It's good to be in love [interrotta]

di FreyjaFem
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Deja-vu ***
Capitolo 2: *** Pioggia ***
Capitolo 3: *** Fatalità ***



Capitolo 1
*** Deja-vu ***


AYAME
 
Un aroma di dolci cotti al forno riempiva la strada, raggiungendo il negozio di fiori in cui lavoravo.
Distinguevo perfettamente l'odore della crema, delle sfoglie fragranti, della frutta matura tagliata a pezzi per la guarnizione delle torte: si sentiva fin dentro la serra, sposandosi alla perfezione con l'odore dei fiori appena colti, preparati in eleganti mazzi per cerimonie e festività fra le più disparate. Spalancai le narici per farmi entrare un po' di quell'armonia di profumi nei polmoni e poi consegnai un fascio di viole, raccolte in una pregiata carta argentea, ad un cliente a cui rivolsi il più cordiale dei miei sorrisi.
Adoravo l'atmosfera che si respirava in quella piccola periferia in cui vivevo e da cui mi spostavo solo per raggiungere l'università, la mia routine era perfetta: il mattino presto mi muovevo in bici accompagnato dal delizioso odore di pasticceria, frequentavo le lezioni del giorno, lavoravo part-time di pomeriggio al negozio anteriore alla serra, ritornavo a casa, riposavo e poi passeggiavo la sera con gli amici nell'atmosfera suggestiva della città illuminata di notte.
Niente di meglio. Eppure a volte sentivo come se mi mancasse qualcosa, qualcosa su tutt'altro piano rispetto a queste cose.
Non avevo avuto una vita sentimentale molto serena, avevo detto basta da quando la mia ex aveva provato a chiudermi in casa per una possessività malata, da psicolabile.
Le relazioni precedenti di certo non erano state meglio di quella: una donna ancora legata al suo ex ragazzo e un'altra tormentata dal terrore di essere tradita. Ad un certo punto avevo cominciato a credere seriamente di attirare solo questo genere di persone; non ne potevo più di soffrire e perciò avevo deciso di dedicare anima e corpo al lavoro; talvolta cercavo di affogare, senza riuscirci, quel senso di solitudine nelle mie attività quotidiane.
Poi nella mia vita comparve lui: Fumihiro. Uomo d'affari, sposato, accanito lavoratore, una persona che sembrava aver portato del calore nella mia vita, una compagnia graditissima, che amavo ascoltare e riempire di attenzione. Mi sentivo rinato, ero finalmente in grado di lasciarmi andare completamente alle onde delle emozioni, ignoravo che si sarebbero presto trasformate in cavalloni, rischiando di annegarvi irrimediabilmente. Lui cambiò completamente dopo la sua separazione con la moglie.
Cercò di uccidere la disperazione con l'alcool, la maggior parte delle volte tornava a casa con altre donne, mi malmenava, abusava di me in modo violento e io non avevo forza di reagire.
A volte mi chiedevo se sarei sopravvissuto fino al giorno successivo, a volte mi chiedevo se era questa la vita che volevo. E poi trovai finalmente il coraggio di andarmene per sempre da quella casa.
-Ma insomma, signor fioraio, quanto ancora devo aspettare?-
Una voce mi destò dai miei pensieri, riportandomi sulla Terra d'impatto.
-Eh..? Come scusi??-
-Ah, buongiorno! Com'era il mondo dei sogni quest'oggi?- sbottò ironicamente l'uomo in risposta.
Mi fissava con gli occhi piccoli e radiosi, sorridendo con aria impertinente, sistemandosi gli occhiali da vista per osservarmi meglio. I lisci capelli neri gli ricadevano sulle spalle, lunghi fin sotto il petto definito. Aveva un fisico allenato e praticamente perfetto.
-Ecco io..- feci imbarazzato -..chiedo scusa.. in cosa posso esserle utile..?-
Lui mi fissò, studiandomi con aria divertita.
-Beh.. mi servirebbe un mazzo di fiori per la laurea di una persona a me cara, cosa mi consigli??- posò entrambi i gomiti sul tavolo, col mento sui palmi delle mani.
-Un amico?- chiesi
-Sissignore-
-Mazzo piccolo, medio o grande?- gli indicai le diverse dimensioni -ha qualche desiderio particolare in fatto di colori?-
-Fai tu, mi fido del tuo buongusto!- il suo sorriso arrogante si allargò e io distolsi lo sguardo annuendo nervosamente.
Mi allontanai dal bancone per dirigermi verso uno scaffale, analizzando attentamente le varietà disponibili. Ebbi la sensazione di avere i suoi occhi fissi sulla mia schiena, una cosa che mi mise seriamente a disagio e che mi fece incurvare le spalle automaticamente, quasi a cercare di rendermi il più piccolo possibile.
Presi gran quantità di garofani e fiori di corbezzolo e li avvolsi in una carta trasparente leggera, fermando il tutto con un nastro azzurro molto elegante.
Lui seguì i miei movimenti, impacciati per l'imbarazzo e ridacchiò sotto i baffi.
-Non sei uno a cui piace essere al centro dell'attenzione, vero?-
Alzai lo sguardo dal mazzo e presi a fissarlo, avvampando un po' per l'irritazione, ma trattenni ugualmente l'insulto che stava pericolosamente affiorando dalle mie labbra e dopo un respiro profondo, dissi: -sono 1200 yen, grazie-
Lui levò fuori il portafoglio in pelle dalla tasca posteriore dei jeans e pagò, continuando a ridacchiare.
Cercai di ignorarlo e concentrarmi sulla piccola cassa per recuperare i soldi del resto.
-Ecco a lei, le auguro una buona giornata-
Lui mi guardò fingendo un'aria contrariata, cosa che non riuscì a fare perfettamente per via della sua perenne aria spavalda e sicura di sè.
-Potresti essere un po' più gentile, non va bene questo tono rigido e formale per un fioraio! Dovresti essere più accomodante e disponibile.. per esempio, parlando di disponibilità, sei libero stasera?? Ah, accidenti, dimenticavo, ancora non mi sono presentato, io sono Shirou Fuyume!- tese la mano, allegramente.
Io d'istinto ritrassi la mia dietro la schiena, sempre più infastidito, poi presi a rimettere a posto le diverse piante negli scaffali, visibilmente a disagio a causa dei suoi modi da marpione.
Lui fece il finto offeso.
-Posso almeno sapere il tuo nome? Caspita, per avere un così bel visetto sei proprio maleducato!!- sbottò con quel ghigno ammiccante stampato in viso; io ero sempre più deciso ad ignorarlo e cercai di mascherare l'aria seccata con un sorriso di convenienza anche se avevo bene in evidenza una vena pulsante all'altezza della tempia.
-E va bene- fece lui alzando le mani in alto in segno di resa -tanto il tuo nome l'ho già letto sul cartellino!- poi fece un gesto di saluto e, baldanzoso, uscì dal negozio di fiori con l'aria di qualcuno che aveva appena ricevuto un premio di consolazione.
-Ma chi era quello?- feci fra me e me, e scossi la testa continuando a mettere in ordine.
In quell'istante sentii la porta del negozio riaprirsi e voltandomi vidi con mio solenne sollievo il mio coinquilino, Kazuo, entrare guardandosi intorno. Si passò una mano fra i capelli tinti color miele, roteando gli occhi grandi ed espressivi alla ricerca di qualcosa. Appena mi vide fece un largo sorriso e si avvicinò al bancone.
