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Lo aspettava
da troppo tempo; non credeva più che sarebbe arrivato: il coraggio di prendere
una decisione, il coraggio di andare da lei.
Una mite
pioggerella primaverile picchiettava sui vetri delle finestre della centrale
del F.B.I. di Quantico, il Dottor Reid seduto sulla sedia girevole davanti alla
sua scrivania stava scrivendo il rapporto sulla loro ultima indagine conclusa
con successo, ma qualcosa impediva alla sua mente brillante di concentrarsi.
Arrendendosi ai suoi pensieri chiuse il fascicolo e lo trascinò al lato del
tavolo, con un sospiro accese il computer che troneggiava sulla sua scrivania e
le sue esili dita si misero a digitare ritmicamente sulla tastiera. Si guardò
intorno di sottecchi, per assicurarsi che nessuno scrutasse le sue mosse e
velocemente inserì la proprio password per entrare nella sua newsletter. Non aveva
mai avuto in vita sua un indirizzo e-mail ma per restare accanto a lei si era
convinto persino ad averne uno, tutto per sentirsi il più possibile vicino a
lei, tutto pur di non perderla. Ed era proprio di lei che si trattava, quando
un trillo fece quasi sobbalzare dalla sedia il giovane, suono che annunciava
l’arrivo di un e-mail. Velocemente mosse il mouse sopra di essa per aprirla e
leggerne il contenuto:
“Bene. Allora ci vediamo tra due giorni. Vengo
a prenderti all’aeroporto.”
“Ehi
tu! Non lo sai che non si usa il computer del F.B.I.per controllare le proprie e-mail
personali?”, Reid si irrigidì e con velocità inaudita chiuse le finestre che
aveva aperto sul PC. Quando però poi sentì il tono intimidatorio della voce
trasformarsi in una sonora risata, trasse un respiro di sollievo e si girò
verso di lui.
“Morgan non
sei divertente!” gli disse quelle parole cercando di usare il tono più aspro
che potette.
“Ehi stavo
solo scherzando!” rispose l’uomo di colore alzando le mani e continuando a
ridacchiare, per poi continuare sedendosi sulla scrivania del giovane “Facciamo
così, io non faccio la spia se tu mi dici con chi stavi parlando!”
rivolgendogli uno sguardo carico di curiosità e malizia.
“I-Io non
stavo parlando con nessuno.” Balbettò il ragazzo arrossendo vistosamente.
“Si si come
no.” rispose Derek con condiscendenza, “Si tratta della rossa italiana, vero?”
, il ragazzo non rispose e si limitò a distogliere lo sguardo da quello del
collega, gesto che per il profiler di colore sembrò molto eloquente.
“Ah lo
sapevo! La bella profiler italiana ha fatto breccia nel cuore del nostro
genietto!” desse ridendo e scompigliando i capelli del ragazzo con una mano.
“Smettila
Morgan!” disse il ragazzo abbastanza irritato “Io e Clelia siamo amici, ed è
per questo che vado a trovarla”
“Cosa, cosa,
cosa? Vai a trovarla? Vorresti dire che tu parti per l’Italia per andare a
trovare una tua “amica”?” la voce dell’uomo si alzo di qualche tono per lo
stupore.
“Cosa ci
trovi di tanto strano?” domandò il ragazzo facendo per alzarsi dalla sedia.
“Niente,
solo che deve esserci più di una semplice amicizia per spingerti a fare tanta
strada solo per vederla” a quella frase l’uomo si fece serio e guardò negli
occhi il ragazzo.
“Ok lo
ammetto, Clelia mi piace, lei mi piace molto”sussurrò il ragazzo al suo collega con il viso ormai in fiamme.
“Quando
parti?” gli domandò Morgan con un espressione trionfale stampata sul viso per
aver fatto finalmente confessare il suo amico.
Sentiva Lo
scricchiolio dell’erba sotto i suoi piedi intervallato dal rumore sdrucciolo
delle sue converse al contatto con l’asfalto riscaldato dal sole primaverile,
Aveva dimenticato ciò che le stava intorno, e correva e correva, sempre di più,
riusciva ad ascoltare solo il battito del suo cuore pulsare nelle orecchie e il
ritmo veloce del suo respiro. Più volte il suo analista le aveva consigliato,
soprattutto in quel periodo, di correre fino a quando quelle benedette
endorfine si fossero liberate e l’avessero riempita di energia, ma più volte
lei aveva rifiutato il suo invito. Ma quel giorno, c’era qualcosa di molto più
importante delle endorfine in ballo, che avrebbe ridato felicità a Clelia, e
per questo stava correndo per le strade di Milano.
Si maledisse
più volte quel giorno, di non avere abbastanza coraggio per portare una
maledettissima macchina, e adesso, in quella mattina che aveva atteso per sei
mesi, lei stava per arrivare tardi.
Avendo perso
qualsiasi mezzo in grado di portarla all’Aeroporto, decise che l’unico modo era
andarci a piedi e correre.La fronte
madida di sudore, le guance arrossate e il respiro più che affannato, in
quarantacinque minuti arrivò all’aeroporto.Appena oltrepassata la porta a vetri della struttura si piegò in due,
poggiò le mani sulle ginocchia e cercò di riprende fiato. Quando finalmente, il respiro riprese il suo
normale ritmo vitale si avviò a passo incerto per via del dolore alle gambe,
stressate da quella corsa mattutina inaspettata, verso l’enorme tabellone appeso
in alto. Sul tabellone nero le scritte bianche che continuavano a cambiare
alternandosi e segnalando diversi ritardi, gli occhi blu cobalto di Clelia
incontrarono finalmente la segnalazione del Suo volo. Sarebbe arrivato tra meno
di un quarto d’ora, ce l’aveva fatta! In quel momento il cuore ricominciò a
battere forte, a picchiare contro il suo petto come un matto, riuscì a sentire
di nuove quelle strane sensazioni che ormai da mesi non provava più. Di nuovo
quella sensazione allo stomaco, quel leggero solletico, quelle farfalle che
svolazzavano. Sentendosi le gambe cedere si avviò verso una panchina e vi si
sedette, in attesa di vederlo finalmente arrivare verso di lei.
