Phoenix & Mugiwara

di Reghina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cap 1. ***
Capitolo 2: *** Cap 2. ***
Capitolo 3: *** Cap 3. ***
Capitolo 4: *** Cap 4. ***
Capitolo 5: *** Cap 5. ***
Capitolo 6: *** Cap 6. ***
Capitolo 7: *** Cap 7. ***
Capitolo 8: *** Cap 8. ***
Capitolo 9: *** Cap 9. ***



Capitolo 1
*** Cap 1. ***


Atterrò poggiando con cura la zampa arcuata da fenice a terra, prima di riprendere forma umana.
Dopo la Guerra, i funerali, i pianti, le urla disperate, Marco aveva dovuto riorganizzare la ciurma.
Il Rosso si era offerto di aiutarlo, ma il giovane Comandante aveva preferito occuparsi lui stesso di tutto, insieme agli altri sopravvissuti.
Nessuno di loro era uscito integro da Marineford, sia fisicamente che soprattutto mentalmente.
Avevano miseramente fallito.
Non solo non avevano salvato Ace – un loro compagno, loro fratello – ma il loro Capitano, loro 'Padre' era morto.
Probabilmente mille anni di lutto non sarebbero bastati ad esprimere il dolore che provavano, come infinite lacrime e grida non erano sufficienti.
Così si erano rialzati, avevano curato le ferite e si erano messi al lavoro.
Non avevano più una nave maestra e le altre più piccole erano ridotte in condizioni pessime.
La bandiera di loro padre era andata bruciata.
Più si contavano i danni, più era difficile pensare di andare avanti.
Così semplicemente non li avevano contati, fingendo d'ignorare quanti fratelli avevano perso.
Erano una ciurma senza Capitano, ma fosse stato solo quello i loro problemi sarebbero stati neanche la metà di quelli che in realtà erano.
In verità erano bambini a cui hanno strappato con violenza il padre prima del tempo, il loro adorato 'Babbo' che li aveva accolti ed in un certo senso cresciuti, difendendoli da tutto e da tutti a qualsiasi costo, pronto a dare la vita per ognuno di loro indistintamente.
E l'aveva fatto davvero.
Come Ace era stato pronto a gettarsi senza scrupoli ben sapendo di andare in contro alla morte solo per difendere il fratello.
Marco non poteva dire con precisione quanti miliardi di volte il Comandante della seconda divisione gli avesse parlato del giovane dal cappello di paglia.
Monkey D Rufy.
Il ragazzino che si era precipitato ad Impel Down, fregandosene che nessuno ne fosse mai uscito.
Quello che, da lì, era corso a Marineford come non fosse un pirata con una taglia anche lui.
Lo stesso che aveva combattuto e sputato sangue quanto e più di molti di loro, affrontando chiunque gli si parasse davanti, fino ai tre Ammiragli, senza alcun tipo di timore.
Il ragazzino che per un secondo li aveva fatti sperare tutti perché, dannazione, ce l'aveva fatta a liberarlo.
Quello da si era visto morire il fratello tra le braccia dopo tante lotte, dopo mille e più peripezie, senza poter fare null'altro.
Lo stesso che era scappato chissà dove grazie ad un sottomarino, aiutato dall'intervento di Shanks.
Il ragazzino che Marco voleva conoscere.
Barbabianca stesso aveva riposto la sua fiducia in quel giovane dal cappello di paglia che pareva non sapere chi si trovasse davanti o cosa stesse andando ad affrontare, interessato solo all'obbiettivo che doveva raggiungere.
Ace si era sacrificato per fare in modo che Rufy potesse continuare il suo viaggio e raggiungere il suo sogno, quel sogno che il giovane non aveva avuto scrupoli a gridare davanti tutta la Marina, la Flotta dei Sette e a decine di ciurme rivali.
E Marco non credeva per nulla al caso, quindi gli sembrava davvero improbabile che Shanks fosse giunto lì proprio quando stavano per uccidere il ragazzino per divina provvidenza.
Voleva vedere di persona, il Comandante della prima divisione, se davvero il figlio di Dragon valeva tutta l'importanza che gli avevano dato o se tutti avevano compiuto un'enorme sbaglio.
Ci era voluto poco a rintracciarlo, volando.
Infondo aveva notato benissimo come l'Imperatrice delle Amazzoni fosse interessata al giovane, era ovvio si sarebbe rifugiato lì.
Poi, mentre si trovava sulla zona e stava per atterrare, aveva visto un'isola poco lontana ed avvicinandosi poté notare Rayleigh.
Atterrare lì fu una conseguenza logica.
Perfino il Vice del Re dei Pirati credeva in quel giovane ragazzino tanto determinato quanto sciocco.
Solo un idiota, infondo, avrebbe fatto ciò che Rufy aveva compiuto senza esitare un attimo.
Marco ghignò, infilando le mani in tasca, pensando che infondo loro non avevano fatto troppo meglio, visto che si erano precipitati a Marineford senza troppi complimenti.
Iniziò a girovagare per l'isola, alla ricerca di quel moccioso tanto famoso che l'intero universo pareva ben deciso ad aiutare.
Ed era suo pieno diritto capire se il mondo fosse diventato completamente pazzo, oppure se ne valeva davvero la pena.
Giusto per sapere se avrebbe dovuto prendere a pugni Ace, una volta arrivato all'altro mondo, perché come al solito era stato un incosciente.
Perso nei suoi pensieri, e nella malinconia agrodolce del pensare al giovane figlio di Roger, neanche notò che la persona che stava cercando era a pochi passi da lui.
“Largoooooooooooo!!!” il giovane Rufy stava inseguendo a tutta velocità alcuni degli strani animali che abitavano il luogo.
Molti erano più forti di lui, ma il nipote di Garp era affamato, ed era meglio non sfidarlo in quei momenti.
“Ohi, capelli ad ananas! Spostati!” ordinò, notando Marco, immobile nella via.
Il maggiore spalancò gli occhi, nel vedere un essere non meglio definito arrivargli addosso.
Pareva un incrocio tra un coccodrillo, un leopardo ed un cane con le zanne da lupo mannaro.
Non si finisce mai di vedere cose assurde, nella Grand Line.
Spiccò il volo di scatto, trasformando solo le braccia in ali di fuoco azzurro, osservando stranito quel ragazzetto completamente fasciato dalla testa ai piedi, con un cappello di paglia e l'aria decisa che pareva intenso a mangiare crudo e soprattutto vivo lo strano essere.
Decisamente era fratello di Ace, quel bambinetto.
Solo loro potevano considerare qualsiasi cosa respirasse commestibile a prescindere da che razza di creatura fosse.
Il bello era che, tra pugni e morsi, il giovane moro davvero stava riuscendo a mangiare quell'essere non meglio definito.
“Ohi” chiamò, scendendo nuovamente a terra “Sei tu Rufy?”.
L'interpellato lo guardò battendo gli occhi neri, con in bocca un pezzo della carne che stava mangiando, anche se a Marco non era ben chiaro quando il più piccolo avesse acceso il fuoco che scoppiettava lì vicino, facendo espandere un delizioso odore di bistecca alla brace.
“Mh” annuì “E tu saresti?” chiese a sua volta, curioso.
“Io sono Marco. Un amico di Ace”.
Ben più di un amico, a dire la verità, ma già solo nominare il figlio di Roger era abbastanza senza specificare quanto il Comandante della Prima Divisione ci tenesse.
“Oh” Rufy aveva improvvisamente deciso che, forse, tutto sommato, non aveva fame.
Ricordava vagamente il biondo, ma durante quella corsa frenetica al patibolo non aveva prestato attenzione a molte cose.
A niente che non fosse Ace, per dirla tutta.
“Che vuoi da me?” domandò, facendosi serio e, in un certo qual modo, pericoloso.
Marco piegò una gamba all'indietro, tenendola sul terreno solo di punta, mettendo le mani in tasca, ghignando.
Quel giovane emanava lo stesso pericoloso potere di Ace, come un fiume in piena che è pronto, straripando, a distruggere tutto ciò che incontrerà sul suo cammino.
“Solo una chiacchierata. Niente di più”.