-Oh, eccoti Aya-kun! Hai finito il turno? Sono venuto a portarti la chiave dell'appartamento!-
-In teoria avrei dovuto terminare un quarto d'ora fa, ma quasi all'ultimo è arrivato un cliente molesto che si è trattenuto fin troppo a lungo, è uscito poco fa, può darsi che l'hai visto, un tizio alto, con un filo di muscoli e i capelli molto lunghi, avrà avuto sui ventisei anni..-
-Ah, si, il professor Fuyume! L'ho incontrato poco fa..- rispose lui -in realtà ha quasi trent'anni.. è un dongiovanni-
-Non l'avevo notato- feci io sarcastico mentre levavo il grembiule un po' sporco di terriccio -un professore hai detto? Davvero quel casanova è un professore? E fa così anche coi suoi studenti?-
-Che io sappia ha un certo successo e nel suo lavoro dicono sia molto serio.. insegna alla nostra università, possibile che tu non non l'abbia mai incrociato? E' quasi sempre inseguito da uno stuolo di studentesse civettanti..-
-..Non ho molto tempo per badare a questo genere di cose.. poi, con tutta la gente che c'è all'università, lui è l'ultima persona che avrei notato..-
Lui mi guardò inarcando un sopracciglio e mi tese le chiavi dell'appartamento; le presi e levai dalla tasca quelle del negozio; poi, asciugandomi un po' di sudore dalla fronte col dorso della mano, mi diressi verso l'uscio. Kazuo mi affiancò.
-Ad ogni modo, parlando di cose serie, stasera qualcuno deve andare a fare la spesa, altrimenti finiremo per digiunare..- osservò lui grattandosi la tempia con l'indice.
-Vado io- mi proposi mentre chiudevo la porta -quel professore insistente mi ha fatto venire i nervi, quindi non mi dispiacerebbe stare un altro po' fuori casa nel tentativo di distrarmi un po'..-
-Ottimo! Io ne approfitterò per andare a prendere il bucato in lavanderia- decise guardandosi l'orologio al polso - fai attenzione al ritorno, prendi la strada più lunga, la scorciatoia la sera è poco frequentata, non si sa mai se c'è qualcuno poco raccomandabile nei dintorni..-
-Tranquillo, mi guarderò le spalle!- lo rassicurai, sorridendo e camminando in direzione della metro.
Grazie a quella, senza che nemmeno te ne accorgessi, arrivavi oltre il limite che separava il caos dalla calma; di sera il centro della città era affollato, completamente invaso, niente a che vedere con le viuzze periferiche in cui mi ero stabilito, tranquille, silenziose, accomodanti, a volte anche fin troppo solitarie.
C'era da dire, però, che anche il centro aveva il suo perché: di notte le luci artificiali lo rendevano carico di un'atmosfera suggestiva e, in qualche modo, anche romantica.
La stanchezza accumulatasi nella giornata mi offuscava un po' gli occhi, rendendo ogni minima luminescenza fuori dai finestroni della metro sfocata, quasi in bokeh.
Mi ressi in piedi, assorto come al solito nei miei mille pensieri.
Era lì, nel centro della città, che avevo conosciuto Fumihiro. La prima volta che lo vidi era fermo di fronte ad un negozio di telefonia mobile, studiava curioso un cellulare di ultima generazione, indeciso se comprarlo o meno. Rasentava la quarantina ma non aveva nulla da invidiare a gente più giovane di lui. Rimasi colpito dall'austerità che emanava, non riuscivo a capire come quella persona, al di là del fatto che fosse veramente attraente, fosse riuscita a risvegliare in un colpo solo tutto il mio interesse, in modo quasi violento, strappandomi via dal cuore tutta la sofferenza che le mie precedenti relazioni avevano accumulato dentro di me. Un colpo di fulmine, così lo definii. Lo pedinai fino a dentro un bar e presi un tavolo molto vicino. Di tanto in tanto mi voltavo a guardarlo in modo repentino e sfuggente; lui parve accorgersene, anche perchè le mie occhiate si erano fatte via via sempre più intense, meno fugaci, più cariche di interesse, e lui aveva cominciato a ricambiarle, rapendomi col suo sguardo tagliente e sensuale, stuzzicandomi coi suoi modi raffinati, coi suoi gesti lenti e posati.
A metà serata mi invitò elegantemente a sedere al tavolo con lui. Aveva una voce calda e profonda, una di quelle che ti mette il magone. Mi offrì da bere e io accettai, senza riuscire a staccargli gli occhi di dosso. Era una persona molto gentile, con un grande senso del dovere, parlammo fino a sera tarda e poi si offrì di riaccompagnarmi a casa. Nel viaggio in auto, parlai ancora con lui, gli raccontai un po' di me, della mia vita; lui mi studiava, la maggior parte delle volte con dei silenzi cruciali e li intesi che mi stava cucinando a fuoco lento. Lui era il cuoco, io ero l'inerme pezzo di carne, preda del suo fascino, la sua cena in padella. Non arrivammo fino a casa mia quella sera, ci fermammo in una zona appartata, a fare sesso selvaggio fino al mattino nella sua auto sportiva. Era un'esperienza nuova, ma allo stesso tempo fu naturale, spontanea; non fu solo qualcosa di fisico, nutrivo un interesse ulteriore in quell'uomo, aveva un fascino incredibile e io ne ero completamente succube.
Col tempo mi resi conto del bisogno morboso che avevo di lui. Sapevo che era sposato, ma il mio unico, egoistico pensiero era quello di passare più tempo possibile assieme, per saperne di più della sua vita, del suo lavoro, dei suoi piatti preferiti, anche del suo dopobarba che mi mandava in tilt il cervello quando mi avvicinavo ad annusargli il collo. Iniziò ad aprirsi con me, a parlare della malattia di sua madre, del suo fratello problematico, dei disguidi con la moglie infedele; appresi che dietro quell'aspetto professionale e composto si nascondeva un animo sofferente e in cerca di un placido posto in cui rifugiarsi, posto che gli offrii amorevolmente, fra le mie braccia, ogni qual volta che avesse avuto bisogno di parlare con qualcuno.
Era la prima volta che mi sentivo davvero innamorato, così tanto che fu difficile accorgersi di essere solamente un ripiego, una vendetta nei confronti della moglie, un gioco di tradimenti fatti apposta per ripagarla del danno subito. Lo scoprii soltanto quando, dopo che ebbe divorziato, mi stabilii a casa sua e giorno dopo giorno cominciò a farsi sempre più violento nei miei confronti, quasi mi considerasse il reale motivo della sua separazione. Nascondevo a malapena i lividi sul mio corpo, le lacrime, il disonore che percepivo e con cui mi colpevolizzavo. Portava donne in casa, le usava come giocattoli e poi le cacciava fuori, incurante dei miei sentimenti, della mia sofferenza. Fino a che un giorno sventurato, tornato dall'università, avevo trovato la casa fatta a pezzi, come da un animale feroce. Vetri rotti, la televisione fracassata contro il muro, le assi del letto sparse per la casa, mi sentii afferrare da dietro e sbattere contro un muro. Cercai di dimenarmi ma fu tutto inutile.
Mentre ci pensavo, mi toccai di riflesso la schiena. Quell'esperienza mi aveva lasciato una brutta cicatrice nella carne, non solo nel cuore.
Scossi la testa come a levare quei pensieri mentre la metro si fermava. Scesi, mimetizzandomi nella folla e uscii dalla stazione immergendomi nel caos urbano.
Avevo un senso di nostalgia e un nodo alla gola. Avrei voluto che le cose fossero andate diversamente.
