Aria calda

di wari
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Aria calda ***
Capitolo 2: *** seconda parte ***



Capitolo 1
*** Aria calda ***


Benvenuti a “il primo paragrafo della Kiba/Shikamaru che teoricamente spetterebbe a slice per il suo giocondo compleanno”. Dunque sì, sono una mer*a umana esattamente come sembra: non sono riuscita a finirla. Abbiamo quindi queste settecentoquindici parole che saranno seguite dal resto non appena uscirò dallo shuraba pre-orale, promesso T__T. Intanto, c'è un piccolo extra shikamaroso che non c'entra un tubo, ma Shikamaru c'entra sempre, quindi va bene lo stesso, no? … no?
Vabbè, auguri ali! *stelle filanti*






Aria calda



Quando fa troppo caldo per uscire, si resta in casa.
È un ragionamento perfettamente logico, lineare, pulito; così semplice che c'è quasi da restare delusi a scoprire che sia stato partorito dal cervello sopraffino di Shikamaru Nara. Anche se poi, a conti fatti, le strategie semplici restano le più efficaci.
La strategia del giorno è scaturita dalla comunissima azione di affacciarsi alla finestra e constatare che la giornata sarebbe stata umida e calda, con l'aria estiva ingabbiata sotto una cappa fumosa di nuvoloni compatti e ferrigni.
Quindi alta pressione atmosferica, elevato tasso d'umidità, caldo soffocante e presumibili precipitazioni in arrivo: semplicemente, Shikamaru Nara sarebbe rimasto in casa a godersi la sua meritata giornata di riposo ad irregolarissima cadenza pseudo-settimanale: ne ha da recuperare una cinquantina e probabilmente avrebbe visto un altro paio di Hokage al potere prima di riuscirci.
Insomma, ha diritto alle ferie e può passarle come meglio crede. Solo che da un po' le sue già rade giornate di riposo hanno assunto strane, inquietanti sembianze; sembianze ghignanti e odorose, vagamente selvagge e molto, molto nude.
«Senti» comincia. La sua voce un poco strascicata suona bizzarra nel silenzio frusciante della stanza. L'aria umida sta appiccicata alle imposte accostate, appiccicata al letto sfatto e appiccicata alla sua pelle, e lo fa insofferente. Magari è anche stupido perché è colpa dell'aria, mica di qualcuno, solo che gli viene proprio voglia di sbuffare. Una voglia matta. E Kiba non aiuta.
Kiba Inuzuka si dà giusto la pena di sollevare un poco il busto, prima di tornare a schiaffarsi a pancia in giù abbracciato al cuscino, esibendo un'espressione appagata, una chioma arruffata ed una quasi totale nudità con la grazia di un capobranco sessualmente soddisfatto dal suo harem di femmina alfa, beta, gamma, ma volendo pure zeta e omicron, ché mica è schizzinoso.
Shikamaru focalizza l'attenzione sulla linea della sua schiena, più distratto di quando ha cominciato a parlare.
«Non si può andare avanti così» riprende, deciso a mantenersi lucido e perfettamente operativo: in condizione normali gli viene meglio quando può star steso in orizzontale su di una superficie morbida, e anche se pare un controsenso non lo è. Solo che gli viene un po' meno bene quando accanto a lui c'è Kiba – nudo, per di più – e quindi la condizione favorevole e quella sfavorevole si annullano a vicenda e finisce che lui non riesce a pensare come si deve.
«Che intendi?» domanda la sua nuda distrazione, apparentemente rilassato; il lenzuolo è caduto giù dal letto e ormai a coprirgli le vergogne c'è solo il pelo bianco. No, non il suo.
E siccome di certo non è neanche di Shikamaru, il possibile proprietario resta uno solo.
Akamaru è bianco e peloso e affettuoso e caldo. Sopratutto caldo.
Caldo, caldo, caldo.
Come se non bastasse - e già basta, eh. Mica è solo caldo, è caldo tre volte accidenti! - sta esattamente dove non dovrebbe stare, cioè sopra di lui. In estate.
Perché è estate, sì, e fa caldo, e c'è già Kiba che se ne strafotte della temperatura e ti sta comunque addosso, quindi sessanta chili di maremmano a rincarar la dose non sono ben accetti. A maggior ragione se quello stare addosso è finalizzato ad attività intime che dovrebbero riguardare solo lui e Kiba. O che in ogni caso non dovrebbero riguardare un cane. Non sul suo letto, almeno.
E poi il cane è caldo, fuori fa caldo, dentro fa caldo, stupido caldo, che seccatura.
Il caldo si offende e gli soffia nell'orecchio.
«Kiba...» rantola Shikamaru, trascinandosi dietro una a liquefatta. Piega il cuscino con entrambe le mani, premendolo sulla testa per salvare le orecchie da un altro assalto, e Kiba se la ride.
Shikamaru lo sente appena, soffocato dall'imbottitura. Invece, senza udito, gli altri sensi si acuiscono e sente perfettamente un'altra cosa.
«Eh, no! Akamaru!»
«Oh, che schif... Akamaru!» gli fa eco Kiba, e però si sta sganasciando, lui. «Akamaru, non si fa!»
Finalmente al centro dell'attenzione, così come del letto, Akamaru scuote il testone soddisfatto e sbuffa un po'.
Kiba ride tenendosi la pancia, le spalle che sussultano ad ogni singhiozzo e le ginocchia spigolose piegate.
Non solo il cane nel letto. Il cane caldo nel letto. No, pure il meteorismo deve avere, quel benedetto cane.
Shikamaru precipita di nuovo sul cuscino, liquefatto.