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Capitolo 2
*** Cap 2. ***


Andò a trovarlo più volte di quante si aspettasse.
Sarebbero potute sembrare una droga, quelle visite impreviste in cui Rufy accoglieva Marco sempre con un sorriso melanconico, ma non v'era nulla di nocivo nel loro vedersi.
Al Comandante della Prima Divisione quel ragazzetto ricordava molto Ace, con i suoi sorrisi e i gesti d'affetto spontanei che lasciavano senza parole.
L'aria sperduta di un pulcino abbandonato che alle volte prendeva il sopravvento era tale e quale a quella del figlio di Roger le prime volte sulla Moby Dick, così come uguali erano i ghigni decisi e determinati che ora illuminavano il volto di Rufy come prima avevano illuminato quello di Ace.
Così uguali, Marco a stento riusciva a ricordarsi che i due possessori della D non erano davvero fratelli e, infondo, non si sforzava neanche per tenerlo a mente, perché infondo il sangue non era mai stato così importante, per lui come per tutti nella ciurma di Barbabianca.
Forse il motivo che spingeva ogni volta la Fenice a recarsi in quell'isola ove il clima cambiava praticamente una volta alla settimana – passando dal caldo torrido dell'estate al freddo gelido dell'inverno, saltando poi all'umido dell'autunno e ai pollini della primavera, solo per poi tornare ancora una volta alla neve e improvvisamente al sole – era rivedere il ricordo di Ace attraverso Rufy.
Probabilmente allo stesso modo, in Marco il giovane pirata cercava la sicurezza che aveva sempre trovato in suo fratello e in quelle spalle che di volta in volta, man mano che cresceva, si avvicinavano a lui sempre di più, fin tanto da essere raggiunte per poter correre al fianco del figlio di Roger invece che dietro come sempre.
La prima volta in cui le loro labbra si erano incontrate, era stato molto particolare e strano.
Il Comandante non aveva mai baciato un ragazzo, Rufy non aveva mai baciato e basta.
A chiederlo, né l'uno né l'altro avrebbero saputo spiegare come mai quindi fossero arrivati bocca a bocca, sfiorandosi come bambini timidi che non sanno da che parte iniziare – ed infondo era così – solo per poi ancorarsi all'appiglio roseo che veniva loro offerto, quasi uno scoglio nel bel mezzo di un maremoto.
Ed era ben probabile che nell'animo di entrambi vi fosse in atto una vera e propria rivoluzione, con onde che si abbattevano feroci contro isole immaginarie fino a travolgere tutto al loro passaggio, distruggendo anche le abitazioni di cemento più solido, spazzando via ogni certezza come il vento spazza via le foglie ormai cadute dai rami sicuri.
Avevano perso entrambi un fratello, maggiore o minore non aveva importanza, semplicemente perduto in un lutto che pareva destinato a durare in eterno nella confusione di bocche che non hanno idea di come si sono scontrate, ma che non vogliono nemmeno lasciarsi, quasi avessero trovato la metà mancante, ma sbagliata.
Perché infondo, forse, quel bacio era per Ace e per il suo sorriso spontaneo, che fosse un ghigno combattivo o una smorfia imbarazzata.
A lui però non potrà mai più essere dato, per fargli intendere che non aveva bisogno di cercare un motivo per vivere, poiché era speciale e loro lo amavano, abbastanza da mandare all'aria tutto quanto per correre da lui e affrontare chicchessia pur di riaverlo.
Se esistesse un aldilà, né Rufy né Marco esiterebbero un secondo a recarvisi per riprendere l'adorato fratello perso così ingiustamente.
È con ferocia e rabbia che quindi si avventano uno sul corpo dell'altro, mordendo e leccando, forse solo graffiando e gemendo ed urlando maledizioni al mondo intero che gli ha tolto un pezzo d'anima, il più importante di tutti.
Dopo quella volta, il Comandante della Prima Divisione aveva pensato di non tornare più.
I graffi non rimanevano sulla sua pelle, i morsi sparivano come neanche fossero stati fatti, eppure l'odore seducente di quel piccolo corpo di gomma non lo lasciava.
Non si capacitava di ciò che avevano fatto, avvinghiati in una caverna qualsiasi, corpi che bramano distruggersi, indignati dalla loro incapacità per non aver salvato quel pezzo d'anima andato perduto.
Era stato accolto facilmente: nonostante per Rufy fosse la prima volta, il corpo di gomma del ragazzo non aveva faticato ad aprirsi per lui, come un fiore che sboccia lasciando all'ape il permesso di nutrirsene.
Uno schiudersi pudico, mentre molto meno innocente erano stati i suoni dei loro gemiti uniti, avvolti dalla sensazione nuova ed appagante che aveva stretto entrambi i loro corpi, riempiendo per un attimo l'immenso vuoto che era stato lasciato.
Non era stato dolce, né tenero, l'intreccio di arti che si era creato nel mezzo dei vostri fiati caldi e veloci che non si regolarizzavano, come i vostri cuori che battevano veloci ma mai in sincronia.
Scoordinata unione di due bestie a caccia che non sanno come sono finite in quella situazione che però vogliono terminare, in morsi famelici che paiono voler strappare la pelle, come si accusassero a vicenda di non aver fatto abbastanza quel giorno.
Per questo Marco aveva pensato di non tornare più su quella strana isola dalle mille stagioni – come mille erano le sfaccettature di Rufy, tante quante le stelle del cielo e i climi di quel luogo che Ray aveva scelto per allenarlo.
Uno scintillare di fiamme blu e azzurre che si spengono, con residui verdi che paiono richiamare le foglie degli alberi in quel momento spogli e mezzi congelati a causa della neve.
La zampa della fenice ritornò un piede fasciato dalla scarpa aperta e nonostante il gelo del morbido manto bianco si posò senza esitare, seguito dall'altro.
Marco si guardò intorno, cercando la figura minuta di Rufy in quell'immensa distesa.
Trovare un ragazzino in un luogo così grande, anche se non troppo rispetto ad altri, sarebbe potuto risultare difficile se non fosse stato che il giovane dal cappello di paglia sarebbe riuscito a farsi notare anche in una folla infinita di persone.
Un tonfo sordo, poi fumo dal mezzo della foresta, una colonna grigia che pare quasi gridare al Comandante che è lì il giovane che cerca.
Marco spiccò nuovamente il volo, dirigendosi verso quel punto.
Si era promesso di non tornare più in quell'isola.
Eppure, Rufy, era come una calamita che lo attirava irrimediabilmente, quasi possedesse un centro gravitazionale.
Infondo, una promessa non detta anche se verrà infranta, non potrà ferire nessuno.

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Capitolo 3
*** Cap 3. ***


Quando Marco gli era atterrato davanti, nel mezzo di un cratere deserto che Rufy stesso aveva creato allenandosi con l'Haki, il giovane era stato travolto da una valanga di emozioni che non sarebbe riuscito a definire neanche impegnandosi a farlo con tutto se stesso.
La furia con cui si erano avvinghiati l'uno all'altro in un tipo di lotta che non era quella che il giovane conosceva, ma fatta comunque di corpi che si scontrano e incastrano, contorcendosi e facendosi male, ma un male che in fondo non è negativo poiché serve solo a scacciare quel dolore lancinante al petto che altrimenti non andrebbe più via.
Non se ne andrà comunque, ma l'illusione che possa farlo è sufficiente a sopravvivere ancora un po', il tempo che quella ferita si cicatrizzi e diventi una linea appena più scura sulla cute.
Indelebile, ma presto potrà passare inosservata e allora basterà solo mordersi le labbra quando brucerà e fare finta di nulla.
Quella loro illusione era stata brutale, come si volessero far del male più che baciarsi, quasi che strappandosi a morsi la pelle essa potesse smettere di essere così dolorosamente viva.
Perché erano vivi, dannazione, ambedue maledettamente sopravvissuti quando non avrebbero dovuto, non dopo aver perso la cosa più importante che possedevano.
La stupida credenza che nell'altro possa esserci qualcosa di chi ormai non c'è più, la dannatissima speranza di trovare in lui un ricordo che non conosci e che potrà tappare un poco il buco al petto che non può restare aperto, perché Ace vi vuole vivi.
Vuole vivo il suo adorato fratellino per cui si è sacrificato sorridendo, senza uno scrupolo o un ripensamento, solo consapevole che Rufy doveva andare avanti e diventare il Re dei Pirati per cambiare un'Era, un intero mondo corrotto in cui giovani di vent'anni vengono giustiziati per aver cercato di vendicare un loro compagno e chi invece uccide persone etichettate come schiavi senza motivo viene adulato e rispettato.
Non avrebbe mai voluto che qualcuno fosse morto per lui, che neanche sapeva perché avrebbe dovuto continuare quel cammino in cui ormai aveva uno scopo che non aveva senso realizzare perché Barbabianca non desiderava essere ciò che il figlio voleva per lui.
Ace voleva fare dell'uomo che gli aveva dato tutto il Re dei Pirati, forse per sdebitarsi o semplicemente perché non voleva che Barbabianca fosse mai dimenticato come mai lo sarebbe stato Roger.
Barbabianca desiderava invece solo una famiglia che avrebbe potuto proteggere fino alla fine dei suoi giorni.
Forse era per questo che in fondo il figlio di Roger solo ad un passo dalla morte aveva raggiunto il suo vero ed unico scopo, quello di capire il motivo della sua venuta al mondo.
Marco e Rufy se c'avessero pensato probabilmente si sarebbero arrabbiati, perché loro avevano sempre saputo il motivo per cui Ace avrebbe dovuto rimanere in vita e anzi non si spiegavano perché dovesse morire e avesse accettato quel Fato senza rimpianti.
La prima volta che si erano visti – molto prima che si aggredissero come due animali feroci che vogliono sbranarsi a vicenda – avevano parlato, sebbene forse non avessero davvero molto da dirsi.