Mentre camminavo sul marciapiede ricordavo le passeggiate al ritorno, insieme, verso la macchina, un ricordo piacevole ma così colmo di dolore. Senza che lo volessi, mi si riempirono gli occhi di lacrime, ma procedetti a testa alta, fieramente, a passo rapido, come se volessi superare quei ricordi in modo orgoglioso e avanzai in direzione del supermarket. Superai il negozio di telefonia mobile, con un'andatura sempre più svelta ma i ricordi sembravano rincorrermi ostinati, il dolore lancinante del vetro che tagliava la schiena, il dolore di una penetrazione a crudo contro la mia volontà, le sue risate maniacali e convulse, il battito del mio cuore che sembrava rimbombare nell'ingresso fatto a pezzi, il terrore, l'impossibilità di capire perché.. perché quell'uomo così calmo e riflessivo si fosse improvvisamente trasformato in un pazzo fuori di testa.
Bam.
Impegnato nella mia fuga irrazionale dal passato, andai a sbattere contro qualcuno. Un odore pungente e acre di sangue misto a terra si fece strada nei miei polmoni. Era un corpo di un calore febbricitante, quasi accogliente, così tanto che rimasi immobile per cinque interminabili secondi appoggiato contro di esso. Sembrava quasi familiare. Per un istante desiderai che il tempo si fermasse per sempre. Poi mi staccai lentamente e sollevai lo sguardo. Rimasi senza fiato. Era poco più alto di me, aveva uno sguardo tagliente, minaccioso, serrato, lo sguardo di un cane che nonostante le bastonate aveva ancora la forza e il coraggio di ringhiare; aveva un brutto ematoma sul viso pallido e sporco, il labbro insanguinato, le orecchie perforate da innumerevoli piercings, i capelli biondi ossigenati ricadevano liscissimi sul viso regolare e dai tratti dolci. Era di una bellezza sconfinata, sembrava un idol, dai modi irriverenti e ribelli. Ci fissammo per poco più di un minuto. Lui mi guardava di storto e io ero rimasto temporaneamente frastornato dalla botta, dall'odore, dal flusso di pensieri che si stava finalmente dileguando dal mio cervello.
La gente intorno ci scrutava preoccupata temendo una lite.
Notai la maglietta nera sbiadita a maniche corte sporca di fango e altre macchie scure che supposi fossero sangue, i pantaloni dal cavallo basso gli fasciavano alla perfezione i polpacci e bretelle, diverse cinghie e catene gli penzolavano disordinate dalla cintura.
-Che c'è, ti sei incantato?- sfotté lui. Aveva una voce aggressiva e stizzita, una voce irritata, tipica di quei ragazzi ribelli che credono di poter mettere sotto i piedi chiunque con qualche cazzotto.
-No- feci io rispondendogli a tono, raddrizzando completamente la schiena e incrociando le braccia. Non avevo alcuna intenzione di fargli credere che due o tre parole sgarbate o il suo modo di fare minaccioso avrebbero potuto farmi fuggire via con la coda fra le gambe -ero sulla mia strada, molto semplicemente- mantenni un modo cordiale ma un tono fermo e sicuro.
Ebbi l'impressione di vedere una vena cominciare a risaltare sulla sua tempia e pompare visibilmente. Avvertii l'aria farsi più pesante e colsi i numerosi mormorii delle persone che ci passavano accanto.
-Ah!- fece lui stringendo gli occhi -a me pare che camminassi un po' a casaccio con la testa fra le nuvole; se vuoi posso sistemarti io il cervello, così che non si ripeta una prossima volta- e fece scattare le ossa della mano, come monito.
-Se non sai regolare la tua traiettoria per scansare la gente non è colpa del mio cervello. Perché non vai a giocare a fare il bullo e il duro con gente nelle tue stesse condizioni? Sai, tutti quegli alcolizzati che girano per strada, che non sanno fare altro che prendersi a botte perché non hanno la materia grigia abbastanza sviluppata per affrontare un discorso a parole!-.
Dovevo ammettere che effettivamente mi ero spinto oltre ciò che mi potessi davvero permettere di dire. Vidi il suo sguardo farsi ancora più glaciale. Era tutto sommato uno scontro verbale ma ero io che lo stavo trasformando in qualcosa di più pericoloso con le mie provocazioni. Quando me ne resi conto mi ritrassi un po' indietro ma, prima che potessi voltare le spalle, quel ragazzo mi afferrò dal colletto e mi strattonò con violenza contro il suo busto, portando il mio viso a pochi centimetri dal suo.
Notai più cose da così vicino: gli occhi normalmente a mandorla erano di un singolare colore perlaceo-azzurro, nonostante fossero gelidi e paradossalmente carichi di desiderio di sfondarmi il muso con un pugno ben assestato, erano lucidi e arrossati; ansimava un po', e il viso di un colore già molto candido, era livido in modo malsano; le labbra tremavano, nere molto probabilmente per il freddo.
L'odore di nicotina mi pervase, quando aprì bocca.
-Ripetilo un'altra volta e giuro che ti ammazzo- ringhiò, irruente.
Sudai freddo, ma non riuscii a non guardare la mia figura riflessa in quei stiletti affilati che aveva al posto degli occhi. Lui piantò i suoi nei miei. Per qualche strano motivo fu un momento particolarmente intenso.
Dimenticai il resto del mondo
Mi parve di aver già visto quella scena. Un deja-vu. Lui mi ricordava un qualcosa di passato, di doloroso, di lacerante. Misto a quella sensazione struggente c'era inoltre quel nodo alla gola, la sensazione di aver fatto una nuova scoperta. Senza che me ne accorgessi, il mio cuore aveva accelerato il suo battito, sentii il viso avvampare.
Anche lui sembrò non essere indifferente, come se una scarica di sensazioni lo avesse colpito in pieno, come un fulmine molto violento; le labbra si erano schiuse, le sopracciglia si erano rilassate, i suoi occhi taglienti avevano preso una luce completamente diversa, le iridi di acciaio si erano fatte liquide. Sentii il calore del suo corpo pervadermi completamente, una temperatura più alta del normale.
Una nuova, improvvisa consapevolezza mi aveva colto in pieno; spalancai le palpebre e gli piazzai una mano sulla fronte, ravviandogli un po' i capelli all'indietro.
-Ma... ma tu hai la febbre!!-
Fu il silenzio più pesante della mia intera vita.
Mi guardò come se fossi un grandissimo idiota, e solo pochi secondi dopo mi resi conto di aver fatto un'affermazione fuori luogo in una situazione grave, in cui rischiavo seriamente di tornare a casa col femore sbriciolato.
Sì, era una circostanza incredibilmente ridicola.
Il ragazzo aveva l'aria furente, sembrava quasi incapace di rispondere. Poi scosse la testa.
-Ma che.. fammi capire.. io sto per spaccarti la testa contro un muro.. e tu.. tu fai un'osservazione inutile e ridicola sul fatto che io abbia la febbre..?? Ma dico, mi stai prendendo in giro?- sentii la stretta sul colletto farsi sempre più forte.
Si stava infuriando. Vidi l'altra mano serrarsi in un pugno e sollevarsi pronto a colpire.
Strinsi gli occhi e di riflesso misi le mani di fronte alla faccia. Il ricordo del sorriso maniacale di Fumihiro mi pervase come una pioggia di spilli, il suo pugno direzionato verso il mio viso, lo sguardo vuoto di un pazzo che aveva perso tutto ciò che lo rendeva stabile ed equilibrato.