Furono forse
i quindici minuti più lunghi della sua vita, ogni secondo che batteva l’orologio
sembra un anno. E ad ogni minuto il cuore aumentava i battiti e le farfalle
diventavano sempre di più. Prese un piccolo volantino che qualcuno aveva
lasciato sulla panchina accanto a lei e cercò di farsi aria sventolandolo
ritmicamente, cercando di riacquistare quella calma apparente di cui lei era
sempre dotata. Quando finalmente un voce femminile annunciò in varie lingue che
il volo da Washington era appena atterrato e che i passeggeri stavano
sbarcando, Clelia si alzò velocemente e estrasse dalla tasca della salopette di
Jeans un foglietto A4 che aveva accuratamente ripiegato in quattro, su cui la
mattina aveva scritto con un pennarello nero: DOTTOR REID, e con quello in
bella visto andò a piazzarsi davanti al corridoio di sbarco, con il cuore che
non si decideva a rallentare.
Il suo aereo
era appena atterrato. Per tutte le lunghe ore di viaggio aveva pensato a cosa
dirle, a come comportarsiper cercare di
non sembrare il solito ragazzino imbranato. Era felice di rivederla, ma più
volte durante il viaggio si era chiesto se fosse veramente la cosa giusta da
fare. In fondo c’era sempre l’oceano a dividerli, e malgrado tra loro fosse
rimasta una forte amicizia a legarli erano comunque passati sei mesi, sei
lunghi mesi, senza di lei.Cosa poteva
aspettarsi? Credeva davvero che Clelia lo stesse aspettando, o che provasse le
stesse cose che provava lui? la sua mente pragmatica gli aveva detto diverse
volte che sarebbe stato meglio chiudere la faccenda molto prima di arrivare a
quel punto, così da evitare in qualsiasi modo di soffrire. Ma ormai non c’era
più nulla da fare, ormai stava muovendo i suoi primi passi sul suolo italiano.
Si diresse a prendere la sua valigia con le gambe intorpidite dal viaggio che
si muovevano lente e incerte, e si diresse verso il corridoio di sbarco
impaziente di incontrare di nuovo quei meravigliosi occhi blu.
Continuava a
guardarsi intorno cercando di vedere quel cespuglio di ricci rossi spiccare tra
la folla di italiani che come lei aspettavano qualcuno. Quando girò lo sguardo
verso destra finalmente la vide.Indossava una simpatica salopette di jeans con una maglietta rossa
sotto, e un paio di converse; era così diversa da come l’aveva vista in America
nei suoi vestiti classici ed eleganti, ma questa versione di lei gli piaceva,
anzi gli piaceva molto di più. I capelli come al solito ribelli si muovevano
seguendo il ritmo della sua testa che si muoveva cercandolo tra la folla. Quando
finalmente anche lei lo vide la sua bocca di aprì in un immenso sorriso e la
mano libera dal cartello cominciò a sventolare in aria. In quel momento Spencer
capì che quella che aveva fatto era la scelta giusta, che era proprio lì che
doveva trovarsi in quel momento.
Sorridendole
di rimando, si diresse verso di lei a grandi falcate, quando la raggiunse
lasciò cadere la valigia a terra e la strinse a sé. Un abbraccio, nulla di più,
ma in quell’ istante entrambi ricominciarono a vivere.
Una volta
sciolto l’abbraccio, Clelia alzò lo sguardo per incontrare i caldi occhi
nocciola del ragazzo, gli stessi occhi che cercavano i brillanti lapislazzuli
nei suoi. Cercando di rompere il silenzio,allontanandosi da lui disse:
“Benvenuto
in Italia Dottor Reid!”
“Grazie” rispose
lui in italiano ma con un marcato accento americano.
“Wow, hai
preso lezioni di italiano vedo!” gli disse la ragazza senza smettere di
sorridergli.
“Si ho letto
qualcosa in aereo” rispose con naturalezza lui recuperando da dentro la sua
tracolla un dizionario inglese - italiano.
“AH
dimentico sempre che sto parlando con un genio” disse lei battendo con una mano
sulla fronte e poi ridacchiando. “Comunque, dai sbrighiamoci o perderemo l’auto,
di nuovo!”
“Di nuovo?”
chiese il ragazzo recuperando la valigia e seguendo la ragazza verso l’uscita.
“si, diciamo
che per venire qui a prenderti mi è toccata fare una bella corsetta!” tagliò
corto Clelia, cercando di dimenticare la brutta avventura della mattina.
Una volta
saliti sull’autobus, che li avrebbe portati fino a casa di Clelia. Seduti
vicini, gli sguardi dei due ragazzi erano puntati in due punti diversi, e il
silenzio era imbarazzante. La prima a romperlo come sempre fu Clelia:
“Vedo che
hai tagliato i capelli” disse la prima cosa che le venne in mente.
“Oh si”
rispose il ragazzo portandosi automaticamente una mano tra i capelli castani.
“Stavi
meglio prima!” ammise Clelia ma con il sorriso stampato sul viso.
“Vedo che
non sei cambiata molto! Sei sempre l’odiosa Clelia che ricordavo!” scherzò il
ragazzo, per niente offeso dal commento della ragazza.
“Oh no
credimi! Sono peggiorata!” rise la rossa.
“Senti,
comunque, davvero posso stare in albergo, non voglio darti troppo fastidio”
cominciò Spencer, cambiando dirscorso.
“No! Ne
abbiamo già parlato! Te l’ho detto che ho traslocato. Nella mia nuova casa c’è
una camera in più e puoi stare lì. Perché fai tante storie?! Cosa c’è hai paura
che ti violenti nel sonno?” rispose la ragazza fingendosi seccata.
“Tranquilla,
d’accordo, starò con te! Non spararmi però!” si arrese in ragazzo, per poi
scoppiare entrambi a ridere.
“
L’importante è che tu non mi faccia arrabbiare. Ah, a proposito, hai qualche
problema con i gatti?”
“No, o
almeno no più di quanti ne abbia con tutti gli esseri viventi!” rispose il
ragazzo.
“Benissimo,
credo che andrai d’accordo con Mefistofele!” disse la ragazza battendo su la
sua mano e sorridendogli.
“Chi è
Mefistofele?” chiese lui strabuzzando gli occhi.
“Oh lui è il
mio gatto! Me l’hanno regalato le mie due nuove vicine, vedrai ti piaceranno
anche loro!” rispose con tranquillità la ragazza.
“Mefistofele?
Non puoi chiamare un gatto così? Ma sai cosa rappresenta quel nome?” domandò il
giovane genio, ancora scosso dal assurdo nome che la ragazza aveva dato al
gatto.
