Abbandonata

di zenzero
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Risveglio ***
Capitolo 2: *** Mostro? ***
Capitolo 3: *** Non è come sembra ***
Capitolo 4: *** Guai ***
Capitolo 5: *** Casa ***
Capitolo 6: *** Orgoglio ***
Capitolo 7: *** Due Parole ***
Capitolo 8: *** Verità ***
Capitolo 9: *** Nave ***
Capitolo 10: *** Fantasma ***
Capitolo 11: *** Lotta ***
Capitolo 12: *** In Viaggio ***



Capitolo 1
*** Risveglio ***


Stamattina mi svegliai molto presto. C’era qualcosa di diverso, nell'aria. Era più caldo del solito. Bogo sembrava agitato. Abbaiava in continuazione, come se avesse visto qualcosa d’interessante. Forse era stato proprio il suo guaito a svegliarmi.
Mi vestii in fretta, mi lavai la faccia e corsi dal mio cagnone. “Cagnone” per modo di dire. Certo, era un pastore tedesco adulto di grossa taglia, ma per me era un piccolo cucciolo.
Mi ero sempre chiesta come avesse fatto un cane di tale razza a trovarsi su un’isola deserta.
Comunque, seguii i suoi guaiti sino alla spiaggia. All’inizio non capii cosa avesse fatto entusiasmare tanto il mio cucciolone.
Ma poi, guardando con più attenzione, mi accorsi che qualcosa si era incagliato, dietro agli scogli. Si muoveva appena nella bassa marea mattutina. Una barca, anzi una scialuppa, di cui vedevo appena la prua.
Decisi di controllare meglio e avanzai cauta tra le onde che mi lambivano appena le ginocchia. Udì un tonfo, come qualcosa che precipitata in acqua, ma non vidi nulla tra le onde.
Fu solo raggiungendo l'imbarcazione che capii di aver trovato molto di più di un semplice guscio di noce.
Distesa nella scialuppa c’era una persona. Un essere umano. Un ragazzo, di circa vent’anni.
Era esanime, con l’intero corpo abbandonato mollemente sulle assi di legno. La pelle, soprattutto del volto, era secca e tirata, cotta dal sole e dalla salsedine. Portava una barba di parecchi giorni, malcurata, e lo stesso era per i capelli e gli abiti. Non doveva aver fatto un bel viaggio.
Inizialmente non sapevo cosa fare. Ma poi mi resi conto di non poterlo lasciare lì, così. Sicuramente al suo risveglio si sarebbe spaventato, ma aveva bisogno di cure. Lo sollevai per le ascelle, come raramente facevo con quelli della sua specie. Non pesava molto. Respirava, anche se lievemente. Me lo caricai su una spalla. Dovevo farlo rivenire, e dargli dell'acqua da bere, e la spiaggia non mi sembrava il luogo adatto. Ne conoscevo un altro, più appartato.
Portai l’umano in una zona nascosta nella foresta. Il sole filtrava in piccoli raggi poiché il fogliame era molto ricco. Più avanti, c’era una fonte con una sorgente naturale che sembrava l’ideale per fare un bagno.
Una volta arrivata, calcolai il punto in cui l’acqua sembrava più profonda, e senza cerimonie vi gettai il giovane.
Questi dopo pochi istanti si riprese. Emise una sorta di gemito gutturale, emergendo dall’acqua dandomi le spalle e sputando ovunque. Sembrava estremamente sorpreso di trovarsi in un luogo simile.
 - Ma questo…, - disse, confuso, -..sono..in paradiso?
Non riuscii a trattenere una risata.
 -Direi proprio di no, -risposi io.
Lui sussultò, sorpreso di udire una voce umana. E si voltò.
Rimanemmo immobili per qualche istante. Poi il ragazzo emise un grido incredibile, uscì dall’acqua e si mise a correre.
Scappava da me. Non credevo l’avrebbe presa così male. Mi sentì un pochino offesa.
Lo rincorsi. Era pericoloso, per lui, andare allo sbaraglio.
Senza saperlo, stava esattamente percorrendo a ritroso il percorso che avevo fatto, quindi avrebbe presto raggiunto la spiaggia, ma inciampò in un tronco e cadde a terra.
Lo raggiunsi, mentre lui mi guardava terrorizzato.
 -Ascoltami, - gli dissi con la voce più calma che riuscii a tirare fuori, - Stai calmo. Non voglio farti nulla.
Feci per chinarmi su di lui ma in quel momento qualcosa mi colpì con forza la schiena. Mi girai, sorpresa.
Mi aveva raggiunta un altro essere umano, dall’aria nervosa. Mi chiesi da dove potesse provenire, forse era naufragato anche lui?
Sembrava essere poco più anziano dell’altro ragazzo, ed era più alto e più magro, e meno robusto. Sul naso portava due lenti di vetro che dovevano averne passato di tutti i colori, e lo stesso si poteva dire dei suoi vestiti. La barba e i capelli lunghi, tenuti in una coda di cavallo, avevano decisamente bisogno di un barbiere.
Il nuovo arrivato raccolse fiato e coraggio e puntandomi contro un bastone mi gridò: -Maledetto mostro! Lascia stare il signorino Ivan!