Mi uscirono le lacrime, involontariamente.
Rimasi immobile, paralizzato, in attesa di sentire l’impatto del pugno che mi sfracellava la mascella.
Ma quel pugno non arrivò, né nei primi dieci secondi, né nei successivi venti, e nemmeno il minuto dopo. 

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Capitolo 2
*** Pioggia ***


KAZUO

Ripiegai lentamente i capi appena lavati, infilandoli dentro la busta. La lavanderia non era particolarmente frequentata e, per via dell'orario, io ero l'unico cliente in quel preciso istante. Era stata una giornata pesante, le lezioni si erano protratte fino a 
pomeriggio tardo e tanto per cambiare avevo incrociato Fuyume-sensei al negozio di fiori in cui lavorava il mio coinquilino Ayame.
Era un periodo che Fuyume non faceva altro che usarmi come facchino, al mattino presto mi trasformavo in un ninja pur di sfuggire al suo sguardo, perchè sapevo che se mi avesse notato, per una pura e semplice casualità, mi sarei ritrovato una pila di 
dispense fra le braccia, neanche fossi il suo assistente, per aiutarlo a distribuirle ai diversi studenti, ochette innamorate comprese. E se mi fossi permesso di contestare con un "in realtà avrei una lezione" lui mi avrebbe interrotto con un "grazie per esserti 
offerto di aiutarmi" e si sarebbe dileguato ridendo in modo beffardo. A volte non lo sopportavo, aveva attenzioni cordiali per tutti, faceva il marpione con gran parte degli studenti mentre a me rivolgeva sempre le solite richieste e mi trattava come se fossi 
nient'altro che un mulo al suo servizio. Con Ayame tenevo nascosta questa cosa, mi avrebbe sicuramente rimproverato di essere troppo accomodante. Era un ragazzo forte, misurato, onesto, la persona perfetta con cui confidarsi, ed era proprio per 
questo che mi vergognavo a spiegargli l'intera situazione. Avrei dovuto parlargli anche di quante volte mi sentissi geloso per colpa di tutte le studentesse che giravano attorno a Fuyume-sensei e, onestamente, non so quanto avrebbe capito di questo; era  
una situazione delicata per me e non volevo rischiare che qualcuno mi ridesse in faccia per via del fatto che provassi una cosa del genere per un uomo. Sospirai mentre uscivo dalla lavanderia, avvolto dal piacevole odore di detersivo che emanavano i 
panni puliti. Mi diressi verso casa, distava poco da lì, e ne approfittai per andare a salutare il proprietario del forno, che proprio in quel momento stava abbassando la saracinesca del suo negozio.
-Buonasera, Kumagawa-san!- feci inchinandomi in modo gentile.
L'uomo sollevò lo sguardo e mi rivolse un sorriso quasi paterno. Nonostante i suoi sessant'anni appariva di molto più giovane, il suo viso si corrugò di rughe leggere; notai che gli occhi non sorridevano a loro volta, bensì erano stranamente tristi.
-Buonasera a te, figliuolo!-
-Come va Kumagawa-san? La vedo particolarmente stanco oggi..-
-Sì, è stata una giornata stressante.. oltretutto uno dei miei figli non fa altro che darmi pensieri..-
-Come mai, se posso permettermi?-
Il signor Kumagawa aveva due figli, il maggiore lo aveva avuto con la moglie quando aveva vent'anni, mentre il minore, avuto in tarda età, era il frutto di un amore extramatrimoniale con una giovane straniera. Quest'ultima, dopo averlo dato alla luce, lo 
abbandonò davanti la porta di casa di lui, fuggendo via dal paese. La moglie perdonò la scappatella ma niente in seguito a quel misfatto fu più lo stesso; forse somatizzando il dolore, si ammalò gravemente e il figlio minore, abbandonato a sè stesso, iniziò 
ad essere fuori controllo e si rifiutò di riconoscere come madre sia la genitrice biologica, sia quella adottiva. Tutti nel quartiere conoscevano quella storia, ma era comune intento fingere di non sapere.
-E' scappato di casa... ho perso il conto di quante volte l'abbia fatto, ormai.. è irrecuperabile..-
-Lei è troppo permissivo, Kumagawa-san.. mia madre quand'ero bambino usava sculacciarmi se anche solo mi sfiorasse l'idea di varcare la porta di casa senza il suo permesso..-
Lui rise di cuore, con gli occhi lucidi.
-Sei un bravo ragazzo, Kazuo..- mi scompigliò i capelli e, con l'aria di una persona rassegnata e piena di rimpianti, si avviò verso la metro; lo osservai andarsene per un po', con una vena di dispiacere, poi mi diressi verso casa, sospirando.
Plic. Una gocciolina mi colpì la fronte e scivolò sino alla punta del naso; alzai gli occhi e notai che nel cielo scuro si erano addensate pesanti nuvole, cariche di pioggia, rese giallastre dall'inquinamento luminoso.
Mi preoccupai un po' per Ayame: era senza ombrello e sarebbe dovuto tornare da solo, oltretutto prendendo la strada più lunga, perciò decisi di chiamarlo; nel recuperare il cellulare, la busta della lavanderia mi cadde dalle mani e i panni puliti scivolarono 
fuori, sporcandosi a contatto con l'asfalto. Neanche un attimo dopo iniziò a piovere e dirotto e io mi ritrovai a fissare la tragedia ai miei piedi con una faccia sconsolata, ancora non interamente conscio del fatto che avrei dovuto spendere altri soldi per 
lavare il tutto nuovamente.
-Che giornataccia...- dissi fra me e me. Raccolsi i panni cercando di non lasciarmi prendere dallo sconforto, poi continuai a camminare per la mia strada, ignorando la pioggia che scendeva sempre più forte. Tentai di telefonare Ayame e rimasi con il 
telefono attaccato all'orecchio attendendo risposta. Ci volle molto prima che rispondesse, con aria affannata; di sottofondo si sentiva l'indistinto caos urbano.
-Kazuo-kun..- disse. La sua voce era spezzata dal fiatone, molto probabilmente stava correndo per via della pioggia.
-Aya-kun, stai bene?-
-Sono fradicio.. ho brutte notizie, non sono riuscito a prendere niente al supermarket, ho avuto un contrattempo...-
Splendido, davvero splendido. Quella sera avremmo dovuto fare digiuno forzato o sperare che la pizza di tre giorni prima, lasciata a marcire sul tavolo, fosse ancora morbida e commestibile.
-Capisco.. fai attenzione per la strada di ritorno per favore.. quando esci dalla metro non prendere la scorciatoia.. anche se piove..-
-Sì, papà- ribattè lui ironico. Ad orecchio avrei potuto dire che aveva un tono strano, ma in quel momento non ci feci caso.
Ero evidentemente, visibilmente depresso e chiusi la comunicazione, con aria assente. Non mi ero accorto del fatto che qualcuno mi stesse seguendo, ma non ci volle molto prima che me ne rendessi conto: sentii una mano su un fianco, cosa che mi fece 
sobbalzare e lanciare un grido; scattai in avanti e mi voltai, indietreggiando, ressi la busta dei panni in modo minaccioso, pronto ad usarla come arma eventuale e strinsi gli occhi per mettere a fuoco il mio nemico.
Mi ritrovai a pochi metri da un uomo, al riparo del proprio ombrello scuro, piegato in avanti a tenersi la pancia; mi guardava e rideva di gusto; i lunghi capelli, lucidi e corvini erano raccolti una coda, lasciando fuori qualche ciocca davanti le orecchie e un 
ciuffo asimmetrico che ricadeva morbidamente in mezzo agli occhi.
