[ E l e v e n t h ] di J i n (/viewuser.php?uid=42257)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 0 . Eleventh ***
Capitolo 2: *** 1 . Welcome to this crazy, crazy world ***
Capitolo 3: *** 2 . Warning ***
Capitolo 4: *** 3 . Childhood ***
Capitolo 5: *** 4 . Padre e boss ***
Capitolo 6: *** 5 . Tanti auguri ***
Capitolo 7: *** 6 . Battle front ***
Capitolo 8: *** 7 . Il giorno di dolore che uno ha ***
Capitolo 9: *** 8 . Anniversary ***
Capitolo 10: *** 9 . Memories ***
Capitolo 11: *** 10 . Welcome back ***
Capitolo 12: *** 11 . Generazioni a confronto ***
Capitolo 13: *** 12 . Nuovi piani e Chardonnay ***
Capitolo 14: *** 13 . Scambio di ruoli ***
Capitolo 15: *** 14 . A help from a Rainbow ***
Capitolo 16: *** 15 . Back in town ***
Capitolo 17: *** 16 . First stormy training ***
Capitolo 18: *** 17 . Come Romeo e Giulietta? Ma anche no... ***
Capitolo 19: *** 18 . Le stelle gireranno assieme al mio Destino... e al tuo... ***
Capitolo 20: *** 19 . Guardian Force ***
Capitolo 21: *** 20 . New classmates ***
Capitolo 1 *** 0 . Eleventh ***
0
.
Eleventh
«Devi proprio
essere sempre così calmo?».
Annuì,
l’Arcobaleno, poggiato alla parete di uno degli infiniti
corridoi della
residenza Vongola.
Il
cappello calato sul viso nascondeva strategicamente lo sguardo glaciale
che
permaneva sul suo volto ormai da ore. In attesa.
Il
venticinquenne precedentemente conosciuto come “mostro
broccolo” o altri
curiosi nomignoli si alzò dal pavimento, infilando le mani
nelle tasche del
giubbotto, facendo spallucce e tirando un gran sospiro.
Più
per impazienza, doveva ammetterlo, che per altro.
«Come
ti pare, Reborn. Sta solo nascendo il tuo nuovo allievo. Io non starei
nella
pelle, ma fa come vuoi, vecchio mio»
«Attento
a chi dai del vecchio. Ricordati che stupida mucca eri e stupida mucca
resterai», decretò senza alzare di un minimo il
capo, le solite basette
arricciate che spuntavano dalla tesa del cappello che ora svettava
molto più in
alto di quanto non avesse mai fatto, segno che il tempo passava anche
per un
Arcobaleno.
«D’accordo,
io torno di sotto».
E
con queste parole anche il Guardiano del Fulmine scomparve
giù per le scale.
Rimase
in ascolto per sentirlo cadere ma non accadde. Lambo poteva essere
imbranato
quanto voleva, ma non era né Dino né tantomeno
Tsuna.
Entrambi
erano stati suoi allievi, uguali nel carattere,
nell’imbranataggine e poi,
improvvisamente, erano cresciuti.
Avevano
affinato le loro abilità ed erano saliti al loro giusto
posto, il primo come
boss dei Cavallone ed il secondo come boss dei Vongola.
Era
stato catapultato in quel mondo da un giorno all’altro e da
quattordicenne in
perenne ritardo a scuola era riuscito a diventare un perfetto boss
della mafia.
Ammetteva
che era rimasto un po’ perplesso quando aveva appreso della
decisione del Nono,
ma aveva accettato comunque di fargli da tutor.
Il
risultato era piuttosto accettabile, no?
Erano
cambiate così tante cose nelle vite di tutti… ed
ora stava per iniziarne
un’altra.
Si
sistemò il capello sulla testa e si aggiustò il
nodo alla cravatta, facendo per
lasciare il corridoio.
Tuttavia
proprio in quel momento la porta alle sue spalle si aprì
lentamente.
Dall’interno
giungeva soltanto il silenzio ed un leggero bagliore di una lampada
quando un
cresciuto seppur ancora giovane Decimo dei Vongola uscì,
tenendo delicatamente
tra le braccia un fagottino bianco.
«Reborn…
sei ancora qui…».
Parlava
sottovoce il giovane boss, che sicuramente mai aveva sostenuto un peso
così
leggero.
L’Arcobaleno
si avvicinò di qualche passo, osservando il suo allievo e
colui che lo sarebbe
diventato di lì a qualche anno.
«Sembra
fatto apposta per il tuo abbraccio», disse Reborn, stupendosi
della tenerezza
di quella frase e, maggiormente, del fatto che fosse stato lui a
pronunciarla.
«Già»,
rispose il giovane, rivolgendo un sorriso emozionato al fagotto.
Ogni
volta che lo guardava si stupiva di quanto assomigliasse sempre di
più a
Giotto.
Tanto,
forse troppo, ma non era un male.
Anzi,
probabilmente era esattamente il contrario.
«Beh,
auguri. Sono felice per te Tsuna», disse voltandosi e
raggiungendo le scale,
sempre con la sua solita freddezza calcolata.
Non
appena fu in cima alla scalinata, tuttavia, si voltò di
nuovo verso il suo
allievo.
«Oh,
non ti conviene scendere di sotto. Hayato vuole salire ad ogni
costo… se lo
farà Hibari avrà occasione di allenarsi un
po’»
«Grazie
Reborn…».
“Per
tutto”, avrebbe aggiunto volentieri, ma sapeva che il suo
tutor non amava quel
genere di cose.
Probabilmente
c’era stata una sola persona alla quale aveva permesso di
essere un po’ più
carina nei suoi confronti, ma quella persona non c’era
più, quindi…
L’Arcobaleno,
senza una parola, fece un cenno e scese il primo gradino.
«Ah,
ti conviene stare in guardia, avrai a che fare con una piccola Sawada.
Se io
sono stato un problema… beh, non posso assicurarti che con
lei sarà tutto rose
e fiori».
E
con queste parole rientrò nella stanza.
Non
c’era che dire, Reborn non si aspettava affatto che fosse una
bambina ma era
felice lo stesso.
Con
un sorriso più aperto, ma sempre nascosto, scese gli
scalini.
Iniziava
una nuova generazione.
Fuori
dai cancelli un uomo in impermeabile scuro osservava la mansione.
«Questo
momento di felicità non durerà a lungo. Goditi il
tuo pargolo, Sawada, finchè
puoi».
Con
uno sguardo glaciale ed un sorriso beffardo lasciò il
vialetto di ghiaia.
PAP – Piccolo Angolo
Pazzo
Ciaossu!
Dunque
dunque… che dire di questa fic appena nata? Che è
nata come una OneShot.
Mi
sono ritrovata un giorno in classe senza niente da scrivere, avevo
appena
finito di vedere il primo arco narrativo di Reborn ( si, vado lenta -.-
xD ) e
la vena creativa si è sintonizzata su esso.
E
ne è uscito questo capitolo. Mi sono detta:
“massì, una OneShot su Reborn ci
può stare”.
Poi
una mia amica mi fa notare: “perché non la fai
diventare una Long?”.
E
così ho fatto.
Ora…
è il mio primo esperimento con Reborn, quindi…
spero che questo primo capitolo
vi piaccia ^^”
xoxo
Jin.
PAP
PS: se ci sono degli strafalcioni – spero che non ci siano,
ma non si sa mai… -
mi scuso infinitamente ma non ho ancora finito di vedere tutto Reborn e
mi sa
che andrò moooolto lenta per evitare il finale il
più possibile xD lo adoro già
così tanto che non voglio finirlo ç_ç
|
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Capitolo 2 *** 1 . Welcome to this crazy, crazy world ***
1
. Welcome to this crazy, crazy world
Lilian.
Questo
era il nome che figurava sulla porta in ciliegio della stanza della
bambina.
Nessuno,
esterno alla Famiglia, avrebbe mai capito che cosa significasse
quell’ “XI”
sotto al nome.
Era
in quel mondo soltanto da qualche giorno, eppure tutti stavano
già facendo
progetti per lei.
Progetti
di cui, chiaramente, era assolutamente all’oscuro.
Di
lì a qualche anno avrebbe intrapreso la stessa via di suo
padre, sotto l’ala
protettiva del tutor migliore del mondo.
La
giovane Lilian, tuttavia, a differenza del padre avrebbe saputo sin da
piccola
a che tipo di particolare famiglia appartenesse.
Ma
nulla avrebbe potuto prepararla a ciò a cui Reborn
l’avrebbe sottoposta.
Tutti
questi pensieri continuavano a girare vorticosamente nella testa del
Decimo
mentre, al buio, osservava sua figlia che in quel momento dormiva, i
pugni
chiusi ed un sorriso beato sul viso.
«Quando
i bambini così piccoli sorridono significa che stanno
sognando gli angeli… tu
lo facevi sempre», gli aveva detto un giorno sua madre con un
sorriso
malinconico, probabilmente rendendosi conto che suo figlio non era
più il
bambino che sorrideva nel sonno.
Tanti
i ricordi, tanti i pensieri e tante, troppe le domande nella mente del
giovane
boss.
Aveva
fatto bene a scegliere proprio sua figlia come successore? E se non
avesse
accettato il suo ruolo? Se se la fosse presa con lui o, peggio, se
l’avesse
odiato per averla condannata ad una vita che certamente non si poteva
definire
normale?
Scosse
la testa a quel pensiero. Non voleva nemmeno prendere in considerazione
il
fatto che la sua bambina potesse odiarlo.
Non
avrebbe permesso a se stesso di fare qualsiasi cosa che avrebbe potuto
ferirla
in qualsiasi modo.
Le
avrebbe insegnato ad andare in bicicletta, ci sarebbe stato quando un
ragazzo
le avrebbe spezzato il cuore o avesse litigato con la sua migliore
amica,
l’avrebbe aspettata alzato quando fosse uscita con il suo
principe azzurro ma
si sarebbe addormentato comunque e non le avrebbe chiesto
com’era andata perché
sapeva che l’avrebbe messa in imbarazzo.
L’avrebbe
vista crescere troppo in fretta sotto i suoi occhi, correre fuori di
casa, in
ritardo per la scuola esattamente come faceva lui.
E
poi un giorno sarebbe arrivato un uomo.
«Un
vecchio amico di famiglia», le avrebbe detto, e da
là sarebbe iniziato il suo
percorso.
Ciò
che Tsuna non poteva immaginare era che lui non avrebbe potuto starle
accanto.
PAP – Piccolo Angolo
Pazzo
Ciaossu!
Okay,
lo so, questo capitolo è cortissimo
ç_ç Mi dispiace ç_ç
Ad
ogni modo, come sempre, spero vi piaccia!
Vi
preeeego, fatemi sapere che cosa ne pensate ** le vostre critiche mi
servono
per migliorare ** e non è una stupidata u.u xD
xoxo
Jin.
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Capitolo 3 *** 2 . Warning ***
2
.
Warning
Uno spiraglio di
luce.
Una
figura sulla porta.
«Ti
devo parlare Tsuna. È piuttosto urgente».
Solo
la parola “urgente” bastò a far scattare
in piedi il boss che, tuttavia, prima
di uscire sistemò le coperte a sua figlia.
Raggiunse
Reborn e si chiuse la porta alle spalle.
Lo
sguardo, mentre scendevano le scale, corse alle vetrate che davano sul
giardino.
Il
cielo era già scuro ma, a giudicare dai raggi che apparivano
da dietro le
montagne, il sole non doveva essere tramontato da molto.
Scese
in silenzio la scalinata, quasi saltellando da un gradino
all’altro con le mani
nelle tasche.
Sperava
di non dover più sentire la parola
“urgente” là dentro per un po’
dopo la
nascita di Lilian, ma a quanto pareva per la famiglia Vongola i guai
non
sembravano essere intenzionati a finire tanto presto.
Nel
grande salotto regnava il silenzio più assoluto quando
allievo e tutor
entrarono.
«Decimo…»
«Accidenti,
dev’essere proprio qualcosa di grosso se
c’è tutto questo silenzio qui dentro…
avanti, di che si tratta?».
Andò
ad appoggiarsi alla scrivania in mogano, mentre i Guardiani lo
seguivano con lo
sguardo, il riflesso dell’intera stanza sulla finestrata.
Non
erano solo i suoi Guardiani, quelli.
Erano
i suoi amici, le persone che amava, le persone che gli erano rimaste
accanto
contro tutto e tutti e che avevano giurato di restarci qualsiasi cosa
fosse
accaduta.
C’era
un legame speciale tra di loro.
Un
legame che non si trovava in tutte le famiglie.
Erano
l’uno complice dell’altro. Certo, non era difficile
trovarli a litigare per
l’ultimo takoyaki o per chi dovesse fare da babysitter a
Lilian – sì, già
c’erano diatribe per questo, ed era nata solo da tre giorni
– ma non si
sarebbero mai voltati le spalle a vicenda.
Ed
era sicuro che non si sarebbero mai abbandonati.
Sorrise
leggermente, mentre immagini del loro passato gli tornavano alla mente.
La
prima volta che aveva visto Reborn, Gokudera e come gli era sembrato
minaccioso
all’inizio, l’inestinguibile ottimismo di Yamamoto
e l’atteggiamento sempre
estremo di Ryohei.
Il
combattimento contro i Varia, il viaggio nel futuro, Byakuran,
Uni…
E
poi giorni più felici, l’addestramento con gli
Arcobaleno per i Sigilli, le
vacanze di Natale e la battaglia a palle di neve nel cortile della
scuola.
Sì,
erano stati davvero giorni spensierati.
Con
un battito di ciglia ritornò al presente, trovando ancora
tutta la sua Famiglia
in silenzio ad osservarlo.
«Ragazzi,
ma che diavolo succede?», li incalzò, impaziente
di sapere che cosa ci fosse di
così “urgente”. Da chi altri avrebbe
dovuto proteggere la sua famiglia.
«Abbiamo
a che fare con la Yakuza, Tsuna».
Fu
un Takeshi Yamamoto più adulto ma non meno ottimista quello
che parlò,
spezzando quel silenzio che stava iniziando a diventare davvero fin
troppo
pesante.
Così
pesante che pensava di non poterlo più reggere.
Forse
proprio per questo non si rese immediatamente conto di ciò
che il Guardiano
della Pioggia gli aveva appena detto, facendo da portavoce per tutti i
presenti
in quella stanza.
«La…
la Yakuza? Quale Famiglia? Che clan?»
«L’Isogai-kai»,
rispose il Guardiano della Tempesta con il suo solito tono
apocalittico, le
braccia incrociate, le spalle appoggiate al muro dietro di lui.
Il
clan dell’Isogai-kai era uno dei più antichi e
ricchi clan della Yakuza, che
contava più di cinquecentomila membri in tutto il mondo.
Anche là, in Italia.
Incrociò
le braccia al petto e lasciò che il silenzio ricadesse nella
stanza, pensando,
cercando di trovare una soluzione, provando a farsi venire in mente una
prossima mossa da attuare.
Non
avevano mai avuto a che fare con la mafia giapponese anche se
praticamente era
iniziato tutto là, in Giappone.
L’Isogai-kai
era noto alla Famiglia per piccoli eventi pressoché
insignificanti, ma c’era
comunque da tenere gli occhi aperti.
«Oltretutto…».
Se
la parola “oltretutto” usciva dalla bocca di Lambo
non era mai una bella cosa.
Anche
perché fino a qualche tempo prima non sapeva nemmeno
pronunciarla.
Doveva
abituarsi a vederlo come un uomo, ormai, e non come un bambino
capriccioso.
«…abbiamo
trovato questa in una stanza al terzo piano. La finestra era
rotta».
Era
una piccola busta, quella che gli tese, di un curioso color carta da
zucchero.
Il biglietto un semplice strappo da un foglio di carta a righe. E su
quelle
righe solo cinque parole.
“Tieni
d’occhio tua figlia”.
Lasciò
cadere il biglietto e corse a perdifiato.
PAP – Piccolo Angolo
Pazzo
Ciaossu!
Eccoci
di nuovo qui alla fine di un altro capitolo.
Come
abbiamo visto oltre al ruolo di padre appena acquisito, il nostro Tsuna
ha
sempre sulle spalle il ruolo di boss della famiglia Vongola.
Ma
chi avrà inviato il biglietto minatorio? E che provvedimenti
prenderà il
Decimo? Staremo a vedere…
Intanto,
però, voglio ringraziare Il_Capitano_Cof
per la graditissima recensione! ** Grazie, grazie, GRAZIE! Per quanto
riguarda
la “principessina” di casa
Sawada/Vongola… in effetti fargli avere un
maschietto mi sembrava troppo banale, quindi ho deciso di inserire un
fiocco
rosa! **
Grazie
mille di nuovo sia a lei che a tutti coloro che hanno letto la fic,
sperando
che vogliano a loro volta lasciare il loro parere! **
A
prestissimo con il terzo capitolo: “Childhood”.
xoxo
Jin.
|
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Capitolo 4 *** 3 . Childhood ***
3
.
Childhood
Come in un
dipinto, non appena
aprì la porta della stanza di Lilian trovò la
bambina in braccio a Kyoko.
Seduta
sulla sedia a dondolo gli stava facendo segno con l’indice di
stare in
silenzio.
Tirò
un grande, lunghissimo sospiro di sollievo.
Non
era successo nulla. Nulla.
La
sua bambina stava bene.
«È
tutto a posto…», disse avvicinandosi alla moglie
posandole un bacio sulle
labbra e rivolgendo un sorriso ed uno sguardo quasi adorante alla
figlia, gli
occhi chiusi ed i pugni stretti attorno al mignolo della madre in un
puro gesto
di tenerezza di una bambina appena nata.
«Certo
che è tutto a posto, perché non dovrebbe
esserlo?», gli chiese Kyoko, sottovoce,
ridendo leggermente per quell’apparente colpo di testa del
marito.
Scosse
la testa e la guardò.
«Niente…
niente, va tutto bene».
Ma
l’ombra che oscurò per un momento lo sguardo del
Decimo non sfuggì alla donna,
che per il momento decise di lasciar correre.
Dal
canto suo, Tsuna non voleva mentirle di nuovo, come aveva fatto anni
prima. Ricordava
ancora lo “sciopero” che sia lei che Haru avevano
iniziato, minacciando di
portarlo avanti ad oltranza se non avessero parlato. Se non gli
avessero detto
che cosa stava succedendo.
Sì,
gliene avrebbe parlato, era giusto che lo sapesse anche lei, ma non in
quel
momento.
Era
un istante troppo bello per rovinarlo in quel modo.
Tornò
a guardare Lilian e fu come se la notizia che gli avevano appena dato
fosse
svanita in una nuvola di vapore.
«Diventerà
bellissima… esattamente come sua madre».
***
Quattro
anni dopo… ***
Con
i suoi occhi di bambina, la piccola Lilian nel suo abitino di un chiaro
e
fresco color albicocca, osservava curiosamente una doppia porta che non
aveva
mai visto prima.
Era
metallica e le dava un senso di freddo. E poi da dentro venivano degli
strani
rumori.
Sembrava
che stessero esplodendo delle bombe.
«Lilian,
che cosa ci fai qui?».
La
voce di sua madre giunse dal corridoio e poco dopo le apparve,
sorridendole e
prendendole la mano, mentre lei indicava la porta con il ditino ed
un’espressione interrogativa e curiosa.
«Mamma,
che cosa c’è qua dentro?»,
domandò sobbalzando per l’ennesimo scoppio.
«Amore,
ci sono papà ed i Guardiani dentro… si stanno
allenando, non puoi entrare»
«Ma
io voglio vedere papà…»,
piagnucolò come tutte le bambine del pianeta Terra.
Dopotutto,
quale bambina non faceva i capricci almeno una volta nella sua vita?
Specialmente
se di mezzo c’era uno dei suoi genitori.
Kyoko,
che nel frattempo si era abbassata al suo livello inginocchiandosi,
fece per
dire qualcosa quando, con un rumore idraulico, la porta si
aprì e le due si
trovarono di fronte un enorme felino maculato.
Che
tuttavia entrambe conoscevano fin troppo bene e che si
ammansì non appena
incrociò lo sguardo con la bambina.
«URI!»,
esclamò lei con un gran sorriso sulle labbra, spalancando
gli occhi dalla
sorpresa.
Di
lì a qualche secondo fu in groppa ad Uri a gironzolare per
la stanza, ridendo
felice, sotto lo sguardo attento dei suoi genitori e dei Guardiani.
«Credi
sia una buona idea farla giocare con le Box?», chiese Kyoko,
evidentemente
preoccupata per la figlia, posando il capo sulla spalla di Tsuna.
«Deve
abituarsi… dopotutto anche lei avrà a che fare
con tutto questo, no?», domandò
retoricamente il Decimo, seguendo la figlia con lo sguardo, che
tuttavia non
poteva sembrare più felice di così.
Per
la verità anche lui era preoccupato.
Ancora
non sapeva se avesse fatto la cosa giusta.
Ma
vedendo sua figlia giocare e ridere così capì
che, per saperlo, ci sarebbe
stato ancora tempo.
Tuttavia
non sapeva perché ma quel pensiero non lo rassicurava
affatto.
«Torno
di sopra», disse Kyoko che, prima di allontanarsi,
intimò a tutti i presenti di
tenere d’occhio la piccola e di non distruggere la sala
più di quanto non
avessero già fatto.
La
porta si chiuse dietro di lei proprio nel momento in cui Takeshi
aprì bocca.
«Gliel’hai
detto? Del biglietto, intendo».
Tsuna
si voltò verso il suo vecchio amico trovandolo seduto a
terra a lucidare la sua
Shigure Kintoki.
«Non
ancora», dissentì il Decimo tornando a dare uno
sguardo a sua figlia, sempre in
groppa ad Uri.
«Ma
glielo dirai, vero?»
«Certo…
tra poco glielo dirò e… e andrà tutto
bene».
Sospirò
pesantemente, sorridendo a Lilian che in quel momento lo stava
salutando con la
mano.
Sì,
sarebbe andato tutto bene.
PAP – Piccolo Angolo
Pazzo
Ciaossu!
Alla
fin fine lo stato di allarme con il quale il nostro Tsuna si
è precipitato al
piano superiore… non è servito a nulla.
Quattro
anni passano, Lilian cresce e tutto sembra essere tranquillo ma chi
può dire
che sarà sempre così?
Lo
scoprirete nelle prossime puntate xD
Nuovamente
devo ringraziare Il_Capitano_Cof per
la recensione. Concordo con te sul fatto che l’autrice
generalizza un po’ il
concetto di mafia senza specificare bene quale sia. Italiana,
giapponese,
russa? Per quanto riguarda il mittente del biglietto… si
scoprirà molto presto
hihi
Grazie
ancora per i complimenti e le utilissime critiche! **
Come
sempre mi trovo a chiedere anche ai silenziosi lettori di farmi sapere
che cosa
ne pensino della fic, per migliorare e farvi leggere ad ogni
aggiornamento
capitoli, spero, sempre migliori **
Da
questo momento in poi aspettatevi di tutto! Anche un inedito Gokudera!
xD
A
presto!
xoxo
Jin.
|
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Capitolo 5 *** 4 . Padre e boss ***
4
.
Padre e boss
Nessuno
certamente aveva
dimenticato che due settimane più tardi sarebbe stato il
quattro marzo,
ovverosia il quinto compleanno di Lilian.
Per
quel periodo, per una volta, tutta la Famiglia si era fermata per poter
organizzare il miglior quinto compleanno che una bambina potesse
desiderare.
Certo,
in una Famiglia mafiosa come la loro non ci si poteva aspettare un
compleanno
tradizionale, ma per preservare ancora un po’ la sua
innocenza tutti si erano
messi d’accordo per essere il più normali
possibile.
«Il
normale è relativo», aveva esordito Lambo non
appena sentite tali parole,
sbalordendo tutti i presenti.
Da
quando in qua l’ex “mostro broccolo” se
ne veniva fuori con certe frasi
filosofiche? A quanto pareva era cambiato più di quanto
tutti si aspettassero.
Ad
ogni modo, Gokudera e Yamamoto, assieme a Dino, erano stati incaricati
di
tenere Lilian lontana dal salotto e dalla cucina dove le sue
“zie” preparavano
la torta, assieme a mamma Kyoko che lanciava uno sguardo alla porta
della
cucina ogni singola volta che il rumore di qualcosa che si rompeva
giungeva
dall’esterno.
Il
resto della Famiglia era in viaggio in Giappone per un sopralluogo di
routine
da una settimana ma sarebbero tornati prima dell’inizio dei
festeggiamenti.
Nel
bel mezzo di tutta questa frenesia, il Decimo dei Vongola se ne stava
nella
penombra della sua stanza, il biglietto tra le mani a leggerlo e
rileggerlo
continuamente.
Ormai
avrebbe saputo riscrivere la stessa frase con la stessa calligrafia
tanto
l’aveva osservato.
Quei
maledetti avevano osato minacciare sua figlia, ma non
l’avrebbero passata
liscia.
Già
soltanto per quelle parole l’avrebbero pagata cara.
Nessuno
poteva permettersi di minacciare la sua famiglia e rimanere illeso.
Chiuse
istintivamente il pugno, accartocciando quel piccolo foglio di carta.
Chi
avrebbe potuto voler qualcosa da una bambina così piccola?
Chiuse
gli occhi portando il pugno alle labbra.
Non
voleva diventare un uomo vendicativo, crudele e pronto a qualsiasi
cosa, ma per
sua figlia sarebbe ricorso a qualsiasi metodo pur di trovare il
mittente del
biglietto.
Certo,
forse non l’avrebbe ucciso. Forse.
Il
corso sempre più veloce dei suoi pensieri venne tuttavia
interrotto da un
bussare leggero alla porta che rivelò sua moglie, i capelli
raccolti con un
bastoncino intagliato.
«Hai
visite».
La
testolina castana di Lilian fece capolino dalla porta. La bambina
rivolse un
gran sorriso al suo papà e vi si avvicinò,
sedendovisi accanto con un leggero
salto in modo da poter salire sul letto.
«Papà,
posso giocare con Natsu?».
Quella
domanda posta così, dovette ammettere, lo
spiazzò.
Rimase
per qualche secondo a fissare la bambina, dopodiché sorrise
leggermente.
«Con
Natsu? Tesoro ma…», disse non riuscendo a finire
la frase dato che l’attenzione
della piccola famiglia fu attirata da un rumore leggero, continuo.
La
Box arancione si stava muovendo, quasi saltellava sul comodino, chiaro
segno
che il suo occupatore voleva uscire.
«D’accordo»,
disse con un sospiro accarezzando i capelli di sua figlia,
dell’esatta
sfumatura di castano dei suoi. Lilian lo seguì subito,
saltellando contenta,
mentre si avvicinava alla Box e faceva scaturire la Fiamma
dall’anello che la
bambina osservò incantata.
Pochi
secondi più tardi Lilian correva per i corridoi assieme ad
un allegro leoncino.
Tuttavia,
anche se la risata di sua figlia risuonava per tutta la casa, Tsuna era
comunque
preoccupato.
Nemmeno
il tocco leggero delle mani di Kyoko, che gli si era inginocchiata
accanto sul
letto, riuscì a tranquillizzarlo.
«Non
so che fare», sussurrò semplicemente, scuotendo
lentamente la testa.
Gliene
aveva parlato.
Gliel’aveva
detto un pomeriggio. L’aveva presa da parte, portata in
salotto mentre tutti
gli altri erano in giardino a giocare, e le aveva spiegato ogni cosa.
Il
biglietto, la minaccia, la paura, la rabbia.
Come
al solito lei l’aveva presa con filosofia e calma,
com’era nella sua indole, dopo
diversi interminabili secondi di silenzio. Nei suoi occhi, tuttavia,
aveva
colto quella scintilla di terrore per la loro bambina che non gli
sfuggiva mai.
L’aveva
abbracciata dicendole che sarebbe andato tutto bene, prima che un
urletto di
Lilian li richiamasse al sole.
Tante
volte, in quei cinque anni dopo la nascita di Lilian, aveva accarezzato
l’idea
di mollare tutto ed andarsene con la sua famiglia.
Ma
ogni volta lo sguardo cadeva su quella foto, quella dove
c’erano tutti, anni
prima.
Erano
giovani, sorridevano.
Non
che adesso non lo facessero, ma quello del presente era un sorriso
diverso, più
maturo, che portava il peso di tutto ciò che avevano
passato, di tutte le
battaglie che avevano affrontato, così come i loro occhi. Di
ogni singolo
membro. Nessuno escluso.
Eppure
erano ancora là, assieme, uniti e con un membro in
più, da proteggere come un
gioiello.
Così
erano i Vongola. Sempre pronti a dar la vita l’uno per
l’altro.
A
difendersi… a costo della vita.
«Tu
devi soltanto convincerti che non sei solo. Ci siamo noi, Hayato,
Takeshi, mio
fratello… e nostra figlia… non ti lasceremo mai a
fronteggiare tutto questo per
conto tuo, lo sai».
Le
parole di Kyoko, mentre lo abbracciava, uscirono dolci come ambrosia
prima che
gli posasse un delicato bacio sulle labbra e gli rivolgesse un
amorevole
sorriso al quale lui rispose nello stesso modo.
«Ora
sbrigati. È il compleanno di tua figlia oggi».
E
con un ultimo bacio lasciò la stanza.
PAP – Piccolo Angolo
Pazzo
Ciaossu!
Questo
capitolo, come avete potuto notare, si incentra maggiormente sui
pensieri di
Tsuna in seguito alla minaccia ricevuta.
Ora
che è più “vecchio” di dieci
e più anni ho voluto conferirgli una profondità
psicologica che naturalmente a quattordic’anni non poteva
avere ed oltretutto
ci tenevo a mettere in luce la battaglia interiore, se così
vogliamo chiamarla,
che sta portando avanti.
Come
conciliare il suo ruolo di boss dei Vongola con il suo ruolo di padre?
Come far
fronte ad i piccoli e grandi problemi che gli si presentano davanti da
tutte e
due le famiglie?
Insomma,
incontriamo uno Tsuna più maturo e più
consapevole, uno Tsuna che finalmente si
è deciso ad accettare il suo ruolo di boss in concomitanza
con quello di neo
papà.
Nel
frattempo Lilian sembra essere assolutamente una bambina spensierata
che ancora
ignora il pericolo a cui è stata sottoposta.
Chissà
come reagirà il nostro Decimo… come sempre, lo
scoprirete nelle prossime
puntate! xD
Eccoci
dunque allo spazio ringraziamenti:
Come
sempre ringrazio Il_Capitano_Cof.
Se
tu non vedi l’ora di leggere come sarà da grande
io non vedo l’ora di
scriverla! Anche se qualche ideuzza già ce l’ho in
mente *medita* Grazie mille
ancora, cara! ;)
Ed
una graditissima nuova recensione da parte di Revenant.
Che dire, sono onorata che ti sia piaciuta così tanto da
leggere tutti i capitoli, tutti in una volta! ** Concordo con te sul
fatto che
Tsuna originale è un po’ piagnucoloso ma
probabilmente è proprio questo che
permette al lettore/spettatore di rendersi conto
dell’evoluzione e della
crescita che il personaggio ha durante il percorso ** Di nuovo,
immensamente,
grazie! **
Dunque,
nuovamente a presto!
xoxo
Jin.
|
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Capitolo 6 *** 5 . Tanti auguri ***
5
.
