La verità è un dolore che a volte si nega_cap01
Presentazione:
Leo è un ragazzo bruttino, gay e maltrattato dai compagni di
classe comandati da Mario, un ragazzo per cui ha perso così
tanto la testa da credere a qualsiasi cosa lui gli dica.
Riccardo è un ragazzo mediocre, bullo e pieno di rabbia, il
volto di Leo lo irrita a tal punto da volerlo picchiare ogni volta che
lo vede e i suoi ormai lo vedono come una "causa persa".
Generalmente questi due ragazzi non avrebbero niente in comune, anzi,
persino sulle piccole cose che li circondano trovano differenze
abissali... ma allora cos'è che li avvicinerà?
La verità è che, in modo incompresibile, non siamo noi a
decidere il nostro futuro. Ma siamo noi che lo plasmiamo un po', in
modo tale che anche due esseri così diversi si capiscano contro
la loro stessa volontà.
Premessa: esattamente
non so cosa dirvi per cui leggete e basta, mi è venuta in mente
in vaporetto, mentre tornavo in convitto.
Vittima e carneficE
"Tu mi piaci."
Tre parole che io non
avrei mai voluto udire, avrei preferito che le mie orecchie fossero sorde
in quel momento, poiché l'unica cosa che riuscii a dire chiaramente, a
colui che mi era di fronte, fu:
"Ti stai prendendo gioco di me?"
con stupore, il suo sguardo si accese e nel contempo la mia vista si annebbiò per colpa delle lacrime.
Era logico che io
reagissi in quel modo poiché sapevo che la vita stessa non era
come un romanzetto rosa o un film bellissimo
la cui fine si poteva intuire che sarebbe andata sempre bene, essendo conscio di questo, ero pure consapevole che questa
era la vita vera e quindi le cose sarebbero accadute solo con la propria volontà.
Il destino non esisteva.
E poi, a dir la verità, io mi detestavo.
Il mio nome era Leonardo Chiari, non ero niente di speciale, potevo benissimo passare per lo stupido ragazzo del momento.
La mia media scolastica era atroce, i miei capelli erano di un castano
schifoso e quasi sbiadito (chiamato color pelo di topo per molti che mi conoscevano), indossavo gli occhiali con le lenti grosse e
la mia corporatura era secca come uno stuzzicadente... decisamente un
obbrobrio. Avevo persino dell'acne in alcuni punti del corpo per cui
potevano bellamente schernirmi, non ne avrei fatto un caso politico e
quindi, per questo motivo, i ragazzi si divertivano a farlo. Spesso ero
vittima di bullismo ma ciò non m'impediva di andare a scuola e
continuare la mia sofferente vita di tutti i giorni.
Come se non bastasse, io ero anche gay.
Solo che non l'avevo detto a nessuno poiché non volevo essere
preso di mira pure per quello, perciò me ne stavo in disparte a
guardare da lontano Mario, il ragazzo più bello della nostra
classe e uno dei bellocci della scuola. Le ragazze gli andavano dietro
proprio per la sua bellezza e quando lui mi prendeva di mira assieme
agli altri, non dicevo nulla.
La verità era che la vita non era come spesso scrivevano
nei libri, se fosse stato tutto così semplice ci sarebbero state
alcune cose da cambiare nella mia:
1. non avrei avuto l'acne;
2. Mario sarebbe innamorato di
me, non il contrario (in fondo lo sapevo che era sempre il bello che
s'innamorava dell'impiastro);
3. io avrei ceduto dopo molti tentativi andati a vuoto di Mario;
4. avrei perso la verginità con lui e avremmo vissuto felici e contenti per sempre.
Fine.
Ogni volta che mi mettevo a leggere libri d'amore e fanfictions su internet,
arricciavo il naso pensando che sarebbe stato bellissimo se la mia vita
avesse avuto questo tipo di risvolti.
Peccato che la mia vita non fosse una fanfiction.
Certe volte mi chiedevo
perché fossi così sfortunato, tutti quelli che conoscevo
o vedevo erano mille volte migliori di me, avrei voluto essere un
minimo come loro, non pretendevo troppo.
Le piccole cose che vedevo ogni
giorno sembravano dirmi che io non piacevo a loro eppure a me piaceva
abbastanza roba che si trovava in giro... era per questo che la mia
frustrazione verso il mondo intero si riversava su un'unica persona che
avrei voluto si moltiplicasse per avere altri da maltrattare quanto lui.
Ero furioso con me stesso per ciò che vedevo.
Il bullismo era una cosa brutta e
assurda, ti risucchiava come se ti facessi di droga, sapevo anche che
il mio gruppo, capitanato da Mario, era la cosa più orrenda che
potesse esistere al mondo eppure non riuscivo a capacitarmi di come
fossi felice nel torturare chi era più debole di me, era il solo
modo che avevo per uccidere me stesso e la mia umanità.
"Sentite, perchè oggi non facciamo a meno di picchiare Chiari? Scegliamo un'altra vittima."
fu la mia lamentela dato che ero piuttosto contrario a prenderla sempre con una sola persona:
"E perché? Provi pietà per lui, Riccardo?"
"No."
risposi alla domanda di Mario, m'irritai un po':
"Voglio una nuova vittima."
mi sorrise:
"Perché? E' così orribile prendersela con quello stupido? Non ti fa venir voglia di rovinargli quel faccino?"
m'indicò la finestra e vidi
Chiari chinarsi per allacciarsi le scarpe. Il suo volto colmo di acne
mi fece arrabbiare per come fosse così disgustosamente in vita,
sembrava che riflettesse tutto ciò che non mi andava a genio in
questo odioso mondo, per questo mi alzai ed uscii dall'aula vuota
dov'ero col mio gruppo.
I miei passi furono svelti, precisi, come se si muovessero seguendo un percorso prestabilito.
Odiavo il mondo.
Detestavo me stesso.
