In the Darkness - Nell'Oscurità.

di Drop Of Blood
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo Primo ***
Capitolo 3: *** Capitolo Secondo ***
Capitolo 4: *** Capitolo Terzo ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


Soltanto una vita vissuta per gli altri è una vita che vale la pena vivere. “


Einstein

 

 

 

 

Ho ricordi ben dettagliati di quel mattino di primavera.

Quel nove di Aprile mi svegliai presto,molto presto,alle sei ed un quarto circa.

Avevo i capelli incollati al viso,la nuca e le braccia imperlate di sudore.

Provai nuovamente ad addormentarmi,ma fu tutto inutile.

Decisi allora di alzarmi e di iniziare a prepararmi,anche se l'orario delle lezioni era ancora lontano.

Aprii l'armadio ed indossai una felpa grigia,un paio di jeans e le mie comode Converse nere.

Non sapendo cosa fare,decisi di rassettare la stanza.

Cercai di non far rumore;le mie compagne di stanza, Edith ed Allison ,stavano ancora dormendo.

A lavoro ultimato,diedi un'occhiata all'orologio. Sei e quarantacinque.

A quell'ora,l'unica persona sveglia,oltre a me,era il mio amico Marcus.

Aveva l'abitudine di alzarsi all'alba. Diceva che era il solo momento della giornata in cui poteva lavorare alle proprie idee,senza interferenze da parte di terzi.

Marcus era uno studente di Informatica al secondo anno,proprio come me.

Era un genio,avrebbe sicuramente fatto strada.

Harvard era fortunata ad avere un programmatore come lui.

Avrei tanto voluto avere un decimo del suo potenziale.

La sua stanza distava dalla mia circa un metro,ma per comunicare utilizzavamo le e-mail.

Odiavo disturbarlo,ma scambiare mail con lui teneva lontana la noia.

Marcus era imprevedibile,rompeva tutti gli schemi.

Quando pensavi di sapere come avrebbe risposto ad una domanda,ecco che ti sorprendeva.

Quella era una delle caratteristiche che più adoravo di lui.

Effettuai l'accesso alla mia casella di posta ed iniziai a scrivere una nuova e-mail.

 

Buongiorno,Genio. Cosa stai macchinando a quest'ora del mattino?

 

Selezionai l'indirizzo di Marcus e cliccai INVIO.

Dopo neanche mezzo minuto,arrivò la sua risposta :

 

Buongiorno. Come mai sei già in piedi? Sto lavorando ad un'idea.

 

Ricominciai a digitare.

 

Non ho sonno. Mmm,interessante. Di cosa si tratta?

 

La sua risposta non tardò ad arrivare :

 

Se ti va,vieni nella mia stanza. Ti illustro il progetto nei dettagli.

 

Misi i libri nella mia tracolla e,velocemente,uscii dalla mia stanza,avviandomi verso quella di Marcus.

Bussai una volta ed il mio amico venne ad aprirmi.

 - Ciao. - dissi,entrando e sedendomi sulla sedia accanto alla sua. Il suo Mac era acceso e mostrava decine di migliaia di righe di codici.

Marcus correva avanti ed indietro per la stanza,senza fermarsi un attimo.

Sembrava … Agitato. Lo osservai,cercando di capirne il motivo.

C'era qualcosa di diverso in lui … Non seppi dire con precisione cosa fosse;ma,quando si fermò,capii. I suoi occhi. Erano di una tonalità di verde più scura e sul fondo potevo scorgere alcune pagliuzze dorate.

- Ehi … Va tutto bene? - chiesi,titubante,conficcando le unghie nella superficie in legno della scrivania. Anche nel suo sguardo c'era qualcosa di diverso. Era … Teso,sofferente,ma anche … Rabbioso. Un brivido corse lungo la mia schiena. Paura. Sì,era un brivido di paura. Avevo paura del mio migliore amico.

- Sì,tutto bene. - rispose,passandosi una mano tra i capelli.

Improvvisamente,avvertii un forte dolore alla mano destra.

Una scheggia di legno mi si era conficcata nel palmo.

Percepii lo sguardo di Marcus su di me. Mi voltai nella sua direzione.

Stava avanzando verso la scrivania. Era come … Posseduto.

Sentivo la gola bruciare,come avessi ingoiato tizzoni ardenti.

E … Quella sensazione …

Sobbalzai. Marcus era accanto a me e mi sfiorava il palmo della mano.

  - Lascia stare,non è niente di grave. - dissi,scostando la mano.

- No,fa vedere. - così dicendo,la riprese tra le sue e,delicatamente,estrasse la scheggia. Mi morsi il labbro inferiore per trattenere un lamento.

Un rivolo di sangue scendeva lungo il mio braccio. Marcus lo avvicinò alle sue labbra ed iniziò a leccare il liquido rosso. Ero confusa. Non capivo cosa stesse succedendo. Chiamai più volte Marcus,ma questo sembrava caduto in uno stato di trance. Decisi di reagire. Allontanai il braccio e lo colpii con uno schiaffo in pieno viso.

Accadde tutto in un secondo. Mi ritrovai con le spalle al muro ed il suo viso a pochi centimetri dal mio.

- Mi … Mi dispiace. Per favore,va via di qui,prima che ti uccida.- le sue parole furono quasi un sussurro.

Non me lo feci ripetere una seconda volta. Presi la mia tracolla ed uscii dalla sua stanza,correndo verso la mia.

Non appena fui dentro,mi distesi sulle soffici coperte del mio letto e,senza neanche rendermene conto,caddi in un sonno profondo.

 

Mi svegliai di soprassalto. Diedi una rapida occhiata alla sveglia. Erano le

diciannove e cinquantasette. Mi alzai ed andai alla finestra. Il cielo

era rossastro,con leggere sfumature di giallo,arancione e viola.

Impossibile. Avevo dormito per tutto il pomeriggio. Tesi le braccia ed avvertii un

forte dolore alle articolazioni. Ed il bruciore …

Percepii uno spostamento d'aria. Perlustrai velocemente la stanza e notai un oggetto di metallo vicino al letto di Edith. Era una gabbia ed al suo interno c'era un piccolo coniglio bianco. In un angolo della gabbia c'era un cartoncino color panna piegato in due. Liberai il coniglio e presi il cartoncino. Riconobbi immediatamente la calligrafia di Marcus. Recitava il seguente messaggio :

Ehi.

Io … Non so da dove iniziare.

Noi … Non dobbiamo più vederci.

Ci sono un sacco di cose che vorrei spiegarti.

Hai il diritto di sapere,ma non posso dirti tutto.

Col tempo,solo col tempo,capirai.

Sì, questo è un addio.

Credimi,è per il bene di entrambi.

Stammi lontano,non provare a cercarmi.

Non posso rischiare di farti del male,ce l'avrei con me stesso per l'eternità.

Perchè? Perchè a te ci tengo. Più di quanto immagini.

Addio,

Marcus.

 

 

Un gocciolina salata scese a bagnarmi la guancia.

No,lui no.

Perchè?,pensai. Perchè tutte le persone cui tenevo,cui volevo bene,mi abbandonavano? Mi rannicchiai in posizione fetale. Il legno del pavimento era liscio e freddo. Qualcosa di morbido mi passò accanto.

Era il coniglio. Lo osservai : aveva una zampina ferita. Piccole gocce color cremisi macchiavano il suo pelo. Erano come …Gocce di colore su una tela immacolata.

Mi alzai da terra e presi quel candido batuffolo fra le mani.

Aveva un odore … Delizioso. Qualcosa mi diceva che quella bestiola,in qualche modo,sarebbe riuscita a lenire il dolore alla gola.

