You don't care about us

di Frytty
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Remember ***
Capitolo 3: *** Answers ***
Capitolo 4: *** Help ***
Capitolo 5: *** Lies ***
Capitolo 6: *** Liar, liar ***
Capitolo 7: *** The story of my life ***
Capitolo 8: *** Leave and Take ***
Capitolo 9: *** Blame ***
Capitolo 10: *** I used to be tough ***
Capitolo 11: *** Bride ***
Capitolo 12: *** Believe ***
Capitolo 13: *** Real ***
Capitolo 14: *** Fear ***
Capitolo 15: *** Sense of Guilt ***
Capitolo 16: *** Like Teenagers ***
Capitolo 17: *** Losing ***
Capitolo 18: *** Expectations ***
Capitolo 19: *** What If? ***
Capitolo 20: *** Stay with me ***
Capitolo 21: *** What Have We Become? ***
Capitolo 22: *** Things can't never be the same ***
Capitolo 23: *** Sins ***
Capitolo 24: *** First ***
Capitolo 25: *** Future Comes ***
Capitolo 26: *** Happy Christmas-Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Saalve!

Ultimamente il mio neurone non si dà pace e sarà il caldo, sarà che la voglia di studiare è poca, partorisce queste idee strampalate di cui poi sento necessariamente il bisogno di liberarmi xD

Non so di quanti capitoli consterà, perché è ancora un po' tutto vago, ma mi sono convinta a postarla perché riesco a scriverla con una facilità impressionante e perché, tutto sommato, mi piace *modestia mode:on* xD

Il prologo, suppongo, vi lascerà un tantino perplesse, ma non temete, perché domani pubblicherò il primo capitolo e le cose cominceranno a farsi già più chiare ^^

 

Ringrazio sin da ora chi sarà disposto a seguirmi in quest'avventura, a commentare e a seguire/preferire/ricordare *.*

 

Buona lettura! <3

 

P.S Il banner della storia non è ancora pronto, ma appena lo sarà, lo sostituirò all'immagine ^^

 

 

 

 

 

 

< Noi siamo stati insieme? Vuoi dire, insieme-insieme? > Occhieggiai a lui, fingendo una confusione che non provavo. Probabilmente avevo bevuto troppo champagne.

< Voglio dire, che eravamo una coppia, Arlyn. > Sentire il mio nome pronunciato dalle sue labbra, mi fece fare un passo indietro, precisamente a quando eravamo in teatro, per la première.

Deglutii saliva inesistente.

< E... come mai è finita tra noi? > Non sapevo come avrebbe reagito ad una domanda del genere, perciò feci un passo indietro, cozzando contro il muro e precludendomi ogni via di fuga.

< Non è finita. Tu ti sei dimenticata di me. > Quelle parole mi ferirono, perché erano una bugia, ma, al tempo stesso erano la verità.

Io mi ero dimenticata di lui.

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Capitolo 2
*** Remember ***


Salve!

Eccovi, come promesso, il primo capitolo della Ff ^^

Le cose non verranno risolte completamente qui, ma pian piano scoprirete cosa è successo ad Arlyn e tutte le conseguenze che ciò ha comportato, fidatevi di me ^^

Ringrazio infinitamente le persone che hanno commentato, letto e aggiunto tra le preferite/seguite/da ricordare *.*

Spero il primo capitolo non vi deluda ^^

Ho deciso che aggiornerò in contemporanea con You thought you know me capitoli permettendo e tempo permettendo ù.ù

Prima che mi dimentichi, ci tenevo a precisare che il titolo della Ff ha una sua motivazione, che scoprirete con il proseguire della storia, ovviamente, ma che è ispirato totalmente alla bellissima canzone omonima dei Placebo, band che venero *.* e di cui trovate l'audio qui: You don't care about us

 

A lunedì! <3

 

Buona lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

< Posso accompagnarti, se vuoi. > Tom mi osservò recuperare lo zaino ed estrarre le chiavi di casa dalla tasca dei jeans.

< Non ce n'è bisogno, Tom, davvero. Starò bene. > Sorrisi, sperando così di convincerlo.

< Sono trascorse tre settimane, Arlyn, forse un po' di compagnia, all'inizio, non ti farebbe del male. > Si appoggiò con la schiena alla sua modesta berlina, incrociando le braccia al petto, gli occhiali scuri che non mi permettevano di avere visuale dei suoi occhi azzurri.

< Non posso sempre contare su qualcun altro, e poi sto bene. > Ribadii, avvicinandomi di un passo.

< Senti... beh, per quella che è successa in ospedale, io... volevo solo dirti che è normale e che forse è stato avventato da parte sua venire a trovarti, ma sono sicuro che... > Non gli lasciai terminare la frase.

< Non ne voglio parlare. > Chiarii, scuotendo la testa.

Non era colpa mia.

Non era colpa di nessuno.

Eppure, perché ricordavo il dolore nei suoi occhi e la strana fitta che mi aveva preso all'altezza dello stomaco quando avevo intravisto la sua ombra attraverso il vetro?

Avresti dovuto ricordare.

Me lo aveva detto anche lui. 

Ma ricordare cosa?

< Dovresti parlargli. Insomma, sì, è stato brusco con te, ma anche lui ha sofferto. > Si tolse gli occhiali, incrociando il mio sguardo disperato.

< Voglio stare da sola. Scusa. > Mi avviai verso casa, le chiavi che tintinnavano nella mia mano e le lacrime che tentavo di nascondere.

Lasciai cadere lo zaino a terra, nell'ingresso, chiudendomi la porta alle spalle e avvertendo la macchina di Tom allontanarsi.

Non era colpa sua, lo sapevo, ma cosa potevo fare?

Mi guardai intorno, riconoscendo a malapena le cose che mi circondavano: i quadri appesi alle pareti, lo specchio, il tavolo di legno della cucina sul quale era stato sistemato un vaso con i miei fiori preferiti, le rose blu, il divano nuovo nel salotto, la tv e la mensola piena di dvd, il letto matrimoniale della mia stanza, lo stereo e il parquet perfettamente pulito.

Vagavo di stanza in stanza come una possibile acquirente, ancora indecisa sulla scelta e che osserva tutto con attenzione maniacale, come se potesse dipenderne la sua vita.

Mi sedetti sul letto, lasciandomi cadere con la schiena sul materasso morbido. Erano tre settimane che non dormivo su un letto vero. 

Sospirai e mi dissi che, anche se tutto mi sembrava estraneo e poco familiare, presto sarebbe tornato alla normalità, avrebbe ricominciato a far parte della mia vita.

E così sarebbe stato anche con Tom e gli altri; doveva essere così, forse perché non volevo ammettere che ero cambiata, che quelle settimane mi avevano destabilizzata come poche cose nella mia vita, che avrei preferito fosse stato solo un brutto incubo, ma non la realtà, perché si sa, la realtà è più dura e fa male.

Lo squillo del telefono mi riportò alla realtà.

Voltai la testa e il cordless sul mio comodino risplendeva, la suoneria monotona che mi convinse a rispondere.

< Tutto bene, dolly? > Tom. Possibile le mie parole così brusche non l'avessero scalfito neanche un po'?

Sospirai.

< Sì, bene. > Mentii.

< E' normale che tu ti senta disorientata, ma fra qualche giorno sarà solo un brutto ricordo. > Sorrise, lo intuii dall'intonazione della sua voce.

Annuii, anche se lui non poteva vedermi.

< Hai bisogno di qualcosa? Vuoi che torni da te per farti compagnia? > Sentii un tramestio concitato e il rumore di qualcosa che cadeva.

< Che succede? Hai deciso di demolire casa? > Scherzai, mentre mi giungevano alle orecchie i suoi borbottii indistinti e le sue imprecazioni.

< Niente di grave, sono solo caduti un paio di libri. > E quasi lo vidi chinarsi per raccoglierli e gettarli alla rinfusa da qualche parte.

< Un paio? > A me erano sembrati molti di più.

< Ok, una mensola intera, contenta? > Sbuffò.

Risi, seppellendo il viso nel cuscino.

< Non puoi ridere delle disgrazie altrui, lo sai? E comunque, sicura che tu non voglia compagnia, almeno per questa notte? > Ritornò sull'argomento precedente.

Avevo voglia di stare da sola, ma forse Tom aveva ragione, non sarei riuscita ad affrontare un'intera notte da sola.

< Verresti a farmi compagnia? > Non era una proposta, quanto più una conferma delle sue intenzioni.

< Certo che verrei, dolly. > Avrebbe fatto qualsiasi cosa per me e me lo aveva dimostrato nei modi più disparati durante quelle tre settimane.

Rimasi qualche secondo in silenzio, riflettendo.

< Hai detto di avere delle mie foto, le porteresti? Voglio vederle. > Due album, per la precisione. Mia madre era convinta che mi avrebbero aiutata a rimettere insieme le tessere mancanti del puzzle.

< Certo! Dieci minuti e sono da te. > Agganciò ed io feci lo stesso, rimettendo il telefono al suo posto e lasciandomi cullare dal silenzio che mi aleggiava intorno, aspettando il suo arrivo.

Dieci minuti dopo avvertii il rombo familiare della sua auto e mi alzai per scendere al piano di sotto e aprire la porta.

Attesi che attraversasse il vialetto, poi, prima che avesse la possibilità di suonare, spalancai la porta, sorridendo.

< Ehi! > Sorrise anche lui, abbracciandomi e baciandomi una guancia, sventolandomi, l'istante successivo, i due album di fotografie sotto gli occhi.

Lo precedetti in salotto e lasciai che li poggiasse sul tavolino di fronte alla tv mentre si spogliava della giacca troppo leggera.

< Tua madre è venuta qui tutti i giorni, sai? Credo che la tua casa non sia mai stata così splendente. > Mi affiancò sul divano, osservandomi con curiosità.

Feci spallucce.

< Mi hanno detto che sono una persona ordinata. > Ribadii.

< E' così, ma tua madre non voleva che tornassi e dovessi occuparti anche della casa. > Spiegò gentile.

< E cosa dovrei fare secondo lei? > Chiesi sarcasticamente.

Dovevo occuparmi di me?

Trovare la forza per chiamare quello stupido analista che mi aveva consigliato?

< Tornare a fare quello che ti piace. > Fece spallucce, puntando lo sguardo sullo schermo spento dell'apparecchio di fronte a noi, indifferente.

< Io non so quello che mi piace. Non so niente. > Mormorai, torturandomi le mani e abbassando lo sguardo.

< Arlyn, non devi dire così! Hai recuperato tantissimo, lo sai anche tu! Ricorderai tutto, ma devi avere pazienza. > Sentii una sua mano posarsi sul mio capo e cominciare ad accarezzarmi i capelli con dolcezza, impedendomi di piangere.

Tom era l'unica persona sulla quale potessi davvero contare.

Non avrebbe fatto domande e non mi avrebbe giudicata; mi sarebbe rimasto accanto in silenzio, cosa che i miei genitori non sarebbero stati in grado di fare.

< Vorrei fosse più semplice, vorrei accendere la tv, inserire un dvd della mia vita fino ad ora e vederlo e rivederlo fino a quando non mi sentirò pronta per dire che, sì, quella è proprio la mia vita. > Sussurrai, avvertendo la mia voce tremare per le lacrime che faticavo a trattenere.

< Sei stata bravissima, dolly, non devi scoraggiarti. Si sistemerà tutto. > Mi trasse a sé, contro il suo petto, abbracciandomi.

Avrei voluto ricordare di più su di lui, su quelli che erano stati i miei amici, su Jeremy e sulla mia famiglia.

< Perché mi chiamate tutti dolly? > Gli domandai, rifiutandomi di allontanarsi dalle sue braccia calde.

< E' il tuo soprannome fin da bambina. Quando sei nata io avevo due anni e tu eri dannatamente perfetta, anche se non facevi che piangere. Eri come una piccola bambola di porcellana, delicata, fragile, ma perfetta. > Mi spiegò con un sorriso, asciugandomi le lacrime.

Ricambiai, tirando su col naso.

< Allora, vuoi vederle le foto? > Non mi diede neanche il tempo di rispondere, che si era già allungato verso il tavolino per recuperare il primo album.

Mi sistemai meglio contro e osservai la carta opaca della copertina, quella che copriva le prime due foto.

Vi erano immortalati tre bambini: uno, quello più a sinistra, era sicuramente Tom e lo capivo dal colore dei capelli e dagli occhi azzurri intensi, leggermente chiusi per via del sole; quella al centro ero io, ma non perché mi riconoscessi-avevo rimosso i ricordi-semplicemente perché era così logico, che non poteva essere altrimenti; quello sulla destra, invece, aveva i capelli biondi, tagliati a caschetto e due occhi azzurro chiaro, ma non seppi dire chi fosse.

Eravamo abbracciati, io con le braccia sulla spalla di ciascuno di loro e sorridevamo all'obiettivo. Sembravamo felici.

< Lui chi è? > Chiesi, indicando il bambino biondo.

Avvertii lo sguardo di Tom perforarmi, ma non mi voltai. Ero abituata alle espressioni degli altri quando dicevo di non ricordarmi di loro, per cui non c'era bisogno che lo osservassi.

< Lui è Rob, il bambino dispettoso che ti tirava sempre i capelli. > Rispose con un sorriso nostalgico e non saprei dire se dovuto a quel Rob, oppure al fatto che non mi ricordassi chi fosse.

< Non me lo ricordo. E' un mio amico adesso? > Cambiai pagina e ritrovai una piccola me di fronte ad un'enorme torta di compleanno.

< Sì... beh, in realtà... ecco, sì, è un tuo amico... > Tentennò, arrossendo.

< Perché quel tono? Abbiamo litigato? > Impossibile non notare l'inflessione che aveva dato alla parola amico, quasi fosse qualcosa di superlativo.

< No! Non che io sappia, almeno, ma... beh, insomma, non so come dirtelo, ma voi... > Si interruppe perché gli squillò il cellulare e dovette estrarlo dalla tasca dei jeans, sciogliendo il nostro abbraccio e scusandosi.

Mentre lui lasciava la stanza per rispondere con tranquillità, voltai un'altra pagina dell'album e questa volta, nella foto, c'eravamo solo io e Rob; lui sul punto di piangere ed io comodamente seduta sull'altalena.

Perché non riuscivo a ricordare?

Chiusi gli occhi, imponendomi la calma e massaggiandomi le tempie con le dita per non rischiare un crollo nervoso.

Avrei ricordato. Lo dicevano tutti, anche i dottori.

Con un po' di pazienza e tanta volontà sarei riuscita a ricostruire i ricordi, gli eventi e a riconoscere i volti delle persone di cui adesso ignoravo anche il nome.

Tom ritornò dopo qualche minuto, sorridendomi e affiancandomi nuovamente, permettendomi di riprendere la posizione precedente.

< Hai fame? > Mi domandò premuroso, cambiando argomento.

Annuii e, chiudendo l'album di foto, lo accompagnai in cucina per preparare dei tramezzini.

< Chi era a telefono? > Mi informai, rovistando nei cassetti e trovando finalmente il pacco di pan carré.

< Jeremy. > Aprì il frigo, rovistando con gli occhi ogni ripiano ed estraendo, alla fine, una scatoletta di tonno e un boccaccio di maionese.

Sospirai.

< Voleva ancora insultarmi? > Sbottai velenosa, tagliando il pane a metà e disponendolo su due piatti diversi.

< Sai che non era sua intenzione, è stato solo troppo precipitoso, si è lasciato prendere dalla rabbia e dal senso di colpa... > Non lo lasciai finire.

< Certo, senso di colpa! E' colpa sua se adesso ho perso la memoria, è colpa sua se non ricordo nemmeno dov'è il cassetto delle posate e lui, alla prima occasione, pensa bene di insultarmi e di convincermi che in realtà è stata tutta colpa mia! > Sentii le guance avvampare dalla rabbia.

Mi guardò, afflitto e spaesato.

< Non si è comportato bene con te, è vero. Vuole solo cercare di rimediare. > Jeremy era suo amico e non mi infastidiva che prendesse le sue difese, era normale.

< Allora cercasse di starmi alla larga. > Borbottai, spalmando la maionese con cura.

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Capitolo 3
*** Answers ***


Eccomi!

Sì, sono ancora io, lo so, vi ho stancato, sì, davvero, me ne rendo conto, ma prometto di non tediarvi, visto che ho già detto tutto nell'altra Ff xD

Allora... che dire... diciamo che qui cominciamo a mettere in ordine un po' di tessere, ma tutto sarà completamente chiaro tra il 3° e il 4° capitolo, abbiate fiducia ^^

Ringrazio chi ha commentato, letto, aggiunto tra le preferite/seguite/da ricordare *.* <3

Vi lascio al capitolo ^^

 

Buona lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

Avevo freddo.

Sentivo qualcosa di caldo colarmi giù lungo la guancia e avevo gli occhi sbarrati dalla paura.

Tremavo e non riuscivo a muovermi.

Avevo una gamba incastrata e la cintura di sicurezza sembrava volesse strangolarmi.

Non potevo essere morta, però.

Percepivo odore di bruciato intorno a me e l'aria fredda della sera sul viso.

Nevicava.

Provai a parlare, ma senza risultati; avevo la gola secca e mi faceva male la testa.

Poi sentii le sirene.

Ambulanza? Polizia?

Sentii delle portiere sbattere e passi di uomini concitati sull'asfalto, a qualche metro da me.

Qualcuno si era chinato alla mia altezza e mi aveva posato due dita sul collo, forse, cercando di capire se potessi essere ancora viva, ed io cercai di spostare lo sguardo sul suo viso.

< E' ancora viva! > Urlò, ma un braccio lo scostò in modo brusco.

< Fammi vedere. > Un'altra voce e altre dita che si erano posate sul mio collo, alla ricerca del battito cardiaco.

< Chiama Florence e digli di venire qui. Ha una gamba incastrata tra le lamiere e sta perdendo molto sangue. > Urlò, ma ebbi come l'impressione che ci fosse troppo frastuono perché qualcuno potesse sentirlo.

< Sta' calma, andrà tutto bene, vedrai. > Mormorò, accennando un sorriso, ma io riuscivo a leggere i suoi occhi e sapevo che stava mentendo.

Mi liberarono ed ogni movimento era per me una tortura che mi faceva mugolare di dolore.

Chiusi gli occhi quando entrai in ambulanza.

 

Mi svegliai di soprassalto, scostando le coperte, un velo di sudore che mi fece rabbrividire.

< Che succede, dolly? > Mugugnò Tom alla mia destra, stropicciandosi un occhio come un bambino.

< Niente, un incubo. Torna a dormire. > Spostai le gambe e cercai le pantofole.

< Vuoi aiuto? > Domandò ancora, cercando di inquadrare il mio profilo nel buio fitto.

< No, vado a rinfrescarmi, farò in fretta. > Risposi veloce. Non desideravo altro che allontanarmi da quella stanza.

Non era la prima volta che sognavo l'incidente e non era la prima volta che mi svegliavo spaventata.

In ospedale le infermiere erano costrette a svegliarmi perché urlavo senza rendermene conto, svegliando gli altri pazienti.

Ma per loro era semplice risolvere il problema: qualche goccia di tranquillante in più e avrei dormito come un angioletto per tutta la notte.

La mattina, però, le immagini si sovrapponevano, creando un collage drammatico e spaventoso che mi rendevano nervosa e irrequieta. Riuscivo a calmarmi solo quando venivano a trovarmi i miei genitori, o Tom.

Mi sciacquai il viso due volte con l'acqua fredda, osservando il mio riflesso allo specchio.

Avevo gli stessi capelli castani, gli stessi occhi azzurri e gli stessi lineamenti di qualche settimana prima.

L'anormalità non era fuori, ma dentro di me, nella mia testa.

Presi un bel respiro e ritornai in camera, trovando un Tom sveglio ad attendermi.

< Stai bene? > Mi chiese, mentre io mi intrufolavo nuovamente sotto le lenzuola, stringendomi a lui, sperando così di dimenticare tutto.

Annuii.

< E' stato solo un brutto sogno, tutto qui. > Sussurrai.

< Ti va di parlarne? > Mi accarezzò dolcemente i capelli e sentii un forte senso di nostalgia invadermi.

Non sapevo spiegarmi il perché, ma era come se non ci fosse dovuto essere Tom lì, ma qualcun altro, qualcuno che avrebbe compreso meglio come mi sentivo.

< Niente di nuovo. Il solito incubo di settimane fa. > Sapeva di cosa parlavo, infatti percepii la sua stretta farsi più forte intorno a me, come a volermi mantenere integra, anche se io credevo di essere rotta, ormai, senza possibilità di tornare come prima.

< Passeranno, vedrai. > Mormorò mentre chiudevo gli occhi e fingevo di poterci credere ad una possibilità simile.

Quella mattina mi svegliò Tom, dicendomi di aver preparato la colazione e scusandosi del fatto che doveva scappare perché aveva promesso un qualcosa di indefinito ad un amico.

Lo ringraziai per essere stato con me e per avermi fatto compagnia e lo lasciai andare con la promessa che l'avrei sicuramente telefonato più tardi.

Mi alzai, ancora piena di sonno, e scesi le scale controvoglia, annusando l'odore di caffè e brioche calde.

Mentre aggiungevo due cucchiaini di zucchero nella tazza che Tom mi aveva preparato, avvertii un'altra di quelle fitte nostalgiche che mi lasciarono perplessa.

Era un qualcosa che sembrava aggrappartisi al cuore e tirare forte, come un promemoria, un campanello nella tua testa che suonava e ti avvertiva di qualcosa di importante, ma cosa?

Bevvi lentamente, cercando di associare il sapore del caffè zuccherato a qualcosa o qualcuno e la prima immagine che la mente mi inviò, fu quella del bambino biondo dagli occhi azzurri, Rob.

Non ricordavo il suo viso, eppure aveva qualcosa di familiare che non riuscivo a ricondurre con precisione.

Non avevo chiesto niente a nessuno della mia vita privata, nemmeno ai miei genitori che, sicuramente, dovevano conoscere dettagli che io ignoravo completamente, e tutto perché mi ostinavo a voler fare le cose da sola, a voler ricordare da sola.

Non si era meravigliato nessuno della mia scelta e dedussi che la mia testardaggine dovesse essere abbastanza famosa.

Ora, però, quelle domande, avrei desiderato averle fatte: vivevo con qualcuno? Cosa facevo di solito la sera, prima di andare a dormire? Qual era il mio piatto preferito? Avevo degli amici con cui uscire? Guidavo? Avevo un fidanzato?

Domande che, all'inizio, avevo relegato in un cassetto della mia memoria, dicendomi che non avevano importanza e che, con il tempo, sarebbero riaffiorate e avrei badato a loro quando tutto si sarebbe fatto più chiaro.

Erano trascorse tre settimane dall'incidente, due delle quali non ricordavo nulla.

Mi ero svegliata, come da un sogno, una mattina. Avevo aperto lentamente gli occhi, sbattuto le palpebre più e più volte perché i contorni delle cose erano sbiaditi, poi avevo mosso lentamente la testa, scoprendomi collegata ad una serie di macchinari che non avevo mai visto e circondata da altre persone addormentate come lo ero stata io fino a quel momento.

Non riuscivo a muovere le gambe, né tanto meno le braccia, che sembravano pesanti come macigni e mi faceva male la testa, come se avessi avuto una banda in testa che suonava a tutta forza con l'intento di distruggermi il cervello.

Un'infermiera, forse, si accorse che ero sveglia e chiamò immediatamente il medico di turno, perché dopo una manciata di secondi, era arrivato un uomo con una mascherina davanti alla bocca, una cuffia per i capelli e i guanti.

< Come si sente? > Mi chiese, puntandomi una luce fastidiosa negli occhi.

< B-b-bene. > Balbettai senza riconoscere la mia voce. < Mi fa male la testa. > Aggiunsi dopo un momento.

< E' normale, sono gli antidolorifici. Ricorda qualcosa dell'incidente? > Mi chiese, inarcando le sopracciglia.

< I-incidente? > Chiesi stupita.

< Signorina, lei ha avuto un incidente due settimane fa. E' in coma da allora. Non ricorda? > Scrisse qualcosa sulla mia cartella clinica e mi controllò la fasciatura alla gamba.

Scossi la testa.

< La trasferiamo in reparto e avvisiamo i suoi genitori, va bene? > Non risposi.

Un'infermiera mi aiutò a vestire un camice e mi resi conto solo in quell'istante che ero nuda e, anche se nessuno poteva vedermi-a parte l'infermiera-arrossii, ma non potevo muovermi e quindi non protestai.

Riconobbi mia madre non appena la vidi, così come mio padre. Per Tom ebbi qualche difficoltà: ricordavo il suo viso e i suoi occhi, ma non riuscivo a ricollegarvi un nome.

Fu gentile con me, mi tenne la mano e mi accarezzò i capelli, senza pretendere che potessi riconoscerlo nell'immediato.

Quando ricordai il suo nome e lo mormorai come a prenderne coscienza, lui era seduto accanto a me e mi stava leggendo un libro. Gli si illuminarono gli occhi e mi sorrise.

< Sono proprio io, dolly. > Disse, abbracciandomi goffamente, viste le mie condizioni.

Poi solo un susseguirsi monotono di giorni, alternati dalle visite dei miei genitori e di Tom, senza che i medici riuscissero a spiegarsi come mai non riuscivo a ricordare quasi nulla di me, se non i miei genitori e il mio amico.

Non lo sapevo nemmeno io, ma era così e non potevo farci niente.

Non c'era stato nessuno a cui chiedere di me, perché, anche se con i miei genitori potevo confidarmi, mi sembrava inappropriato chiedere di cose futili, quando c'era la mia salute a dovermi preoccupare.

Ora, invece, anelavo sapere.

Mi venne in mente, mentre lavavo le tazze della colazione, che, se vivevo con qualcuno, ammesso che questo qualcuno fosse assente per lavoro, e ammesso che avesse saputo delle mie condizioni, ma, temendo che io potessi non ricordarmi di lui, non avesse provato a mettersi in contatto con me, dovevo avere qualcosa di suo in casa, come, ad esempio, i vestiti.

Non avevo rovistato nell'armadio e per il pigiama non ce n'era stato bisogno, visto che l'avevo trovato sotto il cuscino, nella stessa posizione in cui, immaginai, dovevo averlo lasciato prima dell'incidente.

Finii di rassettare la cucina e corsi al piano di sopra, nella mia stanza, per controllare l'enorme armadio che occupava un'intera parete.

Nella prima anta c'erano solo coperte e lenzuola, ma niente che potesse ricondurmi ad un'altra presenza in casa.

Nella seconda, quelli che dovevano essere i miei vestiti, divisi per stagione e nei cassetti, la biancheria intima.

Se ero sola, perché una terza anta? A cosa mi sarebbe servita?

Ignorai la mia coscienza che mi stava blaterando cose senza senso a proposito di modelli standard delle aziende immobiliari, e mi avvicinai alle maniglie con timore e nervosismo.

Feci un respiro profondo e le aprii: altri vestiti, maschili indubbiamente.

Le richiusi velocemente, appoggiandomici contro, mentre il cuore batteva veloce nel mio petto e la testa girava.

Di chi erano quei vestiti? Possibile che non ricordassi di avere un fidanzato, di essere innamorata di qualcuno?

Controllai le lacrime e, tirando su col naso, riaprii l'armadio, osservando i jeans disposti ordinatamente sulle grucce, così come le camicie e le maglie, impilate.

Afferrai la manica di una camicia a quadri azzurra e la annusai: forse il profumo mi avrebbe aiutata a fornire un volto anche al possessore di quegli indumenti, ma doveva essere stata lavata da poco e mai vestita, perché profumava di ammorbidente.

Tutto sembrava immacolato: nessun odore riconoscibile, se non quello dell'ammorbidente.

Se vivevo davvero con qualcuno, dov'era? E perché non si era preoccupato per me e non mi era venuto a trovare in ospedale? Perché adesso che avevo più bisogno di lui non era con me?

Pensava fossi morta? Pensava che non mi sarei mai più svegliata? Nessuno l'aveva avvertito del mio incidente?

Decisi di chiamare Tom. Afferrai il mio cellulare e cercai in rubrica il suo nome, ma prima di arrivarci, fu un altro il nome sul quale mi soffermai.

Robert.

Rob.

Doveva essere lo stesso della foto.

Non sapevo in quali rapporti eravamo, ma se avessi provato a chiamarlo?

Indugiai con il dito sul tasto che avrebbe avviato la chiamata.

Dovevo rischiare?

Chiusi gli occhi e premetti il tasto, avvicinando l'aggeggio all'orecchio con mano tremante.

Quando rispose fu come una pugnalata al cuore.

< Arlyn? Sei tu? > Sembrava sorpreso di sentirmi e, allo stesso tempo, sollevato, come se fosse stato in pensiero per me.

La sua voce mi era familiare, sentivo di conoscerlo, ma non riuscii a dire niente, ancora scossa per la scoperta di quel qualcuno con cui vivevo, ma a cui non importava niente di me, e agganciai, il fiatone e le gambe molli.

Mi tremavano le mani, ma dovevo chiamare Tom.

Riaprii la rubrica e raggiunsi il suo nome, avviando la chiamata e sperando che rispondesse subito.

< Dolly! Piaciuta la colazione? > Non feci caso al suo tono allegro.

< Tom, di chi sono quei vestiti nell'armadio? > Anche la voce tremava.

< Sono i tuoi, dolly. Sono i tuoi vestiti. > Sembrava disorientato.

< Gli altri vestiti, Tom, non i miei. > Temevo sarei svenuta da un momento all'altro.

< Dolly... non sono la persona giusta per parlartene... tu non ricordi ancora molto e potresti aver bisogno di tempo per... > Ma non lo lasciai finire.

< Voglio sapere di chi sono quei vestiti. > Ero arrabbiata, volevo risposte.

< Sono di Robert, Arlyn. Quei vestiti sono di Robert. > Mi mancò il respiro e dovetti abbassarmi sulle ginocchia per non cadere.

< Arlyn, stai bene? > Continuò dopo qualche istante con voce incerta.

Singhiozzai e le lacrime rotolarono giù, lungo le mie guance, senza che potessi farci niente e senza che sapessi il perché.

< Ti raggiungo. > Lasciai cadere il telefono a terra, scossa e mi abbandonai con la schiena contro il muro, sperando potesse bastare a non farmi crollare.

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Capitolo 4
*** Help ***


Eccomi di nuovo!

Vedo che questa storia vi ha lasciato molti dubbi xD beh, come promesso, il 3° sarà un capitolo chiarificatore, come il 4°, perciò, non temete, verrete soddisfatte su tutti i vostri quesiti ^^

Ringrazio chi ha commentato, chi ha letto, chi ha inserito tra le preferite/da ricordare/seguite *.* vi adovvo! <3

Spero che il capitolo vi piaccia *.*

A venerdì!

 

Buona lettura! <3

 

 

 

 

 

 

Tom mi ritrovò nella stessa identica posizione. Fortuna che avevo lasciato che prendesse la copia delle chiavi di casa, in caso di emergenza, perché non avrei avuto la forza di alzarmi.

Si inginocchiò di fronte a me e mi prese il viso tra le mani per fare in modo che lo guardassi negli occhi.

Mi sentivo la testa vuota e le lacrime non ne volevano sapere di smetterla di scendere.

< Ne vuoi parlare? > Mi chiese comprensivo, attirandomi a sé per abbracciarmi.

Fui rinfrancata da quel contatto e mi aggrappai a lui con tutte le mie forze, scuotendo la testa. Non volevo parlarne, ma ne sentivo il bisogno, così, seppur tra le lacrime e i singhiozzi gli dissi che gli avevo telefonato, ricordandomi che poteva essere lui il bambino della foto della sera prima, e che avevo messo giù come una codarda, perché al suono della sua voce le gambe mi erano diventate molli e avevo sentito una fitta dolorosa al cuore.

< Mi spiace non avertene parlato prima, ma sei ancora così fragile che ho temuto non ti sarebbe stata di nessun aiuto una notizia del genere. > Si scusò, accarezzandomi i capelli, mentre i miei singhiozzi andavano scemando.

Lo capivo, in fondo: a momenti avrei avuto dubbi anche sulla mia identità, come avrei potuto ricordarmi di un fidanzato?

< Perché non mi ha cercata in queste settimane? Non era qui... > Forse non era più il mio ragazzo, forse ci eravamo lasciati.

< E'... complicato, Arlyn. > Sospirò, abbassando lo sguardo ed io mi allontanai da lui per guardarlo meglio in volto. < Voi dovevate sposarvi, ma lui ti aveva detto di amare un'altra, una sua collega, e tu eri andata su tutte le furie, cacciandolo di casa. Hai preso la macchina, quella sera e Jeremy ti ha seguita perché temeva potessi fare una pazzia, ma poi lui ha perso il controllo della vettura, sbandando e ti è finito contro. > Mormorò, distrutto, quasi il mio dolore fosse anche il suo.

Perché la mia mente non collaborava, perché non potevo essere sicura di niente?

< Noi dovevamo... sposarci? > Fu l'ennesima pugnalata. Avevo appena scoperto di avere un fidanzato ed ora l'avevo perso di nuovo. Forse non era un caso che mi fossi dimenticata di lui.

Lo vidi annuire mesto.

< Quindi lui sta con un'altra, adesso? > Tirai su col naso, convincendomi del fatto che forse non aveva paura che potessi essermi dimenticata di lui, ma semplicemente che avrei potuto ucciderlo se solo l'avessi visto.

Annuì di nuovo.

Eppure a telefono sembrava contento di sentirmi. Beh, certo, avermi lasciata non voleva certo dire che desiderava anche la mia morte.

< Perché ho ancora i suoi vestiti qui, allora? > Domandai.

< Mi disse che sarebbe venuto a riprenderseli in un momento in cui tu non eri in casa, ma poi, con la storia dell'incidente e il resto... gli è sembrato indelicato portarsi via tutto... > Mi spiegò con un pigolio appena udibile.

< Forse non avrei avuto una crisi se quella parte dell'armadio fosse stata vuota... > Riflettei ad alta voce, facendo spallucce.

Sospirai e in quel preciso istante il cellulare squillò, vibrando sul pavimento.

Allungai una mano per afferrarlo e il nome di colui con cui, solo pochi minuti prima, avevo fatto la figura della codarda, lampeggiò davanti ai miei occhi.

Robert.

< Non rispondi? > Mi domandò Tom. Doveva aver indovinato di chi si trattava.

< Cosa dovrei dirgli? Sì, sono stata io a chiamarti prima, mi spiace, ma solo ora mi hanno ricordato che io e te non stiamo insieme e che, probabilmente, prima dell'incidente che mi ha cancellato la memoria, non avrei più voluto avere niente a che fare con te. Addio. > Sbottai sarcasticamente.

< E' preoccupato per te, come tutti. > Mi fece presente e realizzai che doveva essere così, altrimenti non avrebbe provato a richiamarmi.

Risposi, aprendo lo sportellino del mio cellulare.

< Arlyn, sei tu? > Chiese, visto che io non avevo proferito parola.

< Sì, sono io... > Mormorai con poca convinzione, mentre Tom si alzava e con un sorriso si allontanava, permettendomi di parlare in tutta tranquillità.

< Dio, sono stato così in pensiero per te! Come stai? > Sospirò ed io con lui. Non ricordavo neanche la sua faccia.

< Male. > Ed era la verità. Quando perdi la memoria è così, non potresti stare diversamente.

< Tu non... non ti ricordi di me, vero? > Sembrava deluso.

< Non ricordo tante cose. > Mi pettinai i capelli all'indietro con una mano in un gesto esasperato.

< Quindi nessuno ti ha detto che noi... > Lo fermai, più per l'imbarazzo che per altro. Non volevo si sentisse in difficoltà.

< Tom mi ha raccontato tutto. > Ammisi, giocherellando con i nastrini del mio pigiama.

Sospirò di nuovo.

< E'... piuttosto imbarazzante per me, a dir la verità... insomma, avrei voluto... > Sentire la sua voce era come bere uno sciroppo alla menta quando ti bruciava la gola. All'inizio avvertivi solo il sapore aspro, poi, con il tempo, ti rendevi conto dei benefici.

< Non devi giustificarti, non è stata colpa tua. > Tentai di rincuorarlo. Ero stata io a prendere la macchina quella sera e, anche se avevo litigato con lui, questo non giustificava certo la sua implicazione nei fatti.

< Mi dispiace molto per quello che è successo, Arlyn, davvero e quello che è successo tra noi non minimizza il mio rammarico. > Era sincero e non seppi neanche come feci a dirlo. Erano solo parole, frasi di circostanza che avrebbe potuto pronunciare chiunque.

Non risposi, perché le lacrime erano tornate ad appannarmi la vista. Singhiozzai.

< Shh! Non piangere, Arlyn, sei più bella quando sorridi, lo sai? > Avrei voluto rispondergli che, evidentemente, non lo ero abbastanza per lui, visto che mi aveva lasciata per scappare con un'altra, ma non ne avevo la forza, perciò continuai a singhiozzare e ad ascoltare i suoi goffi tentativi di consolarmi.

< Potevi... potevi venire a trovarmi, sai? > Sbottai alla fine, piena di risentimento. Davvero non gli importava niente di me. Tom era venuto a trovarmi tutti i giorni, anche se sapeva benissimo che non mi ricordavo di lui.

< Pensavo non avresti gradito la mia presenza... > Si giustificò in un sussurro che faticai a comprendere.

< Potevi risparmiarti anche la chiamata, allora! La tua nuova conquista ti permette di telefonarmi? > Ero delusa. Nessuno si sarebbe comportato così. Se eravamo davvero stati ad un passo dallo sposarci, significava che credevo in lui e nei suoi sentimenti, ed anche se aveva deciso di abbandonarmi al mio destino perché innamorato di un'altra persona, non poteva aver rimosso tutto quello che aveva sentito per me, come se non fosse stata altro che una stupida storiella estiva!

< Beh, lei... lei non sa che ti sto chiamando. > Mi venne da piangere ancora più forte e Tom, allarmato, entrò nella stanza, sottraendomi il telefono e dichiarando al suo amico che l'avrebbe telefonato più tardi.

Mi sollevò in braccio come una bambina e mi depositò sul letto, sedendosi accanto a me e stringendomi la mano, senza parlare.

< Perché ci sto così male, Tom? > Mi asciugai gli occhi con il dorso della mano, tentando di trattenere i singhiozzi.

< Puoi esserti dimenticata il suo volto, ma i sentimenti non sono così semplici da buttar via. Il cuore ricorda quello che hai provato per lui e che, probabilmente, provi ancora. > Sorrise, accarezzandomi una guancia e riordinandomi i capelli dietro l'orecchio.

< Fa male, Tom, molto più male del non ricordare nulla. > Sospirai, perdendomi nel suo sguardo profondo.

< Passerà, come tutto il resto. Passerà. > Si avvicinò per baciarmi la fronte, ma io, invece di farlo allontanare, strinsi le braccia intorno al suo busto, abbracciandolo stretto ed inspirando il suo profumo dolce, capace di rilassarmi.

< La mia piccola dolly. > Mi mormorò in un orecchio, accarezzandomi i capelli ed io, istintivamente, sorrisi.

Cos'avrei fatto senza di lui?

 

Secondo Tom il miglior metodo per allontanare i brutti pensieri era, testuale, scolarsi due o tre birre e rimpinzarsi di hamburger fino a scoppiare. Mi aveva teso una bottiglia, raccontandomi di quando mi ero ubriacata con loro in un locale e Robert era stato costretto a trascinarmi di peso fino alla macchina, perché avevo cominciato a provarci con tutti i ragazzi del posto, cosa che mi aveva convinta a metterla da parte.

Non volevo finire per ubriacarmi e fare qualche sciocchezza. Cos'altro avrei potuto dimenticare, d'altronde?

< E' successo solo una volta, dolly! > Prese la bottiglia e me la passò nuovamente, ma io scossi la testa e afferrai un hamburger.

Robert aveva telefonato ancora: tre volte, per la precisione, ma io non avevo voluto saperne di rispondere, né tanto meno Tom.

< Fa ancora così male? > Mi chiese e, ovviamente, si riferiva al mio cuore.

Annuii, ma non lo guardai negli occhi, concentrandomi sullo schermo della tv su cui si susseguivano le immagini colorate di un cartone animato.

Non aveva senso, in fondo.

Non ricordavo neanche il suo volto, come poteva gettarmi in uno stato del genere il solo sentire la sua voce?

< Vuoi che lo chiami? Conoscendolo, si starà struggendo per i sensi di colpa. > Quasi sorrise, mentre io spalancavo gli occhi a quella proposta.

Cos'altro avrei potuto dirgli?

< Non ho niente da dirgli. > Risposi, masticando lentamente.

< Rob non è una cattiva persona, dolly. Ti vuole bene e ti ha amata. Sì, magari non nel modo giusto, sarebbe sicuramente stato più nobile se ti avesse detto la verità fin dall'inizio, ma tutti facciamo degli errori. Dovresti dargli una seconda possibilità. > Sentenziò, voltandosi per osservarmi.

Cominciai a sentirmi a disagio e la fame mi era passata. Mi sistemai meglio sul divano, incrociando le caviglie.

< Quale seconda possibilità, Tom? Sono io quella che si è dimenticata di lui. E poi... beh, lui mi ha tradita, non gl'importa di noi, né di me. Chiama perché deve farlo. > Non pensavo tutto quello che avevo detto, ma, in fondo, era la verità.

< Gl'importa, invece! Eri la cosa più importante per lui! > Avrebbe voluto scuotermi; prendermi per le spalle e farmi rinsavire, lo vidi dalla sua espressione contrita. Cercava di difenderlo, ma io non lo stavo accusando. Come potevo avercela con lui se non ricordavo gli anni trascorsi insieme, le delusioni, le gioie, niente?

< Non è più così. Stai cercando di difenderlo, lo capisco, ma io non pretendo niente da lui. Ci sto male perché ho scoperto troppo e troppo in fretta, ma non ho diritti su di lui: neanche lo ricordo! E se ama un'altra, pazienza, me ne farò una ragione, un giorno, quando ricorderò che cosa ha davvero rappresentato per me. > Spiegai, facendo spallucce.

< Non vuoi più parlargli? > Domandò a voce bassa, scusandosi con lo sguardo per essersi infervorato troppo.

Ci pensai su e poi sospirai.

< Non lo so, potrei complicare le cose. > Se lui era felice, perché dovevo intromettermi?

< O potresti sistemarle. > Suggerì con un sorriso.

< E come? > Sorrisi anch'io, ma per l'assurdità della cosa.

< Lui è la persona che ti è stata più vicina, potrebbe aiutarti a ricordare. > Afferrò un tovagliolo e si pulì le mani.

< Non voglio una fidanzata furiosa al seguito. > Cercai di scherzare.

< Non fareste niente di male, no? E poi, potete sempre tornare ad essere amici, come un tempo. > Bevve un sorso di birra ed estrasse il cellulare dalla tasca della felpa, controllando i messaggi.

< Cosa fai? > Gli chiesi quando lo vide scuotere la testa.

< Devo rispondere. E' la decima volta in un'ora che chiama. > Avviò la comunicazione l'istante successivo, mentre il mio cuore prendeva a battere furiosamente.

Bevvi un sorso di birra, nella vana speranza di calmarmi, e puntai lo sguardo su Tom.

Era concentrato ad ascoltare, immobile e, se non fosse stato per i suoi assensi mugugnati, avrei creduto fosse diventato di marmo.

< No, no, è qui. > Incrociò il mio sguardo ed io sobbalzai, mentre lui mi tendeva il telefono.

< Non voglio parlargli. > Borbottai sottovoce per non farmi sentire.

< Vuole solo scusarsi, non devi dirgli nulla, se non vuoi. > Sorrise, sussurrando ed io, poco convinta, afferrai l'aggeggio e me lo portai all'orecchio, mormorando un flebile pronto? 

< Arlyn! Senti, Dio! Lo so, sono un coglione e mi dispiace, non avrei voluto farti piangere e star male, è che... tu, insomma... > Parlò a raffica, tanto che a stento lo capii e poi si bloccò, incerto, aspettando, forse, che io dicessi qualcosa.

< N-non è colpa tua... > Balbettai sotto gli occhi di un Tom divertito.

< Sì che lo è! Lo è eccome! Avrei dovuto dirti tutto, fidarmi, e invece, codardo, ho aspettato l'ultimo minuto. Mi dispiace così tanto per quella sera, Arlyn! Continuo a pensarci e a ripetermi che se non ti avessi ferita in quel modo, tu non saresti mai... > Sospira, la voce affranta e spezzata di chi sta per piangere.

Rimasi in silenzio: cos'avrei potuto dire? Sapevo che non era colpa sua; in fondo, avevo deciso io di prendere la macchina e Jeremy aveva scelto di seguirmi per accertarsi che non volessi suicidarmi. Ognuno ha la responsabilità delle proprie scelte.

< Potrai mai perdonarmi? > Pigola, tirando su col naso.

< Credo di sì. Credo di averlo già fatto. > Rispondo e sorrido appena, anche se lui non può vedermi.

< D-davvero? Come puoi dirlo? Eri... eri così arrabbiata quella sera, Arlyn. > Sento dal suo tono di voce che è dispiaciuto, triste e vorrebbe fare di più, ma le cose sono andate così e non si possono cambiare.

< Tom mi ha detto che... che ti ho cacciato via da casa... > Abbasso lo sguardo perché mi vergogno. Sono stata davvero capace di chiudere la porta in faccia a qualcuno? A quanto pare sì.

< Non è solo quello. Eri... non ti ho mai vista così. > Sospirò, forse perché costava anche a lui essere sincero.

< Non ricordo niente di quello successo, ma non ha importanza. Io ti ho perdonato. > Ribadii convinta.

Tradimento o no, litigata o no, non era giusto che si sentisse in colpa per qualcosa che non aveva fatto.

< Accetteresti di vedermi? Se venissi lì... ti farebbe piacere? > Mi domandò ed io trattenni il respiro per qualche istante, non aspettandomi una richiesta del genere.

Pensavo che, visto che non era venuto a farmi visita in ospedale, non sarebbe stato disponibile a venire a trovarmi neanche adesso che ero a casa.

< Lo so che non ti ricordi di me, ma non importa, io mi ricordo di te e tanto basterà per tutti e due. > Aggiunse, forse intuendo che la mia esitazione fosse una questione pratica, perché, oggettivamente, di lui non ricordavo nulla, nemmeno il colore degli occhi.

< Immagino tu sappia dove trovarmi. Quando vuoi, ti aspetto. > Dissi alla fine.

Magari Tom aveva ragione: parlare con qualcuno che mi conosceva meglio di tutti, mi avrebbe aiutata.

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Capitolo 5
*** Lies ***


Salve!

Aggiorno anche qui ^^

Per chi non segue You tought you know me dico qui che io partirò per Londra per due settimane, ma cercherò di scrivere e di aggiornare, computer permettendo ^^

Ringrazio chi ha commentato, chi ha solo letto, chi ha inserito tra le preferite/seguite/da ricordare *.* Love youuuu! <3

 

 

Buona lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

Quando Tom se ne andò, dopo avermi estenuamente chiesto se fossi sicura circa il dormire da sola, buttai le bottiglie vuote di birra e il sacchetto che aveva contenuto gli hamburger e mi distesi sul divano, iniziando a cambiare canale senza neanche rendermi conto se quello che appariva sullo schermo mi interessasse o meno.

Ero nervosa e agitata.

Non mi ricordavo di lui, ma era pur sempre stato il mio fidanzato, il che implicava che avessimo condiviso tutto, non solo la casa.

Sarebbe stato imbarazzante?

A quale prezzo avrei ricordato? E se mi fossi ricordata tutto all'improvviso e ci fossi rimasta doppiamente male?

Sobbalzai quando sentii bussare alla porta.

Che fosse lui?

Mi alzai con il battito del cuore a mille e le gambe molli e mi avvicinai silenziosamente alla porta, avvicinandomi allo spioncino. Quello che vidi mi paralizzò: due paia di occhi azzurri, capelli castano chiaro scompigliati, labbra perfette e fisico asciutto e slanciato.

Poteva essere lui?

< Chi è? > Chiesi, evitando di fare brutte figure.

< Arlyn, sono Robert. > Lo vidi infilare le mani in tasca e guardarsi intorno nel porticato con fare casuale.

Aprii la porta lentamente, non preoccupandomi del mio aspetto e quando mi vide sorrise, gli occhi gli si illuminarono di gioia ed io ne rimasi inevitabilmente abbagliata, tanto che ricambiai il sorriso e mi feci da parte per farlo entrare.

< Sei... insomma, ti trovo bene. > Annuì, gesticolando con le mani e poi scompigliandosi i capelli, arrossendo.

< Grazie. > Avrei dovuto ricambiare, ma era la prima volta che lo vedevo dopo l'incidente e non ero sicura fosse rimasto uguale.

Gli feci strada verso il salotto e lui si liberò della giacca, accomodandosi accanto a me, che avevo preso a torturarmi le mani e a mordermi le labbra nell'attesa che lui dicesse qualcosa.

Come dovevo comportarmi?

< Ti ho disturbata? Stavi facendo qualcosa di interessante? > Domandò, osservandomi, anche se io non ebbi il coraggio di fare lo stesso.

Scossi la testa.

< No, niente di interessante. > Risposi.

Annuì e si voltò nuovamente verso la televisione, verso le immagini di un film western che non conoscevo.

< Riesci già a... stare da sola? La notte, intendo. > Apprezzavo il suo sforzo di voler fare conversazione, perché io non ne sarei stata capace.

Eravamo distanti e non solo perché ci dividevano trenta centimetri di spazio.

< Ieri mi ha fatto compagnia Tom. Questa è la prima notte che dormo da sola, non volevo costringerlo a farmi da baby-sitter. > Ammisi, anche se sapevo che Tom l'avrebbe fatto volentieri.

< Come stai? > Mi chiese di nuovo. Non so se si aspettasse una risposta diversa rispetto a quando me l'aveva chiesto quella mattina, ma io risposi nello stesso, identico modo.

< Vuoi parlarne? > Era gentile e anche se era imbarazzato, stava cercando di aiutarmi.

Feci spallucce.

< Non c'è molto da dire. Mi sento un grande punto interrogativo, una domanda senza risposta. > Risposi ed ero seria. Avevo un'identità, ma era come se non avessi niente: i miei ricordi, la mia vita... era svanito tutto senza che potessi ribellarmi per riprendermelo.

< Starai bene, vedrai. Sei sempre stata una ragazza forte. > Accennò un sorriso ed io sospirai, rannicchiandomi nella mia porzione di divano, con le gambe al petto e il mento sulle ginocchia, credendoci poco.

< Non lo so chi sono. > Mormorai.

Sentii un fruscio leggero e l'istante successivo ero circondata dalle sue braccia, dal suo calore e dal suo profumo.

< Avrei voluto fare di più per te. > Mi cullò, baciandomi i capelli ed io rimasi in silenzio, persa nel suono del suo cuore e nella sensazione di protezione che avvertivo.

Aveva annullato la distanza fisica in un battito di ciglia, quando prima sembrava non essere in grado nemmeno di sfiorarmi la mano.

< Hai deciso di lasciarmi, cosa avresti potuto fare? > Dissi e sentii i muscoli delle sue braccia irrigidirsi intorno a me.

< Non hai avuto quello che meritavi, Arlyn. > Dichiarò, gelido.

< La gente non ha mai quello che si merita. > Osservai e pensai alla mia vicina di letto in ospedale. Soffriva, ma aiutava tutti, quando poteva. Era morta pochi giorni prima della mia dimissione ed io avevo pianto, pensando a quanto fosse ingiusto e a quanti sarebbe mancata la sua solarità e la sua voglia di lottare.

< Tu potevi, sono stato io a negartelo. > Spiegò, accarezzandomi la schiena con dolcezza.

Mi rannicchiai contro il suo petto, chiudendo gli occhi e rendendomi conto che Tom aveva ragione quando diceva che Robert non era una persona cattiva, che aveva solo fatto degli errori, come tutti.

< Quello che è successo non è colpa tua. > Ripetei.

< Forse, ma non sopporto il fatto che io fossi lontano, a pensare a qualcun'altra, mentre tu hai rischiato di morire. > Gli tremò la voce e fui io a stringerlo più forte per evitare che piangesse.

Lui non era felice con me, chi ero io per potergli negare la felicità?

Tornava dal lavoro e sperava di vedere in me un'altra persona, come potevo biasimarlo per avermi lasciata, anche se ad un passo dal matrimonio?

Io, probabilmente, avrei fatto lo stesso.

< Devi perdonarti. All'amore non si comanda. > Parlavo a scatti e non sapevo se fosse la stanchezza o la sua vicinanza.

< Tu non capisci! > Mi scostò da sé con irruenza, facendomi riaprire gli occhi solo per guardarlo sorpresa. < Saresti potuta morire, Arlyn! Ed io non c'ero! Non ero a tenerti la mano, non ero in ospedale, non sono stato il primo a cui hai sorriso e non sono stato il primo a sentirti pronunciare il mio nome perché mi avevi riconosciuto. Non c'ero! > Quasi urlò e mentre la sua presa sulle mie spalle si allentava, vidi le lacrime bagnargli le guance e capii che stava soffrendo anche lui; forse in modo diverso, ma stava soffrendo, soffocato dai sensi di colpa.

Lo abbracciai perché lo vidi vulnerabile come un bambino, con lo sguardo basso e i singhiozzi che gli scuotevano il petto, le lacrime che non provava a trattenere.

< Shh! Sono qui ora. > Sussurrai, accarezzandogli i capelli corti della nuca e provando una fitta di malinconia a quel gesto. I suoi capelli erano soffici, da accarezzare e chissà quante volte avevo fatto lo stesso gesto, senza ricordarmelo.

Mi strinse, cercando di calmarsi, sistemandomi su di sé a cavalcioni perché potessi stare più comoda.

< Ci siamo persi, Arlyn. > Sospirò, solleticandomi con il suo respiro.

Era vero, ci eravamo persi e non conoscevamo la strada per tornare a casa, anche se le indicazioni erano semplici.

< Ci ritroveremo. > Ma non ero sicura fosse la verità. Avevo imparato, però, che mentire in questi casi era d'obbligo.

Mi strinse i fianchi e mi allontanò dalla sua spalla, anche se io rifiutai di allontanare la mano dai suoi capelli.

Sorrise, allontanandomi dal viso una ciocca di capelli sfuggita alla treccia e sistemandomela dietro un orecchio.

< Ti piaceva farlo anche prima, sai? > La sua espressione si addolcì.

< Cosa? > Chiesi, aggrottando le sopracciglia.

< Accarezzarmi i capelli. Lo facevi sempre. > Socchiuse gli occhi ed io, istintivamente, cominciai a torturarmi le labbra.

Si avvicinò piano, scrutandomi negli occhi, mentre non riuscivo a pensare ad altro che al suo viso troppo vicino.

Mi baciò una guancia con delicatezza, un solo istante prima di allontanarsi di nuovo.

Cosa mi aspettavo, che mi baciasse?

Arrossii, ritraendo la mano dai suoi capelli come se mi fossi bruciata, abbassando lo sguardo sulle sue mani, ancorate ancora ai miei fianchi.

< Che succede? Ho fatto qualcosa di sbagliato? > Tirò su col naso e cercò il mio sguardo.

Scossi la testa.

< Non vuoi che ti baci? Ti dà fastidio? > Domandò ancora, perplesso e preoccupato.

< Tu hai... una nuova fidanzata adesso e non è corretto nei suoi confronti... > Mugugnai in estremo imbarazzo.

< Non stiamo facendo niente di male, Arlyn, era solo un bacio sulla guancia. > Tentò di tranquillizzarmi, ma mi sembrava tutto sbagliato: la conversazione che avevamo appena avuto, i nostri abbracci, quel bacio e il nostro modo di essere prima così lontani e adesso così vicini.

< Sono confusa e non voglio complic- > Ma mi interruppe.

< Ok, ok, va tutto bene, d'accordo. > Mi sollevò, depositandomi accanto a lui e allontanandosi appena.

< Meglio? > Mi domandò con un sorriso.

Annuii anche se non era vero: mi mancava il suo calore.

< Devi essere stanca ed è tardissimo, è meglio che vada. > Guardò l'orologio e si alzò.

Lo seguii in corridoio e poi davanti alla porta.

< Posso tornare domani, se vuoi. > Una mano alla maniglia, attendeva solo una mia risposta.

< Sì, mi... farebbe piacere. > Riuscii a dire.

Aprì la porta ed una ventata di freddo mi colpì, facendomi rabbrividire. Lo vidi stringersi nella giacca e voltarsi verso di me prima di affrontare il porticato e gli scalini che lo avrebbero condotto alla sua macchina.

< Allora buonanotte, sogni d'oro. > Chiusi gli occhi quando avvertii il suo profumo farsi più intenso, segno che si era avvicinato, e sentii le sue labbra sfiorarmi la fronte in un gesto che avrei definito fraterno.

< 'Notte. > Risposi soltanto, osservando la sua figura allontanarsi nel buio.

 

Dormii male e riuscii a riposare davvero soltanto per un totale di due ore, ma, nel complesso, era un passo avanti.

Nelle ore di veglia avevo pensato al viso di Robert e a quelle sensazioni che avevo provato standogli così vicino.

Non sapevo cosa dovevo provare e non sapevo se era giusto.

Mi alzai, intontita e ancora soprappensiero, quando suonarono alla porta. Non mi preoccupai di vestirmi, convinta che fosse Tom, ma quando mi trovai di fronte Robert, non potei fare a meno di arrossire e spalancare gli occhi per la sorpresa.

Avevo indossato una sua camicia perché la trovavo decisamente più comoda del pigiama, arrotolandone le maniche troppo lunghe, ed ero rimasta in slip.

< Buongiorno. > Sembrava divertito.

< Credevo... pensavo fosse Tom... > Mi giustificai, anche se mi resi conto troppo tardi che poteva sembrare una cosa piuttosto ambigua. Perché avrei dovuto farmi vedere da Tom in intimo, che, in fondo era solo un amico, e non da lui, che era stato il mio fidanzato?

< Ti vesti sempre così quando deve venire lui? > Mi stava solo prendendo in giro, lo vedevo dai suoi occhi e dal suo sorriso, ma arrossii ancora di più ed ebbi voglia di sprofondare. Si sarebbe dovuta aprire una voragine lì, al centro del corridoio, ed inghiottirmi.

< Ehm... vado a... > Indicai il piano di sopra, muovendomi verso le scale.

< Ti sta bene, meglio che a me, comunque. > Guardò la camicia ed io rimasi imbambolata ad osservare il tessuto senza la forza di allontanarmi.

< Hai già fatto colazione? > Chiese, distraendomi e quando scossi la testa tirò fuori da dietro la schiena un sacchetto bianco che profumava di cioccolato e crema. Neanche mi ero accorta stesse nascondendo qualcosa.

< Erano i tuoi preferiti, così ho pensato che ti avrebbe fatto piacere. > Continuò a sorridere.

< Oh, sì... grazie! Se vuoi aspettarmi in cucina, vado a vestirmi e li mangiamo insieme. > Proposi incerta.

Annuì, dirigendosi verso destra, mentre io salivo le scale e mi richiudevo la porta della mia camera alle spalle.

Che incredibile figuraccia! Possibile non ne combinassi una giusta?

Infilai svelta un paio di jeans, mi disfai della camicia e indossai la prima maglia che tirai fuori dall'armadio.

Cercai di riprodurre la treccia perfetta che mi aveva fatto Tom il giorno prima, dopo essermi accuratamente pettinata, ma non ci riuscii, così lasciai perdere, affrettandomi a raggiungerlo in cucina prima che potesse pensare che avevo deciso di soffocarmi con il cuscino.

Nel frattempo aveva preparato il caffè e apparecchiato la tavola con tazze, cucchiai, cereali, i cornetti che aveva portato e che aveva disposto su di un piatto, la caraffa del caffè e del latte e lo zucchero.

< Non c'era bisogno... potevo pensarci io... > Gli feci notare, ma lui fece spallucce e mi invitò a sedermi.

< Neanche io ho ancora fatto colazione. > Rispose, riempiendomi la tazza di latte e caffè e porgendomi il piatto affinché prendessi un cornetto.

