Fotogrammi al sole. di Miluna (/viewuser.php?uid=47609)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** 1. ***
Capitolo 3: *** 2. ***
Capitolo 1 *** Prologo. ***
Prologo.
La
sua mano sfila fra il grano della campagna, il sole abbagliante le
scalda la schiena scoperta. Il vestito rosso ha una macchia proprio
su una spallina, una macchia scura che assorbe il colore. Vino?
Forse.
Nell'altra
mano tiene i tacchi, che si è tolta, tanto quella camminata
elegante, proprietà della scarpa femminile per eccellenza, non
le appartiene. Meglio a piedi nudi, proprietà della libertà.
Continua a sfilare nel grano, sfilare e sfilare. Ne è
sommersa, le arriva alle ginocchia, sorride per il calore dietro,
come se il sole la conducesse per mano, come fanno le maestre con i
bambini nel momento di condurli fuori. L'eco di chiacchere
straripanti di mondanità raggiunge blandamente le sue
orecchie, loro sono di là. Sì. Sente il solletico nel
continuo far passare la mano sugli spicchi, le piace molto. Il sudore
delle suole dei tacchi comincia ad annullarsi nella corrente d'aria.
Pezzi di cielo rimangono indietro, man mano che gli occhi proseguono.
Le braccia non sono alzate, anzi, rimangono ai livelli delle cosce,
ma le dita sono tese, altrimenti come provare solletico? Sembra una
ninfa, in quella posizione, che avanza di spalle, lentamente, in un
vestito rosso elegante e i capelli castano scuro sciolti. Le nuvole
sono assenti, il cielo è limpido fino ai suoi fondi, perché
sembra che si possano vedere solo per un momento. Chissà come
si sentono gli astronauti, dall'alto che guardano il cielo della
Terra, e che ne conoscono i fondi. Il rumore regolare e vivo di una
cicala fa da sottofondo al sereno silenzio. La ragazza si gira,
cominciando a camminare all'indietro. Il granaio, e poi la cascina in
fondo al suo campo visivo, pian piano diventano punti sempre più
piccoli, finché non hanno più sostanza. Ride allegra e
divertita, sentendo il culmine dell'anima sgorgare dalla pelle, dagli
occhi e buttarsi nell'aria. Si butta di colpo per terra a pancia in
sù. Il grano si infila fra le braccia e le gambe, affianca i
capelli. Non sente il tonfo, sente solo un sostegno morbido e allo
stesso tempo ruvido. Il sole invade la sua vista, le perfora gli
occhi. All'improvviso una mosca, una grossa mosca le vola sopra,
coprendo il sole. Per un attimo il centro del mondo è lì:
è la mosca che copre il sole e si sostituisce ad ogni altra
cosa.
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Capitolo 2 *** 1. ***
1.
Le
dita delicate premevano i tasti del pianoforte con grazia e, allo
stesso tempo, forza. Nel salone regnava un silenzio solenne, morbido,
con tanti ricordi fluttuanti insieme a respiri appena accennati. I
bambini ascoltavano a qualche passo dietro di lei, sul divano,
adagiati sui cuscinetti blu. Alcuni stavano per terra, con le gambe
incrociate e le mani che raccoglievano i piedi. Anita aveva una forza
nei movimenti che sembrava eguale ai rami ricchi di foglie che si
piegano al vento, proprio in questo modo si plasmava secondo la
musica. Sorrideva, anche se i bambini non potevano vederlo. Era una
musica mite, capace di evocare qualunque ricordo. Prima di
cominciare, si era detto così: - Non mettiamoci dentro parole,
lasciamo che questa canzone si possa estendere all'infinito. Va bene,
bambini? - Lavinia aveva imparato a conoscere l'infinita potenza
comunicativa di una sola nota, senza le restrizioni delle parole. Una
sequenza di note può comunicare al mondo intero. Si era
immaginata un mondo in cui il do più basso ispirasse allegria,
e il sì più alto inquietudine, e non tanta luce. Si era
costruita un'idea di un mondo del genere. Si sentiva al centro di un
vortice, nell'ascoltare. Gli altri bambini erano solo voci confuse,
le note miravano dritto nel bucherello della sua..non sapeva se fosse
la risposta giusta, anima? Non sapeva di preciso cosa fosse l'anima,
ma ne aveva sentito parlare spesso in queste occasioni. Si era
immaginata, perché Lavinia ingrana molto in questa attività,
cosa potesse significare esattamente la parola anima. Non sapeva
ancora leggere, quindi non poteva neanche consultare un dizionario.
