Pole Star di PanteraNera94 (/viewuser.php?uid=137456)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Bambina ***
Capitolo 2: *** Emarginata ***
Capitolo 3: *** Tortura ***
Capitolo 4: *** Ansie ***
Capitolo 5: *** Grande Festa ***
Capitolo 6: *** Confusione ***
Capitolo 7: *** Preoccupazioni ***
Capitolo 8: *** Sorprese ***
Capitolo 9: *** Gelosia ***
Capitolo 10: *** Vacanza ***
Capitolo 11: *** Discussioni ***
Capitolo 12: *** Silenzi ***
Capitolo 1 *** Bambina ***
Capitolo
1: Bambina
Tutto
era buio e silenzioso,
la mia casa era un’oasi
di pace e niente turbava il mio sonno. Correvo leggiadra nella foresta,
come
una puledra che compie i suoi primi passi e crede di essere
più veloce del
vento, quando, da lontano, la sagoma di un lupo rossiccio fece
comparire sul
mio volto un sorriso splendente. Stavo per arrivare a toccare Jake, ma
un colpo
secco mi fece tornare alla realtà. Aprii gli occhi e vidi la
porta della mia
camera socchiusa. Non c'era bisogno
di sapere chi fosse
entrato, mia madre era troppo attenta e premurosa per
essere l'artefice
di quel rumore, per non parlare poi di mio padre. L'unica persona nella
mia
famiglia che non si curava di tenere a freno il suo entusiasmo era...
“Alice!».
La sua risata squillante risuonò nella stanza, pulsando
nella mia testa ancora addormentata. “Alice
stavo dormendo!».
Il mio doveva essere un rimprovero, ma quello che uscì
fuori fu un piccolo lamento flebile.
“Andiamo!
Il sole è già sorto da un bel po'! Non vorrai
dormire tutto il giorno?».
“Alice,
sono le sette! »
urlai, indignata.
“Appunto»
disse ridendo.
“Cosa
vuoi saperne tu che non dormi?».
“Niente
storie, giù dal letto!»
disse e si infilò nel mio armadio. Mi misi a sedere e mi
guardai intorno. A volte mi chiedevo come facesse Alice ad essere
sempre così
di buon’umore.
“Sei
sola?»
le chiesi distrattamente.
“No,
c'è Jasper».
“Mi
dici che stai facendo lì dentro? I vestiti sono sempre gli
stessi!».
“Ti
piacerebbe!»
urlò seccata. “Sto prendendo quelli che hai
già messo, così
li diamo in beneficenza”. Sbuffai. Questo lato del mio
carattere l'avevo
ereditato da mia madre: non amavo fare shopping e non mi interessava se
quello
che indossavo era firmato o meno. Peccato che ad Alice interessasse, eccome!
“Alice,
ne hai ancora per molto?.
“Vuoi
aiutarmi?”.
“No!”
risposi subito. “Vado a salutare Jasper”.
Uscii
di corsa dalla stanza, chiudendomi la porta alle spalle, superai il
salone e
uscii fuori. Ad accogliermi, una verdeggiante foresta nel pieno del suo
splendore, anche se era pieno inverno, e, seduto sulle scale, con la
sua solita
aria non curante, c'era Jasper. Era bello come un dio greco e il suo
aspetto da
eterno ragazzo gli conferiva un che di divino.
“Ciao
zio!” esclamai sedendomi accanto a lui.
“Non
chiamarmi zio, mi fai sentire
vecchio”
disse sorridendomi. Ricambiai e dissi: “Che fai qui
fuori?”.
“Beh,
credevo di disturbare. Cos'è? Alice ti ha
cacciata?” chiese, ridendo.
“No,
sono scappata” gli risposi, unendomi alla sua risata.
“Dove sono mamma e papà?”
domandai cercando di tornare seria.
“Sono
a caccia, o meglio, a giocare da qualche parte...” rispose
lanciandomi un
sorriso eloquente. Sospirai. Chissà se avrei mai trovato
qualcuno che fosse
riuscito ad amarmi come mio padre amava mia madre... o che sarebbe
riuscito ad
affrontare un mondo a lui sconosciuto per amore...
A interrompere i miei pensieri fu la voce squillante di Alice.
“Renesmee,
Jasper!”.
Io
e
Jasper ci guardammo con complicità e ci precipitammo in
camere mia. Lui mi
sorpassò e mi tenne la porta aperta. Entrai e notai subito
due enormi buste ai piedi del
mio letto con i vestiti che non
avevano superato l'esame di Alice. Lei mi guardò sorridente
e indicò il letto
su cui aveva poggiato i vestiti che avrei dovuto indossare quel giorno.
Mi
avvicinai al letto con passo lento ed esitante, intimorita dagli
abbinamenti
architettati dalla mente contorta di mia zia. Appoggiato su di esso
c'erano un
maglioncino nero con appuntato a destra un fiocco scozzese e sotto una
minigonna con la stessa fantasia del fiocco. Guardai Alice con un misto
di
sorpresa e rabbia. Lei ricambiò lo sguardo un po' annoiata e
disse: “Andiamo,
niente storie. Mettiteli e basta”.
“Ma,
Alice, non è il mio genere!” mi lamentai.
“Quando
mi dirai qual è il tuo genere,
forse
ti ascolterò”
disse sorridendo.
“Almeno
fammi mettere le scarpe da ginnastica...” implorai.
“Non
se ne parla! Quegli stivaletti
sono
adorabili!”.
“Solo
per te” sbuffai.
“Nessie,
mi deludi. Il tuo senso estetico è pari a quello di tua
madre! Ma non ti ho
insegnato niente?”.
“Lascia
perdere, Alice” dissi con aria sconfitta.
“Bene,
allora fila in bagno. Mentre
tu, Jasper, vai a
portare quelle buste fuori”.
“Agli
ordini” rispose lui sorridendo.
“Quando
la smetterete di fare tutto quello che dice?” domandai
arrabbiata.
“Piccola
Nessie,” ribatté Jasper, “ne hai da
imparare...” finì
guardando Alice. Sbuffai insofferente e così, sicura del
fatto che non l’avrei
avuta vinta, presi i miei vestiti e mi catapultai in bagno, chiudendomi
la
porta alle spalle. Certo quello non avrebbe fermato un vampiro, ma mi
avrebbe
assicurato un po' di privacy. Analizzai di nuovo i vestiti con aria
inorridita
e poi cominciai a ravviare i capelli. Appena finito, uscii dal bagno e
trovai
Alice ad aspettarmi, impaziente come sempre.
“Pronta?”.
“Si,
andiamo” risposi rassegnata. Chiusi la porta della mia stanza
e raggiunsi Alice e Jasper che chiacchieravano tranquillamente.
“Perché
Rosalie non è venuta?” chiesi tutt’a un
tratto, pensando
all’altra mia zia, con la quale andavo molto più
d’accordo. Lei era in grado di
evitare la mia tortura giornaliera sul look.
“L'ho
convinta che saresti sopravvissuta un'ora senza di lei” disse
Alice, ridendo.
“Oppure
volevi assicurarti che nessuno ti mettesse i bastoni fra le
ruote” controbatté
Jasper, unendosi alla sua risata. Alice ricambiò il sorriso
e si presero per
mano, quando i suoi occhi si persero nel vuoto. Io e
Jasper rimanemmo in attesa che tornasse tra noi e quando i suoi occhi
ci
cercarono, capimmo che la visione era terminata.
Poi
Alice urlò: “Un
matrimonio!”.
“Di
chi?” chiesi curiosa.
“Sam
ed Emily” disse. Scoppiai a ridere.
“Cosa
hai da ridere?” domandarono lei e Jasper in coro al
che guardai Alice con aria di sfida.
“I
licantropi non ti lasceranno organizzare il matrimonio”
gongolai con un ghigno stampato in faccia.
“No,”
disse seria “ma tu
dovrai pur vestirti!” aggiunse guardandomi di traverso.
“Chissà se dovremmo
vestirci elegante...” continuò, pensierosa.
“Beh, i Cullen devono sempre fare
bella figura, vero amore?” concluse girandosi verso Jasper.
“Certo”
rispose lui accondiscendente.
“Vogliamo
andare? Siamo in ritardo” dichiarai, irritata.
“Okay”
dissero in coro. Così cominciammo a sfrecciare nella
foresta. Potevo sentire tutto: gli uccelli che cantavano, l'acqua di un
ruscello che scorreva e magari, se mi fossi concentrata, avrei sentito
anche le
risate dei miei genitori. Arrivati a metà strada Alice
digrignò i denti.
“Fantastico!
E' arrivato il cane”
constatò acida.
“Smettila,
Alice” la rimproverai. Non sopportavo quando prendeva
in giro Jacob, lui era il mio migliore amico. Neanche un secondo dopo
dai
cespugli apparvero due grossi lupi, uno più grande e dal
pelo rossiccio mentre
l'altro più esile e color sabbia.
“Ciao
Jake” dissi, voltandomi verso il primo. Poi mi rivolsi
all'altro: “Ciao Seth!”. I due lupi guairono a mo'
di saluto, poi si guardarono
per un millesimo di secondo e Seth sparì nella foresta.
“Va
in ricognizione?” chiesi. Jake mi guardò e fece
cenno di sì con il muso.
Sorrisi e dissi: “Tu vieni a casa?”. Jacob fece di
nuovo cenno di sì e così ci
precipitammo verso la casa.
Non ci vollero più
di cinque minuti e ci ritrovammo di
fronte alla
maestosa casa Cullen. Alice, Jasper ed io entrammo e andai a salutare i
miei
nonni, mentre Jake, rimasto fuori, si ritrasformava. Poi mi accomodai
accanto a
Rose ed Emmett, seduti tranquillamente sul divano. Lei mi rivolse un
sorriso
splendente, mentre io ricambiai con un'occhiataccia.
“C'è
qualcosa che non va?” domandò preoccupata.
“Non
hai visto come sono vestita?” risposi brusca. Notando il mio
abbigliamento, Emmett scoppiò in una grande risata.
“Già,”
disse sghignazzando, “cos'è, Alice? Non sai che Carnevale è a
febbraio?”.
“Cosa
vuoi capirne tu Emm?” gli rispose Alice con aria indignata.
A interrompere il battibecco tra Alice ed Emmett fu l'entrata
di Jacob. Esme gli andò subito incontro, rivolgendogli
un gran sorriso che Jacob ricambiò cortese.
“Il
frigo è tuo” disse lei.
“Grazie,
Esme” gli rispose
cordiale Jake.
“Attento
a non rompere niente, cane” lo apostrofò Rose.
“Ehy,
bionda” disse
subito Jacob ridendo. “Sai come si chiama una bionda che si
tinge i capelli di
nero?”.
“Va’
a mangiare Jake” lo fermai per prevenire l'ennesima litigata.
“Lo
sai?”. Ma Jacob non si arrendeva facilmente.
“Intelligenza artificiale!”
esclamò sghignazzando.
“Ora
basta cane!” ringhiò Rosalie.
“Va’ a mangiare”.
“Il
tuo umorismo è uguale a zero, bionda” disse Jake
con finta
delusione e poi si precipitò in cucina. Rimanemmo a
chiacchierare finché non
udimmo i passi dei miei genitori. La grande porta bianca si
aprì e mio padre
fece la sua comparsa. Mi cercò con lo sguardo tra i suoi
familiari e, quando mi
trovò, mi regalò un gran sorriso che ricambiai.
Subito dopo entrò mia madre. Le
andai incontro e ci abbracciammo, mentre mio padre ci raggiunse e mi
stampò un
bacio sulla fronte. Terminati i saluti, tornai
a sedermi accanto a Rose. Mio padre si avvicinò ad Emmett e
disse: “Allora
questa partecipazione di matrimonio?”. La sua voce era sempre
perfetta e
bellissima.
“Il
capobranco si sposa” disse
Rose con una
certa acidità nella voce. Non potei fare almeno di darle una
gomitata come
ammonimento. Lei mi lanciò un’occhiataccia che
ricambiai e poi osservai mio
padre intento a leggere i pensieri di
tutti. Quel suo lato a volte poteva dare fastidio: il suo potere equivaleva
a niente privacy e per un adolescente era una tragedia, soprattutto
quando le
compagnie che frequentavi, i licantropi,
non gli andavano molto a genio. A rompere quel silenzio che si era
fatto
alquanto pesante fu Alice con il suo solito entusiasmo:
“Dovremmo vestirci elegante, no?” disse scrutando in modo particolare me e
mia madre, che ci
scambiammo uno sguardo avvilito. Mio padre, ridendo, si
avvicinò a lei per
darle il suo sostegno, mentre io mi accasciai sul divano, abbattuta.
Non sarei
riuscita a sopportare una giornata di shopping, diciamo che non era uno
dei
miei passatempi preferiti, anzi tutt’altro.
“Che
bello! Ancora shopping” gongolò Alice, niente
avrebbe mai
fermato il suo estro
creativo che, per chi non
condivideva, poteva essere alquanto irritante. Intanto Jake, avendo
finito di mangiare,
uscì dalla cucina e fu puntato subito da Alice:
“Anche per te, cane!” disse
come se fosse ovvio. Jacob le
rispose con un sorriso
non curante e disse: “Certo, certo”, il che
significava che non gliel'avrebbe
data vinta. Finita la conversazione, tutti ripresero ciò che
stavano facendo
prima dell’arrivo dei miei: loro si sedettero al pianoforte,
Carlisle tornò
nello studio, Alice e Jasper sparirono mentre Emmett faceva zapping
tenendo
abbracciata Rose che continuò a conversare con me. Mio padre
cominciò a suonare la canzone che
aveva composto quando aveva conosciuto mia madre e, in poco tempo,
l'aria si
riempì di una dolce sinfonia, che mi sarebbe anche piaciuta,
se non l'avessi
ascoltata almeno un milione di volte. Invece ora mi irritava.
“Che
strazio!”
esclamò
Jake con aria annoiata, passando davanti al pianoforte per venire da
me. La
cosa che ammiravo di più di Jacob era che diceva sempre
ciò che pensava senza
mai preoccuparsi dell’opinione altrui.
“Guarda
chi è arrivato, lo strazio fatto persona!” lo
canzonò mia
madre. Lui rispose con un inchino molto teatrale e si
accomodò ai miei piedi.
“Senti
che puzza!” esclamò Rosalie scostandosi il
più possibile da
lui. “Non so come tu faccia a stargli vicino”
continuò.
“E
io non so come faccia a sopportare te”
disse Jacob. “Guarda che se ogni tanto fossi meno bisbetica, non ti mangerebbe
nessuno!”
sghignazzò. Rosalie digrignò i denti e Jacob fece
finta di tremare.
“La
smettete!” li rimproverai. “Sapete solo
litigare!” continuai
scoppiando a ridere. Alla mia risata si unì quella di Jacob
mentre Rose alzò
gli occhi al cielo
e prese a parlare con Emmett. Io e
Jake ci guardammo, lui mi offrì la mano ed io gliela strinsi
forte. Una nota
discorde mi fece sobbalzare improvvisamente: mio padre aveva smesso di
suonare
interrompendo la canzone nel peggiore dei modi.
Jake stava per lasciarmi la mano ma gli feci capire,
mediante il mio potere, che io non volevo e non avevo paura di mio
padre. Così
lui desistette.
“Cosa
c'è?” chiese mia madre preoccupata.
“Nulla”
rispose mio padre evidentemente contrariato. Mia madre
percepì che quella reazione era dovuta a me e si
girò a guardarmi. Vidi la
rabbia crescere nei suoi occhi quando si accorse della mia mano stretta
in
quella di Jake, ma la ignorai e la strinsi più forte. In
quel momento mio padre
esplose: si alzò di botto e disse con voce apparentemente
calma: “Dobbiamo andare” e mi lanciò uno
sguardo truce.
“Io
resto ancora un po'“ gli risposi noncurante. Se pensava
che solo lui potesse rimanere calmo in queste situazioni si
sbagliava di grosso.
“No,
tu vieni” disse e questa
volta sembrò
una vera e propria minaccia.
“Devo
ancora studiare con Esme” mi giustificai con calma. Non che
lo studio mi
interessasse più di tanto, ma volevo restare lì,
era ora che mio padre imparasse
ad accettare Jacob.
“Studierai
a casa” disse serio. A quel punto Jake si alzò
facendomi sobbalzare e,
stringendo ancora la mia mano, la mise in bella mostra davanti a tutti.
“Ha detto che
vuole restare” disse con aria
minacciosa. Jake era sempre pronto a prendere le mie parti e io gliene
ero
sempre stata grata. Ma mio padre non si arrendeva facilmente:
“Tu non sei nessuno per
dirmi cosa pensa mia figlia!”
urlò. Jacob si fece minaccioso e cominciò a
tremare, così sciolsi la presa e
gli misi una mano sulla spalla. Lui incrociò il mio sguardo
che gli supplicava
di calmarsi. A quel punto fu mio padre ad avvicinarsi minaccioso, ma
non avrei
lasciato che gli facesse del male. Il mio sguardo si fece duro e gli
feci
arrivare le mie urla mute avvertendolo di stare in campana:
“Non gli farai del
male, smettila subito e calmati. Lo
so che mi senti, non fare finta di niente!”. Ma non mi ascoltò minimamente.
Stavo per fare il primo passo
tra il lupo e
il vampiro, quando fu mia madre a
parlare: “Dai, Nessie, andiamo” disse con una
supplica muta negli occhi. “Jake
vieni anche tu?” continuò rivolgendosi nel modo
più gentile possibile a Jacob.
Sulla sua faccia si aprì subito un sorriso trionfale e con
un ghigno di rivolse
a mio padre: “Con piacere”.
Ci
dirigemmo alla porta e quando passai di fronte a mio padre vidi lo
sguardo duro
e arrabbiato che mi lanciò, ma non abbassai lo sguardo. Gli
tenni testa finché
lui non ringhiò e volse lo sguardo altrove. Prese mia madre
per la mano e si
avviò all'uscita. Io e Jacob ci scambiammo un sorriso
trionfale e gli feci
percepire la mia gioia mentre raggiungevamo i miei all'uscita.
“Il peggio è
passato” gli dissi e lui mi sorrise fiero. Fui l'ultima ad
uscire da casa
Cullen, mi chiusi la grande porta alle spalle e subito affiancai Jake.
La
foresta innevata era un vero spettacolo, la neve sotto i miei piedi era
soffice
e gli alberi sembravano vivi ed accoglienti. Nulla turbava la loro
quiete a
parte il gracchiare di un grande corvo nero posatosi su un albero di
fronte
alla grande casa bianca. Ci incamminammo piano, nessuno aveva voglia di
correre. Il silenzio tra me e Jake non era pesante, ma complice e
questo
rendeva mio padre a dir poco nervoso. Camminando, ammiravo i riflessi
del sole
sull'anello, con inciso il simbolo dei Cullen, che portavo
all’anulare della
mano destra.
“Cos'hai
da guardare? E' orrendo!”
disse Jake
facendomi sobbalzare. Gli lanciai un’occhiataccia.
“E' bellissimo
invece!”. Lui fece una smorfia e ci mettemmo a ridere.
“Preferisci la collana?”
chiesi e tirai fuori il gioiello che mi aveva regalato mia madre il mio
primo
Natale. Passai le dita sulla scritta in francese che diceva:
“Più della mia
stessa vita”.
“Chissà
dove saremmo ora, se fosse andato tutto storto” disse
Jacob pensieroso.
“E'
andata come doveva andare,
Jake” dissi sospirando “e poi non so come farei
senza di loro” continuai
guardando i miei genitori.
“Creano
più problemi di quanti ne risolvano”
affermò Jake sbuffando.
“Beh,
lo fanno tutti i genitori, per questo esistono gli amici licantropi,
no?” dissi
sorridendogli.
“Già,
amici...”
sospirò Jake, ma prima che
finisse la frase si vide arrivare in faccia una palla di neve, al che
scoppiai
a ridere. “Ehy!” urlò divertito
“Nessie, così non vale, mi ha preso alla
sprovvista!”.
“Dove
sono i tuoi super”sensi, lupo?”
lo
presi in giro ridendo.
“Se
ti prendo...” disse cominciando a correre e lanciando palle
di
neve. Era come essere tornati bambini: correvamo senza pensieri, non
avevamo
problemi, tutto era più semplice. Jacob mi lanciò
una palla di neve dritta dietro
la schiena e mi fece sfuggire un urlo. Per vendicarmi, preparai una
palla bella
grossa, presi la mira e lanciai. Mancai Jacob di un soffio ma, in
compenso,
presi in
pieno la testa dell'enorme lupa grigia
appena uscita dalla foresta che, lanciandomi uno sguardo truce, emise
un
ululato tremendo.
“Scusa,
Leah” dissi cercando di apparire il più mortificata
possibile, ma fu difficile trattenere le risate quando Jake
scoppiò a ridere.
Leah mostrò i denti ad entrambi, seccata e infastidita.
“Dai”
disse Jacob, ritornando serio. “Stavamo solo
giocando”. La lupa sbuffo con
rabbia. I miei genitori, vedendo che non li stavamo seguendo, tornarono
indietro.
“Ciao
Leah” dissero in coro, ma lei non li considerò
minimamente. Leah odiava i
vampiri, odiava chi rideva, odiava chi scherzava, in realtà
era difficile
trovare qualcosa che amava, a parte
mettere i bastoni fra le ruote a
tutti.
Jake mi aveva detto che prima di essere lasciata da Sam, per sua
cugina, era
simpatica. Difficile a credersi, ma quello che sapevo dell'amore era
che poteva cambiarti la vita.
Quando ti innamoravi mettevi la
tua intera esistenza nelle mani dell'altro, consapevole del fatto che
avrebbe
potuto distruggerti con una sola parola. Morale della favola: tutti
dovevano
essere gentili con Leah ma lei era libera di ringhiarti contro ogni
volta che
voleva.
“Devi
dirmi qualcosa?” chiese Jake con l'aria del vero alfa. A quel punto tutti
guardammo mio padre, l'unico
in grado di sentire i pensieri della lupa grigia. Lui
alzò un sopracciglio e disse: “Vuole
un giorno libero, deve comprarsi un
vestito”. Rimanemmo tutti allibiti: nessuno aveva immaginato
che Leah avrebbe
partecipato al matrimonio. Allora la lupa, accorgendosi delle nostre
espressioni, sbuffò e guardò mio padre in attesa
che traducesse.
“Dice
che è sempre sua cugina” spiegò mio
padre sorridendo. Jake era rimasto
sbalordito, ma
conservò il suo solito tono scherzoso
e disse: “Okay, ma prima avverti Quil che vi scambiate il
turno”. Leah annuì e
fece per andarsene.
“E
mi raccomando” continuò Jacob guardandola.
“I vestiti per le donne sono quelli
con la gonna!” disse
scoppiando a
ridere. Leah ringhiò e sparì nella foresta.
“Dovresti
smetterla di prenderla in giro” dissi a Jake rimproverandolo mentre ricominciavamo a camminare.
“Tanto
Leah sa stare al gioco” disse Jake non curante.
“Leah
sa stare al gioco?
Ma in che mondo vivi? Stava per staccarti un braccio!”
ribattei, cercando di
nascondere la preoccupazione, ma fu tutto inutile.
“Sei
preoccupata Nessie?” notò Jacob guardandomi con
aria superiore.
“No,
ma che dici!” risposi, girando la faccia dall'altro lato.
“Allora
che ti importa?” disse sghignazzando.
“Niente,
lascia perdere” continuai imbarazzata. Jake scoppiò
a ridere e io gli tirai un pugno sulla spalla. “Vuoi
staccarmelo tu il
braccio?” disse offrendomi la
spalla.
“Sai
essere ser...”. Ma non riuscii a finire la frase che Jake mi
spinse facendomi perdere l'equilibrio e facendomi cadere nella neve
fresca. “Jacob Black!” urlai infuriata.
“Presente”
disse lui divertito. Mi rannicchiai sul terreno, mi
misi in posizione, e saltai facendolo cadere a sua volta.
“Così
impari!” risi. Poi mi alzai e cominciai a correre, superando
i miei genitori e alzando la neve dietro di me. Jacob si
alzò in un lampo e
cominciò a corrermi dietro. Sfrecciare tra gli alberi era
naturale, evitarli
ancora più facile. La corsa mi inebriava, mi sentivo libera,
un tutt'uno con la
natura che mi circondava. Impiegammo due minuti e poi ci ritrovammo di
fronte
alla mia casetta. Mi avvicinai ad essa, la sua immagine era accogliente
come
sempre, la foresta intorno a lei le dava un che di misterioso. L'aria
era calma
e limpida, come nel più bel paradiso... I miei genitori
erano già entrati in
casa mentre io rimasi fuori ad aspettare Jacob che uscì dai
cespugli ancora
pieno di neve. Vedendolo così, non riuscii a trattenere una
risata.
“Fai
ridere anche me” disse lui.
“Certo,
se vuoi ti porto uno specchio!” esclamai, continuando a
ridere.
“Hai
vinto una battaglia, non la guerra!” urlò e io
continuai a
ridere.
“Penso
che un'altra guerra
ci aspetti dentro casa” dissi, cercando di tornare seria.
“Sono
i tuoi genitori, non i miei” ribatté pronto.
“E'
vero, ma sono quasi sicura che se la prenderanno anche con
te”
dissi convinta.
“Tuo
padre mi da sui nervi!” urlò Jacob improvvisamente.
“Dobbiamo
avere pazienza” lo ammonii.
“E'
facile parlare per te” sbuffò. Allora mi
avvicinai, cercai il suo sguardo e,
quando i nostri occhi si trovarono, sussurrai:
“Jake,
mi prometti che non farai niente di male, succeda quel che
succeda?”. Lui mi
guardò smarrito, come imbarazzato dalla nostra improvvisa
vicinanza.
“Va
bene” concesse tornando in sé. “Ma sia
chiaro: lo faccio solo
per te, Nessie”.
“Grazie,
Jake” dissi sorridendogli.
“Dai,
andiamo” sbuffò lui. Aprii la porta ed entrammo.
Mio padre
era di spalle e stava inequivocabilmente
baciando mia madre. Non so perché, ma questo mi fece rabbia:
lui poteva
dimostrare tutto il suo affetto a mia madre ed io non potevo stringere
la mano
ad un amico? Era incoerente, era pura ipocrisia! Il mio viso rimase
impassibile, così come la mia voce.
“Jacob,
vieni. Andiamo in camera
mia” dissi spostando il mio
sguardo su Jake.
“Tu
non vai da nessuna parte con lui!”.
L'urlo di mio padre mi fece sobbalzare: ora aveva superato i
limiti. Tutta la rabbia che avevo represso si scatenò ma io
non la frenai, non
volevo. Desideravo che lui la vedesse, perché sapevo
benissimo che la
avvertiva. Doveva capire, non c'erano mezzi termini. Era ora che
imparasse a
comprendermi.
“Perché
no?” urlai e in quelle due parole riuscii a riassumere
tutto ciò che stavo provando. Non vedevo più
niente, nulla di quello che avevo
intorno aveva senso. C'eravamo solo noi quattro. Se il resto del mondo
fosse
andato a fuoco non mi sarei sorpresa particolarmente perché,
in confronto al
fuoco che sentivo dentro di me, non sarebbe stato niente.
“Perché
lo dico io!” fu la risposta secca di mio padre. Incrociai
i suoi occhi: la battaglia che si venne a creare fu indescrivibile.
“Edward,
basta...” disse mia madre calma. Per lei dopotutto era facile
rimanere calma,
aveva tutto quello che voleva. Niente le era
stato
mai negato. “E voi due, non potete stare in
salotto?”. Era veramente
insopportabile quando faceva così. Per lei era tutto
semplice, ma è normale se
tutto il tuo mondo riguarda una sola
persona! Dopotutto cosa sarebbe cambiato nella sua vita se io e Jake
fossimo
andati in camera mia? Sapevamo entrambe che mio padre avrebbe
controllato
tutto! Prima che perdessi completamente la calma e le rispondessi per
le rime,
fu Jake ad intervenire: “Perché? Non facciamo
nulla di male!”.
“Jacob,
smettila!” gridò mia madre come se bastasse a
calmare gli
animi. Lei sapeva essere perfettamente, incoerentemente egoista. Avrei
voluto
tanto vedere se fosse riuscita a rimanere calma se qualcuno, senza una
spiegazione logica, le vietasse di vedere mio padre. Sapevo solo che se
fosse
successo in quel momento le avrei riso in faccia e urlato
“Cosa si prova?” con
un ghigno stampato in viso.
“Di
fare cosa?!”
urlò Jake e mai domanda
fu più sensata.
“Okay...
Jacob è meglio se ora te ne vai” disse mio padre,
avvicinandosi pericolosamente
a Jacob. Se avesse osato toccarlo poteva star certo che non gliel'avrei
mai
perdonato.
“No”
gli rispose secco Jake.
“Papà
smettila!” gli urlai adirata. “Jacob può
rimanere quanto gli pare! Non sopporto
quando mi tratti da bambina!”. Praticamente: sempre.
“Tu
sei una bambina!”
controbatté mia
madre. Certo, forse avevo solo sei anni ma, da molti punti di vista, ero più coerente di lei.
“Ho
solo sei anni, è vero, ma ne dimostro almeno
quindici!” gridai
di rimando.
“Ti
risulta che le ragazzine
di quindici anni stiano chiuse in camera con i loro
ragazzi?”. Ragazzi? Jacob
non era il mio ragazzo!
Mia madre era ridicola, si arrampicava sugli specchi. Jake ed io
eravamo solo
amici e lei o mio padre non potevano impedircelo.
“No!
Ma Jacob non è il mio “ragazzo”“.
Misi un po' troppa enfasi sull'ultima
parola,
almeno speravo che mia madre avesse capito il concetto.
“Nemmeno
con i loro amici, se è questo quello che vuoi
dire!”. Se sperava che con questa
precisazione mi avrebbe smosso di un passo si sbagliava di grosso. Ero
perfettamente cosciente di quello che intendevano, ma né io
né Jake avevamo la
minima intenzione di infrangere le regole e questo i miei genitori non
volevano
proprio capirlo.
“Perché
non vuoi che stiamo insieme? Cosa c'è di male?”
intervenne Jacob, con l'aria di
chi sapeva già che non avrebbe ottenuto niente. I miei
genitori non solo erano
freddi, ma anche duri come il
marmo. Eppure anche il marmo
più duro si leviga.
“Jacob
non fare finta di non capire!” urlò mio padre.
“E’ una bambina!
Deve comportarsi come tale!”. Sempre la solita storia. A
volte diventavano ripetitivi e
noiosi, eppure mi
sembrava di avergli dimostrato più volte che la mia
maturità cresceva insieme
al mio corpo.
“Certo”
gli rispose Jacob. “Ma, invece, ti stava benissimo quando
entravi nella camera di Bella, di notte, all'insaputa di
Charlie”. Quelle
parole fecero letteralmente infuriare mio padre. Vidi la ragione
scomparire dai
suoi occhi e avvertii la calma ricomparire dentro di me. I suoi
movimenti
furono fluidi e veloci e in un attimo Jacob volò dall'altro
lato della stanza,
scontrandosi contro la parete, su cui si formò un enorme
crepa. Prima che mio
padre tornasse a colpirlo raggiunsi Jake, che ansimava cercando di non
trasformarsi,
mentre mia madre si parò davanti a mio padre, calmandolo.
Gli presi la mano: “Scusa,
Jake, è tutto colpa mia” gli dissi usando il mio
potere e lui mi accennò un
sorriso mentre dalla mia bocca continuavano a sgorgare parole che non
riuscivo
a fermare: “Stai bene? Tutto a posto? Niente di
rotto?” e Jake, paziente,
continuava a fare cenno di sì col capo.
“Renesmee”
sussurrò mia madre “Vai in camere tua, per
favore”.
Alzai la testa e incrociai il suo sguardo, nei miei occhi era tornata
l'ira, ma
lo shock di aver visto Jake in quelle condizioni mi aveva bloccato la
voce.
“Mamma...
ti prego...” fu tutto ciò che riuscii a dire.
“Vai,
ci penso io”. Certo, bastava che ci pensava lei e poi andava
tutto bene. “Vi rivedrete stasera”. Sarebbe stato
meglio per lei che quella
fosse stata una promessa.
“Jake, mi
dispiace, devo andare, a stasera” gli dissi sfiorandogli la
mano. In quel
momento il mio potere era il mio unico modo per comunicare e sapevo che
mio
padre ci stava ascoltando, tanto peggio per lui. Mi alzai e corsi in
camera
mia, chiudendomi la porta alle spalle. Mi tolsi gli stivaletti e li
gettai in
un angolo,
presi il primo libro che mi capitò
tra le mani e mi gettai sul letto. Era il libro delle poesie di
Tennyson,
quello che mia madre mi leggeva quando ero piccola, aveva un effetto
rilassante
su di me. Lo aprii a caso e cominciai a leggere i primi versi che mi
trovai
davanti:
Stammi
vicina quando la mia luce si sta spegnendo
Quando il sangue mi scorre lento e i nervi mi pizzicano
e formicolano, e il cuore è malato
e tutte le ruote dell’essere sono lente.
A
interrompere la mia lettura fu l'entrata di mio padre. Rimase sulla
porta in
attesa che io lo degnassi della mia attenzione, ma feci finta di niente.
“Renesmee...?”
sussurrò incerto.
“Vattene!”
urlai con tutta la rabbia che avevo, almeno la voce era
tornata. Era proprio vero che quelle poesie mi calmavano anche se in
quel
momento poteva risultare il contrario.
“Penso
di doverti delle scuse” mormorò con una voce
pentita.
“Non
è a me che devi delle
scuse” gli
risposi brusca.
“Sai
che non mi scuserei mai con Jacob”
disse, enfatizzando l'ultima parola. Allora alzai al testa, incrociai
il suo
sguardo e dissi: “Allora non abbiamo più niente da
dirci”.
“Renesmee,
io ti capisco....” cominciò, ma lo interruppi
subito: “No! Non dire che mi capisci!
Se tu mi capissi davvero non
cacceresti Jake ogni volta!” dissi tutto d'un fiato. Lui
abbassò lo sguardo:
nei suoi occhi vidi quanto ci stava male e questo fece stare male anche
me.
“So
che questo ti fa stare male, ma cerca di capirmi! Sei mia
figlia...” lasciò la
frase a metà e poi mi guardò con una supplica
muta negli occhi.
“Non
volevamo fare niente di male e tu lo sai meglio di chiunque
altro” dissi
guardandolo negli occhi.
“Io
non prevedo il futuro” mi rispose acido.
“Si”
sbuffai, “ma sapevamo entrambi che saresti rimasto in
ascolto. Come del resto
farai stasera”.
“Stasera?” chiese sorpreso.
“Si”
gli risposi convinta. “Vedrò Jake. L'ha detto mamma.
Ricordi?”.
“Si”
disse lui rassegnato. “Beh, il minimo che possa fare, per
farmi perdonare, è cercare di fare il bravo...”.
Non gli diedi il
tempo di finire la frase che gli
allacciai le braccia al collo.
“Grazie,
papà!” urlai felice. Lui rise e io mi unii a lui.
Fu una
risata liberatoria.
“Ti
voglio bene” disse lui.
“Anche
io” risposi tornando sul letto. Non appena alzai gli occhi,
era già uscito dalla stanza. Così, sospirai e
ripresi il libro tra le mani.
Stavolta il peggio era davvero passato.
.
NDA:
spero vi sia piaciuto e, se è così, mi
raccomando, fatemelo sapere! Per chi volesse: una mia amica sta
scrivendo la versione dal punto di vista di Bella (Polar Lights). Ecco
il link: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=754281
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Capitolo 2 *** Emarginata ***
Capitolo
2: Emarginata
Il
giorno, ormai, stava per terminare. Gli ultimi raggi di sole
filtravano dalla finestra, creando nella mia stanza una rilassante
penombra.
Avevo letto tutto il pomeriggio, aspettando con trepidazione l'arrivo
di Jake,
ma il tempo sembrava non voler passare mai. Mi affacciai alla finestra,
cercando di rimanere calma nell’attesa. Il sole ormai era
nascosto dietro gli
alberi e le montagne e il cielo appariva color rosso sangue. Quella
analogia mi
fece venire una certa sete e, senza che me ne accorgessi, la mia mano
destra si
fece strada tra le labbra, fino ad arrivare a sfiorare i canini. Dovevo
andare
a caccia, o trovare qualcosa da mangiare. Continuai ad osservare il
cielo:
c'erano molte nuvole che, grazie al sole, si accendevano di rosso o di
rosa.
L'apparente disordine del cielo mi fece ricordare le condizioni della
mia
stanza. Mi girai dando le spalle alla finestra e guardai la mia camera.
Rendendomi conto delle pessime condizioni in cui si trovava, mi
rimboccai le
maniche e cominciai a mettere a posto. Raccolsi i vari libri sparsi per
la
camera e li riposi nella libreria, senza un ordine preciso. Poi presi
gli
stivali e li misi nella scarpiera a muro e, infine, mi dedicai alla
scrivania.
Era piena di braccialetti e cianfrusaglie varie che non avevano mai
avuto una
collocazione precisa. Mentre li riponevo in un piccolo portagioie
notai,
nell'angolo adiacente alla scrivania, qualcosa che brillava. Posai
tutto quello
che avevo tra le mani e mi chinai per raccoglierlo. Infilai la mano tra
la
scrivania e il muro, che correvano paralleli, e ne estrassi fuori una
collana.
La sollevai fino a farla arrivare di fronte al mio viso per osservarla
meglio
ma non riuscivo a ricordare dove l'avessi già vista. Avevo
solo qualche vago
ricordo. La esaminai ancora per qualche minuto quando, improvvisamente,
nella
mia mente fecero capolino due grandi occhi rossi: Aro. Era la collana
che quel
vampiro spietato aveva regalato a mia madre in occasione del suo
matrimonio. In
un attimo ebbi l’impulso di prendere quella collana e farla
in mille pezzi,
pensando a tutto quello che avevamo passato a causa dei Volturi e di
come mi
sentissi tremendamente in colpa, essendo perfettamente consapevole del
fatto
che era tutta colpa mia. Rimasi sola con i miei ricordi e con la
collana che
ancora penzolava davanti ai miei occhi. Non potevo lasciarmi prendere
dalla
malinconia di quei pensieri, ma cosa potevo farne di quella collana? In
quel
momento non mi vennero idee per liberarmene, così la riposi
dove l'avevo
trovata e mi stesi sul letto, in attesa che il mio lupo facesse la sua
comparsa. A interrompere il mio flusso di pensieri, fu l'entrata di mio
padre.
Mi alzai dal letto e corsi ad abbracciarlo. Lui mi sorrise, divertito.
Poi i
suoi occhi si spensero e vidi chiaramente che quello che stava per dire
non lo
rendeva affatto felice.
“Stasera
io e tua madre andremo a trovare Charlie” disse
guardandomi negli occhi. “Tu e Jacob cercate di non fare
troppi danni”
continuò, senza neanche un po' d'entusiasmo.
“Non
ti preoccupare” sbuffai. “Non faremo niente di
male” finii la
frase con tutta la convinzione possibile.
“Sta
arrivando” mormorò improvvisamente mio padre. Io
lo guardai
sbalordita.
“Cosa?”
gli chiesi. Avevo paura di non aver capito.
“Jacob
sta arrivando” disse mio padre, scandendo le parole una ad
una come se stesse parlando con una bambina.
“Come
fai a...?” dissi, biascicando un po' le parole. A volte mi
stupivo dei poteri della mia famiglia, non solo di quello di mio padre.
“Segnalatore
radar incorporato” mi rispose lui, sorridendo. Non
afferrai il motivo del suo improvviso cambio d’umore: era
passato dalla noia
per il fatto che Jacob stesse arrivando ad un sorriso improvviso. Senza
aggiungere altro, andammo in salotto. Non feci neanche in tempo a
sedermi sul
divano, che mia madre cominciò con la sua predica.
“Mi
raccomando...”. La solita frase che ci si aspetta da una
madre
ma, visto che avevo già parlato con mio padre, non avevo
alcuna voglia di
sorbirmi anche lei.
“Non
temere, mamma” la interruppi incrociando il suo sguardo.
“Papà
mi ha già fatto la predica. Non faremo nulla”
conclusi con un po' di amarezza.
Mia madre, per niente scoraggiata, mi sorrise e non potei fare altro
che
ricambiare. Dopo pochissimi secondi avvertii la presenza di Jacob oltre
la
soglia della mia casetta. Anche i miei genitori lo percepirono.
“Vi
lasciamo soli, allora” disse per concludere la breve
conversazione. Li salutai con la mano e li seguii con lo sguardo. Mia
madre si
alzò elegantemente, prese mio padre per mano e insieme si
avviarono all'uscita.
Mio padre, passando al fianco di Jacob, non perse occasione di
lanciargli
un'occhiata di avvertimento, che lui neanche notò. Il suo
sguardo era incollato
a me.
“Ciao,
Nessie” mi salutò sorridente.
“Ciao,
lupo” gli risposi ricambiando il sorriso.
“Come
te la passi?” chiese noncurante,
accomodandosi al mio
fianco sul divano.
“Bene,
tu?” risposi di rimando.
“Non
mi lamento” mi disse lui.
“Cosa
hai fatto oggi?” domandai curiosa ma soprattutto per portare
avanti la conversazione.
“Ho
fatto un giro in spiaggia da solo e poi ho accompagnato in
ricognizione Quil” disse, distrattamente. “E
tu?” mi chiese, mostrando un po'
più di interesse.
“Niente,
ho sfogliato qualche libro e poi ho rimesso a posto la
mia stanza” gli risposi, poco convinta.
“Le
solite cose da Cullen” sbuffò.
“Non
capisco proprio queste vostre avversità” ammisi,
guardandolo
negli occhi.
Lui
rise. “I vampiri sono ripugnanti!” mi rispose,
continuando a
ridere.
“Non
sono così male” contestai io.
“Lo
sei anche tu,” disse lui “per
metà” precisò, enfatizzando
l'ultima parola.
“Quindi
sono ripugnante anche io?”.
“Per
metà” specificò, scoppiando a ridere.
“Ah!
E' così, lupo?” dissi, dandogli un pugno e
unendomi alla sua
risata. Piano piano le risate si spensero, lasciando spazio solo ad un
sorriso
e poi a un vuoto di parole che sembrava incolmabile. Ci guardavamo in
attesa
che qualcuno dei due spezzasse quel silenzio insopportabile, ma non
successe.
Spostai lo sguardo sul tavolino di fronte al tavolo: sopra non c'era
niente di
speciale o che non avessi già visto un miliardo di volte. La
casa era silenziosa
e la foresta che la circondava stava andando a dormire. La penombra si
stava
trasformando in buio, così mi alzai ed andai ad accendere la
luce. Mi accorsi
degli occhi di Jake, confusi, che mi seguivano in ogni movimento.
“Che
c’è? I vampiri non vedono al buio?”
chiese, scettico.
“Si”
gli risposi. “Ma preferisco la luce” continuai,
sorridendo.
Poi tornai a sedermi accanto a lui. Il silenzio si faceva sempre
più pesante e
l'imbarazzo cresceva ancora più velocemente.
“Hai
fame?” domandai, improvvisamente, facendolo sobbalzare.
“Si”
mi rispose, sorridendo. Come sempre.
“Bene,
vediamo cosa trovo” mormorai, alzandomi e dirigendomi in
cucina.
“Niente
di rosso e liquido!” mi urlò Jacob, dal salotto.
Aprii il
frigorifero: c'era un po' di tutto ma non sapevo proprio cosa
scegliere, così
lo richiusi. Aprii la dispensa e presi un pacco di patatine fritte e le
portai
sul divano.
“Stiamo
attenti a non sporcare” mi raccomandai.
Lui
mi guardò: “Niente ketchup?” si
lamentò.
“Hai
detto che non volevi niente di rosso e di liquido” gli
risposi, ridendo. Tornai in cucina e gli presi il ketchup, poi tornai
in
salotto e mi accomodai di fianco a lui, che aveva già
iniziato a mangiare.
“Ehy!”
mi lamentai. “Lasciane un po' anche a me” dissi,
prendendogli la busta dalle mani.
“Da
quand'è che i succhiasangue mangiano?” chiese
cercando di
riafferrare la busta.
“I
vampiri, no” precisai
mettendo molta enfasi nella parola “vampiro”.
“Ma gli umani, si” continuai. “E'
il bello di essere metà uno e metà
l'altro” conclusi, ridendo. Lui desistette e
mi lasciò la busta, continuammo a mangiare mentre io
guardavo insistentemente
l'orologio: ogni secondo passava lento e le grandi lancette nere
sembravano
immobili. Parevano volermi prendere in giro e io, stupida, continuavo a
fissarle.
“Cosa
metterai al matrimonio?” chiese Jake, cercando di uccidere
il silenzio.
“Non
lo so e anche se lo sapessi, probabilmente, non piacerebbe ad
Alice. E tu?”.
“Siamo
sulla stessa barca, Nessie” mi rispose, con un po'
d'amarezza nella voce.
“Staresti
bene in smoking” dissi, ridendo.
“E
a te sta benissimo quella gonna scozzese” mi
canzonò lui.
“Che
fai, mi prendi in giro?” domandai.
“Anche
se fosse?” mi sfidò con aria superiore.
“Vuoi
rifarti per stamattina?”.
“Può
darsi”.
“Non
ce la faresti” decretai.
“E
perché?” mi chiese.
“Perché
una battuta non vale quanto una palla di neve in faccia”
dissi, con aria severa.
“Te
lo concedo” rispose lui, sarcastico. “Ma devi
ammettere che le
mie battute valgono molto di più delle tue”
continuò.
“E
in base a cosa?” gli chiesi, scettica.
“Sei
solo una
bambina, non puoi capire certe cose”. Gli diedi un pugno
sulla spalla. “Non è
colpa mia, se la tua testolina non ci arriva, Nessie!” si
lamentò lui. Entrambi
scoppiammo a ridere, ma, come era successo prima, le risate morirono
velocemente
e il silenzio tornò a far da padrone. Ormai le patatine
erano finite e, con
loro, anche gli argomenti di cui discutere. Non avevo niente da dire e
sapevo
perché: cosa pretendevo? Non ero mai uscita di casa, non
avevo amici, a parte i
licantropi. Ignoravo il mondo che si estendeva ai confini della
foresta. Gli
unici motivi per cui avevo il permesso di uscire erano andare a fare
shopping
con Alice, cosa che odiavo, o andare a trovare mio nonno
Charlie. Durante gli anni, la mia reclusione mi era sempre un po'
pesata, ma ci
avevo fatto l'abitudine. Ogni tanto però tornava e si faceva
sentire. Era
meglio quando c'erano i miei genitori: anche se litigavamo, almeno
avevamo
qualcosa da fare.
“Oggi
ci siamo presi una bella sgridata” constatai.
“Già”
disse, con molta amarezza nella voce.
“Che
c'è?” gli chiesi.
“Se
non mi avessi fatto fare quella stupida promessa, ora tuo padre sarebbe
in
mille pezzi!” urlò, arrabbiato.
“Beh,
allora è stato meglio così”.
“Preferisci
lui a me” mi accusò.
“Jake,
tu sei il mio migliore amico e lui è mio padre”.
“E
allora?”.
“Non
posso mettervi a confronto”. Lui distolse lo sguardo
sussurrando qualcosa di
incomprensibile ed io tornai a
guardare le lancette.
Erano passate due ore e i miei stavano per tornare. Non potevo lasciare
che
la conversazione finisse
così.
“Jake...?”
lo chiamai incerta.
“Si?”
chiese lui tornando a guardarmi.
“Sei
arrabbiato?” mormorai.
“No.
Non potrei mai arrabbiarmi con te, Nessie”. Fece uno dei suoi
migliori sorrisi jacobini.
“Ti
voglio bene, Jake” dissi, abbracciandolo.
“Anche
io, Nessie” rispose, ricambiando l'abbraccio. Restammo a
fissarci per qualche minuto, poi lo scatto della serratura ci fece
sobbalzare e
i nostri occhi caddero sulla porta che si aprì velocemente.
I miei genitori
fecero la loro comparsa. Improvvisamente vidi gli occhi di Jake
riempirsi di
rabbia, si alzò noncurante e, dirigendosi verso la porta,
disse: “Vabbè, io
vado”.
“Ciao,
Jake” dissi, un po' triste.
“A
domani” aggiunse mia madre.
“Perché?”
chiese Jacob, sorpreso.
“Alice
mi ha chiamato” si lamentò. “Andiamo a
fare shopping!” aggiunse, cercando di
mettere un po' di entusiasmo nella voce ma ,come sempre,
era una frana quando mentiva.
“Non
vedo l'ora” rispose Jake, alzando gli occhi al cielo e poi se
ne andò. Lo guardai chiudersi la porta alle spalle e rimasi
a fissare la porta
chiusa per un
po'.
“Che
ore sono?” chiesi, improvvisamente.
“Le
dieci” rispose mio padre, per nulla sorpreso.
“Vabbè,
io vado a letto” dissi alquanto scocciata. Avevo voglia di
stare un po' da sola
prima che qualcuno mi facesse domande che non volevo sentire riguardo
la
serata.
“Buona
notte, tesoro” mi augurò mio padre, dandomi un
bacio sulla fronte.
“'Notte”
risposi assonnata. Mi diressi in camera mia, lentamente, e sentii i
passi di
mia madre che mi seguivano. Ero stata una stupida a pensare che sarebbe
potuta
finire così, feci un sospiro ed entrai in camera mia,
lasciando la porta aperta
per mia madre.
“Come
è andata? Cosa avete fatto?” chiese lei, entrando
ed accomodandosi sul letto.
“Bene”
risposi, senza entusiasmo.
“Che
c'è, amore?” domandò, cercando i miei
occhi. “Avete litigato?” continuò quando
incrociò il mio sguardo
triste.
“Magari” esclamai
alzando un po' troppo la voce. “Avremmo detto
qualcosa” mi lamentai. Poi la
guardai con aria smarrita e le chiesi. “Mamma,
perché io e Jake non abbiamo
argomenti? Voi di cosa parlavate?”.
“Amore...”
disse mia madre, comprensiva. “Tu vivi in segreto da
sei anni: non vai a scuola, ne esci” continuò,
spedita. “E' normale
che tu e Jacob non sappiate di cosa parlare”. Quella
era la verità, lo avevo pensato anche io prima, ma
sentirmelo dire mi aveva
fatto più male di quanto pensassi. Non volevo che le persone
mi compatissero,
anche se non lo facevano di proposito. Mi faceva sentire una vittima ed
io non
lo ero.
“Ma
Jake è il tuo migliore amico” constatai.
“Che cosa facevate... “prima”?”
chiesi, curiosa.
“Beh,
all'inizio decidemmo di aggiustare due moto” disse mia madre.
Che cosa stupida.
Cosa ci avrei fatto con una moto? Non potevo neanche farmi vedere in
giro. “Per
poi usarle per divertirci”
aggiunse.
“Non
ci pensare nemmeno” urlò mio padre, dal salone.
“Non
ci stavo pensando, dovresti saperlo!” gli urlai di rimando.
“Ma
più che altro ci raccontavamo della scuola, degli amici...
degli amori” continuò mia madre. Avrebbe potuto
evitarmi quella lista, mi fece
sentire ancora più esclusa dal mondo. “E poi,
molto spesso, litigavamo” ammise.
Mi guardò in attesa che dicessi qualcosa, ma l'unica cosa
costruttiva che mi
venne in mente fu: “Ma io non vado a scuola”.
“Lo
so, amore. Tra poco, se vuoi, potrai andarci”
assicurò mia
madre, con tantissima pena negli occhi. Questo mi fece rabbia.
“Ma devi
aspettare che la tua crescita termini”. Come se non lo
sapessi già. Quello
voleva dire un altro anno da rinnegata, senza amici, senza scuola,
rinchiusa
tra la mia casa, la foresta e la casa dei miei nonni. “E
questo significa
almeno altri sei mesi” dissi, con quanta più
acidità potevo.
“Già”
mi rispose mia madre. Poi aggiunse, sorridendo: “Dai, che
domani ci rifacciamo con una bella giornata di shopping”.
Fece finta di
tremare. Ma non faceva ridere, anzi. Avrei preferito restare in casa,
che
andare in giro per la città a farmi trattare come un
burattino da Alice. E poi,
con quell'umore che mi
ritrovavo, non sarei stata la solita
ragazza gentile e accondiscendente. Purtroppo, non potei fare altro che
annuire, tristemente. “Vieni qui” disse mia madre,
e mi strinse tra le sue
braccia. Per quanto fosse dura e fredda, con quel gesto mi diede
tantissimo
calore. “Tutto si sistemerà”
proseguì. Avrei voluto tanto crederci. “E tu e
Jake potrete stare insieme con tranquillità”.
“Lo
spero” dissi, e ci speravo davvero. “Io gli voglio
molto bene,mamma”. Questa
frase mi riscaldò il cuore più del suo abbraccio.
“Benvenuta
nel club” mi rispose, cercando di alleggerire la situazione,
ma solo un
miracolo ci sarebbe riuscito. “Cerca di dormire” si
raccomandò, assumendo la
voce di una madre molto protettiva. “Ti voglio
bene” disse, alzandosi.