 
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** Mostro? ***


Non era stata una buona giornata per Daniel. Si era svegliato quando quell’enorme cane si era messo ad abbaiare nella loro direzione. Non la smetteva un secondo, era fastidioso.
Il signorino Ivan, invece, non sembrava esserne infastidito. Era ancora addormentato, per la stanchezza e la mancanza di cibo.
- Signorino, - disse Daniel, scuotendolo, - si svegli, per favore.
Nel maggiordomo si era accesa una debole fiammella di speranza. Un pastore tedesco..non sembrava randagio. Forse nella terra in cui erano capitati, abitava qualcuno che avrebbe potuto aiutarli.
Scese dalla scialuppa. L’acqua era fresca, gli lambiva appena i fianchi.
Vide il cane diventare sempre più agitato.
“Ecco il padrone”, si disse Daniel. Vide una figura umana raggiungere la spiaggia.
Sul momento credette che la spossatezza, o il troppo sole, gli avessero danneggiato temporaneamente la vista. Ma si accorse che effettivamente quel che vedeva corrispondeva alla verità.
Una persona si avvicinava al cane, gli arruffava il pelo. Ma quell’individuo era troppo, troppo grande. Il massiccio pastore tedesco, a confronto, somigliava a un cucciolo.
L’enorme figura entrò quindi in acqua, in direzione della loro scialuppa, e Daniel, preso dal terrore di quella visione, si nascose velocemente in una insenatura rocciosa, tra gli scogli.
Non poteva fare altro.
Dal rumore poteva capire che l’enorme individuo aveva ormai raggiunto la loro imbarcazione. Ne poteva quasi sentire il respiro.
Poi, dopo minuti che sembravano ore, l’essere si allontanò dalla barca.
Daniel tirò un silenzioso respiro di sollievo.
Lentamente, si staccò dalle rocce, avvicinandosi alla barca.
E lì, il cuore si fermò di un battito.
Non c’era! Il signorino Ivan, il suo padrone, era scomparso!
Guardò a riva e vide che la grossa figura aveva già raggiunto la spiaggia e si allontanava. Il signorino, gettato sulla spalla dell’essere, sembrava un bambino addormentato. Lo aveva rapito!
Che cosa aveva intenzione di farne?
Sicuramente nulla di buono. Accidenti a lui e alla sua codardia, non aveva potuto fare niente per impedire che fosse rapito!
Doveva assolutamente fare qualcosa per salvarlo. Così si mise a correre, nel tentativo di raggiungere la creatura.
Vide che i due, con il cane, si erano inoltrati nella foresta, e dopo un po’ li perse di vista.
Daniel però continuò ostinatamente a camminare, finché non udì un urlo inconfondibile del suo signorino. Di lì a poco infatti il giovane corse passandogli accanto a tutta velocità, il volto contratto da paura e terrore. Stava scappando. Ma la paura gli impedì di notare gli ostacoli e di lì a poco inciampò e cadde.
Poi si udirono gli inconfondibili passi dell’enorme essere, che raggiunse Ivan in pochi balzi.
Daniel riuscì a vederlo in tutta la sua altezza. Era circa il doppio di un essere umano. Aveva lunghi e folti capelli rossi che gli coprivano il volto, e indossava una abito liso e rovinato.
-Stai calmo, - disse l’essere,- Non voglio farti nulla.
Aveva una sfumatura di voce stranamente delicata.
Ma Daniel pensò che l’essere stesse solo fingendo di essere gentile. Non poteva più restare a guardare. Il suo signorino era in pericolo.
Così afferrò un paio di sassi e li lanciò contro la sua enorme schiena. E quando questi si voltò, lui raccolse fiato e coraggio e puntandogli contro un bastone gli gridò: -Maledetto mostro! Lascia stare il signorino Ivan!

“Mostro?”
Un appellativo simile la lasciava basita, e forse anche un po’ offesa.
Si avvicinò all’uomo magro, armato di bastone, e si chinò, guardandolo dritto negli occhi.
-Ti sembro un mostro?
 
 

 
 

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Capitolo 3
*** Non è come sembra ***


Non è come sembra Daniel guardò la creatura in volto per la prima volta, e dovette un poco ricredersi. In effetti,  a parte la sua altezza incredibile, non aveva nulla di mostruoso.
Anche se i capelli folti gli coprivano quasi interamente la faccia, vide che i suoi lineamenti appartenevano a un comune essere umano, di età piuttosto giovane. Il corpo era snello, flessuoso e..curvilineo.
Una ragazza. Non era altro che una ragazza gigante.
Lei notò il suo sguardo indagatore.
 - Allora?
 - Beh..ecco..,-mormorò Daniel, rimasto senza parole, -Ma come fai ad essere..così…
 - Così alta, dici? Sono solo due metri e novantacinque centimetri. Non è molto, per quelli della mia razza.
 - Razza?- chiese Daniel.
 - Sì, sono una gigantessa. Immagino che ne abbiate sentito parlare.
In effetti, i due uomini ne avevano sentito parlare, come esseri provenienti da terre lontane. Non credevano che esistessero veramente.

- Comunque, ne parleremo con calma una volta raggiunto il mio rifugio, -disse la gigantessa, -Immagino che abbiate sete.
Si chinò per far alzare Ivan, ma questi, per tutta risposta rifiutò l’aiuto ed estrasse un coltello dalla cintura.
 - Non ci fidiamo degli sconosciuti. Dopotutto, mi hai rapito e buttato in acqua.
 - Sembravi un pesce essiccato, e così per rinfrescarti ti ho buttato nella sorgente. Volevo aiutarti.
 - E perché lo avresti fatto?
 - Perché su quest’isola siete miei ospiti, ed io rispetto l’ospitalità.
 - C’era un altro gigante che disse così, tempo fa. Un certo Polifemo, e poi non si è dimostrato molto..ospitale. Certo, tu hai un occhio in più, ma probabilmente, visto che appartenete alla stessa razza, le vostre usanze saranno simili.
La ragazza portò lo sguardo al cielo e sbuffò, incredula.
 -Cosa? Pensate veramente che io..voglia mangiarvi?
I due uomini non risposero, ma si capiva benissimo che la pensavano così.
- Oh, cielo. E’ incredibile che sopravvivano ancora queste vecchie credenze. E’ molto offensivo, da parte vostra.
Guardò i due giovani e sorrise. - In quest’isola ho tutto ciò che mi serve. Il clima è sempre mite, e cresce una gran varietà di alberi da frutta. E qui vivono anche molti piccoli animali che non sono difficili da cacciare.
Quindi direi che la mia scelta difficilmente cadrebbe su voi due.
Anche perché, ad essere sinceri, non avete un bell’aspetto. Siete rinsecchiti e dovreste darvi una lavata.
Ehi, non prendetevela, stavo scherzando! Comunque, posso offrirvi cibo e bev..
 -Se quest’isola è un paradiso come dici, non sarà difficile procacciarci ciò che ci serve, - ribatté Ivan, stizzito, - Andiamo, Daniel, -disse poi, indicando la strada per la spiaggia al suo compagno.
Questi, però, non sembrava affatto d’accordo.
- Signorino,-ribatté infatti,- se la ragazza ci ha invitati per cortesia dovremmo almeno..
 -La chiami una ragazza, quella? Non mi fido di lei. E comunque, siamo in grado di badare a noi stessi.
Daniel capì che il giovane era stizzito per essere stato salvato da una ragazza.
 -La prego, metta da parte l’orgoglio, solo per un istante, e..
- Sta zitto, Daniel, - gridò questi, serrando i pugni, - Faremo rifornimento di cibo e acqua, e poi ce ne andremo da quest’isola dannata.
-Allora vi consiglio di stare attenti, - s’intromise la giovane, - Questo luogo può riservare anche delle sorprese spiacevoli per chi non lo conosco bene. Ci sono anche piante velenose, insetti fastidiosi, animali car…
 - Sappiamo quello che facciamo, gigantessa, - ribatté Ivan, senza nemmeno girarsi o smettere di camminare.
 -Mi chiamo Gilda, - disse lei, cominciando ad accigliarsi.
 - Non ha alcuna importanza, - disse il giovane, e scomparve tra le fronde assieme al suo compagno.
-Io li ho avvertiti, - mormorò Gilda, - che facciano come vogliano.