Extra − 400 parole
Le palpebre sono l'unica cosa che Shikamaru riconosca chiaramente come parte del suo corpo, il resto è un grumo formicolante di cui non riesce a distinguere nulla; se comandasse ad un arto di muoversi, è certo che quello lo ignorerebbe bellamente.
Non desidererebbe altro che restare così, immobile, finché il suo corpo non avrà recuperato tutte le energie che una giornata tra gli archivi ha prosciugato fino all'ultima goccia, ma considerato che doveva incontrare Ino e Chouji qualche era fa – ha perso del tutto il senso del tempo. Non c'è troppa luce? - è proprio il caso di svegliare, se non il suo corpo, almeno la sua forza di volontà.
Solleva le palpebre e inquadra la stanza intorno, trovandola luminosa ma fredda, poi fa leva sul gomito. Pensava peggio: non è così difficile mettersi seduto, e neanche tirarsi in piedi ed uscire senza ciondolare la testa, per raggiungere illeso il bagno.
Sente ancora come se avesse del cotone idrofilo ficcato nelle orecchie ad ottenebrargli i sensi, ma forse le cose potrebbero migliorare sciacquandosi la faccia. Apre il rubinetto, accoglie una generosa quantità d'acqua tra le mani a coppa, stupendosi giusto vagamente di quanto sia buffo percepire così poco la differenza di temperatura, come stesse sollevando solo aria, e chiude gli occhi.
Quando li riapre, a salutarlo c'è solo il comodino e dalle imposte accostate entra una striscia tenue di luce pomeridiana.
«Ma va' al diavolo» mugugna il genio, affranto.
Poi lascia ricadere la fronte sul cuscino, mortalmente scocciato.

«Alla buon ora, Hokage sama.»
Ino sta seduta davanti al tavolo, in cucina. Sistema dei fiori nel vaso, spiccando le foglie secche ed accostando i colori con occhio esperto; accanto a lei, Chouji sgranocchia.
Shikamaru non risponde allo sberleffo e neanche si domanda perché accidenti i due siano venuti fin lì, invece che aspettarlo sul luogo dell'appuntamento. E non perché è un genio: ha solo visto l'ora. Si limita a salutare con un cenno e raggiunge il tavolo.
«Se non fossi tu, chiederei perché sembri reduce da una notte insonne» cicala Ino, lanciandogli un'occhiata scettica. Lui si lascia scivolare su di una sedia.
«Non sai che fatica» replica, accettando una patatina, gomito sul tavolo e mano a reggere la testa. «Ho sognato di svegliarmi. Mi sono dovuto alzare due volte.»
«Oh, ma certo» concilia lei, sarcastica. «Un vero incubo!»
A coprire lo sbuffo fischiante di Shikamaru ci pensa Chouji, ridendo forte.