“Anch'io,
mamma” le risposi, mentre usciva. Quando mia madre
uscì, il buio si impadronì
della stanza. Non era buio per me, anzi, ci vedevo bene. Forse il buio
era solo
dentro di me. Così mi alzai dal letto e mi affacciai alla
finestra. Intravedevo
la luna da dietro le folte chiome degli alberi: quella sera non c'erano
nuvole
e il cielo si estendeva infinito. Per un attimo, mi sentii
infinitamente
piccola in confronto, ma poi spostai il mio sguardo più in
alto, dove il cielo
era dominato dalle stelle. Erano tutte uguali: piccoli punti di luce in
un nero
sconfinato. Dopo un po' scorsi la stella polare, al centro esatto del
cielo.
Era lì, bellissima, un punto di riferimento, una guida. Era
uguale alle altre
ma la sua luce brillava di più. Distolsi il mio sguardo dal
cielo e mi stesi
sul letto, il mio sguardo cadde subito sulla foto della mia famiglia
posta sul
comodino. Chiusi gli occhi, chiudendomi in me stessa e lasciai che i
sogni, più
belli della realtà, mi cullassero e mi trascinassero in un
limbo dorato, almeno
per una notte.
NDA:
Questo è il secondo capitolo di Pole Star ^^ spero
vi sia piaciuto e sarei felice di conoscere i vostri pareri... Se
volete leggere questa storia anche dal punto di vista di Bella trovate
il link della storia nel primo capitolo ^^ inoltre nel primo capitolo
potete trovare anche la copertina (creata da me) per la storia!! Buona
lettura :D
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Capitolo 3 *** Tortura ***
Capitolo
3: Tortura
Il
sole ormai stava sorgendo, impaziente di raggiungere il centro del
cielo per
rivendicare il suo trono.
I suoi primi
raggi mi pizzicavano le palpebre, spronandole ad aprirsi, ma non ero
ancora
pronta a tornare al mondo reale, così infilai la testa sotto
le coperte. Fuori
dalla finestra, i primi animali si stavano svegliando e il loro canto
sembrava
chiamarmi ad entrare a far
parte della realtà.
Sembrava che quella giornata fosse impaziente di iniziare e l'unica a
rimanere
indietro fossi io. Sentivo i passi dei miei genitori già
pronti per un nuovo
giorno e, al tempo stesso, il mio letto che mi implorava di rimanere
lì, ancora
qualche minuto, un attimo solo, giusto il tempo di capire che il letto
non
poteva implorarmi di fare niente e rendermi conto che era solo la mia
pigrizia
ad inchiodarmi lì, in quel piccolo involucro di calore.
“Amore!”
urlò mia madre. “Svegliati!”. Mi rigirai
nel letto,
irritata. Non era giusto che la notte durasse un attimo e il giorno
un’eternità. Spostai la coperta e fissai
l'orologio, ancora mezza addormentata.
Erano le otto e non avevo nessuna voglia di alzarmi, soprattutto
sapendo quali
sorprese riservava quella giornata. Sentii i passi di mio padre, che
stava per
aprire la porta, e velocemente rimisi la testa sotto le coperte,
fingendomi
addormentata.
“Andiamo,
Nessie!” disse mio padre, ridendo. “Non vorrai far
arrabbiare Alice!”. In realtà, quella prospettiva
mi allettava alquanto e sul
mio viso spuntò un sorriso crudele. Mi rigirai ancora nel
letto, mormorando “Ancora
cinque minuti”, ma non ero sicura che mio padre avesse
capito. Dopotutto la mia
voce era ancora impastata dal sonno.
“Lo
sai che, se arrivate in ritardo, Alice verrà qui e
insisterà
per vestirti” mi avvisò mio padre, sapendo di aver
colpito nel segno. I miei
occhi si aprirono di scatto, la pigrizia svanì,
così come il sonno e, tutt’a un
tratto, il richiamo della foresta mi sembrava la più bella
delle sinfonie.
“Sono
sveglia!” sussurrai, togliendomi di dosso le coperte e
stropicciandomi gli occhi.
“Bene”
rispose mio padre, compiaciuto. “Vuoi fare
colazione?”. Per
quanto la sua richiesta e le sue uova mi tentassero, decisi che era
meglio non
perdere tempo.
“No,
mangerò qualcosa dopo” dissi, alzandomi dal letto.
“Okay”
replicò noncurante mio padre.
“Sbrigati tua madre ti sta aspettando!”.
“E'
ovvio! Lei non dome” gli risposi, sarcastica. Mi precipitai
nell'armadio e
presi le prime cose che trovai, poi afferrai le scarpe da ginnastica e
mi
diressi in bagno. Mi lavai e
mi vestii e poi
cominciai a pettinare i capelli che cadevano ribelli sulle mie spalle.
Mi
guardai un'ultima volta allo specchio: potei constatare soddisfatta che
la
felpa viola con i jeans non era poi così male e le scarpe da
ginnastica nere
non stonavano affatto. Aprii la porta e tornai nella mia camera, presi
l'i”pod,
indossai l'anello e la collana e mi diressi in salotto. Mi accomodai
sul divano
giusto in tempo per sentire il rombo di un’auto che aveva
parcheggiato fuori
casa nostra. Dopo pochi secondi mi ritrovai davanti Alice,
supereuforica.
“Alice!”
esclamò mia madre, sorpresa. “Che ci fai qui?
Dovevamo
vederci a casa di Carlisle alle nove!”.
Alice
la guardò, rivolgendole un espressione estasiata.
“Si!”
urlò, tutta contenta. “Ma ero troppo
eccitata!”.
Non
potei fare altro che alzare gli occhi al cielo. Non mi piaceva
come era iniziata quella giornata, nell'aria c'era troppa gioia ed
estasi che
non riuscivo a condividere. Sapevo già che il seguito non
sarebbe stato niente
di speciale... ero su una montagna russa che cadeva sempre
più giù, potevo solo
sperare che mia madre ci facesse entrare qualche curva.
“Sei
davvero strana” mi feci sfuggire, involontariamente. Vidi gli
occhi di Alice
guizzare su di me e prendere a studiarmi da capo a piedi. Distolsi lo
sguardo e
presi a guardare un punto impreciso. Tra qualche minuto Alice avrebbe
cominciato a lamentarsi, ne ero certa.
“Ma
cosa hai fatto?!” urlò indignata. Sbuffai.
Dopotutto non avevo bisogno di
prevedere il futuro per indovinare che Alice non avrebbe mai condiviso
il mio
modo di vestire.
“Perché?”
dissi, irritata. “Cos'ho?”.
“Quella
felpa! Quei jeans!
Quelle scarpe!” mi
rispose, quasi nauseata. Era irritante: ad Alice serviva un corso di
tatto,
ogni tanto avrebbe anche potuto dirmi che sapevo vestirmi.
“Facevi
prima a dire “Il tuo abbigliamento!”“
intervenne Jacob, entrando in casa. Mi
scappò un sorriso, Jake arrivava sempre nel momento giusto,
sembrava quasi che
lo facesse a posta.
“Ehy,
Jake” lo salutò mia madre, con finto entusiasmo.
“Buongiorno,
Jacob” disse mio padre, senza nascondendo il fastidio che la
sua presenza provocava.
“Wow!”
esclamò Jacob, guardandomi. “Che entusiasmo! Mi
sto commuovendo!” continuò
sorridendomi, e non potei fare altro che ricambiare, senza dire niente.
“Ma
cosa diamine ti sei messo?!” urlò,
improvvisamente, Alice. Non
avevo mai fatto molto caso all'abbigliamento di Jacob
ma, ora che Alice me lo avevo fatto notare, notai che indossava un
bermuda e
una t”shirt logora. “Almeno io mi sono vestita
meglio”, pensai e quello fece
comparire sul mio viso un sorrisetto ironico.
“Perché?”
chiese Jake, confuso.
“Ti
rendi conto che sto per portarti in alcuni dei negozi più
importanti di
Seattle?!” gridò Alice, adirata. Stava un po'
esagerando: non c'era bisogno di
arrabbiarsi in quel modo. Jake era sempre vestito così,
avrebbe dovuto saperlo.
“E
allora?” gli rispose Jake, indifferente. Alla fine era
difficile far scomporre
Jacob, soprattutto se non gli interessava quello che gli stavi dicendo
e i
vestiti non erano mai stati la sua più grande passione.
Dopotutto un licantropo
non può permettersi simili vizi con il rischio di farli
scoppiare alla prima
ondata di rabbia. Alice non si degnò neanche di rispondergli
e si catapultò in
camera dei miei genitori, mentre Jake mi guardava confuso e io
ricambiavo con
uno sguardo ironico. Fu velocissima. Tornò in una baleno da
noi con in mano i
vestiti di mio padre che aveva selezionato per Jake. Lo
guardò per un attimo e
gli lanciò gli indumenti che aveva tra le mani.
“Cosa
sono questi?!”
esclamò Jake, con un
moto di ripugnanza nella voce.
“Quello
che devi indossare” gli rispose Alice, come se fosse ovvio.
Mi avvicinai un po'
a Jake per sbirciare, tra le mani aveva un pantalone blu e un
maglioncino
chiaro, con scollo a V.
“Nemmeno
se mi paghi!” urlò Jacob, nauseato.
“Muoviti!”
ordinò Alice, di rimando. “Non ho tempo da
perdere!”.
Jacob
andò a cambiarsi, evidentemente di cattivo umore, grugnendo
qualcosa di incomprensibile. Mi sentii a disagio: non era giusto che
Alice
imponesse a tutti il suo modo di fare, soprattutto a Jacob. Lui
tornò in
salotto con un'espressione furiosa, che mascherò subito
sorridendomi. Lo
guardai da capo a piedi. Certo, quel maglione risaltava la sua
carnagione, ma
non mi piaceva. Quello non era il mio Jake. Il mio Jake era semplice,
con un
gran sorriso che lo distingueva più di qualsiasi vestito. E
soprattutto il mio
Jake indossava
sempre i bermuda e le t”shirt
logore.
“Finalmente
ti vedo vestito decentemente!” dichiarò Alice,
compiaciuta. Non potei fare
altro che arricciare il naso per far capire il mio disaccordo.
“Certo,
certo” sputò tra i denti Jacob.
“Dai,
andiamo!” urlò lei, entusiasta. Ma non vidi negli
occhi di nessuno lo stesso
entusiasmo, men che meno nei miei.
“Io
e Nessie prendiamo la Porche” disse, indicandomi. Mi feci
sfuggire uno sbuffo:
mi avrebbe torturata per tutto il
viaggio sulle
ultime tendenze e sul fatto che una ragazza come me avrebbe dovuto
seguire la
moda, potendoselo permettere. “Bella tu prendi
la Ferrari?” chiese
Alice. Fare bella figura per lei era una priorità e la
Ferrari nera di mia
madre faceva molta più bella figura delle vecchia Volvo di
mio padre che lei
era solita usare. Vidi Jake guardare mia madre con aria implorante: lui
adorava
le auto e prima che diventasse un licantropo, amava passare il suo
tempo a
resuscitare rottami. La cosa sorprendente è che dopo
funzionavano davvero.
“Va
bene” rispose mia madre, accondiscendente.
“Vienimi
dietro!” disse Alice, felice per l'imminente partenza. Poi si
diresse verso la
Porche, prendendomi per mano e trascinandomi verso la macchina gialla.
Ebbi
solo il tempo di sibilare: “Aiuto!”, invano,
naturalmente. Nessuno poteva
salvarmi da Alice. Mi accostai all’auto e guardai i miei
genitori e Jacob
attraverso le finestre. Mio padre stava baciando mia madre, dicendole
qualcosa
che non riuscii a sentire, mentre Jake faceva una smorfia che mi fece
spuntare
un sorriso sulla faccia. Poi mia madre lanciò le chiavi
dell'auto a Jacob.
Alice, spazientita, esclamò:
“Finalmente!”. Salì in macchina ed io la
imitai.
L'auto partì in un lampo e tutto a un tratto la foresta
cominciò a sfrecciare
davanti ai miei occhi. La Ferrari ci stava seguendo. Il sole non era
ancora
alto nel cielo, si nascondeva dietro gli alberi e i suoi raggi
giocavano con le
foglie dei grandi abeti ricoperti di neve. Era bellissimo guardarli e
perdersi
nella loro perfezione.
“A
cosa pensi?” mi chiese Alice, curiosa.
“Niente
di interessante” le risposi.
“Non
vedo l'ora di arrivare in città”
gongolò, felice.
“Bene”
dissi, poco convinta. “Almeno qualcuno di noi si
divertirà”.
“Andiamo,
Nessie!” si lamentò, con voce quasi petulante.
“Non sarà così male!”.
“Trovaci
un lato positivo, che non sia lo shopping, Alice”
controbattei, guardandola
negli occhi.
“Beh,
c'è il cane!” disse, entusiasta.
“Alice,
si chiama Jacob” le
risposi,
enfatizzando l'ultima parola. “E non sei stata affatto carina
con lui” la
rimproverai.
“Perché?”.
“Non
dovevi costringerlo a mettersi quella roba” mi lamentai.
“Gli
dona” disse, sarcastica.
“No,
Jake non si metterebbe mai una cosa del genere! Non è da
lui!”.
“Beh,
è meglio che si abitui” sospirò Alice.
“Perché?”
chiesi.
“Entrerà
a far parte della famiglia molto presto” mi rispose,
lanciandomi uno sguardo
eloquente.
“Cosa
stai dicendo, Alice?” domandai, irritata.
“Oh,
andiamo, Nessie!” rise.
Sbuffai,
irritata. “Alice, io e lui siamo solo amici!”.
“Per
ora” continuò lei.
“Cosa
vuoi saperne? Non puoi prevedere il mio futuro!” ribattei,
seria.
“Non
ne ho bisogno, si vede lontano un miglio!” disse, scoppiando
in una grande
risata.
Non
risposi. Girai la testa, imbarazzata, verso il finestrino e tornai a
guardare
il paesaggio, che era mutato considerevolmente. Ormai la foresta andava
diradandosi e le prime abitazioni cominciavano a prendere il loro posto.
“Altrimenti,
perché ieri Edward avrebbe avuto quella reazione!”
continuò, “Sa che sta per
cambiare tutto!”.
“Hai
sentito?” chiesi, stupita.
“Si,
non sono sorda!” disse lei. “Dopo cosa è
successo?”.
“Meglio
che non ne parliamo, Alice” mi lamentai.
“Come
vuoi”.
“Sai
che Leah verrà al matrimonio?”.
“Bleah!
Ci sarà solo un cane in più!” rispose,
storcendo il naso.
“Uffa!
Alice non sono cani!”
urlai. Lei non
rispose e io desistetti. Misi le cuffie dell'i”pod nelle
orecchie e ricominciai
a guardare fuori dal finestrino. Ormai la foresta era quasi scomparsa,
stavamo
per arrivare a Seattle.
“Nessie,
mi senti?” mi chiese Alice, all'improvviso.
“Dipende
da cosa vuoi dirmi” le risposi, sarcastica.
“Mi
dispiace per averlo chiamato cane, come vuoi che lo chiami?”
disse, con voce
piatta.
“Ha
un nome: Jacob” le
risposi, scandendo
l'ultima parola.
“Jacob”
ripeté lei.
“Sai
già cosa dovrò mettere?” le chiesi,
desiderosa di evitare una giornata tra
camerini.
“No”
disse, ridendo. “Mi piace provare”.
“Fantastico!”
sbuffai. La giornata
proseguiva sempre peggio: ormai
Alice non faceva altro che parlare di abiti e ogni tanto si degnava di
chiedermi un parere su un colore o su particolare che non la
convincevano
molto. Più che altro, le rispondevo con
“mmh” o “ah” a seconda del
caso, ma non
potevo dire di star seguendo la conversazione. Finalmente, la foresta
scomparve
del tutto e ci trovammo nel bel mezzo di Seattle, piena di persone, ma
soprattutto piena di negozi che, solo a guardarli, mi facevano venire
la
nausea. Sembravano fare a gara a chi possedesse la vetrina
più grande, cosicché
un folto numero di ragazzine potesse fermarsi lì e squittire
al cospetto di
vestiti che non potevano neanche permettersi. Non avrei mai potuto
capire cosa
ci trovassero di divertente in tutto ciò anche
perché la maggior parte di quei
vestiti era orrenda ed era degna della loro attenzione solo
perché di moda.
“Siamo
arrivati!” esultò Alice, con il suo solito
entusiasmo ed
uscì dalla macchina. Sbuffando, la seguii mentre
trotterellava verso mia madre
e Jacob il quale aveva la mia stessa espressione annoiata. Mia madre
sorrise ad
Alice, cercando di mostrarsi almeno un po' entusiasta visto che lei non
amava
deludere le persone. Anche io, di solito, stavo attenta a non far male
a
nessuno, ma quella era proprio una giornata no e, anche volendo, il
massimo
dell'entusiasmo che sarei riuscita a mostrare non sarebbe mai stato
sufficientemente
convincente per nessuno. Quello che mia madre non voleva capire era che
far
demordere Alice era un'impresa da titani.
“Cominciamo
da qui” esclamò con la sua vocina squillante.
Cominciamo? Quanto tempo doveva restare lì? Quanti vestiti
ci avrebbe obbligato
ad indossare? Avevo voglia di scappare, mi guardai distrattamente
intorno:
volendo, non sarebbe stata un'impresa così ardua. Senza
fiatare, seguii Alice
verso il negozio. Era a due piani, più o meno come tutti gli
altri, ma la sua
vetrina era molto più grande e qualche ragazzina, che
probabilmente a
differenza mia quella mattina non aveva voglia di dormire, stava
indicando
cappelli, borsette o accessori vari ed emetteva un suono irritante ogni
volta
che leggeva un cartellino con su il prezzo. Entrammo nel negozio, mia
madre ed
Alice avanti, mentre io al fianco di Jacob mi guardavo intorno con aria
alquanto inorridita. Non capivo che bisogno c'era di andare a quel
matrimonio
in abito elegante. La maggior parte dei licantropi usava la maglietta
come optional,
dopotutto era un matrimonio in spiaggia. Una festicciola tra amici,
tanto Sam
ed Emily vivevano già come fossero sposati.
“Posso
aiutarvi?” chiese la commessa, con una voce roca ed un
sorriso stampato sulla faccia. Alice la guardò con
sufficienza, nessuno di noi
si aspettava che avesse accettato l'aiuto di quella ragazza e la sua
risposta
non ci sorprese. “Facciamo da soli, grazie”. Poi
diede le spalle alla commessa
che irritata si allontanò, posizionandosi dietro la cassa e
tenendoci d'occhio
come se avesse paura che fossimo ladri.
“Jacob,
aspettaci ai camerini” squittì Alice. A quanto
pareva la
chiacchierata in macchina era servita a qualcosa: ora aveva imparato a
chiamare
per nome il mio lupo. Probabilmente, quella era l'unica cosa positiva
della giornata.
“Con
immenso piacere” mormorò Jake e scappò
in fretta come se
avesse paura che Alice ci ripensasse, al che mi scappò un
sorriso che scomparì
quasi subito.
“Bella,
Renesmee voi venite con me” ordinò lei e pregai
che
l'espressione di terrore puro che doveva essersi dipinta sul mio volto,
fosse
solo frutto della mia immaginazione. Alice, noncurante,
cominciò a danzare tra
gli abiti, confrontandoli e poggiando sul suo braccio quelli che
più le
piacevano. Ogni abito che aggiungeva era seguito da un mio sbuffo e da
una sua
occhiataccia, tanto sapevo che erano tutti per me. Quando Alice si
accorse che
il negozio era finito e che aveva esaminato ogni singolo indumento
presente in
esso, tornò verso di noi con un sorriso trionfale e con
molti, troppi abiti adagiati
sul braccio. Poi mi guardò per un attimo e porgendomi i
vestiti disse: “Renesmee,
prendi questi e provali tutti”.
“Alice,
sei pazza!” Non trovavo aggettivo migliore, ma la mia
protesta era inutile, avrei dovuto provare tutti gli abiti volente o
nolente.
“Sbrigati!
Prima cominci, prima finisci” decretò, voltandosi
e
andando ad accomodarsi con mia madre vicino a Jacob. Entrai nel
camerino con i
vestiti in mano. Era stretto, con un grande specchio e le pareti
sbiadite, e
come se non bastasse c'era un cattivo odore, di sudore o qualcosa del
genere.
Appoggiai gli abiti sull'appendiabiti e ne presi uno senza neanche
guardarlo.
Era una abitino turchese con qualche dettaglio bianco, cortissimo di
quelli che
si indossano per le discoteche. Velocemente, sfilai i jeans e la felpa
appoggiandoli sull'unica sedia presente nel camerino, poi cercai di
indossare
quell'abitino. Provando a non strapparlo, litigavo con la cerniera che
non
voleva saperne di venire su.
“Andiamo...”
mormoravo. “Così non va”. Continuando ad
imprecare,
tiravo la cerniera in tutti i modi possibili, finché con uno
scatto non salì
con mio grande sollievo. Mi guardai allo specchio: Alice avrebbe potuto
dire
tutto quello che voleva ma non avrei indossato mai quell'abito, era
esageratamente corto e il turchese non era proprio il mio colore. Come
se non
bastasse mio padre non mi avrebbe mai permesso di uscire con quel
vestito e mai
come questa volta ero d'accordo con lui. Feci un lungo respiro ed uscii
fuori,
trovandomi davanti Alice, mia madre e Jake. Alice mi guardò
attentamente,
scrutando ogni curva ed ogni particolare di quell'abito. Spostai lo
sguardo su
mia madre, che diede una gomitata a Jacob, non sapevo perché
ma comunque
abbassai lo sguardo imbarazzata.
“Provane
un altro, non mi piace come ti sta” sentenziò mia
zia,
dopo che ebbe finito di scrutarmi. Sbuffando, per la noia e per il
sollievo mi
rintanai di nuovo nel camerino, che sembrava un po' più
accogliente di prima.
Tirai giù la cerniera e rimisi l'abito sulla sua stampella,
poi senza neanche
guardare ne afferrai un altro. Era un abito rosso, più lungo
del precedente ma
non mi convinceva molto. Lo infilai subito senza pensarci e questa
volta
pregavo che piacesse ad Alice, anche se io non lo trovavo niente di
che, avrei
messo di tutto per far finire quella tortura. Uscii di nuovo dal
camerino e
trovai i miei accompagnatori di nuovo di fronte a me, in attesa,
probabilmente
che io uscissi. Alice prese di nuovo ad osservarmi ed io spostai lo
sguardo,
era irritante avere il suo sguardo perquisitore addosso.
“Provane
un altro. Non mi piace come ti sta” ripeté mia zia
per la
seconda volta. Io, come per l'abito precedente, sbuffai e rientrai nel
camerino
accompagnata da un sorriso incoraggiante di mia madre. Senza troppe
cerimonie
sfilai anche quell'abito e lo rimisi al suo posto, poi, come se stessi
pescando
una carta da un mazzo, ne afferrai un altro. Quando lo alzai per
vederlo
meglio, rimasi alquanto basita. Era un vestitino verde, lungo
più o meno come
il precedente, decorato con fiorellini azzurri. Orrendo. Semplicemente,
inguardabile. Come aveva fatto Alice a prendere un vestito del genere?
Nel
negozio ce n'erano centinaia più carini ma comunque lo
indossai per non farli
aspettare troppo. Come se ormai fosse diventata una cosa del tutto
naturale,
aprii il camerino e mi presentai di nuovo di fronte ad Alice, mia madre
e
Jake. Quando vidi
che mia zia mi stava
scrutando e quindi stava prendendo in considerazione quel vestitino
tremendo,
sibilai: “Alice, come hai fatto a prendere in considerazione
questo vestito? E'
orrendo!”. Lei mi guardò per un altro secondo e
poi, disse: “Non preoccuparti,
non piace neanche a me. Puoi cambiarti”. Come un lampo mi
richiusi nel camerino
e potei notare con molto piacere che erano rimasti solo due vestiti,
uno rosa
ciclamino con una fascia sotto il seno che poi si apriva in un decina
di balze
fino a metà coscia, mentre l'altro era nero con una gonna un
po' più lunga ed
uno stile anni cinquanta. Li provai entrambi, notando con piacere che
su
qualsiasi dei due sarebbe caduta la scelta di mia zia, avrebbe trovato
il mio
consenso.
“Nessie,
ti concedo di scegliere tra questi due... sono molto
belli entrambi” mi concesse mia zia, al che mi girai verso lo
specchio con
l'abito rosa addosso e presi ad esaminarli entrambi. Dopo una breve
meditazione
capii che non sarei mai arrivata ad una conclusione, visto che a me
piacevano
entrambi e che non faceva nessuna differenza se avessi messo quello
rosa o
indossato quello nero. Così decisi di chiedere un aiuto...
“Jake...”
lo chiamai, facendolo sobbalzare. “Tu cosa ne
pensi?”.
“Io?”
esclamò lui sorpreso.
“Si...”
risposi, girandomi verso di lui. Mia madre gli sorrise
incoraggiante mentre Jacob continuava a guardare confuso i due abiti
senza
sapere quale dei due scegliere.
“Forse”
balbettò un attimo Jake. “quello rosa è
più... adatto”.
“Si,
forse hai ragione” acconsentii. Così, entrai per
l'ultima
volta nello spogliatoio e mi rivestii. Intanto, Alice aveva rimesso a
posto i
vestiti che avevamo scartato e si stava dirigendo alla cassa per
pagare; mi
unii a loro. Ero sollevata, la mia tortura era finita, quindi ora
potevo star
tranquilla e godermi il resto della passeggiata. Uscimmo dal negozio
dopo che
Alice ebbe pagato con la sua carta di credito; lei e mia madre
camminavano
avanti mentre io e Jake le seguivamo a pochi passi di distanza.
“Ora
è il tuo turno!” esclamò Alice,
indicando mia madre e
nonostante fosse una cosa del tutto inusuale per un vampiro, mia madre
rabbrividì. La sua espressione era comica, tanto che a me e
Jake scappò un
sorriso e trattenemmo le risate a stento.
“Oh,
andiamo, Bella! Stai andando benissimo! Concedimi almeno
quest'ultimo divertimento!” la pregò, come se non
sapesse già che mia madre non
aveva scelta.
“Basta
che tu sappia già cosa dovrò indossare”
mormorò mia madre,
con l'aria di un cucciolo bastonato.
“Si,
si certo” rise Alice, prendendo mia madre per un braccio e
trascinandola verso una via piena di negozi; io e Jake non potemmo fare
altro
che seguirle. Mia madre in balìa di Alice era davvero
divertente, mia zia non
faceva altro che blaterare, ma sembrava che lei non la stesse
minimamente
calcolando.
“Come
stai stamattina?” chiese, improvvisamente, Jacob.
“Benone”
sospirai. “E tu?”.
“Anch'io...”
rispose lui, scrutandomi. Chissà dove voleva arrivare
o cosa voleva che gli rispondessi, comunque rimasi in attesa che
continuasse,
visto che non capivo cosa stava cercando.
“Sai”
iniziò, un po' incerto. “Stamattina Quil ha
portato Claire
al parco giochi...era felicissima...dovresti conoscerla prima o
poi...” finì, lanciandomi
un'occhiata. Non
avevo mai visto Claire,
sapevo solo che era la bambina per cui Quil aveva avuto l'imprinting
quando lei
aveva solo pochi anni di vita. Da come la descrivevano era una bambina
allegra
e vivace, ma non avevo mai avuto occasione di conoscerla, anche se mi
sarebbe
piaciuto molto.
“Mi
piacerebbe molto...” risposi un po' triste. Purtroppo lo
sconforto del giorno prima aveva lasciato un alone che non riuscivo
ancora a
lavar via, per fortuna la presenza di Jake era sempre un rimedio
perfetto ai
miei malumori.
“Durante
le vacanza natalizie potresti fare un salto a La
Push...non che sia meglio di Forks... ma almeno c'è il
mare” propose, senza
guardarmi. Aveva tutta l'aria del ragazzo impacciato che sta invitando
una
ragazza ad uscire, non sapendo che l'idea mi attirava molto. Non che
adorassi
il mare, ma la prospettiva di fare qualcosa di nuovo, di uscire per un
giorno
dagli schemi della mia vita monotona e scandita dalla solitudine di chi
non
conosce il mondo, mi allettava parecchio e speravo che i miei genitori,
almeno
questa volta, non mi mettessero i bastoni fra le ruote.
“Sarebbe
bello” risposi con molto entusiasmo e Jake mi sorrise,
probabilmente sollevato dal mio improvviso fervore.
“Potremmo
fare molte cose!” affermò allegro. “Se
c'è bel tempo,
potremmo anche farci un bagno!”.
“Mi
piacerebbe molto” risposi, sincera e lui mi regalò
il suo
sorriso jacobino migliore. Ad interrompere la nostra conversazione, fu
l'entrata di mia madre ed Alice in un negozio sia per uomo che per
donna. Li
seguimmo lentamente e, questa volta, nessuna commessa ci venne incontro
quando
facemmo il nostro ingresso nel negozio. Era molto simile a quello
precedente,
anche se questo era adornato da decine di manichini bianchi vestiti nei
modi
più svariati, per il resto aveva anche lui file
interminabili di vestiti che
questa volta guardavo con più sollievo visto che nessuno di
quei capi era
destinato a me. Alice ci lasciò davanti ai camerini e poi
sparì tra i vestiti,
così mia madre si avvicinò a me e Jacob.
“Vi
state divertendo, eh?” chiese, sorridendo.
“Il
peggio è passato” risposi, sollevata.
“Per
te!” esclamò Jake ed io e mia madre non riuscimmo
a
trattenere una risata, che finì con l'arrivo di Alice con in
mano l'abito di
mia madre.
“Provalo”
le ordinò, come se non sapesse già come le stava.
Mia
madre, ubbidiente, entrò nel camerino e noi rimanemmo fuori
ad aspettarla in
silenzio. Dopo qualche secondo, uscì dal camerino con
indosso un tubino blu
scuro, molto aderente e con una scollatura appena accennata. Le stava
d'incanto, non avrei saputo scegliere un vestito migliore per lei.
“Mamma,
sei bellissima!” mormorai.
“Non
oso immaginare cosa dirà Edward quando ti
vedrà!” gongolò
Alice, fiera della sua opera. Mia madre abbassò
impercettibilmente la testa, un
gesto istintivo che faceva ogni volta che avrebbe voluto arrossire, ma
il suo
corpo da vampira non glielo avrebbe mai permesso.
“Ora
che Bella è sistemata, passiamo al caso più
tragico” decise
Alice, guardando Jacob. Il mio lupo le lanciò
un’occhiataccia, ma mia zia non
si fece trovare impreparata e gli rispose con una linguaccia. Non avevo
mai
visto un licantropo e un vampiro avere un rapporto così
spensierato, sembrava
quasi che fossero amici da una vita e non nemici giurati. Io e mia
madre
ridemmo insieme sottovoce, dopodiché lei andò a
cambiarsi mentre Alice porse a
Jacob gli indumenti che doveva indossare e lui, lentamente, si
rintanò nel
camerino al fianco di quello di mia madre. Jacob si lamentava e
imprecava a
bassa voce, probabilmente il vestito che Alice aveva scelto non era di
suo
gusto ma, se fosse stato per lui, si sarebbe presentato con i bermuda e
una t”shirt
logora. Intanto, mia madre uscì con il vestito che aveva
scelto tra le mani, e
si unì a noi mentre aspettavamo che Jake trovasse il
coraggio di uscire. Uscì
qualche secondo dopo, con l'aria di uno che si è trovato nel
posto sbagliato al
momento sbagliato e, guardandosi allo specchio, sentenziò:
“Sembro un cretino”.
Non era il mio Jacob, non era il Jacob che eravamo abituati a vedere
tutti i
giorni, era una versione che non avevamo ancora conosciuto, ma Alice
avrebbe
dovuto essere fiera di se stessa. Jacob era stupendo. Aveva una giacca
nera
leggermente gessata di grigio scuro, come il pantalone che gli fasciava
le
gambe e ne risaltava i muscoli, mentre la giacca chiara ne risaltava la
carnagione e lo rendeva più simile ad un modello che ad un
indiano di La Push.
Alice lo squadrò ancora un po’ e poi aggiunse:
“Manca solo una cosa”. Si
avvicinò lentamente, continuando a squadralo, poi
alzò lo sguardo verso il
collo di Jake e scrupolosamente gli annodò una cravatta
grigia intonata
perfettamente con il resto dello smoking. Si allontanò di
qualche passo e poi,
evidentemente soddisfatta, esclamò:
“Ecco”.
“Sembro
un cretino” ripeté Jacob, abbassando lo sguardo.
“Jake,
stai benissimo” intervenni e lui mi lanciò uno
sguardo
sbalordito che ricambiai con un sorriso rassicurante, sperando che
questo
bastasse a convincerlo ad indossare lo smoking.
“Sembri
un modello” continuò mia madre e Jake, guardandola
leggermente
frustato, rispose: “Non esagerare”.
“Non
sto esagerando, davvero. Dovresti vestirti così
più spesso”
scherzò mia madre, ma non servi a consolare Jacob che con
una smorfia di
disgusto entrò di nuovo nel camerino e uscì
quando ebbe rimesso i vestiti di
mio padre. Pagammo con la carta di credito e poi uscimmo velocemente;
ci
dirigemmo dove avevamo lasciato le macchine e salimmo velocemente, come
all'andata. Alice aveva tutta l'aria di una che riusciva a toccare il
cielo con
un dito, mentre blaterava sulla bellezza di tutti i vestiti e sulla
figura che
avremmo fatto al matrimonio, a differenza di tutti gli altri che non
avevano il
minimo gusto nel vestire.
“...e
poi il lupo sta benissimo con lo smoking, non trovi?”.
“Si,
gli sta molto bene” mormorai. Il resto del viaggio fu una
noiosa sfilata di moda, completamente immaginata da Alice, di cui noi
eravamo i
protagonisti ed indossavamo i più svariati vestiti. Dopo
iniziò la sfilza di
consigli sul mio abbigliamento e su come avrei dovuto imparare a curare
i particolari.
La grande casa Cullen fu quasi un miraggio, quando apparve alla fine
del
vialetto che avevo percorso migliaia di volte, ma che Alice mi aveva
fatto
desiderare fino all'inverosimile. Mia zia fermò la sua
macchina nel garage,
mentre mia madre lasciò Jake davanti casa e poi
ripartì salutandomi con la
mano. Raggiunsi subito il mio lupo, che mi sorrise soddisfatto e
insieme ci
avviammo verso casa, mentre Alice ci raggiungeva in un attimo e
superandoci
urlò: “Jasper!”.
“Ti
sei divertita?” chiese Jacob.
“E'
stato piacevole” sospirai. “E tu?”.
“Piacevole”
concesse. “Ma quel vestito...”
“Ti
sta davvero bene!” esclamai. “Te lo
assicuro”.
“Se
lo dici tu, tanto tutti andranno in jeans e maglietta” si
lamentò.
“Si,
ma i Cullen devono distinguersi” scherzai e lui mi
lanciò
un'occhiataccia eloquente. Sorrisi, mentre entravamo in casa e non
potei far a
meno di notare gli sguardi sorpresi quando videro l'abbigliamento di
Jacob. Lui
salutando velocemente si defilò in cucina e io lo seguii in
cerca di mia nonna.
“Jacob!
Renesmee!” ci salutò, appena entrammo nella cucina.
“Ciao,
nonna” la salutai, mentre Jake ricambiò con un
“Buona sera”
educato.
“Jacob
il frigo è pieno” esclamò rivolgendosi
al lupo, poi
rivolgendosi a me aggiunse: “E tu sei pronta per la
lezione?”.
“Certo”
risposi, entusiasta.
“Bene,
allora andiamo”.
“Ti
raggiungo dopo” aggiunse Jacob, prima che uscissi dalla
cucina. Seguii mia nonna per le scale, fino all'ufficio di mio nonno.
Era
stracolmo di libri come sempre e la cosa sorprendente era che
crescevano sempre
di più; avrebbe fatto invidia ad una qualsiasi libreria come
quella di Forks.
Ci sedemmo comode poi mia nonna prese un libro e me lo porse. Era un
libro
enorme, con la copertina in pelle marrone su cui c’era inciso
in lettere dorate
“Divina Commedia”.
“Dobbiamo
leggere il V canto” mi informò mia nonna. Aprii
lentamente il libro, che aveva l'aria vecchia e fragile, sfogliai piano
le
pagine finché non trovai il quinto capitolo.
“Ecco”
dissi.
“Questo
è il mio capitolo preferito” spiegò mia
nonna. “Parla di
Paolo e Francesca, avanti leggi” mi incoraggiò.
Iniziai a leggere lentamente,
con lo stesso tono che si usa per leggere una poesia, l'unica
differenza era
che questa poesie era lunga qualche pagina. Mia nonna rimaneva in
silenzio,
ascoltando attentamente ogni parola e guardando un punto lontano con
gli occhi,
come se immaginasse la scena o vi si immedesimasse in essa.
“...Amor,
ch'al cor gentil ratto
s'apprende prese costui de la bella persona che mi fu tolta; e 'l modo
ancor
m'offende. Amor, ch'a nullo amato amar perdona, mi prese del costui
piacer sì
forte, che, come vedi, ancor non m'abbandona. Amor condusse noi ad una
morte: “Caina
attende chi a vita ci spense”...”. Quei versi
stupendi e armonici risuonarono
nella stanza come la più dolce delle melodie, provocando
dentro di me un senso
di inquietudine. L'amore di Paolo e Francesca era uno dei
più forti che avessi
mai visto e per quanto la loro storia fosse semplice il loro amore li
rendeva
speciali. Mia nonna sospirò piano e prese a guardare
altrove, come se sentisse
un collegamento tra lei e i due protagonisti di quel canto.
“Cosa
c'è?” chiesi. Non rispose subito, il suo sguardo
era
ancora perso nel vuoto, poi guardò per un attimo il
pavimento prima di arrivare
ai miei occhi curiosi e cercare le parole adatte.
“Questo
canto...” iniziò, sospirando. “Sembra
che mi
rispecchi”.
“Perché?”
domandai, curiosa.
“Prendi
me e Carlisle, il nostro amore è forte e la nostra
vita eterna” spiegò. “Ma se un giorno
una disgrazia ci portasse via quella che
noi ci ostiniamo, ancora, a chiamare vita, penso che l'inferno sarebbe
la
nostra nuova dimora...”.
“Cosa
dici!” esclamai, sorpresa. “Non conosco persone
più
buone di te e del nonno! Quale Dio vi manderebbe
all'inferno?”.
Mia
nonna mi sorrise materna, poi accarezzandomi una
guancia, rispose: “Siamo vampiri, creature della notte, Dio
è luce, come te”.
“Io
sono per metà vampiro” risposi, fredda.
“Bambina
mia, tu hai un'anima”.
“Certo
che c'è l'ha!” intervenne Jacob, come se avesse
ascoltato tutta la conversazione. “Ma tu e il dottore non
potete andare
all'inferno! Altrimenti, dovrebbero finirci tutti!”.
“Ha
ragione” concessi, sorridendo al mio lupo, che aveva
l'aria soddisfatta di chi pretendeva
di aver ragione.
“Forse
avete ragione” mormorò mia nonna.
“Dopotutto, la speranza è
l'ultima a morire”.
“Però,
se proprio vuoi toglierti il dubbio, possiamo provare con la
bionda!” esclamò Jake, scoppiando a ridere.
“Jake,
smettila!” lo rimproverai, ridendo sotto i baffi e sperando
che
Rose non avesse sentito.
“Va
bene, ragazzi” intervenne mia nonna. “Ricominciamo
a leggere. Jacob
tu ti unisci a noi?”.
“Si”
rispose, un po' indeciso e poi si accomodò al mio fianco,
mentre io
continuavo a leggere. La lettura non fu tranquilla come prima
dell'interruzione, visto che io o Jake interrompevamo molto spesso
chiedendo un
chiarimento o la traduzione di un verso che non ci era molto chiaro e
mia nonna
con molta pazienza, anche se si vedeva che le piaceva soffermarsi per
spiegarci
qualche aneddoto o solo per soddisfare la nostra curiosità,
ci spiegava il
senso delle frasi o dei concetti che non capivamo. “...Per
più fiate li occhi
ci sospinse quella lettura, e scolorocci il viso; ma solo un punto fu
quel che
ci vinse. Quando leggemmo il disiato riso esser basciato da cotanto
amante,
questi, che mai da me non fia diviso, la bocca mi basciò
tutto tremante.
Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse: quel giorno più non
vi leggemmo avante”.
Mentre che l'uno spirto questo disse, l'altro piangea; sì
che di pietade io
venni men così com'io morisse. E caddi come corpo morto
cade...Finito”
esclamai. Alzai lo sguardo verso l'orologio e notai che erano le otto e
mezza,
sorprendentemente ci eravamo lasciati trasportare dal libro e non ci
eravamo
neanche accorti dello scorrere del tempo.
“Bene”
disse mia nonna, portando anche lei gli occhi verso le lancette
dell'orologio. “Che ne dici di mangiare qui con Jacob? Poi
Rose ti accompagna a
casa”.
“D'accordo!”
risposi, entusiasta. Scendemmo al piano di sotto e mia
nonna ci preparò da mangiare, era strano vedere un vampiro
in cucina ma ormai
con mio padre ci avevo fatto l'abitudine, visto che amava cucinare per
me e io
apprezzavo molto la sua cucina. Mia nonna fu velocissima, ci
preparò un piatto
di farfalle al tonno con scaloppine di pollo e patate al forno.
“Ecco
qui” esclamò soddisfatta. “Jacob ho
cercato di toccarli il meno
possibile”.
“Non
preoccuparti, non è più un problema”.
Mia nonna ci sorrise e poi
uscì dalla cucina lasciandoci soli. Jacob finì di
mangiare in un attimo, ma io
ero un po' più lenta.
“E'
una bella serata, non trovi?” chiese, improvvisamente.
“Si,
la luna è magnifica” risposi senza pensarci.
“Trovo
che questa giornata si sia conclusa nel migliore dei modi”.
“Non
ci speravo nemmeno in un esito del genere” scherzai.
Continuammo a
parlare amabilmente tutta la serata, sembrava che tutti gli argomenti
non
trovati il giorno prima si affollassero tra le nostre parole, facendoci
passare
velocemente da un concetto ad un altro senza che neanche ce ne
accorgessimo.
Finito di mangiare, riponemmo i piatti e le posate nella lavastoviglie
e poi
raggiungemmo il resto dei Cullen nel soggiorno. Rose mi sorrise appena
mi vide
entrare e io non potei fare a meno di ricambiare il sorriso; poi
avvicinandosi
a passo di danza, esclamò:
“Sei
pronta?”.
“Si,
andiamo” risposi, subito.
“Hey,
bionda” la chiamò Jake e Rosalie si
girò verso di lui con un moto
di ripugnanza. “Non è che mi daresti un
passaggio?”. Si videro chiaramente i
pensieri di Rose, attraverso i suoi occhi, andavano dall'istinto
omicida verso
il lupo che aveva di fronte alla rassegnazione quando vide Esme
guardarla e
attendere una risposta per lei scontata.
“Va
bene, cane” acconsentì amaramente e poi
velocemente si diresse verso
l'uscita di casa Cullen. Salutai ad uno a uno tutti gli altri e
augurando la
buona notte uscii seguendo Rosalie che era già entrata nella
sua Bmw e ci
aspettava impaziente. Jacob mi superò e si
accomodò al posto del passeggero,
non capii se l'avesse fatto perché gli interessava davvero
star seduto davanti
o solo per fare un dispetto alla “bionda” come la
chiamava lui. Rosalie non
fece commenti, partì velocemente come se non vedesse l'ora
di far finire quella
tortura, mentre Jacob continuava a chiacchierare amabilmente con me,
facendo
saltare i nervi a Rose. Arrivammo a casa in un batter d'occhio, mia zia
mi
salutò e mi augurò la buona notte, prima di
sfrecciare via a tutta forza e
lasciare me e Jake di fronte casa.
“Buona
notte, Nessie” disse, dandomi un bacio sulla fronte poi corse
verso la foresta in procinto di trasformarsi ed ebbi solo il tempo di
dirgli: “Buona
notte anche a te”. Prima di vederlo sparire del tutto, mi
diressi verso casa e
con un sospiro aprii la porta. L'ululato di Jake mi colse alla
sprovvista,
avrei riconosciuto la sua voce tra mille, rimasi pietrificata per un
attimo,
finché non sentii la risposta di Leah e Seth che erano di
guardia. Mi
tranquillizzai ed entrai in casa, era vuota e buia, così
accesi la luce e mi
diressi in camera mia. Non sapevo dove fossero i miei genitori, l'unica
cosa
che mi avevano detto era che dovevano fare una cosa importante, ma non
sapevo
cosa. Mi rintanai nella mia stanza e lentamente, indossai il pigiama e
poi mi
diressi in bagno per lavarmi. Tornai nella mia camera e mi affacciai
alla
finestra con la speranza di veder arrivare i miei genitori, ma di loro
non
c'era neanche l'ombra. Così, decisi di andare a dormire, mi
stesi sul letto e
mi coprii con le coperte. Ripensando alla giornata trascorsa dovevo
ammettere
che non era stato così male, dopotutto era stato anche
piacevole fare qualcosa
di diverso. Ora però mi sentivo stanca, avevo solo voglia di
dormire e di non
pensare più a nulla, sentii di nuovo Jake ululare. Un
ululato diverso: più
pacifico, ma anche stanco, così decisi di addormentarmi col
dolce suono della
sua voce, che di umano aveva poco, ma che riscaldava più di
un qualsiasi “Buona
notte”.
NDA:
spero che questo capitolo vi piaccia ^^ e mi farebbe piacere leggere i
vostri pareri!! Grazie e buona lettura!
|
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Capitolo 4 *** Ansie ***
Capitolo
4: Ansie
Quella
notte non sognai molto, o almeno qualunque cosa avessi sognato
non era degna di essere ricordata. Mi svegliai lentamente, senza aprire
gli
occhi, cominciai a togliermi le coperte di dosso. Poi mi misi a sedere
sul
letto e pacatamente mi guardai intorno. Il sole, ormai, era
già sorto e i suoi
raggi giocando tra i rami degli alberi si riflettevano sul vetro della
mia
finestra, illuminando la mia stanza completamente. Sentii i miei
genitori in
salotto, intenti a parlare del più e del meno, probabilmente
aspettavano che mi
svegliassi. Scesi dal letto e mi diressi in salotto per dargli il
buongiorno,
ma quando aprii la porta una strana busta cadde dalla maniglia.
Velocemente, mi
abbassai a raccoglierla e la esaminai. Era una busta bianca del tutto
anonima,
così spinta dalla curiosità l'aprii, dopotutto se
era attaccata alla porta di
camera mia doveva essere destinata a me. Estrassi il bigliettino che vi
era
contenuto e lo lessi attentamente:
Tesoro,
buon Natale! Spero che il mio regalo ti piaccia e che lo userai
con giudizio e responsabilità. Detto questo, divertiti e
fatti accompagnare da
qualcuno a comprare i regali che desideri.
Ti voglio bene, mamma.
Non
capii subito cosa conteneva quella busta, visto che nella lettera di
mia madre non era scritto. Così, infilai la mano
attentamente e ne estrassi una
scheda, la rigirai tra le mani e scoprii, con mia grande sorpresa, che
era una
carta di credito e che a quanto pareva era tutta per me. Trattenere le
urla di
gioia e i balli di festeggiamento fu un'impresa da titani, non riuscivo
a
crederci e non era tanto per la carta di credito, quello che mi faceva
più
piacere era che finalmente i miei genitori riuscivano a vedermi come un
adolescente e non come una bambina di sei anni qualsiasi. Corsi nel
salotto con
un sorriso stampato in faccia e gettai le braccia al collo di mia
madre, che mi
strinse forte a se. “Grazie, è
bellissima” le dissi con il mio potere, ero
l'unica a poter trapassare il suo scudo e ogni tanto si dimostrava
utile.
“Figurati”
mormorò, felice, tra i miei capelli. Restammo abbracciate
ancora qualche secondo, poi, quando sentii avvicinarsi mio padre,
lasciai
andare mia madre per salutare anche lui.
“Buongiorno”
mi salutò, stampandomi un bacio sulla fronte. “Hai
fame?”.
“Si!”
risposi, senza neanche pensarci.
“Uova?”.
Come se non lo sapesse già.
“Vada
per le uova” dissi, sorridendogli. Elegante e leggiadro come
sempre si diresse in cucina ed io e mia madre non potemmo fare altro
che
seguirlo, lei rimase appoggiata sul ciglio della porta a guardarci
mentre io mi
accomodai a tavola, impaziente che mio padre mi desse le sue uova.
“Oggi
andiamo da Charlie” mi informò mia madre.
“Vieni anche tu?”.
“Si”
risposi subito, avevo tanta voglia di rivedere il mio nonno umano.
“Dopo,
però, posso andare a fare i regali?”.
“Basta
che ti fai accompagnare da qualcuno” intervenne mio padre.
“Va
bene” mormorai, quand'è che sarei potuta uscire
per conto mio? Forse
avrei dovuto aspettare la patente per avere un po' di
libertà in più, ma per
come era mio padre avrei dovuto aspettare altri cent'anni. Sorrise,
improvvisamente, e mia madre lo guardò confusa. Doveva
essere frustante per lei
non capire i pensieri miei o di mio padre, visto che spesso
comunicavamo così.
“Ecco,
qui” esclamò mio padre, porgendomi un piatto con
due uova.
“Grazie”
dissi, guardando il piatto. Le uova avevano davvero un buon
aspetto e senza aspettare un minuto di più, iniziai a
mangiarle. Quando ebbi
finito, misi il piatto nella lavastoviglie, mentre mia madre e mio
padre sul
ciglio della porta si guardavano imbambolati e poi mi diressi verso il
bagno.
“Vado
a lavarmi” li informai, ma non ero sicura che mi stessero
ascoltando.
“Aspetta”
mi fermò mio padre. Sbagliato, lui mi ascoltava sempre. Lo
guardai interrogativa e lui, con il suo sorriso sghembo stampato in
viso,
estrasse un pacchetto dalla tasca dei jeans e me lo porse. Lo presi, un
po'
esitante, e lo analizzai. Aveva una forma rettangolare, ma era molto
sottile,
mentre la carta era rossa con disegni dorati. Lo rigirai tra le mani,
non avevo
la minima idea di cosa fosse, alzai lo sguardo verso mia madre ma era
confusa
quanto me, nessuna delle due si aspettava una cosa del genere. Mio
padre alzò
un sopracciglio e disse: “Allora, vuoi aprirlo?”.
Diedi
un'ultima occhiata al pacchetto che avevo tra le mani, poi
lentamente e con attenzione cominciai a togliere la carta rossa,
intravidi
subito il simbolo di una mela su uno sfondo argentato, ma non capii
subito
cos'era. Poi, tolsi il resto della carta, e girai lentamente
l'i”phone che mi
ero trovata tra le mani, sullo schermo illuminato c'era un
messaggio:”Buon
Natale, tesoro”. Guardai
mio padre con
stupore, non ci potevo credere, tutto in un giorno, non era possibile.
Dov'erano i miei genitori? Cosa ne avevano fatto di loro? Dovevano
essersi
coalizzati.
“E'...mio?”
chiesi, sconcertata.
“E
di chi altri se no?” rispose mio padre, ridendo. Guardai di
nuovo il
cellulare tra le mie mani, non ci credevo che era mio.
Fu l'istinto a guidarmi, quando gettai le
braccia al collo a mio padre e gli sussurrai un “Grazie
mille”. Al che lui
scoppiò di nuovo a ridere, ma mi strinse a se e
cominciò a cullarmi sul suo
petto, come faceva quando ero solo una neonata, ma la sensazione di
protezione
che provavo, era sempre la stessa. Avevo il miglior papà del
mondo e nessuno me
lo avrebbe mai portato via, ne la vecchiaia ne il destino. Poi, mi
lasciò
andare e mentre mi allontanavo da lui continuavo a sorridergli
incredula.
“Dai,
ora, va a vestirti” intervenne mia madre e io annuendo corsi
verso
il bagno, dopo aver posato il cellulare sul mio comodino, dove vi
trovai anche
il resto della scatola. Mi vestii e lavai, velocemente come sempre, poi
andai
in salotto e vidi i miei genitori seduti sul divano a chiacchierare
amabilmente.
“Allora
andiamo?” esclamai, allegra.
“Si”
risposero in coro i miei genitori e senza neanche pensarci uscimmo
di casa, mentre mio padre teneva la porta aperta sia a me che a mia
madre. La
foresta era ancora innevata, anche se il sole non mancava affatto,
forse faceva
freddo per gli umani, ma io mi trovavo bene, ero a mio agio in mezzo a
tutta
quella neve.
“Vado
a prendere la Volvo” ci informò mio padre e
scomparì tra gli
alberi, mentre mia madre lo seguiva con lo sguardo. Io,
però, ero attratta da
un altro rumore, un suono sordo che veniva dalla foresta, era ancora
lontano ma
qualcosa mi diceva che stava venendo verso di me. Il rumore sordo delle
zampe
divenne sempre più vicino, infatti dopo pochi secondi un
enorme muso rossiccio
sbucò dalla vegetazione. Jake, in un attimo, uscì
dalla foresta e attraversando
il poco spazio che ci divideva si avvicinò, poggiando
l'enorme muso sulla mia
spalla e io lo abbracciai. Mia madre si avvicinò velocemente.
“Ciao,
Jake” lo salutò e lui rispose con un latrato.