Tanti auguri
«Pronta tesoro?
Tre, due, uno…»
«SORPRESA!».
Gli
occhi nocciola della piccola Lilian, fino a quel momento coperti dalle
mani
della madre, si spalancarono di gioia alla vista del salotto addobbato
a festa
apposta per lei!
Iniziò
immediatamente a saltellare, ridere e correre da un lato
all’altro della
stanza, sempre con accanto Natsu ed Uri, che ormai erano diventati i
suoi
migliori amici.
Il
povero Gokudera, chiamato soltanto da Lilian “zio
Iato”, era stato costretto
dalla festeggiata a portarla sulle spalle per un bel pezzo, dovendo
destreggiarsi tra le carte dei regali ed Uri che, con le sue unghie,
continuava
ad attentare alle caviglie del suo Guardiano.
Finalmente
aveva deciso di lasciargli stare il viso.
«Avanti
Uri, togliti! No, attento! Oh
Lily, non mettermi le mani sugli occhi!».
Questi erano i
rimproveri del Guardiano
della Tempesta che, puntualmente, finiva per scoppiare a ridere assieme
alla
nipotina acquisita.
Non sapeva
perché, ma improvvisamente
il ruolo di zio gli si addiceva alla perfezione.
Gli ospiti,
ovvero tutta la Famiglia,
li osservavano, sbigottiti di quanto Gokudera potesse divertirsi
assieme ad una
bambina di cinque anni appena compiuti.
«Visto
che la Stella delle Classifiche
non aveva torto? Gokudera sarebbe tagliato per fare il maestro
d’asilo!»,
esclamò Fuuta, riferendosi ad una delle sue prime predizioni.
Già,
a volte il futuro riservava
davvero delle grandi sorprese.
Il sole era
sceso più velocemente di
quanto tutti si aspettassero e la luna aveva colto un uomo grande e
grosso come
Hayato Gokudera addormentato accanto ad una piccola principessa.
Dovevano essere
entrambi sfiniti dopo
una giornata del genere, passata a correre, giocare e, soprattutto e
specialmente, ridere come non mai.
La Famiglia si
era ritirata, lasciando
il Guardiano della Tempesta a vegliare sui sogni di Lilian, entrambi
sotto lo
sguardo divertito ed intenerito allo stesso tempo di Kyoko che,
lentamente,
prese in braccio la figlia andandola ad adagiare nel suo lettino.
Ricordava ancora
le parole di Tsuna, in
quel tramonto sulle sponde del fiume che attraversava Namimori, quando
le aveva
raccontato tutto ciò che stava accadendo.
Del suo ruolo,
di quello della sua
Famiglia ed anche del suo, di Kyoko.
Doveva ammettere
che inizialmente era
rimasta decisamente stupita e le ci erano voluti alcuni minuti di
silenzio
totale per elaborare la notizia.
Tuttavia
l’aveva accettato e da quel
momento in poi aveva iniziato a vederlo in un altro modo.
L’aveva
improvvisamente visto più
grande, con un peso più gravoso sulle spalle.
Ed aveva capito
meglio le stupidaggini
che ogni tanto sia lui che i Guardiani facevano. Un modo tranquillo e
normale
per ritrovare un po’ di quella serenità che in
quel momento, evidentemente, gli
serviva.
Per questo
quando le aveva chiesto di
sposarlo non aveva avuto paura e gli aveva risposto di sì.
Nel suo solito
modo un po’ timido, però
era stato un sì e tanto era bastato.
Ed ora erano
passati altri cinque anni
di tranquillità.
Tranquillità
per la quale era
sicuramente grata ma…
Scosse la testa
rimboccando le coperte
a Lilian e si avvicinò alla finestra, scostando la tenda
leggera.
Il giardino era
interamente illuminato
dalla luce argentea della luna. Scivolava su qualsiasi cosa come un
manto
d’argento liquido.
Ma
c’era qualcosa nell’aria… qualcosa
che si sarebbe fatto avanti molto presto. Forse troppo presto.
Fece vagare lo
sguardo lontano fino a
riuscire a scorgere le punte del cancello principale illuminate dai
raggi.
Le
sembrò di notare un’ombra allontanarsi
in fretta da là. Si disse, tuttavia, che probabilmente era
stato un animale.
Con un sospiro
silenzioso lasciò
ricadere la tenda al suo posto ed uscì, non accorgendosi che
la sua distrazione
avrebbe causato qualcosa che nessuno avrebbe mai potuto immaginare.
L’orologio
segnava le quattro e trenta
del mattino quando Lilian si svegliò, attirata da diversi
rumori al piano
inferiore.
La casa era al
buio perciò,
stropicciandosi gli occhi, dovette camminare con la mano poggiata al
muro.
Ed ancora
continuavano i rumori, i
passi… chi avrebbe potuto introdursi in casa?
Mamma e
papà dormivano ed anche lo zio
Hayato… forse però era proprio lui!
Scese i gradini
della scalinata,
fiduciosa.
«Zio
Iato?», lo chiamò con voce
flebile.
Ma
un’altra voce le rispose.
Una voce che
sicuramente non era del
Guardiano della Tempesta.
«Buon
compleanno, piccola Lilian».
PAP
– Piccolo Angolo
Pazzo
Ciaossu!
Chi
l’avrebbe mai detto che al
Guardiano della Tempesta sarebbero piaciuti così tanto i
bambini? O,
quantomeno, soltanto sua nipote. E che cos’avrà
visto Kyoko dalla finestra? Quell’ombra
era stata davvero prodotta da un animale? Chissà…
Come sempre
eccoci giunti allo spazio
ringraziamenti.
Ringrazio come
sempre Il_Capitano_Cof per i
meravigliosi
complimenti. Sul serio, sono lusingata ** In effetti il mio
più grande timore,
quando ho iniziato a scrivere questa Fic, era di, diciamo,
“snaturare” il
personaggio di Tsuna rendendolo adulto, però ciò
che mi hai detto mi rassicura
** Però ammetto che ho volutamente
“modificato” Kyoko ^^” Nemmeno a me
piaceva
troppo l’originale. Insomma, era un continuo
“Tsuna-kun” di qua e
“Tsuna-kun” di
là… aveva proprio un ruolo da soprammobile come
hai detto tu! xD Grazie mille
di nuovo! Al prossimo capitolo! **
…e Revenant.
Grazie mille! Davvero! ** Come per Kyoko anche nei riguardi di Lambo ho
volontariamente modificato il suo carattere. Insomma, si suppone che a
venticinque anni abbia un po’ più testa
– e coraggio – di quanti ne avesse a
cinque o quindici! Lilian… eh, lei è ancora
piccolina e – fortunatamente? – non
si rende ancora pienamente conto di che famiglia fa parte ed i
genitori,
suppongo giustamente, cercano di proteggerla da quel mondo il
più possibile.
“Che dire? grazie
a te per
continuare a scrivere!” ** Ma grazie a te per continuare a
recensire cara! **
Il prossimo
capitolo è già pronto, devo
solo perfezionare alcune cosucce, tuttavia per questo pomeriggio
suppongo che
ci sarà **
xoxo Jin.
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Capitolo 7 *** 6 . Battle front ***
6
.
Battle front
Nell’atrio
della villa il buio
era pressoché totale. L’unica illuminazione era
davvero molto fioca e proveniva
perlopiù dalla luna piena, in alto nel cielo.
Erano
poche le cose che Lilian riusciva a vedere.
Ed
una di quelle era un uomo. La guardava con uno strano sorriso che la
mise in
guardia, facendola aggrappare istintivamente ad uno dei paletti del
parapetto
in legno.
«Oh
piccolina… non guardarmi
così…», disse rivolgendosi direttamente
a lei ed
avvicinandosi di qualche passo, salendo sul primo scalino.
«Non
devi aver paura di me, vedi…».
La
voce dell’uomo era melliflua e sembrava davvero non volerle
far nulla.
Tuttavia
sentiva di non potersi fidare. Di non doverlo fare. era
un’intuizione lontana,
ma decise di seguirla. Per questo si allontanò di un passo,
salendo sullo
scalino dietro di lei.
«…diciamo
che sono un amico di tuo padre»
«Il
mio papà?», domandò incerta, la paura
che iniziava a prendere possesso del suo
piccolo cuore, della sua giovane mente.
Troppo
giovane per capire che le parole dell’uomo non erano
veritiere.
«Sì
piccolina, proprio lui… Tsunayoshi Sawada, vero?».
La
piccola annuì involontariamente, ancora abbastanza lontana
da poter fuggire
nella stanza dei suoi genitori o di suo zio. Purtroppo non fece nulla
di tutto
ciò.
Calò
il silenzio improvvisamente.
L’uomo
scese quell’unico scalino e si allontanò di
qualche passo, cosa che fece
sperare Lilian del fatto che forse se ne sarebbe andato.
«Beh,
certo mi rendo conto che è davvero molto tardi…
facciamo così, torno domani.
Per favore, dì a tuo padre che sono passato, domani mattina,
ok? Oh, ancora
auguri piccola».
Con
un occhiolino ed un sorriso dall’aria sincera
lasciò l’atrio, scomparendo in
direzione della cucina, per uscire dalla porta sul retro.
Il
silenzio che seguì fu lungo e… beh, silenzioso.
Non pensò, in quel momento di
confusione, che un ospite non si sarebbe dovuto presentare in casa nel
bel
mezzo della notte.
Titubante
ed incerta, Lilian iniziò a scendere le scale, tenendosi al
corrimano e
guardandosi attorno cercando di cogliere quanto più
possibile nel buio.
Posava
un piede alla volta su ogni ligneo scalino e rabbrividì, una
volta arrivata
infondo, quando percepì il freddo del marmo.
Si
guardò attorno nuovamente, inquieta, quasi senza respirare.
Poi
una voce, che spezzò quello stallo temporale che sembrava
essersi creato.
«Tesoro,
che ci fai sveglia a quest’ora?».
Alzò
lo sguardo, sobbalzando.
Suo
padre, in cima alla scalinata, i capelli scomposti in modo
irreversibile, la
stava raggiungendo.
«Papà,
c’era un signore che ti cercava», disse indicando
il buio dove poco prima
quello stesso uomo era scomparso.
Tsuna
seguì l’indicazione di sua figlia, mentre dentro
di se iniziava a farsi strada
la consapevolezza sempre più pressante del fatto che
potessero non essere più
al sicuro nemmeno là dentro.
Un
lampo azzurro rischiarò l’oscurità.
Poco
dopo l’uomo si mostrò nuovamente.
«Lilian,
sali di sopra», le intimò. In tutta risposta la
bambina rimase là dov’era con
uno sguardo risoluto che strappò un sorriso al Decimo.
Dopotutto,
era pur sempre l’Undicesimo boss designato.
Tornò
a concentrare la sua attenzione sul nemico.
Non
riconosceva il suo volto. Non l’aveva mai visto prima, ma
soltanto il suo
sguardo bastò a fargli capire che non era certamente una
persona vicina alla
Famiglia. Non in maniera positiva, almeno.
Riconosceva
la sua fiamma. Era il detentore della Pioggia.
Lanciò
un rapido sguardo alla propria mano. Dannazione. Quella era una delle
rare
volte in cui non aveva indossato l’anello prima di uscire
dalla stanza. Non
aveva immaginato che proprio quella notte si sarebbe presentata una
minaccia.
Se
avesse attaccato non avrebbe avuto possibilità. Era
totalmente disarmato e per
proteggere la serenità della sua famiglia avrebbe potuto
contare solo su se
stesso.
«Tua
figlia è davvero carina…»,
osservò lanciandole uno sguardo e spostandosi verso
di lei. Sospirò, poi, e scosse tristemente la testa,
abbassando lo sguardo.
«Peccato…
sono sicuro che sarebbe stata un boss davvero affascinante…
come Daniela, no?».
Ed
attaccò fulmineo, sfoderando una katana, dritto verso la
bambina.
Il
terrore di perdere sua figlia attanagliò il cuore del Decimo
che, senza
pensarci due volte, si lanciò in avanti proteggendo Lilian
con il suo corpo.
Fu
un secondo.
La
lama penetrò nel suo petto, mozzandogli il fiato, facendogli
spalancare gli
occhi, fissando quelli del nemico.
«O-oh…
accipicchia, sbagliato…», ironizzò
rivolgendogli uno sguardo oscuramente
sarcastico e premendo la lama ancora più a fondo,
un’altra volta, per poi
sfilarla con un colpo secco e deciso.
«Mi
dispiace Sawada ma non preoccuparti… tra qualche tempo ti
manderò anche tua figlia».
Detto
ciò scomparve nuovamente da dove era arrivato.
Un
improvviso gelo lo colse, mentre cadeva in ginocchio e poi a terra, il
sangue
che gli riempiva lentamente gola e polmoni, impedendogli di respirare,
togliendogli la vita in una lenta agonia.
«NO!».
L’urlo
straziante di Lilian accompagnò i suoi piccoli passi veloci
prima di buttarsi
in ginocchio accanto a suo padre che la guardò con un ultimo
amaro sorriso,
tentando di accarezzarle una guancia, non riuscendoci.
«Lilian,
tesoro ascoltami… fa la brava, ascolta la mamma…
diventa g-grande…».
E
con un ultimo rantolo spirò non riuscendo a terminare la
frase, gli occhi
improvvisamente vitrei e fissi, il corpo freddo quanto il marmo su cui
era
steso.
Tremante,
Lilian cercò di scuotere il padre, di farlo risvegliare,
senza successo.
«Papà!
Papà, ti prego, rispondimi! PAPÀ!»
«Lilian!
Lilian che…», accorse il Guardiano della Tempesta
richiamato dalle urla della
piccola, le cui parole terminarono subito, avvicinandosi alla bambina
in
lacrime.
«D-Decimo…»
«Il
mio papà… hanno ucciso il mio papà,
zio Iato!».
La
sua voce troppo piccola per quelle parole di disperazione
risuonò in tutta la
casa verso la luna che, quella notte, si era tinta di rosso.
PAP – Piccolo Angolo
Pazzo
Ciaossu!
Che capitolo sofferto ç_ç Non so nemmeno come ho
fatto a scriverlo ç_ç
E
non so nemmeno da dove sia saltata fuori l’idea di farla
finire così ç_ç
E
non so che altro dire se non che sicuramente qualcuno, dopo aver letto
ciò, mi
odierà a morte… ed avrà anche ragione
di farlo ç_ç
Al
prossimo capitolo!
xoxo
Jin.
|
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Capitolo 8 *** 7 . Il giorno di dolore che uno ha ***
7
.
Il giorno di dolore che uno ha
Theme Song:
“Sadness and Sorrow” – Naruto OST
Ironico come,
quel giorno,
splendesse il sole.
Tutta
la Famiglia, in un sol giorno, era stata riunita. La notizia della
morte del
Decimo aveva colpito ogni singolo individuo che aveva avuto a che fare
con lui.
Da
Shoichi a Giannini, da Dino e tutti i Cavallone – Romario in
special modo – ad
Aria.
E
poi tutti i Guardiani, in prima linea, ognuno a posare un giglio bianco
nella
bara aperta dove riposava il Decimo, nell’elegante abito nero
che avrebbe
portato per sempre.
Fu
Kyoko ad accompagnare Lilian a salutare suo padre.
Cercò
di essere forte per sua figlia, per lui, per loro, ma una volta tornata
accanto
agli altri non ce la fece. Nemmeno la mano di Takeshi e
l’abbraccio di suo
fratello riuscirono ad alleviare il dolore che stava provando.
Lilian
osservava suo padre, quello che per tutta la vita era e sarebbe rimasto
il suo
eroe. Il suo eroe con gli occhi chiusi. Pensò che sembrava
che stesse dormendo.
Come
quando, più piccola, per fargli uno scherzo la domenica
mattina andava a
svegliarlo mettendosi a saltare sul lettone assieme a Natsu, rimasto
fuori
dalla Box.
Ed
ora era là e dormiva ancora. Avrebbe dormito per sempre.
Nemmeno
lei avrebbe più potuto svegliarlo.
Il
suo piccolo cuore si strinse come mai aveva fatto prima e piano piano
strinse
la mano al Guardiano della Tempesta che combatteva ancora una volta, ma
stavolta contro se stesso.
«Non
piangere, zio Iato. I grandi non piangono»,
sussurrò con gli occhi lucidi,
strappando un sorriso tra le lacrime all’uomo che per anni
aveva protetto suo
padre e che ora più che mai si stava incolpando di non
averlo potuto salvare
quando, come suo braccio destro, avrebbe dovuto
farlo.
Era
quello il suo compito, e ne era venuto meno.
Come
avesse sentito il loro stato d’animo, Uri si
posizionò tra i due con aria
mesta, per quanto un felino possa avere un’aria mesta.
Hayato
abbassò lo sguardo verso la sua nipotina, in
quell’abito nero che tanto stonava
su una bambina con un temperamento solare come il suo.
Aveva
giurato, diavolo, aveva giurato di proteggere il Decimo e non
l’aveva fatto!
Avrebbe dovuto esserci lui al suo posto!
Strinse
i pugni di riflesso a quel pensiero fino a quando un altro
iniziò a farsi
strada nella sua mente.
Gli
era stato concesso di vivere. Vivere per qualcosa che doveva fare? Ma
certo!
Un
piccolo sorriso rischiarò il suo volto mentre il vento
iniziava a spirare
attraverso il giardino, tra quelle dieci lapidi che portavano ognuna il
nome
del boss corrispondente.
Da
quel momento in poi avrebbe dedicato la vita a proteggere Lilian. Se
era ancora
là, vivo, doveva esserci un motivo e si convinse che fosse
quello.
Proteggere
l’Undicesimo boss della famiglia Vongola.
Quello
sarebbe stato il suo compito da là in avanti.
Per
sempre.
Osservò
nuovamente Lilian.
Guardava,
assieme a tutti gli altri, la bara di suo padre, ora chiusa, venire
calata
lentamente nella terra. Lo sguardo nei suoi occhi lo fece rabbrividire.
Era
così maturo, così consapevole,
così… così tanto da boss.
Sì
Tsuna… hai fatto la scelta
giusta.
Rialzò
il capo, deciso. Stavolta non
sarebbe venuto meno al suo compito.
Più
nascosto, qualche metro più indietro,
Reborn osservava la scena, le braccia conserte ed uno sguardo, coperto
dalla
tesa del cappello, più o meno lucido.
Non
l’avrebbe ammesso mai, chiaramente.
Proprio in
quell’istante, tuttavia, gli
risuonarono in testa le parole che il suo stesso studente gli aveva
detto
qualche mese prima.
«Quando
non ci sarò più stalle accanto, ti
prego. So che tu sarai un buon maestro per lei»
«Come
lo sai?», gli aveva domandato.
Scuotendo la
testa, il boss aveva
risposto: «Lo so e basta».
Era rimasto
colpito da quelle parole, dal
fatto che finalmente fosse diventato un uomo e si fosse lasciato alle
spalle “Imbranatsuna”,
il ragazzino impacciato che era stato.
Ed ora erano
tutti là ad assistere alla
realizzazione del suo presagio.
Tutti a dare un
ultimo addio ad un uomo
che se n’era andato troppo presto. Che aveva lasciato due
famiglie che avevano
ancora bisogno di lui ma non l’avevano potuto ottenere.
Alzò
lo sguardo al cielo, il tutor
italiano, mentre Bianchi iniziava a suonare il piano, portato in
giardino
appositamente, le note che si perdevano nell’aria, e forse
per la prima volta
giurò.
Osservando da
lontano la piccola Lilian,
tra Gokudera e Kyoko, giurò che sarebbe rimasto accanto a
quello scricciolo
fino a quando ne avesse avuto bisogno.
Proprio come
aveva fatto con suo padre.
Uno sguardo ed
un cenno con la testa
accompagnarono la sua uscita di scena.
Addio
Tsuna, ci si vede.
PAP – Piccolo
Angolo Pazzo
Ciaossu!
*enorme sospiro
di sollievo* Un altro
soffertissimo capitolo andato! ç_ç
Ed anche con il
precedente non è stata
proprio una passeggiata neh ç_ç
Però
l’aver visto che vi è piaciuto così
tanto mi… non so… mi ha fatto sorridere, mi ha
fatta davvero felice **
È ora
dello spazio ringraziamenti! **
Grazie a Il_Capitano_Cof per i magnifici
complimenti! ** Guarda che così mi
monto la testa! xD Uh, sinceramente il fatto dell’anello me
lo sono chiesto
pure io e sono stata io stessa a scriverlo! xD Ulteriore riconferma del
fatto
che quando scrivo il mio cervello va in standby e riprende a funzionare
solo
quando il capitolo è terminato xDDD
E grazie anche a
Revenant ** Ulalà,
addirittura ammirabile? ** Eh, ci saranno grandi
sorprese da questo momento in poi sisi u.u Oh caraaa ** Okay, ammetto
che non
era il mio obiettivo principale farti piangere (uhm… forse
far commuovere
qualcuno si hihi) però mi sono emozionata io stessa a
scriverlo, quindi… siamo
sulla stessa barca! xD
Avrei una
piccola richiesta. Siccome usare
sempre i nicknames mi sembra… boh, quasi
“freddo”, se non sono inopportuna mi
piacerebbe sapere i vostri nomi ** Sempre se vi va, altrimenti no xD
xoxo Jin. (aka Niki xD)
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Capitolo 9 *** 8 . Anniversary ***
Avviso: da
questo
capitolo in poi ci sarà un cambio di persona e
sarà Lilian stessa a fare da
narratrice.
Non
si escludono possibili inserti nuovamente in
terza persona, dove necessario.
Detto
ciò, vi auguro buona lettura!
8
.
Anniversary
A che cosa servono
gli
anniversari?
«A
ricordare qualcuno che ci manca tanto. A non dimenticarlo»,
mi aveva risposto
mia madre quando gliel’avevo chiesto la prima volta.
A
non dimenticarlo, aveva detto.
Per
questo avevo deciso di non tornare in Italia.
Erano
passati già undic’anni ma io non avevo mai
dimenticato, neanche un secondo, mio
padre.
Non
avevo mai dimenticato come mi aveva protetta, salvandomi la vita a
costo della
sua, né avevo dimenticato le lacrime di mia madre o lo
sguardo straziato e
determinato allo stesso tempo dei miei zii e di tutte le persone che
erano
accorse a dirgli addio.
Sguardo
che avevo presto imparato a portare anch’io.
Allora
non capii l’importanza della posizione che mio padre
ricopriva. Non capii che
presto sarebbe stato anche il mio posto.
Qualche
settimana più tardi la morte di papà ci
trasferimmo a Namimori.
Tutta
la Famiglia aveva traslocato in massa da uno Stato all’altro
in meno di una
settimana.
Namimori
era una bella cittadina, tranquilla ed in un certo senso quasi
“tipica”.
La
città dove era vissuto mio padre, prima di spostarsi sulle
colline toscane,
lontano da quel mondo che tanto aveva amato ed odiato allo stesso tempo
per
avvicinarvisi forse ancora maggiormente.
Era
là che aveva combattuto le sue prime battaglie,
là che aveva riso, là che aveva
fatto valere il nome che portava.
Là
che era diventato un boss.
La
pioggia batteva imperterrita sulla mia finestra, inesorabile, cadendo
su tutta
la città.
In
strada ancora qualche persona si intravedeva, chi camminava
tranquillamente, l’ombrello
a proteggerlo e la borsa della spesa in mano e chi, invece, correva
sotto la
pioggia riparato soltanto dalla giacca, sperando di raggiungere il
prima
possibile il tepore familiare di casa.
Lasciando
vagare lo sguardo più in là,
all’orizzonte il cielo plumbeo e buio veniva
rischiarato dai lampi, il cui suono era ancora troppo lontano per poter
essere
sentito.
Sospirai,
seduta sul davanzale come sempre, scostandomi i lunghi capelli dal viso
e
portandoli tutti su una spalla.
Era
un’abitudine che avevo acquisito da quando eravamo arrivati
la prima volta a
Namimori. Certo… beh sì, in realtà da
piccola ero caduta più di una volta da
quel davanzale, fortunatamente senza farmi mai nulla di grave e per
questo
mamma mi diceva sempre che ero tale e quale a lui.
Papà
mi mancava, era in utile negarlo, ma ogni anno che passava sentivo la
sua
mancanza sempre di meno.
Non
che lo stessi dimenticando, ma semplicemente sentivo che era sempre
vicino a
me, quindi era come se non se ne fosse andato mai.
Era
come se in un certo senso anche dall’alto lui fosse sempre
là pronto a tenermi
per mano, ad aiutarmi a rialzarmi quando sarei caduta, a…
Lo
squillo del telefono al piano di sotto mi fece uscire bruscamente dallo
scorrere dei miei pensieri. Saltai giù dal davanzale e scesi
le scale,
rischiando anche di cadere nel tragitto.
Mamma
me lo ripeteva sempre che ero sbadata quanto mio padre. Però
anche lei si
ostinava a passare la cera sugli scalini… per forza poi io
scivolavo!
«Sì?»,
risposi portando la cornetta all’orecchio.
«Lily,
sono fuori casa tua».
C’era
soltanto una persona che mi chiamava in quel modo. Da sempre.
Attaccai
subito e con un sorriso aprii la porta di casa.
Mio
zio era là di fronte a me con un gran sorriso che ricambiai
subito, l’ombrello
nero aperto.
«Zio
Hayato!».
Oh
sì, alla fine avevo imparato a dirlo per bene, il suo nome.
Il
suo sorriso splendeva sempre per me, anche sotto la pioggia battente.
Gli
corsi incontro abbracciandolo ancora prima che potesse chiudere
l’ombrello. Mi
era mancato così tanto durante tutto quel tempo, mentre era
in Italia…
Non
era il mio zio biologico ma per me era sempre stato come se lo fosse e
non solo
perché era uno dei migliori amici di papà.
Era
stato l’uomo che mi spingeva sull’altalena, che mi
accompagnava a scuola perché
voleva augurarmi buona giornata, quello che mi portava la camomilla
quando
avevo la febbre e che permetteva ad Uri di starmi accanto sotto le
coperte per
non lasciarmi sola.
Era
l’uomo che mi aveva quasi convinta a tagliarmi i capelli come
lui, che mi aveva
insegnato pazientemente come si faceva il nodo alla cravatta e che si
commuoveva ancora quando gli dicevo che gli volevo bene anche se lo
nascondeva
molto ma molto bene.
Era
mio zio.
In
tutto e per tutto.
«Sono
così felice che tu sia qui!»
«Anch’io
piccola, e… c’è una cosa di cui ti devo
parlare».
Mi
allontanai e lo guardai con uno sguardo scettico.
Quella
frase non mi piaceva.
Ancor
di meno il tono che aveva usato per dirla. Un tono che mi aveva fatto
salire un
brivido di freddo su per la schiena e che gli avevo sentito usare poche
volte.
«D’accordo»,
annuii.
Mi
erano passate per la mente le cose peggiori, ma ancora non sapevo che
finalmente era arrivato il momento.
PAP – Piccolo Angolo
Pazzo
Ciaossu!
Finalmente
è cresciuta! ** Giàgià, la
principessina di casa Sawada/Vongola che dir si
voglia (xD) finalmente ha i suoi bei sedic’anni! **
So
che Tsuna quando ha iniziato aveva più o meno
quattordic’anni ma mi è sempre
sembrato troppo poco ç_ç
Come
già detto all’inizio da questo capitolo in poi la
narratrice principale sarà
proprio Lilian, ma all’occorrenza – e ce ne saranno
di occorrenze xD – dovrò inserire
anche o interi capitoli in terza persona o soltanto paragrafi
all’interno per
riuscire a spiegare determinate cose che, in loro assenza, non si
scoprirebbero
nemmeno.
Ad
ogni modo, anche se è appena apparsa spero, andando avanti,
che la mia Lilian
vi piaccia! **
Come
sempre eccoci allo spazio ringraziamenti.
Dunque
dunque, prima di tutto vi ringrazio per non avermi presa per una pazza
psicotica xD No dai, scherzi a parte prima di tutto voglio ringraziare Felicia (oddio che bel nome ** giuro
che mi piace un sacco **). Giuro che vi faccio smettere di piangere
adesso xD
almeno credo… uhm… xD E Lilian… beh
sì, sarà diversa da Tsuna ma un po’
della
sua imbranataggine, come abbiamo potuto vedere, l’ha
ereditata suo malgrado xD Comunque,
cercando di fare la seria, ti ringrazio davvero immensamente. Non sai
quanto
io, iniziata questa LongFic, avessi il terrore non tanto di
rappresentare i
personaggi, quanto di rappresentarli OOC. E invece… stando a
quello che mi dici
non lo sono ** Quindi grazie mille, di nuovo! **
E
poi Revy, precisando che
d’ora in
avanti ti chiamerò sempre così e che ti adoro
ancora di più perché mi ricordi
la Revy di Black Lagoon ** xD Che posso dire? Grazie mille. Per
continuare a
seguire la Fic, per recensire sempre, per il sostegno… per
tutto! ** E
soprattutto per Reborn ** Giuro che un altro dei miei timori era
proprio TYL
Reborn. Pensavo di non riuscire a riportarlo come tutti se lo
immaginavano –
anche perché nell’anime disgraziatamente si vede
proprio poco ç_ç – e invece…
grazie! ** Oddio, non riesco a dire altro! xD Hihi, in merito alle
sorprese,
non sono ancora finite! E siamo pure sotto Pasqua! xD
Che
altro dire… spero vi sia piaciuto il capitolo! ** E, come
sempre, a presto con
il prossimo! **
xoxo
Niki (massì va… basta Jin xD)
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Capitolo 10 *** 9 . Memories ***
9
.
Memories
«Che
cosa devo fare!?».
Seduta
al tavolo della cucina avevo appena appreso la grande notizia.
Quella
sera stessa sarei dovuta partire per l’Italia.
Già
odiavo quando non mi si dicevano le cose con largo anticipo, quando poi
si
trattava di dover viaggiare da un continente all’altro,
beh… ancora peggio!
Vidi
mio zio alzare gli occhi al cielo e sospirare con un leggero sorriso
sul volto.
«Non
solo tu, Lilian. Partiamo insieme. E dobbiamo farlo piuttosto presto,
quindi…»,
disse facendo cenno alle scale che portavano al piano di sopra e, di
conseguenza, alla mia stanza.
Rimanemmo
entrambi in silenzio a guardarci, io ancora seduta sulla sedia e lui
sulla
soglia della porta, appoggiato allo stipite.
Il
suo sguardo non era né accusatorio né
autoritario.
Semplicemente
i suoi occhi verdi mi stavano quasi invitando a partire.
Come
se mi stesse dicendo che potevo stare tranquilla.
Che
non ero sola.
Con
un leggero sospiro ed un ultimo sorso di cioccolato mi alzai,
sorpassandolo ed
avviandomi su per le scale.
Di
lì a poco sentii la sua presa sulle spalle, come a volermi
gentilmente spingere
al piano superiore.
«When the
moon hits your eyes like a big pizza pie, that’s amore!».
La
sua esibizione canora mi strappò una risata salendo gli
ultimi scalini per il
piano superiore.
Entrai
in camera mia ed in relativamente breve tempo la mia valigia fu pronta.
