Deeper than any Game di ThePirateSDaughter (/viewuser.php?uid=76159)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** If I'm going down make a fair fight ***
Capitolo 2: *** Shouldn't have mocked you ***
Capitolo 3: *** Admit that. You're in love with me! ***
Capitolo 4: *** Help me out ***
Capitolo 5: *** Time for you to say bye - bye (- bye) ***
Capitolo 6: *** 6: This is how we will end it ***
Capitolo 7: *** Your bill must be paid ***
Capitolo 1 *** If I'm going down make a fair fight ***
LONG A-H
L'ho
detto che la pubblicavo, no?!
Ed
eccola quaaa *____*
Diciamo che la
considero anche una ff celebrativa: mi impegno a scrivere una long, possibilmente romantica e soprattutto pubblico il
primo capitolo della storia il giorno in cui faccio 2
anni su
EFP! (Ma questo non interessa a nessuno ^^)
Come primo capitolo è abbastanza corto, lo so... Ma è più che altro introduttivo ^^. Fatemi sapere mi
raccomando! E grazie mille a chi ha commentato le mie precedenti
storie: Strings
of my Heart, Ring
e Green! Siete troppo belli :D
Anche qui, se notaste qualche mia capperata, non esitate a dirmelo! :D
Deeper
Than Any Game
#1:
If I'm going down make a fair fight
La furia
degli elementi sembrava essersi placata; l'isola maledetta era
ormai lontana e la mostruosa caduta di rocce infuocate dal vulcano era
terminata. Soltanto degli ultimi lapilli piovevano di tanto in tanto in
acqua, sollevando lievi nuvolette di vapore caldo quando facevano
contatto.
I ragazzi
reduci
dell'ultima stagione di Total Drama avevano nuotato
come dei dannati, allontanandosi dal pericolo bracciata dopo bracciata;
ciononostante sentivano ancora una certa agitazione, che si rinnovava
ad ogni occhiata al cielo arancione, che li
sovrastava. O quando percepivano i tremori della terra che si
ripercuotevano nel mare, quasi giungendo fino a loro.
Ma anche il caldo impetuoso era diventato un altro simbolo della loro
sventura.
Infine, il fatto di ritrovarsi in acqua, senza possibilità
di
salvezza all'orizzonte, non contribuiva di certo a migliorare il caso.
-Dove
diamine è quell'idiota
di
Chris quando serve?!- sbraitò Courtney, prendendo a pugni il
mare -Quando i miei avvocati sapranno dove sono stata lasciata a
marcire e per quanto
tempo, quel conduttore da strapazzo
riceverà una bella querela!
-Taci,
vecchio trombone- interloquì Duncan, con la sua innata
gentilezza, la cresta afflosciata tutta da un lato -la situazione
è già abbastanza pessima senza che tu la peggiori
con i
tuoi strilli.
-Oh mio
Dio- La testa di Lindsay sbucò dalla superficie
dell'acqua -La mia messa in piega è rovinata!
-E lo vieni
a dire a me?- singhiozzò Justin, da
chissà dove.
-Non mi pare
per niente il problema principale!- scattò
nuovamente Courtney -Concentriamoci piuttosto su dove diamine sia
finito Chris e perchè doppio diamine nessuno è
ancora
venuto a salvarci!
-Perchè,
ci speri ancora? Dovremmo sbrigarcela da soli...
-Perfetto: qualcuno
ha qualche idea?!
Cadde
immediatamente il silenzio. Poi Lindsay alzò la mano.
Non era esattamente la persona che Courtney sperava di veder
intervenire, ma pazienza...
-...Sì?
-Per
salvarci potremmo addestrarci per diventare delle sirene!
Gwen si
battè la mano sulla fronte, sconcertata, spruzzando altre
goccioline; ma Lindsay non sembrò accorgersene.
-Non sarebbe
una cattiva
idea! Sono creature molto belle e, sapete? riescono a respirare
sott'acqua! Incredibile, no? Sono sempre in forma, agili e anche se i
loro capelli si bagnano sono sempre
perfetti! E poi possono vivere mooolto a lungo, quasi un
milione
di anni!
Il
gruppo non
sembrò stupito dall'improvvisa cultura che Lindsay -pur in
termini non propriamente consoni e profondi- aveva dimostrato di
possedere in merito a qualcosa che non riguardasse Tyler o il
lucidalabbra; piuttosto osservavano ciò che stava accadendo alle
spalle
della ragazza, la quale sentì un'improvvisa presenza dietro
di sè.
-Se ci tieni
alla pelle evita di pronunciare
quelle due parole!
Heather era
livida.
Furiosa, incazzata nera. Nulla andava come avrebbe dovuto: i soldi che
aveva vinto erano persi, era immersa nell'acqua ed era circondata da
una manica di imbecilli, specie quella che aveva parlato per ultima,
ricordandole l'ammontare della cifra perduta.
-Ora: qualcuno ha
qualche idea su come possiamo andarcene da qui?-
ringhiò indisponente -Un'idea intelligente, possibilmente!-
si affrettò a precisare, guardando la bionda.
-Ehi voi!
I ventitrè exconcorrenti si voltarono al suono di
quell'odiata voce.
Chris McLean, in impeccabili carne ed ossa, li attendeva con le braccia
dietro la schiena a bordo di uno sgangherato peschereccio, che sembrava
tuttavia in condizioni abbastanza buone da portare poco più
di
una decina di persone. I capelli e gli abiti del conduttore erano
bagnati fradici e una molliccia alga verde gli pendeva sconsolata sulla
fronte; nonostante ciò il detestato sorriso strafottente era
ancora impresso sul suo volto. Senza tanti complimenti e con un certo
stupore da parte dei naufraghi, l'uomo slegò una cima e la
lanciò in acqua.
-Datevi una mossa e salite tutti quanti, in fretta! Mi serve la firma
di ognuno di voi su qualche documento- e mostrò con
strafottenza
una bracciata di fogli -per togliere la
responsabilità del
reality riguardo a vostri possibili infortuni!
Ai ragazzi non interessava minimamente come il conduttore fosse
riuscito a riemergere dall'acqua e recuperare una barca
-chissà
poi da dove-; pur di abbandonare il mare ed avere una
possibilità di salvezza, ciascuno di loro si issò
a bordo
e cominciò a porre nome e cognome sulla linea indicata di
volta
in volta dal dito canzonatorio di Chris, che passò in
rassegna
al gruppo.
-Ci siamo tutti, no? Harold... Cody... Heather... Trent... DJ...
Sierra... Lindsay... Courtney... Gwen... Duncan... Katie e Sadie...
Bridgette...
-Un momento- I ragazzi si voltarono, sentendo Owen prendere
improvvisamente la parola -Non ci siamo tutti. Manca Al!
Al...? Al! Dove sei?
-Oddio, è vero!- esclamò Courtney, spaventata,
guardandosi attorno. Il ragazzo era l'unico che mancasse
all'appello. I compagni di reality chiamarono il suo nome
più e
più volte, ma senza ottenere risposta.
L'unica che non si scomodò ad aprire bocca fu, dal suo
angolo,
Heather, anche se, non appena aveva sentito le parole di Owen, aveva
sentito una sensazione fastidiosa alla bocca dello stomaco, come se
qualcosa l'avesse colpita. Contemporaneamente una specie di spavento
tentò di assalirla, ma venne stizzitamente respinto.
Dove diamine era quel deficiente di Alejandro? Perchè non
era lì?
Chris si voltò con nonchalanche verso l'isola, in quel
momento
scossa da un'altra eruzione, anche se meno grave della precedente.
-Sarà rimasto là- buttò lì,
quasi stesse
parlando del tempo -Assistenti! Andate a cercarlo... perchè
se
è rimasto sul serio sull'isola mi servirà assolutamente la
sua firma!- concluse, il viso tramutato in una perfetta faccia da
schiaffi. E in quel momento Heather avrebbe voluto tirargliene
moltissimi.
La ragazza spostò lo sguardo sul mare; continuava a tenere
sotto controllo quella stupida agitazione -chissà poi da cosa
era generata!-
ma le serviva comunque qualcosa per distrarsi. E poi, magari, vedendola
così, anche i più stupidi come Sierra o Lindsay,
avrebbero potuto capire che non era il caso di andarla a seccare con
confortanti parole della serie "sono sicura che il tuo Alejandro sta
bene". Sempre che non fraintendessero e pensassero che stava cercando
di scorgere ilsuoamatocaliente
sulla riva...
Quasi a farlo apposta, mentre pensava queste cose, in lontananza vide effettivamente qualcosa
di piccolo ma definito agitarsi fra i flutti. Un punto con due braccia.
Era lui, sicuramente.
Da come si dimenava sembrava avesse bisogno di aiuto. Avrebbe dovuto
lanciarsi giù e raggiungerlo...
...Ma cosa vado a
pensare!? Stiamo scherzando? Così farei la figura
della dolce strappalacrime che
raggiunge il suo bello! Come se mi importasse qualcosa di quel
bellimbusto! Che ci pensino Chris e la sua squadra di imbecilli a
ripescarlo...
...E'anche vero che se non ci pensassi io non lo noterebbero mai e poi
mai, storditi come sono...
-Hei- commentò acida e ad alta voce,
perchè tutti
la sentissero -Vi informo, nel caso non l'aveste notato, che Alejandro è lì.
Mentre parlava cercò di infondere il più
possibile di fermezza nella voce -stupida,
immotivata agitazione!- ed evitò lo sguardo di
chiunque, in special modo quello inquisitorio di quella cretina di
Sierra.
Incredibile ma vero ci volle poco ai due stupidi che Chris aveva
mandato per recuperare Alejandro. Ad Heather parve comunque troppo tempo.
Ora che anche lui si trovava a bordo, anche se avesse voluto vedere
come stava -e figurarsi
se le importava- sarebbe stato assolutamente impossibile:
venne immediatamente circondato da una fiumana di persone, Courtney in
prima linea.
-Alejandro! Alejandro!
Perchè non risponde...? ...Oh... santo cielo! Fate qualcosa!
Heather cominciò ad irritarsi.
Ok.
E'curiosità. Pura e semplice curiosità, se mi
avvicino a vedere che succede e come sta. Pura curiosità.
Ma non ci volle molto tempo; dopo qualche sgomitata e
imprecazione tagliente riuscì a portarsi vicino.
Abbastanza vicino da udire il sussurro preoccupato e sgomento di uno
degli assistenti.
-E'grave... Molto.
...
-Questo ragazzo va portato in ospedale, di corsa!
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Capitolo 2 *** Shouldn't have mocked you ***
2 deeper than any game
Deeper
Than Any Game
#2:
Shouldn't have mocked you
Con un colpo secco Heather aprì lo sportello della doccia e
ne
uscì. Strano, ma l'acqua sulla pelle non le causava
ribrezzo, il
che avrebbe potuto essre comprensibile, dopo quanto tempo vi era
rimasta, dopo la fuga dalle Hawaii, nell'ultima puntata.
L'ultima puntata...
Alejandro è
in ospedale.
Scosse la testa e avvolse corpo e capelli in un asciugamano.
Mentre l'abbraccio di spugna iniziava a rimuoverle da dosso il grosso
dell'acqua, lo sguardo della ragazza cadde sulle unghie dei piedi,
immacolate e abbastanza curate. Durante il reality era troppo occupata
per potersele sistemare a dovere...
Alejandro è
in ospedale.
... e non ne sarebbe
valsa neanche la pena,
perchè si sarebbero rovinate subito, con tutte quelle sfide
folli. Ma ora quell'abominio era giunto alla fine per la terza volta,
quindi Heather
decise di riprendere in mano una vecchia abitudine.