Rimanemmo qualche
altro secondo in silenzio, in cui io continuavo ad accarezzare la calda
pelliccia del mio lupo, mentre mia madre continuava a guardarsi intorno
alla
ricerca di mio padre. Poi, Jake mi guardò interrogativo e io
con il mio potere
gli dissi: “Andiamo da Charlie” e lui
annuì impercettibilmente con l'enorme
muso. In quel momento, sentimmo il rombo di un auto che si faceva
strada a
fatica tra la vegetazione, ormai sulla Volvo i segni della vecchiaia si
facevano sentire e la foresta non era mai stata la sua strada ideale.
Mio padre
fermò l'auto di fronte a noi e poi, scese per salutare Jacob.
“Buongiorno,
Jacob” disse, formale. “Andiamo?”
continuò rivolgendosi a
noi. Mia madre annuì con la testa e fece per salire in
macchina, quando mio
padre alzò lo sguardo verso Jake, che probabilmente gli
aveva fatto qualche
domanda e lei seguì il suo sguardo.
“Torniamo
tra qualche ora, credo” lo informò. “Si,
dopo andiamo a casa
di Carlisle”. Jacob, soddisfatto, annuì e dandomi
un altro colpetto sulla spalla
per salutarmi, sparì di nuovo tra la foresta. Io e mia madre
salimmo
velocemente sull'auto e mio padre partì in un attimo. Il
viaggio fu breve e non
ci diede il tempo di aprire un argomento importante, ci limitammo solo
a fare
futili considerazioni sul tempo o sulla neve, mentre io mi divertivo ad
esplorare il mio nuovo cellulare e mio padre mi guardava soddisfatto.
“Ci
sono già tutti i numeri che ti servono in rubrica”
mi informò. Feci
scorrere velocemente la rubrica alla ricerca di un numero che ero
sicura mio
padre non avrebbe mai inserito.
“No”
sospirai. “Ne manca uno”.
“Quale?”
chiese, sorpreso.
“Quello
di Jacob”.
“Nessie,
quel numero sarebbe inutile, Jacob non è mai a casa e non ha
un
cellulare” lo giustificò mia madre.
“Mi
piacerebbe comunque averlo” insistetti.
“Puoi
chiederlo a Jacob e aggiungerlo, quando vuoi”
continuò mia madre.
“Si,
credo che farò così”.
Continuai
a giocare col cellulare in silenzio, mentre mio padre guardava
dritto sulla strada e mia madre spostava lo sguardo da lui al
finestrino.
“Da
chi ti farai accompagnare?” chiese lei, improvvisamente.
Feci
spallucce. “Non lo so ancora”.
“Potresti
chiedere a Rose” mi suggerì.
“Avevo
pensato anche io a lei” risposi, lasciando cadere
così il
discorso.
“Hai
già in mente qualche regalo?” insistette lei, come
se avesse paura
del silenzio.
“No,
non ancora” mormorai. “Idee?”.
“Non
puoi farti consigliare da me” spiegò lei.
“Non sono per niente
brava a mentire”.
“Ricordati
che non devi fare tardi” intervenne mio padre.
“Non
preoccuparti” risposi. Mio padre stava per aggiungere
qualcosa, ma
ormai eravamo arrivati e la casa di mio nonno aveva già
fatto la sua comparsa
da un bel po'. Mio padre parcheggiò vicino all'auto della
polizia e poi
scendemmo. L'auto di mio nonno era un po' più malandata
dell'ultima volta,
chissà quando si sarebbero decisi a cambiarla, forse ci era
affezionato e
voleva andarci in pensione, visto che ormai non mancava molto. Ci
avvicinammo
alla porta e mia madre bussò con la mano, facendo attenzione
a non lasciare un
segno indelebile sulla fragile porta di legno. Mio nonno venne ad
aprire un po'
assonnato, era vestito con jeans e maglione come quando aveva il giorno
libero,
ma quando ci vide si illuminò, probabilmente aveva gradito
la sorpresa.
“Ragazzi!”
esclamò, sorpreso.
“Ciao,
papà” lo salutò mia madre,
abbracciandolo.
“Buongiorno,
Charlie” disse mio padre.
“Nessie!
Ci sei anche tu!” continuò guardandomi, quando
lasciò andare
mia madre e aprì le braccia verso di me
e gli andai incontro abbracciandolo.
“Diventi
sempre più grande!” constatò.
“Ma cosa fate qui fuori? Avanti,
entriamo dentro, qui si gela!”. Io guardai mia madre che fece
spallucce,
probabilmente, lei come me non sentiva il freddo di cui parlava mio
nonno,
comunque entrammo in casa e ci accomodammo nel piccolo salotto di mio
nonno.
Lui seduto sulla poltrona, mentre noi tre sul divano.
“Allora,
ragazzi” iniziò mio nonno. “Cosa avete
deciso per Natale?”. La
speranza che si accese nei suoi occhi era paragonabile a quella di
qualsiasi
bambino, mi fece un po' pena. Probabilmente, sentiva la nostra
mancanza, la
mancanza di una famiglia vera e se c'era una cosa che avrei dovuto
rimproverare
a mia madre era proprio quella di non passare un po' di tempo con mio
nonno.
Dopotutto, lui prima o poi non ci sarebbe stato più, visto
che trasformarlo in
un vampiro non era minimamente nelle sue intenzioni, avrebbe dovuto
fare di
tutto per passare un po' di tempo in più con lui.
“Seguiremo
il tuo consiglio” rispose mia madre, mentre le si allargava
un sorriso sul volto di pietra. “Tutti a casa Cullen e
chiamerò anche mamma”.
Mio nonno si illuminò ancora di più, sembrava che
da un momento all'altro si
mettesse a ballare e cantare al centro del salotto.
“Non
sai quanto mi fai felice, Bells” la ringraziò.
“Ci sarà anche
Billy?”.
“Si
e tutti i ragazzi di La Push” intervenni.
“Wow!
Ci entreremo in casa?”.
“Certo”
assicurò mio padre. La conversazione continuò per
molto tempo,
mio nonno era così felice che non la smetteva un attimo di
parlare e mia madre
si accontentava di dire “si” o semplicemente
annuire, mentre mio padre se ne
stava immobile e io mi guardavo intorno e seguivo un telegiornale alla
tv. Dopo
il telegiornale, partì subito un programma di cucina, mi
guardai intorno fino a
trovare l'orologio che segnava che era l'una e guardando quello stupido
programma mi venne una certa fame. Mio padre, naturalmente, se ne
accorse
subito, mentre mia madre era ancora impegnata ad ascoltare gli aneddoti
di mio
nonno e le sue ultime avventure, se così si potevano
definire, lavorative.
“Mamma”
la chiamai e lei si girò verso di me sollevata, come se
l'avessi
salvata da una prigionia. “E' l'una e oggi devo andare a fare
i regali” le
ricordai.
“Perché
non vi fermate a mangiare qui?” chiese, subito, mio nonno.
“A
chi devi fare i regali, tesoro?”.
“Devo
fare i regali di Natale” lo informai.
“Posso
accompagnarti io!” si offrì subito. Mia madre e
mio padre si
guardarono negli occhi allarmati, ma mio nonno non sembrava se ne fosse
accorto
e continuava a fissarmi speranzoso.
“Beh,
sarebbe fantastico” balbettai. “Voi che ne
dite?”. I miei genitori
continuarono a guardare prima me e poi i loro occhi, non sapevano che
fare e
Charlie aspettava impaziente.
“Charlie...”
intervenne mio padre, con il tono di chi vuole negare.
“Va
bene!” lo interruppe mia madre. “Basta, che state
attenti”. Mio
padre la guardò adirato, probabilmente non era affatto
d'accordo. Come avevo
detto prima era iperprotettivo e per lui mio nonno non bastava a
tenermi al
sicuro dai guai che potevo trovare in una piccola, minuscola,
città come
Seattle.
“Allora,
partiamo subito dopo pranzo” gongolò mio nonno.
“Ordino il
pranzo. Pizza?”.
“Vada
per la pizza” risposi.
“Voi,
ragazzi, avete fame?” chiese ai miei genitori.
“No,
grazie” risposero in coro. Mio nonno senza fare commenti si
alzò e
si diresse in cucina, dove digitò lentamente il numero della
pizzeria e
cominciò ad ordinare la pizza.
“Cosa
ti è venuto in mente?” quasi ringhiò
mio padre.
“Cosa
c'è di male?” chiese mia madre. Mio padre la
guardò torvo ma non
le rispose, come se la risposta fosse ovvia, come se non ci fosse
neanche
bisogno di chiedere cosa c'era di male. Dopotutto non c'era, si
capivano
benissimo le ragioni di mio padre, mio nonno era un umano, un semplice
umano,
fragile e ormai anche anziano, non avrebbe potuto proteggermi da
nessuno, mio
padre avrebbe preferito persino Jacob a lui. Ma era pur sempre il padre
di mia
madre e pur sempre mio nonno, non c'era niente di male se avessi
passato un po'
del mio tempo con lui, dopotutto cosa potevo incontrare di tanto
pericolo a
Seattle? Una banda armata? Ero resistente alle pallottole come i
vampiri. Un
gruppo di stupratori? Non ero forte quando un vampiro, ma avrei potuto
ucciderli tutti senza il minimo sforzo. Per una volta ero io la
più forte, per
una volta non ero io quella che doveva essere protetta, ma quella che
doveva
proteggere e per una volta mio padre avrebbe anche potuto darmi un po'
di
fiducia, io non attiravo catastrofi come mia madre. Avevo vissuto sei
anni in
segreto e nessuno aveva mai sospettato della mia esistenza, ero brava a
nascondermi
avevo passato tutta la mia vita a farlo e non era un problema passare
inosservata. Mia madre continuò a fissare mio padre,
aspettandosi una risposta
che non arrivò, così sospirando, disse:
“Va bene, ne parliamo dopo”. Intanto
mio nonno tornò in salotto ancora con il suo sorriso
stampato in faccia e mi
guardò fiero.
“La
pizza sta arrivando!”.
“Fantastico!”
esclamai, felice. Poi, prese il telecomando e cominciò a
fare zapping cercando un telegiornale che non fosse già
finito, mentre la
tensione tra i miei genitori saliva sempre di più e
diventava sempre più
opprimente, tanto che mia madre non riusciva a stare ferma. Non
sopportava
essere in conflitto con mio padre, non entrava minimamente nei suoi
orizzonti,
così si alzò di scatto. Troppo, troppo
velocemente, tanto che Charlie saltò
dalla sedia e la fissò, lei sorrise e girandosi verso di me,
mormorò: “Nessie,
che ne dici se cominciamo a preparare la tavola?”.
“Va
bene, mamma” risposi, alzandomi molto più
lentamente e seguendola in
cucina.
“Le
cose sono dove le hai lasciate l'ultima volta, Bells” la
informò mio
nonno e riprese a guardare la tv. Mia madre entrò in cucina
e sospirando si
guardò intorno, cominciò ad aprire i mobili e a
cercare quello che le serviva
per poi passarmelo, così che io potessi posizionarlo sul
tavolo. Si muoveva
così velocemente che stentavo a riconoscerla, di solito mia
madre era una
persona calma e non si alterava facilmente, invece ora era agitata
all'inverosimile e non riusciva neanche a controllarsi. Che
esagerazione.
“Mamma,
ti senti bene?” chiesi, con un po' di ingenuità
nella voce.
“Si”
balbettò. Ma continuava a muoversi così
velocemente, i piatti nelle
sue mani sembravano fogli di carta velina, così fragili che
un soffio di vento
li avrebbe strappati. Le afferrai il polso saldamente e lei si
fermò per un
attimo, ma non alzò lo sguardo verso di me, semplicemente si
girò verso la
finestra.
“Devi
calmarti” le consigliai. “Finirai per rompere
qualcosa”.
“Sono
calma” disse lei.
“Davvero?
A me non sembra” risposi, ridendo sotto i baffi.
“Che ne dici,
se ora ti siedi e qui finisco io?”. Automaticamente, si
sedette sulla prima
sedia che trovò e portò le braccia al petto, io
girai intorno alla tavola fino
a raggiungere la credenza ed iniziai a preparare la tavola, mentre lei
continuava
a guardar fuori. Sentimmo le ruote arrugginite di una bici percorrere
il
vialetto e poi avvicinarsi alla porta per bussare il campanello. Visto
che
nessuno si mosse dal proprio posto, pensai che fosse meglio andare ad
aprire al
poveretto che stava aspettando fuori, soprattutto se faceva
così freddo come
sosteneva mio nonno. Passando davanti al salotto mio nonno mi
guardò e disse: “Nessie,
i soldi sono sull'entrata”. Presi i soldi e mi diressi verso
la porta, la aprii
piano per non spaventare il ragazzo che aspettava fuori, con due
cartoni
fumanti in mano.
“Ciao”
lo salutai. Era bassino, doveva avere sui sedici anni, aveva una
faccia tonda e qualche problema con l'acne, mi squadrò da
capo a piedi e poi,
mi sorrise con aria imbambolata. “Ciao” balbetto.
“Ho portato...le pizze”.
“Quanto
ti devo?” chiesi, sorridendogli.
“Mmh...10$”
mormorò.
“Ok”
risposi. “Ecco a te”. Mi porse le pizze lentamente,
attento a non
sbilanciarsi per farle cadere, le presi con più sicurezza di
quanto ne avesse
lui e poi, sorridendogli, lo salutai e mi richiusi la porta alle spalle.
“Nonno,
sono arrivate!” lo chiamai.
“Arrivo”
esclamò. Si alzò rumorosamente dalla poltrone e
si diresse in
cucina, mio padre venne verso di me e mi sfilò le pizze di
mano, sorridendo, e
si diresse in cucina. Ci sedemmo tranquillamente attorno al tavolo e
mia madre
divise le pizze per me e mio nonno, posizionandole nel piatto.
Cominciai a
mangiare lentamente, mentre mio nonno riprese a parlare con mia madre,
così
facendo la distrasse un po' dalla tensione che c'era ancora con mio
padre.
Quando finimmo di parlare aiutai mia madre a lavare i piatti e lei
iniziò con
la predica.
“Mi
raccomando, sta attenta” iniziò.
“Cosa
vuoi che ci sia di pericoloso a Seattle?” chiesi, scettica.
“Non
si può mai sapere”.
“Già,
chissà cosa si può incontrare!”
esclamai. “Magari un vampiro in
vacanza...”
“Non
scherzare!” rispose, ridendo.
“Andiamo!
Lo stai dicendo solo perché papà non vuole che
vada con
Charlie” la rimproverai.
“Non
è vero!” negò lei. “Sono solo
preoccupata”.
“Se
sei tanto preoccupata, perché hai detto si?”.
“Non
volevo deludere Charlie” mormorò.
“Non
preoccuparti, starò attenta” risposi, sorridendole.
“Grazie”
disse, rincuorata e poi posò l'ultimo piatto nella credenza.
Ci
dirigemmo in salotto, dove mio padre e mio nonno continuavano a
guardare la
televisione senza proferir parola. Mi avvicinai a mio nonno e
dissi:”Allora,
andiamo?”
“Certo!”
esclamò. “Vado a prendere la macchina della
polizia”. Rimasi un
attimo immobile, mi ero del tutto dimenticata che avremmo dovuto
prendere
quella macchina, era imbarazzante dover andare in giro con le sirene
sul tetto
dell'auto. Non sarei mai riuscita a passare inosservata
così, ma cosa avrei
dovuto fare?
“Non
potremmo prendere la Volvo” chiesi, disperata.
“E
come faranno i tuoi genitori?” mi chiese di rimando mio nonno.
“Non
preoccuparti” intervenne mia madre. “Faremo una
passeggiata”.
“Allora,
vada per la Volvo” rispose mio nonno, sorridendo. Ormai per
lui
non contava con quale macchina dovessimo andare, bastava solo che
andassimo
insieme. Era davvero eccitato e non vedeva l'ora di partire e lasciarsi
dietro
Forks e tutto il resto. Mia madre tirò per un braccio mio
padre, che di
malavoglia la seguì fuori dalla casetta di mio nonno e ci
aspettarono nel
vialetto. Io aspettai che mio nonno indossasse il cappotto e poi
uscimmo
insieme.
“Allora
ci vediamo stasera” mi salutò mia madre, dandomi
un bacio sulla
fronte e poi si allontanò. Mi si avvicinò mio
padre con l'aria di chi avrebbe
avuto voglia di afferrarmi e scappare il più lontano
possibile, ma la sua parte
da gentiluomo gli imponeva di stare in silenzio e lasciar perdere.
“Non
preoccuparti papà, andrà tutto bene” gli
dissi usando il mio potere, ma lui non si tranquillizzò
neanche un po'. “Tieni
acceso il cellulare” sibilò, a voce
così bassa che mio nonno non riuscì a
sentirlo. Annuii impercettibilmente, poi gli diedi un bacio sulla
guancia e mi
allontanai. Raggiunsi mio nonno, che intanto era già entrato
in macchina e
l'aveva messa in moto, e mi sedetti al posto del passeggero,
allacciando la
cintura per non far preoccupare ancora di più mio padre.
Lui, intanto, aveva
raggiungo mia madre e aspettavano che noi ce ne andassimo per tornare a
casa,
speravo solo che mio padre non esagerasse, lei si sentiva
già abbastanza in
colpa. Mio nonno partì e in un attimo ce li lasciammo alle
spalle, mentre le
case sfrecciavano al nostro fianco estrassi il cellulare e mi assicurai
che non
ci fosse il silenzioso, mio nonno mi guardò sott'occhio ed
esclamò: “Wow! Chi
te l'ha regalato quello?”.
“Papà,
stamattina” risposi.
“Per
Natale?”.
“Si”.
Restammo in silenzio e io presi a guardare il paesaggio, Forks era
sempre la stessa, non c'era niente di diverso persino le persone e i
luoghi
dove trovarle erano sempre uguali.
“Quando
inizi la scuola, Nessie?” chiese, improvvisamente, mio nonno.
“Penso
a Settembre” risposi, incerta.
“Andrai
alla scuola di Forks?”.
“Non
lo so, non abbiamo ancora deciso”. Il discorso
morì così e io e mio
nonno ci rintanammo ognuno nei propri pensieri, mentre io guardavo dal
finestrino
lui fischiettava allegramente.
“Siamo
arrivati” mi informò, mentre parcheggiava. Spenta
l'auto,
scendemmo tranquillamente e poi seguii mio nonno per Seattle, visto che
lui la
conosceva molto meglio di me.
“Hai
già qualche idea?” chiese mio nonno.
“Veramente,
no” ammisi, sconsolata.
“Allora
possiamo fare un giro per la città” disse,
contento di poter
prolungare quella gita. Camminammo tra i negozi, ce ne erano di tutti
tipi, da
quelli più strani a quelli che potevi trovare da per tutto.
Passammo davanti ad
un'enorme gioielleria e in vetrina vidi un bellissimo fermaglio d'oro
tempestato di turchesi, mi venne subito in mente la figura slanciata di
mia zia
Rose, pensai che le sarebbe piaciuto.
“Entriamo
un attimo qui?” chiesi a mio nonno.
“Cosa
hai visto?” domandò lui.
“Quel
fermaglio” risposi, indicando il gioiello dietro la vetrina.
Mio
nonno diede una veloce occhiata al fermaglio e poi mi guardò
sbalordito.
“E
come pensi di pagarlo?” chiese di nuovo.
“Ho
la carta di credito” lo informai e lui facendo spallucce, mi
aprì la
porta. Entrai nella gioielleria e cominciai ad guardarmi intorno, era
finemente
decorata e nessun dettaglio era lasciato al caso. Mi si
avvicinò una commessa
vestita di tutto punto, come se fosse anche lei parte dell'arredamento
e sorridendomi
mi chiese: “Posso esservi utile?”.
“Si”
risposi. “Quel fermaglio in vetrina, vorrei
vederlo”.
“Certo” rispose lei, poco
convinta, forse pensava che la stessi prendendo in giro. Intanto, mi
guardai
intorno mentre la ragazza litigava con la vetrina che non ne voleva
sapere di
aprirsi.
“Nonno,
cosa piaceva a mamma?” gli chiesi, sperando mi desse qualche
idea.
“Beh,
amava i libri e...tuo padre” balbettò lui. Bene,
il nonno non era
d'aiuto, dovevo cavarmela da sola. Mi avvicinai al bancone, dove
c'erano tutti
i ciondoli. Ce n'erano di tutti i tipi, fiori, farfalle, cuori,
scorrevo piano
con lo sguardo tutti i ciondoli finché non arrivai ad uno
davvero particolare.
Era una rosa del deserto, piccola come la falange di un dito e
bellissima, non
era come le normali rose del deserto che sembravano disordinate e non
assomigliavano per niente a rose, ogni petalo, se così si
potevano definire,
partiva dal centro della pietra e si avvolgevano l'uno intorno
all'altro,
creando l'effetto di una vera rosa. Ogni petalo aveva il colore della
sabbia,
con varie venature più scure o più chiare, che
percorrevano quasi ogni parte
della pietra. Mi fece venire subito in mente il bracciale di mia madre
con il
lupo e il cuore, a pensarci bene non aveva niente che rappresentasse me
sul
quel bracciale, e quella rosa mi assomigliava molto, era rara come me.
Intanto,
la commessa mi si avvicinò con un sorriso nervoso sul volto
e mi porse il
fermaglio.
“Si,
va bene” confermai. “Posso vedere anche quel
ciondolo” continuai,
indicando la rosa al di là del vetro. La commessa
annuì e si accinse ad aprire
la vetrine, mio nonno mi si avvicinò e mi tirò
per un braccio sussurrando: “Guarda
quel ciondolo”. Mi avvicinai alla vetrina a muro a lato del
bancone, in bella
mostra c'era una scatola di velluto contente un ciondolo d'oro bianco
dalla
forma ovale con un disegno astratto, che assomigliava vagamente ad una
rosa,
inciso su di esso.
“Scusi”
chiamai la cassiera. “Quello è un
porta”foto?”. Lei si avvicinò
per capire di cosa parlassi e dopo aver guardato prima me e poi il
ciondolò,
rispose: “Si, porta due foto”.
“Bene,
allora posso vedere anche quello?”. Mentre la commessa
prendeva
anche la collana, il mio cellulare vibrò prima di cominciare
a suonare.
Estrassi, velocemente, il cellulare e guardai il numero, naturalmente,
era mio
padre.
“Ciao,
papà” lo salutai.
“Ciao,
Nessie” ricambiò lui. “Dove
sei?”.
“A
Seattle” risposi senza pensarci e intanto cominciai a
girovagare per
il negozio, non riuscivo a stare ferma mentre parlavo al telefono.
“Lo
so, che sei a Seattle” sibilò.
“Precisamente, dove?”.
“Non
posso dirtelo!” risposi. “Sto facendo i
regali!”. Rimase in
silenzio per qualche secondo e mi permise di fare un altro giro per il
negozio,
arrivai vicino alla vetrina di fronte a quella precedente. Conteneva
solo penne
di tutti i tipi e di tutte le grandezze, al centro appoggiata su un
cuscino
nero c'era una penna stilografica nera decorata con oro rosso e bianco
e
all'estremità con pietre preziose. Pensai subito a mio nonno
paterno, quella
penna era raffinata come lui e aveva un'aria antica che gli si addiceva
alquanto.
“Papà,
ci sei?” chiesi.
“Si,
quando avete intenzione di tornare?”.
“Non
lo so, mi manca solo qualche regalo”.
“Va
bene, ma fa presto!”.
“Si,
papà” risposi. “Ti voglio
bene”.
“Anche
io” rispose di rimando e chiuse la chiamata. La commessa mi
si
avvicinò con aria incerta e indicando il bancone, disse:
“E' tutto sul bancone”.
“Si”
risposi io. “Posso vedere anche questa penna?”. Lei
mi guardò
cercando di nascondere la rabbia, visto che le stavo facendo perdere
molto
tempo, ma visto che il negozio era vuoto non era una colpa molto grave.
Mi
avvicinai al bancone, attendendo che lei prendesse la penna e me la
portasse.
Arrivò in fretta e mise anche quella sul ripiano di vetro,
io diedi una piccola
occhiata a tutti gli oggetti e poi aprii il portafoglio per prendere le
foto da
mettere nell'ovale di mio padre. Le porsi alla commessa che con
attenzione le
posizionò ognuno al proprio posto e poi lo chiuse nella
propria scatola.
“Sono
regali?” chiese con negli occhi la speranza che non lo
fossero.
“Si”
risposi io e lei con un moto di rabbia, iniziò a fare i
pacchetti.
Mio nonno si avvicinò per guardare quello che avevo scelto e
annuiva
impercettibilmente ad ogni regalo che guardava e poi apprezzava.
“Cosa
voleva tuo padre?” chiese, improvvisamente.
“Niente”
sospirai. “Voleva sapere dove fossi”. Lui non
rispose, visto
che la ragazza dietro al bancone stava mettendo in una busta i vari
pacchetti.
“Paga
in contanti o carta di credito?” Stavo per rispondere ma mio
nonno
mi interruppe di nuovo rispondendo al telefono, poi indicando il
cellulare che
aveva tra le mani mi disse che andava a parlare fuori. Era l'occasione
perfetta! Mi guardai intorno in cerca di qualcosa che avrebbe potuto
essere il
suo regalo e subito intravidi un orologio d'acciaio, finemente decorato
ma non
troppo appariscente. Era perfetto per lui, ma dovevo fare in fretta.
“Scusi,
può prendere anche questo” esclamai con molta
urgenza nella
voce. La ragazza non riuscì a trattenere un sospiro, ma
velocemente aprì la
vetrina e mi mise tra le mani l'orologio, ritirandole subito quando
sentì il
calore che emanavano le mie dita.
“Si,
va bene” sospirai. “Può
incartarmelo?”. Lei non rispose, me lo
sfilò dalle mani attenta a non toccarmi e velocemente lo
incartò e lo mise
nella busta con tutti gli altri.
“Contanti
o carta di credito?” chiese di nuovo.
“Carta
di credito” risposi, porgendole la carta di credito platino.
Poi,
dopo che me la restituì presi la busta con i vari pacchetti
e raggiunsi mio
nonno fuori, che stava ancora parlando al telefono.
“Va
bene, Sue, allora ci vediamo stasera” sussurrava.
“Ora, sono a
Seattle con Nessie”.
“Mi
raccomando, non fare tardi che si raffredda la cena” rispose
lei.
“No,
ma ora vado. Ciao” la salutò lui e le diede solo
il tempo di dire “Ciao”
che riattaccò. Rimise lentamente il cellulare nella tasca
destra dei jeans e
poi si girò verso di me, sorridente.
“Fatto?”.
“Si,
mi mancano solo Jacob, Alice, Jasper, Esme ed Emmett”.
“Idee?”.
“No”
risposi, sorridendogli. “E tu?”.
“Mi
dispiace, piccola, non sono mai stato bravo con i regali”
mormorò,
mentre gli si dipingeva sul volto un sorriso impacciato. Continuammo a
camminare per la città, passeggiando tranquillamente mi
guardavo intorno,
camminare con mio nonno era rilassante, lui non era lì per
proteggermi e non ne
aveva la minima intenzione, certo se ce ne fosse stato bisogno non
avrebbe
esitato a mettersi tra me e chiunque altro. Passammo davanti a vari
cartelloni
pubblicitari e ad attirare la mia attenzione fu un cartellone
più grande degli
altri, che pubblicizzava la vendita di biglietti per una sfilata di
moda di un
rinomato stilista.
“Secondo
te, dove li vendono quei biglietti?” chiesi, improvvisamente,
a
mio nonno. Lui alzò lo sguardo verso il cartellone
pubblicitario e poi si
guardò intorno in cerca di una risposta.
“Forse
lì” rispose, indicando un negozio che si trovava
all'angolo di un
incrocio. Ci avvicinammo e quando entrammo, facemmo
suonare un campanello ed un uomo sulla
cinquantina si girò a guardarmi incuriosito.
“Posso
esservi utile” chiese.
“Posso
comprare qui i biglietti per quella sfilata?” domandai,
indicando
con un dito il cartello posto proprio di fronte al negozio.
“Si,
certo” rispose, subito lui. “Quanti ne
desidera?”.
“Due”
risposi decisa, mi dispiaceva per Jasper ma qualcuno doveva pur
accompagnare Alice e visto che io non ci tenevo minimamente, lui era la
persona
più adatta. Il negoziante fu molto veloce e mise i biglietti
sul bancone.
“Può
incartarmeli?” chiesi, educata. Lui annuì piano e
prendendo un
pacchetto blu ci infilò i due biglietti, poi velocemente lo
incartò con una
carta rossa e me lo porse. Lo presi e gli diedi in cambio la carta di
credito,
lui la guardò un attimo sorpreso, probabilmente non aveva
mai visto una carta
platino, e poi me la ridiede una volta effettuato il pagamento. Io e
mio nonno
uscimmo in silenzio e continuammo a percorre il marciapiede, quando ad
interrompere il nostro silenzio fu lo squillo del mio cellulare. Non ci
fu
neanche bisogno di leggere il nome sul display, sapevo benissimo chi
era...
“Papà?”
risposi e mio nonno sbuffo.
“Nessie,
dove sei?” ringhiò quasi mio padre.
“Sono
sempre a Seattle” dissi, annoiata. “Dove vuoi che
sia?”.
“Quanto
tempo ci vuole ancora?”.
“Non
lo so” sbuffai. “Sono solo le cinque, è
pieno pomeriggio!”. Mio
padre sbuffò e in lontananza sentivo la voce di
qualcun'altro che sbraitava, ma
non riuscii a capire chi fosse.
“Va
bene” si lamentò mio padre. “Ma devi
tornare prima delle sette”.
“Otto!”
urlai.
“Sette
e mezza! Altrimenti vengo a prenderti ora”.
“Va
bene, va bene” risposi, scocciata.
“Ciao,
tesoro” mi salutò lui e chiuse la chiamata,
soddisfatto. Con un
moto di rabbia rimisi in tasca il cellulare e mio nonno mi
guardò di traverso.
“Cosa
voleva ora?”.
“Devo
tornare alle sette e mezza” sospirai e per quanto la
tentazione di
fare anche solo cinque minuti di ritardo mi allettasse alquanto, sapevo
che ciò
sarebbe stato uguale a non uscire più almeno per il resto
della mia vita.
“Allora,
dovremmo sbrigarci” scherzò mio nonno.
“Sono già le cinque”. Risi
insieme a lui, spensierata come non mai e continuammo a camminare sul
marciapiede, fino ad arrivare davanti ad un negozio per architetti.
“Nonno,
possiamo entrare un attimo?” chiesi, prendendolo per un
braccio e lui mi seguì
nel negozio. Entrammo in un negozietto tutto disordinato, c'erano
oggetti
strani di cui non conoscevo il nome e altri che conoscevo impilati in
modo
precario ed erano pericolosamente traballanti. Io e mio nonno, con
molta
attenzione, ci avvicinammo al bancone e visto che non c'era nessuno
premetti il
campanello. Dopo qualche minuto, da una porta, con su un invito a non
entrare,
uscì una vecchietta vestita fin troppo elegantemente per
quel negozio e si
avvicinò il più velocemente possibile.
“Cosa
posso fare per te, tesoro?” mi chiese, benevola.
“Vorrei
un set per architetto” spiegai, brevemente.
“Certo,
se aspetti un secondo lo prendo” rispose, sorridendo.
“Grazie”
mormorai, mentre la signora tornava nel retro e si accingeva a
prendere un set completo, lasciando me e mio nonno soli in quel
disordinato
negozietto.
“Che
ordine” commento lui, come se mi avesse letto nel pensiero.
“Già”
mormorai io, guardandomi intorno.
“Pensi
che ti chiamerà qualcun'altro?” domandò
mio nonno guardandomi
negli occhi.
“Chi
dovrebbe chiamarmi?” chiesi di rimando.
“Sono
tutti così preoccupati” sibilò.
“Come se io non sapessi
proteggerti”.
“Papà
è solo molto protettivo” mormorai, cercando di
giustificare mio
padre.
Lui
sbuffò e poi aggiunse: “Ci manca solo che ora ti
chiami Jacob”.
“Perché
dovrebbe chiamarmi Jake?” domandai, scettica.
Lui
mi guardò di traverso e poi disse: “Si vede
lontano un miglio che ha
una cotta per te!”.
“Io
e Jake siamo solo amici!” sibilai e mio nonno sorrise
sarcastico, ma
non disse niente. Mi voltai verso il bancone e aspettai paziente che la
signora
tornasse con quello che mi serviva, intanto pensavo alla conversazione
con mio
nonno. Io e Jake eravamo solo amici e poi anche volendo non avrebbe
potuto
chiamarmi, lui non aveva un...cellulare! Era il regalo perfetto per il
mio
lupo, così avremmo potuto rimanere in contatto, felice della
mia intuizione
sorrisi all'anziana signora che intanto era tornata con in mano tutto
quello
che mi serviva.
“Ecco
a te, piccola” mormorò porgendomi l'intero set.
“Può
incartarmelo?” chiesi, educata.
“Certo”
rispose, sfilandomi gli oggetti tra le mani e cominciando ad
incartarli. Poi, me li ripose e dopo che ebbi pagato, la salutai
educatamente
ed uscii dal negozio con mio nonno alle spalle.
“Che
ore sono?”.
“Non
preoccuparti, Nessie, sono solo le cinque e mezza” rispose
mio
nonno, guardando il suo vecchio orologio ormai prossimo alla dipartita
finale e
mi sentii soddisfatta pensando che gliene avevo regalato uno nuovo.
“Chi
ti manca?” domandò di nuovo mio nonno.
“Solo
Emmett e Jake” risposi, velocemente.
“Cosa
hai intenzione di regalargli?” chiese, impaziente, mio nonno.
“A
Jacob avevo pensato di regalare un cellulare” dissi,
convinta.
“C'è
un negozio qui vicino” mi informò mio nonno e si
diresse verso il
negozio di cui parlava e io lo seguii, continuando a guardarmi intorno
incuriosita da quel posto che non avevo mai visto e che mi piaceva
molto.
Arrivammo davanti ad un negozio con un enorme vetrina piena di
cellulari di
tutti i tipi e tutte le dimensioni, li guardai ad uno a uno cercandone
qualcuno
che potesse andare bene per Jake, finché il mio sguardo non
cadde su un
cellulare nero che si trovava in un angolo della vetrina. Mi abbassai
per
guardarlo meglio e lessi sotto il cartellino con su scritto
“Nokia n97 nero”.
Mi piaceva e probabilmente sarebbe piaciuto anche a Jake,
così velocemente
entrammo nel negozio e mi feci incartare il cellulare poi, uscimmo
velocemente
e mi fermai fuori dal negozio per chiedere un consiglio a mio nonno.
Per il
regalo ad Emmett ci avevo pensato molto mentre il ragazzo mi
impacchettava il
cellulare di Jake ed ero arrivata ad una conclusione, ma non sapevo
proprio
dove andare a cercare una cosa del genere.
“Nonno”
lo chiamai, un po' incerta.
“Si,
piccola?” chiese lui.
“Dove
potrei comprare dell'attrezzatura da trekking?”.
Lui
ci pensò un attimo, guardandosi intorno. “Non so
se qui c'è un
negozio, ma a Forks c'è quello dei Newton”.
“Perfetto!”
risposi, sollevata.
“Allora,
andiamo a prendere la macchina” esclamò mio nonno
con il
sorriso sulle labbra. Raggiungemmo la Volvo e velocemente, mio nonno
mise in
moto e cominciammo a sfrecciare tra le strade di Seattle. Non parlammo
molto
durante il tragitto, mio nonno, guardando una casa o l'altra mi
raccontava la
storia della famiglia che vi abitava e io ascoltavo interessata. Poi,
arrivammo
di fronte al negozio di articoli sportivi dei Newton e mio nonno mi
raccontò
della cotta che Mike, il figlio del proprietario, si era preso per mia
madre
quando lei andava alla scuola di Forks. Entrammo e ad accoglierci fu un
ragazzo
con un viso infantile e dai capelli biondo cenere. Ci guardò
per un attimo, poi
si aprì in un enorme sorriso.
“Buongiorno,
ispettore Swan” salutò. Poi guardandomi
intensamente,
continuò: “Lei chi è?”. Mi
avvicinai al bancone e porgendogli la mano, risposi:
“Renesmee Cullen, tu sei?”.
“Mike...
Mike Newton” balbettò. “Cullen, hai
detto?”.
“Si,
perché?”.
“No,
niente. Avevo dei compagni di scuola con quel cognome”
spiegò
brevemente. Poi, riacquistando tutto il suo buon umore, aggiunse:
“Cosa posso
fare per voi?”. Stavo per rispondere, quando il trillo del
cellulare ci
interruppe per l'ennesima volta, guardai mio nonno, il cui sguardo era
ricolmo
di rabbia, e mormorai: “Puoi pensarci tu?”. Lui
annuì e io dando la schiena al
bancone, risposi al cellulare.
“Papà!”
esclamai, adirata.
“Nessie,
dove sei?” chiese lui.
“Sono
le sei!” risposi, indignata.
“Dove
sei?” ripeté lui, scandendo le parole una ad una.
“Mi
passi mamma?” domandai, riacquistando la calma.
“Perché?”
mormorò lui, sorpreso.
“Devo
dirle una cosa” spiegai, brevemente. Sentii il vento che
soffiava
nel microfono, mentre mio padre si muoveva a velocità
inumana verso mia madre. “Vuole
te” mormorò, porgendole il telefono.
“Tesoro,
come sta andando la gita?” iniziò lei.
“Mamma,
togligli quel cellulare di mano!” sibilai.
Mia
madre sospirò. “Scusa, lo sai che è
ansioso”.
“E'
la terza volta che mi chiama!”.
“Si,
hai ragione. Farò il possibile” promise.
“Va
bene, grazie” risposi, con evidente gratitudine nella voce.
“Divertiti,
tesoro! E per favore, non fare tardi” mi salutò.
“Va
bene, mamma” risposi e chiusi la chiamata. Raggiunsi mio
nonno e
Mike al bancone che stavano parlando amabilmente.
“Allora,
come va l'università?” gli stava chiedendo mio
nonno.
“Me
la cavo” rispose lui, abbassando lo sguardo, probabilmente
non
gradiva quell'argomento. Quando mio nonno mi vide avvicinare,
fissò la tasca
dove avevo risposto il telefono e poi, sprezzante, disse:
“Era Edward, vero?”.
Non
ebbi il tempo di rispondere che intervenne Mike. “Edward?
Edward è
tuo padre?”.
“NO!”
esclamai, subito. “Edward è solo mio
fratello”. Mike non sembrava
molto convinto ma tornò a sorridermi con aria imbambolata,
mentre prendeva i
vari pezzi del set che mi serviva.
“Ecco
qui” disse, alla fine, soddisfatto. “Che ne
dici?”. Cominciai ad
esaminare i pezzi uno ad uno, controllando che non mancasse niente e
che
fossero tutti integri, lui continuava a fissarmi e io mi sentivo
leggermente
imbarazzata.
“Vieni
qui, spesso?” chiese, improvvisamente.
“No”
risposi, sincera. “Sono qui di passaggio”.
“Peccato”
mormorò lui. “E cosa sei venuta a
fare?”. Non sapevo cosa
rispondergli, così gli lanciai un'occhiataccia e lui si
ritirò subito. “Scusa”
disse, grattandosi la nuca. “Non sono affari miei”.
“Credo
che sia tutto a posto” continuai, risoluta indicando gli
oggetti
sul bancone. “Puoi incartarmeli?”.
“Certo”
esclamò lui, felice che non me la fossi presa e
iniziò ad
incartare il mio regalo. Io e mio nonno aspettammo pazienti,
finché lui non mi
porse il pacco e io lo poggiai ai miei piedi per pagare. Mio nonno lo
prese e
disse: “Comincio a portarlo in macchina” ed
uscì velocemente.
“Spero
di rivederti presto” continuò Mike, senza perdere
le speranze.
“Non
penso che tornerò a Forks molto presto” mormorai,
con finto
rammarico.
“Dove
vivi?”.
“Lontano”
risposi, brusca.
“Fatto”
esclamò, ridandomi la carta di credito.
“Allora,
arrivederci” mi salutò, sorridendo.
“Ciao”
sussurrai ed uscii velocemente dal negozio. Raggiunsi mio nonno,
che mise subito in moto senza dire una parola e così
continuò per tutto il
viaggio. Probabilmente, era arrabbiato con mio padre perché
non gli dava
abbastanza fiducia e aveva perso tutta la sua voglia di parlare.
Arrivammo
davanti casa Cullen dopo una decina di minuti e mio nonno
fermò la macchina
proprio di fronte all'entrata. Sulla soglia c'erano già mio
padre e Jacob,
impazienti e dietro di loro mia madre che cercava di trattenerli
inutilmente.
Appena uscii dalla macchina mi si avvicinarono in un attimo e si
aprirono in un
sorriso liberatorio, da quant'è che andavano così
d’accordo?
“Finalmente”
esclamò mio padre abbracciandomi. Mio nonno era rimasto in
macchina e mia madre gli si avvicinò per parlargli.
“Bells,
perché non mi accompagni a casa” disse.
“Così ti riporti la
macchina”. Mio padre interruppe subito l'abbraccio e
guardò mio nonno adirato,
mentre Jacob raccoglieva tutti pacchetti. “Lasciala
andare!”, mio padre mi
prese per la mano, come se avessi cinque anni, e mi condusse in casa,
poi andò
a salutare mia madre e la guardò mentre partiva.
“Nessie,
perché ci hai messo tanto?” chiese, tornando in
casa.
“Avevi
detto che dovevo tornare alle sette e mezza, sono le sei e
mezza”
lo informai. “Sono in netto anticipo”.
“Non
dovevi andare con Charlie!” esclamò Jacob.
“Perché,
no?” domandai, arrabbiata.
“E'
pericoloso” rispose, calmo mio padre.
“Io
non ho visto niente di pericoloso” esclamai.
“Ragazzi,
basta!” intervenne mio nonno. “Nessie, ha passato
una bella
giornata con Charlie, non rovinategliela”.
“Comunque
non succederà più” continuò
Jacob e io gli lanciai
un'occhiataccia, che lui ricambiò con uno sguardo protettivo
e preoccupato. Mi
si avvicinò, superando mio padre che non lo fermò
e guardandomi negli occhi,
mormorò: “Ci hai fatto preoccupare
molto”.
“Mi
dispiace, ma non posso farci niente! Io mi sono divertita”
precisai.
“Mi
fa piacere” rispose lui.
“Nessie,
ora dobbiamo andare a casa” mi informò mio padre.
“Va
bene”. Salutai tutti velocemente e augurandogli la buonanotte
uscii
di casa, seguita da mio padre e Jake. Corremmo per la foresta, ormai
buia,
probabilmente avevano fretta di arrivare a casa e io non avevo nulla in
contrario. Arrivammo davanti casa e salutai Jake con un bacio sulla
guancia e
stranamente mio padre non disse niente, era troppo sollevato del mio
ritorno e
ancora preoccupato per mia madre. Jake sparì tra le foglie
delle felci e potei
sentire le sue zampe correre sulla neve e poi sparire in lontananza,
per poi
seguire mio padre in casa. Cenai, velocemente, e poi andai in bagno per
lavarmi
e indossare il pigiama. Mi infilai nel letto e chiusi gli occhi,
attendendo che
il sonno mi prendesse e mi portasse via con se. Però, il
cigolio della porta
che si apriva mi costrinse a non cedere ancora al sonno.
“Nessie”
mi chiamò piano mio padre. “Dormi?”.
“No”
mormorai, con la voce stanca. Mio padre lentamente venne a sedersi
sul mio letto e io mi girai verso di lui, che mi guardava intensamente
con i
suoi occhi dorati.
“Hai
gradito il mio regalo?”.
“Si,
ma sto pensando di restituirtelo! Oggi è stato fin troppo
utile!”
scherzai e lui rise di buon umore.
“Mi
dispiace, piccola” si scusò, accarezzandomi la
fronte.
“Sai”
iniziai. “Ho incontrato Mike Newton”. A quel nome
un fremito
percorse la schiena di mio padre e trasformò il suo sguardo,
facendolo
ridivenire preoccupato, mentre guardava il mio incontro con il suo ex
compagno
di scuola e quando vide che ci eravamo quasi traditi, gli
scappò un sibilo.
“Non
preoccuparti” dissi. “Non credo sospetti
qualcosa”.
“Certo
che no” esclamò lui. “Sicuramente, stava
pensando a qualcun'altro”.
“Sei
geloso?” chiesi, incredula e lui non rispose, al che scoppiai
in
una sonora risata.
“Andiamo,
papà! Probabilmente non lo rivedrò
più!” esclamai e lui sembrò
rasserenarsi un po'.
“Ora,
però, dormi” ordinò, sfiorandomi la
fronte con un bacio ed uscendo
velocemente dalla mia stanza, richiudendosi la porta alle spalle.
Chiusi di nuovo
gli occhi, sperando che nessuno mi interrompesse più, era
stata una lunga
giornata, anche se mi ero divertita molto con mio nonno e ora,
pensandoci bene,
anche la gelosia e la preoccupazione di mio padre erano divertenti. Non
so
quanto tempo ci misi per addormentarmi, l'ultima cosa che ricordo era
la foto
sul comodino dei miei genitori e il rombo di un'auto in lontananza.
Dopodiché
caddi in un sonno profondo e le uniche cose che mi fecero compagnia
furono i
sorrisi delle persone a me care, e il fischiettare allegro del mio caro
nonno
umano...
NDA: spero che questo capitolo vi piaccia e spero vogliate lasciarmi
qualche commento!! Grazie in anticipo e buona lettura!!
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Capitolo 5 *** Grande Festa ***
Capitolo
cinque: Grande festa
A
risvegliarmi quella mattina non furono il raggi silenziosi e lucenti
del sole che giocavano tra le mie ciglia, ne il canticchiare allegro di
un
uccellino o il trotto spensierato di un cerbiatto che aveva appena
aperto gli
occhi alla vita. Fu un ululare irreale e fastidioso, il battere dei
rami contro
la mia finestra e il gracchiare di uccelli che correvano a ripararsi
nei loro
caldi nidi, mentre il vento continuava a far rumore e i rami del pino
vicino
alla mia casetta non smettevano di batterci contro, sentii la porta
aprirsi e i
miei genitori entrare in casa. Mi rigirai nel letto sempre
più irritata,
possibile che non potessi svegliarmi in pace? Guardai l'orologio erano
appena
le otto e quello stupido ululare non voleva proprio saperne di tacere,
mi venne
voglia di aprire la finestra e sradicare quello stupido albero! Con un
gemito
mi alzai dal letto e guardai fuori, i vetri della finestra vibravano,
tormentati
dai rami pungenti del pino e dal vento ululante. Con un moto di rabbia
mi tolsi
la coperta di dosso e mi infilai le pantofole, per poi avvicinarmi alla
finestra e guardare fuori. La neve c'era ancora, cosa del tutto normale
il 23
dicembre, anche se il vento continuava a spostarla da una parte
all'altra
creando una nebbiolina irritante che non faceva penetrare i raggi del
sole.
Visto che ormai non mi sarei più addormentata, e anche
volendo la foresta non
ne voleva sapere di lasciarmi in pace, andai a salutare i miei
genitori. Quella
giornata era iniziata male, sperando che non peggiorasse sempre di
più, mi
sedetti al tavolo della cucina aspettando che mi madre mi preparasse la
colazione. Questa mattina niente uova, infatti dovetti accontentarmi di
una tazza
di latte con qualche biscotto. Pazienza. Non c'era motivo di mettersi a
polemizzare tanto sulla colazione, non volevo che il mio umore,
già precario,
degenerasse con una bella discussione mattutina. Ringraziando mia
madre, mi
alzai dal tavolo, misi la tazza nella lavastoviglie e poi mi diressi in
bagno,
lentamente. Mi lavai velocemente e poi mi diressi
nella mia camere per vestirmi, presi il
cellulare, e poi tornai in salotto dove c'erano i miei genitori ad
aspettarmi.
Senza dire una parola, mio padre aprì la porta e aspetto che
io e mia madre
uscissimo. Mi guardai intorno con aria circospetta, il vento non aveva
smesso
di ululare e batteva sul mio viso con una certa insistenza, non che
avessi
freddo, ma dava alquanto fastidio. I miei genitori non ci badarono
molto e
cominciarono a correre nella foresta e io li seguii, correvano fianco a
fianco,
mentre io me ne stavo qualche passo più indietro, non
perché non potessi
raggiungerli, ma semplicemente preferivo correre per conto mio.
Arrivati nei
pressi della casa, la tormenta era quasi finita e il vento si era
placato quasi
del tutto, anche se di tanto in tanto continuava a colpirmi dietro la
schiena.
“Tanya
e Kate sono già qui” comunicò mio
padre, tranquillo.
“Bene”
rispose mia madre. Probabilmente era felice di rivedere le nostre
cugine del clan di Denali, anche se io mi ero del tutto dimenticata che
sarebbero arrivate oggi. Ero felice, almeno c'era una
novità, nuove persone con
cui poter parlare e passare il tempo, dopotutto Carmen mi era sempre
stata simpatica
e le sue sorelle erano gradevoli, saremmo sempre stati riconoscenti
verso Kate
per aver aiutato mia madre a rafforzare il mio scudo, infatti ci aveva
salvati
e ora era per lei come un semplice braccio in più. Entrando
in casa, fummo
accolti da una miriade di sorrisi, che non potemmo fare altro che
ricambiare.
“Edward!”
cinguettò la vampira dai capelli biondo”rossicci.
Era Tanya,
che con fare civettuolo, si avvicinò a mio padre
abbracciandolo, fui colpita da
una fitta nello stomaco, come se mi avessero dato un pugno e poi la
rabbia mi
fece vedere tutto rosso. Ero...gelosa? Di mio padre? Si! Chi era
quella? Come
si permetteva di prendersi tanta confidenza?! Con un moto di rabbia
repressa mi
diressi verso la sedia più vicina e mi ci sedetti,
incrociando le braccia sul
petto e prendendo a guardare fuori nell'attesa di Jake. Intanto, le
domande che
mi affollavano la testa erano parecchie, era lecito essere gelosa del
proprio
padre? Poteva quell'insignificante vampira distruggere la mia famiglia?
Mio
padre glielo avrebbe permesso o era solo il suo istinto da gentiluomo
che gli
imponeva di trattarla bene? Non riuscivo a darmi delle risposte, non
avevo mai
visto la mia famiglia in crisi e sicuramente l'espressione affrante e
rassegnata di mia madre non aiutava affatto, cosa stava aspettando? Che
glielo
portasse via? Perché non si metteva in mezzo? Aveva paura di
Tanya? Mah... i
vampiri non li avrei mai capiti. Nel frattempo, Kate si
avvicinò a mia madre,
curiosa, e pronta ad intraprendere una conversazione, anche se mia
madre non
era dell'umore adatto.
“Bella,
allora come prosegue la nuova vita?” chiese, cercando lo
sguardo
di mia madre, che però non lo staccava un attimo da mio
padre, che scherzava e
rideva con Tanya. Esasperante.
“Non
credo di poter desiderare di più” rispose,
sinceramente. “Renesmee
è stupenda e sta crescendo benissimo e senza
ostacoli” continuò, guardandomi.
Senza ostacoli era un po' un esagerazione, anche noi come tutte le
famiglie
avevamo le nostre discussioni e i nostri momenti no, ma nel complesso
potevo
dire di non poter desiderare una famiglia migliore, naturalmente con il
mio
Jake era tutto più completo. “E...bhe...Edward e
io ci amiamo sempre di più. La
mia famiglia, inoltre, è la migliore che si possa
desiderava”. Concludendo la
frase, lanciò un'occhiata amorevole a tutti i componenti
della famiglia
presenti, lasciando per ultimo mio padre che si era girato per
ascoltare la
risposta. Finalmente, si accorse dell'espressione di mia madre e senza
troppe
cerimonie, lasciò Tanya alle sue chiacchiere e prendendo mia
madre in braccio
si sedette sulla sedia accanto alla mia, e quando mi guardò
gli regalai un
sorriso rincuorato che lui ricambiò con un'espressione un
po' colpevole.
“Lo
vedo...” puntualizzò Kate, voltandosi verso la
sorella che aveva sul
viso un'espressione delusa. La stima che avevo di Tanya era scesa,
rasentando
lo zero, e ora la sua presenza mi infastidiva e sapevo che
probabilmente era lo
stesso per mia madre. Ormai, tutti erano impegnati in una
conversazione, a
parte me ovviamente, che continuavo a guardare la finestra e tendevo le
orecchie nell'attesa del mio Jacob.
“Renesmee”
cinguettò di nuovo Tanya, e fui costretta a girarmi verso di
lei, fingendo gentilezza. “Sei cresciuta così
tanto che quasi non ti
riconoscevo” aggiunse, alzandosi elegantemente dal divano e
poggiandosi sulla
mia sedia, continuando a sorridermi.
“Già”
fu l'unica cosa garbata e sensata che mi venne in mente di dire e
poi le sorrisi, chiedendomi se fosse più falso il mio o il
suo di sorriso. La
sua presenza così addosso mi dava alquanto fastidio, avevo
voglia di darle una
gomitata per farla spostare, ma non sarebbe stato molto carino da parte
mia,
così mi accontentai di girare il viso verso Kate, che stava
per dire qualcosa.
“Volevo
subito condividere con voi un annuncio ma, visto il ritardo di
Garrett, dovrò aspettare lui per parlarvene. Edward non
osare anticipare nulla,
voglio che sia una sorpresa!” cominciò tutto d'un
fiato, per poi indicare mio
padre, che teatralmente fece finta di sigillarsi la bocca con le dita.
