Cugini detective

di apefrizzola_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una Pasqua insolita ***
Capitolo 2: *** Una visita inaspettata ***
Capitolo 3: *** Il racconto di Alberto ***



Capitolo 1
*** Una Pasqua insolita ***


Torino, 28 aprile

“Signori se non avete altro da aggiungere la riunione è conclusa. Ogni cosa è stata stabilita, non resta altro che seguire i piani”-disse una fredda voce calcolatrice-“il nuovo incontro è previsto tra pochi giorni a villa Pascoli. Non ammetto errori. Abbiamo le ore contate”. Detto questo, la persona seduta a capotavola si alzò, avvicinò il suo socio più fidato, dicendogli: “Sei tu il responsabile di questa operazione, che ti darà grandi benefici”. Abbandonata la sala, si diresse alla sua limousine, parcheggiata davanti all’ingresso della casa dove si era appena tenuta la riunione, pronta a condurlo all’aeroporto.

Cascina nelle Langhe, 28 aprile

Alessia si era appena svegliata. Quella notte non aveva avuto incubi, aveva riposato di un sonno tranquillo e sereno. Era l’alba. Se ne accorse dal (verso del grillo) dei grilli, o più precisamente, dal “gracchiare” dei grilli, come lo definiva lei. Il verso di questi insetti le dava particolarmente fastidio, dal momento che tutte le mattine, svegliandola, le ricordava che l’avrebbe attesa una lunga giornata di scuola e di studio, ma quella mattina era speciale. Nonostante fossero solo le sei non si sentiva stanca e, almeno per un giorno, decise di non innervosirsi per “l’insopportabile gracchiare di quelle orride bestiacce”. Era il venerdì santo, secondo giorno di vacanza. Per quell’anno si sarebbe festeggiata una Pasqua del tutto insolita e speciale: tutta la famiglia si sarebbe riunita a Menaggio, paesino affacciato sul lago di Como, dove i nonni paterni di Alessia avevano comprato una casa. La ragazza rimase per un po’ distesa sotto le coperte a pensare e a chiedersi come mai i suoi nonni avessero avanzato tale proposta, e la lasciava ancora più stupita il fatto che tutti quanti avessero accettato. Alessia sorrise, ricordando il detto “parenti serpenti”, che era proprio adatto per quella situazione; non era cosa estranea a nessuno che i suoi familiari paterni non andassero per niente d’accordo con quelli materni, nonostante provassero a dimostrare il contrario. Aveva cercato per un mese, cioè da quando i suoi nonni avevano fatto la proposta durante una delle temute riunioni familiari in occasione del compleanno di Stefano, fratello di suo papà, di arrivare alla soluzione e alla fine si convinse che i suoi nonni volessero dare una dimostrazione di falsa magnanimità e cortesia solo come gesto di sfida. A quel pensiero prima sorrise, dopo scoppiò decisamente a ridere, come se le avessero raccontato la più buffa delle barzellette. “Ma quale competizione?!”, pensò. Era pienamente convinta del fatto che i suoi parenti materni avrebbero vinto qualsiasi sfida. Era sempre stata più legata a loro, fin da bambina; si sentiva più protetta in loro compagnia, nonostante avesse occasione di vederli raramente, dal momento che abitavano a Milano ed erano poche le occasioni in cui potevano riunirsi tutti insieme. Alessia guardò l’ora sul cellulare. Erano le 7.00. Scrisse un breve messaggio…“Sarà già sveglio a quest’ora, scommetto”- disse a bassa voce, riflettendo con lo sguardo rivolto verso il suo gatto, che, in segno di risposta, incominciò a fare le fusa, acciambellandosi nelle coperte calde del letto.