Finì di asciugarsi e si vestì;
dopodichè si
impadronì dello smalto e si sedette a terra, nel bel mezzo
del
soggiorno. La portafinestra era chiusa e le tende tirate: un piacevole
sole la illuminava...
Alejandro è
in ospedale.
Strinse irritata il pennellino e cominciò la sua opera.
Alejandro è
in ospedale.
Alluce... poi il dito dopo... e quello dopo ancora...
Alejandro è
in ospedale.
...E quello dopo ANCORA.
Il carico di smalto iniziava a scemare, quindi Heather
schiaffò il pennellino nel barattolino di smalto.
Alejandro. E'in ospedale.
-Oh, basta!!!- sbraitò al nulla, accompagnando
l'imprecazione a un brusco movimento della mano.
Che, per sua sfortuna, era quella che reggeva il pennellino immerso nello smalto.
Due secondi dopo una vivida macchia porpora aveva colpito la moquette
chiara del soggiorno.
Heather rimase stranita per qualche secondo; poi, snocciolando una
sfilza allucinante di improperi e maledizioni, corse a prendere il
necessario per tentare di pulire.
...Devi essere
deficiente. Che casino hai combinato!? Il mio smalto, la mia moquette!
E tutto per colpa di quel Burromuerto!
Patetico. Non riusciva a smettere di pensarci, nemmeno imponendoselo:
il pensiero attendeva di soppiatto ai bordi della sua mente, per poi
prenderne possesso non appena Heather abbassava la guardia. Era sempre
lì!
Tutto per colpa di quell'imbecille. Quell'assurdo, totale cascamorto imbecille.
E'in ospedale.
I miei nervi salteranno
presto.
E la cosa che la irritava forse maggiormente era il fatto di sentirsi
-seppur minimamente!- in
colpa.
In colpa.
In colpa! Ma cerchiamo
di non essere
sciocchi! Per che cosa, poi? Quell'emerito idiota poteva scappare
più velocemente, cosa dovrei centrare io?
Ecco il punto. Da cosa esattamente avrebbe dovuto scappare Alejandro?
Avendolo
sorpassato, Heather non ne aveva idea. Ma qualunque cosa lo avesse
colpito, doveva averlo fatto in prossimità della riva.
E chi lo aveva spedito lì, gabbandolo con un sacrosanto
calcio là dove non batte il sole?
E quindi? Mi dovrei
sentire in colpa per questo?!
Malgrado gli acidi tentativi di autoconvinzione il senso di fastidio
non accennava a smettere. Così come il pensiero di Alejandro
non
cessava di martellarla.
E'in ospedale.
Chissà come sta.
Oh, e va bene!
Andrò a
trovar... a vederlo! Almeno questo mio stupido cervello si
farà
un'idea e la pianterà di tormentarmi una buona volta!
Per l'infermiera Joan Smitherson, quel giorno, era il turno pomeridiano.
Un lungo pomeriggio seduta al bancone del terzo piano. Oppressa dal
caldo cocente di giugno, a malapena soccorsa dall'aria condizionata. Al
solo pensiero si sentì mancare; poi prese posto al bancone e
cercò di farsi forza, perchè partire da quel
presupposto
non l'avrebbe per niente aiutata. E poi, chissà, magari
sarebbe
venuta una qualche persona interessante a far visita a uno di quei
poveracci e a smuovere la sua monotona giornata...
E difatti, verso le tre e mezza, ecco fare capolino dall'altro capo del
corridoio una ragazza. Indossava un paio di shorts e una canotta
perlopiù succinta, che valorizzavano una silohuette
già
invidiabile, considerò Joan, fissando la propria pancetta.
Man
mano che si avvicinava, Joan Smitherson potè
constatare che
anche il viso era intrigante: magnetici occhi a mandorla, labbra chiare
e lineamenti delicati che ben si armonizzavano alla lunga cascata di
riccioli castani che le incorniciavano volto e spalle.
Una ragazza all'apparenza come tutte le altre. Dall'aria quasi
familiare. Ma Joan, chissà come, avvertiva che c'era
qualcosa
sotto.
Nel frattempo, quella era arrivata davanti a lei.
-Buon pomeriggio- esordì, zuccherosa -Vorrei sapere il
numero di stanza di Alejandro Burromuerto, per favore.
Joan consultò il fascicolo dei pazienti di quel piano.
Burromuerto...
ah sì.
Povero ragazzo. Un bruttissimo caso.
Di
conseguenza non poteva far entrare il primo che passava.
-Lei è una parente?- indagò scettica, inarcando
un sopracciglio e fissando la ragazza.
E in quel momento trovò cosa non la finiva di sconfifferare
di
lei: l'espressione.
A prima vista tranquilla, ma con un'ombra dietro
che andava oltre la preoccupazione. Era come se avesse paura di farsi
vedere in giro.
-...Parente? Sì certo!- rispose la ragazza -Sono... ehm, soi, soi la prima di
Alejandro Burromuerto. Suprima.
Mi faccia entrare, por favor!
Joan battè le palpebre, sconcertata.
Ora ne era certa: quella non era sicuramente
la prima di
Burromuerto.
In compenso aveva un'altra idea, circa la sua identità.
E'una maledetta porta.
Hai rotto le scatole sì o no per vederlo? E ora ce l'hai
praticamente davanti, muoviti!
Heather era ferma davanti all'entrata della camera da diversi minuti.
Non riusciva a spiegarselo, dannazione, ma qualcosa la tratteneva.
Che cosa poteva essere? Paura? Tzè,
e di cosa?
Orgoglio? Probabilissimo.
Timore di vederlo? E
perchè dovrei scandalizzarmi, l'ho visto ogni giorno durante
il reality!
Si massaggiò le tempie, infastidita. E
già che c'era si diede una vigorosa grattata alla testa,
irritata da quella maledetta parrucca riccia. Era insopportabile, ma
sarebbe morta piuttosto che togliersela e far vedere alla
società Heather
che andava a trovare Alejandro.
Bisogna che mi risolva
ad entrare o rimarrò qua davanti come un'idiota.
La risoluzione arrivò provvidenziale quando vide la seccante
infermiera di poco prima sbirciarla inquisitoria. Quella
scocciantissima donna aveva quasi fatto sì che le
rispondesse male. Heather espirò
stizzita e prima che la sua mente -ultimamente
impazzita- la bloccasse un'altra volta,
spalancò la porta.
E, sempre di corsa, non si soffermò su scemenze quali il
colore
della camera o che medicinali o apparecchiature vedesse:
marciò
decisa verso l'unico letto.
Solo mentre si avvicinava cominciò a rallentare. E non per
senso
di colpa, paura o qualsiasi altra stronzata avesse cercato di bloccarla
nei momenti precedenti.
Il fatto era che si sarebbe aspettata tutto. Ma non quello.
Ogni singolo centimetro del corpo di Alejandro che riuscisse a vedere e
che non fosse celato da bende o lenzuola era coperto era ricoperto da
lucenti e orrende ustioni, piaghe innaturali che lo deturpavano e che
cancellavano qualunque traccia del fisico precedentemente conosciuto.
Non vi era più traccia dei vigorosi addominali di cui il
ragazzo aveva fatto sfoggio nel corso del reality; niente
più muscoli guizzanti; niente di niente. Tutto spariva sotto
quegli orrendi segni, che arrivavano quasi ad annientare perfino
l'abbronzatura.
Ma non finiva lì.
Attorno alle ustioni si stendeva una serie di vivide macchie scure, che
Heather capì essere lividi,
lunghi e stretti; ciascuno era contornato di un cupo rossastro, che
sfumava in violaceo per poi perdersi nell'intenso nero dell'ematoma.
In testa, il ragazzo portava una cuffietta di plastica che gli
circondava fronte e orecchie; ma dato che il copricapo era
pressochè trasparente, sforzandosi un po' si poteva
intravedere cosa ci fosse sotto. E i lunghi capelli scuri del ragazzo
erano spariti, dal primo all'ultimo, lasciando posto ad una pelata che
in circostanze normali sarebbe parsa patetica.
Una scena del genere faceva sorvolare qualunque spettatore sul fatto
che Alejandro fosse collegato a un respiratore o che un macchinario
lì accanto emettesse un bip
a lunghi, costanti intervalli; ed Heather non fece eccezione.
Rimase là, agghiacciata, per infiniti, innumerabili secondi,
senza che la sua mente riuscisse ad elaborare un solo pensiero, acido o
smielato che fosse. Alejandro, in quelle condizioni, incosciente e
sfigurato, incatenava oscenamente la sua vista.
Sembrava che ogni cosa fosse stata resettata. Non sentiva nemmeno il
senso di colpa.
Due secondi dopo però, quello arrivò tutto in una volta,
grande e prepotente; la ragazza si portò per istinto la mano
alla bocca, orripilata e minacciata da un conato di vomito.
Era tutta, solo ed esclusivamente colpa
sua.
... no, cerchiamo di non
essere sce...
Sì, colpa sua! Solo sua! Che cos'altro si
poteva pensare, vedendo una cosa del genere? Nella sua testa regnava il
caos, ma almeno di quello era certa: non sarebbe successo se non
l'avesse spinto giù dal vulcano.
E il senso di colpa era distruttivo. Orribile. Si odiava e disprezzava
per non riuscire a bloccarlo, ad autoconvincersi per l'ennesima volta
che non fosse successo nulla di grave e che non fosse merito suo...
Ma non era possibile. Non con Alejandro così davanti agli
occhi. Non si era bruciacchiato su una mano: era deturpato ovunque, ovunque,
maledizione! Chi le diceva ora, che fosse fuori pericolo? Come faceva
ad essere sicura che si sarebbe ripreso?
Non si riusciva a muovere. Sembrava una statua, accanto ad Alejandro,
ugualmente immobile.
-Povero ragazzo.
Le due voci arrivarono dietro di lei, improvvise e come da molto
lontano.
-Guarda, ha visite!
-Pare sia la cugina...
-L'hai visto, eh?
-Sono entrata a cambiargli la flebo l'altro giorno. Mamma mia, come
è conciato. Così giovane, così
carino... E si è distrutto, in un colpo solo-
Risuonò uno schiocco di dita.
-Tutto per quello stupido reality. Povera stella. E poi è
solo.
-Solo?
-Come un cane. Nessun parente, nessuna ragazza, nessun amico. La madre
è troppo lontana e per un qualche motivo non è
riuscita a pagarsi il viaggio; i fratelli non so. A pensarci bene, per
due giorni è venuta a trovarlo una partecipante del reality,
quella Courtney, hai presente? La ex del punkettone. Dopo un
po'però, stando a quanto dicono, pare che si sia
riallacciata con quello lì e non si è
più fatta vedere. Come nessun altro dei partecipanti, che lo
consideravano calcolatore, crudele, perfido e subdolo.
-Però verso la finale sembrava essersi quasi redento...
-Beh, per uno come lui è difficile, ma sì,
possiamo dirlo. Aveva un sacco di ragazze belle e buone e si
è preso quella strega schifosa. Era in testa alla finale,
aveva praticamente già vinto, ma per lei avrebbe rinunciato
ai soldi, alla fama, alla vittoria! L'hai vista anche tu
l'ultima puntata, no?... Ecco. Poteva vincere, invece ha preferito i
sentimenti. E quella bastarda l'ha tradito e schiaffato giù
dal vulcano.