Delicatamente,le diedi un morso,e sentii il dolce sapore del suo sangue sulla mia lingua. Bastò una sola goccia di quella delizia per spegnere quel bruciore. C'era un problema,però. Non mi bastava. Ne volevo ancora ed ancora.

Strinsi il candido pelo tra le dita ed affondai maggiormente. Dopo due minuti,sentii i tessuti cedere e lasciai che la carcassa cadesse,con un tonfo sordo,sul pavimento. Andai in bagno e mi guardai allo specchio. Stentavo a riconoscermi. I miei occhi erano circondati da vene violacee e le mie pupille vitree. In esse non vi era alcuna traccia di vita o … Di umanità.

In quel momento,il mio cellulare vibrò. Lo tirai fuori dalle tasche dei jeans.

 

Un nuovo messaggio da Andrew;recitava il display.

 

Andrew era il mio gemello. Lui,come me,studiava ad Harvard. A differenza della sottoscritta,però,non aveva un bel rapporto con la tecnologia. Usava di rado il suo portatile;solo per controllare la sua casella di posta. Era iscritto al corso di Economia. Avevamo molti amici in comune,a cominciare da Marcus.

Tremante,aprii il messaggio ed iniziai a leggerne il contenuto.

 

Charlie,devo vederti. Non ho idea di cosa stia succedendo.

E' terribile,orrendo. Sono sotto la finestra della tua stanza.

Scendi,ti prego. Ho bisogno di sapere che stai bene.

Andrew.

 

No,non poteva essere.

Uscii per la seconda volta dalla mia stanza e mi precipitai verso l'uscita del dormitorio. Una volta fuori, dovetti attendere alcuni secondi affinchè i miei occhi si abituassero all'oscurità della notte. Mi guardai attorno ed intravidi una sagoma scura poggiata al muro di mattoni rossi,accanto alla statua di John Harvard.

Mi avvicinai,incerta. Mi sentii sollevata,nel riconoscere il viso di mio fratello. Mossi qualche altro passo nella sua direzione,e rimasi sconvolta da ciò che vidi.

Il viso di Andrew era il riflesso del mio. Il dolce sorriso che aveva sempre dipinto in volto era scomparso,sostituito da un'espressione d'odio. La sua pelle era cosparsa da macchie di sangue. Notai,in un secondo momento,che sulle spalle portava un enorme sacco color corda. Senza proferir parola,lo aprì. Mi tappai la bocca con una mano,per impedire alle urla di terrore di uscire e squarciare il silenzio che circondava il dormitorio. Ashley Johnson,studentessa di Legge dell'ultimo anno,aveva tagli profondi ad entrambi i polsi,il collo ricoperto da enormi lividi giallastri,il volto cereo. Ed i suoi occhi,così blu e pieni di vita … Erano inquietanti,avevano visto qualcosa di orribile,avevano conosciuto la Morte.

Ashley Johnson aveva vissuto gli ultimi istanti della sua esistenza guardando la Morte negli occhi. Si era aggrappata con forza alla vita,aveva lottato contro il suo orrendo destino,ma l'Oscurità aveva vinto,trascinandola con sé,inesorabile.

La Morte non era come tutti se l'aspettavano. Non era uno scheletro avvolto da un mantello nero. Aveva occhi color cioccolato e capelli di bronzo.

Capii,allora. L'Odio che Andrew provava era verso se stesso,verso ciò che aveva fatto. D'istinto,abbracciai mio fratello,lasciando finalmente che le lacrime scendessero a solcarmi le guance.

- Anche tu … - disse;la voce gli tremava.

- Cosa … Cosa ci sta accadendo,Andrew? Perchè a noi? Io … Non posso e non voglio credere a tutto questo. Allora le … Le storie che ci raccontava zia Kristen da piccoli … Erano vere. - mormorai,cercando di calmare i singhiozzi che scuotevano il mio corpo.

- N-non lo so,Charlie. So solo una cosa : dobbiamo andarcene. Scappare. Charlie ed Andrew McKeith non sono mai esistiti. O almeno,dobbiamo far finta che sia così. - concluse,senza smettere di stringermi.

Aveva ragione,pienamente ragione. Non potevamo proseguire con le nostre vite come niente fosse. Perchè niente sarebbe mai più stato come prima.

Osservai il cielo,privo di stelle;nero come il mio cuore,nel quale non rimaneva neppure un briciolo di speranza.

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Capitolo 2
*** Capitolo Primo ***


Capitolo Primo

 

" Viviamo grazie alla morte di altri. “

Leonardo da Vinci

 

 

Guardai fuori dal finestrino. Gli edifici di Boston scorrevano veloci di fronte ai miei occhi,diventando nient'altro che un insieme di macchie di colore.

Strana,la vita,pensai. Meno di ventiquattro ore fa ero una studentessa di Harvard,studiavo e,soprattutto,sapevo cosa aspettarmi dal mio futuro.

Avevo una vita felice,certamente non perfetta,ma a me andava bene.

Mi chiesi cosa ne sarebbe stato di me e mio fratello. Ogni mia certezza era crollata. Attorno a me,il vuoto. Ero circondata dal nulla,da un immenso buco nero che,pian piano,mi trascinava via. Avevo solamente la forza di … Pregare.

Pregare chiunque ci fosse lassù affinchè mi lanciasse un'ancora di Salvezza,qualcosa a cui aggrapparmi,stringermi con tutta la forza che possedevo.

Perchè non potevo permettermi di crollare,non era il momento;lo sentivo.

Dovevo rialzarmi e lottare,non potevo restare passivamente a guardare lo scorrere degli avvenimenti. Dovevo reagire. Lo dovevo ad Andrew,a mia zia Kristen,a …

Marcus … Il suo nome si materializzò nella mia mente,procurandomi altro dolore.

Mi chiesi quando avrei smesso di soffrire,se mai avrei smesso.

Raccolsi tutto il coraggio che mi era rimasto e ricacciai indietro le lacrime.

Non dovevo e non potevo piangere. La Charlie fragile e sentimentale non esisteva più,si era dissolta nella nebbia dell'autunno,insieme ad una miriade di ricordi che ormai erano solo parte del passato. Andrew sedeva accanto a me;la schiena poggiata contro il sedile. L'angusto spazio di treno che occupavamo puzzava di tabacco,sudore e calzini sporchi. Trattenni a stento un conato di vomito.

Mi voltai in direzione di mio fratello. Solo allora notai che dormiva. Sul suo volto era comparso il caloroso sorriso di sempre. Involontariamente,gli angoli della mia bocca si piegarono a loro volta in sorriso appena accennato.

La consapevolezza che Andrew fosse in pace con se stesso,anche se per poco,mi sollevava. Era una cosa priva di ogni logica. Non si potevano dare spiegazioni a fenomeni del genere. Funzionava così,tra di noi. Se uno era felice,automaticamente lo era anche l'altro. Se Andrew stava male o era minimamente preoccupato per qualcosa,lo ero anche io. C'era un legame speciale tra me e lui. Eravamo collegati da un milione di fili invisibili. Forse ( e sottolineo forse ) , proprio per tale motivo,quella tragedia ci aveva colpiti entrambi nello stesso momento.