“Ma certo
che lo so! Ma credimi è perfetto per lui! ma non lasciarti spaventare dal nome,
sa essere molto dolce quando vuole!” disse la ragazza ridendo per la reazione
esagerata avuta da Spencer.
“Oh ecco
siamo arrivati! Vedrai ti divertirai con me!” concluse la rossa prima di
alzarsi dal sedile e scendere, dirigendosi verso casa seguita da Spencer.
“Benvenuto
nella mia umile dimora” disse Clelia teatralmente accennando anche un leggero
inchino mentre Spencer oltrepassava la soglia della porta.
“Bella!”
disse educatamente il ragazzo iniziando a muovere i primi passi nel appartamento
continuando a guardarsi intorno tentando di carpire più informazioni possibili
sulla vita della ragazza.
“Bè si, si
trova leggermente in periferia ma è sicuramente migliore della mia vecchia casa”
commentò la rossa poggiando la borsa e le chiavi sul mobile dell’ingresso e
iniziando a sfilarsi le scarpe.
“Vivevi in
un loft prima vero?” le domandò Reid poggiando la valigia a terra. “Oh si
adesso lo chiamano così, Loft!” iniziò Clelia calcando sulla parola “loft” “Ma
per me era solo un monolocale o meglio un garage nel quale avevo piazzato un
letto e un fornello con un frigorifero. E che aveva un affitto troppo alto”
aggiunse sprezzante ricordando gli anni vissuti nel suo angusto appartamento. “Ma
non restare qua impalato, seguimi ti faccio vedere le
altre stanze.” Disse iniziando a girare per casa seguita dal imbarazzato dottor
Reid. “Allora questa è la cucina!” dice affacciandosi in una piccola stanzetta dai
muri bianchi e i mobili verdi al cui centro troneggiava un piccolo tavolo da
quattro posti coperto da una tovaglia a quadri sempre bianchi e verdi. “Poi
questo è il salotto!” aggiunse attraversando la piccola cucina e entrando in un’altra
stanza leggermente più grande dove capeggiava un divano di pelle rosso,un
tappeto bianco e una libreria semivuota che il giovane genio non potè fare a meno di notare tra la cornice delle pareti
dipinte degli stessi colori,. “Si lo so che non è piena come la tua ma non ho
molto tempo per leggere!” disse Clelia notando il suo sguardo. Troppo impegnato
a vedere la libreria, Spencer non aveva ancora fatto caso all’inquietante
figura seduta su un bracciolo del divano, mentre percorreva con gli occhi la
stanza il suo sguardo incontrò quello di una gatto grasso, dalla pelliccia nera
macchiata da ciuffi di pelo rosso fuoco e temibili occhi verdi che lo fissavano
con noncuranza.
“Oh vedo che
hai già il piacere di conoscere Mifistofele!” disse
ridacchiando la rossa notando Spencer leggermente intimorito dal gatto.
“Adesso
capisco perché l’hai chiamato così!” aggiunse Reid indietreggiando lentamente
continuando il giro della casa.
“Quello lì è
il bagno” disse la rosse passando davanti ad una stanza con la porta semichiusa
ma dalla quale nella penombra si riusciva a vedere il colore blu delle pareti. “Poi
c’è la mia camera…” Disse mostrandogli la sua stanza
dalle pareti rigorosamente viola. “E questa è la tua!” disse aprendo la porta di una piccola stanza
con un letto singolo e con le pareti di un giallo canarino. “Lascia pure qui la
tua roba…” inizia la rossa aprendo il piccolo armadio
nella stanza, “Ho cambiato le lenzuola questa mattina” aggiunse indicando il
letto.
“Oh si
grazie!” bofonchiò il giovane di nuovo velato dall’imbarazzo. “Davvero carina
la casa è … molto colorata!” aggiunse ridacchiando riferendosi ai colori delle
stanza. “Oh si, all’inizio non ne ero entusiasta ma poi ci ho fatto l’abitudine.
Tutti questi colori mi mettono di buon umore!” rispose anche lei ridacchiando. “Bene
adesso ti lascio da solo così puoi sistemarti, se hai bisogno di qualcosa io
sono di là!” disse prima di uscire dalla stanza.
Mentre
Spencer era indaffarato a disfare i suoi bagagli, Clelia si era appena seduta
sul divano per riposarsi dopo la stancante mattinata quando sente suonare il
campanello. Sbuffando aprì la porta e si ritrovò davanti le sue vicine, che
erano diventate sue amiche, la prime vere amiche che avesse mai avuto.
“Allora è
arrivato?” si precipitò a domandare Agnese, entrando quasi euforica in casa,
seguita dall’altra,Noemi.
“Si è appena
arrivato, e nella sua stanza a disfare la valigia” rispose Clelia mostrandosi
sinceramente infastidita dalla loro visita.
“Su dai non
tenerci sulle spine, vogliamo conoscerlo!” disse la bruna Noemi
a bassa voce. Aveva raccontato della sua avventura Americana alle sue amiche, e
da quando aveva annunciato loro l’arrivo di Spencer non avevano fatto altro che
insistere per conoscerlo.
In quel
momento videro sbucare dal corridoio un
imbarazzato Spencer, che avendo sentito il campanello suonare era andato a dare
un’occhiata. Rimase fermo ad osservare le tre donne senza riuscire a capire
molto dalle loro parole. “Oh ecco, ragazze lui è Spencer!” ancora una volta fuClelia a salvarlo dal imbarazzo. Senza capire, ma udendo
pronunciare il suo nome il ragazzo si avvicinò sorridendo alle ragazze. Noemi e Agnese restarono a fissarlo, analizzando proprio
come due attente profiler tutte le sue mosse, fu la bionda a parlare per prima:
“Spencer io
sono Agnese. È un piacere conoscerti Clelia ci ha raccontato tutto di te, sei
un eroe, hai salvato la nostra amica.” Iniziò a parlare velocemente la logorroica
ragazza ignorando la scarsa conoscenza della lingua italiana del ragazzo, che
resta a fissarla interdetto.
