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Lista capitoli: Capitolo 1: *** Who's that chick? *** Capitolo 2: *** Baby, I just wanna dance, I don't really care... *** Capitolo 3: *** My Waterloo *** Capitolo 4: *** Maschere, stereotipi ***
-E’ dedicata a tutti gli utenti del BlackParade,
asusual. :D
-(Anche se non sembra), felice ShikaTemaDay a tutti <3
How Imet
your sister
Capitolo 1
Who’s that
chick?
She’s
been a crazy dita disco diva and you wonder:
“Who’s that chick? who’s that chick?”
Too cold for you to keep her
Too hot for you to leave her
Who’s that chick? Who’sthatchick?
[Rihanna
feat David Guetta
–Who’s that chick]
La tranquillità di quel
lungo e nero corridoio, in quel torrido pomeriggio di giugno, fu
improvvisamente rotta da un affrettarsi di passi concitati; un uomo
sbucò da una porta e lo percorse interamente, tenendo stretto a
sé i fogli da lui scritti con tanta fatica e camminando di buona lena.
Non aveva un bell’aspetto: il suo volto era pallido e sudato, la camicia
sgualcita, il nodo della cravatta sfatto; boccheggiava, evidentemente nervoso,
e ansimava per il gran caldo. Era stanco, affamato e accaldato; e tuttavia,
stava quasi sorridendo… dopo così tanti giorni, aveva finalmente
ancora la speranza che qualcosa di bello potesse succedere; forse questa era
davvero la volta buona…
Dopo quel che gli parve
un’infinità, arrivò alla fine di quel tormentoso percorso e
aprì una porta laterale quasi sbattendola.
«Gaara!» urlò.
«Ma allora, è vero che…?!»
Ma non finì la frase,
perché la risposta alla sua domanda era proprio davanti ai suoi occhi:
suo fratello sedeva su un rozzo tavolino, con le mani strette a pugno per la
lunga attesa, e tirò un sospiro di sollievo non appena lo vide; davanti
a questo, seduti in una sinistra penombra, c’erano evidentemente tre
persone, ma il buio di quella stanza non aiutò il ragazzo a identificare
i volti degli sconosciuti. Kankuro sospirò e richiuse subito
l’uscio.
Dal momento che l’unica
fonte di luce presente finora in quella stanza era il fievole chiarore del corridoio,
su di loro piombò l’oscurità. Gaara scese velocemente dal
tavolino e, senza convenevoli, accese la lampada –che assomigliava
più a un faro che a una semplice abat-jour – e la puntò sui
tre sconosciuti, che immediatamente si coprirono gli occhi… o almeno
cercarono, visto che erano legati alle seggiole su cui sedevano. Kankuro, asciugandosi
il sudore e arrotolando le maniche della camicia (maledicendo mentalmente la
pignoleria di suo fratello, che pretendeva che tutti i suoi collaboratori si
vestissero come dannati pinguini
anche alle due del pomeriggio del ventitré giugno) li
squadrò… e il sorrisetto che finora aveva assunto sparì. I
due fratelli assistettero a un’ardita sequenza di parolacce e
imprecazioni (la metà delle quali, fra l’altro, sconosciuta ad
almeno uno dei due); spazientito, sovrastando le loro voci, Gaara impose il
silenzio.
«Signori»
iniziò «voi sapete perché siete qui, vero?»
Kankuro li guardò ancora.
Dovevano avere più o meno la sua età, a giudicare dalle facce a
dai vestiti; e, di nuovo, pensò che con tutta probabilità avevano
preso un enorme granchio… non sembravano affatto criminali, figurarsi
rapitori o ricattatori –quello al centro, poi, aveva una faccia da
cretino…
«No che non lo sappiamo,
cazzo» mormorò proprio quest’ultimo, con gli occhi ancora
serrati e la testa appoggiata su una spalla per non avere il faro puntato
direttamente sugli occhi «anzi, appena tutto questo casino sarà
finito chiamerò il mio avvocato e vi farò vedere i guai che passere–»
«Ecco cretino, il tuo avvocato
ti dice di stare zitto, se non vuoi farci finire all’ergastolo»
commentò il ragazzo pallido e serio alla sua sinistra, mentre guardava
dritto negli occhi ora Gaara ora Kankuro (le sue pupille evidentemente
s’erano già abituate alla luce). Il diretto interessato prese aria
per ribattere, ma il terzo ragazzo –che sembrava cretino quanto lui- gli
rifilò un calcio negli stinchi che lo fece zittire.
«Dunque, signori, qual
è il motivo di questa messinscena?» continuò
tranquillamente il secondo ragazzo, sedendosi in maniera più composta, e
continuando a far oscillare il suo cupo sguardo fra i due fratelli. «Questo
è un sequestro di persona, che sinceramente non mi aspetterei da due
poliziotti, men che meno da due commissari…
cos’è questa pagliacciata?»
Kankuro s’infiammò
subito, ma Gaara lo fulminò con lo sguardo e si fece avanti; si
toccò brevemente il distintivo e squadrò lo sconosciuto, che
evidentemente ci sapeva fare.
«Che strano, signor
Uchiha» ribatté poi, fiero «il bue che dice cornuto
all’asino. E’ strano che lei
dica a noi di aver compiuto un
sequestro di persona, quando è proprio questo il motivo per cui voi siete stati arrestati questa
mattina.»
Gli occhi dei tre guizzarono; ma
l’avvocato non perse la calma.
«Sequestro di
persona?» domandò, scettico e ironico al tempo stesso. «Non
pensavo che la mia fiducia verso la polizia potesse diminuire ancora…
Siete sicuri di aver preso le persone giuste, uh?»
Il sordo digrigno dei denti di
Kankuro comunicò a Gaara che non avrebbe potuto tenere il fratello a bada
ancora per molto… doveva sbrigarsi, doveva farla finita; li avevano
trovati, sì, sì, erano loro… sì, dai…
«Signor Uchiha, vogliamo
aggiungere alla già infamante accusa di sequestro di persona anche quella di oltraggio a pubblico ufficiale?» replicò, incrociando
le braccia, e sogghignando ora.
Sasuke si morse un angolo delle labbra; ma che diavolo era
accaduto? Possibile che loro tre…
«Oh, al diavolo gli avvocati
e i poliziotti» intervenne il biondino al centro (i cui occhi si erano
finalmente abituati alla luce) «ma che diavolo è successo? Noi non
abbiamo sequestrato proprio nessuno, e...»
«Voi tre» intervenne
infine Kankuro, evidentemente incapace di trattenersi ancora a lungo
«siete accusati di aver rapito
Sabaku No Temari, bastardi!»
Calò il silenzio; Gaara si
asciugò la fronte imperlata di sudore. I tre ragazzi erano ammutoliti e
seri; probabilmente le loro coscienze erano state sconvolte, sì…
avrebbero confessato subito, sì, ecco, e Temari sarebbe tornata a
casa…
«Proprio così.»
confermò, serissimo, erigendosi ancor più sopra di loro.
«Adesso, idiozie a parte… vi conviene confessare subito, e dirci
dove la nascondete; i qui presenti Commissario e Vice Commissario Sabaku No
Gaara e Kankuro vi garantiranno la massima protezione e discrezione, e vi
assicureranno una leale e sicura riduzione della pena non appena voi deciderete
di…»
Ma la sua parlantina seria e
professionale scemò mano a mano che procedeva, per poi affievolirsi e
arrestarsi di tutto, a causa delle facce dei tre (quella del tizio centrale, poi,
era tutto un programma).
«Ma chi sarebbe ‘sta
qui?» mormorò appunto il biondo, guardando comicamente gli altri
due.
«Ma che ne so, fa caldo, ma
che palle…» replicò l’altro, l’unico che finora
non aveva parlato, sbadigliando e stravaccandosi sulla sedia (per quanto gli
consentivano le braccia legate, s’intende).
«Naruto, cretino, ti ho
detto che devi stare zitto –la situazione è delicata, questa
è sicuramente una truffa inventata ai miei danni per sfruttare il mio
studio di avvocato e il mio nome, ma non la faranno franca e …»
Ma il Commissario batté
sonoramente un pugno sul rozzo tavolino su cui era poggiata l’abat-jour e
per la prima volta da parecchi giorni perse la pazienza.
«Mi state dicendo»
urlò «che voi tre non
conoscete Temari Sabaku No?!»
Calò il silenzio. E
poi…
«Mai sentita» rispose
Naruto.
«Confermo»
replicò Sasuke.
«Non ho minimamente idea di
chi sia ‘sta qui, ma sarà una grossa seccatura» finì
l’ultimo, sbadigliando ancora.
Kankuro guardò il fratello
con occhi vitrei; ma non era possibile… erano sicurissimi di essere
arrivati, dopo tanto tempo, a risolvere quel caso che stava loro tanto a cuore;
erano arrivati a quei nomi dopo tre settimane di pedinamenti, di
intercettazioni, di notti in bianco… e davvero quei tre non conoscevano
la loro sorella? Studiò ancora le facce dei tre; e, fra i documenti dei tanti
e tanti sospettati che aveva setacciato giorno e notte in quelle tre settimane,
finalmente riuscì a capire e a identificare quei tre ragazzi… ma
certo, erano –
«No, no, un attimo»
intervenne il fratello minore, quasi facendo con il pensiero lo stesso percorso
mentale del maggiore «non è possibile. Noi siamo arrivati a voi
tre perché sappiamo che siete
stati voi tre a farle qualcosa. E… il numero di cellulare di tutti e tre
è stato composto da lei, il giorno in cui è scomparsa. Questa
è una prova inconfutabile…»
I tre rimasero muti, di nuovo.
«Che giorno era? Non ricordo
niente di simile.» commentò ancora Sasuke,
stavolta tuttavia con una voce leggermente incrinata.
«Era tre settimane fa…
il primo giugno. Lei ha chiamato ognuno di voi tre, e uno di voi tre l’ha
richiamata poi, sul tardi. Abbiamo qui i vostri tabulati delle chiamate
effettuate e ricevute» e Kankuro puntellò col dito i fogli che
aveva trasportato da una parte all’altra del commissariato in quelle
settimane, sicuro di sé «… non potete mentire. Allora, cosa avete fatto a Sabaku no Temari, eh,
signor Uchiha?!»
Calò il silenzio, di nuovo.
Nessuno dei tre ragazzi guardava l’altro; erano tutti evidentemente
intenti a pensare a cosa avessero fatto tre settimane prima.
«Io… be’, in effetti ho ricevuto una chiamata»
parlò il biondo per prima, deglutendo sonoramente «ma, ehm, ero
altrove, non ho risposto. E poi non ho richiamato perché non conoscevo
il numero… così ho lasciato perdere. Non mi andava di sprecare
soldi.»
«Io stavo nel mio studio,
non potevo rispondere» sostenne il secondo, fiero «ma dopo non ho
richiamato, perché non conoscevo il numero e perché era troppo
tardi.»
E a questo punto, com’era
prevedibile, l’attenzione fu focalizzata sul più taciturno;
quattro teste si girarono e quattro paia di occhi lo guardarono… ma lui
rimase zitto.
«Tu sei Shikamaru Nara, non
è vero?» chiese retoricamente Kankuro: sapeva tutto su quei tre
ragazzi, avendo passato le ultime tre settimane a spulciare nella loro vita
pubblica e privata alla ricerca di un minimo indizio che potesse collegarli
alla ragazza. Sasuke Uchiha era un avvocato penalista
piuttosto famoso nel loro quartiere, poiché molto giovane, molto bravo e
molto bello; Naruto Uzumaki era, a quanto pareva, un
nullatenente che ancora era iscritto a qualche facoltà
universitaria… e Shikamaru Nara (che a una prima occhiata sembrava pure
più cretino del secondo) era un geniale ingegnere informatico, ben noto
nel suo settore per essere stato assunto da una delle più importanti
aziende informatiche del mondo ad appena ventidue anni e per aver pubblicato su
parecchie riviste scientifiche notevoli articoli di tecnologie all’apparenza
futuristiche. «Ho visto il tuo nome su molte riviste informatiche…
allora, tu conosci Sabaku no
Temari?»
L’interrogato alzò
gli occhi al cielo e schioccò la lingua lungo il palato. Parlò
dopo un po’.
«Be’, sì, anche
io ho ricevuto quella chiamata… e ho parlato con chi dovevo parlare.
Più tardi ho richiamato, lo ammetto… Ma io questa Sabaku no Temari
non ho idea di chi sia, non l’ho mai vista né sentita.»
«E allora perché hai
parlato con quel numero che hai perfino richiamato?» domandò
Gaara.
«Chi pensavi che fosse,
eh?» continuò Gaara, incalzandolo.
«Un’altra persona,
ecco» mormorò Shikamaru, in difficoltà; Kankuro
ghignò.
«E chi? Sei in un
commissariato, ti devo ricordare cosa accade se non dici la
verità?» intervenne.
Lui sbuffò; di nuovo,
roteò gli occhi e guardò il cielo.
«Pensavo fosse Sakura
Haruno, ecco.»
E, come previsto…
«Sakura?! Che diavolo c’entra Sakura, Shikamaru?!»
urlò Naruto, incurante della situazione. Aveva perso la sua vena comica
e goffa: era divenuto stranamente serio.
«Cretino, non è il
momento di parlarne –e comunque
io non volevo dirlo, ma sono stati loro a…»
«Come diavolo hai il
cellulare di Sakura, eh?! E perché poi tu l’hai richiamata?! E per
quale motivo –»
Un pugno secco (e professionale)
di Gaara sul solito tavolino interruppe la lite; Kankuro
s’avvicinò.
«Chi è Sakura
Haruno?» chiese a Shikamaru, ostinato.
«Non è nessuno,
proprio nessuno» intervenne fra
i due Naruto, ancora posato e preoccupato.
«Ho detto» ripeté il primo, a denti stretti, mentre i suoi
occhi dardeggiavano «chi è Sakura Haruno, Nara?»
Shikamaru deglutì; a quanto
pareva, stava ragionando in tutta fretta.
«Un’amica
nostra» borbottò.
«Kankuro» intervenne
Gaara, fissando il vuoto «ma… non era anche un’amica di
Temari? Credo… sì, credo che abbiamo anche le tabulazioni delle sue chiamate…»
Il diretto interessato aprì
il pc portatile che aveva oramai sempre con sé
e cercò quanto detto da Gaara; e, in effetti, era proprio così.