Diedi un'occhiata al display del cellulare. Otto e trenta. Circa un'ora e saremmo arrivati a Meadow Bridge,una cittadina di sole trecentosei anime della Contea di Fayette,nella Virginia Occidentale. Nulla,in confronto ai 108.780 abitanti di Cambridge. Lì abitava nostra zia. Stavamo andando da lei nella speranza che,in qualche modo,potesse aiutarci. Ricordavo bene quel momento,quando scendeva la notte e tutto diveniva silenzioso. Era la parte della giornata che io e mio fratello adoravamo. Quella in cui,dopo essere andati a caccia di mostri e spiriti maligni,ci sedevamo l'una accanto all'altro sul letto di Kristen e la pregavamo,con sguardo innocente,di raccontarci una delle sue Storie dell'Orrore.

Lo so. Voi penserete : “ E le Barbie,le moto,Cenerentola? “ .

Cenerentola,sì. Molto divertente.

Io ed Andrew non eravamo come tutti gli altri bambini della nostra età.

La nostra passione era il Sovrannaturale. Amavamo qualsiasi cosa avesse a che fare con licantropi,streghe e vampiri.

In particolare,la descrizione che fece di quest'ultimo tipo di creature,mi restò impressa :

I Vampiri sono creature della Notte,complici del Male. Sono incantevoli,all'apparenza. Si sa,però … Non bisogna mai giudicare un libro dalla copertina. Al calar delle tenebre,infatti,quando tutti dormono e si è circondati dal silenzio,loro escono allo scoperto;danno libero sfogo ai loro istinti,soddisfano la loro Sete.

Sete di Sangue. I Vampiri hanno una particolare predilezione per le donne giovani e belle.

Le ammaliano,sfruttando i loro poteri e,una volta averle condotte nel loro castello,le seducono e si nutrono della loro linfa vitale. Come tutti gli altri demoni,sono attratti dalla carne umana. Profanano la carne delle vittima e si avvolgono a spirale attorno alla sua anima,conducendola verso la Morte,verso la Dannazione Eterna. Ciò vale anche per le Vampire. Il loro bisogno di Sangue si manifesta attraverso alcuni cambiamenti a livello fisico. Le pupille diventano di ghiaccio e gli occhi vengono circondati da vene violacee.

E,in ultimo,ma fondamentale : non si deve MAI guardare un Vampiro negli occhi,perchè questi ha il potere di rendere sua schiava una persona con un semplice sguardo. Si dice,anche,che il fascino di tali esseri entri in una stanza prima di loro. “

 

Rabbrividii nel ricordare le sue parole. Occhi di ghiaccio,vene violacee …

Quei vocaboli descrivevano perfettamente ciò che avevo visto qualche ora prima,in bagno. Un riflesso terrificante. Il mio riflesso.

Ridicolo,commentò una vocina nella mia mente. Tu non credi nei mostri,nei vampiri,negli spiriti! O almeno,non più. Tu credi nella Scienza,nella Logica;non nelle creature protagoniste di un qualche stupido racconto dell'Orrore!

Era vero. C'era stato un tempo in cui avevo creduto all'esistenza di tali creature,ma,col passare dei giorni,quella convinzione era diventata sempre più debole,fino a trasformarsi in una semplice fantasia,frutto della mia fervida immaginazione di bambina. Dall'età di dieci anni,ormai abbastanza grande per iniziare ad avere i primi contatti col mondo reale,ormai abbastanza matura per abbandonare quella dimensione parallela fatta di zucchero filato e film horror,avevo rivolto la mia attenzione alle Scienze. All'Informatica,in particolare. Quel modo appariva così affascinante e pieno di enigmi da risolvere,ai miei occhi.

Quell'universo fatto di codici,variabili,valori divenne ben presto un rifugio per me,un angolo di realtà nel quale ero completamente a mio agio. Nel quale mi sentivo potente,in un certo senso. Con una stringa,un modulo o un semplice frammento di codice sentivo di poter fare qualsiasi cosa,di dare una risposta ad ognuna delle domande che mi circondavano,che popolavano la mia mente.

In quel momento,però,in viaggio verso una sperduta cittadina della Virginia,non c'era codice o variabile che potesse aiutarmi a mettere ordine fra i miei a pensieri,a dare un senso a tutto quello che stava accadendo.

-A cosa pensi? - chiese una voce a me familiare.

Mi voltai nella direzione di chi aveva fatto quella domanda.

Gli occhi di Andrew erano persi nel vuoto,osservavano un punto fisso di fronte ad essi.

- A tutto questo – risposi,in un flebile sussurro.

- Pazzesco,vero? - mormorò

- Già. -

 - E pensare che da piccoli adoravamo i racconti di zia Kristen sulle “ creature dell'Oscurità. “- disse,accompagnando le sue parole con alcuni gesti.

- Pensavo proprio a quello. - ammisi. - Ti ricordi la descrizione che fece dei Vampiri? - chiesi.

- Parola per parola. -

- Non trovi calzi a pennello? -

Non rispose alla mia domanda. Non ce n'era bisogno. Potevo leggerla nelle sue iridi inespressive,nei suoi lineamenti segnati dal ribrezzo e dalla preoccupazione …

Sì,dicevano.

- Come è successo? - domandai,riferendomi al corpo di Ashley che giaceva nel sacco che avevamo posto in una delle nostre valigie.

Sapevo che sarebbe stato doloroso rivivere quei momenti,ma mi convinsi che,in qualche modo,l'avrebbe aiutato a superare il trauma. Se non altro,si sarebbe sfogato.

- La gola bruciava,mi sembrava fosse circondata dalle fiamme.La giornata è trascorsa come tutte le altre. Sono andato a lezione,ho pranzato. E' andato tutto bene. Fino a sera. Ero all'esterno del dormitorio,quando … L'ho vista. Era appena tornata dal jogging. Si era fermata a riposare su una delle panchine,così … Mi sono avvicinato. Ecco,credo che quello sia stato l'errore più grande della mia vita. Il suo profumo era così … Buono,intenso. Senza dire nulla,le ho morso il polso. Ho bevuto solo un po' del suo sangue,qualche goccia,ma è bastata a far passare il bruciore. Almeno,quello che credevo fosse bruciore. Aveva un altro nome … Si chiamava Sete.

Non la avvertivo,ma sapevo che era sempre presente. Così,ho continuato a bere,prima da un polso,poi dall'altro,fino a quando nel suo corpo non è rimasta neppure una goccia di vita,fino a quando il suo cuore ha smesso di battere. Non sono riuscito a frenare i miei istinti,ho lasciato pieno controllo alla sete,le ho permesso di agire per me,di … Uccidere. - mentre terminava il racconto,Andrew iniziò a piangere. Un pianto muto,silenzioso.

Una gocciolina salata solcò il suo viso. Poi un'altra. E un'altra ancora.

Lo strinsi a me e gli baciai una guancia,rimuovendo la scia umida delle lacrime coi polpastrelli delle dita.

- Shh,Andrew. Non piangere. Andrà tutto bene,lo so. Sta tranquillo. - bisbigliai,stringendolo maggiormente.

In realtà,non ero sicura di nulla ma,in cuor mio,speravo andasse così.

Restammo in silenzio per alcuni minuti.

D'improvviso,mio fratello chiese:

- E … Tu? - ,la voce gli tremava. Era spaventato e preoccupato.

Preoccupato che anche io avessi macchiato la mia coscienza del rosso della Morte.

- Ho … Ucciso un coniglio. - risposi. Buffo. La vecchia Charlie non sarebbe stata capace di uccidere nemmeno una mosca …

- Un … Coniglio? - chiese,alzando un sopracciglio.

- L' ho … L'ho trovato in una gabbia sotto il letto. E … Dentro c'era anche un biglietto. Era di Marcus. - sputai. Era il mio turno di raccontare.

- Marcus? - quasi strillò;ancor più confuso di quanto non fosse.