-Pensa te. I sentimenti di Heather, poi, saranno stati sicuramente
falsi, te lo dico io. Non sarà mai stata veramente
innamorata di lui, ci metto la mano sul fuoco. L'ha sempre usato, come
con qualsiasi altra persona.
-E'stato calpestato, lasciato a terra, abbandonato, tradito,
martoriato... Tutte le sfortune, povero ragazzo!
-Mamma mia. Ora come sta?
-Il dottore non sa più dove sbattere la testa.
Pausa di silenzio.
-...Ti va un caffè?
-E caffè sia.
Non sentì i passi che si allontanavano. Non
avvertì le voci che scemavano. Non sentì quasi
più niente.
In testa un sacco di pensieri, silenziosi e striscianti, come vermi.
Dentro, la
spaccatura e la confusione più profonde. Da una parte
l'acidità che autoconvinceva; ma ormai era soffocata da una
tonnellata di altre cose.
Senso di colpa dominante. Orrore. Odio per quelle due. Sgomento. Il non
sapere cosa fare, come agire, cosa
pensare.
Desiderio di voler urlare a chiunque che non era vero, che i suoi
sentimenti non erano falsi...
Ah, sul serio? Per
questo imbecille?
...
Il cuore che di
solito non si curava di sentire trafitto da ogni singola parola
pronunciata dalle due infermiere.
Non da cose come "strega schifosa" o "bastarda", ma per le frasi
seguite.
L'aveva tradito. Quasi ucciso.
E lui l'amava.
E lei?
*Arrivando
a fine pagina i lettori scorgono l'autrice in un bagno di sudore,
stremata*
Miseria
santa.
Questo
capitolo è stato arduo anzichenò!
Scrivere
di quella ragazza, con tutti i suoi patemi, le sue convinzioni, la sua
acidità...
Ma
non poteva essere una ca**o di bionda cheerleader, smielata e con un
chiuaua in braccio?
...
Beh, no. Sennò non l'avrei adorata! Mwahahahah!
^/////^
Bene! Se siete arrivati fin qua significa che siete oltremodo
fantastici! *manda baci*
Fatemi
sapere, vè! E ricordatemi che i pomodori sono sempre a
disposizione *indica banchetto carico di ortaggi*
Grazie
a tutti voi, che avete letto, recensito, messo nelle
preferite/seguite/ricordate.
Sappiate
che una recensione in più è sempre ben gradita!
*_________*
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Capitolo 3 *** Admit that. You're in love with me! ***
3
Deeper
Than Any Game
#3:
Admit that. You're in love with me!
Il giorno dopo era ancora lì.
E quello dopo ancora.
Idem per il successivo.
Passò molti, molti
giorni là.
E lui non si era ancora svegliato. Nemmeno mosso.
Forse era quella la ragione per cui, tutto d'un tratto, aveva quasi
preso
residenza in quella camera. Voleva essere lì…
quando… si sarebbe svegliato.
??!?!
Se mai si sveglierà, la colse
d'improvviso e con sgomento.
La vuoi finire?! Bisogna anche
che prima o poi ti riabbia da questi pensierucoli sdolcinati... L'unica
vera ragione per la quale tu continui a rimanere qui è SOLO
ED ESCLUSIVAMENTE perchè il suo pensiero la smetta di
tormentarti: quando si sveglierà gli urlerai in faccia un
paio di maledizioni ben fatte e riuscirai ad andartene, con l'animo in
pace!
...
Sul serio?
Era quello l'unico motivo per il quale continuava a entrare in quella
camera, tutti i giorni e starci interi pomeriggi? Non c'era... altro...
no?
Heather appoggiò la fronte ad una mano, sbuffando. Per sua
rabbia, ora stava male anche lei! Scaturiva tutto dall'essere
contrapposta tra due stati d'animo: fregarsene altamente, come aveva
sempre fatto dopo ogni sua malefatta...
Oppure stare lì a fissarlo -come un'imbecille!-.
Già. Imbecille. Ma al contempo sentiva comunque che doveva dirlo.
Guardò per l'ennesima volta il corpo sprofondato nel letto:
martoriato, rossastro e nero, terribile nella sua
immobilità. Non faceva niente,
non muoveva la testa, non piegava un dito, non gemeva... Non faceva niente.
Se non fosse stato per il bip costante dei macchinari cui era legato si
sarebbe tranquillamente detto che Alejandro fosse morto.
Qualche volta erano entrati dei dottori, oltre alla solita infermiera
che controllava che tutto fosse stabile; e in ognuna di quelle
situazioni Heather era uscita, infastidita e non desiderosa di farsi
vedere là, anche se l'odiosa parrucca avrebbe dovuto
funzionare come camuffamento. Gli idioti in camice si affaccendavano
attorno al letto di Alejandro, circondandolo e coprendo la visuale;
chiacchieravano tra loro, lo indicavano, facevano qualcosa che lei non
riusciva a vedere e se ne andavano. Heather faceva passare qualche
minuto per essere sicura che non sarebbero tornati e poi rientrava.
In nessuna occasione notò un miglioramento delle condizioni.
Quelle maledette ustioni sembravano, anzi, più vivide, i
lividi più scuri.
Ma chi diamine aveva consegnato la laurea a quei medici, un
coccodrillo!?
Sospirò. Sì, doveva dirglielo. Anche solo per
levarsi quel fastidioso peso. Contemporaneamente però
avvertiva un terribile imbarazzo e seccatura al solo pensiero di
doverlo fare.
Forza.
-...S...
NO! Non
scenderò a questo, non esiste! Sono Heather, per la miseria
e Heather non è una smielata infermierina che frigna sul
corpo del suo amato... del suo... insomma, sul suo corpo!
... Doveva anche finirla con certi pensieri. Non era davanti a nessuno
in quel momento, perchè dimostrarsi fredda?
Cosa? Non è
questione di essere davanti a qualcuno...!
-...scusa.
Ebbe la sensazione di arrossire. E prima che potesse rendersene conto
le scivolò una lacrima, minuta e inaspettata.
...Ah, bello. E ora che
l'hai detto cosa hai risolto? E, come se non bastasse, abbiamo anche le
lacrimucce! Cosa vogliamo fare adesso? Urliamo disperate? Ci spargiamo
la cenere sul capo? Ci strappiamo i capelli? Per carità,
già ne ho pochi!
Santo
cielo, se sono un essere orribile...
...Era anche la prima volta che lo pensava sinceramente di
sè stessa. Un essere orribile, per tutto quello che ancora
riusciva a pensare, anche in quella situazione. Orribile per quel
sarcasmo normalmente caratteristico e che ora era completamente inutile
a sdrammatizzare: anzi peggiorava tutto.
Non era tempo di sarcasmo. Non stava partecipando al reality. Non era a
fare la reginetta di bellezza. Non era a scuola o a angariare
deficienti come Lindsay. Era davanti al risultato delle sue azioni e
macchinazioni: un risultato stavolta così spaventoso e
opprimente che la spaventò. Altre due lacrime seguirono la
prima.
Maledizione. Quell'Alejandro l'aveva fatta piangere sinceramente per
due volte! Lo stesso Alejandro che in quel momento giaceva di fronte a
lei. E se non si fosse svegliato più? Cosa avrebbe fatto
lei? Come avrebbe continuato a vivere con quel pensiero, quell'immagine?
Tempo di finire quel pensiero e ogni macchina che circondava il letto
iniziò a bippare come impazzita. Un allarme angosciante e
assilante. Due secondi dopo fu come se metà del corpo medici
si riversasse nella stanza: passarono davanti a Heather e circondarono
Alejandro, urlando tra loro, così che si carpirono solo
poche parole.
-Emergenza. Subito!
...Operatoria. Immediatamente! Cardiaco.
Con gli occhi sgranati, Heather retrocesse, colpendo la vetrata che
dava sul corridoio. I medici stavano cominciando a spingere il letto di
Alejandro fuori della camera e lei non ci capiva più niente.
Si riebbe solo quando una mano le strattonò il braccio.
Era l'infermiera che stava al bancone. La Smitherson.
-Vai fuori, Heather. Fuori. E'meglio- ordinò, scrutando con
cipiglio sotto la parrucca riccia della ragazza.
Ma quanto cazzo di tempo era passato?
Ogni ora sembrava trascinarsi agonizzante verso la sua fine, ogni
minuto resisteva per non passare, ogni fottuto secondo aveva triplicato
la durata. Come minimo.
La parrucca di Heather era finita in una pattumiera e la ragazza era
seduta a terra.
Aspettava.
A ogni passaggio di un dottore sollevava lo sguardo, repentina; poi
riconosceva che non era nessuno di quelli che avevano soccorso
Alejandro (o comunque nessuno che sembrasse uscito da una sala
operatoria) e riprendeva a guardare a terra, imprecando nervosa e
furibonda.
Non aveva idea di quanto ci volle, ma dopo parecchio tempo vide uno
stuolo di persone portare una barella nella camera di Alejandro.
Scattò in piedi.
Il gruppo, dopo una serie di manovre, fece passare la lettiga
attraverso lo stipite e vi si affaccendò attorno. Joan
Smitherson sbucò placida dalla mischia; notò la
ragazza fremente e le si avvicinò, non dandole nemmeno il
tempo di parlare.
-E' di nuovo stabile. Se vuoi, puoi entrare un momento.
E'stabile.
E'stabile, è
stabile, è stabile.
Fanculo, è
stabile. E'stabile.
La Smitherson inclinò la testa.
-Quindi? Entri o no?
Heather sembrò riaversi. Senza ringraziare o altro
oltrepassò la vecchia, dritta nella camera. Joan Smitherson
la seguì con lo sguardo.
-Mah. Quindi, a quanto pare, i suoi sentimenti non erano del tutto
falsi...
Sembrava... normale.
Oddio... "normale" era una parola grossa, nelle sue condizioni. Ma...
non sapeva esattamente come, ma sembrava in condizioni lievemente migliori.
Nessuna ustione era sparita, neanche un livido sbiadito, ma era come se
il colorito di Alejandro fosse più salutare.
Appunto, l'ha detto
prima la vecchia. E'stabile!
All'improvviso il suo viso si contrasse. Poi ancora. Heather
sobbalzò -come
una scema- portandosi vicino al pulsante di
allarme.
Ma quelli non sembravano spasmi. Era... Si stava svegliando.
Si stava svegliando.
Aprì un occhio. Verde come se non l'aveva mai visto e come
aveva temuto di non vedere più -basta!-.
Lo stesso occhio attese l'altro per abituarsi
lentamente alla luce; si restrinsero infastiditi, si
allargarono pian piano e cominciarono a vagare per l'ambiente
circostante, per poi posarsi su di lei.
E fu un attimo.
Da neutrale, l'espressione di Alejandro divenne gradatamente gelida,
non appena capì chi aveva davanti. Fissa su Heather, che si
sentì scandagliata, a suo malgrado.
L'espressione di Alejandro... maledizione, faceva... male.
Lo sguardo del ragazzo si spostò su un altro punto:
seguendolo, Heather vide Joan Smitherson. La donna assentì e
si rivolse a lei.
-Forse è meglio che tu esca. Vai a casa.
Non riuscì nemmeno a controbattere,
mentre quella la spingeva con delicatezza e decisione verso l'esterno.
L'avrebbe anche fatto, ma voltandosi per l'ultima volta verso Alejandro
lo ritrovò a fissarla, gelido e con odio. Poi lui volse lo
sguardo al soffitto e lei al corridoio che la aspettava.
Joan Smitherson le si fece vicino e iniziò a parlarle,
flemmatica: qualche sciocchezza relativa al fatto che era probabile e
quasi giusto che Alejandro reagisse così nei suoi riguardi,
ma gli sarebbe passata presto...