Lo chiuse infine di scatto, e si riavvicinò ai tre, irrequieto e
speranzoso.
«Sakura Haruno è
amica di Temari» ripeté loro in modo estremamente lento «se
conoscete lei, probabilmente siete anche collegati a Temari. Come conoscete
questa Sakura?»
I tre si guardarono.
«L’abbiamo incontrata
a una festa… ma è una storia molto lunga e noiosa»
biascicò il biondo, intromettendosi ancora; era evidentemente
contrariato per qualche motivo, e squadrava Shikamaru in maniera sospetta
«Non abbiamo fretta»
ghignò Kankuro, trascinando nel frattempo davanti a quei tre disgraziati
le due sedie retrostanti al solito tavolino. «Abbiamo un mucchio di
tempo, davvero.»
Sasuke alzò gli occhi al cielo: quell’idiota aveva
ottenuto esattamente l’effetto
contrario…
Naruto deglutì:
evidentemente, aveva appena pensato la stessa cosa…
«Ma no, no, davvero…
non v-vogliamo farvi perdere tempo, le forze del male devono essere combattute
e…»
Al ghigno sardonico di Kankuro
s’aggiunse quello identico del fratello, che disse:
«Oh, le forze del male
possono aspettare. Insomma?»
Così i due fratelli si
sedettero, incrociarono le braccia, e aspettarono che Naruto iniziasse a
parlare; questi sospirò, guardò brevemente i suoi due amici e
iniziò.
*°*
[Cinque settimane prima]
Che palle.
Più o meno quello era stato
il suo pensiero per tutta la giornata; per
carità poi, vedere due persone che si giurano amore e
felicità eterna era sicuramente una cosa meravigliosa e sublime, ma vedere pizzi, merletti, ricami e falsa
gioia ovunque, tirarsi a lucido fino allo spasmo (e conseguentemente
sciogliersi nel proprio vestito da cerimonia invernale, visto che quello estivo,di
lino,costava troppo) e notare ovunque vecchiette smaniose di abbracciare
“quel bel giovanotto” o di sparlare delle caviglie troppo secche di
“quella lì” non era proprio il modo più bello di
passare un sabato pomeriggio… o almeno non per Naruto Uzumaki,
che per natura soffriva se rimaneva legato nello stesso posto per più di
cinque secondi.
Si grattò la testa,
annoiato; da cinque maledettissime ore ammirava il salone di quella
sensazionale ed enorme villa, e da cinque ore che non faceva che sbadigliare o
asciugarsi la fronte per il gran caldo. Ma chi diavolo gliel’aveva fatto
fare, poi? Va bene, Neji era suo amico, lo conosceva
circa dalle elementari, ed era stato invitato al suo matrimonio; ma perfino lui, cretino com’era,
aveva da qualche parte un minimo d’amor proprio che…
«Bella festa, eh?»
mormorò Shikamaru, buttandosi sulla sedia libera accanto alla sua, e
iniziando a dondolarsi. I due erano seduti presso il tavolino più
distante dalla luce, e quasi attaccato a una parete. Naruto mugugnò qualcosa e riprese
a farsi aria con la mano, mentre alcune ragazze chiamavano a gran voce
l’ennesimo bacio fra gli sposi; ma che palle…
«Se mai mi
sposerò» mormorò l’altro, seguitando a dondolarsi,
interrompendosi per uno sbadiglio «sarà una cosa molto intima, ma
soprattutto rapida e indolore, in un dannatissimo posto freddo…»
All’evento era stata invitata
l’elite della società di San Francisco; la famiglia Hyuga, in effetti, era una fra le famiglie imprenditrici
più ricche e in vista. Erano infatti presenti burocrati, avvocati,
notai, ma anche eminenti politici e ministri; ed era forse anche per questo che
i due ragazzi si sentivano tanto fuori luogo. Ovunque, non si parlava che di
politica o di grandi affari; e a loro, semplici studenti universitari (o grandi
ingegneri informatici, insomma) non
importava davvero nulla. Non che la cerimonia in sé e per sé
fosse durata molto; la chiesa scelta dai due sposi era stata –ovviamente-
una fra le più belle e antiche di tutta la città, e il prete non
aveva fatto neanche una predica troppo lunga; così, non appena finito,
dopo il lancio del riso e le foto, si erano trasferiti in quella reggia,
distante circa mezz’ora dalla città.
Naruto si era chiesto più
volte, durante quella giornata, perché fosse andato a quel matrimonio, e
perché invece non aveva fatto finta di avere improrogabili impegni come
la maggior parte dei suoi amici (Kiba aveva finto la
morte del suo terzo nonno); e, be’, la risposta
era piuttosto semplice. Non che fosse un gran romanticone
o che, ma gli piaceva vedere le persone felici,
tutto qua. E se le persone erano ragazzi con cui era cresciuto insieme lo era
ancora di più; inoltre, a lui i matrimoni non dispiacevano poi
troppo… non era forse bello vedere due persone che si promettevano
felicità eterna? Non era bello vedere due persone che si amavano…?
Erano cose molto sciocche e utopiche; però, erano cose così
belle… e lui si riteneva abbastanza sciocco e ingenuo da crederci; e
sapeva anche di essere così sempliciotto da confidare che magari quel
momento sarebbe arrivato anche per lui…
«Be’, almeno lui sembra divertirsi.»
mormorò ancora Shikamaru, annoiato dal silenzio dell’amico, e
desideroso di fare conversazione almeno per ammazzare un po’ di noia.
Si girarono entrambi verso
l’altro, la cui differenza di
atteggiamento dagli altri due era veramente evidente. Sasuke
stava con un ministro da una parte e con un grosso banchiere dall’altra;
aveva una mano in una tasca del gessato, con l’altra sorseggiava
dell’ottimo champagne, intervenendo nella conversazione fra i due in
maniera –a quanto sembrava- molto sagace e azzeccata, ridendo (o
perlomeno arcuando gli estremi delle labbra, insomma) delle loro battute…
e sembrava decisamente essere a suo agio.
«Bah, avvocati»
mormorò il biondo, continuando a sventolarsi la faccia, nel vano
tentativo di arginare il torpore che gli stava salendo; e così la scena
andò avanti per una mezz’ora circa, mentre Shikamaru borbottava
qualcosa o Naruto sbagliava. D’un tratto, quest’ultimo si accorse
di avere un enorme vuoto allo stomaco. Ma quando diavolo avrebbero mangiato?
Stava morendo di noia, di caldo, e adesso di fame –ma chi diavolo
gliel’aveva fatto fare, avrebbe fatto veramente meglio a restare a casa…
Neji gliel’avrebbe pagata cara, come diavolo
sarebbe potuta andare peggio di cos–
All’improvviso, con un gran frastuono,
il grande salone davanti a loro si riempì di gente; i due rimasero
lì seduti, mentre dei camerieri montavano quelle che sembravano delle
casse nere. Naruto si girò, allegro che qualcosa succedesse; la sala si
riempì ben presto.
«Oh no, no, no» esclamò Shikamaru,
smettendo di dondolarsi e guardandolo ansiosamente «questa no! Stanno mettendo della dannatissima
musica!»
E subito dopo le loro orecchie
furono assordate dall’alto volume della musica; i più anziani se
ne andarono da un’altra parte, dove avrebbero potuto parlare meglio di
affari; le luci iniziarono a calare…
«Naruto, per carità
di chi ti pare, togliamoci da questo posto!» urlò Shikamaru,
scattando in piedi, e coprendosi le orecchie con le mani. Lui odiava la
confusione, la gente o cose inutili come ballare;
invece, a Naruto non sarebbe dispiaciuto poi troppo muoversi un po’ per
togliersi tutto quel torpore di dosso, o anche solo per fare un po’ di
macello… Shikamaru prese a strattonarlo, quando da una porta laterale
entrarono i due sposini, evidentemente per unirsi anch’essi alle danze.
Per la verità, Neji sembrava parecchio restio
a muoversi; ma TenTen, sorridente e radiosa nel suo
vestito bianco, lo trascinava, evidentemente più cocciuta di lui;
arrivarono al centro della pista e iniziarono dunque a muoversi un po’.
Nel frattempo, attirati dalla musica, erano arrivati parecchi ragazzi; Naruto
si guardò intorno, entusiasta.
«Ma dove diavolo erano tutti
‘sti ragazzi, prima?!» urlò
all’amico, tentando di sovrastare la musica e sorridendo; questi
rabbrividì, intuendo cosa l’altro volesse fare.
«Non avrai mica intenzione
di…»
«Dai, mummia! Guarda quante
ragazze ci sono…! Fallo almeno
per il caroNeji,
no?» continuò l’altro, spingendolo lontano dalle sedie che
finora avevano occupato, e trascinandolo verso il centro della sala; ma
l’altro opponeva una ferma resistenza.
«Non ci penso minimamente!
Ma non senti che casino, idiota?! E poi…»
In quell’istante
arrivò Sasuke, infastidito quanto Shikamaru
dal gran baccano.
«Andiamocene via da questo
posto! Ma che diamine, stavo parlando di cose serie con ministri e notai, e mi
sento questo casino nelle orecchie…»
Erano tutti e tre in piedi,
davanti al tavolino fino ad allora occupato dai primi due, a cavallo fra la
pista da ballo (ovvero, l’antico ed enorme salone) e la zona per coloro
che non volevano ballare, vicina alla parete; le luci multicolori erano
piuttosto basse e soffuse, e c’era adesso un intenso viola che permeava
tutta la sala… quel che successe in quegli istanti avrebbe condizionato
la vita dei tre per lungo andare. TenTen aveva un
attimo lasciato il suo sposo a ballare da solo –ovvero, ad agitarsi in
modo spasmodico facendo finta di non essere un totale idiota- al centro della
pista, si era avvicinata al tavolino proprio di fronte a quello dietro al quale
i tre ragazzi stavano ancora esitando, e stava ora incitando alcune sue amiche
di vecchia data a seguirla in pista.
Naruto notò vagamente tutto
questo, mentre litigava –urlando- con gli altri tre; quando, ecco, il
mondo si fermò, d’un
tratto.
Una ragazza, la ragazza più
bella che avesse mai visto, si era appena alzata dal tavolino davanti al suo
dopo l’ennesimo incitamento della sposa; aveva indietreggiato con la
sedia, aveva appoggiato le mani sul tavolo, e s’era semplicemente alzata.
Indossava un vestito molto molto semplice, di quelli
che non hanno spalline, ma che si regge al busto; era piuttosto alta e magra,
aveva fianchi ben pronunciati ma seno piuttosto piatto; aveva capelli corti e
chiari, come i suoi occhi (il ragazzo non ne riuscì a distinguere la
tonalità a causa delle vivaci luci da discoteca)… era qualcosa di
divino, di eccezionale, di innaturale. Il ragazzo sembrò perdere tutta
la sua solita vivacità ed energia; anzi, adesso boccheggiava
proprio…
Ed ecco, il mondo era ricominciato
ad andare; la musica tornò di botto, e con esso gli strattoni dei suoi
due migliori amici che lo invitavano a indietreggiare; ma lui non capiva
più niente, aveva occhi solo per quella meraviglia. Lei ora stava sorridendo, e in maniera sincera; si
piegò ai suoi lati, disse qualcosa ed esortò altre due ragazze
–dai capelli chiari, come i suoi- ad alzarsi, e quelle obbedirono, a
malincuore. Le tre avanzarono nella bolgia: erano uno strano terzetto. La meraviglia era al centro, e sembrava
incitare le altre due ad andare a ballare, seguendo TenTen
mentre sorrideva; quella alla sua destra, più alta e più formosa
di lei, le stava parlando con aria civettuola, l’altra era zitta, ma
piuttosto reticente ad avanzare.
«Ragazzi» fece Naruto,
quasi senza voce, totalmente stregato dallo spettacolo che aveva davanti ai
suoi occhi «ho trovato la donna della mia vita.»
I due alzarono gli occhi, e
seguirono il dito tremante dell’amico, che puntava nella direzione delle
tre ragazze dai capelli chiari, girate adesso di tre quarti.
«E’ lei.» ripeté il ragazzo,
inebetito. «Non vedete? E’ meravigliosa.»
I due si accigliarono; e, se
dapprima sulle loro facce c’era una certa aria di scherno, non appena
individuarono il gruppetto per qualche motivo tornarono seri: non risposero,
né lo presero in giro.
«Sì, per
carità, ma quale delle tre biondine?» proruppe Shikamaru, con un
certo tono di serietà e curiosità nella voce.
Ma l’amico, evidentemente,
non era più in grado di rispondere; come fosse in trance, si
liberò dal vincolo degli altri due e si avvicinò sempre dipiù alla pista da ballo.
*°*
«Tutto questo è meraviglioso» commentò
Kankuro, sorridendo come se fosse davanti ad un bambino particolarmente
stupido. «Veramente meraviglioso.
Ma chissenefrega? Gaara, che diavolo c’entra
con Temari questo?»
Ma Gaara stava riflettendo. No,
no, c’entrava, c’entrava eccome…
«Kankuro» disse
d’un tratto «ti ricordi… ti ricordi, a metà maggio
Temari era stata a un matrimonio… te lo ricordi, no? Non voleva neanche
andarci, siamo stati noi a dirle di andare perché era stata invitata
e…»
Kankuro era impallidito. Il
fratello aveva ragione.
«Magari… magari
l’avete vista, no? Magari questa Sakura era con lei…
magari…» continuò Gaara, boccheggiando.
«Va’ avanti, su»
lo incoraggiò di nuovo il minore, guardandolo ancora apprensivamente
come prima.
Naruto stropicciò il naso.
E continuò.
********************
Ok,
sono le 23:43 e DEVO postare prima che sia mezzanotte, altrimenti questa
ammazzata sarà stata vana xD Benissimo.
Comunque!
Buono ShikaTemaDay a tutti
<333 Ah ehm, lo so che magari *questo* capitolo non è proprio tanto ShikaTema, MA!
