Deeper than any Game

di ThePirateSDaughter
(/viewuser.php?uid=76159)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** If I'm going down make a fair fight ***
Capitolo 2: *** Shouldn't have mocked you ***
Capitolo 3: *** Admit that. You're in love with me! ***
Capitolo 4: *** Help me out ***
Capitolo 5: *** Time for you to say bye - bye (- bye) ***
Capitolo 6: *** 6: This is how we will end it ***
Capitolo 7: *** Your bill must be paid ***



Capitolo 1
*** If I'm going down make a fair fight ***


LONG A-H L'ho detto che la pubblicavo, no?!
Ed eccola quaaa *____*
Diciamo che la considero anche una ff celebrativa: mi impegno a scrivere una long, possibilmente romantica e soprattutto pubblico il primo capitolo della storia il giorno in cui faccio 2 anni su EFP! (Ma questo non interessa a nessuno ^^)
Come primo capitolo è abbastanza corto, lo so... Ma è più che altro introduttivo ^^. Fatemi sapere mi raccomando! E grazie mille a chi ha commentato le mie precedenti storie: Strings of my Heart, Ring e Green! Siete troppo belli :D
Anche qui, se notaste qualche mia capperata, non esitate a dirmelo! :D

Deeper Than Any Game

#1: If I'm going down make a fair fight

La furia degli elementi sembrava essersi placata; l'isola maledetta era ormai lontana e la mostruosa caduta di rocce infuocate dal vulcano era terminata. Soltanto degli ultimi lapilli piovevano di tanto in tanto in acqua, sollevando lievi nuvolette di vapore caldo quando facevano contatto.
I ragazzi reduci dell'ultima stagione di Total Drama avevano nuotato come dei dannati, allontanandosi dal pericolo bracciata dopo bracciata; ciononostante sentivano ancora una certa agitazione, che si rinnovava ad ogni occhiata al cielo arancione, che li sovrastava. O quando percepivano i tremori della terra che si ripercuotevano nel mare, quasi giungendo fino a loro. Ma anche il caldo impetuoso era diventato un altro simbolo della loro sventura. Infine, il fatto di ritrovarsi in acqua, senza possibilità di salvezza all'orizzonte, non contribuiva di certo a migliorare il caso.
-Dove diamine è quell'idiota di Chris quando serve?!- sbraitò Courtney, prendendo a pugni il mare -Quando i miei avvocati sapranno dove sono stata lasciata a marcire e per quanto tempo, quel conduttore da strapazzo riceverà una bella querela!
-Taci, vecchio trombone- interloquì Duncan, con la sua innata gentilezza, la cresta afflosciata tutta da un lato -la situazione è già abbastanza pessima senza che tu la peggiori con i tuoi strilli.
-Oh mio Dio- La testa di Lindsay sbucò dalla superficie dell'acqua -La mia messa in piega è rovinata!
-E lo vieni a dire a me?- singhiozzò Justin, da chissà dove.
-Non mi pare per niente il problema principale!- scattò nuovamente Courtney -Concentriamoci piuttosto su dove diamine sia finito Chris e perchè doppio diamine nessuno è ancora venuto a salvarci!
-Perchè, ci speri ancora? Dovremmo sbrigarcela da soli...
-Perfetto: qualcuno ha qualche idea?!
Cadde immediatamente il silenzio. Poi Lindsay alzò la mano.
Non era esattamente la persona che Courtney sperava di veder intervenire, ma pazienza...

-...?
-Per salvarci potremmo addestrarci per diventare delle sirene!
Gwen si battè la mano sulla fronte, sconcertata, spruzzando altre goccioline; ma Lindsay non sembrò accorgersene.
-Non sarebbe una cattiva idea! Sono creature molto belle e, sapete? riescono a respirare sott'acqua! Incredibile, no? Sono sempre in forma, agili e anche se i loro capelli si bagnano sono sempre perfetti! E poi possono vivere mooolto a lungo, quasi un milione di anni!
Il gruppo non sembrò stupito dall'improvvisa cultura che Lindsay -pur in termini non propriamente consoni e profondi- aveva dimostrato di possedere in merito a qualcosa che non riguardasse Tyler o il lucidalabbra; piuttosto osservavano ciò che stava accadendo alle spalle della ragazza, la quale sentì un'improvvisa presenza dietro di sè.
-Se ci tieni alla pelle evita di pronunciare quelle due parole!
Heather era livida. Furiosa, incazzata nera. Nulla andava come avrebbe dovuto: i soldi che aveva vinto erano persi, era immersa nell'acqua ed era circondata da una manica di imbecilli, specie quella che aveva parlato per ultima, ricordandole l'ammontare della cifra perduta.
-Ora: qualcuno ha qualche idea su come possiamo andarcene da qui?- ringhiò indisponente -Un'idea intelligente, possibilmente!- si affrettò a precisare, guardando la bionda.
-Ehi voi!
I ventitrè exconcorrenti si voltarono al suono di quell'odiata voce.
Chris McLean, in impeccabili carne ed ossa, li attendeva con le braccia dietro la schiena a bordo di uno sgangherato peschereccio, che sembrava tuttavia in condizioni abbastanza buone da portare poco più di una decina di persone. I capelli e gli abiti del conduttore erano bagnati fradici e una molliccia alga verde gli pendeva sconsolata sulla fronte; nonostante ciò il detestato sorriso strafottente era ancora impresso sul suo volto. Senza tanti complimenti e con un certo stupore da parte dei naufraghi, l'uomo slegò una cima e la lanciò in acqua.
-Datevi una mossa e salite tutti quanti, in fretta! Mi serve la firma di ognuno di voi su qualche documento- e mostrò con strafottenza una bracciata di fogli -per togliere la responsabilità del reality riguardo a vostri possibili infortuni!
Ai ragazzi non interessava minimamente come il conduttore fosse riuscito a riemergere dall'acqua e recuperare una barca -chissà poi da dove-; pur di abbandonare il mare ed avere una possibilità di salvezza, ciascuno di loro si issò a bordo e cominciò a porre nome e cognome sulla linea indicata di volta in volta dal dito canzonatorio di Chris, che passò in rassegna al gruppo.
-Ci siamo tutti, no? Harold... Cody... Heather... Trent... DJ... Sierra... Lindsay... Courtney... Gwen... Duncan... Katie e Sadie... Bridgette...
-Un momento- I ragazzi si voltarono, sentendo Owen prendere improvvisamente la parola -Non ci siamo tutti. Manca Al! Al...? Al! Dove sei?
-Oddio, è vero!- esclamò Courtney, spaventata, guardandosi attorno. Il ragazzo era l'unico che mancasse all'appello. I compagni di reality chiamarono il suo nome più e più volte, ma senza ottenere risposta.
L'unica che non si scomodò ad aprire bocca fu, dal suo angolo, Heather, anche se, non appena aveva sentito le parole di Owen, aveva sentito una sensazione fastidiosa alla bocca dello stomaco, come se qualcosa l'avesse colpita. Contemporaneamente una specie di spavento tentò di assalirla, ma venne stizzitamente respinto.
Dove diamine era quel deficiente di Alejandro? Perchè non era lì?
Chris si voltò con nonchalanche verso l'isola, in quel momento scossa da un'altra eruzione, anche se meno grave della precedente.
-Sarà rimasto là- buttò lì, quasi stesse parlando del tempo -Assistenti! Andate a cercarlo... perchè se è rimasto sul serio sull'isola mi servirà assolutamente la sua firma!- concluse, il viso tramutato in una perfetta faccia da schiaffi. E in quel momento Heather avrebbe voluto tirargliene moltissimi.
La ragazza spostò lo sguardo sul mare; continuava a tenere sotto controllo quella stupida agitazione -chissà poi da cosa era generata!- ma le serviva comunque qualcosa per distrarsi. E poi, magari, vedendola così, anche i più stupidi come Sierra o Lindsay, avrebbero potuto capire che non era il caso di andarla a seccare con confortanti parole della serie "sono sicura che il tuo Alejandro sta bene". Sempre che non fraintendessero e pensassero che stava cercando di scorgere ilsuoamatocaliente sulla riva...
Quasi a farlo apposta, mentre pensava queste cose, in lontananza vide effettivamente qualcosa di piccolo ma definito agitarsi fra i flutti. Un punto con due braccia.
Era lui, sicuramente. 
Da come si dimenava sembrava avesse bisogno di aiuto. Avrebbe dovuto lanciarsi giù e raggiungerlo...
...Ma cosa vado a pensare!? Stiamo scherzando? Così farei la figura della dolce strappalacrime che raggiunge il suo bello! Come se mi importasse qualcosa di quel bellimbusto! Che ci pensino Chris e la sua squadra di imbecilli a ripescarlo...
...E'anche vero che se non ci pensassi io non lo noterebbero mai e poi mai, storditi come sono...
-Hei- commentò acida e ad alta voce, perchè tutti la sentissero -Vi informo, nel caso non l'aveste notato, che Alejandro è lì.
Mentre parlava cercò di infondere il più possibile di fermezza nella voce -stupida, immotivata agitazione!- ed evitò lo sguardo di chiunque, in special modo quello inquisitorio di quella cretina di Sierra.

Incredibile ma vero ci volle poco ai due stupidi che Chris aveva mandato per recuperare Alejandro. Ad Heather parve comunque troppo tempo.
Ora che anche lui si trovava a bordo, anche se avesse voluto vedere come stava -e figurarsi se le importava- sarebbe stato assolutamente impossibile: venne immediatamente circondato da una fiumana di persone, Courtney in prima linea.
-Alejandro! Alejandro! Perchè non risponde...? ...Oh... santo cielo! Fate qualcosa!
Heather cominciò ad irritarsi.
Ok. E'curiosità. Pura e semplice curiosità, se mi avvicino a vedere che succede e come sta. Pura curiosità.
Ma non ci volle molto tempo; dopo qualche sgomitata e imprecazione tagliente riuscì a portarsi vicino.
Abbastanza vicino da udire il sussurro preoccupato e sgomento di uno degli assistenti.
-E'grave... Molto.
...
-Questo ragazzo va portato in ospedale, di corsa!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Shouldn't have mocked you ***