Rise appena, osservando i miei capelli.

< Cosa hai cercato di fare? > Era un treccia piuttosto informe, non potevo dargli torto, ma non era poi così orribile.

< Una treccia. > Sbuffai. < Ieri mi ha aiutata Tom, non ricordo più come si fa e mi aiuta a mantenere i capelli in ordine. > Continuai, soffiando via un ciuffo che mi era caduto davanti agli occhi.

Lo vidi alzarsi e fare il giro del tavolo per posizionarsi dietro di me e liberarmi i capelli dalla costrizione dell'elastico.

Sciolse con le dita la mia treccia spartana e sentii le sue mani delicate compiere gli stessi movimenti che aveva fatto Tom il giorno prima.

< Ecco. E' troppo stretta? > Mi domandò.

< No, no, va benissimo. Grazie. > Tornò a sedersi, continuando a mangiare.

< A volte aiuta avere due sorelle in casa. > Addentò il cornetto con gusto, mentre la crema gli sporcava le labbra. Sembrava un bambino.

< Tu hai due sorelle? > Chiesi curiosa.

Annuì.

< Elisabeth e Victoria. > Rispose. < Sono più grandi di me e Victoria ha due bellissime bambine. Le adoravi. > Continuò con gli occhi splendenti.

< Davvero? E' un peccato che non le ricordi. > Ammisi. I bambini mi piacevano. Quando avevo cominciato a camminare dopo il coma, girovagavo fino al reparto maternità e mi soffermavo ad osservare i bimbi nelle culle che dormivano e i loro genitori che li salutavano con affetto dal vetro divisorio.

< Non hanno fatto altro che chiedere di te in queste settimane. > Sorrisi e bevvi un sorso di latte e caffè.

< Senti, posso chiederti una cosa? > Domandai, mettendo da parte la tazza e pulendomi le mani dallo zucchero a velo con il tovagliolo.

< Certo, quello che vuoi. > Rispose.

< Io... lavoravo da qualche parte? Insomma, avevo un lavoro che mi piaceva? > Sentivo di non essere la classica ragazza che solo perché non ha avuto possibilità di studiare al College, rimaneva a casa a non far niente.

< Hai un negozio di libri ad Oxford Street e in più ti occupi di scrittori emergenti. Io ti ho conosciuta così. > Sembrava sorpreso del fatto che nessuno me ne avesse parlato.

< E chi la gestisce adesso? > M'informai.

< La tua migliore amica Alexa e Tom ogni tanto va a darle una mano. > Perché Tom non me l'aveva detto? E questa Alexa chi era?

< Sono un caso perso, non ricordo davvero nulla... > Borbottai afflitta.

< Io, Tom e i tuoi genitori siamo qui per questo, per aiutarti a ricordare, Arlyn. Non puoi farlo da sola. > Mi solleticò il dorso della mano con la sua, nel tentativo di consolarmi.

< I miei genitori non mi sono di grande aiuto, non hanno chiamato e non mi sono venuti a trovare e Tom sembra preferire nascondermi le cose. Poteva dirmi che lavoravo in una libreria, poteva invitarmi ad andare con lui. > Forse erano le ultime persone che potevo rimproverare, in fondo, Robert non aveva fatto molto altro. Sì, mi stava aiutando, ma non ci sarebbe stato per sempre e prima o poi si sarebbe stancato di starmi dietro e sarebbe tornato dalla sua nuova fiamma.

< Pensa solo che sia troppo presto, tutto qui. Non ha intenzione di tenerti all'oscuro di niente, credimi. > Sorrise ed io sospirai, decidendo di credergli.

Non mi aveva detto neanche dei vestiti di Robert nell'armadio perché era troppo presto, ma non aveva pensato che sarei potuta andare in confusione vedendo abiti di uno sconosciuto in casa mia?

Forse ero io a pretendere troppo, forse mi aspettavo più sostegno e non mi rendevo conto che quello era il massimo che potessero fare per me.

Robert cominciò a sparecchiare, lanciandomi un'occhiata di tanto in tanto, come se potessi fuggire o decidere di infilzarmi con la forchetta.

Non ci badai e attesi che lavasse le stoviglie e le asciugasse prima di mettermi in piedi e avvicinarmi a lui.

< Vuoi sapere qualcos'altro? > Domandò, asciugandosi le mani con lo strofinaccio e sorridendo.

< Non ne ho idea... come ci siamo conosciuti? > Aggrottai le sopracciglia. Era solo curiosità, non c'entrava con il rapporto che avevamo ristabilito.

< Te l'ho detto, in libreria. Ci sono passato per caso, un giorno, e ti ho vista. Ho comprato più libri durante quelle settimane che in un'intera adolescenza. > Rise ed io con lui.

< Solo per vedermi? > Mi sembrava assurdo.

< Solo per vederti. > Asserì. < E per trovare la forza di invitarti ad uscire. > Continuò, arrossendo.

< Suppongo tu ce l'abbia fatta, alla fine. > Sorrisi anch'io.

< Beh, con un po' di coraggio... > Ammise, arrossendo ancora.

Risi.

< Perché ridi? > Mi chiese, anche se, supposi, doveva averlo indovinato il perché.

< Non lo so, è irreale che tu abbia dovuto trovare il coraggio per invitare me. > Spiegai, quasi piegata in due.

< Solita vecchia storia... > Alzò gli occhi al cielo. < Tu sei bellissima, Arlyn, perché non vuoi convincertene? > Continuò spazientito.

Spalancai gli occhi.

Aveva detto sul serio che ero bellissima, o era solo il prodotto della mia mente distorta?

< Ok, e sentiamo, tu cos'è che faresti? > Le pubblicità dell'intimo maschile si addicevano al suo fisico.

< L'attore. > Disse quasi nascondendosi.

< Oh... wow e sei... famoso? > Perché si vergognava? Fare l'attore era una carriera artistica come essere pittore, musicista, scrittore ed era stimolante.

< Famoso? > Mi guardò come se fossi matta. < Se consideri che quasi la totalità del pianeta femminile ha intenzione di avere figli con me, sì, sono famoso. > Sorrise mesto.

< Come biasimarle... > Sussurrai, maledicendomi l'istante successivo, quando il mio cervello, insieme al mio unico neurone funzionante, elaborò quello che avevo appena detto.

Lui sorrise soltanto, scuotendo la testa ed io divenni color pomodoro maturo, perché cominciai a sentire caldo e freddo insieme.

Lo distrasse il suono del suo cellulare, che estrasse dalla tasca dei jeans e osservò con aria critica.

< Scusa, devo rispondere. > Mi lanciò un'occhiata prima di scomparire in corridoio.

Nel frattempo bevvi un sorso d'acqua, cercando di calmarmi.

Ma come mi era saltato in mente di dirgli una cosa del genere, ero forse impazzita?

Era un bel ragazzo, come negarlo, ed ero stata sfacciatamente fortunata ad essere stata la sua fidanzata, ma dovevo togliermi dalla testa l'idea che lui, per qualche strana e a me ignota ragione, potesse essere ancora interessato a me. Tom mi aveva detto che si era innamorato di una sua collega, quindi, con me, persona normale, non aveva più intenzione di mantenere un rapporto e, se stava cercando di farmi ritornare la memoria, lo stava facendo solo perché voleva avere la coscienza pulita, perciò dovevo smetterla di correre con la fantasia.

Appoggiai la schiena all'anta del frigorifero, sospirando.

< Certo che no, Kris! Ma cosa ti salta in mente? No! Te l'ho detto, sono a casa di un amico! > Doveva essere la sua fidanzata.

Sapevo che non era bello origliare le conversazioni altrui, ma non potei farne a meno.

Lo sentii sospirare di frustrazione.

< Torno presto, te lo prometto. Sì, ok. Ti amo anch'io. A dopo. > Continuò con più calma.

Finsi indifferenza quando rientrò in cucina, osservandomi.

< Allora, cosa ti va di fare? > Mi chiese gentile.

Non riuscivo a togliermi dalla testa il fatto che le avesse mentito, dicendole che era a casa di un amico e non a casa mia.

Magari questa Kris era gelosa, ma non avrebbe capito se lui le avesse spiegato la situazione? Non facevamo niente di male e a me non andava giù che lui passasse del tempo segreto con me, perché non era corretto.

Avrebbe potuto risparmiarsi il rammarico.

Aveva mentito a me prima di dirmi la verità e adesso mentiva anche a lei.

< Puoi andare, se vuoi, io voglio rimanere un po' da sola. > Dissi gelida e concisa, senza alzare lo sguardo.

< Vuoi che vada via?!? > Sembrava sorpreso e confuso.

Annuii.

< Avrai cose più importanti da fare che dar retta a me. > Lo giustificai. Era una persona importante, e le persone importanti hanno sempre da fare.

< In realtà sono in vacanza, quindi... > Tentò.

< Va' via. > Ripetei con gelida calma.

< Arlyn, che succede? > Si avvicinò di un passo e poi di un altro ancora.

< Va' via. > Continuai.

< Ho detto qualcosa di sbagliato? > Sentivo il suo profumo. Allungò la mano per sfiorarmi i capelli, ma io mi ritrassi.

< Vuoi dirmi che succede? Come posso aiutarti se ti rifiuti di spiegarmi? > Avanzò ancora.

< Non puoi aiutarmi, infatti. > Replicai.

< Voglio solo capire, Arlyn. Cos'ho fatto? > Intravidi la disperazione nei suoi occhi e lo smarrimento. Davvero non capiva?

< Non voglio tu debba raccontare bugie per venire a trovarmi. > Mi arresi.

< Kristen... beh, lei non capirebbe... > Si passò una mano tra i capelli, per niente sorpreso della mia affermazione.

< Capirebbe se tu gliene parlassi. > Sputai sarcastica.

< Non posso. Sai anche tu che non posso. > Strinse le mani a pugni lungo i fianchi, trattenendo la rabbia.

< No, non lo so, Robert! Hai mentito a me e adesso menti a lei! Non ti voglio vicino se il prezzo deve pagarlo qualcun altro, non posso farlo. Va' da lei. > Quasi urlai.

Rimase fermo, immobile come una statua.

< Va' da lei! > Urlai ancora più forte e solo allora quasi corse verso l'ingresso, afferrando la giacca e sparendo nel freddo, sbattendo la porta.

Mi lasciai scivolare lungo la parete fino a terra, il fiatone e la testa che pulsava.

Ero di nuovo sola, abbandonata come quella sera sul luogo dell'incidente, in attesa dei soccorsi, con la gamba che faceva male e gli occhi che cercavano di registrare il più possibile la realtà, perché poteva essere l'ultima cosa che avrei visto prima di sprofondare nel buio.

Ma adesso le sirene erano lontane, nessuno mi avrebbe salvata o rassicurata.

Ero sola con la mia memoria scomparsa.

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Capitolo 6
*** Liar, liar ***


Salve!

Sì, sono ancora io xD

Duuuuunque, nei prossimi capitoli succederanno un mucchio di nuove cose (positive o negative? chissà!) e pian piano Arlyn farà passi avanti nel ritrovamento della sua memoria.

Vi avviso che continuerete ad odiare Robert ancora per un bel po' xD *sì, lo so, me crudele* e ad amare Tom, obviously ù.ù e scoprirete nuovi personaggi *.*

Insomma, grandi novità in arrivo! ^^

Lascio a voi tutti i commenti, perché sinceramente sono a corto di parole <3

Ringrazio chi ha commentato, inserito tra i preferiti/seguiti/da ricordare, chi ha solo letto e chi ha atteso l'aggiornamento e mi ha maledetto un centinaio di volte xD

A giovedì!

 

 

Buona lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

Il telefono squillò ed io aprii gli occhi.

Mi ero addormentata senza neanche rendermene conto e ci misi qualche minuto a capire che mi trovavo ancora in cucina, che il telefono stava squillando e che Robert era andato via.

Mi alzai a fatica, reggendomi al muro con una mano, la schiena dolorante per via della posizione scomoda che avevo assunto.

Raggiunsi il telefono e senza neanche controllare chi fosse, risposi.

< Dolly! Tutto bene? > Tom.

< Sì, bene, meravigliosamente. > Mi accorsi del mio tono sarcastico con due minuti di ritardo per poter nasconderlo.

< Cosa è successo? > Domandò infatti. Doveva essere in strada, perché sentivo il rumore assordante dei clacson.

< Tom, lui... lui continua a mentire! Mente a Kristen, non le dice che è a casa mia ed io non posso sopportare che un'altra persona stia male, non ci riesco! Se quella sera sono uscita di casa e ho preso la macchina, è stato perché le sue bugie mi avevano ferita al pari di un coltello, ne sono certa. Come potrei sopportare che succeda lo stesso a qualcun'altra? > Scoppiai, non preoccupandomi del fatto che Tom non conosceva tutti i dettagli, non sapeva che Robert era venuto a casa mia la sera prima e che vi era ritornato l'indomani con la colazione.

< Dolly, va tutto bene, perché non fai un bel respiro e cerchi di raccontarmi tutto dall'inizio? > Feci quello che mi aveva suggerito, presi un bel respiro e cercai di concentrarmi per riordinare gli eventi.

Gli raccontai della sera prima, di come fossimo imbarazzati, ma di come lui aveva comunque cercato di stabilire un dialogo, di come mi avesse confessato che aveva sofferto quando aveva saputo del mio incidente e di come mi avesse abbracciata e di quanto io mi fossi sentita protetta tra le sue braccia e poi gli raccontai di quella mattina, della colazione, delle informazioni che gli avevo chiesto e della conversazione che avevo involontariamente origliato, di come l'avevo cacciato via, accusandolo di essere un bugiardo e di star prendendo in giro anche lei.

< Hai fatto quello che ritenevi giusto, dolly. Non devi fartene una colpa. > Commentò alla fine.

< Non so come comportarmi, Tom! Mi sembra di essere divisa tra qualcosa che non conosco e qualcosa che potrei conoscere, ma che mi fa terribilmente paura. Cosa devo fare? > Quasi piagnucolai, sedendomi sul divano dopo aver girovagato per ogni stanza.

< Quello devi scoprirlo, dolly, nessuno può dirtelo. Secondo me l'hai giudicato troppo in fretta. Ha detto che Kristen non avrebbe capito, e se fosse davvero così? Se le avesse raccontato quella bugia perché aveva già provato a raccontarle la verità, ma lei non aveva fatto altro che accusarlo? Ci hai pensato? > Mi suggerì. Quelle domande mi gettarono ancora di più nello sconforto. E se aveva ragione?

< Posso rannicchiarmi sotto le coperte e scomparire? > Domandai stupidamente.

< Ehi, dov'è l'Arlyn combattiva, quella che non scappava mai dai problemi e che non si faceva scoraggiare da nulla? > Sapevo che stava sorridendo.

< Probabilmente sono diventata un'altra. Forse mi hanno rapita gli alieni e mi hanno scambiata con una di loro, chissà. > Risposi triste.

< No, sei sempre la stessa, sei sempre tu, dolly, devi solo capirlo e accettarlo e lasciare che le cose accadano senza forzarle. > Facile per lui. Non doveva combattere con una memoria inesistente.

< Dove sei? > Gli chiesi per cambiare argomento.

< Sto andando a casa. Vuoi che passi da te? > Avrebbe mai smesso di preoccuparsi?

< No, no, sto bene, non preoccuparti, troverò qualcosa da fare. > Giocherellai con la treccia perfetta che mi aveva acconciato Robert, sentendo la mancanza delle sue mani e dei suoi occhi e del suo sorriso splendente.

< D'accordo, dolly. Non struggerti più del necessario, intesi? Si risolverà tutto. Ti voglio bene. > Sembrava la fine di una lettera dal fronte.

< Ti voglio bene anch'io, grazie. > Sospirai, mettendo fine alla comunicazione e riponendo il telefono sul ripiano accanto al divano prima di fissare il vuoto.

Perché era tutto così complicato? Sarei potuta rimanere un altro po' in coma, dormiente, incosciente ed insensibile a quello che mi succedeva intorno.

La vita era più complicata della morte, o del sonno. Nel sonno tutto sembrava semplice e lineare e, anche quando non lo era, non ti preoccupavi, perché nella dimensione del sogno, tutto è normale.

Nella vita la maggior parte delle cose non lo erano, ma dovevi conviverci comunque e cercare di andare avanti. Fingevi un sorriso e tutti avrebbero creduto tu stessi bene.

Mi alzai, avvicinandomi alla libreria alle spalle della tv, rovistando con gli occhi tra gli oggetti, i libri e la collezione di dvd, qualcosa che mi ricordasse me stessa.

Non ricordavo nessuna delle trame dei libri di cui stavo leggendo i titoli, né le scene dei film in dvd che possedevo.

Ero tornata bambina senza nemmeno rendermene conto: dovevo studiare di nuovo, leggere tutti i libri, vedere tutti i film.La mia vita non era mai stata così complicata, ne ero sicura.

Il telefono squillò di nuovo e un sospiro abbandonò le mie labbra quando risposi.

< Pronto? > Chiesi, continuando ad osservare i titoli dei libri.

< Tu sei Arlyn? > Una voce femminile che non conoscevo mi sorprese con questa domanda.

< Sì, sono io, perché? > Aggrottai le sopracciglia senza neanche rendermene conto.

< Tu sei la ragazza dalla quale Robert è venuto stamattina? > Ebbi un tuffo al cuore e poi la terribile consapevolezza che potesse essere la ragazza per la quale mi ero così preoccupata poche ore prima.

< Sì… ma tu chi sei? > Inutile chiederlo, la risposta mi sembrava fin troppo scontata.

< Sono la sua fidanzata, sgualdrina. > Aveva assunto un tono arrabbiato e deluso adesso e potevo comprenderla. Robert ci stava facendo del male.

< No, ascolta, senti, non è che come credi… Io e lui non abbiamo nessun tipo di rapporto… > Ma mi interruppe prima che potessi spiegare tutta la faccenda.

< Credi che non sappia che stava per sposarti quasi un mese fa? Credi che non sia al corrente del fatto che frequentava me quando entrava ancora nel tuo letto? E credi che non l’abbia odiato per tutte quelle stupide bugie? > Quasi urla e ho come l’impressione che stia trattenendo il pianto, ma resiste, perché è difficile mostrarsi deboli di fronte agli altri.

< Ascolta, lui sta solo cercando di aiutarmi, ok? Ho avuto un incidente e ho perso la memoria e lui è l’unica persona che mi conosce veramente, quindi sta solo cercando di essere gentile e di darmi una mano… > Mi fermò ancora una volta.

< Devi stare lontano da lui, hai capito? Ho lottato per la mia felicità e lui lo è, quindi non ti permetterò di portarmelo via, incidente o meno, memoria persa o meno, devi stargli lontana! > Sbraitò ed io ebbi voglia di piangere.

Possibile che dovesse essere sempre lui la causa dei miei malumori? Possibile che non fosse in grado, nemmeno per un istante, di agire in base a delle regole e non in base a quello che più gli andava di fare?

< Io… > Tentai senza speranza. Non mi avrebbe creduta, qualsiasi cosa avessi detto. Non stavo cercando di difendere Robert, stavo solo cercando di difendere me stessa e, per una volta, avevo intenzione di farlo bene.

< Lascialo in pace! > Attaccò dopo l’ennesimo urlo ed io mi trovai di fronte ad un telefono muto senza sapere cosa fare e cosa pensare di tutta quell’assurda situazione.

Chi mi avrebbe aiutata? Magari Robert non era così indispensabile come volevano farmi credere per il recupero dei miei ricordi, ma concordavo sul fatto che era la persona, dopo i miei genitori, che mi conoscesse più a fondo: abitavamo insieme e stavamo per sposarci. Mi conosceva meglio delle sue tasche, o forse no, ma un tempo mi aveva sicuramente amata, come mi aveva detto Tom, perciò aveva tentato di conoscermi meglio e aveva raccolto informazioni per fare colpo su di me, immaginai.

Ma aveva un’altra vita ormai, in cui io non ero inclusa, come non era incluso il fatto che avrebbe dovuto aiutarmi: non aveva doveri nei miei riguardi ed era quantomeno logico che la sua fidanzata fosse così terribilmente arrabbiata con me, anche se non mi conosceva.

Io, però, non conoscevo Robert. O meglio, lo conoscevo solo sotto il punto di vista negativo, a partire dal fatto che mi avesse mentito per così tanto tempo. Non conoscevo nulla della sua vita, non ricordavo nulla di lui: i suoi gusti, il suo cibo preferito, la sua città di nascita, la data del suo compleanno, la musica che ascoltava più spesso.

Abbandonai il telefono sul divano e mi diressi al piano di sopra con aria risoluta.

Fortuna che almeno la tecnologia mi era amica visto che non avevo dimenticato come utilizzare un cellulare o un computer. Evidentemente nella mia vita passata-come avevo cominciato a chiamare il tempo prima dell’incidente e della perdita della memoria-avevo avuto molto a che fare con aggeggi del genere, perché il mio cervello lavorava automaticamente e i miei arti di conseguenza.

Accesi il pc da tavolo sulla scrivania e attesi il caricamento del sistema battendo nervosamente un piede a terra per l’impazienza.

Il computer si connesse automaticamente ad Internet ed io aprii svelta il browser di ricerca, digitando il sito nell’apposita barra.

La pagina finì di caricarsi ed io tentennai un po’ sull’inserimento del parametro di ricerca, indecisa, anche perché mi faceva uno strano effetto. Non ebbi, tuttavia, nemmeno il tempo di digitare il nome completo che Robert Pattinson apparve tra i suggerimenti e non ci pensai due volte a cliccarvi sopra. Migliaia di risultati mi apparvero davanti agli occhi, ma quello che catturò la mia attenzione fu un articolo in cui si parlava di me, del mio incidente e di una dichiarazione che aveva lasciato durante un’intervista ad un’ importante rivista di gossip.

“A volte penso che nella vita non scegli cosa diventare o con chi stare. Certe cose accadono e basta e Arlyn è solo stata la più sfortunata in questo giro di giostra. Domani potrebbe capitare a me.”

La giornalista gli aveva chiesto cosa ne pensasse del mio incidente e se c’entrasse davvero la litigata di cui parlavano tutti e, anche se non c’era nessun riferimento preciso alle mie condizioni, al fatto che potesse essere venuto a trovarmi in ospedale, quelle frasi sembrarono avere l’intento preciso di scavarmi un tunnel nel cuore.

Per lui ero solo stata sfortunata, sarebbe potuto succedere a chiunque, anche a lui, ma io ero solo stata sfortunata. 

Non credo c’entri la sfortuna in questo genere di cose e forse nemmeno il destino. Tutto accade per un motivo, perché noi compiamo delle scelte e ne siamo responsabili, nel bene e nel male.

Era comprensibile che per lui fosse solo una questione di sorte. Era impegnato con un’altra persona, non aveva tempo nemmeno per una visita all’ospedale, ma mi chiedeva di poter entrare in casa mia e mi preparava la colazione; sembrava persino premuroso e poi la sua fidanzata scovava il mio numero e mi obbligava a lasciarli in pace.

In fondo, per loro, nessun problema: io ero solo una delle tante che soffriva, una tra le milioni di persone che morivano ogni giorno o che vivevano situazioni simili alla mia.

Tornai indietro e cliccai su una pagina che mi rimandò ad un sito di gossip in cui si descriveva l’atteggiamento di Robert nei confronti della sua nuova compagna Kristen Stewart e dei rapporti che manteneva ancora con me, la povera sposa abbandonata ad un passo dalle nozze.

A quanto pareva, qualche settimana prima, erano stati visti a cena insieme in un locale di Londra ed erano stati fotografati mentre si scambiavano un appassionato bacio prima di entrare nel taxi che li avrebbe condotti a casa.

C’era anche una mia foto, intagliata in un piccolo riquadro dai bordi gialli.

Abbandonai anche quella pagina e lessi le introduzioni agli altri articoli, cercando qualcosa che potesse attirare la mia attenzione.

Alcuni articoli erano piuttosto datati e riportavano anche una gallery fotografica a cui diedi un’occhiata per pura curiosità. C’era una foto di entrambi ad una première che aveva tutta l’aria di essere importante. Quasi non mi riconobbi: sfoggiavo un abito blu stretto in vita e intorno al seno, avevo i capelli raccolti e i miei occhi azzurri erano stati messi in risalto da un filo di matita. Sorridevo mentre lui mi guardava felice.

Chissà se anche allora nascondeva qualcosa.

Mi imposi di non pensarci e andai avanti, sorpassando le foto dei suoi servizi fotografici e gli scatti promozionali dei suoi film.

Altre foto in cui ero ritratta anch’io: mano nella mano ad Hyde Park, all’uscita di un locale, dalla vetrina di un ristorante, mentre salivamo in un taxi, mentre ci baciavamo abbracciati sul marciapiedi deserto.

Momenti di una quotidianità e di una vita che non ricordavo affatto e che non sapevo come giudicare.

Sembravamo così felici, eppure lui, ad un certo punto, aveva smesso di amarmi, si era stancato di me e non aveva perso tempo a trovare un rimpiazzo, forse molto più adeguato di me.

Che la colpa fosse mia o sua aveva poca importanza.

Chiusi tutte le finestre, osservando lo sfondo del desktop come se, solo guardandolo, avrei trovato risposta a tutto.

Perché doveva essere tutto così complicato? Quante volte me l’ero chiesta nelle ultime ore?

Il telefono squillò ancora, ma io mi limitai ad osservarlo senza muovere un muscolo per afferrare la cornetta e rispondere. Dopo circa dieci squilli si attivò la segreteria telefonica con la sua solita voce monotona.

< Arlyn, sono io, Robert. So che probabilmente non vorrai parlare con me e che non vorrai più vedermi e lo capisco, davvero, ma volevo solo dirti che se ho mentito a Kristen sui tuoi riguardi, non è stato perché avevo intenzione di commettere lo stesso errore che ho commesso con te, ma perché conosco Kristen e so che avrebbe tirato le conclusioni sbagliate, ancora una volta. So che sei in casa, perché non ne parliamo? Ho rischiato di perderti per colpa della mia stupidaggine e non voglio succeda ancora. Chiamami. > Il bip prolungato mi annunciò la fine del messaggio.

Conclusioni sbagliate. Kristen sapeva chi ero e sapeva quale legame avevo con Robert prima che subentrasse lei. Probabilmente se lei avesse avuto un ex fidanzato che, per sfortuna, fosse caduto in coma, si sarebbe comportata nella stessa maniera, avrebbe cercato di stargli vicino, anche se non c’era più un rapporto sereno, anche se probabilmente si poteva essere fraintesi. Perché non lo permetteva a Robert?

Mi rendevo conto di aver bisogno di lui e del suo sostegno, della sua voce, del suo profumo, della sua pelle morbida e calda e dei suoi capelli arruffati, così come del suo viso dalle mille espressioni buffe e del suo sorriso contagioso.

Era solo quello che c’era stato di noi a farmi parlare così?

Avrei potuto sollevare la cornetta e comporre il suo numero, ma a cosa sarebbe servito?

Avrebbe esposto le sue ragioni ed io magari gli avrei anche creduto, ma sarebbe cambiato qualcosa? Avrebbe risolto tutti i nostri problemi? Avrebbe fatto svanire la gelosia di Kristen?

Probabilmente no, o forse ero solo io ad essere diffidente.

Fatto sta’ che, anche se probabilmente non ne avrei ricavato altro che nuove lacrime, sollevai la cornetta e selezionai il suo messaggio per recuperare il suo numero.

Il telefono squillò cinque volte prima che qualcuno arrivasse a rispondere e quel qualcuno non era Robert, ma nemmeno Kristen: era un bambino di al massimo due anni.

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Capitolo 7
*** The story of my life ***


Salve!

Stavo tentando (invano, appunto -.-) di vedere il Comic Con live su Internet, ma con me i siti non collaborano mai, quindi, visto che Rob, Kris e company sono attesi per la fine della conferenza, ci ho rinunciato e ho deciso di aggiornare, che mi sembra molto più utile xD

Sono sorpresa per le recensioni che ho ricevuto e per tutti i commenti positivi *.* alla fine, questa Ff è nata quasi per caso e non pensavo potesse piacere così *.* *me gongola felice*

Ho letto che il bambino, nel finale di capitolo, ha causato qualche problema, con annesse macchinazioni, quindi mi scuso per avervi lasciate in sospeso, ma dovevo, altrimenti il capitolo sarebbe venuto lunghissimo e avreste finito di leggerlo a fine mese xD in cambio, però, ho aggiornato relativamente in fretta ^^

Piccola nota al capitolo: come avete tutte dedotto, anche la storia tra Kris e Rob non va a gonfie vele, ma questo non significa necessariamente che i due si lasceranno a breve, anzi, le paturnie devono ancora venire *sorry about that* xD

Ringrazio chi ha commentato, chi ha letto soltanto, chi ha inserito tra le preferite/seguite/da ricordare *.* mi date la forza di andare avanti, dico sul serio *.* <3

 

A sabato!

 

 

Buona lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

< Pronto? > Rispose con la sua vocina adorabile. Me lo figuravo biondo, con gli occhi azzurri e le guanciotte piene da riempire di baci.

< Ehm… sono Arlyn, c’è Robert? > Mi sentii una stupida, ma preferii non pensarci.

Non mi rispose, ma in compenso lo sentii gridare il nome di Bob e mi tranquillizzai, perché aveva recepito il messaggio.

Attesi in linea, mordendomi le labbra dal nervosismo e facendo girare la sedia, tentando di rilassarmi.

Era la sua voce.

< Sono Arlyn, ho ascoltato il tuo messaggio… > Trattenni il respiro fin quando non lo sentii sospirare di sollievo.

< Arlyn… giuro che è la verità. Non voglio prenderti in giro e non voglio prendere in giro Kristen, ma lei è fatta così, è gelosa e possessiva e… > Ma lo interruppi prima che potesse aggiungere altro.

< Mi ha chiamata. > Dissi seria.

< Aspetta, chi? > Domandò e lo vidi quasi indietreggiare per lo shock.

< Kristen. Mi ha chiamata e ha detto che devo lasciarti in pace, perché non ho più nessuna possibilità con te. > Spiegai fredda. Non seppi perché adottai quel tono distaccato; non so se fosse per farlo sentire in colpa, ma mi sentii stranamente soddisfatta quando percepii solo il suo respiro e nient’altro, segno che era rimasto senza parole.

< Senti, è… complicato. Stiamo cercando di risolvere alcune questioni e il tuo incidente ha sconvolto tutti, compreso me, ed io non sono in grado di spiegarle la situazione senza sentirmi un perfetto idiota, perché so che mi aggredirebbe, perciò… > Ma lo interruppi di nuovo.

< Risolvete le vostre questioni, io non ne faccio parte. Non devi spiegarle niente se non vuoi, ma non puoi neanche pretendere di poterti presentare da me con la blanda scusa che sei andato a trovare un amico. Io le bugie non le sopporto e se non puoi aiutarmi, pazienza, non farlo, ma non mentire. > Feci spallucce.

Non era propriamente quello che volevo, ma non potevo farci niente, le cose erano andate così e avevano preso una piega troppo difficile da spianare. Non era colpa di nessuno, in fondo.

< Ma io voglio aiutarti! Non voglio che lei mi precluda l’unica possibilità che ho per farmi perdonare! > Sbottò pieno di risentimento.

< Hai un dovere nei suoi confronti, Robert. Lei non vuole che tu mi veda ed è giusto rispettare le sue parole, magari io avrei fatto lo stesso, perché quale donna vorrebbe che il proprio uomo vada a fare il crocerossino con la propria ex? > Domanda retorica, nessuna.

< Tu non hai bisogno di assistenza, Arlyn, non si tratta di farti da crocerossino, si tratta di riuscire a farti ricordare e sono sicuro che gli anni che abbiamo trascorso insieme siano solo alcuni degli anni che hai bisogno di recuperare. Ti ho avuta davanti agli occhi per tantissimo tempo e ti conosco meglio di chiunque altro: ti ho vista sorridere, piangere, arrabbiarti, arrossire per una rosa rossa e imbarazzarti per una semplice domanda. Ti conosco, Arlyn, anche se tu pensi che non sia vero. Voglio che tu abbia un bel ricordo di me. > Spiegò chiaro e conciso. Aveva le idee chiare, ero io la persona confusa, al solito.

< Se è solo un ricordo quello che vuoi lasciarmi, grazie, ma rifiuto. Non ne ho bisogno e anche se adesso mi sembrano vitali, un giorno non lo saranno più, perché soffrirò e ho già sofferto abbastanza. > Non sapevo se capisse cosa intendevo.

< Qualunque cosa tu voglia, posso dartela, Arlyn. > Si sarebbe messo a piangere? Avrebbe interpretato lui la parte del più debole, ora?

< Non è vero, non puoi. Noi non stiamo più insieme e adesso che ho perso la memoria, tu per me non sei più di un conoscente. Non ti conosco. > L’avrei ferito e si sarebbe arreso. Con me, a quanto pareva, funzionava sempre.

< Ma io per te non sono stato solo un conoscente, sono stato molto di più! > Perché era così ostinato? Non poteva ritirarsi e basta? Non poteva accettare la sconfitta?

< Ora è diverso. > Risposi ovvia.

< Ed io posso cambiarlo il presente e ridarti il tuo passato, se me lo permetti, certo. > Supplicava quasi e se fosse stato in piedi di fronte a me, non ci sarebbe voluto molto perché mi si prostrasse ai piedi come un servo.

< Hai il tuo presente da vivere ed io appartengo al passato. Non dovresti preoccuparti per me. > Il cuore mi si bloccò in gola e feci fatica a deglutire, mentre le lacrime mi offuscavano la vista.

< Puoi far parte anche del mio presente e nessuno te lo negherebbe. > Non poteva farmi cambiare idea.

< Ti stancherai di nuovo di me. > Tirai su col naso.

< Non succederà. Tu permettimi solo di raccontarti una storia. > Mi contraddisse e quasi lo sentii accennare un sorriso.

< Le storie se non hanno un lieto fine non mi piacciono. > La nostra rientrava in questa categoria e non ero ancora pronta ad ascoltare.

< Questa ti piacerà, perché parla di te. > Il suo tono si addolcì ed io socchiusi gli occhi, sentendomi avvolta e protetta nel timbro rassicurante della sua voce leggermente rauca.

< Ma non sono un po’ cresciuta per queste cose? > Chiesi divertita.

< Te l’ho detto, questa non è una storia qualunque, è una storia che parla di te, per cui, in definitiva no, non sei troppo cresciuta per queste cose. > Rispose sorridente. Sapeva che era un il mio.

Rimasi in silenzio ad ascoltare il suo respiro.

< Vuoi che ti raggiunga? > Titubò, aspettandosi una risposta negativa.

< Sì, sono curiosa di ascoltarti. > Accordai. Mi avrebbe raggiunta in dieci minuti ed io, senza sapere ancora bene cosa aspettarmi, spensi il computer e scesi al piano di sotto, sedendomi sul divano e lasciando vagare i miei pensieri. Non riuscivo a concentrarmi su niente e ad ogni minimo rumore, una macchina che parcheggiava, un clacson, i passi di un vicino sulla ghiaia del giardino, mi facevano voltare la testa verso la finestra, nella speranza che fosse lui.

Non so quanto tempo passò, ma vidi un taxi fermarsi nel vialetto di casa mia e ancora prima che si aprisse la portiera seppi che era lui, quindi corsi alla porta e spiai dallo spioncino, in attesa che si avvicinasse per suonare il campanello.

Suonò due volte e attese con le mani in tasca, dondolandosi pigramente.

Dopo qualche istante mi ricomposi e aprii, sorridendogli leggera e facendogli spazio per entrare.

< Stai bene? > Mi domandò, inebriandomi con il suo profumo mentre si avvicinava per baciarmi una guancia.

< Sì, bene. > Annuii e per un solo istante desiderai più di quel semplice contatto, un abbraccio magari, qualcosa che mi permettesse di godere del suo calore più a lungo.

Si guardò intorno come in cerca di qualcosa.

< Cosa c’è? > Gli chiesi perplessa.

Lui fece spallucce e mi precedette nel salotto.

< Cosa stavi facendo? > Mi domandò, liberandosi del giaccone e prendendo posto.

< Ti aspettavo. > Era la verità.

< Non vuoi mangiare qualcosa? E’ ora di pranzo, ormai. > Mi fissò, cercando il mio sguardo.

< Il cibo è l’ultimo dei miei pensieri. > Altra verità.

< Sono un disastro in cucina, ma ricordo che i miei toast al formaggio ti piacevano molto. > Si alzò, dirigendosi in cucina e obbligandomi a seguirlo.

Senza nemmeno conoscere il motivo, avevo già l’acquolina in bocca.

< Puoi raccontare mentre cucini. > Proposi, sedendomi sul bancone da lavoro.

< Sei impaziente come una bambina. > E si voltò per sorridermi dolce, facendomi arrossire. Avevo voglia di stringermi a lui e di non lasciarlo più andar via.

Chiunque fosse questa Kristen, avrebbe fatto a meno di lui, perché adesso ne avevo molto più bisogno io.

< Cosa vuoi sapere? > Mi chiese, infilando due fette di pane morbido nel tostapane e recuperando il formaggio dal frigorifero.

< Ehm… hai detto di avermi conosciuta in libreria e poi di avermi chiesto il numero di telefono. Il nostro primo appuntamento? > Chissà se ero mai stata con un ragazzo prima di lui.

< Ricordo che era di mercoledì e ricordo di averti portato una rosa rossa. Abbiamo preso la metro come due adolescenti, perché non volevo che ci accompagnasse il mio autista, e siamo scesi a Trafalgar Square. Ci siamo seduti sui bordi della fontana e abbiamo parlato per ore. Quando ti ho riaccompagnata a casa era tardissimo. > Disse, poggiando le due fette di pane perfettamente dorate su di un piatto e spalmandole di burro.

< Niente bacio della buonanotte? > Scherzai, dondolando i piedi.

< Confesso di averci pensato, ma quando mi sono avvicinato tu mi hai dato un bacio sulla guancia e mi hai accarezzato i capelli, sorridendo meravigliosamente. > Arrossì appena e provai un moto di tenerezza nei suoi confronti.

< Cosa credi, che solo perché sei famoso ed hai uno stuolo di fan al seguito, chiunque debba cadere ai tuoi piedi? > Ironizzai e lui sorrise.

< A me piacciono le ragazze difficili, cosa credi? > Mi fece una linguaccia, inserendo altre due fette di pane nel tostapane.

Alzai le mani in segno di resa e lo lasciai continuare.

< Il primo bacio te l’ho strappato dopo due settimane. Stavamo tornando a casa, eravamo usciti con gli altri e noi ci eravamo un po’ distanziati dal gruppo per avere la nostra privacy. Avevi una ciglia sulla guancia ed io ho allungato la mano per toglierla; poi i miei occhi hanno incontrato le tue labbra e non ho resistito, ti ho baciata. > Non mi guardò mentre lo raccontava e supposi fosse perché era in imbarazzo. Lo sarei stata anch’io se avessi dovuto raccontare un’esperienza del genere a qualcuno che non ricordava assolutamente niente. Chissà che sapore avevano le sue labbra e se erano morbide così come sembravano da qui, da lontano. Chissà cosa avevo provato quando avevano sfiorato le mie.

< E quindi abbiamo cominciato ad essere una coppia… > Dissi pensosa, soppesando la cosa.

< Già. Eravamo innamorati come ragazzini e ci comportavamo come tali. > Scosse la testa, sorridendo e sistemando i toast su un secondo piatto. Prese due bicchieri e li riempì di aranciata, poggiandone uno accanto a me, insieme ad un piatto di toast che emanavano un odore delizioso.

< Sei venuto a vivere da me, quindi era una cosa davvero seria. > Aggiunsi, mentre il mio cuore perdeva un battito e la mia mano afferrava automaticamente un toast e se le portava alla bocca.

< E’ stata una cosa piuttosto naturale a dir la verità, andare a vivere insieme. Insomma, credo che nessuno di noi si sia alzato una mattina e abbia deciso di condividere l’appartamento con il proprio fidanzato; semplicemente è successo, è venuto spontaneo, come un bacio o una carezza. > Fece spallucce, posizionandosi di fronte a me e addentando i suoi toast dopo un sorso di aranciata.

Annuii, perché avevo capito quello che stava cercando di dirmi.

< E’ stata tua l’idea di sposarci? > Detta così sembrava quasi un’offesa, ma non sapevo in quali altri termini porre la domanda.

< L’iniziativa è partita da me, sì. > Sorrise. < Ti ho fatto una proposta in grande stile, con tanto di inginocchiamento e anello. > I suoi occhi diventarono lucidi, ma non ebbi il tempo di osservarli con attenzione, perché distolse lo sguardo, puntandolo sul pavimento.

< Posso chiederti come ti sei reso conto che con me non eri più felice? Voglio dire, ti sei innamorato di Kristen e hai deciso di intraprendere con lei una relazione clandestina; come sapevi che tra noi non avrebbe più potuto funzionare? > Ero solo curiosa. Magari tra di noi c’era qualcosa che non andava, qualche dissidio che non eravamo stati in grado di risolvere, qualche macigno che pesava ancora sulle nostre spalle.

Sospirò, mettendo da parte il piatto.

< Non so spiegarlo; so solo che io ero stato lontano per troppo tempo per girare un nuovo film e non ci sentivamo più così spesso per colpa dei miei orari; sentivo la tua mancanza e ti sentivo lontana, fredda e distaccata, come se non ti importasse ed io ho cercato rifugio in Kristen, sperando che potesse essere lei la soluzione. Non vado fiero di quello che ho fatto e non avrei mai pensato che sarei mai riuscito a tradire una persona alla quale ero così profondamente legato, eppure, è successo. > Tirò su col naso, ma non pianse e fu meglio così, perché l'avrei seguito a ruota.

Non comprendevo il suo comportamento e, meno che mai, lo approvavo, ma non riuscivo ad essere arrabbiata con lui, non riuscivo ad odiarlo. Forse era solo perché non ricordavo, perché la mia memoria prima dell’incidente era stata cancellata, o forse era come diceva Tom, i miei sentimenti per lui erano ancora troppo vividi per poter essere messi da parte ed ogni cosa che faceva mi faceva soffrire o piangere.

< Se potessi tornare indietro lo rifaresti? > Non volevo dicesse no perché ero stata io ad avergli posto questa domanda.

< Forse potrei innamorarmi di Kristen, ma non ti terrei mai nascosta la cosa. Se potessi tornare indietro, ti direi tutto e cercherei di capire se è solo una questione di lontananza e di incomprensioni, oppure è qualcosa di permanente. > Rispose ed era sincero perché glielo leggevo negli occhi.

< E di me, ti innamoreresti ancora di me? > Sapevo cosa volevo che rispondesse, ma, allo stesso tempo, avevo paura di sentirglielo dire, perché non sapevo come avrei potrei reagire.

< Altre mille volte. Sei stata la cosa più bella della mia vita, e non lo dico solo perché voglio impressionarti, o perché voglio che tu cambi idea nei miei confronti, ma semplicemente perché è la verità e voglio che tu lo sappia. > Puntò lo sguardo nel mio e i suoi occhi azzurri mi penetrarono con una forza inaudita, quasi riuscissero a leggermi l’anima, il cuore.

< Ho visto le foto su Internet, quelle con Kristen… sembrate felici insieme… > Abbassai lo sguardo per difendermi, ma sapevo che era pressoché inutile.

Non rispose, limitandosi a fissarmi.

< Non voglio parlare di lei, Arlyn, non sono qui per questo. > Mormorò alla fine.

< Lo so, ma volevo dirtelo comunque. > Confessai come se avessi appena commesso una marachella.

< Ti piacciono i miei toast? > Mi chiese con un sorriso, cambiando argomento e alleggerendo la tensione.

Neanche mi ero resa conto che tra una chiacchiera e l’altra li avevo divorati.

< Molto, sei davvero bravo. > Annuii con foga, afferrando il bicchiere d’aranciata e bevendone un lungo sorso.

Continuò a sorridere ed io continuai a provare l’insensata voglia di abbracciarlo e di tenerlo con me per sempre.

Giocherellai con una mollica nel piatto mentre ripensavo alle sue parole. Avrei voluto ricordare di più sulla nostra storia, su come ci eravamo conosciuti e su come erano andate le cose tra di noi. Avrei voluto ricordare tutti quei piccoli gesti che un innamorato riserva alla persona amata, i baci, gli abbracci, le carezze e le telefonate di un’ora, la gioia nel rivedersi e le lacrime prima di un lungo viaggio e una lunga assenza, l’aspettativa che riuscisse a venire a trovarti per una ricorrenza importante. Avrei voluto ricordare tutto, perché sentivo che mancava un pezzo fondamentale di me, sentivo di aver perso qualcosa che mi avrebbe reso definitivamente completa.

< Vorrei potessi mostrarmi un filmato. > Sussurrai triste.

Lo sentii avvicinarmisi e prendermi le mani tra le sue, facendomi rialzare lo sguardo.

< Ricorderai. Ci vorrà del tempo, ma ricorderai, ne sono sicuro. > Tentò di tranquillizzarmi con un sorriso sereno, infondendomi calma e tranquillità.

< E’ difficile pensare che noi fossimo fidanzati, sai? Mi sembra terribilmente irreale! > Rido appena, arrossendo.

< Passerà. > Dichiarò, sistemandomi i capelli dietro le orecchie e sfiorandomi la pelle sensibile del collo con le dita lunghe da pianista.

< Hai delle belle mani. > Mi sorpresi io stessa di quell’affermazione, anche perché non credevo di riuscire ad essere così schietta con qualcuno.

< Me lo ripetevi in continuazione. > Sorrise.

< E’ oggettivamente vero. > Feci spallucce.

< E mi piacciono i tuoi capelli. > Dichiarai con un sorriso pensoso.

Lui sorrise con me e mi abbracciò, avvolgendo le braccia intorno alla mia vita e posando il mento sulla mia spalla.

Era confortante avvertire il suo calore, anche se solo attraverso la stoffa dei vestiti.

Inizialmente rimasi immobile, incapace di ricambiare il gesto, seppur tanto desiderato, poi mi feci forza e posai entrambe le mani sulla sua schiena, con delicatezza, quasi potessero pesare.

< Vuoi sapere dell’altro? > Il suo respiro sulla pelle mi diede i brividi.

< Eravamo felici? Perché ora come ora, mi sembra impossibile pensarlo. > Mormorai.

Lo sentii sospirare e accarezzarmi i capelli per tutta la loro lunghezza.

< Sì, eravamo felici. > Disse infine.

< E allora cosa ci è successo? Perché siamo arrivati a tanto? > Ovviamente intendevo al fatto che l’avevo cacciato di casa e che adesso, nonostante tutto, era lì, a cercare di farmi ricordare.

< Non lo so, Arlyn. Nessuno saprebbe spiegarlo. E’ successo e basta, un po’ come il tuo incidente. > Mi accarezzò la schiena ed avvertii una serie di brividi scuotermi tutta.

Quando mi abbracciava Tom era diverso, non mi succedeva una cosa del genere.

< Dovresti essere con lei, con Kristen, e invece sei con me: questo cosa significa? > Volevo chiedergli se amasse davvero Kristen, se mi avesse davvero sostituita definitivamente, ma mi sembrava una domanda troppo azzardata e non volevo metterlo in imbarazzo. Non volevo sottoporlo a giudizio.

Sospirò di nuovo.

< Non lo so. > Rispose deluso. < Voglio solo aiutarti. > Aggiunse dopo qualche istante come a volersi giustificare.

Le sue braccia erano confortanti e avrei voluto rimanere così per sempre, ma lo squillo del suo cellulare ci riportò alla realtà.

Si allontanò, baciandomi una guancia con delicatezza, ed estrasse il suo iPhone dalla tasca dei jeans. Ne osservò lo schermo con aria critica per qualche istante, poi decise di dover rispondere.

< Scusami, è il mio manager. > Non si allontanò, rispose di fronte a me, forse perché avessi la prova che non mi stava raccontando una bugia.

Parlò per qualche minuto, poi attaccò e mi sorrise.

< E’ successo qualcosa? > Gli domandai interrogativa.

Scosse la testa.

< Ha ricevuto qualche proposta per me e vuole esaminarle attentamente prima di propormele, tutto qui. > Riprese in mano il suo piatto con i toast e ricominciò a mangiare.

< Voglio vedere i tuoi film. > Dichiarai risoluta.

Per poco non si strozzò con un boccone, tanto che fu costretto a bere avidamente.

< No! > Esclamò alla fine.

< Perché no? Non ne ricordo neanche uno! > Protestai.

< No, senti, davvero… non… non sono belli… > Si passò una mano tra i capelli e arrossì.

< Beh, ma sono film, non devono essere per forza belli, devono solo piacere. > Feci spallucce.

Era un attore e si vergognava di farmi vedere i suoi film?!?

< Sì, ma… non sono film… insomma, non sono film da vedere… > Proseguì.

< E perché no? > Cosa poteva mai esserci di così scandaloso da non poter essere visto?

< Perché ero giovane e… insomma, non avevo tutta l’esperienza di adesso e… > Arrossì ancora e le mani cominciarono a tremargli.

Gli tolsi il piatto dalle mani, poggiandolo sul ripiano dietro di lui ed incrociai il suo sguardo.

< Non posso e non voglio giudicarti, Robert. Guarderò i film in veste di spettatrice, perché ti spaventa così tanto? > Gli sfiorai una mano con la mia.

< Sono piuttosto… ecco, suscettibile quando si tratta dei miei progetti. Non voglio che qualcuno a cui voglio bene sembri una delusione o abbia un parere negativo. > Sospirò.

< E anche se fosse? Quel parere negativo non sarebbe comunque indirizzato a te in quanto persona o attore. E comunque, non devi temere, sono piuttosto obbiettiva quando si tratta di giudizi. > Risposi fiera, strappandogli un sorriso.

< Lo so bene. > Rispose, scompigliandosi i capelli

< E poi non potranno essere così brutti, no? > Sorrisi, convincendolo ad accompagnarmi in salotto e ad inserire il dvd di Water for Elephant, film di cui possedevo anche il libro, perché avevo avuto modo di notarlo quella mattina.

Non ricordavo la storia, ma all’inizio tutto mi sembrò piuttosto noioso, fin quando i genitori di Jacob, il protagonista, non morirono. Robert era semplicemente perfetto nel vestito elegante, con i capelli disciplinati e gli occhi profondi di sempre ed io ne rimasi abbagliata.

Lui, seduto accanto a me, cercava di non fissare lo sguardo sullo schermo e quando lo faceva arrossiva come un bambino e più di una volta pensai che, prima o poi, avrebbe afferrato il telecomando e avrebbe spento tutto.

Nella seconda parte del film tutto diventò più movimentato e interessante e, neanche a farlo apposta, anche lì si parlava di tradimento. 

In certi momenti mi resi conto di essere peggio di una bambina allo zoo che strattona la manica della giacca del papà per chiedergli quando potrà vedere la giraffa o le zebre.

< E adesso? Lo uccide? No, vero? > Non facevo altro che chiedergli, terrorizzata da una simile prospettiva.

Lui mi lanciava un’occhiata e sorrideva, prendendomi la mano e tranquillizzandomi. Era semplice: era lui il mio calmante perfetto, quello che avevo atteso invano per tre settimane e che, probabilmente, avrebbe potuto proteggermi anche dagli incubi in ospedale.

Quando lo vidi con i braccio dei bambini assolutamente adorabili, mi ritornò in mente la voce dolce di quello che aveva risposto a telefono.

< Chi era il bambino al telefono? > Gli domandai mentre scorrevano i titoli di coda.

< Oh, Brian è il figlio di una vicina di mia madre. Adora trascorrere i pomeriggi a impiastricciarsi di farina e cacao nella cucina di casa e mia madre lo lascia fare volentieri. > Separò la mano dalla mia e mi sentii improvvisamente persa, senza una guida.

Si alzò per recuperare il dvd e rimetterlo a posto, ritornando a sedersi accanto a me l’istante dopo, riprendendo possesso anche della mia mano.

< Cosa te ne è sembrato? > Mi chiese titubante.

< Non dovresti vergognarti di simili lavori, sai? Eri semplicemente perfetto: ti sei calato bene nelle vesti di Jacob e il rapporto con Marlena era semplicemente fantastico. Non potevi fare di meglio, a mio avviso. > E lo pensavo sul serio.

< La cosa buffa è che sono le stesse cose che mi dicesti all’uscita del teatro della première, qualche anno fa. > Sorrise dolce.

< Davvero? > Chiesi, sbalordita.

Annuì felice.

< Questo vuol dire che non ho perso totalmente il senno. > Scherzai, facendolo ridere divertito.

< Non puoi definitivamente averlo perso. Sei la persona con più senno che conosco. > Rispose, lasciandomi poggiare la testa sulla sua spalla.

Era rilassante e mi faceva sentire a casa.

< Posso chiederti una cosa… personale? > Arrossii quando glielo chiesi e il cuore prese a battere veloce all’interno della cassa toracica, aspettandosi una risposta negativa.

< Certo, tutto quello che vuoi. > Rispose accondiscendente, circondandomi la vita con un braccio e accarezzandomi dolcemente un fianco. Anche con i vestiti era una sensazione meravigliosa, di assoluta pace.

< In realtà riguarda me, ma… ecco, è un po’ imbarazzante… > Arrossii ancora, sentendo il suo sguardo puntato su di me. < Ho avuto altri ragazzi oltre te? > Mi feci coraggio alla fine, desiderando sprofondare.

< Che io sappia sono stato il tuo primo ragazzo. Mi raccontasti di un tizio che veniva sempre in biblioteca e che ti aveva corteggiata per un po’, ma non credo siate mai stati una coppia. > Non ebbe bisogno di pensarci.

< Quindi io… ero… insomma, ero… vergine… > Lo dissi come se fosse una cosa disgustosa, ma in realtà non ne avevo avuto davvero l’intenzione. Stavamo per sposarci, quindi era piuttosto ovvio che fossimo andati al di là delle semplici carezze e dei semplici baci.

< Suppongo di sì, perché? C’è qualcosa che ti preoccupa? > Aggrottò le sopracciglia in maniera dubbiosa e pensosa e mi rivolse uno sguardo preoccupato.

< No, niente… era… semplice curiosità… > Spiegai, sistemandomi i capelli dietro le orecchie.

< Era il giorno del mio compleanno… > Cominciò e non ebbi difficoltà a capire a cosa si stesse riferendo. < … avevo lavorato fino a tardi, qui, a Londra, per le riprese di un film a cui tenevo particolarmente e tu mi aspettasti in piedi per farmi una sorpresa. Mi avevi preparato un bagno caldo e avevi apparecchiato tutto con meticolosità. Dopo cena mi avevi raggiunto a letto con un completo intimo che mi tolse il respiro: lo ricordo ancora come se fosse successo ieri. Eri splendida e volevi essere mia, non potevo chiedere di meglio. > Continuò con aria persa e sognante.

Mi schiarii la voce a arrossii di nuovo.

< Quindi è stato… piacevole? > Domandai.

< Semplicemente perfetto. > Sorrise, baciandomi i capelli e stringendomi a sé come una bambina.

Ormai ero rossa come la sua maglietta.

Non ricordavo nulla, come sempre, ma i suoi racconti erano utili perché potessi tentare di mettere ordine tra i pezzi sparsi del puzzle.

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Capitolo 8
*** Leave and Take ***


Salve!

Aggiorno anche qui, come di consueto! ^^

Fate bene ad essere tutte contro Robert xD, se lo merita xD purtroppo le cose non miglioreranno nell'immediato, anzi ç.ç Arlyn riprenderà possesso della sua vita, pian piano, come già imparerà a fare in questo capitolo, ma se il sentimento per Robert fosse ancora troppo forte e troppo vincolante? E se si mettesse in mezzo anche qualcun altro?

Mmm... vi lascio con un po' di interrogativi... xD

Ringrazio le persone che hanno commentato, che hanno inserito tra le preferite/seguite/da ricordare e che hanno soltanto letto *.* spero che anche questo capitolo vi piaccia *.*

 

A martedì!

 

 

Buona lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

Aprii gli occhi senza la reale consapevolezza di essermi addormentata. Ero sul distesa sul divano e qualcuno mi aveva premurosamente coperta con un plaid.

Quel qualcuno era quasi sicuramente Robert, che dormiva placidamente accanto a me, il respiro regolare e un braccio a circondarmi la vita.

Cercai di non svegliarlo, spostandomi di fronte a lui e stiracchiandomi brevemente, riducendo al minimo i movimenti.

Quando dormiva era adorabile, con i capelli ancora più scompigliati del solito, la bocca appena dischiusa e le gambe scomposte che si erano aggrovigliate alle mie.

Sorrisi appena, stropicciandomi un occhio e accorgendomi che erano ormai le sette di sera e che, molto probabilmente, presto sarebbe stato costretto a far ritorno da Kristen, la stessa ragazza che mi aveva telefonato e che mi aveva urlato di lasciarli in pace, perché conosceva chi ero e sapeva quale tipo di rapporto avevo intrattenuto con Robert fino a tre settimane prima. La sua telefonata non mi aveva spaventata o sconvolta, ma mi aveva fatto capire ancora di più che, molto probabilmente, anche lei si trovava in una situazione simile alla mia per certi versi e avesse bisogno di essere consolata e rassicurata. Magari Robert le aveva promesso per mesi di lasciarmi e di andare a vivere con lei e poi non aveva adempiuto alla promessa, o magari le aveva raccontato un sacco di bugie e lei adesso era solo spaventata dall’idea di perderlo.

Anch’io lo ero. Non sapevo in quale misura e in che senso, ma lo ero. Oltre a Tom era l’unica persona che stava cercando di aiutarmi e se fosse scomparsa non avrei saputo a chi rivolgermi. Ma probabilmente non era solo questo. Sentivo qualcosa per lui, un’attrazione che non era soltanto fisica, ma anche sentimentale e che, tuttavia, la mia mente si rifiutava di elaborare ed accettare, anche se il mio cuore era perfettamente d’accordo.

Un solo ricordo che riguardasse noi due mi sarebbe bastato e probabilmente l’avrei lasciato andare senza rimpianti o sensi di colpa, ma non possedevo niente, solo la sua presenza che mi faceva sentire protetta, amata e compresa.

Si mosse nel sonno, attirandomi ancora più vicino a lui e mugugnando qualcosa di incomprensibile a cui automaticamente sorrisi, portando una mano tra i suoi capelli e cominciando ad accarezzarli dolcemente per tranquillizzarlo.

Chissà quante altre volte avevamo dormito così abbracciati sul divano, senza doverci preoccupare di fidanzate gelose e bugie varie.

Sorrise nel sonno.

< Arlyn… > Mormorò in un sospiro che mi bloccò il respiro, facendo accelerare il battito del mio cuore.

< Shh! Sono qui… > Sussurrai, continuando ad accarezzargli i capelli.

< Dimmi che tornerà tutto come prima. > Aveva ancora gli occhi chiusi e biascicava le parole, ma sembrava perfettamente sveglio e in grado di parlare.

< Tornerà tutto come prima, te lo prometto. > Dissi anche se non sapevo con precisione a cosa si stesse riferendo. Probabilmente stava solo sognando.

Avvicinò il viso al mio, sfiorandomi quasi le labbra ed io rimasi perplessa, stupita e indietreggiai appena con la testa.

Lui mi strinse, poggiando la testa sul mio petto come se fossi un orsacchiotto e sospirò beato.

Era davvero un bambino quando dormiva, bisognoso di rassicurazioni e coccole, spaventato all’idea di fare brutti sogni.

Continuai ad accarezzargli i capelli per un tempo che mi parve infinito e quando smisi, lui aprì gli occhi, quasi avesse ricevuto una scarica elettrica.

Si guardò intorno spaesato e poi si accorse di essersi addormentato su di me, arrossendo e tornando ad occupare il suo spazio precedente, sbadigliando.

< Scusa, non mi ero accorto che… > Ma non lo lasciai finire.

< Nessun problema, non mi hai dato nessun fastidio. > Sorrisi gentile, rannicchiandomi sotto il plaid.

< E’ da tanto che sei sveglia? > Mi chiese, alzando le braccia e stiracchiandosi.

