rosso come il fuoco, come il mio amore, come il mio sangue.

di totta
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1. o di come Teodora vide la farfalla di fuoco. ***
Capitolo 3: *** capitolo 2. o di come Teodora incontra sua madre. ***



Capitolo 1
*** prologo ***


Lei si guarda i capelli allo specchio,
dove i raggi di sole sono rimasti incastrati
le unghie e lo smalto azzurro
i calzettoni a righe
e la farfalla di fuoco, sul palmo
pelle di luna, carne di terra
ha donato il cuore
che ora batte al ritmo di un altro respiro
 
 
 
 
 
Prologo
 
 
 
 
 
 
 
 
La ragazza fu trovata la mattina presto dai commercianti che aprivano in via Pescherie Vecchie. Fu Maria Antonietta Garani, come dissero i giornali il giorno dopo, che, mentre armeggiava con le chiavi per aprire la saracinesca del suo negozio all’angolo con Vicolo Ranocchi, inciampò letteralmente nel corpo.
Nella penombra si accorse solo che qualcosa spuntava da dietro cassonetto della spazzatura appoggiato al muro. Maledicendo per l’ennesima volta il pakistano che aveva appena aperto di fronte a lei e che le rubava tutti i clienti, decise che in qualche modo gli avrebbe mandato la guardia di finanza. A questi stranieri non importava nulla della convivenza civile, erano sporchi e rumorosi, e chissà che cosa ci buttavano, loro, nella pattumiera.
Rialzandosi scivolò sulla piccola pozza di sangue che si era formata, e finalmente si accorse che la cosa che aveva scambiato per rifiuti non era altro che un piede, nudo e dalle unghie smaltate d’azzurro.
Urlò con quanto fiato aveva in gola, quello era il primo cadavere che vedeva in vita sua, e non si sarebbe mai aspettata di trovarselo appoggiato alla serranda del negozio, che la guardava con occhi vitrei alla luce dell’alba.
I lunghi capelli biondi le si erano appiccicati alla fronte e alle guancie insanguinate, prendendo una strana sfumatura rosata.
I palmi delle sue mani erano macchiati dello stesso colore, rivolti verso l’alto, mettevano in mostra due polsi squarciati da cui ormai non sgorgava piu nulla.
La ragazza indossava una t-shirt bianca con sopra stampato il viso difficilmente riconoscibile di Madonna, infatti i tratti della popstar erano confusi nel porpora del sangue uscito da un altro taglio sulla gola che le andava da un orecchio all’altro.
 A minuti arrivarono tre volanti dei carabinieri, un’ambulanza e anche la guardia di finanza. Fecero un sacco di rumore, attirando una piccola folla di curiosi ancora assonnati attorno alla scena del delitto, dove però il cadavere era già stato spostato.
Era stata violenza sessuale o solo una rapina? La ragazza era stata trovata nuda? Sicuramente era stata stuprata, con tutto quello che si sentiva in quel periodo non poteva essere altrimenti.
Tutte le persone che si erano radunate nel minuscolo vicolo, tra i più pittoreschi di Bologna, si chiedevano che cosa fosse successo: gli ultimi arrivati inorridivano alla vista del sangue secco sull’acciottolato, gli altri, quelli che erano scesi sentendo le prime urla della fruttivendola e che avevano chiamato le autorità, non avrebbero abbandonato il loro posto in prima fila per nulla al mondo.
Teodora passò qualche ora dopo per via dell’Archiginnasio, che incrocia Pescherie Vecchie dando su piazza Maggiore. L’ambulanza se n’era già andata, rimanevano solo i carabinieri che fotografano l’angolo in cui la ragazza era stata trovata.
Incuriosita si chiese se magari avessero scippato qualcuno o svuotato la cassa di uno dei   negozi, nel momento stesso in cui si avvicinò si senti addosso una stranissima sensazione, l’aria era pesante, aveva la nausea e  le girava la testa.
Un brivido le salì fastidioso su per la schiena, era già tardi e voleva arrivare in biblioteca il più presto possibile perchè aveva un sacco di pagine da fare quel giorno, si allontanò quindi in fretta, felice togliersi quella scena da davanti agli occhi.
 
Non avrebbe saputo che cosa era realmente successo fino a quella sera, guardando il telegiornale delle otto. Una ragazza di vent’anni, la sua età, era stata uccisa circa alle tre della notte precedente, non si sapeva ancora se fosse stato uno stupro, ma Clementina Vezzi, così si chiamava, non era certo stata trattata con gentilezza.
Qualcuno l’aveva attirata in quel vicolo, l’aveva probabilmente tramortita perché non urlasse e attirasse l’attenzione dei residenti, poi a completare l’opera le aveva tagliato la gola lasciandola li a morire dissanguata.
Ed era  questo il punto su cui le autorità erano più perplesse:
Il sangue che aveva fatto scivolare la grassa Maria Antonietta non era neanche lontanamente comparabile a quello che un corpo umano adulto dovrebbe contenere.
E nel cadavere non ne era rimasto quasi nulla.
I medici legali spiegarono ai telegiornali che non esistevano ragioni razionali per cui una perdita ematica di quell’entità non avesse lasciato nessuna traccia nei dintorni.
Il vicolo fu scandagliato con tutti i mezzi a loro disposizione, la polizia scientifica lavorò ininterrottamente per tre giorni in via Pescherie Vecchie, chiudendo tutte le possibili entrate e uscite in modo tale da non contaminare le prove.
Non fu trovato nulla. Una ragazza di vent’anni era stata assassinata, dissanguata e buttata via come fosse una bambola vecchia senza che rimanesse nemmeno una traccia ad indicare il colpevole.
I giornali parlarono dell’omicidio di Clementina per settimane, per la preoccupazione che infuse in una sconcertata opinione pubblica fu paragonato al caso di Garlasco o a quello della povera Meredith.
Dopo una serie di accuse sommarie basate principalmente su quelle che erano le piu intime paure dell’alta borghesia bolognese - extracomunitari? Immigrati senza permesso di soggiorno?- la polizia si concentrò sulla cerchia di famiglia ed amici.
Il ragazzo di Clementina, Federico, raccontò che da qualche mese lei si comportava in maniera strana.
Erano cresciuti insieme e lui era sempre stato convinto di conoscerla alla perfezione, la ragazza però negli ultimi tempi non era più lei. Federico negò in maniera decisa che il suo cambiamento fosse causato da depressione o che magari avesse problemi di droga.        Si era accorto che era distante, tanto impegnata da non poterlo più vedere spesso come una volta, però decisamente serena. Ma occupata in che cosa?  Lui di certo non lo sapeva.
Come confermarono anche i genitori passava sempre più di frequente la notte fuori casa, dormendo da qualche nuova amica dell’università, così diceva, nuove amiche che però loro non avevano ancora conosciuto. 
Sia Federico che i coniugi Vezzi le avevano chiesto più volte che cosa le stesse succedendo e che cosa stesse cambiando nella sua vita, ma lei aveva sempre assicurato che non c’era nulla di strano.
Sembrava davvero felice dicevano tutti. Le sue migliori amiche la vedevano sempre sorridente, luminosa, erano tranquille perché negli ultimi tempi era dimagrita ed era diventata decisamente più carina.
L’omicidio di Clementina Vezzi scombussolò Bologna, città tranquilla in cui, come possono assicurare gli anziani, queste cose non accadono mai.
La criminalità non è all’ordine del giorno e la vita scorre tranquilla: trovare una ragazza dissanguata tra i banchi dei negozi di frutta e verdura del centro è cosa in grado di sconvolgere chiunque.
L’unica ad uscire col sorriso sulle labbra da tutta questa storia fu Maria Antonietta Garani, i cui affari non andarono mai tanto bene come quell’anno, tanto che non si preoccupò più di mandare la guardia di finanza al pakistano che le lavorava di fronte.
Era diventata una sorta di eroina, nel racconto del ritrovamento che fece e rifece alla sua piccola cerchia di fan non dimenticava mai di descrivere con quanto coraggio avesse tentato di rianimare la povera Clementina ormai senza vita.
A volte aggiungeva di aver sentito strani rumori nell’oscurità dei vicoli li attorno, e in un paio di occasioni descrisse anche la diabolica risata in lontananza che ora la teneva sveglia la notte.
I genitori della vittima rilasciavano interviste in cui lei veniva dipinta come la figlia ideale, tutti trenta agli esami, innamorata del suo fidanzato, felice.
Ad ogni angolo di strada il suo viso sorridente, sulle copertine dei giornali, ricordava quanto fosse poco sicuro girare di notte da soli, non ti fidare degli sconosciuti!, ripetevano le madri alle figlie, non ti allontanare dagli altri, non ti fidare, potresti essere la prossima, tutti avevano paura, proprio perché non si aveva idea di chi fosse il responsabile.
Ma che cosa ci faceva Clementina alle tre di notte, in un vicolo deserto? lontano dai locali, dalle discoteche, era forse stata da un amico? Nessuno era in grado di dare una risposta.
Chi erano le nuove persone che lei stava frequentando, perché non si facevano vive per aiutare le autorità?
Il piu grande interrogativo era che cosa stesse succedendo alla ragazza e soprattutto se questo l’avesse portata alla morte.
Chi la conosceva assicurava che non si stava chiudendo in se stessa, non era né bulimica nè drogata, uno spostato l’aveva attirata in quella strada deserta e lì l’aveva ammazzata, perché era un mostro e avrebbe pagato per la sua crudeltà.
Questa convinzione diede il via ad una vera e propria caccia alle streghe, prima furono accusati due lavavetri senegalesi, erano stai visti dai residenti girare attorno a quella zona la sera dell’omicidio in un orario compromettente, e ci si domandava che motivo avessero di trovarsi lì in pieno centro. Non avendo prove, ma con grande disappunto di molti bolognesi, non poterono essere incriminati quindi vennero lasciati andare.
In seguito, l’intera famiglia della vittima venne portata in questura ed interrogata a lungo, c’era infatti la speranza di poter tirar fuori qualche scheletro dall’armadio in grado di indirizzare le indagini.
La famiglia di Clementina non aveva però nulla di cui vergognarsi, entrambi impiegati, i genitori avevano tirato su la figlia in maniera impeccabile, era stata una bambina rispettosa e una giovane donna modesta e piena di aspettative per il futuro.
Voleva diventare avvocato e vedere il mondo, era davvero una ragazza adorabile, a cui piaceva la poesia, fare illustrazioni di favole per i suoi nipotini e preparare torte con sua madre. Chi mai avrebbe potuto ucciderla in una maniera tanto orribile?
L’assassino non fu mai trovato, sforzi inutili quelli delle forze dell’ordine, perché nessuno seppe mai chi era il responsabile di quell’abominevole omicidio.
Le indagini vennero sospese per mancanza di prove molto presto, le autorità erano dell’opinione che il colpevole non poteva essere altro che qualche maniaco preso da un raptus di follia, forse membro di qualche setta satanica.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1. o di come Teodora vide la farfalla di fuoco. ***