Ed allora iniziai a parlare. Gli raccontai tutto,dal mondo in cui mi ero svegliata a quello che era successo con Lui,fino ad arrivare alle parole del biglietto. Inevitabilmente,toccando quel particolare,gli occhi mi si riempirono di lacrime.

  - Tu credi sappia qualcosa? - chiesi,dopo aver terminato il mio racconto.

- E poi … Non capisco,perchè allontanarsi da me,da noi? - aggiunsi.

- Non voglio avanzare ipotesi,in questo momento. Di una cosa,però,sono sicuro. Si è allontanato per paura di farti del male. Se ti succedesse qualcosa,qualunque cosa,lui si sentirebbe responsabile. - mormorò.

- Non capisco,davvero. - dissi,scuotendo la testa.

- Dannazione,Charlie! Non ci sei ancora arrivata? -

  - Cosa stai farneticando? - domandai. Davvero non capivo cosa stesse cercando di dirmi.

- Marcus è innamorato di te. -

Trac. Lo sentii. Sentii il mio cuore ridursi in tanti,minuscoli pezzi.

Stupida,stupida,stupida!

In tutto quel tempo – ben due anni – non mi ero accorta di nulla.

- Co-come fai a saperlo? - balbettai.

- E' palese! Lo si capisce dal modo in cui ti guarda,in cui ti parla,in cui pronuncia il tuo nome. Una volta l'ho scoperto ad ammirare una tua foto e allora … Ha dovuto confessare. -

- Io,ti giuro,non ho mai notato nulla,niente di niente. - confessai.

Andrew non disse nulla,si limitò ad abbracciarmi e stringermi a sé,come poco prima io avevo fatto con lui.

E,stretta nel suo caldo abbraccio,caddi in un sonno profondo,buio e freddo.

- Charlie. Charlie. Siamo arrivati. - disse una voce a me familiare.

Aprii gli occhi. Andrew mi osservava con sguardo amorevole,accarezzandomi un braccio.

- Ehm … Cosa? - farfugliai;la vista offuscata e la voce impastata di sonno.

- Siamo arrivati. - ripeté.

Guardai nuovamente fuori dal finestrino. Una verde distesa di cespugli e piante circondava il centro abitato;un variopinto insieme di edifici di medie e piccole dimensioni. Un enorme cartello bianco recitava la seguente frase :

Benvenuti a Meadow Bridge.

La Verità era sempre più vicina.

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Capitolo 3
*** Capitolo Secondo ***


Capitolo Secondo

 


" All children are artists. The problem is how to remain an artist once you grow up. "

 Pablo Picasso

 

 

 

Io ed Andrew eravamo di fronte la porta di casa di nostra zia Kristen.

Mio fratello chiuse la mano a pugno e alzò il braccio,lasciandolo a mezz'aria.

- Coraggio,fratellino. - mormorai,dandogli una leggera spinta.

Ma non fece in tempo a bussare,perché una donna alta,formosa,con capelli color fragola ed occhi color carbone,venne ad aprirci.

Appena ci vide,un sorrise splendente si dipinse sul suo volto.

- Angeli miei! Cosa ci fate qui? - chiese.

Nessuno rispose. Dopo pochi secondi,il suo sorriso scomparve.

- Cosa è successo? - domandò,ancora.

Non fu lei a parlare,ma il suo istinto materno.

Io e mio fratello non avevamo mai conosciuto i nostri genitori.

Nostra madre era morta,mentre nostro padre era un vigliacco che,venuto a conoscenza del fatto di aspettare un figlio,non si era assunto le proprie responsabilità ed aveva abbandonato la donna che diceva di “ amare “.

Avevamo solo due giorni,quando la mamma venne investita da un pirata della strada. Allora,una Corte Federale stabilì che Kristen sarebbe diventata la nostra tutrice,e lo sarebbe stata fino al giorno del nostro diciottesimo compleanno. All'età di quattordici anni,ci raccontò della prima volta in cui ci prese in braccio.

Eravate così piccoli ed indifesi. Ricordo quel giorno come fosse ieri. Un'infermiera arrivò e mi porse due fagotti,uno avvolto in una copertina blu,l'altro in una rosa. Un maschietto ed una femminuccia. Ero … Terrorizzata. Sembravate così fragili. Avevo il timore che,al più piccolo movimento,vi sareste sgretolati di fronte ai miei occhi.

Ero intenta ad ammirare i gioielli che avevo fra le braccia,quando l'infermiera fece ritorno. Mi disse che Anne,vostra madre,aveva lasciato una lettera per me. Con riluttanza,le diedi i miei angeli e presi la busta fra le mani. Iniziai a leggerne il contenuto. C'erano scritte poche,semplici frasi su quel foglio,ma riuscirono a trasmettermi l'Amore puro ed incondizionato che Lei provava per voi. Mi chiedeva,se mai un giorno le fosse successo qualcosa,di prendermi cura dei suoi piccoli,i suoi gemelli. E,in conclusione,espresse il suo ultimo desiderio.

Voleva che i suoi bambini si chiamassero Andrew Christian e Charlotte Rosalie. “,erano parole sue.

In quel momento,sapeva perfettamente che qualcosa non andava.

Ancora una volta,la sua domanda non ebbe risposta. E,quel silenzio,così saturo di preoccupazione ed angoscia fu,per lei,l'ennesima conferma che qualcosa di terribile era accaduto.

- Entrate. - mormorò,allora.

L'abitazione era di modeste dimensioni. Al suo interno prendevano posto due camere,un bagno,un cucinino ed un salotto. Le pareti erano dipinte di un caldo color crema;il pavimento era un parquet ben trattato,di una lucentezza serica.

Eravamo in salotto. Al centro della stanza vi era un tavolo in legno di mogano e,ai lati,tre divani in pelle color panna sui quali poggiavano cuscini dorati di diverse grandezze. Fra un divano e l'altro,inoltre,erano poste tre sedie,tutte provviste di imbottitura. Nonostante fossi cresciuta nella Grande Mela,circondata dal caos di città e da centinaia di taxi fosforescenti;lì,in quella minuscola ed apparentemente anonima casa,mi sembrò di tornare indietro di dieci anni. Mi sentivo protetta.

Io ed Andrew ci accomodammo l'una di fianco all'altro,Kristen di fronte a noi.

- Allora,cosa c'è che non va? - chiese,certa che finalmente qualcuno le avrebbe risposto.

Osservai mio fratello. Il volto cereo,le braccia tese lungo i fianchi,lo sguardo di cioccolato perso nel vuoto. Nella mia mente apparvero diverse immagini della sera precedente : Andrew accanto alla statua del Fondatore poi … Ashley che sostava su una panchina e salutava mio fratello con uno scintillante sorriso,esibendo una schiera di denti bianchi e perfetti.

Poi,di nuovo Andrew che,con passo lento e calcolato,le si avvicinava,mormorando un flebile ' Mi dispiace '.

Lui che,dominato dalla sete e dalla brama di sangue,le mordeva il polso,privandola della scintilla di vita che aveva sempre animato i suoi occhi turchini.

Solo,e sottolineo solo,in un secondo momento,capii che quelle immagini non erano frutto della mia immaginazione,ma i ricordi della persona che sedeva poco distante da me. Era come se,in qualche modo,Andrew fosse riuscito a trasmettermeli. In quel momento,fui del fatto che la mia sanità mentale fosse ormai completamente compromessa.

Ero ormai decisa a rispondere alla domanda che nostra zia ci aveva rivolto,ma un tonfo sordo fece sì che le parole mi restassero bloccate in gola,formando un enorme groppo.

Mi voltai verso la fonte del rumore.