2 deeper than any game
Deeper Than Any Game

#2: Shouldn't have mocked you

Con un colpo secco Heather aprì lo sportello della doccia e ne uscì. Strano, ma l'acqua sulla pelle non le causava ribrezzo, il che avrebbe potuto essre comprensibile, dopo quanto tempo vi era rimasta, dopo la fuga dalle Hawaii, nell'ultima puntata.
L'ultima puntata...
Alejandro è in ospedale.
Scosse la testa e avvolse corpo e capelli in un asciugamano.
Mentre l'abbraccio di spugna iniziava a rimuoverle da dosso il grosso dell'acqua, lo sguardo della ragazza cadde sulle unghie dei piedi, immacolate e abbastanza curate. Durante il reality era troppo occupata per potersele sistemare a dovere...
Alejandro è in ospedale.
... e non ne sarebbe valsa neanche la pena, perchè si sarebbero rovinate subito, con tutte quelle sfide folli. Ma ora quell'abominio era giunto alla fine per la terza volta, quindi Heather decise di riprendere in mano una vecchia abitudine.
Finì di asciugarsi e si vestì; dopodichè si impadronì dello smalto e si sedette a terra, nel bel mezzo del soggiorno. La portafinestra era chiusa e le tende tirate: un piacevole sole la illuminava...
Alejandro è in ospedale.
Strinse irritata il pennellino e cominciò la sua opera.
Alejandro è in ospedale.
Alluce... poi il dito dopo... e quello dopo ancora...
Alejandro è in ospedale.
...E quello dopo ANCORA. Il carico di smalto iniziava a scemare, quindi Heather schiaffò il pennellino nel barattolino di smalto.
Alejandro. E'in ospedale.
-Oh, basta!!!- sbraitò al nulla, accompagnando l'imprecazione a un brusco movimento della mano.
Che, per sua sfortuna, era quella che reggeva il pennellino immerso nello smalto. Due secondi dopo una vivida macchia porpora aveva colpito la moquette chiara del soggiorno.
Heather rimase stranita per qualche secondo; poi, snocciolando una sfilza allucinante di improperi e maledizioni, corse a prendere il necessario per tentare di pulire.
...Devi essere deficiente. Che casino hai combinato!? Il mio smalto, la mia moquette! E tutto per colpa di quel Burromuerto!
Patetico. Non riusciva a smettere di pensarci, nemmeno imponendoselo: il pensiero attendeva di soppiatto ai bordi della sua mente, per poi prenderne possesso non appena Heather abbassava la guardia. Era sempre lì!
Tutto per colpa di quell'imbecille. Quell'assurdo, totale cascamorto imbecille.
E'in ospedale.
I miei nervi salteranno presto.
E la cosa che la irritava forse maggiormente era il fatto di sentirsi -seppur minimamente!- in colpa.
In colpa.
In colpa! Ma cerchiamo di non essere sciocchi! Per che cosa, poi? Quell'emerito idiota poteva scappare più velocemente, cosa dovrei centrare io?
Ecco il punto. Da cosa esattamente avrebbe dovuto scappare Alejandro? Avendolo sorpassato, Heather non ne aveva idea. Ma qualunque cosa lo avesse colpito, doveva averlo fatto in prossimità della riva.
E chi lo aveva spedito lì, gabbandolo con un sacrosanto calcio là dove non batte il sole? 
E quindi? Mi dovrei sentire in colpa per questo?!
Malgrado gli acidi tentativi di autoconvinzione il senso di fastidio non accennava a smettere. Così come il pensiero di Alejandro non cessava di martellarla.
E'in ospedale. Chissà come sta.
Oh, e va bene! Andrò a trovar... a vederlo! Almeno questo mio stupido cervello si farà un'idea e la pianterà di tormentarmi una buona volta!

Per l'infermiera Joan Smitherson, quel giorno, era il turno pomeridiano.
Un lungo pomeriggio seduta al bancone del terzo piano. Oppressa dal caldo cocente di giugno, a malapena soccorsa dall'aria condizionata. Al solo pensiero si sentì mancare; poi prese posto al bancone e cercò di farsi forza, perchè partire da quel presupposto non l'avrebbe per niente aiutata. E poi, chissà, magari sarebbe venuta una qualche persona interessante a far visita a uno di quei poveracci e a smuovere la sua monotona giornata...
E difatti, verso le tre e mezza, ecco fare capolino dall'altro capo del corridoio una ragazza. Indossava un paio di shorts e una canotta perlopiù succinta, che valorizzavano una silohuette già invidiabile, considerò Joan, fissando la propria pancetta. Man mano che si avvicinava, Joan Smitherson potè constatare che anche il viso era intrigante: magnetici occhi a mandorla, labbra chiare e lineamenti delicati che ben si armonizzavano alla lunga cascata di riccioli castani che le incorniciavano volto e spalle.
Una ragazza all'apparenza come tutte le altre. Dall'aria quasi familiare. Ma Joan, chissà come, avvertiva che c'era qualcosa sotto.
Nel frattempo, quella era arrivata davanti a lei.
-Buon pomeriggio- esordì, zuccherosa -Vorrei sapere il numero di stanza di Alejandro Burromuerto, per favore.
Joan consultò il fascicolo dei pazienti di quel piano. Burromuerto... ah sì.
Povero ragazzo. Un bruttissimo caso.
Di conseguenza non poteva far entrare il primo che passava.
-Lei è una parente?- indagò scettica, inarcando un sopracciglio e fissando la ragazza.
E in quel momento trovò cosa non la finiva di sconfifferare di lei: l'espressione. A prima vista tranquilla, ma con un'ombra dietro che andava oltre la preoccupazione. Era come se avesse paura di farsi vedere in giro.
-...Parente? Sì certo!- rispose la ragazza -Sono... ehm, soi, soi la prima di Alejandro Burromuerto. Suprima. Mi faccia entrare, por favor!
Joan battè le palpebre, sconcertata.
Ora ne era certa: quella non era sicuramente la prima di Burromuerto.
In compenso aveva un'altra idea, circa la sua identità.

E'una maledetta porta. Hai rotto le scatole sì o no per vederlo? E ora ce l'hai praticamente davanti, muoviti!
Heather era ferma davanti all'entrata della camera da diversi minuti. Non riusciva a spiegarselo, dannazione, ma qualcosa la tratteneva.
Che cosa poteva essere? Paura? Tzè, e di cosa?
Orgoglio? Probabilissimo.
Timore di vederlo? E perchè dovrei scandalizzarmi, l'ho visto ogni giorno durante il reality!
Si massaggiò le tempie, infastidita. E già che c'era si diede una vigorosa grattata alla testa, irritata da quella maledetta parrucca riccia. Era insopportabile, ma sarebbe morta piuttosto che togliersela e far vedere alla società Heather che andava a trovare Alejandro.
Bisogna che mi risolva ad entrare o rimarrò qua davanti come un'idiota.
La risoluzione arrivò provvidenziale quando vide la seccante infermiera di poco prima sbirciarla inquisitoria. Quella scocciantissima donna aveva quasi fatto sì che le rispondesse male. Heather espirò stizzita e prima che la sua mente -ultimamente impazzita- la bloccasse un'altra volta, spalancò la porta.
E, sempre di corsa, non si soffermò su scemenze quali il colore della camera o che medicinali o apparecchiature vedesse: marciò decisa verso l'unico letto.
Solo mentre si avvicinava cominciò a rallentare. E non per senso di colpa, paura o qualsiasi altra stronzata avesse cercato di bloccarla nei momenti precedenti.
Il fatto era che si sarebbe aspettata tutto. Ma non quello.
Ogni singolo centimetro del corpo di Alejandro che riuscisse a vedere e che non fosse celato da bende o lenzuola era coperto era ricoperto da lucenti e orrende ustioni, piaghe innaturali che lo deturpavano e che cancellavano qualunque traccia del fisico precedentemente conosciuto. Non vi era più traccia dei vigorosi addominali di cui il ragazzo aveva fatto sfoggio nel corso del reality; niente più muscoli guizzanti; niente di niente. Tutto spariva sotto quegli orrendi segni, che arrivavano quasi ad annientare perfino l'abbronzatura.
Ma non finiva lì.
Attorno alle ustioni si stendeva una serie di vivide macchie scure, che Heather capì essere lividi, lunghi e stretti; ciascuno era contornato di un cupo rossastro, che sfumava in violaceo per poi perdersi nell'intenso nero dell'ematoma.
In testa, il ragazzo portava una cuffietta di plastica che gli circondava fronte e orecchie; ma dato che il copricapo era pressochè trasparente, sforzandosi un po' si poteva intravedere cosa ci fosse sotto. E i lunghi capelli scuri del ragazzo erano spariti, dal primo all'ultimo, lasciando posto ad una pelata che in circostanze normali sarebbe parsa patetica.
Una scena del genere faceva sorvolare qualunque spettatore sul fatto che Alejandro fosse collegato a un respiratore o che un macchinario lì accanto emettesse un bip a lunghi, costanti intervalli; ed Heather non fece eccezione.
Rimase là, agghiacciata, per infiniti, innumerabili secondi, senza che la sua mente riuscisse ad elaborare un solo pensiero, acido o smielato che fosse. Alejandro, in quelle condizioni, incosciente e sfigurato, incatenava oscenamente la sua vista.
Sembrava che ogni cosa fosse stata resettata. Non sentiva nemmeno il senso di colpa.
Due secondi dopo però, quello arrivò tutto in una volta, grande e prepotente; la ragazza si portò per istinto la mano alla bocca, orripilata e minacciata da un conato di vomito.
Era tutta, solo ed esclusivamente colpa sua.
... no, cerchiamo di non essere sce...
Sì, colpa sua! Solo sua! Che cos'altro si poteva pensare, vedendo una cosa del genere? Nella sua testa regnava il caos, ma almeno di quello era certa: non sarebbe successo se non l'avesse spinto giù dal vulcano.
E il senso di colpa era distruttivo. Orribile. Si odiava e disprezzava per non riuscire a bloccarlo, ad autoconvincersi per l'ennesima volta che non fosse successo nulla di grave e che non fosse merito suo...
Ma non era possibile. Non con Alejandro così davanti agli occhi. Non si era bruciacchiato su una mano: era deturpato ovunque, ovunque, maledizione! Chi le diceva ora, che fosse fuori pericolo? Come faceva ad essere sicura che si sarebbe ripreso?
Non si riusciva a muovere. Sembrava una statua, accanto ad Alejandro, ugualmente immobile.
-Povero ragazzo.
Le due voci arrivarono dietro di lei, improvvise e come da molto lontano.
-Guarda, ha visite!
-Pare sia la cugina...
-L'hai visto, eh?
-Sono entrata a cambiargli la flebo l'altro giorno. Mamma mia, come è conciato. Così giovane, così carino... E si è distrutto, in un colpo solo- Risuonò uno schiocco di dita.
-Tutto per quello stupido reality. Povera stella. E poi è solo.
-Solo?
-Come un cane. Nessun parente, nessuna ragazza, nessun amico. La madre è troppo lontana e per un qualche motivo non è riuscita a pagarsi il viaggio; i fratelli non so. A pensarci bene, per due giorni è venuta a trovarlo una partecipante del reality, quella Courtney, hai presente? La ex del punkettone. Dopo un po'però, stando a quanto dicono, pare che si sia riallacciata con quello lì e non si è più fatta vedere. Come nessun altro dei partecipanti, che lo consideravano calcolatore, crudele, perfido e subdolo.
-Però verso la finale sembrava essersi quasi redento...
-Beh, per uno come lui è difficile, ma sì, possiamo dirlo. Aveva un sacco di ragazze belle e buone e si è preso quella strega schifosa. Era in testa alla finale, aveva praticamente già vinto, ma per lei avrebbe rinunciato ai soldi, alla fama, alla vittoria! L'hai vista anche tu l'ultima puntata, no?... Ecco. Poteva vincere, invece ha preferito i sentimenti. E quella bastarda l'ha tradito e schiaffato giù dal vulcano.
-Pensa te. I sentimenti di Heather, poi, saranno stati sicuramente falsi, te lo dico io. Non sarà mai stata veramente innamorata di lui, ci metto la mano sul fuoco. L'ha sempre usato, come con qualsiasi altra persona.
-E'stato calpestato, lasciato a terra, abbandonato, tradito, martoriato... Tutte le sfortune, povero ragazzo!
-Mamma mia. Ora come sta?
-Il dottore non sa più dove sbattere la testa.
Pausa di silenzio.
-...Ti va un caffè?
-E caffè sia.
Non sentì i passi che si allontanavano. Non avvertì le voci che scemavano. Non sentì quasi più niente.
In testa un sacco di pensieri, silenziosi e striscianti, come vermi.
Dentro, la spaccatura e la confusione più profonde. Da una parte l'acidità che autoconvinceva; ma ormai era soffocata da una tonnellata di altre cose.
Senso di colpa dominante. Orrore. Odio per quelle due. Sgomento. Il non sapere cosa fare, come agire, cosa pensare.
Desiderio di voler urlare a chiunque che non era vero, che i suoi sentimenti non erano falsi...
Ah, sul serio? Per questo imbecille?
...
Il cuore che di solito non si curava di sentire trafitto da ogni singola parola pronunciata dalle due infermiere. Non da cose come "strega schifosa" o "bastarda", ma per le frasi seguite.
L'aveva tradito. Quasi ucciso.
E lui l'amava.
E lei?