Alice e
Jasper fecero il loro ingresso poco dopo, e lei aveva un'espressione da
settimo
cielo sul viso, ci guardò uno a uno finché non
trovo Kate ed esclamò: “Kate ti
sposi! Che bello! Non vedo l'ora!”.
“Alice!”
sibilò lei, lanciandogli un'occhiataccia.
“E'
insopportabile quando fa così” convenne mia madre,
avendo ritrovato
la sua calma.
“Ormai
lo sapete tutti, quindi posso anche dirvi che siete tutti
invitati, e anche Rosalie ed Emmett, ovviamente”
continuò Kate, scoraggiata,
lanciando un'occhiataccia ad Alice, che nonostante apparisse alquanto
mortificata non riusciva a cancellare l'euforia dai suo occhi, tempo
qualche
secondo e sarebbe tornata alla carica.
“Certo,
Kate. Faremo in modo che lo sappiano appena tornano”
intervenne
mia nonna.
“Lo
sapranno sicuramente con una sorella del genere”
concordò lei.
“Scusa,
non sapevo volessi fare una sorpresa” si scusò
Alice.
“Sei
la veggente
peggiore che
conosca” esclamai, scoppiando a ridere. Alice mi
lanciò un'occhiataccia e poi,
prese a bombardare Kate con domande su domande, che si moltiplicarono a
dismisura quando capì che Kate non voleva un matrimonio in
grande stile, voleva
solo unirsi al suo amore per sempre, ma questo per Alice era un
sacrilegio, per
lei era semplicemente inammissibile. Quindi cominciò a
dilungarsi su inutili
speculazioni e a descrivere un matrimonio perfetto, mentre Kate
l'ascoltava
paziente.
“...
ed è per questo che ti dico che organizzare un matrimonio
come si
deve è indispensabile...” continuava a ciarlare e
in quel momento entrò il mio
lupo, che aveva sentito solo l'ultima parte delle conversazione.
“No!
Un altro matrimonio, no!” si lamentò, esasperato.
Kate
lo guardò con disgusto e con ancora più disgusto
gli rispose,
dicendo: “Nessuno ti ha invitato, bastardo”. Non
riuscii a descrivere la rabbia
che mi assalì in quel momento, sapevo solo che se prima
avevo visto rosso, ora
semplicemente non ci vedevo più. Mio padre mi
guardò preoccupato, ma io non lo
degnai neanche di uno sguardo, continuavo a guardare la vampira che
aveva osato
chiamare “bastardo” il mio lupo e emisi un ringhio
cupo e silenzioso, che
avvertì solo mio padre.
“In
tal caso dovrai fare a meno di me. Non vado da nessuna parte se
Jacob non viene” sibilai a denti stretti. Jacob sorrise
compiaciuto, mentre mia
madre mi guardò accigliata, ma non ci feci minimamente caso.
Nessuno parlava
così al mio lupo. Nessuno.
“Renesmee”
mi riprese mio padre, ma anche lui fu ignorato del tutto.
“Dai,
sorellina, in fondo è solo una presenza sgradita. Di solito
ce ne
sono molte di più ai matrimoni!”
esclamò Tanya, cercando di alleggerire la
situazione, ma ottenne l'effetto opposto. Mi girai di scatto,
lanciandole
un'occhiataccia e poi, allungando il braccio verso mia madre, le dissi
col mio
potere: “Presenza indesiderata?! Ma con chi credono di
parlare?! Io vado a fare
una passeggiata con Jake. Devo calmarmi un po'“. Senza
salutare nessuno, mi
alzai e facendo cenno a Jake di seguirmi uscii di casa e mi richiusi la
porta
alle spalle sbattendola violentemente. Il vento ormai si era calmato e
la
foresta era tornata il posto sicuro e accogliente dei giorni prima. Io
e Jake
camminavamo fianco a fianco senza parlare, io guardavo a terra e facevo
respiri
veloci per calmarmi, mentre lui tranquillo come sempre osservava a
turno me o
la foresta.
“Comunque...
non ci tenevo molto al matrimonio” mormorò,
guardandomi.
Alzai
lo sguardo verso di lui e facendo spallucce, risposi: “Lo so,
ma
non è questo il punto”.
“Non
c'è bisogno di prendersela, non mi interessa l'opinione dei
vampiri”.
“Beh,
io esigo rispetto” sibilai e lui mi lanciò
un'occhiata
preoccupata. Non rispose, continuammo a camminare lentamente, la
foresta era
silenziosa e niente disturbava la nostra passeggiata e intanto, ero
riuscita
anche a calmarmi.
“Vuoi
camminare tutto il pomeriggio?” chiese, improvvisamente.
“Cosa
vuoi fare?” domandai di rimando.
“Per
esempio, potremmo trovare qualcosa da mangiare”
suggerì,
speranzoso.
Risi
di gusto, guardando dentro quei due occhi da bambino, estremamente
belli. “Dove?”.
“Beh,
il vecchio dice che non passo mai un po' di tempo da lui...”
spiegò.
“E
quindi, hai deciso di svuotargli il frigo?”.
“Nah,
non tutto” convenne.
“Il
resto lo mangio io” intervenne Seth, uscendo dalla foresta e
dando
una pacca sulla spalla a Jake. “Sono invitato,
vero?”.
“Certo,
Seth” risposi, subito.
“Ehy,
Nessie” mi salutò, sorridendomi.
“Allora,
andiamo” ordinò Jacob, avviandosi e io Seth lo
seguimmo,
parlando amabilmente del più e del meno. In quel momento,
sentimmo il rombo di
una macchina avvicinarsi a casa Cullen e ci voltammo curiosi.
“Chi
è?” chiese Seth.
“Probabilmente,
sono Renée e
Phil”
spiegò Jacob. Sentii un'onda di curiosità
avvolgermi e l'impulso di voler
conoscere mia nonna, anche se non avrei mai potuto dirgli chi ero.
“Posso
dare un'occhiata?” domandai, speranzosa.
“Nessie,
è pericoloso”.
“Dai,
non mi faccio vedere!” lo supplicai.
“Va
bene” rispose, alzando gli occhi al cielo e sorridendomi. Mi
lasciai
i due licantropi alle spalle e corsi verso casa Cullen, nascondendomi
tra i
cespugli quando scorsi la macchina di Jasper. Mio zio fu il primo ad
uscire e
avvertì subito la nostra presenza, infatti mi
lanciò un sorriso e mimò uno
“Ciao”
con le labbra, che io ricambia, probabilmente sentiva la mia
curiosità. Dopo di
lui uscì un uomo sulla cinquantina, con i capelli
leggermente brizzolati e un
sorriso simpatico stampato sul viso, mentre aiutava ad uscire una
signora, che
probabilmente era Renée. Portava i capelli a caschetto e
anche lei sorrideva,
guardando verso quello che avrebbe dovuto essere Phil, assomigliava
vagamente a
mia madre, probabilmente da umana mia madre le assomigliava di
più.
“Ecco,
ora possiamo andare?” bisbigliò Jake.
“Ho fame”.
“Va
bene” acconsentii. “Sei sempre il
solito”. Senza aggiungere altro,
cominciammo a correre nella foresta e in poco tempo raggiungemmo la
spiaggia di
La Push e poi la casa di Jake. Senza neanche bussare, il mio lupo
aprì la
porta, spaventando Paul, Rachel e Billy che stavano chiacchierando
tranquillamente nel piccolo salotto della casa.
“Ti
sembra il modo di entrare?” ringhiò Paul,
irritabile come la solito.
“Volevamo
fare una sorpresa!” scherzò Jacob.
“Ci
sei riuscito benissimo” intervenne Rachel, mettendo una mano
sulla
spalla di Paul. “Ciao, Nessie”.
“Ciao”
ricambiai, sorridendo.
Billy
si avvicinò con la sua sedia a rotelle cigolante.
“Scommetto che
sei qui solo per svuotarmi il frigo”.
“Paul
lo fa sempre” puntualizzò Jake. “Per una
volta non può farlo anche
il tuo figlio preferito?”.
“Ti
lascio entrare solo perché c'è Nessie”
sbuffò Billy, sorridendomi.
“Grazie,
Billy”.
“Ci
sono anche io!” si lamentò Seth.
“Sta
zitto, moccioso!” esclamarono insieme Jacob e Paul, per poi
scoppiare a ridere.
“Hey”
intervenni. “Seth ha già ventidue anni”.
“Ben
detto, Nessie” sorrise lui. Rachel si recò in
cucina per cercare
qualcosa da mangiare, mentre io e Jake preparavamo la tavola e lui di
tanto in
tanto chiedeva alla sorella di sbrigarsi, finché lei
esasperata non lo ignorava
del tutto. Alla fine, ci trovammo tutti intorno al tavolo, io in mezzo
a Jake e
Seth, Billy a capotavola e Rachel e Paul di fronte a noi.
“Allora”
iniziò Billy “Domani grande festa a casa
Cullen?”.
“Si”
acconsentii. “Verrai, vero?”.
“Certo,
i miei pregiudizi su quei vampiri non esistono
più” assicurò.
“Hai
solo voglia di uscire di qui” lo accusò Jacob,
interrompendo un
attimo il suo pranzo.
“Se
mio figlio si degnasse di pensare a suo padre più spesso,
non avrei
questo bisogno”.
“Ma,
Rachel vive praticamente qui!” si lamentò lui.
“Anche
io, ho una vita Jacob” gli fece notare lei, mentre Paul e
Seth se
la ridevano.
“Beh,
c'è Paul” puntualizzò lui.
“Io
ho i turni di guardia” sibilò.
“Io
ho un branco da portare avanti” spiegò Jacob.
“Inchiniamoci
tutti al grande alfa!” esclamò Paul, sghignazzando.
“Jacob
è un grande alfa” decretò Seth.
“Zitto,
moccioso!” lo ammonì Paul.
“Almeno
io non sono isterico” fu la risposta, improvvisa, di Seth,
che
scatenò una risata generale, ma che Paul non
gradì affatto.
“Sta
al tuo posto!” gli urlò.
“Andiamo,
Paul, calmati stava solo scherzando” intervenne Rachel.
“So
che ci saranno anche altri vampiri” iniziò Billy,
cercando di
cambiare argomento.
“Si,
il clan di Denali” spiegai.
“Da
dove vengono? Non ho mai sentito parlare di loro”.
“Vengono
dall'Alaska” spiegai. “Non ci fanno visita
spesso”.
“Per
fortuna” mormorò Paul, lanciandomi
un'occhiataccia. La
conversazione non continuò molto, solo Billy aveva voglia di
conversare, mentre
i licantropi presenti non erano dell'umore giusto per avere una
conversazione
spensierata. Quando finimmo, salutammo tutti e poi uscimmo fuori, Seth
andò via
subito per il turno di guardia, mentre io e Jake passeggiavamo
spensierati
sulla spiaggia.
“Claire,
sta attenta!” urlò, improvvisamente, Quil,
distraendoci dalla
nostra passeggiata.
“Non
sono una bambina!” esclamò, la piccola Claire,
facendo la
linguaccia al licantropo che le stava correndo in contro.
Però, lei non voleva
che la prendesse, così cominciò a correre senza
guardare avanti e andò a
sbattere contro Jacob, cadendo rovinosamente a terra e scoppiando a
piangere.
Istintivamente, mi calai verso di lei e cominciai ad accarezzargli la
testa,
cercando di tranquillizzarla.
“Non
piangere, su! Va tutto bene” mormoravo. Lei si
asciugò gli occhi
pieni di lacrime e mi guardò per la prima volta.
“Chi
sei?” chiese, curiosa.
“Sono
Renesmee” risposi, sorridendo. Intanto, Quil era arrivato e
si
calò anche lui per vedere se la piccola si era fatta male.
“Vuoi
giocare con me?” domandò, speranzosa.
“Cosa
ti va di fare?”. Claire decise di portarmi a fare un giro
turistico per La Push e ordinò a Quil di non seguirci, ma
sapevo benissimo che
il suo lupo non ci avrebbe mollato un attimo, così come
Jacob. Io ci ero
abituata alla presenza costante e protettiva di Jake, probabilmente la
piccola
lo trovava al quanto irritante, anche se ci avrei scommesso che voleva
a Quil
un bene dell'anima. Restai con lei, finché il sole non
cominciò a calare e la
chiamata di mio padre, fu inevitabile.
“Nessie,
dove sei?”.
“A
La Push” spiegai, brevemente.
“E'
ora di tornare, piccola” mi comunicò mio padre.
“Arriviamo,
subito” acconsentii.
“Bene,
vi aspetto al confine” disse e poi chiuse la chiamata. Non
dovetti cercare per trovare Jacob, lui mi si avvicinò
sorridendomi e disse: “E'
scattato il coprifuoco?”.
“Devo
tornare a casa” sospirai, tenendo ancora per mano Claire.
“Ma
ci rivedremo ancora?” chiese lei.
“Certo,
Claire” rispose Quil, uscendo dal suo nascondiglio.
“Vi
rivedrete anche domani”. Così salutai la piccola
con un bacio che ricambiò e
poi Quil, dirigendomi col mio lupo verso il confine dove mi aspettava
mio
padre. Lo trovammo poggiato ad un albero e appena mi vide spuntare
dalle felci,
si aprì in un grande sorriso, lasciando che il suo corpo di
pietra riprendesse
vita.
“Ti
sei divertita?” chiese, abbracciandomi.
“Si”
risposi, entusiasta. “Ho conosciuto Claire”.
“Mi
fa piacere, hai fame?”.
“SI!”
rispose Jacob al posto mio e mio padre lo guardò, sorridendo
e
alzando un sopracciglio.
“Non
ho mai assaggiato la cucina dei vampiri” mugugnò.
“Ti
stai auto”invitando?” chiese lui.
“No,
mi sta invitando Nessie, vero?” domandò,
guardandomi e ridendo,
dissi: “Certo, Jake”.
“Va
bene” sospirò mio padre.
“Andiamo”. Cominciammo a sfrecciare di
nuovo nella foresta, finché non arrivammo di fronte casa,
mio padre mi tenne
aperta la porta, ma prima che entrasse Jake gli passò
davanti e lasciò la
porta, che lui fermò con un calcio.
“Sembrate
due bambini dispettosi” li rimproverai e loro risero di
gusto.
Io e Jake ci accomodammo a tavola, mentre mio padre si mise subito ai
fornelli
e il mio lupo lo guardava circospetto.
“Cosa
c'è, lupo, hai paura che lo avveleni?” chiese mio
padre.
“Mai
fidarsi dei vampiri” mormorò lui.
“Potevi
mangiare a casa tua” propose mio padre.
“Ma
non avrei potuto darti fastidio” constatò lui.
“Ci
saresti riuscito lo stesso”.
“Non
lo metto in dubbio”. La conversazione finì
lì e smisero per un po'
di punzecchiarsi a vicenda, mentre io guardavo fuori dalla finestra e
mi
chiedevo quando sarebbe arrivata mia madre e Jake continuava a tenere
d'occhio
mio padre, sbuffando di tanto in tanto.
“Ma
dov'è la velocità da vampiro?” si
lamento. “Vuoi farmi morire di
fame?”.
“Non
preoccuparti, cane, non c'è pericolo”. In quel
momento, mia madre
varcò la soglia di casa e si catapultò in cucina,
impaziente di rivedere me e
mio padre, così impaziente che per un attimo non si accorse
neanche di Jacob,
forse ormai il mio lupo era diventato parte della famiglia, un elemento
scontato.
“Sei
tornata, finalmente” gioì mio padre, lasciando i
fornelli per
correre a salutarla e Jacob sbuffò di nuovo.
“Scusa,
la mamma mi ha trattenuta” rispose lei a mo' di scuse.
“Quando
potrò conoscerla anch'io?” chiesi, curiosa.
“Domani
sera credo che sarà inevitabile che vi presenti. Ma
ricordati
che Carlisle ed Esme sono i tuoi genitori e dovrai chiamarci per nome,
tutti
quanti, anche Charlie. Tu lo conosci solo perché
è mio padre, d’accordo?”
spiegò
mia madre, includendo anche la solita predica che mi ripeteva ogni
volta da
quando aveva deciso di invitarla per Natale.
“Certo,
nessun problema” sentenziai.
“Come
sta Renée?” chiese Jacob, entrando nella
conversazione.
“Meglio
di quando mi aspettassi, spero di non averla turbata troppo”
rifletté mia madre, guardando mio padre in cerca di conferme.
“E’
solo sorpresa. Già quando me ne sono andato si stava
riprendendo”
convenne mio padre, mentre io voltavo il viso verso Jake che fissava i
fornelli, affamato.
“Papà...cioè,
Edward” sghignazzai. “Noi non abbiamo ancora
mangiato”.
Mio padre sorridendo, si avviò di nuovo ai fornelli e dopo
un po' ci servì la
nostra cena, che Jacob finì in un attimo, mentre mia madre
mi si avvicinò
poggiando un pacchetto quadrato e bianco vicino al mio gomito.
“Domani
ricorda le lenti a contatto” sentenziò mia madre.
“Lo
farò” risposi, studiando attentamente il pacchetto
bianco e alzai lo
sguardo solo quando a Jacob scappò un grugnito.
“Cosa
c'è?” domandai.
“Maschereranno
i tuoi occhi” rispose lui, semplicemente. Rimasi un
attimo interdetta e poi abbassai lo sguardo imbarazzata.
“Capisco,
perfettamente cosa intendi” intervenne mio padre, guardando
mia madre.
“Stai
forse insinuando che il colore dei miei occhi non ti piace?”
scherzò
lei.
“Non
ho mai detto questo” rispose lui, scoppiando a ridere, poi le
si
avvicinò e le baciò, delicatamente la fronte.
Poi, si rivolse a Jacob, dicendo:
“E' ora di andare a dormire per i lupi”.
“Parla
per te, succhiasangue” grugnì Jacob, con l'aria di
un bambino
capriccioso.
“Jacob,
Renesmee deve andare a letto. Così va meglio?”
spiegò mia madre.
“No,
non ho più cinque anni” risposi, adesso sembravo
io la bambina
capricciosa.
“No,
ne hai sei” mi corresse mio padre. “E comunque era
solo un modo carino
per dirgli che deve andarsene”.
“Facevi
prima così” lo sfidò Jake.
“Bene
allora che ci fai ancora qui?”
scherzò mio padre di rimando.
“Devo
dare la buona notte”.
“Buona
notte” gli augurò mio padre.
“Sogni
d'oro” aggiunse mia madre e Jake si alzò,
chiedendomi di
accompagnarlo fuori e io lo seguii senza obbiettare. Arrivati
sull'entrata
socchiusi la porta dietro le mie spalle e lo guardai negli occhi.
“Allora,
buona notte” sussurrò lui.
“Buona
notte” mormorai, alzandomi sulle punte e dandogli un bacio
sulla
guancia, lui sorrise e scomparve tra le felci in un secondo. Rientrai
in casa e
guardando mio padre, dissi: “Non c'era bisogno di cacciarlo
in quel modo”.
“Non
conosci Jacob” spiegò mia madre.
“Si,
invece” la
corressi io.
“Hai
intenzione di perdonare Kate?” chiese mia madre, cambiando
argomento.
Ci
pensai su un attimo, non sapevo cosa fare, ma ormai una cosa era
assodata. Non sarei andata da nessuna parte senza il mio lupo e nessuno
vampiro
o meno sarebbe riuscito a farmi cambiare idea.
“Devo pensarci” concessi.
“Magari
mentre vai a dormire. Domani sarà una giornata molto lunga.
È la
vigilia di Natale” aggiunse mio padre, sorridendomi. Annuii e
senza farmelo
ripetere mi diressi in bagno, poi andai a lavarmi e finalmente potei
stendermi
nel mio letto. Nonostante tutto era stata una giornata interessante e
la gita a
La Push era stata davvero divertente, la piccola Claire era una bambina
davvero
interessante e simpatica. Per fortuna, quella sera il vento e la
foresta
avevano deciso di lasciarmi in pace, così addormentarmi e
lasciarmi andare
sotto le mie coperte non fu difficile, cadere in un mondo di sogni fu
ancora
più semplice. La mattina dopo non fu nessun agente
atmosferico a svegliarmi,
furono le urla di mia madre, che litigava con mio padre.
“Non
è questo il punto, Edward!” urlò mia
madre, adirata. Mi alzai
subito dal letto alquanto spaventata, era la prima discussione
così animata che
avevano i miei genitori.
“E
allora spiegamelo, perché non riesco a capire!” fu
la risposta sempre
più agitata di mio padre. Corsi nella loro camera da letto e
mi fermai sulla
soglia, nessuno dei due si era accorto della mia presenza.
“Non
voglio che Tanya si faccia strane fantasie sul tuo conto!”
continuò
ad urlare mia madre.
“Che
sta succedendo?” chiesi, con le lacrime agli occhi, quando
entrambi
si accorsero della mia presenza.
“Niente,
amore. Vengo subito a prepararti la colazione”
cercò di
rassicurarmi mio padre, avvicinandosi e provando ad afferrare la mia
mano, ma
mi ritrassi istintivamente.
“Voglio
sapere che succede!” urlai, ormai completamente sveglia.
“E' per
quella smorfiosa di Tanya, vero?”. Mia madre mi
guardò alquanto sorpresa,
probabilmente non si era accorta che anche io mi ero arrabbiata davanti
al
comportamento sconsiderato della vampira bionda.
“
Non è successo nulla. stavamo solo discutendo un po'. Ma ho
già
perdonato tuo padre e lui mi ha giurato che non si
avvicinerà mai più a Tanya”
assicurò mia madre, ma non vi convinse del tutto, poi lei si
avvicinò e mi
abbracciò.
“Certo,
Nessie. Non c'è nulla di cui preoccuparsi”
continuò mio padre,
guardandomi negli occhi e poi baciandomi i capelli. “Me lo
assicuri?” chiesi a
mia madre, mediante il mio potere.
“Assolutamente”
risposero entrambi in coro. A quel punto, la
conversazione finì, ma io non ero del tutto convinta,
sentivo ancora una strana
ansia nell'aria, anche se i volti marmorei dei miei genitori non
potevano darmi
conferma, gli occhi vigili di mia madre erano per me un campanello
d'allarme.
Mio padre mi preparò la mia colazione preferita: uova
all’occhio di bue, due
fette di pane tostato, due fette di bacon abbrustolito, il tutto
accompagnato
da un bicchiere di succo d’arancia fresco. Mangiai di gusto,
mio padre era
sempre un ottimo cuoco, mentre mia madre si accomodò al mio
fianco e prese a
fissarmi, così come fece mio padre poggiandole le mani sulle
spalle e
guardandomi. Poi, lei alzò una mano e la poggiò
su quella di mio padre,
probabilmente cercava di rassicurarmi e io le sorrisi a mo' di
conferma, ma non
mi stava rassicurando affatto, anzi ogni secondo che passava sentivo la
tensione crescere e non riuscivo a fermarla. Poi, mi alzai e dopo
essere andata
in bagno a lavarmi, mi diressi nella mia camera per vestirmi e
lì, mi seguì mia
madre. Mentre sceglievo qualcosa da mettermi, decisi di fare un po'
più di
chiarezza su quella storia.
“Mamma,
sei sicura che vada tutto bene?”.
“Certo,
amore. Non c'è nulla di cui preoccuparsi”. Non
potendo guardarla
negli occhi, visto che ero voltata verso l'armadio, non potei giudicare
dai
suoi occhi se stesse mentendo o meno, ormai ero diventata brava a
leggere i
vampiri.
“Lo
spero” iniziai. “Anche io mi sono accorta di come
guardavi Tanya
ieri. C’è qualcosa che non so? Che è
successo prima che io nascessi?”.
“Niente
di importa” assicurò mia madre. “Anche
se non è la prima volta
che discutiamo di questo”.
“Spero
sia l'ultima” sospirai.
“Lo
sarà sicuramente” assicurò lei e avrei
voluto tanto crederci. Il
resto della giornata passò come se non fosse successo nulla,
verso l'ora di
pranzo arrivò Jacob e riuscii a distrarmi un po'. Anche se
dopo pranzo, non
potei fare a meno che parlarne con lui, che mi ascoltò e fu
molto confortante
per me avere qualcuno che mi ascoltasse, un amico con cui condividere i
miei
timori e un amico bravo a scacciarli come fece Jake, assicurandomi che
i miei
genitori si amavano molto e che non sarebbe bastata la smorfiosa di
turno a
farli separare. La sera arrivò anche troppo in fretta, tutti
cominciammo a
prepararci, io indossai un
abitino nero
a palloncino con le maniche lunghe e dei dettagli in oro e argento sul
bordo
della gonna con un paio di scarpette ballerine con un tacco molto
accennato,
poi visto che non potevo mettere la collana di mia madre indossai due
catenine
una d’oro bianco ed una rosso, incrociate tra loro e con
l’anello con il simbolo
della mia famiglia. Dopodiché mi diressi in bagno per
indossare le lentine,
riuscii a guardarmi allo specchio solo per un attimo, visto che non
riuscii più
a riconoscermi evitai di incontrare
altre superfici riflettenti, era sorprendente come un solo
dettaglio
potesse trasformare una persona. Il mio lupo indossò degli
abiti di mio padre,
precisamente una camicia nera scollata e un jeans semplice che gli
donava
molto, infatti quella sera era più bello del solito. Quando
fummo pronti ci
dirigemmo in fretta verso casa Cullen, guardare mia madre negli fu un
altro
shock, anche se ormai l'avevo vista con gli occhi di quasi ogni colore
esistente, color cioccolato come i miei, rossi, arancio, marrone fango,
ambrati, ma questa strana tonalità marroncina mi mancava.
Però, i miei genitori
dissero che dovevano trattenersi ancora un po', così io e
Jake arrivammo a casa
Cullen prima di loro e trovammo la casa addobbata all'inverosimile,
sembrava un
enorme albero di Natale.
“Alice,
cos'hai combinato?” scherzai e lei mi rispose con una
linguaccia. In quel momento, entrarono i miei genitori, mano nella mano
e
sorridenti come non mai. Mi avvicinai a loro curiosa e chiesi:
“Che cosa ha
fatto, per farsi perdonare?”.
“Mi
ha sorpreso, come sempre” rispose lei tutta contenta ed
entrambi mi
sorrisero, felici. Piano piano arrivarono tutti gli invitati dai
quileute agli
umani mancanti e finalmente fece il suo ingresso anche
Renée, mia nonna, anche
se lei non lo avrebbe mai saputo.
“L’ho
detto e lo ripeto: Alice sei fantastica!” esclamò,
sorpresa
guardandosi intorno. Tutti cominciarono a parlare amabilmente,
finché non
arrivò il buffet e vidi un esercito di licantropi pronti a
tuffarsi per
mangiare il più possibile, ma la mia zietta previdente si
fiondò subito davanti
a loro.
“Ma
non è giusto!” esclamò Seth, quando
capì che avrebbero dovuto
aspettare prima gli altri.
“Ingurgitereste
tutto in un attimo, senza dare il tempo di avvicinarsi a
nessuno” spiegò mia madre ed aveva perfettamente
ragione. Seth rimase col
broncio tutto il tempo, così come gli altri licantropi
mentre io e il resto
degli umani mangiavano di gusto e i vampiri cercavano di non dare
nell'occhio
mentre cedevano la loro porzione al primo lupo che gli capitava a tiro,
il più
felice della festa era mio nonno che continuava a correre di qua e di
la
estasiato. Io, Jacob, mia madre e mio padre eravamo in un angolo della
casa a
parlare, mentre gli altri si divertivano di qua e di la.
“Bella,
sei perfetta stasera!” esclamò Renée
avvicinandosi e io arretrai
istintivamente di un passo.
“Grazie,
mamma” rispose lei, poi indicandomi continuò.
“Questa è
Vanessa, la ragazza di cui ti ho parlato ieri”.
Feci
un passo avanti e porgendogli la mano, dissi cortese: “Molto
piacere di conoscerla, signora”.
“Ciao,
Vanessa. Vedo che la bellezza è ereditaria nella famiglia di
Edward” mi salutò lei e io arrossii leggermente,
mentre Jake ridacchiava.
“Grazie,
signora. La prego, mi chiami Nessie” risposi, cercando di far
sparire l'imbarazzo.
“E
tu puoi darmi del tu, siamo tutti una famiglia qui” aggiunse,
poi
finalmente si rivolse a Jacob e io colsi l'occasione per allontanarmi
un attimo
e prendere un bicchiere d'acqua per calmarmi del tutto e poi tornare al
fianco
del mio lupo. Appena mi vide tornare Renée mi rivolse di
nuovo la parole,
chiedendomi della mia precedente famiglie e di come mi trovavo in
quella
attuale.
“Edward
è il miglior fratello del mondo e lui e Bella sono
fantastici
insieme. Sono fatti l’uno per l’altra”.
“Già,
sono d'accordo con te”.
“Nessie,
sono geloso. Da quando è Edward il miglior fratello del
mondo?”
intervenne Emmett, facendo scoppiare tutti in una sonora risata.
“Lo
è sempre stato, Emm” risposi continuando a ridere.
Poi, Rosalie
chiese ai miei genitori di andare a ballare e loro si allontanarono
leggermente
preoccupati, lasciandomi da sola con Jake e Renée, che
cominciò a parlarmi di
mia madre, della Florida e di tutte le cose che facevano insieme,
finché Jacob
non ci interruppe.
“Vuoi
ballare?” chiese, un po' impacciato. Rimasi un attimo
interdette,
poi fu Renée a spingermi verso di lui, dicendo:
“Dai, su! Va a divertirti!”. Io
e Jacob ballammo per tutto il tempo, continuando a prenderci in giro a
vicenda,
finché la festa non finì e dovemmo salutare
tutti, inclusa Renée. Così arrivò
finalmente il momento dei regali.
“Finalmente
è finita!” sospirò Emmett.
“Ora possiamo aprire i regali!”.
“Vado
a prenderli!” cinguettò Alice, fiondandosi al
piano di sopra e
tornando con le braccia piene di pacchetti.
“Cominciamo
da Renesmee, sicuramente la più gettonata”
esclamò,
porgendomi il primo pacco. “Questo è da parte di
Carlisle ed Esme”. Aprii il
pacco e ci trovai dentro un portatile di ultima generazione, non potei
fare a
meno di ringraziare tutti anche per i regali successivi. Poi, passammo
a mia
madre e il primo regalo che gli porse Alice era proprio il mio,
così mi
avvicinai a lei mentre lo apriva.
“Grazie,
tesoro” disse con la statola ancora chiusa.
“Aprilo
prima di ringraziarmi”. Lei lo aprì e rimase a
fissare il
ciondolo, così mi sentii in dovere di dargli una
spiegazione. “Visto che
indossi sempre il braccialetto con i simboli di Jake e di
papà, volevo che
avessi anche un ciondolo che mi rappresentasse e, bhè, la
rosa del deserto mi
rappresenta bene, credo. È molto rara e luccica appena alla
luce del sole”. Lei
mi guardò di nuovo, poi singhiozzando mi
abbracciò e mi tenne stretta per un
bel po', prima di sussurrare un “Grazie” e
aggiungere il ciondolo al suo
bracciale. Poi, iniziai a distribuire i miei regali agli altri,
ricevendo
abbracci, baci e anche lamentele, visto che Jasper non ere molto
contento di
dover accompagnare Alice alla sfilata. Dopodiché venne il
turno di Jacob, che
ricevette una moto nuova fiammante e che sembrava non volersene
staccare più.
“Abbiamo
finito, ora?” chiese mia madre.
“Non
ancora” risposi. “Questo è per
papà” iniziai, porgendo il pacchetto
verso mio padre. “E questo è per Jake, se smette
di giocare con quell’affare”.
Mentre, Jake riponeva la moto, mio padre aprì il suo
pacchetto e ne rimase
sorpreso, fortunatamente era piaciuto anche a lui, infatti mi
ringraziò e lo
mise al collo. Jacob aprì il suo regalo e mi
abbracciò quando ne scoprì il
contenuto. “Questo Natale è stato
bellissimo!” constato e nessuno di noi osò
contraddirlo. Poi, ci preparammo per andare a casa, ma prima di uscire
dalla
porta vidi che Jake stava riponendo un pacchetto ancora incartato,
così lasciai
i miei genitori chiacchierare amabilmente con i miei zii e mi avvicinai
a lui.
“Cos'è
quello?” chiesi, facendolo sobbalzare.
“Niente”
rispose, sbrigativo.
“Andiamo!”
continuai. “Per chi era?”.
“Per
te” mugugno.
“E
perché non me lo dai?” dissi, porgendo la mano
“Perché
non vale niente” sibilò.
“Lo
voglio”.
Sbuffando,
mi diede il pacchetto. Lo aprii e vi trovai dentro una
cornice intagliata finemente, con la nostra foto. Non so
perché, ma cominciai a
piangere dalla gioia.
“Jake...”
mormorai. “L'hai fatta tu?”.
“Si”
rispose. “Ma perché piangi?”. Lo guardai
e istintivamente gli
buttai le braccia il collo, affondando la testa nella sua spalla e
mormorando: “Hai
ragione, è davvero il più del mondo!”.
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Capitolo 6 *** Confusione ***
Capitolo
sei: Confusione
Ormai,
eravamo alla fine di febbraio, i giorni successivi al Natale si erano
trascinati lenti e noioso, anche se avevano ancora quell'aria magica
che rimane dopo le feste, anche se era solo un alone sbiadito, una
macchia che non cambiava l'andare di quei secondi tutti uguali.
Quello era un giorno particolare, saremmo usciti un po' dagli schemi,
c'era il matrimonio di Sam ed Emily e come si poteva immaginare erano
tutti su di giri. Personalmente, ero ancora nel mio letto e non avevo
proprio voglia di uscirne, era da tempo che non dormivo così
bene,
un sonno lungo, profondo, rilassato e soprattutto senza sogni ne
incubi. Ma a quanto pare non tutti erano d'accordo con me, anzi mia
zia era già qui...
“Nessie!”
cinguettò, entrando nella mia stanza. “Andiamo,
giù dal letto!”.
Mi rigirai nel letto sibilando, Alice non aveva neanche un po' di
tatto e farsi svegliare da lei era irritante, soprattutto quando era
super”eccitata e aveva qualche motivo in più per
non rispettare il
sonno altrui.
“Su,
Nessie, sei ancora li sotto?” continuò. Non le
risposi, forse
facendo così se ne sarebbe andata, ma sperare una cosa del
genere
era tipico di chi stava ancora dormendo o non conosceva mia zia e io
stavo ancora dormendo, mi rigirai ancora nel letto e lei
sbuffò
spazientita, in un attimo mise le sue mani freddi suoi bordi della
mia coperta e la tirò via, scaraventandola sulla poltrona.
“Alice!”
urlai. “La mia coperta!”.
“Forza,
giù dal letto!” esclamò, soddisfatta.
In quel momento, qualcun
altro fece il suo ingresso nella mia stanza, ma non mi girai neanche
a guardarlo, visto che volevo dare le spalle a mia zia.
“Nessie”
mi chiamò mia madre, preoccupata.
“Dov'è la coperta?”.
“Indovina”
sibilai. Mi alzai dal letto e la guardai, lei mi sorrise a mo' di
scuse, poi Alice mi prese per un braccio e mi tirò
giù dal letto,
senza neanche aspettare che mettessi le pantofole.
“Andiamo,
sbrigati!” cinguettava, tutta contenta.
“Alice,
devo fare colazione!” le ricordai e lei mi guardò
annoiata.
“Mangerai
al matrimonio!” constatò.
“Ho
fame ora!”.
“Va
bene” sbuffò. “Ma di a tuo padre di
sbrigarsi”. Intanto, mia
madre era rimasta sul ciglio della porta a godersi la scena, io
tornai verso il letto e indossai le pantofole, poi andai a
raccogliere la coperta, che giaceva disordinata sulla mia poltrona.
Prima che potessi rimetterla sul letto, mia madre me la
sfilò di
mano e mormorò: “Non preoccuparti, tesoro, ci
penso io”. Annuii
e andai in salotto, lasciando sia lei che Alice nella mia stanza. Mio
padre era già ai fornelli e quando entrai nella cucina,
appoggiò la
padella con le uova sul fuoco e venne a darmi un bacio sulla fronte,
prima di ritornare a cucinare.
“Svegliata
bene?” chiese, tanto per parlare.
“Secondo
te?” domandai di rimando e lui scoppiò a ridere.
Intanto, sentivo
mia madre lamentarsi con Alice, ma non capii bene su cosa, parlavano
di capelli e trucco, probabilmente Alice voleva una pettinatura
adatta ad un matrimonio per lei, visto che mia madre aveva i capelli
lunghi. Anche mio padre stava ascoltando, tendendo il suo corpo
istintivamente verso la porta per sentire meglio, finché
entrambe
non ci raggiunsero in cucina.
“Non
hai neanche cominciato a mangiare?” chiese mia zia,
incredula. Ma
non aspettò che le rispondessi, subito si rivolse a mia
madre,
dicendo: “Anche lei dovrebbe farsi aggiustare i
capelli”.
“Mai!”
obbiettai.
“Alice,
non esagerare” intervenne mio padre.
“Cosa
vuoi capirne tu?” chiese, ma non si aspettava una risposta.
“Dobbiamo
andare ad un matrimonio in spiaggia! Non c'è ne
bisogno!”. Ma mio
padre non intendeva dargliela vinta.
“Uffa!”
sbuffò mia zia.
“Andiamo,
Alice” cercò di consolarla mia madre.
“Saremo, comunque, quelli
più eleganti”.
“Lo
so” rispose, poi si illuminò di nuovo.
“Vorrà dire che ci
penserò al matrimonio di Kate”.
“Sempre
se verrò” constatai.
“Sei
ancora offesa?” chiese lei, incredula.
“Non
sono offesa” puntualizzai. “Ho detto che non ci
sarei andata
senza Jake e non intendo rimangiarmi le mie parole”.
Nessuno
rispose, probabilmente sapevano che non avrei desistito molto
facilmente o, nel caso di mia madre, stava pensando a come
convincermi se l'invito per Jake non fosse arrivato, sarebbe stata
una battaglia dura, chissà chi l'avrebbe spuntata, io
però ero
determinata a non dargliela vinta. Mio padre appoggiò le
uova sul
tavolo di fronte a me e poi raggiunse mia madre, mentre Alice era di
nuovo nella mia stanza a preparare quello che avrei dovuto indossare.
Mangiai lentamente, visto che non volevo che la tortura iniziasse
troppo in fretta, non ero ancora pronta psicologicamente. Purtroppo
non ci voleva molto a finire due uova, così lentamente mi
alzai e
riposi il piatto nella lavastoviglie per poi dirigermi in camera mia,
dove Alice aveva già preparato il mio vestito sul letto con
tutti i
vari gioielli e le scarpe che avrei dovuto indossare. Sentivo nella
stanza a fianco mia madre che chiacchierava con Alice, mentre
indossava il suo vestito, beata lei che ormai era abituata a mia zia,
per quanto le volessi bene non sapevo ancora se sarei mai riuscita a
non sbuffare ogni volta che dovevamo andare a fare shopping o che
dovevo indossare un suo vestito. Sarei voluta tanto rimanere ad
ascoltare mia madre, ma come aveva detto mia zia, il tempo era poco e
non potevamo andare in ritardo anche se Jacob non si era ancora
presentato, probabilmente era ancora indeciso se venire o no, ma
Alice non glie l'avrebbe perdonato. Andai a lavarmi, poi velocemente
tornai nella mia camera, dove trovai mia zia ad aspettarmi e con il
suo aiuto indossai il vestito, i gioielli e le scarpe, poi andammo in
bagno dove si divertì a truccarmi, intanto mia madre era in
salotto
con mio padre, visto che avevano già finito di prepararsi.
Quando
avemmo finito, scendemmo al piano di sotto e raggiungemmo i miei
genitori.
“Dov'è
il can...Jacob?” chiese mia zia, guardando la porta.
“Non
preoccuparti, Alice” la rassicurò mia madre.
“Arriverà”.
“Lo
spero per lui” ringhiò lei.
“Anch'io”
sussurrai.
“Sta
arrivando” ci comunicò mio padre e tutti ci
tendemmo verso la
porta per ascoltare i passi felpati del lupo che si stava
avvicinando. Jake entrò dopo essersi trasformato e aver
indossato i
suoi soliti jeans logori che Alice guardò con una smorfia.
“Finalmente!”
esclamò, avvicinandosi. “Muoviti, siamo in
ritardo!”.
“Sono
felice di vederti anch'io!” mugugnò lui, mentre
seguiva mia zia.
Attendemmo qualche secondo in silenzio, l'unica cosa che disturbava
il nostro silenzio erano i grugniti di Jacob e i rimproveri di Alice,
mentre indossava lo smoking che gli avevamo comprato. “Tanto
andranno tutti in jeans!”.
“Non
mi importa!” controbatté lei. “I Cullen
devono distinguersi!”.
“Io
non sono un Cullen!”.
“Passi
la metà della tua vita nel nostro frigorifero! Questo
dovrebbe farti
ritenere almeno parte della famiglia!”.
“Ecco,
cosa succede a fidarsi dei succhiasangue!”.
“Prima
la smetti di lamentarti, prima finisci!”. Poi, ci fu qualche
altro
secondo di silenzio, in cui sentivamo solo Jacob brontolare, mentre
finiva di vestirsi, quando la smise, ci tendemmo tutti verso la porta
chiusa, finché un urlo non ci fece sobbalzare.
“Non
se ne parla! Io non esco così!”.
Alice
alzò gli occhi al cielo e poi, bussò sulla porta
chiusa. “Andiamo,
esci di lì!”.
“Non
se ne parla! Io vengo col bermuda!”.
“Non
in questa vita, cane!” sbuffò lei. “O
esci tu o entro io,
chiaro?”.
“Non
lo farai!”.
“Si,
invece!” continuò lei. “Siamo in
ritardo!”. Con un moto di
rabbia, la porta si aprì e Jacob uscì con lo
smoking e la cravatta
allentata e con due occhi neri di rabbia, era ancora più
bello
quando era arrabbiato...ma cosa stavo dicendo? Come mi era venuto un
pensiero del genere?! Girai gli occhi imbarazzata e mia madre mi
lanciò un'occhiata preoccupata, mentre a mio padre
scappò un
sibilo.
“Contenta?”
stava dicendo Jake ad Alice, mentre lei gli aggiustava di nuovo la
cravatta, poi ignorandolo di nuovo, si rivolse a noi, dicendo:
“Bene,
siamo pronti! Andiamo?”. Mio padre si alzò e senza
fiatare aprì
la porta, andando a prendere la macchina. Ero ancora sbalordita per
quello che avevo pensato, non avevo mai visto Jacob da quel punto di
vista, non lo aveva mai guardato come un ragazzo, ma sempre come un
amico o un fratello, cosa era cambiato? Perché tutto ad un
tratto
non lo sentivo ne un fratello ne un amico, ma qualcosa di
più? No,
non era possibile, io e Jacob eravamo solo amici...solo amici.
“S..si”
balbettò mia madre e poi deglutì rumorosamente,
lei non aveva
sentito i miei pensieri, non sapeva cosa fosse successo a mio padre
tutto ad un tratto, dovevo spiegarglielo io? No, meglio di no. Alice
saltellò fuori e prese posto sulla Volvo, visto che mio
padre era
già arrivato, io mi sedetti al suo fianco, mentre Jacob
stava per
prendere posto vicino a me.
“Jacob!”
sibilò mio padre. “Tu siediti avanti!”.
Io e Jake ci guardammo
negli occhi, lui si chiedeva cosa avesse combinato questa volta,
mentre il mio sguardo era un po' colpevole. Lui obbedì
mentre mia
madre si sedette al mio fianco, guardando mio padre preoccupata,
probabilmente credeva fosse colpa sua, ma non sapeva cosa avesse
fatto, così le sfiorai il braccio con la mano, dicendole,
usando il
mio potere: “Non preoccuparti, è colpa
mia”. Lei sospirò, come
aveva fatto a non prenderlo in considerazione? Poi, mi
guardò
interrogativa e continuai, dicendole: “Ti spiego tutto
stasera! Mi
dispiace, non volevo...”. Le lasciai la mano, prima di finire
il
pensiero e lei continuò a guardarmi, ma non ero pronta per
dirglielo
ora, mi serviva una giornata intera per trovare il coraggio di
spiegarle tutto...sperando che una giornata bastasse. Arrivammo a
casa Cullen, in un attimo, e li trovammo tutti pronti fuori dalla
porta, così Alice raggiunse Jasper e noi ripartimmo alla
volta di La
Push. Il viaggio fu silenzioso, io mi allontanai da mia madre
avvicinandomi al finestrino e prendendo a guardare fuori, mentre mi
sentivo addosso gli occhi di mia madre e di mio padre e di
conseguenza anche quelli di Jacob. Cercai di non pensarci, avevo solo
voglia di scappare in quel momento, dovevo mettere in ordine i miei
pensieri e quelle tre paia di occhi puntati addosso non aiutavano
affatto, anzi servivano solo ad innervosirmi. Arrivammo a La Push e
mio padre parcheggiò la macchina, vicino a quella di
Carlisle e di
Rosalie, durante il resto del viaggio mi ero innervosita parecchio,
così uscire dalla macchina e lasciarli tutti lì
fu un gesto
istintivo, mia madre e Jacob si guardarono confusi, mentre mio padre
mi seguì.
“Aspetta!”
sibilò.
“Cosa
c'è?” risposi, girandomi verso di lui.
“Potresti
almeno aspettare gli altri”.
“Guarda,
c'è Claire” lo informai, indicando la bambina
sulla spiaggia.
“Voglio salutarla”.
“Ora?”
domandò, trattenendo un sibilo.
“Puoi
continuare a tenermi d'occhio, se proprio devi!”.
“Cosa
sta succedendo?!” chiese mia madre esasperata, raggiungendoci.
“Niente!”
rispondemmo in coro io e mio padre.
“A
me non sembra!” continuò lei, sempre
più irritata. “Si può
sapere cosa è successo?”.
Io
e mio padre ci guardammo furenti, probabilmente si aspettava che
dicessi qualcosa, ma come avevo detto prima non avevo il coraggio di
spiegarglielo ora, ma spiegarle cosa poi? Se non lo sapevo neanche
io, non poteva pretendere che lo spiegassi a lei, così gli
voltai le
spalle, dicendo: “Io vado a salutare Claire” e li
lasciai da soli
lì, probabilmente ora mio padre si sarebbe sfogato con lei,
sperando
che bastasse per farlo calmare, rovinare il matrimonio di Sam per un
litigio in famiglia non era proprio il modo migliore per fargli
vedere di buon occhi i Cullen, visto che non tutti i quileute li
vedevano come “vampiri”buoni”, anzi.
“Ciao,
Nessie!” urlò Claire, vedendomi arrivare e
correndomi incontro.
“Ciao,
Claire!” risposi, mentre lei mi abbracciava e mi baciava
entrambe
le guance.
“Ciao,
Renesmee” mi salutò Quil, avvicinandosi e la
piccola sbuffò,
certo che non la lasciava sola neanche un attimo e io che pensavo che
la mia famiglia fosse protettiva.
“Ehy,
Quil” esclamò Jacob arrivando, come non detto,
dopotutto rispetto
a me Claire era fortunata, lei aveva solo Quil, io avevo una scorta
composta da un'intera famiglia di vampiri e tanto per non farci
mancare niente anche un licantropo, poi che il mio
papà”vampiro e
l'amico”licantropo erano super protettivi erano solo un altro
paio
di maniche. Giocai un po' con Claire sulla spiaggia, sotto gli occhi
protettivi dei due licantropi a qualche passo distanza,
finché non
mi si avvicinò Jacob.
“Nessie,
vuoi fare due passi?” chiese, distrattamente.
“Visto che Claire
deve andare a prepararsi”.
“Va
bene” risposi, salutando Claire e seguendolo.
“Cos'aveva
tuo padre?” domandò, improvvisamente, mentre
passeggiavamo sulla
spiaggia.
“Non
lo so” mugugnai, girandomi verso il mare.
“Ah
no?” sbuffò, sarcastico. “E
perché continua a guardarmi come se
volesse uccidermi?”.
“Lo
sai, com'è
fatto...”balbettai.”E'...lunatico”.
“Lunatico?”.
“Si”
risposi, arrossendo e lui scoppiò in una fragorosa risata.
“Cos'hai
da ridere?!”.
“Andiamo,
Nessie, dimmi la verità”.
“Ehm...non
ha gradito un...m..mio pensiero” balbettai.
“E
cosa hai pensato di tanto brutto?”.
“Niente!”
esclamai, mi stavo addentrando in un campo minato, dirlo a mia madre
era già di per se difficile, ma parlarne con Jacob era del
tutto
inammissibile.
“Non
vuoi dirmelo?” chiese, il più ingenuamente
possibile. “Era così
brutto?”.
“Tremendo”
puntualizzai, ridendo. Continuò a fissarmi, ritornando serio
e
attendendo una risposta, che non potevo dargli, come avrei potuto
spiegargli una cosa del genere? Cosa avrei dovuto dirgli?
“Jacob
mio padre è arrabbiato, solo perché ho pensato
che sei bellissimo”?
Non mi sembrava una cosa molto fattibile, come avrebbe dovuto reagire
lui? Mi avrebbe riso in faccia o mi avrebbe preso in giro? Non so
perché, ma entrambe le prospettive mi facevano male, sentivo
un nodo
in gola e non riuscivo a incrociare il suo sguardo, ma cosa mi era
preso? Quello era Jacob, il mio Jacob, l'amico licantropo
iperprotettivo a cui volevo un mondo di bene, quello che avrebbe
fatto di tutto per me, e pure...e pure stava succedendo qualcosa, non
vedevo più Jacob come un amico, era troppo banale, troppo
semplice,
semplicemente troppo...Ad interrompere i miei pensieri, fu Alice, che
con tempismo perfetto corse verso di noi, tutta contenta.
“Sta
arrivando! Sta arrivando!” gongolò felice,
prendendomi per mano e
tirandomi verso l'altare improvvisato, che si trovava al centro della
spiaggia. Jake ci seguì, sbuffando e prendemmo posto accanto
ai miei
genitori, osservai mio padre che sembrava essersi calmato un po',
anche se i suoi occhi erano ancora ardenti, in compenso mia madre si
era calmata e lo teneva per mano. Appena la musica iniziò a
riempire
l'aria, tutti i nostri sguardi vennero attirati all'inizio
dell'anonimo tappeto color sabbia, su cui già sfilava la
piccola
Claire con le due fedi in mano e che dispensava sorrisi a tutti,
mentre quando passò davanti a me alzò la manina e
la agitò
velocemente prima di farla tornare sotto il cuscino e guardarsi
intorno per vedere se qualcuno aveva qualcosa da dire. Passò
qualche
altra nota prima che Emily fece il suo ingresso e come la piccola che
l'aveva preceduta sorrideva a tutti e stava attenta a non inciampare
nei tacchi. Aveva un vestito piuttosto semplice senza troppi
dettagli, ma che scendeva bene sul suo corpo snello e risaltava la
sua carnagione. Sam, invece, era vestito con un semplice smoking, ma
niente a che vedere con quello che aveva Jacob, forse i Quileute
avrebbero dovuto prendere in considerazione l'idea di farsi
organizzare il matrimonio da Alice, che sbuffava dietro di me.
“Guarda quel vestito non le sta proprio bene”,
“E lui poi, ma
chi lo ha vestito!?”, “Se avessi organizzato io il
matrimonio
sarebbe venuto molto meglio” e altre cose del genere, non
sapevo
con chi stava parlando, ma probabilmente si rivolgeva a mia madre. Il
resto della cerimonia si svolse come al solito, pronunciarono le loro
promesse e poi con i testimoni firmarono, dopodiché
lanciammo il
riso e lui ed Emily corsero insieme sulla spiaggia. Li lasciammo
giocare ancora un po', poi piano piano ci avvicinammo a piccoli
gruppi e ci disponemmo a semicerchio attendendo che la smettessero di
giocare, poi Sam le prese la mano e lei ridendo lo seguì,
mentre
Claire le tirava la gonna e gridava: “Tira il bouquet! Tira
il
bouquet!”. Emily senza pensarci si girò di spalle
e lanciò in
aria il bouquet, il mazzo di fiori volò in aria, fermandosi
per
qualche secondo proprio d'avanti al sole, così che gli umani
non
poterono seguirlo con lo sguardo, poi in un millesimo di secondo
cadde, quando mi colpì in testa fu istintivo alzare le mani
per
proteggermi e in compenso me lo ritrovai tra le mani, mentre tutti
applaudivano e ridevano e io abbassavo lo sguardo imbarazzata.
“Ora
andiamo a mangiare” esclamò Sam, cercando di
attirare
l'attenzione. Tutti cominciarono a dirigersi verso il buffet, che non
era altro che un tavolo di legno con cibi fatti in casa, ma che
nonostante tutto non dovevano essere così male. Cercai mia
madre tra
la folla e quando la vidi era ancora incollata a mio padre, ma non ci
badai molto, mi avvicinai a lei e le chiesi: “Mamma, cosa
devo
farne di questo?”.
“Beh,
penso che dovresti conservarlo” rispose lei, sorridendomi.
“Ma
sono fiori, seccheranno” constatai.
“Puoi
buttarlo” suggerì mio padre, gelido. Con un moto
di rabbia gli
misi il bouquet tra le mani e mentre lui lo guardava confuso, dissi
sarcastica: “Perché non lo fai tu, visto che ci
tieni tanto?”.
“Non
preoccuparti, Nessie” intervenne mia madre, sfilandoglielo
dalle
mani. “Ci penso io a questo”.
“Grazie”
mormorai, sorridendole.
“Perché
non vai a mangiare ora?” consigliò.