Milano, appartamento sul Naviglio grande, 28 aprile

Giacomo vide illuminarsi lo schermo del cellulare. Lesse il messaggio: “Buongiorno Momo! J J pronto per il grande evento? ;-)”. Sorrise divertito e rispose. Era Alessia, o meglio Ale, la sua cuginetta preferita. Tra di loro c’era sempre stato un legame particolarmente speciale. Si volevano bene come se fossero fratelli, o forse anche di più. Si sentivano sempre e, quando potevano, passavano delle ore a raccontarsi le novità o a confidarsi. Oltre al carattere molto simile, praticamente uguale, anche la loro breve differenza di età li aveva uniti. Giacomo aveva 22 anni, Alessia 18. Avevano frequentato lo stesso tipo di liceo e Giacomo stava per affrontare l’ultimo anno di giurisprudenza all’università “La Cattolica” di Milano. Anche per lui era cominciato un breve periodo di vacanza e quella mattina si era svegliato presto per preparare le valigie. Era uno dei “famosi parenti materni” invitati dai nonni di Alessia. Nonostante avesse molto tempo per prepararsi, si era svegliato presto. Era felice di vedere la sua cuginetta e non vedeva l’ora che arrivasse. In più era una delle poche occasioni che avevano per divertirsi e farsi delle sane risate “dal vivo”, ironizzando sulla vita di campagna, che Ale proprio non sopportava.

Cascina delle Langhe

Appena Alessia vide lo schermo del cellulare illuminarsi, sorrise trionfante e sempre rivolgendo lo sguardo verso il suo gatto disse: “Lo sapevo io che era sveglio!”. Lesse la risposta: “Ciao cuginettaJ diciamo che sono quasi pronto dai. Sto preparando le armi… per sicurezza porto anche qualche antidoto nel caso mi avvelenassero;-) dici che basta? :-)”. La ragazza rise e pensò: “Forse servirebbe anche qualche bomba a mano”. Rispose a suo cugino e scese a fare colazione. Nel frattempo anche i suoi genitori, Veronica e Luca, si erano svegliati.  Alessia stava prendendo il suo the con tranquillità, quando li vide arrivare. Non fece in tempo a salutarli che subito sua mamma incominciò a strillare. “Cosa ci fai qui? Non sei ancora pronta?? E’ tardi!! Sono le 7e mezza e dobbiamo essere a Milano alle 12, SBRIGATI!” La ragazza provò a replicare: “Ma veramente io…”. “Ma veramente tu cosa? Non discutere e fai come dice la mamma” disse secco il padre. Alessia lasciò il suo the a metà e andò a preparare la valigia. Mentre saliva le scale sentiva il calore addensarsi sul suo viso: erano già riusciti ad innervosirla. Nn sopportava di essere trattata così. “In fondo, se proprio stiamo a guardare sono IO quella che alle sei di mattina era già sveglia, mentre loro dormivano, o meglio, russavano con la delicatezza di un rinoceronte! E poi per andare a Milano ci vuole un’ora e mezza…vogliono partire alle 8 per essere da Momo a mezzogiorno? Alla fine intanto aspetto sempre io!”.  Passati i cinque minuti di rabbia, la ragazza decise che non si sarebbe lasciata rovinare la giornata da loro e con tutta serenità prese la valigia, aprì le ante dell’armadio e mise tutti i suoi vestiti più belli.

Torino, 28 aprile

“Tesoro dai andiamo o perderemo il treno”-disse la voce gentile della zia di Alessia, Carolina, rivolta al marito Giancarlo -“sempre immerso nel lavoro, eh? Almeno per questi giorni mi avevi promesso che ti saresti riposato”. “Hai ragione, cara, ho finito. Prendiamo i bambini e avviamoci” le rispose accennando un sorriso, dopo averle dato un bacio affettuoso. I due sposi erano le persone privilegiate nella famiglia di Alessia. Primogenito, fratello di Luca, Giancarlo era sempre stato il figlio preferito e più fortunato, quello che, secondo i nonni paterni della ragazza, aveva dato grandi soddisfazioni. Dopo aver frequentato l’università migliore di Torino, era stato assunto come architetto in un’azienda ed ora era il braccio destro del direttore della compagnia. Carolina, invece, proveniva da una famiglia dell’alta società di Torino, aveva ereditato dal padre uno studio notarile, e questi due elementi erano bastati alla donna per farsi ammirare dai suoi suoceri. Il rumore del motore della macchina di Giancarlo davanti al cancello segnalò alla moglie che le valigie erano state caricate e che era arrivato il momento di andare. Sistemò comodamente i tre bambini sul sedile e si sedette a fianco del marito. Arrivarono alla stazione giusto in tempo per convalidare i biglietti, fatti il giorno precedente, e per salire sul treno. Era un Eurostar, rapido e veloce, con posti prenotati. Era stata di Carolina l’idea di viaggiare in treno, Giancarlo avrebbe preferito di gran lunga l’automobile, ma aveva acconsentito a soddisfare la richiesta della moglie, che gli aveva fatto notare che si sarebbero sicuramente risparmiati interminabili ore di coda e la cantilena di sottofondo dei bambini, che avrebbero insistentemente chiesto: “Mamma, papà siamo arrivati?”.  Dopo una breve ricerca, la famiglia si sedette nei posti assegnati e il fischio del capotreno annunciò la partenza. Lo sguardo di Giancarlo si posò su un uomo seduto sul sedile accanto a quello della moglie. Lo trovava strano. Di certo era ricco; lo si capiva dal completo di Armani che indossava, ma l’aspetto fisico non era per niente curato: capelli arruffati, carnagione pallidissima, profonde occhiaie. Giancarlo cercò lo sguardo della moglie e, indicando la particolare figura con un cenno, cercò di comunicarle: “Stai attenta”.