Nda
Hokage sama, nell'extra sta per qualcosa come “sua santità” o “vostra grazia” e voleva essere un tentativo di sarcasmo . Spero sia chiaro ^^'

Tanti auguri a te, tanti auguri a te, tanti auguri a slice... okay, basta, ché sono anche stonata u_u'. Cos'è questo? Eh? Davvero, sono desolata, ma mancava un pezzo fondamentale solitamente conosciuto come “svolgimento” per poterla postare intera *muore*, ma Scar ha detto “vedrai che apprezzerà lo stesso”, e se lo dice la pissicologa io mi fido, no? T_T
L'extra shikamaroso c'entra anche se non c'entra perché
Shikamaru è l'uomo chiave (cit.), e basta XD

Comunque, a parte le mie cazzatelle mal riuscite, alice si merita tutti gli auguri del mondo shakerati con una buona dose di Giustizia&Culo che la faccia schizzare via, lontano da qualsiasi lido liscio e buio che attenti alla sua salute. Cento di questi giorni, e che siano particolarmente colorati, luminosi e dolci come i dango XD




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Capitolo 2
*** seconda parte ***


Segue dal primo paragrafo. Il rating è giallo perché Kiba è nudissimo (?).



Kiba prende sempre limone e cioccolato.
Lappa con voracità, mordicchiando il cono ancor prima di finire le palline perché, dice, il cibo vero è quello che si mastica.
«Hai il cioccolato sul naso» comunica Shikamaru, senza smettere di ingerire il suo sobrio pistacchio alla maniera tradizionale.
«E se tu non ti sbrighi si scioglie, genio» ribatte Kiba, decapitando il limone.
Shikamaru sbuffa, accaldato. Uscire di casa con Kiba è come stare in casa con Kiba: tutto un movimento continuo.
E il peggio è che, anche se mai lo ammetterà ad alta voce, lasciarsi trascinare da Kiba rientra probabilmente tra le cose più salutari che abbia mai fatto a partire dalla nascita. E gli sta un gran bene, mica no.
Cioè, è faticoso e tutto il resto, però è contento quando poi, più tardi, può finalmente crollare su un prato o nel suo letto. Dorme anche meglio e pensa più sgombro, liscio; sente meglio l'odore dell'erba e coglie meglio la forma delle nuvole.
Solo che c'è un ma.
Il ma gli sta uggiolando dietro da mezz'ora.
«Akamaru, non posso dartelo, ti fa male!» spiega Kiba, paziente e dispiaciuto. E si vede che si sente in colpa, col suo cono in mano. Solo che faceva caldo, ma proprio caldo, e ha ceduto. Tanto più che ad offrire è sempre Shikamaru.
«Ora ce ne possiamo tornare a casa?» fa il genio, insofferente. Gli uggioli di Akamaru gli si sono incollati addosso come l'afa cisposa che gli impregna i vestiti.
Il sole spaccherebbe le pietre, se le pietre non fossero già liquefatte, e Shikamaru sinceramente trova tutta la questione enormemente faticosa; se fa caldo fuori e fa caldo dentro, non è più intelligente stare dentro, dove c'è il letto?
«Che seccatura che sei!» lo rimbecca Kiba, ghignando non troppo interiormente. «Andiamo a cercarci un prato dai, Akamaru deve farla. Scusa, amico» aggiunge poi rivolto al cane, quando un ringhio gli fa presente di aver appena violato la sua privacy in maniera assai inopportuna.
Le due bestie continuano a discutere tra loro e Shikamaru finisce per sentirsi un po' come quando sua madre si lamenta della sua pigrizia con quello scansafatiche di suo padre, berciando a tavola come se il figlio non fosse seduto a mezzo metro da lei con le bacchette in mano.