1.
 
 
 
 
 
 
Marta e Teodora sedevano l’una di fianco all’altra con i libri aperti davanti.
La luce di quel pomeriggio di fine inverno entrava dalle enormi vetrate dell’ Archiginnasio, disegnando strani riflessi sui tavoli di legno.
Marta stava tentando, senza grande successo, di decifrare un grafico a pagina 515 del suo libro di economia aziendale, assolutamente certa di aver sbagliato strada nella vita e di avere davanti a se un futuro da senza-tetto.
Teodora, invece, fissava distratta il suo blocco degli appunti che stava riempiendo di piccoli disegni, con l’ipod nelle orecchie si sentiva momentaneamente ispirata. Alberi e fatine in un prato sotto il cielo stellato, strane farfalle e una luna enorme.
Non era riuscita a dormire nemmeno quella notte e si chiedeva se fosse a causa dello stress per gli esami o perché ancora non le era venuto il ciclo.
Si portava addosso una strana sensazione di malessere che non riusciva a spiegarsi, sentendosi tutta scombussolata come se le stesse per venire l’influenza.
Lasciando perdere la sua opera d’arte improvvisata si voltò sbadigliando verso Marta,che ancora ferma alla stessa pagina di mezz’ora prima aveva definitivamente assunto un colore verdastro, sintomatico di pura disperazione.
Teo non potè fare a meno di sorridere e si tolse le cuffie dalle orecchie per poterle parlare.
Aveva bisogno di sfogarsi e Marta era la sua migliore amica.
Le due si conoscevano fin dal primo anno di liceo, completamente diverse sia caratterialmente che fisicamente, erano con lentezza riuscite a costruire una solida amicizia che avrebbe fatto invidia a chiunque.
Marta era alta, snella, i capelli scurissimi e corti, più lunghi e sfilati sul davanti erano tagliati come andava di moda. Era sicura di se, spigliata, totalmente consapevole della sua bellezza, riusciva ad attirare facilmente gli sguardi degli altri e adorava farlo.
L’altra, invece, si era sempre considerata diversa, anomala, porsi al centro dell’attenzione la faceva sentire a disagio, come se tutti potessero vedere le stranezze di se stessa che l’avevano sempre resa nervosa.
Teodora era stato anche il nome di sua madre, e questa era l’unica cosa che, insieme ai lunghi capelli castani, di quel colore così ricco e particolare, le aveva lasciato di lei quando era morta.
In quel periodo aveva ricominciato a fare quegli strani sogni, come quando era bambina, ed era arrivata alla conclusione che forse non riusciva a dormire perché aveva paura di farlo. “Sai, ho sognato di nuovo mia madre la notte scorsa… mi capita spesso ultimamente..”
Marta alzo la testa dal libro e aggrottò le sopracciglia  “ Che tipo di sogni sono? Come quelli che facevi da piccola? “ le rispose sussurrando per non disturbare i ragazzi che studiavano nei tavoli vicino a loro.
“Non so… non me li ricordo bene quelli… ma nemmeno questi effettivamente, mi sveglio solo con la certezza di aver visto mia madre, è una cosa strana”
L’amica continuò a mordicchiare tranquillamente il tappo della sua penna blu, sgranando i grandi occhi neri con aria leggermente più interessata.
“Era un bel sogno almeno? “
Aveva parlato più volte a Marta del periodo in cui, quando aveva circa tre o quattro anni e sua madre era appena morta, si svegliava urlando tutte le notti, e non riusciva a smettere di piangere per ore. Sua zia aveva pure pensato di mandarla da uno psicologo, ma poi per fortuna gli incubi erano finiti e lei aveva ripreso a dormire tranquillamente.
“non lo so…mi sveglio sempre tutta sudata e non ho più voglia di riaddormentarmi.”
 Si mosse nervosa sulla panca dove era seduta, si chiese se faceva bene a parlarne con Marta, ma di lei si fidava e provò a continuare il discorso.
“Sai, in questo periodo mi stanno capitando un sacco di cose assurde. Non capisco che cosa mi succede…”
Lei la fissava incuriosita, mordendosi un unghia perfetta smaltata di rosso acceso
 “ In che senso?che tipo di cose?”
Teo guardò l’amica negli occhi con le guance un po’ arrossate
“ Te lo dico solo se giuri che non mi prendi per scema ok? Giura che non ridi!”
Lei sorrise ed incrociò le dita “ giuro!”
“Un gatto mi segue….”
Marta la fissò interdetta “un gatto ti segue?”
Nel silenzio Teodora si rese conto che la sua dichiarazione non era suonata strabiliante come aveva desiderato. L’amica aveva assunto l’aria divertita di chi è sicuro di essere la vittima di uno scherzo ma non ha ancora capito bene come.
“E che cosa te lo fa credere?” le labbra di Marta erano leggermente piegate verso l’alto, in un sorrisetto ironico.
“ Ecco lo sapevo che non avrei dovuto dirtelo!” disse alzando notevolmente la voce,tanto che cinque o sei paia di occhi curiosi si girarono verso di loro. Lei abbassò il tono e tornò a bisbigliare verso la ragazza-
“fammi finire prima di credere che stia dicendo stupidaggini…ovvio che se ti dico solo così non ha senso…”
Marta annui e le fece cenno col viso di continuare, non togliendosi però dalla faccia quel mezzo sorriso che stava infastidendo tanto Teodora.
“allora… è una settimana che me lo trovo ovunque,  prima era davanti alla porta di casa, poi ero in Via Zamboni a lezione ed era in piazza verdi… fermo che mi fissava!”
Marta giocherellava con il piccolo pupazzetto attaccato per decorazione al suo cellulare, comprato a Berlino l’estate prima.
“ma sei sicura fosse lo stesso? Magari è un gatto semplicemente molto simile…”
“ No sono sicura…ieri notte mi sono alzata per andare in bagno, e l’ho visto fermo sull’albero di fronte alla mia finestra… mi sono presa un colpo”
Marta la guardava perplessa
“forse si è affezionato e ti segue perché ti vede come la sua nuova padrona, che ne so…”
Teo sbuffò “ Ma non si avvicina mai! Rimane sempre lontano, e mi guarda… poi sono sicura sia sempre lo stesso, è completamente grigio e con il pelo lunghissimo, non ne avevo mai visti così…”
Marta non sembrava particolarmente impressionata e Teodora si accorse che probabilmente all’amica era sfuggito il punto del suo discorso, provò quindi ad essere più chiara, per farle capire che cosa la stesse sconvolgendo tanto in quel periodo.
“Non è solo la storia del gatto…ma mi stanno succedendo un sacco di cose assurde, pensa che ieri stavo sistemando la camera e.. “
Marta la interruppe prima che potesse finire la frase
 “ok, questo si che mi sconvolge….se sistemi la tua camera, il mondo sta seriamente girando al contrario!” la ragazza si mise a ridere a bassa voce divertita e si sporse per farle il solletico
“Dai fammi finire! Non è questo che volevo dire!” disse lei scansandosi leggermente di lato con nessuna intenzione di partecipare all’ilarità dell’amica
“stavo sistemando anche il balcone, dove ci sono tutti i vasi di piante, poi sono uscita un attimo dalla camera perché dovevo dire una cosa a mia zia … quando sono tornata la terrazza era piena di fiori sbocciati!!
“ forse non te ne eri accorta prima…. “
“No ti giuro che proma non c’erano! E poi è pieno inverno!  come è possibile che siano sbocciati in trenta secondi?”
L’altra ora era decisamente confusa e questo era evidente da come fissava l’amica, tentando di scoprire dove stesse l’imbroglio
“probabilmente il riscaldamento di camera tua era troppo alto, ha fatto l’effetto di una serra e sono fioriti prima del tempo..”
“in trenta secondi? E poi erano sul balcone non dentro la camera”
Marta la guardo in silenzio per quasi un minuto poi si strinse nelle spalle, quasi nervosa
“Cosa vuoi che ti dica, che la fatina della primavera è arrivata da te in anticipo sulla tabella di marcia stagionale?”
Teodora sbuffò e si rese conto che avrebbe potuto andare avanti con il racconto ma tanto lei non le avrebbe comunque creduto. Lasciò quindi perdere tutta la parte sugli oggetti che cambiavano posizione senza motivo, sui giocattoli di quando era piccola che erano riapparsi dopo anni e soprattutto sugli strani sogni che faceva di notte, perché non era vero che al risveglio non si ricordava più nulla.
Al mattino il sogno era ancora li, forte e spaventoso come quello della notte prima, e della notte prima ancora.
“Sarò solo un po’ stressata, gli esami e tutto il resto… probabilmente ho solo bisogno di rilassarmi”
Marta parve sollevata dal cambio di direzione della conversazione, attribuire qualsiasi cosa allo stress era un’ottima soluzione che riportava tutto sul piano della normalità.
“Ah!! Ma non ti ho ancora raccontato di ieri! Sono uscita di nuovo con Alex!”
La ragazza si perse nel lungo racconto del secondo appuntamento con Alessandro, descrivendole nei particolari come lui era vestito e quanto fosse stato carino ad offrirle l’aperitivo, ma d'altronde questo era il minimo quando avevi l’onore di uscire con lei.
Teo si chiese se questa finalmente sarebbe stata la volta buona ma era più propensa a pensare che il povero Alex avrebbe fatto la fine di tutti gli altri, scalzato dal podio con l’arrivo di un nuovo pretendente più interessante di lui.
Pensò che se fosse nata uomo non avrebbe mai voluto innamorarsi di Marta, come donna però trovava le sue innumerevoli avventure amorose molto divertenti.
Era come avere la sua soap opera preferita a disposizione in ogni momento.
Mentre ascoltava quanto all’amica fosse piaciuto il posto dove Alex l’aveva portata, l’arredamento era decisamente raffinato e non se lo sarebbe mai aspettato da lui, Teo si perse ad osservare la variegata popolazione dell’Archiginnasio.
I ragazzi  nel tavolo di fianco al loro sembravano estremamente concentrati su enormi volumi di biologia, probabilmente vista la grandezza dei libri di testo erano studenti di medicina, in realtà però uno stava leggendo il giornale tenendoselo  sulle ginocchia,l’altro invece scriveva un Sms.
Le ragazze erano tutte estremamente ben vestite e cariche di accessori costosi,Teodora era convinta che avrebbero potuto tranquillamente sfamare una famiglia del terzo mondo per un anno. Alcune tiravano fuori le penne da eleganti astucci di Luis Vuitton, altre sfoggiavano collane e braccialetti di Tiffany coordinati.
Mentre uno dei bibliotecari le passò davanti, mettendo in mostra un paio di crocks viola, psichedeliche scarpe da ospedale, Teo si mise involontariamente a pensare a suo padre.
Ricordarlo fa male e ti fa perdere tempo, si ripeteva tutte le volte che le capitava, ma spesso le capitava che il suo viso, la sua voce e il suo modo di parlare facessero capolino da quelli di un'altra persona.