*Arrivando a fine pagina i lettori scorgono l'autrice in un bagno di sudore, stremata*
Miseria santa.
Questo capitolo è stato arduo anzichenò!
Scrivere di quella ragazza, con tutti i suoi patemi, le sue convinzioni, la sua acidità...
Ma non poteva essere una ca**o di bionda cheerleader, smielata e con un chiuaua in braccio?
... Beh, no. Sennò non l'avrei adorata! Mwahahahah!
^/////^ Bene! Se siete arrivati fin qua significa che siete oltremodo fantastici! *manda baci*
Fatemi sapere, vè! E ricordatemi che i pomodori sono sempre a disposizione *indica banchetto carico di ortaggi*
Grazie a tutti voi, che avete letto, recensito, messo nelle preferite/seguite/ricordate.
Sappiate che una recensione in più è sempre ben gradita! *_________*

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Admit that. You're in love with me! ***


3

Deeper Than Any Game


#3: Admit that. You're in love with me!

Il giorno dopo era ancora lì.
E quello dopo ancora.
Idem per il successivo. 
Passò molti, molti giorni là.
E lui non si era ancora svegliato. Nemmeno mosso.
Forse era quella la ragione per cui, tutto d'un tratto, aveva quasi preso residenza in quella camera. Voleva essere lì… quando… si sarebbe svegliato.
??!?!

Se mai si sveglierà, la colse d'improvviso e con sgomento.
La vuoi finire?! Bisogna anche che prima o poi ti riabbia da questi pensierucoli sdolcinati... L'unica vera ragione per la quale tu continui a rimanere qui è SOLO ED ESCLUSIVAMENTE perchè il suo pensiero la smetta di tormentarti: quando si sveglierà gli urlerai in faccia un paio di maledizioni ben fatte e riuscirai ad andartene, con l'animo in pace!

... Sul serio?
Era quello l'unico motivo per il quale continuava a entrare in quella camera, tutti i giorni e starci interi pomeriggi? Non c'era... altro... no?
Heather appoggiò la fronte ad una mano, sbuffando. Per sua rabbia, ora stava male anche lei! Scaturiva tutto dall'essere contrapposta tra due stati d'animo: fregarsene altamente, come aveva sempre fatto dopo ogni sua malefatta...
Oppure stare lì a fissarlo -come un'imbecille!-.
Già. Imbecille. Ma al contempo sentiva comunque che doveva dirlo.
Guardò per l'ennesima volta il corpo sprofondato nel letto: martoriato, rossastro e nero, terribile nella sua immobilità. Non faceva niente, non muoveva la testa, non piegava un dito, non gemeva... Non faceva niente
Se non fosse stato per il bip costante dei macchinari cui era legato si sarebbe tranquillamente detto che Alejandro fosse morto.
Qualche volta erano entrati dei dottori, oltre alla solita infermiera che controllava che tutto fosse stabile; e in ognuna di quelle situazioni Heather era uscita, infastidita e non desiderosa di farsi vedere là, anche se l'odiosa parrucca avrebbe dovuto funzionare come camuffamento. Gli idioti in camice si affaccendavano attorno al letto di Alejandro, circondandolo e coprendo la visuale; chiacchieravano tra loro, lo indicavano, facevano qualcosa che lei non riusciva a vedere e se ne andavano. Heather faceva passare qualche minuto per essere sicura che non sarebbero tornati e poi rientrava.
In nessuna occasione notò un miglioramento delle condizioni. Quelle maledette ustioni sembravano, anzi, più vivide, i lividi più scuri.
Ma chi diamine aveva consegnato la laurea a quei medici, un coccodrillo!?
Sospirò. Sì, doveva dirglielo. Anche solo per levarsi quel fastidioso peso. Contemporaneamente però avvertiva un terribile imbarazzo e seccatura al solo pensiero di doverlo fare.
Forza.
-...S...
NO! Non scenderò a questo, non esiste! Sono Heather, per la miseria e Heather non è una smielata infermierina che frigna sul corpo del suo amato... del suo... insomma, sul suo corpo! 
... Doveva anche finirla con certi pensieri. Non era davanti a nessuno in quel momento, perchè dimostrarsi fredda?
Cosa? Non è questione di essere davanti a qualcuno...!
-...scusa.
Ebbe la sensazione di arrossire. E prima che potesse rendersene conto le scivolò una lacrima, minuta e inaspettata.
...Ah, bello. E ora che l'hai detto cosa hai risolto? E, come se non bastasse, abbiamo anche le lacrimucce! Cosa vogliamo fare adesso? Urliamo disperate? Ci spargiamo la cenere sul capo? Ci strappiamo i capelli? Per carità, già ne ho pochi!
Santo cielo, se sono un essere orribile...
...Era anche la prima volta che lo pensava sinceramente di sè stessa. Un essere orribile, per tutto quello che ancora riusciva a pensare, anche in quella situazione. Orribile per quel sarcasmo normalmente caratteristico e che ora era completamente inutile a sdrammatizzare: anzi peggiorava tutto.
Non era tempo di sarcasmo. Non stava partecipando al reality. Non era a fare la reginetta di bellezza. Non era a scuola o a angariare deficienti come Lindsay. Era davanti al risultato delle sue azioni e macchinazioni: un risultato stavolta così spaventoso e opprimente che la spaventò. Altre due lacrime seguirono la prima.
Maledizione. Quell'Alejandro l'aveva fatta piangere sinceramente per due volte! Lo stesso Alejandro che in quel momento giaceva di fronte a lei. E se non si fosse svegliato più? Cosa avrebbe fatto lei? Come avrebbe continuato a vivere con quel pensiero, quell'immagine?
Tempo di finire quel pensiero e ogni macchina che circondava il letto iniziò a bippare come impazzita. Un allarme angosciante e assilante. Due secondi dopo fu come se metà del corpo medici si riversasse nella stanza: passarono davanti a Heather e circondarono Alejandro, urlando tra loro, così che si carpirono solo poche parole.
-Emergenza. Subito! ...Operatoria. Immediatamente! Cardiaco.
Con gli occhi sgranati, Heather retrocesse, colpendo la vetrata che dava sul corridoio. I medici stavano cominciando a spingere il letto di Alejandro fuori della camera e lei non ci capiva più niente. Si riebbe solo quando una mano le strattonò il braccio.
Era l'infermiera che stava al bancone. La Smitherson.
-Vai fuori, Heather. Fuori. E'meglio- ordinò, scrutando con cipiglio sotto la parrucca riccia della ragazza.

Ma quanto cazzo di tempo era passato?
Ogni ora sembrava trascinarsi agonizzante verso la sua fine, ogni minuto resisteva per non passare, ogni fottuto secondo aveva triplicato la durata. Come minimo.
La parrucca di Heather era finita in una pattumiera e la ragazza era seduta a terra.
Aspettava.
A ogni passaggio di un dottore sollevava lo sguardo, repentina; poi riconosceva che non era nessuno di quelli che avevano soccorso Alejandro (o comunque nessuno che sembrasse uscito da una sala operatoria) e riprendeva a guardare a terra, imprecando nervosa e furibonda.
Non aveva idea di quanto ci volle, ma dopo parecchio tempo vide uno stuolo di persone portare una barella nella camera di Alejandro. Scattò in piedi.
Il gruppo, dopo una serie di manovre, fece passare la lettiga attraverso lo stipite e vi si affaccendò attorno. Joan Smitherson sbucò placida dalla mischia; notò la ragazza fremente e le si avvicinò, non dandole nemmeno il tempo di parlare.
-E' di nuovo stabile. Se vuoi, puoi entrare un momento.
E'stabile.
E'stabile, è stabile, è stabile. 
Fanculo, è stabile. E'stabile.
La Smitherson inclinò la testa.
-Quindi? Entri o no?
Heather sembrò riaversi. Senza ringraziare o altro oltrepassò la vecchia, dritta nella camera. Joan Smitherson la seguì con lo sguardo.
-Mah. Quindi, a quanto pare, i suoi sentimenti non erano del tutto falsi...

Sembrava... normale.
Oddio... "normale" era una parola grossa, nelle sue condizioni. Ma... non sapeva esattamente come, ma sembrava in condizioni lievemente migliori.
Nessuna ustione era sparita, neanche un livido sbiadito, ma era come se il colorito di Alejandro fosse più salutare.
Appunto, l'ha detto prima la vecchia. E'stabile!
All'improvviso il suo viso si contrasse. Poi ancora. Heather sobbalzò -come una scema- portandosi vicino al pulsante di allarme. 
Ma quelli non sembravano spasmi. Era... Si stava svegliando.
Si stava svegliando.
Aprì un occhio. Verde come se non l'aveva mai visto e come aveva temuto di non vedere più -basta!-.
Lo stesso occhio attese l'altro per abituarsi lentamente alla luce; si restrinsero infastiditi, si allargarono pian piano e cominciarono a vagare per l'ambiente circostante, per poi posarsi su di lei.
E fu un attimo.
Da neutrale, l'espressione di Alejandro divenne gradatamente gelida, non appena capì chi aveva davanti. Fissa su Heather, che si sentì scandagliata, a suo malgrado. 
L'espressione di Alejandro... maledizione, faceva... male.
Lo sguardo del ragazzo si spostò su un altro punto: seguendolo, Heather vide Joan Smitherson. La donna assentì e si rivolse a lei.
-Forse è meglio che tu esca. Vai a casa.

Non riuscì nemmeno a controbattere, mentre quella la spingeva con delicatezza e decisione verso l'esterno. L'avrebbe anche fatto, ma voltandosi per l'ultima volta verso Alejandro lo ritrovò a fissarla, gelido e con odio. Poi lui volse lo sguardo al soffitto e lei al corridoio che la aspettava.
Joan Smitherson le si fece vicino e iniziò a parlarle, flemmatica: qualche sciocchezza relativa al fatto che era probabile e quasi giusto che Alejandro reagisse così nei suoi riguardi, ma gli sarebbe passata presto... 
Ma Heather non sentì nulla. Sentiva altro.
Ira, innanzitutto: cocente ira da orgoglio ferito. Ma quella stava sotto a tutto. Prima c'era qualcosa di gran lunga più seccante: dispiacere e distruzione.

