Morte Sfiorata

di Flower of Eternity
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo Secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo Terzo ***



Capitolo 1
*** Capitolo Primo ***



Se spazio e tempo, a detta dei saggi,
son cose che non possono essere,
la mosca che vive un solo giorno
vive quanto noi.
Ma intanto viviamo finché possiamo,
mentre vita e amore sono liberi,
poiché il tempo è tempo, e fugge via
per quanto i saggi dissentano. *

Il tuo corpo dissacrato, martoriato, abbandonato. Il tuo corpo, da me desiderato, bramato, agognato.
Il tuo corpo.
Giace. Giaci. Cucciola di volpe; piccola creatura così lesta, così letale, così astuta. Qui, innanzi a me, terribile quadro grondante orrore, non più riapri i grandi occhi, scrutandomi con intelligenza. Non più sorridi beffarda, non più storci le belle labbra, criticandomi. Non più. Mai più.
L’uomo. Così infinitamente stupido, questo uomo, così immondo nella sua convinzione d’avere sempre del tempo a disposizione; dovresti sputare in faccia a codesto uomo, che s’inginocchia senza respiro di fronte a te, dovresti urlare lui che a nulla servono le lacrime, a nulla le carezze, a nulla il bacio sfiorato su una tua mano fredda come la pietra. Bianca come il marmo. Immobile, perché immobile.
Hai sofferto, vero? Lo squarcio, terribile, sanguinoso, inguardabile, che si spalanca sul tuo fianco è una orribile, eterna testimonianza dei tuoi ultimi istanti; terribile come il volto distorto, gli occhi chiusi, che, attraverso le palpebre abbassate, osservano la morte in faccia.
Dov’ero io, mentre accadeva questo? E dov’è il responsabile di tutto ciò? E dov’è l’incantevole colorito delle tue gote?
Non sorriderai mai più. Eri bella, quando sorridevi. No, che idiota. Eri meravigliosa, angelica, irritante, scandalosamente attraente quando sorridevi. Non te l’ho mai detto. Rimandavo. Sapevo di avere tempo…
Ti stringo a me. Cosa posso fare, mio dolce cigno, se non stringerti? Ondeggio, privo di contatti con la realtà, cullandoti pateticamente. Mugolo qualcosa, qualcosa di certamente molto stupido. Non sono mai stato bravo con le parole; tu eri brava.
Io… io comunicavo con le spade. Io cantavo poesie d’amore con le mie lame, proteggendoti a costo della vita. Io perdevo le mie serate bevendo ed evitandoti, e tu sei morta. Sì, morta. Un’idea che si conficca in me, trafiggendomi il cuore, distruggendomi l’anima, annullandomi ogni prospettiva.
Il tuo sangue macchia la stoffa dei miei abiti. Si mescola al mio, in una promessa d’amore mai pronunciata, né tanto meno mai appresa. Un fantasma di una promessa, ecco, che ebbe a malapena il tempo di vivere dentro di me, e mai di sfiorare te.
Un respiro? Un...?
Sbarro gli occhi, sorpreso, allontanandoti bruscamente da me, fissandoti con sguardo febbrile. Il tuo petto, il tuo bel petto, così invitante… l’ho sentito sollevarsi contro di me…? C’è un cuore che batte, lì dentro? C’è ancora? Nami…
Non è possibile. Il tuo sangue. Il freddo pallore del tuo corpo. Come puoi...?
Simile ad un demone, simile ad una creatura composta solo di ombre e di incubi, ti sollevo, oscuro in volto, ancor più tenebroso nel cuore. Ti sollevo, leggera e delicata come una libellula, e so che potrei romperti solo stringendo più del necessario. Gli dei non vogliano; se ci sono degli dei, che non vogliano.
Se ci sono, che permettano che la mia corsa disperata non sia vana. Che assistano questo uomo distrutto, che preservino l’alito di vita in quella che segretamente considera la sua donna.
Vorrei poter volare.

I fiori che ti mandai quando la rugiada
tremava sul pergolato
stizzirono prima che l’ape volasse
a succhiare la rosa canina.
Ma intanto affrettiamoci a coglierne ancora
e non rattristiamoci a vederli languire,
e per quanto i fiori della vita siano pochi
possano essere divini.


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Capitolo 2
*** Capitolo Secondo ***




La bella di notte si apre alla falena,
la nebbia striscia su dal mare;
un grande uccello bianco, un niveo gufo.
aleggia dall’ontano.