Così, in maniera incontrollata, una fitta dolorosa alla bocca dello stomaco le faceva notare quanto forse avrebbe avuto bisogno di lui.
Non poteva dire che le facesse mancare nulla, ma il trovarsi a 500 km di distanza da lei, almeno dal punto di vista affettivo, complicava un poco le cose.
Da quando sua madre era morta suo padre si era come spento.
La ragazza non trovava altre parole per descrivere quanto lui fosse cambiato, diventando qualcuno che non riconosceva più, che non riusciva nemmeno a chiamare papà.
Teodora era molto piccola quando aveva perso la mamma, ma per qualche ragione si ricordava bene come erano i giorni prima che questo avvenisse e di quanto fosse stato  diverso suo padre.
La persona triste e grigia che vedeva tre o quattro volte ogni anno e che due volte al mese la chiamava non aveva nulla a che fare col suo papà. Se lo ricordava solare, sempre in movimento capace di portarle all’improvviso in spiaggia, anche in pieno inverno, solo perché gli era venuta voglia di vedere il mare.
Ma forse si sbagliava, la sua testa voleva farle credere che lui prima fosse stato diverso, spesso pensava che fosse solo la sua immaginazione, in fin dei conti era solo una bambina quando se ne era andato.
Teodora ricordava anche l’amore che lo legava a sua madre, sembrava che lei fosse per lui il sole della sua galassia tutta personale.
Forse quel giorno di più di quindici anni prima era morto anche lui in quell’ospedale, solo che non se ne era ancora accorto nessuno, a parte sua figlia, che ora per questo lo odiava. Ma odiava soprattutto se stessa per soffrirne ancora così tanto.
Una lacrima calda le rotolò lentamente sul viso riportandola alla realtà, e Teo si accorse di qualcosa che prima non aveva notato.
Una piccola farfalla rossa, di un porpora luminoso e scintillante, era entrata da non si sa dove e svolazzava indisturbata per tutta la sala.
Le sue ali sembravano fatte di mille sfumature diverse, quando se la trovò più vicina si rese conto che andavano dal giallo arancione fino al violetto più accesso, come se fossero della stessa costituzione del fuoco.
La farfalla tanto particolare percorse in lungo e in largo tutto lo spazio a disposizione, sfiorando le teste degli studenti chini sui libri senza che però nessuno di loro sembrasse rendersene conto.
Teodora non poté fare a meno di seguirla con lo sguardo per quella che le parve un eternità, chiedendosi come fosse possibile che nessuno vedesse una cosa tanto singolare.
Quando il piccolo insetto si avvicino al bancone dei bibliotecari la ragazza incrociò lo sguardo di una delle donne che lavorava all’archiginnasio. La vedeva tutti i giorni ma non aveva mai fatto mai veramente caso a lei. Era piccola di statura, di si e no cinquant’anni, con i capelli di un biondo poco naturale tagliati a caschetto.
Non appena i loro sguardi si incontrarono, la farfalla le passò estremamente vicino alla spalla destra,la donna per una frazione di secondo la guardò poi si voltò velocemente lasciando Teodora a chiedersi che cosa fosse successo.
Vedeva anche lei la farfalla rossa che ora le volava tanto vicina? Perché stava fissando proprio lei in mezzo alla cinquantina di studenti che si trovavano in quella sala?
Marta le sfiorò il braccio chiedendo la sua attenzione su quello che stava raccontando
“Allora dici che dovrei chiamarlo io stasera? O devo tirarmela aspettando che sia lui a farlo?”
Teodora si volto verso di lei con l’intenzione di chiederle se anche lei si era accorta di quello che stava succedendo ma in quel momento vide che la farfalla era sparita.
Guardò ovunque tra i tavoli e sul soffitto ma non ne era rimasta traccia.
“Chiamalo tu, fino ad ora è stato lui a fare sempre il primo passo ora tocca te…”
Rispose distratta all’amica, tirando fuori dal suo repertorio la prima frase che le venne in mente. Marta annui soddisfatta
“ si mi sa che hai ragione… però non gli chiedo di uscire un'altra volta, gli dico solo che mi ha fatto piacere vederlo ieri…cioè non voglio mica che creda che sia cotta di lui no?”
Teo annui, tentando di sembrare il più possibile interessata a quello che l’amica diceva, poi con addosso una strana sensazione di intorpidimento decise che forse era meglio tornarsene a casa.
Non sarebbe di certo riuscita a studiare nulla in quelle condizioni, chiuse il blocco degli appunti ed il libro di Geertz che teneva aperto davanti.
Salutò l’amica velocemente perché aveva voglia di uscire in fretta dalla biblioteca, non riuscendo a scrollarsi di dosso la strana sensazione che qualcuno la stesse osservando.
Recuperò le sue cose nell’armadietto all’entrata e si infilò di nuovo l’i-pod nelle orecchie, aveva bisogno dell’accompagnamento musicale giusto per il ritorno.
Il cielo era incredibilmente limpido e l’aria profumava leggermente di fiori, Teo se ne stupì perché non c’erano ne parchi ne giardini nelle vicinanze ma pensò che era un segno inconfutabile che stesse finalmente arrivando la primavera.
Aspirò a fondo e sorrise tentando di dimenticare l’ansia che le si era appiccicata addosso nelle ultime ore.
Con “Mr Brightside” dei The Killers a farle da sottofondo si diresse a passo spedito verso un piccolo supermercato del centro, lì vicino.
Sua zia le aveva chiesto di comprare altro latte prima di rientrare, ne prese due cartoni, aggiungendo al tutto un pacco di biscotti dietetici e una confezione di yogurt magri alla frutta.
Odiava essere sempre a dieta, ma era convinta di non poterne fare a meno.
Teodora viveva con la zia Vittoria, che era la sorella gemella della sua mamma.
Abitavano in un piccolo appartamento tutto per loro vicino a Porta San Mamolo, al quarto piano di una palazzina costruita nei primi anni del ‘900.
La casa era molto fresca e luminosa, profumava di pulito e dava su un giardino interno, per cui, dalle finestre, si aveva la vista di un  vecchio platano alto più di cinque metri.
Teodora adorava quell’albero; la luce verdastra che, filtrata dalle sue foglie, inondava la casa la faceva sentire come se abitasse in un bosco.
La ragazza salì le scale con lentezza, le girava un po’ la testa e si stava decisamente convincendo di covare un’influenza. Perfetto, proprio quello che le mancava.
Sua zia era al lavoro e sarebbe tornata per cena, aveva il resto del pomeriggio per se e non vedeva l’ora di mettersi in tuta ed infilarsi sotto le coperte.
Lasciò le converse beige all’ingresso, per certe cose sua zia aveva un ordine quasi orientale, e, prima di dirigersi verso la sua camera, fece tappa in cucina per fare merenda.
Mise il latte e gli yogurt in frigorifero poi i biscotti nello scaffale in alto a sinistra della credenza. Dopo un attimo di indecisione decise che quel giorno aveva decisamente bisogno di una dose extra di zucchero e che per una volta  trasgredire non avrebbe fatto di certo grossi danni.
Afferrò un cucchiaio dal manico lilla ed uno dei budini al cioccolato e nocciola che sua zia mangiava ogni giorno a colazione. Dio benedica il cioccolato, pensò, uscendo soddisfatta dalla stanza.
Il corridoio era tappezzato di fotografie scattate nel corso degli anni, i cui soggetti però non erano mai cambiati: lei e sua zia al mare, lei e sua zia in vacanza in Messico, lei e sua zia a Disney World. Erano loro due in tutte le foto.
Vittoria era stata ed era ancora una donna estremamente bella:negli anni non aveva perso quella bellezza un po’ eterea, con i lineamenti che ricordavano una bambola di porcellana,   che era stata il tratto distintivo anche di sua madre.
Da che Teodora aveva memoria sua zia aveva sempre tenuto i capelli corti, tingendoli di una tonalità miele più chiara del loro colore naturale, non toglieva mai una fedina d’argento  che i suoi genitori avevano regalato a lei e a sua sorella per la cresima e adorava vestirsi in maniera colorata e femminile.
Vittoria non si era mai sposata, molti anni prima aveva lasciato il fidanzato con cui stava fin dall’adolescenza ed inspiegabilmente non aveva amato più nessuno.
Aveva preso Teodora con se quando aveva si e no cinque anni, lei che era una bambina triste che si svegliava urlando tutte le notti e non riusciva a mangiare, che parlava da sola e aveva paura di tutto, soprattutto del buio.
Francesco Giordani, il padre di Teo, se ne era andato pochi mesi dopo la morte della moglie, uscendo per fare delle commissioni di lavoro aveva lasciato la bimba a Vittoria per il pomeriggio e poi non era più tornato.
Lo avevano cercato per giorni, ma lui non aveva mai risposto ne a casa ne al cellulare, infine, poco prima che si decidessero a chiamare la polizia aveva lasciato un messaggio nella segreteria della cognata dicendole che stava bene ma che non voleva più occuparsi di Teodora.
Quella bambina ere troppo simile a sua madre, troppo difficile da gestire: troppo, troppo aveva continuato a ripetere come in una cantilena e sua zia aveva capito che faceva sul serio e che non sarebbe tornato.
Non le avrebbe mai fatto mancare nulla, questo no, ma preferiva leccarsi le ferite da solo, come un animale malato e irresponsabile che si isola dagli altri per guarire, voleva costruirsi una nuova vita e ricominciare tutto da capo.
Ne Vittoria ne,soprattutto, Teodora glielo avevano mai perdonato.
Si chiuse la porta della sua camera alle spalle, respirò a pieni polmoni l’odore tanto familiare di vaniglia e lavanda delle candele profumate che accendeva ogni volta che era in casa e si senti finalmente tranquilla e rilassata.
Non si poteva certo dire che Teodora fosse una persona ordinata, provava a rimettere a posto ogni cosa dopo averla usata, come le ricordava sempre sua zia, ma la realtà era che il più delle volte se ne dimenticava.
Sopra la scrivania si ammucchiavano decine di  romanzi che non trovavano più spazio sugli scaffali, mischiandosi disordinatamente con i libri dell’università, fogli da disegno, fotografie e ritagli di giornale.
Sul pavimento teneva da sempre un tappeto blu con ricami dalle mille sfumature, che ricordavano tanto le onde del mare, e dove da piccola giocava, facendo prima finta di essere una bellissima sirenetta poi un coraggioso pirata.
La parete di fianco al suo letto, ricoperto da una trapunta fiorita gialla e viola che lei adorava, era completamente tappezzata di fotografie del cielo, scattate nel corso degli anni, in tutti i posti in cui era stata.
I suoi cieli, come li chiamava, la rendevano automaticamente serena tutte le volte che li guardava, poteva immaginare quando voleva di essere in ognuno di quei luoghi e anche  in quelli che ancora non aveva visitato: si sentiva libera e piena di una gioia irrazionale.