Una delle nostre valigie,la più pesante,era caduta dall'infinita pila di bagagli che avevamo depositato accanto alla porta d'ingresso.

Inevitabilmente,questa si era aperta,mostrando il sacco contenente il suo corpo. Alcune ciocche di platino uscirono dall'apertura del sacco,facendo sgranare le iridi smeraldine di Kristen.

In meno di un secondo,l'odore della Morte impregnò l'aria,e la stanza divenne improvvisamente troppo piccola per ospitare tutti e tre.

Nostra zia si tappò la bocca con la mano sinistra,per impedirsi di vomitare sul posto. Corse in bagno. Tornò due minuti dopo;vidi una perla trasparente partire dall'ampia fronte,scorrere per tutta la lunghezza del naso e,infine,morire sulla sua bocca. Probabilmente,per riacquistare un minimo di lucidità,si era rinfrescata il viso con un getto d'acqua fredda.

Rimase qualche secondo ad osservarci;gli angoli delle labbra di rubino piegate in un sorriso.

Provai … Sollievo.

Nonostante tutto,era riuscita a perdonarci.

Nei suoi occhi,tuttavia,potevo leggere anche … Tristezza e Pentimento.

Di cosa poteva mai pentirsi,lei? Lei,che aveva la coscienza candida come la neve.

Tornò al suo posto e mormorò :

- Scusatemi. Avrei dovuto … Raccontarvi questa storia molto,molto tempo fa. - più a sé stessa che a noi.

- Zia,cosa … Quale storia? Stai cercando di dirci qualcosa? - fu Andrew a parlare,rivolgendo uno sguardo interrogativo alla donna che avevamo di fronte.

Zia Kristen non rispose. Si alzò e,salendo su un divano,arrivò a prendere una scatola di forma rettangolare,nera e lucente,da uno degli scaffali.

Scese e,con estrema delicatezza,poggiò la scatola sul tavolo,spingendola nella nostra direzione.

La presi,rigirandola fra le mani. Era di metallo. Sopra,con un leggero tocco d'argento, vi era inciso un nome : Anne.

-  Quella scatola contiene tutte le risposte alle vostre domande. - dichiarò,improvvisamente.

Piccole gocce di sudore iniziarono ad imperlarmi la fronte,il  collo e le mani. Pochi strati di metallo mi dividevano dalla Verità.

- Ma,prima,è necessario che io vi racconti parte della storia.Vi ricordate della lettera che vostra madre mi lasciò? -

Io e mio fratello ci limitammo a rispondere con un leggero cenno del capo.

- Bene. Vi ho parlato solo di poche righe della lettera. - disse,estraendo un foglio piegato in due dalla tasca dei pantaloni in velluto.

 Me lo porse ed io,con mano tremante,lo presi,avvicinandolo alle mani di Andrew. Mio fratello afferrò il foglio e,lentamente,lo dispiegò.

La perlacea pagina era macchiata da fili d'inchiostro,che la mano del destino aveva intrecciato,formando una serie di frasi. Ad occhi chiusi,sfiorai la carte con l'indice ed il pollice e sentii alcuni solchi sotto i polpastrelli.

Dopo pochi secondi,alzai le palpebre.

Incerta,fissai lo sguardo in quello di mio fratello che,con un'occhiata supplichevole,m'incitò ad iniziare la mia lettura.

Mantenendo un basso tonò di voce,cominciai a leggere l'ultima lettera di nostra madre :

Cara Kristen,

Lui mi ha trovata. Non so come abbia fatto.

Non posso restare qui.

Così facendo,metterei in pericolo la vita delle persone che amo.

Primi fra tutti,i miei gemellini.

Se restassi qui a Tacoma,anche la tua vita sarebbe a rischio.

E non posso permetterlo.

Ho un immenso favore da chiederti.

Un''ultima richiesta,poi sparirò per sempre.

Sarà come se non fossi mai nata.

Sorellina,ho bisogno che tu li protegga.

Li affido a te,perché sono sicura che li crescerai come fossero tuoi figli,sangue del tuo sangue.

So che farai tutto ciò che è in tuo potere,per tenerli al sicuro.

Loro non dovranno mai sapere dell'esistenza della Magia,o di quella dei Vampiri.

Dovranno crescere come normali esseri umani.

Lontani da questo posto e da tutto ciò che mi riguarda.

Non ho dato loro dei nomi,ma vorrei si chiamassero Charlotte Rosalie ed Andrew Christian.

 Abbi cura di te,

        Tua Anne.

- Cosa significa? Magia? Vampiri? Insomma,cosa sta succedendo? - chiesi.

-  Io e vostra madre discendiamo da una potente stirpe di Streghe.

- Durante un viaggio in Russia,Anne conobbe vostro padre,Vasil. Un Vampiro. Contro ogni regola,se ne innamorò e,dopo nove mesi,nasceste voi. - spiegò.

Per un momento,solo per un momento,pensai fosse solo un sogno.

O almeno,sperai che lo fosse.

Desiderai ardentemente di svegliarmi e ritrovarmi nel mio comodo letto,ad Harvard. Di tornare alla mia vita,vita che mi era stata rubata.

Di potermi laureare e trascorrere il resto della mia esistenza circondata dalle persone che amavo. Ma,troppo presto,mi resi conto che quella era la nuda e cruda Verità. La mia non era mai stata una vita normale. Senza saperlo,ero sempre stata circondata dal Sovrannaturale. Un dubbio si insinuò nella mia mente,interrompendo le mie riflessioni.

- Discendiamo? Vuoi dire che nostra madre è … - lasciai la frase in sospeso,incapace di continuare.

-  Viva. - terminò Andrew.

Guardammo nostra zia;gli occhi di smeraldo coperti da un leggero velo di lacrime. Quello era il suo modo di chiederci perdono. Perdono per non averci messi al corrente di un “ particolare “ di importanza vitale.

Come biasimarla? Era stata proprio nostra madre a chiederle di tenerci all'oscuro,lei aveva semplicemente rispettato la sua volontà.

Mio fratello intrecciò le dita della sua mano sinistra a quelle della mia destra.

La pensava come me,ed era pronto a scoprire ogni singolo aspetto di quello strano telefilm in cui eravamo stati catapultati.

Con un cenno del capo,incitammo nostra zia a continuare.

- Vostra madre desiderava trascorrere il resto della vita con lui.Vasil,però,aveva piani diversi.Aveva avvicinato vostra madre con il solo scopo di ingravidarla e creare una nuova specie : un vampiro con i poteri delle streghe McKeith,uno degli esseri più potenti mai esistiti sulla Terra.

Anne,capiti quali fossero i suoi obiettivi,non gli rivelò di essere incinta,e tornò a Tacoma,la città dove eravamo cresciute.Non parlò a nessuno della sua gravidanza,tranne ad Arina,una strega che aveva conosciuto durante un viaggio in Bulgaria,e me.Ventiquattro ore dopo la vostra nascita,chiamò me ed Arina e ci chiese di incontrarci in una casa abbandonata,collocata nelle vicinanze dell'ospedale.

Lì abitavano,ed abitano tutt'ora,gli spiriti delle nostre antenate.

Anne chiese loro aiuto e,insieme,lanciammo un incantesimo su voi due che riuscisse a sopire la vostra natura di vampiri,in modo che poteste vivere una vivere normale. L'incantesimo sarebbe risultato nullo solo,e ripeto solo,se foste venuti a contatto con un vostro simile.

- Avete mai notato degli atteggiamenti strani,in qualche vostro amico? - domandò,infine.

Il mio cuore perse un battito.

