfettamente padrona di me stessa.

“Si, è meraviglioso” concordai, tornando a scrutare il cielo. “Mi dispiace solo non poter riconoscere alcuna costellazione”.

“Forse posso esserti utile” si propose il maestoso felino. “Vedi quel gruppo di sei stelle, poste due in alto vicine, due sotto in verticale e altre due in orizzontale?”

Seguii la traiettoria del suo sguardo. “Si, le vedo”.

“Quella è la costellazione di Daren, un minotauro che con il suo sacrificio riuscì a salvare il suo villaggio dall’assalto di briganti, affrontandoli da solo per dare il tempo ai suoi compaesani di prepararsi a respingerli.” La sua voce era possente, vigorosa, eppure antica, tanto che sambrava provenisse da un’epoca lontana, e non accanto a me. La voce di chi aveva visto tante, forse troppe cose, ma che grazie alla sua forza d’animo non si sarebbe mai stancata di vederne altre. “Mentre quelle quattro stelle particolarmente luminose che formano un quadrato, formano la costellazione degli Amatores” proseguì indicandomi con il muso dorato un punto alla mia sinistra “narra la triste storia della ninfa Dalia e di suo fratello Loren, colpevoli di essersi innamorati di due fratelli mortali, rispettivamente il giovane Matthew e la bella Clarissa. I quattro ragazzi erano consapevoli che il loro amore era proibito dalle leggi che all’epoca vigevano tra le ninfe sui rapporti con altre razze, e del problema dovuto al fatto che le ninfe sono immortali, ma tuttavia il loro sentimento era così grande che non solo trasgredirono alla ninfa, allora regina, Drusilla e alle sue disposizioni, ma compirono una magia antica quanto potente, quella dello scambio di essenze.” Era un abile narratore, conciso ma poetico, e la sua storia era ammaliante. Ero incantata dalle sue parole come una bimba che pende dalle labbra della mamma per sentire come finisce una fiaba nuova ed emozionante. “Le due giovani innamorate avevano deciso infatti di scambiarsi la loro essenza, ovvero la loro natura, così che Dalia sarebbe divenuta una ragazza mortale mentre Clarissa un’eterna ninfa e avrebbero potuto condividere la loro vita con i rispettivi amati. Drusilla lo venne a sapere e colta dall’ira compì una terribile vendetta.” La mia mano scattò istintivamente al petto, presagendo la triste piega che la storia stava per prendere. “Compì lo scambio di essenza anche su Matthew e Loren, riportando il problema dell’immortalità tra le due coppie di amanti, ma non contenta scagliò una malattia incurabile a Loren e Dalia per la loro trasgressione alle sue leggi. I due fratelli si ammalarono e resi mortali dall’incantesimo usato, morirono tra le braccia di Clarissa e Matthew in pochi giorni. Il dolore per quella perdita fu talmente grande che i due ragazzi rimasti soli si tolsero la vita subito dopo, raggiungendo i loro amati.”

“Ma è terribile. Perché Drusilla ha voluto a tutti i costi punirli a quel modo? Non avevano fatto niente di male” protestai, con le lacrime agli occhi.

“Non tutti i regnanti sanno essere giusti” mi rammentò probabilmente riferendosi a Miraz, macchiatosi di crimini ben peggiori. “Tuttavia c’è una nota lieta alla fine della storia. Si dice che l’Antica Magia, impressionata dalla profondità dei sentimenti dei giovani, tali da condurli al suicidio per amore, decise di trasformare le anime dei quattro ragazzi in stelle tra loro vicine, in modo che nell’eternità del firmamento potessero stare insieme, liberi di amarsi”.

I miei occhi si allargarono dallo stupore e corsero ad osservare la costellazione degli Amatores. Le quattro stelle brillavano nel cielo scuro come le altre. Possibile che in realtà fossero le anime di quattro giovani? Impiegai poco a convincermene. Se questa storia me l’avesse raccontata la mia insegnante di astronomia l’avrei immediatamente catalogata come un aneddoto mitologico, ma a Narnia non c’erano racconti fantasiosi perché la realtà superava di gran lunga l’immaginazione anche della mente più fervida.

“Sono certo però che oltre alle stelle ci sia qualcos’altro che vorresti chiedermi, o sbaglio?”

La domanda giunse sibillina e inaspettata alle mie orecchie. Il mio sguardo guizzò di nuovo verso il felino e mi chiesi come potesse sapere dei dubbi che mi angustiavano.

Domanda sciocca. Dopotutto è Aslan, il deus ex machina di ogni situazione.

In fin dei conti tuttavia la possibilità che mi regalava, per quanto inaspettata, era d’oro. Aslan sapeva ogni cosa, di certo avrebbe potuto illuminarmi su questioni che a me restavano oscure ed evitare di farmi accontentare delle spiegazioni sommarie che mi ero data per cercare di mettermi il cuore in pace. “Non sbagli. Ci sarebbe qualcosa che mi piacerebbe poterti chiedere” ammisi, incrociando le mani sul grembo.

I suoi occhi ambrati dall’espressione secolare mi invitarono mutamente a proseguire.

Presi un respiro per raccogliere le idee. Da dove cominciare?

Dal dubbio che più mi assilla. Decisi.

“I miei interrogativi sono tanti, ma mentre alcuni sono semplici curiosità su mia madre o il mio passato, ce n’è uno che mi tormenta.” Iniziai giocherellando con un lembo del vestito. “Io sono una Strega Bianca da quando mia mamma mi ha fatta riconoscere dall’Antica Magia, ma a parte un notevole incremento dei miei poteri non ho notato nessun mutamento nella mia personalità, nel mio modo di considerare la vita, la natura e gli affetti fortunatamente”. Mi sembrava che esprimere quel mio timore ad alta voce rendesse la sua possibilità di essere fondato più viva e ciò aumentava l’agitazione nella mia voce, facendomi parlare più concitatamente di quanto avessi voluto. Mi fermai, cercando di riottenere il controllo sulla mia voce perdendomi nell’osservazione del manto celeste. Quando fui certa di non avere il tono simile ad una campanella, proseguii. “Tuttavia Jadis sembrava convinta che presto o tardi avrei cominciato ad essere come lei e a provare i suoi stessi sentimenti verso il mondo perché era nel naturale comportamento di una Strega Bianca.” Riportai lo sguardo su Aslan, fissandolo con occhi supplici mentre formulavo la mia domanda. “Io non voglio divenire come lei. Non voglio essere fredda, incapace di dimostrare il mio affetto, essere crudele. Non voglio. Ma ho il terrore di non poterlo evitare, che Jadis avesse ragione e che io sia condannata dalla mia stessa natura. Dunque per favore dimmi, ogni Strega Bianca deve avere il cuore di ghiaccio, è inevitabile?”.

Il Grande Sovrano mi soppesò per un momento. Un lungo interminabile momento dove trattenni il respiro, immobile, in attesa del verdetto che mi avrebbe annunciato il futuro nel bene e nel male.

“Ancora una volta” si espresse infine “la superificiale conoscenza che Jadis aveva dell’Antica Magia ha decretato la sua disfatta. Tu non sei una Strega Bianca” mi rivelò.

Arretrai col busto, come colpita da un pugno. “Come non sono una Strega Bianca? Sono sua figlia” protestai flebilmente, fissandolo smarrita mentre mi sentivo come se stessi precipitando in un baratro sgretolato il pavimento delle mie poche certezze.

“Ciò implica che tu sia una strega, ma non devi necessariamente essere membro della Magia Bianca come lo erano i tuoi genitori perché, contrariamente a quanto credeva tua madre, essere o meno una Strega Bianca non è un fattore ereditario.” Specificò.

Ero convinta che ancora una parola e i miei occhi sarebbero usciti dalle orbite tanto erano divenuti grandi. “Ma allora cosa sono?” mi costruinsi a chiedere, anche se non ero certa che la risposta potesse essere piacevole. Andava a finire che ero strana e uno scherzo della natura anche in un mondo come Narnia…

Lo sguardo del felino si colorò di tenerezza. “C’era da aspettarsi che Jadis non si degnasse nemmeno di informarti su ciò che concerne il tuo popolo.” Si lamentò.

“So che esistono altri maghi, o per lo meno che esistevano, in una città di nome Suavitas” protestai irritata dalla sua affermazione sulla mia totale ignoranza. Mi sentivo già come una bimba alla quale bisogna insegnare ogni cosa senza che lo si sottolineasse.

“Però non hai idea di dove sia, come sia organizzata e chi vi abita.” Osservò paziente.

Colpita e affondata, abbassai lo sguardo.

Aslan sospirò. “Credo sia bene comincire dall’inizio” propose guardando il cielo, come se in esso cercasse l’ispirazione per il suo discorso.

“Migliaia di anni fa, in un tempo tanto lontano che Narnia ne ha ormai perso memoria, i maghi e le streghe vivevano qui a Narnia, in armonia con le altre creature magiche”. Lentamente mi sentii trascinare dalla sua voce profonda dentro quel nuovo racconto. Un racconto molto diverso dal primo, poiché sapevo che narrava la mia storia, ma anche quella del felino, il cui sguardo non focalizzava più le stelle splendenti. Possibile che fosse perso nei suoi ricordi? Che avesse visto l’epoca di cui parlava di persona? Un’occhiata alla sua espressione me ne diede la conferma, poiché sembrava lontana quanto quegli anni.

“Era un tempo davvero felice e prospero. Narnia non aveva ancora conosciuto cosa significasse la guerra, ognuno viveva lavorando per il benessere proprio e comune facendo ciò che gli riusciva meglio e i possessori della magia cercavano di allietare la vita dei meno fortunati con incantesimi contro il freddo o le malattie.

Purtroppo però il periodo di pace era destinato a concludersi. Le creature di Narnia cominciarono a provare invidia verso i maghi e le loro capacità. Constatarono che per coloro che usavano la magia la vita era più facile. Non dovevano farsi carico di fatiche fisiche, per ogni incombenza quotidiana bastava un semplice gesto della mano. Questo comportava più tempo libero a disposizione, tempo che poteva essere impegnato allietandosi in svariati modi, prendendosi cura della loro persona o accrescendo la loro cultura. Il divario cresceva di anno in anno e i narniani cominciarono a guardarli con diffidenza. Non accettarono più il loro aiuto e li emarginarono. Quando infine i maghi cercarono di promuovere alcune modifiche al sistema di vita collettivo innovazioni a cui erano arrivati grazie ad una cultura maggiore, sperando di migliorare il loro livello di vita e di riconquistarsi la loro fiducia, le creature di Narnia si dimostrarono fortemente ostili e li imposero di andarsene dal regno in quanto non erano più ben accetti. I maghi restarono profondamente delusi e sconvolti da questa richiesta, non comprendendo come potessero rinunciare a dei benefici che avrebbero giovato a loro. Ma mentre alcuni decisero di dimettersi alla volontà del popolo e si apprestarono ad andarsene non volendo entrare in conflitto, altri si opposero e affermarono che erano i narniani che se non li sopportavano dovevano andarsene, in quanto Narnia era casa dei maghi quanto delle creature magiche.

Questa fu la prima divergenza che nacque nella cominità dei maghi, la prima e l’ultima ma che portò a conseguenze determinanti. I propensi ad andarsene dimostrarono di avere un cuore buono e puro, animato dal desiderio di fare del bene disinteressatamente. Gli spiriti combattivi invece furono avvelenati dal risentimento che cominciarono a nutrire nei confronti delle creature di Narnia.

Scoppiò una guerra. La Prima Guerra di Narnia. Alcuni maghi e alcune streghe decisero di prendere le armi contro i narniani per costringerli alla resa o all’esilio. Furono crudeli, spietati, scoprendo un lato oscuro che in tempo di pace non aveva avuto modo di emergere ma che aveva sempre albergato in loro.” Il ricordo degli occhi freddi di Jadis mentre sollevava lo scettro letale contro Peter mi passò dinanzi come un lampo doloroso. Potevo ben immaginare la crudeltà di cui parlava Aslan. “I maghi che invece avrebbero lasciato Narnia subito, decisero di schierarsi a difesa delle creature magiche, in netto svantaggio contro la potente magia devastatrice degli stregoni, anche se avevano chiesto il loro allontanamento.

Fu una guerra fratricida. Il sangue sembrava sgorgare direttamente dalla madre terra e la diversità di sentimenti che animava i due schieramenti di maghi fu tale che la stessa magia da loro usata, finora neutra, si divise in due parti.”

“La magia buona e la maggia cattiva” sussurrai seguendo il discorso del felino. Se prima ero ammaliata dalla narrazione della storia delle costellazioni, ora ero completamente assorbita dal discorso.

La musica lontana, gli invitati, il castello, Peter…tutto dimenticato dinanzi alla realtà che Aslan mi stava descrivendo in maniera talmente coinvolgente che mi pareva di aver vissuto tutto ciò che lui diceva. Sentivo dentro al cuore la tristezza e il dolore suscitato da quella guerra, l’orrore per i sopprusi inferti dai miei simili a terzi e l’apprensione per quei maghi coraggiosi che cercavano di opporsi a tanta crudeltà.

Aslan annuì confermando le mie parole. “Nacque la Magia Bianca, che si piegava ai possessori di un cuore duro e freddo come il materiale dalla quale attingeva la sua forza, il ghiaccio. E la Magia Rossa, usata dai cuori che ardevano accesse dall’amore per la giustizia e la salvaguardia della natura come fuoco, l’elemento dalla quale prendeva energia.”

Restai impietrita alle sue parole. Solo la mia bocca si spalancò, segno evidente della mia incapacità di poter credere che in quella rivelazione risiedesse la mia salvezza.

“Tu Cathrine, hai un cuore portato all’amore e alla giustizia come hai più volte dimostrato. Un cuore che l’Antica Magia ha riconosciuto immediatamente durante la cerimonia e che le ha permesso di dichiararti una Strega Rossa, fatto che Jadis non aveva previsto e della quale non era a conoscenza, convinta che la tipologia di magia fosse ereditaria e non decretata dalle naturali inclinazioni di ogni individuo”.

In un flash mi ricordai quando, durante la cerimonia, l’Antica Magia mi aveva avvolta in un turbine a tratti freddo e a tratti caldo e di come, dopo numerosi passaggi, fosse entrato dentro di me nel momento in cui sapeva dei fiori della primavera. Un segnale che l’ignoranza e le troppe bugie non mi avevano fatto cogliere.

Strega Rossa. Sono una Strega Rossa.

Quelle due parole mi rimbombarono in testa, insieme all’enorme significato che si portarono dietro. Sentii il mio cuore farsi più leggero, mentre incredule le mie labbra si distendevano in un sorriso sollevato.

“Ne sei certo? Quindi non diventerò una strega crudele?”

Non sarei diventata come mia madre. Non avrei mai smesso di amare Peter, o di nutrire amicizia e affetto. Non mi sarei mai comportata come Jadis. Sarei rimasta me stessa, con le mie idee e i miei principi. Potevo guardare al futuro senza aver paura della mia persona.

Anche Aslan mi sorrise, contagiato dal mio sollievo. “Ne sono certo. Giovane Cathrine, una persona non può diventare crudele se non ha un cuore improntato per divenirlo. Jadis questo lo ignorava, convinta che poiché eri figlia di due adepti della Magia Bianca, saresti divenuta come lei.” mi confermò.

Avrei voluto ridere per la felicità. Il calore che avvertivo nel petto, suscitato da quella certezza, era talmente grande che avrei voluto espanderlo al mondo intero gridando di gioia. Tuttavia un interrogativo riuscì a farsi strada nella coltre di allegria che mi stava offuscando.

“Ma come è possibile che Jadis ignorasse come agisca l’Antica Magia?”

Possibile che la strega non avesse nemmeno sospettato che potessi essere diversa da lei?

“È molto più comprensibile di quanto tu possa pensare. La scissione tra Magia Bianca e Magia Rossa è accaduta talmente tanto tempo fa che le sue cause sono andate perdute. È credenza comune che sia un fattore ereditario l’appartenere all’uno o all’altro tipo di magia. In più il novantanove per cento delle volte un bimbo che ha entrambi i genitori appartenenti o alla Magia Bianca o alla Magia Rossa è anche lui uno stregone Bianco o Rosso semplicemente perché da quando nasce gli viene impartita una determinata educazione che lo porta a nutrire gli stessi sentimenti dei genitori e ad avere le loro stesse convinzioni.” Mi spiegò esauriente.

“Quindi se fossi cresciuta con Jadis e Ian sarei divenuta una Strega Bianca.”

La considerazione mi fuoriuscì dalla bocca senza che riflettessi. Sapevo che crescere con i miei veri genitori avrebbe cambiato radicalmente la mia vita, ma ora sapevo anche che avrebbe cambiato me stessa. Non sarei stata semplicemente Nives, strega cresciuta a Suavitas conscia da sempre della sua identità. Sarei stata Nives, strega cresciuta a Suavitas con dubbia moralità, un cuore poco propenso alla generosità disinteressata e principi totalmente diversi dai miei. Una persona con nessun punto in comune con Cathrine Icepower.

Dovevo quindi rallegrarmi di essere stata mandata dagli Icepower poiché il prezzo per crescere con la mia vera famiglia sarebbe stato rinunciare alla mia attuale identità? La risposta probabilmente non l’avrei mai conosciuta, perché solo io potevo darla ma non sarei mai stata in grado di operare una simile scelta. Ma fortunatamente non era necessario che lo facessi, dato che non avrebbe cambiato lo stato attuale delle cose.

Il Grande Felino mi guardò dritto negli occhi, facendomi scorrere un brivido lungo la schiena. Sembrava mi stesse leggendo l’anima attraverso le mie iridi azzurre, tanto era profonda l’intensità del suo sguardo, mentre mi parlava. “Probabilmente si” si espresse neutro “ma quello che importa non è ciò che sarebbe stato, ma ciò che è stato. Il destino ha voluto che non ti venisse concesso di crescere con i tuoi genitori, e per quanto questo mi dispiaccia sinceramente, specie per ciò che hai dovuto affrontare a Londra durante la tua infanzia, non posso fare a meno di constatare come la loro assenza abbia avuto un effetto più positivo di quanto avrebbe mai potuto fare la loro presenza e spero che condividerai con me questa opinione.” Affermò secco, chiudendo la questione.

Tanta determinazione mi sorprese ma annuii celere. Che si fosse irritato dalla mia semplice constatazione? O forse aveva intuito la mia incertezza sullo scegliere se era stato meglio crescere da sola ma con buoni principi o con i miei veri genitori?

Qualsiasi fosse il motivo tuttavia non aveva più importanza. Attualmente solo su una questione la mia mente riusciva a fissarsi. Ero una Strega Rossa. La spada di Damocle che pendeva minacciosa sulla mia testa con il suo destino ingiusto quanto infausto era stata distrutta.

“Quindi Cate resterà per sempre Cate”. Rischiavo di diventare pedante ma non mi interessava. Sentirselo riconfermare era balsamo per le mie orecchie.

“Puoi stare tranquilla” mi rispose accondiscendente il leone.

Il mio sorriso si allargò, godendosi il suono di quella frase.

Alzai gli occhi verso gli astri, consapevole che avrei potuto apprezzare la loro bellezza per tutta la mia vita con gli stessi sentimenti che provavo ora.

Se adesso però il mio cuore poteva stare in pace, lo stesso non poteva farlo la mia curiosità. Il mio presente e il mio futuro mi erano noti, ma il mio passato rimaneva da scoprire.

“Come si è conclusa la Prima Guerra di Narnia?” domandai riprendendo il discorso precedente.

“La guerra si protrasse a lungo, finché i maghi non divennero consapevoli del danno che con i loro poteri stavano causando alla terra stessa. Decisero di comune accordo di sotterrare le ostilità, ricordando che l’inizio del conflitto era nato a causa di terzi e non da offese mosse tra loro. Riuscirono a riappacificarsi, anche se ciò non bastò a riunificare la magia da loro divisa. Lasciarono Narnia, gli Stregoni Rossi per rispettare la volontà delle creature magiche, gli Stregoni Bianchi perché convinti che i maghi dovessero avere una loro patria indipendente e lontana da coloro che non erano adepti della magia.” Mi adombrai all’idea che i maghi, alla fine dei conti, fossero stati indotti ad abbandonare Narnia per l’invidia e la diffidenza degli altri. Non ero d’accordo con i metodi utilizzati dai Maghi Bianchi per obiettare, ma potevo ben comprendere il loro sdegno. Li avevano da sempre aiutati come più potevano, e la loro disponibilità li aveva condotti ad essere cacciati dalle loro case. Possibile che persino un mondo come quello di Narnia non fosse esente dalla discriminazione?

“Andarono a Suavitas?” chiesi.

Aslan annuì. “Viaggiarono a lungo, attraversarono la Pianura Sempreverde a nord del Bosco Fosco fino a superare le Montagne Rocciose ad est. Oltre la catena montuosa trovarono una terra florida e dal clima favorevole ad ospitare un popolo. Fondarono Suavitas, inizialmente un agglomerato urbano di medie proporzioni, ma che divenne sempre più grande con il passare degli anni, sino a diventare un regno poco più piccolo di Narnia stessa.”

I miei occhi si spalancarono dallo stupore. Avevo pensato che Suavitas fosse stata unicamente una città e che magari ce ne fossero state altre abitate da soli maghi, non avevo mai immaginato potesse essere stato un regno così vasto!

“Ma esiste tutt’oggi?” mi informai accesa di speranza.

“Si. È un regno lontano, di cui praticamente nessuno sa l’esistenza poiché dopo la guerra si sono persi totalmente i contatti con i maghi, ma esiste ed è una terra meravigliosa a mio parere.”

Respirai riempiendo i miei polmoni di eccitazione e desiderio di sapere ogni cosa possibile su quel regno divenuto improvvisamente reale e non più un’utopia, un luogo con una precisa collocazione geografica e non evanescente. Improvvisamente diventava un regno vero e non solo una parola vargata sulle pagine di un vecchio diario.

“Raccontami qualcosa su Suavitas, perfavore” lo supplicai, gli occhi che brillavano mentre cercavano di immaginarsi quale terra fantastica potesse essere “Com’è organizzata? Com’è chi vi abita? Come sono le case, le abitudini, i vestiti, le persone?” lo incalzai euforica.

Il Sovrano Supremo rise del mio entusiasmo, sinceramente divertito. “Calma, calma giovane Cathrine, come ho già detto risponderò ad ogni tua domanda” mi rassicurò. Alzò lo sguardo al cielo, raccogliendo le idee prima di cominciare. “I possessori di Magia Bianca e quelli di Magia Rossa, pur avendo modi diversi di percepire e apprezzare il mondo attorno a loro, concordarono che dovevano restare uniti se volevano fondare un regno forte. Devo dire che riuscirono nel loro intento, poiché la loro convivenza pacifica dovrebbe essere presa ad esempio dalla maggior parte delle comunità, Narnia compresa. Il senso di appartenenza ad una razza comune, quella dei seguici della magia, riuscì a farli superare ogni altra differenza, più o meno grande. Anzi, i maghi delle due frazioni si rispettavano a vicenda, anche se avevano punti di vista e preferenze dissimili. L’unica regola alla quale bisognava sottostare era che nessuno si poteva permettere di criticare o attaccare l’altro, regola che fu sempre rispettata, sino ad oggi.”

Senso di appartenenza? Unione? Rispetto? Parole che stridevano con l’immagine che avevo di Jadis. Se mia madre rappresentava la comunità dei Maghi Bianchi, dubitavo che gli Stregoni Rossi fossero mai riusciti a costruire qualcosa in pace con loro. Il racconto di Aslan non reggeva.

“Mi è difficile credere che delle persone così diverse come i Maghi Bianchi e i Maghi Rossi possano condividere la stessa terra senza andare gli uni contro gli altri. Sono certa che Jadis non avrebbe mai retto una simile convivenza” obiettai alzando scettica un sopraciglio.

Il Grande Felino però scosse lento la criniera fulva. “Hai ragione su Jadis, tua madre infatti se ne andò dal regno appena le fu possibile, non sopportando quel clima pacifico e liberale, e andò in cerca di un paese da modellare secondo le sue esigenze anche con la forza.” Mi rivelò alludendo alla sua conquista di Narnia. “Ma sei in grave errore se pensi che tutta la comunità dei Maghi Bianchi abbia le stesse qualità che contraddistinguevano Jadis. La popolazione dei maghi non vide più alcuna divergenza da dopo la Prima Guerra.” Ribadì con fermezza.

“Ma hai appena detto che ciò che differenzia i Bianchi dai Rossi è la loro crudeltà” obiettai confusa. Sentivo che mi stava per arrivare un gran malditesta.

“È vero, ma non è una crudeltà sempre manifesta, che applicano alla vita quotidiana. È una crudeltà che si rivela se stimolata, come quando i narniani li hanno cacciati. Certamente non è nella loro indole compiere atti di generosità disinteressata, preoccuparsi per il prossimo a meno che non faccia parte della loro famiglia. Sono scaltri, non brillano per sincerità e non sanno apprezzare il fiorire della natura. Non esitano ad approfittarsi degli altri, ad avere la meglio nelle dispute, sono egoisti ed egocentrici, l’unica cosa che può essere messa sopra il loro bene personale è il bene del regno grazie alla grande considerazione che hanno per la loro stirpe. Ma sanno vivere civilmente accanto ai Rossi, per i quali hanno un grande rispetto, collaborano per la prosperità di Suavitas e rispettano le leggi.” Li descisse accurato. “Jadis era feroce e spietata anche per gli standard della sua schiera. Bramava il potere, amava comandare e sovrastare il prossimo, desideri solamente suoi, non derivanti dalla sua razza.” Aggiunse con tono pacato, inclinazione però che non rese meno dolorosa il quadro che aveva fatto di mia madre. Gli aggettivi che Aslan le aveva attribuito erano tutti veri e ciò mi faceva male, ma cercai di tener ben presente che il felino non sapeva che quel ritratto calzava solo su una delle due faccie di Jadis. Era il profilo di Jadis Strega Bianca, non della Jadis madre che ero riuscita a scorgere brevemente di persona e poi approfondire con i suoi diari. Ma non dissi una sola parola per riscattarla. Ero conscia che sarebbe stata una causa persa tentar di far vedere Jadis ad Aslan sotto un’altra luce. Non ci ero ancora completamente riuscita con Peter, il quale l’aveva odiata per vent’anni, ovvero pochi secondi rispetto ai secoli di rancore che doveva provare il leone. Mi limitai quindi ad usare quella mia consapevolezza per lenire la ferita riaperta dalle sue parole.

“Quindi vivono in armonia.” Tirai le fila di quella lunga parentesi. “E come vivono? C’è un re, una regina, un governo…” chiesi cercando di chiudere definitivamente il discorso precedente.

“La loro è una comunità molto avanzata. Potendo utilizzare la magia, per accrescere la loro cultura poterono anche viaggiare attraverso il tempo e lo spazio, venendo a conoscenza del mondo terrestre, quello dove sei cresciuta tu” proseguì.

“Andarono sulla Terra?” la domanda era retorica considerando che il re era stato chiaro, ma il mio stupore era tanto grande che non potei trattenermi.

Mi diedi subito della stupida. Era ovvio che potessero attraversare i varchi temporali, dopotutto erano maghi, eppure finora avevo considerato quel viaggio una prerogativa unicamente di Aslan e di Jadis, vedendo la creazione di un passaggio come un qualcosa di eccezionale e pericoloso, una magia potente da utilizzare solo in caso di necessità. Invece a quanto sembrava era una pratica relativamente comune. Come i londinesi andavano al mare per le vacanze, i maghi andavano in un mondo parallelo. Tutto normale…

“Molte volte. Erano affascinati da un mondo privo di magia così diverso dal loro. consideravano i figli di Adamo e le figlie di Eva creature particolarmente ingegnose poiché erano riusciti ad assolvere alle loro esigenze unicamente sfruttando l’intelligenza. Rimasero particolarmente colpiti dalla letteratura, dalle tradizioni e dalle molte correnti di pensiero che nacquero nel corso dei secoli, tanto da adottarne alcune. Integrarono molti libri terrestri con quelli loro nelle biblioteche e istituirono il loro governo unendo insieme il meglio delle molte forme di potere che erano state pensate.” Ad ogni sua parola sentivo crescere un senso di appagamento. Sapere che il mondo alla quale appartenevo e il mondo dove ero cresciuta non erano poi così distanti e inavvicinabili come avevo creduto mi allietava. Non dovevo rinnegare le mie origini per abbracciare la mia identità di strega.

“Divisero il regno in contade” continuò Aslan “ognuna governata da un sindaco elettivo che poteva essere deposto in ogni momento se il popolo non fosse stato soddisfatto del suo operato. Il sindaco aveva, e ha tuttora, il compito di adoperarsi affinché le richieste dei cittadini vengano esaudite e deve supervisionare il benessere della sua area di competenza. Non ha il potere di emanare leggi, né di imporre tasse. Può unicamente proporle se gli sembrano necessarie, ma la decisione finale la prende la maggioranza durante il consiglio cittadino che ogni mese si riunisce. Infine annualmente deve recarsi a Corusca, la capitale del regno dove ha sede il Concilium Rei Publicae, nel quale si discutono le esigenze di Suavitas e quelle delle specifiche regioni.”