 

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Capitolo 2
*** Una visita inaspettata ***


Cascina delle Langhe, 28 Aprile

Alessia aveva finito di preparare le valigie ed ora era distesa sul divano del suo salotto a guardare il soffitto. Dalla camera dei suoi  genitori  la mamma le disse ad alta voce per farsi sentire: “Ale per favore spegni il gas…e dai una mano a papà a portare le valigie in macchina!”. “Già fatto mamma, tranquilla”, rispose la ragazza. Era abituata a sentirsi dire le stesse cose da una vita ormai. Tutte le volte che dovevano partire per andare in vacanza era sempre la solita storia. “Devo imparare a svegliarmi alle nove. Non ci fossero questi maledetti grilli! Almeno ora avrei qualcosa da fare, non restare qui a “vegetare”. Incomincerò a cercare le chiavi della macchina dai…visto che, come ogni anno, spariranno misteriosamente e la mamma mi chiederà tra poco di prenderle”.  Il problema di trovare quel maledetto mazzo di chiavi era un’ossessione ricorrente in casa sua. Alessia non era per niente ordinata, ma almeno nel suo disordine si orientava e, alla fine, trovava sempre tutto. Ma quando era sua mamma a mettere a posto, allora era una vera sfida. Un braccialetto appoggiato sul comodino poteva essere riposto in un portagioie creato apposta, di cui nessuno conoscesse l’esistenza. Come Alessia aveva previsto, Veronica dopo poco le chiese di cercare le chiavi e la ragazza, con più costanza di un’indagine di Sherlock Holmes o Poirot, si mise sulle loro tracce e finì per trovarle in una scatolina minuscola, collocata sul tavolino vicino all’ingresso. “Ecco perché compra questi contenitori inutili”, pensò. Le afferrò con fare orgoglioso e trionfante, prese le ultime valigie, aspettò la mamma e salirono in macchina.

Milano, appartamento sul Naviglio grande, 28 aprile

Giacomo stava aspettando i suoi genitori, Ale, Veronica e Luca. Si erano dati appuntamento a casa sua. Avevano deciso di andare a Menaggio con due macchine. I genitori di Alessia e i suoi avrebbero utilizzato un’automobile, mentre  Ale sarebbe andata con Momo sulla sua nuova Lamborghini, anche se il papà della ragazza non era d’accordo perché considerava Giacomo un ragazzo poco affidabile. Ogni mossa era stata calcolata dai due giovani con la massima cura e attenzione. Sapevano che si sarebbero annoiati o che ci sarebbero potuti essere scontri  familiari alla “Beautiful” e quindi avevano preparato un efficace piano di fuga: avere la macchina di Momo sarebbe stato molto utile. In più i nonni paterni di Alessia avevano un’ossessione maniacale per le marche, per le alte cariche…e la ragazza aveva detto scherzando al cugino: “Forse è meglio che vieni con il gioiellino(così avevano soprannominato la macchina), potresti evitare l’avvelenamento!”.

Dlin Dlon

Il campanello di Giacomo suonò una volta. I suoi genitori erano arrivati. Li fece accomodare, salutò con un bacio sulla guancia la madre e con un affettuoso abbraccio il padre, prese il cellulare e inviò un messaggio: “Sperando che tu abbia trovato le chiavi;) dove sei?:)”. Dopo un attimo la risposta: “ Ricerca più facile del previsto;) mezz’oretta e arriviamoJ”.