“Solo una chiacchierata. Niente di più”.
Rufy sporse il labbro superiore in una smorfia perplessa ma annuì decidendo che se quel giovane uomo davvero conosceva Ace, allora tanto valeva la pena provare a parlarci.
Anche se a dire il vero non aveva idea di cosa si potessero dire.
L'unica cosa che desiderava ardentemente era non ricordare più tutto quello che era accaduto dalle Sabondy fino a Marineford, rimuoverlo dalla mente in maniera che non facesse più male.
Senza che nessuno dei due lo dicesse andarono a cercare un luogo più appartato in cui poter fare quella chiacchierata.
A dire la verità sull'isola c'era solo Ray chissà dove, intento probabilmente a preparare gli allenamenti per il ragazzo, però lo stesso preferirono rintanarsi in una grotta qualsiasi piuttosto che rimanere all'aperto in balia di mostri che potevano anche rivelarsi un problema, visto che una buona metà erano più forti di Rufy.
Marco si appoggiò alla parete rocciosa, non sapendo ancora che era la stessa che avrebbe ospitato la loro prima volta, sollevando la gamba in modo da premere la suola nera contro la pietra.
“Eri il fratellino di Ace, vero?” fu diretto, forse brutale, nel porre quella domanda con tono atono e braccia incrociate.
Osservò Rufy immobilizzarsi in piedi e stringere i pugni, ancora coperti da bende tutt'altro che candide, poiché sporche di sangue e terra, come chi ha lottato anche quando avrebbe dovuto solo riposare o morire.
“Io sono il fratello di Ace” rispose, assottigliando gli occhi in uno sguardo duro quanto il tono del maggiore, osservandone gli occhi dello stesso colore dei suoi.
Marco sbuffò, come a voler accontentare il capriccio di un bambino che non vuole capire quando ormai ha perso ed il gioco è finito.
Interiormente, però, non si aspettava niente di meno da chi Ace aveva protetto con la vita.
Non si aspettava niente di meno che una cocciuta e ingenua testardaggine.
“Perché ti ha difeso?” se fosse un'accusa, o se davvero Marco lo chiese per avere risposta, non fu mai chiaro.
Rufy però non era il tipo di persona che si sentiva accusata neanche quando lo era realmente, ma in quell'ambigua domanda c'era nascosto il suo stesso dubbio.
Ace aveva preferito difendere suo fratello piuttosto che vivere.
E il motivo di tale gesto a Rufy sfuggiva totalmente, lo trovava incomprensibile.
“Non lo so” fu sincero, come lo era sempre, ma anche rabbioso perché dannazione anche lui avrebbe voluto una spiegazione.
Il Comandante si sentì quasi in colpa per essere andato a esporre il suo dubbio proprio a quel ragazzo, ma non aveva potuto evitarlo.
“Era mio fratello maggiore e si sentiva in dovere di difendermi. Penso sia stato questo. Non avrebbe accettato di perdere un altro fratello” il giovane Capitano si morse il labbro, stringendo ancor più forte i pugni, sentendo le lacrime pungere gli occhi.
Marco stette in silenzio, ben sapendo a cosa Rufy si riferiva.
Era tra i pochi, insieme a Barbabianca e Satch, a cui Ace aveva rivelato i suoi genitori e la sua storia, intrecciata inevitabilmente con quella di altri due ragazzini.
Sabo e Rufy.
E pur di non perdere un altro fratello, aveva preferito morire, forse non capendo che così condannava il minore alla solitudine o non riuscendo a pensarci, in quel momento.
< In fondo, era un pirata > pensò il Comandante di Barbabianca.
Non erano creature fatte per ragionare o per gesti altruistici senza motivo.
Vivevano senza rimpianti ed Ace era morto senza averne, lasciandone però ai suoi compagni e a suo fratello.
Il rimpianto di non averlo salvato.
“Lui ti ha salvato. Vorrei dirti che avrei preferito ti lasciasse morire, ma non posso. Monkey D Rufy...tu devi portare avanti la volontà di Ace”.

Le altre volte non avevano propriamente parlato.
Marco sembrava divertito, nel vedere il giovane dal cappello di paglia allenarsi con l'Haki, compiendo acrobazie e attorcigliandosi grazie al suo corpo di gomma, con sguardo determinato di chi deve assolutamente battere un avversario invincibile.
Era stato parecchio tempo dopo la loro prima volta insieme, contro quella stessa parete di quella stessa caverna, con la stessa furia che ruggiva nel cuore palpitante di entrambi.
Dopo parecchio tempo da quella volta, ora il Comandante era di nuovo lì e Rufy non sapeva che pensare se non che voleva fermare quel battito assordante che gli riempiva le orecchie.
Avrebbe voluto un attimo di silenzio, per capire cos'era successo quella volta e cosa sarebbe accaduto adesso, silenzio per potersi chiedere ancora una volta se tutto quello era un incubo o meno, silenzio perché ne aveva bisogno.
Si guardarono occhi negli occhi, senza fiatare, come dovessero scontrarsi e non conoscessero il rivale.
Poi uno scatto e due labbra che si uniscono in un bacio violento che sa nonostante tutto di rimorso.



Mi piacerebbe dedicare questo 'coso' non meglio identificato comunemente definito capitolo ad Anrashomonna. Il motivo? Beh, per il suo onomastico di ieri, ma non solo. Perché commenta sempre le mie storie e mi fa ogni volta un piacere immenso. Perché è convinta che la sua storia faccia schifo quando è un miscuglio di sentimenti e fantasia stupendi. Perché mi ha fatto immaginare due Mihawk e due Zoro, cose da svenirci. Perché, boh, mi ci sono affezionata e quindi chissene frega degli onomastici, e spero le piaccia.

E ovviamente spero piaccia anche a tutti gli altri!

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Capitolo 4
*** Cap 4. ***


Avviso a fine capitolo!

I baci vengono spesso descritti come scontri di lingue che s'intrecciano tra loro in un duello senza vincitori né vinti, rappresentati come salive che si mischiano unendosi e denti che mordono lievemente fin tanto che l'aria non manca, stabilendo il momento della resa per entrambi.
Uno scontro senza tregua che vede le due fazioni così vicine da essere attaccate l'uno all'altra, in corpi che combattono tanto quanto le bocche, cercando di prendere tutto, fino allo sfinimento, senza dare al contempo nulla in cambio.
Rufy di battaglie ne aveva viste, di quelle vere in cui il sangue cola dalle ferite brucianti di sconfitta annunciata, in cui la fatica pare schiacciare il corpo a terra ad ogni nuovo passo, in cui tutto rimbomba e improvvisamente nulla ha più importanza se non sopravvivere fino alla fine e vincere il nemico.
Eppure tutte le sfide che aveva affrontato non erano servite a molto, davanti a Marineford e alla guerra che si era lì scatenata.
Totalmente diverso da tutto quello che il giovane Capitano avesse mai vissuto o sfidato, anche da Enies Lobby dove eppure era solo contro più di mille uomini e aveva combattuto riuscendo comunque nel suo intento.
Sanguinando, cadendo, ansimando come un povero dannato ad un passo dalla morte, ma ne erano usciti tutti vivi e più uniti di prima, sicuri dell'aiuto dei propri compagni.
Invece lì, a Marineford, era solo circondato da persone che non sapeva fossero amiche o nemiche, la perdita dei suoi compagni ancora davanti gli occhi che rimbombava così come il fallimento di Impel Down, quasi fosse stata colpa sua se quell'ascensore era partito prima che potesse raggiungerlo.
Molti l'avevano aiutato, lungo la strada, salvandolo o contribuendo a farlo avanzare: carcerati evasi dalla grande prigione grazie a lui, o i Comandanti di Barbabianca che per ordine del loro Capitano impedivano al giovane di morire.
Eppure nonostante questo, Rufy era rimasto praticamente impotente davanti alla forza nettamente superiore della Marina.
Davanti agli Ammiragli, e ai loro Rogia che l'avevano trapassato incidendogli la pelle con cicatrici e marchi che a stento erano andati via.
Quella sul petto, fatta da Akainu, ancora brillava di rosso alle volte, quasi il magma fosse rimasto incastonato sulla pelle come un rubino.
Lo stesso Akainu che aveva ucciso Ace davanti ai suoi occhi, senza che Rufy potesse far nulla, troppo stanco e debilitato per muovere un solo muscolo del corpo.
Inutile piangere, disperarsi, agitarsi.
Era morto e basta, sorridendo come avesse ottenuto tutto dalla vita quando essa gli era stata strappata.
Rufy si era ripromesso di non perdere più niente, quando era stato abbastanza cosciente da decidere nuovamente qualcosa.
Non voleva perdere i suoi compagni come non voleva rendere vano il sacrificio del maggiore: per questo lui doveva vivere e diventare il Re dei Pirati, realizzando quel sogno che gridava ai quattro venti fin da quando non aveva che sette anni ed il cappello di paglia era quasi il triplo di lui.
E proprio perché ormai di battaglie ne aveva vissute e combattute fino a sputare sangue e non riuscire più a muoversi per mesi, Rufy non riusciva a pensare che i baci fossero piccole lotte.
A dire il vero non sapeva a cosa li avrebbe paragonati, perché non ne aveva mai dati prima, però sapeva che il sapore di saliva non aveva nulla a che vedere con quello di sangue e che l'adrenalina dei combattimenti non centrava nulla con lo strano calore che si diffondeva nello stringersi a Marco.
Marco che di baci invece pareva intendersene, e anche di come un corpo va sfiorato fino all'abbandono totale dei senti, nel momento in cui sopra e sotto sono una cosa alquanto relativa e quel che conta è non pensare.
In fondo non cercavano altro che quello, entrambi volevano smettere di ricordare, annullarsi totalmente fino a scomparire e magari riapparire quando il mondo sarebbe finito, o in una dimensione strana in cui i ragazzini di vent'anni non muoiono per colpa di pugni di magma, ma ti sorridono la mattina invitandoti a guardare il cielo con loro.
Quindi poco importava che i baci fossero una lotta o una danza sinuosa d'intrecci e passione, perché il loro non era che un modo per strapparsi dal petto ferito un poco di quel dolore dilaniante che altrimenti non li avrebbe mai abbandonati.
Ed infondo, nessuno dei due credeva che se ne sarebbe andato in ogni caso, ben consapevoli che li avrebbe perseguitati fino alla morte.
Ma che male c'era nel volersi illudere che quei baci roventi e quelle mani che graffiavano invece di carezzare potessero servire a scordare ciò che si era perso?