-Kazuo-kun, sei uno spasso.. non sapevo soffrissi il solletico ai fianchi!-
-Fu... Fuyume-sensei...-
Si asciugò una lacrima, da dietro gli occhiali da vista. Non sapevo se fossi realmente felice di vederlo o scocciato dal suo scherzetto infantile, sta di fatto che si avvicinò e mi riparò gentilmente col suo ombrello.
Sentii del calore sulle gote e nascosi il rossore sul viso, voltandogli di poco le spalle.
-Certo che sei proprio una frana, Kazuo.. ti ho visto poco fa mentre raccoglievi i panni da terra..- continuava a ridere e il mio imbarazzo cresceva sempre di più.
-Per lei sono Fukuda, professore..- risposi con aria decisamente rigida.
-Preferisco chiamarti per nome e darti del tu!- replicò lui con leggerezza e confidenza, come fosse la cosa più naturale del mondo -allora, dimmi un po', sei diretto a casa? Se ti va ti do un passaggio!-
-Abito a poco da qui, ci posso arrivare benissimo da solo..-
-Perfetto, allora ti accompagno con l'ombrello, visto che a quel che vedo non ne hai!-
-Non fa niente- sbottai seccato e mi guardai i vestiti inzuppati: ormai ero già bello che fradicio.
Lo sentii prendermi dal braccio e camminare in una direzione ignota. Lo guardai, nel panico più assoluto, come per chiedergli dove mi stesse portando.
Lui mi guardò a sua volta, come per farmi capire che era una cosa abbastanza scontata: -a casa tua, credo sia ovvio!-
-Ma non sa nemmeno dove abito, sensei..-
-Lo dici tu.. nei registri di classe c'è scritto tutto!-
Rimasi a fissarlo con aria sconvolta, in silenzio.
-Anzi- fece lui -ho deciso, ti porto a cena a casa mia per stasera.. a quel che ho sentito non hai niente da mangiare oggi..-
Non ebbi possibilità di contraddirlo, mi trascinò alla sua auto e io non feci niente per impedirlo, l'unica cosa che riuscii a chiedere fu: -comunque che ci fa lei qui, sensei?-
-Un mio prezioso studente abita in questa zona, oggi si è laureato e non avendo potuto assistere all'evento ho deciso di passare da casa sua, sulla via ho visto il negozio di fiori e ne ho approfittato per pr!- mise in moto l'auto, appena fuori i contorti vicoli 
della mia via, e partimmo. La pioggia picchiettava contro il parabrezza, i tergicristalli levavano via le gocce come gomme efficaci, pronte a cancellarle come fossero prove indefinite e imperfette di un artista incompreso, insoddisfatto del proprio tratto. Le 
guardavo, quasi ipnotizzato, con aria un po' malinconica. Notavo che di tanto in tanto Fuyume-sensei mi dava qualche occhiata e sorrideva con la sua solita aria poco seria. Allungò la mano per fare il cambio di marcia, sfiorandomi la gamba. Gliela guardai con aria distante. Avevo uno strano istinto ad accarezzargliela ma rimasi immobile dov'ero, un po' imbarazzato; sentivo il rossore bruciarmi sulle gote, fastidiosamente e d'istinto richiusi un po' le gambe per allontanarle dalle sue dita.
Lui ridacchiò, come al suo solito.
Cominciai ad intravedere le luci della città brillare da dietro il mio finestrino, i bagliori distanti erano riprodotti egregiamente in ogni goccia d'acqua sul vetro; mi concentrai su quello per ignorare il fatto di essere in auto con una persona che mi dava strane 
sensazioni solo ad averla seduta vicina, una persona che a tutto pensava meno alle cose serie, una persona per cui al mattino non ero che un portabagagli ambulante al suo servizio, niente di più, niente di meno. Sentii la sua mano sulla coscia e la cosa mi 
fece sobbalzare. Mi voltai a guardarlo col panico negli occhi, lui scoppiò a ridere ritraendola e rimettendola sul cambio.
-E dai, ridi un po', hai un muso così lungo..-
Avvertii che l'auto stava andando molto veloce, una cosa che mi fece accapponare la pelle.
-Ra..rallenti per favore... e non si distragga Fuyume-sensei...-
-E' un po' difficile non distrarmi con te accanto!- rise.
E rieccolo coi suoi modi da marpione. Aumentò la velocità di proposito, mi aggrappai in tensione al sedile.
-Strano, alle mie studentesse piace quando vado veloce!-
Colsi il doppio senso e cercai di ignorarlo.
-Rallenti, la prego...-
-Se me lo chiedi così mi viene da andare più veloce..- rideva sempre più forte.
-Le ho detto di rallentare, non è divertente..-
-Sei noioso.. gli altri studenti che ho portato a casa non erano così..-
Quella frase mi spiazzò.
-Accosti, voglio scendere- glielo dissi con una punta di amarezza nella voce; quella frase mi aveva fatto male. Male per davvero.
Lui si voltò con aria divertita e incontrò i miei occhi. Credo di avere avuto uno sguardo molto freddo e duro, poiché vidi il suo sorriso spegnersi molto rapidamente.
-Mi faccia scendere, non voglio passare un minuto di più con lei..- ribadii.
Lui rimase in silenzio e poi si voltò a guardare la strada, con un'espressione seria, un po' sorpresa.
Abbassai lo sguardo, affranto. Ci fu un momento interminabile, durante il quale lo vidi rallentare e scalare le marce poco a poco. Lo odiai per davvero, non tolleravo che mi paragonasse agli altri, come se fossi uno dei suoi passatempi, uno di quei studenti anonimi con cui andava a letto senza ripensamenti. Non volevo questo, io. Avrei preferito non rivederlo mai più piuttosto che subire la realtà di essere un niente per lui. Senza nemmeno aspettare che si fermasse del tutto, spalancai la portiera e uscii,  
lanciandomi sotto la pioggia.
-Kazuo, fermati!- lo sentii urlare; lo sentii spegnere l'auto e tirare il freno a mano per poi rincorrermi, sentivo distintamente il rumore dei passi sulle pozzanghere. Io aumentai l'andatura, per seminarlo e corsi in mezzo alla strada per allontanarmi. Mille rumori si confusero nella mia mente, il sibilo dell'aria che faceva attrito, lo scroscio della pioggia, il rombare dei motori e un clacson assordante che mi perforò il timpano. Mi voltai e vidi i fari abbaglianti di un'auto sportiva a pochi metri da me. La sorpresa mi 
impedii di urlare e rimasi paralizzato per il terrore, incapace anche di respirare. Chiusi gli occhi.
Sentii una sgommata e qualcosa impattò con violenza contro di me, facendomi sbalzare via; atterrai sul fianco della strada, in una pozzanghera fangosa; sentii un rumore di vetri rotti a poco da me, vetri piccoli e fragili; sbattei con la schiena sull'asfalto e un dolore acuto mi pervase la colonna vertebrale, facendomi gemere di dolore. Qualcosa di caldo e bagnato mi avvolgeva, respirando sopra di me, la pressione di un corpo che sembrava volermi proteggere con tutto sè stesso. Sentivo i battiti del suo cuore 
accelerato contro il mio petto, avvertivo la paura nei suoi ansimi. Riaprii gli occhi dolorante -Fu..Fuyume-sensei...?-
-Oh... dio... state bene?- alcune persone accorsero per aiutarmi. Voltai di poco lo sguardo, notai degli occhiali da vista con delle lenti rotte, alcuni frammenti ancora attaccati ai lati della montatura; cercai di sollevarmi a sedere, lentamente, ma sentii un peso sopra di me che mi impediva di rialzarmi; abbassai il viso, incontrando gli occhi un po' annebbiati dal dolore di Fuyume-sensei.
