Portò la morte a Zanarkand di crimsontriforce (/viewuser.php?uid=1320)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1.1 La fine di tutto, fuorché Sin ***
Capitolo 2: *** 1.2 La fiamma che brucia la ragione ***
Capitolo 3: *** 1.3 Una caratteristica della spirale ***
Capitolo 4: *** 2.1 Assoluzioni lineari ***
Capitolo 5: *** 2.2 Due risultati per la stessa incognita ***
Capitolo 6: *** 2.3 Stati intermedi di mente e materia ***
Capitolo 7: *** 3.1 Chiudi gli occhi, il viaggio è finito ***
Capitolo 8: *** 3.2 Negazione, rinuncia e fuga ***
Capitolo 9: *** 3.3 Sotto una coltre di stelle ***
Capitolo 10: *** Extra: Moonflow e Macalania ***
Capitolo 1 *** 1.1 La fine di tutto, fuorché Sin ***
Ed ecco infine la pappardella che rimugino da anni e scritta in
occasione del Big Bang Italia, challenge molto sfiziosa che
dà un paio di mesi per cacciar fuori più di 10000
parole su un singolo progetto a piacere, fanfic o original.
C'è tutto il gusto dello strapparsi i capelli per consegnare
per tempo, il lamentarsi coi compagnucci di quanto è venuta
scacia la fic e di quanto sei un cane a plottare perché credevi
di raggiungere a stento il limite minimo e invece veleggi sulle 63000
(solite piacevolezze di challenge, insomma XD), e poi c'è
un'incredibile e amorevolissima schiera di persone volenterose pronte a fare un regalino agli
scribacchini. A me il regalino l'ha fatto El Defe ed è un
bellissimo fanmix scaricabile qui,
che vi consiglio di cuore... magari senza leggere il booklet che per
ora, ovviamente, spoilera^^
Ora, OC protagonisti. Spero che entro la fine della fanfic parlino da
sé, anche se non sono sicura di averli espressi al meglio.
Quello che so è che questi eventi di cui voglio parlare non
potevano essere una storia su Yuna o avrei usato ben volentieri Yuna.
Non potevano essere una storia su Braska, su Yocun, Ohalland e men che
meno Gandof, non potevano essere su Isaaru, su Zuke, su Ginnem
né potevano essere su Seymour. Sarebbero potuti essere un
What if su Dona o su Belgemine (che comunque non ha perso occasione per
un po' di sano presenzialismo), tirandoli un po' per le orecchie. Ma
avevo più voglia di restare in canone usando due miei
personaggi storici in vesti spirane.
Solita solfa sui termini specifici, che essendo la fanfic luuuunga
ricorrono tipo tutti, qui.
PORTÒ LA MORTE A
ZANARKAND
1. Un passo oltre il precipizio
(Non fare il passo più lungo della
gamba, pellegrino. Vedo che né Yevon né gli Eoni
sono tuoi padroni,
ma ricorda che tu non sei il loro.)
(Farò ogni passo che mi porterà a
Zanarkand, madama evocatrice.)
(E tu? Sei il suo guardiano?
Tienilo d'occhio, ché non si perda in sciocchezze.)
(È quello che faccio.)
La fine di tutto, fuorché Sin
Il cielo sopra la montagna sacra era
sereno. A quelle altitudini capitava che per trovare le nuvole si
dovesse guardare in basso, dove i cumuli riempivano canaloni e
strapiombi nascondendo il mondo al di sotto.
Sert guardava in basso. Seguiva
distratto i voli rotondi degli uccelli che s'inseguivano sopra le
coltri nere. L'evocatore si reggeva appena alla sporgenza di roccia:
non sentiva più il freddo nelle mani guantate che
stringevano a
vuoto la neve e le ginocchia non gli rispondevano. Guardava l'abisso.
Guardava in fondo, guardava gli uccelli, rifuggendo le macchie di
sangue che segnavano una traiettoria lungo la scarpata. Accettare che
esistessero le avrebbe fissate e rese reali, mentre tutto quello che
poteva fare per restare vivo e aggrappato alla terra ghiacciata era
convincersi di essere immobile nel tempo, che quando si fosse
rialzato questo si sarebbe riavvolto a suo comando e sarebbe tornato
a pochi istanti prima, quando il suo guardiano respirava e viveva
sotto i suoi occhi. O prima ancora, prima degli ultimi scontri, alle
pendici di quella montagna maledetta. O a casa, nella lontana Kilika
assolata, pianificando un futuro che sembrava breve e semplice.
Sert possedeva un talento naturale per
convincersi, affinato negli anni e culminato nella peregrina idea di
poter raggiungere Zanarkand e dare così un senso ai suoi
giorni.
Costruire una fede cieca nel proprio successo era, in fondo,
privilegio da evocatore. Ma se tutto era sotto controllo, e Sert ne
era certo – il tempo è fermo, aspetta me
– perché
sentiva un dolore lancinante al cuore?
“Il peggio deve ancora venire”,
commentò una parte di lui che si era tenuta in disparte
dalla cappa
di nulla che gli era crollata addosso e lo osservava quieta.
“La
realtà busserà alla tua porta e piangerai e
strillerai tutte le tue
ingiustizie fino a che avrai voce, ma per l'amor di quel che
è sacro
non a voce troppo alta, per favore, o ti arriveranno addosso tutte le
fiere del Gagazet e non hai più nessuno che ti difenda, o
che ti
curi. E fa' veloce che siamo in ritardo, la gente là sotto
aspetta
una Calma da tutta la vita.”
Sert strinse i pugni. Era abituato
anche ad avere voci che riecheggiavano nella sua testa, sogni non
suoi, frammenti di immagini cui non dava un senso da quando aveva
stretto il patto con Lord Ifrit, anni addietro, ma mai così
chiare
né così spiacevoli. Fece una smorfia e trattenne
il fiato. Piangere
e strillare, che sciocchezza.
Il peggio venne. L'istinto di
sopravvivenza ebbe la meglio quando Sert sentì che presto,
da un
momento all'altro, il suo castello di assurdità avrebbe
ceduto e si
sarebbe dovuto arrendere all'evidenza, e si gettò
all'indietro
rannicchiandosi in mezzo alla neve per non scivolare nel vuoto quando
venne scosso dai primi singhiozzi. “Grion”,
piangeva. “Non
doveva andare così.” Non strillò,
perché la voce della sua
coscienza (o dell'autopreservazione o dell'autoinsulto, o c'era una
possibilità remota che fosse Ixion ma no, non era Ixion:
troppo
diretto per chiunque di loro, perfino per la sua irruenza) era stata
ingrata e sentiva di doverle dare torto, ma aveva ragione. Non poteva
fermare il tempo, così rivisse in silenzio la lotta che
avevano
perso, un combattimento così comune dopo tanti ostacoli
superati
insieme: l'assalto del Bashura,
forse un piede in fallo – mantenere reale l'evocazione
impegnava
tutta la sua concentrazione, non stava guardando, dannazione non
stava guardando e ora non avrebbe mai saputo, nemmeno un ultimo
ricordo – e i due corpi avvinghiati che rotolavano sgraziati
verso
il fondovalle.
Nel presente restava solo lui, che
avrebbe voluto scomparire nella pace ovattata della montagna e non
era lontano dal riuscirci, con le vesti bianche che si confondevano
col ghiaccio e solo una fusciacca e la pelle scura a spiccare sul
suolo.
Il peggio venne. La coscienza di
evocatore ebbe la meglio quando Sert si arrese all'idea che tutti i
pianti di Spira non avrebbero riportato indietro il suo guardiano e
che in virtù del suo ruolo avrebbe dovuto imparare
più di chiunque
altro ad accettare la fine di una vita. I pianti non l'avrebbero
riportato indietro – ma potevano impedirgli di proseguire
verso
un'esistenza più serena, lontana da Sin e dalla spirale di
morte.
Una vita fa, a casa, quando aveva un
letto cui tornare e persone concrete cui badare, il suo compito era
stato quello di accompagnare i morti oltre il dolore e il rimpianto
che li legavano a Spira, insegnare loro il distacco e offrire la sua
compassione nell'arco di una danza, prima di tornare alla
realtà
infreddolito e stanco ma con la consapevolezza di aver scongiurato la
nascita di nuove fiere. L'aveva evitato alla sua città,
evitato ai
viaggiatori, evitato agli spiriti stessi dei morti che non meritavano
di marcire nell'invidia per il mondo disgraziato dei vivi fino a
venirne sopraffatti. Grion, fra tutti, non lo meritava. Doveva un
ultimo onore al suo guardiano, il più difficile: ricordava
di aver
sentito evocatori falliti parlarne con orrore, durante una sosta: la
perversione del senso stesso del pellegrinaggio, dicevano. Si era
sentito così fiero del suo protettore, allora.
Così stupido in quel
sentimento di invincibilità.
Si fece forza, imponendosi di smettere
di tremare. Si alzò in piedi, grato di avere con
sé un'asta robusta
cui potersi appoggiare, e tornò ad affacciarsi al
precipizio. Sentì
la vista appannarsi: tutto il male che credeva di aver buttato fuori
gli era strisciato nuovamente addosso, togliendogli ogni forza. Si
trovò ancora in ginocchio. Si intimò di alzarsi.
Ancora una volta,
la testa girava e le gambe non volevano sostenerlo. Per te,
si
fece coraggio. “Se puoi sentirmi”, disse ad alta
voce,
“aspettami, di là. Manca poco, in un modo o
nell'altro.”
Iniziò la concentrazione rituale,
inspirando a fondo e terminando bruscamente il tentativo in un accesso
di tosse e singhiozzi. Alzò l'asta in un primo movimento ma
si trovò
a terra, ancora, a prendere a pugni il terreno e la sua
incapacità
di mettere in fila due pensieri senza che quel grumo di emozioni si
mettesse in mezzo spaccandogli il cuore, quelle stesse emozioni che
gli urlavano di portare a termine il rito o di considerarsi
più
indegno di Sin, che almeno sapeva concedere una morte veloce alle sue
vittime. Ma non ci riusciva. Il pensiero di allontanarlo del tutto da
Spira, di accettare di nuovo la sua morte e saperla eterna pesava
come pietre su ogni suo muscolo. Sapeva che stava compiendo un errore
atroce ed era pronto a rinunciare a ogni dignità, ma
restò nella
neve a piangere, ancora, mentre i suoi pensieri schizzavano impazziti
a cercare una ragione di quello che era accaduto.
Un po' calcata sull'emo per necessità
di wordcount e anche per sfogo di avvenimenti recenti, non
direttamente sulla mia pelle ma troppo vicini per uscirne illesa.
Sopportatemi, c'è anche una trama e
Possibili Punti d'Interesse Generico sparsi qua e là. A mio
gusto, il primo sarà già qui appena voltata la
pagina.
I capitoli saranno 9, un po' più lunghi di questo, e penso di aggiornare un paio di volte a
settimana. :)
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Capitolo 2 *** 1.2 La fiamma che brucia la ragione ***
...your mileage may vary
ma questo capitoletto mi garba assai. :3 Un grosso grazie a Ros e
Aufhebung per il sostegno!
La fiamma che brucia la ragione
Venne anche il buio e, col buio, la
neve.
Gli sembrò di essere di fronte a
un'unica scelta razionale (o istintiva o anche solo ovvia, ma
'razionale' suonava confortante ed era la parola che avrebbe scelto
un tempo), dato che il fuoco gli pulsava già nelle tempie,
nei
polmoni, nelle mani intirizzite che faticavano a serrare la presa
sull'asta e a rispondere ai suoi ordini.
Doveva sopravvivere alla notte e chiamò
a sé il sogno di Ifrit, che lo avvolse in una vampata
violenta prima
di tremolare fra i fiocchi sempre più fitti. Sert
boccheggiò per la
sorpresa. Credeva di aver mantenuto una presa salda sull'evocazione,
ma il fondo di tutti i suoi pensieri colava verso il precipizio e
vide la forma abbozzata dell'Eone farsi sempre più fragile,
sempre
più sottile.
“Resta”, mugugnò a denti stretti.
“Almeno tu, restami vicino.”
Raccolse le sue angosce con una
spazzata circolare dell'asta e le ricondusse al centro abbassandola
di punta. Doveva riuscire ad escludere Grion dal suo mondo per
qualche istante. Doveva e sapeva che ci sarebbe riuscito, si disse,
per il suo viaggio e la sua meta. Privilegio da evocatore.
“Tu che per primo mi hai concesso il
tuo sogno”, lo invocò, sfruttando una qualunque
litania per
spingere la concentrazione, “vieni a me nell'ora
più buia.”
E fu la luce.
Il corpo massiccio di Ifrit si formò
infine di fronte ai suoi occhi, tutto corna e artigli e manto
fiammeggiante, e allargò un braccio per riscaldarlo nel suo
fuoco
eterno, tenendo a freno il ghiaccio e la tempesta. Sert cadde in
ginocchio, scosso da tremiti per lo sforzo, infradiciandosi le
ginocchia sul ghiaccio sciolto, ma con la mente era già
altrove. La
sua scommessa aveva pagato.
Si abbandonò al sogno senza ritegno e
il fuoco divenne tutto il suo mondo. Non c'era più freddo
nelle ossa
e nella testa, non c'era più ristagno. Poteva pensare in
volute
dorate. C'era un mondo ribollente e magmatico ed era casa, ricoperta
di cerchi e di raggi come un sole splendente. Era casa e non era
solo. Si aggrappò come un naufrago al sogno millenario di
Ifrit,
vide Kilika negli anni, vide una saggezza inumana costruita col
tempo, a volte infranta come palizzate di legno sotto un attacco di
Sin ma sempre solida nei suoi pilastri che traevano energia dalla
terra incandescente. E se anche la Fede lo guardava con la
comprensione che si concede a un bambino non gli negava il suo
sostegno, aprendogli i suoi sensi eterni finché non ne fu
ebbro.
