[ E l e v e n t h ]

di J i n
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 0 . Eleventh ***
Capitolo 2: *** 1 . Welcome to this crazy, crazy world ***
Capitolo 3: *** 2 . Warning ***
Capitolo 4: *** 3 . Childhood ***
Capitolo 5: *** 4 . Padre e boss ***
Capitolo 6: *** 5 . Tanti auguri ***
Capitolo 7: *** 6 . Battle front ***
Capitolo 8: *** 7 . Il giorno di dolore che uno ha ***
Capitolo 9: *** 8 . Anniversary ***
Capitolo 10: *** 9 . Memories ***
Capitolo 11: *** 10 . Welcome back ***
Capitolo 12: *** 11 . Generazioni a confronto ***
Capitolo 13: *** 12 . Nuovi piani e Chardonnay ***
Capitolo 14: *** 13 . Scambio di ruoli ***
Capitolo 15: *** 14 . A help from a Rainbow ***
Capitolo 16: *** 15 . Back in town ***
Capitolo 17: *** 16 . First stormy training ***
Capitolo 18: *** 17 . Come Romeo e Giulietta? Ma anche no... ***
Capitolo 19: *** 18 . Le stelle gireranno assieme al mio Destino... e al tuo... ***
Capitolo 20: *** 19 . Guardian Force ***
Capitolo 21: *** 20 . New classmates ***



Capitolo 1
*** 0 . Eleventh ***


0 . Eleventh

«Devi proprio essere sempre così calmo?».

Annuì, l’Arcobaleno, poggiato alla parete di uno degli infiniti corridoi della residenza Vongola.

Il cappello calato sul viso nascondeva strategicamente lo sguardo glaciale che permaneva sul suo volto ormai da ore. In attesa.

Il venticinquenne precedentemente conosciuto come “mostro broccolo” o altri curiosi nomignoli si alzò dal pavimento, infilando le mani nelle tasche del giubbotto, facendo spallucce e tirando un gran sospiro.

Più per impazienza, doveva ammetterlo, che per altro.

«Come ti pare, Reborn. Sta solo nascendo il tuo nuovo allievo. Io non starei nella pelle, ma fa come vuoi, vecchio mio»

«Attento a chi dai del vecchio. Ricordati che stupida mucca eri e stupida mucca resterai», decretò senza alzare di un minimo il capo, le solite basette arricciate che spuntavano dalla tesa del cappello che ora svettava molto più in alto di quanto non avesse mai fatto, segno che il tempo passava anche per un Arcobaleno.

«D’accordo, io torno di sotto».

E con queste parole anche il Guardiano del Fulmine scomparve giù per le scale.

Rimase in ascolto per sentirlo cadere ma non accadde. Lambo poteva essere imbranato quanto voleva, ma non era né Dino né tantomeno Tsuna.

Entrambi erano stati suoi allievi, uguali nel carattere, nell’imbranataggine e poi, improvvisamente, erano cresciuti.

Avevano affinato le loro abilità ed erano saliti al loro giusto posto, il primo come boss dei Cavallone ed il secondo come boss dei Vongola.

Era stato catapultato in quel mondo da un giorno all’altro e da quattordicenne in perenne ritardo a scuola era riuscito a diventare un perfetto boss della mafia.

Ammetteva che era rimasto un po’ perplesso quando aveva appreso della decisione del Nono, ma aveva accettato comunque di fargli da tutor.

Il risultato era piuttosto accettabile, no?

Erano cambiate così tante cose nelle vite di tutti… ed ora stava per iniziarne un’altra.

Si sistemò il capello sulla testa e si aggiustò il nodo alla cravatta, facendo per lasciare il corridoio.

Tuttavia proprio in quel momento la porta alle sue spalle si aprì lentamente.

Dall’interno giungeva soltanto il silenzio ed un leggero bagliore di una lampada quando un cresciuto seppur ancora giovane Decimo dei Vongola uscì, tenendo delicatamente tra le braccia un fagottino bianco.

«Reborn… sei ancora qui…».

Parlava sottovoce il giovane boss, che sicuramente mai aveva sostenuto un peso così leggero.

L’Arcobaleno si avvicinò di qualche passo, osservando il suo allievo e colui che lo sarebbe diventato di lì a qualche anno.

«Sembra fatto apposta per il tuo abbraccio», disse Reborn, stupendosi della tenerezza di quella frase e, maggiormente, del fatto che fosse stato lui a pronunciarla.

«Già», rispose il giovane, rivolgendo un sorriso emozionato al fagotto.

Ogni volta che lo guardava si stupiva di quanto assomigliasse sempre di più a Giotto.

Tanto, forse troppo, ma non era un male.

Anzi, probabilmente era esattamente il contrario.

«Beh, auguri. Sono felice per te Tsuna», disse voltandosi e raggiungendo le scale, sempre con la sua solita freddezza calcolata.

Non appena fu in cima alla scalinata, tuttavia, si voltò di nuovo verso il suo allievo.

«Oh, non ti conviene scendere di sotto. Hayato vuole salire ad ogni costo… se lo farà Hibari avrà occasione di allenarsi un po’»

«Grazie Reborn…».

“Per tutto”, avrebbe aggiunto volentieri, ma sapeva che il suo tutor non amava quel genere di cose.

Probabilmente c’era stata una sola persona alla quale aveva permesso di essere un po’ più carina nei suoi confronti, ma quella persona non c’era più, quindi…

L’Arcobaleno, senza una parola, fece un cenno e scese il primo gradino.

«Ah, ti conviene stare in guardia, avrai a che fare con una piccola Sawada. Se io sono stato un problema… beh, non posso assicurarti che con lei sarà tutto rose e fiori».

E con queste parole rientrò nella stanza.

Non c’era che dire, Reborn non si aspettava affatto che fosse una bambina ma era felice lo stesso.

Con un sorriso più aperto, ma sempre nascosto, scese gli scalini.

Iniziava una nuova generazione.

 

Fuori dai cancelli un uomo in impermeabile scuro osservava la mansione.

«Questo momento di felicità non durerà a lungo. Goditi il tuo pargolo, Sawada, finchè puoi».

Con uno sguardo glaciale ed un sorriso beffardo lasciò il vialetto di ghiaia.

 

 

 

 

 

 

PAP – Piccolo Angolo Pazzo

Ciaossu!

Dunque dunque… che dire di questa fic appena nata? Che è nata come una OneShot.

Mi sono ritrovata un giorno in classe senza niente da scrivere, avevo appena finito di vedere il primo arco narrativo di Reborn ( si, vado lenta -.- xD ) e la vena creativa si è sintonizzata su esso.

E ne è uscito questo capitolo. Mi sono detta: “massì, una OneShot su Reborn ci può stare”.

Poi una mia amica mi fa notare: “perché non la fai diventare una Long?”.

E così ho fatto.

Ora… è il mio primo esperimento con Reborn, quindi… spero che questo primo capitolo vi piaccia ^^”

xoxo Jin.

 

PAP PS: se ci sono degli strafalcioni – spero che non ci siano, ma non si sa mai… - mi scuso infinitamente ma non ho ancora finito di vedere tutto Reborn e mi sa che andrò moooolto lenta per evitare il finale il più possibile xD lo adoro già così tanto che non voglio finirlo ç_ç

 

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Capitolo 2
*** 1 . Welcome to this crazy, crazy world ***


1 . Welcome to this crazy, crazy world

Lilian.

Questo era il nome che figurava sulla porta in ciliegio della stanza della bambina.

Nessuno, esterno alla Famiglia, avrebbe mai capito che cosa significasse quell’ “XI” sotto al nome.

Era in quel mondo soltanto da qualche giorno, eppure tutti stavano già facendo progetti per lei.

Progetti di cui, chiaramente, era assolutamente all’oscuro.

Di lì a qualche anno avrebbe intrapreso la stessa via di suo padre, sotto l’ala protettiva del tutor migliore del mondo.

La giovane Lilian, tuttavia, a differenza del padre avrebbe saputo sin da piccola a che tipo di particolare famiglia appartenesse.

Ma nulla avrebbe potuto prepararla a ciò a cui Reborn l’avrebbe sottoposta.

Tutti questi pensieri continuavano a girare vorticosamente nella testa del Decimo mentre, al buio, osservava sua figlia che in quel momento dormiva, i pugni chiusi ed un sorriso beato sul viso.

«Quando i bambini così piccoli sorridono significa che stanno sognando gli angeli… tu lo facevi sempre», gli aveva detto un giorno sua madre con un sorriso malinconico, probabilmente rendendosi conto che suo figlio non era più il bambino che sorrideva nel sonno.

Tanti i ricordi, tanti i pensieri e tante, troppe le domande nella mente del giovane boss.

Aveva fatto bene a scegliere proprio sua figlia come successore? E se non avesse accettato il suo ruolo? Se se la fosse presa con lui o, peggio, se l’avesse odiato per averla condannata ad una vita che certamente non si poteva definire normale?

Scosse la testa a quel pensiero. Non voleva nemmeno prendere in considerazione il fatto che la sua bambina potesse odiarlo.

Non avrebbe permesso a se stesso di fare qualsiasi cosa che avrebbe potuto ferirla in qualsiasi modo.

Le avrebbe insegnato ad andare in bicicletta, ci sarebbe stato quando un ragazzo le avrebbe spezzato il cuore o avesse litigato con la sua migliore amica, l’avrebbe aspettata alzato quando fosse uscita con il suo principe azzurro ma si sarebbe addormentato comunque e non le avrebbe chiesto com’era andata perché sapeva che l’avrebbe messa in imbarazzo.

L’avrebbe vista crescere troppo in fretta sotto i suoi occhi, correre fuori di casa, in ritardo per la scuola esattamente come faceva lui.

E poi un giorno sarebbe arrivato un uomo.

«Un vecchio amico di famiglia», le avrebbe detto, e da là sarebbe iniziato il suo percorso.

Ciò che Tsuna non poteva immaginare era che lui non avrebbe potuto starle accanto.

 

 

 

PAP – Piccolo Angolo Pazzo

Ciaossu!

Okay, lo so, questo capitolo è cortissimo ç_ç Mi dispiace ç_ç

Ad ogni modo, come sempre, spero vi piaccia!

Vi preeeego, fatemi sapere che cosa ne pensate ** le vostre critiche mi servono per migliorare ** e non è una stupidata u.u xD

xoxo Jin.

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Capitolo 3
*** 2 . Warning ***


2 . Warning

Uno spiraglio di luce.

Una figura sulla porta.

«Ti devo parlare Tsuna. È piuttosto urgente».

Solo la parola “urgente” bastò a far scattare in piedi il boss che, tuttavia, prima di uscire sistemò le coperte a sua figlia.

Raggiunse Reborn e si chiuse la porta alle spalle.

Lo sguardo, mentre scendevano le scale, corse alle vetrate che davano sul giardino.

Il cielo era già scuro ma, a giudicare dai raggi che apparivano da dietro le montagne, il sole non doveva essere tramontato da molto.

Scese in silenzio la scalinata, quasi saltellando da un gradino all’altro con le mani nelle tasche.

Sperava di non dover più sentire la parola “urgente” là dentro per un po’ dopo la nascita di Lilian, ma a quanto pareva per la famiglia Vongola i guai non sembravano essere intenzionati a finire tanto presto.

Nel grande salotto regnava il silenzio più assoluto quando allievo e tutor entrarono.

«Decimo…»

«Accidenti, dev’essere proprio qualcosa di grosso se c’è tutto questo silenzio qui dentro… avanti, di che si tratta?».

Andò ad appoggiarsi alla scrivania in mogano, mentre i Guardiani lo seguivano con lo sguardo, il riflesso dell’intera stanza sulla finestrata.

Non erano solo i suoi Guardiani, quelli.

Erano i suoi amici, le persone che amava, le persone che gli erano rimaste accanto contro tutto e tutti e che avevano giurato di restarci qualsiasi cosa fosse accaduta.

C’era un legame speciale tra di loro.

Un legame che non si trovava in tutte le famiglie.

Erano l’uno complice dell’altro. Certo, non era difficile trovarli a litigare per l’ultimo takoyaki o per chi dovesse fare da babysitter a Lilian – sì, già c’erano diatribe per questo, ed era nata solo da tre giorni – ma non si sarebbero mai voltati le spalle a vicenda.

Ed era sicuro che non si sarebbero mai abbandonati.

Sorrise leggermente, mentre immagini del loro passato gli tornavano alla mente.

La prima volta che aveva visto Reborn, Gokudera e come gli era sembrato minaccioso all’inizio, l’inestinguibile ottimismo di Yamamoto e l’atteggiamento sempre estremo di Ryohei.

Il combattimento contro i Varia, il viaggio nel futuro, Byakuran, Uni…

E poi giorni più felici, l’addestramento con gli Arcobaleno per i Sigilli, le vacanze di Natale e la battaglia a palle di neve nel cortile della scuola.

Sì, erano stati davvero giorni spensierati.

Con un battito di ciglia ritornò al presente, trovando ancora tutta la sua Famiglia in silenzio ad osservarlo.

«Ragazzi, ma che diavolo succede?», li incalzò, impaziente di sapere che cosa ci fosse di così “urgente”. Da chi altri avrebbe dovuto proteggere la sua famiglia.

«Abbiamo a che fare con la Yakuza, Tsuna».

Fu un Takeshi Yamamoto più adulto ma non meno ottimista quello che parlò, spezzando quel silenzio che stava iniziando a diventare davvero fin troppo pesante.

Così pesante che pensava di non poterlo più reggere.

Forse proprio per questo non si rese immediatamente conto di ciò che il Guardiano della Pioggia gli aveva appena detto, facendo da portavoce per tutti i presenti in quella stanza.

«La… la Yakuza? Quale Famiglia? Che clan?»

«L’Isogai-kai», rispose il Guardiano della Tempesta con il suo solito tono apocalittico, le braccia incrociate, le spalle appoggiate al muro dietro di lui.

Il clan dell’Isogai-kai era uno dei più antichi e ricchi clan della Yakuza, che contava più di cinquecentomila membri in tutto il mondo. Anche là, in Italia.

Incrociò le braccia al petto e lasciò che il silenzio ricadesse nella stanza, pensando, cercando di trovare una soluzione, provando a farsi venire in mente una prossima mossa da attuare.

Non avevano mai avuto a che fare con la mafia giapponese anche se praticamente era iniziato tutto là, in Giappone.

L’Isogai-kai era noto alla Famiglia per piccoli eventi pressoché insignificanti, ma c’era comunque da tenere gli occhi aperti.

«Oltretutto…».

Se la parola “oltretutto” usciva dalla bocca di Lambo non era mai una bella cosa.

Anche perché fino a qualche tempo prima non sapeva nemmeno pronunciarla.

Doveva abituarsi a vederlo come un uomo, ormai, e non come un bambino capriccioso.

«…abbiamo trovato questa in una stanza al terzo piano. La finestra era rotta».

Era una piccola busta, quella che gli tese, di un curioso color carta da zucchero. Il biglietto un semplice strappo da un foglio di carta a righe. E su quelle righe solo cinque parole.

“Tieni d’occhio tua figlia”.

Lasciò cadere il biglietto e corse a perdifiato.

 

 

 

 

 

PAP – Piccolo Angolo Pazzo

Ciaossu!

Eccoci di nuovo qui alla fine di un altro capitolo.

Come abbiamo visto oltre al ruolo di padre appena acquisito, il nostro Tsuna ha sempre sulle spalle il ruolo di boss della famiglia Vongola.

Ma chi avrà inviato il biglietto minatorio? E che provvedimenti prenderà il Decimo? Staremo a vedere…

Intanto, però, voglio ringraziare Il_Capitano_Cof per la graditissima recensione! ** Grazie, grazie, GRAZIE! Per quanto riguarda la “principessina” di casa Sawada/Vongola… in effetti fargli avere un maschietto mi sembrava troppo banale, quindi ho deciso di inserire un fiocco rosa! **

Grazie mille di nuovo sia a lei che a tutti coloro che hanno letto la fic, sperando che vogliano a loro volta lasciare il loro parere! **

A prestissimo con il terzo capitolo: “Childhood”.

xoxo Jin.

 

 

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Capitolo 4
*** 3 . Childhood ***


3 . Childhood

Come in un dipinto, non appena aprì la porta della stanza di Lilian trovò la bambina in braccio a Kyoko.

Seduta sulla sedia a dondolo gli stava facendo segno con l’indice di stare in silenzio.

Tirò un grande, lunghissimo sospiro di sollievo.

Non era successo nulla. Nulla.

La sua bambina stava bene.

«È tutto a posto…», disse avvicinandosi alla moglie posandole un bacio sulle labbra e rivolgendo un sorriso ed uno sguardo quasi adorante alla figlia, gli occhi chiusi ed i pugni stretti attorno al mignolo della madre in un puro gesto di tenerezza di una bambina appena nata.

«Certo che è tutto a posto, perché non dovrebbe esserlo?», gli chiese Kyoko, sottovoce, ridendo leggermente per quell’apparente colpo di testa del marito.

Scosse la testa e la guardò.

«Niente… niente, va tutto bene».

Ma l’ombra che oscurò per un momento lo sguardo del Decimo non sfuggì alla donna, che per il momento decise di lasciar correre.

Dal canto suo, Tsuna non voleva mentirle di nuovo, come aveva fatto anni prima. Ricordava ancora lo “sciopero” che sia lei che Haru avevano iniziato, minacciando di portarlo avanti ad oltranza se non avessero parlato. Se non gli avessero detto che cosa stava succedendo.

Sì, gliene avrebbe parlato, era giusto che lo sapesse anche lei, ma non in quel momento.

Era un istante troppo bello per rovinarlo in quel modo.

Tornò a guardare Lilian e fu come se la notizia che gli avevano appena dato fosse svanita in una nuvola di vapore.

«Diventerà bellissima… esattamente come sua madre».

 

*** Quattro anni dopo… ***

 

Con i suoi occhi di bambina, la piccola Lilian nel suo abitino di un chiaro e fresco color albicocca, osservava curiosamente una doppia porta che non aveva mai visto prima.

Era metallica e le dava un senso di freddo. E poi da dentro venivano degli strani rumori.

Sembrava che stessero esplodendo delle bombe.

«Lilian, che cosa ci fai qui?».

La voce di sua madre giunse dal corridoio e poco dopo le apparve, sorridendole e prendendole la mano, mentre lei indicava la porta con il ditino ed un’espressione interrogativa e curiosa.

«Mamma, che cosa c’è qua dentro?», domandò sobbalzando per l’ennesimo scoppio.

«Amore, ci sono papà ed i Guardiani dentro… si stanno allenando, non puoi entrare»

«Ma io voglio vedere papà…», piagnucolò come tutte le bambine del pianeta Terra.

Dopotutto, quale bambina non faceva i capricci almeno una volta nella sua vita? Specialmente se di mezzo c’era uno dei suoi genitori.

Kyoko, che nel frattempo si era abbassata al suo livello inginocchiandosi, fece per dire qualcosa quando, con un rumore idraulico, la porta si aprì e le due si trovarono di fronte un enorme felino maculato.

Che tuttavia entrambe conoscevano fin troppo bene e che si ammansì non appena incrociò lo sguardo con la bambina.

«URI!», esclamò lei con un gran sorriso sulle labbra, spalancando gli occhi dalla sorpresa.

 

Di lì a qualche secondo fu in groppa ad Uri a gironzolare per la stanza, ridendo felice, sotto lo sguardo attento dei suoi genitori e dei Guardiani.

«Credi sia una buona idea farla giocare con le Box?», chiese Kyoko, evidentemente preoccupata per la figlia, posando il capo sulla spalla di Tsuna.

«Deve abituarsi… dopotutto anche lei avrà a che fare con tutto questo, no?», domandò retoricamente il Decimo, seguendo la figlia con lo sguardo, che tuttavia non poteva sembrare più felice di così.

Per la verità anche lui era preoccupato.

Ancora non sapeva se avesse fatto la cosa giusta.

Ma vedendo sua figlia giocare e ridere così capì che, per saperlo, ci sarebbe stato ancora tempo.

Tuttavia non sapeva perché ma quel pensiero non lo rassicurava affatto.

«Torno di sopra», disse Kyoko che, prima di allontanarsi, intimò a tutti i presenti di tenere d’occhio la piccola e di non distruggere la sala più di quanto non avessero già fatto.

La porta si chiuse dietro di lei proprio nel momento in cui Takeshi aprì bocca.

«Gliel’hai detto? Del biglietto, intendo».

Tsuna si voltò verso il suo vecchio amico trovandolo seduto a terra a lucidare la sua Shigure Kintoki.

«Non ancora», dissentì il Decimo tornando a dare uno sguardo a sua figlia, sempre in groppa ad Uri.

«Ma glielo dirai, vero?»

«Certo… tra poco glielo dirò e… e andrà tutto bene».

Sospirò pesantemente, sorridendo a Lilian che in quel momento lo stava salutando con la mano.

Sì, sarebbe andato tutto bene.

 

 

 

 

 

PAP – Piccolo Angolo Pazzo

Ciaossu!

Alla fin fine lo stato di allarme con il quale il nostro Tsuna si è precipitato al piano superiore… non è servito a nulla.

Quattro anni passano, Lilian cresce e tutto sembra essere tranquillo ma chi può dire che sarà sempre così?

Lo scoprirete nelle prossime puntate xD

Nuovamente devo ringraziare Il_Capitano_Cof per la recensione. Concordo con te sul fatto che l’autrice generalizza un po’ il concetto di mafia senza specificare bene quale sia. Italiana, giapponese, russa? Per quanto riguarda il mittente del biglietto… si scoprirà molto presto hihi

Grazie ancora per i complimenti e le utilissime critiche! **

Come sempre mi trovo a chiedere anche ai silenziosi lettori di farmi sapere che cosa ne pensino della fic, per migliorare e farvi leggere ad ogni aggiornamento capitoli, spero, sempre migliori **

Da questo momento in poi aspettatevi di tutto! Anche un inedito Gokudera! xD

A presto!

xoxo Jin.

 

 

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Capitolo 5
*** 4 . Padre e boss ***


4 . Padre e boss

Nessuno certamente aveva dimenticato che due settimane più tardi sarebbe stato il quattro marzo, ovverosia il quinto compleanno di Lilian.

Per quel periodo, per una volta, tutta la Famiglia si era fermata per poter organizzare il miglior quinto compleanno che una bambina potesse desiderare.

Certo, in una Famiglia mafiosa come la loro non ci si poteva aspettare un compleanno tradizionale, ma per preservare ancora un po’ la sua innocenza tutti si erano messi d’accordo per essere il più normali possibile.

«Il normale è relativo», aveva esordito Lambo non appena sentite tali parole, sbalordendo tutti i presenti.

Da quando in qua l’ex “mostro broccolo” se ne veniva fuori con certe frasi filosofiche? A quanto pareva era cambiato più di quanto tutti si aspettassero.

Ad ogni modo, Gokudera e Yamamoto, assieme a Dino, erano stati incaricati di tenere Lilian lontana dal salotto e dalla cucina dove le sue “zie” preparavano la torta, assieme a mamma Kyoko che lanciava uno sguardo alla porta della cucina ogni singola volta che il rumore di qualcosa che si rompeva giungeva dall’esterno.

Il resto della Famiglia era in viaggio in Giappone per un sopralluogo di routine da una settimana ma sarebbero tornati prima dell’inizio dei festeggiamenti.

Nel bel mezzo di tutta questa frenesia, il Decimo dei Vongola se ne stava nella penombra della sua stanza, il biglietto tra le mani a leggerlo e rileggerlo continuamente.

Ormai avrebbe saputo riscrivere la stessa frase con la stessa calligrafia tanto l’aveva osservato.

Quei maledetti avevano osato minacciare sua figlia, ma non l’avrebbero passata liscia.

Già soltanto per quelle parole l’avrebbero pagata cara.

Nessuno poteva permettersi di minacciare la sua famiglia e rimanere illeso.

Chiuse istintivamente il pugno, accartocciando quel piccolo foglio di carta. Chi avrebbe potuto voler qualcosa da una bambina così piccola?

Chiuse gli occhi portando il pugno alle labbra.

Non voleva diventare un uomo vendicativo, crudele e pronto a qualsiasi cosa, ma per sua figlia sarebbe ricorso a qualsiasi metodo pur di trovare il mittente del biglietto.

Certo, forse non l’avrebbe ucciso. Forse.

Il corso sempre più veloce dei suoi pensieri venne tuttavia interrotto da un bussare leggero alla porta che rivelò sua moglie, i capelli raccolti con un bastoncino intagliato.

«Hai visite».

La testolina castana di Lilian fece capolino dalla porta. La bambina rivolse un gran sorriso al suo papà e vi si avvicinò, sedendovisi accanto con un leggero salto in modo da poter salire sul letto.

«Papà, posso giocare con Natsu?».

Quella domanda posta così, dovette ammettere, lo spiazzò.

Rimase per qualche secondo a fissare la bambina, dopodiché sorrise leggermente.

«Con Natsu? Tesoro ma…», disse non riuscendo a finire la frase dato che l’attenzione della piccola famiglia fu attirata da un rumore leggero, continuo.

La Box arancione si stava muovendo, quasi saltellava sul comodino, chiaro segno che il suo occupatore voleva uscire.

«D’accordo», disse con un sospiro accarezzando i capelli di sua figlia, dell’esatta sfumatura di castano dei suoi. Lilian lo seguì subito, saltellando contenta, mentre si avvicinava alla Box e faceva scaturire la Fiamma dall’anello che la bambina osservò incantata.

Pochi secondi più tardi Lilian correva per i corridoi assieme ad un allegro leoncino.

Tuttavia, anche se la risata di sua figlia risuonava per tutta la casa, Tsuna era comunque preoccupato.

Nemmeno il tocco leggero delle mani di Kyoko, che gli si era inginocchiata accanto sul letto, riuscì a tranquillizzarlo.

«Non so che fare», sussurrò semplicemente, scuotendo lentamente la testa.

Gliene aveva parlato.

Gliel’aveva detto un pomeriggio. L’aveva presa da parte, portata in salotto mentre tutti gli altri erano in giardino a giocare, e le aveva spiegato ogni cosa.

Il biglietto, la minaccia, la paura, la rabbia.

Come al solito lei l’aveva presa con filosofia e calma, com’era nella sua indole, dopo diversi interminabili secondi di silenzio. Nei suoi occhi, tuttavia, aveva colto quella scintilla di terrore per la loro bambina che non gli sfuggiva mai.

L’aveva abbracciata dicendole che sarebbe andato tutto bene, prima che un urletto di Lilian li richiamasse al sole.

Tante volte, in quei cinque anni dopo la nascita di Lilian, aveva accarezzato l’idea di mollare tutto ed andarsene con la sua famiglia.

Ma ogni volta lo sguardo cadeva su quella foto, quella dove c’erano tutti, anni prima.

Erano giovani, sorridevano.

Non che adesso non lo facessero, ma quello del presente era un sorriso diverso, più maturo, che portava il peso di tutto ciò che avevano passato, di tutte le battaglie che avevano affrontato, così come i loro occhi. Di ogni singolo membro. Nessuno escluso.

Eppure erano ancora là, assieme, uniti e con un membro in più, da proteggere come un gioiello.

Così erano i Vongola. Sempre pronti a dar la vita l’uno per l’altro.

A difendersi… a costo della vita.

«Tu devi soltanto convincerti che non sei solo. Ci siamo noi, Hayato, Takeshi, mio fratello… e nostra figlia… non ti lasceremo mai a fronteggiare tutto questo per conto tuo, lo sai».

Le parole di Kyoko, mentre lo abbracciava, uscirono dolci come ambrosia prima che gli posasse un delicato bacio sulle labbra e gli rivolgesse un amorevole sorriso al quale lui rispose nello stesso modo.

«Ora sbrigati. È il compleanno di tua figlia oggi».

E con un ultimo bacio lasciò la stanza.

 

 

 

 

 

PAP – Piccolo Angolo Pazzo

Ciaossu!

Questo capitolo, come avete potuto notare, si incentra maggiormente sui pensieri di Tsuna in seguito alla minaccia ricevuta.

Ora che è più “vecchio” di dieci e più anni ho voluto conferirgli una profondità psicologica che naturalmente a quattordic’anni non poteva avere ed oltretutto ci tenevo a mettere in luce la battaglia interiore, se così vogliamo chiamarla, che sta portando avanti.

Come conciliare il suo ruolo di boss dei Vongola con il suo ruolo di padre? Come far fronte ad i piccoli e grandi problemi che gli si presentano davanti da tutte e due le famiglie?

Insomma, incontriamo uno Tsuna più maturo e più consapevole, uno Tsuna che finalmente si è deciso ad accettare il suo ruolo di boss in concomitanza con quello di neo papà.

Nel frattempo Lilian sembra essere assolutamente una bambina spensierata che ancora ignora il pericolo a cui è stata sottoposta.

Chissà come reagirà il nostro Decimo… come sempre, lo scoprirete nelle prossime puntate! xD

Eccoci dunque allo spazio ringraziamenti:

Come sempre ringrazio Il_Capitano_Cof. Se tu non vedi l’ora di leggere come sarà da grande io non vedo l’ora di scriverla! Anche se qualche ideuzza già ce l’ho in mente *medita* Grazie mille ancora, cara! ;)

Ed una graditissima nuova recensione da parte di Revenant. Che dire, sono onorata che ti sia piaciuta così tanto da leggere tutti i capitoli, tutti in una volta! ** Concordo con te sul fatto che Tsuna originale è un po’ piagnucoloso ma probabilmente è proprio questo che permette al lettore/spettatore di rendersi conto dell’evoluzione e della crescita che il personaggio ha durante il percorso ** Di nuovo, immensamente, grazie! **

Dunque, nuovamente a presto!

xoxo Jin.