“Si”
riflettei. “Credo che assaggerò
qualcosa”. Così dicendo mi
diressi al tavolo dove, grazie ai licantropi, era quasi sparito
tutto. Girai un po' intorno al tavolo, ma erano rimaste solo briciole
e non sapevo proprio cosa prendere li in mezzo.
“Ehy”
mi chiamò Jake. “Hai mangiato?”.
“No”
risposi, un po' delusa. “Voi licantropi siete proprio
veloci”.
“Si”
concesse lui. “Ma a volte anche previdenti”. Mi
girai verso di
lui, dando le spalle al tavolo, e me lo ritrovai davanti con un
sorriso a trentadue denti, uno di quelli che mi madre avrebbe
chiamato jacobino, e con un piatto rivolto verso di me. Lo presi
velocemente per evitare il suo sguardo, visto che non volevo che il
respiro mi mancasse di nuovo o che mio padre trovandosi nei paraggi,
pensasse bene di uccidermi...
“Allora”
continuò lui. “Vuoi sederti o mangi in
piedi?”.
“Ok,
sediamoci” concessi e lo seguii fino, mi portò
vicino ad un tronco
caduto sulla spiaggia e ci sedemmo lì, fianco a fianco.
“Ti
piace?” chiese, visto che aveva già finito di
mangiare.
“Si,
molto” mormorai, guardando il mare.
“In
estate, potremmo fare il bagno” suggerì lui,
seguendo il mio
sguardo e non so perché ma quell'idea mi attirava
più del lecito.
“Si,
mi piacerebbe tanto”.
“Bella
presa” constatò lui, cambiando argomento
bruscamente.
“Non
l'ho preso!” mi giustificai. “Mi è
caduto tra le mani!”.
“Certo,
Nessie!” sghignazzò, scoppiando a ridere e io mi
dandogli un pugno
sulla spalla, mi girai di nuovo verso il mare e mi persi tra le onde
del mare, lasciando che i miei pensieri si infrangessero tra gli
scogli proprio come quelle onde, anche se i miei pensieri non si
infrangevano e non scomparivano come le onde, tornavano indietro e
continuava a perseguitarmi.
“Nessie!Nessie”
fu la vocina di Claire a interrompere i miei pensieri.
“Claire,
dov'è Quil?” chiese Jacob.
“Non
lo so” mugugnò lei. “Vuoi
giocare?”.
“Claire,
Nessie sta mangiando” intervenne Jake e la piccola lo
guardò con
due occhietti lucidi che avrebbero sciolto anche la pietra, ma Jacob
era più deciso che mai e non gliela diede vinta.
“Claire!”
urlò Quil, arrivando di corsa e con due occhi
allarmatissimi, come
se non la vedesse da anni.
“Non
preoccuparti” risposi io. “Era qui con
noi”.
“Sai,
che non devi allontanarti!” la sgridò lui, senza
neanche prendermi
in considerazione.
“Voglio
giocare con Nessie!” urlò lei, con l'aria di chi
non avrebbe mai
ammesso di essere nel torto.
“Andiamo
calmatevi” intervenni di nuovo. “Claire, andiamo a
giocare in
spiaggia”.
“Non
allontanatevi!” esclamarono in coro Jacob e Quil.
“Non
preoccupatevi” risposi sarcastica. “Non ho ancora
intenzione di
fuggire a nuoto nell'oceano”. Claire scoppiò a
ridere, mentre mi
tirava verso la spiaggia e cominciava a schizzarmi l'acqua,
inzuppando il suo vestitino rosa a campana e le sue scarpette
abbinate. Mi divertivo con lei, mi sentivo davvero spensierata ed era
facile lasciarsi andare con il suono del mare, con il senso di
infinito e di finito che nello stesso tempo riusciva a trasmetterti.
Non so quanto tempo passai a giocare tra le onde, so solo che la
prima volta che guardai l'orologio fu quando ci raggiunse Emily.
“Hey,
ragazze!” esclamò, avvicinandosi.
“Ciao,
Emily” le risposi, avvicinandomi, mentre Claire saltellava
allegra
in giro.
“Vi
state divertendo?”.
“Certo,
molto” risposi, entusiasta.
“Immagino”
concesse lei, guardandosi intorno. “Mi fa piacere che il
bouquet
l'abbia preso tu”.
“Oh,
ehm, grazie!” mormorai, arrossendo e mi chiesi quante volte
ancora
me lo avrebbero ricordato. Chiacchierai con lei ancora qualche
minuto, poi si allontanò visto che doveva tenere compagnia
anche
agli altri ospiti, io estrassi il cellulare dalla tasca e guardai
l'ora, erano le cinque, probabilmente tra qualche minuto saremmo
tornati a casa e lì non osavo immaginare cosa sarebbe
successo.
“Allora,
ti sei divertita?” mormorò Jacob, venendomi alle
spalle.
“Si
e tu?” chiesi, distrattamente.
“Avrei
preferito giocare io con te sulla spiaggia ma non si può
avere tutto
nella vita”. Non so cosa mi prese in quel momento, forse mi
era
rimasta la spensieratezza di Claire o il calore della sua pelle,
oppure il mare dietro di lui, ma alzai le mani sul suo petto e con
tutta la forza che avevo lo scaraventai in acqua, anche con l'aiuto
di uno sgambetto. Cadde all'indietro, alzando molta acqua e visto che
si era tolto la giacca la camicia si bagnò diventando quasi
trasparente e evidenziando i suoi addominali scolpiti, ma la cosa che
attirò di più il mio sguardo fu il sorriso
vendicatore che si
sorrise sul suo volto.
“E
questo lo avresti fatto, perché...?”.
“Per
farti risparmiare tempo, ora sei tutto bagnato, contento?”
sghignazzai.
“Non
era proprio questo che intendevo, ma...” interruppe la frase
e
prese a guardarmi maligno.
“Non
lo farai!” urlai, mettendomi a correre il più
lontano possibile
dalla spiaggia, ma lui era maledettamente veloce e mi
afferrò i
fianchi stando molto attento a bagnarmi tutta. Mi strinse forte e non
mi lasciò andare, finché il mio vestito non
iniziò a gocciale e
poi, appoggiando il mento sulla mia spalla, sussurrò:
“Ora va
meglio!”.
“E
ora questo come lo spiego a mio padre?!”chiesi, allarmata.
“Puoi
dire che è stata Claire” suggerì lui.
Gli lanciai
un'occhiataccia, chi si sarebbe bevuto una storia del genere, una
mezza”vampira che si faceva buttare in acqua da una bambina
di nove
anni?
“Nessie,
cosa hai combinato?” esclamò mia madre,
arrivandomi alle spalle e
Jacob mi lasciò subito andare.
“Ehm,
niente...sono caduta”balbettai, arrossendo.
“Caduta?”
domandò retoricamente, mia madre guardando Jacob, che
distolse
subito lo sguardo.
“Dov'è
papà?” chiesi per cambiare argomento.
“E'
andato a prendere la macchina” spiegò, tornando a
guardarmi. “Ho
pensato che se ti avesse vista, non avrebbe gradito molto”.
“Bella,
diventa sempre più saggia” rise Jacob.
“E' una cosa da
vampiri?”. Mia madre lo fulminò con lo sguardo, ma
lui non perse
il suo sorriso ed aggiunse: “Vado a prendere la giacca, non
ti
dispiace se rimango a cena vero?”. Lei non rispose, ma Jake
non se
ne curò molto, le diede le spalle e andò a
riprendersi la giacca,
che aveva lasciato sul ramo di un albero.
“Non
devi prendertela con lui” mormorai. “E' colpa
mia”.
“Hai
idea di come ha reagito tuo padre?” mi chiese, fissandomi.
“Non
l'ho fatto apposta” spiegai, girandomi verso Jake.
“Ci
mancava!” sibilò con molta, troppa
acidità nella voce.
“Non
è colpa mia, se non sono neanche libera di
pensare!” urlai,
infuriata. Lei non rispose, ma continuò a fissarmi
arrabbiata, io le
diedi le spalle e mi allontanai da lei, sibilando: “Vado da
Jacob”.
Credevo che mi avrebbe fermato, invece semplicemente rimase
lì
impalata a guardare il mare, forse avevo esagerato, ma avevo solo
detto la verità, le avrei parlato la sera stessa appena
Jacob fosse
tornato a casa, non sapevo se mi avrebbe capito o se si sarebbe
arrabbiata ancora di più, ma non importava...dovevo dirle la
verità,
dovevo sentirmi in pace con me stessa.
“Andiamo?”
chiesi a Jacob, arrivandogli alle spalle.
“Si”
rispose e mi affiancai a lui, mentre tornavamo sulla spiaggia.
“Ora
puoi dirmi a cosa stavi pensando?” domandò,
distrattamente.
“E'
così importante?” sbuffai.
“Se
sei arrivata a litigare con Bella, si!” constatò
lui.
“Hai
sentito?” chiesi, sorpresa.
“Certo”
rispose, ridendo. Intanto, eravamo arrivati da mia madre, che era
rimasta impalata lì e fissava un gabbiano che aveva appena
afferrato
un pesce, almeno dava l'impressione di osservarlo.
“Andiamo,
Bells?” chiese Jacob, noncurante.
“Si”
rispose lei e si avviò verso la macchina che mio padre aveva
fermato
poco distante. Io e Jacob la seguimmo in silenzio ed entrambi
fissavamo la volvo metallizzata, mia madre aveva già
salutato per
tutti quindi non potevamo neanche perdere tempo così, non
volevo
entrare in quella macchina, soprattutto con l'umore che si ritrovava
mio padre. Mia madre si infilò subito al posto del
passeggero,
probabilmente aveva paura che lui dicesse di nuovo a Jacob di sedersi
avanti e quando entrammo anche noi, lei gli prese la mano per
rassicurarlo, ma non bastò...
“Che
avete combinato?!” ringhiò.
“Non
devo spiegazioni a te, succhiasangue!” lo liquidò
in fretta Jacob.
“Niente”
spiegai con calma. “Sono solo caduta”.
“Da
sola?” chiese, sempre più irritato.
“No”intervenne
mia madre. “Stavamo giocando...l'ho spinta io...”.
Mio
padre alzò un sopracciglio guardandola e io cominciai a
pensare alla
scena di me e mia madre che giocavamo sulla spiaggia, con un
brillante finale: io che cadevo in mare e lei che se la rideva. Non
so se mio padre ci credette o meno, ma sembrò calmarsi, mia
madre
stava decisamente migliorando come bugiarda, meglio così mi
aveva
evitato un'altra discussione, dovevo ricordarmi di ringraziarla...Il
viaggio, come all'andata, non durò molto, l'aria era molto
meno tesa
e molto più respirabile, nessuno mi fissava e i miei
genitori si
tenevano ancora per mano. Quindi ebbi tutto il tempo per pensare,
dovevo decidere in fretta cosa dire a mia madre, sapeva già
cosa era
successo, ma non sapevo se si fosse offesa per la mia risposta.
Probabilmente, mi avrebbe chiesto da dove fosse uscito quel pensiero,
ma a quella domanda non avrei saputo rispondere neanche io, era
successo tutto così in fretta che non me ne ero neanche
accorta,
come quando guardando un oggetto pensi subito ad un aggettivo da
dargli oppure quando ti fanno arrabbiare e gli rispondi senza
pensarci. Secondo questo ragionamento pensavo che Jacob fosse
bellissimo, cosa che non avevo mai negato, ma che sicuramente non
avevo neanche mai pensato. Cosa era cambiato in lui? Cosa aveva ora
in più? Perché tutto ad un tratto mi aveva fatto
pensare che fosse
bellissimo? Forse era lo smoking che gli donava particolarmente o
l'aria accigliata che aveva in quel momento? E perché anche
dopo non
riuscivo più a guardarlo negli occhi o a considerarlo il mio
amico
di sempre? Una risposta balenò nella mia testa,
un'intuizione
piccola come una scintilla, istintivamente mi voltai verso di lui che
guardava fuori, mentre continuava a fluttuarmi in testa
quell'ipotesi, era possibile? Si, lo era. Non era lui ad essere
cambiato e neanche il mondo intorno a me, l'unico cambiamento che era
avvenuto era dentro di me, ero cambiata io e non si poteva
più
tornare indietro...
“Finalmente!”
esclamò Jacob, quando mio padre fermò la macchina
e facendoci
scendere, ripartì a tutta forza. Jake si
incamminò subito verso
casa, ormai era come entrare a casa sua, gli mancavano solo le
chiavi.
“Mamma?”
mormorai.
“Ne
parliamo dopo” rispose lei, fredda come un pezzo di ghiaccio.
Entrammo in casa e lei si diresse subito in cucina, dicendo:
“Oggi
preparo io da mangiare”. Si mise ai fornelli e
cominciò a
prepararci la cena mentre io e Jake, seduti al solito posto, ce ne
stavamo in silenzio. Quando tornò mio padre si
fermò sul ciglio
della porta, senza fare troppi commenti. Preparò una cena
veloce,
che noi mangiammo ancora più velocemente.
“Ehy,
Nessie, vuoi cacciarmi stasera? Non hai mai mangiato così
velocemente!”sghignazzò Jacob.
“Sarebbe
ora” si lamentò mio padre.
“Credo
che resterò qui ancora un po'“ rispose lui,
adagiandosi comodo
sulla sedia.
“Ma
non ce l'hai una casa tu?” chiese mio padre, esasperato.
“Ci
sono appena stato” constatò Jake.
“Allora
perché non ci torni?” intervenne mia madre.
“Calmati,
Bells! Stiamo solo scherzando. Vero, succhiasangue?”.
“Si,
amore” rispose mio padre, avvicinandosi a lei e cominciando a
baciarle i capelli.
“Bleah!”
esclamò Jacob. “Forse sarà meglio che
vada!”.
“Era
ora” commentò mio padre.
“Ti
accompagno” mormorai, alzandomi e aspettandolo sul ciglio
della
porta.
“Ah,
Bells!” la chiamò di nuovo, prima di uscire.
“Cosa
c'è ancora?”.
“Lui
cucina meglio di te!” urlò, scappando fuori e lo
seguii, così mi
persi la reazione di mia madre. Ci fermammo come al solito fuori alla
porta di casa mia e lui mi guardò con quei due occhi grandi.
“Allora
non vuoi proprio dirmi cosa è successo?”
sussurrò.
“E'
così importante?”.
“Sono
solo curioso” rispose, sorridendomi.
“Mi
dispiace, Jake” mormorai, abbassando lo sguardo.
“Ma ora non
posso proprio dirtelo”. Lui non rispose, così fui
costretta ad
alzare lo sguardo e lo fissai negli occhi, non erano arrabbiati erano
solo pensierosi e continuò a guardarmi ancora per qualche
secondo,
prima di sorridere e dire: “Non preoccuparti, lo
scoprirò prima o
poi!”. Poi si calò su di me e quella sera fu lui a
baciarmi sulla
guancia e lasciarmi lì mezza stordita, prima di correre
nella
foresta, augurandomi la buona notte. Feci un respiro profondo, ormai
era buio pesto e avevo ancora una cosa da fare, prima di permettere a
quella giornata di finire per sempre. Entrai in casa e trovai mia
madre ad aspettarmi sul ciglio della porta della cucina, senza dire
niente andai in camera mia e lei mi seguì senza fiatare. Mi
sedetti
sul letto e la guardai aspettando che facesse lo stesso, ma rimase
lì
impalata in mezzo alla stanza, dopo essersi chiusa la porta alle
spalle. Non disse niente e rimase a fissarmi, probabilmente attendeva
che parlassi io e così decisi di togliermi subito quel nodo
dalla
gola.
“Credo
di doverti delle scuse” mormorai.
“Credi?”
rispose lei, fredda.
“Scusa”
sussurrai. Calò il silenzio, non sopportavo quella tensione,
così
la guardai, ma non mi stava fissando guardava fuori dalla finestra e
si mordeva il labbro nervosa, forse cercava qualcosa da dire.
“Mamma?”
iniziai. “Io...io non so che mi è preso...non
volevo”balbettai.
“Lo
so” rispose, risoluta. “Ti piace?” chiese
improvvisamente,
prendendomi alla sprovvista.
“Cosa?!”
esclamai, sorpresa. Lei sorrise e si sedette sul letto di fronte a me
e guardandomi negli occhi, continuò a parlare. “Ti
piace? Come
ragazzo intendo”.
“Mamma,
non lo so” ammisi. “Sono confusa”. Ora
ero io a guardare la
finestra cercando qualcosa da dire, ma non sapevo proprio cosa
risponderle, non avevo messo in conto una domanda del genere.
“Certo,
è un bel ragazzo” constatò.
“Non
l'ho mai visto come un ragazzo” confessai. “Solo
come un amico”.
“Stai
crescendo” sentenziò lei.
“Succede...”.
“Mamma,
non mi sono presa una cotta per Jacob” mormorai.
“Nessie,
ora sei confusa” rispose lei. “Ne riparliamo quando
avrai le idee
più chiare”.
“E
se fosse?” chiesi, guardandola.
“Cosa
c'è di male?”.
“Papà
è alquanto...geloso” sentenziai.
“Non
preoccuparti” sorrise lei. “Non ti
metterà i bastoni fra le
ruote”.
“Se
lo dici tu” mormorai. Lei mi si avvicinò e mi
posò una mano sulla
guancia sorridendo. “Ora dormi”. Mi allungai verso
di lei e le
diedi un bacio sulla guancia, sussurrandole: “Buona
notte”. Lei
si alzò e sorridendomi ancora, uscì dalla stanza
chiudendosi la
porta alle spalle. Rimasi seduta in mezzo al letto con la luce fioca
della luna che mi illuminava solo la metà del viso, mi girai
verso
il mio comodino dove c'era la cornice che mi aveva regalato il mio
Jake. La presi tra le mani e con il dito seguii il contorno
irregolare di un disegno che vi era inciso, poi guardai la foto e
fissai il volto di Jacob e il mio. C'era qualcosa di diverso in
quella foto, qualcosa che non rispettava più la
realtà, io ero
cambiata e non solo fisicamente, forse mi stavo davvero innamorando
di lui, ma non poteva essere! No, dovevo esserne sicura prima di fare
certe affermazioni. Rimisi la cornice al suo posto e poi, indossai il
pigiami e mi infilai nel letto. Non riuscii a prendere sonno subito,
avevo un chiodo fisso che non ne voleva sapere di lasciarmi in pace.
Forse mi stavo davvero innamorando di Jacob, non era mai stato un
semplice amico e lo sapevo bene, ma non avevo mai voluto ammetterlo a
me stessa, io e lui eravamo legati da una legame speciale, quasi
magico e niente avrebbe mai potuto spezzarlo. Allora era destino? Il
mio destino che era già stato scritto, che non potevo
cambiare, che
non volevo cambiare. Se il destino esisteva e se il mio era
già
scritto, in un modo o nell'altro, Jacob ne sarebbe stato parte e non
importava se era come fratello, come amico o come qualsiasi altra
cosa lui volesse essere per me. Ci sarebbe stato e niente me lo
avrebbe portato via, forse non era tanto male l'idea...forse ero da
sempre innamorata di lui...faceva parte di me e io parte di lui. La
mia stella polare stava pretendendo un posto più importante
nel mio
cielo, voleva essere il mio sole, la mia guida o forse ero io che lo
volevo. No, poi non era così una cattiva idea...innamorarsi
di
Jacob. No, non lo era affatto...
NDA: spero che il capitolo vi piaccia ^^ purtroppo
non potrò pubblicare per le prossime due settimane visto che
non ci sono... ricomincerò appena torno!! Intanto leggetelo
e fatemi sapere se vi piace :D grazie!! e buona lettura ^^
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Capitolo 7 *** Preoccupazioni ***
Capitolo
7: Preoccupazioni
Erano
passati mesi dal matrimonio di Sam ed Emily, non erano cambiate molte
cose dall'ora, i miei pensieri su Jacob non era cambiati, cercavo di
guardarli da diversi punti di vista per capire bene i miei sentimenti
verso di lui. Intanto, mio padre ci si era abituato e non mostrava
più alcuna reazione, anche se avevo il sospetto che si
tenesse tutto
dentro e che prima o poi sarebbe scoppiato. Durante questi mesi ero
cresciuta ancora, anche se sempre più lentamente, ormai ero
quasi
adulta, mancavano solo alcuni mesi prima che la mia crescita
terminasse del tutto. Quel giorno ero sola in casa, i miei genitori
erano stati invitati al matrimonio di una loro vecchia amica umana.
Con i mesi se ne andarono anche l'inverno e la primavera, ora
l'estate imperversava e il sole si vedeva molto più spesso,
per
quanto si potesse vedere a Forks. La foresta aveva perso quel suo
alone incantato che gli conferiva la neve, ora era viva e
verdeggiante. Anche se la foresta era sveglia e il sole giocava
già
sui vetri della mia finestra, non avevo alcuna voglia di svegliarmi,
visto che i miei genitori non c'erano avevo deciso di godermi qualche
ora in più di sonno, anche se mi sembrava strano che mio
padre mi
avesse lasciata da sola. Ma in quei momenti di dormiveglia non ci
avevo fatto troppo casa, presa più che mai da un sogno che
aveva
tutta l'aria di essere bellissimo.
“Nessie!”
mi chiamò una voce che non riconobbi e che
disturbò il mio sogno,
ma non riuscì a svegliarmi, anche perché non
capivo se era reale o
faceva parte del mio sogno.
“Nessie!”
esclamò di nuovo la voce, disturbando notevolmente il mio
sogno,
così stizzita cercai di allontanarmi da lei, chiunque fosse,
continuando a godermi il mio sogno.
“Andiamo,
Nessie!” sbuffò ancora, scuotendomi piano per un
braccio. Il mio
meraviglioso sogno andò in frantumi, non c'era
più niente, neanche
un appiglio per cercare di farlo tornare, niente. Al suo posto una
rabbia ceca, com'era possibile che dovevano svegliarmi ogni mattina?
A chiunque appartenesse quella voce, mi avrebbe sentita, eccome se mi
avrebbe sentita. Con un movimento improvviso mi misi a sedere sul
letto e mi girai verso la fonte della voce dicendo, mentre aprivo gli
occhi: “Lasciami in p...”. Mi bloccai a
metà frase, a fermarmi i
due grandi occhi neri di Jacob che mi fissavano divertiti,
lasciandomi senza fiato per un attimo...
“Jacob!”
esclamai.
“Chi
credevi che fossi?” sghignazzò.
“Stavo
dormendo!” mi lamentai, cambiando argomento.
“Non
è colpa mia!” si giustificò alzando le
mani. “Me l'ha detto tua
madre!”. Gli lanciai un'occhiata scettica e lui con aria
superiore
mi diede un biglietti scritto a mano che diceva:
“Tesoro,
siamo al matrimonio. Verrà Jacob a svegliarti, ci vediamo a
casa di
Carlisle, oggi pomeriggio.
Ti
voglio bene, mamma.”
Gli
ridiedi il bigliettino con un moto di rabbia e lui lo posò
di nuovo
sul comodino, poi con un sorriso, disse: “Dovresti essere
felice!”.
“Perché?”
chiesi, curiosa.
“Ti
ho svegliato io!” constatò. A quel punto, la
vecchia Renesmee gli
avrebbe risposto per le rime, come fa un'amica e saremmo scoppiati
insieme in una sonora risata, invece non ebbi il coraggio di dire
niente, rimasi a guardare i suoi occhi neri e sorrisi.
“Dobbiamo
andare a casa di tuo nonno” mi informò, sorridendo.
“Si”
acconsentii. “Vado a prepararmi”.
“Ti
aspetto in salotto” rispose, alzandosi e dirigendosi in
salotto.
Rimasi un attimo seduta sul letto imbambolata, cercando di riprendere
aria, dovevo smetterla di farmi mancare il respiro ogni volta che mi
guardava, rischiavo di svenire. Dopodiché mi alzai e aprii
l'armadio
per vestirmi, optai per un t”shirt rossa e il solito jeans,
che non
poteva mai mancare. Quando ebbi finito mi diressi in salotto, dove
Jacob stava guardando la TV, come fosse casa sua.
“Hai
fame?” chiesi, anche se era una domanda scontata.
“Certo!”
scattò, alzandosi dal divano e dirigendosi in cucina e
sedendosi
sulla sedia, che ormai era diventata sua. La solita tazza di latte
con dei biscotti mi sembrava banale e non ne avevo neanche voglia,
così decisi di provare a cucinare delle uova all'occhio di
bue, come
le faceva mio padre, dopotutto avevo visto mio padre farlo milioni di
volte, potevo imitarlo senza problemi.
“Che
stai facendo?” chiese Jacob, preoccupato, mentre prendevo la
padella.
“Le
uova all'occhio di bue” spiegai.
“Vuoi
una mano?” domandò, guardandomi.
“Non
ti fidi?” domandai di rimando.
“Non
vorrei dover pagare la casa al succhiasangue!”
sghignazzò.
“Allora,
perché non mi aiuti?”.
“Meglio
di no” concesse. Allora, continuai a cucinare, conservando il
sorriso che Jacob, come sempre, riusciva a far nascere sul mio volto.
Contro ogni pronostico, le uova vennero bene e non le bruciai
neanche, anche il mio lupo gradì, infatti non disse niente e
non
trovò nessun appiglio per prendermi in giro. Quando finimmo
misi i
piatti in lavastoviglie e poi mi diressi in bagno per lavarmi e
quando ebbi finito, tornai in salotto, dove trovai Jake sul ciglio
della porta della cucina ad aspettarmi, sorridendo.
“Allora”
esordì. “Andiamo?”.
“Certo”
esclamai, affiancandolo.
“Andiamo
a piedi o prendo la moto?”.
Ci
pensai su un attimo e poi convenni per la passeggiata.
“Meglio a
piedi”.
“Bene”
concordò lui. “Meglio così”.
“Perché?”.
“Così
stasera mi fermo a mangiare da te” ammiccò.
“Tanto
lo fai sempre!” puntualizzai.
“Lo
dici come se ti dispiacesse” constatò.
“Tutt'altro!”
esclamai, sorridendogli e dirigendomi fuori casa mia. Iniziammo a
passeggiare, non avevo voglia di correre o di affrettarmi, la
giornata era lunga, il sole splendeva e gli uccellini cantavano, il
senso di pace che dava la foresta era impagabile e non avrei voluto
rovinarlo con la mia corsa. Poi, camminare al fianco del mio lupo era
davvero piacevole, lui era silenzioso quanto me, quindi non riuscivo
a sentirlo, ma la sua presenza era inconfondibile e stare con lui da
sola, mi piaceva. Per una volta, non dovevo preoccuparmi di censurare
i miei pensieri per non far del male a mio padre e scatenare in lui
reazioni inconsulte, potevo essere me stessa e potevo ammirarlo senza
che nessuno mi sentisse, per una volta i miei pensieri sarebbero
rimasti tali, segreti ed inviolati. Jacob aumentò il passo,
fino ad
affiancarsi a me e poi allungò la mano e presa la mia, non
dissi
niente, mi piaceva e non volevo rovinare quel momento, così
gli
strinsi la mano e continuai a camminare come se nulla fosse.
“Oggi
è proprio una bella giornata per i canoni di Forks,
vero?” chiese.
“Si,
hai ragione” acconsentii.
“Beh,
tra poco finiranno” sbuffò.
“Perché?”
domandai, curiosa.
“Inizia
la scuola!” mi ricordò, portandomi indietro di
qualche mese...
Era
un giorno come tanti altri e la mia famiglia compreso Jacob era
riunita nel salotto di casa mia, così decisi di fare a mio
padre la
domanda cruciale.
“Papà”
lo avevo chiamato.
“Si?”
aveva risposto lui, attirando anche l'attenzione di mia madre e Jake.
“Sai,
pensavo che visto che la mia crescita è quasi finita a
settembre
potrei iniziare la scuola”. Era rimasto in silenzio per
qualche
secondo e ne Jacob ne mia madre avevano avuto il coraggio di
interromperlo, finché non parlò lui.
“E
quale scuola ti piacerebbe frequentare?” aveva chiesto, un
po'
teso.
“Penso
che quella di Forks vada più che bene!” avevo
risposto con molta
speranza nella voce, visto che stava prendendo in considerazione
l'idea.
“Nessie,
non lo so” esordì.
“Perché?”
chiesi, un po' delusa.
“Tu...da
sola...”balbettò.
“Si,
che paura! Potrei inciampare e finire a faccia a terra!”
esclamai
con molto sarcasmo.
“Non
è questo” rispose, ridendo. “Sono solo
preoccupato”.
“Di
cosa?”.
“Sei
hai solo la metà della sfortuna di tua madre, c'è
da preoccuparsi
eccome!” sghignazzò e mia madre, facendogli una
smorfia, rise con
lui.
“Quindi?”
chiesi, spazientita.
“Non
puoi andarci da sola” sentenzio.
“Non
ho bisogno della scorta!” gli ricordai.”So badare a
me stessa!”.
“Non
lo mai messo in dubbio!” puntualizzò lui.
“A
me non sembra” constatai.
“Qualcuno
dovrà venire con te” decise.
“Chi?”
chiesi, scettica.
“Non
lo so” rispose. Restammo qualche minuto in silenzio, ognuno
immerso
nei propri pensieri, sapevo che non me l'avrebbe mai data vinta, ma
io non avrei ceduto, volevo andare a scuola, volevo avere una vita,
non volevo dipendere sempre dalla mia famiglia, avevo il diritto di
farmi una vita e poi vivere sempre in casa o nella foresta non era
proprio il massimo.
“Posso
farcela benissimo da sola” sbuffai.
“Non
credo proprio” mi rispose lui, sorridendo.
“Ma,
Edward, tutti noi siamo stati a quella scuola troppo poco tempo fa.
Gli insegnanti, le segretarie, potrebbero essere ancora gli stessi.
Come giustificheresti la nostra presenza lì?”
intervenne mia
madre, lasciandolo completamente senza parole, anche se sapevo che la
soluzione per lui era semplice, niente scuola. Avrei dovuto aspettare
uno di loro o avremmo dovuto cambiare città...
“Ci
andrò io” si offrì Jake,
improvvisamente, attirando su di se
tutti i nostri sguardi.
“Non
se ne parla” rispose mio padre, secco.
“Perché
no, Edward?” intervenne mia madre. “Non
è mai stato a scuola e
poi non ha mai finito il liceo”.
“Non
hai mai finito il liceo?” sghignazzai, girandomi verso di
lui, che
si trovava al mio fianco.
“Ehy!
Qualcuno doveva pur occuparsi di te” esclamò,
sorridendomi e io
ricambiai. “Da che pulpito viene la predica!”
continuò,
imperterrito. “Non hai mai frequentato un anno di
scuola!”.
“Si,
ma ne so più di te” risposi, pronta.
“Questo
è poco ma sicuro” intervenne mio padre, prima che
Jacob gli
rispondesse parlai io.
“Per
me va bene” feci notare a mio padre.
“Per
me no!” scandì le parole una a una.
“Perché
no?” chiese Jacob.
“Io
credo sia un'ottima idea” intervenne mia madre e lei e mio
padre si
guardarono attentamente per qualche minuto finché lui,
sospirando,
disse: “Va bene, ma vengo a prenderti io sia all'andata sia
al
ritorno”.
“Perché?”
chiedemmo io e Jacob in coro.
“Nessie
forse per il primo periodo è meglio che sia
così” intervenne mia
madre, con una supplica muta negli occhi.
“Va
bene”. Mi arresi a quella prospettiva, almeno sarei andata a
scuola
con Jacob e avrei potuto accontentare anche mio padre, facendomi
venire a prendere. Mentre mi perdevo nel mio flashback, il mio lupo
era immerso nei suoi pensieri, stringendomi ancora la mano,
probabilmente a lui la prospettiva di andare a scuola non piaceva
molto, mentre io non vedevo l'ora, conoscere nuove persone, fare
nuove esperienze erano cose che avevo desiderato da tutta la vita.
“La
scuola di Forks non mi è mai piaciuta!”
esclamò, improvvisamente.
“Perché?”
chiesi, curiosa.
“Troppi
visi pallidi! Come quel Mike Newton!” constatò.
“Lo
conosci?”.
“Andai
con lui al cinema con tua madre” sghignazzò.
“Perché
ridi?”.
“Andammo
a vedere un horror” iniziò a spiegare.
“E lui uscì dalla sala
per vomitare”.
“Davvero?”
risi.
“Si
e poi disse che era per la febbre!”.
“Quanto
tempo fa è successo?” domandai.
Lui
si rabbuiò un attimo e cominciò a guardare oltre
gli alberi, in un
punto non precisamente definibile. “La sera prima della mia
trasformazione...”.
“Davvero?”.
“Si”
mormorò, continuando a guardare lontano.
“Come
è stata?” chiesi. “La trasformazione
intendo”.
Ci
penso un attimo, nei suoi occhi neri si vedevano le parole che
cercava per spiegarmelo. “Confusa”
balbettò. “Sentivo le voci
che mi spiegavano tutto, molto diversa da quella dei
vampiri”. La
conversazione finì li, avevo tantissime altre domande da
fargli,
curiosità che avrei dovuto soddisfare, ma preferii non
chiedergli
più niente, non volevo turbarlo ulteriormente,
così cambiai
argomento.
“Comunque
hai scelto tu di venire a scuola con me” gli ricordai.
“Solo
per farti contenta” puntualizzò.
“No”
risposi. “Tu sei iperprotettivo almeno quanto mio
padre”.
“Non
ti avrebbe mai lasciato andare da sola” spiegò.
“Forse”
acconsentii.
“Dovresti
almeno ringraziarmi” sghignazzò.
“Non
credo proprio!” esclamai. “Sai che scocciatura
averti sempre trai
piedi!”.
“Ah,
è così?” rise. “Inizia a
correre!”. Senza guardarlo, lasciai
la sua mano e cominciai ad allontanarmi, corsi nella foresta sentendo
Jacob a qualche metro da me. Ormai, il sole era stato ricoperto dalle
nuvole, dopotutto cosa mi potevo aspettare da Forks? Quindi, la
foresta era in uno stato di penombra, che però non dava
nessun
fastidio ai miei occhi, vedevo benissimo. Cercai di allontanarmi il
più possibile da Jacob, ma il lupo era maledettamente veloce
anche
da umano e sentivo i suoi ringhi scherzosi dietro la schiena.
“Tanto
non mi prendi!” urlai.
“Questo
è tutto da vedere!” ribatté,
accelerando, pericolosamente, il
passo. Continuai a correre, cercando un modo migliore per seminarlo,
così che potessi averla vinta, anche se non era
così facile fargli
perdere le mie tracce, anzi era molto deciso a prendermi. Cominciavo
a sentire le sue mani a qualche centimetro dalla mia schiena, era
troppo troppo vicino, allora raccolsi tutte le mie forze nella punta
dei piedi e saltai, allontanandomi di qualche metro e continuai a
correre, finché non sparì alla mia vista. Quando
non lo sentii più
correre mi fermai, mi ero allontanata parecchio, non ero mai stata in
quel tratto di foresta. Conoscendo il mio lupo era in agguato da
qualche parte, pronto a saltarmi addosso appena avessi abbassato la
guardia. Cominciai a passeggiare verso casa Cullen, guardandomi
intorno e scattando ad ogni passo o rumore che sentivo. I miei sensi
da vampiro erano concentratissimi e scrutavo la foresta cercando il
mio lupo, che a quanto pareva era molto bravo a giocare a nascondino.
Ad interrompere il mio gioco fu un odore, un odore pungente, che mi
era familiare eppure che non sentivo da tempo. Istintivamente,
cominciai a seguirlo, cercando di scavare nella mia mente dove lo
avessi sentito, aveva una fragranza delicata che mi tentava, sapeva
di...sapeva di...sangue! Dietro ai cespugli scorsi una figura umana,
distesa immobile, coperta di fango e sangue, bianca come i vampiri,
con gli occhi chiusi. Mi avvicinai, era un ragazza dai capelli biondi
e il suo addome era squarciato, come se qualcuno lo avesse preso a
morsi. Successe tutto in un secondo, mi trovai a combattere con me
stessa, la mia parte umana che mi implorava di allontanarmi da
lì,
mentre la mia parte più mostruosa, quella da vampira, mi
diceva di
affondare i miei denti nella gola di quella ragazza. Rimasi immobile,
mentre le due metà di me si scontravano, combattevano e
cercavano di
prendere il sopravvento l'uno sull'altro, l'angelo e il diavolo si
affrontavano dentro di me, mentre io rimanevo ad aspettare, mentre
quell'immagine si imprimeva per sempre nella mia mente. Quando la
guerra dentro di me finì e una delle mie parti
vinse...urlai. Non
avevo mai gridato così forte, non avevo mai sentito la mia
voce
alzarsi così violentemente verso il cielo e squarciare
l'equilibrio
che vi si trovava lì, ma soprattutto non avevo mai sentito
la
foresta svuotarsi sotto le mie urla disumane. Non riuscivo
più a
muovermi. Non capivo niente. Non vedevo nient'altro a parte il
cadavere, i suoi lividi su tutto il corpo, il suo ventre tumefatto,
squarciato come se qualcuno lo avesse preso a morsi e le sue gambe
afflosciate, aperte in modo del tutto innaturale, come se fossero
staccate dal resto del corpo. Sapevo che non avrei dovuto rimanere
lì
a guardarla, sapevo che mi avrebbe torturata per troppo tempo, ma ora
che la mia parte da vampira era stata messa a tacere, non avevo
più
la forza di muovermi. La mia debole e ipersensibile parte umana
riusciva solo a piangere ed urlare, solo ad aspettare che qualcuno la
salvasse, mentre quell'immagine si imprimeva nella mia testa. Per un
attimo infinito, non cambiò nulla, rimasi immobile a
piangere e a
fissare la figura morta della ragazza, mentre cercavo di spiegarmi
perché quell'immagine era così familiare, mentre
la foresta
continuava a tacere, spaventata a morte. A salvarmi arrivò
il mio
lupo, che prontamente mi tirò a se, cercando di calmarmi,
quando
capì il motivo della mia crisi di pianto.
“Nessie,
calmati, va tutto bene!” mormorava tra i miei capelli.
“Va tutto
bene”. Rimasi a piangere sulla sua spalla nuda, mentre lui
continuava ad accarezzarmi i capelli e a cercare di calmarmi, neanche
lui sapeva cosa fare, così rimanemmo lì ad
aspettare che lui
trovasse una soluzione. Finché ad attirare l'attenzione del
mio lupo
fu l'arrivo imminente di due vampiri, avevano un odore familiare, ma
in quel momento non avrei riconosciuto nessuno, ero ancora troppo
scossa, l'immagine di quella ragazza trai cespugli mi ronzava nella
testa senza lasciarmi un attimo di pace.
“Cosa
è successo?” chiese Rose, arrivando.
“Cos'è
quest'odore di sangue?” domandò a sua volta Emmett.
“C'è
un cadavere” gli spiegò Jacob, con voce piatta,
indicandogli i
cespugli dove giaceva il corpo senza vita della ragazza. Emmett si
allontanò passandoci al fianco, mentre Rose mi si
avvicinò
preoccupata.
“Nessie,
come stai?”.
“Come
vuoi che stia!” esclamò Jacob, adirato.
“Non
lo chiesto a te!” sbraitò Rose.
“Io...io...
sto b..bene” mormorai, senza staccarmi da Jacob.
“Ora,
andiamo a casa, piccola” sussurrò mia zia,
accarezzandomi i
capelli. Intanto, Emmett tornò, parlando con mio nonno al
telefono.
“Si,
è impossibile che non senti l'odore” diceva.
“In
che condizioni è?” chiedeva mio nonno.
“Assomiglia
tantissimo a...”.
Rose
e Jacob lo interruppero subito, gridando:
“Emmett!”. Io alzai la
testa dalla spalla di Jacob e lo guardai, cercando di capire a chi
stava pensando, mentre Jacob e Rose continuavano a guardarlo
arrabbiati, ero io quella che non doveva sapere niente, ma
perché? A
chi assomigliava quella ragazza?
“E'
meglio se noi andiamo” disse Jacob a Rose.
“Vengo
con voi” rispose lei.
“Io
aspetto Carlisle” ci informò Emmett.
“Potrebbe aver bisogno di
aiuto”. Rose annuì e cominciò a correre
nella foresta, mentre io
un po' riluttante mi allontanavo da Jacob, per iniziare a correre, ma
lui non era molto d'accordo. Mi afferrò per le spalle in un
attimo,
non sentii più la terra sotto i piedi, mi ritrovai tra le
sue
braccia, con il suo viso a qualche centimetro di distanza, che mi
sorrideva.
“Non
preoccuparti” mormorò. “Ti porto
io”. Non gli risposi,
appoggiai la testa sulla sua spalla e cominciai ad ascoltare il vento
che ci soffiava addosso, mentre il mio lupo si faceva strada nella
foresta.
“A
chi assomigliava?” chiesi, riprendendo un po' di
lucidità.
“A
nessuno, Nessie” rispose subito.
“Allora
cosa stava dicendo Emmett?”.
“Niente,
stava parlando col dottore” mormorò, guardandomi.
“Come stai?”.
“Male”
sussurrai.
“Mi
dispiace, è tutta colpa...” cominciò,
ma lo fermai subito.
“No,
Jake, come facevi a saperlo”.
“Se
fossi stato più attento, ne avrei sentito l'odore”
spiegò.
“Non
potevi saperlo” risposi. “Non tormentarti, per
favore”.
Continuò a correre nella foresta, immerso nei suoi pensieri
e io nei
miei, a chi poteva assomigliare quella ragazza? E perché
nessuno
voleva dirmelo? Feci violenza su me stessa per riesumare
quell'immagine, per cercare di analizzarla in tutte le sue
caratteristiche e cercare di compararla a qualcuno, che molto
probabilmente, conoscevo bene. I lividi, le ossa rotte, la pelle
bianca, il lago di sangue che aveva un odore diverso dal suo, che non
le apparteneva, il suo ventre rigonfio in modo del tutto innaturale,
malato. Eppure l'espressione sul suo viso era...felice? Serena?
Contenta? Trionfante? Aveva vinto? Ma cosa? Era morta, cosa mai aveva
potuto vincere quella ragazza? Quale guerra valeva la sua stessa
vita? Forse il suo ventre non era malato, conteneva qualcosa? Era
incinta? Se era incinta dov'era il bambino? E chi lo aveva tirato
fuori a quel modo? Perché non le avevano permesso di
partorirlo
naturalmente? Rimasi a pensarci ancora, se era incita il bambino
doveva essere da qualche parte, invece lì vicino non avevo
sentito
la presenza di nessun altro essere, forse ero troppo scossa e
spaventata per avvertire la presenza di nessun altro, eppure avevo
sentito arrivare il mio Jacob e i miei zii. E...se... no, non era
possibile. Eppure...poteva essere che quel bambino si fosse fatto
strada da solo nel corpo della madre? Ma quale bambino era capace di
fare una cosa del genere? Forse lei era felice, perché,
anche se
solo per qualche secondo, gli era sopravvissuta, lo aveva visto, lo
aveva tenuto tra le braccia. Ma nessuno bambino umano era capace di
fare una cosa del genere, nessun bambino umano... e se quel bambino
non lo era? Chi diceva che quel bambino era umano? Forse... forse
era...un mezzo” vampiro!
“Jacob!”
esclamai, strappandolo ai suoi pensieri.
“Si?”
rispose lui, calmo.
“A...
mia madre!” singhiozzai, ricominciando a piangere.
“Quella
ragazza...”. Lui mi strinse a se protettivo, impedendomi di
continuare a parlare e ricominciando a cercare di calmarmi.
“No,
piccola, va tutto bene” mormorava. “Calmati, non ci
pensare”.
Non
risposi, lasciai che continuasse a consolarmi, stavo bene tra le sue
braccia, se non fosse per il mio umore a terra, sarei stata in
paradiso. Ma non riuscivo a non pensarci, l'immagine di quella
ragazza continuava a fluttuarmi in testa e non riuscivo a scacciarla,
più cercavo di mandarla via, più lei tornava,
più forte, più
prepotente e ogni volta mi ci voleva sempre più forza
d'animo per
scacciarla, finché non caddi in un dormiveglia che mi
salvò per un
po'. Ritornai in me, solo quando casa Cullen fece la sua comparsa,
tra gli alberi e Jake mormorò: “Siamo
arrivati”. Infatti, solo
dopo qualche secondo sentii la porta di casa Cullen aprirsi e mia
nonna mi venne incontro, baciandomi la fronte e dicendo a Jacob di
appoggiarmi sul divano. Rose era già lì e appena
il mio lupo mi
posò sul divano mi abbracciò, mentre lui si
sedeva al mio fianco e
io appoggiavo la testa sulla sua spalla. Mio nonno arrivò
con Emmett
verso l'ora di pranzo e venne subito da me.
“Come
stai?” chiese, premuroso.
“Meglio”
mormorai, con gli occhi pieni di lacrime.
“Forse
dovresti mangiare qualcosa” consigliò lui.
“No”
risposi, scuotendo la testa. “Non ho fame”.
“Allora
perché non provi a dormire?”.
Non
gli risposi, decisa a chiedergli quello che volevo sapere.
“Era
incinta vero?”.
Lui
mi guardò interdetto, mentre valutava l'idea di dirmi la
verità o
meno, poi guardandosi intorno, sospirò: “Si,
Nessie”.
“Di...un
mezzo”vampiro?” balbettai.
“Si”
annuì, preoccupato.
“E
il bambino...?”.
“Non
lo so, piccola, lì non lo abbiamo trovato”
spiegò.
“E...il
padre?” continuai a chiedergli.
“Neanche”
rispose. “Forse lo ha preso lui”.
“Jacob”
intervenne mia nonna. “Tu hai fame?”.
“No,
grazie” rispose lui, stanco.
“Tu
come stai?” chiese mio nonno.
“Bene,
dottore” rispose lui, stanco. Il resto del pomeriggio
passò
abbastanza in fretta, caduta in uno stato di semi”coscienza,
l'unica cosa che vedevo era l'immagine di quella ragazza che non
riuscivo proprio a scacciare, interrotta da sorrisi amichevoli, il
caldo emanato da Jacob ed un migliaio di occhi ambrati che mi
scrutavano preoccupati, mentre non riuscivo a fermare le lacrime che
ormai non erano più sotto il mio controllo, così
come il tremore
che ebbi dopo. Intanto, l'immagine della ragazza mi girava nella
testa, ancora e ancora, senza stancarsi ma stancando me,
però notavo
che ogni volta che la scacciavo e che lei ritornava era diversa,
qualcosa in lei stava cambiando, ma cambiava così piano che
non
riuscivo a capire dove volesse arrivare. Sapevo solo che stava
scavando dentro di me, come un tarlo, mi stava portando lontano nel
tempo, così lontano che i ricordi erano sfocati, ma almeno
erano
tutti felici. Ma dove stava puntando? Cosa voleva farmi ricordare?
Finché non arrivai ad un punto dove i ricordi, sotto forma
di
immagine, non c'erano più. Era pace,
tranquillità, finché non mi
manco l'aria, istintivamente mi allungai spezzando qualcosa...Il
ricordo si tagliò, visto che al centro c'era solo un lungo
momento
di agonia, in cui non riuscivo a respirare e scalciavo, spezzavo
tutto intorno a me eppure l'aria non arrivava, cominciai a farmi
strada con i denti, ma non trovavo niente, niente aria, mi sentivo
male, mi sentivo morire. Poi, davanti a me altri denti, denti adulti
non come i miei e quando loro scomparirono, vidi la luce. Una stanza
bianca e davanti a me un vampiro, bello, bello come un dio, ma mi
guardava stanco. Io ero scioccata, facevo respiri veloci, ero viva,
non riuscivo a crederci. Mentre guardavo questo ricordo, non riuscivo
a collocarlo nel tempo, non riuscivo a capire a quanto tempo fa
risalisse. Poi, il vampiro mi diede ad una donna e quando la guardai
capii tutto, era il mio parto e quell'umana era mia madre...Aprii gli
occhi, non volevo ricordare, non volevo più guardarla,
perché
quell'immagine scavava in me come una pala. Quando ero nata era stata
solo felice di essere viva e di vedere la donna che avevo amato da
sempre, ma dopo lo scontro con i Volturi, avevo sentito parlare i
miei genitori del parto e mi ero sentita in colpa, non so
perché,
mia madre non mi aveva mai dato la colpa di niente, ma era come un
istinto per me, mi sentivo in colpa per quello che le avevo inflitto,
per averla costretta a cambiare per sopravvivermi, per la tortura che
le avevo provocato.
“Nessie,
stai bene?” mi chiamò mia nonna. La guardai,
stralunata, i tremori
erano aumentati e tutti mi guardavano preoccupati.
“Vuoi
un po' d'acqua, tesoro?” chiese, accarezzandomi una guancia.
Annuii
e rimisi la testa sulla spalla di Jacob e lui mi strinse forte,
mentre Rose continuava ad accarezzarmi i capelli. In quel momento,
entrarono i miei genitori e mia madre appena mi vidi,
esclamò:
“Renesmee, cosa è successo?”.
Mi
fiondai tra le sue braccia, urlando: “Mamma!”. Lei,
anche non
sapendo cosa era successo, mi cullava e cercava di consolarmi, mentre
mio padre leggeva nella mente di tutti cosa era successo e ne restava
pietrificato.
“Perché
non andiamo a casa, così puoi riposare?” mi chiese
mia madre,
guardandomi.
“No,
mamma. Non voglio andare a casa” risposi senza dare
spiegazioni, ma
non volevo tornare nella foresta, sapevo che il cadavere non c'era
più, ma ora non ce la facevo proprio a tornarci.
“Va
bene, amore. Perché non vai a dormire un po' di sopra? Ti
accompagno
io” consiglio lei, annuii con la testa, forse se mi fossi
addormentata per un po' non avrei più dovuto pensare a
quella
ragazza e a mia madre. Lei mi cinse un fianco e mi condusse nella
vecchia camera di mio padre, dove c'era una grande letto
matrimoniale, che aveva tutta l'aria di essere molto comodo.
“Cerca
di dormire un po'“ si raccomandò, prima di uscire
dalla stanza. Mi
stesi sul lato e mi resi conto di quanto ero stanca, così
addormentarmi non fu così difficile. Caddi in un sonno
profondo, per
fortuna senza sogni, così potei riposare in pace. Dopo un
po' però
cominciai a sognare, anche se non volevo, avevo paura di quello che
avrei potuto vedere. Mi ritrovai nella foresta a giocare con Jacob,
come quella mattina e proprio come quella mattina, mi allontanai da
lui e mi ritrovai in una foresta buia e subdola e fui costretta a
prepararmi alla scena che avrei visto tra poco. Ma qualcosa
cambiò,
non ero più nella foresta, ma soprattutto non ero
più me stessa,
ero una neonata ed ero tra le braccia umane di mia madre, che mi
sorrideva, dicendo: “Ti voglio bene, più della mia
stessa vita”.
Io le sorrisi a mia volta e poi alzandomi sulle mie deboli gambe da
neonata, anche se a quell'età non avevo mai avuto una forza
del
genere, e poi con un balzo, sentii i miei denti affondare nella sua
giugulare, mentre lei continuava a ripetermi che mi voleva bene
sorridendo. Era troppo, non potevo sopportalo. Urlai. Un urlo
così
forte che riuscì a svegliarmi e mi ritrovai sul letto con la
testa
tra le mani a piangere. In un attimo, la stanza di mio padre di
riempì, lui si sedette sul letto con me e prese ad
accarezzarmi i
capelli e io mi appoggiai a lui, continuando a piangere, mentre Jake
mi accarezzava le caviglie.
“Amore,
non è successo nulla. Era solo un incubo” mi
consolò mia madre,
ma non riuscivo a smettere di piangere.
“E’
stato orribile! Sapevo cosa aspettarmi ma invece è cambiato
tutto,
all’improvviso!” mormorai, scossa dai tremori.
“Perché
non torni a dormire? Sono sicura che non succederà
più nulla. Se
vuoi Jake può rimanere qui con te”
mormorò lei, accarezzandomi
una guancia. Jacob annuì e mi si avvicinò, mentre
i miei genitori
uscirono chiudendosi la porta alle spalle. Lui mi strinse a se forte
e cominciò, di nuovo, ad accarezzarmi i capelli.
“Va
tutto bene, piccola” mormorava. “Ora cerca di
dormire”. Mi
stesi sul letto, mentre lui continuava ad accarezzarmi la guancia e
così mi addormentai. Di nuovo un sonno profondo e di nuovo
sperai di
non sognare e quando mio padre mi prese in braccio, non mi svegliai
ma caddi in un tranquillo dormiveglia che mi impediva di sognare.
Rimasi così durante tutto il viaggio in macchina, ma quando
mio
padre mi portò nella mia stanza e mi mise sul letto,
coprendomi,
ricaddi nel mio sonno. Non so dopo quanto tempo, ma ricominciai a
sognare. Ero di nuovo nella foresta con Jacob, ma la foresta non era
buia, era identica a quella della mattina. Io e Jacob giocavamo
felici e io cercavo di allungare quel momento perché sapevo
come
andava a finire quella storia, per prevenire mi stavo già
preparando
a quello che inevitabilmente avrei dovuto vedere. Il sogno
andò
avanti e mi ritrovai da sola nella foresta, andando verso quei
cespugli contro la mia volontà e come avevo immaginato
dietro ai
cespugli c'era il cadavere. Mi avvicinai e capii subito che quello
non era il cadavere che avevo visto la mattina, era diverso, seppur
essenzialmente uguale. Mi avvicinai a quella figura e quando la
riconobbi rimasi pietrificata, era mia madre. Bianca, ricoperta di
lividi, il sangue che ancora le sgorgava dalla pancia malata e la
colonna vertebrale rotta, sembrava morta. Mentre cercavo di
svegliarmi e di uscire da quell'incubo, quella figura si mosse, a
fatica alzò la testa verso di me e mi guardò con
i suoi occhi umani
marrone cioccolato, come i miei, e poi, con la fronte imperlata di
sudore e i segni della gravidanza, mi sorrise, dicendo:
“Renesmee...sei bellissima”. Le stesse parole che
mi disse appena
nata, ma ora ebbero un altro effetto. Urlai, ma questa volta le mie
urla non bastarono a svegliarmi, continuavo ad avere davanti agli
occhi il suo viso sorridente e allo stesso tempo raccapricciante.