Salva. Per un pelo. Per un soffio. Strappata a viva forza dall’ingordigia della morte, riportata con determinazione da noi. Da me.
Vacillo, reso ubriaco dal sollievo. Devo poggiarmi alla balaustra della nave, devo stringerne forte il legno, devo lasciar vagare i miei occhi verso il mare più oscuro della notte che ci circonda, eterna e dolce culla per marinai e pirati. Non posso parlare.
Fisso come uno stupido – e cosa altro potrei essere? Uno stupido, fatto e finito. – la piccola creatura, la renna medico di bordo, e annuisco alle sue spiegazioni; ma non capisco nulla. Una parola sola ronza nella mia mente, portatrice d’una magnifica sensazione che si allarga a macchia d’olio, simile al piacere d’essere inondato dal calore del sole: salva, salva; salva.
Avverto solo marginalmente il sollievo che coglie anche gli altri. Chi cade a terra, chi quasi cade in mare, chi finalmente riesce a respirare. Chi smette di piangere. Siamo tutti malconci: ognuno ha dovuto combattere, oggi. Eppure nessuno ha ancora azzardato una richiesta di cure al dottore.
“… per morire dissanguata. Se Zoro non fosse…”
Se io non fossi stato troppo impegnato con il solito, sanguinario nemico di turno; se io avessi chiesto di accompagnarla. Se io sapessi come avvicinarla. Se, se, se. Anche con Kuina era così, vero? Se io riuscissi a batterla. Se potessimo girare il mondo assieme. Se non fosse morta.
“L’hai salvata.” Chopper mi fissa con occhi umidi d’emozione; c’è chi mi abbraccia, riconoscente e felice. C’è chi vorrebbe abbattere con estrema violenza la porta della stanza di Nami, entrare, toccarla, cercare di convincersi che è davvero ancora tra noi. Ah, sì: questo sono io a volerlo.
E vorrei anche scappare. Vorrei rubare una scialuppa, e donarmi all’ignoto del mare, per non essere mai più costretto ad incrociare il suo sguardo: dov’eri tu, mentre io venivo quasi uccisa?, questo mi domanderanno i suoi occhi, la prima volta che potranno nuovamente incrociare i miei. Questo mi diranno, e io non sono disposto a vederlo. E, se non me lo diranno quegli occhi, allora sarà lo sguardo che mi rivolgerà la mia stessa immagine riflessa a chiedermelo. Fuggire è inutile, in effetti.
Se Kuina non fosse morta, se la mia determinata avversaria del cuore non avesse incrociato quella mortale malattia, certamente ora io sarei con lei; ma non è così. E come posso io, superstite di quell’infanzia così piena di felicità, cercare amore in un’altra donna? Eppure, come posso continuare a bramare Lei, dal silenzio del mio segreto? Come posso permettere che ancora una volta sfugga dalle mie dita, perdendosi nell’oblio?
Vedete, sono uno stupido: solo gli stupidi riescono a porsi più di due domande stupide in un secondo netto.
“E’ cosciente. A tratti.” Chopper siede esausto contro la parete, e mi rivolge un cenno gentile. Piccolo dottore, medico miracoloso, ti devo la vita. La vita di Nami: vale assai più della mia. Anche se nessuno lo sa. “Vuole vederti.”
“Perché?” C’è una nota di panico nella mia voce; la avverto solo io, forse, ma c’è.
“Le hai salvato la vita: vuole ringraziarti.”
Vorrei morire.


Più bianchi, amore, i fiori che tieni,
della bianca nebbia del mare;
non hai fiori dei tropici più sgargianti,
vitali e scarlatti, per me?

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Capitolo 3
*** Capitolo Terzo ***



La sera, le luci, il tè!
Bambini e gatti per strada;
depressione incapace di affrontare
questa cospirazione tetra.