Dire che rimasi affascinata dall’organizzazione della mia patria era un eufemismo. Se la teoria era rispettata fedelmente, Suavitas avrebbe superato per efficienza e armonia la patria ideale di Thomas More.

“Sembra un regno splendido” sussurrai, provando l’ardente desiderio di visitarlo con i miei occhi.

“Lo è” confermò il sovrano. “I maghi sono una popolazione molto avanzata. L’ignoranza è stata sconfitta totalmente da millenni e la loro pari ed eccellente istruzione è il principale motivo per cui non ci sono né criminali né ingiustizie. Non ci sono sovrani superiori e sudditi inferiori come poteva accadere nel MedioEvo terrestre, ci sono solo persone alla quale viene accordato il permesso di rappresentare la volontà comune per facilitazione organizzativa, ma sono solo degli attori che recitano il volere popolare. Le decisioni vengono prese tutti insieme ed ognuno viene rispettato e valorizzato in quanto individuo pari a chiunque altro.” Si fermò un secondo prima di aggiungere. “Tuo padre, se non sbaglio, era una di queste persone.”

“Si, era uno dei membri del Consilium…” mi bloccai, rendendomi conto solo allora di un particolare. Un dettaglio che prima, quando avevo nominato Ian e il felino non aveva dato segni di stupore mostrando invece di conoscerlo, era passato in sordina ma che ora reclamava la mia attenzione. Aslan sapeva di mio padre.

“Come conosci Ian Caerphilly?” chiesi, più brusca di quanto desiderassi essere.

Fortunatamente il sovrano soprasedette sul mio tono, limitandosi a fornirmi la risposta. “Jadis è riuscita a nascondermi la tua esistenza per milletrecento anni.” Disse, prendendo il discorso da lontano. “Non avevo mai minimamente sospettato potesse avere una figlia, è stata incredibilmente abile a nascondermelo.” I suoi occhi secolari si posarono su di me, inchiodandomi per la loro intensità. “Ti prego di credermi se ti dico che se avessi saputo di te, ti avrei cercata appena finita la guerra per crescerti qui a Narnia. Mi spiace per la solitudine di cui hai dovuto soffrire a Londra. Mi sarei preso cura di te se solo ne avessi avuto l’opportunità.” C’era tanta dolcezza nella sua voce che non dubitai un solo istante della veridicità delle sue parole. Sentii gli occhi bruciarmi, segno che le lacrime erano pronte per scendere, suscitate dal calore che mi aveva invaso il petto per la confessione del felino, ma riuscii a ricacciarle indietro dicendo a me stessa che non era il momento giusto per piangere. La mia stima e il mio affetto per Aslan aumentarono, come anche il mio senso di colpa ripensando a come ero stata pronta ad accusarlo di ogni sciagura di Narnia. Era stato pronto a crescermi… esattamente come aveva temuto Jadis.

L’avrebbero cresciuta come loro alleata, insegnandole ad odiarmi e celandole le sue origini per servirsi della magia che certamente avrebbe ereditato. Le parole della strega mi si riproposero prepotenti dimostrando che almeno su quello aveva avuto ragione. Ma sarebbe stato un male? Per Jadis ovviamente si, avrebbe visto sua figlia crescere sotto gli ideali di Aslan, uno dei suoi peggiori incubi. Ma per me? Sarei diventata grande a Narnia, avrei avuto vicino qualcuno che mi insegnasse ad apprezzare e controllare i miei poteri. Qualcuno che non mi tacciava come diversa, qualcuno che mi voleva bene. Avrei avuto un’infanzia felice e senza rinunciare ai miei ideali attuali.

Desideravo rendere Aslan partecipe di quelle riflessioni, ringraziarlo quanto meno, ma non riuscivo ad aprir bocca. Tuttavia dal sorriso appena accennato che mi rivolse, compresi che aveva intuito perfettamente i miei pensieri dai miei occhi lucidi.  

“Purtroppo però ne sono venuto a conoscenza solo poco tempo fa, quando tua madre ti ha contattata dal limbo dove era rinchiusa.” Riprese il discorso, riportando la mia attenzione al presente. “Aprire un varco temporale dal limbo richiede un’energia talmente grande che è impossibile non percepirla nell’aria e nella natura, per chi ha orecchie per ascoltare.” Mi spiegò conciso. “Seguendo la meta della sua magia, ho capito con chi cercava di mettersi in contatto. Appena ho visto che eri una strega, ho compreso chi fossi e che dovevo tenerti lontana da Jadis. Per questo interrompevo i tuoi discorsi con lei e sempre per questo ho deviato la direzione del varco temporale che ti ha condotta qui…”

“Ecco perché sono capitata nella radura vicino a dove era di pattuglia Peter e non c’era Jadis!” lo interruppi presa dalle mie conclusioni.

“In realtà avrei voluto direzionarti direttamente alle rovine, ma ho dovuto cambiare rotta velocemente e lottare contro la magia di Jadis, così ho potuto solo evitare che ti portasse al Palazzo di Ghiaccio e condurti dove sapevo avresti presto o tardi incontrato i Pevensie” precisò.

Ed ecco spiegato perché non avevo incontrato nessuno ad attendermi oltre il varco a parte alberi e ancora alberi. Considerai tra me e me.

“Ma questo cosa c’entra con Ian?” riportai la discussione sul suo punto cruciale.

“Una volta assicuratomi che fossi al sicuro sotto la protezione del giovane Peter, mi sono informato su di te, su quando Jadis ti aveva avuto, con chi e come era riuscita a celarlo. L’Antica Magia mi ha aiutato, conducendomi a Suavitas e parlandomi di Ian Caerphilly, tuo padre.” Riassunse brevemente quella che invece doveva essere stata una lunga ricerca nel passato.

Ero incredula che Aslan fosse riuscito a reperire informazioni su di una persona vissuta milletrecento anni fa. Io ero venuta a conoscenza di mio padre solo grazie ai diari di Jadis, una fonte diretta, ma il felino era stato capace di apprendere ciò che gli interessava senza aiuti esterni. O meglio, con il solo aiuto della sua immensa conoscenza dell’Antica Magia. Forse avrei dovuto rassegnarmi e smettere di sorprendermi all’apparizione del primo minotauro, ne avrei guadagnato certamente in salute. Oramai avrei dovuto comprendere che a Narnia i fatti andavano semplicemente accettati così come venivano esposti, senza doverci ragionare su o farli rivenire a qualche logica pragmatica. 

“Sai cosa gli è successo dopo che Jadis se ne è andata?” domandai lasciandomi alle spalle lo stupore.

Aslan annuì con il capo dorato. “L’abbandono della Strega Bianca lo distrusse. Non si diede pace per molte lune, passò più di un anno a girare per tutto il regno, di città in città alla vostra ricerca.” Il mio cuore si strinse al pensiero di quanto dolore, seppur inconsapevole, gli avevo causato. L’unica colpa di Ian era stata quella di averci amato e per questo era stato punito venendo privato della futura moglie e della figlia neonata senza preavviso. Non osavo neppur immaginare quanto avesse sofferto. “Solo quando alla fine si arrese, riuscì a passare oltre il dolore e la delusione, ma ci vollero altri tre anni prima che riuscisse a ricostruirsi una vita e si innamorasse di un’altra giovane strega, una Strega Bianca di nome Eilein, con la quale ebbe un bambino di nome Erold.”

Posai i miei occhi azzurri in quelli ambrati del leone, la morsa che un poco si allentava. “E dopo è riuscito ad essere felice?” chiesi timorosa della risposta.

“Non vi ha mai dimenticate, ma alla fine è riuscito ad vivere felice anche con il vostro ricordo.”

Sospirai un poco sollevata. Sapere che l’atto meschino di Jadis non lo aveva rovinato per sempre mi faceva stare meglio. Da quello che mia madre aveva scritto, Ian era un brav’uomo. Si meritava la felicità che solo un amorevole focolare domestico può dare. Infine era riuscito a costruirsi una famiglia, con una moglie degna, un figlio… solo in un secondo momento realizzai che quel bimbo per me senza volto, del quale conoscevo solo il nome, era mio fratello. Mi sarebbe piaciuto poterlo conoscere, sapere se anche lui avesse ereditato i capelli rossi di nostro padre. Da figlia unica, cresciuta in una casa tanto grande quanto vuota, spesso avevo desiderato la compagnia di una figura della mia età, capace di comprendermi. Un fratello o una sorella. Mi consolai pensando che almeno uno dei due Caerphilly aveva avuto una bella infanzia.

“Credo di averti trattenuta sin troppo giovane Cathrine. I tuoi interrogativi sono stati tutti risolti e qualcun altro reclama giustamente la tua attenzione”.

Aslan interruppe la catena dei miei pensieri. Mi voltai a guardarlo confusa dalle sue enigmatiche parole ma il sovrano fissava un punto alle mie spalle. Seguii la sua traiettoria, verso l’uscio della porta finestra. In piedi, appoggiato alla cornice dell’apertura, Peter stava silenziosamente chiedendo il permesso ad Aslan per interromperci.

Sorrisi spontanea al suo indirizzo. Avevo l’impellente necessità di riportargli la discussione avuta con il Supremo Sovrano, dovevo dirgli che non ero una Strega Bianca, narrargli di Suavitas…

Aslan si congedò, attraversando il balcone con pochi passi. Per un attimo credetti di cogliere uno sguardo d’intesa tra i due sovrani prima che Peter si inchinasse al passaggio del felino, ma passò così in fretta che probabilmente lo immaginai soltanto.

Il biondo mi fu subito accanto ed io lo accolsi gettandogli le braccia al collo, esternando il mio stato d’animo.

Ero felice. Tanto felice. Per la prima volta in vita mia non avevo più domande, dubbi su di me, sul mio passato. Sapevo quali erano le mie origini, quale era la mia vera natura, le mie capacità. Sapevo perché ero cresciuta a Londra e non a Narnia.

Sapevo chi ero.

“Oh Peter, non hai idea di cosa mi abbia detto Aslan, non sono una Strega Bianca!” quasi trillai.

Lo sguardo confuso del ragazzo unito al sorriso spontaneo che era nato contagiato dal mio entusiasmo, mi fecero ridere divertita.

“Come scusa?” domandò.

D’accordo, forse la mia frase era stata un poco disconnessa. Lo invitai a sedersi alla panchina ed iniziai a raccontargli ogni cosa. Lo misi a parte della Prima Guerra di Narnia, della migrazione dei maghi, del loro scisma interno e del regno che avevano fondato. Come avevo pensato, Peter non aveva mai saputo l’esistenza di un regno di soli maghi, e la notizia lo conquistò. Era ammirato dalla loro organizzazione e si domandava come fosse possibile che non fosse rimasta traccia a Narnia della loro presenza. Infine gli dissi la novità più grande, quale era la mia vera natura. Giunti a questo punto però non mostrò la felicità che ero certa di suscitare, la stessa che invadeva me.

“Non sei contento che non sia una Strega Bianca?” lo incalzai, quasi irritata per la sua scarsa emotività. Possibile che mentre io avrei voluto urlarlo al mondo intero, lui sembrasse del tutto indifferente?

“Sono contento che tu sia contenta della notizia” rispose serafico.

Scossi la testa, non comprendendolo. “Ma vuol dire che non diventerò come Jadis, che non sarò mai crudele o un pericolo per Narnia” insistetti, corrucciando la fronte.

Il sorriso sghembo che mi rivolse però era talmente bello che le rughe sulla mia testa presto si appianarono contro la mia volontà.

“Cathy, Strega Bianca o Rossa non ho mai pensato solo per un secondo che tu potessi diventare diversa dalla meravigliosa ragazza che sei ora. Capisco che per te sia importante saperlo, ma a me non è mai importato cosa fossi. Ti amerei anche se scoprissimo che in realtà sei una sirena, dovresti saperlo.”

La sua risposta lo condonò completamente dalla sua poca partecipazione alla novità. Ero conscia che la mia espressione stava per divenire languida, così gli andai incontro per posargli un bacio a fior di labbra, giusto per darmi il tempo di ricompormi. Una volta però che la sua bocca si accostò alla mia, quello che doveva essere un semplice casto bacio, divenne subito più profondo. Peter prese il mio viso tra le mani e lo avvicinò a sé con un’esigenza che gli avevo sentito poche volte prima.

Tutte volte dove stava per succedere qualcosa di spiacevole.

Un campanello d’allarme suonò nella mia testa mentre mi ricordavo dell’occhiata di intesa tra lui e Aslan, della discussione misteriosa che aveva avuto con il felino e della turbata espressione che aveva mantenuto per tutta la serata.

Che ha mantenuto anche mentre gli raccontavo di Suavitas, mi resi conto riflettendo. Mentre parlavo non vi avevo fatto caso, ma ripensandoci un’ombra aveva sempre offuscato il suo sguardo per tutta la conversazione.

Facendo appello a tutta la mia volontà, che in quel momento rasentava lo zero, mi separai da lui e dalle sue labbra morbide, poggiandogli una mano sulla spalla.

Nei suoi occhi vidi la conferma dei miei timori. Erano un mare in tempesta e il suo controllo stava naufragando. Mi sentii mancare il respiro. Sapevo che solo qualcosa di veramente importante poteva turbarlo così tanto, ma cosa?

Gli scostai una ciocca bionda dalla fronte e ridiscesi fino a poggiare la mano sulla sua guancia.

“Peter, posso sapere cosa succede? C’è qualcosa che devi dirmi?” chiesi cercando di mantenere calmo il tono di voce. Qualunque cosa fosse, i miei nervi dovevano restare saldi, solo in questo modo avrei potuto essergli utile.

“Avrei voluto dirtelo a fine festa, per farti passare una serata piacevole, ma non credo di riuscire a nascondertelo oltre, perdonami.” Si scusò, guardandomi addolorato.

“Cosa mi stai nascondendo?” scandii, preparandomi mentalmente al peggio. L’euforia provata prima era scomparsa, scalzata prepotentemente dal senso di inquietudine che le ambigue parole di Peter mi avevano causato. Qualcosa di molto spiacevole era alle porte, lo vedevo riflesso nei suoi occhi. La mia, anzi, la nostra pace stava per essere nuovamente messa a rischio. E pensare che solo pochi minuti fa ero convinta di averla finalmente raggiunta! Possibile che prima avessi goduto solo di una felicità illusoria? Che dietro la spensieratezza e i buoni auspici di quel ballo si nascondesse un dolore imminente?

“Ho parlato con Aslan” incominciò senza farsi pregare ulteriormente. Era chiaro che non riusciva più a trattenersi, che aveva bisogno di parlarmene, di qualunque cosa si trattasse. Se aveva taciuto fino adesso era realmente solo per amor mio.

“E quindi…?” lo incalzai.

“Ha detto a me e a Susan…” si interruppe. Abbassò lo sguardo e trasse un profondo respiro prima di continuare. La mia agitazione aumentò. Cosa doveva dirmi di così difficile? Sembrava che ogni parola gli procurasse una fitta al petto. “…che il nostro tempo è scaduto.”


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Capitolo 23
*** 22_Promettimi che sarai felice ***


Ciao carissime/i!!!!!! Ok, lo so, sono in mostruoso ritardo, però per farmi perdonare vi informo che ho già scritto l'epilogo e che quindi lo posterò a breve, poichè mi sembrava corretto pubblicare l'ultimo cappy e l'epilogo a poca distanza l'uno dall'altro. Sob, l'ultimo cappy. Alla fine è arrivato, se penso che le prime righe di questa storia sono state scritte in una lontana afosa serata di agosto del 2009 e ora siamo a maggio del 2011, mi sembra incredibile di essere davvero giunta alla parola "fine". Due anni sono tanti e le cose che sono successe sono ancora di più, cose che cambiano una persona (si spera in meglio) e di conseguenza anche il modo di scrivere, come credo vi sarete accorti. L'altro giorno stavo rileggendo i primissimi capitoli e quasi dubitavo di essere stata io l'autrice! Ma basta con i sentimentalismi, vi farò già penare con il contenuto del cappy, non occorre che vi torturi anche con l'angolo dell'autrice! E poi c'è ancora l'epilogo da pubblicare, quindi non pensate che dopo questo 22° cap vi sarete liberati di me, ho ancora le ultime pagine con la quale disturbarvi XD!!! 
Parlando di questo capitolo, come il precedente parte esattamente da dove si è concluso il ventunesimo, ovvero con Peter che dice a Cathy che il loro tempo è scaduto. Immagino abbiate tutti capito a cosa si riferisca, ma quindi come si comporteranno le nostre due coppie di piccioncini? Vi confesserò che il finale non lo avevo in mente chiaro come la maggior parte degli eventi della storia, ero indecisa tra il caro e dolce happy ending e un finale più poetico ma malinconico, indecisione che è durata fino all'ultimo e che è stata difficile da prendere. Spero che alla fine abbia fatto la scelta giusta e che la conclusione della storia vi piaccia :-) dopo tutta la pazienza che avete avuto nel seguirmi per questi lunghi ventidue capitoli, il minimo che vi devo è concludere la storia senza farvi venire la voglia di tirarmi pomodori e ortaggi vari! Fatemi quindi sapere cosa ne pensate e tenetevi pronti per l'epilogo, il quale sa.,le ultime righe che pubblicherò per questa storia, ve lo prometto XD! 

Ringraziamenti:

Bex: ciao carissima! Lo so, sono stata crudele a lasciare la storia con quell’affermazione di Peter però in mia difesa posso dire che credevo di metterci molto meno ad aggiornare, davvero! Adesso però che finalmente sono riuscita a postare spero di farmi perdonare con il contenuto del capitolo ! Sono felicissima che lo scorso cap ti sia paiciuto e che ti abbiano sorpreso le rivelazioni fatte da Aslan, le avevo in testa da tanto e non vedevo l’ora di scriverle, quindi sono contenta che siano state apprezzate, grazie mille!! Dunque premetto che il finale del secondo film a me non è piaciuto per niente neanche a me. Ero convinta che sarebbero rimasti tutti e quattro a Narnia e quando hanno comunicato il contrario credo di essermi fatta uscire un sonoro “no!” nonostante fossi al cinema XD! Però anche se l’idea dell’happy ending è molto bella o anche un debole per i finali magari più tristi ma poetici, quindi ero divisa tra queste due possibilità. Per ora non aggiungo altro, ti lascio il piacere (o almeno spero sia così XD) di scoprire cosa ho scelto leggendo! Non vedo l’ora di sapere cosa ne pensi, ti mando un grande bacio e ancora grazie per la tua recensione!!

Dahylia: ciao bella^^! Come potrei annoiarmi nel leggere la tua recensione? L'unica cosa che posso dirti è grazie mille per aver recensito lo scorso cap e per averlo apprezzato!!!!!!!!!!!!! La scena dell'incoronazione di Caspian è nata proprio perchè anche io avevo notato quel particolare nel film, un secondo prima stava combattendo contro Telmar e l'attimo dopo aveva la corona in testa O.o, però poi ho pensato che molto probabilmente ci aveva pensato Aslan a incoronarlo legittimamente ^^. La parte della festa è una delle mie preferite quindi sono felicissma che ti sia piaciuta e che tu sia riuscita a immaginarti bene la scena**, come anche la parte con Aslan, trattare personaggi di simile spessore non è molto facile, avevo paura di non aver reso bene l'aria di potenza e saggezza che emanava, quindi grazie per avermi rassicurata :-) Si, la magia Rossa rappresenta idealmente l'amore in contrapposizione all'egoismo ma anche più pragramaticamente il fuoco in opposizione al ghiaccio :-) Però, Jadis figlia di un gigante e della prima moglie di Adamo, alla faccia di avere parenti importanti XD! Thanks for the information :-) Anche io nel film ci sono rimasta malissimo quando i sovrani se ne sono andati, caspita, dopo tutto quello che avevano fatto, dopo tutte le fatiche compiute per quel regno, perchè mai Aslan ha dovuto rimandarli a casa senza la possibilità di ritornare per Peter e Su? L'ho trovata un'enorme ingiustizia! Sono andata comunque poi a vedere il terzo film, ma proprio come hai detto tu, senza Peter e Susan sembrava mancasse qualcosa, non era più lo stesso...:-(! Tuttavia capisco che i Pevensie non essendo originari di Narnai dovevano comunque imparare a vivere anche nel loro mondo, a Londra, problema che, essendo la storia tratta da Narnia 2, ho dovuto affrontare anche io in questo cappy. Come lo avrò risolto? XD sono sadica, lo so! Però spero tanto che il finale ti piaccia, sono curiosa di sapere cosa ne pensi! Ti mando un bacione e grazie ancora per la recensione:-)!
Ps: bello come significato
Niji_Shoku no Yume, molto poetico :-) però adesso giusto per non smentirmi devo chiederti il significato del tuo nuovo nickname! Di primo achito ti direi che mi ricorda il nome di qualche divinità greca o qualche ninfa, come Dafne, sono fuori strada o ci ho azzeccato? :-)

Freddy Barnes: Ciao caraaa! Grazie per aver recensito e per il tuo entusiasmo, davvero grazie^^! Sono felice che come mi sono immaginta l'incoronazione di Caspian ti sia piaciuto, e che sia riuscita a trasmettere la gioia dei personaggi nell'apprendere che finalmente la guerra era finita perchè avevo un sacco di dubbi su quale fosse il modo migliore per rendere quella parte. XD mi sa che hai ragione, la piccola Lucy dietro quel faccino tenero potrebbe nascondere un animo sadico, per esempio verso la fine del secondo film, quando è sul ponte con Aslan, tira fuori con aria angelica il pugnale sorridendo come se niente fosse...mah qua mi sa che dovrebbero stare molto attenti hihihihihii!!!!!!!! Sono felicissima che la storia su Suavitas ti sia piaciuta, l'avevo pensata da tanto e non vedevo l'ora di scriverla e sapere cosa ne pensavate!!!! Anche io sono triste che qst sia l'ultimo cappy, però mi consolo sapendo che ho ancora l'epilogo da pubblicare, gli addii e le lacrime me le tengo tutte per quello (mi spiace ma non scamperete al sentimentalismo della sottoscritta!). Ti lascio alla lettura e spero di leggere presto la tua recensione per sapere se l'ultimo capitolo ti sia piaciuto o meno :-) grazie ancora, un bracio grandissimo!!!!!

sweetophelia: ciao bellissima! Grazie per aver recensito^^ Sono contenta che tu sia riuscita a immaginarti bene le varie scene :-) Si, la storia di Suavitas ha richiesto diverso tempo, però mi sono divertita tantissimo a costruirla passo per passo, il bello di scrivere dopotutto è proprio quello di creare una cosa dal nulla che segua la tua immaginazione :-) Cmq concordo con te sul fatto che nel nostro mondo una costituzione perfetta non potrà mai esserci, e nemmeno nel mondo di Narnia come dimostrano le continue guerre che dilaniano il regno. Tuttavia ho pensato che nella società dei maghi, essendo più evoluta sia dei narniani che anche dei terrestri, avendo tutti uguali diritti data l'assenza di classi nobili e povere e avendo capacità che forniscono a tutti le medesime possibilità, potesse essere almeno ipotizzabile il funzionamento di una costituzione utopica, quanto meno sulla carta :-) Si, le costellazioni sono state ispirate dai miti classici. Io frequento lo scientifico però ti confesso che anche io ho sempre avuto un debole per i miti greci e romani, se si pensa che loro, a differenza nostra, non avevano miti precedenti a cui rifarsi, sono davvero ammirabili per la quantità e la varietà delle storie che ci hanno tramandato! Spero che anche qst cappy ti piaccia, non vedo l'ora di sapere un tuo parere^^! un bacione!!!!

DreamWanderer: ciao tesoro!! Qui tutto bene, grazie, a parte gli ultimi compiti in classe di fine anno, ma mi consolo con il miraggio delle vacanze, il traguardo/mare è vicino XD!! Tu come stai? Spero che il periodo pieno all'uni sia passato, io già sclero alle superiori non oso pensare come sia all'università! Cara, davvero non è assolutamente un peso rispondere alla tua recensione, vi dedichi sempre tantissimo tempo ed è sempre così accurata e attenta che dare una risposta è davvero il minimo che possa fare! Grazie per avermi rassicurata su Jadis, sono sollevata nel constatare che la mia idea di un cattivo capace anche di provare altri sentimenti oltre l'odio sia condivisa! Cmq ho visto solo i film di Narnia :-), il che forse in qst caso è stato un bene così non avevo influenze di nessun genere è ho potuto spaziare con la fantasia :-)! Grazie anche per avermi tranquillizzata sul cappy basato prettamente sul film, temevo di risultare noiosa dato che la storia della battaglia era nota, sapere che non è risultato così è un sollievo! Sono felice che la scena dell'incoronazione sia piaciuta e che sia riuscita a far trasmettere il senso di felicità e di consapevolezza che la guerra fosse conclusa che provano i personaggi xkè avevo mille dubbi su cm rendere quelle emozioni! Il menzionare la corona di Cate mi sembrava doveroso, nella fiction non l'ho mai sottolineato particolarmente però anche lei è una sovrana volente o nolente e prima o poi dovrà farne i conti! La scena della preparazione al ballo è nata come sketch per alleggerire l'atmosfera che progressivamente, come fa intuire il titolo, va a incupirsi, e sono lieta che sia stata apprezzata :-) poi volevo far relazionare Cate anche con altri personaggi, motivo per cui il primo ballo lo fa con Caspian e non con Peter. Nella storia la faccio quasi sempre interagire con Peter, però ci tenevo a sottolineare che la nostra Cathy ha un ottimo rapporto con tutti i Pevensie e con il nuovo sovrano di Telmar, cosa che sottolineerò anche in qst cappy^^. Guarda, se ti può consolare mi sono sciolta anche io mentre la scrivevo, la scena del ballo tra Peter e Cathy **! Non che abbia scritto una scena tratta direttamente dai miei sogni romantici, eh, noooooo, sia mai XD!!!! Non ho saputo resistere alla tentazione di paragonarli a Romeo e Giulietta rubando (l'ennesima XD) frase di Shakespeare, specie se si considera la loro imminente separazione per causa di forza maggiori...! E poi, diciamocelo, Peter nei panni di Romeo secondo me ci sta benissimo <3!!!!!! Sono felice che tu abbia notato la parte scenografica del ballo, non lo ha fatto nessun altro! E anche che abbia apprezzato il mix di "passi, sguardi ed emozioni" tra i personaggi, così mi hai fatto capire che la scena era riuscita, thanks^^!!! Si la storia del Amatores lo inventata io :-), anche se, come immagino si sia capito, mi sono ispirata ai miti greci e alla loro lunga tradizione di amori finiti tragicamente per colpa degli dei o di incomprensioni, miti che tra l'altro adoro! Cmq avrà una piccola ripercussione nei pensieri della nostra bella Cathy, facendola riflettere sul tema dell'amore in qst cappy^^. Ti confesserò la mia ignoranza riguardo l'esistenza della Magia Rossa nella mitologia, l'idea mi era venuta più semplicemente solo per avere un altro tipo di magia che si contrapponesse a quella Bianca. La scelta del colore rosso per indicare la magia buona è nata perchè il rosso è idealmente il colore dell'amore, della carità e del fuoco, che si contrapponevano all'odio, all'egoismo e al ghiaccio :-) Probabilmente proprio perchè il colore rosso è associato di solito a queste cose ci saranno molte leggende con la Magia Rossa come protagonista, però qst è solo una mia supposizione :-) Sono davvero felicissimissima che la storia dello scisma tra i narniani e i maghi e la fondazione di Suavitas ti sia piaciuta^^ l'avevo in testa da tanto e non vedevo l'ora di scriverla e rimetterla al vostro giudizio! Non so come ringraziarti per i tuoi complimenti, mi fa davvero un'enorme piacere sapere che il mio racconto poteva addirittura essere davvero parte della storia del passato di Narnia :-) grazie davvero**! La rivelazione finale di Peter voleva creare suspance ovviamente, però mi dispiace di averci messo così tanto per aggiornare, volevo tenervi un poco con il fiato sospeso ma non così tanto, giuro! Spero di farmi perdonare con il contenuto del capitolo. L'ultimo capitolo, caspita, incredibile ma alla fine è giunto sul serio, credevo non sarei mai riuscita a scriverlo! Riprende esattamente dall'affermazione del nostro bel sovrano e poi.... sorpresa! Spero di leggere presto la tua recensione per sapere cosa ne pensi del finale di qst storia, come sai tengo tantissimo al tuo parere quindi spero che il cappy ti piaccia! Ci sarà ancora un epilogo che pubblicherò a breve (è già bello pronto ^^) però è una specie di bonus, (non è il termine giusto per definirlo ma non me ne vengono in mente altri) la parola fine viene scritta in qst dato che è qui che ogni cosa si decide, l'epilogo mostrerà solo le conseguenze delle scelte compiute dai nostri eroi in qst capitolo :-) Ti auguro una buona lettura e ancora grazie infinie per le tue recensioni, per il tuo entusiasmo e per i tantissimi e troppo buoni complimenti che mi hai fatto! Un bacio grande grande grande e a presto <3

Grazie mille anche a coloro che mi hanno aggiunta tra i preferiti e/o le seguite o anche a chi solo legge, grazie^^! Vi ricordo che qst è l'ultimo capitolo ma ci sarà ancora l'epilogo che vedrete pubblicato :-)

Vi auguro una buona lettura

kisskisses

68Keira68

witch

22_Promettimi che sarai felice 

 

 “Scaduto?” ripetei assottigliando lo sguardo nel tentativo di comprendere. “In che senso, cosa vuol dire?” scandii mentre un brutto presentimento iniziò a farsi strada dentro di me, anche se confuso, offuscato dall’enigmaticità della frase di Peter.