Ma per fav...
Dispiacere e distruzione.

Caaaaaaaaaaaarissimi!
Sono tornata, in ritardo, ma sono tornata! Contenti?
*una scarica di ortaggi sommerge l'autrice ç____ç*
Aaallora, soddisfatti? O siete stati scossi da attacchi di sonno e conati di vomito?
Spero che mi facciate sapere ancora cosa ne pensate e... grazie mille a chiunque sia passato/abbia messo la storia nelle preferite/seguite/ricordate *______*
E graziosamente grazie GRAZIE a coloro che hanno recensito *abbraccia con affetto* Spero di rivedervi anche in questo capitolo/schifezza ^^
E se qualcun altro volesse aggiungersi ai recensori io mica mi offendo! :D
A presto, gioie!

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Help me out ***


al

Deeper Than Any Game


#4: Help me out.

Si svegliò e quella notte era la quarta volta. E con ogni risveglio c'erano fitte maledette ovunque.
Non poteva nemmeno migliorare la propria situazione: doveva rimanere in quel fottuto letto, fermo, immobile, dolorante, esattamente come alle Hawaii, a giacere dimenticato come un verme, nella sabbia, prima che qualcuno si ricordasse che c'era anche lui.
Ma quella volta no. Quella quarta volta non sarebbe rimasto, inerme, ad attendere che il sonno lo riportasse in un oblio semicalmo, dove poter almeno tentare di dimenticare le proprie condizioni.
Con uno sforzo sovrumano sollevò il braccio destro.
La visione di ustioni, lividi risultati dai calpestamenti, arrossamenti, escoriazioni e un misero cavetto che lo collegava a una flebo lo fecero rabbrividire. Non di spavento, di ribrezzo o di angoscia per come il suo magnifico corpo era stato ridotto: bensì di rabbia cieca.
E desiderio di vendetta.
Passi in corridoio.
L'infermiera era venuta a controllare i suoi parametri. Doveva essere qualcosa di abituale, a quanto pareva, dato che gli passò vicino analitica e veloce, senza degnarlo più di un solo sguardo.
-Oh, siamo svegli, signor Burromuerto?- fece sorpresa quando incrociò il suo sguardo -Se il dolore le dà fastidio posso aggiungere un altro po' di morfina... anche se dovremmo prima sentire cosa ne pensa il dottore...
Lui, però, aveva smesso di ascoltare parecchio tempo fa. Da che la tizia era entrata nella camera un'idea aveva cominciato a delinearsi nel suo cervello.
Ma certo. L'infermiera. Esattamente quello che gli serviva.
Sarebbe stato un gioco da ragazzi.
-Non è la morfina che mi serve...- esordì, per poi bloccarsi subito.
Che cosa doveva essere quell'orrore, mezzo sibilo e mezzo rantolo appena fuoriuscito dalla propria gola?
Di sicuro non la sua voce. Non aveva niente di umano.
D'altronde, realizzò con amarezza, il dolore era talmente intenso, continuo e totale da non dargli una precisa idea di dove esattamente gli dolesse: sentiva male semplicemente ovunque. Ma ora, a quanto pareva, aveva appena scoperto di avere dei danni anche alla gola.
Insomma, basta. Agisci.
-... mi serve aiuto, piuttosto- pronunciò a fatica Alejandro. Non solo sentire quella cosa era inaudito ma faceva bruciare la gola ancora di più, sia dentro che fuori.
Ma era necessario. Gli serviva. Doveva parlare. Conoscere. Sapere.
Si schiarì la voce e la gola protestò irata, facendogli capire che era stata una pessima idea.

-Signor Burromuerto, non parli se la cosa la affatica... Lei è ancora debole.
-Quella ragazza, Heather...- soffrì lui, testardo -viene spesso qui?
Poi si accasciò sul letto, ansimando -nonostante anche quello gli causasse dolore -per lo sforzo.
L'infermiera si avvicinò un poco.
-Non se ne preoccupi, signor Burromuerto; ora pensi solo a riposare... Da tanto tempo, comunque, se questo può servire a calmarla.
Lo fissò inquisitoria, forse attendendo altro; poi fece per girare sui tacchi.
-Voglio vendicarmi, signorina...- mormorò lui, studiatamente, cercando di infondere ancora più fatica di quanta ce ne fosse già in quell'aborto di voce -E mi serve il suo aiuto.
Quella si voltò a fisarlo di sbieco, tra il sorpreso e il condiscendente.
-Quando sarà dimesso potrà fare quello che le pare. Ma ora non ci pensi nemmeno. I medici devono controllarla, specie in questa situazione dove lei si è appena svegliato...
-Ma i controlli non avvengono nell'orario di visita. Agirò in quei momenti- spiegò lui, cercando di parlare il meno possibile... la gola faceva troppo male -La prego- lesse il nome sul distintivo -la prego, signora Smitherson, mi aiuti. A vendicarmi della persona che mi ha ridotto così.
Lei si volse e uscì :-Non faccia sforzi.
Alejandro sospirò amareggiato. Non era minimamente riuscito a smuoverla. Non era più bello e sensuale come prima, va bene, ne aveva avuto la conferma osservandosi il braccio ma... non riusciva nemmeno a farle pena?
Improvvisamente avvertì un vuoto dentro, che nulla aveva a che fare con il dolore fisico, come se una parte di sé fosse irrimediabilmente scomparsa, rendendolo estraneo perfino a sé stesso.
... Basta.
Se non altro gli rimaneva il sadismo, in quel corpo da larva. E la determinazione.
Avrebbe agito: l'indomani Heather avrebbe avuto quello che si meritava.

Tenne gli occhi decisamente chiusi mentre la sentiva entrare in stanza. Innanzitutto fingersi dormiente serviva per il suo piano; poi aiutava a schermare dai raggi solari e... ecco, tenerli chiusi riduceva un po'il dolore.
-...Dorme?
Come gli sembrava strana la voce di Heather. Bassa, lievemente preoccupata. Quasi stentava a credere che fosse la sua. Come poteva la stessa ragazza che non si era fatta problemi a buttarlo giù dal vulcano essere in pensiero per lui? Il senso di colpa bruciava, a quanto pareva... Non l'avrebbe mai detto.
-Sì, non è ricaduto in coma, Heather- rispose nel buio delle sue palpebre la voce dell'infermiera Smitherson -Però, se fossi in te, proverei a parlargli un po'. Sai... anche se ti ha guardato male la scorsa volta potrebbe... essergli passata. E la tua voce potrebbe fargli piacere.
Seccatura e gioia malvagia esplosero in Alejandro a quelle parole: come poteva pensare, la vecchiaccia, che sentire la voce di quella strega gli avrebbe fatto piacere? Ma contemporaneamente aveva realizzato che lo stava aiutando: forse non intenzionalmente ma stava seguendo la richiesta che le aveva fatto lui quella notte. Anche se non lo sapeva. Non del tutto, almeno.
Represse a fatica un sorrisetto maligno.
Una porta sbatté, facendogli dedurre l'uscita dell'infermiera. Alejandro attese pazientemente che il pesciolino Heather -pesciolino?! Piranha, piuttosto...- cadesse nella rete. E lo fece, con l'acidità che la contraddistingueva.
-Ah, ti dovrei parlare? Se spreco fiato con un verme del tuo calibro è solo per un eccesso di carità. Spero che tu stia bene perchè tu possa alzarti da quel letto, riprendere una vita normale e sparire dalla mia testa!...
A quel punto si interruppe bruscamente e Alejandro, che ormai poteva dirsi di conoscerla, seppe che era perchè aveva parlato troppo e ora si stava automaledicendo. Represse un secondo sorrisetto.
-Se tu morissi adesso non farei una minima piega- riprese lei, dopo un po'. Strano, quando si era svegliato e l'aveva vista in camera, Heather aveva un'espressione preoccupata, mentre lo fissava. Forse quel festival di acidità era da imputare all'occhiata che lui le aveva rivolto -Non farei una minima piega. Non mi importa un accidente di come tu possa stare...
Ceeerto e allora perchè mai sei qui ancora una volta?!
Bene. Era giunto il momento.
Alejandro spalancò gli occhi, sgranandoli e mantenendo lo sguardo fisso al soffitto. Un istante dopo aver sentito il rantolo sorpreso della ragazza ne trasse uno lui e cominciò a inarcare la schiena, contorcendosi febbrilmente ed emettendo acri spasmi.
Ogni millimetro del corpo urlò furibondo il proprio dolore, tanto che il ragazzo fu quasi tentato di smettere immediatamente... Ma sicuramente quella sua reazione stava terrificando Heather ed era un buonissimo motivo per continuare. Strinse i denti, con sofferenza.
Improvvisamente lei comparve nel suo campo visivo: si stava protendendo sopra il suo letto per spingere il piccolo bottone d'emergenza, collegato al muro da un lungo cavo, così da essere raggiungibile anche al paziente. Non c'era dubbio: quella sul suo volto era un' inconfondibile espressione spaventata.
Soffri, stronza. E pensa che questo è solo l'inizio...
Nel frattempo... quant'era bella, anche così preocc...
No.
Alejandro smise con la falsa convulsione e si riaccomodò sdraiato, a occhi chiusi, cercando di calmare il fiatone, pochi istanti prima che qualcuno -due dottori, a giudicare dal rumore- entrassero di gran carriera.
-Che succede?
-N... non lo so...- La sua voce spaventata era impagabile -Si è... non so, svegliato, ha avuto una specie di attacco...
Alejandro avvertì delle mani sfiorargli il polso martoriato.
-... Signorina, non so cosa è sembrato a lei ma qui è tutto a posto. Il ragazzo ha soltanto il polso un po'accelerato. E'normale, è ancora convalescente. Non si preoccupi.
-...Ok...
La porta si chiuse. Seguì un breve silenzio in cui Alejandro potè sentire il godimento e il dolore atroce pervadergli il corpo.
Era stata solo una convulsione ma lo aveva notevolmente provato. Ora che rigiaceva sul materasso aveva la sgradevole sensazione di essere fatto di vetro. O qualcos'altro di così fragile.
-...Io non mi preoccupo per te, hai capito?- risuonò decisa la voce di Heather.