Ma arriverà *___* XD
Mi
dispiace, ecco .-. avevo programmato di postare la parte ShikaTema
proprio per oggi, ma non ce l’ho minimamente fatta (vi dico solo che ho
ancora lezione all’università, cioè -.-), visto quanto sto
studiando. Spero vi piaccia questa parte… eh, ehm, non ho scritto nessun
altro capitolo >_> la storia ce l’ho in mente molto chiaramente, ma
come detto per mancanza di tempo non ho fatto altro, quindi non ho neanche idea
di quando postare il 2 capitolo .-. ma d’altra parte o postavo questo
primo capitolo o non postavo niente, e dal momento che non ho scritto niente
neanche l’anno scorso (causa maturità) quest’anno ho voluto
far qualcosa, ecco.
Prometto,
dunque, che lo shikatema ci sarà! Anzi,
è la coppia principale, anche se potrebbe non sembrare… Be’,
intanto godetevi ‘sta bella infarinata di NaruSaku,
che tanto non fa mai male no? VERO?! <3333 8D
In
ogni caso! Il titolo mi piace da morire xD
ovviamente, è una citazione dal telefilm “How I metyourmother”, e poi capirete perché. In effetti
fino a qualche tempo fa ero abbastanza chiusa con questo telefilm (anche se non
eccessivamente), ma adesso non più così tanto, insomma…
cioè, l’idea è geniale, ma i personaggi dopo un po’
stufano alquanto (e poi hanno rimesso Scrubs alla
stessa ora e il confronto non regge xD). In ogni
caso, non chiedetemi come, mentre vedevo una puntata mi sono veramente flashata Kankuro e Gaara che interrogavano Shikamaru e gli
chiedevano come avesse incontrato la loro sorellina. :D Poi la cosa
s’è un po’ allargata e la trama si è infittita un
po’… oh, be’, sarà un
po’ un casino, ma io mi sono divertita da morire a pensarci su.
Ah,
infine la kitchaggine di colori al titolo ha un
motivo: io associo a Shikamaru il verde, a Naruto l’arancione e Sasuke il blu. E poi bo, Temari
al rosso. Semplice.
Spero
veramente vi piaccia! ^^
Ringrazio
(essendo amministratrice con la mia sociuaSacchan di un bel forum ShikaTema)
tutti coloro che hanno partecipato e che sono stati più puntuali di me
:D E buono ShikaTemaDay a tutti <3
Commenti,
come al solito, graditissimi. Grazie in ogni caso!
(probabilmente
il testo sarà pieno di errori, ma è tardissimo e domani ho
lezione >__> correggerò appena posso, è osceno fare
così ma non posso fare altrimenti…)
(NB:
testo ricontrollato. Effettivamente, *era* pieno di distrazioni, ah ehm
>_>)
Capitolo 2 *** Baby, I just wanna dance, I don't really care... ***
Capitolo 2
Capitolo 2
Baby,
I just wanna dance, I don’t really care…
Back
on the dancefloor better not to take me home
Bass kicking so hot blazing through my beating heart
French kissing on the floor, heart is beating hardcore
Heard everybody is getting a little sexy on the crazy juice
This will end up in the news
Baby,
I just wanna dance, I don’t really care
I
just wanna dance
I don’t really care… care… care
feel it in the air… yeah
[Rihanna feat David Guetta – Who’s
that chick]
[Cinque settimane prima, ancora]
Quel ritmo assordante stava
andando avanti da un’ora; e, diamine, lui si stava divertendo davvero da
morire. Il dj ci sapeva evidentemente fare: frapponeva brani recenti a vecchi
classici da discoteca, il tutto senza annoiare mai; c’era almeno una
sessantina di persone che stava ballando… fra cui lui, i due sposini, e lei. Era difficile dire chi si
divertisse di più ballare: lei aveva lanciato le scarpe con i tacchi
fuori dalla pista da ballo e ora sorrideva e si scatenava, e d’altra
parte Naruto aveva già lasciato giacca e cravatta su una qualche sedia,
e si era arrotolato le maniche della camicia. Ma anche gli altri ragazzi
intorno a lui sembravano godersela; e lei, lei, quello splendore, gli sorrideva, gli lanciava occhiate penetranti con quei
suoi occhi chiari… Naruto era totalmente intontito, inebetito,
fulminato… e madido di sudore, tanto che dovette fermarsi (lui, l’uragano umano) per riprendere
fiato. E colse al volo l’occasione.
«Ehi, ti va un
drink?», le chiese, sorridendo e grattandosi la zazzera.
Lei si fermò un solo
secondo, giusto il tempo di dire:
«Oh, no, grazie, voglio solo
ballare.»
Uzumaki la guardò ancora, totalmente rapito; ma
d’altra parte aveva sete… cercò così di uscire dalla
piccola folla che si era creata e si sedette a uno sgabello dell’open
bar, a un angolo del salone. Si girò intorno, contento, cercando i suoi
amici; ma dove diavolo erano andate a finire quelle mummie…?! Non erano
da nessuna parte… probabilmente si stavano godendo la cena con le solite
vecchiette intente a sparlare del velo bianco della
sposa; il ragazzo sghignazzò. Oh, non sapevano proprio che cosa si
stavano perdendo…
Si rizzò in piedi, si
stiracchiò sbadigliando a bocca aperta e si ributtò nella
mischia, felicissimo; e, per tutta l’ora successiva, non fece che
scatenarsi a ritmo di musica (sempre con la biondina accanto, ovviamente). Fu
solo quando il dj, esausto, annunciò che era troppo esausto per
continuare che tutti i ragazzi lì riuniti si fermarono, chi ridendo, chi
battendo le mani, chi sprofondando su un divano; cogliendo il momento
–mentre un gruppo di ragazze invocava il milionesimo pallosissimo bacio
fra i due sposini- Naruto avanzò nella maniera più disinvolta
possibile verso la solita ragazza, le passò un braccio intorno alle
spalle e disse:
«Be’, prendiamo una
boccata d’aria fuori?»
Lei, con tutta calma, prese il
braccio di lui e lo tolse da sé, sibilando:
«No, so prenderla da sola, grazie.»
E in effetti, dopo aver indossato
una giacchetta, filò al balcone antistante al salone degnando il ragazzo
di un unico sguardo sprezzante.
Naruto la osservò andare
via; la musica era assente adesso, ma le luci da discoteca erano ancora accese
e i colori erano piuttosto sfalsati: non riusciva ancora a distinguere per bene
il colore del vestito di lei… o quello dei suoi occhi… ma era
comunque così bella… e, a quanto pareva, dotata anche di un certo
caratterino… Oh, be’, sarebbe dovuto
essere solo un po’ più… più figo, insomma… e
l’avrebbe conquistata sicuramente senza problemi… e Shikamaru e Sasuke –soprattutto quest’ultimo, data la sua
popolarità fra il gentil sesso- sarebbero veramente rimasti a bocca
aperta non appena avessero visto quello splendore
che aveva conquistato con così tanta facilità… Sasuke avrebbe mangiato la polvere, stavolta…
Prese dunque due cocktail
all’open bar, si riaggiustò un po’, si spettinò i
capelli, si alzò il colletto della camicia (aveva letto da una qualche
parte che alle ragazze piaceva) e iniziò a camminare con l’aria
più disinvolta e risoluta possibile, avviandosi verso le grandi finestre
del salone che lo collegavano con i balconi. Il ragazzo si guardò dunque
intorno –anche se al buio non era propriamente facile- e individuò
la ragazza; le si avvicinò di nuovo, mormorando:
«Ehi, ti rinnovo
l’offerta di prima: ti va un drink, bellezza?»
Lei gli rivolse un’occhiata
tanto gelida che lui si dovette fermare, spiazzato; ma così facendo
inevitabilmente inciampò nella giacca del vestito che teneva
sottobraccio, e rovinò subito a terra con bicchieri e cocktail sparsi
sulla camicia e sul pavimento. E, tanto per finire il quadretto, imprecò
piuttosto rudemente.
Si rialzò, zuppo di alcool
e di sciroppo alla frutta; ma quanto diavolo era idiota, davanti a quella
ragazza sublime fare quella grandissima
figura di m–
«Ti sei tagliato.»
Prima che potesse accorgersene, la
ragazza gli si era avvicinata e gli aveva preso una mano fra le sue: la stava
ispezionando da vicino con occhio attento.
«Oh, figurati, è un
taglietto da nien–» iniziò lui,
ridacchiando.
«Se permetti» lo interruppe
l’altra, lanciandogli un’altra occhiataccia «questo lo
giudico io.»
Lui non osò fiatare; la
osservò pulire la sua ferita dalle schegge di vetro, lanciare
occhiatacce alle invitate che borbottavano contro di lei o di lui o di loro,
aprire la sua borsetta, prendere della garza e fasciargli la mano.
«Ecco
fatto, fenomeno» disse infine la ragazza, rimettendo il tutto a posto con
un sorrisetto.
Lui la guardò. Sorrise.
«Be’, come tentativo
di approccio non era il massimo, eh?» mormorò, grattandosi di nuovo
la zazzera con la mano sana.
Lei gli gettò
un’occhiata… apprezzante?
«No, era veramente
pessimo.» ammise.
*°*
Il primo era così
evidentemente spazientito che Naruto si bloccò –ma che diamine,
gli avevano chiesto loro di parlare e
di confessare e di iniziare quella inutile tiritera, e ora si lamentavano pur–
«Insomma, l’hai
conquistata» sentenziò Kankuro, con gli occhi chiusi e la testa
fra le mani. Sembrava pronto ad esplodere. «E poi?»
Il diretto interessato
pestò un piede per terra: se solo avesse potuto alzarsi e tirare uno
schiaffo a quello lì…
«Oh, ma che diavolo vuoi?!
Ve l’ho detto che era una storia lunga, e che –»
«Ma voi due» lo
interruppe la voce calma e pacata di Gaara, che evidentemente non lo stava
sentendo minimamente «dove eravate nel frattempo?»
Era diretto a Sasuke
e Shikamaru. Entrambi, stizziti, guardarono altrove.
«Io ero a mangiare. Ero al
tavolo con altre persone, avvocati, giudici, notai: potranno testimoniare loro,
se proprio non mi credete»
disse il primo interrogato, con un’evidente ironia nella voce.
«Abbiamo finito di mangiare sul tardi, per le ventitré… e–»
«E tu?» continuò Gaara, rivolto al secondo interrogato
adesso. Sasuke, per niente abituato ad essere
azzittito, schioccò pesantemente la lingua.
Ancora una volta –e in
maniera piuttosto ironica- tutte e quattro le teste si voltarono verso
Shikamaru. Che sbuffò.
«Io pure stavo
mangiando» disse, sempre con aria annoiata «ma ero solo al tavolo.
Ho finito per le undici e un quarto… poi… be’,
poi sono stato un po’ a chiacchierare con altri, e basta. Ma in quelle
due ore in cui Naruto ballava io ero a mangiare.»
Gaara appuntò
quest’ultimo dato su un taccuino davanti a sé.
«Quindi, signor Uzumaki» parlò, dimostrando una strana
gentilezza (per quel che si ricordava, Naruto non aveva mai sentito il suo
cognome preceduto dall’appellativo “signore”) «voi avete ballato dalle venti fino alle
ventidue del ventuno maggio, no?»
L’interrogato annuì.
«E voi fino alle ventitrè avete mangiato.»
Gli altri due interrogati
annuirono.
«E a che ora ve ne siete
andati?»
I tre poveretti si guardarono.
«Be’… per
l’una…» mormorò Shikamaru, col suo solito tono piatto.
Naruto rimase un attimo interdetto; ma deglutì, sorrise e
mormorò:
«Sì, sì,
l’una, l’una e dieci… circa…»
Gaara si girò (il suo prezioso
bloc-notes gli era caduto dalle gambe), raccolse l’oggetto e scrisse
anche questo.
Calò un silenzio piuttosto
imbarazzante mentre lui scribacchiava; Kankuro sembrava ancora in una profonda
crisi esistenziale.
«Ma che cazzo ci fa una
ragazza con delle garze nella borsetta a un matrimonio?!»
sbottò infine, battendo un pugno sul tavolino (e facendo sobbalzare
Shikamaru) come se la colpa di tutto quel casino fosse in quel particolare.
«E’ un medico.»
obiettò semplicemente l’altro, alzando le spalle.
Evidentemente Gaara ritenne anche
questo un particolare importante, perché lo aggiunse al papiro che stava
scrivendo.
«Kankuro, andremo a capo di
questa situazione, ne sono sicuro…» disse poi.
I due fratelli annuirono
all’unisono. E all’unisono, con uno sguardo identico e speculare,
guardarono Naruto.
«Signor Uzumaki,
può…?» mormorò il minore, poggiato il foglio.
«Sì,non vi lamentate se è noioso,
però, eh?» mugugnò l’altro, mettendosi a sedere nella
maniera più comoda possibile, tuttavia provando veramente gusto ad
essere chiamato in quel modo.
*°*
[Sempre cinque
settimane prima]
La serata era calda: non tirava un
filo di vento. I due erano adesso comodamente seduti in balcone, a sorseggiare
un drink, appoggiati all’enorme ringhiera di marmo del balcone; sotto di
loro si apriva il parco che parecchie ore prima li aveva accolti in quella
suntuosa villa. Era buio: quella notte la luna illuminava ben poco il cielo e i
due erano lontani dagli alti ed enormi lampadari del salone; il parlottio degli
invitati era molto attutito da questa grande distanza. Si stava così bene…
I due ragazzi erano lì a
parlare, parlare, parlare da qualcosa
come due ore; e, con tutta probabilità, quello era solo un meraviglioso
sogno… perché tale doveva essere per Naruto avere quella bellezza
accanto. Dopo parecchie suppliche, lei aveva acconsentito a farsi offrire quel
famigerato cocktail, che adesso stava sorseggiando fra una risata e
l’altra; parlavano e parlavano, scambiandosi battute o occhiate... Il
ragazzo era palesemente cotto di lei.
Non appena la ragazza aveva lamentato un certo dolore ai piedi dovuti al troppo
ballare, lui era corso dentro a prendere due suntuose sedie; ma non aveva fatto
in tempo a tornare che era rientrato, poiché –alla milionesima
richiesta di lui- lei aveva accettato di buon grado il cocktail; e adesso, che
aveva appena mormorato qualcosa a proposito della fame che le era venuta, lui
era di nuovo schizzato dentro a prendere qualcosa da mangiare.