Il ragazzo prese un altro respiro e parve trovare la forza per rialzare i suoi zaffiri sul mio viso. “Vuol dire che dobbiamo andare via da Narnia, Cathy. Io e i miei fratelli dobbiamo tornare a Londra.”

Mi ritrassi, come colpita da uno schiaffo. Mossi la testa a scatti, piccoli, nervosi, negatori del significato di quella frase. D’un colpo compresi il perché dell’urgenza nel suo bacio. Aveva bisogno di sentirmi vicina a sé perché sapeva che il tempo che ci restava da condividere era contato.

Perché se ne sarebbe andato. Sarebbe tornato a Londra.

“No!” quasi urlai, incapace di accettare ciò che mi diceva. Anche l’ultimo residuo dell’euforia provata prima scivolò via da me, lontana e irraggiungibile.

“Cathy…” Peter tentò di prendermi il viso tra le mani ma io mi allontanai, scattando in piedi.

“No, no, no” ripetei più volte, camminando a ritroso finché non fui bloccata dalla balconata. “Perché? Perché lo dice Aslan? Che diritto ha lui di decidere chi deve restare e chi deve rimanere?” gridai. Contro Peter, contro Aslan, contro il cielo stesso che ci era testimone, mentre sentivo l’ira montare dentro il mio petto con foga.

Il re mi si avvicinò cauto, un’espressione affranta a dipingergli il volto, in netto contrasto con la mia rabbia.

Ero adirata e incredula. Come poteva permettersi Aslan di cacciarli via da Narnia, specie ora che avevano appena rischiato la vita per salvarla di nuovo? Cosa pensava, che potesse chiamarli a suo piacimento, farli mettere in gioco la loro esistenza e poi, come ricompensa per la loro vittoria, buttarli fuori dal loro regno? Ero ingiusto, non potevo accettarlo e la rassegnazione che vedevo dipinta sul volto di Peter non faceva che aggravare la situazione.

“Cathy, non è così semplice, fammi spiegare” tentò di calmarmi.

“Non c’è niente da spiegare. Voi non dovete andarvene solo perché lui lo ordina. Avete tutto il diritto di restare, il popolo stesso vi vuole.” obiettai sbattendo i palmi delle mani contro il marmo della balaustra per la frustrazione. “Io ti voglio” aggiunsi con un tono più basso.

Peter appoggiò le sue mani sulle mie intrappolandomi tra il parapetto e il suo corpo, cercando così di costringermi a sentirlo.

“Aslan non ci ha ordinato di andarcene. Ci ha posto dinanzi ad una scelta” precisò.

Strinsi gli occhi confusa, invitandolo a proseguire anche se sentivo ancora la rabbia schiumare.

“Ci ha fatto presente che nessuno può vivere sospeso tra due mondi, ognuno deve avere un mondo di appartenenza e viverci, rispettando le leggi della natura. A me, Susan, Edmund e Lucy è stata data la possibilità di vivere per qualche tempo in due mondi diversi per imparare a conoscere meglio noi stessi e per apprendere tutto ciò che serve per condurre la nostra esistenza, ma adesso che io e Susan ci avviamo all’età adulta e abbiamo imparato tutto quello che potevamo da entrambe le realtà, dobbiamo decidere in che mondo vivere.”

Corrucciai la fronte, certa di aver compreso male. “Quindi è una scelta vostra quella di tornare a Londra?” chiesi conferma.

Peter annuì, lasciandomi estrefatta.

Per un lungo e intenso minuto l’unica cosa di cui fui cosciente fu il ronzio sempre più acuto che mi riempiva le orecchie, riportandomi l’eco delle sue parole e di ciò che significavano. Poi il mio respiro si fece affannoso, i battiti cardiaci si affrettarono e dal petto sentii esplodere una nuova ondata di rabbia, insieme ad un’immensa delusione. Era lui che voleva andarsene dal suo regno, dalla sua gente! Dopo tutte le parole spese ad esplicare il senso di appartenenza che sentiva verso Narnia, l’amore che provava per il suo popolo, decideva di voltargli le spalle. E decideva di voltarle anche a me. Se ne stava andando senza rifletterci due volte, abbandonandomi, dimostrando come tutto quello che mi avesse detto, non fosse altro che polvere al vento.

Sentii un groppo in gola e i miei occhi si fecero lucidi. Non poteva essere vero, non potevo crederci. Non volevo crederci.

Puntai entrambe le mani sul suo petto con forza cercando di distanziarlo. Desideravo allontanarmi da lui, mi sembrava di soffocare, avevo bisogno di spazio per prendere fiato e urlare finché i miei polmoni avessero retto per sfogarmi. Peter però mi si oppose, afferrandomi per i polsi.

“Lasciami, tanto è questo quello che vuoi fare, ora o poi non fa differenza” gli sputai con acrimonia, fulminandolo con lo sguardo, mentre cercavo di svincolarmi dalla sua presa. Il ragazzo mi lasciò andare ed io cominciai a colpirlo al petto con i pugni, riversando in essi l’ira che mi aveva invasa. Inutile dire quanto i miei sforzi furono vani. Nonostante la mia buona volontà Peter non si fece minimamente male, parando ogni colpo senza però cercare di fermarmi, consapevole forse più di me di quanto avessi bisogno di sfogarmi. Solo quando smisi, affaticata più dai miei sentimenti che dallo sforzo fisico, mi riafferrò i polsi e si avvicinò ancora, bloccandomi definitivamente contro la balaustra con il suo peso.

“Non è come pensi tu, non voglio lasciarti, fammi finire” mi supplicò con quella sua voce soffice che con ben altre parole mi aveva conquistata.

I miei occhi lampeggiarono. “Ah no? È come sarebbe, sentiamo! Perché l’unica interpretazione possibile mi sembra quella che vuoi lasciarmi, nonostante tutte quelle…” tutte quelle promesse e meravigliose frasi che mi hai regalato, avrei voluto continuare, ma le parole mi morirono in gola.

Avvertivo la delusione e il dolore pronte a travolgermi come un’onda anomala, anche se cercavo di tenerle a bada. Non volevo farmi dominare da loro, non se volevo scaricare addosso a Peter tutta la mia più che giustificata rabbia.

Mi tenne i polsi con una sola mano, liberandosi l’altra per portarmela sotto il mento, delicato ma fermo.

“Ti amo. E tutto quello che ti ho detto è assolutamente vero.” Disse, intuendo come sempre i miei pensieri senza che dovessi esplicarli. “Non hai idea di quanto stia soffrendo per questa scelta, ma non posso fare altrimenti” proseguì con una fermezza tale da far vacillare la mia posizione.

“Spiegati” gli imposi, fissandolo duramente.

Peter mi sfiorò una guancia, sperando di addolcire il mio sguardo, ma resistetti alla morbidezza della sua mano, non piegandomi. Il biondo sospirò vedendo fallito il suo piccolo tentativo e cominciò a parlare.

“Edmund e Lucy devono tornare a Londra perché hanno ancora da imparare qualcosa nel nostro mondo. Poi torneranno a Narnia un’ultima volta e infine dovranno anche loro scegliere dove vivere”. Qualcosa cominciò a delucidarsi oltre la coltre di delusione, prima che Peter continuasse. “Se io e Susan decidessimo di restare a Narnia, dovremmo separarci da Edmund e Lucy, dovremmo lasciarli soli. Senza contare che non sappiamo quando tornerebbero a Narnia. Potrebbero volerci mesi come anni. O addirittura secoli e noi non li rivedremmo mai più”. La nebbia si fece più rada, il mio sguardo vacillò. “Non posso lasciare Ed e Lucy da soli. Sono ancora piccoli, e specie ora che papà non c’è più hanno bisogno di me e Susan.” Prese un respiro profondo prima di proseguire. “Vorrei restare a Narnia con tutto il cuore, lo sai, ma ho dei doveri verso la mia famiglia che devono venire prima dei miei desideri.”

Tutta l’energia alimentata dalla rabbia mi lasciò, scacciata da quella spiegazione così dannatamente logica e comprensibile. Mi sentii debole, stanca, perfetta preda del dolore che avevo cercato di allontanare, e stupida per essere saltata a conclusioni affrettate e non aver avuto fiducia in Peter. Poggiai la mia fronte sul suo petto come fossi priva di forze, spossata dai troppi sentimenti che mi avevano animata in poco tempo, e mi abbandonai al lento ritmo del suo respiro e allo scorrere delle mie lacrime che insensibili alla mia volontà avevano preso a scorrere. Lacrime di desolazione, suscitate dal senso di impotenza che la schiacciante ineluttabilità della sua partenza mi faceva provare. Lacrime che erano anticamera del dolore che mi avrebbe presto sommersa.

Ora capivo. Ero stata avventata a lanciargli quelle accuse. Peter mi amava e stava soffrendo per la scelta che aveva fatto. Ma, come aveva detto lui, non poteva fare altrimenti. Non poteva abbandonare Edmund e Lucy, lui era il fratello maggiore, la loro guida, il loro sostegno. Sarei stata un’egoista a chiedergli di restare per me rinunciando alla sua famiglia, alle persone con la quale aveva condiviso tutta la sua vita. Erano i suoi fratelli. Non avevo nemmeno il diritto di essere arrabbiata con lui. Semmai, l’unica persona con la quale potevo prendermela era il destino, che beffardo, nonostante tutte le difficoltà che avevamo dovuto superare, non voleva lasciarci in pace, deciso a privarci della felicità che finalmente avevamo sperato di godere.

“Capisco” mormorai flebile, condividendo la sua rassegnazione ora che conoscevo la situazione. Il ragazzo non poteva opporsi a quella scelta, ora comprendevo. Non si poteva lottare contro ciò che era giusto e necessario.

Peter mi passò le braccia attorno alle spalle e mi strinse forte, affondando il viso nei miei capelli. “Non hai idea di come mi senta, di quanto mi sia costata questa decisione. Non avrei mai pensato di dover di nuovo andarmene, di abbandonare questa terra. Ma ho degli obblighi verso la mia famiglia prima che con me stesso. Devo tornare con loro, tornare a casa. E poi non riesco a lasciarli andare da soli, non potrei.” Confessò, cullandomi con un dolce movimento. “Ma non posso nemmeno lasciare te” aggiunse poi.

Mi scostai un poco per guardarlo negli occhi, afflitta dalla consapevolezza di quanto i suoi desideri fossero inconciliabili con i suoi propositi. “Neanche io voglio che tu te ne vada, credo sia chiaro”.

“Ma il fatto che debba lasciare Narnia non vuol dire che debba lasciare anche te.” Insinuò enigmatico.

La mia espressione era simile ad un grande punto interrogativo. “Non ti seguo” ammisi.

Peter mi prese per le spalle e accostò il suo viso serio al mio. “Potresti attraversare il varco anche tu, tornare a Londra con noi” mi propose, un lampo di speranza negli occhi azzurri.

Restai interdetta dalla sua proposta inaspettata. Tornare a Londra. Da quando ero arrivata a Narnia non avevo mai pensato ad un mio eventuale ritorno in Inghilterra, ma non avevo nemmeno considerato l’idea di avere una vita in quel luogo incantato. Gli eventi si erano susseguiti l’un l’altro prendendo il sopravvento, in una girandola continua di scoperte e imprevisti che mi avevano impedito di fare progetti a lungo termine, limitandomi a vivere un giorno alla volta. Non avevo nemmeno considerato che prima o poi avrei dovuto decidere. Ma ora che la scelta mi veniva posta dinanzi, qual era la mia risposta? Tornare o restare? Poi mi ricordai un piccolo dettaglio.

“Se anche attraversassi il varco, saremmo comunque separati dai sessant’anni che distanziano la tua Londra dalla mia” gli feci notare. La mia Londra. Mi resi conto subito di come quel pronome possessivo stonasse sulle mie labbra se riferito a quella città. Londra non era mai stata mia, non l’avevo mai sentita come tale. Tra quelle residenze vittoriane e prati ben curati ero sempre stata un corpo estranio inserito a forza, un’anomalia tenuta nascosta per il quieto vivere comune. Mia era un aggettivo accostabile a ben altro paese. Mia potevo avvicinarlo al nome Narnia, luogo dove ero nata e che mi aveva accolta a braccia aperta appena vi ero tornata. Sarei potuta tornare alla solitudine di una realtà a me ostile? La risposta era semplice quanto certa. No.

“Potremmo chiedere ad Aslan di trasportarti nel nostro tempo, non credo sarebbe un problema per lui.” risolse pronto il biondo, dando prova di aver già pensato all’ostacolo.

Questo cambiava le carte in tavola. La domanda diveniva un’altra. Restare o tornare con Peter? Avrei continuato a subire una realtà ostile, ma non più da sola. Dopotutto una persona che mi amasse e che mi conoscesse interamente non era ciò che più mi era mancato in Inghilterra? Non era anche per l’assenza di questa ipotetica figura amica che non avevo esitato ad attraversare il varco che mi aveva condotta a Narnia? Quel “no” pensato con tanta fermezza vacillò.

 “E dove vivrei? Nella tua Londra non ho una casa, né un lavoro, né niente. Sarei una ragazzina venuta fuori dal nulla” obiettai prendendo tempo.

Peter si illuminò, già lieto di non vedermi rifiutare la sua proposta di primo achito. “Potresti vivere con me e i miei fratelli per qualche tempo e finire la scuola con noi. Poi potremmo andare a vivere io e te in una casa nostra appena saremmo indipendenti, massimo nel giro di due anni. Insieme potremmo costruirci una nostra vita nella mia Londra. Non sarà magica come un’esistenza a Narnia, ma sarebbe comunque una vita insieme.” Proseguì, illustrandomi un’idea sulla quale probabilmente aveva lavorato tutta la sera. Il suo tono era però cauto, a discapito del fervore che gli animava le iridi zaffiro. Sapeva che quanto mi stava chiedendo era tanto, forse troppo, che quello delineato da lui era un progetto grande e avventato, basato su castelli di carta costruiti sulla terra dell’immaginazione.

Presi un respiro profondo e abbassai lo sguardo, non sapendo cosa dire, cosa pensare. L’unica mia consapevolezza era che la scelta postami davanti sarebbe stata la più importante di tutta la mia vita. Una consapevolezza schiacciante, il cui solo risultato era quello di mandarmi ancora più in confusione.

Peter mi accarezzò una guancia con dolcezza, come se con quel solo gesto potesse mettere in ordine il caos che regnava nella mia mente. “So che è una decisione difficile. Si tratta del tuo futuro e non ti chiedo di rispondermi subito. Voglio solo che tu rifletta attentamente su questa possibilità.”

“È l’unico modo per restare insieme” mormorai, il capo ancora chino, come appesantito dalle troppe riflessioni.

“Si” concordò “ma il prezzo è alto, lo so bene. Probabilmente troppo alto, ma questo lo devi decidere tu. Sappi solo che mi atterrò a qualsiasi cosa tu scelga e che se decidessi di restare a Narnia non metterò in dubbio il tuo amore per me. So perfettamente cosa rappresenti questa terra per te, cosa vi hai trovato e quanto ti sarebbe difficile riprendere una vita normale a Londra.”

A quelle parole alzai gli occhi, nuovamente lucidi. Ancora una volta metteva ogni decisione nelle mie mani. Mi dava libero arbitrio a patto che scegliessi ciò che mi avrebbe reso felice. Ma come potevo decidere tra la persona con cui volevo vivere, Peter, e il mondo che mi permetteva di vivere come strega, la vera me stessa?

“Noi partiamo domattina. Hai tutta la notte per decidere.” Concluse infine.

Il tono sofferente della sua voce commentava ogni cosa per entrambi.

Sentii le lacrime sul punto di scendere ancora, ma Peter, accortosene, scongiurò il pericolo. Mi prese di nuovo il mento e mi alzò il viso per baciarmi. Passionale, tormentato, bisognoso, urgente, dolce e malinconico. Un bacio che esprimeva il nostro desiderio di voler restare insieme e il dolore sordo che ci provocava anche solo l’idea di dividerci.

Passandogli le mani dietro la nuca, lo attirai maggiormente a me, anche se dubitavo ci fosse ancora spazio a dividerci. Sentiii le sue dita infilarsi tra i miei ricci, giocandoci, tirandoli con delicatezza, procurandomi piccoli brividi lungo la spina dorsale.

Lo amavo così tanto. Era stato il primo alla quale avevo aperto il mio cuore, la mia anima. Il primo che mi aveva conosciuta veramente, che era riuscito a farmi avere fiducia nell’amore e nell’amicizia. Perché il fato ancora minacciava la felicità che avremmo potuto raggiungere solo insieme? La sola idea che quel bacio potesse essere l’ultimo mi era insopportabile. Non riuscivo nemmeno ad immaginarmi senza Peter.

Le mani del ragazzo scesero giù tracciando linee immaginarie sulla mia schiena. Le sue labbra si scostarono dalle mie, avventurandosi lungo la mandibola, poi sul collo, costringendomi a reclinare indietro il capo. Avrei potuto vivere anni e anni senza le sue mani gentili che mi accarezzavano? Senza il soffio caldo del suo respiro sulla mia pelle? Non lo sapevo. Ma non sapevo nemmeno se la loro presenza sarebbe bastata per farmi tornare a nascondermi da una città basata su preconcetti limitati che fornivano la difinizione di “normale”, una definizione che mi escludeva e che mi avrebbe sempre fatta sentire diversa.

 

*

 

Aria. Pura, fresca, liberatoria aria. La respirò a pieni polmoni, beandosi della sensazione dell’ossigeno che gli penetrava nei tessuti rinvigorendoli. Si concentrò sul diaframma che si alzava e abbassava a ritmo controllato una, due, tre volte. Presto però il giovane re di Telmar si rese conto che per quante volte potesse ripetere quel movimento, il suo apparato respiratorio non avrebbe esplulso i pensieri nefasti che gli ronzavano in testa assieme all’anidride carbonica. Quelli sarebbero rimasti nella sua mente per tutta la notte e molto tempo ancora per tormentarlo, per ricordargli con quali esatte parole aveva rinunciato per sempre alla persona che amava…

“Ti amo, e per questo non ti chiederò mai di scegliere tra me e la tua famiglia, né di comportarti diversamente da ciò che ritieni giusto e se la tua decisione è quella di andartene la accetterò. Sappi però che ti amerò ancora dopo che te ne sarai andata e che probabilmente non smetterò mai di farlo.”

Parole posate, scelte con cura dopo i lunghi minuti di silenzio che erano seguiti all’annuncio inaspettato e devastante di Susan Pevensie. Un annuncio che aveva informato il giovane sovrano dell’imminente partenza della ragazza. E della sua impossibilità a tornare in un ipotetico futuro.

Imporsi il silenzio per darsi il tempo di riflettere e agire secondo la ragione e non l’istinto gli era costato tutta la sua forza di volontà. Il primo impulso alle parole “Devo andarmene” della giovane era stato quello di afferarla per le spalle e scuoterla finché non avesse cambiato idea. Sapeva che avrebbe anche potuto arrivare a supplicarla di non tornare nella sua città, facendo leva sul rapporto che in quelle settimane erano faticosamente riusciti a costruirsi e dipingendo il futuro che avrebbero potuto condividere. Fortunatamente però una voce interiore era intervenuta in tempo per fermarlo, costringendolo a pensare alle conseguenze che si sarebbero susseguite a quella reazione. Tralasciando che tentare di far cambiare idea a Susan, in particolare se l’idea riguardava un dovere da compiere, era come pregare la pioggia di non cadere, ossia inutile, esibirsi in una scenata simile avrebbe avuto come unico risultato, oltre quello di apparire ridicolo e infantile, quello di farla soffrire. O meglio, farla dolere più di quello che già stava patendo. Perché la decisione di andarsene la stava facendo soffrire, glielo aveva letto nei lineamenti del suo bel viso a cuore, che inutilmente aveva cercato di irrigidire nella posa che assumeva quando si comportava da regina, come se volesse già mettere una distanza tra lei e Caspian per prepararsi per gradi alla definitiva separazione, ma che inevitabilmente si erano sciolti in una smorfia dolente alla prima carezza comprensiva del ragazzo. Una carezza significante che Caspian aveva capito quanto Susan stesse pagando la scelta di partire, quanto desiderasse restare a Narnia, con il suo popolo e con lui. Ma per quanto potesse agognare di non partire, Susan Pevensie non si sarebbe mai sottratta ad un suo dovere, specie se era nei contronti della sua famiglia.

Caspian tirò un calcio a vuoto, sfogando la frustrazione sulle pietre del ciottolato del cortile dove stava camminando.

Dannazione a lei e al suo smisurato senso del dovere!

Quel senso del dovere che l’aveva resa la regina più grande che Narnia avesse mai avuto, che le aveva dato la forza per compiere scelte difficili per il suo popolo, che la caratterizzava e le dava quella particolare luce negli occhi che Caspian tanto amava. Ma che ora la stava privando della sua felicità, aprendole la porta ad una vita di rimpianti. La stessa porta che il re vedeva dinanzi a sé. Amava quella testarda, splendida e dolce ragazza che lo aveva stregato prima con la sua forza d’animo, poi con la tenerezza e l’insicurezza che si celavano dietro ad essa, e la sola idea di non vederla mai più gli straziava il cuore. Aveva sperato che sconfitto Miraz e riavuto il regno, ogni cosa sarebbe andata per il verso giusto, secondo i suoi desideri, e il primo tra tutti era stato proprio quello di condividere i giorni futuri con la regina di Narnia e del suo cuore. Ora quel sogno, prima a portata di mano, aveva messo le ali e si era allontanato sino a diventare irraggiungibile. Era volato via. A Londra, per la precisione. La città dove la sua Susan sarebbe tornata per non andarsene mai più, come aveva decretato Aslan.

Era profondamente ingiusto. Perché non potevano restare?

Ingiusto e insensato. Perché lasciare Narnia nuovamente senza re visto cosa era accaduto l’ultima volta?

Ingiusto, insensato e crudele. Perché il destino doveva separare delle persone che si amavano o che si volevano semplicemente bene?

Purtroppo però oltre ad essere ingiusto, insensato e crudele, era deciso. I Pevensie non avrebbero cambiato idea, la scelta era stata fatta. L’unica cosa che Caspian poteva fare ora era accettarlo e sperare che con il tempo il ricordo del dolce sorriso di Susan da doloroso divenisse agro-dolce fino a tenero, e nel mentre vivere la propria vita cercando di essere un sovrano capace almeno un decimo di quanto lo era stata lei. E augurarle di raggiungere la felicità anche nel loro lontano e strano mondo.

Alzò lo sguardo al cielo blu e prese un altro respiro. L’aria fresca della notte era ristorativa, portatrice del quieto silenzio che dominava in quelle ore del giorno. Si fermò, dopo aver percorso l’intero cortile del palazzo quasi senza accorgersene, immerso com’era nelle sue elucubrazioni. Il ragazzo constatò con piacere come camminare sotto le stelle aveva anche quella volta sortito un effetto benefico come in passato. Si sentiva molto più calmo di quando aveva abbandonato la sua camera lasciandosi alle spalle Susan. In quel momento aveva la mente in sobbuglio e lo stomaco contratto per le troppe emozioni. Ora, anche se il dolore sordo per l’imminente separazione restava, sentiva di poter provare a sopportarlo, di poterlo controllare e cercare di godersi così le ultime ore che gli restavano accanto alla sua amata.

Stava quasi per tornare indietro quando il profilo di una giovane donna delineato da un raggio di luna catturò la sua attenzione. Sorrise mesto riconoscendo la persona seduta sull’erba con la schiena appoggiata ad una delle quercie sul fondo del cortile. Avrebbe dovuto aspettarsi di trovare anche lei lì, in preda a pensieri simili ai suoi. Erano nella stessa situazione in fin dei conti.

Proprio per condividere il peso di quel destino simile il re le si avvicinò, sperando di recare sollievo a se stesso e magari di alleviare le pene a lei.

 

Ero assolutamente certa che nessun studioso letterario o insegnante avrebbero mai potuto trovare parole adatte per descrivere quanto dilaniante fosse essere vittime di un dubbio amletico. L’unico modo per comprendere i sentimenti del povero principe di Danimarca era provarli in prima persona, e anche se la mia domanda era diversa dal suo ormai proverbiale “essere o non essere?”, ero sicura che fosse di uguale portata.

Restare o tornare? Narnia o Peter? La magia o una vita normale?

Mi presi la testa tra le mani, poggiando i gomiti sulle ginocchia. Odiavo essere in dubbio. Già non sopportavo quando nel frigorifero trovavo più di due tipi di yogurt tra cui scegliere, figurarsi trovare ad affrontare una decisione simile. Ma cosa avevo fatto di male nella mia vita? In fin dei conti non avevo chiesto tanto, solo delle risposte e delle persone sincere attorno a me, era forse la luna? O forse questo era il prezzo da pagare per aver ottenuto la realizzazione del mio desiderio. A ben pensarci tutti i sogni che avevo quando avevo attraversato il varco si erano realizzati. Avevo trovato l’affetto di amici veri, l’amore di un ragazzo semplicemente perfetto e un’identità. La mia missione a Narnia era teoricamente conclusa. Sarei quindi potuta tornare a Londra e archiviare l’esperienza fatta in quel magico mondo?

Ne dubitavo. Quell’avventura iniziata quasi per caso si era spinta troppo oltre per essere messa da parte con facilità. Io non ero una semplice visitatrice come i Pevensie, quel viaggio mi aveva messa a parte di una rivelazione non trascurabile. Io non ero ospite di Narnia, gentilmente accolta perché adempisse al suo incarico. Io ero un suo abitante, ne facevo parte. E questo senso di appartenenza non poteva essere ignorato.

Dovevo quindi restare? Il bel volto di Peter mi apparve talmente nitido da farmi male al cuore. Lo avevo allontanato recandomi nel cortile interno per avere tempo per riflettere da sola, ma la sua immagine mi compariva dinanzi agli occhi talmente spesso che era come averlo accanto.

Preda dello sconforto, sospirai facendo scivolare lo sguardo sull’erba fresca per la notte, finché non notai un gruppetto di foglie radunate in un angolo accanto al muretto in pietra che delimitava il prato. Distrattamente alzai una mano, liberando un leggero flusso di magia atto a sollevarle. Le feci avvicinare e le tramutai in candide margherite. Con le dita imitai il giro di un vortice e i fiori seguirono il comando circondandomi, provocando un lieve soffio d’aria. Le margherite crearono una sfera con me al centro e presto la mia mente di ricordò di un’altra sfera magica, fatta di goccie d’acqua cristallizzate, che aveva inglobato me e Peter. Una meravigliosa sfera ferma a mezz’aria attraverso la quale i raggi del sole erano filtrati dando vita ai colori dell’arcobaleno, complici e spettatori del primo bacio tra il giovane e me, un bacio che aveva sugellato un “ti amo” atteso e sincero. Il ricordo era talmente vivo che mi parve quasi di poter sentire la morbidezza delle sue labbra sulle mie quando esitanti si erano appoggiate per la prima volta.

Con un altro sospiro cercai di riscuotermi. Di certo certe reminiscenze non erano d’aiuto in quel frangente. Solo allora notai cosa avevo incosciamente creato con i fiori. Strabuzzai gli occhi, incredula di dove potesse arrivare il subconscio, e il mio sguardo fu ricambiato da quello di Peter. O meglio dall’immagine del volto di Peter che ero riuscita a ricreare servendomi dei petali delle margherite. Dovevo complimentarmi con me stessa poiché la somiglianza era impressionante, il suo viso mi sorrideva a mezz’aria esattamente come avrebbe fatto l’originale, al contempo però avrei voluto prendermi a testate. Potevo scegliere di andarmene con i suoi bei lineamenti davanti?

Per giustizia decisi di creare accanto, con dei fili d’erba mutati in altre margherite, il castello di mia madre l’ultima volta che lo avevo visto, ovvero privo di ghiaccio, assumendolo come simbolo di Narnia.

Bene, ora potevo ripropormi la domanda con anche un ausilio visivo. Restare o tornare?