Patetica. Continuava a parlargli! Aveva preso proprio sul serio le parole della Smitherson.
Non si preoccupava di lui? Perchè non fare un'altra prova?
Alejandro riprese la stessa scenata di poco prima. Stavolta si prese il lusso di inarcare la testa, così da vederla chiaramente: e il piacere della vendetta quasi superò il male lancinante. Heather rimase là, interdetta, pochi secondi prima di schizzare di nuovo verso il bottone d'emergenza. Poi lui si risistemò. Tornarono i medici. Rassicurarono Heather. Uscirono. Nuovo commento gelido da parte sua.
E via di nuovo, alla stessa maniera.
Doveva starci male. Doveva provare un briciolo della paura, del dolore, dello spavento che aveva vissuto lui. Una particella dell'affaticamento, dell'oppressione che sentiva lui dopo ognuna di quelle convulsioni. Non gliel'avrebbe fatta passare liscia. Gli unici verso cui sentisse un briciolo di compassione erano i medici, costretti a diventare dei maratoneti di punto in bianco ma in fondo... anche loro erano mere pedine.
Dopo la settima convulsione finta, mentre giaceva sfinito e decisamente a pezzi, sentì finalmente un generoso astio nella voce del medico corso ad esaminarlo di nuovo.
-Senta signorina, se lei ha voglia di giocare ha sbagliato posto. Il signor Burromuerto sta bene.
-Ma... Ma io le giuro che...-
E il bello era che diceva di non curarsi di lui. Non era arrivata nemmeno a sospettare che lui potesse fingere. Doveva essere davvero preoccupata. Questo significava per caso che... sotto sotto... a lui ci teneva...?
Alejandro troncò sul nascere ogni sentimento addolcito.
-Se mi fa correre qui un'altra volta io la caccio, chiaro?
Non ridere, Alejandro, non ridere, non ridere, non ridere...
La porta si richiuse.
Ancora uno! Ancora uno, poi forse potrei smettere! E' decisamente impagabile...
Inarcò un'altra volta la schiena.
E lì una fitta mostruosa lo bloccò sul posto.
Rimase là, con la schiena sospesa e le gambe ferme, il volto inciso in una maschera di orrore. Un dolore folle, mai provato prima, nemmeno tra le braccia della lava, proveniva dal centro del suo essere, ghermendolo, stringendolo, schiacciandolo. Il suo pugno di fuoco gli stringeva il torace, lo comprimeva... dall'interno. Come se una bomba stesse esplodendo lentamente dentro di lui, premendogli sui polmoni, facendo scricchiolare le costole dallo sforzo.
Non credeva che sarebbe riuscito a riaversi mai. Cercò di inspirare ma gli girava la testa e sembrava avesse dimenticato come si respirasse. Oppure l'aria era semplicemente sparita, abbandonandolo a un baratro che sentiva spalancarsi pian piano sotto di sé.
La testa gli ricadde mollemente di lato e gli occhi su Heather, paralizzata contro il muro, la bocca spalancata per lo spavento e il terrore.
Sembrava una bambina. E sul suo volto c'era una preoccupazione così sincera, così totale, che se l'avesse vista chiaramente prima della sua pantomima non l'avrebbe neppure cominciata.
Tentò di pronunciare il suo nome, in una richiesta di aiuto ma gli uscì un incrocio tra un rantolo e uno spasmo.
Aveva paura anche lui.
Sentì il suo urlo come da molto lontano.
La vide precipitarsi verso il pulsante e premerlo all'impazzata. Non arrivò nessuno.
Nel frattempo la mancanza d'aria riempiva il torace di Alejandro, che si sforzò più e più volte di respirare senza riuscirci. Non sapeva se era più forte lo spavento o l'assenza di ossigeno.
Sopra di lui Heather continuava a pigiare. Poi sul suo volto comparve un'espressione orripilata, mentre ritirava la mano all'interno del quale c'era il pulsante.
Il cavo si era staccato.
Non arrivava nessuno.
Heather cominciò ad urlare, urlare come non l'aveva mai sentita e come non l'avrebbe sentita mai: perfino ora la sua voce sembrava lontanissima, troppo lontana per essere sentita..



*l'autrice fa timidamente capolino dalla pagina Web*
...Siete vivi?
*la tempesta perfetta di verdura la sommerge. Cinque secondi dopo tutti si avventano su di lei, armati di forconi*
Sacra padella, fermatevi! O_________O"
Ebbene, che vi aspettavate? Che dopo un attacco nel terzo capitolo si sarebbe sistemato tutto e li avrei fatti vivere per sempre felici e contenti?
NO! Mwahahah! ^_^"
Scherzi a parte, sappiate che come capitolo non era previsto nel mio progetto iniziale. Ma vedendo quante recensioni positive e quanto successo ha ricevuto questa storiella ho deciso di farvi un regalo (o una disgrazia, dipende dai casi :P) e ne ho aggiunto un altro :D
E ora che succederà?
Sappiate che con questa folle Pirata che vi ritrovate può accadere DI TUTTO! ;)
Spero mi facciate come sempre sapere cosa ne pensate :D
A presto, splendori ^^





Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Time for you to say bye - bye (- bye) ***


5 deeper than any game

Toh, stavolta parlo prima io XD.
Allora... Come al solito vi ringrazio con tutto il mio cuoricino per il sostegno e le recensioni positive che mi lasciate ogni volta *_______* Vi adoro immensamente *abbraccia*
Adesso vi lascio con giUoia e senz'indugio, così potete leggere il capitolo e... 
Vorrei ringraziare i carissimi Coldplay e la loro "Fix You" per avermi fatto immedesimare in questo capitolo e aiutato a scrivelo. (Faceva tanto Grey's Anatomy *_____*).

Se volete, leggete con quella di sottofondo ^^ (Sempre se non siete come me, che devo O ascoltare qualcosa O leggere qualcos'altro. Sennò non mi immedesimo U_U)

Ci vediamo di sotto con qualche ultima comunicazione di servizio ;)

Deeper Than Any Game


#5: Time for you to say bye - bye (- bye)

Bene Heather. Adesso raccontami, cosa farai di bello? Dopo tutte le zuccherate che ha commesso negli ultimi tempi tocca proprio la ciliegina sulla torta! Allora, hai tre possibilità: tornare a visitarlo, magari con un mazzo di fiori; andare a casa e fare una deliziosa insalata di briciole per gli uccelli del davanzale; farti bionda e concorrere a Miss Universo, declamando la pace nel mondo. Che ne dici? Quale scegli?
Heather ignorò bellamente la voce, che ormai parlava da sola in quel maledetto cervello sul quale non aveva più controllo da tempo.
Stava facendo su e giù per il corridoio come un'ossessa.
In ansia.
Nel terrore più puro.
I medici erano arrivati come minimo dopo ore e si erano immediatamente precipitati a soccorrere Alejandro, che ormai aveva assunto un colorito terreo e aveva smesso di respirare. Metà erano scappati in sala operatoria con lui, l'altra metà era rimasta a chiedere informazioni all'unica persona presente.
Ma Heather non aveva saputo rispondere. Ci aveva provato, almeno, ma era uscito un balbettio confuso, tremante; poi lo spavento e tutte le emozioni che stava provando erano esplose in un colpo solo, come un fuoco d'artificio e la ragazza si era trovata a piangere sopra la spalla di un medico.
Patetico.
E da quel momento il suo cervello non le dava tregua.
Decisamente, veramente, incontrovertibilmente PATETICO. Vuoi fare altre sdolcinatezze? Forza, ripensa alle possibilità di poco prima! Oppure pensi che sia il caso di finirla? Alla fine della fiera sai come sta, adesso, no? Male. Hai avuto la tua risposta. Puoi andare a casa.
La ragazza si afflosciò contro il muro del corridoio e si lasciò cadere seduta. Raccolse le ginocchia al petto e si prese la testa tra le mani.
Non si sarebbe mossa. A casa non ci poteva tornare proprio.
Odiava dirlo a sé stessa ma sapeva che non si sarebbe mossa da lì finché Alejandro non sarebbe uscito dalla sala operatoria.


... Bip.
Se non era ancora sprofondato totalmente nell'incoscienza lo avevano ricollegato a un respiratore: tutto d'un tratto sentiva qualcosa di fresco ed etereo pervadergli qualcosa che stava sotto la testa.
Ma era tutto così lontano... Difficile perfino da pensare. Lungo, intricato, arduo...
Non si poteva rimanere là, in quel baratro così... calmo? Dove perfino il dolore stava sparendo?
... Bip.
Attorno a sè avvertiva voci, rumore, vita. Qualcosa di veloce, di concitato. Forse.
-milligrammi di... ... veloce, subito! ... attacco... ...
-... ... dottore... trovo!! ... Eccolo. ... ! vita...
La vita lì fuori sembrava così preoccupata. Era per lui?
E lui in quel momento dov'era?
Che faceva?
... Dov'era Heather?
... Bip.

Avrebbe voluto alzarsi e muoversi ma non ne aveva né forza né voglia.
L'avrebbe aiutata a scaricare un po'di tensione...
Sprofondò la testa nelle braccia ancora di più. Era a questo che il destino voleva condannarla? A spendere innumerevoli giorni a fare la spola tra camera d'ospedale e corridoio, mentre lui lottava? A un nodo dolorosissimo e sordo collocato esattamente in mezzo al petto che le rendeva difficile anche respirare?
Tutto questo per una semplice azione? Per una semplice spinta giù da un vulcano? Per dei semplici soldi?
In silenzio e per la prima volta Heather maledisse di cuore quel milioncino.
Due secondi dopo anche sé stessa.

Era tutto così lento. Calmo.
Sostanze correvano per il suo corpo, lo solleticavano, lo stimolavano. Lo chiamavano perchè lui li raggiungesse.
Ma perchè abbandonare quell'oscurità pacifica, dove il dolore spariva, lo spavento scemava?
... Bip.
Voleva svegliarsi ma al contempo dormire.
Desiderava sapere ciò che gli stava succedendo e allo stesso tempo rimanere nella più completa ignoranza.
Le tenebre erano decisamente piacevoli...
... Bip.

Odiava sentirsi così debole. Forse, in fin dei conti, il suo cervello aveva ragione. Negli ultimi tempi era stata più zuccherosa di una zolletta e smielata come una femminuccia da soap opera...
Tirò di proposito una testata alle proprie braccia, furiosa con sé stessa. Che razza di pensieri erano?! Non era più questione di essere smielata eccetera, cose simili non dovevano nemmeno entrare nella sua testa!
C'era in ballo una vita, cazzo! E non una vita qualsiasi!
E c'era in ballo lei, perchè era stata lei a far sì che quella vita fosse in ballo.
Per la sua avidità. Per il suo orgoglio. Per la sua freddezza, il suo costante calcolo della vita e delle persone che le stavano accanto.
Anche di quelle che la amavano.

Piacevoli erano piacevoli, su questo non c'era dubbio, ma sentiva che prima o poi ne sarebbe dovuto uscire.
In fondo alla testa -sempre che ne avesse ancora una- sentiva il suo pensiero martellante.
Un nome, un volto. Innumerevoli fotogrammi. Incalcolabili sentimenti.
Heather.
Gioia, attrazione, stima. Odio, freddezza, tristezza, delusione. Calcolo, affinità.
Vendetta, vendetta riuscita. Il terrore nei suoi occhi.
Heather...
... Bip.

Di tanto in tanto qualcuno usciva dalla sala operatoria posta alla fine del corridoio.
Correva, faceva qualcosa da qualche parte e schizzava di nuovo indietro.
All'inizio Heather sollevava lo sguardo e cercava di capirci qualcosa; poi smise.
Non voleva vedere un'eventuale terrore e sgomento anche sul volto dei medici. Sarebbe significato qualcosa di grave.
Maledisse il momento in cui aveva scelto di venire a trovarlo per la prima volta e iniziato a vivere nel senso di colpa, nel dolore, nell'imbarazzo, nell'impotenza di non sapere cosa fare.
Ma era anche il momento in cui avesse sentito, in fondo all'anima nera che si trovava, di fare la cosa giusta.