Tutto questo la ragazza
l’aveva capito benissimo. Ma non pareva dispiacersene poi troppo.
«Ecco, guarda» disse
il ragazzo, con tre piatti in mano ricolmi di dolci, fritti o stuzzichini vari
«questo ho pensato potesse piacerti, questo piace particolarmente a me, e
prendi quest’altro piatto prima che la mia agilità lo faccia
cadere…»
Ma lei inaspettatamente
s’alzò, prese un dolcetto a caso fra quelli ed esclamò:
«Sì, guarda, grazie
mille, ma è tardissimo e io devo proprio andarmene, non mi ero proprio
resa conto di che ora fosse… sai…» si riaggiustò un
attimo il vestito e si rimise bene le scarpe «parlando con te…
insomma, il tempo è volato» concluse infine, sorridendo un
po’.
Naruto la guardò. Aveva lo
stessi sguardo sconsolato di un bambino che avesse appena saputo che il Natale
quell’anno non ci sarebbe stato.
«Vai via?» disse
solamente.
«Devo» disse
velocemente l’altra, aprendo la borsetta per controllare che ci fosse
tutto, e parlando velocemente «Devo studiare, sai, faccio
l’università e non posso permettermi di fare troppo
tardi…»
L’altro non disse niente. Aspettò
in piedi –per cinque minuti buoni- che la ragazza finisse di controllare
la borsetta, i vestiti e il cappotto, il tutto con tre piatti in una mano e un
altro cocktail in un’altra.
«Be’, allora
ciao» disse infine lei, alzando lo sguardo e trovandolo ancora lì
ad aspettare. «Ci si vede al prossimo matrimonio.»
Il suo tono era piuttosto
sbrigativo e seccato; ma alla vista del ragazzo e dei suoi occhi non
poté che sorridere un po’. Si portò una ciocca di capelli
chiari dietro l’orecchio; sembrava nervosa.
«Oh, già. Ci
vediamo…» disse l’altro, sorridendo e facendo per grattarsi
la zazzera (per poi ricordarsi di avere una decina di chili di cibo fra le
braccia). «Magari
qualcun altro si sposa…»
Lei sorrise ancora e lo
oltrepassò brevemente; lui non si voltò. Ma diamine,
diamine… che cosa doveva fare? L’avrebbe lasciata andare
così…? Non avrebbe fatto davvero niente per fermarla…? Ma
che possibilità aveva lui, Naruto Uzumaki,
cretino e ingenuo com’era, con una così…? Però…
«Aspetta!»
Lei si fermò di colpo e si
girò. Alzò un sopracciglio. Aspettò.
«Qual è il tuo
nome?»
Lei lo guardò. Quegli occhi
chiari così belli…
«Sakura Haruno.»
«Naruto Uzumaki.»
Di rado Sakura aveva potuto
osservare un sorriso così sincero e bello; era così splendente
che avrebbe fatto felice chiunque. E così lei gli sorrise a sua volta, e
se ne andò che sorrideva ancora.
***
[Il giorno dopo di
cinque settimane prima]
«Tu sei un totale
idiota» borbottò Shikamaru, sbadigliando. «Un. Totale. Idiota. Perché ciiiii» e qui fu interrotto da un altro sbadiglio
«hai fatto venire in questa topaia dopo l’ora che abbiamo fatto
ieri notte –anzi, stamattina?! Io devo lavorare domani, e comunque
–»
«Era questione di vita o di
morte.»
Shikamaru bloccò la sua
filippica per lo strano tono serio del ragazzo (o più probabilmente per
un altro sbadiglio); Sasuke fissò il biondino
con fare tetro, ma non disse niente, limitandosi a sorseggiare il suo
caffè doppio.
Calò il silenzio. E
poi…
«Ieri sera ho incontrato la
donna della mia vita. E voi mi dovete aiutare a ritrovarla.»
Ci volle qualche secondo
perché le menti assonnate dei due recepissero quel che il ragazzo aveva
appena detto.
«Eh?» dissero all’unisono.
«Oh, andiamo!» sbottò Naruto, picchiando il tavolino del
bar con un pugno. «Vi sto chiedendo uno stupido favore, lo so che avete
fatto tardi e che domani dovete lavorare, ma ho bisogno di rivedere quella ragazza!»
Shikamaru alzò gli occhi al
cielo e sbuffò, lentamente, continuando a sbadigliare. Si
scrocchiò un po’ le ossa del collo, sbracandosi (o praticamente
distendendosi) sulla sedia.
«Chi è?»
chiese.
Gli occhi di Naruto guizzarono:
sapeva che poteva contare almeno su di lui, oh, sì, e anche Sasuke lo avrebbe aiutato prima o poi…
«Ma non te la
ricordi…? Ve l’ho fatta vedere prima di andare a ballare… era
quella che vi ho indicato… in quel gruppetto di ragazze, insomma.»
L’altro fece un enorme
sforzo per ricordare.
«Era la più bella fra
le tre. Ha gli occhi chiari, credo sul verde –non sono proprio riuscito a
vederglieli bene visto che eravamo o a ballare o fuori al balcone-, e capelli
chiari… biondi, sì, ma non proprio biondissimi…»
Lo sguardo dei due parlava da solo
–no, non avevano minimamente idea.
«Oh, che palle!»
proruppe ancora Naruto, sempre più nervoso. «Sasuke,
tu ti eri appena avvicinato a noi due perché era appena partita la
musica e non volevi stare a sentire, ma io volevo andare a ballare, così
voi mi avete trascinato, o almeno ci avete provato insomma, e poi… sono
apparse queste tre ragazze, erano tutte e tre bionde, insomma. Lei era la più formosa, la
più bella, la più intelligente, simpatica e…»
Si fermò. Evidentemente
aveva fatto colpo, perché i due avevano allargato le palpebre in maniera
fin troppo evidente per non aver capito di chi Naruto avesse parlato; anzi,
avevano lasciato le proprie espressioni annoiate e si erano drizzati a sedere.
Calò uno strano silenzio.
«Come… come era fatta,
insomma?» chiese Shikamaru, senza sbadigliare.
Naruto sospirò.
«Aveva un vestito chiaro,
non so, non sono riuscito a distinguerlo al buio… e, te l’ho detto,
ha gli occhi verdi, capelli biondi, è alta, magra, formosa… e, sai, abbiamo parlato tutta la serata,
insomma, fino alle undici circa, perché poi lei è andata via...»
Ah! Shikamaru lo stava guardando
con tanto d’occhi… evidentemente era incredulo del fatto che lui
avesse parlato (e ballato, e offerto drink) tutta la serata a una
bellezza così sensazionale… sì, era invidioso marcio,
glielo si leggeva benissimo negli occhi stralunati… il ragazzo
sghignazzò.
«Proprio così,
abbiamo parlato e ballato tutta la serata» sottolineò ancora,
ergendosi sopra i due. «E poi–»
«Sì, ma chi era fra le tre biondine?»
andò al sodo Sasuke.
Naruto si zittì e li
guardò. Entrambi si puntellavano con i gomiti sul tavolino (i due erano
seduti dallo stesso lato, Naruto era di fronte a loro) ed entrambi erano seduti
in maniera molto rigida, molto composta, e lo stavano fissando ora dal basso
verso l’alto con le braccia incrociate.
«Era… be’…»
«E poi»
continuò velocemente Sasuke «tu vorresti che noi la rintracciassimo?»
«…Appunto!»
asserì Shikamaru, per una volta attivamente partecipe alla
conversazione. «Potrebbe… be’,
potrebbe essere chiunque fra quelle
tre, io non me le ricordo molto bene. Nessuna delle tre, ecco.»
Naruto s’impuntò,
testardo.
«Ti ho detto»
sillabò «che è alta, bella, ha gli occhi verdi, è
bionda… che diamine vuoi di più?»
Shikamaru non ribatté.
«I capelli… come ce li
ha?» chiese di nuovo Sasuke. Ma che diavolo gli
era preso? Naruto ci pensò un po’, e poi disse:
«Corti. Le arrivano alla
base del collo, o un po’ più giù. Sono lisci.»
E, per qualche strana ragione, i
margini della bocca dell’Uchiha si sollevarono leggermente (ovvero: sorrise) e i suoi gomiti lasciarono il
tavolino; Shikamaru, invece, si grattò la fronte alta.
«Come diavolo si
chiama?» chiese poi spazientito, guardando altrove.
«Sakura. Sakura Haruno. Non
è un nome meraviglioso?»
disse prontamente l’altro, sbracandosi sulla sua sedia.
Fu quello strano sorriso ebete
sulla sua faccia che più di ogni altra cosa spinse gli altri due a non
lagnarsi troppo.
E tuttavia quello strano silenzio
scese parecchie volte prima che se ne andassero.
***
[Tre settimane dopo di quel giorno di cinque
settimane prima]
Ma dove diavolo poteva essere?
Aveva provato in tutte le facoltà di medicina della sua città,
aveva provato in parecchi ospedali, cliniche, ambulatori… aveva cercato
sull’elenco telefonico, sui social newtork in
internet… ma niente. Forse se l’era sognata? Forse aveva immaginato
che una tale meraviglia fosse davvero apparsa accanto a lui, e che –soprattutto– una tale ragazza avesse davvero parlato con lui per più
di due ore, lui, così impacciato e maldestro e cretino e ingenuo? Era
arduo pensarlo…
Quella sera studiò un
po’ (non troppo, per carità), e quella notte dormì male.
Il suo cellulare aveva squillato.
Ma lui non aveva sentito.
*************************
Sì,
sono viva >___> Scusate l’enorme ritardo, ma ehm, a luglio ho avuto
esami fino al 25 (IO ODIO LA SESSIONE ESTIVA *voce alla Quattrocchi*), ad
agosto sono partita e a settembre pure ho avuto due esami -.- Quindi, insomma,
eccomi qua, appena quattro mesi dopo >___>
Coooomunque! Spero vi sia piaciuto! Dopo tanta attesa ci
stava un capitolo un po’ lunghetto. Credo abbiate capito dove io voglia
andare a parare, ma non dirò niente. Oh, se mi divertirò 8DD
Un
paio di note che la volta scorsa mi sono totalmente scordata di dire: la fanfic è ambientata negli Stati Uniti e lo so che
sembra un pochetto ridicolo con tutti ‘sti nomi giapponesi, ma non avevo minimamente idea di come
vadano in Giappone cose come l’università o gli interrogatori di
commissariato, capite bene XD almeno per questi, sono informata da telefilm
vari, ecco. Non volevo essere imprecisa, tutto qui. ^^
Altra
cosa: scusate il bis della canzone tamarra di Rihanna
ma secondo me ci sta benissimo XD e poi a me piace un sacco, cioè il
genere musicale non è minimamente il mio e blabla, però è
veramente carina *____* quindi l’ho messa un’altra volta, eh. u.u Ma dal prossimo capitolo si cambia! *anche se non ho
idea di cosa mettere àabkjàjbasjèbjh*
Spero
che l’IC vada bene. Non credo ci sia niente di male se Sakura balla, no? O_o Perché io stessa che sono molto tranquilla e
poco “discotecara” l’altro giorno mi sono uccisa di balli a
una festa, quindi >___> e ai matrimoni è così bello
ballare! *O*
Ringrazio veramente tanto chiunque abbia
lasciato commenti e/o messa fra i preferiti (ma ringrazio più i primi,
ecco u.u).
E
per tutti colori che trovano interessante lo shikatema,
visitate la Black Parade! <3 (moschenere.forumfree.it)
<- pubblicità a caso, sì, chissenefrega.
La parte ShikaTemaarrivaaaa!
Ma intanto sorbitevi la NaruSaku che fa sempre tanto
piacere, no? 8D
Al
prossimo capitolo, se l’università non mi uccide (visto che
già ho ricominciato…).
So how could
I ever refuse?
I feel like I win when I lose…
Waterloo, finally facing my Waterloo.
[Abba, Waterloo]
Nel solito luogo calò il silenzio; un silenzio carico
di aspettative, di sospetti, di speranze…
«Che palle» borbottò Kankuro.
«Tutta ’sta manfrina di questo esagitato per niente.»
«Ehi, musone!» protestò l’esagitato in questione, picchiando un
piede per terra. «Sei stato tu a volerlo! La storia era lunga, io
l’avevo detto!»
«Ed è stata utile, infatti» disse Gaara,
ponendo una mano sulla spalla del fratello sbracato sulla sedia. Era piuttosto
calmo. «Ora sappiamo almeno orientarci cronologicamente in questo
caos… be’, dunque, grazie, signor Uzumaki, e… signor Uchiha,
perché non ci espone un po’ la sua
versione dei fatti?»
Il diretto interessato allargò le narici,
sollevò un sopracciglio e si morse leggermente un lato del labbro; ma
non protestò. I due si guardarono a lungo, impassibili.
Kankuro diede l’ennesimo sbuffo di noia; prima
l’esagitato, ora la statua di marmo… ma chi gliel’aveva fatto fare… ma Temari, quando
l’avrebbero ritrovata –perché l’avrebbero ritrovata,
la verità si celava dietro uno di quei tre disgraziati, sì, lo
sapeva– l’avrebbe pagata, lui stavolta si sarebbe fatto valere perfino con la sua terribile
sorella…
«Volentieri.» disse solamente l’altro, non
senza una lieve ironia.
«Bene!» esclamò il commissario, prendendo
il suo solito taccuino e preparando la penna; si sedette, diede una fugace
occhiata al fratello e guardò Sasuke.
Questi inspirò; era evidente che la situazione non
gli piaceva, ma era altrettanto evidente che non poteva fare altrimenti. Fissò
ancora Gaara con occhi impassibili; le sue labbra si assottigliarono ancora;
ancora sbuffò.
Era un momento carico di aspettative, di sospetti, di
speranze…
«Sì, confermo quello che ha detto il signor
Uzumaki.» (alle parole signor e
Uzumaki, dette da quella bocca, il
biondino spalancò gli occhi e provò a dire qualcosa, ma Gaara lo
fulminò con gli occhi) «Dopo che è iniziato quella musica
assordante, me ne sono andato in un’altra sala, ho parlato un po’
con qualcuno, e poi la festa è
finita e per l’una siamo andati via.»