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Capitolo 4
*** Guai ***


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Grossi nuvoloni si formavano in cielo. Si strava preparando un temporale.
Nel suo rifugio, Gilda sbuffò, stizzita.
Non ci mancava altro che un temporale, a peggiorare la giornata.
E dire che quello avrebbe dovuto essere un giorno felice, dopo tanto tempo. Aveva incontrato due esseri umani, due persone, dopo quasi seicento giorni di solitudine su quel pezzo di terra.
E invece, l’avevano trattata come un mostro, e quel ragazzo basso era solo uno stupido sbruffone.
Gilda strinse con forza la pelle di daino che stava finendo di conciare, e la buttò in una scodella di legno. Non aveva più la concentrazione adatta per quel lavoro.
“Forse, non li ho approcciati nel modo giusto”, si disse.
Li aveva trattati come bimbi sperduti bisognosi di cure, anche se erano adulti, quindi anche più “grandi” di lei.
 Però non era colpa sua se gli esseri umani le sembravano piccoli come bambini. E voleva solo essere loro utile.
Stava valutando la situazione quando improvvisamente sentì delle urla, e degli uccelli strillare. Bogo abbaiava, agitato.
Erano senz’altro quei due sprovveduti. Si erano cacciati nei guai.
Gilda lasciò perdere la conciatura e si mise a correre in direzione delle urla.
E alla fine li trovò, non troppo distanti dalla sua grotta.
Erano immobili, e fissavano un giaguaro che faceva lo stesso. L’animale era pronto ad aggredirli.
Poi lo Sbruffone, come aveva soprannominato Ivan, fece un movimento improvviso, come dettato dal nervosismo, e il felino si gettò su di lui.
Gilda non perse tempo e lo separò dal ragazzo, gettando il giaguaro lontano.
L’animale si rialzò in un attimo e stavolta il suo sguardo si posò sulla gigantessa.
Gilda si alzò in tutta la sua altezza e non staccò gli occhi dall’animale. Digrignò i denti, mostrandoli, e soffiò minacciosa.
Per precauzione, portò la mano al coltello di selce che portava sempre legato al fianco. Ma non fu necessario. Il giaguaro valutò la situazione e decise di filarsela.
Gilda sospirò, sollevata. Lo stesso fecero i due uomini.
  - La..ringrazio, signorina,- disse Daniel , portandosi una mano sulla fronte sudata,- Quel felino ci ha inseguiti e ce le siamo vista brutta.
La ragazza arrossì. Era passato molto tempo, dall’ultima volta che qualcuno l’aveva ringraziata..e l’aveva chiamata signorina.
 - Vi è andata bene. Siete finiti nel territorio di caccia di quel giaguaro. Per fortuna si trattava di un esemplare molto giovane, inesperto. Comunque, state bene?
Daniel annuì, anche se sembrava ancora scosso, mentre Ivan scosse la testa stizzito.
 -Sì, stiamo bene, mammina..Tanto per sapere, ma perché non sei capace di lasciarci in pace?
 - Cosa? Ma se vi ho appena..
 - Sì, sì, ci hai salvati, evita di vantarti, però. Possiamo cavarcela da soli.
 -Hai detto così anche prima, - commentò la ragazza.
Avvertì che delle piccole gocce d’acqua le toccavano la testa. Le sentirono anche Daniel e Ivan. Iniziò a piovere. Rimbombò un tuono tra le nubi nere.
 -Comincerà un temporale, - disse la ragazza, che conosceva bene il clima del luogo, - è meglio se per stasera troviate riparo da me.
 - Come ti ho già detto, non abbiamo bisogno del tuo aiuto,- ripeté Ivan.
Daniel offrì una mano per permettere al signorino di alzarsi ma questi si rifiutò, e iniziò a camminare spedito chissà dove.
Gilda notò che aveva la manica del braccio sinistro sporca di sangue.
 -Sei ferito,- costatò.
 -E’ solo un graffio,- fece lui, camminando più veloce.
- Signorino Ivan, aspettatemi! - gridò Daniel, ma il giovane accelerò il passo.
Daniel lo aveva appena raggiunto quando il ragazzo si fermò. Aveva lo sguardo perso.
Ivan chiuse gli occhi e cadde a terra, privo di sensi.
Daniel gridò, spaventato.
 -Un campione di svenimenti,-commentò Gilda.

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Capitolo 5
*** Casa ***


Casa La ferita non era molto grave. Probabilmente la stanchezza, il caldo, o la mancanza di cibo dovevano aver fatto svenire il mio signorino. O forse, l’insieme di queste tre cose.
Mi chinai su di lui.
 - E’ solo svenuto,- disse la signorina gigante.
Annui, ma ero ancora preoccupato.
Stava piovendo sempre di più.
 - Non potete rimanere qui, -continuò lei, tesa,- Vi bagnerete completamente, e potreste cacciarvi in altri guai. Se per te va bene posso portarvi entrambi nel mio rifugio.
Non speravo in niente di meglio.
 -Sì, per favore,- accettai. In effetti, nemmeno io mi sentivo molto bene.
La ragazza si chinò sul signorino Ivan e lo sollevò senza sforzo. Poi si mise a camminare nella foresta. Io cercai di tenere il passo, ma non fu molto facile.
Alla fine raggiungemmo una zona con un ampio costone roccioso. Una piccola zona della parete era ricoperta di arbusti. Gilda aprì un passaggio tra le piante e fece passare anche me.
 -Prego,- disse sorridente.
Camminai nella grotta e alla fine i miei occhi scorsero una luce.
Mi sarei immaginato un rifugio misero, invece somigliava ad una sorta di casa, anche se semplice.
Alle pareti erano attaccate alcune torce accese. Al centro della stanza, circolare, c’era  un piccolo focolare spento. Accanto ad esso vi dormiva il grosso cane. Addossate al muro si trovavano delle grosse casse piene di frutta. Accanto, c’era un tavolino fatto con un tronco d’albero, e sopra di esse delle armi di svariato genere. Arpioni, bastoni appuntiti, un arco, una fionda, tutti costruiti artigianalmente. Adagiati al pavimento c’era un grosso giaciglio fatto di pelli di animale e foglie. Gilda vi adagiò Ivan.
 -Forse non avrei dovuto spostarlo, visto che era svenuto, ma..
 -No, ha fatto benissimo,- mormorai, ammirato.
 - Oh. Bene. E’ che non ho esperienza con gli svenimenti. E neanche con le ferite..non credo sia grave, però sarebbe meglio dargli un’occhiata.
Annuì, e avvicinai a me il braccio del mio signorino. La ferita non era profonda, ma stillava ancora sangue.
Mi allontanai, un po’ disgustato.
 - Cosa c’è?,-mi chiese Gilda.
 -Niente. Solo che..il sangue..non sono abituato a vederlo.
 -Capisco,- disse lei. - Dobbiamo..fermare il flusso, giusto?
Annuii ancora.
La ragazza prese un piccolo pezzo di stoffa e  lo legò stretto al braccio di Ivan.
 -Va bene così?, - mi chiese.
 - Credo di sì.
Una volta finito con lui, Gilda prese una delle torce e appiccò fuoco al focolare.
Fuori si udì improvvisamente un tuono che fece vibrare la terra. Era una fortuna stare al riparo.
Gilda improvvisamente sbadigliò con forza.
 -Uhm..è stato stancante anche per me, immagino. Scusami, ma avrei voglia di coricarmi.
Detto questo prese una delle coperte accanto al suo giaciglio e vi si lasciò cadere.
 - Ma..il tuo letto?,- chiesi.
 - Siete ospiti, per stavolta ve lo lascio …
Uh..che stanchezza..Se non ti dispiace, adesso dormo … ah..dovrebbe esserci dell’acqua in una ciotola, e della frutta … serviti pure, non c’è problema.
 -Ecco..- mormorai io, non sapendo come ringraziare.
 -Buonanotte,- mormorò lei, e non parlò più.
Assurdo. Non conoscevo poi molte ragazze, ma ero certa che nessuna di loro avrebbe permesso che due uomini rimanessero nella sua stanza mentre dormiva. Ma del resto Gilda rimaneva fuori da ogni categoria.
Mi arrampicai sullo scranno di legno e presi cibo e bevande. Mentre mi riempivo lo stomaco, mi chiesi come mai la ragazza si comportasse così gentilmente nei nostri confronti. Forse aveva davvero dei secondi fini, e in quel caso Ivan aveva ragione nel mostrarsi diffidente. Ma il signorino era solito fare valutazioni errate, e il suo orgoglio si feriva facilmente e spesso ragionava per lui.
Dopotutto, la ragazza doveva comportarsi così perché era davvero preoccupata per noi. Non avevamo visto nessun altro abitante, su quell’isola. E anche ammesso che ce ne fossero, Gilda viveva da sola. Chissà da quanto si trovava su quest’isola, sempre che non ci fosse nata. Doveva soffrire di solitudine, forse.
Continuai ancora un po’ ad affollare la mente questi ragionamenti, anche quando mi coricai nel letto. Poi il sonno prese sopravvento su di me.