La rabbia dentro di me era tale
che avrei distrutto tutto ciò sul mio cammino, mi sarei
divertito persino a fare a pezzi il cuore di una ragazza, avrei
strappato capelli a chiunque per il semplice gusto di farlo.
La verità era che non mi era mai importato che la mia vittima si chiamasse Leonardo Chiari.
Mi sarebbe andato bene chiunque
purché potessi alzare le mani sul suo corpo e rendere la sua
pelle rosa nera come il carbone.
Continuai a fissare le scarpe
avanzare su tutti i pavimenti fino a quando giunsi sulle scale lunghe e
solitarie, il cuore si bloccò e l'affanno si fece pericoloso,
tutto questo era normale per me... era il mio corpo che pretendeva di
sfogarsi su qualunque cosa, oggetto o persona, e quindi, giunti a quel
punto della mia ira, non avrei più potuto tornare indietro
poiché erano le sensazioni latenti della mia rabbia che
avrebbero iniziato a comandare il mio corpo e soprattutto le mie mani
come la mia bocca.
Difatti non ci misi molto per
trovarmi di fronte a Chiari, lui notò la mia ombra che
sovrastava il suo corpo e a me bastò vedere il suo volto alzarsi
verso la mia direzione, guardarmi con occhi stupiti e aprire
leggermente la bocca.
Il resto venne da sé.
"Oggi abbiamo fatto un bel lavoretto, che ne dici se domani ce la prendiamo con lui anche alla fermata?"
"Darebbe troppo nell'occhio, Giulio."
ero a casa e al telefono c'era uno
del gruppo, andavamo d'accordo tra di noi solo quando si trattava di
picchiare Chiari, non che la cosa mi desse fastidio però ero
anche l'unico del gruppo che proponeva nuove vittime ma i ragazzi,
sfigati com'erano, non volevano ammettere di temere di divenire un vero
e proprio gruppo di bullismo.
"La prossima volta dove lo facciamo?"
"Magari in palestra... così i prof non ci beccano."
conclusi la conversazione in quel momento poiché entrò mia madre dicendo:
"Hai ancora intenzione di prendertela con i più deboli, Riccardo?"
sbuffai rimettendo il cellulare dentro la tasca dei jeans:
"Quante volte ti ho detto di non entrare in camera mia senza permesso?"
lei corrucciò la fronte prendendo alcuni panni sul pavimento:
"E cerca di tenere in ordine la tua stanza."
"Ti avevo fatto una domanda."
"Io invece vorrei che tu ascoltassi."
disse dandomi le spalle e uscendo
dalla mia stanza. Era sempre strano come lei riuscisse a ignorare
ciò che le mostravo chiaramente ovvero la mia rabbia.
Non era segreto il mio stato
emotivo eppure lei e mio padre non facevano una piega, credevano di
cambiarmi diventando freddi e cattivi, nient'altro, come se sarei stato io
quello che avrebbe sbagliato tutto e solo alla fine se ne sarebbe
pentito. Se avessero compreso solo la metà di ciò che
provavo, avrebbero iniziato tempo addietro a farmi capire cos'avrei
dovuto fare per cambiare.
Per questo motivo mi sentivo
tradito da loro, pareva quasi che si fossero arresi con me e di conseguenza io
fossi entrato da tempo nell'archivio delle cause perse.
Le cose che io adoravo erano poche giacché erano poche cose che adoravano me.
Dovevo ammettere a me stesso,
ogni giorno, che spesso e volentieri questa lista di cose diminuiva
sempre più per cui, poco alla volta, anch'io avevo iniziato ad
adorare meno cose e ad affezionarmi sempre di meno a tutto ciò
che mi circondava.
Essere picchiato da Riccardo
era la prima cosa che detestavo tra tutte e non era perché fosse
uno dei bulletti che mi prendevano di mira, anzi, se fosse stato solo
per questo, avrei persino detestato a tal punto gli altri ragazzi del
gruppo e il mio amore verso Mario si sarebbe dissolto in un nanosecondo.
No, non era quello il motivo ma
erano i suoi occhi e i suoi modi, Riccardo mi osservava sempre con
rabbia e mi picchiava come se stesse calciando un sacco di patate,
sembrava che non mi vedesse nemmeno come un essere umano ma molto
più similmente a un attrezzo per il pugilato. Era questo che
odiavo.
Gli altri ragazzi almeno
avevano un motivo valido, benché fosse inappropriato: facevo
schifo a loro per via del mio aspetto.
A Riccardo no invece, gli
sarebbe andato bene persino un altro studente e ciò mi riempiva
di rabbia poiché, tra tutti, ero sempre e solo io la vittima.
Non avere un motivo preciso per picchiare, era assurdo.
Per questo avrei voluto urlare
al mondo il mio disappunto, sperando che qualcuno mi avesse ascoltato
però, forse, a nessuno poteva importare di cosa pensasse un
ragazzo gay sfortunato e pure bruttino, forse era anche per questo
motivo che non ci avevo mai provato. Dire qualcosa al mondo? Quando?
Quando i gabbiani avrebbero smesso di volare.
"Leo, sei sicuro di sentirti bene?"
la domanda provenne da mia
madre, appena tornato a casa aveva notato che ero un po' malconcio ma
per non farla preoccupare, non avevo mai detto nulla sui miei
maltrattamenti:
"Sì, certo."
le dissi sorridendo.
Lei era una donna che si
preoccupava di me e dei miei fratelli ogni volta che ne aveva
l'occasione, si poteva dire che fosse il suo secondo lavoro
monitorarci, per questo motivo non volevo darle altre preoccupazioni,
non le avevo nemmeno detto di essere gay. Probabilmente quest'ultima
cosa l'avevo negata a me stesso perché papà avrebbe
potuto avere il pretesto di dirmi che ero io la pecora nera della
famiglia e altre cose del genere, si può passare sopra
all'orientamento sessuale se si è buoni ma nei litigi tutto esce
fuori con vigore, pure le cose che non si pensa.
