Before the dream

di Drizzt
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Che strano sapore che aveva l'aria in quel luogo.
Salato... possibile che l'aria fosse salata?
Aprì gli occhi e subito li richiuse a causa del bruciore. Acqua marina… non aria! Doveva essere veramente ubriaco per scambiare l’aria con l’acqua marina. Rapidamente si mosse e fece riemergere la testa mentre i lunghi capelli castano scuro gli si appiccicavano alla fronte e al mento.
Jecht si guardò intorno leggermente a disagio scoprendo di trovarsi a fluttuare in una vasta distesa di mare limpido; non che non gli piacesse l'acqua, ma quel tipo di risveglio non era certo quello che preferiva dopo aver preso una sbornia colossale. Lo stridere di un paio di gabbiani lo costrinse a voltarsi e quello che vide gli mozzò il fiato: non molto lontano si trovava la riva del mare e a poche decine di metri da essa sorgeva la più grande fortezza che avesse mai visto: bastioni rosso cremisi, con una forma a stelle che le garantiva un qualcosa di regale, di immenso; dal centro di essa partiva una grande e solenne costruzione che culminava chissà quanti metri più in alto in una piccola cupola, aveva tutta l'aria di essere un tempio dedicato ad una qualche divinità sconosciuta.
“Per l'amor del cielo...” sussurrò Jecth sconvolto muovendo placidamente le gambe per rimanere a galla “Quella non è Zanarkand...”
“No, chiaramente...”disse una voce limpida e al contempo profonda.
L'uomo si voltò di scatto per la seconda volta in quella manciata di minuti e sgranò gli occhi quando si trovò davanti un bambino... beh, se fosse stato solo quello molto probabilmente Jecht non si sarebbe stupito più tanto, quello che lo sconcertava era il semplicissimo fatto che il bambino sembrava stare in piedi senza sforzo sulla superficie dell'acqua. Vestito con un semplice completo viola bordato di fili dorati, dal volto coperto con un lungo cappuccio dello stesso colore, quel bambino dalla pelle abbronzata quasi come la sua lo fissava senza dire niente, come se aspettasse una parola dal rude uomo.
“Ah capisco...” sussurrò Jecht rovesciando la testa e tornando ad immergere i capelli nell'acqua tiepida del mare “Ieri sera ci sono andato giù pesante un'altra volta, gia! Già, questo è proprio il tipo di sogno che faccio dopo una sbronza... il mare, la fortezza… i bambini volanti…”
“Un sogno?” chiese il bambino con voce quasi irridente mentre si chinava per avvicinare il volto coperto allo sguardo di Jecht “Chissà, forse sarai proprio tu quello che porrà fine a questa fantasia...”
Così come era comparso il bambino era sparito; con un sonoro sbuffo Jecth girò su se stesso iniziando a nuotare senza fretta alcuna in quell'acqua blu zaffiro baciata dai raggi del sole che splendeva allo zenit nel cielo sopra di lui. Beh, si disse Jecht con un mezzo sorriso, se il sogno era tutto lì non era poi così male! Mancava solo una palla da Blitzball e, magari, qualche essere umano con cui fare conversazione, dopodiché sarebbe stato un bellissimo sogno! Però, strano, non riusciva proprio a ricordarsi come fosse finito ad addormentarsi... tra una bracciata e l'altra Jecht tentò di ricollegare tutti i ricordi frammentati che aveva prima di essersi ritrovato in quello strano sogno così reale: era uscito da casa per andare a bere qualcosa insieme ad un compagno di squadra, aveva sbeffeggiato quel piagnucolone di suo figlio che tentava di riprodurre il Sublime Magnifico Tiro Jecht III, aveva raggiunto il suo locale preferito e... e poi? Da quel punto in poi non ricordava più nulla, solo un vaghissimo ricordo di urla soffuse; poi si era svegliato in quel sogno.
“Diamine...” sussurrò Jecht “Devo aver bevuto tantissimo se non ricordo nemmeno come sono uscito da quel locale!”