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Capitolo 6
*** Orgoglio ***


Casa Le onde lambivano la nostra imbarcazione, facendosi sempre più forti. Prima o poi, il mare ci avrebbe inghiottito. Il vento prese a soffiare, e senza tanti riguardi mi scaraventò in acqua, tra i flutti gelidi, e…
 
E mi svegliai aprendo di scatto la bocca e gli occhi.
C’era molta luce. Non capivo dove mi trovassi. Non mi sembrava di essere sulla scialuppa.
  - Sei sveglio! Finalmente! - esclamò una gaia voce femminile.
Ah. La gigantessa. Ora ricordavo quel che era accaduto.
Mi alzai e scoprì di trovarmi su di un grosso letto, dalla grandezza spropositata. L’intera stanza in cui mi trovavo, che sembrava essere stata scavata nella roccia, era spropositata, e piena di cose enormi.
Un tavolo di legno enorme. Un focolare spento enorme. Torce enormi.
Dunque, alla fine quella gigantessa era riuscita a portarmi nella sua casetta.
La gigantessa in questione era china su di me e mi guardava.
 - Allora, tutto a posto?
Non risposi. Non volevo darle anche quella soddisfazione. Lei riprese a parlare. -Immagino tu abbia fame. Al momento ho da offrire solo frutta e acqua, però..
 -Vuoi lasciarmi in pace?!
Lo dissi forse un po’ troppo forte, perché la giovane trasalì e mi guardò, stupita da quella reazione.
 - Immagino allora che tu non voglia mangiare,- riprese, facendo finta di nulla,- Va bene. Prenderò io la tua parte. Però dovresti comportarti un po’ più gentilmente con chi ti ha salvato la vita.
Alludeva all’incontro con quella belva. Effettivamente, mi aveva lasciato basito il modo in cui era riuscita a farla scappare. Ma non sono certo il tipo che ringrazia una donna per cose da uomini. Ho una mia dignità.
 -Ce la cavavamo benissimo anche senza il tuo aiuto.
 -Ah, sì? Credevo fosse il contrario,
Aveva colto nel segno. Ma non me la sentivo di farlo notare.
 - Comunque, cosa ci faccio, in un posto simile?
  -Alludi alla mia incantevole dimora? Vedi, eri svenuto e stava piovendo così ti ho preso in braccio- e nel dirlo si chinò e sorrise,- e vi ho fatto dormire qui. Sì, nel letto di una donna.
Mi ero quasi dimenticato quanto non la sopportassi. Ma ora, quell’incredibile sensazione di fastidio era tornata con forza. Quella ragazza..era troppo. Riusciva a superarmi in tutto. Aveva affrontato brillantemente ogni situazione, anche quelle pericolose. Ci aveva tratto in salvo.
 Provavo qualcosa di vergognoso. Un senso di inferiorità nei confronti di una donna. Anzi, di una ragazza. E questo, non mi era mai accaduto.
Ero sempre io, a conquistare le più belle fanciulle della mia città con le mie conoscenze del Mondo e la mia ricchezza, e loro si mostravano sempre ammirate nei miei confronti. Così doveva essere, e così era sempre stato.
E invece quella... ragazza non sembrava per nulla il tipo da farsi impressionare da quel che solitamente faceva cadere ai miei piedi le altre. Ma non glielo dissi.

Piuttosto continuai con questo: - Insomma, ma cosa vuoi, da noi? Perché ci stai appresso come una balia? E’ davvero fastidioso. Sempre che tu non lo faccia per interesse. In quel caso, sei capitata male. Non abbiamo un soldo. Sparisci, per favore.
E invece di arrabbiarsi la giovane si limitò a fissarmi. Non disse niente.
Prese con sé una bisaccia, una brocca d’argilla e si diresse verso l’ingresso della grotta.
 -Vado a prendere dell’acqua, -disse senza voltarsi, con un tono di voce stranamente fievole, e uscì dal rifugio.
 Non mi capacitavo di un comportamento simile. Cioè, avevo sperimentato più di una volta la rabbia delle donne, ed ero abituato alle loro urla, alle scenate isteriche. E a volte mi divertivo nel provocarle, per vederne le esagerate reazioni. Ma questo comportamento distaccato, non lo avevo mai visto, e mi lasciava basito.
 -Ma che cavolo le è preso?- chiesi.
 -A volte, Signorino, dovrebbe provare a ragionare col cervello, invece che con la lingua, - rispose Daniel, sbuffando. E questo, era ancora più bislacco. Daniel, il mio fedele cameriere che esprimeva opinioni non lusinghiere sul mio conto.
 - Daniel, ma...
 - Mi scusi signore, ma non ha mai provato a mettersi nei panni di quella ragazza, Gilda?
 - Beh, è difficile. Credo siano troppo grandi per indossarli.
Daniel sbuffò ancora.
 - Ma insomma, signorino, non capisce che quella giovane vuole solo rendersi utile?
 -E per quale motivo? - chiesi.
 - Si sente sola, ovviamente. Credo si trovi su quest’isola da parecchio tempo, e temo che non ci sia nessun’ altro oltre a lei. Inoltre, deve lottare per sopravvivere ogni giorno.
 - Beh, visto la sua mole non mi sembra abbia delle difficoltà.
 -E’ poco più di una ragazza. Più giovane di noi. Non sta a lei comportarsi da adulta. Anche se è proprio quello che ha fatto nei nostri riguardi. Tocca a lei, signore, comportarsi per l’età che ha.
 -In che senso?
 - Le consiglio di chiederle scusa.
 -Ma non mi sembrava arrabbiata.
Daniel si portò una mano sulla fronte, come per cercare di trattenersi dal rispondermi male. Aveva veramente una pazienza di ferro.
 - Ovvio, che è arrabbiata, - disse, alla fine, - ed è meglio che per una volta lei metta da parte quel suo orgoglio di vetro e le chieda scusa. O ne pagherà le conseguenze. Non esiste nulla di peggio della vendetta di una donna, mi creda, e lei è anche...come dire... piuttosto alta.
Non so perché ma avvertì un brivido scorrermi lungo la schiena.
- Uff... se proprio devo. - sbuffai, e mi diressi fuori.
In effetti, ripensandoci meglio, riuscivo quasi a comprendere le ragioni di quella Gilda. Non doveva essere bello, rimanere da soli in un posto come questo. Io, sarei impazzito.
Così uscii dalla grotta.