Sert ne colse un'idea. Faceva fatica a
girarci tutto attorno con la testa – non era un'idea prevista
dalle
Scritture e in piena onestà doveva ammettere che tutto
quello che
la sua testa desiderasse era tornare ad abbandonarsi sotto quella
trapunta di immagini calde di braci. Il punto era... c'era un punto
da qualche parte, non solo quello in fondo a “e, perso
l'unico
guardiano, il suo pellegrinaggio fallì”. No, c'era
un punto
guizzante ed era: in questo momento sono protetto.
Si immaginò l'indomani discendere il sentiero, proseguendo
il giorno
dopo ancora, e si vide arrivare vivo e illeso fino alle terre dei
Ronso seguendo la scia del suo Eone come una fiaccola nella notte
fonda.
Si
fermò a riflettere, aggrottando le ciglia e scostando per
abitudine
la treccia di capelli dall'orecchio. Era difficile pensare diritto:
pensava in fiamme. Si abbandonò allora ad altre immagini
fino a che
il pensiero effimero che gli serviva guizzò e lo colse: perché
tornare indietro?,
recitava.
Davvero, che idea graziosa. Perché? Finché fosse
stato abbastanza
lucido (heh, lucido. Il vetro caldo fuso è opaco, poi
diventa
lucido) da mantenere concreto il contatto con la Fede e al contempo
mettere un piede davanti all'altro, avrebbe potuto continuare lungo
la strada per Zanarkand senza venire meno ai suoi doveri. Dietro a
Ifrit o sulla sua spalla; al passo con Shiva che l'avrebbe
riconciliato col ghiaccio, insensibile sotto il suo scialle; stretto
alla criniera di Ixion in un galoppo terso sul rombo del temporale.
Planando su ali spesse e sacre fino alla città al confine
estremo
del mondo. Perché no? Sapeva di averne le
capacità. Poteva farlo,
si diceva, senza rendersi conto che già quelle poche ore lo
stavano
bruciando come cera.
Sarebbero potuti
avanzare come una lenta processione fantastica e nessuna fiera
avrebbe osato disturbarli; i suoi sogni lucidi avrebbero avuto tutti
i colori delle luci fatue e avrebbero tenuto a bada i sensi di colpa
durante quel poco che gli restava da vivere, permettendogli di
proseguire. Alla fine del viaggio sarebbe caduto esausto al primo
contatto con dell'erba fresca – portando con sé
Sin. Perché no?
È per questo che esistono i
guardiani?,
ragionò. Per
accompagnare i deboli di spirito?
Ma il pensiero lo rese immediatamente più sobrio: non si era
mai
sentito così vicino ad aver bestemmiato e lo stomaco si
chiuse in
una morsa. E si era fatto silenzio d'improvviso in quell'angolo di
coscienza dove era solito trovare i sogni delle Fedi. Va
bene, si
scusò con loro, con se
stesso, con i ricordi che tornavano a gelarlo. Era onesto nel cercare
il loro perdono; non altrettanto con se stesso. Non
è
un'idea prevista dalle Scritture, ne prendo atto, anche se Yevon solo
sa perché non si possa attuare. Non che mi rimanga molto
altro da
fare. Se potessi diventare più saggio forse un giorno lo
capirei, ma
l'unico tramite per la conoscenza è Zanarkand, che non
lascia tempo
per far maturare i suoi frutti. Datemi voi le vostre risposte.
Tutto taceva. Come sempre: sentiva la
loro presenza, la compagnia e ricordava le parole scambiate
nell'intimità dei templi, ma non si erano mai espressi da
allora.
L'Eone davanti a lui lo squadrava con un'espressione di
pietà
dipinta sulle zanne: fece spazio affinché l'evocatore
potesse
accoccolarsi sotto il suo calore e ancora una volta gli concesse i
suoi sogni, proteggendolo dalle immagini della sua coscienza.
Distillò per lui dei sogni di ceneri tiepide che lo
accompagnassero
nel riposo. Sert chiuse gli occhi prima ancora di aver poggiato la
testa sulle ginocchia raccolte e precipitò in un dormiveglia
di pace artificiale.
...perché l'atto dell'evocazione com'è spiegato
in FFX mi affascina da sempre, ma purtroppo il pov è di
Tidus e non di Yuna quindi resta un narrato poco mostrato. Volevo
scriverne da un po'.
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Capitolo 3 *** 1.3 Una caratteristica della spirale ***
Grazie ancora ad Aufhebung e a chiunque mi stia seguendo in questa
tirata nerdaccia e settoriale^^ Qui fa tipo finta di partire una trama,
almeno...
Una caratteristica della spirale
Si svegliò che era ancora buio,
sferzato dal freddo, sentendo la presa sul sogno della Fede
scivolargli di mano e tornare dietro al velo della realtà.
Non aveva
la forza di richiamarlo. Si trascinò a prendere un altro
mantello e
una coperta dalla sacca che giaceva intonsa dal giorno prima,
cacciandovisi sotto con un brivido. La neve, almeno, era cessata.
Era stanco, ma se si fosse addormentato
da solo sarebbero arrivati i suoi veri sogni, quelli fatti di
emozioni e memorie recenti e aveva ancora abbastanza senso pratico da
evitarlo. Restò accucciato sotto una rientranza della
roccia, con
gli occhi fissi sul sentiero. Il tempo era mite per quelle altitudini
e il vento del giorno era calato. Aveva finito le energie per
disperarsi: l'indomani avrebbe proseguito, ragionò,
perché
qualunque alternativa era ridicola, irrispettosa o entrambe. L'ultimo
avamposto di civiltà era ragionevolmente raggiungibile in
qualche
giorno di marcia, abbandonando tutto quello che non fosse necessario
alla sopravvivenza a breve termine, ma a cosa avrebbe giovato? A chi?
Se rinunciare fosse stata la sua via, avrebbe potuto farlo assieme a
Grion. Chiese a Yevon la forza di concentrarsi sui momenti passati
insieme senza crollare di nuovo. Di fatto, comunque, gli avvenimenti
del giorno passato non potevano che suggellare la sua scelta,
così
avrebbe abbandonato tutto quello che non fosse necessario alla
sopravvivenza a breve termine (perché suvvia, di quello si
trattava)
e avrebbe affrontato la vetta nascondendosi, evitando gli scontri. Si
chiese quanti si fossero trovati nella sua situazione. Nessuno era
tornato a raccontarlo, non da Zanarkand, ma d'altronde nessuno
parlava dei guardiani di Lord Ohalland o Lady Yocun durante la
battaglia finale.
Forse anche loro avevano compiuto l'impresa da soli. Il pensiero gli
diede coraggio.
Pensare a piani, disfarli e
confrontarli, pensare a cose concrete o alle astrazioni più
ardite,
pensare a che storie nascondessero i Ronso sull'Evocazione Finale,
esplorare possibilità, interrogarsi e contraddirsi: Sert
ricominciava timidamente a sentirsi se stesso. Vuoto e dolente, ma se
stesso. Il peso sul cuore doveva spronarlo, non immobilizzarlo e
sapeva, anche se era così difficile crederci, che col tempo
sarebbe
svanito. In ultima analisi, poco importava: entro breve tempo sarebbe
svanito tutto. Poteva resistere. Privilegio da evocatore.
Il cielo iniziava a rischiararsi quando la testa di un gruppo di
pellegrini comparve da oltre il costone di roccia. Un
altro evocatore! Sert si chiese se si fossero già incontrati
più a
sud, se sarebbero stati il genere di persone che potesse accettare
uno strappo alle regole ammettendolo nel loro gruppo, ma la sua
attenzione venne presto distratta dal fatto che, oltre alla prima
figuretta a stento distinguibile nella scarsa luce del mattino, il
sentiero sembrasse restare deserto. Un guardiano in avanscoperta? I
gruppi di tre non erano troppo mal visti da Yevon: ricordava di
averne visti passare sei o sette durante i suoi anni al tempio. Un
altro sciagurato nella sua condizione? La montagna esigeva tributi
pesanti in quei mesi, a sentire le storie dei Ronso che non parlavano
altro che di slavine e tempeste della stagione appena passata.
Un'allucinazione? Yevon non portava memoria di follia causata dai
vapori delle sorgenti sacre,
ma Sert iniziò a dubitare di se stesso quando riconobbe
nella sagoma
la falcata lunga del suo guardiano.
“Grion...?”, chiamò incerto. Il
passo era veloce, da soldato e arrivò presto a una distanza
tale da
togliere ogni dubbio irragionevole in merito alle sue apparenze:
c'era la mano ferma sulla spada, c'era il cappuccio del suo ordine,
marrone scuro come aveva scelto di portarlo, sotto cui ondeggiava la
lunga coda di capelli neri e c'era l'armatura semplice e scintillante
– troppo scintillante dopo il lungo viaggio, eppure pareva
appena
uscita dalla forgia del fabbro.
I dubbi ragionevoli invece
restavano in abbondanza ma, tutto considerato, gli risultarono
irrilevanti. Un'allucinazione sarebbe stata una compagna di viaggio
eccellente, finché fosse durata (lei, il viaggio, il
viaggiatore).
Che Yevon si prendesse cura del suo senno, Sert vi rinunciava: ad
accettare la perdita poteva pensarci all'altro mondo. Si
alzò ad
accogliere il suo guardiano e amico, sfuggito alla morte per non
lasciarlo solo di fronte alla sua. E difatti:
“Amico mio... Non potevo lasciarti
solo”, bisbigliò l'altro
come recitando le sue fantasie. La
sua voce era fioca come di consueto, ma insolitamente roca. Sembrava
che parlare lo affaticasse; per la precisione, era come se lottasse
per cavare un suono da uno strumento nuovo. Sert non rispose e non se
ne curò: teneva una sua mano al petto stretta fra le sue,
sentendo
gli incubi della notte dileguarsi fino a lasciare un calore diffuso
cui si abbandonò con un brivido.
“Proseguiremo”, proclamò senza
lasciare la presa.
“Tutto andrà... bene.”
“Ma va bene, Grion?”,
chiese, storcendo il collo per poterlo guardare negli occhi sotto il
cappuccio calato. “Sei ancora ferito? La tua mano
è gelida... ti
mancano i guanti! Vieni, dovremmo avere qualcosa di riserva.”
Da sotto il cappuccio, aveva ricambiato
la sua preoccupazione con uno sguardo attento. Attento e preoccupato
a sua volta per il benessere del suo evocatore, certamente; stanco,
com'era ovvio che fosse (scacciò la voce insistente che
diceva che
nemmeno una guida Ronso avrebbe coperto quel dislivello in una sola
notte, tralasciando l'impatto e le ferite: smetti di
ricordarmi
che è un'allucinazione, voglio crederci e posso farlo).
Ma
sembrava sempre il soldato tranquillo e la presenza solida e sincera
che aveva imparato a conoscere negli ultimi anni.
“Già. I guanti”, lo sentì
dire
mentre cercava fra le loro cose. Sembrava stupito e un po' deluso,
come si può esserlo da una piccolezza, non dall'assenza di
una
protezione indispensabile per quel clima. Sert lo imputò al
fatto
che non era reale – in alternativa, si poteva pensare che il
giorno
passato avesse lasciato il suo segno profondo su entrambi. Erano
scossi e confusi: qualche ora di marcia fianco a fianco,
rassicurandosi della presenza reciproca in un tranquillo silenzio,
avrebbe sanato la frattura che sentiva ma che non riusciva a definire
del tutto.
Ore dopo, la strada condivisa era
tornata a essere la loro unica realtà. Sert prese coraggio e
si
schiarì la gola, preparandosi a dare voce alla domanda che
non
poteva lasciare inespressa, allucinazione o meno – miracolo
o meno ed era sempre più propenso a credere a quest'ultima
ipotesi,
dato che le allucinazioni non vedono e non sentono veri mostri prima
che lo faccia chi le immagina, né combattono con efficienza
o
richiudono i lembi delle ferite altrui. Ma doveva sapere.
“Grion?”
“Sì.”
“Perdonami. Non vorrei ma... la caduta... la
fiera?”
Non ricevette risposta.
“So che la tua spada è
salda e così la cura delle tue mani, ma...”
Si voltò a osservarlo. Grion irrigidì
le spalle e continuò a camminare come se non avesse sentito.
“Eppure sei qui, sei tornato, posso
vederti, sentirti, toccarti: Yevon arride alla nostra missione, ci ha
concesso un miracolo...”
Sempre silenzio. Al sentir menzionare
Yevon, il guardiano si coprì il volto.
“Grion. Qualunque cosa sia successa,
sono dalla tua parte. Lo sai, vero?” E un sospetto
strisciante
iniziò a farsi strada, ma non avrebbe mai ricevuto una
risposta
diretta da quel muro impenetrabile.
Restò indietro di due passi e allungò
una mano in direzione del compagno. Si chiese se quello che aveva in
mente non fosse una violazione troppo grave del ritegno dell'altro,
ma prima era stato onesto (l'onesto-onesto delle occasioni
importanti, non i suoi soliti 'onesto', davvero) nel garantirgli il
suo sostegno. E doveva sapere. Strinse l'asta con l'altra mano; si
concentrò. Dall'orlo della casacca di Grion si librarono due
luci
fatue.
“Oh”, si lasciò scappare a mezza voce,
con la bocca aperta in un ovale stupito.
Non si era neanche fermato a chiedersi
se se ne sarebbe accorto, in verità: i suoi clienti abituali
erano
solitamente troppo – cercò un aggettivo
più cortese, ma – morti per
protestare. Il guardiano però si bloccò sui suoi
passi, teso più che di fronte a un attacco. Si
voltò verso di lui
con un'espressione stravolta che Sert lesse come terrore e vergogna.
Vergogna per aver commesso una tra le massime eresie, senza dubbio.
Terrore per...?