“Agnese è
inutile che gli parli, non capisce molto della nostra lingua. Per fortuna!” si
rivolse alla amica la rossa rivolgendole anche uno sguardo duro. “Spencer loro
sono le mia amiche, nonché mie vicine,di cui ti parlavo prima. Ti presento Noemi e Agnese” disse poi rivolgendosi e Spencer che con un
semplice gesto della mano saluta le due ragazze e restando per un attimo a
guardarle: Agnese era una finta bionda alta, dal fisico giunonico e dai
brillanti occhi verdi, mentre l’altra Agnese, era una mora dagli occhi neri
minuta e timida, erano insomma, due ragazze situate agli estremi opposti della
bellezza. “è un piacere conoscerti Spencer!” dice la mora in un inglese
maccheronico imitando il gesto di Spencer con la mano.
“Bene ora
che abbiamo fatto le presentazione che ne dite di andarvene?” si rivolse alle
due donne in tono duro Clelia, un tono che ormai le sue amiche avevano imparato
a conoscere e che non prendevano più come negativo. Salutando ancora le due
escono dall’appartamento lasciando di nuovi soli all’ingresso i due ragazzi.
“Le mie amiche
non vedevano l’ora di conoscerti!” cercò di giustificare il comportamento delle
due.
“Ha fatto
piacere anche a me conoscerle…” disse il ragazzo
sorridendo dolcemente.
“Allora, a
che punto sei con i bagagli?” domandò Clelia leggermente scossa dalla bellezza
del suo sorriso.
“Ho quasi finito… “disse il ragazzo fermandosi per la prima volta da
quando era arrivato ad osservare bene gli occhi della ragazza. Quegli occhi che
per mesi aveva sognato, e desiderato. Il silenzio divenne assordante,
continuarono a guardarsi per un tempo interminabile, lei persa nel calore dei
suoi occhi, lui perso nel oceano dei suoi, e entrambi smarriti in quei colori
sentirono il calore che avevano perso al momento del loro addio.
“Bene” disse
schiarendosi la voce la ragazza
ridestandosi dai suoi pensieri. “Quando hai finito vieni pure in salotto, io e
Mefistofele stiamo guardando la tv.” Aggiunse tenendo lo sguardo basso dirigendosi
verso il salotto. Contro la sua natura Spencer le afferrò prontamente il
braccio per fermarle e farla voltare, esitò un attimo di fronte ai suoi occhi
ma poi disse: “Clelia è davvero bello rivederti!” disse solo questo, ma usò il
tono caloroso di mille ti amo. “Anche per me è bello rivederti Reid!” disse
dolcemente la ragazza rabbrividendo al contatto della sua pelle nivea con
quella calda e morbida del ragazzo, e sentendosi morire quando la presa
cominciò a cedere e rivide tornare lo Spencer di sempre che senza parlare si
diresse nella sua camera.
Salve! Lo so come sempre sono in ritardo, ma questa volta la
causa del mio ritardo è stata una dolorosa infiammazione al tendine del
braccio, non ancora passata del tutto. Perciò scusatemi se questo capitolo è
piuttosto corto ma piùdi questo non
sono riuscita fare. Ma vi prometto che mi rifarò al prossimo! E vi prometto
anche che da adesso cercherò di aggiornare puntualmente ogni settimana! Ora
ringrazio davvero con il cuore tutte quelle persone che mettono la mia storia
tra le seguite-preferite-ricordate, e soprattutto quelle
che continua ad incoraggiarmi con le loro recensioni, grazie mille! Senza il
vostro supporto non sarei qui, ancora grazie! Se vi fa piacere lasciate anche
qui una recensione, vi aspetto al prossimo capitolo! Baci!!
“Ehy hai già finito di sistemare tutte le tue camicie, i
gilet di lana e le assurde cravatte? “disse Clelia senza spostare lo sguardo
dalla Tv notando il giovane appoggiato contro lo stipite della porta, e
portandosi alla bocca un cucchiaio colmo di gelato.
“Si” rispose
secco il giovane “Sai non dovresti mangiare il gelato a quest’ora” aggiunse
cercando di fare notare alla ragazza che l’ora di pranzo non era decisamente
l’ora più adatta per il gelato.
“Si certo
mamma!” Rispose roteando platealmente gli occhi e portandosi alla bocca una
quantità ancora più grossa di gelato guardando con aria di sfida il ragazzo,
che rispose solo scuotendo la testa e sorridendo leggermente divertito,come
sempre dal comportamento della rossa. Ma lei non era l’unica a non essere d’accordo
con lui, in quel momento anche Mefistofele fece capolino dal bracciolo del
divano dove stava placidamente sonnecchiando, e con un movimento fulmineo fece
un balzo fino a terra e andò a sedersi proprio di fronte al giovane ostruendogli
il passaggio e continuando a guardarlo con i suoi brillanti e impassibili occhi
verdi.
“Clelia il
tuo gatto mi dà i brividi!” disse il giovane con voce grave squadrando la
spaventosa figura felina e indietreggiando lentamente.
“Non
lasciarti spaventare dai suoi modi bruschi, gli sei simpatico lo sai?” ripose
la ragazzo guardando la scena divertita.
“Lo credi
davvero? Perché a me sembra il contrario!” replicò il giovane.
“Oh si
credimi, gli sei simpatico! Dovresti vedere quello che ha fatto a Marco…” disse
ridacchiando ripesando all’accaduto.
“Marco? Chi
è Marco? E che ne è stato del suo corpo?” chiese il giovane quasi spaventato
dalle parole della giovane.
“Oh nessuno,
un amico di Noemi e Agnese. Un vero cretino… per
fortuna ci ha pensato Mefistofele a togliermelo di torno….
Spero solo che non gli restino le cicatrici… “disse
seriamente richiudendo la scatola del gelato ealzandosi velocemente dalla poltrona.
“Ma ora
basta parlare! È ora di pranzo, andiamo a mangiare!” disse la ragazza uscendo
dalla cucina, dove era andataa posare
il gelato, e mettendosi le scarpe. Uscendo seguita dal giovane.
“Non posso crederci! Hai portato un americano
a pranzo da McDonald’s?” disse incredulo ridacchiando Spencer mentre mangiava
delle patatine fritte.
“Hai
ragione! Ma è tardi è questo è il posto più vicino.” Disse la ragazza bevendo
un sorso di cola. “Ci vengo spesso qui.”
“Bè non
dovresti venirci spesso. I cibi da Fast-Food
sono estremamente calorici, poverissimi di elementi nutritivi nobili, ricchi in
modo assurdo di zuccheri raffinati, e di grassi saturi. Questo cocktail ha
fatto si che il popolo americano dal dopoguerra ad oggi abbia incrementato
vertiginosamente, l’obesità e le malattie connesse quali, infarto trombosi,
ictus eccettera… In altre parole questo cibo è
deleterio, e in più trovo davvero
esilarante che io che mi astengo dal mangiare questa roba in America, la patria
di questo cibo spazzatura, lo venga a mangiare in Italia” disse il giovane
genio senza però smettere di mangiare le sue patatine.