Ma Heather non sentì nulla. Sentiva altro.
Ira, innanzitutto: cocente ira da orgoglio ferito. Ma quella stava
sotto a tutto. Prima c'era qualcosa di gran lunga più
seccante: dispiacere e distruzione.
Ma
per fav...
Dispiacere
e distruzione.
Caaaaaaaaaaaarissimi!
Sono tornata, in ritardo, ma sono tornata! Contenti?
*una scarica di ortaggi sommerge l'autrice ç____ç*
Aaallora, soddisfatti? O siete stati scossi da attacchi di sonno e
conati di vomito?
Spero che mi facciate sapere ancora cosa ne pensate e... grazie mille a
chiunque sia passato/abbia messo la storia nelle
preferite/seguite/ricordate *______*
E graziosamente grazie GRAZIE a coloro che hanno recensito *abbraccia
con affetto* Spero di rivedervi anche in questo capitolo/schifezza ^^
E se qualcun altro volesse aggiungersi ai recensori io mica mi offendo!
:D
A presto, gioie!
|
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Capitolo 4 *** Help me out ***
al
Deeper
Than Any Game
#4:
Help me out.
Si svegliò e quella notte era la quarta
volta. E con ogni risveglio c'erano fitte maledette ovunque.
Non poteva nemmeno migliorare la propria
situazione: doveva rimanere in
quel fottuto letto, fermo, immobile, dolorante, esattamente come alle
Hawaii, a giacere dimenticato come un verme, nella sabbia, prima che
qualcuno si ricordasse che c'era anche lui.
Ma quella volta no. Quella quarta volta non
sarebbe rimasto, inerme, ad attendere che il sonno lo riportasse in un
oblio semicalmo, dove poter almeno tentare di dimenticare le proprie
condizioni.
Con uno sforzo sovrumano sollevò il
braccio destro.
La visione di ustioni, lividi risultati dai
calpestamenti, arrossamenti, escoriazioni e un misero cavetto che lo
collegava a una flebo lo fecero rabbrividire. Non di spavento, di
ribrezzo o di angoscia per come il suo magnifico corpo era stato
ridotto: bensì di rabbia cieca.
E desiderio di vendetta.
Passi in corridoio.
L'infermiera era venuta a controllare i suoi
parametri. Doveva essere qualcosa di abituale, a quanto pareva, dato
che gli passò vicino analitica e veloce, senza degnarlo
più di un solo sguardo.
-Oh, siamo svegli, signor Burromuerto?- fece
sorpresa quando incrociò il suo sguardo -Se il dolore le
dà fastidio posso aggiungere un altro po' di morfina...
anche se dovremmo prima sentire cosa ne pensa il dottore...
Lui, però, aveva smesso di ascoltare
parecchio tempo fa. Da che la tizia era entrata nella camera un'idea
aveva cominciato a delinearsi nel suo cervello.
Ma certo. L'infermiera.
Esattamente quello che gli serviva.
Sarebbe stato un gioco da ragazzi.
-Non è la morfina che mi serve...-
esordì, per poi bloccarsi subito.
Che cosa doveva essere quell'orrore, mezzo sibilo
e mezzo rantolo appena fuoriuscito dalla propria gola?
Di sicuro non la sua voce. Non aveva niente di umano.
D'altronde, realizzò con amarezza, il
dolore era talmente intenso, continuo e totale da non dargli una
precisa idea di dove esattamente
gli dolesse: sentiva male semplicemente ovunque. Ma ora, a quanto pareva, aveva appena scoperto di
avere dei danni anche
alla gola.
Insomma,
basta. Agisci.
-... mi serve aiuto, piuttosto-
pronunciò a fatica Alejandro. Non solo sentire quella cosa
era inaudito ma faceva bruciare la gola ancora di più, sia
dentro che fuori.
Ma era necessario. Gli serviva. Doveva parlare.
Conoscere. Sapere.
Si schiarì la voce e la gola protestò irata,
facendogli capire che era stata una pessima idea.
-Signor Burromuerto, non parli se la cosa la
affatica... Lei è ancora debole.
-Quella ragazza, Heather...- soffrì
lui, testardo -viene spesso qui?
Poi si accasciò sul letto, ansimando
-nonostante anche quello
gli causasse dolore -per lo sforzo.
L'infermiera si avvicinò un poco.
-Non se ne preoccupi, signor Burromuerto; ora
pensi solo a riposare... Da tanto tempo, comunque, se questo
può servire a calmarla.
Lo fissò inquisitoria, forse attendendo
altro; poi fece per girare sui tacchi.
-Voglio vendicarmi, signorina...-
mormorò lui, studiatamente, cercando di infondere ancora
più fatica di quanta ce ne fosse già in
quell'aborto di voce -E mi serve il suo aiuto.
Quella si voltò a fisarlo di sbieco,
tra il sorpreso e il condiscendente.
-Quando sarà dimesso potrà
fare quello che le pare. Ma ora non ci pensi nemmeno. I medici devono
controllarla, specie in questa situazione dove lei si è
appena svegliato...
-Ma i controlli non avvengono nell'orario di
visita. Agirò in quei momenti- spiegò lui,
cercando di parlare il meno possibile... la gola faceva troppo male -La
prego- lesse il nome sul distintivo -la prego, signora Smitherson, mi
aiuti. A vendicarmi della persona che mi ha ridotto così.
Lei si volse e uscì :-Non faccia sforzi.
Alejandro sospirò amareggiato. Non era
minimamente riuscito a smuoverla. Non era più bello e
sensuale come prima, va bene, ne aveva avuto la conferma osservandosi
il braccio ma... non riusciva nemmeno a farle pena?
Improvvisamente avvertì un vuoto
dentro, che nulla aveva a che fare con il dolore fisico, come se una
parte di sé fosse irrimediabilmente scomparsa, rendendolo
estraneo perfino a sé stesso.
...
Basta.
Se non altro gli rimaneva il sadismo, in quel
corpo da larva. E la determinazione.
Avrebbe agito: l'indomani Heather avrebbe avuto
quello che si meritava.
Tenne gli occhi decisamente chiusi mentre la sentiva entrare
in stanza. Innanzitutto fingersi dormiente serviva per il suo piano;
poi aiutava a schermare dai raggi solari e... ecco, tenerli chiusi
riduceva un po'il dolore.
-...Dorme?
Come gli sembrava strana la voce di Heather.
Bassa, lievemente preoccupata. Quasi stentava a credere che fosse la
sua. Come poteva la stessa ragazza che non si era fatta problemi a
buttarlo giù dal vulcano essere in pensiero per lui? Il
senso di colpa bruciava, a quanto pareva... Non l'avrebbe mai detto.
-Sì, non è ricaduto in coma,
Heather- rispose nel buio delle sue palpebre la voce dell'infermiera
Smitherson -Però, se fossi in te, proverei a
parlargli un po'. Sai... anche se ti ha guardato male la scorsa volta
potrebbe... essergli passata. E la tua voce potrebbe fargli piacere.
Seccatura e gioia malvagia esplosero in Alejandro
a quelle parole: come poteva pensare, la vecchiaccia, che sentire la
voce di quella strega gli avrebbe fatto piacere? Ma contemporaneamente
aveva realizzato che lo stava aiutando: forse non intenzionalmente ma
stava seguendo la richiesta che le aveva fatto lui quella notte. Anche
se non lo sapeva. Non
del tutto, almeno.
Represse a fatica un sorrisetto maligno.
Una porta sbatté, facendogli dedurre
l'uscita dell'infermiera. Alejandro attese pazientemente che il
pesciolino Heather -pesciolino?!
Piranha, piuttosto...- cadesse nella rete. E lo fece, con
l'acidità che la contraddistingueva.
-Ah, ti dovrei parlare? Se spreco fiato con un
verme del tuo calibro è solo per un eccesso di
carità. Spero che tu stia bene perchè tu possa
alzarti da quel letto, riprendere una vita normale e sparire dalla mia
testa!...
A quel punto si interruppe bruscamente e
Alejandro, che ormai poteva dirsi di conoscerla, seppe che era
perchè aveva parlato troppo e ora si stava automaledicendo.
Represse un secondo sorrisetto.
-Se tu morissi adesso non farei una minima piega-
riprese lei, dopo un po'. Strano, quando si era svegliato e l'aveva
vista in camera, Heather aveva un'espressione preoccupata, mentre lo
fissava. Forse quel festival di acidità era da imputare
all'occhiata che lui le aveva rivolto -Non farei una minima piega.
Non mi importa un accidente di come tu possa stare...
Ceeerto
e allora perchè mai sei qui ancora una volta?!
Bene.
Era giunto il momento.
Alejandro spalancò gli occhi,
sgranandoli e mantenendo lo sguardo fisso al soffitto. Un istante dopo
aver sentito il rantolo sorpreso della ragazza ne trasse uno lui e
cominciò a inarcare la schiena, contorcendosi febbrilmente
ed emettendo acri spasmi.
Ogni millimetro del corpo urlò
furibondo il proprio dolore, tanto che il ragazzo fu quasi tentato di
smettere immediatamente... Ma sicuramente quella sua reazione stava
terrificando Heather ed era un buonissimo motivo per continuare.
Strinse i denti, con sofferenza.
Improvvisamente lei comparve nel suo campo visivo:
si stava protendendo sopra il suo letto per spingere il piccolo bottone
d'emergenza, collegato al muro da un lungo cavo, così da
essere raggiungibile anche al paziente. Non c'era dubbio: quella sul
suo volto era un' inconfondibile espressione spaventata.
Soffri,
stronza. E pensa che questo è solo l'inizio...
Nel frattempo... quant'era bella, anche
così preocc...
No.
Alejandro smise con la falsa convulsione e si
riaccomodò sdraiato, a occhi chiusi, cercando di calmare il
fiatone, pochi istanti prima che qualcuno -due dottori, a giudicare dal
rumore- entrassero di gran carriera.
-Che succede?
-N... non lo so...- La sua voce spaventata era
impagabile -Si è... non so, svegliato, ha avuto una specie
di attacco...
Alejandro avvertì delle mani sfiorargli
il polso martoriato.
-... Signorina, non so cosa è sembrato
a lei ma qui è tutto a posto. Il ragazzo ha soltanto il
polso un po'accelerato. E'normale, è ancora convalescente.
Non si preoccupi.
-...Ok...
La porta si chiuse. Seguì un breve
silenzio in cui Alejandro potè sentire il godimento e il
dolore atroce pervadergli il corpo.
Era stata solo una convulsione ma lo aveva
notevolmente provato. Ora che rigiaceva sul materasso aveva la
sgradevole sensazione di essere fatto di vetro. O qualcos'altro di
così fragile.
-...Io non mi preoccupo per te, hai capito?- risuonò decisa
la voce di Heather.
Patetica. Continuava a parlargli! Aveva preso
proprio sul serio le parole della Smitherson.
Non si preoccupava di lui? Perchè non
fare un'altra prova?
Alejandro riprese la stessa scenata di poco prima.
Stavolta si prese il lusso di inarcare la testa, così da
vederla chiaramente: e il piacere della vendetta quasi
superò il male lancinante. Heather rimase là,
interdetta, pochi secondi prima di schizzare di nuovo verso il bottone
d'emergenza. Poi lui si risistemò. Tornarono i medici.
Rassicurarono Heather. Uscirono. Nuovo commento gelido da parte sua.
E via di nuovo, alla stessa maniera.