Cerca di sbuffare, convogliando tutta la sua concentrazione nell'atto di ingoiare quell'aria pesante e umida e poi soffiarla fuori, quando si sbilancia per evitare un oggetto verde non meglio identificato che rotola giù dalla salita – sì, perché Kiba gli fa fare pure le salite. È una calamità, più sfiancante ed efficace delle diete nutrientipocaloriche di Ino a base di segale e bambù.
Spalanca gli occhi, solleva la gamba e poi segue la caduta dell'affare giù, oltre il cavallo dei suoi pantaloni.
«Attenzione!» sbraita Kiba, accanto a lui, e salta sul posto per evitare un altro robo rotolante, a sua volta seguito a ruota da una pioggia di grossi, succosi robi verdi che rotolano giù dall'avvallamento. Akamaru abbaia perplesso e anche ragionevolmente infastidito, ché gli scappa urgente.
Al seguito delle palle rotolanti, arriva un nonnetto urlante con una carriola ormai vuota che se lo sta tirando giù.
«Toglietevi di mezzo!» muggisce affannato, appena prima che Kiba e Akamaru si gettino sopra Shikamaru per evitare di essere falciati; e palparselo un po' casualmente, anche.
«Akamaru, basta!» biascica il genio, quando le avances del botolo si fanno troppo invadenti e si ritrova una lingua rasposa e filante di bava che gli annacqua l'orecchio.
«Ehi, ehi!» fa Kiba, per nulla ingelosito. Tira Shikamaru per il codino, incurante del fatto che lui sia ancora crocifisso sull'asfalto dal peso di Akamaru, e lo costringe a prestargli la dovuta attenzione.
«Guarda!» esclama, deliziato per motivi che esulano dalla comprensione umana, dato che sta col culo sull'asfalto rovente ed è sudato e sporco di polvere.
Shikamaru riesce finalmente a strisciare via da sotto il pelo bianco, si scortica un gomito appena dopo esserselo abbrustolito e acquista una posizione più umana, anche se ancora liquefatta.
Con gli occhi feriti dalla luminosità fastidiosa che viene giù dal cielo plumbeo, inquadra la sagoma di Kiba abbracciata fiera ad un pallone verde, che non è un pallone ma un cocomero. E gongola.
Kiba, non il cocomero.
«Ecco, questo è già un cibo più serio, anche se sa comunque di acqua» commenta, tentando senza successo di far roteare l'anguria sull'indice come fosse una palla; gli scappa via e finisce sulla coda di Akamaru, che latra dritto nell'orecchio di Shikamaru, a turbare il già turbato genio.
«Su, andiamo a mangiare» annuncia subito dopo Inuzuka; si alza in piedi e pretende con una certa inavvedutezza di riuscire davvero a tirarsi dietro Shikamaru. In realtà si conquista solo una presa sudaticcia sul suo polso ed uno stiramento delle vertebre lombo-sacrali.
«Shikamaaaru» guaisce, col tono molto “Akamaaaru” che usa alle volte quando il botolo è stanco di farlo giocare e si accuccia ansimante e deciso a riposare per almeno un quarto d'ora, ché ormai ha più di dieci anni e tenere a bada il padrone è diventato spossante.
Kiba sistema meglio il cocomero tra le braccia e si pianta nel mezzo della strada a guardare il compagno con espressione di biasimo. Akamaru si associa per solidarietà e rifila pure lui un'occhiataccia alla cosa spalmata sotto la sua pancia, senza dimenticare di fargli colare un po' di bava in fronte.
A Shikamaru verrà un esaurimento, prima o poi, ma fa anche troppo caldo per mettersi a discutere, e comunque è in minoranza numerica: perciò si puntella sui gomiti e cerca di alzarsi senza limitare gli sbuffi, perché sbuffare è uno dei pochi diritti rimastigli.