... Bip.
Era stato un folle. Un idiota, un deficiente.

... Bip.
Con quella sua vendetta aveva messo in pericolo tutti e due. Aveva fatto stare male entrambi.
Voleva tornare indietro. Voleva uscire da quella maledetta oscurità.
... Bip.
Cosa stava facendo? E lei? Dov'era lei?

Come stava? Che gli stavano facendo?
Heather respirò a fondo, cercando di allentare il nodo in mezzo al torace ma senza successo.
L'ansia che sentiva in corpo la distruggeva. Non sarebbe resistita a lungo. Voleva sapere come stava... E contemporaneamente no.
Se non avesse ricevuto qualche notizia sarebbe corsa da sé in sala operatoria.
... no, non l'avrebbe fatto. Di cazzate ne aveva già commesse troppe.

Sentiva di averla odiata. Ed era quasi ovvio.
... Bip.
L'aveva distrutto, umiliato davanti a tutti, sfigurato, deluso, ingannato, usato...
Ma la preoccupazione autentica che le aveva visto negli occhi cancellavano qualsiasi sentimento amaro.
Era autentica. Vera, totale. E non era dettata solo dal senso di colpa.
... Bip.
C'era altro. Ne era sicuro. Non poteva dire di essersi sbagliato.
Sentiva di averla odiata, di aver voluto vendicarsi di lei, di non volerla più vedere... Ma ora la voleva lì,perchè gli reggesse la mano e non lo facesse sprofondare.
... Bip.
Non ci avrebbe creduto nemmeno se l'avesse vista stringergli la mano, era troppo acida per dolcezze simili...
Ma desiderava, con tutti i resti di quel cuore che con tutta probabilità aveva ancora, che lo facesse.
... Bip.
Che fosse lì.

Ma quanto tempo era passato?
La situazione era davvero così grave?
Rivolse lo sguardo verso la porta della sala operatoria.
Al di là c'era la persona che...
Erano fatti l'uno per l'altra simili, dannatamente simili. Legati da una connessione più profonda di qualsiasi gioco. Gliel'aveva detto anche lui, sul vulcano, prima che lei facesse quello che aveva fatto.
Simili per il calcolo, la freddezza. Uguali in intelligenza, strategia, orgoglio che non avrebbe permesso loro di fare molto.
Perfino fisicamente ora si somigliavano un po'. Erano pressochè calvi tutti e due...
Quel pensiero ridicolo riuscì a strapparle un sorriso.
Maledetti, maledetti, maledettissimi, fottutissimi, dannatissimi soldi che avevano causato tutto. In parte.
Con quel milione e quella vittoria aveva preso quello che voleva ma non quello di cui aveva bisogno.

Ora lo sapeva, lo voleva, doveva tornare indietro. Da lei.
... Bip.
E sentiva di poterlo fare, si sentiva piano piano indietro!
Si poteva svegliare!
... Bip.
Sentiva di poterlo fare. Ne aveva l'energia, se non fisica almeno mentale!
Di alzarsi, di scendere da quel letto, di fare qualcosa per riprendere a vivere. Per tornare a essere una parvenza di umano, per stare al suo fianco. Per costruire qualcosa assieme a lei, che fosse la conquista dell'universo come le aveva proposto o una semplice vita. Insieme.
... Bip.
Lo voleva, lo sentiva.
Arrivo Heather. Te lo giuro.
... Bip. Bip. Bip. Bip. Bip.

Forse il fatto che stessero così tanto tempo all'interno significava che la situazione poteva ancora essere sistemata!
Oppure... significava che la situazione era decisamente grave.
Sarebbe impazzita, lo sentiva.
Doveva uscire. Alejandro doveva uscire da quella sala operatoria.
Doveva tornare indietro. Da lei.
E al diavolo quello che la sua testa diceva.

Sentiva tornarsi indietro. Con il senso del suo corpo, della sensazione di essere disteso, con il dolore.
Solo che... Era troppo.
Decisamente più del solito.
E più dell'attacco.
E un suono folle, velocissimo. Ansioso, furioso.
-Prendete quella siringa, fate qualcosa!
Bip. Bip.
Bip. Bip. Bip. Bip. Bip. Bip. Bip.
No... Che cosa stava succedendo?
Il dolore correva velocissimo per ogni sua ven, fermandolo, bloccandolo, soffocandolo.
Bip. Bip. Bip. Bip. Bip. Bip. Bip. Bip. Bip.
Bip. Bip. Bip. Bip. Bip. Bip. Bip. Bip. Bip.
-Fate qualcosa, lo stiamo perdendo!
-Defibrillatore, prendetelo di corsa!
Bip. Bip. Bip. Bip. Bip. Bip. Bip. Bip. Bip. Bip. Bip. Bip. Bip. Bip. Bip.
No!
Non poteva andarsene adesso, non ora che sapeva cosa fare!
Doveva andare da lei!
Doveva combattere, contro quel dolore che...
Che...
Bip. Bip. Bip. Bip. Bip. Bip. Bip. Bip. Bip.

Prima o poi sarebbe uscito...

Bip. Bip. Bip. Bip. Bip. Bip. Bip. Bip. Bip.
... Bip.
...
... Bip.
Biiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiip.




Ebbene? Non ve lo aspettavate, vero?
Alejandro... ç_ç
*La Pirata regge in mano delle valigie*

Ora che ho preparato i bagagli posso scappare lontano dall'ira funesta di voi recensitori ._____. Specie da quella di Nackros, Court_And_Heather_Debby e steelix99.
Che dissero:
Nackros: "E guai a te se me lo fai morire u.u"
Court_And_Heather_Debby: "SE MUORE GIURO CHE VENGO Lì E TI AFFOGO!"
steelix99: "se fai morire il MIO alejandro... sarò io a uccidere TE!"
Ehm ^^" ...
Ma non disperate! Ricordate che restano ancora dei capitoli!
*ciò non contribuisce ad addolcire i lettori*
E se mi ammazzate non saprete mai come va a finire u.u 
... A presto, carissimi/e! (Se non mi accoppano prima T_T)

Un aiutino? Chi mi salva? :(

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** 6: This is how we will end it ***


6 This is how we will end it

Deeper Than Any Game


#6: This is how we will end it.

I medici si guardarono in faccia, increduli e impotenti.
Il ragazzo che, fino a qualche momento fa, era stato sconvolto dagli effetti di una crisi stroncante ora giaceva immobile al loro cospetto, la bocca semiaperta, gli occhi che si erano spalancati negli ultimi secondi di agonia illuminati da una fievole luce.
Il corpo martoriato e lucente di poche gocce di sudore appariva ancora in tensione; non era rilassato nemmeno nella morte. Aveva una fermezza quasi patetica...
Il chirurgo guardò l'orologio appeso al muro.
-Ora del decesso...

Adesso mi alzo. Scemenze o no io adesso mi alzo e vado a vedere cosa succede. Non possono farmi aspettare tanto a lungo, maledizione a loro.
Nonostante la decisione acida di quel pensiero Heather non rialzò la testa dalle braccia.
Sentiva un'agitazione febbrile in corpo e contemporaneamente non desiderava muoversi. Che cosa era peggio? I due lati, uno dolce e l'altro amaro, della conoscenza o la calma, insopportabile ignoranza?
Sollevò di poco lo sguardo, giusto per riuscire a vedere ciò che le succedeva attorno.
Non c'era un'anima in tutto il corridoio. E la porta della sala era ancora maledettamente chiusa. Chiusa.
Tirò una leggera testata al proprio braccio, stufa.
-Heather.
Un tocco lieve sul suo braccio. La ragazza si girò di scatto, trovandosi di fronte una vecchia infermiera, accovacciata in modo che il viso rugoso fosse quasi alla stessa altezza del suo.
No... era quell'infermiera, quella di sempre. Quella che stava al bancone da che lei aveva messo piede in quell'ospedale per la prima volta... Smitherson, doveva essere il suo nome.
-Alejandro ha avuto una crisi gravissima, è del tutto improbabile che si rimetta in fretta. Dovresti andare a casa e riposare un po'.
-Si faccia i fatti propri- rispose galantemente lei, sentendo la parte assillante del proprio cervello esultare per la cattiveria della frase. La vegliarda parve non raccogliere.
-E'bene che tu sappia anche un'altra cosa...
Notando il suo silenzio, l'infermiera continuò. Sentiva di doverlo dire...
-Tu hai detto che Alejandro ha accusato diversi attacchi prima di essere portato in sala operatoria, giusto? Ma i dottori hanno decretato, ogni volta che li hai chiamati, che stava bene...
Heather la fissò di traverso, non riuscendo a capire dove volesse andare a parare. Annuì leggermente per far capire che stava ascoltando.
Joan Smitherson sospirò, grave. Il ragionamento era molto semplice: basandosi su ciò che il signor Burromuerto le aveva detto la sera prima...
Avrebbe povuto capirlo. E magari sventare ciò che era successo...
-I suoi attacchi sono stati finti, Heather- spiegò -La sera prima mi aveva confidato di volersi vendicare di te e di volere il mio aiuto: quindi deve aver simulato crisi per farti spaventare e metterti in cattiva luce agli occhi dei medici, facendoti passare per stupida. Solo che lo sforzo è stato eccessivo, nelle sue condizioni...
Sospirò e la fissò. Heather non aveva cambiato espressione per tutta la durata del racconto.
-Sono certa che sia andata così...- aggiunse l'infermiera.
La ragazza rimase ferma nella propria impassibilità. Non mosse nemmeno un sopracciglio: sembrava essere diventata una statua. Era talmente immobile che Joan Smitherson ne ebbe quasi paura.
-... Heather?
-Io lo odio.
Tre parole e il viso delicato della ragazza cominciò a rianimarsi e a passare dall'impassibile all'irato in un cambiamento repentino.
-Quel, quel... Quell'idiota, quel doppiogiochista, quel maledetto calcolatore, approfittatore, schifoso, manipolatore! Io lo odio!
Balzò in piedi, tutto d'un tratto piena d'energia.
-Oh, ma appena esce da quella sala operatoria io lo uccido!

I medici spostarono i carrelli di utensili per creare uno spazio sufficiente a portar via la barella.
Il cadavere costituiva una presenza fastidiosa tra loro, quasi fosse stato ancora vitale e pronto a spiare ogni loro gesto.
-Dottor Paulwooth, vada ad avvisare la ragazza che il suo amico è deceduto- ordinò pacatamente il chirurgo a un sottoposto, che uscì immediatamente dalla sala per cambiarsi -Povero ragazzo- sospirò poi, osservando il corpo, ancora attaccato ai vari macchinari, gli ultimi che avrebbero dovuto essere spenti -Un caso orribile il suo. Orribile.
-Ma con i dovuti esercizi avrebbe potuto riprendersi- obiettò la collega, avvicinandoglisi -Fisioterapia, chirurgia plastica e tutto il resto... Avrebbe potuto ricominciare a vivere normalmente.
-"Avrebbe"- sottolineò il chirurgo -Ma, a quanto pare, il suo corpo ha avuto la meglio.
Entrambi fissarono Alejandro, immobile di fronte a loro.
-Così giovane...- commentò la donna -Finito.
-E c'era anche quella ragazza, che lo stava aspettando...- Il chirurgo scosse la testa -Beh, è andata così. Su, ora stacchiamo i macchina...
... Bip.