Rufy roteò a mezz'aria, spedendo con un calcio un gigantesco volatile che l'aveva scambiato per cibo dall'altra parte dell'isola.
Atterrò, passandosi la mano sul labbro sanguinante che recava il segno di un artiglio aguzzo.
Gli animali di quell'isola erano ostici, alcuni erano davvero più forti di lui come gli aveva detto Ray, anche se il giovane all'inizio nemmeno ci aveva creduto.
Il problema più grande del Capitano erano gli improvvisi cambiamenti di clima che gli causavano sbalzi corporei costanti a cui non riusciva ancora ad abituarsi nonostante fosse lì da due settimane.
Non un tempo lungo, a pensarci, ma Rufy sapeva che non poteva permettersi di perdere un solo secondo con le mani in mano, se voleva uscire di lì più forte e in grado di difendere i suoi compagni.
Impresso nella mente in un turbine il momento in cui quell'orso glieli aveva strappati uno ad uno, facendoglieli sparire davanti agli occhi, lasciandolo per ultimo, come a sottolineare la sua impotenza.
Non aveva potuto fare niente quella volta e non aveva potuto fare nulla nemmeno ad Impel Down e Marineford.
L'uccello tornò all'attacco, puntando con il becco arcuato da corvo alla sua gola.
Rufy batté il pugno a terra “Gear Second” ringhiò, irritato dalla sua impotenza, dalla sua totale incapacità di difendere le uniche cose a cui teneva.
Che altro volevano strappargli, dopo suo fratello? Volevano portargli via anche Zoro e gli altri? O il suo sogno?
La rabbia saliva prepotente formando un groppo alla gola che rendeva gli occhi grandi e bianchi, facendogli digrignare i denti.
Colpì il volatile sotto il collo, poi saltò nuovamente roteando in aria come una trottola, allungando il piede fino a non vederlo più, calandolo con violenza sul pennuto.
Atterrò, respirando pesantemente, vedendolo stramazzato al suolo.
Marco si scostò dalla parete rocciosa a cui era appoggiato “Cosa ti aveva fatto di male?” chiese, osservando il cranio spappolato dell'uccello.
Capiva Rufy meglio di chiunque altro nell'universo.
Il Comandante stesso aveva perso un fratello ed un padre.
Ora si trovava con una ciurma sperduta che non sapeva chi seguire e cosa fare, preda dei sensi di colpa e del rammarico per essere stati dannatamente impotenti.
Bambini sperduti, ecco cosa e Marco non era altri che il fratello maggiore improvvisamente caricato delle responsabilità della famiglia senza che nessuno avesse pensato che, forse, anche a lui manca il padre e non ha idea di cosa fare.
Il Rosso aveva provato ad aiutarli, ma il Comandante non osava chiedergli più di quanto l'Imperatore avesse già fatto.
Per questo principalmente la Fenice era rimasta vicino al giovane dal cappello di paglia, sperduto nella sua ira che pareva risucchiarlo e nella sua ossessione di voler diventare più forte per proteggere i compagni, per non perdere più niente.
La mattina lo vedeva dall'alto allenarsi con Rayleigh, che poi lo abbandonava nell'isola in modo che se la cavasse da solo contro gli animali ed il clima soggetto a continui cambiamenti, infine la sera il Re Oscuro appariva di nuovo e portava con sé Rufy in una caverna per riposare.
Il Capitano aveva immaginato che nei momenti di solitudine avrebbe potuto rilassarsi invece era impegnato a non diventare cibo, a non morire ora di freddo ed una settimana dopo di caldo, cercando di sfuggire dalle enormi piante che soffocavano da un giorno all'altro il paesaggio o di non affondare nella neve che lo imbiancava in un'ora.
Incrociò le braccia dietro la testa, guardando Marco con un piccolo broncio, le labbra sporte in avanti come un bambino “Voleva mangiarmi!” si lamentò, come fosse colpa del volatile e non sua che era entrato per sbaglio nel territorio dell'uccello.
Marco sospirò, scuotendo il capo “Sei davvero un'idiota” disse, come faceva spesso ad Ace.
“Se non ti sto simpatico che vieni a fare ogni giorno?”.
Il Comandante non aveva risposto, colto di sorpresa, allargando gli occhi neri.
Effettivamente andava sempre a guardare il ragazzino allenarsi, sorvegliandolo mentre era con Ray e rimanendo appoggiato alla parete quando era solo, come a fargli da guardia.
Barbabianca gli aveva affidato la vita di Rufy, ma Marco sapeva di non avere dei veri e propri doveri verso il ragazzino.
Non rispose mai a quella domanda, ma fu la prima volta che le loro labbra s'incontrarono.

Dimenticare solo per un po', solo per il tempo di essere sbattuti contro una parete innevata, o erbosa, o rocciosa, o rovente.
Scordare ancorandosi al corpo dell'altro, gemendo senza chiamarsi, perché infondo direbbero un altro nome che romperebbe definitivamente quella fragile illusione.
Un bacio, ancora uno scontro, sovrapponendosi l'uno all'altro con violenza quasi desiderassero ucciderlo per riavere indietro chi si è perduto.
Di nuovo, sempre.
Vogliono solo scordare.



Allora, ultimamente sono malata. Non mi sento per nulla bene e non riesco a muovermi ed aggiornare come vorrei. Inoltre, sono ben poco ispirata. Vi chiedo quindi scusa per la lunghissima attesa, che si ripeterà sicuramente. Prometto che quando mi riprenderò torneremo ai soliti ritmo. Intanto, beccatevi questo immenso capitolo e auguratemi pronta guarigione XD

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Capitolo 5
*** Cap 5. ***


Si scostarono l'uno dall'altro, osservandosi a vicenda.
Rufy sulla punta dei piedi, aggrappato alle spalle di Marco con le braccia, sporgendo appena il collo nel tentativo di continuare a guardarlo negli occhi e il Comandante con il capo leggermente abbassato e le mani in tasca quasi non gli importasse cosa faceva il minore.
Di punto in bianco inclinò il capo di lato, chiudendo gli occhi e allargando il sorriso lasciando prendesse tutto il volto, illuminandolo, mentre i capelli neri privi del copricapo abbandonato su una roccia oscillavano facendo da cornice “Sono felice di rivederti!”.
Il Comandante batté le palpebre due volte soltanto, distendendo le labbra in un sorriso accennato un poco malinconico ma comunque sincero per la spontaneità che dimostrava quel giovane ogni volta.
L'avrebbe potuto paragonare ad un dolce bambino innocente ed ingenuo che non ha idea di come sia fatto il mondo o dei pericoli che esso nascondeva, se non avesse visto con i suoi occhi lo stesso ragazzo combattere e sputare sangue, senza guardare in faccia nessuno pur di salvare il fratello.
Ignorando le ferite, facendo finta di non sapere di essere solo una formica tra i grandi potenti di un'Era ormai al tramonto, o forse davvero fregandosene che quello fosse Sengoku, o Barbabianca, o chiunque altro.
Uno sciocco ambizioso che vuole paragonarsi a delle legende, o forse semplicemente un ragazzo disperato che non vuole perdere l'unica famiglia che gli rimane, non dopo aver visto i suoi compagni sparire senza far in tempo ad allungare la mano per afferrarli.
E tutt'ora non sa dove siano, né saprebbe come rintracciare ognuno di loro, eppure non se ne preoccupa, fiducioso nelle loro capacità e nel messaggio che spera sia arrivato a tutti loro.
Eclatante il gesto di tornare a Marineford solo per dare un degno funerale al fratello, ancor più quello di aver suonato sedici volte il Gong senza che nessun Marine abbia potuto impedirlo, dando inizio ad una Nuova Era senza chiedere il permesso a nessuno.
Inevitabile finire sulla prima pagina di ogni giornale, quasi a voler gridare al mondo intero “Sono ancora vivo” e ancor di più ai suoi compagni che sicuramente avranno notato il messaggio nascosto in quell'enorme spettacolo.
Un tatuaggio sul braccio sinistro, non troppo più sopra di dove tempo prima tutti quanti avevate tracciato una 'x' che serviva a riconoscervi e che sottopelle marchiava la vostra amicizia, definendo che sì, Bibi è ancora vostra compagni e lo rimarrà per sempre, anche se ormai il pennarello è sbiadito.
Indimenticabile l'addio ad Alabasta che in fondo era solo un arrivederci, perché quando passerete nuovamente da lì lei sarà ad attendervi e forse, questa volta, verrà con voi verso nuove avventure.
Di fronte ai compagni, alla famiglia, agli amici, poco importa se chi si ha davanti è l'uomo più forte del mondo o il capo della marina militare.
Marco aveva potuto vederlo con i suoi occhi, quanto a Rufy poco importasse delle autorità e della fama, ben più rapido di loro nel puntare dritto alla meta senza nemmeno un secondo di ripensamento o esitazione, pronto a buttarsi nell'acqua ghiacciata o ad attraversare il magma, perfino a perdere la vita pur di non veder perire l'amato fratello.
L'aveva ammirato per questo e continuava a farlo, ora che poteva permettersi di osservare con più calma gli atteggiamenti del ragazzo.
Durante i momenti di allenamento aveva un'aria seria e scura, si muoveva fluidamente roteando gli arti, contorcendoli in acrobazie inumane, facendo seguire ad ogni movimento il nome di una tecnica.
Quando usava l'Haki era inavvicinabile, perché nel suo essere privo di controllo, risultava devastante anche per chi era abituato da anni a subire l'Ambizione.
Impossibile da fermare, travolgeva tutto ciò che incontrava con foga che pareva quella degli elementi in guerra, nemmeno si schierassero tutti dalla parte del giovane dal Cappello di Paglia nell'esprimere la rabbia per la sua perdita e la decisione nel diventare ancora più forte, per non perdere mai nessun altro.
Poi Rufy cadeva a terra esausto, non riuscendo più a muoversi, totalmente privo di forze come nemmeno il Gear Second riusciva a fare.
A quel punto, alle volte, Marco gli si avvicinava e vedeva il giovane alzare appena il capo e sorridergli quasi a rassicurarlo di stare bene.
Lo faceva ogni volta che i suoi compagni lo recuperavano quasi in fin di vita, un gesto naturale e rassicurante, di chi tranquillamente dice “C'è mancato poco, ma ce l'ho fatta”.
Non un vanto, ma una semplice constatazione.
Rufy in fondo non voleva diventare il Re dei Pirati per ambizione o per denaro, né per la fama che ne derivava o per vantarsene.