Non ci mise tanto a raggiungere la riva, una volta poggiati i piedi sulla sabbia fine e bianca, Jecht spese qualche secondo a guardare le mura di quella che sembrava una città fortificata e finì per riflettere ancora sulla stranezza di quel sogno così vivido. Dopo qualche attimo di riflessione fece spallucce e si incamminò lungo un sentiero che attraversava la scarna vegetazione e che aveva tutta l'aria di condurre verso la città. Scuotendo i suoi lunghi capelli continuò a camminare mentre, lentamente, un piccolo campanello d'allarme iniziava a farsi sentire sempre più forte nella sua testa. Che sogno strano, gli diceva una voce dentro di lui, sembra tutto così vero... quando calpesto la sabbia mi sembra di calpestarla veramente e quando puntò gli occhi sul sole il calore dei raggi mi brucia proprio come nella realtà! Possibile che...
“Altolà!”
Non ci aveva nemmeno fatto caso e già era arrivato alla fine del sentiero, davanti ad un magnifico portone che si apriva in una delle sezioni delle altissime mura scarlatte della città fortezza. A intimargli di fermarsi era stata una guardia vestita con una leggera armatura di acciaio e armata di un rudimentale fucile.
“Oh… salve” salutò Jecht cordialmente facendo un passo avanti “Avevo giusto bisogno di qualcuno con cui parlare!”
“Non fare un passo in più!” ordinò una seconda sentinella uscendo da una piccola guardiola per poi puntare il suo fucile contro Jecht “Chi sei?”
“Il mio nome è Jecht” rispose conciliante l'uomo mentre alzava le mani con fare arrendevole.
“Da dove arrivi?” chiese ancora la sentinella lanciando un rapido sguardo al compagno di ronda.
“Beh... da Zanarkand, direi” rispose l'uomo con una leggera risata.
La reazione dei due uomini non fu certo quella che Jecht poteva aspettarsi: uno di essi abbassò il fucile di scatto e si voltò a fissare incredulo il suo compagno che fissava l’uomo di Zanarkand a bocca aperta. Dopo qualche attimo di sgomento i due si ripresero e, puntando entrambe le loro armi su Jecht, tornarono a parlare.
“Non fare lo spiritoso! Dimmi da dove arrivi e che cosa ti porta qui a Bevelle!” urlò la prima guardia.
“Vi ho detto che vengo da Zanarkand!” rispose Jecht seccato “Andiamo, non è così strano sentire di qualcuno che arriva da Zanarkand! Santo cielo… per essere un sogno è estremamente simile alla realtà...”
“Straparla...”commentò una delle guardie lanciando uno sguardo al compagno.
“Non è possibile che tu venga da Zanarkand, ci hai preso per idioti?” urlò la seconda sentinella avvicinandosi all'uomo e appoggiando la canna del fucile al suo petto muscoloso e abbronzato.
“Impossibile?” chiese di rimando Jecht con un mezzo sorriso, convintissimo che presto quel sogno sarebbe finito “Sono di Zanarkand e gioco nei celebri Zanarkand Abes! Avanti, ragazzi, sono famoso! Il mio Sublime Magnifico Tiro Jecht III è conosciuto in tutto il mondo, anche gente che non segue assiduamente il Blitzball dovrebbe averne sentito parlare!”
Si si, quello doveva essere uno di quegli strani sogni che traspongono nel regno onirico le paure generate dal proprio Inconscio… Jecht ne aveva sentito parlare da un suo amico che aveva studiato qualcosa a riguardo.
“Chiamo rinforzi, deve aver subito qualche tipo di trauma” commentò la prima sentinella mentre si avvicinava alla guardiola.
“Aspetta un secondo, ehi!” urlò Jecht scostando rudemente il fucile e tentando un passo avanti.
Quella storia stava prendendo una brutta piega e, anche se era un sogno, non sopportava l’idea di non essere conosciuto e di essere trattato in quel modo da due… pezzenti in armatura!