…Evidentemente per lui questo doveva essere un gran
pezzo di testimonianza e il parlare così tanto doveva rappresentare un
enorme sforzo, perché il ragazzo sospirò e si stravaccò
sulla sedia, distendendo il capo all’indietro; sembrava che avesse fatto
un enorme fatica. Kankuro rise istericamente; Gaara sollevò un
(inesistente) sopracciglio.
«Tutto qui? Non penserà di cavarsela con
così poco, dopo il magnifico racconto del suo amico, vero?» disse solo.
Ma evidentemente Sasuke lo pensava, perché
alzò di scatto la testa e lo guardò con occhi pieni di sincera
curiosità.
«Che strano, è così loquace di solito…»
commentò Naruto di sottofondo, ridacchiando.
*°*
[…Sempre cinque settimane prima]
Che palle.
Più o meno era stato quello il suo pensiero per tutta
la giornata; ma, grazie al cielo, aveva avuto abbastanza tempo per pensare agli
affari suoi. Sasuke Uchiha era un avvocato molto promettente che si stava
facendo rapidamente strada in quel mondo; alla cerimonia degli Hyuuga non
sarebbero di certo mancate le personalità più importanti del
momento (notai, banchieri, ministri e quant’altro) e lui si sarebbe fatto
sicuramente notare. Perciò era ben deciso a mantenere il più
assoluto decoro e a far finta di godersi la festa… la sua carriera
sarebbe stata sicuramente avvantaggiata da quella serata; perciò non
poteva perdersi un brindisi, una chiacchiera, uno sguardo d’intesa.
Quella sera era la sua sera.
Era perciò immerso in un’amabile conversazione fra un ministro e un banchiere quando
improvvisamente un enorme frastuono riempì la sala da loro occupata;
Sasuke si girò… e il suo peggiore incubo prese vita. Alcuni
camerieri stavano portando delle casse nere, mentre un tizio in jeans ascoltava
qualcosa da un paio di enormi cuffie, tentando di far girare un disco… il
tutto mentre ragazze urlanti si precipitavano al centro della sala.
Il ragazzo imprecò. Avrebbero attaccato della dannatissima
musica.
Sbuffò, finì il suo ottimo champagne e si
avvicinò ai due disgraziati con i quali si era recato in quel posto
orrido.
«Naruto, per carità
di chi ti pare, togliamoci da questo posto!» stava urlando Shikamaru,
mentre si copriva le orecchie con le mani.
«Ma dove diavolo erano tutti
‘sti ragazzi, prima?!» urlò Naruto all’amico; i suoi
occhi stavano ora splendendo alla vista di tanta gente e alla
possibilità di fare baldoria.
Idiota, pensò
Sasuke, avvicinandosi.
«Non avrai mica intenzione
di…»
«Dai, mummia! Guarda quante
ragazze ci sono…! Fallo almeno
per il caro Neji, no?»
continuò l’altro, tentando di spingere il primo verso la folla.
«Non ci penso minimamente!
Ma non senti che casino, idiota?! E poi…»
Fu allora che Sasuke decise di
intervenire, almeno per allontanarsi da quel rumore (chi aveva il coraggio di
chiamarla musica?!).
«Andiamocene via da questo
posto! Stavo parlando con ministri e notai e mi sento questo casino nelle
orecchie…»
Ma Naruto non sentì storie;
non mollò neanche quando Sasuke e Shikamaru tentarono di trascinarlo via
a forza, ma ripeté qualcosa su una ragazza e fuggì via… il
tutto mentre tre biondine passavano esattamente davanti al loro tavolo.
Fu allora che Sasuke vide la rovina di quella serata, che da quel
momento in poi non sarebbe stata più propriamente sua –o perlomeno non nel senso che intendeva lui.
*°*
«Riecco le tre biondine» commentò
Kankuro, caustico. Si teneva ancora la testa fra le mani e sembrava ancora
avere un’enorme emicrania.
«Be’, una dunque è questa Sakura
Haruno…» analizzò Gaara, guardando gli appunti presi poco
prima (la storia di Uchiha non aveva ancora aggiunto nulla di nuovo). «Ma
le altre due?»
Calò un secondo di silenzio, un solo secondo.
«…Temari?» mormorarono insieme i due
Sabaku No, guardandosi.
«Ancora ‘sta tizia» parlottò
Naruto. «Non abbiamo idea di chi sia! Sappiamo solo di Sakura…
e… e, quell’altra, Sasuke, come si chiamava…? Quella tizia
vestita di viola con cui hai parlato tu…»
Se degli occhi avessero potuto fulminare una persona, Naruto
sarebbe stato cenere: nel racconto appena menzionato, non c’era nessuna
traccia di nessuna ragazza. ( * )
«Quale
ragazza, signor Uchiha? Lei ha semplicemente detto che, dopo che i camerieri
hanno montato le casse, lei e il signor Nara ve ne siete andati, mentre Uzumaki
è rimasto in quella sala a ballare, seguendo quelle tre ragazze…»
Ma il danno era fatto: il ragazzo impallidì, se
possibile, ancora di più.
«Be’, sì, ho scambiato due parole con una
ragazza… ma nulla di che, ve lo potranno confermare le persone con cui
ero a cena quella sera e –»
«Zitto. Descrivicela. Che capelli aveva?» chiese
Kankuro, ora seriamente interessato.
Un angolo della bocca di Uchiha si contorse: non tollerava
gli ordini, non da uno che aveva solo qualche anno più di lui.
«Biondi, come ho già detto. Molto lunghi. Aveva
occhi azzurri.» rispose, a denti stretti. Ma i due non lo stavano
più sentendo; Kankuro aveva battuto un pugno sulla scrivania.
«Non è lei… Come si chiama? Magari, come
Haruno, è una sua amica…»
Calò un cupo silenzio su di loro. Un cupo e imbarazzato silenzio.
«…Pronto? Come si chiama, quella ragazza, signor
Uchiha?» ripeté Kankuro, lentamente.
Gaara lo guardò: non era da lui perdere così
tanto la pazienza… Nel suo lavoro era sempre calmo e molto preciso, ma era
di modi rozzi se qualcosa sfuggiva al suo controllo; e, soprattutto, non
tollerava che in un afosissimo giorno di giugno un ragazzino che si dava
così tante arie non collaborasse alle loro maledette indagini… stupida
Temari, che fine aveva fatto…?
«Io, be’… non lo so.»
«Come, non lo sa? Non ci stava parlando?» disse
Gaara, visto che Kankuro sembrava sul punto di esplodere.
«Be’, sì. Ma non mi ha detto come si
chiamava. Non mi sembra una cosa difficile da capire… oltretutto abbiamo
parlato così poco che era inutile fare presentazioni.»
Era una testimonianza plausibile; Gaara annuì. Quel
tizio non sembrava il tipo di ragazzo desse confidenza a una ragazza appena
conosciuta; anzi, non sembrava proprio il tipo che desse confidenza a chiunque… Che strano però,
il solito cretino biondo si stava mordendo un labbro, e guardava da
un’altra parte, come se stesse cercando di non ridere; che questo volesse
dire qualcosa…?
«Gaara, Temari deve essere la terza
ragazza…» borbottò Kankuro al suo orecchio. Lui
annuì; perciò, disse:
«Va bene, ok… finiamo questa diamine di
testimonianza. Uchiha, continui.»
«L’avevo detto, io, che sarebbe stato
inutile» sospirò saccentemente Sasuke.
*°*
[Ancora quel giorno]
La cena era stata di sicuro pensata per i vecchi, visto che
nell’altra sala si erano riversati i ragazzi non appena avevano sentito
la musica; ma i geniali organizzatori
del ricevimento non avevano evidentemente pensato al fatto che ci fosse
qualcuno non ancora decrepito che non avesse voglia di uccidersi i timpani
mentre si dimenava come un demente. Perciò, sebbene fosse solo
mezzanotte, la cena era finita da un pezzo e la maggior parte degli ospiti era
già andata via; nella sala grande e vuota rimanevano solamente i
più giovani fra quelli che avevano consumato quel pasto… ovvero,
qualche cinquantenne, qualche sessantenne, due settantenni e pochi altri, fra
cui c’erano appunto lui, Shikamaru, una tizia non identificata e lei.
«Stupidi idioti, fare cinque torte una più
bella dell’altra proprio nella settimana in cui ho deciso di mettermi a
dieta…» stava brontolando, mentre si ravviva i lunghi capelli
biondi e controllava sul retro di un cucchiaino che il suo perfetto trucco non
si fosse sbavato.
Lei era molto
alta, molto bionda, molto snella e molto formosa; indossava un vestito viola
piuttosto aderente e lungo fino al ginocchio che aveva attirato molti sguardi
quella serata… compreso il suo. Sasuke Uchiha non l’avrebbe mai
ammesso, ma lei era una vera e
propria meraviglia… e, oltre a tutto il resto (oltre alla pelle pallida,
oltre agli occhi chiarissimi, oltre a quel vestito viola che era un vero e
proprio peccato non ammirare per quanto bene le stava) emanava un lieve profumo
di fiori che lo faceva impazzire.
Erano stati vicini tutta la serata, fin dall’attimo in
cui lei lo aveva notato e gli si era seduta accanto; a quanto pareva, una sua
amica (una di quelle tre che Naruto aveva seguito prima) si era lanciata nelle
danze e l’aveva lasciata sola. Perciò si era trasferita
nell’altra sala –la sala che lei
aveva definito “dei vecchi”– e aveva intercettato lo sguardo
di lui; evidentemente decisa a non farselo scappare, aveva spostato senza
problemi la borsa e lo scialle di un’altra signora e gli si era imposta
accanto.
Non che all’inizio fosse stata gradevole da
sopportare… non faceva che lanciargli occhiate e borbottare su quanto fossero
grassi i cibi che servivano, ma aveva un qualcosa di interessante. Sembrava
vanesia e infantile, ma era molto più di questo: aveva passato un intero
quarto d’ora a parlare di quanto male avessero coltivato i fiori di
quella sala, a lodare invece quelli del grande parco (a quanto aveva capito
lui, era una botanica con un’enorme passione per i fiori) e ad apprezzare
la rosa rossa che indossava lui all’occhiello; aveva parlato degli sposi,
del ricevimento, di quanto odiasse quella dannata musica sparata a tutto
volume… aveva un’opinione su tutto, era molto sicura di sé e
non si faceva problemi a mostrarlo. Dopo quattro lunghe ore passate gomito a
gomito, lui aveva perfino dimenticato i banchieri (complice quel magnifico vino
che sembravano apprezzare entrambi e che lei reggeva bene quanto lui) e poteva
perfino dire che –
«E tu, insomma? Che fai nella vita?»
Per i suoi gusti, Sasuke in quelle quattro ore aveva parlato
fin troppo; era arrivato addirittura a fare un intero discorso che durasse più
di due o tre minuti. Si versò dunque un altro bicchiere di vino, ma lei
lo notò e avvicinò il suo calice, che Sasuke riempì
esattamente quanto aveva riempito il suo. Fatto ciò, la ragazza gli
scoccò l’ennesima occhiata provocante, fece tintinnare i due contenitori
in un lieve cin-cin e
sorseggiò il vino come se fosse il primo bicchiere che condividevano.
Lui avvertì una vampata di caldo; allentò il colletto della
camicia e slacciò leggermente la cravatta.
«Sono un avvocato. Penalista.» disse, con un
sorriso di soddisfazione.
Lei aveva
sorseggiato il vino con gusto, con un lieve rossore che le decorava le guance.
«Ottimo partito, eh?» aveva commentato,
guardandolo.
*°*
[Tre settimane e un giorno dopo di svariate settimane prima]
Non le aveva chiesto il nome.
…O meglio, lei
gliel’aveva chiesto, quando (verso le quattro o le cinque del mattino,
non ricordava tanto bene) se ne era dovuta andare, e lui aveva anche risposto;
perciò, lei, tutta contenta,
aveva raccolto la borsetta, ravvivato i capelli e aveva fatto per andarsene. Dal
modo con cui lo guardava, con cui gli lanciava quelle occhiatine, con cui lo
aveva puntato fin dall’inizio della serata, era evidente che la biondina
era pazza per lui, e Sasuke Uchiha naturalmente lo sapeva benissimo. Aveva
molta fama con le ragazze, la aveva sempre avuta, ma non aveva mai ricambiato;
anche questa volta, sicuramente, sarebbe stato così… Si
ritrovò a sorridere. Tuttavia, proprio mentre lei stava varcando il
portone di uscita della sala in cui avevano trascorso così tante ore a
parlare, un qualcosa dentro il suo
cervello era andato in tilt.
«E tu, non ti presenti?» ricordò di aver
biascicato.
Lei si era fermata
e aveva sorriso davvero di gusto. Aveva sollevato un sopracciglio… Sasuke
aveva mosso un passo incerto verso di lei, mentre notava quanto i suoi lunghi
capelli biondi risplendessero, quanto i suoi occhi di ghiaccio fossero
particolari, e quanto bene le stesse quel vestito che adesso aveva ripreso a
frusciare… ma, intanto che lui era perso in quei pensieri, lei aveva
mosso le labbra e aveva parlato. Per poi salutarlo con un caldo bacio sulla
guancia, lanciargli l’ultima occhiatina e andarsene in un ondeggiamento
di sete viola.
La porta si era richiusa.
Anche a un mese di distanza, Sasuke deglutì. Aveva fatto
la figura del perfetto idiota… se Naruto lo avesse saputo, lo avrebbe
deriso fino alla morte… cavolo!
Il suo cellulare squillò; ma lui era così
furioso con se stesso, a ripensare a quell’episodio, che neanche
sentì la vibrazione sul sedile della propria macchina. Accelerò
di scatto e si lasciò quei pensieri indietro.
(*) Nota: i fatti
nei flashback sono fatti avvenuti “realmente”, invece quelli
raccontati dei tre ragazzi a Kankuro e Gaara sono racconti indiretti di
ciò che è avvenuto tempo prima: perciò posso essere
modificati con opportune bugie o cambi di avvenimenti :) E’ per questo
che (in questo punto) nel racconto di settimane addietro Sasuke nota subito
*la* ragazza bionda, invece nel racconto indiretto non la cita minimamente
(è per questo che Gaara si arrabbia: devono dire la verità!). Insomma,
non è detto che ciò che accade nel passato sia riportato
fedelmente nel presente, anzi.