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Capitolo 6
*** 5 . Tanti auguri ***


5 . Tanti auguri

«Pronta tesoro? Tre, due, uno…»

«SORPRESA!».

Gli occhi nocciola della piccola Lilian, fino a quel momento coperti dalle mani della madre, si spalancarono di gioia alla vista del salotto addobbato a festa apposta per lei!

Iniziò immediatamente a saltellare, ridere e correre da un lato all’altro della stanza, sempre con accanto Natsu ed Uri, che ormai erano diventati i suoi migliori amici.

Il povero Gokudera, chiamato soltanto da Lilian “zio Iato”, era stato costretto dalla festeggiata a portarla sulle spalle per un bel pezzo, dovendo destreggiarsi tra le carte dei regali ed Uri che, con le sue unghie, continuava ad attentare alle caviglie del suo Guardiano.

Finalmente aveva deciso di lasciargli stare il viso.

«Avanti Uri, togliti! No, attento! Oh Lily, non mettermi le mani sugli occhi!».

Questi erano i rimproveri del Guardiano della Tempesta che, puntualmente, finiva per scoppiare a ridere assieme alla nipotina acquisita.

Non sapeva perché, ma improvvisamente il ruolo di zio gli si addiceva alla perfezione.

Gli ospiti, ovvero tutta la Famiglia, li osservavano, sbigottiti di quanto Gokudera potesse divertirsi assieme ad una bambina di cinque anni appena compiuti.

«Visto che la Stella delle Classifiche non aveva torto? Gokudera sarebbe tagliato per fare il maestro d’asilo!», esclamò Fuuta, riferendosi ad una delle sue prime predizioni.

Già, a volte il futuro riservava davvero delle grandi sorprese.

 

Il sole era sceso più velocemente di quanto tutti si aspettassero e la luna aveva colto un uomo grande e grosso come Hayato Gokudera addormentato accanto ad una piccola principessa.

Dovevano essere entrambi sfiniti dopo una giornata del genere, passata a correre, giocare e, soprattutto e specialmente, ridere come non mai.

La Famiglia si era ritirata, lasciando il Guardiano della Tempesta a vegliare sui sogni di Lilian, entrambi sotto lo sguardo divertito ed intenerito allo stesso tempo di Kyoko che, lentamente, prese in braccio la figlia andandola ad adagiare nel suo lettino.

Ricordava ancora le parole di Tsuna, in quel tramonto sulle sponde del fiume che attraversava Namimori, quando le aveva raccontato tutto ciò che stava accadendo.

Del suo ruolo, di quello della sua Famiglia ed anche del suo, di Kyoko.

Doveva ammettere che inizialmente era rimasta decisamente stupita e le ci erano voluti alcuni minuti di silenzio totale per elaborare la notizia.

Tuttavia l’aveva accettato e da quel momento in poi aveva iniziato a vederlo in un altro modo.

L’aveva improvvisamente visto più grande, con un peso più gravoso sulle spalle.

Ed aveva capito meglio le stupidaggini che ogni tanto sia lui che i Guardiani facevano. Un modo tranquillo e normale per ritrovare un po’ di quella serenità che in quel momento, evidentemente, gli serviva.

Per questo quando le aveva chiesto di sposarlo non aveva avuto paura e gli aveva risposto di sì.

Nel suo solito modo un po’ timido, però era stato un sì e tanto era bastato.

Ed ora erano passati altri cinque anni di tranquillità.

Tranquillità per la quale era sicuramente grata ma…

Scosse la testa rimboccando le coperte a Lilian e si avvicinò alla finestra, scostando la tenda leggera.

Il giardino era interamente illuminato dalla luce argentea della luna. Scivolava su qualsiasi cosa come un manto d’argento liquido.

Ma c’era qualcosa nell’aria… qualcosa che si sarebbe fatto avanti molto presto. Forse troppo presto.

Fece vagare lo sguardo lontano fino a riuscire a scorgere le punte del cancello principale illuminate dai raggi.

Le sembrò di notare un’ombra allontanarsi in fretta da là. Si disse, tuttavia, che probabilmente era stato un animale.

Con un sospiro silenzioso lasciò ricadere la tenda al suo posto ed uscì, non accorgendosi che la sua distrazione avrebbe causato qualcosa che nessuno avrebbe mai potuto immaginare.

 

L’orologio segnava le quattro e trenta del mattino quando Lilian si svegliò, attirata da diversi rumori al piano inferiore.

La casa era al buio perciò, stropicciandosi gli occhi, dovette camminare con la mano poggiata al muro.

Ed ancora continuavano i rumori, i passi… chi avrebbe potuto introdursi in casa?

Mamma e papà dormivano ed anche lo zio Hayato… forse però era proprio lui!

Scese i gradini della scalinata, fiduciosa.

«Zio Iato?», lo chiamò con voce flebile.

Ma un’altra voce le rispose.

Una voce che sicuramente non era del Guardiano della Tempesta.

«Buon compleanno, piccola Lilian».

 

 

 

 

 

PAP – Piccolo Angolo Pazzo

Ciaossu!

Chi l’avrebbe mai detto che al Guardiano della Tempesta sarebbero piaciuti così tanto i bambini? O, quantomeno, soltanto sua nipote. E che cos’avrà visto Kyoko dalla finestra? Quell’ombra era stata davvero prodotta da un animale? Chissà…

Come sempre eccoci giunti allo spazio ringraziamenti.

Ringrazio come sempre Il_Capitano_Cof per i meravigliosi complimenti. Sul serio, sono lusingata ** In effetti il mio più grande timore, quando ho iniziato a scrivere questa Fic, era di, diciamo, “snaturare” il personaggio di Tsuna rendendolo adulto, però ciò che mi hai detto mi rassicura ** Però ammetto che ho volutamente “modificato” Kyoko ^^” Nemmeno a me piaceva troppo l’originale. Insomma, era un continuo “Tsuna-kun” di qua e “Tsuna-kun” di là… aveva proprio un ruolo da soprammobile come hai detto tu! xD Grazie mille di nuovo! Al prossimo capitolo! **

…e Revenant. Grazie mille! Davvero! ** Come per Kyoko anche nei riguardi di Lambo ho volontariamente modificato il suo carattere. Insomma, si suppone che a venticinque anni abbia un po’ più testa – e coraggio – di quanti ne avesse a cinque o quindici! Lilian… eh, lei è ancora piccolina e – fortunatamente? – non si rende ancora pienamente conto di che famiglia fa parte ed i genitori, suppongo giustamente, cercano di proteggerla da quel mondo il più possibile.

Che dire? grazie a te per continuare a scrivere!” ** Ma grazie a te per continuare a recensire cara! **

Il prossimo capitolo è già pronto, devo solo perfezionare alcune cosucce, tuttavia per questo pomeriggio suppongo che ci sarà **

xoxo Jin.

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Capitolo 7
*** 6 . Battle front ***


6 . Battle front

Nell’atrio della villa il buio era pressoché totale. L’unica illuminazione era davvero molto fioca e proveniva perlopiù dalla luna piena, in alto nel cielo.

Erano poche le cose che Lilian riusciva a vedere.

Ed una di quelle era un uomo. La guardava con uno strano sorriso che la mise in guardia, facendola aggrappare istintivamente ad uno dei paletti del parapetto in legno.

«Oh piccolina… non guardarmi così…», disse rivolgendosi direttamente a lei ed avvicinandosi di qualche passo, salendo sul primo scalino.

«Non devi aver paura di me, vedi…».

La voce dell’uomo era melliflua e sembrava davvero non volerle far nulla.

Tuttavia sentiva di non potersi fidare. Di non doverlo fare. era un’intuizione lontana, ma decise di seguirla. Per questo si allontanò di un passo, salendo sullo scalino dietro di lei.

«…diciamo che sono un amico di tuo padre»

«Il mio papà?», domandò incerta, la paura che iniziava a prendere possesso del suo piccolo cuore, della sua giovane mente.

Troppo giovane per capire che le parole dell’uomo non erano veritiere.

«Sì piccolina, proprio lui… Tsunayoshi Sawada, vero?».

La piccola annuì involontariamente, ancora abbastanza lontana da poter fuggire nella stanza dei suoi genitori o di suo zio. Purtroppo non fece nulla di tutto ciò.

Calò il silenzio improvvisamente.

L’uomo scese quell’unico scalino e si allontanò di qualche passo, cosa che fece sperare Lilian del fatto che forse se ne sarebbe andato.

«Beh, certo mi rendo conto che è davvero molto tardi… facciamo così, torno domani. Per favore, dì a tuo padre che sono passato, domani mattina, ok? Oh, ancora auguri piccola».

Con un occhiolino ed un sorriso dall’aria sincera lasciò l’atrio, scomparendo in direzione della cucina, per uscire dalla porta sul retro.

Il silenzio che seguì fu lungo e… beh, silenzioso. Non pensò, in quel momento di confusione, che un ospite non si sarebbe dovuto presentare in casa nel bel mezzo della notte.

Titubante ed incerta, Lilian iniziò a scendere le scale, tenendosi al corrimano e guardandosi attorno cercando di cogliere quanto più possibile nel buio.

Posava un piede alla volta su ogni ligneo scalino e rabbrividì, una volta arrivata infondo, quando percepì il freddo del marmo.

Si guardò attorno nuovamente, inquieta, quasi senza respirare.

Poi una voce, che spezzò quello stallo temporale che sembrava essersi creato.

«Tesoro, che ci fai sveglia a quest’ora?».

Alzò lo sguardo, sobbalzando.

Suo padre, in cima alla scalinata, i capelli scomposti in modo irreversibile, la stava raggiungendo.

«Papà, c’era un signore che ti cercava», disse indicando il buio dove poco prima quello stesso uomo era scomparso.

Tsuna seguì l’indicazione di sua figlia, mentre dentro di se iniziava a farsi strada la consapevolezza sempre più pressante del fatto che potessero non essere più al sicuro nemmeno là dentro.

Un lampo azzurro rischiarò l’oscurità.

Poco dopo l’uomo si mostrò nuovamente.

«Lilian, sali di sopra», le intimò. In tutta risposta la bambina rimase là dov’era con uno sguardo risoluto che strappò un sorriso al Decimo.

Dopotutto, era pur sempre l’Undicesimo boss designato.

Tornò a concentrare la sua attenzione sul nemico.

Non riconosceva il suo volto. Non l’aveva mai visto prima, ma soltanto il suo sguardo bastò a fargli capire che non era certamente una persona vicina alla Famiglia. Non in maniera positiva, almeno.

Riconosceva la sua fiamma. Era il detentore della Pioggia.

Lanciò un rapido sguardo alla propria mano. Dannazione. Quella era una delle rare volte in cui non aveva indossato l’anello prima di uscire dalla stanza. Non aveva immaginato che proprio quella notte si sarebbe presentata una minaccia.

Se avesse attaccato non avrebbe avuto possibilità. Era totalmente disarmato e per proteggere la serenità della sua famiglia avrebbe potuto contare solo su se stesso.

«Tua figlia è davvero carina…», osservò lanciandole uno sguardo e spostandosi verso di lei. Sospirò, poi, e scosse tristemente la testa, abbassando lo sguardo.

«Peccato… sono sicuro che sarebbe stata un boss davvero affascinante… come Daniela, no?».

Ed attaccò fulmineo, sfoderando una katana, dritto verso la bambina.

Il terrore di perdere sua figlia attanagliò il cuore del Decimo che, senza pensarci due volte, si lanciò in avanti proteggendo Lilian con il suo corpo.

Fu un secondo.

La lama penetrò nel suo petto, mozzandogli il fiato, facendogli spalancare gli occhi, fissando quelli del nemico.

«O-oh… accipicchia, sbagliato…», ironizzò rivolgendogli uno sguardo oscuramente sarcastico e premendo la lama ancora più a fondo, un’altra volta, per poi sfilarla con un colpo secco e deciso.

«Mi dispiace Sawada ma non preoccuparti… tra qualche tempo ti manderò anche tua figlia».

Detto ciò scomparve nuovamente da dove era arrivato.

Un improvviso gelo lo colse, mentre cadeva in ginocchio e poi a terra, il sangue che gli riempiva lentamente gola e polmoni, impedendogli di respirare, togliendogli la vita in una lenta agonia.

«NO!».

L’urlo straziante di Lilian accompagnò i suoi piccoli passi veloci prima di buttarsi in ginocchio accanto a suo padre che la guardò con un ultimo amaro sorriso, tentando di accarezzarle una guancia, non riuscendoci.

«Lilian, tesoro ascoltami… fa la brava, ascolta la mamma… diventa g-grande…».

E con un ultimo rantolo spirò non riuscendo a terminare la frase, gli occhi improvvisamente vitrei e fissi, il corpo freddo quanto il marmo su cui era steso.

Tremante, Lilian cercò di scuotere il padre, di farlo risvegliare, senza successo.

«Papà! Papà, ti prego, rispondimi! PAPÀ!»

«Lilian! Lilian che…», accorse il Guardiano della Tempesta richiamato dalle urla della piccola, le cui parole terminarono subito, avvicinandosi alla bambina in lacrime.

«D-Decimo…»

«Il mio papà… hanno ucciso il mio papà, zio Iato!».

La sua voce troppo piccola per quelle parole di disperazione risuonò in tutta la casa verso la luna che, quella notte, si era tinta di rosso.

 

 

 

 

 

PAP – Piccolo Angolo Pazzo

Ciaossu!
Che capitolo sofferto ç_ç Non so nemmeno come ho fatto a scriverlo ç_ç

E non so nemmeno da dove sia saltata fuori l’idea di farla finire così ç_ç

E non so che altro dire se non che sicuramente qualcuno, dopo aver letto ciò, mi odierà a morte… ed avrà anche ragione di farlo ç_ç

Al prossimo capitolo!

xoxo Jin.

 

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Capitolo 8
*** 7 . Il giorno di dolore che uno ha ***


7 . Il giorno di dolore che uno ha

Theme Song: “Sadness and Sorrow” – Naruto OST

 

Ironico come, quel giorno, splendesse il sole.

Tutta la Famiglia, in un sol giorno, era stata riunita. La notizia della morte del Decimo aveva colpito ogni singolo individuo che aveva avuto a che fare con lui.

Da Shoichi a Giannini, da Dino e tutti i Cavallone – Romario in special modo – ad Aria.

E poi tutti i Guardiani, in prima linea, ognuno a posare un giglio bianco nella bara aperta dove riposava il Decimo, nell’elegante abito nero che avrebbe portato per sempre.

Fu Kyoko ad accompagnare Lilian a salutare suo padre.

Cercò di essere forte per sua figlia, per lui, per loro, ma una volta tornata accanto agli altri non ce la fece. Nemmeno la mano di Takeshi e l’abbraccio di suo fratello riuscirono ad alleviare il dolore che stava provando.

Lilian osservava suo padre, quello che per tutta la vita era e sarebbe rimasto il suo eroe. Il suo eroe con gli occhi chiusi. Pensò che sembrava che stesse dormendo.

Come quando, più piccola, per fargli uno scherzo la domenica mattina andava a svegliarlo mettendosi a saltare sul lettone assieme a Natsu, rimasto fuori dalla Box.

Ed ora era là e dormiva ancora. Avrebbe dormito per sempre.

Nemmeno lei avrebbe più potuto svegliarlo.

Il suo piccolo cuore si strinse come mai aveva fatto prima e piano piano strinse la mano al Guardiano della Tempesta che combatteva ancora una volta, ma stavolta contro se stesso.

«Non piangere, zio Iato. I grandi non piangono», sussurrò con gli occhi lucidi, strappando un sorriso tra le lacrime all’uomo che per anni aveva protetto suo padre e che ora più che mai si stava incolpando di non averlo potuto salvare quando, come suo braccio destro, avrebbe dovuto farlo.

Era quello il suo compito, e ne era venuto meno.

Come avesse sentito il loro stato d’animo, Uri si posizionò tra i due con aria mesta, per quanto un felino possa avere un’aria mesta.

Hayato abbassò lo sguardo verso la sua nipotina, in quell’abito nero che tanto stonava su una bambina con un temperamento solare come il suo.

Aveva giurato, diavolo, aveva giurato di proteggere il Decimo e non l’aveva fatto! Avrebbe dovuto esserci lui al suo posto!

Strinse i pugni di riflesso a quel pensiero fino a quando un altro iniziò a farsi strada nella sua mente.

Gli era stato concesso di vivere. Vivere per qualcosa che doveva fare? Ma certo!

Un piccolo sorriso rischiarò il suo volto mentre il vento iniziava a spirare attraverso il giardino, tra quelle dieci lapidi che portavano ognuna il nome del boss corrispondente.

Da quel momento in poi avrebbe dedicato la vita a proteggere Lilian. Se era ancora là, vivo, doveva esserci un motivo e si convinse che fosse quello.

Proteggere l’Undicesimo boss della famiglia Vongola.

Quello sarebbe stato il suo compito da là in avanti.

Per sempre.

Osservò nuovamente Lilian.

Guardava, assieme a tutti gli altri, la bara di suo padre, ora chiusa, venire calata lentamente nella terra. Lo sguardo nei suoi occhi lo fece rabbrividire. Era così maturo, così consapevole, così… così tanto da boss.

Sì Tsuna… hai fatto la scelta giusta.

Rialzò il capo, deciso. Stavolta non sarebbe venuto meno al suo compito.

Più nascosto, qualche metro più indietro, Reborn osservava la scena, le braccia conserte ed uno sguardo, coperto dalla tesa del cappello, più o meno lucido.

Non l’avrebbe ammesso mai, chiaramente.

Proprio in quell’istante, tuttavia, gli risuonarono in testa le parole che il suo stesso studente gli aveva detto qualche mese prima.

«Quando non ci sarò più stalle accanto, ti prego. So che tu sarai un buon maestro per lei»

«Come lo sai?», gli aveva domandato.

Scuotendo la testa, il boss aveva risposto: «Lo so e basta».

Era rimasto colpito da quelle parole, dal fatto che finalmente fosse diventato un uomo e si fosse lasciato alle spalle “Imbranatsuna”, il ragazzino impacciato che era stato.

Ed ora erano tutti là ad assistere alla realizzazione del suo presagio.

Tutti a dare un ultimo addio ad un uomo che se n’era andato troppo presto. Che aveva lasciato due famiglie che avevano ancora bisogno di lui ma non l’avevano potuto ottenere.

Alzò lo sguardo al cielo, il tutor italiano, mentre Bianchi iniziava a suonare il piano, portato in giardino appositamente, le note che si perdevano nell’aria, e forse per la prima volta giurò.

Osservando da lontano la piccola Lilian, tra Gokudera e Kyoko, giurò che sarebbe rimasto accanto a quello scricciolo fino a quando ne avesse avuto bisogno.

Proprio come aveva fatto con suo padre.

Uno sguardo ed un cenno con la testa accompagnarono la sua uscita di scena.

Addio Tsuna, ci si vede.

 

 

 

 

 

PAP – Piccolo Angolo Pazzo

Ciaossu!

*enorme sospiro di sollievo* Un altro soffertissimo capitolo andato! ç_ç

Ed anche con il precedente non è stata proprio una passeggiata neh ç_ç

Però l’aver visto che vi è piaciuto così tanto mi… non so… mi ha fatto sorridere, mi ha fatta davvero felice **

È ora dello spazio ringraziamenti! **

Grazie a Il_Capitano_Cof per i magnifici complimenti! ** Guarda che così mi monto la testa! xD Uh, sinceramente il fatto dell’anello me lo sono chiesto pure io e sono stata io stessa a scriverlo! xD Ulteriore riconferma del fatto che quando scrivo il mio cervello va in standby e riprende a funzionare solo quando il capitolo è terminato xDDD

E grazie anche a Revenant ** Ulalà, addirittura ammirabile? ** Eh, ci saranno grandi sorprese da questo momento in poi sisi u.u Oh caraaa ** Okay, ammetto che non era il mio obiettivo principale farti piangere (uhm… forse far commuovere qualcuno si hihi) però mi sono emozionata io stessa a scriverlo, quindi… siamo sulla stessa barca! xD

Avrei una piccola richiesta. Siccome usare sempre i nicknames mi sembra… boh, quasi “freddo”, se non sono inopportuna mi piacerebbe sapere i vostri nomi ** Sempre se vi va, altrimenti no xD

xoxo Jin. (aka Niki xD)

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Capitolo 9
*** 8 . Anniversary ***


Avviso: da questo capitolo in poi ci sarà un cambio di persona e sarà Lilian stessa a fare da narratrice.

Non si escludono possibili inserti nuovamente in terza persona, dove necessario.

Detto ciò, vi auguro buona lettura!

 

 

8 . Anniversary

A che cosa servono gli anniversari?

«A ricordare qualcuno che ci manca tanto. A non dimenticarlo», mi aveva risposto mia madre quando gliel’avevo chiesto la prima volta.

A non dimenticarlo, aveva detto.  

Per questo avevo deciso di non tornare in Italia.

Erano passati già undic’anni ma io non avevo mai dimenticato, neanche un secondo, mio padre.

Non avevo mai dimenticato come mi aveva protetta, salvandomi la vita a costo della sua, né avevo dimenticato le lacrime di mia madre o lo sguardo straziato e determinato allo stesso tempo dei miei zii e di tutte le persone che erano accorse a dirgli addio.

Sguardo che avevo presto imparato a portare anch’io.

Allora non capii l’importanza della posizione che mio padre ricopriva. Non capii che presto sarebbe stato anche il mio posto.

Qualche settimana più tardi la morte di papà ci trasferimmo a Namimori.

Tutta la Famiglia aveva traslocato in massa da uno Stato all’altro in meno di una settimana.

Namimori era una bella cittadina, tranquilla ed in un certo senso quasi “tipica”.

La città dove era vissuto mio padre, prima di spostarsi sulle colline toscane, lontano da quel mondo che tanto aveva amato ed odiato allo stesso tempo per avvicinarvisi forse ancora maggiormente.

Era là che aveva combattuto le sue prime battaglie, là che aveva riso, là che aveva fatto valere il nome che portava.

Là che era diventato un boss.

 

La pioggia batteva imperterrita sulla mia finestra, inesorabile, cadendo su tutta la città.

In strada ancora qualche persona si intravedeva, chi camminava tranquillamente, l’ombrello a proteggerlo e la borsa della spesa in mano e chi, invece, correva sotto la pioggia riparato soltanto dalla giacca, sperando di raggiungere il prima possibile il tepore familiare di casa.

Lasciando vagare lo sguardo più in là, all’orizzonte il cielo plumbeo e buio veniva rischiarato dai lampi, il cui suono era ancora troppo lontano per poter essere sentito.

Sospirai, seduta sul davanzale come sempre, scostandomi i lunghi capelli dal viso e portandoli tutti su una spalla.

Era un’abitudine che avevo acquisito da quando eravamo arrivati la prima volta a Namimori. Certo… beh sì, in realtà da piccola ero caduta più di una volta da quel davanzale, fortunatamente senza farmi mai nulla di grave e per questo mamma mi diceva sempre che ero tale e quale a lui.

Papà mi mancava, era in utile negarlo, ma ogni anno che passava sentivo la sua mancanza sempre di meno.

Non che lo stessi dimenticando, ma semplicemente sentivo che era sempre vicino a me, quindi era come se non se ne fosse andato mai.

Era come se in un certo senso anche dall’alto lui fosse sempre là pronto a tenermi per mano, ad aiutarmi a rialzarmi quando sarei caduta, a…

Lo squillo del telefono al piano di sotto mi fece uscire bruscamente dallo scorrere dei miei pensieri. Saltai giù dal davanzale e scesi le scale, rischiando anche di cadere nel tragitto.

Mamma me lo ripeteva sempre che ero sbadata quanto mio padre. Però anche lei si ostinava a passare la cera sugli scalini… per forza poi io scivolavo!

«Sì?», risposi portando la cornetta all’orecchio.

«Lily, sono fuori casa tua».

C’era soltanto una persona che mi chiamava in quel modo. Da sempre.

Attaccai subito e con un sorriso aprii la porta di casa.

Mio zio era là di fronte a me con un gran sorriso che ricambiai subito, l’ombrello nero aperto.

«Zio Hayato!».

Oh sì, alla fine avevo imparato a dirlo per bene, il suo nome.

Il suo sorriso splendeva sempre per me, anche sotto la pioggia battente.

Gli corsi incontro abbracciandolo ancora prima che potesse chiudere l’ombrello. Mi era mancato così tanto durante tutto quel tempo, mentre era in Italia…

Non era il mio zio biologico ma per me era sempre stato come se lo fosse e non solo perché era uno dei migliori amici di papà.

Era stato l’uomo che mi spingeva sull’altalena, che mi accompagnava a scuola perché voleva augurarmi buona giornata, quello che mi portava la camomilla quando avevo la febbre e che permetteva ad Uri di starmi accanto sotto le coperte per non lasciarmi sola.

Era l’uomo che mi aveva quasi convinta a tagliarmi i capelli come lui, che mi aveva insegnato pazientemente come si faceva il nodo alla cravatta e che si commuoveva ancora quando gli dicevo che gli volevo bene anche se lo nascondeva molto ma molto bene.

Era mio zio.

In tutto e per tutto.

«Sono così felice che tu sia qui!»

«Anch’io piccola, e… c’è una cosa di cui ti devo parlare».

Mi allontanai e lo guardai con uno sguardo scettico.

Quella frase non mi piaceva.

Ancor di meno il tono che aveva usato per dirla. Un tono che mi aveva fatto salire un brivido di freddo su per la schiena e che gli avevo sentito usare poche volte.

«D’accordo», annuii.

Mi erano passate per la mente le cose peggiori, ma ancora non sapevo che finalmente era arrivato il momento.

 

 

 

 

 

PAP – Piccolo Angolo Pazzo

Ciaossu!

Finalmente è cresciuta! ** Giàgià, la principessina di casa Sawada/Vongola che dir si voglia (xD) finalmente ha i suoi bei sedic’anni! **

So che Tsuna quando ha iniziato aveva più o meno quattordic’anni ma mi è sempre sembrato troppo poco ç_ç

Come già detto all’inizio da questo capitolo in poi la narratrice principale sarà proprio Lilian, ma all’occorrenza – e ce ne saranno di occorrenze xD – dovrò inserire anche o interi capitoli in terza persona o soltanto paragrafi all’interno per riuscire a spiegare determinate cose che, in loro assenza, non si scoprirebbero nemmeno.

Ad ogni modo, anche se è appena apparsa spero, andando avanti, che la mia Lilian vi piaccia! **

Come sempre eccoci allo spazio ringraziamenti.

Dunque dunque, prima di tutto vi ringrazio per non avermi presa per una pazza psicotica xD No dai, scherzi a parte prima di tutto voglio ringraziare Felicia (oddio che bel nome ** giuro che mi piace un sacco **). Giuro che vi faccio smettere di piangere adesso xD almeno credo… uhm… xD E Lilian… beh sì, sarà diversa da Tsuna ma un po’ della sua imbranataggine, come abbiamo potuto vedere, l’ha ereditata suo malgrado xD Comunque, cercando di fare la seria, ti ringrazio davvero immensamente. Non sai quanto io, iniziata questa LongFic, avessi il terrore non tanto di rappresentare i personaggi, quanto di rappresentarli OOC. E invece… stando a quello che mi dici non lo sono ** Quindi grazie mille, di nuovo! **

E poi Revy, precisando che d’ora in avanti ti chiamerò sempre così e che ti adoro ancora di più perché mi ricordi la Revy di Black Lagoon ** xD Che posso dire? Grazie mille. Per continuare a seguire la Fic, per recensire sempre, per il sostegno… per tutto! ** E soprattutto per Reborn ** Giuro che un altro dei miei timori era proprio TYL Reborn. Pensavo di non riuscire a riportarlo come tutti se lo immaginavano – anche perché nell’anime disgraziatamente si vede proprio poco ç_ç – e invece… grazie! ** Oddio, non riesco a dire altro! xD Hihi, in merito alle sorprese, non sono ancora finite! E siamo pure sotto Pasqua! xD

Che altro dire… spero vi sia piaciuto il capitolo! ** E, come sempre, a presto con il prossimo! **

xoxo Niki (massì va… basta Jin xD)

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Capitolo 10
*** 9 . Memories ***


9 . Memories


«
Che cosa devo fare!?».
Seduta al tavolo della cucina avevo appena appreso la grande notizia.
Quella sera stessa sarei dovuta partire per l’Italia.
Già odiavo quando non mi si dicevano le cose con largo anticipo, quando poi si trattava di dover viaggiare da un continente all’altro, beh… ancora peggio!
Vidi mio zio alzare gli occhi al cielo e sospirare con un leggero sorriso sul volto.
«Non solo tu, Lilian. Partiamo insieme. E dobbiamo farlo piuttosto presto, quindi…», disse facendo cenno alle scale che portavano al piano di sopra e, di conseguenza, alla mia stanza.
Rimanemmo entrambi in silenzio a guardarci, io ancora seduta sulla sedia e lui sulla soglia della porta, appoggiato allo stipite.
Il suo sguardo non era né accusatorio né autoritario.
Semplicemente i suoi occhi verdi mi stavano quasi invitando a partire.
Come se mi stesse dicendo che potevo stare tranquilla.
Che non ero sola.
Con un leggero sospiro ed un ultimo sorso di cioccolato mi alzai, sorpassandolo ed avviandomi su per le scale.
Di lì a poco sentii la sua presa sulle spalle, come a volermi gentilmente spingere al piano superiore.
«When the moon hits your eyes like a big pizza pie, that’s amore!».
La sua esibizione canora mi strappò una risata salendo gli ultimi scalini per il piano superiore.
Entrai in camera mia ed in relativamente breve tempo la mia valigia fu pronta.
Infilai velocemente il cappotto e presi l’ombrello, uscendo di casa mentre zio Hayato chiudeva a chiave.
Aprii l’ombrello seguendolo fuori dal vialetto verso la macchina.
Prima di salire, tuttavia, mi voltai indietro a guardare casa mia, le imposte e la porta chiusi.
Chiusi anche il cancelletto e l’ombrello prima di entrare in auto.
Guardai per l’ultima volta casa mia dal finestrino e mi lasciai andare contro il sedile, lasciandomi tranquillizzare dallo scrosciare della pioggia sul finestrino.
Italia, arriviamo!
 