Accese lo stereo con il Cd dei Beatles di sua zia inserito, e, dopo essersi infilata la felpa più larga e comoda che potesse trovare, finì il la sua piccola trasgressione al cioccolato e si sdraiò sul letto coprendosi con il piumone.
Si distese su un fianco, tenendo un braccio sotto il cuscino e avvicinando le ginocchia al petto perché in nessun altra posizione sarebbe riuscita a dormire.
“ Hey Jude begin,You're waiting for someone to perform with“ cantava Paul McCartney e Teodora, cullata da quelle parole che trovava così dolci, pian piano si addormentò.
Sognò di nuovo sua madre, tramite uno dei pochi ricordi che aveva di lei.
Teodora avrà avuto si e no due anni, ed era subito prima che lei morisse,
stava disegnando sul pavimento dell’ingresso, con i fogli e i pennarelli tutti sparsi su quel bellissimo tappeto con girasoli che avevano nella vecchia casa.
Sua mamma si asciugava i capelli nel bagno tenendoli rovesciati in avanti, lasciando che sfiorassero quasi il pavimento. L’aria calda del phon li faceva vorticare in una soffice onda di sfumature marroni, la luce del sole illuminava la casa dalla finestra aperta,tanto da farli sembrare una fiamma scura.
Di scatto alzo la testa e la chioma le ricadde asciutta per tutta la schiena, come una strana pianta rampicante che le dava un aspetto magico, come da sirena.
Teodora era felice, e sapeva che mentre le si stava avvicinando lo era anche sua madre.
Le accarezzò la testa con una mano mentre con l’altra si appoggiava  per sedersi vicino a lei sul tappeto. Pensò che era bellissima come probabilmente lei non sarebbe mai stata.
Nel momento in cui però, a gambe incrociate, Teodora se al trovò di fronte si accorse con orrore che il suo vestito si stava lentamente macchiando di rosso, come se qualcuno gli avesse rovesciato addosso un secchio di vernice.
Le vide i polsi e la gola, completamente squarciati, da cui sgorgavano litri di sangue scuro, i tagli erano a forma di mezzelune, e sembravano tre piccoli e grotteschi sorrisi. Urlò, e la voce gracchiante e ovattata che le venne fuori, non era quella di una bambina ma quella di un adulta.
Teo si alzò a sedere di scatto , con l’urlo che le moriva in gola un'altra volta, come in  tutte le altre occasioni in cui aveva fatto lo stesso sogno.
Si sentiva ancora sporca del sangue della madre che dal corpo martoriato le era sgorgato addosso. Si diresse d’istinto verso lo specchio nascosto in una delle ante dell’armadio.
Il sogno era stato solo un sogno, ma nel suo corpo c’era decisamente qualcosa che non andava. Come se stesse per venirle l’influenza le facevano male tutte le articolazioni,
era pallida e profonde occhiaia violacee le segnavano il viso.
No, non stava affatto bene.
Teodora ripensò alla madre e si chiese perché facesse in continuazione quel sogno orrendo. D’altronde, come le avevano raccontato suo padre e sua zia, lei era morta di cancro in ospedale.
Si ricordava bene il tappeto con i girasoli che avevano nella casa dove vivevano quando era piccola, come allo stesso modo era impressa nella sua memoria la luce tutta particolare che entrava dalle finestre, di una strana sfumatura rosata perché filtrata dalle tende preferite della sua mamma.
La ragazza si domandò perché la sua testa le facesse vedere quella scena mai accaduta con tanta insistenza.
Era come se aggiungesse ad uno sfondo reale particolari ed avvenimenti del tutto inventati. Forse stava diventando pazza. Fantastico.
Specchiandosi si rese conto di quanto quell’immagine riflessa fosse lontana da come avrebbe desiderato essere. Teodora non si era mai piaciuta.
Aveva smesso di crescere in terza media ed ora raggiungeva a fatica il metro e sessanta.
Non era tanto snella e tantomeno slanciata ed era come se il suo corpo avesse deciso di non maturare di pari passo con la sua testa.
Truccarsi non le serviva più di tanto, per questo motivo aveva lasciato perdere anni prima il tentativo di assomigliare alle sue coetanee.
Preferiva rimanere un po’ anonima anche nel modo di vestire, perché non gli era mai piaciuto attirare l’attenzione degli altri su di se, odiava sentirsi osservata.
Marta era il suo esatto opposto sia fisicamente che caratterialmente.
Teo, profondamente cosciente di non avere lo stesso successo con gli altri e la  capacità di relazionarsi con loro dell’amica spesso desiderava essere come lei.
Teodora fu riportata alla realtà dal suono delle chiavi di sua zia che aprivano la porta d’ingresso.
Vittoria era tornata dal lavoro e lei fu attirata in cucina dall’odore delle pizze che aveva portato. La ragazza si rese conto che aveva dormito molto più a lungo di quello che credeva, fuori era buio pesto ed era già ora di cena.
“ciao tesoro” la salutò la zia dandole un bacio sulla fronte “sei calda, hai la febbre?”
Teo si strinse nelle spalle mentre prendeva le posate dalla credenza per apparecchiare la tavola.
“no non credo, mi sento solo un po’ strana perché ho dormito tutto il pomeriggio”
Vittoria strinse gli occhi in quell’espressione di cui Teodora conosceva ogni segreto - mi devo preoccupare? Mi sto già preoccupando!-  e di cui preferiva evitare ogni conseguenza.
“Tranquilla nana, ero solo stanca perché la notte scorsa non ho dormito bene, tutto qui, sto benissimo” continuo lei sorridendo e la zia sembrò rasserenarsi un pochino.
In quei giorni la donna si comportava in maniera insolita, era sempre nervosa e taciturna, quando di solito era la persona più vivace e solare che si potesse immaginare.
Teo le aveva già chiesto spiegazioni più volte ma lei aveva sempre negato, giustificandosi dicendo che lavorava troppo e che avrebbe dovuto prendersi una vacanza.
Mangiarono la pizza in silenzio, la zia era persa in chissà quali pensieri, Teodora invece,non riusciva a scrollarsi di dosso la sensazione di malessere che le aveva lasciato il sogno di quel pomeriggio. Aveva bisogno di parlarne con qualcuno, ma la morte di sua madre era un tabù in casa loro, e non si tirava mai fuori l’argomento.
Dopo quello che era successo, Vittoria aveva tagliato i lunghi capelli castani, che da sempre teneva come quelli della sorella, e ne aveva cambiato il colore.
Aveva tolto tutte le foto che la ritraevano con la gemella, lasciandone solo una che teneva sul comodino della sua camera da letto, in una spessa cornice d’argento: sua madre e sua zia adolescenti,già bellissime nei loro quindici anni, si tenevano per mano sedute su un’altalena, coi capelli che a tutte e due cascavano lunghissimi sulla schiena.
Teodora guardava qualcosa che non era stato catturato nell’inquadratura insieme a loro, che probabilmente l’aveva distratta qualche secondo prima dello scatto, Vittoria, invece, sorrideva dolcemente alla sorella, dandole tutta la sua attenzione.
Quando era bambina Teo prendeva di nascosto quella foto e, sdraiata sotto il lettone della zia, la guardava per ore, chiedendosi che cosa sua madre stesse pensando,che cosa stesse guardando, quali fossero stati i suoi desideri in quel preciso momento.
Mai una volta aveva confuso Vittoria e Teodora, aveva sempre saputo quale fosse sua madre, che aveva qualcosa di diverso dalla gemella,e, anche se non avrebbe saputo spiegare che cosa, la rendeva speciale.
Anche una parte di sua zia doveva essere scomparsa quel giorno, quella che aveva condiviso fino a quel momento con sua sorella e che ora era stata seppellita chissà dove per essere dimenticata.
Vittoria si alzò e cominciò a sparecchiare la tavola, poi si fermò, con i piatti in mano, dando le spalle a Teodora.
“Mi ha chiamato tuo padre questa mattina”
A Teodora si strinse lo stomaco improvvisamente
“Che cosa voleva?”
“Mi ha chiesto se stavi bene e se avevi bisogno di qualcosa”
“Non abbiamo bisogno di altri soldi”
Rispose di scatto Teodora, senza regolare il suo tono di voce tanto da far sembrare quello che diceva quasi un urlo.
“Non arrabbiarti, vuole solo rendersi utile immagino”
Teodora senti una rabbia dolorosa montargli dentro al corpo.
“si renderebbe più utile chiamando me e parlando con me, anche se non è ne natale ne Pasqua!”
Ginevra non rispose e cominciò a lavare i piatti nervosamente
“ lo vedi che non gliene frega assolutamente nulla di me??L’ho sentito tre volte in quattro mesi e solo per chiedermi se avevo bisogno di soldi!”
La zia non riusciva a controbattere e si limitava a stringere convulsamente le stoviglie sporche di detersivo. Questo non fece altro che innervosire ulteriormente Teodora, che irrazionalmente, percepiva la cosa come se lei lo stesse giustificando.
“puoi dire qualcosa per favore? “gridò esasperata la ragazza “ che non sia poverino vuole rendersi utile??”
L’altra si girò di scatto bagnando il pavimento con gocce di acqua insaponata
“non sto affatto dicendo che faccia bene! Sai benissimo che cosa io pensi di lui e del fatto che se ne sia andato, semplicemente non possiamo andare avanti così ad insultarlo!
E’ fatto così, non aspettarti niente da lui!”
Teodora si senti invadere da una tristezza disarmante, non sapeva cosa rispondere e due grosse lacrime le scivolarono silenziose lungo le guance.
Abbassando il viso verso il pavimento queste precipitarono e le bagnarono le dita dei piedi scalzi. Serrò i pugni che cominciarono a tremare per la rabbia che le esplodeva dentro.
Senza guardare sua zia in viso non riuscì a trattenersi da urlare ancora
“Non me ne frega niente se è fatto così! Mi fa schifo e lo detesto! La prossima volta che ti chiama digli che mi sono buttata da un ponte, così che smetta di telefonarmi e si metta il cuore in pace!”
Ginevra apri la bocca come se volesse controbattere ma non le uscirono le parole, il lampadario e le sedie nella stanza cominciarono a tremare rumorosamente.
Teodora senza accorgersi di nulla era corsa in camera sua chiudendo con forza la porta, lasciando sua zia in cucina, dove tutto si muoveva e sbatteva senza una ragione.
I piatti che ancora erano rimasti sul tavolo si frantumarono sul pavimento macchiandolo dei resti della pizza che avevano mangiato, tre bicchieri caddero dagli scaffali più in alto della credenza, tutte le ante e gli sportelli si aprivano e si chiudevano ritmicamente.
Dopo qualche minuto i mobili animati da chissà quale strana forza si fermarono, e la donna si accasciò letteralmente sulla sedia a lei più vicina.
Si strinse le tempie con mani ed emise un lungo sospiro.
 