Si era immaginata che fosse quella forza che ci spingeva a sorridere,
piangere, essere tristi o arrabbiati. Però in un modo più
profondo, come se un sorriso dell'anima fosse qualcosa che proveniva
da un fondale. E così, ricordando il suo personale significato
di anima, lasciava che le note scorressero, si infilassero dentro il
bucherello e si incollassero, oppure con una botta d'aria
scivolassero via. Senza accorgersene cominciò a imitare quei
suoni a bassavoce, e ne uscì un piacevole mormorio melodico.
Una bambino accanto a lei si voltò, guardandola sorpresa, poi
rivolse lo sguardo ad Anita. La pianista si girò un attimo
incuriosita, e vedendo la bambina trasportata dalla musica sorrise
felice. Il sorriso felice di Anita era contagioso, e allora anche
l'altra bambina sorrise battendo le mani. Si mise a sussurrare
sottovoce anche lei. E gli "oh" tramutavano dolcemente in
"ah" man mano che la musica cresce, diminuiva, cambiava
tono. Lavinia, nonostante fosse piccola, sentiva come dei vaghi
ricordi dal breve passato. Come un calore, qualcosa di freddo ma
innocente. Pensò a sua madre, con i capelli scoloriti dall'età
e le rughe che si formavano quando le piegava le labbra
affettuosamente. Il pezzo si dissolse, e terminò. Lavinia
sentì un vuoto desolato, ma vinto dalla sensazione di
appagamento. - E ora! Tenetevi pronti, alzate un po' quelle gonnelle
da terra! Si balla! -
Non
ci fu tempo di pensare. Tutti i bambini entusiasti si alzarono, si
riunirono parlottando eccitati. La musica parti come una secchiata
d'acqua fredda. Festa, festa! Era veloce, ricca e sgorgante di
allegria esuberante. Un bambino la afferrò per le braccia e la
incoraggiò a saltellare, che buffo modo di imitare il ballo,
con lui. Lavinia, completamente spaesata, riuscì solo ad
annuire ed ecco che veniva tirata in su e in giù dalle mani
del signorotto davanti. Ci prese gusto in poco tempo, cominciò
a ridere e a muoversi a girotondo saltellanti per tutto il salone.
Anita era più vivace che mai nei movimenti che accompagnavano
le note. Qualcuno cominciò ad alzare le mani al cielo e a
batterle a tempo di musica. Qualcuno girava e girava e girava, senza
preoccuparsi di eventuali capogiri. Anita ad un certo punto alzo una
mano sventolandola in aria in un accompagnamento intrattenibile al
ballo, e la riportò subito sul piano. Occhi lucenti e sorrisi
larghissimi erano flash continuati. Un bambino, senza rendersene
conto, si lanciò in mezzo al gruppo e prese a ballare da solo.
Giravolta, altra giravolta! Saltellate e braccia che imitavano la
marcia dei nanetti di Biancaneve. Tutti lo accerchiarono, guardandolo
divertiti e ballicchiando sul posto. Lavinia non riusciva a
trattenersi, e saltava sul posto battendo le mani. Anita amava le
risate infantili, le più pure.