Doveva starci male. Doveva provare un briciolo della
paura, del dolore, dello spavento che aveva vissuto lui. Una particella
dell'affaticamento, dell'oppressione che sentiva lui dopo ognuna di
quelle convulsioni. Non gliel'avrebbe fatta passare liscia. Gli unici
verso cui sentisse un briciolo di compassione erano i medici, costretti
a diventare dei maratoneti di punto in bianco ma in fondo... anche loro
erano mere pedine.
Dopo la settima convulsione finta, mentre giaceva
sfinito e decisamente a pezzi, sentì finalmente un generoso
astio nella voce del medico corso ad esaminarlo di nuovo.
-Senta signorina, se lei ha voglia di giocare ha
sbagliato posto. Il signor Burromuerto sta bene.
-Ma... Ma io le giuro che...-
E il bello era che diceva di non curarsi di lui.
Non era arrivata nemmeno a
sospettare che lui potesse fingere. Doveva essere davvero
preoccupata. Questo significava per caso che... sotto sotto... a lui ci
teneva...?
Alejandro troncò sul nascere ogni
sentimento addolcito.
-Se mi fa correre qui un'altra volta io la caccio,
chiaro?
Non
ridere, Alejandro, non ridere, non ridere, non ridere...
La
porta si richiuse.
Ancora
uno! Ancora uno, poi forse potrei smettere! E' decisamente
impagabile...
Inarcò un'altra volta la schiena.
E lì una fitta mostruosa lo
bloccò sul posto.
Rimase là, con la schiena sospesa e le
gambe ferme, il volto inciso in una maschera di orrore. Un dolore folle, mai provato
prima, nemmeno tra le braccia della lava, proveniva dal centro del suo
essere, ghermendolo, stringendolo, schiacciandolo. Il suo pugno di
fuoco gli stringeva il torace, lo comprimeva... dall'interno. Come
se una bomba stesse esplodendo lentamente dentro di lui, premendogli
sui polmoni, facendo scricchiolare le costole dallo sforzo.
Non credeva che sarebbe riuscito a riaversi mai.
Cercò di inspirare ma gli girava la testa e sembrava avesse
dimenticato come si respirasse. Oppure l'aria era semplicemente
sparita, abbandonandolo a un baratro che sentiva spalancarsi pian piano
sotto di sé.
La testa gli ricadde mollemente di lato e gli
occhi su Heather, paralizzata contro il muro, la bocca spalancata per
lo spavento e il terrore.
Sembrava una bambina. E sul suo volto c'era una
preoccupazione così sincera, così totale, che se
l'avesse vista chiaramente prima della sua pantomima non l'avrebbe
neppure cominciata.
Tentò di pronunciare il suo nome, in
una richiesta di aiuto ma gli uscì un incrocio tra un
rantolo e uno spasmo.
Aveva paura anche lui.
Sentì il suo urlo come da molto lontano. La vide precipitarsi verso il pulsante e premerlo
all'impazzata. Non arrivò nessuno.
Nel frattempo la mancanza d'aria riempiva il
torace di Alejandro, che si sforzò più e
più volte di respirare senza riuscirci. Non sapeva se era
più forte lo spavento o l'assenza di ossigeno.
Sopra di lui Heather continuava a pigiare. Poi sul
suo volto comparve un'espressione orripilata, mentre ritirava la mano
all'interno del quale c'era il pulsante.
Il cavo si era staccato.
Non arrivava nessuno.
Heather cominciò ad urlare, urlare come
non l'aveva mai sentita e come non l'avrebbe sentita mai: perfino ora
la sua voce sembrava lontanissima, troppo lontana per essere sentita..
*l'autrice
fa timidamente capolino dalla pagina Web*
...Siete
vivi?
*la
tempesta perfetta di verdura la sommerge. Cinque secondi dopo tutti si
avventano su di lei, armati di forconi*
Sacra
padella, fermatevi! O_________O"
Ebbene,
che vi aspettavate? Che dopo un attacco nel terzo capitolo si sarebbe
sistemato tutto e li avrei fatti vivere per sempre felici e contenti?
NO!
Mwahahah! ^_^"
Scherzi
a parte, sappiate che come capitolo non era previsto nel mio progetto
iniziale. Ma vedendo quante recensioni positive e quanto successo ha
ricevuto questa storiella ho deciso di farvi un regalo (o una
disgrazia, dipende dai casi :P) e ne ho aggiunto un altro :D
E ora
che succederà?
Sappiate
che con questa folle Pirata che vi ritrovate può accadere DI
TUTTO! ;)
Spero
mi facciate come sempre sapere cosa ne pensate :D
A
presto, splendori ^^
|
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Capitolo 5 *** Time for you to say bye - bye (- bye) ***
5 deeper than any game
Toh,
stavolta parlo prima io XD.
Allora... Come al solito vi ringrazio con tutto il mio cuoricino per il
sostegno e le recensioni positive che mi lasciate ogni volta *_______*
Vi adoro immensamente *abbraccia*
Adesso vi lascio con giUoia e senz'indugio, così potete
leggere il capitolo e...
Vorrei ringraziare i carissimi Coldplay e la loro "Fix You" per avermi
fatto immedesimare in questo capitolo e aiutato a
scrivelo. (Faceva tanto Grey's Anatomy *_____*).
Se
volete, leggete con quella di sottofondo ^^ (Sempre se non siete come
me, che devo O ascoltare qualcosa O leggere qualcos'altro.
Sennò
non mi immedesimo U_U)
Ci vediamo di sotto con
qualche ultima comunicazione di servizio ;)
Deeper
Than Any Game
#5:
Time for you to say bye - bye (- bye)
Bene
Heather. Adesso raccontami, cosa farai di bello? Dopo tutte le
zuccherate che ha commesso negli ultimi tempi tocca proprio la
ciliegina sulla torta! Allora, hai tre possibilità: tornare
a
visitarlo, magari con un mazzo di fiori; andare a casa e fare una
deliziosa insalata di briciole per gli uccelli del davanzale; farti
bionda e concorrere a Miss Universo, declamando la pace nel mondo. Che
ne dici? Quale scegli?
Heather
ignorò bellamente la voce, che ormai parlava da sola in quel
maledetto cervello sul quale non aveva più controllo da
tempo.
Stava facendo su e giù per il corridoio
come un'ossessa.
In ansia.
Nel terrore più puro.
I
medici erano arrivati come minimo dopo ore e si erano immediatamente
precipitati a soccorrere Alejandro, che ormai aveva assunto un colorito
terreo e aveva smesso di respirare. Metà erano scappati in
sala
operatoria con lui, l'altra metà era rimasta a chiedere
informazioni all'unica persona presente.
Ma
Heather non aveva saputo rispondere. Ci aveva provato, almeno, ma era
uscito un balbettio confuso, tremante; poi lo spavento e tutte le
emozioni che stava provando erano esplose in un colpo solo, come un
fuoco d'artificio e la ragazza si era trovata a piangere sopra la
spalla di un medico.
Patetico.
E
da quel momento il suo cervello non le dava tregua.
Decisamente,
veramente, incontrovertibilmente PATETICO. Vuoi fare altre
sdolcinatezze? Forza, ripensa alle possibilità di poco
prima!
Oppure pensi che sia il caso di finirla? Alla fine della fiera sai come
sta, adesso, no? Male.
Hai avuto la tua risposta. Puoi andare a casa.
La
ragazza si afflosciò contro il muro del corridoio e si
lasciò cadere seduta. Raccolse le ginocchia al petto e si
prese
la testa tra le mani.
Non si sarebbe mossa. A casa non ci poteva tornare
proprio.
Odiava dirlo a sé stessa ma sapeva che non si sarebbe mossa
da
lì finché Alejandro non sarebbe uscito dalla sala
operatoria.
... Bip.
Se
non era ancora sprofondato totalmente nell'incoscienza lo avevano
ricollegato a un respiratore: tutto d'un tratto sentiva qualcosa di
fresco ed etereo pervadergli qualcosa che stava sotto la testa.
Ma era tutto così lontano... Difficile
perfino da pensare. Lungo, intricato, arduo...
Non si poteva rimanere là, in quel
baratro così... calmo? Dove perfino il dolore stava sparendo?
... Bip.
Attorno a sè avvertiva voci, rumore,
vita. Qualcosa di veloce, di concitato. Forse.
-milligrammi di... ... veloce, subito! ... attacco... ...
-... ... dottore... trovo!! ... Eccolo. ... !
vita...
La vita lì fuori sembrava
così preoccupata. Era per lui?
E lui in quel momento dov'era?
Che faceva?
... Dov'era Heather?
... Bip.
Avrebbe voluto alzarsi e muoversi ma non ne aveva
né forza né voglia.
L'avrebbe aiutata a scaricare un po'di tensione...
Sprofondò
la testa nelle braccia ancora di più. Era a questo che il
destino voleva condannarla? A spendere innumerevoli giorni a fare la
spola tra camera d'ospedale e corridoio, mentre lui lottava? A un nodo
dolorosissimo e sordo collocato esattamente in mezzo al petto che le
rendeva difficile anche respirare?
Tutto questo per una semplice azione? Per una
semplice spinta giù da un vulcano? Per dei semplici soldi?
In silenzio e per la prima volta Heather maledisse
di cuore quel milioncino.
Due secondi dopo anche sé stessa.
Era tutto così lento. Calmo.
Sostanze correvano per il suo corpo, lo
solleticavano, lo stimolavano. Lo chiamavano perchè lui li
raggiungesse.
Ma perchè abbandonare
quell'oscurità pacifica, dove il dolore spariva, lo spavento
scemava?
... Bip.
Voleva svegliarsi ma al contempo dormire.
Desiderava sapere ciò che gli stava
succedendo e allo stesso tempo rimanere nella più completa
ignoranza.
Le tenebre erano decisamente piacevoli...
... Bip.
Odiava
sentirsi così debole. Forse, in fin dei conti, il suo
cervello
aveva ragione. Negli ultimi tempi era stata più zuccherosa
di
una zolletta e smielata come una femminuccia da soap opera...
Tirò
di proposito una testata alle proprie braccia, furiosa con
sé
stessa. Che razza di pensieri erano?! Non era più questione
di
essere smielata eccetera, cose simili non dovevano nemmeno entrare nella sua
testa!
C'era in ballo una vita, cazzo! E non una vita
qualsiasi!
E c'era in ballo lei, perchè era stata
lei a far sì che quella vita fosse in ballo.
Per
la sua avidità. Per il suo orgoglio. Per la sua freddezza,
il
suo costante calcolo della vita e delle persone che le stavano accanto.
Anche di quelle che la amavano.
Piacevoli erano piacevoli, su questo non c'era
dubbio, ma sentiva che prima o poi ne sarebbe dovuto uscire.
In fondo alla testa -sempre che ne avesse ancora
una- sentiva il suo pensiero martellante.
Un nome, un volto. Innumerevoli fotogrammi.
Incalcolabili sentimenti.
Heather.
Gioia, attrazione, stima. Odio, freddezza,
tristezza, delusione. Calcolo, affinità.
Vendetta, vendetta riuscita. Il terrore nei suoi
occhi.
Heather...
...
Bip.
Di tanto in tanto qualcuno usciva dalla sala operatoria posta alla fine
del corridoio.
Correva, faceva qualcosa da qualche parte e schizzava di nuovo indietro.
All'inizio Heather sollevava lo sguardo e cercava di capirci qualcosa;
poi smise.
Non voleva vedere un'eventuale terrore e sgomento anche sul volto dei
medici. Sarebbe significato qualcosa di grave.