-Heather, calmati, ti prego.
-Calmarmi! Quello stronzo ha architettato una vendetta alle mie spalle e io dovrei calmarmi! Io lo denuncio! Lui e lei, che sapeva tutto e non ha fatto niente!
Se, in quel momento, la parte acida di Heather non fosse stata azzittita dall'ira, avrebbe decretato che quello era un discorso tipicamente da Courtney; e se la particina smielata avesse avuto voce -cosa che, comunque, le capitava raramente, se non mai- avrebbe decantato come Alejandro era simile a lei, nel suo desiderio di vendetta contro chi gli faceva un torto...
Ma non c'era spazio per nulla in quel momento, se non per scorno, irritazione, furia.
Quel Burromuerto!
E lei si era anche preoccupata, era stata male per lui!
Che se ne andasse dritto sparato all'inferno! L'aveva gabbata, approfittando della sua debolezza!
Però... se quelle crisi le aveva fatte di proposito, significava che era sveglio quando le aveva finte. Quindi aveva sentito tutte le frasi acide che lei gli aveva detto! Tanto meglio. Heather sentì un sorrisetto malvagiamente compiaciuto stirarle le labbra e qualcosa dentro di sé parve riattaccarsi a qualcos'altro.
La porta della sala operatoria si aprì e ne uscì un dottore. Heather sentì il sorrisetto scivolarle via dalla faccia e la sensazione al proprio interno sgretolarsi in nuovi, dolorosi pezzi.
Cercò di dedurre qualcosa dall'espressione dell'uomo ma, dopo aver dato un'occhiata generale, comprese di non poterlo sopportare. Ignorò i commenti derisori della propria mente -cominciava ad averne abbastanza- e si scagliò addosso al tizio.
-Come sta? Come sta Alejandro?
Quello la fissò con aria di compatimento.
-Mi dispiace signorina, ma purtroppo il signor Burromuerto non ce l'ha fatta.
Stasi.
Immobilità.
Assenza d'aria nei polmoni.
Un vuoto improvviso, velocissimo. Nessuna reazione. Stasi.
Heather fissò la faccia molle di quell'idiota di fronte a lei, quell'emerito idiota che non era stato capace di salvare Alejandro.
... Il suo Alejandro.
Perchè ora lo poteva dire.
E a che cosa erano servite le messinscene, gli orgogli maledetti, le sfide, le frecciatine, il malcelato piacere ad ogni suo fallimento, il calcolo, la freddezza e ciascuna delle altre cose che componevano il suo essere?
A niente. Niente...
La porta della sala si spalancò di nuovo. Un'infermiera giovane comparve, trafelata.
-Dottore, venga, di corsa!
L'individuo fissò interrogativo prima la ragazza poi Heather; infine girò sui tacchi e tornò indietro di gran carriera.
Lasciando Heather ad afflosciarsi di nuovo a terra, svuotata.
Una confusione invisibile, ma sottile ed inesorabile riempiva ogni suo pensiero.
Alejandro.

Dopo quelli che sembrarono millenni il dottore di prima tornò fuori.
E dietro di lui un altro.
E un altro. Uno ancora.
L'intera equipe che aveva portato Alejandro in sala operatoria uscì al gran completo.
Lui incluso.
Heather assistette alla processione in silenzio, reprimendo lacrime che non volevano saperne di uscire, lo sguardo fisso sulla barella dove giaceva l'uomo che avesse mai amato veramente.
Ogni pensiero che prima avrebbe giudicato sdolcinato, ora si riversava all'esterno da solo, senza più commenti acidi.
-...Stai bene, Heather?- chiese una voce alla sua destra. Sussultò: si era totalmente dimenticata della presenza della vecchiaccia, la Smitherson.
Non si sarebbe certo presa la briga di rispondere.
Si trasse in piedi e si avvicinò, cautamente al gruppo di medici che, nel frattempo, erano andati oltre. Uno degli ultimi dovette sentire dei passi dietro di sé, perchè si voltò, lasciando il resto del gruppo a portare avanti la barella.
-Lei deve essere Heather...?- domandò inclinando la testa.
La ragazza sentiva che, se avesse provato a parlare, la sua gola avrebbe dimostrato mancanza di collaborazione: quindi si limitò ad annuire.
E quel medico fece l'ultima cosa che si sarebbe aspettata. Avrebbe dovuto mettersi le mani in tasca o iniziare a parlarle in tono di condiscendenza oppure mostrarle pietà...
Invece quello sorrise.
-Ah, ecco quindi di chi ha chiesto il signor Burromuerto non appena si è svegliato- esclamò, indicando con il pollice la sala operatoria.
Heather rimase interdetta.
Di cosa stava parlando quell'idiota?
Ah ecco. A quanto pareva si riferiva a quando si era svegliato, la notte prima che lei tornasse a trova...
-E'successo ciò che non ci aspettavamo. Non lo definirei miracolo, sarebbe potuto succedere, ma le probabilità erano infinitesimali, specie nella gravità del caso... Il signor Burromuerto ha avuto un arresto cardiaco che ci ha fatto temere il peggio però, pochi istanti prima che i macchinari che registravano elettrocardiogramma e condizioni vitali venissero staccati, hanno reagito...
L'idiota continuò a parlare di cose che, d'improvviso, Heather non riuscì più a sentire: gradatamente tutto parve scemare in un blaterare confuso e assolutamente non importante, alla luce di quello che la ragazza credeva di aver capito.
E se quel che credeva di aver capito corrispondeva a verità, niente di quel che doveva dire quel medico era importante.
-Mi sta dicendo- lo interruppe bruscamente -che... che Alejandro è vivo?
Il dottore sorrise, con divertito piacere.
-Sì, signorina, sì.
E adesso ti metterai a piangere per lo spavento anche sulla sua di spalla?
-Ma la crisi che ha subito è stata gravissima per le sue condizioni... Dovrà rimanere in ospedale molto più tempo e effettuare lunghe ore di fisioterapia, interventi di chirurgia plastica eccetera eccetera... Lei non è una parente, giusto? La fidanzata, suppongo?
A quelle parole Heather sentì un violento rossore attaccarle le guance e non rispose. Il dottore fece un altro divertito, odioso sorriso.
-Immagino che vorrà vederlo. Al momento dorme ma poi vederla gli farebbe piacere. Provvederemo poi a telefonare a un parente per informarlo di tutti i dettagli e della salute del paziente...

Era in camera da tempo immemore e lui dormiva ancora.
Quanto tempo era passato? Dieci minuti? Mezz'ora? Quarantacinque minuti? Quarantacinque ore?
Non lo sapeva e, francamente, le importava anche meno.
Aveva aspettato tanto in quella camera; poteva farlo ancora per un po'.
Seduta sul bordo del letto di Alejandro, Heather trasse un profondo respiro, fissandosi attorno. Quante cose erano accadute in quella camera. Giorni e giorni e giorni in attesa del suo risveglio; ansiosi minuti lunghi delle eternità durante le complicazioni delle sue condizioni; istanti di acidità prima dell'attacco finale, quello che l'aveva colto solo quel pomeriggio... sembrava passata un'eternità. E, ultima, la calma ovattata che la permeava dopo la vuotezza provata al momento dell'annuncio della morte di Alejandro.
Al solo pensarci le veniva un brivido. Non solo per come si era sentita in quel momento, ma anche per cosa sarebbe seguito adesso, che sapeva che Alejandro era vivo e aveva buone possibilità di ricondurre una vita normale.
Che cosa avrebbe riservato il futuro? Quella camera dove tutto aveva rischiato di finire poteva rappresentare un inizio?
E lei lo voleva? Sentiva, in fondo all'anima, che , per la miseria, lo voleva. Ma al contempo si sentiva strappata in due, dalla solita acidità che aveva cominciato a darle sui nervi.
Alejandro aveva combattuto contro la morte, lei stava battendosi contro sè stessa.
Che cosa fare? Sarebbe stato giusto lasciarsi andare all'eventualità del destino?
E, provvidenzialmente, giusto per darle una mano a decidersi, Alejandro diede segni di vita.
Heather avvertì un nuovo brivido.
E adesso?
Ora che lo vedeva muoversi e sapeva che aveva rischiato di perderlo, si sentiva in tremenda soggezione. Quel suo stupido, stupidissimo cuore...
Lui aprì gli occhi, verdi, appannati dalla fatica e dal dolore, ma vivi, che si muovevano per l'ambiente, riconoscendolo, vivendolo, spostandosi su di lei e fissandola.
Con puro, inequivocabile, imbarazzante, totale amore.
Il momento zuccheroso era nell'aria. E Heather non riuscì a resistervi.
-Okay, Burromuerto, adesso apri bene le orecchie, sempre se ti funziona ancora l'udito. Chiariamo le cose. Non pensare che adesso andrà tutto splendidamente, dolcemente, con spruzzate di amore ogni giorno, carezzine, coccole e quant'altro. Sai che non sono proprio il tipo di persona. Devo ancora far sì che tu la paghi per lo sporco trucco delle convulsioni che, francamente, è stato prevedibile e nemmeno troppo intelligente, viste le tue condizioni. Me la lego al dito, sappilo.
Lui non disse nulla.
Cinque secondi dopo Heather avvertì una presa talmente leggera sul proprio polso che le sembrò che una farfalla le avesse sfiorato la pelle. Invece era la mano di Alejandro, seppur debole e lieve.
La trasse piano verso di sè e lei, non sapendo nemmeno bene cosa stesse facendo, lo seguì, trovandosi quasi adagiata sul petto del ragazzo. Fece per ritirarsi su -chissà se per imbarazzo, desiderio di non fargli male o stizza- ma dopo giusto un paio di centimetri arrivarono prima uno e poi un altro braccio a bloccarla lì.
Il tocco era lieve, ma si sentivano tante cose in quell'abbraccio. Tante.
-Avrai pazienza di aspettare?- le chiese solamente Alejandro. Era la prima volta che sentiva la sua voce ed era... deturpata, come tutto il resto. Ma Heather non se ne curò. Si stava curando del -Sì- che lei aveva risposto.
Decisamente smielato, devo dire...
Oh, stai zitta, una buona volta.
Smieloso o no, Alejandro aveva appena rischiato di morire... E poi era suo: non l'avrebbe lasciato andare tanto facilmente.