Infilai
velocemente il cappotto e presi l’ombrello, uscendo di casa
mentre zio Hayato
chiudeva a chiave.
Aprii
l’ombrello seguendolo fuori dal vialetto verso la macchina.
Prima
di salire, tuttavia, mi voltai indietro a guardare casa mia, le imposte
e la
porta chiusi.
Chiusi
anche il cancelletto e l’ombrello prima di entrare in auto.
Guardai
per l’ultima volta casa mia dal finestrino e mi lasciai
andare contro il
sedile, lasciandomi tranquillizzare dallo scrosciare della pioggia sul
finestrino.
Italia,
arriviamo!
Qualche
tempo più tardi, dopo un infinito check-in aeroportuale, mi
ritrovai in volo a
cinquemila metri da terra verso l’Italia.
Fuori
dal finestrino l’unica illuminazione erano le luci di
posizione delle ali ma
lasciando vagare lo sguardo più in là sembrava
che l’oscurità non finisse mai,
che si estendesse come un manto oscuro e dal piacevole tepore che
copriva tutto
il mondo per dodici ore o poco meno.
Era
ormai tardi, molto tardi, ma incredibilmente non avevo sonno
così come mio zio,
il cui riflesso vedevo sul vetro del finestrino, i capelli raccolti
indietro in
una piccola coda ma due ciuffi chiari che comunque gli ricadevano sul
viso.
L’aereo
era nel più totale silenzio. Attorno a noi dormivano quasi
tutti, alcuni con le
mascherine sugli occhi, altri cercavano di far addormentare i figli
ormai
sull’orlo dell’oblio.
Uomini
d’affari con gli occhi stanchi non rinunciavano a lavorare al
loro pc portatile
a costo di dover star svegli tutta la notte.
Per
questo, per paura di spezzare quel silenzio perfetto, parlai sottovoce.
«Come
hai conosciuto papà?», domandai
all’improvviso voltandomi verso di lui e
lasciando il capo poggiato al sedile.
Avevo
sempre voluto saperlo ma per un motivo o per l’altro non
avevo mai avuto
occasione di chiederglielo.
Sembrò
colto di sorpresa dalla mia domanda, ma subito dopo il suo sguardo si
addolcì,
velato da quel sentore di passato che avevano sempre tutti quando mi
parlavano
di ciò che era successo prima che io nascessi.
Di
ciò che avevano fatto per arrivare al futuro che avevamo ora.
«Ci
siamo conosciuti a scuola. Sai è strano perché
inizialmente… diciamo che volevo
toglierlo di mezzo. O, meglio, avevo il compito di testare le sue
capacità.
Così ingaggiai un combattimento con lui», disse
rivolgendomi un sorriso e
parlando con il mio stesso tono basso per evitare di disturbare.
Rimasi
sorpresa e lo guardai.
«Hurricane
Bomb Hayato Gokudera contro Tsunayoshi Sawada, semplice studente? Non
voglio
immaginare come è andata a finire…».
Non
che sottovalutassi mio padre, mi ricordavo bene la sua forza, ma allora
aveva
soltanto quattordic’anni e non sapeva ancora chi sarebbe
diventato.
Non
aveva nemmeno idea di chi fosse zio Hayato né che un giorno
avrebbe
effettivamente sposato la sua amata Kyoko come nei suoi sogni. Certo
nemmeno
zio Hayato avrebbe mai immaginato che si sarebbe fidanzato con colei
che amava
chiamare sempre e costantemente “dannata donna”, ma
questi sono dettagli.
«E
non puoi immaginarlo. Non mi sconfisse ma mi salvò la vita.
E da quel preciso
istante diventai il suo braccio destro», mi spiegò
sempre con quell’alone di
passato negli occhi.
Rimasi
a riflettere per qualche secondo su quelle parole.
Mio
padre aveva salvato la vita di mio zio, anche se pensava fosse suo
nemico.
L’aveva
fatto senza pensarci due volte, mettendo probabilmente a rischio anche
la sua
stessa vita.
Rimpiansi
ancora maggiormente il fatto di non averlo potuto conoscere come avrei
voluto,
ma ringraziai per la cento milionesima volta per il tempo che ci era
stato
concesso.
«Tuo
padre era fatto così. Era sempre pronto a mettere gli altri
prima di sé stesso.
Sicuramente era l’uomo più adatto a ricoprire il
ruolo di Decimo dei Vongola,
ed ora…».
Lasciò
la frase in sospeso voltandosi verso di me con un sorrisino enigmatico.
Mi
guardò, poi scosse la testa come a dire: “non
farci caso”.
Non
disse più nulla per tutto il viaggio lasciandomi
così, con quella frase a metà
ed una domanda senza risposta.
PAP
– Piccolo
Angolo Pazzo
Ciaossu!
Dunque
dunque… sembrava che tutto il gruppetto si fosse trasferito
a Namimori – ed in
effetti è proprio così – ma
improvvisamente c’è un ulteriore repentino ritorno
in Italia.
Eh,
lo so che potevo scriverlo prima, ma volevo – e dovevo
– mettere in luce il
trasferimento a Namimori, il centro focale di tutta la serie originale
e, molto
probabilmente, anche della Fic, anche se non escludo altri spostamenti.
Gran
parte della Fic deve essere ancora immaginata, quindi non si sa
mai…
E…
oh yeah! Gokuera e Haru stanno assieme! *tifo da stadio* Non ho potuto
farne a
meno, li adoro troppo insieme! xD Okay, ora basta u.u…
perché è arrivato il nostro
spazio ringraziamenti! *jingle radiofonico*
Ringrazio
le mie adorate Fel-chan e Revy-chan per essere così
adorabili,
per commuoversi ad ogni capitolo – giuro che non lo faccio
apposta! xD – e per
recensire sistematicamente ad ognuno! **
Dunque
dunque… hihi, in effetti è stato un po’
emozionante anche per me scrivere
Lilian già grande dopo averla fatta nascere, crescere
eccetera. Però… ci
voleva. E non vedevo l’ora, sinceramente **
Oh,
sicuramente sopravvivrà anche lei a Reborn, ma purtroppo il
nostro strafighissimo
finalmente adulto adorato Tutor arriverà soltanto
tra un pochino ^^” Non
uccidetemi per favore ^^” xD
Eeeeehhhh,
il momento per cosa lo scoprirete moooolto molto presto!! ** Grazie
mille di
nuovo adorate mie! **
Ovviamente,
non posso non ringraziare anche tutti coloro che leggono la Fic, anche
se mi
piacerebbe anche da voi un parerino piccolino piccolino hihi
A
presto!!
xoxo
Niki.
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Capitolo 11 *** 10 . Welcome back ***
10
.
Welcome back
Le ruote
dell’aereo toccarono
l’asfalto asciutto della pista d’atterraggio
dell’aeroporto di Firenze alle due
del pomeriggio precise. La voce metallica proveniente da uno degli
altoparlanti
ci avvisò di non slacciare le cinture di sicurezza fino al
completo arresto del
velivolo in cinque lingue diverse, tra le quali riconobbi anche il
giapponese,
anche se avevo capito la frase anche in italiano.
Mi
concessi di lanciare uno sguardo fuori dal finestrino e sospirai di
sollievo.
Eravamo
in Italia. Finalmente.
Fuori
dalle porte scorrevoli un SUV nero ci aspettava. Mi sentii un
po’ in uno di
quei film dove la figlia del Presidente degli Stati Uniti veniva
trasportata in
un luogo remoto e sconosciuto in Antartide per motivi di sicurezza.
Fortunatamente
non lo ero e non stavo andando in un posto ghiacciato.
Sistemai
la mia valigia nel baule, dopodiché presi posto accanto a
lui sul sedile
anteriore del passeggero e, allacciandomi la cintura, lo squadrai.
«Se
mi dici dove stiamo andando poi dovrai uccidermi?».
Una
breve risata gli nacque sulle labbra mentre imboccavamo
l’uscita per
l’autostrada.
«No,
ma non te lo dirò comunque», ghignò
malefico guardando la strada davanti a sé e
cambiando marcia con un movimento deciso del braccio.
Il
paesaggio cambiò rapidamente, assumendo gli aspetti
caratteristici della
Toscana in primavera.
Abbassai
il finestrino e, portando fuori la mano, lasciai che venisse
trasportata dal
vento, mentre le note di “Open Road” di Bryan Adams
vi si disperdevano
attraverso.
Life is an open road to me…
Mi
accorsi che eravamo quasi arrivati quando i lati della strada
iniziarono a
decorarsi di ciliegi in piena fioritura.
Inevitabilmente
mi tornò in mente casa mia, dall’altra parte del
mondo. Il Giappone,
d’altronde, era famoso per la presenza smisurata di ciliegi
che contribuivano a
rendere l’atmosfera dello Stato ancora più magica
non solo per i turisti ma
anche per i residenti.
Respirai
a fondo chiudendo gli occhi, godendomi il profumo di
quell’aria che sembrava
più nuova e più fresca di qualsiasi aria avessi
mai respirato prima.
Fui
quasi certa di aver sentito lo sguardo di mio zio addosso ma per una
volta non
ci feci caso, continuando ad ammirare la nuvola bianca che contornava
la strada
che stavamo percorrendo che ben presto si trasformò in un
vialetto di ghiaia
chiara.
«Incontrerai
una persona molto, molto importante oggi Lily».
Lily.
Da
quanto tempo non mi chiamava così.
Ammetto
che quella frase mi fece trasalire.
Non
tanto la frase in sé quanto il tono che usò per
pronunciarla. Mi voltai a
guardarlo, distogliendo a malincuore l’attenzione dal
paesaggio.
Teneva
lo sguardo fisso sulla strada, una mano sul volante e l’altra
sulle marce.
Pensai
che sembrava molto più grande di quanto non fosse. Molto
più vecchio della sua
vera età.
Feci
per dire qualcosa, chiedergli chi avrei dovuto incontrare ma lui fu
più veloce
di me, indicandomi sia con lo sguardo che con l’indice
qualcosa di fronte a
noi.
«Guarda.
Siamo arrivati».
Svoltando
l’ultima curva, di fronte a me si stagliò la
figura di un luogo che conoscevo
molto, molto bene.
E
che non vedevo da parecchi anni.
La
villa paragonabile ad un castello dove avevo trascorso cinque anni
della mia
vita e diverse settimane quasi ogni anno sembrò darmi il
bentornata con la sua
facciata di un bianco quasi accecante e le imposte verde scuro.
«Wow…»,
sospirai mentre zio Hayato parcheggiava.
Slacciai
la cintura e presi la mia valigia dal bagagliaio sempre con gli occhi
fissi
sulla casa.
Quella
casa che ricordavo piena di vita, il cortile dove avevo mosso i miei
primi
passi, il prato dove usavo giocare spessissimo, dove allestivamo
l’albero di
Natale.
E
poi entrammo assieme.
Il
salone era freddo ed esattamente come me lo ricordavo.
Grande.
Rivedere
il luogo dove mio padre aveva perso la vita mi fece trasalire mentre i
ricordi
di quella notte facevano la loro comparsa nella mia mente come
velocissimi
flash.
Strinsi
forte la maniglia della valigia per ricacciare indietro le lacrime che
inevitabilmente mi erano salite agli occhi mentre la mano di mio zio si
posava
leggera sulla mia spalla.
«Bentornata
a casa», sorrise posandomi un bacio sui capelli.
Già.
Bentornata.
La
mia camera era esattamente come la ricordavo.
Piccola
ed intima. Il mio piccolo mondo.
«Grazie
zio», dissi entrando e voltandomi verso di lui vedendolo
stringersi nelle
spalle e scuotere leggermente la testa.
«Non
ringraziarmi. Sei la mia unica nipote dopotutto».
Sorrisi
di un sorriso un po’ stanco, un po’ triste e con un
ultimo saluto con la mano
vidi allontanarsi mio zio probabilmente verso la sua stanza. Con un
sospiro mi
chiusi la porta alle spalle, girando due volte la chiave nella
serratura.
Rimasi con le spalle poggiate ad essa, assaporando la sensazione che mi
dava
essere finalmente ritornata a casa.
Ma
la prima sensazione che sentii fu una gran stanchezza.
Lasciai
il giacchino sul letto ed iniziai a disfare la valigia con estrema
calma,
riponendo con cura tutti i vestiti nell’armadio e nei
cassetti, aprendo la
portafinestra e lasciando entrare luce ed aria.
L’ultima
cosa che sistemai fu la fotografia della nostra famiglia –
mamma, papà ed io –
sul comodino accanto al grande letto, esattamente accanto alla
fotografia della
Famiglia, di tutti i miei zii e le mie zie.
Sorrisi
rivolgendo uno sguardo ad entrambe le fotografie dopodiché
mi chiusi in bagno
aprendo l’acqua e lasciandola scorrere.
Districai
i capelli, mi spogliai ed entrai sotto la doccia, lasciando che
l’acqua mi
scivolasse addosso togliendo, nel suo percorso, la stanchezza e la
pesantezza
che il lungo viaggio mi aveva procurato.
Chiusi
gli occhi e sorrisi.
D’accordo
che ero stanca, ma tornare a casa era una sensazione meravigliosa.
Uscii
dal bagno frizionandomi i capelli con un asciugamano, indossando
semplicemente
un paio di pantaloni color avorio ed una maglietta azzurra.
Uscii
a piedi nudi come facevo da piccola, camminando a passi silenziosi e
leggeri
verso l’atrio.
Riconobbi
ogni posto, ogni angolo, ogni stanza, ogni anfratto. E ad ogni luogo
corrispondeva un ricordo ben preciso. Fu come fare un salto nel
passato, praticamente.
Camminai
per il corridoio facendo passare la mano sul muro fino a quando non mi
ritrovai
in cima alla scalinata. Nuovamente l’atrio si
presentò di fronte ai miei occhi
in tutta la sua grandezza ed in tutta la sua dolorosa consapevolezza di
aver ospitato
la morte di un uomo.
Gli
unici rumori presenti provenivano dalla cucina. Scesi lentamente mentre
i
ricordi tornavano a bussare.
Il
buio della notte.
Un
uomo del quale non ricordavo il viso.
Mio
padre in cima alle scale che mi raggiungeva.
Un
bagliore azzurro nell’oscurità.
La
spada nel suo petto.
Il
suo ultimo respiro.
Tutti
flash nella mia mente che mi trovarono in piedi nel bel mezzo della
sala, i
pugni chiusi e le lacrime agli occhi. Di nuovo.
Forse
mi mancava più di quanto volessi dimostrare anche a me
stessa.
Sbattei
le palpebre un paio di volte ed uscii nel sole primaverile, dirigendomi
al
giardino posteriore.
Le
dieci lapidi perfettamente candide si stagliavano sul verde del prato.
Le
osservai tutte mentre mi avvicinavo, dalla prima alla decima di fronte
alla
quale mi fermai sedendomi sull’erba a gambe incrociate.
Sotto
la “X” il suo nome figurava fiero in chiare
lettere, tutto intero.
“Tsunayoshi
Sawada”.
Pensai
che non avevo mai sentito nessuno chiamarlo con il suo nome intero.
Per
tutti era Tsuna e basta. Mio padre non era stato solo quello per me, ma
un vero
e proprio modello da seguire, anche se avevo ereditato almeno una parte
della
sua sbadataggine.
Scossi
la testa con una breve risata sommessa prima di sentire dei passi
leggeri
dietro di me ed una voce che conoscevo molto bene.
«Sapevo
che ti avrei trovata qui».
PAP – Piccolo Angolo
Pazzo
Ciaossu!
Capitolo
un po’ di transizione, questo, e mi rendo conto che non dice
molto ma…
Finalmente
sono ritornati a casa tutti e due! Ed ora? Che cosa
aspetterà mai Lilian? E,
udite udite, ci sarà un brevissimo quanto immagino
inaspettato ritorno… chissà
di chi si tratterà… mah… xD
Come
sempre, lo scoprirete nelle prossime puntate! **
E
giungiamo di nuovo finalmente per la decima volta (la decima! Decimo
capitolo!
DECIMO! ** xD Okay, sto impazzendo, riconduco KHR a qualsiasi cosa xD)
allo
spazio ringraziamenti!
Ringrazio
Golden Brown per le graditissime
critiche costruttive ** Scrivendo questo capitolo mi sono impegnata
nell’allungarlo
rispetto agli altri e spero di esserci riuscita senza, come si dice,
“allungare
il brodo”. Grazie mille! **
E
come sempre ringrazio nuovamente le mie adoratissime Fel-chan
e Revy-chan. E
beh, Gokudera ed Haru, la coppia per eccellenza, non potevo lasciarli
ognuno
per la loro strada! E prometto che tra uno o due capitoli ci
sarà una scena
tutta per loro… non so di che genere, ma ci sarà!
xD D’altronde l’amore non è
bello se non è litigarello! xD E, sempre riguardo al nostro
caro Hayato… beh, è
italiano per tre quarti, quindi il suo siparietto è stato
inevitabile, non ho
saputo resistere xD E, chiaramente, felici (sia me che Gokudera) che vi
sia
piaciuto! **
Oh
cara la mia Revy, Reborn… già… se era
già letale da bambino, da adulto… beh, in
realtà devo ancora scriverlo xD Però prometto che
durante gli allenamenti le
darà del filo da torcere… con alcuni
aiutanti… e già ho detto troppo xD
Naturalmente,
grazie mille anche a tutti coloro che leggono la Fic e
l’hanno messa tra le
preferite/seguite/ricordate! **
Ricordate
che la Fic va avanti anche grazie a voi! Anzi, solo
grazie a voi! **
Al
prossimo capitolo!
xoxo
Niki.
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Capitolo 12 *** 11 . Generazioni a confronto ***
11 .
Generazioni
a confronto
Mi voltai di
scatto.
Mia madre, in piedi dietro di me, mi
guardava con un sorriso sulle labbra ma la tristezza negli occhi.
Quella stessa
tristezza che vedevo da anni sul suo volto ogni qualvolta che si
parlava di
papà e di come se n’era andato.
Anche se tentavamo di non toccare
l’argomento più di tanto, quando giungeva
l’anniversario era inevitabile.
Mi alzai, sorridente, ed andai
immediatamente ad abbracciarla, chiudendo gli occhi.
Riconobbi il suo profumo, la morbidezza dei
suoi capelli, la gentilezza delle sue mani quando mi accarezzarono il
viso, la
dolcezza del suo sorriso.
«Alla fine non sono davvero potuta
mancare», sorrisi, voltandomi di nuovo verso la lapide
assieme a lei.
Erano già passati undic’anni dalla sua morte.
Undic’anni durante i quali sì, io ero andata a
scuola come tutte le ragazze,
vivendo una vita più o meno normale, facendomi degli amici,
ma nella Famiglia,
per quel poco che mi era concesso sapere, era persistito uno stato di
calma
apparente. Come si soleva dire, la calma prima della tempesta.
La nostra Famiglia e quella rivale
appartenente alla Yakuza erano rimaste a guardarsi da lontano, a
scrutarsi
attentamente, a studiare ogni più minimo movimento
l’una dell’altra, in un
clima di forte tensione.
Ed ora sembrava che la bomba stesse per
esplodere da un momento all’altro.
Chi sarebbe stato raso al suolo dipendeva
soltanto da noi e da come avremmo agito.
«Tesoro…», disse mamma prendendo un gran
respiro ed abbassando lo sguardo, per poi guardarmi nuovamente.
«tu sai che dovrai…»
«Incontrare una persona molto, molto
importante? Sì, zio Hayato me l’ha detto durante
il viaggio, ma non ha
accennato minimamente a chi fosse», dissi alzando lo sguardo
verso di lei e
facendo spallucce.
Guardai il cielo limpido e terso sopra di
noi.
Quello stesso cielo dove riposava mio
padre e di cui era stato il Guardiano.
La risata breve di mamma mi fece
distogliere lo sguardo.
«Me l’aspettavo da lui, tuttavia… ora
che
sei qui è giunto il momento di dirti qualcosa».
Cinque
minuti più tardi mi ritrovai seduta
di fronte al grande specchio in camera di mia madre, i lunghi capelli
castani
sciolti lungo la schiena.
«Hai gli stessi occhi di tuo padre.
Così…», disse iniziando a spazzolarmi i
capelli lentamente e con dolcezza,
lasciando la frase in sospeso.
Era un gesto così dolce, così spontaneo e
così normale che mi tranquillizzai subito. Allontanarmi da
casa mi metteva
sempre una certa ansia, anche se sapevo perfettamente che la mia
destinazione
era pur sempre anche quella casa, ma dopo la doccia ed adesso
l’ansia stava
lentamente scivolando via come un velo di pizzo.
Il silenzio permase per molti minuti prima
che lei parlasse.
«Lilian… quando tu sei nata tuo padre era
il boss di questa Famiglia. Il Decimo. E proprio perché era
il Decimo ha avuto
dei predecessori», disse seria, ripetendomi ciò
che sapevo già.
La guardai attraverso riflesso dello
specchio, notando la difficoltà che le stava costando dirmi
ciò ma non si
fermò, continuando a spazzolarmi i capelli per tutta la loro
lunghezza.
«Quando è morto… al suo posto
è salito
nuovamente il Nono a comando della Famiglia. Era già molto
anziano, allora».
Avevo visto il Nono boss, Timoteo,
soltanto in alcune vecchie fotografie.
Era stato proprio lui a decidere mio padre
come successore, probabilmente vedendoci le capacità e le
potenzialità
necessarie per guidare la Famiglia, in futuro.
Ci aveva visto giusto, indubbiamente.
Mamma prese una forcina dal suo portagioie
e la usò per fermare lo chignon perfetto che solo lei sapeva
fare e che prima o
poi, mi ero fatta promettere, mi avrebbe insegnato.
«Ma ora sta morendo e… qualcuno deve
prendere il suo posto», disse posandomi le mani sulle spalle
accarezzandole
distrattamente e sorridendomi rassicurante dallo specchio.
Rimanemmo a guardarci, madre e figlia, per
qualche interminabile secondo prima che lei mi
“obbligasse” ad un cambio
d’abito e mi consegnasse a zio Ryohei, fuori dalla porta.
Prima di lasciarmi andare mi abbracciò e
con un sorriso mi affidò a suo fratello.
Lui mi condusse in un’ala della casa che
non avevo mai visto o che forse semplicemente non ricordavo.
Ci fermammo di fronte ad una porta, in
fondo al corridoio.
Mio zio notò che ero agitata – no, in
realtà ero molto di più che agitata – e
mi sistemò leggermente il colletto
della camicia candida che mamma mi aveva fatto indossare.
«Ehi, non ti preoccupare. Il Nono è un
uomo molto… molto estremo! In senso buono,
naturalmente».
Mi sorrise e con un ultimo sguardo di “estremo
incoraggiamento”, come avrebbe detto lui, mi
lasciò.
La porta sembrava molto più grande di
quanto non fosse e cercai di darmi una calmata facendo respiri lenti e
profondi.
Presi un ultimo, grande respiro, drizzai
le spalle e bussai.
«Avanti».
Abbassai
la maniglia della porta, entrando
e richiudendomela alle spalle subito dopo, lentamente ed in silenzio.
La stanza era molto grande e le tende alle
finestre creavano una penombra quasi opprimente che sembrava voler
togliere il
respiro.
«Già, lo penso anch’io».
Una voce roca, profonda e maschile
provenne dal buio.
In altre occasioni sarei forse stata
spaventata ma quella voce, nonostante fosse così cavernosa,
era stata anche
così gentile che…
Un colpo di tosse mi fece trasalire mentre
ancora rimanevo accanto alla porta non intenzionata, almeno per il
momento, a
muovermi da là.
«Bambina… ti dispiacerebbe scostare le
tende, per favore? Odio questo tremendo semi buio».
Nella sua voce gentile sentii un sorriso.
Cercai di rallentare il battito del mio
cuore e mi mossi, raggiungendo le tende. Con un gesto veloce delle
braccia le
scostai, inondando la stanza di una luce vitale e calda. Dovetti
chiudere per
un momento gli occhi per abituarmi alla nuova illuminazione, ma quando
li
riaprii di fronte a me, oltre l’immensa finestrata, si
aprì il panorama più
bello che avessi mai avuto modo di vedere.
Mille cespugli di rose iceberg adornavano
il giardino, assieme a mille alberi di ciliegio in fiore, creando un
bellissimo
effetto di nuvole bianche.
«Meraviglioso, vero?».
Sobbalzai voltandomi immediatamente in
direzione di quella voce che stavolta mi colse molto più
vicina di quanto fosse
prima.
Il Nono boss dei Vongola, Timoteo, mi
osservava con occhi forse un po’ spenti, rivolgendomi un
sorriso e sorreggendosi
al bastone.
Trovarlo là davanti a me fu strano. Per me
era sempre stato una specie di leggenda. Una persona di cui tutti mi
avevano
parlato ma che non avevo mai visto se non in alcune vecchie fotografie
sbiadite
dal tempo. Colui che aveva guidato la Famiglia prima di mio padre.
«Lilian Sawada», disse sempre sorridente.
Alchè riuscii ad aprirmi anch’io o,
quantomeno, a non rimanere tesa come una corda di violino.
«Ti prego di scusarmi se mi presento così
ma…», disse riferendosi alla vestaglia in seta blu
che indossava.
«Oh no, assolutamente non deve scusarsi,
tantomeno con…».
La sua leggera e ruvida risata bloccò la
mia frase, facendomi finalmente sorridere.
«Allora non era una bugia. Sei davvero identica
a tuo padre. Si vede anche dai tuoi occhi», disse
indicandoli.
Lentamente mi stavo rendendo conto che
colui che avevo di fronte non era solo ed esclusivamente il Nono boss
dei
Vongola, ma prima di tutto era un uomo. Un uomo come gli altri e questo
in un
certo qual modo mi rassicurò.
«Mi hanno detto che… doveva parlarmi»,
deglutii guardandolo timorosa di avere di fronte un uomo
così… grande. Così
potente, così importante…
Lui tornò a guardare fuori dalla finestra
ed annuì.
«Sì, ma prima mi piacerebbe parlare un
po’
con te, se non ti spiace».
Di lì a pochi minuti venni sottoposta ad
un piacevole “interrogatorio” da parte del Nono che
ben presto si trasformò in
una vera e propria chiacchierata.
Iniziai a pensare che probabilmente mi
stava facendo tutte quelle domande solo per capire se mio padre avesse
fatto la
cosa giusta oppure no nel nominare me come successore, ma non ci pensai
troppo
e ben presto mi accorsi che era bello parlare con lui. Che, sebbene
stesse
morendo, era ancora un uomo solare.
Per un po’ mi godetti soltanto la
sensazione di parlare con un uomo che avrebbe sicuramente potuto essere
mio
nonno, un uomo con una saggezza indubbiamente maggiore della mia da cui
imparare.
«Ah, me lo ricordo tuo padre. L’ho
conosciuto quando ancora era un bambino, sai. Ma in un certo senso ho
capito
subito che sarebbe stato lui a dovermi succedere»
«Come lui ha fatto con me», dissi prima
che calasse il silenzio ed il sorriso del Nono si affievolisse. Il suo
sguardo
andò a perdersi lontano, forse ricordando il passato, forse
immaginando il
futuro.
«Ehm… forse è il caso che io me
ne…»,
dissi alzandomi.
«Lilian».
La voce del Nono, stavolta più dura. mi
fece voltare nuovamente verso di lui.
Era stato quasi imperioso ed il suo sguardo
mi trafisse da parte a parte quando lo incrociai nuovamente.
«C’è qualcosa che devi
sapere».
Ciò che mi disse cambiò tutto il mio
presente e tutto il mio futuro.
PAP – Piccolo
Angolo Pazzo
Ciaossu! E,
oltretutto, buona Pasquaaaaaa anche se in
ritardo di un giorno xD
Dunque dunque… beh, ecco svelato chi era la
“persona molto molto importante”
che Lilian avrebbe dovuto incontrare. Purtroppo il Nono sarà
presente soltanto
per due capitoli percui nonostante la sua importanza, nella Fic
sarà soltanto
un personaggio di passaggio. Ho cercato di renderlo al meglio anche se
nell’anime
non si vede poi moltissimo e… beh, spero di esserci riuscita
anche se la sfida
maggiore – Reborn xD – deve ancora arrivare.
Domanda principale: che cosa mai dovrà
sapere Lilian? mah… lo scoprirete nelle prossime puntate!
E come sempre,
spazio ringraziamenti!
Tatatatàààà xD
As always, ringrazio le mie carissime Fel-chan
e Revy-chan. Sono molto
contenta che vi sia piaciuto il ritorno alla
villa anche perché nella prima versione del capitolo
– relegata al momento in
un cassetto xD – quella parte era molto più
piccola di quanto è stata adesso e,
quindi, molto meno rilevante, cosa che non volevo essendo comunque un
momento importante
per Lily. Con questo capitolo si è scoperto chi era la
persona che ha parlato
alla fine del precedente e, appunto, anche chi doveva incontrare,
l’inaspettato
ritorno. Ma, come sempre, entreranno molto molto presto – con
il prossimo
capitolo xD – dei nuovi personaggi… e con i
seguenti ci saranno anche altri
ritorni… hihi Chissà,
chissà…
Come sempre
ringrazio anche chiunque abbia
messo la Fic tra le preferite/seguite/ricordate e chi semplicemente
legge **
Al prossimo
capitolo!
xoxo Niki
|
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Capitolo 13 *** 12 . Nuovi piani e Chardonnay ***
12 . Nuovi
piani e Chardonnay
Brasile.
Base Isogai.
L’elegante berlina nera si fermò sulla
ghiaia del vialetto della grande villa.
Ne scese un ragazzo giovane, i capelli
scuri e gli occhi verdi rivolti verso il cielo plumbeo.
Finalmente, dopo infinite ore di viaggio
dall’Italia, era giunto alla base.
Si sistemò meglio il colletto del cappotto
e, senza una parola, attraversò le porte vetrate che lo
introdussero nel grande
e luminoso atrio.
Percorse i lunghi corridoi con passo
veloce, il suo solito, lo sguardo fisso e fiero di chi è a
conoscenza di cose
che altre persone, quelle ordinarie, non sognano nemmeno.
Né potrebbero mai immaginare.
Era giovane, ma all’interno del Clan
godeva di un alto rispetto dovuto al fatto che aveva mostrato
capacità più che
eccellenti sin da bambino, anche grazie alla ferrea educazione che
aveva
ricevuto. Tutto il suo passato, tutta la sua infanzia era stata
costellata da
allenamenti di qualsiasi tipo. Aveva dovuto imparare presto a
combattere corpo
a corpo, a maneggiare sia le armi da fuoco che da taglio, sotto lo
sguardo
severissimo di un padre rigido ed insensibile e di una madre succube
del marito
che non poteva dire nulla sulla severità e la violenza con
la quale soltanto
lui lo educava. Sì, era nato e cresciuto in un ambiente duro
e non adatto ad un
bambino, ma ciò gli aveva permesso di essere, a diciotto
anni, uno dei migliori
del suo Clan.
La porta scorrevole gli si stagliò davanti
prima di quanto si aspettasse, perso nei suoi pensieri.
Lanciò uno sguardo alla guardia di fronte
a lui.
«Sono qui per parlare con il boss»
«Non è possibile. È occupato al
momento,
non può ricevere nessuno», sbraitò
l’altro con un fortissimo accento spagnolo.