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Capitolo 3 *** 2. ***
Aspiravano
caldo, lasciavano che entrasse nei loro polmoni, lamentandosene come
se fosse un dolore viscerale. A Lavinia ricordavano i sacchi
d'ossigeno dell'ospedale, quelli che si vedono sempre nelle serie tv.
Così era il loro flusso, inghiottivano aria calda a fiotti.
Mala sorte, la loro. Subire il freddo fino a tremare, subire il caldo
fino a sudare e ricercare disperatamente aria tiepida. La fronte
della sorella maggiore imperlata di sudore era incoranata dal sole,
che entrava dalle persiane. C'era il costante rumore delle gocce che
cadevano ritmicante dal rubinetto del bidet, dove la sorella maggiore
aveva appoggiato la gamba scoperta. Il rubinetto perdeva da tempo, ma
nessuno si curava di ripararlo. Suo fratello era seduto sulla sedia
di legno di fronte al bidet, con entrambe le gambe divaricate, che
faceva dondolare lentamente. Lavinia le guardava e pian piano il
sonno le solleticava gli occhi, allora cercava di sistemarsi meglio,
lì seduta sul davanzale della finestra, per trovare una
posizione in cui appisolarsi perfettamente. - Togliti da lì,
cretina, che l'aria deve entrare. - dice la sorella con una voce
raschiante. Lavinia gira la testa, ignorandola.
-
Il ketchup è orribile. Ha un sapore disgustoso, e pure un
aspetto disgustoso. - sbotta all'improvviso il fratello. A quei tempi
aveva sedici anni, aveva sempre i capelli arruffati, le maglie larghe
e unghie praticamente inesistenti.
La
sorella dai modi bruschi e l'aria sempre seccata, alza lo sguardo.
Lei era la più grande dei tre, e lo aveva appreso
perfettamente, ostentando superiorità con tutti. - Che? -
-
Dico che il ketchup è orribile. Non mi piacciono le cose
dense, le odio. E poi rovina il sapore di ogni cosa, si impone
prepotentemente. -
-
...e allora? -
-
Così, mi era venuto in mente. -
-
Come vuoi. - e volta la testa di colpo. - Ancora lì sei?! Ti
sei rincoglionita tanto che non mi senti nemmeno quando parlo?! -
-
Mi piace stare qui, non mi puoi obbligare. -
-
Gne gne non ti posso obbligare, vattene da lì o ti vengo a
prendere io stessa. -
Si
sente sul soffito il ronzio di una zanzare, che esaspera ancora di
più la sorella, Magda, che intanto si sta facendo la ceretta.
Lavinia gira la testa e guarda per strada. Abitano in un
appartamentino minuscolo, che si affaccia su una strada senza poesia.
Ripensa all'affermazione appena pronunciata. Nah, non è vero.
I poeti trovano pane per i loro denti dappertutto, anche in una tazza
bianca su un bianco tavolo. Magari avrebbero trovato poesia nel
piccione che passa ogni tanto, beccando anche i rifiuti abbandonati
sulle mura, se non trova niente. Magari troverebbe poesia nel
cagnaccio che passa verso la sera, e fa rizzare il pelo al gatto
spelacchiato, appollaiato sulle scatole di cartone.
Il
caldo le appicica i capelli al cranio, e la maledetta zanzara
comincia a rieccheggiarle in testa. Le zanzare, teoricamente, sono
dei minuscoli vampiri. Solo che i vampiri piacciono a tutti, le
zanzare non stanno simpatiche a nessuno. A lei i vampiri non
piacciono, li trova incredibilmente inquietanti e noiosi con la loro
immortalità e la loro pelle bianca bianchissima.
All'improvviso sussulta, Magda l'ha presa in braccio di colpo e senza
ritegno l'ha spinta fuori dalla stanza. - Ehi, voglio stare con voi!
-
-
Rompi, vai a giocare. -
Lavinia
guarda la porta, che il fratello chiude tendendo la mano. La fredda
porta e i bisbigli dietro.
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