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Capitolo 7
*** Due Parole ***


Due Parole Avevo sentito tutto. L’acustica della grotta era molto buona, e si udivano bene i rumori all’interno di essa. E anche le voci, anche se con il rimbombo.
Il signorino Ivan era davvero uno stupido orgoglioso, mentre Daniel sembrava più gentile. Ma è bene non fidarsi delle apparenze. Quando poi quello scemotto di Ivan si decise ad uscire dalla grotta, io mi ricordai che non avevo fatto quel che dovevo fare e mi diressi verso la fonte.
 -Ehi, aspetta!- gridò questi, rincorrendomi.
Io mi girai appena, come se avessi notato solo in quel momento la sua presenza, e poi tornai a camminare. Ero ancora arrabbiata con lui. Il ragazzo mi seguì, ed io velocizzai il passo. Fu spassoso vederlo mettersi a correre e sbuffare per raggiungermi. Comunque alla fine arrivammo alla sorgente di ieri. Mi chinai e immersi la brocca nell’acqua.
Ivan mi si sedette accanto, ansimando.
 - Uff... finalmente... - disse, e bevette un po’ d’acqua, - uhh, Che corsa!
Io mi lavai le mani e me le passai sui capelli per proteggermi dalla calura.
Ivan si schiarì la gola.
 -Ecco, senti…- incominciò.
 -Sì?
  - Volevo dire che.. forse..ecco..non avrei dovuto comportarmi così. Dirti quelle cose, insomma.
Mi sedetti e infilai i piedi nudi nell’acqua, per lavarli e rinfrescarli, senza prestargli attenzione.
- E’ che noi non ci aspettavamo..cioè..io..non mi aspettavo..che qualcuno si comportasse così..con noi..
Ne abbiamo passate di tutti i colori e alcuni individui non sono stati poi così gentili nei nostri confronti.
 Quindi ci aspettavamo che anche una ragazza con..un’altezza particolare come la tua..volesse approfittare della nostra debolezza.
Credo potesse bastare. Per lui doveva essere stato uno sforzo notevole. Mancava solamente una cosa.
 -Basterebbe che tu mi dicessi due sole paroline.
Il ragazzo strabuzzò gli occhi.
- “Ti aiuto”..a portare l’acqua, intendo.
Sbattei i piedi velocemente, e casualmente gli schizzi lo bagnarono.
- Ti andrà meglio la prossima volta, - dissi, delusa, e mi alzai in piedi reggendo la brocca. Camminai via.
- Mi dispiace.
Mi fermai, stupita.
- Non dovevo fare così, scusami-  disse un po’ affranto.
Wow. Lo aveva capito. Mi avvicinai a lui, e sorrisi.
 -Va bene. E poiché lo hai chiesto espressamente, l’acqua la porti tu.
Gli affibbiai la brocca alta la metà di lui, e me tornai a casa.

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Capitolo 8
*** Verità ***


Nuovi arrivi
- Credo dovremmo andare alla spiaggia,- disse Gilda improvvisamente mentre mangiavano.
 -Per quale motivo?,- chiese Daniel.
 - La vostra barca. Se si è incagliata dovremmo valutare prima di tutto il danno. Posso aiutarvi ad estrarla, se volete …
Però..vorrei prima sapere una cosa.
Ci ho riflettuto un pochino, sapete. Quando vi ho visto arrivare ero felice, poiché da tempo non ricevo visite. Ma le condizioni in cui viaggiavate destano un po’ di sospetti. Eravate in una scialuppa priva di remi, senza scorte di cibo, come se il vostro non fosse un viaggio premeditato, quanto piuttosto..
 - Quanto piuttosto una pena da scontare in mare, giusto?- chiese Ivan.
Gilda annuì.
Il giovane scosse la testa, contrariato.
 -No, non siamo dei galeotti. Tanto vale raccontare la nostra storia fin dall’inizio.

E così i due giovani le raccontarono chi fossero e come si fossero trovati in quella brutta situazione.
Ivan aveva ventidue anni, mentre David ne aveva trenta ed era al suo servizio da dieci. Ivan era l’unico figlio di un commerciante che si era arricchito con le invenzioni di ogni tipo. Aveva creato una stoffa che non si bagnava con nessun liquido, un anello che cambiava colore a seconda dell’umore di chi lo indossava, un pupazzo che emetteva suoni strani se gli si premeva la pancia, e altre cose simili. Il ragazzo conosceva solo qualche meccanismo di funzionamento di questi oggetti, e sapeva solo che erano molto costosi.
Poi il vecchio era morto improvvisamente, lasciando Ivan con una ricca eredità che si era presto impegnato a spendere e spandere in qualunque modo. Donne, mobili costosi, proprietà, gioco d’azzardo, viaggi in luoghi esotici, qualunque cosa attirasse i suoi desideri.

Finché non aveva trovato la donna della sua vita, Maira: capelli rossi come il fuoco, occhi verdi penetranti, proveniva da una terra lontana. Non ci avevano messo molto a capire che erano fatti l’una per l’altra.
Le nozze erano andate avanti per tre giorni, che gli erano sembrati immersi in un sogno.
Ma la mattina del quarto giorno, si era risvegliato in un incubo. Si era ritrovato solo con Daniel in quella piccola scialuppa, senza cibo né acqua, persi in mezzo al mare.
Erano sopravvissuti solo grazie ad uno degli strani oggetti che Daniel, premunendosi per ogni occasione, portava sempre con sé: un calice.
Alla vista somigliava un comunissimo calice di ottone, ma aveva una particolarità unica: se vi si versava dentro un qualunque tipo di liquido, esso si purificava diventando acqua.