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Capitolo 3
*** capitolo 2. o di come Teodora incontra sua madre. ***


Le due amiche camminavano tranquille per Via Indipendenza, Marta voleva un nuovo paio di jeans e Teo guardava distrattamente le vetrine senza un idea chiara di cosa comprare.
Teodora si era fatta convincere che aveva assolutamente bisogno di qualcosa di nuovo nel suo guardaroba, e che se si sentiva tanto giù di morale in quel periodo fare shopping avrebbe di certo aiutato.
La ragazza dubitava caldamente che comprare vestiti avrebbe migliorato la situazione, si sarebbe solo vista goffa e grassa con un vestito che non le stava bene, nello specchio di un negozio invece che in quello di casa sua.
Non si era levata di dosso il malumore dal litigio con la zia del giorno prima, provava a non pensarci ed era sicura che uscire con Marta per lo meno l’avrebbe distratta.
“Ieri ha chiamato mio padre …”sospirò Teo con tono rassegnato “ed io e la nana abbiamo finito per litigare”
Marta la guardò sollevando un sopracciglio e contraendo un pò le labbra. A Marta non piaceva per niente il padre di Teodora e, pur non avendolo mai visto, provava per lui il risentimento genuino di chi odia veder soffrire periodicamente la propria migliore amica.
“che cosa voleva?”
Teodora si strinse nelle spalle “ a dire il vero io non ci ho parlato, ha chiamato mia zia per chiederle come stavo e se avevo bisogno di soldi. Come se io non avessi un cellulare …”
“tesoro mi dispiace, ma dovresti aspettartelo, non è la prima volta  …”
Marta non si preoccupava di risultare dura con l’amica, il loro rapporto era talmente forte da poter essere totalmente oneste l’una con l’altra.
“Già, è la stessa cosa che ha detto mia zia …”
Il viso della ragazza si rabbuiò di colpo, Marta se ne rese conto e con un braccio le strinse la vita e le diede un rumoroso bacio sulla guancia.
“Dai lascia stare, è la cosa più normale del mondo che tu sia arrabbiata, devi solo imparare a farti scivolare le cose addosso,,,”
Teo sospirò sconsolata “ lo so, ma è difficile, tutte le volte che chiama mi sento male per giorni, sono così arrabbiata con lui …”
“Appunto per questo dovresti far finta di niente, chi se ne importa se è uno stronzo!”          Si strinse nelle spalle senza perdere però l’aria seria che aveva negli occhi.
“Fidati Teddi, è solo una persona, che sia tuo padre non fa differenza …”
Marta era l’unica che ancora la chiamava in quel modo, ricordava che un tempo l’avevano fatto sua madre e anche sua zia, l’amica però non lo sapeva e a Teo non dispiaceva sentirglielo dire. Quella parola le dava sempre una bella sensazione.
“ dai andiamo da Zara, ho assolutamente bisogno di qualcosa di nuovo!”
Teodora sorrise e si perse con l’amica nei pois della collezione primavera-estate, decisamente deliziosi.
Il caldo del locale faceva contrasto con l'aria pungente della strada, ma dopo poco era piacevole potersi togliere il cappotto.