Avrei voluto evitare di ricevere le stesse frasi nei litigi.
La verità era che avevo paura della loro reazione.
Questo pensai fino a quando il mio segreto fu svelato.
"Tu mi piaci."
una giornata come tante,
normale per qualsiasi cosa fosse accaduta tra le sette e le otto meno
dieci, ciononostante c'era qualcosa nell'aria che voleva avvertirmi che
tutto questo silenzio continuo dovesse essere solo la calma prima della
tempesta, difatti giunse l'inizio di questa:
"Ah..?"
emettere un suono del genere di
fronte al ragazzo che mi piaceva era stato stupido però
l'emozione di ricevere quelle tre parole da lui, Mario, era una
sensazione così piacevole che mi aveva fatto dimenticare il mio
terribile presentimento. Ciò diede il via ad una serie di eventi
tra cui la mia seguente frase:
"Di... dici davvero?"
e conseguentemente il mio
sorriso, fatto come se non volessi trattenere la mia felicità,
fu per questo fatto che tutti capirono.
Tutti chi? Logico... i ragazzi del gruppo di Mario.
Grazie a questo scherzo fatto
alla leggera, compresero che io ero gay e così mi ritrovai come
una farfalla nella rete del ragno, pronta ad essere divorata. Li vidi
entrare in aula ridendo, Mario fu il primo di loro, continuarono felici
fino a quando videro le mie lacrime scendere lungo le guance e
lì sembrò che il loro piacere aumentasse.
Cercai di uscire dall'aula con
rabbia, scalciai per non farmi prendere e picchiare, per oggi ne
avevano avuto abbastanza no? Potevano benissimo lasciarmi solo per
sempre.
Così facendo corsi di
fronte alle bacheche della scuola e mi vidi riflesso sui vetri di
queste, altro che farfalla... ero un bruco orrendo con gli occhi rossi,
le lacrime che riempivano le guance, il moccio che scendeva dal naso e
un'espressione contratta in segno di sofferenza, poi il viso rosso non
faceva che rendere più visibili i punti sparsi dell'acne.
Fu così che arrivai
all'ultimo evento della tempesta: calciai una di quelle bacheche e la
mandai in frantumi incastrandomi alcuni pezzi di vetro nella gamba
usata, vidi sangue e mi accovacciai per togliere i pezzi dai pantaloni
e poi dalla pelle sotto di essi.
In quel momento avrei voluto sparire dalla faccia della terra.
"Facciamo un piccolo scherzo a Chiari, potrebbe rivelarsi rivelatorio, no?"
era stata la proposta di Giulio
appena vedemmo la nostra solita vittima dirigersi in classe, io non ero
molto d'accordo, fare giochetti psicologici non era il mio genere,
anzi, li detestavo, ero più propenso a rovinare la vita alle
persone direttamente sulla loro pelle per cui non volli partecipare ma
dissi loro che avrei aspettato Chiari in corridoio che fosse riuscito a
fuggire, l'avrei riportato indietro e l'avremmo picchiato come al
solito.
Niente di più facile per me.
Almeno credetti prima di vederlo sofferente a terra con le mani
insanguinate che si teneva una gamba, per tutta risposta alzai un
sopracciglio curioso e mi avvicinai per vedere bene cos'era accaduto,
lui alzò lo sguardo e quello mi fece irritare, soprattutto
perché quella faccia orribile aveva gli zigomi contratti in una
smorfia di dolore e i liquidi corporei erano un po' ovunque:
"Cosa ci fai qui?"
fu la prima cosa che gli chiesi:
"Vuoi picchiarmi?"
domandò lui:
"Sono io che ti ho fatto una domanda per primo, no?"
ma la mia frase fu troppo lunga, infatti un docente passò per quel corridoio e ci vide.
Non ero la perla rara come Mario nella scuola per cui non ci volle
molto per intuire che potevo essere stato io a spingere Chiari contro
il vetro della bacheca perciò non mi stupii nel ritrovarmi nella
sala del preside mentre quest'ultimo aveva il telefono in mano per
chiamare i miei.
Loro non arrivarono.
Non gliene importava assolutamente niente di me e per questo io
ricevetti una sospensione vera e propria senza interpellare nessuno che
mi potesse fare da tutelante.
Io ero il ragazzo cattivo, avevo fatto del male a Chiari per lungo
tempo e quello sarebbe stato l'ultimo atto che avrei compiuto in quella
scuola se non avessi voluto essere espulso da quella stessa. Non
avevano messo in conto che a me non sarebbe importato nulla se avessi
cambiato scuola, ne sapevano poco di bullismo e io potevo passare per
il capo del gruppo di Mario, il gioiello dei professori, invece di
essere visto come l'ultima ruota del carro.
Dopotutto io ero il ragazzo mediocre, dai voti bassi e gli occhi aggressivi, tutto combaciava alla perfezione contro di me.
Siccome però non volevano far sì che la mia punizione
fosse una liberazione dalla scuola, mi dissero che avrei dovuto aiutare
i bidelli nel loro lavoro, tanto per darmi tempo libero e farmi
rimpiangere l'ozio delle lezioni.
Che palle... pensai.
Mai avrei pensato che sarebbe stato quello l'inizio della rovina della mia vita e al contempo il mio risveglio dalle tenebre.
La mattina seguente mi recai a scuola senza zaino, i bidelli erano
stati informati del mio arrivo per cui molti di loro non fecero nemmeno
il loro lavoro per lasciarlo fare a me, tra questi c'erano cose tipo
pulire i bagni, usare le scope, fare fotocopie etc... uno dei lavoretti
fu il trasportare materiale da un'aula ad un'altra per un laboratorio e
fu lì che vidi Chiari seduto sulle scale mentre si massaggiava
la gamba:
"Ti stai impegnando, vedo."
commentò, lo squadrai:
"E tu? Non dovresti correre via alla mia presenza?"
si voltò, i suoi occhi si posarono sui miei e io dovetti trattenermi nella voglia di trucidarlo:
"Io non scappo di fronte a nessuno."