“Reid rilassati, nonti verrà un infarto se per una volta mangi
dal McDonald’s. Ma questa sera preparati ad assaggiare la vera pizza italiana”
annunciò la ragazza addentando l’ultimo pezzo del suo hamburger. “Agnese e
Noemi mi hanno appena mandato un sms verranno anche loro” aggiunse.
“Oh, andremo
a cena con le tue vicine, bello!” disse il ragazzo sforzandosi di sembrare più
entusiasta possibile.
“Tranquillo
Spencer, è solo una cena! E poi tu almeno non sei costretto a parlare con loro
e a stare ad ascoltare i loro discorsi. Non fraintendermi voglio molto bene
alle mie amiche, ma a volte preferirei che stessero zitte.” Disse con il suo
solito tono cinico, voleva davvero molto bene ad Agnese e Noemi, loro erano
state le sue prime vere amiche qui in Italia e le uniche che le erano stata
vicina dopo il suo ritorno in patria. “Comunque come sta la squadra?” chiese
poi sorridendo al giovane,
“Oh stanno
tutti benissimo! Ti mandano i loro saluti, soprattutto Garcia. Quando ha saputo
che sarei venuto a trovarti mi ha pregato di portare anche lei” disse
ridacchiando.
“Oh la mia
adorata Penny, ci siamo scambiate spesso delle e-mail. Amo quella donna.” Disse
sorridendo ripensando all’eccentrica informatica che aveva avuto modo di
conoscere in America.
“A proposito
di lavoro, Clelia tu non devi lavorare?” chiese il giovane. Sapeva che la rossa
lavorava come consulente profiler per la polizia italiana, e malgrado il suo
lavoro in patria non fosse attivo come il suo in America, era certo comunque
che sarebbe dovuta andare lo stesso a lavoro. Al sentire la parola lavoro la
ragazza si irrigidì e subito abbassò lo sguardo per cercare di nascondersi agli
occhi del giovane profiler americano.
“Oh il lavoro… si ehmm.. bè ecco…io… Sono in ferie. Mi sono
presa dei giorni di ferie per essere a tua completa disposizione…”
disse velocemente cercando di mostrarsi il più calma possibile, senza però
riuscirci. Il giovane genio capì subito che c’era qualcosa che non andava nella
ragazza, ma decise che forse quello non era il momento migliore per mettersi a
fare profili, pertanto decise di sorvolare l’argomento. I due finirono di
mangiare e tornarono a casa, Clelia rimase in silenzio per quasi tutto il
viaggio, con lo sguardo basso ed un espressione preoccupata sul volto.La giovane in America aveva finalmente
ricominciato a vivere, cercando di lasciarsi alle spalle quello che era il suo
tragico passato. Ma da quando era tornata in Italia, le cose erano tornate ad
andare male. Abbandonare l’America che le aveva ridato la vita, ma soprattutto
Lui, riaprì il vuoto nel cuore che per anni la rossa aveva cercato di chiudere.
Passò sei mesi a flagellarsi nei rimpianti e nei rimorsi, a maledirsi per
quella che era stata una scelta sbagliata, una scelta che già prima di essere
decisa lei stessa aveva predetto essere sbagliata. Il dolore le aveva fatto
perdere il lavoro, e con esso la casa che non poteva più permettersi di pagare.
Era riuscita ad andare avanti solo grazie alle due ragazze, Noemi ed Agnese,
conosciute per caso mentre cercava un nuovo appartamento il cui affitto
costasse di meno. In pochissimo tempo tra le tre nacque una forte amicizia,
tanto forte che Noemi decise di concederle il suo appartamento gratuitamente
trasferendosi in quello di Agnese. L’unico spiraglio di luce nel buio in cui si
trovava erano queste ragazze, e adesso anche Spencer. Aveva deciso di non raccontargli
niente della sua storia, di nascondersi dietro al suo brillante sorriso e
godersi quei pochi giorni in cui poteva tornare a stare con lui.
La giornata
trascorse lenta e uggiosa come i pensieri di Clelia che continuavano a tormentarla,
quando arrivò la sera Clelia si preparò distrattamente, indossò dei jeans ed
una banale maglia nera. Cercò di dare forma al suo indomabile cespuglio di
capelli ricci e si sedette ad aspettare l’arrivo delle sue amiche.
“C’è
qualcosa che no va?” chiese il giovane preoccupato sedendosi vicino alla
ragazza, sfidando persino la paura che il gatto addormentato sulle ginocchia
della donna gli incuteva.
“Si certo!
Sono solo stanca! Tranquillo…” disse la ragazza ridenstandosi dai suoi pensieri e sforzandosi di sorridere
per tranquillizzare Spencer.
“Bene. ma
sappi che se hai bisogno di parlare, io sono qui!” disse sfiorandole
leggermente la mano sorridendo dolcemente. Clelia aprì la bocca per rispondere,
forse finalmente decisa a confessare tutto al giovane, ma fu interrotta dal
campanello. “Oh Ecco sono arrivate. Dai andiamo!” disse alzandosi cercando di
chiudere il discorso. Uscirono dalla porta accolti dalle due sorridenti
ragazza, dopo i saluti e i convenevole, tanto odiati da Clelia, la comitiva a
bordo del bizzarro maggiolone giallo di Agnese si avviarono verso la pizzeria.
“Preparati a
mangiare la miglior pizza della tua vita Dottor Reid!” disse solennemente la
rossa una volta che tutti e quattro occuparono i loro posti intorno alla
tavolo. “Niente a che vedere con la pizza Hut che
mangiate voi in America” aggiunse citando la famosa catena franchising di
pizzerie americana.
“Ne sono
certo! La pizza per voi italiani è una colonna portante della vostra cultura,
così come la pasta.” Le rispose il giovane sorridendo impaziente di assaggiare
una della specialità italiane per eccellenza.
“Clelia ma
il tuo amico, Spencer lavora con lo scrittore David Rossi, vero?” chiese nel
bel mezzo della cena Agnese mentre addentava un pezzo di pizza.
“Si certo.
Te l’ho già detto, fa parte della stessa squadra della BAU.” Rispose la rossa
non riuscendo a capire dove volesse andare a parare la bionda.