Impallidii.
-Sei.. sei un incosciente..- lo disse con la sua solita espressione divertita mentre si rialzava, malandato e coi vestiti sporchi di fango. La gente ci aiutò a rimetterci in piedi. Il povero autista malcapitato che aveva rischiato di investirmi era terrorizzato all'idea 
di averci potuto fare danni seri.
-Mi... mi dispiace.. io... lui è spuntato all'improvviso... ho cercato di frenare..- si giustificò
-Non si preoccupi..- feci io risentito e inchinandomi, nonostante le fitte alla schiena -è colpa mia.. sono io che dovevo stare attento mentre attraversavo..-
Fu uno scambio di reciproche scuse, ci chiesero se volevamo chiamata un'ambulanza ma noi scuotemmo la testa, quasi in sincronia.
-Non abbiamo niente di rotto fortunatamente- rassicurò Fuyume in modo serio e professionale, come poche volte l'avevo visto.
Mi afferrò per il polso.
-Scusateci ancora..- disse mentre mi riconduceva in auto. Non mi ribellai. Mi sentivo piccolo piccolo di fronte alla sua improvvisa occhiataccia di rimprovero, sguardo che mi aveva riservato per il momento in cui saremmo stati soli. E quel momento era 
arrivato. Mise la prima e partì, con l'aria di uno che stava trattenendo a stenti una furiosa ramanzina. Io rimasi a guardare di lato, col cuore che ancora batteva forte per ciò che era appena successo.
Aveva rischiato la vita pur di salvarmi.
Chissà se avrebbe fatto altrettanto con tutti gli altri studenti.
Essendo ligio al dovere, forse sì. Io non ero nient'altro che uno studente ai suoi occhi. Aveva agito semplicemente come qualsiasi bravo professore avrebbe dovuto agire.
Apprezzavo questa cosa di lui.
La maggior parte dei professori insegnavano non per amore dell'educazione e dei propri studenti, bensì per mettersi la paga in tasca.
Casa sua era una villa con un giardino in prato inglese ben curato, col cancello automatico e le siepi, il garage, l'angolo barbaque e la piscina. Non rimasi più di tanto allibito, c'era d'aspettarselo, compagnone e vanitoso com'era, viveva sicuramente di 
esteriorità e lusso, probabilmente scapolo e pieno di amici. Una perfetta e comoda vita da single. Parcheggiò di fronte casa, senza preoccuparsi di mettere l'auto nel garage; in quel momento per lui urgevano le condizioni di salute, sia le mie che le sue, 
poiché mi afferrò (ormai era un vizio) dal polso e si infilò al riparo con me, in fretta e furia, sotto il portico ricoperto di edere. Mi avvolse con entrambe le braccia, con una dolcezza inusuale, e mi guardò dritto negli occhi, in maniera stranamente 
amorevole. Le labbra mi vibravano per il freddo e per i vestiti bagnati. Lui avvicinò di molto il suo viso, in un modo che mi fece arrossire molto.
-Non c'era bisogno di prendersela tanto.. stavo scherzando.. si può sapere che ti è preso?-
Baka, Fuyume-sensei.. non capiva cosa voleva dire amare qualcuno al punto da esserne geloso. Rimasi in silenzio evitando il suo sguardo. Lui sospirò, forse risentito, ed entrò in casa tirandomi con sè. C'era un bel tepore all'interno, da come era arredata 
si comprendeva chiaramente che usava invitare persone a casa, fare feste, bere. Un piano bar, mobili lucidi e moderni, un lampadario sfarzoso, la vista dell'immenso finestrone sulle città, grattacieli luminosi, le gocce sul vetro.
Lui mi strofinò un asciugamano sui capelli, sorridendo, io lo lasciai fare.
-Se vuoi puoi usare la doccia.. ti darò un ricambio anche se ti anticipo che la mia roba ti starà larga..
Io annuii, silenziosamente, quasi senza ascoltarlo.
"Baka, baka sensei" pensai "cosa ti costa amare una persona, cosa ti costa imparare, cosa ti costa tramutare questa gentilezza di un sentimento più grande".
Fu un pensiero molto egoista; rimasi immobile a godermi le mani che attraverso il tessuto dell'asciugamano mi accarezzavano la testa; me le godevo pienamente, con gli occhi chiusi, in estasi, sperando di non cadere nel torpore del sentimento che provavo per lui.

 

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Capitolo 3
*** Fatalità ***


IKKI

Sentii l'osso della mandibola scricchiolare sotto le mie nocche; qualcuno urlò spaventato, altri si frapposero fra noi, cercando di fermare una rissa che credevano fosse appena all'inizio; reggevo dal colletto un ragazzo che emanava aroma di fiori, che 
distrattamente aveva sbandato e mi aveva urtato. Avrei voluto essere un po' più gentile nei suoi confronti, ma ero appena tornato da un litigio molto violento e non ero in vena di sopportare atteggiamenti spavaldi come quello con cui si era rivolto nei miei confronti. Oltretutto ammettevo io stesso di non avere uno splendido carattere e in quel momento mi ero lasciato andare completamente all'irritazione anziché approcciarmi in modo più calmo e razionale; solo non potevo non rispondergli in malo modo: continuava a fare osservazioni strane e fuori argomento, rendendo il mio umore sempre più contorto e nero.
Una cosa era certa: mi aveva levato il respiro coi suoi occhi ebano espressivi, i capelli corti e lisci, il viso da bravo ragazzo, quello tipico di chi aiuta i vecchietti e pota le piante malate con dedizione.
Avevo sentito una sensazione nuova, di piacere, quando lui aveva posato la mia mano sulla fronte; fu un colpo di fulmine, credo. Mi piaceva, mi piaceva da morire.
Avete presente quelle circostanze in cui per strada, in un mezzo di trasporto pubblico o anche in un supermarket avete incrociato una persona sconosciuta e affascinante, che vi ha colpito sin dal primo momento che l'avevate vista, qualcuno che magari non rivedrete mai più e con cui non avete avuto occasione di parlare perché vi mancava il coraggio di farlo, per vergogna e forse anche per fretta?
Ecco, lui mi dava quella stessa sensazione di nodo alla gola, quel timore sinistro che fosse l'ultima volta che lo vedessi.
Poi, mentre lo rimproveravo, sempre più arrabbiato, avevo visto dietro di lui Takaya, sanguinante e pieno di lividi come l'avevo lasciato poco prima; mi aveva inseguito imperterrito per cercare di vendicarsi e io in tutta risposta avevo sollevato la mano e 
l'avevo steso con un pugno, dandogli il colpo di grazia, incredulo che fosse ancora in grado di camminare.
Intanto, il ragazzo che tenevo dal colletto era rimasto con gli occhi chiusi, tremante: probabilmente aveva frainteso, credendo che il pugno fosse diretto a lui.
Lo scossi (lo ammetto) con un po' di violenza per fargli aprire gli occhi, ma ottenni l'effetto opposto: si richiuse ancora di più come una conchiglia, nascondendosi il viso con le braccia.
Non ci sapevo fare con le persone, anzi, riconoscevo di essere particolarmente indelicato e suscettibile.