"E perché? Pensi che io non possa picchiarti ora?"
"Affatto, so che potresti farlo e per questo non scappo."
scesi alcuni gradini:
"Ti piace essere picchiato, per caso?"
"No."
scesi altri gradini e così vidi che aveva un bastone, forse
perché, con la gamba ridotta in quel modo, era un po'
improbabile che riuscisse a camminare normalmente e per un breve attimo
ebbi pietà della sua situazione tuttavia quell'istante si
dissolse appena i miei occhi tornarono sul suo viso:
"Mi irrita veramente la tua faccia. Vorrei picchiarti ora."
sospirò:
"E' dunque questo quello che vuoi fare?"
"Esatto."
"Mi riesce difficile pensare che tu voglia perdere tempo nel picchiare la gente quando potresti conoscerla più a fondo."
"Dici? Ma io detesto tutto quello che ho davanti."
"Anche io, giusto?"
"Sì."
"Capisco."
lo vidi alzarsi e salire le scale lentamente, tanto che le mie mani
tremarono, anche la sua estrema lentezza mi faceva perdere il
controllo, poi udii:
"Anche se mi picchi, non mi uccidi. Perché allora dovrei fuggire di fronte a qualcosa che non mi uccide?"
"Vorresti essere ammazzato?"
sorrise:
"Ovviamente no. Era per farti capire che io non fuggirò mai da
scuola, entrerò sempre dalla porta principale con la testa alta
perché voi non siete che una delle mille prove della mia vita.
Certo, il dolore delle botte fa male, ogni giorno, eppure finora non mi
avete mai offeso a parole, ciò mi rasserena."
"A parole?"
"Esatto."
"Quelle non fanno male."
scosse la testa:
"Il più delle volte una parola fa molto più male di uno schiaffo."
Se qualcuno mi dicesse quattrocchi,
non mi offenderei, se dicessero ingiurie dopo ingiurie, nemmeno ma
sarebbe stato perché ormai ero immune al dolore delle parole
ciononostante non a quello degli atti, specialmente quelli più
crudeli avvenuti il giorno prima.
"...più male di uno schiaffo?"
Riccardo non era affatto sicuro
di quello che avevo detto, dopotutto lui era un tipo più
irascibile, non si sarebbe mai fatto ingannare da simile parole e
difatti lo vidi squadrarmi:
"Non dire sciocchezze."
gli sorrisi nuovamente:
"Hai ragione, sono solo sciocchezze."
ero pienamente sicuro che non si sarebbe aspettato la mia reazione in
quel modo ma non riuscii a dirgli altro poiché giunse un bidello
a chiamarlo e io continuai a dirigermi verso la mia classe.
Come volevasi dimostrare, nessuno ebbe il coraggio di chiedermi cos'era
accaduto alla gamba, dopotutto non ero un vip e se fossi anche sparito,
sarebbero stati felici tutti i miei compagni, Riccardo per primo dato
che era stato incolpato ingiustamente dal preside, parlare con quest'ultimo non
aveva risolto niente, per questo avevo smesso di dirgli che non aveva
colpa, magari gli avrebbe fatto bene aiutare i bidelli per tutte le ore
di sospensione da scuola.
All'intervallo notai il solito gruppetto di Mario avvicinarsi a me e
uno di loro, Marco per la precisione, iniziò col dire:
"Certo che hai proprio una bella faccia tosta..."
lo ignorai:
"...Riccardo s'è preso una colpa non sua perché tu sei un
debole frocio da quattro soldi. Non avresti dovuto nemmeno presentarti
a scuola!"
continuai ad ignorarlo fino a quando arrivò Mario, mi
fissò in silenzio, allora alzai lo sguardo... e dire che ieri
aveva scherzato coi miei sentimenti in quel modo atroce, non avrei
dovuto perdonarlo ma forse il mio amore mi rendeva così cieco da
diventare persino troppo stupido:
"Sinceramente... spero che la gamba ti vada in cancrena."
fu tutto quello che disse prima di voltarmi le spalle, gli altri lo
seguirono ma Giulio non si trattenne nel darmi uno schiaffo sulla nuca
e poi andarsene ridendo.
La mia solitudine sarebbe aumentata, avendoli colpiti nella parte
più forte del loro sistema, molto probabilmente, appena Riccardo
sarebbe stato libero dal suo impegno sociale, me l'avrebbe fatta pagare
in qualche modo.
Bastava solo attendere una loro mossa.
Ero intento a pulire le finestre del corridoio quando vidi Marco arrivare vicino a me quasi urlando:
"Riccardo, che proponi?!"
non compresi subito cosa
intendesse, poi vidi Mario proprio dietro di lui e ancora più
dietro gli altri, mi resi conto allora che parlavano del piano di come
rendergli la sfiga a Chiari, riflettei un po':
"Uhm... picchiarlo allo stesso modo degli altri giorni mi sembra troppo poco..."
"E' vero. Quindi che decidi?"
che me lo chiedesse Mario stesso,
era un evento di quelli rari quanto una carta rara di Yu-gi-oh! anche
se quel tipo di giochi mi faceva abbastanza vomitare:
"Mentre lo picchierete, insultatelo nei punti più fragili."
dissi:
"Picchierete? Non vieni anche tu?"
domandò Giulio, io lo fulminai con lo sguardo indicandogli il vetro che stavo pulendo:
"Massì! Lascia perdere quello!"
"Se non faccio il mio dovere, la
sospensione si allungherà e io voglio tornare a scuola il prima
possibile. Non mi va di rimanere a casa senza poter scuotere quella
testa orribile di Chiari, mi sono spiegato?!"
Giulio sussultò alla mia
frase, Mario capì la situazione e andò a fare il suo
lavoro di capo-branco e di studente modello della scuola.
Li vidi allontarsi e ridere per quello che avrebbero fatto.