Guardai il castello. Se restavo, mi aspettava una vita da Strega Rossa. Non avrei mai dovuto nascondere i miei poteri, al contrario sarei sempre stata apprezzata per essi. Avrei potuto aiutare Narnia e i suoi abitanti ad avviarsi in quella nuova era di pace. Quella terra mi aveva donato tanto e io ero consapevole del fatto che avrei potuto ricambiare il favore. Sarei stata conosciuta per le mie capacità e avrei avuto una mia identità. Sarei sempre stata Cathrine, la potente Strega Rossa che aveva risvegliato Narnia. E mi sarei sentita a casa.

Il quadro dipinto mi riempiva il cuore di orgoglio e speranza. Una vita passata ad esaltare la mia magia, a sfruttarla per il bene comune e non a nasconderla, a considerarla una maledizione, era stato il mio sogno più grande per tutta l’infanzia e l’adolescenza. Prima però che arrivasse Peter.

Il mio sguardo guizzò verso le angeliche fattezze del giovane. Lui mi aveva fatto conoscere l’amore, cambiando nettamente le mie priorità. Se prima ero certa che non dover temere la mia magia mi sarebbe bastato per raggiungere la felicità, ora ero sicura del contrario. Non potevo essere completamente felice se Peter non era al mio fianco. Era come se il ragazzo mi completasse, se fosse una tessera essenziale del puzzle della mia vita. Ma che vita mi attendeva nella Londra post guerra assieme al biondo?

Potresti vivere con me e i miei fratelli per qualche tempo e finire la scuola con noi.

Vivere con lui, nella sua casa, e frequentare la sua scuola. Riprendere un’esistenza non molto diversa da quella che conducevo nella Londra del duemila. La differenza più sostanziale probabilmente stava nell’uso delle divise scolastiche.

Poi potremmo andare a vivere io e te in una casa nostra appena saremmo indipendenti, massimo nel giro di due anni.

Due anni. Tra due anni avrei compiuto diciannove anni. Nella mia Londra mi sarei iscritta all’università, avrei partecipato alla maggior parte dei festini del campus dove avrei conosciuto un ragazzo con il quale avere una storia importante che sarebbe certamente naufragata entro tre anni, e poi mi sarei avviata nel mondo del lavoro. Rimboccandomi le maniche avrei potuto affiancare mio padre nei suoi viaggi all’estero, sarei diventata una valida manager, una brava imprenditrice. Sarei divenuta una persona indipendente, con un ottimo stipendio, una bella casa. Una persona che non doveva rendere conto a nessuno, che poteva disporre liberamente della propria vita perché ne era l’unica padrona e perché sapeva perfettamente come viverla. Con ironia mi resi conto di come queste ultime considerazioni potessero essere fatte anche per la mia ipotetica vita a Narnia. Il “lavoro” che mi attendeva in quel regno magico era di natura ben diversa ma mi avrebbe condotto alla stessa enorme libertà.

Potevo accostarle anche alla mia esistenza possibile nella Londra di Peter? A diciannove anni saremmo andati a vivere io e lui in una casa notra. Peter non pensava all’università, ma ad un’altra continuazione. Quel “vivere io e te in una casa nostra” nel 1948 implicava una condizione ben precisa. Il matrimonio. Peter voleva sposarmi. Non me lo aveva chiesto esplicitamente, ma era sottointeso in quella frase. Tra due anni ci saremmo sposati e ci saremmo trasferiti in una casa nostra.

Se pochi mesi addietro mi avrebbe chiesto se potevo prendere in considerazione l’idea di sposarmi così presto probabilmente avrei riso, negando energicamente anche la più remota possibilità. Ora però, guardando quel viso che mi fissava con dolcezza, la parola matrimonio non assumeva quel significato imperioso e pauroso che gli avevo attribuito. Non sembrava una gabbia di responsabilità che da sempre mi intimoriva, bensì solo un modo più solenne per dire “ti amo”. Dopotutto gli avevo ripetuto mille volte che sarei stata sua per sempre, la promessa che avrei fatto all’altare sarebbe stata solo una conferma. E poi, sarebbe stato così terribile svegliarsi ogni mattina con tra le sue calde e accoglienti braccia?

Insieme potremmo costruirci una nostra vita nella mia Londra. Non sarà magica come un’esistenza a Narnia, ma sarebbe comunque una vita insieme.

Dunque se fossi partita con Peter mi sarei certamente sposata a diciannove anni. E poi? Secondo il ragazzo potevamo costruirci una “nostra vita”, ma cosa intendeva di preciso? Nella mia Londra sarei diventata una manager, a Naria una Strega capace di aiutare la popolazione, ma nella sua?

Lui, giovane aitante e intelligente, avrebbe di certo avuto le strade spalancate. Avvocato, dottore, militare, avrebbe potuto diventare qualsiasi cosa avesse voluto. Ma quale sarebbe stato il mio ruolo in una società a me sconosciuta e ancora restia ad aprire le porte al gentil sesso? Un’immagine di me con una candida camicetta abbottonata sino al collo, indaffarata tra la cucina e il salotto, frastornata dai capricci di un bimbo, mi attanagliò lo stomaco. Non ci voleva uno storico per capire che i ruoli preponderanti per le donne nella seconda metà del novecento restavano quelli di moglie e madre. Ovviamente c’erano le operaie, le insegnanti, le sarte e altri impieghi simili, ma tutti erano comunque alterego di una moglie immersa nella biancheria da pulire o da bambini da curare una volta timbrato il cartellino.

Di certo sarebbe stata una vita insieme. Avrei tenuto in ordine la casa, avrei cucinato, forse sarei riuscita a trovarmi un piccolo impiego, e poi avrei aspettato che Peter tornasse a casa dal lavoro. Non sarei stata la grande manager Cathrine Icepower, né la potente Strega Rossa Cathrine, bensì la signora Pevensie. In un mondo completamente diverso dal mio eccetto per la diffidenza verso la magia. In un mondo dove non conoscevo nessuno a parte Peter, al quale mi sarei certamente aggrappata in quanto unico appiglio in un mare di novità. In un mondo dove le parole indipendenza e libertà si svuotavano del loro allettante significato. Come potevo essere autonoma in una società a me estranea? Come potevo costruirmi una mia identità se non potevo far uscire né la strega né l’Icepower? Come potevo essere libera di disporre della mia vita se dipendevo totalmente da Peter?

Una vita insieme. Peter aveva basato quel futuro sul nostro amore, ma sarebbe bastato a farci felici? Forse per lui lo sarebbe stato. La vita che avevo raffigurato era dopotutto la vita tipo di un ragazzo della seconda metà del novecento. Ma io?

“Disturbo?”

Mi girai sorpresa verso la voce inaspettata e mi ritrovai accanto al neo incoronato re di Telmar.

“Accomodati” lo invitai indicandogli la mia destra. La luce della luna era fioca ma bastò per notare l’espressione buia e rassegnata del ragazzo. Evidentemente Susan doveva averlo informato sulle ultime novità.

“Qualcosa mi dice che siamo tormentati dagli stessi pensieri” commentò accenando con il capo alla riproduzione del viso di Peter con le margherite e confermando la mia intuizione.

“Credo anch’io”. Sorridendo mesta, con un gesto della mano distrussi le due composizioni facendo cadere i petali a terra.  

“Tu...tu come stai?” abbozzai. I suoi occhi, resi d’argento dai raggi lunari, erano spenti, rassegnati, dolenti. Non mi piaceva vederlo in questo stato, specie dopo averlo ammirato pieno di vita e forza solo poche ore prima, ed ero del parere che esprimere quei sentimenti ad alta voce lo avrebbe aiutato, come se farli uscire dalla sua bocca li avrebbe fatti uscire anche un poco dal suo cuore.

Caspian sorrise amaro, fissando i petali bianchi sull’erba. “Male e purtroppo dubito ci sia qualcosa che si possa fare per star meglio.” La rassegnazione nella sua voce mi appesantì il cuore. Lui, sempre così speranzoso e vivace, pareva ora svuotato dei buoni sentimenti con i quali aveva sempre vissuto. “Ma immagino non te lo debba spiegare. Se c’è qualcuno che possa capire come mi sento quella sei proprio tu” proseguì.

Annuii e gli strinsi forte il braccio come a sottolineare le sue parole. Era vero, il suo dolore era eco del mio. Il mio animo era attanagliato però anche da un altro sentimento che il moro non sapeva, il dubbio.

“Credo di si. Tuttavia le nostre situazioni non sono completamente uguali” insinuai.

Caspian aggrottò le scure sopraciglia. “Ovvero?”.

“Ovvero Peter mi ha chiesto di andare con lui nella sua Londra” lo misi a parte.

“Ah.”

Due lettere. Due piccole e semplici lettere che però se accostate rendevano bene lo stupore dipinto sul suo viso. Caspian alzò il mento al cielo, annuì come rivolto a se stesso e per diversi minuti vidi il suo sguardo assorto nei suoi pensieri. Seguii la traiettoria dei suoi occhi con un sospiro e  cercai di immaginarmi il filo dei suoi ragionamenti per non tornare a perdermi nei miei.

“Non avevo considerato questa eventualità, sai?” disse infine, facilitandomi il compito che mi era prefissa.

“Nemmeno io” sbuffai.

“E cosa credi di fare?”

Domanda scontata. Peccato che la risposta non lo fosse altrettanto.

Alzai le spalle e presi un profondo respiro prima di rantolare un rassegnato “Non ne ho la benché minima idea”.

Caspian mi passò un braccio attorno alle spalle per attrarmi a sé e io volentieri poggiai la testa sulla sua spalla. Prima del suo arrivo non mi ero resa conto che avevo bisogno di una persona che mi stesse vicina, con la quale confidarmi e che mi capisse. Un amico. E Caspian era la persona più adatta poiché oltre ad essermi sentimentalmente vicino data la nostra simile situazione, era anche l’unico tra i miei amici a non essere imparentato con l’oggetto dei miei problemi e con il quale quindi potevo parlare liberamente, senza temere influenze o complicazioni varie.

“Tu cosa faresti se fossi al mio posto?” gli chiesi a bruciapelo.

“Se Susan mi avesse chiesto di partire?” il suo petto si alzò e abbassò lentamente con anche la mia mano appoggiata sopra. “Non è una risposta facile. Di primo achito, con il cuore, ti direi che la seguirei subito ovunque, anche in capo al mondo, ma riflettendoci…” lasciò in sospeso la frase, prendendosi tempo per pensare.

Lo aspettai paziente, conscia di quanto complicata fosse la mia richiesta. Io era tutta la serata che ci ragionavo su…

Alzai gli occhi al cielo, cercando la costellazione che mi aveva indicato Aslan. Dopo poco riusciia a localizzarla. Quattro stelle brillavano alla mia destra, ora come da millenni sotto il nome di Costellazione degli Amatores. Mi ricordai la triste storia ad esse legate, i quattro amanti uccisi dal loro stesso sentimento, divisi in vita e uniti solo nella morte. Di certo quei ragazzi avevano agito d’istinto, con il cuore, come aveva detto Caspian, ma se si fossero presi più tempo per pensare? I due amanti appartenenti al popolo delle ninfe si sarebbe suicidati per seguire i loro compagni ugualmente o avrebbero optato per continuare a vivere, portando con sé il ricordo degli amanti e sperando un giorno di tornare ad essere felici? E cosa sarebbe stato più giusto per loro? Seguire il cuore, qualunque sia la strada a cui porti ma rispettando un sentimento puro, o ascoltare la ragione e fare la scelta migliore per se stessi? L’opzione migliore sarebbe quella che vede cuore e ragione indicare la stessa via, ma quando ciò non era possibile cosa bisognava scegliere?

“Temo che…” riprese il moro, riottenendo la mia attenzione “nonostante ami Susan più di me stesso, non potrei mai lasciare il mio popolo. Sono il suo re, ho dei doveri ben precisi verso esso” affermò serio. “E poi” aggiunse posando il suo sguardo reso argento dalla luna “non credo riuscirei a vivere in un mondo tanto diverso dal mio. Non ho mai visto Londra ma da quel poco che mi hanno raccontato so che non è un luogo per me. Ho bisogno di vivere in un posto che possa chiamare casa, e l’unica casa che conosco è Telmar” concluse.

Mi morsi il labbro annuendo con il capo per dirgli che avevo compreso la sua posizione. “Quindi l’amore non basta?” domandai esprimendo ad alta voce uno dei quesiti che avevo posto a me stessa prima.

Caspian accennò ad un sorriso amaro e distolse lo sguardo verso un punto non definito del cortile, cercando le parole giuste. “L’amore è necessario per renderci completamente felici, ma non è l’unico ingrediente di cui una persona ha bisogno per sentirsi bene. È brutto da dire ma non si può vivere di solo amore, è una visione molto romantica ma poco realistica. Un uomo o una donna hanno bisogno di sentirsi bene con se stessi, realizzati come individui e di un posto che sentono come loro in cui vivere, per esempio. A Londra sono convinto che non potrei avere niente di ciò quindi, anche se sarebbe una scelta sofferta e rimpiangerei Susan probabilmente per anni e anni, deciderei di restare. Sarebbe la scelta più ragionevole”.

Caspian avrebbe ascoltato la ragione. Pur amando immensamente Susan, avrebbe scelto di vivere a Narnia perché era la scelta più ragionevole. La scelta che con maggiore probabilità gli avrebbe assicurato una media felicità e un futuro.

Ammiravo molto la determinazione che aveva avuto nel fornirmi la risposta. Caspian sapeva cosa lo avrebbe reso pià felice, cosa era meglio per lui, e lo aveva espresso in maniera limpida e incontrovertibile. Che il giovane re avesse ragione? Forse davvero l’amore non bastava…

“Capisco” dissi soltanto. Avrei voluto aggiungere altro ma se avessi iniziato ad esprimere ad alta voce tutte le mie considerazioni e idee probabilmente non sarebbero bastati due giorni. Sperai che intuisse almeno una minima parte dei miei pensieri.

Evidentemente le mie speranze non dovevano essere mal riposte perché Caspian aumentò la presa sulle mie spalle e avvicinò il suo viso al mio orecchio.

“Questo però è solo il mio parere. Io resterei, ma un’altra persona avrebbe potuto dirti che sarebbe partito senza esitare, felice magari di lasciarsi Narnia alle spalle per un’avventura.” Riprese con tono leggermente più concitato. “Non lasciarti influenzare dal mio discorso poiché solo tu puoi decidere cosa ti renderebbe più felice.”

Mi massaggiai le tempie con la mano destra, sospirando. “È una parola. Come faccio a sapere cosa mi farebbe felice?” chiesi frustrata. Ma cosa pensava che mi fossi chiesta durante le ultime quattro ore? Se preferivo i dolci di Narnia o quelli di Londra?

Il giovane poggiò la testa sul tronco dell’albero, riflettendo. “Pensa a cosa ti fa sentire appagata. L’assenza di cosa ti farebbe mancare l’aria? Senza cosa ti sentiresti incompleta, insofferente, perennemente in attesa di un cambiamento per migliorare la tua vita?”

La domanda mi lasciò interdetta. Non l’avevo mai messa in termini così espliciti, ma forse solo affrontanre un interrogativo così diretto poteva aiutarmi a trovare una risposta utile. L’assenza di cosa mi farebbe mancare l’aria?

“Nessuno ti ha mai detto che quando vuoi regali vere e proprie perle di saggezza?” gli dissi, cercando di smorzare l’atmosfera appesantita da quei discorsi.

Funzionò poiché mi giunse presto la risata smorzata di Caspian. “Custodiscile bene perché le dono solo a pochi eletti” stette al gioco.

“Tranquillo, io e quelle perle abbiamo tutta una nottata davanti per stare assieme a riflettere” gli assicurai sarcastica.

Il giovane mi diede un bacio tra i capelli. “Sarà meglio che ti lasci allora.” Mi disse prima di alzarsi agile da terra. “Spero tu riesca a capire quale sia la scelta migliore per te” mi augurò. Gli sorrisi, intenerita dalla brillante sincerità che vedevo nei suoi occhi. Era proprio un bravo ragazzo, mi aveva ascoltata e mi era stato vicino senza nemmeno che glielo chiedessi, di sua iniziativa.

Il giovane fece per andarsene poi però parve ripensarci e si volse nuovamente verso di me. “Cate, ascolta, volevo ancora solo dirti che se decidessi di restare, mi piacerebbe che tu potessi considerare Telmar e questo castello come casa tua. Sai, una mano per governare un regno così grande fa sempre comodo” propose, cercando di nascondere un lieve imbarazzo  con l’umorismo.

Il mio petto si scaldò per la sua dimostrazione di amicizia. Avevo sbagliato, non era un bravo ragazzo, era un ragazzo d’oro. Ma soprattutto, era davvero un caro, caro amico.

“Grazia Caspian” mormorai commossa e ricevetti in cambio il sorriso aperto e sincero del giovane, prima che si voltasse di nuovo e si inoltrasse nell’oscurità del cortile.

 

*

 

Era una bella porta. In mogano, intarsiata con un motivo di foglie d’acanto, con un maniglia in ottone diligentemente lucidato. Mi sarebbe seriamente dispiaciuto se avesse preso fuoco a causa dell’intensità con la quale la stavo fissando. Purtroppo però, nonostante stessi cercando di impormi di girare quella dannata maniglia e farla finita, erano dieci minuti che i miei occhi non si staccavano dal motivo del fogliame, dimostrandomi come preferivano guardare quello invece del viso della persona che mi attendeva al di là della porta.

Non fare la stupida, hai preso una decisione? Bene, ora entri a testa alta e la difendi. Così si comportano le persone indipendenti. Predicai a me stessa cercando di simulare una fermezza che in realtà non possedevo.

Presi un bel respiro e concentrai tutte le mie forze sul complicato compito di alzare la mano destra. Con lentezza riuscii ad appoggiarla alla maniglia e a far stringere le dita attorno a quel tubicino di freddo metallo. Un altro sospiro, una lieve pressione. L’uscio si dischiuse.

Inutile dire come avrei preferito immettermi in un antro di minotauri inferociti. Almeno mi sarei difesa senza preoccuparmi di ferire i miei avversari.

“Ti aspettavo” mi salutò una voce un po’ roca, di chi sta per addormentarsi.

Mi volsi verso il letto alla mia sinistra. Illuminato solo dall’argentea luce lunare che gli rendeva il petto nudo quasi marmoreo, c’era un ragazzo sdraiato comodamente sul piumone blu cobalto. Le braccia dietro la testa, un gamba leggermente inclinata, Peter mi sorrise invitandomi con lo sguardo ad avvicinarmi.

Se voleva lasciarmi senza parole togliendosi la maglietta ci era pienamente riuscito. Non era la prima circostanza in cui potevo ammirare i suoi pettorali, eppure ogni volta rimanevo incantata dalla loro perfezione.

Anche se il primo istinto era quello di tuffarmi tra le sue braccia, gli feci cenno di attendere ancora un po’. Mi diressi verso il paravento posto sulla parete opposta a quella della porta, un semplice pannello in rigida stoffa scura, da utilizzare come camerino, come avevo visto in numerosi film in costume. Dietro il paravento c’era un comodino con la biancheria per la notte, gentilmente fatta comprare da Caspian per noi. Aprii il primo dei tre cassetti e tirai fuori una camicia da notte in seta leggera. La appoggiai sopra il mobiletto e mi accinsi a districare l’intrigo di nodi e cordini che tenevano il vestito attaccato al mio busto. Con una punta d’orgoglio notai quanto mi fossi impratichita nella sottile e delicata arte di togliermi una di quelle trappole di tessuto. Il vestito mi scivolò addosso cadendo con un piccolo tonfo sordo. Ripresi la camicia da notte e la indossai. Il morbido tessuto mi accarezzò il corpo coprendomelo e modellandosi su esso. Controllai il risultato nello specchio intero, posizionato alla sinistra del comodino. Arricciai le labbra compiaciuta. Chiunque l’avesse scelta aveva un ottimo gusto. Era di buona fattura ma semplice, priva di pizzi o merletti, l’unico suo vezzo stava nello scollo a cuore. Era in stile impero e da sotto il seno partiva una lunga gonna che evidenziava le mie forme ad ogni movimento. Il rosso dei miei capelli risaltava sul colore bianco latte della seta, tonalità che mi ricordava i vestiti delle sacerdotesse dei templi romani.

Chissà se a Peter piacerà…

Era un vestito casto, niente a che fare con la provocante e a volte anche volgare lingerie che avevo visto sfoggiata nei negozi del ventunesimo secolo dato che l’unica parte anatomica scoperta erano le braccia, eppure nella sua sobria eleganza, nella leggerezza del tessuto, nel suo adattarsi al mio corpo, mi faceva sentire bella.

Uscita dal riparo del paravento, il brillio malizioso negli occhi del mio re risposero alla mia domanda. Si, gli piaceva.

Senza farmi pregare ulteriormente mi avvinai al letto sorridendogli fintemente ingenua, mettendo momentaneamente da parte le ansie che mi avevano trattenuta dietro la porta. Con dolcezza gli accarezzai una guancia con il dorso della mano, facendolo scorrere dalla tempia fino alla mascella. Peter alzò lentamente il busto mettendosi a sedere, mi afferrò per la vita con il braccio sinistro e mi fece scivolare sulle sue ginocchia. I nostri nasi si sfiorarono, i miei occhi color ghiaccio si scontrarono con un cielo primaverile. Il tempo di un respiro e sentii la dolce pressione delle sue labbra sulle mie. La mia bocca si dischiuse obbediente per accogliere la sua lingua ansiosa di incominciare con la mia la loro ancestrale danza. Le mie mani si poggiarono sulla sua mascella, traendolo maggiormente a me, mentre Peter mi spingeva all’indietro, facendo adagiare la mia schiena sul morbido materasso, senza interrompere il bacio. Per non aggravarmi del suo peso, si sosteneva con il braccio sinistro, lasciando però la mano destra libera di percorrermi il fianco e poi giù fino alla coscia con lente carezze.

Solo quando il pressante bisogno d’ossigeno ci impose di respirare, ci separammo.

Alzai le palpebre e contemplai la vista del viso di Peter, distante dal mio di pochi centimetri. Con i lineamenti rilassati, le labbra ancora umide e socchiuse per prendere fiato, un ciuffo d’oro ribelle sulla fronte, era semplicemente perfetto. Non avrei cambiato una virgola del suo volto come del suo carattere. Mi persi in quel quieto mare che erano le sue iridi. Non c’era traccia del tormento scorto in precedenza, evidentemente doveva averlo relegato in qualche cantuccio della sua mente per permettergli di godersi a pieno l’attimo che mi aveva appena regalato. Il mio di sguardo invece si adombrò all’istante rendendomi conto che presto sarei stata io a riportare vivo quel sentimento nel cuore di Peter.

Il giovane parve accorgersi del mio cambiamento perché scosse la testa in una muta domanda.

Aprii le labbra istintivamente per rispondergli, ma la voce si perse nel desiderio di preservare la tranquillità perfetta che aleggiava nell’aria. Sdraiata sul soffice letto, immersa nella calma notturna, l’unica cosa di cui volevo essere cosciente era la presenza del corpo di Peter sopra il mio, del calore che mi trasmetteva, del profumo fresco che emanava. Sapevo che era una pace racchiusa in una bolla di sapone circondata dagli aghi della realtà, ma avrei voluto essere tanto forte da soffiare in eterno per allonare la sfera dalle punte acuminate. Purtroppo però non potevo.

“Peter, io…” il mio sussurro si interruppe. Come potevo dirgli quello che dovevo? Le parole erano dolorose come scaglie di vetro contro la gola.

Il ragazzo però sfoderò un sorriso comprensivo, in contrasto con la pena dipinta sul mio viso.

“Hai deciso” mi venne incontro.

Annuii con il capo, incapace di proferir parola.

“E hai scelto di restare” concluse.

Distolsi lo sguardo dalla sua persona, sentendomi una traditrice, anche se nella sua voce non c’era traccia d’accusa. Anzi, non c’era traccia d’alcun sentimento, la sua sembrava una semplice constatazione.

Sentii le sue dita correre sotto il mio mento e riportarmelo nella sua direzione.

Con timore mi azzardai a guardarlo. L’assenza di tormento che mi aspettavo nei suoi occhi mi colpì. Vi albergava invece una consapevolezza che mi lasciò interdetta. Come se avesse sempre saputo che non sarei andata con lui.

Sentii il mio cuore stringersi. Significava che considerava il mio amore così flebile da non prendere nemmeno in considerazione l’idea di tornare a Londra per lui? No, non poteva pensarlo. Dovevo fargli capire la mia posizione, i miei motivi.

 “Peter, mi dispiace. Io ti amo, non hai idea di quanto ti ami” cominciai, ma il giovane mi zittì poggiando leggero due dita sulle mie labbra.

“Lo so, Cathy, lo so. Ma so anche che non è una scelta facile quella di lasciare Narnia, specie per te. Ti capisco.” mi interruppe.

Scossi prepotentemente la testa. “No che non capisci” obiettai in un sussurro. Il nostro tono di voce era lieve, come se entrambi temessimo di disturbare la quiete che ci avvolgeva come una coperta. “Non ho preferito Narnia a te, non ho scelto tra due mondi, ma tra due possibili Cathrine” gli spiegai.

Peter aggrottò le sopraciglia. “D’accordo, non ti seguo” ammise.

Gli scostai una ciocca ribelle da davanti alla fronte e accennai ad un sorriso mesto. “Ho provato ad immaginare che persona sarei diventata a Narnia e a Londra.” Premisi. “A Narnia sarei la giovane strega rossa, apprezzata e utile con la sua magia, ma soprattutto qui so qual è il mio posto, so come viverci e questo mi fa sentire indipendente e sicura di me.” Dissi con voce bassa “Nella tua Londra invece sarei un pesce fuor d’acqua, costretto a nascondere le sue capacità, destinato a non essere apprezzato né conosciuto, incapace di trovare un suo ruolo e dipenderei in tutto e per tutto da te. E questa è un’immagine di me che non mi piace.”

“Ma staremo insieme io e te, potremmo costruirci una famiglia” provò, anche se gli leggevo in faccia che sapeva quanto debole fosse il suo tentativo.

“Lo so, e non hai idea di come mi piacerebbe. Ma non nella tua Londra. Nella mia sarei ancora riuscita a trovare un mio posto. Nel duemila le strade per le giovani donne sono numerose, al pari di quelle degli uomini, avrei trovato la mia via, ma nella tua città sarei unicamente la signora Pevensie, priva di qualsiasi indipendenza. Mi spiace ma non posso vivere così, non posso dipendere totalmente da qualcuno, è un’idea che mi spaventa, anche se quel qualcuno saresti tu.”

“Perché?” mi chiese soltanto. Fui sollevata nel sentire solo voglia di chiarimento nella sua voce e non acrimonia.

“Perché perderei la cosa più importante”

“Ovvero?”

L’assenza di cosa mi farebbe mancare l’aria?

“La mia libertà” gli risposi, semplice, diretta. “Allontanandomi da te probabilmente mi precludo l’unica cosa che renderebbe la mia vita felice, ma senza essa so che non riuscirei a vivere né felicemente né infelicemene.”

Peter si morse il labbro, assimilando le mie parole. Restai immobile, aspettando una sua reazione, una parola, un gesto. Qualsiasi cosa mi facesse capire cosa stesse pensando. Solo quando mosse le labbra permettei al mio diaframma di alzarsi nuovamente.

“Capisco” mormorò. “E approvo la tua scelta”.

Trassi un sospiro di sollievo. “Davvero?” chiesi conferma quasi incredula. Speravo non si arrabbiasse o si adombrasse, ma di certo non immaginavo di ottenere persino la sua approvazione.

Peter abbozzò un sorriso malinconico. “Egoisticamente avrei voluto tu venissi con me, ma sono contento che tu abbia trovato la tua strada, anche se è diversa dalla mia. Quando ti ho vista la prima volta eri un pulcino smarrito. Non sapevi chi eri, dove andare, con chi… Ora invece davanti a me ho una donna forte, che sa cosa vuole e che è riuscita a trovare il suo posto nel mondo. E io non posso che essere fiero e contento per te, mia fulgida stella.” 

Sentii gli occhi farsi lucidi. “Oh Peter…” balbettai, le labbra tremanti.

“Shh” mi intimò scuotendo la testa e sfiorandomi teneramente. “Ora basta, per favore. Domattina, i raggi del sole ci illumineranno due strade diverse, ma ora la luna rischiara un’unica via ed io intendo percorrerla con te per tanto che le stelle saranno in cielo” mi sfiorò le labbra con un bacio. “Voglio sentirti vicina a me finché posso.” Sussurrò con voce bassa e suadente.