< Un po’. Ci siamo addormentati senza accorgercene… > Risposi ovvia, nonostante la situazione fosse piuttosto palese.

Le nostre gambe rimasero intrecciate, ma lui sembrò non farci caso, rifiutandosi di spostarsi. 

Sorrise e prese ad accarezzarmi i capelli in un gesto che sembrò assolutamente casuale e naturale, come se non avesse fatto altro durante quelle ore.

< Com'è stato il tuo risveglio in ospedale? Tom mi ha raccontato che non riconoscevi nessuno ad eccezione dei tuoi genitori e che non ricordavi niente dell'incidente. > Sussurrò all'improvviso.

Io, incapace di distogliere lo sguardo dai suoi occhi azzurri, sospirai, chiudendo gli occhi al ricordo di quella terribile mattina. Mi ero sentita come sospesa, come una spettatrice che assiste dall'alto a qualcosa che non le appartiene e che le interessa poco.

< E' stato strano. Avrei continuato a dormire piuttosto che sopportare i medici e le loro domande. > Risposi con gli occhi bassi, concentrati sui bottoni della sua T-shirt.

< Avrei voluto esserci... avrei voluto essere lì per aiutarti... > Disse in un gemito di dolore e frustrazione.

< Avresti potuto. > Mi strinsi di più a lui. Non volevo che pensasse che la mia fosse solo un'accusa. Lo era, in parte, ma volevo capire, comprendere anche i suoi perché.

< No, invece. > Scosse la testa, solleticandomi la nuca con le dita sottili.

< Perché? > Domandai avida di risposte.

< Perché era complicato, è complicato, Arlyn. > Fece un respiro profondo e sostenne il mio sguardo: io in attesa che continuasse e lui nella speranza che accettassi quella spiegazione e la comprendessi.

Ma come potevo capire se nessuno mi diceva come fare?

Per me complicato era ritrovare la memoria, sapere di aver vissuto così tanto e non riuscire a ricordarlo, sapere di conoscere persone di cui ora ignoravo l'esistenza. Complicato era ricominciare da capo e fare finta che non fosse successo nulla.

Come poteva essere complicato andare a trovare la propria ex in ospedale?

< Non dovresti essere qui, allora. > La sua mano abbandonò la mia nuca e scivolò lungo la schiena, fino al fianco.

Sospirò di nuovo, gli occhi tristi.

< Ne abbiamo già parlato; sono qui perché voglio aiutarti. > Chiarì.

< Non puoi farlo se non mi spieghi cosa succede nella tua testa! Non puoi farlo se non mi aiuti a capire fino a che punto poteva essere complicato venire a trovarmi! > Sbottai risentita.

Sarebbe andata sempre così tra di noi; le sue cose non dette e le mie domande.

< E' meglio che vada, adesso. > Si alzò, aiutandomi a sedermi. Recuperò la sua giacca ed io, incapace di fermarlo, lo osservai immobile e rassegnata.

Doveva essere quello il motivo per cui tra noi era finita. Invece di affrontare la situazione, scappava, lasciandomi crogiolare nel dubbio e nell'insicurezza.

< Ci vediamo domani. Sogni d'oro. > Mi accarezzò i capelli, baciandomi la fronte con delicatezza ed io lo lasciai fare, muta e imperscrutabile.

Il rumore della porta che si chiudeva e quello dei suoi passi sulla ghiaia del vialetto, ebbero un effetto devastante su di me: ero di nuovo sola, senza risposte.

 

Il giorno seguente mi svegliò lo squillo del cellulare. Con un'occhiata alla sveglia capii che era ancora troppo presto e che avrei preferito continuare a dormire, ora che c'ero finalmente riuscita, ma la strana sensazione che potesse essere Tom e che dovesse dirmi qualcosa d'importante, mi obbligò ad alzarmi per andare a recuperare l'aggeggio.

< Sì. > Risposi senza nemmeno preoccuparmi di dare a quella risposta un'inflessione interrogativa.

< Buongiorno! Disturbo? > Sorrisi al tono gioviale e allegro del mio miglior amico.

< Che succede? > Domandai, stropicciandomi il viso nel tentativo di eliminare gli ultimi residui di sonno.

< Pensavo che ti avrebbe fatto piacere venire con me in libreria, oggi. Alexa non vede l'ora di vederti! > Sembrava così impaziente...

Alexa era la mia migliore amica, me l'aveva detto Robert ed era lei che si stava occupando della libreria dalla mia assenza.

Non avevo neanche pensato alla possibilità di andare in libreria, nel posto in cui lavoravo, né tanto meno mi ero preoccupata di questa Alexa.

Robert aveva assorbito tutta la mia concentrazione.

< Non so se è il caso... voglio dire... > Ma lui mi interruppe, forse indovinando i miei pensieri.

< Sei forte abbastanza, Arlyn e poi era il posto che più adoravi in assoluto! Ti farà bene uscire di casa, vedrai. Passo a prenderti tra un'ora? > Mi tranquillizzai. Cosa avevo da temere? Ci sarebbe stato Tom con me.

< D'accordo, tra un'ora. > Sorrisi e agganciai.

Non sapevo cosa aspettarmi da quella visita al mio negozio; mi sembrava persino strano chiamarlo così, mio, quando nemmeno ricordavo di averlo mai avuto.

Indossai le prime cose che riuscii ad afferrare dall'armadio, dopo essermi fatta una doccia veloce, e scesi al piano di sotto cercando di infilarmi le scarpe e contemporaneamente scendere i gradini, per guadagnare tempo.

Nei quindici minuti che mi rimanevano feci colazione e rassettai la cucina.

Avrei dovuto avvisare Robert? Avrei dovuto dirgli che non mi avrebbe trovata a casa se fosse venuto? E se, chiamandolo, gli avessi fatto intendere che desideravo la sua presenza e che mi faceva piacere che mi venisse a trovare, quando nemmeno io sapevo bene a cosa stavo andando incontro?

Non volevo essere maleducata, ma non volevo nemmeno essere fraintesa, e poi c'era sempre la possibilità-remota, ma pur sempre una possibilità-che rispondesse Kristen e che mi accusasse di non star facendo altro che cercare di farli litigare.

In fondo, chi poteva garantirmi che sarebbe venuto? Forse quel suo ci vediamo domani era solo un modo per farmi capire che non era arrabbiato con me e che non aveva cambiato idea circa il suo proposito di aiutarmi.

Non ebbi il tempo di pensarci ulteriormente perché Tom bussò alla porta. L'avevo visto parcheggiare di fronte al vialetto d'accesso e scendere giocherellando con le chiavi.

< Dolly! > Esclamò quando mi vide, abbracciandomi e sollevandomi di peso.

< Ehi! Cos'è tutto questo entusiasmo? > Risi, lasciando che mi poggiasse nuovamente a terra e mi baciasse i capelli.

< Sono felice di vederti! > Fece spallucce, osservandomi. < Ti trovo in ottima forma, sai? Sei splendida. > Continuò.

< Lo dici solo perché vuoi a tutti i costi che venga con te in libreria. > Era mancato anche a me, nonostante fossero trascorse poche ore dal nostro ultimo incontro.

< Non oserei mai corromperti, dolly! Per chi mi hai preso? > Mi fissò scandalizzato, aiutandomi ad infilare il golfino.

Alzai gli occhi al cielo, fingendo di credergli e lo spinsi fuori dalla porta.

< Pronta per conoscere il tuo lavoro? > Mi domandò, mettendo in moto la macchina.

< No, per niente. > Ammisi. Avevo il cuore a mille e le mani che tremavano. Il lavoro è una parte fondamentale della vita di una persona, è quasi come un diario segreto, rivela molto di te, anche se magari è un lavoro che non ami.

< Coraggio, andrà tutto bene. Ci sono io e ci sarà Alexa. Non ricordi di quando è venuta a trovarti in ospedale? > Lanciò uno sguardo al semaforo, rosso, ed uno a me, in attesa della mia risposta.

Alexa era venuta a trovarmi in ospedale? Quando?

< No... è venuta davvero? > Rimasi spiazzata, soprattutto perché credevo che i ricordi in merito all'ospedale e al mio periodo di degenza fossero chiari e ben organizzati. A quanto sembrava, però, avevo rimosso altre informazioni.

< Eri già sveglia, ma i dottori ti avevano somministrato un calmante per aiutarti a riposare. Ci avevo avvertiti che avresti potuto non ricordare niente di quei momenti. > Sorrise comprensivo, prendendomi una mano e stringendola un istante prima di lasciarla andare per cambiare marcia.

< Oh. Beh, la conoscerò ora. > Aggiunsi con un sorriso che mi sforzai affinché fosse naturale e sereno.

< In ogni caso, muore dalla voglia di vederti. Le sei mancata molto e ha lavorato duramente affinché tutto rimanesse esattamente come l'avevi lasciato tu, in libreria. > Aggiunse, svoltando in quella che riconobbi come Oxford Street, soltanto perché ci eravamo passati quando mi aveva riportata a casa quando ero stata dimessa dall'ospedale.

Parcheggiò lungo il ciglio di una stradina chiusa al traffico e mi precedette lungo il marciapiedi fino a due immense vetrine piene di libri dalle copertine colorate.

All'interno l'atmosfera sembrava accogliente: morbidi tappeti classici, parquet, qualche poltrona e qualche pouf in tinta per coloro che volevano fermarsi a leggere, scaffali e scaffali di libri divisi per autore o per genere e un'ampia scrivania comprensiva di telefono, computer, una tazza con funzione di porta penne e cassa.

Alexa doveva essere la ragazza bionda e cordiale che stava conversando con alcuni clienti, recuperando per loro libri e altro materiale.

< Puoi dare un'occhiata in giro, se vuoi, io vado a dirle che siamo arrivati, d'accordo? > Mi sussurrò Tom in un orecchio, richiamandomi alla realtà.

Annuii soltanto, affascinata dall'atmosfera tranquilla e pacifica che si respirava in quella libreria, la mia libreria.

Scesi due scalini e mi ritrovai nel mondo dei libri fantasy, ancora più avanti il repertorio per gli amanti del giallo e poi le nuove uscite, gli horror, i libri per bambini, un intero armadio di peluche parlanti, la zona per i fanatici della scrittura con penne stilografiche bellissime e in bella mostra nella vetrina bassa, carta riciclata e cofanetti regalo.

Ero caduta nel Paese delle Meraviglie senza essermene neanche resa conto.

L'odore di carta stampata, di libri nuovi, di legno degli scaffali e il leggero fruscio delle pagine che venivano voltate e dei passi attutiti dei clienti sui tappeti, mi avevano permesso di riconoscere quel mondo come mio habitat naturale, nel quale avrei trascorso ore, giornate semplicemente perdendomi tra gli scaffali.

< Audrey! > Mi sentii chiamare e mi voltai, ritrovando il volto familiare della ragazza di poco prima, le braccia spalancate e un sorriso felice sul volto.

Mi abbracciò con calore, stringendomi fin quasi a farmi male.

< Sei bellissima, sai? Come ti senti? > Aveva gli occhi gentili, di un verde prato e seppi subito perché fosse la mia migliore amica: eravamo compatibili, sotto tutti i punti di vista.

< Meglio, sto cercando di recuperare le cose che ho perso. > Risposi, stropicciandomi le mani.

< So che hai ancora qualche problema nel ricordare, perciò, io sono Alexa e tua migliore amica, anche se non lo ricordi! > Sprizzava energia e vitalità da tutti i pori e non sembrava minimamente offesa dalla mia dimenticanza. 

< Sì... me l'hanno... detto... > Titubai, cercando di sorridere. Incrociai lo sguardo di Tom, divertito e lui alzò gli occhi al cielo, scuotendo la testa, come se Alexa fosse un caso disperato.

< Allora... ho un mucchio di cose da raccontarti, sai? E mi sei mancata così tanto che... non so cos'avrei fatto se tu non ti fossi svegliata, dolly! L'unica cosa che riuscivo a fare era venire ad aprire la tua libreria, sedermi in un angolo con la speranza che tu potessi entrare da quella porta e farmi capire che era tutto un brutto sogno! > Mi abbracciò di nuovo e questa volta ricambiai, rendendomi conto delle sue lacrime.

< Grazie per esserti occupata di tutto, davvero. > Le dissi sincera.

< Mi è sempre piaciuto questo posto, non devi ringraziarmi! Perché non mi aspettate qui nel frattanto che mi occupo di quei clienti? Potremmo andare a bere una tazza di caffè tutti insieme, a te farebbe piacere? > Gli occhi le brillano ed io sorrido, rinunciando a rispondere di no.

< Bene! > Esclama, saltellando in direzione di alcuni ragazzi, ognuno con un libro in mano, in attesa di pagare.

< E' un po' su di giri, non trovi? > Mi avvicinai a Tom, impegnato nel rovistare in uno scaffale.

< Molto su di giri, oserei dire. > Confermò con un sorriso divertito. < Cosa te ne pare di questo posto? Ti fa venire in mente qualcosa? > Continuò, mettendo a posto un fumetto.

Scossi la testa.

< Mi piace, è confortevole e accogliente, ci passerei giornate intere, ma non riesco a collegarlo a nulla. > Mi guardai intorno, stranamente a mio agio.

Quando Alexa ritornò, notai che aveva chiuso le tende delle vetrine.

< Andiamo, c'è una caffetteria al piano di sopra. > Sorrise, precedendoci lungo le scale.

Occupammo un tavolo e Tom si offrì per andare ad ordinare per noi.

< Tom mi ha detto che hai già incontrato Robert... > Disse, quando lui si fu allontanato verso il bancone, lo sguardo duro e disgustato. Non facevo fatica a capire perché Robert non le fosse affatto simpatico.

Annuii, giocherellando con la tovaglia verde acqua.

< Se vuoi che lo prenda a calci, devi solo dirmelo, dolly e giuro che lo faccio. > Mi fissò e nemmeno questa volta faticai ad immaginarmela all'azione.

< No, non voglio tu lo prenda a calci. Per il momento si sta comportando... bene, direi. > Tentennai perché non era propriamente la verità.

< Mmm... te lo leggo negli occhi che stai mentendo. > Sorrise comprensiva e si sporse verso di me, poggiando le braccia sul tavolo di ferro rotondo.

Sospirai.

< Credo sia uno dei nostri problemi: affrontare la realtà. Continua a mentire e a dire che vuole aiutarmi, ma si rifiuta di rispondere alle mie domande. E' per questo che non andavamo più d'accordo, vero? Troppi segreti. > Mi venne facile confessare tutto. L'avevo fatto anche con Tom, il giorno prima, ma era una questione diversa: Tom mi era stato accanto durante la riabilitazione in ospedale, di Alexa non riuscivo a ricordare neanche il viso fino a quella mattina. Supposi fosse questione di genetica femminile, quella che ci permette di essere solidali con qualsiasi donna, in qualsiasi situazione.

< E' il solito vigliacco, dolly. Ha troppa paura. > Spiegò risentita.

< Paura di cosa? Di me? > Alzai gli occhi sul suo viso dai lineamenti dolci.

< Paura dell'andamento delle cose. Non gli basta Kristen, vuole anche te. Quando vi avrà entrambe si renderà conto di non potervi gestire e dirà addio a Kristen, o magari di nuovo a te. Poi ritornerà. E' un circolo vizioso, il suo e non riesce ad uscirne. > Capivo quello che intendeva dire: eravamo giocattoli di cui si sarebbe presto stancato, anche se ci aveva giurato di non buttarci via.

< Credi che sia davvero così meschino? > Le domandai con un mugolio triste. Non riuscivo a credere di essermi innamorata di lui.

< No, non lo penso. E' un bravo ragazzo, ma ha bisogno di sicurezza e di crescere prima di poter cominciare una relazione. > Fece spallucce, rivolgendomi un mezzo sorriso.

< Vorrei solo ricordare di più. > Forse avrei saputo cosa fare.

< Te la caverai, l'hai sempre fatto e poi ci siamo noi con te. > Indicò se stessa e Tom che stava ritornando con tre tazze colme di liquido fumante.

< Tre cioccolate calde con panna, ho scelto bene? > Chiese, sedendosi e porgendocene una a testa.

Dal profumo sembrava ottima.

< Benissimo. > Sorrise Alexa, cominciando a mangiare la panna con il cucchiaino e arrivando a sporcarsi il naso, facendo ridere me e Tom.

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Capitolo 9
*** Blame ***


Salve!

Come ho già annunciato stamattina sulla mia pagina Facebook (di cui trovate il link nella mia pagina autore qui, su EFP) l'aggiornamento di You thought you know me slitta a giovedì/venerdì per il semplice motivo che non ho una shot pronta al momento e che, per quanto impegno possa metterci, oggi non ho ispirazione, e quindi mi serve un po' di tempo in più per elaborare qualcosa che non faccia propriamente pena xD

Oggi un solo aggiornamento quindi ^^ le cose si complicano ulteriormente in questo capitolo, specialmente per Arlyn...

Ringrazio tutte le persone che hanno commentato, che hanno inserito la Ff tra le preferite/seguite/da ricordare e che hanno solo letto *.*

 

A venerdì!

 

 

Buona lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

Fummo costretti a trattenerci per gran parte della giornata. Alexa era una vera chiacchierona e la pioggia ci aveva fatti desistere dall'affrontare la strada trafficata, preferendo il caldo rassicurante della libreria.

Avevo girovagato assorta tra gli scaffali alla ricerca di qualcosa da leggere e, proprio quando sembrava avessi trovato un libro interessante, Alexa mi obbligò a prendere il suo posto alla cassa con la scusa che, giacché ero lì, potevo cominciare a riprendere confidenza con i clienti e con il registratore di cassa. Lei mi avrebbe aiutata volentieri, ma sapevo che, prima o poi, avrei dovuto rinunciare alla sicurezza di casa mia per ritornare al lavoro. Forse avevo bisogno di altro tempo, forse avrei potuto cominciare anche il giorno dopo, fatto stava che Alexa aveva ragione: dovevo abituarmi a fare tutto da sola; e così avevo confezionato libri per bambini e consigliato qualche lettura interessante sotto i consigli di Alexa, mostrandomi cordiale e gentile e scambiando quattro chiacchiere con i clienti mentre effettuavano i loro acquisti. Era stato più semplice del previsto e quando Tom mi aveva sorriso, porgendomi una tazza di caffè, erano le sette ed io non me ne ero neanche accorta.

< Vuoi tornare a casa? > Mi chiese gentile, notando la mia espressione stupita.

< Non mi ero accorta fosse così tardi. > Spiegai, bevendo un sorso di caffè caldo.

< Significa che ti sei divertita e che ti è piaciuto stare qui? > Domandò Alexa, saltellando. Perché avevo come l'impressione che non facesse altro?

< Sì, direi di sì. > Ammisi in imbarazzo. < Tra i libri mi sento a mio agio. > Continuai, consapevole che quella era la verità.

< Sei stata bravissima oggi e, vedrai, quando tornerai a lavorare qui, non vorrai più smettere. > Mi abbracciò, sorridendo, facendomi sentire bene.

< Sta ancora piovendo, vuoi che vada a recuperare un ombrello? > Guardai fuori in contemporanea con Tom, notando che la pioggia non aveva smesso di cadere in quelle ore e che le persone che passeggiavano erano sempre di meno.

< No, non ce n'è bisogno, basterà una corsa. > Sollevai il bavero del cappotto e lasciai che Tom mi aprisse la porta.

Corsi fino alla macchina, inzuppandomi i capelli e i jeans e rabbrividendo.

Guardai il traffico scorrere lento per le strade mentre scendeva la notte e pensai a Robert, a cosa stesse facendo e al fatto che, probabilmente, aveva provato a chiamarmi, non ricevendo risposta. Forse si era preoccupato.

Mi maledissi per non averlo avvisato prima di uscire e quando Tom fermò la macchina di fronte al vialetto che mi avrebbe condotta a casa, la pioggia che sembrava battere ancora più forte e il vento che scuoteva gli alberi, ebbi come la sensazione che qualcuno mi stesse osservando.

Salutai Tom con un bacio sulla guancia, costringendolo a tornare a casa e a cambiarsi immediatamente quegli abiti bagnati, nonostante il suo desiderio di salire in casa con me per accertarsi che non avessi bisogno di niente, e corsi fino al porticato, cercando le chiavi nella tasca del cappotto.

< Perché non mi hai chiamato? > Sobbalzai al suono della sua voce, spaventata, lasciando cadere le chiavi.

Alzai lo sguardo su di lui: era bagnato e le gocce di pioggia sembravano lacrime sul suo viso. Tremava, ma non sapevo se per il freddo o per la rabbia, perché la sua espressione era un misto di preoccupazione, irritazione e delusione.

< Mi spiace. Non pensavo di star via così tanto. > Mi giustificai, abbassandomi per riprendere le chiavi e aprire la porta.

< Sapevi che sarei venuto. Sono stato qui ore a credere che ti fosse successo qualcosa! > Quasi sbraitò, seguendomi nell'ingresso e gocciolando sul tappeto.

< Mi ha chiamata Tom stamattina e mi ha proposto di accompagnarlo in libreria. Non ho avuto il tempo di avvisarti. > Non sentii la necessità di giustificarmi ulteriormente per il mio comportamento.

Potevo capirlo, anch'io mi sarei preoccupata al suo posto e sarei stata furiosa, ma lui non faceva più parte della mia vita ed io non gli avevo chiesto niente.

< Sono stato in pensiero per te tutto il giorno e l'unica cosa che sai dirmi è che non hai avuto tempo? Sarebbe bastato anche un messaggio, Arlyn! > Sbraitò, poggiando entrambe le mani sulla spalliera di una sedia. Tremava ancora, tanto che ebbi paura che, per quanto stava stringendo, quella sedia si sarebbe potuta rompere.

< Mi spiace, avrei dovuto avvisarti, hai ragione. > Mi liberai del cappotto, andandogli vicino e attendendo una sua reazione. Chiuse gli occhi, i capelli bagnati scivolarono sulle palpebre, gocciolando ed io mi sentii estremamente fuori luogo.

Non sapevo cosa fare, non sapevo cosa dire, né come comportarmi.

Quando vidi le sue spalle scosse dai singhiozzi, mi vergognai profondamente, maledicendomi.

Avrei dovuto immaginare che, testardo com'era, mi avrebbe aspettato anche per tutta la giornata; avrei potuto chiedere il cellulare a Tom e scrivergli un messaggio, o telefonarlo dalla libreria, e allora perché non l'avevo fatto? Mi rendevo perfettamente conto che le mie erano soltanto scuse, banalissime scuse, ma il mio cervello non riusciva a comprendere i suoi sbalzi d'umore e il mio cuore non riusciva a non soffrire per tutte le bugie che mi aveva raccontato, che aveva raccontato a Kristen e per tutte le cose che aveva preferito non dirmi, come la sera precedente.

Eppure, vederlo così vulnerabile davanti ai miei occhi, così privo di difese, mi impedì di continuare a recitare la parte della donna che non ha bisogno d'aiuto  e che mai si rivolgerebbe alla persona che l'ha fatta tanto soffrire, fosse anche l'unica in grado di aiutarla.

Mi avvicinai, scostandogli i capelli dalla fronte e accogliendo le sue mani tra le mie, costringendolo ad abbandonare la presa sulla sedia. Non ebbi neanche il tempo di fare o dire qualcosa, che mi strinse tra le braccia, affondando il viso tra i miei capelli fradici di pioggia, continuando a singhiozzare come un bambino.

< Non farlo mai più, Arlyn... mai più... > Mormorò come una nenia, rifiutandosi di lasciarmi andare.

< Shh! Sono qui. > Ricambiai la stretta, cercando di confortarlo. Era stato davvero così preoccupato?

Quando smise di singhiozzare mi allontanai da lui, osservandolo.

< Dovresti cambiarti questi vestiti bagnati; prenderai un raffreddore. > Senza aspettare la sua risposta lo presi per mano, conducendolo per le scale e facendolo entrare in bagno, porgendogli un asciugamano e un accappatoio.

< Puoi fare una doccia, se vuoi. I tuoi vestiti sono nella mia stanza. Ti aspetto di sotto. > Gli dissi, aprendo il rubinetto dell'acqua calda nella doccia.

Cosa avrei dovuto provare? Cos'era giusto?

Gli stavo mettendo a disposizione il mio bagno, la mia doccia, la mia stanza, come se fossimo amici, eppure riuscivo ad avvertire la tensione aleggiare nella stanza, eppure era come se osservassi la scena dall'alto, da un punto di vista che non era il mio. Stavo tentando di capire quali fossero le sensazioni che il mio personaggio avrebbe dovuto provare, non riuscendoci.

Ero come un'attrice fallita, impossibilitata a calarsi nei panni di un personaggio.

Non rispose; rimanemmo così, l'uno negli occhi dell'altra per quelli che mi sembrarono secoli, indecisi, solo l'acqua nella doccia che continuava a scorrere, imperturbabile.

Distolsi lo sguardo dai suoi occhi, camminando verso la porta, quando sentii la sua mano bloccarmi per un braccio.

Mi voltai verso di lui e feci fatica a realizzare quello che accadde dopo. Sentii le sue labbra sulle mie e i miei occhi dilatarsi dallo stupore e poi la parete fredda dietro di me e le sue mani che cominciavano a spogliarmi.

Mi divincolai dalla sua bocca e dalle sue mani, spingendolo indietro e respirando affannata.

< Non puoi farlo. > E tremai mentre lo dicevo, non sapevo se per lo shock o per la verità delle mie parole.

< Perché no? Perché non posso? > Sembrava stordito, confuso e preso alla sprovvista.

< Perché tu non mi ami, Robert! Non è con me che vuoi stare! > Quasi urlai, confermando quello che la mia testa già pensava.

< Io ti amo, invece, Arlyn. Ho creduto per mesi che non avessi più niente da condividere con te, invece mi sbagliavo. > Mi si avvicinò di nuovo ed io mi spostai verso il lavabo, cozzando contro la superficie di marmo.

Scossi la testa.

< Smettila di prendermi in giro, Robert, non sono in grado di affrontare tutto questo ora. Non sai cosa vuoi e credi di amarmi, ma cosa succederà quando ci penserai e ti renderai conto che avevi fatto la scelta giusta lasciandomi? > Non ero consapevole nemmeno io dei sentimenti nei suoi confronti, come poteva esserlo lui se solo tre settimane prima mi aveva abbandonata per scappare con Kristen?

< Sono più che convinto di quello che dico, Arlyn. Ti amo. > Pochi passi e mi avrebbe raggiunta ed io non sapevo più dove fuggire.

Perché continuava a farmi del male? Perché diceva di amarmi quando entrambi sapevamo che non era vero?

< Senti... tu... tu sei sconvolto, Robert. Hai pensato che mi fosse successo chissà cosa e adesso dici così... non lo pensi davvero... > Mi rifiutai di incatenare il mio sguardo al suo.

< Sì, invece! Perché non vuoi starmi a sentire? Io ti amo e ti desidero e sono pronto a rimanere con te, a sposarti. > Posò le mani sulle mie spalle, scuotendomi e obbligandomi a rialzare il viso.

Era nervoso e teso. Non era il modo giusto per farmi una dichiarazione ed io non avrei mai potuto crederlo, non dopo quello che mi aveva fatto e che ancora mi stava facendo passare.

Rimasi in silenzio perché mi sembrò la cosa più giusta da fare e mi lasciai baciare di nuovo, vergognandomi per essere così arrendevole sotto il suo sguardo e meravigliandomi di come, nonostante tutte le sensazioni che mi provocava quando mi stava accanto, non sentissi assolutamente niente, quasi fossi anestetizzata.

La punta della sua lingua tracciò il contorno delle mie labbra con dolcezza ed io non provai altro che desiderio di respingerlo, di allontanarlo, perché il suo sapore era buono e dolce, ma per me in quel momento era come veleno che presto avrebbe invaso tutti i tessuti, lasciandomi sofferente.

Rimasi con le braccia inerti ai lati dei miei fianchi, aspettando che finisse e quando si separò da me, gli occhi lucidi e le mani sulle mie guance, non so cosa lesse nei miei occhi, ma quello che vide doveva averlo spaventato o sorpreso, perché si ritrasse, indietreggiando di qualche passo.

< Sei tu che non mi ami, non è così? > Riuscì ad articolare.

< Non lo so cosa provo, Robert e non lo sai neanche tu. E il tuo comportamento non sta facendo altro che confondermi. Come pretendi di aiutarmi in questo modo? > Lo fissai, accusatoria.

< Non sono io quello che ha perso la memoria, non sono io quello che ha dimenticato, che ti ha rimosso dai propri ricordi. > Sibilò velenoso.

Rimasi per un attimo frastornata dalle sue parole e il cuore perse un battito quando il cervello si rese conto che mi stava recriminando cose di cui non potevo avere colpa.

< Perché sei venuto qui, allora? Perché hai insistito perché ti permettessi di aiutarmi? Pensi che aiutarmi ti liberi dalle tue colpe, da quello che mi hai fatto e che stai facendo anche a Kristen? Non puoi usarmi per espiare le tue colpe, Robert. > Urlai in preda alle lacrime e ai singhiozzi.

Non tolleravo il suo atteggiamento e non sopportavo più i suoi occhi, né la sua voce carica d'odio.

< Riuscirò a dimenticarmi di te, esattamente come hai fatto tu. > Rispose, imboccando la porta e scomparendo dalla mia vista.

Lo sentii scendere le scale e poi sbattere la porta di casa.

Era sempre così tra di noi: litigavamo e lui decideva di abbandonarmi; poi, la sua coscienza, gli avrebbe fatto capire che aveva sbagliato, che doveva scusarsi e allora avrebbe provato a chiamarmi, sperando che io gli dessi ascolto, che lo accogliessi ancora a braccia aperte, dandogli la possibilità di rimediare.

Erano poi così importanti quei ricordi? Avrei potuto semplicemente lasciarli indietro, costruendomene degli altri. La gente dimenticava le cose di continuo, per me non sarebbe stato diverso.

Mi spogliai lentamente, entrando nella doccia e lasciandomi investire dal getto di acqua calda che si portò via il freddo della pioggia con un tremito e anche le mie lacrime.

Non c'era bisogno di soffrire, ne ero cosciente. In fondo, tra noi era come se non fosse mai iniziata, almeno per me. Non avevo mai conosciuto il Robert che mi aveva corteggiata, che aveva dimostrato di amarmi, che era venuto a vivere con me e che mi aveva chiesto di sposarlo. Avevo conosciuto solo il Robert delle bugie e delle mezze verità, il Robert confuso e che si dimostra debole pur di entrare nella tua vita e sconvolgerla.

Mi infilai a letto e chiusi gli occhi con la speranza di addormentarmi in fretta e di non sognare.

 

< Noi siamo stati insieme? Vuoi dire, insieme-insieme? > Occhieggiai a lui, fingendo una confusione che non provavo. Probabilmente avevo bevuto troppo champagne.

< Voglio dire, che eravamo una coppia, Arlyn. > Sentire il mio nome pronunciato dalle sue labbra, mi fece fare un passo indietro, precisamente a quando eravamo in teatro, per la première.

Deglutii saliva inesistente.

< E... come mai è finita tra noi? > Non sapevo come avrebbe reagito ad una domanda del genere, perciò feci un passo indietro, cozzando contro il muro e precludendomi ogni via di fuga.

< Non è finita. Tu ti sei dimenticata di me. > Quelle parole mi ferirono, perché erano una bugia, ma, al tempo stesso erano la verità.

Io mi ero dimenticata di lui.

Faceva freddo e tirava vento sulla terrazza, un vento che mi scompigliava i capelli, impedendomi di rimetterli in ordine.

Avvertii i suoi occhi fissi sul mio profilo e arrossii di imbarazzo e confusione.

Come avevo potuto dimenticarmi di essere stata fidanzata?

< Vuoi dire che... vuoi dire che noi siamo ancora una coppia? > Domandai in un pigolio appena udibile.

La sua risata dolce e comprensiva per un attimo invase lo spazio intorno a noi, mentre il chiacchiericcio nella stanza aumentava di volume, complice anche il dee-jay che aveva appena dato inizio alle danze sulle note di una nota canzone dance.

< Certo che siamo ancora una coppia, perché me lo chiedi? > Appoggiò il bicchiere sul tavolino accanto a lui, portando, l'istante successivo, due dita sulla mia guancia, accarezzandola lentamente e con concentrazione.

< Hai detto che mi sono dimenticata di te. > Sottolineai, non riuscendo a distogliere l'attenzione dai suoi occhi chiari, magnifici.

< Beh, sei stata via per molto tempo, Arlyn, ma io non ho fatto altro che pensarti. > Avvicinò il viso al mio e senza che potessi accorgermene, le sue labbra stavano delicatamente suggendo le mie. Provai un tuffo al cuore e la familiare sensazione di miliardi di farfalle che svolazzavano felici nella mia pancia, quasi non avessi atteso altro che quel momento, quell'istante perfetto in cui l'avrei nuovamente baciato.

Si separò da me e mi sorrise, attirandomi contro il suo petto e baciandomi i capelli.

< Perché non andiamo via da qui? > Mormorò, mentre io mi aggrappavo alla sua camicia e chiudevo gli occhi, al sicuro, protetta.

< Per andare dove? > Chiesi.

< A casa, a pensare a noi. > Rispose ovvio.

Riuscii soltanto ad annuire, lasciandomi trascinare giù per le scale di marmo intarsiato, sul marciapiedi umido di pioggia e poi nella stessa limousine che ci aveva accompagnati al party.

Mi tenne stretta a sé fin quando non arrivammo a destinazione, di fronte all'entrata di un meraviglioso hotel a cinque stelle.

Il portiere gli consegnò le chiavi con un sorriso e lui non perse tempo a chiamare l'ascensore, baciandomi una tempia e mantenendomi ancorata a lui con un braccio intorno alla vita.

Viveva in una lussuosissima suite al quinto piano e l'ascensore ci depositò esattamente all'interno del salotto sontuosamente decorato.

Non ebbi il tempo di fermarmi ad ammirare i quadri alle pareti o il mobilio, perché Robert impegnò nuovamente le mie labbra con le sue, bloccandomi contro una parete e tenendomi fermi i polsi senza farmi male.

Mi prese per mano e mi condusse in camera da letto, avvicinandomisi per sciogliere il nodo del vestito blu che avevo indosso, mentre io mi sfilavo gli orecchini.

Si separò anche lui dalla sua giacca e dalla camicia bianca, gettandole alla rinfusa su di una poltrona, il mio vestito che, invece, giaceva ancora ai miei piedi.

Non avevo nient'altro che potesse celarmi alla sua vista, ero nuda, ma lui sembrava non farci caso, concentrato com'era sul mio viso, perso a studiare anche la mia più piccola reazione.

Mi baciò ancora, solleticandomi la schiena con la punta delle dita, facendomi rabbrividire di piacere e mi condusse sul letto, facendomici sdraiare con attenzione.

< Sei così morbida e calda... > Sussurrò sulla mia pancia, baciando ogni centimetro di pelle disponibile ed esposta.

Sospirai, arpionando il lenzuolo con una mano, quando lo vidi seppellire la testa tra le mie gambe e avvertii la sua lingua accarezzarmi con lascivia, strappandomi un gemito roco.

Quando smise di torturarmi lo aiutai a disfarsi dei pantaloni e dell'intimo e, agganciando le gambe alla sua vita, divenni totalmente sua, in una danza che mi lasciò sconvolta e appagata.

< Ti amo. > Mormorò sulle mie labbra prima di baciarmi e di lasciarsi scivolare accanto a me, permettendomi di poggiare il capo sul suo petto e di intrecciare le gambe alle sue.

< Dopo tutto questo tempo mi ami ancora? > Alzai gli occhi sul suo viso, stupita e imbarazzata.

< Non ho mai smesso, Arlyn. > Mi baciò i capelli e poi la fronte. < Dormi adesso. Mi troverai qui al tuo risveglio. > Continuò ed io obbedii, chiusi gli occhi e mi lasciai scivolare nell'incoscienza del sonno.

 

Mi svegliai di soprassalto, il mal di testa a farmi compagnia.

Cosa significava quel sogno?

Non poteva essere un ricordo, perché lui mi aveva detto che avevo dimenticato, che non ricordavo nulla su di noi; allora cos'era? E perché, nonostante tutto, desideravo che fosse accanto a me in quel momento, a dirmi che sarebbe andato tutto bene?

Ero una contraddizione vivente, una di quelle persone talmente indecise, che non sanno quello che vogliono e che trascorrono il loro tempo a pensare a cosa sarebbe potuto succedere se? 

Mi passai una mano tra i capelli, frustrata, regolarizzando il respiro e lasciandomi ricadere con la testa sul cuscino, osservando il buio fare spazio al giorno.

Chiusi gli occhi, tentando di liberare la mente da quelle immagini, ma una serie di colpi alla porta, forti e consecutivi, mi spaventarono, costringendomi a sedermi sul letto, in attesa, il cuore che batteva all'impazzata all'interno della cassa toracica.

Chi diavolo poteva essere a quell'ora del mattino? 

I colpi si interruppero per una manciata di minuti, poi ricominciarono.

Spaventata, decisi di andare a controllare chi fosse.

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Capitolo 10
*** I used to be tough ***


Salve!

Eccomi anche con l'aggiornamento di You don't care about us ^^

Che dirvi di questo capitolo? Ho paura di spoilerare troppo, quindi, l'unica cosa che mi sento di dire è che pian piano Arlyn capisce che deve andare avanti con la sua vita, pur rimanendo legate ai ricordi che ha perduto e che spera sempre di ritrovare.

Per chi aveva ipotizzato fosse Kristen alla porta... beh, lo scoprirete xD

Ringrazio le persone che hanno commentato, che hanno inserito tra le preferite/seguite/da ricordare e che hanno solo letto *.* danke shon! <3

 

Voglio dedicare il capitolo a Cris87_loves_Rob perché oggi ha concluso la sua meravigliosa Ff  The pain you give me. It's love che dovete assolutissimamente leggere se non l'avete ancora fatto. La sua Peach e il suo Rob mi mancheranno, ecco perché le dedico questo capitolo, con la speranza che le piaccia ^^ (oh, cliccate sul titolo della sua Ff per leggerla <3)

 

A martedì!

 

 

Buona lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

Guardai dallo spioncino prima di aprire.

Pensavo fosse Robert, il suo solito repertorio di scuse e la sua coscienza che gli aveva suggerito la giusta cosa da fare; invece, mi ritrovai ad osservare il volto magro e stravolto di Kristen Stewart.

Era identica alle foto che avevo avuto modo di vedere sul web, a parte le occhiaie e i vestiti. Sembrava non dormisse da giorni e che, per venire a trovarmi, non si fosse presa neanche la briga di cambiarsi. Non ero nelle condizioni giuste per criticare, visto che mi ritrovavo nella sua stessa situazione.

Aprii la porta con circospezione, timorosa che potesse aggredirmi.

< Arlyn? > Mi chiese, probabilmente perché non riusciva a vedere nient'altro di me se non gli occhi.

Annuii e aprii maggiormente la porta per lasciarmi riconoscere e per farla entrare.

Era esausta e non sembrava avesse intenzione di litigare.

< Posso entrare? Scusa per l'orario, ma non ce la facevo ad aspettare. > Indicò l'ingresso ed entrò, guardandosi attorno e stropicciandosi le mani, in difficoltà.

< Mi spiace per la telefonata dell'altro giorno, non avrei dovuto essere così dura con te. Non hai colpe e, per quanto mi costi ammetterlo, mi dispiace che Robert si sia comportato così male con te, che ti abbia mentito sulla nostra storia. > Balbettò in imbarazzo, non incrociando mai il mio sguardo.

Avrei pensato di trovarmi davanti una belva assetata di sangue, non una ragazza come me che viene a chiedermi scusa perché il suo fidanzato è uno stronzo bugiardo.

< Non potevi farci niente, Robert è così. > Risposi a bassa voce, guardandomi i piedi e studiando le incrinature del parquet.

Incrociò le braccia al petto, come a proteggersi, e cominciò a piangere.

< Io lo amo, ma lui è così... confuso. Non fa che promettere e poi è costretto puntualmente a rimangiarsi tutto, a chiedere scusa e a cercare di rimediare, finendo per farmi di nuovo del male. > Singhiozzò, curva nel suo dolore.

La capivo, perché era quello che Robert aveva fatto anche con me, era quello che stava continuando a fare a tutte e due.

< Lo so, non riesce a decidere, su nulla. > Concordai. < Vuoi qualcosa di caldo? Posso preparare un tè. > Proposi, indicando la cucina. Mi sembrava strano vederla lì, in piedi nell'ingresso e allo stesso tempo sarebbe stato scortese farla sentire un'estranea dopo il coraggio che aveva avuto di venire a parlare con me di persona.

Annuì soltanto e la precedetti in cucina, rovistando alla ricerca di una teiera, riempiendola d'acqua.

Disposi le tazze su un vassoio, la zuccheriera al centro, e le portai in tavola con due filtri di tè alla vaniglia.

Lei strappò l'involucro del suo, poggiandolo nella tazza e cominciando a giocherellare con il cucchiaino

< Ti starai chiedendo perché sono qui, a casa tua, a quest'ora del mattino. > Cominciò.

Rimasi in silenzio, in attesa che continuasse.

< Le cose tra di noi non vanno bene e so che è solo questione di giorni affinché decida di mettere la parola fine alla nostra storia, perciò, ora che non ho niente da perdere, volevo solo che tu sapessi che probabilmente tra noi è cominciata per debolezza. > Proseguì. < Se ho finito per innamorarmene, è stata colpa mia. So che lui non lo è mai stato, o, perlomeno, non lo è mai stato di me. Stavamo girando un film insieme, eravamo lontani da casa, dalle nostre famiglie, ed era sempre più difficile far finta che andasse tutto bene. Mi aveva raccontato che tu gli sembravi più fredda del solito al telefono e che la lontananza non riusciva a sopportarla da quando eri entrata nella sua vita, perché gli mancavi. Io gli dissi che probabilmente era una sua impressione, che forse avevi dei problemi a lavoro e che erano cose che potevano succedere; in fondo, la lontananza è un problema per tutte le coppie, specie se si tratta di sei mesi. > Si passò una mano tra i capelli, mordendosi le labbra e rabbrividendo, anche se non faceva freddo.

< Mi diede ascolto per un po', poi, una sera, avevamo festeggiato con il cast in un locale e avevamo bevuto troppo. Non ricordo nemmeno cosa successe di preciso, fatto sta' che la mattina dopo ero nel suo letto ed eravamo nudi. Credo che quell'episodio lo convinse del tutto che tra voi era finita, che non ti amava più e che se doveva soffrire così tanto ogni volta che era costretto a stare lontano da casa, non poteva sposarti e non poteva costruire una famiglia con te, perché a lungo andare, gli sarebbero mancati anche i bambini. Era uno sbaglio, ne ero cosciente e provai a farlo ragionare, dicendogli che mancavano poche settimane al matrimonio, che tu ne saresti uscita distrutta e che in fondo eravamo ubriachi, non contava, era stato uno sbaglio, ma lui non volle darmi retta. Si rifiutò di parlarti della sua decisione fino all'ultimo giorno delle riprese. Diceva che voleva farlo di persona e che era squallido lasciarsi per telefono, quindi prese il primo volo per Londra e tornò a casa. > Le lacrime le offuscarono la vista, ma lei le trattenne, tirando su col naso e incrociando il mio sguardo confuso e attento.

Non riuscivo a parlare, non sapevo cosa dire, così mi limitavo ad attendere che fosse lei a farlo, chiarendomi la situazione.

< Mi telefonò qualche ora più tardi, dicendomi che tra voi era ufficialmente finita e che, anche se tu l'avevi presa male, era qualcosa che si aspettava, perché il vostro legame era stato profondo e intenso e non poteva essere dimenticato facilmente, ma che in fondo tu eri una ragazza forte e ti saresti ricostruita una vita. Forse ero innamorata di lui già da allora, non saprei dirlo, sapevo solo che mi sentivo completa quando lui era accanto a me e il pensiero che tu lo avessi cacciato di casa, mi faceva gioire, perché finalmente potevamo dire a tutti della nostra storia, senza più bugie e fraintendimenti. Eravamo insieme quando ricevette la telefonata di Tom che lo avvisava che tu avevi avuto un incidente e che eri in coma. Non mi parlò per ore, credo fosse sotto shock e credo si attribuisse la colpa di quello che ti era successo. Gli dissi che avremmo potuto venire a trovarti, per sincerarci delle tue condizioni, ma lui disse che non ce n'era bisogno e che Tom l'avrebbe avvisato nel caso in cui le cose fossero migliorate. Quando sei ritornata a casa, Tom lo ha avvisato e lui ha preso subito la macchina. Pensavo volesse venire da te e così l'ho seguito, per tutta la giornata, fin quando la sera non ti è venuto a trovare. Sono tornata a casa e l'ho aspettato per ore prima di realizzare che lo stavo perdendo anch'io e che se ti fossi ripresa, lui sarebbe venuto a chiederti di nuovo in sposa perché si sentiva in colpa. > Scosse la testa, mentre la teiera fischiava.

Intontita, mi alzai e versai l'acqua bollente nelle tazze, lasciando che l'aroma di vaniglia si disperdesse.

Versai due cucchiaini di zucchero e attesi che lei facesse lo stesso per guardarla e studiarne le espressioni. Con le lacrime le occhiaie sembravano essersi accentuate.

< E' stata la sensazione di dover rimanere di nuovo sola che mi ha spinto a chiamarti, l'altro giorno e a rivolgerti tutte quelle parole dure. Erano bugie: in fondo, non ho lottato per la mia felicità, Robert mi ha semplicemente utilizzata come valvola di sfogo per un po', rendendomi ancora più insicura di quanto lo ero prima circa i miei sentimenti per lui. Suppongo che lui tutto questo non te l'abbia raccontato. > Afferrò la sua tazza, stringendola tra tutte e due le mani e bevendone un piccolo sorso dopo aver rimosso il filtro.

Scossi la testa. Quando avevo provato a chiedergli cos'era che non andava tra noi, si era limitato a dire che era una questione troppo complicata, come se potesse bastare come giustificazione.

< Tu lo ami ancora? > Mi domandò curiosa. Il suo racconto, dedussi, era terminato, anche se mi sarebbe piaciuto ascoltarla ancora.

Sospirai triste.

< Non so cosa provo, sono confusa e mi sembra di non conoscerlo affatto. Forse non l'ho mai conosciuto davvero, forse non ha fatto altro che mentirmi fin da quando non l'ho incontrato. Non so cosa pensare. > Risposi affranta, sorseggiando il tè e pensando che probabilmente non c'era neanche più bisogno di parlarne, perché non mi avrebbe più cercata, non dopo il rifiuto della sera precedente.

< Lo è anche lui, ma credo non abbia smesso di amarti. A volte mormorava il tuo nome nel sonno e a volte mi confondeva con te, specialmente quando facevamo l'amore. > Arrossì a quella confessione ed io provai solo tenerezza e comprensione per la ragazza dai capelli lunghi e scomposti che cercava di essere forte e di non farsi sopraffare dalle emozioni.

< Io non ricordo nulla di noi. Ho dimenticato quello che è successo e ho dimenticato la nostra storia, ho dimenticato lui. Forse è questo che l'ha ferito, il fatto che non mi ricordassi chi fosse e che significato avesse per me. > Suggerii. Era quello il motivo di tutte le recriminazioni della sera prima? Si sentiva ferito dal fatto che mi fossi dimenticata cosa eravamo stati un tempo?

Anche nel sogno che avevo fatto non mi ricordavo di lui, eppure finivamo a letto insieme comunque.

< Non so cosa gli passa per la testa, Arlyn, ma so che lui ti ama ancora. Forse nel modo sbagliato, forse non riesce a capire che ti sta solo facendo del male, ma ti ama. Se ne accorgerà anche lui, prima o poi. > Fece spallucce lei, sorridendo appena, facendo di tutto per non scoppiare di nuovo a piangere.

Dopo quella telefonata, non avrei mai pensato di dirlo, ma la ammiravo. La ammiravo perché aveva avuto la forza di venire a raccontarmi il suo vissuto con Robert di persona, e perché non era stata così orgogliosa da credere che fossi io la colpa dei loro guai e dei loro problemi.

< E tu? Hai detto di amarlo. > Le feci presente.

Sospirò e si passò di nuovo una mano tra i capelli, un gesto che faceva spesso anche Robert e che potevo attribuire solo all'imbarazzo.

< Lui prenderà comunque una decisione e so che per noi non può esserci futuro. Lo amo, ma più di tutto voglio vederlo felice e se non è felice con me, pazienza, vorrà dire che lo sarà con qualcun'altra, magari con te. > Posò la tazza vuota nel vassoio, osservandomi concentrata.

< Quando ritroverò la memoria potrebbe essere troppo tardi e poi non credo che voglia più rivedermi. > Aggiunsi, abbandonando anch'io la tazza vuota.

Mi rivolse uno sguardo interrogativo a cui mi sentii in dovere di rispondere.

< Ieri Tom mi ha portata a vedere la mia libreria e lui aveva promesso di passare a trovarmi. Non l'ho avvisato e quando sono rientrata l'ho trovato ad attendermi: era arrabbiato, preoccupato e fradicio di pioggia. Volevo che facesse una doccia e si cambiasse per evitare di ammalarsi, ma quando l'ho accompagnato in bagno ha cercato di... sedurmi e io l'ho respinto. Ha detto di amarmi e io non gli ho creduto. > Soddisfeci la sua curiosità.

< Non conta quello che vi siete detti o non detti. Ti perdonerà. > Sorrise per incoraggiarmi.

< Forse non lo farò io. > Feci spallucce, indifferente.

< E' solo confuso. Quando avrà preso una decisione cambierà atteggiamento e comincerai a conoscerlo davvero. > Non potevo credere al fatto che fosse lei a dirmi di dargli un'altra possibilità. Non riuscivo a non pensare al fatto che mi stesse spingendo tra le braccia dell'uomo di cui era innamorata.

< Perché mi hai raccontato la vostra storia? > Mi sembrava una domanda lecita da porre.

< Perché volevo rimediare e perché non voglio che tu prenda il suo abbandono come qualcosa legato esclusivamente a me. Non è per me che ti ha abbandonata e volevo lo sapessi. > Fece spallucce e sospirò, alzandosi.

< Credo di dover andare. Ti ho svegliata e annoiata con le mie chiacchiere. > Rise.

< No! No, mi ha fatto piacere, davvero. Ti ringrazio di essere venuta. > Le sorrisi, accompagnandola alla porta e salutandola con la mano prima di vederla scomparire all'interno della sua Mini Cooper grigio metallizzata.

Mi abbandonai contro il legno della porta, pensierosa.

Forse era come diceva Kristen, forse sentivo di non conoscere Robert, perché la parte che mi aveva mostrato era una parte di lui fragile e confusa; forse dovevo ancora conoscere il vero Robert.

Salii le scale per tornare a letto, la testa troppo piena di immagini e parole e il desiderio che tutto quello non fosse mai avvenuto: il mio incidente, le litigate, tutto.

La sveglia segnava le sette e mezzo del mattino, anche se nella mia stanza regnava ancora la penombra per via delle tapparelle completamente abbassate.

E se non mi avesse più cercata? E se avesse deciso di lasciarmi in pace?

Kristen aveva detto che tra loro era solo questione di giorni, ma se invece avesse scelto lei, sorprendendo entrambe?

Continuavo ad avere in testa mille domande senza risposta che probabilmente mi avrebbero tormentato per sempre.

Mi misi a letto, rannicchiandomi sotto le coperte con il desiderio di addormentarmi, rimanendo, tuttavia, attenta e vigile, quasi come se stessi aspettando un'altra visita.

Afferrai il cellulare dal comodino, aprendone lo sportello e osservando lo schermo colorato: c'era una foto di me e Robert in un parco, seduti su una panchina, vestiti per l'inverno. Non ci avevo nemmeno fatto caso nei giorni scorsi, troppo presa a recuperare i ricordi perduti.

Scorsi velocemente la griglia con le apposite frecce, arrivando alla cartella immagini. Spinsi ok e una lista più o meno lunga di miniature catturò la mia attenzione. Aprii la prima immagine, ingrandendola: Tom e Robert impegnati in una lotta scherzosa, io ed Alex sommerse di buste, un giardino innevato, Robert al volante, Tom alle prese con un pupazzo di neve, io e due splendide bambine, probabilmente le figlie di Victoria, ancora Robert con un paio di occhiali da sole a forma di stella, io sull'altalena e tantissime altre che immortalavano i più svariati paesaggi.

Sorrisi, tornando indietro e decidendo di rovistare nella cartella dei messaggi.

Ne avevo circa cinquanta salvati: erano tutti di Robert e quasi mi venne da piangere al pensiero che potevamo essere davvero molto innamorati prima del mio incidente.

Forse avevo già scelto il vestito da sposa, ma nell'armadio non c'era; doveva essere ancora in negozio.

Decisi di telefonare ad Alex: era la mia migliore amica, doveva sapere se avevo già scelto il vestito da sposa, no?

Cercai il suo nome in rubrica e avviai la chiamata. Rispose dopo due squilli.

< Ehi, Arlyn! Mattiniera? > Mi sembrava di vederla sorridere.

< Sono ancora a letto, in verità, ma ho pensato di chiamarti. > Risposi, lasciandomi contagiare dal suo buonumore.

< Hai fatto bene! Novità dallo "psicopatico"? > Mi domandò. Psicopatico era il termine con cui si riferiva a Robert, in maniera del tutto affettuosa, a sentire lei.

< Kristen è venuta a trovarmi. > Le raccontai quello che mi aveva detto e lei parve sorpresa dei suoi consigli, almeno quanto lo ero rimasta io pochi minuti prima.

< Vuoi davvero dargli un'altra possibilità? > Mi domandò cauta.

< Non è detto che decida di venire a trovarmi subito, almeno, non dopo che l'ho rifiutato in maniera così rude. > Avvampai al ricordo delle sue labbra sulle mie e delle sue mani che avevano cercato di spogliarmi.

< Hai fatto quello che era giusto, Arlyn. Non poteva continuare a trattarti così! > Proruppe convinta.

< Senti, mi chiedevo... insomma, Kristen mi ha fatto tornare in mente la questione matrimonio: avevo già scelto un vestito? > Mi morsi un labbro in attesa della risposta.

< Avreste dovuto sposarvi tra due settimane, certo che avevi già scelto un vestito! > Quasi urlò, scandalizzata dalla prospettiva che potesse essere il contrario.

< Immagino sia ancora in negozio, perché nel mio armadio non c'è... > Titubai.

< Affermativo, tesoro. Hai voglia di vederlo? > Domandò comprensiva.

< Ecco... mi piacerebbe, sì. > Ammisi e tremai al solo pensiero.

< D'accordo, perché non mi fai compagnia in libreria oggi? Pranziamo insieme e ti accompagno a vedere il vestito nel pomeriggio, che ne dici? > Propose, gioiosa.

< Non devi... lavorare nel pomeriggio? > Non volevo rinunciasse al lavoro per me.

< Chiederò a Tom di sostituirmi, allora? > Insistette.

Non riuscii a dire di no e così le promisi che sarei andata in libreria appena fossi stata pronta.

Ero curiosa e spaventata di vedere il vestito, un misto di emozioni che mi avrebbero sicuramente destabilizzata nell'attesa del pomeriggio.

Ma sapere era più importante.

Conoscere era vitale.

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Capitolo 11
*** Bride ***


Salve!

Che ritardo mostruoso, mamma mia! ç.ç Sono mortificata, davvero, ma non avevo capitoli pronti e purtroppo l'ispirazione non mi è stata d'aiuto in questi giorni, tanto che ho terminato questo capitolo solo stamane T.T

Al solito, ringrazio chi ha commentato, chi ha inserito tra le preferite/seguite/da ricordare e chi ha soltanto letto *.* I love u! <3

In questo capitolo si parla di abiti da sposa, quindi, per darvi un'idea di come ho immaginato io quello di Arlyn, ecco una foto    Bride

Spero che la mia descrizione gli renda giustizia ^^

Non credo di poter dire con sicurezza quando potrò aggiornare, perché, ripeto, non ho capitoli pronti al momento e mi tocca improvvisare xD Spero di farcela per lunedì/martedì; in ogni caso, potete richiedermi l'amicizia su Facebook (ho creato appositamente un profilo autore) in modo da essere sempre aggiornate su capitoli, ritardi e via dicendo; vi lascio il link    Frytty su Facebook

Vi lascio al capitolo ^^

 

 

Buona lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

Evidentemente Alexandra sapeva essere più testarda di me, se ci si metteva. Appena arrivai in libreria pensò bene di appuntarmi la spilla di direttore sulla maglia che avevo deciso di indossare, senza nemmeno chiedermi cosa ne pensassi.

< Cosa significa? > Le domandai confusa, seguendola su per le scale.

< Significa che è ora che i clienti imparino a capire chi comanda. > Rispose ovvia.

< E perché? Non sono ancora ufficialmente tornata a lavoro. > Protestai debolmente. In realtà sapevo bene che due moine sarebbero bastate per convincermi che, in fondo, ero adatta a quel lavoro e che fondamentalmente, adesso che non dovevo più preoccuparmi di riprendere il ritmo della mia vita, avrei potuto ricominciare ad occuparmi di libri.

< Dovrai pur iniziare, no? Perché non oggi, perché aspettare? Stai bene e sembri a tuo agio qui, con i clienti sei stata bravissima ieri e ti basteranno pochi giorni per riprendere il ritmo. > Si voltò verso di me, afferrandomi le braccia come per scuotermi, invece, il suo, era solo un modo per consolarmi e tranquillizzarmi.

Cosa avevo da temere?

< D'accordo. > Sospirai, osservandola saltellare dalla gioia prima di posizionarsi dietro la cassa. < Posso aiutarti? Devo fare qualcosa? > Continuai, guardandomi attorno. Sembrava tutto in ordine e non c'erano molti clienti, soltanto qualche ragazza che rovistava nel reparto Romanzi e qualche distinto uomo d'affari immerso nella lettura di un quotidiano economico.

< Puoi aiutarmi a catalogare questi nuovi arrivi al computer, se ti va. > Propose pratica, indicandomi una pila di volumi.

< Sì, certo! > Afferrai uno sgabello e mi ci sedetti, prendendo in mano il foglio delle consegne e verificando che tutti i titoli fossero pervenuti.

< Hai cambiato idea su di lei? > Mi chiesa ad un tratto, continuando a scrivere velocemente al computer.

< Lei chi? > Chiesi, fingendo di non aver capito.

< Kristen. Mi sembravi colpita, prima, a telefono. > Spiegò, lanciandomi un'occhiata.

< Non mi aspettavo certo una sua visita, né tanto meno che Robert avesse preso in giro lei nello stesso identico modo in cui si è preso gioco di me. > Ribadii, rifiutandomi di guardarla.

La sentii sospirare e recuperare una penna per sottolineare qualcosa sul catalogo aperto di fianco a lei.

< Tornerà, lo sai questo, vero? > Mi studiò ed io non riuscii ad evitare la sua occhiata dolce e comprensiva.

< Io... beh, in fondo sto bene senza di lui e poi non credo lo farà. > Giocherellai con una graffetta, tentando di ignorare il senso di perdita e delusione che mi aveva improvvisamente attanagliato lo stomaco.

< Stai bene, o credi di star bene senza di lui? > Sapevo che Alexandra poteva essere diretta e concisa, ma le sue somigliavano molto alle domande di uno psicanalista.

< Sto bene. > Ma mi pentii subito di quella risposta, perché non corrispondeva interamente alla verità.

< Non devi vergognarti di quello che provi, Arlyn. Lui ti ha ferita, delusa, ma è normale che il solo pensiero che possa lasciarti da sola ti spiazzi. Ci sei ancora affezionata e, nonostante tutto, gli vuoi bene. > Era così facile? Sarebbe bastato ammettere che, sì, mi sarebbe mancato, che gli volevo ancora bene, anche se ero ancora confusa circa i miei sentimenti, e tutto sarebbe ritornato come un tempo?