********************
Della
serie: a volte ritornano!
SSSSALVE!
No, non sono morta, sono solo enormemente pigra (ma faccio anche una
facoltà universitaria da psicopatici :) ) e finchè non mi si
accende qualcosa nel cervello non riesco a scrivere decentemente.
Ma stasera,
zamzam, ho rivisto la puntata di How I Met Your Mother che mi ispirò
questa fanfic e così eccomi qui! Dopo un anno e passa, sì.
Comunque!
Il quarto capitolo è scritto a metà, abbiate pietà ma
è il 25 Dicembre e sono le 3:40 di notte; a conti fatti, la fanfic
dovrebbe constatare di cinque massimo sei capitoli. Ce la farò, entro
breve, ce la farò!! :)
Non c’è
granchè da commentare; il capitolo è molto di passaggio. Ovviamente
è un SasuIno, ma loro sono intesi come coppia molto marginale,
perciò non mi sono soffermata molto su di loro (né so quanto
potrebbe essere profondo il loro sentimento, anche se durante la serata parlano
parecchio e Sasuke è molto preso da questo vestito viola, ah ehm.) In
ogni caso il capitolo rappresenta una sorta di “sconfitta” di
Sasuke da tenebroso e rigido com’era a interessarsi anche minimamente a
qualcun’altra (tanto da fare la figuraccia di non cogliere come si
chiama) XD perciò si chiama Waterloo, dalla canzone degli Abba.
Dal
prossimo capitolo si fa sul serio! Arriverà LA coppia (if
you know what I mean X°D)
Ah ehm,
spero di essere degna di anche una recensione dopo 114134252 mesi che non ho
aggiornato ^^”
E
Buonissssimo Natale a tutti! ;)))))))))))))))))))
Non
appena Sasuke Uchiha finì la sua (inutile) testimonianza, le teste dei
due si girarono, lentamente, verso il diretto interessato; e, per la quarta
volta in quella dannatissima giornata, quattro paia di occhi lo osservarono
fisso.
«Be’,
signor Nara… a quanto pare, ora tocca a lei… e se i suoi due amici
non hanno avuto nulla da dirci, be’, magari con lei la storia sarà
diversa…»
Ok, è fatta: fu questo il primo
pensiero del commissario Sabaku no, seduto dietro la sua amata e vecchia
abat-jour, che tante volte quel pomeriggio aveva scosso. La verità non
si celava dietro il cretino esagitato, né dietro la statua di
marmo… no, la verità si
celava dietro quel tizio apatico che non aveva detto una parola durante tutte
quelle ore, ma che si era limitato a sbadigliare in continuazione e a stare
stravaccato sulla propria sedia. Sì, sì… era
così…. Il nemico era
lui, lui…
Il
nemico in questione reclinò il capo all’indietro e diede un sonoro
sbadiglio.
«Che
palle. Io ve l’ho detto, ve
l’ho detto» si massaggiò per un attimo gli occhi
piccoli, pieni di sonno «io vostra sorella non l’ho mai sentita.»
Ma
i due non parevano demordere, no.
«Non
sprechi il fiato. Ci racconti, per iniziare, di come ha incontrato questa
Sakura Haruno di cui ha parlato prima.» disse Gaara, tranquillo. Kankuro,
al suo fianco, stava tamburellando le dita al tavolo.
L’atmosfera
si fece tesa; Shikamaru si mordicchiò leggermente un labbro. Naruto,
alla sua sinistra oltre Sasuke, si sporse in avanti e sibilò:
«Sì,
Shikamaru, dicci un po’ come hai incontrato Sakura!»
Nara
si sgranchì le ossa del collo, lentamente, e sempre lentamente,
sbadigliò.
*°*
[ Quel maledetto giorno ]
Che
palle.
Era
questo ciò che il geniale Shikamaru Nara stava pensando più o
meno dall’inizio della giornata. Si era svegliato presto perché
doveva andare a lavorare; a pranzo non aveva mangiato perché stava fin
troppo bene dietro il suo amato computer; nel primo pomeriggio aveva dovuto
assistere a quella noiosissima cerimonia chiamata matrimonio… e ora era davanti all’ennesimo dolce di
quella tremenda serata. Andava proprio bene… Se almeno fosse rimasto
Naruto accanto a lui, avrebbe avuto qualcuno con cui parlare; invece quel
cretino era andato a ballare (attratto da delle ragazze davvero molto carine,
in particolare una delle tre che ora non ricordava molto bene) e al suo posto
c’era Sasuke… il freddo, gelido Sasuke, proprio il tipo ideale di
compagnia… Oltretutto, fra i due si era messa una spilungona bionda che continuava a parlare con Sasuke –o meglio, lei continuava a parlare mentre lui annuiva ogni tanto: sarebbe stato
impossibile scambiare due chiacchiere.
Che
noia. Sbadigliò un po’, mentre i camerieri portavano un altro tipo
di dolce (un enorme profitterol)
e il pianista, a un lato del salone, componeva l’ennesima melodia di
sottofondo. Si slacciò leggermente la base della cravatta legata al suo
collo; faceva un caldo… sbadigliò ancora… quando gli venne
un’idea. Perché non inventarsi un qualche improrogabile impegno di
lavoro e scappare a gambe levate da quel torpore…? Erano le undici di
sera, lui stava morendo per l’afa e per il sonno, e non c’era
niente da fare; non era un’idea malvagia… certo, forse Neji ci sarebbe rimasto un po’ male, ma pazienza. Avrebbe
preso un taxi, visto che aveva avuto la sgradevolissima idea di venire a quella
cerimonia in macchina con Naruto, e finalmente avrebbe dormito un
po’… Si era quasi convinto di quella trovata (era già in
piedi con un sorriso trionfante) quando il grande portone dorato della sala si
aprì, e apparve una ragazza –anzi, la ragazza che prima lui stesso
aveva puntato fra quelle biondine notate da Naruto. Lui la seguì con gli
occhi: lei si aggirò fra i tavoli con sicurezza, finchè non
arrivò a quello di lui (che nel frattempo si era stranamente seduto di
nuovo), pose le mani sui fianchi, si avvicinò alla ragazza bionda e alta
e mormorò:
«Ehi,
spilungona, non avevo detto che mi dovevi aspettare?»
L’altra
stava sorseggiando un bicchiere di vino bianco; alzò le spalle e riprese
a mangiare come se nulla fosse. La nuova arrivata le scoccò un freddo sguardo
e sbirciò il posto alla destra di lei (su cui sedeva Sasuke) e quello
alla sinistra… su cui sedeva Shikamaru. Sbuffò, si grattò
vivacemente il capo e si sedette alla sinistra di quest’ultimo, che la
osservò un po’ meglio.
Aveva capelli corti e biondi,
occhi verdi e grandi; indossava un vestito molto semplice, senza spalline, che
si reggeva direttamente al busto; ma il suo fisico lo fece impazzire… non
aveva mai amato molto le donne troppo magre e secche (come la spilungona seduta
alla sua destra), preferiva invece quelle leggermente in carne, ma con le forme
nei posti giusti, e lei era esattamente così: formosa, ma non troppo,
né troppo poco. Deglutì.
«Ah, ma che palle.»
proruppe la nuova venuta, sedendosi in maniera piuttosto rude. Iniziò a
mangiare voracemente il dolce appena arrivato; e così fece pure
Shikamaru, ma senza alcuna voglia. Forse doveva veramente andarsene…
forse doveva dar retta al suo sesto senso e inventarsi quella balla sul lavoro
da svolgere (in realtà, il giorno dopo avrebbe avuto un giorno libero) e
prendere quel maledetto taxi… forse… però…
Passarono molti minuti nel
più totale silenzio e torpore; dalla sala accanto provenivano vari
rumori (definire musica quella roba
non era proprio possibile, no) dal volume talmente alto da far vibrare i vetri
delle finestre del salone in cui stavano mangiando. Erano le ventitré e
trenta e Shikamaru Nara si esibì nell’ennesimo sbadiglio; Sasuke
era uscito per fumare una sigaretta, seguito a rotta di collo dall’altra
bionda –che aveva manifestato a sua volta un’incredibile quanto
improvvisa voglia di fumare.
«Ma tu non fumi!» le aveva sibilato la ragazza dai capelli corti.
L’altra aveva sorriso.
«Be’, neanche tu balli,
eppure sei appena tornata da tutto quel casino…» ribatté;
non aspettò la risposta della prima, ma si ravvivò i capelli e
seguì il ragazzo (che, sasukemente, non l’aveva aspettata).
La biondina rimase di sasso;
continuò comunque a mangiare avidamente.
E ancora, scese il silenzio.
Shikamaru sarebbe morto di noia se non avesse fatto qualcosa.
«Allora, come va?»
mormorò dopo mezz’ora di silenzio assoluto da parte
dell’altra. Lei
lo guardò con occhi sgranati, come se avesse pronunciato qualcosa di
assurdo.
«Mmm, come dovrebbe andare?» rispose.
Lui
tirò su un sopracciglio. Non amava le ragazze così tanto rudi.
«Potevi
dire semplicemente “bene”.
In maniera educata, sai.»
Lei
evidentemente si accorse di essere stata maleducata; ma qualcosa (il suo
carattere, probabilmente) le impediva di scusarsi o quantomeno di ammetterlo.
Perciò continuò tranquillamente a mangiare il proprio dolce (dal profitterol erano passati a una vivace crostata alla frutta),
tenendo lo sguardo fisso, ma dicendo:
«Be’,
sono a una noiosa cerimonia mangiando dolci -che odio- e aspettando che questa qui» e indicò il posto vuoto accanto a
Shikamaru su cui prima era seduta la spilungona bionda «mi riporti a
casa, visto che sono sfortunatamente venuta in macchina con lei… ma lei
non ha occhi che per il tuo amico, dal quale si scollerà in tempi non brevi. Dimmi tu.»
Lui
annuì vagamente, stravaccandosi sulla sedia e lasciando metà del
proprio pasto lì dove il cameriere glielo aveva servito. Osservò
l’ampio e variopinto soffitto di quella sala enormemente grande e
studiò con attenzione il pesante lampadario di vetro e cristallo che li
sovrastava; oh, che diamine, non c’era nulla, nulla, che attirasse il suo intelletto sopito… Il vino che
aveva bevuto gli aveva messo sonnolenza; una strana patina aleggiava sui suoi
occhi. Se solo avesse potuto addormentarsi lì, o meglio ancora sdraiarsi
nel grande parco a guardare le stelle… addormentarsi a un matrimonio
poteva essere considerato un gesto rozzo? Era una cosa da valutare…
Silenzio,
ancora. Shikamaru tentò di ridestarsi; osservò la sua compagna di
tavolo, che sembrava arrabbiata… o forse era stanca solo a causa del gran
ballare (ma che strano, non la faceva tipo da gettarsi nelle danze), visto che
a detta della spilungona bionda lei aveva ballato fino a poco prima.
Probabilmente poi si era stufata ed era venuta a mangiare qualcosa, ma aveva
trovato tutti i piatti migliori già serviti e la sua amica non del tutto
disposta a fare conversazione, perciò era –
«Be’?
Che hai da guardare?» sibilò la diretta interessata, mentre beveva
con noncuranza del vino rosso.
Il
ragazzo si rinvigorì di botto; aveva passato gli ultimi minuti a
fissarla. Deglutì, dando un falso sbadiglio per avere il tempo di ribattere
qualcosa, qualsiasi cosa… Fin quando, accadde.
Un’idea lo colpì come un tuono: un’idea magnifica, geniale.
Il ragazzo si interessò a qualcosa dopo tante ore. Il problema era: farlo
o non farlo? Voleva davvero correre il rischio di agire nel modo in cui il suo
cervello aveva per un brevissimo istante comandato…? Shikamaru Nara era
pigro, verissimo, ma voleva a tutti i costi uscire da quell’enorme
torpore provocato dall’afa, dalla noia, dalla solitudine di quella
serata…
Sì.
Lo avrebbe fatto.
«Niente…
ma, mmmh, non credo sia molto femminile mangiare in quel modo.»
Era
una piccola, lievissima provocazione,
fatta tanto per animare quella tragica situazione… ma si pentì
subito. Quella con cui stava parlando era una donna, essere con il quale lui non si era mai trovato a suo agio; non
aveva molte amiche femmine né aveva grandi rapporti con il genere
femminile… le donne tendevano a parlare troppo e a non agire in maniera
lineare, finendo col rendere qualsiasi cosa complicata a livelli insopportabili
per lui. Lei non sarebbe stata diversa, né avrebbe mai risposto a quel
suo disperato tentativo di scacciare la noia: avrebbe commentato qualcosa
riguardo a una dieta che non aveva seguito e a quanti sforzi avrebbe dovuto
fare per rimediare a –
«A
parlare è lo stesso essere
seduto in quel modo, o sto sognando?» ribatté lei, evidentemente
infastidita. «Perché io non chiamerei mai uomo uno seduto a quella maniera.»
In
effetti, lui era del tutto sbragato sulla sua poltroncina: era scivolato
parecchio in avanti, perciò le sue gambe erano stravaccate sotto il
tavolo, il suo sedere era quasi penzoloni dalla struttura e aveva testa e collo
appoggiati allo schienale. Ma non si mosse.
«Perché,
un uomo si definisce da come si siede?» rispose a sua volta, ora piccato
come l’altra.
«E
una donna da come mangia?» controbatté la ragazza, posando
ordinatamente coltello e forchetta sul piatto.
«Be’»
proruppe Shikamaru, ora sedendosi un po’ meglio (in effetti state
stravaccati a quel modo corrompeva la salute della sua schiena tanto quanto le
lunghe ore passate davanti al computer) «siete voi donne che fate tutti i vostri discorsi sulla linea, la dieta, e
cose così… perciò, siccome tu hai mangiato in quel modo
–»
«…hai
tirato le tue belle conclusioni maschiliste, certo. E voi uomini, se lo vuoi sapere, ragionate tutti per stereotipi
uguali, e tu ne sei la conferma.»