Mi tornò alla mente quanto era successo nella sua stanza

- Lui … - soffiai. Evitai di pronunciare il suo nome,facendolo,mi sarei solamente procurata altro dolore.

- Chi? Chi è,Charlie? -

Non risposi alla domanda di Kristen.

Non trovai la forza necessaria a farlo.

Marcus era un Vampiro.

Incredibile,ma vero.

- Ecco,ora capisco. Comunque,manca una parte della storia.

Vasil,circa una settimana dopo la vostra nascita,capì l'inganno di Anne. Da quel giorno,iniziò a darle la caccia. E vostra madre,per impedire che riuscisse nel suo intento,prese una decisione estrema : supplicò Anton,un nemico di Vasil,di trasformarla.

Sono anni,ormai,che fugge da vostro padre. - aggiunse il tassello mancante al puzzle e tutto,d'un tratto,parve acquistare un senso.

-Potete aprire la scatola. - concesse zia Kristen,dopo alcuni minuti.

Insieme,io ed Andrew alzammo il coperchio della scatola.

Al suo interno,due fialette contenenti uno strano liquido trasparente.

Tolsi il tappo ad una e la portai vicino alle narici.

Incolore,insapore.

Inarcai un sopracciglio.

Dubitai del fatto che fosse semplice acqua.

- Cos'è? - borbottò Andrew.

- Il veleno di vostra madre. - rispose secca.

- Vedete;in questo momento,non potete definirvi dei “ vampiri completi “ . Per diventarlo,dovreste bere del veleno di Vampiro. - aggiunse,indicando con l'indice le due fiale.

- E se non lo bevessimo? - domandai.

- M-morireste. - balbettò Kristen.

Senza pensarci,bevvi d'un sorso il contenuto della fiala che avevo in mano.

Andrew mi imitò.

La gola iniziò ad ardere e la vista divenne pian piano offuscata.

Dopo,solo il buio.

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Capitolo 4
*** Capitolo Terzo ***


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Capitolo Terzo.

 

 

Ma tu chi sei che, avanzando nel buio della notte, inciampi nei miei più segreti pensieri? “

William Shakespeare.

 

__

 

Un velo di nebbia densa e sottile avvolgeva i fini rami di cioccolato degli abeti e dei cipressi disseminati per l'umido terreno della foresta, in una morsa di opprimente silenzio.

Una figura alta e flessuosa passeggiava per i tortuosi sentieri ricoperti di petali e foglie di ogni forma e colore. Il suo sguardo era vigile e attento, pronto a notare il benché minino movimento.

Le esili braccia tese lungo le morbide e piene curve dei fianchi, ad evidenziare la rigida e tesa postura. Fu un attimo. Un lampo scarlatto saettò fra gli imponenti tronchi che la circondavano.

Le iridi d'onice della donna perlustrarono l'ambiente, alla disperata ricerca della fonte.

Le sue unghie penetrarono nel palmo della graziosa, delicata mano sinistra, provocando profonde lacerazioni nella rosea e profumata pelle. Segno che qualcosa era mutato.

Ella strinse i pugni, concentrando in sé tutta la forza vitale che animava i frutti di Madre Natura. Una frizzante raffica di vento le sferzò la nuca e le spalle imperlate di sudore.

Una scura sagoma comparve al suo cospetto, avvolta in spessi, setosi strati di petrolio.

Alcuni ricci rossi sfuggivano alla ferrea presa del cappuccio che copriva, in una sinistra, malefica ombra, l'intero viso del giovane, lasciando intravedere solo il contorno delle carnose, perlacee labbra, sulle quali danzava placidamente un intricato reticolo di fili color rubino.

L'aura che egli emanava era malefica ed oscura.

Era una Creatura della Notte.

- Chi sei? E cosa ti porta in questa sperduta cittadina, Vampiro? - domandò la donna, in tono monocorde, senza lasciar trasparire alcun tipo di sentimento.

- Il mio nome non ha importanza. Devi solamente sapere che è stato lui ad ordinarmi di venire qui. Sapeva che ti avrei trovata. - spiegò la calda e vellutata voce dell'individuo.

La donna, in risposta, mosse una mano in direzione delle nodose e possenti radici dell'albero che aveva alle spalle, ed un'appuntita scheggia si liberò da esse, fermandosi a pochi millimetri di distanza dal petto del ragazzo.

Un furbo sorriso comparve sulle sue labbra magistralmente disegnate.

- Sai, che una semplice scheggia di legno non riuscirà a fermarmi, Serva della Natura. - mormorò,prendendola nel palmo della destra e riducendola in minuscoli granelli di polvere color nocciola.

- E dunque, cosa vuole? - chiese ancora la forte e coraggiosa Strega.

- Egli è vicino, e presto verrà a cercare i suoi discendenti. Nulla e nessuno riuscirà a dissuaderlo dal suo intento e, dopo secoli trascorsi nel più totale anonimato, la nostra Specie potrà avere la dovuta rivincita. Voi Serve capirete chi, in questo mondo, è il reale padrone. - recitò l'individuo, come fosse un mantra.

Un brivido di terrore corse lungo la schiena di lei, ed un espressione di puro Odio attraversò le sue iridi d'inchiostro.

Spostò un piede in avanti, pronta a fuggire, se fosse stato necessario.

- Aspetta, Strega Blount. Il mio Signore ha un messaggio per i suoi figli, Charlotte ed Andrew. - bisbigliò, estraendo un foglio di carta pregiata dal proprio mantello.

Lo porse a colei che aveva di fronte.

Ella, in risposta, lo strappò dalle sue mani, conservandolo in una delle tasche dei jeans.

- A presto. - salutò la Creatura della Notte, scomparendo in un'agghiacciante vortice d'aria.

Una volta rimasta sola, la donna cadde a terra, priva di forze.

 

Mi svegliai di soprassalto, cullata dal calore delle soffici e candide coltri che coprivano il mio corpo.

Portai la mano sinistra al petto, aspettando di udire le frenetiche pulsazioni del mio cuore.

Non sentii nulla, neppure il più debole sfarfallio.

La mia cassa toracica era gelida, non più scaldata dall'intenso pompare del muscolo cardiaco.

Sbattei più volte le palpebre, cercando di abituarmi ai deboli, pallidi fasci di luce che filtravano dalla finestra inserita in un angolo della stanza.

Scostai di poco le lenzuola e strinsi le ginocchia al petto, poggiando la schiena contro l'argentea e finemente lavorata testiera in ottone.

La mia mente era popolata da una miriade di fotogrammi dai colori spenti e opachi, infinitesimali frammenti di una inestimabile esistenza rischiarata da tranquilla quotidianità, sepolti, fino ad allora, in un remoto cassetto della mia memoria.

Essi danzarono fulminei dinanzi alla sognante espressione del mio viso, riassumendo in pochi, elementari punti parte della mia storia.

Il mio sguardo si velò di una sottile patina di malinconia, nel constatare che la maggior parte delle immagini fossero legate da un sottile filo di rubino.

Il suo viso era presente in quasi ogni briciola di passato, di giornate ormai lontane caratterizzate da fragorose risate e timidi sorrisi.

E, persa in quella violenta ondata di nostalgia ed acuto dolore, per poco non mi accorsi di un ultimo, vivido fotogramma.

Un inquietante quadro dalle tonalità accese e brillanti, condannato ad una lucente scintilla di realtà che contribuì a far correre un brivido lungo la mia spina dorsale.

Angoscia e Terrore. Erano quelle due uniche sensazioni ad animarmi, rendendomi incapace di formulare alcun pensiero di senso compiuto.