“Dimmi una cosa” Marco incrociò le braccia al petto, osservando il giovane mettere in bocca un'intera zampa di elefante “Cosa vuoi fare una volta finito l'allenamento?”.
Rufy deglutì, già pronto ad afferrare la proboscide della creatura, bloccandosi poi alla domanda del Comandante.
Per un attimo parve intenzionato ad ignorarlo e continuare a mangiarlo, ma poi abbassò la mano e sospirò, senza voltarsi.
“Andrò alle Sabondy” disse, anche se il nome dell'arcipelago suonò strisciante sulle sue labbra, nemmeno stesse parlando del patibolo o peggio.
Non sembrava volerci andare, minimamente.
“Ah? Non mi sembri convinto”.
Rufy scosse il capo, girando il busto verso il maggiore con un sorriso sottile “No, voglio andarci” affermò, più deciso “Per rincontrare i miei compagni” aggiunse, nostalgico.
“I tuoi compagni?”.
Un breve cenno del capo convinse Marco ad abbandonare la parete per sedersi vicino al giovane Capitano, attorno al quale pareva esserci un'aura malinconica di rimpianto nemmeno nascosto.
“Per colpa mia e della mia debolezza...” ricordò le urla di Nami, che spalancava gli occhi non riuscendo a fuggire “Non ho potuto difenderli...” pensò a Brook, che aveva tentato di proteggere Robin fino a sparire “Quindi abbiamo promesso di rivederci lì...” ricordò la scomparsa improvvisa di Zoro, lo stupore di Sanji e Franky, il terrore di Usop “Tra due anni..” pensò per ultima a Robin, che l'aveva chiamato allungando una mano che lui non aveva saputo afferrare “Per riprendere il viaggio verso l'isola degli Uomini Pesce”.
Il Comandante di Barbabianca ascoltò con attenzione tutto quel discorso che sapeva di fallimento, e una volta di più capì la decisione del giovane nel voler disperatamente salvare Ace.
Dopo aver visto i suoi compagni sparire uno a uno da sotto le sue dita, non aveva potuto accettare di rischiare di perdere anche Ace.
Ed invece anche lui gli era sfuggito, di sua volontà però, gettandosi contro un pugno di magma per impedire a suo fratello di morire.
“Capisco” disse, senza particolare intonazione “Dimmi un'altra cosa, Cappello di paglia..” qui dovette prendere un respiro profondo, quasi non avesse la forza di pronunciare quelle parole così dolorose per entrambi che ancora bruciavano, un'ustione ben visibile sulla pelle di Rufy, splendente del magma che Akainu aveva usato per infliggergliela “Qual'è il sogno per cui Ace è morto?”.
Il giovane Capitano spalancò gli occhi, prima di riuscire ad elaborare quelle parole.
Se già la fame era passata parlando della sparizione dei suoi compagni, ora l'elefante gli pareva vomitevole, come se qualcosa si stesse divertendo a rimescolargli le viscere fino a farle uscire fuori, per non fargli più godere il sapore del cibo.
Il suo sogno.
Qual'era il suo sogno? Diventare il Re dei Pirati, certo, lo sapeva e non l'avrebbe mai dimenticato.
Come non avrebbe mai dimenticato che era dannatamente debole dannazione.
Poteva davvero dirlo, crederci, sognarlo, sperarlo, se non era stato capace di difendere la sua ciurma prima e suo fratello poi?
Cercò con la mano il cappello sul suo capo, per ricordare che l'aveva tolto, poggiandolo su una roccia proprio lì di lato, che pareva scrutarlo e tenerlo d'occhio, sorvegliandolo.
Osservò il copricapo, pensando a Shanks, cercando di sentire la voce rassicurante dell'Imperatore che gli aveva fatto venir voglia di compiere quell'impresa, provando ad immaginare il sorriso paterno e l'aria sognante di chi vede il figlio farsi grande, cercando di sentire il braccio del Rosso premergli il cappello sulla testolina nera.
Sorrise, senza ben saperne il motivo, perché in fondo pensare al suo primo mentore lo metteva di buon umore, solo per il fatto che fosse in qualche modo sempre lì, grazie al cappello.
“Io diventerò il Re dei Pirati”.

Per essere libero, era quello che sarebbe dovuto venire dopo quella frase e che Marco non sentì mai, perché aggredì quel ragazzino così presuntuoso che aveva sacrificato Ace per dell'oro.
Di certo il Comandante all'epoca non poteva sapere che Rufy non cercava un tesoro, ma semplicemente di essere l'uomo più libero di tutti i mari.
Era iniziata così, la loro prima volta, con un sottofondo di rimpianti e nostalgia, di promesse che devono essere mantenute anche controvoglia, anche quando tutto è perduto, di addii perenni e di arrivederci fatti in lacrime ma con la sicurezza di ritrovarsi.
La prima e l'ultima, perché fino a quel momento Marco non era più tornato, rimanendo sulla Moby Dick ad occuparsi dei suoi uomini e fratelli.
Ora però era lì, con Rufy che gli sorrideva stringendosi al suo collo quasi ad appigliarsi.
“Dimmelo un'altra volta” il tono non era di supplica, e forse la richiesta non fu chiara, vista l'espressione che fece il ragazzino, ma il maggiore non diede ulteriori chiarimenti, ben deciso a lasciar fare tutto all'intuito che Cappello di paglia aveva sempre dimostrato di avere.
“Io diventerò il Re dei Pirati” sussurrò infatti il Capitano, sporgendosi ancora un po' verso le labbra del maggiore.
Niente malizia, quasi stesse semplicemente giocando, come dicevano anche i suoi occhi luminosi, felici di non essere rimasti nuovamente soli in quell'isola dalle strane temperature e dagli strani mostri che non vedono l'ora di schiacciare i malcapitati.
Marco gli afferrò il mento, baciandolo con foga, senza potersi evitare di finire con la schiena sulla terra rocciosa a causa di Rufy che perfino nel baciarsi pareva deciso a combattere, prendendo tutto come un'enorme battaglia che andava vinta anche solo per divertimento.
Rizzò la schiena, osservando con un sorriso immenso il Comandante della Prima Divisione steso sotto di lui con aria stralunata di chi ancora non capisce com'è finito in quella posizione.
Rise ampiamente, indicandolo come si farebbe con un'animale strano che non si è mai visto al circo, divertito nel notare come l'espressione sempre atona di Marco cambi solo davanti a certi suoi atteggiamenti infantile ed esaltandosi nel provocarlo, quasi per dispetto.
Il maggiore roteò gli occhi “Marmocchi” borbottò, mettendo Rufy né più né meno che sullo stesso piano di Ace.
Due dannatissimi ragazzini che in quel mondo corrotto non sarebbero mai dovuti entrare.

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Capitolo 6
*** Cap 6. ***


Bruciava, e probabilmente era colpa sua.
La foga con cui si avventavano l'uno sull'altro aveva un qualcosa di animalesco, quasi cercassero di farsi male, ancora di più, fino a non sentire il buco al petto, lì nel cuore, dove ora mancava la cosa più importante.
Mancava un fratello, capace con un sorriso radioso di cancellare qualsiasi problema potesse affliggerli, talmente forte da pensare che non sarebbe mai potuto morire.
E invece il corpo era collassato al suolo quasi silenziosamente, ma in un suono che tutti su quel campo avevano udito.
Grazie di tutto, aveva detto, quasi fossero riusciti a salvarlo e avessero fatto qualcosa di straordinario per lui.
Ma non erano riusciti a portarlo via da Marineford né a fare qualcosa per l'enorme buco nel petto che gli aveva liquefatto gli organi interni.
Di cosa li ringraziava, se non erano stati in grado di aiutarlo proprio quando ne aveva bisogno?
Eppure Ace era grado ad ognuno di loro per aver accettato uno come lui, nelle cui vene scorreva il sangue del demonio.
Come importasse davvero qualcosa di chi fosse figlio, quando in fondo tutti loro erano briganti che solo il mare voleva e non ripudiava.
Per questo Rufy si gettava su Marco, desiderando disperatamente un appiglio che non sapeva dove cercare.
I suoi nakama non erano lì, svaniti in chissà quali isole del mondo che lui anche volendolo con tutto se stesso non avrebbe potuto raggiungere.
Rayleigh si concentrava solo sull'allenarlo e duramente gli ripeteva che se voleva davvero evitare la morte di qualcun altro doveva diventare più forte.
Non aveva nessuno e avrebbe rivisto Zoro e gli altri solo tra due anni, alle Sabondy, proprio lì dove aveva fallito la prima volta.
Si era aggrappato all'unica persona che poteva capire il suo dolore perché aveva perso quanto e forse più di lui.
Marco stringeva a sé il giovane dal cappello di paglia, ritrovando il lui l'entusiasmo focoso che possedeva
Ace, il sorriso e la volontà che il ventenne metteva in ogni cosa che faceva, sempre pronto a gettarsi in una nuova impresa con un ghigno sfacciato sulle labbra che sapeva irritare quanto rassicurare.