Tornai solo tra i miei pensieri e
pensai che, molte volte, mi stupivo di vedere i telegiornali dove
ammettevano che i ragazzi che praticavano il bullismo fossero tutti di
famiglie benestanti o normali, che la gente non se lo sarebbe mai
aspettato di sapere una simile verità su di loro.
Mario era uno studente modello,
piaceva alle ragazze e aveva una famiglia senza difficoltà
economiche, poteva definirsi un dio ma era proprio per questo che tutto
ciò non gli andava a genio. Avere troppo, rendeva avida la gente
verso qualcos'altro che non potessero avere eppure loro stessi non
capivano cosa desideravano, questo comportava loro la rabbia crescente
dentro il loro corpo e in qualche modo essi dovevano sfogarsi
esternamente.
La rabbia di non sapere cosa ti manca, ti manda segnali come: sfogati.
Ma su che cosa?
Su coloro che vivono una vita
normale e felice nonostante non siano perfetti, è questo
ciò che ti rende una bestia.
E la gente non capisce, vero?
In questa scuola insegnanti, bidelli e studenti sarebbero sorpresi nel
vedere al telegiornale la faccia di Mario e dire: non lo sapevo, non me
lo sarei mai aspettato.
Bugie.
Tutte bugie.
La verità era che la gente non voleva vedere quella realtà.
Non volevano ammettere che i loro idoli erano imperfetti e che lo
facevano senza uno scopo preciso. Avrebbero ammesso al mondo intero che
io ero un teppista di quelli veramente violenti, anche senza avermi mai
visto picchiare qualcuno e tutto perché io ero in una famiglia
disagiata e ormai alla frutta.
Avrei atteso all'infinito l'arrivo di qualcuno che mi avrebbe fermato e
umiliato, certamente non l'avrei trovato nella giustizia ma in
ciò che era all'esterno di essa.
Ma dove?
Ed ecco salire la mia ira...
Che Riccardo Giusti fosse pazzo
era una cosa fattibile per me... che fosse anche stupido pure... ma che
potesse picchiare una persona anche se ferita, non ero certo eppure
qualcosa mi diceva che sarebbe stato possibile dato che riusciva a
picchiarmi anche con gli occhiali addosso.
Non mi stupii dunque del fatto
che me l'avessi trovato di fronte, schiena a terra, e avesse iniziato a
picchiarmi a cavalcioni su di me fino ad arrivare alle gambe dove
strinse con una mano quella che più mi doleva.
Finì tutto in breve tempo.
Riccardo sparì e io
compresi che non sarei mai stato al sicuro in quell'edificio dove,
anche se ci fosse stato qualcuno in corridoio, avrebbe taciuto.
Mi ero sfogato come giusto che
fosse tuttavia non calcolai il fatto che un bidello avesse visto che me
n'ero andato lasciando il posto di lavoro, in poco tempo fui portato
nella sala del vicepreside e lui, guardandomi male, iniziò col
dire:
"Ascoltami bene, Giusti, sei un
ragazzo problematico e questo l'abbiamo sopportato ma ti abbiamo voluto
dare una possibilità per essere d'aiuto qui a scuola invece che
darti una sospensione che non avrebbe risolto niente."
sbuffai aspettandomi che mi
dicesse un discorso lungo ore e ore ma non fu così, una
professoressa arrivò trafelata nella stanza dov'eravamo quindi gridò:
"Presto! Dobbiamo chiamare un'ambulanza!"
"Che cosa?!"
il preside si precipitò dalla professoressa e, tra un grido e
l'altro, compresi che la banda di Mario aveva colpito Chiari proprio
come avevo proposto io ma erano andati anche oltre il dovuto.
Una gamba rotta e questo era tutto quello che capii oltre al fatto che
uno dei ragazzi del gruppo era stato preso da un bidello e portato in
presidenza dopo di me così, vedendomi, aveva urlato ai quattro
venti che ero stato io a suggerire di picchiare più forte sulla
gamba di Chiari.
DUE GIORNI DOPO
Sicuramente trovarmi in una
situazione del genere era da imbecilli ma non potevo fuggire stavolta,
avrei dovuto entrare nella tana del nemico per dire qualcosa come:
scusami tanto per averti picchiato tutte quelle volte.
Di fronte alla casa di Chiari,
notai che era piuttosto grande, il giardino era composto di due parti,
una di cemento, l'altra di sabbia, per cui capii che i suoi non erano
molto propensi ad avere alberi, difatti ne vidi solo due o tre e
qualche cespuglietto. Suonai un po' titubante e vidi che alla porta
apparve una signora dai capelli castani e con la permanente:
"Sì?"
sospirai:
"Mi scusi, c'è Leonardo Chiari in casa?"
"Sì, chi devo annunciare?"
...annunciare? Non era un po' datato come verbo?
"Sono Riccardo Giusti."
appena finii di dire il mio nome,
l'espressione nel volto della donna cambiò da un sorriso a un
volto imbronciato, uscì di casa e venne verso il cancello, di
fronte a esso mi osservò attraverso le sbarre:
"Che cosa vuoi?"
"Sono venuto qui per scusarmi."
"Leonardo non ha bisogno di false scuse! Gli hai già fatto troppo male!"
arricciai il naso, ero piuttosto scocciato di stare lì per cui dissi:
"Senta... la verità
è che nemmeno io vorrei essere qui ma se torno a casa e dico ai
miei che non sono riuscito a scusarmi, prima di tutto mi potrebbero
sgridare e poi lo direbbero alla scuola. Certo, finire di nuovo nei
guai non cambierebbe la mia situazione, decida lei."
abbassò gli occhi per pensarci, la vidi sospirare profondamente e infine aprirmi il cancello:
"Se alzerai le mani su mio figlio, chiamerò la polizia, sappilo."
"D'accordo."
Per un attimo fui un po' geloso di Chiari, lui aveva una mamma molto
protettiva, al contrario della mia che non gliene poteva fregare niente
di me, se fossi stato un bamboccio bisognoso di cure come lui, forse
avrei attirato la sua attenzione.
