Working together for a better London

di lete89
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo primo ***
Capitolo 3: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 4: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 5: *** Capitolo quarto ***
Capitolo 6: *** Capitolo quinto ***
Capitolo 7: *** Capitolo sesto ***
Capitolo 8: *** Capitolo settimo ***
Capitolo 9: *** Capitolo ottavo ***
Capitolo 10: *** Capitolo nono ***
Capitolo 11: *** Capitolo decimo ***
Capitolo 12: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


-Mani dietro la testa

-Mani dietro la testa!-

Vincenzo Russo si agita con impeto, sordo alle parole del poliziotto che, a fatica, estrae le manette dalla cintura.

-Fermo!- gli intima rabbioso, schiacciando ulteriormente il corpo dell’uomo contro il pavimento. Vincenzo respira a fatica, il volto pigiato sulle piastrelle lercie del covo. –Chi minchia vuliti1!?- ringhia, sputando saliva giallastra e cercando di divincolarsi dalla presa ferrea dell’agente.

-Fermo ho detto!- Il poliziotto fatica a far scattare le manette, per poi afferrare la maglietta sudata dell’uomo e alzarlo in piedi a fatica. Vincenzo si guarda attorno, respirando profondamente per calmarsi. Osserva i suoi amici. Enzu è ancora per terra mentre ‘Ntoni viene portato fuori da due agenti. Fissa la roba sul tavolo, gli alambicchi ancora in funzione e la polverina bianca pronta per essere imbustata. Questo porterà rogne a don Patrizio.

-Andiamo, cammina!-

Il poliziotto, un pischello di trent’anni, niente di più, lo spintona malamente verso la porta del garage, facendogli evitare con uno strattone la pozza di sangue e il corpo di Petru steso per terra. –No! Petru!- inizia a urlare, liberandosi per un attimo dalla salda presa dell’agente e inginocchiandosi per terra vicino al picciotto. –Aviti ammazzatu zu’2 Petru3!- ripete, iniziando a piangere. L’agente sbuffa infastidito, strattonandolo per una spalla nel vano tentativo di farlo rialzare.

-Piantala con la commedia, Russo-.

Vincenzo alza il volto piangente, sbarrando gli occhi sorpreso e infastidito. –Minchia! Ancora tu?- sbotta, alzandosi finalmente in piedi e muovendo qualche passo incerto verso l’agente appena entrato.

-Sorpresa! Contento di rivedermi?- lo prende in giro la poliziotta, facendo un cenno al ragazzo che lo aveva ammanettato di poter andare.

-Dovevo capirlo che c’entravi tu! Fètiri di burritta4!- borbotta, asciugandosi con gesti secchi le lacrime e appoggiandosi stancamente alla parete scrostata.

L’agente White stiracchia un sorriso, avvezza da anni al linguaggio colorito e alla “erre” marcata dell’uomo.

-Chi fai ddocu5?- chiede, spazientito, calcolando mentalmente quanti soldi lo scherzetto di quella pischera gli costerà.

-Ti farò un’offerta che non potrai rifiutare6- scherza lei, imitando con poco successo la parlata di Corleone. Vincenzo stiracchia un sorriso, scuotendo la testa.

-Nu sàcciu nenti7- sbuffa, chinando il capo stufo per quella solita domanda. L’agente indurisce lo sguardo. –Beh, peggio per te, allora- minaccia, afferrandolo saldamente per la spalla e accompagnandolo fuori dove diverse auto della polizia aspettano il loro arrivo.

Vincenzo si blocca, socchiudendo gli occhi per la troppa luce di quel caldo pomeriggio. -Eu vuoi livariti na petra da la scarpa8, figghia9, e ti capisco. Nun si l’havi a ghiuttiri10- borbotta sottovoce, obbligando l’agente White ad avvicinarsi alla sua bocca per capire le parole.

-Allora?- sbotta spazientita, inforcando gli occhiali da sole e fissandolo torva.

-Nnucenti sunno. Tutti11- biascica, controllando che Enzu e ‘Ntoni non lo vedano. La ragazza sbuffa contrariata. –Hai chiesto a tutti?- gli domanda, seria. –Triadi? Yakuza? Tutti?-

Vincenzo fa cenno di sì con la testa. –Consigliori a tia e to padri, sunno12- ribatte, piccato, mettendo il broncio offeso dall’incredulità della ragazza.

L’agente White gli accarezza una spalla, nascondendo un sorriso, per poi chiamare con un cenno del capo il poliziotto che lo aveva ammanettato. –Beh, grazie comunque-.

-Figghia- la richiama Vincenzo, voltandosi appena. – Si chianca di corna. Truva u colpevole13- le borbotta, in quella lingua incomprensibile e musicale, prima di sparire nell’abitacolo della macchina.

-Connie!-

L’agente White raggiunge a passo svelto l’uomo nella vettura, togliendosi non senza problemi lo stretto giubbotto antiproiettili.

-E’ andato tutto bene?- domanda il ragazzo, passandole una bottiglietta d’acqua. –Operazione riuscita, Dave. Ne abbiamo perso uno ma, in compenso, abbiamo trovato la raffineria. Questo dovrebbe causare qualche problema ai trafficanti italiani- commenta la ragazza, prima di versarsi un po’ d’acqua sulla mano e di bagnarsi, stanca, la nuca.

-E Vincenzo?- s’interessa il collega che, da lontano, aveva assistito interessato a tutto il dialogo fra la sua partner e l’informatore. –Ha scoperto qualcosa?-

Connie sprofonda sul sedile, stirando le gambe e chiudendo gli occhi. –L’omertà regna- commenta stizzita, pregando poi il collega di riportarla in centrale il prima possibile per fare rapporto.

-Ha provato con l’IRA? Nel 1981 hanno compiuto diversi attacchi…- suggerisce l’uomo, controllando con la coda dell’occhio la strada prima di partire.

-E perché non rivendicare il merito dell’impresa?- commenta ad alta voce la ragazza, accomodando la pistola nella fondina e sistemandosi meglio sul sedile.

L’agente David Canter, a quell’osservazione, schiocca le labbra, annuendo piano.

-Ho studiato questa storia da tutte le angolazioni, Dave- si sfoga Connie, girando la manovella per abbassare il finestrino. –Non è stato un attacco terroristico, ne sono certa. La strage di Tooley Street era in qualche modo una vendetta, un piano elaborato da qualche folle con il preciso scopo di uccidere qualcuno- sentenzia decisa prima di estrarre dalla tasca l’agendina di cuoio scuro e appuntare con irritazione di non avere novità.

David si schiarisce la gola, cercando di guadagnare qualche minuto prima di dire qualcosa che, lo sente, manderà su tutte le furie la collega. –Non avevano detto che era stato un incidente?- si arrischia a chiedere, prima di svoltare sicuro verso sinistra ed immettersi nella Brodway.

-Una fuga di gas14, per la precisione- lo corregge Connie, sfogliando tutte le teorie elaborate in quegli anni di indagini non autorizzate.

-E tu non ci credi?- domanda, prima di dirigere la macchina nel parcheggio del luminoso New Scotland Yard15.

Connie si limita a stiracchiare un sorriso, scuotendo la testa e accarezzando la mano del collega sul freno a mano. –Lascia stare- borbotta, per poi scendere veloce dalla macchina.

David si maledice mentalmente per aver tirato in ballo quel caso che, lo sa, rendeva la collega di pessimo umore. La raggiunge a passo svelto, iniziando a passarsi una mano fra i capelli corti, imbarazzato.

-Ehm… cambiando discorso…- inizia, ignorando lo sguardo curioso della collega e infilandosi con lei nell’affollato ascensore. –Mi chiedevo se, visto la buona riuscita dell’operazione, ti andasse di andare a pranzo fuori, domani- dice, facendo scendere il tono di voce tanto da renderlo quasi inudibile sul finale.

Connie, improvvisamente dimentica dell’agendina di cuoio che sta ancora esaminando, si sistema una ciocca di capelli dietro l’orecchio, osservandosi veloce nel vetro dell’ascensore e notando solo in quel momento il proprio orribile aspetto. –S-Sarebbe carino, Dave, davvero- balbetta, avvicinandosi maggiormente al partner a causa di un paio di colleghi appena entrati in ascensore. –Ma domani sono a pranzo da mia madre, sai com’è…-

Dave stiracchia un sorriso, sminuendo l’invito con “fa lo stesso!” e “sarà per un’altra volta!”.

Connie si morde l’interno delle guance, imbarazzata e intimamente arrabbiata con quell’invito e con il proprio aspetto. Appena il dlin metallico dell’ascensore l’avverte di aver raggiunto il piano desiderato, esce a passo spedito ignorando i saluti dei colleghi.

Afferra una ciambella dal cestino sul tavolo dell’angolo ristoro e ruba un caffè dall’aria stantia dalle mani di un poliziotto che, per ripicca, la colpisce scherzosamente sulla testa.

Arrivata alla propria disordinata scrivania si lascia cadere di peso sulla sgangherata sedia, addentando poi famelica il dolce dal sapore di cartone.

Sbuffa stanca, distogliendo lo sguardo dalla porta a vetri d’entrata quando anche Dave fa il suo ingresso. Il collega prende posto con calma alla scrivania di fianco, iniziando a scrivere con attenzione quello che ha tutta l’aria di essere un rapporto.

Connie, intenzionata a non incrociare più gli occhi espressivi del collega per il resto della giornata, inizia a sfogliare le carte sul tavolo, cercando qualcosa di interessante.

E lo trova.

-Erick!- urla con voce squillante un secondo dopo, facendo voltare il biondo al quale prima aveva rubato il caffè. L’uomo la raggiunge un attimo dopo. –Che c’è, vuole dell’altro caffè, agente White?- la prende in giro, attirando anche l’attenzione di David.

-Quando è arrivato?- chiede con urgenza la ragazza, ignorando la battuta e sbattendogli con poca grazia in faccia il foglio incriminato. Erick Miller strizza gli occhi, avvicinando il foglio agli spessi occhiali. –Questo? Oh, poche ore fa- risponde con un’alzata di spalle, prima di ridare il foglio a una sempre più febbricitante Connie.

-L’hai inserito nell’HOLMES16?- domanda, scattando in piedi e stringendo quel pezzo di carta in modo psicotico.

-Ovvio, è il mio lavoro- ribatte Erick, punto sul vivo.

-Scott c’è?-

-E’ nel suo ufficio ma…-

Prima che l’uomo possa fermarla, Connie era già uscita dall’open space e si dirige determinata all’ufficio del Capo Dipartimento.

Eugene Scott, Commissario di Scotland Yard da più di quindici anni, elogiato dai politici per il suo ottimo operato e criticato dalla stampa per l’eccessivo zelo, sobbalza sorpreso all’entrata dell’agente.

-White!- ringhia alla porta, trattenendo tra i denti un’esclamazione scurrile e osservando con orrore la macchia di caffè espandersi lenta sulla camicia bianca. –Era così difficile bussare?- brontola minaccioso, mentre lascia la tazza gocciolante sull’angolo della scrivania e trafigge con lo sguardo la propria agente ferma alla porta.

-Volevo farti rapporto!- trilla lei, ignorando le minacce suscitate da quella affermazione. Conosce Eugene da sempre, suo padre aveva insistito perché le facesse da padrino e, adesso che lavora sotto la sua supervisione, fatica non poco a non trattarlo come uno vecchio zio brontolone.

-L‘operazione Sicilia è stata brillantemente conclusa- termina soddisfatta, gonfiando il petto e mettendosi falsamente sull’attenti.

Scott sospira esasperato per quel comportamento infantile, sedendosi poi goffamente sulla propria poltrona rivestita.

-Mi hai portato il rapporto?- domanda serio, cercando di mantenere una certa professionalità.

-L’agente Canter lo sta stilando proprio in questo momento- lo rassicura Connie, mordendosi un labbro e sperando di non essere arrossita troppo al nome del collega.

Eugene appoggia i gomiti sul tavolo, congiungendo poi le dita delle mani, in attesa. –Quindi?- domanda spazientito alla fine, passando lo sguardo sulla figura disordinata e sudata della ragazza.

Connie si siede di fronte a lui, facendo spallucce e fingendo indifferenza. –Sono stata brava- lo informa poi, senza pudore.

Il Commissario scuote la testa, espirando lentamente. –Cosa vuoi?- chiede lentamente, scandendo bene le parole e aspettandosi il peggio.

-Lavorare a questo caso!- trilla entusiasta la ragazza, scattando in piedi e porgendogli il foglio che aveva trovato prima sulla scrivania.

Scott inforca con studiata lentezza gli occhiali, leggendo le poche righe del testo. –Non c’è nessun caso- commenta con ovvietà, appoggiando il foglio sulla scrivania e togliendosi gli occhiali.

-Oh, non mentirmi!- sbotta Connie, appoggiando entrambe le mani sul tavolo e sporgendosi verso l’uomo. –C’è un evaso in circolazione, ovvio che c’è un caso!- gli rinfaccia, parlando velocemente.

Il Commissario si passa una mano sul volto, nascondendo l’inquietudine che quel non-caso gli provoca. –Non spetta a noi- si limita a dire, evasivo.

-Problemi di competenze?- lo incalza avida di spiegazioni l’agente.

-Precisamente-.

-Chi lo rivendica? CIA? INTERPOL?- insiste Connie, con gli occhi infiammati e le guance rosse per l’eccitazione.

Eugene stiracchia le labbra, passandosi poi una mano sulla fronte sudata. –Non ti riguarda. Tu devi solo tenere gli occhi aperti e, se lo vedi, informare subito la centrale perché…-

-… perché il soggetto è armato e molto pericoloso, sì, lo so. L’ho letto anch’io17- conclude per lui, delusa. –Ma è un uomo solo! E armato di pistola! Come fa a essere così pericoloso? E perché non è segnato da che carcere è evaso?- continua veloce, perseverando nel suo ragionamento.

Il Commissario Scott si passa un fazzoletto sulla fronte e sulla nuca, rimettendolo poi in tasca e accorgendosi del leggero tremore delle mani. –Perché… perché ti interessa tanto?- borbotta alla fine, guardandosi attorno con aria circospetta.

Connie lo fulmina. –Lo sai il perché- gli dice elusiva e con tono minaccioso. -E’ lui, Eugene! E’ lui l’uomo che ho visto a Tooley Street il due novembre di dodici anni fa!- sbotta all’improvviso, incapace di trattenere quella stravolgente scoperta e desiderosa di sfogarsi con una delle poche persone al corrente di quel particolare.

-White!- la rimprovera, richiamandola all’ordine e pregandole con gli occhi di abbassare la voce.

-E’ lui Eugene, ne sono sicura! Era in quel vicolo, ha ucciso papà!-

-E’ stata una fuga di gas, una tragedia, certo, ma solo questo. Un tragico incidente e…-

-No! Sai che non è vero!-

-CONNIE!-

L’agente si calma all’improvviso, accorgendosi solo in quel momento di star fronteggiando il Commissario in piedi, uno di fronte all’altro. Abbassa gli occhi, imbarazzata e stizzita, mentre Scott le appoggia paterno una mano sulla spalla.

-Agente White- riprende, dopo aver riacquistato la lucidità. –Che cosa ti avevo detto su quel giorno?- la rimprovera gentile, a bassa voce. –Di dimenticare tutto, ecco cosa ti avevo detto- risponde per lei, mentre la ragazza si scosta scontrosa dalla presa.

-Mi hai sentito? Lo farai?-

Connie sbuffa sonoramente, iniziando a fissare interessata il soffitto.

-Dimmi che lo farai-.

-Agli ordini, Commissario- mastica sottovoce, senza nascondere il tono di scherno.

Scott si risiede sulla poltrona, con il battito accelerato e, nella mente, un turbine di pensieri, paure e avvertimenti.

-Bene, puoi… puoi andare- dichiara alla fine, afferrando la tazza sul tavolo con due mani per timore di versarne ancora per il tremore.

Connie si sporge sul tavolo, afferra il volantino e si dirige decisa verso la porta.

-Connie- la richiama Scott, sinceramente preoccupato. –Non fare niente di stupido, ti prego. Lascia perdere- la prega, un attimo prima che la porta venga chiusa.

-Non cercare Sirius Black-.

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Note:

1. Che minchia volete?

2. Appellativo non privo di deferenza con cui è concesso chiamare le persone anziane.

3. Avete ammazzato Pietro

4. Puzzare di latte, essere bambino e ingenuo.

5. Che ci fai qui?

6. Da Il Padrino, film del 1971

7. Non so niente

8. Ti vuoi vendicare

9. Figlia, ragazza

10. L’offesa non si tollera

11. Sono tutti innocenti

12. Sono consigliori tuo e di tuo padre. Consigliori è una carica di fiducia e grande importanza

13. Ragazza, sei determinata. Troverai il colpevole

14. “«Hanno fatto una bella fatica a mettere tutto a tacere, vero, Ern?» disse Stan. «La strada per aria, e tutti quei Babbani stecchiti. Com'è che l'hanno chiamata, Ern?» «Una fuga di gas» grugnì Ernie” da Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban

15. Edificio dove ha sede Scotland Yard

16. Sigla del database criminale di Scotland Yard, l’ Home Office Large Major Enquiry System.

17. “E’ armato ed estremamente pericoloso. È stata attivata una linea telefonica speciale, e chiunque lo avvisti è pregato di comunicarlo imme-diatamente alle autorità”; “Mentre tra i Babbani è stata diffusa la notizia che Black è armato di pistola (una specie di bacchetta magica di metallo che i Babbani usano per uccidersi a vicenda)” da Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban

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Capitolo 2
*** Capitolo primo ***


Mercy Clarke è una donna forte

 

 

 

Mercy Clarke è una donna forte. Ha superato la morte del marito e ha allevato due figli da sola. L’unica cosa chiesta in cambio di tutti i sacrifici fatti è quell’attesissimo pranzo in cui può, nuovamente, viziare gli adorati figli ormai cresciuti e allergici alle esagerate profusioni materne.

Per questo, quel discorso appena nato, la sta facendo preoccupare.

-Bambini, per favore, smettetela di litigare…- li prega, raccogliendo con attenzione i piatti del servizio buono.

Connie ignora le richieste materne e insiste caparbia del discorso che, a suo avviso, dovrebbe elettrizzare gli altri membri della famiglia quanto ha fatto con lei. –Ma mamma!- sbotta infatti, -Ti sto dicendo che è lui!-

Chester White squadra con sospetto il ritratto raccapricciante dell’uomo che, in quel momento, occupa il centro della tovaglia. –Constance…- sbuffa poi, stanco, cercando con scarsi risultati di far ragionare la sorella.

-E’ lui!- ripete determinata la ragazza, ignorando la porzione di brownies che sua madre le ha messo nel piattino del dolce.

Chester scuote la testa, per poi afferrare il foglio e voltarlo. –Piantala- le sibila, lapidario, con quel tono da fratello maggiore che lo contraddistingue.

-E’ l’assassino di papà e tu non hai neanche il coraggio di guardare un suo identikit!- lo rimprovera ad alta voce Connie, battendo la mano sul tavolo e facendo tintinnare le tazzine da caffè della signora Clarke che, rassegnata, saluta la speranza di avere un tranquillo pranzo con i figli.

Chester si accarezza i baffi, tratteggiando con le dita anche il contorno della bocca e del mento. –Quando ti deciderai a crescere?- le domanda, iniziando a spiluccare con la forchetta il dolce.

-Mamma…-

Mercy sobbalza sulla sedia, sorridendo comprensiva agli occhi speranzosa della figlia. –Tu mi credi, vero?- le domanda la ragazza, allungando la mano sul tavolo per afferrare quella rassicurante della donna. Chester spalanca gli occhi, stizzito, continuando a masticare con foga e intercettando lo sguardo della madre.

-Ma certo cara!- la rassicura la donna, accarezzando la mano callosa della sua bambina.

-Mamma, sul serio? Non darle corda!- sbotta Chester, lasciando cadere la forchetta sul tavolo e tamponandosi gli angoli della bocca.

-Caro, se tua sorella dice di aver visto quest’uomo dopo l’esplosione, non vedo perché non dovrei crederle…- ribatte ovvia, mantenendo un tono neutro e allungando la mano libera verso il figlio.

-Perché nessun altro di tutti i testimoni lo ricorda!- sbotta impaziente, allargando esasperato le braccia.

-Chaz, ne sono certa. L’ho visto- ribatte seria Connie, lo sguardo fisso sul retro del foglio. –E… rideva1- rabbrividisce alla fine, serrando gli occhi al ricordo di quell’uomo in piedi in mezzo alle polveri e ai detriti.

-Constance, avevi undici anni, eri tramortita dall’esplosione e la prima cosa che hai visto dopo quella luce accecante sono stati tredici corpi a terra- ricapitola veloce Chester, ripercorrendo i fatti con la classica freddezza e analicità tipica della squadra della scientifica di Scotland Yard. –Fra cui papà…- mormora alla fine, senza nascondere la voce leggermente più roca.

-Ma sono certa di averlo visto, Chaz!- ribatte Connie, mentre la stretta attorno alla mano della madre si fa più forte.

Chester scuote la testa, sistemandosi meglio sulla sedia. –Per più di tre mesi non hai ricordato nulla della strage di Tooley Street e poi, all’improvviso, sei l’unica che ricorda quelle due persone litigare in mezzo alla folla- cerca di spiegarle, paziente.

-Non sto mentendo!-

-Non dico questo!-

-Bambini…-

Al richiamo di Mercy, Connie e Chester sbuffano in contemporanea, limitandosi a guardarsi in cagnesco sopra il tavolo per diversi secondi.

-Eri solo una ragazzina…- riprende il discorso Chaz, cercando di tenere il tono di voce basso e controllato. –Hai assistito a una cosa orribile, Constance, me ne rendo conto, lo so. Eri in stato di shock e questo ha portato a una PTSD2. Hai seguito la terapia, ti sei confrontata con le esperienze degli altri testimoni, hai accettato quanto accaduto-.

Connie abbassa lo sguardo, afferra il foglio e fissa lo sguardo negli occhi rabbiosi del ritratto del ricercato. –Eppure… io me lo ricordo…- confessa a bassa voce, strascicando le parole e sovrapponendo i tratti del volto di quell’uomo a quelli del giovane che aveva visto in mezzo alla strada deserta.

-Forse era lì anche lui, un passante…- tenta Chester, cauto, sperando di poter finalmente porre fine a quel discorso.

-Ma rideva!- scoppia invece Connie, accartocciando sotto le dita un angolo del foglio per la presa troppo fissa.

-Probabilmente stava piangendo e tu hai confuso i suoni. Eri intontita per l’esplosione…-

-E come mai lui era vivo? Era in centro alla strada, Chaz! Tutti quelli in un raggio di sei metri sono morti, come mai lui è sopravvissuto?-

Chester sbuffa, lasciandosi cadere di peso sullo schienale della sedia.

-Questo è impossibile…- osserva con delicatezza Mercy, fissando con gli occhi acquosi la faccia inferocita del ricercato.

-Sì mamma, è impossibile. Infatti non è stata un’esplosione-. Connie sorride, osservando il fratello irrigidirsi sulla sedia.

-Non puoi dirlo con certezza…- si limita a borbottare, osservando con nostalgia il proprio dolce nel piatto.

-Chaz, non puoi negare che ci sia qualcosa di sospetto! Hai letto il rapporto, no? Fuga di gas. Hai studiato i rilievi? Il centro dell’esplosione è stato proprio il centro della strada e lì non ci sono tubature del metano, passano solo le condotte idriche- gli ricorda la sorella, estraendo veloce dalla borsa la famosa agendina di cuoio e sfogliando febbricitante gli appunti di anni di indagini.

-Si sarà trattato di un attentato… un qualche esplosivo…- tenta Chester, poco convinto delle sue stesse parole.

-E perché non dirlo? E perché non hai trovato particolati sulle prove?- lo incalza la sorella.

-Non me lo ricordare… se Eugene viene a sapere che ho usato l’attrezzatura di laboratorio per indagini non autorizzate…- borbotta, acuendo la voce all’idea di cosa il Commissario potrebbe fargli. Sperava di poter, in quel modo, placare una volta per tutte i ridicoli sospetti della sorella ma, al contrario, l’analisi delle prove raccolte in quella strada avevano aumentato i suoi, di dubbi. L’esplosione si era espansa a raggiera da un punto della strada assolutamente non pericoloso, distruggendo tutto in un raggio di sei metri. La mancanza delle tubature del gas, quindi, gli aveva fatto da subito escludere il rapporto ufficiale a favore della tesi della bomba. Eppure non aveva trovato alcun particolato di qualunque tipo. Aveva cercato resti di polvere da sparo, bicarbonato di sodio, nitroglicerina… niente! E se non aveva trovato niente lui, laureato con lode in chimica all’accademia militare, voleva davvero dire che non c’era stata alcuna bomba.

Ma allora cos’aveva causato quell’esplosione?

-E poi c’è la questione Minus- sentenzia lapidaria Connie, fermandosi su una pagina e scorrendo con l’indice le note del rapporto che aveva fatto Chaz dopo mille preghiere e promesse.

Chester stiracchia le labbra, in trappola. Era stato lui a farle notare la discordanza fra il rapporto e la prova. Per la versione ufficiale era l’unica parte del corpo di quell’uomo rimasta dopo l’esplosione. Ma il taglio era netto, affilato, il bordo della ferita non seghettato o incerto.

-Quel dito3 è stato certamente amputato4- gli ricorda Connie, riprendendo a voltare le pagine del quadernetto.

-Ok, va bene, è strano- le concede alla fine, notando con disappunto un sorrisino di superiorità espandersi sulla bocca della sorella. –Ma questo non vuol dire che nessuno stia indagando-.

-Cosa? Ma se hanno archiviato il caso come “incidente”!- gli rinfaccia lei. –E adesso questo avviso di evasione! Lo hai letto? Non dice nulla! Né chi è, per quale motivo era dentro, da dove è scappato… niente!- dice ad alta voce, porgendogli con impeto il volantino.

-E Eugene cosa ti ha detto?- domanda titubante Mercy, ponendo molte speranze nel vecchio amico del marito.

Connie a quel nome sbuffa infastidita. –Niente.-

-Niente? Come niente?-

-Le ha detto di lasciar perdere, mamma- le chiarisce Chaz, avvezzo al linguaggio sbrigativo del Commissario. –Qualcun altro se ne sta occupando-.

-Quindi c’è qualcosa, no? Qualcosa di strano, che non vogliono farci sapere!- esplode Connie, chiudendo di scatto l’agenda e fissando speranzosa gli occhi del fratello.

Chester si limita a scuotere la testa. –Non lo so Connie… tutta questa storia non mi convince, va bene ma… dobbiamo fidarci di Eugene- termina, ostentando una sicurezza non sentita.

-Perché quando mi è tornata la memoria e gli ho confessato di ricordare questo volto mi ha detto di dimenticare tutto? Perché non posso farne parola con nessuno?- si sfoga frustrata la ragazza, ricordando la visita di Eugene dopo l’incidente e le raccomandazioni urgenti che le aveva fatto. -Chi è in realtà questo Sirius Black?- conclude, stremata.

-Non lo so, ma le soluzioni sono solo due- commenta Chaz, espirando lentamente. –La prima è che si tratti solo di un’incomprensione, una coincidenza o chissà cos’altro…- borbotta, alzando l’indice per fare segno alla sorella di non interromperlo. –La seconda- continua, osservando Connie tornata tranquilla –è che ci sia in ballo qualcosa di grosso, Constance, di veramente grosso. E tu devi restarne fuori- le intima, sinceramente preoccupato.

-Che potrei fare? Non ho in mano niente! Rapporti fasulli e autopsie poco attendibili! E certamente non otterrò un mandato per riaprire il caso- mormora scoraggiata.

Chaz tossicchia.

–Rianalizzerai il dito?- gli domanda poi la sorella a bruciapelo.

-No- risponde, lapidario.

-Dai, Chaz, ti prometto che…- insiste Constance, cercando di fargli gli occhi dolci come quando erano bambini.

-No!- ribatte Chaz, ignorando lo sguardo supplichevole della sorella che, come al solito, mina la sua sicurezza.

Mercy lo fissa materna, attirando l’attenzione dei due. -Chester, fai questo piacere a tua sorella…-

-Mamma, se mi beccano a sottrarre prove dall’archivio e a usare le apparecchiature senza permesso, mi licenziano! Come farà allora Elizabeth?- scoppia Chester, sorpreso che la madre gli stia veramente chiedendo di fare un’azione che potrebbe minare la sua carriera alla Scientifica.