Lui sospirò infilando le mani nelle tasche
dei jeans scuri, alzando volutamente gli occhi al cielo in un gesto
palesemente
spazientito. Era già stata una giornata dura, viaggiare
dall’Italia al Brasile
non era una passeggiata e non voleva avere da litigare anche con un
armadio a
quattro ante senza un briciolo di cervello, buono solo a stare
là in piedi.
Distolse lo sguardo, indispettito, e tornò
a fissarlo cercando di mantenere i nervi saldi come gli era stato
insegnato.
«Mi ha incaricato personalmente per questa
missione quindi, se non ti spiace…».
L’uomo era molto più alto e molto più
grosso di lui, ciononostante riuscì con facilità
a sorpassarlo ed entrare nello
studio del boss.
«Hijo de…».
La porta si richiuse velocemente dietro di
lui zittendo la voce della guardia, ma non ci voleva una scienza per
capire
come sarebbe finita la frase. Bastava semplicemente conoscere un
po’ di
spagnolo alla fin fine.
Si guardò attorno.
La stanza era grande e luminosa, seppure
alle finestre vi fossero spesse tende scure, pannelli di legno lucidato
alle
pareti e mobili in mogano così come la grande scrivania
decorata da diversi
intarsi, tutti inevitabilmente correlati al Clan, posta di fronte ad un
dipinto
probabilmente Ottocentesco il cui artista lui non riconobbe.
Drizzò le spalle con un sospiro e, con
passo tranquillo ma solenne, si avvicinò ad essa.
«Boss?», chiamò rispettosamente, notando
soltanto la mano che reggeva elegantemente un calice di vino rosso, la
poltrona
voltata verso il dipinto.
«Ci sono novità?», domandò
senza accennare
a voltarsi.
Il ragazzo prese un gran respiro ed intrecciò
le dita delle mani dietro la schiena in una posizione composta ed
elegante allo
stesso tempo, rispettosa del ruolo che ricopriva il boss, come sempre.
«Sì, boss. La ragazza è giunta alla
villa
proprio oggi», spiegò, iniziando leggermente ad
innervosirsi per l’atmosfera
che andava creandosi all’interno dello studio e per il fatto
di non poter
guardare il suo boss negli occhi. Il contatto visivo, stranamente, era
una cosa
che lo tranquillizzava, che lo rassicurava.
Vide la sua mano muoversi, facendo girare
il liquido rosso all’interno dell’elegante
bicchiere.
In tutti quegli anni aveva imparato a
riconoscere ogni movimento del suo capo e quello, unito al suo
silenzio, gli
fece capire che stava pensando, ragionando, creando la prossima mossa,
sperando
che fosse quella giusta. Quella decisiva per far crollare
definitivamente una
volta per tutte la Famiglia Vongola.
Dopo un interminabile, oppressivo silenzio
parlò nuovamente.
«Molto bene. Tienila d’occhio. Non
possiamo permettere che i Vongola tornino ad avere il potere che
possedevano
prima».
Quella frase fece storcere il naso al
ragazzo e ringraziò che il boss non potesse vederlo.
I Vongola, da quando era morto il Decimo,
non avevano perso del tutto il loro potere.
Semplicemente si erano trovati in una
situazione estranea che aveva portato ad una conseguente riduzione del
potere,
causata dalle molte difficoltà che avevano dovuto
affrontare.
Sarebbe potuto capitare a tutti… persino a
loro. Ma certamente non si stava mettendo dalla loro parte. Stava
semplicemente
facendo una piccola considerazione pratica.
«È chiaro?», chiese il boss, bevendo un
sorso di vino, svuotando il bicchiere.
Lui annuì e drizzò nuovamente le spalle
come ogni volta che gli veniva affidato un nuovo compito.
«Chiarissimo», rispose composto.
«Bene. Puoi andare e… per favore, quando
esci dì a Roberto di portarmi un’altra bottiglia
di Chardonnay»
«Certo, boss», disse facendo qualche passo
indietro. Soltanto dopo voltò le spalle.
Uscì dallo studio, rivolgendo uno sguardo
ed un sorrisetto strafottente all’uomo, dopo avergli
comunicato l’ordine del boss,
sicuro che non gli avrebbe fatto piacere e che volentieri gli avrebbe
tirato un
destro ben piazzato. Ma non l’avrebbe fatto. Non aveva il
fegato per farlo, per
essere messo in cattiva luce agli occhi del boss, il quale aveva
proibito
categoricamente le risse o qualunque tipo di scontro
all’interno della base. Di
qualsiasi base in ogni parte del mondo.
«Se volete picchiarvi fatelo fuori… non
voglio problemi interni, è chiaro?», aveva detto
con una severità pari a pochi,
quella volta.
Il ragazzo raggiunse nuovamente l’auto e
salì, sorridente.
Nulla era più bello dell’intraprendere una
nuova missione.
PAP – Piccolo
Angolo Pazzo
Ciaossu!
Bene bene, che dire di questo capitolo. Ci
ho messo tutta la mattina a scriverlo xD Ma spero che il risultato
sia…
accettabile xD
Un po’ misterioso, lo ammetto… abbiamo
capito di essere in casa Isogai, ma chi sarà questo ragazzo?
Come si chiamerà? Ed
il Boss? Che cosa avrà in mente?
Come sempre, tutto nelle prossime puntate!
Ed
eccoci nuovamente arrivati allo spazio
ringraziamenti!
Oooovviamente,
ringrazio le mie adorate Fel-chan e
Revy-chan.
Contenta di aver più o meno rappresentato
il Nono IC anche perché, a quanto ho capito, nemmeno nel
manga si vede
moltissimo.
Per quanto riguarda Reborn… oddio, giuro
che ho il terrore, ma spero davvero spero che la mia versione di Reborn
sia il
più fedele possibile e che, soprattutto, vi piaccia!
Già ho il capitolo pronto
nel quale fa la sua comparsa, quindi… incrocio le dita! Hihi
Come
sempre, ringrazio nuovamente chiunque
abbia messo la Fic nelle preferite/seguite/ricordate e chiunque legge
in
silenzio hihi **
Al prossimo capitolo!
xoxo Niki
|
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Capitolo 14 *** 13 . Scambio di ruoli ***
13 . Scambio
di ruoli
Lo
sguardo che il Nono mi lanciò mi fece rabbrividire e mi
avvertì che era meglio
che rimanessi ad ascoltarlo.
Così feci, infatti, restando in piedi nel
bel mezzo della stanza, la tensione che andava aumentando ogni secondo
che
passava.
Ammetto che temevo di sentire ciò che
doveva dirmi, ma lo ascoltai comunque, sedendomi nuovamente di fronte a
lui,
composta, quando me lo chiese.
«Quando è morto tuo padre, tu lo sai, io
ho preso il suo posto e… immagino tu sappia come
è morto, vero?».
Annuii deglutendo.
Me lo ricordavo ancora molto bene com’era
morto ed il ricordo bastava per farmi stringere il cuore ogni volta. Ma
sarei
diventata più forte. Non mi sarei più fatta
indebolire dalla sua mancanza. Non
avrei mai più permesso che qualcuno usasse la morte di mio
padre come arma
contro di me.
«Lo so. Ero presente. Tuttavia nessuno mi
ha mai detto chi sia stato il responsabile. Il colpevole»,
dissi a voce bassa,
quasi come non volessi dirlo. Quasi come non
volessi ricordare quella
maledetta notte quando la mia vita era cambiata per sempre.
Quasi non avrei voluto nemmeno pensarlo. Ma
una cosa che volevo sicuramente era trovare chi l’aveva
ucciso e… e non lo
sapevo. Ma sicuramente l’avrei trovato anche se nessuno me
l’avesse detto.
Era come se tutti attorno a me lo
sapessero ma che nessuno volesse mettermene al corrente
poiché tutti credevano
che fossi ancora troppo piccola.
Io, personalmente, pensavo che in realtà
avessi il diritto di sapere chi aveva ucciso mio padre, ma purtroppo,
al
momento, all’interno della Famiglia non avevo nessuna
autorità.
Il silenzio calò nuovamente, pesante come
un macigno.
«Lilian devi sapere che…»,
sospirò.
Sembrava quasi non volesse continuare la
frase, ma pochi secondi più tardi tornò a
parlare, guardandomi fissa negli
occhi.
«La nostra Famiglia è in pericolo,
Lilian».
Drizzai la schiena a quella frase.
Non era una novità che la nostra Famiglia
fosse in pericolo, ma se quella volta aveva voluto addirittura
incontrare me
allora la situazione era ben più grave di quanto pensassi.
«Si tratta di una Famiglia di cui
conosciamo la presenza da anni, da ancora prima che tu nascessi e che
ultimamente
ha iniziato a darci non pochi problemi».
Lo ascoltai in silenzio, rapita ma con uno
strano presentimento che iniziava a farsi strada.
All’improvviso, dopo
l’ennesimo colpo di tosse, rialzò lo sguardo verso
di me, facendomi capire che
non ero più di fronte ad un semplice uomo. Ora ero di fronte
al Nono boss della
Famiglia.
«Sono pericolosi, Lilian. Molto più
pericolosi di quanto fossero quindic’anni fa».
Rabbrividii.
«E non si può far nulla? Insomma… siamo
la
Famiglia più potente della mafia!», esclamai
alzandomi dalla sedia di scatto,
senza un apparente motivo, guardandomi attorno e poi tornando a
guardare lui
che continuava a fissarmi.
Probabilmente quella notizia mi aveva
colpita nel modo assolutamente più sbagliato.
«Non più».
Bastarono quelle due semplicissime parole
a farmi rabbrividire come fosse stata appena aperta una finestra dalla
quale
fosse entrata una folata di vento gelido.
«N-non più?», domandai incerta.
No… avevo
capito male?
«No, non più. Senza tuo padre e con un
boss come me nemmeno in grado di reggersi in piedi senza un appoggio, i
Vongola
sono lentamente andati a fondo. Certo, deteniamo ancora una buona parte
del
nostro potere ed il nostro nome è ancora
rispettato… ma tutto questo
semplicemente perché non abbiamo più
subìto un attacco frontale come sembra che
si stiano preparando a fare loro».
Rimasi in silenzio, guardando l’uomo di
fronte a me, chiedendomi soltanto una cosa.
«Perché sta dicendo tutto questo a me?»,
domandai con la voce tremante per il peso delle informazioni che mi
erano state
date. E che non erano ancora finite.
Lui sospirò alzandosi a fatica e venendomi
accanto.
«Perché tu sarai colei che dovrà
guidare
la Famiglia una volta che io sarò morto. E credimi, non
manca poi molto».
Sempre sorreggendosi al bastone raggiunse
la scrivania dall’altra parte della stanza.
«Sì, ma perché a me? Perché
non ai
Guardiani di papà? Io… io non so niente
di…»
«Esattamente per questo», mi interruppe
cercando qualcosa dentro un cassetto.
Non capii e la mia espressione fu più che
eloquente.
«Lilian, esattamente perché sei nuova a
questo mondo lo dico a te. Se lo dicessi ai Guardiani partirebbero
immediatamente senza tener conto che il boss, dopo di me, sarai tu. E
dovrai
essere pronta per quando ci attaccheranno. Cosa che
accadrà».
Si fermò un momento, rialzando lo sguardo
verso di me.
Lo sapevo che avrei dovuto diventarlo
prima o poi, ma sentirlo dire così apertamente fu strano.
Quasi emozionante.
Senza quasi.
«È compito tuo, non loro. E se lo dicessi
a loro tu non avresti modo di crescere come ha fatto tuo padre,
diventando un
grande boss, facendo le scelte giuste, proteggendo la tua
Famiglia».
Si rialzò dal cassetto richiudendolo e
tornando di fronte a me lentamente, sempre sorreggendosi al bastone.
Tra le mani teneva una scatolina che mi
porse.
«Il loro boss è fuggito dalla prigione dei
Vindice molti anni fa. Non si è ancora scoperto come. Ma
questo, ti chiedo, non
dirlo a nessuno nel modo più assoluto. Il resto della
Famiglia chiaramente
conosce il nostro stato, il fatto che c’è qualcuno
che vuole attaccarci ma non
che il loro boss è riuscito a sfuggire ai Vindice. Il
che… il che lo rende
molto più pericoloso di quanto noi tutti ci aspettiamo. Non
si riesce a
sfuggire ai Vindice così facilmente. Dev’essere
per forza stato aiutato da
qualcuno», disse pensieroso, indicandomi poi la scatola che
tenevo tra le mani.
«Là dentro ci sono sette anelli,
esattamente uguali a quelli che avevano tuo padre e gli
altri», mi sorrise
dolcemente e così feci io, ringraziandolo con gli occhi.
Dopo aver ricevuto
delle notizie del genere entrambi sembravamo più stanchi,
più provati e, almeno
io, con un peso più grande sulle spalle.
«Torna a casa, bambina, trova i tuoi
Guardiani. Sono sicuro che sarai un grande boss esattamente come lo
è stato tuo
padre», disse.
Ringraziandolo un’ultima volta mi
allontanai.
Il suo sguardo permase su di me fino a
quando non mi chiusi la porta alle spalle.
Uscii
dalla stanza del Nono con la scatola
che mi aveva affidato.
Sembrava pesante come un macigno nelle mie
mani.
Percorsi il corridoio deserto mentre le
sue parole continuavano a vorticare sempre più velocemente
nella mia testa.
Non avevamo più la Famiglia più potente
della mafia.
Alla morte del Nono, che a quanto pareva
da quanto aveva detto lui stesso non doveva essere molto lontana
purtroppo, la
sottoscritta sarebbe dovuta diventare boss.
O, quantomeno, iniziare a diventarlo sotto
ogni punto di vista.
Rientrai nella mia stanza posando la
scatola sul comodino e scioglie nomi finalmente i capelli.
Mi lasciai cadere di peso sul letto
sospirando sonoramente e fissando il soffitto.
Non sapevo che cosa mi aspettasse né
tantomeno come avrei dovuto affrontare un possibile attacco esterno.
Io… io non sapevo niente! I miei genitori
avevano insistito per crescermi nel modo più semplice,
più normale possibile,
lontana dal mondo della mafia e fino ad un certo punto avevano fatto
bene, ma
loro stessi per primi avrebbero dovuto sapere che sarei dovuta
diventare boss a
mia volta! D’accordo, sin da bambina mi avevano permesso di
stare accanto ai
Box Heiki ma ora… ora mi rendevo effettivamente conto che
non era stato
abbastanza.
Che forse avrebbero dovuto prepararmi prima,
non dal punto di vista fisico o di abilità quanto dal punto
di vista
psicologico, così da non ritrovarmi a sedic’anni
ad essere terrorizzata dal
fatto di diventare boss ed a non sapere nulla su che cosa avrei dovuto
fare.
Oltretutto, il fatto di non poter dire
nulla riguardo al boss del Clan rivale alla nostra Famiglia mi stava
già
pesando ed il fatto che nessuno lo sapesse oltre a me era parecchio
strano,
almeno da come la vedevo io.
Non mi piaceva mentire, tantomeno alle
persone a cui volevo bene, ma se era un ordine del Nono
l’unica cosa che avrei
potuto fare sarebbe stata rispettarlo e tenere la bocca chiusa.
Voltai la testa. Il mio sguardo incontrò
il cofanetto che Timoteo mi aveva affidato. I sette anelli dei Vongola.
Chissà
se sarei stata mai in grado di portare l’anello del Cielo
come l’aveva portato
mio padre. Non per essere pessimista, ma avevo i miei seri dubbi al
riguardo.
«Hayato!».
La voce della fidanzata trafisse le
orecchie del povero Guardiano della Tempesta, la cui unica colpa era
quella di
aver sottratto un pezzetto di fragola dalla ciotola della macedonia che
lei
stava preparando, tagliando accuratamente frutto per frutto.
«Che differenza farà mai una fragola in
meno o una in più?»
«Giuro che se lo fai un’altra volta ti
butto fuori dalla cucina», lo minacciò
sventolandogli il coltello sotto al
naso, sapendo anche perfettamente che prima di tutto non gli avrebbe
fatto
paura ed in secondo luogo se avesse voluto sarebbe stato capace di
toglierglielo dalle mani in un nanosecondo.
«D’accordo, mi arrendo», disse lui
facendo
un passo indietro ma riappoggiandosi nuovamente al piano di lavoro con
le
braccia, guardandola. Era strano come a volte
il futuro potesse
essere totalmente diverso di quanto ci si possa mai aspettare.
Sin dal primo momento in cui si erano
visti, quei due avevano fatto fuoco e fiamme. E non in senso buono come
si
potrebbe pensare.
E sempre per lo stesso motivo comune:
Tsuna.
La prima era – o credeva di essere –
innamorata di lui dal primo sguardo ed il secondo era pronto a dare la
vita per
lui. Entrambi volevano dimostrare di tenere al Decimo più
dell’altro ed alla
fine entrambi erano giunti alla conclusione che non era un discorso di
quantità
ma più che altro ciò che bastava era il fatto che
tutti e due lo amavano
davvero, chi in un modo, chi in un altro. Due modi totalmente diversi
di amare,
eppure allo stesso tempo così simili. Come si erano scoperti
loro.
All’improvviso era scattato qualcosa,
probabilmente durante il primo viaggio nel futuro.
Mentre Tsuna ed i Guardiani erano fuori,
Haru aveva iniziato a rendersi conto che non era più solo il
Decimo quello a
cui pensava, non era più solo per lui che si preoccupava,
non era solo il suo
ritorno quello che attendeva sempre con il cuore agitato.
E Gokudera stesso aveva iniziato a
provocarla di proposito, non pensando mai una delle frecciatine che le
lanciava, perché ogni minuto passato con lei era
improvvisamente diventato
prezioso, anche fosse soltanto passato a bisticciare per le cose
più assurde.
Anche se chiaramente nessuno dei due aveva
detto nulla all’altro per diverso tempo, alla fin era stato
inevitabile. Si
erano confessati entrambi nello stesso momento, dopo
l’ennesimo finto litigio.
Un sorriso comparve sul volto del
Guardiano, prima di venire distolto dai suoi pensieri da Haru, che
trovò ad
osservarlo.
«A che pensi?», domandò tagliando una
mela
a metà con un solo ed unico movimento deciso.
Lui scosse la testa e la guardò,
mantenendo quel leggero sorriso che gli era comparso sul viso pensando
a tutto
ciò che avevano passato per arrivare a quel punto.
«Sei proprio bella quando cucini, lo
sai?», domandò avvicinandosi lentamente, lo
sguardo di lei puntato in quello di
lui.
«Non ci provare», sorrise Haru
lanciandogli uno sguardo.
«Devo ancora?», domandò di rimando lui,
ironico, raggiungendola e togliendole il coltello dalle mani.
«Uhm… forse sì…»,
sorrise, lasciandolo
fare mentre si avvicinava lentamente, in modo quasi esasperante.
Ma nel momento esatto in cui le loro
labbra stavano per incontrarsi qualcosa li interruppe, distogliendo la
loro
attenzione.
«Mi dispiace ma non è davvero il momento
ragazzi, kora!».
Kora?
PAP – Piccolo
Angolo Pazzo
Ciaossu!
Dunque dunque… beh, finalmente il caro
“nonnino”
ha consegnato gli Anelli a Lilian. E fin qui tutto bene. Abbiamo
scoperto,
inoltre, che il boss degli Isogai è riuscito in qualche modo
– che si scoprirà
più avanti – a sfuggire ai Vindice,
perciò diciamo pure che è un pezzo grosso.
Insomma,
quanti riescono a sfuggire ai controlli dei personaggi più
inquietanti e temuti
della saga? Almeno da parte mia… xD
Come promesso, ecco arrivare anche la scena
dei nostri cari piccioncini! Che spero di aver reso al meglio! Hihi
Oltretutto ecco comparire, proprio alla
fine, una parolina che tutti noi conosciamo molto bene. Ed ecco il
primo
rientro in scena!
Passiamo
al nostro classico appuntamento. Lo
spazio ringraziamenti!
Ringrazio Fel-chan in primis ** Costui…
eeehhh xD Chissà, chissà che ruolo
avrà nella Fic… mah. Posso dire che non
sarà esattamente marginale, anzi! Eh già
già, arrivano fino dal Brasile ma l’epicentro
è, come sempre, il Giappone hihi
Contentissima che ti sia piaciuta la
figura del boss ** Creare un nuovo capofamiglia mi sembrava un azzardo,
ma d’altronde
serviva. Oltretutto, posso dire che tra diversi capitoli –
non so quanti, sono
arrivata al quindicesimo ^^” – ci sarà
un grande colpo di scena proprio riguardo
al boss del Clan Isogai. Uomo avvisato mezzo salvato u.u xD Scherzo
E come sempre
ringrazio anche la mia Revy-chan.
Beh, felice che ti piacciano
i personaggi che bevono vino! xD Quel bicchiere è comparso
misteriosamente
nella sua mano… inizialmente la scena non doveva essere
così. Anzi, in realtà
doveva essere totalmente diversa, ma rileggendo il tutto mi sono resa
conto che
è effettivamente meglio così. Conferisce tutta
un’altra atmosfera alla scena
che era proprio quella che volevo. Termine passato cara! xD
“Il
pregio più grande del tuo scrivere è il modo in
cui rendi vivide le scene, il
modo in cui riesci a farmi immedesimare, con parole semplici ma ben
scelte!”
Oh
mamma, se prima ero io a far piangere
voi ora siete voi a far commuovere me ç_ç Ma
grazie mia cara ** Giuro, non me l’aspettavo
*//* Grazie mille di nuovo mia cara! **
Sperando che questo capitolo
vi sia
piaciuto – a me personalmente sì…
strano xD – rimando il nostro appuntamento al
prossimo!
xoxo Niki
|
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Capitolo 15 *** 14 . A help from a Rainbow ***
14 .
A
help from a Rainbow
Due
paia d’occhi sorpresi incontrarono l’azzurro cielo
di uno sguardo che entrambi
conoscevano molto bene.
Il membro del Comsubin, Comando Subacquei
ed Incursori, Colonnello, li osservava con un sorrisetto sul viso,
appoggiato
allo stipite della porta della cucina.
«Co… Colonnello!?».
Entrambi si allontanarono subito, dando il
bentornato come si doveva all’ex Arcobaleno della Pioggia,
ormai cresciuto ma
sempre con la sua divisa verde e quell’aria da ragazzino.
«A quanto pare sono cambiate parecchie
cose, kora!»
«Già, parecchie! Ma… sei
solo?», domandò
Gokudera, ansioso di scoprire se fosse presente anche Fong, colui che
l’aveva
addestrato… per modo di dire.
«Oh no, ci siamo io, Lal e il caro samurai
in rosso, kora!»
«Anche Reborn?», chiese Haru guardandosi
attorno curiosa assieme al fidanzato.
«Sì. È già di
sopra».
Seduta
a gambe incrociate sul letto osservavo
i sette anelli che rilucevano all’illuminazione naturale
proveniente
dall’esterno.
Tempesta, Pioggia, Fulmine, Nuvola,
Nebbia, Sole… tutti elementi che riconducevano ad uno solo:
il Cielo. L’anello
di mio padre, esattamente nel mezzo.
Istintivamente lo presi, rigirandomelo tra
le dita ma non osando ancora metterlo. Quanto poteva aiutare un
semplice
anello… quanto poteva valere, significare per quante
persone…
Il bussare alla porta di qualcuno mi fece
distogliere l’attenzione.
Richiusi in fretta il cofanetto e lo
nascosi in mezzo ai cuscini, chiudendo nel pugno l’anello del
Cielo e facendo
finta di essere immersa nella lettura di un libro che nemmeno
conoscevo.
«Avanti», dissi senza alzare lo sguardo
dalle pagine e, credendo che effettivamente fosse o mia madre o mio
zio, dissi:
«Non ti preoccupare, scendo subito. Finisco il capitolo ed
arrivo».
Fu una voce maschile a rispondermi, questo
sì, ma non fu quella di mio zio. «Non
è necessario che tu scenda. Non ora
almeno».
Alzai lo sguardo solo in quel momento, non
riconoscendo la voce. Lasciai da parte il libro e fissai
l’uomo davanti a me.
Indossava un completo scuro, aspetto piuttosto normale se non fosse
stato per
il camaleonte appostato tranquillamente sul suo cappello a
sonnecchiare.
Cappello che nascondeva il suo sguardo quasi interamente e quanto
bastava per
non farmi scorgere nemmeno il colore dei suoi occhi cosa che mi fece
sentire
stranamente al sicuro.
Non mi ricordavo di lui poiché l’avevo
visto sì e no due volte in tutta la mia vita ed ero ancora
troppo piccola
quando era successo, per questo lo guardavo con scetticismo e timore,
pronta a
scattare fuori dalla porta ad un minimo passo falso che avrebbe fatto.
«Lei chi è?», domandai rimanendo
istintivamente a debita distanza da quell’uomo che ero sicura
di non aver mai
visto ma che presentava alcuni tratti familiari che tuttavia non
riuscivo a
ricondurre a nessuno.
Alla mia domanda lui rimase in silenzio
per un certo periodo di tempo, sufficiente per farmi pensare che non
avrebbe
risposto.
Feci per porgergli di nuovo la domanda
quando improvvisamente, senza una parola, si mosse venendo a sedersi
accanto a
me.
Solo allora potei vedere i suoi occhi.
Erano scuri, affusolati, non molto grandi ma comunque ipnotici ed
affascinanti
e… no, non severi quanto, invece, impassibili.
Si abbassarono sulla mia mano che lui
prese, aprendola senza sforzo né imposizione, rivelando
l’anello.
«Questo anello è stato di tuo padre.
così
come gli altri sei nel cofanetto che hai nascosto là
dietro», proferì
rivolgendo un cenno del capo verso i cuscini.
Non mi chiesi nemmeno come avesse fatto.
Sapevo che sarebbe stato totalmente inutile, oltre che una perdita di
tempo.
«Glieli ha consegnati Basil, un ragazzo
che tu non conosci», disse infine con quel tono pacato ma
deciso che non mi
permetteva di capire esattamente che cosa stesse pensando. Se avessi
saputo che
nessuno poteva riuscire a capire che cosa gli passasse per la testa mi
sarei
sentita molto più tranquilla. Prese
l’anello dalla mia mano e,
lentamente, me lo infilò al dito.
«Io sono Reborn. Il Tutor di tuo padre. ed
ora anche il tuo».
Lo ammetto, mi colpì alquanto. L’anello
posto sul mio anulare destro era meno pesante di quanto pensassi e mi
ritrovai
a portarlo con relativa disinvoltura, non sapendo che prima di arrivare
ad
indossarlo mio padre aveva dovuto passare attraverso a diverse prove
che io, a
quanto pareva, avrei saltato intraprendendo subito il “corso
intensivo”.
Lo osservai. Lo osservai a lungo,
dopodiché alzai lo sguardo verso Reborn.
Mi guardava dritta negli occhi con uno
sguardo che nessuno mi aveva mai rivolto prima. Rimanemmo
così per diverso
tempo, non saprei dire quanto, ma alla fine fui io a parlare.
«Quindi lei…»
«Niente “lei”, per favore», mi
interruppe.
«D’accordo… quindi tu sarai…
il mio
Tutor», dissi senza essere interrogativa. Era più
che altro una constatazione.
Veritiera, oltretutto.
«Il tuo Tutor principale».
Principale?, mi chiesi
anche, ammetto, con un pizzico di timore in
più. Quel “principale” stava a
significare che avrei avuto degli altri Tutor
oltre a lui?
Lui non sorrise ma annuì e si alzò,
guardandomi da sotto il cappello.
«Lo scoprirai presto. Seguimi», disse.
Ed io lo seguii.
D’altronde che altro potevo fare di fronte
al mio Tutor?
Scendemmo
di sotto dove… dove sinceramente
trovai più persone di quante mi aspettassi.
C’erano mio zio Hayato assieme a
zia Haru, mia madre, zio Ryohei con Hana e tre persone che non avevo
mai visto
in tutta la mia esistenza.
«Ehm… salve…», dissi timida
finendo di
scendere la scalinata e rivolgendo uno sguardo ai miei zii e mamma.
Okay, ero intimidita. Eccome se lo ero!
Reborn mi lanciò uno sguardo e sorrise… se quello
si poteva considerare un
sorriso nel vero senso della parola.
«Ti presento, Lilian, coloro che avranno
un ruolo molto importante se non fondamentale nel tuo addestramento.
Fong, l’ex
Arcobaleno della Tempesta, sarà il tuo punto di riferimento
per quanto riguarda
le arti marziali. Qualsiasi tipo. E, chiaramente, ti metterà
alla prova anche
sotto il profilo psicologico».
Non capii appieno che cosa volesse dire
con quel “profilo psicologico” ma l’avrei
scoperto a breve. Mi inchinai
leggermente con il busto al mio maestro così come fece lui
prima che il mio
Tutor tornasse a parlare.
«Colonnello e Lal Mirch. Entrambi membri
del Comsubin, lei parte del Cedef, entrambi ex Arcobaleno della
Pioggia.
Collaboreranno assieme, se ci riusciranno, per darti tutte le
conoscenze
diciamo militari ma soprattutto strategiche che ti serviranno. Giusto,
Colonnello?»
«Certo. Senza dimenticare il profilo
fisico, kora!».
Profilo fisico.
Questo mi spaventava. Finché si trattava
di arti marziali forse me la potevo anche cavare, ma militarmente non
ero
troppo ferrata. Comunque quello mi toccava, quello avrei fatto
perché così mi
era stato insegnato.
Ma c’era comunque un aspetto fondamentale
che mi sfuggiva.
«E… e tu? Immaginavo che il mio Tutor mi
avrebbe messa alle strette…».
Il sorrisetto a metà tra il sadico ed il
beffarlo, o almeno così mi parve, non mi
rassicurò per niente.
PAP – Piccolo
Angolo Pazzo
Ciaossu!
Bene bene, dunque… beh, abbiamo visto il
nostro adorato Reborn fare visita alla sua allieva ed abbiamo
conosciuto anche
gli altri tre “aiutanti” (Reborn: io non ho bisogno
di aiuto -.-) del nostro
caro Tutor: Colonnello, Lal e Fong, tutti finalmente Tyl! ** E devo
dire che il
primo paragrafo è un orrore xD Giuro, sono stata tentata di
cancellarlo, ma poi
non avrei saputo come allacciare le situazioni quindi ho lasciato
quell’obbrobrio
-.-
Ad ogni modo, chissà che cosa avranno in
serbo per Lilian! Mah… xD
Piccolo avviso: lo so, ormai vi avrò
stressati con tutti questi spostamenti ma nel prossimo capitolo tutta
la Famiglia
tornerà a Namimori. E ci resterà per un
po’, giuro xD
Spazio
ringraziamenti! *jingle*
Ringrazio come sempre Revy-chan, la
mia carissima.
Uhi, per fortuna non sono l’unica a
sentire una certa inquietudine nei confronti dei Vindice! E
sì, sarà piuttosto
tosta come cosa, ma c’è anche da dire che il boss
sarà una grande grande
sorpresa (almeno penso xD) per chi legge il manga e per chi, come me,
attende
in trepida attesa il nono arco! >.< Contentissima che la
scena con i due
piccioncini ti sia piaciuta! Inizialmente non mi convinceva troppo,
ma… xD
Grazie mille cara! **
E,
ovviamente, anche la mia cara Fel-chan.