Grazie a questo, e cacciando quel che riuscivano a trovare, erano riusciti a sopravvivere per due settimane.
Poi una nave li aveva incrociati e fatti imbarcare.
Ivan aveva offerto al capitano una grossa somma per farsi riportare a casa, ma il capitano aveva riso e la ciurma si era rivelata composta da pirati, che non solo avevano trafugato loro il denaro ma li avevano anche rinchiusi nella stiva per venderli come schiavi.
Ma alla fine, erano riusciti a scappare, anche se, rubando una scialuppa in tutta fretta, si erano ritrovati in mare nella situazione di partenza, e anche privi di denaro, e poi…
 -Aspetta, aspetta, aspetta!,-esclamò Gilda,- Manca un pezzo! Come siete riusciti a scappare?
 -Oh, beh, grazie a questa,- disse Ivan, rafanando nelle tasche ed estraendo un piccolo sacchetto. Lo aprì rivelandone il contenuto: della polverina bianca.
 -Che cos’è?,- chiese la ragazza, avvicinando le dita.
 -Non ti consiglio di toccarla. Comunque si chiama… polverina. Non so il suo vero nome. Basta inserirne un pochino nel naso e ci si sente subito più tranquilli e rilassati. Io la porto sempre con me perché soffro d’insonnia e mi aiuta a dormire. Spargendola sulla testa dei carcerieri, li abbiamo fatti addormentare, e così siamo riusciti a prendere loro le chiavi e fuggire.
 -Un classico,- disse Gilda.
  - Già. Adesso però tocca a te. Non credo che tu sia nata e vissuta sempre su quest’isola. Come ci sei arrivata?
Gilda si alzò bruscamente e mise le stoviglie sporche in un ripiano.
  - Si sta facendo tardi. Dobbiamo andare subito alla spiaggia.
  - Ehi, non evitare la mia domanda.
  - La padrona di casa sono io, e io decido cosa dire. Voi siete gli ospiti.
 - Ma appunto essendo colei che ospita, devi mostrarti cortese con gli ospiti, quindi..
 - Vi aspetto alla spiaggia. Voi raggiungetemi pure quando volete,-disse Gilda, e uscì velocemente dal suo rifugio.

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Capitolo 9
*** Nave ***


Nave La sabbia della spiaggia era ancora umida dopo la tempesta del giorno prima, e il mare sputava fuori pezzi di tronchi e rami di palma.Tuttavia il cielo era terso e sereno, come un bambino che si era calmato dopo un capriccio.
Ivan e Daniel seduti su un tronco ammiravano il panorama circostante, mentre Gilda cercava di disincagliare la loro scialuppa dagli scogli.
 - Credo sia meglio lasciarla fare, e rimanere seduti, -mormorò Ivan.
 -Già. E poi, non è affatto male, - disse Daniel guardando davanti a sé.
 -Parli del panorama o della ragazza? - chiese il giovane. Daniel non rispose e voltò il collo in un’altra direzione, mentre il volto si era un po’ arrossato.
Poi però qualcosa sembrò fargli dimenticare l’imbarazzo. Si sistemò meglio gli occhiali per verificare di aver visto bene. No, non si stava sbagliando.
 -Sì, l’ho vista anch’io, - mormorò Ivan, diventando serio.

Gilda alzò lo sguardo dal suo lavoro e vide la sagoma di una nave in lontananza, che si stava avvicinando. Non era di grandi dimensioni ma aveva un profilo stranamente cupo. Ed era priva di bandiere.
Tornò a riva velocemente.

- Quella nave..  - iniziò Gilda.
 - Sì, lo sappiamo, - disse Ivan, - credo si tratti proprio dei pirati di cui ti abbiamo parlato. Probabilmente dovranno rimpolpare le scorte di cibo e acqua, poi ripartiranno. Se ce ne stiamo nascosti..
 -Quanti sono?- chiese la ragazza, interrompendolo a sua volta.
 -Non vorrai mica..- fece il ragazzo, incredulo.
 -Una ventina, più o meno, - interruppe anche Daniel.
 - Bene.
 - Daniel, ti ci metti anche tu, adesso?
 - Scusi, signore. Lei, signorina…cosa vuole fare?
Gilda serrò strettamente i pugni.
 -Questa è la mia isola. Non lascerò che quegli sporchi maiali facciano i loro comodi. E poi, anche voi avete bisogno di una nave, no?

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Capitolo 10
*** Fantasma ***


fantasma I suddetti porci formavano una ciurma piuttosto sgangherata e formata da poco.
Il capitano si chiamava Dodge, e aveva deciso di darsi alla pirateria dopo essersi stufato di contrabbandare sulla terra. Il mare sembrava molto più allettante. E poi, da quel che se ne diceva, sembrava un ambiente stimolante e ricco di attrattive.
Suo fratello possedeva una nave mercantile: lo aveva ammazzato e gliel’aveva rubata.
Poi aveva cominciato ad arruolare uomini, per lo più avanzi di galera o gente disperata, quasi nessuno di loro era esperto di vita di mare.
Avevano subito un abbordaggio da parte di alcuni colleghi ed erano rimasti con poche risorse.
Quando poi erano apparsi quei loro due disgraziati riccastri su di un guscio di noce, il Capitano aveva pensato bene di farli rinchiudere nella stiva (poiché non possedevano una vera e propria prigione), ma questi chissà com’erano riusciti a fuggire.
Il capitano aveva deciso di non gettarsi all’inseguimento della scialuppa, pur punendo i due carcerieri sbadati con il digiuno.
Come se la situazione non fosse abbastanza grave, era scoppiata anche una tempesta.
Almeno, durante la mattinata avevano avvistato quella piccola isola e avrebbero potuto riposarsi un po’. Anche perché la ciurma dava segni d’impazienza.
Se poi l’isola fosse stata abitata da selvaggi, avrebbero avuto modo di prelevare della forza lavoro gratuita.

Sbarcando, notarono la presenza di una scialuppa incastrata tra gli scogli, e delle impronte umane. Alcune delle quali stranamente grandi. Setacciarono la foresta in ogni dove per tutto il giorno ma non trovarono esseri umani, anche se ci fu una gran presenza di zanzare, rovi e animali feroci.
Certo, avevano anche recuperato delle provviste ma erano anche delusi. Si accamparono malinconicamente sulla spiaggia, abbatterono una palma e accesero un fuoco.
Il grog fu versato in ogni boccale e le loro voci aspre e stonate risuonarono in ogni angolo dell’isola mentre gli uomini cantavano vecchie canzoni di mare.
Poi, venne il grande fantasma.

Gilda camminò lentamente evitando di fare rumore, anche sospettava non ce ne fosse troppo bisogno per celarsi. Le voci sgraziate dei pirati coprivano ogni altro suono, e il fuoco non faceva molta luce.
Camminò ancora e guardò verso l’alto.
-Li vedete?- mormorò rivolta a qualcuno arrampicato sulle fronde delle palme.
 -Dovremmo essere ciechi per non vederli. Che schifo. Sono tutti ciucchi,- disse inequivocabilmente Ivan.
 -Riuscite a raggiungere le palme vicino a loro?
 -Sì, non dovrebbe essere troppo difficile.
Gilda annuì.