Cos'altro gli sarebbe potuto capitare di peggio? Cercando risposte, lo
sguardo si soffermò sull'asta e capì.
“Qualunque cosa ti sia accaduta
significa veramente qualunque cosa, testa dura. Qualunque.
Sarò sempre dalla tua parte, come tu sei dalla mia. Mi senti
quando parlo? Grion, guardami, ti prego”, disse, con le
lacrime
agli occhi ma senza riuscire a reprimere un sorriso, perché
tutti i
misteri rientravano al loro posto e l'unico risultato che gli
importava era di poter esser certo che la persona al suo fianco fosse
concreta e reale. “Credevo di stare ancora
sognando.”
“È stata una lunga strada”,
confessò infine. “Ma le fiere aprono il passaggio
a chi sentono
che sta per ingrossare i loro ranghi.”
“Ma non sei uno di loro.”
“Non potevo lasciarti solo.”
“Sarebbe stato più semplice?”
“Infinitamente.”
Lo vide rilassarsi muscolo dopo muscolo
– idea di muscolo dopo idea di muscolo, si corresse,
considerato
che il suo vero corpo era rimasto senza vita decine di metri
più in
basso. Sapeva che avrebbe dovuto provare orrore: così
dicevano le
Scritture, con buona ragione, definendo quelle esistenze innaturali e
pericolose, facili prede della loro stessa rabbia. Di tutto quello
che dubitava e quello ancora maggiore che non capiva, quel precetto
gli era sempre sembrato limpido come acqua di fonte. Fino a due mesi
prima, Sert era certo che avrebbe provato un orrore genuino nel
vedere un amico resistere così alla morte e avrebbe fatto
quanto in
suo potere come evocatore per condurre ogni simile aberrazione (del
verbo di Yevon, ma soprattutto dell'ordine naturale) nel piano di
esistenza che le competeva.
Quel giorno, scoprì che non
gl'importava poi tanto.
“Lo sarebbe ancora, più semplice?”,
chiese per conferma. “Lasciarti andare, dico. Diventare
un...”
Lasciò cadere la frase.
“Non posso ancora lasciarti solo.”
Prese fiato: anche lui cercava qualche certezza, un rimasuglio della
paura paralizzante di prima che l'aveva portato a cercare di
mantenere il suo segreto. “Non... devi continuare... dunque.
Quello
che stavi facendo. Come evocatore.”
Fiato sprecato.
“Non lo farei per nulla al mondo.
L'hai detto tu: non puoi lasciarmi da solo, giusto?”
“Credevo che fosse parte dei tuoi
voti.”
Sert scrollò le spalle. “Siamo
sempre parte della spirale di morte. Sai cosa fa un punto in una
spirale, se lo guardi dall'alto?”
Grion buttò indietro il cappuccio e
guardò in alto, verso il cielo azzurro.
“Torna.”
“Già.”
Proseguirono. La vetta era vicina.
Interludio: la speranza è altrove,
parte prima
Un anno prima, fuori dalle mura di
Bevelle, in piedi su una banchina dei trascurati moli commerciali, un
sacerdote scomunicato di Yevon si poneva delle domande. La nave da
Sanubia sarebbe dovuta arrivare da giorni – il sacerdote non
aveva
lasciato la sua postazione da allora, salvo che per chiedere delle
coperte e del cibo.
Aveva gli occhi stanchi. Al di fuori di
piccole concessioni irregolari al sonno, che lo ripagava con angosce
anche maggiori della veglia, teneva sempre lo sguardo fisso verso
ovest, ma ora dopo ora il suo orizzonte sembrava chiudersi in una
disperazione uniforme: sua moglie non sarebbe tornata. Così
aveva
iniziato a pensare al futuro, l'unico che gli era rimasto. I pensieri
turbinavano cupi come la tempesta di cui si ammantava Sin, senza
dargli tregua, scontrandosi e addensandosi nelle rughe sulla sua
fronte, ma le grandi correnti erano tre, una legata all'altra in una
spirale discendente di dubbio.
Per prima cosa si chiedeva se Bahamut
avrebbe accettato la sua supplica, concedendogli la grazia
dell'evocazione. Il Lord protettore di Bevelle aveva fama di essere
severo nella scelta e aveva già rifiutato uomini validi e
devoti, le
cui colpe erano inezie in confronto allo scandalo che l'evocatore
aveva portato sul clero di Yevon. La sua speranza era che gli esseri
al di là di questo mondo non si curassero delle divisioni
meschine
che lo spaccavano e che credente o Al Bhed fossero pari ai loro occhi
– o Crociato o Blitzer, come la storia insegnava, ma almeno
la fede
di Lord Ohalland era leggendaria quanto la sua esuberanza durante il
gioco e il sacerdote scomunicato temeva che per lui non si potesse
dire lo stesso.
La seconda era chi l'avrebbe
accompagnato nel suo desiderio di morte. Era rimasto solo.
La terza era cosa sarebbe stato di sua
figlia Yuna. Ma non poteva tollerare che altri restassero ad
attendere su un molo vuoto.
E tre, fine prima parte. Qualcuno dubitava che ci avrei ficcato il +1
in fondo, soprattutto chi avesse orecchiato che la fic è
ambientata un dieci anni prima degli eventi di gioco? XD Oltre che per
far bello, il paragrafino su Braska è inteso un po' come
parallelo riguardante un momento di perdita. Seguiranno altri paralleli
e... oh, a chi voglio darla a bere, I write what I must because I can,
W Braska e finita lì X°D Note:
@ che storie nascondessero i Ronso: sembra una pubblicità
mica troppo occulta ma in realtà è
andata al contrario, con la flashfic nata in seguito alle riflessioni
di questi capitoletti.
@ vapori allucinogeni delle sorgenti sacre: Yevon
no ma l'X-2 sì, a quanto pare: non saprei come altro
spiegarmi una nuotatina in costume da bagno nelle sorgenti sacre
suddette. Transeat...
@ arrampicate lessicali sugli specchi: Guarda,
mamma, senza mani! Mi mancano giusto giusto le parole per Sending,
Unsent e Farplane... XD
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Capitolo 4 *** 2.1 Assoluzioni lineari ***
Eee inizia la seconda parte.
Una sola cosa: facciamo finta che le prove del Gagazet siano
più enigmose e simili ai Trial effettivi dei templi, per
l'amor di Yevon, perché una che richieda un'arma da lancio e
l'altra come minimo un party a tre (quando i precetti paiono spingere
il guardiano singolo, per ovvi motivi) sono tanticchia ridicole.
2.
Accanto al presente e alla realtà
(Cosa sognano?)
(Non lo so. Mi
rifiutano: è un gioco privato.)
(C'è un mostro nel cielo, grande come
cento Eoni...?)
(Eppure sembrano in pace. No, non può essere così
semplice... ho paura, amico mio. Sento tirare una rete di
verità
nascoste.)
Assoluzioni lineari
La via oltre la vetta passava sotto una
coltre di pietra. Grion ne apprezzava il silenzio: sentiva il vento
salire selvaggio e ululare al di fuori, ma il complesso di grotte del
Gagazet era muto e accogliente come la cantina di casa in cui era
solito scappare da bambino. Seduto a gambe incrociate su un fungo di
roccia, osservava Sert arrovellarsi di fronte a un passaggio
subacqueo poco più in basso. Il suo evocatore non era un
pensatore
paziente, o sereno, e sembrava camminare sui carboni ardenti mentre
con le dita dipingeva nell'aria la sua mappa mentale del problema.
Sembrava che la loro sosta sarebbe stata più consistente del
previsto e, accettando ma non del tutto condividendo il senso di
urgenza che muoveva Sert (nel pellegrinaggio come in tutte le cose,
in verità), ringraziò Yevon per la pausa
concessa.
Si guardò il dorso della mano. Era una
riproduzione concreta e minuziosa, fino all'ombra delle vene, al
pallore e alle piccole cicatrici. Alzò le spalle.
Evidentemente, il
suo corpo si conosceva meglio di quanto lui stesso non avrebbe saputo
ridire a memoria: si sarebbe aspettato un lavoro non proprio
approssimativo, perché di natura sapeva essere puntiglioso,
ma
nemmeno così verosimile. Tanto più coglieva
questi dettagli
spontanei, tanto più si rassicurava di non essere rimasto
riverso
sul corpo di un Bashura e che a proseguire fosse solo un'ombra
inerte.
“Pensi che sia una punizione?”,
chiese a mezza voce, sempre concentrato su come quella pelle irreale
si tirasse piegando e distendendo le nocche. Più flessibile.
E prima
quel dito scrocchiava in modo sgradevole, muovendolo così.
“Punizione?” Sert guardò in alto,
nella sua direzione. “E punizione per cosa?”
“Non so.” Più distaccato? Non
più
di prima. Più macabro? Forse. D'altronde, le circostanze
erano
un'attenuante? “Besaid, ad esempio.”
“Ancora con quella storia?”
Fece un cenno affermativo, non troppo
enfatico. Sert si alzò e si arrampicò sul paio di
sassi che li
distanziava, finendo per appoggiarsi con le braccia incrociate sulla
sporgenza su cui Grion era seduto. Si sentì squadrato dal
basso in
alto.
“Non ne avevo bisogno”,
puntualizzò. “Non sono partito alle prime armi,
fresco del primo
patto. Dopo anni di pratica mi attendevano comunque Djose, Macalania
e Bevelle, a che pro scendere rischiando anche la vita per mare? Come
se Sin stesse ad aspettarci.”
“Sin ha aspettato durante gli anni di
pratica.”
“Sir Grion, è tardi per dar
voce a simili rimpianti. La rotta è stata tracciata
insieme”,
disse aggrottando le sopracciglia, “e non ho sentito, che so,
Lord
Ixion lamentarsi di questa cosa.”
“E?”
“E temevo che rivedendo casa mi si
spegnesse il fuoco sotto i piedi, suppongo”, aggiunse con una
smorfia più accentuata. “Comunque potevi dirlo
prima. Sei il mio
guardiano, decidiamo insieme. Quel poco che ci resta,
almeno.”
“Ho fiducia nel tuo giudizio. È solo
la situazione attuale. Mi dà da pensare, nulla
più.”
“E poi, punire te per i miei peccati?
Che scempiaggine. Non può funzionare
così.”
“Si dice che
evocatore e guardiano siano uno agli occhi di Yevon.
Inoltre...” Si
fermò ad osservarlo. Facendosi da cuscino con le mani, Sert
aveva
appoggiato la testa di lato così da non dover sostenere il
suo
sguardo, ma così voltato le fosforescenze delle rocce che li
circondavano gettavano ombre malsane sui segni marcati sotto i suoi
occhi. Il dolore dell'ultima tappa l'aveva marchiato con
un'intensità
che non si sarebbe sollevata prima diell'ultimo
giorno. Non più di una settimana, ormai.
“Inoltre, ha
punito te.”
“Ma no, no”, rispose stanco
scacciando il pensiero. “Non voglio crederci, Grion. La
riuscita di
un pellegrinaggio non può essere una faccenda
così di conti
spiccioli come dici, non avrebbe un senso. Peraltro è presto
dimostrato: hanno fallito così tanti appartenenti alle
schiere dei
pii e dei giusti che non può essere quello il criterio.
È un fatto.
Forse secondo altre regole”, aggiunse come con un
ripensamento. “Ma
non quelle che conosciamo scritte nei templi.”
“Riesci a ricondurre tutto a quei
tuoi ragionamenti lineari, a quei se questo e questo, allora
quello?”
“Quasi tutto quello che mi circonda,
sì”, sorrise. “Non tutto,
però! Il fatto che un guardiano abbia
deciso di seguirmi, ad esempio.” Si issò del tutto
sul masso e si
mise a sedere al suo fianco, tendendo la testa all'indietro
finché
non toccò la sua spalla. “Quella Fede sterminata,
attiva e muta. O
Sin.” Lo sentì tremare. “Il Distruttore
sfugge alle distinzioni
umane. Alla sua punizione eterna, sì, posso credere. E per
quanto la
purezza sia lontana dalla portata delle mani protese e unite delle
genti... se ogni singolo uomo conta, la mia presenza di certo non la
avvicina. Meglio levarmi platealmente dalle scene e portare una Calma
per tutti gli altri, non trovi?”
“Non me ne hai mai parlato.” Si
fermò a riflettere. “Tu non hai mai creduto alla
Calma Eterna,
Sert.”
“E non ho realmente iniziato
stamattina. Ma sono venuto meno ai miei voti.”
“Non...”
“Non continuare quel discorso,
tu. Sono venuto meno ai miei voti, non alla mia coscienza. E mi sono
dovuto soffermare su peccati ed espiazioni.” Si
rannicchiò e si
strinse a lui, pesando tutto sulla sua spalla. “che sono
brutte
faccende e mi fanno ragionare come un sacerdote di Yevon. Per chi
vive sotto l'ombra del tempio, ogni cosa è peccato. Lo
stesso
ragionarci è peccato e lo sai quanto me. Se avessero
ragione? Se
fosse tutto un concatenarsi di peccati e non ci fosse scampo nel
mondo come lo conosciamo?”
“Sempre la questione degli Al
Bhed?”
Per carattere ed educazione, Grion non
era in grado di mentire, raggirare o anche solo arrivare a
comprendere tutti i sottili legami di potere che sembravano
interessare tanti dei suoi commilitoni (il che poteva spiegare
perché
dopo otto anni di onorato servizio fosse ancora di stanza agli
antipodi da casa, probabilmente): dalla sua espressione sempre seria
e distesa si era portati ad aspettarsi, a ragione, la verità
e
nient'altro che la verità. Ma aveva i suoi modi per sviare
un
discorso, quando necessità lo richiedeva, con il minimo
esborso di
fiato.