Eppure come se quella perdita non bastasse – la perdita di una piccola stella che ancora deve imparare come si splende – anche Barbabianca se ne era andato.
L'Imperatore Bianco aveva difeso fino all'ultimo i suoi figli e anche nella morte pareva volerli proteggere da qualsiasi male potesse accadere loro, anche se il peggiore era già capitato.
Chi avrebbe mai potuto sostituire Barbabianca?
Shanks l'aveva proposto a Marco, ma il Comandante aveva rifiutato in maniera secca, come faceva sempre alle proposte del Rosso.
Lui non era degno di prendere il posto del loro Babbo, che nemmeno con mezzo volto corroso dalla lava aveva ceduto davanti alla morte, pur di difendere i suoi figli.
Un uomo capace di perdonare chi lo aveva tradito e di assumersi le responsabilità delle azioni dei figli, per poi difenderli strenuamente.
Nessuno sarebbe stato capace di sostituire né Ace né Barbabianca, ma il Comandante della prima divisione aveva voluto almeno sapere per cosa e per chi erano morti.
E l'aveva trovato in quel ragazzino dal cappello di paglia che con bramosia baciava le sue labbra.

“Io diventerò il Re dei Pirati”.
Marco spalancò gli occhi a quell'affermazione, assumendo un'espressione schifata in un lampo.
Non poteva credere – non poteva accettare – che Ace fosse morto per qualcuno che desiderava uno stupido tesoro proprio come tutti i mentecatti che si spacciavano per Pirati, solcando i mari solo per l'oro.
Il suo Capitano, suo Padre, era deceduto abbandonando un branco di ragazzini che senza di lui nemmeno sapevano come fare a navigare da soli, nemmeno fossero bambini incapaci di camminare più che pericolosi predoni del mare famosi in tutto il mondo conosciuto.
Tutti loro avevano combattuto, pregato, sputato sangue, schiantandosi a terra e rialzandosi ogni volta solo per salvare il loro compagno morto.
Ci avevano creduto, sempre, anche quando tutto sembrava perduto, avevano puntato tutto su quel ragazzino dal cappello di paglia che pareva non capirne niente di guerre e Imperatori, ma tutto di famiglie e affetti.
E ci era arrivato vicino, Rufy, così vicino da afferrarlo, così vicino che tutti avevano esultato gridando al cielo il nome di Ace, finalmente libero e pronto a combattere a loro fianco per fuggire di lì.
Poi però si era sacrificato, per proteggere la stessa persona che per salvarlo aveva messo a soqquadro Impel Down e il Quartier Generale, sfidato la Flotta dei Sette e gli Ammiragli, ignorato Barbabianca e la rivelazione delle sue origini, concentrato solo su suo fratello e sul suo salvataggio.
Ace si era buttato, per trascinare via il giovane Capitano, rotolando di lato e continuare a correre, lasciando perdere gli insulti di Akainu all'Imperatore Bianco e le morti insensate che ancora continuavano.
Invece il pugno di magma era arrivato, trapassandolo da dietro, da parte a parte, squagliandogli gli organi interni, facendo in modo fosse impossibile curarlo.
E l'aveva fatto solo per il sogno del suo fratellino, perché lo voleva vedere realizzato.
Marco si gettò sul giovane, atterrandolo con violenza, il volto contratto dalla rabbia.
Quel moccioso voleva sprecare la vita di Ace cercando del fottuto denaro, dannazione.
Rufy spalancò gli occhi, non capendo l'improvviso scatto del Comandante, che lo teneva bloccato a terra, stringendo con forza tra le mani la maglia rossa tipica del ragazzino, con gli occhi bianchi di rabbia che davvero il più giovane non comprendeva.
“Ace è morto per questo?” ringhiò Marco, aumentando la stretta, quasi volesse soffocare l'altro con la sua furia che ora non riusciva più a controllare “ACE È MORTO PER QUESTO?!” urlò, sbattendo la testa del giovane a terra.
Rufy s'inarcò, sputando un po' di sangue, ancora non totalmente ripreso dalle fatiche di quella guerra e dagli allenamenti che parevano quelli di un'accademia militare.
Marco però non pareva soddisfatto, troppo arrabbiato per rendersi conto che il ragazzo si sentiva tremendamente in colpa anche di suo, senza che nessuno glielo facesse notare.
“TU HAI LASCIATO MORIRE TUO FRATELLO PER DELL'ORO?!”.
Il Comandante di Barbabianca si trovò improvvisamente sbattuto dall'altra parte della radura, premuto con forza contro la roccia di una caverna coperta da erbe rampicanti che parevano divertirsi a pungere la schiena dell'uomo.
Rufy teneva stretto il collo del maggiore, l'Haki divampava intorno al suo corpo riducendo tutto ciò che lo circondava ad una landa deserta a cui nemmeno gli animali più coraggiosi si avvicinavano.
“Io diventerò il Re dei Pirati per loro” ringhiò il ragazzo, guardando Marco con gli occhi carichi d'ira.
Quando era morto Sabo lui ed Ace avevano giurato che, prendendo il mare, sarebbero riusciti a realizzare i loro sogni per essere più liberi di chiunque altro al mondo.
Ed ora che anche il giovane Portuguese se ne era andato Rufy aveva tutte le intenzioni di mantenere quel giuramento una volta di più, per essere libero al posto dei due suoi fratelloni che non avevano potuto realizzare i loro sogni.
Quindi permetteva che gli dicessero qualsiasi cosa, davvero, perfino che non aveva fatto niente per salvare Ace, ma non accettava deridessero il suo sogno.
Non quando era l'ultima cosa che gli rimaneva dei fratelli.
Il Comandante osservò confuso il giovane, che aveva nel frattempo lasciato la presa, facendo qualche passo avanti.
Osservò le spalle del Capitano, seduto a terra.
“Perché vuoi diventare il Re dei Pirati?”.

Il fiato mancava, ormai, eppure i loro nasi continuavano a sfiorarsi, schiacciandosi l'un l'altro, quasi volessero continuare il bacio, mentre respiravano l'aria dell'altro, senza riuscire a pronunciare niente che non fossero ansiti.
Sopra quella giovane Supernova, che in quel momento più che mai aveva bisogno di spalle a cui aggrapparsi, di un petto su cui piangere, di qualcuno che lo consolasse.
Di diventare più forte, abbastanza da non perdere più nessuno, ma anche di tempo per disperarsi per quello che gli era sfuggito di mano per un pelo, di un passo.
“Marco” Rufy respirò affondo, alzando la schiena in modo da guardare dall'alto il Comandante di Barbabianca sotto di lui “Ho deciso..di iniziare gli allenamenti”.
Il più grande osservò l'aria seria di quel ragazzino, come si ergeva su di lui quasi a ribadire la sua decisione, a dargli più forza “Quando posso tornare?”.
Rufy si alzò, chiudendo la maglia rossa sulla cicatrice a 'x' di magma “Tra un anno e mezzo” rispose, allontanandosi senza voltarsi.
Marco sospirò, alzandosi a sua volta.
Si trasformò in fenice e volò via, dai suoi compagni.

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Capitolo 7
*** Cap 7. ***


Stava in piedi a prua della nave, con un piede leggermente sollevato, poggiato di punta.
Era una sensazione nostalgica, quasi straziante.
Accanto a lui in quel momento non c'era Barbabianca, nella sua immensa potenza che dava protezione.
E nonostante la somiglianza, quella non era la loro nave maestra, la gloriosa Moby Dick, ma solo una delle tante con il muso a forma di balena.
Sentiva i suoi compagni che si preparavano per partire, in direzione del Nuovo Mondo, così come aveva ordinato il loro Capitano prima di morire.
Marco non aveva idea di cosa avrebbero fatto, ma sapeva che erano ormai troppi anni che viaggiavano insieme per separarsi, la loro era una vera famiglia legata ancora dal ricordo delle strane risate di loro padre.
Nessuno di loro avrebbe preso il posto di Newgate, non avrebbero mai osato sovrapporsi alla figura dell'Imperatore Bianco.
Avrebbero continuato la loro avventura semplicemente così, difendendo le terre che erano sempre state care a loro padre e quel ragazzino di cui il rivale di Roger si era fidato.
Il Comandante non poté sorprendersi di come il suo pensiero, nonostante la malinconia e la preoccupazione per quello che da allora in poi sarebbe stato, tornasse comunque a Rufy.
Era una vera calamita quel ragazzo, e in un modo o nell'altro senza volerlo ti spingeva ad andare da lui.
Se poi voleva essere seguito, allora non c'era via di scampo.
A dire il vero l'unica motivazione che aveva spinto la Fenice a recarsi dal giovane Capitano era stato solo Ace.
Fin da quando aveva iniziato a parlare con il resto della ciurma, il figlio di Roger aveva nominato praticamente solo il suo amato fratellino combina guai.
Ogni volta che una nuova impresa si univa alle altre del nome di 'Cappello di paglia', Ace era il primo a saperlo e tappezzava la nave di Barbabianca con gli avvisi di taglia di Rufy, riuscendo ad infilare il fratello in qualsiasi discorso.
Marco qualche volta aveva pensato che Pugno di fuoco 'vivesse' per questo famoso fratellino, ma non aveva mai creduto fosse letterale.
E invece il ventenne si era buttato davanti ad un pugno di magma senza pensarci nemmeno una volta, pur di difendere il giovane a Marineford.
Ma la colpa non era di Rufy, o della Marina, o di Akainu.
La colpa, Marco la dava a se stesso, a se stesso e ai suoi compagni che non avevano saputo proteggere un loro fratello e loro padre.
Non avevano fatto tutto quello che era in loro potere e un ragazzino nemmeno adolescente era riuscito quasi in quello che la ciurma dell'uomo più forte del mondo non aveva potuto.
Un disonore, ed un eterno rimpianto, perché nonostante gli sforzi Ace era morto.
Il Comandante inclinò appena il capo all'indietro, senza però lasciarsi sfuggire alcun sospiro.
Cercò di concentrarsi su altro, per non pensare agli eventi che avevano sconvolto la ciurma dalle fondamenta, rischiando di distruggerla e lasciando nei cuori di tutti loro un buco che non sarebbe più stato riempito.
La prima cosa che gli venne in mente fu lo sguardo determinato di Rufy.
Quel ragazzino sarebbe diventato la sua ossessione, ma forse lo era già e non voleva ammetterlo.