Appena entrai in casa vidi un ragazzino seduto su un divano che giocava
alla playstation, era intento ad ammazzare zombie con Resident Evil 5:
"Mirco! Quante volte ti ho detto che prima fai i compiti e poi giochi?!"
urlò la madre e, dato che era dietro di me, avanzò verso il figlio, lui sbuffò:
"Ok, adesso li faccio."
"Bene. Non voglio vederti davanti alla tv finché non li hai finiti."
"Sì."
dopo la ramanzina, posò gli occhi su di me e m'indicò le scale a un metro dai miei piedi:
"Sali sulle scale, gira a destra e in fondo al corridoio c'è la sua stanza."
compresi che aveva altro da fare piuttosto che accompagnarmi fino in
camera di suo figlio ma mi venne il dubbio di come mai mi lasciasse
girare da solo per la casa.
Dopo aver salito le scale, capii tutto.
La famiglia di Chiari era molto grande, oltre a lui e al fratellino in
soggiorno, aveva tre sorelle, il padre e il nonno che giravano per
tutte le stanze, per cui ero già abbastanza sotto controllo.
Notai che alcuni di loro si voltarono verso il corridoio per vedere chi
fosse l'individuo che avanzava impacciato lungo di esso ovvero io che,
giunto di fronte alla camera, bussai sulla porta aperta, tanto per
avere il consenso di entrare e non trovarmi in situazioni pericolose
che avrebbero messo in allerta tutti quegli occhi su di me.
Mi sembrava di essere di fronte alla sala del re della casa, le guardie
ormai mi avevano puntato e se avessi fatto una mossa sbagliata, mi
avrebbero colpito in massa.
"Avanti."
entrai lentamente e così vidi che Chiari era sotto le coperte, nel suo bel letto col piumone.
Attorno al letto erano sparsi libri e riviste, sulla parete al lato
sinistro di questo c'erano fumetti di ogni genere e persino peluche, ai
miei piedi cuscini e un tappeto persiano di quelli ben ricamati, alzai
gli occhi sulla sua figura e lui, seduto ed appoggiato a tre cuscini,
mi osservava indifferente:
"Uhm... bella camera."
dissi per prima cosa, lui guardò fuori dalla finestra per un istante:
"Avevo sentito bene prima..."
ricordai di aver urlato il mio nome alla signora per farle capire chi
ero, o almeno così ricordavo, e comunque chi altri avrebbe
potuto ricevere Chiari? Non l'avevo mai visto parlare con qualcuno
nella nostra classe e all'intervallo non usciva mai in corridoio se non
per andare in bagno.
"...sei venuto a chiedermi scusa come ti hanno detto i tuoi?"
"Veramente è stata la scuola a dire ai miei di dirtelo."
"Capisco."
il silenzio cadde fra di noi e ciò mi diede il tempo per
analizzare la sagoma delle sue gambe sotto le coperte, probabilmente
aveva ancora male alla gamba oppure il dolore era diventato più
forte col l'ultima batosta che gli avevamo dato:
"Dunque: mi dispiace per quello che abbiamo fatto."
"Non è convincente."
grugnii:
"Mi dispiace tanto per quello che ho fatto! Ho sbagliato!"
gridai, lui mi fissò:
"Non è ancora convincente... dopotutto io non ti ho chiesto di chiedermi scusa."
rimasi basito:
"Mi basta il solo fatto che ci abbia provato anche se devo dire che non
ci credo nemmeno un po'. Appena tornerò a scuola, mi picchierai
ancora e torneremo all'inizio."
"Senti..."
m'irritai:
"...mi hanno imposto di chiederti scusa e di convincerti a tornare a
scuola dato che non va bene che uno studente abbia timore di tornare."
"Non ho paura."
disse sorridendo.
"Riferisci al preside che non era una scusa quella del fatto che ho
male alla gamba, è tutto vero. Mi fa male la gamba e non riesco
a muoverla senza sentire delle fitte."
dunque era proprio per colpa nostra che era a letto, quella dannata
gamba gli doleva più dell'ultima volta e tutto perché
avevo detto ai ragazzi che quello era il suo punto debole.
Ma non ci potevo fare niente, anche ora la sua sola presenza mi incitava alla violenza.
Avrei preferito di gran lunga
non dover vedere l'artefice dei miei mali, nonostante sapessi che Mario
era il vero capo della banda, Riccardo rimaneva sempre il più
feroce e averlo in casa mi rendeva inquieto. Solo parlando senza paura,
potevo esorcizzare questa ma allo stesso tempo temevo che, se avessi
abbassato la guardia, lui avrebbe potuto picchiarmi anche qui, dentro
la mia stanza e quindi nel mio mondo protettivo.
Sapevo che i miei sarebbero stati pronti a fermarlo ma sarebbero stati più veloci di lui?
Incrociai il suo sguardo ed
ebbi un fremito lungo la schiena, i suoi occhi erano gelidi e
probabilmente non vedeva l'ora di ammazzarmi di botte per averlo tirato
dentro a questa situazione, lui detestava essere comandato dagli altri,
specialmente se questi erano adulti.
"Hai intenzione di picchiarmi ora?"
La verità era che avevo paura.
Potevo fissarlo dritto negli occhi, dire che non m'importava delle sue
scuse ma il mio timore rimaneva costante tanto quanto la mia
sfrontatezza. Fingevo di sentirmi sicuro dentro quelle mura familiari e
invece stavo morendo di paura.
"Se lo facessi, finirei nei guai."
rispose lui dopo un po':
"Quindi non lo fai per questo banale motivo?"
rise:
"Veramente è che non ho alcuna voglia di alzare le mani su di te
ora, non ne ho la benché minima ragione dato che non mi stai
irritando."
...bugiardo.