Gli presi il viso tra le mani e lo trassi a me per sottolineare quanto concordassi con le sue parole. Dentro di me il dolore stava per aprire una voragine  che solo con molta difficoltà e molto tempo sarei riuscita a rimarginare, ma per il momento quel crudele sentimento doveva restare fuori dalla nostra bolla di sapone, che nonostante la sua fragilità era riuscita a resistere alla nostra discussione. Avevo soffiato con sufficiente energia per proteggerla, ma soprattutto aveva soffiato anche Peter, desideroso quanto me di godere di quell’ultima notte che ci era concessa senza essere turbati da brutti pensieri, dimenticandoli l’uno nelle labbra dell’altro.

Ci sarebbe stato tempo per piangere. Ci sarebbe stato tempo per crogiolarsi nei ricordi. Sarebbero stati la mia unica compagnia in lunghe serate rannicchiata in un grande letto vuoto. Più avanti, nei giorni, nei mesi, negli anni successivi. Non certo quella notte.

La consapevolezza che quell’incanto non sarebbe durato che poche ore si perse nelle lenzuola blu mare. Quello che temevo era il futuro, ma esso non era ancora giunto. Attualmente c’era il presente. Un meraviglioso presente in cui intendevo smarrirmi.

Al momento l’unica cosa di cui si volevano riempire i miei occhi era la visione dei suoi lineamenti angelici e del suo petto marmoreo e caldo sotto il mio tocco. L’unica cosa sopra la quale la mia mente voleva soffermarsi era la sensazione di essere sua. Unicamente e semplicemente sua, come le sue mani mi ricordavano disegnando complicati arabaschi sulla mia pelle improvvisamente ardente. Mani delicate, ma che non si risparmiavano così come le sue labbra morbide eppure passionali come fuoco.

Il mondo esterno si distrusse. Peter era il mio mondo. I suoi occhi, il mio cielo. Il suo petto, la mia terra. Il suo respiro, caldo sulla mia spalla e leggermente affannato, il mio vento. La sua voce, roca e profonda mentre sussurrava il mio nome, l’unica e la più bella melodia dell’universo. Le sue mani, raggi di sole che mi riscaldavano percorrendomi.

Per quella notte, c’era solo Peter.

 

*

 

“CHE COSA?”

La voce squillante di Lucy riempì indignata la stanza.

“Non starete parlando sul serio spero” si accodò Edmund, scoccanto un’occhiata allibita al fratello maggiore.

Peter lanciò uno sguardo d’aiuto a Susan. Di solito era lei quella che sapeva da che verso prendere i fratelli.

Susan alzò le mani in segno di calma e avanzò di un passo. “Ci abbiamo riflettuto a lungo e questa è la scelta più giusta, credeteci” cercò di convincerli.

Lucy la guardò scettica, alzando un sopraciglio. “Come puoi parlare così? Secondo te abbandonare Narnia per sempre è una scelta giusta?”

“Di certo non lo è abbandonare voi due!” ribatté Peter. La sua voce era stanca. Si era svegliato presto quella mattina, sapendo di dover adempiere a quello spiacevole compito. Aveva rimandato fino all’ultimo, ma prima a poi quella discussione la doveva affrontare. Occorreva pur dire a Edmund e a Lucy che dovevano lasciare Narnia. Di nuovo.

“Ma non sarebbe mica un addio. Solo un arrivederci” strillò la bimba picata.

Peter si massaggiò le tempie. La voce acuta di Lucy gli avrebbe senz’altro fatto venire il mal di testa.

“Si ma a tempo indeterminato. Potreste tornare tra un mese ma anche tra dieci anni, e io non ho alcuna intezione di farvi partire da soli senza sapere quando potrò rivedervi. Siamo una famiglia e le famiglie restano unite.” Intervenne Susan, cercando di essere abbastanza risoluta da porre fine al discorso.

Speranza vana.

“No, le famiglie si contraddistinguono perché si vogliono bene, non perché restano ottusamente appiccicate anche a rischio della propria felicità!” affermò la più piccola dei Pevensie, alzando ostinatamente lo sguardo sulla sorella, lasciando quest’ultima interdetta per la veemenza delle sue parole.

“Cosa vuoi dire?”

“Lo sai perfettamente Peter.” Si intromise Edmund. “Io e Lucy non abbiamo scelta, dobbiamo tornare, ma sapendo che rivedremo ancora Narnia lo accettiamo di buon grado. Per te e Susan è diverso. Potete scegliere dove vivere e state facendo la scelta sbagliata.”

“Non vi lascerò partire…” incominciò a ribattere il biondo, iniziando a scaldarsi per l’insistenza dei fratelli minori. Possibile che non capissero quanto costava loro quella decisione? Dovevano anche mettersi loro due a complicare le cose?

Edmund però lo interruppe, alzando il tono di voce. “Tu e Susan volete restare a Narnia. È chiaro ed è giusto così. Amate questa terra e vi sentireste in colpa per il resto della vita se aveste la consapevolezza di averla nuovamente privata di un re, di non aver adempito ai vostri doveri nei suoi confronti.” Disse, inchiodando il ragazzo di fronte a sé con lo sguardo più fermo e sicuro che Peter gli avesse mai visto

“Senza contare che entrambi lascereste indietro molto più che un regno. Non avete pensato a Caspian e a Cathrine? A come si sentiranno? E a come vi sentirete voi senza di loro, senza vederli mai più? Tornando a Londra vi condannate all’infelicità” rincarò Lucy, la voce un poco più bassa di prima ma non meno coinvolta.

Susan e Peter si scambiarono uno sguardo affranto. Sapevano che tutto quello che i fratelli avevano detto era terribilmente vero.

Oh, se lo sapevano…

Alla sola idea di deludere ancora il loro popolo, quel popolo che li aveva accolti, acclamati e che tanta fiducia aveva nei loro sovrani, Peter si sentiva come un ladro che fuggiva furtivamente dal suo compito. E il pensiero di Cathrine… quello lo faceva semplicemente morire.

Ma cosa poteva fare? Aveva dei doveri anche nei confronti della sua famiglia. Non l’avrebbe divisa, non l’avrebbe lasciata sola. In più Edmund e Lucy non avevano considerato che anche l’idea di non rivedere più loro due gli straziava il cuore. Erano i suoi fratelli più piccoli, erano vissuti sempre insieme, sempre presenti gli uni per gli altri, supportandosi nei momenti di difficoltà e condividendo gioia e dolore. Come poteva separarsi da loro? Erano come una parte di lui.

Si sentì stringere il braccio da una mano piccola e calda. Abbassò di poco gli occhi e un paio di grandi iridi castane gli sorrisero.

“Peter, tu e Susan siete i fratelli migliori del mondo, vi siete sempre presi cura di me e di Edmund, ma non dovete sacrificare l’intera vostra esistenza per noi. Credi che noi potremmo davvero vivere contenti sapendo che voi avete rinunciato alla vostra felicità per seguirci?” gli disse, prendendo il discorso con più calma. “Tu e Susan dovete restare qui. Questa è la cosa più giusta.” ripeté convinta “Qui siete davvero indispensabili, il popolo ha bisogno di voi e voi di lui. Tu in particolare, dato che soffri se non salvi la vita di qualcuno durante la settimana.” Peter abbozzò un sorriso mentre portava con una carezza una ciocca castana dietro l’orecchio della sorellina “Qui sarete felici. Vi costruireste una vostra vita. Una vita passate nella terra che adorate, a svolgere i doveri che più vi convengono. Ma soprattutto una vita insieme alla persona che amate. Avete trovato l’amore qui a Narnia e se ve lo lascerete scappare lo rimpiangerete per tutta la vita, ne sono certa. Ed io non posso permettere che ciò accada, non per una motivazione così sciocca.”

“La famiglia è una motivazione sciocca secondo te?” chiese retorico il biondo interrompendola.

Lucy sbuffò irritata. “Noi saremo sempre una famiglia, la distanza non distrugge un legame profondo come il nostro.” Lo rimbeccò “E poi sono certa che non sarebbe una lunga lontananza. Aslan non lo permetterebbe, lo conosci, non ci lascerebbe divisi. Poco tempo ed io ed Edmund saremo tornati. E tutti insieme potremmo vivere a Narnia” concluse con un sorriso volto ad infondere fiducia nei fratelli maggiori.

“Sul serio, non potete chiudere le porte ai vostri desideri per una scusa simile. Io e Lucy siamo cresciuti. A Londra ce la caveremo benissimo, non abbiamo più bisogno della vostra protezione, e Aslan è d’accordo con noi o non vi avrebbe nemmeno messo nella condizione di scegliere. Qualche tempo e poi saremo di nuovo uniti.” Aggiunse Edmund cercando di farli ragionare.

Peter sospirò e cercò aiuto nella sorella. Vide nel suo viso la stessa indecisione che albergava nel suo.

Guardò allora la piccola Lucy, ancora teneramente stretta al suo braccio, e vi scorse, oltre la convinzione per la sua causa, il dispiacere per la loro eventuale separazione, anche se era certa che sarebbe stata breve. Lo stesso lo scorse negli occhi scuri di Edmund.

Anche loro avrebbero sofferto nel dividersi, come lui. Poteva dunque lasciarli andare a farli patire una sofferenza che avrebbe potuto evitare?

“Quest’inutile discussione è andata avanti fin troppo a lungo. La decisione è già stata presa. Tra qualche ore partiremo tutti e quattro.” Decretò, sperando che non si accorgessero di come la sicurezza che mostrava fosse in realtà simulata.

Edmund sospirò, irritato e desolato al contempo per la testardaggine del fratello. Lucy lo guardò affranta e scosse la testa, ma non osò ribattere niente. Aveva tentato tutto il possibile.

Susan si avvicinò al biondo e gli sorrise mesta, triste, comunicandogli di essere d’accordo, ma che, come lui, ne doleva.

Aveva fatto davvero la scelta giusta? Aveva passato la serata precedente ad auto convincersi. Aveva convinto Cathrine e aveva cercato di dirlo in maniera convinta anche ad Edmund e Lucy. Loro però erano riusciti a far crollare la certezza che si era con tanta fatica costruito. Le cose che avevano detto, le affermazioni su Aslan, sulla loro indipendenza, sulla loro felicità, sui loro diritti e i loro doveri, ogni cosa metteva in discussione la sua scelta.

E se fosse rimasto? Cosa sarebbe accaduto?

L’immagine della sua Cathy, con i capelli arruffati e il sorriso che gli regalava ogni mattina quando si svegliava, gli riempì la mente. Avrebbe vissuto con lei, ogni giorno si sarebbe destato con lei tra le braccia e si sarebbe addormentato al suono del battito del cuore della giovane contro il suo petto. Avrebbe potuto provvedere al benessere del suo popolo. Riprendere il governo da dove lo aveva interrotto milletrecento anni fa e riportare Narnia al suo splendore originale. Proteggerla da eventuali invasori o da qualsiasi cosa avesse osato minacciarla.

Ma Lucy e Edmund sarebbero stati soli a Londra. Loro due affermavano di essere capaci di badare a se stessi, ma ai loro occhi erano ancora così innocenti, così inesperti del mondo. Lucy si intrufolava ancora nel suo letto quando la sera il tuono di un temporale la spaventava mentre Edmund era nell’adolescenza, un’età difficile dove si ha bisogno di una persona più grande accanto, capace di guidarti, di essere un modello. Poteva lasciarli in balia di loro stessi? Per quanto tempo poi? In cuor suo sapeva che Lucy aveva ragione su Aslan. Non avrebbe acconsentito ad una lunga lontananza. Ma qual era il concetto di “lunga” per una creatura immortale?

Non poteva rischiare di scoprirlo. Doveva partire. Anche se…

 

*

 

I raggi del sole inondavano il corridoio, sostituendo la fioca luce delle torcie accese fino a qualche ora prima. Quei dannati e crudeli raggi che segnavano l’inizio del giorno. Di quel giorno. Il giorno della partenza dei Pevensie.

Il mio infantile desiderio che la notte -quella meravigliosa notte che avrei ricordato per sempre- appena trascorsa durasse in eterno, non si era avverato ovviamente. La luna era calata, e il suo posto era stato preso dal cerchio di fuoco che aveva svegliato me e Peter, ancora teneramente abbracciati.

Il giovane biondo a malincuore aveva lasciato il letto per dirigersi verso la camera del fratello minore, dove mi stavo dirigendo. Gli aspettava un compito gravoso, quello di informare Edmund e Lucy della loro imminente partenza, annuncio rimandato più a lungo possibile per far godere a pieno la serata precedente ai due ragazzi senza nefaste notizie.

Dinanzi alla porta del stanza di Edmund trovai Caspian. Il giovane mi accolse con un sorriso triste, desolato, che ricambiai con un cenno.

“Credi possiamo entrare?” mi rivolsi a lui.

“Penso abbiano finito. È un’ora buona che stanno parlando e ormai…” la sua voce si incrinò, lasciando la frase in sospeso.

Gli strinsi il braccio, facendogli capire che gli ero vicina, che lo capivo. Caspian mi guardò in viso e colse il significato del mio gesto, quale scelta alla fine avessi fatto. Solo quella avrebbe motivato l’ombra nelle mie iridi.

“Hai deciso di restare” constatò. Il tono era modulato per sembrare neutrale, ma riuscii a sentire una traccia di sollievo. Evidentemente l’idea di non venire abbandonato proprio da tutti non poteva che fargli piacere. Potevo comprenderlo anche in questo. Io per prima ero felice di sapere che almeno un amico sarebbe rimasto al mio fianco, che non sarei stata completamente sola.

“Se c’è una camera per me  in questo bel castello…” accennai cercando di scherzare per alleggerire l’argomento.

“Tutte quelle che vuoi” mi rispose sincero.

Gli sorrisi grata, dopodiché mi feci forze per girare la maniglia. In quelle ultime ventiquattr’ore aprire le porte era diventato un compito incredibilmente faticoso.

Quattro paia d’occhi si voltarono verso di noi, sorpresi di vederci. Era evidente che il nostro ingresso aveva interrotto una discussione ancora in corso.

Imbarazzata abbassai lo sguardo sulle mie mani intrecciandole nervosamente, sentendomi un’intrusa in quella che era una chiara riunione familiare.

“Ehm” cominciò Caspian, a disagio quanto me “Io volevo solo avvisarvi che è tutto pronto. Il popolo e Aslan vi stanno aspettando nella piazza per il commiato” li informò diligente.

“Grazie, arriviamo subito” gli rispose Peter, lanciando un’occhiata ai fratelli per cogliere eventuali obiezioni.

Per il commiato.

Sentii il respiro mancarmi, mentre il fantasma di quello che avevo temuto da ieri sera diventava un fatto reale e concreto. Un fatto immediato.

Tra poco sarebbero partiti ed io non li avrei mai più visti. Il corpetto si fece stretto, l’aria pareva essere stata risucchiata via dalla stanza. Avrebbero attraversato il portale, andando a Londra, lontano da qui.

No, non potevo farcela a vederli andarsene. Era troppo.

Sperando che avrebbero capito, mi schiarii la voce richiamando la loro attenzione.

“Ragazzi, scusatemi ma non credo di riuscire a vedervi attraversare il portale. Non ce la faccio.” Ammisi con un sussurro fioco, come se fosse una fatica immane pronunciare quelle poche parole. “Vi dispiace se vi saluto qui?” supplicai, respirando affannosamente per soffocare il pianto che sentivo ormai prossimo.

I loro occhi, lucidi come i miei, mi accarezzarono con dolcezza e compassione, capendomi.

“Ma certo Cate, non dovevi nemmeno scusarti”

Edmund mi si avvicinò per primo abbracciandomi forte. “Stammi bene, mi raccomando.” Mormorò accarezzandomi una guancia al pari di un vero fratello. “Ti auguro una vita piena di felicità, te la meriti”.

Ecco, come fa una persona a trattenersi dal piangere, pur con tutti i buoni presupposti di questo e dell’altro mondo, se poi un amico ti dona un addio del genere? Non era dunque colpa mia e della mai debolezza se la prima lacrima scappò dal mio controllo.

“Grazie Ed, abbi cura di te anche tu. E soprattutto controlla che Peter non si cacci nei guai perfavore” aggiunsi a suo unico beneficio.

Edmund accennò ad una lieve risata alla quale mi unii, anche se avevo iniziato a tirare su con il naso, ricercando un minimo di “self-control” che pareva avermi abbandonata.

Mi si accostò poi la piccola Lucy. Dai suoi occhi colmi di lacrime constatai a come avesse già rinunciato al ritegno al contrario di me. I suoi grandi occhi castani mi guardarono con un mare di tristezza prima di gettarmi le braccia al collo.

“Mi mancherai tantissimo” bisbigliò, singhiozzando.

“Non quanto tu mancherai a me” ribattei, mentre un seconda lacrima scivolava lungo la guancia.

“Però noi due ci rivedremo vero? Aslan ha detto che io ed Edmund torneremo” balbettò.

La sua voce era piena di speranza, una speranza alla quale mi aggrappai anche io. Sapevo che le possibilità di rivederci nella sua terza visita a Narnia erano poche, ma non potevo biasimarmi per accendermi una piccola luce per alleviare la nostra pena, per questo dissi: “Lo spero tanto. Sappi che vi penserò ogni giorno finchè non tornerete. Ti voglio bene.”

La bimba aumentò la stretta prima di scioglierla. Con un’espressione mesta e intenerita le asciugai le lacrime che le solcavano il dolce viso a forma di cuore, poi le posai un bacio sulla fronte, pregando silenziosamente che le nostre speranze si avverassero. Avrei dato qualsiasi cosa per poter rivedere quella ragazzina, che alternava in maniera adorabile comportamenti infantili e saggezza da adulti, e che per me era diventata praticamente una sorella minore. Dire che le volevo bene era stato riduttivo, ma sapevo che lei conosceva e condivideva i miei sentimenti.

Con un’ultima carezza, mi allontanai da lei per dirigermi verso Susan. La ragazza era l’unica Pevensie con la quale avevo avuto a che ridire. Era stata la più diffidente per la mia natura di strega, la più propensa a vedere in me anche un asso nella manica da usare contro Telmar e la più arrabbiata per la mia unione con Jadis. Avevamo urlato, avevamo litigato, ma alla fine eravamo riuscite a comprenderci e a volerci bene. Tanto che ora l’unica cosa che mi veniva in mente guardandola non erano le sfuriate e i disaccordi, bensì che avrei perso una cara amica. Un’amica con la quale avevo lottato fianco a fianco nei momenti difficili, un’amica che si era aperta rivelandomi i suoi sentimenti sedute su un prato in un caldo pomeriggio.

Senza tentennare l’abbracciai, e subito fui ricambiata.

“Sei una delle persone più determinate e caparbie che abbia mai conosciuto e ti ammiro per questo. Non perdere mai la tua forza, mi raccomando” le confidai quello che pensavo di lei.

“Tu invece non perdere mai la tua bontà e il tuo altruismo, per i quali non smetterò mai di ringraziarti” ricambiò, sincera. Nella voce c’era l’evidente segno che stava cercando di mantenere la calma e non commuoversi come avevamo fatto io e sua sorella. Avrei dovuto aspettarmelo. Tuttavia dubitavo sarebbe riuscita a mantenere il controllo fino all’ultimo. Era al limite, glielo si leggeva nell’espressione trattenuta del volto. Avrei voluto dirle che se si fosse lasciata andare nessuno glielo avrebbe sottolineato, ma rinunciai. Avrebbe giurato il contrario fino a negare l’evidenza.

Rimaneva ora solo una persona. L’avevo lasciata appositamente per ultima, sperando che salutando gli altri mi sarei preparata al definitivo addio anche da lui. Purtroppo però quando posai il mio sguardo sul suo viso, le lacrime che salirono ai miei occhi mi illustrarono come non sarei stata preparata a quel distacco nemmeno se avessi salutato ogni abitante di Narnia.

“Noi iniziamo ad andare. Ti aspettiamo nella piazza Peter” propose Susan tempestiva.

Mentre i tre Pevensie e Caspian uscivano dalla stanza, ringraziai mentalmente la ragazza per aver compreso la nostra situazione e averci regalato un momento di privacy. L’ultimo.

Iniziavo a vedere la sua immagine sfocata a causa delle lacrime, ma non passò il tempo di un singhiozzo che sentii le sue braccia avvolgermi, calde e accoglienti, come tante volte avevano fatto.

Affondai il viso nel suo petto, riempiendomi i polmoni del suo profumo fresco, sperando scioccamente che potessi conservarne un poco per quando lui non ci fosse più stato.

“Oh Cathy” mormorò Peter poggiato con la guancia sul mio capo, mentre immergeva una mano tra i miei boccoli. “Non piangere, ti prego” mi supplicò con voce addolorata.

Svelta, con il dorso della mano asciugai le goccie che avevano iniziato a cadere, sapendo che vedermi così gli avrebbe solo straziato di più il cuore. Dovevo cercare di farmi forza, non potevo permettere che fosse Peter a farsela per entrambi. Ma era tutto così doloroso. Avevo la sensazione di avere una spada affilata puntata sul cuore, pronta ad affondare nel mio petto appena le fatidiche parole di congedo fossero state pronunciate. Una sensazione che avevo già sentito la prima volta che temevo non avrei più rivisto Peter, quando gli avevo detto “addio” per andare da Jadis, ma non per questo meno dolorosa.

Presa dall’agitazione suscitata dalla consapevolezza sempre più opprimente che il nostro tempo stava per scadere, mi aggrappai al colletto della camicia del ragazzo per avvicinare il suo viso al mio.

“Ascolta, voglio che tu mi prometta due cose”.

Peter poggiò la sua mano destra sulla mia e con l’altra mi accarezzò il viso. “Tutto quello che vuoi” sussurrò, colpito dalla mia improvvisa foga.

“Promettimi che…” la mia voce, rotta da un pianto che cercavo di trattenere, tremava, rendendomi arduo il compito di dire ciò che dovevo. “che sarai felice. Che ti farai una splendida vita che non ti farà rimpiangere le tue scelte”.

Scorsi un guizzò di sorpresa nel suo sguardo, subito sostituita da un’ombra di tentennamento. Sapevo che la mia era una richiesta difficile, ma volevo essere sicura che Peter avesse una vita lieta, che si costruisse un’esistenza appagante, con un casa e una famiglia.

“Promettimelo” lo pregai ancora.

Il biondo sospirò afflitto prima di bisbigliare “te lo prometto”.

Accennai ad un sorriso di sollievo.  La sua sarebbe stata una vita di cui purtroppo non avrei potuto far parte, ma almeno volevo fosse felice, come Peter si meritava. Era una consapevolezza che mi avrebbe aiutata a superare la separazione.

“E che” la mia voce questa volta si abbassò, imbarazzata e timorosa di ciò che stavo per chiedere, come i miei occhi, improvvisamente molto interessati ai risvolti della sua camicia “ogni tanto, penserai a me. Che non dimenticherai quello che c’è stato tra noi”.

Sentii la stretta sulla mia mano aumentare. “Cathy, come puoi anche solo ipotizzare che non sarai più nei miei pensieri?” ribatté quasi offeso. Prendendomi il mento tra l’indice e il pollice mi alzò il viso. “Credo non passerà un singolo secondo senza che tu sia la regina dei miei pensieri, come potrei dimenticarti? Sei la mia stella, ricordi?” affermò, serio e convinto.

La frase mi sciolse il cuore, ma nonostante ciò scossi la testa, contrariata.

“Non è questo che voglio. Non puoi vivere con il mio ricordo sempre in testa e sperare di andare avanti con una nuova vita.” Gli poggiai il palmo della mano sulla guancia. “Il passato è passato, non può convivere con il presente e io farò parte del passato. Quello che ti chiedo è solo di tirarlo fuori ogni tanto da un recondito cassetto e di ripensare al mio volto con un sorriso, unicamente questo.” Precisai, sperando che mi capisse.

Peter sospirò e mi strinse al suo petto, la sua mano sul mio capo, senza aggiungere altro. Mi presi la licenza di considerare il suo silenzio come un si, anche se dentro di me pensavo che se fosse stato lui a farmi una richiesta simile non avrei mai potuto acconsentire.

Come avrei potuto non pensarlo quotidianamente? Come potevo non provare nostalgia di quelle calde braccia che ora mi cullavano, facendomi sentire protetta?

La spada cominciò a bucarmi la pelle, come crudele ammonitrice.

“Ora promettimi tu una cosa” mormorò. Era una mia impressione o anche la sua voce era rotta come la mia? “Giurami che non smetterai mai di risplendere come hai fatto per me. Sei una persona speciale, destinata a brillare nel cielo di Narnia proprio come una stella. Non smarrirti nel buio della nostalgia e del rimpianto, ma vivi illuminando la vita altrui.” Alzai il viso dal suo petto, gli occhi spalancati. Solo lui avrebbe mai potuto dedicarmi una frase tanto meravigliosa, esaltando qualità visibili solo ai suoi occhi ma che pronunciate da lui sembravano vere anche a me. “So che farai del bene a questo popolo, tu e Caspian lo guiderete in quest’era di pace” concluse. I suoi zaffiri bruciavano di passione e convinzione per quello che stava dicendo, un fuoco che cercava però di arginare il mare di dolore che scorgevo nelle iridi.

Preda della commozione, dell’amore e della tristezza, lo baciai, non sapendo come altro ribattere a parole così sentite. Ma non un bacio pieno di passione e dolcezza come quelli che ci eravamo scambiati la notte appena trascorsa, nella penombra della nostra camera. Le mie labbra erano bagnate da lacrime di amarezza riuscite infine a sfuggire al mio controllo, un sentimento che si univa alla desolazione e al dolore. Le nostro lingue portarono avanti la famigliare danza lentamente, come se avessero bisogno di tempo anche loro per salutarsi e volessero ricordare ogni dettaglio dell’altra.

Quando ci separammo, stavo ormai piangendo senza freni.

Peter mi guardò intensamente. Aveva i lineamenti rigidi, tesi nell’evidente tentativo di mantenere un certo contengno, ma vidi nei suoi occhi tormento ed afflizione. Insieme ad una schiacciante consapevolezza.

“Devo andare” bisbigliò a suo malgrado con voce strozzata. Mi accarezzò con languore straziante la guancia rigata.

Dimentica di ogni ritegno, tirai su con il naso e singhiozzando iniziai a scuotere la testa in un infantile gesto di rifiuto. Avevo provato ad abituarmi all’idea del distacco nelle ultime ventiquattro ore, avevo cercato di autoconvincermi che era la scelta più giusta, avevo fatto presente a me stessa che ero sopravvissuta al primo addio che gli avevo dato, ma niente avrebbe potuto prepararmi sufficientemente per quel momento, niente me lo avrebbe fatto accettare completamente o me lo avrebbe fatto affrontare senza soffrire.

“Cathy” mi richiamò, usando il suo tono vellutato che mi fece chiudere gli occhi.

Mi costrinsi a fare dei respiri profondi, facendo uscire l’aria dalla labbra con un lieve tremolio.

Devi essere forte, devi essere forte. Mi ripetevo come un mantra. Dovevo lasciarlo andare, non potevo trattenerlo lì con la forza.

Cercando di farmi sostenere da una forza che in realtà non avevo, alzai le palpebre. Il momento era giunto.

“Addio Peter”

La mia voce, un sussurro tremulo che si disperdeva nell’aria satura di pianto.

Il ragazzo mi sfiorò le labbra con le sue. Un’ultima volta.

“Addio mia Cathy”

Un sussurro lieve eppure abbastanza forte da spingere l’elsa della spada dentro il mio petto.

Dei passi pesanti, oppressi dalla mole di emozioni che sostengono, la porta che si chiuse e poi il silenzio. Un silenzio capace di urlare più forte del rumore la mia condanna. Se n’era andato.

La lama affilata raggiunse definitivamente il mio cuore. La sentii trafiggerlo con un colpo deciso, spietata. Inutilmente le mie mani corsero al petto, come se potessero lenire quel dolore interno con la loro sola presenza.

Di nuovo in poco tempo i miei polmoni bruciarono per l’improvvisa mancanza d’aria. Mi guardai attorno, boccheggiando. Le quattro pareti divennero opprimenti, le vedevo venirmi incontro minacciando di schiacciarmi.

Dovevo andarmene da quella camera.

Cercando di concentrarmi riuscii a radunare le forze che le lacrime non avevano ancora prosciugato. Con una notevole fatica mi materializzai nelle scuderie di Telmar, lì dove riposava uno dei pochi amici che mi restavano.

“Fulmine!”

Con un nitrito il cavallo rispose al mio richiamo, avvicinandosi sorpreso dalla mia visita.

“Cathrine, non dovresti essere nella piazza per il Com…” incominciò ad apostrofarmi, ma si interruppe quando mi guardò in viso. Arretrò con il muso. La mia espressione era così stravolta da destare quasi spavento? Probabilmente si.

“Cate, posso fare qualcosa?” mi domandò cambiando nettamente la direzione del discorso.

Gli fui grata per non avermi chiesto perché piagevo. Avevo contato sulla sua intelligenza da equino magico per non dover dare spiegazioni.

“Portami alla spiaggia per favore” lo pregai con un fil di voce. Non occorreva specificare quale, ero certa avrebbe capito.