Qualche tempo più tardi, dopo un infinito check-in aeroportuale, mi ritrovai in volo a cinquemila metri da terra verso l’Italia.
Fuori dal finestrino l’unica illuminazione erano le luci di posizione delle ali ma lasciando vagare lo sguardo più in là sembrava che l’oscurità non finisse mai, che si estendesse come un manto oscuro e dal piacevole tepore che copriva tutto il mondo per dodici ore o poco meno.
Era ormai tardi, molto tardi, ma incredibilmente non avevo sonno così come mio zio, il cui riflesso vedevo sul vetro del finestrino, i capelli raccolti indietro in una piccola coda ma due ciuffi chiari che comunque gli ricadevano sul viso.
L’aereo era nel più totale silenzio. Attorno a noi dormivano quasi tutti, alcuni con le mascherine sugli occhi, altri cercavano di far addormentare i figli ormai sull’orlo dell’oblio.
Uomini d’affari con gli occhi stanchi non rinunciavano a lavorare al loro pc portatile a costo di dover star svegli tutta la notte.
Per questo, per paura di spezzare quel silenzio perfetto, parlai sottovoce.
«Come hai conosciuto papà?», domandai all’improvviso voltandomi verso di lui e lasciando il capo poggiato al sedile.
Avevo sempre voluto saperlo ma per un motivo o per l’altro non avevo mai avuto occasione di chiederglielo.
Sembrò colto di sorpresa dalla mia domanda, ma subito dopo il suo sguardo si addolcì, velato da quel sentore di passato che avevano sempre tutti quando mi parlavano di ciò che era successo prima che io nascessi.
Di ciò che avevano fatto per arrivare al futuro che avevamo ora.
«Ci siamo conosciuti a scuola. Sai è strano perché inizialmente… diciamo che volevo toglierlo di mezzo. O, meglio, avevo il compito di testare le sue capacità. Così ingaggiai un combattimento con lui», disse rivolgendomi un sorriso e parlando con il mio stesso tono basso per evitare di disturbare.
Rimasi sorpresa e lo guardai.
«Hurricane Bomb Hayato Gokudera contro Tsunayoshi Sawada, semplice studente? Non voglio immaginare come è andata a finire…».
Non che sottovalutassi mio padre, mi ricordavo bene la sua forza, ma allora aveva soltanto quattordic’anni e non sapeva ancora chi sarebbe diventato.
Non aveva nemmeno idea di chi fosse zio Hayato né che un giorno avrebbe effettivamente sposato la sua amata Kyoko come nei suoi sogni. Certo nemmeno zio Hayato avrebbe mai immaginato che si sarebbe fidanzato con colei che amava chiamare sempre e costantemente “dannata donna”, ma questi sono dettagli.
«E non puoi immaginarlo. Non mi sconfisse ma mi salvò la vita. E da quel preciso istante diventai il suo braccio destro», mi spiegò sempre con quell’alone di passato negli occhi.
Rimasi a riflettere per qualche secondo su quelle parole.
Mio padre aveva salvato la vita di mio zio, anche se pensava fosse suo nemico.
L’aveva fatto senza pensarci due volte, mettendo probabilmente a rischio anche la sua stessa vita.
Rimpiansi ancora maggiormente il fatto di non averlo potuto conoscere come avrei voluto, ma ringraziai per la cento milionesima volta per il tempo che ci era stato concesso.
«Tuo padre era fatto così. Era sempre pronto a mettere gli altri prima di sé stesso. Sicuramente era l’uomo più adatto a ricoprire il ruolo di Decimo dei Vongola, ed ora…».
Lasciò la frase in sospeso voltandosi verso di me con un sorrisino enigmatico.
Mi guardò, poi scosse la testa come a dire: “non farci caso”.
Non disse più nulla per tutto il viaggio lasciandomi così, con quella frase a metà ed una domanda senza risposta.
 
 
 
 
 
PAP – Piccolo Angolo Pazzo
Ciaossu!
Dunque dunque… sembrava che tutto il gruppetto si fosse trasferito a Namimori – ed in effetti è proprio così – ma improvvisamente c’è un ulteriore repentino ritorno in Italia.
Eh, lo so che potevo scriverlo prima, ma volevo – e dovevo – mettere in luce il trasferimento a Namimori, il centro focale di tutta la serie originale e, molto probabilmente, anche della Fic, anche se non escludo altri spostamenti. Gran parte della Fic deve essere ancora immaginata, quindi non si sa mai…
E… oh yeah! Gokuera e Haru stanno assieme! *tifo da stadio* Non ho potuto farne a meno, li adoro troppo insieme! xD Okay, ora basta u.u… perché è arrivato il nostro spazio ringraziamenti! *jingle radiofonico*

Ringrazio le mie adorate Fel-chan e Revy-chan per essere così adorabili, per commuoversi ad ogni capitolo – giuro che non lo faccio apposta! xD – e per recensire sistematicamente ad ognuno! **
Dunque dunque… hihi, in effetti è stato un po’ emozionante anche per me scrivere Lilian già grande dopo averla fatta nascere, crescere eccetera. Però… ci voleva. E non vedevo l’ora, sinceramente **
Oh, sicuramente sopravvivrà anche lei a Reborn, ma purtroppo il nostro strafighissimo finalmente adulto adorato Tutor arriverà soltanto tra un pochino ^^” Non uccidetemi per favore ^^” xD
Eeeeehhhh, il momento per cosa lo scoprirete moooolto molto presto!! ** Grazie mille di nuovo adorate mie! **

Ovviamente, non posso non ringraziare anche tutti coloro che leggono la Fic, anche se mi piacerebbe anche da voi un parerino piccolino piccolino hihi
A presto!!
xoxo Niki.
 
 

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Capitolo 11
*** 10 . Welcome back ***


10 . Welcome back

Le ruote dell’aereo toccarono l’asfalto asciutto della pista d’atterraggio dell’aeroporto di Firenze alle due del pomeriggio precise. La voce metallica proveniente da uno degli altoparlanti ci avvisò di non slacciare le cinture di sicurezza fino al completo arresto del velivolo in cinque lingue diverse, tra le quali riconobbi anche il giapponese, anche se avevo capito la frase anche in italiano.

Mi concessi di lanciare uno sguardo fuori dal finestrino e sospirai di sollievo.

Eravamo in Italia. Finalmente.

Fuori dalle porte scorrevoli un SUV nero ci aspettava. Mi sentii un po’ in uno di quei film dove la figlia del Presidente degli Stati Uniti veniva trasportata in un luogo remoto e sconosciuto in Antartide per motivi di sicurezza.

Fortunatamente non lo ero e non stavo andando in un posto ghiacciato.

Sistemai la mia valigia nel baule, dopodiché presi posto accanto a lui sul sedile anteriore del passeggero e, allacciandomi la cintura, lo squadrai.

«Se mi dici dove stiamo andando poi dovrai uccidermi?».

Una breve risata gli nacque sulle labbra mentre imboccavamo l’uscita per l’autostrada.

«No, ma non te lo dirò comunque», ghignò malefico guardando la strada davanti a sé e cambiando marcia con un movimento deciso del braccio.

Il paesaggio cambiò rapidamente, assumendo gli aspetti caratteristici della Toscana in primavera.

Abbassai il finestrino e, portando fuori la mano, lasciai che venisse trasportata dal vento, mentre le note di “Open Road” di Bryan Adams vi si disperdevano attraverso.

Life is an open road to me…

 

Mi accorsi che eravamo quasi arrivati quando i lati della strada iniziarono a decorarsi di ciliegi in piena fioritura.

Inevitabilmente mi tornò in mente casa mia, dall’altra parte del mondo. Il Giappone, d’altronde, era famoso per la presenza smisurata di ciliegi che contribuivano a rendere l’atmosfera dello Stato ancora più magica non solo per i turisti ma anche per i residenti.

Respirai a fondo chiudendo gli occhi, godendomi il profumo di quell’aria che sembrava più nuova e più fresca di qualsiasi aria avessi mai respirato prima.

Fui quasi certa di aver sentito lo sguardo di mio zio addosso ma per una volta non ci feci caso, continuando ad ammirare la nuvola bianca che contornava la strada che stavamo percorrendo che ben presto si trasformò in un vialetto di ghiaia chiara.

«Incontrerai una persona molto, molto importante oggi Lily».

Lily.

Da quanto tempo non mi chiamava così.

Ammetto che quella frase mi fece trasalire.

Non tanto la frase in sé quanto il tono che usò per pronunciarla. Mi voltai a guardarlo, distogliendo a malincuore l’attenzione dal paesaggio.

Teneva lo sguardo fisso sulla strada, una mano sul volante e l’altra sulle marce.

Pensai che sembrava molto più grande di quanto non fosse. Molto più vecchio della sua vera età.

Feci per dire qualcosa, chiedergli chi avrei dovuto incontrare ma lui fu più veloce di me, indicandomi sia con lo sguardo che con l’indice qualcosa di fronte a noi.

«Guarda. Siamo arrivati».

Svoltando l’ultima curva, di fronte a me si stagliò la figura di un luogo che conoscevo molto, molto bene.

E che non vedevo da parecchi anni.

La villa paragonabile ad un castello dove avevo trascorso cinque anni della mia vita e diverse settimane quasi ogni anno sembrò darmi il bentornata con la sua facciata di un bianco quasi accecante e le imposte verde scuro.

«Wow…», sospirai mentre zio Hayato parcheggiava.

Slacciai la cintura e presi la mia valigia dal bagagliaio sempre con gli occhi fissi sulla casa.

Quella casa che ricordavo piena di vita, il cortile dove avevo mosso i miei primi passi, il prato dove usavo giocare spessissimo, dove allestivamo l’albero di Natale.

E poi entrammo assieme.

Il salone era freddo ed esattamente come me lo ricordavo.

Grande.

Rivedere il luogo dove mio padre aveva perso la vita mi fece trasalire mentre i ricordi di quella notte facevano la loro comparsa nella mia mente come velocissimi flash.

Strinsi forte la maniglia della valigia per ricacciare indietro le lacrime che inevitabilmente mi erano salite agli occhi mentre la mano di mio zio si posava leggera sulla mia spalla.

«Bentornata a casa», sorrise posandomi un bacio sui capelli.

Già. Bentornata.

 

La mia camera era esattamente come la ricordavo.

Piccola ed intima. Il mio piccolo mondo.

«Grazie zio», dissi entrando e voltandomi verso di lui vedendolo stringersi nelle spalle e scuotere leggermente la testa.

«Non ringraziarmi. Sei la mia unica nipote dopotutto».

Sorrisi di un sorriso un po’ stanco, un po’ triste e con un ultimo saluto con la mano vidi allontanarsi mio zio probabilmente verso la sua stanza. Con un sospiro mi chiusi la porta alle spalle, girando due volte la chiave nella serratura. Rimasi con le spalle poggiate ad essa, assaporando la sensazione che mi dava essere finalmente ritornata a casa.

Ma la prima sensazione che sentii fu una gran stanchezza.

Lasciai il giacchino sul letto ed iniziai a disfare la valigia con estrema calma, riponendo con cura tutti i vestiti nell’armadio e nei cassetti, aprendo la portafinestra e lasciando entrare luce ed aria.

L’ultima cosa che sistemai fu la fotografia della nostra famiglia – mamma, papà ed io – sul comodino accanto al grande letto, esattamente accanto alla fotografia della Famiglia, di tutti i miei zii e le mie zie.

Sorrisi rivolgendo uno sguardo ad entrambe le fotografie dopodiché mi chiusi in bagno aprendo l’acqua e lasciandola scorrere.

Districai i capelli, mi spogliai ed entrai sotto la doccia, lasciando che l’acqua mi scivolasse addosso togliendo, nel suo percorso, la stanchezza e la pesantezza che il lungo viaggio mi aveva procurato.

Chiusi gli occhi e sorrisi.

D’accordo che ero stanca, ma tornare a casa era una sensazione meravigliosa.

 

Uscii dal bagno frizionandomi i capelli con un asciugamano, indossando semplicemente un paio di pantaloni color avorio ed una maglietta azzurra.

Uscii a piedi nudi come facevo da piccola, camminando a passi silenziosi e leggeri verso l’atrio.

Riconobbi ogni posto, ogni angolo, ogni stanza, ogni anfratto. E ad ogni luogo corrispondeva un ricordo ben preciso. Fu come fare un salto nel passato, praticamente.

Camminai per il corridoio facendo passare la mano sul muro fino a quando non mi ritrovai in cima alla scalinata. Nuovamente l’atrio si presentò di fronte ai miei occhi in tutta la sua grandezza ed in tutta la sua dolorosa consapevolezza di aver ospitato la morte di un uomo.

Gli unici rumori presenti provenivano dalla cucina. Scesi lentamente mentre i ricordi tornavano a bussare.

Il buio della notte.

Un uomo del quale non ricordavo il viso.

Mio padre in cima alle scale che mi raggiungeva.

Un bagliore azzurro nell’oscurità.

La spada nel suo petto.

Il suo ultimo respiro.

Tutti flash nella mia mente che mi trovarono in piedi nel bel mezzo della sala, i pugni chiusi e le lacrime agli occhi. Di nuovo.

Forse mi mancava più di quanto volessi dimostrare anche a me stessa.

Sbattei le palpebre un paio di volte ed uscii nel sole primaverile, dirigendomi al giardino posteriore.

Le dieci lapidi perfettamente candide si stagliavano sul verde del prato. Le osservai tutte mentre mi avvicinavo, dalla prima alla decima di fronte alla quale mi fermai sedendomi sull’erba a gambe incrociate.

Sotto la “X” il suo nome figurava fiero in chiare lettere, tutto intero.

“Tsunayoshi Sawada”.

Pensai che non avevo mai sentito nessuno chiamarlo con il suo nome intero.

Per tutti era Tsuna e basta. Mio padre non era stato solo quello per me, ma un vero e proprio modello da seguire, anche se avevo ereditato almeno una parte della sua sbadataggine.

Scossi la testa con una breve risata sommessa prima di sentire dei passi leggeri dietro di me ed una voce che conoscevo molto bene.

«Sapevo che ti avrei trovata qui».

 

 

 

 

 

PAP – Piccolo Angolo Pazzo

Ciaossu!

Capitolo un po’ di transizione, questo, e mi rendo conto che non dice molto ma…

Finalmente sono ritornati a casa tutti e due! Ed ora? Che cosa aspetterà mai Lilian? E, udite udite, ci sarà un brevissimo quanto immagino inaspettato ritorno… chissà di chi si tratterà… mah… xD

Come sempre, lo scoprirete nelle prossime puntate! **

E giungiamo di nuovo finalmente per la decima volta (la decima! Decimo capitolo! DECIMO! ** xD Okay, sto impazzendo, riconduco KHR a qualsiasi cosa xD) allo spazio ringraziamenti!

 

Ringrazio Golden Brown per le graditissime critiche costruttive ** Scrivendo questo capitolo mi sono impegnata nell’allungarlo rispetto agli altri e spero di esserci riuscita senza, come si dice, “allungare il brodo”. Grazie mille! **

E come sempre ringrazio nuovamente le mie adoratissime Fel-chan e Revy-chan. E beh, Gokudera ed Haru, la coppia per eccellenza, non potevo lasciarli ognuno per la loro strada! E prometto che tra uno o due capitoli ci sarà una scena tutta per loro… non so di che genere, ma ci sarà! xD D’altronde l’amore non è bello se non è litigarello! xD E, sempre riguardo al nostro caro Hayato… beh, è italiano per tre quarti, quindi il suo siparietto è stato inevitabile, non ho saputo resistere xD E, chiaramente, felici (sia me che Gokudera) che vi sia piaciuto! **

Oh cara la mia Revy, Reborn… già… se era già letale da bambino, da adulto… beh, in realtà devo ancora scriverlo xD Però prometto che durante gli allenamenti le darà del filo da torcere… con alcuni aiutanti… e già ho detto troppo xD

Naturalmente, grazie mille anche a tutti coloro che leggono la Fic e l’hanno messa tra le preferite/seguite/ricordate! **

Ricordate che la Fic va avanti anche grazie a voi! Anzi, solo grazie a voi! **

 

Al prossimo capitolo!

xoxo Niki.

 

 

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Capitolo 12
*** 11 . Generazioni a confronto ***


11 . Generazioni a confronto

Mi voltai di scatto.
Mia madre, in piedi dietro di me, mi guardava con un sorriso sulle labbra ma la tristezza negli occhi. Quella stessa tristezza che vedevo da anni sul suo volto ogni qualvolta che si parlava di papà e di come se n’era andato.
Anche se tentavamo di non toccare l’argomento più di tanto, quando giungeva l’anniversario era inevitabile.
Mi alzai, sorridente, ed andai immediatamente ad abbracciarla, chiudendo gli occhi.
Riconobbi il suo profumo, la morbidezza dei suoi capelli, la gentilezza delle sue mani quando mi accarezzarono il viso, la dolcezza del suo sorriso.
«Alla fine non sono davvero potuta mancare», sorrisi, voltandomi di nuovo verso la lapide assieme a lei.
Erano già passati undic’anni dalla sua morte. Undic’anni durante i quali sì, io ero andata a scuola come tutte le ragazze, vivendo una vita più o meno normale, facendomi degli amici, ma nella Famiglia, per quel poco che mi era concesso sapere, era persistito uno stato di calma apparente. Come si soleva dire, la calma prima della tempesta.
La nostra Famiglia e quella rivale appartenente alla Yakuza erano rimaste a guardarsi da lontano, a scrutarsi attentamente, a studiare ogni più minimo movimento l’una dell’altra, in un clima di forte tensione.
Ed ora sembrava che la bomba stesse per esplodere da un momento all’altro.
Chi sarebbe stato raso al suolo dipendeva soltanto da noi e da come avremmo agito.
«Tesoro…», disse mamma prendendo un gran respiro ed abbassando lo sguardo, per poi guardarmi nuovamente.
«tu sai che dovrai…»
«Incontrare una persona molto, molto importante? Sì, zio Hayato me l’ha detto durante il viaggio, ma non ha accennato minimamente a chi fosse», dissi alzando lo sguardo verso di lei e facendo spallucce.
Guardai il cielo limpido e terso sopra di noi.
Quello stesso cielo dove riposava mio padre e di cui era stato il Guardiano.
La risata breve di mamma mi fece distogliere lo sguardo.
«Me l’aspettavo da lui, tuttavia… ora che sei qui è giunto il momento di dirti qualcosa».

Cinque minuti più tardi mi ritrovai seduta di fronte al grande specchio in camera di mia madre, i lunghi capelli castani sciolti lungo la schiena.
«Hai gli stessi occhi di tuo padre. Così…», disse iniziando a spazzolarmi i capelli lentamente e con dolcezza, lasciando la frase in sospeso.
Era un gesto così dolce, così spontaneo e così normale che mi tranquillizzai subito. Allontanarmi da casa mi metteva sempre una certa ansia, anche se sapevo perfettamente che la mia destinazione era pur sempre anche quella casa, ma dopo la doccia ed adesso l’ansia stava lentamente scivolando via come un velo di pizzo.
Il silenzio permase per molti minuti prima che lei parlasse.
«Lilian… quando tu sei nata tuo padre era il boss di questa Famiglia. Il Decimo. E proprio perché era il Decimo ha avuto dei predecessori», disse seria, ripetendomi ciò che sapevo già.
La guardai attraverso riflesso dello specchio, notando la difficoltà che le stava costando dirmi ciò ma non si fermò, continuando a spazzolarmi i capelli per tutta la loro lunghezza.
«Quando è morto… al suo posto è salito nuovamente il Nono a comando della Famiglia. Era già molto anziano, allora».
Avevo visto il Nono boss, Timoteo, soltanto in alcune vecchie fotografie.
Era stato proprio lui a decidere mio padre come successore, probabilmente vedendoci le capacità e le potenzialità necessarie per guidare la Famiglia, in futuro.
Ci aveva visto giusto, indubbiamente.
Mamma prese una forcina dal suo portagioie e la usò per fermare lo chignon perfetto che solo lei sapeva fare e che prima o poi, mi ero fatta promettere, mi avrebbe insegnato.
«Ma ora sta morendo e… qualcuno deve prendere il suo posto», disse posandomi le mani sulle spalle accarezzandole distrattamente e sorridendomi rassicurante dallo specchio.
Rimanemmo a guardarci, madre e figlia, per qualche interminabile secondo prima che lei mi “obbligasse” ad un cambio d’abito e mi consegnasse a zio Ryohei, fuori dalla porta.
Prima di lasciarmi andare mi abbracciò e con un sorriso mi affidò a suo fratello.
Lui mi condusse in un’ala della casa che non avevo mai visto o che forse semplicemente non ricordavo.
Ci fermammo di fronte ad una porta, in fondo al corridoio.
Mio zio notò che ero agitata – no, in realtà ero molto di più che agitata – e mi sistemò leggermente il colletto della camicia candida che mamma mi aveva fatto indossare.
«Ehi, non ti preoccupare. Il Nono è un uomo molto… molto estremo! In senso buono, naturalmente».
Mi sorrise e con un ultimo sguardo di “estremo incoraggiamento”, come avrebbe detto lui, mi lasciò.
La porta sembrava molto più grande di quanto non fosse e cercai di darmi una calmata facendo respiri lenti e profondi.
Presi un ultimo, grande respiro, drizzai le spalle e bussai.
«Avanti».

Abbassai la maniglia della porta, entrando e richiudendomela alle spalle subito dopo, lentamente ed in silenzio.
La stanza era molto grande e le tende alle finestre creavano una penombra quasi opprimente che sembrava voler togliere il respiro.
«Già, lo penso anch’io».
Una voce roca, profonda e maschile provenne dal buio.
In altre occasioni sarei forse stata spaventata ma quella voce, nonostante fosse così cavernosa, era stata anche così gentile che…
Un colpo di tosse mi fece trasalire mentre ancora rimanevo accanto alla porta non intenzionata, almeno per il momento, a muovermi da là.
«Bambina… ti dispiacerebbe scostare le tende, per favore? Odio questo tremendo semi buio».
Nella sua voce gentile sentii un sorriso.
Cercai di rallentare il battito del mio cuore e mi mossi, raggiungendo le tende. Con un gesto veloce delle braccia le scostai, inondando la stanza di una luce vitale e calda. Dovetti chiudere per un momento gli occhi per abituarmi alla nuova illuminazione, ma quando li riaprii di fronte a me, oltre l’immensa finestrata, si aprì il panorama più bello che avessi mai avuto modo di vedere.
Mille cespugli di rose iceberg adornavano il giardino, assieme a mille alberi di ciliegio in fiore, creando un bellissimo effetto di nuvole bianche.
«Meraviglioso, vero?».
Sobbalzai voltandomi immediatamente in direzione di quella voce che stavolta mi colse molto più vicina di quanto fosse prima.
Il Nono boss dei Vongola, Timoteo, mi osservava con occhi forse un po’ spenti, rivolgendomi un sorriso e sorreggendosi al bastone.
Trovarlo là davanti a me fu strano. Per me era sempre stato una specie di leggenda. Una persona di cui tutti mi avevano parlato ma che non avevo mai visto se non in alcune vecchie fotografie sbiadite dal tempo. Colui che aveva guidato la Famiglia prima di mio padre.
«Lilian Sawada», disse sempre sorridente.
Alchè riuscii ad aprirmi anch’io o, quantomeno, a non rimanere tesa come una corda di violino.
«Ti prego di scusarmi se mi presento così ma…», disse riferendosi alla vestaglia in seta blu che indossava.
«Oh no, assolutamente non deve scusarsi, tantomeno con…».
La sua leggera e ruvida risata bloccò la mia frase, facendomi finalmente sorridere.
«Allora non era una bugia. Sei davvero identica a tuo padre. Si vede anche dai tuoi occhi», disse indicandoli.
Lentamente mi stavo rendendo conto che colui che avevo di fronte non era solo ed esclusivamente il Nono boss dei Vongola, ma prima di tutto era un uomo. Un uomo come gli altri e questo in un certo qual modo mi rassicurò.
«Mi hanno detto che… doveva parlarmi», deglutii guardandolo timorosa di avere di fronte un uomo così… grande. Così potente, così importante…
Lui tornò a guardare fuori dalla finestra ed annuì.
«Sì, ma prima mi piacerebbe parlare un po’ con te, se non ti spiace».
Di lì a pochi minuti venni sottoposta ad un piacevole “interrogatorio” da parte del Nono che ben presto si trasformò in una vera e propria chiacchierata.
Iniziai a pensare che probabilmente mi stava facendo tutte quelle domande solo per capire se mio padre avesse fatto la cosa giusta oppure no nel nominare me come successore, ma non ci pensai troppo e ben presto mi accorsi che era bello parlare con lui. Che, sebbene stesse morendo, era ancora un uomo solare.
Per un po’ mi godetti soltanto la sensazione di parlare con un uomo che avrebbe sicuramente potuto essere mio nonno, un uomo con una saggezza indubbiamente maggiore della mia da cui imparare.
«Ah, me lo ricordo tuo padre. L’ho conosciuto quando ancora era un bambino, sai. Ma in un certo senso ho capito subito che sarebbe stato lui a dovermi succedere»
«Come lui ha fatto con me», dissi prima che calasse il silenzio ed il sorriso del Nono si affievolisse. Il suo sguardo andò a perdersi lontano, forse ricordando il passato, forse immaginando il futuro.
«Ehm… forse è il caso che io me ne…», dissi alzandomi.
«Lilian».
La voce del Nono, stavolta più dura.  mi fece voltare nuovamente verso di lui.
Era stato quasi imperioso ed il suo sguardo mi trafisse da parte a parte quando lo incrociai nuovamente.
«C’è qualcosa che devi sapere».
Ciò che mi disse cambiò tutto il mio presente e tutto il mio futuro.


PAP – Piccolo Angolo Pazzo

Ciaossu! E, oltretutto, buona Pasquaaaaaa anche se in ritardo di un giorno xD
Dunque dunque… beh, ecco svelato chi era la “persona molto molto importante” che Lilian avrebbe dovuto incontrare. Purtroppo il Nono sarà presente soltanto per due capitoli percui nonostante la sua importanza, nella Fic sarà soltanto un personaggio di passaggio. Ho cercato di renderlo al meglio anche se nell’anime non si vede poi moltissimo e… beh, spero di esserci riuscita anche se la sfida maggiore – Reborn xD – deve ancora arrivare.
Domanda principale: che cosa mai dovrà sapere Lilian? mah… lo scoprirete nelle prossime puntate!