Giuro di trattarla bene!
*mano destra alzata* E giura anche Reborn, anche se continua a
rinfacciarmi che
rendere la vita impossibile ai suoi allievi è il suo lavoro
-.- Hehe, beh in
effetti c’è da dire che sono stata volutamente un
po’ cattivella con Lilian, lo
ammetto, ma penso che questo, come ha detto il Nono, la
aiuterà a crescere così
come Tsuna che, sinceramente, dall’inizio della serie alla
fine sembra un’altra
persona o.O Spero di riuscirci anche con Lily ^^” Felicissima
anche stavolta
che la scena dei piccioncini sia piaciuta! ** In realtà
è la prima volta che mi
cimento nello scrivere Haru e sapere che è piaciuta mi
elettrizza ** Grazie,
grazie, grazie! **
Chiudo,
sperando che anche questo capitolo
vi piaccia!
Al prossimo capitolo!
xoxo Niki
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Capitolo 16 *** 15 . Back in town ***
15 .
Back
in town
Dopo
aver conosciuto il Nono, il mio Tutor e coloro che
l’avrebbero “aiutato”
durante il mio allenamento finalmente era arrivata la notizia che
aspettavo.
«Prepara le valigie. Torniamo a casa», mi
aveva detto zio Ryohei entrando in camera mia, trovandomi a
giocherellare e
rigirare tra le dita l’anello.
«Quello è…»
«L’anello di papà.
Sì».
Si avvicinò a me, sedendosi sul letto, per
una volta non così estremo come ero sempre stata abituata a
vederlo.
«Ogni tanto vorrei che fosse ancora qui.
Specialmente in questo momento». Era
un pensiero che si era riproposto
diverse volte in quei giorni.
Pensavo a lui ed a quanto avrei voluto che
fosse là accanto a me, mi abbracciasse e mi dicesse che
sarebbe andato tutto
bene, che quando avrei pensato di non farcela mi avrebbe aiutata,
facendomi
capire che ne ero in grado.
Che anche lui era stato come me,
spaventato, ansioso, desideroso di andarsene e non saperne
più di quel mondo,
ma che aveva avuto accanto persone che gli avevano dato la spinta per
andare
avanti e che le avrei avute anch’io.
Avrei voluto con tutta me stessa che fosse
così, ma tutto ciò me lo stava dicendo la voce un
po’ roca di mio zio.
Gli sorrisi, annuendo e tirando
leggermente su col naso.
«Tranquilla. Non sarai mai sola», mi disse
posandomi una mano sulla spalla. «Grazie,
zio», risposi.
Non potevo sapere che, sola, lo sarei
stata sul serio di lì a qualche tempo…
Il
viaggio di ritorno era stato piuttosto
tranquillo, anche se continuavo a pensare al fatto che ora avrei dovuto
tornare
a scuola, rimettermi in pari, iniziare l’allenamento e
cercare i miei
Guardiani.
Diciamo che le ultime due cose erano
quelle che mi preoccupavano di più.
Che cosa avrei dovuto fare? E,
soprattutto, come diavolo si aspettavano che riuscissi a trovare i miei
Guardiani se nemmeno si erano degnati di dirmi come fare?
«Non preoccuparti, te ne accorgerai», mi
aveva detto zio Takeshi con un sorrisone.
Già… grazie.
Oltretutto non avrei osato immaginare la
faccia della mia migliore amica quando avesse visto l’anello.
Sicuramente
avrebbe pensato che mi fossi fidanzata in Italia e sarebbe partita
subito dopo
per cercare il suo “grande amore”.
Oppure, forse, sarei stata autorizzata a
non portarlo, almeno a scuola? Speravo vivamente di sì. La
smentita al mio
speranzoso pensiero arrivò repentina.
«Dovrai comunque portarlo. Sempre».
La voce di Reborn arrivò dal sedile dietro di me,
facendomi trasalire e voltare verso di lui. Incrociando il suo sguardo
freddo
pensai che fosse meglio per la mia incolumità tornare seduta
come prima.
«Come diavolo…?»
«Tsuna lo portava come un ciondolo, a volte».
Non era quello che gli avrei voluto chiedere, ma ciò che
disse mi fu utile.
Se non mi potevo separare dall’anello allora
l’avrei
portato in un altro modo, a quanto pareva.
«Lilian
Sawada?»
«Presente».
Tornare alle lezioni, alla routine di tutti I giorni era
piacevole, specialmente essendo consapevole del compito che mi
spettava, del
peso che mi gravava sulle spalle.
Continuai a scarabocchiare l’angolo del foglio, la testa
poggiata alla mano mentre la professoressa Amano terminava di fare
l’appello.
Aveva appena
iniziato a spiegare l’argomento del giorno che tutti ci
alzammo subito in
piedi, salutando rispettosamente il Preside che entrò
assieme ad un ragazzo,
consegnando un biglietto alla professoressa. Lo lesse brevemente, poi
rivolse
un sorriso cordiale sia al ragazzo che al Preside.
Quest’ultimo uscì subito
dopo, rivolgendoci uno sguardo.
«Molto bene.
Ragazzi, lui è Ivan Kiaran Carter. Ha diciassette anni ma,
avendo perso un
anno, starà in classe assieme a voi e sarà vostro
compagno per il resto
dell’anno».
Ci salutò soltanto
con un ermetico “ciao” ed un invisibile sorrisino
prima di ascoltare nuovamente
la professoressa che lo indirizzò nel banco esattamente
dietro al mio.
E ti pareva.
Percorse lo spazio tra una fila e l’altra di banchi a
passo tranquillo ma deciso. Lo osservai per tutto il tempo, pensando
che fosse
uno dei classici ragazzi che si credono i padroni del mondo soltanto
perché
indossano un giubbotto di pelle ed hanno gli occhi chiari. Ed anche se,
come
tutti noi, indossava la divisa della scuola era come se ce
l’avesse veramente
addosso, il giubbotto.
I suoi occhi, quando mi passò accanto, incrociarono i
miei per un interminabile secondo durante il quale la classe
sembrò scomparire
ed il mio corpo gelò, immobilizzato da quello sguardo
glaciale.
Mi sorpassò, poi, tornando a far scorrere il tempo e si
sedette dietro di me. Non mi voltai più. Non che
l’avrei fatto, ma diciamo che
non mi sembrava un tipo raccomandabile, ecco.
Iniziai a seguire la spiegazione della professoressa,
continuando tuttavia a sentire il suo sguardo puntato su di me come una
freccia. Per questo seguii, certo, ma non riuscii a capire
più di tanto né mi
azzardai a muovermi, immobilizzata dalla sua presenza.
Di lì a poco un bigliettino volò fino al mio
banco. Lo
aprii, riconoscendo subito la calligrafia rotonda e svolazzante di
Akane
Iwamura, la mia migliore amica da quando ero arrivata in Giappone dopo
la morte
di papà.
“Fortunata!
Sempre
quelli carini ti mette vicino!”
Scossi
la testa con un piccolo sorriso e le lanciai uno
sguardo, i soliti due ciuffi biondi che le ricadevano di fronte agli
occhi
anche quando si raccoglieva i capelli. Sempre la solita. Non sarebbe
cambiata
mai.
Accartocciai il bigliettino ed il secondo immediatamente
successivo suonò la campanella, permettendomi finalmente di
alzarmi e
raggiungere la mia migliore amica, uscendo dall’aula ed
affacciandomi assieme a
lei alla finestra che dava sul cortile interno.
«Allora? Che ne dici?», mi chiese.
Mi voltai verso di lei, lanciandole uno sguardo
indecifrabile.
«Che ne dico di che?», domandai scuotendo
leggermente la
testa, anche se sapevo perfettamente a che cosa stava alludendo.
«Di Ivan! Dai, cavoli, è seduto accanto a
te!»
«Non è accanto a
me. La prof l’ha messo dietro di me,
quindi…»
«Oh, avanti! Sai benissimo cosa intendo!»
«Ma che vuoi che ti dica? A me sembra un idiota… e
poi
che diavolo di nome è? Ivan Kiaran Carter», dissi
mettendo un’enfasi esagerata
sul suo nome ed accompagnandolo anche con ampi gesti delle mani.
«Beh, pure tu. Lilian Sawada. Un nome inglese con un
cognome giapponese. Vabè che pure tuo zio Hayato. Insomma,
è per tre quarti italiano
ed ha sia il nome che il cognome giapponese? Voglio dire, potevano pure
chiamarlo Giorgio, Luca, Matteo, Francesco…».
Si fermò, probabilmente accorgendosi dell’occhiata
che le
avevo lanciato.
«Ups… scusami», disse con un piccolo
sorriso.
La conoscevo. Quando partiva in quarta era difficile
farla fermare. Ridacchiai scuotendo la testa e facendo spallucce
continuai a
guardare giù in cortile gli studenti che raggiungevano le
loro aule per il
cambio di lezione, godendomi quei cinque minuti che ci erano concessi
tra una
lezione e l’altra attendendo il professore della prossima
ora.
Se ve lo state chiedendo sì, pensavo davvero ciò
che
avevo detto. Per me Ivan Carter era un idiota di prim’ordine.
Non sapevo cosa
farci, quello sguardo che mi aveva lanciato non mi era piaciuto per
niente.
Sapevo che non avrei dovuto giudicare le persone dalla copertina
– o da uno
sguardo, in questo caso – ma ero fatta così. Se
una persona non mi piaceva a
pelle non mi sarebbe piaciuta più. Punto. Ed Akane lo
sapeva, per questo non mi
chiese più nulla, continuando a parlare di ciò
che lei e Ray avevano fatto
mentre io ero in Italia.
Akane, io e Ray, l’unico maschio, eravamo il terzetto
della classe da quando ci eravamo conosciuti. Tutte le bambine della
nostra
classe gli stavano lontane perché pensavano che fosse
rissoso, antipatico
eccetera eccetera. Tutte chiacchiere. Avevamo tutti e tre
sedic’anni, eravamo
passati attraverso i nostri alti e bassi come gruppetto, ma eravamo
ancora
tutti e tre là insieme.
Sorrisi ripensandoci. Loro, in realtà, erano amici da
prima che io arrivassi in Giappone poiché le loro madri
erano amiche di vecchia
data eccetera… insomma, la solita storia. Ma quando arrivai
io mi “inglobarono”
subito, facendomi sentire parte di qualcosa che sapevo sarebbe durato a
lungo.
Come la Famiglia, d’altronde.
«Ehi, mi ascolti?».
La voce di Akane mi distolse dai miei pensieri
schioccandomi le dita davanti agli occhi e mi ritrovai a guardarla.
«Sì?», domandai. Okay, stavolta
l’avrei ascoltata per
davvero, anche perché sapevo che odiava non essere ascoltata
quando stava
parlando a qualcuno di una cosa importante. Certo, magari poteva anche
non
esserlo, ma voleva sempre categoricamente essere ascoltata.
«Dicevo, Ray ha proposto per questo weekend di andare a
fare una gita in montagna solo noi tre. Tu che ne dici? Sei con
noi?», mi
domandò.
Soltanto due settimane prima non avrei esitato un secondo
a dire di sì, ma ora non sapevo nemmeno che cosa avrei fatto
quel pomeriggio.
«Ehm… in realtà non lo so. Devo sentire
mamma…».
Ovverosia Reborn. Non potevo immaginare che cosa gli
sarebbe passato per la testa, se nel weekend sarei stata libera o no e
tante
altre belle cose che, a quanto pareva, erano conseguenti al dover
diventare
boss di una Famiglia mafiosa italiana perché tuo padre ha
deciso così. E con
questo non voglio dire che gli davo la colpa di aver deciso proprio me
come
successore, affatto. Non avrei mai osato nemmeno pensarci. Per questo
scossi la
testa e sorrisi alla mia migliore amica.
«Sul serio, non lo so Akane. Guarda, oggi vado a casa,
chiedo a mamma e questo pomeriggio ti so dire», puntualizzai
vedendola
sospirare subito dopo ma rivolgermi un piccolo quanto significativo
sorriso che
stava a voler dire: “Okay, ma cerca di fare il possibile.
Vogliamo stare tutti
assieme di nuovo”. Ed era esattamente ciò che
avrei voluto anch’io, ma con il
fatto di dover diventare boss adesso non si poteva più
sapere.
L’improvviso svuotarsi dei corridoi ci fece tornare a
nostra volta in classe, prendendo nuovamente posto. Tuttavia
avvicinandomi al
mio banco mi resi conto che Ivan non si era mosso da là.
Nemmeno di un
millimetro, e da quando ero rientrata non mi aveva staccato gli occhi
di dosso.
Ma che diavolo? Avevo qualcosa in faccia per caso?
Ricambiai il suo sguardo sperando di fulminarlo – dopotutto
la lampada al neon
era esattamente sopra di lui… forse avrebbe funzionato
– ma purtroppo non
accadde. Mi sedetti nuovamente al mio posto non voltandomi
più ed iniziai a
prendere appunti scrivendo velocemente ed in modo quasi isterico.
E che diavolo, ti pareva se dietro non dovevo avere uno
che molto probabilmente mi stava ancora guardando anche in quel momento
e che,
oltretutto, sembrava fare di tutto per starmi letteralmente dove dico
io?
Fortuna che era l’ultima ora, accidenti a lui!
Però che si muovesse a suonare
quella dannata campanella!
«Allora
fammi sapere okay?»
«Okay! A domani!».
Salutai Akane con un sorriso e mi avviai verso il
cancello principale. Riuscivo già a vedere la macchina di
zio Hayato quando
sentii una presenza dietro di me. Rallentai il passo e mi voltai quel
tanto che
bastava per vedere chi? Ivan!
Sbuffai sonoramente senza preoccuparmi che lui mi
sentisse o meno e, cocciuta, accelerai il passo raggiungendo
l’auto dello zio e
fiondandomici dentro, sbattendo la portiera con nervosismo. Lui mi
guardò
stranito mentre io, senza accennare a distogliere lo sguardo, fissavo
un punto
imprecisato di fronte a me.
«Tutto bene, Lily?», mi chiese mettendo in moto e
partendo, fortunatamente portandomi via da là e,
soprattutto, da lui.
Mi innervosiva. Mi innervosiva il fatto che… che avessi
qualcuno che mi pedinava, a quanto pareva!
«Sì, tutto bene», risposi stizzita non
appena la Namimori
High School non fu scomparsa dalla mia vista.
Il ragazzo rimase a lungo in piedi nel cortile della
scuola, almeno fino a quando i raggi dell’ultimo sole non
iniziarono a tingere
il mondo di calore ed il cielo di lunghe pennellate rosa.
L’aveva vista, dunque.
Era lei.
Non se la sarebbe più tolta dalla mente, questo era
certo. E non soltanto perché fosse molto bella o per il
fastidio che aveva
provato per lui sin dall’inizio quanto, più che
altro, per il fatto che tenerla
d’occhio era la sua missione. Quella affidatagli dal boss.
E sebbene avesse dovuto obbligatoriamente infiltrarsi
nella scuola, sarebbe stato disposto a tutto pur di portare a termine
anche
quel compito con successo.
Rabbrividì involontariamente per una folata di vento e,
ficcando le mani nelle tasche dei pantaloni, lasciò la
scuola.
A domani,
Lil…
PAP – Piccolo Angolo
Pazzo
Ciaossu!
Eccoci ritornati finalmente a Namimori! Non prima di aver
visto il primo piccolo momentino zio/nipotina di Ryohei e Lilian. Dai,
penso ci
volesse. Dopotutto si sono sempre visti più o meno soltanto
Hayato e Lilian ma
lo zio, quello vero, mai xD
Abbiamo incontrato Akane e si è nominato Ray.
Chissà che
ruolo avranno i due cari ragazzotti qui (Tutti: ma secondo te? -.-).
Poi, poi… il nuovo ragazzo misterioso. Ivan. Immagino che
tutti già abbiate capito chi è e meglio di
così a Lily non poteva tenerla d’occhio
se non infiltrandosi a scuola, no? Però a quanto pare le sta
decisamente
antipatico… vedremo come si evolverà la cosa.
Che dire altro… ho inserito nel capitolo un piccolo
piccolo riferimento a quella genia di miss Amano-sensei.
Perché è l’autrice e
se sono qui a scrivere la Fic è tutto merito suo ** E poi
perché è una genia e
punto u.u xD
Piccola nota
prima dello spazio ringraziamenti. Il capitolo
16 mi sta dando mooooolto ma molto filo da torcere, quindi
potrà essere che ci
sarà un pochino di ritardo rispetto ai precedenti capitoli
ma senza ombra di
dubbio cercherò di pubblicarlo il prima possibile. **
Ed
ora il consueto spazio ringraziamenti!
Chiaramente come sempre ringrazio le mie Fel-chan
e Revy-chan. Credetemi,
sono troppo contenta che Reborn vi piaccia! La
prova del fuoco è passata! xD Certo, doveva avere
un’attitudine diversa nei
confronti di Lilian anche perché ora è adulto, ma
non sarà più morbido che con
Tsuna, sfortunatamente per Lily. Grazie, grazie, grazie di nuovo! **
E ovviamente anche Laura!
La mia compagna di classe/banco, nonché la prima ad aver
letto il primo capitolo
della Fic! ** Grazie tesoro!
Obviously
(perdonate l’inglese xD) ringrazio anche
chiunque segua la Fic e l’abbia messa tra le
preferite/seguite/ricordate! **
Grazie mille ed al prossimo capitolo, che spero giunga il
più presto possibile! **
xoxo Niki
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Capitolo 17 *** 16 . First stormy training ***
16 .
First
“stormy” training
Ivan
Carter.
Maledetto Ivan Carter.
«Sicura che vada tutto bene?», mi aveva
chiesto mio zio dopo che la scuola era scomparsa dallo specchietto
retrovisore
del BMW
nero
sul quale viaggiavamo, diretti a casa.
In risposta avevo sbuffato sonoramente ed
avevo sciolto la coda con nervosismo. Se poco prima gli avevo detto che
andava
tutto bene, ora effettivamente non ne ero più altrettanto
sicura.
Era stata una folata gelida incontrarlo, e
nemmeno ci avevo ancora parlato, cosa che speravo non accadesse ancora
per
diverso tempo, anche se comunque sapevo che essendo in classe insieme
sarebbe
stato pressochè impossibile non rivolgergli la parola.
Gli risposi con un assenso senza proferir
parola e tornai a lasciar vagare lo sguardo fuori dal finestrino,
tentando
disperatamente di dimenticare quegli occhi chiari, quei capelli scuri,
quell’andatura sicura e quella sensazione di affascinante
pericolo che aveva
pervaso il mio corpo quando l’avevo visto
all’uscita fissarmi fin troppo
intensamente con uno sguardo che non ero riuscita a decifrare.
Se ci fossi riuscita probabilmente sarebbe
stato tutto completamente diverso.
«Sono
a casa!»
«Com’è andata a scuola?»
«Bene!».
Sempre la solita domanda e sempre la
solita risposta. Lasciai le scarpe all’ingresso e senza una
parola salii in
camera mia.
Tolsi la giacca, appesi la borsa e mi
lasciai cadere di peso sul letto, sospirando e fissando il soffitto.
Fine giorno uno.
Pensandoci non era stato nemmeno tanto
traumatico, a parte l’arrivo di Ivan e l’invito di
Akane. Immaginai che forse
quel fine settimana sarei davvero potuta andare in montagna assieme ad
Akane e
Ray, ma quando sentii mia madre dire quel
nome sfumarono tutte le mie belle aspettative.
«Lilian, tesoro, scendi!», urlò mia
madre
anche se non ne sarebbe stato il caso.
Con un immane sforzo di volontà mi rialzai
e scesi di sotto, lentamente, entrando altrettanto lentamente in
salotto dove
mamma e Reborn stavano seduti l’uno di fronte
all’altra.
«Buonasera», disse lui in un perfetto
italiano e lanciandomi uno sguardo al di sopra della tazza di espresso
che mi
fece venire i brividi.
Mi avvicinai sedendomi accanto a mia madre
e raccogliendo le ginocchia al petto.
«’Sera… immagino
che…»
«Sono qui perché ho ritenuto opportuno
informarti del fatto che molto presto inizierà il tuo
allenamento»
«Ma…»
«Dobbiamo sbrigarci, non abbiamo poi così
tanto tempo a disposizione. Gli Isogai si stanno muovendo, stanno
progettando e
noi dovremo essere preparati quando attaccheranno»
«Sì, ma…»
«Lilian».
La mano di mia madre si posò sulla mia,
facendomi distogliere l’attenzione dal mio Tutor e
concentrandola su di lei.
«Non si discute. Devi prepararti e devi
farlo in fretta, non puoi aspettare un giorno di
più».
Il tono che mamma mi rivolse non glielo
avevo mai sentito usare, né tantomeno avevo mai visto quello
sguardo nei suoi
occhi.
Era stata severa ma decisa e sapevo che lo
faceva per il mio bene e, soprattutto, per quello di tutta la Famiglia,
ma quel
suo cambiamento così repentino mi colpì al cuore
facendomi male. Sbattei un
paio di volte le palpebre in silenzio e tornai a guardare il mio Tutor,
esattamente di fronte a me, che ancora mi fissava con quello sguardo
indecifrabile.
Mi chiesi se ci fosse mai stato qualcuno
nella sua intera esistenza capace di capire che cosa davvero
significasse
quella luce nei suoi occhi, quell’attitudine, quel
comportamento sempre
distaccato e freddo in un certo senso, ma che lasciava trapelare ogni
tanto un
pizzico di umanità, assicurando a tutti che non era un
automa, una macchina
costruita soltanto per formare i nuovi boss della Famiglia.
«D’accordo», annuii. «Allora
quando…
quando si inizia?», domandai vedendolo subito alzarsi e
rivolgermi soltanto uno
sguardo prima di avviarsi verso il corridoio.
Lo seguii subito camminando velocemente
per poterlo raggiungere fino a quando non si fermò di fronte
ad una parete
bianca che fino a quel momento mi era sembrata sempre totalmente
anonima e che
mi ero sempre chiesta perché mamma l’avesse
lasciata appositamente spoglia.
Capii il perché subito dopo, vedendo Reborn posarvi una mano
sopra e con una
leggerissima spinta farla scivolare di lato, rivelando una scala a
chiocciola
che scendeva e sembrava non avere mai fine.
Si voltò verso di me che, nel frattempo,
avevo spalancato gli occhi, e mi fece cenno di seguirlo.
Così feci,
ritrovandomi a scendere sempre di più, sempre di
più, tanto che mi chiesi se
stessimo andando fino al centro della Terra. Anche quella domanda
trovò presto
risposta poiché, sceso l’ultimo scalino,
un’altra porta scorrevole metallica ci
si presentò di fronte, incredibilmente simile alla porta che
avevo visto nei
sotterranei della villa in Italia, da bambina. Mi stupii di ricordarmi
ancora
di una cosa così piccola dopo tutti quegli anni, e di non
ricordarmi il volto
dell’assassino di mio padre.
Con lo stesso suono idraulico di quella
volta di tanti anni fa la porta si aprì, rivelando una sala
immensa, luminosa e…
vuota.
Totalmente vuota.
Ogni passo produceva un’eco che
riecheggiava per tutta la sala ma ciò che più mi
colpì fu l’unico oggetto della
sala: un grande tappeto blu sul quale era seduto, a gambe incrociate e
gli
occhi chiusi, un uomo.
Ci avvicinammo fermandoci proprio sul
bordo del tappeto cosicché potei osservare meglio
l’uomo. Aveva un’espressione
assolutamente pacifica, i lunghi capelli neri erano raccolti in una
treccia
lasciata morbida lungo la schiena, una tunica rossa dalle maniche
troppo lunghe
che gli coprivano le mani ed i pantaloni bianchi.
Alzai lo sguardo verso Reborn che mi fece
segno di aspettare ancora un secondo soltanto. E difatti
così fu, perché subito
dopo l’uomo si alzò e mi venne incontro,
fermandosi esattamente di fronte a me
e rivolgendomi un sorriso pacifico. Era il sorriso di un uomo che
sembrava non
avere alcun tipo di problema nella vita, quindi mi sembrò
piuttosto irreale.
«Lilian, lui è Fong, ti aiuterà nel tuo
allenamento», disse Reborn prima di allontanarsi senza dire
una parola. Lo guardai
facendo per dire qualcosa che non dissi fino a quando non scomparve
nuovamente
dietro le porte scorrevoli.
La sala calò nel silenzio più totale e
quando mi voltai trovai Fong seduto a gambe incrociate di nuovo sul
tappeto,
gli occhi chiusi. Mi sentii quasi di troppo anche se sapevo che dovevo
per
forza stare là. Rimasi in silenzio per diverso tempo, poi
salii sul tappeto e
mi sedetti di fronte a lui guardandolo, pensando che di lì a
poco avrebbe
aperto gli occhi e mi avrebbe messa davvero alla prova ma non accadde
niente. Non
fece non una solo movimento per diversi minuti prima di aprire gli
occhi quel
tanto che bastava per guardarmi e farmi cenno di posizionarmi
esattamente come
lui.
«D’accordo e… a che cosa
serve?», domandai
senza ottenere risposta alcuna.
Rassegnata al silenzio più totale feci un
gran respiro e chiusi gli occhi. Non c’era il più
minimo rumore là dentro e
sinceramente quel silenzio così pesante, così
soffocante stava iniziando a
farmi cedere i nervi ma mi imposi di resistere.
Anche se non sapevo a che cosa serviva era
il mio allenamento, e per diventare un bravo boss dovevo superare
quella prova.
E sì, mi sembrava assolutamente inutile, ma…
Riaprii
gli occhi non so quanto tempo più
tardi. Mi ci volle qualche secondo prima di riabituarmi alla
luminosità della
sala e trovai Fong seduto di fronte a me ad osservarmi sempre con quel
pacifico
sorriso sul viso.
«Molto bene», disse.
«Sono passate due ore e mezza e non ti sei
mossa da là. Ti dirò, in realtà non
pensavo saresti stata in grado di resistere
così a lungo. È stata una piacevole
sorpresa».
Sapere di essere stata ferma in quella
posizione per la bellezza di due ore e mezza mi colpì e in
realtà non me lo
sarei mai aspettata nemmeno io. A quanto pareva forse avevo buone
probabilità
di riuscire a continuare l’allenamento, anche se era soltanto
all’inizio.
Mi alzai e per poco non persi l’equilibrio.
«Okay, ma a che cosa è servito?»,
domandai
beccandomi un altro indecifrabile sguardo. Ma era possibile che tutti
quanti
avessero degli sguardi che non riuscivo a capire?
«A che cosa?», domandò.
«A vedere quanta pazienza hai. È servito
ad aiutarti a capire che niente arriva subito. Bisogna sempre aspettare
per
vedere i risultati di qualcosa. Pensaci. Non ti senti forse
più tranquilla, più
calma? Anche durante l’allenamento che andrai ad affrontare
non pensare subito
al risultato finale. Piuttosto cerca di concentrarti sul cammino che
dovrai
percorrere e soltanto alla fine preoccupati del risultato. Come si
dice, chi va
piano, va sano e va lontano», concluse e solo in quel momento
mi accorsi di
quanto le sue parole fossero vere.
E in effetti era vero, mi sentivo meglio,
più pronta ad affrontare ciò che mi avrebbe
aspettata dietro l’angolo.
Più determinata a diventare boss e
proteggere la Famiglia.
Il
giorno seguente a scuola non feci
nemmeno troppo caso se Ivan fosse presente o meno. Probabilmente era
grazie all’allenamento
con Fong ma mi sentivo davvero più serena e tranquilla.
Quella tranquillità scomparve tuttavia in
fretta quando la professoressa Amano se ne uscì con il
solito progetto che ci affibbiava
tutti gli anni: una ricerca su uno scrittore famoso.
Quantomeno non dovevamo deciderlo noi ma
la cosa negativa era che non potevamo decidere noi nemmeno con chi
stare, perché
fosse stato per me avrei fatto coppia con Akane, ma così non
fu.
«…mentre Shakespeare a Lilian e Ivan».
Sentii tutti gli sguardi della classe
addosso, pure quello invidioso di Akane alla quale lanciai uno sguardo
come a
dirle: “se vuoi te lo passo”.
Sbuffai guardando fuori dalla finestra
mentre lasciavo che le parole della prof. si perdessero
nell’etere fino a
quando non sentii qualcuno picchiettare sulla mia spalla.
Sospirai sapendo già chi fosse e mi voltai
indietro trovandomi faccia a faccia con gli occhi verdi di Ivan. Che
non diceva
un accidenti di niente.
«Che c’è?», domandai stizzita.
Voglio dire, dovevo pure invogliarlo a
parlare quando era stato lui a chiamarmi?
«Sono contento di fare coppia con te»,
disse senza accennare un minimo di sorriso cosa che invece io feci ma
in modo
assolutamente sarcastico.
«Già, anch’io», dissi
voltandomi
nuovamente in avanti appena in tempo per rispondere alla prof. che era
tutto
apposto.
Certo… tutto perfetto.
Mi aspettavano dei giorni infernali a dir
poco. Evviva!
PAP – Piccolo
Angolo Pazzo
Ciaossu!
Aaaaahhhhh, finalmente il sedicesimo
capitolo è finito! La grande sfida è stata
superata! xD Ma devo dire che non mi
piace particolarmente. Che novità, eh? Però
è un sollievo averlo finito ed
essere pronta a scrivere il diciassettesimo! **
Che dire, Lilian ha affrontato il primo
allenamento “soft” assieme a Fong e anche se
inizialmente le sembrava che non
servisse a nulla ha capito che invece è stato tutto il
contrario e sarà una
cosa che le servirà anche in futuro, cosa che si
scoprirà nei prossimi
capitoli.
Tuttavia la nostra piccola Lily deve
affrontare un’altra sfida: il progetto scolastico assieme ad
Ivan. xD Chissà
come se la caverà. La tranquillità di Fong la
aiuterà a superare anche questa
prova? E Ivan? Che cosa tramerà nell’ombra per il
suo boss? Come la terrà
sempre più d’occhio? Il tutto nelle prossime
puntate!
E
come al solito il tanto atteso (almeno
da parte mia) spazio ringraziamenti!
Come sempre ringrazio sempre moltissimo la
mia adorata Fel-chan. Eh,
effettivamente la gita in montagna… dovrò
inventarmi qualcosa che ancora non ho
in mente, ma sicuramente da qualche parte spunterà fuori
Reborn, magari vestito
da quercia dato che per l’immensa gioia dei nostri
occhi non è più così
piccolo da interpretare un cespuglio xD Sono contenta che ti piaccia
Akane. Ho cercato
di buttare là nel suo carattere qualche indizio sul
Guardiano che sarà hihi E l’ultima
frase non so come mi sia uscita sinceramente. Sappi soltanto che Ivan
la
chiamerà sempre così e che lei lo
odierà ogni singola volta u.u Grazie mille
adorata! Al prossimo chap! **
Ringrazio naturalmente anche la mia
seconda adorata Revy-chan! xDD
ommioddio mi sono immaginata perfettamente Reborn come lo hai descritto
tu. Non
esattamente un’immagine meravigliosa, ma sicuramente
esilarante xD Ulalà, però
mo ora sono curiosa di sapere che cosa sospettassi mia cara ** Grazie
mille
carissima, e come al solito felice che ti sia piaciuto!
