Il Fiore Dell'Eternità

di Flower of Eternity
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo Primo ***
Capitolo 3: *** Capitolo Secondo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***



PROLOGO

Tutto cominciò nel più disordinato dei modi.
Esterno notte. Una gelida notte di metà dicembre, a voler essere precisi. Stelle nel cielo, falce di luna che illumina gli scheletri di una morta foresta nel pieno dell’inverno.
Fuoco e fiamme. Meravigliose, danzanti, selvagge fiamme, che con gran voracità divoravano la parte est di quel maestoso, oscuro edificio. Lo vedete? Così possente, con le sue alte e nere mura, così baldanzoso, con le sue tonde e tozze torrette poste ai quattro angoli. Eppure così indifeso, sofferente preda del divampante incendio.
Gilda dei Maghi Oscuri. Quella Gilda rispettata in tutto il continente, elegante luogo ove è custodito il Sapere Magico, meta di studiosi da ogni angolo conosciuto e non del mondo. Quella Gilda abitata dai più temibili maghi dediti alle tenebre, quella Gilda che neppure il migliore pazzo dotato del migliore esercito e delle migliori armi oserebbe attaccare.
Eppure questo era accaduto. Senza esercito e senza armi: solo con un pazzo.
“Sazare! C’è Sazare dietro a questo!” Un povero novellino, un ragazzetto che neppure aveva saputo ottenere il diploma di Secondo Livello, corse verso l’origine dell’incendio, armato di un letale e temibile secchiello pieno d’acqua.
“Come fai a dirlo?” Un suo collega, più anziano e quindi più esperto, formulò in incantesimo, riuscendo a far fuoriuscire un fiotto d’acqua direttamente dalla punta delle sue dita. A essere del tutto sinceri, non era proprio un fiotto, ma un patetico rigagnolo, che gli bagnò le scarpe.
“Come faccio a dirlo? L’ho visto!” Gettò il contenuto del secchio sulle fiamme, le quali decisero di non risentirne minimamente: era un fuoco magico, appiccato con sadico divertimento da un mago assai più potente di loro, e non sarebbe stato facile spegnerlo.
“Ma perché mai avrebbe dovuto bruciare la sua stessa Gilda?” Ribatté il secondo, cercando di infondere più potenza al suo incantesimo portatore di acqua. L’unico risultato visibile fu che il liquido da lui creato ottenne una meravigliosa sfumatura fucsia. “E poi perché dare fuoco solo alle prigioni?”
“Che vuoi che ne sappia? Che era strano si sapeva, no?” Lo abbandonò, per correre al pozzo e raccogliere altra acqua. Attorno a loro, altri maghi impazziti tentavano disperatamente di sopire le fiamme, o di mettere in salvo i propri averi.
Solo una figura avanzava nella più completa calma. Una figura alta, con lunghi capelli scuri, e sottili labbra piegate in una smorfia di sufficienza nei confronti dei colleghi. Vestiva con la tipica tunica da mago, più nera della notte attorno a lui, e le fiamme vorticanti si riflettevano alla perfezioni nelle sue iridi, sempre nere.
Nessuno badava a Sazare. Lui era la causa di tutto ciò, eppure passeggiava tranquillamente verso l’entrata alla Torre delle Prigioni, mentre tutti fingevano di non vederlo: perché erano davvero pochi colore che avrebbero potuto affrontarlo, e tornare a casa per esporre un resoconto. “S… Sazare…” La piccola e patetica guardia posta innanzi alla porta in ferro battuto rabbrividì di terrore, puntandogli un simpatico spadino, che lo divertì non poco; anche se, come sempre, non lo diede certo a vedere.
“So come mi chiamo.” Ribatté; la sua voce era rigida, eppure armoniosa. Una voce dannatamente carismatica, che potrebbe indurre una folla intera a slanciarsi senza un come o un perché in una battaglia senza speranza di ritorno. “Fammi passare.”
Ovviamente, l’atro smise immediatamente di fare l’eroe e acconsentì a lasciargli il passo. Anzi. Cercò freneticamente nel grande e pesante mazzo di chiavi e, con dita assai tremanti, aprì gentilmente l’ingresso. Quando Sazare passò, senza più degnarlo di uno sguardo, sprofondò persino in un inchino.