E come sempre, spazio ringraziamenti! Tatatatàààà xD
As always, ringrazio le mie carissime Fel-chan e Revy-chan. Sono molto contenta che vi sia piaciuto il ritorno alla villa anche perché nella prima versione del capitolo – relegata al momento in un cassetto xD – quella parte era molto più piccola di quanto è stata adesso e, quindi, molto meno rilevante, cosa che non volevo essendo comunque un momento importante per Lily. Con questo capitolo si è scoperto chi era la persona che ha parlato alla fine del precedente e, appunto, anche chi doveva incontrare, l’inaspettato ritorno. Ma, come sempre, entreranno molto molto presto – con il prossimo capitolo xD – dei nuovi personaggi… e con i seguenti ci saranno anche altri ritorni… hihi Chissà, chissà…

Come sempre ringrazio anche chiunque abbia messo la Fic tra le preferite/seguite/ricordate e chi semplicemente legge **

Al prossimo capitolo!
xoxo Niki

 

 

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Capitolo 13
*** 12 . Nuovi piani e Chardonnay ***


12 . Nuovi piani e Chardonnay

 

Brasile.
Base Isogai.
L’elegante berlina nera si fermò sulla ghiaia del vialetto della grande villa.
Ne scese un ragazzo giovane, i capelli scuri e gli occhi verdi rivolti verso il cielo plumbeo.
Finalmente, dopo infinite ore di viaggio dall’Italia, era giunto alla base.
Si sistemò meglio il colletto del cappotto e, senza una parola, attraversò le porte vetrate che lo introdussero nel grande e luminoso atrio.
Percorse i lunghi corridoi con passo veloce, il suo solito, lo sguardo fisso e fiero di chi è a conoscenza di cose che altre persone, quelle ordinarie, non sognano nemmeno.
Né potrebbero mai immaginare.
Era giovane, ma all’interno del Clan godeva di un alto rispetto dovuto al fatto che aveva mostrato capacità più che eccellenti sin da bambino, anche grazie alla ferrea educazione che aveva ricevuto. Tutto il suo passato, tutta la sua infanzia era stata costellata da allenamenti di qualsiasi tipo. Aveva dovuto imparare presto a combattere corpo a corpo, a maneggiare sia le armi da fuoco che da taglio, sotto lo sguardo severissimo di un padre rigido ed insensibile e di una madre succube del marito che non poteva dire nulla sulla severità e la violenza con la quale soltanto lui lo educava. Sì, era nato e cresciuto in un ambiente duro e non adatto ad un bambino, ma ciò gli aveva permesso di essere, a diciotto anni, uno dei migliori del suo Clan.
La porta scorrevole gli si stagliò davanti prima di quanto si aspettasse, perso nei suoi pensieri.
Lanciò uno sguardo alla guardia di fronte a lui.
«Sono qui per parlare con il boss»
«Non è possibile. È occupato al momento, non può ricevere nessuno», sbraitò l’altro con un fortissimo accento spagnolo.
Lui sospirò infilando le mani nelle tasche dei jeans scuri, alzando volutamente gli occhi al cielo in un gesto palesemente spazientito. Era già stata una giornata dura, viaggiare dall’Italia al Brasile non era una passeggiata e non voleva avere da litigare anche con un armadio a quattro ante senza un briciolo di cervello, buono solo a stare là in piedi.
Distolse lo sguardo, indispettito, e tornò a fissarlo cercando di mantenere i nervi saldi come gli era stato insegnato.
«Mi ha incaricato personalmente per questa missione quindi, se non ti spiace…».
L’uomo era molto più alto e molto più grosso di lui, ciononostante riuscì con facilità a sorpassarlo ed entrare nello studio del boss.
«Hijo de…».
La porta si richiuse velocemente dietro di lui zittendo la voce della guardia, ma non ci voleva una scienza per capire come sarebbe finita la frase. Bastava semplicemente conoscere un po’ di spagnolo alla fin fine.
Si guardò attorno.
La stanza era grande e luminosa, seppure alle finestre vi fossero spesse tende scure, pannelli di legno lucidato alle pareti e mobili in mogano così come la grande scrivania decorata da diversi intarsi, tutti inevitabilmente correlati al Clan, posta di fronte ad un dipinto probabilmente Ottocentesco il cui artista lui non riconobbe.
Drizzò le spalle con un sospiro e, con passo tranquillo ma solenne, si avvicinò ad essa.
«Boss?», chiamò rispettosamente, notando soltanto la mano che reggeva elegantemente un calice di vino rosso, la poltrona voltata verso il dipinto.
«Ci sono novità?», domandò senza accennare a voltarsi.
Il ragazzo prese un gran respiro ed intrecciò le dita delle mani dietro la schiena in una posizione composta ed elegante allo stesso tempo, rispettosa del ruolo che ricopriva il boss, come sempre.
«Sì, boss. La ragazza è giunta alla villa proprio oggi», spiegò, iniziando leggermente ad innervosirsi per l’atmosfera che andava creandosi all’interno dello studio e per il fatto di non poter guardare il suo boss negli occhi. Il contatto visivo, stranamente, era una cosa che lo tranquillizzava, che lo rassicurava.
Vide la sua mano muoversi, facendo girare il liquido rosso all’interno dell’elegante bicchiere.
In tutti quegli anni aveva imparato a riconoscere ogni movimento del suo capo e quello, unito al suo silenzio, gli fece capire che stava pensando, ragionando, creando la prossima mossa, sperando che fosse quella giusta. Quella decisiva per far crollare definitivamente una volta per tutte la Famiglia Vongola.
Dopo un interminabile, oppressivo silenzio parlò nuovamente.
«Molto bene. Tienila d’occhio. Non possiamo permettere che i Vongola tornino ad avere il potere che possedevano prima».
Quella frase fece storcere il naso al ragazzo e ringraziò che il boss non potesse vederlo.
I Vongola, da quando era morto il Decimo, non avevano perso del tutto il loro potere.
Semplicemente si erano trovati in una situazione estranea che aveva portato ad una conseguente riduzione del potere, causata dalle molte difficoltà che avevano dovuto affrontare.
Sarebbe potuto capitare a tutti… persino a loro. Ma certamente non si stava mettendo dalla loro parte. Stava semplicemente facendo una piccola considerazione pratica.
«È chiaro?», chiese il boss, bevendo un sorso di vino, svuotando il bicchiere.
Lui annuì e drizzò nuovamente le spalle come ogni volta che gli veniva affidato un nuovo compito.
«Chiarissimo», rispose composto.
«Bene. Puoi andare e… per favore, quando esci dì a Roberto di portarmi un’altra bottiglia di Chardonnay»
«Certo, boss», disse facendo qualche passo indietro. Soltanto dopo voltò le spalle.
Uscì dallo studio, rivolgendo uno sguardo ed un sorrisetto strafottente all’uomo, dopo avergli comunicato l’ordine del boss, sicuro che non gli avrebbe fatto piacere e che volentieri gli avrebbe tirato un destro ben piazzato. Ma non l’avrebbe fatto. Non aveva il fegato per farlo, per essere messo in cattiva luce agli occhi del boss, il quale aveva proibito categoricamente le risse o qualunque tipo di scontro all’interno della base. Di qualsiasi base in ogni parte del mondo.
«Se volete picchiarvi fatelo fuori… non voglio problemi interni, è chiaro?», aveva detto con una severità pari a pochi, quella volta.
Il ragazzo raggiunse nuovamente l’auto e salì, sorridente.
Nulla era più bello dell’intraprendere una nuova missione.

 

 

 

 

 

PAP – Piccolo Angolo Pazzo

Ciaossu!
Bene bene, che dire di questo capitolo. Ci ho messo tutta la mattina a scriverlo xD Ma spero che il risultato sia… accettabile xD
Un po’ misterioso, lo ammetto… abbiamo capito di essere in casa Isogai, ma chi sarà questo ragazzo? Come si chiamerà? Ed il Boss? Che cosa avrà in mente?
Come sempre, tutto nelle prossime puntate!

Ed eccoci nuovamente arrivati allo spazio ringraziamenti!

Oooovviamente, ringrazio le mie adorate Fel-chan e Revy-chan.
Contenta di aver più o meno rappresentato il Nono IC anche perché, a quanto ho capito, nemmeno nel manga si vede moltissimo.
Per quanto riguarda Reborn… oddio, giuro che ho il terrore, ma spero davvero spero che la mia versione di Reborn sia il più fedele possibile e che, soprattutto, vi piaccia! Già ho il capitolo pronto nel quale fa la sua comparsa, quindi… incrocio le dita! Hihi

Come sempre, ringrazio nuovamente chiunque abbia messo la Fic nelle preferite/seguite/ricordate e chiunque legge in silenzio hihi **

Al prossimo capitolo!
xoxo Niki

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Capitolo 14
*** 13 . Scambio di ruoli ***


13 . Scambio di ruoli

Lo sguardo che il Nono mi lanciò mi fece rabbrividire e mi avvertì che era meglio che rimanessi ad ascoltarlo.
Così feci, infatti, restando in piedi nel bel mezzo della stanza, la tensione che andava aumentando ogni secondo che passava.
Ammetto che temevo di sentire ciò che doveva dirmi, ma lo ascoltai comunque, sedendomi nuovamente di fronte a lui, composta, quando me lo chiese.
«Quando è morto tuo padre, tu lo sai, io ho preso il suo posto e… immagino tu sappia come è morto, vero?».
Annuii deglutendo.
Me lo ricordavo ancora molto bene com’era morto ed il ricordo bastava per farmi stringere il cuore ogni volta. Ma sarei diventata più forte. Non mi sarei più fatta indebolire dalla sua mancanza. Non avrei mai più permesso che qualcuno usasse la morte di mio padre come arma contro di me.
«Lo so. Ero presente. Tuttavia nessuno mi ha mai detto chi sia stato il responsabile. Il colpevole», dissi a voce bassa, quasi come non volessi dirlo. Quasi come non volessi ricordare quella maledetta notte quando la mia vita era cambiata per sempre.
Quasi non avrei voluto nemmeno pensarlo. Ma una cosa che volevo sicuramente era trovare chi l’aveva ucciso e… e non lo sapevo. Ma sicuramente l’avrei trovato anche se nessuno me l’avesse detto.
Era come se tutti attorno a me lo sapessero ma che nessuno volesse mettermene al corrente poiché tutti credevano che fossi ancora troppo piccola.
Io, personalmente, pensavo che in realtà avessi il diritto di sapere chi aveva ucciso mio padre, ma purtroppo, al momento, all’interno della Famiglia non avevo nessuna autorità.
Il silenzio calò nuovamente, pesante come un macigno.
«Lilian devi sapere che…», sospirò.
Sembrava quasi non volesse continuare la frase, ma pochi secondi più tardi tornò a parlare, guardandomi fissa negli occhi.
«La nostra Famiglia è in pericolo, Lilian».
Drizzai la schiena a quella frase.
Non era una novità che la nostra Famiglia fosse in pericolo, ma se quella volta aveva voluto addirittura incontrare me allora la situazione era ben più grave di quanto pensassi.
«Si tratta di una Famiglia di cui conosciamo la presenza da anni, da ancora prima che tu nascessi e che ultimamente ha iniziato a darci non pochi problemi».
Lo ascoltai in silenzio, rapita ma con uno strano presentimento che iniziava a farsi strada. All’improvviso, dopo l’ennesimo colpo di tosse, rialzò lo sguardo verso di me, facendomi capire che non ero più di fronte ad un semplice uomo. Ora ero di fronte al Nono boss della Famiglia.
«Sono pericolosi, Lilian. Molto più pericolosi di quanto fossero quindic’anni fa». Rabbrividii.
«E non si può far nulla? Insomma… siamo la Famiglia più potente della mafia!», esclamai alzandomi dalla sedia di scatto, senza un apparente motivo, guardandomi attorno e poi tornando a guardare lui che continuava a fissarmi.
Probabilmente quella notizia mi aveva colpita nel modo assolutamente più sbagliato.
«Non più».
Bastarono quelle due semplicissime parole a farmi rabbrividire come fosse stata appena aperta una finestra dalla quale fosse entrata una folata di vento gelido.
«N-non più?», domandai incerta. No… avevo capito male?
«No, non più. Senza tuo padre e con un boss come me nemmeno in grado di reggersi in piedi senza un appoggio, i Vongola sono lentamente andati a fondo. Certo, deteniamo ancora una buona parte del nostro potere ed il nostro nome è ancora rispettato… ma tutto questo semplicemente perché non abbiamo più subìto un attacco frontale come sembra che si stiano preparando a fare loro».
Rimasi in silenzio, guardando l’uomo di fronte a me, chiedendomi soltanto una cosa.
«Perché sta dicendo tutto questo a me?», domandai con la voce tremante per il peso delle informazioni che mi erano state date. E che non erano ancora finite.
Lui sospirò alzandosi a fatica e venendomi accanto.
«Perché tu sarai colei che dovrà guidare la Famiglia una volta che io sarò morto. E credimi, non manca poi molto».
Sempre sorreggendosi al bastone raggiunse la scrivania dall’altra parte della stanza.
«Sì, ma perché a me? Perché non ai Guardiani di papà? Io… io non so niente di…»
«Esattamente per questo», mi interruppe cercando qualcosa dentro un cassetto.
Non capii e la mia espressione fu più che eloquente.
«Lilian, esattamente perché sei nuova a questo mondo lo dico a te. Se lo dicessi ai Guardiani partirebbero immediatamente senza tener conto che il boss, dopo di me, sarai tu. E dovrai essere pronta per quando ci attaccheranno. Cosa che accadrà».
Si fermò un momento, rialzando lo sguardo verso di me.
Lo sapevo che avrei dovuto diventarlo prima o poi, ma sentirlo dire così apertamente fu strano.
Quasi emozionante.
Senza quasi.
«È compito tuo, non loro. E se lo dicessi a loro tu non avresti modo di crescere come ha fatto tuo padre, diventando un grande boss, facendo le scelte giuste, proteggendo la tua Famiglia».
Si rialzò dal cassetto richiudendolo e tornando di fronte a me lentamente, sempre sorreggendosi al bastone.
Tra le mani teneva una scatolina che mi porse.
«Il loro boss è fuggito dalla prigione dei Vindice molti anni fa. Non si è ancora scoperto come. Ma questo, ti chiedo, non dirlo a nessuno nel modo più assoluto. Il resto della Famiglia chiaramente conosce il nostro stato, il fatto che c’è qualcuno che vuole attaccarci ma non che il loro boss è riuscito a sfuggire ai Vindice. Il che… il che lo rende molto più pericoloso di quanto noi tutti ci aspettiamo. Non si riesce a sfuggire ai Vindice così facilmente. Dev’essere per forza stato aiutato da qualcuno», disse pensieroso, indicandomi poi la scatola che tenevo tra le mani.
«Là dentro ci sono sette anelli, esattamente uguali a quelli che avevano tuo padre e gli altri», mi sorrise dolcemente e così feci io, ringraziandolo con gli occhi. Dopo aver ricevuto delle notizie del genere entrambi sembravamo più stanchi, più provati e, almeno io, con un peso più grande sulle spalle.
«Torna a casa, bambina, trova i tuoi Guardiani. Sono sicuro che sarai un grande boss esattamente come lo è stato tuo padre», disse.
Ringraziandolo un’ultima volta mi allontanai.
Il suo sguardo permase su di me fino a quando non mi chiusi la porta alle spalle.

Uscii dalla stanza del Nono con la scatola che mi aveva affidato.
Sembrava pesante come un macigno nelle mie mani.
Percorsi il corridoio deserto mentre le sue parole continuavano a vorticare sempre più velocemente nella mia testa.
Non avevamo più la Famiglia più potente della mafia.
Alla morte del Nono, che a quanto pareva da quanto aveva detto lui stesso non doveva essere molto lontana purtroppo, la sottoscritta sarebbe dovuta diventare boss.
O, quantomeno, iniziare a diventarlo sotto ogni punto di vista.
Rientrai nella mia stanza posando la scatola sul comodino e scioglie nomi finalmente i capelli.
Mi lasciai cadere di peso sul letto sospirando sonoramente e fissando il soffitto.
Non sapevo che cosa mi aspettasse né tantomeno come avrei dovuto affrontare un possibile attacco esterno.
Io… io non sapevo niente! I miei genitori avevano insistito per crescermi nel modo più semplice, più normale possibile, lontana dal mondo della mafia e fino ad un certo punto avevano fatto bene, ma loro stessi per primi avrebbero dovuto sapere che sarei dovuta diventare boss a mia volta! D’accordo, sin da bambina mi avevano permesso di stare accanto ai Box Heiki ma ora… ora mi rendevo effettivamente conto che non era stato abbastanza.
Che forse avrebbero dovuto prepararmi prima, non dal punto di vista fisico o di abilità quanto dal punto di vista psicologico, così da non ritrovarmi a sedic’anni ad essere terrorizzata dal fatto di diventare boss ed a non sapere nulla su che cosa avrei dovuto fare.
Oltretutto, il fatto di non poter dire nulla riguardo al boss del Clan rivale alla nostra Famiglia mi stava già pesando ed il fatto che nessuno lo sapesse oltre a me era parecchio strano, almeno da come la vedevo io.
Non mi piaceva mentire, tantomeno alle persone a cui volevo bene, ma se era un ordine del Nono l’unica cosa che avrei potuto fare sarebbe stata rispettarlo e tenere la bocca chiusa.
Voltai la testa. Il mio sguardo incontrò il cofanetto che Timoteo mi aveva affidato. I sette anelli dei Vongola. Chissà se sarei stata mai in grado di portare l’anello del Cielo come l’aveva portato mio padre. Non per essere pessimista, ma avevo i miei seri dubbi al riguardo.

«Hayato!».
La voce della fidanzata trafisse le orecchie del povero Guardiano della Tempesta, la cui unica colpa era quella di aver sottratto un pezzetto di fragola dalla ciotola della macedonia che lei stava preparando, tagliando accuratamente frutto per frutto.
«Che differenza farà mai una fragola in meno o una in più?»
«Giuro che se lo fai un’altra volta ti butto fuori dalla cucina», lo minacciò sventolandogli il coltello sotto al naso, sapendo anche perfettamente che prima di tutto non gli avrebbe fatto paura ed in secondo luogo se avesse voluto sarebbe stato capace di toglierglielo dalle mani in un nanosecondo.
«D’accordo, mi arrendo», disse lui facendo un passo indietro ma riappoggiandosi nuovamente al piano di lavoro con le braccia, guardandola. Era strano come a volte il futuro potesse essere totalmente diverso di quanto ci si possa mai aspettare.
Sin dal primo momento in cui si erano visti, quei due avevano fatto fuoco e fiamme. E non in senso buono come si potrebbe pensare.
E sempre per lo stesso motivo comune: Tsuna.
La prima era – o credeva di essere – innamorata di lui dal primo sguardo ed il secondo era pronto a dare la vita per lui. Entrambi volevano dimostrare di tenere al Decimo più dell’altro ed alla fine entrambi erano giunti alla conclusione che non era un discorso di quantità ma più che altro ciò che bastava era il fatto che tutti e due lo amavano davvero, chi in un modo, chi in un altro. Due modi totalmente diversi di amare, eppure allo stesso tempo così simili. Come si erano scoperti loro.
All’improvviso era scattato qualcosa, probabilmente durante il primo viaggio nel futuro.
Mentre Tsuna ed i Guardiani erano fuori, Haru aveva iniziato a rendersi conto che non era più solo il Decimo quello a cui pensava, non era più solo per lui che si preoccupava, non era solo il suo ritorno quello che attendeva sempre con il cuore agitato.
E Gokudera stesso aveva iniziato a provocarla di proposito, non pensando mai una delle frecciatine che le lanciava, perché ogni minuto passato con lei era improvvisamente diventato prezioso, anche fosse soltanto passato a bisticciare per le cose più assurde.
Anche se chiaramente nessuno dei due aveva detto nulla all’altro per diverso tempo, alla fin era stato inevitabile. Si erano confessati entrambi nello stesso momento, dopo l’ennesimo finto litigio.
Un sorriso comparve sul volto del Guardiano, prima di venire distolto dai suoi pensieri da Haru, che trovò ad osservarlo.
«A che pensi?», domandò tagliando una mela a metà con un solo ed unico movimento deciso.
Lui scosse la testa e la guardò, mantenendo quel leggero sorriso che gli era comparso sul viso pensando a tutto ciò che avevano passato per arrivare a quel punto.
«Sei proprio bella quando cucini, lo sai?», domandò avvicinandosi lentamente, lo sguardo di lei puntato in quello di lui.
«Non ci provare», sorrise Haru lanciandogli uno sguardo.
«Devo ancora?», domandò di rimando lui, ironico, raggiungendola e togliendole il coltello dalle mani.
«Uhm… forse sì…», sorrise, lasciandolo fare mentre si avvicinava lentamente, in modo quasi esasperante.
Ma nel momento esatto in cui le loro labbra stavano per incontrarsi qualcosa li interruppe, distogliendo la loro attenzione.
«Mi dispiace ma non è davvero il momento ragazzi, kora!».
Kora?

 

 

 

 

 

PAP – Piccolo Angolo Pazzo

Ciaossu!
Dunque dunque… beh, finalmente il caro “nonnino” ha consegnato gli Anelli a Lilian. E fin qui tutto bene. Abbiamo scoperto, inoltre, che il boss degli Isogai è riuscito in qualche modo – che si scoprirà più avanti – a sfuggire ai Vindice, perciò diciamo pure che è un pezzo grosso. Insomma, quanti riescono a sfuggire ai controlli dei personaggi più inquietanti e temuti della saga? Almeno da parte mia… xD
Come promesso, ecco arrivare anche la scena dei nostri cari piccioncini! Che spero di aver reso al meglio! Hihi
Oltretutto ecco comparire, proprio alla fine, una parolina che tutti noi conosciamo molto bene. Ed ecco il primo rientro in scena!

Passiamo al nostro classico appuntamento. Lo spazio ringraziamenti!

Ringrazio Fel-chan in primis ** Costui… eeehhh xD Chissà, chissà che ruolo avrà nella Fic… mah. Posso dire che non sarà esattamente marginale, anzi! Eh già già, arrivano fino dal Brasile ma l’epicentro è, come sempre, il Giappone hihi
Contentissima che ti sia piaciuta la figura del boss ** Creare un nuovo capofamiglia mi sembrava un azzardo, ma d’altronde serviva. Oltretutto, posso dire che tra diversi capitoli – non so quanti, sono arrivata al quindicesimo ^^” – ci sarà un grande colpo di scena proprio riguardo al boss del Clan Isogai. Uomo avvisato mezzo salvato u.u xD Scherzo

E come sempre ringrazio anche la mia Revy-chan. Beh, felice che ti piacciano i personaggi che bevono vino! xD Quel bicchiere è comparso misteriosamente nella sua mano… inizialmente la scena non doveva essere così. Anzi, in realtà doveva essere totalmente diversa, ma rileggendo il tutto mi sono resa conto che è effettivamente meglio così. Conferisce tutta un’altra atmosfera alla scena che era proprio quella che volevo. Termine passato cara! xD
“Il pregio più grande del tuo scrivere è il modo in cui rendi vivide le scene, il modo in cui riesci a farmi immedesimare, con parole semplici ma ben scelte!”
Oh mamma, se prima ero io a far piangere voi ora siete voi a far commuovere me ç_ç Ma grazie mia cara ** Giuro, non me l’aspettavo *//* Grazie mille di nuovo mia cara! **

Sperando che questo capitolo vi sia piaciuto – a me personalmente sì… strano xD – rimando il nostro appuntamento al prossimo!
xoxo Niki

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Capitolo 15
*** 14 . A help from a Rainbow ***


14 . A help from a Rainbow

Due paia d’occhi sorpresi incontrarono l’azzurro cielo di uno sguardo che entrambi conoscevano molto bene.
Il membro del Comsubin, Comando Subacquei ed Incursori, Colonnello, li osservava con un sorrisetto sul viso, appoggiato allo stipite della porta della cucina.
«Co… Colonnello!?».
Entrambi si allontanarono subito, dando il bentornato come si doveva all’ex Arcobaleno della Pioggia, ormai cresciuto ma sempre con la sua divisa verde e quell’aria da ragazzino.
«A quanto pare sono cambiate parecchie cose, kora!»
«Già, parecchie! Ma… sei solo?», domandò Gokudera, ansioso di scoprire se fosse presente anche Fong, colui che l’aveva addestrato… per modo di dire.
«Oh no, ci siamo io, Lal e il caro samurai in rosso, kora!»
«Anche Reborn?», chiese Haru guardandosi attorno curiosa assieme al fidanzato.
«Sì. È già di sopra».

Seduta a gambe incrociate sul letto osservavo i sette anelli che rilucevano all’illuminazione naturale proveniente dall’esterno.
Tempesta, Pioggia, Fulmine, Nuvola, Nebbia, Sole… tutti elementi che riconducevano ad uno solo: il Cielo. L’anello di mio padre, esattamente nel mezzo.
Istintivamente lo presi, rigirandomelo tra le dita ma non osando ancora metterlo. Quanto poteva aiutare un semplice anello… quanto poteva valere, significare per quante persone…
Il bussare alla porta di qualcuno mi fece distogliere l’attenzione.
Richiusi in fretta il cofanetto e lo nascosi in mezzo ai cuscini, chiudendo nel pugno l’anello del Cielo e facendo finta di essere immersa nella lettura di un libro che nemmeno conoscevo.
«Avanti», dissi senza alzare lo sguardo dalle pagine e, credendo che effettivamente fosse o mia madre o mio zio, dissi: «Non ti preoccupare, scendo subito. Finisco il capitolo ed arrivo».
Fu una voce maschile a rispondermi, questo sì, ma non fu quella di mio zio. «Non è necessario che tu scenda. Non ora almeno».
Alzai lo sguardo solo in quel momento, non riconoscendo la voce. Lasciai da parte il libro e fissai l’uomo davanti a me. Indossava un completo scuro, aspetto piuttosto normale se non fosse stato per il camaleonte appostato tranquillamente sul suo cappello a sonnecchiare. Cappello che nascondeva il suo sguardo quasi interamente e quanto bastava per non farmi scorgere nemmeno il colore dei suoi occhi cosa che mi fece sentire stranamente al sicuro.
Non mi ricordavo di lui poiché l’avevo visto sì e no due volte in tutta la mia vita ed ero ancora troppo piccola quando era successo, per questo lo guardavo con scetticismo e timore, pronta a scattare fuori dalla porta ad un minimo passo falso che avrebbe fatto.
«Lei chi è?», domandai rimanendo istintivamente a debita distanza da quell’uomo che ero sicura di non aver mai visto ma che presentava alcuni tratti familiari che tuttavia non riuscivo a ricondurre a nessuno.
Alla mia domanda lui rimase in silenzio per un certo periodo di tempo, sufficiente per farmi pensare che non avrebbe risposto.
Feci per porgergli di nuovo la domanda quando improvvisamente, senza una parola, si mosse venendo a sedersi accanto a me.
Solo allora potei vedere i suoi occhi. Erano scuri, affusolati, non molto grandi ma comunque ipnotici ed affascinanti e… no, non severi quanto, invece, impassibili.
Si abbassarono sulla mia mano che lui prese, aprendola senza sforzo né imposizione, rivelando l’anello.
«Questo anello è stato di tuo padre. così come gli altri sei nel cofanetto che hai nascosto là dietro», proferì rivolgendo un cenno del capo verso i cuscini.
Non mi chiesi nemmeno come avesse fatto. Sapevo che sarebbe stato totalmente inutile, oltre che una perdita di tempo.
«Glieli ha consegnati Basil, un ragazzo che tu non conosci», disse infine con quel tono pacato ma deciso che non mi permetteva di capire esattamente che cosa stesse pensando. Se avessi saputo che nessuno poteva riuscire a capire che cosa gli passasse per la testa mi sarei sentita molto più tranquilla. Prese l’anello dalla mia mano e, lentamente, me lo infilò al dito.
«Io sono Reborn. Il Tutor di tuo padre. ed ora anche il tuo».
Lo ammetto, mi colpì alquanto. L’anello posto sul mio anulare destro era meno pesante di quanto pensassi e mi ritrovai a portarlo con relativa disinvoltura, non sapendo che prima di arrivare ad indossarlo mio padre aveva dovuto passare attraverso a diverse prove che io, a quanto pareva, avrei saltato intraprendendo subito il “corso intensivo”.
Lo osservai. Lo osservai a lungo, dopodiché alzai lo sguardo verso Reborn.
Mi guardava dritta negli occhi con uno sguardo che nessuno mi aveva mai rivolto prima. Rimanemmo così per diverso tempo, non saprei dire quanto, ma alla fine fui io a parlare.
«Quindi lei…»
«Niente “lei”, per favore», mi interruppe.
«D’accordo… quindi tu sarai… il mio Tutor», dissi senza essere interrogativa. Era più che altro una constatazione. Veritiera, oltretutto.
«Il tuo Tutor principale».

Principale?, mi chiesi anche, ammetto, con un pizzico di timore in più. Quel “principale” stava a significare che avrei avuto degli altri Tutor oltre a lui?
Lui non sorrise ma annuì e si alzò, guardandomi da sotto il cappello.
«Lo scoprirai presto. Seguimi», disse.
Ed io lo seguii.
D’altronde che altro potevo fare di fronte al mio Tutor?

Scendemmo di sotto dove… dove sinceramente trovai più persone di quante mi aspettassi. C’erano mio zio Hayato assieme a zia Haru, mia madre, zio Ryohei con Hana e tre persone che non avevo mai visto in tutta la mia esistenza.
«Ehm… salve…», dissi timida finendo di scendere la scalinata e rivolgendo uno sguardo ai miei zii e mamma.
Okay, ero intimidita. Eccome se lo ero! Reborn mi lanciò uno sguardo e sorrise… se quello si poteva considerare un sorriso nel vero senso della parola.
«Ti presento, Lilian, coloro che avranno un ruolo molto importante se non fondamentale nel tuo addestramento. Fong, l’ex Arcobaleno della Tempesta, sarà il tuo punto di riferimento per quanto riguarda le arti marziali. Qualsiasi tipo. E, chiaramente, ti metterà alla prova anche sotto il profilo psicologico».
Non capii appieno che cosa volesse dire con quel “profilo psicologico” ma l’avrei scoperto a breve. Mi inchinai leggermente con il busto al mio maestro così come fece lui prima che il mio Tutor tornasse a parlare.
«Colonnello e Lal Mirch. Entrambi membri del Comsubin, lei parte del Cedef, entrambi ex Arcobaleno della Pioggia. Collaboreranno assieme, se ci riusciranno, per darti tutte le conoscenze diciamo militari ma soprattutto strategiche che ti serviranno. Giusto, Colonnello?»
«Certo. Senza dimenticare il profilo fisico, kora!».
Profilo fisico.
Questo mi spaventava. Finché si trattava di arti marziali forse me la potevo anche cavare, ma militarmente non ero troppo ferrata. Comunque quello mi toccava, quello avrei fatto perché così mi era stato insegnato.
Ma c’era comunque un aspetto fondamentale che mi sfuggiva.
«E… e tu? Immaginavo che il mio Tutor mi avrebbe messa alle strette…».
Il sorrisetto a metà tra il sadico ed il beffarlo, o almeno così mi parve, non mi rassicurò per niente.