Maledisse il momento in cui aveva scelto di venire a trovarlo per la
prima volta e iniziato a vivere nel senso di colpa, nel dolore,
nell'imbarazzo, nell'impotenza di non sapere cosa fare.
Ma era anche il momento in cui avesse sentito, in fondo all'anima nera che si
trovava, di fare la cosa giusta.
...
Bip.
Era stato un folle. Un idiota, un deficiente.
...
Bip.
Con quella sua vendetta aveva messo in pericolo tutti e due. Aveva
fatto stare male entrambi.
Voleva tornare indietro. Voleva uscire da quella maledetta
oscurità.
... Bip.
Cosa stava facendo? E lei? Dov'era lei?
Come stava? Che gli stavano facendo?
Heather respirò a fondo, cercando di allentare il nodo in
mezzo al torace ma senza successo.
L'ansia che sentiva in corpo la distruggeva. Non sarebbe resistita a
lungo. Voleva sapere come stava... E contemporaneamente no.
Se non avesse ricevuto qualche notizia sarebbe corsa da sé
in sala operatoria.
... no, non l'avrebbe fatto. Di cazzate ne aveva già
commesse troppe.
Sentiva di averla odiata. Ed era quasi ovvio.
... Bip.
L'aveva distrutto, umiliato davanti a tutti, sfigurato, deluso,
ingannato, usato...
Ma la preoccupazione autentica
che le aveva visto negli occhi cancellavano qualsiasi sentimento amaro.
Era autentica. Vera, totale. E non era dettata solo dal senso di colpa.
... Bip.
C'era altro.
Ne era sicuro. Non poteva dire di essersi sbagliato.
Sentiva di averla odiata, di aver voluto vendicarsi di lei, di non
volerla più vedere... Ma ora la voleva
lì,perchè
gli reggesse la mano e non lo facesse sprofondare.
... Bip.
Non ci avrebbe creduto nemmeno se l'avesse vista stringergli la mano,
era troppo acida per dolcezze simili...
Ma desiderava, con tutti i resti di quel cuore che con tutta
probabilità aveva ancora, che lo facesse.
... Bip.
Che fosse lì.
Ma quanto tempo era passato?
La situazione era davvero così grave?
Rivolse lo sguardo verso la porta della sala operatoria.
Al di là c'era la persona che...
Erano fatti
l'uno per l'altra simili, dannatamente simili. Legati da
una connessione più
profonda di qualsiasi gioco. Gliel'aveva detto anche lui,
sul vulcano, prima che lei facesse quello che aveva fatto.
Simili per il calcolo, la freddezza. Uguali in intelligenza, strategia,
orgoglio che non avrebbe permesso loro di fare molto.
Perfino fisicamente ora si somigliavano un po'. Erano
pressochè calvi tutti e due...
Quel pensiero ridicolo riuscì a strapparle un sorriso.
Maledetti, maledetti, maledettissimi, fottutissimi, dannatissimi soldi
che avevano causato tutto. In parte.
Con quel milione e quella vittoria aveva preso quello che voleva ma non quello di cui aveva
bisogno.
Ora lo sapeva, lo voleva, doveva tornare indietro. Da lei.
... Bip.
E sentiva di poterlo fare, si sentiva piano piano indietro!
Si poteva svegliare!
... Bip.
Sentiva di poterlo fare. Ne aveva l'energia, se non fisica almeno
mentale!
Di alzarsi, di scendere da quel letto, di fare qualcosa per riprendere
a vivere. Per tornare a essere una parvenza di umano, per stare al suo
fianco. Per costruire qualcosa assieme a lei, che fosse la conquista
dell'universo come le aveva proposto o una semplice vita. Insieme.
... Bip.
Lo voleva, lo sentiva.
Arrivo Heather. Te lo
giuro.
... Bip. Bip. Bip. Bip.
Bip.
Forse il fatto che stessero così tanto tempo all'interno
significava che la situazione poteva ancora essere sistemata!
Oppure... significava che la situazione era decisamente grave.
Sarebbe impazzita, lo sentiva.
Doveva uscire. Alejandro doveva uscire da quella sala operatoria.
Doveva tornare indietro. Da lei.
E al diavolo quello che la sua testa diceva.
Sentiva tornarsi indietro. Con il senso del suo corpo, della sensazione
di essere disteso, con il dolore.
Solo che... Era troppo.
Decisamente più del solito.
E più dell'attacco.
E un suono folle, velocissimo. Ansioso, furioso.
-Prendete quella siringa, fate qualcosa!
Bip. Bip. Bip.
Bip. Bip. Bip.
Bip. Bip. Bip.
No... Che cosa stava succedendo?
Il dolore correva velocissimo per ogni sua ven, fermandolo,
bloccandolo, soffocandolo.
Bip.
Bip. Bip.
Bip. Bip. Bip.
Bip. Bip. Bip.
Bip.
Bip. Bip.
Bip. Bip. Bip.
Bip. Bip. Bip.
-Fate qualcosa, lo stiamo perdendo!
-Defibrillatore, prendetelo di corsa!
Bip.
Bip. Bip.
Bip. Bip. Bip.
Bip. Bip. Bip.
Bip. Bip. Bip.
Bip. Bip. Bip.
No!
Non poteva andarsene adesso, non ora che sapeva cosa fare!
Doveva andare da lei!
Doveva combattere, contro quel dolore che...
Che...
Bip.
Bip. Bip.
Bip. Bip. Bip.
Bip. Bip. Bip.
Prima o poi sarebbe uscito...
Bip.
Bip. Bip.
Bip. Bip. Bip.
Bip. Bip. Bip.
... Bip.
...
... Bip.
Biiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiip.
Ebbene? Non ve lo
aspettavate, vero?
Alejandro... ç_ç
*La Pirata regge in mano delle valigie*
Ora che ho
preparato i bagagli posso scappare lontano dall'ira funesta di voi
recensitori ._____. Specie da quella di Nackros, Court_And_Heather_Debby
e steelix99.
Che dissero:
Nackros: "E guai a
te se me lo fai morire u.u"
Court_And_Heather_Debby:
"SE MUORE GIURO CHE VENGO Lì E TI AFFOGO!"
steelix99: "se fai
morire il MIO alejandro... sarò io a uccidere TE!"
Ehm ^^" ...
Ma non disperate!
Ricordate che restano ancora dei capitoli!
*ciò non
contribuisce ad addolcire i lettori*
E se mi ammazzate non
saprete mai come va a finire u.u
... A presto,
carissimi/e! (Se non mi accoppano prima T_T)
Un aiutino? Chi mi
salva? :(
|
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Capitolo 6 *** 6: This is how we will end it ***
6 This is how we will end it
Deeper
Than Any Game
#6:
This is how we will end it.
I
medici si guardarono in faccia, increduli e impotenti.
Il
ragazzo che, fino a qualche momento fa, era stato sconvolto dagli
effetti di una crisi stroncante ora giaceva immobile al loro cospetto,
la bocca semiaperta, gli occhi che si erano spalancati negli ultimi
secondi di agonia illuminati da una fievole luce.
Il corpo martoriato e lucente di poche gocce di sudore appariva ancora
in tensione; non era rilassato nemmeno nella morte. Aveva una fermezza
quasi patetica...
Il chirurgo guardò l'orologio appeso al muro.
-Ora del decesso...
Adesso mi alzo. Scemenze
o no io
adesso mi alzo e vado a vedere cosa succede. Non possono farmi
aspettare tanto a lungo, maledizione a loro.
Nonostante la decisione acida di quel pensiero Heather non
rialzò la testa dalle braccia.
Sentiva un'agitazione febbrile in corpo e contemporaneamente non
desiderava muoversi. Che cosa era peggio? I due lati, uno dolce e
l'altro amaro, della conoscenza o
la calma, insopportabile ignoranza?
Sollevò di poco lo sguardo, giusto per riuscire a vedere
ciò che le succedeva attorno.
Non c'era un'anima in tutto il
corridoio. E la porta della sala era ancora maledettamente chiusa. Chiusa.
Tirò una leggera testata al proprio braccio, stufa.
-Heather.
Un tocco lieve sul suo braccio. La ragazza si girò di
scatto,
trovandosi di fronte una vecchia infermiera, accovacciata in modo che
il viso rugoso fosse quasi alla stessa altezza del suo.
No... era quell'infermiera,
quella di sempre. Quella che stava al bancone da che lei aveva messo
piede in quell'ospedale per la prima volta... Smitherson, doveva
essere il suo nome.
-Alejandro ha avuto una crisi gravissima, è del tutto
improbabile che si rimetta in fretta. Dovresti andare a casa e riposare
un po'.
-Si faccia i fatti propri- rispose galantemente lei, sentendo la parte
assillante del proprio cervello esultare per la cattiveria della frase.
La vegliarda parve non raccogliere.
-E'bene che tu sappia anche un'altra cosa...
Notando il suo silenzio, l'infermiera continuò. Sentiva di
doverlo dire...
-Tu hai detto che Alejandro ha accusato diversi attacchi prima di
essere portato in sala operatoria, giusto? Ma i dottori hanno
decretato, ogni volta che li hai chiamati,
che stava bene...
Heather la fissò di traverso, non riuscendo a capire dove
volesse andare a parare. Annuì leggermente per far capire
che
stava ascoltando.
Joan Smitherson sospirò, grave. Il ragionamento era molto
semplice: basandosi su ciò che il signor Burromuerto le
aveva
detto la sera prima...
Avrebbe povuto capirlo. E magari sventare ciò che era
successo...
-I suoi attacchi sono stati finti, Heather- spiegò -La sera
prima mi aveva confidato di volersi vendicare di te e di volere il mio
aiuto: quindi deve aver simulato crisi per farti spaventare e metterti
in cattiva luce agli occhi dei medici, facendoti passare per stupida.
Solo che lo sforzo è stato eccessivo, nelle sue condizioni...
Sospirò e la fissò. Heather non aveva cambiato
espressione per tutta la durata del racconto.
-Sono certa che sia andata così...- aggiunse l'infermiera.
La ragazza rimase ferma nella propria impassibilità. Non
mosse
nemmeno un sopracciglio: sembrava essere diventata una statua. Era
talmente immobile che Joan Smitherson ne ebbe quasi paura.
-... Heather?
-Io lo odio.
Tre parole e il viso delicato della ragazza cominciò a
rianimarsi e a passare dall'impassibile all'irato in un cambiamento
repentino.
-Quel, quel... Quell'idiota,
quel doppiogiochista, quel maledetto calcolatore, approfittatore, schifoso,
manipolatore! Io lo odio!
Balzò in piedi, tutto d'un tratto piena d'energia.
-Oh, ma appena esce da quella sala operatoria io lo uccido!
I medici spostarono i carrelli di utensili per creare uno spazio
sufficiente a portar via la barella.
Il cadavere costituiva una presenza fastidiosa tra loro, quasi fosse
stato ancora vitale e pronto a spiare ogni loro gesto.
-Dottor Paulwooth, vada ad avvisare la ragazza che il suo amico
è deceduto- ordinò pacatamente il chirurgo a un
sottoposto, che
uscì immediatamente dalla sala per cambiarsi -Povero
ragazzo-
sospirò poi, osservando il corpo, ancora attaccato ai vari
macchinari, gli ultimi che avrebbero dovuto essere spenti -Un caso
orribile il suo. Orribile.
-Ma con i dovuti esercizi avrebbe potuto riprendersi-
obiettò la
collega, avvicinandoglisi -Fisioterapia, chirurgia plastica e tutto il
resto... Avrebbe potuto ricominciare a vivere normalmente.