< Che importa? Forse sentirò la sua mancanza, forse no, ma non è questo il punto. > Risposi mesta. < Accetterò le sue scuse, lo perdonerò e magari comincerò anche a credergli quando mi dirà che mi ama e che è disposto a sposarmi, ma se capitasse di nuovo, se non cambiasse affatto? > I suoi gesti mi avevano disorientata più di una volta e non ero disposta a farmi trattare come un giocattolo.

< Non lo devi perdonare adesso, nessuno te lo sta chiedendo, né devi dargli un'altra possibilità se non vuoi. Adesso che hai capito cosa lo lega a Kristen puoi agire con più serenità, senza chiederti se le sta dicendo una bugia e quando se ne renderà conto anche lui, beh, anche tu sarai pronta a perdonarlo; è quello che penso. > Sorrise sincera ed io annuii perché non avrei saputo cosa rispondere.

Le situazioni difficili ci insegnano sempre qualcosa, nel bene e nel male, la cosa importante era rendersi conto che quel qualcosa avrebbe fatto parte di noi per sempre e che solo noi saremmo stati in grado di capire quando e come usare quell'esperienza per relazionarci con il mondo. Era quello che avevo capito durante le mie tre settimane di riabilitazione in ospedale, mentre vagavo da una corsi all'altra, cercando di non sentirmi troppo sola e troppo affranta, perché io ero stata fortunata, ero sopravvissuta; altri, al mio posto, non ce l'avevano fatta e i loro genitori avevano pregato invano per un miracolo. Avevo capito che avrei dovuto farmi forza da sola, perché contare sulle persone che ti volevano bene era utile, a volte necessario, ma ben presto sarebbe risultato inopportuno e avevo imparato che non è necessario mostrarsi sempre forti, specialmente quando ci si sente stanchi e deboli e che le lacrime aiutano ad eliminare il dolore per fare posto a nuovi sorrisi.

Dalla storia di Kristen avevo capito che non importa quanto ami una persona, ma quanto sei disposto a donargli di te, a quali sacrifici sei disposto a fare.

Anche Robert, probabilmente, avrebbe imparato qualcosa dal mio rifiuto, ma non potevo saperlo e forse era soltanto un'altra delle mie stupide teorie.

< Sarebbe cambiato qualcosa se Robert non mi avesse detto di Kristen, se avesse continuato a mentirmi? > Domandai. Magari l'avrei scoperto comunque, magari mi avrebbe abbandonata subito dopo il matrimonio.

< L'avresti scoperto, Arlyn. La verità viene sempre a galla, specialmente quando hai a che fare con celebrità costantemente nel centro del mirino di giornalisti e riviste di gossip. > Bofonchiò, voltando una pagina del catalogo con troppo astio perché si stesse riferendo solo a Robert.

< Che succede? Mi sembri... infastidita. > Che fosse innamorata anche lei?

< No! No, va tutto bene, solo che... dovremmo organizzare uno di quei pigiama party, come al liceo e trascorrere la notte a scambiarci segreti, perché le cose che ho da dirti sono veramente troppe. > Espirò, rilassandosi contro lo schienale della sedia.

< Vuoi tenermi ancora sulle spine?!? Non se ne parla! Sputa il rospo! > E per evidenziare il concetto le pizzicai un fianco, facendola sobbalzare.

< Ecco... c'è qualcuno che mi piace... > Ammise alla fine, arrossendo come una ragazzina alla sua prima cotta.

< E chi sarebbe il fortunato? > Ammiccai curiosa.

Rimase in silenzio qualche istante, poi arrossì ancora di più e abbassò lo sguardo, quasi si vergognasse del nome che era in procinto di rivelarmi.

< Tom. > Pigolò alla fine, la voce così sottile, che mi chiesi se avessi davvero capito bene.

< Tom? Vuoi dire quel Tom? > Era una domanda stupida, perché non conoscevo nessun altro che si chiamasse Tom, ma non resistetti.

Annuì, in difficoltà e mi fece così tenerezza, che ebbi voglia di abbracciarla.

< E perché quella faccia triste? Qualcosa non va? Lui è già impegnato? > Domandai a raffica, eccitata dalla scoperta.

< No, non è impegnato con nessuna, solo che... insomma, non riesco a dirgli quello che provo. Ho paura di essermi costruita troppi castelli in aria. E se a lui non dovessi piacere? E se si rivelasse uno stronzo come Robert? > Gli occhi le divennero liquidi, ma non pianse.

< Tom è la persona più dolce e leale che conosca, è praticamente impossibile che possa comportarsi come Robert! > Quasi urlai nel tentativo di convincerla, tanto che i due uomini d'affari, ancora accomodati nelle poltrone accanto all'ingresso, mi lanciarono uno sguardo confuso e seccato.

< Le apparenze ingannano, Arlyn, dovresti saperlo meglio di me. > Bofonchiò, tornando a sfogliare il catalogo.

< Ma non ci hai neanche provato! E se fosse l'uomo dei tuoi sogni, il tuo principe azzurro? > Le feci presente. Io non ero stata così fortunata, ma cosa poteva impedire a lei di esserlo? Tom era dolce, sensibile, premuroso, onesto e un buon amico e sarebbe stato un ottimo fidanzato per Alexandra, ne ero sicura.

< Non credo a quelle sciocchezze, dovresti saperlo e poi comunque sono sicura che mi trovi assolutamente insignificante. > Mi tolse di mano un libro, prendendo a battere sui tasti della tastiera del computer con forza e rassegnazione.

< Posso parlarci io. > Mi proposi. In fondo non era così difficile.

< No! No, no e poi no! Non se ne parla nemmeno! > Abbandonò il mouse con uno scatto che mi spaventò e si voltò verso di me con gli occhi fiammeggianti di rabbia e paura.

< Ok, volevo solo aiutarti. > Mi difesi, alzando le mani in segno di arresa definitiva.

< Sì, lo so, scusa, è solo che quando si parla di lui divento nervosa e paranoica e fraintendo tutto. > Sbuffò, sgonfiandosi della sua ira come un palloncino bucato.

< Potresti approfittarne stasera: hai detto che verrà a sostituirti nel frattempo che tu mi accompagni a vedere il vestito. Puoi ritornare qui con la scusa che hai dimenticato qualcosa e a quell'ora la libreria sarà vuota, perciò potrai parlargli con tranquillità e franchezza. > Sorrisi, fiera della mia idea.

< Non riesco a stare da sola con lui, mi manda così in confusione che perdo l'uso della parola. > Si agitò. Sì, era davvero una ragazzina alla sua prima cotta, ma era confortante poter vedere come il resto del mondo e delle persone che ti circondavano riuscivano a trovare la loro felicità.

< Puoi farcela, so che puoi. > La rassicurai con un sorriso.

< I suoi occhi mi mandano in confusione. > Dichiarò, arrossendo furiosamente, non se per la rivelazione, o per il ricordo degli stessi occhi blu mare di Tom che, dovetti confessarlo a me stessa, avevano messo in soggezione anche me, in ospedale, la prima volta che lo vidi. 

Continuai a sorridere, annuendo, perché capivo la sua emozione; era la stessa che avevo provato io quando avevo studiato gli occhi di Robert da vicino, poco prima che mi baciasse.

< Non è necessario che tu segua il mio piano se non vuoi, ma secondo me sarebbe il momento perfetto, e poi questo posto diventa così magico di sera, con le luci soffuse e l'odore di libri... > Inspirai, lasciandomi avvolgere da quell'aroma delizioso.

Sorrise e mi ringraziò con lo sguardo prima di tornare al lavoro.

 

Mi sentivo nervosa, agitata ed elettrizzata. Lo stomaco mi si era chiuso, stretto in una morsa d'acciaio, tanto che non avevo toccato cibo e avevo piluccato dal mio piatto solo perché Alexandra mi aveva minacciata con lo sguardo.

Se mi fossi fermata avrei, con tutta probabilità, vomitato nel primo cestino disponibile.

< Stai bene? Sei pallida. > La mia migliore amica mi lanciò uno sguardo accigliato e preoccupato.

< Sono solo nervosa, ma va tutto bene. > Cercai di sorridere per sottolineare il concetto e lei scosse la testa, comprensiva, prendendomi sotto braccio e rallentando.

< Sicura di volerlo vedere? Non sei obbligata e c'è tempo, dopotutto. Ho chiesto alla proprietaria di metterlo da parte, quindi non c'è pericolo che lo venda. > Tentò di tranquillizzarmi.

< Non ho fretta, è solo che voglio farlo. Forse non mi aiuterà a ritrovare la memoria, ma a conoscermi un po' meglio sì. > Risposi, inspirando e cercando di non farmi prendere dal panico.

< D'accordo, come vuoi. Sappi che io sono con te. > Mi strinse il braccio in maniera affettuosa e si fermò di fronte alla vetrina di una boutique poco appariscente. Erano esposti diversi manichini, ognuno con indosso un abito da sposa bellissimo. A colpirmi era stato il primo, quello con la gonna ampia da principessa e un bustino finemente ricamato che lasciava le spalle scoperte.

< Entriamo? > Mi chiese sorridente ed io annuii semplicemente, incapace di dire altro, la gola secca per l'emozione.

All'interno la boutique era essenziale: una scrivania bianca, una morbida moquette, un armadio immenso in cui erano esposti tutti gli abiti da sposa e, verso il fondo, uno specchio a figura intera, qualche sedia e una sarta che stava lavorando sull'abito di un giovane sposo.

< Salve, posso aiutarvi? > Ci domandò cordiale una signora di mezza età vestita in maniera elegante e dal sorriso gentile.

< Sì, la mia amica vorrebbe vedere il suo abito. Ho dato disposizione perché fosse conservato. > Rispose Alex per me.

< La signorina Stevens, giusto? > Scorse un foglio che dedussi essere quello delle prenotazioni.

< Sì, esatto. > Confermò lei.

< Volete scusarmi un momento, torno subito con il suo abito. > Si rivolse a me, accarezzandomi gentilmente una spalla.

< Come ho fatto a scegliere tra tutti questi vestiti? > Mi chiesi ad alta voce. Sembrava impossibile selezionarne uno nel quale saresti voluta entrare per sposarti.

< In realtà, non ne hai nemmeno provati molti, forse quattro, prima di trovare quello giusto. > Fece spallucce, divertita dalla mia osservazione.

Qualche istante dopo, mentre io ero ancora concentrata sulla precisione della sarta davanti a me che stava rifinendo l'orlo dei pantaloni dello sposo, la proprietaria ritornò con una custodia trasparente che aprì solo quando ci fu di fronte.

< Prego. > Mi porse il vestito perché potessi ammirarlo, ma io lasciai che lo prendesse Alexandra.

Era splendido, il più vestito da sposa che avessi mai visto: la gonna ampia color avorio era decorata finemente da ricami fiorati, così come il corpetto stretto, bianco e avorio e un raffinato tessuto perlaceo fermato al fianco da due rose, quasi l'abito avesse due gonne, ma una fosse stata sollevata per mostrarne la seconda.

< E'... meraviglioso... > Riuscii a dire alla fine, tramortita.

< E, credimi, ti sta' d'incanto. Vuoi provarlo? > Mi chiese gentile.

< Non lo so... posso? > E rivolsi uno sguardo alla signora che, molto candidamente, ci aveva lasciate sole.

< Certo che puoi, è tuo! > Insistette Alexandra, mettendomi in mano la gruccia e spingendomi verso i camerini.

Mi spogliai lentamente, pensando che, in fondo, avevo già provato quell'abito, solo che non me ne ricordavo e che non avevo motivo di essere agitata, visto che non avrei più dovuto sposarmi; eppure, nello sfiorare la stoffa pregiata prima di indossarla, mi venne quasi da piangere al pensiero che nessuno mi avrebbe vista indossarla e nessuno mi avrebbe mormorato in un orecchio che ero bellissima.

Quasi non mi riconobbi allo specchio quando mi voltai di spalle per chiudere il corpetto. Il vestito fasciava le mie curve in maniera perfetta, tanto che arrossii, cominciando a torturarmi la treccia che, finalmente, ero riuscita ad acconciare da sola quella mattina.

Uscii dal camerino con timore, vergognandomi come una ladra, a piedi nudi e subito notai lo sguardo di Alexandra e della proprietaria della boutique accendersi di meraviglia e felicità.

< Ti sta meravigliosamente, Arlyn! > Gioì, avvicinandosi e abbracciandomi.

< Ricordo quando lo indossò per la prima volta. > Intervenne con gentilezza Mary, la proprietaria, da quanto avevo potuto leggere sulla targhetta appuntata sulla giacca scura. < Molti miei clienti rimasero piacevolmente colpiti. > Continuò con un sorriso ed io arrossii, imbarazzata da quei complimenti.

< Saresti stata la sposa più bella di sempre. > Alexandra aveva gli occhi lucidi e vederla prossima alle lacrime, mi contagiò, perché divenni improvvisamente triste e con una gran voglia di sedermi in un angolo e piangere per ore.

Non sapevo bene cos'era a rattristarmi, se la consapevolezza che non ci sarebbe stato nessun matrimonio e che quindi non avrei potuto più cominciare ad occuparmi di una famiglia tutta mia, oppure il fatto che il mio rapporto con Robert era radicalmente cambiato e niente ci avrebbe più portato ad un passo del genere.

Le lacrime mi rotolarono giù, lungo le guance, senza che neanche me ne accorgessi e Mary ci lasciò sole, stringendomi un braccio, comprensiva.

< Ehi, va tutto bene. Sei qui, sei ancora viva ed è questo l'importante. Quando arriverà il momento indosserai questo vestito e ad aspettarti all'altare ci sarà un uomo in grado di amarti e rispettarti come meriti. > Mi consolò Alex, abbracciandomi una seconda volta.

Sospirai, cercando di cacciare indietro le lacrime e di non pensare. In fondo, aveva ragione, non l'avrei indossato nell'immediato, ma l'occasione sarebbe arrivata ed io avrei pianto di felicità e non di sconforto.

Mi cambiai velocemente, lanciando all'abito un'ultima occhiata prima di riconsegnarlo alle mani esperte di Mary che rinnovò il nostro accordo: avrebbe conservato quel vestito per me e, comunque, l'avrebbe fatto lo stesso, anche se noi non fossimo andate a reclamarlo, perché non se la sarebbe sentita di farlo provare a nessun'altra, non dopo quello che era successo a me. La ringraziai, facendomi precedere da Alexandra fuori dalla boutique.

Insistette per accompagnarmi a casa, anche se le avevo assicurato che non ce n'era bisogno, che conoscevo la strada e che non avrebbe dovuto perdere tempo quando Tom la stava aspettando in libreria, ma non volle darmi ascolto e così la lasciai fare.

Fuori dalla metropolitana la obbligai a tornare indietro. Mi dividevano solo cento metri da casa mia e poi stavo bene, anche se il magone in gola premeva per venir fuori sotto forma di lacrime e singhiozzi.

Il portico, questa volta, era deserto, nessuna traccia di Robert ed io sospirai di sollievo perché, con tutta probabilità, se l'avessi visto non sarei riuscita a trattenermi e sarei esplosa.

Mi chiusi la porta di casa alle spalle, poggiando le chiavi sul mobile accanto e dirigendomi verso il telefono per controllare la segreteria.

Avevo un nuovo messaggio e decisi di ascoltarlo mentre mi preparavo per una doccia.

< Ciao, Arlyn, sono Robert. Probabilmente non ci sei, o forse non vuoi rispondere, ma ci tenevo a dirti che quello che ho detto la scorsa sera non era bugia, era la verità. Mi dispiace di averti urlato contro colpe che non hai, ma ero deluso, anche se capisco perfettamente il tuo punto di vista. Non hai bisogno di qualcuno che ti dica di amarti, specialmente adesso che sei ancora così fragile, hai ragione. So di aver sbagliato, so di averti trattata male e so che stai ancora soffrendo, ma posso cambiare e lo farò, lo farò perché non sono disposto a perderti. Chiamami, se vuoi. >

Rimasi immobile, ferma nel corridoio, ad ascoltare la sua voce distorta dall'apparecchio telefonico, chiedendomi se non fosse un altro dei suoi tentativi di farsi nuovamente accogliere nella mia vita.

Ripensai alle parole di Kristen, a quando, quella mattina, mi aveva confessato che lui mi amava ancora, ne era sicura, e di come avesse intenzione di porre fine alla loro storia perché stava soffrendo.

Ammesso che stesse dicendo la verità e ammesso che sarebbe stato disposto a cambiare, ero sicura di concedergli un'altra possibilità?

Chi mi avrebbe garantito che non avrei più sofferto?

Abbandonai i vestiti nel cesto della biancheria sporca e mi diressi in bagno, tormentata dalla prospettiva che non potevo ignorarlo per sempre, che, se mi amava davvero come aveva detto, mi avrebbe cercata e non si sarebbe dato pace fin quando non gli avessi detto che non lo amavo e che non avrei potuto amarlo mai più, ma sarebbe stata una bugia ed io non volevo diventare come lui.

Dovevo fare chiarezza dentro di me, tra i miei sentimenti e scoprire cos'era più giusto per il mio cuore.

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Capitolo 12
*** Believe ***


Salve!

Scusate il ritardo, ma ieri la mia ispirazione si era data per dispersa e l'ho ritrovata solo stamattina (era in spiaggia lei, a godersi il mare *tsé* -.-), perciò chiedo venia ç.ç

Questo capitolo è un po' strano, nel senso che succede e non succede qualcosa di importante per Arlyn e vorrei inoltre precisare che se lo trovate un po' incoerente, è normale, perché è l'effetto che ho voluto dargli, visto che Arlyn è ancora incerta e non sa bene cosa fare.

Ringrazio, al solito, tutte le persone che hanno inserito la Ff tra le preferite/da ricordare/seguite, che hanno letto, che hanno solo dato un'occhiata e quelle che hanno commentato, facendomi felice *.* vi amo, come ve lo devo dire? *.*

Volevo ricordare che ho aperto un blog in cui recensirò le mie letture e in cui fornirò consigli letterari, per cui, chi volesse farci un salto e magari lasciare anche un piccolo commento, questo è il link: Back to Books

Ho creato un set per questo capitolo ed è questo: Believe

 

Detto ciò, annuncio che, molto probabilmente, il nuovo capitolo arriverà ad inizio settimana prossima, ma, in ogni caso, vi terrò aggiornate sul mio profilo autore su Facebook ^^

 

 

 

Buona lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Avevo ripreso in mano le redini della mia vita e non potevo che esserne contenta. Ero tutti i giorni in libreria: catalogavo, sistemavo, servivo i clienti e dispensavo sorrisi come se fosse tutto tornato alla normalità. Non che quella non lo fosse, ma sapevo che c'erano questioni che, prima o poi, avrei dovuto affrontare. Alexandra, inoltre, aveva ragione: mi sentivo a mio agio in quel posto che profumava di carta stampata e mi piaceva stare a contatto con la gente; a casa non avrei avuto molto da fare e mi sarei annoiata, ma con il mio ritrovato lavoro di libraia, trascorrevo tutta la giornata in movimento, riuscendo a riposarmi solo la sera tardi, quando rientravo.

Non avevo avuto nessuna notizia di Robert dal suo messaggio in segreteria, nonostante fosse trascorsa più di una settimana, né tanto meno io me l'ero sentita di chiamarlo.

Mi dicevo che ci avrebbe pensato il tempo a sistemare la cosa, ma forse avrei dovuto darmi da fare anch'io.

< Caffè per il capo! > Trillò Alexandra, porgendomi una tazza di caffè caldo appena recuperato dalla caffetteria al secondo piano.

< Grazie! > Risposi, finendo di sistemare le fatture dei nuovi ordini.

< Allora, hai intenzione di onorarci della tua presenza stasera? > Mi chiese, sporgendosi sul bancone e rivolgendomi un'occhiata maliziosa.

< Stasera?!? Perché, cosa succede? > Chiesi, presa alla sprovvista.

< Arlyn! Va bene vivere in mezzo ai libri, ma ogni tanto guardati anche in giro, no? > Sbottò quasi offesa, senza che io, tuttavia, riuscissi a capire di cosa stesse parlando.

La fissai confusa e lei sospirò rassegnata, alzando gli occhi al cielo.

< Abbiamo programmato di ritrovarci tutti al Blue Lion, non ricordi? > Attese una mia conferma.

< Oh. Deve essermene dimenticata. Comunque, d'accordo, ci sarò. > Dovevamo averlo deciso in una di quelle telefonate notturne che Alexandra si ostinava a farmi per descrivermi i suoi progressi con Tom. Avevano deciso di frequentarsi un po' prima di prendere una decisione definitiva sulla faccenda coppia e sembrava che le cose andassero per il verso giusto e che lui fosse molto interessato.

< Bene, perché verrà anche Robert e sarebbe l'occasione giusta per parlare un po', ti pare? > Mi domandò convinta.

Il cuore cominciò ad accelerare i suoi battiti all'interno della cassa toracica. Non l'avevo richiamato, cosa avrebbe pensato di me?

< Non credo sia una buona idea. Non so ancora cosa fare. > Confessai, sorseggiando il caffè e arrossendo.

< Ma non devi giurargli amore eterno! Dovete solo cominciare a conoscervi, come se fosse la prima volta che vi incontrate. > Chiarì semplice.

< Ma sappiamo bene che non è la prima volta, Alex ed io non posso rimuovere tutto quello che è stato. > Controbattei malinconica.

Avrei dovuto affrontarlo comunque, prima o poi, ma nella tranquillità di casa mia, magari e possibilmente dopo una chiarificazione telefonica.

< Hai ripreso con la tua vita, no? Non devi necessariamente affrontare subito il discorso stiamo insieme perché ti amo, se non vuoi, ma se non ricominciate a parlare vi separerete sempre più e quando finalmente avrai deciso cosa farne della vostra relazione, sarà troppo tardi, perché non avrete più niente da dirvi e allora potrai dare la colpa solo a te stessa. > Spiegò. Il suo discorso non faceva una piega, certo, ma come avrei affrontato l'imbarazzo, specialmente dopo quello che mi aveva raccontato Kristen?

Sospirai arresa e annuii.

< Splendido! Allora vengo da te, così ti aiuto a scegliere qualcosa di adatto, d'accordo? > Propose di nuovo sorridente.

Sembrava una minaccia, ma non potei rifiutare, così annuii soltanto, continuando a svolgere il mio lavoro in tranquillità, cercando di non pensare al fatto che l'avrei rivisto e che, probabilmente, mi avrebbe avvicinata per parlare, ma in realtà non feci altro per tutto il tempo, fino al mio ritorno a casa, seguita da Alex che, paziente, mi aveva lasciata rimuginare per tutto il tragitto in metropolitana.

Avrei potuto chiamarlo e magari chiarire la situazione, cercando di non allontanarlo del tutto fintanto che fossi stata così indecisa sui miei sentimenti, ma non l'avevo fatto e non esisteva una scusa abbastanza plausibile che potesse giustificarmi.

Il solo vederlo non avrebbe fatto altro che confondermi maggiormente e non potevo evitarlo per sempre.

< Che ne dici di questo? > La voce di Alexandra mi riportò alla realtà ed io la fissai atona. Qualunque cosa avesse deciso per me sarebbe andata bene, non ero in grado di concentrarmi anche sull'abbigliamento.

Annuii al paio di short neri che mi stava mostrando e che, l'attimo dopo, posò sul letto per continuare a rovistare alla ricerca di una maglia da abbinare. La osservai passivamente, incapace di aiutarla. Quando tirò fuori una canotta nera, quasi sospirai di sollievo, prendendo a vestirmi.

Lei non aveva bisogno di cambiarsi e si limitò a sistemare la gonna corta che aveva indosso da quella mattina e a rifinire il trucco.

< Sei più taciturna del solito, cos'hai? > Mi chiese mentre percorrevamo il marciapiede che ci avrebbe condotte al Blue Lion.

Feci spallucce, abbassando lo sguardo sulle mie Converse grigie.

< Sei preoccupata perché ci sarà anche Robert, vero? > Mi abbracciò, stringendomi a sé.

< Non sei obbligata a fare niente, se non vuoi, lo sai. E poi ci siamo io, Tom, Jeremy, Linda, non sarai sola. > Mi rassicurò, accarezzandomi i capelli con fare materno e riuscendo a strapparmi un sorriso.

Mi sentivo anestetizzata, incapace di ragionare lucidamente e di prendere decisioni. Ero sicura che avrebbero potuto abusare di me e non me ne sarei neanche resa conto, l'avrei scambiato per un sogno.

La situazione non migliorò quando mettemmo piede nel locale. La musica alta e le orde di persone che non facevano che spintonarci per raggiungere il bancone, colpirono la mia attenzione per un breve istante, prima che Alexandra mi prendesse per mano e mi conducesse ad un tavolo più appartato degli altri, in fondo alla sala, già occupato da diverse persone.

Lo riconobbi ancor prima di metterlo completamente a fuoco tra le luci forti e colorate.

Salutai Tom, abbracciandolo e poi Jeremy che mi fissò incredulo quando lo strinsi in un abbraccio: non provavo rabbia nei suoi confronti e nemmeno desiderio di vendetta. Avevo perso la memoria per colpa sua, ma lui pensava solo di aiutarmi, non avrebbe voluto farmi del male, perciò lo rassicurai con un sorriso che ricambiò incerto e mi voltai per abbracciare anche Linda, una delle mie più vecchie amiche che Alexandra, molto gentilmente, aveva pensato bene di accompagnare in libreria. Mi era simpatica e riuscivo ad essere naturale con lei quasi quanto con Tom e Alex.

Sentivo il suo sguardo su di me e se in un primo momento avevo pensato di poterlo ignorare, dando la colpa alla confusione, quando capii che l'unico posto libero era accanto al suo, non potei evitare di lanciargli un'occhiata, accennando un sorriso al quale lui rispose con timido entusiasmo.

< Vado ad ordinare, cosa prendete? > Ci chiese Tom, alzandosi in piedi e sovrastando il frastuono della musica che aveva incominciato ad attirare molti verso la pista.

< Ti accompagno. > Si offrì Jeremy, seguendolo al bancone.

Linda e Alex avevano intrapreso un'accesa discussione sui nuovi film in uscita e sulle nuove proposte letterarie, mentre io non facevo altro che fissarmi le mani, assorta, rifiutandomi di muovere anche un solo muscolo.

< Non mi hai più chiamato. > Sentii la sua voce e il mio cuore fece una capriola. Il suo profumo mi giunse alle narici, segno che si era voltato verso di me, ed io, sciocca, chiusi gli occhi, cercando di imprimerlo nella memoria.

< Sono tornata a lavoro e ho avuto parecchio da fare... > Risposi, annuendo e lanciando un breve sguardo alla sua camicia a quadri rossa.

< Voglio che tu sappia che tra me e Kristen è finita. > Aggiunse e sentii il bisogno impellente di uscire, di sentire l'aria fresca sul viso.

Respirai piano, cercando di non farmi prendere dal panico. Kristen me l'aveva predetto, sarebbe successo e allora cosa mi prendeva, perché ero così sconvolta? La loro separazione non voleva certo significare che avesse scelto di dedicarsi totalmente a me, a dimostrarmi il suo amore. Non ero ancora così sicura di voler credere a tutto quello che avevo sentito nel suo messaggio alla mia segreteria telefonica: e se fosse stato solo un modo per convincermi che stava tornando ad essere un bravo ragazzo? Non avevo voglia di rischiare e di abbandonarmi tra le sue braccia come una disperata.

< Mi spiace, come stai? > Ripresi il controllo e finsi una preoccupazione che non avvertivo.

Fece spallucce, osservando la folla in pista e tornando a rivolgermi lo sguardo poco dopo.

< Non avrebbe comunque funzionato tra di noi. > Disse alla fine, scrutandomi attento, tanto che mi sentii arrossire e dovetti abbassare gli occhi.

< Per colpa mia? > Chiesi indifferente.

< Per colpa mia, direi. > La sua risposta mi spiazzò, ma la sorpresa durò solo pochi istanti, perché Tom e Jeremy tornarono con sei bottiglie di birra.

Bevvi un lungo sorso, rinfrescandomi.

< Tu come stai? Tom mi ha detto che in libreria ti trovi bene e che con i clienti sei fantastica. Non che questo non lo sapessi già. > Sorrise appena ed io con lui. Magari però Alexandra aveva ragione: dovevo imparare a conoscerlo, di nuovo, come avevo fatto con lei, con Tom e con Linda.

< Sì, mi piace molto e mi sento a mio agio tra i libri. > Risposi sicura.

Annuì pensieroso, bevendo un altro sorso dalla sua bottiglia.

< Mi fa piacere tu sia tornata alle tue vecchie abitudini. Era solo questione di tempo, ma tu hai recuperato in fretta ed è un bene. > Affermò, sistemandosi contro la spalliera della sedia.

< Già, ne avevo bisogno e riesce a tenermi impegnata. > Confermai.

Rimanemmo in silenzio per un po', immergendoci nelle conversazioni intraprese dagli altri e finendo di bere le nostre birre.

Tom e Alex si allontanarono non appena il dee-jay annunciò la band live della serata e così Linda e Jeremy.

Mi rilassai contro la sedia, un sorriso divertito ancora stampato sulle labbra per uno degli aneddoti raccontati da Tom.

< E' successo qualcosa di cui non sono a conoscenza tra quei due? > Mi chiese Robert, indicando con un cenno del capo Tom e Alex che si dondolavano a ritmo di musica.

< Non lo so di preciso, Alex tende ad essere piuttosto riservata su questo argomento. Quello che mi ha detto è che Tom è stato disposto ad uscire con lei per conoscerla meglio prima di intraprendere qualcosa di ufficiale. > Chiarii con una scrollata di spalle.

Non c'era più bisogno di urlare per sovrastare la musica.

< Non l'avrei mai detto. > Li osservò pensieroso per un po' prima di voltarsi a guardarmi.

< Ti va di ballare? > Mi chiese, notando come stessi torturando la treccia con cui mi ero legata i capelli.

< Non credo di esserne capace... > Ammisi in imbarazzo, facendolo sorridere tenero.

< Ti perdono se mi pesti un piede. > Si alzò in piedi e mi porse la mano che io afferrai con titubanza.

Bastava un solo contatto per farmi tremare come una foglia. Per quanto ancora avrei potuto fingere che quello che provavo per lui non era un sentimento sufficientemente forte? Per quanto ancora sarei stata disposta a dichiararmi confusa circa le mie sensazioni?

Mi avvolse la vita con un braccio, portandomi più vicino a lui ed io, di rimando, portai le braccia intorno al suo collo, cominciando a dondolare piano. Seguire la musica non era tra le mie priorità.

< Non è così difficile, vero? > Mormorò ed io sussultai, incontrando i suoi occhi azzurri bellissimi.

Scossi la testa e arrossii.

< Sei bellissima stasera. > Continuò, accarezzandomi la treccia e sorridendo.

< G-grazie, a me piace la tua camicia. > Ricambiai, sforzandomi per non arrossire come una sciocca.

Storse la bocca in un'espressione buffa.

< Che c'è? > Gli chiesi, non riuscendo a reprimere un sorriso.

< Hai detto che ti piace la mia camicia. Ed io, non ti piaccio? > Sporse il labbro inferiore in fuori, come un bambino capriccioso.

Nonostante sapessi che stava solo scherzando, e che il suo obiettivo non era quello di mettermi in difficoltà, arrossii furiosamente, mordendomi le labbra.

< Certo, sì. > Riuscii a dire alla fine, non rendendomi neanche conto a cosa stessi effettivamente rispondendo.

Sorrise e si avvicinò per baciarmi una tempia con delicatezza.

< Voglio farmi perdonare, Arlyn, per tutto quello che ti ho fatto. Sono stato uno stupido egoista e tu hai sofferto senza ragione, così come senza ragione ho preteso di poter sistemare le cose quella sera. > Non c'era bisogno che specificasse di quale sera parlasse.

Non risposi perché non avrei saputo cosa dirgli e mi limitai ad incrociare i suoi occhi che mi parvero incredibilmente sinceri.

Eravamo già arrivati alla parte in cui lui mette la testa a posto e si rende conto degli errori commessi?

< Tu sei disposta a farlo? > Lo sentii domandarmi. Evidentemente mi ero persa qualcosa.

< Disposta a fare cosa? > Aggrottai le sopracciglia.

< Disposta a perdonarmi. > Ripeté con un sorriso timido.

Sospirai.

< L'ho già fatto una volta e, nonostante tutto, non riesco a pentirmene. > Mi resi conto di non avergli fornito una vera e propria risposta alla sua domanda, ma si sarebbe dovuto accontentare; non ero in grado di rispondere coerentemente.

< Ho smesso di farti del male. > Disse convinto.

Non potevo mentire, non quando il mio corpo reagiva costantemente alle sue attenzioni: avevo voglia di baciarlo, ma baciarlo davvero, qualcosa che andasse al di là dell'esperienza di quella sera in cui mi aveva colta alla sprovvista. Volevo sentire il suo sapore e accarezzargli i capelli.

Non riuscivo a non vergognarmi di quei pensieri: fingevo di essere confusa, oppure mi stavo semplicemente punendo per qualcosa che non avevo fatto? Mi sarebbe costato molto di più costringermi a stare lontana da lui, che dargli un'altra possibilità?

I miei pensieri non seguivano un filo logico ed io non avevo voglia di trovarlo.

Quasi mi avesse letto nel pensiero, si avvicinò al mio viso, studiando la mia reazione ad occhi socchiusi.

Il respiro mi si accelerò e così il battito del cuore.

< Ho voglia di baciarti. > Mormorò, sfiorandomi una guancia con un dito.

< E allora cosa aspetti? > Ero stata davvero io a pronunciare quelle parole? Faticavo a riconoscere la mia voce.

Chiusi gli occhi e lasciai che le nostre labbra si scontrassero dolcemente.

Il suo sapore mi invase, buono e dolce, ed io approfondii il bacio, desiderosa di averne di più. Gli strinsi i capelli tra le mani, sperando che quel contatto non si interrompesse.

Fummo costretti a separarci per riprendere fiato.

Rimasi con gli occhi chiusi, poggiando la fronte alla sua e godendo del suo respiro caldo che si infrangeva contro le mie labbra, facendomi fremere.

< Tutto bene? > Mi domandò gentile, accarezzandomi la schiena.

Annuii, abbracciandolo.

< Ehi, che succede? > Cominciò a cullarmi come una bambina, ma io non stavo male, mi sentivo solo improvvisamente senza forze, spossata.

< Voglio andare a casa. > Borbottai contro la sua camicia profumata.

 

Il viaggio in taxi fu breve e lo passai accoccolata contro di lui nel tentativo di riscaldarmi.

Quando arrivammo mi prese per mano, rifiutandosi di lasciarmi anche per cercare le chiavi nella borsa, tanto che fui costretta a rovistare con una mano sola, impiegandoci più di dieci minuti. Odiavo le borse.

Senza attendere oltre lo trascinai al piano di sopra, nella mia stanza, sfilandomi le scarpe e liberandomi degli shorts per infilarmi il solito pantalone della tuta che utilizzavo per dormire.

Lui mi guardò in difficoltà, le mani nelle tasche dei jeans scuri e un accenno di imbarazzo sul bel viso.

< Beh, allora... io andrei... > Si passò una mano tra i capelli, evitando di guardarmi mentre mi intrufolavo sotto le coperte.

Non sapevo cosa stessi effettivamente aspettando; che mi desse la buonanotte e tornasse a casa, o che rimanesse a farmi compagnia, dormendo con me?

Si avvicinò a passo incerto, abbassandosi verso di me per baciarmi la fronte e sussurrarmi la buonanotte.

Avrei dovuto proporglielo io di rimanere?

Gli strinsi una mano prima che si allontanasse.

< Resta. > Mormorai.

< Paura del buio? > Scherzò, sedendosi vicino a me.

< Ho paura che tu scompaia, che mi lasci di nuovo da sola. > Confessai. Ero arrossita e fui grata al buio, perché lui non se ne accorse.

< Non vado da nessuna parte, Arlyn. Te l'ho detto, ho smesso di farti del male e di deluderti. > Sembrava volesse aggiungere qualcos'altro, ma si trattenne, sospirando leggermente e sforzandosi di sorridere.

< Allora resta. > Ripetei.

< Vuoi che dorma con te? > Mi domandò sorpreso.

< Sono stanca di sentire la tua mancanza. > La stanchezza mi stava facendo delirare. Era una cosa che, da lucida, non avrei mai ammesso, ma era la verità, sentivo la sua mancanza e la mattina, quando mi svegliavo e constatavo che accanto a me non c'era nessuno, mi sentivo vuota e spaesata e ci mettevo un po' a rendermi conto che quella era la mia stanza e che ero sola.

Si alzò, liberandosi della giacca e poi della camicia, rimanendo in T-shirt. Si spogliò anche dei pantaloni e mi chiese il permesso di cercare un indumento più comodo nella sua parte d'armadio.

Quando si intrufolò sotto le coperte, mi sembrò di essere tornata finalmente intera, quasi si fosse tutto sistemato.

Mi voltai verso di lui, avvicinandomi per accoccolarmi contro il suo petto. Lui, d'altro canto, mi strinse, un braccio intorno alla mia vita e mi accarezzò i capelli e il viso in una dolce e lenta carezza fin quando non mi addormentai.

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Capitolo 13
*** Real ***


Salve!

Come promesso, aggiorno oggi, con grande sorpresa da parte mia, visto che credevo che non sarei riuscita a postare se non la settimana prossima °.° 

Questo capitolo è un po' di transizione, ma ci sono anche alcune cose piuttosto importanti che, spero, chiariranno qualcuno dei "dubbi" espressimi nelle recensioni dello scorso capitolo ^^

Al solito, ringrazio chi ha inserito la Ff tra le preferite/seguite/da ricordare e chi ha commentato *.* I really really love u! <3

La strofa finale del capitolo è della canzone 4 Real di Avril Lavigne; se volete ascoltarla, con relativo testo, ecco il link: 4 Real

La trovo particolarmente adatta per questo capitolo e credo che farà da sottofondo anche al prossimo ^^

Prossimo aggiornamento spero non più tardi di martedì/mercoledì ^^

Buon Ferragosto in anticipo e Buone Vacanze a chi parte in questi giorni!

A voi che restate, nel frattempo,

 

 

Buona lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

Mi svegliai rilassata.

Da quanto non dormivo così bene?

< Ehi, buongiorno. > Robert era già sveglio, un gomito puntellato sul materasso e la mano a reggergli il capo, mi osservava, accarezzandomi i capelli.

Sorrisi, stiracchiandomi e voltandomi verso di lui.

< Sei sveglio da tanto? > Gli domandai.

< Qualche minuto. Dormito bene? > Si lasciò ricadere sul cuscino, avvicinandomi a sé con un braccio intorno alla mia vita.

Annuii, rilassandomi contro il suo corpo caldo e chiudendo gli occhi. Non avevo voglia di pensare a quanto quell'idillio potesse essere evanescente, né a quanto avrei sofferto se si fosse trasformato tutto in un incubo e Robert mi avesse tradita di nuovo. Stavo bene e lui era indubbiamente parte della mia felicità, non potevo negarlo.

Mi baciò una tempia, accarezzandomi la schiena gentilmente, il suono del suo cuore sotto il mio orecchio che mi stava cullando dolcemente.

Rimanemmo in silenzio per un po', fin quando non lo sentii sospirare, gli occhi rivolti al soffitto.

Alzai il viso verso il suo, scrutandolo.

< A cosa pensi? > Gli chiesi in un sussurro appena udibile. I suoi occhi azzurri si posarono nei miei.

< A quanto sia irreale quello che ci è successo. > Rispose con un mezzo sorriso.

Mi accigliai, scettica, non riuscendo ad afferrare il senso compiuto di quella frase.

< Vuoi dire il mio incidente, il fatto che abbia perso la memoria? > Imitai la sua posizione di poco prima, scostandomi appena dal suo corpo.

< Non solo; intendo le mie bugie, la storia con Kristen, l'averti abbandonata ad un passo dal matrimonio... > Elencò, voltandosi su un fianco.

< Perché irreale? > Era successo, era tutto vero. A quest'ora potevamo essere sposati, felici, come nelle fiabe.

< Non avrei mai pensato che saremmo arrivati a tanto... > Chiuse gli occhi per un breve istante, scuotendo la testa. < Non pensavo sarei mai riuscito a ferirti, a farti star male. In fondo, eravamo stati lontani per periodi molto più lunghi di sei mesi e non c'erano mai stati problemi. > Continuò, lo sguardo assente.

Non potevo dirgli cosa mi passava per la testa durante quel periodo, non me lo ricordavo e probabilmente non ci sarei mai riuscita. Forse ero solo stressata dai preparativi per il matrimonio, forse qualcosa a lavoro non stava andando secondo i miei piani.

< Mi dicesti che probabilmente ti saresti innamorato di Kristen, ma non mi avresti più mentito sulla vostra relazione. Perché è finita tra di voi? > Domandai, cambiando, solo in parte, argomento.

< Non l'amavo e forse non l'avevo mai fatto. Ho distrutto anche lei e mi odio per questo. Ho fatto del male a due delle persone più importanti della mia vita. Stavamo fingendo entrambi: io che tutto si sarebbe risolto e lei che sarei ritornato il Robert che aveva conosciuto qualche anno fa. Sarebbe stato autolesionista continuare. > Rispose, gli occhi lucidi. Era quello che mi aveva detto anche Kristen: stavano continuando la loro relazione per inerzia, per abitudine quasi.

< Lei come sta? > Chiesi. Avrei chiesto il suo numero e l'avrei chiamata, se solo non fosse risultato un comportamento sospetto. 

< Ha capito che era la cosa giusta da fare e ha cercato di non piangere mentre recuperavo le mie cose. > Tirò sul con naso ed io sentii l'impulso di abbracciarlo, stringerlo forte.

< Sei sicuro di quello che hai fatto? > Veniva da piangere anche a me, ma non potei evitare di porgli questa domanda.

< Sì, lo sono. > Annuì per ulteriore conferma.

< Si sistemerà tutto, vedrai. > Lo consolai, immergendo una mano tra i suoi capelli, spettinandoli.

Lui abbozzò un sorriso triste.

< Dovrei essere io a dirtelo. > Ricacciò indietro le lacrime.

< Non importa, andrà tutto bene e torneremo ad essere felici. > Dichiarai con risolutezza, cercando di convincere anche me stessa, sporgendomi per abbracciarlo.

Mi lasciò fare, giocherellando con la mia treccia e sfiorandomi le braccia nude con i polpastrelli, facendomi venire i brividi.

< Ti piacciono ancora le camelie bianche? Erano i tuoi fiori preferiti. > Disse ad un tratto, non incrociando il mio sguardo.

< Davvero? > Aggrottai le sopracciglia. Mi ero accorta di averne molte in giardino, ma non ci avevo mai prestato molta attenzione. Mia madre, per telefono, spesso mi ricordava di annaffiarle prima di sera ed io lo facevo per abitudine, ormai. Non mi ero chiesta se quelli fossero o meno i miei fiori preferiti; pensavo, piuttosto, che li avesse piantati mia madre.

Annuì con un sorriso.

< Quelle in giardino le abbiamo piantate insieme. > Affermò, accarezzandomi una guancia.

Le sue carezze erano estremamente delicate e premurose, quasi fossi una bambina bisognosa di cure e attenzioni ed io non avevo il coraggio di sottrarmici.

< Credevo l'avesse fatto mia madre... > Sospirai, presa alla sprovvista, quando sentii le sue dita scostare l'orlo della canotta e accarezzarmi i fianchi.

< Te le ho regalate per il nostro primo appuntamento. > Specificò.

< E hanno un significato particolare? > Domandai, mentre le sue mani, sempre più audaci, continuavano nella loro salita.

< Significano sei adorabile. > Lo ero davvero, per lui? Mi trasportò a cavalcioni su di lui ed io non protestai, troppo presa dalle attenzioni che stava rivolgendo al mio corpo.

Sospirai più forte quando avvertii le sue mani circondare il seno e scivolare nuovamente giù per stringermi i fianchi.

< Lo sei ancora. Terribilmente adorabile. > Mormorò, sollevandosi appena per incontrare le mie labbra per un fugace attimo, lasciandomi insoddisfatta e perplessa. Mi piegai verso il suo viso, baciandolo ancora e avvertendo la familiare stretta allo stomaco di cui non riuscivo a liberarmi quando ero in sua presenza. Il mio corpo reagiva indipendentemente dalla mia testa. Viveva in funzione delle sue carezze.

Gustai il sapore delle sue labbra, cercando di imprimerlo nella memoria e lui, d'altro canto, vezzeggiò le mie, facendomi andare a fuoco e desiderare ardentemente di non smettere.

Perché non poteva essere sempre così tra di noi? Perché aveva dovuto farmi del male prima di rendersi conto che era me che voleva? E poi, davvero aveva smesso di ferirmi, davvero sarebbe stato in grado di mantenere la parola? Erano questioni che avrebbero dovuto tormentarmi, ma che, in realtà, la mia mente ed il mio cuore si rifiutavano di prendere in esame.

Ribaltò le posizioni, sovrastandomi senza pesarmi addosso, continuando a baciarmi.

Le mie mani si persero tra le ciocche profumate dei suoi capelli, mentre lui mi sollevava la canotta sulla pancia per torturarmi anche lì con la sua bocca, vezzeggiando i miei punti più sensibili, facendomi gemere piano.

Quando, in uno sprazzo di lucidità, capii quali erano le sue intenzioni, non potei fare a meno di non vergognarmi. Non sapevo di cosa, ma provai un senso di inadeguatezza estrema che mi costrinsero a riprendere il controllo. Avvertivo il suo desiderio e la cosa riuscì soltanto a farmi arrossire, mentre la mia mente gridava di non continuare, ché era sbagliato e me ne sarei pentita.

Lo baciai di nuovo con dolcezza, intrecciando le mani alle sue per evitare che si spogliasse.

Dovette capire che non avevo intenzione di andare oltre, perché accettò la sua resa e si limitò a baciarmi, coccolandomi.

Dovevo sentirmi in colpa? 

< Scusa, sono stato troppo irruento. > Mi baciò una guancia, la voce roca e tremante per lo sforzo di trattenersi e per l'eccitazione.

Scossi la testa.

< Non importa. > Lo tranquillizzai, lasciando che si sistemasse di nuovo al mio fianco e prendesse a carezzarmi nuovamente i capelli. Aveva un debole per loro: ne arrotolava una ciocca intorno al dito, la annusava come se fosse il più buono dei profumi, continuava a rigirarsela tra le dita per un po' e poi la rilasciava, ricominciando da capo.

Anch'io avevo un debole per i suoi capelli, incredibilmente setosi, morbidi e profumati.

< Vuole che le prepari la colazione, mademoiselle? > Sorrise, solleticandomi con la punta del naso.

< Colazione a letto? > Misi su un'espressione sufficientemente convincente, tanto che lui alzò gli occhi al cielo e fu costretto ad acconsentire, scostando le coperte per alzarsi.

Non ebbe nemmeno il tempo di scivolare fuori dalla stanza, che il mio cellulare prese a squillare, convincendomi a recuperarlo.

< Alex. > Risposi atona.

< Insomma, è così che si abbandonano le amiche? > Sbuffò risentita.

< Scusa, ma ero stanca, mi spiace non averti avvertito. > Ero stata scortese, dovevo ammetterlo, ma non sarei riuscita a mettere insieme due parole di fila dopo il bacio di Robert.

< D'accordo, ti perdono. Con chi sei? > Chiese sospettosa e, se in un primo momento avevo pensato di tenerla all'oscuro circa la presenza di Robert nella cucina di casa mia, ci rinunciai in quello stesso istante, sapendo che sarei stata comunque scoperta, prima o poi.

< Con Robert, mi ha fatto compagnia stanotte. > Spiegai, arrossendo. Fortuna che non poteva vedermi.

< Ma davvero? E' successo qualcosa tra di voi che dovrei sapere? > Chiese maliziosa.

< No! Cioè... solo qualche bacio... > Precisai, mentre mi tornavano alla mente le sensazioni che avevo provato quando le sue mani avevano cominciato ad accarezzarmi dolcemente e al desiderio che avevo avvertito nei suoi occhi.

< Solo, eh? Fingerò di crederti. Passando a cose serie, ti sostituisco io oggi, in libreria, visto che sei così impegnata. > Sottolineò l'ultima parola con fare allusivo, facendomi sorridere.

Il mio impegno consisteva nel cercare di non farmi prendere dall'entusiasmo di riavere Robert accanto, perché la bolla di sapone si sarebbe potuta anche rompere.

< Grazie, Alex, sei un'amica e scusa ancora. > Borbottai dispiaciuta.

< Sono qui apposta, tesoro. E la prossima volta, voglio i dettagli, tutti! > Mi minacciò, anche se sapevo che stava sorridendo.

Le promisi un resoconto dettagliato e lei, convinta, mi lasciò attaccare. Poggiai l'aggeggio nuovamente sul comodino, distendendomi l'istante dopo, persa ad osservare il soffitto bianco su cui i pochi raggi di sole che riuscivano a penetrare dalle persiane abbassate, si divertivano a creare strani giochi d'ombre.

Robert era davvero così sincero come si dichiarava, oppure sarebbe stato disposto nuovamente a lasciarmi alla prima difficoltà? Sapevo che non poteva essere tutto così semplice e che, senza lottare si finiva col perdere, ma quando ero con lui tutto sembrava dannatamente perfetto, semplice, quotidiano. Non riuscivo a rimanere scettica di fronte ai suoi bellissimi occhi chiari e non riuscivo a non pensare al fatto che, forse, aveva ragione lui, era stato un semplice errore, un abbaglio aver deciso di separarsi da me poco prima del matrimonio. Eppure, aveva fatto soffrire anche Kristen, la stessa che mi aveva spronato per dargli un'altra possibilità e la stessa che si era dichiarata innamorata di Robert, ma desiderosa della sua felicità e quindi disposta a lasciarlo andare.

Mi avrebbe amata per sempre, o sarebbe scappato?

Da quando avevo perso la memoria mi sembrava sempre più difficile immaginarmi a capo di una famiglia. Sarei potuta essere incinta a quell'ora. E se mi fossi sposata senza che lui avesse trovato il coraggio di confessarmi della sua relazione con Kristen? Se fossi stata felice di aspettare un bambino da lui, quando invece ero ignara delle bugie che mi nascondeva?

Le domande erano troppe e così i dubbi, ma la mia mente non riusciva a non formularne di nuove. In fondo, erano scenari in cui mi sarei benissimo potuta ritrovare.

Sospirai e venni distratta dal rumore di passi su per le scale. Tempo qualche istante, e Robert entrò nella stanza con un vassoio colmo di leccornie per la prima colazione ed io mi rizzai subito a sedere, entusiasta. Sorrise, poggiandomi il vassoio sulle gambe e assumendo la mia stessa posizione.

< Sarebbe bastato anche qualcosa di più semplice. > Gli feci presente, notando come si era premurato di preparare tè, caffè e latte caldo e un insieme di pane tostato con marmellata, biscotti, cereali e yogurt.

< Vuoi rimproverarmi per averti preparato una signora colazione? > Scherzò, rubando una fetta di pane tostato con marmellata, spezzandola per infilarmene un pezzo in bocca che io accettai di buon grado.

< Non era un rimprovero, ma una constatazione. > Risposi a bocca piena, coprendomi con una mano.

Mi osservò mangiare e poi bere la tazza di caffè, in cui io avevo aggiunto del latte, facendomi arrossire.

< Che c'è? > Chiesi in difficoltà, rischiando di farmi cadere il liquido addosso.

< Sei bellissima. > Mormorò con la sua voce calda e roca, facendomi tremare le mani e il cuore, per quanto, chirurgicamente parlando, un cuore non potesse tremare.

< Non vale irretirmi, sai? > Gli feci notare, simulando non-chalance e poggiando nuovamente la tazza sul vassoio.

< Non sto affatto cercando di irretirti, è la verità. > Fece spallucce e la T-shirt che indossava si tese sui suoi addominale mediamente scolpiti mentre lui tendeva una mano per sistemarmi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

Avevo bisogno di sistemarmi la treccia; se mi fossi guardata allo specchio, sarei risultata irriconoscibile persino a me stessa.

< Vuoi che ti sistemi i capelli? > Domandò, quasi mi avesse letto nel pensiero.

< Posso farlo da sola, non c'è bisogno che tu... > Ma mi fermò con un'occhiata eloquente.

< Non lasciarti pregare. > Disse, baciandomi una guancia e togliendomi il vassoio dalle gambe per poggiarlo a terra, sul parquet liscio.

Allargò le gambe, permettendomi di posizionarmici in mezzo per facilitargli l'operazione. Nel frattempo sciolsi i capelli e lui, quasi non avesse aspettato altro, cominciò con delicatezza a sciogliere la treccia. Alexandra mi aveva ricordato proprio il giorno prima che quella era una delle pettinature che ero solita utilizzare di più anche prima dell'incidente. Tutt'al più, fermavo il tutto con una bacchetta cinese, in una blanda imitazione di uno chignon.

Terminò di pettinarmi con le dita e scostò i capelli su una spalla, avvicinandosi. Riuscii a capirlo dal respiro caldo che mi solleticò il collo scoperto. Mi baciò una spalla, trattenendo i capelli perché non intralciassero il percorso delle sue labbra, per poi passare al collo, costringendomi a reprimere un gemito, mordendomi un labbro.

Come riuscivo a lasciarmi andare con quella facilità?

Abbassò le spalline della canotta senza che me ne rendessi conto, continuando a baciare la pelle esposta.

< Robert... > Riuscii a mormorare, la voce strozzata. Avrei fatto l'amore con lui anche subito, ma non volevo ulteriori implicazioni e non volevo dovergli rinfacciare nulla in caso di una delusione.

< Non ce la faccio... > Sospirò, le labbra contro il mio collo, come a prendere fiato.

< A fare cosa? > Gli domandai. Il suo corpo bollente che aderiva alla mia schiena mi mandava in confusione.

< Non riesco a starti lontano. > Spiegò.

< Ma noi siamo vicini. > Notai.

< Ho bisogno di fare l'amore con te, Arlyn. Non credo riuscirò a resistere oltre... > Gemette di frustrazione, avvolgendomi la vita con le braccia.

Era il suo corpo a reclamarmi o anche il suo cuore?

< Non voglio dovermene pentire. > Risposi, conscia che avrebbe capito a quello che mi riferivo.

< Non dovrai pentirtene, Arlyn. Io sono reale, sono qui e ti desidero come non desidererò mai nessuna. > Voltai il viso a cercare il suo sguardo: era sincero, come lo era stato la sera prima, come lo era stato prima di colazione.

Mi tornarono alla mente le parole di Kristen, quando confessò che spesso lui mormorava il mio nome durante la notte e tendeva a scambiarla per me negli attimi di passione. Le avevo creduto, persuasa che lei non potesse mentirmi e allora perché non riuscivo a credere a lui, alla persone di cui mi sarei dovuta fidare?

Era lì e probabilmente altri miliardi di donne nel mondo stava pensando a come sarebbe stato fare l'amore con Robert Pattinson, eppure io non riuscivo ad approfittarne.

Sarebbe stata l'ennesima conferma che mi avrebbe avuta a disposizione in qualsiasi momento, per qualsiasi cosa, e se fosse andato tutto storto, nella direzione sbagliata?

Avevo bisogno di lui, inutile negarlo, non potevo respingerlo.

< Quello che provo per te è reale. > Continuò ed io chiusi gli occhi, ricordandomi del ti amo che mi aveva detto quella sera, chiusi in bagno e che io mi ero rifiutata di accettare. Quelle due parole stavano aleggiando sopra di noi, ne avvertivo il peso e sapevo che avrebbe preferito dirmele, piuttosto che cercare una scappatoia, ma aveva paura che potessi definitivamente scappare dopo quella dichiarazione.

Io, invece, non sapevo cosa pensare.

Mi voltai verso di lui, facendogli slegare la presa intorno ai miei fianchi, mettendomi in ginocchio tra le sue gambe, avvicinandomi al suo viso per baciarlo.

Forse me ne sarei pentita, forse no, ma il cuore urlava più forte della testa e ignorarlo era impossibile.

 

'Cause I'm 4 real

Are you 4 real?

I can't help myself, it's the way I feel

When you look me in the eyes, like you did last night

I can't stand to hear you say goodbye...

 

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Capitolo 14
*** Fear ***


Salve!

Sì, so cosa state pensando, sono scomparsa ç.ç purtroppo, però, l'università ha reclamato nuovamente la mia presenza, obbligandomi a trascorrere l'ultima settimana sul libro di storia per l'ultimo esame del primo anno. Dovrebbe essere considerato illegale studiare ad Agosto con questa calura -.-"

Spero vogliate perdonarmi *.* *me afflitta*

Passando a cose serie, ho notato che tutte siete piuttosto concentrate sul comportamento di Robert (non è un'accusa, anzi, sono contenta di essere riuscita a focalizzare la vostra attenzione sul "problema" più grande della Ff), ma con questo capitolo ho voluto riportare l'attenzione su Arlyn e su un altro personaggio che, nel bene e nel male, era passato un po' in secondo piano, Tom.

Per il prossimo aggiornamento, non prometto niente, onde evitare poi di non riuscire a mantenere la parola data, ma vi terrò costantemente aggiornate sul mio profilo autore Facebook, il cui link potete trovare nella mia pagina autore qui, su EFP, cliccando il secondo simbolo di Facebook (il primo rimanda al mio profilo personale) ^^

Ne approfitto per augurarvi un buon week-end <3

 

P.S. La strofa iniziale del capitolo appartiene, come già annunciato nel precedente capitolo, alla canzone 4 Real di Avril Lavigne ^^

 

 

Buona lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I don't wanna to look back

'cause I know that we have

something the past could never change

and I'm stuck in the moment

and my heart is open

tell me that you feel the same...

 

 

Quando mi svegliai, faticai a rendermi conto di essere nella mia stanza, distesa sul letto e coperta premurosamente dal lenzuolo.

Sbattei le palpebre più e più volte, cercando di non cedere al sonno: possibile che più si dormiva e più si aveva voglia di farlo?

Sbadigliai, voltando la testa di lato per sincerarmi che Robert fosse ancora lì, che non fosse scappato di nuovo. Dormiva placido, il volto disteso, le labbra appena imbronciate e i capelli che gli ricadevano scomposti sulla fronte e che il suo respiro regolare smuoveva di tanto in tanto. Il lenzuolo non riusciva a coprirlo e riuscivo ad intravedere la schiena nuda e liscia, un braccio steso nella mia direzione e l'altro comodamente nascosto sotto il cuscino, quasi si fosse addormentato senza badare alla posizione, comoda o no che fosse.

Sorrisi involontariamente al pensiero di quello che avevamo condiviso. Ero conscia di starci pensando come una ragazzina di quindici anni, ma era come se fosse stata la mia prima vera esperienza, dato che non ricordavo quella giusta. Non potevo essermi sbagliata e anche se tutto era avvenuto troppo velocemente, la sincerità che gli avevo letto nello sguardo e nei gesti, non avrebbe mai potuto tradirmi.

Mi voltai verso di lui, attenta a non svegliarlo e lo osservai per un po', persa nei miei pensieri.

Ci eravamo esclusi dalla realtà, come due reietti: avevamo dimenticato il mondo e il mondo, probabilmente, si era dimenticato di noi, rinchiusi com'eravamo nella nostra bolla rosa di felicità.

Ma lo ero davvero, felice?

La sua presenza mi completava e non aveva più importanza il periodo buio che avevo attraversato appena uscita dall'ospedale, non avevano importanza le sue bugie, o il suo strano modo di avvicinarsi a me e poi allontanarmi. La sua voce, il suo profumo, le sue carezze e le sue attenzioni bastavano a cancellare i ricordi dolorosi.

Era tutto perfetto. 

La mia coscienza mi disse che, quando se ne sarebbe andato, non sarebbe stato più così, che i momenti difficili, davvero difficili, non li avevo ancora superati.

Aveva ragione: cosa sarebbe successo quando lui sarebbe stato costretto a partire per lavoro? In fondo, era un attore e gli attori, si sa, sono sempre impegnati.

Sarei potuta andare con lui, ma avevo una libreria da gestire e Alexandra aveva già fatto troppo per aiutarmi, senza contare Tom, che si era sempre dimostrato disponibile e comprensivo.