“Questo è un sogno! Un dannatissimo sogno! E’ il mio sogno e non…”
Le parole gli morirono sul nascere quando la guardia che lo teneva sotto tiro gli colpì la nuca con un forte colpo del calcio del suo fucile. Jecht grugnì e stramazzò a terra mentre la vista gli si annebbiava e la bocca gli si impastava rendendogli molto difficile l'uso della parola.
“Perchè l'hai fatto?” come se provenissero da un luogo lontano Jecht udì le parole della prima sentinella “Potevi ammazzarlo...”
“E' pazzo, probabilmente molto pericoloso!” stava rispondendo la seconda “Chiama rinforzi, bisogna rinchiuderlo prima che si riprenda”
“Fermi...”sussurrò uno stordito Jecht tentando di alzare debolmente la testa “Non sono pazzo... io... io voglio solo...”
La testa gli ricadde a terra e la vista gli si oscurò mentre tutto, intorno a lui, cadeva nel baratro del silenzio. Prima che anche i suoi pensieri si spegnessero pregò con tutte le forze di riaprire gli occhi e di risvegliarsi a casa sua, nella sua Zanarkand, probabilmente con un mal di testa post sbornia atroce, ma a casa sua...
Quello non era un sogno.
Era un dannato incubo.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Sedeva a gambe incrociate a terra, con la schiena appoggiata ad una delle imponenti colonne del Sacro Tempio di Bevelle, sulle sue ginocchia coperte da un paio di ampi pantaloni neri stava appoggiato un lungo e grosso spadone affilato e dall'aria decisamente minacciosa. L'uomo aveva tutta l'aria di attendere qualcuno, teneva gli occhi bassi e sembrava udire e fare attenzione a tutti i suoni che percepiva intorno a se: parlottare, scalpiccio dei passanti che camminavano davanti all'ingresso del tempio, le risate dei bambini che correvano per le vie della città, i canti soffusi provenienti dalle remote stanze del tempio alle sue spalle.
Non lo dava a vedere ma era nervoso, molto nervoso. Ci stava mettendo troppo tempo, lo sapeva che gli Yevoniti avrebbero causato problemi, glielo aveva ripetuto decine di volte! Loro lo odiavano... e tutto per colpa della sua decisione passata. Sbuffando appoggiò il palmo della mano sulla superficie della sua spada ricordando un tempo lontano quando anche lui serviva Bevelle, quando il suo onore era ancora intatto.
“Sembri corrucciato, amico mio” sussurrò una voce pacata alle sue spalle.
Come un fulmine l'uomo scattò in piedi voltandosi subito verso il punto da dove era giunta quella voce così famigliare.
“Lord Braska!” esclamò l'uomo con un mezzo sorriso osservando il secondo individuo che, uscito dal portone del grande tempio, l'aveva raggiunto camminando quieto, l’incredibile calma che il suo essere emanava era una delle caratteristiche che preferiva dell'indole di quell'uomo dall'animo così gentile e dall'apparenza così serena.
“Lord Braska...” ripeté chinando lo sguardo “Iniziavo a preoccuparmi! Pensavo quasi che gli Yevoniti vi avessero...”
“Non chiamarli così, Auron” lo ammonì l’uomo chiamato Braska con un mezzo sorriso mentre faceva un passo verso di lui in un ondeggiare della sua lunga veste cremisi “Malgrado tutto sono i detentori del credo di Yevon, meritano il nostro rispetto”
“Capisco, ma... hanno protestato, vero?” chiese Auron con volto corrucciato.
Braska emise una breve risata e oltrepassò il suo amico iniziando ad incamminarsi placidamente lungo la strada principale della città sacra di Bevelle.
“Il maestro Mika non mi vede di buon occhio, lo sai” commentò appena Auron lo ebbe raggiunto al suo fianco “Per quanto riguarda te... Kinoc ha sempre messo una buona parola su di te e sulla tua devozione a Bevelle, ma diciamo che il maestro Azalem è ancora... irato riguardo a quella storia...”