“Oh mio Dio.
Io lo adoro, ammetto di non aver finito nessuno dei suoi libri che Clelia mi ha
prestato, ma lo trovo decisamente un bel uomo. Sono innamorata di lui!” disse
la bionda rivolgendosi a Spencer che capendo ben poco della sua frase le
rivolse uno sguardo confuso, per poi rivolgersi a Clelia: “Cosa ha detto la tua
amica? Sbaglio o ho sentito pronunciare il nome di Rossi?”
“Lascia
perdere. Credimi è meglio che tu non sappia cosa ha appena detto Agnese.” Gli rispose
la rossa per poi rivolgersi all’amica: “ Ti rendi conto di quello che dici? A
volte mi dai i brividi…” disse prima di scoppiare a
ridere insieme alle ragazza e a Spencer che pur non avendo capito niente si
asciò trasportare dal suono soave della risata di Clelia.
Salve!! Che
ve ne pare?? Io sinceramente sono molto contenta di questo capitolo, secondo me
poteva andare meglio, e secondo voi?? Fatemi sapere mi raccomando! Ringrazio
come sempre tutti! Soprattutto quelli che si fermano a recensire ^^ bè che dire, vi aspetto al prossimo capitolo.
Baci!!
P.S. Insieme
ad una mia amica, GIUNIAPALMA, anche lei
scrittrice su EFP abbiamo aperto una pagina su Facebook,
in cui parliamo delle nostre storia, o comunque di tutto quello che ci passa
per la testa. Mi farebbe veramente piacere se passaste. La pagina si chiama Ofelia & Giunia in Wonderland,
ma comunque trovate li link sulla mia pagina qui su Efp.
Grazie per l’attenzione. Baciii
Spencer se
ne stava accoccolato tra la soffice coperta con la testa dolcemente poggiata
sul cuscino del suo letto, il sonno lo aveva temporaneamente abbandonato. Guardò la piccola radiosveglia che troneggiava
sul comodino al suo fianco, erano appena le sei di mattina. Decise che era
troppo presto persino per lui per alzarsi, dopotutto era in vacanza, e dopo
tutti i musei e altri monumenti italiani che Clelia gli aveva fatto visitare il
giorno precedente si sentiva piuttosto stanco. Si girò dall’altra parte e provò
a richiudere gli occhi, ma senza nessun risultato: il sonno non decideva a
tornare. Dopo svariati tentativi si ritrovò a girarsi tra le mani il ciondolo
del braccialetto che la ragazza gli aveva donato prima di partire, e a fare
quello che al dottor Reid veniva meglio: pensare. Pensava a lei, a quanto erano
stati piacevoli e intensi quei pochi giorni in sua compagnia; poi i ricordi lo portarono
fino al primo giorno in cui la vide, nella sua mente era ancora chiara
l’immagine di quella ragazza dagli eccentrici capelli che si avvicinava a lui
con il viso imbronciato, pensò a quanto in una settimana la ragazza fosse
cambiata e a quanto si fosse legato lei. Ma questo lo portò a pensare anche a
lui, che non riusciva a dirle quanto le fosse mancata in quei mesi, e che non
riusciva a dirle che forse dopotutto si era innamorato di lei. Scosse la testa
come a voler allontanare quel pensiero, come se il fuoco dell’amore si potesse
semplicemente spegnersi soffiandoci sopra. Cambiò di nuovo posizione, ma ancora
una volta i pensieri ebbero la meglio su di lui, la mente lo portò di nuovo a
Clelia, in quegli ultimi giorni aveva trovato qualcosa di strano in lei, come
se lei gli nascondesse qualcosa o forse qualcosa che lui non era riuscito a
capire, malgrado la sua brillante dote da profiler. Era diversa dalla donna che
gli aveva dato il ciondolo, qualcosa nei suoi occhi così blu, quegli occhi che
non si sarebbe mai stancato di guardare; era cambiato, quel bagliore che grazie
a lui era riuscita a riaccendere si stava spegnendo. Ancora una volta Spencer
si girò nel letto, con lo sguardo restò a fissare il soffitto fino a che non
vide una figura minacciosa avvicinarsi a letto. Un ombra tozza che si avvicina
a piccoli passi verso di lui, sempre di più; finché con un balzo non arrivò sul
suo letto. Quasi spaventato il ragazzo si mise a sedere e lo vide, sul suo
letto proprio affianco ai suoi piedi c’era Mefistofele. Se ne stava seduto
sulle zampe e lo guardava fisso, era dal primo giorno in cui aveva messo piede
in quella casa che il gatto continuava a fissarlo da lontano con quel aria
minacciosa. Gli occhi che nella semioscurità della stanza brillavano e i ciuffi
di pelo rosso cremisi davano alla sua figura un aspetto ancora più inquietante,
guardandolo il genio capì perché Clelia avesse scelto quel nome per lui. Cercò
di muovere i piedi per allontanarlo, ma ricevette dal gatto solo un grande
sbadiglio, poi Mefistofele, con il suo solito passo felpato iniziò a camminare
verso di lui. Sapeva che era solo un gatto, ma Reid ebbe lo stesso paura e
dovette trattenersi per non chiamare Clelia. Quando il gatto arrivò all’altezza
del suo petto capì finalmente le sue intenzioni: udì il forte rumore delle sue
fusa, e come se avesse letto i suoi pensieri in segno di risposta il gatto
prese a strusciare la sua testa contro il corpo del ragazzo. Intenerito dalla scena
il ragazzo allungò la mano,se pur ancora incerta, e la poggiò sulla sua testa
come per accarezzarlo, la risposta del gatto fu chiara: le fusa divennero
ancora più forti e per rispondere alla carezza del ragazzo gli strofinò la
testa sotto al collo e sulla guancia. A spencer scappò un sorriso, mentre il
gatto si beava delle sue coccole.
“Allora è
tutta scena la tua! Tu e Clelia fate tanto i duri ma poi infondo siete due romanticoni!” il genio della BAU si ritrovò a parlare con
un gatto, che nel frattempo si era acciambellato intorno al suo braccio godendo
ancora delle sue carezze. Il tepore che emanava la pelliccia di Mefistofele, e
il dolce ritmo delle sue fusa favorirono la venuta del sonno anche al ragazzo
che in pochi minuti si abbandonò a Morfeo.