Seccato, Akamaru soffia forte e li molla lì, trottando poi verso un cespuglio per svuotarsi la vescica, ché se aspetta Shikamaru rischia le coliche.
«Dai, Shikamaru! Sta per piovere!» rincara Kiba, annusando l'aria. Shikamaru fa in tempo giusto a spolverarsi pigro i pantaloni e alzare istintivamente gli occhi al cielo, che una goccia enorme gli precipita dritta in fronte e poi cola sul naso, tracciando una scia ben visibile tra le sue sopracciglia aggrottate.
«Ahia! Mi ha colpito!» latra Kiba, a due passi; Shikamaru si volta e lo trova a passarsi il palmo sull'occhio, con la lingua tra i denti.
Alla seconda goccia che minaccia di colpirlo nell'occhio, ulula sovrastando anche i rombi di tuono e si piazza il cocomero sotto al braccio, prima di afferrare la manica di Shikamaru con la mano libera. «Su, ti muovi?»
Il genio boccheggia un istante e poi è costretto suo malgrado ad allungare il passo quel tanto che consenta a Kiba di trottare; e non scivola indietro solo perché arriva il muso di Akamaru, che comincia a spingerlo stampandogli il naso umido tra le natiche, il testone enorme e peloso che gli solletica la schiena anche da sopra la stoffa della maglia.
La pioggia cade fitta a gocce pesanti e impatta al suolo in mille schizzi, portando giù anche polvere e afa; l'aria non rinfresca, Shikamaru non distingue più l'acqua dal suo sudore e convincere i polmoni a masticare quell'ammasso di gas umidicci è faticoso due volte di più, se bisogna anche tenere il passo di due bestie: non ce la può fare.
«Kibaaa» rantola, dopo una trentina di metri. «Kibaaa!»
«Che c'è?» urla lui, oltre il brusio della pioggia e le proteste delle tettoie in concerto.
«Ferma-ti» e il brontolio quasi si perde.
Kiba però recepisce, e allora devia e lo trascina via, in un vicolo che dà su un cortiletto interno, tra serrande chiuse e vecchie cassette vuote accatastate contro il muro punteggiato di gocce.
Shikamaru solleva lo sguardo in alto, il polso ancora stretto tra le dita ruvide di Kiba e Akamaru che lo sostiene da dietro, ansimando un po' anche lui, con la lingua pendula; oltre l'orlo dei palazzi chiari che incorniciano la fetta di cielo, la pioggia se possibile si è intensificata, e viene giù a grappoli fitti direttamente dalle nuvole basse, attraversate da una luminosità fredda che ferisce la vista e costringe a strizzare gli occhi.
«Ehi» Kiba gli alita sul naso, attirando la sua attenzione sull'aspetto da cane bagnato che si è guadagnato con quella passeggiatina nell'acqua; aspetto che probabilmente condivide con lui stesso, così come con Akamaru, che cerca invano di sgrullarsi l'acqua di dosso da un minuto buono, ottenendo unicamente di deviare le gocce e spettinarsi il pelo, appena prima di tornare a grondare acqua come una spugna uggiolante.
Kiba ride e scambia con lui qualche latrato particolarmente selvaggio, senza lasciare Shikamaru.
Il genio, nonostante sia genio, non capisce nulla di quel che si dicono, ma alla fine Akamaru si allontana contrariato, sciacquettando con le zampone nelle pozzanghere; lancia un'occhiata al padrone, e poi sparisce dietro l'angolo, senza smettere di soffiare forte l'aria dalle narici per liberarsi dalla pioggia.