Scese
un silenzio piuttosto gelido. Shikamaru si morse un labbro… ecco, lo
sapeva, non avrebbe dovuto parlare, lei l’aveva presa troppo a cuore e ne
aveva fatto una questione personale, quando lui voleva semplicemente parlare un
po’ con qualcuno… ma che diamine gli era saltato in mente…
«Non
si lascia il cibo nel piatto, comunque» borbottò lei dopo qualche
minuto di gelo, con piatto e bicchiere perfettamente vuoti. «Non te l’hanno
insegnato? Non è educato, sai.» Aveva un sorriso sarcastico in
faccia, come se si fosse appena presa una (seconda) rivincita personale per
quello che lui aveva detto; di bene in meglio, insomma…
«Oh,
fa niente. Questo non fa male a
nessuno.»
«Per
carità, ma -visto che prima di offendermi parlavi tanto di buone
maniere- non è educato.»
L’altro
sbadigliò vistosamente.
«Visto?
Voi donne siete tutte così vendicative, quando vi si tocca sul
personale… e tu ne sei la conferma.»
«E
voi uomini, ti ripeto, giudicate sempre e solo su stupidi stereotipi.»
L’altro
sogghignò.
«Non
è uno stereotipo a sua volta quello che hai appena detto?»
Lei
aprì la bocca per rispondere, ma pensò che (oggettivamente
parlando) quello che lui aveva appena asserito era vero. Perciò la richiuse, le sue guance arrossirono un
po’, distolse lo sguardo da un’altra parte e borbottò:
«Be’,
tutto ciò… in ogni caso… non ha assolutamente senso.»
Lo
strano silenzio scese su di loro, ancora. Si guardarono e poi distolsero gli
occhi e si guardarono ancora; Shikamaru non riuscì a capire se lei era
arrabbiata, nervosa, dispiaciuta o orgogliosa. Sapeva solo una cosa… che
era estremamente interessante. La
noia della serata sembrava non essere mai esistita; il suo intelletto
vibrò di piacere. Erano rari i casi in cui riusciva ad animarsi
così tanto dalla pigrizia, e quando uno di quei rari casi lo prendeva,
complice quel magnifico vino che aveva lo aveva accompagnato per tutta la
serata…
«Facciamo
un gioco.», mormorò, quasi ridendo.
*°*
«Quindi,
tu dici che questa ragazza è la stessa Sakura Haruno di
quell’altro, sì?» disse Kankuro, guardando ora Nara ora Uzumaki. «Una donna in comune. Brutta situazione, eh.
Brutta davvero.» commentò, ridendo.
Shikamaru,
lo sguardo fisso a terra mentre raccontava, si morse un labbro; Naruto
pestò un piede a terra, ma non disse nulla.
«Ma
come fate a dirlo?» domandò Gaara, più pacifico.
Ora,
Shikamaru alzò la testa al soffitto, osservando le pale delle ventole
che giravano, ma non rispose. Lo fece invece Kankuro:
«Be’,
dalla descrizione di questo qui, erano le undici e dieci quando lei è
entrata nella sala per mangiare, e quell’altra ragazza bionda aveva detto
che era stata fino a quell’ora nell’altra sala a ballare…
Questa è bionda, capelli corti… e, uhm, che lavoro
fa…?» chiese poi, notando che non sapevano ancora quel particolare.
«E’
un medico.» disse Shikamaru, piano, sempre con la testa rivolta al
soffitto.
I
due fratelli si guardarono. Anche Temari era un medico…
«Eh…!
Le cose sono fin troppo uguali per essere una coincidenza.»
Ma
Gaara sembrava sospettoso: si portò una mano al mento e ragionò.
«Che
vestito aveva questa ragazza?»
Shikamaru
lo guardò, accigliato come se stesse facendo un enorme sforzo di
memoria; parve ragionare per un lungo istante…
«E’
il modello senza spalline, quello che si regge al busto, credo…»
«Come
quello dell’altra ragazza… Ok, ma è un tipo di vestito molto
comune. Voglio dire, di che colore era? Fino a dove le arrivava? Aveva
decorazioni strane…? E anche quello dell’altra ragazza, signor Uzumaki…»
Ma
era ovvio che il commissario si fosse spinto troppo in là: entrambi i
ragazzi alzarono lo sguardo ed entrambi lo guardarono, perplessi.
«Gaara»
gli bisbigliò all’orecchio il fratello «…sono uomini.»
E,
se c’è uno solo fra
tutti gli stereotipi esistenti che rispecchia la realtà, è il
fatto universalmente noto che per gli uomini scarpe, capelli, trucco e
(soprattutto) vestiti sono assolutamente tutti
uguali.
*°*
[ Un’ora
dopo di quel maledetto giorno di cinque settimane prima
]
Shikamaru
iniziò suonando un qualche pezzo molto semplice; non era mai andato
d’accordissimo con la musica, sapeva suonare solamente i pezzi di base e
solamente il pianoforte… ma il destino aveva voluto che lì, in
quell’enorme salone, un pianoforte effettivamente ci fosse. E, in base alle regole del gioco, lui aveva iniziato a
suonarlo con tutta tranquillità, e lei naturalmente lo aveva guardato
con tanto d’occhi.
«Non
sei molto capace» disse dopo un po’.
Lui
fece spallucce.
«Be’,
mi andava di farlo» borbottò, a mo’ di scusa «e
l’ho fatto. Sono le regole del gioco, mia cara. Niente pregiudizi.»
Gli
occhi di lei da glaciali erano improvvisamente diventati incuriositi e (quasi)
divertiti; si morse un labbro. Sembrava tentata; si guardò intorno. Nel
grande salone erano rimasti solo loro due: era l’una di notte e tutti gli
invitati più anziani erano andati via da un bel po’, mentre i
ragazzi erano ancora appresso al mefistofelico rumore della sala di fianco. I
camerieri avevano sparecchiato i tavoli su cui poco prima avevano mangiato e si
stavano occupando ora di ripulire un’altra ala di quell’enorme
villa; perciò i tavoli erano tutti coperti, le sedie rivoltate e
l’illuminazione era al minimo. Dalle grandi finestre aperte provenivano
l’afa estiva e la brezza del grande parco. Era un’atmosfera un
po’ surreale.
«Perciò,
se sono aboliti davvero tutti gli stereotipi, be’…»
sussurrò l’altra, furba, per poi scostarsi dal pianoforte,
dirigersi verso il fondo della sala e tornare con una bottiglia di vino. Che
stappò con un semplice morso e bevve avidamente.
«Molto,
molto femminile.» commentò il ragazzo, quasi compiaciuto.
Lei
sollevo un sopracciglio chiaro e lo scrutò.
«Non
avevamo detto niente pregiudizi? Che ne sai, magari io nella vita di tutti i
giorni sono una perfetta fanciulla, molto delicata ed eterea… e stanotte,
solo per te, sarò uno scaricatore di porto.» lo guardò con
quei suoi occhi da gatta, furbi e calcolatori, che adesso brillavano più
di prima. «Tu sei solo uno sconosciuto,
vorrei ricordarti… è la seconda regola.»
Le
regole del gioco erano molto semplici, in effetti; anche perché, erano
solo due.
Prima
regola: fare esattamente tutto ciò
che ti viene nella testa, invece di dar retta a stupidi stereotipi.
«Senti,
io non ti conosco, né tu conosci me, e a me sinceramente va benissimo
così. Ma io sto morendo di noia, non ho nessuno con cui parlare, sto
morendo di caldo… e tu sei nella mia stessa condizione. Perciò, mi
chiedo, perché non passare comunque una bella serata?»
Lei
lo aveva guardato di sottecchi e si era limitata ad annuire; ma era innegabile
che stesse pensando alla precaria sanità mentale del tizio che aveva di
fronte.
«Oh,
andiamo, pensaci…! Ci tratteremo entrambi come se ci conoscessimo da una
vita, in modo da evitare imbarazzi e convenzioni sociali vari, e faremo
assolutamente quello che vogliamo… senza timore del giudizio altrui,
senza cadere in stereotipati pregiudizi che mi pare che tu odi tanto…
semplicemente, passeremo una serata diversa.»
Seconda
regola: non cercare di scoprire
l’identità dell’altro, perché da domani non vi
vedrete mai più.
«E
l’altra regola fondamentale è il non conoscersi, giusto?»
aveva replicato la ragazza. Nonostante il suo sguardo piuttosto freddo,
sembrava quasi interessata.
«Esatto»
aveva annuito lui, togliendosi del tutto la cravatta dal collo e bevendo ancora
un po’ di vino. Si era sentito refrigerato, animato, vivo; il fatto che lei sembrasse più o meno incuriosita lo
attirava da morire. «Io per te sono Ananas e tu per me sei Ventaglio, e
così rimarremo. Non ci cercheremo mai più, né sapremo
l’uno dell’altra, in modo da evitare seccature varie, se
capisci…»
Lei
era sembrata ancora un pochino restia.
«Quindi,
be’, per me tu sei uno… sconosciuto, che
conosco da sempre, per una sola sera. Perciò, uhm, niente stereotipi sugli
uomini, sulle donne, su come una si deve comportare, ma saremo noi stessi,
naturalmente…?»
Lui
aveva sorriso, perché Ventaglio aveva capito subito lo spirito del
gioco: proprio il loro battibecco sugli stereotipi gli aveva suggerito il fatto
che, senza tutte quelle tremende condizioni sociali, il resto della serata
avrebbe potuto passare in maniera molto più interessante. Cosa che non
sarebbe potuta accadere altrimenti: avrebbero sicuramente finito col parlare di
lavoro, di università, di fidanzati, o della bellissima coppia di
sposini…
«Sì,
esatto, sono uno sconosciuto. E prometto solennemente
di rimanerlo.» disse, servendosi di un altro po’ di vino, ponendo
una mano sul cuore. «Tanto, tu non sai chi sono, non sai il mio nome, e
usciti di qua non mi vedrai mai più, né io ti cercherò.
E’ più facile lasciarsi andare con uno sconosciuto, perché
non avrai né colpe né rimorsi… Niente di tutto quello che
farai o dirai uscirà da qui. Potresti addirittura far finta di essere
un’altra persona, per quel che mi riguarda… magari una persona che sorride ogni tanto.»
Lei
aveva alzato un sopracciglio chiaro. E aveva sorriso.
Perciò,
anzitutto Ananas aveva deciso che avrebbe voluto essere un pianista, e
perciò lo era diventato; nel frattempo, Ventaglio lo guardava mentre
pigiava tasti a caso.
«Be’,
dopo un po’ di vino» proruppe, guardandosi attorno «ci vuole
un altro tocco di classe.»
E
così dicendo si guardò intorno, scrutò per bene la sala e
solo quando fu del tutto sicura che non ci fosse assolutamente nessuno fece quel
che voleva fare dal momento in cui il ragazzo aveva iniziato a suonare… e
che secondo la Prima regola del gioco doveva assolutamente fare. Iniziò perciò ad agitarsi
goffamente sulle sue ballerine in quello che era inconfondibilmente un tiptap. Shikamaru la
osservò e iniziò a ridacchiare; le donne non avrebbero dovuto
essere agili, esili e aggraziate…?
Lei
sapeva ballare quanto lui sapeva suonare, eppure quello spettacolo andò
avanti, fino a quando lei non si sedette accanto a lui, scossa per il fiatone.
«Mmm, sai» mormorò poi, mentre si massaggiava i
polpacci «non è male come gioco.»
Il
vino aveva sorbito uno strano effetto su di lei: sembrava più allegra e
molto più propensa a lasciarsi andare.
«Be’,
cara Ventaglio, balli come un uomo…» sussurrò lui, servendosi
a sua volta di quel buon vino, ma dal bicchiere.
Lei
lo guardò di sottecchi.
«Che
ne sai, magari io nella vita di tutti i giorni sono una perfetta fanciulla,
molto delicata ed eterea… e stanotte, solo per te, sarò uno
scaricatore di porto.» lo guardò con quei suoi occhi da gatta,
furbi e calcolatori, che adesso brillavano più di prima. «Tu sei
solo uno sconosciuto, vorrei ricordarti.»
Lui
ridacchiò, sempre continuando a battere le dita sul pianoforte a coda,
incapace di guardare da altra parte se non nei suoi occhi. Il vino gli aveva
dato alla testa; si sentiva piuttosto brillo.
«Lo
so benissimo, non metterti strane idee in testa. Ti ricordo che io sono…
sì, sono lo sconosciuto che ti conosce da una vita, sei una sorta di
migliore amico mai incontrato…» borbottò. Probabilmente
quanto aveva detto non aveva un vero e proprio filo logico, ma aveva bevuto fin
troppo per potersene assicurare; sapeva solo di sentirsi benissimo. E sapeva
solo che gli occhi di lei erano bellissimi…
«Amico? Addirittura?» replicò
l’altra, sveglissima. Sebbene Ventaglio avesse bevuto più del
compagno, era molto più arzilla di lui: continuava a tracannare vino
rosso come fosse acqua.
«Be’,
bevi come un uomo, balli come un uomo… e hai un nome da uomo.»
Ma
Ventaglio non aveva decisamente le
forme di un uomo, quelle no. Anzi, quel vestito senza spalline aderiva a quel
fisico mozzafiato…
«Ancora
questi pregiudizi» ridacchiò lei.
Shikamaru
la scrutò: non sembrava una persona che ridesse molto o che desse tutta
quella confidenza, eppure gliela stava dando; anzi, sembrava perfino
divertirsi. Lui l’aveva giudicata molto fredda, razionale,
distaccata… ma così non sembrava. Che davvero quella ragazza
stesse giocando molto meglio di lui a quello strano gioco di sua stessa
invenzione, o magari era davvero quella la vera
lei che nella vita di tutti i giorni era nascosta dietro una maschera di
distacco e che veniva a galla solo ora, di fronte a uno sconosciuto? Difficile
a dirsi. Ma anche lui, a sua volta, nella vita normale non era certo così
attivo, né proponeva idee tanto bizzarre a belle ragazze appena
conosciute…
Shikamaru
continuò il suo assolo, servendosi di altro vino, sorridendo.
*°*
[ Un’altra ora dopo]
Avevano
dovuto staccarsi dal pianoforte e prendere una boccata d’aria,
perché il caldo non smetteva di angustiarli, sebbene fossero quasi le
due di notte. Il grande parco sotto il loro balconcino era immerso nel silenzio
e nell’oscurità; da lontano veniva un soffocato verso di un gufo.
«Ma
la tua amica si è persa?», le chiese, mentre si accendeva una
sigaretta.