Eurostar, 28 Aprile

Terza fermata. Lo strano personaggio scese con una velocità paragonabile a quella di un fuggiasco braccato dalla polizia. I muscoli di Giancarlo diventarono tesi per un ultimo, interminabile attimo, quando l’uomo gli passò accanto. Basta, era tutto finito. Ora poteva rilassarsi, anche se un senso di inquietudine gli rimaneva, piantato come un seme nello stomaco. Era rimasto muto per tutto il periodo del viaggio, soffermandosi a guardare quella bizzarra figura, che non si era mossa, era rimasta lì, con gli occhi persi nel vuoto. “E’ sicuramente un drogato”, aveva pensato Giancarlo e, temendo per la moglie e i bambini, aveva cercato più volte lo sguardo della donna, per infonderle un senso di protezione, e allo stesso tempo per perdersi in quegli occhi azzurro profondo, capaci di donargli un senso di tranquillità e sicurezza, che lo avevano fatto innamorare fin dalla prima volta che li aveva visti. Carolina cercava di rispondere alle occhiate del marito; lo vedeva pallido e agitato, non voleva che si preoccupasse, ma sapeva che era impossibile. Quando l’uomo scese dal treno sorrise al marito, come per dirgli: “Siamo salvi”, ma notò in lui che qualcosa non andava.

“Tesoro , ti senti bene?” .

“Sì, cara, stai tranquilla…solo…il suo sguardo…”.

“Il suo sguardo? Cosa vuoi dire?”.

“Quell’uomo…prima di scendere dal treno…mi ha guardato in modo strano…è stato un attimo, uno sguardo sfuggente…ma i suoi occhi erano gelidi….ho avuto paura”.

“Stai tranquillo adesso. Se n’è andato. E poi sono sicura che è stata un’allucinazione. Eri talmente preoccupato”, gli disse infine Carolina con una voce così gentile, che Giancarlo abbandonò ogni pensiero ngativo e si lasciò convincere. “Sì, hai ragione tu. E’ stata solo la mia immaginazione”. Si sistemò comodamente sul sedile e si godette il resto del viaggio.

Milano, appartamento sul Naviglio grande, 28 Aprile

Dlin Dlon, Dlin Dlon

Il campanello della casa di Momo suonò due volte. Era passato un quarto d’ora da quando la sua cuginetta gli aveva risposto. Possibile che fosse già arrivata? Guardò fuori dalla finestra e vide Alberto. Era un amico di famiglia,abitava a Milano, molto legato ad Edoardo, padre di Giacomo, ma ammirava moltissimo anche Momo, dal momento che aveva intrapreso la carriera di giurisprudenza, che suo figlio aveva rinnegato. Giacomo si voltò verso il padre: “C’è Alberto”, gli disse. Il padre lo guardò stupito, anche la madre accennò uno sguardo interrogativo. Il ragazzo, rivolto ai suoi genitori, espresse il pensiero, che affollava la mente di tutti in quel preciso istante: “Cosa può volere Alberto di così urgente da piombare qui?”. Ma Alberto un motivo l’aveva, ed era un buonissimo e validissimo motivo.

 

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Capitolo 3
*** Il racconto di Alberto ***


Stazione di Como, 28 Aprile

Giancarlo, Carolina e i bambini erano arrivati alla stazione di Como e, come da programma, i nonni paterni di Alessia, Paolo e Maria, erano andati a prenderli. Non c’era infatti una linea ferroviaria che arrivasse a Menaggio e i due anziani non volevano che i piccoli viaggiassero sul pullman fino al paesino. “C’è della brutta gente al giorno d’oggi” – dicevano – “ e visto che sono ancora bambini, meritano di essere trattati con tutte le comodità. Ci sono tanti turisti che visitano Menaggio. I nostri nipotini non possono di certo fare il viaggio in pullman in piedi!”. Avevano pronunciato queste esatte parole durante una cena di famiglia. Alessia era rimasta stupita e intenerita da quel gesto d’affetto, dal momento che, quando era piccola lei, non l’avevano mai fatto, anzi nemmeno proposto; però era felice che di quell’amore potesse godere qualcun altro. “Che abbiano un cuore?”, aveva pensato ironicamente, dal momento che si era posta una domanda retorica, sicuramente con risposta negativa, almeno per lei. Giacomo, dopo aver ascoltato il racconto della cugina sull’accaduto, aveva sbarrato gli occhi, inarcando i sopraccigli e facendo una smorfia. “Affetto, eh?” aveva detto, ridendo, condividendo gli stessi dubbi di Ale. “Se Paolo e Maria sono capaci di provare amore verso qualcuno o qualcosa, a parte loro stessi e il denaro, cambio facoltà e vado a studiare filosofia, promesso!”. E dal momento che Momo odiava, o meglio disgustava profondamente quella materia, doveva proprio essere sicuro di quello che stava dicendo. “Ma come siete cattivi, ragazzi!”, aveva detto Delia, la mamma del ragazzo, con un tono di finto rimprovero.  “Cattivi,eh?”- rispose Momo, mantenendo il tono ironico- “voglio vedere se cambierai idea dopo che ci avranno spediti a dormire nella stalla e avvelenati!”. E la discussione si era conclusa con una sonora risata.