Nell’altra
stanza Clelia bevendo la sua quarto tazzina di caffè non riusciva più a
trattenere le lacrime, che venivano giù come pioggia. Invani erano i tentativi
di Noemi, che lei stessa aveva chiamato alle cinque del mattino, di cercare di
tirarle su il morale.
“Ma
gliel’hai detto?” sussurrò Noemi all’orecchio della ragazza che era scossa dai
singhiozzi.
“No! Non
voglio rovinare questi pochi giorni che ho da passare con lui, raccontandogli
di quanto faccia schifo la mia vita!” la ragazza era caduta in una forte crisi
di pianto, l’ennesima da quando aveva lasciato l’America.
“Ti prego
Clelia, non dire così! È un momentaccio tutto qui, ma passerà tranquilla!”
cercò di calmarla la piccola ragazza, accarezzandole i capelli.
“Non credo
che passerà…” disse Clelia asciugandosi le ultime
lacrime e cercando di riprendere il suo naturale controllo.
“Bè comunque
io ti consiglio di parlargli, forse lui potrà aiutarti…”
continuò la ragazza sinceramente dispiaciuta per quello che stava accadendo all’amica.
“Ma cosa gli
dico? Che mi sono licenziata perché il mio lavoro mi ricordava di lui, che mi
hanno sfrattato e che se non fosse stato per te che mi hai ospitato qui a casa
tua sarei finita sulla strada? Che come una ragazzina mi sono innamorata di lui
in solo una settimana? Dai non posso dirgli questo..” disse tutto d’un fiato la
rossa mentre le sue guance diventavano paonazze prendendo quasi la stessa
sfumatura dei suoi capelli. Dentro la sua mente regnava il caos, da una parte
aveva voglia di dire a Spencer tutto quello che la tormentava e di reclamare a
gran voce il suo aiuto, dall’altra non voleva farlo sentire responsabile o di
dargli anche il peso dei suoi problemi. Noemi come se avesse letto i suoi
pensieri la strinse forte tra le se braccia: Clelia doveva molto a lei, quando
era rimasta senza casa l’amica, anche se la conosceva solo da pochi mesi, l’aveva
ospitata nella sua casa ,dato che lei sarebbe andata a vivere con il suo
fidanzato, senza chiederle niente. Ed era sicura che con la loro compagnia
Noemi e Agnese le avevano salvato anche un po’ la vita. La ragazza cercò di
consolare ancora Clelia, poi andò via lasciandola sola. La rossa Finì di bere
il suo caffè e si alzò dal tavolo, camminando in punta di piedi si diresse
verso la camera degli ospiti, la camera dove stava dormendo Spencer. Spinse
piano la porta e affacciò la testa per guardarlo: il suo amico dormiva stretto
con il suo gatto, le si strinse il cuore, e una lacrima ancora le solcò il
viso, avrebbe dato la vita per trovarsi lì a fianco a lui.
Era rimasta
sola. Sola con il rumore dei suo pensieri che le rimbombava nella testa come un
macigno che si sgretola da una montagna e ruzzola giù. Ma diversamente da come
si sentiva qualche mese prima, la solitudine non la affliggeva affatto perché sapeva
che nell’altra stanza c’era lui, ne sentiva la confortante presenza. Per quanto
si forzasse di non pensare a come avrebbe fatto quando se ne sarebbe andato la
sua mente le riportava sempre a galla quei pensieri, ed allora la solitudine non
era più così sopportabile. Si vedeva stratta in un corridoio infinito e buio le
cui pareti si stringevano sempre di più intorno a lei ad ogni secondo che
passava, ad ogni battito del suo cuore, schiacciandola. Ed allora Il respiro
cominciava a mancarle, la vista si offuscava, brividi freddi le pizzicavano la
pelle contrastando le gocce di sudore ghiacciato che le imperlava la fronte.
Quel giorno non ebbe però l’occasione di perdersi in quel dolore perché una
mano calda e morbida le afferrò delicatamente la spalla scuotendola con
dolcezza.
“A cosa stai
pensando Clelia?” era impossibile ingannare un profiler per una intera
settimana. Era impossibile non sciogliersi al suono di quella voce. Era
impossibile mentire davanti a quegli occhi.
“A tutto e a
niente.” Ripose la ragazza cercando di nascondere alla meglio il gesto della
sua mano che raccoglieva le lacrime che gli occhi blu come il mare si erano
lasciate sfuggire.
“Mi dirai
mai cosa ti affligge?” Spencer sapeva quanto il cuore della ragazza fosse
nascosto in un nebbia fitta ma per quanto potesse supporre non avrebbe mai
immaginato la vera regione del malessere della ragazza.
“Semmai
dovessi dirtelo spero di farlo quando tu sarai già lontano…”
Clelia cercò di abbassare lo sguardo per nascondersi agli occhi caldi del
ragazzo che la fissava seduto di fronte a lei.
“Io ho
capito cosa hai, non te ne devi vergognare. Te ne ho già parlato in una delle
nostre e-mail. So come ci si sente, ci sono passato anche io” non esistevano
parole adatte per affrontare un simile argomento, tutta l’intelligenza del
Dottor Reid non sarebbe bastata per farle dimenticare quello che aveva passato
e cancellarlo per sempre dalla sua memoria. “Hai vissuto un’esperienza che
avrebbe sconvolto chiunque. Io stesso ho passato dei mesi infernali dopo che Raphael mi ha preso, te ne ho già parlato. Ma tu non devi
permettere ad uno come Alessandro Gabella di annientarti e distruggere la tua
vita. Siamo stati noi a vincere e non puoi lasciare che lui vinca su di te
proprio adesso.” Le parole del ragazzo aprirono il via alle lacrime della
ragazza, per quanto la conclusione che aveva tratto fosse stata sbagliata, non
poteva non rimanerne colpita.