Ringrazio anche Chrome_th (aka
Laura). Grazie cara! Sono contenta che ti piaccia, anche
perché per te è
inedito, quindi… ^^”
Ed in ultimo ma non per importanza
ringrazio come sempre Golden Brown!
Non
ti preoccupare assolutamente, tranquilla, già solo sapere
che li hai letti
tutti è una gioia! ** Hihi, eh già, in effetti
Ivan non poterà nulla di buono
nella vita di Lilian, o quasi… ma tutto si
scoprirà, come al solito, nelle
prossime puntate! **
Chiudendo
lo spazio ringraziamenti voglio
ringraziare chiunque abbia messo la Fic tra le
preferite/seguite/ricordate e
chi semplicemente legge! ** Grazie, grazie,
grazie! **
A presto con il prossimo capitolo!
xoxo Niki.
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Capitolo 18 *** 17 . Come Romeo e Giulietta? Ma anche no... ***
17 .
Come
Romeo e Giulietta? Ma anche no…
Era
un bel sogno quello che stavo facendo.
Papà era ancora vivo e la nostra Famiglia
viveva in pace, finalmente.
Nessuna minaccia si prospettava
all’orizzonte, il sole splendeva sulla villa in Italia, le
risate riempivano
l’aria ed un dolce profumo di ciliegi rendeva
l’atmosfera ancora migliore.
Stavo benissimo come mai ero stata in vita
mia quando fui tolta bruscamente da quel meraviglioso mondo onirico,
rigettata
in un lampo in quello reale.
«Lilian!».
La porta si spalancò inondando di luce la
mia stanza. Sobbalzai tirandomi a sedere sul letto ed in breve scorsi
la figura
possente di mio nonno sulla porta.
Mi fissava con un grande, bonario sorriso,
il suo caratteristico. Semi-scioccata voltai lo sguardo verso la
sveglia sul
comodino accanto al mio letto.
Segnava le cinque del mattino. Mi sarei
dovuta svegliare esattamente due ore dopo.
«Andiamo a pescare!», esclamò nonno
Iemitsu con tutto l’entusiasmo di cui era capace –
e credetemi, era davvero
tanto -, incurante del fatto che nella stanza accanto dormisse mia
madre.
Che dormisse ancora, appunto.
Sospirai rivolgendogli uno sguardo ed un
sorriso.
«Già ehm… il fatto è che io
fra tre ore
dovrei andare a scuola e…»
«Ho capito!», mi sorprese nuovamente
sempre sorridendo e anzi, quasi ridendo allegramente.
Era stranissimo ai miei occhi come potesse
essere così energico e solare e sorridente e
quant’altro alle cinque del
mattino.
«Allora pescherò io per te e per tua
madre! Torna pure a dormire, tesoro!».
E così dicendo richiuse la porta facendo
nuovamente piombare la stanza nella penombra, lasciandomi ignara del
fatto che
mio padre anni prima aveva vissuto esattamente la stessa scena.
Lo sentii scendere le scale fischiettando
una canzone allegra e, sempre fischiettando, percorrere il vialetto.
Rimasi sotto le coperte per un po’ con gli
occhi aperti a fissare la lancetta dei secondi che continuava a
ticchettare,
inesorabile, a scandire con quel suo piccolo suono lo scorrere del
tempo,
l’inesorabilità del nostro destino.
Perché d’altronde è vero: dal momento
esatto in cui nasciamo, tutti noi iniziamo a morire ogni giorno un
po’.
Non so con esattezza a che ora mi addormentai,
so solo che scivolai velocemente in un sonno senza sogni.
Quando
riaprii gli occhi la luce calda del
sole riempiva la stanza.
Sbattei le palpebre un paio di volte e mi
stiracchiai prima di voltare la testa verso la sveglia che stava
suonando da
non so quanto tempo e che segnava…
«Le otto meno un quarto?!».
Ero in un ritardo assurdo! Nel ritardo più
assurdo nella storia dei ritardi!
Saltai giù dal letto ed infilai
velocissimamente la divisa della scuola, mi pettinai altrettanto
velocemente
lavandomi i denti nello stesso momento – non chiedetemi come
ho fatto perché
non lo so nemmeno io – e corsi giù per le scale
rischiando di provocarmi un
trauma cranico o similaria.
«Io esco! A dopo!», esclamai passando
davanti alla porta della cucina dove intravidi il nonno e la mamma
attorno al
tavolo.
Non riuscii a sentire la risposta di
nessuno dei due che ero già fuori dalla porta.
Misi piede all’interno del cortile
antistante alla scuola nel momento esatto in cui suonò il
campanello che
decretava l’inizio delle lezioni.
Mi feci tre piani di scale di corsa e
finalmente, una volta giunta di fronte alla porta della mia classe,
potei fare
un gran respiro ed entrare. Salutai la professoressa e mi sedetti al
mio banco,
ma subito notai che Akane e Ray erano assenti.
Mi parve alquanto strano. Akane veniva
tutti i giorni a scuola e Ray anche, a meno che non fossero malati, ma
era
improbabile che fossero malati entrambi lo stesso giorno.
«Signorina Sawada, ci sta seguendo?»
«Sì, certo», risposi alla professoressa
annuendo e rivolgendole un sorriso per poi tornare alle mie
elucubrazioni
mentali senza tener conto dello sguardo di Ivan che sentivo addosso
come ogni
santissimo giorno.
Fortunatamente non fu una giornata
particolarmente lunga né esattamente pesante se non fosse
stato che il ragazzo
in questione, il tenebroso
Ivan-a-cui-tutte-le-ragazze-della-scuola-sbavavano-al-solo-passaggio-tranne-me-figuriamoci,
non mi affiancò sulle scale all’uscita.
Immediatamente mi guardai attorno per
evitare di essere fucilata da una delle Ivan’s Fans appostate
dietro ad un
angolo, poi tornai a guardare di fronte a me, non degnandolo di uno
sguardo.
«Allora questo pomeriggio a casa mia per
Shakespeare?».
Alzai un sopracciglio e lo guardai,
annuendo.
«L’hai detto tu. Passa alle tre».
Se lui aveva scelto il dove io volevo
almeno mettere in chiaro il quando. Non che la situazione mi piacesse
particolarmente, come è già noto.
Detto ciò mi confusi volutamente tra la
folla per sfuggirgli ed inviai un messaggio ad Akane.
“Ehi
disertrice! Ma dov’eri oggi? Mi hai lasciata sola!”
Non mi
rispose per tutta la giornata.
Come
concordato alle tre in punto suonò il
campanello di casa. Non feci neanche in tempo a dire “vado
io!” che mamma mi
precedette.
«Salve signora Sawada. C’è
Lilian?».
Come un perfetto gentiluomo Ivan se ne
stava sulla soglia di casa porgendo un mazzo di fuori a mia madre con
la
classica frase: «Oh, questi sono per lei».
Mi rivolse lo strascico del sorriso che
aveva rivolto a mamma quando mi vide.
Io nemmeno quello.
«Mamma, Ivan. Ivan, mia madre. Andiamo a
fare i compiti. A dopo!», dissi tutto d’un fiato
trascinando fuori Ivan per la
manica della camicia e chiudendo la porta lasciandogli soltanto il
tempo di
salutare con un cordiale “a presto signora! È
stato un piacere” mia madre.
Sulla strada per casa sua tentò di
iniziare un discorso con me al quale io mi ritrovai obbligata a dare
corda.
«Davvero non so perché tu mi odi tanto»
«Oh no, io non ti odio», risposi scuotendo
la testa candidamente.
Io
ti detesto. È diverso.
Eccome
se era diverso.
«Invece a me sembra di sì».
Mi ritrovai a combattere me stessa per
evitare di alzare gli occhi al cielo dall’esasperazione. Mai
conosciuta persona
più insistente di lui.
Continuai a camminare accanto a lui per le
strade quasi vuote di Namimori pensando che in effetti quando stava
zitto non
era poi nemmeno così tanto fastidioso.
Con quello sguardo smeraldino fisso di
fronte a sé, le mani nelle tasche dei jeans, i primi tre
bottoni della camicia
slacciati…
Mi accorsi che lo stavo praticamente
scannerizzando e mi affrettai a distogliere lo sguardo il
più in fretta
possibile.
Ma che diavolo andavo a pensare? E
soprattutto perché lo stavo pensando? Non che pensassi
chissà che, ma già il
fatto di averlo passato ai raggi X era grave.
Gravissimo.
La cosa più grave che… oh mondo.
«Cioè questa… questa è casa
tua?».
Anche i miei pensieri, oltre che il mio
corpo, vennero bloccati dalla casa-stile-reggia di Ivan. Era una villa
a due
piani dove, sul secondo, si apriva un grande balcone che riempiva tutta
la
facciata principale, decorato da cascate di fiori viola, di quel tipo
che
sembrano piumini stesi a prendere aria. Il portoncino
d’ingresso era affiancato
da due semi colonne in ordine tuscanico bianche, così come
tutto il resto della
casa. Mi aprì il cancelletto facendomi entrare per prima e
subito dopo il
portoncino. L’interno mi lasciò tanto stupita
quanto l’esterno se non di più.
Era chiaro, caldo, familiare. Una scala a
chiocciola subito a destra portava al piano superiore, il corridoio
principale
portava alla luminosa cucina e…
«Oh buongiorno, tu devi essere Lilian,
vero?».
Una donna elegante, non molto giovane ma
ancora bellissima e sorridente ci venne incontro, tendendomi la mano
che
strinsi ricambiando il suo sorriso.
«Sarah Carter, sono la madre di Ivan.
Siete qui per la ricerca su Shakespeare, vero?»
«Sì mamma», rispose lui al mio posto.
«Pensavamo appunto di andare in
biblioteca», disse poi.
Allora, prima di tutto “pensavamo” no.
Casomai pensava lui. Ed in secondo luogo…
«Biblioteca?», domandai guardandolo
curiosa. Lui mi rivolse un sorriso mentre sua madre si allontanava
dicendoci
che di lì a poco ci avrebbe portato un thè e mi
condusse su per la scalinata,
attraverso un corridoio, fermandosi di fronte ad una porta a vetri
bianca che
aprì, rivelando una grandissima stanza. Decine di librerie
erano incassate
nelle pareti, ognuna stracolma di libri. Mi venne subito in mente la
scena de
La Bella e la Bestia quando appunto la Bestia porta Belle nella
biblioteca che
aveva fatto sistemare apposta per lei. Ovviamente non era quello il
caso, ma…
«La sezione letteratura è tutta questa»,
disse Ivan indicando un’intera parete e facendo scorrere una
scala per poter
arrivare ai ripiani più in alto.
«In quanto tempo i tuoi sono riusciti a
mettere insieme tutto… questo? Insomma, è un
patrimonio! Hemingway, Tolkien,
Dickinson…», decantai i nomi di grandi scrittori
di cui avevo visto il nome
almeno cinque volte se non di più da quando ero entrata
là.
Era stato zio Hayato a passarmi l’amore
per la letteratura che ancora portavo avanti. Mi accorsi di essere
rimasta
incantata di fronte a tutto ciò, mi rischiarai forzatamente
la voce e mi voltai
verso di lui, trovandolo più vicino di quanto non fosse
prima.
«Allora… cominciamo?», domandai
avvicinandomi alla sezione riguardante la letteratura ed in particolare
alle
opere di Shakespeare.
«Direi di iniziare con l’Otello, che ne
dici? D’altronde Romeo e Giulietta mi sembra decisamente
troppo scontato anche
se è probabilmente una delle sue opere più
conosciute, quindi…»
«Quelle
labbra che Amor creò con le sue mani».
Il primo verso del Sonetto 145, “Quelle
labbra che Amor creò con le sue mani” appunto, mi
giunsero all’orecchio che le
riconobbe immediatamente.
Era uno dei miei Sonetti preferiti di
Shakespeare.
«Quelle
labbra che Amor creò con le sue mani
Bisbigliarono
un suono che diceva “Io odio”
a
me, che per amor suo languivo:
ma
quando ella avvertì il mio penoso stato,
subito
nel suo cuore scese la pietà
a
rimproverar la lingua che sempre dolce
soleva
esprimersi nel dar miti condanne;».
Non accennai a
voltarmi, impilando volumi
su volumi sulla scrivania in mogano poco dietro di me e non osando
nemmeno
alzare lo sguardo verso di lui.
Anche se non aveva intenzione di smettere.
«e
le insegnò a parlarmi in altro modo,
“Io
odio” ella emendò con un finale,
che
le seguì come un sereno giorno
segue
la notte che, simile a un demonio,
dal
cielo azzurro sprofonda nell’inferno.».
Presi un altro
volume dalla libreria ma
quando mi voltai nuovamente per posarlo sulla scrivania assieme agli
altri consunti
trovai Ivan esattamente di fronte a me, tanto vicino da poter sentire
il suo
profumo, tanto vicino che mi fu impossibile non guardarlo negli occhi.
«Dalle
parole “Io odio” ella scacciò ogni odio
e mi
salvò la vita dicendomi “non te”.»,
concluse il sonetto con un fil di voce mentre il silenzio in quella
stanza
stava diventando decisamente più che assordante.
Volevo ma non potevo staccare gli occhi
dai suoi, era più forte di me, era impossibile, oltre la mia
volontà, mentre il
mio respiro diventava via via quasi affannoso, in cerca
d’aria, vedevo il suo
viso farsi sempre più grande e più vicino, il
verde dei suoi occhi diventare
più scuro.
No,
no, no! Lilian! Ricordati quello che hai sentito appena l’hai
visto! Non ci si
può fidare!
Questo
mi diceva la mia mente e questo
sembrava dirmi anche l’anello che portavo al collo, che
sembrava
improvvisamente essere diventato incandescente e pesante tonnellate. Il
mio
buonsenso, fortunatamente, mi impedì di cedere
così, stringendo il tomo, voltai
il viso, passai sotto al suo braccio che aveva teso posando la mano
accanto
alla mia testa, e tornai alla scrivania, tentando di non farmi venire
una
tachicardia nel frattempo.
L’anello, misteriosamente, era tornato
della temperatura e della leggerezza di prima.
Passammo
il resto del pomeriggio più o
meno fino alle cinque a scannerizzare la vita e le opere del caro
vecchio
William che prima della fine della giornata avevamo iniziato a chiamare
per
nome tanto sapevamo su di lui.
Che già era tanto senza studiarci sopra, a
quanto avevamo appurato, ma così l’avevamo
approfondito ancora di più.
«Okay, direi che con quel gran fortunato
di Otello abbiamo concluso. Buona morte agli sposini e
arrivederci», ironizzai
stiracchiandomi dopo essere stata almeno due ore buone con la schiena
piegata
su un libro.
In pratica quasi non ci vedevamo più da
quanti libri avevamo impilato l’uno sopra l’altro
proprio in mezzo alla
scrivania e ammetto che in un certo senso l’avevo anche fatto
apposta. Non ero
stupida e non ero una bambina, perciò avevo capito bene o
male dove volesse
andare a parare con quel Sonetto. Purtroppo per lui non c’era
riuscito granchè.
Mi alzai e presi due tomi andando a risistemarli sui rispettivi
ripiani. Poco
dopo anche Ivan mi aiutò fino a quando la scrivania non fu
in perfetto ordine e
la libreria nuovamente ricomposta. Ripresi il mio quaderno e la mia
borsa ed
uscii assieme a lui scendendo di nuovo nell’atrio. Salutai
lui e sua madre con
un sorriso ringraziandola per l’ospitalità e
riproponendo il nostro appuntamento
di studio al giorno successivo, stesso luogo, stessa ora. Il suo
profumo e la
“reazione” dell’anello mi rimasero in
mente per tutto il ritorno a casa fino a
quando non crollai addormentata.
La
guardai camminare attraverso il
vialetto ed uscire dal cancelletto richiudendoselo alle spalle. Non
chiusi la
porta fino a quando non fui sicuro che fosse scomparsa dietro
l’angolo. Tornai
a voltarmi verso la donna che impersonava mia madre con un sorriso
trionfale.
«Direi che è fatta», dissi battendo le
mani l’una contro l’altra.
Tornai di sopra senza dire una parola e mi
chiusi nello studio, la porta di fronte alla biblioteca dove avevamo
studiato
poco prima.
«Passami il Boss», ordinai alla guardia
all’altro
capo del telefono, all’altro capo del mondo oltretutto.
«Come scusi? La linea deve essere
disturbata, signor Carter, mi dispiace», disse lui con un
forte accento
spagnolo.
Scossi la testa sbuffando spazientito.
«Passami Adelheid, idiota!».
Se non ci si poteva nemmeno più fidare
delle comunicazioni…
PAP – Piccolo
Angolo Pazzo
Ciaossu!
Nuovo capitolooooo! *esulta*
Bene bene, abbiamo visto diverse cose in
questo capitolo.
Nonno Iemitsu che è sempre e costantemente
frizzante come se avesse vent’anni (e ci piace
così **) e la tanto fatidica
ricerca di Ivan e Lilian.
Anche stavolta come per un capitolo
precedente la scena non doveva essere così ma…
Word fa miracoli, quindi è uscita
così e spero vi piaccia e… ecco il grande colpo
di scena di cui vi parlavo
qualche capitolo fa! Rivelata l’identità del Boss
Isogai! Ed il perché sia lei
verrà svelato, non preoccupatevi, ho tutto nella mia mente
contorta *muah*
Tutto a tempo debito u.u
Spazio
ringraziamenti!
Tadadaaààààà xD
Ringrazio Marina (aka Maya the
Flamebreath) in primis. Grazie caraaaaa!! **
Sono sollevata dal fatto che tu mi abbia perdonata per aver fatto
morire il
Decimo ç_ç è stata una scelta sofferta
anche per me ç_ç Grazie, grazie, grazie!
Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto! **
Ringrazio la mia Revy-chan per
l’adorabilità che ha sempre ** In effetti Fong
nonostante sia il detentore del Ciuccio della Tempesta non potrebbe
essere più
calmo di così, cosa che stona appunto con la Tempesta, ma
tutto a discrezione
della sensei u.u Grazie come sempre adoVata! **
Ringrazio Laura come sempre.
Già, scusa cara ma d’ora in poi niente
più
capitoli in anteprima *muah* Mi diverto ad essere cattiva! xD Scherzo
xD
Bacioni! (e buono stage! **)
Ed in ultima ma non per importanza Fel-chan!!
Tesoroooo, non devi
scusarti! Il tuo capitolo è magnificoso e ti capisco quando
dici di essere
sommersa di cose da fare. Ad ogni modo!
“Così come gli sguardi di Reborn danno i
brividi! Ma penso che dopo l'addestramento che ha subito Tsuna il
trauma sia
rimasto direttamente nel suo DNA!” xDDD Beh, in effetti
è possibile! xD (Reborn:
ovvio, la mia influenza modifica il DNA delle persone, non lo sapevate?
u.u
Tutti: no o.O).
“Ah, com'è bello l'odio a pelle tra i
personaggi di una storia!”. È la cosa che amo di
più! ** xD
Bacioni mia cara! ** E grazie mille! **
Che
dire, spero che anche questo capitolo
vi sia piaciuto (stranamente a me si **) e… al prossimo!
xoxo Niki
|
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Capitolo 19 *** 18 . Le stelle gireranno assieme al mio Destino... e al tuo... ***
18 .
Le
stelle gireranno assieme al mio Destino… e al tuo…
Ma tu
guarda se di domenica mi dovevo svegliare alle sette del mattino per
andare a
fare millemila commissioni per mamma.
Cioè, non che mi dispiacesse farle,
specialmente in compagnia dei miei due migliori amici, ma alle sette?
Che poi
ero uscita due ore più tardi sono dettagli.
«Allora, ditemi», dissi uscendo
dall’ennesimo negozio assieme a Ray ed Akane, sorridenti
tutti e due ma…
strani. Avevano qualcosa che non quadrava. Sembravano quasi
più grandi di me di
diversi anni.
«Dove siete stati? È raro che tutti e due
non veniate a scuola. Lo stesso giorno», domandai infine
lanciando uno sguardo
ad entrambi, l’una da una parte e l’altro
dall’altra che praticamente ci
sovrastava tutte e due con la sua altezza.
Non era possibile che a sedic’anni una
persona fosse così alta. E così cocciuta, difatti
come se non mi avesse sentita
infilò le cuffie nelle orecchie e non mi rispose, passando
la palla ad Akane
che fissò di fronte a sé per qualche secondo
prima di guardarmi.
«Ecco noi…», iniziò
titubante, come se non
volesse dirmi ciò che mi avrebbe detto di lì a
poco.
«Voi?»
«Noi stiamo assieme!», esclamò facendo
voltare un paio di persone che passavano di là e facendo
quasi soffocare Ray
che evidentemente non stava ascoltando nulla tranne la nostra
conversazione.
Spalancai gli occhi e per poco anche la
bocca bloccandomi in mezzo alla strada e spostando lo sguardo
dall’uno
all’altra.
Poi capii e ridussi gli occhi a due
fessure.
«Mi state prendendo in giro, lo so», dissi
fissandoli tutti e due e vedendo sbuffare Akane, sconfitta.
Ormai li conoscevo troppo bene ed
oltretutto erano come fratello e sorella, quindi sarebbe stato da
escludere a
priori il fatto che da un giorno all’altro si fossero
fulmineamente, follemente
innamorati.
«Non me la fate, ma d’accordo, se non
volete dirmelo non ditemelo. Lo scoprirò»,
precisai piccata passando avanti e
venendo raggiunta poco dopo da una mano grande di Ray che mi si
posò sulla
spalla.
«Oh, andiamo Lily. Ti spiegheremo tutto,
te lo prometto», disse rivolgendomi un calmo e pacatissimo
sorrisone. Quel
ragazzo sorrideva sempre. E quando dico sempre intendo davvero sempre.
Prendeva
tutto con ironia e leggerezza e potrei giurare di non averlo mai visto
una
volta serio o drammatico in tutti quegli anni.
Era strano, però riusciva sempre a
metterci di buon umore, sia a me che alla biondina lì
accanto che mi abbracciò
in un gesto di scuse per avermi fatta preoccupare per un giorno intero.
«E tu che ci dici, signorina? So che ieri
hai avuto la ricerca. Com’è andata?», mi
domandò curiosa come sempre. Erano un
po’ di giorni, da quando era arrivato Ivan in classe, che lei era sicura che io
fossi
pazza di lui.
Voglio dire. Io pazza di Ivan Kiaran
Carter? Ma scherziamo? Tuttavia lei non sembrava volerlo capire e mi
sgomitò
leggermente con uno sguardo che stava più o meno a
significare: “avanti, sputa
il rospo”.
La sottoscritta, in risposta, alzò le
spalle e continuò a camminare sotto il sole del quartiere
commerciale di
Namimori.
«Penso bene. Almeno non gli ho sparato con
un bazooka e questo mi sembra producente».
Sapevo perfettamente di averla delusa, di
aver distrutto i suoi sogni di gloria di essere vestita color pesca al
nostro
matrimonio, ma purtroppo per lei e per fortuna per me non sarebbe mai
accaduto.
Ma mai mai. Neanche dopo morta.
Anche se Shakespeare sembrava avere avuto
un effetto particolarmente ispiratorio per il nostro Ivan, purtroppo
per lui
non c’ero cascata. Mi piaceva Shakespeare ma non sarebbe
stato di certo un
sonetto a farmi capitolare come una scema, tantomeno per lui, il
ragazzo che
appena arrivato mi aveva subito guardata come se mi volesse ammazzare
seduta
stante. Scossi la testa mentre sentivo il freddo ormai divenuto
familiare
dell’anello sulla mia pelle, sotto la maglietta. Ascoltai i
miei amici tornare
a chiacchierare tranquillamente come sempre e mi reputai estremamente
fortunata
ad averli al mio fianco, normali, ragazzi come tanti altri. Se solo
loro
l’avessero saputo non so che cosa sarebbe potuto succedere
né l’avrei voluto
sapere. Improvvisamente una ragazza dai lunghi capelli rossi
finì contro ad
Akane. Le due si scambiarono uno sguardo frettoloso ma carico, uno
sguardo a
cui non seppi dare un significato e, una volta che l’avemmo
sorpassata, mi
voltai indietro un secondo. La ragazza si stava allontanando, fasciata
in un
nero profondo che faceva un netto contrasto con il colore acceso dei
suoi
capelli. Si voltò anche lei un secondo verso di me. Lo
sguardo azzurro che mi
lanciò fu glaciale e mi girai subito ma con la coda
dell’occhio potrei giurare
di aver visto una pantera camminarle, suadente, accanto.
***
Francia
. Base
Isogai
. Quattro
Marzo
***
Dal jet privato
scese una bellissima donna, fasciata in un tailleur
nero ed una camicia bianca sotto la giacca elegante con un solo
bottone. Gli
occhiali da sole le riparavano lo sguardo mentre dietro di lei almeno
cinque
guardie del corpo la seguivano, tutti rigorosamente in nero. I tacchi
alti risuonavano
veloci sull’asfalto della pista d’atterraggio
riservata del’aeroporto Charles
de Gaulle da dove lei prese un’auto alla volta di un paesino
sperduto nel bel
mezzo delle campagne francesi.
Da quando era fuggita dalla prigione dei Vindice, tutto merito di quell’uomo, era riuscita a
creare
probabilmente il clan più potente e ricco della Yakuza,
attualmente. Quanti
clan in quel momento, dopotutto, avrebbero potuto vantare decine di
basi in
tutto il mondo, se non di più? Quante donne avrebbero potuto
vantarsi di avere
sotto di loro centinaia di sottoposti, tutti uomini, pronti a
soddisfare
qualsiasi suo desiderio e richiesta, di qualsiasi genere e specie? E,
soprattutto, qualsiasi ordine? Indipendentemente da dove fosse nel
mondo, era
sicura di avere sempre qualcuno che le avrebbe obbedito, anche a
kilometri di
distanza. Non si era mai reputata così dura, così
spietata come diversi Boss
che aveva avuto il “piacere” di incontrare e fare
personalmente fuori, ma si
sapeva comunque far rispettare il che, per una donna, in
quell’ambiente non era
affatto impresa da nulla.
La chiamata di Ivan, il giorno precedente, era stata quasi
un’illuminazione, un’infusione di
serenità per lei che aveva avuto una giornata
a dir poco pesante, controllando decine di rapporti da coloro che erano
tornati
vivi dalle missioni e sbrigando tutte le procedure per coloro che vi
erano
tornati da morti. Tranquillamente a mollo nell’acqua calda
della vasca costruita
nel pavimento, piena di schiuma, i capelli raccolti con alcune ciocche
che,
scomposte, le ricadevano sul viso, Adelheid Suzuki ripensava, come
spesso le
capitava di fare nei momenti di solitudine che si prendeva ogni
qualvolta si
spostava da una base all’altra, ai suoi tempi
all’interno dei Simon. Erano
stati giorni felici, ma erano terminati nel momento esatto in cui le
era stata
strappata la divisa di dosso, le era stato ordinato di infilare quella
consunta
tuta a righe orizzontali bianche e grigie ed era stata sbattuta
all’interno di
quella cella fredda, buia ed umida che oltretutto impediva a ciascuno
di loro
di utilizzare le rispettive Fiamme grazie ad una sorta di campo
magnetico o
quello che era. Quantomeno lei ed i suoi compagni erano stati messi
nello
stesso braccio, in celle vicine. Con Enma nella cella a destra della
sua e
Julie in quella a sinistra non si era poi sentita così tanto
sola, ma dopo
tutti quei giorni, mesi, forse anni che vi aveva soggiornato
– non saprebbe
dire quanti – era gradualmente diventata
un’Adelheid diversa. Si era quasi
indurita, era diventata mentalmente più forte.
«In quel luogo non c’è nemmeno la forza
per pensare», aveva raccontato
una volta ad un giovanissimo Ivan che le aveva chiesto di raccontarle
la sua
storia, o almeno un pezzetto. Lei, in un moto di positività,
gli aveva concesso
di venire a sapere più o meno tutto su ciò che le
era successo là dentro. Sospirò
fissando il lampadario in mezzo al grande bagno la cui luce si
rifletteva su
ogni singola goccia in cristallo, espandendo la luminosità
ancora di più,
contrastando con l’oscurità che sempre
più velocemente stava avvolgendo il
mondo. Le era stato concesso di portare con sé uno solo dei
suoi compagni. Ed
aveva scelto Julie. Julie che in quel momento bussò alla
porta bianca,
socchiudendola quel tanto che bastava per sbirciare
all’interno. Lei si voltò
altrettanto per guardarlo. Il suo sguardo era nascosto ancora dalle
lenti degli
occhiali che erano sempre rimasti gli stessi e dalla tesa del cappello
che,
aveva sempre pensato, lo rendeva ancora più affascinante.
«Adelheid?», chiamò lui. Era
l’unico a cui permetteva, in sua
presenza, di chiamarla con il suo nome proprio. D’altronde si
conoscevano da
decisamente troppo tempo per farsi chiamare Boss anche da lui.
«Sì?», domandò lei. Cogliendo
il permesso, Julie entrò chiudendosi la
porta alle spalle e la raggiunse, chinandosi proprio accanto a lei,
osservandola
negli occhi da dietro le lenti.
«Nulla. I ragazzi volevano sapere dov’eri. Sai,
è un po’ che sei qui
dentro e…»
«Oh», sbuffò lei alzando una mano ed
esaminando con cura ogni singola
bolla di sapone, soffiandola poi nell’aria.
«Dovrebbero ormai essere abituati ai miei ritiri,
no?».
Lui rise brevemente scuotendo la testa ed annuendo subito dopo.
Pensava esattamente la stessa cosa, ma probabilmente era lui quello che
la
conosceva meglio là dentro. Era l’unico che lei,
di tutti i Simon, aveva deciso
di salvare ed ancora si chiedeva il perché. Sperava che un
giorno sarebbe stata
proprio lei a rivelarglielo.
«Ehi Katou? Ma ci sei?».
La sua voce nella quale percepì un sorriso lo
risvegliò, ritrovandosi
a fissare una bolla di sapone che in quel momento doveva essergli
sembrata
molto interessante… sulla punta del naso di Adelheid. Per
poco non scoppiò a
ridere, ma inevitabilmente sorrise scatenando la curiosità
della donna che solo
subito dopo si accorse di quel piccolo particolare.
«Oh! È così, eh? E tu non hai nemmeno
pensato di dirmelo, imbecille?»,
disse scherzosamente spruzzandogli addosso dell’acqua. Lui si
alzò appena in
tempo per schivarla, tenendosi il cappello per evitare di perderlo ed
allontanandosi di qualche passo ridacchiando assieme a lei prima che
entrambi
tornassero seri.
«No, in realtà… sono venuto a chiamarti
davvero perché c’è bisogno di
te di sotto. È arrivato un fascicolo e… giuro, lo
leggerei io per te se
potessi, ma probabilmente è meglio che lo faccia
tu… si tratta di Sawada…».