Si vedeva lontano un miglio che le sue mani tremavano da quanta rabbia
stava provando in quel momento, era qualcosa che gli percuoteva
l'intero corpo e io mi sentivo come di fronte ad una belva feroce. Per
un attimo pensai persino che fosse nella sua natura picchiare le
persone, ciò mi rassicurò per qualche istante dato che
capivo che non si poteva andare contro ciò che ti nasceva
dall'instinto.
Sebbene non comprendessi ancora cosa lo aizzava contro di me.
"Vuoi sederti?"
chiesi, lui mi guardò per poi volgere i suoi occhi su tutti i
mobili della stanza, uno ad uno li percorse, io sorrisi indicandogli la
mia scrivania, lontana tre metri dal mio letto:
"C'è una sedia lì, prendila."
sbuffò e la portò lì dov'era rimasto fino a poco
prima, forse più vicino al mio letto e per questo motivo
rabbrividii:
"Dobbiamo parlare di qualcos'altro, vero? Oltre alle tue scuse intendo."
"Già."
disse annoiato, io strinsi le coperte dicendo:
"Di che argomento potremmo discutere? Non abbiamo niente in comune."
"A me..."
mugugnò lui:
"...piacciono i Lacuna Coil."
accennai:
"E poi i Linkin Park."
sorrisi:
"Pure i Limp Bizkit."
scostai la testa da un lato per poterla appoggiare ad una spalla:
"A me non piacciono."
dissi:
"E cosa ti piace?"
riflettei un po' per poi rispondere:
"Nessun artista in particolare, io adoro canzoni singole, non mi piace
comprare CD o un solo gruppo. Ognuno di loro ha i suoi alti e bassi,
non ha senso dire che piace un solo genere poiché almeno una
canzone nel CD comprato, non ti piacerà."
"Quindi che canzone ti piace?"
"...quelle della Disney."
udii un rosolino, vidi che era Riccardo:
"Sei più poppante di quanto pensassi."
"Mi piace anche Il paradiso è qui di Carta."
"Oddio..."
cercò di nascondere il fatto che stesse per ridere a crepapelle:
"...si capisce benissimo che sei gay."
"Non si intuisce l'orientamento sessuale di una persona da ciò che ascolta, lo sai?"
si zittì.
I suoi occhi divennero scuri e poi tornò a ridere:
"Effettivamente non l'avevo capito nemmeno da come cammini, solitamente non sculettate voi?"
"Sono tutte dicerie... ci sono gay e gay, non siamo tutti uguali ed è questo il bello della vita, non pensi?"
"Non fare il filosofo con me."
mi puntò:
"Detesto chi lo fa."
stavolta fui io a rimanere in silenzio dopo il suo rimprovero.
Nella stanza non si percepì alcun suono per un lungo periodo,
tanto che pensai di chiamare i miei per dire loro che Riccardo stava
per andarsene giacché non avrei voluto rimanere da solo con lui
un altro minuto di più, soprattutto se dovevamo rimanere muti
entrambi.
Questo almeno finché sentii il suono vibrante di una canzone metallara:
"Ah... è il mio."
disse Riccardo prendendo un cellulare dalla tasca dei jeans.
Anche con quella prova musicale compresi che tra noi due ci sarebbe
stato sempre un muro, non lo avrei mai capito fino in fondo. Mai.
"Ah... è il mio."
presi il cellulare e sentii dall'altro capo:
"Ehi, Riccardo! Abbiamo pensato di andare a giocare alla sala giochi, vuoi venire con noi?"
riconobbi la voce, era Giulio, guardai un attimo Chiari che si era
messo a trafficare con le orecchie di un pupazzo, quell'immagine mi
lasciò basito per un attimo, tanto che dovetti essere sgridato
da Marco:
"Ma ci sei?! Rispondi!"
tornai alla realtà dicendo:
"No, oggi non posso."
"Mica sarai da Chiari?! Approfittane per picchiarlo anche da parte nostra!! Ahah!"
"Dai, non essere idiota!"
"Veramente a casa sua ci sono da un pezzo."
la risposta non ebbe molti consensi, il telefono iniziò a trasmettere solo rumori tra cui la voce di Mario:
"Sei a casa sua sul serio?!"
"Sì."
fissai la faccia di Chiari e parve non essere stupito del fatto che
avessi confessato di essere da lui, mi guardò incrociando gli
occhi con me e disse:
"Puoi dirgli anche l'indirizzo se vuoi."
allontanai il cellulare dal mio orecchio:
"Non sono così vigliacco."
a volte mi stupiva di come rispondesse, che avesse voluto dirmi che non
gli importava essere picchiato? Sarebbe stato un paradosso:
"Prima o poi finirete col spezzarmi qualche arto e allora gli adulti vi
diranno che non si fa ma voi tornerete a farlo, che senso ha
impedirvelo ora che tanto lo farete un altro giorno?"
Cioè... non che fossi felice di aver udito con le mie orecchie
quelle parole così schiette ma ciò che mi aveva lasciato
paralizzato era il fatto che Chiari non era affatto come me l'ero
sempre immaginato.
Fin dal primo giorno in cui era apparso nella nostra classe, mi era
sempre salita una gran voglia di molestarlo e non parlo per via della
mia natura che mi rendeva irritabile di fronte alle persone che
sembravano appena uscite da un libro di fiabe, no... Chiari era diverso.
I suoi occhialoni grandi, i capelli un po' arruffati e il corpo piccolo
e gracile mi avevano da sempre reso irrequieto. Avevo sempre pensato a
lui come a un ragazzo pieno di amici, secchione a scuola, adorato in
famiglia e sorridente... invece, col tempo, ho visto che non era
così. All'intervallo rimaneva solo in classe, non andava in modo
eccellente a scuola nonostante i professori preferissero lui a Mario,
probabilmente era per quello che lui ce l'aveva tanto con Chiari, la
famiglia gli voleva molto bene eppure non sorrideva spesso.
Sembrava che portasse un peso dentro di sé ma forse ero io che
volevo pensare una cosa del genere, dopotutto degli altri non
m'importava molto e appena varcai la soglia di casa, lo dissi ai miei.