 

 

 

 

 

PAP – Piccolo Angolo Pazzo
Ciaossu!
Bene bene, dunque… beh, abbiamo visto il nostro adorato Reborn fare visita alla sua allieva ed abbiamo conosciuto anche gli altri tre “aiutanti” (Reborn: io non ho bisogno di aiuto -.-) del nostro caro Tutor: Colonnello, Lal e Fong, tutti finalmente Tyl! ** E devo dire che il primo paragrafo è un orrore xD Giuro, sono stata tentata di cancellarlo, ma poi non avrei saputo come allacciare le situazioni quindi ho lasciato quell’obbrobrio -.-  
Ad ogni modo, chissà che cosa avranno in serbo per Lilian! Mah… xD
Piccolo avviso: lo so, ormai vi avrò stressati con tutti questi spostamenti ma nel prossimo capitolo tutta la Famiglia tornerà a Namimori. E ci resterà per un po’, giuro xD

Spazio ringraziamenti! *jingle*
Ringrazio come sempre Revy-chan, la mia carissima.
Uhi, per fortuna non sono l’unica a sentire una certa inquietudine nei confronti dei Vindice! E sì, sarà piuttosto tosta come cosa, ma c’è anche da dire che il boss sarà una grande grande sorpresa (almeno penso xD) per chi legge il manga e per chi, come me, attende in trepida attesa il nono arco! >.< Contentissima che la scena con i due piccioncini ti sia piaciuta! Inizialmente non mi convinceva troppo, ma… xD
Grazie mille cara! **

E, ovviamente, anche la mia cara Fel-chan. Giuro di trattarla bene! *mano destra alzata* E giura anche Reborn, anche se continua a rinfacciarmi che rendere la vita impossibile ai suoi allievi è il suo lavoro -.- Hehe, beh in effetti c’è da dire che sono stata volutamente un po’ cattivella con Lilian, lo ammetto, ma penso che questo, come ha detto il Nono, la aiuterà a crescere così come Tsuna che, sinceramente, dall’inizio della serie alla fine sembra un’altra persona o.O Spero di riuscirci anche con Lily ^^” Felicissima anche stavolta che la scena dei piccioncini sia piaciuta! ** In realtà è la prima volta che mi cimento nello scrivere Haru e sapere che è piaciuta mi elettrizza ** Grazie, grazie, grazie! **

Chiudo, sperando che anche questo capitolo vi piaccia!
Al prossimo capitolo!
xoxo Niki

 

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Capitolo 16
*** 15 . Back in town ***


15 . Back in town

 

Dopo aver conosciuto il Nono, il mio Tutor e coloro che l’avrebbero “aiutato” durante il mio allenamento finalmente era arrivata la notizia che aspettavo.
«Prepara le valigie. Torniamo a casa», mi aveva detto zio Ryohei entrando in camera mia, trovandomi a giocherellare e rigirare tra le dita l’anello.
«Quello è…»
«L’anello di papà. Sì».
Si avvicinò a me, sedendosi sul letto, per una volta non così estremo come ero sempre stata abituata a vederlo.
«Ogni tanto vorrei che fosse ancora qui. Specialmente in questo momento». Era un pensiero che si era riproposto diverse volte in quei giorni.
Pensavo a lui ed a quanto avrei voluto che fosse là accanto a me, mi abbracciasse e mi dicesse che sarebbe andato tutto bene, che quando avrei pensato di non farcela mi avrebbe aiutata, facendomi capire che ne ero in grado.
Che anche lui era stato come me, spaventato, ansioso, desideroso di andarsene e non saperne più di quel mondo, ma che aveva avuto accanto persone che gli avevano dato la spinta per andare avanti e che le avrei avute anch’io.
Avrei voluto con tutta me stessa che fosse così, ma tutto ciò me lo stava dicendo la voce un po’ roca di mio zio.
Gli sorrisi, annuendo e tirando leggermente su col naso.
«Tranquilla. Non sarai mai sola», mi disse posandomi una mano sulla spalla. «Grazie, zio», risposi.
Non potevo sapere che, sola, lo sarei stata sul serio di lì a qualche tempo…

Il viaggio di ritorno era stato piuttosto tranquillo, anche se continuavo a pensare al fatto che ora avrei dovuto tornare a scuola, rimettermi in pari, iniziare l’allenamento e cercare i miei Guardiani.
Diciamo che le ultime due cose erano quelle che mi preoccupavano di più.
Che cosa avrei dovuto fare? E, soprattutto, come diavolo si aspettavano che riuscissi a trovare i miei Guardiani se nemmeno si erano degnati di dirmi come fare?
«Non preoccuparti, te ne accorgerai», mi aveva detto zio Takeshi con un sorrisone.
Già… grazie.
Oltretutto non avrei osato immaginare la faccia della mia migliore amica quando avesse visto l’anello. Sicuramente avrebbe pensato che mi fossi fidanzata in Italia e sarebbe partita subito dopo per cercare il suo “grande amore”.
Oppure, forse, sarei stata autorizzata a non portarlo, almeno a scuola? Speravo vivamente di sì. La smentita al mio speranzoso pensiero arrivò repentina.
«Dovrai comunque portarlo. Sempre».
La voce di Reborn arrivò dal sedile dietro di me, facendomi trasalire e voltare verso di lui. Incrociando il suo sguardo freddo pensai che fosse meglio per la mia incolumità tornare seduta come prima.
«Come diavolo…?»
«Tsuna lo portava come un ciondolo, a volte».
Non era quello che gli avrei voluto chiedere, ma ciò che disse mi fu utile.
Se non mi potevo separare dall’anello allora l’avrei portato in un altro modo, a quanto pareva.

«Lilian Sawada?»
«Presente».
Tornare alle lezioni, alla routine di tutti I giorni era piacevole, specialmente essendo consapevole del compito che mi spettava, del peso che mi gravava sulle spalle.
Continuai a scarabocchiare l’angolo del foglio, la testa poggiata alla mano mentre la professoressa Amano terminava di fare l’appello.
Aveva appena iniziato a spiegare l’argomento del giorno che tutti ci alzammo subito in piedi, salutando rispettosamente il Preside che entrò assieme ad un ragazzo, consegnando un biglietto alla professoressa. Lo lesse brevemente, poi rivolse un sorriso cordiale sia al ragazzo che al Preside. Quest’ultimo uscì subito dopo, rivolgendoci uno sguardo.
«Molto bene. Ragazzi, lui è Ivan Kiaran Carter. Ha diciassette anni ma, avendo perso un anno, starà in classe assieme a voi e sarà vostro compagno per il resto dell’anno».
Ci salutò soltanto con un ermetico “ciao” ed un invisibile sorrisino prima di ascoltare nuovamente la professoressa che lo indirizzò nel banco esattamente dietro al mio.
E ti pareva.
Percorse lo spazio tra una fila e l’altra di banchi a passo tranquillo ma deciso. Lo osservai per tutto il tempo, pensando che fosse uno dei classici ragazzi che si credono i padroni del mondo soltanto perché indossano un giubbotto di pelle ed hanno gli occhi chiari. Ed anche se, come tutti noi, indossava la divisa della scuola era come se ce l’avesse veramente addosso, il giubbotto.
I suoi occhi, quando mi passò accanto, incrociarono i miei per un interminabile secondo durante il quale la classe sembrò scomparire ed il mio corpo gelò, immobilizzato da quello sguardo glaciale.
Mi sorpassò, poi, tornando a far scorrere il tempo e si sedette dietro di me. Non mi voltai più. Non che l’avrei fatto, ma diciamo che non mi sembrava un tipo raccomandabile, ecco.
Iniziai a seguire la spiegazione della professoressa, continuando tuttavia a sentire il suo sguardo puntato su di me come una freccia. Per questo seguii, certo, ma non riuscii a capire più di tanto né mi azzardai a muovermi, immobilizzata dalla sua presenza.
Di lì a poco un bigliettino volò fino al mio banco. Lo aprii, riconoscendo subito la calligrafia rotonda e svolazzante di Akane Iwamura, la mia migliore amica da quando ero arrivata in Giappone dopo la morte di papà.

“Fortunata! Sempre quelli carini ti mette vicino!”
Scossi la testa con un piccolo sorriso e le lanciai uno sguardo, i soliti due ciuffi biondi che le ricadevano di fronte agli occhi anche quando si raccoglieva i capelli. Sempre la solita. Non sarebbe cambiata mai.
Accartocciai il bigliettino ed il secondo immediatamente successivo suonò la campanella, permettendomi finalmente di alzarmi e raggiungere la mia migliore amica, uscendo dall’aula ed affacciandomi assieme a lei alla finestra che dava sul cortile interno.
«Allora? Che ne dici?», mi chiese.
Mi voltai verso di lei, lanciandole uno sguardo indecifrabile.
«Che ne dico di che?», domandai scuotendo leggermente la testa, anche se sapevo perfettamente a che cosa stava alludendo.
«Di Ivan! Dai, cavoli, è seduto accanto a te!»
«Non è accanto a me. La prof l’ha messo dietro di me, quindi…»
«Oh, avanti! Sai benissimo cosa intendo!»
«Ma che vuoi che ti dica? A me sembra un idiota… e poi che diavolo di nome è? Ivan Kiaran Carter», dissi mettendo un’enfasi esagerata sul suo nome ed accompagnandolo anche con ampi gesti delle mani.
«Beh, pure tu. Lilian Sawada. Un nome inglese con un cognome giapponese. Vabè che pure tuo zio Hayato. Insomma, è per tre quarti italiano ed ha sia il nome che il cognome giapponese? Voglio dire, potevano pure chiamarlo Giorgio, Luca, Matteo, Francesco…».
Si fermò, probabilmente accorgendosi dell’occhiata che le avevo lanciato.
«Ups… scusami», disse con un piccolo sorriso.
La conoscevo. Quando partiva in quarta era difficile farla fermare. Ridacchiai scuotendo la testa e facendo spallucce continuai a guardare giù in cortile gli studenti che raggiungevano le loro aule per il cambio di lezione, godendomi quei cinque minuti che ci erano concessi tra una lezione e l’altra attendendo il professore della prossima ora.
Se ve lo state chiedendo sì, pensavo davvero ciò che avevo detto. Per me Ivan Carter era un idiota di prim’ordine. Non sapevo cosa farci, quello sguardo che mi aveva lanciato non mi era piaciuto per niente. Sapevo che non avrei dovuto giudicare le persone dalla copertina – o da uno sguardo, in questo caso – ma ero fatta così. Se una persona non mi piaceva a pelle non mi sarebbe piaciuta più. Punto. Ed Akane lo sapeva, per questo non mi chiese più nulla, continuando a parlare di ciò che lei e Ray avevano fatto mentre io ero in Italia.
Akane, io e Ray, l’unico maschio, eravamo il terzetto della classe da quando ci eravamo conosciuti. Tutte le bambine della nostra classe gli stavano lontane perché pensavano che fosse rissoso, antipatico eccetera eccetera. Tutte chiacchiere. Avevamo tutti e tre sedic’anni, eravamo passati attraverso i nostri alti e bassi come gruppetto, ma eravamo ancora tutti e tre là insieme.
Sorrisi ripensandoci. Loro, in realtà, erano amici da prima che io arrivassi in Giappone poiché le loro madri erano amiche di vecchia data eccetera… insomma, la solita storia. Ma quando arrivai io mi “inglobarono” subito, facendomi sentire parte di qualcosa che sapevo sarebbe durato a lungo.
Come la Famiglia, d’altronde.
«Ehi, mi ascolti?».
La voce di Akane mi distolse dai miei pensieri schioccandomi le dita davanti agli occhi e mi ritrovai a guardarla.
«Sì?», domandai. Okay, stavolta l’avrei ascoltata per davvero, anche perché sapevo che odiava non essere ascoltata quando stava parlando a qualcuno di una cosa importante. Certo, magari poteva anche non esserlo, ma voleva sempre categoricamente essere ascoltata.
«Dicevo, Ray ha proposto per questo weekend di andare a fare una gita in montagna solo noi tre. Tu che ne dici? Sei con noi?», mi domandò.
Soltanto due settimane prima non avrei esitato un secondo a dire di sì, ma ora non sapevo nemmeno che cosa avrei fatto quel pomeriggio.
«Ehm… in realtà non lo so. Devo sentire mamma…».
Ovverosia Reborn. Non potevo immaginare che cosa gli sarebbe passato per la testa, se nel weekend sarei stata libera o no e tante altre belle cose che, a quanto pareva, erano conseguenti al dover diventare boss di una Famiglia mafiosa italiana perché tuo padre ha deciso così. E con questo non voglio dire che gli davo la colpa di aver deciso proprio me come successore, affatto. Non avrei mai osato nemmeno pensarci. Per questo scossi la testa e sorrisi alla mia migliore amica.
«Sul serio, non lo so Akane. Guarda, oggi vado a casa, chiedo a mamma e questo pomeriggio ti so dire», puntualizzai vedendola sospirare subito dopo ma rivolgermi un piccolo quanto significativo sorriso che stava a voler dire: “Okay, ma cerca di fare il possibile. Vogliamo stare tutti assieme di nuovo”. Ed era esattamente ciò che avrei voluto anch’io, ma con il fatto di dover diventare boss adesso non si poteva più sapere.
L’improvviso svuotarsi dei corridoi ci fece tornare a nostra volta in classe, prendendo nuovamente posto. Tuttavia avvicinandomi al mio banco mi resi conto che Ivan non si era mosso da là. Nemmeno di un millimetro, e da quando ero rientrata non mi aveva staccato gli occhi di dosso.
Ma che diavolo? Avevo qualcosa in faccia per caso? Ricambiai il suo sguardo sperando di fulminarlo – dopotutto la lampada al neon era esattamente sopra di lui… forse avrebbe funzionato – ma purtroppo non accadde. Mi sedetti nuovamente al mio posto non voltandomi più ed iniziai a prendere appunti scrivendo velocemente ed in modo quasi isterico.
E che diavolo, ti pareva se dietro non dovevo avere uno che molto probabilmente mi stava ancora guardando anche in quel momento e che, oltretutto, sembrava fare di tutto per starmi letteralmente dove dico io? Fortuna che era l’ultima ora, accidenti a lui! Però che si muovesse a suonare quella dannata campanella!

«Allora fammi sapere okay?»
«Okay! A domani!».
Salutai Akane con un sorriso e mi avviai verso il cancello principale. Riuscivo già a vedere la macchina di zio Hayato quando sentii una presenza dietro di me. Rallentai il passo e mi voltai quel tanto che bastava per vedere chi? Ivan!
Sbuffai sonoramente senza preoccuparmi che lui mi sentisse o meno e, cocciuta, accelerai il passo raggiungendo l’auto dello zio e fiondandomici dentro, sbattendo la portiera con nervosismo. Lui mi guardò stranito mentre io, senza accennare a distogliere lo sguardo, fissavo un punto imprecisato di fronte a me.
«Tutto bene, Lily?», mi chiese mettendo in moto e partendo, fortunatamente portandomi via da là e, soprattutto, da lui.
Mi innervosiva. Mi innervosiva il fatto che… che avessi qualcuno che mi pedinava, a quanto pareva!
«Sì, tutto bene», risposi stizzita non appena la Namimori High School non fu scomparsa dalla mia vista.

 
Il ragazzo rimase a lungo in piedi nel cortile della scuola, almeno fino a quando i raggi dell’ultimo sole non iniziarono a tingere il mondo di calore ed il cielo di lunghe pennellate rosa.
L’aveva vista, dunque.
Era lei.
Non se la sarebbe più tolta dalla mente, questo era certo. E non soltanto perché fosse molto bella o per il fastidio che aveva provato per lui sin dall’inizio quanto, più che altro, per il fatto che tenerla d’occhio era la sua missione. Quella affidatagli dal boss.
E sebbene avesse dovuto obbligatoriamente infiltrarsi nella scuola, sarebbe stato disposto a tutto pur di portare a termine anche quel compito con successo.
Rabbrividì involontariamente per una folata di vento e, ficcando le mani nelle tasche dei pantaloni, lasciò la scuola.

A domani, Lil…

 

 

 

 

 

PAP – Piccolo Angolo Pazzo
Ciaossu!
Eccoci ritornati finalmente a Namimori! Non prima di aver visto il primo piccolo momentino zio/nipotina di Ryohei e Lilian. Dai, penso ci volesse. Dopotutto si sono sempre visti più o meno soltanto Hayato e Lilian ma lo zio, quello vero, mai xD
Abbiamo incontrato Akane e si è nominato Ray. Chissà che ruolo avranno i due cari ragazzotti qui (Tutti: ma secondo te? -.-).
Poi, poi… il nuovo ragazzo misterioso. Ivan. Immagino che tutti già abbiate capito chi è e meglio di così a Lily non poteva tenerla d’occhio se non infiltrandosi a scuola, no? Però a quanto pare le sta decisamente antipatico… vedremo come si evolverà la cosa.
Che dire altro… ho inserito nel capitolo un piccolo piccolo riferimento a quella genia di miss Amano-sensei. Perché è l’autrice e se sono qui a scrivere la Fic è tutto merito suo ** E poi perché è una genia e punto u.u xD

Piccola nota prima dello spazio ringraziamenti. Il capitolo 16 mi sta dando mooooolto ma molto filo da torcere, quindi potrà essere che ci sarà un pochino di ritardo rispetto ai precedenti capitoli ma senza ombra di dubbio cercherò di pubblicarlo il prima possibile. **

Ed ora il consueto spazio ringraziamenti!
Chiaramente come sempre ringrazio le mie Fel-chan e Revy-chan. Credetemi, sono troppo contenta che Reborn vi piaccia! La prova del fuoco è passata! xD Certo, doveva avere un’attitudine diversa nei confronti di Lilian anche perché ora è adulto, ma non sarà più morbido che con Tsuna, sfortunatamente per Lily. Grazie, grazie, grazie di nuovo! **
E ovviamente anche Laura! La mia compagna di classe/banco, nonché la prima ad aver letto il primo capitolo della Fic! ** Grazie tesoro!

Obviously (perdonate l’inglese xD) ringrazio anche chiunque segua la Fic e l’abbia messa tra le preferite/seguite/ricordate! **
Grazie mille ed al prossimo capitolo, che spero giunga il più presto possibile! **
xoxo Niki

 

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Capitolo 17
*** 16 . First stormy training ***


16 . First “stormy” training

 

Ivan Carter.
Maledetto Ivan Carter.
«Sicura che vada tutto bene?», mi aveva chiesto mio zio dopo che la scuola era scomparsa dallo specchietto retrovisore del
BMW nero sul quale viaggiavamo, diretti a casa.
In risposta avevo sbuffato sonoramente ed avevo sciolto la coda con nervosismo. Se poco prima gli avevo detto che andava tutto bene, ora effettivamente non ne ero più altrettanto sicura.
Era stata una folata gelida incontrarlo, e nemmeno ci avevo ancora parlato, cosa che speravo non accadesse ancora per diverso tempo, anche se comunque sapevo che essendo in classe insieme sarebbe stato pressochè impossibile non rivolgergli la parola.
Gli risposi con un assenso senza proferir parola e tornai a lasciar vagare lo sguardo fuori dal finestrino, tentando disperatamente di dimenticare quegli occhi chiari, quei capelli scuri, quell’andatura sicura e quella sensazione di affascinante pericolo che aveva pervaso il mio corpo quando l’avevo visto all’uscita fissarmi fin troppo intensamente con uno sguardo che non ero riuscita a decifrare.
Se ci fossi riuscita probabilmente sarebbe stato tutto completamente diverso.

«Sono a casa!»
«Com’è andata a scuola?»
«Bene!».
Sempre la solita domanda e sempre la solita risposta. Lasciai le scarpe all’ingresso e senza una parola salii in camera mia.
Tolsi la giacca, appesi la borsa e mi lasciai cadere di peso sul letto, sospirando e fissando il soffitto.
Fine giorno uno.
Pensandoci non era stato nemmeno tanto traumatico, a parte l’arrivo di Ivan e l’invito di Akane. Immaginai che forse quel fine settimana sarei davvero potuta andare in montagna assieme ad Akane e Ray, ma quando sentii mia madre dire quel nome sfumarono tutte le mie belle aspettative.
«Lilian, tesoro, scendi!», urlò mia madre anche se non ne sarebbe stato il caso.
Con un immane sforzo di volontà mi rialzai e scesi di sotto, lentamente, entrando altrettanto lentamente in salotto dove mamma e Reborn stavano seduti l’uno di fronte all’altra.
«Buonasera», disse lui in un perfetto italiano e lanciandomi uno sguardo al di sopra della tazza di espresso che mi fece venire i brividi.
Mi avvicinai sedendomi accanto a mia madre e raccogliendo le ginocchia al petto.
«’Sera… immagino che…»
«Sono qui perché ho ritenuto opportuno informarti del fatto che molto presto inizierà il tuo allenamento»
«Ma…»
«Dobbiamo sbrigarci, non abbiamo poi così tanto tempo a disposizione. Gli Isogai si stanno muovendo, stanno progettando e noi dovremo essere preparati quando attaccheranno»
«Sì, ma…»
«Lilian».
La mano di mia madre si posò sulla mia, facendomi distogliere l’attenzione dal mio Tutor e concentrandola su di lei.
«Non si discute. Devi prepararti e devi farlo in fretta, non puoi aspettare un giorno di più».
Il tono che mamma mi rivolse non glielo avevo mai sentito usare, né tantomeno avevo mai visto quello sguardo nei suoi occhi.
Era stata severa ma decisa e sapevo che lo faceva per il mio bene e, soprattutto, per quello di tutta la Famiglia, ma quel suo cambiamento così repentino mi colpì al cuore facendomi male. Sbattei un paio di volte le palpebre in silenzio e tornai a guardare il mio Tutor, esattamente di fronte a me, che ancora mi fissava con quello sguardo indecifrabile.
Mi chiesi se ci fosse mai stato qualcuno nella sua intera esistenza capace di capire che cosa davvero significasse quella luce nei suoi occhi, quell’attitudine, quel comportamento sempre distaccato e freddo in un certo senso, ma che lasciava trapelare ogni tanto un pizzico di umanità, assicurando a tutti che non era un automa, una macchina costruita soltanto per formare i nuovi boss della Famiglia.
«D’accordo», annuii. «Allora quando… quando si inizia?», domandai vedendolo subito alzarsi e rivolgermi soltanto uno sguardo prima di avviarsi verso il corridoio.
Lo seguii subito camminando velocemente per poterlo raggiungere fino a quando non si fermò di fronte ad una parete bianca che fino a quel momento mi era sembrata sempre totalmente anonima e che mi ero sempre chiesta perché mamma l’avesse lasciata appositamente spoglia. Capii il perché subito dopo, vedendo Reborn posarvi una mano sopra e con una leggerissima spinta farla scivolare di lato, rivelando una scala a chiocciola che scendeva e sembrava non avere mai fine.
Si voltò verso di me che, nel frattempo, avevo spalancato gli occhi, e mi fece cenno di seguirlo. Così feci, ritrovandomi a scendere sempre di più, sempre di più, tanto che mi chiesi se stessimo andando fino al centro della Terra. Anche quella domanda trovò presto risposta poiché, sceso l’ultimo scalino, un’altra porta scorrevole metallica ci si presentò di fronte, incredibilmente simile alla porta che avevo visto nei sotterranei della villa in Italia, da bambina. Mi stupii di ricordarmi ancora di una cosa così piccola dopo tutti quegli anni, e di non ricordarmi il volto dell’assassino di mio padre.
Con lo stesso suono idraulico di quella volta di tanti anni fa la porta si aprì, rivelando una sala immensa, luminosa e… vuota.
Totalmente vuota.
Ogni passo produceva un’eco che riecheggiava per tutta la sala ma ciò che più mi colpì fu l’unico oggetto della sala: un grande tappeto blu sul quale era seduto, a gambe incrociate e gli occhi chiusi, un uomo.
Ci avvicinammo fermandoci proprio sul bordo del tappeto cosicché potei osservare meglio l’uomo. Aveva un’espressione assolutamente pacifica, i lunghi capelli neri erano raccolti in una treccia lasciata morbida lungo la schiena, una tunica rossa dalle maniche troppo lunghe che gli coprivano le mani ed i pantaloni bianchi.
Alzai lo sguardo verso Reborn che mi fece segno di aspettare ancora un secondo soltanto. E difatti così fu, perché subito dopo l’uomo si alzò e mi venne incontro, fermandosi esattamente di fronte a me e rivolgendomi un sorriso pacifico. Era il sorriso di un uomo che sembrava non avere alcun tipo di problema nella vita, quindi mi sembrò piuttosto irreale.
«Lilian, lui è Fong, ti aiuterà nel tuo allenamento», disse Reborn prima di allontanarsi senza dire una parola. Lo guardai facendo per dire qualcosa che non dissi fino a quando non scomparve nuovamente dietro le porte scorrevoli.
La sala calò nel silenzio più totale e quando mi voltai trovai Fong seduto a gambe incrociate di nuovo sul tappeto, gli occhi chiusi. Mi sentii quasi di troppo anche se sapevo che dovevo per forza stare là. Rimasi in silenzio per diverso tempo, poi salii sul tappeto e mi sedetti di fronte a lui guardandolo, pensando che di lì a poco avrebbe aperto gli occhi e mi avrebbe messa davvero alla prova ma non accadde niente. Non fece non una solo movimento per diversi minuti prima di aprire gli occhi quel tanto che bastava per guardarmi e farmi cenno di posizionarmi esattamente come lui.
«D’accordo e… a che cosa serve?», domandai senza ottenere risposta alcuna.
Rassegnata al silenzio più totale feci un gran respiro e chiusi gli occhi. Non c’era il più minimo rumore là dentro e sinceramente quel silenzio così pesante, così soffocante stava iniziando a farmi cedere i nervi ma mi imposi di resistere.
Anche se non sapevo a che cosa serviva era il mio allenamento, e per diventare un bravo boss dovevo superare quella prova. E sì, mi sembrava assolutamente inutile, ma…

Riaprii gli occhi non so quanto tempo più tardi. Mi ci volle qualche secondo prima di riabituarmi alla luminosità della sala e trovai Fong seduto di fronte a me ad osservarmi sempre con quel pacifico sorriso sul viso.
«Molto bene», disse.
«Sono passate due ore e mezza e non ti sei mossa da là. Ti dirò, in realtà non pensavo saresti stata in grado di resistere così a lungo. È stata una piacevole sorpresa».
Sapere di essere stata ferma in quella posizione per la bellezza di due ore e mezza mi colpì e in realtà non me lo sarei mai aspettata nemmeno io. A quanto pareva forse avevo buone probabilità di riuscire a continuare l’allenamento, anche se era soltanto all’inizio.
Mi alzai e per poco non persi l’equilibrio.
«Okay, ma a che cosa è servito?», domandai beccandomi un altro indecifrabile sguardo. Ma era possibile che tutti quanti avessero degli sguardi che non riuscivo a capire?
«A che cosa?», domandò.
«A vedere quanta pazienza hai. È servito ad aiutarti a capire che niente arriva subito. Bisogna sempre aspettare per vedere i risultati di qualcosa. Pensaci. Non ti senti forse più tranquilla, più calma? Anche durante l’allenamento che andrai ad affrontare non pensare subito al risultato finale. Piuttosto cerca di concentrarti sul cammino che dovrai percorrere e soltanto alla fine preoccupati del risultato. Come si dice, chi va piano, va sano e va lontano», concluse e solo in quel momento mi accorsi di quanto le sue parole fossero vere.
E in effetti era vero, mi sentivo meglio, più pronta ad affrontare ciò che mi avrebbe aspettata dietro l’angolo.
Più determinata a diventare boss e proteggere la Famiglia.

Il giorno seguente a scuola non feci nemmeno troppo caso se Ivan fosse presente o meno. Probabilmente era grazie all’allenamento con Fong ma mi sentivo davvero più serena e tranquilla.
Quella tranquillità scomparve tuttavia in fretta quando la professoressa Amano se ne uscì con il solito progetto che ci affibbiava tutti gli anni: una ricerca su uno scrittore famoso.
Quantomeno non dovevamo deciderlo noi ma la cosa negativa era che non potevamo decidere noi nemmeno con chi stare, perché fosse stato per me avrei fatto coppia con Akane, ma così non fu.
«…mentre Shakespeare a Lilian e Ivan».
Sentii tutti gli sguardi della classe addosso, pure quello invidioso di Akane alla quale lanciai uno sguardo come a dirle: “se vuoi te lo passo”.
Sbuffai guardando fuori dalla finestra mentre lasciavo che le parole della prof. si perdessero nell’etere fino a quando non sentii qualcuno picchiettare sulla mia spalla.
Sospirai sapendo già chi fosse e mi voltai indietro trovandomi faccia a faccia con gli occhi verdi di Ivan. Che non diceva un accidenti di niente.
«Che c’è?», domandai stizzita.
Voglio dire, dovevo pure invogliarlo a parlare quando era stato lui a chiamarmi?
«Sono contento di fare coppia con te», disse senza accennare un minimo di sorriso cosa che invece io feci ma in modo assolutamente sarcastico.
«Già, anch’io», dissi voltandomi nuovamente in avanti appena in tempo per rispondere alla prof. che era tutto apposto.
Certo… tutto perfetto.
Mi aspettavano dei giorni infernali a dir poco. Evviva!

 

 

 

 

 

PAP – Piccolo Angolo Pazzo

Ciaossu!
Aaaaahhhhh, finalmente il sedicesimo capitolo è finito! La grande sfida è stata superata! xD Ma devo dire che non mi piace particolarmente. Che novità, eh? Però è un sollievo averlo finito ed essere pronta a scrivere il diciassettesimo! **
Che dire, Lilian ha affrontato il primo allenamento “soft” assieme a Fong e anche se inizialmente le sembrava che non servisse a nulla ha capito che invece è stato tutto il contrario e sarà una cosa che le servirà anche in futuro, cosa che si scoprirà nei prossimi capitoli.
Tuttavia la nostra piccola Lily deve affrontare un’altra sfida: il progetto scolastico assieme ad Ivan. xD Chissà come se la caverà. La tranquillità di Fong la aiuterà a superare anche questa prova? E Ivan? Che cosa tramerà nell’ombra per il suo boss? Come la terrà sempre più d’occhio? Il tutto nelle prossime puntate!