Kristen discuteva, un'espressione colma d'Odio dipinta sul suo incantevole viso, con una sagoma di cioccolato fondente, della quale era impossibile scorgere il volto.

Due particolari, però, erano ben visibili, sfuggiti alla possessiva morsa del cappuccio che celava il suo misterioso volto.

Alcuni ricci rossi, di una familiare tonalità tendente all'arancio, spiccavano sul setoso tessuto del corvino mantello.

E, grazie al mio sviluppato senso della vista, ero in grado di intravedere un carnoso, latteo paio di labbra.

Non riuscii a capire cosa stessero dicendosi. Mi sembrò di essere la silenziosa spettatrice di un film fantasy al quale, per puro scherzo, era stato rimosso l'audio.

Potevo solamente osservare la dinamica della situazione, piccola ed impotente di fronte allo scorrere degli avvenimenti.

Ad un tratto, in un rapido susseguirsi di azioni, notai un'appuntita scheggia nocciola fluttuare a pochi millimetri dal petto di quella che, ne ero ormai certa, fosse una Creatura della Notte.

Fu in quel momento, che il panico si impossessò di me, facendo intrecciare le mie dita – di un colorito insolitamente perlaceo – in un muto, supplicante gesto di preghiera.

Ero a conoscenza del fatto che il legno potesse indebolire, perfino portare in punto di Morte, un Vampiro.

Ad alimentare la Paura che attanagliava il mio defunto cuore, si aggiunse l'insistente voce interiore che mi urlava di conoscere il ragazzo in nero.

E, mentre i dubbi si apprestavano a divenire concrete, indelebili certezze, un furbo sorriso prese a danzare sulle labbra, piacevolmente carezzate da scie di nettare cremisi, del giovane.

Rimasta sino a quell'istante in disparte, la Sete tornò ad essere il fulcro attorno al quale ruotava la mia nuova condizione, stringendo, in un'opprimente morsa di ardente bisogno, la mia gola.

Non mi nutrivo da quando, be', da quando tutto era iniziato, facendo prendere ai miei piani una piega totalmente differente da quella che avevo previsto.

Cercando di seppellire quella bruciante voglia in un oscuro angolo del mio cervello, tentai di riacquistare un minimo di lucidità per tornare ad analizzare la scena.

Presi a scrutare l'alone di furbizia che volteggiava sulla bocca del Vampiro, e la mia lingua si ridusse ad un unico, incomprensibile groviglio.

Avrei potuto riconoscere quel sorriso ovunque ed in qualunque situazione.

Era lo stesso che mi aveva accompagnata nei momenti più bui della mia umana vita, quando ero afflitta dallo sconforto ed avrei solamente gradito staccare la spina, isolandomi dal resto del mondo e da tutti i problemi e loschi intrighi che vorticavano attorno alla lussuosa atmosfera elitaria di Harvard.

Era quanto di più prezioso avessi, l'unico antidoto capace di combattere la noia e la depressione, rischiarando ogni ora del giorno e della notte con la sua purezza e luminosità.

La sua smagliante schiera di perfetti denti era la sola arma sufficiente a contrastare le grigiastre, minacciose nuvole che gravavano su di me.

L'audio sembrò tornare, arrivando ad infliggere il famigerato, atteso colpo di grazia alla già compromessa sanità mentale della sottoscritta.

Roventi fiotti di liquido miele solleticarono il mio udito, rimbalzando di continuo nei più profondi meandri della mia mente.

Mi crogiolai nelle calde e vellutate pieghe della sua carezzevole voce, trasportata da un immenso vortice di sensazioni incontrollabili.

Calore, Pace, Serenità.

Poi … Null'altro che delusione e timore.

Nel comprendere il malvagio significato di ciò che disse, sentii la vita fluire via dal mio corpo, privando di quanto di bello, fino a quel momento, avesse colorato il percorso imboccato dagli eventi.

Ed anche gli sfumati ricordi di cui mi ero circondata, sempre nascosti dietro una eterea, candida maschera di immacolata perfezione, si macchiarono di maliziosi fiumi di corposo ed aromatico liquido porpora.

Prepotenti e terribilmente vere, le sue parole presero forma dinanzi al mio inespressivo sguardo, infliggendo violente coltellate al blocco di granito che prendeva posto nel punto in cui, tempo prima, scorrevano ruscelli di fresca e giovane linfa vitale.

Egli è vicino, e presto verrà a cercare i suoi discendenti. Nulla e nessuno riuscirà a dissuaderlo dal suo intento e, dopo secoli trascorsi nel più totale anonimato, la nostra Specie potrà avere la dovuta rivincita. Voi Serve capirete chi, in questo mondo, è il reale padrone. “

 

Aveva ripetuto, con un tono di voce che non sembrava neppure appartenergli.

Quella sfumatura d'Odio e Superiorità appariva lontana anni luce dal modo amichevole e sincero con cui, ogni giorno, conversava con me a proposito di ciò che era accaduto durante le lezioni. Entrambi seduti in un minuscolo, angusto spazio della sala computer del campus.

Quello non era Marcus, ma solo un clone dall'aria malvagia ed alquanto minacciosa, creato al fine di eseguire il volere di uno squilibrato.

Costui, dall'ombra del sipario che celava sapientemente la sua persona, si limitava ad impartire ordini.

Se il tutto si fosse svolto all'interno di un teatro, Marcus avrebbe interpretato una delle tante marionette che, inconsapevolmente, venivano manipolate per mezzo di invisibili, trasparenti fili.

Quelle parole non erano state partorite dalla sua illuminata mente, animata da sani principi e rispettabili valori, ma dalle instabili manie di grandezza di un vigliacco e sadico individuo che non aveva il fegato necessario a mostrarsi.

Sebbene fossi convinta dell'innocenza di Marcus, la consapevolezza che, per due lunghi, intensi anni, avesse agito alle mie spalle, mi feriva profondamente ed inesorabilmente.

Mi domandai cosa la sua anima, vera e pura, potesse avere a che fare con quella corrotta e dannata di Vasil, l'uomo che, per gran parte della mia esistenza, mi aveva tenuta distante dalla donna che aveva dato alla luce me e mio fratello.

Privando me ed Andrew della presenza di una madre nella nostra infanzia.

Mai avevamo avuto la tenera occasione di manifestarle il nostro amore, con un bacio od un semplice ' Ti voglio bene '.

Il primo giorno di scuola, io e mio fratello osservavamo tristemente gli altri bambini che, con un sorriso colmo di gioia sulle labbra, lasciavano amorevoli buffetti sulle guance delle loro madri.

E, nonostante Kristen ricoprisse egregiamente quel ruolo, io ed Andrew continuavamo a mascherare, sotto forzate risatine e finti gesti d'entusiasmo, il doloroso, vuoto spiraglio che occupava uno spazio, seppur piccolo, del nostro essere.

Vasil ci aveva obbligati ad ogni tipo di sofferenza, dalla più insignificante ed ignorabile, alla più significativa e persistente.

Anche nostra zia, in quella rapida, catastrofica successione di fatti, aveva dovuto compiere tanti, troppi sacrifici.

Si era vista costretta a prendere crudeli decisioni di cui, ero fermamente convinta, portasse ancora il peso sulle spalle.

Per prendersi cura di noi, aveva rinunciato alle aspirazioni che nutriva riguardo al suo futuro, aveva accantonato il vivo desiderio di entrare ad Harvard e laurearsi in Storia e Letteratura.

Per assicurare un roseo avvenire ai suoi due nipoti, era scesa a compromessi, facendo ore ed ore di straordinari come segretaria in uno studio legale.