Il nome dell’amata nipotina sembra far cambiare idea a Mercy che, dopo un attimo, si alza dal tavolo con un sospiro di dispiacere e raggiunge il telefono che aveva iniziato a squillare insistente.

Connie decide di affrontare il fratello con serietà. -Voglio solo indagare sull’uccisione di papà, Chaz, avanti! Dammi una mano!- lo prega alla fine.

-L’ho già fatto, Connie! Almeno tre volte in questi anni! E la mia diagnosi è sempre la stessa: amputazione- conferma Chester, punto sul vivo. Possibile che sua sorella dubiti a tal punto della sua professionalità? Non ha riscontrato tracce di alcun tipo di esplosivo e il dito è stato amputato. Fine della storia.

-Connie, cara, è per te- la informa la madre, chiamandola dal corridoio d’ingresso dove il vecchio telefono di casa è da sempre posto.

-Sì?- biascica la ragazza alla cornetta, poco convinta. Gli unici al corrente del rituale pranzo del sabato a casa della madre sono Dave e Eugene. E, al momento, non ha proprio voglia di sentir nessuno dei due.

-Constance, spero di non disturbarti…- mormora una vocina flebile all’altro capo dell’apparecchio.

-No Emily, non disturbi affatto!- trilla l’agente, dopo aver finalmente individuato l’interlocutrice: Emily, la giovane e migliore- nonché unica- amica che Connie abbia mai avuto.

-Ho organizzato per domani un pranzo, sai, in memoria delle vittime della Strage…- la avvisa la ragazzina, con una tenera e timida vocina.

Connie non riesce a trattenere un sorriso. L’ha conosciuta proprio durante uno di quei pranzi di commemorazione. Anche il padre di Emily è fra le tredici5 vittime di quell’assurda esplosione e lei, a quel tempo cinqueene, aveva riportato una grave frattura alla colonna vertebrale che le aveva limitato quasi del tutto i movimenti.

Nonostante l’affetto che sentiva per quella ragazzina così indifesa e comunque piena di vita, Connie borbotta un’accorata scusa, una “ronda straordinaria per l’evaso” che, proprio, non può rifiutare.

-Oh, che peccato!- si lamenta la ragazzina, -ne sei proprio sicura?- insiste, caparbia come solo una persona nel suo stesso stato può essere.

-Sì, purtroppo sì- mente ancora Connie, arrotolando il filo del telefono attorno a un dito e sbirciando il salotto dove Chaz, serio, ha iniziato a sfogliare con falsa indifferenza l’agenda con gli indizi. –Mia madre e Chester, però, verranno di sicuro- promette. A differenza del resto della famiglia, non le sono mai piaciute quelle commemorazioni. Incontrare le famiglie delle altre dodici vittime era “un’inutile perdita di tempo” come amava definirla lei durante le litigate con il fratello maggiore. Ricordare i propri cari, leggere gli articoli di cronaca dei giornali locali… a cosa serviva? Nessuno di loro sembrava aver visto quello che aveva visto lei. Un giovane tracagnotto –che poi aveva scoperto chiamarsi Peter Minus- e un ragazzo che litigavano in mezzo alla strada. E ora, dopo dodici anni, poteva dare un nome al volto di quell’assassino: Sirius Black.

-Allora segno solo loro due- borbotta Emily dall’altro capo del telefono, spingendo la carrozzina a fatica fino al tavolo d’ingresso, facendo attenzione a non investire il filo e a non urtare il mobile con il vaso dei fiori. Afferra il piccolo block notes, aggiungendo diligentemente i due nomi alla lunga lista, per poi appoggiare il tutto sulle gambe immobili e spingersi nuovamente vicino al mobile del telefono. –Peccato, ci saremmo divertiti tanto…- mormora dispiaciuta. –Almeno Mike sarà presente!- confessa con imbarazzo all’amica, cerchiando il nome del nipote di un’altra vittima, ragazzo per cui ha una cotta da circa un mese.

Connie scuote la testa, ridacchiando. –Oh, quindi penso troverai facilmente qualcun altro con cui chiacchierare…- la prende in giro, appoggiandosi con le spalle alla parete e lasciandosi scivolare lenta sul tappeto d’ingresso, aggrovigliando il filo attorno alla mano.

-Mancherete solo tu, come al solito- sottolinea la diciassettenne, scorrendo nuovamente i nomi dell’elenco, -e, beh, la signora Minus6- termina con tristezza.

Constance aggrotta la fronte, perplessa. Il corpo di quel ragazzo grassoccio, quel Minus, secondo il rapporto era stato il più dilaniato dall’esplosione, tanto da lasciarne intatto un solo dito.

Quel dito.

La ragazza ricorda bene come, quel lontano novembre del 1981, il giorno dei funerali di stato per le vittime della Strage di Tooley Street, come ribattezzata dai giornali, ci fossero dodici bare lucide disposte ordinatamente davanti all’abbazia di Westminster e solo un vaso con tutto quello che, secondo gli inquirenti, restava del giovane Minus. Ma come aveva potuto un’esplosione di quella grandezza devastare in quel modo un ragazzo e lasciarne del tutto illeso un altro?

-Povera donna, dopo tutto quello che le è successo, anche questo…- continua Emily, sospirando sconsolata e facendo un cenno alla madre che andava tutto bene.

-Anche questo… Cosa?- domanda immediatamente Connie, incuriosita. Aveva incontrato la donna solo poche volte, ai funerali di Stato e durante le rare cene organizzate dalla famiglia di Emily alle quali sua madre l’aveva obbligata ad andare. La ricordava come una signora gentile, con gli occhi sempre acquosi come di chi ha pianto da poco e con un sorriso timido e incerto. Parlava del figlio morto in quel modo orribile in continuazione. “Il mio Peter” sussurrava in continuazione, con la voce rotta dal pianto, “Era un così bravo ragazzo, un eroe”.

Eppure qualcosa di quel bravo ragazzo non la convince.

Il particolare dell’amputazione del dito, ad esempio. Chaz aveva escluso a priori che potesse essere accaduto accidentalmente durante l’esplosione. “Se fosse stata la scheggia di un vetro delle vetrine esplose” aveva detto suo fratello, con la solita aria di onniscienza che lo contraddistingue quando parla di materie scientifiche, “avrei trovato dei particolati, delle schegge di vetro nella carne. E invece niente!” sbottava alla fine, frustrato da quell’incapacità di capire quel fenomeno.

Una ferita netta, causata da un’arma bianca, forse un coltello, comunque una lama molto affilata e che non lascia traccia.

Perché il dito di quel bravo ragazzo il cui corpo era finito del tutto carbonizzato era stato amputato?

-Non lo sai?- domanda Emily, riportando Connie alla realtà.

 

_______________________________________________________________

 

Note:

 

1.    “E Black lì in piedi che rideva davanti a ciò che era rimasto di Minus... un mucchietto di stoffa macchiata di sangue e qualche... qualche frammento” da Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban

2.    Stato di confusione e amnesia in cui può versare una persona dopo aver vissuto eventi traumatici

3.    “E un dito di Minus in una scatola. Il pezzo più grande che sono riusciti a ritrovare” da Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban

  1. “«Gli manca un dito» disse Black. «Ma certo» sussurrò Lupin, «è così semplice... così astuto... se l'è tagliato da solo?»” da Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban

5.    La comunità magica vive nel terrore di una strage come quella di dodici anni fa, quando Black uccise tredici persone con un solo incantesimo” da Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban

6.    “fu di qualche consolazione per la sua povera madre” da Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban

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Capitolo 3
*** Capitolo secondo ***


Lì per lì le era sembrata una buona idea

 

 

 

Lì per lì le era sembrata una buona idea. Già.

Se non avesse ricavato informazioni utili, avrebbe almeno fatto una buona azione, no?

In fondo, una sola era, effettivamente, la prova che aveva. E quindi era da lì che dovevano partire le indagini, giusto?

Eppure, in quel momento, Connie pensa che quella non sia stata in effetti una buona idea.

-Sì?- ripete la donna, sorridendo incoraggiante all’agente che, in abiti civili, cerca di trovare una posizione comoda su quella sedia troppo imbottita.

Connie si schiarisce la voce, imbarazzata di fronte a quello sguardo limpido e, in qualche modo, perso.

-Signora Minus, sono Constance White… si ricorda?- ripete per la centesima volta in quell’ora.

La donna annuisce con impeto, stringendo ulteriormente le mani ossute attorno al polso della ragazza, ormai cianotico.

Connie sorride intenerita dalla voglia di chiacchierare dalla donna. Non deve ricevere molte visite. La stanza della casa di riposo è abbastanza accogliente, con la coperta di un rilassante blu oltremare e le pareti di un delicato color pesca. La televisione, costantemente accesa, emana una luce azzurrina sul mobiletto di legno chiaro dove è appoggiata. Vicino alla porta d’entrata, invece, è appesa una cornice, unico oggetto dall’aspetto di valore nella piccola stanza.

-Vorrei farle qualche domanda su suo figlio, Peter…- azzarda, parlando lentamente e alzando il tono di voce perché l’interlocutrice, sorda dall’orecchio sinistro, come recita la cartella medica appesa al letto, possa capire bene.

–Oh, il mio Peter- chioccia la donna, con gli occhietti azzurri brillanti di emozione.

-E’ proprio un bravo ragazzo, sa- continua, sistemandosi meglio sul bordo del letto e accomodandosi lo scialle di lana sulle spalle strette. –Adesso è a scuola, ma quest’estate tornerà a casa a passare le vacanze- continua, lasciando la stretta dal polso della ragazza che, lesta, ritira con un sospiro la mano.

L’anziana donna infila a fatica le pantofole e, una volta impadronitasi del cigolante girello affianco al letto, muove qualche passo incerto verso il comodino. Connie si alza in piedi di scatto, preoccupata per l’ondeggiare instabile della schiena della donna.

Più agilmente del previsto, però, la signora Minus afferra quello che sembra un vecchio album di foto dal cassetto, tornando affianco all’ospite con un sorriso sdentato ma smagliante.

-Sa, all’inizio ero molto preoccupata per lui- le confessa, cercando di riprendere fiato per la fatica che quella semplice operazione le ha portato. –Peter è molto timido, fatica a inserirsi in un gruppo. Però l’estate del primo anno mi ha detto di aver trovato un mucchio di amici davvero speciali- confessa, accarezzando con tenerezza la copertina del consunto album di foto.

-Che scuola frequentav… frequenta, suo figlio?- si corregge Connie, visibilmente in difficoltà nel parlare al presente di un ragazzo morto ormai da undici anni.

La signora Minus estrae dalla tasca un paio di cioccolatini, offrendogliene raggiante uno. –Hogwarts, naturalmente- risponde poi, con la bocca impiastricciata di cioccolato.

Connie aggrotta perplessa la fronte, per poi estrarre prontamente dalla tasca la solita agendina. Ogwatz? appunta, diligentemente, aggiungendo un punto di domanda come promemoria della ricerca che dovrà fare su quell’istituto che, sinceramente, non ha mai sentito.

-Oh, eccolo qui, il mio piccolo!- trilla allegra la donna, indicando una vecchia foto dove, un bambino pallido e smunto, di circa cinque anni, fissa con infantile curiosità la macchina fotografica. –Ha proprio dei bellissimi occhi- interviene Connie, avvicinandosi un po’ alla fotografia per osservare il volto sorridente del piccolo.

-Oh, li ha presi da mio marito- sorride l’anziana, accarezzando con l’indice nodoso i tratti delicati del piccolo. –Era proprio un bell’uomo, sa. Gentile, dolce… e non mi ha mai fatto pesare di essere di un mondo diverso dal suo- insiste, con una nota di malinconia e amore nella voce.

Connie annuisce falsamente comprensiva, appuntando diligentemente sull’agenda: padre altro mondo. Straniero?

Dopo una lunga rassegna di vecchie foto –il primo giorno dell’asilo, le vacanze in Scozia a trovare zia Charlotte-, l’anziana sobbalza stupita.

-… e questa qui, invece, è una foto di lui a scuola, scattata con i suoi amici quando… oh! Che peccato!- si lamenta sottovoce.

Connie si sporge maggiormente verso la pagina, osservando la foto dai bordi sfilacciati.

E’ un paesaggio. Sullo sfondo si vede chiaramente un lago, abbastanza grande, poi un albero dall’aria minacciosa e poi prati e foreste.

Curiosa una foto del genere in un album di famiglia.

-Ogni tanto mi fanno di questi scherzetti!- ridacchia la donna, iniziando a scuotere con piccoli colpetti l’album. –Ehi, voi! Avanti, venite fuori! Ho qui un’amica che vuole conoscervi!- urla verso il paesaggio.

Connie spalanca gli occhi, indecisa se chiamare subito un’infermiera o aspettare che la crisi passi da sola.

-Che dispettosi…- si lamenta poco dopo la donna, arricciando le labbra raggrinzite in una smorfia per poi voltarsi con aria complice verso l’ospite. –Fortuna che ho un’altra foto, così li può vedere!- le dice sottovoce, con aria complice.

Connie sorride intenerita dalla malattia della donna, osservando con curiosità le altre foto nella pagina seguente.

-Sa, quest’altra gliel’ho scattata io un’estate che Peter me li aveva portati tutti a casa per farmeli conoscere!- l’informa sorridente fermandosi a un certo punto a una pagina.

-Ecco, questo qui è il mio Peter!- le annuncia, indicando in una foto un ragazzone di circa diciassette anni che sorride divertito. Connie si morde un labbro. Sì, adesso lo riconosce. E’ lo stesso ragazzo che ha visto nel ritratto messo in mostra come ricordo il giorno del funerale. Certo, quando è stata scattata quella fotografia, non immaginava di finire morto carbonizzato qualche anno dopo.

-Quello al suo fianco è invece Remus, Remus Lupin- ricorda la donna, segnando un ragazzo allampanato e dall’aria malaticcia.

Connie storce la bocca, appuntando anche quel nome sull’agendina. -E questa ragazza?- domanda poi, indicando con la punta dell’indice una giovane dall’aria gentile seduta su una sedia.

-Lily Evans- annuisce la signora Minus, scostando la mano per rendere più visibile l’altra metà della foto. –Oh, era proprio una bella ragazza, non trova?- le domanda, scuotendo tristemente la testa.

-Era?- puntualizza Connie titubante. Beh, Lily in fondo era un nome comune, poteva essere una coincidenza. Segna anche quel nome sull’agenda con vicina una piccola croce, simbolo di morte.

-Oh sì, povera cara- continua l’anziana, umettandosi le labbra secche. –E’ morta l’estate dopo questa foto. Lei e suo marito, questo qui- conclude lasciando all’ospite tutto l’album perché potesse osservare bene la foto.

Connie, all’improvviso, impallidisce.

-Qu-questo?- balbetta, isterica, acutizzando la voce e indicando concitata un ragazzo che, scherzoso, sta stritolando in un giocoso abbraccio il collo dell’amico.

-Oh, no! L’altro! James Potter- la corregge con pazienza la donna, indicando a sua volta il ragazzo con gli occhiali stretto dall’altro.

Connie, improvvisamente sudata, afferra tremante l’agenda, appuntando con forza quell’ulteriore notizia. No, non può essere una coincidenza. Quelle parole… Lily e James, Sirius! Come hai potuto?

-E cosa sa dirmi di quest’ultimo?- si sforza di chiedere, sperando che la donna non si accorga del tremore della voce.

-Un ragazzo simpatico, sempre pronto a scherzare. Un po’ troppo scanzonato, secondo me ma, cosa vuole, i giovani…- le racconta la donna, ridacchiando allegra. Connie, sulle spine, sottolinea gli ultimi nomi sentiti, in ansia.

-Si ricorda come si chiama?- trova il coraggio di chiedere, alla fine.

-Peter me ne parlava sempre, sa. Ne facevano di tutti i colori loro quattro! Lui era… sì, ne sono sicura. Sirius Black-.

Centro.

Connie spalanca gli occhi soddisfatta.

Allora non era solo una sua impressione!

Non poteva essere una coincidenza, lo sapeva!

Il volto del ricercato e il ragazzo che ricordava litigare per strada quel due novembre erano la stessa persona!

Black!

Scrive quel nome sull’agenda con foga, cerchiandolo diverse volte e mettendo molteplici punti esclamativi.

-La ringrazio signora Minus, davvero. Mi è stata di grandissimo aiuto- la saluta Connie, alzandosi dalla sedia e notando solo in quel momento, gli occhi acquosi e persi dell’anziana.

-Lei chi è?- le domanda, con un sorriso fiducioso e tenero.

Connie inghiotte a fatica, rimettendosi la giacca. –Sono… sono una vecchia amica di Peter- mente alla fine, avvicinandosi all’anziana e respirando il dolce profumo di menta che emana.

-Oh, il mio Peter! E’ proprio un bravo ragazzo, sa. Adesso è a scuola, ma quest’estate tornerà a casa a passare le vacanze- le ripete, notando solo in quel momento di avere il vecchio album di fotografie sulle ginocchia.

-Vuole vederlo?- le domanda, iniziando a sfogliare a ritroso le foto, fino a tornare al paesaggio soleggiato.

Connie le bacia la fronte, sorridendole poi con tenerezza. –La prossima volta- le promette, allontanandosi prima di essere trattenuta dalla donna che la fissa dispiaciuta.

Poco prima di uscire, però, si blocca al suono della sua voce. –Oh, eccovi qui!- le sente dire, rivolta alla foto di prima. –Si può sapere dove vi eravate cacciati? La signorina di prima voleva tanto vedervi! Mascalzoni! Avrà pensato che sono una vecchia rimbambita!- scherza.

Connie scuote la testa, soffermando un attimo lo sguardo sulla cornice vicino all’uscita.

Ordine di Merlino, prima classe. In memoria dell’eroico Peter Minus1 legge, perplessa. Non aveva mai sentito parlare di quel riconoscimento prima d’ora. Per precauzione, appunta anche quello sull’agendina, per poi uscire elettrizzata dalla struttura.

Finalmente!

Finalmente dopo anni di ricerche ha una traccia!

Finalmente ha trovato un collegamento fra quel Black e il povero Peter Minus!

Sapeva di non esserselo sognato! Lei… si blocca all’improvviso, fissando sorpresa l’uomo che, tranquillo, la fissa appoggiato alla propria autovettura.

-Che ci fai tu qui?- lo aggredisce, appena raggiunta la macchina.

David Canter si toglie gli occhiali, ridacchiando dell’irruenza della giovane partner. –Sono di pattuglia- mente, alzando le spalle e aumentando esponenzialmente la rabbia della collega.

-Eugene. E’ stato lui, vero? Ti ha detto di seguirmi!- lo accusa, accigliata, per poi voltargli le spalle e incamminarsi a passo di marcia lungo la strada.

-Per la cronaca, secondo il mio rapporto tu sei stata tutto il giorno a casa di Chester, a giocare con tua nipote!- le urla dietro David, aspettando.

Connie si blocca in mezzo alla strada, brontola qualcosa di poco carino e torna a passo spedito dal collega.

-Perché?- si limita a domandargli, imbronciata.

Dave ridacchia soddisfatto, senza notare quanto questo gesto abbia abbassato l’aggressività dell’agente. –Beh, fra partner ci si aiuta, no?- le risponde con leggerezza, appoggiandosi meglio alla macchina e adocchiando la famosa agenda stretta fra le mani della ragazza.

-Che vuoi in cambio?- sbuffa Connie, squadrando la figura atletica del ragazzo e maledicendosi perché, lo sente, è arrossita.

David piega la testa di lato, accennando all’agendina con un movimento brusco del mento. –Voglio partecipare-.

-No-.

-Connie…-

-Senti Dave, grazie, davvero, lo apprezzo ma… non so neanch’io a cosa vado incontro. Forse sarà solo un buco nell’acqua- ammette a malincuore, riponendo con velocità la preziosa agenda nella tasca della giacca.

-Stai indagando sulla Strage?- le chiede, improvvisamente serio.

-Strage? Perché dovrei? E’ stata solo una fuga di gas, no? Cosa c’è da indagare?- ironizza la ragazza, alzando gli occhi al cielo.

David indurisce lo sguardo. –Per il rapporto, non per te-.

-Sono solo una ragazzina che non accetta la morte del padre…- canticchia Connie, ripetendo le parole che lo psicologo da cui era stata in cura dopo l’esplosione diceva spesso a sua madre.

-Raccontami quello che sai e poi deciderò- le dice schietto il collega, per poi voltarsi fulmineo verso di lei e afferrale con entrambe le mani le spalle. A quella distanza, Connie sente l’odore di tabacco delle sigarette che il collega fuma sempre durante gli appostamenti.

-Connie, puoi fidarti di me-.

Le sue difese sono definitivamente crollate.

Davanti a una coppa esagerata di gelato, comodamente seduti a un angolo di un piccolo bar di periferia, Connie White e David Canter si fissano, emozionati.

-Che… che cosa sai?- gli domanda la ragazza, iniziando a intingere il cucchiaino nel dolce.

-Che non hai mai creduto alla versione ufficiale della polizia, che non hai mai smesso di cercare indizi e informazioni e che, in questi giorni, è successo qualcosa che ha dato una svolta alle indagini- sintetizza David, ingoiando con poca grazia una cucchiaiata di gelato e rabbrividendo per il freddo.

Connie sospira, iniziando a sfogliare l’agenda sul tavolo.

-E’ successo tutto il due novembre del 1981. Io e papà stavamo andando al Bermondsey Market2, alla ricerca di qualche moneta per ampliare la sua collezione- inizia a raccontare, accarezzandosi automaticamente la mano che, ricorda, il padre le stringeva in quella luminosa mattina.

-Avevamo appena imboccato Tooley Street quando un ragazzo mi spintonò di lato, facendomi quasi cadere- continua, abbassando la voce e socchiudendo gli occhi, mentre le immagini del volto rabbioso di Sirius Black le riaffiorano alla mente.

-Papà mi afferrò al volo, stringendomi forte, ma con lo sguardo fisso dall’altra parte della strada-. Si schiarisce la voce, mangia un paio di cucchiaini di gelato. Non fatica molto a collegare la figura di spalle che, terrorizzata, corre sull’altro marciapiede e il povero Peter Minus visto prima nelle foto della madre.

-Papà si alzò insospettito, muovendo i baffi in quel modo buffo, come faceva sempre quando pensava…- ridacchia, ricordando quell’ondeggiare lento e ipnotico dei baffi inglesi del padre.

-Sai, lui si vantava sempre di capire se qualcuno stava per fare una sciocchezza dallo sguardo. Diceva di vedere un lampo di follia negli occhi dei sospettati che arrestava, prima che rispondessero al fuoco o cercassero di scappare. Per questo, diceva, era un bravo poliziotto- sorride, ricordando il discorso che diceva con tono solenne a lei o a suo fratello per prevenire le loro marachelle.

-Si è alzato e mi ha detto di allontanarmi il più velocemente possibile, di correre senza voltarmi- ripete, ricordando il tono serio e la faccia corrucciata del padre mentre la sua mano si separava da quella della figlia e andava a scostare il soprabito per togliere la sicura alla pistola e lasciando l’arma in vista.

-Naturalmente gli ho chiesto perché, che cosa stesse succedendo… poi mi sono voltata e ho visto due ragazzi litigare in mezzo alla folla a qualche metro da noi. Un paio di curiosi si erano fermati ad ascoltare che cosa si stavano dicendo, altri li scostavano incuranti. Fra i brusii generali si sentiva singhiozzare “Lily e James, Sirius! Come hai potuto!”3 -.

Connie ripensò velocemente ai volti sorridenti della ragazza e del ragazzo in quella foto, ricollegando immediatamente l’informazione della loro morte a quella frase. Lo segna con urgenza vicino agli ultimi appunti, sotto lo sguardo professionale del collega.

-Papà mi ha detto di correre e poi si è allontanato verso i due, gridando “agente di Scotland Yard, fate passare!”-. Espira lentamente, ricordando l’impermeabile crema sparire fra i corpi della gente che affollava quella via.

-Mi sono messa a correre, Dave. Ho corso come mai in vita mia- sussurra, cercando di nascondere il tremore della voce con scarsi risultati.

-Poi ho sentito un’esplosione, un boato terribile. Quando ho aperto gli occhi ero per terra, coperta di polvere e sassolini. Quando mi sono voltata ho visto un’enorme voragine, corpi stesi a terra, sangue, detriti. In mezzo a quella desolazione, ricordo una figura, l’unica in piedi. Era uno dei ragazzi di prima e… rideva, oh Dave! Rideva, rideva come non ho mai sentito ridere nessuno!4 - confessò Connie, allungando le mani sul tavolo e afferrando con forza quelle forti del collega.

-Un attimo dopo era circondato. Non so da dove fossero arrivati, prima non c’erano e subito dopo erano lì! PUFF! Comparsi dal nulla!- gli dice, agitandosi sulla sedia e bloccando lo sguardo sugli occhi espressivi e tranquillizzanti del partner.

–Dovevano essere una ventina… gli hanno puntato addosso qualcosa, sembrava… non so, era come la canna di un fucile, ma più sottile! Ero ancora intontita dall’esplosione e comunque troppo lontana per vedere chiaramente. Alla fine gli sono saltati addosso, lo hanno immobilizzato5. In quel momento sono arrivati i primi soccorsi, ricordo le sirene delle ambulanze e gli infermieri avventarsi sui corpi alla ricerca di sopravvissuti-.

Dave mantiene lo sguardo fisso su quello della collega, per poi schiarirsi la voce. –Quegli uomini… indossavano una divisa? Avevano un qualche stemma di riconoscimento?- s’informa, ripassando mentalmente le divise e i simboli delle squadre speciali del Regno Unito.

Connie scuote lenta la testa. –Nulla. Avevano vestiti scuri e… sì, alcuni di loro indossavano un mantello mi sembra…-

David annuisce piano, schioccando la lingua. –Poi?-

La ragazza sbuffa, massaggiandosi con la mano libera la tempia.

-L’ospedale. Mamma mi raggiunse quasi subito, con Chaz in lacrime. I dottori le dissero che ero lontana dal centro dell’esplosione, per questo mi ero salvata però ero disorientata, stordita, parlavo in modo confuso…-

-PTSD- diagnostica lapidario David, accarezzandole con il pollice il dorso della mano.

Connie annuisce solamente, mordicchiandosi un labbro. –Già. Per più di tre mesi non ho ricordato nulla di quanto accaduto. Poi, poco alla volta, le immagini mi sono tornate alla mente…-

David stiracchia le labbra. –E allora?-

La ragazza sbuffa, voltando le pagine dell’agenda. –Allora l’ho detto a mamma e lei ha chiamato subito Eugene- ricorda, mentre l’immagine di quello che, oltre ad essere il più caro amico del padre, ne era stato per molti anni anche il partner.

-E lui?- s’informa prontamente il ragazzo, arricciando le labbra pensieroso.

-Ha chiesto a mamma se ne avevo parlato con qualcuno, poi mi ha raccomandato di fare attenzione. Ha detto che di lì a qualche giorno sarebbero venute delle unità delle squadre speciali a farmi delle domande e che dovevo dar loro i referti medici, far finta di non ricordare davvero nulla. E… di dimenticare tutto- conclude, con un filo di voce.

 

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Note:

 

1.    “Minus ricevette l'Ordine di Merlino, Prima Classe, alla memoria” da Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban

2.    Uno dei mercatini più veri e meno turistici di Londra, tra Abbey Square e Tower Bridge Road. Tooley Street è una strada vicina

3.    Ci hanno raccontato come Minus ha affrontato Black. Dicono che singhiozzava: 'Lily e James, Sirius! Come hai potuto!'” da Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban

4.    A volte me lo sogno ancora. Un cratere al centro della strada, così profondo che aveva distrutto la fognatura. Corpi dappertutto. Babbani che urlavano. E Black li in piedi che rideva davanti a ciò che era rimasto di Minus...” da Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban

5.    Black fu portato via da venti uomini della Pattuglia della Squadra Speciale Magica”; da Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban

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Capitolo 4
*** Capitolo terzo ***


David Canter percorre a passo svelto i lunghi corridoi del terzo piano

 

 

 

David Canter percorre a passo svelto i lunghi corridoi del terzo piano. Evita con facilità un cadetto con una pila di verbali, dribbla sulla destra un paio di colleghi in pausa caffè, riesce perfino a non scontrarsi con una coppia di agenti che accompagna un reticente arrestato in una stanza.

Quando però vede Constance White uscire, proprio in quel momento, dalla sala interrogatori numero uno, pensa di essere stato colpito in pieno.

-Ehi, Connie!- la chiama, alzando la voce per farsi sentire nel trambusto generale che regna sempre in quella parte del New Scotland Yard.