-Allora?? Mi spieghi il motivo di queste osservazioni? Devi essere veramente fuso a fare certe affermazioni fuori luogo di fronte ad una persona che rischia di romperti la faccia.. ma dico, perché provochi le persone e poi ti ripari quando stanno per alzarti le mani? Devi avere qualche rotella fuori posto.. se vuoi ti do una bella lezione e vediamo!- suonò come un rimprovero, e anche un po' come una minaccia; per l'ennesima volta non riuscivo a non rivolgermi male a quel tipo.
Lo vidi aprire le palpebre, lentamente, insicuro; le batté più volte, confuso e capii che si chiedeva come mai non l'avessi riempito di botte come annunciavo di fare da almeno un quarto d'ora.
Aveva gli occhi lucidi e rossi, sembrava sul punto di scoppiare in lacrime.
E' innegabile che questa cosa mi irritò in maniera incredibile; ma d'altronde, cosa non mi dava fastidio a questo mondo?
-Oh, cavolo.. e adesso che fai, piangi? Come i bambini? Si può sapere che hai che non va?- sbottai, guardandolo di sbieco.
Un uomo si avvicinò, col fare tipico degli adulti, quell'atteggiamento da sapientoni stracolmi di esperienza, e fissandomi negli occhi, credendo di mettermi in soggezione, chiese: -perché hai colpito quella persona? Ma dico, sei ammattito? E lascia stare 
quel povero ragazzo, se gli fai del male te la vedrai con me e con il mio avvocato-.
Vidi delle persone soccorrere Takaya, svenuto per il dolore; poi mi rivolsi all'uomo, con noncuranza: -non mi fai paura.. non sono affari tuoi, vecchio.. vai a dormire, è una cosa che riesce molto bene ai vecchi come te.. per quanto riguarda il tuo 
avvocato, digli che può anche leccarmi le palle-
Lo vidi diventare paonazzo di rabbia e trattenersi dal malmenarmi; evitò di farlo, saggiamente, anche perché sarebbe passato dalla parte del torto, si sarebbe "abbassato ai miei livelli". Per me quelli non erano bassi livelli: se c'era da prendere a botte, 
bisognava farlo e basta. La vita per me era questa, dare cazzotti, prenderne altrettanti, preferibilmente meno di quanti se ne dessero.
Sentii una mano sul braccio, delicata, un po' secca per il freddo: quel ragazzo l'aveva posata delicatamente sulla mia pelle, coraggiosamente, mentre si asciugava gli occhi col dorso dell’altra mano. Poi si rivolse all'uomo, dicendo: -stia tranquillo 
signore.. è tutto a posto.. me la vedo io qui- e senza dargli tempo di rispondere, mi trascinò via, forse per evitare che avessi problemi di tipo legale.
Mi portò ad un bar in città che conoscevo molto bene, mio fratello ne era assiduo frequentatore e, ogni tanto, quand'ero piccolo, mi portava lì con sé e con i suoi colleghi; un senso incredibile di nostalgia mi pervase e cercai di ignorarlo, per concentrarmi 
a parlare con quel ragazzo disattento che mi aveva fatto innervosire ancora di più di quanto già fossi.
Lui mi invitò a sedermi al bancone e poi, sospirando, si voltò a guardarmi e disse: -ok, lo ammetto.. mi sono rivolto male, ero sovrappensiero e quindi sono finito con lo sbatterti addosso.. però non c'è bisogno di scaldarsi tanto, può capitare di urtarsi 
per errore, non c'è bisogno di farne una tragedia..-
-Diamine, il mio desiderio di seppellirti di pugni sta aumentando ogni momento di più- brontolai ordinando della birra -ora, si più sapere perché mi hai portato qui? Credi di acquistare la mia grazia così?-
-Smettila di fare l'arrogante con me, biondino, ti ho appena aiutato a scappare da una situazione alquanto spiacevole- borbottò a bassa voce.
-Ho un nome, moccioso, ed è Ikki- ringhiai afferrandolo per il colletto, per la seconda volta nella stessa serata.
Lo vidi un po' titubante, e con la voce più placida che potesse emettere, disse: -anch'io ce l'ho.. ed è Ayame.. e non sono un moccioso, avremmo all'incirca la stessa età!-
Il cameriere assisteva dall'altro lato del bancone alla nostra bizzarra presentazione, pulendo i bicchieri, intimidito e insicuro. Si prese di coraggio e disse, rivolgendosi ad Ayame: -scusi signore.. ha bisogno di aiuto..?-
-Che c'è, vuoi essere preso a botte?- sbuffai rivolto al cameriere.
Lui rimase in silenzio alla mia domanda e scostò lo sguardo; io continuai a guardarlo con aria di sfida.
Cercai più volte di riagganciare i suoi occhi, mi divertiva attaccare briga, ma lui evitò magistralmente di rispondere alle offese e alle provocazioni.
-Certo che sei scatenato.. dacci un taglio..- fece Ayame
-Non rivolgerti in questo modo.. se non avessi il bel faccino che ti ritrovi a quest'ora mi sarei divertito a farti a pezzi prima, per strada.-
Lui mi fissò con aria contrariata.
Sotto sotto mi piaceva quel suo modo di fare; era ammirabile che volesse farsi rispettare, ma non potevo fare a meno di sentire la pelle bruciare di stizza. Non volevo che mi tenesse testa.
La mia birra arrivò, fredda al punto giusto e io liberai il suo colletto.
Più cose mi avevano colpito di quell'intera faccenda: la dolcezza nel viso di quel ragazzo, anche quando era arrabbiato; il fatto che mi avesse risposto a tono, dimostrandosi meno verme, come invece erano gli altri esseri umani, e più uomo con le palle; il 
fatto che nonostante non fossi all'apparenza molto affidabile, si fosse messo a parlare senza temere che potessi portarlo in un angolo e fargli del male; l'improvviso sguardo spento e depresso che era entrato in contrasto con la sua spavalderia precedente; 
il suo curarsi delle condizioni di salute di una persona appena conosciuta, cosa che fece nuovamente appena arrivò la mia birra alla spina e la sua bottiglietta d'acqua: recuperò una bustina dalla tasca e ne verso il contenuto nel suo bicchiere, una pastiglia 
effervescente che si sciolse in poco tempo. Lo spinse verso di me e mi guardò con aria d'attesa.
-Che vuoi?- feci io irritato.
Lui indicò con un cenno della testa il bicchiere a pochi centimetri da me.
-Hai la febbre, meglio se prendi qualcosa..-
-E a te cos'importa se ho la febbre o meno?-
Lui rimase in silenzio, abbassando un po' lo sguardo. Si guardava le mani come se avesse fatto qualcosa di sbagliato e fece un piccolo sospiro. Poi si versò dell'acqua in un altro bicchiere e la bevve, senza proferire parola.
Come al solito ferivo le persone col mio modo di fare anche se queste si curavano di aiutarmi; non potevo farci nulla, "sono fatto così", mi dicevo. Non credevo alle baggianate di smussare gli angoli del proprio carattere, levigarli per essere migliore;  
eppure qualcosa si mosse in me quella sera.
Fra le tante cose che mi irritavano a morte, rientrò anche quella di vedere quella persona triste e silenziosa. Ayame. Assaporai quel nome nella mia mente e afferrai il bicchiere con acqua e medicina; calai e lo posai nuovamente sul bancone, guardando 
altrove e nascondendo l'imbarazzo con espressione seccata. Sì, quel ragazzo mi piaceva, ma non capivo esattamente perché.
Lo vidi voltarsi verso di me, con la coda dell'occhio.
-Odori di fiori..- osservai.