Non ha l'acqua nelle mutande per semplici motivazioni di carattere pratico: non si può avere un contenuto se non si ha un contenitore, anche se è quasi sicuro che adesso le sue mutande ospitino non solo acqua, ma anche erbacce, terriccio e ad altri prodotti di madre natura che al momento lo interessano ben poco. Sarà che sono a diversi metri da lui, abbandonate in un vaso di fiori ben curati, e sarà che Kiba è di nuovo nudissimo, e come se non bastasse lo sta esplorando da buoni cinque minuti neanche fosse convinto di trovargli tartufi sotto le ascelle.
«Genio» gorgoglia una voce arrochita nell'orecchio di Shikamaru, sopra lo scrosciare tintinnante della pioggia che picchia sulla tettoia di lamiera, unico riparo dall'acqua; riparo un po' inutile, considerato che di pioggia ce n'è parecchia anche lì a terra, e averci ammucchiato sopra i vestiti rende solo la faccenda umidiccia invece che zuppa, ma di certo non asciutta.
Shikamaru dà una capocciata al cocomero ormai abbandonato a se stesso e Kiba finisce per azzannargli direttamente un orecchio, a quanto pare divertendosi un mondo.
«Ci prenderemo qualcosa di brutto, e non parlo di un'influenza...» fa presente il genio, puntellandosi su di un gomito con estrema fatica, cercando di rinvenire almeno un pezzo di Kiba, che sta lì da qualche parte sotto il suo mento, sulla sua pancia, tra le sue gambe, ovunque, tutto contemporaneamente.
«Riesci a smettere di pensare per una decina di minuti, genio?» replica quello, un po' spiccio, ma con l'aria di godersela un mondo. Risale svelto con le mani tra panni e selciato, e gli rifila un bacio zannuto ma coinvolgente, quel tanto che basti a far dimenticare all'altro la questione tetano e malattie batteriologiche varie che si possono prendere facendo sesso all'aperto in un giorno di pioggia davanti al portone di un condominio sconosciuto.
In un attimo di lucidità, Shikamaru, steso sui suoi vestiti zuppi, nudo e coi capelli fradici, sotto un Kiba più nudo di lui - perché per qualche ragione ai suoi occhi Kiba non è mai solo nudo, è nudissimo - raggiunge in un attimo quella tragica consapevolezza: la condanna per atti osceni in luogo pubblico figurerà presto sulla sua povera fedina penale; fortunatamente, Kiba decide di staccargli l'irrorazione di sangue al cervello per convogliarla da un'altra parte, e tanti saluti alle considerazioni da persona civilizzata. L'unico pensiero coerente, prima di perdersi del tutto, è che non ce la si fa: quando sta con Kiba ci deve per forza essere un terzo incomodo nel letto, giaciglio, prato o qualsiasi sia il posto in cui lo stanno facendo: di solito è Akamaru, oggi è un enorme cocomero verde, che rotola qua e là senza pace, schizzando acqua.
«Che seccatura» si lascia sfuggire, prima di spingerlo via con una maldestra pedata.