I marinai urlarono spaventati nel vedere quell’enorme fantasma bianco, alto quanto due uomini. Avanzava lentamente e ululava in modo spaventoso. Gli uomini si tirarono su a sedere, chi attonito, chi spaventato.
 -Andatevene! Suuubito!,- ululò lui, agitando le braccia,- Quest’isola è maledeeetta!
I bucanieri erano decisamente favorevoli ad obbedire, ma il capitano, che aveva un po’ più esperienza del mondo e non era ancora completamente ubriaco, capì che c’era qualcosa che non andava.
Puntò il piede sulla sostanza ectoplasmica che ricopriva lo spettro e con una mano la tirò via.
La stoffa cadde, rivelando Gilda.
Lo stupore degli uomini divenne presto eccitazione.
 -Una donna!- gridò un mozzo.
 -Donna..- ripeterono gli altri, che non posavano gli occhi su esseri di sesso femminile da circa un mese.
 -Una gigantessa,- li corresse il capitano,- Sono passati vent’anni dall’ultima volta in cui ne ho visto uno. Potremmo venderla oppure usarla per soddisfarci.
 -Non ci penso proprio,- ribatté Gilda, schifata.
 -Non sei in condizione di esprimere pareri,- disse il capitano Dodge, e ordinò l’attacco.
Una decina di quelli che non erano del tutto sbronzi le andarono addosso. La ragazza riuscì facilmente a spingerli violentemente via, facendoli sbattere tra di loro come birilli.
Alcuni di loro però tornarono alla carica e le cinsero le gambe, facendola cadere. Gilda ebbe comunque la soddisfazione di finire addosso a quelli che le erano accanto.
Il capitano estrasse una sciabola e gliela puntò al collo, ma proprio in quel momento sopra le loro teste tutti udirono un forte fruscio di foglie.
Poi cadde su di loro una polverina bianca.
- Neve!,- esclamò il cuoco, mostrando due denti d’oro. Respirò la polvere e di lì a pochi secondi si abbandonò a terra, e lo stesso accadde agli altri marinai, e al capitano.
Gilda evitò quella sorte coprendosi la bocca con la manica dell’abito, e tappandosi il naso.
Quando la pioggia drogata finì, la ragazza si alzò in piedi e puntò uno sguardo adirato in direzione delle fronde degli alberi.
- Alla buon’ora, eh?
Ivan e Daniel scivolarono dai tronchi di palma fino a toccare terra.
- Aspettavamo il momento giusto.
- Sì, come no.
Gilda sospirò e si sedette. Ivan notò la botte aperta di grog e ne prese un boccale. Sputò immediatamente, mentre la ragazza rideva.
 -Sì, ridi pure, ma scommetto che una ragazzina come te non è capace di berla questa roba.
In effetti, nei suoi trentadue anni di vita (che corrispondevano, per lei, alla piena adolescenza), Gilda non aveva mai bevuto alcolici.
Vinta nell’orgoglio strappò di mano il boccale a Ivan e lo vuotò tutto d’un sorso.
I due giovani la guardarono stupefatti.
 - Bene. E adesso aiutatemi a legare questi bifolchi.


Stavano finendo di legare gli ultimi uomini, quando a Daniel venne in mente una cosa.
 -Ce ne sono degli altri,-mormorò cupo guardando la nave.
 -Come lo sai?- chiese Ivan.
 - Costoro sono appena una quindicina. Il resto dell’equipaggio è rimasto sulla nave per sorvegliarla e far salire i compagni sbarcati. Dobbiamo rendere inoffensivi anche loro.
 - E come?- chiese Gilda, ma in quel momento il capitano, che conosceva bene la magica polverina per averla spesso adoperata e che aveva evitato di respirarla, si trascinò verso di loro e immobilizzò Daniel, puntandogli la sciabola alla gola.
Sul suo volto si dipinse una smorfia di soddisfazione.
 -Non sono nato ieri, ragazzini. Ora, con calma, slegherete i miei uomini, e..
Ma improvvisamente si udì l’uggiolio di un cane.
A Bogo era venuta improvvisamente fame e aveva deciso di chiedere la cena alla sua padroncina, contravvenendo agli ordini ricevuti di restarsene buono.
Vedendo il pastore tedesco arrivare Dodge sgranò gli occhi, sbalordito.
Nonostante si considerasse un uomo alquanto temerario aveva una sola, per lui inconcepibile fobia. Quella dei cani, appunti. Forse derivava da un trauma infantile.
Ricordava appena quando, bambino, aveva pestato per sbaglio la coda di un grosso cane e questo lo aveva rincorso e gli aveva morso un braccio.
Da allora aveva una paura terribile nei confronti di questi animali, anche se si dimostravano socievoli. Bogo poi era piuttosto grosso.
Il capitano quindi lasciò per qualche istante la presa su Daniel, e questo bastò al giovane per defilarsi.
 - Via! Vattene!,- urlò l’uomo terrorizzato, agitando la sciabola in direzione del cane, che invece si era tranquillamente seduto ignorandolo.
Gilda capì quindi la causa del suo terrore e si parò di fronte al capitano.
 - Sembra tanto tranquillo, vero? Ma è ben addestrato, e aspetta solo un mio ordine. E tu non vuoi che io gli dia ordini, vero?
L’uomo scosse lentamente la testa.
Gilda sorrise soddisfatta. – Allora cercherai di renderti utile.