-"Avrebbe"- sottolineò il chirurgo -Ma, a quanto pare, il
suo corpo ha avuto la meglio.
Entrambi fissarono Alejandro, immobile di fronte a loro.
-Così giovane...- commentò la donna -Finito.
-E c'era anche quella ragazza, che lo stava aspettando...- Il chirurgo
scosse la testa -Beh, è andata così. Su, ora
stacchiamo i
macchina...
... Bip.
-Heather, calmati, ti prego.
-Calmarmi! Quello stronzo ha architettato una vendetta alle mie spalle
e io dovrei calmarmi! Io lo denuncio! Lui e lei, che sapeva
tutto e non ha fatto niente!
Se, in quel momento, la parte acida di Heather non fosse stata
azzittita dall'ira, avrebbe decretato che quello era un discorso
tipicamente da Courtney; e se la particina smielata avesse
avuto voce
-cosa che, comunque, le capitava raramente, se non mai- avrebbe
decantato come Alejandro era simile a lei, nel suo desiderio di
vendetta contro chi gli faceva un torto...
Ma non c'era spazio per nulla in quel momento, se non per scorno,
irritazione, furia.
Quel Burromuerto!
E lei si era anche preoccupata, era stata male per lui!
Che se ne andasse dritto sparato all'inferno! L'aveva gabbata,
approfittando della sua debolezza!
Però... se quelle crisi le aveva fatte di proposito,
significava
che era sveglio
quando le aveva finte. Quindi aveva sentito tutte le
frasi acide che lei gli aveva detto!
Tanto meglio. Heather
sentì un sorrisetto malvagiamente compiaciuto stirarle le
labbra
e qualcosa dentro di sé parve riattaccarsi a qualcos'altro.
La porta della sala operatoria si aprì e ne uscì
un
dottore. Heather sentì il sorrisetto scivolarle via dalla
faccia
e la sensazione al proprio interno sgretolarsi in nuovi, dolorosi pezzi.
Cercò di dedurre qualcosa dall'espressione dell'uomo ma,
dopo
aver dato un'occhiata generale, comprese di non poterlo sopportare.
Ignorò i commenti derisori della propria mente -cominciava
ad
averne abbastanza- e si scagliò addosso al tizio.
-Come sta? Come sta Alejandro?
Quello la fissò con aria di compatimento.
-Mi dispiace signorina, ma purtroppo il signor Burromuerto non ce l'ha
fatta.
Stasi.
Immobilità.
Assenza d'aria nei polmoni.
Un vuoto improvviso, velocissimo. Nessuna reazione. Stasi.
Heather fissò la faccia molle di quell'idiota di fronte a
lei,
quell'emerito idiota
che non era stato capace di salvare Alejandro.
... Il suo
Alejandro.
Perchè ora lo poteva dire.
E a che cosa erano servite le messinscene, gli orgogli maledetti, le
sfide, le frecciatine, il malcelato piacere ad ogni suo fallimento, il
calcolo, la freddezza e ciascuna delle altre cose che componevano il
suo essere?
A niente.
Niente...
La porta della sala si spalancò di nuovo. Un'infermiera
giovane comparve, trafelata.
-Dottore, venga, di
corsa!
L'individuo fissò interrogativo prima la ragazza poi
Heather;
infine girò sui tacchi e tornò indietro di gran
carriera.
Lasciando Heather ad afflosciarsi di nuovo a terra, svuotata.
Una confusione invisibile, ma sottile ed inesorabile riempiva ogni suo
pensiero.
Alejandro.
Dopo quelli che sembrarono millenni il dottore di prima
tornò fuori.
E dietro di lui un altro.
E un altro. Uno ancora.
L'intera equipe che aveva portato Alejandro in sala operatoria
uscì al gran completo.
Lui incluso.
Heather assistette alla processione in silenzio, reprimendo lacrime che
non volevano saperne di uscire, lo sguardo fisso sulla barella dove
giaceva l'uomo che avesse mai amato veramente.
Ogni pensiero che prima avrebbe giudicato sdolcinato, ora si riversava
all'esterno da solo, senza più commenti acidi.
-...Stai bene, Heather?- chiese una voce alla sua destra.
Sussultò: si era totalmente dimenticata della presenza della
vecchiaccia, la Smitherson.
Non si sarebbe certo presa la briga di rispondere.
Si trasse in piedi e si avvicinò, cautamente al gruppo di
medici
che, nel frattempo, erano andati oltre. Uno degli ultimi dovette
sentire dei passi dietro di sé, perchè si
voltò, lasciando il resto del gruppo a portare avanti la
barella.
-Lei deve essere Heather...?- domandò inclinando la testa.
La ragazza sentiva che, se avesse provato a parlare, la sua gola
avrebbe dimostrato mancanza di collaborazione: quindi si
limitò
ad annuire.
E quel medico fece l'ultima cosa che si sarebbe aspettata. Avrebbe
dovuto mettersi le mani in tasca o iniziare a parlarle in tono di
condiscendenza oppure mostrarle pietà...
Invece quello sorrise.
-Ah, ecco quindi di chi ha chiesto il signor Burromuerto non appena si
è svegliato- esclamò, indicando con il pollice la
sala
operatoria.
Heather rimase interdetta.
Di cosa stava parlando quell'idiota?
Ah ecco. A quanto pareva si riferiva a quando si era svegliato, la
notte prima che lei tornasse a trova...
-E'successo ciò che non ci aspettavamo. Non lo definirei
miracolo, sarebbe potuto succedere, ma le probabilità erano
infinitesimali, specie nella gravità del caso... Il signor
Burromuerto ha avuto un arresto cardiaco che ci ha fatto temere il
peggio però, pochi istanti prima che i macchinari che
registravano elettrocardiogramma e condizioni vitali venissero
staccati, hanno reagito...
L'idiota continuò a parlare di cose che, d'improvviso,
Heather
non riuscì più a sentire: gradatamente tutto
parve
scemare in un blaterare confuso e assolutamente non importante, alla
luce di quello che la ragazza credeva di aver capito.
E se quel che credeva
di aver capito corrispondeva a verità, niente
di quel che doveva dire quel medico era importante.
-Mi sta dicendo- lo interruppe bruscamente -che... che Alejandro
è vivo?
Il dottore sorrise, con divertito piacere.
-Sì, signorina, sì.
E adesso ti metterai a
piangere per lo spavento anche sulla sua di spalla?
-Ma
la crisi che ha subito è stata gravissima per le sue
condizioni... Dovrà rimanere in ospedale molto
più tempo
e effettuare lunghe ore di fisioterapia, interventi di chirurgia
plastica eccetera eccetera... Lei non è una parente, giusto?
La
fidanzata, suppongo?
A quelle parole Heather sentì un violento rossore attaccarle
le
guance e non rispose. Il dottore fece un altro divertito, odioso
sorriso.
-Immagino che vorrà vederlo. Al momento dorme ma poi vederla
gli
farebbe piacere. Provvederemo poi a telefonare a un parente per
informarlo di tutti i dettagli e della salute del paziente...
Era in camera da tempo immemore e lui dormiva ancora.
Quanto tempo era passato? Dieci minuti? Mezz'ora? Quarantacinque
minuti? Quarantacinque ore?
Non lo sapeva e, francamente, le importava anche meno.
Aveva aspettato tanto in quella camera; poteva farlo ancora per un po'.
Seduta sul bordo del letto di Alejandro, Heather trasse un profondo
respiro, fissandosi attorno. Quante cose erano accadute in quella
camera. Giorni e giorni e
giorni
in attesa del suo risveglio; ansiosi minuti lunghi delle
eternità durante le complicazioni delle sue condizioni;
istanti
di acidità prima dell'attacco finale, quello che l'aveva
colto
solo quel pomeriggio... sembrava passata un'eternità. E,
ultima,
la calma ovattata che la permeava dopo la vuotezza provata al momento
dell'annuncio della morte di Alejandro.
Al solo pensarci le veniva un brivido. Non solo per come si era sentita
in quel momento, ma anche per cosa sarebbe seguito adesso, che sapeva
che Alejandro era vivo e aveva buone possibilità di
ricondurre
una vita normale.
Che cosa avrebbe riservato il futuro? Quella camera dove tutto aveva
rischiato di finire poteva rappresentare un inizio?
E lei lo voleva? Sentiva, in fondo all'anima, che sì,
per la miseria, lo voleva. Ma al contempo si sentiva strappata in due,
dalla solita acidità che aveva cominciato a darle sui nervi.
Alejandro aveva combattuto contro la morte, lei stava battendosi contro
sè stessa.
Che cosa fare? Sarebbe stato giusto lasciarsi andare
all'eventualità del destino?
E, provvidenzialmente, giusto
per darle una mano a decidersi, Alejandro diede segni di
vita.
Heather avvertì un nuovo brivido.
E adesso?
Ora che lo vedeva muoversi e sapeva che aveva rischiato di perderlo, si
sentiva in tremenda soggezione. Quel suo stupido, stupidissimo cuore...
Lui aprì gli occhi, verdi, appannati dalla fatica e dal
dolore, ma vivi,
che si muovevano per l'ambiente, riconoscendolo, vivendolo, spostandosi
su di lei e fissandola.
Con puro, inequivocabile, imbarazzante, totale amore.
Il momento zuccheroso era nell'aria. E Heather non riuscì a
resistervi.
-Okay, Burromuerto, adesso apri bene le orecchie, sempre se ti funziona
ancora l'udito. Chiariamo le cose. Non pensare che adesso
andrà
tutto splendidamente, dolcemente, con spruzzate di amore ogni giorno,
carezzine, coccole e quant'altro. Sai che non sono proprio il tipo di
persona. Devo ancora far sì che tu la paghi per lo sporco
trucco
delle convulsioni che, francamente, è stato prevedibile e
nemmeno troppo intelligente, viste le tue condizioni. Me la lego al
dito, sappilo.
Lui non disse nulla.
Cinque secondi dopo Heather avvertì una presa talmente
leggera
sul proprio polso che le sembrò che una farfalla le avesse
sfiorato la pelle. Invece era la mano di Alejandro, seppur debole e
lieve.
La trasse piano verso di sè e lei, non sapendo nemmeno bene
cosa
stesse facendo, lo seguì, trovandosi quasi adagiata sul
petto
del ragazzo. Fece per ritirarsi su -chissà se per imbarazzo,
desiderio di non fargli male o stizza- ma dopo giusto un paio di
centimetri arrivarono prima uno e poi un altro braccio a
bloccarla
lì.
Il tocco era lieve, ma si sentivano tante cose in quell'abbraccio. Tante.
-Avrai pazienza di aspettare?- le chiese solamente Alejandro. Era la
prima volta che sentiva la sua voce ed era... deturpata, come tutto il
resto. Ma Heather non se ne curò. Si stava curando del
-Sì- che lei aveva risposto.
Decisamente smielato,
devo dire...
Oh, stai zitta,
una buona volta.
Smieloso o no, Alejandro aveva appena rischiato di
morire... E poi era suo:
non l'avrebbe lasciato andare tanto facilmente.
VUALAAAAA'!!!
E allora? Siete contenti/e?
Ma insomma, vi pareva che facevo morire il mio amatissimo
Alejandro?!?!? O_____O
Ammetto che, come finale, mi ha intrigato parecchio *riceve occhiate
assassine* ma girano troppe storie tragiche su questo sito, mi andava
di farla finire bene questa ^^ E poi... sono tanto bellini loro assieme
^^"
*Fine momento di shipping compulsivo*
Questo è uno dei capitoli compresi nel disegno iniziale.