Lei
era appoggiata alla fine balaustra di marmo e sembrava assorta nei suoi
pensieri; si ridestò non appena il ragazzo parlò.
«Oh,
probabile. Il tuo amico ha fatto colpo.» commentò; la lieve brezza
le scompigliava i capelli corti. «Ma che stupido stereotipo, rimorchiare
a un matrimon–»
Non
finì la frase: aveva notato la sigaretta accesa fra le labbra di lui.
Assottigliò gli occhi chiari e dilatò le narici.
«Fumare
fa male, lo sai?»
Lui
fece spallucce; era quello che gli ripeteva ogni giorno sua madre. Prese una
boccata e aspirò; il fumo volò via.
«Fa
male sul serio. La pressione del sangue, le contrazioni e il battito del cuore
aumentano, i vasi sanguigni periferici si contraggono; il monossido di carbonio
interferisce con il trasporto dell’ossigeno nel sangue, e tutto
ciò crea dipendenza. Non ti dà fastidio essere dipendente da qualcosa?»
Shikamaru,
ancora, fece spallucce.
«Mi
rilassa.» disse solamente.
Ventaglio
alzò gli occhi al cielo. Ananas ridacchiò: finalmente, questa
ragazza aveva qualcosa di davvero femminile… era apprensiva e seccante esattamente come una donna.
«Il
fumo aumenta il rischio di tumori. Nell’ultima conferenza a cui ho
assistito, c’erano centinaia di persone che si maledicevano per aver
fumato!» ribatté.
Sembrava
che quella questione la prendesse particolarmente a cuore; ma che motivo
c’era…? Non lo conosceva, né lo avrebbe più rivisto,
era però come se fosse suo dovere dirglielo… Shikamaru
rifletté… e capì istantaneamente il motivo di tutto questo.
«Sei
un medico.»
Non
era una domanda, e questo Ventaglio lo capì: le sue guancie arrossirono
e, per un istante, tornò ad indossare la maschera (o forse, tornò
ad abbassare la maschera, difficile
dirlo) di qualche ora prima. Ananas ne intuì il motivo: lui aveva
scoperto qualcosa di lei, ma lei nulla di lui; era un po’ come se avesse
perso. Doveva essere una persona molto orgogliosa.
«Be’,
allora fai un po’ come ti pare» bisbigliò lei, voltandogli
le spalle e rientrando nel salone.
Ma
l’altro alzò gli occhi al cielo, spense la sua beneamata sigaretta
quasi intatta sul parapetto bianco del balcone e la seguì dentro.
*°*
[Due buone ore
e mezza dopo di un’ora dopo di un’ora dopo]
Quella
villa era, effettivamente, enorme. Ananas e Ventaglio lo avevano appena
scientificamente dimostrato; avevano passato l’ultima ora a perlustrare
le stanze, per poi scoprire almeno venti camere da letto, un altro salone
grande quasi quanto quello in cui avevano cenato, una dozzina di splendidi e
raffinati bagni, qualche coppia appartata in due o tre posti… il tutto
corredato da ampi corridoi ricolmi di quadri, vasi, teche di vetro. Sebbene
fossero al terzo o quarto piano dell’edificio, potevano ancora sentire il
frastuono da discoteca del piano terra; ovunque andassero, aleggiava su loro
quel rumore.
«Be’,
almeno Naruto si starà divertendo…» bofonchiò lui,
mentre scendevano un’enorme scalinata di marmo, che (come nelle
commediole romantiche) si divideva in due ampi rami e collegava le due
differenti parti della casa al piano superiore che avevano appena esplorato.
«E, uhm, anche la tua amica.»
Con
la tua amica lui intendeva la tizia
–di cui naturalmente Shikamaru non ricordava la faccia- per cui il suo
amico si era preso uno straordinario colpo di fulmine; ma lei aveva
evidentemente capito male.
«Oh,
sì. Ma quando torna la uccido, è tardissimo e mi aveva detto che
non avremmo fatto più tardi di mezzanotte…
quell’oca…»
Lui
si fermò a metà scalinata, colpito.
«Be’,
se posso… questa me l’hai proprio servita su un piatto
d’argento… questa
è una cosa tipica di voi donne. Parlarvi male alle spalle.»
Lei
si irrigidì un momento, ma poi continuò la sua scesa verso il
piano inferiore come se nulla fosse.
«Non ne parlo male, è la
verità» bofonchiò.
Forse
si era resa conto del fatto che uno stereotipo una volta tanto rappresentasse
la realtà, o forse aveva parlato un po’ troppo male di quella che
in effetti era una sua amica; perciò non commentò oltre.
Finirono
di scendere la lunga scalinata di marmo e si guardarono intorno; erano tornati
vicino alla sala da pranzo, accanto alla discoteca.
«E’
tardissimo.» borbottò lui, sbadigliando rumorosamente. Si
grattò il capo e si sbracò su una sedia lì vicino; non
aveva smaltito ancora tutto il vino ingurgitato. Era stanchissimo, erano quasi
le cinque di mattina, Naruto probabilmente non si sarebbe mai scollato da
quella tipa e lui aveva appena sfidato la sua famosa pigrizia, facendo tutto il
giro di quell’enorme villino… sbadigliò ancora, più
forte.
«Dovremo
pagare quel vaso, secondo te?» bisbigliò lei.
Il
ragazzo osservò la sua strana amica. Dopo che lui era venuto a
conoscenza della sua professione nella vita reale, Ventaglio aveva evidentemente
deciso di non parlargli più e così aveva iniziato a vagare per
stanze e saloni, ignara della presenza di lui e delle sue più o meno
esplicite scuse; ma lui, più testardo, le era andato dietro…
finchè lei, spazientita, non si era voltata così rudemente da far
cadere un enorme e (evidentemente) costoso vaso di cristallo. Il rumore aveva
fatto accorrere qualche cameriere, che loro non erano rimasti certo lì
ad aspettare; avevano corso e si erano trovati dall’altra parte del villone, mentre lei imprecava a bassa voce.
Shikamaru la guardò. Era una
ragazza strana, sì, ma era anche parecchio interessante; sembrava una
continua e roboante fonte di novità. Non appena il ragazzo aveva anche
solo pensato di aver capito il suo carattere, il suo vero carattere, lei subito ne mutava forma e lo lasciava allibito;
ora rideva, ora era orgogliosa, ora scappava imprecando, ora stappava del vino
con la bocca…
«Mmm, non se ci trovano. E comunque…»
Ma
lei non lo stava ascoltando: era intenta a fissare qualcosa oltre la testa di
lui. Quella cosa sembrò attrarla: lasciò lì Ananas senza
dire una parola e si incamminò verso una porta socchiusa.
Abituati
alla vastità delle altre sale, questa sembrava ancora più piccola
di quanto non fosse: era un piccolo ambiente pieno di tavoli coperti e di sedie
rovesciate e di tovaglie ammuffite. Lì, sotto un telo bianco ricoperto
di polvere, era seminascosto un grande grammofono; la ragazza sollevò il
drappo e osservò il giradischi.
«Mio
padre ne aveva uno identico.» bisbigliò.
Shikamaru
non capì perché glielo avesse detto, né perché quell’oggetto
la avesse incuriosita tanto; la osservò prendere la puntina, appoggiarla
sul disco metallico che era lì da chissà quanto tempo, e
ascoltare rapita la canzone che ne uscì fuori. Era una vecchia canzone
jazz molto sentimentale: sembrava piacerle.
E,
ancora una volta, lo lasciò senza parole. Quella ragazza era davvero una autentica fonte di
novità; non appena pensava di conoscerla, ecco che ne veniva fuori
un’altra versione. Lei stava ascoltando affascinata quella melodia che
lui aveva ritenuto essere fin troppo romantica per poterle piacere… e
invece, se la stava gustando di cuore.
«Mia
madre amava il jazz.» disse lei, a mo’ di scusa, non appena vide lo
sguardo indagatore di lui. «E… uhm…»
Sembrava
imbarazzata.
«Ananas,
quel gioco vale ancora?» chiese.
Non
sembrava più la donna autoritaria che lo aveva incuriosito; ora sembrava
un po’ più indifesa, fragile… o era solo una sua
impressione? La ragazza non lo dava molto a vedere, ma quella melodia la aveva
addolcita, almeno un po’.
«Ovvio,
signorina Ventaglio.» rispose lui, inchinandosi.
E
le offrì la mano.
«Be’,
allora…» disse lei, prendendola nella sua destra, e poggiando la
sinistra sulla sua spalla «diamo sfogo ai clichè
e agli stereotipi da “festa di matrimonio”.»
E,
semplicemente, ballarono. Non fu uno spettacolo molto migliore di quello del
pianista con la sua ballerina di tip-tap; né riuscì molto meglio
di quello strano gioco che aveva preso piede, ma che era inevitabilmente
naufragato, perché mai come ora lui voleva sapere il nome di lei, e mai
come ora lui voleva avere la speranza di rivederla il giorno dopo…
diamine, diamine, che totale idiota che era! Ci era cascato con tutte le
scarpe. Tutta quella farsa, tutta quella sicurezza che aveva provato
finora… era tutto, tutto svanito, per due occhi verdi e un bel corpo che
ballava insieme a lui! Che idiota…
«Sai»
proruppe lei, bisbigliando, mentre la musica continuava ad andare lenta
«questo gioco mi piace molto… soprattutto la parte del non rivedersi mai più.» Lui
continuò a stringerle la mano e la vita, apparentemente incurante di
ciò che lei stesse dicendo; i loro volti erano a un soffio di distanza.
«Sarebbe complicato e controproducente, non trovi? E sarebbe un cliché atroce… non siamo
certo in un film, o in un libro…»
Lui
annuì, deciso e non guardare gli occhi di lei, un palmo sotto il suo
naso, né a incrociare le sue labbra… Naturalmente, il suo tono
apatico non lasciò intendere nulla di tutto ciò: non se lo poteva
permettere.
«Mah,
sì. Ci ricorderemo di questa bella… e strana… serata, sapendo che non ci saranno scocciature o noie
che verranno dopo, sapendo che tanto non uscirà nulla di quanto abbiamo
detto questa sera, e questo ricordo resterà intatto, insom–»
Ma
la femminile leggiadria di lei la portò a inciampare proprio mentre lui
parlava: lui la prese al volo, ma nell’urto finirono a terra.
I
loro occhi si incontrarono: erano a pochi millimetri di distanza.
Le
loro mani erano avvinghiate.
Il
leggero rossore sulle guance di lei la rendeva ancora più bella.
Shikamaru
prese coraggio.
E…
«Ma
dove diamine è quella
lì?!»
Puff. L’atmosfera si
disintegrò come un’enorme bolla di sapone; entrambi i ragazzi si
ridestarono, si resero conto, e si allontanarono; la voce riprese a urlare.
«Una
esce un attimo a fumare e quella lì scompare…!»
Lei
si rialzò, barcollando un po’, aprì con foga la porta, si
sporse oltre lo stipite e urlò:
«Ino,
eccomi! Ero venuta a prendere la borsa!»
La
stangona bionda si materializzò davanti a Ventaglio in un soffio;
Shikamaru ebbe appena il tempo di alzarsi. La canzone era finita; il disco
continuava a girare ma il grammofono non dava segni di vita.
«Sì,sì,
ok, ma andiamo che è tardissimo, non mi ero accorta
dell’ora… è mezz’ora che ti cerco, la sposa ha anche
lanciato il bouquet, ma dove diamine…»
«Ti
ho detto» replicò Ventaglio, stranamente acida «che stavo
cercando la mia borsetta… ma qui non c’è… E sì,
andiamo, io domani devo
lavorare…»
La
stangona alzò gli occhi al cielo e se ne andò, portandosi dietro
l’altra ragazza, che ebbe solo il tempo di dire:
«Be’,
allora ciao, Ananas.»
E,
in un fruscio di seta, era scomparsa.
*°*
[ Il giorno dopo di quell’infausto giorno]
Idiota.
Idiota.
Idiota.
Idiota.
Per
qualche strano motivo, non sapeva pensare altro.
**************
E’
tardi, tardi, tardissimo O_O
Due
sole cose:
-Ho
preso spunto per il capitolo (e anche un po’ per il tono dell’intera
fanfic, *credo* ve ne siate resi conto anche solo dal
titolo X°D) dalla puntata Rullo di Tamburi di How I MetYourMother,
che credo sia una delle cose più bbbelle mai
realizzate, seriamente. Come in questo capitolo, anche lì c’è
questa idea di parlarsi e stare insieme una serata ma non rivedersi mai
più, e *ovviamente* anche lì l’uomo ci casca con tutte le
scarpe XD Spero, spero, spero di
averlo reso bene. (la scena del pianoforte è ripresa da lì, anche
altre ma le ho modificate moltissimo).
Mi
piaceva l’idea di far fare questo gioco a questi due, è una cosa
infantile ma comicissima. Spero non fraintendiate: Shikamaru è pigro e
tutto, ma si annoiava a morte, ha bevuto un pochino e voleva disperatamente
provare a fare qualcosa… e poi, be’, c’era
la sua Ventaglio… 8D
(nomi
banalissimi lo so, abbiate pietà)
L’idea
ruota tutto intorno alle maschere e al fatto che davanti a uno sconosciuto si
può essere qualsiasi persona. E mi piaceva molto l’idea degli
stereotipi perché questi due nel manga parlano molto di stereotipi su
uomini e donne.
-E
sì, questo è il capitolo cruciale della storia, la ShikaTema! Yuuuuh!
L’ho
pubblicata per l’iniziativa di San
Valentino (del forum Black Parade),
lo so che oggi è il 16 (tecnicamente è il 15, ma sono le 3 di
notte perciò è il 16 u__u) ma io sto sotto esami e di meglio non
posso fare, capitemi.
Spero
vivamente che i personaggi non siano OOC per questo loro modo giuoioso di interagire, ma il vino ha reso tutto più
semplice X°D
Altre
cose importanti le scriverò nei prossimi giorni, che ora è tardi
e domani mi devo svegliare presto per studiare. Scusate. T.T
COMMENTINO,
GENTE? <3
Ok,
vi faccio sudare con questa fanfic, ma questo
capitolo sono quasi 12 pagine, dai!! *fa occhioni*