Lo sentii ridacchiare.
-Colpa della serra.. lavoro in un negozio di fiori e ho a che fare con piante continuamente..-
Annotai mentalmente ciò che aveva appena detto.
-Io odio i fiori.. mi danno la nausea-
-Certo che sei proprio indelicato.. sono tutte così scorbutiche le persone con cui hai a che fare?- scoppiò a ridere, improvvisamente più allegro; poi nel silenzio successivo notammo il chiaro rumore della pioggia fuori il locale.
Ci fu un breve silenzio; poi Ayame mi guardò e chiese -che ti ha fatto quel tizio?-
-Non sono affari tuoi- tagliai corto
Lui sbuffò sconsolato e guardò l'orologio al polso; pochi secondi dopo fece un’espressione di panico e mi lasciò un biglietto da visita sul bancone, accanto alla mia mano.
-Caspita.. devo scappare.. Spero passerai qualche volta dal mio negozio di fiori..-
-Non ci penso nemmeno- dissi seccato.
Lui rise mentre si alzava in piedi.
-Dove vai?- chiesi. Da una parte non volevo che se ne andasse così presto; quegli istanti al bar erano stati brevi ma intensi.
-Non sono affari tuoi- ribatté sarcastico, mentre si avviava alla porta dopo aver pagato; in tutta risposta lo fissai con aria seccata e tagliente.
Mi rivolse un sorriso solare e poi si lanciò fuori dal bar, sotto la pioggia, proteggendosi a malapena la testa con le mani. Seduto al bancone lo guardai allontanarsi, stordito dalla febbre; rimasi immobile tutto il tempo fino a che la sua sagoma non si confuse nella folla sovrastata da una foresta di ombrelli multicolore. Reggevo fra le dita il suo biglietto da visita, pensieroso.
-Sei rimasto imbambolato, vedo..-
Una voce che conoscevo molto bene spezzò l'incanto di colpo; sentii una mano insinuarsi fra le mie gambe.
-Heiji.. da quanto sei qui?-
Era seduto al bancone, sullo sgabello accanto al mio e sorseggiava una birra, i capelli neri scompigliati lunghi fino alle spalle, gli occhi sottili ed indagatori, la profonda cicatrice fra gli occhi che lo rendeva particolarmente minaccioso.
Navigava sul cavallo dei miei pantaloni con un sorrisetto beffardo sul viso.
-Io? Oh, io sono qui da un po'.. ho assistito un alla scena..- premette le dita all'altezza dei miei genitali, costringendomi a strizzare un occhio. Lo odiavo quando faceva così, specialmente nei luoghi pubblici.
-Puoi per lo meno aspettare di trovare un posto appartato?- sbottai, infastidito
-Nah- rispose lui, ridacchiando -allora, a quanti siamo stasera?-
-Tre, come ti avevo già riferito-
-Col ragazzo del negozio di fiori direi quattro-
Feci una smorfia di disapprovazione quando lo disse; sentii la sua mano scivolare dentro i miei boxer.
Lui notò il mio disappunto.
-Ahi ahi ahi, Ikki.. non ci si affeziona alle prede..-
-Non mi va- risposi seccato -non voglio approfittare di lui-
Sentii una forte presa sul mio membro; trattenni un grido di dolore e guardai Heiji in cagnesco. Cominciavo a credere che avesse bisogno anche lui di una bella ripassata.
-Cos'ha di diverso dagli altri?- fece lui freddamente
-Niente.. solo che lui è fuori dalle nostre questioni.. non lo deruberò, Heiji-
Si avvicinò con lo sgabello, rumorosamente; aveva un tic nervoso alla palpebra e stringeva sempre di più le dita lì.
-Ikki.. fallo innamorare e prendi tutto quello che ha, come hai sempre fatto, come devi fare. Altrimenti non avremo niente per sopravvivere nel prossimo mese.. i tre che hai avvicinato per ora non bastano..-
Avvicinò il viso al mio collo e mi passò la lingua calda e umida nell'incavo.
Mi scappò un mugugno soddisfatto e automaticamente chiusi gli occhi e distesi le spalle.
-Sono stanco di prostituirmi per te..- risposi -..mi ritrovo sempre in situazioni scomode come quella con Takaya..-
Lui continuò a passarmi la lingua sulla pelle, incurante della gente nel bar.
Sentivo la sua mano fare su e giù sul mio membro e allargai le gambe, completamente succube; respiravo velocemente e godevo con gli occhi socchiusi dal piacere; ci sapeva davvero fare, d'altronde era col sesso che mi comandava a bacchetta.
Mi annebbiava il cervello. Voltai la testa a destra e a sinistra per assicurarmi che nessuno guardasse.
-Credi che venderti in questo modo mi faccia piacere?-
-Sì, ti compiace.. è inutile che cerchi di nascondere quanto tu sia viscido..-
Ridacchiò, continuando a leccare in modo lascivo.
-Può essere.. allora, lo seduci quel ragazzo, sì o no?-
-No.. non mi va..-
-Ikki..- sussurrò vicino al mio orecchio e mi leccò il lobo freneticamente; un brivido mi percorse la schiena, ero al massimo dell'erezione.
-Chi è che ti aspetta a braccia aperte per consolarti, ogni qual volta fuggi da casa?- chiese in un sussurro.
-Tu..-
Lui mi fece un succhiotto in bella vista sul collo.
Riprese: -e chi è che quando sei stato in difficoltà ha mobilitato bande per proteggerti e ti ha istruito su come vivere per strada?-
-Tu..- risposi, quasi in ipnosi.
-Se lavorerai sodo per me e otterrai tutti i soldi che mi servono per saldare il mio debito, potrai finalmente essere libero dal tuo e potrai fare ciò che vorrai..-
Io annuii, ansimando al tocco caldo della sua mano.
Mi teneva in pugno così. Ormai lo conoscevo da molti anni ed ero completamente assuefatto dalle nostre relazioni sessuali, anche se da qualche tempo avevano cominciato a non soddisfarmi a pieno e stare con lui aveva preso ad irritarmi sensibilmente.
-Approfitta di questo incontro casuale- fece lui, mentre mi masturbava sempre più veloce -strappagli via ogni centesimo.. ricorda, qualcuno deve pur soccombere se vogliamo intascare qualcosa.. si vede lontano un miglio quanto quel ragazzo sia 
disponibile a farsi fregare..-
Ascoltai molto poco di quella frase; iniziò a delinearsi nella mia mente il viso di Ayame; ripensai ai suoi occhi espressivi e traboccanti di vita, i suoi modi affabili, il suo atteggiamento a volte sicuro a volte insicuro, la sua determinazione a farsi rispettare 
anche se davanti a lui ci fosse stato un enorme mostro affamato e privo di coscienza. Poi le immagini nella mia testa cominciarono a cambiare: lo vedevo su un letto, con gli occhi socchiusi dal piacere, disponibile a soddisfare le mie fantasie erotiche;  
provai ad immaginarlo senza vestiti, con le gambe bianche e sottili aperte, la sua voce che mi pregava di entrare dentro di lui. E' incredibile quanto può farti sesso una persona anche se l'hai vista solo una volta.
Mi lasciai sfuggire un ansimo, in preda all'orgasmo, e sporcai la mano di Heiji, sussultando per il piacere.
-Sì... come desideri..- risposi infine mentre lui ritirava la mano grondante dai miei pantaloni e mi rivolgeva un'occhiata soddisfatta. Volevo rivedere quell’Ayame ancora una volta, ma non potevo non farlo senza metterlo a rischio. 

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