Milano, appartamento sul naviglio grande, 28 Aprile

In un baleno, Alberto era piombato sulla soglia della casa di Giacomo. Il ragazzo non fece in tempo a fargli segno di accomodarsi, che l’uomo era già entrato  e si era accasciato sulla poltrona del soggiorno, ansimando. “Giacomo per favore chiudi la porta, in fretta!”, lo pregò sottovoce. Il ragazzo non se lo fece ripetere e offrì un bicchiere d’acqua ad Alberto, aspettando che si calmasse. “Scusate … lo so che vi sembro matto …. non volevo ….”, ma si interruppe, il viso coperto dalle mani. “Tranquillo Alby, rilassati … forza, dicci che cosa sta succedendo”, disse Edoardo, mettendo il suo braccio intorno alle spalle dell’amico. “Qualcuno mi perseguita. Mi hanno trovato …. hanno scoperto ….”, ma non riuscì ad aggiungere altro, la sua voce fu spezzata dalle lacrime. “Chi ti ha trovato? Chi ti perseguita?” chiese insistentemente Edoardo con l’intento di far parlare l’amico. Dopo pochi minuti Alberto riprese il discorso; ora sembrava lucido e tranquillo, la voce ferma e sicura. Si alzò in piedi e pronunciò le sue parole mentre con passi veloci, che rivelavano il suo reale stato d’animo e d’inquietudine, nonostante l’uomo si fosse imposto di controllarsi, percorreva il perimetro del salotto di Momo. “Due anni fa, come sapete, mio padre è mancato. I medici sostengono che si tratti di morte naturale, infarto, ma onestamente non ci credo. Non ha mai sofferto di cuore, è sempre stato un uomo che scoppiava di salute. In più il caso ha voluto, che dopo la sua morte, l’azienda che dirigeva sia completamente entrata in crisi, abbia  dichiarato il fallimento e questo ha permesso ad una nuova compagnia di ricomprarla a basso prezzo … non una compagnia qualunque … ma quella che faceva maggior concorrenza a quella di mio padre, la “Blue Marine”. Pur facendo un lavoro completamente diverso, ho pensato di interessarmi di nascosto alla vicenda e, grazie ad alcune mie conoscenze, sono riuscito a scoprire che la “Blue Marine” non aveva denaro sufficiente per acquistarla e non ha chiesto un  prestito ad una banca… ma un’altra associazione l’ha comprata e ceduta alla concorrenza. Ho deciso di arrivare al nome dell’associazione, avevo già un valido motivo, ma sono diventato ancora più deciso nel mio proposito quando…”, qui si interruppe per un momento e arrossì leggermente, poi riprese “fino a quando ho incontrato Angelica. E’ successo tutto per caso. E’… o forse dovrei dire era …”- fece una breve pausa, come se cercasse di chiarire bene la cosa a se stesso, prima di rivelarla agli altri- “va beh continuiamo… è un’amica di mia moglie, frequentano gli stessi corsi in palestra. Un giorno è venuta a pranzo, io ero appena tornato dal cimitero, non sapevo che ci fosse. Non ero molto allegro, mi manca molto mio padre e ogni volta che vado a “fargli visita” rimango ancora molto turbato e scosso. Angelica si è subito preoccupata e mi ha chiesto come mai ero così triste. E così dopo veloci presentazioni, le ho raccontato brevemente la mia storia…ovviamente ho omesso i particolari. Mi sono limitato a dirle che ero distrutto per la morte di mio padre ed ero amareggiato per il fatto che la “Blue Marine” fosse riuscita ad acquistare l’azienda. Il giorno seguente è venuta nel mio ufficio e mi ha raccontato che suo padre lavorava nella stessa azienda del mio e aveva talmente sofferto per il crollo della compagnia e il suo conseguente licenziamento, che era morto dal dolore, il suo cuore non aveva retto. Sono  rimasto particolarmente colpito dalla vicenda, Angelica era