“Renesmee,
svegliati!” urlò mia madre e riuscii ad aprire gli
occhi e mi
ritrovai di fronte la mia famiglia, che mi guardava preoccupata.
“Mamma!”
esclamai piangendo, mentre guardavo gli occhi pieni di tormento di
mia madre.
“Sono
qui, amore” rispose mia madre, accarezzandomi.
“Jacob,
andiamo” sussurrò mio padre, uscendo dalla mia
stanza.
“Shh”
mormorò mio padre, facendosi seguire da Jake fuori la porta.
Ormai,
avevo smesso di piangere, anche se continuavo a tremare e guardavo
mia madre che stava decidendo cosa dire.
“Amore,
tu sai perché stai facendo questi incubi?” chiese,
diretta.
“No”
risposi, anche se lo sapevo, non volevo parlargliene, non ora almeno.
“Non
sei così facilmente impressionabile”
constatò. “e la cosa mi ha
lasciata interdetta fino a quando non ho assistito al tuo
sogno”.
Rimasi un attimo interdette, mia madre aveva assistito al mio incubo
e aveva capito tutto, dovevo aspettarmelo e ora dovevo dirle la
verità.
“Davvero?”
esclamai. “Mamma, mi dispiace per tutto quello che devo
averti
fatto passare! Non potevo immaginare...”.
Lei
mi posò subito due dita sulle labbra.
“Shh” iniziò. “Tu e tuo
padre siete la cosa migliore che mi sia mai capitata in vita mia e
valete tutte le sofferenze possibili. Renesmee, io ti ho sempre
amata, da quando ho saputo della tua esistenza. Ho combattuto contro
tuo padre, contro Jacob, con solo Rosalie dalla mia parte per tenerti
in vita. Tutti volevano che mi liberassi di te perché mi
stavi
uccidendo, ma io confidavo in tuo padre che mi avrebbe trasformato
nel momento del parto. Non ho mai lasciato che insinuassero il minimo
dubbio in me. Tu, il prodotto dell’amore che unisce me ed
Edward,
valevi più della mia stessa vita e questo sentimento non fa
altro
che crescere ogni giorno. Edward fece di tutto per dissuadermi,
chiedendo addirittura a Jacob di darmi un figlio, se avessi voluto,
ma una cosa non capiva: io volevo te e nessun altro. Anche lui,
però,
cominciò ad amarti quando riuscì a sentire i tuoi
pensieri. Ricordo
quel giorno come se fosse ieri: pensasti che mi volevi bene e che ti
piaceva la voce di tuo padre...” parlava velocemente, assorta
dal
suo discorso, ma non facevo molto fatica a seguirla. “E, per
quanto
riguarda tutti gli altri, non hanno potuto fare a meno di amarti
appena ti hanno vista, compreso Jacob. Da allora non si è
separato
da te per più di un giorno... Con tutto questo volevo solo
dirti che
non devi sentirti in colpa per me, anzi. Dovresti essere contenta di
avermi dato una ragione in più per continuare a
vivere”. Non
risposi subito, troppo presa dai miei pensieri, che mio padre e Jake
mi odiassero per quello che avevo fatto non c'era da stupirsi, ma che
mia madre mi amava così tanto era davvero strano, come si fa
ad
amare chi ti sta uccidendo? Come puoi dare la tua vita per una
creatura che neanche conosci? Aveva detto che ero il coronamento
dell'amore tra lei e mio padre, forse era così, ma comunque
se mio
padre fosse stato come tutti gli altri lei sarebbe morta e sarebbe
morta felice come quella ragazza? O mi avrebbe odiata a quel punto?
Non lo sapevo e non lo avrei mai saputo, ma ora ciò che
contava era
cancellare l'agonia dagli occhi di mia madre, se dovevo sentirmi in
colpa dovevo fare in modo che non facessi soffrire nessuno a parte
me, così le sorrisi.
“Grazie,
mamma” risposi, semplicemente.
“Di
nulla. Ora, però, ti conviene tranquillizzare anche tuo
padre e
Jake. Sono molto preoccupati per te” convenne, sorridendomi.
“Come
se non avessero sentito tutto” scherzai, sperando che mio
padre non
avesse sentito anche il mio ragionamento.
“Probabile”
concesse, porgendomi la mano che afferrai per alzarmi dal letto e
raggiungere Jake e mio padre in salotto.
“Come
va?” chiese, subito, Jacob appena mi vide arrivare.
“Molto
meglio, grazie” gli sorrisi.
“Avete
fame?” chiese mio padre, alzandosi.
“Non
ho mangiato oggi” lo informai.
“Neanche
io” intervenne Jacob, sorridendomi.
“Questo
è grave!” esclamò mia madre e tutti ci
unimmo in una sonora
risata, per scacciare il malumore di quella giornata. La serata
finì
benissimo, contro ogni pronostico, e io ero felice di avere una
famiglia come quella, anche se mai niente avrebbe cancellato dentro
di me il senso di colpa, che mi sarei portata dentro per sempre.
Forse un giorno sarebbe cambiato tutto, forse avrei dimenticato il
senso di colpa verso mia madre, visto che il suo amore mi disarmava e
mi rendeva felice, senza che avessi avuto più bisogno di
niente. Se
quel giorno sarebbe arrivato, non avrei potuto che fare una cosa,
ringraziare ancora mia madre per il suo amore incondizionato.
NDA: Questo capitolo è molto
particolare visto quello che succede ma è anche uno dei miei
preferiti! Spero vi piaccia come piace a me e mi piacerebbe leggere i
vostri pensieri!Grazie e buona lettura!!
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Capitolo 8 *** Sorprese ***
Capitolo
8: Sorprese
Era
passata circa una settimana da quando avevo ritrovato il cadavere
nella foresta, gli incubi, come era facile immaginare, non erano
finiti, anzi sembravano non volermi lasciare in pace e quando
sembrava che li dimenticassi per un attimo, i giornali parlavano di
altra ragazze ritrovate nelle stesse condizioni ma ai confini della
foresta. Quella mattina il cielo era nuvolo e il sole non ne voleva
proprio sapere di spuntare, rimanendo dietro la coltre di nuvole che
a Forks era quasi perenne. I miei genitori non c'erano, non sapevo
dov'erano, avevano detto che era una sorpresa e visto che non leggevo
nel pensiero come mio padre non sapevo di cosa stessero parlando.
Quindi, quella mattina sarebbe venuta a svegliarmi Alice, ma
previdente mi ero alzata un'ora prima e quando arrivò ero
già
pronta. Quando arrivò non fece molto caso al mio
abbigliamento,
aveva la testa altrove e i suoi occhi ambrati sembravano persi nel
nulla, mentre complottava tra se e se di qualche piano, che ci
avrebbe coinvolti tutti.
“Buongiorno!”
cinguettò. “Già pronta?”.
“Mi
sono svegliata presto” spiegai.
“Bene!”
esultò. “Dobbiamo parlare”.
“Di
cosa?” chiesi, un po' preoccupata. Prima che mi rispondesse,
mi
sedetti sul divano e lei fece lo stesso, poi, aprendosi in un enorme
sorriso, cominciò a parlare.
“Tra
poco sarà l'anniversario dei tuoi genitori”.
“Ad
agosto” riflettei.
“Si”concordò.
“Hai già pensato cosa regalargli?”.
“Bhe,
non lo so” balbettai. “Non gli ho mai regalato
niente”.
“Intendevo
qualcosa di originale!” si lamentò.
“Ma...”.
“Ascoltami!”
ordinò. “Che ne dici di una vacanza all'Isola
Esme?”.
“E
questo sarebbe originale?” sghignazzai. “Sbaglio o
ci hanno fatto
il viaggio di nozze?”.
“Meglio
di niente!” puntualizzò.
“Bhe,
io ci sto!” esultai e lei si illuminò di nuovo.
“Bene!”
esclamò. “Io gli faccio le valige!”.
“Non
avevo dubbi”.
“Ti
farò trovare i biglietti nella tua stanza”
spiegò. “Deciderai
tu come darglieli”.
“Va
bene” accettai e poi Alice storse la bocca, guardando verso
la
porta.
“E'
arrivato il tuo amichetto” mi informò, come se non
lo avessi già
sentito.
“Sei
sola?”.
“No,
Jasper è rimasto fuori” spiegò e dopo
neanche un attimo, Jasper
entrò con una smorfia sul volto, seguito da Jacob con il suo
solito
sorriso splendente.
“Potresti
almeno mettere una maglietta” lo rimproverò Alice.
“Non
puoi dirmi come vestire oggi!” ribatté lui.
“Non dobbiamo andare
a nessun matrimonio”.
“Per
ora” intervenne Jasper.
“Cosa
significa?”.
“E'
arrivata la partecipazione” lo informai.
“Ma
è un matrimonio tra vampiri!” si
lamentò.
“No,
è un matrimonio come si deve!”
puntualizzò Alice.
“E
quindi?”.
“Dovremo
vestirci eleganti” sorrise lei.
“No!”
sbuffò lui. “Io non vengo!”.
“Jake,
non è carino rifiutare un invito” intervenni.
“Appunto”
concordò Alice. “Ora andiamo”. Lei e
Jasper veloci e leggiadri
di diressero fuori dalla porta, mentre io e Jake li raggiungemmo con
più calma. Cominciammo a correre nella foresta, i miei zii
ci
precedevano mentre io e il mio lupo li seguivamo a qualche metro di
distanza, chiacchierando.
“Allora,
dormito bene?” chiese, guardandomi.
“Si”
mormorai, girandomi verso la foresta.
“Altri
incubi”.Non era una domanda.
“Va
un po' meglio” mentii.
“Ah
si?” domandò, scettico.
“Va
un po' meglio, Jake” spiegai. “Non
preoccuparti”.
“Sai
che non devi sentirti in colpa, vero?”.
“Si”
mormorai.
“Nessie?”
mi chiamò, severo.
“Non
ci riesco, Jacob, è più forte di me!”
esclamai.
“Ma
non ha senso”.
“Non
è detto che debba avercelo!”.
“Nessie,
non ho mai visto nessuno amarti come ti ha amato tua madre!”
continuò.
“Non
centra niente” sussurrai. “Le ho fatto male lo
stesso”.
“Dove
sono i tuoi genitori?” chiese, per cambiare discorso.
“Non
lo so” ammisi. “Hanno detto che era una
sorpresa”. Per il resto
della corsa non parlammo, Jacob era immerso nei suoi pensieri e i
suoi occhi che guardavano oltre la foresta, mi toglievano il respiro.
Arrivati a casa Cullen, ci accorgemmo subito della presenza dei miei
genitori. Entrammo in casa e li trovammo seduti sul divano ad
attenderci, appena ci videro mio padre si alzò e stampandomi
un
bacio sulla fronte, mormorò: “Abbiamo una sorpresa
per te!”.
“Cos'è?”
risposi, guardandomi intorno.
“Lo
scoprirai molto presto!” sussurrò, prendendomi la
mano come se
avessi cinque anni e portandomi fuori casa, dietro di noi Jake e mia
madre ci seguivano a poca distanza. Arrivati sul retro della casa,
entrammo nel garage, dove sfilavano le macchine dei miei nonni e dei
miei zii lucenti e nuove come sempre.
“Cosa
dobbiamo fare qui?” domandai, guardandomi intorno. Ad
interrompere
la fila di macchine perfette, ce n'era una coperta da un telo nero e
fu proprio di fronte a quell'auto che mio padre si fermò.
“Avanti”
mi incitò. “Togli il telo”.
“E'
mia?” chiesi, sorpresa, avvicinandomi al telo che la
ricopriva.
“Ti
aiuto!” esultò, entusiasta, Jake e insieme
scoprimmo la macchina
nera che vi si trovava sotto, era completamente nera metallizzata
dalle forme eleganti e sportive, il genere di auto che poteva
appartenere solo ai Cullen, ma quella era tutta mia.
“E'
una...” mormorai.
“Spyder
5.2 FSI quattro” rispose mio padre, come se noi potessimo
capire
ciò che stava dicendo.
“Tradotto
per i comuni mortali?” sorrise mia madre.
“Un'audi
R8!” esulto Jacob. “Quando possiamo
provarla?”.
“Quando
Nessie avrà imparato a guidare” spiegò
mio padre, come se fosse
ovvio.
“Allora
mai!” si lamentò Jake. “Ma questa
macchina non è ancora in
commercio, come hai fatto?”.
“Niente
è impossibile per i Cullen” scherzò mia
madre. “E' a prova di
proiettili o di missili?”.
“Di
missili” rispose mio padre, come se fosse ovvio e mia madre
rise.
“Chi
me lo insegnerà?” chiesi, lanciando
un'occhiataccia a Jacob.
“Io”
intervenne Jasper, entrando dalla porta e io gli sorrisi. “Ma
con
la Volvo” spiegò. “Non vorrai rovinarla,
giusto?”.
“Giusto”
risposi. “Quando iniziamo?”.
“Subito”
sorrise, tenendomi aperta la porta, io abbracciai i miei genitori,
sussurrandogli un “grazie” ed uscii fuori
accompagnata da Jacob e
trovammo la Volvo ad aspettarci fuori. Jasper salì al posto
del
passeggero e mi fece segno di accomodarmi al posto di guida, non
dovette aspettare molto... Mi accomodai ed allacciai la cintura di
sicurezza, non si poteva mai sapere, mentre Jasper attendeva
paziente. Prima che iniziassimo la porta posteriore si aprì
ed entrò
Jake, con il suo solito sorriso stampato in faccia.
“Che
ci fai qui?” chiese Jasper.
“Voglio
assistere!” esultò.
“Solo
se non dai fastidio” lo avvertì.
“Non
ti assicuro niente” minacciò Jake e Jasper
sbuffò.
“Iniziamo”
continuò, rivolgendosi a me. “Allora, queste sono
le marce...”
“Non
dovresti iniziare prima dai pedali?” intervenne Jake.
“Se
permetti, cane, sono io il maestro” puntualizzò
Jasper.
“Non
sei molto bravo” sbuffò. Jasper lo
ignorò e continuò a spiegarmi
a cosa serviva ogni singolo tasto presente in quell'abitacolo, mentre
io cercavo di seguire e memorizzare il più possibile, anche
se la
maggior parte delle cose le dimenticavo appena finiva di pronunciarle
e lo costringevo a ripeterle.
“La
stai solo confondendo!” sbuffò Jake.
“No”
intervenni, per troncare la discussione imminente. “Credo di
aver
capito”.
“Bene”
esultò Jake. “Allora, metti in moto!”.
“Non
ancora” intervenne Jasper. “Devo finire di
spiegare...”
“Voi
vampiri parlate sempre così tanto?” chiese Jake.
“Tu,
invece, quando imparerai a stare zitto?”.
“Quando
metterà in moto la macchina”.
“Vuoi
provare?” mi domandò Jasper, protettivo.
“Proviamo”
annuii e misi in moto la Volvo, che partì con delle fusa
soffuse.
Ripetendo nella mia mente quello che Jasper mi aveva detto prima,
anche se le idee erano molto confuse, così quando mio zio si
accorse
della mia insicurezza cominciò a guidarmi passo passo e la
macchina
finalmente si mosse da terra.
“Bene,
Nessie ora ingrana la seconda e gira a destra”.
“No”
intervenne Jacob. “Deve ingranare la terza e poi dove vuoi
andare a
destra!?”. Continuarono a discutere, mentre io cercavo di
richiamarli all'ordine inutilmente, ormai era impossibile farli
ritornare all'ordine, così desistetti e mi concentrai sulla
macchina, visto che non potevo contare sull'aiuto di Jasper, dovevo
fare tutto da sola, ma con loro che mi urlavano cosa fare, successe
l'inevitabile...Persi il controllo, l'auto sbandò
pericolosamente e
Jasper non riuscì a riprenderne il controllo, facendoci
finire
dritti contro un albero. La povera Volvo cominciò a fumare e
l'albero si inclinò pericolosamente verso di noi, ma per
fortuna mio
padre era già arrivato e lo fermò prima che
potesse caderci
addosso, mentre noi uscivamo dalla macchina.
“Renesmee!”
esclamò mia madre, venendomi incontro, appena uscii
dall'abitacolo.
“Sto
bene” la informai. “Ma con quei due è
impossibile guidare”.
“Hai
ragione” convenne mia madre, guardando mio padre che cercava
di
farli smettere di urlare e discutere, ma visto che Jake ci provava
gusto e che mio zio non accettava provocazione, era un'impresa
titanica cercare di dividerli, ma lui non si arrendeva. Io e mia
madre rimanemmo lì in attesa, lei sembrava un po'
preoccupata,
mentre guardava mio padre litigare con quei due, quando finalmente
tornò la calma si avvicinarono tutti e mia madre
tirò un sospiro di
sollievo.
“Rosalie,
sta arrivando” mi informò mio padre.
“Così potrai
ricominciare”.
“Non
posso concentrarmi se loro due urlano” convenni.
“Il
cane non viene” mi informò Jasper.
“Questo
lo dici tu!” controbatté il mio lupo, deciso a non
demordere.
“Se
proprio ci tieni” lo sfidò Jasper. “Il
bagagliaio è libero,
cane!”.
“Basta!”
intervenni. “Sembrate due bambini!”.
“Il
cane resta fuori” sibilò Jasper.
“Resta
fuori tu, succhiasangue!” esclamò Jake.
“Con la tua teoria non
le insegni niente”.
“Nessie,
chi vuoi che te lo insegni?” chiese mio padre, mettendomi in
difficoltà.
“Ehm”
non seppi cosa dire, ci sarebbe rimasti male entrambi se avessi
scelto uno dei due, cosa avrei dovuto fare? Certo, avrei voluto Jake
al mio fianco, per motivi che mi sembravano alquanto ovvi, ma volevo
molto bene a mio zio e non volevo ferire il suo orgoglio,
preferendolo al mio lupo. Una soluzione sensata sarebbe stata non
scegliere nessuno dei due, così non avrebbero potuto
offendersi...ma
chi?
“Mamma?”
la chiamai e lei mi guardò sorpresa, probabilmente pensava
che
volessi un consiglio.
“Si,
tesoro?” chiese.
“Vuoi
insegnarmelo tu?” le domandai, prendendo tutti alla
sprovvista,
tranne mio padre, ovviamente. Lei scrutò Jasper e Jake,
nessuno dei
due sembrava turbato da quella scelta, il mio lupo stava già
sghignazzando immaginandosi cosa avremmo potuto combinare insieme io
e mia madre.
“Va
bene” esclamò lei, felice.
“Bells”
la chiamò Jake.
“Si?”.
“Se
prometto di stare zitto, posso assistere?”
sghignazzò.
“D'accordo”
rispose alzando gli occhi al cielo. Aspettammo pazienti che Rose
finisse di sistemare la Volvo, mentre la coltre di nubi si faceva
sempre più spessa, mi sorpresi che non iniziò a
piovere. Quando
Rose ebbe finito risalimmo in macchina, mia madre al posto del
passeggero e Jake al solito posto. Questa volta mettere in moto e
partire fu più semplice e con i consigli di mia madre, non
fu
affatto difficile muoversi per la foresta e più andavo bene,
più la
delusione di Jake saliva. Quando presi un po' di confidenza con
l'auto, accelerai, ormai non avevo più bisogno dei consigli
di mia
madre, era diventato tutto così semplice, così
naturale, sembrava
fossi nata per guidare.
“Santo
cielo! Renesmee rallenta!” urlò mia madre.
“Perché?”
chiesi, scettica, non stavamo andando così veloci.
“Stai
andando a 180!” esclamò.
“Che
razza di vampiro sei, Bells?” chiese Jacob, ridendo.
“Rallenta!”
continuò e io dovetti arrendermi, vidi la lancetta scendere
fino ai
cento e li mi fermai.
“Va
bene, così?” sbuffai.
“Potresti
rallentare un altro po'“ convenne lei.
“Ma
stiamo andando così piano!” esclamai.
“Così
è piano?” chiese, scettica e poi, improvvisamente,
scoppiò a
ridere. Io e Jake ci guardammo e poi le lanciammo due occhiate
scettiche, era impazzita o cosa?
“Bella
ti senti bene?” domandò Jake.
“Si,
scusate” rispose, guardando fuori. Io continuai a guidare,
chiedendole di tanto in tanto cosa volesse dire un cartello e
cercando di memorizzarlo, mentre Jake guardava la strada. Ad
interrompere i nostri pensieri fu lo squillo del cellulare di mia
madre.
“Alice?”
rispose.
“Bella,
dove siete?”.
“Vicino
Forks” spiegò mia madre.
“Fate
retromarcia subito!” esclamò. “Abbiamo
organizzato una partita
di baseball con i licantropi!”.
“Cosa?”
urlammo in coro io, mia madre e Jake.
“SI!”
cinguettò tutta contenta. “Andiamo tornate a
casa!”. La chiamata finì e noi tre ci guardammo
scettici, i vampiri e i
licantropi in una partita di baseball? Erano completamente impazziti?
Comunque nessuno di noi aveva intenzione di mettergli i bastoni tra
le ruote, sarebbe stato un buon modo per cominciare ad attenuare i
dissapori tra le due specie e se tutto fosse andato bene, ci saremmo
anche divertiti molto.
“Io
non so giocare a baseball” mormorai, mentre fissavo la
lancetta dei
chilometri che saliva.
“E
qual è il problema?” esultò Jake, tutto
contento. “Tanto i
vampiri non hanno chance”.
“Vedremo!”
rispose mia madre, combattiva. “Comunque qualcuno te lo
insegnerà
non preoccuparti”. Continuai a guidare verso casa
tranquillamente,
interrotta solo da mia madre che mi ripeteva di rallentare e di Jake
che diceva che dovevamo arrivare il più in fretta possibile.
Arrivati a casa Cullen, feci un po' di fatica per parcheggiare la
macchina, ma alla fine ci riuscii senza fare danni. Ad aspettarci
c'erano già tutti i licantropi con Claire ed Emily ad
accompagnarli
e anche tutti i vampiri erano già pronti per la partita,
quando li
raggiungemmo Alice porse a me e mia madre le tute che avremmo dovuto
indossare e quando fummo pronte li raggiungemmo nella radura che
avevano scelto come campo da gioco. Mentre gli altri posizionavano le
basi Jasper ed Emmett mi spiegavano le regole del gioco, era alquanto
semplice dovevo battere, correre o prendere la palla. I vampiri
avrebbero battuto per primi e con la mia solita fortuna sarei stata
la prima a battere, così mi feci dare un paio di dritte da
mio padre
su come centrare la palla senza uccidere nessuno. Naturalmente a
lanciare la palla era Jacob, che aveva tutta l'aria di volermi
prendere un po' in giro e io avevo paura di cadere e farmi male da
sola cercando di afferrare una delle sue palle. Dopo avermi studiato
con lo sguardo lanciò la palla, seguirla con lo sguardo fu
facile e
mossi la mazza da baseball cercando di prenderla, ma deviò
improvvisamente andando a finire nel guantone di Colin.
“Strike!”
urlò Emily, che faceva da arbitro, mentre Jake cominciava a
ridere.
“Vai,
Nessie!” urlò Claire, da bordo campo.
“Puoi prenderla!”. La
ringraziai con un sorriso e concentrai tutti i miei sensi su Jacob,
questa non sarebbe passata potevo giurarlo. I miei sensi da vampira
erano completamente concentrati su ogni elemento che mi circondava e
quando il mio lupo lanciò la palla, seguirla e colpirla fu
semplice,
ma non rimasi a guardare dove o quanto lontano l'avessi lanciata,
corsi vero la prima base e poi verso la seconda, dove dovetti
fermarmi per non essere eliminata. La partita durò ancora
per molto
tempo, le due squadre si contendevano la vittoria e spesso erano pari
o al massimo a dividerli uno o due punti, troppo facili da
recuperare. Così quella guerra tra creature mistiche
durò fino a
notte fonda, lasciando poi i licantropi stanchissimi ma ancora
determinata a combattere e a vincere, anche io ero molto stanca, ma
l'adrenalina che si respirava nell'aria mi dava tantissima forza.
Claire si addormentò appoggiata ad un albero e Quil fu
costretto a
farsi sostituire per riportarla a casa. I vampiri, invece, non
avevano di questi problemi, avrebbero potuto continuare a giocare per
tutta la notte, visto che il temporale che si era impadronito di
Forks non voleva proprio saperne di andarsene e io speravo che non si
spostasse verso casa nostra, dormire con gli alberi che battevano
sulla finestra o con il vento che ululava era impossibile. Mio padre,
sempre molto apprensivo, era l'unico che di tanto in tanto mi
chiedeva se fossi stanca o se avessi bisogno di fermarmi un attimo,
ma otteneva sempre risposte negative visto che non avevo alcuna
voglia di riposarmi ne di abbandonare la partita. Mia madre e Jake
erano davvero eccitati e lui sembrava l'unico dei licantropi a non
sentire la stanchezza, mentre mia madre si stava divertendo un mondo
e sembrava voler continuare così tutta la notte. Verso
mezzanotte il
temporale finì lasciando spazio ad una pioggerella leggera
che non
giustificava i tuoni e la partita venne interrotta. I licantropi si
congedarono senza troppe cerimonie, solo Jake e Seth rimasero un po'
più a lungo, per poi andarsene quando anche i Cullen stavano
per
tornare a casa e naturalmente, Jake mi salutò con un bacio
sulla
guancia che mi lasciò attonita per un bel po'. Tornammo a
casa in un
silenzio complice, ci eravamo battuti bene e nessuno si era mai
arreso. Quando arrivammo a casa mi precipitai in camera mia e come
avevo pensato i biglietti erano sul letto e le valige nella camera
dei miei genitori, pronte per l'uso. Così presi i biglietti
tra le
mani e li raggiunsi in salotto, trovandoli sul divano a chiacchierare
e a baciarsi.
“Mamma?
Papà?” li chiamai. “Devo dirvi una
cosa”.
“Vieni
qui” rispose mia madre, facendomi posto sul divano. Li
guardai per
un attimo, poi distolsi per un attimo lo sguardo, non mi ero
preparata un discorso e non sapevo da dove iniziare, così
decisi di
dire la verità e niente di più.
“Tra
poco arriverà il vostro anniversario” cominciai.
“Si”
rispose mia madre, girandosi verso mio padre e baciandolo.
“Io
ed Alice abbiamo deciso di farvi un regalo” continuai, mentre
gli
occhi di mia madre si accendevano di curiosità.
“Non
dovevate” disse mio padre.
“Potevi
aspettare che te lo dicessi io!” mi lamentai.
“Scusa,
ero troppo curioso” sghignazzò lui.
“Così
non vale” sbuffai.
“Vorreste
dirlo anche me?” chiese mia madre, irritata.
“Scusa”
rispondemmo in coro io e mio padre, mentre le porgevo i biglietti.
Lei li studiò per un attimo e poi esclamò:
“Andiamo all'Isola
Esme!?” e io e mio padre ridemmo. Lei mi buttò le
braccia al collo
e mi strinse forte a se, fino a farmi mancare il respiro e se avesse
potuto si sarebbe messa a piangere, mentre io e mio padre la
stringevamo forte tra le nostre braccia...
NDA: Spero che
questo capitolo vi piaccia :D e mi piacerebbe sapere cosa ne pensate!!
Buona lettura.
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Capitolo 9 *** Gelosia ***
Capitolo
9: Gelosia
Guardare
fuori dal finestrino mentre la macchina correva veloce era un gesto
ormai naturale per me. Più che altro mi serviva a pensare,
visto che
il paesaggio non offriva niente degno di nota, ma anche se ci fosse
stato qualcosa di bello sarebbe stato rovinato dalla pioggia
insistente che ci perseguitava da quando eravamo partiti. Eravamo
diretti a Denali per il matrimonio di Kate, tutti sembravano molto
eccitati da quell'avvenimento, tutti a parte Jake, che di tanto in
tanto sbuffavo immaginandosi come sarebbe stato partecipare ad un
matrimonio di soli vampiri. Alice, come al solito, era stata
semplicemente incontenibile, l'unica fortuna era che aveva scelto
Esme e Rosalie come accompagnatrici per i negozi, sottraendomi da un
altro supplizio tra i camerini. Arrivare a Denali significava un
giorno e mezzo di viaggio e mi stavo chiedendo perché non
avessimo
preso un aereo o qualcosa del genere, forse non c'erano voli per
l'Alaska ma non ne ero così sicura. Quando arrivammo
l'accoglienza
fu piuttosto calorosa, infatti mio padre ricevette un'accoglienza
anche troppo calorosa...Tanya. Non era difficile da immaginare, ma
quella vampira mi dava letteralmente sui nervi, con il suo vestitino
rosa confetto sembrava una bambola di porcellana, di quelle che sogni
la notte nei tuoi peggiori incubi. Ma lei non sembrava proprio farci
caso, ignorò completamente il resto dei Cullen prendendo in
possesso
mio padre, mentre io continuavo a fissare mia madre che non si
decideva a fare niente, non le era bastata l'ultima litigata?
Perché
non interveniva? Dopodiché cominciammo ad avvicinarci alle
sedie,
per fortuna visto che Tanya era una delle testimoni non poté
sedersi
con noi e lasciò almeno per tutta la cerimonia mio padre in
pace.
Cosa che non fece con il mio lupo...di tanto in tanto lo fulminava
con delle occhiate e lui cercava di sopportarla, cosa che non
riuscivo a fare io, stava esagerando, stava decisamente
esagerando...Finalmente Kate fece il suo ingresso, aveva un abito
bianco molto semplice ma bellissimo e i capelli acconciati con una
pettinatura davvero stupenda e a completare il quadro il sorriso che
rivolgeva al suo vampiro vicino all'altare. Anche Garrett era vestito
molto bene e attendeva impaziente che la sua sposa lo raggiungesse.
La cerimonia fu molto tradizionale e quando finì tutti ci
alzammo
per applaudire, mentre i due sposi correvano sotto la pioggia di
riso. Dopo ci dividemmo in piccoli gruppi e cominciammo a parlare
amabilmente, mentre Tanya tornava all'attacco con mio padre e il
suono delle sue risatine false mi rendeva sempre più
nervosa,
soprattutto vedendo che mio padre rideva con lei. Isolarsi dal resto
del gruppo fu inevitabile e quando ne ebbi abbastanza mi diressi
fuori dalla porta, un altro secondo in quella casa e sarei saltata
addosso alla vampira bionda, sempre se non l'avesse fatto prima mia
madre...vana speranza. Jacob mi seguì, probabilmente stanco
dell'atmosfera ingiustificatamente ostile che gli si era creata
intorno, così ci ritrovammo entrambi sotto un grande pino
secolare
coperto di neve.
“Non
li sopporto più” esordì lui.
“Mi
dispiace, Jake” risposi, sincera. “Non pensavo
fossero così
ostili”.
“Vorrei
tanto sapere perché mi hai trascinato qui”
sbuffò.
“Per
principio!” esclamai, arrossendo.
“Principio!?”
sibilò lui.
“Scusa”
mormorai, abbassando lo sguardo.
Lui
mi studiò per due minuti e poi riprese parlare. “E
tu che ci fai
qui fuori?”.
“Cosa?”
sussurrai, sorpresa.
“Perché
sei uscita qui fuori?” ripeté.
“Volevo
prendere un po' d'aria” spiegai.
“Sei
gelosa” sghignazzò lui.
“No,
non è vero!” esclamai.
“Ah,
no?” domandò.
“Solo
un po'“ ammisi.
“Beh,
la bionda sta esagerando” constatò.
“Esagerando
è dire poco” mormorai.
“Tuo
padre sa badare a se stesso” sentenziò lui.
“Lui
si” sbottai. “Il problema è mia
madre...”.
“Perché?”.
“Non
reagisce!” sbuffai. “Se ne sta lì e non
fa niente!”.
“Bella
non è aggressiva” rispose lui.
“Non
è questo il discorso!”.
“E
qual è, allora?” chiese, confuso.
“E'
suo marito, dovrebbe farsi valere!” conclusi.
“Forse
è meglio se facciamo due passi” consiglio.
“Devi calmarti un
po'“.
“Hai
ragione” mormorai, seguendolo. Cominciammo a camminare nella
foresta, era molto simile a quella di Forks durante l'inverno, di
certo lì la neve non mancava e mi chiedevo se fosse
così tutto
l'anno, doveva essere un po' noioso. Mentre camminavo continuavo a
guardare Jake, la sua carnagione risaltata dallo smoking e dalla neve
era semplicemente stupenda, sentivo dentro di me il bisogno di
toccarla per capire se fosse vera o solo frutto della mia
immaginazione, mentre giravo lo sguardo per l'imbarazzo. Quei
pensieri mi mettevano sempre a disagio, pensavo a quei momenti in cui
la nostra era solo un'amicizia spensierata e niente di più,
solo
complicità...ora per me era cambiato tutto e mi chiedevo se
fosse
cambiato anche per lui o se mi vedesse ancora come la bambina che ero
stata solo qualche mese prima. Ci sedemmo sotto un pino secolare
ricoperto di neve, sotto i suoi rami il sole quasi non arrivava ma il
nostro calore bastava per far sciogliere il primo strato di neve. Io
e Jake rimanemmo il silenzio guardando ognuno di fronte a se immerso
nei nostri pensieri, aspettando che l'altro dicesse qualcosa.
“Comunque
hai ragione” esordì. “Tua madre dovrebbe
reagire”.
“Non
lo farà mai” sbuffai.
“La
speranza è l'ultima a morire”
sghignazzò lui.
“Cos'hai
da ridere? E' una cosa seria!” esclamai.
“Te
la prendi troppo!” constatò. “Tuo padre
non smetterà mai di
amare tua madre”.
“Ma
litigheranno di nuovo” mormorai, abbassando lo sguardo.
“Sei
preoccupata?” chiese, ansioso.
“Non
mi va che litighino per quella stupida” spiegai.
“Non è giusto”.
“Non
preoccuparti, andrà tutto bene”
sussurrò, poggiandomi una mano
sul viso e attirandomi a se. Sotto il suo braccio e appoggiata alla
sua spalla era tutto più facile, era molto più
facile essere
ottimisti e non pensare più a niente, mentre il suo profumo
mi
invadeva e mi faceva vedere il mondo più roseo.
“Comunque
non ci pensare” continuò. “Se la
caveranno, come sempre”.
“Lo
spero” mormorai, appoggiando di nuovo la testa sulla sua
spalla.
Rimanemmo in quella posizione un attimo eterno, poi lui mi prese il
mento tra le dite e lo alzò per guardarmi negli occhi. Non
vidi più
niente. Gli occhi di Jacob invasero il mio campo visivo, il nero
delle sue pupille mi attirava a se come un buco nero, mentre anche il
resto del suo viso si avvicinava, millimetro dopo millimetro...il
tempo si fermò come il mio respiro mentre aspettavo che le
nostre
labbra si toccassero, mentre continuavo a desiderarle, mentre dentro
di me si faceva strada una convinzione, prepotente e tagliente come
un coltello, fino ad arrivare al mio cuore... amavo Jacob. Lo avevo
sempre amato. Non ero niente senza di lui, non avevo mai vissuto
senza di lui e mai avrei voluto farlo, silenzioso e invisibile come
un puma si era fatto strada dentro di me, mettendo radici e facendomi
dipendere da lui. Le sue labbra continuavano ad avvicinarsi, eppure
erano sempre troppo lontane, avrei voluto chiudere quella distanza,
avrei voluto toccarlo, sentivo il bisogno di sentirlo sotto le mie
mani, di baciare le sue labbra. Non ero niente senza di lui. Ero come
un albero senza foglie o un sole senza i suoi raggi. Dopotutto, che
cos'è un albero senza foglie? Solo la fotografia sbiadita di
una
vita passata. E un sole senza raggi? Solo un immenso deserto di terra
e di buio, il regno delle tenebre. Ormai le sue labbra sfioravano le
mie e il mio cuore batteva all'impazzata, c'era solo Jacob...ora
c'era solo lui. Jacob. Jacob. Jacob. Le sue labbra, la sua pelle, ad
un centimetro...uno solo...solo un attimo...
“Nessie!”
urlò Emmett. Io e Jake ci allontanammo di scatto con uno
sbuffo di
rabbia e prendemmo a guardare a terra imbarazzati. Poi, ci alzammo e
velocemente raggiunsi mio zio, mentre Jake rimase in dietro.
“Dovresti
ringraziarmi” sogghignò Emmett.
“Perché?”
chiesi, irritata.
“Beh,
non credo che tuo padre avrebbe apprezzato”
constatò.
“Ci
hai visti!?” esclamai, sorpresa.
“Certo”
confermò.
“Non
dirai niente a papà, vero?” lo supplicai.
“Tuo
padre ora è impegnato” sghignazzò.
“Anche
tu!” esclamai.
“Non
ci pensare” rise. “Stanno per lanciare il bouquet,
magari prendi
anche questo”.
“Non
credo proprio” mormorai, imbarazzata. Mentre camminavamo un
urlo di
gioia si alzò dalla casa dove si trovava il ricevimento,
probabilmente era l'urlo di gioia di chi aveva afferrato il bouquet e
sarei stata felice che non fosse toccato a me se quell'urlo non fosse
appartenuto a Tanya...mi lasciai Emmett alle spalle, accelerando il
passo e Jake mi affiancò, questa volta non l'avrebbe passata
liscia.
“Visto,
Edward? L’ho preso io! Chissà cosa
significa!” continuava a
gracchiare, mentre io quasi correvo dalla rabbia.
“Tanya,
che ne dici di staccarti da mio marito?” sibilò
mia madre, mentre
spalancavo la porta. Non ci potevo credere, finalmente mia madre
stava reagendo, finalmente quell'oca avrebbe avuto quello che si
meritava, speravo solo che mia madre non si facesse intimorire.
“Non
sarai gelosa, Bella...” continuò la vampira
bionda, senza il
minimo ritegno.
“No”
mentì mia madre. “E' solo che mi infastidisce il
tuo atteggiamento
nei suoi confronti”. Mia madre non era brava a mentire, per
quanto
il suo volto serafico fosse privo di espressioni umane e non avesse
più la facoltà di arrossire, piangere o dare
segni di nervosismo,
non sapeva mentire...Era una frana, lo era sempre stata e non sarebbe
mai cambiata, da questo lato ero più simile a mio padre,
anche se
con lui mentire era del tutto inutile, con gli altri poteva
funzionare. Tanya non si scoraggiò, decisa a non darla vinta
a mia
madre.
“Davvero?
Non me ne sono accorta” rispose, fingendo innocenza. Gli
occhi di
mia madre si infiammarono e una risatina nacque dietro di me, mi
girai curiosa di capire chi stesse ridendo, come se non fosse
ovvio...
“Secondo
me, se le danno!” sghignazzò Emmett.
“No”
rispose, calmo, Jasper. “Non credo proprio”.
“Scommettiamo?”
mormorò il fratello, allungandogli la mano.
“Siete
del tutto fuori luogo!” li sgridai. “Vi sembra il
caso?”.
“Nessie
ha ragione” sibilò Alice, preoccupata e i due
sbuffando tornarono
a guardare mia madre e Tanya.
“Strano”
sibilò mia madre. “Io me ne accorgo quando mi
comporto da oca in
cerca di dote”. Emmett e Jasper scoppiarono a ridere, Alice
corse
verso Garrett spaventata da una sua visione, sul mio volto e su
quello del mio lupo si aprì un sorriso fiero e maligno allo
stesso
tempo, mentre la vampira bionda accecata dalla rabbia
cominciò a
ringhiare e si scaraventò su mia madre. Mio padre si
accovacciò di
fronte a lei in posizione di difesa, non avrebbe mai permesso che
Tanya sfiorasse solo con un dito mia madre, mentre io e Jake ci
limitavamo a ringhiare ai bordi di quello che stava diventando un
campo da combattimento. Garrett prese Tanya per la vita e la
portò
via, però questo fece arrabbiare ancora di più
mia madre che si
accovaccio pronta ad attaccare, mentre la vampira bionda si dimenava
tra le braccia del novello sposo.
“Jake”
mormorai. “Ti prego, fermala”. Il mio lupo non se
lo fece
ripetere due volte, in un attimo, veloce e aggraziato fu alle spalle
di mia madre e afferrandola, la trascinò fuori. Io e mio
padre li
seguimmo, chiudendo la porta alle spalle.
“Bella...”
cominciò subito mio padre.
“Non
voglio parlare con te, Edward!” gridò lei,
isterica. Con gli occhi
accesi di rabbia si voltò e corse via verso la foresta,
scomparendo
in un attimo. Jacob mi guardò e io gli fece cenno di
seguirla, mia
madre in certe situazioni era imprevedibile e il mio lupo sapeva come
tirare su il morale a chi gli stava intorno e senza ribattere corse
verso il punto dove mia madre era scomparsa. Mio padre, imperterrito,
si diresse a passo svelto verso la foresta, lasciandomi da sola in
mezzo alla neve.
“Dove
vai?!” urlai, alle sue spalle, ma lui non mi rispose e
continuò a
marciare. Lo seguii e gli bloccai la strada, ma lui cercò di
evitarmi, così lo presi per un braccio.
“Papà,
fermati!” gridai. “Vuole stare da sola”.
“Devo
parlarle” farfugliò, confuso. “Devo
farmi perdonare”.
“Non
ora” mormorai. “La farai solo arrabbiare di
più”. Finalmente
si girò verso di me e mi guardò negli occhi, era
disperato,
sembrava che stesse per crollare a pezzi. Non ce la facevo a vederlo
così, quell'oca non si rendeva conto di ciò che
aveva fatto?
“Papà,
perché non ci sediamo?” chiesi, incerta. Lui
annuì piano e
insieme ci dirigemmo sotto un pino e lui si lasciò cadere
sulla
neve, mentre io mi accovacciai accanto a lui.
“Ti
perdonerà” esordii, ma le parole mi uscirono
incerte e confuse,
non capii se era una domanda o una affermazione.
“Sono
stato uno stupido!” ringhiò, coprendosi il viso
con le mani e
rimanendo immobile, come una statua.
“Non
è stata colpa tua” mormorai, con le lacrime agli
occhi.
“Si,
invece!” gridò. “Dovevo saperlo! Avrei
dovuto immaginarlo!”.
“Calmati!”
sibilai. “Così non risolvi nulla”.
Ma
lui non mi ascoltò, cominciò a scuotere la testa
e continuava a
farfugliare cose senza senso.
“Persino
Jacob se ne è accorto!” mormorò in fine.
“Perché
non ti distrai un po'?” chiesi, sperando di riuscire a
tirarlo su
di morale.
“Non
posso pensare a qualcos'altro!” spiegò.
“So
che i vampiri possono pensare a più cose
contemporaneamente”
convenni, desiderosa di cambiare argomento. “Non puoi fare
uno
sforzo?”.
“Hai
ragione” mormorò, alzando la testa e guardandomi
in attesa che
parlassi. In quel momento, capii che non sapevo di cosa parlare,
scavai nella mia testa cercando un argomento, ma non mi venne niente,
così decisi di chiedergli qualcosa di non troppo lontano da
noi.
“Come
ti farai perdonare?” domandai, scrutandolo.
“Le
chiederò scusa” rispose, semplicemente.
“Solo?”.
“Cos'altro
dovrei fare?” chiese di rimando.
“Non
lo so” ammisi. “Qualcosa di speciale!”.
“Forse
hai ragione” convenne e divenne pensieroso. Attesi
pazientemente
che trovasse un modo per farsi perdonare, intanto mi guardavo
intorno, chissà quanto tempo ci avrebbe messo Jake...mia
madre era
più malleabile di mio padre.
“Idea!”
esultò.
“Allora?”
chiesi, curiosa.
Lui
mi guardò vittorioso e sorridendo, iniziò a
descrivere il suo
piano. “La porto al ristorante dove siamo usciti la prima
volta e
poi...” si bloccò di colpo e mi guardò
supplichevole. “Puoi
dormire da Carlisle, Nessie? Vorrei la casa tutta per noi almeno
stanotte”.
“Certo”
concordai. “Non c'è problema”.
“Sarà
perfetto” continuò, entusiasta, ma poi la sua voce
si spense.
“Sempre se mi perdonerà”.
“Perché
non dovrebbe?” risposi, irritata.
“Forse
hai ragione” convenne.
“Sarà
perfetto” risposi, ripetendo le sue parole. Mio padre
iniziò a
guardare diritto di fronte a se, non capii bene cosa stesse pensando,
forse immaginava come sarebbe andata la serata oppure come chiedere
scusa a mia madre. Comunque non ritenni fosse il casa di interrompere
le sue riflessioni, visto che non si stava deprimendo o dando la
colpa a se stesso. Dopo qualche secondo Jacob uscì dalla
foresta e
mi venne incontro sorridendo, il che mi fece presagire che fosse
andato tutto bene con mia madre. Mi alzai velocemente e lo raggiunsi.
“Papà,
noi rientriamo, okay?” lo avvertii e lui annuì
impercettibilmente
con la testa. Io e Jake ci dirigemmo verso la casa dove si era tenuta
la cerimonia, lasciandolo sotto l'albero in attesa di mia madre.
Quando entrammo vidi subito Kate che parlava animatamente con Alice e
mi avvicinai istintivamente per ascoltare la conversazione, mentre
Jake rimase dietro di me.
“Non
è stata colpa di Bella” stava spiegando Alice.
“Poteva
evitarmi la scenata” si lagnò la vampira bionda.
“Lo
sai che tua sorella ha esagerato” la rimproverò
mia zia.
“Ma
è fatta così!” sibilo Kate.
“Bella non doveva sentirsi così
sotto pressione per nulla”. Le due vampire continuarono a
battibeccare per un bel po' e io non sapevo se intervenire o meno, ma
anche se l'avessi fatto avrei finito per difendere mia madre e
litigare con Kate proprio come stava facendo Alice e non volevo dare
il colpo di grazia al suo matrimonio...
“Uffa”
sbuffò Jake alle mi spalle. “Secondo me non la
smettono più”.
“Si,
hai ragione” convenni. “Cosa facciamo?”.
“Non
lo so” rispose, pensieroso.
“Mi
sa che dovrò chiamare Jasper” spiegai, dirigendomi
verso mio zio.
Stava parlando amabilmente con Emmett e Garrett delle ultime partite
di baseball. Mi avvicinai con circospezione cercando di non
disturbare e afferrandogli la mano, gli dissi, usando il mio potere:
“Puoi aiutarmi?”. Lui sobbalzò e poi mi
guardò sorpreso e senza
dire una parola mi seguì, lontano dai due vampiri con cui
stava
conversando.
“Cosa
c'è, Nessie?” chiese.
“Alice
sta litigando con Kate per quello che è successo
prima” spiegai.
“Potresti calmarla un po'?”. Ma ormai Jasper non mi
guardava più,
protettivo com'era, stava già raggiungendo Alice e stava
già usando
il suo potere visto che Kate cominciava a sorridere e i tratti del
suo viso di pietre si stavano già distendendo.
“Comunque
non è successo niente” convenne la vampira bionda.
“Poteva
andarci molto peggio!”.
“Si,
hai ragione” sentenziò Alice, ricambiando il
sorriso. “Ora
scusami” concluse, correndo verso di me e tirando un sospiro
di
sollievo.
“Grazie”
farfugliò.
“Non
preoccuparti” risposi, sorridendole. “Quando
rientreranno i
miei?”.
“Tua
madre tra qualche minuti” spiegò, mentre guardava
nel futuro. “E'
meglio che si sbrighi”.
“Si,
hai ragione” concessi, se mia madre doveva chiedere scusa a
Kate
era meglio che lo facesse mentre era ancora sotto l'effetto del
potere di Jasper. Come al solito le visione di Alice era infallibili
e dopo pochi minuti mia madre entrò dalla porta principale e
mia zia
le si avvicinò subito.
“La
prossima volta interverrò, sappilo”
sibilò lei, risentita.
“Te
ne sarei grata” rispose mia madre, con aria colpevole.
“Ti
conviene andare adesso che Jasper sta usando il suo potere”
le
consigliò Alice, tornando serena.
“Giusto”
convenne mia madre con un po' di nervosismo.
“Andrà
bene” la rassicurò Alice.
“Grazie
Alice” rispose mia madre e sospirando si diresse verso Kate.
“A
dopo” la salutò mia zia e si diresse verso di noi,
pensierosa.
“Andrà
tutto bene, Alice?” le chiesi, preoccupata.
“Non
ti fidi delle mie visioni?” ribatté lei,
sorridendo.
“No”
risposi, ridendo ed entrambe rimanemmo ad ascoltare la conversazione
tra mia madre e Kate. Non stavamo litigando, anzi Kate sorrideva e
sembrava scherzasse, mentre mia madre era alquanto sollevate e non
era più arrabbiata, così si congedò
poco dopo dalla novella sposa
dicendo che aveva qualcun altro con cui doversi scusare. Intuendo che
si trattasse di mio padre mi avvicinai e le dissi:
“Papà è fuori,
sul retro”.
“Grazie”
rispose lei, defilandosi e uscendo dalla porta velocemente. Mi
avvicinai a Jacob che era rimasto dietro di me tutto il tempo e
sorridendogli lo presi per mano e ci spostammo lontano dagli altri.
“Com'è
andata con mia madre?” chiesi, curiosa.
“Come
al solito” rispose, sbrigativo.
“In
che senso?” domandai.
“Non
è difficile far riprendere tua madre”
mormorò. “E' sempre la
stessa...”
“Sempre
la stessa?”.
“Si”
esclamò, sorridendo. “Prima che tuo padre la
trasformasse avevo
paura che dopo sarebbe cambiata...sarebbe diventata come tutti loro,
una pietra viva...ma devo ammettere che è sempre la stessa e
se
potesse ancora farlo, continuerebbe ad inciampare
dappertutto”
concluse, ridendo. Stavo per aggiungere qualcosa, ma in quel momento
entrarono i miei genitori e ci avvertirono che era ora di tornare a
casa. Così cominciammo a salutare tutti e com'è
di consuetudine,
iniziammo dalla sposa, mentre Jake rimaneva a distanza e si limitava
a ringraziare e salutare evitando il contatto fisico. Mentre salutavo
Carmen e il suo compagno, vidi tornare Tanya e dirigersi verso mio
padre per salutarlo.
“Ciao,
Edward” cinguettò. “Mi raccomando vieni
a trovarci più spesso”.
Il singolare era casuale o fin troppo premeditato? Mia madre si
scostò per permettere a Tanya di abbracciare mio padre,
invece lui,
per fortuna, la trattenne e si allontanò dalla vampira.
“Arrivederci,
Tanya” la salutò, severo. Lasciando la vampira con
un'espressione
indecifrabile sul volto, a metà strada tra
l'incredulità e la
furia. Mentre attorno a noi calò il silenzio e io, invece,
gioivo
dentro perché finalmente mio padre si era ribellato alle
attenzioni
superfluo di quell'oca. Tanya stava per dire qualcosa di molto poco
cortese, visto che mio padre la interruppe subito.
“Bella
è mia moglie ed io la sostengo e le do ragione sempre, in
ogni caso”
spiegò mio padre, lasciandola senza parole e io non riuscii
a
trattenere un sorrisino maligno.
“Ora
sarà meglio andare” intervenne Alice, per evitare
un'altra
discussione. “Il viaggio è lungo”. Senza
aggiungere altro ci
dirigemmo fuori la porta e ci lasciammo il matrimonio e il clan di
Denali alle spalle. Era stata una lunga giornata, ora avevo solo
voglia di dormire un po' e non pensare più a
niente...ammesso che i
miei incubi me lo avrebbero permesso.
“Finalmente”
sbottò Jacob, appena fummo arrivati davanti alle macchine.
“Dai”
sospirai. “Non è stato così
male”.
“Spero
che questo sia davvero l'ultimo matrimonio dell'anno”
sbuffò. “Non
ne posso più”.
“Ammesso
imprevisti” intervenne Alice. “E'
l'ultimo”.
“Spero
che le tue visioni siano corrette” sentenziò lui.
“Lo
sono” sibilò lei.
“Bene”
sospirò il mio lupo. “Non avrai più
motivo di farmi indossare uno
smoking”.
“No”
mormorò Alice. “Ma domani sera vi farò
vedere il vostro
guardaroba per la scuola!”.
“Cosa!?”
urlammo all'unisono io e Jake.
“Visto
che non vedo più il futuro, credo che resterete a casa
Cullen”
spiegò. “Ci divertiremo!”. Non
aspettò che rispondessi e subito
corse verso la sua auto, mentre Jacob mi guardava incredulo.
“Ho
promesso a mio padre che domani potranno stare da soli a
casa” mi
giustificai.
“Fantastico”
sbuffò il mio lupo.
“Andiamo”
esclamai. “Non è una tragedia!”.
“Speriamo”
concluse Jake. “Ora andiamo, ci stanno aspettando”.