Iruka Umino vive nei pressi dell'Accademia. È sempre vissuto nei pressi dell'Accademia e, dopo la ricostruzione del villaggio, si è visto assegnare nuovamente un appartamento lì nei dintorni, in un condominio dall'aria già vissuta, con un cortile interno piccolo, ma accogliente e curato; ci sono vasi di fiori ben tenuti dalla portinaia, appassionata di giardinaggio e floricultura. Iruka stesso, per ringraziarla di alcune gentilezze – la sua ottima torta di riso, il domandare sempre se abbia bisogno di qualcosa quando esce per far la spesa – le ha regalato alcuni bulbi comprati al negozio di fiori della signora Yamanaka: sono cresciute delle belle piantine di colore vivace come la tuta di Naruto, e adesso occupano i due grossi vasi davanti all'ingresso del palazzo.
Ci ha pensato perché, con quella pioggia, teme che la tettoia ceda e crolli sui vasi: forse dovrebbe spostarli dentro, almeno fino alla fine dell'acquazzone.
Ma l'intensità del temporale comincia a scemare non appena intravede il vicolo e ci si imbuca, senza rallentare il passo veloce che aveva tenuto dal ritorno dall'Accademia, quando la pioggia l'ha sorpreso. Si rallegra quando gli pare che il cielo si stia aprendo almeno un poco e procede per qualche altro metro col mento alzato, distratto tanto da non vedere la montagnola bianca sul suo cammino.
Akamaru scatta e abbaia, sorpreso e mezzo insonnolito; Iruka sobbalza e quasi porta la mano al kunai, con gli occhi sgranati.
Si ferma di colpo e mette a fuoco il cane, sorpreso.
«Akamaru?» borbotta, prima di rilassare il braccio e ridacchiare, sollevato. «Che ci fai qui, dov'è Kiba?» domanda col tono bonario che adotterebbe con uno qualsiasi dei suoi allievi. Del resto, Akamaru è stato in classe tanto quanto Kiba, e poco ci mancava che fosse lui a sostenere i test; l'unica differenza con il resto dei suoi ex alunni, è che non è solito elargire loro grattatine dietro le orecchie, anche se alle volte con Kiba verrebbe quasi la tentazione.
Akamaru, dall'alto della sua canina sapienza, non risponde, però lecca affettuoso il palmo della sua mano e gli afferra delicatamente l'orlo della manica tra i denti, spingendolo un poco in avanti.
Iruka gli rivolge un'occhiata un po' perplessa, poi procede scivolando un po' sul suolo bagnato, e sbuca nel cortile. Inquadra i vasi coi fiori arancioni e si rasserena, ché sono entrambi perfettamente a posto; la tettoia regge.
«'Giorno, Iruka sensei!» fa una voce graffiante, con allegria.
Iruka lascia perdere i vasi e si volta di qualche grado, distogliendo lo sguardo dalle piante.
Sotto la tettoia, nei suoi vestiti zuppi di pioggia, c'è Kiba Inuzuka, spettinato e con l'aria accaldata nonostante sia del tutto fradicio. Accanto a lui, Shikamaru Nara sta seduto su un cocomero ed è impegnato ad infilarsi un sandalo; solleva la testa, grondando acqua dal codino, ed esibisce un breve ma cordiale cenno di saluto.
«'Giorno. Nessuno ha ricordato l'ombrello» commenta, sollevandosi poi in piedi.
Iruka sorride, senza però dimenticare di essere decisamente stupito di trovarli lì; solo che, quando fa per domandare qualcosa, Akamaru lo supera spargendo acqua tutt'attorno per fiondarsi addosso a Kiba, possessivo, e dare inizio ad un dialogo incomprensibile a metà degli astanti.
«Beh, noi andremmo...» delibera Shikamaru, tranquillo. Imbraccia il cocomero mostrando una certa stanchezza, saluta nuovamente Iruka con un cenno cortese e assesta una pacca sulla spalla di Kiba, che riemerge dal suo dibattito col cane, che aveva acquisito i toni di una scenata di gelosia; non c'è però traccia di turbamento, quando si gira per salutare a sua volta Iruka con una mano levata, e augura buona giornata sorridendo ferino.
Iruka rimane per qualche secondo immobile nel mezzo del cortile, un piede immerso completamente in una pozzanghera, e segue le schiene degli allievi che spariscono dietro l'angolo, Shikamaru, cocomero sotto braccio e andatura fiacca, e Kiba, con le braccia incrociate dietro la nuca e Akamaru incollato al fianco.
Quando dei tre sono rimaste solo le impronte, sia umane che canine, Iruka si riscuote di colpo, con un mezzo sorriso incredulo ancora dipinto in faccia, e si volta per entrare.
Immerge la mani nelle tasche, trovandole tragicamente zuppe, ed estrae le chiavi di casa. Solo quando ormai le ha già infilate nella toppa e sta per girare, nota qualcosa cui non aveva fatto caso.
Sgrana gli occhi e torce il collo, fino ad inquadrare il grosso vaso colmo di fiori arancioni. Ci sono i fiori, le foglie piccole e scure, e sopra, quasi fossero cadute dal cielo, un paio di mutande da uomo bagnate fradicie che gocciolano sui petali.
Iruka le guarda, e un pensiero strano gli attraversa la mente; un pensiero fatto di cani guardiani, Shikamaru che hanno bisogno di rimettersi i sandali e Kiba dall'aspetto soddisfatto.
Scuote la testa con energia, ritrovandosi a ridere da solo con la mano ancora attaccata alla chiave, i capelli gocciolanti e l'acqua nei sandali. Si sporge senza smettere di ridacchiare e raccoglie le mutande incriminate, senza dubbio cadute da qualche finestra del condominio: le lascerà in portineria.
Sollevato, le osserva ancora per qualche istante, e poi inquadra la targhetta dall'aspetto casalingo che sta cucita all'interno. Recita: “Shikamaru Nara”.
Iruka sgrana gli occhi e si volta istintivamente verso il cortile; le gocce crollano giù dalla tettoia con un suono ritmico e cadenzato, e gli rimbombano nelle orecchie.
«E il cocomero a che serviva?» si ritrova a domandare ad alta voce, profondamente turbato.




Nda
Betata da quella tre volte santa di mack. Quel che c'è di decente è suo, le cavolate invece sono tutte mie.

Beh, ali, visto che sono riuscita a metterci quasi tre settimane? È che una partoriente ha dato alla luce suo figlio sulla mia tastiera proprio mentre gli alieni mi rapivano ù-ù
Riauguri, tata.




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