Sospirai piano, gettando un'occhiata alla sveglia sul comodino che segnava le quattro in punto.

Avevamo dormito così tanto?

Mi misi seduta, cercando di individuare i miei vestiti e stavo appunto tentando di afferrare la canotta, abbandonata sul parquet, sporgendomi pericolosamente senza volerne sapere di inginocchiarmi per arrivarci con più facilità, che scivolai, lenzuolo compreso, battendo il sedere ed esclamando un sorpreso ahi!

< Arlyn? Tutto bene? > Sentii la sua voce assonnata chiamarmi, mentre io mi alzavo dolorante e notavo la sua testa scarmigliata sollevarsi dal cuscino e osservarmi confusa.

< Sì, sono caduta. > Ammisi con una smorfia.

Sorrise, allungando un braccio per convincermi a raggiungerlo e lo accontentai, salendo in ginocchio sul materasso e gattonando fino a lui, il lenzuolo a coprirmi.

Gli baciai una guancia e lui si lasciò coccolare, chiudendo nuovamente gli occhi e stringendomi la mano.

< Hai dormito abbastanza, sai? > Gli mormorai in un orecchio, baciandogli una spalla.

Mugolò qualcosa di impreciso e di incomprensibile e passò a solleticarmi il polso con due dita, facendomi rabbrividire.

Mi stesi accanto a lui, il più vicino possibile, e mi strinsi al suo corpo, cedendogli una parte di lenzuolo perché non prendesse freddo.

Avevo la mente completamente vuota, possibile che riuscisse a farmi quell'effetto?

< Posso svelarti un segreto? > Mi chiese, aprendo solo un occhio, sorridendomi dolce.

Annuii, accarezzandogli i capelli.

< Prometti di non dirlo a nessuno? > Continuò, sfiorandomi il naso con il suo.

Annuii ancora, osservandolo curiosa.

< Ti amo. > Mi guardò negli occhi e lo disse, senza preavviso e senza nessuna esitazione.

Trattenni il respiro. Era un ti amo diverso da quella sera, non era rabbioso e violento, non era accusatorio, ma piuttosto una confessione, granella di zucchero sulla lingua.

Cosa implicavano quelle due semplici parole?

Non si aspettava che rispondessi, perché chiuse di nuovo gli occhi e si accoccolò nella curvatura della spalla, intrecciando una gamba tra le mie. Non riuscii a resistere e lo avvolsi con le mie braccia, continuando ad accarezzargli i capelli morbidamente e dolcemente, rivivendo nella mia mente il suono del suo segreto. 

Non riuscivo a dare un nome a quello che provavo per lui, eppure avevamo fatto l'amore, l'avevo desiderato, così come desideravo che rimanesse per sempre al mio fianco, che mi proteggesse nel suo abbraccio e che mi dedicasse le attenzioni che mi aveva riservato quella mattina, sempre. Era la mia metà, ma chissà se bastava per definirlo amore. Non sapevo cosa sarebbe successo e avevo paura di espormi e di essere ferita.

< A cosa pensi? > Mi chiese.

< Ho fame. > Bugia. Non che si discostasse molto dalla realtà, in effetti, visto che il mio stomaco stava brontolando rumorosamente.

Rise come un bambino a cui stanno facendo il solletico e mi baciò dolcemente la fronte, facendo leva con le braccia per mettersi seduto e sbadigliare, scompigliandosi i capelli.

< Che ne dici di una doccia? > Mi chiese con aria innocente, piegandosi nuovamente sul mio viso per baciarmi le labbra.

< Insieme? > Mugugnai contrariata, perché non volevo smettesse di accarezzarmi le labbra con le sue.

< Così facciamo più in fretta... > Mi accarezzò una guancia con la punta del naso, gli occhi chiusi, ed io lo lasciai fare, circondandogli il collo con le braccia, godendo del profumo della sua pelle.

< Che bugiardo. > Sorrisi. Mi credeva così ingenua?

< Non riesco a fare a meno di te, puoi farmene una colpa? > Aprì gli occhi e fissò le sue iridi azzurre nelle mie, bloccandomi il respiro.

Per quanto sarebbe durata senza che nessuno dei due soffrisse?

Era tutto così dannatamente perfetto, da sembrare irreale.

 

< Mi avevi promesso i dettagli, Arlyn! > Brontolò Alex per la decima volta. Robert era dovuto scappare ad incontrare il suo manager ed io ne avevo approfittato per telefonare ad Alexandra e chiederle di passare da me. Non si era fatta attendere e, nemmeno un quarto d'ora più tardi, aveva suonato il campanello, il viso sorridente ed emozionato.

< Ma se ti ho raccontato tutto! > Sbottai, mettendomi in piedi per raggiungere lo stereo e sintonizzarlo su una stazione radio di musica classica.

Sbuffò e alzò gli occhi al cielo, sistemandosi meglio sul tappeto del salotto.

< No che non l'hai fatto! Insomma, com'è stato, sei riuscita a ricordare qualcosa? > Domandò. Nulla avrebbe frenato la sua curiosità.

< Non riuscivo a pensare a niente e poi mi sembrava tutto così perfetto, che ho avuto come la sensazione che fosse la mia prima volta. > Arrossii, in imbarazzo per quelle confessioni esplicite e Alex sorrise sognante.

< Proprio come nelle fiabe... > Commentò.

< Perché, nelle fiabe ci sono descrizioni di sesso? > Aggrottai la fronte, dubbiosa.

< Sai cosa voglio dire! > Mi colpì una spalla scherzosamente, ridendo.

< Noi non siamo in un libro, Alex e non c'è qualcuno che decide della nostra vita. Siamo solo nella realtà. > Ragionai. Ero ancora spaventata dalle mie emozioni: cosa sarebbe successo se le avessi lasciate libere di dominarmi? Mi sarei fatta male, me ne sarei pentita? Era l'unica cosa di cui riuscivo a preoccuparmi.

< Hai paura che ti deluda ancora, vero? > Mi chiese comprensiva, spostandosi per posizionarsi accanto a me e circondarmi le spalle con un braccio.

Annuii debolmente, lo sguardo fisso sulla trama del tappeto, di gran lunga più interessante del viso della mia migliore amica che sapevo essere triste quanto il mio.

< Non ho fatto altro che pensarci. > Ammisi in un sussurro. < Sembra tutto così assurdo... Le persone possono davvero cambiare in maniera così repentina e drastica? Ha detto di amarmi, di aver bisogno di me, ma se decidesse che è stato uno sbaglio? > Continuai quasi con le lacrime agli occhi.

< Non puoi vivere di se e ma, Arlyn. Sei ancora innamorata di lui e, anche volendo, non riusciresti a separartene ora come ora, perché hai bisogno di lui, hai bisogno del suo affetto e delle sue attenzioni. E poi, credimi, non hai idea di cosa sono capaci le persone quando si mettono in testa di perseguire un obiettivo. > La vidi sorridermi dolce e poi avvicinarsi per baciarmi una guancia.

Nonostante la mia titubanza, era ovvio che gli avrei concesso un'altra possibilità: Alex aveva ragione, non riuscivo a fare a meno di lui, specialmente dopo quella mattina, specialmente dopo che avevamo condiviso così tanto in così poco tempo.

< Ma dimmi di te! Come va con Tom? > Cambiai argomento perché non avevo più voglia di elucubrazioni.

Fece spallucce e arrossì appena.

< Come al solito, non vuole sbilanciarsi troppo. Ho come l'impressione che sia interessato a qualcun'altra... > Abbassò lo sguardo, precludendomi la vista dei suoi occhi tristi.

< Un'altra?!? E' impossibile, non l'ho mai visto con nessuna! > Protestai, cercando di scacciare via quel pensiero. Non mi aveva mai parlato di una ragazza, anzi, sembrava felice della sua indipendenza e autonomia.

< Neanche io, ma questo non significa che non possa essere innamorato e che mi stia utilizzando come semplice ripiego. Sai, per allontanare i pensieri. > Dichiarò convinta, tirando su col naso.

< Ma te ne avrebbe parlato, no? Insomma, Tom è una persona estremamente leale e sincera, non ti prenderebbe mai in giro, ne sono più che sicura. > Affermai con autorità. Non sarebbe stato capace di nuocere ad una mosca, figuriamoci tradire così i sentimenti di un'amica.

< Lo so, e forse è per questo che preferisce tenere la cosa per sé. Insomma, gli ho confessato che mi piace, che credo di essere innamorata di lui ormai da diverso tempo, non avrebbe certo potuto rispondermi oh, beh, mi lusinghi, ma devo confessarti che sono innamorato di un'altra persona. Ha paura di vedermi piangere per causa sua e di spezzarmi il cuore. > Sospirò, cercando di trattenere le lacrime.

Non riuscivo a comprendere appieno quello che provava, forse perché, sì, avevo sofferto per Robert e per i suoi comportamenti infantili, ma non mi ero mai trovata nella situazione di dover dividere un sentimento con una sconosciuta di cui ignoravo le caratteristiche. Non ero ancora sicura di quello che provavo nei confronti di Robert e non avrei potuto paragonare la sua storia con Kristen e quella che cercava di ricostruire con me, con la situazione di Alexandra e Tom. Se non altro lui stava cercando di proteggerla, non aveva optato per qualcosa di definitivo.

< Ne sei davvero sicura? Voglio dire, magari è solo una tua impressione, magari non vuole affrettare troppo le cose e andare avanti con calma, senza fretta. > Tentai di farle cambiare idea inutilmente, perché lei scosse la testa e cominciò a giocherellare con il suo bicchiere di aranciata.

< E' sempre distratto e spesso, quando gli parlo, non mi ascolta. E' perso in altri pensieri e l'ho visto spesso discutere a telefono con Sam. > Rispose afflitta.

< Forse ha qualche problema di lavoro, con la famiglia... non deve essere per forza una ragazza... > Avrei potuto parlarne con Robert al suo rientro, ma se era vero quello che diceva Alexandra, e cioè che Tom confabulava spesso con Sam, neanche Robert doveva essere al corrente del suo problema.

Non rispose, limitandosi a sorseggiare il liquido giallo dal suo bicchiere e a rivolgermi occhiate malinconiche.

< Secondo me non devi preoccuparti, è solo un periodo. > Sorrise e mi ringraziò con un abbraccio, decidendo, l'istante successivo, di aggiornarmi sul fattore cinematografico, convincendomi a prendere visione proprio di un film con Tom come protagonista, Waiting for Forever. 

Avevo capito che le commedie romantiche non fossero esattamente il mio genere preferito, sebbene ce ne fossero alcune che rivedevo spesso e volentieri, da sola o in compagnia, e che spesso mi facevano commuovere a tal punto che ero costretta ad abbracciare un cuscino per calmarmi e ad avere una confezione di kleenex sempre pronti; tuttavia, il film di Tom era così intenso, profondo ed estremamente verosimile, che non riuscii a non innamorarmene già alla seconda scena, obbligando Alexandra a tornare più volte indietro perché volevo carpire anche il più piccolo particolare della situazione e analizzare anche il minimo dettaglio della scena e delle espressioni degli attori.

Ero abituata così e mi ritrovavo a farlo spesso anche con i film di Robert, specialmente quando li guardavamo insieme, seduti sul divano. Forse era solo il mio spirito critico, ma sentivo il bisogno di portarlo a conoscenza della scena che mi aveva positivamente colpita, di quella in cui i dettagli erano stati maggiormente curati, di quella in cui la sua espressione era davvero superba e perfettamente adeguata al momento, o di quelle che mi sembravano completamente fuori luogo e che non amavo e lui apprezzava ogni singola parola, ogni singolo commento, valutando tutto attentamente, senza farmi sentire un'ignorante in materia. Era molto obiettivo circa quello che guardava ed era una delle caratteristiche che amavo di più di lui, perché gli permetteva di non volare troppo con la fantasia e di rimanere con i piedi ben ancorati al terreno.

Quando rientrò, quella sera, baciandomi i capelli come suo solito e sorridendomi gentile, chiedendomi come avevo trascorso il pomeriggio, gli parlai delle preoccupazioni di Alex in merito a Tom e lui, come avevo sospettato, confermò di non essere a conoscenza di nessun problema che, apparentemente, stesse affliggendo l'amico, ma che avrebbe potuto cercare di parlargli per scoprire qualcosa in più.

Ero stretta tra le braccia di Robert sul divano, intenta a guardare un film, quando il mio cellulare vibrò, rendendomi partecipe dell'arrivo di un messaggio.

Era Tom e le sue parole ebbero il potere di inquietarmi.

 

Devo parlarti, è importante.

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Capitolo 15
*** Sense of Guilt ***


Salve!

Ce l'ho fatta a postare con un giorno d'anticipo! Sarà che studiare storia è così noioso che fare di tutto per staccarmici e quale scusa migliore della scrittura?

In questo capitolo vedremo molto di più Tom che Robert e nei prossimi sarà un po' un'altalena tra i due, quindi preparatevi, perché i "guai" non sono finiti! xD

Ringrazio le meravigliose personcine che hanno commentato lo scorso capitolo e che mi riempiono sempre di mille complimenti *.*, tutti coloro che hanno inserito la Ff tra le preferite/seguite/da ricordare e tutti coloro che hanno soltanto letto *.* I looooove youuu! <3

Spero di riuscire ad aggiornare per venerdì prossimo, studio permettendo ç.ç

Buon fine settimana!

 

 

Buona lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

Telefonai Tom il mattino successivo, mentre mi preparavo per raggiungere la libreria. Alexandra mi avrebbe dato una mano visto che erano in arrivo le nuove uscite e avevamo deciso di prendere la metro insieme.

< Dolly! Tutto bene? > Il suo tono di voce non sembrava diverso da come lo ricordavo, acceso e divertito, eppure il messaggio della sera prima mi aveva gettata in uno sconforto e in un'ansia tale, che avevo dato per scontato che anche lui stesse provando lo stesso.

< Sì, ho... ricevuto il tuo messaggio, ieri sera. Volevi parlarmi, è successo qualcosa? > Chiesi, passeggiando nervosamente dal corridoio al salotto, mentre sentivo Robert armeggiare in cucina per preparare la colazione.

< Non posso farlo per telefono. Che ne dici se ci incontriamo in libreria? > Propose con un sospiro.

< Non so, avremo molto da fare con le nuove uscite da sistemare e catalogare... senza contare i clienti. > Aggrottai le sopracciglia. Avevo capito che la libreria suscitava in Tom le stesse sensazioni che mi avevano invasa la prima volta che mi ci aveva portata: sicurezza, calore e conforto, ma non mi sembrava il posto adatto per discutere qualcosa d'importante, non con tutte le orecchie indiscrete che avrebbero potuto origliare, anche solo inavvertitamente e soprattutto non con Alexandra presente, perché, ormai ne ero sicura, poteva trattarsi solo di lei e delle preoccupazioni che pensava assillassero Tom.

< Se passassi da te intorno all'orario di chiusura? Potremmo trovare un posto tranquillo nei dintorni per chiacchierare in pace. > Suggerì con urgenza.

< Sì, d'accordo, sarebbe perfetto. > Sorrisi e annuii a vuoto, considerato che lui non poteva di certo vedermi.

< Bene, allora a stasera. > Attaccò, lasciandomi basita per un interminabile istante, immobile nel centro esatto del corridoio.

Era il solito Tom di sempre, almeno all'apparenza, ma c'era qualcosa che lo tormentava, qualcosa che temeva e di cui aveva paura, potevo percepirlo dai suoi modi frettolosi e superficiali.

Cosa poteva essere successo?

Non ebbi modo di pensarci per il resto della mattinata, che trascorsi a vuotare scatole su scatole di libri insieme ad Alexandra e a distribuire gli stessi nelle sezioni giuste. I pochi clienti che avevano deciso di sfidare il freddo della mattina, si erano limitati ai loro acquisti silenziosi e ai loro sorrisi cordiali nella nostra direzione che, spesso e volentieri, decidevamo di prenderci cinque minuti di pausa sulle comode poltrone dell'ingresso.

All'ora di pranzo, Ben, il magazziniere, si era mostrato così gentile da accontentare le nostre richieste di un caffè e un tramezzino da Sturbacks, mentre noi procedevamo con la catalogazione dei nuovi titoli.

Alexandra, seduta di fronte a me, continuava a leggermi le trame dei romanzi che trovava più interessanti, rischiando più di una volta di farmi sbagliare nella compilazione dei moduli al computer con le sue battute sarcastiche sui personaggi e rispettivi cliché di alcuni volumi.

< Senti questa: Georgia ha solo quindici anni ed è alla ricerca del vero amore, quello delle fiabe e delle principesse. E' giovane e come tutte le ragazze della sua età pensa che per piacere ad un ragazzo debba fare l'amore con lui, come le sue amiche, felicemente fidanzate dal primo anno di liceo. Poi, come all'improvviso, incontra lui, Josh, il nerd della scuola, il ragazzo fissato con la scienza e con la chimica, colui che non finisce mai in punizione e che veste in modo "alternativo". Non sa cosa la spinge verso di lui, ma decide di conoscerlo e da quel momento niente sarà più come prima. > La sua espressione disgustata la diceva lunga sulle sue preferenze letterarie. Alexandra odiava i romanzi rosa adolescenziali.

< Non sembra così orribile. > Replicai con un'alzata di spalle, bevendo un sorso del mio caffè caldo con cannella.

< No, se ti piacciono le storie pane, amore e stupidaggini. > Replicò con stizza, afferrando un altro volume dalla pila.

< Sei ingiusta! E' un libro per ragazze di quindici anni, cosa pretendi? E' l'età dei sogni e delle fiabe quella. > Risposi con ovvietà, aprendo un nuovo file.

< Sarà, ma io non sono mai stata una ragazza troppo romantica, quindi forse è per questo che quando tutte leggevano Romeo e Giulietta, io ero troppo impegnata ad immergermi nel mondo di Guerra e Pace. > Fece spallucce, dettandomi un nuovo titolo con relativo codice.

< Guerra e Pace è anche un romanzo d'amore. > Le feci presente. Era nella mia libreria e, anche se non ricordavo di averlo letto, avevo dato un'occhiata alla trama e mi ero ripromessa di rileggerlo.

< E' diverso, e poi, tra noi due, sei sempre stata tu quella fissata con la storia del principe azzurro sul cavallo bianco. > Sorrise, facendomi una boccaccia alla quale risposi con una risata divertita.

< Non mi avevi detto che Tom era esattamente il tuo principe azzurro? > Le ricordai con perfidia e un sorriso sornione sulle labbra.

Arrossì e mi fece così tenerezza che ebbi voglia di abbracciarla e di dirle che tutto si sarebbe risolto tra di loro, che, in fondo, i dubbi di Tom si sarebbero dissipati e finalmente sarebbero stati felici.

< Ne sono innamorata da così tanto, che credo di aver perso anche il senso della realtà. > Pigolò, abbassando lo sguardo.

La osservai, abbandonando lo schermo del computer.

< Ci dev'essere un motivo valido per il suo comportamento, vedrai. Magari è solo una sciocchezza, una stupida insicurezza, ma sono sicura che, prima o poi, riuscirà a parlartene e allora risolverete tutto. > La incoraggiai. Le avevo parlato del mio incontro con Tom per quella sera, tuttavia, non me l'ero sentita di promettere che avrei insistito sull'argomento. Ero convinta sarebbe stata lei l'argomento di discussione, ma se avessi preso un abbaglio, se avessi frainteso?

Annuì mesta, ritrovando il sorriso pochi istanti dopo, quando fece il suo ingresso in negozio un bambino tutto scarmigliato dal vento della città, che si trascinava dietro, con incredibile forza di volontà, suo padre che, non appena si accorse di essere al caldo, circondato dai libri, smise di ordinare al figlio di fermarsi e si guardò intorno con aria stupita e insieme sollevata.

Alexandra si occupò di loro, mentre io terminavo la mia catalogazione e mi dedicavo allo sgombero della scrivania da fatture e scatoloni vari.

Quando Tom fece il suo ingresso in negozio, pochi minuti prima delle nove, la libreria era vuota e le luci spente, ad eccezione di quelle del piano terra, dove ci trovavamo noi.

Rabbrividì per lo sbalzo di temperatura e salutò entrambe con un bacio sulla guancia, saltellando sul posto per riscaldarsi.

< Bene, allora io vado, ci vediamo domani, Arlyn? > Alexandra finì di infilarsi i guanti e mi sorrise, i capelli, che il cappellino di lana non riusciva a trattenere, mossi dal vento.

< Sì, d'accordo, a domani. > La salutai con un abbraccio, mentre Tom si limitò ad un sorriso e ad un ciao con la mano.

Ci incamminammo lungo Oxford Street, le mani infilate nei nostri cappotti, nel tentativo blando di riscaldarci, e il nostro respiro che si condensava in nuvolette di fumo davanti ai nostri occhi.

< Com'è andata oggi, a lavoro? > Mi chiese, cercando di intavolare una conversazione.

< Bene, Alexandra non ha fatto altro che darmi il suo parere su... praticamente ogni trama dei nuovi libri! > Sorrisi al pensiero, contagiando anche lui.

< Sì, beh... lei è... molto decisa, suppongo. > Commentò, arrossendo.

< Era di lei che volevi parlarmi? > Domandai, decidendomi a porre quella domanda. Non potevo aspettare ancora per dare una risposta ai miei dubbi e il suo rossore mi aveva dato coraggio.

< In un certo senso sì... e anche di te. > Abbassò lo sguardo, rallentando il passo.

Io? Cosa c'entravo io nella sua storia con Alex?

< Ho fatto qualcosa che non dovevo? > Tentai, improvvisamente presa dal panico al pensiero di quella sera in cui avevo proposto ad Alex di incontrarlo in libreria, dopo avermi accompagnata al negozio di abiti da sposa.

< No! No, niente di tutto questo! > Mi tranquillizzò, lanciandomi un'occhiata divertita. < Sono io che devo... confessarti una cosa, ecco. > Terminò con un sospiro.

Attesi, il cuore che continuava a battere all'impazzata all'interno della mia cassa toracica, quasi avesse intenzione di uscire fuori dal petto per mostrare a Tom quanto fossi agitata per quella conversazione. Non sapevo perché avesse voluto parlare con me e non con Robert, o con qualcuno dei suoi amici, o addirittura con Alexandra stessa, e poi decideva di dovermi confessare una cosa.

Lo seguii in un vicolo mal illuminato e mi fermai davanti a lui quando decise di sedersi sul muretto che divideva un pub da una piccola abitazione a pian terreno. Mi fece cenno di sedermi accanto a lui ed io obbedii, liberando il piano dalle bottiglie di birra vuote e aiutandomi con le braccia per issarmi accanto a lui.

C'era silenzio, nonostante il brusio di tutti coloro che avevano optato per una passeggiata nella strada più famosa di Londra e i lampioni a luce gialla riflettevano la loro luce ad intermittenza.

Scrutai il suo viso nella speranza di leggervi qualcosa di rassicurante, ma lui si ostinava a mantenere lo sguardo basso, negandomi l'accesso ai suoi occhi. Avrei voluto ci fosse anche Robert lì, con noi, ma soprattutto con me. Mi avrebbe avvolta nel suo abbraccio caldo e avrebbe messo fine ai brividi di agitazione che continuavano a colarmi giù, lungo la schiena, come rivoli di acqua gelida.

Sospirò, poi alzò lo sguardo al cielo nuvoloso, forse nel tentativo di prendere coraggio, poi sospirò di nuovo, muovendosi a disagio sul muretto.

< Non è semplice per me, e mi dispiace, perché so che hai già tante cose alle quali pensare, ma non riesco a tenermi tutto dentro e da quando Alexandra ha mostrato intenzioni serie nei miei confronti, mi sono detto che avresti dovuto saperlo. > Cominciò, in un mormorio così basso, che feci fatica a sentire.

< Sapere cosa, Tom? > Chiesi. Avevo un brutto presentimento, uno di quei pensieri che ti attraversavano la mente e che ti consigliavano di scappare, di fuggire da quella situazione a gambe levate, perché avrebbe fatto male. Ma io non scappai, rimasi ferma lì, il cuore che mi martellava nelle orecchie e il respiro corto, affannoso.

< Che sono innamorato di te, Arlyn. > Incontrò i miei occhi quando lo disse ed io, per un solo, lunghissimo istante, trattenni il respiro e spalancai gli occhi, incredula.

< Tu... sei... da-da-da quando, cioè... come? > Farfugliai confusa, portandomi una mano a scostarmi i capelli dal viso. Mi sentivo cadere, come se fossi appena precipitata in un burrone e non aspettassi altro che l'impatto.

Fece spallucce, gli occhi lucidi e non seppi dire se per il freddo, o per la mia reazione.

< Da... sempre, da quando ti ho conosciuta. > Ammise.

No, no, non poteva essere vero. Forse era solo un sogno, un incubo. Mi sarei svegliata e mi sarei resa conto che ero a casa, sotto le coperte, al caldo, con un braccio di Robert che mi circondava la vita, il suo viso immerso nei miei capelli e il respiro che mi solleticava il collo e le spalle.

Sì, doveva essere così.

Chiusi gli occhi e credetti di svenire.

La mia reazione era esagerata? Sì, forse, non posso negarlo, ma ero sconvolta, più di quanto lo ero stata nel momento in cui avevo saputo che Robert era il mio fidanzato e che avevamo progettato già il nostro matrimonio.

< E' uno scherzo, vero? > Mormorai poco convinta, mentre gli occhi mi si inumidivano di lacrime.

< No, non lo è. Mi dispiace. > Rispose con voce tremante.

Pensavo di aver toccato il fondo quando mi ero svegliata in ospedale e non avevo riconosciuto i volti di chi mi stava intorno; pensavo che perdere la memoria fosse una delle cose più tristi del mondo; pensavo che le possibilità che più persone fossero innamorate di te, fosse solo una prerogativa delle favole. Mi sbagliavo, succedeva anche nella realtà.

Cercai di ritornare lucida e di riflettere.

Tom era innamorato di me.

Tom era innamorato di me.

Tom era innamorato di me.

Non serviva continuare a ripeterselo nella mente con diverse inflessioni di voce; la frase rimaneva sempre la stessa, reale, così come la sua presenza al mio fianco.

< Perché hai lasciato che Robert si facesse avanti per primo? > Chiesi e il suo viso si addolcì appena.

< Eravamo cresciuti insieme, ma, sai come vanno queste cose, diventati grandi ci eravamo separati, avevamo preso strade diverse, tu avevi scelto di iscriverti all'università, mentre noi abbiamo continuato con la carriera di attori. Non ti sei chiesta come mai Robert ha raccontato di averti incontrata in libreria, quando io ti avevo mostrato una foto di noi insieme, da bambini? > Mi spiegò con calma.

Scossi la testa. Ero troppo impegnata a pensare alle mie emozioni, forse, per accorgermi che Robert non aveva accennato al nostro passato insieme, da compagni di giochi.

< In fondo è la verità. E' come se ti avesse conosciuta solo allora e tu avevi rimosso i tuoi ricordi da bambina per farne posto ad altri. Io ti ho conosciuta quando lui ha deciso di presentarti come sua fidanzata. Cosa potevo fare? Confessare al mio migliore amico che mi ero innamorato di te? E tu eri così presa da lui che, beh... dubito che mi avresti preso sul serio. > Continuò con un sorriso malinconico.

< Ma tu sei stata la prima persona che ho riconosciuto in ospedale! Mi sono ricordata di te, ma non di Robert! > Protestai come se fosse stato evidente a tutti tranne che a me.

< Avevi litigato con lui poco prima dell'incidente e il dottore ci aveva detto che, probabilmente, la tua mente avrebbe creato uno scudo difensivo, eliminando tutto quello che avrebbe potuto farti soffrire. Era perfettamente normale, Arlyn e poi mi consideravi il tuo amico più caro, il tuo confidente... > Ribadì con ovvietà.

Era stato premuroso con me oltre i limiti consentiti da un amico: era rimasto sveglio per notti pur di assicurarsi che stessi bene e non facessi brutti sogni, mi aveva tenuto la mano mentre piangevo, mi aveva accompagnata a casa e si era offerto di dormire con me per tenermi compagnia. Avrebbe potuto approfittarne, avrebbe potuto approfittare della mia fragilità per rivelarmi i suoi sentimenti, invece non l'aveva fatto, aveva atteso, aveva aspettato che Robert tornasse nella mia vita per confessarmi il suo amore; mi aveva spinta tra le sue braccia, infischiandosene della sua felicità.

< E' per questo che non vuoi spingerti oltre con Alexandra? > Abbassai lo sguardo, cercando di non piangere e di mantenere la voce ferma, reprimendo i singhiozzi.

< Le voglio bene, è mia amica e abbiamo molte cose in comune... > Sospirò.

< Ma...? > Lo aiutai io, rivolgendogli un'occhiata pensierosa.

< Ma non posso prenderla in giro e non potevo dirle la verità se prima non l'avessi svelata a te. > Mi rivolse un sorriso dolce, accarezzandomi una guancia con un dito, scostandomi una ciocca di capelli.

< Mi spiace aver reagito così male, prima. > Mi giustificai, arrossendo. Aveva fatto la cosa giusta parlandomene, ma mi aveva presa in contropiede e la mia reazione era stata esagerata e priva di senso. Confessare alla persona che ami il tuo amore dovrebbe essere una liberazione di gioia, non una delusione, e, nonostante tutto, Tom aveva comunque scelto di dirmi la verità.

< Lo capisco, è difficile adesso. > Annuì e sorrise.

Sorrisi anch'io, abbracciandolo.

 

Quando mi misi a letto, quella sera, Robert dormiva già ed io non potei fare a meno di rimuginare sulle parole di Tom.

Aveva sofferto pur di vedermi felice.

Aveva sacrificato la sua felicità, con il rischio di rimanere comunque innamorato di me, pur di vedere il suo migliore amico sereno e realizzato.

Sorrisi al pensiero che, in fondo, in ospedale, avevo quasi sperato che lui fosse il mio fidanzato: amorevole, disponibile e sempre pronto a regalarmi un sorriso.

Chissà come avrebbe reagito Alexandra quando avesse trovato il coraggio di confessarglielo.

Avrebbe sofferto? Mi avrebbe chiamata in lacrime offendendomi?

La colpa non era di nessuno dei due, l'amore non ci permetteva di decidere di chi dovessimo innamorarci, ma a volte il dolore rendeva ciechi e pieni di rabbia.

Sentii un braccio di Robert avvolgermi la vita e il fruscio delle lenzuola che venivano spostate.

< A cosa pensi? > Borbottò con ancora gli occhi chiusi, respirandomi tra i capelli.

Feci spallucce. Avrei dovuto dirglielo?

< Qualcosa di bello o di brutto? > Continuò, baciandomi il collo dolcemente, mentre io piegavo un braccio all'indietro per raggiungere la massa informe dei suoi capelli per tranquillizzarlo e coccolarlo.

Feci ancora spallucce, rifiutandomi di rispondere e sorrisi appena al suo sbuffo di disapprovazione.

< Non vuoi dirmelo? > Mugugnò come un bambino capriccioso.

Scossi la testa e seppi che, nonostante gli occhi chiusi, aveva registrato il mio movimento.

Mi baciò di nuovo il collo, inspirando il mio profumo e stringendomi contro il suo petto.

< Ti amo, lo sai? > Mi disse, sbadigliando e io risi.

< Lo so, ma adesso dormi. > Risposi in un sussurro, voltandomi per fronteggiarlo, baciandogli le labbra.

Ero ancora più confusa di prima dopo quella sera e cominciavo a pensare che non sarei mai riuscita a dire ti amo a Robert, perché, anche a distanza, anche se lui non mi avrebbe sentita, avrei inferto una ferita nel cuore di una delle persone più importanti di quella mia nuova vita e il senso di colpa sarebbe stato insostenibile.

 


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Capitolo 16
*** Like Teenagers ***


Salve a tutti!

E' stata una bella settimana? Io sto cercando di riprendermi dallo studio matto e disperatissimo di Storia in previsione della ripassata conclusiva della prossima settimana xD

Or dunque, passiamo al capitolo; che dirvi? Beh, questo è un po' un capitolo di passaggio, un po' per tutti i protagonisti di questa Ff, considerando che la "rivelazione" di Tom ha sorpreso tutti, Arlyn in primis e spero di essere riuscita a descrivere bene lo stato emotivo di ciascuno di loro, quel misto di confusione, consapevolezza e rassegnazione che credo occupino l'animo di chiunque si trovi in una situazione del genere.

Come sempre, ringrazio coloro che hanno inserito questa Ff tra le preferite/seguite/da ricordare, chi ha commentato e chi ha soltanto letto *.* I love u!

Alla prossima settimana, buon week-end e...

 

 

Buona lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

Ero terrorizzata da quello che sarebbe potuto accadere in libreria con Alexandra. Cercavo di non darlo a vedere, cercavo di sorridere come sempre, ma Robert, a quanto sembrava, mi conosceva meglio di quello che credevo e a colazione mi osservò con un cipiglio curioso e insistente che mi mise in agitazione.

< C'è qualcosa che non va. > Esordì e non era una domanda.

< No, va tutto bene, perché? > La mia voce risuonò allarmata, ma cercai di non darci peso, in modo che non se ne rendesse conto neanche lui.

< Ti tremano le mani, hai indossato la maglietta al contrario e hai dimenticato di allacciarti le scarpe. > Commentò con fare ovvio, sorridendomi divertito.

Notai che aveva ragione: mi tremavano le mani, tanto che a malapena riuscivo a reggere il bicchiere di latte, avevo dovuto sfilarmi due volte la maglia perché l'avevo indossata al contrario e mi ero dimenticata di allacciare le scarpe, rendendomene conto solo quando avevo rischiato di inciampare per le scale.

< Può capitare, è una giornata storta. > Obiettai, fingendo indifferenza e continuando a sfogliare una rivista di moda.

< C'è qualcosa che vorresti dirmi? > Mi chiese, fissandomi.

Sì.

< No. > Come potevo rivelargli che Tom era innamorato di me da tempo immemore? Non sapevo nemmeno cosa significasse per lui.

< E' successo qualcosa con Alex? > Continuò. Si stava preoccupando, riuscivo a capirlo dai suoi occhi azzurri appena velati, eppure, non potevo fare niente per evitarlo.

Con Tom e presto succederà qualcosa anche con lei.

< No, tutto bene, come al solito. > Feci spallucce.

Era così difficile dire la verità? In fondo, io per Tom non provavo niente, era solo un buon amico, l'unico che mi era stato vicino e che mi aveva aiutata a rialzarmi quando mi era sembrato di toccare il fondo, quindi perché fare la misteriosa? Avrei potuto liberarmi di un ingombrante fardello e, soprattutto, avrei evitato di sprofondare nel baratro delle bugie.

Forse si sarebbe arrabbiato, forse mi avrebbe semplicemente consolata, forse mi avrebbe aiutato a capire, ma il problema non era quale sarebbe stata la sua reazione; il problema ero io, la mia confusione e la mia voglia di ritornare al passato, a quando tutto era semplice.

Sospirò ed io alzai lo sguardo su di lui, osservandolo mentre rilassava le spalle contro la sedia e assumeva un'espressione rassegnata.

< Non sei obbligata a dirmelo, se non vuoi, ma è da quando sei rientrata ieri sera che sei con la mente da tutt'altra parte. > Osservò cauto.

Ripensai al suo ti amo, alle sue braccia strette intorno a me, al suo modo dolce di svegliarmi e al profumo della sua pelle quando, appena uscito dalla doccia, veniva a sedersi accanto a me per accarezzarmi i capelli, ancora avvolto nell'accappatoio, i capelli che gocciolavano sulle lenzuola.

Mi sentivo in colpa nei suoi confronti, una colpa che non riuscivo a spiegare. Per la prima volta riuscivo a credere alla sua sincerità, per la prima volta riuscivo a ripetermi le sue promesse senza vederci nient'altro che quello che sarebbe stato fino alla fine, ed io? Io non riuscivo a fare chiarezza nei miei sentimenti, non riuscivo ad esprimergli il mio affetto, mi rifiutavo di rivelargli i miei pensieri, di lasciarmi aiutare.

Mi stavo comportando come lui prima che lasciasse Kristen. Avevo ritenuto intollerabile quell'atteggiamento nei miei confronti e adesso ero io che lo mettevo in pratica contro di lui.

Avrei dovuto odiarmi.

Sospirò, afferrando un biscotto dal piatto al centro del tavolo, mentre io non riuscivo ad incontrare il suo sguardo e lo mantenevo basso, sulla tovaglia verde acqua.

< Vuoi che ti accompagni in libreria? > Mi domandò gentile.

Scossi la testa ed ebbi improvvisamente voglia di piangere, lasciando perdere il bicchiere di latte pieno a metà.

Cercai di trattenere le lacrime, ma ne vidi una sfuggire al mio controllo e cadere sulla rivista che reggevo sulle ginocchia.

< Ehi, che succede? > Sentii la sedia grattare sul pavimento mentre veniva spostata e Robert fare il giro del tavolo per raggiungermi e abbassarsi alla mia altezza, spostandomi i capelli dietro le orecchie per vedermi il viso.

Scossi di nuovo la testa perché non ero sicura che sarei stata in grado di mantenere un tono di voce fermo e sicuro e un'altra lacrima bagnò la pagina.

Mi accarezzò una guancia con il dorso di un dito, forse cercando di calmarmi, ma non funzionò, perché all'improvviso fui scossa dai singhiozzi e non riuscii più a trattenermi.

Era dal giorno in cui avevo ascoltato la telefonata di Kristen a Robert che non piangevo e subito mi sentii sollevata.

Mi sollevò di peso dalla sedia, come se fossi una bambina, facendo cadere la rivista, e mi strinse a sé, cullandomi e accarezzandomi i capelli.

Sapevo che non stava cercando di farmi smettere di piangere o di calmarmi; sapevo che mi stava offrendo la possibilità di sfogarmi e mi stava implicitamente mormorando che lui era lì, che potevo contare su di lui e che non dovevo avere paura perché lui avrebbe cercato di allontanare i miei fantasmi per non farli più tornare.

< Va tutto bene, Arlyn, va tutto bene. > Sussurrò, passeggiando con me in braccio per la cucina e il salone.

Mi sentivo sola e triste, e avevo così tanta confusione in testa, che credevo d'impazzire.

Chiusi gli occhi, cercando di focalizzarmi sul suo profumo dolce e buono e di lasciare che tutti gli altri pensieri scorressero via come un fiume in piena e, piano piano, mi calmai, lasciando che le lacrime si asciugassero sulle mie guance e che Robert mi facesse sedere sul divano, occupando il posto al mio fianco.

< Va meglio? > Mi sorrise, riordinandomi i capelli e insistendo affinché incontrassi il suo sguardo.

Annuii, cercando di sorridere a mia volta, ma senza grande successo. La verità era che avvertivo una sensazione di vuoto all'altezza del cuore, come se il puzzle dei miei sentimenti non fosse completo, come se mancasse ancora qualcosa ed io non riuscissi a trovarla.

< Ti va di parlarne? > Sapeva esattamente cosa fare, cosa dirmi e non voleva impormi nulla, solo aiutarmi a capire.

< Non c'è molto da dire... > Tentennai, riconoscendo a stento la mia voce.

Rispettò la mia pausa e attese che continuassi.

< Sono uscita con Tom ieri sera, dopo il lavoro. Ha chiesto di parlarmi e pensavo che fosse qualcosa riguardante Alexandra, visto i dubbi che lei stessa mi aveva espresso. > Annuì, intrecciando le dita della mano con le mie per infondermi sicurezza.

< E' innamorato di me, ecco perché non vuole impegnarsi con lei. > Continuai, abbassando lo sguardo, temendo il peggio.

Chiusi gli occhi, preparandomi ad una sfuriata che non arrivò. Avvertivo la sua presa salda sulla mia mano, i suoi occhi fermi sulla mia figura e il suo respiro tranquillo; nessun sentore di tempesta all'orizzonte.

Alzai gli occhi su di lui perché avevo bisogno di sapere cosa stesse pensando e provando, se mi rimproverava di qualcosa, ma riuscii a leggere solo comprensione e amore nei suoi meravigliosi pozzi cristallini.

< Ti spaventa? > Mi chiese soltanto.

Non sapevo se si riferisse ai sentimenti di Tom nei miei confronti, o alla situazione che si era appena presentata quella mattina, con lui.

< Sono confusa e ho paura di non riuscire a trovare un compromesso con le mie emozioni. > Ammisi, vergognandomi.

< E' solo questo che ti spaventa? > Mi accarezza ancora i capelli, sciogliendo gli ultimi nodi di tensione.

< Ho paura di non riuscire a esprimere quello che provo per te; ho paura che qualcun altro si faccia del male. > Continuai e fu come se un masso mi fosse rotolato giù dalle spalle, abbandonandomi.

Sorrise e appoggiò la fronte contro la mia tempia, lasciandomi sorpresa.

< Non ce n'è bisogno. Non ti dico ti amo per essere ricambiato; lo dico perché voglio tu non te ne dimentichi e perché è quello che sento. > Spiegò.

Sapevo che era la verità, ma io non riuscivo comunque a non sentirmi in colpa.

Forse si era comportato male, mi aveva fatta soffrire, mi aveva lasciata da sola quando avevo avuto più bisogno di lui, ma non riuscivo a togliermi dalla testa che era lui la persona che volevo al mio fianco, il mio principe azzurro. 

< Non posso fare a meno di sentirmi in colpa, nei tuoi confronti e in quelli di Tom. > Dichiarai, accarezzandogli i capelli corti della nuca e facendo in modo che non abbandonasse quella posizione.

< Se ti serve tempo sono disposto a concedertene. Posso ritornare dai miei per un po' e tu avrai il tempo necessario per pensarci su. > Propose.

Scossi la testa, contrariata.

< Non voglio che tu vada via. Non ce la farei senza di te. > Mi avvicinai per baciarlo e lui ricambiò con fervore, facendomi arrossire.

< Dimmi che non sono l'unica a pensare che tutto questo sia pura follia. > Sorrisi, separandomi da lui che ricambiò divertito.

< E' solo la realtà, dolly e la realtà non è mai normale. > Era la prima volta che lo sentivo chiamarmi dolly e, stranamente, mi piaceva la modulazione della sua voce a quella parola; era dolce e mi faceva sentire amata.

< Vorrei che lo fosse almeno per me. > Mi lasciai cingere le spalle con un braccio, tirando su col naso.

< Si sistemerà tutto, vedrai. Devi solo avere coraggio e pazienza. > Mi consolò, baciandomi i capelli ed io sospirai, pensando che, in fondo, aveva ragione, probabilmente si sarebbe risolto tutto ed ognuno di noi sarebbe tornato alla sua normalità, eppure io avevo come la sensazione che fossimo tutti in salita e non in discesa.

 

Quando arrivai in libreria, accompagnata da Robert, Alexandra stava disfacendosi di alcuni scatoloni, mentre Tom si divertiva ad appiccicarle i prezzi sulla fronte, facendola ridere.

< Non le ha detto nulla... > Mi mormorò Robert in un orecchio, piuttosto sorpreso, come me, d'altronde.

< Ehi, ragazzi! > Salutai, cercando di mantenere un tono di voce allegro e che non destasse sospetti.

Vidi Tom sgranare appena gli occhi alla vista di Robert e, quasi inconsciamente, mi chiesi da quanto tempo non parlassero sul serio, da soli.

< Dolly! > Alexandra corse ad abbracciarmi come se non mi vedesse da un mese, mentre Tom si limitò a spettinarmi i capelli, continuando ad occhieggiare a Robert. Forse si aspettava una sfuriata, o magari voleva solo cercare di scoprire se io gli avessi rivelato qualcosa, ma Robert era impassibile, allegro e solare come al solito, anche se neanche a me aveva detto cosa effettivamente pensasse della rivelazione di Tom.

< E' un sacco di tempo che non vengo qui. > Robert si guardò intorno con un sorriso, quasi vedesse la libreria per la prima volta, mentre io mi appuntavo la spilla con il mio nome al petto e cercavo di capire cosa ci fosse da fare.

Decisi di sistemare i libri del reparto fantasy e, recuperati i due scatoloni giusti,  gironzolai alla ricerca del cartellino giusto.

< Ti perdi ancora nella tua libreria? > Scherzò Tom, sorpassandomi per rubarmi uno scatolone dalle braccia.

< Ho trascorso più tempo a catalogare che a scrivere, credimi. > Sorrisi e lo seguii nella sezione giusta, poggiando la scatola a terra e cominciando a rovistare nello scaffale nel tentativo di ordinare tutti i libri alfabeticamente.

< Stai bene? > Mi chiese, sfogliando distrattamente un libro di vampiri.

Annuii e gli sorrisi.

< Senti, non voglio creare problemi tra te e Robert, non sopporterei farti del male, lo sai. Se quello che ho detto ieri sera ti ha turbata... > Non lo lasciai finire.

< No, Tom, non voglio che ti senta in colpa. Sto bene e so perché hai deciso di dirmi che sei innamorato di me, posso capirlo. E' tutto ok. > Era solo un patetico tentativo per consolare me stessa?

Sorrise e mi sfiorò una guancia con un bacio amichevole e dolce.

< Ti voglio bene. > Mormorò, stringendomi in un abbraccio.

< Anch'io, Tom. > Sospirai di sollievo e lo strinsi un po' più forte.

A separarci fu Robert, con un libro tra le mani e un sorriso compiaciuto sul viso.

< Cominciavo a chiedermi dove foste finiti. > Sorrise e mi lanciò un'occhiata profonda che mi fece rabbrividire.

< Io vado a prendermi un caffè, ne volete uno anche voi? > Annuimmo a Tom che corse su per la rampa di scale diretto in caffetteria.

< Tutto bene? > Mi chiese Robert, sedendosi a gambe incrociate sul pavimento, cominciando a sfogliare il libro che reggeva ancora tra le mani.

Annuii e sorrisi, continuando a riordinare gli scaffali.

Non riuscivo a comprendere il suo atteggiamento; era chiaro che fosse più preoccupato per me che per Tom, ma possibile che la sua rivelazione non gli avesse dato fastidio, possibile che non fosse geloso di quello che era successo? Anche se Tom era un amico sincero e leale, per quanto ne poteva sapere, avrebbe anche potuto baciarmi, tentando di farmi cambiare idea su di lui, cercando di convincermi a lasciarlo; possibile che il pensiero non lo avesse minimamente sfiorato?

Forse taceva per non rendermi le cose ancora più complicate e confuse, ma io avevo bisogno di sapere cosa gli passava per la testa.

Lo osservai concentrarsi su alcune pagine, aggrottando le sopracciglia.

Finii di svuotare il primo scatolone e imitai la sua posizione, appropriandomi del libro che stava leggendo e sorridendo della sua espressione confusa.

< Voglio sapere cosa ne pensi. > Mi sentivo come un'adolescente nascosta in una biblioteca con il suo ragazzo.

La libreria era vuota, non c'era nessuno, eppure sembrava quasi che stessimo per avere un colloquio proibito, perché non riuscivamo a non sussurrare.

< Cosa ne penso? > Mi chiese stranito.

< Sì, di quello che ti ho detto stamattina, di Tom, di Alex, di me. > Elencai, incoraggiandolo con lo sguardo.

Fece spallucce, neutrale.

< Non posso impedire a Tom di essere innamorato di te e non posso di certo biasimarlo: sei bellissima, come non posso dirti cosa fare. > Rispose alla fine, facendomi arrossire. Non mi sarei mai abituata ai suoi complimenti improvvisi.

< Non vi vedo più così legati come un tempo. > Constatai ad alta voce, mettendolo al corrente dei miei pensieri.

Evitò il mio sguardo e si concentrò sul soffitto bianco, in cui erano incastonati minuscoli fari che illuminavano l'ambiente a giorno con i loro fasci di luce bianca.

< Non abbiamo avuto più molto tempo di parlare. > Si giustificò, anche se non ce n'era bisogno: spesso si avvertiva il bisogno di stare da soli e di riflettere, senza nessuno intorno.

< Pensi che ti abbia tradito, rivelandolo prima a me? > Domandai.

< Sì e no. Non era obbligato a parlarmene e se ha ritenuto che tu dovessi essere la prima persona a venirne a conoscenza, per me va bene. > Era come se avesse rinchiuso le sue emozioni in un cassetto e fosse ben deciso a non lasciarne uscire nessuna.

< Non devi vergognarti di quello che provi. > Gli sorrisi, spostandomi al suo fianco per accarezzargli i capelli.

< Sono deluso. > Rivelò infine con un sospiro.

Gli lasciai poggiare la testa sulla mia spalla, continuando a carezzargli i capelli e il viso, attendendo che continuasse.

< Non avrei mai immaginato che fosse interessato a te. Ti era molto affezionato, questo sì, ma non credevo potesse trasformarsi in amore. > Spiegò in un mormorio appena udibile.

< Avresti voluto che te ne parlasse? > Mi sentivo una psicologa, ma volevo solo che lui si sfogasse e cercasse di fare il punto della situazione; era insostenibile vederlo apatico.

Annuì. Lo capivo: venire a conoscenza che il tuo migliore amico è sempre stato innamorato della tua ragazza/quasi moglie dopo diversi anni, doveva essere quantomeno destabilizzante.

< Dovresti parlargliene e fargli capire come ti senti. > Gli suggerii. Io avrei dovuto parlarne ad Alex, perché non me la sentivo di aspettare che fosse Tom a rivelarglielo. Non potevo far finta di niente.

< Forse lo farò quando avrò metabolizzato la situazione. > Accennò ad un sorriso e sollevò la testa per fissare il suo sguardo nel mio e poi avvicinarsi per baciarmi dolcemente.

< Arlyn! Sei qui per lavorare, o per fare le fusa al tuo ragazzo? > La voce di Alexandra ci fece sobbalzare entrambi, costringendoci a separarci. Arrossimmo tutti e due come sciocchi, mentre lei, con un sorriso furbo e le mani ai fianchi, mi intimava di ritornare ai libri e rimbrottava Robert di non avvicinarmisi se prima non avessi finito il mio lavoro.

Robert mi lasciò un ultimo bacio sui capelli e si allontanò verso le poltrone.

< Pomiciate come due ragazzini. > Alex scosse la testa e sorrise, ritornando alle sue faccende.

Non aveva tutti i torti, in fondo.

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Capitolo 17
*** Losing ***


Buon salve a tutti!

Eccomi con il 16° capitolo di questa Ff ^^

Come molte di voi, sicuramente, avranno immaginato, la reazione di Alexandra alla notizia che Tom è innamorato di Arlyn, non sarà neanche lontanamente paragonabile a quella avuta da Tom e qui capirete il perché e il per come ù.ù

Al solito, ringrazio tutti coloro che hanno commentato, inserito tra le preferite/seguite/da ricordare e tutti quelli che hanno letto soltanto *.* I love you <3

P.S. La poesia presente nel capitolo è di Baudelaire, come detto, e fa parte della sua raccolta completa di poesie ^^


Vi auguro un buon fine settimana e, non meno importante, una...

 

 

 

Buona lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quando finii di sistemare tutti i libri, Robert era ancora seduto sulla consunta poltrona di pelle marrone nell'angolo e ormai aveva quasi terminato il libro che non aveva abbandonato un solo istante.

Sospirai di sollievo, ammirando il mio lavoro orgogliosa: mi ci erano volute tre ore per sistemare tutti i volumi in ordine alfabetico.

Spinsi via gli scatoloni, decidendo che avrei pensato a loro più tardi, e mi diressi da Robert, con le mani dietro la schiena e il passo leggero di chi vuole fare una sorpresa.

Aggirai la poltrona e sorpassai due scaffali per portarmi alle sue spalle e poggiargli le mani sugli occhi.

< Non riesco a leggere, Arlyn. > Sbuffò divertito, voltando pagina.

< Mi hai riconosciuta subito, non vale! > Protestai, sistemandomi di forza sulle sue gambe, costringendolo a riporre il libro sul tavolino lì davanti per avere le braccia libere di abbracciarmi.

< Stanca? > Mi chiese, lasciandomi accoccolare contro il suo petto, baciandomi una guancia.

Annuii, rilassandomi.

Mi piaceva lavorare lì e non mi pesava rimanerci per tutta la giornata. L'odore dei libri che mi rimaneva impresso sulle mani a fine serata, mi ricordava quanto fosse importante per me avere qualcosa a cui dedicarmi con anima e corpo, che mi tenesse impegnata e allontanasse i pensieri negativi.

Allungai un braccio per afferrare il libro sul tavolino, sporgendomi appena e notai che si trattava di un volume di poesie di Baudelaire.

< Ti piace la poesia? > Gli chiesi meravigliata, sfogliando il libro in cerca di un titolo che catturasse la mia attenzione.

< Amo Baudelaire. Trovo che sia uno scrittore meraviglioso. Ricordi quando ti leggevo le sue poesie dopo che avevamo fatto l'amore? > Mi accarezzò i capelli con movimenti regolari e dolci, sorridendo contro la mia tempia.

Scossi la testa, ma non faticai ad immaginarci distesi nel nostro letto, le lenzuola a coprirci appena, io appoggiata contro il suo petto e lui che bisbigliava poesie. Era una visione piuttosto romantica, che mi piaceva.

< Dicevi che ogni volta che ti leggevo una poesia, ti innamoravi di nuovo di me. Non è buffo? > Rise, contagiandomi.

< Perché buffo? E' una cosa piuttosto... dolce. > Arrossii e lui se ne accorse, perché mi strinse di più a sé e mi baciò una tempia con delicatezza.

< Le poesie non le scrivevo di certo io. > Rispose con naturalezza.

< E' il pensiero che conta, no? > Domandai retoricamente, alzando lo sguardo su di lui: i suoi occhi erano di un blu intenso, il colore dell'oceano in tempesta ed erano più meravigliosi che mai.

< Vuoi che te ne legga una adesso? > Propose, sfogliando il libro al mio posto, mentre io ancora lo reggevo tra le mani.

Cercai di focalizzare la mensola del salotto, quella dove campeggiava la maggior parte dei miei libri e dei miei dvd, nel tentativo di individuare un libro di poesie, ma non ne ricordai nessuno: forse non ero un'amante del genere.

Lo osservai sfogliare le pagine per un po', fin quando non si fermò su una di quelle che costituivano il fulcro del volume stesso.

La sua voce melodiosa, appena roca, cominciò a bisbigliarmi nell'orecchio.

 

 

Quando, a occhi chiusi, una calda sera d'autunno,

respiro il profumo del tuo seno ardente,

 vedo scorrere rive felici che abbagliano

 i fuochi di un sole monotono; 

una pigra isola in cui la natura 

esprime alberi bizzarri e frutti saporosi,

uomini dal corpo snello e vigoroso 

e donne che meravigliano per la franchezza degli occhi. 

 

Guidato dal tuo profumo verso climi che incantano,

 vedo un porto pieno d'alberi e di vele

 ancora affaticati dall'onda marina, 

 

mentre il profumo dei verdi tamarindi 

che circola nell'aria e mi gonfia le narici, 

si mescola nella mia anima al canto dei marinai. 

 

 

Rimasi incantata, gli occhi fissi sulle sue labbra che si muovevano dolcemente al suono di quelle parole bellissime, i suoi occhi che sembravano voler confessare segreti di cui non ero a conoscenza, le sue dita che continuavano a tormentarmi deliziosamente i capelli e la sua bocca, infine, che si posò sulla mia, sigillando l'ultima parola della strofa, facendomi arrossire di imbarazzo e dolcezza.

Doveva essere davvero un attore eccezionale, sotto tutti i punti di vista. Era in grado di ammaliarti con un solo sguardo, di catturare la tua attenzione con un semplice gesto e di farti sospirare alla minima esalazione di respiro. Avevo visto i suoi film ed ero a conoscenza di ciò di cui era capace, ma doveva essere uno spettacolo indefinibile poterlo osservare dal vivo. Nella pellicola era tutto impresso, statico, se anche un attore sbagliava, la scena poteva essere ripetuta e quella vecchia cancellata senza troppo sforzo; il risultato sarebbe comunque stato perfetto. Dal vivo, la situazione cambiava drasticamente.

Mi sarebbe piaciuto vederlo a teatro.

< E' bellissima. > Sospirai estasiata, separandomi da lui e accarezzandogli la nuca, un punto che sapevo essere particolarmente sensibile per lui.

< Quando la leggo penso sempre a te. > Ammise, strusciando la punta del naso contro l'attaccatura dell'orecchio, costringendomi a trattenere il respiro per i meravigliosi brividi che quel gesto scatenava lungo tutta la mia spina dorsale.

Avevo smesso di chiedermi se i suoi fossero commenti sinceri.

Come potevo non credere al suo amore, alla sua dedizione?

Interruppi le sue carezze e mi voltai per baciarlo ancora. Avrei potuto fare l'amore con lui lì, su quella poltrona, nella mia libreria, ignorando tutto e tutti; il resto non aveva importanza.

Poi, qualcuno si schiarì la voce a pochi centimetri da noi e la magia finì, lasciandoci disorientati.

< Volete unirvi a noi? Stavamo pensando di andare a mangiare in un ristorante qui vicino. > Tom aveva un'espressione imbarazzata e contrita, probabilmente per averci interrotto, ed io provai un moto di tenerezza nei suoi confronti che mi spinse ad allontanarmi dall'abbraccio di Robert e a sorridergli come per tranquillizzarlo.

Robert, d'altro canto, non sembrava intenzionato a lasciarmi andare: pressò il torace contro la mia schiena, circondandomi la vita con un braccio e depositandomi un bacio tra i capelli, marchiando il territorio.

< Perché no, è una buona idea. > Approvai, divincolandomi dalla sua stretta, alzandomi in piedi per raggiungerlo.

Alexandra stava salutando gli ultimi clienti della mattinata e, non appena chiuse il registratore di cassa, ci raggiunse all'esterno del negozio, sorridente come sempre.

Avrei voluto raggiungerla per parlare un po' con lei di Tom e dell'assurda situazione che si era venuta a creare, ma Robert non me lo permise. Mi afferrò la mano, stringendola e attirandomi accanto a lui per baciarmi i capelli, facendo in modo che Alex e Tom ci facessero da guida. Alex era nervosa, lo capivo dal modo in cui gesticolava quando rispondeva a qualche domanda di Tom e, se in libreria erano riusciti a mantenere una certa distanza e una certa intesa perché non costretti a contatti troppo ravvicinati, adesso che erano rimasti soli, non riuscivano a comunicare come volevano, limitandosi a piccole frasi o domande di circostanza.

Forse Tom pensava di poterle rivelare tutto, di rendere le cose semplici, ma capivo dal suo sguardo che aveva paura di ferirla e di allontanarla. Erano amici di vecchia data e Alexandra aveva già rischiato, decidendo di metterlo al corrente dei suoi sentimenti per lui. Certo, le avevo consigliato io di farlo, ma semplicemente perché non continuasse a vivere con il rimorso di ciò che sarebbe potuto essere e perché quella confessione avrebbe potuto avvicinarli ancora di più. Non era nei miei piani scoprire che Tom era innamorato di me.

Io non lo ero di lui, sì, ma questo non lo poneva certo in una posizione semplice nei confronti di Alex: era ovvio che fosse interessato a lei semplicemente come ad un'amica e non come ad una possibile amante.

< A cosa pensi? > Mi chiese Robert mentre attraversavamo la strada.

< Credi che dovrei lasciare che sia Tom a dirle tutto? > Accennai ad Alexandra davanti a noi.

< Devi fare solo quello che senti, nient'altro. > Strinse la presa sulla mia mano, sorridendomi gentile.

Il ristorante nel quale entrammo era un ambiente piuttosto intimo e accogliente; immaginavo che lo avessero scelto perché c'era anche Robert, che rendeva impossibile la scelta di un luogo più affollato dove sarebbe stato più semplice riconoscerlo.

Il cameriere ci scortò fino ad un tavolo apparecchiato per quattro persone in fondo alla sala, in un caldo cantuccio.

Mi accomodai accanto a Robert che aveva già cominciato a visionare il menu.

Mi accostai di più a lui per riuscire a leggere e notai con la coda dell'occhio Alexandra fare lo stesso per poter leggere dal menu che Tom reggeva in mano. Sembravamo due coppie di fidanzati che avevano deciso di condividere il pranzo insieme per rilassarsi un po'.