Auron abbassò lo sguardo mentre la stretta intorno all'elsa della sua pesante spada si faceva più forte.
“Soltanto perché non ho voluto sposare sua figlia...” commentò l'uomo mentre Braska gli lanciava una rapida occhiata “Solo per quel motivo... guardate dove sono finito...”
“Dove sei finito, amico mio?” sorrise Braska appoggiandogli una mano sulla spalla con fare amichevole “Accompagnare un sacerdote scomunicato in una missione che tutti reputano troppo grande per lui non deve essere molto bello, effettivamente”
“No!” protestò Auron veemente “Lord Braska, non intendevo questo! Per me è un onore accompagnarvi nel vostro pellegrinaggio!”
Braska rise e distolse lo sguardo dall'amico continuando a camminare placidamente attraverso la folla che percorreva l'arteria principale della città sacra. I due camminarono per alcuni metri senza dirsi nulla poi, con volto grave, Auron si girò verso il suo compagno e disse:
“Allora, Lord Braska, vi hanno dato l'autorizzazione…”
“Certamente” confermò Braska con un mezzo sorriso “Per quanto sia grande il loro potere, neanche loro possono andare contro alla scelta degli Intercessori”
“Dunque... abbiamo iniziato?” chiese titubante Auron.
“Abbiamo iniziato...”confermò Braska sorridendo.
Auron fece per sorridere quando qualcosa di indistinto urtò malamente Braska facendolo cadere a terra; come un fulmine Auron aveva già imbracciato la sua spada e l'aveva già puntata contro la gola dell'uomo che, in un probabile gesto involontario, aveva colpito il suo compagno con una spallata. La prima cosa che passò nella testa di Auron fu che quell'uomo dovesse essere matto: girava a petto nudo e i capelli incolti gli ricadevano in parte sulla fronte, l'uomo era tenuto per le braccia da quattro guardie semplici ma, probabilmente in uno scatto di follia, aveva tentato di dimenarsi per fuggire, la sfortuna aveva voluto che Braska fosse stato sulla sua traiettoria e avesse fermato la sua fuga permettendo ai suoi aguzzini di tornare ad afferrarlo e placare la sua voglia di fuggire con un paio di colpi alla schiena portati con il calcio del loro fucile d'ordinanza.
“Ehi tu!” stava urlando l'uomo rivolto ad Auron che continuava a tenere la sua arma in una posizione di guardia “Ehi! Aiutami, fa qualcosa! Questi bastardi non vogliono credere che io venga da Zanarkand!”
Auron spalancò gli occhi e abbassò di qualche millimetro la spada osservando stupito l'uomo che, malgrado i colpi con cui i soldati volevano metterlo a tacere, si dimenava per liberarsi tendendo le mani un po’ verso Auron un po’ verso Braska. Auron lanciò uno sguardo perplesso a Braska ma non vide negli occhi del sacerdote quello che pensava di vedere... che cos’era? Interesse? Fascino? Sapeva bene che vedere quello sguardo sul volto di Braska non poteva che significare guai.
“Ehi tu, aiutami!” urlò ancora il folle rivolto verso Braska che, però, si limito ad osservarlo in silenzio.
Finalmente le guardie riuscirono ad avere ragione della sua forza bruta e, armati di pesanti catene, legarono i polsi dell'uomo costringendolo ad alzarsi in piedi e a camminare dinanzi a loro in silenzio.
“Chiedo scusa” disse una delle sentinelle “E' un pazzo che abbiamo raccolto fuori dalla porta Est, farnetica riguardo Zanarkand e una squadra di Blitzball… dice di chiamarsi Jecht”
“Che cosa ne farete?” chiese Braska alzandosi in piedi con l'aiuto di Auron.
“Lo stiamo portando nel carcere del tempio, poi lo faremo visitare da un dottore e vedremo se riusciremo a capire la sua reale provenienza. Scusate ancora per il disturbo!”