Velocemente,
salimmo sulla Volvo e mio padre mise in moto e partì. Non
sapevo più
se volevo dormire o meno, così cominciai a guardare fuori
dal
finestrino. Nessuno parlava, l'unica cosa che rompeva il silenzio che
si era creato era la radio che stava trasmettendo una canzone che
neanche conoscevo e quindi non ci prestai molta attenzione. Dopo un
po' però il sonno ebbe la meglio e appoggiando la testa
sulla spalla
del mio lupo, mi addormentai. Per fortuna non sognai nulla e mi
lascia cullare dal ringhio del motore della Volvo, finché
non caddi
in un sonno più profondo e abbandonai ogni contatto col
mondo
esterno. Non sapevo da quanto tempo dormissi, a risvegliarmi fu il
mio lupo che mi chiamava piano.
“Cosa
c'è?” chiesi, ancora prima di aprire gli occhi.
“Ci
fermiamo ad un autogrill, hai fame?” domandò mia
madre.
“Un
po'“ ammisi, iniziando a guardarmi intorno. Dovevano essere
passate
un paio d'ore, visto che probabilmente non eravamo più in
Alaska.
“Ti
prendo anche qualcosa per cambiarti, forse il vestito ti da
fastidio”
continuò mia madre.
“Non
più di tanto” risposi, infatti era come se avessi
un semplice
jeans, non mi dava il benché minimo fastidio. Mio padre
scese
dall'auto per andare a prenderci qualcosa da mangiare, mentre io e
mia madre ci dirigemmo nei bagni per cambiarci. Non parlammo molto,
scambiammo giusto un paio di commenti sul tempo e sul viaggio e poi
tornammo all'auto. Anche Jake e mio padre si era cambiati e lui stava
già addentando uno dei due panini che mio padre aveva preso
per lui.
Quando mi vide arrivare sorrise e mi porse il mio panino, lo
ringraziai mentalmente e ripresi il mio posto nell'auto. Mangiai
lentamente mentre il viaggio continuava, invece il mio lupo
finì i
suoi panini in un batter d'occhio e cominciò a guardare
fuori con
gli occhi stanchi, probabilmente si sarebbe addormentato
presto...Quando finii mi guardò sorridente e
disse:”Hai ancora
sonno?”.
“Un
po'“ ammisi.
“Puoi
stenderti se vuoi” continuò, sorridente. Ricambiai
il sorriso e
senza farmelo ripetere poggiai la testa sulle sue gambe e chiusi gli
occhi, sentii solo che mi prendeva la mano e poi caddi, di nuovo, in
un sonno profondo. Non sognai nulla, però dentro di me si
insinuò
una strana pace che mi cullò per tutto il viaggio, non
sapevo cosa
fosse cambiato, mi sentivo bene e tanto bastava...
Quando
arrivammo, Jake mi svegliò di nuovo dolcemente e insieme
scendemmo
dall'auto. Tutti tirarono un sospiro di sollievo di fronte alla
grande casa Cullen che non era mai stata così accogliente.
La mia
famiglia non ci mise niente a riprendere le vecchie abitudini, i miei
nonni andarono a caccia mentre Emmett si posizionò sul
divano
davanti alla TV e Rose accanto a lui. Alice si avvicinò
pronta a
prenderci in ostaggio per l'intera serata, ma mio padre la
precedette.
“Alice”
la chiamò.
“Non
preoccuparti, Edward” rispose lei. “Ci divertiremo
un mondo!”.
“Me
lo auguro” rispose mio padre, guardando la mia espressione
affranta.
“Allora
vi aspetto dentro” cinguettò e sparì in
un lampo.
“Vado
a vedere se trovo qualcosa da mangiare” mormorò
Jake ed entrò
anche lui in casa, rassegnato al suo destino.
“Allora”
dissi. “Hai organizzato tutto?”.
“Tutto
pronto” mi assicurò, sorridente.
“Allora,
cosa aspetti?” chiesi. “Vai!”.
“Volevo
avvertire, Alice” si giustificò, ridendo.
“E poi volevo
ringraziarti, ancora”.
“Non
preoccuparti” risposi, avvicinandomi e baciandolo sulla
guancia.
“Vai, ci vediamo domani”. Ricambiò il
bacio e corse verso mia
madre, mentre io sospirando entrai in casa. Alice non si vedeva,
probabilmente era al piano di sopra con Jasper, così mi
diressi in
cucina dove trovai Jake seduto a tavola che mangiava.
“Ho
preso qualcosa per te” mi informò, appena mi vide
entrare,
indicando il piatto sul tavolo.
“Grazie”
risposi e mi sedetti a tavola. Mangiammo in silenzio e Jake,
stranamente, non divorò tutto in un lampo, probabilmente
cercava una
scusa per non doversi sorbire Alice. Purtroppo la cena non
durò a
lungo e quando finimmo, mi alzai per mettere a posto, mentre Jake mi
aspettava sul ciglio della porta.
“Cosa
facciamo ora?” chiese, quando gli andai incontro.
“Non
lo so” ammisi.
“Cerchiamo
di evitare tua zia” sussurrò, cercando di non
farsi sentire.
“Troppo
tardi” cinguettò una voce dietro di lui.
“Forza, andiamo!”.
Alice superò Jake e prendendomi per mano mi portò
nella camera di
mio padre, poi, dopo essersi assicurata che anche il mio lupo
l'avesse seguita, si defilò dicendo che doveva prendere i
nostri
vestiti. Io e Jake rimanemmo in silenzio, aspettandola, era inutile
cercare di consolarsi, Alice ci avrebbe annoiati a morte e lo
sapevamo benissimo entrambi.
“Eccomi”
esclamò, con le braccia cariche di vestiti e dietro di lei
entrò
Jasper con il resto.
“Non
sapevo avessi un complice” l'accusò Jacob.
“Non
sono un complice” si lamentò Jasper.
“Sono un ostaggio!”.
“Finitela
di lamentarvi” li rimproverò lei. “Da
dove iniziamo?”.
“Che
ne dici se iniziamo dalla parte in cui tu te ne vai?” si
lagnò
Jake.
“Attento,
cane” lo ammonì Jasper, ma Jacob non lo
calcolò minimamente.
Quello che venne dopo, come potevamo immaginare, fu tormentato dalla
noia e da attacchi di sonno frequenti. Io e Jake cercavamo di
mostrare attenzione, ma era del tutto inutile, tanto Alice parlava da
sola e non c'era neanche bisogno di capire cosa stesse dicendo.
Sapevo solo che la fila di vestiti non finiva mai, erano tutti
diversi e probabilmente bellissimi, ma appena me ne mostrava un altro
dimenticavo quello precedente, non che volessi ricordarlo. Jacob
faceva fatica a tenere gli occhi aperti e ogni tanto mi lanciava uno
sguardo implorante, come se io potessi fare qualcosa, infatti gli
rispondevo con una scrollata di spalle mentre la fila di vestiti
continuava...Finché non persi la concezione del tempo e
tutto quello
che avvertivo era la voce di Alice e la sua sfilata che continuava,
non poteva farmi subire una cosa del genere dopo un viaggio lungo
come quello! Probabilmente a lei non interessava se io fossi attenta
o no, le servivano solo un paio di spettatori...
“Alice!”
esclamò mia nonna e subito mi risvegliai dal mio stato di
torpore.
“Guardali stanno dormendo in piedi!”.
“Avevo
quasi finito” convenne lei. “Mancava solo questo,
gli accessori
magari un altro giorno”.
“Va
bene” acconsentì mia nonna. “Ma dopo li
lasci dormire”.
“D'accordo”
mormorò lei. Girai lo sguardo in cerca di un orologio e
notai che
erano appena le undici, avevo dormito in piedi per un paio d'ore...
Alice ci mostrò l'ultimo vestito e dopo aver ricevuto un
paio di
apprezzamenti forzati, ci augurò la buona notte e ci
lasciò soli.
“Ora
va a dormire, piccola” mormorò mia nonna,
accarezzandomi una
guancia. Annuii e mi diressi in bagno per prepararmi ad andare a
letto. Quando tornai sentii mia nonna parlare con Jake, lei era
materna con tutti, l'unica dei vampiri che si preoccupava, davvero,
di come stesse Jake, a parte mia madre ovviamente...
“Sicuro,
che non vuoi rimanere?”.
“Si,
non preoccuparti” mormorava Jake, assonnato. “Devo
dare il cambio
ad Embry”.
“Ma
sei così stanco!” lo rimproverò mia
nonna. “Dovresti
riposare!”.
“Sto
bene” sorrise Jake, per rassicurarla e mia nonna, a
malincuore,
dovette lasciarlo andare.
“Carino
il pigiama” esclamò appena mi vide.
“Grazie”
risposi, senza scompormi.
“Beh,
ora devo andare” m'informo. “Ci vediamo
domani”.
“Ciao”
risposi, un po' triste. Lui mi diede un bacio sulla guancia, che
durò
un po' più degli altri e poi andò via. Mi
avvicinai al letto e
lentamente mi stesi, sotto gli occhi protettivi di mia nonna. Le
augurai la buona notte, lei mi diede un bacio sulla fronte e
andò
via, chiudendosi la porta alle spalle. Non ci misi molto ad
addormentarmi, purtroppo non ritrovai la pace che avevo trovato in
macchina e non capivo perché. Pensavo che l'avessi superato,
che
finalmente gli incubi fossero scomparsi, ma non era
così...ricominciarono e ora come se non bastasse c'era anche
Tanya a
popolarli. Mi strappava via mio padre e poi faceva del male a mia
madre, in una danza che proseguì per tutta la notte,
probabilmente.
Finché non capii, era stato il mio Jacob a tener lontano gli
incubi,
ma lui non c'era e io da sola non potevo farcela. Così non
potevo
che reagire come tutte le notti, stringere forte il cuscino, chiudere
gli occhi e sperare che il sole sorgesse il prima possibile...
NDA: spero che questo capitolo vi sia piaciuto e mi
piacerebbe leggere i vostri pensieri ^^ grazie e buona lettura!!
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Capitolo 10 *** Vacanza ***
Capitolo
10: Vacanza
“Ricordati
che ti chiamerò tre volte al giorno, quindi tieni il
cellulare
acceso e non dimenticarlo da qualche parte”. Annuii piano
senza
ascoltare, ormai la paternale andava avanti da un quarto d'ora e
l'agitazione di mio padre cresceva mano a mano che l'orario della sua
partenza si avvicinava. Io non ero preoccupata ne ansiosa, me ne
stavo seduta su una delle valige, mentre mio padre faceva avanti e
indietro per metterle in macchina e mia madre prendeva le ultime cose
che mancavano. Quando mio padre uscì di nuovo, sospirai e lo
seguii
con lo sguardo attraverso la finestra.
“Spero
che non mi chiami ogni cinque minuti” mormorai, continuando a
guardarlo.
“Gli
sequestrerò il cellulare” rispose mia madre,
ridendo. Intanto mio
padre era tornato, pronto per prendere la prossima valigia e mi
sorrise a mo' di scuse, come se avesse sentito tutta la
conversazione. Quando ebbero finito li accompagnai sul ciglio della
porta per aspettare Jake.
“Nessie,
mi raccomando...” ricominciò mio padre, sempre
più agitato.
“Papà
è una vacanza!” sibilai. “Devi
divertirti, io starò bene”.
Non
era molto convinto, sarei stata un suo pensiero fisso. “Tre
volte
al giorno, non te lo dimenticare”.
“Si”
sbuffai e lui rise, divertito. Rimanemmo in silenzio per qualche
minuto, poi mia madre impaziente iniziò a guardarsi intorno,
a
differenza di mio padre non vedeva l'ora di partire e lasciarsi Forks
alle spalle e non la biasimavo per questo.
“Ma
dov'è Jacob?!” esclamò infine.
“Starà
arrivando, amore” la rassicurò mio padre.
“L'aereo è tra
un'ora”. Mia madre non rispose, ma continuò a
guardare tra gli
alberi alla ricerca del più piccolo suono o movimento che
avesse
potuto presagire l'arrivo del mio lupo. Anche io non vedevo l'ora che
partisse, un'intera settimana da sola con Jake, la mia carta di
credito e la mia macchina nuova, cosa potevo volere di più
dalla
vita? Dopo circa un quarto d'ora Jake spuntò in forma umana
dai
cespugli di fronte la mia casetta e si avvicinò svelto con
un gran
sorriso stampato in faccia.
“Finalmente!”
sibilò mia madre.
“Jacob”
lo salutò mio padre, quando ci raggiunse.
“Non
potevi venire in forma di lupo?” lo sgridò mia
madre.
“Andiamo,
Bells!” si giustificò lui. “Solo cinque
minuti di ritardo”.
“Ora
è meglio che andiamo” continuò lei,
senza rispondergli. Mi si
avvicinò e mi abbracciò, continuando a
ringraziarmi. “Divertitevi”
mormorai, mentre si allontanava, lasciando spazio a mio padre.
“Nessie?”
chiese lui, severo.
“Si,
papà, tre volte al giorno” sbuffai, sorridendogli
e lui mi strinse
forte a se, come se non volesse lasciarmi. Poi, allontanandosi,
lanciò un'occhiata di avvertimento a Jacob che gli rispose
con un
sorriso compiaciuto, prima che lui salisse in macchina. Li guardammo
andare via, quando la macchina sparì tra i cespugli
rientrammo in
casa e ci accomodammo sul divano.
“Perché
hai fatto tardi?” chiesi a Jake.
“Sono
venuto con la moto” rispose, ridendo.”Cosa vuoi
fare oggi?”.
“Non
lo so” risposi. “Di certo non voglio rimanere
qui”.
“Claire
mi sta implorando di rivederti” sghignazzò lui.
“E mio padre
dice che non vado mai a trovarlo”.
“Allora
si va a La Push!” esclamai, contenta.
“Esatto”
rispose lui.
“Allora
vado a prepararmi” mormorai, fiondandomi in camera mia. Presi
la
prima borsa che mi trovai davanti, ci infilaii un costume e una felpa
e un jeans di ricambio, nel caso Jake avesse deciso di buttarmi in
acqua vestita. Poi presi il telefono e velocemente composi il numero
di Alice, che rispose al primo squillo.
“Nessie?”.
“Ciao,
Alice” risposi. “Volevo solo dirti che stamattina
vado a La Push
con Jake”.
“Va
bene”mormorò. “Ma stasera fate un salto
anche qui!”.
“D'accordo”
esclamai. “Ora però devo andare, ciao!”.
Chiusi la chiamata e
raggiunsi Jake nel soggiorno, lui mi guardò un attimo e poi,
chiese:
“Andiamo?”.
“Andiamo”
concordai e lo seguii fuori casa. Mi assicurai che il cellulare fosse
nella sua tasca e che non ci fosse il silenzioso, stavo per
rimetterlo in tasca quando squillò tra le mie mani.
“Papà?”
chiesi, sconcertata. “Avete dimenticato qualcosa?”.
“No,
Nessie” rispose lui. “Cosa stavi
facendo?”.
“Niente”
spiegai. “Stavo per andare a La Push con Jake”.
“Ah”
sussurrò. “Sta attenta”.
“Si,
papà” lo rassicurai. “Dove
siete?”.
“Stiamo
per imbarcarci” mormorò. “Ora
però vado, tesoro”.
“Va
bene, papà” lo salutai.
“Già,
mi manchi” sbuffò lui. “Ti voglio
bene”.
“Anch'io”
risposi e attaccai. Jacob, intanto, era andato a riprendere la moto
che aveva lasciato tra i cespugli ed era tornato, fermandosi di
fronte a me, sorridendo soddisfatto. Velocemente rimisi il cellulare
nella tasca dei jeans e poi salii sulla moto.
“Tieniti
forte!” mi avvisò Jake e io, senza farmelo
ripetere, mi aggrappai
alla sua schiena. La moto partì in un attimo e insieme alla
polvere
si alzò anche un ruggito assordante, subito
cominciò a sfrecciare
nella foresta evitando gli alberi agilmente. Visto che rimanemmo
nella foresta, evitando strade e traffico, dimezzammo la durata del
viaggio e arrivati a La Push trovammo Quil e Claire sulla spiaggia
che giocavano come al solito. Nessuno dei due ci vide e io seguii
Jake nel suo garage, dove posò con cura la moto attento a
non
danneggiarla e poi, ci dirigemmo insieme sulla spiaggia e io andai
incontro a Claire.
“Claire”
la chiamai. Appena mi vide il suo viso si illuminò e mi
corse
incontro urlando: “Nessie, Nessie!”. Aprii le
braccia,
istintivamente, e lei mi buttò le braccia al collo ridendo.
Raggiungemmo Quil e Jake che scherzavano sulla spiaggia scambiandosi
pugni amichevoli.
“Allora”
li chiamò Claire, con la sua vocina squillante.
“cosa facciamo
oggi?”.
“Cosa
vuoi fare, piccola?” chiese Quil, sempre pronto ad esaudire
ogni
sui piccolo capriccio.
“Il
bagno!” urlò lei, saltellando.
“Vado
a mettermi il costume” mormorai al mio lupo, mentre Claire
era già
salita sulle spalle di Quil e insieme stavano andando ad immergersi
tra le onde. Jacob non rispose, allora mi diressi verso casa sua,
così da potermi cambiare. Ma prima che mi allontanassi
troppo, il
mio lupo mi fu alle spalle e mi prese per un braccio.
“Non
c'è ne bisogno” mormorò. Cercai di
liberarmi, ma la presa ferrea
di Jacob si spostò dal mio braccio alla vita e senza troppe
cerimonie mi alzò da terra, trascinandomi verso la spiaggia.
Prima
che Jacob mi facesse fare un bel tuffo tra le onde, il mio cellulare
squillò e lui fu costretto a rimettermi sulla spiaggia,
sbuffando.
Non ebbi neanche bisogno di controllare il nome sul display.
“Papà?”.
“Ciao,
tesoro” mi salutò come se niente fosse.
“Cosa stai facendo?”.
“Stavo
per fare il bagno” risposi, mentre cercavo di allontanarmi da
Jake.
Salvare i vestiti era ancora nei miei piani...
“Con
chi?” chiese mio padre.
“Con
Jake, Claire e Quil” mormorai, guardandomi intorno.
“Va
bene” sospirò lui. “Allora ti lascio
divertire”.
“Potresti
provare a farlo anche tu” suggerii. “Avevi detto
tra volte al
giorno, non in un'ora”.
Rise
di gusto e quando la risata si spense, disse: “Hai ragione,
tesoro,
divertiti!”.
“Ciao,
papà” lo salutai.
“Ciao,
Nessie” rispose e attaccò. Misi il cellulare nella
borsa per
evitare che si bagnasse e cercai, di nuovo, di raggiungere la casa di
Jake. Ma lui era proprio lì che mi aspettava, appoggiato
alla
veranda, sorridente. Mi venne incontro e non riuscii a scappare,
questa volta mi prese in braccio e corse verso il mare, per non
rischiare di essere di nuovo interrotto da qualcuno, mentre io gli
urlavo: “No! Jake, fammi cambiare!”. Ma lui ridendo
mi lasciò
cadere in acqua, mentre Claire rideva e batteva le mani insieme a
Quil. In un attimo mi ritrovai sommersa, con il sedere sul fondale e
le onde che si infrangevano sulla mia schiena, comunque riuscivo
ancora a sentire le risate di Claire e dei due licantropi. Mi alzai
velocemente e ridendo mi avventai sul mio lupo cercando di farlo
cadere, il risultato fu che mi ritrovai sul petto nudo del mio
licantropo, mentre lui se la rideva steso sul fondale. La giornata
passò in fretta tra schizzi, urla e risate. A pranzo ci
fermammo da
Billy che fu molto contento di riavere suo figlio a casa, insieme a
noi, come al solito c'erano Rachel e Paul ormai inseparabili.
Mangiammo tranquillamente e dopo io e Jake facemmo una passeggiata da
soli sulla spiaggia. Non parlammo di niente in particolare, eravamo
solo felici di essere un po' da soli. Quando il sole
cominciò a
calare decidemmo di andare a casa Cullen, anche se sapevamo che Alice
avrebbe continuato a torturarci con la storia dei vestiti per la
scuola. Salutai tutti velocemente e poi raggiunsi Jake nel suo
garage, intento a portare fuori la moto.
“Se
tua zia ricomincia con la storia della scuola, giuro che me ne
vado!”
sibilò.
“Non
puoi” risposi, sorniona. “Devi rimanere con me,
l'hai promesso!”.
“A
tua zia non dispiacerà torturarti per tutta la
notte!” scherzò.
“Si
diverte di più a torturare te” constatai.
“Andiamo”
mi chiamò, sorridendo. “Salta su”.
Velocemente, salii sulla moto
e mi aggrappai alle sue spalle, mentre partiva. Questa volta non
passammo per la foresta, ma usammo la strada abituale. Qualcosa mi
diceva che stava facendo di tutto per perdere tempo e io non avevo
nulla in contrario. Arrivammo a casa Cullen quando ormai era quasi
buio e gli ultimi raggi di sole giocavano tra gli aghi di pino,
creando sul terreno strani disegni danzanti. Ad accoglierci a casa
Cullen fu mia nonna e, con mia grande sorpresa, Alice e Jasper non
erano in casa.
“Dov'è
Alice?” chiesi.
“Sono
andati a caccia” sussurrò, titubante, mia nonna.
Poi si defilò in
cucina dicendo che doveva prepararci la cena. In casa c'era una
strana atmosfera, probabilmente era successo qualcosa e nessuno
voleva mettermi al corrente dell'accaduto. Jacob fece finta di niente
e seguì mia nonna in cucina, mentre io mi accomodai sul
divano,
vicino a Rose.
“Cosa
hai fatto oggi?” chiese, subito.
“Siamo
stati in spiaggia” risposi, senza pensarci.
“Ti
sei divertita?” continuò, cercando di portare
avanti la
conversazione.
“Molto”
esclamai, soddisfatta. Era stata una giornata meravigliosa ed ero
sicura che il resto della settimana sarebbe andato ancora meglio.
Rosalie non aggiunse altro e io ispezionai con gli occhi la stanza in
cerca di qualcosa che non quadrasse, ma non vi trovai niente. Mio
nonno, come al solito, era nel suo studio, potevo sentire le pagine
dei libri girarsi una dopo l'altra molto velocemente, poi i miei
occhi caddero su Emmett che faceva zapping con aria arrabbiata e
infastidita. Quello era l'unico particolare che non quadrava, ma non
ci feci molto caso... Rimanemmo un po' in silenzio, quando sentii il
mio cellulare vibrare. Scattai verso la mia borsa e risposi, prima
ancora che la mia mano fosse arrivata sul mio viso.
“Papà?”
risposi.
“Ciao,
Nessie!” esclamò lui.
“Dove
siete?” chiesi curiosa.
“Sulla
spiaggia” scherzò lui.
“Com'è
l'isola?”.
“Bellissima”
spiegò. “Esattamente come la ricordavo”.
“La
tua memoria è infallibile...” mormorai, contenta.
“Tu
dove sei?” continuò mio padre.
“Siamo
a casa Cullen”
“Nessie
è pronto!” mi chiamò mia nonna.
“E'
meglio che tu vada” consigliò mio padre.
“Va
bene” risposi. “Allora ci sentiamo
domani?”.
“Perché?”
sbottò lui.
“Hai
detto tre volte al giorno” spiegai. “Mi hai
già chiamata tre
volte”.
“Va
bene” sospirò. “Allora
buonanotte”.
“Buonanotte”
risposi ridendo, non era una cosa che si augurava spesso ai vampiri.
Misi il telefono nella tasca dei jeans, andai in cucina e trovai Jake
era già seduto a tavola e mi aspettava impaziente. Mi
sedetti a
tavola e cominciammo a mangiare, mentre mia nonna si
allontanò.
“Vuoi
dormire qui o andiamo a casa?” chiese Jake, mentre finiva il
piatto
di pasta.
“Voglio
andare a casa” risposi, pensierosa.
“Bene”
mormorò lui, molto sollevato da quella prospettiva. Dopo
cena,
rimanemmo un altro po' con i miei zii e poi tornammo a casa. Come la
prima, volta Jake non usò le strade ma attraversammo la
foresta che
ormai era immersa nel buio e i suoi abitanti dormivano tranquilli, a
parte qualche eccezione come un gufo appollaiato su un albero
nell'attesa di una preda. Per quanto fosse buio e la foresta
illuminata solo dal leggero bagliore della luna, riuscivo a vedere
ogni piccolo dettaglio che ad un normale umano sarebbe rimasto
celato. Arrivati a casa Jake lasciò la moto all'entrata e
poi mi
seguì in casa.
“Hai
visto com'erano tesi i miei zii?” chiesi, prendendolo in
contropiede. Non avevo dimenticato gli strani atteggiamenti della mia
famiglia e sapevo che se fosse successo qualcosa Jacob non ne sarebbe
stato tenuto all'oscuro.
“Io
non ho notato niente” si giustificò.
“Mi
sarò impressionata” sospirai, se pensava che
sarebbe finita li si
sbagliava. Non ero una bambina e non volevo essere trattata come
tale.
“Allora
vado a cambiarmi” continuai, chiudendomi in bagno. Jake
aspettò
paziente nel soggiorno che finissi e dopo lo raggiunsi. Lo trovai che
fissava il divano accigliato.
“Che
stai facendo?” lo scrutai.
“Non
posso dormire qui” si lamentò. “Questo
divano è troppo
piccolo”. Mi avvicinai al divano e confrontai, mentalmente,
la
grandezza delle sue spalle e quella del divano. No, non ci sarebbe
mai entrato, almeno che non avesse voluto dormire per metà
sul
pavimento, ma non era molto comoda come idea.
“No,
hai ragione” sospirai. Cominciai a guardarmi intorno cercando
una
soluzione, gli unici letti disponibili erano quello dei miei genitori
e il mio. Fallo dormire nel letto dei miei genitori era fuori
discussione, i miei genitori non avrebbero gradito la puzza.
L'alternativa era fallo dormire con me, cosa che mio padre non
avrebbe apprezzato per niente, anzi, avrebbe cacciato fuori Jacob a
calci. Ma, mio padre non doveva saperlo per forza... chissà
perché
l'idea di disubbidire mi dava sempre una scarica di adrenalina,
dopotutto mascherare l'odore sarebbe stato facile, se Jake aveva
passato la settimana con me era normale che una volta o due gli era
capitato di entrare in camera mia o sedersi sul mio letto. Per fare
quel ragionamento ci misi circa mezzo secondo e rivalutando l'idea mi
sembrò sempre più entusiasmante.
“Puoi
dormire con me” mormorai, abbassando lo sguardo.
“Tuo
padre mi ucciderebbe” constatò lui, ironicamente.
“Non
è detto che debba saperlo” sorrisi, maliziosa.
“Se
la metti così” acconsentì, imitando il
mio sorriso. Ci dirigemmo
in camera mia e lui mi prese per mano, quel contatto così
casuale mi
scatenò una miriade di sensazioni diverse. Il caldo della
sua mano,
la forza della sua stretta e il sorriso che era rimasto sul suo volto
fecero si che il mio corpo venisse inondato da brividi di calore che
mi attraversarono velocemente e che poi si riunirono nel mio stomaco
e rimasero lì per un bel po'. Lui si adagiò
lentamente sul mio
letto e aspettò paziente che spegnessi il cellulare, poi mi
accoccolai accanto a lui, poggiando la testa sul suo petto nudo e mi
addormentai mentre mi accarezzava i capelli...
Il
giorno dopo non fu affatto facile svegliarsi, sarei potuta rimanere
anche tutto il giorno accoccolata sul petto del mio licantropo. Ma
decisi di alzarmi e visto che Jake non ne voleva sapere, cominciai a
lavarmi e poi andai a preparare la colazione. Quando fu pronta la
misi in tavola e mi diressi in camera mia per svegliare il mio
licantropo, sorprendentemente era già sveglio e lo trovai
seduto sul
letto che contemplava la stanza ancora mezzo addormentato.
“La
colazione è pronta” lo informai.
“Bene”
rispose, sorridendomi e seguendomi in cucina. Non ci mise molto a
finire tutto quello che avevo preparato, mentre io me la presi
più
con comodo.
“Cosa
facciamo oggi?” chiese, curioso.
“Potremmo
andare da Charlie” riflettei.
“Si”
acconsentì. “E' una buona idea”. Finita
la colazione, cominciai
a rimettere in ordine la cucina mentre Jake si dava una rinfrescata.
Poi, sempre in sella alla sua moto, ci dirigemmo a casa di mio nonno.
Jake posò la moto nel vialetto e poi, insieme andammo verso
la porta
di mio nonno. Bussammo due volte, poi l'uscio della porta si
aprì e
con nostra grande sorpresa, fu Leah ad accoglierci in casa.
“Ciao,
Leah” la salutai.
“Ciao,
Nessie” rispose lei con sufficienza.
“Cosa
ci fai qui?”.
“Jacob!”
urlò Seth venendoci incontro. “Ehy,
Nessie!”.
“Ciao,
Seth” intonammo in coro io e il mio lupo.
“Rimaniamo
a pranzo” ci informò Leah, prima di farci entrare.
Mio nonno
chiacchierava amabilmente con Sue e nessuno dei due si era accorto
del nostro ingresso.
“Ciao,
nonno” lo salutai.
Lui
sorpreso, si alzò di scatto e mi venne incontro.
“Nessie!”.
“Come
stai?” gli chiesi, premurosa.
“Benissimo
e tu? Dove sono i tuoi genitori?” domandò
guardandosi intorno, ma
trovò solo Jake.
“Diciamo
che si sono presi una vacanza” ironizzai.
“E
tu che ci fai qui?” continuò.
“Ho
pensato di venirti a trovare” spiegai.
“Hai
fatto benissimo!” esclamò, illuminandosi. Ci
accomodammo in
salotto, che con tutti quei licantropi sembrava ancora più
piccolo.
Io, Sue e Leah eravamo sedute sul divano, mentre mio nonno si era
posizionato sulla sua poltrona e Jake e Seth erano seduti a terra a
pochi passi da me. Mio nonno parlava del più e del meno,
quindi non
ci prestai molta attenzione e cominciai a fare zapping sulla TV nuova
che gli avevamo regalato, finché una frase di Sue non
attirò la mia
attenzione...
“E
di tutte quelle ragazze morte, che mi dici?” chiese,
preoccupata.
“State indagando?”.
“Facciamo
il possibile” rispose, sconfortato mio nonno. “Ma
arriviamo
sempre un attimo dopo”.
“Avete
qualche indizio?” domandò Sue sempre
più preoccupata.
“No,
purtroppo” mormorò mio nonno. “Chiunque
sia è un maestro in
queste cose”.
“Hai
visto la partita di baseball?” intervenne Jacob per troncare
quel
discorso.
“No”
spiegò mio nonno. “Ieri abbiamo fatto gli
straordinari”.
“Come
mai?” chiesi, innocentemente.
“Ne
hanno trovata un'altra” mi informò.
“Proprio di fronte al
negozio dei Newton”.
“Ah,
si?” risposi, sarcastica, lanciando un'occhiataccia a Jacob,
che,
come al solito, fece finta di niente. Ora quadrava tutto, l'assenza
di Alice e Jasper la sera prima, il nervosismo di Emmett e la
tensione che si respirava a casa Cullen. Cercai di nascondere la
rabbia, ma non fu semplice, così andai in cucina ad aiutare
Sue a
preparare il pranzo, per distrarmi un po'. Mangiai in silenzio,
mentre mio nonno continuava ad intrattenere una discussione che non
stavo seguendo e rispondevo solo quando ero interpellata. Comunque fu
una giornata piacevole e come la precedente finì in fretta e
per
fortuna mio padre mi aveva chiamata solo una volta. La sera
arrivò
in fretta e fummo costretti a salutare e ad andare via, salii sulla
moto senza dire una parola e invece di aggrapparmi alle sue spalle,
usai solo i piedi per tenermi in equilibrio e lui non disse niente...
Arrivati a casa Cullen si respirava un'atmosfera molto più
serena,
giustamente pensavano di averla scampata. Ad accoglierci fu Alice che
era già sul punto di ricominciare con i suoi discorsi sulla
moda, ma
probabilmente la mia espressione le fece cambiare idea.
“Grazie
per avermi detto che ne avevano trovata un'altra” sputai,
appena
entrata nel salotto.
“Io
non ero d'accordo!” si difese subito Emmett.
“Tu
volevi solo andare con loro!” lo accusò Rose.
“Questo
non cambia le cose” sibilai.
“Mi
dispiace, tesoro” mormorò mio nonno.
“Non
sono una bambina” esclamai, stizzita. “E non voglio
essere
trattata come tale!”.
“Hai
ragione” concluse mio nonno. “Non
succederà più”. Finita la
discussione mi diressi in cucina, dove mia nonna aveva già
preparato
la cena. Io e Jake mangiammo in silenzio e quando avemmo finito,
tornammo a casa, dopo aver dato la buona notte a tutti.
“Nessie”
mormorò lui, appena entrati in casa.
“Non
pensare di passarla liscia” lo accusai. “Tu sapevi
tutto!”.
“Volevamo
solo proteggerti” si giustificò.
“Mentendomi?”
chiesi, sarcastica.
“Ehy,
tutti sbagliano!” esclamò.
“Si”
concessi. “Ma quando la smetterai di considerarmi una
bambina?!”.
“Io
non ti considero una bambina” rispose, semplicemente. Poi, di
fronte al mio silenzio si avvicinò e stringendomi al suo
petto,
mormorò: “Mi perdoni?”.
“Mi
prometti che non accadrà più?” mormorai.
“Promesso”.
Non
ci fu bisogno di dire altro, insieme ci dirigemmo nella mia camera e
come la sera precedente, mi addormentai sul suo petto caldo, cullata
dal suo respiro...
Il
giorno dopo, il risveglio non fu tanto piacevole. Il battere dei rami
sulla finestra e il rumore della pioggia insistente che si abbatteva
contro il vetro mi svegliarono violentemente. Mi guardai intorno
confusa, dopotutto non ero ancora pronta per svegliarmi...guardai la
sveglia: le cinque, fantastico! Sapevo che non sarei riuscita a
riaddormentarmi, quindi mi alzai per non disturbare il mio lupo che
al contrario dormiva come se niente fosse. Era bellissimo
nell'incoscienza in cui lo costringeva il sonno e il respiro regolare
e profondo mi calmava più di qualsiasi altra cosa. Mi
diressi in
salotto chiudendo piano la porta e mi posizionai sul divano,
accendendo la TV. Probabilmente mi appisolai di nuovo,
perché quando
chiusi gli occhi ero sicura fossero le cinque, mentre quando li
riaprii erano circa le otto. Dopotutto in soggiorno non si sentiva la
pioggia, quindi riaddormentarmi fu molto più facile.
“Oggi
non si esce” constatò il mio lupo, arrivandomi
alle spalle.
“Mi
sa di no” sospirai, triste.
“Che
ci facevi sul divano?” chiese, curioso.
“Mi
sono svegliata perché la pioggia mi dava fastidio”
spiegai.
“Va
bene” concesse. “La colazione è
pronta”. Mi alzai sorpresa e
felice e lo seguii in cucina. Si era dato da fare, aveva preparato
uova, bacon, biscotti e latte e fui felice di sedermi a tavola per
assaggiare la cucina del mio lupo. Nonostante avesse preparato una
colazione per quattro, non ci mise più di qualche minuto per
finire
la sua porzione e mentre aspettava che io finissi, fischiettava
felice.
“E'
una tempesta in piena regola” riflettei, una volta tornati in
salotto.
“Già”
rispose lui. “E in pieno agosto!”.
“C'è
poco da stupirsi” convenni. “Siamo a
Forks!”.
“E'
vero” concesse. “Allora cosa facciamo
oggi?”.
“Non
lo so” mormorai. “Cosa vuoi fare?”. Non
rispose, prese il
telecomando e mettendosi comodo sul divano cominciò a
cercare un
programma interessante. Allora mi alzai e mi diressi in camera mia,
dove presi un libro che mi aveva consigliato mia madre
“Orgoglio e
pregiudizio” di Jane Austen. Era uno dei suoi preferiti e
anche mio
nonno quando seppe che lo stavo leggendo fu contento della mia scelta
e mi consigliò di leggere anche gli altri libri della
Austen. Tornai
in salotto e sedendomi sul divano, cominciai a sfogliare i libri
tranquillamente, mente il mio lupo guardava la TV.
“Hai
intenzione di leggere tutto il giorno?” sbuffò.
“Hai
idee migliori?” chiesi, curiosa.
“Uffa!”
si lamentò. “E pensare che oggi volevo andare a
caccia!”.
“Possiamo
andarci domani” consigliai. “Non penso che
pioverà”.
“Si,
hai ragione” concesse. “Ma oggi cosa
facciamo?”.
“Non
lo so” riflettei.
“Cominciamo
a buttare quel libro!” scherzò, sfilandomelo dalle
mani e
alzandolo in aria, dove non potevo arrivare.
“Ridammelo!”esclamai,
mentre saltellavo per cercare di riprendermelo, conscia che fosse
tutto inutile.
“Non
hai un camino?” chiese, divertito.
“Non
osare!” sibilai. Lui si alzò dal divano, tenendo
sempre il libro
in aria, e cominciò ad indietreggiare mano a mano che mi
avvicinavo
per cercare di prenderlo. Cosa che era fisicamente impossibile, visto
che lui era alto due metri e io poco più di un metro e
sessantacinque... Avrei potuto saltare, ma così avrei rotto
qualcosa
e non volevo correre il rischio di dover correre in capo al mondo per
poterla sostituire, così continuavo a seguirlo per tutta la
casa,
senza ottenere risultati.
“Andiamo,
Jake!”.
“Perché?”
chiese, noncurante. “Io mi sto divertendo!”. Non
ebbi il tempo di
rispondere, che sentii il cellulare vibrare nella mia stanza,
così,
per non far aspettare mio padre, corsi a rispondere. La conversazione
non fu lunga, ma Jake si annoiò lo stesso e andò
a sedersi sul
divano, lasciando il libro sulla scrivania. Mio padre non si sorprese
affatto che a Forks piovesse e mi raccontò un po' quello che
stavano
facendo loro sull'isola e dopo i soliti saluti, attaccai. Tornata in
salotto, Jake era di nuovo seduto sul divano intento a guardare la
TV, così silenziosamente mi avvicinai e staccai la spina dal
muro.
“Cosa
stai facendo!?” sibilò.
“Se
io non posso leggere, tu non puoi guardare la televisione”
spiegai.
“Allora
cosa vuoi fare?” chiese, alzandosi.
Mi
guardai intorno ancora una volta e poi gli risposi. “Come te
la
cavi a dama?”.
“Cosa?”
domandò, sconcertato.
“Che
c'è di male?”.
“Vada
per la dama” concesse, con un sorriso ironico. Corsi nel mio
armadio e cominciai a cercare la scatola della dama, ma fu
più
difficile di quanto credessi. Alice con tutti quei vestiti doveva
averla spostata in fondo all'armadio. Speravo solo che non l'avesse
buttata per sbaglio, alla fine mi affidai al mio olfatto e quando
sentii l'odore di un vecchio scatolo, fui sicura di averla trovata.
Passammo tutta la mattinata a giocare a dama, visto che dopo le prima
incertezze, Jake cominciò a divertirsi sul serio e amava
prendermi
in giro ogni volta che riusciva a fare dama o a mangiarmi una pedina,
per non parlare poi di quando riusciva a vincere. L'ora di pranzo
arrivò senza neanche che ce ne accorgessimo, anche
perché
sorprendentemente mio padre non mi aveva ancora chiamata, forse mia
madre aveva trovato una maniera efficace per tenerlo distratto. Io e
Jake ci divertimmo a preparare il pranzo insieme e a criticare a
vicenda la cucina altrui. Dopo pranzo decidemmo di guardare un film,
la scelta fu ardua visto che i film di mia madre erano abbastanza
vecchi e secondo Jake anche noiosi, aveva tutti i tipi di Romeo e
Giulietta e tutti film del genere, alla fine optammo per una
commedia. Una commedia che in fin dei conti non faceva ridere
così
tanto, anzi, era anche noiosa. Così appoggiai la testa sulla
spalla
del mio lupo, che per poco non si addormentava. Intanto, la pioggia
imperterrita non voleva saperne di finire e quel film andava avanti
da circa due ore e non voleva proprio saperne di finire. Durante il
pomeriggio mi avevano chiamata mio padre e mia nonna, entrambi
volevano sapere cosa stessi facendo e se mi stessi annoiando e ad
entrambi dovetti mentire per evitare che Alice o qualcun altro
arrivasse a farci compagnia.
“Il
tuo gusto nello scegliere i film è quasi peggiore di quello
di tua
madre” scherzò il mio lupo.
“Questo
lo hai scelto tu!” lo accusai. “Io preferivo una
delle versioni
di Romeo e Giulietta”.
“Che
noia!” brontolò. “Tanto già
lo sai che muoiono entrambi!”.
“Cosa
c'entra?!” esclamai, alzandomi per guardarlo negli occhi.
“E' il
resto della storia che conta!”.
“Certo”
sorrise, sarcastico. “Il loro amore eterno!”.
“Proprio
quello!” sbuffai. Lui mi guardò serio un attimo e
poi sorrise
scuotendo la testa.
“Cosa
c'è?” chiesi.
Scrollò
le spalle e poi ridendo, rispose: “Tanto muoiono!”.
Gli diedi un
pugno sul braccio e mi unii alla sua risata, era sorprendete come
riuscisse a ridere su qualunque cosa, anche su una storia romantica
come quella di Romeo e Giulietta. Quando la risata si spense,
continuammo a fissarci negli occhi, come se cercassi una risposta o
qualcosa del genere, neanche lo sapevo... quando lo guardavo negli
occhi perdevo la concezione del tempo e dello spazio e non riuscivo
neanche a riflettere lucidamente. Mentre formulavo quei pensieri mi
accorsi che il braccio che aveva messo sulle mie spalle stava
stringendo la presa e che il suo viso si stesse avvicinando
lentamente a me. Desiderai chiudere gli occhi e lasciarmi andare a
quel momento, sicura che questa volta non ci sarebbe stato nessuno ad
interromperci, ma la parte più ragionevole di me mi
ricordò che mio
padre lo avrebbe preso come un tradimento, avrebbe pensato che
avessimo aspettato che lui non ci fosse a tenerci d'occhio per
lasciarci andare. Non volevo ferire mio padre, ma non volevo ferire
neanche il mio lupo, comunque alla fine a malincuore decisi che
quello non era il momento giusto. Mi alzai di scatto, sfuggendo alla
sua presa.
“E'...è...
meglio che vada a preparare la cena” balbettai e mentre mi
allontanavo, lo vidi sorridere come se se lo aspettasse. Scappai in
cucina e cominciai a preparare la cena, non sapevo neanche quello che
stavo facendo, ero troppo agitata per pensarci. Mi fermai solo quando
mi accorsi che le grandi braccia di Jake, si appoggiavano sul piano
della cucina, costringendomi tra lui e i mobili di fronte a me.
Quando mi girai, me lo ritrovai col viso a pochi centimetri dal mio,
che mi scrutava senza dire niente. Rimanemmo così un istante
infinito e poi la sua mano destra si alzò, posizionandosi
sotto il
mio mento per portarlo all'altezza del suo viso.
“Jake...io...io...”
balbettai, incapace di formulare una frase coerente.
“Ti
amo” rispose lui, con tutto l'ardore di cui era capace la sua
voce.
Non mi diede neanche il tempo rispondergli, che le sue labbra furono
sulle mie e questa volta non mi opposi, non volevo farlo. Ogni
cellula presente nel mio corpo si sporgeva verso di lui, mentre le
sue mani scesero sui miei fianchi e mi portarono verso il muro, dove
mi ci costrinsero con un leggera spinta. Tutti le preoccupazioni,
tutte le paure erano scomparse, non ricordavo più niente e
non
volevo farlo, vivevo quel momento come fosse il più bello
della mia
vita e niente poteva interromperlo. Lontanamente, come se provenisse
da un altro pianeta, sentii la vibrazione insistente di un cellulare,
ma lo ignorai, chiunque fosse avrebbe aspettato. Quando il
baciò
finì, mi ritrovai a guardarlo negli occhi e questa volta le
parole
non mi mancarono.
“Ti
amo” mormorai e lui sorrise, felice, poi per un'ultima volta
avvicinò di nuovo le nostre labbra delicatamente, prima di
lasciarmi
andare. Non dicemmo niente, lui si sedette a tavola e io ripresi a
preparare la cena. Mi sentivo felice, non ero mai stata così
in pace
con me stessa, sentivo che Jake era tutto quello che volevo e niente
riuscì a turbare la serenità di quella sera. Dopo
cena richiamai
mio padre e riuscii a nascondere tutta la mia euforia, inscenando
anche un po' di noia per la giornata passata a far niente. Poi mi
accoccolai tra le braccia del mio lupo e questa volta invece che un
bacio sulla guancia, mi diede la buonanotte con un bacio vero e
proprio che mi fece scivolare in un sonno leggero e felice...
Il
giorno dopo il risveglio conservò la gioia del giorno prima
e come
avevo predetto in cielo splendeva il sole. Mi alzai di
scattò quando
mi accorsi che Jacob non era al mio fianco e mi precipitai in cucina
dove lo trovai a preparare la colazione come il giorno prima.
“Buongiorno”
lo salutai felice, mentre mi avvicinavo a lui.
“Ciao,
tesoro” mi salutò, mentre mi accarezzava i
capelli. “Allora,
oggi a caccia?”.
“Si”
risposi, eccitata. “Ho voglia di sangue”.
“Bleah!”
scherzò lui, facendo una smorfia. Dopo fatto la colazione,
andammo
subito a caccia. Fu più facile concentrarsi una volta che
lui si fu
trasformato, anche se non la smetteva di spingermi con il suo enorme
muso o di leccarmi la faccia. Alla fine abbattemmo un cervo a testa e
dopo che ebbi finito di bere il suo sangue, mi guardai intorno
chiedendomi cosa avremmo potuto fare quel giorno. Mentre mi
avvicinavo a Jake, che si ripuliva il muso nel fiume, ci raggiunsero
anche Seth e Leah. Si scambiarono qualche sguardo e poi i due lupi
sparirono nella foresta.
“Cosa
volevano?” chiesi, curiosa e lui scrollo le enormi spalle.
“Cosa
facciamo ora?” domandai, ancora. Lui corse nella foresta,
dove non
potessi vederlo e quando tornò era in forma umana.
“Cosa
vuoi fare?” esclamò, sorridente.
“Non
lo so” mugugnai.
Alla
fine decidemmo di andare a casa Cullen, dove passammo una giornata
piacevole insieme ai miei zii. Naturalmente, evitammo di metterli al
corrente che io e Jake stavano insieme... quella parola mi sembrava
alquanto inusuale, strana... Non volevamo scatenare liti, Rose non
avrebbe reagito bene e mi bastava immaginare la reazione di mio
padre, solo per rabbrividire. Il resto della giornata passò
in modo
tranquillo, Jake era bravo a mentire quando non c'era nessuno che
poteva leggergli nel pensiero. Anche le giornate che mancavano
all'arrivo dei miei genitori passarono felici e spensierate, anche se
più passava il tempo più mi rendevo conto di
ciò che avevamo
fatto e mi preoccupava la reazione di mio padre. Non sapevo ancora se
dirglielo o meno, mi faceva paura pensare che avrebbe potuto
impedirmi di stare con Jacob e non sapevo proprio come affrontare la
situazione. Jake dal canto suo non era molto d'aiuto, il suo
menefreghismo non coincideva molto con la mia preoccupazione e per
giunta non potevo parlarne con nessuno, visto che i miei parenti
vampiri non ne sarebbero stati molto più entusiasti di mio
padre.
Purtroppo i due giorni rimanenti passarono troppo in fretta e alla
fine del secondo dovetti affrontare il discorso con Jacob.
“Pensi
che dovremmo dirlo a mio padre?” chiesi, sedendomi accanto a
lui
sul divano.
“Perché?”
domandò, scettico.
“Non
penso che la prenderà bene” spiegai.
“Non
la prenderebbe bene comunque” insistette.
“Si”
risposi. “Ma ora lui non c'è... lo prenderebbe
come un
tradimento...”.
“Ti
fai troppi problemi” sbuffò.
“Forse
non avremmo dovuto” sospirai.
“Perché?!”
esclamò.
“Mi
fa paura la reazione che potrebbe avere” mormorai. Jacob mi
si
avvicinò con aria protettiva e mi avvolse tra le sue
possenti
braccia, poggiando il mento sulla mia testa.
“Non
permetterò che ti succeda nulla” mi
rassicurò.
“So
che lui non mi farebbe del male” spiegai. “Ho solo
paura di
perderti”.
“Ti
ho aspettata per sette anni” sussurrò.
“Non sarà di certo tua
padre a dividerci”.
“Ti
amo, Jake”.
“Ora
lo so”. Alzai la testa per guardarlo e i nostri sguardi si
incrociarono, mentre Jake riuniva le nostre labbra ancora una volta.
Quando le nostre labbra si separarono, rimanemmo in silenzio a
guardare il vuoto. Pensai a come sarebbe stato il ritorno dei miei
genitori, Jacob non era bravo a tenere i suoi pensieri per
sé e io
non avevo capito se volevo dirglielo o meno... forse avrei dovuto
parlarne con mia madre, visto che l'idea di affrontare mio padre non
mi sfiorava nemmeno, avrei potuto lasciare a lei l'ingrato
compito...Comunque era meglio se Jake non ci fosse stato, per evitare
incidenti...
“Jake”
lo chiamai. “Penso che tu non dovrei essere qui al ritorno
dei
miei”.
“Perché?”
chiese, noncurante.
“Non
vorrei che ti scappasse qualcosa...”.
“Se
proprio ci tieni” mormorò.
“Grazie”
sospirai.
NDA: Questo è un capitolo bellissimo
finalmente c'è il primo bacio ** lo adoro solo per questo.
Spero che vi piaccia quanto piace a me e mi farebbe piacere ricevere i
vostri pareri. Grazie e buona lettura.
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Capitolo 11 *** Discussioni ***
Capitolo
11
Mi
affacciai alla finestra, il cielo era ricoperto di nuvole, sembrava
triste e spento. Io, invece, non ero ne triste ne spenta, anzi, ero
molto euforica e non solo perché di li a poco sarebbero
ritornati i
miei genitori, ma perché la mia vita era radicalmente
cambiata in
quella settimana, un attimo e tutto aveva preso una piega diversa,
una piega che forse per uno spettatore esterno era scontata, ma per
me non lo era affatto. L'unica nota dolente era che non potevo
parlarne con i miei genitori, loro non avrebbero capito, per loro ero
ancora una bambina di sette anni, ma io non mi sentivo tale.
Osservavo il vialetto che conduceva a casa mia, ancora qualche
secondo e da quella foresta avrebbe fatto la sua comparsa la Aston
Martin di mio padre. Non ebbi nemmeno il tempo di finire di formulare
quella frase nella mia mente, che annunciandosi con un rombo di
motore, apparve la macchina di mio padre. Quell'immagine mi
provocò
un attacco d'ansia, il mio cuore cominciò a battere
all'impazzata,
molto più forte del suo normale ritmo, e come se non
bastasse,
cominciai a sudare freddo. Non potevo permettermi di farmi vedere in
quelle condizioni, persino un umano si sarebbe accorto che ero
agitata fino all'inverosimile, dovevo calmarmi e dovevo farlo ora.
Chiusi gli occhi e cercai di di scacciare tutti pensieri, fino a
ritrovarmi da sola con me stessa. Poi la porta di casa si
aprì e
sobbalzai. “Renesmee cerca di sembrare il più
naturale possibile”
mi dissi e raggiunsi il salotto di corsa, ripetendomi “ Non
pensare
a Jacob, non pensare a Jacob...”.
“Bentornati!”
esclamai, sorpresa di quanto la mia voce fosse naturale. Corsi verso
mia madre e l'abbracciai, fu piacevole sentire di nuovo la sua pelle
fredda a contatto con la mia.
“Mi
sei mancata, amore” disse mia madre, tra i miei capelli.
“Anche
tu, mamma” le risposi e per quanto fosse vero, una parte di
me
avrebbe voluto che non fosse mai tornata, una parte di me non avrebbe
neanche voluto essere li in quel momento e mai come allora, quella
parte di me aveva tutto il mio appoggio. Poi entrò mio
padre,
sorridente come sempre, posò le valige sulla soglia e
guardando la
casa come se la vedesse per la prima volta, disse:
“Casa,dolce
casa”. Mi irrigidii appena lo vidi entrare e cercai di fare
di
tutto per non pensare a Jacob, osservavo cose che non avevo mai
osservato, mi perdevo in speculazioni su cose inutili, tutto pur di
salvare il mio segreto. Poi mio padre mi guardò e qualcosa
nei suoi
occhi brillò, mi venne incontro e mi abbracciò.
“Ciao, tesoro”
disse, poi guardo prima me e poi mia madre. “Leah, deve dirmi
qualcosa. Sta aspettando nel bosco. Torno subito”
continuò. Diede
un bacio a mia madre e scomparì oltre la soglia di casa, mia
madre
non gli staccò gli occhi di dosso finché lui non
scomparve alla sua
vista e per un attimo sembrò che stesse per alzarsi e
seguirlo di
corsa e così facendo mi avrebbe fatto un grande favore. Io e
mia
madre ci dirigemmo in camera mia, lei si sedette sul letto mentre io
rimasi in piedi, a debita distanza.