< Nessuno di voi ha nuovi progetti in campo? > Chiese Alex, guardando alternativamente Tom e Robert.

< Sono ufficialmente in pausa, a tempo indeterminato, anche se Nick non fa che inviarmi copioni da esaminare. > Rispose Robert divertito, accarezzandomi con lo sguardo. Stava declinando possibili ingaggi per starmi vicino?

< Io sono ancora in attesa della risposta definitiva per quel film su un gruppo di liceali, ancora senza titolo. > Aggiunse Tom.

< Non detestavi i teen-movie? > Gli domandò Robert, le sopracciglia aggrottate in un'espressione scettica.

Tom fece spallucce, indifferente.

< Non è proprio un teen-movie, è più sul genere di Skins, sai, diciottenni alle prese con problemi di droga, sesso, amicizie... > Tentò di spiegare, vagando con lo sguardo in sala.

Robert annuì, tornando a torturare il lembo del tovagliolo con le dita.

C'era qualcosa di sospeso tra di noi, una sorta di tensione palpabile che non ci permetteva di godere di quel pranzo come avremmo voluto.

Ci scrutavamo tutti in silenzio, in attesa dei nostri piatti. Avrei voluto urlare, urlare a tutti di smetterla di far finta di niente e di dire le cose così come stavano, perché, in fondo, non era qualcosa di cui vergognarsi. La gente amava e smetteva di amare ogni giorno, ad ogni ora, c'era persino chi uccideva per amore e allora perché perdere tempo, perché continuare a fingere?

Mi aspettavo che fosse Tom a prendere la parola, ma, a quanto sembrava, non ne aveva alcuna intenzione, perciò, durante il dessert, decisi di porre fine a quella pantomima inutile, chiedendo ad Alex di accompagnarmi in bagno.

Notai lo sguardo preoccupato di Tom e quello sorridente di Robert.

Non potevo rimanere a guardare impassibile, mentre Tom faceva del male alla mia migliore amica.

I bagni erano semplici ed essenziali, con tre porte a nascondere i servizi veri e propri.

Mi diressi al lavabo per sciacquarmi le mani, non sapendo cos'altro fare, mentre Alex poggiava la schiena contro le mattonelle bianche screziate di grigio perla.

< Sembrava dovessi dirmi qualcosa di importante. > Iniziò lei con fare curioso, incrociando le braccia al petto.

< Infatti. Non abbiamo più avuto modo di discutere circa quella serata che ho trascorso con Tom e pensavo che fosse giusto che tu fossi al corrente di quello di cui mi aveva parlato. > Agguantai due salviette per asciugarmi, rifiutandomi di incrociare il suo sguardo.

Probabilmente ero una vigliacca, ma non riuscivo a guardarla senza sentirmi terribilmente in colpa.

< Ti ha chiesto lui di farlo? > Domandò, attenta.

< No, è una mia decisione. > Risposi.

< Se è qualcosa che lo riguarda, dovresti lasciargli del tempo per decidere se vuole parlarne con me o meno. > Suggerì pratica.

< E' una cosa che riguarda anche te. > Alzai lo sguardo per incontrare il suo e mi parve sorpresa e curiosa allo stesso tempo.

Attendeva che parlassi, perciò, presi un respiro profondo, dicendomi che lo facevo per il suo bene, per la sua serenità.

< Abbiamo parlato un po' del vostro rapporto e mi ha confessato perché non riesce ad essere qualcosa di più di un amico per te... > Avevo la tachicardia, volevo che finisse al più presto. Cominciai a torturarmi le mani per il nervosismo.

< E...? > Chiese, avvicinandomisi di un passo.

< E' innamorato di me. > Dissi tutto d'un fiato. < Lo è da sempre, ma non ha mai avuto il coraggio di dirmelo, fino ad ora. > Continuai.

La sua espressione era puro sgomento, sorpresa e qualcosa che andava al di là della mia comprensione; forse senso di arrendevolezza, di perdita definitiva.

< So che è una sorpresa per te, ma lo è stata anche per me! L'ho sempre considerato un ottimo amico, ma non avrei mai potuto immaginare che i suoi sentimenti fossero diversi... > Non mi lasciò neanche terminare la frase, che esplose in lacrime.

< Avrei dovuto immaginarlo... > Riuscì a dire tra i singhiozzi che le scuotevano le spalle. < Sei sempre stata quella che ha avuto più fortuna con i ragazzi, la più corteggiata della scuola, quella per cui i ragazzi sbavavano. Bastava una tua occhiata. > Continuò quasi urlando.

< Alex, ascolta... non è come pensi, io non potevo saperlo! > Cercai di raggiungerla per calmarla, ma lei si scostò, evitandomi.

< Dovevi portarmi via anche lui, non ti bastava Aaron! > Urlò. Non sapevo a chi si stesse riferendo, non conoscevo nessuno di nome Aaron, ma lei non si preoccupò di spiegarmelo, continuò a riversarmi addosso il suo disappunto e la sua rabbia.

Il suo viso era irriconoscibile: una maschera di tristezza e di furia che non le avevo mai visto indossare e che mi spaventarono.

< Io non voglio portarti via nessuno, Alex! > Tentai di farla ragionare. Immaginavo sarebbe successo, immaginavo ne sarebbe rimasta delusa, ma quello che non potevo sapere era che avrebbe fatto così male e che mi avrebbe resa così vuota.

Era impossibile cercare di farla ragionare o di calmarla; non mi ascoltava, continuava ad inveire contro di me.

< Dì addio alla tua assistente. > Sbraitò alla fine, uscendo dal bagno a passo di carica.

La seguii, chiamandola e facendo voltare parecchi clienti, ma lei non si fermò, dirigendosi al nostro tavolo per afferrare la borsa sotto gli occhi stupiti e increduli di Tom, di Robert e tutti i presenti nel locale.

< Non voglio più vedervi! > Ringhiò prima di uscire definitivamente dal ristorante, senza che potessimo fare altro per fermarla.

< Che è successo? > Mi chiese Tom, mentre io mi abbandonavo stremata sulla sedia.

Il silenzio stava facendo nuovamente posto ai brusii concitati dei clienti che ritornavano a chiacchierare.

< Avresti dovuto dirglielo. > Dissi soltanto, apatica, senza neanche la forza per arrabbiarmi con lui del suo comportamento scorretto.

Sembrò incassare il colpo con rassegnazione, abbassando lo sguardo.

< Vuoi andare via? > Sentii la mano di Robert afferrare la mia e il suo respiro a pochi centimetri di distanza.

Annuii distrattamente, alzandomi.

< Scusaci Tom. E' un problema per te chiudere la libreria? > Robert frugò nella mia borsa alla ricerca delle chiavi, consegnandole poi a Tom che le afferrò con timore.

Mi lasciai guidare verso l'uscita. Era come se la mia testa si fosse improvvisamente svuotata di tutti i pensieri, come se tutto quello che era successo fino a quel momento, fosse stato solo frutto della mia immaginazione e non la realtà.

< Va tutto bene, Arlyn. > Sentii Robert sussurrarmi in un orecchio, mentre ci avviavamo verso la metro.

Non andava tutto bene e ne ero consapevole.

Stavo di nuovo perdendo tutto e la cosa peggiore era che, questa volta, me ne sarei ricordata.

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Capitolo 18
*** Expectations ***


Salve!

Oh cielo, sicuramente adesso mi odierete, purtroppo però è stato un allontanamento forzato e per di più, con l'inizio dell'università è stato un macello (orari da lanciarsi volontariamente dal piano più alto dell'edificio, professori che si assentano e non hanno nemmeno la decenza di avvertire, scartoffie varie da consegnare in Segreteria, Piano di Studio da modificare e non aggiungo altro...). Poi, ovviamente, ci si è messa di mezzo anche la noiosissima pausa di riflessione della Santa Ispirazione, cosa da non sottovalutare e il gioco è stato completato con successo, peccato solo che la vincitrice non ero io! ç.ç

Per cui, chiedo venia, mi prostro ai vostri piedi e mi scuso dell'incommensurabile ritardo con cui posto questi nuovi capitoli ç.ç

Passando a cose serie, volevo attirare la vostra attenzione qui, su questo sito Respect Him! è una campagna di "sensibilizzazione" circa gli "abusi" che i paparazzi stanno compiendo nei confronti di Robert. Insomma, per quanto ci possa essere anche antipatico, ognuno ha diritto alla sua privacy, a vivere in maniera "dignitosa" dal punto di vista del rispetto e questo mi sembra non sia il caso di Robert. Per citare le parole della stessa petizione, Robert non è un giocattolo, ma un essere umano con sentimenti e limiti. Basta una vostra firma per mostrare solidarietà per questo progetto (ci sono cose sicuramente più gravi al mondo, ma come ci sentiremmo noi se venissimo privati della nostra privacy e della nostra libertà?). Pensateci e firmate ^^

Ed ora, non voglio dilungarmi in spiegazioni o simili, quindi preannuncio soltanto che questo è un capitolo di passaggio, secondario ma necessario e che ben presto torneremo nel vivo della vicenda!

Mi scuso ancora una volta per il mostruoso ritardo, vi auguro un buonissimo inizio di settimana e, ovviamente, una...

 

 

Buona Lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non riuscivo a capacitarmi del fatto che avessi permesso ad Alex di abbandonarmi in quel modo; avrei potuto trattenerla, avrei potuto far valere le mie ragioni, avrei potuto giustificarmi.

Giustificarti di cosa, Arlyn? Non hai colpe. Era quello che la mia mente continuava ad urlare.

Forse era così, forse non avevo colpe, forse, l’unica cosa di cui potevo rimproverarmi era il fatto di essere stata sempre la più attraente tra noi due. Non che ricordassi qualcosa, ma le sue parole urlate in quel bagno asettico del ristorante mi avevano fatta riflettere più del dovuto, tanto che sentivo la testa esplodere e implorare i pensieri di lasciarla in pace.

Chi era Aaron? E cosa potevo mai avere di così speciale da superare Alexandra? Lei era solare, gentile, generosa e una buona amica; io, invece, ero stata solo in grado di dimenticarmi di tutti quelli che mi volevano bene, e poco importava se era stata colpa dell’incidente. Gli altri mi avevano ferita, ma, in fondo, io ero così diversa da loro? Tutti, prima o poi, feriscono, tutti, prima o poi, soffrono; non era giusto, ma era quello con cui ognuno di noi doveva, per forza di cose, convivere ogni giorno.

< Hai bisogno di qualcosa? > La voce gentile di Robert mi giunse all’orecchio insieme al rumore dei suoi passi. Appena arrivati a casa, l’avevo seguito come un automa in camera da letto, consentendogli di liberarmi delle scarpe e di rimboccarmi le coperte come ad una bambina. Era come se non fossi in grado di badare a me stessa, come se niente avesse più importanza, come se il mondo fosse diventato, d’un tratto, tutto grigio e piovoso ed io vi fossi imprigionata, senza la possibilità di ammirare più il sole, i suoi raggi caldi sulla pelle fredda.

Lo osservai sorridere e sedersi accanto a me, liberandomi la fronte da qualche ciocca di capelli ribelle.

Feci segno di no con la testa e cercai di ricambiare il suo sorriso, con scarsi risultati.

Liberai un braccio dal calore del piumone e afferrai la sua mano, stringendola con tutta la forza che avevo.

Avevo voglia di piangere, piangere senza più smettere, fin quando non avrei avuto più lacrime di cui disfarmi, ma solo il dolore della mancanza da affrontare.

Forse la mia reazione era esagerata, in fondo, c’erano persone che venivano private di qualcuno in maniera molto più brutale di quella con cui io avevo perso Alex. Madri che non avrebbero più rivisto i propri figli, donne che avrebbero atteso invano un marito insieme ad un bambino da crescere, giovani uomini che avevano dovuto dire addio a tutta la loro vita pur di garantirsi un futuro migliore, ed io? Io continuavo a frignare come una neonata nella culla, perché uno dei miei migliori amici era innamorato di me e la ragazza che aveva atteso così tanto per dichiarargli i propri sentimenti per non essere rifiutata, era la mia migliore amica e in quel momento, con ogni probabilità, era nel suo appartamento a maledirmi di aver mandato tutto all’aria.

Eppure, nel mio dolore, non riuscivo ad essere razionale. Sarah era uno dei miei punti fermi, era stata la prima persona, oltre a Robert, con cui avevo sentito di avere una connessione, l’unica persona a cui mi sentivo davvero vicina, e, per chi perde la memoria, i punti fermi sono importanti; caduti quelli, tutto cambia di nuovo, niente è più come prima, di nuovo.

< Cosa posso fare? > Se mi avesse abbandonata anche lui, Robert, cos’avrei fatto? Mi accorsi solo in quel momento, al suono della sua voce, che avevo il viso bagnato dalle lacrime e che i suoi occhi, i suoi meravigliosi occhi azzurri, erano tristi e preoccupati.

< Non lasciarmi. > Riuscii a mormorare con la voce spezzata.

Lui scosse la testa e si protese in avanti per abbracciarmi, non lasciando mai la mia mano.

< Non ti lascio. Sono qui e non ti lascio. > Mormorò piano, lasciandomi singhiozzare tra le sue braccia e bagnargli la maglietta di lacrime calde. Avevo bisogno di lui.

Cercai di normalizzare il respiro e di calmarmi, asciugandomi gli occhi con il dorso di una mano e allontanandomi dal suo abbraccio confortevole, cercando di ringraziarlo con lo sguardo più che con le parole, anche perché la mia voce sembrava non voler collaborare affatto ed io temevo di poter scoppiare nuovamente a piangere se solo avessi provato a mormorare anche solo una parola.

< E’ tardi e tu hai bisogno di mangiare qualcosa. Qualche desiderio, Miss? > Mi sistemò i capelli con le dita, intuendo, forse, la mia difficoltà nell’esprimermi, cercando di risollevarmi il morale.

Apprezzavo la sua cura, apprezzavo i suoi gesti e il modo dolce con cui cercava di farmi collaborare senza forzarmi, rispettando i miei desideri in ogni caso.

Scossi la testa, rispondendo al suo sorriso in maniera debole e stanca. Mi sentivo spossata, ma non avevo voglia di chiudere gli occhi, temendo che il mio inconscio non avrebbe fatto altro che ripropormi le immagini di qualche ora prima.

< Torno subito. > Mi baciò la fronte, accarezzandomi una guancia e abbandonando la presa sulla mia mano.

Non volevo che andasse via, non volevo lasciarlo andare, ma non opposi resistenza, ritrovandomi da sola, spaesata.

Abbandonai la testa sul cuscino morbido, chiudendo gli occhi e cercando di sgombrare la mente dagli avvenimenti del pomeriggio.

Avrei chiamato Alex e avrei sistemato le cose, le avrei spiegato tutto, le avrei raccontato come era andata quell’uscita con Tom, come aveva deciso di rivelare i suoi sentimenti per me e di come avesse paura di ferirla.

Sapevo che Tom non aveva nessuna intenzione di ferirci, di farci allontanare; aveva solo fatto quello che aveva ritenuto giusto, peccato solo che avesse deciso di informare prima me e non la diretta interessata. Forse Alexandra mi avrebbe guardata con occhio diverso, forse avrebbe preso in considerazione l’idea che anche a me Tom non dispiacesse affatto, nonostante avessi appena ritrovato Robert, ma sarebbe stato più semplice ritrovarsi, dopo.

Nessuno, d’altronde, si era preoccupato di Tom e, ancora una volta, non potei non sentirmi in colpa.

Alex era andata via velocemente, urlando di non volerci più vedere e Robert gli aveva chiesto di chiudere al mio posto la libreria, lasciandolo spaesato.

Mi si strinse il cuore al pensiero del suo rammarico, alla sua tristezza e alla probabilità che, come me, si stava maledicendo per aver taciuto così a lungo.

< Ehi… > Sentii la mano di Robert posarsi leggera sul mio capo per una carezza dolce. Avevo ancora gli occhi chiusi, ma li riaprii al suo tocco, intravedendo la sua figura reggere in una mano un piatto e, in bilico sul piatto stesso, un bicchiere.

< Non ho fame. > Articolai con difficoltà, distogliendo lo sguardo.

Avvertii il suono della ceramica contro il marmo del comodino e poi il fruscio delle lenzuola che venivano sollevate appena.

Ritrovai il viso di Robert a meno di cinque centimetri di distanza dal mio, gli occhi azzurri che mi osservavano curiosi, quasi fossi un fiore raro da analizzare.

La sua mano mi accarezzò un fianco e poi un braccio, riscaldandomi il cuore.

Avrei voluto fare l’amore con Robert fino a dimenticare il mio stesso nome, non sarebbe stato così difficile.

Mi avvicinai, intrecciando le gambe con le sue, inserendo una mano tra la massa informe dei suoi capelli e socchiudendo appena gli occhi per godere meglio del bacio che non mi negò, ma approfondì immediatamente, intuendo il mio bisogno di protezione e affetto.

Mi aggrappai alle sue spalle, costringendolo supino e sovrastandolo, legando le gambe intorno ai suoi fianchi.

Quando gli sollevai la maglia, intrufolando due dita sotto il tessuto morbido, accarezzando la pelle calda della pancia e poi dello stomaco, mi fermò, interrompendo il nostro bacio, lasciandomi stupita e confusa.

< Arlyn… non dovremmo… > Sussurrò con timore, la voce roca e profonda di chi è decisamente preso dalla situazione.

Corrugai le sopracciglia, mentre il mio cuore urlava perché?

< Sei sconvolta e… hai bisogno di tempo… per riflettere… > Continuò, ma i suoi gesti lo tradivano. Mi sollevò la maglietta sui fianchi, solleticandomi e provocandomi una scarica di brividi che mi fece chiudere gli occhi.

Spinsi il bacino contro il suo, cercando di fargli capire quanto lo desiderassi e quanto avessi bisogno di sentirlo, in tutti i sensi.

Ignorai le sue parole e le sue frasi sconnesse, liberandomi della maglietta e portando le mani alla cintura dei suoi jeans, titubante.

Volevo solo amarlo e sentirmi protetta.

Ero sconvolta? Sì, non potevo negarlo, ma i miei gesti erano sinceri, dettati dall’amore che provavo nei suoi confronti e non dalla situazione vissuta. Non cercavo un ripiego.

Feci scorrere la cerniera, seguendone il percorso, avvertendo il suo sguardo su di me, attento e arreso, le braccia abbandonate sul cuscino.

Tremò quando mi liberai dei jeans e poi degli slip e, automaticamente, sperai fosse di piacere.

Deglutì e sospirò, sollevando il bacino, per permettermi di spogliarlo. Mi sistemai su di lui a cavalcioni, lasciando che i nostri odori si mischiassero.

Raggiunsi le sue labbra per un bacio e lo sentii dentro di me l’istante successivo, gemendo sulle sue labbra e strappandogli un suono gutturale simile ad un ringhio.

Lo strinsi a me e pensai al suo calore e al suo profumo, a come avessi potuto non ricordarmi di lui durante la mia convalescenza in ospedale, di come l’unico che la mia mente ricordasse fosse stato Tom.

Mi sembrò impossibile, in quell’istante, mentre Robert sospirava vicino al mio orecchio, mentre eravamo uniti col corpo e col cuore, aver fatto a meno di lui nel momento più difficile della mia vita, quello della perdita della mia memoria, di una fetta del mio passato.

Robert mi spinse con dolcezza contro il materasso, asciugando con le sue labbra le lacrime che non mi ero accorta avessero preso a scorrere lungo le mie guance senza controllo.

Chiusi gli occhi, perdendomi nel suono dei nostri gemiti e dei nostri sospiri e respirando l’aria satura del nostro amore e della mia tristezza, del mio dolore.

Cosa mi stava succedendo?

Era tutto irreale, estremamente ingiusto. Nella mia mente continuavo a rivivere la mia conversazione con Alex, lo sguardo perso di Tom e il nome di Aaron a cui non riuscivo ad associare un volto.

 

Quando aprii gli occhi, la prima cosa che misi a fuoco fu la sveglia sul comodino che segnava le sei di sera.

Ero nuda sotto le lenzuola e accanto a me non avvertivo la presenza di Robert. Presi un respiro profondo e osservai il soffitto prima di voltarmi per verificare i miei sospetti.

Non c’era, se n’era andato, mi aveva lasciata sola.

Mi misi a sedere, guardandomi intorno come se Robert potesse sbucare fuori da dietro un armadio e urlare bu! 

Scostai le coperte, alzandomi, recuperando una sua camicia dalla spalliera della poltrona lì vicino e i miei slip dal pavimento che infilai svelta. Abbottonai la camicia in tutta fretta e quasi corsi fuori dalla stanza, scalza, scendendo le scale, cercandolo con lo sguardo senza riuscire a chiamarlo, la paura che potesse essere davvero andato via.

Poi lo vidi, seduto sul divano, la testa tra le mani.

Rabbrividii e non so se per il fatto che fossi semi-nuda, o perché mi faceva un certo effetto vederlo così vulnerabile.

Non si era accorto della mia presenza, perché non alzò gli occhi su di me e perché non accennò a nessun movimento.

Mi avvicinai a passo leggero, sedendomi accanto a lui e accarezzandogli i capelli per manifestare la mia presenza.

Quando alzò la testa, il suo sguardo triste mi colpì come un’onda gelida e improvvisa, devastandomi.

Mi morsi un labbro in attesa delle sue parole, parole che sembrava non aver nessuna intenzione di pronunciare.

Attesi, rispettando i suoi tempi, facendomi piccola piccola sul divano, desiderando di poter diventare invisibile.

< Tu non mi ami, vero? > Mi chiese alla fine, osservando il pavimento.

Spalancai gli occhi, incredula.

< C-cosa? > Forse avevo frainteso le sue parole.

< Non volevi davvero fare l’amore con me, di cosa dovevi liberarti? Del tuo disappunto, del tuo dolore, della frustrazione di aver allontanato la tua migliore amica? > I suoi occhi erano pieni di rabbia e delusione e non potei biasimarlo.

Abbassai lo sguardo, rannicchiando le gambe al petto e ascoltando la mia coscienza che mi diceva che, in fondo, non aveva tutti i torti, che non ero con lui in quel momento, ma distante anni luce, in un altro universo, in un’altra realtà.

< Mi dispiace. Avevo solo bisogno del tuo calore. > Mormorai indifesa.

La sua rabbia si trasformò in rassegnazione e la sua delusione in tristezza e dolcezza.

Mi riordinò i capelli dietro le orecchie con attenzione.

< Fa male, ma non puoi scappare dal dolore, puoi solo affrontarlo con coraggio e determinazione. > Mi disse con un sospiro.

< Cos’ho che non va? > Gli chiesi, riferendomi a tutte le persone che avevano sofferto per causa mia.

Lui rise, stringendomi al suo petto.

< Non hai niente che non va, è solo la vita, Arlyn. > Mi baciò dolcemente le labbra e desiderai poter tornare indietro nel tempo per donargli tutta me stessa e non per abusare della sua generosità e del suo altruismo.

Ero un’egoista.

< Voglio il manuale delle istruzioni, allora. > Brontolai contro la sua maglietta azzurra.

Ero dove volevo essere, tra le braccia dell’unica persona di cui mi fidavo e che mi amava, nonostante tutto.

< Io sarò sempre qui, dolly. Ti amerò sempre e comunque, non dimenticarlo mai. > Chiusi gli occhi e assorbii il significato delle sue parole, analizzando la modulazione dolce della sua voce e lasciandomi cullare dal battito regolare del suo cuore.

Avrebbe pensato le stesse cose di me anche un mese dopo, un anno dopo, un minuto dopo?

Sarei stata in grado di soddisfare le aspettative?

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Capitolo 19
*** What If? ***


Salve!

Ancora una volta sono costretta a cominciare questo aggiornamento con delle scuse ç.ç mi spiace non essere riuscita ad aggiornare lunedì, ma, sarò io che non riesco a raccapezzarmi quest'anno all'università (perché l'anno scorso riuscivo, bene o male, a scrivere sempre e ad aggiornare con costanza), sarà che le cose si sono fatte più impegnative e con i corsi hanno combinato un disastro, sono sempre piena fino al collo e il risultato è che vorrei scrivere, ma non ne ho il tempo ç.ç quindi, chiedo, ancora una volta, venia ç.ç

Parlando invece del capitolo, scoprirete, finalmente, chi è questo famoso Aaron e, anche se il Tom di questo capitolo vi sembrerà un po' strano, non fateci caso, peggiorerà xD Il titolo del capitolo, What If, è tratto da una canzone dei Coldplay che amo molto; non ho scritto il capitolo pensando al testo della canzone, o alla canzone stessa, ma quando ho riletto il tutto, ho pensato potesse avere un qualche sorta di collegamento. Se volete ascoltarla, questo è il link: What If?

Ne approfitto per pubblicizzare una piccola Shot che ho presentato per il contest indetto da SerenaEsse First Date-Primo Appuntamento e che si è posizionata seconda *.* Se volete leggerla e farmi sapere cosa ne pensate, ecco il link: Missing Date.

Ringrazio, al solito, tutti coloro che hanno commentato lo scorso capitolo, che hanno letto soltanto, che hanno inserito la Ff tra le preferite/seguite/da ricordare *.* GRAZIE! <3

Ho parlato fin troppo, quindi non mi resta che augurarvi una buona continuazione di settimana e una...

 

 

Buona Lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Robert aveva ragione: non era colpa mia, o di qualcun altro; non era questione di litigare o di fare pace; non era neanche questione di sorrisi o di lacrime. Era semplicemente parte della vita di tutti noi, il dolore. Era quello che il cerchio della vita prevedeva.

Il giorno successivo mi ero rimboccata le maniche ed ero tornata in libreria. Non potevamo permetterci di chiudere senza preavviso e, inoltre, come se non bastasse, sorgevamo su una delle strade più trafficate dell'intera Londra, ed eravamo sotto gli occhi di tutti, specie dei lettori più accaniti che si fidavano dei nostri consigli e della quiete che regnava nella nostra sala lettura.

Per la prima volta da quando ero ritornata a lavoro, mi ritrovai a fare tutto da sola: sistemare il registratore di cassa, tenere i conti, organizzare le fatture per i nuovi arrivi, sistemare i libri, servire i clienti, confezionare libri per bambini, rispondere al telefono e cercare di non diventare matta.

Robert mi aveva accompagnata, ma era dovuto scappare a causa di un impegno con il suo agente e così, all'ora di pranzo, mi ero ritrovata da sola, seduta dietro la scrivania, a masticare controvoglia un tramezzino al tonno, giocherellando con la sedia girevole.

Cercai di focalizzare la mia attenzione solo su pensieri positivi, ma venni distratta dall'ingresso di Tom in libreria.

Non mi aspettavo una sua visita, non così presto almeno e non dopo tutto quello che era successo il giorno prima.

Aveva gli occhi stanchi ed era chiaramente in imbarazzo.

< Ciao. > Lo salutai, ancora incredula.

Alzò una mano per ricambiare e si accomodò di fronte a me, dall'altro lato della scrivania, le dita che tamburellavano distrattamente sulla superficie di legno.

< C'è qualcosa che non va? > Aggrottai le sopracciglia, osservandolo curiosa. Era come se mi stesse nascondendo qualcosa e, al tempo stesso, stesse cercando il coraggio di affrontare un argomento piuttosto spinoso.

Misi da parte il mio tramezzino; mi era passata la fame.

< Ecco... mi chiedevo solo se... avessi pensato all'intera faccenda. > Si guardò in giro nervosamente, lasciandomi ancora più perplessa.

< Quale faccenda? > Domandai, continuando a non capire.

< Quella che è venuta fuori tra di noi. > Rispose ovvio. Credeva davvero che io avrei preso in considerazione la sua dichiarazione? Credeva davvero che mi sarei messa a tavolino a discutere con lui su una nostra probabile relazione?

< Non è venuta fuori nessuna faccenda tra di noi, Tom. Hai detto di provare dei sentimenti per me e, per quello che mi riguarda, la storia è chiusa. > Gli feci notare. Forse era scorretto trattarlo così, ma non poteva pormi davanti ad una scelta, anche perché conosceva la risposta.

< Credevo che fosse chiaro che... sì, insomma... che desideravo avere una chance, una qualche tipo di possibilità con te. > I suoi occhi azzurri incontrarono i miei, destabilizzandomi.

< Io sto con Robert, adesso. > Risposi con un sussurro indistinto. Era troppo difficile ammettere che lo amavo, che non volevo lasciarlo, che era l'unico che mi aveva aiutata durante tutto quel periodo e di cui, finalmente, riuscivo a fidarmi, perché mi stava dimostrando di essere in grado di tener fede alle sue promesse? Sì, forse lo era, perché neanche quella volta riuscii a dirlo.

< So che stai con lui e so che lui ti ama e che, probabilmente, anche tu lo ami. Non voglio intromettermi nella vostra relazione, è solo che... insomma... ho rifiutato centinaia di appuntamenti perché non riuscivo a toglierti dalla testa e pensavo che sarebbe stato bello se, solo per una volta, avessimo fatto finta di essere entrambi single, pronti a lanciarci in un'avventura sentimentale. > Lo vidi fare spallucce e scompigliarsi i capelli, cercando di allontanare l'imbarazzo.

< Cosa vuol dire tutto questo, Tom? Cos'è che mi stai chiedendo di fare? > Lo scrutai attentamente, sapendo che il peggio doveva ancora arrivare.

< Niente, voglio solo invitarti a cena, far finta che tu sia non fidanzata e passare una serata divertente, tutto qui. > Fuggì il mio sguardo, muovendosi a disagio sullo sgabello e arrossendo appena.

Continuava a sembrarmi tutto frutto della mia mente provata. Era come se, nell'attesa che i ricordi tornassero a galla nella mia memoria, il presente si divertisse a farmi diventare matta, a farmi affrontare continue prove senza alcun tipo di aiuto.

La sera prima avevo trovato strano il fatto che non avessi reagito di fronte alla furia di Alex, adesso trovavo strano il fatto che Tom mi stesse chiedendo un appuntamento, seduto di fronte a me, come avrebbe fatto con una qualsiasi ragazza incontrata per caso. Cosa stava succedendo?

Aveva deciso di rivelarmi di essere innamorato di me solo perché, in qualche modo, non voleva che venissi a scoprirlo da Alex; mi aveva garantito di non essere intenzionato a rovinare la mia ritrovata serenità con Robert; si era persino scusato di essersi comportato in maniera impulsiva e sconclusionata, a suo avviso, rivelandomi tutto all'improvviso, e ora? Credeva forse che soffrissi d'amnesia, che non ricordassi le sue parole, le sue rassicurazioni?

< Sei solo sconvolto per come sono andate le cose ieri, Tom. Dovresti provare a telefonarle. > Sospirai, rilassando le spalle contro la sedia.

< Per sentirmi dire che non sono altro che uno stronzo, un imbecille, un bugiardo e un traditore? > Brontolò, percorrendo con l'indice il bordo della scrivania, quasi volesse tracciarne i contorni.

< Ha solo bisogno di tempo, lo sai. In fondo, ha scoperto tutto all'improvviso, non avrebbe mai sospettato qualcosa del genere, senza contare che non c'erano segnali, da parte tua, circa il volerle rivelare qualcosa. Chiunque avrebbe reagito così. > Tentai di giustificarla, riuscendoci solo in parte. Avrei voluto davvero credere alle mie parole, avrei voluto davvero fare finta che potesse essere tutto così semplice, ma la verità era che non potevo mentire a me stessa e in fondo al mio cuore sapevo bene che le cose tra me e Alex non sarebbero più state le stesse. Forse anche Tom se ne era accorto, forse, invitandomi a cena, voleva solo dimostrare a se stesso che poteva continuare anche senza di lei, che poteva invitare fuori qualsiasi ragazza. Se lei fosse venuta a scoprirlo, avrebbe ottenuto la sua vendetta e, probabilmente, la furia, combinata alla gelosia, le avrebbe fatto ripercorrere il sentiero all'indietro, anche se solo per sputargli addosso veleno su veleno.

< Non tornerà, lo sai anche tu. E se penso che è tutta colpa mia, non posso fare a meno di sentirmi un verme. Ha perso per sempre la fiducia in me, in noi. > Rispose, confermando i miei sospetti. La sua voleva solo essere una vendetta; una vendetta blanda, forse, ma pur sempre tesa a far del male, a far soffrire.

Scossi la testa, rimuginando. Ero convinta che ci sarebbe voluto del tempo perché Alexandra capisse le ragioni di Tom, accettasse che quella rivelazione non mi era stata fatta perché potessi rubarle Tom, ma semplicemente perché mi aiutasse a capire il motivo per cui lui stesso era così restio a legarsi a qualcuna, eppure, ero sicura che sarebbe tornata indietro, convinta che, in fondo, eravamo pur sempre i suoi migliori amici, i suoi confidenti e, probabilmente, presto, avrebbe avvertito la nostra mancanza. Noi eravamo già distrutti dalla sua assenza; la libreria era vuota e priva di vita senza la sua allegria e la sua disponibilità.

< Ha bisogno di tempo. > Ripetei in un sussurro, trattenendo le lacrime al ricordo della giornata precedente.

C'era anche un'altra domanda che continuava a tormentarmi: chi era Aaron? Io e Alex avevamo già litigato in passato? Per colpa sua, forse?

Avrei potuto chiedere spiegazioni a Robert, ma non me l'ero sentita. Temevo di deluderlo, di far del male anche a lui e, egoisticamente, preferivo godere dei suoi sorrisi, dei suoi abbracci e dei suoi baci.

< Chi è Aaron? > Chiesi d'un tratto, meravigliando me stessa, perché le parole erano scivolate tra le mie labbra senza che potessi fermarle.

Vidi gli occhi di Tom spalancarsi appena e scrutarmi con attenzione.

< Aaron? > Ripeté, forse illudendosi di aver capito male.

< Quando le ho parlato della tua dichiarazione, Alex mi ha accusata di averle rubato non solo Aaron, ma anche te. > Spiegai, rendendomi conto di non averlo messo al corrente di tutti i dettagli.

Abbassò lo sguardo, cominciando a torturarsi le mani.

< E' stato il tuo primo ragazzo. > Rispose, incontrando nuovamente il mio sguardo.

Il mio primo ragazzo?!? Possibile che la mia memoria avesse deciso di privarmi di tutte le persone più importanti della mia vita? Prima Robert, ora anche quello che sembrava essere stato il mio primo amore.

< Lo conosci? > Domandai, mascherando la sorpresa, fingendo solo interesse e curiosità.

< Ne parlasti a Robert, una volta. Dicesti che era stato il motivo per cui non ti eri legata più a nessuno. Non ricordo tutti i dettagli, ma doveva essere stata una persona molto importante per te, perché continuavi a conservare una sua foto nel tuo album di fotografie; Robert l'aveva trovata, rovistando alla ricerca di un libro. > Fece spallucce, guardando altrove.

Non ricordavo i lineamenti del suo viso, il suo aspetto, la sua voce: l'avevo dimenticato, così come mi ero dimenticata di Robert e del nostro rapporto.

< Alexandra era innamorata di lui... > Mormorai assente.

Vidi Tom annuire e sospirare.

< Lei l'ha sempre definita una semplice cotta liceale, ma ho sempre creduto che fosse stata molto più di questo. > Affermò indifferente.

E lui, ancora una volta, aveva preferito me, aveva scelto di frequentare me, piuttosto che lei.

Magari aveva finto gioia e felicità per me, mi aveva dispensato sorrisi e allegria, come sempre, mentre io non mi ero accorta, cieca, di come stesse soffrendo, di come il suo cuore fosse stato spezzato. Certo, nemmeno allora era colpa mia, nemmeno allora potevo scegliere di chi innamorarmi, o chi far innamorare, eppure era un nuovo punto a mio sfavore.

Rimasi in silenzio, incapace di replicare, di dire qualsiasi cosa, struggendomi per non essere stata, ancora una volta, una buona amica.

 

Quando arrivai a casa mi precipitai in salotto, badando appena al saluto di Robert. Mi era già capitato di prendere in mano il mio album di fotografie, per cui ricordavo perfettamente dove l'avevo messo, tra un mio vecchio album di disegni e un libro consunto sulla medicina naturale. Sfogliai le prime pagine con foga, aspettandomi che la fotografia di Aaron potesse balzarmi agli occhi tutta d'un tratto.

< Cercavi questa? > La voce di Robert mi riscosse. Guardai il suo volto, dapprima, gli occhi azzurri splendenti e limpidi, un sorriso appena accennato che incurvava leggermente le sue meravigliose labbra rosse, e poi mi concentrai su quello che aveva in mano: una foto un po' sbiadita, consumata agli angoli, quasi fosse stata toccata o guardata troppe volte da aver perso la sua bellezza originale.

La studiai, sentendo le lacrime farsi strada nei miei occhi. La ragazza sulla sinistra, con i capelli acconciati in maniera elegante, il sorriso splendente e gli occhi felici, dovevo essere io e quello al mio fianco, capelli neri e occhi profondi, doveva essere Aaron. Sullo sfondo, il portico della casa dei miei genitori. Eravamo entrambi vestiti in maniera formale, come se ci stessimo accingendo ad assistere ad un matrimonio, ma in realtà, era solo il ballo di fine anno. Lo capivo dal piccolo bouquet di roselline blu e bianche che campeggiava al mio polso, intonandosi perfettamente con il mio vestito azzurro mare e con il frac blu notte di Aaron.

Allora era lui il ragazzo di cui Alex era stata innamorata, di cui entrambe eravamo state innamorate.

Per me era solo un volto come un altro, anche se impresso in una fotografia di non molti anni prima con me accanto; non c'era nessun ricordo che potesse legarmi a lui affettivamente, nessuna emozione, niente di niente.

< Tutto bene? > Sentii Robert chiedermi con gentilezza e preoccupazione.

Annuii.

< Sì, tutto bene. Tom mi ha detto di questa foto e avevo bisogno di vederla, tutto qui. > Spiegai, riponendola tra le pagine dell'album di fotografie, conservando il tutto al solito posto.

< Te ne ricordavi sempre quando litigavi con Alex. Venivi qui, recuperavi l'album e osservavi quella foto per ore ed ore. > Chiuse gli occhi un istante, perso in chissà quale ricordo.

< Quindi, io e lei abbiamo litigato spesso in passato... > Era una constatazione più che una domanda.

< Non spesso, no, però non perdeva occasione per rinfacciarti questa faccenda di Aaron. Ha sempre sostenuto che gliel'avessi rubato, che avessi fatto di tutto per allontanarlo da lei. Credo non ti abbia mai perdonata per aver vinto il titolo di Reginetta della scuola. > Spiegò, sistemandomi una ciocca di capelli sfuggita alla mia solita acconciatura.

< L'ha fatto anche ieri, quando le ho detto di Tom. > Replicai, abbassando lo sguardo e sentendomi, per l'ennesima volta, in colpa.

< Devi convincertene, dolly, non è colpa tua. Credi che se Kristen si fosse messa a battere i piedi a terra, sostenendo che non potevo lasciarla, che tornavo da te solo per pietà e per senso di colpa, sarei rimasto? Credi che non sarei tornato lo stesso? Non puoi fingere di amare, ma non puoi fingere neanche il contrario. Deve farsene una ragione. > Mi accarezzò con lo sguardo, incrociando i miei occhi e carezzandomi piacevolmente un fianco, forse nel tentativo di calmarmi, anche se io ero completamente padrona della situazione, almeno in quel caso.

< Tu credi che Tom mi ami davvero? > Era una domanda che aveva continuato a tormentarmi per tutta la giornata. E se avesse fatto finta di essere innamorato di me da tempo immemore, solo perché io potessi poi rivelarlo ad Alex, suscitando la sua ira e lasciandogli campo libero per fare quello che voleva? Forse si era sentito braccato dalle sue attenzioni e dal suo modo inaspettato di rivelargli i suoi sentimenti.

Robert scosse la testa, dubbioso.

< Non me ne ha mai parlato, ma perché avrebbe dovuto mentire? Per allontanarti da me? > Domandò incredulo. Ripensai alle sue parole in libreria, alla sua volontà di voler fingere, solo per una sera, di essere entrambi liberi e pronti a lanciarci tra le fiamme di frecce di Cupido e pensai che la teoria di Robert non era poi così assurda e inverosimile.

Eppure, poteva Tom, lo stesso Tom che mi aveva tenuto compagnia in ospedale, che mi aveva aiutata ad affrontare la riabilitazione, il trasloco, le mie paure, potesse essere anche autore di un gesto così meschino? Perché, allora, permettere a Robert di rientrare a far parte della mia vita, se io era quello che voleva? Se Robert si fosse presentato alla mia porta, chiedendomi di perdonarlo, avrei potuto benissimo allontanarlo, ferirlo, invece era stato proprio lui a convincermi di dargli un'altra possibilità. Forse stavo solo viaggiando troppo con la fantasia.

< Non so più cosa pensare. > Risposi alla fine, abbandonando la fronte contro il suo petto e circondandogli la vita con le braccia, sentendomi completa e perfettamente a mio agio.

< Ho preparato la cena. > Mormorò, cullandomi.

< Davvero?!? E sei riuscito a non mandare a fuoco la cucina? > Scherzai, allontanandomi dal suo abbraccio per guardarlo in volto, sorridendo.

< Rimarresti stupita da quello che sono in grado di fare se mi impegno. > Rispose con un sorrisetto furbo, baciandomi una guancia e trascinandomi in cucina.

< Allora sei davvero l'uomo perfetto che tutte sognano. > Lo abbracciai, osservando la tavola perfettamente apparecchiata, un odore delizioso di arrosto che aleggiava nella stanza.

< Faccio quello che posso. > Rispose compiaciuto, stropicciandosi i capelli e scostando la sedia per farmi accomodare.

Era incredibile come riuscisse, ogni singola volta, a farmi dimenticare di tutto il resto.

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Capitolo 20
*** Stay with me ***


Salve!

Chiedo scusa per il ritardo, ma ieri ero troppo stanca per aggiornare, considerato che ho scritto fino alle nove pur di riuscire ad aggiornare, me tapina xD

Ringrazio tutti coloro che hanno aggiunto la Ff tra i preferiti/seguiti/da ricordare, che hanno commentato lo scorso capitolo e che hanno apprezzato in silenzio, rendendomi comunque felice *.* GRAZIE!

Questo capitolo, lo preannuncio, onde evitare disguidi, è un po' strano, nel senso che la fine in particolar modo è confusa, anche se è una confusione voluta, perché volevo trasparisse lo stato d'animo di Arlyn e le sensazioni circa quello che la circondava, quindi spero di non deludere nessuno *prega in ginocchio che sia così*

Il percorso di Arlyn e Robert è ancora tortuoso e lastricato di problemi, ma abbiamo oltrepassato metà della storia e, ben presto, ci avvicineremo ad una conclusione ^_^

 

Avviso: La shot Cailin/Rob arriverà lunedì sera, perché non sono riuscita a finirla. Domani devo necessariamente studiare e l'unico giorno utile per completarla sarebbe, appunto, lunedì. Dovessi riuscire a terminarla domani, l'aggiornamento arriverà domani sera.

 

Buon fine settimana, a venerdì prossimo e...

 

 

Buona Lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La mattina successiva, quando mi svegliai, aprendo appena gli occhi per abituarmi alla luce che riusciva a penetrare dalle persiane non totalmente abbassate, Robert era già sveglio e mi stava osservando, l'espressione concentrata e dolce che fece sorridere anche me, facendomi dimenticare, per un solo istante, tutti i pensieri che avrebbero potuto ricollegarmi a Tom e al suo modo di comportarsi.

< Cenerentola si è svegliata, finalmente. > Mormorò, avvicinando il volto al mio per baciarmi una tempia con dolcezza.

Aggrottai le sopracciglia, dubbiosa.

< Non era la Bella Addormentata? > Chiesi.

< La Bella Addormentata ha dormito per cento anni, Cenerentola, probabilmente, dormiva un massimo di otto ore per notte, quindi, è lei quella che più si confà a te. > Rispose, lasciando che mi avvicinassi a lui e mi accoccolassi contro il suo petto, coprendo meglio entrambi con il piumone.

< Come fai a conoscere le abitudini notturne di un personaggio delle favole, imbroglione che non sei altro? > Sorrisi, fingendomi indignata. Insomma, era pur vero che alla fine Cenerentola sposava il suo Principe Azzurro e tutti vivevano felici e contenti, ma era stata pur sempre una sguattera maltrattata!

< Lo dice la fiaba stessa, no? La Bella Addormentata ha bevuto un filtro magico e tutti hanno creduto fosse morta, fin quando un Principe non l'ha salvata con un bacio. Cenerentola ha partecipato al Ballo Reale, ma la Fata le aveva dato il permesso solo fino a mezzanotte, altrimenti sarebbe ritornata la solita stracciona; considerato che la matrigna e le sorellastre la costringevano ad essere loro schiava, presumibilmente avrebbe dovuto svegliarsi intorno alle sei, sette, quindi era abituata ad andare a dormire presto. E' un discorso di logica, sai? > Scrollò le spalle, fiero delle sue congetture.

< Credo di non aver mai conosciuto una persona così strana, lasciamelo dire. Hai dovuto pensarci parecchio per giungere ad una simile conclusione, dico bene? > Risi, voltandomi a pancia in giù, sostenuta dai gomiti per poterlo osservare meglio.

< Ho avuto tempo per riflettere. > Mi accarezzò una ciocca di capelli e si sporse per baciarmi una guancia, prima che il suo cellulare cominciasse a suonare.

Sbuffò e si allungò verso il comodino per raggiungerlo, rispondendo senza neanche leggere chi fosse.

< Dannazione, me ne ero quasi dimenticato! > Lo sentii esclamare prima di scostare le coperte e alzarsi, lasciandomi sola e facendomi capire a gesti che sarebbe tornato subito.

Annuii e sprofondai il viso nel cuscino morbido, chiudendo gli occhi. Era sabato, quindi, tecnicamente, avrei potuto trascorrere l'intera giornata cullata dal dolce far niente in compagnia di Robert. Non sapevo come, né perché, ma quando avevo ripreso a lavorare in libreria, all'inizio, Alex mi aveva subito messa al corrente che tempo prima avevamo stabilito insieme il giorno di chiusura della stessa: il sabato, appunto. Mi era sembrato piuttosto bizzarro all'inizio, perché molti turisti approfittavano del week-end per raggiungere Londra e per fare shopping, e poi tutti gli altri negozi erano costantemente aperti, domenica inclusa, quindi perché noi avevamo scelto proprio il sabato come giorno di fermo?

Non ci avevo dato molto peso, ma ogni tanto mi capitava di ripensarci e poi ero giunta alla conclusione che il sabato era l'unico giorno in cui neanche Robert lavorava, ad eccezione di quando era impegnato in qualche film, perché in quel caso era costretto a filmare anche di domenica, di tanto in tanto, e che, probabilmente, era stato quello il motivo per cui avevamo optato per un giorno fine settimanale. Non che in quel periodo, comunque, Robert si fosse spostato molto da Londra. Mi aveva spiegato che era in vacanza e che aveva chiesto al suo manager di non essere disturbato per interviste o programmi televisivi, almeno fino a quando non fosse tornato tutto alla normalità, sebbene mi risultasse ancora vago il concetto di normalità che aveva in testa. Per me era già tornato tutto alla normalità: lavoravo, mi occupavo della casa e, se si escludevano le incomprensioni tra me e Alex e tra me e Tom, tutto poteva dirsi assolutamente perfetto. 

In ogni caso, non era stato via per più di un giorno e, anche se avrei fatto fatica ad ammetterlo anche a me stessa, gliene ero grata, perché ormai ero così abituata a lui, che mi sarebbe stato difficile andare avanti senza i suoi buongiorno, o i suoi baci dolci, o il profumo della sua pelle.

Avvertii i suoi passi rientrare nella stanza, ma non accennai a cambiare posizione.

< Arlyn? > Sussurrò vicinissimo al mio orecchio. Mi è sempre piaciuto il modo in cui pronunciava il mio nome: dolce, quasi avesse una caramella di zucchero sulla lingua. Un brivido corse giù lungo la spina dorsale, facendomi rabbrividire.

Finsi di non averlo sentito e lui, leggero come vento, mi spostò i capelli dalla nuca alla spalla, baciando il punto sensibile poco più giù dell'attaccatura dei capelli. Fremetti, ma continuai a rimanere impassibile. Le mie mani avevano voglia di immergersi tra i suoi capelli e i miei occhi avevano voglia di fare indigestione dei più piccoli particolari del suo viso, ma non cedetti. 

Continuò a baciarmi una spalla, allontanando di poco la stoffa di una delle sue maglie che utilizzavo per dormire, poi, constatato che non aveva più campo, mi accarezzò un fianco, scoprendolo e in breve avvertii il suo respiro caldo solleticarmi. Com'era possibile non essere mai sazi? Perché non riuscivo a ricordare una sensazione più forte?

Il mio respiro accelerò e mi ritrovai, mio malgrado, ad inarcare la schiena per godere appieno delle sue carezze.

< Beccata! > Borbottò trionfante, afferrandomi per i fianchi e attirandomi su di lui, che si lasciò andare contro il materasso, appoggiando il capo contro il cuscino.

Sorrisi, avvicinandomi per un bacio, avvertendo le sue mani percorrermi tutta, dai capelli fino ai fianchi, facendomi rabbrividire di desiderio.

< Chi era al telefono? > Domandai, schiarendomi la voce e sollevando la schiena, sedendomi cavalcioni su di lui.

Il suo sguardo si incupì e capii che non doveva essere qualcosa di piacevole.

< Nick. Mi ero quasi dimenticato che la prossima settimana ho la premier di Bel Ami a Praga. > Sospirò, come se dirmelo gli costasse un grande sforzo.

< Oh. > Riuscii solo a dire, imbambolata nel pensare a quanto lontana fosse Praga, a quanto mi sarebbe mancato e a come la sua voce al telefono non mi sarebbe di certo bastata.

< Non starò via per molto, un paio di giorni al massimo. > Continuò, intrecciando una mano con la mia e carezzandomi una guancia con il dorso dell'altra, sorridendo lieve. < Fra sei mesi dovrò partire per Vancouver, sai, per girare quel film di cui ti ho parlato. Saremo costretti a separarci per ben più tempo che un paio di giorni... > Continuò.

Incrociai il suo sguardo e la verità delle sue parole mi colpì come un affondo di spada, dritto al cuore, dritto a dove fa più male. Se non ero capace di resistere senza di lui per un paio di giorni, come avrei fatto quando si sarebbe trattato di mesi?

< Ehi, non devi essere triste, tornerò presto. > Mi abbracciò stretta, cullandomi.

Mi stavo comportando da sciocca: era il suo lavoro quello, come potevo costringerlo a non lasciarmi? Come potevo vietargli di prendere parte alla premier di un suo film? Come potevo deluderlo così?

< Sarà solo strano non averti intorno per due giorni. > Mormorai cauta contro la sua spalla, aggrappandomi ai suoi capelli, cercando di inglobarlo in me. Avrei voluto essere un tutt'uno con lui, quella vicinanza non mi bastava.

< Sarà strano anche per me. > Convenne.

Portami con te, avrei voluto dirgli.

Portami con te, perché non sopporto di non averti accanto. 

Poi pensai alla libreria, al fatto che non ci sarebbe stato nessuno disposto a sostituirmi, al fatto che, adesso che avevo riacquistato la mia indipendenza, non potevo abbandonare tutto e volare per due giorni a Praga. E poi c'era la questione che lui non me l'aveva chiesto, non mi aveva proposto di accompagnarlo ed io non volevo intromettermi in qualcosa che, probabilmente, avrebbe preferito affrontare da solo.

Mi tenne stretta così a lungo, che per un istante, quando ci separammo, avvertii un vuoto inspiegabile all'altezza del cuore, quasi si fosse preso un pezzo di me. O forse ero solo io ad essermene accorta solo in quel momento.

 

Attesi febbrilmente, per tutta la settimana, che arrivasse il giorno della partenza di Robert. Non volevo che partisse, ma sapevo che sarebbe successo, perciò volevo che accadesse il più in fretta e indolore possibile. Trascorrevo le mie giornate in libreria attendendo il momento in cui avrei spento le luci e abbassato la serranda per andare a casa e trovarlo lì, in salotto, la televisione accesa su un quiz e lui che rispondeva alle domande al posto del concorrente, sbuffando quando sbagliava e borbottando tra sé come se fosse stato un suo amico o un suo parente, desideroso di vederlo vincitore.

In metropolitana, durante il mio ritorno a casa la sera prima che Robert partisse, pensai a Tom e ad Alexandra.

Tom non era più tornato in libreria dopo quel giorno e Alexandra non la sentivo da quando avevamo litigato. Mi mancavano, entrambi e non potevo farci niente.

Più volte avevo avuto la tentazione di telefonarle. Le mie mani si muovevano automaticamente sui tasti del cellulare alla ricerca del suo numero in rubrica e spesso avevo indugiato sulla cornetta verde che avrebbe aperto la comunicazione, perdendo il coraggio proprio quando sentivo di potercela fare.

Se nessuno dei due, però, avrebbe fatto il primo passo, la situazione sarebbe rimasta in bilico per sempre, eppure ero così codarda da non riuscire ad affrontarla.

Arrivai a casa senza rendermene conto, attraversando il solito vialetto di villette a schiera dal giardino ben curato e sorridendo alla vista della luce in cucina, affrettandomi.

< Sono tornata! > Esclamai, liberandomi del cappotto e lasciando le chiavi accanto al cordless in corridoio.

< Ehi. > Mi salutò lui non appena misi piede in cucina, sorridendomi.

< Stai cucinando?!? > Chiesi perplessa, aggrottandomi.

< Non guardarmi in quel modo! Non ho dato fuoco alla cucina e, puoi giudicare tu stessa, sembra tutto commestibile. > Mi sporcò una guancia con la crema che gli era servita per decorare le frittelle ed io non feci in tempo a scansarmi, pulendomi l'istante dopo con un dito, non resistendo alla tentazione e assaggiando: aveva ragione; la crema, almeno, era ottima.

< Adoro le frittelle. > Ammisi, immergendo un dito nella ciotola della panna e sporcandogli a tradimento una guancia, proprio come lui aveva fatto con me, facendolo ridere divertito.

< E' per questo che te ne ho preparate così tante, che non potrai fare a meno di ricordarti di me quando le mangerai. > Rispose, baciandomi una guancia con la solita delicatezza di sempre.

Mi rabbuiai e anche se feci di tutto per nasconderglielo, se ne accorse e, attirandomi verso di lui, mi abbracciò, accarezzandomi i capelli. Nascosi il volto nel suo maglione profumato e cercai di non piangere.

Sapevo che era da bambina viziata comportarsi in quel modo, sapevo che non potevo sbattere i piedi a terra per ottenere quello che volevo, sapevo che non potevo mostrarmi così debole solo perché Robert non ci sarebbe stato per due giorni, ma non riuscivo ad evitarlo.

L'avevo sempre avuto accanto a me in quei mesi, era stato il mio punto fermo e non sopportavo l'idea di allontanarmici, di abbandonare quella sicurezza familiare che mi aveva circondata fino ad allora. Ero un'egoista.

< Niente musi lunghi stasera, d'accordo? Non voglio partire con in mente il tuo viso rigato dalle lacrime. Adesso sai cosa facciamo? Mangiamo queste splendide frittelle preparate dal sottoscritto, e ci guardiamo un bel film, che ne dici? > Mi sollevò in braccio e mi trasportò in salotto, lasciandomi cadere sul divano.

< Pesi più di un macigno! > Finse di asciugarsi la fronte dal sudore ed io, per tutta risposta, gli tirai dietro un cuscino, mancandolo e venendo irrimediabilmente contagiata dalla sua risata.

Non credo di essere stata più disattenta di quella sera alla storia di un film, specialmente se si trattava di commedie romantiche e strappalacrime come quella che Robert aveva scelto. Trascorsi tutta la serata a lasciarmi coccolare, immersa tra le sue braccia, la guancia poggiata sulla stoffa morbida del maglione, che mi permetteva di annusare in tutta tranquillità il suo profumo buonissimo, e a farmi imboccare come una bambina.

Era tutto così dannatamente semplice e perfetto, che per un secondo meditai sulla possibilità di rimanere così per sempre.

Facemmo l'amore come non ricordavo di averlo fatto mai con nessuno, e quando chiusi gli occhi, avvolta dalle sue braccia calde, pensai che sarebbe stato un bel modo, quello, per dirsi addio.

Non so perché lo pensai, non ne avevo motivo, tenendo conto che Robert non mi stava lasciando, ma la mia mente addormentata e semi-cosciente partorì quel pensiero dal quale non riuscii a separarmi neanche la mattina dopo, quando lo accompagnai all'aeroporto.

Eravamo in anticipo e, nonostante le guardie del corpo di Robert fecero tutto il possibile per evitare che i paparazzi scattassero foto o facessero domande, il lampo di svariati flash mi accecò, costringendomi ad abbassare lo sguardo e a stringermi di più a lui.

Camminammo in silenzio fino al gate, fin quando la folla di giornalisti non venne allontanata dalla sicurezza e noi fummo liberi di tirare un sospiro di sollievo.

Non avevo paura dei giornalisti o delle foto, ma era la prima volta che succedeva di essere al centro dell'attenzione e sarebbe bastato qualche altro scatto e qualche altra domanda su un nostro possibile matrimonio per farmi andare in panico, perciò ero sollevata dal fatto che ci trovassimo da soli, ad eccezione di un gruppo di turisti, in attesa che il gate venisse aperto ai passeggeri.

< Stai bene? > Mi chiese, premuroso, sistemandomi i capelli dietro le orecchie.

Annuii e sorrisi.

< Dean ti accompagnerà a casa; non voglio che tu venga disturbata. > Mi informò.

< Non viene con te? > Rimasi perplessa.

< Ci saranno James e Vincent con me, basteranno per tenere a bada un gruppo di ragazzine scalmanate. > Rise e mi baciò la fronte con delicatezza.

< Allora... > Cominciai, guardandomi intorno nervosamente.

< Ci vediamo fra due giorni. > Completò lui, stringendomi in un abbraccio.

< D'accordo. > Mormorai, ricambiando la stretta. < Fà la brava. Ti chiamo appena atterro, ok? > Continuò, scompigliandomi i capelli.

Annuii e sollevai il volto per lasciarmi baciare.

La mia era solo suggestione, forse, fatto stava che quel bacio aveva un sapore diverso, di lontananza e di sbaglio e ne ebbi la conferma quando, mentre lasciavo l'aeroporto con Dean, diretti a casa, il mio cellulare vibrò, avvertendomi dell'arrivo di un messaggio.

Credevo fosse Robert e lo sfilai immediatamente dalla tasca dei jeans per leggerlo.

Era Tom e mi stava invitando ad un'uscita tra amici quella sera stessa, nel locale in cui Alexandra mi aveva portata per convincermi a fare pace con Robert.

Esitai, indecisa, prima di rispondergli che lo avrei raggiunto, ricevendo in risposta uno smile sorridente.

 

Tom passò a prendermi verso le nove, senza che ci fossimo messi d'accordo al riguardo. Ero a telefono con Robert quando avevo sentito suonare il campanello ed ero corsa ad aprire, aspettandomi di veder comparire mia madre.

Davanti a me, invece, c'era un Tom sereno e sorridente che stringeva tra le mani una rosa che mi porse senza che io potessi fare nulla per rifiutarla.

< Scusami, Robert, devo andare, è arrivato Tom e io non sono ancora pronta. > Lo salutai con la promessa che ci saremmo sentiti il giorno dopo. Non potevo inventare una bugia, così avevo preferito raccontare a Robert dell'invito di Tom e del mio aver accettato, anche se con qualche riserva. Mi aveva augurato di trascorrere una bella serata ed io avevo fatto altrettanto, non riuscendo a mascherare, tuttavia, la delusione che lui non fosse con me.

< Entra. > Lo invitai, ringraziandolo per la rosa e sistemando il telefono al suo posto.

< Mi spiace essere piombato qui all'improvviso, ma sapevo che non avevi intenzione di chiamare un taxi per farti accompagnare e ho pensato che avresti desiderato un po' di compagnia. > Spiegò, avvicinandosi per baciarmi una guancia.