La sentinella si esibì rapidamente del saluto di Yevon prima di allontanarsi di corsa raggiungendo rapidamente i suoi tre colleghi che conducevano il prigioniero apparentemente calmo. Braska si voltò per osservare incuriosito l'uomo che veniva condotto via tra la folla e rimase in silenzio per qualche attimo, come se stesse pensando a qualcosa di veramente molto importante.
“Lord Braska, mi spiace” disse Auron costernato “Avrei dovuto fare più attenzione”
“Non fa niente, Auron” rispose lui continuando ad osservare il punto dove il curioso uomo era scomparso tra la folla “Sono io, ora, che devo chiederti scusa”
“Per quale motivo, Lord Braska?”
“Dobbiamo andare a prendere quell’uomo” rispose Braska con un mezzo sorriso.
Auron non riuscì a impedire che la sua bocca si spalancasse per lo stupore. Quello sguardo… conosceva quello sguardo con il quale Braska stava fissando un punto imprecisato nella folla. Provava veramente interesse per quel folle? Per quale motivo?
“Lord Braska... intendete quel pazzo?” chiese Auron appoggiando la punta della sua spada sulla strada lastricata.
“Certo, quale uomo altrimenti?” rispose lui tranquillamente “L'uomo di Zanarkand...”
“Di Zanarkand?” ripeté Auron sempre più stupito “Ma, Lord Braska, è impossibile che quell'uomo provenga davvero da Zanarkand!”
“Così ha detto l'intercessore...” sussurrò Braska tra se e se “Di cercare l'uomo di Zanarkand... dobbiamo andare a prenderlo e dobbiamo portarlo a casa, devo parlare con lui in privato…”
Auron annuì trattenendo un profondo sospiro, poi si scostò per lasciar passare il suo amico invocatore che si era avviato con passo deciso sulla scia delle sentinelle che stavano scortando il folle verso il tempio.
L'uomo di Zanarkand… l’aveva detto l'intercessore?
No, Auron scosse la testa e si impedì di pensare. Non ea abbastanza intelligente per capire che cosa frullasse nella testa degli invocatori.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Jecht era stremato, dopo il suo tentativo di fuga in strada aveva perso tutte le sue energie ed era quasi stato trascinato dalle guardie lungo le ampie sale e i lunghi corridoi di quello che sembrava un enorme e solenne luogo di culto. Avevano sceso delle scale... tante scale, fino ad arrivare ad un corridoio illuminato da torce su cui si aprivano varie celle; le guardie avevano trascinato Jecth fino ad una di esse e lo avevano lanciato malamente dentro il piccolo stanzino arredato solo con uno scomodo e umido pagliericcio.
Il corpulento uomo rimase accasciato a terra anche dopo che le sentinelle ebbero chiuso la porta della cella con vari giri di chiave, sentì i loro passi allontanarsi finchè tutto intorno a lui sprofondò nel silenzio più totale. Solo qualche minuto dopo Jecht ebbe la forza e la voglia di puntellarsi sulle braccia per mettersi in ginocchio e guardarsi intorno nella semi oscurità della sua cella.
Ma che cosa stava succedendo? Era un incubo... un incubo tremendo!
No no, quello non era un incubo! Quella che stava vivendo era la dura e cruda realtà! Non era logico quello che stava succedendo, travalicava ogni legge della fisica che Jecht conoscesse... non che ne conoscesse molte, ma ne conosceva abbastanza da essere sicuro che quello che gli era successo non aveva spiegazioni logiche... restava comunque il fatto che gli era successo lo stesso.
Colto da uno spasmo di terrore si alzò in piedi e lanciando un urlo tremendo batté entrambi i pugni chiusi sulla fredda parete della sua cella. Che cazzo stava succedendo? Dov’era sua moglie? Dov’era suo figlio? Dov'era la sua Zanarkand?