“Credevo
che ti avremmo trovato con Jacob, dov'è adesso?”
chiese mia madre,
curiosa. Non mi aiutava affatto, perché doveva per forza
parlare di
Jake? Cercai di rimanere impassibile e di risponderle senza destare
sospetti.
“E'
andato a parlare con il resto del branco” Per fortuna ero
brava
quasi quanto mio padre a mentire, in realtà io e Jake
avevamo
deciso, di comune accordo, che era meglio che lui non ci fosse al
ritorno dei miei genitori, tanto per evitare imprevisti.
“Dovevano
decidere...qualcosa” finii la frase, con più
convinzione
possibile.
“Noto
che sei molto informata” disse mia madre e poi si mise a
ridere, la
sua risata mi fece sobbalzare, cosa del tutto innaturale per me,
pregai che non se ne fosse accorta.
“Già”
le risposi, il mio corpo ormai sprizzava nervosismo da tutti i pori.
Guardai mia madre negli occhi e vidi che mi scrutava insistentemente,
aveva capito qualcosa, dovevo calmarmi. “Renesmee sta calma,
non
fare passi falsi” continuavo a ripetermi.
“
Renesmee,
cosa c'è?” mi chiese improvvisamente, rimase
impietrita, il
respiro mi si blocco in gola e cercai di formulare nella mia mente
una scusa coerente. Ma prima che potessi parlare, prima che chiunque
potesse fare qualcosa, la porta della mia camera si spalancò
ed
entro un vampiro... Si, un vampiro, non mio padre, quello che avevo
davanti non era mio padre, aveva gli occhi infiammati di chi
è
pronto ad uccidere e il suo corpo sembrava pronto a saltarmi addosso,
mio padre non aveva mai avuto quella espressione e mi
pietrificò con
i suoi occhi dorati.
“Perché
lo hai fatto?!” mi urlò contro, abbassai lo
sguardo, non riuscivo
a sostenere il suo. I miei occhi caddero sulle mie mani che in
pratica si stavano torturando a vicenda e sibilai
“Leah”. Non
potevo credere che mi avesse tradito così, sapevo che Leah
era
acida, ma non avrei immaginato che fosse anche cattiva e
calcolatrice, sapeva benissimo cosa sarebbe successo se mio padre
avesse scoperto il mio segreto!
“Per
quanto avevi intenzione di tenercelo nascosto?!”
urlò di nuovo mio
padre infuriato, alzai gli occhi e lo guardai in faccia.
“Siccome
eri così attenta a non pensare a Jacob prima!”
finì la frase,
quasi ringhiando.
“Papà,
calmati!” gridai a mia volta, stava notevolmente esagerando,
tanta
rabbia per niente. “Non esagerare! Non è successo
niente!”
conclusi la frase, alzando notevolmente la voce.
“Non
dirmi di calmarmi! Io e tua madre ti abbiamo dato fiducia e tu ne
hai approfittato!” mi accusò. In un attimo mi fece
sentire una
traditrice, una che non merita niente, ma non era così, un
bacio non
era una cosa che si può premeditare, è una cosa
che succede e
basta!
“Smettila!
Non ho approfittato di nulla! E' solo successo!” dissi a mia
discolpa, mi sentivo come un imputato in una camera giudiziaria, ma
non avevo il ruolo del serial killer spietato che merita la pena,
avevo il ruolo di uno che non ha fatto niente e che sta per avere una
pena peggiore di quella del serial killer. Passò un lungo
istante in
cui, io e mio padre ci guardammo in cagnesco, senza dire ne pensare
nulla, come due animali che si studiano prima dell'attacco finale e
io non ero di certo il più forte dei due, ma quello era un
incontro
a cui non potevo sottrarmi, ne andava della mia felicita futura.
“Non
lo rivedrai più!” urlò mio padre. In un
attimo mi cadde il mondo
addosso, aveva colpito nel segno, ma non potevo arrendermi, non
potevo smettere di lottare. La rabbia in attimo si placò e
dai miei
occhi cominciò a scendere un fiume di lacrime, che rigandomi
il
viso, mi facevano sentire debole e per una volta, una bimba davanti
ad un vampiro e non più una figlia davanti a suo padre.
“Non
puoi farmi questo! Sai cosa significherebbe per me! Sai benissimo
cosa si prova!” Lo accusai e intanto le lacrime scendevano
inarrestabili e per la prima volta non volevo nasconderle, non ne
sentivo alcun bisogno.
“Non
ho altra scelta!” Si giustificò mio padre, come se
quello bastasse
a calmarmi o fosse una ragione valida per impedirmi di vedere Jacob,
non avevo scelta, anche se avrei dovuto implorarlo in ginocchio o
combatterlo non mi sarei arresa, avevo bisogno di Jacob, era la mia
vita e lui non poteva negarmi la vita, un padre non può
negare la
vita a sua figlia, ma un vampiro? La mia domanda continuò a
danzarmi
in testa, ma non c'era tempo per certe speculazioni, dovevo fare
qualcosa e dovevo farlo subito.
“Sai
che ho bisogno di Jake! Non posso vivere senza di lui!” urlai
e
pregai che mi ascoltasse, che per una volta non facesse di testa sua,
ma negli occhi di mio padre non c'era alcuna traccia di cedimento,
anzi, erano sempre più duri e freddi.
“Non
lo rivedrai più, punto” sbraitò, come
per chiudere il discorso.
Rimasi un attimo a guardarlo, un attimo per capire cosa significavano
quelle parole e perché mio padre, l'uomo che avrebbe dovuto
sempre
aiutarmi, aveva deciso di uccidermi nel modo più lento e
doloroso
possibile. Le lacrime continuarono a scendere, ma a loro si
unì una
rabbia ceca, che per una volta mi fece sentire davvero la mia parte
di vampira, però quelle due emozioni insieme crearono un mix
letale
e mi fecero dire cose che mai, in tutta la mia esistenza, avrei detto
a mio padre. “Come puoi essere così
perfido?!” gli chiesi, ma
la mia domanda era inutile e davanti all'indifferenza dei suoi occhi,
la mia rabbia crebbe fino a farmi esplodere. “Sei un mostro!
Io ti
odio!” rimasi sconcertata da quello che avevo detto, anche
perché
lo avevo detto a mio padre. Ma non ebbi neanche il tempo di abbozzare
una scusa, che vidi la mano di mio padre alzarsi e colpirmi in pieno
viso. Lo schiaffo mia fece perdere l'equilibrio, caddi all'indietro e
in una frazione di secondo mi ritrovai a terra, scossa da tremori,
con il sapore del sangue in bocca, il mio sangue! Portai una mano sul
labbro constatando che si era rotto, alzai gli occhi verso mio padre,
ma mi ritrovai di fronte a mia madre, con lo sguardo quasi impazzito.
“Cosa hai fatto?!” urlò a mio padre, che
non le rispose, ma
rimase a guardare. Mia madre mi porse la mano e la presi, mi alzai e
mi lasciai condurre in macchina, non sapevo perché la stessi
seguendo, dopotutto mi ero solo rotta il labbro, cose che capitano
quando hai per padre un vampiro isterico. Salii in macchina senza
fiatare, mentre le lacrime cominciava a scarseggiare e la rabbia
prendeva il sopravvento su di me. Mia madre stava per aprire la
portiera, ma venne bloccata da mio padre. “Guido
io” disse e lei
non si oppose. Aprì la portiere, si sedette accanto a me e
posò,
delicatamente, il mio viso sul suo petto. Ormai le lacrime era
scomparse e l'unico sentimento che ancora sentivo era la rabbia. Il
labbro non mia faceva tanto male e tutto questo era superfluo e
inadeguato, ma mia madre era molto apprensiva e ora non avevo voglia
di mettermi a litigare anche con lei. Dopotutto quello che mi faceva
più male era quello che mi aveva detto mio padre, non potevo
credere
che mi avesse proibito di vedere Jake, ma soprattutto che avesse
perso la calma in quel modo. Arrivammo a casa Cullen in baleno e
appena entrati il mio sangue allarmò tutta la famiglia.
Carlisle e
Rose mi si avvicinarono subito, con lo sguardo notevolmente
preoccupato.
“Cosa
è successo? Perché Renesmee sta perdendo
sangue?” chiese Rosalie
a mia madre.
“Lascia
perdere, Rose” le rispose mia madre. Lasciar perdere? E
perché
mai? Dopotutto i miei genitori mi avevano insegnato che nella vita
bisogna prendersi le proprie responsabilità, non era ora che
mio
padre rispondesse a qualcuno delle sue azioni? Beh, in quel momento,
Rosalie mi sembrava la persona più adatta.
“Perché
mai?!” domandai, acida. Ma in quel momento, tutti erano
preoccupati
della mia salute, come se fossi stata appena investita o cose del
genere, perché nessuno si ricordava che ero per
metà vampiro?
“Portiamola
nel mio studio” disse Carlisle, con tono professionale.
“Grazie”
rispose mia madre, come se mio nonno le stesse facendo una favore.
“Allora
si può sapere cosa è successo?!” chiese
Rose, notevolmente
innervosita.
Mia
madre a quel punto fu costretta a dire la verità.
“Edward le ha
dato uno schiaffo” confessò, tutto d'un fiato.
“Cosa?!”
urlarono, sorpresi, sia Carlisle che Rose. Rosalie scomparì
in un
attimo e per un secondo temetti che staccasse la testa a mio padre,
questo avrebbe fatto arrabbiare notevolmente mia madre e una faida in
famiglia non era la cosa migliore in quel momento. Sentii Rosalie
sbraitare contro mio padre ed Emmett che cercava di calmarla,
inutilmente. Mia madre si allarmò e disse:
“Carlisle, posso
lasciarla qui fino a quando non hai finito?”
“Certo,
Bella” rispose, mio nonno. “La rifaccio
accompagnare da Rosalie
appena ho fatto”
“Grazie”
disse mia madre e dallo sguardo sembrava veramente grata a Carlisle.
Poi mi baciò sulla fronte e scomparve, sentii lei e mio
padre che
uscivano di casa.
“Ti
fa male?” mi chiese mio nonno.
“No”
dissi, acida. “Non c'era bisogno di venire fino a qui,
guarirà in
poco tempo” conclusi.
“Tua
madre è molto apprensiva” Confermò mio
nonno. Rimanemmo in
silenzio, mentre lui mi tamponava il labbro con dell'acqua ossigenata
e io, intanto, osservavo lo studio. Era in ordine e perfetto come
sempre, pieno di libri e quadri.
“Non
devi avercela con lui” sospirò mio nonno, sempre
pronto a
proteggere tutti.
“Come
faccio a non farlo?” gli chiesi, sincera.
“Devi
dargli tempo” mi rispose.
“Ha
avuto sette anni”
“Renesmee,
in sette anni non si diventa adulti”
“Non
sono una bambina” dissi, acida.
“Lo
so” sospirò.
“Ma
lui non vuole capirlo” conclusi la frase per lui.
“Si”
acconsentì.
“Allora
cosa dovrei fare? Aspettare che sia lui a dirmi “Bene, da
oggi puoi
innamorarti”?”
“Nessie,
hai ragione”
“Ma?”
chiesi, scettica.
“Ma
lui è sempre tuo padre”
“Tu
non gli hai impedito di amare mia madre e lei era un umano quando si
sono conosciuti”
“Perché
avrei dovuto? Lei era quello che lui voleva”
“E
Jacob è quello che voglio io!” Gli dissi quasi
urlando. A
interrompere la nostra discussione fu l'entrata di Rosalie. La
guardai negli occhi, era arrabbiata e avrebbe volentieri preso a
calci o distrutto qualcosa, ma in quel momento le interessava solo la
mia salute.
“Come
stai?” chiese, guardando il mio labbro rotto.
“Bene”
sbuffai, quante volte avrei dovuto ripetere quella parola?
“Io
ho finito, puoi riportarla a casa, Rose” concluse mio nonno.
Io mi
alzai in piedi e diedi un bacio a mio nonno sulla guancia per poi
seguire Rosalie in silenzio. Uscimmo da casa Cullen e ci dirigemmo
sulla BMW di mia zia, mi sedetti al posto del passeggero e aspettai
che Rose mettesse in moto.
“Cosa
hai combinato?” mi chiese, ancora infuriata.
“Dobbiamo
parlarne per forza?” la supplicai. Lei fece cenno di si con
la
testa, quando faceva così assomigliava tantissimo a mio
padre,
chissà se glielo avessi detto come avrebbe reagito.
“Abbiamo
litigato”.
“Questo
lo vedo” disse, girandosi verso di me. “Vorrei
sapere il motivo”.
“Ho
baciato Jacob” confessai. La macchina sbandò
notevolmente e Rose
evitò per un pelo un albero, che però con un ramo
le rigò la
portiera posteriore. Io rimasi impassibile, dopotutto Rosalie era
solo mia zia.
“Cosa
hai fatto?!” urlò, furiosa.
“Andiamo,
Rose” la pregai. “Non farmi la predica anche tu! E'
successo e
basta!”
“Cosa
vuoi che ti dica, allora?” urlò di nuovo.
“Visto?
Era meglio non parlarne!” dissi. “E poi non sono
fatti tuoi e
neanche di mio padre!” conclusi, acida.
“Scusa
tanto se ci preoccupiamo per te!” ribatté lei.
“Cos'ha
Jacob che non va?”
“Vuoi
che ti faccia una lista scritta o posso dirtelo a voce?”
disse lei,
sarcastica.
“I
vostri pregiudizi sui licantropi a me non interessano!” le
urlai
contro.
Lei
sbuffò, fermando la macchina. “Siamo
arrivati”
Mia
madre arrivò di corsa e mi aprì la portiera, mi
guardava con i suoi
occhi apprensivi e preoccupati, probabilmente aveva avuto una
discussione con mio padre. “Come va ,amore?” mi
chiese mia madre,
ma la ignorai, non volevo rivolgerle la parola, ne a lei ne tanto
meno a mio padre.
“Ciao,
Renesmee, spero che tuo padre non ti stacchi la testa a
morsi!” mi
salutò Rosalie, sarcastica.
“Grazie,
Rose, ti voglio bene anch'io” le risposi e lei mi sorrise
ironica.
Chiusi la portiera e senza guardare mia madre mi diressi verso casa,
entrai nel salotto e non degnai della mia attenzione neanche mio
padre, dirigendomi in fretta in camera mia e quando sentii i passi di
mia madre dietro di me, chiusi la porta sbattendola violentemente e
sperai che capisse che non volevo parlare. Mi accasciai a terra,
ancora con le spalle attaccate alla porta e prendendomi il viso tra
le mani, scoppiai a piangere. Non potevo credere che quello che era
successo era tutto vero, mi rifiutavo di crederci, volevo che fosse
solo un incubo, volevo sentire la sveglia che mi avrebbe riportato
alla realtà, ma niente. Passarono secondi interminabili,
continuavo
a piangere e non sapevo cosa fare, come mi sarei opposta ai miei
genitori? Come li avrei convinti ad accettare Jacob? Solo ora mi
accorgevo che quello domande non erano nuove, ma sempre le stesse,
mio padre non aveva mai accettato Jacob e solo un miracolo avrebbe
potuto fargli cambiare idea. In quel momento, l'unica cosa che
desideravo era che il mio lupo fosse lì e che
sdrammatizzasse quella
situazione con una delle sue battute. Volevo solo che lui fosse
accanto a me, ma più lo cercavo più mi accorgevo
che non c'era e
questo era strano, non ci avevo mai pensato, ma Jacob c'era sempre
stato. Lui aveva recitato per me la parte del fratello maggiore, del
migliore amico e ora lo amavo, lo amavo come i polmoni amano l'aria.
No, non mi sarei arresa, lui era tutto per me e io non avrei lasciato
che l'egoismo di mio padre me lo portasse via. A distogliermi dai
miei pensieri fu la discussione dei miei genitori, forse ascoltarli
in silenzio mi avrebbe distratto un po'.
“Edward,
ti prego” lo pregò mia madre. “Non posso
vederla così”
“Nemmeno
io, ma cosa vuoi che faccia? Prima o poi si
riprenderà” affermò
mio padre, quella frase mi fece investire da una nuova ondata di
rabbia, si riprenderà? Ma in che mondo viveva? Se si
aspettava che
io dimenticassi Jake, come si dimentica un ragazzo qualunque per cui
hai una semplice cotta, si sbagliava di grosso e glielo avrei
dimostrato.
“No,
non lo farà e lo sai benissimo” affermo mia madre.
“Se ha preso
un minimo di ostinazione dai genitori, sai che non lo
farà”
constatò lei, finendo la frase e non sapeva quanto avesse
ragione.
“Bella”
la chiamò mio padre. “Io e te avevamo altri motivi
per essere
ostinati” si giustificò. Avrei voluto sentire la
risposta di mia
madre, ma il mio cellulare squillò facendomi sobbalzare. Mi
alzai di
corsa e lo afferrai, non lessi neanche chi era, lo sapevo benissimo.
“Ciao,
Jake” dissi, fingendo un po' di entusiasmo.
“Ciao,
piccola, come va?” mi rispose lui, tutto allegro.
“Ho
avuto giornate migliori, Jake” sospirai, malinconica.
“Di
che parli?”
“Perché
non lo chiedi a Leah?” gli risposi, acida.
“Potresti chiederle,
magari, cosa ha pensato davanti a mio padre” conclusi, con
molta
più acidità nella voce. Ci fu un lungo minuto di
silenzio in cui ne
io ne lui dicemmo niente e quando la tensione salì alle
stelle, fu
lui a parlare.
“E
lui come l'ha presa?”chiese, preoccupato.
“Oh,
bene!” dissi, sarcastica. “Stava per spaccarmi la
mascella”
conclusi.
“Cosa?!”
urlò, adirato. “Renesmee”
scandì il mio nome lettera per
lettera. “Dimmi che stai scherzando!”
“Ti
sembra che stia scherzando, Jake?” Non mi rispose, sentii una
porta
sbattere e il motore di una moto fare le fusa.
“Jacob,
cosa vuoi fare?” chiesi, allarmata. Ma lui non mi rispose,
dall'altro capo del telefono sentivo solo il vento che fischiava nel
microfono.
“Jacob!”
urlai.
“Sta
calma” urlò. “Sto arrivando” E
chiuse la chiamata, rimasi con
il cellulare ancora attaccato all'orecchio, cosa voleva fare? Ero
preoccupatissima, mio padre era già arrabbiato, l'arrivo di
Jacob
non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione. Quando sentii
le fusa delle moto, uscii di corsa da camera mia e quando arrivai nel
salotto Jacob aveva già fatto la sua comparsa.
“Io
e te dobbiamo parlare” disse Jake, non lo avevo mai visto
così
arrabbiato, di solito era sempre allegro e sorridente.
“Non
potrei essere più d'accordo” gli rispose mio
padre, che non si
era calmato neanche un po'.
“No!”
mormorammo io e mia madre insieme, ero preoccupatissima per Jake e
anche se non volevo ammetterlo, neanche a me stessa, era preoccupata
anche per mio padre. Jacob non aggiunse niente e uscì, mia
madre
prese mio padre per mano e lo seguirono.
“Renesmee
rimani qui” disse mia madre, ma non l'ascoltai nemmeno, non
poteva
pretendere che io rimanessi in disparte, non in quella situazione.
Mio padre lasciò la mano di mia madre, si diresse fuori e io
non
potei fare altro che accodarmi a lui. Arrivammo nella foresta, per la
prima volta non mi sembrava accogliente, era come se sapesse che di
li a poco sarebbe successo qualcosa di veramente brutto e lei sarebbe
rimasta immobile e impassibile, come negli ultimi cent'anni. Mio
padre e Jacob si posizionarono, indifferentemente, uno d'inanzi
all'altro. Mentre mia madre si posizionò davanti a me, come
se fossi
io quella che stava per fare a botte con un lupo o con un vampiro.
“Come
hai osato toccarla?!” urlò Jacob.
“Come
hai osato baciarla?!” gli rispose di rimando mio padre.
“Ormai
è grande, fa ciò che vuole!”
urlò di nuovo Jake e aveva ragione
non ero più una bambina.
“E'
ancora una bambina!” urlò mio padre. Sempre la
stessa storia era
diventato noioso e ripetitivo, ma quando si sarebbe accorto che non
ero più una bambina?
“No!
Ha quasi diciotto anni!” protestò Jacob.
“Tecnicamente
ne ha ancora sette!” constatò mio padre.
“Non
dire stupidaggini!”urlò Jake. “La sua
maturità ed il suo fisico
sono pari ad una ragazza di diciotto anni”
“Questo
non significa che tu possa fare ciò che vuoi!”
constatò mio
padre.
“Se
non l'avesse voluto anche lei, non l'avrei fatto!”
urlò Jacob. Ma
così facendo, fece scattare mio padre, che si
avvicinò
pericolosamente, si scagliò su di lui ma, per fortuna, Jake
rispose
prontamente all'attacco. Mi scappò un urlo e la
preoccupazione salì
alle stelle, mentre un altro urlo stava per scapparmi dalla gola,
Jake diede un pugno a mio padre e lui volo ad una decina di metri di
distanza, fermato da un albero che colpì in pieno. Stavo per
correre
verso Jake, ma mia madre mi spinse e caddi all'indietro, ma
perché
oggi qualsiasi cosa facessi mi ritrovavo a terra?! Mia madre si
parò
davanti a mio padre fermandolo e io mi rialzai di scatto e corsi
verso Jake, che intanto si era trasformato e ringhiava contro mio
padre. Mi parai davanti al suo muso, cercando di attirare la sua
attenzione, ma quando vidi che puntava ancora a mio padre, gli
poggiai la mano sul muso. “Jake, calmati, va tutto
bene”. Vidi i
suoi grandi occhi marroni scendere verso di me e guardarmi come se mi
vedessero per la prima volta, guaì piano come a scusarsi di
quello
che aveva appena fatto, sorrisi e gli dissi : “Non
preoccuparti,
Jake, va tutto bene!” Quando sentii l'odore dei tre lupi che
erano
venuti per portare via Jake, mi venne un nodo in gola, non volevo che
mi lasciasse di nuovo, volevo che restasse ancora lì con me.
Non mi
ero accorta che la mia mano era ancora sul muso di Jake, lui
guaì
dispiaciuto e io allora gli dissi per rincuorarlo: “Non
preoccuparti, Jake, ti amo!”. Lui mi guardò con
quei suoi grandi
occhi e poi si lasciò trascinare via da Seth, Quil ed Embry.
Rimasi
a fissarlo, finché non scomparì del tutto e poi,
senza guardare
nessuno, mi girai e corsi in camera mia, sbattendo la porta. Guardai
la mia stanza, non sapevo cosa fare, mi guardavo intorno senza sapere
cosa volevo o cosa fare. Non volevo piangere di nuovo, non volevo
disperarmi o accrescere la rabbia che provavo per mio padre, avevo
bisogno solo di stare un po' da sola. Indossai il pigiama,
tranquillamente, cercando di non pensare a niente e poi mi infilai
nel letto. Mi misi a guardare il soffitto, lasciando che i ricordi mi
assalissero, ripensai a ogni volta che avevo passato del tempo con
Jake, a ogni volta che lui mi aveva protetta o che mi aveva fatto
ridere con una delle sue battute. A distogliermi dai miei ricordi fu
la porta che si aprì piano, probabilmente, mia madre pensava
che mi
fossi addormentata, così, visto che non volevo parlare con
lei,
chiusi gli occhi e finsi di dormire. Si sedette al bordo del mio
letto e prese ad accarezzarmi i capelli. Mi sentivo come un gatto che
se ne sta appollaiato sulle gambe della sua vecchia padrona,
tranquillamente, desideroso delle carezze di quelle mani vecchie e
nodose. Restammo così per qualche ora, cominciavo ad
annoiarmi, non
riuscivo a dormire, ma non avevo neanche il coraggio di aprire gli
occhi e parlare con mia madre, sperai che se andasse e che mi
lasciasse in pace. Purtroppo mia madre non era della stessa idea e
rimanemmo così ancora per qualche ora, non sapeva che la mia
pazienza non era eterna? Prima o poi mi sarei stufata, ma per ora mi
facevo bastare la poca pazienza che mi restava, meglio non esagerare
con i litigi oggi. Come un ancora di salvezza, la porta di camera mia
si aprì piano ed entrò mio padre. Non potei
guardarlo in faccia,
visto che dovevo fingermi addormentata, ma dalla sua voce avrei
giurato che fosse pentito.
“Bella...”
sussurrò per non disturbarmi. “C'è
Alice che vorrebbe andare a
caccia con te”. Mia madre esitò, probabilmente,
non voleva
lasciare la sua postazione e io invece, pregai che Alice la
trascinasse fuori anche senza la sua volontà. Consapevole
del fatto
che non l'avrebbe avuta vinta, mia madre si alzò e dandomi
un bacio
sulla fronte, uscì senza fiatare. La porta si chiuse alle
loro
spalle e io rimasi finalmente da sola. Mi misi a sedere sul letto,
avevo ancora sonno, anche perché non si poteva dire che
avessi
dormito, ma non avevo intenzione di tornare a letto. La porta di casa
si chiuse, mia madre ed Alice erano uscite, e in casa eravamo rimasti
solo io e mio padre. Questo mi provocava una certa ansia, non sai mai
cosa aspettarti da un padre isterico, soprattutto se tuo padre
è un
vampiro. Sentii i passi di mio padre che facevano avanti e indietro
dalla porta di camera mia al soggiorno, forse voleva parlarmi o
scusarsi, ma non avrei accettato ne di parlare con lui ne tanto meno
scusarlo. Non so per quanto tempo continuò così,
non avevo certo
intenzione di stare lì ad aspettare lui, quindi accesi il
computer e
mi misi a navigare un po' sul sito della mia futura scuola. Poi
sentii mio padre avvicinarsi con più decisione alla mia
porta, ma
prima che mettesse la mano sulla maniglia, visto che non volevo
parlarci, gli feci capire chiaramente che non era desiderato.
“Vattene, non voglio parlare con te!” sibilai e lui
desistette
subito, come se gli avessi fatto un favore cacciandolo. Mi aveva
fatto passare la voglia di stare al computer, così lo chiusi
con un
colpo secco e tornai a letto, sperando di addormentarmi. Mi rigirai
nel letto ancora per qualche ora, ma quando capii che non mi sarei
addormentata, decisi che una buona colazione faceva al caso mio.
Uscii da camera mia, chiudendomi la porta alle spalle, mio padre era
ancora seduto sul divano. Corsi verso la cucina e lo ignorai
completamente, aprii il frigorifero e presi una bottiglia di latte e
poi, dalla credenza afferrai un pacco di biscotti al cioccolato.
Poggiai i biscotti sul tavolo e poi misi a bollire il latte, mentre
aspettavo che bollisse, mi sedetti sul tavolo e cominciai a
sgranocchiare i biscotti. Improvvisamente, sentii mio padre alzarsi e
dirigersi verso la cucina, certo che non si arrendeva mai!
“Non
hai capito?” chiesi, acida. “Ti ho detto che non
voglio
parlarti!”
“Renesmee...io...io...”
balbettò, pentito.
“Non
voglio ascoltarti!” urlai. “Lasciami in
pace” Lui sospirò,
sconfitto, e tornò sul divano. Intanto il latte era pronto,
presi la
mia tazza rossa preferita e bevvi piano il latte bollente. Quando
ebbi finito, tornai in camera mia e chiudendomi la porta, mi
precipitai sul letto. Intanto sentii la porta aprirsi, probabilmente
mia madre era tornata e ora si sarebbe rimessa a parlare o discutere
di nuovo. Invece contro ogni pronostico, la porta della mia camera si
aprii.
“Tesoro?
Posso?” chiese, esitando.
“Mamma?”
risposi, sorpresa. Lei entrò, chiudendosi la porta alle
spalle e
accomodandosi sul letto.
“Cosa
c'è?” le domandai, scettica.
“Come
stai?” sussurrò. Che domanda stupida? Come potevo
stare bene?
“Rispondere
“male” sarebbe un eufemismo” risposi,
acida. Abbassai gli occhi
verso il copriletto e con la coda dell'occhio vidi che stava
sorridendo, fissandomi. Chissà cosa le passava per la testa,
mia
madre era imprevedibile.
“Ho
fatto di tutto per convincerlo...ma è
irremovibile” sussurrò, un
po' imbarazzata.
“Lo
so, ho sentito” le risposi, ironica.
“Davvero?”
chiese, sorpresa. Come se non sapesse che il mio udito era quasi pari
al suo.
“Si...è
molto difficile non ascoltare quando hai un udito fenomenale”
dissi, sarcastica.
“Mi
dispiace...ma io credo di capirlo” mi rispose, con aria
pentita. Ma
questo non bastò a calmarmi, ora mio padre era diventato
quello
buono? Mia madre era insopportabile ed ipocrita, prima litigava con
mio padre e poi lo difendeva.
“E'
ovvio che tu lo capisci!” urlai, adirata.
“Non
è quello che voglio dire. Tu non sai cosa è
successo prima della
tua nascita. Tuo padre è solo geloso” mi rispose a
sua discolpa.
“E
cosa sarebbe successo?” chiesi, irritata. Mia madre sembrava
titubante, come se non sapesse se dirmi o meno quello che voleva
confessarmi.
“Okay...
Prima della tua nascita Jacob era innamorato di me”
confessò
tutto d'un fiato. Rimasi per un attimo interdetta, senza sapere cosa
dire, Jacob innamorato di mia madre? Quell'idea non mi aveva mai
sfiorato. Comunque non era il caso di farne un dramma, dopotutto era
giusto che Jake avesse avuto una vita quando io non ero neanche
lontanamente in programma.
“Il
nostro primo bacio fu assolutamente indesiderato,
tant’è che
Edward non se ne rammaricò più di tanto, ma il
secondo bacio glielo
chiesi io, dopo aver accettato la proposta di matrimonio di tuo
padre. Anche se ne rimase sconvolto non me lo fece notare,
confortando me per ciò che avevo fatto. Ora capisci
perché è
geloso di Jacob? Lui ha sempre voluto ciò che, per Edward,
era suo”
continuò mia madre, finendo quella strana storia.
“Il
fatto che posso capirlo non significa che non combatterò per
ottenere ciò che è giusto che io abbia”
le spiegai con calma, se
si aspettava che con quella confessione sarebbe riuscita a farmi
desistere si sbagliava di grosso.
“Non
esagerare” mi rimproverò mia madre, come se fosse
colpa mia.
“Perché?!
È stato lui a cominciare! E poi tu dovresti saperlo: non
posso
vivere senza Jacob! È come se fosse il mio punto di
riferimento, la
mia stella polare privata... io lo amo” La mia confessione la
lasciò interdetta, ma non mi importava, tanto lo sapeva
già, certo
sentirselo dire faceva un altro effetto, ma non era colpa mia era lei
che si era messa in quella situazione.
“Cercherò
di farlo ragionare, okay? Ma tu cerca di comportarti come si
deve”
mormorò, piano.
“Lo
farò solo se lui sarà il primo a comportarsi come
si deve” dissi,
ironica. A quel punto mia madre si alzò e senza dire niente
uscì
dalla mia camera lasciandomi di nuovo nella mia solitudine. Rimasi di
nuovo sola nella mia stanza, cercai di ascoltare il discorso dei miei
genitori, ma probabilmente stavano parlando a bassa voce e non
riuscii a sentire niente. Visto che non avevo niente da fare rifeci
il letto e poi andai in bagno a lavarmi e vestirmi. Intanto i miei
genitori erano usciti di casa, senza dire niente. Non mi arrabbiai
con loro per questo, dopotutto visto che loro potevano essere felici
dovevano approfittare di quella felicità. Mi diressi in
cucina,
volevo preparami il pranzo, ma mentre mi accingevo a prendere gli
ingredienti, il mio cellulare squillò.
“Ciao,
Jake!” Ero felicissima che mi avesse chiamata.
“Ciao,
piccola!” disse, tutto contento. “Come te la
passi?”.
“Bene,
tu?”
“Bene,
hai una voce stanca, come mai?”
“Non
ho dormito molto”
“Neanche
io” disse, ridendo. “Cosa fai oggi?”
“Non
lo so, tu?”
“Le
solite cose” mi rispose un po' annoiato.”Ora devo
andare, mi
manchi già, piccola”.
“Anche
tu, Jake” dissi con le lacrime agli occhi. “Ti
amo”
“Ti
amo” sussurrò e chiuse la chiamata. Rimisi il
cellulare nella
tasca dei jeans e ricominciai a cucinare. Mangiavo lentamente,
guardando fuori dalla finestra, non assaporavo nemmeno quello che
stavo mangiando, era come se non avesse senso sentire il sapore di
quello che avevo in bocca se Jake non c'era. Sentivo che tutto quello
che facevo era inutile, guardavo la cucina, cercando una ragione a
tutto questo, ma non c'erano ragioni, l'unica cosa che avrebbe potuto
farmi sentire utile in quel momento non c'era e come se non bastasse,
non c'era neanche mia madre, lei non mi avrebbe lasciata sola e
speravo che tornasse in fretta. Intanto nemmeno la musica riusciva a
dare uno scopo a quella giornata, era una giornata come tante altre,
una di quelle che passa indifferentemente e che ti lascia in bocca un
sapore amaro, il sapore di un giorno che non ricorderai.
NDA:
scuste se vi ho fatto aspettare tanto per questo capitolo ^^ spero ne
sia valsa la pena!! Fatemi sapere cosa ne pensate ^^ buona lettura!
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Capitolo 12 *** Silenzi ***
Capitolo
12: Silenzi
Non
avevo mai odiato così tanto la mia stanza e tutto quello che
essa
conteneva. Era diventata la mia prigione, mi ci ero rinchiusa
volontariamente da quando mio padre aveva perso il lume della ragione
e non ne uscivo mai, era da giorni che non mangiavo e che passavo il
tempo a fissare il regalo natalizio di Jake. Aspettavo le sue
telefonate come se fossero la medicina al mio male, ma non
bastavano... non bastavano mai. Cercavo rifugio tra le mie lenzuola
che avevano ancora l'aroma della sua pelle tra le pieghe che lo
avevano ospitato durante le notti passate insieme. Di tanto in tanto
le mie zie venivano a trovarmi, cercando di convincermi ad uscire
dalla mia stanza oppure a consolare mia madre, oppressa da qualcosa
che non riusciva a capire. Ero arrabbiata anche con lei. Non faceva
niente per aiutarmi, non parlava con mio padre e non prendeva una
posizione. Mio padre era sempre più indifferente e si
comportava
come se niente fosse, facendomi infuriare ancora di più,
ormai non
provava neanche a chiedermi scusa per lo schiaffo e sembrava non
sentirsi neanche più in colpa. Chissà come non mi
ero ancora messa
a spaccare i mobili...
Quel
giorno passava fiacco e lento come tutti gli altri, ormai i miei
genitori avevano rinunciato a cercare di farmi uscire da camera mia o
a farmi mangiare. Stesa sul letto, stringevo il cuscino, lasciando
che la rabbia e la depressione si sfocassero come sempre in un
pianto inutile. Stanca di quella routine mi alzai di malavoglia dal
letto e mi diressi di fronte alla mia libreria. Feci scorrere piano
il dito sulla copertina di tutti i libri e mi fermai ad
“Orgoglio e
pregiudizio”... sorrisi al ricordo, l'ultima volta che avevo
preso
quel libro ero con Jake ed era il giorno più bello della mia
vita.
Senza pensarci neanche lo presi dalla libreria e mi stesi sul letto,
cominciando a sfogliarlo. Dopo che ebbi letto circa una decina di
pagine, il cellulare vibrò. Praticamente, corsi a prenderlo,
purtroppo era solo un messaggio. Beh, meglio di niente... Lo aprii e
lessi sconcertata il testo: “Sto arrivando”. Non
ebbi neanche il
tempo di mandargli un messaggio per pregarlo di non farlo e di
tornare a casa che sentii qualcuno che bussava alla porta.
Sospirando, lasciai cadere il cellulare sul letto e corsi in
soggiorno, uscendo dopo giorni dalla mia stanza.
“Che
ci fai tu qui?” ringhiò mio padre, appena ebbe
aperto la porta.
“Andiamo,
Edward. È passata una settimana, la punizione è
durata abbastanza”
spiegò Jake, sperando che mio padre lo ascoltasse e cercando
di
entrare in casa.
Ma
mio padre gli si parò subito davanti. “Non mi
sembra che qualcuno
ti abbia invitato ad entrare”.
“Credo
che quella regola valga solo per i vampiri” rispose Jake,
cercando
di alleggerire la situazione. Era bello sapere che neanche lui si era
arreso al divieto di mio padre e vederlo lì a discutere con
lui
sapendo di non avere speranze mi faceva sentire ancora più
sicura
del suo amore. Era sempre bellissimo, anche se il suo viso portava i
segni della tristezza e della depressione che lo affliggevano ormai
da una settimana, cercava di nasconderlo con un sorriso ma la
tensione che leggevo nei suoi occhi non poteva essere nascosta.
“Vattene.
Adesso” sibilò minaccioso mio padre, facendo
aumentare ancora di
più la mia rabbia. Mia madre gli si avvicinò,
pensai che stesse per
prendere una posizione, che volesse aiutarci, invece...
“Jake,
vai...” mormorò, quasi dispiaciuta.
“Ma,
Bella...” protestò debolmente Jake. Io rimasi in
silenzio, avevo
compreso le parole di mia madre e non riuscivo a capacitarmi di
quello che stava facendo. Non era giusto, non poteva abbandonarmi
anche lei, era l'unica su cui avevo contato fino ad un attimo prima.
Stavo aspettando che reagisse e che mi aiutasse e invece, era questo
il risultato? Ora mio padre aveva ragione?
“Vai”
continuò lei, decisa. Jacob rimase un attimo sorpreso da
quelle
parole, poi si arrese e guardando mia madre con un'occhiata che la
incolpava di tutto quello che stava provando in quel momento.
“Da
te non me lo sarei aspettato” sibilò tra i denti e
prima di uscire
mi lanciò un'occhiata disperata che non potei fare altro che
ricambiare con altrettanta disperazione. Quando la porta si chiuse,
una rabbia ceca mi invase, mi diressi a grandi passi verso la mia
stanza e con un moto di rabbia, senza neanche pensarci, strappai la
collana di mia madre dal mio collo e la scagliai contro il muro.
Prima di chiudermi la porta alle spalle e cominciare a piangere senza
ritegno, non erano più lacrime silenziose quelle che
scendevano dai
miei occhi erano disperate e disperati erano i singhiozzi che non
riuscivo più a trattenere. L'unico motivo che mi costringeva
a
lasciare la mia stanza erano le lezioni di mio nonno che si erano
raddoppiate da quando aveva saputo che avrei dovuto incominciare la
scuola. Come se non sapesse che avrei potuto affrontare la scuola
senza neanche aprire un libro per tutto quello che mi aveva
insegnato. Il viaggio a piedi per raggiungere casa Cullen non era
affatto difficile da affrontare e quel giorno fu ancora più
facile
visto che mia madre aveva capito che doveva starmi lontana. Arrivati
a casa Cullen non mi fermai neanche a salutare, subito raggiunsi mio
nonno nella sua stanza e lui iniziò con la sua lezione.
Argomento
del giorno: la meiosi.
“La
meiosi è la divisione di una cellula madre diploide in
quattro
cellule figlie aploidi. Si dice cellula aploide quella cellula che ha
il corredo cromosomico dimezzato rispetto a quello della cellula
madre...”. Mio nonno parlava come un libro di scienze e di
solito
era anche affascinante per me perdermi tra atomi, cellule e organi
vari, soprattutto quando mio nonno si perdeva in speculazioni su
licantropi, vampiri o mezzi-vampiri. Ma quel giorno non ero proprio
dell'umore adatto e sapevo che anche se mio nonno si fosse accorto
della mia distrazione avrebbe continuato spedito senza farci troppo
caso. Ma l'unico pensiero fisso quel giorno era Jacob, avrei dato di
tutto pur di riuscire a vederlo anche solo un'ora. Non capivo come
mio padre riuscisse ad infliggermi una tortura simile, senza neanche
farsi venire i sensi di colpa o cercare di spiegarmi le sue assurde
ragioni. Ero arrabbiatissima con lui e odiavo tutto quello che stava
infliggendo a Jacob, ma ora la rabbia che provavo per lui era niente
rispetto al rancore che portavo a mia madre, ancora non riuscivo a
capacitarmi di quello che aveva fatto e non glielo avrei mai
perdonato, almeno che non avesse fatto qualcosa per rimediare...
“Cos’è
una triade?” sibilò, improvvisamente, mio padre
entrando nello
studio di mio nonno.
“Ehm,
cosa?” risposi, disorientata, prima di accorgermi chi fosse a
farmi
al domanda. “Sto studiando con Carlisle, non con
te!” continuai,
furiosa.
“Cerca
di prestare più attenzione e di pensare meno al
cane” mi
rimproverò.
“Non
osare chiamarlo “cane”!” strillai,
furiosa.
“Calma”
ci ammonì mio nonno. “Torniamo alla lezione.
Nessie se qualcosa
non ti è chiaro, dimmelo” aggiunse, ignorando mio
padre che usciva
a grandi passi dalla stanza.
“Come
va, Nessie?” sospirò mio nonno.
“Male”
risposi, senza neanche guardarlo. “Scusa se non ti sto
ascoltando”.
“Non
preoccuparti, piccola” mi rassicurò.
“Ripeteremo le lezioni
appena starai meglio”.
“Grazie”
mormorai, riconoscente.
“Vuoi
parlarne?” domandò premuroso.
“Cosa
c'è da dire?” esplosi. “Non vedo Jacob
da una settimana e mezzo
e papà non vuole perdonarmi”.
“Pensi
ti serva il suo perdono?”.
“No”
risposi, sarcastica. “Mi serve il suo permesso”.
“Forse
dovresti cercare di importi” sussurrò, guardando
verso la porta.
“Come?”
chiesi, curiosa.
“Se
non lo capisce con le buone...” lasciò la frase a
metà e mi
lanciò un sorriso eloquente. Tornati a casa mi richiusi
nella mia
camera e rifiutai di nuovo la cena, mentre pensavo a quello che mi
aveva detto mio nonno. Dopotutto aveva ragione, dovevo dimostrare a
mio padre che non mi sarei arresa e che avrei lottato per Jacob anche
se ciò significava mettermi contro di lui... Purtroppo i
giorni
passavano senza che mi venissi niente in mente e le chiamate di Jake
non mi bastavano più per andare avanti, così in
un momento di
disperazione e di rabbia lanciai contro il muro un portagioie. Si
aprì appena tocco la parete lasciando cadere ogni singolo
oggetto al
suo interno e uno in particolare attirò la mia attenzione.
Un
bracciale dei Quileute intrecciato, mi chinai a raccoglierlo e lo
riconobbi subito era il bracciale che Jake mi aveva regalato il mio
primo Natale. Purtroppo non mi andava più, però
visto che ero
decisa a portarlo a tutti i costi decisi di cercare un modo per
riuscire ad indossarlo di nuovo. Mentre mi adoperavo per il
bracciale, mi accorsi solo vagamente che mia madre era uscita,
lasciandomi sola in casa con mio padre. La cosa non mi preoccupava
più tanto, non mi avrebbe dato fastidio, ormai ci aveva
rinunciato.
Mi chinai sul resto degli oggetti che erano rimasti a terra e
raccolsi un bracciale di caucciù, lo portai sulla scrivania
e
attentamente gli sfilai i vari ciondoli che vi erano agganciati. Non
avevo mai indossato quel bracciale, quindi non ne avrei sentito la
mancanza, anche perché appena Alice lo avesse trovato,
sarebbe
finito nella spazzatura. Mi ci volle un bel po' per capire come fare
ad unire i due bracciali, alla fine con calma e pazienza cercai di
far scivolare il cordoncino nero tra gli intrecci del bracciale di
Jacob. Ci misi molto tempo, visto che quando riuscii ad infilarmelo
al polso, sentii mia madre rientrare. Ammirai per un attimo la mia
opera, mi era venuto proprio bene e non sarei stata più
costretta a
toglierlo. Ad attirare la mia attenzione furono le urla improvvisa
dei miei genitori dal soggiorno e mi avvicinai alla porta per
ascoltarli.
“Cosa
dovrei fare? Rimangiarmi tutto e chiedere scusa per qualcosa che
hanno fatto loro? Sapevano entrambi come avrei reagito ma
ciò non li
ha frenati da fare qualcosa di tanto stupido” urlò
mio padre.
“Stai
dicendo che il primo bacio di nostra figlia è una cosa
stupida?”
sibilò mia madre, difendendomi, quasi mi fece venire i sensi
di
colpa per quello che avevo pensato prima di lei...
“Sto
dicendo che non lo sarebbe stato se fosse avvenuto con maggiore
cognizione di causa”.
“Sono
stanca di discutere sempre di questo argomento” esplose mia
madre.
“Anch'io”
sibilò mio padre.
“Perfetto”
continuò mia madre.
“Anch'io”
mormorai tra me e me. Ero stanca di stare alle sue regole, stanca di
dover sopportare le sue paranoie, come aveva detto mio nonno era ora
che mi imponessi, non mi ritenevo più una bambina era ora
che lo
dimostrassi a tutti... Approfittando della discussione che continuava
tra i miei genitori, escogitai un piano, mio padre era troppo
impegnato a discutere con mia madre per pensare a me. Sarei scappata,
avrei aspettato che lui si distraesse e poi sarei andata via, avrei
preso la mia macchina sul retro e poi avrei attraversato una parte di
foresta, fino ad arrivare sulla strada principale e scappare a La
Push. Presi le chiavi e me le infilai in tasca, nell'altra misi il
cellulare, conscia che avrei risposto solo ad una persona se mi
avesse chiamata. Poi presi un giubbotto nel caso avessi avuto freddo,
anche se era improbabile a fine agosto. Non sapevo quanto sarebbe
durata la mia fuga, ne quanto tempo ci avrebbe messo mio padre a
scoprirmi, mentre mi perdevo nei miei pensieri fu lo squillo del mio
cellulare...
“Jake”
risposi, rianimandomi.
“Ciao,
tesoro” mi salutò. “Cosa fai di
bello?”.
“Niente”
mormorai, parlargli della mia fuga non era molto saggio da parte mia
e poi adoravo l'effetto sorpresa. “E tu?”.
“Niente”
sussurrò, scoraggiato. “Mi manchi”.
“Anche
tu, Jake” biascicai, quasi in lacrime.
“Ti
amo”.
“Anch'io”
risposi, prima di chiudere la chiamata. Quando rimisi a posto il
cellulare era quasi ora di cena, così ricominciai a leggere
un libro
per non insospettire mio padre.
“Renesmee,
la cena è pronta” mi chiamò mia madre,
come se non conoscesse già
la risposta a quell'affermazione.
“Non
ho fame” risposi, semplicemente.
“Dai,
amore... dovrai uscire dalla tua stanza prima o un poi...” si
lamentò.
“Ore
non ne ho voglia” sibilai. Mia madre per fortuna si arrese e
io
ripresi a leggere il mio libro, finché non sentii mio padre
uscire
con qualcuno, Jasper probabilmente. Non persi tempo. In un attimo,
saltai dalla finestra e raggiunsi la mia macchina, gettai il
giubbotto sul sedile del passeggero e poi misi in moto. Silenziosa e
veloce come solo una macchina nuova può essere
cominciò a
sfrecciare nella foresta. Non mi ci volle molto per arrivare sulla
strada asfaltata e da lì il conta chilometri
sfiorò i duecento
chilometri orari, così arrivai a La Push in men che non si
dica.
Parcheggiai di fronte la casa del mio lupo, lasciando la macchina in
bella mostra e corsi subito a bussare alla porta. Ci volle un po'
prima che avvertissi il cigolare della sedia di Billy che veniva ad
aprire.
“Nessie?”
chiese, assonnato appena ebbe aperto la porta. “Ma cosa ci
fai
qui?”.
“Billy,
non uccidermi” implorai. “Jake è in
casa?”.
“Si,
ma cosa succede?” domandò.
“Grazie”
farfugliai mentre correvo nella stanza del mio licantropo. Aprii la
porta e lo trovai addormentato sul suo letto, era così bello
da non
sembrare reale. Mi avvicinai piano a lui e cominciai scuotergli una
spalla.
“Jake?
Jake?” mormoravo. “Sono Nessie! Avanti,
svegliati!”.
“Chi?
Cosa?” sussurrò, ancora mezzo addormentato.
“Sono
io!” esclamai.
Jacob
aprì gli occhi e poi si mise a sedere sul letto, guardandosi
intorno
confuso. “Ma che ore sono?” sibilò.
“Jake!”
urlai, buttandogli le braccia al collo.
“Nessie?”
chiese, sorpreso. “Renesmee, cosa ci fai qui?”.
“Sono
scappata” spiegai, fiera.
Si
aprì subito in un grande sorriso e ricambiò
l'abbraccio. “Sei
grande!”.
“Jake,
mi sei mancato così tanto!” singhiozzai sulla sua
spalla, mentre
le prime lacrime cominciavano a farsi spazio sul mio viso.
“Va
tutto bene” mi consolò lui, accarezzandomi i
capelli.
“Cosa
facciamo?” mormorai, calmandomi. Lui continuò ad
accarezzarmi i
capelli e poi mi attirò a se, poggiando le sue labbra sulle
mie e
poi, rispose: “Andiamo in spiaggia”.
“Va
bene”. Andammo insieme sulla spiaggia e cominciammo a
passeggiare e
a ritrovare il buon'umore, passò circa mezz'ora prima che lo
squillo
del suo cellulare ci interrompesse.
“Pronto,
Bella? Senti, prima che tu possa dire qualsiasi cosa...»
rispose
Jake, già pronto a scusarsi.
“Jacob,
sta’ zitto. Edward sta venendo lì ed è
furioso. Non sono riuscita
a coprire la fuga di Renesmee e dille che di questo faremo i conti
più tardi...» controbbattè mia madre,
sorprendendoci entrambi.
“Dici
sul serio?».
“No,
per finta! Jacob, sto arrivando. Non vi muovete da dove
siete»
scherzò lei, furiosa.
“Okay,
ciao» mormorò Jacob.
“Ciao”
rispose lei, chiudendo la chiamata.
“Merda!”
mi sfuggì.
“Cosa
sono queste parole, eh?” mi prese in girò Jacob.
“Come
fai ad essere così calmo ?!” gli chiesi.
“Mi ucciderà!”.
“No”
esclamò lui, prendendomi per la vita. “Non glielo
permetterò, ora
sei con me e non riuscirà a separarci di nuovo”.
“Grazie,
Jake” sorrisi.
“Di
niente, piccola” mormorò, mentre si chinava su di
me e mi
stringeva forte tra le sue braccia. In quel momento, il rombo di due
macchine attirarono la nostra attenzione. Prima arrivò mio
padre che
si
catapultò da Billy e quando non trovò Jacob si
diresse verso di
noi a velocità disumana. Jacob mi si parò
d'avanti e cercò di
calmare il tremore che lo avvolgeva.
“Renesmee!”
urlò mio padre. “Come hai osato
disubbidirmi?!”.
“Papà,
calmati” mormorai, mentre mia madre si avvicinava a noi.
“Edward,
non ti permetterò di farle del male, non davanti a
me!” intervenne
Jacob, assicurandosi che fossi alle sue spalle.
“Jacob,
te l’ho detto. Non ripeto mai lo stesso errore due
volte” sibilò
mio padre.
“Non
mi sembra!” gli fece notare il mio lupo.
“Lei
è mia” ringhiò mio padre, con la voce
bassa e minacciosa.
“Lei
è mia!” ribatté Jacob, mentre le
braccia non la smettevano di
tremargli.
“Io
non sono proprio di nessuno!” intervenni, offesa, scostandomi
un
po' da Jacob.
“Renesmee,
vieni subito a casa!” ordinò mio padre, furioso.
“No!”
urlai.
“Lei
fa ciò che vuole!” ringhiò Jacob,
mentre mi avvicinavo ancora una
volta a lui.
“Lei
fa ciò che dico io!”.
“Ora
basta!” intervenne mia madre, prendendoci tutti di sorpresa.
“Renesmee può rimanere ma fino a mezzanotte. Non
un minuto di più”
decretò. “Edward, noi andiamo a casa”.
Nessuno si mosse, ma io
non
riuscii a
trattenere l'impulso di correre verso mia madre e
abbracciarla, dicendole: “Grazie, mamma”.
“Non
fare tardi” mormorò tra i miei capelli.
“Te
lo prometto”.
“Grazie,
Bells” la ringraziò il mio lupo riconoscente,
prima di prendermi
per mano e portarmi in casa.
“Cosa
sta succedendo?” chiese Billy, mentre entravamo.
“Niente!”
rispondemmo, ridendo io e Jake. Andammo nella sua stanza e ci
stendemmo sul letto, come durante la settimana in cui i miei non
c'erano.
“Non
ci credo che è finita” mormorai sul suo petto.
“Invece
è proprio così” esclamò lui
contento, stringendomi a se. “Ora
nessuno ci darà più fastidio”.
“Puoi
dirlo forte” risposi, prima di alzarmi e lasciare che mi
baciasse
ancora una volta, come aveva fatto la prima volta e come avrebbe
potuto fare ancora tante e tante altre volte, perché ora
nessuno
avrebbe potuto più impedircelo...
NDA: So
di avervi fatto aspettare tanto per questo capitolo purtroppo la scuola
mi ha tenuta occupata e mi ha costretta a rimandarne la pubblicazione
varie volte ^^ comunque spero vi piaccia e fatemi sapere
cosa ne pensate!!
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