< G-grazie, sei stato molto gentile. > Non ero abituata a trattarlo con tutto quel distacco, ma non ci sentivamo da giorni e, in un certo senso, mi sentivo ancora tradita dal suo comportamento.

< Allora, sei pronta? Possiamo andare? > Mi chiese, guardandosi intorno.

< Sì, possiamo andare. > Affermai, afferrando le chiavi di casa e spegnendo le luci, seguendolo sul portico.

Non parlammo molto durante il tragitto, anche se più volte avevo notato come i suoi occhi si spostassero sulla mia figura, facendomi arrossire d'imbarazzo. Sapevo quello che provava per me e ciò non riusciva a farmi mettere da parte tutto il resto, imbarazzo compreso, per ricominciare con la nostra amicizia di un tempo.

Ero d'accordo con chi sosteneva che l'amicizia tra un uomo e una donna poteva esistere, ma non se uno dei due si accorgeva di provare qualcosa per l'altro. Era impossibile fare finta di niente e fingere.

Il locale era stipato di ragazzi e ragazze che si muovevano a ritmo di musica ed io faticai a stare dietro a Tom per raggiungere il nostro tavolo, a cui erano sedute due ragazze e qualche ragazzo che non avevo mai visto prima.

< Arlyn, loro sono Michelle e Summer e loro, invece, sono Loris, Nick, Sam e Marcus. > Mi presentò Tom, alzando la voce per farsi sentire. Strinsi la mano a tutti e Nick mi fece segno di sedermi accanto a lui, nell'unico posto libero, visto che Tom aveva occupato la sedia accanto a Summer.

Era tutto confuso e la musica ad alto volume non mi permetteva di concentrarmi, così, per la maggior parte del tempo, non feci altro che annuire alle parole di Nick e dei suoi amici, bevendo un sorso di birra alla volta solo per tenere impegnate le mani e per aver una buon scusa per non rispondere.

Quando Tom mi invitò a ballare ed io fui costretta ad alzarmi, mi accorsi della stanza che girava intorno a me e dei miei passi non esattamente in equilibrio.

< Sei ubriaca. > Mi urlò in un orecchio per sovrastare il frastuono, ma notai che lui non era da meno: aveva gli occhi lucidi e sembrava fosse pronto per buttarsi su un letto e dormire fino alla sera successiva.

< Tu sei ubriaco. > Quasi risi, lasciandomi trascinare in pista. Dovevo essere uno spettacolo orribile, chissà cosa avrebbe pensato Robert di me se mi avesse vista in quelle condizioni, eppure non volevo pensarci, non volevo pensare a cosa stesse facendo a Praga senza di me, a come avrei trascorso il giorno successivo senza di lui. Volevo dimenticare tutto, persino me stessa. Forse era quello l'addio che, implicitamente, ci eravamo scambiati la notte prima, mentre facevamo l'amore e ci donavamo l'anima.

< Sei bellissima stasera. > Tom mi strinse a sé, cominciando a dondolare piano ed io allacciai le braccia intorno al suo collo e chiusi gli occhi, stanca.

Non ricordo molto di quello che successe dopo. Avevo bevuto parecchio e la testa continuava a girarmi, peggio di una giostra e non riuscivo a reggermi in piedi.

Probabilmente mi lasciai baciare, perché ricordo qualcosa di umido e dolce posarsi sulle mie labbra e poi sussurrarmi che ero la cosa più bella del mondo e che ero adorabile.

Quando non sentii più il ronzare della musica nelle orecchie, seppi di essere a casa e quando dal buio emerse la sagoma di un letto, capii che era il mio, anzi, il nostro, mio e di Robert, ma le mani che mi stavano spogliando con delicatezza e gentilezza non erano le sue, così come il profumo non era dolce e intenso come il suo; quello che sentivo, mi ricordava molto il talco dei bambini o il bagnoschiuma alla viola che mi aveva regalato mia madre quando ero ancora in ospedale.

< Voglio dormire. > Protestai debolmente, stropicciandomi un occhio quando avvertii una bocca reclamare un mio seno.

Avrei dovuto capirlo che c'era qualcosa che non andava. Avrei dovuto essere più padrona di me stessa ed impedirlo.

< Shh! Resta con me, resta con me. > Mi sussurrò la voce di Tom in un orecchio, baciandomi le labbra l'istante successivo.

Resta con me.

Resta con me.

Resta con me.

Una litania che mi diede tregua solo tempo dopo e che non ebbi la forza di cancellare dalla mia testa.

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Capitolo 21
*** What Have We Become? ***


Salve!

Eccomi, puntuale, una volta tanto, ad aggiornare ^_^

Che dire? Le recensioni sono cresciute *.* quindi, ne deduco che i colpi di scena/shock vi piacciano, eh? *me ammicca* Sono felice di questa impennata, anche perché vedo che molti avete avuto commenti non proprio positivi sia nei confronti di Tom, che nei confronti di Arlyn. Non me la sento di schierarmi né da una parte, né dall'altra; Arlyn è un personaggio che ho inventato dal nulla e che riprende un po' le caratteristiche di tutte le persone che ho incontrato/conosciuto/apprezzato/odiato in questi anni della mia vita, compresa me stessa, mentre Tom (come Robert, d'altronde) è un personaggio reale, a cui mi sono limitata ad associare aspetti negativi/positivi a seconda delle situazioni.

La svolta dello scorso capitolo, devo essere sincera con voi, è stata uno shock anche per me, in un certo senso, perché non avevo previsto all'inizio della Ff una cosa simile, così sconvolgente, eppure, nell'evolversi del personaggio di Tom (da principale o quasi dell'inizio, a secondario o di sfondo nella seconda parte) mi è venuto naturale immaginare una sorta di tradimento che lui attua nei confronti di Robert.

Non posso dire altro, ma le sorprese non sono finite e, per tutte coloro che se lo chiedono, Robert e Tom, prima o poi, si parleranno e si chiariranno.

Annuncio anche qui che risponderò alle vostre recensioni appena avrò terminato di aggiornare tutte le Ff; mi è stato impossibile farlo prima, causa università e, purtroppo, mi sono ridotta ad ora. Spero non vi dispiaccia troppo ç.ç

Ringrazio, come sempre, tutte coloro che hanno recensito, inserito la Ff tra le preferite/seguite/da commentare, che hanno letto e hanno apprezzato *.* GRAZIE! 

Non mi resta che augurarvi un buon week-end e una...

 

 

Buona Lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La prima cosa che ricordai appena aprii gli occhi, la mattina successiva alla partenza di Robert, fu il mal di testa e la quantità spropositata di alcol che avevo bevuto la sera prima in quel pub, mi fece anche ricordare come me l'ero procurato.

Non ricordavo di essermi mai ubriacata prima di allora, ma come esperienza credo potesse bastarmi fino alla fine dei miei giorni: mi sentivo uno straccio, anche se avevo dormito come un ghiro, avevo un saporaccio in bocca che dubitavo sarebbe andato via soltanto lavandomi i denti, sentivo lo stomaco in subbuglio, quasi fossi pronta a vomitare e, come se non bastasse, ero nuda e accanto a me c'era un Tom altrettanto svestito.

Nel mio letto.

Nella mia stanza.

Mi sedetti, scostando le coperte, come se avessi appena inserito due dita nella presa di corrente e cercai i miei vestiti, disperata.

Cosa avevo fatto?

Raccattai le mie cose e corsi in bagno, chiudendo la porta a chiave.

Avevo il fiatone, neanche avessi corso per chilometri, mi veniva da vomitare e non potevo credere di averlo fatto davvero.

Non potevo credere che Tom si fosse approfittato della mia condizione per usarmi.

Aprii l'acqua nella doccia e attesi che diventasse calda per lasciarmi bagnare.

Non ricordavo nulla della sera prima, tranne che Tom era venuto a prendermi a casa e che il locale era affollato, pieno di gente che non conoscevo e che, probabilmente, avevo bevuto un po' e Tom doveva avermi riaccompagnata. Nient'altro.

Forse non avevamo fatto sesso.

Forse io, in preda ai fumi dell'alcol, mi ero spogliata e mi ero infilata a letto.

Ma Tom? Anche lui era nudo e di certo non l'avevo spogliato io.

Almeno credevo di non averlo fatto.

Mi avvolsi un asciugamano intorno al seno e camminai scalza fino allo specchio, eliminando il vapore con una mano e osservandomi: avevo le occhiaie, ero pallida e stravolta.

Chiusi gli occhi, imponendomi di stare calma e per un lungo istante quasi ci riuscii, prima che un tramestio mi distraesse, facendomi tornare alla realtà.

Osservai la porta, quasi mi aspettassi di veder entrare qualcuno e quando capii che Tom doveva essersi svegliato, presi un respiro profondo e ritornai in camera.

< Ehi! > Mi salutò. Aveva indosso solo i boxer e, a giudicare da come si stava massaggiando la testa, doveva aver appena urtato la lampada sul comodino.

Non risposi, fissandomi i piedi nudi.

< Tom... abbiamo fatto sesso, stanotte, non è vero? > Mormorai, avvertendo le lacrime sopraffarmi.

< Beh... noi... insomma, tu eri ubriaca e... > Lasciò la frase in sospeso, mentre io mi lasciavo scivolare lungo la porta del bagno, rannicchiandomi a terra e cominciando a piangere.

Era davvero andata così.

Avevamo fatto sesso.

Avevo tradito Robert, la sua fiducia, il suo amore nei miei confronti, il suo aver lasciato Kristen per concedere a entrambi una seconda possibilità.

< Arlyn... > Mormorò lui in difficoltà, piegandosi sulle ginocchia per essere alla mia altezza.

< Và via. > Brontolai.

< Arlyn, ascolta... > Non lo lasciai continuare.

< Và via. > Ripetei, rifiutandomi di guardarlo.

Si alzò con un sospiro e in meno di un minuto era fuori dalla mia stanza, in meno di un minuto aveva aperto la porta ed era andato via.

Ma cosa diavolo stava succedendo?

Possibile che sembrasse non avere mai fine la mia sofferenza? Possibile che, in un modo o nell'altro, ero destinata ad allontanare tutti nella mia vita?

Tom aveva fatto sesso con me ed aveva ottenuto quello che aveva sempre voluto, ed io? Io cosa avevo ottenuto?

Non sarei riuscita a sopportare un peso così grande, prima o poi ne avrei parlato con Robert e a quel punto, cosa sarebbe successo?

Mi avrebbe guardata con disprezzo e con rabbia, avrebbe raccolto le sue cose e sarebbe uscito definitivamente dalla mia vita.

Non poteva essere altrimenti. Mi sarei comportata così anch'io se l'avessi saputo tra le braccia di un'altra.

Immersi le mani tra i capelli, stanca di lottare, stanca di continuare a pensare che meritassi qualcuno che mi amava e che mi avrebbe protetto sempre. Continuavo a ferirle, le persone che mi amavano, ecco cosa ero in grado di fare, di ferire, di fare del male e di deludere.

Mi alzai, la vista appannata e sfocata per colpa delle lacrime che continuavano ad offuscarmi la vista, avvicinandomi al letto e tirando via, con forza, le lenzuola stropicciate che l'avevano fino ad allora coperto.

Non sarebbe servito, ne ero cosciente, ma, almeno, non avrei dormito con l'odore di qualcun altro accanto.

Ammucchiai tutto in un angolo e mi vestii. In un modo o nell'altro, dovevo andare in libreria.

Non feci altro che nascondermi tutto il giorno: dallo sguardo dei clienti che mi chiedevano se potevo impacchettare un libro, dal mio riflesso nello specchio del bagno di servizio che non faceva altro che restituirmi l'immagine distorta di me, pallida e stanca, dagli occhi del fornitore che mi aveva sorriso, consegnandomi un'intera scatola di nuovi arrivi e mi aveva chiesto se stessi bene, dalle telefonate di Robert, a cui non avevo risposto. Lasciavo squillare il cellulare fin quando lui, probabilmente credendo che non potessi rispondere, riattaccava, provando a chiamarmi due minuti dopo.

Stacey, la commessa del negozio di abbigliamento accanto alla libreria con cui a volte dividevo la mia pausa pranzo, apparve accanto a me mentre ero intenta a sistemare uno scaffale di libri storici con un sacchetto dal profumo invitante, probabilmente hot dog.

< Dio, hai un aspetto orribile. > Mi salutò quando alzai lo sguardo su di lei e provai a sorriderle.

< Grazie, lo so. > Afferrai il mio pranzo, dirigendomi alla scrivania per sedermi.

< E' successo qualcosa di grave? > Domandò, occupando quello che era sempre stato il posto di Alexandra.

< Ho fatto sesso con uno dei migliori amici di Robert, innamorato di me da anni. E' sufficientemente grave? > Sbottai, sbirciando nel sacchetto e trattenendo a stento un conato di vomito.

< Gliel'hai già detto? > Commentò soltanto, osservandomi comprensiva.

< No. E' tutto il giorno che evito le sue telefonate. > Risposi, mettendo da parte l'hot dog.

< Tu lo ami? Intendo, l'altro, tu lo ami? > Non sembrava avere molta voglia di mangiare neanche lei.

< No! Ero ubriaca, non ricordo cos'ho fatto. > Esclamai sicura. Non amavo Tom, non l'avevo mai amato.

< Beh, devi dirglielo. Qualunque sia la sua reazione, devi dirglielo. > Affermò risoluta.

< Lo so. > Mormorai.

Il cellulare vibrò di nuovo ed entrambe lo osservammo, quasi non aspettassimo altro.

Il nome Rob lampeggiava sullo schermo, proprio come aveva lampeggiato quella mattina di qualche mese prima, quando non ricordavo ancora niente del nostro rapporto.

Il pensiero che, finalmente, proprio quando credevo che sarebbe andato tutto bene, che avrei continuato a far parte della sua vita per sempre, che, forse, un giorno, mi avrebbe chiesto di nuovo di sposarlo, mi travolse, lasciandomi senza fiato.

< Mi viene da vomitare. > Riuscii solo a dire prima di correre in bagno e inginocchiarmi accanto al water.

Stacey mi seguì e avvertii il suo tocco leggero e caldo sulla fronte, mentre mi scostava i capelli.

< Come ti senti? > Mi chiese dopo qualche minuto, offrendomi un bicchiere d'acqua che accettai.

< Uno schifo. > Mormorai, chiudendo gli occhi e poggiando la testa contro le mattonelle fredde, trovandovi sollievo.

< Riesci a stare da sola per dieci minuti? Devo fare una cosa. > Sembrava avesse fretta.

< Non ho intenzione di muovermi, tranquilla. > Le assicurai con un mezzo sorriso e lei corse via.

Avevo ancora un'ora prima di riaprire per il turno pomeridiano.

Stacey fu di parola, tornò dieci minuti dopo, trovandomi nella stessa, identica posizione di quando se n'era andata, tra le mani una busta della farmacia.

Mi sorrise rassicurante e poi estrasse dalla busta bianca tre scatole.

< Cosa devi farci con quelle? > Domandai curiosa.

< A dir la verità, sono per te. > Me ne porse una ed io allungai una mano, stranita.

Quando capii che si trattava di test di gravidanza fai-da-te, quasi urlai.

< Non se ne parla, non lo faccio un test di gravidanza. > Sbottai, scuotendo la testa e rimettendomi in piedi.

< E se fossi incinta? > Alzò gli occhi al cielo esasperata, non riuscendo comunque a convincermi.

< Non è possibile, Stacey! Abbiamo fatto sesso solo ieri sera! > Avrei voluto scuoterla per farle capire l'assurdità di quello che stava facendo.

< Chi ti assicura che non sia di Robert? Hai fatto l'amore anche con lui, no? > Tentò di convincermi.

Non potevo essere incinta.

Era irreale.

Non sapevo neanche prendermi cura di me stessa, come potevo prendermi cura di un bambino?

< Ma siamo stati attenti e... no, ascolta, è impossibile. > La spinsi fuori dal bagno, spegnendo la luce.

< Se sei così sicura di non esserlo, perché non lo fai? Non ti costa nulla e, almeno, ti toglierai ogni dubbio. > Afferrò la giacca, pronta ad andarsene.

< E' proprio perché sono sicura di non essere incinta che non lo faccio. Non avrebbe senso. > Risposi, accompagnandola alla porta.

Sospirò rassegnata e mi scompigliò i capelli.

< Riguardati. > Mi raccomandò ed io le sorrisi, ringraziandola.

No, definitivamente non ero incinta.

 

 

Tornai a casa più stanca del solito, rendendomi conto che non ci sarebbe stato nessuno ad aspettarmi, quando notai le luci spente in tutte le stanze.

Robert aveva continuato a chiamare per tutto il pomeriggio ed io, ormai persuasa di non rispondere, continuai a farlo preoccupare.

Non feci in tempo ad aprire la porta, che squillò il telefono di casa.

Mi spogliai del cappotto e corsi a rispondere.

< Sì? > Chiesi incerta.

< Arlyn! Sono ore che provo a chiamarti, si può sapere dove sei stata? > Robert. L'avevo evitato per un'intera giornata ed ora, presa alla sprovvista, non avevo potuto far altro che rispondere.

< Ehm... ho dimenticato il cellulare a casa e sono stata così impegnata in libreria che non ho avuto neanche un minuto per chiamarti, mi dispiace. > Inventai, grata che lui non fosse lì, perché avrebbe scoperto subito che stavo mentendo.

< Ero così preoccupato! Tutto bene? > Lo sentii sospirare di sollievo.

< Sì, tutto bene, tu? Come è andata la premier? > Cercai di sorridere, anche se lui non poteva vedermi.

< Come al solito. Odio rivedermi nei film. Mi manchi. > Mi rispose e le lacrime, a quelle parole, minacciarono di farmi crollare.

< Mi manchi anche tu. > Mormorai, salendo le scale diretta in camera da letto.

< Scusami, devo andare, mi stanno chiamando. Vuoi che ti telefoni più tardi, prima di andare a letto? > Mi domandò e capii che sperava in un sì.

< Sì, non credo andrò a dormire presto. > Svuotai la borsa sul letto, afferrando le tre scatole di test di gravidanza fai-da-te e osservandole.

< D'accordo. A dopo, allora. Ti amo. > Non mi lasciò neanche il tempo di rispondere. Aveva già attaccato.

Sospirai e mi sedetti sul letto, indecisa.

E se fossi stata davvero incinta?

Neanche ricordavo a quanto risalisse l'ultima volta che avessi utilizzato un assorbente.

Non potevo farlo da sola, ma a chi potevo rivolgermi, chi potevo chiamare? Mia madre? E per dirle cosa?

Sai, mamma, ieri notte ho fatto sesso con Tom, l'amico di Robert ed ora credo di essere incinta.

Sì, beh, tecnicamente non sarebbe stato di Tom, ma la sostanza era sempre la stessa.

Se solo Alexandra non fosse stata arrabbiata con me, se solo io non fossi stata così stupida da credere che avrei potuto risolvere la situazione semplicemente avvertendola circa la mia conversazione con Tom.

Mi alzai, portando con me le scatole e dirigendomi in bagno. Stacey aveva ragione, non mi costava nulla verificare e poi sarei stata più tranquilla, qualunque fosse stato il risultato.

Spiegai il foglio delle istruzioni sulla superficie piana del lavabo e, goffamente, cercai di rispettare tutti i punti elencati.

Dovevo solo attendere due minuti e una semplice lineetta rosa o blu mi avrebbe informata dell'esito positivo o negativo del test.

Li feci tutti e tre, per sicurezza e mentalmente ringraziai Stacey per avermi aperto gli occhi sull'intera faccenda.

Non sapevo ancora cosa avrei fatto in caso stessi aspettando davvero un bambino, ma, in quel momento, la mia priorità era sapere.

Controllai l'orologio, impaziente. Ancora un minuto. Presi a battere impazientemente un piede sul pavimento azzurro, nervosamente.

Credo furono i sessanta secondi più lunghi di tutta la mia vita ma, quando abbassai lo sguardo sui bastoncini di plastica, rendendomi conto che erano tutti positivi, dovetti aggrapparmi al lavabo con entrambe le mani per evitare di cadere a terra.

Ero incinta.

Lo ero davvero.

Cominciai a piangere senza neanche rendermene conto. Se Robert avesse deciso di abbandonarmi, cosa avrei fatto da sola, con un bambino che aveva bisogno di me, del mio amore, delle mie attenzioni e delle mie cure? Come sarei riuscita ad andare avanti?

Tornai in camera e afferrai il cellulare. Probabilmente era sbagliato, sicuramente non le sarebbe importato niente di me o della mia vita, ma avevo la disperata necessità di dirlo a qualcuno e non ero pronta per rivelarlo a Robert.

Cercai il suo numero in fretta, premendo senza alcuna indecisione il tasto che avrebbe avviato la chiamata, le mani che tremavano.

Rispose dopo quattro squilli e, quando parlai, quasi non riconobbi la mia voce.

< Alex... >

< Arlyn... che succede? > Era preoccupata, riuscivo a percepirlo dal suo tono.

Continuai a piangere, lieta che non mi avesse sbattuto il telefono in faccia, lieta che non mi stesse aggredendo.

< Sono incinta. > Mormorai, convinta che non avrebbe capito.

< E'... è uno scherzo? > Mi chiese.

< No, non lo è. > Risposi, sedendomi a terra, la schiena contro il materasso morbido.

< Dove sei? > Domandò e avvertii uno strano trambusto.

< A casa. > Tirai su col naso.

< Cinque minuti e sono da te. > Non mi diede tempo di replicare, agganciò ed io sorrisi tra le lacrime. Nonostante tutto, era ancora disposta ad aiutarmi, nonostante tutto, era ancora disposta a venirmi in soccorso se ne avessi avuto bisogno.

Osservai lo sfondo del cellulare, la foto di me e Robert abbracciati come bambini, quella che non avevo più cambiato dalla mattina in cui mi ero accorta che era sempre stata lì, solo che io non ci avevo dato peso, e pensai a come avrebbe reagito alla notizia, a cosa avrebbe detto, se sarebbe stato felice.

Pensai anche a Tom, a quello che era successo la notte prima, al suo goffo tentativo di scusarsi, al mio categorico invito ad andar via.

Cosa ci stava succedendo?

Perché eravamo diventati così?

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Capitolo 22
*** Things can't never be the same ***


Salve!

So che vi ho fatto attendere molto per questo capitolo e mi dispiace, ma, purtroppo, non ho capitoli già pronti e spesso e volentieri trascorro l'intera giornata all'università, senza neanche un misero spazietto per riordinare le idee (sono arrivata a pensare alle nuove scene nel letto, prima di addormentarmi); quindi, perdono *me fa la faccina da cucciolo sperduto e triste* e, onde evitare dovermi scusare ogni singola volta per i ritardi, premetto già da adesso che gli aggiornamenti rallenteranno un po'; non tantissimo, anche perché non ho intenzione di aggiornare una volta al mese o cose del genere *mettete pure via i coltelli e i pomodori, che vi ho visti!*, ma perlomeno credo di aggiornare una volta ogni due settimane, per avere anche la possibilità di scrivere al meglio i capitoli e di avere una visione chiara delle cose che devono succedere.

Ricordo, comunque, che per gli aggiornamenti costanti sui capitoli è a disposizione la mia pagina autore su Facebook: Frytty; Potete tranquillamente richiedermi l'amicizia (accetto tutti :)), specificando che seguite una mia Ff su EFP e, se non è di troppo disturbo, specificando il vostro nick di EFP (se non già specificato diversamente, ad esempio come nel mio caso).

Se seguite anche mie altre Ff e se ve lo state chiedendo, sì, i messaggi qui sopra sono preconfezionati (nel senso che sono identici nelle introduzioni di tutte le Ff) e questo perché non ho abbastanza fantasia da inventarmene tre diversi xD.

Tornando alle cose serie, devo confessarvi che il vostro amore nei confronti di questa Ff e nei confronti di Arlyn mi devasta ogni singola volta che leggo le vostre recensioni, perché soffrite come me quando scrivo i capitoli e descrivo le sensazioni, le emozioni, le immagini e i possibili ricordi e questo non può che farmi piacere. Preannuncio, però, che non sono riuscita a far entrare in questo capitolo la reazione di Robert al fatto che Arlyn si sia data alla pazza gioia con Tom tra le lenzuola, cosa che avverrà nel prossimo; un po' perché secondo me certe cose vanno dette di persona e non al telefono e un po' perché credo che Arlyn sia sconvolta da quello che le ha rivelato Alex *lo scoprirete, tranquille* e non ha il coraggio di confessargli qualcosa oltre al fatto che è incinta di un mini-Rob, femminile o maschile che sia, perciò chiedo venia, ma dovrete aspettare il prossimo capitolo *espressione da angioletto*

Prima di lasciarvi al capitolo, ringrazio tutte coloro che hanno commentato, letto, dato un'occhiata allo scorso capitolo e chi ha inserito la Ff tra le preferite/seguite/da ricordare *.* Non stancherò mai di ripeterlo: siete tutto per me e per la mia ispirazione, quindi GRAZIE! <3

Vi auguro una buona continuazione di settimana e una...

 

 

 

Buona Lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quando suonò il campanello mi riscossi dal torpore nel quale ero caduta osservando e rigirandomi tra le mani uno dei tre test positivi.

Scesi le scale in fretta, il battito accelerato e quando aprii la porta e ritrovai gli occhi gentili e comprensivi della Alex che avevo conosciuto in libreria, sorrisi sollevata, invitandola ad entrare.

< Allora, cos'è questa storia? > Mi chiese, seguendomi mentre ritornavo nella mia stanza.

Neanche un accenno a quello che era successo tra di noi? Neanche una parola sul fatto che non ci sentivamo da settimane?

Le volevo bene e sapevo che lei ne voleva altrettanto a me, ma se non avessimo risolto il problema, le cose non si sarebbero mai sistemate; erano giorni che continuavo a pensarci, esattamente tutte le volte che sentivo il bisogno di cercare il suo numero in rubrica per telefonarle e raccontarle la mia giornata.

< Sono incinta. > Risposi, porgendole tutti i test positivi e lasciandomi cadere sul piumone pulito.

< E' di Robert? > Il suo sguardo si incupì. Pensava fosse di Tom, o di qualcun altro?

< Di chi vuoi che sia? > Chiesi sarcastica. Non era il momento adatto per parlarle di quello che era successo tra me e Tom la notte prima.

< Non dovresti essere così preoccupata o spaventata. > Si sedette accanto a me e mi osservò.

< Non sono pronta per diventare mamma e credo non lo sia neanche Robert. > Riflettei ad alta voce. < Come posso occuparmi di un altro essere umano, quando so a malapena prendermi cura di me stessa? Come posso farlo, quando non ricordo metà della mia vita passata? > Continuai, inondandola di domande a cui non poteva dare risposta.

< Ti stai occupando di Robert, però. > Osservò con calma.

Risi, amara.

< E' il contrario, semmai. > Mormorai, rifiutandomi di guardarla negli occhi.

< Hai intenzione di abortire? > Mi domandò, cercando di non far trapelare dal tono di voce lo shock.

Non avevo preso in considerazione quella possibilità; avevo soltanto pensato al fatto che la gravidanza avrebbe causato ulteriori problemi, per Robert e per me, ancora confusa, ancora in bilico, ma, ormai, era come se considerassi quel bambino parte di me e non soltanto perché stava crescendo nel mio grembo, ma anche perché non potevo fingere; dovevo ammettere che, forse, prendermi cura di qualcun altro, di qualcosa che non fosse un libro, avrebbe risvegliato in me i ricordi, quella parte della mia memoria volata via dopo l'incidente.

Feci spallucce alla domanda di Alex e abbassai lo sguardo alle mie mani.

< Te ne pentiresti, lo sai. > Continuò.

Già, forse me ne sarei pentita; ma cosa sarebbe successo se avessi deciso di tenerlo e solo dopo la sua nascita mi fossi resa conto che non ero in grado di badare a lui?

Avevo visto spesso mamme in libreria comprare piccoli opuscoli di auto-aiuto su come non essere preda della depressione post-partum; se fossi diventata una specie di psicopatica che cercava in tutti i modi di uccidere il proprio figlio?

< Sono terrorizzata dal pensiero di doverlo dire a Robert. Ho paura di come possa accogliere una notizia del genere. > Le lanciai un'occhiata spaventata, torturandomi le mani.

< Ti ama, come potrebbe non esserne contento? > Un lampo di rammarico e malinconia apparve nei suoi occhi e capii che c'era qualcosa che non andava in quella discussione.

Perché aveva voluto vedermi subito? Perché non aveva semplicemente attaccato quando aveva capito che ero io? Perché era, improvvisamente, così diversa, disponibile e dolce con me dopo tutto l'odio e il rancore che mi aveva riversato addosso al ristorante?

< Perché sei corsa qui? > Corrugai le sopracciglia, curiosa, e la osservai abbassare lo sguardo e arrossire, muovendosi a disagio.

< Non puoi ricordartene, ma... sono rimasta incinta anch'io circa un anno fa e ho deciso di abortire. Ero sola e i miei genitori non mi avrebbero mai sostenuta, cos'altro avrei potuto fare? > Gli occhi le si riempirono automaticamente di lacrime ed io non riuscii a proferire parola, scossa da quella rivelazione. Si era trovata nella mia stessa situazione ed ora stava cercando di persuadermi a non lasciarmi prendere dallo sconforto e dal non considerare nemmeno la stessa opzione che aveva valutato lei; era per questo che era corsa da me, allora. Non voleva che io abortissi.

< Mi spiace, Alex... > La abbracciai, cercando di farle sentire il mio sostegno e la mia gratitudine per aver messo da parte i nostri litigi e per avermi, in qualche modo, fatto riflettere.

< Di chi era il bambino? > Le domandai dopo qualche istante, curiosa. Che io sapessi, Alexandra era sempre stata innamorata di Tom e, oltretutto, non mi aveva mai parlato di sue storie precedenti.

< Avrei dovuto dirtelo... > Scosse la testa in un cenno di diniego, continuando a piangere e a singhiozzare.

Dirmi cosa, esattamente?

< Credo di non capire. > Risposi, scostandomi appena da lei per cercare di osservare i suoi occhi, le sopracciglia aggrottate.

< Non... insomma, non avevamo intenzione di... è stato tutto un caso e un enorme sbaglio, Arlyn, deve credermi! Avevamo bevuto troppo e ogni singolo giorno rimpiango quella notte... > Singhiozzò, afferrandomi entrambe le mani, stringendole così tanto da farmi male.

Sentivo l'impellente necessità di tornare in bagno a vomitare e non ero sicura fosse per la gravidanza.

< Che vuoi dire? > Chiesi, titubante, un brutto presentimento che stava cominciando a farsi largo in me.

< Il bambino era di Robert, Arlyn. > Pigolò, così piano che non fui sicura di aver sentito bene, fin quando non fui capace di ripetere la frase nella mia mente, come a volerla imparare a memoria.

< E' uno scherzo, vero? > Strattonai le mie mani tra le sue per liberarle, ma lei non mi lasciò andare, gli occhi pieni di lacrime e l'espressione contrita e compassionevole sul volto.

Scosse la testa e abbassò lo sguardo.

A quel punto, non riuscii a trattenermi: mi divincolai dalla sua presa e scappai in bagno, piangendo, cadendo in ginocchio accanto al water, sforzandomi di vomitare, quasi sarebbe servito ad eliminare le parole che avevo assimilato, digerito.

Tossii, nascondendo la testa tra le mie braccia e piangendo.

Forse ero finita in una di quelle patetiche telenovelas che mi ero ritrovata a guardare in ospedale, quelle dove tutti i personaggi hanno dei problemi che, come se non bastasse, loro si divertono a ingigantire, portandoli al limite dell'assurdo, coinvolgendo amici, familiari e sconosciuti.

Robert mi aveva tradita, Alexandra mi aveva tradita ed io avevo tradito entrambi. Eravamo pari, ma non era certo quello che volevo.

Perché Robert non me ne aveva parlato, perché aveva taciuto?

Nonostante fossi terrorizzata dalla cosa, io gli avrei detto di Tom, avrei cercato di ragionare con lui e sarei stata anche disposta a lasciargli del tempo se solo me l'avesse chiesto.

Lui, invece, aveva preferito far finta di niente, lasciando che lo scoprissi così, quando l'ultimo dei miei pensieri era la sua infedeltà.

Avevo capito perché mi avesse lasciata per Kristen, avevo accettato le sue scuse e le sue promesse, l'avevo perdonato, ma Kristen non era la mia migliore amica, a Kristen non avevo confessato tutti i miei segreti più intimi.

Sollevai la testa e cercai di asciugare le lacrime con le maniche del maglione che indossavo, tirando su col naso.

< T-tutto bene? > Sentii la sua voce provenire da una parte imprecisata dietro di me, ma non persi tempo a cercare il suo sguardo.

Mi rimisi in piedi e mi avvicinai al lavabo, aprendo il rubinetto e facendo scorrere l'acqua, affinché diventasse fresca. Mi sciacquai il viso, respirando profondamente e cercando di calmare i singhiozzi che ancora mi scuotevano le spalle.

< Siamo pari. > Mormorai, non riconoscendo allo specchio il mio viso devastato dalla tristezza e dal rimorso.

< Pari? > Mi domandò cauta, aggrottando le sopracciglia.

< Ho fatto anch'io sesso con Tom, ieri notte. Mi aveva invitata al pub, a bere qualcosa tutti insieme e mi sono ubriacata. Mi ha riportata a casa e abbiamo fatto sesso, con l'unica differenza che lui non è il tuo fidanzato, non ti ha chiesto di sposarlo, né ti ha fatto promesse di alcun tipo. > Spiegai seria e arrabbiata.

Un anno prima Robert era ancora il mio fidanzato, probabilmente mi aveva già chiesto di sposarlo... non potevo pensarci senza avere voglia di prendere a pugni e calci entrambi.

Alexandra rimase perplessa e senza parole per quella che a me sembrò un'eternità; poi, scrutandomi dal vetro dello specchio, sembrò cercare una conferma nei miei occhi.

< Mi dispiace, avrei dovuto dirtelo, ma tu non ti ricordavi di me ed io avevo paura che ci saremmo perse se ti avessi confessato tutto, che la nostra amicizia non sarebbe stata più la stessa! > Nuove lacrime le solcarono le guance.

< Credi che il fatto che tu me l'abbia detto adesso possa cambiare qualcosa? Pensi che adesso la nostra amicizia potrà mai essere la stessa? > Avevo voglia di urlare.

< Non volevo farti del male, lui non voleva farti del male. Eravamo ubriachi e la mattina dopo ci siamo ritrovati nudi nella mia camera da letto senza avere idea di come ci fossimo finiti. > Si portò indietro i capelli con una mano, ricordandomi Robert.

< Non fa alcuna differenza, Alex! Dopo tutto quello che ho passato, non hai idea di cosa significhi ritornare a fidarsi delle persone che ti stanno accanto, ritornare a conoscere i tuoi amici, ben sapendo che non sarà mai lo stesso, perché tu non ti ricordi di loro e a malapena ricordi i loro nomi! > Esplosi, voltandomi verso di lei.

Perché non provava a mettersi nei miei panni? Avevo avuto un'infanzia felice? Ero riuscita a vincere il titolo di reginetta dell'anno al liceo? Ero stata accompagnata dal ragazzo più desiderato dell'intera scuola?

Non avevano più importanza tutti quei dannati dettagli. Avevo perso la memoria, non ricordano assolutamente niente della persona che ero prima dell'incidente, cosa poteva mai importarmene della sua stupida gelosia nei miei confronti? Cosa poteva importarmi se Tom era innamorato di me e non di lei?

Niente aveva più senso.

< So che ho sbagliato. > Mormorò, torturandosi le mani. < Ma tu non sai cosa vuol dire vivere di luce riflessa. > Continuò.

< Tuo padre che vorrebbe diventassi medico come tua sorella, perché lei le ha sempre dato le più grandi soddisfazioni della sua vita; i tuoi compagni di scuola che non hanno mai smesso di associarti alla tua migliore amica; i tuoi fidanzati che non ti hanno mai veramente amata. > Sospirò e fissò il pavimento.

< Potremmo fare cambio, magari stiamo meglio nei panni di qualcun altro. > Ironizzai sarcastica.

Alex accennò un sorriso e mi scompigliò la frangia chiara, facendomi sentire una bambina.

< So che non sei veramente arrabbiata con me. > Dichiarò con nonchalance, lasciandomi basita.

La mia espressione dovette essere piuttosto eloquente, perché rispose senza che io le avessi posto la domanda.

< Sei la mia migliore amica, Arlyn, credi che non ti conosca? Abbiamo sbagliato entrambe e abbiamo pagato i nostri errori, ma mi manchi e non credo che la mia corsa qui o il fatto che ti abbia rivelato di aver fatto sesso con Robert, non cambi le cose; so che non sarà più lo stesso tra di noi, so che ti ho delusa e so che hai sofferto e che stai ancora lottando con i tuoi fantasmi, ma io ci sono e ci sarò anche quando mi odierai, anche quando preferirai prendermi a pugni, ma soprattutto quando avrai bisogno di un abbraccio o di un consiglio e voglio che tu lo ricordi bene. > Continuò a sorridere.

< Avevi detto che non volevi avere più niente a che fare con me... > Scossi la testa, incredula.

Sospirò e mosse la mano come a scacciare una mosca fastidiosa.

< Sono stata una bambina e mi dispiace averci messo tanto a capirlo. Non sai quante volte ho desiderato telefonarti, ma avevo paura che tu non avresti accettato le mie scuse. > Spiegò.

Mi asciugò una lacrima e mi abbracciò, accarezzandomi gentilmente i capelli per tranquillizzarmi.

Forse le cose non sarebbero state le stesse tra di noi, ma, perlomeno, eravamo state sincere l'una con l'altra ed io avevo capito che le volevo ancora più bene di prima, nonostante la mia memoria difettosa non riuscisse a mostrarmi il mio passato con lei.

< Allora, pizza? Sto letteralmente morendo di fame. > Mi chiese, trascinandomi fuori dal bagno.

< Non dovrei mangiare sano adesso che sono incinta? > Feci una smorfia e non perché avrei dovuto decisamente diminuire il mio consumo di caffè giornaliero, quanto piuttosto perché avrei dovuto dire addio al cibo cinese e messicano che avevo scoperto essere alcune delle mie cucine preferite.

< Una pizza non ti ucciderà e berrai solo acqua. > Si sedette sul letto e digitò il numero della pizzeria con consegna a domicilio dietro l'angolo.

 

Alexandra mi aveva dato la buonanotte esattamente due ore e due pizze dopo, assicurandomi che avrebbe ripreso il suo lavoro in libreria già l'indomani e confessandomi, per l'ennesima volta, quanto mi volesse bene. L'avevo liquidata con un'occhiataccia a cui lei aveva risposto con una semplice risata e mi ero precipitata ad indossare il pigiama e a prepararmi per la notte. Avevo appena finito di sistemare i cartoni delle pizze nel sacco dell'immondizia, che avevo sentito il mio cellulare squillare ed ero corsa al piano di sopra per recuperarlo.

Robert lampeggiava sullo schermo, corredato da una sua foto in primo piano, probabilmente proveniente da qualche servizio fotografico per qualche rivista.

Mi lasciai cadere sul letto e risposi.

< Ehi, che entusiasmo! > Scherzò, ridendo e contagiandomi.

< Scusami, sono solo stanca; ho avuto una serata piuttosto intensa. > Spiegai, guardandomi intorno nella stanza buia, scostando le coperte e infilandomici sotto per riscaldarmi.

< E' successo qualcosa? > Domandò.

< No, tutto bene, solo che... Alex è venuta a trovarmi e abbiamo cercato di chiarire i nostri punti di vista. > Alzai gli occhi al cielo, perché non era andata esattamente così.

< Oh. E ci siete riuscite? > Continuò. Sentii in sottofondo il vociare allegro di un talk show, segno che, probabilmente, era già rientrato in albergo.

< Più o meno. Domani riprende a lavorare in libreria. > Comunicai, accarezzandomi, quasi fosse un riflesso involontario e le mie mani si fossero mosse da sole, la pancia ancora piatta.

< Bene! Almeno avrai compagnia. > Commentò gioviale, facendomi sorridere.

< L'avrei avuta comunque. > Risposi prima di rendermi effettivamente conto delle mie parole.

< In che senso? > Domandò e quasi lo vidi corrugare le sopracciglia e assumere la sua solita espressione seria.

Avevo lanciato il sasso e adesso non potevo tirarmi indietro; avrei dovuto dirglielo.

< Sono incinta. > Spiegai con la voce tremante, mordendomi un labbro l'istante successivo in attesa di una sua risposta.

Nei due minuti che seguirono credetti di sentire soltanto il rumore della televisione, nessun respiro, nessuna voce e nessuna risposta.

< R-Robert, ci sei? > Chiesi alla fine, non riuscendo a trattenermi.

< Sì, sono qui. > Rispose.

< Non dici niente? > Avevo bisogno di sapere cosa pensasse.

< E' solo che... non me l'aspettavo, mi hai colto di sorpresa, ecco. > Si giustificò nervoso.

< N-non ne sei contento, vero? > Presi coscienza della mia mano che scorreva ancora sulla mia pancia, chiedendomi se sarei stata davvero costretta a crescere un figlio da sola, senza nessuno accanto.

< E' meraviglioso, Arlyn, dico sul serio! Sono solo scioccato, tutto qui. > Lo sentii sorridere e sospirai di sollievo, sorridendo anch'io.

< Credi che sarò una brava mamma? Non ho idea di come prendermi cura di un bambino. > Pensai ad alta voce.

< Ma certo che sarai una brava mamma, dolly, come potrebbe essere il contrario? Mi manchi, non vedo l'ora di riabbracciarti. > Mi rassicurò, facendomi stringere il cuore. Incredibile come avessi dimenticato così in fretta quello che mi aveva rivelato Alex poche ore prima, incredibile come, per la prima volta, non avessi pensato a Tom sentendo la sua voce.

< Mi manchi anche tu, non sai quanto. > Mormorai, chiudendo gli occhi e immaginando che fosse lì, accanto a me.

< Sarò lì al tuo risveglio. Buonanotte, dolly. > La sua voce era come una dolce ninna nanna per le mie orecchie, come un balsamo per il mio corpo stanco e per la mia mente provata dalle mille emozioni della giornata.

< Ti amo. > Mi resi conto con un minuto di ritardo delle mie parole e sorrisi, sperando che lui mi avesse sentita.

< Ti amo anch'io. Per sempre. > Rispose, chiudendo la comunicazione e permettendomi di addormentarmi serena e con facilità.

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Capitolo 23
*** Sins ***


Salve!

Ho poco tempo per aggiornare, ma non volevo farvi attendere fin quando avessi completato la One-Shot Cailin/Rob, perché non ho ancora un'idea precisa e per scriverla mi occorre tempo e voglia, per cui eccomi qui.

Nelle recensioni che mi avete lasciato, ho letto che molte di voi hanno avuto dei dubbi per quanto riguardava Alexandra e il fatto se avesse svelato o meno ad Arlyn del bambino prima dell'incidente. Voglio chiarire a chi si sia posto questo dubbio e non abbia commentato per esprimerlo, che Arlyn era a conoscenza soltanto del fatto che Alex fosse rimasta incinta e avesse deciso di abortire, nient'altro (prima dell'incidente, perché ovviamente, dopo l'incidente non se ne ricorda più).

Ringrazio tutte coloro che hanno inserito questa Ff tra i preferiti/seguiti/da ricordare, che hanno commentato lo scorso capitolo e che hanno solo letto *.* GRAZIE MILLE! *.*

Il prossimo aggiornamento avverrà (spero) prima di Natale, ma per ogni info c'è comunque la mia pagina autore su Facebook :) Per quanto riguarda la shot Cailin/Rob, mi auguro di riuscire a postarla nel week-end (ispirazione permettendo ;D).

Vi auguro un buon prosieguo di settimana e una...

 

 

Buona Lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Quando aprii gli occhi, il primo rumore che udii fu quello della pioggia che picchiettava contro i vetri delle finestre della mia camera da letto.

Amavo la pioggia e amavo vivere a Londra proprio perché le giornate erano così raramente soleggiate.

Sembrava assurdo, ma quando tutti gli altri sembravano non fare altro che lamentarsi della pioggia e del cattivo tempo, io sorridevo come se non ci fosse stato niente di più bello al mondo.

Doveva essere mattina presto, forse il sole era sorto da poco, perché la stanza era ancora avvolta nella penombra.

Mi stiracchiai, allungando un braccio alla mia sinistra e cozzando contro qualcosa di sufficientemente morbido da farmi pensare potesse essere soltanto un essere umano.

Mi voltai allarmata, neanche mi aspettassi di trovare un ladro o uno sconosciuto accanto a me e riconobbi il volto addormentato e bellissimo di Robert.

Mugolò appena per il piccolo pugno ricevuto, voltandosi a pancia in su ed io sorrisi, raggomitolandomi accanto a lui e lasciandogli un bacio leggero sul collo, sperando di non averlo svegliato.

Speranza vana, perché, non appena ebbi chiuso gli occhi per riaddormentarmi, lo sentii sistemarsi di lato, circondarmi la vita con un braccio e poggiare il palmo aperto della sua mano sulla mia pancia, carezzandola gentilmente.

< Buongiorno. > Mi sussurrò, costringendomi a riaprire gli occhi.

< Bentornato. > Replicai con un sorriso, poggiando una mano sulla sua, lasciando che le nostre dita si intrecciassero.

< Come ti senti? > Mi chiese ancora.

< Bene. > Non era esattamente la verità. Avrei dovuto confessargli di Tom e, in più, c’erano ancora le parole di Alex che mi risuonavano nella testa, spingendomi a chiedere spiegazioni sul suo silenzio.

Mi baciò il lembo di pelle sensibile dietro l’orecchio, scostando i capelli, facendomi rabbrividire vergognosamente.

< Mi sei mancata. > Mi strinse ancora di più e non potei fare a meno di credergli. Nonostante quello che era successo tra lui e Alex, o tra lui e Kristen, da quando ero tornata a casa dopo il brutto incidente che mi aveva visto coinvolta, si era sempre dimostrato perfetto, l’uomo che tutte avrebbero desiderato.

Non aveva più avuto contatti con Kristen, se non per lavoro, si era dimostrato amorevole nei miei confronti, attento e gentile e mi aveva sempre sostenuta.

Poteva anche avermi fatto del male in passato, ma stava sicuramente espiando le sue colpe.

Io, invece, l’avevo tradito con il suo migliore amico e, al solo pensiero di doverglielo confessare, mi tremavano le gambe.

< Anche tu. Tanto. > Risposi, carezzandogli dolcemente i capelli.

< Credi che sarà una bambina? > Chiuse nuovamente gli occhi, accarezzandomi dolcemente il ventre.

Feci spallucce.

< Non ne ho idea. > Sorrisi. < Tu cosa preferiresti? > Continuai, baciandogli una guancia.

< Una femminuccia sarebbe perfetto, ma l’importante è che stia bene, non importa il sesso. > Non potevo che dargli ragione.

Presi un respiro profondo: non riuscivo più a tenermi tutto dentro, era impossibile e sarei scoppiata.

< Devo dirti una cosa. > Cominciai, sperando di aver attirato così la sua attenzione.

< Mh-mh. > Mugugnò accanto al mio orecchio, gli occhi ancora chiusi.

Non puoi rimandare, Arlyn. Continuavo a ripetermi come incentivo, ma quando riaprii la bocca per parlare, furono altre le parole che vennero fuori.

< Alex aspettava un bambino da te. > Era la cosa a cui non avevo smesso di pensare da quando avevo parlato con lui a telefono e, per quanto la questione di Tom avesse indubbiamente il suo peso, volevo chiarire quella situazione con lui e verificare quello che mi aveva detto Alexandra.

Si irrigidì; ovviamente non se l’aspettava, ma io ero tranquilla, per quanto nervosa, perciò cercai di calmarlo continuando ad accarezzargli dolcemente i capelli più corti della nuca.

Sospirò e accoccolò il volto nell’incavo tra il collo e la spalla, solleticandomi la pelle scoperta con il suo respiro caldo.

< Te l’ha detto Alex, vero? > Domandò ovvio. Non poteva essere stata che lei.

Annuii.

< E’ stato uno sbaglio, Arlyn. Avevamo bevuto un po’, eravamo ubriachi e non sapevamo quello che stavamo facendo. Tu eri andata via per una questione importante con uno dei fornitori della libreria e la mattina dopo mi sono ritrovato nudo nel suo letto, senza essere sicuro di come vi ero finito. Ce ne pentimmo subito entrambi. > Spiegò.

Respirai profondamente, cercando di calmare il battito accelerato del mio cuore.

< Non seppi che era rimasta incinta, fin quando non mi telefonò dalla clinica nella quale si era recata per abortire. Aveva già firmato le carte, doveva solo attendere il suo turno e poi tutto sarebbe finito. Tentai di convincerla a non farlo, le dissi che mi sarei preso le mie responsabilità, che avrei riconosciuto il bambino e che non era necessario stroncasse una vita così, ma non volle darmi ascolto: aveva già deciso. Era sola, i suoi genitori non l’avrebbero supportata e lei non era in grado di prendersi cura di un bambino. Non aveva neanche preso in considerazione l’idea dell’adozione, o dell’affidamento. > Continuò, continuando ad accarezzarmi la pancia con dolcezza ed insistenza. Doveva essere stato terribile anche per lui.

< Non l’amavo, non avrei potuto sposarla solo perché portava in grembo una nuova vita, ma avrei potuto fornirle i mezzi necessari affinché non se ne liberasse in maniera così brusca e disperata, quasi fosse stata una malattia. Ti avremmo spiegato tutto e, anche se sarebbe stato difficile, avremmo cercato di trovare insieme un compromesso, ma lei non voleva più parlarne, voleva solo archiviare la cosa e mi fece promettere di non farne parola con nessuno, tanto meno con te; ho solo mantenuta la promessa. > Terminò, alzando gli occhi al mio viso.

Non sapevo cosa pensare, né cosa rispondere.

< Devi credermi, è andata così. Non sai quante volte sono stato tentato di parlartene, non sai quante volte ho dovuto mordermi la lingua per continuare a tener fede a quella promessa e non sai quante volte ho pensato a cosa ne sarebbe stato di me se avessi dovuto prendermi cura di un bambino. Ho sempre creduto, irrazionalmente, che Alex avesse fatto la scelta giusta: nessuna complicazione, poche spiegazioni e, inoltre, non ti avrei persa, non avrei messo a repentaglio quello che avevamo costruito fino ad allora; eppure, tornavo sempre ad immaginarmi nelle vesti di papà, con un fagottino tra le braccia, i pannolini da cambiare e il latte da scaldare. E' stato difficile liberarmi di quel pensiero. > Scosse la testa e per un lungo istante mi sembrò di avere davanti un Robert diverso, un Robert che non avevo ancora conosciuto. Mi ero sempre sentita al sicuro con lui, non mi aveva mai fatto pesare il suo essere celebre, non mi aveva mai trascinata ad eventi mondani contro la mia volontà e mi aveva, spesso e volentieri, fatto dimenticare di vivere accanto ad una star di Hollywood che avrebbe benissimo potuto avere altre centinaia di donne ai piedi, pronte a sposarlo e ad adorarlo; non conoscevo di lui il lato famoso, conoscevo il lato reale, vero e, mai come allora, rafforzai la mia idea.

Avevo già creduto ad Alexandra, non avrei non potuto credere a Robert, ma il pensiero che avesse sofferto, il pensiero che, probabilmente, se gli avessi comunicato la mia intenzione di abortire si sarebbe ribellato e non avrei fatto altro che spezzargli il cuore, non mi permise di articolare nessuna risposta per un tempo che a entrambi parve infinito, solo il picchiettio costante della pioggia contro i vetri a farci compagnia.

< Dev'essere stato... orribile. > Mormorai alla fine.

Sentii Robert sospirare sollevato e baciarmi una tempia.

< Lo è stato. Mi spiace non avertelo detto prima. > Mi sistemò i capelli dietro le orecchie con attenzione, facendomi sorridere.

Non riuscivo ad essere arrabbiata con lui, o con Alexandra. Forse lo sarei stata se solo non fosse successa la stessa cosa a me e a Tom.

< L'hai detto anche tu: hai solo mantenuto la promessa e con la storia dell'incidente, non credo avrei sopportato altre notizie sconvolgenti. > Risi appena e lui con me.

< Ho un'altra cosa da confessarti. > Cominciai. Adesso non potevo tergiversare, non potevo tirarmi indietro e non potevo fingere di voler prendere tempo.

Corrugò le sopracciglia, forse credendo si trattasse ancora di lui, ed io non riuscii a guardarlo negli occhi più di qualche secondo; avevo paura, era innegabile. Cosa avrei fatto se mi avesse abbandonata? Cosa ne sarebbe stato del bambino? Sarebbe cresciuto senza un padre e con una madre che non aveva la minima idea di come prendersi cura di lui? Sapevo che non si poteva seguire un corso per imparare ad essere dei bravi genitori, così come sapevo che con i bambini ci volevano pazienza e amore, ma io non ricordavo niente della mia vita passata, ero confusa e avevo una libreria da mandare avanti, nel bene e nel male, cos'avrei fatto? Chiesto aiuto ai miei genitori con i quali non riuscivo neanche a comportarmi come una figlia? Non li telefonavo mai e a malapena avevo il coraggio di andarli a trovare con mio padre che non faceva altro che trattarmi come una specie di menomata mentale, terminando ogni frase con un sentito te lo ricordi, tesoro? No! Non potevo ricordarmelo, e allora? Avrei tanto voluto avere il coraggio di rispondere così, invece l'unica cosa che facevo era scoppiare a piangere e rifugiarmi tra le braccia di mia madre che mi diceva di non dare peso alle sue parole, si comportava così solo perché non era ancora riuscito a rendersi conto di quello che mi era successo.

Ricacciai indietro le lacrime e presi un respiro profondo prima di parlare.

< Sono... sono andata a letto con Tom. > Chiusi gli occhi in attesa di una qualsiasi sua reazione e mi morsi il labbro inferiore fino a farlo sanguinare.

< Tu cosa? E' uno scherzo, vero? > Si allontanò da me, osservandomi spaesato.

Scossi la testa e una lacrima mi rotolò giù lungo la guancia, calda e salata.

< Eravamo ubriachi ed io... non... mi sono resa conto che mi avesse accompagnata a casa, volevo solo dormire... quando mi sono svegliata, la mattina successiva, era lì, che mi dormiva accanto e... la prima cosa che ho fatto è stata scappare in bagno e continuare a convincermi che forse era tutto un sogno, che probabilmente non avevamo neanche fatto sesso, che... > Cercai di spiegarmi tra un singhiozzo e l'altro, fin quando non proruppi in un pianto disperato che mi tolse il respiro e la parola.

Avevo paura di aprire gli occhi e fronteggiare il suo sguardo disgustato o, peggio, la sua rabbia.

< Credevo aveste chiarito. Credevo avessi detto che non provavi nulla per lui! > Non urlò, ma il tono freddo e deluso con cui pronunciò quella frase fu, se possibile, ancora più doloroso di un grido.

< E' così! E' così, io non provo assolutamente nulla per lui! > Riuscii a rispondere, avvicinandomi.

Avrebbe dovuto capire: in fondo, era successa la stessa cosa anche tra lui e Alexandra.

< Il bambino è suo? > Non so cosa lesse nel mio sguardo inondato di lacrime e disperazione, ma bastò a fargli abbandonare la rigida freddezza di pochi istanti prima.

Scossi la testa. Non poteva essere di Tom: uno dei test aveva specificatamente chiarito che doveva essere all'incirca alla seconda settimana.

Tentai di calmarmi, respirando profondamente e concentrandomi su qualcosa di positivo, così come mi avevano insegnato a fare in ospedale, quando venivo colta da una delle mie solite crisi di panico quando non riuscivo a ricordare un avvenimento che mi veniva riferito con aspettativa.

Avvertii la mano di Robert stringere la mia e quel contatto bastò a farmi rilassare.

< Va tutto bene, Arlyn, calma, sei al sicuro. > Mi strinse a sé, stringendomi, accarezzandomi i capelli e mormorandomi di non preoccuparmi.

Mi aggrappai a lui, gli ultimi residui di lacrime e singhiozzi che svanirono presto.

< Non lasciarmi. Ho bisogno di te, non lasciarmi. > Pregai come se stessi recitando una nenia.

< Shh! Non vado da nessuna parte, sono qui e non ti lascio. Sono qui. > Rispose, baciandomi la fronte.

Gli credetti, perché, in fondo, cos'altro avrei potuto fare?

Avevamo sbagliato entrambi, ma era chiaro che, senza farci del male, non saremmo stati la coppia che tutti ricordavano che fossimo.

Alex non faceva che ripetermi che litigavo continuamente con lui per via delle sue colleghe, che io consideravo molto più attraenti di me e molto più intelligenti e che non la smettevo di rimproverarlo perché non voleva mai portarmi con sé alle manifestazioni cinematografiche o alle premier, quando era chiaro che ero io che non avevo intenzione di separarmi da Londra e dal mio lavoro.

Erano litigi banali, certo, me ne rendevo conto anch'io, così come mi rendevo conto che dopo l'incidente ero radicalmente cambiata e così anche lui, ma, non è proprio per i litigi banali che coppie apparentemente felici di neo-sposi divorziano?

Robert non mi aveva mai trascurata, né mi aveva mai collocata al secondo posto rispetto alla sua carriera o ai suoi impegni; non avrei saputo chiedere di meglio, ma allora perché sembrava così difficile essere felici?

 

Non mi ero neanche resa conto di essermi nuovamente addormentata, fin quando non venni svegliata gentilmente da Robert.

< E' ora di alzarsi, dolly. > Sussurrò.

Strinsi gli occhi e poi li aprii con cautela, abituandomi ai pochi raggi di sole che raggiungevano la stanza e il letto.

Mi sollevai, sedendomi, la schiena contro la testiera del letto e vidi Robert fare lo stesso, sistemando al centro un vassoio con la colazione.

< Spero ti piaccia. > Sorrise ed io ebbi un tuffo al cuore al pensiero che avesse preparato tutto per me, per farmi capire che ero importante.

Ricambiai il sorriso e afferrai una brioche alla marmellata, sorseggiando il latte tiepido.

Il mio stomaco, però, sembrò non approvare e, neanche il tempo di ingoiare il secondo boccone di brioche, fui costretta a scappare verso il bagno per rigurgitare quello che avevo appena mangiato.

Sentii i passi di Robert seguirmi, arrestandosi sulla soglia della stanza.

< Tutto bene? > Mi domandò con apprensione.

Annuii, scostandomi i capelli dalla fronte sudata, tirando lo sciacquone e avvicinandomi al lavabo per sciacquarmi la bocca e il viso.

< Dev'essere la gravidanza. > Affermai, osservandomi allo specchio e riconoscendomi appena.

< Questo vuol dire che sono un pessimo cuoco? > Scherzò, arrivandomi alle spalle e circondandomi la vita con le braccia, poggiando il mento sulla mia spalla, sorridendomi attraverso la superficie riflettente.

< Potrebbe. Magari al bambino non piace la marmellata di amarena. > Scherzai anch'io, lieta del fatto che non fosse andato via, che fosse ancora con me a sostenermi e a sorridermi.

< Neanche siamo nati e cominciamo a fare i capricci? > Si rivolse alla mia pancia, carezzandola dolcemente.

Risi.

Ero sicura del fatto che sarebbe diventato un ottimo papà, riuscivo a leggerglielo negli occhi.

< Hai già pensato di prenotare una visita? > Continuò, guidandomi nuovamente in camera da letto, spostando il vassoio con la colazione su una sedia.

< No, ma posso informarmi. > Risposi, facendo spallucce e aprendo l'armadio per scegliere cosa indossare, liberandomi, nel contempo, del pigiama.

Stavo giusto prendendo in considerazione l'idea di indossare una gonna, quando sentii le sue braccia avvolgermi e il suo respiro solleticarmi il collo, regalandomi un brivido.

Mi baciò dolcemente una guancia, poi scostò le mani dalla mia vita e raccolse i capelli sulla schiena, pettinandoli con le dita, cominciando ad intrecciarli con dolcezza e maestria, baciandomi di tanto in tanto una spalla.