No, non avrebbe pianto! Lui non piangeva mai, lui non poteva... non poteva dare del piagnucolone a suo figlio e poi mettersi a frignare alla prima avversità! Lui doveva dare il buon esempio!
Malgrado quel pensiero così imperioso gli occhi gli si inumidirono, fu costretto a chiuderli di scatto e a trarre tre grandi sospiri prima di poterli riaprire sicuro di non scoppiare in lacrime come un bambino.
Piano, piano, vacci piano, si diceva mentalmente mentre si voltava ad osservare le pareti della sua buia cella; si era comportato da stupido: aveva sbraitato, aveva straparlato, aveva protestato, aveva fatto uso della forza impropriamente... anche a Zanarkand un comportamento simile avrebbe condotto alla galera, non c'era da stupirsi se si era ritrovato dietro alle sbarre.
Dopo un ultimo sospiro sul volto provato di Jecht comparve un leggero sorriso, segno che il momento di sconforto era passato; gli sarebbe bastato parlare con qualcuno, dimostrarsi ragionevole e fare le domande giuste al momento giusto! Prima o poi qualcuno sarebbe arrivato a fargli visita, quello sarebbe stato il momento ideale.
E se invece non fosse andata così?
Si trovava in un mondo e in una società totalmente sconosciuti, che ne sapeva lui delle usanze di quegli uomini? Magari lui non era un prigioniero bensì un giustiziato e sarebbe rimasto a marcire in quella cella senza mai più rivedere la luce del sole! Magari quello era un popolo di barbari che amava mangiare la carne dei loro prigionieri!
Lo sconforto stava ancora per attanagliargli lo stomaco quando sentì dei passi nel corridoio fuori dalla sua cella, passi che sembravano farsi più vicini. Controllo, doveva stare calmo! Doveva mostrarsi calmo e controllato, non avrebbe dovuto ripetere il suo comportamento precedente o sarebbe rimasto per sempre in quella sudicia cella. Rapidamente si sedette sul pagliericcio e appoggiò la schiena alla parete in attesa che quello che poteva essere un visitatore facesse la sua comparsa.
Qualche attimo dopo un uomo ammantato in una ampia veste cremisi si fermò davanti alle sbarre della sua cella oscurando la fioca luce che arrivava dalle torce che illuminavano il corridoio fuori dalla sua cella.
“Chi sei?” chiese Jecht alzando lo sguardo verso il volto dell’uomo.
“Tu sei quello che chiamano Jecht, vero?” fece il visitatore con uno  strano tono della voce che fece innervosire il prigioniero “L’uomo di Zanarkand… no?”
Cos’era quel tono ironico? Anche quello metteva in discussione la sua storia? Che cazzo avevano in testa le persone di quel posto.
“Che cazzo vuoi da me?” rispose malamente Jecht mentre tutti i suoi precedenti buoni propositi andavano in frantumi.
Prima che il visitatore potesse parlare ancora un secondo uomo comparve dinanzi alla cella, Jecht giurò di aver già visto da qualche parte quei due tizi.
“Tieni a freno la tua lingua, folle!” proruppe il nuovo arrivato.
L’uomo vestito con la veste cremisi si voltò leggermente verso il compare facendogli un leggero cenno con il capo prima di tornare a parlare a Jecht che aveva usato tutta la sua scarsa forza di volontà per evitare di rispondere a tono alle parole aggressive del secondo visitatore.
“Ti faccio le mie scuse” disse con un tono più gentile “Il mio nome è Braska, sono un invocatore e… sono venuto per portarti via da qui”
Finalmente qualcosa di interessante. Tutto ciò che l’uomo chiamato Braska aveva pronunciato in quei pochi secondi era già scomparso dalla mente di Jecht, solo le ultime parole avevano attirato la sua attenzione. Finalmente la sua politica di controllo stava dando i suoi frutti.
L’uomo di Zanarkand si alzò in piedi e incrociò le braccia sul petto mentre osservava il volto di Braska.