-Connie!- riurla, accelerando il passo quando la collega imbocca il corridoio sulla destra.

Proprio per evitarlo?

Da due settimane, cioè da quando è stato messo al corrente dell’indagine non autorizzata che la sua partner sta portando avanti, ha come l’impressione di essere evitato.

-Insomma, agente White!- sbotta alla fine, notando la schiena della ragazza irrigidirsi.

-E-ehi, Dave! Ciao!- lo saluta imbarazzata, -N-non ti avevo visto- borbotta a mo’ di scusa.

David sospira, scuotendo la testa per nulla convinto. –Devo parlarti- le mormora, sottovoce, avvicinandosi il più possibile e notando, con piacevole sorpresa, un leggero rossore sul volto della collega.

–A-adesso?- balbetta lei, stringendo un fascicolo fra le mani. –Perché, vedi, Johnny lo Smilzo ha confessato e… e sai com’è fatto Eugene! V-vuole saperle subito queste cose e…- Connie smette di blaterare scuse a vanvera quando Dave, accigliato, l’afferra per un polso e la trascina con poca attenzione verso la porta in fondo al corridoio.

Appena chiude la porta tagliafuoco alle proprie spalle, fa un cenno deciso alla ragazza di sedersi sulle scale di metallo.

All’inizio non la poteva sopportare, ricorda con una punta di ironia.

In fondo era una raccomandata, la pupilla del Commissario Scott. All’inizio si divertiva a prenderla in giro con Erick, sfottendo il suo modo sgraziato di camminare e l’orribile gusto nel vestire. E sì, anche le orecchie appuntite e il naso schiacciato che le davano l’aria di un bulldog mansueto. Per non parlare del suo modo di fare! Tutto le era lecito. Scott non riusciva a imporre il proprio potere su di lei e, per questo, spesso la ragazza si dimostrava prepotente e viziata, senza ottenere alcuna, sana punizione.

Quando poi gli era stato detto che sarebbe diventata la sua partner, beh, aveva seriamente pensato di chiedere il trasferimento nella marina.

Non gli erano mai piaciuti i privilegiati. Coccolata da tutti i capi, come       quel pallone gonfiato del fratello… e per cosa? Perché loro padre era morto in un’esplosione. Certo, era stata una sventura terribile, ovvio. Anche il padre di Dave era stato un agente di Scotland Yard e ricordava bene le parole che aveva detto in ricordo del collega il giorno dei funerali di Stato, appena tre mesi prima che quella malattia che lo lacerava nell’animo lo uccidesse. Comunque tutto questo non era un motivo valido per lasciarla comportare in quel modo!

Ci aveva pensato lui, durante le ronde che erano stati costretti a fare insieme, a metterla in riga.

E così, poco alla volta, aveva capito che sì, era una raccomandata, una di quelle persone che, a causa di una sventura, hanno la vita spianata (chi mai direbbe di no alla piccola orfanella del caro collega White?) ma non solo. Aveva visto il suo sincero impegno in quello che faceva, la voglia d’imparare, l’orgoglio nel mostrare il distintivo.

Aveva incominciato a conoscerla un po’ meglio, scoprendo con orrore i suoi discutibilissimi gusti musicali (Duran Duran?! Oh, avanti! Che razza di band poteva essere quella con un nome del genere?), il suo affetto per la collezione di monete antiche del padre e la curiosa abitudine di arrossire quando lui le parlava.

-Allora?- gli domanda Connie, riportandolo alla realtà.

Dave le lancia il fascicoletto di fogli che tiene in mano, per poi estrarre dalla tasca della giacca una sigaretta e un pacchetto di fiammiferi.

-Ho delle novità- le riferisce, sibillino.

Osserva con una punta di divertimento gli occhi della ragazza spalancarsi sorpresi, per poi vedere le sue mani scorrere febbricitanti i fogli.

-Cosa… come…- si limita a balbettare la ragazza, leggendo stralci di frasi qui e lì.

-Erick mi doveva un favore- risponde, alzando le spalle ed espirando una nuvoletta di fumo.

-Hai detto a Erick…-

-… che stiamo seguendo una pista, sì. Per un caso. Ma che è ancora solo una teoria e che quindi non è il caso di far sperare inutilmente il Commissario- le spiega, nascondendo il divertimento per il colorito pallido assunto dalla partner all’idea che Scott sapesse della loro folle impresa.

Connie si morde un labbro, tornando poi a leggere avida quelle pagine.

-Vai a pagina quattro- le suggerisce un attimo dopo, inalando una boccata di fumo. La ragazza sfoglia febbrile i fogli.

-Lily Evans e James Potter, vittime di un incidente d’auto- borbotta sconsolata. –La pista si chiude allora- biascica con un filo di voce, delusa per aver perso l’unica vera traccia che aveva mai avuto in dodici anni.

-Per la versione ufficiale sì, ma Erick ha avuto accesso a una parte dei file secretati. Ha detto che per gli altri ci vorrà tempo, ma intanto leggi qui- le consiglia il collega, passandole un paio di fogli dall’aria consunta.

-Trentun ottobre 1981- le consiglia a bassa voce. –Duplice omicidio-.

-Lily e James Potter!- urla Connie, voltandosi raggiante verso il collega che, visibilmente soddisfatto, getta per terra la sigaretta e la calpesta con la scarpa.

-Come diavolo ha fatto Miller ad avere queste informazioni? Ci vuole il permesso del Commissario per accedere all’archivio! Questo file è secretato!- lo aggredisce Connie, osservando le limitazioni al diritto di accesso a quella documentazione scritte in calce ai fogli.

-Beh, è Erick che cura l’archivio- le ricorda con soddisfazione il ragazzo, gonfiando il petto orgoglioso.

-Sei un genio!- si complimenta sincera la ragazza, sorridendogli con il volto arrossato.

David si schiarisce la gola, improvvisamente secca. –E non hai ancora visto il meglio- le assicura, prendendole di mano i fogli e indicandole delle parti cerchiate a penna.

-Il caso non è stato risolto- legge Connie, fissando il collega con aria perplessa. –A dire il vero non c’è mai stata una vera e propria indagine. Guarda! I rilievi sono sommari, le autopsie sui corpi incomplete… avevi ragione. In questa storia qualcosa non quadra- le annuncia, serio.

Constance schiocca le labbra, preoccupata.

-Ma… e adesso?- gli chiede, dubbiosa. –Che cosa facciamo?-

-Erick ha detto che continuerà a cercare informazioni, su queste due vittime e anche sugli altri nomi che mi hai dato- la informa, pratico, prima di chiudere con uno scatto la cartellina e fissarla con uno sguardo preoccupante.

-Mentre noi, questo pomeriggio, siamo di pattuglia-.

 

-Qui? Sei sicuro?-

-Sì!- sbotta Dave, esausto da quella continua domanda.

-Ok, come vuoi. Sei tu il capo…- lo prende in giro la partner, sorridendo poi dell’occhiata di rimprovero riservatale.

L’agente Canter spegne infastidito la sigaretta, appoggiandosi deluso alla scrostata staccionata.

Beh, certo, non s’aspettava di trovare quello.

No, è impossibile.

Riafferra con rabbia le carte dategli dal tecnico informatico, rileggendo con attenzione l’indirizzo.

-Quindi? E’ qui?- insiste di nuovo Connie, con quell’inflessione stupida e cantilenante che Dave proprio non sopporta.

-Ok, ascoltami bene agente White. Ripeti ancora una volta la parola “qui” e…- minaccia, voltandosi verso la collega che, con aria falsamente innocente, lo fissa in attesa.

Da quando esattamente si è innamorato di lei, David non saprebbe dirlo con certezza.

Forse è stata quella volta dell’inseguimento dello scippatore sul Tamigi, quando lui è caduto in acqua e l’ha vista ammanettare il ladruncolo con le lacrime agli occhi per le risate.

O forse quella volta che, durante l’appostamento davanti al Tate Modern, si è addormentata e ha iniziato a russare così forte da spaventare gli spacciatori e lo ha obbligato a chiamare i rinforzi per riuscire a prenderli.

O forse ancora quella volta che l’ha trovata al cimitero, sulla tomba di suo padre. “Ha detto delle belle cose ai funerali di papà” si era giustificata, dandogli bruscamente in mano quel mazzo scolorito di gladioli per poi allontanarsi veloce nella nebbia londinese.

No, non sa dire con esattezza quando è successo.

Sa solo di essere in grossi guai.

-E…?- insiste Connie, imbarazzata dallo sguardo espressivo del collega fisso da diversi secondi su di lei.

-La-lascia stare…- brontola Dave, interrompendo immediatamente il contatto visivo e tornando a studiare quei fogli.

Constance espira delusa, appoggiando i gomiti all’arrugginito cancello che, sotto quel peso, cigola sinistro. –Che facciamo ora?- domanda, finalmente seria. –Tutti questi chilometri per niente…- biascica stizzita, calciando con rabbia un sassolino sulla strada. –Mi dispiace di averti coinvolto in tutto questo…- si scusa, osservando con interesse la punta delle proprie scarpe.

David, assorto nella lettura, grugnisce qualcosa, cercando un’altra traccia da poter seguire per svelare quel mistero.

-Questo è l’ultimo nonché l’unico indirizzo della famiglia Potter. Stando alle carte qui dovrebbe sorgere una casa, dove fra l’altro è stato commesso il duplice omicidio dei coniugi Potter- riassume velocemente, fissando poi allibito il terreno incolto e le erbacce ingiallite racchiuse da quello steccato. –Però…-

-Però qui non c’è niente1- conclude con ovvietà la ragazza, stiracchiando la testa. –L’ennesima stranezza in questo mistero- sibila sottovoce, appuntando sull’agendina casa dei Potter, Godric’s Hollow2. Prato incolto.

-Potrebbe essere stata distrutta? O bruciata? Un incendio, magari- ipotizza, appuntando ogni opzione sull’agendina.

David scuote la testa. –Erick lo avrebbe trovato- argomenta, guardando con sospetto le villette a fianco del giardino recintato.

-Ehi, signore!- urla Connie, attraversando la strada di corsa e fermando un passante dall’aria torva. –Agente White, Scotland Yard. Può rispondere a qualche domanda?- recita, mostrando con una punta di orgoglio il lucido distintivo. L’uomo la squadra con disgusto, osservando con particolare ribrezzo la pistola che la giovane ostenta al fianco. –Bah, Babbani…- mugugna, prima di allontanarla bruscamente e di incamminarsi lungo la via.

-Co-co…- inizia a balbettare la ragazza, arrabbiata. –Come mi ha chiamata? Babana? Cosa… cosa diavolo… io lo arresto!- minaccia inviperita, muovendo qualche passo verso la schiena ricurva dell’uomo.

-Lascia perdere- le urla dietro il collega, fermandola un attimo prima che potesse estrarre le manette. –Godric’s Hollow non è certo famosa per l’ospitalità riservata agli stranieri. E presentarsi come uno sbirro non è mai un buon biglietto da visita in posti come questo, non credi?- la rimprovera, richiudendo ordinatamente il fascicolo e osservando torvo il prato incolto.

Connie lo raggiunge con una corsetta, borbottando offese e appuntando la parola Babana? Babbana? sulla solita agenda.

-Torniamo in centrale?- prega, visibilmente infastidita dal mancato rispetto dimostratole dal vecchio di prima.

-Non ancora…- mormora Dave, iniziando a spingere e tirare con forza il vecchio cancello nella speranza di vederlo cedere.

-La violazione di proprietà privata è un reato…- gli ricorda canzonatoria Connie, incuriosita dai suoi movimenti.

-White, taci- la zittisce scherzosamente lui, senza nascondere un sorrisino nel notare come le parti fra loro si siano momentaneamente invertite. L’idea di fare il “cattivo ragazzo”, per una volta, non lo infastidisce.

Non senza problemi, Dave riesce a scavalcare lo steccato, addentrandosi di qualche passo verso il centro del giardino.

-Che vuoi fare?- gli domanda Connie, sporgendosi incuriosita oltre la staccionata e guardandosi attorno.

-Visto che siamo qui…- biascica il ragazzo, accucciandosi verso il terreno ed estraendo dalla tasca un sacchetto di plastica. –Tanto vale provare, no?- spiega, indossando un guanto di lattice e inserendo terriccio nella busta. –Magari il re del laboratorio trova qualcosa di utile- conclude, causando a Connie un sorriso nel sentire il soprannome che i colleghi hanno affibbiato al fratello Chaz.

-Fuori!-

Connie si volta spaventata, ritrovandosi faccia a faccia con una vigorosa vecchietta. –Esca da lì, subito!- ripete con un tono isterico e reggendo in mano quello che deve essere un ferro da maglia ma che la vecchietta si ostina a brandire come una pericolosa arma.

Dave infila velocemente la busta in tasca, sorridendo cordiale. –Ehi, buongiorno!- saluta, raggiungendo a gran velocità la collega e bloccandole il polso in modo da impedirle di estrarre il distintivo.

La donna, incurvata dagli anni, con un sottile strato di barba sotto il mento, grugnisce un’altra minaccia, invitando il ragazzo a uscire da lì. –Non avete alcun rispetto!- li accusa, sputacchiando saliva sull’impermeabile elegante del ragazzo.

-Mi scusi…- ridacchia David, abbracciando poi all’improvviso Connie alla vita e causando un rossore diffuso sul volto della ragazza. –Non volevamo dar fastidio-.

-G-già- si limita a balbettare Constance, facendo forza su se stessa per sembrare di essere a proprio agio in quell’abbraccio.

La vecchia borbotta qualcosa, riponendo con una certa cura il ferro nella manica del vestito. –Stupidi Babbani…- la sente chiaramente borbottare Connie, appuntandosi mentalmente di fare una ricerca sul dialetto della zona per capire come, esattamente, la stessero offendendo.

-Sa, io e la mia fidanzata...- inizia a raccontare Dave, stringendo di più l’abbraccio attorno alla collega, -… ci sposiamo quest’estate. Giusto, amore?-

-C-certo caro!- risponde prontamente Connie, ricordando come, durante l’addestramento, quelle battute le fossero venute molto più naturali.

La vecchietta li squadra sospettosa, tirando di quando in quando su con il naso.

-Questo villaggio ci piace davvero molto, giusto amore? Stavamo pensando di prendere casa qui quando Connie ha visto questo lotto di terra… “UAO” ha esclamato. “E’ qui che vorrei far crescere i nostri figli!”- inventa David studiando la vecchietta che, guardinga, sembra assorta in chissà quali pensieri.

Constance, dal canto suo, ha ormai raggiunto un colorito eccessivamente rosso per essere ritenuto naturale. –G-già- si limita a confermare, con una voce flebile.

-Sa per caso se è in vendita?- s’informa il poliziotto, fingendosi sinceramente interessato.

-Non provare a imbrogliare Bathilda Bath3, ragazzo- lo informa la vecchia, fissandolo minacciosa. –Voi non sapete cos’è successo qui…- specifica, passando lo sguardo su Connie che, in quel momento, avverte un brivido di freddo in contrasto con il caldo del volto.

-Cosa non sappiamo?- la incalza veloce David, avvicinandosi al volto della donna. –Cos’è successo qui? Forse vuole dirci qualcosa riguardo all’omicidio dei Potter?-

La vecchia allontana il volto pulito del ragazzo con una leggera spinta, iniziando a camminare incerta lungo la strada.

-Andatevene!- li minaccia, con voce rauca e stentata. –E non ficcate il naso in faccende che non vi riguardano. Potreste mettervi nei guai-.

David sbuffa, deluso di non essere riuscito a carpirle nessuna informazione mentre Connie si appoggia allo steccato, riprendendo fiato.

-Tutto bene?- s’informa perplesso, notando l’imbarazzo evidente sul volto della collega e sentendosi oltremodo gratificato.

Constance lo fulmina con lo sguardo. –Idiota- si limita ad apostrofarlo, per poi appuntare il nome Bathilda Bath e i vari avvertimenti sull’agenda.

-Perché?- domanda maligno, sorridendo verso di lei.

Connie si volta emozionata, iniziando a incamminarsi verso il luogo dove avevano lasciato la volante.

-Non farei mai, e dico mai, crescere i miei figli qui- puntualizza stizzita, ignorando le risatine di scherno alle sue spalle.

-Oh, perché no, White? E’ un ridente villaggio della campagna londinese…- insiste David, affiancandola.

-Hai visto che gente vive qui?- gli fa di rimando la ragazza, strizzando gli occhi.

-E poi, l’idea di passare davanti a quest’orribile monumento ai caduti4 tutti i giorni mi disgusta-.

 

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Note:

 

1.    Qui, la notte del 31 ottobre 1981, persero la vita Lily e James Potter. Il figlio Harry è l'unico mago mai sopravvissuto all'Anatema che Uccide. La casa, invisibile ai babbani, è stata lasciata intatta nel suo stato di rovina come monumento ai Potter e in ricordo della violenza che distrusse la loro famiglia” da Harry Potter e i Doni della Morte

2.    Alla firma dello Statuto Internazionale di Segretezza nel 1689, i maghi entrarono in clandestinità per sempre. Fu perciò una conseguenza natura-le il formarsi di piccole comunità all'interno di altre comunità. Molti pic-coli villaggi e borghi attirarono svariate famiglie magiche, che si unirono a reciproco sostegno e protezione. I villaggi di Tinworth in Cornovaglia, Upper Flagley nello Yorkshire e Ottery St Catchpole sulla costa meridio-nale dell'Inghilterra furono celebri dimore di gruppi di famiglie magiche che vissero fianco a fianco con tolleranti e qualche volta Confusi Babbanida Harry Potter e i Doni della Morte

3.    “Harry pensò, anche se era difficile a dirsi, che fosse una donna. Avanzava lentamente, forse per timore di scivolare sulla neve. La schiena curva, la stazza, il passo in-certo suggerivano un'età molto avanzata”; “«Bathilda Bath vive a Go-dric's Hollow?» «Oh, sì, da sempre!»” da Harry Potter e i Doni della Morte

  1. “Al centro, adorno di luci colorate, c'era un monumento ai Caduti” da Harry Potter e i Doni della Morte

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Capitolo 5
*** Capitolo quarto ***


Chester White è sempre stato orgoglioso del suo lavoro

 

 

 

Chester White è sempre stato orgoglioso del suo lavoro. Quando il padre morì aveva appena sedici anni e all’ospedale, piangente alla vista della sorellina sconvolta, giurò a se stesso di fare qualcosa.

Fare in modo che quei criminali la pagassero.

Era presto entrato in polizia e, sfruttando le sue abilità con le scienze, si era guadagnato una laurea in Chimica ed era arrivato ad assumere un’alta carica all’interno della Polizia Scientifica in breve tempo.

Papà sarebbe fiero di lui, si ripete spesso, accarezzandosi i baffetti inglesi che gli ricordano così tanto il volto paterno.

Adesso ha superato il senso di colpa dei sopravvissuti, è riuscito ad accettare la tragedia capitata alla sua famiglia e ad accantonare gli stupidi istinti vendicativi che avevano contraddistinto la sua adolescenza.

Ma quando, in rare, rarissime occasioni, gli capita di non capire, di non riuscire a risolvere un quesito scientifico, la vecchia rabbia si rifà velocemente sentire.

-Quindi, Chaz, non lo sai- lo sfotte la sorella, dandosi una lenta spinta con i piedi e facendo ruotare lo sgabello girevole su cui è seduta.

Chester si allontana dal microscopio, appuntando diligentemente l’ennesima teoria sul foglio di carta.

-No, Constance. Non l’ho ancora scoperto, non è la stessa cosa- ribatte piccato. Se c’è una cosa che lo infastidisce più del rumore delle mandibole di chi mastica a bocca aperta, sono proprio le affermazioni come “non lo sai”.

Si riavvicina con aria seria al campione di terriccio, analizzandolo in controluce attraverso la provetta dove lo ha messo a navigare.

Lo sa bene. Se qualcuno –Scott- venisse a sapere che spende risorse pubbliche per assecondare le follie della sorella, non ci penserebbero due volte a sbatterlo fuori. Lui non condivide le tesi idiote di Constance, no. Se il verbale dice fuga di gas, per Chaster White è sufficiente.

Una banalissima fuga di gas ha causato la morte di tredici persone, il ferimento di altre sei e lo sconvolgimento di un numero sproporzionato di vite.

Ma il fatto che il fenomeno risulti scientificamente inspiegabile è un’altra cosa.

-Chaz… lo scoprirai?- domanda quindi Connie che, stufa di rimanere seduta, ha iniziato a girovagare per i laboratori del seminterrato del New Scotland Yard.

-Mi sembra ovvio- borbotta offeso il fratello, aggiungendo qualche goccia di diluente al composto per poi alzarsi a controllare se sono arrivati i risultati del test fatto prima.

Chester sa di non godere di buona fama presso i colleghi. Lo chiamano lo Scienziato dei Particolati oppure Nostro Signore delle Provette e in chissà quanti altri modi ironici. Ma nessuno di questi lo turba in alcun modo. In effetti è uno scienziato e così dannatamente bravo da ritenere opportuna anche la qualificazione di dio. L’unico nomignolo che non ha mai sopportato è quello stridulo Chaz che la sorella gli ha affibbiato in tenera età e da cui teme che non riuscirà mai a liberarsi.

-E’ strano- inizia a spiegare, leggendo il grafico colorato appena arrivato via fax. –Apparentemente non è una sostanza conosciuta- spiega a Connie che, incuriosita, lo ha raggiunto e appunta diligentemente le parole del tecnico sull’agenda.

-Quindi cos’è? Una sostanza aliena?- chiede perplessa la ragazza, piegandosi sul tavolo per osservare al microscopio una parte del terreno rubato a Godric’s Hollow. Due spirali, oro e verde, si intrecciano sotto i suoi occhi, per poi sciogliersi e ricomporsi con i colori rosso e nero. Chester l’allontana con un colpo d’anche, indispettito. Odia che qualcuno s’intrometta nel suo lavoro o utilizzi le sue delicatissime apparecchiature tecniche.

-Non dire sciocchezze- la rimprovera, rimettendo a fuoco il microscopio e appuntando su un foglietto le sostanze chimiche con cui tenterà di far interagire il terriccio.

-Però, in sostanza, non hai nessun elemento utile alle mie indagini!- si lamenta la sorella, colpendolo in modo infantile alla spalla.

-Constance, sono uno scienziato, non un mago! Quante volte devo dirtelo? Le analisi scientifiche richiedono tempo, pazienza, osservazione e…-

-Trovato!-

Le porte bianche del laboratorio di analisi scientifica di Scotland Yard si spalancano con impeto, lasciando entrare la figura esaltata dell’agente David Canter.

Chester storce la bocca, muovendo veloce i baffi da una parte all’altra, per poi tornare serio ad analizzare il campione di terra. Non gli è mai piaciuto quel Canter.

-Hai trovato qualcosa, Dave?- lo interroga con urgenza la sorella, allontanandosi di corsa dal tavolo delle analisi per quasi gettarsi fra le braccia del partner.

Chester grugnisce ad alta voce, appuntando con stizza diverse formule che, in quel momento, non lo interessano molto. Sa cosa diceva Dave su di lui e poi su Constance quando sono entrati a Scotland Yard. E, all’inizio, non lo infastidiva. Ma, ultimamente, ha sentito delle voci di corridoio che lo insospettiscono non poco. E lo sguardo limpido che l’agente sta lanciando a sua sorella sembrano confermare quelle voci.

-Su Potter non c’è niente, sembra un fantasma…- si lamenta David, scorrendo i fogli. –Nessun certificato di nascita, nessuna patente, nessun precedente…- elenca con urgenza, passando ad ogni parola un foglio diverso alla collega che, veloce, scorre con lo sguardo le scritte.

Chester sbuffa rumorosamente, notando con fastidio l’indifferenza generale in cui è caduto. Quel ragazzo non gli piace per niente. E’ esageratamente allampanato, con le spalle strette e la testa sproporzionata. E poi quelle orecchie a sventola! Inguardabili, davvero.

-Però ha trovato informazioni sulla moglie Lily, Evans il cognome da nubile- spiega esaustivo il ragazzo, mostrando il certificato di nascita della donna e gli atti di iscrizione delle elementari in una banale scuola di città. –Avevano anche un figlio, Harry, appena un anno al momento del duplice omicidio-.

Connie sfoglia febbrile gli atti, fermandosi di quando in quando per annotare i dati che ritiene fondamentali sull’agenda che, in quei giorni, è aumentata in modo evidente di spessore. –Qui dice che Harry è stato affidato agli zii…- consta, sottolineando con la penna una riga di un atto.

-Ecco qui! Petunia Evans in Dursley, sorella di Lily- sorride David, consegnandole una cartelletta voluminosa dove spicca la fotocopia della patente di un certo Vernon Dursley.

-E tu Chester? Scoperto qualcosa?- domanda quindi a bruciapelo, osservando le occhiate di fuoco che lo scienziato manda in loro direzione.

-Solo ipotesi- brontola Chaz, tornando alle sue amate provette. –Questa sostanza non è presente in natura e non è conservata in alcuna banca dati, ma questo non vuol dire che sia del tutto sconosciuta- specifica, riorganizzando i fogli sul tavolo e appuntandosi mentalmente gli altri test cui potrebbe sottoporre il terriccio.

-Mi sento di fare due ipotesi: o i Potter lavoravano per il Governo e stavano progettando una nuova arma per il Regno Inglese…- spiega, nascondendo il tremore all’idea di un laboratorio con sostanze tossiche in un villaggio piccolo come Godric’s Hollow. –Oppure potevano essere due persone sotto la protezione testimoni, uccisi magari da un’arma biologica qui da noi ancora sconosciuta- termina, senza giustificarsi però il motivo per cui Scott non gli avrebbe già chiesto di risalire a quella sostanza se pericolosa per il Governo.

Constance appunta diligentemente le ipotesi sull’agenda, masticando dubbiosa il tappo della penna. –Non lo so Chaz, non sono del tutto convinta…- gli confida, storcendo il naso.

-Farò un confronto con i reperti della Strage di Tooley Street se è questo che vuoi dire- la informa spazientito. –Bombarderò quei sassi con le stesse radiazioni che ho usato su questa terra, magari salta fuori qualcosa. Ma già sarà difficile raggiungere quelle prove, non mi chiedere di riesumare anche il dito di Minus!- la minaccia, riabbassandosi sul proprio microscopio.

-Sei il migliore Chaz!- lo gratifica la sorella, ignorando lo sbuffo incredulo di David.

-Noi, invece…- lo informa sorridente Connie, raccattando veloce i documenti. –Faremo un giretto a Little Whinging-.

 

-Tuo fratello mi odia- le comunica laconico Dave, camminando per quella stradina lineare costeggiata da casette tutte uguali.

-Chaz odia tutti- specifica Connie, scorrendo con interesse l’agendina e controllando di averla adeguatamente aggiornata con i rapporti di parentela.

L’agente David Canter fa spallucce, prendendo l’ultima boccata del mozzicone di sigaretta per poi gettarla per terra e calpestarla. Una vecchia signora lo squadra disgustata dalla propria veranda, ammonendolo con lo sguardo. Dave, intimorito, si abbassa a raccogliere la cicca, per poi gettarla nel vicino cestino.

-Però è il migliore- si vanta Constance, sorridendo al collega in quel modo spontaneo e fresco che, David, non riesce proprio a sopportare. L’agente si sistema infatti meglio il colletto dell’impermeabile, riprendendo a camminare.

-Privet drive...- recita la ragazza, fissando con curiosità i numeri delle case. -…numero quattro!- trilla alla fine, indicando al collega una casa larga, squadrata, di media grandezza, con un curato giardino e una serra dall’aspetto precario.

-E qui?- domanda Dave, affiancando la collega e cercando di individuare qualche movimento attraverso le finestre.

-Qui… cosa?- chiede la ragazza, internamente elettrizzata all’idea di andare a parlare direttamente con quella che doveva essere la persona meglio informata dei fatti sull’omicidio dei coniugi Potter, di conseguenza su Sirius Black e, quindi, sulla Strage di Tooley Street.

-Qui alleveresti i tuoi figli?- la prende in giro, passandosi la mano sul mento e causando un piacevole suono di raschiamento dovuto alla barba di due giorni.

Connie fa una smorfia, analizzando con aria critica la via. – Nah…- strascica alla fine, scuotendo la testa. –E’ un quartiere troppo medio-borghese per i miei gusti. Scommetto che nessuno in questa strada sa farsi gli affari suoi- borbotta, suonando con trepidazione il campanello che, laconico, recita “Famiglia Dursley”.