Volevo che capissero che rendermi schiavo di loro o della scuola non mi
avrebbe impedito di rinunciare alla mia dose di batoste da dare agli
altri, avrei continuato in eterno ad ammazzare di botte tutti quelli
che mi avrebbero fatto salire l'ira dentro la testa, tutti, nessun
escluso... a partire da Chiari.
Dovevo ammettere che aver visto
Giusti a casa mia non era stato confortante, ora che sapeva il mio
indirizzo, poteva benissimo giungere con il resto del branco sulla
soglia del mio giardino, attendere che io uscissi da quello e prendermi
per pestarmi, mi sarei dovuto aspettare di tutto da quei ragazzi.
Continuavo a chiedermi che
avessi fatto di male per meritare simili ingiustizie da parte loro ma
più cercavo di capire, più non arrivavo alla conclusione,
nonostante questi ragionamenti, sapevo che nessun adulto avrebbe dato
loro la colpa, dopotutto continuavano a dire che i genitori dovevano
controllare i figli e ammansirli ma finora non avevo visto risultati...
e allora perché non punire drasticamente loro piuttosto che
rifugiarsi dietro la scusa che il colpevole indiretto era il genitore?
A prescindere di come fossero
gli adulti, un ragazzo era autonomo e quindi sapeva la differenza tra
bene e male, passava quella linea solo per sfoggio.
I miei, ad esempio, erano molto
buoni e permissivi, bastava che io portassi a casa buoni voti, fossi
gentile e calmo, tutto il resto non contava... eppure, anche se i loro
insegnamenti avevano avuto successo sui miei fratelli, sulla mia
persona non erano serviti a niente. Io continuavo a sentirmi nel posto
sbagliato, racchiuso dentro una bolla e se fossi stato forte quanto
Giusti, forse sarei diventato anch'io un bullo.
Passarono le ore e arrivò l'ora di cena, fu a quel punto che dissi ai miei una cosa:
"Torno a scuola."
via il dente... via il dolore... no?
"Come? Ma... non ce n'è bisogno..."
intervenne subito mia madre, temeva che io divenissi nuovamente vittima del branco:
"Voglio tornare a scuola."
sospirò sconsolata. Dal giorno in cui mi avevano lacerato la
gamba da botte e fracassamenti, avevo atteso due giorni per riprendermi
psicologicamente da quell'aggressione, anche la mia gamba aveva bisogno
di riposo però non potevo fuggire per sempre, avevo appunto
detto a Riccardo che non l'avrei fatto, non potevo rimangiarmi la
parola perché se l'avessi fatto, avrebbe compreso che la mia
paura era salita e avrebbe avuto più possibilità di
rendermi la vita impossibile.
"Sarebbe meglio che tu rimanessi a casa, Leo."
Marissa, mia sorella maggiore, aveva preso totalmente dalla mamma ed era questo ciò che m'irritava:
"Voglio tornare a scuola, punto e basta."
"Scordatelo! Solo perché quel bullo da quattro soldi è venuto qui e ti ha chiesto scusa..!"
"Non è per quello."
sbottai:
"Non voglio fare la parte del vigliacco."
"Ma che cavolo dici?! Non fare l'eroe, capito?! Tu rimarrai a casa!!"
la guardai, era furiosa:
"Allora vorrà dire che andrò a piedi fino alla fermata dell'autobus."
si zittì.
Io non avevo mai detto nulla ai miei genitori, né ai miei
fratelli, ma una cosa che tutti loro avevano capito da quando ero nato,
era che io ero testardo di natura. Se volevo una cosa, la ottenevo e se
decidevo di farne un'altra, la facevo, per questo ero in parte felice
di non essere forte abbastanza da diventare prepotente, altrimenti ci
sarebbe stato un altro bullo nel branco di Mario.
Invece ero finito così... invece che il cacciatore, ero diventato la preda migliore tra tutte.
Debole e patetico.
Parole d'autrice:
Benvenuti al primo capitolo di "La verità è un
dolore che a volte si nega", titolo piuttosto lungo rispetto ai soliti
che io adotto per le mie storie ma questa è diversa dalle altre.
Storie come questa io le chiamo Gold.
Questa è la prima che pubblico e lascio su EFP, tempo addietro,
agli albori della mia "carriera" sul sito, avevo pubblicato un'altra Gold ma l'avevo tolta subito notando un particolare non tanto irrilevante: era molto lunga e quasi infinita.
Ma cosa sono queste Gold? Ve lo starete domandando, vero?
Si tratta di storie che io controllo e ricontrollo almeno venti o
trenta volte, ne controllo la calligrafia fin nei minimi dettagli, i
tempi verbali, le descrizioni ambientali e tutto ciò che
caratterizza un mio scritto. Sono storie su cui io dedico tutta me
stessa e quindi non ne potrete mai trovare scritte meglio da me
poiché è proprio questo il mio limite. Queste
affermazioni magari mi faranno sembrare una che si dà la zappa
sui piedi perché, se questa storia facesse schifo, vorrebbe dire
che io meglio di questo schifo non riuscirei a fare ma non mi
lamento... cioè... è la verità. Meglio di
così non ci riesco.
Altra cosa che mi ha messo in una situazione piuttosto stressante
(perché scrivere una gold è stressante) è il fatto
che ho voluto scrivere di una storia ordinaria senza killer o mostri,
il tutto per un semplice motivo: volevo qualcosa di diverso dal solito.
Spero che questa storia sia di vostro gradimento, probabilmente, finita
questa, ne scriverò un'altra con ancora Leonardo e Riccardo e
saprei anche come intitolarla ovvero "il mio bruttino", tuttavia questo
è un argomento futuro per cui vedrò di non annoiarvi con
altre righe.
Forse, quando avrò più tempo, riscriverò la Gold che avevo pubblicato momentaneamente su EFP, nonostante anche quella fosse fantasy.
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