Come ogni volta, il negozio pullulava di persone, soprattutto giovani donne, qualche coppietta, ma per lo più tante ragazze con le proprie mamme, Teo provava un egoistico senso di invidia nel vedere quelle anoressiche bambine viziate accontentate in tutto. Avrebbe voluto essere al posto loro, nella loro vita normale, dove gli specchi riflettevano solo immagini da rivistadi moda E dove soprattutto c’erano madri che ti viziavano.

“ Tesoro, andiamo al secondo piano che qui ci sono solo vestiti da quarantenne?"
 
Marta si mise in testa che voleva farla felice ed una cosa in cui era davvero brava era scegliere vestiti,afferrò due paia di jeans, tre gonne e due top, convinta che avrebbe finalmente trovato qualcosa che all’amica  sarebbe stato alla perfezione.
Teo temeva che l’altra l’avrebbe costretta come tutte le volte a sfilare per lei, imitando le movenze delle modelle professioniste, o “grucce con le gambe” come amava definirle.
Quella di solito era la parte migliore e divertente delle loro incursioni di shopping pomeridiano, quel giorno però non si sentiva tanto in vena di scherzare.
Si stava dirigendo verso i camerini quando una piccola scintilla rossa riflessa su uno specchio alla sua destra attirò la sua attenzione.
Si voltò istintivamente e vide che a venti centimetri dalla testa di una ragazza che teneva in mano un paio di pantacalze color melanzana, svolazzava una piccola farfalla rosso fuoco, uguale a quella che aveva già visto in Archiginnasio qualche -- prima.
La donna parlava in maniera concitata al cellulare e sembrava non essersi accorta dell'animale, che invece pareva seguirla in ogni suo movimento.
“Lo so che cosa ha detto! Ma no credo proprio che la situazione cambi a starcene rintanate in casa, dobbiamo fare qualcosa!”
Teodora la guardava incantata, il suo modo di camminare e di muoversi pareva quello di una ballerina classica su un palcoscenico che solo lei poteva vedere,
Le sue gambe erano lunghe e slanciate, il viso, incorniciato da capelli corti di un rosso acceso, era incredibilmente armonioso, dai tratti proporzionati e perfetti.
“dille che non mi importa… non ho voglia di discutere. Questa volta non ho intenzione di cedere a compromessi”diceva lei al telefono, regolando il tono della voce in modo che le persone che aveva intorno non sentissero.
La farfalla intanto non si allontanava da lei, e le era talmente vicina da confondersi a tratti con il colore dei suoi capelli: nel momento i cui le volò vicino all’orecchio destro la ragazza si girò e increspando le labbra la soffiò via.
Teodora era sbalordita. Non era l’unica a vederla,almeno non stava impazzendo.
I loro sguardi si incrociarono. La donna strinse gli occhi, aggrottò le sopracciglia e la guardò per qualche secondo. Tutt’attorno il mondo rallentò il suo corso e le voci divennero ovattate.
La ragazza si voltò di scatto, posò le pantacalze sullo scaffale più vicino e scese le scale di corsa scomparendo dalla sua vista.
Teodora si avvicino alla rampa e guardò giù, ma lei era già sparita. Rimase li, col le mani appoggiate alla balaustra, per quasi un minuto. Poi si sentì tirare il braccio con forza.
“Allora vuoi collaborare? O devo fare tutta la fatica da sola?”
La sgridò Marta con tono scherzosamente irritato
“Scusa... solo mi era parso di vedere qualcuno che conoscevo..”
“Chi? Qualcuno che era a scuola con noi?” anche Marta si sporse guardando verso il piano di sotto
“No, solo un amica di mia zia, nessuno di importante”                                                                             si inventò lei, poi, sorridendo, prese parte della montagna di vestiti che l’amica aveva scelto per lei
“Allora? Che cosa mi hai preso?”
“bhe ho pensato che hai pochissima roba da metterti quando usciamo la sera, quindi questi due vestitini mi sembrano adattissimi, questi jeans invece li metti con questo paio di tacchi”
Rispose lei mostrandole tutta orgogliosa un paio di scarpe col tacco nere, forse un pò troppo alte per Teodora, ma che secondo lei erano comode da indossare per via della zeppa. Teo non ne era affatto convinta ma decise di non controbattere.
“poi ti ho preso questi due top, quello bordeaux secondo me sta benissimo col colore dei tuoi capelli e questo a fiori e carinissimo vero?”
Teo guardò sopraffatta la montagna di vestiti che avrebbe dovuto provarsi, ma poi pensò che effettivamente aveva bisogno di qualcosa per le loro serate fuori e, armandosi di coraggio, si diresse con l’amica verso i camerini.
Dopo dieci minuti di tentativi falliti, i Jeans erano troppo lunghi e il primo dei vestiti le stava larghissimo all’altezza del seno, Teo si fermò a guardarsi nello specchio confusa.
Il secondo vestito, viola prugna con i brodi in pizzo crema, le stava benissimo.
Non sapeva se fosse per la luce dei camerini o per lo specchio che magari smagriva un po’, i titolari ne mettevano spesso aveva sentito dire, ma si vide davvero bella.
Le sembrò di essere più magra del solito, i capelli più gonfi e luminosi, le labbra più grandi e dalla forma più definita.
Marta apri la tenda velocemente
“Allora? Questo come ti stà?” poi sorrise,leggermente stupita
“E’ perfetto! Dio mio ti fa magrissima! Il colore poi è stupendo”
Teo si osservava interdetta, c’era davvero qualcosa di strano ma non capiva cosa.
Sospirò e decise che a caval donato non si guarda in bocca.
Quel pomeriggio i suoi risparmi subirono una repentina battuta d’arresto, perché sull’onda della sensazione che le aveva dato sentirsi così bella in quel vestito lo comprò, insieme ai due top, quello a fiori era sul serio adorabile, e alle scarpe col tacco.
 