“No, sì, quasi”, abboccò
infatti
il suo evocatore, che avrebbe voluto vedere arrivare a testa alta
fino al sacrificio finale e non così combattuto. Per Sert
quello era
un argomento trito, stesse vecchie premesse, conclusioni immutate da
mesi, ma uno cui non sapeva rinunciare. C'era una premessa: il limite
del concetto di 'machina', dato che tutti sanno che un tornio non vi
appartiene e i marchingegni malefici che si possono incontrare ancora
attivi attraversando lo stesso Gagazet certamente sì, ma
certe armi
da fuoco no e certe altre sì secondo una stretta
demarcazione nota
solo a Yevon. Ma i congegni voluti da Lord Gandof, che poi sconfisse
Sin? La premessa veniva poi regolarmente accantonata considerato che,
quale che fosse quella demarcazione, gli Al Bhed stavano comunque con
gran margine dalla parte sbagliata della stessa. D'altra parte il
flagello di penitenza era stato inflitto al mondo intero, non ai
singoli popoli o alle persone,come qualunque elenco eterogeneo di
vittime poteva dimostrare. Pertanto, finché quel popolo
recluso non
fosse stato pronto ad abbandonare le sue vie per integrarsi con la
società comune, la Calma Eterna sarebbe rimasta un miraggio
per
bambini. Nel minimo.
Oppure, considerato che le loro
intenzioni erano sì eretiche ma non malvagie, l'intero
sistema era
da buttare, le Scritture millenarie travisate, e la gran massa di
speranza offerta ogni giorno a un futuro migliore veniva rivolta
all'ignoto.
Grion ascoltava, annuiva quand'era
corretto annuire, rifletteva nelle pause. Aveva l'impressione che la
situazione potesse essere più complessa, ma gli mancavano le
parole
per i suoi dubbi. Giunti a quel punto, ad ogni modo, non aveva
più
molta importanza.
“Poi c'è ieri.”
“Sert, non...” Ogni tanto, 'sviare
il discorso' era solo quello: una piccola tregua di deviazione.
“Eri
morto.”
“Fra qualche giorno lo saremo
entrambi.”
“Non è la stessa cosa”, rispose truce.
Grion indicò i glifi luminescenti che
sarebbero dovuti essere la sua priorità, ultima sponda prima
che
tornasse ad affondare nelle colpe che si era costruito. Avrebbe
voluto aiutarlo, ma si sentiva già così lontano
da quegli
avvenimenti: era stato suo l'errore, suo il piede in fallo e da
lì
gli eventi avevano solo seguito il loro corso. La preoccupazione era
un'altra, tutta interna, viscosa come colla fra le luci fatue che lo
tenevano insieme, ma non doveva essere affare dei vivi. Sarebbe
rimasto se stesso, in equilibrio nel mezzo, senza cedere al nulla
né
alla rabbia.
“Scusami, non volevo angustiarti”,
rispose Sert vedendolo incupirsi. Con una pacca sulla spalla, era
andato. “Dammi due giri di clessidra e ne saremo fuori, avevo
l'enigma quasi in testa.”
“Io? Non curarti tu di quello
che è successo. Sono il tuo guardiano.”
Sert si girò di scatto. “E io il tuo
evocatore! Salvo la gente, non la porto alla rovina...”
Scosse la
testa e imprecò, poi tornò a immergersi nella
logica lineare e
comoda delle Prove.
Niente da dire stavolta salvo il consueto GRAZIE alle recensioni... e
che a me gli Al Bhed piacciono assai. È lui che tende a
farsi gran giri mentali su tutto, in particolare quel che non conosce
bene (e chi l'ha mai visto un Al Bhed?). Chiedetegli cosa ne pensa
degli Hypello e... non so cosa potrebbe venirne fuori XD
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Capitolo 5 *** 2.2 Due risultati per la stessa incognita ***
Giro di boa! Sempre grazie a chi sta seguendo e mi scuso per
l'aggiornamento tardivo, ma in questi giorni sto correndo in
circolo con urletti isterici. Ancora.
Due risultati per la stessa
incognita
Come se fosse possibile, non portare la
gente alla rovina.
“Parto”, aveva detto un giorno di
punto in bianco, di ritorno dai moli.
Grion lo ricordava come se fosse
accaduto quella mattina stessa: era uscito portando una pila di
lenzuola a stendere e le poteva ancora sentire accartocciarsi sotto
la sua presa improvvisa. Non era più un ragazzetto,
né tantomeno
impressionabile, e non aveva lasciato cadere tutto con gesto
drammatico ma era rimasto lì, immobile e corrucciato sotto
il sole
del mattino, mentre era il mondo a cadergli tutto addosso.
Si diceva dalle sue parti che stare
accanto a un evocatore garantisse una morte pulita, se prima non ti
spezzava il cuore. Benedetta saggezza popolare: puntuale come Sin
negli avvertimenti, non altrettanto – col senno di poi
– nella
consolazione.
E ancora, sei anni prima:
“È andata.”
Furono le prime parole che gli rivolse,
ancora sporco del sangue della sua compagna di ronda. Strane parole
di conforto per un lutto: non “Sii felice per lei,
perché è
uscita dalla spirale di dolori del mondo” né
“È nella pace di
Yevon” o una qualunque formula rituale. Solo
“È andata” e
un'espressione sognante, come di chi avrebbe voluto seguire lei e le
altre vittime della scaglia che i Crociati avevano respinto a fatica
nonostante l'Eone che combatteva al loro fianco. Strane ma adatte
allo strano evocatore di quel paese che, rinchiuso nella sua bottega
di vasaio salvo che nei giorni di mercato o quando erano richiesti i
suoi servigi, sembrava disdegnare i comuni mortali che lo
circondavano.
Adatte anche a Grion, che di tante
chiacchiere non avrebbe saputo che fare. Lo ringraziò in
modo
conciso e apertamente grato e si avviò verso la
guarnigione, elaborando in silenzio l'ultimo saluto alla donna che
era stata una valida guerriera e l'unica persona, in quella terra
straniera, con cui si fosse mai realmente confidato. Si chiese come
sarebbe stato vivere solo con se stesso – se si dovesse
essere
saggi, sacerdoti o evocatori per affrontare Spira senza il conforto
di una voce amica.
Non furono passati quattro giorni
dall'attacco che Grion trovò tutte le sue risposte e qualche
disillusione. Dovette, ad esempio, riconsiderare l'impressione che
l'evocatore del villaggio fosse animato da un carattere affine al
suo, controllato e di poche parole. O quella più
persistente, che
l'aveva colpito positivamente fin dal trasferimento a Kilika, che il
suo eremitaggio fosse una scelta rigorosa di introspezione.
Immancabile nelle retrovie dei Crociati come dei monaci guerrieri
mentre Ifrit reggeva il primo impatto di ogni assalto, sbrigativo e
impersonale e dedito ai suoi cocci invece che alle tradizionali arti
curative, gli era sempre sembrato lontano dall'immagine del faro di
speranza tramandata dalle Scritture. Più simile a una baia
sicura
prima dell'ultimo viaggio, a ben vedere. Il che era, a suo avviso,
una posizione tutt'altro che deprecabile: sicurezza prima di tutto,
alla speranza poteva pensare anche il clero.
Nella realtà dei fatti, pareva che
Grion non fosse l'unico a corto di interlocutori: era di guardia sul
promontorio est quando vide l'evocatore raggiungerlo risalendo
un'ansa del sentiero. Con un saluto disinvolto con la mano, come se
la sua presenza al confine dell'area protetta non fosse nulla di
insolito, si appoggiò alla parete di roccia alle loro spalle
e restò
fermo e muto a osservare l'orizzonte.
“Se è una punizione sacra, perché
lo combatti?”, esordì infine.
“...domanda un evocatore.”
“Ah, ma io non viaggio, io resto qui.
Aiuto solo nelle faccende spicce, niente a che fare con i grandi
ideali di speranza.”
“E nelle battaglie.”
“Non hai risposto.”
Grion si fermò a riflettere.
“Non voglio altri morti. Quando posso
evitarlo.” Non c'era molto altro da dire, in
verità: non si era
mai neanche accorto che potesse essere una contraddizione.
“Ha senso.” Sembrava soddisfatto.
Con la coda dell'occhio poteva vederlo rilassato contro il costone
come una lucertola al sole.
Se ne era andato un'ora dopo, con un
“Grazie”.
E ancora, il giorno dopo: “Non ti
pare sciocco gettare centinaia di vite per quello che ammonta a poco
più dell'alimentare una speranza?”
“Come, prego?”
“Parlo del
pellegrinaggio”, spiegò col tono con cui ci si
rivolge a un
bambino.
“Lord Sert, questa linea di pensiero non
è...”
“Taglia le onorificenze. E lo sto chiedendo a te, non
di là”, disse indicando il tempio.
“Cosa saremmo senza quella speranza?”
“Non lo so, per l'appunto. Me lo
stavo chiedendo.”
“È possibile immaginarlo?”
“Non
so nemmeno questo. Buona giornata, crociato, grazie della
compagnia.”
Era un modo ben sgraziato per saggiare
le acque, dopo quel primo incontro in cui solo Yevon sapeva cosa
avesse visto in lui, ma Grion scoprì di non trovarlo
spiacevole. I
giorni si allungarono in settimane, mesi, pochi anni di compagnia
reciproca nei ritagli delle loro vite, che diventarono la trama e
l'intreccio di ogni giornata. Fino a che: “Parto.”
“Grion”, aggiunse, ferito, cercando
il suo sguardo. “Ti scongiuro, non dirmi che l'ho sempre
odiato,
perché è ancora vero. Puoi... puoi
capirmi?”
“No.”
Ovviamente no. Non fintanto che avesse
avuto quelle lenzuola in braccio. Di quel primo discorso non
riuscì
a seguire che le virgole ma ne seguirono altri, infiniti altri, di
fronte a una scodella di zuppa o sotto il tramonto incendiato di
Kilika, sui moli, lontano dal tempio e da orecchie indiscrete.
Discorsi sulle premesse, che non erano cambiate: le convinzioni di
sempre, i calcoli a spanne e quel modo forse sbrigativo di mettere
insieme due verità per cavarne una terza.
Un evocatore può fare del bene, aveva
detto. Ha un potenziale immenso per fare del bene, nonostante nel
richiedere il suo potere in quei termini, anni addietro, Ifrit si
fosse trattenuto a stento dal ridergli in faccia e Sert cercasse
ancora di scoprire il perché.
La Calma è sopravvalutata, aveva
detto. Una vita di sforzi a casa propria, per chi si ha vicino, paga
quasi come un anno per tutti senza Sin e questo senza contare la mole
insopportabile di morti inutili per raggiungerla. Morti vittime della
propria speranza, quindi irate. Fiere. Altre morti.
La Calma Eterna è una favola per
bambini, almeno nel mondo fallato così come lo conosciamo.
Sin
tornerà, quindi è del tutto inutile abbatterlo
per un anno. Un
anno! Per la Storia è ridicolo, un battito di ciglia.
Viviamo sulle
spalle di migliaia di morti, aveva detto, che a milioni di persone
hanno dato da spartirsi inegualmente venti mesi di pace. È
giustizia
questa? È speranza?
Quello era il Sert che aveva sempre
conosciuto e rispettato. Dunque? Cos'era “Parto”?
“Sempre conti”, gli rispose con un
volto stanco e tirato, come di chi dentro sé fosse
già in viaggio
da mesi, senza una meta certa. “Nient'altro che conti. Non mi
fido
del mio giudizio, voglio i fatti.”
E i fatti, a suo avviso, erano che
quell'epoca fosse già piena di codardi ambiziosi anche in
sovrannumero per garantire a Kilika la sua pace, a meno che Sin non
radesse tutto al suolo, nel qual caso ogni discussione sarebbe stata
resa pretestuosa. Tutti quei sacerdoti e potenziali evocatori non
sarebbero partiti nemmeno come richiesta della loro madre in punto di
morte: di conseguenza, la città era sicura. In quella
situazione,
per Spira nel suo complesso, una possibilità su mille di
ottenere un
risultato sarebbe stata sempre meglio di nessuna.
“E poi...”, gli disse un giorno,
riaprendo d'improvviso il discorso che era diventato il sottinteso di
ogni loro incontro. L'aveva trascinato in un vicolo in cui nessuno
potesse sentirli; era una giornata limpida e Grion ricordava che il
passaggio improvviso all'ombra gli fosse sembrato di cattivo
presagio. “Tre cardini. Primo, ho capito che non vivo solo io
su
questa terra. Avendone il potere, ho il dovere di consegnare la
speranza a tutti coloro che non capiscono che la speranza è
inutile.A tutti quelli che non vivono d'altro.”
“In altre parole, tutti”, concesse
Grion.
“Tranne me”, lo corresse,
trattenendo il fiato nell'indecisione prima di aggiungere: “e
te.
Secondo, voglio sapere.”
“Sapere cosa?”
“Sapere cos'è,
come accade. Una forza dentro di te, capace di ucciderti. Come ci si
sente?”
Provò a immaginarla in lui, finendo solo per
distogliere malamente lo sguardo.
“Soprattutto”, lo distrasse l'altro
riprendendo a parlare, e Grion gliene fu grato, “voglio
sapere cosa
nasconde. Perché nessuno torna a dispensare la conoscenza
che le
nuove leve bramano. Almeno, io la bramo. I Guardiani Leggendari, ad
esempio. Uccisi in battaglia uno, due, ma sei? Si dice che Sir Bessu
e Dama Somia si ritirarono in un eremo, orrendamente sfigurati. Si
dice poco, soprattutto, e il risultato è che i segreti di
Zanarkand
restano vergini per chi chiunque vi ponga piede. Che volto ha
l'Evocazione Finale, Grion? M'interrogo e Lord Ifrit ride. Credo sia
il suo modo di spingermi sulla via. Terzo...” La sua voce era
scesa
a un sussurro, sottile e tagliente da dare i brividi.
“...odio questo mondo. Non ha pietà,
non ha ombre, non ha senso. Solo certezze e colori così
nitidi da
accecarti. Voglio andarmene.”