-Sai che qualche giorno fa hanno avvistato un “oggetto volante non identificato”1 che sembra essere partito proprio da questa zona?- la informa il collega, mentre una vocina acuta da dentro casa urla un “arrivo!”.

-Ma per favore…-

-Giuro! E l’anno scorso, sempre in questo periodo, è stata avvistata invece una macchina volante2- conclude David, ridacchiando per la ridicolaggine di certe informazioni che vengono scritte sui giornali.

-Sì?-

Una donna magra, con un collo eccessivamente lungo e un profilo equino li squadra interessata.

-Petunia Dursley?- si informa prontamente l’uomo, tornato improvvisamente serio.

La donna passa lo sguardo acquoso dall’una all’altra delle figure, tenendo ben salda la porta. –Chi siete?- domanda poi, con un filo di voce, mentre inizia a guardare in strada sperando che nessuno li stia osservando.

-Agente Canter, Scotland Yard- si presenta con la solita frase David, mostrando il distintivo. –E questa è la mia collega, l’agente White- l’informa, mentre Connie mostra con eccessivo zelo il tanto amato distintivo.

-La polizia?- domanda la signora Dursley, spalancando gli occhi preoccupata. –E’ forse successo qualcosa al mio Diddy?- domanda isterica, aprendo la porta con slancio e fissandoli con ansia. –O forse un incidente alla Grunnings? Vernon sta bene?- si affretta a chiedere, muovendo un passo incerto sull’uscio di casa.

-Va tutto bene, signora, non si allarmi- si affretta a chiarire David, muovendo lentamente le mani come se dovesse ammansire un animale feroce.

Petunia sorride rasserenata, per poi passarsi una mano sui capelli perfettamente in ordine e sul grembiule macchiato di detersivo.

-Oh… e… allora, cosa…- balbetta, aggrottando la fronte incapace di capire il motivo della visita.

-Avremmo bisogno del suo aiuto, signora Dursley- la informa Connie, lanciando uno sguardo d’intesa al collega, capendo che quella versione è la migliore con quel tipo di interlocutrice.

-Il mio aiuto?- ripete interdetta Petunia, sorpresa.

-Possiamo entrare?- domanda quindi veloce David, sorridendole cordiale.

-Oh! Certo, certo! Venite, venite!- li invita la donna, elettrizzata all’idea di avere due agenti di Scotland Yard in casa.

Chissà cos’è successo!

Magari qualche vicino ha combinato qualcosa di losco e hanno bisogno della sua testimonianza?

O forse è un’indagine per accertarsi della sicurezza della zona? Beh, dopo la fuga di quel Black non sarebbe neppure una cattiva idea…

-Entrate, entrate!- chioccia giuliva, facendo loro strada per lo stretto corridoio e togliendosi con gesti secchi il grembiule fiorito.

-Non… non mi aspettavo delle visite, perdonate il disordine! Ma prego! Volete darmi i cappotti?- domanda, da perfetta padrona di casa.

Connie nasconde un sorrisino dietro le spalle del partner che, gentile, fa cenno di no col capo e prende posto sulla poltrona del soggiorno, lasciando alla collega la possibilità di sedersi di fianco alla donna sul divano.

Petunia, però, non ne ha la minima intenzione. –Che cosa posso offrirvi? Tè?- chiede, retorica, dirigendosi a passo svelto nella cucina attigua.

David nasconde una smorfia d’insofferenza, causando un sorrisino tirato della collega che, lesta, estrae l’agendina e annota veloce i particolari della casa.

-Ecco qui!- trilla allegra Petunia un attimo dopo appoggiando sul basso tavolino tre tazzine vittoriane da tè e un’alzata per pasticcini su cui Connie si avventa senza tanti complimenti. David, dal canto suo, ringrazia accoratamente, afferrando la propria tazza e iniziando a bere lentamente mentre la padrona di casa non smette di parlare.

-… e poi questa fuga, quest’evasione!- continua la donna, attirando con queste parole l’attenzione dei due agenti.

-Sta parlando di Black?- azzarda Constance, sbocconcellando un dolce alla crema semplicemente delizioso.

La donna annuisce con impeto. –Lo abbiamo sentito al telegiornale! Che cosa sconcertante…- borbotta Petunia, prima di prendere un piccolo sorso di tè. –Ma lo state cercando, vero? Siete vicini a riportarlo in prigione?- s’informa lesta, avida di informazioni su cui poter spettegolare.

-Noi veramente…- inizia a rispondere Dave, immediatamente interrotto.

-Non mi starete per dire che sta vagando proprio qui, a Little Whinging!- scatta, allarmata.

-No signora, assolutamente…- si affretta a rispondere David, cercando di calmarla.

-Beh, ma se ci diceste almeno da quale carcere è evaso, penso che saremmo più attenti. Al telegiornale danno sempre informazioni troppo vaghe e noi cittadini ci sentiamo tenuti all’oscuro- li informa, lanciando un’occhiata perplessa a Connie, sorpresa della voracità della ragazza.

-E’ proprio per questo che siamo qui- la informa Constance, schioccando le labbra dopo un sorso di tè.

–Signora Dursley, potrebbe rispondere a qualche domanda?- le dice sbrigativo David, visibilmente sconcertato dalla quantità sproporzionata di foto di un ragazzino biondo e corpulento appese per tutto il salotto.

-Oh, ma certo!- accetta con piacere la donna, sempre più lusingata dell’importanza che sembrava rivestire in quel momento.

Connie estrae lesta l’agenda dalla tasca e, a un cenno convenuto, David inizia a parlare.

-Cosa sa di Black, signora Dursley?-

-Oh, beh… quello che hanno detto i giornali- trilla allegra, agitando le mani come per scacciare una mosca molesta. Connie appunta diligente. Non conosce il sospettato.

-E che cosa sa della Strage di Tooley Street?- l’incalza David, cercando di mantenere il contatto visivo con gli occhi della donna.

Petunia aggrotta le sopracciglia, sforzandosi di ricordare. –Tooley Street ha detto? Non mi dice nulla… se non… aspetti… non si riferirà per caso a quel terribile incidente avvenuto anni fa?- domandò incuriosita, osservando il volto inespressivo di David.

-Precisamente-.

-Oh, fu un vero disastro. In quell’esplosione morirono una decina di persone e…-

-Tredici- la interruppe Connie, punta sul vivo, prima di ammutolire di fronte all’occhiata di rimprovero del collega.

-Ma pensate che c’entri in qualche modo con Black?- domanda quindi, terribilmente incuriosita.

-Stiamo vagliando diverse ipotesi- replica evasivo l’agente, schiarendosi poi la voce con un suono gutturale per prendere tempo.

-So che questa domanda le aprirà vecchie ferite signora, ma devo fargliela. Cosa può dirci della morta di sua sorella, Lily Evans?-

Connie trattiene il fiato, sporgendosi dalla sua postazione verso la donna per osservarla meglio.

Petunia Dursley a quel nome, è improvvisamente impallidita e le labbra, prima sorridenti e ciarliere, si vedono ora strette e tremanti.

-Un incidente, un terribile incidente- risponde lapidaria Petunia, iniziando a fissare il contenuto della propria tazza e a rigirarsi l’elegante piattino fra le mani.

Dave lancia un’occhiata d’intesa alla collega che, lesta, appunta ogni domanda e ogni risposta.

-Un incidente, signora? Ne è sicura?- precisa l’uomo, sporgendosi dalla poltrona.

-Un incidente in macchina, sì- conferma risoluta la donna.

-Vuole forse dirci che la polizia dell’epoca non le disse che sua sorella e suo cognato furono vittime di un assassino?- insiste David, notando il comportamento completamente fuori dagli schemi della donna.

Una persona normale che, davvero, scoprisse in quel momento che la morte della sorella fu un assassinio, non rimarrebbe certo rigida in quella posizione.

-Non voglio parlarne…- si limita a strascicare Petunia Dursley, a labbra strette.

-Signora Dursley, so che è difficile, ma per il bene di sua sorella e suo nipote Harry deve aiutarci…- persevera caparbio David.

-Ho detto che non voglio parlarne-.

-Harry è in casa?- interrompe Connie, attirando su di sé l’attenzione della donna, con la speranza di distoglierla da pensieri tristi.

A sorpresa, però, quella domanda sembra altrettanto inopportuna.

-E’ a scuola- dice, con astio. –E ci rimarrà fino alla prossima estate, fortunatamente- conclude, depositando la tazza sul tavolo con un sinistro tintinnio.

-Che college frequenta?- si affretta a chiedere, Connie, mentre David nota con stupore che le foto in quella stanza sono tutte dello stesso ragazzino mentre, in base alle informazioni, i giovani che abitano in quella casa dovrebbero essere due.

-Il Centro di Massima Sicurezza San Bruto per Giovani Criminali Irrecuperabili!- sbotta la donna, spalancando gli occhi sinceramente arrabbiata.

Connie storce il naso, appuntando quel nome e andando a rimpinguare l’elenco di “scuole mai sentite prime e, probabilmente, non esistenti”, come quell’Ogwatz che doveva aver frequentato il povero Peter Minus con i suoi amici.

-Quello è Harry?- interviene David, indicando con un cenno del capo una delle tante cornici che decorano il salottino.

-No!- sbotta la donna. –Ovviamente no! Quello è il mio Diddy!- ribatte offesa.

-E, adesso, dovete andarvene- ordina, imperiosa, alzandosi in piedi e aspettando con ansia di essere imitata dai due.

Connie, dal canto suo, fissa stranita David che, sorridente e imbarazzato, imita la donna.

-Signora, non volevamo…-

-Devo preparare la cena, Vernon sarà a casa fra un’ora e non ho ancora cucinato nulla- li informa solerte, incamminandosi a passo svelto per lo stretto corridoio.

Constance, perplessa, afferra un ultimo pasticcino prima di seguirli spedita.

-Signora Dursley- interviene alla fine, un attimo prima di uscire dalla porta, -Può dirci il nome di qualche amico di sua sorella? Una compagnia che frequentava, o qualsiasi altra persona che possa esserci di aiuto, che sia ben informata?- domanda dolcemente.

-No, nessuno- ribatte prontamente la donna, sbrigandosi a chiudere la porta. Prima però che la serratura scattasse del tutto, David riesce a infilare un piede nella fessura.

-Se preferisce possiamo tornare con un mandato. O, forse, vuole seguirci adesso in centrale per rilasciare una deposizione? Chissà cosa penseranno i vicini…- minaccia, pregando in cuor suo che non accetti una di queste ultime ipotesi vista l’indagine non autorizzata che stanno svolgendo.

Petunia passa gli occhi da uno all’altro degli agenti, soppesando attentamente se parlare e essere lasciata in pace o tacere e essere additata poi dai vicini come una delinquente. Oh, al diavolo. Ci penserà lui a risolvere quel problema, lei non vuole saperne nulla.

-Severus Piton- svela alla fine, chiudendo con uno scatto sinistro la porta.

 

-Lei ha chiamato il numero speciale per l’avvistamento dell’evaso Sirius Black, agente Miller all’apparecchio- cantilena annoiato Erick, aggiungendo anche quella chiamata al lungo elenco che aveva sul tavolo.

Chester White, appena entrato in archivio, fa un cenno rigido con il capo, dirigendosi poi a passo svelto dove sono conservati i reperti.

Sarebbe proprio curioso di sapere cosa cerca l’Artigiano del Matraccio fra le vecchie prove. E’ da troppi giorni ormai che risponde al telefono appuntando falsi avvistamenti di Black in giro per il Regno Unito, non ce la fa più, perfino quella visita inaspettata gli stuzzica la curiosità più del dovuto.

Quelle chiamate sono snervanti.

Un vecchio diceva che era certo che fosse lo studente cui aveva affittato una camera della vecchia casa dove viveva, mentre in realtà voleva solo liberarsi dell’affittuario moroso. Una ragazza aveva testimoniato che, invece, Black avesse preso il posto di un cantante che suonava sempre nel locale che frequentava, mentre in realtà era solo un modo per poter parlare con il ragazzo di cui si era innamorata.

-L’ho visto!- urla la donna nell’apparecchio, facendo sobbalzare Erick sulla sedia. –Era Black! Aveva lo stesso sguardo indiavolato! Oh, ho temuto che mi uccidesse- confessa concitata la donna.3

-Dove lo ha visto, signora?- domanda gentile Miller, appuntando le coordinate geografiche sul foglio e controllando la cartina della Scozia.

-Un altro avvistamento?- domanda con voce monocorde Chester White, appoggiando la scatola di cartone con l’etichetta Strage di Tooley Street sulla scrivania del collega mentre questi conclude la telefonata.

Erick annuisce, segnando i dati della testimone sul computer. Sembra attendibile.

-Ci puoi scommettere, amico! E forse questa è la volta buona- sorride Miller, allungando al collega i moduli da compilare.

Chester muove i baffi, indispettito. –Devi farli firmare dal Commissario?- domanda, analizzando con sospetto le carte.

-Già… e compilali veloce, così lo informo anche sulla nuova testimonianza- aggiunge l’uomo, alzandosi in piedi e passandogli una penna.

-Non basta inviare una squadra?-

Erick fissa il tecnico di laboratorio con sospetto. Lavorano insieme da anni ma mai, MAI, aveva intrattenuto con lui un discorso così lungo.

-No… la competenza è di un altro organo, il Commissario in persona passa le informazioni e se ne occupano loro- specifica, notando lo sguardo indagatore di Chester.

-Beh, allora farai meglio a sbrigarti- lo ammonisce White, prendendo la scatola e camminando a passo svelto verso l’uscita dell’archivio.

-Ehi, Mostro della Bilancia Idrostatica!- lo richiama Erick, sventolando le carte. –Non hai firmato!- gli urla dietro, prima di vedere il camice bianco del tecnico sparire nella porta.

Con uno sbuffo, Erick si risiede al tavolo, avviando una ricerca incrociata fra i reperti presi dal collega e i nomi su cui Dave gli ha detto di controllare.

C’è qualcosa che non gli quadra.

 

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Note:

 

1.    Si riferisce a zia Marge

2.    Si riferisce all’auto dei Weasley

  1. “«Ehi, Harry» disse Seamus Finnigan, allungandosi sul tavolo per pren-dere in prestito la bilancia d'ottone di Harry, «hai sentito? Pare che Sirius Black sia stato avvistato, c'era scritto sulla Gazzetta del Profeta di oggi». «Dove?» chiesero Harry e Ron in fretta. All'altro capo del tavolo, Malfoy alzò lo sguardo e si mise in ascolto. «Non lontano da qui» disse Seamus eccitato. «L'ha visto una Babbana. Naturalmente non è che ci abbia capito molto. I Babbani sono convinti che sia un criminale comune, no? Così ha chiamato il numero speciale. Quando sono arrivati quelli del Ministero della Magia, era sparito»” da Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban

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Capitolo 6
*** Capitolo quinto ***


Erick Miller viene definito dai suoi colleghi uno “scherzo della natura”

 

 

 

Erick Miller viene definito dai suoi colleghi uno “scherzo della natura”. Trentacinque anni suonati, il sogno di trasferirsi in California con l’attrice Liv Ullman, la passione per la tecnologia nelle vene, una laurea in Lingue Straniere, una in Informatica e una in Archivistica.

Un genio incompreso, insomma, con la perenne sindrome di Peter Pan in corpo.

L’uomo entra a passo svelto nell’open space, notando con disappunto la scrivania dell’amico vuota, come quella della sua collega. Si guarda attorno, trovando David all’angolo ristoro chiacchierare vicino- troppo vicino- a Connie White.

Dave è il suo migliore amico. Darebbe un rene se glielo chiedesse. Anzi, glieli darebbe entrambi se fosse necessario. Il vecchio signor Canter, padre dell’amico, lo aveva aiutato ad uscire da un brutto giro in cui si era inserito, guadagnandosi la sua imperitura gratitudine che, alla morte dell’uomo, era stata ereditata dal figlio.

-Dave!- lo chiama ad alta voce, bloccando quella che, a giudicare dagli sguardi languidi dei due, doveva essere una discussione poco professionale.

-Hai qualcosa?- gli domanda sbrigativo l’amico, afferrando senza tanti complimenti le carte che Erick teneva in mano.

L’agente archivista Miller accenna un sorriso alla ragazza che, lesta, gli offre un caffè come ricompensa.

All’inizio si era fatto delle grosse risate con Dave, prendendo in giro sottovoce la ragazza e il fratello. E lui avrebbe continuato a farlo, così come lo faceva con tutti (eccetto Dave, ovvio), se non fosse stato per l’amico che, serio, gli aveva imposto di portarle maggior rispetto.

E la cosa a Erick proprio non piaceva.

Non perché Constance fosse effettivamente una cattiva ragazza, ma quegli sguardi troppo intensi che aveva visto fare all’amico sulla figura della partner non lasciavano spazio a molti dubbi.

In ufficio era il pettegolezzo dell’anno.

Le relazioni fra colleghi erano proibite dal regolamento e, proprio per questo, la questione si faceva ancora più piccante.

-Sono tutte cose che sappiamo già queste, Erick!- lo rimprovera sottovoce Dave, chiudendo la cartellina e facendo cenno di no a una fiduciosa Connie.

-E’ tutto quello che sono riuscito a trovare- si giustifica Miller, recuperando le carte.

Non ci vuole molto a capire in che situazione si è andato a cacciare David. L’ostinata ricerca della vera causa della morte del padre da parte di Connie White non è un segreto per nessuno e, da qui, collegare tutti i nomi su cui gli hanno detto di indagare con quello di Peter Minus, altra vittima della Strage di Tooley Street, è stato facile. Se poi si aggiungono le richieste di Chester White, il puzzle è completo.

Ma per Dave, questo e altro.

Anzi, quel caso lo intriga parecchio a giudicare dalle informazioni da lui trovate.

-E sulla scuola?- domanda speranzosa Connie, appropriandosi del cestino delle ciambelle e addentandone una famelica.

-Ho cercato dovunque White, dovunque- spiega, ripercorrendo quegli ultimi mesi di scartoffie e ricerche computerizzate. –Niente. Ho cercato sotto Ogwats, Oghwarts, Hogwarts, Hogwatz… niente! La signora Minus si sarà confusa- conclude, osservando la ragazza estrarre una voluminosa agendina e cerchiare il nome della scuola su una pagina bianca, segnando poi un gran punto di domanda.

-E l’altro?- lo interroga David, massaggiandosi pensieroso il mento.

-Il Centro di Massima Sicurezza San Bruto per Giovani Criminali Irrecuperabili?- domanda retorico, estraendo un foglio dalla cartellina. –Sorpresa sorpresa… esiste. Fra gli iscritti ho trovato un Harry James Porter, un Henry James Potter, un Harry Jakob Potter… ma nessun Harry James Potter- chiarisce Erick, indicando i nomi sull’elenco degli iscritti.

-Novità dal Mago dell’Alambicco?- s’informa, sicuro ormai del coinvolgimento di Chester White in quella storia.

Connie sfoglia a ritroso le pagine, soffermandosi su quella che le interessa. –Ha trovato le stesse particelle anche su tutte le prove di Tooley Street. Dice che ha bombardato tutto con delle radiazioni che ancora non avevano al tempo della Strage e che probabilmente per questo non sono stati individuati prima. Ci sono anche sul dito di Minus!- lo informa poi, abbassando la voce e facendo attenzione che nessun altro li sentisse.

-Ma non ha ancora capito di cosa diavolo si tratti- sbotta infastidito David.

Quella situazione lo stava facendo impazzire. Erano ormai otto mesi che erano a un punto morto.

Certo Erick aveva trovato informazioni su questo Piton. Poche ma c’erano.

Nato il nove gennaio del 1960 da Tobias Piton e una certa Eileen Prince, del tutto sconosciuta a qualunque registro inglese. Il padre, al contrario, ha un certificato di nascita, una patente di guida, diversi contratti di lavoro, un paio di multe e, infine, un testamento aperto qualche anno prima, qualche giorno dopo la sua morte.

Di Severus Piton, invece, si sapeva poco. Oltre al certificato di nascita gli unici atti che lo riguardassero che Erick era stato in grado di trovare erano stati l’iscrizione a una scuola elementare, la stessa di Lily Evans, e come residenza la stessa dimora di famiglia del padre.

Però, da otto mesi lui e Connie bussavano a quella porta senza ottenere risposta e nessuno a Spinner’s End sembrava sapere nulla.

E pensare che quella doveva essere la pista giusta! Frequentava la stessa scuola della donna, da ragazzini abitavano vicini… era la persona sicuramente più informata nei fatti che potessero trovare! E invece no, quel dannatissimo Piton doveva sparire così, nel nulla!

-Io vado-.

David scosse la testa, bloccando Constance per un braccio. –Ne abbiamo già parlato…- le spiega, paziente.

-Eugene dovrà ascoltarmi questa volta!- sbotta inviperita, liberandosi con poca grazia dalla presa ferrea del collega. –Abbiamo le prove che la morte dei Potter non è stato un incidente, sappiamo che Minus e Black erano in qualche modo coinvolti in questa storia e nella Strage… dovrà ascoltarmi!- ripete, convinta, prima di dirigersi a passo di marcia verso l’ufficio del Commissario.

 

Eugene Scott espira lentamente, massaggiandosi gli occhietti sottili con due dita.

-Allora, White?- ripete, stanco.

-Non puoi farlo!- lo aggredisce la ragazza, sbattendo con impeto le mani sul tavolo e facendo cadere il portapenne sul pavimento.

-Lo sto facendo, invece- ripete, lentamente, alzandosi in piedi e allungando la mano verso di lei.

-Avanti Constance, non fare storie. Consegnami pistola e distintivo- le chiede, gentile, con un peso terribile sullo stomaco.

-Perché?!- domanda preoccupata la ragazza, stringendo convulsamente il tanto amato distintivo.

-Perché sei sospesa fino a data da destinarsi- le ribadisce, facendole cenno di consegnargli gli oggetti.

-Eugene, ho scoperto che la Strage di Tooley Street non è dovuta a una fuga di gas, che i coniugi Potter sono stati uccisi e che Black e Minus sono coinvolti in qualche modo, come anche Lupin e Piton!- gli spiega, portando l’altra mano alla pistola con fare possessivo. –Perché non ti complimenti per l’ottimo lavoro svolto e mi punisci, invece?-

-Perché ti avevo chiaramente ordinato di stare alla larga da tutta questa storia!- la rimprovera, alzando la voce tanto da, ne è sicuro, far sobbalzare anche gli agenti Canter e Miller appostati curiosi dietro la porta del suo ufficio.

-Questa storia non riguarda più solo me, Eugene! Riguarda tredici famiglie che hanno perso i loro cari, riguarda il piccolo Harry Potter rimasto orfano a causa di un assassino, riguarda Emily Ross, paralizzata dalla vita in giù a causa dell’esplosione… tutte queste persone hanno diritto di sapere!-

-E infatti sanno quello che devono sapere!-

-Non sono stati incidenti! Qualcuno ha ucciso tutte queste persone!-

-Basta, Connie!- urla il Commissario, ritrovandosi sudato come mai in vita sua.

Con passo deciso, raggiunge la ragazza, fissandola minaccioso.

-Pistola e distintivo, agente White- ripete, ostile.

Connie sbuffa, consegnandogli la pistola d’ordinanza e giocherellando con l’amato distintivo.

-Sono coinvolti anche Canter e Miller?- la interroga, con aria contrariata.

Constance gli sbatte in mano il distintivo, fissandolo torva. –Secondo te la “sindrome dell’eroe” di cui soffre Canter gli avrebbe permesso di aiutarmi in un’indagine non autorizzata? E Miller mi scondizolerebbe dietro senza averne avuto il permesso dal divin David?- gli chiede, inghiottendo a fatica l’ansia.

Scott fa un verso roco con la gola, fissando la propria porta chiusa.

-Saranno curiosi di sapere che cosa avevo da dirti di così urgente, tanto per potermi prendere in giro come al solito- bofonchia di nuovo Connie, sperando di essere riuscita a salvare almeno le carriere degli amici.

-E Chester?- chiede serio il Commissario, aggirando la propria scrivania e lasciando cadere pistola e distintivo della ragazza in un cassetto.

-Pensi davvero che il Patriota delle Beute userebbe le sue preziosissime macchine scientifiche per aiutare me?- urla, punta sul vivo. Non si sarebbe mai perdonata se Chaz fosse stato coinvolto in quella storia.

-Mmm…- brontola Eugene Scott, decidendo di credere alla ragazza, spinto più dall’affetto paterno che dalla rigidità della logica.

-Bene White, puoi andare. E non tornare fino a nuovo ordine- comanda, osservando la schiena curva della giovane uscire dall’ufficio, linciare con lo sguardo i colleghi e correre fino all’ascensore in fondo al corridoio.

Eugene espira, si asciuga il sudore sulla fronte e accarezza la cornice che tiene alla scrivania, dove la famiglia White e una sua copia di almeno quindici anni più giovane lo salutano gioviali. Mercy lo odierà a vita per quello che ha fatto, se lo sente. Però si sente responsabile per Connie, come per Chaz. Da quando il suo migliore amico è scomparso si è impegnato al massimo per aiutarli, per quanto poteva. E adesso Connie si è messa in un grosso pasticcio. La conosce, sa che se non l’avesse fermata avrebbe continuato, come un toro, a caricare a testa bassa, finché non avesse raggiunto la verità.

Ma anche solo avvicinarsi, alla verità, con quella gente lì, può essere pericoloso.

Le aveva evitato quell’intervento dodici anni prima, sperando che dimenticasse tutto, ma così non era stato. Se solo Connie avesse seguito il suo consiglio…

Alza la cornetta del telefono, scorrendo i numeri lentamente.

-Commissario Scott, Scotland Yard- recita, composto. –Passatemi il Primo Ministro-.

 

Connie inserisce il caricatore nella sua pistola personale, lucidandola ancora una volta con lo strofinaccio apposito, proprio mentre il telefono inizia a squillare insistente.

Deve essere Erick pensa, spazientita. Sua madre l’ha chiamata appena Chaz glielo ha detto, poche ore dopo la sua sospensione. Le ha promesso di sgridare Eugene la prossima volta che lo vede e, se non sentirà ragioni, lo minaccerà anche di non essere più invitato alla cena di Natale!

Chaz invece l’aveva accompagnata a casa in macchina, dopo che se l’era ritrovata nel laboratorio, in lacrime e furiosa come poche volte l’aveva vista. Le aveva promesso di parlare per lei con il Commissario e, se proprio Scott non avesse voluto sentire ragioni, avrebbe dato le dimissioni, sissignore! Non poteva permettersi di trattare così sua sorella, soprattutto non dopo che aveva scoperto un particolato chimico così interessante!

Connie aveva impiegato un’ora buona a farlo ragionare, impedendogli di salire all’ufficio del Commissario e di minacciarlo con una boccetta d’acido.

L’agente Miller si era limitato invece a chiamarla circa tre volte ogni cinque minuti, rendendole quasi impossibile ascoltare la canzone dei Duran Duran che la radio stava trasmettendo in quel momento.

Dave, invece, quello che meno fra tutti avrebbe voluto vedere, si era attaccato al campanello di casa sua e, fino all’ora prima, aveva continuato a suonare con insistenza e a urlare verso la sua finestra di aprirgli, che ne avrebbero parlato e risolto la cosa.

Alla fine, quando la signora Smith che abitava al piano di sotto gli aveva versato addosso una pentola di acqua fredda, minacciandolo di usare quella bollente se avesse fatto ancora tutto quel baccano, si era calmato.

Constance quella mattina si era alzata dal letto di buonora, aveva fatto una colazione abbondante, aveva scambiato due chiacchiere con il postino che le aveva consegnato una raccomandata, aveva fatto zapping alla tv e poi si era messa al tavolo del soggiorno a lucidare la pistola personale, rimuginando su quando accaduto e lasciandosi andare a qualche piccolo singhiozzo di nostalgia per il distintivo.

Cosa diavolo le era venuto in mente di fare? Trovare la verità!

Beh, complimenti, eccola lì la verità: sospesa.

Papà non ne sarebbe stato per nulla contento.

L’unica cosa buona in tutta quella storia, come le aveva urlato David, era la prova che ci doveva essere sotto qualcosa di grosso se Eugene era arrivato persino a sospenderla.

Dovevano essere vicini alla verità.

Ma, per Connie, saperla così vicina e non poterla raggiungere, è davvero frustrante.

 

-Mi spieghi ancora perché siamo qui?- si lamenta Tonks, inciampando in un tombino sbilenco sul marciapiede.

-E’ il protocollo- le risponde rigido Alastor Moody, zoppicando fino al portone d’ingresso di quel fatiscente palazzo, squadrandolo con l’occhio sano con aria critica.