“Sembra troppo bello… dov’è il trucco?” commentò poi lanciando uno sguardo al compagno di Braska.
L’invocatore fece una leggera risata prima di riprendere la parola.
“Oh, non è niente di così tremendo…” esordì l’uomo lanciando un rapidissimo sguardo all’uomo che stava alla sua destra “Presto partirò per un pellegrinaggio… verso Zanarkand”
Verso Zanarkand. Un’altra volta quelle furono le uniche due parole che rimasero ad abbagliare la mente di Jecht… allora quel tizio con quel vestito strano gli credeva! Quindi Zanarkand esisteva anche in quel mondo sconosciuto dove si era ritrovato!
“Parli sul serio?” fece Jecht accostandosi alle sbarre della cella per essere più vicino al suo interlocutore.
“Serissimo…” rispose Braska con un mezzo sorriso “Vorrei che tu ti unissi a noi. Sarà un viaggio veramente pericoloso ma, nel caso riuscissimo a raggiungere Zanarkand, le mie preghiere sarebbero esaudite e tu potrai tornare a casa… almeno credo. Cosa ne dici?”
“Andiamo subito, cosa stiamo aspettando?” proruppe Jecht con un sorriso sicuro, casa non gli sembrava troppo lontana in quel momento.
“Oh, hai deciso veramente in fretta…” fu il laconico commento di Braska.
“Farei qualunque cosa per andarmene da qui!” rispose il corpulento uomo.
“Bene, è fatta…” commentò il compagno di Braska esibendo un evidente cipiglio “Ma mi trovo costretto a protestare! Questo… beone diventerà un guardiano?”
Quel brutto muso aveva detto una parola di troppo per i suoi gusti!
“Ehi!” urlò Jecht avvicinandosi minaccioso alle sbarre della cella “Perché non vieni qui dentro a dirmelo?”
“E che cosa importa?” chiese Braska voltandosi verso l’irritante amico con volto deciso “Nessuno crede veramente che io, un invocatore caduto in disgrazia sposato con un Albhed, possa veramente sconfiggere Sin…questo è quello che dicono. Nessuno si aspetta un mio successo…”
“Braska… io…” iniziò l’uomo con volto mesto, poi fece un sorriso e continuò “Facciamogli vedere che si sbagliano”
Braska sorrise e si voltò ancora verso Jecht che stava seguendo la scena dall’interno della sua cella senza realmente capirne molto dei discorsi dei due individui.
“Un invocatore caduto in disgrazia… un uomo di Zanarkand… e un templare condannato dal clero per aver rifiutato la mano della figlia di un sacerdote…” disse Braska sorridendo “Che piacevole ironia nascerebbe se riuscissimo veramente a sconfiggere Sin!”
Jecht sospirò, si era stancato di sentir quei due parlare di cose apparentemente incomprensibili! Gli avevano promesso la libertà? Era ora di ottenerla!
“Ok, basta blaterare!” proruppe l’uomo di Zanarkand “Tiratemi fuori di qui!”
Braska fece un cenno rivolto verso una delle due guardie che stavano a pochi passi da loro, questa afferrò un mazzo di chiavi e con una di esse aprì la cella di Jecht permettendo all’uomo di tornare in libertà.
“Ah, fantastico!” disse Jecht mentre muoveva la braccia per sgranchirsi le articolazioni “Libero finalmente!”
“Da oggi in poi, Jecht…” esordì Braska con tono serio “Sarò nelle tue mani finché non avremo raggiunto Zanarkand”
“Si si, fantastico, non preoccuparti!” fece Jecht lanciando un radioso sorriso all’invocatore.
Il muscoloso uomo si guardò intorno sempre sorridendo poi, per rompere il silenzio che si era creato, tornò a fissare Braska.
“Quindi… che cosa sarebbe un… invoca-qualcosa?” fece con tono dubbioso.
“Oh per l’amor del cielo…” fu il semplice e laconico commento del compagno di Braska.

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