  
 
 
Teo parcheggiò la vespa verde mela all’inizio di via Zamboni, si tolse il casco e chiamò Marta.
Si erano messe d’accordo per incontrarsi alle panchine vicino alle torri, quelle di fianco alla libreria.
“hey dove sei? Pensavo di essere io quella in ritardo” esordì
“scusa! Non ti incazzare, ero con Alex e ho perso la cognizione del tempo, sarò li fra esattamente sette minuti, recupero le chiavi della macchina e arrivo”
Teodora sorrise della strana abitudine dell’amica di dare orari così peculiarmente precisi, dieci minuti sembrano troppi, cinque troppo pochi,quindi lei pensava fosse meglio arrotondare.
“tranquilla, intanto scelgo un posto e ti mando un messaggio per dirti dove sono”
Rispose, sicura per esperienza che i sette minuti probabilmente sarebbero stati ventisette, ottimisticamente parlando.
“Ok perfetto, io parcheggio in piazza Aldrovandi, tu la susy l’hai lasciata alle torri?”
Susy era il nome della vespa, compagna fedele della sua adolescenza.
“ si, poi al massimo al ritorno mi ci riaccompagni in macchina?”
“certo figurati, ora, trovo le chiavi, recupero la borsa, mi sistemo il trucco e sono da te ok? Sette minuti esatti!”
Marta riattaccò e Teo si avviò per via Zamboni. Indossava il top a fiori che aveva comprato quel pomeriggio, stretto sotto il seno e leggermente trasparente scendeva lungo e leggero, si sentiva carina ed era contenta.
Marta aveva categoricamente deciso che l’avrebbe portata fuori e che, terminando l’opera cominciata quel pomeriggio, l’avrebbe fatta divertire, e se questo significava farla ubriacare fino a star male, bhe lei di certo non glielo avrebbe impedito.
                                                                                                                                            Teo si sentivafastidiosamente osservata, a disagio cominciò a giocherellare con una ciocca di capelli che era sfuggita all'elastico, come faceva ogni volta che era nervosa.
I capelli erano l'unica cosa che realmente le piacevano del suo aspetto fisico: lunghi fino a metà schiena e molto folti, sembrava che un pittore si fosse divertito a usare tutte le tonalità di marrone che aveva per colorarli.
Erano i capelli di sua madre ed era forse anche per questo che le piacevano tanto.
Teo si guardò attorno per assicurarsi che fosse solo una sua fantasia.
Notò che il pub era più affollato di quanto non le fosse parso entrando; un gruppo di uomini sulla trentina ridevano e commentavano rumorosamente una partita di calcio in TV, mentre il tavolo alla loro destra era occupato da tre coppie di anziani signori che giocavano a carte.
Sul divanetto in fondo alla sala rettangolare una coppia di liceali si scambiava teneri baci sulle labbra e le guancie, la maggior parte delle persone però si accalcava al bancone per ordinare da bere.
Un grande specchio poggiato alle spalle del barista rifletteva ogni suo movimento,  l’uomo, nonostante la corporatura tozza e sgraziata, serviva i clienti in maniera rapida ed efficace.
Teo stava controllando per la terza volta il cellulare, chiedendosi come mai Marta ci stesse mettendo tanto, quando non potè fare a meno di notare l'immagine di un uomo riflesso nello specchio.
Era un ragazzo seduto da solo al tavolo più vicino all'uscita, il suo viso era in parte in ombra in parte illuminato dalla luce del televisore.
La cosa che più la impressionò furono i suoi occhi, talmente neri da non distinguere l'iride dalla pupilla, per un momento Teodora sentì una strana stretta allo stomaco.
Una massa di capelli ondulati color castano scuro incorniciava un viso dai lineamenti perfettamente armoniosi ma forti, la sua pelle era estremamente chiara,forse a causa della luce azzurrognola del televisore penso lei.
Le labbra erano sottili e ben definite, le sopracciglia nere e folte gli davano un’aria molto latina, e il naso, non perfetto come il resto del viso, rendeva il ragazzo ancor più affascinante.
Era giovane,ma non nello stesso modo in cui lo era lei, Teo valutò che avesse tra i venticinque e i trent’anni, era un uomo e guardarlo le dava una strana sensazione.
La ragazza realizzò da subito che non aveva mai visto nulla che la attraesse così tanto.
L’atmosfera intorno a lei era calda e in qualche modo rilassante, Teo si accoccolò tranquilla sulla sedia e ordinò una coca light.
Si chiese se lui stesse aspettando la fidanzata o se invece solo un amico, senza saperne la ragione, però, scopri che la prima alternativa le lasciava una strana e pungente sensazione alla bocca dello stomaco.
Teneva davanti a se un bicchiere di birra che non aveva ancora cominciato, la schiuma si era già consumata ma lui non sembrava decidersi a berla.
Aveva le mani grandi e le dita molto lunghe, senza volerlo Teo si guardo le sue, proporzionate si, ma davvero troppo piccole, poco più grandi di quelle di un bambino.
Ad interrompere lo stato di torpore nel quale si trovava furono due ragazzi: entrambi abbastanza bassi e tarchiati, portavano i capelli corti e un ghigno beffardo sul viso.
Si avvicinarono a Teo e cominciarono a fare apprezzamenti poco garbati a bassa voce, per evitare che chi si trovava al bancone potesse sentire; dall'accento si capiva che i due non erano di Bologna.
Teodora non sapeva bene cosa rispondere ai due che continuavano ad importunarla, chiedendole cosa ci faceva tutta sola e se potevano offrirle qualcosa da bere.
Non era mai stata brava a gestire situazioni del genere, e l'unica cosa che potè fare fu quella di abbassare gli occhi verso le sue mani che poggiavano sul bancone e, senza dire una parola, voltarsi dall'altra parte, maledicendo Marta che tardava tanto a chiamare.
I due ragazzi sembravano invece molto divertiti dall'imbarazzo della ragazza, fecero qualche battuta che lei non riuscì a capire e poi uno dei due le girò attorno, piantandosi proprio davanti a lei.
Da quella distanza poteva sentire l'odore eccessivo di alcool che facevano, che si intensificava ogni volta che parlavano o ridevano.
Teo iniziava a preoccuparsi seriamente, quando quello che si era mosso poggiò la mano sulla sua, avvicinò il viso e disse: "Eddai, non fare la difficile e vieni a sederti con noi!"
Non poteva credere a quello che stava succedendo, si sentì le guance diventare bollenti cercando però in tutti i modi di tenerlo nascosto; sempre con lo sguardo basso si alzò velocemente dalla sedia, recuperò le sue cose e si diresse a passo spedito verso l'uscita, sentendo i due che continuavano a ridere dietro di lei.
Passando davanti al tavolo dove sapeva che era seduto il ragazzo dagli occhi neri, vi lanciò uno sguardo rapido, per scoprire però che lui non c'era più e che probabilmente era andato via in quei cinque minuti.
Fuori dal locale l'aria era fredda e pungente, piccole nuvolette di vapore bianco le si formavano ritmicamente davanti alle labbra. Teo sentiva che il cuore le batteva forte in petto, si appoggiò con la schiena a una colonna e fece due respiri profondi che la tranquillizzarono.
L'unica cosa che voleva adesso era tornare a casa, ma si sarebbe fatta dare volentieri un passaggio in macchina da Marta: di camminare da sola a quell'ora e dopo quello che le era successo non ne aveva per niente voglia.
Stava cercando il cellulare nella borsa, quando sentì alle sue spalle la porta del locale che si apriva; istintivamente si voltò e vide i due ragazzi di prima che uscivano e la cercavano con lo sguardo.
Birra in mano, si avvicinarono a lei a passo spedito, adesso non sorridevano più, ma sembravano quasi arrabbiati, uno dei due le strinse il braccio tanto da farle male.
Teodora notò con terrore che la strada intorno a loro era stranamente deserta,non riusciva a prendere il telefono perché lui le impediva di muoversi e in quel momento fu presa definitivamente dal panico.
Lui, che sapeva quello che passava per la mente di lei, la guardò dritta negli occhi già lucidi e sussurrò: "Sfortunatamente per te non c’è nessuno, quindi è inutile che ti opponi. Perché non vieni via con noi? Vedrai che ci divertiamo"
A quelle parole le si strinse lo stomaco e le venne la nausea, avrebbe voluto urlare, ma era come se la paura le fermasse tutte le parole in gola. Cominciò a tremare come una foglia.
Si girò di scatto e iniziò a strattonare con tutte le sue forze il braccio che il ragazzo le teneva bloccato, puntò i piedi a terra e si sbilanciò in avanti in modo da liberarsi dalla sua presa.
Un urlo strozzato dietro di loro congelò i movimenti dei due.
Quasi contemporaneamente sentirono il rumore ovattato di qualcosa che veniva sbattuto contro una parete e poi cadeva rovinosamente a terra.
Teo e il ragazzo si voltarono mentre lui la teneva ancora immobilizzata, il suo amico si
rotolava a terra stringendosi il naso con le mani, dalle fessure tra le dita colava sangue scuro. Sopra di lui, in piedi, immobile, c'era il ragazzo dagli occhi neri: teneva i pugni chiusi e le gambe leggermente divaricate.
Lentamente si girò verso Teodora, lo sguardo fisso sulla mano di lui sempre ferma sul suo braccio. Dai suoi occhi traspariva una forza spaventosa ed il silenzio irreale era interrotto solo dai lamenti del ferito.
Quello dei due che stringeva Teodora la liberò all’improvviso, corse verso il compagno a terra e lo rimise in piedi a fatica.
“Che cazzo fai stronzo?!”
Il ragazzo sorrideva con gli occhi sgranati, più del normale “Vattene”
C’era una tale convinzione nella sua voce e il tono era talmente perentorio che i due, senza mai dargli le spalle, cominciarono ad indietreggiare
“io ti denuncio pezzo di merda!” gli urlò quello che era stato colpito ma, nonostante la minaccia, il ragazzo non si scompose e non cambiò espressione.
“levatevi dai piedi”continuò, e poi, con un movimento talmente rapido che Teo fece fatica a seguire, afferrò il bavero del ragazzo che prima la teneva ferma.
“vi conviene andarvene, o mi divertirò a farvi male”
Mentre lo diceva uno strano sorriso sghembo gli si disegnò sul viso, con l’angolo sinistro della bocca piegato verso l’alto, e Teodora senti un brivido salirle inaspettato lungo la schiena.
Teo si ritrovò a pensare, dimenticandosi per qualche istante della situazione in cui si trovava,che non somigliava né a un uomo né ad un ragazzo.
Tutto di lui, dalla posizione del corpo allo sguardo, era inquietante. Senza sapere perché ricordò la definizione di “sublime” che la sua insegnante di arte del liceo le aveva dato: qualcosa di spaventoso e meraviglioso insieme.
 I due, vistosamente presi dal panico, senza farselo ripetere un'altra volta girarono i tacchi e fuggirono nella direzione opposta a quella del pub, verso piazza Aldrovandi.
Teodora, mentre ancora si riprendeva dallo shock, con una parte della sua testa che si stava lentamente rendendo conto che forse aveva rischiato lo stupro, si ritrovò a di fissare senza parole colui che l’aveva appena salvata.
Prima nel locale non aveva notato quanto fosse alto, forse più di un metro e novanta,
la sua pelle era talmente chiara che faceva (dava vita ad)un curioso contrasto con il nero profondo dei suoi occhi. Non indossava la giacca ma non sembrava soffrire il freddo in quella sera di (..).
“grazie” balbettò con voce roca,provando a nascondere le sue mani che non la smettevano di tremare.
Lui finalmente si girò verso di lei e per qualche secondo la squadrò da capo a piedi con una strana espressione sul viso. Le sopracciglia aggrottate e le labbra contratte lo facevano sembrare stranamente nervoso. Poi, dopo qualche secondo di silenzio, il suo viso si rilassò e lui le rispose con una voce profonda ma estremamente fredda.
“Di niente”
Teodora cominciava a sentirsi a disagio, voleva ringraziarlo di più per quello che aveva fatto ma non sapeva come comportarsi.
“se non fossi arrivato tu no so che cosa sarebbe successo, grazie davvero…”
“la prossima volta vedi di non cacciarti in una situazione del genere”
Rispose lui tagliente, si voltò e se ne andò senza dire una parola, nella stessa direzione che avevano preso gli altri due.
Lei fissò l’angolo dove lui era scomparso per quasi un minuto, con la mente completamente svuotata e senza capire del tutto quello che le era appena successo.
Decise di ritornare al locale dove presumibilmente Marta sarebbe arrivata a minuti, voleva raccontarle tutto, sfogarsi, forse piangere e soprattutto farsi portare a casa. Le avrebbe chiesto di rimanere da lei a dormire e si sarebbe dimenticata il prima possibile di quella brutta avventura. Mentre si ripeteva che tutto sarebbe andato bene e che in fin dei conti non era successo nulla di grave, si rese conto di qualcosa che prima non aveva notato. Una lunga strisciata di sangue luccicava ancora fresca sulla parete, alla luce del lampione e Teo rivide nella sua mente il ragazzo che veniva colpito ed urlava di dolore.
Marta la trovò dopo poco,chinata dietro ad una colonna mentre vomitava la sua cena e  calde lacrime le segnavano le guance, in quel momento di un pallido colorito verdastro.
 