E come al solito il tanto atteso (almeno da parte mia) spazio ringraziamenti!
Come sempre ringrazio sempre moltissimo la mia adorata Fel-chan. Eh, effettivamente la gita in montagna… dovrò inventarmi qualcosa che ancora non ho in mente, ma sicuramente da qualche parte spunterà fuori Reborn, magari vestito da quercia dato che per l’immensa gioia dei nostri occhi non è più così piccolo da interpretare un cespuglio xD Sono contenta che ti piaccia Akane. Ho cercato di buttare là nel suo carattere qualche indizio sul Guardiano che sarà hihi E l’ultima frase non so come mi sia uscita sinceramente. Sappi soltanto che Ivan la chiamerà sempre così e che lei lo odierà ogni singola volta u.u Grazie mille adorata! Al prossimo chap! **
Ringrazio naturalmente anche la mia seconda adorata Revy-chan! xDD ommioddio mi sono immaginata perfettamente Reborn come lo hai descritto tu. Non esattamente un’immagine meravigliosa, ma sicuramente esilarante xD Ulalà, però mo ora sono curiosa di sapere che cosa sospettassi mia cara ** Grazie mille carissima, e come al solito felice che ti sia piaciuto!
Ringrazio anche Chrome_th (aka Laura). Grazie cara! Sono contenta che ti piaccia, anche perché per te è inedito, quindi… ^^”
Ed in ultimo ma non per importanza ringrazio come sempre Golden Brown! Non ti preoccupare assolutamente, tranquilla, già solo sapere che li hai letti tutti è una gioia! ** Hihi, eh già, in effetti Ivan non poterà nulla di buono nella vita di Lilian, o quasi… ma tutto si scoprirà, come al solito, nelle prossime puntate! **

Chiudendo lo spazio ringraziamenti voglio ringraziare chiunque abbia messo la Fic tra le preferite/seguite/ricordate e chi semplicemente legge! ** Grazie, grazie, grazie! **
A presto con il prossimo capitolo!
xoxo Niki.

 

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Capitolo 18
*** 17 . Come Romeo e Giulietta? Ma anche no... ***


17 . Come Romeo e Giulietta? Ma anche no…

 

Era un bel sogno quello che stavo facendo.
Papà era ancora vivo e la nostra Famiglia viveva in pace, finalmente.
Nessuna minaccia si prospettava all’orizzonte, il sole splendeva sulla villa in Italia, le risate riempivano l’aria ed un dolce profumo di ciliegi rendeva l’atmosfera ancora migliore.
Stavo benissimo come mai ero stata in vita mia quando fui tolta bruscamente da quel meraviglioso mondo onirico, rigettata in un lampo in quello reale.
«Lilian!».
La porta si spalancò inondando di luce la mia stanza. Sobbalzai tirandomi a sedere sul letto ed in breve scorsi la figura possente di mio nonno sulla porta.
Mi fissava con un grande, bonario sorriso, il suo caratteristico. Semi-scioccata voltai lo sguardo verso la sveglia sul comodino accanto al mio letto.
Segnava le cinque del mattino. Mi sarei dovuta svegliare esattamente due ore dopo.
«Andiamo a pescare!», esclamò nonno Iemitsu con tutto l’entusiasmo di cui era capace – e credetemi, era davvero tanto -, incurante del fatto che nella stanza accanto dormisse mia madre.
Che dormisse ancora, appunto.
Sospirai rivolgendogli uno sguardo ed un sorriso.
«Già ehm… il fatto è che io fra tre ore dovrei andare a scuola e…»
«Ho capito!», mi sorprese nuovamente sempre sorridendo e anzi, quasi ridendo allegramente.
Era stranissimo ai miei occhi come potesse essere così energico e solare e sorridente e quant’altro alle cinque del mattino.
«Allora pescherò io per te e per tua madre! Torna pure a dormire, tesoro!».
E così dicendo richiuse la porta facendo nuovamente piombare la stanza nella penombra, lasciandomi ignara del fatto che mio padre anni prima aveva vissuto esattamente la stessa scena.
Lo sentii scendere le scale fischiettando una canzone allegra e, sempre fischiettando, percorrere il vialetto.
Rimasi sotto le coperte per un po’ con gli occhi aperti a fissare la lancetta dei secondi che continuava a ticchettare, inesorabile, a scandire con quel suo piccolo suono lo scorrere del tempo, l’inesorabilità del nostro destino.
Perché d’altronde è vero: dal momento esatto in cui nasciamo, tutti noi iniziamo a morire ogni giorno un po’.
Non so con esattezza a che ora mi addormentai, so solo che scivolai velocemente in un sonno senza sogni.

Quando riaprii gli occhi la luce calda del sole riempiva la stanza.
Sbattei le palpebre un paio di volte e mi stiracchiai prima di voltare la testa verso la sveglia che stava suonando da non so quanto tempo e che segnava…
«Le otto meno un quarto?!».
Ero in un ritardo assurdo! Nel ritardo più assurdo nella storia dei ritardi!
Saltai giù dal letto ed infilai velocissimamente la divisa della scuola, mi pettinai altrettanto velocemente lavandomi i denti nello stesso momento – non chiedetemi come ho fatto perché non lo so nemmeno io – e corsi giù per le scale rischiando di provocarmi un trauma cranico o similaria.
«Io esco! A dopo!», esclamai passando davanti alla porta della cucina dove intravidi il nonno e la mamma attorno al tavolo.
Non riuscii a sentire la risposta di nessuno dei due che ero già fuori dalla porta.
Misi piede all’interno del cortile antistante alla scuola nel momento esatto in cui suonò il campanello che decretava l’inizio delle lezioni.
Mi feci tre piani di scale di corsa e finalmente, una volta giunta di fronte alla porta della mia classe, potei fare un gran respiro ed entrare. Salutai la professoressa e mi sedetti al mio banco, ma subito notai che Akane e Ray erano assenti.
Mi parve alquanto strano. Akane veniva tutti i giorni a scuola e Ray anche, a meno che non fossero malati, ma era improbabile che fossero malati entrambi lo stesso giorno.
«Signorina Sawada, ci sta seguendo?»
«Sì, certo», risposi alla professoressa annuendo e rivolgendole un sorriso per poi tornare alle mie elucubrazioni mentali senza tener conto dello sguardo di Ivan che sentivo addosso come ogni santissimo giorno.
Fortunatamente non fu una giornata particolarmente lunga né esattamente pesante se non fosse stato che il ragazzo in questione, il tenebroso Ivan-a-cui-tutte-le-ragazze-della-scuola-sbavavano-al-solo-passaggio-tranne-me-figuriamoci, non mi affiancò sulle scale all’uscita.
Immediatamente mi guardai attorno per evitare di essere fucilata da una delle Ivan’s Fans appostate dietro ad un angolo, poi tornai a guardare di fronte a me, non degnandolo di uno sguardo.
«Allora questo pomeriggio a casa mia per Shakespeare?».
Alzai un sopracciglio e lo guardai, annuendo.
«L’hai detto tu. Passa alle tre».
Se lui aveva scelto il dove io volevo almeno mettere in chiaro il quando. Non che la situazione mi piacesse particolarmente, come è già noto.
Detto ciò mi confusi volutamente tra la folla per sfuggirgli ed inviai un messaggio ad Akane.

“Ehi disertrice! Ma dov’eri oggi? Mi hai lasciata sola!”
Non mi rispose per tutta la giornata.

Come concordato alle tre in punto suonò il campanello di casa. Non feci neanche in tempo a dire “vado io!” che mamma mi precedette.
«Salve signora Sawada. C’è Lilian?».
Come un perfetto gentiluomo Ivan se ne stava sulla soglia di casa porgendo un mazzo di fuori a mia madre con la classica frase: «Oh, questi sono per lei».
Mi rivolse lo strascico del sorriso che aveva rivolto a mamma quando mi vide.
Io nemmeno quello.
«Mamma, Ivan. Ivan, mia madre. Andiamo a fare i compiti. A dopo!», dissi tutto d’un fiato trascinando fuori Ivan per la manica della camicia e chiudendo la porta lasciandogli soltanto il tempo di salutare con un cordiale “a presto signora! È stato un piacere” mia madre.
Sulla strada per casa sua tentò di iniziare un discorso con me al quale io mi ritrovai obbligata a dare corda.
«Davvero non so perché tu mi odi tanto»
«Oh no, io non ti odio», risposi scuotendo la testa candidamente.

Io ti detesto. È diverso.
Eccome se era diverso.
«Invece a me sembra di sì».
Mi ritrovai a combattere me stessa per evitare di alzare gli occhi al cielo dall’esasperazione. Mai conosciuta persona più insistente di lui.
Continuai a camminare accanto a lui per le strade quasi vuote di Namimori pensando che in effetti quando stava zitto non era poi nemmeno così tanto fastidioso.
Con quello sguardo smeraldino fisso di fronte a sé, le mani nelle tasche dei jeans, i primi tre bottoni della camicia slacciati…
Mi accorsi che lo stavo praticamente scannerizzando e mi affrettai a distogliere lo sguardo il più in fretta possibile.
Ma che diavolo andavo a pensare? E soprattutto perché lo stavo pensando? Non che pensassi chissà che, ma già il fatto di averlo passato ai raggi X era grave.
Gravissimo.
La cosa più grave che… oh mondo.
«Cioè questa… questa è casa tua?».
Anche i miei pensieri, oltre che il mio corpo, vennero bloccati dalla casa-stile-reggia di Ivan. Era una villa a due piani dove, sul secondo, si apriva un grande balcone che riempiva tutta la facciata principale, decorato da cascate di fiori viola, di quel tipo che sembrano piumini stesi a prendere aria. Il portoncino d’ingresso era affiancato da due semi colonne in ordine tuscanico bianche, così come tutto il resto della casa. Mi aprì il cancelletto facendomi entrare per prima e subito dopo il portoncino. L’interno mi lasciò tanto stupita quanto l’esterno se non di più.
Era chiaro, caldo, familiare. Una scala a chiocciola subito a destra portava al piano superiore, il corridoio principale portava alla luminosa cucina e…
«Oh buongiorno, tu devi essere Lilian, vero?».
Una donna elegante, non molto giovane ma ancora bellissima e sorridente ci venne incontro, tendendomi la mano che strinsi ricambiando il suo sorriso.
«Sarah Carter, sono la madre di Ivan. Siete qui per la ricerca su Shakespeare, vero?»
«Sì mamma», rispose lui al mio posto.
«Pensavamo appunto di andare in biblioteca», disse poi.
Allora, prima di tutto “pensavamo” no. Casomai pensava lui. Ed in secondo luogo…
«Biblioteca?», domandai guardandolo curiosa. Lui mi rivolse un sorriso mentre sua madre si allontanava dicendoci che di lì a poco ci avrebbe portato un thè e mi condusse su per la scalinata, attraverso un corridoio, fermandosi di fronte ad una porta a vetri bianca che aprì, rivelando una grandissima stanza. Decine di librerie erano incassate nelle pareti, ognuna stracolma di libri. Mi venne subito in mente la scena de La Bella e la Bestia quando appunto la Bestia porta Belle nella biblioteca che aveva fatto sistemare apposta per lei. Ovviamente non era quello il caso, ma…
«La sezione letteratura è tutta questa», disse Ivan indicando un’intera parete e facendo scorrere una scala per poter arrivare ai ripiani più in alto.
«In quanto tempo i tuoi sono riusciti a mettere insieme tutto… questo? Insomma, è un patrimonio! Hemingway, Tolkien, Dickinson…», decantai i nomi di grandi scrittori di cui avevo visto il nome almeno cinque volte se non di più da quando ero entrata là.
Era stato zio Hayato a passarmi l’amore per la letteratura che ancora portavo avanti. Mi accorsi di essere rimasta incantata di fronte a tutto ciò, mi rischiarai forzatamente la voce e mi voltai verso di lui, trovandolo più vicino di quanto non fosse prima.
«Allora… cominciamo?», domandai avvicinandomi alla sezione riguardante la letteratura ed in particolare alle opere di Shakespeare.
«Direi di iniziare con l’Otello, che ne dici? D’altronde Romeo e Giulietta mi sembra decisamente troppo scontato anche se è probabilmente una delle sue opere più conosciute, quindi…»
«Quelle labbra che Amor creò con le sue mani».
Il primo verso del Sonetto 145, “Quelle labbra che Amor creò con le sue mani” appunto, mi giunsero all’orecchio che le riconobbe immediatamente.
Era uno dei miei Sonetti preferiti di Shakespeare.

«Quelle labbra che Amor creò con le sue mani
Bisbigliarono un suono che diceva “Io odio”
a me, che per amor suo languivo:
ma quando ella avvertì il mio penoso stato,
subito nel suo cuore scese la pietà
a rimproverar la lingua che sempre dolce
soleva esprimersi nel dar miti condanne;
».

Non accennai a voltarmi, impilando volumi su volumi sulla scrivania in mogano poco dietro di me e non osando nemmeno alzare lo sguardo verso di lui.
Anche se non aveva intenzione di smettere. 

«e le insegnò a parlarmi in altro modo,

“Io odio” ella emendò con un finale,
che le seguì come un sereno giorno
segue la notte che, simile a un demonio,
dal cielo azzurro sprofonda nell’inferno.
».

Presi un altro volume dalla libreria ma quando mi voltai nuovamente per posarlo sulla scrivania assieme agli altri consunti trovai Ivan esattamente di fronte a me, tanto vicino da poter sentire il suo profumo, tanto vicino che mi fu impossibile non guardarlo negli occhi.

«Dalle parole “Io odio” ella scacciò ogni odio
e mi salvò la vita dicendomi “non te”.», concluse il sonetto con un fil di voce mentre il silenzio in quella stanza stava diventando decisamente più che assordante.
Volevo ma non potevo staccare gli occhi dai suoi, era più forte di me, era impossibile, oltre la mia volontà, mentre il mio respiro diventava via via quasi affannoso, in cerca d’aria, vedevo il suo viso farsi sempre più grande e più vicino, il verde dei suoi occhi diventare più scuro.

No, no, no! Lilian! Ricordati quello che hai sentito appena l’hai visto! Non ci si può fidare!
Questo mi diceva la mia mente e questo sembrava dirmi anche l’anello che portavo al collo, che sembrava improvvisamente essere diventato incandescente e pesante tonnellate. Il mio buonsenso, fortunatamente, mi impedì di cedere così, stringendo il tomo, voltai il viso, passai sotto al suo braccio che aveva teso posando la mano accanto alla mia testa, e tornai alla scrivania, tentando di non farmi venire una tachicardia nel frattempo.
L’anello, misteriosamente, era tornato della temperatura e della leggerezza di prima.

Passammo il resto del pomeriggio più o meno fino alle cinque a scannerizzare la vita e le opere del caro vecchio William che prima della fine della giornata avevamo iniziato a chiamare per nome tanto sapevamo su di lui.
Che già era tanto senza studiarci sopra, a quanto avevamo appurato, ma così l’avevamo approfondito ancora di più.
«Okay, direi che con quel gran fortunato di Otello abbiamo concluso. Buona morte agli sposini e arrivederci», ironizzai stiracchiandomi dopo essere stata almeno due ore buone con la schiena piegata su un libro.
In pratica quasi non ci vedevamo più da quanti libri avevamo impilato l’uno sopra l’altro proprio in mezzo alla scrivania e ammetto che in un certo senso l’avevo anche fatto apposta. Non ero stupida e non ero una bambina, perciò avevo capito bene o male dove volesse andare a parare con quel Sonetto. Purtroppo per lui non c’era riuscito granchè. Mi alzai e presi due tomi andando a risistemarli sui rispettivi ripiani. Poco dopo anche Ivan mi aiutò fino a quando la scrivania non fu in perfetto ordine e la libreria nuovamente ricomposta. Ripresi il mio quaderno e la mia borsa ed uscii assieme a lui scendendo di nuovo nell’atrio. Salutai lui e sua madre con un sorriso ringraziandola per l’ospitalità e riproponendo il nostro appuntamento di studio al giorno successivo, stesso luogo, stessa ora. Il suo profumo e la “reazione” dell’anello mi rimasero in mente per tutto il ritorno a casa fino a quando non crollai addormentata.

La guardai camminare attraverso il vialetto ed uscire dal cancelletto richiudendoselo alle spalle. Non chiusi la porta fino a quando non fui sicuro che fosse scomparsa dietro l’angolo. Tornai a voltarmi verso la donna che impersonava mia madre con un sorriso trionfale.
«Direi che è fatta», dissi battendo le mani l’una contro l’altra.
Tornai di sopra senza dire una parola e mi chiusi nello studio, la porta di fronte alla biblioteca dove avevamo studiato poco prima.
«Passami il Boss», ordinai alla guardia all’altro capo del telefono, all’altro capo del mondo oltretutto.
«Come scusi? La linea deve essere disturbata, signor Carter, mi dispiace», disse lui con un forte accento spagnolo.
Scossi la testa sbuffando spazientito.
«Passami Adelheid, idiota!».
Se non ci si poteva nemmeno più fidare delle comunicazioni…

 

 

 

 

 

PAP – Piccolo Angolo Pazzo
Ciaossu!
Nuovo capitolooooo! *esulta*
Bene bene, abbiamo visto diverse cose in questo capitolo.
Nonno Iemitsu che è sempre e costantemente frizzante come se avesse vent’anni (e ci piace così **) e la tanto fatidica ricerca di Ivan e Lilian.
Anche stavolta come per un capitolo precedente la scena non doveva essere così ma… Word fa miracoli, quindi è uscita così e spero vi piaccia e… ecco il grande colpo di scena di cui vi parlavo qualche capitolo fa! Rivelata l’identità del Boss Isogai! Ed il perché sia lei verrà svelato, non preoccupatevi, ho tutto nella mia mente contorta *muah*
Tutto a tempo debito u.u

Spazio ringraziamenti! Tadadaaààààà xD
Ringrazio Marina (aka Maya the Flamebreath) in primis. Grazie caraaaaa!! ** Sono sollevata dal fatto che tu mi abbia perdonata per aver fatto morire il Decimo ç_ç è stata una scelta sofferta anche per me ç_ç Grazie, grazie, grazie! Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto! **
Ringrazio la mia Revy-chan per l’adorabilità che ha sempre ** In effetti Fong nonostante sia il detentore del Ciuccio della Tempesta non potrebbe essere più calmo di così, cosa che stona appunto con la Tempesta, ma tutto a discrezione della sensei u.u Grazie come sempre adoVata! **
Ringrazio Laura come sempre. Già, scusa cara ma d’ora in poi niente più capitoli in anteprima *muah* Mi diverto ad essere cattiva! xD Scherzo xD Bacioni! (e buono stage! **)
Ed in ultima ma non per importanza Fel-chan!! Tesoroooo, non devi scusarti! Il tuo capitolo è magnificoso e ti capisco quando dici di essere sommersa di cose da fare. Ad ogni modo!
“Così come gli sguardi di Reborn danno i brividi! Ma penso che dopo l'addestramento che ha subito Tsuna il trauma sia rimasto direttamente nel suo DNA!” xDDD Beh, in effetti è possibile! xD (Reborn: ovvio, la mia influenza modifica il DNA delle persone, non lo sapevate? u.u Tutti: no o.O).
“Ah, com'è bello l'odio a pelle tra i personaggi di una storia!”. È la cosa che amo di più! ** xD
Bacioni mia cara! ** E grazie mille! **

Che dire, spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto (stranamente a me si **) e… al prossimo!
xoxo Niki

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 19
*** 18 . Le stelle gireranno assieme al mio Destino... e al tuo... ***


18 . Le stelle gireranno assieme al mio Destino… e al tuo…

 

Ma tu guarda se di domenica mi dovevo svegliare alle sette del mattino per andare a fare millemila commissioni per mamma.
Cioè, non che mi dispiacesse farle, specialmente in compagnia dei miei due migliori amici, ma alle sette? Che poi ero uscita due ore più tardi sono dettagli.
«Allora, ditemi», dissi uscendo dall’ennesimo negozio assieme a Ray ed Akane, sorridenti tutti e due ma… strani. Avevano qualcosa che non quadrava. Sembravano quasi più grandi di me di diversi anni.
«Dove siete stati? È raro che tutti e due non veniate a scuola. Lo stesso giorno», domandai infine lanciando uno sguardo ad entrambi, l’una da una parte e l’altro dall’altra che praticamente ci sovrastava tutte e due con la sua altezza.
Non era possibile che a sedic’anni una persona fosse così alta. E così cocciuta, difatti come se non mi avesse sentita infilò le cuffie nelle orecchie e non mi rispose, passando la palla ad Akane che fissò di fronte a sé per qualche secondo prima di guardarmi.
«Ecco noi…», iniziò titubante, come se non volesse dirmi ciò che mi avrebbe detto di lì a poco.
«Voi?»
«Noi stiamo assieme!», esclamò facendo voltare un paio di persone che passavano di là e facendo quasi soffocare Ray che evidentemente non stava ascoltando nulla tranne la nostra conversazione.
Spalancai gli occhi e per poco anche la bocca bloccandomi in mezzo alla strada e spostando lo sguardo dall’uno all’altra.
Poi capii e ridussi gli occhi a due fessure.
«Mi state prendendo in giro, lo so», dissi fissandoli tutti e due e vedendo sbuffare Akane, sconfitta.
Ormai li conoscevo troppo bene ed oltretutto erano come fratello e sorella, quindi sarebbe stato da escludere a priori il fatto che da un giorno all’altro si fossero fulmineamente, follemente innamorati.
«Non me la fate, ma d’accordo, se non volete dirmelo non ditemelo. Lo scoprirò», precisai piccata passando avanti e venendo raggiunta poco dopo da una mano grande di Ray che mi si posò sulla spalla.
«Oh, andiamo Lily. Ti spiegheremo tutto, te lo prometto», disse rivolgendomi un calmo e pacatissimo sorrisone. Quel ragazzo sorrideva sempre. E quando dico sempre intendo davvero sempre. Prendeva tutto con ironia e leggerezza e potrei giurare di non averlo mai visto una volta serio o drammatico in tutti quegli anni.
Era strano, però riusciva sempre a metterci di buon umore, sia a me che alla biondina lì accanto che mi abbracciò in un gesto di scuse per avermi fatta preoccupare per un giorno intero.
«E tu che ci dici, signorina? So che ieri hai avuto la ricerca. Com’è andata?», mi domandò curiosa come sempre. Erano un po’ di giorni, da quando era arrivato Ivan in classe, che lei era sicura che io fossi pazza di lui.
Voglio dire. Io pazza di Ivan Kiaran Carter? Ma scherziamo? Tuttavia lei non sembrava volerlo capire e mi sgomitò leggermente con uno sguardo che stava più o meno a significare: “avanti, sputa il rospo”.
La sottoscritta, in risposta, alzò le spalle e continuò a camminare sotto il sole del quartiere commerciale di Namimori.
«Penso bene. Almeno non gli ho sparato con un bazooka e questo mi sembra producente».
Sapevo perfettamente di averla delusa, di aver distrutto i suoi sogni di gloria di essere vestita color pesca al nostro matrimonio, ma purtroppo per lei e per fortuna per me non sarebbe mai accaduto.
Ma mai mai. Neanche dopo morta.
Anche se Shakespeare sembrava avere avuto un effetto particolarmente ispiratorio per il nostro Ivan, purtroppo per lui non c’ero cascata. Mi piaceva Shakespeare ma non sarebbe stato di certo un sonetto a farmi capitolare come una scema, tantomeno per lui, il ragazzo che appena arrivato mi aveva subito guardata come se mi volesse ammazzare seduta stante. Scossi la testa mentre sentivo il freddo ormai divenuto familiare dell’anello sulla mia pelle, sotto la maglietta. Ascoltai i miei amici tornare a chiacchierare tranquillamente come sempre e mi reputai estremamente fortunata ad averli al mio fianco, normali, ragazzi come tanti altri. Se solo loro l’avessero saputo non so che cosa sarebbe potuto succedere né l’avrei voluto sapere. Improvvisamente una ragazza dai lunghi capelli rossi finì contro ad Akane. Le due si scambiarono uno sguardo frettoloso ma carico, uno sguardo a cui non seppi dare un significato e, una volta che l’avemmo sorpassata, mi voltai indietro un secondo. La ragazza si stava allontanando, fasciata in un nero profondo che faceva un netto contrasto con il colore acceso dei suoi capelli. Si voltò anche lei un secondo verso di me. Lo sguardo azzurro che mi lanciò fu glaciale e mi girai subito ma con la coda dell’occhio potrei giurare di aver visto una pantera camminarle, suadente, accanto.

*** Francia . Base Isogai . Quattro Marzo ***

Dal jet privato scese una bellissima donna, fasciata in un tailleur nero ed una camicia bianca sotto la giacca elegante con un solo bottone. Gli occhiali da sole le riparavano lo sguardo mentre dietro di lei almeno cinque guardie del corpo la seguivano, tutti rigorosamente in nero. I tacchi alti risuonavano veloci sull’asfalto della pista d’atterraggio riservata del’aeroporto Charles de Gaulle da dove lei prese un’auto alla volta di un paesino sperduto nel bel mezzo delle campagne francesi.
Da quando era fuggita dalla prigione dei Vindice, tutto merito di quell’uomo, era riuscita a creare probabilmente il clan più potente e ricco della Yakuza, attualmente. Quanti clan in quel momento, dopotutto, avrebbero potuto vantare decine di basi in tutto il mondo, se non di più? Quante donne avrebbero potuto vantarsi di avere sotto di loro centinaia di sottoposti, tutti uomini, pronti a soddisfare qualsiasi suo desiderio e richiesta, di qualsiasi genere e specie? E, soprattutto, qualsiasi ordine? Indipendentemente da dove fosse nel mondo, era sicura di avere sempre qualcuno che le avrebbe obbedito, anche a kilometri di distanza. Non si era mai reputata così dura, così spietata come diversi Boss che aveva avuto il “piacere” di incontrare e fare personalmente fuori, ma si sapeva comunque far rispettare il che, per una donna, in quell’ambiente non era affatto impresa da nulla.
La chiamata di Ivan, il giorno precedente, era stata quasi un’illuminazione, un’infusione di serenità per lei che aveva avuto una giornata a dir poco pesante, controllando decine di rapporti da coloro che erano tornati vivi dalle missioni e sbrigando tutte le procedure per coloro che vi erano tornati da morti. Tranquillamente a mollo nell’acqua calda della vasca costruita nel pavimento, piena di schiuma, i capelli raccolti con alcune ciocche che, scomposte, le ricadevano sul viso, Adelheid Suzuki ripensava, come spesso le capitava di fare nei momenti di solitudine che si prendeva ogni qualvolta si spostava da una base all’altra, ai suoi tempi all’interno dei Simon. Erano stati giorni felici, ma erano terminati nel momento esatto in cui le era stata strappata la divisa di dosso, le era stato ordinato di infilare quella consunta tuta a righe orizzontali bianche e grigie ed era stata sbattuta all’interno di quella cella fredda, buia ed umida che oltretutto impediva a ciascuno di loro di utilizzare le rispettive Fiamme grazie ad una sorta di campo magnetico o quello che era. Quantomeno lei ed i suoi compagni erano stati messi nello stesso braccio, in celle vicine. Con Enma nella cella a destra della sua e Julie in quella a sinistra non si era poi sentita così tanto sola, ma dopo tutti quei giorni, mesi, forse anni che vi aveva soggiornato – non saprebbe dire quanti – era gradualmente diventata un’Adelheid diversa. Si era quasi indurita, era diventata mentalmente più forte.
«In quel luogo non c’è nemmeno la forza per pensare», aveva raccontato una volta ad un giovanissimo Ivan che le aveva chiesto di raccontarle la sua storia, o almeno un pezzetto. Lei, in un moto di positività, gli aveva concesso di venire a sapere più o meno tutto su ciò che le era successo là dentro. Sospirò fissando il lampadario in mezzo al grande bagno la cui luce si rifletteva su ogni singola goccia in cristallo, espandendo la luminosità ancora di più, contrastando con l’oscurità che sempre più velocemente stava avvolgendo il mondo. Le era stato concesso di portare con sé uno solo dei suoi compagni. Ed aveva scelto Julie. Julie che in quel momento bussò alla porta bianca, socchiudendola quel tanto che bastava per sbirciare all’interno. Lei si voltò altrettanto per guardarlo. Il suo sguardo era nascosto ancora dalle lenti degli occhiali che erano sempre rimasti gli stessi e dalla tesa del cappello che, aveva sempre pensato, lo rendeva ancora più affascinante.
«Adelheid?», chiamò lui. Era l’unico a cui permetteva, in sua presenza, di chiamarla con il suo nome proprio. D’altronde si conoscevano da decisamente troppo tempo per farsi chiamare Boss anche da lui.
«Sì?», domandò lei. Cogliendo il permesso, Julie entrò chiudendosi la porta alle spalle e la raggiunse, chinandosi proprio accanto a lei, osservandola negli occhi da dietro le lenti.
«Nulla. I ragazzi volevano sapere dov’eri. Sai, è un po’ che sei qui dentro e…»
«Oh», sbuffò lei alzando una mano ed esaminando con cura ogni singola bolla di sapone, soffiandola poi nell’aria.
«Dovrebbero ormai essere abituati ai miei ritiri, no?».
Lui rise brevemente scuotendo la testa ed annuendo subito dopo. Pensava esattamente la stessa cosa, ma probabilmente era lui quello che la conosceva meglio là dentro. Era l’unico che lei, di tutti i Simon, aveva deciso di salvare ed ancora si chiedeva il perché. Sperava che un giorno sarebbe stata proprio lei a rivelarglielo.
«Ehi Katou? Ma ci sei?».
La sua voce nella quale percepì un sorriso lo risvegliò, ritrovandosi a fissare una bolla di sapone che in quel momento doveva essergli sembrata molto interessante… sulla punta del naso di Adelheid. Per poco non scoppiò a ridere, ma inevitabilmente sorrise scatenando la curiosità della donna che solo subito dopo si accorse di quel piccolo particolare.
«Oh! È così, eh? E tu non hai nemmeno pensato di dirmelo, imbecille?», disse scherzosamente spruzzandogli addosso dell’acqua. Lui si alzò appena in tempo per schivarla, tenendosi il cappello per evitare di perderlo ed allontanandosi di qualche passo ridacchiando assieme a lei prima che entrambi tornassero seri.
«No, in realtà… sono venuto a chiamarti davvero perché c’è bisogno di te di sotto. È arrivato un fascicolo e… giuro, lo leggerei io per te se potessi, ma probabilmente è meglio che lo faccia tu… si tratta di Sawada…».
A quel cognome la Adelheid che soltanto Julie conosceva tornò ad essere la Adelheid che tutti conoscevano, il Boss. Senza curarsi minimamente se l’uomo fosse là o meno attraversò la grande vasca fino a raggiungere i tre scalini in marmo che conducevano nuovamente al pavimento. Emerse dall’acqua come un’antica divinità, la pelle liscia e bianca che faceva netto contrasto con i capelli scuri, e Julie si trovò costretto a deglutire e distogliere presto lo sguardo. Lei prese un telo dal mobile bianco là accanto e se lo avvolse attorno, creando una specie di X sul petto e legando le due estremità dietro al collo così da creare quasi una sorta di abito. Si voltò verso il compagno di mille avventure e con passo deciso, assieme a lui, uscì.