A quel cognome la Adelheid che soltanto Julie conosceva
tornò ad
essere la Adelheid che tutti conoscevano, il Boss. Senza curarsi
minimamente se
l’uomo fosse là o meno attraversò la
grande vasca fino a raggiungere i tre
scalini in marmo che conducevano nuovamente al pavimento. Emerse
dall’acqua
come un’antica divinità, la pelle liscia e bianca
che faceva netto contrasto
con i capelli scuri, e Julie si trovò costretto a deglutire
e distogliere
presto lo sguardo. Lei prese un telo dal mobile bianco là
accanto e se lo
avvolse attorno, creando una specie di X sul petto e legando le due
estremità
dietro al collo così da creare quasi una sorta di abito. Si
voltò verso il
compagno di mille avventure e con passo deciso, assieme a lui,
uscì.
***
Giappone
. Namimori
. Lo
stesso giorno ***
«Mi
spiegate perché avete voluto a tutti i costi
accompagnarmi?»
«Perché ti vogliamo bene, e con i tempi che
corrono per una ragazza
non è saggio andare in giro da sola», mi rispose
Ray facendo finta di essere
saggio, chiudendo gli occhi ed alzando l’indice. Lo osservai
alzando un
sopracciglio, dopodiché ridacchiai scuotendo la testa ed
aprii la porta di casa
entrando assieme ai miei amici. La prima cosa che sentii fu…
il silenzio. E la
prima che vidi fu che tutte le luci erano spente. Mi guardai attorno
con la
fronte aggrottata e tolsi le scarpe.
«Mamma?», chiamai senza ottenere risposta. Di
solito era impossibile
sentire un silenzio del genere in casa mia, cosa che mi
inquietò ancora
maggiormente. Entrai in cucina ma nemmeno là la trovai,
però ne approfittai per
posare le buste sull’isola. Rivolgendo uno sguardo alla porta
non vidi nemmeno
più Akane e Ray.
Okay, pensa.
Diavolo, non possono essere scomparsi tutti improvvisamente, evaporati,
no?
Giusto.
L’evaporazione umana, d’altronde, non era stata
ancora
segnalata in nessun luogo nel mondo. L’autocombustione
sì però, ma di ceneri a
terra non ce n’erano ed oltretutto me ne sarei resa conto se
i miei amici
avessero iniziato improvvisamente a prendere fuoco.
Oh, lasciamo perdere. Quando ero agitata iniziavo a fare discorsi
mentali degni di qualsiasi ricoverato del CIM.
Scossi la testa bofonchiando cose come “ma dove diavolo sono
andati a
ficcarsi?” proprio nel momento esatto in cui aprii la porta
scorrevole del
soggiorno, le luci si accesero ed un “SORPRESA!”
mi assalì le orecchie. E rimasi sorpresa davvero nel vedere
mamma, tutti i miei
zii e zie, i sopracitati Akane e Ray e Reborn, dietro a tutti, le
braccia
incrociate, ma un leggero sorriso che riuscii a vedere prima che
scomparisse.
«Buon compleanno, nipotina!», esclamò
zia Hana subito dopo
avvicinandosi ed abbracciandomi, anche se il pancione impediva un
po’ il
contatto. Oh si, perché dopo matrimonio e compagnia bella a
zio Ryohei e zia
Hana era venuto finalmente in mente di allargare la famiglia.
Certamente
sarebbe stato al settimo cielo di avere un nuovo piccolo Sasagawa per
casa a
cui insegnare tutti i segreti della boxe. E tutti sapevano che era un
maschio
tranne lui. Perfino zio Hayato e zio Takeshi lo sapevano, ma gli
avevamo fatto
giurare di non dire una sola parola.
Diversi abbracci mi avvolsero, quelli dei miei amici, quello di mamma,
di zio Hayato e zia Haru, in pratica di tutti gli invitati tranne di
Reborn che
si limitò a posarmi una mano sulla spalla e farmi gli
auguri. Non che mi
aspettassi tantissimo altro, comunque.
Fu finalmente anche l’ora dei miei migliori amici ai quali
lanciai uno
sguardo scherzoso che stava più o meno a dire:
“non fatelo mai più!”.
«Oh, Lily, ti devo presentare una persona», disse
poi Akane
allontanandosi per qualche secondo per poi ritornare tenendo a
braccetto un
ragazzo che doveva essere sicuramente più grande di noi.
«Lui è Soichiro Saito, Soi per gli amici. Mio
cugino», sorrise mentre
io e Soichiro ci stringevamo la mano. Mi aveva parlato ogni tanto della
sua
famiglia, Akane, e sapevo che non ci andava troppo d’accordo,
ma l’unica
persona con cui aveva un rapporto pressochè idilliaco era
proprio suo cugino
Soichiro.
«Beh, è un vero piacere»
«Il piacere è tutto mio. Non sai quanto Akane mi
ha parlato di te
nelle sue mail», sorrise di un sorriso sottile ed ambiguo ma
che non mi fece
sentire affatto a disagio. Casomai molto calma e tranquilla, ma non in
pericolo. Era strano come fossi tutt’a un tratto diventata
estremamente
empatica da quando era arrivato Reborn in casa. Intuitiva. E finalmente
diciassettenne. Grande.
La
serata era passata in modo assolutamente tranquillissimo ed alla
fine eravamo rimasti soltanto io, mamma, zia Haru e zio Ryohei
appoggiata alla
cui spalla mi ero addormentata tutt’a un tratto. Soltanto il
tocco leggero di
mamma mi risvegliò appena in tempo per riuscire a salutare
gli zii con un
grande abbraccio, ringraziandoli per lo splendido compleanno che mi
avevano
regalato. Feci lo stesso con mamma aiutandola a riordinare ed
augurandole la
buonanotte con un bacio sulla guancia prima di salire di sopra e
prepararmi per
andare a letto. Passando di fronte alla porta-finestra che dava sul
balcone
vidi una figura appoggiata alla balaustra. Aprendola quel tanto che
bastava
riuscii ad intravedere la sagoma di Reborn con ancora in testa il
cappello.
Uscii richiudendomi la porta alle spalle e lo raggiunsi. Rimanemmo
tutti e due
in silenzio per diversi secondi prima che fossi io a parlare.
«Posso chiederti una cosa?», domandai. Il suo
sguardo parve luccicare
per un secondo, poi annuì impercettibilmente.
«Come mai ti chiamano Arcobaleno?».
Ed il suo sguardo luccicò ancora, soltanto di
qualcos’altro rispetto a
prima. Fece un gran sospiro e rimase ancora in silenzio prima di
sospirare
nuovamente ed iniziare a parlare.
«Vedi, Lilian… per tutto il tempo in cui ho
addestrato tuo padre io
sono stato della statura di un bambino, ma avevo la mente di un
uomo».
Con quelle semplici parole mi chiarì come mai nella foto
della
Famiglia che avevo trovato una volta e che ora stava sopra al camino
c’era un
bambino vestito esattamente come lui in quel momento. Perché
era lui. Ma la
cosa ancora mi sfuggiva.
«Io ed altri sette eravamo i prescelti. Viper, Skull, Verde,
Fong,
Colonnello, Lal Mirch e… Luce».
Esitò sull’ultimo nome ed inizialmente non ne
capii il motivo. Anche
se in un certo senso probabilmente un sospetto potevo averlo. Quale
uomo,
d’altronde, avrebbe pronunciato il nome di una donna in quel
modo? Malinconico,
nostalgico, sognante. Non era da lui ed avevo imparato a capirlo, ma
era ciò
che avevo sentito.
«La maledizione degli Arcobaleno ci fece diventare dei
bambini.
All’improvviso ci ritrovammo tutti alti meno di un metro con
addosso dei
mantelli. Tuttavia fortunatamente le abilità che avevamo
acquisito prima
rimasero tali, così ognuno seguì la propria
strada fino a quando ci ritrovammo
per addestrare tuo padre ed i Guardiani. Tutti tranne Luce che
sembrò essere
dispersa».
C’era tanta frustrazione nelle sue parole anche se tentava e
riusciva
molto bene a nasconderla. Era un uomo che era passato attraverso
tantissime
prove, tantissimi ostacoli e che li aveva superati tutti, senza nessuna
eccezione. Ed era diventato ciò che era ora.
«Poi la maledizione è stata… diciamo
revocata. E siamo tornati tutti
alle nostre forme adulte. Mentre Luce… Luce è
morta diverso tempo fa», disse
abbassando lo sguardo sulla strada, ormai vuota, e rialzandolo
nuovamente alla
luna.
«Tutto qui. E mi piacerebbe moltissimo che non mi si
chiamasse più
Arcobaleno Reborn, ma… ma ormai è come
un’etichetta, e sarà difficile da
togliere».
Sospirò nuovamente e si allontanò dalla balaustra
e da me, guardandomi
un’ultima volta.
«Va a letto, domani sarà una giornata pesante. Ah,
ed auguri ancora».
Mi voltai trovandolo già dietro la porta. Rimasi a fissarla
per
qualche secondo respirando a fondo l’aria della sera,
dopodiché rientrai.
Quella notte, non so perché, sognai Luce.
PAP – Piccolo Angolo
Pazzo
Ciaossu!
Ecco qui pronto anche il diciottesimo capitolo, dal titolo che
praticamente è una frase di Luce.
Luce che, soprattutto nella parte finale, ha avuto un suo peso,
è
stata al centro di parte del discorso di Reborn. Lo so, lo so, non
c’è niente
di certo, ma io sono sempre stata sicura da quando ho visto le loro
scene
assieme che Reborn qualcosa per Luce lo provasse. D’altronde
d’accordo che è il
famoso Tutor Hitman Reborn, ma non dimentichiamoci che è pur
sempre un uomo,
mica un Terminator venuto dal futuro! xD Oltretutto, in questo capitolo
abbiamo
visto l’entrata in scena di due nuovi personaggi: Soichiro,
il cugino di Akane,
e la misteriosa ragazza rossa nel quartiere commerciale. E non posso
dire altro
se non che scrivere il successivo paragrafo solo per Adelheid
è stato sì bello
ma anche difficilissimo, sempre per il mio terrore di rendere i
personaggi OOC…
e con Julie mi sa di averlo proprio fatto ç_ç
Chiedo perdono ç_ç
Passiamo
allo spazio ringraziamenti che è meglio
ç_ç
Ringrazio Marina e Laura
come sempre per i commenti. Eh già,
da qui in poi le cose non saranno affatto facili, basti sapere che
proprio all’inizio
del prossimo capitolo verrà messa a dura prova da Lal xD
Grazie mille care!
La mia adorata Fel-chan! xD
Fortuna che allora non lo sa, altrimenti mi ritroverei senza
protagonista! xD
Ho pensato fosse quantomeno doveroso inserire anche soltanto una scena
con il
nonnino. Perché è il nonnino e tanto basta u.u
Per quanto riguarda Akane e Ray
si scoprirà tra poco perché non c’erano
a scuola. Del tutto accidentalmente, ma
si scoprirà hihi
“Tieni giù le tue polpose manacce da Lily
prima che venga io di persona a tagliartele!! Anzi,
ci mando Demetra che è peggio!!” Paura!
O.O Anche se
effettivamente una bella iniezione di terrore gli farebbe bene eh u.u
Eh si xD
Proprio lei! Adelheid Suzuki! E
“quell’uomo” di cui ha parlato in questo
capitolo sarà un colpo di scena ancora maggiore quando si
scoprirà chi è *muah*
Grazie adorata! Spero che anche questo ti sia piaciuto! **
La mia seconda adorata (anzi, adorata a
pari merito sisi u.u) Revy-chan!
Nuuu tesoro ç_ç non era mia intenzione farti
commuovere ç_ç Però ben detto! Al
nonno
si perdona tutto! xD
“Ovvio. Perchè Lilian non è come Tsuna
che
sembrava uno stalker afono quando vedeva Kyoko”. xDDD
Adorata, hai
perfettamente ragione! xD Almeno all’inizio,
perché poi già nel Future Arc
sembra avere un pochino più di testa ed essere diventato il
classico ragazzo
innamorato che non deve per forza andare in apnea ogni volta che la
vede xD E
Adelheid hihi Caspita, sono contenta di avervi sorprese così
tanto con lei! **
Grazie mille anche a te adorata! ** E come al solito spero che anche
questo
cappy ti sia piaciuto! **
Appuntamento
al prossimo capitolo!
Bacioniiii!!
xoxo Niki
|
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Capitolo 20 *** 19 . Guardian Force ***
19 .
Guardian
Force
Theme Song : Infinite
Legends by Two Steps From Hell
***
Giappone. Namimori. Casa Sawada ***
«Di
nuovo».
L’ordine quasi esasperato del mio Tutor
raggiunse per l’ennesima volta le mie orecchie, anche coperte
dalle cuffie
protettive. Mi rimisi nuovamente in posizione,m la gamba sinistra
leggermente
davanti a quella destra, le spalle dritte, le braccia a stringere
saldamente la
pistola e lo sguardo fisso sul mio obiettivo.
Sparai.
E di nuovo prima venni quasi sbalzata
indietro dal rinculo dell’arma e poi il proiettile
andò a piantarsi con un
rumore secco e breve nell’unico punto dove non sarebbe dovuto
andare: contro il
muro.
Rimasi per un momento con le braccia
abbassate, la pistola ancora in mano, chiedendomi se fosse uno scherzo
o cosa.
Se il proiettile fosse stato in qualche modo manomesso per non andare
nella
giusta direzione o chessò io. Feci un gran respiro profondo
e mi riavvicinai
nuovamente al banco al quale ero di fronte prima, posai la pistola, le
cuffie e
gli occhiali protettivi e mi voltai verso i miei due Tutor, entrambi
esattamente nella stessa posizione.
Mi guardavano con le braccia incrociate e
con espressione spazientita. E lo credo, era la quindicesima volta che
sbagliavo – sì, le avevo contate – e
sinceramente la cosa stava iniziando a
dare sui nervi anche alla sottoscritta. Reborn,
dietro alle loro spalle, se ne
stava appoggiato alla parete, il cappello abbassato di modo tale da
nasconderne
almeno in parte lo sguardo che sentivo comunque scivolarmi addosso.
Il silenzio regnò per diversi,
interminabili secondi prima che Lal mi si avvicinasse mettendomi
sorprendentemente una mano sulla spalla.
«Vieni con me».
Mi condusse nuovamente dov’ero prima e mi
rimise in mano la pistola, sistemandomi dita, polso, braccio e spalle.
Aveva mani
fredde ma sorprendentemente non mi dettero fastidio. Un colpetto dietro
al
ginocchio per farmi riprendere la posizione delle gambe che avevo prima
–
almeno quella era giusta – e si allontanò da me di
un passo solo.
«Focalizza l’attenzione là in
mezzo»,
disse indicando il centro della sagoma nera a diversi metri da me.
«Cerca di vedere soltanto quello…»
«Lal, non serve a niente», la riprese
Colonnello alle sue spalle. Con la coda dell’occhio la vidi
scuotere la testa e
voltarsi verso di lui.
«Tu sta zitto. Ricordati che sono stata la
tua Tutor un tempo e che con te ho usato lo stesso identico
metodo»
«Se posso dissentire con me sei stata e
tuttora sei molto più…»
«Sì, ma non posso prendere lei a pugni,
non credi?», domandò lei infine dopo quel veloce
scambio di battutine che
assomigliava molto di più ad una discussione tra fidanzati
che tra due Tutor
che teoricamente sarebbero dovuti stare sullo stesso piano.
«Io l’avevo detto che non sarebbero
riusciti ad andare d’accordo», disse Reborn facendo
nuovamente alzare gli occhi
al cielo a Lal che, una volta tornato il completo silenzio
all’interno della
stanza, tornò a parlarmi.
«Concentrati. E quando senti che è il
momento, spara».
Così feci.
Chiusi gli occhi, respirai a fondo fino a
quando anche il battito del mio cuore non ebbe rallentato. Non pensai
più a
nient’altro che non fosse il cercare di colpire quella
dannata sagoma. Ad un
certo punto non ebbi più nemmeno la percezione dello spazio,
delle persone
attorno a me. C’ero solo io, la pistola, il colpo in canna e
quella sagoma.
Visualizzai il percorso che il proiettile avrebbe dovuto fare e senza
pensarci
nemmeno sparai.
Il
suono mi arrivò nuovamente all’udito
anche oltre le cuffie di protezione e non osai aprire gli occhi fino a
quando
non sentii una mano gentile posarsi sulla mia spalla. Alzai lo sguardo.
Più o
meno nel centro esatto della sagoma c’era un foro
perfettamente circolare. Un
sospiro di sollievo lasciò le mie labbra e voltandomi vidi
Lal e Colonnello
osservarmi con un leggero sorriso.
«Ben fatto», disse lei mentre posavo tutto
l’armamentario e mi risistemavo la divisa scolastica.
Soltanto quel piccolo
gesto mi fece rendere conto che ero in ritardo. O almeno
così credevo.
Maledetta assenza di orologi! Con espressione terrorizzata sgusciai
verso la
porta.
«Scusate, continueremo dopo lo giuro, ma
devo andare a scuola!», detto ciò corsi fuori,
afferrai la borsa, salutai
frettolosamente mamma ed uscii.
***
Giappone. Namimori. Casa Iwamura ***
«Sonoinritardosonoinritardosonoinritardooooooo!».
Un
qualcosa simile ad un uragano dai lunghi capelli biondi si
fiondò in cucina. A
velocità da Gran Premio, Akane addentò uno dei
toast che sua madre aveva
preparato e si piazzò di fronte allo specchio
dell’ingresso di casa
raccogliendo i capelli in una coda alta, come sempre lasciando libero
il ciuffo
che le ricadeva di fronte al viso.
«Tesoro,
sicura che a quella sveglia non si siano scaricate le batterie? Non
è possibile
che ultimamente arrivi sempre in ritardo»
«Sì
mamma, sono sicura», rispose lei con stizza.
Sapeva
perfettamente bene che non le si erano scaricate le batterie. Tanto
ormai aveva
Luxor, la sua sveglia personale… che comunque non funzionava
troppo in ogni
caso.
A proposito!
Quasi me ne stavo
dimenticando!
Strinse
un’ultima volta la coda e si fiondò nuovamente
verso la sua stanza, afferrando
in modo stranamente delicato la Box sulla scrivania.
La osservò
dibattersi tra le sue dita aggrottando leggermente la fronte.
Il giorno
precedente l’incontro di Lilian con suo cugino
l’aveva sorpresa. Erano sembrati
andare d’accordo sin dal primo momento in cui si erano visti,
stranamente. Ma la
cosa che aveva occupato la sua mente per tutto il giorno era stata lo
“scontro”
con quella ragazza dai capelli rossi nel quartiere commerciale. Aveva
visto la
pantera e non c’erano dubbi che fosse chi lei credeva che
fosse. A casa Iwamura
il nome degli Anforti era girato particolarmente spesso. Si erano
persino
incontrate da bambine. L’unica cosa che Akane ricordava di
Maya e Georgia era
che non erano andate particolarmente d’accordo sin dal primo
istante, a
differenza di Lilian e Soichiro. Mah…
«No
Lux. Siamo già in un ritardo mastodontico», disse
scuotendosi rivolta alla
piccola scatolina prima di adagiarla tra i libri e la felpa nella
borsa.
Un ultimo
sguardo all’orologio per rendersi conto in che razza di
ritardo effettivamente
era ed uscì.
«Ci
vediamo più tardi!», esclamò prima di
chiudersi la porta alle spalle.
***
Giappone. Namimori. Casa Amane ***
«Sei
pronto Ray?»
«Sì,
mamma, ora arrivo», rispose Ray con voce ancora mezza
assonnata ma con la mente
assolutamente sveglia.
Ancora
sdraiato sul letto ma con la divisa della scuola già
addosso, osservava l’anello
che portava al dito senza dire una parola sola.
Era
stato il famigerato Tutor Reborn a consegnare gli anelli a tutti loro,
per
questo sia lui che Akane quel giorno non erano stati presenti a lezione
e per
questo Lilian si era preoccupata così tanto. Non lo avrebbe
voluto. Anzi,
avrebbe desiderato con tutto se stesso che il momento in cui lei
avrebbe saputo
tutto – sul fatto che ognuno di loro aveva uno specifico
collegamento con i
Vongola o comunque con la mafia – così da potersi
confidare con loro anche su
ciò. Sia lui che Akane l’avevano vista sempre
più pressata in quegli ultimi
giorni e l’unico momento in cui l’avevano vista
davvero spensierata era stato
il giorno prima alla sua festa di compleanno.
Fortunatamente
non si era accorta della ragazza che era finita con finta
casualità addosso ad
Akane nel quartiere commerciale di Namimori.
Fece
un gran sospiro spostando lo sguardo dall’anello, che
infilò nella catenina che
teneva al collo subito dopo, alla Box sul suo comodino.
Aggrottò la fronte. Strano.
Non gli sembrava di averla lasciata là prima. Sembrava
proprio che qualcuno l’avesse
spostata di un paio di centimetri. Scuotendo la testa e dandosi da solo
del
visionario si alzò iniziando a preparare la borsa. Tuttavia
un rumore piccolo e
delicato, come una penna che batte sul legno, lo fece voltare
nuovamente. La
Box, piccola e azzurra, si stava muovendo, stava quasi saltellando sul
comodino. Vi si avvicinò e la prese tra le dita pensando che
si sarebbe
fermata, cosa che non fu.
«Ci
siamo quasi, eh?», domandò più a se
stesso che ad altro. Aggrottando leggermente
la fronte e facendo un altro sospiro nascose l’anello sotto
la camicia ed uscì.
Già.
C’erano
quasi.
***
Giappone. Namimori. Casa Takeuchi ***
«Georgia
ti sposti per favore? Occupi
tutto lo specchio!»
«Se aspetti due secondi, sorellona, vedrai
che lo lascio tutto per te»
«Ragazze, smettetela. Lo sapete che non
voglio sentire litigi di prima mattina in questa casa»
«Ma, mamma…»
«Niente “ma”, Maya».
Quasi
ogni mattina era così a casa Takeuchi.
Maya,
la sorella maggiore di diciassette anni, e Georgia, quella minore di
quindici,
si contendevano lo specchio del bagno più grande della casa,
quello al piano
superiore, facendo quasi perdere le staffe a loro madre, Miho.
«E
cercate di fare meno rumore, vostro padre è tornato molto
tardi stanotte», le
rimbeccò, alchè loro si zittirono subito e
continuarono a prepararsi per la
scuola.
Maya
non ne vedeva l’utilità, essendo la figlia di uno
dei collaboratori più fidati
di una Famiglia alleata ai Vongola, mentre Georgia, la più
studiosa delle due,
non aspettava altro ogni mattina che andare a scuola, cosa che la
sorella non
riusciva a capire. Maya appuntò due fermagli a forma di
stella sui lunghi
capelli rossi, di modo tale da tenere raccolti quei due ciuffi che le
finivano
sempre di fronte agli occhi, mentre Georgia raccolse i suoi,
altrettanto lunghi
ma del colore di suo padre, quasi bianchi, in due code alte ai lati del
capo.
Non si assomigliavano per niente, l’una con dei grandi occhi
azzurri e l’altra
con dei caratteristici occhi di un castano talmente insolito da
sembrare quasi
rosso ma entrambe avevano un fortissimo senso di rispetto per la loro
Famiglia,
gli Anforti, e per quella alla cui era alleata, i Vongola. Loro padre
era
giapponese ed aveva conosciuto loro madre durante una missione che gli
era
stata affidata in Italia. E da là era stato amore a prima
vista, lei gli aveva
raccontato di come facesse parte della Famiglia Anforti e lui aveva
deciso di
seguirla là, entrando a farne parte dato che il Clan
Takeuchi stava sempre più
velocemente andando in rovina. Fu proprio là che nacquero e
vissero le due
bambine per alcuni anni, facendosi conoscere da quasi tutti gli Anforti
e
tenendo pur sempre i contatti con i Vongola. Una volta cresciute
abbastanza da
poter capire più o meno i meccanismi delle Famiglie vennero
addestrate entrambe
a diventare parte integrante della Famiglia e, perché no,
anche future
capofamiglia. Ciononostante…
«Ragazze,
è tardi, datevi una mossa! Siete ragazze normali qui, non
membri di una
Famiglia mafiosa, avanti!».
Già,
ragazze normali, cresciute per quanto possibile come normali ma
certamente
consapevoli di non esserlo del tutto.
«Arriviamo!»,
risposero in coro.
Cinque
minuti più tardi si avviarono assieme verso la scuola,
ognuna con il proprio
Box Heiki nella borsa. Maya si accorse subito che Eve, una maestosa
pantera
nera, si stava agitando là dentro, al buio, ma decise di non
farci troppo caso.
Si limitò soltanto a lanciare uno sguardo alla sorella.
Dopotutto, erano già state
informate che di lì a poco si sarebbe scatenato
l’inferno.
O
qualcosa di molto simile, insomma.
***
Giappone. Namimori. Casa Fujihara ***
«Ancora!».
L’ennesimo
clangore riverberò per tutta la stanza mentre padre e figlio
si scontravano
senza esclusione di colpi di fronte agli occhi della madre di Jin,
poggiata
allo stipite della porta senza proferir parola alcuna.
Si
osservavano, si scrutavano come se non fossero affatto padre e figlio,
come se
fossero veramente due nemici pronti ognuno ad uccidere
l’altro per
sopravvivere. D’altronde era così che
l’avevano cresciuto. Con la certezza che
in un mondo della mafia come quello in cui vivevano loro vigeva la
legge del
più forte.
O
addenti o vieni addentato, come si diceva in un film
d’animazione di qualche
anno fa. Mai parola furono più sagge, specialmente in quella
occasione. Il
padre di Jin, Meiji, era stato il Guardiano del Fulmine
dell’ultimo Boss del
Clan Takeuchi prima che questo andasse in rovina e si mettesse in
proprio
aprendo un negozio di generi alimentari esattamente sotto casa,
tuttavia
continuando ad allenarsi assieme a suo figlio mentre la moglie,
totalmente
estranea al mondo della mafia fino a quando non aveva sposato Meiji,
rimaneva a
guardarli, in continua apprensione per il figlio.
«Jin!
Non ti distrarre!», urlò l’uomo nei
confronti del figlio che sì, si impegnava,
ma secondo la sua opinione era più incline a farsi distrarre
dalle cose più
piccole che lo circondassero.
«La
distrazione può essere fatale!», e detto
ciò affondò un’ultima volta verso il
figlio riuscendo a colpirlo di striscio sul braccio con la lama della
naginata
che brandiva.
Jin
si ritrasse continuando a masticare la gomma ed osservandosi il braccio
sul
quale iniziò, leggera, a sgorgare prima una, poi due gocce
di sangue chiaro.
Alzò lo sguardo verso il padre che gli si stava avvicinando
e che, una volta
raggiunto, gli posò una mano sulla spalla.
«Bel
lavoro, ben fatto figliolo. Ora va di sopra e preparati per la
scuola»
«Sì,
papà. Ma la prossima volta cerca di andarci più
leggero! Fa un male cane!»,
esclamò uscendo dalla stanza ed avviandosi verso il piano
superiore. Sotto la
luce bianca del bagno e di fronte allo specchio la ferita sembrava aver
assunto
un altro colore, così come la sua pelle. Scosse la testa e
lasciò che i muscoli
si rilassassero sotto il getto caldo dell’acqua della doccia.
Poggiò una mano
alla parete di fronte a lui. Nemmeno quella volta era riuscito a
battere suo
padre ma ce l’avrebbe fatta. Era sicuro che ce
l’avrebbe fatta, prima o poi.
«Devi
iniziare a darci dentro, Jin, o quando arriverà il momento
non sarai pronto
neanche lontanamente», gli aveva detto suo padre
rivolgendogli uno sguardo
durissimo che lui aveva ricambiato prima di vederlo nuovamente
scomparire
dietro la porta. Un leggero rumore gli raggiunse l’udito,
sorpassando lo
scrosciare dell’acqua. Spostò la tenda e
notò la piccola Box verde quasi saltellare
sul piano del lavello. Scosse la testa aggrottando leggermente le
sopracciglia.
Non era ancora il momento di entrare in azione. Non ancora.
***
Giappone. Namimori. Casa Saito ***
La
penna disegnò l’ultima lettera della frase alla
perfezione prima che Soichiro
Saito, studente della Namimori High School, ultimo anno, la rinfilasse
al suo
giusto posto nel portapenne sulla scrivania ordinata.
L’ordine
era sempre stato il suo punto debole, non sopportava di vedere le cose
in
disordine, caratteristica quasi sicuramente ereditata da sua madre,
Harumi,
nonché zia di Akane essendo sorella di sua madre.
E
proprio pensando a sua cugina gli tornò in mente la sera
precedente, quando
aveva conosciuto Lilian.
Quando
aveva conosciuto l’Undicesimo Boss della Famiglia Vongola.
Entrambe le loro
madri, Harumi ed Ayame, avevano fatto parte del CEDEF, per questo loro
due
erano inevitabilmente collegati ai Vongola, oltre al fatto che sua
cugina era
la migliore amica di Lilian, il che rendeva le cose ancor
più facili. Era stato
strano ma piacevole incontrarla. A prima vista non si sarebbe detta un
Boss di
una famiglia mafiosa né tantomeno la figlia di Tsunayoshi
Sawada, il Decimo dei
Vongola. Ma così era, e riponeva fiducia in lei. Tanta
fiducia.
Un
leggero bussare alla porta lo risvegliò dai suoi pensieri.
Mentre sistemava gli
ultimi quaderni nella borsa scolastica sua madre entrò nella
stanza,
socchiudendo appena la porta.
«Tesoro,
sei pronto?».
Lui
sorrise. «Sì, mamma», disse
raggiungendola dopo aver richiuso la zip.
«Sono
pronto».
Uscì
dalla stanza sorprendendosi che quel giorno sua cugina non fosse nel
bel mezzo
dell’atrio a salutarlo sbracciandosi ed urlando il suo nome.
Sorrise a quel
ricordo. Era sempre stato tipico di Akane essere sempre estremamente
solare con
tutti, indistintamente.
«Sicuro
di non aver dimenticato nulla?», domandò sua madre
una volta accompagnato il
figlio sulla soglia di casa. Lui sorrise e fece un gran sospiro,
stringendo
maggiormente la borsa sulla spalla dove la Box stava iniziando ad
agitarsi.
«No»,
rispose.
«Nulla».
***
Giappone. Namimori. Casa Isogai ***
«È
tutto in ordine, Ivan? Come avevamo previsto?»
«Sì,
Boss. Tutto come previsto dal piano. Sawada capitolerà
presto per me ed allora
la avremo nelle nostre mani. Sarà facile.
D’altronde è soltanto una ragazzina e
si sa che le ragazzine sono particolarmente inclini al fascino del
nuovo
arrivato, perciò…».
Una
leggera, sinistra risata si fece sentire all’altro capo del
telefono, facendo
sorridere a sua volta il giovane.
Sapeva
di star facendo un lavoro eccellente per il proprio Boss e non si
sarebbe fermato
di fronte a nulla.
«E
che cosa mi sai dire sul suo allenamento?»,
domandò la donna. Lui alzò le
spalle.
«Non
molto in verità. Ciò che sappiamo per certo
è che è seguita dal Tutor Reborn
più altri tre membri degli ex Arcobaleno. Non penso siano
una grande minaccia,
conosciamo come agiscono», constatò con
un’espressione di sufficienza che il
suo Boss non potè vedere.
Ci fu
un lungo periodo di silenzio tra i due. Entrambi stavano cercando un
modo per effettuare
il prossimo passo.