-Per una Babbana?- domanda stupita la ragazza, voltandosi vero l’uomo che, lento, camminava qualche passo dietro a loro.

-E’ un’agente di polizia. La Convenzione Internazionale fra il Mondo Magico e il Mondo Babbano, nell’allegato E, prevede l’obbligatoria presenza di un Auror durante l’oblivazione di un funzionario di Scotland Yard- spiega con calma Arnold Peasegood1, l’Oblivatore incaricato di quell’operazione.

-Perché? Hanno forse paura che opponga resistenza?- insiste incuriosita la ragazza mentre Moody si guarda attorno con aria vigile.

-Vogliono essere sicuri che l’operazione vada in porto, ritengo…- chiarisce l’uomo, mentre Alastor estrae la bacchetta dalla tasca e sussurra con tono minaccioso Alohomora alla serratura del portone d’ingresso.

-Sarà una noia!- si lamenta Dora, accentrando su di sé le ire dell’Auror più esperto e incaricato della sua formazione durante i tre anni di pratica da Auror.

-Vigilanza costante, Tonks!- la rimprovera aspramente, nascondendo veloce la bacchetta –Anche una missione semplice come questa potrebbe avere complicazioni- le ricorda, infilandosi poi nella tromba delle scale.

-Deve cancellarle la memoria! Che razza di complicazioni vuoi che succedano?- domanda, alzando le braccia spazientita.

Arnold Peasegood espira sconsolato. –Non sarà così semplice- avverte, iniziando a salire la ripida rampa di scale e facendo ben attenzione a non toccare la ringhiera dall’aria instabile. –Devo cancellare i ricordi degli ultimi mesi, a partire dal trenta luglio dell’anno scorso ma selezionando solo le informazioni riguardanti il nostro mondo, e poi devo risalire a quelli del due novembre 1981, eliminando completamente tutto ciò che ci riguardi- spiega alla ragazza che, incuriosita, gli si è avvicinata per ascoltarlo meglio.

-Non può semplicemente cancellarle tutto negli ultimi dodici anni?- lo interroga perplessa, mentre Moody estrae nuovamente la bacchetta e la indirizza verso il piano inferiore, dove si vede un ragazzo uscire di corsa sul proprio pianerottolo e caracollare giù per le scale.

-E’ una follia! Dimenticherebbe tutto!- scatta isterico l’uomo, facendo inciampare Tonks su un gradino scivoloso. –Non ricorderebbe più nulla in dodici anni! Le cose studiate, le persone incontrate, neppure la colazione di questa mattina!- continua, agitando le braccia preoccupato mentre la ragazza, dolorante, cerca di recuperare la posizione eretta. –Riesci a immaginare il danno? Un momento hai undici anni e un attimo dopo ventitre, nel mezzo nulla!- insiste, cercando appoggio nello sguardo fisso di Moody che, dal canto suo, controlla con sospetto un gatto miagolare contro la porta che deve essere della sua padrona. –Non si scherza con la mente- conclude, funebre.

Dora e Alastor si lanciano uno sguardo perplesso, per poi riprendere la salita.

-Hai capito Tonks? Vigilanza costante!- ripete l’Auror, fermandosi di fronte alla porta d’ingresso dell’appartamento di Constance White.

-E questo cos’è?- domanda la ragazza, incuriosita, indicando lo spioncino della porta. –E quest’altro?- insiste, segnando agli altri due il campanello della casa.

-Non toccarli! Aggeggi babbani- brontola Moody, estraendo la bacchetta e facendo cenno agli altri due di imitarlo.

-Siete pronti?- domanda alla fine, squadrando la porta con aria minacciosa. –Al mio tre…-

-Non è necessario fare irruzione, per l’amor del cielo! La spaventeremmo a morte! E’ una Babbana troppo curiosa, non una criminale!- li ferma Arnold, appena in tempo.

-E allora come facciamo a entrare?- si lamenta Tonks, grattandosi i corti capelli rosa con la punta della bacchetta, pensierosa.

-Lasciate fare a me!- borbotta Alastor, prima di avvicinarsi alla porta e battere due secchi colpi sull’uscio.

 

Connie sobbalza sulla sedia, facendo cadere per lo spavento l’agenda che aveva incominciato a rileggere sul tavolo.

-Chi è?- domanda poi, raccogliendo veloce il piccolo taccuino e riassemblando i fogli che, per l’eccessiva grossezza, si sono staccati.

-Posta!- grida una voce roca e poco gentile dall’altra parte della porta.

-Oh, arrivo subito!- trilla la ragazza, nascondendo l’agenda nel retro dei pantaloni.

Prima di muovere un passo, però, si blocca all’improvviso.

Il postino è già passato quella mattina.

E poi lei ha il campanello, non è necessario bussare. Certo, a meno che non si voglia evitare di lasciare impronte…

Afferra con impeto la pistola dal tavolo, avvicinandosi con circospezione alla parete di fianco alla porta.

Contando fino a tre, vi si pone davanti e guarda attraverso lo spioncino.

Da quando la posta viene portata da tre persone?

Un uomo dall’aria folle, una ragazza punk e un signore distinto.

Sicuramente non sono postini.

Ok, niente panico.

Connie torna a nascondersi dietro la parete, analizzando veloce la situazione e studiando un piano.

Lesta, fa scattare la serratura della porta, allontanandosi di cinque o sei passi e dando il benvenuto agli ospiti con la pistola puntata.

-Mani in vista!- intima, mentre quello dei tre con l’occhio di vetro zoppica dentro il suo appartamento.

-Vuoi che la schianti, Arnold?- domanda Moody, fissando con disgusto la pistola a qualche metro da lui.

-Ma come ha capito che non eravamo postini?- borbotta Tonks, inciampandosi nel tappetino d’ingresso e facendo qualche passo veloce in avanti per non cadere.

-Va tutto bene agente White…- le dice cordiale Arnold, estraendo lentamente la bacchetta dalla tasca. -… e fra un po’ andrà ancora meglio, mi creda- le promette, immaginando la confusione mentale in cui deve versare.

Connie, dal canto suo, mantiene l’arma puntata sui tre visitatori, con le braccia tremanti per la paura e la sorpresa. –Chi siete?- urla, agitata, spostando la canna dell’arma ora sul pazzo, ora sulla punk, ora sul gentiluomo.

-La mia proposta è sempre valida, Arnold- abbaia Alastor all’indirizzo dell’Oblivatore che, perplesso, muove qualche altro passo verso di lei mentre Tonks, indifferente, ha iniziato a vagare curiosa per la cucina, soffermandosi in particolare di fronte a una calamita del frigorifero.

-Un altro passo e apro il fuoco!- gli intima la ragazza, ritrovandosi presto con le spalle al muro.

Deve trovare una via di fuga, alla svelta.

-Non le faremo del male…- tenta l’Oblivatore, avvicinandosi un altro po’.

-Indietro!- insiste, la ragazza agitando l’arma.

-La situazione vi sta sfuggendo di mano?- domanda Tonks, affacciandosi incuriosita dalla cucina e osservando la collezione di monete appese alla parete.

Arnold sospira sconsolato, capendo perché il Protocollo preveda la presenza degli Auror in casi come quello. -Alastor, saresti così gentile da… sì beh, ammansirla un po’? Se continua così va a finire che si farà del male- prega alla fine l’uomo all’indirizzo dell’Auror.

-Con molto piacere, Arnold-.

Moody avanza, claudicante e minaccioso, verso la ragazza, estrae la bacchetta e …

BANG!

-Vi avevo avvertiti!- urla Connie, ormai sull’orlo di una crisi di nervi.

Moody si tampona il braccio colpito di striscio, sorpreso, per poi, poco alla volta realizzare quanto accaduto. Beh, a essere sinceri sperava che la sua ultima missione da Auror, prima della pensione, fosse qualcosa di più interessante.

-TONKS!- ringhia alla fine, obbligando la ragazza a lasciare l’interessante studio sul forno per correre in soggiorno. -La disarmo?- domanda poi, brandendo a sua volta la bacchetta verso la ragazza che, con un moto di follia, si era avvicinata alla finestra aperta.

-No, la pistola potrebbe cadere e partire un colpo, ferendola- le chiarisce l’uomo, mentre l’Oblivatore, a disagio in una situazione di quel tipo, si è andato a riparare dietro il divano del piccolo soggiorno.

-E allora?- insiste quindi mordendosi un labbro.

-Niente di aggressivo, non è un soggetto pericoloso e non ha vie di fuga- analizza l’uomo, spiegando alla giovane Auror come affrontare situazioni simili. –Un incantesimo Confundus dovrebbe essere sufficiente-.

Constance, intanto, si è portata di fronte alla finestra e, sulla schiena, può sentire la brezza di quel pomeriggio estivo.

-Sei pronta? Al mio tre. Uno, due…-

Ma prima che Moody possa arrivare al tre, partono diversi colpi di pistola.

Quando però gli incantesimi scudi evocati dai due maghi per difendersi dai proiettili svaniscono, Constance White è sparita.

 

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Note:

 

  1. “Ciao, Arnie... Arnold Peasegood, è un Obliviatore...” da Harry Potter e il Calice di Fuoco

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Capitolo 7
*** Capitolo sesto ***


Dave Canter cambia annoiato canale, concedendosi una lunga sorsata di birra direttamente dalla bottiglia

 

 

 

Dave Canter cambia annoiato canale, concedendosi una lunga sorsata di birra direttamente dalla bottiglia.

Sbuffa contrariato per quell’assurdo programma politico, fa un altro po’ di zapping, per poi fermarsi soddisfatto sulle repliche della partita di golf del giorno prima.

Però non ha voglia neanche di pensare allo sport, in questo momento.

Con un verso gutturale stiracchia la schiena, allungando una alla volta le braccia e chiudendo gli occhi.

E’ preoccupato per Connie.

Vorrebbe essere lì con lei, a parlare, a rassicurarla, a consolarla…

L’immagine del volto della ragazza così vicino al proprio fa scuotere febbrilmente la testa del ragazzo, imbarazzato di quel pensiero poco casto.

Probabilmente adesso la collega sta dormendo, o forse si sfoga a casa della madre, o, più probabilmente, conoscendola, sta sfogliando febbrilmente l’agenda alla ricerca di un particolare che è loro sfuggito.

Non si dà certo per vinta facilmente.

Un bussare concitato lo distoglie dai suoi pensieri, facendolo alzare dal divano con un salto.

David afferra la pistola e socchiude la porta, pronto a intervenire.

Certo non si aspetta di trovare il volto ansioso della partner che gli chiede, con poca grazia, di farla passare.

 

-Ahia!-

-Smettila-.

-Ma mi fai male!-

-Sono uno scienziato, non un dottore. L’unica cosa interessante che trovo in te è il fatto che tu sia una forma di vita a base di carbonio con cui, purtroppo, condivido gran parte del codice genetico-.

Connie sorride al fratello, osservando con attenzione le mani leggere del ragazzo spalmarle l’unguento sulla spalla.

-Birra?- offre allegro Erick ai presenti, facendo capolino dal frigorifero dell’angolo cottura di David. –Ragazzi, sembra un party a sorpresa! Dovremmo farlo più spesso!-

Dave, dal canto suo, gira senza fine per il proprio bilocale, trasportando ora pile di vestiti poco puliti, ora libri sgualciti e giornali vecchi da una parte all’altra.

-Ehi Dave, rilassati un po’!- lo ammonisce l’archivista, sdraiandosi comodamente sul divano sfatto del piccolo soggiorno e iniziando a bere.

Il padrone di casa grugnisce qualcosa, chiudendo a fatica l’anta di un armadio strapieno di oggetti.

Chaster muove i baffi, osservando con aria critica il livido violaceo sull’avambraccio della sorella.

-E’ solo una botta- conclude, affondando due dita nel vasetto di unguento e riprendendo a massaggiare Constance che, dolorante, fa strane smorfie.

-Come va?- s’informa solerte David, passandole affianco con un paio di scarpe da ginnastica che, sinceramente, non ricordava nemmeno di avere.

Connie sbuffa, piegando la testa di lato. –Sono sospesa, tre tizi hanno cercato di farmi fuori e l’indagine è a un punto morto- si lagna, fissando con curiosità le pantofole a forma di topo del partner. –Non molto bene- conclude, sbuffando di nuovo.

-Beh, ma almeno sei viva!- interviene Erick, sbrodolando buona parte del contenuto della sua birra sul macilento divano, giù sufficientemente macchiato.

Constance espira, massaggiandosi con la mano libera la fronte dolorante. –Per fortuna mi è venuto in mente di uscire dalla finestra e di scappare dalle scale antincendio-.

-Già, beh, se non fossi anche rotolata giù dalle scale antincendio sarebbe stato un piano ancora più perfetto, non credi?- la interrompe Chester, iniziando ad analizzare il piccolo taglio sulla fronte.

-Non è stata colpa mia!- lo aggredisce, -All’improvviso sono diventate liscissime, come uno scivolo!1 - spiega, agitando le mani in modo inconsulto.

-Sì, certo…- la sfotte Chaz, obbligandola a stare ferma e disinfettando la piccola ferita.

-Che figata!- li interrompe di nuovo Erick, mettendosi seduto sul divano e guadagnandosi un’occhiata di puro odio da Dave. Occhiata che, però, l’agente Miller non percepisce. -E quei tizi? Ti hanno inseguita?- s’informa allegro, come se il resoconto di quella brutta esperienza fosse in realtà la trama di un film di spionaggio.

Connie annuisce con forza. –Sì! Fino all’entrata della metro! A quel punto ho sentito il pazzo gridare “Non lì, Tonks! E’ pieno di Babbani!”- ricorda, mentre una mano di Chester, con apparente indifferenza, va a stringere la sua con forza.

-Babbani? Di nuovo?- domanda incuriosito Erick. –E’ un’espressione che non ho trovato in nessun vocabolario… che sia un linguaggio segreto?- domanda all’amico, notando l’evidente nervosismo con cui David Canter segue quel racconto.

-Beh, almeno non ti sei beccata un proiettile nella schiena- tenta di rassicurarla Chester, senza successo, avvitando il tappo del disinfettante e recuperando le bende dal tappeto dove si era messo a medicarla.

-Ma non avevano pistole!- prorompe la ragazza, rovesciando quel po’ di unguento che era rimasto sul pavimento. –Loro avevano come… come dei bastoncini di zucchero filato, avete presente?- domanda, voltandosi verso Dave che, serio, si era appoggiato con le spalle alla porta.

-Bastoncini di zucchero filato? Figo!- insiste Erick, ammutolendo all’istante quando si ritrova gli occhi espressivi dell’amico addosso.

-Già, davvero terrificanti- conviene Chester, con aria saccente.-Probabilmente era un astuto attacco psicologico per farti pensare ai dolci, quindi alle carie, e in conclusione ai dentisti- aggiunge, con un ghigno malevolo.

Erick scoppia a ridere, alzandosi dal divano e assestando una poderosa pacca sulla spalla del collega.

-Ehi, Sommo Eroe di ogni Buretta, non credevo fossi così divertente!-

Chaz, a quell’affermazione, fulmina con malcelato disgusto l’archivista, ritornando a riporre ordinatamente le medicine che si era portato da casa nella borsa.

-Perché non mi prendete sul serio?- sbotta isterica Connie, iniziando a strattonare in modo infantile la manica dell’elegante camicia di Chester.

-Io ti credo-.

David Canter lascia la propria posizione, marciando risoluto verso la collega e, gentilmente, aiutandola ad alzarsi in piedi.

Erick stiracchia un sorriso, scuotendo la testa, mentre Chester fa vibrare i baffi con insistenza. Constance arrossisce lievemente.

-Ti ricordi Godric’s Hollow?- le sussurra poi, ignorando completamente gli altri ragazzi presenti nel bilocale.

Connie si morde un labbro, assorta, finché, come un lampo, la risposta le si presenta chiara alla mente. –La vecchietta davanti a casa Potter!- rivela, sorpresa. –Aveva un ferro da maglia!- ricorda, afferrando poi l’agenda dal retro dei pantaloni e ricontrollando attenta. –E anche quei poliziotti che ho visto a Tooley Street dopo l’esplosione avevano una cosa del genere!-

-Non è una coincidenza- mormora David, passando finalmente lo sguardo alternativamente sugli altri poliziotti presenti nella sala.

-Un ferro da maglia? Zucchero filato? Insomma, Dave! Vuoi forse dire che tutte queste persone fanno parte di un’organizzazione segreta il cui simbolo è un legnetto spuntato?- esplode ironico Erick, aprendosi un’altra birra.

-O forse un nuovo tipo di arma- sentenzia Chester, fissando preoccupato la sorella. –Ti ricordi forse altro, di questi bastoncini?- la interroga, serio.

David le strappa di mano l’agenda e, dopo aver recuperato una penna dal tavolino all’ingresso, inizia ad appuntare l’ultima avventura vissuta dalla ragazza e le nuove teorie.

Connie socchiude gli occhi, massaggiandosi con entrambe le mani le tempie.

-Io… ah, è stato tutto così veloce!- si lamenta, scuotendo la testa.

-L’unica cosa che ricordo è che, una volta arrivata in fondo alle scale, mi sono messa a correre e, a fianco, mi sembrava di veder schizzare strani fulmini colorati- svela, corrugando la fronte per l’assurdità delle parole dette.

-Venivano dai bastoncini?- insiste Chester, accademicamente molto interessato da quel discorso.

-Beh, non mi sono certo girata a controllare!- lo aggredisce la sorella, storcendo la bocca infastidita.

-A cosa pensi? Raggi laser?- lo interroga estasiato a quell’idea Erick, quasi saltellando sul posto.

Chester lo fulmina, con gli occhi. –Potrebbero essere quelle le armi che rilasciano quei particolati che non riesco a identificare- spiega calmo. –Dammi i tuoi vestiti, li analizzerò in laboratorio-.

-Io invece posso controllare i brevetti degli ultimi quindici anni, magari salta fuori qualcosa come “bastoncino lancia razzi colorati, per le vostre aggressioni a sbirri sospesi”- si offre zelante Erick.

-No-.

David chiude con un suono sordo l’agenda, passando lo sguardo duro su tutti i presenti.

-Non è più un gioco o una semplice indagine non autorizzata- inizia a spiegare, camminando lentamente verso il centro del piccolo soggiorno e catalizzando l’attenzione di tutti i presenti. –Questa, ormai, è una missione- termina, solenne.

-Davenon è che stai esagerando?- gli chiede retorica la ragazza, beccandosi un’occhiata ammonitrice.

-No- la smentisce lui, passandosi l’agenda da una mano all’altra. –Siamo incappati in qualcosa di grosso ragazzi, qualcosa di veramente grosso- insiste, soddisfatto di aver finalmente imposto la propria autorità in quel quartetto mal assortito.

-Chi ci troviamo ad affrontare è qualcuno di estremamente potente e pericoloso- insiste, riportando alla memoria di tutti l’omicidio dei Potter, la Strage di Tooley Street e, ultima, l’aggressione alla collega.

-Questo, quindi, è il momento migliore per chiamarsi fuori-.

-Eh?- sbotta infastidito Erick, facendo un passo verso l’amico di sempre. –Dave, che diavolo stai dicendo?-

-Devo sapere di chi posso fidarmi- spiega calmo il ragazzo.

Chester, a quelle parole, muove un paio di passi in avanti, fronteggiando petto a petto l’agente Canter. –Stai forse insinuando qualcosa?- sibila, mentre Connie gli si attacca al braccio cercando di calmarlo.

David socchiude gli occhi. –Qualcuno ha fatto la spia- commenta, duro.

-Cos…? Avanti, Dave! Pensi sul serio che uno di noi abbia venduto Constance al nemico?- domanda offeso Erick, avvicinandosi al gruppo.

David scuote lentamente la testa. –Lo pensavo. Ma se fosse stato uno di voi, dopo la mia chiamata, sarebbero venuti qui quegli aggressori- conclude, ricordando come, ogni volta che bussavano alla sua porta, accoglieva i colleghi con la pistola puntata e Connie ben nascosta nell’altra stanza.

-Dunque?- lo interroga stizzito Chester, pur avendo già capito dove vuole andare a parare.

-E’ stato Eugene!- sbotta Connie, sputando il nome per terra e stringendo convulsamente il braccio del fratello.

-Il Commissario? Oh, ragazzi, andiamo! Non penserete davvero che Scott abbia…- tenta Erick, ammutolito dagli sguardi seri degli altri ragazzi.

–Era l’unico oltre a noi a sapere di quest’indagine- conclude per lui Chester, visibilmente arrabbiato all’idea che il più caro amico del padre abbia fatto una cosa del genere alla sorella.

David riprende la parola. –Dovremo fare attenzione. Chi decide di continuare su questa strada, deve sapere dei pericoli cui va incontro. Beh, questo è il punto di rottura: o si è dentro e si accettano i rischi, o si è fuori e si torna alla solita routine del commissariato. Chi ci sta, però, deve sapere che non potrà più tirarsi indietro- spiega, laconico. –E’ il momento di scegliere- termina, con aria grave.

-Io ci sto!- risponde decisa Constance. –Ho iniziato questa storia e la porterò anche alla fine! Voglio guardare negli occhi quell’assassino!- spiega risoluta, guadagnandosi un’occhiata luminosa di David.

-Anch’io- risponde, infatti. –E’ tempo che queste morti trovino una risposta- si giustifica, appellandosi al suo innato senso di giustizia.

-Ci sono anch’io- sibila annoiato Chester. –Non mi darò pace finché non capirò con che razza di composti chimici abbiamo a che fare- chiarisce, alzando il mento orgoglioso.

I tre si voltano poi verso Erick che, ridacchiante, osservava la scena. –Ehi, sapete che sembriamo i protagonisti di uno di quei film sui supereroi che piacciono tanto agli adolescenti?- li deride, notando di essere l’unico nella stanza divertito.

-Certo che ci sto! Che domande…- borbotta, scuotendo le spalle. –Non mi perderei una figata del genere per nulla al mondo!- scherza.

-Erick, non sei tenuto…- gli sussurra serio Dave, prontamente superato dall’amico.

-Ehi, Constance!- chiama. –Credo che questo sia tuo!- la informa, lanciandole qualcosa.

Connie afferra l’oggetto in aria, capendo subito al tatto di che cosa si tratti. –Il mio distintivo!- trilla allegra, fissando con occhi riconoscenti il collega. –Ma cosa…-

-Scott me l’ha dato per metterlo in archivio. Deve essermi accidentalmente scivolato in tasca-.

 

-Sai, non credevo che casa tua fosse così- lo informa Connie, sistemando al meglio le lenzuola sul divano sfatto.

-Mh?- si limita a rispondere David, asciugandosi le mani in uno strofinaccio della cucina dopo aver tentato di pulirla, con scarsi risultati.

-Sì... a giudicare dalla tua scrivania mi aspettavo una casa ordinatissima e invece…- lo prende in giro lei, indicando con un cenno del capo le pile di vestiti e libri riversi negli angoli dell’appartamento.

-Beh, non passo molto tempo a casa…- si giustifica imbarazzato il ragazzo, calciando con le pantofole a topolino un libro che si era allontanato dalla pila. –Sono quasi sempre in centrale- bofonchia, grattandosi la barba.

Connie annuisce comprensiva, sbatacchiando un cuscino sul divano, soddisfatta e accoccolandosi nella larga maglia che Dave gli ha dovuto prestare visto che Chester ha insistito per avere i suoi abiti da analizzare.

L’odore del tabacco del collega sulla propria pelle è incredibilmente forte e dannatamente piacevole.

L’idea di stabilire il quartier generale nel bilocale di Canter era stata ottima. Era facilmente controllabile, aveva un’uscita di sicurezza sul retro e nessun vicino impiccione che si potesse insospettire.

L’idea invece che lei si nascondesse lì, non era piaciuta per nulla al fratello che si era opposto con tutte le proprie forze, invitandola a casa propria.

“Ma Chaz! Casa tua sarà il primo luogo in cui mi cercheranno” gli aveva risposto veloce Constance. “E poi ti sei dimenticato che questa settimana la tua ex ti lascia Elizabeh?” aveva aggiunto, mentre ricordava bene la risata di Erick nelle orecchie.

Alla fine anche Chester White si era dovuto adeguare a quella soluzione, non senza però minacciare Dave nel caso in cui l’avesse anche solo sfiorata. “Non vorrei trovarmi obbligato ad avvelenare ogni singola brocca del caffè del New Scotland Yard” aveva mormorato, serio, causando un altro scoppio di risa di Erick che, ormai, aveva completamente rivalutato l’Orco degli Imbuti Maledetti.

-Comunque no- brontola Connie, sedendosi sul divano e fissando, imbarazzata e divertita, il collega.

-No?- ripete curioso Dave, sedendosi al suo fianco.

-Non alleverei i miei figli neanche qui- gli spiega, ridendo rasserenata.

David Canter stiracchia un sorriso, sentendo le palpitazioni aumentare di velocità.

-Beh, in effetti neanch’io lo farei- le concede il partner, lanciando un’occhiata disgustata al proprio appartamento.

-Quindi… eccoci qui- borbotta Connie, concentrando la propria attenzione sul tavolino stracolmo di carte ed evitando accuratamente di pensare all’invitante odore di tabacco che sente venire dal collega e dalla maglia.

-Già, eccoci qui…- ripete assorto Dave, inspirando a fatica per farsi coraggio. –Connie…-

-Sì, Dave?-

I due si fissano per qualche secondo, incapaci di parlare.

-T-tu non… non sei più un’agente, giusto?- balbetta, agitato.

Constance alza un sopracciglio, indispettita. –Gentile da parte tua ricordarmelo-.

-Quindi noi non siamo più colleghi, vero?-

La ragazza aggrotta la fronte, riflettendo. –N-no, credo… credo di no…-

David acquista coraggio, allunga la propria mano e stringe dolcemente quella della ragazza.

-Quindi, tecnicamente, non violo il protocollo- spiega agitato, con gli occhi che saettano da una parte all’altro del volto della ragazza.

-Se… se fai cosa?- sussurra Constance, un attimo prima di sentire il tocco gentile delle labbra del collega sulle proprie.

 

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Note:

 

  1. Effetto dell’incantesimo Glisseo

 

 

 

 

Ok, se mi state leggendo sono stata in grado di postare.

Viva me!

… sessione autunnale degli esami, cercate di capire! XD

Allora… siamo ormai a metà storia, quindi mi sembra doveroso ringraziare tutti quelli che hanno letto fin qui e scusarmi per il ritardo che però, assicuro, non è imputabile a una mia mancanza.

PRIMA il mio povero portatile ha subito un’aggressione di massa da una seria spropositata di virus, POI mia sorella mi ha trascinato a forza in vacanza (EVVIVA!) perché non ne poteva più delle mie crisi isteriche e INFINE… ehm… ok, qui è colpa mia. Ho fatto altro e mi è venuto in mente di aggiornare solo ora.

Note un po’ più serie sul capitolo: sembra inutile, lo so. E’ certo di transizione e, finalmente, viene ufficialmente presentata la squadra e sboccia l’amore (faccio schifo nelle scene romantiche, lo so, chiedo perdono). Ma, soprattutto, c’è una cosa che ritornerà utile, una cosa però che capirete solo nell’ultimo capitolo e sviluppata nell’epilogo. Quindi a qualcosa serve, abbiate fede.

Comunque vi lancio una sfida! XD

Non è un caso se i poliziotti sono quattro. Ho cercato di modellare il carattere di ciascuno di loro su quello di una casa di Hogwarts. Perché?

Beh, in effetti non lo so neanch’io.

Per divertirmi, immagino, una sfida con me stessa (quattro babbani con i caratteri delle quattro Case! Avanti, sembra divertente!).

Sono curiosa di vedere se qualcuno di voi sarà in grado di individuarli e abbinarli correttamente.

Ripeto: NON ha alcun rilievo a livello di trama, è solo un piccolo divertimento mio, piccola informazione in più di cui avreste fatto volentieri a meno (sigh… XD).

 

Ho notato inoltre nei commenti che avete lasciato (GRAZIE ANCORA!!! ^///^) alcune incertezze sulla sospensione di Connie su cui vorrei fare chiarezza.

L’agente White ha deliberatamente ignorato un ordine di un suo superiore.

Adesso.

Lo so che nei telefilm chi lo fa è il figo di turno e, praticamente, tutti escono indenni da queste situazioni e forse anche con una medaglia all’onor civile, MA nella realtà non è così.

Una sospensione è la tipica forma di sanzione per un’insubordinazione di questo tipo.