Dovete
infatti sapere che, in questo mio fantomatico disegno iniziale,
Alejandro aveva il primissimo attacco, lanciava l'occhiata gelida a
Heather, poi gli passava l'odio e accadeva il momento dolcioso qui
narrato: ma sentivo che mancava qualcosa in mezzo U.U
Poi le vacanze furono proficue per l'ispirazione e nacque il capitolo
delle convulsioni finte.
Le reazioni terrificate di alcuni di voi fecero nascere il capitolo 5
(mi intrigava scriverlo e... avevo una voglia folle di farvi spaventare
^^ Sono sadica, lo so^^)
E ora, siamo tornati ai piani originali.
Ma non è stato mai, mai, MAI nei miei piani uccidere quel
ragazzuolo ç___ç
Piaciuto il momento dolcioso? C'è abbastanza dolcessssa per
un
diabete ma che volete farci? L'ho detto che sarebbe stata una fic
romantica *occhioni sberluccicanti*.
E ora... Qualcuno è uscito dall'IC?
Ho scritto qualche boiata?
Mi volete ancora uccidere?
Vi è piaciuto questo capitolo?
Fatemi sapere! :)
Adoro incondizionatamente ognuno di voi *______*
Ci vediamo all'...ultimo capitolo :D
Vostra Pirata.
|
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Capitolo 7 *** Your bill must be paid ***
ultimo capitolo deeper than any gameeee T_T
Deeper
Than Any Game
#7:
Your bill must be paid.
L'infermiera
Joan Smitherson sbuffò.
Sarebbe
dovuta rimanere seduta a quel bancone fino alla fine del mese.
E
il mese era gennaio.
E lei odiava il turno invernale, realizzò per l'ennesima
volta, soffiandosi sulle mani fredde.
Non
succedeva nulla di interessante. Era anche fine
gennaio, quindi non poteva nemmeno sperare nei visitatori con
le loro stravaganti scatole di cioccolatini per festeggiare Capodanno
con i parenti ricoverati... Si era trastullata spesso, nelle ore
noiose, a vedere quale fosse la confezione più particolare,
Ma
era anche positivo che non accadesse niente di interessante,
perchè ciò voleva dire che non c'erano emergenze
o pazienti in crisi.
Joan
Smitherson si alzò e prese a fare su e giù per il
corridoio, per sgranchirsi le gambe, sempre più pesanti man
mano che scorrevano gli anni.
Fu
mentre passava davanti alla porta che avvertì rumori confusi
dall'altra parte.
Un
istante dopo i doppi battenti si spalancarono con foga e l'infermiera
Joan Smitherson venne quasi travolta da una folla di tre persone: tra
queste l'infermiera Aden, che trotterellava per stare al passo con
l'uomo che spingeva la sedia a rotelle, sopra la quale stava
abbandonata una donna, robusta e sofferente.
Joan
Smitherson si precipitò alla sua postazione dietro il
bancone e quelli la raggiunsero poco dopo.
-Hanno
bisogno di...- cominciò la Aden, ma l'uomo la
coprì urlando.
-Una
sala... Vogliamo una sala...
Si
chinò su sè stesso per un attimo e riprese fiato.
-Una
sala operatoria?
L'uomo
scosse freneticamente la testa, premendosi sul cuore una mano coperta
di sbiadite tracce di ustioni.
-No,
andale, una
sala parto! Pronto,
pronto!
La
donna dietro di lui emise un verso sofferente e Joan Smitherson si
sporse a fissarla. Non era robusta, era incinta. E, a
giudicare dal viso delicato e pallido, dagli occhi a mandorla contratti
per la sofferenza, sembrava proprio sul punto di dare alla luce.
-Vai
a chiamare il dottor Clyde- ordinò Joan Smitherson alla
Aden; e mentre quella si allontanava lei mise mano al telefono per
chiamare la dottoressa Lames. Nel frattempo l'uomo aveva ripreso a
parlare, agitatissimo.
-Entonces, tenemos esta sala,
sì?
-Attenda
un momento- Joan Smitherson parlò con voce serafica,
cercando di calmarlo; invano.
-Tendrìan que tener un paritorio, hay un niño,
un niño tiene que nacer, es mi hijo, mi...
Quand'ecco
provenire, alle sue spalle, la soave e melodiosa voce della moglie.
-BURROMUERTO!
Soave e melodiosa voce?
Un ringhio, piuttosto.
Con
la cornetta ancora attaccata all'orecchio, Joan Smitherson vide l'uomo
deglutire e gettare un'occhiata dietro di sè. Una mano lo
agguantò per il bavero e lo trascinò dritto
davanti al visto della donna in carrozzella, la quale sembrava
decisamente irosa.
-Smettila all'istante
di parlare spagnolo e trova all'istante
una sala parto, o dolori del travaglio
ti sembreranno ben poca cosa in confronto a quello che ti
farò io...
La
porta del corridoio si spalancò e comparvero l'infermiera
Aden, il dottor Clyde e la ricercata dottoressa Lames. Joan Smitherson
schiaffò giù la cornetta non appena li vide e
osservò Alejandro e Heather allontanarsi con i medici. Lei
aveva cominciato a urlare.
Alejandro
e Heather. Erano passati tanti, tanti anni... Non avrebbe mai pensato
di rivederli.
Avvicinandosi
cautamente alla porta socchiusa della camera 850 Joan Smitherson si
concesse qualche secondo per osservarli, prima di entrare.
Lui,
coperto di segni di ustioni e cicatrici varie, era decisamente
inconfondibile; i capelli erano ricresciuti a formare una corta zazzera
dai ciuffetti ribelli che gli coprivano la fronte. Stava accanto al
letto, in piedi, senza più fatica e anche sul suo viso non
c'era più traccia del dolore che l'aveva perseguitato giorno
e notte durante il periodo della riabilitazione... dolore che
però sembrava sparire ogni volta che Heather lo veniva a
trovare. La stessa Heather che, al momento, stava a letto, mezza
sdraiata, con i capelli più lunghi e qualcosa nei profondi
occhi cenere che esulava dall'acidità di cui Joan Smitherson
si ricordava. Anche se ce n'era ancora, certo.
A
proposito di acidità... al momento ne stavano volando
fiumane, in quella camera. Heather fissava inviperita Alejandro,
sbraitando a voce bassissima per non svegliare il piccino che dormiva
nelle braccia del papà.
-Juan?!? Tu stai
scherzando. Non chiamerei mai, mai e poi mai mio figlio Juan. E'difficile
da dire ed è decisamente orrido come nome!
-Parli
proprio tu, che volevi chiamarlo Grimilde, se fosse stato una bambina. Grimilde, increìble!
-Grimilde
era una donna dalla mente eccelsa- puntualizzò lei -E
comunque non si chiamerà Juan. Ficcatelo in testa.
-Mi
oppongo.
Heather
strinse gli occhi stizzita. Poi le due fessure scintillarono di una
luce malvagia.
-Alejandro?
-Che
c'è?
-Sai
che devo ancora farti pagare quel fatto delle convulsioni finte?
Lui
la fissò con disappunto.
-E
quindi?
-E
quindi, per scontare la tua colpa, tu lascerai che sia io a decidere il
nome del bambino.
Joan
Smitherson vedeva chiaramente che Alejandro voleva apparire arrabbiato:
ma dopo parecchi istanti desistette e si sciolse in un sorrisetto
ammirato.
-Sapevo
che non te ne eri dimenticata...
-E'ovvio
che la tenevo da parte per occasioni simili- sorrise perfidamente
Heather. Scuotendo appena la testa, Alejandro si rivolse al bambino tra
le sue braccia:
-Siamo
rovinati, piccolo.
Joan
Smitherson sorrise, prima di entrare definitivamente. Come famiglia
quella doveva essere prevalentemente sola, visti i caratteri di quei
due. Oppure aveva attorno tonnellate di persone, attratte dalla loro
vecchia fama... persone che venivano prontamente usate, ma quelli erano
dettagli. Una cosa era certa: come famiglia si supportavano a vicenda,
riuscendoci splendidamente. Aveva quasi paura per il piccolo e di come
sarebbe venuto su, ma la scacciò. Sarebbe cresciuto bene,
con due genitori ormai cresciuti anche loro; due genitori la cui
connessione, in passato più
profonda di qualsiasi gioco, ora sarebbe stata più profonda di
qualsiasi cosa.
-Fine-
Oddio.
L'ho finita. T.T
E
ora come faccio io senza questa fanfiction? Mi appassionava... D:
Sono
contenta solo di non dover più scrivere di Joan Smitherson.
Non la sopportavo, ecchessacrapadella!
Però... è finita.
Ora piango :(
*si
riprende in qualche modo*
Ebbenamente?
Piaciuto quest'ultimo capitolo? ^^ Siete delusi? Siete felici?
Spero
che siate contenti/e. Perchè voi, con le vostre splendide
recensioni, mi avete dato un'energia e una voglia folle di continuare
questa storia *________*
Passiamo
ordunque ai ringrassiamenti *____*
-Grazie
ai lettori di questa cosetta talmente tanto AxHosa che ogni capitolo
cominciava con una frase delle canzoni da loro cantate nella terza
stagione (a parte il capitolo 3 :P). Ve n'eravate accorti, nevvero? ^__^
-Grazie
alle 2614 visite totali di questa storia *no, dico, 2614! E non
abbiamo contato quelle future! Volete farmi emossionare? *______* *
-Grazie
alle 12 persone che l'hanno messa nei preferiti (siete oltremodo
splendidi!): Anna_98, Court_And_Heather_Debby,
Il Saggio Trent,
Karly_chan, KiA99_LiZzY15, Lily_Heather, Roxy_rock5, sailor marty TD, Seagirl, VascoNvolta Sally, XxKaLeIdOnxX e _Courteth_.
-Grazie
alle 15 persone che l'hanno messa nelle seguite (anche voi :D):
annie97, celiane4ever, Didyme, Eastre, Frankie99, Heavenly, Il Saggio Trent, irytvb, Kay93, lisathebest, Luna95, Nackros, sailor marty TD, TotalDrammina e XxKaLeIdOnxX.
-Grazie
alle 2 persone che l'hanno messa nelle ricordate (anche voi :D):
wwwheather
e XxKaLeIdOnxX
-E
soprattutto, GRAZIE a chi ha recensito! Grazie, splendidissime persone!
Siete state parte integrante di questa storia ;)
Vi
adoro incondizionatamente, sappiatelo, e spero di rincontrarvi nei miei
prossimi lavoretti :D
Oh,
questo mi porta alla... Pubblicità!
:D
(Di
solito non la faccio, ma voi siete tanto cari *__*)
Allora!
-Ti
è piaciuta questa fanfiction?
-Ne
vorresti per caso un'altra?
-Hai
lo stomaco sufficientemente forte e forza mentale stabile per seguire
un'altra volta la Pirata?
And so stay tuned on my
account! ^______^
Nel
mio contorto cervello sono infatti in preparazione 3 long-fic :)
-una
TxG ricca
di musica e malintesi;
-una
DxC da
tenervi sulle spine e da farvi mangiare costantemente le unghie;
-e
(forse) una Nizzy
piena di suspance e dramma!
Tutte
ricche di dolcessa e colpi di scena ma anche sacrosanta
imprevedibilità! State sempre parlando di me, ricordatevelo
;)
E
non è certamente certo che finiscano tutte e tre bene ^^"
Quindi... sta a voi :D Se volete le pubblico. Se non volete non le
pubblico. U_U
A
presto, se lo vorrete,
Vostramente
vostra, PIRATA!
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