Ero colpita e sopraffatta da tutte queste attenzioni, specie dopo quello che gli avevo confessato poche ore prima.

< Sai cosa si dice delle donne incinta? > Mi domandò, fermando la treccia con un elastico celeste.

< Cosa? > Chiesi curiosa, voltandomi verso di lui e guardandolo negli occhi, studiando la sua espressione serena e sorridente.

< Che diventino più belle. > Rispose, avvicinandosi al mio viso, tanto che sarebbe stato sufficiente un mio movimento per baciarlo.

< Ed io come ti sembro? > Soffiai, osservando le sue labbra rosse. Non avevo ancora avuto modo di baciarlo.

< Bellissima. > Socchiuse gli occhi e io arrossii.

< Più di prima? > Mormorai in imbarazzo.

< Come prima e anche di più. > Rispose, mettendo fine all'agonia e baciandomi le labbra.

Le mie mani corsero ai suoi capelli, strattonandoli, chiedendo di più e lo sentii sorridere sulla mia bocca, tra un bacio e l'altro.

< Siamo pretenziose oggi? > Mormorò roco, separandosi dalle mie labbra per riprendere fiato.

Arrossii e mi morsi un labbro, colpevole.

Non attese una mia risposta e cominciò subito a torturarmi il collo e la spalla di baci soffici, costringendomi a gemere, le gambe molli.

< Quanto tempo abbiamo? > Mi chiese, mordendomi un braccio ed io lanciai uno sguardo veloce alla sveglia sul comodino.

< Quaranta minuti. > Sospirai, lasciandomi spogliare della canotta.

< Me ne servono molti meno. > Rispose, baciandomi nuovamente e adagiandomi con delicatezza sul letto, come se potessi rompermi o frantumarmi tra le sue mani.

Sorrisi, spogliandolo dei boxer, avvertendo immediatamente la sua eccitazione sulla mia pelle più nascosta e sensibile.

Gemetti, inarcando la schiena; sebbene non ricordassi molto del mio passato, fare l'amore con Robert era una delle esperienze più belle e complete che avevo mai vissuto.

 

I segni delle tue mani li ho impressi su tutto il corpo. La tua carne è la mia carne. Mi hai decifrato e adesso sono un libro aperto. 

Il messaggio è semplice: il mio amore per te. 

Voglio che tu viva. 

Perdona i miei sbagli. 

Perdonami.

Jeanette Winterson-"Scritto sul corpo"

 

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Capitolo 24
*** First ***


Buon salve a tutte!

Finalmente eccomi qui ad aggiornare <3 Scusate il ritardo (anche se, effettivamente, sarei in tempo, visto che avevo preventivato che avrei potuto aggiornare anche una volta ogni due settimane ù.ù), ma l'università quest'anno mi sta davvero uccidendo e credo che, fino alla fine di luglio, potrebbe anche riuscirci -.-"

Ciance a parte, questo capitolo è un capitolo di passaggio e, se non teniamo conto di Tom e del piccolo, non succede quasi nulla. Avverto sin da ora che non ho intenzione di far succedere altri drammi/disastri/cataclismi universali e che, ormai, la Ff sta volgendo al termine. Non so con precisione quanti capitoli manchino, ma di certo non sarà una versione dei "Promessi Sposi" :)

Detto ciò, faccio soltanto presente che le recensioni sono calate di molto rispetto al capitolo precedente l'ultimo e mi sto arrovellando da giorni a capire il perché, visto che le visite ci sono. Ora, non è che io voglia una giustificazione scritta del perché non avete recensito, sia chiaro, ma se vi avesse dato fastidio qualcosa, o vorreste solo dirmi che il capitolo faceva schifo perché blablabla, io sono qui anche per affrontare le critiche costruttive e per cercare di migliorare. Se non avete recensito per puri problemi di tempo, altro da fare, fatti-vostri, chiedo venia, non intendevo obbligarvi a farlo, ci mancherebbe ;D

Ringrazio comunque le persone che hanno letto, quelle che hanno recensito *.* e tutti coloro che hanno inserito la Ff tra le preferite/seguite/da ricordare e anche tutti coloro che mi hanno inserita tra gli autori preferiti (che è una cosa per cui non ringrazio mai ù.ù). GRAZIE, SIETE, COME SEMPRE, FANTASTICI ED IO VI VOGLIO UN MONDO DI BENE, SAPPIATELO <3

Ultima nota importante: probabilmente non riuscirò ad aggiornare la prossima settimana, quindi ci tenevo ad augurarvi un buonissimo e felicissimo Natale in compagnia delle persone alle quali volete più bene <3 Mi raccomando, non mangiate troppo panettone/pandoro, scartate un mucchio di regali e riposatevi dallo studio/lavoro/qualunque cosa facciate *.* AUGURI!!! <3

Siccome a momenti le note introduttive sono più lunghe del capitolo stesso, vi lascio alla lettura e vi auguro, al solito, un buon fine settimana, un buono shopping natalizio e, ovviamente, una...

 

 

 

Buona Lettura! <3

 

P.S Perdonate gli errori, ma non ho riletto ù.ù

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Trentacinque minuti dopo ero in libreria, affannata per via della corsa. Le luci erano già accese e dalle vetrine riuscivo a scorgere la figura di Alex che si affaccendava tra gli scaffali, uno dei cartellini che aveva costretto anche me ad indossare, nuovamente al collo. Sorrisi, perché era bello averla di nuovo accanto a me e perché, in fondo, non sarei riuscita a vederla impegnata in un altro lavoro che non implicasse libri e centinaia di scaffali.

La osservai sistemare per qualche istante le pile ordinate di libri sulla mensola a metà strada tra i divanetti e lo scaffale delle nuove uscite e, proprio quando avevo deciso di entrare, scorsi anche la figura di Tom, esattamente dietro di lei.

Indossava una delle sue solite felpe nella quale aveva nascosto le mani e stava parlando, anche se non riuscivo a sentire quello che diceva. Seguiva Alex in ogni suo spostamento, ma lei non sembrava molto interessata alle sue parole e, spesso e volentieri, l'aveva scansato in maniera brusca per passare, non alzando mai lo sguardo su di lui.

Forse si stava semplicemente giustificando circa il comportamento che aveva assunto con me qualche sera prima, eppure, perché così tanto accanimento se lui stesso aveva ammesso che Alex non era il suo tipo e che con lei non avrebbe mai potuto intraprendere una relazione?

Non potevo continuare a spiarli così, perciò mi feci forza ed entrai, facendo tintinnare lo scacciapensieri appeso alla porta.

Sia Alex che Tom alzarono lo sguardo su di me e, se la prima accolse con sollievo il mio ingresso, sorridendomi e avvicinandomisi per baciarmi entrambe le guance con trasporto, il secondo rimase fermo al suo posto, osservandomi come se si aspettasse una sfuriata.

Gli lanciai un'occhiata indifferente prima di dirigermi sul retro per disfarmi del cappotto e della borsa e per indossare il mio cartellino di titolare. 

Quale atteggiamento avrei mai potuto mantenere in sua presenza, dopo averlo respinto e praticamente cacciato via di casa solo poche mattine prima?

Sostenevo il suo sguardo se mi capitava di incrociarlo, ma non riuscivo a rivolgergli la parola e, a quanto pare, neanche Alexandra. Avevo ferito entrambe e sapevo che, ipoteticamente, sarei dovuta essere più arrabbiata con Alexandra per avermi tradita alle spalle e non con Tom, eppure era tutto il contrario, tutto l'opposto: sembrava paradossalmente più semplice perdonare un'amica che, in un modo o nell'altro, con i suoi sbagli e i suoi difetti, ti era stata vicino, che non qualcuno che, inizialmente ti aveva spinto tra le braccia del suo migliore amico, cercando di fare da paciere, e poi, non solo ti aveva confessato i suoi sentimenti, cosa, oltretutto, alquanto innocua, ma aveva anche abusato di te e della tua fiducia nei suoi confronti per portarti a letto, approfittando dell'assenza del suo migliore amico e dei bicchieri di troppo che non si era fatto scrupolo di farti bere.

Mi rendevo conto che suonava tutto alquanto meschino, ma era la verità, era come mi ero sentita subito dopo aver realizzato ciò che avevo fatto, ciò che Tom era stato in grado di fare.

Servii i clienti persa nei miei pensieri, dispensando consigli a giovani mamme in cerca di un libro adatto per i loro bambini, a ragazze in cerca di un buon libro appassionante da regalare per il compleanno di una loro amica e a fidanzati in cerca di qualcosa di romantico da leggere in due, senza neanche rendermi bene conto delle parole che pronunciavo, dei consigli che elargivo.

Tom, alla richiesta di Alex di essere lasciata in pace a fare il proprio lavoro, non aveva fatto altro che prendere posto in una delle poltroncine all'ingresso, fingendo di leggere un saggio di psicologia della mente, occhieggiando ora a me ora ad Alex, uno sguardo indecifrabile, un misto tra delusione e tristezza; poi, poco prima della pausa pranzo, ripose il libro sulla mensola dove l'aveva trovato, senza impilarlo tra gli altri e scomparve, con grande sollievo di Alexandra, che sospirò e si diresse a chiudere la porta a vetri con un giro di chiave, girando il cartello su in pausa. 

Non sarei riuscita a mangiare neanche un boccone dei tramezzini che si era offerta di andare a comprare nella caffetteria al piano di sopra, perciò li lasciai da parte, accettando di buon grado, però, la tazza di tè caldo e un piattino di biscotti al burro che sembravano essere gli unici di cui riuscissi a sopportare il profumo.

< Non vuoi sapere perché era qui? > Mi chiese, masticando uno dei suoi tramezzini al tonno e maionese.

< Non sembra tu abbia voglia di parlarne. > Risposi, giocherellando con una penna. 

Sospirò profondamente, come a prendere coraggio.

< Mi ha spiegato come sono andate le cose tra di voi e mi ha detto di quella sera, quando ti ha chiesto di uscire e tu pensavi volesse parlarti di me. > Disse ed io dovetti assumere un'espressione alquanto sorpresa, perché la vidi sorridere e abbassare lo sguardo.

< Credo di aver reagito allo stesso modo, ma lui mi ha detto di voler partire dall'inizio. > Spiegò, pulendosi le mani con un tovagliolino di carta e prendendo un sorso di Coca dalla lattina che aveva poggiato sulla scrivania.

< Non eri contenta che fosse qui. > Osservai, continuando a sorseggiare il tè, ormai quasi tiepido.

Sembrò rifletterci un po' su prima di rispondere.

< Non so cosa pensare di lui. Non è solo la questione dell'avermi tradita, non è solo il fatto che mi abbia dato fastidio che abbia confessato i suoi sentimenti per te dopo avermi quasi illusa che avremmo potuto avere un futuro insieme o, perlomeno, che avremmo potuto provarci; non so se sono ancora innamorata di lui, ecco. > Rispose con tranquillità e capii quanto dovesse costarle un'affermazione del genere.

< Insomma, so di essermi comportata come una stupida bambina viziata quel giorno, accusandoti di avermi rubato un ragazzo che non era neanche mio, e so di averti giudicata in maniera sbagliata: in fondo, non era colpa tua se Tom era innamorato di te, ma forse ho esasperato tutto, forse ho semplicemente fatto in modo che diventasse un'ossessione, neanche non potessi più vivere senza di lui e poi, quando mi sono allontanata da voi, mi sono resa conto che non sentivo la sua mancanza; mi mancavate tu e Robert, perfino, ma per lui provavo solo tanta indifferenza. > Continuò, facendo spallucce.

La osservai e capii che era sincera, non stava inventando nulla, si era sentita davvero così.

< Credi di non averlo mai amato? > Le domandai, mettendo da parte la tazza e afferrando un altro biscotto.

< Forse sì, o forse ero solo alla disperata ricerca di qualcuno per non sentirmi tanto sola e inferiore. > Ribadì, torturando il tovagliolo che ancora reggeva tra le mani.

< Insomma, era qui per scusarsi e per chiederti di perdonarlo per quello che aveva fatto? > Mancava un tassello a tutta quella storia, decisamente.

< Ha detto che gli sarebbe piaciuto ripartire da zero, cominciare a conoscerci nuovamente, un po' come hai dovuto fare tu con tutti noi, che, forse, anche la sua infatuazione per te era solo frutto della sua fantasia, del suo essere rimasto troppo a lungo da solo. > Chiarì.

< E allora perché quella faccia sconsolata? Non è una cosa positiva? > Sorrisi, anche se era intuibile che c'era qualcosa che Alex non mi aveva ancora detto.

Poteva succedere di accorgersi di essere stata infatuata per anni di una persona per la quale poi, in realtà, non provavamo tutto questo sentimento, e capivo che realizzarlo all'improvviso, rendersi conto di aver speso tempo ed energie per qualcosa che neanche esisteva, potesse essere, in qualche modo, devastante, ma avevo la sensazione che non fosse solo questo.

< Lui non sa di quello che è successo tra me e Robert, non sa neanche che ho abortito... > Cominciò, scuotendo il capo, gli occhi ancora bassi.

< Pensi che possa cambiare le cose? > Sì, lo pensava e la mia era una domanda retorica.

< Avrei dovuto dirglielo fintanto che era ancora qui, ma non ne ho avuto il coraggio. Insomma, probabilmente non sarà un problema, probabilmente ci riderà anche sopra e mi considererà una stupida per aver pensato che una cosa del genere avrebbe potuto compromettere la nostra relazione, ma ho paura... > Concluse, sospirando e fissandomi negli occhi come se possedessi io tutte le risposte.

< Posso comprendere quello che provi, davvero, e capisco che spesso la paura ci costringe a tirarci indietro, a farci da parte, ma non sarebbe giusto tenergli nascosta una cosa così grande e sai benissimo che i segreti non portano a nulla. > Le feci presente.

Annuì soltanto, quasi stesse pensando la stessa, identica cosa.

< Sarà difficile fidarsi di lui dopo quello che ha... fatto con te. > Fece spallucce ed io sospirai. Allora era questo il vero problema?

< Alex, nessuno di noi sa come andranno le cose: probabilmente non lo rifarà più, probabilmente sarà così innamorato di te, da non lanciare uno sguardo neanche ad una ragazza bellissima a cui farà cadere la spesa a terra, ma la verità potrebbe anche essere il contrario. Andare a letto insieme è stato uno sbaglio; lo è stato per me, tanto quanto lo è stato per lui e di questo ne sono sicura. A quest'ora, in fondo, dovrei nutrire gli stessi dubbi su Robert. > Ammisi con candore, sorridendole per infonderle coraggio e forza.

< E' successo tanto tempo fa... > Cominciò, ma io la interruppi, scuotendo la testa.

< Non è questo il punto; è successo tanto tempo fa e da allora sono successe tante cose, ma chi mi assicura che non lo rifarà? Chi mi assicura che quando è via per lavoro, magari ad uno di quei party post-premiere, non si ubriachi e non finisca a letto con una ragazza qualsiasi? Non sono una maga, non posso predire il futuro, ma posso ancora fidarmi di lui e posso concedergli un'altra possibilità e la stessa cosa puoi fare tu con Tom. > Non potevo certo negare di non averci pensato quando Alex mi aveva confessato tutto. Lui avrebbe potuto pensare la stessa cosa di me, ma se volevamo andare avanti e costruire qualcosa, non potevamo rivangare continuamente sui nostri errori e sul nostro passato.

< Ci proverò. > Sorrise. < Come vanno le nausee? > Continuò, indicandomi.

< Non sono riuscita a fare colazione stamattina e pare che l'unica cosa che riesca a mangiare siano i biscotti al burro con il tè. > Feci spallucce, ricambiando il sorriso.

< Hai già pensato a qualcuno che possa seguirti? > Afferrò la sua borsa e cominciò a rovistarvi dentro alla ricerca di qualcosa.

< Effettivamente no; pensavo di chiedere un po' in giro. > Allungai il collo per cercare di capire cosa avesse preso in mano e cominciato a sfogliare con così tanta furia.

< Ecco, ti ho segnato qualche numero; ho chiesto a mia sorella e, visto che lei ha già avuto tre bambini, se ne intende di dottoresse. > Mi porse la sua agenda.

Osservai i numeri con i rispettivi nomi, sentendomi immediatamente in imbarazzo: mi sembrava di essere tornata bambina e di aver ancora bisogno della mamma che svolgesse per me questi compiti.

< Vuoi che chiami io per te? > Alex doveva aver letto il disagio sul mio volto.

< No, no, penso di farcela. Grazie per i numeri. > Risposi, sorridendole.

Sventolò una mano, segno che l'aveva fatto con piacere, dopodiché si allontanò, lasciandomi la privacy giusta per poter telefonare.

 

< Ho prenotato una visita per domani sera, pensi di esserci? > Alla fine mi ero decisa a telefonare e avevo optato per una donna, una certa dottoressa Grey. Non mi sarei mai sentita sufficientemente a mio agio con un uomo e poi, aveva un cognome molto più rassicurante rispetto agli altri e la sua voce al telefono, materna e sicura, mi aveva definitivamente convinta.

< Certo che sì! Non potrei mai mancare. > Notai i suoi occhi illuminarsi di gioia e pensai che non sarei potuta essere più fortunata di così: Robert era davvero tutto quello di cui avevo bisogno per sentirmi felice, in pace con il mondo intero.

< Ho sentito Tom. Pare abbia intenzioni piuttosto serie con Alex, adesso. > Mi rivolse uno sguardo stranito, come se fosse convinto fino in fondo di quelle parole.

< Sì, ne ho parlato oggi anche con lei. Tom non ha fatto altro che gironzolare per la libreria fino all'ora di pranzo, mentre lei cercava di ignorarlo. > Spiegai, lasciandomi massaggiare le gambe: le sentivo così gonfie e stanche, che non avevo fatto altro che brontolare per tutta la cena che mi sentivo come un'ottantenne, riuscendo soltanto a far ridere Robert.

< Mi ha spiegato un po' la situazione e pare che si sia finalmente reso conto di quali siano i suoi veri sentimenti per lei. > Continuò, ritornando con lo sguardo sullo schermo della tv dove stavano trasmettendo un vecchio film in bianco e nero, una storia d'amore tormentata.

< Non sei arrabbiato con lui? > Domandai esitante.

Fece spallucce, indifferente.

< Gli voglio bene, è mio amico e ho cercato di essere ragionevole: gli errori li commettiamo tutti e lui sa di aver sbagliato, è questo quello che conta. > Rispose sicuro.

Era lo stesso atteggiamento che avevo assunto nei confronti di Alexandra, eppure mi aspettavo che si sarebbe infuriato, se non con me, quantomeno con lui, il suo migliore amico di sempre. Forse eravamo più simili di quello che credevo, solo che non avevo mai avuto modo di rendermene conto.

 

La sera successiva Robert venne a prendermi in libreria. Non mi ero mai sentita così agitata; forse, soltanto quando Alex mi aveva accompagnata a vedere l'abito del mio matrimonio avevo sentito il cuore battere così forte.

Avevo trascorso la giornata in febbrile attesa: non avevo fatto altro che lanciare occhiate nervose all'orologio e durante la pausa pranzo non ero stata neanche in grado di scambiare due chiacchiere con Alexandra, perché non avevo fatto altro che assillarla sul fatto che sarebbe stata la prima vera ecografia e che speravo andasse tutto per il meglio. Lei, d'altronde, aveva sopportato i miei sfoghi con entusiasmo, sorridendomi e rassicurandomi sul fatto che sarebbe andato tutto bene e che non avrei avuto problemi.

Quando vidi Robert al di là della vetrina, gli corsi incontro ancora prima che lui avesse la possibilità di entrare in libreria, salutando Alex con un bacio veloce sulla guancia, promettendole che l'avrei chiamata appena rientrata a casa.

< Nervosa? > Mi chiese lui, sorridente, mentre camminavamo verso lo studio della ginecologa, a pochi isolati di distanza da Oxford Street.

< Molto. > Ammisi. Mi tremavano le mani e sentivo i battiti del cuore persino nelle orecchie.

Robert mi afferrò una mano, stringendola forte, tentando di far calmare il tremore. Il calore della sua pelle era confortante, così come lo era la sua presenza, eppure, quando salimmo le scale che ci avrebbero condotto al portone numero centosettantatre, mi aggrappai al suo cappotto, costringendolo a fermarsi.

< Ho cambiato idea: torniamo a casa? > Pigolai spaventata.

< Arlyn, è solo una visita di controllo, cosa vuoi che succeda? > Mi abbracciò, accarezzando la mia solita treccia.

< Ho paura. > Borbottai, aggrappandomi a lui. Dovevamo, come minimo, sembrare due pazzi a starcene così abbracciati sulle scale di un portone assolutamente anomalo.

< Ti prometto che andrà tutto bene e che non ti lascerò mai. > Mi assicurò, sollevandomi per portarmi di fronte al citofono. Suonò lui e il portone, tempo qualche secondo, si aprì automaticamente.

Mi separai dal suo abbraccio e salii la rampa di scale rimanente per raggiungere lo studio, il cuore in gola. La porta era aperta, così la spinsi e la schiusi quel tanto che bastava per permettere ad entrambi di passare, ritrovandomi in un appartamento confortevole e ben riscaldato, trasformato in studio privato.

Nella sala d'aspetto c'erano altre due donne, probabilmente di una decina d'anni più grandi di me, ed entrambe con il pancione che, sia io che Robert, osservammo quasi affascinati.

Robert mi porse una rivista per distrarmi, ma a malapena riuscii a leggere un articolo, tesa com'ero e lui dovette accorgersene, perché mi afferrò nuovamente la mano, rafforzando la presa di tanto in tanto e lanciandomi un'occhiata sorridente che io intercettavo puntuale come un orologio svizzero, cercando di ricambiare il sorriso.

< Prima ecografia? > Mi chiese la donna seduta accanto a me, che sembrava non aver distolto l'attenzione dalla sua rivista per tutto il tempo da quando eravamo arrivati.

Io arrossii e fu Robert a rispondere positivamente per me.

< Ero anch'io così nervosa. > Sorrise e il suo volto si illuminò, diventando, per un istante, ancora più felice e bello. Robert doveva aver ragione: le donne incinta diventavano davvero più belle.

< Ho come l'impressione che sverrò. > Ammisi, ridendo nervosamente e scatenando anche la sua ilarità e quella della sua vicina di posto.

< Lei è mia cognata, siamo entrambe all'ottavo mese. > Ci spiegò, indicandola.

< Congratulazioni! > Esclamò Robert, sorridendo beato.

< Ci arriverete anche voi; i mesi sembrano volare dopo l'ottava settimana. > In quell'istante la dottoressa chiamò un nome ed entrambe le donne si alzarono, dirigendosi verso la stanza accanto, chiudendosi la porta alle spalle.

Era poi così strano essere spaventata? Lanciai un'occhiata a Robert.

< Posso fare qualcosa per farti rilassare? > Mi domandò preoccupato.

Scossi la testa.

< Suppongo di no, sono tesa come la corda di un violino. > Risposi, poggiando la testa sulla sua spalla e chiudendo gli occhi.

Qualche minuto dopo la dottoressa chiamò il mio nome e Robert si alzò con me, seguendomi. Incrociammo i volti sorridenti delle donne di prima che mi augurarono buona fortuna e strinsero la mano a Robert, poi entrammo.

La prima cosa che notai, fu che era uno studio piuttosto singolare per essere quello di un medico: le pareti erano dipinte di una tonalità di verde pastello molto rilassante e alle pareti, oltre ai vari attestati conseguiti in università di prestigio, vi erano quadri raffiguranti volti di bambini e di madri, tutti molto colorati e rassicuranti.

La dottoressa Grey era una donna di mezza età, piuttosto robusta, ma dal sorriso cordiale e dolce. Ci fece accomodare entrambi e strinse la mano sia a me che a Robert, tranquillizzandomi.

Le spiegai la situazione, dopodiché mi invito a spogliarmi e ad indossare la vestaglia di carta che mi porse, per procedere alla visita.

Robert mi affiancò non appena fui pronta, sistemandosi dietro di me e stringendomi la mano, l'altra che aveva automaticamente trovato posto sulla mia fronte, accarezzandole con delicatezza per tranquillizzarmi.

Mi rivestii degli slip e della maglia non appena la dottoressa mi diede l'ok, poi mi distesi nuovamente sul lettino per procedere all'ecografia vera e propria.

< Ecco qui il vostro fagiolino. > Sorrise, indicando una zona più chiara delle altre. Era impossibile distinguere qualcosa di umano, ma tanto bastò a riscaldarmi il cuore. Strinsi più forte la mano di Robert.

La dottoressa stampò i fotogrammi e mi confermò quello che avevo appreso attraverso il test di gravidanza: ero incinta di circa cinque settimane..

Quando ci salutò, rinnovando l'appuntamento per il mese seguente, tirai un sospiro di sollievo e Robert, appena fuori dallo studio, catturò il mio viso tra le sue mani e mi baciò le labbra, facendomi sorridere.

< Quasi non ci credo che sia vero. > Mi sussurrò, poggiando la fronte contro la mia, guardandomi negli occhi.

< Non dirlo a me. > Risposi, facendolo ridere, baciandolo ancora e ancora, felice come non lo ero mai stata.

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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Capitolo 25
*** Future Comes ***


Salve a tutte!

Scusate l'imperdonabile ritardo, so che avrei dovuto aggiornare stamani, ma quando cominciano a venire a trovarti parenti e amici così, all'improvviso, sono capaci di stravolgerti la giornata, per cui chiedo venia e perdono ç.ç

Che dirvi di questo capitolo? Innanzitutto, che è l'ultimo, prima dell'epilogo che, la fortuna dalla mia parte, dovrei riuscire a pubblicare la settima prossima, tra martedì e mercoledì; secondo, ci tenevo a precisare che io, in quanto a Medicina e cose simili, non ho nessun tipo di competenza, perciò, se notate qualche castroneria, non esitate a dirmelo, anche perché imparare cose nuove è sempre positivo ed io non sono certo la tipa che si offende per cose simili; terzo, il nome Sally mi sta particolarmente a cuore, perché mi ricorda sempre Susy Salmon, la protagonista del libro Lovely Bones-Amabili Resti, un libro che davvero mi ha toccato e mi è rimasto dentro, anche perché non racconta assolutamente nulla di trascendentale, ma qualcosa che potrebbe succedere ad ognuna di noi e che, purtroppo, è ancora oggi una triste verità; quindi, se non l'avete letto, fatelo e se l'avete letto, regalatelo, perché è qualcosa di meraviglioso *.*; ultimo appunto, non ho avuto tempo di rileggere, quindi perdonate eventuali orroracci di grammatica italiana ù.ù.

Credo di aver concluso. Spero che le vacanze natalizie siano state felici, serene e gioiose per tutte! <3

Approfittando di questo, vi auguro anche una felice fine e uno scoppiettante inizio d'anno a tutti! BUON 2012! *.*

Buona continuazione di settimana e, come di consueto,

 

 

 

 

 

Buona Lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La settimana successiva, con l'approssimarsi del Natale e dello shopping natalizio, ebbi pochissimo tempo a disposizione per rimuginare sul fatto che di lì a otto mesi avrei dovuto cominciare a prendermi cura di un bambino; avrei dovuto imparare a cambiargli i pannolini, a cullarlo per farlo addormentare, a fargli il bagnetto, a dargli la pappa e sarei diventata più responsabile e matura.

Quando l'avevo comunicato ai miei genitori, decidendo di andarli a trovare piuttosto che telefonargli, facendo risultare il tutto più freddo e distaccato, oltre alla gioia iniziale del diventare finalmente nonni, oltre alle congratulazioni a Robert e agli sguardi commossi e orgogliosi che mi rivolsero, non persero occasione, facendoci accomodare in terrazza e servendoci una tazza di tè, per rammentarmi che la gravidanza mi avrebbe resa più forte, più indipendente e soprattutto più grande. Mia madre non avrebbe escluso che avrebbe potuto aiutarmi a ricordare qualcosa di più su di me, anche se io nutrivo ancora forti perplessità in merito.

Non era più così importante recuperare la memoria, non era più così importante riuscire a ricordarmi cos'era davvero successo quella sera, quando avevo preso l'auto e avevo guidato fino al momento dell'incidente; non lo era, perché avevo il presente di cui occuparmi, perché, volente o nolente, una nuova vita stava crescendo nel mio grembo e non sarei mai riuscita a guardare al futuro se prima non fossi stata in grado di abbandonare il passato. E poi, tutto quello di cui avevo bisogno era accanto a me e aveva un nome e un sorriso splendidi: Robert.

Dopo tutto quello che avevamo dovuto affrontare per stare insieme, sembrava assurdo ritrovarmelo accanto ogni mattina, aprire gli occhi con la consapevolezza che lui era lì, che ci sarebbe sempre stato e che mi avrebbe stretto la mano ogni notte prima di addormentarmi.

Era qualcosa alla quale non potevi semplicemente abituarti.

Quella mattina, dopotutto, non fu diversa dalle altre: mi ero svegliata con il suo respiro caldo, placido e tranquillo tra i capelli e le dita della mano sinistra intrecciate alle sue. Sorrisi e gli accarezzai una guancia, sperando che le mie dita non fossero così fredde da svegliarlo.

Erano trascorsi cinque mesi dalla sera della prima ecografia, cinque mesi e due settimane, per la precisione e la mia pancia era più che evidente, ormai.

Avevamo trascorso il Natale in casa Pattinson e le nipoti di Robert, Emily e Cloe, figlie di Victoria, le stesse bambine che lui mi aveva ricordato di adorare, non avevano fatto altro che poggiare l'orecchio sul mio maglione teso per tentare di carpire anche il più piccolo rumore. Erano curiose di sapere se si trattasse di una femminuccia o di un maschietto, ma noi avevamo deciso di non volerlo sapere fino alla data del parto, nonostante l'ostetrica ci avesse ripetutamente annunciato di poter dichiararne il sesso con assoluta sicurezza. Io preferivo l'effetto sorpresa, sebbene i miei genitori e quelli di Robert avevano cominciato a lamentarsi del fatto che non avrebbero potuto acquistare nessun regalo sicuro. Io continuavo a sostenere che non c'era certo bisogno di comprare un passeggino rosa o azzurro, o una tutina rosa o azzurra, che ce n'erano di centinaia di colori diverti, neutri, ma loro erano tradizionalisti e volevano fare le cose per bene, perciò, avevano finito con l'esaurirsi nell'esplorazione di ogni singolo reparto bebè di ogni singolo negozio di Londra e dintorni.

Alexandra sembrava essere stata l'unica a non essersi persa d'animo, visto che mi aveva già fatto dono di una bellissima borsa per riporre tutto il necessario per il bambino e di una bellissima tutina verde acqua che, come aveva lei stessa specificato, sarebbe stata perfetta sia per una bambina che per un bambino.

Robert si schiarì la voce e aprì un occhio, constatando che era già mattina e che io ero già sveglia e sorrise, portandosi più vicino al mio viso per baciarmi una guancia.

< Buongiorno. > Mormorò, slegando le nostre dita e accarezzandomi, come sua abitudine, il pancione.

< Ben svegliato. > Risposi, accarezzandogli i capelli.

< Come ti senti? > Mi domandò, aprendo definitivamente gli occhi.

< Benissimo. > Sorrisi. Se escludevamo qualche piccolo calcio durante la giornata e qualche piccolo movimento quando mi sdraiavo per dormire, il bambino era piuttosto tranquillo, quasi invisibile, se non per la pancia.

< Sembra tu stia per partorire, sai? > Scherzò, continuando ad accarezzarmi il ventre con dolcezza e premura.

Ero abituata a quella frase, me la ripetevano tutti, anche i clienti della libreria e io rispondevo che, di certo, non sarei esplosa, o, almeno, lo speravo, facendoli scoppiare irrimediabilmente a ridere.

< So che sto diventando una mongolfiera, grazie, ma non c'è bisogno di ricordarmelo ogni giorno. > Alzai gli occhi al cielo. Se all'inizio non facevo che posizionarmi di profilo davanti allo specchio per tentare di intravedere i primi segni evidenti che fossi incinta, adesso era diventato così normale veder lievitare la mia pancia, che quando mi legavo i capelli davanti allo specchio e, sollevando le braccia, la maglietta automaticamente lasciava intravedere il pancione, sorridevo soltanto e scuotevo la testa divertita. Non era un problema prendere peso, anche se a stento riuscivo a sedermi su una sedia o a sdraiarmi.

< Ma tu ogni giorno diventi più bella, quindi dov'è il problema? > Mi baciò la bocca e mi sistemò i capelli dietro le orecchie. Dovevo ammetterlo: fare l'amore con lui mi mancava, ma avevamo deciso di essere prudenti, anche se l'ostetrica aveva più volte sottolineato che non ci sarebbero stati problemi per il bambino se avessimo fatto attenzione.

< Sei un bugiardo. > Gli morsi una guancia in maniera scherzosa, facendolo protestare.

< Non potrei mai mentirti, lo sai. > Mi baciò di nuovo prima che il suo cellulare cominciasse a suonare.

Mugugnai in disapprovazione quando si allontanò appena da me per recuperarlo, sussurrandomi uno scusa, dolly. 

Lo sentii discutere di bagagli, biglietti aerei, prenotazioni di alberghi e di orari di lavoro, ma non riuscii a ricollegare le cose fino a quando non mi ricordai che l'indomani sarebbe dovuto partire per le riprese di un nuovo film a Vancouver.

Strabuzzai gli occhi quando me ne resi conto: me ne aveva parlato esattamente sei mesi prima, qualche giorno prima che partisse per la premier di Bel Ami a Praga e poi me l'aveva ricordato qualche settimana prima, ma io ero stata troppo presa dai miei pensieri per farci caso e in quel momento non potei fare a meno di darmi della stupida: come avevo potuto dimenticare una cosa simile?

Ero diventata, senza neanche rendermene conto, il centro dell'universo di tutti e non avevo minimamente dato peso al resto del mondo.

Quando Robert attaccò e si lasciò cadere all'indietro sul materasso con un sospiro, lo osservai: non sembrava particolarmente entusiasta della partenza, come non lo ero io, d'altronde.

< Vorrei non dover partire. > Sbuffò, guardandomi.

< E' il tuo lavoro e hai firmato un contratto mesi fa, prima che io rimanessi incinta. > Non potevo piangere come avevo fatto sei mesi prima, perché disperarmi non sarebbe servito ad altro se non a farlo preoccupare di più, tanto da annullare il progetto per rimanermi accanto e allora l'avrei avuta vinta, ma lui, lui cosa avrebbe guadagnato? C'era sempre stato per me, mi aveva aiutata, mi aveva sostenuta e mi aveva accompagnata ad ogni singola visita di controllo; aveva esaudito le mie richieste ed era stato disposto a rimanere sveglio con me intere notti quando le nausee non facevano altro che darmi il tormento, lasciandomi credere che non sarebbero mai scomparse. Era arrivato il momento di essere io a dargli forza e sostegno.

< Lo so, ma lasciarti in queste condizioni, a soli tre mesi dal parto... > Lo interruppi.

< Non sono malata, sono incinta e sto benissimo e le riprese dureranno solo dieci settimane. Ce la farai ad essere presente quando partorirò. > Sorrisi sicura.

< E se non dovessi farcela? Sarei dall'altra parte del mondo e mi sarebbe impossibile raggiungerti prima di sei ore e non sarò con te, non potrai stringermi la mano e non sarò il primo a sapere se sarà un maschietto o una femminuccia. > Riprese lui, testardo.

< Ci sarai e andrà tutto bene, ne sono sicura. > Incrociai i suoi occhi lucidi e gli scompigliai i capelli. < E sarai il primo a sapere se sarà maschio o femmina, anche a costo di portarmi un cellulare in sala parto. > Continuai, facendolo ridere.

< Vorrei che partissi con me. > Mi baciò la fronte e poi la tempia.

< Mi mancherai anche tu. > Risposi, perché sarei voluta partire con lui anch'io.

 

Quando lo salutai in aeroporto, il giorno successivo, mi sembrò di ritornare indietro nel tempo, quando i flash mi facevano paura e le domande dei giornalisti mi paralizzavano. Ora sorridevo, nonostante il fatto che stessi aspettando un bambino da lui senza che fossimo nemmeno sposati avesse attirato moltissime malelingue sul mio conto nei mesi precedenti, non riuscendo, però, a scalfirmi.

Ero orgogliosa di come ero riuscita a crescere dopo l'incidente e lo dovevo in particolar modo a Robert e, perché no, anche ai miei sbagli, ad Alexandra, come a Tom, come a Kristen, che mi aveva convinta a dare un'altra possibilità al mio ex-fidanzato.

Non risposi alle domande che mi vennero poste, ma non mi nascosi ai flash, così come Robert non si fece così tanti scrupoli dal salutarmi all'ingresso del gate, abbracciandomi, baciandomi dolcemente e raccomandandomi di fare la brava.

Alexandra, il giorno dopo, aveva suonato il campanello e si era impossessata del mio letto, mostrandomi l'ultimo giornale di gossip londinese con in copertina una foto di me e Robert all'aeroporto. Era davvero buffa, perché lui era così alto da sembrare un gigante ed io, che non ero mai andata fiera del mio metro e settantadue scarso, sembravo una bambina con un groviglio di stoffa nascosta sotto la maglia. Ci stavamo abbracciando e Robert aveva gli occhi chiusi, il mento sulla mia spalla, una mano tra i miei capelli sciolti e una sul ventre pronunciato, a mo' di saluto.

< Avete fatto notizia. > Furono le prime parole che disse, rubandomi un biscotto. < Non dovresti mangiarne, sai? Sono pieni di conservanti e fanno male al bambino. > Continuò, sfogliando la rivista sotto il mio sguardo allibito.

< Sono biologici e poi ho voglia di cioccolata. > Risposi, sedendomi accanto a lei con fatica.

Non mi diede retta, quasi non avessi parlato, e mi passò la rivista non appena ebbe trovato l'articolo a me dedicato.

Non avevo mai dato peso ai gossip, anche perché avevo imparato che sapevano gettare fango su persone alla mercé di un pubblico troppo condizionato da ciò che leggeva e che, nel bene o nel male, si sarebbe fatto un opinione di loro, vera o falsa che fosse, senza tener presente i suoi veri sentimenti, la sua vera vita, quella fuori dai riflettori.

Non era un vero e proprio articolo, quanto piuttosto delle foto che occupavano intere pagine e qualche didascalia di spiegazione accanto, le solite notizie.

< Strano non abbiano inventato niente, questa volta. > Ironizzai, passandole nuovamente il giornale e afferrando un altro biscotto.

< Uhm... forse perché siete stati così disponibili da concedervi ai flash durante le vostre coccole. > Rispose.

< E' stato Robert a lasciarsi andare così; fosse stato per me, mi sarei nascosta da qualche parte, anche se non abbiamo niente da nascondere e i giornalisti non sono più un problema. > Riafferrai la rivista, cominciando a sfogliarla a caso, senza prestarvi troppa attenzione, fin quando non scorsi una figura familiare, abbigliata con una maglia bianca e un jeans semplice, occhiali da sole e barba, quasi a camuffarsi.

< Ehi, non è Tom, questo? > Riflettei ad alta voce, ma Alex era troppo impegnata con i miei biscotti per ascoltare, così voltai pagina e non ebbi dubbi sul fatto che fosse proprio lui, perché la foto era così grande e nitida che solo un cieco non l'avrebbe riconosciuto. Questa volta, però, le figure erano due: Tom accompagnato da quella che doveva essere una ragazza, all'apparenza irriconoscibile, visto che aveva il volto nascosto da un enorme cappello di paglia a tesa larga e manteneva lo sguardo basso.

Nuova coppia all'orizzonte? Recitava il piccolo trafiletto, corredato da una terza foto dove i due si baciavano appassionatamente, appena fuori da uno Sturbucks.

Assottigliai lo sguardo e avvicinai di più la rivista per tentare un'identificazione: avrei giurato fosse Alex, quantomeno dal taglio di capelli e dalla mini-gonna a balze bianca che le avevo visto indossare centinaia di volte.

< Confessa: sei tu, vero? > Praticamente le sbattei le foto sotto il naso, mentre lei si ritirava spaventata dal mio gesto repentino, lasciando cadere metà biscotto sul parquet.

Osservò le foto e lesse il trafiletto, dopodiché, cambiò colore, diventando paonazza.

< Non ci posso credere! Siamo stati attenti! > Sbottò, fissando la parete e non me.

< Non puoi pretendere di camminare per Oxford Street con una celebrità e non essere fotografata da almeno un paio di paparazzi. > Sorrisi. Non sapevo che la sua relazione con Tom si fosse evoluta così rapidamente.

Avevano ricominciato a frequentarsi soltanto due mesi prima, senza considerare le uscite tutti insieme dei primi tempi, subito dopo la riconciliazione e l'ammissione delle proprie colpe. Alexandra aveva chiarito che voleva andarci piano, non voleva correre e a Tom era sembrata la cosa giusta da fare, senza contare che si comportava come un ragazzino alla sua prima cotta: le augurava una buona giornata dopo averla accompagnata in libreria, salutandola con un bacio sulla guancia, le telefonava il pomeriggio per sapere se era troppo stanca, se aveva avuto molto lavoro e se doveva annullare i loro programmi per la sera e poi la passava a prendere all'ora di chiusura con una rosa, facendo arrossire lei e sorridere me e gli ultimi clienti. Stava facendo le cose per bene ed ero sicura che Alex lo meritasse, meritasse di essere trattata così, meritasse qualcuno in grado di farla sentire speciale così com'era.

< Avrei dovuto immaginarlo! > Sbottò.

< Non è così grave, no? Siete usciti allo scoperto ed è una cosa positiva. > Ribattei, incoraggiandola.

< Lo è? > Chiese, guardandomi persa, stranita.

< Sì, sì che lo è, lo è eccome! Non dovrete più nascondervi e, superato il periodo di caos iniziale, i paparazzi si stancheranno di voi e vi lasceranno in pace. > Risposi. Era esattamente quello che era accaduto a me e a Robert.

< Pensi che stiamo correndo troppo? > Mi chiese. Sorridevo e mi si stringeva il cuore al pensiero che Alex fosse cambiata così tanto in così poco tempo, che fosse tornata un'adolescente alle sue prime esperienze con i ragazzi.

< Se senti che è giusto, non stai correndo troppo. E poi sono davvero felice per voi! Insomma, siete adorabili insieme! > La abbraccia, per quanto potessi permettermelo e la vidi sorridere felice.

 

Quella sera, ancora prima di andare a letto, ancora prima di realizzare che, finalmente, dopo dieci settimane di assenza e dopo centinaia di telefonate e sms, Robert era a casa, ancora prima di prendere in considerazione l'eventualità che avrei potuto partorire da un momento all'altro, sentii che c'era qualcosa di strano nell'aria, nell'atmosfera che si respirava in casa e non dipendeva solo dal fatto che non ero più sola e che non avrei più condiviso il letto con un orsacchiotto di peluche perché svegliarmi tutte le mattine con accanto il vuoto era troppo deprimente. Forse dipendeva dal fatto che Robert era così felice al pensiero che, dopotutto, era a casa e non si era dovuto perdere la nascita di suo figlio, che anch'io mi ero rilassata inconsapevolmente e fu solo quando, già sotto le coperte, in attesa che lui mi raggiungesse a letto dopo una doccia, avvertendo una fitta al basso ventre decisamente poco usuale, che realizzai che, forse, l'atmosfera in casa era diversa perché tutto sembrava in fervida attesa di qualcosa o di qualcuno.

Robert mi trovò con gli occhi chiusi, stretti, una mano sul pancione e l'altra che arpionava un lembo delle lenzuola.

< Che succede, dolly? > Mi domandò apprensivo, sedendosi accanto a me e accarezzandomi i capelli. Aveva indosso ancora l'accappatoio e una nuvola di profumo di vaniglia mi invase le narici quando allungò una mano verso di me, facendomi tornare a respirare.

< Credo che... insomma... forse ci siamo. > Risposi.

Strabuzzò gli occhi e la sua espressione sorpresa e meravigliata, per un attimo, mi fece prendere in considerazione l'idea di ridere, se solo non fosse risultato piuttosto indelicato.

< Vuoi dire che stai per... > Lo studiai per qualche istante, in attesa che pronunciasse la parola partorire, ma l'unica cosa che era in grado di fare, era gesticolare e stropicciarsi i capelli ancora umidi.

< Non ne ho idea; ho sentito una fitta piuttosto forte al basso ventre e non mi era mai successo prima, perciò... > Feci spallucce.

< E' presto, no? Voglio dire, manca ancora una settimana! > Era preoccupato, riuscivo a leggerglielo negli occhi.

< Beh, non è così presto e la dottoressa mi aveva avvertita, in ogni caso. > Quasi nessun bambino, ormai, nasceva il giorno esatto delle previsioni dell'ostetrica.

< Credi che dovremmo andare in ospedale? > Chiese. Mi fece una tenerezza unica, perché era chiaro che non avesse idea del cosa fare e di come farla.

< Suppongo di sì; potrebbe essere un falso allarme, ma meglio controllare comunque. > Scostai le coperte e mi misi seduta, mentre osservavo Robert cominciare a vestirsi in tutta fretta.

La nostra stanza da letto, ormai, traboccava di oggetti per neonati: giocattoli, sonagli, tutine di tutti i colori, una culla ancora da montare, un passeggino, carta da parati con palloncini e orsacchiotti e secchi di vernice. Avevamo deciso di sistemare la vecchia stanza degli ospiti, considerato che non la utilizzava più nessuno e Robert, prima della partenza per Vancouver, si era dato da fare per smantellare il vecchio mobilio. Nell'attesa, avevamo sistemato tutto il necessario nella nostra stanza da letto, in un angolo, tanto che sembravamo degli accampati. Era divertente, però e sapeva di futuro, di qualcosa che avremmo messo su con le nostre sole forze.

Quindici minuti dopo eravamo in viaggio verso l'ospedale, anche se non avevo accusato più nessuna fitta e nessun dolore. Fortuna che avevo preparato la borsa per il piccolo o la piccola tempo addietro, altrimenti avrei perso soltanto tempo a scegliere copertine e tutine varie.

< Tutto bene? > Mi chiese Robert, lanciando un'occhiata a me e una alla strada.

Annuii.

< Bene. Forse era un falso allarme. > Pensai ad alta voce, facendo spallucce.

All'accettazione avevo spiegato il mio problema, qualche minuto più tardi, Robert che mi stringeva la mano, e l'infermiera aveva subito comunicato l'urgenza all'ostetrica di turno che ci accompagnò in un piccolo laboratorio radiografico, aiutandomi a stendere per eseguire un'ecografia.

Sembrava fosse proprio arrivato il momento: la posizione del bambino era quella giusta e tutti i parametri sembravano normali.

Fu in quell'istante che mi resi conto, probabilmente, che di lì a poche ore avrei stretto tra le braccia un bambino tutto mio, tutto nostro. Non importava quanto avrei dovuto soffrire, non importava se sarebbe stato difficile o meno, volevo solo conoscerlo, fargli capire che gli volevamo bene, che gliene avremmo sempre voluto e che avremmo cercato di essere dei buoni genitori per lui.

Anche Robert aveva paura, una paura diversa dalla mia: era quella per cui non riuscivi nemmeno a pronunciare una frase di senso compiuto, quella per cui saresti potuto svenire da un momento all'altro, quella che voleva dire solo una cosa: non sentirsi all'altezza; eppure io ero sicura che sarebbe stato un ottimo padre, così come per me si era rivelato un ottimo fidanzato.

Quando decise di accompagnarmi in sala parto, avrei voluto tenerlo lontano, dirgli che non era obbligato, ma la determinazione nei suoi occhi mi fece desistere e così gli permisi di stringermi la mano e di accarezzarmi i capelli.

Tre ore dopo stringevo tra le braccia un fagottino rosa di due chili e ottocentonovantasei grammi.

< Avete deciso come chiamarla? > Ci chiese Clare, osservandola dormire pacificamente nella culla che avevano posizionato accanto al mio letto.

Ero stremata e avevo avuto modo di dormire soltanto un'ora, prima dell'arrivo dei miei genitori e di quelli di Robert.

< Pensavamo Susy o Lily. > Rispose Robert, sorridente. Alla fine avevo lasciato decidere tutto a lui, perché la bambina gli assomigliava in maniera incredibile: stessi capelli biondi, stessi occhi azzurri profondi e stessa espressione dolce.

< Susy è perfetto. > Tom la sollevò in braccio, miracolosamente senza svegliarla, e cominciò a cullarla, camminando avanti e indietro per la stanza sotto lo sguardo attento di Robert e Alexandra.

< Come ti senti? > Robert si sedette accanto a me, sistemandomi qualche ciocca di capelli dietro l'orecchio.

< Bene, ma non credo di riuscire a reggere per molto. > Ammisi con un sorriso, lasciandomi andare alle sue carezze.

< Posso mandare via tutti, se vuoi. > Scherzò, avvicinandosi per baciarmi una guancia.

< Non sarebbe una cattiva idea, voglio dormire. > Misi il broncio e lui sorrise, baciandomi le labbra.

< Sai che ti amo e che questo è il secondo miglior regalo che potessi farmi? > Congiunse la fronte alla mia e mi guardò negli occhi, sincero e felice.

Aggrottai le sopracciglia.

< E il primo quale sarebbe? > Chiesi curiosa e confusa.

< Dirmi che vuoi ancora sposarmi. > Mormorò.

Portavo ancora il vecchio anello di fidanzamento che mi aveva regalato anni addietro, prima dell'incidente e della mia conseguente perdita di memoria, per cui, mi sentivo, in qualche assurdo modo, già sua, già sua moglie.

< Conosci già la risposta. > Gli feci una linguaccia. < Assolutamente sì. > Continuai, baciandolo ancora e cominciando, senza essermene neanche resa conto, a piangere di felicità.

Era tutto quello che avevo sempre desiderato, tutto quello di cui avevo sempre avuto bisogno ed era vero, reale.

Non avrei potuto chiedere di meglio.

 

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Capitolo 26
*** Happy Christmas-Epilogo ***


Salve!

Eccomi, come promesso, ad aggiornare con l'Epilogo di questa Ff.

Che dire? Ovviamente, che dispiace tantissimo anche a me che questa storia si sia conclusa, un po' perché mi ero affezionata irrimediabilmente ad Arlyn, un po' perché mi ha permesso di esprimere alcuni dei miei sentimenti repressi circa situazioni/eventi e un po' perché è stato un piacere vedere come una Ff nata assolutamente per caso da una vecchia shot che avevo scritto per un contest, abbia potuto attirare così tante persone che hanno avuto la costanza, la voglia e la passione (spero) di leggere, commentare e inserire tra i preferiti/da ricordare/seguite.

E' anche per questo motivo che ci tengo in particolar modo a ringraziare tutte le meravigliose persone che hanno letto, commentato (con assiduità o meno), che hanno inserito la Ff tra le seguite/preferite/da ricordare, che sono state in silenzio, ma hanno apprezzato ugualmente (o non l'hanno fatto), a chi si è immedesimato, almeno un po', con Arlyn e con le sue emozioni, a chi si è arrabbiato durante una particolare scena, a chi ha pianto o si è semplicemente commosso, a chi qualche personaggio, a volte, ha fatto pena e con tutti quelli che ce l'hanno avuta con Alex quando meritava, ma che poi, alla fine, hanno gioito quando hanno scoperto di lei e Tom; a tutte queste persone e anche a coloro che non ho nominato un sentito e vivissimo GRAZIE dal più profondo del cuore, perché senza di voi non avrei mai portato avanti questa Ff e adesso non stareste leggendo questi ringraziamenti.

Questa Ff è dedicata un po' a tutti voi dell'universo splendido di EFP, un po' a chi mi ha sempre seguita (e a chi ha cominciato a farlo da poco) e un po' a me stessa, perché ne avevo bisogno.

Volevo ricordare che il titolo di questa Long-Fic proviene da una canzone dei Placebo e il link è questo: You don't care about us (with lyrics)

La scena dell'Epilogo l'ho ripresa, minuto per minuto, da un vecchio video di uno dei primi Natale di mia cugina. In verità non avevo intenzione di riportare una cosa del genere in un Epilogo, cioè, un qualcosa che rimandasse al quotidiano sì, ma non di un Natale; poi, per caso, mi è capitato di rivedere questi vecchi video e ho avuto l'ispirazione :) ci tenevo a specificarlo, onde evitare equivoci o simili :)

Vi ricordo anche, se è lecito, che ho all'attivo una Long-Fic sul fandom Twilight e che si intitola Dreams are Wishes (cliccate sul titolo per andare alla Ff) e che, se vi va e siete appassionate anche di Twilight, mi piacerebbe apprezzaste.

Per il resto, ho in mente un'altra Long-Fic con protagonista Robert Pattinson, ma per il momento è solo un progetto e credo comunque che non vedrà luce se prima non avrò completato le altre Ff in sospeso. Vi terrò comunque aggiornate sul mio profilo Facebook che trovate come link nel mio profilo EFP (quello Gruppi e non quello Personale) :)

P.S. Ovviamente l'Epilogo è al presente perché tutta la storia fino ad ora erano, se non si era compreso, ricordi e narrati, quindi, al passato :)

Vi lascio, ringraziandovi ancora una volta e con la speranza che questo Epilogo vi piaccia.

Buon Anno a tutti, buone vacanze e...

 

 

Buona Lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Un anno e cinque mesi dopo.

 

< Susy! Susy, guarda la mamma! > Robert sta cercando, inutilmente, da quaranta minuti buoni di convincere Susy ad alzare lo sguardo verso la macchina fotografica che io continuo a muovere da un lato all'altro, nella speranza di riuscire a scattare almeno una foto ricordo di questo Natale.

Susy, però, non sembra così collaborativa, anzi; non appena sente il suo nome, alza la testa, poi, decretato che non è niente di interessante, torna ad occuparsi del mini-pianoforte che i miei genitori le hanno regalato, schiacciando tasti a caso.

Robert, seduto dietro di lei, le mani sui suoi fianchi, cerca di distrarla come può, ma lei emette solo qualche verso indistinto e poi scoppia a ridere, una risata contagiosa che coinvolge anche lui e me.

< Susy, la facciamo una foto noi due, insieme? > Robert la solleva in braccio, poi lascia che poggi i piedini sulle sue cosce, reggendole per i fianchi e facendole segno di guardare verso di me, ma, tempo due secondi, neanche quello necessario per inquadrarli, e Susy comincia a piangere disperata, cogliendo Robert di sorpresa, tanto che riesce, appena in tempo, a mantenerla in equilibrio e ad abbracciarla prima che cada.

< Non c'è verso di farla stare ferma. > Ripongo la macchina fotografica nella sua custodia, abbandonandola sul divano e osservando Robert che cerca di farla calmare scuotendo il suo sonaglio preferito.

< E' troppo distratta dai regali, forse più tardi riusciremo a farla ragionare. > Penso ad alta voce.

Lo scorso Natale siamo riusciti a riempire un intero album di foto, ma Susy aveva solo cinque mesi e non era ancora in grado di camminare, quindi era decisamente più semplice avere la sua attenzione; adesso che ha cominciato a gironzolare dappertutto, è un miracolo se riusciamo a chetarla per farla mangiare.

< Eppure ieri sera, con Tom e Alexandra, era molto più disponibile. > Si imbroncia, lasciando a Susy il suo sonaglio, che, nel frattempo, ha smesso di piangere e sembra essere tornata a divertirsi come prima.

Sorrido e mi siedo a terra accanto a lui, scompigliandogli i capelli e baciandogli una guancia.

< Sei già geloso di tua figlia? > Lo prendo in giro.

< No, ma è la verità! > Risponde, prima che il rumore del sonaglio, lanciato lontano, in un punto imprecisato della stanza, ci spaventi.

Susy sembra aver cambiato meta e punto di interesse, perché si dirige a passo di marcia verso la custodia del cellulare di Robert, lasciata incustodita sul divano.

Gliela sottraggo, allungandomi verso di lei, prima che possa anche solo pensare di metterla in bocca, lasciandola disorientata.

< Non in bocca. > Le dico seria, sollevandola e riportandola vicino a noi, davanti al suo nuovo giocattolo.

Passo la custodia a Robert e i suoi occhi azzurri e vivaci seguono il mio movimento, poi ritornano su di me, come a ponderare quello che le ho detto qualche secondo prima. Incurante, allunga le mani verso l'oggetto del desiderio, mentre Robert lo nasconde dietro la schiena.

< To-ta ta-ta! > Esclama, gattonandogli intorno, mentre io sorrido divertita.

< Ta-ta cosa, eh? > La prende in giro lui, alzando il braccio con la custodia in mano. < Vuoi questa? > Le domanda, innocente.

Susy fa cenno di sì con la testa e si rialza in piedi per raggiungerla.

< Ta ta ta ta ta ta! > Continua, allungandosi quanto può, urlando quasi.

< D'accordo, tieni. > Robert gliela porge, e lo sguardo di Susy si illumina felice, prima che Robert nasconda nuovamente la custodia dietro la schiena.

< Non c'è più! > Esclama anche lui, sorpreso, lasciandola perplessa.

La custodia riappare e anche il sorriso di nostra figlia.

La custodia sparisce e i suoi occhi si spengono. Come le lucine dell'albero di Natale.

Robert abbandona la custodia tra le mie mani, dopodiché afferra Susy e comincia a farle il solletico.

< Falla sparire, prima che torni a reclamarla. > Mi suggerisce ed io mi alzo controvoglia per andare a posare la custodia sul tavolo della cucina.

Quando rientro in salotto, Robert sta fingendo di morderla, mentre Susy ride divertita ed io mi siedo sul divano per godermi la scena con un sorriso.

Sapevo dall'inizio che Robert sarebbe stato un papà splendido e un marito impeccabile.

A volte mi capita ancora di rimanere imbambolata quando osservo la fede semplice che porto al dito, quasi non fosse la mia vita, ma quella di un mio alter-ego, di una qualche mia sosia. Da quando Alex mi aveva accompagnata a vedere il mio vestito da sposa, non avevo fatto altro che immaginarmelo indossato da me, ad una vera cerimonia, con tanto di invitati, rinfresco e torta, ma non avrei mai creduto fino in fondo che sarebbe successo, non dopo tutti i trascorsi.

Invece, quando mio padre mi si era avvicinato per accompagnarmi all'altare, quando le porte dell'abbazia si erano spalancate ed io avevo intravisto la figura di Robert attendermi sorridente, bellissimo nel suo completo elegante, la verità che fossi proprio io la sposa, la ragazza forse cresciuta un po' troppo in fretta, ma che adesso aveva tutta l'intenzione di costruirsi una famiglia, mi scivolò addosso, facendomi rabbrividire e facendomi scoppiare in lacrime e a poco erano valsi gli incoraggiamenti di mio padre. Neanche quando depositò la mia mano in quella di Robert riuscii a darmi un contegno, il sacerdote che continuava a fissarmi come se stessi per avere una crisi di nervi; ma come potevo far capire a tutti che ero solo felice, maledettamente felice di trovarmi lì, di avere accanto Robert e di non essere sola?

< Chiama la mamma, Susy, forza, ma-mma. > La voce di Robert mi costringe a ritornare al presente e a mia figlia che allungava una mano nella mia direzione, sorretta da suo padre.

< Maaaa-ma, ma-ma. > Pronuncia a malapena, muovendo qualche passo verso di me.

Senza farmelo ripetere due volte, le afferro la manina e mi inginocchio accanto a lei, baciandole una guancia paffuta.

< Diamo gli auguri alla mamma, Susy. > Neanche il tempo di dirlo, sono entrambi addosso a me, come un piccolo tornado che mi costringe a ricadere distesa sul tappeto e a ridere, mentre cerco di fare il solletico a entrambi.

E mentre Susy decide che è arrivato il momento di scartare un altro regalo, barcollando verso l'albero dietro di noi, Robert si porta all'altezza del mio viso e mi bacia dolcemente.

< Buon Natale, signora Pattinson. > Mormora l'istante successivo, facendomi sorridere.

< Ti amo. > Riesco soltanto a rispondere, stringendomelo vicino al cuore, lì dove voglio che resti per sempre insieme a Susy.

 

 

 

 

 

 


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