E mentre la follia dovuta all’incendio proseguiva all’esterno, egli discese i lunghi ed umidi gradini che conducevano alle segrete. Solo poche altre volte si era recato alle prigioni, e quindi era preparato al terribile fetore che lo colse, man mano che scendeva verso le viscere della terra. Si tappò naso e bocca con una manica, e proseguì, inespressivo.
Viene da chiedersi perché la Gilda dei Maghi possedesse delle prigioni: in fondo, esistevano già quelle di stato, molto più grandi e terribili, dove gettare i propri prigionieri evitando così i costi di mantenimento o di tortura; economicamente parlando, non valeva proprio la pena trattenere chicchessia nella prigione della Gilda, anche se costui si fosse macchiato di orribili crimini.
Infatti, la maggior parte delle celle erano vuote. No, siamo sinceri: erano tutte vuote. Tranne una.
Sazare la trovò, orientandosi in quell’ambiente maleodorante e flebilmente illuminato da poche e vecchie torce. Trovò la cella, e si poggiò alle sbarre, osservandone interessato l’abitante.
L’abitante ricambiò il suo sguardo con uno pieno di terrore. Aveva già intuito che vi fosse qualcosa non andava dagli urli dei maghi all’esterno ed ora, vedendosi con l’unica compagnia quella alta e nera figura, si allontanò il più possibile dall’ingresso della sua prigione, rintanandosi in un angolo, simile a un coniglio braccato da uno spietato cane da caccia.
Il mago non badò a quella reazione; strinse le sbarre con una mano, socchiudendo gli occhi. Mormorò parole sconosciute alla maggior parte dei maghi, e il metallo che le componeva prese a sciogliersi come cioccolato al sole. L’occupante della cella strillò di terrore a quel prodigio, e non seppe più dove andare a nascondersi.
“Muoviti.” Incitò seccamente, una volta liquefatta la porta. Il metallo fuso, colato ai suoi piedi, prese a tornare freddo e duro, in un ammasso inutile ed informe.
“Ma…”
Lui sbuffò, e a grandi passi entrò nella cella. L’afferrò per un polso, costringendola ad alzarsi. Lei urlò.
Era una femmina mezz’elfa. Alta quasi quanto lui, magra per i troppi anni di prigionia, con vezzose orecchie a punta che spuntavano dalla lunga massa di capelli color fiamma. Chiuse gli occhi, impaurita, celando al mondo la bellezza dei suoi occhi simili a braci ardenti. Sazare non si lasciò intenerire, e con malagrazia la trascinò all’esterno, ignorando la sua paura.
“Spicciati. Il fuoco non è eterno.”
“Chi sei? Dove mi porti?” Lei disperatamente tentò di allentare presa delle sue dita sul polso, ma purtroppo stare in prigione per troppo tempo indebolisce anche il più forte dei mezz’elfi. E questa creatura, potete crederci, era stata rinchiusa davvero per troppo, troppo tempo.
“Sono il tuo nuovo maestro.” Fu la rapida e scontrosa spiegazione, mentre un fresco fiotto d’aria le schiaffeggiò la faccia, informandola che stavano raggiungendo l’esterno. Salirono in tutta fretta le scale, lui inarrestabile e lei penosamente trascinata, sino a raggiungere l’uscita.
Tarandryleena spalancò la bocca per la sorpresa. Le fiamme ormai lambivano la cima della Torre delle Prigioni, e nessuno aveva il tempo per badare a loro. Continuarono a camminare, dirigendosi verso l’uscita della Gilda. Sarebbero passati per l’ingresso principale?
“Ma… da chi hai ottenuto il permesso, per…?” Azzardò, logicamente preoccupata.
“Io non ho bisogno di permessi.”
Fu solo in quel momento, dopo che ebbero attraversato l’ingresso disadorno di guardie, che la mezz’elfa poté finalmente realizzare un’idea stuzzicante, quasi incredibile: era libera.
Smise di opporsi, e, sempre tenuta per il polso dal misterioso salvatore, lo seguì fedelmente.