Avevo bisogno di allontanarmi da quel castello, da Telmar, da tutti. Avevo bisogno di stare sola per metabolizzare quella ferita che mi aveva aperto il cuore. E avevo bisogno di farlo nell’unico posto in cui avrei sentito la sua presenza sempre.

La nostra spiaggia.

Ma per quanto la voglia di raggiungerla più in fretta possibile fosse tanta, ero consapevole che non sarei riuscita a smaterializzarmi così lontano nelle mie condizioni. Per compiere un viaggio del genere magicamente occorreva una grande concentrazione, e al momento la mia era impegnata a tenere malamente insieme i cocci della mia anima devastata.

Fortunatamente, Fulmine accettò immediatamente di offrirmi il suo aiuto senza aggiungere un’altra parola e al galoppo attraversammo il ponte immettendoci nel bosco. Sul suo dorso, saldamente aggrappata alle redini, non mi restava altro che sperare che il vento che mi sferzava il viso, assieme alle lacrime si portasse via al meno una minima parte del dolore che mi trafiggeva.

 

*

 

Quando sono per sempre, gli addii dovrebbero essere rapidi. Lord Byron docet. Un saluto, una stretta di mano e ci si avvia per la propria strada, senza voltarsi indietro. Semplice e lineare. Eppure perché al giovane re biondo pareva un’impresa impossibile allontanarsi dalla propria gente?

L’annuncio della loro partenza imminente da parte del Re Supremo aveva sollevato veementi proteste da parte delle creature di Narnia, radunate nella piazza sottostante al terrazzino dove si trovavano i Pevensie, Aslan e Caspian. Proteste che Peter non era riuscito a non accogliere con una punta di orgoglio e soddisfazione, nonostante la tristezza del viaggio. Erano la riprova che il popolo li amava e che li volevano come sovrani quanto i Pevensie volevano continuare a guidarli e assicurarsi il loro benestare.

Purtroppo però non sarebbero bastate per impedire il loro ritorno in Inghilterra.

La decisione ormai è presa. Si ripetè per la millesima volta.

Facendosi forza, avanzò di un passo verso la folla, le mani alzate intente a istigare la calma.

“Popolo di Narnia, è stato un onore per i miei fratelli e me governarvi fintanto che ci è stato concesso. Purtroppo per noi è tempo di andarcene, ma nonostante la pena sia grande, trovo confronto nel sapere di lasciarvi in ottime mani” con lo sguardo si rivolse a Caspian, in piedi alla sua destra. “Re Caspian saprà guidarvi in questa nuova era di pace, assicurandovi la prosperità che vi siete guadagnati duramente”. Detto questo si avvicinò al giovane sovrano, il quale lo fissava grato delle parole pronunciate dal maggiore dei Pevensie. Peter gli tese la mano, afferrata prontamente da Caspian in una stretta forte. Solo un’occhiata e una presa sulla spalla. Nient’altro, ma bastava per trasmettere tutto ciò che doveva essere detto. Si erano trovati in disaccordo su molti punti, c’era stato antagonismo ed erano arrivati persino a minacciarsi l’un l’altro, ma alla fine avevano imparato a conoscersi, a rispettarsi e, senza nemmeno che se ne rendessero conto, a fare affidamento durante le battaglie o nella quiete della quotidianità. Erano diventati amici.

Appena il giovane biondo si fece da parte, fu il turno di Edmund e Lucy di prendere congedo dal ex principe. Il saluto di Edmund fu simile a quello del fratello. Una stretta di mano, poche ma sentite frasi di commiato. Diverso fu invece quello della bimba. I suoi occhi, lucidi da quando si era separata da Cathrine, avevano ripreso a lacrimare sulla spalla del ragazzo quando questo si era chinato per abbracciarla.

Lord Byron aveva ragione. Gli addii avrebbero dovuto essere brevi. Estenderli con parole e abbracci prolungava solo la lenta agonia del separarsi. Eppure il definitivo distacco spaventava al punto da preferire allungare il commiato. Pur di procrastinare anche di poco quell’ineluttabile evento, si era disposti a sopportare quella pena. Gli addii avrebbero dovuto essere brevi, era vero, ma Lord Byron non doveva aver tenuto conto dell’indole prettamente masochista dell’animo umano.

Come conferma delle sue riflessioni, Peter scorse il viso di Susan mentre si apprestava ad avvicinarsi a Caspian. Colpito vide i grandi occhi castani della sorella, solitamente imperturbabili, lucidi e pronti al pianto. Probabilmente seguire il consiglio del poeta inglese, limitarsi ad un cenno di saluto e scappare lontano da quel luogo, le avrebbe risparmiato le lacrime che sarebbero certamente sgorgate durante il bacio d’addio che si stavano per dare. Ma Peter ben sapeva che per nulla al mondo la ragazza avrebbe rinunciato a quell’ultimo bacio, anche se aveva il velenoso sapore della separazione.

Peter avrebbe voluto lasciare a Susan e a Caspian la stessa privacy che era stata concessa a lui e a Cathrine, purtroppo però non poteva allontanare un centinaio di persone e lasciare la piazza a loro. L’unica cosa fattibile era che lui, Edmund e Lucy cominciassero ad avviarsi verso il portale. Almeno Susan avrebbe potuto separarsi da Caspian senza essere sotto lo sguardo più interessato e vicino dei fratelli.

Con un cenno del capo richiamò l’attenzione di questi ultimi, intimandoli a seguirlo. Solo dieci passi lo separavano dal portale spazio-temporale, aperto dividendo magicamente il tronco di un albero in due parti dal Grande Felino, che lo avrebbe riportato a Londra. Casa sua. Molto, molto lontano da quel luogo meraviglioso.

Un luogo che aveva sentito suo dal primo momento. Che aveva imparato a conoscere e ad apprezzare al punto da considerare più normali gli animali parlanti che quelli muti di Londra.

Nove passi.

Inspirò a fondo, chiudendo un’istante gli occhi. L’aria stessa in quel luogo sembrava essere più pulita, satura del profumo dei fiori e della magia. Niente a che vedere con lo smog e i fumi che rendevano Londra inquinata e grigia.

Otto passi.

Voci di protesta che a gran voce urlavano il suo nome giungevano ancora alle orecchie di Peter. Il popolo lo reclamava. Il suo popolo gli stava chiedendo di restare. Questa volta non lo avrebbe lasciato completamente in balia di se stesso, Caspian avrebbe salvaguardato il benessere dei suoi sudditi, ma il giovane era comunque prima re di Telmar, non di Narnia. Lui, Peter, era il re di Narnia, un re che per la seconda volta abbandonava la gente che aveva riposto fiducia in lui, persone che gli avevano affidato la loro esistenza, che lo volevano. Poteva davvero piantarli in asso? E lui sarebbe stato capace di convivere con il rimorso di non aver adempito ai suoi doveri verso le creature di Narnia? Senza sapere se realmente sarebbero riusciti a godersi la meritata pace senza che essa venisse turbata da agenti esterni?

Sette passi.

Si lanciò un ultimo sguardo attorno, cercando di imprimersi nella memoria tutto ciò che vedeva. Alla sua sinistra, postura dritta e pugno chiuso sul cuore, sostavano il valoroso Ripicì e il minotauro Morris. Due creature magiche, appartenenti a libri di fiabe, teoricamente inesistenti, nelle quali però Peter aveva sentito la fedeltà e l’amicizia più vere e presenti che in qualunque uomo o donna del suo mondo. In quel luogo aveva trovato degli amici leali ai quali aveva più volte affidato la sua vita senza esitare. Dubitava che sarebbe riuscito a stringere legami così profondi una volta tornato a casa.

Sei passi.

Casa. Per tutto quel tempo aveva ribadito a se stesso che Londra era casa sua e che quindi era giusto tornarci. Ma il termine “casa” dopotutto non indicava un concetto relativo? Chi aveva decretato che la propria “casa” era il luogo in cui si nasceva? “Casa” non era il posto dove si desiderava stare? Nella quale ci si sentiva a proprio agio come se si fosse una parte integrante di esso? Dove si era voluti e amati? Il posto in cui si voleva vivere? Era proprio Londra “casa” sua?

Cinque passi.

Cosa avrebbe fatto una volta tornato in Inghilterra? Avrebbe proseguito gli studi e poi trovato un lavoro. Forse, dopo qualche anno, sarebbe anche riuscito a costruirsi una casa tutta sua. Ma sarebbe davvero stato felice? C’era stato un tempo, molti anni prima quando mondi come Narnia esistevano solo nelle sue fantasie, dove era riuscito a immaginarsi come membro rispettabile della comunità inglese. Gli sarebbe piaciuto entrare nell’esercito, avere una carriera militare, sapere che con le proprie azioni poteva riuscire a salvare la vita di altre persone. Ma ora, consapevole che il mondo di Londra non era l’unico esistente, quel futuro che appena quindicenne si era dipinto per lui era svanito, sostituito da altre aspirazioni, altri sogni. Aveva combattuto in groppa a grifoni e unicorni, guidato un esercito di nani arcieri e centauri spadaccini, aveva amministrato un regno per vent’anni, provvedendo alla sua prosperità. Aveva ricostruito una civiltà riportandola alla pace e allo splendore. Sarebbe riuscito ad abbandonare tutto questo, ad abbandonare il suo regno e la consapevolezza di poter fare tangibilmente del bene, per Londra? Dove il suo raggio d’azione era talmente limitato da dubitare che avrebbe realmente potuto rendersi utile a qualcuno? Sarebbe riuscito a vivere come una persona qualunque in una realtà piatta e banale?

Quattro passi.

L’ultimo anno passato in quella città era stato un inferno, inutile negarlo. Aveva sofferto la mancanza della sua gente, ne aveva fatto quasi una malattia. Si era sentito impotente e insignificante, come se avesse avuto le mani legate per tutto il tempo. Non era riuscito a vivere in quella comunità perché non se ne sentiva più parte. Si era sentito un estranio tra coloro che una volta erano i suoi concittadini. Con gli anni sarebbe riuscito a riadattarsi, a trovare il suo posto in quel mondo?

Tre passi.

A Londra però c’erano i suoi fratelli. Edmund e Lucy erano costretti a tornare, non poteva lasciarli da soli con il rischio di non rivederli mai più. Ma davvero non li avrebbe più rivisti? In cuor suo sapeva che quello che la piccola gli aveva detto era vero. Aslan non avrebbe mai acconsentito a tenerli separati a lungo. Ma comunque per qualche tempo avrebbero vissuto distanti. Si rendeva conto che entrambi stavano crescendo. Edmund era un giovane uomo, aveva acquisito un’invidiabile sicurezza di sé e sarebbe certamente stato in grado di prendersi cura della sorella. Mentre Lucy si stava avviando ad essere una splendida ragazza, senza contare che possedeva una saggezza di cui pochi potevano vantare anche in età più adulta. Ormai erano piccoli e indifesi solo ai suoi occhi, eppure separarsene era davvero difficile, il senso di protezione che aveva sempre avvertito nei loro confronti era smisurato e quasi impossibile da mettere da parte. Ma se li avesse seguiti per non separarsi da loro solo per qualche tempo avrebbe davvero condannato all’infelicità lui e Susan come i fratelli minori avevano fermamente sostenuto? La durata della separazione, se si aveva fede nella buona indole di Aslan, si prospettava breve, molto più dell’eterna infelicità che sarebbe derivata dall’allontanamento da quel mondo magico…

Due passi.

…e da Cathrine. Aveva proibito a se stesso di soffermarsi su quel pensiero fintanto si fosse trovato a Narnia. Voleva mostrarsi forte davanti al suo popolo durante la sua ultima apparizione, proposito irrealizzabile se avesse pensato al congedo preso dalla ragazza. Separarsi da lei era stata l’azione più difficile della sua vita. L’amava e le aveva giurato che sarebbero restati insieme. Infrangere quella promessa e allontanarsi da ciò che illuminava la sua esistenza era stato come strapparsi il cuore dal petto. Dal momento in cui le sue braccia aveva sciolto la presa da quell’esile e caldo corpo, aveva avvertito un vuoto, un senso di apatia quasi paralizzante. Non era dolore, quello sarebbe giunto una volta metabolizzato l’avvenimento. Era semplicemente una sconcertante assenza di emozioni. Come se fossero state risucchiate via da lui da quell’ultimo bacio a fior di labbra che aveva dato alla sua stella. Sarebbe riuscito a vivere senza di lei? Le aveva promesso che sarebbe stato felice, che si sarebbe ricostruito una vita, eppure era convinto che non avrebbe potuto dividere la sua esistenza con nessun’altra ragazza oltre la sua Cathy. Quella ragazzina che aveva trovato sperduta nel bosco, animata da un fuoco e una grinta insospettabili da quel suo visino ingenuo, gli era entrata dentro quasi come un veleno, prendendosi la sua anima e la sua mente. Non sarebbe mai riuscito a disintossicarsi. Ma a tormentarlo maggiormente era chiedersi se Cathrine invece ci sarebbe riuscita. Quando le aveva detto addio, aveva letto un dolore e un tormento insostenibile nei suoi grandi occhi azzurri. Il suo viso, di solito capace di illuminare tutto ciò che le era attorno, era spento, pallido, privo di speranza. Una vista che lo aveva ucciso. Aveva condannato anche lei all’infelicità, un’altra persona che si aggiungeva alla lunga lista di infelici che aveva creato con la sua scelta. Possibile che un decisione che portava tanto dolore fosse realmente quella giusta? Che avesse sbagliato, accecato da uno smisurato e non necessario senso del dovere che gli aveva impedito di giudicare oggettivamente la situazione credendo che rinunciare alla propria felicità fosse inevitabile per percorrere la stada corretta?

Un passo.

Si voltò indietro, in direzione della sorella. Susan si era separata da Caspian e li stava seguendo. Il suo volto riluceva della sofferenza che provava, eco di quella di Peter. Negli occhi, il filo dei pensieri del fratello maggiore. Bastò uno sguardo tra loro per comunicarsi ciò che dovevano.

La decisione era stata presa.

 

*

 

Con le braccia rannicchiate al petto, come se con quel gesto infantile potessi trattenere i molteplici sentimenti che provavo ed evitare che esplodessero distruggendomi, sedevo sulla sabbia fine, poco distante dalle onde che indolenti si infrangevano sulla battigia. La gola bruciava, incapace di sopportare oltre il pianto che ora proseguiva sommesso. Le lacrime scivolavano giù a ritmo costante dai miei occhi, fissi sull’orizzonte. Desideravo smarrirmi nella vista splendida del mare che si univa con il cielo azzurro in un punto lontano, come se la mia coscienza potesse perdersi in quell’infinità.

Cercavo di non pensare. Mi imponevo di non pensare. Se lo avessi fatto, l’enormità della consapevolezza di ciò che era successo mi avrebbe travolta con la forza di uno tsunami. Non pensare invece mi permetteva di far cullare la mia mente dal dolce sciabordio delle onde di quel mare calmo.

Quanto tempo era passato da quando, fuggendo dalla realtà tra gli arbusti che celavano la grotta, ero giunta nella mia piccola oasi di pace, in quel piccolo angolo di paradiso? Pochi minuti, ore? Non mi interessava. Fuori da quella spiaggia non c’era niente ad attendermi, solo un mondo che in ogni cosa mi urlava l’assenza di Peter. Quel piccolo anfratto invece mi parlava di lui, lo sentivo vicino a me, e poco importava che fosse solo una mera illusione di una persona distrutta. Per me quella spiaggia tratteneva il suo ricordo. Nel colore del mare, riuscivo a scorgere la sfumatura degli occhi di Peter, la loro profondità mentre giurava di amarmi. Nei raggi del sole, i riflessi dorati dei suoi capelli, fini come i granelli di sabbia che sentivo scorrere tra le mie dita. Negli alberi e nelle roccie che cingevano la baia, le braccia del ragazzo che mi circondavano teneramente con la promessa di proteggermi. Il vento tiepido, oltre all’odore della salsedine, mi portava invece l’eco della sua voce morbida mentre mi diceva…

“Sapevo di trovarti qui”

Il tempo parve fermarsi, timoroso di rompere un incanto improvviso e ignoto con il suo incedere continuo. Il dolore mi aveva forse condotta alla pazzia totalmente? Il mio desiderio di averlo vicino era tanto grande da indurre la mia mente a sentire il suono della sua voce? Doveva essere così. L’alternativa era facilmente verificabile. Sarebbe bastato ruotare la testa di poco verso la mia destra, nella direzione in cui il suono mi era giunto. Ma se si fosse rivelata sbagliata, la delusione mi avrebbe dato il colpo di grazia.

“Se fossi partita tu, avrei cercato un luogo che mi parlasse di te, e quale posto migliore di questo, dove per la prima volta ho compreso seriamente di amarti?”

Era troppo forte per essere il flebile sussurro del vento. Troppo reale per essere il parto della mia mente addolorata.

Con il cuore in gola, mi voltai lentamente. La mia bocca si spalancò di incredula meraviglia quando i miei occhi, sbarrati e lucidi, si posarono sulla figura dell’ultima persona che credevo di rivedere e dell’unica che avrei voluto accanto per sempre. Peter, retto in piedi, con le mani poggiate sui fianchi, mi sorrideva con la felicità di un bambino nel giorno di Natale davanti al regalo che più aveva atteso.

All’improvviso il tempo tornò a scorrere e sentii le mie energie, prima esaurite nel languore dello sconforto, tornare a pompare insieme al mio sangue. Corrergli incontro e gettarmi tra le sue braccia ansiose fu questione solo di un’istante.

Ridendo di pura gioia, Peter poggiò le sue mani sui miei fianchi e sfruttando il mio stesso slancio mi alzò in aria, facendomi volteggiare. Sentivo la pressione delle sue mani bruciare come fuoco, il suo odore di bosco e muschio inebriarmi di nuovo. Vedevo ogni sfumatura del color zaffiro delle sue iridi o dei riflessi dorati dei suoi capelli. Avvertivo la sua presenza con una forza quasi schiacciante, come se qualcuno avesse sviluppato i miei sensi prima ottenebrati.

Stupore, gioia, confusione, felicità, tutto si agitò in una girandola di sentimenti che culminarono quando le mie labbra si posarono sulle sue, riprendendosi la pace che l’ “addio” pronunciato poche ore prima le aveva tolto. Fu come riunire due tessere di un puzzle, mi sentivo di nuovo completa, traboccante di vita, piena di emozioni  e di voglia di provarle.

Peter era con me. Il mondo poteva ricominciare a girare.

Il bisogno di ossigeno mi costrinse a interrompere il bacio. Lo guardai, gli occhi colmi di felicità quanto le dita lo erano di tenerezza mentre sfioravano le sue labbra ancora umide. Avevo tante domande, una più importante dell’altra, eppure quando parlai l’unica frase che uscì fu un’affermazione. Semplice, forse scontata, ma per me era di vitale importanza ribadirla ad alta voce ora che il destino mi aveva dato la possibilità di farlo.

“Ti amo”

Un sorriso sghembo si dipinse sul suo bel viso. “Perché credi che io sia qui se non perché ti amo anch’io?” rispose, sfregando lieve il suo naso contro il mio.

Lo baciai ancora, come a confermare la sua reale presenza su quella spiaggia, scongiurando il pericolo che si trattasse di un miraggio.

Non riuscivo a credere fosse lì, che fossi tra le sue braccia. Gli avevo detto addio, il mio cuore si stava rassegnando ad abbandonare la sensazione di battere quel dolce sentimento chiamato amore, eppure Peter era lì. Gli avevo detto addio perché il destino sembrava avesse deciso che le nostre strade dovevano essere separate, perché i nostri doveri e le nostre necessità non convergevano, eppure Peter era lì. Se fosse stato un sogno, volentieri non mi sarei mai più svegliata, ma il brivido che la sua mano, che morbida mi accarezzava il viso, mi procurava, mi dava la certezza che quella fosse la realtà. Una realtà che non mi faceva più paura perché invece di presentarsi deserta e dolorosa era traboccante di speranza e amore.

Perché Peter era lì con me. Incredibilmente, inspiegabilmente, meravigliosamente lì con me.

“Ma com’è possibile?” mormorai, facendo scorrere i miei occhi sulla sua figura come se fosse un’apparizione miracolosa, resa quasi divina dai raggi del sole che definivano i suoi contorni alle sue spalle.

“Ti ho promesso che sarei stato felice, e io mantengo sempre le mie promesse” disse solenne. Poi mi si accostò all’orecchio come se dovesse svelarmi un segreto. “Il problema, mia Cathy, è che io posso essere felice solo se sono accanto a te”.

A quelle parole sentii le lacrime pungermi di nuovo, questa volta però per gioia, ma le ricacciai indietro, dimenticandole nelle tenerezza di un altro bacio.

“Ma Lucy ed Edmund, i tuoi doveri?” riuscii a impormi di chiedere.

Anche se mi vergognavo ad ammetterlo, il mio interesse per quelle questioni al momento era pari allo zero, tuttavia una vocina interiore mi ricordò come forse avrei dovuto evitare di smarrirmi nella dolce sensazione che mi trasmettevano le sue labbra e avere notizie su aspetti più pratici. Tolta quell’incombenza, sarei annegata nel mare dei suoi occhi per non riemergerne mai più senza ulteriore indugio.

“Loro sono partiti. Solo Susan è rimasta qui” mi informò.

Una piccola parte della mia mente registrò che a Telmar dovevano esserci dunque altri due giovani amanti preda della mia felicità. Non potevo che esserne contenta, Caspian e Susan meritavano il loro lieto fine quanto noi.

“E li hai lasciati andare?” la mia voce suonò quasi sospettosa. Peter mi era parso fermamente convinto a non abbandonare i fratelli minori, cosa gli aveva fatto cambiare idea?

Il biondo annuì, e dall’ombra che aleggiò sul suo viso compresi che la decisione presa non era stata tra le più semplici.

“Non avrei voluto separarmi da loro, ma è Narnia ad avere più bisogno di me, almeno quanto io di questo posto. Lucy ed Edmund se la caveranno, anche se faccio fatica ad ammetterlo, sono cresciuti e sono in gamba. E poi non sarà per molto, Aslan ci ha promesso che presto li farà tornare” spiegò.

Le sue parole erano concise, ma lo conoscevo talmente bene che riuscivo a leggergli l’enorme conflitto interiore che aveva affrontato dal tormento che ancora sostava nelle sue iridi. Nonostante fosse indiscutibilmente felice di essere rimasto, si sentiva in colpa nei confronti di Edmund e Lucy. Credeva di averli abbandonati e quindi di essere venuto meno al suo ruolo di fratello maggiore, anche se in cuor suo sapeva che i due ragazzi non correvano alcun pericolo a Londra.

Gli presi il viso tra le mani e appoggiai la mia fronte sulla sua, riempiendo il suo campo visivo.

“Staranno bene, vedrai. E tra meno di quanto pensi saranno di nuovo qui con noi” affermai venendo incontro alle sue angoscie inespresse.

Il sorriso con cui mi gratificò mi fece comprendere che la mia intuizione fosse giusta.

“E quando verranno, saranno felici di vedere la loro Narnia splendente come ai tempi d’oro, forse anche di più, grazie alla tua guida e al tuo operato.” Sfregai il mio naso con il suo e gli diedi un bacio leggero. “Sei il re migliore che Narnia abbia mai avuto, dire che questo paese abbia bisogno di te è un eufemismo.” Conclusi, rincarando la dose con la speranza di acquietare almeno un poco le sue ansie.

Peter a quel punto sorrise malizioso. Veloce, mi prese in braccio senza sforzo, permettendomi di cingergli il collo con le braccia. “Non quanto io ho bisogno di te. Sarei stato perso a Londra senza la mia piccola stella” mi sussurrò all’orecchio, procurandomi un brivido lungo la schiena.

“Non hai idea di come mi senta ora. Vederti qui, sapere che non te ne andrai… la tua stella si stava già spegnendo dopo solo pochi minuti che ci eravamo lasciati. Non speravo di sentirmi di nuovo così felice” gli confessai, mostrandogli su un piatto d’argento la mia debolezza, il mio bisogno di lui, senza alcuna remora o timore, perché sapevo di svelarli ad un osservatore attento e premuroso.

“Ti assicuro Cathy che finché avrò fiato in corpo, non ti lascerò mai più, qualsiasi cosa succeda. La separazione porta troppo dolore, e io non voglio infliggertene mai più. Saremo felici. Insieme, qui a Narnia, perché questo è il nostro posto.” giurò, prendendo la mia mano destra nella sua e mettendosela sul cuore.

Poi mi baciò di nuovo, suggellando le sue parole, facendomi volteggiare tra le sue braccia mentre girava su se stesso.

Ero ebbra di gioia e la consapevolezza che le affermazioni di Peter erano vere mi donava una pace e una serenità che credevo non sarei mai riuscita a raggiungere. Ero appagata, in armonia con me stessa, con il fato e con il mondo.

Non temevo più il futuro. Al contrario non vedevo l’ora di viverlo, un desiderio che non avevo mai provato quando nella mia camera a Londra temevo di essere condannata alla solitudine e all’incertezza o quando, sul freddo davanzale del palazzo di Jadis, temevo di dover scegliere tra mia madre e la persona che amavo. O ancora quando, rannicchiata su una spiagga deserta, ero certa che il mio cuore avrebbe provato tanto dolore da divenire incapace di provare un altro sentimento.

Avevo sempre visto il mio futuro nebuloso, perché nel mio presente c’erano solo verità celate e certezze instabili. Perché non ero consapevole di chi fossi e non sapevo chi avrei avuto accanto. Avevo così poca fiducia nel mio avvenire che senza riflettere mi ero gettata in quell’avventura dimostratasi ben presto più grande di me, convinta che qualsiasi cosa mi avesse portato sarebbe stato meglio di quello che avevo, poiché ciò che possedevo era solo un’infinito senso di incompletezza. Una scelta avventata, ma che si era dimostrata la migliore che potessi prendere, perché quel giorno che mi aveva vista correre disperata e lacrimante ad Hyde Park, totalmente senza speranza, mi aveva cambiato lo vita, donandomi tutto ciò che mi mancava e che da sempre avevo agognato.

Quella notte avevo gridato al cielo una domanda precisa. Perché sono qui? Avevo chiesto alle stelle, supplicando di rispondermi. Perché ero al mondo con quei poteri, che scopo aveva la mia vita, chi si interessava a me? Ora avevo la risposta.

Possedevo quei poteri perché ero la figlia della più potente Strega Bianca mai vissuta a Narnia e il mio scopo era difendere con la mia magia quella terra che era la mia vera casa. Ma soprattutto ero al mondo per godere dell’amicizia di persone sincere e buone, e dell’amore di un ragazzo che mi aveva aperto il cuore, dimostrandomi quanto potessi avere da un sentimento tanto profondo ma finora represso.

Dopo anni passati a soffrire un presente buio e temere un futuro incerto, ero felice di vivere in un presente che aveva il sapore dolce della bocca di Peter con davanti un futuro illuminato dal suo amore e dalle mie nuove certezze.

 

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Capitolo 24
*** Epilogo ***


E siamo ancora qua, come direbbe Vasco, purtroppo (almeno per me XD) per l'ultima volta. Ve lo avevo promesso, ed ecco dunque l'epilogo che pone definitivamente fine a questa lunga storia. Sarò eccessivamente sentimentale, ma vi confesserò che mi viene quasi da piangere all'idea che non scriverò più delle avventure di Cathy e Peter. So già che mi mancheranno tantissimo e con loro tutto il magico mondo di Narnia. Dopo due anni mi sembra quasi di conoscere di persona questi due personaggi e gli altri coprotagonisti, e pubblicando quest'ultimo capitolo, mi pare di salutare degli amici. Spero solo che un po' di loro resterà in voi che avete apprezzato e seguito questa storia e che non ve li scorderete subito dopo aver spento il pc, ma che resteranno almeno un poco ancora con voi :-) 

Peter e Cathy però non sono gli unici che mi mancheranno. Sentirò mille volte di più la mancanza di voi cari lettori che con pazienza mi avete seguita e appoggiata e di tutte voi anime buone che avete recensito la mia storia, regalandomi la possibilità di sapere cosa ne pensavate e dandomi talvolta dei consigli per migliorarla e migliorare il mio stile. Vi ringrazio di cuore, ogni vostra singola parola è stata la spinta giusta per continuare a scrivere sera dopo sera e mi ha riempito l'animo di gioia e orgoglio per questa storia, Witch's Daugther, ufficialmente la prima storia che riesco a concludere, a cui riesco dare un finale e pubblicarlo, un altro motivo per cui sicuramente mi resterà per sempre nel cuore. 