Quindi il Commissario Scott non ha fatto nulla di eccezionale visto che un suo sottoposto (fra l’altro una novellina) ha ignorato un suo divieto (ricordate? “Non cercare Sirius Black).

Per quanto riguarda il caro vecchio Moody. Ho immaginato (pura fantasia, lo ammetto. D'altronde, dove lo potevo reperire un regolamento di comportamento del “bravo obliviatore”?) che, nel caso dell’Obliviazione di un poliziotto fosse richiesta anche la presenza di un Auror (Malocchio nel capitolo). Tonks è presente solo perché studia per diventare Auror e Alastor l’ha portata con sé per spiegarla la procedura corretta da seguire in quelle missioni di accompagnamento. Mi sono quindi immaginata Peasegood come il “capo-spedizione” (la missione è effettivamente sua, è lui che deve operare sul soggetto) mentre Moody è solo un sostegno per verificare che vada tutto liscio (da qui la sua richiesta del “devo intervenire”).

Infine, la questione del proiettile.

Accidenti, temo di non aver descritto bene la scena!

Riprovo.

Constance è in uno stato di profonda eccitazione e paura, mix pericoloso se si impugna un’arma. La pistola è GIA’ puntata contro i tre visitatori e l’obiettivo passa tremante dall’uno all’altro.

Gioco di ruolo.

Figuratevi di essere voi Connie. State svolgendo un’indagine che vi sta particolarmente a cuore, una persona di cui vi fidate vi tradisce, siete sospesi dal lavoro dei vostri sogni e non riuscite a capire che cosa stia succedendo attorno a voi (l’omertà regna). Come se non bastasse tre persone particolari (Arnold con il suo comportamento da gentiluomo, Moody con l’occhio di vetro e Tonks in versione punk) bussano alla vostra porta e vi brandiscono contro un legno.

Non sareste agitati?

Se poi aveste già l’arma puntata contro uno di loro e questi si avvicinasse minaccioso contro di voi, non premereste il grilletto? Ricordate che Moody non ha la bacchetta in posizione, quindi, ho pensato, fra premere il grilletto se si ha già la mira e alzare il braccio e pensare l’incantesimo (se non verbale) o dirlo (se verbale), vince il primo. No?

Moody è stato colpito perché non aveva ancora la bacchetta in posizione, non era pronto a uno scontro. Solo grazie a questo è stato colpito di striscio da Constance.

Vorrei inoltre sottolineare come la ragazza non sia percepita come un pericolo dall’Auror. Quando parla a Tonks sul come aggredirla, specifica che sia lei stessa in pericolo (“la pistola potrebbe sfuggirle di mano, ferendola” “non è un soggetto pericoloso”).

Ovviamente, se Peasegood l’avesse obliviata la fanfic sarebbe finita e ciao-ciao a tutti! XD E comunque… ok, non spoilero sui prossimi capitoli, mi trattengo.

Qui volevo solo far capire che Constance e i suoi amici si stanno cacciando in una situazione potenzialmente pericolosa (ok, noi sappiamo che Peasegood, Moody e Tonks non sono pericolosi, ma lei?).

Ok, dovrei aver finito.

Non pensavo di scrivere tanto, scusate!!!

Il fatto è che ho pensato molto alla struttura della trama e, quindi, volevo che fossero ben chiari i passaggi.

Tornando al capitolo di oggi e cercando di valutarlo oggettivamente, posso dire che non è uno dei più entusiasmanti ma, al contrario, lo vedo molto dolce e, in qualche modo, utile per delineare meglio i protagonisti.

Credo di avere finito.

Se ci fossero dubbi o passaggi non chiari, errori o sbavature più o meno evidenti nella trama/storia/capitolo/tutto NON esitate a farmelo presente, mi raccomando!

E… un GRAZIE INFINITE a chi legge.

Spero che vi divertiate almeno un po’ a immedesimarvi in “stupidi poliziotti babbani”, almeno quanto mi sono divertita io a cercare di far combaciare tutti i pezzi con la serie originale.

 

Un saluto a tutti!!!!

 

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Capitolo 8
*** Capitolo settimo ***


-Novità

 

 

 

-Novità?-

-E’ rientrato due ore fa. Da allora non si è più mosso-.

David Canter richiude con un tonfo sordo la porta scorrevole del fatiscente furgone, camminando ricurvo fino alla collega.

-Tieni- le offre, porgendole un sacchettino di carta. –Il pranzo-.

-Oh, fish and chips! Lo adoro!- lo ringrazia la ragazza, ponendo un veloce bacio sulle labbra del collega che, con un sorrisino beato, si siede sulla sedia vuota nel retro del furgone.

-Novità in Centrale?- si affretta a chiedere Connie, addentando famelica una patatina.

-Il Profeta dei Vetrini ha quasi fatto saltare in aria il laboratorio, stamattina- le racconta, controllando le registrazioni della telecamera in funzione e posizionata sull’ingresso di una casa.

-Chaz sta bene?- scatta la ragazza, facendo cadere parte del fritto sul pavimento lercio del furgone.

-Sì- le risponde, rubando dal sacchetto un pezzo di pesce. –Ci siamo visti alla pausa pranzo. Ha detto di aver messo tutti i reperti con l’elemento sconosciuto in una di quelle sue dannatissime macchine, uno spettrofotometro se ho capito bene, e dopo un po’… PUFF! La macchina è esplosa!- spiega, accompagnando il racconto con un ampio gesto delle mani.

-Quella sostanza può essere molto pericolosa! Digli di stare attento!-

-Ci ha già pensato Erick a fargli la ramanzina, non ti preoccupare…-

Constance sbuffa, osservando le immagini sfuocate sullo schermo alle sue spalle. -E Eugene?- chiede, digitando qualche codice su una piccola tastiera, riuscendo a zoomare sulla porta d’ingresso della casa.

-E’ molto agitato- la informa il collega, ricordando di non aver mai visto il Commissario Scott camminare in quel modo per la stanza. –Mi ha convocato nel suo ufficio, voleva sapere se avevo avuto contatti con te-.

-E tu?- gli chiede la ragazza, scacciando dalla mente il ricordo della faccia amica di Eugene Scott.

Deve si schiarisce la gola con un secco colpo di tosse. -“White? Per quale motivo dovrei voler incontrare l’agente White fuori da qui?”-

Connie si lascia andare a una risata liberatoria, osservando il collega sporgersi dalla propria sedia e baciarla, innamorato.

-Sai, sembra sinceramente preoccupato- le sussurra poi, a fior di labbra.

Constance ritrae le labbra, divertita dal piacevole solletichio della barba di tre giorni del ragazzo. Si appoggia poi di nuovo sullo schienale della sedia, riprendendo a mangiare.

-Novità da Erick?- chiede, sperando di chiudere definitivamente con la questione “Eugene”.

David sospira, aprendo la valigetta che si era portato dietro ed estraendo un piccolo fascicolo. -Franck Bryce, trovato morto in una casa abbandonata di cui era il custode1- le spiega, porgendole le carte che ritraevano il corpo di un vecchio, steso a terra e con gli occhi spalancati per il terrore.

-E a noi cosa importa?- domanda cinica la ragazza, scorrendo senza vero interesse i primi rilievi dell’unità scientifica.

-Ecco il primo referto del medico legale- le porge David, avvicinando la propria sedia a quella della ragazza.

Constance inizia a scorrere i dati, soffermandosi poi perplessa su un punto.-Causa di morte sconosciuta? Non sono ancora in grado di stabilirlo?- lo interroga, perplessa.

David scuote la testa. -Già. Proprio come per i Potter. Nessun proiettile, coltellata, strangolamento… neppure segni di avvelenamento o attacco cardiaco. Sono solo… morti- tenta di spiegare, afferrando la ormai straripante agenda della ragazza appoggiata sul piccolo mobile del furgone e appuntando le novità.

-Ho fatto un sopraluogo stamattina. C’erano degli agenti, gruppi speciali credo. Mai visti prima. Hanno rivendicato la giurisdizione sul caso e mi hanno allontanato. Solo uno di loro mi ha dato confidenza, un certo Shacklebolt, ho detto a Erick di cercare informazioni su di lui. Mi ha detto che questo omicidio è collegato a un caso che il suo dipartimento segue da diversi anni e mi ha quindi chiesto se avessimo informazioni che potessero essere utili. Gli ho chiesto se Black fosse implicato e lui, sorpreso, mi ha chiesto come facessi a conoscerlo. Ha detto di essere il referente per il caso Black e di non preoccuparsi. Mi ha stretto la mano e mi ha accompagnato fino alla macchina, ma sono comunque riuscito rubare un campione di terriccio- racconta, ripensando agli sguardi torvi e, in qualche modo, derisori, che quegli uomini con i mantelli gli avevano lanciato.

-Fammi indovinare. Chaz ha trovato gli stessi particolati- tenta Constance, lasciando il sacchetto di cibo cadere per terra, disinteressata.

L’agente Canter annuisce, grave. -Ho detto a Erick di continuare a scavare. Sembra che Bryce fosse coinvolto in un triplice omicidio avvenuto almeno vent’anni fa2-.

-Il mistero s’infittisce- gli risponde la ragazza, afferrando l’agenda dalle mani dell’amico ed evidenziando i passaggi cruciali delle ultime scoperte.

-C’è altro?- sospira alla fine, sinceramente frustrata da quel mese di latitanza. Ha potuto vedere sua madre solo una volta, di nascosto. Non ce la fa davvero più a vivere così.

David ammutolisce, riafferra la vecchia borsa di cuoio e fissa la fotografia, incerto.

Sa che fargliela vedere non è una buona idea.

Però sa altrettanto bene che non fargliela vedere sarebbe una pessima idea.

Constance aggrotta la fronte, preocupata per la strana reazione del partner, per poi afferrare la foto che le sta porgendo.

Impallidisce.

-Dov’è stata scattata?- mormora, con un filo di voce e le mani tremanti.

David le circonda le spalle con un braccio, cercando di darle forza. -A Port Louis3, tre giorni fa. Erick si è messo in contatto con i servizi segreti dell’INTERPOL, ma non hanno fornito molte informazioni. Non avendo poi neanche un’indagine ufficiale aperta…- borbotta, lasciando cadere nel vuoto le ovvie conclusioni.

Constance stringe febbrilmente la foto, digrignando i denti.

Sirius Black sorride beffardo all’entrata dell’ippodromo di Champ de Mars4, guardando proprio in direzione della telecamera di sorveglianza.

Ha un aspetto più sano, rispetto alla foto segnaletica che era stata mandata loro un anno prima, si ritrova a constatare con odio Connie. Adesso sembra proprio lo stesso ragazzo che, quel dannatissimo due novembre, fece saltare in aria Tooley Street.

Constance si alza di scatto, prende alcune carte e la sua agenda, gettandole con ferocia in una valigetta, per poi afferrare con rabbia un apparecchio appoggiato sul mobile.

-Connie, dove stai andando?- le domanda preoccupato David, osservando i gesti veloci con cui la ragazza si fissa addosso, nascondendolo alla vista, il microfono.

-Black se la spassa su una spiaggia delle Mauritius e io sto qui ad arrostire in un furgoncino? Oh, non credo proprio!- si sfoga, a denti stretti, per poi far scorrere la porta del furgoncino scuro e uscire nelle polverose strade di Spinner’s End.

 

Quando aveva scoperto che Piton era tornato, avrebbe voluto fiondarsi da lui, a interrogarlo e a convincerlo a parlare, con ogni mezzo. Era stufa di tutta quell’omertà attorno a quel caso, stanca di quel mistero inestricabile che stava affrontando da ormai troppo tempo.

L’idea di sorvegliare l’abitazione dell’uomo era stata di Dave, prontamente appoggiata da Chaz. Dovevano raccogliere maggiori informazioni sull’uomo, sulle sue abitudini, cercare di capire con chi avevano a che fare.

Naturalmente quell’ingrato quanto noioso incarico era stato affidato a Connie, visto l’impossibilità della ragazza di farsi rivedere in Centrale o in qualunque altra zona di Londra alla luce del sole, per il timore che qualcuno la riconoscesse e che quei tizi con i bastoncini la rintracciassero. David le aveva assicurato che non c’era stato nessun mandato nei suoi confronti, né di cattura né di ricerca, ma lo stato di evidente agitazione in cui versava il Commissario era una prova sufficiente per far capire che era ancora ricercata.

Erick era riuscito a recuperare quel vecchio furgone sgangherato, sepolto in chissà quale deposito giudiziario e a dotarlo delle apparecchiature minime per un appostamento.

Beh, le uniche cose che aveva scoperto erano state che il signor Piton aveva un pessimo gusto nel vestire, oltre che una vita terribilmente monotona e noiosa.

Usciva una volta alla settimana da casa, faceva la spesa, rincasava lesto.

Punto.

L’unica nota di interesse era quel dannatissimo gufo che, ogni sacrosanta mattina, atterrava sul davanzale di una finestra, veniva fatto entrare in casa, e ripartiva quasi subito.5

Ci mancava solo l’ornitologo a complicarle la vita.

Impaziente, bussa con impeto alla porta.

-Agente White, Scotland Yard. Deve rispondere ad alcune domande- sbotta non appena la porta viene socchiusa e la figura arcigna di Severus Piton la squadra visibilmente infastidito.

-Prego?- si limita a rispondere, alzando indignato un sopracciglio e fissando con disgusto la figura di fronte a lui, eccessivamente imbaccuccata per quel caldo pomeriggio di agosto.

Constance mostra il distintivo proprio davanti al grosso naso dell’uomo, aprendo poi maggiormente la porta con una spallata e infilandosi lesta in casa.

Le mani di Severus Piton si serrano a pugno, mentre l’uomo richiama a sé tutta la pazienza rimastagli per non buttare fuori casa all’istante quell’insulsa Babbana.

-Qui va bene- sentenzia Connie, entrando a passo di marcia nello stretto salotto della casa e fissando con studiato interesse tutti i particolari. Le pareti sono ricoperte di libri dall’aria consunta, una vecchia candela pende dal soffitto e un tavolino precario, dove un giornale, ancora aperto, indica quale fosse l’attività del padrone di casa prima del suo arrivo.6

Senza attendere alcun invito, Constance si siede sul fatiscente divano, aspettando con impazienza che l’uomo si sieda sulla poltrona logora di fronte a lei.

Piton si limita a lanciarle occhiate d’odio dall’ingresso, per poi richiudere la porta in modo sinistro e prendere posto con estrema calma, chiudendo la Gazzetta del Profeta con gesti semplici e studiati perché la ragazza non noti le immagini in movimento.

-Quindi?- sibila, cercando di sforzarsi di ricordare, esattamente, quante norme dello Statuto Internazionale di Segretezza violerebbe se decidesse di schiantarla in quel momento.

-Quindi…- ripete canzonatoria Connie, reggendo lo sguardo serio dell’uomo fisso nei propri occhi.

Tzè, aveva interrogato delinquenti peggiori.

-Cosa sa di Sirius Black?- gli domanda a bruciapelo, estraendo l’amata agenda e aprendo la penna, pronta a scrivere.

Severus affonda le unghie nel rivestimento della poltrona, scaricando così la tensione che quel dannatissimo nome gli provoca.

-Nulla- risponde, con voce monocorde.

Constance ringhia sottovoce. –E, immagino, non sappia nulla neanche dell’omicidio dei coniugi Potter, avvenuto tredici anni fa-.

Piton socchiude gli occhi, cercando di non pensare all’amica d’infanzia. –Potter, ha detto?- domanda, retorico, mentre accavalla le gambe e si sistema sulla poltrona, mentre un ghigno soddisfatto gli cresce sul volto. –Mai sentiti-.

-Lei sta mentendo!- sbotta, picchiando le mani sul tavolo e facendo scricchiolare il già traballante tavolino.

Piton si limita a sorridere maligno. –Se ha finito di distruggermi il mobilio di casa, avrei altro da fare…- sibila, soddisfatto.

Constance prende la valigetta, se la appoggia sulle gambe ed estrae la foto. -Black è stato avvistato a Port Louis, tre giorni fa. Le conviene parlare- gli suggerisce alla fine, sbattendogli in faccia il volto sorridente e scanzonato del vecchio nemico.

Mauritius, pensa con disgusto Severus, ecco dov’e andato a nascondersi da quando è fuggito da Hogwarts, appena due mesi prima. Tipico di Black.

-Perché?- domanda, con un tono di voce terribilmente canzonatorio.

Connie, presa alla sprovvista, inizia a balbettare. –Pe-perché è un soggetto decisamente pericoloso e se è in qualche modo collegato a lei deve dircelo. O lo scopriremo lo stesso e… e per lei saranno guai, ecco- minaccia alla fine, ripensando con disgusto al discorso sconclusionato appena fatto.

-Correrò il rischio- risponde con ovvietà il mago, riconsegnandole la fotografia con un gesto elegante e visibilmente derisorio.

Constance arrossisce, inviperita. –Potrei arrestarla per intralcio alle indagini!- sbotta, alzandosi in piedi per assumere un’aria più minacciosa.

Severus, con calma, la imita, facendo svolazzare il mantello nero e assumendo un’aria decisamente più intimidatoria della ragazza. –Potrebbe farlo se ci fosse un’indagine in corso- sibila.

-Co-come…- si limita a balbettare Constance, terribilmente sorpresa. Come diavolo faceva quell’uomo a saperlo?

Piton si limita a fissarla, profondamente disgustato dal continuo cambio di colore del volto della giovane.

-Se mi importasse della mia vita, eviterei di andare in giro a fare domande scomode su Black…- la ammonisce, provocandole un repentino cambio di colore dal bianco sorpresa al rosso rabbia.

Severus Piton è stato ufficialmente aggiunto alla sua lista personale di persone odiose.

-Ma… ma io devo trovarlo!- urla Constance con voce stridula.

-Non è l’unica- la prende il giro Piton, ripensando a quanto vorrebbe averlo fra le mani e maledicendosi mentalmente per non averlo fatto fuori quando ne aveva avuto l’occasione nella Stamberga Strillante, pochi mesi prima.

-Lei non capisce- tenta di spiegargli Constance. –La questione è più grave di quanto immagini!- termina, causando una sincera risatina di scherno dell’uomo.

-Senta, Petunia Dursley ha detto che avrebbe avuto delle informazioni per noi, ci ha fatto lei il suo nome. Ha detto che conosceva sua sorella Lily, abbiamo scoperto che anni fa abitavate vicini, eravate anche compagni di scuola, giusto? Probabilmente eravate amici, ragazzi coetanei che abitano vicino è ovvio che si mettano a giocare assieme per strada, no? Lo facevate anche voi, ne sono certa. Signor Piton, ci aiuti. Lo faccia per Lily, o per il piccolo Harry…-

A quelle parole, la risata di Piton scema lentamente, fino a lasciare un ghigno rabbioso sul volto.

-Se ne vada- sibila, con sguardo intimidatorio, afferrando la ragazza per il gomito e strascinandola a forza fuori dalla casa.

-Sto cercando l’assassino di mio padre!- confessa alla fine Connie, divincolandosi dalla presa dell’uomo ormai giunta sul tappetino d’ingresso. –La prego, mi aiuti- supplica alla fine, dimenticando la rabbia e l’orgoglio e fissando con occhi imploranti l’uomo.

-Lo sto facendo- dice Piton, chiudendole la porta in faccia.

 

_______________________________________________________________

 

Note:

 

1.    Frank Bryce è stato ucciso da Voldemort all’inizio di Harry Potter e il Calice di Fuoco

2.    Frank Bryce era il giardiniere Babbano di casa Riddle e, per diverso tempo, è stato il primo sospettato del triplice omicidio della coppia e del figlio. Da Harry Potter e il Calice di Fuoco

3.    Port Louise, alla Mauritius. Ipotesi dell’autrice sul logo dove si è rifugiato Sirius Black dopo la fuga da Hogwarts. Sono state scelte queste isole in particolare perché vicine all’Isola dei Cervi e l’idea di far nascondere Black vicino a un luogo con quel nome piaceva molto. Gli indizi: “Entrambe erano state recapitate non via gufo (com'era consuetudine tra maghi) ma da grandi, coloratissimi uccelli tropicali[…] A Harry invece erano piaciuti molto; gli facevano pensare a palme e spiagge candide, e sperava che ovunque Sirius si trovasse (Sirius non lo disse mai, nel caso che le sue lettere venissero intercettate) se la stesse spassando. Per qualche ragione, Harry faceva fatica a immaginare che i Dissennatori potessero sopravvivere a lungo alla luce diretta del sole; forse per questo Sirius era andato a sud” da Harry Potter e il Calice di Fuoco

4.    Ippodromo di Saint Louis

5.    La Gazzetta del Profata recapitata dai gufi

6.    “Erano entrati direttamente in un piccolo salotto, che dava un’impressione di oscurità, come una cella piena. Le pareti erano completamente ricoperte di libri, molti di essi avevano una  vecchia copertina di cuoio marrone o nera; un logoro divano, una vecchia poltrona ed un tavolo traballante erano raggruppati assieme nello stagno del getto fioco della luce proveniente da una candela appesa al soffitto” da Harry Potter e il Principe Mezzosangue

 

 

 

Ciao a tutti!

Ho fatto l’esame (!!!) e quindi, come è giusto che sia, torno ad aggiornare. Speriamo con maggior frequenza. Anche se, gente, ci stiamo avvicinando alla fine!!!

Questo è già il settimo capitolo, arriviamo al decimo, posto l’epilogo e ci salutiamo. Sigh.

Ok, sopravviverò.

Forse.

(sigh)

Torniamo a noi.

La storia delle Case… beh, temo di non essere stata abbastanza brava! XD

Nessuno di voi ha azzeccato tutte e quattro le case così come le avevo immaginate io, qualcuno si è avvicinato di più, qualcuno di meno.

Nessuna risposta è comunque sbagliata, lo ripeto, è solo uno stupido giochino. Ho disseminato qua e là degli indizi che però, mi rendo conto, possono essere passati inosservati ai vostri occhi. In fondo non stavate leggendo i capitoli con quell’ottica!

Comunque, se per voi va bene, metterei la mia soluzione (solo un’interpretazione, ovvio) alla fine del decimo capitolo, in modo da darvi la possibilità di vedere conclusa la storia e i personaggi delineati fino alla fine.

Vi va?

Quando siete certi, allora, scrivete in un commento (o appuntatevelo nella testa, se un pezzo di carta… dove volete!) i vostri abbinamenti finali e vedremo se siamo d’accordo o meno!

 

Un saluto a tutti!!!

E grazie mille dei commenti e delle letture!

 

Lete

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Capitolo 9
*** Capitolo ottavo ***


-Buono

 

 

 

-Buono?-

Constance gli sorride riconoscente. –Grazie, Dave. Ci voleva proprio- confessa, appallottolando nella mano la salvietta che, fino a un attimo prima, era avvolta attorno a un voluminoso cono gelato.

David Canter sorride di rimando, allungando il braccio dietro la schiena della ragazza e stringendola teneramente. –Vedrai, ce la faremo- le sussurra, dolce, baciandole la punta dell’orecchio.

Connie espira lentamente, accoccolandosi meglio contro il petto dell’uomo e godendosi quei primi raggi di sole primaverili.

Non era così sicura.

Dall’agosto del’anno prima, quando aveva incontrato Piton, non avevano fatto molti passi avanti. Vista la scarsa voglia di collaborazione dell’uomo avevano deciso di seguire i suoi spostamenti, piazzandogli addosso una microspia. Il problema era un altro. Chester aveva scoperto che gli oggetti elettronici, se entravano in contatto con delle radiazioni particolarmente potenti rilasciate dalle molecole che aveva isolato, facevano contatto e si rompevano.

Esattamente com’era successo al microfono che Constance aveva indossato prima di andare nella casa di Piton. Dave aveva detto di aver sentito un fastidioso ronzio e poi più niente. A un’analisi più attenta di Erick si era scoperto che i collegamenti dell’apparecchio si erano fusi e Constance, rileggendo gli appunti sull’appartamento dell’uomo, aveva fatto notare agli amici che erano assenti apparecchi elettronici. Non aveva segnato la presenza di una televisione, di un telefono… neppure la luce corrente! C’era una candela che pendeva dal soffitto, una candela!

“Ehi, Fratello Becher, quante molecole pensi di poter estrarre ancora?” aveva chiesto Erick a Chaz, interessato. E così, sfruttando la laurea in Chimica di Chester e quella in Informatica di Erick, avevano inserito nei circuiti delle microspie le molecole estratte dai particolati, fino a riuscire a ottenere la perfetta convivenza delle due forze.

Dave poi, con noncuranza, aveva finto di urtare Piton durante la sua uscita settimanale, piazzandogli addosso, proprio nel risvolto del funereo soprabito sempre indossato dall’uomo, la cimice l’ultima settimana di agosto.

Il segnale c’era.

Un puntino verde, identificativo dell’uomo, aveva brillato a intermittenza sul computer di Erick, fino a sparire, il primo settembre. Eppure non c’era stato alcun cortocircuito. Piton era come finito in un limbo che aveva, momentaneamente secondo Chaz, addormentato la microspia. Secondo i vicini, spariva a settembre e tornava a giugno, ma nessuno poteva dire di preciso dove, quel tipo silenzioso, si recasse per tutto quel tempo.

E così, da ormai troppi mesi, non avevano nulla su cui indagare.

Erick aveva sfruttato la sua prima laurea in Archivistica per trovare ogni informazione possibile su quel Remus Lupin, l’ultima persona raffigurata nella foto della signora Minus su cui non sapevano ancora nulla, senza, fra l’altro, ottenere risultati.

Come Sirius Black e come James Potter, sembrava un fantasma.

E, se almeno Dave, Erick e Chaz avevano da lavorare ai soliti casi e dovevano affrontare la monotona routine dell’ufficio, Connie non poteva fare altro che rimanere ben nascosta nell’appartamento di David a sfogliare l’agenda.

Quel pomeriggio, esasperata, aveva deciso di andare da Eugene, mandare al diavolo l’indagine e pregarlo in ginocchio di reintegrarla nell’incarico.

David, per fortuna, l’aveva bloccata in tempo, trascinandola a mangiare un gelato e a passeggiare mascherata per le strade di Londra.

-Ehi, ma quello…- borbotta David, aggrottando la fronte e alzandosi stancamente dalla panchina. Constance segue incuriosita il suo sguardo, individuando fra la folla un uomo vestito in abiti scuri.

-Lo conosci?- domanda, un attimo prima di essere afferrata per un braccio dal ragazzo e trascinata all’inseguimento. –E’ Kingsley Shacklebolt- la informa il ragazzo, osservando con aria professionale l’uomo che, a passo svelto, cammina fra la folla.

–Chi?- chiede Constance, cercando di recuperare dalla memoria quel nome.

-Era sul luogo dell’omicidio di Bryce, ha rivendicato la giurisdizione del caso- le ricorda paziente, strattonandola poi per una via parallela a quella che l’uomo stava percorrendo. –Fa parte di quell’unità speciale che rivendica la giurisdizione sul caso Black-.

Svoltano veloci verso la strada principale. David abbraccia per la vita la ragazza, fingendo di ridere divertito per una cosa appena detta, urtando poi, con finta noncuranza, Kingsley.

-Oh, mi scusi, non volevo…- finge di scusarsi David, afferrando l’uomo per la spalla. –Io… oh, non posso crederci! Io… davvero…. Agente Shacklebolt?- domanda, falsamente sorpreso, per poi distogliere la mano dall’uomo e passarla vicino al suo orecchio.

L’uomo lo squadra un attimo, perplesso, per poi ricollegare il volto al nome. –Agente Canter, giusto?- lo saluta, stringendogli la mano con una presa forte. –Che coincidenza!- ridacchia, prima di salutare con un cenno del capo la ragazza.

-La mia fidanzata, Constance- la presenta David, mentre Connie squadra attenta l’uomo. Ha un’aria amichevole, una voce profonda e tranquillizzante.

-E’ da molto che non ci vediamo… ah sì, adesso ricordo! L’omicidio Bryce- riprende David. –Avete preso il colpevole?- domanda poi, con professionale interesse. Kingsley sorride cordiale, per poi liberarsi dalla stretta del ragazzo. –Non ancora, purtroppo- scuote la testa l’uomo, riprendendo lentamente a camminare e facendo intuire alla coppia di avere fretta.

–E Black?-

Shacklebolt sorride, ammirando lo zelo del poliziotto. –Non posso parlare dell’indagine, mi dispiace- si scusa, accelerando il passo.

-In Centrale abbiano avuto diversi casi strani…- lo informa David, inventando al momento. –Forse potrebbero essere collegati a Black. Potremmo collaborare nelle indagini- offre, con una scrollata di spalle.