Così era partito per dare un corpo
qualunque a quella possibilità su mille, un corpo che solo
per
mancanza di alternative doveva essere il suo. Così lui
l'aveva
seguito, perché gli sarebbe servita una lama e una mano che
guarisce, una marcia regolare a rallentare il passo, una spalla su
cui versare le lacrime rimaste. E se vi era stato spinto di proposito
– se quel suo prepararsi senza all'apparenza chiedere nulla,
come
pronto ad affrontare da solo la via del pellegrino, era stato scelto
nella certezza di legarlo a sé – Grion comunque
non si sarebbe
lamentato. Avevano condiviso la strada, i racconti, i pensieri di
quegli anni e non avrebbe mai osato sperare in tanto, tutti quel
tempo prima, di fronte a un secco “È
andata.”
Poi era morto per lui, con la schiena
fracassata e lo stomaco perforato da un artiglio. Anche di quello non
si lamentava – era stata tutto sommato una morte rapida, se
non
pulita, come gli avrebbe sempre ricordato la prima immagine che si
era impressa sui suoi nuovi surrogati di occhi che era tutta rosso
e arti scomposti in angoli innaturali e quello dovrebbe essere il
fegato.
Poi era tornato. Che era quello di cui
il suo evocatore aveva bisogno, ma anche qualcosa che i morti non
fanno. O non dovrebbero fare.
Note:
@ “...domanda un evocatore.”: A.k.a.
“da che pulpito”, versione “il mio fandom
ha molte prediche ma non ha pulpiti” XD
@ Grion che osserva i suoi resti: Eeeeh...
avevo letto da qualche parte che fiend e Unsent si creano attorno alla
coscienza rimasta del morto, che è separata dal corpo. Non
ricordo dove (beh via, il ::dove:: non è difficile, ma non
so ripescare la traduzione esatta), ma ha senso perché se le
fiend fossero i cadaveri veri e propri che si rianimano, beh,
basterebbe bruciare i morti per risolvere uno dei grossi problemi di
Spira. \/n
Piccolo extra che non saprei dove altro infilare, drabble nata per il
challenge special #9 di it100. Non l'ho ancora pubblicata lì
perché aspetto (e aspetto... e aspetto... blocco dello
scrittore totale... ale... ale... XD) di avere anche le altre drabbline
con cui voglio partecipare, ma essendo uno spin-off di questo capitolo
non posso che metterla in coda a questo capitolo. La frase di
riferimento è: "E se vi era stato spinto di proposito
– se quel suo prepararsi senza all'apparenza chiedere nulla,
come
pronto ad affrontare da solo la via del pellegrino, era stato scelto
nella certezza di legarlo a sé – Grion comunque
non si sarebbe
lamentato."
Ogni tanto basterebbe chiedere. Ogni
tanto non si riesce a tollerare l'ipotesi di un rifiuto e si ottiene
lo stesso risultato per vie traverse.
Una rete di silenzio
Sert saggiò le cinghie del sacco delle
provviste, ne testò la resistenza, provò a
mettersele in spalla
senza smettere di giocherellare con le dita sulle fibbie.
Registrò a
stento che erano fatte di cuoio e ferro, lontano con la mente da
liste e bagagli: la partenza si faceva vicina ed era ben altra la
corda che stava tirando.
Come di consueto in quei giorni di
preparativi infiniti, Grion apparve al margine del suo campo visivo.
Camminava in circolo, inquieto, muto, fissandolo di tanto in tanto
con uno sguardo ancora incredulo. La partenza si faceva vicina.
In quei momenti, l'evocatore diventava
il margine del suo campo visivo, le orecchie tese a percepire ogni
passo, ogni cambiamento, in attesa di–
Sentì prendere fiato. “Ti servirà
un guardiano. Non ti lascio solo.”
Sert annuì lentamente, assaporando
ogni sillaba.
“Cammineremo insieme fino alla fine
del mondo.”
(...Grion, caro, ovvio
che lo stava facendo apposta. Non è capace di non fare le
cose apposta, quell'uomo. *spallucce*)
|
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Capitolo 6 *** 2.3 Stati intermedi di mente e materia ***
...essere paralizzati dall'idea di dover praticamente riscrivere il
terzo capitolo non è una scusa per non finire di postare il
secondo, in effetti. Scusate.
Stati intermedi di mente e materia
“Grazie di essere ancora qui”,
mormorò Sert smettendo per un attimo di vagare sperduto
attorno ai
suoi glifi, col tempismo di chi avesse letto i suoi pensieri, o di
chi fino a quel momento ne avesse seguiti di paralleli. Non era
difficile credervi: in pellegrinaggio le idee seguono troppo spesso
la stessa via dei piedi, che ha un'unica traccia e un'unica
direzione.
“Grazie di avermelo permesso”,
rispose secco, non sentendosi ancora del tutto lontano
dall'incertezza della notte precedente.
Restare non era stato difficile –
almeno non per Grion, da sempre portato a prendere un'idea alla volta
e seguirla fino alla sua naturale conclusione. Con un dolore sordo
alla schiena non aveva più sentito il sapore del suo sangue
in
bocca, la putrefazione del Bashura nelle narici, non più la
stanchezza di pietra che scendeva in ogni muscolo delle gambe, il
fiato rauco che rimbombava in testa. Un dolore sordo alla schiena
atterrando sul ghiaccio di una sporgenza ed era rimasto semplicemente
lì, in mezzo all'aria fina del Gagazet, a chiedersi che
novellino
avrebbe attaccato in modo così sgraziato, messo
così stupidamente
un piede in fallo. Soprattutto, a ripetersi che stava deludendo il
suo evocatore. Tempo di mettersi in marcia.
Prima che si accorgesse di avere
nuovamente due gambe con cui camminare era già tornato sul
sentiero.
Prendeva quello che riusciva dalla terra e dall'aria, grato alla
montagna sacra mentre le luci fatue che le chiedeva in prestito gli
fioccavano intorno assieme ai refoli di vento, donandogli forma e
sostanza. Era parte del cielo e del mare di Spira, ora, e di tutti i
pianti e i risentimenti che echeggiavano in ogni sua particella, ma
era e restava Grion. Grion che restava fedele a una promessa senza
fermarsi a commiserarsi per averla tradita. Grion che aveva accettato
l'idea della propria morte anni addietro, ma non proprio ora,
per
favore, resto ancora un poco.
Non c'era spazio per altri sentimenti,
davvero, per quanto il senso di colpa bruciasse come le ferite sulla
sua vera carne, minacciando a volte di distoglierlo da quella
concentrazione: Yevon condannava la sua scelta. Si era scritto
addosso uno dei primi peccati che da quasi mille anni richiamavano
sull'umanità la punizione di Sin e non sarebbe bastato il
proposito
di rinunciarvi non appena proprio Sin fosse caduto. Forse nemmeno
Sert l'avrebbe accettato: lo conosceva come un evocatore
coscienzioso, fedele ai fondamenti pratici della sua vocazione se non
proprio ligio alla teoria – servitore dei vivi. Forse avrebbe
guardato con disprezzo la perversione che era diventato e senza una
parola l'avrebbe condotto lontano da Spira e dalla sua lunga
redenzione. Ne sarebbe comunque valsa la pena, solo per percorrere
quell'ultimo tratto insieme.
E invece.
“Yevon non si offenderà per un gesto
d'amore. Spero”, aggiunse sottovoce il suo evocatore.
“Yevon non si offenderà...”,
ripeté Grion, speranzoso. A meno che non la giudicasse una
debolezza
di entrambi, quella loro resistenza ai fatti del mondo per non
rinunciare a... cosa, poi? Un'amicizia come ne erano esistite forse
milioni di altre. E per non rinunciare a sconfiggere Sin, si
corresse. Per quello li avrebbe potuti perdonare, forse. Era quella
la direzione che li manteneva in piedi, come un cerchio lanciato in
terra non cade fintanto che resta in moto.
Per Grion, non perdere di vista il loro
obiettivo era tanto più importante dal momento in cui si era
trovato
a dover negoziare la sua esistenza istante dopo istante, sentendosi a
volte sul punto di diventare qualcosa di non umano, ignoto e
pericoloso. Non era difficile comprendere perché camminare
così sul
filo del rasoio fosse considerato sacrilego, ma era certo che non
avrebbe messo così a rischio il suo evocatore fintanto che
gli fosse
rimasto accanto vedendolo così determinato. Se si fossero
appoggiati
solo l'uno alla spalla dell'altro, senza la necessità di
proseguire,
sarebbero caduti fino a svanire nel nulla. Così, era sicuro
che
avrebbe aspettato. Fino a quel punto all'orizzonte che era la morte
di Sert.
Non temeva più di dare un nome a quel
momento: esso aveva acquisito, sulla sua coscienza,
un'ineluttabilità
inedita che andava oltre l'accettazione con cui un anno prima si era
rimesso alla scelta dell'amico. In un modo distaccato, di chi
è
sulla vetta del mondo e guarda indietro alle città lontane,
gli
doleva solo che nessun altro avrebbe più potuto godere di
quella
presenza unica, com'era stato suo privilegio. Sotto il suo sguardo
impassibile quelle città, le coste e le valli si
sgretolavano nella
memoria in un tremolio di luci fatue, crollando in un mare calmo e
denso, e Grion non riusciva a ricordare di essere mai stato altro che
un guardiano, il suo guardiano.
Era meglio che tutto finisse davvero,
quando la strada fosse finita: nessuna parvenza di vita normale da
mendicare al ritorno, nessun ritmo insignificante cui riadattarsi.
Solo un magnifico vuoto e la consapevolezza di aver svolto il proprio
dovere.
Sentì un rumore profondo oltre il
sentiero, di roccia che scorre, e Sert si avvicinò a
raccogliere
l'asta che aveva abbandonato durante le Prove.
Sostenne il suo sguardo.
“La via è libera. Zanarkand ci
attende.”
Interludio: la speranza è altrove,
parte seconda
Mesi prima, su un
ponte sospeso fra due delle più alte torri di Bevelle, un
giovane
monaco guerriero stava per gettare al vento la sua vita. Aveva
lasciato a lungo le possibilità a macerare nella sua
coscienza,
venendo prosciugato a sua volta fino a che, sentendosi mancare
l'aria, non aveva accettato di non avere mai realmente avuto
alternative. Era rimasto un precipitato di certezza piccolo e cupo da
quell'opera alchemica: non una soluzione, non uno sprazzo di
felicità
e tuttavia un'ipotesi migliore di un futuro passato chiuso in una
casa elegante a ricoprirsi di muffa. Non aveva mai realmente avuto
alternative.
La porta di fronte
a lui era massiccia e ricca, carica di storia e di bassorilievi
–
mai colpita da Sin – e chiusa. Ripassò la sua
parte. Non sembrava
difficile:
“Parto”,
avrebbe detto semplicemente e l'altro avrebbe capito.
No, non avrebbe
capito. Avrebbe colto il sottinteso, come chiunque a quel mondo
l'avrebbe colto, e la rete di conseguenze cui portava,
perché non
era uno stupido, e dopo la paralisi della sorpresa sarebbe passato a
ricoprirlo di minacce, insulti e non pensi a mia figlia, tua
moglie, ma non
avrebbe capito.
Un sacerdote di Yevon doveva pensare alla stasi e alla preservazione:
non poteva aprire gli occhi e vedere che tutto cambia, tutto muore
anche entro quelle mura scintillanti e che quando la terra ti scivola
da sotto i piedi non hai davvero altra scelta che rincorrerla fino
alla fine del mondo (con la speranza di riportarla indietro).
Nemmeno lui poteva
dire di capire del tutto. Ma avrebbe seguito il suo cuore e il suo
evocatore fino all'ultimo battito di entrambi.
Soffiava una
brezza gentile.
Restò stoicamente
immobile di fronte alla porta opulenta e chiusa, in attesa che l'alto
sacerdote gli concedesse udienza, mentre il suo mondo cadeva in pezzi
e veniva trasportato dal vento oltre i confini della città,
verso il
Nord ignoto.
Lo stato di Unsent mi affascina. Ma con Auron non mi azzardavo a
entrare così nel dettaglio, non so perché. E a
proposito di Auron... A
differenza zero (prossimamente su questi schermi, se non
me ne dimentico) originariamente doveva essere qualcosa di
molto, molto simile al secondo interludio qui. Poi mi è
sovvenuto che l'avevo appena scritta, appunto nell'interludio. D'oh! E
poi per due mesi mi sono rincorsa la coda come un cane nevrotico XD
PS randomico: se c'è qualche cacciatore di fanart
all'ascolto, e mi sa che una almeno c'è :grin: ,
consiglio vivamente di smanacciare armati di buonsenso e Google
Translate finché non si riesce a farsi un account su Pixiv,
poi partire da qui
e darsi alla pazza gioia. Ci sono anche vecchie glorie come questa,
che ricordo da... da ben prima che esistesse Pixiv, mettiamola
così. O altri
classici immortali... X°D
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Capitolo 7 *** 3.1 Chiudi gli occhi, il viaggio è finito ***
Io... mi scuso tantissimo per il ritardo. Dovevo riscrivere due scene
in croce e, fra altre cose da fare e zero voglia di riprendere un
capitolo che mi sembrava ben sotto le aspettative, ho fatto passare i
mesi. Scusa(te?)mi. Terza e ultima parte, Zanarkand.
3.
Sulla terra resta il rimorso
(Cos'era quel
mostro? Una tale rabbia. Rimpianto...)
(Non lo so. Non so più
nulla.)
(Mi nascondi
qualcosa.)
(Quel rimpianto, quella rabbia – giuro che è lo
stesso che proverei se fallissi ora.)
Chiudi gli occhi, il viaggio è
finito
Entrarono a
Zanarkand col fiato corto e la vista annebbiata, curati dalle ferite
ma non dalla stanchezza, troppo provati per continuare a mettere un
piede davanti all'altro o anche solo per considerare appieno il
significato delle parole “Entrarono a Zanarkand”.