*** Giappone . Namimori . Lo stesso giorno ***

«Mi spiegate perché avete voluto a tutti i costi accompagnarmi?»
«Perché ti vogliamo bene, e con i tempi che corrono per una ragazza non è saggio andare in giro da sola», mi rispose Ray facendo finta di essere saggio, chiudendo gli occhi ed alzando l’indice. Lo osservai alzando un sopracciglio, dopodiché ridacchiai scuotendo la testa ed aprii la porta di casa entrando assieme ai miei amici. La prima cosa che sentii fu… il silenzio. E la prima che vidi fu che tutte le luci erano spente. Mi guardai attorno con la fronte aggrottata e tolsi le scarpe.
«Mamma?», chiamai senza ottenere risposta. Di solito era impossibile sentire un silenzio del genere in casa mia, cosa che mi inquietò ancora maggiormente. Entrai in cucina ma nemmeno là la trovai, però ne approfittai per posare le buste sull’isola. Rivolgendo uno sguardo alla porta non vidi nemmeno più Akane e Ray.

Okay, pensa. Diavolo, non possono essere scomparsi tutti improvvisamente, evaporati, no?
Giusto. L’evaporazione umana, d’altronde, non era stata ancora segnalata in nessun luogo nel mondo. L’autocombustione sì però, ma di ceneri a terra non ce n’erano ed oltretutto me ne sarei resa conto se i miei amici avessero iniziato improvvisamente a prendere fuoco.
Oh, lasciamo perdere. Quando ero agitata iniziavo a fare discorsi mentali degni di qualsiasi ricoverato del
CIM. Scossi la testa bofonchiando cose come “ma dove diavolo sono andati a ficcarsi?” proprio nel momento esatto in cui aprii la porta scorrevole del soggiorno, le luci si accesero ed un “SORPRESA!” mi assalì le orecchie. E rimasi sorpresa davvero nel vedere mamma, tutti i miei zii e zie, i sopracitati Akane e Ray e Reborn, dietro a tutti, le braccia incrociate, ma un leggero sorriso che riuscii a vedere prima che scomparisse.
«Buon compleanno, nipotina!», esclamò zia Hana subito dopo avvicinandosi ed abbracciandomi, anche se il pancione impediva un po’ il contatto. Oh si, perché dopo matrimonio e compagnia bella a zio Ryohei e zia Hana era venuto finalmente in mente di allargare la famiglia. Certamente sarebbe stato al settimo cielo di avere un nuovo piccolo Sasagawa per casa a cui insegnare tutti i segreti della boxe. E tutti sapevano che era un maschio tranne lui. Perfino zio Hayato e zio Takeshi lo sapevano, ma gli avevamo fatto giurare di non dire una sola parola.
Diversi abbracci mi avvolsero, quelli dei miei amici, quello di mamma, di zio Hayato e zia Haru, in pratica di tutti gli invitati tranne di Reborn che si limitò a posarmi una mano sulla spalla e farmi gli auguri. Non che mi aspettassi tantissimo altro, comunque.
Fu finalmente anche l’ora dei miei migliori amici ai quali lanciai uno sguardo scherzoso che stava più o meno a dire: “non fatelo mai più!”.
«Oh, Lily, ti devo presentare una persona», disse poi Akane allontanandosi per qualche secondo per poi ritornare tenendo a braccetto un ragazzo che doveva essere sicuramente più grande di noi.
«Lui è Soichiro Saito, Soi per gli amici. Mio cugino», sorrise mentre io e Soichiro ci stringevamo la mano. Mi aveva parlato ogni tanto della sua famiglia, Akane, e sapevo che non ci andava troppo d’accordo, ma l’unica persona con cui aveva un rapporto pressochè idilliaco era proprio suo cugino Soichiro.
«Beh, è un vero piacere»
«Il piacere è tutto mio. Non sai quanto Akane mi ha parlato di te nelle sue mail», sorrise di un sorriso sottile ed ambiguo ma che non mi fece sentire affatto a disagio. Casomai molto calma e tranquilla, ma non in pericolo. Era strano come fossi tutt’a un tratto diventata estremamente empatica da quando era arrivato Reborn in casa. Intuitiva. E finalmente diciassettenne. Grande.

La serata era passata in modo assolutamente tranquillissimo ed alla fine eravamo rimasti soltanto io, mamma, zia Haru e zio Ryohei appoggiata alla cui spalla mi ero addormentata tutt’a un tratto. Soltanto il tocco leggero di mamma mi risvegliò appena in tempo per riuscire a salutare gli zii con un grande abbraccio, ringraziandoli per lo splendido compleanno che mi avevano regalato. Feci lo stesso con mamma aiutandola a riordinare ed augurandole la buonanotte con un bacio sulla guancia prima di salire di sopra e prepararmi per andare a letto. Passando di fronte alla porta-finestra che dava sul balcone vidi una figura appoggiata alla balaustra. Aprendola quel tanto che bastava riuscii ad intravedere la sagoma di Reborn con ancora in testa il cappello. Uscii richiudendomi la porta alle spalle e lo raggiunsi. Rimanemmo tutti e due in silenzio per diversi secondi prima che fossi io a parlare.
«Posso chiederti una cosa?», domandai. Il suo sguardo parve luccicare per un secondo, poi annuì impercettibilmente.
«Come mai ti chiamano Arcobaleno?».
Ed il suo sguardo luccicò ancora, soltanto di qualcos’altro rispetto a prima. Fece un gran sospiro e rimase ancora in silenzio prima di sospirare nuovamente ed iniziare a parlare.
«Vedi, Lilian… per tutto il tempo in cui ho addestrato tuo padre io sono stato della statura di un bambino, ma avevo la mente di un uomo».
Con quelle semplici parole mi chiarì come mai nella foto della Famiglia che avevo trovato una volta e che ora stava sopra al camino c’era un bambino vestito esattamente come lui in quel momento. Perché era lui. Ma la cosa ancora mi sfuggiva.
«Io ed altri sette eravamo i prescelti. Viper, Skull, Verde, Fong, Colonnello, Lal Mirch e… Luce».
Esitò sull’ultimo nome ed inizialmente non ne capii il motivo. Anche se in un certo senso probabilmente un sospetto potevo averlo. Quale uomo, d’altronde, avrebbe pronunciato il nome di una donna in quel modo? Malinconico, nostalgico, sognante. Non era da lui ed avevo imparato a capirlo, ma era ciò che avevo sentito.
«La maledizione degli Arcobaleno ci fece diventare dei bambini. All’improvviso ci ritrovammo tutti alti meno di un metro con addosso dei mantelli. Tuttavia fortunatamente le abilità che avevamo acquisito prima rimasero tali, così ognuno seguì la propria strada fino a quando ci ritrovammo per addestrare tuo padre ed i Guardiani. Tutti tranne Luce che sembrò essere dispersa».
C’era tanta frustrazione nelle sue parole anche se tentava e riusciva molto bene a nasconderla. Era un uomo che era passato attraverso tantissime prove, tantissimi ostacoli e che li aveva superati tutti, senza nessuna eccezione. Ed era diventato ciò che era ora.
«Poi la maledizione è stata… diciamo revocata. E siamo tornati tutti alle nostre forme adulte. Mentre Luce… Luce è morta diverso tempo fa», disse abbassando lo sguardo sulla strada, ormai vuota, e rialzandolo nuovamente alla luna.
«Tutto qui. E mi piacerebbe moltissimo che non mi si chiamasse più Arcobaleno Reborn, ma… ma ormai è come un’etichetta, e sarà difficile da togliere».
Sospirò nuovamente e si allontanò dalla balaustra e da me, guardandomi un’ultima volta.
«Va a letto, domani sarà una giornata pesante. Ah, ed auguri ancora».
Mi voltai trovandolo già dietro la porta. Rimasi a fissarla per qualche secondo respirando a fondo l’aria della sera, dopodiché rientrai.
Quella notte, non so perché, sognai Luce.

 

 

 

 

 

PAP – Piccolo Angolo Pazzo
Ciaossu!
Ecco qui pronto anche il diciottesimo capitolo, dal titolo che praticamente è una frase di Luce.
Luce che, soprattutto nella parte finale, ha avuto un suo peso, è stata al centro di parte del discorso di Reborn. Lo so, lo so, non c’è niente di certo, ma io sono sempre stata sicura da quando ho visto le loro scene assieme che Reborn qualcosa per Luce lo provasse. D’altronde d’accordo che è il famoso Tutor Hitman Reborn, ma non dimentichiamoci che è pur sempre un uomo, mica un Terminator venuto dal futuro! xD Oltretutto, in questo capitolo abbiamo visto l’entrata in scena di due nuovi personaggi: Soichiro, il cugino di Akane, e la misteriosa ragazza rossa nel quartiere commerciale. E non posso dire altro se non che scrivere il successivo paragrafo solo per Adelheid è stato sì bello ma anche difficilissimo, sempre per il mio terrore di rendere i personaggi
OOC… e con Julie mi sa di averlo proprio fatto ç_ç Chiedo perdono ç_ç

Passiamo allo spazio ringraziamenti che è meglio ç_ç
Ringrazio Marina e Laura come sempre per i commenti. Eh già, da qui in poi le cose non saranno affatto facili, basti sapere che proprio all’inizio del prossimo capitolo verrà messa a dura prova da Lal xD Grazie mille care!
La mia adorata Fel-chan! xD Fortuna che allora non lo sa, altrimenti mi ritroverei senza protagonista! xD Ho pensato fosse quantomeno doveroso inserire anche soltanto una scena con il nonnino. Perché è il nonnino e tanto basta u.u Per quanto riguarda Akane e Ray si scoprirà tra poco perché non c’erano a scuola. Del tutto accidentalmente, ma si scoprirà hihi
“Tieni giù le tue polpose manacce da Lily prima che venga io di persona a tagliartele!! Anzi, ci mando Demetra che è peggio!!” Paura! O.O Anche se effettivamente una bella iniezione di terrore gli farebbe bene eh u.u Eh si xD Proprio lei! Adelheid Suzuki! E “quell’uomo” di cui ha parlato in questo capitolo sarà un colpo di scena ancora maggiore quando si scoprirà chi è *muah* Grazie adorata! Spero che anche questo ti sia piaciuto! **
La mia seconda adorata (anzi, adorata a pari merito sisi u.u) Revy-chan! Nuuu tesoro ç_ç non era mia intenzione farti commuovere ç_ç Però ben detto! Al nonno si perdona tutto! xD
“Ovvio. Perchè Lilian non è come Tsuna che sembrava uno stalker afono quando vedeva Kyoko”. xDDD Adorata, hai perfettamente ragione! xD Almeno all’inizio, perché poi già nel Future Arc sembra avere un pochino più di testa ed essere diventato il classico ragazzo innamorato che non deve per forza andare in apnea ogni volta che la vede xD E Adelheid hihi Caspita, sono contenta di avervi sorprese così tanto con lei! ** Grazie mille anche a te adorata! ** E come al solito spero che anche questo cappy ti sia piaciuto! **

Appuntamento al prossimo capitolo!
Bacioniiii!!
xoxo Niki

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Capitolo 20
*** 19 . Guardian Force ***


19 . Guardian Force

Theme Song : Infinite Legends by Two Steps From Hell

 

*** Giappone. Namimori. Casa Sawada ***

«Di nuovo».
L’ordine quasi esasperato del mio Tutor raggiunse per l’ennesima volta le mie orecchie, anche coperte dalle cuffie protettive. Mi rimisi nuovamente in posizione,m la gamba sinistra leggermente davanti a quella destra, le spalle dritte, le braccia a stringere saldamente la pistola e lo sguardo fisso sul mio obiettivo.
Sparai.
E di nuovo prima venni quasi sbalzata indietro dal rinculo dell’arma e poi il proiettile andò a piantarsi con un rumore secco e breve nell’unico punto dove non sarebbe dovuto andare: contro il muro.
Rimasi per un momento con le braccia abbassate, la pistola ancora in mano, chiedendomi se fosse uno scherzo o cosa. Se il proiettile fosse stato in qualche modo manomesso per non andare nella giusta direzione o chessò io. Feci un gran respiro profondo e mi riavvicinai nuovamente al banco al quale ero di fronte prima, posai la pistola, le cuffie e gli occhiali protettivi e mi voltai verso i miei due Tutor, entrambi esattamente nella stessa posizione.
Mi guardavano con le braccia incrociate e con espressione spazientita. E lo credo, era la quindicesima volta che sbagliavo – sì, le avevo contate – e sinceramente la cosa stava iniziando a dare sui nervi anche alla sottoscritta. Reborn, dietro alle loro spalle, se ne stava appoggiato alla parete, il cappello abbassato di modo tale da nasconderne almeno in parte lo sguardo che sentivo comunque scivolarmi addosso.
Il silenzio regnò per diversi, interminabili secondi prima che Lal mi si avvicinasse mettendomi sorprendentemente una mano sulla spalla.
«Vieni con me».
Mi condusse nuovamente dov’ero prima e mi rimise in mano la pistola, sistemandomi dita, polso, braccio e spalle. Aveva mani fredde ma sorprendentemente non mi dettero fastidio. Un colpetto dietro al ginocchio per farmi riprendere la posizione delle gambe che avevo prima – almeno quella era giusta – e si allontanò da me di un passo solo.
«Focalizza l’attenzione là in mezzo», disse indicando il centro della sagoma nera a diversi metri da me.
«Cerca di vedere soltanto quello…»
«Lal, non serve a niente», la riprese Colonnello alle sue spalle. Con la coda dell’occhio la vidi scuotere la testa e voltarsi verso di lui.
«Tu sta zitto. Ricordati che sono stata la tua Tutor un tempo e che con te ho usato lo stesso identico metodo»
«Se posso dissentire con me sei stata e tuttora sei molto più…»
«Sì, ma non posso prendere lei a pugni, non credi?», domandò lei infine dopo quel veloce scambio di battutine che assomigliava molto di più ad una discussione tra fidanzati che tra due Tutor che teoricamente sarebbero dovuti stare sullo stesso piano.
«Io l’avevo detto che non sarebbero riusciti ad andare d’accordo», disse Reborn facendo nuovamente alzare gli occhi al cielo a Lal che, una volta tornato il completo silenzio all’interno della stanza, tornò a parlarmi.
«Concentrati. E quando senti che è il momento, spara».
Così feci.
Chiusi gli occhi, respirai a fondo fino a quando anche il battito del mio cuore non ebbe rallentato. Non pensai più a nient’altro che non fosse il cercare di colpire quella dannata sagoma. Ad un certo punto non ebbi più nemmeno la percezione dello spazio, delle persone attorno a me. C’ero solo io, la pistola, il colpo in canna e quella sagoma. Visualizzai il percorso che il proiettile avrebbe dovuto fare e senza pensarci nemmeno sparai.

Il suono mi arrivò nuovamente all’udito anche oltre le cuffie di protezione e non osai aprire gli occhi fino a quando non sentii una mano gentile posarsi sulla mia spalla. Alzai lo sguardo. Più o meno nel centro esatto della sagoma c’era un foro perfettamente circolare. Un sospiro di sollievo lasciò le mie labbra e voltandomi vidi Lal e Colonnello osservarmi con un leggero sorriso.
«Ben fatto», disse lei mentre posavo tutto l’armamentario e mi risistemavo la divisa scolastica. Soltanto quel piccolo gesto mi fece rendere conto che ero in ritardo. O almeno così credevo. Maledetta assenza di orologi! Con espressione terrorizzata sgusciai verso la porta.
«Scusate, continueremo dopo lo giuro, ma devo andare a scuola!», detto ciò corsi fuori, afferrai la borsa, salutai frettolosamente mamma ed uscii.

 

*** Giappone. Namimori. Casa Iwamura ***

«Sonoinritardosonoinritardosonoinritardooooooo!».
Un qualcosa simile ad un uragano dai lunghi capelli biondi si fiondò in cucina. A velocità da Gran Premio, Akane addentò uno dei toast che sua madre aveva preparato e si piazzò di fronte allo specchio dell’ingresso di casa raccogliendo i capelli in una coda alta, come sempre lasciando libero il ciuffo che le ricadeva di fronte al viso.
«Tesoro, sicura che a quella sveglia non si siano scaricate le batterie? Non è possibile che ultimamente arrivi sempre in ritardo»
«Sì mamma, sono sicura», rispose lei con stizza.
Sapeva perfettamente bene che non le si erano scaricate le batterie. Tanto ormai aveva Luxor, la sua sveglia personale… che comunque non funzionava troppo in ogni caso.

A proposito! Quasi me ne stavo dimenticando!
Strinse un’ultima volta la coda e si fiondò nuovamente verso la sua stanza, afferrando in modo stranamente delicato la Box sulla scrivania.
La osservò dibattersi tra le sue dita aggrottando leggermente la fronte.
Il giorno precedente l’incontro di Lilian con suo cugino l’aveva sorpresa. Erano sembrati andare d’accordo sin dal primo momento in cui si erano visti, stranamente. Ma la cosa che aveva occupato la sua mente per tutto il giorno era stata lo “scontro” con quella ragazza dai capelli rossi nel quartiere commerciale. Aveva visto la pantera e non c’erano dubbi che fosse chi lei credeva che fosse. A casa Iwamura il nome degli Anforti era girato particolarmente spesso. Si erano persino incontrate da bambine. L’unica cosa che Akane ricordava di Maya e Georgia era che non erano andate particolarmente d’accordo sin dal primo istante, a differenza di Lilian e Soichiro. Mah…
«No Lux. Siamo già in un ritardo mastodontico», disse scuotendosi rivolta alla piccola scatolina prima di adagiarla tra i libri e la felpa nella borsa.
Un ultimo sguardo all’orologio per rendersi conto in che razza di ritardo effettivamente era ed uscì.
«Ci vediamo più tardi!», esclamò prima di chiudersi la porta alle spalle.

 

*** Giappone. Namimori. Casa Amane ***

«Sei pronto Ray?»
«Sì, mamma, ora arrivo», rispose Ray con voce ancora mezza assonnata ma con la mente assolutamente sveglia.
Ancora sdraiato sul letto ma con la divisa della scuola già addosso, osservava l’anello che portava al dito senza dire una parola sola.
Era stato il famigerato Tutor Reborn a consegnare gli anelli a tutti loro, per questo sia lui che Akane quel giorno non erano stati presenti a lezione e per questo Lilian si era preoccupata così tanto. Non lo avrebbe voluto. Anzi, avrebbe desiderato con tutto se stesso che il momento in cui lei avrebbe saputo tutto – sul fatto che ognuno di loro aveva uno specifico collegamento con i Vongola o comunque con la mafia – così da potersi confidare con loro anche su ciò. Sia lui che Akane l’avevano vista sempre più pressata in quegli ultimi giorni e l’unico momento in cui l’avevano vista davvero spensierata era stato il giorno prima alla sua festa di compleanno.
Fortunatamente non si era accorta della ragazza che era finita con finta casualità addosso ad Akane nel quartiere commerciale di Namimori.
Fece un gran sospiro spostando lo sguardo dall’anello, che infilò nella catenina che teneva al collo subito dopo, alla Box sul suo comodino. Aggrottò la fronte. Strano. Non gli sembrava di averla lasciata là prima. Sembrava proprio che qualcuno l’avesse spostata di un paio di centimetri. Scuotendo la testa e dandosi da solo del visionario si alzò iniziando a preparare la borsa. Tuttavia un rumore piccolo e delicato, come una penna che batte sul legno, lo fece voltare nuovamente. La Box, piccola e azzurra, si stava muovendo, stava quasi saltellando sul comodino. Vi si avvicinò e la prese tra le dita pensando che si sarebbe fermata, cosa che non fu.
«Ci siamo quasi, eh?», domandò più a se stesso che ad altro. Aggrottando leggermente la fronte e facendo un altro sospiro nascose l’anello sotto la camicia ed uscì.
Già.
C’erano quasi.

 

*** Giappone. Namimori. Casa Takeuchi ***

«Georgia ti sposti per favore? Occupi tutto lo specchio!»
«Se aspetti due secondi, sorellona, vedrai che lo lascio tutto per te»
«Ragazze, smettetela. Lo sapete che non voglio sentire litigi di prima mattina in questa casa»
«Ma, mamma…»
«Niente “ma”, Maya
».
Quasi ogni mattina era così a casa Takeuchi.
Maya, la sorella maggiore di diciassette anni, e Georgia, quella minore di quindici, si contendevano lo specchio del bagno più grande della casa, quello al piano superiore, facendo quasi perdere le staffe a loro madre, Miho.
«E cercate di fare meno rumore, vostro padre è tornato molto tardi stanotte», le rimbeccò, alchè loro si zittirono subito e continuarono a prepararsi per la scuola.
Maya non ne vedeva l’utilità, essendo la figlia di uno dei collaboratori più fidati di una Famiglia alleata ai Vongola, mentre Georgia, la più studiosa delle due, non aspettava altro ogni mattina che andare a scuola, cosa che la sorella non riusciva a capire. Maya appuntò due fermagli a forma di stella sui lunghi capelli rossi, di modo tale da tenere raccolti quei due ciuffi che le finivano sempre di fronte agli occhi, mentre Georgia raccolse i suoi, altrettanto lunghi ma del colore di suo padre, quasi bianchi, in due code alte ai lati del capo. Non si assomigliavano per niente, l’una con dei grandi occhi azzurri e l’altra con dei caratteristici occhi di un castano talmente insolito da sembrare quasi rosso ma entrambe avevano un fortissimo senso di rispetto per la loro Famiglia, gli Anforti, e per quella alla cui era alleata, i Vongola. Loro padre era giapponese ed aveva conosciuto loro madre durante una missione che gli era stata affidata in Italia. E da là era stato amore a prima vista, lei gli aveva raccontato di come facesse parte della Famiglia Anforti e lui aveva deciso di seguirla là, entrando a farne parte dato che il Clan Takeuchi stava sempre più velocemente andando in rovina. Fu proprio là che nacquero e vissero le due bambine per alcuni anni, facendosi conoscere da quasi tutti gli Anforti e tenendo pur sempre i contatti con i Vongola. Una volta cresciute abbastanza da poter capire più o meno i meccanismi delle Famiglie vennero addestrate entrambe a diventare parte integrante della Famiglia e, perché no, anche future capofamiglia. Ciononostante…
«Ragazze, è tardi, datevi una mossa! Siete ragazze normali qui, non membri di una Famiglia mafiosa, avanti!».
Già, ragazze normali, cresciute per quanto possibile come normali ma certamente consapevoli di non esserlo del tutto.
«Arriviamo!», risposero in coro.
Cinque minuti più tardi si avviarono assieme verso la scuola, ognuna con il proprio Box Heiki nella borsa. Maya si accorse subito che Eve, una maestosa pantera nera, si stava agitando là dentro, al buio, ma decise di non farci troppo caso. Si limitò soltanto a lanciare uno sguardo alla sorella. Dopotutto, erano già state informate che di lì a poco si sarebbe scatenato l’inferno.
O qualcosa di molto simile, insomma.

 

*** Giappone. Namimori. Casa Fujihara ***

«Ancora!».
L’ennesimo clangore riverberò per tutta la stanza mentre padre e figlio si scontravano senza esclusione di colpi di fronte agli occhi della madre di Jin, poggiata allo stipite della porta senza proferir parola alcuna.
Si osservavano, si scrutavano come se non fossero affatto padre e figlio, come se fossero veramente due nemici pronti ognuno ad uccidere l’altro per sopravvivere. D’altronde era così che l’avevano cresciuto. Con la certezza che in un mondo della mafia come quello in cui vivevano loro vigeva la legge del più forte.
O addenti o vieni addentato, come si diceva in un film d’animazione di qualche anno fa. Mai parola furono più sagge, specialmente in quella occasione. Il padre di Jin, Meiji, era stato il Guardiano del Fulmine dell’ultimo Boss del Clan Takeuchi prima che questo andasse in rovina e si mettesse in proprio aprendo un negozio di generi alimentari esattamente sotto casa, tuttavia continuando ad allenarsi assieme a suo figlio mentre la moglie, totalmente estranea al mondo della mafia fino a quando non aveva sposato Meiji, rimaneva a guardarli, in continua apprensione per il figlio.
«Jin! Non ti distrarre!», urlò l’uomo nei confronti del figlio che sì, si impegnava, ma secondo la sua opinione era più incline a farsi distrarre dalle cose più piccole che lo circondassero.
«La distrazione può essere fatale!», e detto ciò affondò un’ultima volta verso il figlio riuscendo a colpirlo di striscio sul braccio con la lama della naginata che brandiva.
Jin si ritrasse continuando a masticare la gomma ed osservandosi il braccio sul quale iniziò, leggera, a sgorgare prima una, poi due gocce di sangue chiaro. Alzò lo sguardo verso il padre che gli si stava avvicinando e che, una volta raggiunto, gli posò una mano sulla spalla.
«Bel lavoro, ben fatto figliolo. Ora va di sopra e preparati per la scuola»
«Sì, papà. Ma la prossima volta cerca di andarci più leggero! Fa un male cane!», esclamò uscendo dalla stanza ed avviandosi verso il piano superiore. Sotto la luce bianca del bagno e di fronte allo specchio la ferita sembrava aver assunto un altro colore, così come la sua pelle. Scosse la testa e lasciò che i muscoli si rilassassero sotto il getto caldo dell’acqua della doccia. Poggiò una mano alla parete di fronte a lui. Nemmeno quella volta era riuscito a battere suo padre ma ce l’avrebbe fatta. Era sicuro che ce l’avrebbe fatta, prima o poi.
«Devi iniziare a darci dentro, Jin, o quando arriverà il momento non sarai pronto neanche lontanamente», gli aveva detto suo padre rivolgendogli uno sguardo durissimo che lui aveva ricambiato prima di vederlo nuovamente scomparire dietro la porta. Un leggero rumore gli raggiunse l’udito, sorpassando lo scrosciare dell’acqua. Spostò la tenda e notò la piccola Box verde quasi saltellare sul piano del lavello. Scosse la testa aggrottando leggermente le sopracciglia. Non era ancora il momento di entrare in azione. Non ancora.

 

*** Giappone. Namimori. Casa Saito ***

La penna disegnò l’ultima lettera della frase alla perfezione prima che Soichiro Saito, studente della Namimori High School, ultimo anno, la rinfilasse al suo giusto posto nel portapenne sulla scrivania ordinata.
L’ordine era sempre stato il suo punto debole, non sopportava di vedere le cose in disordine, caratteristica quasi sicuramente ereditata da sua madre, Harumi, nonché zia di Akane essendo sorella di sua madre.
E proprio pensando a sua cugina gli tornò in mente la sera precedente, quando aveva conosciuto Lilian.
Quando aveva conosciuto l’Undicesimo Boss della Famiglia Vongola. Entrambe le loro madri, Harumi ed Ayame, avevano fatto parte del
CEDEF, per questo loro due erano inevitabilmente collegati ai Vongola, oltre al fatto che sua cugina era la migliore amica di Lilian, il che rendeva le cose ancor più facili. Era stato strano ma piacevole incontrarla. A prima vista non si sarebbe detta un Boss di una famiglia mafiosa né tantomeno la figlia di Tsunayoshi Sawada, il Decimo dei Vongola. Ma così era, e riponeva fiducia in lei. Tanta fiducia.
Un leggero bussare alla porta lo risvegliò dai suoi pensieri. Mentre sistemava gli ultimi quaderni nella borsa scolastica sua madre entrò nella stanza, socchiudendo appena la porta.
«Tesoro, sei pronto?».
Lui sorrise. «Sì, mamma», disse raggiungendola dopo aver richiuso la zip.
«Sono pronto».
Uscì dalla stanza sorprendendosi che quel giorno sua cugina non fosse nel bel mezzo dell’atrio a salutarlo sbracciandosi ed urlando il suo nome. Sorrise a quel ricordo. Era sempre stato tipico di Akane essere sempre estremamente solare con tutti, indistintamente.
«Sicuro di non aver dimenticato nulla?», domandò sua madre una volta accompagnato il figlio sulla soglia di casa. Lui sorrise e fece un gran sospiro, stringendo maggiormente la borsa sulla spalla dove la Box stava iniziando ad agitarsi.
«No», rispose.
«Nulla».

 

*** Giappone. Namimori. Casa Isogai ***

«È tutto in ordine, Ivan? Come avevamo previsto?»
«Sì, Boss. Tutto come previsto dal piano. Sawada capitolerà presto per me ed allora la avremo nelle nostre mani. Sarà facile. D’altronde è soltanto una ragazzina e si sa che le ragazzine sono particolarmente inclini al fascino del nuovo arrivato, perciò…».
Una leggera, sinistra risata si fece sentire all’altro capo del telefono, facendo sorridere a sua volta il giovane.
Sapeva di star facendo un lavoro eccellente per il proprio Boss e non si sarebbe fermato di fronte a nulla.
«E che cosa mi sai dire sul suo allenamento?», domandò la donna. Lui alzò le spalle.
«Non molto in verità. Ciò che sappiamo per certo è che è seguita dal Tutor Reborn più altri tre membri degli ex Arcobaleno. Non penso siano una grande minaccia, conosciamo come agiscono», constatò con un’espressione di sufficienza che il suo Boss non potè vedere.
Ci fu un lungo periodo di silenzio tra i due. Entrambi stavano cercando un modo per effettuare il prossimo passo.
«Molto bene. Ivan, tienila d’occhio, e tieni d’occhio anche le persone accanto a lei. Non possiamo fallire, stavolta»
«Certo, Boss».
Detto ciò riattaccò la cornetta a si sistemò la giacca della divisa della scuola. Dannata scuola. E oltretutto quel beige sminuiva ciò che era. Un assoluto affronto al suo status sociale, nonché alla sua prestanza fisica.
Con uno sbuffo prese la borsa ed uscì dalla villa.
Lo sguardo duro e concentrato di prima si trasformò in un paio di bellissimi occhi azzurri di un ragazzo normale appena trasferitosi.