“Perché vuoi diventare il Re dei Pirati?”.
Si sentiva il più grande idiota sulla faccia della Grand Line.
Come aveva potuto anche solo pensare che il fratello minore di Ace volesse diventare il Re dei Pirati per dell'oro?
Ace non si sarebbe mai affezionato, preso cura e soprattutto non sarebbe mai morto per qualcuno che voleva una cosa così squallida.
E cosa dire del fatto che Barbabianca si era affidato al ragazzino dal cappello di paglia per salvare uno dei suoi figli, ordinando alla sua ciurma di spianargli la strada anche quando ormai tutto pareva perduto?
Marco si alzò lentamente.
Passò una mano tra la strana capigliatura scompigliata, che lasciava ricadere i capelli biondi in maniera più naturale lungo il volto.
Li sistemò con cura, per poi infilare le mani in tasca.
“Perché vuoi trovare il One Piece?” domandò, di nuovo, sussurrando appena il nome del tesoro, quasi fosse sacro.
Avanzò di un passo, avvicinandosi alla schiena di Rufy.
Stava con i pugni stretti, respirava con foga quasi avesse percorso miglia e miglia tutte insieme.
Il cappello era stato posato tempo prima su una roccia, quando erano iniziati quegli allenamenti e quelle visite, quindi i capelli mori scompigliati erano ben visibili.
E prima, mentre era tenuto contro la roccia con furia, Marco aveva potuto anche vedere gli occhi del minore caricarsi di rabbia e di Haki che ancora cercava di tenere a bada, per riprendere il controllo di sé.
Il Capitano voltò appena il capo, tenendo il mento leggermente sollevato e le palpebre socchiuse, quasi a mostrare superiorità per chi aveva insinuato che a lui interessasse più dello stupido metallo giallo che suo fratello.
Ghignò.
“Io troverò il One Piece per i miei fratelli. Sarò libero, così lo saranno anche loro” disse, quasi fosse una minaccia.
Un secondo dopo però si era voltato verso Marco, sorridendo come un bambino.
Era finalmente riuscito a calmarsi e non era da lui aggredire gli amici.
Il Comandante di Barbabianca era una persona a cui suo fratello teneva, visto che erano compagni, quindi non poteva essere cattivo.
“L'oro mi piace, ma non è la cosa più importante!”esclamò, allargando ancora il sorriso, fin quasi a coprirgli tutto il volto fanciullesco.
Il maggiore scosse il capo.
“Tu sei..davvero il degno fratello di Ace”.

Sospirò sonoramente.
Qualsiasi cosa cercasse di fare, non riusciva a dimenticare il modo in quel ragazzino sorrideva.
Aveva trovato la sua motivazione per vivere e per questo era riuscito a riacquistare la voglia di giocare.
Proprio come avrebbe voluto il figlio di Roger, il giovane dal cappello di paglia aveva deciso di continuare il suo viaggio con i suoi compagni per trovare il leggendario tesoro e diventare il Re dei Pirati.
Così da poter essere libero e liberare con sé anche i suoi fratelli, come avevano sempre voluto.
 



Mi rendo conto di essere in ritardo e che avrei altre storie da aggiornare, ma ci tenevo a questo capitolo. È più corto degli altri, forse meno dettagliato, ma per me è importante, perché qui Marco capisce com'è Rufy e cosa vuole veramente. Spero vi piaccia ♥

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Capitolo 8
*** Cap 8. ***


Ansimò.
Una nuvoletta di fiato si condensò davanti la sua bocca a causa del freddo, una goccia di sudore gli scivolò lungo la fronte, i brividi cospargevano la sua pelle fino alla punta dei piedi.
Si diede la spinta con i piedi nudi sulla neve, scattò saltando, portò indietro il gomito, fece per tirare un pugno, assottigliò lo sguardo scagliando il colpo.
Rayleigh schivò piegando le ginocchia, mosse rapidamente le braccia, il bastone che aveva in mano colpì il fianco di Rufy.
Il ragazzo rotolò, le pietre sotto la neve gli graffiarono la pelle, si morse il labbro rimettendosi in ginocchio, scattò nuovamente preparando un calcio.
Rayleigh sorrise in maniera sottile, si spostò di lato, il colpo del Capitano abbatté una decina di alberi, i frammenti di ghiaccio volarono nello spiazzale.
Rufy rimise il piede a terra, ansimò, strinse i denti tra loro, li fregò, sbuffò un'altra nuvoletta, scattò provando ad avvicinarsi.
Il Re Oscuro mosse il bastone, Rufy abbassò il capo schivandolo, tirò una ginocchiata, l'anziano inarcò appena indietro la schiena, nuovamente attacco il ragazzo con il bastone, Rufy ruzzolò a terra, rotolò sulla neve, ringhiò.
< Dannazione > pensò.
Non riusciva a toccarlo, non riusciva a colpirlo.
E ogni volta che sbagliava, che cadeva in terra, che sputava sangue mista a saliva, che le rocce gli graffiavano la pelle, che il freddo della neve o il caldo della sabbia lo torturavano, gli veniva in mente un solo volto e un solo nome.
Ace.
Strinse i pugni, assottigliò lo sguardo, scatto verso l'uomo che lo attendeva con il bastone in pugno.

Ace si mosse di lato, seguì con lo sguardo il colpo di Rufy battere contro l'albero, incrinare leggermente la corteccia e sbalzare all'indietro il bambino, che cadde sulla schiena.
“Arrenditi Rufy, sei troppo debole”.
Il minore tirò su con il naso, fece leva con le mani a terra, saltò in piedi, aprì un poco le gambe, i sandali strusciarono sul terreno.
“Non sono debole Ace!”.
Gonfiò le guance, alzò la guardia cercando di fare un'espressione più seria.
Ace inarcò un sopracciglio, incrociò le braccia al petto.
“Quel frutto è inutile, smettila di ostinarti”.
Il bambino digrignò i denti, saltò in avanti, provò a colpire il più grande con un calcio.
Ace si abbassò, il colpo prese una roccia, l'estremità della pietra si frantumò, il piede di Rufy proseguì la sua corsa, il minore gridò.
“Non riesco a fermarmi!!”.
“Merda”.
Ace ringhiò, si acquattò, attese ad occhi chiusi.
Saltò, colpì con forza la suola del sandalino di Rufy, il piede tornò indietro a tutta velocità, il bambino cadde all'indietro, batté la schiena contro un tronco.
Tirò su con il naso, si passò le mani sugli occhi, strinse i lembi del cappello coprendosi il volto.
“N-on è gi-giusto”.
Il maggiore grugnì, si avvicinò al più piccolo, gli tirò un pugno in testa.
“E non frignare”.
Si piegò in avanti, osservò gli occhi del fratellino pieni di lacrime, sbuffò sonoramente.
“Sei il solito incapace. Voglio vedere come farai da solo!”.
Rufy alzò il capo, sporse il labbro all'infuori, tirò su con il naso, si asciugò gli occhi.
“Io diventerò fortissimissimo. Più di te Ace!”.
Ace incrociò le braccia, si rimise ritto, alzò il mento stizzito.
“Se vuoi fare una cosa simile, smettila di piangere per qualsiasi cosa!”.
Rufy annuì, sorrise, si rialzò.
“Continuiamo!”. 

Il colpo sfiorò il braccio del Vice di Roger, l'uomo si mise di fianco, Rufy sollevò di scatto la gamba, Ray piegò le ginocchia abbassandosi.
Il minore fermò la spazzata che stava dando, allungò la gamba verso l'alto spingendola verso il terreno.
Ray alzò di scatto il bastone, parando.
Il Capitano ghignò, saltò all'indietro con una capriola in aria.
“Finalmente hai usato quell'affare!”.
Sorrise ampiamente, portò le mani dietro al collo, chiuse gli occhi inclinando appena il capo di lato.
Ray batté perplesso gli occhi, il giovane cadde a terra sfinito.
Il bastone si era spezzato tra le mani del Vice di Roger.

“Tu ed Ace come vi siete conosciuti?”.
Rufy alzò il capo, storse il labbro, si sistemò meglio sul petto di Marco.
“Avevo sette anni quando l'ho visto la prima volta. Era veramente insopportabile!”.
Il Comandante inarcò un sopracciglio biondo, si sistemò meglio contro la roccia a cui aveva poggiato il capo.
Rufy mugugnò, strinse la presa delle braccia attorno al collo del maggiore, strofinò il capo contro i pettorali tatuati della Fenice.
“Insopportabile? Perché?”.
“Era un asociale. E mi ha sputato addosso”.
Rufy rise, strinse le gambe al bacino di Marco, il Comandante sogghignò, le allargò appena, le pelli nude a contatto tra loro.
“Asociale lo è sempre stato, ma a me pareva solo molto spaventato”.
Il minore alzò appena il capo, batté gli occhi perplesso.
“Ace spaventato?”.
Scosse la testa, la poggiò di nuovo dov'era prima.
“No. Lui non ha mai paura di niente. E non ha mai perso contro nessuno. Anche se io lo avrei battuto, prima o poi”.
Marco sbuffò, si passò una mano tra i capelli lisci, la sua solita acconciatura completamente rovinata, la chioma bionda ricadeva fluente sulle spalle coperte dalla giacca aperta.
“Come fai a parlare come fosse vivo?”.
Rufy sorrise appena.
Si strinse maggiormente all'altro, completamente nudo, affondò il naso tra i pettorali scolpiti del Comandante.
“Perché penso che continuerà a difendermi. E io continuerò a volerlo superare. Non voglio..dimenticare Ace”.