Proseguivano in
mezzo a un sogno confuso.
Grion ordinò il
riposo.
Nel chiudere gli
occhi, Sert rivide la fiera che li aveva aggrediti all'ingresso della
città. Il ricordo s'ingigantì nel sonno e quella
torreggiava come
uno dei palazzi che li circondavano, impaziente, vigile, ricoperta di
scaglie e zanne e simboli sacri incisi nella carne. Si era scagliata
su di loro come se li aspettasse, notò con distacco
rivivendo
l'assalto. Poco importava. Di sicuro c'era invece il senso di
compiutezza al constatare che un risentimento così potente e
antico
fosse stato dissipato e che, al netto delle pronte cure del suo
guardiano, l'unico pegno per un tal gesto di compassione fosse stato
qualche graffio. Grion l'aveva guarito, Grion l'aveva protetto, anche
ora Grion montava il primo turno di guardia senza battere ciglio (non
l'aveva visto riposare in tutta la discesa. Non si soffermò
sul
pensiero). Grion aveva sempre saputo valutare quanto e quando
rischiare per uscire vivi dallo scontro – vivi quanto
prima,
si corresse con una smorfia. Che era comunque abbastanza.
Avrebbe voluto
condurre i suoi sogni verso un passato vicino, verso quei primi
giorni di viaggio che la sua memoria dipingeva già come la
somma di
ogni serenità, ma aveva altri doveri: quietò la
sua coscienza e
sentì le voci dei sogni dei suoi Eoni, ridotte a echi
distanti dopo
che la violenza della battaglia aveva spezzato il loro legame.
Si avviò a
riabbracciarli e cadde in un sonno profondo. Le sue fantasie
avrebbero dovuto aspettare.
Zanarkand–
l'idea di Zanarkand – li raggiunse davvero solo quando erano
già
addentro alla ragnatela di vie che ancora segnavano il terreno, in
una rete di cicatrici che copriva prima la terraferma e ora i
promontori.
“Zanarkand”,
sussurrò Sert, sentendo che in quel momento il peso di ogni
singola
sillaba sarebbe stato insostenibile se avesse dato loro più
fiato.
Le luci fatue li circondavano come tanti fiocchi di neve luminescenti
e fissati nell'aria, in attesa, sospinti solo dal vento in una lenta
bufera immateriale.
“La città dei
morti”, gli fece eco Grion con voce abitualmente bassa.
Sert si affrettò
a cercare la sua mano. “La città sacra”,
lo contraddisse
stringendola. “La città del miracolo.”
“Ripensamenti?”
“No. Anche se mi
sembra reale per la prima volta.”
“Non c'è mai
stato un ritorno.”
“Ma non c'era
neanche un punto di arrivo”, disse cercando di mettere ordine
fra i
sentimenti contrastanti cui l'atmosfera sospesa delle rovine stava
dando consistenza, ma non un senso. “Non al di fuori delle
carte
geografiche e ci vuole ben altro sognatore che me per riuscire a
vedere la realtà dietro a quelle. Finora abbiamo avuto solo
tappe,
ognuna frazionabile all'infinito fino a potersi convincere che non
sarebbe mai giunto l'ultimo giorno.”
“Nemmeno questo
è il nostro ultimo giorno.”
“Vero, ma
finisce di mettere i punti fermi nella realtà che le mappe
riassumono.”
“Spaventato dalla chiarezza? Tu?”
“Non ho mai
detto di essere intimorito da quello che mi attende, Grion. Solo
confuso. Ho fatto la mia scelta.”
Il guardiano
comprese e ricambiò la stretta, lasciandosi condurre lungo
la
strada. La morte aveva smesso di riguardare solo il suo evocatore.
“Restami
accanto, ti prego. Fino alla fine.”
E quando tutto
sarà concluso festeggia e gioisci e fa' che ne sia valsa la
pena,
avrebbe voluto aggiungere, ma aveva visto come Grion si voltava con
disprezzo a sud, quando credeva di non essere osservato, e Sert
temeva di non poterlo impegnare con una promessa.
E c'era altro. Un peso che sentiva essere condiviso da quando si
erano rimessi in marcia: la città sussurrava storie, i
sospiri di un
mondo intero convergevano e si riunivano sotto le sue rovine e le
loro voci erano appena troppo tenui per venire comprese. Sert
osservava, ragionava, ricostruiva con l'occhio dell'immaginazione e
l'altra verità era che temeva quel nome perché in
Zanarkand stava
vedendo molto di morto e ancora nulla di sacro.
Proseguirono tesi e in silenzio: sentivano di essersi già
detti
tutto, che quello che mancava fosse troppo grosso per i pochi giorni
rimasti insieme e loro così piccoli, due puntini sperduti in
cima al
mondo. Le rovine delle strade orgogliose che un tempo avevano diviso
il mare sembravano inghiottirli nei loro crepacci e nei vortici in
cui costringevano le correnti.
“Certo che le
abbiamo proprio viste tutte”, disse Sert alla fine di una
breve
pausa, facendo dondolare le gambe metri sopra l'acqua scura. Come
argomento di conversazione valeva poco e stonava in quell'aria, ma
aveva bisogno di parlare di qualunque cosa per spezzare l'attrazione
magnetica della loro meta, che si iniziava a intravedere
all'orizzonte. L'attesa permeava ogni respiro e la brama dell'ignoto
lo bruciava, ma non voleva arrendervisi del tutto. “I canali
di
Bevelle, che si gettano in cascate lungo le mura rosse lucenti.
Macalania che fluisce e vive sotto la sua coltre di ghiaccio.”
“I
chocobo...”
“Lascia stare, vuoi?”
“Comandi.”
Risero piano. Si
erano promessi di non riparlare di quella débacle.
“Quello che
volevo dire è... no, in realtà non è
quello che volevo dire.
Quello che voglio dire ora: grazie per non avermi fermato.”
“Mi
saresti stato a sentire?”
Rifletté sulla possibilità. “No.
No, a meno di argomentazioni più solide di quelle che mi
spingono
ora. Ma sarebbe stato straziante. Nulla è per sempre,
così abbiamo
vissuto al meglio quello che avevamo e... no, via, non ci credo
neanch'io. Scusami, è stato un desiderio egoista mascherato
da...”
“Quelle tesi”,
lo interruppe. “Mi distruggono. Ma ripongo ogni fiducia nella
loro
validità. Sono buone motivazioni. Anche...
l'ultima.”
“Cosa ho mai
fatto per meritarti, Grion?”
I ponti sul mare
sembravano distendersi in eterno verso nord in un terreno difficile,
ostile, che si apriva sull'orizzonte più intenso che il loro
viaggio
avesse contemplato sotto un cielo immenso e carico di stelle.
Giunsero a sentirsi parte della città. Il resto perdeva
consistenza,
scivolando in un passato intangibile.
La fine li colse
di sorpresa. Si fermarono in un ampio spiazzo, sperduti. Si era
levato un vento freddo.
“Sei
arrivato.”
“Siamo arrivati.”
Si appoggiò al
suo guardiano.
“Tu che hai
percorso il lungo cammino, rivela il tuo nome”, li accolse al
termine della strada un sacerdote che dei vivi non manteneva
più
nemmeno le pretese. Dietro di lui si levavano le rovine ancora
maestose di un'immensa cupola
dalla facciata carica di statue e colonne.
“Il mio nome è
Sert. Giungo da Kilika in cerca di una possibilità concreta
per
sconfiggere Sin.”
“Mostrami i tuoi
occhi, viaggiatore. Che riflettano la strada che hai coperto.”
Gli appoggiò una
mano sulla spalla, traslucida e brulicante di luci fatue, e lo
squadrò piantandogli addosso due occhi che avevano visto le
ere.
“Hai camminato a
lungo, pellegrino. Entrate e riposatevi: il viaggio è
finito.”
Ancora scosso
dall'incontro, Sert si soffermò sull'ingresso senza perdere
di vista
Grion che, dopo aver mosso qualche passo, venne fermato per ricevere
uguale trattamento. Il custode mostrò un guizzo di sorpresa,
ma si
ricompose.
“Mi rimetto al
giudizio ultimo della nostra Signora”, disse, lasciandolo
passare
con un inchino rituale cui entrambi risposero.
“Nostra Signora, ha
detto.”
“Difficilmente sarai riuscito a sorprendere proprio
lui, amico mio. Sarà una formula rituale.”
“Si è soliti rimettersi a
Yevon.”
“Non tuttavia a Macalania.”
“L'Evocazione Finale...”
“E, prima di quella, il tempio... le
ultime luci al confine del mondo. Andiamo, bramo un tetto sopra la
testa e un muro saldo cui appoggiarmi.”
Le luci accoglienti in cui speravano
non si rivelarono altro che gli eterni, opprimenti, freddi globi
spettrali dei morti. Sert rabbrividì: non c'era traccia di
vita e
non c'era riposo. Solo memorie infinite sotto quella cupola che da
mille anni raccoglieva i giorni più bui dei suoi pellegrini
e li
riproponeva alle nuove generazioni come una gigantesca sfera.
“Un'altra memoria.”
“Mio Lord
Gandof!”, esclamò Sert facendo strada alla forma
incorporea
dell'anziano costruttore che veniva loro incontro solitario, con la
schiena incurvata dai dubbi. Scomparve senza una parola, sbiadito
tanto quando il bambino Guado in lacrime di poco prima era sembrato
vivido e reale.
“Un volto noto.”
“A cosa ci
hai portati, vecchio visionario?”, disse Sert con lo sguardo
ancora
fisso sul luogo dell'apparizione. “Scusami, dicevi?”
“Solo
che per questa visione abbiamo un nome e una storia.”
“Le luci fatue sono... eque.
Trattengono tutto, proiettano tutto. Mi chiedo cosa racconteranno di
noi.”
Tacque il proseguo dei suoi pensieri.
Un conto era sapere con la testa che su mille – per
semplificare,
con stima ottimista – tutti falliscono meno una singola
eccezione
che riesce. Tutt'altra impressione faceva trovarsi di fronte al
dolore di venti, trenta volti ignoti. Iniziò a sentirsi uno
su
novecentonovantanove, la millesima essendo Lady Yocun, ancora troppo
poco tempo prima perché il miracolo potesse ripetersi.
E un pensiero di fondo, ricorrente in
quelle ore: “Perché hanno fallito in
tanti?”
“Perché qui?”, chiarificò
dopo
una scrollata di spalle di Grion. “Rinunce, fallimenti, morti
sparsi lungo un'unica strada: tutti conoscono le storie. Ma qui? Chi
sono questi evocatori che giungono fino a Zanarkand pieni di forza e
determinazione? Perché non conosciamo i loro nomi?”
Oltre alla più basilare spiegazione
scientifica, non riusciva a comprendere le apparizioni né a
dare un
senso a gran parte dei loro discorsi. Ognuna di esse, svanendo,
portava con sé un pezzo della sua tranquillità.
L'immagine funerea di tre donne vestite
di pelli li attraversò e scomparve oltre l'angolo. Sert si
rannicchiò a terra, scosso dai brividi.
“Grion”, chiamò, cercando di non
strillare.
“Sono qui.”
“Guarda gli
edifici... guardali. Sotto la polvere. Machina. Machina sconosciute.
E cos'è questa morte? Che filo ci unisce a tutto
questo?”
“Sert.”
“Non riesco più a pensare, Grion, non
ci riesco. Tutti i pensieri di questa città sono troppi per
me.
Voglio vederne la fine, voglio...”
“Sert.”
Grion indicò alle sue spalle. Prima di
appoggiarsi su un ginocchio, voltarsi e crollare a terra con un grido
strozzato; prima ancora di leggere un terrore impotente nello sguardo
fisso del guardiano, prima di tutto Sert lo sentì: Sin.
Volava lento, basso e sicuro, oscurando
il cielo. La pietra risuonava al suo passaggio; le luci fatue
stridevano salendo nell'aria per fargli da strascico fino a
disperdersi nel suo corpo sterminato. Sembrò loro, quando fu
arrivato a coprire tutte le stelle sopra la cupola, di poter
allungare una mano e toccarlo.
Andava a nord, verso il mare aperto.
Lanciò un grido profondo e tremendo, che
s'insinuò nella terra
contaminandola e riempiendola dei suoi ricordi millenari di follia.
Sembrava dolente. Sembrava avere una meta.
“Non veniva per noi.”
“Viene
per tutti”, rispose tetro Grion che si sentiva ancora addosso
l'eco
di quel grido, infiltrato e moltiplicato nel suo corpo fasullo.
Trovarono un
ingresso: li portò in un corridoio decorato con legno marcio
e
colori scrostati. Ma era un tetto sulla testa, un rifugio sicuro che
chiudeva fuori la notte, i suoi fantasmi e il suo unico eterno
mostro. Con un brivido, Sert varcò la soglia e si
sentì arrivato.
Si accasciarono
sui primi scalini.
@ intro: Auron dice che Yunalesca ha mandato il Cosolì
Keeper per testarli. Ma Cosolì Keeper da dove veniva, chi
l'aveva formato? Possibile che fiend così incacchiate (mi
par di ricordare dalla storia di Omega che il concetto sia esattamente
quello, ergo i grossi boss fiend dovrebbero essere 'over 9000!!1')
siano rimasugli di pellegrini molto determinati – ma non
abbastanza da restare come Unsent? E che quelli abbastanza determinati
da restare come Unsent se li tenga a corte?
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Capitolo 8 *** 3.2 Negazione, rinuncia e fuga ***
Come promesso, ecco il penultimo capitolo... dal titolo alternativo "le
verità di Zanarkand e la gente normale", "'mazza che sfiga"
o "Yunalesca mobbasta veramente però". A fra pochi giorni
per l'inaspettata (?) conclusione!