Bene, ora che vi ho sufficientemente annoiati a morte con tutte queste sdolcinate chiacchiere, posso lasciarvi alla lettura dell'epilogo che spero apprezzerete come degna conclusione della storia e che vi lascerà appagati :-) 

Ringraziamenti:

Dahylia: Ciao carissima^^! Forse sto diventando ripetitiva ma non smetterò di dire quanto sono felice che l'ultimo capitolo ti sia piaciuto :-) l'ultimo capitolo è sempre quello più importante, dove si tirano le somme della storia, si decide in via definitiva del destino dei propri personaggi e bisogna quindi compiere scelte che possono essere giuste e lasciare appagato il lettore o disastrose e rovinare un'intera storia, quindi ero abbastanza impaurita da responsi, ma sono super lieta di saperlo positivo e che sia riuscita a tenere alta la suspance in modo da dare la bella sorpresa alla fine. Nella conclusione ha poi prevalso il mio lato romantico. Avevo pensato di renderlo struggente con un amore reso impossibile dalla lontananza, ma poi ho pensato che ci sono tante storie tristi già nella realtà, almeno qui, nel nostro mondo fantasy di pagine d'internet dove le cose le decidiamo noi, il finale poteva essere lieto e felice e farci sognare almeno per il tempo della lettura :-) Guarda, per la decisione di Cate ti confesso che non avevo mai pensato seriamente di farla tornare a Londra con Peter, il mio marcato femminismo mi impediva di prendere in considerazione l'idea di farle perdere la sua indipendenza per amore, non ci riuscivo proprio! Sarebbe stata una scelta in cui lei avrebbe sacrificato troppo, mentre Peter, anche se rinuncia per qualche tempo a vivere con i suoi fratelli, ha tutto da guadagnare a restare a Narnia in quanto è il Re. Si, arrivare alla fine è una grande soddisfazione, mi sembra di essere riuscita a raggiungere uno scopo, un traguardo! Ti auguro di provare presto la stessa cosa e sono sicura che ce la farai! Si, ero decisamente fuori strada con la divinità XD complimenti per la fantasia del nome che hai inventato, è davvero bello, quasi musicale :-) Spero davvero tanto che l'epilogo ti piaccia e che dia un buona conclusione alla storia :-) spero di sentirti presto, un bacio grande!!!!!

bex: ma ciao!!!!!!! Sono stra felice che lo scorso cappy sia stato tanto apprezzato!!! Concordo pienamente con te, sono convinta anche io che a lungo andare il fatto di aver dovuto compiere tutte quelle rinunce avrebbe finito per rovinare il rapporto tra Cathy e Peter, infatti non ho mai seriamente pensato che Cate potesse seguirlo a Londra. Ho trovato più che ragionevole che Peter tentasse di propriorierglielo, ma come si legge nemmeno lui era convinto che Cate avrebbe accettato. Credo che nessuna ragazza del 2000, mettendo da parte l'euforia e la passione dell'attimo, avrebbe accettato di rinunciare alla propria indipendenza, sono del parere che sia l'ingrediente essenziale per vivere. Però dall'altra parte sono anche romantica e il finale con le lacrime, anche se mi aveva stilisticamente tentata, ho deciso di accantonarlo in favore dell'happy ending. Dopotutto quei due ne avevano già passate di tutti i colori poverini, un lieto fine se lo meritavano! E lo meritavamo anche noi sognatrici ^^ spero che anche quest'ultima apparizione di Cathy e Peter ti piaccia, e che mi farai presto sapere cosa ne pensi :-) un bacione e grazie mille per i tuoi complimenti!!!

sweetophelia: Ciao cara! Grazie davvero per i tuoi complimenti :-) Sono felice che sia trasparita l'incertezza fino all'ultimo, perchè oltre a essere la mia era anche il sentimento che provavano i nostri protagonisti, con la domanda madre "andare o restare?".Guarda, è la prima storia che riesco a concludere, quasi non ci credo nemmeno io che finalmente ho scritto la parola fine in una fan fiction, spero solo che questa sia la prima storia iniziata e conclusa di una lunga serie :-) Mi auguro che l'epilogo ti piaccia, fammi poi sapere cosa ne pensi^^ un bacio grande e grazie ancora!!

Un grazie enorme anche a chi ha aggiunto questa storia tra le preferite e/o le seguite, o anche a chi ha solo letto con costanza la mia ff, grazie di cuore a tutti!

Buona lettura di quest'ultimo capitolo

kisskisses

68Keira68

P.S. per le recensioni di questo capitolo, a chi avrà la pazienza di scrivermi, ringrazierò ognuno usando la mail :-) un grazie a tutti in anticipo :-)

witch

Epilogo

 

“Tesoro?”

Il richiamo si perse nella quiete silenziosa della camera da letto.

L’uomo entrò dentro la stanza, i passi attutiti dal soffice tappeto blu che ricopriva il pavimento. Fece scorrere lo sguardo sull’ambiete circostante, sul letto a baldacchino in parte celato dalla tenda blu cobalto, sul separé color creme dove risaltava una vestaglia femminile rossa, sull’armadio a due ante in noce, ma non trovò la persona cercata.

Attraversò la camera fino a giungere alla porta finestra che dava su un terrazzino, invitato dall’anta spalancata dalla quale entrava la brezza leggera che faceva ondeggiare le tende beige.

Un sorriso si dipinse sul volto del moro. A pochi passi di distanza, mollemente appoggiata alla balaustra in pietra, i lunghi capelli castani mossi dal vento, c’era la donna da lui cercata.

Caspian si prese un momento per osservarla. Nonostante fossero passati ormai dieci anni dal loro primo incontro, non si sarebbe mai annoiato di seguire il profilo perfetto del suo viso, né di scorgere il dolce sorriso che gli rivolgeva la mattina, un meraviglioso regalo che ancora ogni tanto temeva di perdere, di svegliarsi e accorgersi che quei magnifici anni trascorsi assieme non fossero altro che un sogno e che lei se ne fosse andata via con i suoi fratelli, a Londra. Poi però la stringeva tra le braccia e quando il suo profumo simile a fiori di campo lo invadeva, ogni timore svaniva, mentre si rafforzava la certezza che Susan fosse lì, che non fosse partita perché l’unico futuro in cui voleva vivere era quello in cui c’era anche lui, come gli aveva sussurrato una fatidica mattina di dieci anni prima su una piazzetta sotto gli occhi di tutto il popolo, rinunciando a ritornare nella sua città natale. Rinunciando a non vivere a Narnia. Rinunciando ad abbandonare il giovane.

Lo stupore di quel giorno nel vedere la ragazza ritornare indietro, raggiante dopo che gli aveva appena detto addio tra i singhiozzi, nel sentire le sue esili braccia allacciarsi dietro il suo collo, lo aveva quasi paralizzato. Per un lungo istante era stato incapace di qualsiasi reazione, finché la sua mente non aveva metabolizzato il messaggio delle parole di Susan. La ragazza non sarebbe partita. Sarebbe rimasta a Narnia con lui.

La gioia provata era stata indescrivibile. Aveva stretto la presa sui suoi fianchi e l’aveva alzata in aria, iniziando a ridere di felicità, dimentico del centinaio di telmarini e narniani che li osservavano poiché solo una cosa era importante in quel momento. Susan.

Caspian si scostò dall’intelatiatura della porta-finestra su cui si era adagiato e si avvicinò alla regina, immersa nei suoi pensieri al punto di accorgersi della presenza dell’uomo solo quando questi gli passò le braccia attorno alla vita, facendo aderire il suo petto alla schiena di lei.

“Ehi, ciao” mormorò sorpresa ma lieta dell’arrivo di Caspian. La ragazza volse il viso nella direzione del giovane per un bacio a fior di labbra, poi tornò a fissare l’orizzonte, adagiandosi nel suo abbraccio.

“Andrew?” domandò Susan, facendo scorrere lentamente la sua mano sull’avambraccio del re.

“è andato a Cair Paravail con Edmund e Melanie. Ed lo riporterà per cena” le rispose, posando il mento sul suo capo.

La regina sorrise. Appena poteva il figlio coglieva l’occasione di andare al castello dei quattro troni. Il bimbo, simile al padre nell’aspetto tanto quanto non lo era nel carattere esuberante e aperto, adorava sgattaiolare a Narnia e respirare a pieno l’odore della magia che lì regnava. Certo, da quando era stata stipulata la pace un decennio fa, anche a Telmar era divenuto normale scorgere minotauri e tassi parlanti intenti ad acquistare uno scudo dall’armaiolo, tuttavia solo nel regno oltre il fiume ci si poteva totalmente immergere in un’atmosfera sovrannaturale. E Andrew, con i suoi grandi e intelligenti occhi castani, ne era ammaliato.

Andrew. Il suo Andrew. Una piccola peste smilza di sette anni, capace di mettere il castello di Telmar a soqquadro giocando a fare il “prode” cavaliere e di far disperare il suo tutore per la sua incapacità di star fermo cinque minuti. Era un bambino sveglio, interessato a qualsiasi cosa gli succedesse accanto, fosse il volo di un ippogrifo o le fasi della luna, furbo quanto bastava per trovare modi sempre più fantasiosi per evitare la vasca da bagno, aveva ereditato dalla madre un grande senso pratico e organizzativo, ma peccava totalmente nell’adempiere ai suoi piccoli doveri, come era d’obbligo alla sua età, quali tenere in ordine la stanza e applicarsi nello studio. Tuttavia agli occhi di Susan gli si poteva perdonare tutto quando, con un sorriso dolce e innocente, la sera gli portava un mazzetto di margherite colte durante la sua passeggiata pomeridiana.

La regina prestò la sua attenzione allo scenario che le si prestava dinanzi. Sotto il suo sguardo la vita quotidiana di Telmar proseguiva tranquilla e vivace. Dal terrazzino della sua camera da letto poteva scorgere il fabbro battere ripetutamente il suo martello contro un ferro rovente e una donna sulla quarantina comprare il pane dal panettiere accanto tenendo per mano un pargoletto all’incirca di cinque anni; alla sua destra un gruppo di ragazzini giocava spensieratamente con dei giovani fauni al tiro con l’arco, mentre poco distante poteva vedere attraverso la vetrina del negozio una sarta intenta a prendere le misure di una cliente. Un perfetto ritratto della parola pace, una parola che lei si era impegnata a mantenere per il bene della sua gente in qualità di regina. Regina di Narnia e di Telmar, come l’avevano nominata dopo il suo matrimonio con Caspian e come si sentiva nel cuore dopo tutti quegli anni, dove aveva imparato a conoscere quel regno prima lontano e ostile ed ora tanto noto e amato.

Il suo matrimonio… quell’anno festeggiavano il loro nono anniversario ma ancora poteva viverlo minuto per minuto nei suoi ricordi e riprovare per intero la gioia di quel giorno. Caspian le aveva chiesto di sposarlo dopo un anno dalla sua decisione di restare a Narnia. Un pomeriggio di metà aprile il giovane l’aveva portata alle rovine della piccola arena davanti al loro avamposto durante la guerra, con la scusa di fare un picnik per allontanarsi per qualche tempo dall’impegno che la corona portava con sé e Susan, entusiasta dell’idea, aveva accettato prontamente. Verso il volgere della sera, quando ormai nel cielo l’azzurro cedeva il passo all’arancio acceso del tramonto, Caspian le si era inginocchiato davanti e, con voce vibrante dall’emozione, aveva aggiunto un altro ricordo legato a quel luogo per loro così speciale, chiedendole di diventare sua moglie. Susan non aveva esitato a dare una commossa risposta affermativa e a gettargli le braccia al collo. Stava aspettando quella proposta da settimane, come tutta la corte e i suoi fratelli del resto.

“A cosa pensi?”

Susan si riscosse dai suoi ricordi e si volse verso il marito. “Al giorno del nostro matrimonio” gli rivelò. “Te lo ricordi?”

Caspian ridacchiò. “Intendi il giorno in cui mi hai reso l’uomo più felice di Telmar? Si ho un vago ricordo” ironizzò. “Quando sei entrata nella Sala del Trono, con quel vestito bianco lungo e stretto, temevo di restare paralizzato dall’emozione. Eri la cosa più splendida che avessi mai visto, talmente bella che credevo ti saresti dissolta come un miraggio.” Mormorò, tornando indietro con la mente al momento in cui, dal fondo della Sala dove avevano deciso di svolgere la cerimonia, presieduta da Aslan in persona, Susan, al fianco di Peter, era apparsa fasciata da un abito da sirena, con i capelli raccolti in una crocchia tenuta in piedi da rose bianche, identiche a quelle che componevano il bouquet. L’attraversata della navata gli era parsa infinita, perso com’era nell’incedere sinuoso della bella regina e quando finalmente le aveva preso le mani tra le sue, aveva avuto l’ennesima conferma dal battere del suo cuore di come la meravigliosa donna che aveva davanti potesse essere l’unica che desiderasse al suo fianco negli anni a venire.

“Quando Aslan ci ha dichiarati marito e moglie in nome dell’Antica Magia, ho avuto la certezza che niente sarebbe più andato storto, che insieme avremmo trovato una soluzione ad ogni cosa” gli confessò Susan.

Caspian considerò a come, una decina di anni fa, un’ammissione del genere le sarebbe costata una fatica immensa e a come sarebbe deliziosamente divenuta rossa fino alla radice dei capelli, mentre ora non provava alcun imbarazzo a confidargli debolezze e sentimenti. Sotto quell’aspetto Susan aveva imparato ad aprirsi di più verso gli altri e a non vedere come una mancanza il mostrare ciò che provava. Un ragguardevole traguardo se pensava a quanto tempo avesse impiegato per ammettere che lo amava, durante i loro primi mesi insieme. Peccato solo non potesse attribuirsi il merito del cambiamento. Quello infatti andava interamente a Andrew. La nascita di loro figlio aveva cambiato profondamente il modo in cui Susan si approcciava al mondo. Era diventata meno ligia, più permissiva, capace di perdere ore a fissare il viso addormentato del suo bambino con aria trasognata, e a non vergognarsi di ammettere quanto vi fosse legata, come lo era anche lui ovviamente. Non aveva mai seriamente pensato all’idea di avere figli e all’inizio l’idea di avere la responsabilità della vita di un’altra persona lo aveva impanicato. Alla fine però, stupendo lui per primo, si era rivelato essere un buon padre, capace di misurare accuratamente negazioni e permessi, anche se erano rare le volte in cui negava qualcosa al piccolo quando veniva a chiedergliela con il faccino pieno di entusiasmo verso qualche interesse nuovo e, per lui, esaltante.

“Il popolo ha fatto festa per una settimana intera. Erano tutti così contenti. Persino Peter sorrideva!” continuò a ricordare Susan.

Caspian sbuffò all’ultima affermazione. “Parla per te, a me tuo fratello ha riservato solo ammonimenti e sguardi truci per tutta la giornata, i sorrisi e le congratulazioni te le sei prese solo tu.” Si lamentò.

La ragazza rise. “Sai com’è fatto, anche se era felice per me, soffriva nel vedermi uscire dalla sua protezione, anche se non ne avevo bisogno.” Lo difese bonaria. “E poi credo fosse anche un poco geloso” insinuò pensierosa.

Caspian si accigliò. “Geloso? E di cosa?”

“Del fatto che tu avessi ricevuto subito una risposta affermativa alla tua proposta di matrimonio. Anche Peter aveva chiesto a Cathrine di sposarlo in quei giorni, ma lei gli aveva risposto che non si sentiva ancora pronta per un passo del genere” gli rivelò.

“Non lo sapevo” il re scoppiò a ridere. “Povero Peter, Cate lo ha tenuto sulle spine per altri due anni prima di cedere!”

Susan si unì alle risate. “Peter ha provato a convincerla in tutti i modi ma lei non ne ha voluto proprio sapere. Era fermamente decisa a compiere almeno vent’anni prima di legarsi ufficialmente”.

“Adesso che lo so posso affermare di essere stato molto più fortunato” Caspian posò un bacio tra i capelli castani della giovane donna.

Susan si girò nel suo abbraccio, le labbra arricciate in una smorfia furba mentre gli passava le braccia attorno al collo. “Solo per questo?” gli chiese alzando un sopraciglio.

Caspian la penetrò con uno sgardo acceso. “Per questo. Per la carezza per la quale mi svegli ogni mattina” con una mano percorse il profilo del volto della regina “per la fermezza con la quale mi hai sostenuto durante questi dieci anni di governo. Per l’amore con la quale accudisci nostro figlio” le sollevò il mento con dolcezza “e per le tue labbra che mi sussurrano che mi ami”. Il baciò che seguì fu pieno di quella calma e di quell’amore consapevole tipico solo di due persone che, dopo essersi scelte e conosciute, sanno di non dover avere fretta nel dimostrarsi il reciproco affetto perché hanno tutta la loro esistenza da trascorrere insieme.

“La mia vita è più perfetta di quanto avessi mai potuto progettare, e questo lo devo unicamente a te” gli mormorò poggiando la sua fronte su quella di Susan.

La regina sorrise, riscaldata da quelle parole. “Sicuro che non potrebbe divenire più perfetta ancora?” insinuò a bassa voce, alzando lo sguardo sul suo viso.

Il giovane si accigliò. “Non vedo come ciò possa essere possibile. Il mio regno prospera e ho una moglie e un figlio meravigliosi per i quali darei la vita. Chiedere di più sarebbe chiedere l’inesistente.” Osservò convinto.

Susan gli accarezzò distrattamente i capelli scuri. “E se ti dicessi che presto potresti avere un altro figlio meraviglioso per il quale daresti la vita?”

Caspian la fissò confuso, ma quando il significato che quelle parole portavano venne assimilato, la confusione lasciò il posto prima allo stupore e poi alla gioia più pura. Il re sollevò Susan per i fianchi e urlò di felicità, gli occhi che brillavano.

“Davvero aspetti un bambino? Da quanto?” volle sapere rimettendola giù e stringendola forte a sé.

Susan rise, appagata dalla reazione del marito. “Due mesi. Dovrebbe nascere a Gennaio dell’anno prossimo”

Caspian guardò la donna che amava, godendo della visione del suo sorriso radioso che si spandeva fino ai lucenti occhi castani, pieni di quella dolcezza e di quel calore da cui da sempre attingeva la sua forza. Con delicatezza poggiò una mano sul ventre della ragazza, pensando emozionato al tesoro che sua moglie custodiva dentro di sé in quel momento.

“è ancora presto per sentirlo” gli ricordò con tenerezza Susan.

Caspian la guardò estasiato, come se avesse dinanzi una dea. La dea che con la sua benevolenza gli stava per donare un secondo figlio, una seconda ragione per vivere.

“Se questa volta è una femmina la chiameremo Alhena” decise il giovane.

“Abbiamo tempo per pensarci, non trovi?” gli fece notare la sua sposa, cingendogli nuovamente le spalle.

“Non è mai troppo presto per pensare ad una bimba con gli splendidi lineamenti di sua madre” ribattè Caspian, facendo scorrere le braccia attorno alla sua vita.

“Né per un maschietto con gli stessi grandi occhi scuri e il sorriso dolce del padre” concordò Susan.

La regina gli posò un altro bacio leggero sulle labbra, prima di girarsi nella stretta del giovane e appoggiare la sua schiena al busto di lui, riscaldata dalle sue braccia forti ma che la teneva con delicatezza.

Caspian la cullò nel suo abbraccio, perso nella meravigliosa notizia che la moglie gli aveva appena dato.

Un figlio. Un’altra splendida creatura che gli avrebbe fatto il dono di chiamarlo “papà”. Questa volta poi poteva assaporare appieno la gioia di quella prospettiva senza la paura di non essere all’altezza della situazione, timore che lo aveva colto nell’apprendere l’imminente nascita di Andrew. Quando una mattina Susan, dopo due settimane che era vittima di nausea e svenimenti, gli aveva annunciato la lieta causa dei suoi malesseri, si era sentito preda di una felicità incontenibile, ma presto il terrore di non essere un buon padre, di rovinare l’esistenza di un’altra persona, di non essere in grado di badare ad un figlio, lo aveva quasi paralizzato. Un terrore che lo aveva accompagnato per tutti i mesi della gravidanza e che diveniva più grande tanto più evidente diventava la pancia di sua moglie. Un terrore che si era dissolto come neve al sole solo quando per la prima volta aveva stretto tra le braccia un fagotto roseo, con gli occhi e i pugnetti chiusi. Un fagotto che era suo figlio. La sensazione che aveva provato era stata indescrivibile. All’improvviso aveva realizzato ciò che doveva fare. Era talmente semplice che si era dato dell’idiota per non averlo compreso prima. L’unica cosa possibile da fare verso quella creatura nata dall’amore tra lui e Susan, era amarla. Solo e semplicemente questo. Amarla.

Come amava sua moglie. Come amava il suo popolo. Un atto che avrebbe potuto compiere per tutta la vita. Un sentimento che lo avrebbe accompagnato riempiendo la sua esistenza e che non si sarebbe mai esaurito, ma che avrebbe perseverato eterno come il vento che soffia tra le foglie, sempre alimentato da nuove emozioni e vicende, come faceva già da dieci anni e come avrebbe fatto per tanti decenni a venire.

 

*

 

“2 tonnellate di legname in cambio dei vostri farmaci, entro la fine di luglio, mi sembra uno scambio equo, signor Isador”

Un uomo sulla quarantina firmò la pergamena sulla quale era stato redatto il nostro accordo sorridendo soddisfatto.

“è sempre un piacere trattare con voi, Vostra Altezza”

“Il piacere è mio” gli risposi, alzandomi dalla sedia e porgendogli la mano.

Isador chinò la testa scura e mi baciò il dorso della mano prendendomela con la sua guantata. Poi batté le mani due volte e accanto a lui comparve il mantello blu notte che gli avevo fatto sistemare da un cameriere al suo arrivo al castello. Con un fluido movimento del braccio si posò la mantella sulle spalle, avvolgendo la sua bassa figura, resa rotonda da un evidente amore per la buona cucina.

“Manderò degli uomini fidati al confine per la consegna del legname” rassicurai il mago.

Questi rivolse il suo viso paffuto e bonario verso di me, guardandomi con piccoli occhi verdi, che nascondevano una scintilla di furbizia a dispetto del sorriso semplice che mostrava. “Vi aspetteremo puntuali, Maestà.” Mi rispose.

Annuii fiduciosa delle sue parole. Da quando cinque anni fa erano cominciati i rapporti con il mondo dei maghi, non avevo mai avuto motivo di lamentarmi di una loro mancanza. Anzi, la loro efficienza nel rispettare gli impegni era invidiabile, specchio di una scrupolosa organizzazione interna. Ogni sei mesi, precisi come orologi, al confine avvenivano gli scambi che avevamo concordato durante gli incontri tra gli ambasciatori e me. Scambi che si erano rivelati molto vantaggiosi sia per Narnia che per Suavitas, dandomi ragione sul fatto che i nostri due popoli dovessero ricominciare ad avere una linea di comunicazione.

Non era stato facile da attuare come progetto. La prima volta che avevo accennato a Peter della possibilità di avviare una relazione con il popolo aldilà delle Montagne Rocciose, avevo trovato un re restio ad accettare la mia proposta. Aveva da subito compreso il mio desiderio di conoscere quel luogo utopico che nelle mie fantasie aveva assunto una cornice da fiaba succube dei racconti di Aslan, ma temeva conseguenze negative dal riallacciare i rapporti con la comunità dei maghi. Aveva paura che tentare di riavvicinare i nostri due popoli riaccendesse le rivalità già emerse in passato e che avevano portato alla guerra. Timori plausibili ma che per fortuna ero riuscita a fargli superare con una semplice argomentazione. Il mio tentativo di stringere un’alleanza con loro non avrebbe portato ad una nuova unione tra maghi e creature di Narnia, ma semplicemente alla rinnovata conoscenza dell’esistenza gli uni degli altri. Trovavo insulso che due popoli che condividevano lo stesso passato e abitavano sulla stessa terra, ignorassero le reciproche esistenze solo per dissidi sorti migliaia di anni fa, in un passato talmente remoto che nessuno più ricordava. Suavitas e Narnia potevano andare d’accordo, aiutarsi l’un l’altra continuando però a vivere la loro vita di sempre, senza che una popolazione interferisse con le abitudini dell’altra. Desideravo un rapporto aperto, che procurasse benefici ma non portasse alla guerra.

Tre mesi dopo, io, Peter e un piccolo manipolo di uomini stavamo attraversando il Bosco Fosco, meta: la dimenticata Suavitas.

“Le auguro una buona giornata, Vostra Altezza” mi salutò con tono affatto ossequioso, anzi, quasi confidenziale grazie agli incontri mensili che tenevamo da ormai cinque anni. Isador era un brav’uomo, rispettoso ma socievole. Discutere con lui sulle novità e l’andamento dei rispettivi regni era un incarico che mi ero assunta con enorme piacere, diventando l’ambasciatrice di Narnia, un compito mio soltanto in cui Peter mi aveva lasciato completa capacità di agire. Un compito che mi ero guadagnata vincendo oltre il suo scetticismo, quello di Suavitas la prima volta che vi avevamo messo piede.

Lo stupore dei maghi e delle streghe al nostro arrivo era stato talmente forte da essere quasi tangibile, ma a poco a poco la diffidenza iniziale era scemata in curiosità fino a divenire vivo interesse. Nessuno si era mai avventurato nelle loro terre e nessuno aveva mai osato lasciarsele alle spalle, eccetto Jadis, la cui storia però era sconosciuta alle orecchie del magico popolo. La possibilità di superare i propri confini e di avventurarsi nella terra dove i loro antenati erano cresciuti stuzziccò molte menti, facendoci divenire da stranieri inattesi ad ospiti desiderati. Il sindaco della città in cui eravamo giunti, Florarbor, volle sapere ogni dettaglio del nostro regno, divenuto quasi una leggenda dati i secoli che non se ne parlava. La mia proposta di provare a ricreare un rapporto tra le nostre due civiltà e di aprire le strade alla condivisione delle nostre due culture fu presa in considerazione dal nostro ospite, con la promessa che avrebbe radunato il Consilium Rei Publicae, portandoci a Corusca, la capitale del loro regno nonché sede del consiglio.

Il viaggio durò tre giorni e una volta giunti fummo accolti con cordialità dal sindaco di Corusca, Ethan Godfrey. Ci volle una settimana per radunare i sindaci di tutte le quindici regioni dello Stato, ma alla fine il Consilium ebbe inizio e Peter ed io ebbimo la possibilità di partecipare e di proporre la nostra pacifica alleanza.

Convincere la maggioranza a votare per la nostra idea non fu facile. Molti condividevano il timore del re di Narnia espresso in precedenza a me, quello di un ritorno delle ostilità tra i due popoli. Fortunatamente però le argomentazioni che avevano vinto Peter unite ad una grande novità, ovvero quella di una regina di Narnia appartenente in origine alla loro comunità, riuscì infine a vincere i miscredenti. Il “si” ebbe la maggioranza, e le trattative tra i due regni cominciarono. In capo ad una settimana fu stilato un trattato di alleanza, che comprendeva la libertà di entrambi i popoli di valicare il confine oltre ad alcuni scambi commerciali. Il territorio di Suavitas infatti, stretto tra le Montagne Rocciose e il Grande Mare, scarseggiava di materie prime, abbondanti invece nella più vasta Narnia. Eravamo giunti così all’accordo di condividere parte delle nostre risorse in cambio dei medicamenti, inesistenti a Narnia, che alcuni maghi specializzatesi nelle cure mediche avevano creato, e altri oggetti per uso quotidiano che potevano migliorare le condizioni di vita degli abitanti del mio regno.

“Grazie, buona giornata anche a lei”.

Con un ultimo cenno del capo, il mago si smaterializzò sotto i miei occhi, tornando nella sua patria.

Presi la pergamena dalla scrivania in noce e la arrotolai per deporla con cura dentro il cassetto. Soddisfatta del contratto appena rinnovato, uscii dal mio studio, unicamente dedicato al mio incarico da ambasciatrice. Avevo optato per la semplicità e la funzionalità nell’arredarlo, limitandomi ad una scrivania con l’occorrente per scrivere, comode sedie e un tappeto per rendere più caldo l’ambiente. L’unico mobilio non funzionale era la lunga libreria che ricopriva gran parte delle pareti. I libri che vi erano riposti non erano mai stati consultati per il mio lavoro, ma come potevo resistere allo stereotipo di uno studio con la libreria?