Qualche ora dopo Teodora si alzò senza far rumore, Marta dormiva tranquilla alla sua sinistra e lei non voleva svegliarla.
Si infilò la felpa azzurra di Paul Frank che l’amica le aveva regalato l’estate precedente, per il suo compleanno, e si avvicinò alla finestra.
Non c’erano più nuvole e le stelle brillavano vivaci, nel cielo sgombro di quei primi giorni di
primavera. Teo respirò a fondo e sentì i polmoni riempirsi dell’acre odore di smog della via inquinata e pensò che, per quanto potesse amare vivere in città, in quel momento avrebbe preferito di gran lunga trovarsi in aperta campagna.
Il gatto grigio era li anche quella notte, tranquillamente acciambellato su uno dei rami più alti del platano di fronte al suo balcone.
I due si guardarono per alcuni secondi, poi lui miagolò, inarcò la schiena e si stirò, affondando le unghie nel legno dell’albero. Con un piccolo balzo, saltò su un ramo più in basso, poi su un altro ancora, fino a che non si ritrovò in strada e corse via.
Teodora si chiese che cosa avesse fatto di male per meritarsi tutte quelle stranezze in una volta sola. Sbuffò e decise che per quel giorno ne aveva avuto davvero abbastanza, si girò e tornò a letto. Si tirò le coperte fin sopra la testa e si strinse il più possibile a Marta, che russava leggermente.
Ripensò al ragazzo che l’aveva aiutata,al suo viso e a come stranamente non sembrasse soffrire il freddo, dato che quella sera non c’erano nemmeno dieci gradi e lui indossava solo una t-shirt.
Teodora si chiese perché quando lei aveva provato a ringraziarlo avesse reagito in maniera così scostante, quasi come se fosse arrabbiato con lei che si era cacciata in quella situazione.
Le tornarono in mente i suoi occhi, di un colore così scuro e profondo che non aveva mai visto su nessuno.
Qualcosa nella stanza si mosse.
Un rumore leggero, ritmico, si faceva sempre più nitido da dietro la sua scrivania.
Teodora si sentì sprofondare nel materasso del letto mentre il cuore le batteva rumorosamente in gola, come se ogni parte del suo corpo non potesse più muoversi e tutto fosse focalizzato su quello che stava succedendo nella sua camera.
Qualcuno o qualcosa stava spostando la sua sedia di plastica bianca, quella con le ruote.
Teo si rese chiaramente conto che si stava avvicinando, e che ormai si trovava di fronte al letto, dalla parte in cui dormiva lei.
Quasi involontariamente smise di respirare, concentrò tutta la sua attenzione su quello che si muoveva al di là del piumone, intorno a lei.
Teo si accorse con estremo terrore che qualcuno, che con certezza non era Marta, emetteva lunghi e irregolari respiri che somigliavano a rantoli dolorosi.
Il corpo della ragazza si mosse quasi senza il suo controllo, e con un coraggio che non avrebbe mai creduto di avere si tolse di scatto le coperte da davanti al viso.
 
Un ombra dalle fattezze umane sedeva sulla sua poltroncina, Teo non riusciva a distinguerne il viso e non capiva se fosse maschio o femmina.
D’istinto cercò Marta con la mano, senza però voltarsi e dare le spalle a qualunque cosa le si fosse seduta vicino. Provò a svegliarla strattonandole il braccio ma l’amica non si muoveva e Teo decise allora di accendere la lampada, non troppo sicura di voler scoprire chi aveva davanti ma con il bisogno di porre fine a quella situazione da incubo.
Spinse l’interruttore dell’abat-jour che teneva sul comodino e una debole luce arancione si diffuse per tutta la stanza.
Sua madre la guardava con un espressione serena negli occhi.
Seduta con le gambe leggermente divaricate, aveva lasciato cadere le braccia ai lati della poltroncina come se non avesse le forze per muoverli.
 Indossava quella che probabilmente era stata una camicia da notte bianca, ora, oltre ad essere strappata in molti punti, aveva preso uno strano colore rosato.
Dal collo e le spalle fino alla scollatura del vestito la donna era talmente ricoperta dal suo sangue che la figlia a fatica riuscì a capire che questo sgorgava dal taglio profondo  che aveva sulla gola.
Dai polsi ne gocciolava piano dell’altro, cadendo ovattato sul tappeto cobalto, dove veniva lentamente assorbito.
Teo senti un aspro sapore di vomito in bocca, la paura le impediva qualsiasi tipo di reazione e movimento.
“Mi sei mancata” disse l’altra Teodora “sono felice che tu finalmente mi veda”
Alzò la mano destra con lentezza e le accarezzò la guancia. Teo si senti sporcare del sangue di sua madre e l’ondata di nausea che provò fu quasi soffocante: voleva spostarsi, mandarla via, ma non ci riusciva.
“Devi diventare forte, bambina” continuò la donna “ il nostro è un sangue cattivo, non è colpa tua”
Teo non era ancora riuscita a riprendersi dallo shock dell’apparizione di sua madre e non riusciva a focalizzarsi sulle sue parole e sul loro significato.
“io ho visto, lei mi ha parlato, tutto questo deve finire e tu sarai l’ultima di noi. “
La madre si puntellò con le mani sui braccioli della sedia e si sporse faticosamente in avanti per darle un bacio sulla fronte. Il liquido rosso zampillo gorgogliante dal taglio e lei se lo senti colare sul petto e sul pigiama, era denso, caldo ed emanava un forte odore di rame.
Teodora si svegliò di soprassalto. Aveva il fiato corto e la fronte imperlata di sudore.
Rimase per quasi cinque minuti a fissare la poltrona che non si era spostata dal suo posto e le sue mani e i suoi vestiti che da macchiati di sangue erano tornati perfettamente puliti.
Non poté evitare di mettersi a piangere.
 
 
 

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