Negazione, rinuncia e fuga
Una figura bianca
spettrale apparve nell'arco oltre la scalinata. Camminava lentamente,
con lo sguardo fisso in avanti e i passi lenti come se dormisse.
Videro che era una donna dalla bellezza piena e provocante, che la
morte aveva solo accentuato: le luci fatue le danzavano intorno,
trapuntando di baluginii iridescenti il manto di capelli candidi. Era
la donna le cui fattezze di pietra vegliavano su ogni evocatore
all'entrata delle Prove, la luna che illuminava Zanarkand su ogni
carta geografica. “La nostra Signora” era la madre
di loro tutti,
ancora accanto ai vivi, sempre vigile. A Sert sembrò di
stare
dormendo a sua volta, perso in un sogno vecchio di mille anni.
Come? Perché?,
chiese Grion richiamando la sua attenzione con un calcio leggero.
Ne so quanto
te, rispose
scuotendo la testa
ma continuando a voltargli le spalle, lo sguardo catturato dagli
occhi gialli e obliqui dell'apparizione. Si sentì messo a
nudo,
incapace di nasconderle un solo pensiero. La sua presenza millenaria
era diventata l'unico centro di gravità della stanza.
“Tutta questa strada, evocatore”, disse scendendo
l'ultimo
gradino. “Tutta questa speranza, per giungere da solo alla
meta.”
Incurvò le sopracciglia in un'espressione indecifrabile che
poteva
essere pietà, disappunto o semplice incapacità di
comprendere. Gli
occhi restavano fissi e magnetici.
“Milady”, cercò di rispondere,
schiarendosi la gola e trovandola
improvvisamente secca.
Grion si era alzato e gli stava tendendo la mano.
“Mia
signora Yunalesca”, ritentò, accettando l'aiuto e
senza lasciare
la presa anche una volta in piedi, tutt'altro che certo di saper
mantenere l'equilibrio. Pronunciare quel nome ad alta voce aveva reso
fin troppo reale la situazione e gli aveva dato le vertigini.
“Sarò
solo di fronte a Sin, se è questo che intende. Quel che ho
da
opporgli è il mio intento – e la mia vita. Dono il
mio futuro
per...” perché non so che
farmene. E per la possibilità
di sentire una e tutte le verità di questo luogo impossibile
dalle
tue labbra.
“...le genti di
Spira.”
“Segui i miei passi.”
Yunalesca si voltò e risalì la gradinata, fino a
scomparire oltre
l'arco. La seguì, reggendosi a Grion.
“Vorrei poterti seguire fino alla Camera della
Fede.”
“Preoccupato?”
“Doveva giudicarmi e non mi ha nemmeno guardato. E una Fede
non
necessita di custodi. Tu non lo sei?”
“Terrorizzato. E confuso. Soprattutto confuso. Stammi
vicino.”
Seguendo la sua guida oltrepassarono delle stanze buie che parvero
loro attrezzate come Prove, al cui centro li attendeva una
piattaforma mobile già sollevata. Scesero nelle
profondità
dell'ultimo tempio. Yunalesca li precedette in una piccola sala,
camminando intorno alla statua riversa che ne riempiva il
pavimento.Si voltò e si fermò a braccia conserte
di fronte
all'altra uscita della stanza, da cui filtrava una luce calda.
“Questa è pietra morta”, disse Sert con
un nodo in gola.
“Eppure fu piena di vita.”
Soppesò le parole.
“L'Evocazione Finale ha terminato la sua efficacia?”
Yunalesca annuì.
“Novecento, ottanta e nove anni fa, quando Sin sorse per la
seconda
volta dalle rovine della mia patria.”
“Ma questo non è possibile.”
“Taci ciò che non conosci, evocatore. Mio marito
Zaon mi servì da
Eone. Il nostro legame fu la luce che squarciò l'armatura di
Sin, la
sua viva carne tramutata in sogno vivente. Consumò Sin,
consumato a
sua volta – il suo conforto mi fu levato”,
sospirò.
“Senti la morte nel sogno di Bahamut, Ifrit o
Shiva”, riprese
inflessibile, “che è insieme scisso e uno e ti ha
guidato fino a
questa soglia? O, piuttosto, esso è così vitale
da invadere i
tuoi?”
Un legame. Acuto, vitale, fra animi affini, quale è fra
moglie e
marito o fra chi condivide la strada del pellegrino, non meno
intensa. Poi dissolto e ricreato a nuovo, sembrava dire Yunalesca con
le sue parole, a ogni battaglia contro Sin. Il sacrificio era doppio.
Evocatore – si voltò verso Grion, che ascoltava
impassibile – e
guardiano.
“Comprendi. La tua competenza nell'Arte è
passabile, giovane Sert
da Kilika, ma il tuo guardiano ti fallisce. L'Evocazione Finale ti
è
preclusa.”
“Se posso fare ammenda...”, disse Grion in un filo
di voce,
trasalito al sentirsi addossare tutto il peso del disastro.
“Perdonatemi. Perdonami.”
Yunalesca sembrò accorgersi di lui per la prima volta.
Scosse la
testa, guardandolo dall'alto di secoli di stanchezza e sopportazione.
“Non ce n'è ragione. Riposa.”
“Posso
tornare”, propose Sert sentendola stanca e delusa, ma non
irata e
avendo passato istantaneamente al vaglio tutte le
possibilità che
era riuscito a immaginare. “Sono arrivato fino a qui,
posso...
rifarlo”, anche se sentiva le gambe cedere al pensiero di
ripercorrere la stessa strada al fianco di qualcun altro – di
chi,
poi – per poter stringere di nuovo un legame così
intenso, gravato
dalla consapevolezza che proprio quel passo fosse necessario. Ma, se
la necessità era quella, avrebbe tentato senza battere
ciglio. Grion
avrebbe capito. E da lontano avrebbe visto Sin cadere.
Certo avrebbe messo a conoscenza dei fatti il nuovo guardiano, e non
solo: aveva appreso anche troppo (non l'entità del peccato
che Spira
stava scontando e sì che era tutto quello che avrebbe voluto
chiedere, ma non trovava il momento né le parole), sarebbe
stato
prezioso condividerlo con gli evocatori incontrati per strada, i
templi, la gente che...
“No!”, gridò quando si scostò
dal filo lineare dei suoi
pensieri e considerò il senso delle ultime parole di
Yunalesca. Si
buttò in avanti senza un senso e senza un piano, sperando
forse di
intercettare un colpo, ma l'evocatrice tenne fede alla sua carica e
agì nel modo che Sert era stato addestrato ad aiutare, non
certo a
contrastare, se anche fosse stato possibile opporsi alle arti di
colei che aveva sconfitto Sin e ancora camminava sul suolo di Spira.
Le luci fatue intorno a loro avevano già iniziato a vibrare.
Disdegnando i canti, i fuochi e i sostegni effimeri dei principianti,
la sua danza fu fatta di gesti minimi del braccio e delle lunghe dita
affusolate, assieme a guizzi di dolore intenso sui suoi lineamenti
quando lei stessa dovette resistere al richiamo imperioso del suo
rito.
Fu questione di secondi. Sert non ebbe il coraggio di voltarsi,
mentre il suo stomaco si stringeva in una morsa glaciale.
Sentì un
tocco lieve sulla spalla e seppe che nella stanza erano rimasti in
due.
Il tempo è
fermo, aspetta me.
Si era detto
così pochi giorni prima, sulla montagna, ma l'evocatrice
continuava
a muoversi e tutto vorticava e le luci davanti ai suoi occhi, dietro
le palpebre, tutto una danza, e convincersi che tutto andava bene
richiedeva così tanto tempo ed energie. Forse aveva urlato.
Non
sentiva più. Non importava più. Non respirava
più.
“Non aveva ragione di continuare a vivere”,
commentò Yunalesca.
“Fallito lo scopo in cui aveva creduto, un'esistenza
prolungata e
vuota è... gravosa. Ho posto fine al suo
tormento.”
Doveva rincuorarlo?, si chiese mollemente, come
gettando un
sasso in una massa d'acqua immota di pensieri, ma nulla si mosse
perché non sapeva più pensare e restò
con una mano alzata e gli
occhi sbarrati, senza capire.
“Ma non così tu, evocatore. Zanarkand
saprà apprezzare i tuoi
servigi, per la speranza delle generazioni future.”
Continuò a parlare, di speranza (sempre speranza, ma che
speranza?)
e di servire le rovine, ma Sert non l'ascoltava. Si ritrovò
su una
sporgenza del Gagazet, a guardare in basso ma non troppo o avrebbe
dovuto affrontare la realtà. Codardo. O prima ancora,
sull'altopiano, quando quell'evocatrice autoritaria aveva intimato al
suo guardiano di impedirgli di fare sciocchezze. Fiato sprecato. A
casa, Talla del peschereccio l'aveva preso a male parole per aver
tolto alla guarnigione crociata un ufficiale valido così per
nulla,
con quel vezzo migratorio che coglieva lorsignori evocatori. Altro
fiato sprecato. Ancora sulla montagna, la notte era stata
così
lunga. Ancora a casa, perché si aspettavano che partisse, se
finiva
per tutti così? Quattro eccezioni, uno su
novecentonovantanove.
Novecentonovantanove stupidi falliti che trascinavano altri nel
baratro. Il baratro. Grion. Ancora sulla montagna.
Ma
Per la speranza delle generazioni future,
aveva detto Yunalesca in mezzo a un mucchio di parole senza capo
né
coda e su quell'unico anelito potevano trovarsi d'accordo. Era sempre
più chiaro, ignorata la sua flebile proposta in favore di
“custodire” e “servire” ed
“eternità”, che il segreto
dell'Evocazione Finale fosse sempre stato rinchiuso con grande cura
entro i confini di Zanarkand: per la speranza delle generazioni
future, doveva portarlo fuori. Col pensiero era già risalito
dalla
piattaforma, oltre le Prove, oltre la montagna, semplicemente oltre.
Le gambe seguirono. Attivò la risalita e non si
voltò a guardarsi
indietro.
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Capitolo 9 *** 3.3 Sotto una coltre di stelle ***
...un po' mi mancheranno i sensi di colpa ogni volta che la vedevo in
cima alla cartella. Ci avevo quasi fatto amicizia, va'.
Sotto una coltre di stelle
Corse con tutta la
forza che gli era rimasta in corpo, con l'aria che bruciava nei
polmoni, aria troppo fredda, troppo morta, corse sentendo le ultime
ferite riaprirsi e sanguinare appiccicandosi alla tunica strappata,
corse fra edifici diroccati e stradine, sotto archi e sopra la
polvere di dieci secoli. Corse con salti affannati e deviazioni
improvvise, per confondere le tracce e presto confondendosi lui
stesso. Corse fino a quando la vista si oscurò e
inciampò fra le
macerie e la notte di Zanarkand trapuntata di stelle gli
pesò
addosso intrappolandolo a terra. Tossì. Prese fiato.
Dov'era la strada
che riportava fra i vivi? Era il Gagazet quello che torreggiava alla
sua sinistra o una montagna più selvaggia, che aveva perso
il suo
nome? Sentì la frustrazione scendergli nelle vene: non
sarebbe mai
riuscito a tornare alla civiltà, non da solo, non sotto il
peso di
quel fallimento. Eppure proprio quello lo obbligava ad agire.
Discendere fino alle terre dei Ronso senza provviste e senza guardia
era impresa degna di un folle, ma non aveva scelta (e, quando la
morte l'avesse colto, avrebbe saputo proseguire – l'esempio
di
Grion l'avrebbe mantenuto sulla strada) . Non c'era più
'Sert' ma
solo un mucchietto logoro di obblighi, un'informazione da consegnare.
Era più facile considerarsi così, senza dover
fissare lo sguardo –
ancora – sull'orrore da cui era fuggito. Un'informazione
scomposta
e confusa, ma ci avrebbe ragionato più tardi. Per il
momento...
Sembrava aver
seminato i suoi inseguitori, se mai ne aveva avuti alle calcagna. Si
costrinse in piedi, appoggiandosi a dei resti metallici al centro
della strada, e barcollò fino alla piccola piazza in cui
quella
confluiva, circondata da poco più che sagome tracciate al
suolo dei
palazzi di un tempo. Si poteva vedere, in lontananza, la linea buia
del mare. Respirò a fondo mentre il silenzio della
città gli
premeva sui timpani.
Alle sue spalle
giunse una voce marmorea.
“Da bambina
correvo per queste strade.”
Raggelò.
“Diedi il mio
primo bacio sotto quel portico. Da oltre l'angolo giungeva un profumo
di dolci appena sfornati.” Yunalesca avanzava a piedi nudi,
avvolta
nei capelli con la stessa grazia con cui si era mostrata nel cuore
del suo dominio. La sua pelle risplendeva sotto la luce delle stelle
come lo spettro di un passato lontano; le lunghe ciocche candide
toccavano terra dischiudendosi come radici ad assorbire l'essenza
stessa di Zanarkand. Era l'essenza stessa di Zanarkand.
E lui aveva
pensato di sfuggirle.
Gli parlò del
passato, indicando spazi vuoti con le mani affusolate, di come
conoscesse ogni vicolo e ogni percorso della città natale
cui aveva
donato il cuore. La vedeva inseguire fantasmi vecchi mille anni come
se, ai suoi occhi, quella notte fosse ancora inondata dalla luce dei
grattacieli. Soffriva. Era un mostro e non avrebbe smesso di vederla
come tale, mentre faticava per reggersi in piedi e affrontarla da
pari a pari, ma sentiva la solitudine che risuonava in ogni sua
parola, riescheggiando fra le strade vuote con nessuno altro che lui
ad ascoltarla, e si disgustò di se stesso nel sentirsi
morbosamente
affascinato dallo spiraglio che gli veniva mostrato su vite lontane e
perdute.
“Comprendi il
perché di questo racconto?”