Rufy aprì gli occhi.
< Ho sognato Marco > pensò.
Sorrise, si stiracchiò, sentiva le ossa completamente molli, come avesse usato il Gear Second troppo a lungo.
< Chissà se i miei compagni stanno bene > si chiese.
Non se lo domandava mai, di solito, perché sapeva che erano forti e non avrebbero avuto problemi a sopravvivere e diventare ancora più bravi.
Si fidava completamente di loro e sapeva che quando li avrebbe rivisti, tutti loro avrebbero sorriso e sarebbero partiti di fretta e furia inseguiti dalla Marina.
Altrimenti non sarebbe stato da loro.
< Non devo pensarci. Staranno bene >.
Sorrise, si alzò di scatto, ignorò la fitta ai muscoli.
< E Marco lo rivedrò presto >.
Il sorriso si allargò, si batté le mani sui pantaloni, sistemò la giacca rossa a maniche corte.
Era ora che andasse a mangiare.

 

Della serie: "A volte ritornano"; se si tratta di me, ritorno sempre XD
Come ho già detto in RoL, ultimamente l'ispirazione non sò dove stia di casa. I regali di Natale occupano praticamente tutto il mio tempo libero, lo studio per recuperare prima della fine del Quadrimestre sta diventando sempre più stressante, la scuola lo era già da settembre e la connessione rincoglionita non aiuta. Insomma, sono una persona stressata ù.ù
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, cercherò di non farvi aspettare più così tanto <3

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Capitolo 9
*** Cap 9. ***


Si sentiva maledettamente a disagio.
Era più di mezz'ora che volava attorno a quella stramaledetta isola a poca distanza da Amazon Lily, ne aveva fatto il giro forse un centinaio di volte e ancora non si decideva ad atterrare.
Più guardava quel dannatissimo sputo di terra dal clima tutto tranne che normale, meno aveva voglia di metterci sopra una zampa.
Marco, però, sapeva che non avrebbe resistito a lungo.
Anche con tutti i buoni propositi, anche con tutte le raccomandazioni che si era fatto e con tutta la volontà che poteva avere un pirata della sua esperienza; non sarebbe riuscito a resistere.
E non ci sarebbe riuscito perché voleva dannatamente atterrare, trovare Rufy e baciarlo come se stesse per terminare il mondo; come se il giorno dopo ci potesse essere un'altra Marineford, come si bacia qualcuno che aspetti di rivedere da così tanto tempo da esserti dannato l'anima.
Il Comandante di Barbabianca era una persona calma e pacata.
La gran parte delle volte sfoggiava un'espressione di annoiata superiorità capace di mettere il nervoso e di far venire voglia di schiaffeggiarlo fino a togliergli quella faccia; la minor parte delle volte aveva invece un ghigno supponente e derisorio che pareva dire a chiare lettere quanto lui fosse superiore rispetto agli altri.
C'erano essenzialmente due persone con cui era stato gentile, le uniche forse nell'intera Grand Line ad averlo visto sorridere in maniera amichevole.
Barbabianca, l'uomo che per lui era stato un padre dalla prima volta che l'aveva raccolto quasi per sbaglio e poi c'era Ace.
Ace con quella sua aria smarrita e malfidata che se ne stava in un angolo della nave come volesse fuggire, Ace che non entrava mai nella sua cabina anche a costo di bagnarsi da capo a piedi, Ace che non parlava con nessuno e che pareva odiare tutti gli esseri esistenti in quello squallido Universo.
Quelle erano le uniche due persone per cui Marco poteva dire con certezza di aver provato un sentimento talmente forte che definire semplice stima o amicizia sarebbe parso ridicolo, come sminuente.
Non che il resto dei suoi compagni gli fossero indifferenti, erano tutti una grande famiglia e il Comandante della prima divisione teneva a tutti indistintamente; da quelli più sconsiderati ai più saggi.
Solo che Barbabianca ed Ace erano diversi, lo erano sempre stati e negarlo sarebbe stato come dire che la Grand Line era nera e viola invece che una distesa azzurra di acqua salata.
Quello che adesso si ritrovava a provare per Rufy non centrava niente con nessuno dei sentimenti a cui era abituato e forse per questo vi cercava paragoni con Ace.
Perché il figlio di Roger era effettivamente l'unico esempio di adolescente determinato da rasentare la pazzia che Marco avesse mai avuto l'occasione di avere intorno e a cui si fosse affezionato.
Ma nonostante tutto, e nonostante Rufy vi somigliasse davvero molto, Ace non era un buon termine di paragone.
Fosse dipeso da lui, il Comandante avrebbe preso il figlio di Roger e lo avrebbe tenuto stretto tra le sue ali per tutta la vita o giù di lì, impedendogli di credere ad assurdità quali essere figli del demonio o non essere degni di vivere.
Con Rufy, ovviamente, era un altro paio di maniche.
Quel moccioso era uno che se avessi provato a pensare di proteggerlo, ti avrebbe staccato la testa a morsi senza pensarci due volte perché era forte; abbastanza da cavarsela da sola e di tenere al sicuro i suoi compagni.
Era per quello che si stava allenando, in fondo, e se qualcuno avesse affermato il contrario Marco era ben certo che sarebbe finito allo spiedo ad essere fortunato.
Rufy se le lasciava scivolare addosso le chiacchiere della gente, si comportava come voleva senza seguire alcuna regola o logica che non fosse la sua; combatteva solo per i suoi Nakama e per i suoi amici, non gli importava un bel niente del Governo Mondiale o di essere il figlio del Capo dei Rivoluzionari.
Il Comandante sbuffò e decise finalmente di atterrare, si trasformò in umano appena la zampa sfiorò terra e si guardò intorno.
< Forse sarebbe stato meglio cercarlo dall'alto > pensò.
Anche se aveva girato l'isola più volte, non c'aveva pensato.
Probabilmente non voleva nemmeno davvero incontrarlo, solo che non poteva evitare di essere lì anche se ci provava con tutte le sue forze dalla prima volta.
Non avrebbe dovuto incontrarlo perché lui e Rufy erano gli esponenti di due ciurme diverse, non avrebbe dovuto incontrarlo perché lui avrebbe dovuto essere con i suoi compagni per continuare a guidarli nella difficile difesa del territorio da chi voleva rubare le terre di Barbabianca, non avrebbe dovuto essere lì perché Rufy sarebbe tornato dai suoi compagni e dalla sua avventura e non si sarebbero probabilmente visti mai più, non avrebbe dovuto perché entrambi cercavano Ace ed era impossibile trovarlo.
Eppure era lì, era lì e ormai non poteva andarsene.
L'idea che fosse davvero impossibile guarire quella cicatrice che il figlio di Roger aveva lasciato morendo sarebbe stata troppo dolorosa, abbastanza da morirne.
Credere che poteva svanire, assorbita dai baci e cancellata dalle carezze, era molto meglio.
Era meglio perché così si poteva sperare di dimenticare, di scordare l'enorme buco di magma nel petto di un ragazzo appena ventenne; il suo sorriso prima di morire e il grazie che gli aveva dedicato nemmeno loro avessero fatto chissà cosa d'importante.
Ma era stato lui l'unico a fare cose davvero importanti, tanto da illuminare la vita di un numero immenso di persone.
La vita di Rufy, di Marco, di Barbabianca e di tutti i suoi alleati erano state rese più belle dalla presenza di quel ragazzino con le lentiggini e il sorriso solare che pareva divertirsi a spaventarli tutti con attacchi di narcolessia improvvisi.
Quando lui era morto per salvare il fratello minore, per permettergli di realizzare il suo sogno, era stato come se in un attimo il sole fosse stato inevitabilmente annuvolato.
Ci si vedeva ancora, si poteva continuare a vivere, ma i colori erano più grigi e tutto sembrava più triste e cupo.
Marco credeva – sperava profondamente – che il sorriso di Rufy potesse dissipare le nubi e far tornare a splendere quel sole.
Per se stesso, in primo, e per tutti quelli che erano stati compagni di Ace in secondo luogo; perché il figlio di Roger non li avrebbe mai perdonati se non avessero vissuto a pieno la loro vita.
Tornava da Rufy per questo, Marco, per vedere il sorriso che Cappello di paglia tirava fuori in certi momenti, ridacchiando a denti stretti e calcandosi il copricapo sui capelli neri corti che gli finivano davanti gli occhi onice.
Non era giusto, non lo era affatto, caricare quel giovane di così tante aspettative da schiacciarlo e non era giusto che lui andasse lì per tappare almeno un po' la sua ferita; ma non poteva farci niente.
Il sole ha una gravità troppo forte, si deve girargli attorno che lo si voglia o meno, non si può evitare di farlo e per quanto ci si sforzi si seguirà sempre la strada che quella gravità ha deciso.
Niente compromessi né vie di mezzo, la strada era già decisa e nessun sole avrebbe permesso che venisse cambiata.
Rufy era così, decideva e non si poteva fare niente.
Il giovane Capitano aveva deciso che Marco sarebbe tornato da lui una volta passati 18 mesi.
E Marco, assetato di curare la sua ferita tanto quanto lo era il ragazzo dal cappello di paglia, era tornato nello stesso posto dove per la prima volta un buffo bambinetto gli era andato incontro rischiando d'investirlo per inseguire uno strano animale.
Adesso doveva solo aspettare che il sole si decidesse a rischiararlo.

 

Ok, da quanto non aggiorno? Tipo secoli, e questo capitolo non è un granché ma era giusto per riprendere. Finalmente Marco è andato da Rufy, ora tocca al Capitano trovarlo e andare al sodo; cosa che stiamo aspettando tutti da almeno settanta anni, me compresa XD
Spero vi piaccia ^^

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