Ma, punto più importante, per accudire me ed Andrew, aveva dovuto cancellare il progetto di sposarsi e costruire una solida, propria struttura familiare.

I contorti giochi di potere di Vasil avevano mietuto un numero eccessivamente alto di vittime, tutte “ sacrificate “ sull'altare della sua ambizione.

In un fluido movimento, l'ultima scena iniziò ad abbandonare la mia mente, cercando di far notare alla sottoscritta il corpo di Kristen che, privo di forze, giaceva sull'umido terreno della foresta.

Mossa da una rinnovata sensazione di imminente pericolo, scesi dal letto, poggiando malamente i piedi sul curato parquet della mia stanza.

A passo svelto, mi diressi verso il salotto.

Stravaccato su uno dei divani, Andrew dormiva beato, stringendo i lembi color giallo sole della coperta fra le affusolate, gentili dita.

- Andrew! Svegliati! - strillai, riducendo in brandelli i colorati, accoglienti strati di cotone.

Di scatto, mio fratello aprì gli occhi, rivelando il morbido, fuso cioccolato al latte delle sue iridi.

- Charlie! Co-cosa è successo?! - balbettò in risposta, sbattendo freneticamente le marmoree palpebre.

Mentre Andrew lasciava l'improvvisato letto e, con gesti lenti e tremanti, estraeva dal frigorifero una lucida tazza ricolma di freddo caffè, io iniziai un veloce riassunto di ciò che avevo visto, probabilmente sognato, poche ore prima.

- Be', cosa aspettiamo?! Andiamo a cercare Kristen! - urlò, indossando frettolosamente un paio di logori jeans ed una sbiadita e bucherellata t-shirt.

Io, d'altro canto, portavo ancora il pigiama indossato la sera precedente.

Non diedi importanza a quell'aspetto e mi precipitai all'esterno dell'abitazione con Andrew.

Una volta esserci abituati alla rigogliosa vegetazione del giardino, sondammo la tiepida aria primaverile che, con lievi ed odorose carezze, ci fece dono del minimo di lucidità del quale necessitavamo per iniziare la nostra ricerca.

- Va bene. Cerca di concentrarti, sorellina. Dove si trovava Kristen, nel tuo sogno? In quale punto della foresta? - bisbigliò, poggiando entrambe le mani sulle mie spalle.

- Io … Non saprei dirlo con certezza. C'erano foglie e petali di diverse forme e colori sparsi su tutto il terreno. Questo è l'unico dettaglio che differenzia quella zona dalle altre. - spiegai, tentando di mettere a fuoco le caratteristiche del sogno.

Improvvisamente, una deliziosa fragranza giunse alle mie narici, riportando a galla sereni scorci di quotidianità. Un inconfondibile aroma di vaniglia e zenzero con l'aggiunta, in quel frangente, del bruciante, stuzzicante richiamo del sangue.

Era lo stesso odore che aveva accompagnato la mia infanzia e la mia adolescenza, regalandomi un materno barlume di sicurezza ed una piacevole sensazione di protezione che mai aveva osato abbandonarmi.

- Lo sento. Charlie, sento il suo odore. - dichiarò Andrew, dando voce ai miei pensieri.

- Anche io. E … Se provassimo a seguire la sua scia? - domandai; un accenno di titubanza nel mio tono.

Per quanto cercassimo di convivere con la nostra “ nuova “ natura, stentavamo ancora a credere nei vantaggi che la condizione implicava.

Di rado mettevamo alla prova le nostre capacità, timorosi di non riconoscere quelle immortali doti come parte dell'essenza che ci particolareggiava.

Compiere un qualsiasi gesto che non rientrasse nel concetto di “ normalità “ , appariva ai nostri occhi un'impresa titanica.

Semplicemente, avevamo poca esperienza alle spalle e continuavamo ad analizzare il mondo con sguardo umano, senza volontariamente capire quanto di orribile si celasse dietro ogni facciata.

- D'accordo. Proviamoci. - acconsentì Andrew, dopo aver attentamente valutato le opzioni a nostra disposizione.

Mi tese la destra, ed io gliela strinsi, in una silenziosa dimostrazione di fiducia.

E, senza mai annullare il contatto, iniziammo a seguire la traccia.

Chiusi gli occhi, per non vedere i robusti tronchi che, puntualmente, riuscivo ad evitare.

I miei piedi si muovevano ad una velocità incalcolabile; dubitai perfino che toccassero terra.

In situazioni simili a quella, il tempo e lo spazio perdevano importanza. Accennavamo a malapena a sfiorarmi.

Non erano in grado di scalfire quegli istanti di assoluta perfezione, duranti i quali avevo la vaga impressione di sentirmi in pace con l'ambiente circostante.

La magia durò poco, e giungemmo al luogo stabilito.

Kristen era lì, immobile.

Lo sguardo vacuo, preso ad osservare qualcosa, o qualcuno, che non era parte del nostro campo visivo.

Alla debole vista di un umano, sarebbe potuta sembrare morta.

Un essere dotato di finissimi sensi, però, avrebbe notato l'impercettibile movimento del suo petto che, delicatamente, accoglieva dolci quantità d'ossigeno.

Muovendoci lentamente ed in maniera decisamente cauta, ci avvicinammo al suo corpo.

Provammo a ridestarla dallo strano stato di trance nel quale era caduta, ma ella non diede cenno di aver avvertito la nostra presenza.

- Zia, siamo qui. Va tutto bene. Io ed Andrew ti riporteremo a casa, sta tranquilla. - mormorai, posando un leggero bacio sulla ruga d'espressione che increspava la profumata pelle della sua fronte.

Non avevo timore nel manifestarle il mio affetto o nello stabilire un qualche tipo di contatto.

La sete non era un problema, non con lei.

Non sarei stata capace di porre fine alla sua esistenza.

 Se lo avessi fatto, avrei dovuto portare un enorme fardello sulle spalle, una morte sulla mia coscienza già macchiata.

Scossi la testa, per cancellare le ultime traccie di quell'ignobile pensiero.

Fissai lo sguardo sul foglio di carta che le sue sgargianti unghie stringevano.

Prestando quanta più attenzione possibile, lo sfilai dalla sua rigida presa.

Poche, semplici parole erano vergate su quella pregiata superficie, ma furono sufficienti a spegnere l'ultimo briciolo di Positività che albergava in me.

Presto potremo riunirci, miei cari.

Esaminando con rabbia il biglietto, mi accorsi di alcune frasi, scritte dalla sua mano, ai margini del foglio:

Ti prego, se un giorno ti sarà possibile, di perdonarmi.

Non credo avrò mai la possibilità di dirtelo, perciò, te lo comunico in questo modo:

Ti Amo, Charlie, più della mia stessa vita.

Scappa, ora, e cerca di dimenticare quanto hai appena letto.

Tuo per l'Eternità,

Marcus.

 

Leggendole, mi accasciai al suolo, senza piangere né esternare i miei sentimenti.

Non avevo la forza necessaria a compiere un gesto simile.

In lontananza, delle scure voci cantavano l'arrivo della mia ora.

Nulla e nessuno sarebbe riuscito ad impedire la mia Morte.

E di ciò, per una volta, ero fermamente sicura.

 

~

Perché mai Marcus avrà chiamato Kristen col cognome “ Blount “ ?

E qual è il suo ruolo nella vicenda?

Cosa faranno i nostri protagonisti, ora?

Be', lo scoprirete nei prossimi capitolo.

Un ringraziamento speciale a l u l l a b y per aver realizzato la Fenomenale immagine di copertina.

Grazie mille, davvero.

 

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