VUALAAAAA'!!!
E allora? Siete contenti/e?
Ma insomma, vi pareva che facevo morire il mio amatissimo Alejandro?!?!? O_____O
Ammetto che, come finale, mi ha intrigato parecchio *riceve occhiate assassine* ma girano troppe storie tragiche su questo sito, mi andava di farla finire bene questa ^^ E poi... sono tanto bellini loro assieme ^^"
*Fine momento di shipping compulsivo*
Questo è uno dei capitoli compresi nel disegno iniziale. Dovete infatti sapere che, in questo mio fantomatico disegno iniziale, Alejandro aveva il primissimo attacco, lanciava l'occhiata gelida a Heather, poi gli passava l'odio e accadeva il momento dolcioso qui narrato: ma sentivo che mancava qualcosa in mezzo U.U
Poi le vacanze furono proficue per l'ispirazione e nacque il capitolo delle convulsioni finte.
Le reazioni terrificate di alcuni di voi fecero nascere il capitolo 5 (mi intrigava scriverlo e... avevo una voglia folle di farvi spaventare ^^ Sono sadica, lo so^^)
E ora, siamo tornati ai piani originali.
Ma non è stato mai, mai, MAI nei miei piani uccidere quel ragazzuolo ç___ç
Piaciuto il momento dolcioso? C'è abbastanza dolcessssa per un diabete ma che volete farci? L'ho detto che sarebbe stata una fic romantica *occhioni sberluccicanti*.
E ora... Qualcuno è uscito dall'IC?
Ho scritto qualche boiata?
Mi volete ancora uccidere?
Vi è piaciuto questo capitolo?
Fatemi sapere! :)
Adoro incondizionatamente ognuno di voi *______*
Ci vediamo all'...ultimo capitolo :D
Vostra Pirata.


Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Your bill must be paid ***


ultimo capitolo deeper than any gameeee T_T

Deeper Than Any Game


#7: Your bill must be paid.

L'infermiera Joan Smitherson sbuffò.
Sarebbe dovuta rimanere seduta a quel bancone fino alla fine del mese.
E il mese era gennaio. E lei odiava il turno invernale, realizzò per l'ennesima volta, soffiandosi sulle mani fredde.
Non succedeva nulla di interessante. Era anche fine gennaio, quindi non poteva nemmeno sperare nei visitatori con le loro stravaganti scatole di cioccolatini per festeggiare Capodanno con i parenti ricoverati... Si era trastullata spesso, nelle ore noiose, a vedere quale fosse la confezione più particolare,
Ma era anche positivo che non accadesse niente di interessante, perchè ciò voleva dire che non c'erano emergenze o pazienti in crisi.
Joan Smitherson si alzò e prese a fare su e giù per il corridoio, per sgranchirsi le gambe, sempre più pesanti man mano che scorrevano gli anni.
Fu mentre passava davanti alla porta che avvertì rumori confusi dall'altra parte.
Un istante dopo i doppi battenti si spalancarono con foga e l'infermiera Joan Smitherson venne quasi travolta da una folla di tre persone: tra queste l'infermiera Aden, che trotterellava per stare al passo con l'uomo che spingeva la sedia a rotelle, sopra la quale stava abbandonata una donna, robusta e sofferente.
Joan Smitherson si precipitò alla sua postazione dietro il bancone e quelli la raggiunsero poco dopo.
-Hanno bisogno di...- cominciò la Aden, ma l'uomo la coprì urlando.
-Una sala... Vogliamo una sala...
Si chinò su sè stesso per un attimo e riprese fiato.
-Una sala operatoria?
L'uomo scosse freneticamente la testa, premendosi sul cuore una mano coperta di sbiadite tracce di ustioni.
-No, andale, una sala parto! Pronto, pronto!
La donna dietro di lui emise un verso sofferente e Joan Smitherson si sporse a fissarla. Non era robusta, era incinta. E, a giudicare dal viso delicato e pallido, dagli occhi a mandorla contratti per la sofferenza, sembrava proprio sul punto di dare alla luce.
-Vai a chiamare il dottor Clyde- ordinò Joan Smitherson alla Aden; e mentre quella si allontanava lei mise mano al telefono per chiamare la dottoressa Lames. Nel frattempo l'uomo aveva ripreso a parlare, agitatissimo.
-Entonces, tenemos esta sala, sì?
-Attenda un momento- Joan Smitherson parlò con voce serafica, cercando di calmarlo; invano.
-Tendrìan que tener un paritorio, hay un niño, un niño tiene que nacer, es mi hijo, mi...
Quand'ecco provenire, alle sue spalle, la soave e melodiosa voce della moglie.
-BURROMUERTO!
Soave e melodiosa voce? Un ringhio, piuttosto.
Con la cornetta ancora attaccata all'orecchio, Joan Smitherson vide l'uomo deglutire e gettare un'occhiata dietro di sè. Una mano lo agguantò per il bavero e lo trascinò dritto davanti al visto della donna in carrozzella, la quale sembrava decisamente irosa.
-Smettila all'istante di parlare spagnolo e trova all'istante una sala parto, o dolori del travaglio ti sembreranno ben poca cosa in confronto a quello che ti farò io...
La porta del corridoio si spalancò e comparvero l'infermiera Aden, il dottor Clyde e la ricercata dottoressa Lames. Joan Smitherson schiaffò giù la cornetta non appena li vide e osservò Alejandro e Heather allontanarsi con i medici. Lei aveva cominciato a urlare.
Alejandro e Heather. Erano passati tanti, tanti anni... Non avrebbe mai pensato di rivederli.

Avvicinandosi cautamente alla porta socchiusa della camera 850 Joan Smitherson si concesse qualche secondo per osservarli, prima di entrare.
Lui, coperto di segni di ustioni e cicatrici varie, era decisamente inconfondibile; i capelli erano ricresciuti a formare una corta zazzera dai ciuffetti ribelli che gli coprivano la fronte. Stava accanto al letto, in piedi, senza più fatica e anche sul suo viso non c'era più traccia del dolore che l'aveva perseguitato giorno e notte durante il periodo della riabilitazione... dolore che però sembrava sparire ogni volta che Heather lo veniva a trovare. La stessa Heather che, al momento, stava a letto, mezza sdraiata, con i capelli più lunghi e qualcosa nei profondi occhi cenere che esulava dall'acidità di cui Joan Smitherson si ricordava. Anche se ce n'era ancora, certo.
A proposito di acidità... al momento ne stavano volando fiumane, in quella camera. Heather fissava inviperita Alejandro, sbraitando a voce bassissima per non svegliare il piccino che dormiva nelle braccia del papà.
-Juan?!? Tu stai scherzando. Non chiamerei mai, mai e poi mai mio figlio Juan. E'difficile da dire ed è decisamente orrido come nome!
-Parli proprio tu, che volevi chiamarlo Grimilde, se fosse stato una bambina. Grimilde, increìble!
-Grimilde era una donna dalla mente eccelsa- puntualizzò lei -E comunque non si chiamerà Juan. Ficcatelo in testa.
-Mi oppongo.
Heather strinse gli occhi stizzita. Poi le due fessure scintillarono di una luce malvagia.
-Alejandro?
-Che c'è?
-Sai che devo ancora farti pagare quel fatto delle convulsioni finte?
Lui la fissò con disappunto.
-E quindi?
-E quindi, per scontare la tua colpa, tu lascerai che sia io a decidere il nome del bambino.
Joan Smitherson vedeva chiaramente che Alejandro voleva apparire arrabbiato: ma dopo parecchi istanti desistette e si sciolse in un sorrisetto ammirato.
-Sapevo che non te ne eri dimenticata...
-E'ovvio che la tenevo da parte per occasioni simili- sorrise perfidamente Heather. Scuotendo appena la testa, Alejandro si rivolse al bambino tra le sue braccia:
-Siamo rovinati, piccolo.
Joan Smitherson sorrise, prima di entrare definitivamente. Come famiglia quella doveva essere prevalentemente sola, visti i caratteri di quei due. Oppure aveva attorno tonnellate di persone, attratte dalla loro vecchia fama... persone che venivano prontamente usate, ma quelli erano dettagli. Una cosa era certa: come famiglia si supportavano a vicenda, riuscendoci splendidamente. Aveva quasi paura per il piccolo e di come sarebbe venuto su, ma la scacciò. Sarebbe cresciuto bene, con due genitori ormai cresciuti anche loro; due genitori la cui connessione, in passato più profonda di qualsiasi gioco, ora sarebbe stata più profonda di qualsiasi cosa.



-Fine-



Oddio. L'ho finita. T.T
E ora come faccio io senza questa fanfiction? Mi appassionava... D:
Sono contenta solo di non dover più scrivere di Joan Smitherson. Non la sopportavo, ecchessacrapadella!
Però... è finita.
Ora piango :(

*si riprende in qualche modo*
Ebbenamente? Piaciuto quest'ultimo capitolo? ^^ Siete delusi? Siete felici?
Spero che siate contenti/e. Perchè voi, con le vostre splendide recensioni, mi avete dato un'energia e una voglia folle di continuare questa storia *________*
Passiamo ordunque ai ringrassiamenti *____*

-Grazie ai lettori di questa cosetta talmente tanto AxHosa che ogni capitolo cominciava con una frase delle canzoni da loro cantate nella terza stagione (a parte il capitolo 3 :P). Ve n'eravate accorti, nevvero? ^__^
-Grazie alle 2614 visite totali di questa storia *no, dico,
2614! E non abbiamo contato quelle future! Volete farmi emossionare? *______* *
-Grazie alle 12 persone che l'hanno messa nei preferiti (siete oltremodo splendidi!):
Anna_98Court_And_Heather_Debby, Il Saggio Trent, Karly_chan, KiA99_LiZzY15, Lily_Heather, Roxy_rock5, sailor marty TD, Seagirl, VascoNvolta Sally, XxKaLeIdOnxX e_Courteth_.
-Grazie alle 15 persone che l'hanno messa nelle seguite (anche voi :D):
annie97, celiane4ever, Didyme, Eastre, Frankie99Heavenly, Il Saggio Trentirytvb, Kay93, lisathebest, Luna95, Nackros, sailor marty TD, TotalDrammina e XxKaLeIdOnxX.
-Grazie alle 2 persone che l'hanno messa nelle ricordate (anche voi :D):
wwwheather e XxKaLeIdOnxX
-E soprattutto, GRAZIE a chi ha recensito! Grazie, splendidissime persone! Siete state parte integrante di questa storia ;)
Vi adoro incondizionatamente, sappiatelo, e spero di rincontrarvi nei miei prossimi lavoretti :D
Oh, questo mi porta alla... Pubblicità! :D
(Di solito non la faccio, ma voi siete tanto cari *__*)

Allora!
-Ti è piaciuta questa fanfiction?
-Ne vorresti per caso un'altra?
-Hai lo stomaco sufficientemente forte e forza mentale stabile per seguire un'altra volta la Pirata?
And so stay tuned on my account! ^______^
Nel mio contorto cervello sono infatti in preparazione 3 long-fic :)
-una TxG ricca di musica e malintesi;
-una DxC da tenervi sulle spine e da farvi mangiare costantemente le unghie;
-e (forse) una Nizzy piena di suspance e dramma!

Tutte ricche di dolcessa e colpi di scena ma anche sacrosanta imprevedibilità! State sempre parlando di me, ricordatevelo ;)
E non è certamente certo che finiscano tutte e tre bene ^^"
Quindi... sta a voi :D Se volete le pubblico. Se non volete non le pubblico. U_U

A presto, se lo vorrete,
Vostramente vostra, PIRATA!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=748730