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Capitolo 11
*** Lotta ***


lotta A bordo della nave pirata,”Il Delfino Salterino” –tale era il suo nome originario di nave mercantile, e i marinai avevano deciso di non cambiarlo per evitare la sfortuna- rimanevano effettivamente sette uomini.
Si trattava di marinai che non erano considerati utili ai fini della missione, o più semplicemente stavano sulle scatole al capitano.
C’erano due mozzi, l’aiuto cuoco, il dispensiere, due infermieri e un vecchio orbo che non aveva nessuna mansione in particolare.
Non avendo niente da fare, si erano messi sul ponte di prua, a giocare a carte i pochi spiccioli che possedevano, e si atavano seriamente stufando.
- Avanzi di forca! Fatemi salire!- la voce del capitano risuonò improvvisamente e tutti gli uomini trasalirono.
 -Capitano! Siete voi? - urlò l’aiuto cuoco, sporgendosi.
 -E chi altri, sennò? Avanti, fatemi salire a bordo!
Gli uomini calarono delle corde e alla fine la scialuppa fu issata a bordo.
Dalla scialuppa scesero il capitano Dodge, assieme a David e Ivan. Il capitano non aveva avuto altra scelta.  Avevano requisito le sue armi e la ragazza gigante, aggrappata alla nave grazie ad una corda, lo teneva d’occhio tenendo in braccio il cagnone.
 - Capitano, chi sono questi due?
 - Chiudi quella fogna, tu. Li abbiamo trovati sulla spiaggia e adesso sono dei nostri. Ora, al lavoro! Issate le vele e partiamo.
 - Ma..
 -Come ho detto, partiamo. Questo non è più un posto sicuro per tenere la nave!
Aveva uno sguardo poco raccomandabile e ansioso. I pirati decisero di obbedire, anche se sembrava loro strano.
Si  stavano allontanando sempre di più dall’isola.
Uno dei mozzi, notando che Daniel e Ivan rimanevano immobili, si avvicinò loro infuriato.
 - E  voi due, non fate nulla? Forza, al lavoro!, - e detto questo prese Ivan per le orecchie e lo trascinò via. Il capitano non aspettava altro e così spintonò a terra Daniel.
 - Uomini! Questi due bastardi non sono affatto dei nostri! Prendeteli!
La ciurma era leggermente confusa dal continuo susseguirsi di eventi, ma obbedì. I pirati si gettarono su i due ragazzi, e a questi non restava altro che combattere.
Ma se Ivan se la cavava più che discretamente con le armi, Daniel invece cercava solamente di scappare.
Stava per essere raggiunto da uno dei pirati quando improvvisamente si udì un cane abbaiare e Bogo saltò improvvisamente sul ponte. E  questo, alla ciurma poteva anche andare bene.
Ma quando fu Gilda, a salire, emettendo urla terrificanti e mostrando uno sguardo omicida, gli uomini si spaventarono sul serio. Un paio di loro si buttarono in mare, gli altri furono “aiutati” da Gilda.
La ragazza aveva iniziato a ridere e non riusciva più a fermarsi. Daniel sospettò che fosse un effetto causato dal micidiale mix di alcool e polverina da poco assunto.
Restava solo il capitano Dodge che, orgogliosamente, volle gettarsi da solo.
 -Tornerò,- affermò guardandoli negli occhi, e poi finì in acqua con un forte tonfo.
Gilda rise ancora di gusto.
 -Sì sì, che faccia come vuole!! Ahaha!
Ivan la guardò. In lui si accese un piccolo moto di speranza.
 -Allora vieni con noi.
La ragazza lo guardò per qualche istante ma poi scosse la testa, sorridendo.
 - No. Aspetterò che..mi passi questo orrendo mal di testa..e poi me ne ritorno sull’isola.
 -Ma non puoi. Ci sono ancora i pirati.
 -Se ne andranno, prima o poi,- rispose lei scrollando le spalle.
 -Oppure vieni con noi.
Lei scosse ancora la testa. –Tranquilli, so badare a dei pirati sbronzi.
 -Ma non parlo solo dei pirati. Vuoi davvero restartene per sempre su quell’isola, da sola?
 - Non posso andarmene.
 -Ma perché? Cosa ti impedisce di..
Gilda diede ad Ivan uno schiaffo tale da farlo quasi cadere.
 - Ti ho detto che non posso! Non posso tornare da dove provengo!,- urlò, perdendo il controllo,- Non dopo quello che ho fatto, hai capito?
I suoi occhi si fecero lucidi e  strinse i denti.
Ivan decise di non dire altro. Poi il volto della ragazza si sbiancò improvvisamente.
 -Tutto bene?- chiese Daniel, preoccupato. Ma Gilda non poteva sentirlo.
Sbarrò gli occhi e sollevò la testa di scatto. Poi barcollò e cadde.
Ivan le si avvicinò, spaventato.
 - Credo si tratti dell’effetto di quella polvere. Ne era caduta un po’ nella botte di grog e ne ha bevuto molto. Anzi, ha avuto fortuna che abbia avuto effetto solo adesso. Comunque ora non potrà scendere dalla nave.
 -Meglio così.

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Capitolo 12
*** In Viaggio ***


In viaggio Gilda si svegliò con il rumore di uno scricchiolio e un forte mal di testa.
Sentiva il rumore delle onde infrangersi  vicino a lei. Forse si era addormentata in spiaggia. Ma avvertiva meno luce rispetto a quanto ne fosse abituata, e un odore di chiuso.
Aprì gli occhi e si alzò, attonita. Si trovava all’interno di una stanza, distesa su un letto che occupava quasi completamente. Le pareti della stanza erano di legno. Gilda decise di uscire, anche se dovette chinarsi molto per attraversare la porta aperta. Si trovò di fronte ad un corridoi buio.
Aprì il primo uscio alla sua destra, dal quale filtrava della luce. Un’altra camera da letto. Sul giaciglio erano seduti i due ragazzi, Ivan e Daniel.
Trasalirono nel vederla.
 -Siete qui…- mormorò Gilda.
 -Allora, hai dormito bene?- chiese Ivan, per cambiare discorso.
La ragazza serrò i pugni.
 -Dormito bene un corno, razza di farabutti!
Camminò in avanti, superando il letto e raggiungendo una finestra coperta, dalla quale filtrava la luce del sole mattutino. Scostò velocemente le tende e si sorprese nel trovarsi di fronte ad un orizzonte composto dal mare interminabile.
 -Ma..siamo..sulla nave.. E l’isola è..
 -Lontana, sì. Dovevamo scappare al più presto,- disse Ivan.
 -Avevo chiaramente detto che avevo intenzione di tornarci, sull’isola.
 -E’ svenuta, signorina, non potevamo lasciarla ai pirati in uno stato simile,- s’introdusse Daniel.
Gilda ricordò improvvisamente di quel che era successo.
 -Ma certo, il boccale era pieno di quella strana polvere. Non avrei dovuto berlo…- e detto questo posò lo sguardo su Ivan,-Mi hai spinto a bere da quel boccale perché prevedevi che avrei potuto ubriacarmi, vero?
Ivan scosse le spalle. – E anche se fosse? Non avevamo motivo di lasciarti da sola, dopotutto. Ti abbiamo fatto un favore.
Gilda avrebbe voluto ribattere ma si bloccò, sospirando.
 -Uff. Non ha più alcuna importanza. Ma voi due, non agite mai più in questo modo, anche se pensate di fare la cosa più giusta per me,-disse solamente, accigliata, e uscì dalla stanza.
Camminando si ritrovò alla fine del corridoio, e salì delle scale finendo sul ponte di prua, dove solo poche ore prima aveva ingaggiato battaglia con quei pirati.
Bogo le venne incontro, scodinzolando, e Gilda iniziò a grattargli dietro le orecchie, dove gli piaceva tanto.
La ragazza aveva la mente in subbuglio. Provava felicità, ma allo stesso tempo terrore per aver lasciato improvvisamente l’isola che l’aveva ospitata per quasi due anni.
Si chiese cosa avrebbe fatto una volta raggiunta una qualsiasi riva, ma non ottenne risposta. Lo avrebbe capito una volta arrivata.
Sollevò la testa e vide uno splendido cielo privo di nuvole. Il mare era piatto e spirava una lieve brezza salata.
“Almeno, oggi è una bella giornata”.





Nota: Da qui in poi, purtroppo, non ho idea di come continuare.
Per questo, ad essere “Abbandonata” è la storia stessa. Se avete suggerimenti fatemeli sapere!!!

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