Si avvicinò di
pochi passi, seguita da un manto di luci danzanti e colori, frastuono
vitale, riflessi. Ma era tutto morto da secoli. Sert cadde in
ginocchio su una terra fredda e dura, la terra dell'oggi, dei fatti,
che aveva da tempo perso la sua anima. Quello che Yunalesca invocava
era scomparso per sempre.
“Perché?”,
chiese con le lacrime agli occhi, senza trovare le forze di
aggiungere che no, non capiva, perché insisteva sul passato?
Perché
non poteva lasciarlo andare – perché non aveva
potuto lasciarli
andare entrambi? Perché non si poteva conoscere tutto alla
partenza
e si rinchiudevano invece i segreti in quella tela di ragno distesa
all'estremo delle mappe?
“Così tramando
la speranza. Evocatore. Dovresti capire.”
“Con la
richiesta di un sacrificio ignaro?”, si oppose con una voce
flebile. “Posso portarla fra la gente, la speranza. Posso
tornare
fra loro, col Suo permesso. Sapere qual è il vincolo che
sconfigge
Sin sarebbe...” Sarebbe stato inutile, perché non
aveva realmente
capito quale fosse il senso e quale l'origine di tutta la sofferenza
della sua terra, inutile salvo che per rinforzare fin da principio
quel legame cui proprio in quel momento non doveva pensare o si
sarebbe spezzato – Sert resta nel presente,
si intimò, qui
e ora, da solo, piangersi addosso può aspettare.
Era sicuro, da
qualche parte in fondo ai suoi pensieri, di aver ascoltato e
osservato più di quanto riuscisse a collegare in un unico
fascio di
idee e che applicarvi della razionalità vi avrebbe gettato
tutt'altra luce. Non lì, però, non in quel
momento.
“Ma il sapere è
crudele, evocatore. Uccide l'illusione. Ciò che dono a Spira
non è
la Calma, è quel che vi conduce. La speranza della morte di
Sin
culla le vostre vite; quella della sua vita, l'esistenza di
Zanarkand.”
L'esistenza di
Zanarkand? Sert corrugò la fronte. Un altro tassello inutile
a
macerare fra le sue conoscenze, soppiantato da altro, più
urgente:
l'ineluttabilità della voce di Yunalesca non lasciava spazio
ad
altrenative, non parlava di peccato e redenzione ultima, non
prevedeva la fine di un ciclo. Rinnovava la speranza come valore
autonomo, non essendoci di meglio cui aspirare.
“È davvero
eterno, allora.” Rise piano.
“Non ha
importanza per te.” I suoi capelli si mossero come sospinti
dal
vento, sollevandosi nell'aria notturna, ma non c'era vento: le
ciocche serpeggiavano minacciose come pungiglioni, acquistando
consistenza e tingendosi in punta di un nero malato.
Sert deglutì e
alzò la testa, guardandola negli occhi. In ginocchio, con le
spalle
aperte e il collo scoperto, si vide infine come una vittima
sacrificale di fronte al suo carnefice. Lo era sempre stato, fin da
prima di cedere alle lusinghe della partenza, e come unica possibile
conseguenza al termine del suo viaggio si trovava solo, esausto, di
fronte ai resti ben più che umani di colei che
già in vita aveva
sconfitto Sin (come aveva pensato di poter riuscire nella stessa
impresa?). E lui non era nemmeno un guerriero, solo un vasaio di
Kilika che si era cullato in illusioni troppo grandi. Estrasse il
pugnale che portava alla cintura, la sua unica arma, lo alzò
puntandolo contro l'Alta Evocatrice e lo gettò ai suoi piedi
con un
gesto molle e sottomesso. Aveva lottato troppo. Restò in
attesa con
le palpebre socchiuse, mettendo a tacere tutti i sensi che gli
urlavano di fuggire, reagire, fare.
Il colpo non
giunse. Yunalesca avanzò fino a toccargli la fronte con due
dita e
accennare una carezza. La sua mano era gelida, vecchia e morta quanto
le rovine che li circondavano, e Sert rabbrividì al
contatto. Si
morse un labbro, cercando il sapore del proprio sangue. Il tocco si
trasformò in un richiamo
e sentì la sua vita scorrervi attraverso, risucchiata fino a
lasciarlo accasciare a terra senza forze.
Lasciò scoppiare
una breve risata fra i respiri affannosi. “Avevo ragione. Non
c'è
un senso.” Un ultimo sforzo, Sert. Solo un ultimo sforzo.
L'evocatrice lo
osservava dall'alto, senza lasciar scivolare la maschera
d'impassibilità che si era incrostata sui suoi lineamenti
artefatti.
Negli ultimi istanti si chinò a sorreggerlo, con una
fluidità che
poteva sembrare dolcezza.
“Mi prenderò
cura del tuo rancore”, gli sussurrò, tornando a
sfiorarlo in viso.
“Sei parte di Zanarkand, ora. Custode eterno dei suoi
segreti.”
Gli chiuse le palpebre
“Solo colori
così nitidi... da accecarti...”
Si lasciò andare
al suo abbraccio, all'aria fredda della notte, al vuoto, lasciandosi
scorrere addosso tutta l'inutilità e l'ingiustizia e la
solitudine e
il fallimento e anche gli affetti, che non aveva più ragione
di
invidiare ai vivi. Sentì dei filamenti dolorosi legarlo
ancora a
terra ed erano l'immagine di Sin indifferente e vivo,
l'incapacità
di comprendere quella città dei morti, saluti mancati,
parole da
rivolgere, la guida austera di Yunalesca che rimescolava le sue
ambizioni fino a renderle dense e mostruose.
Ti piacerebbe.
Sentì di essere
in bilico, trascinato verso il basso da tutto ciò che di
brutto
aveva in corpo. Una massa scura di zanne e artigli serrava braccia e
gambe, graffiandogli la schiena, ma Sert si era dato un turno di
vantaggio e aveva deciso che sarebbe stato sconfitto secondo le sue
regole. La ignorò fino a che non perse la sua presa.
Si lasciò andare
ma c'era coerenza nel suo abbandono, guidata con l'intento ferreo di
anni di pratica. Un ultimo sforzo, come aveva fatto tante volte per
aiutare gli altri nel passaggio. Il mondo si scompose alle sue spalle
in frammenti sempre più piccoli, sempre più
lontani e
insignificanti, fino a svanire in un bianco scintillante.
“È un tuo
privilegio, evocatore”, disse Yunalesca sentendolo scivolare
dalla
sua presa. Piegò le labbra perfette in una smorfia.
“Hai scelto
bene. Porta i miei omaggi a Zaon”, aggiunse con una nota di
tristezza, “ricordagli che il mio amore è eterno
come il sogno del
Nord.”
Era rimasta di
nuovo sola. Il ciclo continuava immutato.
Eppure.
Interludio: la speranza è qui, ora,
inizia, nulla è più vano
In quel momento,
in acque fredde e non mappate, un blitzer cercava di distanziare ogni
goccia d'alcool che avesse in corpo inseguendo furiosamente una palla
nelle profondità dell'oceano. Il mare aperto era il suo
ultimo
rifugio, silenzioso e immutabile.
Non quel giorno.
L'onda cadde.
L'acqua ribollì e si rovesciò e lo spinse verso
il fondo, mentre la
luce che filtrava dalla superficie veniva coperta da una sagoma
scura. Persa ogni concezione di luce o buio, alto o basso, l'uomo
trattenne l'aria che aveva nei polmoni, lasciò che il mare
si
calmasse e con movimenti controllati nuotò nella direzione
in cui la
spinta dell'acqua lo guidava. Ma non trovò la superficie che
si
aspettava, con aria fresca di cui riempirsi i polmoni. Non aveva
nuotato verso l'alto. Ogni singola particella del suo corpo era
attratta dalla massa nera al centro dell'onda, irresistibilmente,
fino a che sentì la pelle staccarsi dai muscoli e i muscoli
dalle
ossa fino a diventare una cosa sola con quell'apparizione
impossibile. Considerò l'ipotesi di essere ancora ubriaco,
molto
ubriaco.
Si passò una mano
davanti agli occhi e la vide svanire in un frullio di luci colorate.
Sbronzo perso e
solo oltre il litorale, ma che importava? Scoppiò a ridere,
spargendo bolle d'ossigeno e inspirando un fluido denso che non era
più acqua né nulla di reale. Se la sarebbe
cavata. Se la cavava
sempre. Non per nulla, era la stella degli Zanarkand Abes.
Grion sedeva su un
tappeto di fiori sotto un sole nero, che era anche un mare caldo e
accogliente e forse il nulla prima di un nuovo ignoto. Osservava
attento ogni cambiamento, ogni fluttuazione. Osservava per
sé e
osservava per due, in attesa. L'onda giunse e lo colpì come
uno
schiaffo.
Quando sentì una
serie di passi avvicinarsi la indicò senza voltarsi, facendo
cenno
con la testa al ritardatario di accomodarsi al suo fianco. Al di
sotto, nel mondo concreto, l'onda si ritirava portando con
sé il suo
prigioniero. Il mondo si fermò col fiato sospeso,
allineandosi tutto
verso quell'unico punto imprevisto. Un cambiamento, l'inizio che non
erano riusciti a donare a chi viveva di speranza. Un inizio che
giaceva ben oltre la loro portata, come scoprirono contemplando
l'altra città, sfavillante di luci e di
segreti, ma che
ebbero il privilegio di vedere svolgersi fino alla sua conclusione,
quando una nave nel cielo guidò tutte le voci di Spira unite
in
un'unica canzone.
Augurarono buon
viaggio a quel pellegrino. Da oltre un velo di luci fatue, restarono
a osservare. Li attendevano tempi interessanti.
Ghh... finite le revisioni. Scusate ancora i ritardi, sono stata
pessima e sconterò la pena a suon di oneshot. :( Spero che
il finale non abbia rovinato tutto, io e i tempi narrativi siamo...
ancora in fase di convenevoli. Note:
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Capitolo 10 *** Extra: Moonflow e Macalania ***
Mi è capitato di ritornare sui due signori in occasione del
Multifandom Drabble Fest, con due drabbline-prequel a Moonflow e
Macalania. Ve le propongo qui in coda. :)
Prompt: "Sai, quando si è molto
tristi si amano i tramonti..." (da "Il piccolo principe")
Sin ha aspettato a lungo, ma è
pericoloso fermarsi per strada qualche ora più del
necessario (sarà
il timore di non ripartire). Sert non ha la stoffa da Alto Evocatore,
ma fa del suo meglio per non venire meno ai suoi voti.
Quello che faccio, con qualche
rimpianto
“Potremmo...”
Sert si fermò sulla banchina
d'attracco dello shoopuf e gettò a terra la sua sacca,
guardando il
cielo. Era un caldo primo pomeriggio su Djose e sulle terre
confinanti, appena velato dalle nuvole.
“Ma suppongo che non possiamo.”
“Non ti seguo.”
Nemmeno lui sapeva perché avesse dato
voce a quella sciocchezza: il pellegrinaggio chiamava.
“Dovremmo avere un motivo per
fermarci.” Si voltò a fissare negli occhi il suo
guardiano.
“Dovrei avere un motivo per fermarci.
Non per un tramonto”, continuò piano.
“Non per una notte.”
Tornò a sentire l'inutilità che lo opprimeva e
l'aveva spinto a
fuggire via da Kilika fino a gettare la sua vita sull'altare di un
sacrificio in cui non aveva mai creduto.
Grion non distolse lo sguardo. “Esiste
un tale motivo?”
La domanda era onesta, come sempre. E
la tranquillità del suo guardiano era la sua
àncora, come sempre.
Chiedeva spiegazioni e si offriva di fornire rimedi, ma
“No”,
dovette rispondere con voce spezzata. Non c'era un singolo motivo
valido che avrebbe potuto anteporre alla speranza di tutta Spira.
Anche quando non era la sua.
“Dicono che quando si è molto tristi
si amino i tramonti”, disse quando si furono lasciati alle
spalle
la riva settentrionale del fiume. “E noi l'abbiamo appena
perso.”
“Forse non siamo molto tristi.”
“Forse.”
Prompt: Ho come l'impressione che il cuore diventi
sempre più debole in modo direttamente proporzionale a
quanto si desidera diventare forti (Hamasaki Ayumi, Fated)
Aveva sperato di non spezzarsi fino
alla fine.
Ghiaccio sottile rinforzato
Macalania è un punto di svolta per
molti. C'è quel fatto – quel tornare a battere
strada già
percorsa, quel bivio che indica la sicurezza di Guadosalam.
C'è il
calore di quattro mura in mezzo a una distesa ghiacciata e per molti
evocatori diventa uno specchio fin troppo fedele del deserto che si
sono scavati dentro. Tornano a casa per salvare l'ultima fiaccola
rimasta.
“Fermami”, chiese infine Sert,
sconfitto. Salutò l'ultimo straccio di dignità
che l'aveva
accompagnato in quel viaggio. E anche mentre si arrendeva
all'evidenza e con la voce supplicava il suo guardiano, e si odiava a
ogni sillaba, dentro di sé sapeva che non si sarebbe
fermato, non
fino a distruggersi alle porte di Zanarkand, forse oltre. Era stata
la sua scelta e il suo dovere, ma.
“Sorreggimi”, avrebbe
dovuto chiedere invece (non che Grion avesse mai fatto altro da
quando l'aveva conosciuto, ma non bastava più). Reggimi.
Sopportami.
Si sentì studiato. In silenzio. Sempre
in silenzio.
Grion gli porse infine una mano aperta
– che non era “Vieni, torniamo a casa insieme,
lasciamoci alle
spalle quest'incubo” e non era un abbraccio cui abbandonarsi
serrando fuori tutto il resto, d'altronde Grion non era nessuna delle
due cose. Quell'offerta era un sostegno e se la fece bastare.
Seguì docile le orme sulla neve fresca
e s'impose di non pensare né sentire fino a sera.
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