Kingsley si ferma, afferra le spalle del ragazzo stringendole rassicurante. –Dubito fortemente che siano collegate a Black. Dalle ultime informazioni in nostro possesso si trova in Tibet1 in questo momento- mente, sperando di risultare convincente. –Io non vi ho detto niente, però- sorride, salutando la ragazza con un cenno del capo e allontanandosi velocemente, sicuro di aver in quel modo scoraggiato totalmente ogni tipo di indagine da parte dei Babbani.

David sorride sornione.

-Perfetto-.

Constance lo trascina di lato, fissandolo torva. –Perfetto?- Ripete, storcendo il naso schifata. –Che cosa ti sembra perfetto? Non ci ha dato nessuna informazione utile!- sbotta, appuntando di malavoglia quella conversazione sulla straripante agenda.

Dave continua a sorridere, estraendo dalla tasca dell’impermeabile il cellulare. –Quel Shacklebolt sa più di quanto vuole farci credere- mugugna, soddisfatto. –Non avrai davvero creduto alla storia del Tibet?- chiede derisorio alla ragazza.

Connie, offesa, gonfia le guance. –Perché no?- sibila, infastidita.

David sorride compiaciuto. –Perché vuole lasciarci fuori da questa storia. Agente White, mi meraviglio di te! Pensi davvero che un ricercato si rifugi prima al caldo sole delle Mauritius e poi sotto i freddi ghiacciai del Tibet?- domanda, retorico.

-Ah, magnifico allora!- risponde Constance, tornando ad appuntare le informazioni sulla sua agenda. –Adesso sappiamo che Black non è in Tibet, meraviglioso! Ci rimane solo tutto il resto del globo da perquisire, ma è già un inizio- lo prende in giro, scrivendo concitatamente sull’agenda.

-Io non volevo informazioni da lui- le spiega, sorridente. –Volevo solo attaccargli una di queste- bisbiglia, estraendo dalla tasca dell’impermeabile una manciata di cimici. Constance spalanca gli occhi. –Sei riuscito a mettergliela addosso?- domanda con trepidazione.

-Ovvio, dietro l’orecchino. Sfido chiunque a trovarla. Adesso abbiamo un agente-invisibile della sezione speciale delle indagini su Black da seguire. Che te ne pare?- si vanta, accarezzando la guancia arrossata della ragazza.

-Chiamo Erick e Chaz per informarli dello sviluppo- la informa, allontanandosi di qualche passo alla ricerca di campo.

Constance espira soddisfatta, finendo di appuntare le informazioni. Quando rialza la testa, però, la sua attenzione viene catturata da una ragazza che, veloce, le passa davanti di corsa.

-Dave!- urla, riconoscendo quei capelli rosa e quel volto a forma di cuore. –DAVE!- ripete, cercando con gli occhi il collega che però, per la lontananza, non la sente.

Constance si abbassa il berretto sulla fronte, iniziando a camminare a passo svelto dietro la ragazza.

La segue fino al punto dove hanno visto Kingsley Shacklebolt sparire, la vede voltare l’angolo e iniziare a percorrere strette stradine. Superano una fermata della metro, un paio di piccoli edifici dall’aria malridotta e uno squallido pub.

Connie, estasiata, appunta tutto con foga, senza perdere di vista la ragazza che l’aveva aggredita quel giorno, per poi nascondersi dietro un angolo per spiare meglio la giovane che, all’improvviso, si è fermata.

Tonks si ferma davanti a un muro pieno di graffiti e, dopo essersi guardata attorno, entra nella cabina telefonica. E’ in ritardo! Dawlish la ucciderà se non la troverà nella sala riunioni Auror fra tre minuti! Al diavolo, userà l’entrata dei visitatori. Per una volta, che cosa importa?

Constance scrive febbrilmente sull’agenda, per poi sporgersi guardinga oltre l’angolo.

Sparita.

No, non può essersela lasciata sfuggire!

Con urgenza raggiunge la cabina telefonica2, osservandola con rabbia. Diversi vetri mancano e l’apparecchio sembra decisamente instabile. Chissà se il telefono funziona.

Entra con sospetto, lasciando la cigolante porta aperta e cercando qualche indizio che potesse tornarle utile.

-Cosa sta facendo?-

Connie si volta spaventata, incontrando gli occhi indagatori di un ragazzo dall’aria piuttosto arrabbiata.

-Secondo te?- domanda, guardinga, ostentando sicurezza.

Il ragazzo la squadra indagatore. –Chi è lei?- domanda poi, con tono severo.

-Non credo proprio che tu abbia l’autorità per saperlo, ragazzo- glissa Connie, notando con orrore un bastoncino spuntare dalla tasca dei pantaloni del giovane.

Ok, deve inventarsi qualcosa.

Il giovane strabuzza gli occhi, preso alla sprovvista. –Che… cosa? Guardi che sta parlando con l’assistente del Primo Ministro!- la informa, rimarcando con particolare enfasi la carica rivestita.

Constance inizia a sudare freddo. –Sul serio?- domanda, cercando di mantenere un tono monocorde. –Beh, allora dica al Ministro che non è questo il modo di trattare un informatore- mente, mordendosi in ansia il labbro.

Il giovane si passa una mano fra i capelli rossi, aggrottando la fronte. –Informatore?- ripete, stupito.

Constance si avvicina al giovane con aria guardinga. –Ho delle informazioni su Black- mormora a denti stretti, notando il ragazzo sbiancare all’improvviso.

-Cos… come…- balbetta il rosso, fissandola con gli occhi spalancati.

-Sirius Black- ripete, piccata. –Devo forse scrivertelo?- lo prende in giro, cercando di calmare i battiti accelerati del cuore.

Il giovane scuote la testa con forza. –Ma…- tenta, prontamente interrotto dalla ragazza.

-Dovevo incontrarmi con Shacklebolt, è lui l’incaricato della sua cattura, no?- lo aggredisce, con aria minacciosa. –Beh, non si è presentato all’appuntamento! Sai che ti dico? Peggio per lui allora! Troverò altri a cui vendere le informazioni!- sbotta, ricordando le parole di Piton secondo cui sono più i soggetti che cercano Black.

-Deve… deve esserci stato un disguido- la blocca il ragazzo, impedendole di uscire dalla cabina. –Se… se mi permette la scorterò personalmente all’ufficio Auror competente e mi farò giustificare l’inadempimento degli obblighi da Shacklebolt stesso!- si offre, chiudendo risoluto la porta della cabina alle proprie spalle.

L’idea di Constance di fuggire da lui sembra sfumare.

-Non so…- pigola, terrorizzata da quel discorso. Chi diavolo sono gli Auror? Che sia il nome dell’organizzazione con quelle bacchette? E il Primo Ministro? Non sarà il vero Primo Ministro, giusto?

-Oh sì invece!- sbotta il ragazzo, rosso in volto. –Gli Auror si prendono troppa libertà, l’ho sempre pensato! Ma arrivare fino a questo punto, rischiare di perdere informazioni su Black… informerò il Ministro personalmente, non ne dubiti!- le dice, in modo concitato, afferrando la cornetta dell’apparecchio e iniziando a far ronzare il disco del telefono.

Constance, con le mani tremanti, stringe l’agenda al petto, iniziando ad annotare quelle che, teme, potrebbero essere le ultime informazioni raccolte sul caso.

“Benvenuti al Ministero della Magia. Per favore dichiarate il vostro nome e i vostri affari” dice una voce metallica con fare gentile.

Connie si guarda attorno sorpresa, fissando con stupore la cornetta e cercando di individuare gli altoparlanti.

-Percy Weasley, assistente personale del Ministro Cornelius Caramell- si presenta il ragazzo, parlando alla cabina più che all’apparecchio. –Accompagno…- biascica, fissando con aria interrogativa la giovane.

-Sono un informatore anonimo- mormora con un filo di voce Constance, appiattendosi contro la parete della cabina. Percy storce la bocca. –Un Informatore- annuncia alla fine.

Constance riprende a scrivere febbrilmente, mentre le immagini di Chaz, sua madre, Eugene, Erick e Dave le affollano la mente.

“Grazie” dice la limpida la voce femminile. “Informatore, è pregato di prendere il tesserino di riconoscimento e di attaccarlo alla parte anteriore dei suoi vestiti”.

Percy afferra i due foglietti usciti dallo scivolo di metallo per il resto, per poi passargliene uno e cercare di spiare lo scritto. Connie chiude di scatto l’agenda, inserendovi dentro con cura il tesserino.

“Informatore, le è richiesto di sottoporsi a una perquisizione e di presentare la sua bacchetta per la registrazione al banco di sicurezza, situato all’estremità opposta dell'Atrio”.

-La accompagno io- la rassicura prontamente Percy, mentre le parole “bacchetta”, “perquisizione” e “banco di sicurezza” risuonano malvagie nella testa della ragazza.

In un attimo il pavimento inizia a tremare e, con enorme sorpresa della ragazza, la cabina sprofonda nel pavimento.

Ascensore mascherato da cabina telefonica non funzionante. Ingegnoso! Appunta Constance, sempre sotto lo sguardo vigile e attento di quel Weasley.

Dopo circa un minuto di discesa, la voce metallica risuona nella stanza.

“Il Ministero della Magia vi augura una piacevole giornata”.

Il… cosa?

MINISTERO DELLA MAGIA!!! Scrive, febbrile. Ecco come quei matti chiamano la loro organizzazione segreta!

-Siamo arrivati- la informa cordialmente Percy, aprendo la porta della cabina e cedendole il passo.

Connie non riesce a credere ai propri occhi.

Si trova in una enorme sala, stracolma di gente vestita in modo bizzarro. Le pareti sono rivestiti di legno scuro, intervallate da un numero spropositato di camini.

-Da questa parte- la invita Percy, iniziando a camminare a passo sicuro verso un angolo dell’enorme atrio.

Constance, lentamente, indietreggia, fino a voltare le spalle al ragazzo e correre verso un cunicolo laterale, nascondendovisi spaventata.

E’ circondata!

E’ terribilmente nei guai!

Estrae dalla tasca il cellulare di servizio, sbiancando d’un tratto.

Morto.

Quel posto deve essere dannatamente pieno di quella molecola isolata da Chaz.

Ok, niente panico.

Dave la starà sicuramente cercando.

Appunta veloce ogni particolare che riesce a vedere, compresa l’enorme fontana in centro alla sala.

Quello deve essere senza dubbio il quartier generale di quell’organizzazione delle bacchette, quella di cui fanno parte la vecchietta incontrata a Godric’s Hollow e i tre che l’hanno aggredita a casa, oltre al rosso di prima. E forse anche quel Shacklebolt! E se fossero coinvolti anche quello sgradevole Piton e il misterioso Lupin?

-Signorina?-

Connie si alza in piedi con un salto, socchiudendo gli occhi per la troppa luce che un uomo le sta puntando in faccia.

-Si identifichi- le domanda annoiato, avvicinandosi di qualche passo.

-I-io…- balbetta Constance, nascondendo veloce l’agenda nel retro dei pantaloni.

L’uomo aggrotta la fronte, pensieroso, per poi abbassare il fascio di luce. E’ quel bastoncino, non è una pila!

-Mi mostri la bacchetta- le ordina, con tono imperioso.

-La ba-bacchetta? Oh sì… ce-certo!- farfuglia la ragazza, portando la mano al fianco sinistro ed estraendo veloce la pistola.

-Mani in alto o…- riesce a gridare, prima di sentire l’uomo borbottare un annoiato stupeficium e una luce rossa colpirla in pieno petto.

Connie si accascia al suolo, priva di sensi.

-Oh, per la barba di Merlino!- si sfoga l’uomo, avvicinandosi con stizza al corpo privo di senso della ragazza.

-Qualche problema, Herbert?- domanda un uomo, fissando con sospetto lo stretto cunicolo in disuso.

-Un altro Babbano, John- borbotta l’addetto alla sicurezza, raccogliendo la pistola della ragazza da terra e cercando a fatica di farla rientrare nel fodero. –E’ il terzo questo mese- si lagna, girando la ragazza in posizione supina.

-Falle nel sistema?- domanda sbrigativo l’Auror, controllando sull’orologio di non arrivare in ritardo alla riunione.

Herbert fa spallucce. –L’ho detto a quelli dell’Ufficio per l'Uso Improprio dei Manufatti dei Babbani che l’entrata dei visitatori è rischiosa, ma figurati se mi ascoltano- sbuffa, iniziando a trascinare la ragazza per le braccia verso la propria scrivania.

-Ti mando giù un Oblivatore, allora- si offre l’Auror, avvicinandosi di qualche passo.

-Nah, lascia perdere- risponde l’uomo, riprendendo fiato. –Quelli lì non si muovono dalle loro scrivanie se non c’è un ordine in carta bollata. Ho l’autorizzazione speciale per oblivare dieci minuti dalla mente dei Babbani proprio per velocizzare situazioni come questa. Sarà più che sufficiente. La scocciatura sarà compilare tutte le scartoffie e avvisare l’ufficio dei Babbani che contatterà chi di dovere. Quelli lì vogliono essere informato di ogni oblivazione fatta su uno dei loro- lo rassicura, agitando la bacchetta in aria e facendo alzare il corpo della ragazza.

-E dopo?- domanda incuriosito l’Auror.

-La lascerò vicino alla cabina. C’è un pub poco lontano, penseranno tutti che si è fatta una bella sbornia-.

 

_______________________________________________________________

 

Note:

 

1.    “Anche Kingsley Shacklebolt è un elemento prezioso; lui ha l’incarico di dare la caccia a Sirius, così ha alimentato le informazioni al Ministero che Sirius è in Tibet” da Harry Potter e l’Ordine della Fenice

2.    Siamo arrivati,” disse il Sig. Weasley con un gran sorriso, indicando una vecchia cabina telefonica rossa, dalla quale mancavano vari pannelli di vetro, davanti a un muro pieno di graffiti” da Harry Potter e l’Ordine della Fenice

 

 

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Capitolo 10
*** Capitolo nono ***


-Tieni-

 

 

 

-Tieni-.

Connie squadra con sospetto il contenitore di plastica, svitandolo attenta.

-Che ci devo fare?- chiede poi, massaggiandosi infastidita la fronte nel vano tentativo di ridurre quel fastidiosissimo cerchio alla testa.

-Ti sto sottoponendo a dei test antidroga, Constance. Secondo te?- le domanda indispettito Chester, accennandole con il capo alla porticina bianca del bagno.

La sorella sbuffa, saltando giù dal tavolo del laboratorio dove si era seduta.

-Non ti basta l’esame del sangue e l’analisi dei capelli?- lo interroga speranzosa, mentre Erick, di guardia all’ingresso, le lancia una bottiglietta d’acqua.

Chaz si abbassa sul microscopio, analizzando nuovamente il capello. –Qui non c’è traccia di stupefacenti, ma in compenso la concentrazione di quella strana molecola è molto elevata- borbotta, mettendo meglio a fuoco. –Forse nelle tue urine potrei trovare qualcosa di più utile- conclude.

-Non hai invece un’aspirina da darmi? Ho la testa che mi scoppia- si lamenta, iniziando a bere avidamente.

-Ben ti sta- la rimprovera David, comodamente seduto su un alto sgabello del laboratorio. –Mi hai fatto morire- le rinfaccia per la centesima volta.

Connie storce la bocca, dispiaciuta.

-Oh, piantatela voi due!- sbotta Erick, controllando che nessuno degli agenti sottoposti cui Chester ha dato il pomeriggio libero facciano ritorno. –Non credete sia abbastanza stressata, senza i vostri rimproveri da donnine isteriche?- ridacchia, ammonendo con lo sguardo Chaz e Dave.

-Oh, fai presto a parlare tu- lo aggredisce David, alzandosi in piedi. –Non l’hai certo trovata priva di sensi vicino a un pub dalla dubbia moralità!- gli ricorda, brandendo l’agenda della ragazza come un’arma da scagliare.

-No, ma non è stato comunque lui a perderla di vista- interviene Chester, muovendo agitato i baffi da una parte all’altra, fremente di rabbia.

-Oh, quindi adesso è colpa mia, Protettore delle Cuvette?- lo sfotte di rimando David.

-Io vado in bagno…- li informa laconica Connie, strizzando gli occhi per il dolore alle tempie.

-Ok, siamo tutti molto agitati ragazzi, va bene? Ma non dobbiamo metterci l’uno contro l’altro, forza! Peace and love!- propone allegro Erick, beccandosi l’occhiata ammonitrice di entrambi gli altri colleghi.

Chester, con un ringhio, torna ad analizzare i capelli della sorella, trafficando con varie sostanze per isolare le molecole, mentre David torna seduto al suo posto, sfogliando di malavoglia l’agenda.

-Non ricordi proprio niente?- urla poco dopo, verso il bagno.

-Solo che ti sei allontanato per chiamare e io ho iniziato a pedinare la punk- urla come risposta Constance, la voce attutita dalla porta chiusa. –Nient’altro-.

David si porta una sigaretta alle labbra, pensieroso.

–Vuoi farci saltare tutti in aria?- gli domanda indispettito Chester, mentre Erick gli indica il cartello del “vietato fumare”. Dave rimette con stizza la sigaretta in tasca, riprendendo a leggere.

-Non possono averle dato del valium?- chiede interessato Erick, controllando il lungo corridoio. –O del tavor? Causano amnesia- insiste.

-Sono entrambe benzodiazepine- spiega Chaz, cambiando provetta. –Ne avrei trovato tracce almeno nel sangue-.

-Punk scompare. Cabina del telefono. Non funziona. Percy Weasley, circa vent’anni, un metro e settanta, capelli rossi. Queste cose non ti dicono niente?- alza la voce David, scorrendo le note della collega.

-Niente!- mugugna frustrata Constance.

-Assistente del primo Ministro- continua a leggere. - Ascensore mascherato da cabina telefonica non funzionante. Ingegnoso! Auror?- borbotta, interrotto da un fischio di ammirazione di Erick. –Babbano…- commenta poi, osservando lo sguardo perplesso dell’amico.

-Oh, piantala di dire quella parola!- si lamenta Chester, alzando gli occhi verso il soffitto.

-Se non sappiamo cosa vuol dire, posso darle il significato che voglio, no?- si difende, movendo qualche passo verso il centro del laboratorio.

-Connie, qui c’è scritto che nel sottosuolo ci saranno state circa cinquanta persone armate di… bacchetta?- domanda sinceramente stupito David, avvicinando l’agenda agli occhi per leggere correttamente la calligrafia veloce della ragazza.

-Vuoto totale- commenta un attimo dopo la ragazza.

-E poi hai scritto Ministero della Magia!!!- continua, incuriosito. –Che cosa volevi dire?- domanda, rigirandosi fra le dita quel curioso biglietto identificativo.

-Dave, come posso farti capire che non me lo ricordo?- sbotta la ragazza profondamente infastidita dall’interrogatorio.

-Questa storia si fa sempre più babbana …- commenta Erick, facendo tremare di disappunto i baffi di Chester.

-Constance, quanto ci metti ancora?- chiede con una punta di isterismo nella voce il tecnico di laboratorio.

-Un attimo! Non è facile con voi tre che continuate a interrompermi!- si lamenta, sbuffando sonoramente.

-Cosa diavolo ti è venuto in mente di portarla qui?- domanda Chester a David che, intanto, ha chiuso l’agenda perplesso.

-E dove potevo portarla? All’ospedale avranno sicuramente il suo nominativo- risponde ovvio Dave, alzandosi in piedi al suono dell’apertura della porta del bagno.

-E portarla al New Scotland Yard ti è sembrata invece una buona idea?- lo rimprovera Chaz, afferrando il contenitore che la ragazza gli porgeva ed etichettandolo con attenzione.

-Avanti, druido del Mortaio- interviene Erick. –Cosa voi che succeda? Il Commissario Scott non esce mai dal suo ufficio! E’ stata proprio un’idea babbana da parte tua, Dave!- scherza, abbracciando Connie all’altezza delle spalle e ridendo del rossore di Chester.

-Ripeti ancora una volta la parola babbano, Erick, e, ti prometto, sarà l’ultima- lo minaccia Chaz, inserendo il contenitore in una specie di enorme freezer.

-Constance?-

David si immobilizza di colpo mentre Chester, pallido, si volta verso la porta d’ingresso del laboratorio.

Eugene Scott, con il solito doppiopetto e la faccia rubiconda, sorride agli agenti.

Erick si mette d’istinto di fronte alla ragazza che, terrorizzata, fa qualche passo indietro.

Silenzio.

-Constance!- ripete il Commissario, giulivo, muovendo qualche passo verso di lei. –Oh, sono così felice di rivederti!- esulta, scostando Erick con poca grazia e abbracciando la ragazza con sincero affetto.

Connie rimane prima sulla difensiva, per poi sciogliersi e abbracciare a sua volta il vecchio amico del padre.

Dannazione, quel traditore le è veramente mancato.

-Eugene, io…- pigola, zittita da una carezza gentile dell’uomo. –Stai bene?- si informa prontamente, accarezzandole la fronte.

-I-io…-

-Ti ricordi di me, vero?- la interroga, con ansia.

Constance aggrotta la fronte, sorpresa, per poi cercare con gli occhi lo sguardo amico di Chester che, con un cenno del capo, la invita a rispondere.

-Certo che mi ricordo di te, Eugene- lo rassicura, sorridente.

-E di tuo padre? Ti… ti ricordi anche di lui, vero?- insiste l’uomo, sinceramente preoccupato.

-Come potrei dimenticare lui o mamma, scusa?- ridacchia Connie, profondamente turbata dalla stranezza di quelle domande.

Il Commissario Capo Scott sorride stringendole forte un braccio, felice di rivederla. –Già ma sai, con quella gente lì… non si sa mai… le loro stranezze… non mi fido molto…- mugugna, facendo scambiare uno sguardo eloquente a David, Erick e Chaz.

-Eugene, cosa…- tenta di chiedere Connie, immediatamente interrotta.

-Oh, lascia stare. Riflessioni da vecchi, forse un giorno capirai- svicola, continuando ad abbracciarla e voltandosi poi verso gli altri tre agenti.

-Sapevo di trovarti qui con Chester- ammette, squadrando con aria di rimprovero il figlioccio che, in ansia, inizia a muovere agitato i baffi. –Così come sapevo che l’agente Canter aveva mantenuto i contatti con te- continua, causando un ulteriore irrigidimento di David. –E che tutti gli straordinari fatti dall’agente Miller fossero solo per fare ricerche non autorizzate-.

-Capo, lei è troppo bab…- inizia Erick, immediatamente zittito da una gomitata provvidenziale di Chaz.

Fortunatamente Scott sembra non averlo sentito.

-Fortuna che nessuno di voi si è cacciato nei guai. Non si scherza con gente come quella, non si sa che cosa potrebbero fare- conclude, sibillino.

-Che gente, Capo?- interviene di nuovo Erick, ostentando la miglior faccia innocente che conosca.

-Nulla Miller, nulla- sminuisce Eugene, abbracciando ulteriormente Connie e, ormai vicino, assestando una forte pacca sulla spalla a Chester.

-E, dimmi Constance…- inizia, meditabondo. –Cosa sai dirmi invece di Black?- domanda, con aria attenta.

Connie apre la bocca, guardando la testa di David fargli un leggero cenno di diniego.

-Black… chi?- domanda quindi.

-E’ un ricercato Constance, nessuno di importante- interviene David, alzando le spalle con aria indifferente. –Perché le interessa, Capo?-

Eugene ride deliziato lasciando la presa dei ragazzi e fissandoli soddisfatto.

-Molto bene ragazzi, sono fiero di voi. Mi avete fatto preoccupare, non lo nego, ma vedo che tutto si è risolto per il meglio. Non me lo sarei mai perdonato se vi fosse accaduto qualcosa- constata, gonfiando il petto ed espirando come se si togliesse un grosso peso dallo stomaco.

-Agente White, sei immediatamente reintegrata nel tuo incarico- annuncia, solenne, facendo sorridere la ragazza e consegnandole la pistola d’ordinanza.

-Il distintivo credo sia già in tuo possesso, dico bene Miller?- ridacchia l’uomo, squadrando con sguardo ammonitore Erick che, impacciato, inizia a fischiettare indifferente.

Dopo gli ultimi saluti di rito, Eugene si fa invitare da Chester alla cena della domenica seguente, con la promessa che saranno presenti anche la piccola Elizabeth e la cara Mercy per sparire poi su per le scale, rasserenato.

-Babbano…- commenta con gli occhi vacui Erick e beccandosi una gomitata di vendetta di Chester.

-Ma cosa…- domanda perplessa Constance, stringendosi al braccio di Dave.

-Devono avergli detto che ti hanno cancellato la memoria- conclude David, stringendo a sua volta la ragazza. –Crede però che lo abbiano fatto dall’inizio, dall’esplosione di Tooley Street Probabilmente era questo che dovevano fare sia gli agenti che sono venuti a interrogarti a casa dopo la Strage, sia i tre che ti hanno aggredita a casa. Probabilmente è questo anche quello che hanno fatto agli altri testimoni- ipotizza, senza nascondere un brivido di paura.

-Ma, invece, ti hanno fatto dimenticare solo gli ultimi minuti, quelli in cui hai trovato il loro covo- continua Chester, tornando al proprio microscopio mentre, il portatile di Erick inizia a trillare.

-Ragazzi, Shacklebolt è ricomparso. Si sta muovendo- li informa, facendo notare a tutti il puntino arancione muoversi lentamente sulla cartina informatica.

-Inizia il pedinamento- conclude per lui Dave, ritrovando finalmente la speranza di svelare quel mistero.

 

Tornare al lavoro era stato bello. Spolverare la scrivania stracolma di carte, riassaporare le ciambelle al gusto di cartone, informarsi sui pettegolezzi dell’ultimo anno e mezzo.

Anche tornare alla propria vita, come poter uscire di casa senza travestimenti, andare a trovare sua madre una volta alla settimana senza il timore di essere seguita, dormire nel proprio appartamento.

Le novità di quegli ultimi mesi, però, l’avevano profondamente cambiata.

Ormai, nella sua testa, il caso Black era l’unico effettivamente meritevole di attenzione e anche l’unico che, i quattro, si ostinavano a seguire con crescente eccitazione.

A turno, quando non erano al lavoro, annotavano gli spostamenti di Shacklebolt, scoprendo che poteva sparire da una zona di Londra all’improvviso per poi ricomparire, neanche mezzo secondo dopo, dall’altra parte. Spesso si incontrava con quella punk dai capelli rosa, si fermavano un paio d’ore a parlare e poi si dividevano, senza incontrarsi anche per lunghi periodi.

A fatica Erick era riuscito a piazzare una cimice anche a lei, fingendosi un rapper poco convincente e tentando di abbordarla per strada per attaccare la piccola microspia alla cintura dei pantaloni della ragazza. Al puntino arancione della cartina si era quindi aggiunto, con somma esaltazione di tutti e quattro, anche un puntino rosa.

A giugno, inoltre, puntuale come un orologio svizzero, il piccolo puntino verde di Piton era magicamente riapparso a Spinner’s End.

Ma si spostava più spesso. Qualche volta scompariva dalla cartina, rimaneva assente diverse ore, e poi ricompariva, placido, a casa.

La sorpresa maggiore però, la riservò la metà del mese.

Quasi ogni settimana, senza una chiara frequenta, tutti e tre i tre puntini si dirigevano in un quartiere periferico di Londra, facendo ben attenzione a non incontrarsi mai, per poi sparire.

Erick aveva cercato in tutti gli archivi e le biblioteche del Regno Unito, senza trovare una spiegazione logica. Dagli uffici amministrativi, la risposta alle incalzanti domande dei quattro era una sola: errore di numerazione.

Nessuno sembrava sapere nulla di Grimmaul Place numero dodici.

 

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Capitolo 11
*** Capitolo decimo ***


-Allora, siete pronti

 

 

 

-Allora, siete pronti?- s’informa David, voltandosi verso i sedili posteriori alla ricerca degli occhi della ragazza.

-Mai stati più pronti!- gli sorride Connie, giocherellando con la fede all’anulare sinistro.

-Sarà una babbanata!- scherza Erick, dal sedile di guida.

Il famigliare suono di caricamento della Walther P99 di Chester risuona maligno nell’abitacolo della macchina. –Coraggio, ripetilo- lo invita minaccioso Chaz, puntano la canna della pistola sullo schienale del guidatore.

-Piantala Chaz!- lo ammonisce la sorella. –Aiutami invece!- lo prega la ragazza, cercando di chiudere l’allacciatura sulla schiena del giubbotto antiproiettili.

-Speriamo vada tutto bene- sospira David, controllando per la millesima volta la propria Glock 26.