«Molto
bene. Ivan, tienila d’occhio, e tieni d’occhio
anche le persone accanto a lei. Non
possiamo fallire, stavolta»
«Certo,
Boss».
Detto
ciò riattaccò la cornetta a si sistemò
la giacca della divisa della scuola. Dannata
scuola. E oltretutto quel beige sminuiva ciò che era. Un
assoluto affronto al
suo status sociale, nonché alla sua prestanza fisica.
Con
uno sbuffo prese la borsa ed uscì dalla villa.
Lo sguardo
duro e concentrato di prima si trasformò in un paio di
bellissimi occhi azzurri
di un ragazzo normale appena trasferitosi.
Camminò
a lungo sempre con la stessa espressione, con lo stesso sorrisino
appena
accennato sul viso salutando chi incontrava per strada cordialmente,
cosa che
non era affatto abituato a fare, ma per preservare la facciata e la
buona
riuscita della missione questo ed altro. Una volta di fronte alla
scuola notò
subito la figura di Lilian assieme ad Akane nell’ingresso e
le raggiunse.
«Buongiorno
signore. Lilian…», disse semplicemente
rivolgendole uno sguardo eloquente al
quale lei rispose con un semplice: «Ciao» e si
voltò, afferrando Akane per un
braccio e portandola dentro.
Ivan
scosse la testa ridacchiando brevemente e, piantando le mani nelle
tasche dei
pantaloni, entrò a sua volta.
Probabilmente
sarebbe stato più facile di quanto avesse mai pensato.
PAP
– Piccolo
Angolo Pazzo
Ciaossu!
Evvaiii,
finalmente il capitolo Diciannove! Dove il titolo potrebbe o non
potrebbe
riferirsi ai GF di Final Fantasy xD L’ho tenuto in sospeso
per parecchio,
davvero per tanto, sinceramente da prima di pubblicare il Diciotto. Ma
alla
fine ce l’ho fatta. Ammetto che è un capitolo un
po’ strano, questo. Ci sono
tanti cambi di luogo pur sempre restando nella stessa città
e nello stesso
lasso di tempo (più o meno tra le sette e mezza e le otto
del mattino diciamo,
difatti sono bene o male tutti in ritardo xD) e diversi nuovi
personaggi. Questo
semplicemente perchè se non li introducevo adesso non li
introducevo più, ed ho
pensato che fosse ora dato che siamo già al Diciannovesimo
capitolo. Come si è
potuto vedere proprio come in una scena di un film ho voluto creare la
stessa situazione
per tutti. La preparazione per la scuola, la Box che si agita e
l’uscita di
casa. Tranne che per Ivan che, per ovvie ragioni, una Box non ce
l’ha… ancora.
*muah*
Rileggendolo
ammetto che non mi convince troppo ma… la parola, come
sempre, sta soltanto a
voi! **
Ma
eccoci finalmente giunti al nostro consueto appuntamento
con…
lo Spazio Ringraziamenti!
Ringrazio
Marina in primis. Sono
contentissima
che ti sia piaciuto anche questo chappy e che soprattutto ti sia
piaciuta la
scena tra Reborn e Lilian. Per quanto riguarda la maledizione posso
dire che l’unica
cosa che mi è venuta in mente come espediente è
che, una volta riportati in
vita tutti nell’episodio 203 dell’anime, anche la
maledizione si sia dissolta… in
qualche maniera ^^” Lo so, lo so, non sta in piedi
^^” Uccidetemi pure xD
Grazie mille di nuovo!
Ringrazio
Dark_Glo in secondi. Waaa, ma che
bello avere una nuova lettrice! Addirittura diciotto capitoli tutti in
una
volta!? O.O Ti stimo sorella *bassifondi di New York Stile* xD Eh, lo
so, anch’io
ci ho sofferto alquanto a far morire Tsuna ma… ma prometto
che tra pochi
capitoli ci sarà una sorta di riapparizione del nostro amato
Decimo! ** Anche a
te, grazie mille nuovamente! ** Spero che anche i prossimi capitoli
possano
piacerti!
Ed
in ultima ma non per importanza la mia adorata Fel-chaaaaan!!!
** Mi sa che a sto punto Demetra ci vuole proprio
per rimettere a posto ‘sto cretino di un Ivan -.-
l’ho creato io e già non vedo
l’ora di toglierlo di mezzo, sul serio xD Ad ogni modo, sono
lieta che i
risvolti proposti siano stati di tuo gradimento u.u Eheheh, non sei
l’unica
rimasta sorpresa da quella frase di Akane. Pure mia sorella ci
è rimasta xD
“è
sempre bellissimo
ripercorrere i momenti di vittoria dei capitoli precedenti!
=)” Parole sante
u.u ** (Anche se a te con Dem viene meglio hihi Giuro u.u). *sospiro di
sollievo* Mamma mia grazie ** Sul serio, riguardo al pezzo tra Adelheid
e Julie
non ero per niente convinta e sono stata anche tentata di cancellarlo e
pubblicare il capitolo senza, ma era necessario ^^” Eh,
l’arrivo del misterioso
cugino che adesso abbiamo scoperto che ruolo avrà, assieme a
tutta quest’altra
bella gente introdotta tutta in una volta! xD Come sempre, spero che
anche
questo ti sia piaciuto caVaaa!! *-* Bacioni!
Con ciò chiudo
anche questo *altro
sospiro di sollievo*. È andata xD
A presto con il
Ventesimo capitolo!! **
xoxo Niki
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Capitolo 21 *** 20 . New classmates ***
20 .
New
classmates
Era
iniziata come una giornata normale… più o meno.
Insomma, un allenamento di
prima mattina non penso che farebbe piacere a nessuno.
Lasciando la manica della giacca di Akane
la guardai sorridendole come per scusarmi ed aprii la porta scorrevole.
«Scusi il rit-…», dissi, ma mi bloccai
immediatamente guardandomi attorno come se mi trovassi su un altro
pianeta.
Oltretutto la prima cosa che notai fu che
Ivan era arrivato prima di noi, il che mandava a quel paese ogni legge
della
fisica.
Poi ricordai che a scuola c’era
l’ascensore… sì, piuttosto logico.
«Okay… questo che diavolo significa?»,
sbottai rivolta a Reborn, appoggiato alla scrivania a braccia conserte
con il
suo solito charme da uomo misterioso ed irraggiungibile, mentre Akane
mi
sorpassava andando a sedersi sul suo banco e posandovi sopra anche la
borsa,
guardando prima me e poi il mio Tutor, come se stesse aspettando che
proprio
quest’ultimo aprisse bocca.
Il silenzio calò pesantissimo su di noi ed
alla fine fu una ragazza dai capelli insolitamente chiari a parlare.
«Come ma… non sa nulla?»,
domandò
sgranando i grandi occhi rossi. Rossi? No, sicuramente era uno scherzo
delle
luci al neon. Sbattei un paio di volte le palpebre e tutti gli sguardi
furono
in un decimo di secondo puntati su Reborn.
«Sa ciò che deve sapere», rispose lui.
Lasciai che la borsa mi cadesse dalla
spalla di proposito tanto per far notare a tutti che c’ero
anch’io, là dentro,
dato che sembravano essersene momentaneamente dimenticati.
«Non parlate come se io non ci fossi!».
Oltre alla sottoscritta, c’erano otto
persone in quella stanza, sette delle quali mi guardarono dritta in
faccia ed
una – Reborn, naturalmente – lo fece da sotto il
cappello.
Come sempre.
Stavo iniziando a pensare di tagliuzzarlo
in mille striscioline finissime e spedirglielo per posta.
«Qualcuno può spiegarmi qualcosa? Dove
sono finiti i miei compagni di classe? E tu come diavolo hai fatto ad
arrivare
prima di me?», esclamai rivolta a Reborn, ancora
tranquillamente poggiato alla
scrivania che sarebbe dovuta essere destinata al professore della prima
ora e
non… ad un Tutor con il compito di prepararmi a diventare un
Boss della mafia!
«Esistono cose chiamate automobili»,
rispose sintetico. Cosa che mi fece leggermente saltare i nervi. Mi ero
alzata
pensando che oltre all’allenamento non ci sarebbe stato
nient’altro di
insolito, ma a quanto pareva mi ero sbagliata alla grande.
Mi appoggiai allo sguardo della mia
migliore amica che si stava risistemando la coda tenendo
l’elastico tra i denti
e rivolgendomi un piccolo sorriso nello stesso momento, così
come stava facendo
Ray alla stessa maniera.
Non stavo capendo un accidenti di niente!
Ed il vedere Ivan seduto in fondo alla
classe sugli scaffali bassi che avevamo allestito per i progetti
artistici non
aiutò per niente. Specie se il suddetto mi stava lanciando
uno sguardo duro
come il marmo, che mi intimidì e non poco. Mi costrinsi a
forza a guardare da
un’altra parte e mi avvicinai lentamente al mio Tutor, le
scarpe che
ticchettavano leggermente sul pavimento.
«Sent-…».
La sua mano alzata in segno di fare
silenzio mi bloccò.
«So già che cosa hai intenzione di
chiedermi. Non ti farò aspettare oltre», disse
abbassando la mano e raddrizzando
la schiena, guardando tutti i presenti e facendo brevi cenni mano a
mano che
diceva i loro nomi.
«Akane e Ray li conosci già, immagino.
Saranno rispettivamente il tuo Guardiano del Sole e della
Pioggia».
Ed in quel momento compresi perché il giorno
precedente nel quartiere commerciale mi erano sembrati tanto diversi,
tanto
distanti da me ed allo stesso tempo sempre loro.
«Maya e Georgia Takeuchi. Nuvola e
Tempesta. Sono le figlie di un importante membro di una Famiglia a noi
alleata».
Le ragazze fecero un cenno di saluto con
la mano al quale io risposi con un sorriso un po’ tirato. Ero
certamente a
conoscenza della presenza dei Guardiani attorno al Boss.
Così come mio padre aveva avuto i suoi, io
avrei avuto i miei ma incontrarli tutti così di colpo era un
po’
destabilizzante.
«Passiamo a Jin Fujihara, tuo Guardiano
del Fulmine».
Sempre continuando a masticare la gomma mi
rivolse un sorriso ed un cenno con il capo. Okay, il Guardiano del
Fulmine di
papà era stato… Lambo. Bambino di cinque anni la
maggior parte del tempo, che
all’occorrenza poteva scambiarsi con il suo sé
stesso di quindici o venticinque
anni.
Scossi mentalmente la testa – non
chiedetemi come – per togliermi l’immagine delle
fotografie dove Lambo era
soltanto un bimbo che non arrivava nemmeno al lavello senza sgabellino.
E che,
obiettivamente, per riuscire a “contribuire alla
causa” doveva entrare in un
bazooka. Ok, basta. «Suo padre
è stato il Guardiano del
Fulmine dell’ultimo Boss del Clan Takeuchi, ossia il padre di
Maya e Georgia»,
spiegò Reborn lasciando che il ragazzo e le due sorelle si
scambiassero uno
sguardo che forse si potrebbe definire complice.
Forse.
«Soichiro Saito. Guardiano della Nebbia.
L’hai già conosciuto, è il cugino di
Akane, ma ritengo opportuno metterti al
corrente del fatto che sia la madre di Soichiro che la madre di Akane
hanno
fatto parte del CEDEF. Questo spiega
la loro connessione con i Vongola», disse
mentre il sopracitato Soichiro mi salutava con un elegantissimo cenno
del
busto.
Tutta quella formalità da parte sua mi
metteva in soggezione, ma confidavo nel fatto che a lungo andare quella
sensazione sarebbe scomparsa.
O almeno speravo.
Ed il silenzio calò di nuovo, inesorabile,
nella classe che fino al giorno prima era stata piena di chiacchiere,
risa,
battibecchi e voli di aeroplanini di carta.
E così tutti loro erano i miei Guardiani.
Istintivamente tirai un gran sospiro. Quelle sarebbero state le persone
che mi
avrebbero difesa a costo della vita e che io avrei difeso a mia volta a
costo
della vita. Ora come ora sentivo di non provare il sentimento esatto
che avrei
dovuto provare tranne che per Akane e Ray. Confidavo nel fatto che ci
sarei
riuscita.
«Scusate?».
Una mano si levò dal fondo della classe ed
Ivan scese dagli scaffali, ficcando le mani nelle tasche dei pantaloni
della
divisa della scuola. Incredibile che, con il suo temperamento, avesse
deciso di
indossarla comunque. Venne esattamente dritto verso me e Reborn dalla
fila
centrale tra i banchi. Non avevo dimenticato ciò che era
successo in biblioteca
né come mi aveva fatta sentire né tantomeno la
reazione che l’anello aveva
avuto.
Ma non potei fare a meno di arrossire
leggermente quando il suo sguardo si piantò insistentemente
nel mio.
E che cavolo c’era da guardare!? Voglio
dire, mica ero Miss Universo! E se continuava così
l’avrei denunciato per
stalking. Quando si fermò di fronte a me guardando solo me mi sembrò di essere
di nuovo in biblioteca, con la schiena
poggiata sulle coste dei libri antichi o meno che vi riposavano. Non
vidi
nemmeno la sua mano arrivare al mio collo fino a quando non sentii il
freddo
familiare della catenina spostarsi. Prendendola tra due dita,
l’aveva alzata di
modo tale da scoprire l’anello che portavo da quando Reborn
me l’aveva
consegnato. Dopo avermi mezza ammazzata sul colpo, guardò
con nonchalance il mio
Tutor.
«E questo come lo spieghiamo?», domandò,
allontanandosi e finalmente lasciandomi libera di respirare. Quando
l’anello
tornò sul mio petto aveva una pesantezza diversa. Di nuovo.
Cosa che mi
insospettì particolarmente. Avrei dovuto parlarne con
Reborn, anche se forse
avrei trovato la soluzione da sola.
«Esattamente come in biblioteca…»,
sussurrai toccandolo attraverso la stoffa della camicia bianca.
«Come?»
«Ehm, nulla… pensavo a voce alta. Però
Ivan ha ragione e… no, un secondo…»,
dissi rivolgendomi proprio ad Ivan,
appoggiato ad uno dei primi banchi.
«Tu che cosa ci fai qui?», domandai
riducendo gli occhi a due fessure, fissando il ragazzo di fronte a me.
In
effetti lui non aveva motivo di stare là. Non aveva niente a
che fare con la
mafia. Non che io sapessi almeno. Ma le parole di Reborn furono
puntuali nel
dissipare ogni mio dubbio al riguardo.
«È merito di Innocenti. O meglio, del
nipote di Innocenti», disse nominando una persona di cui io
effettivamente non
avevo la minima idea di chi fosse.
«Innocenti è stato uno dei creatori del
Sistema CAI di tuo zio. Suo
nipote ha seguito le sue orme ed ha
scoperto un nuovo tipo di Fiamma. La Fiamma dell’Ombra. E la
affidiamo ad
Ivan», decretò infine tirando fuori dalla tasca un
anello e lanciandolo ad Ivan
che lo afferrò con una mano sola. Da quella distanza potei
soltanto vedere che,
dove sul mio anello c’era lo stemma dei Vongola, sul suo
c’era semplicemente…
il nulla. Un grande bollo nero.
«Un attimo, un momento solo, perché
proprio ad Ivan? Voglio dire…»
«Perché ho delle conoscenze piuttosto
altolocate nel mondo della mafia. Potranno essere d’aiuto. E
senza dubbio potrò
aiutarti in prima persona anche con lo studio. Se proprio vuoi saperlo
non
basta la passione per conoscere Shakespeare, tanto per dire»,
sibilò sapendo
perfettamente che mi avrebbe punta nell’orgoglio con quella
affermazione su
Shakespeare.
«Stai insinuando che non conosco
abbastanza Shakespeare?», chiesi, anche se in effetti non mi
stavo alterando
per quello, quanto più che altro per l’aria di
superiorità che aveva sempre nei
confronti del mondo intero. Se avrei dovuto essere il suo Boss avrebbe
dovuto
iniziare a cambiare atteggiamento nei miei confronti, altrimenti non si
ragionava.
«In effetti… sì. Ma non siamo qui a
parlare di questo, no?», domandò retoricamente,
fissandomi con un sorrisetto
strafottente che mi fece venir voglia di prenderlo a schiaffi.
Chi diavolo si credeva di essere per
arrivare da chissà che cavolo di posto nel mondo e dettare
legge? O comunque in
ogni caso pensare di buttarmi a terra così? Rimanemmo a
fissarci fino a quando
Akane non spezzò il silenzio pesante che si era andato a
creare.
«Ooookay, direi che può bastare così,
eh?
Abbiamo capito che voi due secchioncelli non potete stare a meno di
quattro
metri l’uno dall’altra», disse proprio
nel momento in cui suonò la campanella
di fine ora.
«Bene. Non chiedo di meglio», dissi
guardando tutti un’ultima volta e lanciando uno sguardo ad
Ivan prima di
scomparire dietro la porta ed avviarmi per il corridoio. Andavamo male
se
sarebbe dovuto essere il mio Guardiano. Molto male.
Non
mi curai del fatto che la campanella
segnasse sì la fine di una lezione ma anche allo stesso modo
l’inizio immediato
di un’altra. Semplicemente salii in silenzio e lentamente le
scale che
portavano al tetto della scuola e là mi avvicinai alla rete
di protezione
osservando quanta grazia avevano i petali di ciliegio che svolazzavano
in aria
ed allo stesso momento combattendo contro i pensieri che mi affollavano
la
mente in quel momento. La maggior parte, per mia disgrazia, riguardava
il
signorino Ivan. Forse ero stata troppo dura con lui. Certo pure lui
avrebbe
potuto evitare quella frecciatina su Shakespeare ma in
verità me ne fregava
davvero molto poco. Sapevo di non essere una delle studiose
più famose sullo
scrittore.
«Tutta sola sul tetto di una scuola. Fa
tanto ‘istinto suicida’ lo sai?».
Non ebbi bisogno di voltarmi per
riconoscere quella voce.
«Fossi rimasta un altro minuto in
quell’aula mi sarebbero venuti sul serio, gli istinti
suicidi. Anche per colpa
tua».
Ivan mi comparve improvvisamente accanto
guardando me che guardavo i petali di ciliegio mulinare
nell’aria. Ad un certo
punto il suo sguardo diventò impossibile da ignorare e
dovetti voltarmi ed
affrontarlo.
Okay, probabilmente “affrontare” non era
il termine giusto, ma fa niente.
«Senti, mi dispiace per prima».
A quelle parole sbattei un paio di volte
le palpebre, incredula, e lo fissai. Era stato davvero lui a dire
ciò? Un
semplice “mi dispiace” che bastò per
farmi cambiare almeno un po’ opinione nei
suoi confronti. O quantomeno a farmi capire che non era uno stupido
automa
creato apposta per rovinarmi la vita ogni giorno che passava.
«Già. Immagino però che
anch’io non sia
stata di grande aiuto rispondendoti in quel modo», ammisi
sorridendo
amaramente. Dall’espressione che gli vidi fare capii di
averlo preso alla
sprovvista e feci spallucce.
«Beh, che c’è? Mi hanno insegnato ad
ammettere i miei errori. E lo faccio».
Anche perché trovavo perfettamente inutile
fare il contrario e volersi ostinare continuamente a voler avere
ragione a
tutti i costi. Insomma, se non la si aveva non la si aveva, punto. E
che non
provasse mai più a dirmi che non conoscevo Shakespeare.
«Beh, è notevole. Non conosco molte
ragazze di sedic’anni…»
«Diciassette», lo interruppi io.
«Diciassette anni»
«Oh, ehm… ok, di diciassette anni che
ammettano di sbagliare», si corresse. Io tornai a guardare di
fronte a me il
mondo diviso in rombi dalla rete di protezione. Mi voltai dandole la
schiena e
mi lasciai scivolare fino a quando non mi ritrovai seduta a terra. Ivan
mi
seguì poco dopo.
«Né che ammettano di avere un casino in
testa», disse probabilmente riuscendo a decifrare il mio
sguardo. Non mi posi
subito il problema di come diamine ci fosse riuscito. Non erano tante
le
persone che riuscivano a capirmi semplicemente da uno sguardo e quella
cosa mi
colpì, anche perché spesso non ci riusciva
nemmeno mia madre.
«Ti va di parlarne con il tuo peggior
nemico?», domandò con una gentilezza che non mi
aveva mai rivolto. Lo guardai
con un mezzo sorriso per una volta davvero sincero, sorprendendomi di
quanto
fosse facile stare con lui così, sul tetto della scuola
semplicemente a
parlare.
«Beh sai… essere destinata ad essere un
Boss della mafia a soli diciassette anni non è proprio il
massimo», sorrisi.
D’altronde lui poteva capirmi almeno un po’,
facendo parte a sua volta in un
modo o nell’altro del mondo della mafia. Di qualsiasi mafia
si trattasse. Senza
nemmeno rendermene conto le parole cominciarono a riversarsi come un
fiume
dalle mie labbra e mi trovai a parlare con lui di mio padre, di come
l’avevo
perso, del Clan che ben presto ci avrebbe attaccati e del fatto che
sarei
dovuta essere pronta per allora.
«E ancora non lo sono neanche
lontanamente», sbuffai ricacciando indietro le lacrime di
rabbia che avevano
cercato di farsi strada per i miei occhi ma che non c’erano
riuscite. Per fortuna,
perché non volevo che lui mi vedesse piangere. Altrimenti
avrebbe avuto un
altro pretesto per prendermi bellamente per i fondelli,
perché mi rendevo conto
che quello che stavamo avendo là sarebbe stato soltanto un
momento nel tempo
che avremmo passato assieme. Una stella solitaria di
serenità in un circolo
vizioso di caos continuo. Ivan si alzò sospirando e dal
basso mi sembrò ancora
più alto di quanto già non fosse.
Dopodiché mi tese la mano ed io la presi dopo
un secondo di incertezza.
«Lo sarai. Credimi. E ti aiuteremo. Sai
che puoi contare su tutti noi», disse deciso ma con una
dolcezza negli occhi
che mi fece dimenticare che l’avevo odiato dal primo momento
che l’avevo visto,
con quell’aria strafottente, quel passo sicuro, quella faccia
da schiaffi,
quegli occhi così verdi da sembrare quasi finti…
Scossi la testa abbassando lo sguardo.
Dannazione
Lilian! Va bene, sei un’adolescente, ma non ti puoi
permettere di farti
incantare da un paio di occhi verdi!
«Ehm…
credo che… dovremmo andare, no?»,
domandai retoricamente allontanandomi da lui come una qualsiasi
ragazzina
innamorata. Cosa che NON ero, chiaro? No,
precisiamolo eh. Precisiamolo e
sottolineiamolo.
«E fa attenzione, Carter. Domani potresti
diventare il mio nuovo bersaglio per il tiro a segno». [cit.]
Dato che con quello di carta avevo fatto
fiasco…
Incredibile
come in un giorno solo si
potesse fare amicizia con così tante persone diverse. O
quantomeno conoscenza. Prima
della fine delle lezioni avevo parlato praticamente con tutti e portato
il
nostro legame Guardiani/Boss ad un primo livello. Quantomeno adesso
riuscivo a
ricordarmi i nomi di tutti, per questo il pomeriggio potei presentare
tutti a
mia madre prima di scendere nella sala d’addestramento dove
Reborn e Fong
osservavano Colonnello e Lal affrontarsi in un combattimento senza
esclusione
di colpi. Non per nulla la prima cosa che ci aveva dato il benvenuto
quando
eravamo entrati era stata un’esplosione giunta da un congegno
non meglio
identificato.
«Oh, eccovi», disse Reborn assolutamente
pacato e tranquillo attirando l’attenzione anche dei miei
altri due Tutor che
ci raggiunsero immediatamente. In modo molto più veloce
Reborn fece nuovamente
le presentazioni.
«Bene,
ragazzi. Diciamo che quello di oggi sarà un allenamento
leggermente diverso da
quello che tu, Lilian, hai affrontato fino ad ora», disse
rivolgendosi
direttamente a me.
Qualche
minuto più tardi ci ritrovammo tutti seduti in cerchio, gli
occhi chiusi e gli
anelli al dito. Fong camminava in circolo, le mani intrecciate dietro
la
schiena, spiegandoci esattamente con voce flebile e morbida che cosa
avremmo
dovuto fare. Concentrazione era la parola d’ordine, a farla
breve. E così feci.
Mi concentrai ad occhi chiusi, tentai di visualizzare una fiamma
arancio tenue
che si sprigionava dall’anello, una fiamma che mi apparteneva
di nascita ma che
anch’io come mio padre avrei dovuto imparare a controllare e
sviluppare. Un
brivido mi attraversò la pelle mentre l’immagine
di papà nella mia stessa
posizione si materializzava nella mia mente. Non era nulla,
semplicemente
un’immagine, ma dovette aiutarmi davvero parecchio. Sentii
improvvisamente un
gran calore che tuttavia non bruciava partire dalla mia mano per poi
raggiungere il mio braccio e tutto il mio corpo, tornare indietro ma
lasciare
comunque dietro di sé quel piacevole calore e quella
sensazione di forza che
non se ne andarono non appena aprii gli occhi trovandomi di fronte una
piccola
fiamma sfavillante sulla sommità dell’anello.
Guizzava sopra il metallo come
fosse stata viva e sembrava quasi darmi il benvenuto. Sorrisi alzando
poi lo
sguardo verso i miei Guardiani. Tutti c’erano riusciti ed
osservavano la
fiammella nello stesso modo in cui la osservavo io. Tutti tranne Ivan,
la cui
fiamma era l’unica ad essere completamente nera. Era tuttavia
un nero che non
spaventava. Un nero che anche nel suo colore sinistro poteva risultare
positivo.
Fong
mi posò le mani sulle mie spalle e mi sorrise nel suo solito
modo molto, molto
tranquillo, guardando poi anche tutti gli altri.
«Molto
bene. Ci siete riusciti tutti al primo tentativo e ciò non
può essere che
notevole»
«Già,
però c’è ancora uno step da affrontare
prima di iniziare il vero allenamento»,
prese la parola Lal facendo un cenno a tutti noi. Cenno che io non
compresi
fino a quando non vidi tutti alzarsi ed andare verso le loro borse,
dopodichè
tornare con delle piccole scatoline cubiche dello stesso colore delle
loro
fiamme. Le osservai sentendomi improvvisamente estranea quasi quanto
Ivan.
Eravamo gli unici a non avere una Box tra le mani. Reborn la
consegnò subito a
lui – una piccola Box nera – poi si
avvicinò a me, inginocchiandosi e
porgendomene una.
«Questa
è la tua», disse. Presi la piccola scatolina
delicatamente, stupendomi della
sua leggerezza ma prima che potessi fare qualsiasi altra cosa lui me ne
porse
un’altra, esattamente uguale a quella che avevo tra le mani,
ma dall’aria più
vissuta.
«Questa
è…», deglutii guardandolo negli occhi,
sentendomi come una bambina di fronte ad
un professore universitario. Non disse nulla, si limitò a
rialzarsi e ad
allontanarsi. Uno alla volta tutti aprimmo le nostre Box. Dalla Box
rossa di
Maya uscì una maestosa pantera nera che le si
accucciò accanto come fosse un
gattino. Da quella viola della sorella, Georgia, si
materializzò un bellissimo
pavone bianco. Fu la volta di Jin, dalla cui Box verde
fuoriuscì una bellissima
anguilla trasparente volteggiante nell’aria che
incredibilmente sembrava non
aver bisogno d’acqua per sopravvivere. Dalla Box blu di
Soichiro apparì un
grande lupo bianco dagli occhi azzurrissimi mentre dalla Box di Ivan
esattamente il contrario, un maestoso lupo nero. Dalla Box gialla di
Akane
apparve tra le sue mani un piccolo adorabile usignolo cinguettante. Ray
ce la
fece subito, materializzando dalla sua Box azzurra un cavallo bianco
dalla
criniera e dalla coda nere con dei curiosi riflessi blu
all’interno. C’era da
aspettarselo dato che sapevo che aveva praticato equitazione per
diversi anni,
da bambino. Fu il mio turno. Feci un gran sospiro e mi concentrai
nuovamente
per far scaturire la fiamma dall’anello, dopodichè
lo misi in contatto con la
Box che tremò leggermente tra le mie dita, facendo
materializzare subito dopo
un gattino che mi osservò dal basso, miagolando. Mi abbassai
sorridendogli ed
accarezzandogli il manto color sabbia, dopodichè mi
concentrai sull’altra Box.
Seguendo lo stesso procedimento che avevo attuato con l’altra
la sentii tremare
un pochino di più prima di far uscire…
«N…
Natsu!?».
PAP
– Piccolo
Angolo Pazzo
Ciaossu!
Bene
bene, eccoci arrivati anche al Ventesimo capitolo. Capitolo che
immagino possa
essere il capitolo conclusivo del “primo arco” se
vogliamo. O la fine del primo
tempo, ecco. Come avete potuto notare c’è stata
una svolta, Lilian ha
conosciuto tutti i Guardiani, tutti sono riusciti a creare le
rispettive fiamme
e ad aprire le rispettive Box. Anche Ivan, che con la sua Fiamma
d’Ombra (lo
ammetto, me la sono inventata di sana pianta, ma volevo qualcosa che
potesse
essere relazionabile con ciò che lui effettivamente
è) non è proprio felice
felice come abbiamo potuto vedere. A proposito di Ivan, sembra che lui
e Lily
stiano andando un pochino più d’accordo. Vedremo
che cosa succederà nei primi
capitoli del secondo arco!
Ed
ora l’ultimo spazio ringraziamenti
del primo arco!
Ringrazio
Glox (hihi) in primis. Certo che
diciotto capitoli tutti in una volta è una bella maratona!
Ma sono contenta che
la fic ti piaccia così tanto! E come potrei non esserlo? I
“contenuti” delle
Box sono stati svelati e… wow, non pensavo che Ivan potesse
piacere a qualcuno
xD Pure mia sorella lo odia a morte, ma sono comunque contenta di aver
creato
un cattivo che possa piacere **
E naturalmente
non posso non ringraziare la mia Fel-chan!
Eh si, in effetti possiamo dire che Akane e Ray sin
dall’inizio sono stati una
certezza. Insomma, non potevo certo lasciar fuori dai giochi i migliori
amici
di Lily, no? Per quanto riguarda gli Anforti… diciamo che
momentaneamente non ho
in programma di dar loro un punto di rilievo nella storia, ma non si sa
mai. Sono
contenta che ti piacciano sia Jin che Soichiro, ma in particolare
quest’ultimo.
Non posso dire di aver fatto uno studio vero e proprio sul suo
personaggio, ma
l’ho pensato a lungo. Non che con gli altri non
l’abbia fatto, ma Soichiro è
stata davvero una sfida. Spero di essere riuscita a renderlo come avrei
voluto
^^ Per quanto riguarda Ivan/bersaglio per il tiro a segno lo potrebbe
davvero
diventare se non la pianta con sto atteggiamento, anche per
ciò che Lilian ha
detto, citando te hihi Grazie mille mia cara! Come sempre, spero che
anche
questo ti sia piaciuto!
E a
tutti voi, appuntamento al prossimo capitolo! Che non ho ancora scritto
xD Mi
ci metto, giuro u.u
A
presto!
xoxo
Niki
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