Sei ancora così pallida. Come hai potuto sopravvivere? Creatura proveniente dall’aldilà, che mi fissi con un stanco, debole sorriso, le bianche gote illuminate dal tremulo riflesso della lampada. Invece che doverti sopportare sdraiata in una bara di vetro, con rossi fiori tra le mani, Biancaneve circondata da piccoli nani in lacrime, assaporo la grazia che mi è stata concessa: di ricevere questo tuo meraviglioso, vivo sorriso. E non lo ricambio.
Seduta, poggiata contro lo schienale del letto, giovane ma stanca regina, immersa nel familiare caos della tua stanza. Il copriletto, colorato come la tua anima, s’increspa, ripiegandosi all’altezza della tua vita. Sotto la semplice stoffa di quel pigiama, io lo so come lo sai tu, vi sono strati di bende, e una ferita che ha fallito il suo maledetto compito. Sei più sciupata del solito; eppure bellissima.
Su, bestione. Sono tre passi, non di più. Allontanati da quell’uscio, non fissarla come se potesse prendere fuoco e ucciderti all’istante, avvicinati a lei, accidenti a te! Vigliacco. Schifoso codardo.
Ehi. Nessuno può insultarmi così, neppure io stesso. Svogliatamente, mi stacco dalla porta che silenziosamente ho appena richiuso alle mie spalle, isolandoci inconsciamente dal resto della ciurma, e procedo verso il letto. Lei alza il capo, osservandomi con infinita stanchezza, i rossicci capelli scarmigliati e sciupati.
“Ciao.” Un soffio di fiato. Lo stesso che ha testardamente conservato in sé, pur con un fianco aperto in due, lo stesso che mi ha fatto miracolosamente sperare nella disperazione più nera.
“Com’è successo?” Borbotto; non trovando una sedia dove accomodarmi, mi devo accucciare, per evitare che lei si sforzi a sollevare il capo per guardarmi. Sono così alto.
“Mi sono distratta.” Non appena sono alla sua altezza, ella si rilassa contro lo schienale, osservandomi con sguardo placido. Così esausta, così debole. Ma così tranquilla, ora che mi ha accanto. Sai che vorrei stringerti a me, e mai più liberarti dalla presa? Puoi leggerlo nel mio sguardo? “Volevo ringraziarti…”
“Non essere stupida.” Volto il capo, cercando rifugio in qualsiasi cosa che non siano i suoi occhi. Ne ho quasi un sacro terrore, di quelle sue attente e vivide pupille pronte a scrutarmi, così come rabbrividisco all’idea di schiuderle l’immensa matassa di confusioni che celo in me.
Una cosa fredda e liscia mi sfiora gentilmente il viso, in una tenera carezza. E’ la sua mano.
Che scena fuori dalla realtà. Io, quasi in ginocchio innanzi alla mia dama, e lei, che, riconoscente, allunga le sue dita, sfiorando con infinita dolcezza il mio rude volto. Ci manca solo il drago stecchito da qualche parte. E il gran finale con bacio appassionato.
“Non voglio essere stupida… ero morta, o quasi. Mi hai salvata.” Si giustifica. E sa benissimo che non necessita di alcuna spiegazione o giustificazione, sa benissimo che quello è il mio modo di fare, e sorride intenerita al pensiero.
“Mi dispiace di non averti protetta.” Buttò lì, non sapendo bene da dove mi sia uscita. La sua mano non si stacca dal mio volto, e, pur essendo gelida come il ghiaccio, mai tocco ha saputo donarmi più calore. Lei ride tanto sinceramente quanto sommessamente della mia affermazione, tenendosi con prudenza il fianco ferito. “Cosa c’è di divertente?” Indago, più scontroso del previsto.
“Niente.” Si sistema le coperte, con lenti e deboli gesti, ma non perde la sua ilarità.
“E allora non ridere.” Taccio. Il ricordo di quello che avevo creduto il suo cadavere mi sfiora con sadica malvagità, e lo scaccio con forza. Smettiamola. E’ viva. E’ con me. Nessuno me la strapperà più. E io sono sempre il solito stupido, che non ha la forza di lasciare che si apra un varco tra me e lei. Forse mi morirà ancora una volta davanti, senza che io abbia trovato le parole per dirle…
“Vorrei sdraiarmi.”
L’aiuto meccanicamente. Non lascio che le mie dita possano godere del contatto con la sua pelle; non mi permetto di avvicinarsi più del necessario. Non approfitto dei suoi occhi che finalmente si chiudono, per sfiorarle la nuca con un bacio. Si sta assopendo…
Rimango nella stanza. Rimango, chino sul suo letto, e non v’è forza al mondo che possa distogliermi dalla veglia. Il mio sguardo è concentrato sulle sue palpebre abbassate, sul sorriso che timidamente viene accennato della labbra.
“Ti amo…” Mormoro con amarezza, odiando come non mai me stesso.
Magari fosse il mio cuore a parlare per me. Ma forse l’ho imbrigliato troppo stretto, in una maglia di oscura diffidenza la cui chiave ho gettato da tempo. Forse quella chiave non l’ho mai posseduta. Forse un giorno lei sbarcherà, in nostra compagnia, e troverà un altro uomo. Odio i forse.
Ma amo la donna davanti a me.
Vorrei che ti fossi assopita tra le mie braccia, Nami.

E la vita, un poco calva e grigia,
languida, schizzinosa e distaccata,
aspetta, cappello e guanti in mano
ricercata nell’abito e nella cravatta
(un poco impaziente per l’indugio)
all’ingresso dell’assoluto.





Ecco, così finisce. Ringrazio di cuore tutti coloro che sono arrivati sino a qui, e coloro che vorranno lasciarmi un'opinione.
Avrei altre idee che vorrei realzzare, sinceramente non so quando avrò il coraggio di scrivere qualcos'altro.
Queste storie per me sono così... delicate. Possono morire mentre le sto scrivendo, e mi fa male quando accade.
Sperando di ricevere qualche consiglio da voi, vi auguro di cuore una buona giornata.

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