-Non so proprio di cosa tu abbia paura Dave, sul serio!- ironizza Erick, brandendo con aria minacciosa la sua carabina Heckler & Koch MP5.

-Forse del fatto che stiamo per addentrarci nel covo di un pluriomicida ricercato?- ironizza Chester, controllando con sguardo preoccupato i sicuri movimenti di Connie nel caricare la propria SIG P226.

-Nah, babbanate!- ripete Erick, facendo un gesto vago con la mano, come se stesse scacciando una mosca. –Siamo armati fino ai denti, che può succederci?- domanda, retorico.

-Avete usato tutti i proiettili modificati?- s’informa Chester con tono stranamente paterno, ignorando i continui tentativi di Erick di farlo impazzire.

I colleghi annuiscono seri, ripensando ai proiettili con la molecola non riconosciuta che avevano usato al posto di quelli in dotazione. Non sono sicuri che possano essere utili, ma almeno così si sentono più sicuri.

-Connie…- sussurra un attimo dopo David, visibilmente preoccupato.

-Sì, Dave?- s’informa presto la ragazza, intrecciando le proprie dita con quelle del marito.

David sorride, sporgendosi verso il retro della macchina.

-Ti amo- sussurra, in modo quasi impercettibile.

-Ti amo anch’io- sorride Connie, baciando teneramente il marito.

-Ehi, ti voglio bene Chaz- sussurra Erick, sporgendosi a sua volta verso il ragazzo seduto sul sedile dietro.

-Giuro che se usciamo vivi da quella casa ti ammazzo…- biascica Chester, muovendo in modo isterico i baffi e stringendo convulsamente la propria pistola.

-Oh, avanti! Non essere così timido! Lo che, in fondo, tu mi vuoi…-

-GIU’!-

All’ordine di David, tutti gli agenti si acquattano silenziosi, sbirciando dal finestrino i movimenti nella strada.

La punk, con una certa fretta, sta correndo verso di loro.

Nell’oscurità, David e Erick si scambiano uno sguardo pieno di significato, sorridendosi a vicenda mentre, dietro, Chester accarezza protettivo la mano della sorella.

Tonks, dopo essersi accertata di essere sola nella piazzetta, si ferma di fronte al numero undici e al numero tredici di Grimmauld Place ed estrae la bacchetta, mormorando i contro incantesimi necessari per entrare.

Erick apre con uno scatto il piccolo portatile, osservando il puntino rosa sulla mappa. E’ fermo proprio dove, a poche ore di distanza, sono spariti anche l’arancione e il verde.

David alza la mano, in modo tale che tutti i componenti del gruppo possano vederla.

Indice.

Medio.

Anulare.

E’ il segnale.

Silenziosi, i quattro sgusciano fuori dalla vettura, avvicinandosi di soppiatto alle spalle dell’Auror.

-Scotland Yard… non fiatare!- la ammonisce David, puntandole la canna della pistola alla nuca.

Tonks spalanca gli occhi, sorpresa, per poi voltarsi di scatto verso l’agente, brandendo la bacchetta. –Che cosa vu…- riesce a dire, un attimo prima che, veloce, Chester le afferri il polso e devii il raggio dell’incantesimo verso il suolo.

-Ferma!- le intima Erick, puntandole la propria arma alla gola mentre Chester la disarma veloce e infila la bacchetta della ragazza nei propri pantaloni.

Connie raggiunge il gruppo e, una volta rinfoderata l’arma, ammanetta la ragazza.

-Che diavolo vi salta in mente?!- strepita Tonks, cercando di divincolarsi dalla stretta esperta della ragazza. –Hai il diritto di non parlare- le suggerisce l’agente, strattonandola in piedi.

David, intanto, osserva con la bocca spalancata la porta di fronte a sé.

-Cosa diavolo… Erick!- sbotta, richiamando l’amico sottovoce. –Non avevi detto che c’era un errore di numerazione e che il dodici non esisteva?- lo interroga, con una nota di isterismo nella voce.1

-Così mi hanno detto…- cerca di giustificarsi l’archivista, ignorando lo sguardo canzonatorio di Chester.

-Babbani?!- urla Tonks, sorpresa e arrabbiata. –Cosa vi salta in mente, si può sapere? Noi non…- mugugna, finché Connie non le punta l’arma alla tempia, spintonandola verso l’ingresso.

-Pronti?- chiede David, controllando che siano tutti in posizione.

Di nuovo.

Indice.

Medio.

Anulare.

Irruzione.

Dave spalanca la porta con un calcio, entrando veloce nella casa. Chester lo segue, la solita espressione scontrosa sul volto e i baffi vibranti. Connie spintona dentro una riluttante Tonks mentre Erick, in coda, controlla che nessuno in strada li abbia visti, richiudendo la porta.

-Scotland Yard!-

-Mani in vista!-

-Fermi tutti!-

-Siete in arresto!-

-Voooi!- urla una voce di donna. -Sudiciume! Sporchi Babbani che non siete altro! Come osate!2 - continua, acutizzando ad ogni parola la voce mentre i poliziotti, incapaci di comprendere da dove venissero le grida, mirano alle quattro pareti della piccola entrata.

-Tonks, sei tu?- domanda una voce, proveniente da chissà quale porta dello scuro corridoio.

I quattro agenti si guardano l’un l’altro, dandosi ordini con cenni rigidi del capo.

Si può intravedere una timida luce provenire dalla porta sul fondo.

Lesto, David s’incammina, spalle al muro, verso il fondo del corridoio.

Di nuovo.

Indice.

Medio.

Anulare.

VIA!

-Scotland Yard!-

-Mani in vista!-

-Fermi tutti!-

-Siete in arresto!-

Quando anche Erick riesce a entrare nell’ampia cucina, punta la carabina sul gruppo di persone che, allibite, li fissano dall’ampio tavolo.

-Non ci posso credere…- borbotta un uomo dai capelli rossi, alzandosi meravigliato dalla propria sedia. –Hai visto Molly? Babbani!- esulta, sorridendo con sincero interesse verso i quattro poliziotti che, rigidi, li tengono ancora sotto tiro.

-Babbano lo dirai a tua sorella!- sbotta minaccioso Erick, invitandolo a tornare seduto con un cenno eloquente con la canna della sua Heckler & Koch MP5.

-Oh, per tutti i calderoni!- si lamenta la grossa donna al fianco dell’uomo. –Arthur, torna seduto!- gli ordina, strattonandolo per la maglia.

-Dora, stai bene?- s’informa con una nota di preoccupazione un uomo dall’aria malaticcia, sporgendosi dalla propria sedia.

-Indietro!- gli ringhia Chester, impedendogli la visuale della sorella che, rigida, continua a puntare la propria pistola alla tempia della punk, evitandole di divincolarsi.

-Dave, lo riconosco! E’ Lupin!- urla Connie, mentre David suda freddo per l’inaspettata minoranza numerica.

Remus aggrotta la fronte. –Ci conosciamo?- domanda poi, cercando di intravedere la persona che ha parlato.

-Fate silenzio se non volete che vi faccia saltare le cervella!- urla minaccioso Erick, passando la propria arma su tutti i presenti con movimenti veloci.

-Piantala di fare il cretino!- lo ammonisce Chester, mentre una goccia di sudore gli scivola dalla fronte.

-Erano anni che volevo dirlo!- gli confessa elettrizzato l’archivista, tornando a puntare l’arma sul gruppo di persone.

-Agente Canter… come siete arrivati qui?- domanda sinceramente sorpreso Kingsley Shacklebolt.

-Gettate le armi!- ordina con tono imperioso David.

-Hai sentito, Molly? Le armi! Oh, non ero così eccitato dalla nascita di Ginny!- non si trattiene da dire Arthur, beccandosi l’ennesima occhiata ammonitrice della moglie.

-Sì, insomma, le bacchette!- si sforza di dire David, ignorando quanto quelle parole gli sembrino ridicole. –Gettatele ai nostri piedi, subito! Non avete via di scampo!- ordina, accennando con un cenno del capo a una assolutamente tranquilla Tonks.

-Congratulazioni Black, davvero- sibila canzonatoria una voce. –Davvero un Quartier Generale perfetto, a prova di Mangiamorte. Non a prova di Babbani ma, come si dice, non si può avere tutto dalla vita, giusto?- conclude, con una smorfia di soddisfazione nella voce.

-Oh, taci Mocciosus!- lo zittisce la figura che, dalla sua posizione, dà le spalle alla porta.

-Piton!- grida Connie, spintonando Tonks fino al tavolo per vederlo meglio. –Ah, lo sapevo! Me lo sentivo che eri coinvolto!-

Severus, a quell’affermazione, alza appena un sopracciglio, riconoscendo la poco gradita ospite.

-Tu- comanda Chester, con sguardo d’odio alla figura col volto ancora nascosto. –Voltati-.

L’uomo di spalle si gira lento, ritrovandosi la canna della pistola del ragazzo esattamente appoggiata alla fronte.

-Entrate così in casa mia e vi permettete anche di dare degli ordini?- chiede, con la voce acutizzata dalla rabbia.

Le mani di Chester tremano, mentre antiche voci di vendetta gli risuonano nella mente. Connie, al suo fianco, si immobilizza, lo sguardo fisso negli occhi neri dell’uomo.

-Sirius Black?- interviene Dave, facendo un cenno del capo ad Erick perché spintoni Chaz di lato, per evitare il peggio.

-Chi mi vuole?- sghignazza divertito Black, appoggiando i gomiti sul tavolo, in una posizione comoda.

-Scotland Yard- mormora febbricitante David, la bocca impastata per la soddisfazione. –Sei in arresto-.

-ALLE TUE SPALLE DAVE!- urla Erick, iniziando a far fuoco verso il corridoio dove un uomo avanza zoppicante.

-Oh no, non di nuovo!- abbaia Moody, deviando i proiettili della carabina con un semplice movimento di bacchetta. Stupeficium!- urla dopo, facendo uscire un raggio scarlatto dalla propria bacchetta.

Erick ne viene investito in pieno e, per il colpo, perde l’arma e si schianta alla parete dall’altra parte della cucina, accasciandosi quindi privo di sensi.

-Erick!- urla con preoccupazione Chester, seguendo con lo sguardo il volo dell’amico.

-Petrificus Totalus- si limita a biascicare Lupin, agitando con poca convinzione la bacchetta.

Il ragazzo, improvvisamente freddo e bianco, si schianta a terra terribilmente rigido, con in mano ancora la pistola.

-No, Chaz!- scatta Connie, indebolendo la presa attorno a Tonks. L’Auror, approfittandosene, si abbassa di colpo, facendola cadere a terra con uno sgambetto.

-Incarceramus- sibila, con un moto di soddisfazione, Piton, facendo attenzione che le funi invisibili si stringano anche attorno alla bocca della ragazza.

-Connie!- grida disperato Dave, abbassandosi verso la ragazza che si divincola per terra.

La bacchetta di Sirius saetta veloce, colpendo in pieno il ragazzo con il proprio incantesimo. -Levicorpus!-

Dave, in un attimo, si ritrova appeso per una caviglia al soffitto della cucina.

-Bene, bene, bene…- ridacchia Sirius. –E’ stato divertente-.

-Qualcuno mi vuole liberare da questi… queste… cose?!- ringhia stridula Tonks, strattonando le manette.

-Vigilanza costante, Tonks!- la rimprovera Alastor, indirizzando un raggio verso la serratura delle manette e aprendole con facilità. –Te lo sei dimenticato?- insiste, notando la faccia dispiaciuta della ragazza che si accarezza i polsi mentre Remus, visibilmente sollevato, scuote la testa ridacchiando.

-E di loro, cosa ne facciamo?- domanda con sincero interesse Arthur, studiando da vicino il corpo svenuto di Erick.

-Lascialo stare!- urla dalla sua scomoda posizione Dave, divincolandosi indemoniato.

-Oh, povero caro- borbotta sconsolata Molly, notando il colorito rossastro che ha assunto la faccia di David. –Sirius, avanti! Lascialo andare-.

-Non ci penso nemmeno!- ridacchia Black, divertito da quella scena.

Piton afferra il proprio bicchiere di vino, sorseggiandolo appena, gli occhi fissi nello sguardo piangente e colmo d’odio di Connie.

-Kingsley, sono tutti tuoi- ordina imperioso Malocchio, sedendosi a sua volta sulla panca instabile della polverosa cucina. –Obliviali e abbandonali da qualche parte- suggerisce mentre lo sguardo dell’Auror si ferma con una nota di rammarico sulla figura immobile di Chester.

-Agente Canter- domanda alla fine, alzandosi in piedi e avvicinandosi al ragazzo appeso al soffitto, con il rischio di essere colpito da una sua manata. –Perché?- si limita a chiedere, scuotendo la testa.

-B-Black!- ringhia rabbioso David, il volto paonazzo e l’incapacità di parlare per il troppo sangue alla testa.

-Sirius!- lo prega di nuovo la signora Weasley, notando con disappunto lo sguardo divertito del Malandrino. –Oh, e va bene!- sbotta, estraendo la propria bacchetta da una piega della gonna. –Liberacorpus!-

David, all’improvviso rilasciato, cade a terra in un tonfo sordo, ansimando rumorosamente.

-Ehi, io questa l’ho già vista…- borbotta Tonks, avvicinandosi curiosa al volto in lacrime di Connie. –Ma certo! Moody, non era la Babbana che dovevamo Oblivare e che è fuggita?- ricorda, all’improvviso, mentre l’anziano Auror scrolla le spalle, indifferente.

-Curioso, no?- insiste Dora, avvicinandosi al corpo immobile di Chester e recuperando dalla sua tasca la propria bacchetta, causando uno straziante suono gutturale di Connie.

-Non… potremmo liberarla?- chiede alla fine, impietosita. –Mi fa un po’ pena vederla così…-

Molly le accenna di sì con la testa mentre lei, preoccupata, schiaffeggia leggermente il volto di Dave che, lentamente, sta tornando al colorito normale.

-Oh, li liberiamo tutti?- domanda tranquillo Arthur, puntando la bacchetta verso il corpo di Erick e mormorando un allegro Innerva.

Tonks, veloce, agita la bacchetta verso Connie che, con sommo dispiacere di Piton, si mette in ginocchio, iniziando a tossire rumorosamente.

-Che cosa…- si limita a dire inebetito Erick. –Su su ragazzo, va tutto bene…- lo rassicura Arthur, aiutandolo a sedersi al tavolo.

-Quindi manca solo questo qui- constata Sirius, dando leggeri colpetti con la punta della scarpa alla figura immobile di Chester.

-Stagli lontano!- urla Connie, proprio nel momento in cui Black ha alzato la bacchetta e ha mormorato qualcosa verso il ragazzo.

Dave si alza di scatto, colpendolo con un pugno sulla mascella e riversandosi con lui sul tavolo.

Connie zoppica a fatica verso il fratello, chiamandolo preoccupata.

-Agente Canter! Agente, si calmi!- lo prega Kingsley, afferrandolo per le spalle e allontanandolo da Sirius che, con il labbro sanguinante, sghignazza senza vergogna. –Non mi divertivo così da anni!- ammette alla fine, mettendosi seduto.

-Ba-bastardo…- bofonchia Chester, stringendo la mano della sorella per rassicurarla.

-Erick, tutto bene?- chiama David, fissando l’amico che, ancora spaesato, accetta un bicchiere di vino offertogli da un gioviale Arthur.

-Mai stato meglio, amico- risponde l’archivista, mimando un sorriso.

 

-Quindi è andata così- conclude David, fissando con occhi seri il volto tranquillo di Kingsley.

-Esattamente- acconsente l’uomo, versandogli un altro bicchiere di vino.

-Che storia figa! Maghi, incantesimi, amici traditori… se me la raccontassero non ci crederei!- commenta a voce alta Erick, per poi tornare a confabulare col signor Weasley riguardo le prese della corrente e la parola Babbani.

-Perché dovremmo credervi?- domanda guardingo Chester, fissando con odio il sorriso di scherno di Sirius.

-Perché potavamo uccidervi invece che tentare di spiegarvi la verità- sghignazza Black, agitando con noncuranza la bacchetta.

Connie strozza in gola un verso di paura.

-Oh, non preoccuparti- la rassicura Lupin al suo fianco. –Nessuno di noi vuole uccidervi. Beh, forse Severus sì, ma glielo impediremo…- scherza, guadagnandosi un’occhiata di ammonimento da parte del diretto interessato.

-Oh avanti, cosa sono quelle facce? In fondo, avete trovato Black, no?- li rassicura Kingsley, sinceramente sorpreso dall’abilità dei quattro poliziotti.

-Già, un ottimo lavoro- acconsente Moody, prima di tornare a leggere con sincera sorpresa l’agenda della ragazza e tutte le note fatte sul caso.

David si sporge dalla panca, controllando lo stato degli amici.

-Quindi… missione compiuta?- domanda perplesso Erick, mentre Molly rimprovera il marito di non stressare tanto quel povero ragazzo.

-Missione compiuta- acconsente David, fissando compiaciuto il sorrisino di soddisfazione sul volto di Chester che, finalmente, sa spiegarsi l’origine di quella molecola che aveva isolato. Magia.

-Cosa? No!- sbotta Connie, alzandosi in piedi di scatto. –Dobbiamo prendere Minus!-

-Minus è fuori dalla vostra portata- la informa con freddezza Piton.

-Smettila Constance- la ammonisce a sua volta il fratello. –Volevi sapere chi ha ucciso papà, beh, adesso lo sai- chiarisce.

-E che cosa dovrei dire alle famiglie delle altre vittime? E a Emily? Che l’uomo che le ha rovinato la vita è ancora libero perché noi non siamo stati in grado di catturarlo?- grida, sentendo poi la mano rassicurante di Erick sulla propria spalla.

-Non indagate su Minus, è troppo pericoloso per voi- suggerisce Kingsley, cercando di far capire a David la serietà della questione.

-Agente… Auror Shacklebolt – si corregge, scusandosi con un gesto del capo. –Prometti che mi terrai informato sullo svolgimento delle indagini sulla cattura di Peter Minus?- domanda, con aria grave.

-Lo prometto- mente il mago, profondamente determinato a ricontattare quei quattro agenti quando quella storia sarà finita. Ha sempre pensato che ci sarebbe bisogno di una squadra di collegamento con il Mondo Babbano.

-Ma… David! Noi…- bofonchia Constance, cercando lo sguardo del marito.

-Abbiamo fatto tutto ciò che potevamo Connie- le sussurra, abbracciandola innamorato. –Non siamo in grado di fare altro, lo capisci?- le mormora vicino all’orecchio.

Constance si guarda attorno, ripercorrendo le ultime ore, la facilità con cui sono caduti in mano loro, l’impotenza e la frustrazione provata legata da corde invisibili su quel pavimento.

Inghiotte le lacrime.

-Non l’ho neanche mai visto- sibila, con rabbia, affondando il volto nell’incavo rassicurante della spalla del marito.

 

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Note:

 

1.    Harry pensò, e non fece in tempo a raggiungere il posto dove doveva trovarsi il numero 12 di Grimmauld Place, che una porta consumata emerse dal nulla fra i numeri 11 e 13, prontamente seguita da muri sporche e finestre sudice. Era come pensare che una nuova casa si fosse gonfiata, spingendo quelle ai suoi lati fuori dal suo perimetro. Harry rimase sbalordito. Lo stereo al numero 11 aveva un rumore sordo. Pareva che i babbani dentro non avessero sentito nulla” da Harry Potter e l’Ordine della Fenice

  1. A parlare è il ritratto di Walburga Black, madre di Sirius

 

 

 

Ebbene sì, ecco la fine. La settimana prossima pubblicherò l’epilogo e ci saluteremo!

Quindi, come promesso, ecco qui le corrispondenze Case/personaggi originali da me ipotizzate (in corsivo gli aggettivi usati dal Cappello Parlante per :smistare i ragazzi):

 

GRIFONDORO: David Canter: perché si dimostra il più audace (viola il compito affidatogli dal Commissario Scott per coprire Connie nel capitolo secondo), con più fegato (basta vedere l’ultimo capitolo pubblicato) e con cavalleria (basti pensare al comportamento con Connie).

 

SERPEVERDE:Chester White: perché astuto (mi vengono in mente i suoi giochini di parole) e intraprendente (basti pensare agli esperimenti anche pericolosi che conduce).

 

TASSOROSSO: Constance White: perché la Casa ha come caratteristiche costanza, tolleranza, pazienza e correttezza, aggettivi che, secondo me, calzano a pennello con la ragazza, con la sua voglia di giustizia per la morte del padre e la continua ricerca per svelare quel mistero. Ricerca che non la vede in prima linea (molto lavoro lo fanno gli altri visto che lei è stata sospesa dall’incarico) ma della quale è continuo stimolo.

 

CORVONERO: Erick Miller: intelligenza, creatività, apprendimento e saggezza sono le caratteristiche di questa Casa e, come sappiamo, Erick ha tre lauree (apprendimento), è sicuramente creativo (basti pensare al suo modo di esprimersi), è intelligente (capisce da solo che cosa stanno macchinando i colleghi) e saggezza (beh, a modo suo, tutto ciò che dice ha un senso effettivamente corretto).

 

Questa, ripeto, è una mia versione. In realtà ognuno può pensare come preferisce anche perché, sinceramente, diversi personaggi di Harry Potter li avrei visti meglio in altre Case rispetto alle loro ufficiali (Neville, Hermione, Tiger, Goyle…)

 

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Capitolo 12
*** Epilogo ***


-Spero per lui che sia per un buon motivo…- borbotta Connie, camminando a fatica fino al vialetto d’ingresso della casa

 

 

 

-Spero per lui che sia per un buon motivo…- borbotta Connie, camminando a fatica fino al vialetto d’ingresso della casa.

Sbuffa spazientita, ripensando a quel laconico biglietto.

Mandarglielo con un gufo, poi! Che cosa diavolo gli era saltato in mente? Ragiona, ricordando le ferite sulle mani di Dave causate dal volatile mentre l’uomo cercava di recuperare il messaggio.

Erano usciti da Grimmauld Place un anno prima e da esattamente trecentosessantacinque giorni non avevano notizie da nessuno di quei maghi.

Constance si asciuga la fronte imperlata di sudore, accarezzandosi poi la pancia di sei mesi con tenerezza.

Perché Piton le avesse intimato di presentarsi a casa sua quel giorno, a quell’ora, fingendosi un postino, proprio non riusciva a capirlo.

Shacklebolt fortunatamente aveva impedito che venisse loro cancellata la memoria, facendo a tutti e quattro un incantesimo che impedisse loro di rivelare dove fosse Grimmauld Place.

E la vita aveva ripreso.

Le indagini con Chaz, le ricerche con Erick, i pranzi con Mercy, le cene in famiglia con Eugene, le chiacchierate con Emily che le aveva confidato di trovare l’agente Miller “molto interessante” mentre Erick aveva chiesto consigli a Dave su “dove portare una ragazza con cui si hanno intenzioni serie”.

E Eugene, sfruttando tutte le sue conoscenze, era riuscito a creare una task-force specializzata in crimini apparentemente irrisolvibili, permettendo così alla coppia di non separarsi non applicando per loro il solito regolamento e lasciandoli investigare su omicidi legati alla Magia, fin troppo frequenti in quei mesi.

E infine la vita con Dave. In un’adorabile villetta, vicina alla casa di Chester, dove Connie non vedeva l’ora di far crescere la loro piccola Grace.

Tutto normale.

Fino a quella mattina quando quel dannatissimo gufo aveva insistentemente beccato contro la finestra della loro camera da letto, obbligando David ad alzarsi per farlo entrare e a lottare per conquistare quel laconico messaggio.

Con impazienza bussa alla porta, urlando un violento “Postaaa!”.

Un rumore di passi concitati anticipa lo scricchiolare lento della porta.

-Sì?- domanda un uomo basso, tarchiato, con pochi capelli, l’aria viscida e gli occhi piccoli.

-Ho una raccomandata per il signor Piton- recita la ragazza, come da copione.

-Piton!- grida l’uomo, rientrando veloce in casa.

Severus Piton compare dal fondo del piccolo corridoio, il solito mantello dall’aspetto tetro e la solita aria truce.

Adesso gliele canta.

Far muovere una signora, nelle sue condizioni poi, in piena estate e sotto il sole… Ah! Che uomo terribile!

-Sparisci, Minus-.1

Connie spalanca gli occhi.

-Dove devo firmare?- domanda con perfetta inclinazione di voce Severus, afferrando in malo modo la cartelletta che Constance tiene in mano.

-Qui…- pigola, mentre le lacrime le rigano le guance.

Finalmente.

Finalmente lo ha visto.

Quel bastardo

-Ecco- mormora Severus, ridandole in mano, con poca grazia, la cartellina. –Si è forse addormentata?- sibila maligno, strappandole di mano anche la busta, vuota ma necessaria per non destare sospetti.

-Se ne vada, adesso- la ammonisce, voltandosi per rientrare in casa. –E non si faccia più vedere-.

Connie si pulisce gli occhi sulle maniche della camicia, senza però fermare le lacrime.

-Grazie- si sforza di dire, con un singulto strozzato e profondamente riconoscente.

Piton abbozza un sorriso, chiudendo la porta.

 

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Note:

 

1.    “Sì, ovviamente. Beh, Minus è qui, ma non stiamo contando anche il parassita, no?” da Harry Potter e il Principe Mezzosangue

 

 

 

Ebbene, eccoci qui.

La fine.

Sigh.

Come avrete capito è incentrata tutta su quello che voleva Connie (dal capitolo sesto: “voglio guardare negli occhi quell’assassino!”)

Personalmente sono soddisfatta della storia e della sua conclusione. Come al solito prediligo i protagonisti che non arrivano a un bel niente.

Sì, non sono normale! XD

Beh, Constance ha finalmente scoperto la verità ma nulla alla fine è cambiato. Tutti pensano ancora alla fuga di gas, Minus è vivo e non la pagherà (almeno non fino al settimo libro e per una causa del tutto estranea alla Strage), i protagonisti tornano alle loro “noiose” questioni d’ufficio e continuano a vivere tranquilli.

Se siete stati attenti il finale mi lascia lo spazio per un futuro seguito (non temete, non ho ancora scritto nulla e ho solo poche idee) ma questa squadra di babbani che si collegano per le indagini agli Auror mi stuzzica non poco.

Vedremo se mi viene in mente qualcosa, intanto credo che potrebbe finire anche così.

Ovviamente Snape non poteva mancare nel gran finale e fare la sua bella figura, spero sufficientemente IC. Insomma, è sempre un buono che non vuol far vedere di essere tale!

Commenti, critiche, insulti e verdure marce sono sempre ben accetti, ora più che mai visto che è la fine di questo breve racconto.

Sono contenta di essere riuscita a scrivere questa fanfic, sinceramente. Mi sembra ben aderente al mondo potteriano (almeno nei suoi aspetti salienti), i personaggi caratterizzati (chi più chi meno) e la trama, come’era mio intento originario, si potrebbe tranquillamente inserire nel contesto originario senza sconvolgere le avventure del protagonista.

Sì, sono soddisfatta, nonostante lo scarso successo avuto, questa storia mi piace (sono sincera).

E i commenti ricevuti rispondono benissimo alla definizione di “pochi ma buoni” visto che mi hanno permesso di instaurare utili e divertenti chiacchierate con persone veramente gentili, disponibili e simpatiche.

Quindi:

 

ringrazio prima di tutto 8in ordine alfabetico):

  • Abulafia
  • Dragoon
  • Femke
  • GMP
  • Iurin
  • Satomi

 

Per aver commentato

 

  • Abulafia
  • Femke
  • Frenci_
  • Iurin
  • Lily1013
  • RF09

 

Per aver messo la storia fra le preferite

 

  • AvrilPiton

 

Per aver messo la storia fra le ricordate

 

  • Abulafia
  • Cccc
  • FelpataMalandrina94
  • Femke
  • Phoebhe76
  • Satomi
  • VSRB
  • _anda

 

Per aver messo la storia fra le seguite.

 

Infine, ringrazio anche le (per il momento) 377 persone che hanno deciso di leggere la storia.

 

Un ringraziamento speciale va, come sempre, ad Avalon9 che mi ha aiutata, nonostante gli evidenti problemi di comprensione (XD), nella redazione del testo e nella sua correzione.

 

Bene, credo di aver finito.

In sintesi: un GRAZIE di cuore a tutti quelli che si sono presi anche solo la briga di leggiucchiare di nascosto la storia o che, più o meno, hanno deciso di interagire con me con consigli incoraggiamenti e critiche costruttive.

 

GRAZIE.

 

Lete

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