Spero che come prologo incuriosisca e non annoi. Dato che io ho la mania di dover visualizzare i miei personaggi, posto delle immagini che ho trovato, e che mi ricordano Sazare e Tara.
Sazare:
http://img91.imageshack.us/img91/6420/storia27he.jpg
(copiate e incollate il link su una pagina di explorer)
Tarandryleena:
http://img91.imageshack.us/img91/2898/storia17ew.jpg
(Le orecchie però non sono così... sono semplici orecchie a punta da mezz'elfo.)
Beh, ora provo ad andare avanti... speriamo bene.

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Capitolo 2
*** Capitolo Primo ***



CAPITOLO PRIMO

Sapete cos’è uno stregone per un mago? Un animale. O poco più.
Non è che vogliano essere cattivi, i maghi. Cerchiamo di porci dal loro punto di vista: non hanno poteri magici innati, così passano la loro intera esistenza immersi nello studio, rapiti dal fascino dello sbrogliare gli immensi nodi della teoria magica, e acquisire così sempre nuova potenza… e poi magari capita che arrivi loro di fronte uno stregone, il quale, poveretto, spesso non sa neppure leggere o scrivere, ma che, per uno strano scherzo di natura, può far crollare una montagna con il solo pensiero; il più delle volte senza nemmeno rendersene conto, o ricordare come ci sia riuscito. Se voi foste un mago, non vi sentireste leggermente presi per i fondelli? Direi di sì.
Se un mago dovesse trovare uno stregone sul suo cammino, la cosa più civile che potrebbe riservargli sarebbe uno sputo in un occhio. Niente di meno, e forse qualcosa di molto doloroso in più.
Il Mago Supremo della Gilda dei Maghi Oscuri era al corrente di queste informazioni. E anche di molte altre. Per questo non riusciva proprio a capacitarsi della situazione.
“E’ pazzo.” Borbottò l’anziano mago, osservando con infinito stupore la distruzione della parte est dell’edificio. “Ignobilmente, irrimediabilmente pazzo.”
L’opera di ricostruzione era già cominciata, e tutti si impegnavano per dare una mano; tutti tranne uno, un povero derelitto seduto in un angolo, piuttosto imbronciato per il fatto di non potersi rendere utile, dato che le sue dita non avevano ancora smetto di produrre acqua fucsia.
“Non sapevamo cosa fare…” Mormorò mortificato l’uomo accanto al Mago Supremo, un Insegnante Mago, piegandosi con fare penitenziale e riverenziale.
“Ovvio che non sapeste cosa fare!” Si voltò, dando rabbiosamente le spalle alle pareti annerite dalle fiamme. “Sazare è giovane, ma persino io faticherei a tenergli testa!” Dato che lo ritenne fuori luogo, trattenne a forza un moto d’orgoglio verso quel brillante studente che lui stesso aveva istruito per diversi anni. “Però la cosa… la cosa che non mi spiego…” Cominciò a camminare verso il suo ufficio, il passo affaticato dal peso degli anni. “E’ perché combinare tutto questo… per liberare una dannata stregona!”