distrutta. Ricordare il recente passato non le aveva fatto bene, aveva appoggiato il capo sulle sue braccia, quasi per voler nascondere le lacrime che le rigavano il viso, pronunciava parole intrise di dolore e rabbia. Voleva vendetta. Ho deciso di raccontarle quello che sapevo …. Oh quanto me ne pento ora!! Le ho detto che avevo intenzione di andare fino in fondo alla storia e che avrei trovato il modo di denunciare e incastrare i membri di quell’associazione e Angelica si è offerta di aiutarmi. Grazie al suo aiuto sono riuscito a entrare nella “Blue Marine” e ho investigato. Ho trovato dei file e dei documenti che mettono chiaramente in evidenza il fatto che l’azienda sia spalleggiata da un’altra associazione, illegale direi; si è spacciata con il nome di “West Coast”, ma ho provato a ottenere informazioni e non  ho ottenuto nessun risultato. Oltre al computer, ho deciso di dare un’occhiata in tutto l’ufficio del capo e ho trovato una busta, era stata aperta e riposta con cura, riportava un messaggio breve, ma freddo e preciso: “Domani riceverai nuove informazioni. West Coast”. Sono tornato a casa e ho raccontato tutto ad Angelica il giorno seguente, accennandole il fatto che vi avrei chiesto aiuto in caso avessi ottenuto prove più sicure. Era evidentemente molto preoccupata per me, sembrava spaventata, mi ha pregato di desistere dall’impresa perché non era un gioco avere a che fare con un’associazione di quel tipo, potevo essere in pericolo. Ma non è riuscita a convincermi e quello stesso giorno sono ritornato alla “Blue Marine”. L’orario era lo stesso della volta precedente e, sperando di avere fortuna, ho cercato la nuova busta nel posto in cui avevo trovato la precedente. Doveva essere un’abitudine dell’amministratore riporre i messaggi nello stesso luogo: infatti la lettera era là, dove mi aspettavo di trovarla. Anche questa volta era già stata aperta. L’ho letta: “Perletti(cognome di Alberto) sta investigando, vuole scoprire tutto. Sta diventando pericoloso. Non è solo, un’altra persona lo sta aiutando. Trovala ed eliminala. A lui penseremo dopo.”.  Ho chiamato subito Angelica, dicendole che sarei corso da voi per chiedere aiuto,perché la situazione sta peggiorando, perché ha ragione lei, questo non è un gioco, perché ora è in pericolo, per colpa mia, e non potrei mai permettere che le accada qualcosa di male. Non le ho rivelato le esatte parole della lettera, non ne ho avuto la forza, le ho solo detto che deve rimanere fuori da questa storia e che non voglio più nemmeno il suo sostegno, perché voglio portare a termine la questione da solo. Sono venuto da voi appena ho potuto, ma devo scappare ora; ho tenuto mia moglie all’oscuro di tutto, non voglio che cominci a sospettare qualcosa. Vi prego aiutatemi. Lo so che vi chiedo moltissimo, ma andare alla polizia non serve a niente. Aiutatemi a investigare. Per favore, vi imploro. Sono disperato. Dobbiamo prenderli prima che la trovino. Dovete aiutarla. Non so quanto servirà non vederla più. Per fortuna non la conoscono, non sanno dove abita, non sanno dove si trova ora. Ma se la trovassero? Aiutatemi. Mi ha detto che in questi giorni soggiornerà a Menaggio, con la sua famiglia, perché è il luogo d’origine di suo papà e festeggiare in quel luogo la Pasqua è come se la sua famiglia fosse ancora tutta riunita insieme, come faceva una volta. Edoardo, Delia, Giacomo, so che vi chiedo l’impossibile, ma siete le uniche persone di cui mi fido veramente. Aiutatela, o la uccideranno”.

  

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