Mi sistemai alcune pieghe della gonna rosa antico, liscia e lunga fino ai piedi, e le maniche formate da due striscie in voile che morbide ricadevano sulle braccia lasciando scoperte le spalle, prima di uscire dalla stanza. Percorsi il corridoio innondato dalla luce del giorno, prestando scarsa attenzione alla mia direzione. Conoscevo quel castello talmente bene che avrei potuto muovermi ad occhi bendati dopo otto anni che vi abitavo. E dopo essermi smarrita nei suoi meandri un centinaio di volte i primi tempi. Peter aveva deriso il mio scarso senso dell’orientamento per mesi, ma alla fine ero riuscita ad imparare a riconoscere i corridoi e ad amare ogni centimetro di quel palazzo, condividendo il sentimento che aveva spinto il re a voler ricostruire Cair Paraveil esattamente com’era durante il suo primo governo. I lavori del castello erano stati uno dei primi ordini di Peter e nel giro di due anni, sotto la sua stretta vigilanza, Cair Paraveil era tornata a risplendere sulla sua posizione privilegiata sulla scogliera. Le colonne in marmo, i balconi in muratura, le stanze con i loro trompe d’oil, e altri mille dettagli che il cuore del sovrano non aveva scordato, erano stati ricostruiti con fedeltà rispetto all’originale. Il tetto di cristallo aveva ripreso a sormontare i quattro troni, con l’unica differenza che il terzo scranno da sinistra invece di essere occupato da Susan era divenuto mio. La seconda Pevensie sarebbe rimasta regina di Narnia, ma abitando ormai stabilmente a Telmar aveva deciso di rinunciare ad un governo attivo sul suo primo regno, cedendo a me il suo posto. Con sommo piacere di Peter e mio enorme disappunto. L’appellativo “Altezza” mi calzava ancora stretto nonostante fossero ormai anni che mi si rivolgevano con quel titolo o con i suoi numerosi e altisonanti quanto sgraditi sinonimi. Senza contare che, come aggiunta alle mie disgrazie, Peter era infine riuscito a convincermi a prendere le redini del regno ereditato da mia madre. Così da che non volevo sentir parlare di governo o responsabilità mi ero ritrovata regina di Narnia e imperatrice delle Isole Solitarie. Quando si dice la fortuna…

Arrivata alla fine del corridioio, cominciai a scendere la grande scalinata che mi avrebbe condotta al salone d’ingresso, una sala circolare decorata con varie statue raffiguranti fauni e ninfe e arazzi che raccontavano episodi della gloriosa storia di Narnia. Alla fine del corridoio raggiunsi il portone in mogano, controllato dalle sculture di due imponenti minotauri. Aprii un’apertura ad altezza d’uomo creata all’interno del battente di destra, ideata per le entrate e le uscite di persone singole in modo da evitare l’apertura delle due pesanti ante principali quando non necessaria.

Finalmente mi ritrovai nel cortile, all’aria aperta. Gli alberi del viale accolsero il mio arrivo inclinando le fronde imitando un inchino, che ricambiai lieta. Feci scorrere lo sguardo lungo il prato verde, dove aiuole dai mille colori danzavano al ritmo del vento. Respirai a fondo quell’aria che aveva il sapore della quiete, finché il suono di risate conosciute non interruppe quel silenzio.

Mi diressi verso le risa, percorrendo il fianco del castello verso sinistra fino ad arrivare in un’altra ala del cortile. Un sorriso spontaneo mi si dipinse in viso alla meravigliosa vista che mi si parò dinanzi. Un giovane uomo, alto e slanciato, con i capelli biondi che riflettevano il sole, giocava con una ragazza dalla fluente chioma castana e due bambini, un maschietto di sette anni e una femminuccia di quattro dai boccoli color dell’oro.

“Ah! Se ti prendo…!” il bimbo iniziò a correre ma non riuscì a scappare dalla presa di Peter. Il giovane lo agguantò e Andrew cadde sotto l’implacabile attacco di solletico dello zio.

Le risate dei quattro mi riempirono il cuore di gioia, un sentimento che vi albergava da dieci anni. Da quando avevo deciso di restare a Narnia. Da quando Peter aveva rinunciato a Londra per restare con me.

Il tempo ci aveva dimostrato come le nostre scelte fossero state giuste. Non c’era stato un solo giorno in cui avessi rimpianto la mia decisione, la quale mi aveva condotto unicamente verso la felicità. Una felicità che era aumentata dai lieti cambiamenti che la vita a Narnia mi aveva portato.

Inanzitutto il vedere con i miei occhi i luoghi in cui ero nata. La visita a Suavitas di cinque anni fa e le successive erano dei ricordi preziosi che mi avevano dimostrato come potessi trovare ancora qualcosa di più sbalorditivo dei paesaggi di Narnia visitando i luoghi che Jadis aveva descritto nei suoi diari e altri ancora.

Durante uno di quei viaggi poi c’era stato anche un altro grande cambiamento. Un cambiamento per il quale avevo a lungo tentennato ma che alla fine mi ero decisa ad affrontare. Il matrimonio.

Un piccolo urlo accompagnò il secondo agguato ai danni di Andrew da parte di suo zio. Era incredibile la somiglianza tra il bimbo e Caspian. Nei tratti del viso ovale di Andrew si potevano chiaramente riconoscere gli stessi lineamenti del padre. Sembrava la sua copia in miniatura. Era molto più vivace di lui però. Non perdeva un’occasione per cacciarsi in qualche guaio e più di una volta il re di Telmar insieme a mio marito avevano dovuto andarlo a recuperare da qualche sua spedizione avventurosa nei boschi.

Mio marito. Una parola il cui suono era diventato dolce nel corso dei nostri sette anni di matrimonio. Prima di accettare la sua proposta lo avevo fatto penare per ben tre anni, rimandando con la scusa di non sentirmi ancora pronta a legarmi ufficialmente. Volevo aspettare di aver compiuto almeno i vent’anni d’età. Dal mio punto di vista poi non c’era alcun bisogno di metterci fretta. Vivevamo insieme ed eravamo felici, non vedevo il perché di dover ufficializzare la nostra unione con una cerimonia fastosa e subire dopo tutte le conseguenze che essa avrebbe portato con sé, prima tra tutte la corona. Sposando Peter sarei divenuta la regina di Narnia, un’idea che mi terrorizzava, talmente grande da schiacciarmi.

Alla fine però avevo ceduto. E come avrei potuto dire ancora di no a Peter dopo l’ultimo modo che aveva trovato per chiedermi di sposarlo? In una delle nostre visite a Suavitas mi aveva portata in barca sull’Argecus, il lago dalla peculiare capacità di mutare le sue acque in argento liquido se illuminato dai raggi del sole, e cogliendomi impreparata mi aveva chiesto di diventare sua moglie. Lo scegliere lo stesso posto che aveva fatto da scenario alla proposta di matrimonio da parte di Ian a mia madre aveva sortito il suo effetto. La sorpresa unita al calore che mi aveva procurato il sapere come Peter si fosse ricordato di quel particolare della vita dei miei genitori, mi aveva fatto pronunciare il fatidico “si”.

Pochi giorni dopo mi ero ritrovata ad affrontare il matrimonio e tutto ciò che ne sarebbe conseguito. Per l’organizzazione della cerimonia Susan e Lucy, il cui ritorno era giunto dopo appena tre anni dalla partenza assieme al fratello dimostrando come la nostra fiducia in Aslan non fosse stata mal riposta, si erano rivelate delle instancabili aiutanti. Susan aveva coordinato i preparativi mentre Lucy si era divertita a sfornare idee sempre più creative per l’evento, rifacendosi della mancata partecipazione al matrimonio della sorella.

Così una calda mattinata primaverile aveva visto il re Supremo di Narnia unirsi in matrimonio con la figlia della Strega Bianca. O almeno in questo modo era stato riportato l’evento. Per me ciò che quel cielo limpido aveva assistito era stata l’unione tra una delle ragazze più fortunate di Narnia e il giovane che amava più di se stessa e che le aveva mozzato il respiro quando lo aveva visto sull’altare posto tra due alberi di pesco, splendido nel suo abito rosso e oro.

Con un sorriso pensai a come solo in quell’esatto istante tutto il timore che la parola “matrimonio” mi aveva da sempre ispirato si fosse dissolto. Persino il diventare regina di Narnia divenne un’innezia se paragonato a ciò che stavo per fare: dichiarare al mondo intero che quel meraviglioso ragazzo che mi sorrideva colmo di felicità era mio marito e che lo sarebbe stato per sempre. Il “si” che suggellò la nostra unione fu accompagnato da un vortice di petali di fiori di pesco che ci avvolse, accarezzandoci, e da canto cristallino di una Fenice che portava l’augurio di vivere un amore eterno secondo la tradizione di Narnia.

“Zia Cate!”

Una voce acuta mi riportò al presente.

“Zia Cate salvami! Zio mi vuole fare il solletico!”

Novanta centimetri di pura energia mi stavano correndo incontro, inseguiti dal “terribile” Peter.

“Oh no, ti proteggerò io!” dissi allargando le braccia. Andrew si tuffò letteralmente nella mia stretta ed io mi interposi tra il bimbo e Peter, che mi guardò felice di constatare che avevo finito il mio compito per quel giorno.

“Consegnami Andrew o dovrò fare il solletico anche a te” minacciò.

“Mi spiace ma Andrew è sotto la mia protezione, se lo vuoi dovrai vedertela con me” stetti al gioco.

“Vai zia, fagli vedere!” mi incoraggiò il piccolo, ben attento a non sporgersi troppo da dietro la mia schiena.

“Ah è così eh?” indispettito Peter si mise le mani sui fianchi. “Allora vorrà dire che farò il solletico ad entrambi!” e riprese a correre nella nostra direzione.

“Andrew scappa!” lo incitai correndo a mia volta verso le altre due persone presenti nel cortile.

“Zia Lucy aiutaci tu!” gridò Andrew in direzione della ragazza dai lunghi capelli castani. Lucy acchiappò il bimbo e lo prese in braccio per “proteggerlo”, divertita dalla fuga del nipote.

Un braccio mi afferrò per la vita e mi fece sdraiare a terra con una lieve pressione. L’attacco di solletico che seguì fu immediato.

“No, no, fermo!” cominciai a ridere cercando di bloccargli le mani.

“Colpa tua che ti sei messa in mezzo. Ora devi pagare pegno” ribattè Peter divertito. “Ragazzi forza, tutti contro Cathrine!”

Andrew non se lo fece ripetere due volte, felice di non essere più il bersaglio dello zio, e presto fu seguito anche da una sghignazzante Lucy.

“Basta, basta, pietà!” ormai avevo le lacrime agli occhi.

“Mama, ti difendo io, mama!”

Due piccole manine si posarono sul grande petto di Peter, cercando di allontanarlo da me. Il biondo si spinse all’indietro, fingendo di essere stato vinto dalla forza della minuta creatura che gli si parò di fronte.

L’attacco ai miei danni ebbe fine ed io potei riprendere a respirare. Mi drizzai a sedere e strinsi forte il vitino della bambina che avevo davanti.

“La mia salvatrice” la ringraziai dandole un bacio tra i boccoli dorati.

“Ti talvo io mama” ripeté la bimba, guardandomi soddisfatta del suo operato con i suoi grandi occhioni azzurri come il cielo in primavera. Lo stesso azzurro intenso di quelli del padre.

“Ah quindi preferisci la mamma al papà?” si intromise Peter fingendosi arrabbiato.

Posa che non gli riusciva affatto se l’indirizzata era sua figlia. Peter non amava Eveleen. No, amare era un verbo riduttivo. Peter adorava Eveleen. Da quando la piccola era nata non lo avevo mai sentito alzare la voce o perdere la pazienza con lei. Da quando aveva aperto i suoi occhi ai suoi primi passi, Peter le era stato accanto, sempre pronto a proteggerla, ad aiutarla o semplicemente a trascorrere del tempo con lei. Come quando la portava a cavalcioni per il grande cortile o giocava a nascondino tra le sale del castello. Oppure come quando le leggeva le fiabe la sera, facendola addormentare nel letto matrimoniale tra le nostre braccia prima di metterla nel suo lettino e salutarla con uno sguardo che sfiorava semplicemente la venerazione, come avevo più volte potuto ammirare accostata allo stipite della porta della sua cameretta.

Eveleen rimase interdetta dalle parole del padre. Si mordicchiò il labbro e i suoi grandi occhi si fecero umidi per la paura di aver offeso Peter.

“No, no, io voio tanto bene a papà!” trillò e si tuffò tra le sue braccia, per rimediare al piccolo danno compiuto.

Peter le scompigliò i ricci biondi e la strinse con un braccio ridendo.

Il mio cuore si gonfiò di gioia. Nessun panorama, nessuna opera d’arte poteva ripagare la visione di mio marito e mia figlia abbracciarsi. Era una vista che mi dava l’ennesima conferma che le scelte e i fatti compiuti finora erano stati quelli giusti.  

“Zia Lu, dov’è zio Ed?”

La domanda di Andrew mi fece notare l’effettiva assenza del terzo dei Pevensie.

“Ha ragione, dove si è cacciato?” chiesi anche io, cercando con gli occhi.

Lucy sorrise maliziosa e indicò un punto oltre le sue spalle, una grande quercia dietro alla quale si intravedeva il profilo di un giovane uomo. “è con Melanie” disse allusiva.

“Ah…” le fece eco comprendendo.

“Uffa, non gioca più con noi per stare con Mel, non è giusto!” sbuffò invece il piccolo Andrew.

Melanie era la figlia del generale dell’esercito di Telmar. Una ragazza graziosa, ben educata, con corti capelli castano chiaro e un fisico minuto, che era riuscita a far invaghire di sé Edmund fino a fargli perdere la testa. Cosa che, ovviamente, lo rendeva oggetto di continue battute più o meno velate da parte nostra, Lucy in primis.

I due si erano incontrati circa un mese prima quasi per caso. Edmund era andato a trovare Susan e Caspian a Telmar e nelle scuderie del castello aveva trovato una giovane ragazza, persasi nel grande castello mentre cercava il padre per recargli un messaggio da parte della moglie. Da bravo cavaliere Edmund non aveva resistito ad aiutare il prototipo della donzella in difficoltà, finendo per innamorarsi della giovane dai luminosi occhi smeraldini e aumentando di conseguenza le sue visite a Telmar.

Nonostante le battute però, noi tutti eravamo felice per il moro. Erano una trentina di giorni che camminava ad un metro dal suolo, come si poteva non augurargli altro se non che la sua relazione con Melanie proseguisse?

Andrew, ancora imbronciato per la mancanza dello zio, si avvicinò ad Eveleen, appena lasciata andare dal padre intenta a raccogliere un mazzetto di margherite da terra. Con la coda dell’occhio vidi il suo sguardo mutare da atterrito a furbo e con un gesto fulmineo strappò di mano i fiori dalla manina di Eve.

“Dammeli Andy! Cattivo!” la protesta della bimba non tardò a farsi sentire.

Andrew, divertito, alzò il braccio con la quale teneva le margherite in alto, fuori dalla portata della cugina.

Eveleen iniziò a saltare cercando di raggiungere i fiori, ma la distanza era troppa per le sue corte gambe, non ci sarebbe mai riuscita.

Contrariata, mi alzai, pronta a mettere fine alla disputa mentre il faccino di Eveleen cominciava a contrarsi pronto al pianto.

“Dammi i fioli!” gridò arrabbiata la piccola, pestando un piede per terra.

Ciò che seguì lasciò tutti sbigottiti.

I fiori svanirono dalla mano stretta di Andrew e ricomparvero in quella di Eveleen, la quale soddisfatta ricacciò indietro le lacrime e si allontanò dal cugino dispettoso.

Peter e Lucy mi guardarono, negli occhi una muta richiesta.

“Non sono stata io” sussurrai incredula.

Posai lo sguardo su mia figlia, che felice aveva ripreso a raccogliere margherite, apparentemente ignara dello stupore che aveva suscitato in tutti compreso Andrew.

Eveleen…aveva compiuto una magia?

Mi avvicinai a lei, chinandomi alla sua altezza e passandole un braccio intorno al vitino.

“Amore, puoi dire alla mamma come hai fatto a riprendere i tuoi fiori?” le domandai cercando di mantenere una facciata tranquilla.

La bimba sbatté gli occhioni. “Io li ho chiamati e lolo sono venuti, mama” mi rispose alzando le spalle, come se fosse la cosa più semplice del mondo.

Le mie labbra si distesero in un sorriso sorpreso ma felice. La presi in braccio e la fece volteggiare.

“Ma è fantastico, piccola mia!” esclamai.

La domanda più grande che ci ponevamo riguardo alla nascita di nostra figlia, era se sarebbe nata con o senza i miei poteri. Anni addietro, quando ancora vivevo a Londra, mi ero detta più volte che se mai avessi avuto figli avrei sperato per loro che non ereditassero la mia magia, in modo che avessero una vita normale. Ma da quando avevo imparato a vedere i miei poteri come un dono e non come una maledizione, la mia speranza era radicalmente cambiata. Mi ero augurata che Eveleen ereditasse anche quel lato di me. Le avrei fatto scoprire le sue capacità, quanto bene potesse fare alle persone e quanto potesse anche essere divertente essere una strega. Le avrei dato tutto l’appoggio che a me era mancato durante la mia infanzia e la mia adolescenza, facendole apprezzare i suoi poteri come una meravigliosa parte di sé e non come un’anomalia.

“è una cosa molto bella?” mi domandò, non capendo il motivo della mai gioia.

“Stupenda, amore.” Si avvicinò Peter, accarezzandole il viso. “Sei anche tu una strega, come la tua mamma” le disse, sorridendomi. Sostenendo Eveleen solo con un braccio, mi avvicinai a lui per un bacio, lieta che anche lui considerasse meravigliosa la scoperta. Avevamo già affrontato la possibilità che Eveleen avesse dei poteri in alcune nostre discussioni, e il re mi aveva già rassicurata sul fatto che avrebbe considerato la magia come un altro aspetto splendido della sua “piccola stellina”, esattamente come faceva con la madre, vederlo però confermato era un sollievo.

La bimba mi guardò spalancando gli occhi. “Quindi anche io posso fale le bolle cololate?” chiese diffidente.

Scoppiai a ridere. “Ma certo! E quando sarai più grande ti insegnerò tante altre magie, ancora più belle!” le promisi.

“Come volare, per esempio” si intromise Lucy, eccitata anche lei dalla nuova notizia.

Mia figlia volse il faccino stupito verso la zia. “Volale? Come le falfalle?”

“Si. Lo sai che la tua mamma è riuscita a far volare lo zio Edmund, una volta?”

“Davvelo?” gli occhi della bimba divennero tanto grandi da riempirle tutto il viso.

“Ma certo, vuoi che ti racconti come è accaduto?” chiese la ragazza avvicinandosi con un sorriso.

“Si!” esclamò Eve protendendo le braccia verso la zia. Gliela diedi in braccio, obbedendo al suo desiderio, e le vidi allontanarsi poco più in là mentre Lucy cominciava a narrare sotto lo sguardo meravigliato della nipote.

Scossi la testa divertita, ripensando a quanto tempo era passato da quell’episodio. Anzi, da quell’intera grande avventura che aveva richiamato i Pevensie a Narnia dopo il loro millenario esilio. Un’avventura per fortuna conclusasi bene, come quella che aveva riportato nel regno Edmund e Lucy dopo tre anni dalla loro partenza.

Caspian e Peter erano partiti a bordo di un veliero alla ricerca dei sette Lord esiliati precedentemente da Lord Miraz, una missione apparentemente semplice che però si era trasformata in un pericoloso viaggio tra isole maledette e pirati ostili. Durante il viaggio, inaspettatamente avevano visto emergere dall’acqua i più piccoli dei Pevensie assieme ad un loro cugino di nome Eustace Scrubb, e con il loro aiuto, certamente mandato provvidenzialmente da Aslan, erano riusciti a concludere la missione, alla fine della quale Eustace aveva rifatto ritorno a Londra, mentre Edmund e Lucy erano potuto restare con noi, tornando a vivere a Cair Paraveil. Lo stupore mio e di Susan, rimaste a Telmar per la gravidanza di quest’ultima, nel vedere tornare assieme ai nostri uomini anche i due ragazzi era stato immenso, ma più grande era stata la gioia che ne era seguita.

“Così entrambe le mie stelle sono streghe”

Peter mi abbracciò da dietro, appoggiando il capo nell’incavo del mio collo.

“Devi stare molto attento ora, se ci fai arrabbiare potremmo trasformarti in un rospo” scherzai, reclinando indietro la testa.

Sentii la mia schiena scossa dalla sua risata.

“Comunque sapevo che era speciale. Esattamente come la sua mamma” mi sussurrò, facendo giungere un fiotto d’aria calda vicino al mio orecchio.

Girai il viso per guardarlo negli occhi, scuotendolo leggermente.

“La magia non è l’unica cosa a renderla speciale. Ogni giorno che passa ti somiglia di più. L’altro ieri l’ho sentita sostenere una discussione con Andrew su come fosse ingiusto da parte sua prendere in giro il figlio di Ripicì per il desiderio di divenire cavaliere e di come bisognasse rispettare ogni creatura”

Un lampo d’orgoglio passò nelle sue iridi azzurro cielo.

“Diciamo che ha preso il meglio di entrambi allora.”

Annuii concordando. “Speriamo solo che non abbia preso la tua testardaggine” aggiunsi scherzando.

“Senti da che pulpito viene la predica!” ribatté, fingendosi offeso.

Ridemmo entrambi, mentre le braccia di Peter mi cullavano leggermente.

Poco distante, Andrew si era aggiunto nel gruppo degli ascoltatori della storia di Lucy, la quale si stava divertendo a raccontare annedoti passati con tanto di mimo. Lucy ed Edmund si erano dimostrati due zii meravigliosi e instancabili baby-sitter a tempo pieno. Senza il loro prezioso aiuto conciliare i ruoli di sovrani e genitori sarebbe stato quasi impossibile sia per noi che per i regnanti di Telmar. Erano sempre pronti a prendersi cura dei nipoti, i quali aveva un’adorazione per i due zii, grandi abbastanza per accudirli e sentirsi protetti ma giovani quanto bastava per non dire mai di no ad un nuovo gioco.

Osservai come i boccoli della mia bambina rilucevano al sole come quelli del papà, seguendola ad ogni movimento del corpicino intento nell’ascolto del racconto.

Era così bella e dolce. L’avrei osservata tutto il giorno senza mai stancarmi. Ero colpita dall’amore smisurato che Peter aveva nei suoi confronti, ma io non ero da meno. Non mi ero mai immaginata madre, quanto meno non prima dei trent’anni. Eppure accudire quello scricciolo tenero quanto incredibilmente intelligente per la sua età, era divenuta la mia occupazione principale e più gradita. Avevo i miei incarichi di regina e di ambasciatrice, avevo un mio ruolo nella società di cui andavo fiera, ma da quando Eveleen era nata, avevo rivisto la scala delle mie priorità e lei si era ritrovata in cima. Era divenuta il centro della mia vita.

Avevo avuto due donne da chiamare “mamma”, ma poiché nessuno dei due si era dimostrata un buon esempio da imitare, non avevo idea di come si comportasse una brava madre. Ero certa però che ad Eveleen non avrei mai fatto mancare ciò che io in particolare non avevo avuto, amore e appoggio. Il giorno in cui era nata, avevo giurato a me stessa che le sarei sempre stata accanto in qualunque occasione e non sarei mai venuta meno al mio giuramento.

Vedendo il suo volto sereno e spensierato, ero convinta che finora Peter ed io ce la stessimo cavando alla perfezione. L’unica cosa che forse ci mancava era un po’ di polso nel far valere qualche divieto, come non esitava a farci notare Susan. Ma, nonostante ci avessimo seriamente provato, né Peter né io riuscivamo a imporci su quell’angioletto. Ma per ora non dovevamo preoccuparci. Eveleen era buona e molto più obbediente del cugino, il cui gioco preferito era cacciarsi nei guai, qualsiasi essi fossero. Le sgridate le preservavamo per l’adolescenza, quando, ne ero certa, la testa dura ereditata dal padre si sarebbe fatta sentire. Al momento il suo unico peccato era quello di svegliarci nel cuore della notte a causa di un brutto sogno.

“Cathy?” mi chiamò Peter.

Mi girai, circondandogli il collo con le braccia.

“Si?” mormorai serafica.

“Avresti mai immaginato la tua vita così?”

La domanda mi colse di sorpresa, ma la risposta non fu difficile da dare. “No. Non credevo si potesse essere tanto felici” dichiarai con semplicità.

Peter mi regalò uno dei suoi meravigliosi sorrisi. “Nemmeno io” mi confidò in un sussurro.

Ricambiai il sorriso, avvicinandomi al suo viso tanto da sfiorargli il naso con il mio. “Allora ti dirò un segreto. Tutto questo è per sempre. Lo hai giurato quando mi hai sposata” dissi con il tono di chi stesse rivelando chissà quale scoperta.

“Per sempre” ribadì. La sua voce, più bassa del solito, mi vibrò dentro, facendo palpitare il mio cuore. Incredibile come, dopo dieci anni, solo la sua voce riusciva ancora a farmi librare verso il cielo. Molti affermano che l’amore è una fiamma che si consuma. Non potevo essere più in disaccordo. L’amore che provavo verso Peter era ancora più profondo ora che dieci anni fa, consolidato dalla nostra routine quotidiana, come se ogni gesto che compivamo fosse un ceppo aggiunto a quel bracere.

Peter mi baciò con dolcezza, schiudendo quelle labbra ormai modellate sulle sue.

“Mama, papà!”

Una vocina acuta si impose sul resto. Con un sospiro rassegnato ci separammo per rivolgerci a Eveleen che correndo si stava avvicinando.

“Davvelo hai fatto volale zio Edmund per salavale papà?” chiese guardandomi ammirata.

Sorrisi della sua meraviglia e mi apprestai a risponderle, quando Peter mi sussurrò all’orecchio “Stanotte riprendiamo da dove ci siamo interrotti”.

Ero una madre. Ero una moglie. Ero una regina. Ma avevo pur sempre ventisette anni e nessun titolo mi avrebbe impedito di arrossire alle sue parole. Né di iniziare a sperare che le lancette dell’orologio prendessero a scorrere molto, ma molto velocemente.

“Mama!” reclamò la mia attenzione la bimba contrariata dalla mia lentezza nel rispondere.

“Ehm, ma certo tesoro. Anche se è tuo zio che merita di più la tua ammirazione. All’epoca non ero ancora molto brava con la magia, potevo anche farlo cadere e fargli male, ma tuo zio Edmund invece si è fidato lasciandosi trasportare in volo” le spiegai.

“Più che di coraggio parlerei di avventatezza. Solo dopo che la battaglia fu finita mi resi conto del pericolo corso!”

Una voce allegra si aggiunse al nostro gruppo.

“Zio!” urlò il piccolo Andrew correndo in contro ad Edmund. Il giovane gli scompigliò affettuosamente i capelli mentre si avvicinava a noi mano nella mano con Melanie. Rossa di capelli, quasi bianca nell’incarnato, la ragazza sorrideva beata della presenza del giovane accanto a sé, azzardando solo qualche timida occhiata in nostra direzione. Nonostante passasse molto tempo in nostra compagnia, non si era ancora abituata a parlarci normalmente. Nella sua testa, Peter, Lucy ed io eravamo i sovrani di Narnia, trattarci come semplici amici era tanto di più lontano ci potesse essere da quello che aveva imparato a fare durante la sua educazione. Confidavo però fosse solo questione di tempo. Anche la timidezza dovrà pur avere i suoi limiti, giusto?

“Fai volare anche me come hai fatto con lo zio?” mi domandò Andrew avvicinandosi.

“Anche me, anche me!” si accodò subito Eve.

“Non saprei…” finsi di rifletterci su.

Subito i bimbi cominciarono a saltarmi attorno assediandomi di suppliche, sotto le risa divertite dei presenti.

“Mi sa che ti tocca Cate” suggerì mia cognata.

Sospirai, fintamente rassegnata. “Va bene allora” concessi.

Le urla che seguirono furono un segnale evidente della loro gioia.

Cominciai a far confluire la mia magia nei palmi delle mani. Quando fui pronta cercai le loro piccole auree luminose e senza esitare le avvolsi con il mio potere.

Senza fatica, feci alzare i due bambini in aria, poco sopra le nostre teste.

Eveleen e Andrew si guardarono attorno estasiati. Ridendo e gridando felici, agitarono le braccia e le gambe come se stessero nuotando nel mare, allo scopo di muoversi. Accondiscesi al loro desiderio, facendoli compiere in volo un giro attorno a noi tre rimasti a terra. Li feci alzare di un paio di metri e li trasportai con attenzione sopra il cortile, spaziandolo a destra e a sinistra.

I due cugini ridevano, contenti di quel nuovo gioco, emozionati di stagliarsi contro il cielo che tendeva ormai all’arancione. Il sole era quasi del tutto tramontato all’orizzonte. Un altro giorno era finito e la luna tornava a regnare nella notte limpida, finché un’altra alba avrebbe segnato l’arrivo di un nuovo giorno. Un giorno perfetto come tutti quelli che avevo vissuto da lì a dieci anni e come tutti quelli che avrei avuto nel mio futuro.

Lanciai un’occhiata a Peter, che fissava divertito sua figlia e il nipote volteggiare come due libellule. Ai miei occhi non aveva mai smesso di essere il meraviglioso angelo sceso dal cielo unicamente per me. Era bello e regale come la prima volta che lo avevo visto, quando, seppur terrorizzata dal ritrovarmi in una raduna con sei bestie mitologiche, appena si era tolto l’elmo, non avevo potuto non notare quanto fosse attraente.

Forse, il nuovo giorno perfetto poteva aspettare. Per il momento mi sarei limitata ad aspettare quella sicuramente meravigliosa notte.

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