“Streg… nelle segrete avevamo una stregona?” L’altro sottolineò con stupore quest’ultima parola, manco fosse una terribile bestemmia.
“Una delle più pericolose.” Confermò il Mago Supremo, oscurandosi in volto. “Tarandryleena.” Sussurrò, pronunciando quello che per lui era il nome di un mostruoso demone. “Non hai mai sentito parlare di quella dannata mezz’elfa?”
“Ah, era una mezz’elfa?” Se ne cascò dalle nuvole.
“Dica, ha mai fatto un giro nelle prigioni?” Sbottò il povero anziano, rabbioso.
“Che io ricordi, no.”
Il poveretto scosse il capo. Incompetenti, era circondato da incompetenti. “Tarandryleena ci fu affidata diversi anni fa...” Spiegò, lisciandosi la lunga e grigia barba. “Dopo che ebbe distrutto una decina di città con un solo incantesimo!”
“Sta… scherzando, vero?”
“Non sono abituato a scherzare.”
La magia davvero potente, in quei tempi, era roba per pochi: la maggior parte dei maghi e degli stregoni, infatti, non riusciva ad innalzarsi molto, e, a voler ben vedere, quelli davvero pericolosi si contavano sulla punta delle dita. Sazare e Tarandryleena sarebbero certamente risultati in quel conteggio.
“Perché Sazare l’ha liberata?” Strillò l’Insegnante Mago, ora sinceramente preoccupato. Dopo la disperazione venne l’illuminazione, ed egli puntò glorioso un dito, esponendo la sua geniale teoria:“Ho capito: vuole conquistare il mondo!”
Questa ipotesi strappò una roca risata al vecchio. “Sazare non ha certo da pensare a queste stupidaggini.” Commentò, secco.
“Inoltre, so che è di ottima famiglia… non ha neppure bisogno di ricchezze.” Ponderò l’uomo, forse tornato in compagnia della sua pur carente materia grigia.
“Tarandryleena, oltre ad essere… piuttosto esplosiva… ha anche la non simpatica caratteristica di rubare le energie agli altri esseri viventi.” Mormorò preoccupato il Mago Supremo. “Quando è troppo debole, non si fa problemi ad uccidere il suo prossimo, e a sfruttarlo per recuperare le forze.”
Non c’era niente di rassicurante in tutto ciò: stando alle descrizioni del vecchio, ora in giro per il mondo vi era una pazza assassina psicolabile, in compagnia di un matto ancora più pericoloso. Ed era colpa loro, che non erano riusciti a fermare quel dannato mago.
“Non capisco: cosa ha spinto Sazare a liberarla?”
“Non lo so. Ma conoscendolo… certo non l’altruismo.”
“Allora, potrei sapere perché sono stata convocata?” Domandò in quel momento una voce assai innervosita, appartenente ad una bellissima ma altrettanto pericolosa donna.