“Credimi non
mi è successo neanche una volta di pensare a quel bastardo! Ma su una cosa hai
ragione. Ho lasciato che vincesse, non Gabella, ma ho lasciato che vincesse il
mio cuore. Solo che è talmente stupido che non sa che non potrà mai vincere.” Disse
tra le lacrime, tanto sapeva che per quanto Reid fosse un bravo profiler non
avrebbe mai capito che si stesse riferendo a lui. Ma forse si sbagliava. Spencer
la guardò per un tempo indefinito, si perse ad osservare tutti i suoi dettagli:
analizzò ogni suo riccio rosso, ogni ruga che si diramava intorno ai suoi
occhi, tutte le sfumature di blu dei suoi meravigliosi occhi, tutte le dolci
lentiggini che le tempestavano il viso. Gli fu chiaro in quel momento che amava
ogni atomo del suo corpo, ogni cellula di quella ragazza così diversa da lui, gli
apparteneva e maledisse se stesso più volte per non avere il coraggio di dirle
quanto la amasse, quanto le mancasse ogni giorno che aveva passato senza di lei
in America. Tutti dicevano che era un genio, che avesse il quoziente
intellettivo fuori dalla media, ma quando la vedeva non poteva fare altro che
sentirsi stupido perché in nessun modo sarebbe riuscito ad averla. Non riusciva
a capire il motivo per cui lei lo facesse sentire in quel modo, lo faceva stare
bene, e non capiva perché lui non riuscisse a dirglielo.
Dagli occhi
di Clelia continuavano a scorrere lacrime bollenti pieni di dolore, rimpianti,
delusione e amore. Cercò di tenere lo sguardo basso, come a volersi nascondere
da Spencer che continuava a fissarla con i suoi dolci occhioni color nocciola,
ma non ci riuscì. La tentazione di ricambiare il suo sguardo, di tuffare il blu
dei suoi occhi in quelli caldi del ragazzo era troppo forte. Si era
stupidamente innamorata di lui, e questo lo sapeva. lo aveva capito da quando
era salita su quel maledetto aereo per lasciare l’America e tornare in Italia,
per lasciare lui, per lasciare l’amore e tornare al dolore. Lo aveva capito da
quel giorno, da quando non poteva fare a meno di pensare ogni minuto a lui, di
immaginarlo acconto a se. Erano così diversi, eppure si erano incontrati e in
qualche modo legati. L’amore così forte che provavano l’uno per l’altra era
così strano, così irragionevole, maera
arrivata alla conclusine che questo era il bello dell’amore: che era del tutto
irrazionale.
Come fosse
una automa, senza dare peso ai suoi pensieri Spencer si avvicinò a Clelia, e
con le sue morbide e calde mani asciugò una lacrima che con estenuante lentezza
le rigavano il volto. Le concesse uno dei suoi soliti, dolci e impacciati
sorrisi, uno di quelli che Clelia adorava, di quelli che lei era certa non si
sarebbe mai stancata di vedere. Sentendo la mano di Reid sfiorarle
delicatamente la guancia la ragazza avvertì un brivido lungo la schiena, si
abbandonò al suo tocco e chiuse gli occhi godendosi ogni istante di quel breve e
semplice incontro.
“Clelia sappi che io per te ci sarò sempre” mormorò il
ragazzo tanto vicino al suo viso che la ragazza avvertì il suo alito caldo,
profumato e avvolgente travolgerla e allo stesso tempo avvolgerla.La ragazza frugò nella sua mente che
singhiozzava solo pensieri sconnessi in cerca di qualcosa da dire, qualcosa che
esprimesse a fondo quello che lui significava per lei. Ma decise che non erano
le parole che le servivano in quella situazione così, senza pensare, senza
indugiare si spinse a fare quello che da tempo il suo cuore che chiedeva.
Le labbra carnose di Clelia si unirono a quelle di Reid che,
contrariamente alle aspettative della ragazza, dopo un attimo di smarrimento si
affrettò a ricambiare il bacio,il bacio
che da troppo tempo ormai i due bramavano di darsi, le loro labbra di muovevano
al ritmo del loro amore in un bacio passionale.
Si staccarono dal bacio e restarono a fissarsi, ma questa
volta i loro sguardi sapeva cosa volevano dirsi, dai loro occhi traspiravano
amore. La rossa di strinse al petto scarno del giovane poi, guardandolo negli
occhi gli disse:
“Spencer, io mi sono innamorata di te!” Questa volta mentre
pronunciava quelle parole, dette per la prima volta ad alta voce, non pensò a
quanto stupida fosse stata ad innamorarsi di lui in una sola settimana o nelle
sole e-mail che si erano scambiati. Quella volta era sicura e fiera di quella
frase. Spencer ascoltò quelle parole riecheggiare nelle sue orecchie, avrebbe
volute risponderle, anzi urlarle che anche lui l’amava ma, non essendo mai
stato molto bravo con le parole, decise di replicare tornando a poggiare le
labbra sulle sue. Clelia si strinse tra le braccia del ragazzo mentre Spencer
intrecciava le sue affusolate dita tra i suoi ricci color fragola, aveva
desiderato farlo fin dal primo momento che l’aveva vista. La ragazza crcò di stamparsi nella mente quel istante, il leggero peso
delle labbra di Reid sulle sue, i miliardi di piccoli brividi che si
arrampicavano sulla sua schiena, la sua mano che scendeva timida sulla sua
guancia, fino a quando non riacquistarono il coraggio per approfondire il
bacio, dischiusero le labbra permettendo l’uno all’altra di coinvolgersi in un
bacio denso di passione. Le loro inibizioni, solitamente troppo alte, si
azzerarono per quella sera, come sparirono anche i pensieri. Per tutta la
durata della notte la parola domani fu abolita, nessuno dei due ebbe il
coraggio di pensare a cosa sarebbe successo. L’unica cosa che pensarono quella
notte mentre si fondevano l’uno con l’altra, intraprendendo un sentiero da cui
non si poteva più tornare indietro, era che si appartenevano, e non c’era più
posto per le domande in quella notte.
CLELIA è TORNATA!
Vi prego non uccidetemi. Lo
so questa storia è bloccata da quasi un anno, ma ho avuto un sacco di problemi
che non sto qui ad elencarvi, che mi hanno impedito di scrivere questa FF, che
se posso dire è quella a cui tengo di più tra tutte quelle che ho scritto. Ho
deciso di tornare per restare, e credetemi ne avremo ancora per molto con Reid
e Clelia. Perché ammettiamolo: il fandom di Criminal Minds
qui su Efp (e non solo) è uno dei migliori!
Sicuramente uno di quelli in cui mi sono trovata meglio. Bè mi aspetto molti
insulti da parte vostra per il ritardo ma, ammettetelo sono tornata con questi
due che Finalmente cavolo si sono decisi! Bè se siete arrivati a leggere fino a
qui vi ringrazio moltissimo.
Ah se qualcuno non lo avesse
letto e non lo ricordasse Alessandro Gabella è l’Artista, S.I
a cui danno la caccia Reid e Clelia in Change.