Camminò a lungo sempre con la stessa espressione, con lo stesso sorrisino appena accennato sul viso salutando chi incontrava per strada cordialmente, cosa che non era affatto abituato a fare, ma per preservare la facciata e la buona riuscita della missione questo ed altro. Una volta di fronte alla scuola notò subito la figura di Lilian assieme ad Akane nell’ingresso e le raggiunse.
«Buongiorno signore. Lilian…», disse semplicemente rivolgendole uno sguardo eloquente al quale lei rispose con un semplice: «Ciao» e si voltò, afferrando Akane per un braccio e portandola dentro.
Ivan scosse la testa ridacchiando brevemente e, piantando le mani nelle tasche dei pantaloni, entrò a sua volta.
Probabilmente sarebbe stato più facile di quanto avesse mai pensato.

 

 

 

 

 

PAP – Piccolo Angolo Pazzo

Ciaossu!
Evvaiii, finalmente il capitolo Diciannove! Dove il titolo potrebbe o non potrebbe riferirsi ai GF di Final Fantasy xD L’ho tenuto in sospeso per parecchio, davvero per tanto, sinceramente da prima di pubblicare il Diciotto. Ma alla fine ce l’ho fatta. Ammetto che è un capitolo un po’ strano, questo. Ci sono tanti cambi di luogo pur sempre restando nella stessa città e nello stesso lasso di tempo (più o meno tra le sette e mezza e le otto del mattino diciamo, difatti sono bene o male tutti in ritardo xD) e diversi nuovi personaggi. Questo semplicemente perchè se non li introducevo adesso non li introducevo più, ed ho pensato che fosse ora dato che siamo già al Diciannovesimo capitolo. Come si è potuto vedere proprio come in una scena di un film ho voluto creare la stessa situazione per tutti. La preparazione per la scuola, la Box che si agita e l’uscita di casa. Tranne che per Ivan che, per ovvie ragioni, una Box non ce l’ha… ancora. *muah*
Rileggendolo ammetto che non mi convince troppo ma… la parola, come sempre, sta soltanto a voi! **

Ma eccoci finalmente giunti al nostro consueto appuntamento con…
lo Spazio Ringraziamenti!
Ringrazio Marina in primis. Sono contentissima che ti sia piaciuto anche questo chappy e che soprattutto ti sia piaciuta la scena tra Reborn e Lilian. Per quanto riguarda la maledizione posso dire che l’unica cosa che mi è venuta in mente come espediente è che, una volta riportati in vita tutti nell’episodio 203 dell’anime, anche la maledizione si sia dissolta… in qualche maniera ^^” Lo so, lo so, non sta in piedi ^^” Uccidetemi pure xD Grazie mille di nuovo!
Ringrazio Dark_Glo in secondi. Waaa, ma che bello avere una nuova lettrice! Addirittura diciotto capitoli tutti in una volta!? O.O Ti stimo sorella *bassifondi di New York Stile* xD Eh, lo so, anch’io ci ho sofferto alquanto a far morire Tsuna ma… ma prometto che tra pochi capitoli ci sarà una sorta di riapparizione del nostro amato Decimo! ** Anche a te, grazie mille nuovamente! ** Spero che anche i prossimi capitoli possano piacerti!
Ed in ultima ma non per importanza la mia adorata Fel-chaaaaan!!! ** Mi sa che a sto punto Demetra ci vuole proprio per rimettere a posto ‘sto cretino di un Ivan -.- l’ho creato io e già non vedo l’ora di toglierlo di mezzo, sul serio xD Ad ogni modo, sono lieta che i risvolti proposti siano stati di tuo gradimento u.u Eheheh, non sei l’unica rimasta sorpresa da quella frase di Akane. Pure mia sorella ci è rimasta xD
è sempre bellissimo ripercorrere i momenti di vittoria dei capitoli precedenti! =)” Parole sante u.u ** (Anche se a te con Dem viene meglio hihi Giuro u.u). *sospiro di sollievo* Mamma mia grazie ** Sul serio, riguardo al pezzo tra Adelheid e Julie non ero per niente convinta e sono stata anche tentata di cancellarlo e pubblicare il capitolo senza, ma era necessario ^^” Eh, l’arrivo del misterioso cugino che adesso abbiamo scoperto che ruolo avrà, assieme a tutta quest’altra bella gente introdotta tutta in una volta! xD Come sempre, spero che anche questo ti sia piaciuto caVaaa!! *-* Bacioni!

Con ciò chiudo anche questo *altro sospiro di sollievo*. È andata xD
A presto con il Ventesimo capitolo!! **
xoxo Niki

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Capitolo 21
*** 20 . New classmates ***


20 . New classmates

 

Era iniziata come una giornata normale… più o meno. Insomma, un allenamento di prima mattina non penso che farebbe piacere a nessuno.
Lasciando la manica della giacca di Akane la guardai sorridendole come per scusarmi ed aprii la porta scorrevole.
«Scusi il rit-…», dissi, ma mi bloccai immediatamente guardandomi attorno come se mi trovassi su un altro pianeta.
Oltretutto la prima cosa che notai fu che Ivan era arrivato prima di noi, il che mandava a quel paese ogni legge della fisica.
Poi ricordai che a scuola c’era l’ascensore… sì, piuttosto logico.
«Okay… questo che diavolo significa?», sbottai rivolta a Reborn, appoggiato alla scrivania a braccia conserte con il suo solito charme da uomo misterioso ed irraggiungibile, mentre Akane mi sorpassava andando a sedersi sul suo banco e posandovi sopra anche la borsa, guardando prima me e poi il mio Tutor, come se stesse aspettando che proprio quest’ultimo aprisse bocca.
Il silenzio calò pesantissimo su di noi ed alla fine fu una ragazza dai capelli insolitamente chiari a parlare.
«Come ma… non sa nulla?», domandò sgranando i grandi occhi rossi. Rossi? No, sicuramente era uno scherzo delle luci al neon. Sbattei un paio di volte le palpebre e tutti gli sguardi furono in un decimo di secondo puntati su Reborn.
«Sa ciò che deve sapere», rispose lui.
Lasciai che la borsa mi cadesse dalla spalla di proposito tanto per far notare a tutti che c’ero anch’io, là dentro, dato che sembravano essersene momentaneamente dimenticati.
«Non parlate come se io non ci fossi!».
Oltre alla sottoscritta, c’erano otto persone in quella stanza, sette delle quali mi guardarono dritta in faccia ed una – Reborn, naturalmente – lo fece da sotto il cappello.
Come sempre.
Stavo iniziando a pensare di tagliuzzarlo in mille striscioline finissime e spedirglielo per posta.
«Qualcuno può spiegarmi qualcosa? Dove sono finiti i miei compagni di classe? E tu come diavolo hai fatto ad arrivare prima di me?», esclamai rivolta a Reborn, ancora tranquillamente poggiato alla scrivania che sarebbe dovuta essere destinata al professore della prima ora e non… ad un Tutor con il compito di prepararmi a diventare un Boss della mafia!
«Esistono cose chiamate automobili», rispose sintetico. Cosa che mi fece leggermente saltare i nervi. Mi ero alzata pensando che oltre all’allenamento non ci sarebbe stato nient’altro di insolito, ma a quanto pareva mi ero sbagliata alla grande.
Mi appoggiai allo sguardo della mia migliore amica che si stava risistemando la coda tenendo l’elastico tra i denti e rivolgendomi un piccolo sorriso nello stesso momento, così come stava facendo Ray alla stessa maniera.
Non stavo capendo un accidenti di niente!
Ed il vedere Ivan seduto in fondo alla classe sugli scaffali bassi che avevamo allestito per i progetti artistici non aiutò per niente. Specie se il suddetto mi stava lanciando uno sguardo duro come il marmo, che mi intimidì e non poco. Mi costrinsi a forza a guardare da un’altra parte e mi avvicinai lentamente al mio Tutor, le scarpe che ticchettavano leggermente sul pavimento.
«Sent-…».
La sua mano alzata in segno di fare silenzio mi bloccò.
«So già che cosa hai intenzione di chiedermi. Non ti farò aspettare oltre», disse abbassando la mano e raddrizzando la schiena, guardando tutti i presenti e facendo brevi cenni mano a mano che diceva i loro nomi.
«Akane e Ray li conosci già, immagino. Saranno rispettivamente il tuo Guardiano del Sole e della Pioggia».
Ed in quel momento compresi perché il giorno precedente nel quartiere commerciale mi erano sembrati tanto diversi, tanto distanti da me ed allo stesso tempo sempre loro.
«Maya e Georgia Takeuchi. Nuvola e Tempesta. Sono le figlie di un importante membro di una Famiglia a noi alleata».
Le ragazze fecero un cenno di saluto con la mano al quale io risposi con un sorriso un po’ tirato. Ero certamente a conoscenza della presenza dei Guardiani attorno al Boss.
Così come mio padre aveva avuto i suoi, io avrei avuto i miei ma incontrarli tutti così di colpo era un po’ destabilizzante.
«Passiamo a Jin Fujihara, tuo Guardiano del Fulmine».
Sempre continuando a masticare la gomma mi rivolse un sorriso ed un cenno con il capo. Okay, il Guardiano del Fulmine di papà era stato… Lambo. Bambino di cinque anni la maggior parte del tempo, che all’occorrenza poteva scambiarsi con il suo sé stesso di quindici o venticinque anni.
Scossi mentalmente la testa – non chiedetemi come – per togliermi l’immagine delle fotografie dove Lambo era soltanto un bimbo che non arrivava nemmeno al lavello senza sgabellino. E che, obiettivamente, per riuscire a “contribuire alla causa” doveva entrare in un bazooka. Ok, basta. «Suo padre è stato il Guardiano del Fulmine dell’ultimo Boss del Clan Takeuchi, ossia il padre di Maya e Georgia», spiegò Reborn lasciando che il ragazzo e le due sorelle si scambiassero uno sguardo che forse si potrebbe definire complice.
Forse.
«Soichiro Saito. Guardiano della Nebbia. L’hai già conosciuto, è il cugino di Akane, ma ritengo opportuno metterti al corrente del fatto che sia la madre di Soichiro che la madre di Akane hanno fatto parte del
CEDEF. Questo spiega la loro connessione con i Vongola», disse mentre il sopracitato Soichiro mi salutava con un elegantissimo cenno del busto.
Tutta quella formalità da parte sua mi metteva in soggezione, ma confidavo nel fatto che a lungo andare quella sensazione sarebbe scomparsa.
O almeno speravo.
Ed il silenzio calò di nuovo, inesorabile, nella classe che fino al giorno prima era stata piena di chiacchiere, risa, battibecchi e voli di aeroplanini di carta.
E così tutti loro erano i miei Guardiani. Istintivamente tirai un gran sospiro. Quelle sarebbero state le persone che mi avrebbero difesa a costo della vita e che io avrei difeso a mia volta a costo della vita. Ora come ora sentivo di non provare il sentimento esatto che avrei dovuto provare tranne che per Akane e Ray. Confidavo nel fatto che ci sarei riuscita.
«Scusate?».
Una mano si levò dal fondo della classe ed Ivan scese dagli scaffali, ficcando le mani nelle tasche dei pantaloni della divisa della scuola. Incredibile che, con il suo temperamento, avesse deciso di indossarla comunque. Venne esattamente dritto verso me e Reborn dalla fila centrale tra i banchi. Non avevo dimenticato ciò che era successo in biblioteca né come mi aveva fatta sentire né tantomeno la reazione che l’anello aveva avuto.
Ma non potei fare a meno di arrossire leggermente quando il suo sguardo si piantò insistentemente nel mio.
E che cavolo c’era da guardare!? Voglio dire, mica ero Miss Universo! E se continuava così l’avrei denunciato per stalking. Quando si fermò di fronte a me guardando solo me mi sembrò di essere di nuovo in biblioteca, con la schiena poggiata sulle coste dei libri antichi o meno che vi riposavano. Non vidi nemmeno la sua mano arrivare al mio collo fino a quando non sentii il freddo familiare della catenina spostarsi. Prendendola tra due dita, l’aveva alzata di modo tale da scoprire l’anello che portavo da quando Reborn me l’aveva consegnato. Dopo avermi mezza ammazzata sul colpo, guardò con nonchalance il mio Tutor.
«E questo come lo spieghiamo?», domandò, allontanandosi e finalmente lasciandomi libera di respirare. Quando l’anello tornò sul mio petto aveva una pesantezza diversa. Di nuovo. Cosa che mi insospettì particolarmente. Avrei dovuto parlarne con Reborn, anche se forse avrei trovato la soluzione da sola.
«Esattamente come in biblioteca…», sussurrai toccandolo attraverso la stoffa della camicia bianca.
«Come?»
«Ehm, nulla… pensavo a voce alta. Però Ivan ha ragione e… no, un secondo…», dissi rivolgendomi proprio ad Ivan, appoggiato ad uno dei primi banchi.
«Tu che cosa ci fai qui?», domandai riducendo gli occhi a due fessure, fissando il ragazzo di fronte a me. In effetti lui non aveva motivo di stare là. Non aveva niente a che fare con la mafia. Non che io sapessi almeno. Ma le parole di Reborn furono puntuali nel dissipare ogni mio dubbio al riguardo.
«È merito di Innocenti. O meglio, del nipote di Innocenti», disse nominando una persona di cui io effettivamente non avevo la minima idea di chi fosse.
«Innocenti è stato uno dei creatori del Sistema
CAI di tuo zio. Suo nipote ha seguito le sue orme ed ha scoperto un nuovo tipo di Fiamma. La Fiamma dell’Ombra. E la affidiamo ad Ivan», decretò infine tirando fuori dalla tasca un anello e lanciandolo ad Ivan che lo afferrò con una mano sola. Da quella distanza potei soltanto vedere che, dove sul mio anello c’era lo stemma dei Vongola, sul suo c’era semplicemente… il nulla. Un grande bollo nero.
«Un attimo, un momento solo, perché proprio ad Ivan? Voglio dire…»
«Perché ho delle conoscenze piuttosto altolocate nel mondo della mafia. Potranno essere d’aiuto. E senza dubbio potrò aiutarti in prima persona anche con lo studio. Se proprio vuoi saperlo non basta la passione per conoscere Shakespeare, tanto per dire», sibilò sapendo perfettamente che mi avrebbe punta nell’orgoglio con quella affermazione su Shakespeare.
«Stai insinuando che non conosco abbastanza Shakespeare?», chiesi, anche se in effetti non mi stavo alterando per quello, quanto più che altro per l’aria di superiorità che aveva sempre nei confronti del mondo intero. Se avrei dovuto essere il suo Boss avrebbe dovuto iniziare a cambiare atteggiamento nei miei confronti, altrimenti non si ragionava.
«In effetti… sì. Ma non siamo qui a parlare di questo, no?», domandò retoricamente, fissandomi con un sorrisetto strafottente che mi fece venir voglia di prenderlo a schiaffi.
Chi diavolo si credeva di essere per arrivare da chissà che cavolo di posto nel mondo e dettare legge? O comunque in ogni caso pensare di buttarmi a terra così? Rimanemmo a fissarci fino a quando Akane non spezzò il silenzio pesante che si era andato a creare.
«Ooookay, direi che può bastare così, eh? Abbiamo capito che voi due secchioncelli non potete stare a meno di quattro metri l’uno dall’altra», disse proprio nel momento in cui suonò la campanella di fine ora.
«Bene. Non chiedo di meglio», dissi guardando tutti un’ultima volta e lanciando uno sguardo ad Ivan prima di scomparire dietro la porta ed avviarmi per il corridoio. Andavamo male se sarebbe dovuto essere il mio Guardiano. Molto male.

Non mi curai del fatto che la campanella segnasse sì la fine di una lezione ma anche allo stesso modo l’inizio immediato di un’altra. Semplicemente salii in silenzio e lentamente le scale che portavano al tetto della scuola e là mi avvicinai alla rete di protezione osservando quanta grazia avevano i petali di ciliegio che svolazzavano in aria ed allo stesso momento combattendo contro i pensieri che mi affollavano la mente in quel momento. La maggior parte, per mia disgrazia, riguardava il signorino Ivan. Forse ero stata troppo dura con lui. Certo pure lui avrebbe potuto evitare quella frecciatina su Shakespeare ma in verità me ne fregava davvero molto poco. Sapevo di non essere una delle studiose più famose sullo scrittore.
«Tutta sola sul tetto di una scuola. Fa tanto ‘istinto suicida’ lo sai?».
Non ebbi bisogno di voltarmi per riconoscere quella voce.
«Fossi rimasta un altro minuto in quell’aula mi sarebbero venuti sul serio, gli istinti suicidi. Anche per colpa tua».
Ivan mi comparve improvvisamente accanto guardando me che guardavo i petali di ciliegio mulinare nell’aria. Ad un certo punto il suo sguardo diventò impossibile da ignorare e dovetti voltarmi ed affrontarlo.
Okay, probabilmente “affrontare” non era il termine giusto, ma fa niente.
«Senti, mi dispiace per prima».
A quelle parole sbattei un paio di volte le palpebre, incredula, e lo fissai. Era stato davvero lui a dire ciò? Un semplice “mi dispiace” che bastò per farmi cambiare almeno un po’ opinione nei suoi confronti. O quantomeno a farmi capire che non era uno stupido automa creato apposta per rovinarmi la vita ogni giorno che passava.
«Già. Immagino però che anch’io non sia stata di grande aiuto rispondendoti in quel modo», ammisi sorridendo amaramente. Dall’espressione che gli vidi fare capii di averlo preso alla sprovvista e feci spallucce.
«Beh, che c’è? Mi hanno insegnato ad ammettere i miei errori. E lo faccio».
Anche perché trovavo perfettamente inutile fare il contrario e volersi ostinare continuamente a voler avere ragione a tutti i costi. Insomma, se non la si aveva non la si aveva, punto. E che non provasse mai più a dirmi che non conoscevo Shakespeare.
«Beh, è notevole. Non conosco molte ragazze di sedic’anni…»
«Diciassette», lo interruppi io. «Diciassette anni»
«Oh, ehm… ok, di diciassette anni che ammettano di sbagliare», si corresse. Io tornai a guardare di fronte a me il mondo diviso in rombi dalla rete di protezione. Mi voltai dandole la schiena e mi lasciai scivolare fino a quando non mi ritrovai seduta a terra. Ivan mi seguì poco dopo.
«Né che ammettano di avere un casino in testa», disse probabilmente riuscendo a decifrare il mio sguardo. Non mi posi subito il problema di come diamine ci fosse riuscito. Non erano tante le persone che riuscivano a capirmi semplicemente da uno sguardo e quella cosa mi colpì, anche perché spesso non ci riusciva nemmeno mia madre.
«Ti va di parlarne con il tuo peggior nemico?», domandò con una gentilezza che non mi aveva mai rivolto. Lo guardai con un mezzo sorriso per una volta davvero sincero, sorprendendomi di quanto fosse facile stare con lui così, sul tetto della scuola semplicemente a parlare.
«Beh sai… essere destinata ad essere un Boss della mafia a soli diciassette anni non è proprio il massimo», sorrisi. D’altronde lui poteva capirmi almeno un po’, facendo parte a sua volta in un modo o nell’altro del mondo della mafia. Di qualsiasi mafia si trattasse. Senza nemmeno rendermene conto le parole cominciarono a riversarsi come un fiume dalle mie labbra e mi trovai a parlare con lui di mio padre, di come l’avevo perso, del Clan che ben presto ci avrebbe attaccati e del fatto che sarei dovuta essere pronta per allora.
«E ancora non lo sono neanche lontanamente», sbuffai ricacciando indietro le lacrime di rabbia che avevano cercato di farsi strada per i miei occhi ma che non c’erano riuscite. Per fortuna, perché non volevo che lui mi vedesse piangere. Altrimenti avrebbe avuto un altro pretesto per prendermi bellamente per i fondelli, perché mi rendevo conto che quello che stavamo avendo là sarebbe stato soltanto un momento nel tempo che avremmo passato assieme. Una stella solitaria di serenità in un circolo vizioso di caos continuo. Ivan si alzò sospirando e dal basso mi sembrò ancora più alto di quanto già non fosse. Dopodiché mi tese la mano ed io la presi dopo un secondo di incertezza.
«Lo sarai. Credimi. E ti aiuteremo. Sai che puoi contare su tutti noi», disse deciso ma con una dolcezza negli occhi che mi fece dimenticare che l’avevo odiato dal primo momento che l’avevo visto, con quell’aria strafottente, quel passo sicuro, quella faccia da schiaffi, quegli occhi così verdi da sembrare quasi finti…
Scossi la testa abbassando lo sguardo.

Dannazione Lilian! Va bene, sei un’adolescente, ma non ti puoi permettere di farti incantare da un paio di occhi verdi!
«Ehm… credo che… dovremmo andare, no?», domandai retoricamente allontanandomi da lui come una qualsiasi ragazzina innamorata. Cosa che NON ero, chiaro? No, precisiamolo eh. Precisiamolo e sottolineiamolo.
«E fa attenzione, Carter. Domani potresti diventare il mio nuovo bersaglio per il tiro a segno». [cit.]
Dato che con quello di carta avevo fatto fiasco…

Incredibile come in un giorno solo si potesse fare amicizia con così tante persone diverse. O quantomeno conoscenza. Prima della fine delle lezioni avevo parlato praticamente con tutti e portato il nostro legame Guardiani/Boss ad un primo livello. Quantomeno adesso riuscivo a ricordarmi i nomi di tutti, per questo il pomeriggio potei presentare tutti a mia madre prima di scendere nella sala d’addestramento dove Reborn e Fong osservavano Colonnello e Lal affrontarsi in un combattimento senza esclusione di colpi. Non per nulla la prima cosa che ci aveva dato il benvenuto quando eravamo entrati era stata un’esplosione giunta da un congegno non meglio identificato.
«Oh, eccovi», disse Reborn assolutamente pacato e tranquillo attirando l’attenzione anche dei miei altri due Tutor che ci raggiunsero immediatamente. In modo molto più veloce Reborn fece nuovamente le presentazioni.
«Bene, ragazzi. Diciamo che quello di oggi sarà un allenamento leggermente diverso da quello che tu, Lilian, hai affrontato fino ad ora», disse rivolgendosi direttamente a me.
Qualche minuto più tardi ci ritrovammo tutti seduti in cerchio, gli occhi chiusi e gli anelli al dito. Fong camminava in circolo, le mani intrecciate dietro la schiena, spiegandoci esattamente con voce flebile e morbida che cosa avremmo dovuto fare. Concentrazione era la parola d’ordine, a farla breve. E così feci. Mi concentrai ad occhi chiusi, tentai di visualizzare una fiamma arancio tenue che si sprigionava dall’anello, una fiamma che mi apparteneva di nascita ma che anch’io come mio padre avrei dovuto imparare a controllare e sviluppare. Un brivido mi attraversò la pelle mentre l’immagine di papà nella mia stessa posizione si materializzava nella mia mente. Non era nulla, semplicemente un’immagine, ma dovette aiutarmi davvero parecchio. Sentii improvvisamente un gran calore che tuttavia non bruciava partire dalla mia mano per poi raggiungere il mio braccio e tutto il mio corpo, tornare indietro ma lasciare comunque dietro di sé quel piacevole calore e quella sensazione di forza che non se ne andarono non appena aprii gli occhi trovandomi di fronte una piccola fiamma sfavillante sulla sommità dell’anello. Guizzava sopra il metallo come fosse stata viva e sembrava quasi darmi il benvenuto. Sorrisi alzando poi lo sguardo verso i miei Guardiani. Tutti c’erano riusciti ed osservavano la fiammella nello stesso modo in cui la osservavo io. Tutti tranne Ivan, la cui fiamma era l’unica ad essere completamente nera. Era tuttavia un nero che non spaventava. Un nero che anche nel suo colore sinistro poteva risultare positivo.
Fong mi posò le mani sulle mie spalle e mi sorrise nel suo solito modo molto, molto tranquillo, guardando poi anche tutti gli altri.
«Molto bene. Ci siete riusciti tutti al primo tentativo e ciò non può essere che notevole»
«Già, però c’è ancora uno step da affrontare prima di iniziare il vero allenamento», prese la parola Lal facendo un cenno a tutti noi. Cenno che io non compresi fino a quando non vidi tutti alzarsi ed andare verso le loro borse, dopodichè tornare con delle piccole scatoline cubiche dello stesso colore delle loro fiamme. Le osservai sentendomi improvvisamente estranea quasi quanto Ivan. Eravamo gli unici a non avere una Box tra le mani. Reborn la consegnò subito a lui – una piccola Box nera – poi si avvicinò a me, inginocchiandosi e porgendomene una.
«Questa è la tua», disse. Presi la piccola scatolina delicatamente, stupendomi della sua leggerezza ma prima che potessi fare qualsiasi altra cosa lui me ne porse un’altra, esattamente uguale a quella che avevo tra le mani, ma dall’aria più vissuta.
«Questa è…», deglutii guardandolo negli occhi, sentendomi come una bambina di fronte ad un professore universitario. Non disse nulla, si limitò a rialzarsi e ad allontanarsi. Uno alla volta tutti aprimmo le nostre Box. Dalla Box rossa di Maya uscì una maestosa pantera nera che le si accucciò accanto come fosse un gattino. Da quella viola della sorella, Georgia, si materializzò un bellissimo pavone bianco. Fu la volta di Jin, dalla cui Box verde fuoriuscì una bellissima anguilla trasparente volteggiante nell’aria che incredibilmente sembrava non aver bisogno d’acqua per sopravvivere. Dalla Box blu di Soichiro apparì un grande lupo bianco dagli occhi azzurrissimi mentre dalla Box di Ivan esattamente il contrario, un maestoso lupo nero. Dalla Box gialla di Akane apparve tra le sue mani un piccolo adorabile usignolo cinguettante. Ray ce la fece subito, materializzando dalla sua Box azzurra un cavallo bianco dalla criniera e dalla coda nere con dei curiosi riflessi blu all’interno. C’era da aspettarselo dato che sapevo che aveva praticato equitazione per diversi anni, da bambino. Fu il mio turno. Feci un gran sospiro e mi concentrai nuovamente per far scaturire la fiamma dall’anello, dopodichè lo misi in contatto con la Box che tremò leggermente tra le mie dita, facendo materializzare subito dopo un gattino che mi osservò dal basso, miagolando. Mi abbassai sorridendogli ed accarezzandogli il manto color sabbia, dopodichè mi concentrai sull’altra Box. Seguendo lo stesso procedimento che avevo attuato con l’altra la sentii tremare un pochino di più prima di far uscire…
«N… Natsu!?».

 

 

 

 

 

PAP – Piccolo Angolo Pazzo

Ciaossu!
Bene bene, eccoci arrivati anche al Ventesimo capitolo. Capitolo che immagino possa essere il capitolo conclusivo del “primo arco” se vogliamo. O la fine del primo tempo, ecco. Come avete potuto notare c’è stata una svolta, Lilian ha conosciuto tutti i Guardiani, tutti sono riusciti a creare le rispettive fiamme e ad aprire le rispettive Box. Anche Ivan, che con la sua Fiamma d’Ombra (lo ammetto, me la sono inventata di sana pianta, ma volevo qualcosa che potesse essere relazionabile con ciò che lui effettivamente è) non è proprio felice felice come abbiamo potuto vedere. A proposito di Ivan, sembra che lui e Lily stiano andando un pochino più d’accordo. Vedremo che cosa succederà nei primi capitoli del secondo arco!

Ed ora l’ultimo spazio ringraziamenti del primo arco!
Ringrazio Glox (hihi) in primis. Certo che diciotto capitoli tutti in una volta è una bella maratona! Ma sono contenta che la fic ti piaccia così tanto! E come potrei non esserlo? I “contenuti” delle Box sono stati svelati e… wow, non pensavo che Ivan potesse piacere a qualcuno xD Pure mia sorella lo odia a morte, ma sono comunque contenta di aver creato un cattivo che possa piacere **
E naturalmente non posso non ringraziare la mia Fel-chan! Eh si, in effetti possiamo dire che Akane e Ray sin dall’inizio sono stati una certezza. Insomma, non potevo certo lasciar fuori dai giochi i migliori amici di Lily, no? Per quanto riguarda gli Anforti… diciamo che momentaneamente non ho in programma di dar loro un punto di rilievo nella storia, ma non si sa mai. Sono contenta che ti piacciano sia Jin che Soichiro, ma in particolare quest’ultimo. Non posso dire di aver fatto uno studio vero e proprio sul suo personaggio, ma l’ho pensato a lungo. Non che con gli altri non l’abbia fatto, ma Soichiro è stata davvero una sfida. Spero di essere riuscita a renderlo come avrei voluto ^^ Per quanto riguarda Ivan/bersaglio per il tiro a segno lo potrebbe davvero diventare se non la pianta con sto atteggiamento, anche per ciò che Lilian ha detto, citando te hihi Grazie mille mia cara! Come sempre, spero che anche questo ti sia piaciuto!

E a tutti voi, appuntamento al prossimo capitolo! Che non ho ancora scritto xD Mi ci metto, giuro u.u
A presto!
xoxo Niki

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