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Capitolo 3
*** Capitolo Secondo ***



CAPITOLO SECONDO

“Mangia.”
Non se lo fece ripete due volte. Si lanciò voracemente sul pane e i formaggi che lui le aveva posto innanzi, ingurgitandoli come un cane affamato. In effetti, considerata la scarsa dieta delle prigioni, pane e formaggio potevano essere considerati a pieno titolo delle pietanze da re.
“Un poco di contegno!” La sgridò immediatamente Sazare; Tarandryleena alzò timidamente lo sguardo, osservandolo sorpresa. Da poco era sorta l’alba, un timido e freddo sole che, strisciando tra i secchi alberi morti, illuminava a tratti il loro provvisorio rifugio nella foresta. Finalmente, grazie a questa luce, lei poté studiarlo un po’ meglio.
“Sei un mago?”
“Ovviamente, sì.”
Lo sguardo era severo, terribilmente severo. E i capelli, che nella notte erano apparsi come semplicemente neri, esplosero alla luce solare in caratteristici e magnetici riflessi bluastri. La tunica era lunga, ma stretta e pratica, con una cintura di corda in vita, alla quale era fissato un medaglione in cristallo, di forma romboide.
“Perché mi hai liberata?”
Lui non rispose subito; la fissò come uno scienziato pazzo fissa la cavia prima di vivisezionarla. Una cosa non esattanente rassicurante.
“Sai perché sei stata rinchiusa in quella cella?”
“Perché ribatti alla mia domanda con un’altra domanda?”
“Mi vuoi rispondere, o no?”
Tacquero. Non era un buon inizio.
Sazare interruppe il silenzio fischiando leggermente e alzando un braccio verso il cielo. Quasi subito, su di esso atterrò un temibile corvo, il cui piumaggio ricordava incredibilmente il colore dei capelli del mago; lui lo carezzò con delicatezza, incredibilmente pieno di affetto. L’animale ricambiò la cortesia con un gentile verso gracchiato.
“Controlla che nessuno ci stia seguendo.” Mormorò, levando il braccio verso l’alto, e lasciandolo decollare. L’uccello sembrò aver compreso l’ordine, dato che si sollevò in ampi cerchi, studiando con occhi attenti l’intera zona.
“Adesso ascoltami bene.” Tornò a concentrare la sua attenzione sulla povera Tarandyleena, la quale aveva appena finito di spazzolarsi tutto il cibo che le era stato messo a disposizione. “Non ti ho liberato per cortesia, siine certa.”
“E allora perché?”
“Sai perché sei stata imprigionata, o no?” Sbottò, pericolosamente innervosito.
Si trattenne a fatica dal protestare del fatto che la sua domanda fosse stata nuovamente palleggiata con un’altra, e decise di farlo contento con una risposta:
“Perché esplodo.” Mormorò a mezza voce, abbassando il capo. “Quando… non lo faccio apposta… ma quando mi… arrabbio, io…”
“Appunto. Come tutti gli stregoni: incontrollabile.” Scosse il capo, con evidente disapprovazione per la categoria. “L’unica cosa che ti distingue dagli altri sono i tuoi poteri immensi. Sei pericolosa”
Tarandryleena non ritenne opportuno rispondere: era curiosa di vedere dove quello strano ma carismatico individuo volesse andare a parare.
“So anche che, quando un incantesimo ti indebolisce troppo, tendi a… chiedere energia in prestito.” Fece una pausa ad affetto. “E so che questi prestiti solitamente sono mortali.”
“E’ una reazione istintiva anche quella…” Adesso l’aveva mortificata. Orribili ricordi le tornarono alla mente, quasi costringendola a stringere gli occhi per scacciarli.
“Ho conosciuto cani meglio addestrati di te.” Fu il gentile e premuroso commento. “Da oggi in poi, tu eseguirai i miei ordini. Senza fiatare.”
“E perché mai?” Si stupì la giovane.
“Perché ti ho liberato. Perché sei ricercata. Perché senza di me combineresti solo danni. Vuoi sentire altri perché?”
“No, grazie.”
“No grazie, maestro.”
“Sì, maestro .” Ma non vi era ostilità nella sua voce. Per anni aveva vissuto nelle tenebre, in compagnia di topi e carcerieri; per quanto scontroso, questo era l’unico essere umano che dimostrava un minimo interesse per la sua persona. E non fu un dispiacere sapere che, grazie a lui, forse presto avrebbe potuto imparare a controllarsi. E risultare assai meno pericolosa.
“Molto bene. Come prima cosa…”
Ad interromperli intervenne il corvo, che, con grazia, tornò dal suo padrone. Nei dintorni era tutto sicuro.
“Scusa, ma tu cosa ci guadagni?” Se ne uscì improvvisamente lei, senza potersi trattenere. Sazare la fulminò con lo sguardo, e lei si spicciò ad aggiungere: “Cosa ci guadagni, maestro ?”
“Nulla. Ovviamente, nulla.” Rispose, con un tono talmente glaciale, da far rabbrividire persino un morto.





Ok, ci sono i primi due capitoli!
Ringrazio molto chi mi ha già recensita... le prime recensioni sono quelle che ti fanno dire: wah, ma allora qualcuno legge! A qualcuno piace! E cominci a saltellare per la stanza, inciampando in qualcosa fuori posto e battendo la testa contro uno spigolo...
Spero che la storia stia prendendo una piega a voi gradita; i primi capitoli sono sempre un po' ostici, perché bisogna seminare la trama... ma presto la storia assumerà un bel ritmo, o almeno lo spero!
A presto, aspetto vostri consigli!

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